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Full text of "Compendio di storia Romana; volgarizzamento inedito secondo un codice dell'Ambrosiana"

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SCELTA 


DI 


CURIOSITÀ  LETTERARIE 

INEDITE   0  RARE 

DAL  SECOLO  XIII  AL  XMI 

in  Appendice  alla  Collezione  di  Opere  inedite  o  rare 


DISPENSA    CLXXX 


Prezzo  L.  10  ,.  / 

7^y 


Di  questa  SCELTA  usciranno  otto  o  dieci  volumetti 
air  anno  ;  la  tiratura  di  essi  verrà  eseguita  in  numero 
non  maggiore  di  esemplari  202  :  il  prezzo  sarà  uniformato 
al  numero  dei  fogli  di  ciascheduna  dispensa,  e  alla 
quantità  degli  esemplari  tirati  :  sesto ,  carta  e  caratteri, 
uguali  al  presente  fascicolo. 

Gaetano  Romagnoli 


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F64-16      Lucius  Anrva^^tv^  \-\ou\s 

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DI 

LUCIO  ANNEO  FLORO  ,. 

VOLGASIZZAMSNTO  ISEWTO 

SECONDO  UN  CODICE  DELL'  AMBROSIANA 

PUBBLICATO  PKR      JK  > 

DEL  DOTI.  ANTONIO  CERUTI 

..ex 


BOLOGNA 

PRESSO   GAETANO    ROMAGNOLI 
1881 


Edizione  di  soli  202  esemplari 
per  ordine  numerati 

N.   2 


BOLOGNA.   TIPI  FAVA  E  GARAGNANI 


LUCIO  ANNEO  FLORO 


Lucio  Anneo  Ploro  è  l'ultimo  degli 
storici,  che  fiorirono  dopo  Augusto 
e  pervennero  sino  a  noi.  Con  lui 
ebbero  nominanza  Svetonio,  Cremu- 
zio  Cordo,  Tito  Labieno,  Q.  Curzio, 
Tacito ,  Valerio  Massimo  ,  Vellejo 
Patercolo  :  età  ricca  di  scrittori 
non  meno  che  la  precedente,  seb- 
bene di  merito  inferiore.  11  di  lui 
Compendio  di  Storia  Eomana,  che 
gli  die  posto  non  ultimo  fra  gli 
storiografi  dei  fasti  di  un  gran  po- 
polo legistatore  e  conquistatore,  è 
ricordato  da  molti  scrittori ,  ed  eb- 
be assai  credito  nell'  antichità.  Ma 
fra   coloro    che    scrissero    di    lui  , 


v'ha  discrepanza  su  alcuni  partico- 
lari della  sua  persona.  Francesi  e 
Spagnoli  si  contendono  la  nazio- 
nalità di  questo  scrittore,  senza 
tuttavia  poter  addurre  argomenti 
atti  a  provare  in  tutto  la  tesi  ri- 
spettiva (1),  e  lo  stesso  Giambat- 
tista Giovio  lo  crede  italiano  e 
speralo  cittadino  comense ,  per  a- 
verne  letto  il  nome  in  una  lapide, 
rinvenuta  da  Benedetto  Giovio  poco 
lungi  dalla  sua  città  (2),  senza  tut- 

(1)  Hisloir.  liltér.  de  France,  T.  I.,  p.  255. 

(2)  Gli  Uomini  della  comasca  diocesi  ecc., 
pag.  367.  L' iscrizione  sembra  menzionare 
invece  un  P.  Orazio  Floro,  figlio  di  Pu- 
blio, della  tribìi  Oufentina: 

P.  HORATIO 

P.  F.  0.  V.  F. 

FLORO 

mi  VIRO  A.  p.  mi  VIRO 

etc. 
Le  iniziali  del  nome  di  quella  tribù,  ram- 
mentata in  moltissime  iscrizioni  i'omane  , 
l'invenute  nel  milanese  e  nel  comasco, 
furono  dal  Giovio  credute  quelle  di  tre 
parole  distinte. 


tavia  averla  letta  esattamente,  né  a- 
vervi  ravvisati  gli  estremi,  che  iden- 
tifichino tal  nome  con  quello  dello 
storico  latino.  D'  altronde  quelle 
contese  di  Francia  e  di  Spagna  si 
fondano  su  semplici  congetture  di 
sinonimia,  più  che  sovra  indizi  at- 
tendibili, desunti  dalle  memorie  ge- 
nealogiche. 

Sembra  che  il  nostro  Floro  abbia 
sortito  i  natali  a  Cordova.  In  vero 
assai  più  probabilmente  che  d'  al- 
tronde ,  fu  oriundo  di  Spagna ,  e 
visse  negli  ultimi  tempi  dell'  impe- 
ratore Traiano,  e  più  a  lungo  in 
quelli  d' Adriano.  Su  questa  circo- 
stanza v'  è  pure  disputa  tra  1  suoi 
biografi;  tuttavia  avendo  egli  im- 
preso nella  sua  storia  a  narrare  le 
vicende  fortunose  della  potente  Ko- 
ma ,  dalla  di  lei  fondazione  sino 
all'  età  d' Augusto  per  lo  spazio  di 
ben  sette  secoli,  viene  egli  stesso 
ad  affermare  1'  epoca  in  cui  scris- 
se, asserendo  nel  proemio  del  suo 


libro ,  che  dal  tempo  di  Cesare  Au- 
gusto sino  all'  età  sua  erano  scorsi 
quasi  dugent'  anni.  Vuole  il  Vola- 
terrano  (1),  ch'egli  fosse  figlio  di 
Giulio  Floro  Secondo,  uomo  di  ma- 
ravigliosa  eloquenza  e  accuratissi- 
mo, come  attesta  Quintiliano  suo 
coetaneo,  facendo   anco  menzione 
d'  un  altro  Floro,  zio  di  Secondo, 
al  quale  dà  in  Gallia  il  primo  luo- 
go neir  eloquenza,  perchè   aveala 
colà  ultimamente  professata.  Giu- 
sto Lipsio  lo  fa  egli  pure  spagnolo 
e  della  famiglia  di   Seneca,   senza 
tuttavia    addurne    prove  ,   mentre 
Floro  si  dichiara  sempre   romano. 
Lo  stesso  Lattanzio  gli  attribuisce 
altresì  il  nome .  di   Seneca ,    quasi 
confondendo  due  personaggi  affatto 
distinti,  per  essere  questi   stato  il 
primo,  che  abbia  distinto  il  tempo 
del  popolo  romano  in  quattro  età, 

(1)  Maffei  Raph.  Volater.    Commentar. 
Urban.,  lib.  XVI,  col.  474.  Lugd.  MDLII. 


come  fece  infatti  Floro ,  in  altret- 
tanti libri  dell'  opera  sua.  Vera- 
mente ambedue  seguirono  tale  di- 
visione in  età  d' infanzia,  adole- 
scenza, virilità  e  vecchiezza,  ma 
ripartirono  ad  intervalli  differenti 
quelle  epoche,  sebbene  forse  non 
a  caso  seguirono  quei  criterj  cro- 
nologici ,  0  piuttosto  r  uno  così 
scrisse  ad  imitazione  dell'  altro.  Né 
perciò  forse  potrà  negarsi  del  tutto, 
che  Floro  avesse  qualche  attinenza 
gentilizia  colla  famiglia  Seneca, 
la  quale  alla  sua  volta  derivò  dal- 
l'Annea  (1),  ed  avesse  perciò  avuto 
comunanza  di  stipite  e  patria. 

Altrimenti  è  talvolta  appellato 
Floro  col  nome  di  Giulio  da  qual- 
che scrittore,  che  lo  credette  il 
Giulio  Floro  Secondo,  ricordato  con 
benevoli  parole  da  Quintiliano  (2), 

(1)  Anche  l'autore  della  Farsaglia,  Lu- 
cano, nativo  egli  pure  di  Cordova,  avea  il 
nome  gentilizio  di  M.  Anneo. 

(2)  Instit.  orator. ,  lib.  X. 


vissuto  ei  pure  ai  giorni  di  Tra- 
iano, e  quindi  contemporaneo  dello 
storico.  Ma  mal  s'appose  chi  ebbe 
questa  credenza,  in  quanto  che  il 
Floro  encomiato  dal  celebre  retore 
ed  oratore  non  è  da  lui  rammen- 
tato fra  gli  scrittori  di  storia  , 
bensì  fra  gli  oratori  più  eccellenti 
e  di  miglior  fama  al  pari  dello  zio 
Giulio  (1) ,  a  tacere  di  una  circo- 
stq,nza  di  non  infimo  momento ,  che 
i  codici  più  antichi  e  autorevoli 
del  Compendio  della  Storia  Komana 
recano  il  nome  di  Lucio  Floro. 
Quel  Giulio,  per  altro,  col  quale 
questi  è  talvolta  scambiato  dagli 
scrittori,  visse  sotto  Tiberio,  e  n'  è 


(1)  «  Memini  Julium  Secundum  .  . .  mi- 
rae  facundiae  virum . . .  L.  Florus,  flos  elo- 
quentiae  gallicae,  cum  ibi  eam  exercuerit, 
princeps ,  alioquin  inter  pauoos  disertis- 
simus  »  Raphael  Volaterr. ,  Commentar. 
Urbanor.,  lib.  XVI. 


ricordo  nelle   opere   di  M.   Seneca 
e  di  Quintiliano  (1). 

(1)  G.  J.  Voss  dubita  che  1'  Oclavia, 
attribuita  al  filosofo  Seneca,  sia  piuttosto 
dello  storico  Floro,  che  forse  per  un  pre- 
testo genealogico  potè  chiamarsi  od  esser 
da  altri  appellato  anche  Seneca.  Ma  que- 
sta credenza  non  è  suffragata  da  pi'ove. 
Lo  si  crede  pur  da  taluno,  ma  senza  baste- 
vole fondamento,  autore  dell"  inno  Pervi- 
gilium  Veneris,  composto  sulla  fine  del 
sec.  II  dell'  era  volgare.  V.  Fabrizio ,  Bi- 
blioth,  latina,  t.  II,  e.  23  ;  Voss ,  de  Eistor. 
latin. ,  1.  I,  e.  30  ;  de  Poetis  latin. ,  e.  4.  Fu 
anche  sci'itto  che  lo  storico  Floro  abbia 
ardito  gareggiare  in  poesia  coli'  imp.  Adri- 
ano, e  che  questi  siasene  vendicato  con 
una  satira,  nella  quale  gli  rimprovera  il 
sudiciume  fra  cui  vivea,  frequentando  le 
bettole  e  le  taverne: 

Ego  nolo  Florus  esse, 

Ambulare  per  tabernas. 

Latitare  per  propinas, 

Culices  pati  rotundos, 
per  rimbeccarne  un'  altra ,   da  Floro  di- 
vulgata al  proprio  indii-izzo: 


Checché  dell'  autore  sia  stato 
non  sempre  con  eguale  concordia 
ed  esattezza  detto  dagli  eruditi,  è 
ormai  fuor  di  dubbio,  che  i  suoi 
quattro  libri  di  Storia  Romana  com- 
pendiata furono  assai  famigliari  a' 
suoi  medesimi  contemporanei  e  a 
quelli  che  vissero  dappoi  (l),i  quali 
restii  alla  lettura  delle  ampie  opere 

Ego  nolo  Caesar  esse, 
Ambulare  per  Britannos, 
Scythicas  pati  pruinas; 
ma  quest'asserzione,  ripetuta  dall' ab.  Long- 
champs,  Tabi,  histor.,  T.  I,  p.  123,  non 
ha  altro  appoggio  che  alcune  cose  dette 
da  Sparziano  in   Vita  Hadr.,  p.  155,  non 
parendo  che  1'  autore  di  que'  versi  sia  il 
Floro  storico,  se  si  tien  conto  anche  del- 
l' incertezza  del  nome  di  lui ,   accennato 
dagli  scrittori,  che  forse  palliarono  d' indi- 
vidui diversi. 

(1)  «  Scripsit  historiam  romauam  brevi- 
tate  admodum  et  elegantia  posteritati  ac- 
ceptissimem  »  Raphael.  Volaterr. ,  Com- 
mentar.  Uì'han.,  lib.  XVI. 


degli  scrittori  di  maggior  lena,  in- 
teressavansi  tuttavia  di  conoscere 
con  lieve  fatica  e  risparmio  di  tempo 
i  fasti  delle  età  trascorse.  Erasi  de- 
stato non  so  se  amore  o  bisogno  di 
rovistare  i  tesori  del  passato,  e  per- 
ciò quel  secolo  ebbe  in  Svetonio  il 
suo  Varrone,  sebbene  in  chi  stu- 
diava facesse  difetto  l' attitudine  a 
trar  profitto  delle  notizie  apprese, 
appropriarselo  e  fecondarlo  in  sé 
medesimo;  e  però  l'un  dì  piìi  che 
r  altro  veniva  crescendo  il  biso- 
gno di  raccogliere  in  compendio  le 
ricchezze  dell'  età  che  furono  ,  e 
moltiplicavansi  i  compendiatori.  Di 
questi  fu  Floro  ;  e  perchè  1'  in- 
clinazione degli  scrittori  era  divisa 
dai  lettori ,  nacque  il  riprodursi 
fuor  misura  degli  esemplari  del  suo 
libro  in  grazia  della  sua  brevità,  e 
fors'  anche  per  la  sua  forma  reto- 
rica, divenuta  di  moda.  Però  la 
fretta  e  la  negligenza  de' copisti, 
r  ignoranza  e  la  mala  fede  de'  sac- 


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centi  v'introdussero  un  nembo  cV 
errori,  adulterazioni  e  interpolatu- 
re,  che  affaticarono  poi  a  dismi- 
sura la  mente  de'  critici  nel  discer- 
nere la  presunta  lezione  autentica 
dalle  falsificazioni  (1). 

Come  già  fu  accennato  or  ora, 
il  favore  che  ottenne  quell'opera, 
attribuivasi  senz'  altro  a  quello 
stile,  sebben  guasto  da'  difetti  del 
tempo  e  comune  ai  poeti  e  agli  o- 
ratori  contemporanei  ,  oltremodo 
conciso,  tenero  d'una  precisione 
affettata,  e  causa  perciò  d'  una  mo- 
lesta e  spesso  inestricabile  oscurità, 
soverchiamente  sentenzioso,  poeti- 
co e  fiorito  più  del  bisogno  ;  è  uno 
scrivere  troppo  lontano  dalla  pu- 
rezza del  secolo  precedente,  e  of- 
fuscato da  macchie  create  dal  vo- 
ler superare,  anziché  imitare,  gli 
eccellenti  storici  dei  tempi   addie- 

(1)  Il   Codice  pili   corretto   è  riputato 
quel  di  Bamberga  del  secolo  IX. 


tro,  e  dal  volere  i  nuovi  venuti  mo- 
strarsi più  ingegnosi  ed  acuti  di 
quelli.  Questa  foggia  usata  ad  espri- 
mere i  proprj  pensieri  ritrae  il  ca- 
rattere speciale  di  quell'  età,  e  ri- 
flette lo  stato  delle  lettere  d'  allo- 
ra, decadute  dallo  splendore  che 
accompagnò  1'  età  dell'  oro.  Vi  si 
scorge  r  inettitudine  a  produrre  al- 
cunché d'  originale  e  proprio,  e  1' 
arrendevolezza  a  foggie  straniere. 
Pochi  soltanto  (e  furono  di  quelli 
eh'  erano  stati  educati  al  tempo  di 
Quintiliano,  come  Sveto nio,  Fio- 
ro e  fors'  anche  Giustino)  s'  atten- 
nero ai  migliori  modelli  ;  i  più  fu- 
rono tratti  dalla  stessa  loro  fiac- 
chezza e  mancanza  di  gusto  a  me- 
scolare ogni  maniera  di  stile,  a  fug- 
gire ciò  che  è  ovvio  e  non  cercar 
che  lo  strano. 

V  ha  chi  attribuisce  allo  stesso 
imperatore  Adriano  un'  influenza , 
esercitata  dal  suo  carattere  perso- 


naie,  sulla  letteratura  contempora- 
nea. Era  uomo  d'  una  strana  na- 
tura, che  univa  le  qualità  più  op- 
poste. Superstizioso  e  scettico,  pe- 
dante e  spiritoso ,  sofistico  e  iro- 
nico, d'  una  eccitabilità  sconfinata 
e  d'  una  ostinatezza  senza  misura, 
socievole  e  sospettoso,  di  buon  cuo- 
re ad  un  tempo  e  crudele,  non  si 
mantenne  mai  eguale  a  sé  stesso , 
fuorché  nel  variare  di  continuo 
tempra  e  umore,  e  nel  sentire  al- 
tamente di  sé  e  del  pi-oprio  merito. 
Voglioso  d'  apprender  tutto ,  non 
poneva  mai  serietà  e  perseveranza 
in  nulla.  Tuttavia  questa  sua  in- 
cessante mobilità  eh'  avea  del  mor- 
boso, stimolandolo  a  girare  qua  e 
là  per  lo  Stato,  fu  anche  origine 
di  molte  utili  istituzioni.  Sopratutto 
la  letteratura  guadagnò  e  sofferse 
per  la  sua  predilezione  e  per  le  sue 
stravaganze  :  i  suoi  scritti  medesi- 
mi non  lasciano  vedere  niente  più 


che  la  mano  di  un  dilettante  (1). 
Non  si  annoverano  di  certo  fra  i 
pregi  di  Floro  l'eccesso  di  sentenze 
e  di  fiori  poetici ,  l' iperbole,  l' am- 
pollosità, l'esagerazione  delle  figu- 
re, persino  le  freddure,  che  rendo- 
no non  di  rado  quel  suo  scrivere 
assai  somigliante  talvolta  a  quello 
de'  nostri  secentisti.  Si  compiace  di 
forme  nuove,  ardite,  declamatorie, 
traslate ,  che  comandano  1'  ammi- 
razione, immaginandosi  infondervi 
eleganza  e  venustà;  crede  grandez- 
za r  enfasi,  la  pompa,  1'  affettazio- 
ne, la  gonfiezza,  né  è  a  tacere  che 
le  sue  frasi  così  architettate  fanno 
freddi  i  suoi  racconti,  monotoni  ed 
oscuri.  Secondo  lui,  i  Galli,  distrut- 
ta Roma,  assaliti  alle  spalle  da 
Camillo,  sono  uccisi  in  tal  numero, 

(1)  Veggasi  quanto  dice  sul  di  lui  conto 
Sparziano,  in  Hadr.,  14,  8  e  segg.  -Ne 
scrisse  non  ha  guari  la  vita  anche  F. 
Gregorovius. 


che  coir  inondazione  del  loro  san- 
gue vien  cancellata  ogni  traccia 
d' incendio.  Le  navi  di  Antonio  e- 
rano  sì  vaste,  che  non  senza  fatica 
de'  venti  e  gemito  dell'  onde  il  mare 
le  portava.  L'  oceano  pare  che  si 
faccia  tranquillo  e  propizio,  allor- 
ché la  flotta  reca  le  prede  guerre- 
sche a  Roma,  quasi  confessandosi 
inferiore  e  sottomesso.  Ninna  cosa 
era  in  Antioco  bella,  se  non  1'  es- 
sere egli  stato  vinto  dai  Romani. 
Cesare  ritorna  dalla  spedizione  di 
Bretagna  con  maggior  preda  che 
prima,  avendo  tranquillo  e  favore- 
vole il  mare,  quasi  come  s'  esso  si 
confessasse  ubbidiente  o  da  meno 
del  vincitore.  Fabio  Massimo,  occu- 
pate le  alture,  di  là  scaglia  armi 
sui  nemici;  e  fu  bello  il  vedere 
quasi  dal  cielo  e  dalle  nubi  avven- 
tati fulmini  sugli  abitatori  della 
terra.  Bruto  spira  sopra  l' ucciso 
Arunte ,  quasi  che  ei  volesse  1'  a- 
dultero  perseguire  sin  nell'  inferno. 


Descrive  la  morte  di  Catone,  sulla 
quale  si  sbizzarrirono  tanti  entu- 
siastici ammiratori?  Egli  si  reca, 
dice,  due  ferite  di  coltello  ;  accor- 
rono i  medici  a  fasciarlo,  lui  reni- 
tente; ma  egli  risquarcia  la  piaga, 
nella  quale  rimangono  poi  immobili 
le  mani  moribonde.  Pompeo  asse- 
dia il  campo  nemico,  ma  il  crescere 
d'  un  fiume  assedia  lui  stesso  e  lo 
priva  di  vettovaglie  :  ma  poi  che  il 
fiume  «  ebbe  pace  »  ,  scoperse  le 
campagne  e  le  rese  atte  a  divenire 
arena  di  battaglie.  Le  guerre  coi 
Galli  facevano  ai  Eomani  1'  ufficio 
di  cote,  onde  affilare  il  ferro  del 
loro  valore.  Narrando  la  spedizione 
di  Decimo  Bruto  lungo  la  Costa 
celtica ,  assicura  eh'  egli  non  arre- 
stò il  vittorioso  cammino,  sinché 
non  vide  il  sole  calar  nell'Oceano, 
e  udì  il  friggere  del  suo  disco  al 
toccar  dell'acque,  impaurito  e  inor- 
ridendo come  a  un  sacrilegio.  Di- 
cendo che  all'  attaccarsi  d'  una  pu- 


xvni 
gna  con  Annibale  scossesi  la  terra, 
gli  pare  che  questo  sia  stato  effetto 
dell'  urto  impetuoso  de'  fanti  e  de' 
cavalli,  e  dello  scotersi  delle  mac- 
chine belliche. 

La  flotta  di  Mitridate  è  rotta  e 
dispersa  da  una  procella  nel  Mar 
Rosso,  come  se  fosse  sconfìtta;  ma 
a  Floro  sembra  che  Lucullo,  d' ac- 
cordo coi  flutti  e  colle  tempeste,  a- 
vesse  voluto  far  debellare  quel  so- 
vrano nemico  dai  venti.  Il  tribuno 
Calpurnio  Fiamma  salva  l'esercito 
romano,  tenendo  a  bada  i  nemici 
che  r  infestavano ,  e  pareggia  la 
fama  delle  Termopili  e  di  Leonida, 
anzi  la  supera  per  essere  egli  ri- 
masto superstite  a  tanto  evento , 
sebbene  nulla  abbia  scritto  col  san- 
gue. L'Apollo  di  Curaa  trasuda  (1) 
per  tema  dell'Asia  da  lui  protetta, 
quando  Roma  ne  agognava  la  con- 
quista. Questa  ha  vittoria  su  Per- 

(1)  Lib.  II,  e.  8. 


seo  in  Macedonia,  ma  innanzi  che 
la  novella  sia  recata  da'  messag- 
geri, n'ha  presagio  da  due  giovani 
sconosciuti ,  che  con  bianchi  ca- 
valli (1)  stavano  tergendosi  dalla 
polvere  e  dal  sangue  presso  il  lago 
Juturno,  creduti  da  lui  essere  Ca- 
store e  Polluce,  perchè  erano  due, 
ed  intervenuti  alla  battaglia,  per 
esser  lordi  di  sangue  ;  venir  dalla 
Macedonia,  essendo  ancora  tra- 
felati. 

Un  consimile  prodigio  rinnovasi 
quando  Mario  sconfigge  i  Cimbri , 
ammollitosi  nel  clima  italico,  poi- 
ché nel  giorno  stesso  della  pugna 
furono  visti  presso  il  tempio  di  Ca- 
store e  Polluce  due  giovani  coronati 
di  lauro  recar  lettere  al  pretore, 
nunzie  della  vittoria,  ed  udironsì  le 
acclamazioni  del  popolo  spettatore: 
«  Felicità  alla  vittoria  cimbrica.  » 
Ora  che  può  darsi  di  più  memora- 
li) Lib.  II,  e.  12. 


bile  ed  illustre,  soggiunge  l'enfa- 
tico scrittore,  che  veder  Eoma,  tra- 
sportata quasi  sopra  i  suoi  colli, 
essere  spettatrice  della  pugna  come 
nei  giuochi  gladiatorj,  e  nel  mo- 
mento stesso  che  i  Cimbri  venivano 
disfatti,  esultarne  il  popolo  nella 
città  ?  (1).  Inezie  non  comportabili 
ad  uno  storico  serio.  Nella  guerra 
civile  destatasi  per  sua  colpa,  Mario 
ritorna  dall'Africa  più  rinomato  per 
le  sue  calamità  (2),  giacché  il  car- 
cere ,  le  catene ,  la  fuga  e  l' esilio 
l'avevano  reso  più  rispettabile.  Nel- 
la guerra  civile  di  Cesare  e  Pom- 
peo, quando  si  combattè  sull'  Ocea- 
no da  Varrò  e  Didio,  fu  più  aspra 
battaglia  col  mare  che  fra  le  navi 
nemiche,  e  come  se  l' Oceano  casti- 
gasse il  furore  civile,  ruppe  e  af- 
fondò le  flotte.  Che  paura  era  quel- 
la, riflette  lo  scrittore,  che  in  un  me- 

(1)  Lib.  Ili,  e.  3. 

(2)  Lib.  Ili,  e.  21. 


desimo  tempo  1'  onde,  la  tempesta, 
gli  uomini,  le  navi  e  gli  armamenti 
di  esse  combattevano! 

Troppo  lungo  e  fuor  di  luogo,  se 
pure  non  furono  già  soverchi  gli 
esempi  addotti,  sarebbe  il  ricordare 
le  stranezze  e  le  facezie,  che  vor- 
rebbero essere  arguzie ,  di  cui  ri- 
bocca lo  scrivere  di  Floro,  e  più 
che  a  colpa  sua,  sono  da  ascriversi 
alla  decadenza  del  gusto  letterario 
del  suo  tempo,  dacché  per  trovar 
lettori  e  ottenere  applauso  e  favore, 
chi  scrivea  era  costretto  a  ricorrere 
a  sì  umili  artifizj. 

Come  dei  tempi,  cosi  eziandio  dei 
luoghi  e  dell'  ordine  del  suo  rac- 
conto il  nostro  Floro  mostrasi  non 
troppo  di  rado  incerto  o  del  tutto 
imperito;  annovera  Capua  tra  le 
città  marittime  d'  Italia  ,  fa  due 
montagne  distinte  il  Falerno  e  il 
Marsico,  pone  il  Danubio  come  con- 
fine tra  la  Macedonia  e  la  Tracia, 
e  dà  a  regioni  o  fiumi  nomi,   dei 


quali  non  sempre  rinviensi  oggi  l' e- 
quivalente,  se  pure  tali  ambiguità 
ed  inesattezze  non  sono  da  ascri- 
versi air  imperizia  de'  copisti. 

Tuttavia  se  questo  scrittore  è  dai 
critici  ripreso  di  non  poche  colpe, 
gli  vengono  in  certo  compenso  ri- 
conosciuti non  lievi  pregi  sì  nello 
stile,  misto  di  qualità  oratorie,  poe- 
tiche e  storiche,  che  nella  bontà 
intrinseca  della  narrazione.  Non 
gli  fa  difetto,  infatti,  acutezza,  vi- 
vacità poetica,  eleganza  di  stile  e 
buon  criterio,  in  ispecie  nei  giudizj, 
e  laddove  espone  le  cause  delle 
sedizioni,  delle  discordie  civili  e  del 
mutamento  della  romana  repubbli- 
ca, non  è  superato  in  questa  descri- 
zione, eh'  è  forse  la  parte  migliore 
dell'  opera  sua ,  da  altro  scrittore 
più  antico,  che  in  ogni  modo  non 
raggiunse  quella  concisione  chiara 
spesso  ed  evidente,  che  dipinge  a 
meraviglia  come  in  un  quadro  tutta 
l'imagine  del  popolo  romano,  i  passi 


e  gli  avanzamenti  progressivi  della 
repubblica:  qualità  che  rendono  de- 
gna di  studio  severo,  accurato  e  di- 
ligente un'opera,  che  non  ha  altra 
che  l'eguagli  nelle  sostanza  e  nella 
forma,  tratteggiata  a  grandi  linee, 
nelle  quali  non  di  rado  l' autore 
trascura  i  dettagli,  che  possono  di- 
strarlo dalla  sua  via  retta,  per  ap- 
plicarsi solo  ai  fatti  principali.  Tut- 
tavia le  figure  di  quel  quadro  sono 
avvicinate  e  si  rischiarano  a  vicen- 
da, e  vi  risplende  la  grandezza  ro- 
mana sotto  diversi  aspetti,  come  se 
vista  in  un  campo  ristretto  attra- 
verso ad  una  lente,  ma  con  assai 
maggior  evidenza  e  lucidezza. 

Né  è  a  disconoscersi  in  Floro 
un'  altro  pregio  .  che  non  appare 
evidente  ad  un  lettore  superficiale. 
Di  leggieri  si  ravvisa  egli  un  loda- 
tore entusiasta  del  valore,  della 
fortuna,  del  senno  romano,  e  gli 
si  rimprovera  d' avere,  colla  sua 
narrazione .    tessuto    un   continuo 


panegirico  della  gesta  del  gran 
popolo  ;  ma  la  sua  ammirazione 
non  è  sì  cieca  e  parziale,  da  disco- 
noscere la  decadenza  romana,  spe- 
cialmente morale.  Ne  fa  cenno  e- 
splicito  sin  dall'  esordire  del  suo 
racconto .  La  stessa  ripartizione 
che  fa  delle  diverse  età  dei  Komani, 
dà  a  divedere  come  queste  non  fos- 
sero ,  anche  a'  suoi  occhi ,  sempre 
abbellite  dallo  stesso  grado  di  pro- 
sperità civile  e  morale.  In  Antioco, 
infatti  ei  dice,  noi  vincemmo  Ser- 
se, in  Emilio  eguagliammo  Temi- 
stocle, con  Efeso  compensammo 
Salamina  (1);  applaude  a  Roma 
nella  guerra  di  Numanzia,  e  ac- 
clama al  suo  popolo  invitto,  egre- 
gio ,  pio ,  giusto  e  magnifico  (2)  ; 
ma  confessa  che  dappoi ,  quan- 
tunque gli  eventi  fossero  del  pari 
grandiosi ,   pur   tuttavia   coli'  am- 

(1)  Lib.  II,  cap.  8. 

(2)  Lib.  II,  cap.  19. 


pliarsi  dello  Stato  aumentandosi 
del  pari  i  vizj,  risultarono  più  tur- 
bolenti e  sozzi,  ed  essere  succe- 
duto al  secolo  d'  oro  il  ferreo  e 
sanguinario,  alle  guerre  giugurti- 
ne ,  cimbriclie  ,  mitridatiche  ,  par- 
tiche ,  di  Gallia  e  di  Germania , 
fattrici  della  gloria  maggiore  di 
Roma,  le  sedizioni  de' Gracchi ,  la 
rivolta  civile,  de'  servi  e  de'  gladia- 
tori. Altrove  ,  parlando  della  terza 
età  del  popolo  romano,  non  teme 
scrivere,  che  di  essa  i  primi  cento 
anni  furono  santi  e  pietosi ,  e  co- 
me mondissimo  oro  senza  macchia 
e  senza  malvagità,  sinché  durò  la 
integrità  di  quella  setta  pastorale 
pura  e  innocente,  e  finché  persi- 
stette la  paura  della  nimistà  degli 
Africani,  fu  serbata  1'  antica  disci- 
plina; ma  il  secolo  seguente  sino 
a  Cesare  e  Pompeo  e  Augusto , 
fu  misero  e  di  grande  vergogna 
pe'  mali   commessi    in    patria   (1). 

(1)  Lib.  Ili,  cap.  12. 


Le  sue  conquiste  furono  a  Roma 
causa  di  debolezza,  le  nuove  ric- 
chezze e  r  accresciuta  possanza 
afflissero  i  costumi  di  quel  tempo 
e  calpestarono  la  repubblica ,  sop- 
pozzata  in  vizj  come  una  sentina; 
la  troppa  abbondanza  produsse  la 
fame,  la  troppa  felicità  i  furori  ci- 
vili ;  la  guerra  de'  Servi  nacque  dal- 
l' abbondanza  della  famiglia ,  quel- 
la de'  gladiatori  dalle  soverchie  fe- 
ste, delle  quali  quegli  infelici  era- 
no le  vittime.  Dalle  ricchezze  sor- 
sero gli  scialacqui  de'  conviti  e  dei 
doni  dispendiosissimi  e  la  stessa 
povertà,  la  cupidigia  della  gran- 
dezza e  della  signoria ,  la  quale  ar- 
mò Cesare  e  Pompeo  di  faci  fune- 
ste a  distruzione  della  repubblica. 
Alcuni  codici  e  qualche  antico 
editore  o  critico  chiamano  questa 
storia  un  compendio  di  quella  di 
Tito  Livio  ;  ma  oltrecchè  Floro 
dissente  in  più  luoghi  dal  sommo 
scrittore  padovano ,    egli    adopera 


XXVI  r 
uno  stile,  che  ben  più  dell'imita- 
zione, lascia  apertamente  travedere 
r  originalità ,  e  mostrasi  uno  dei 
più  felici  ed  ingegnosi  abbreviatori 
di  storia.  Giornande  tolse  assai  per 
le  sue  cronache  da  lui  ;  lo  stesso 
fecero  Freculfo ,  pur  correggendolo, 
Vincenzo  Bellovicense  ed  altri. 

Uno  scrittore  francese  (1)  trova 
assai  superstizioso  e  troppo  credulo 
questo  compendiatore,  per  aver  ri- 
ferito con  serietà  e  senza  critica  a- 
neddoti  e  prodigi  assurdi,  alcuni 
de'quali  furono  già  in  questo  scritto 
accennati  ;  lo  incolpa  d'  avere  ora- 
messo  alcuni  fatti  importanti,  come 
le  azioni  più  cospicue  di  Cicerone, 
del  quale  non  tocca  che  di  volo  e 

(1)  L'  ab.  Paul  nella  sua  versione  fran- 
cese. V.  la  lettera  dedicatoria.  Non  è  certo 
che  sia  il  nostro  storico  colui  che  scrisse 
gli  argomenti  dei  libri  di  Tito  Livio,  e 
non  solo  di  que'  che  rimasero,  ma  anche 
degli  smarriti. 


quasi  per  incidente  la  morte;  di  tra- 
scorrere con  soverchia  leggierezza 
su  alcuni  altri,  limitandosi  a  ri- 
trarre il  solo  profilo  degli  avveni- 
menti, in  ispecie  degli  ultimi  tempi 
della  repubblica,  parte  assai  inte- 
ressante della  storia  romana,  ben 
meritevole  d'  essere  ritratta  con 
maggiore  ampiezza.  Gli  sembra  che 
Floro  vanti  troppo  le  virtù  e  le  ge- 
sta de'  Romani,  de'  quali  pare  a- 
ver  egli  scritto  piuttosto  il  panegi- 
rico che  la  storia,  e  si  scateni  con 
troppa  vigoria  contro  le  pretese  a- 
stuzie  dei  loro  nemici,  e  non  sem- 
pre a  proposito,  e  li  chiami  frodo- 
lenti,  scaltri,  ingannevoli,  mentre 
pure  i  suoi  connazionali  non  si  sa- 
ranno senza  dubbio  rimasti  dal  ri- 
pagameli cogli  avvedimenti  e  cogli 
stratagemmi  proprj .  Contuttociò 
quello  scrittore  afferma,  che  le  bel- 
lezze contenute  nella  storia  di  Floro 
superano  assai  le  macchie.  Questi 
s'accorse,  scrivendola,  che  la  pre- 


cisione  necessaria  allo  stile  cV  un 
compendio,  esposto  originariamente 
con  narrazione  continuata,  senza 
divisione  in  capitoli,  introdotta  dap- 
poi dagli  amanuensi,  poteva  di  leg- 
gieri degenerare  in  aridità,  e  die 
su  un  cammino  arido  era  d' uopo 
seminar  fiori.  Fors'  egli  n'  ha  gittati 
più  del  bisogno,  e  profuse  soverchi 
ornamenti,  ma  non  perciò  merita 
le  accuse  lanciategli  da'  suoi  criti- 
ci. Il  suo  scritto,  al  contrario,  ha 
una  varietà  aggradevole,  è  sparso 
d' imagini  vive,  espressioni  pitto- 
resche, pensieri  energici,  maschi  e 
profondi,  passi  brillanti,  concisi  e 
rapidi,  in  una  parola  è  spesso 
grande,  nobile  ed  eziandio  sublime. 
Non  manca  altresì  chi  difende 
Floro  da  molti  difetti  che  riscon- 
transi  nel  suo  Compendio,  attri- 
buendoli air  improntitudine  e  igno- 
ranza d' imperito  copista,  vissuto 
poco  dopo  lo  storico,  il  quale,  ar- 
rogandosi anche  l'ufficio  di  com- 


mentatore  e  quello  di  compir  1'  o- 
pera  di  lui,  abbia  frammisto  ad 
uno  scritto  ricco  di  vigore,  inge- 
gno, sobrietà,  le  ridondanze,  le 
inezie  e  le  ridicolezze  proprie. 

E  assai  verisimile,  ripeto,  che 
questo  Compendio,  ricco  di  qualità 
atte  a  renderne  aggradevole  la  let- 
tura, fosse  caro  ai  concittadini  e 
contemporanei  stessi  di  Floro,  più 
che  le  opere  storiche  più  diffuse  e 
prolisse.  Certamente  al  ridestarsi 
della  civiltà,  del  sapere  e  degli  stu- 
dj  classici  dopo  le  nubi  medioevali, 
l'Abbreviazione  di  Lucio  Anneo  non 
fu  delle  più  dimenticate,  se  badia- 
mo alla  copia  degli  esemplari  ma- 
noscritti rimastici,  né  delle  ultime 
ad  avere  gli  onori  della  stampa. 
La  prima  edizione  è  in  4.°,  senza 
nota  cronologica  e  di  luogo,  ma 
curata  in  Parigi  nella  Sorbona  ver- 
so il  1470,  secondo  il  Maittaire  (1). 

(1)  Annal.  Typogr.,  p.  87. 


Altre  due,  delle  quali  una  in  carat- 
tere volgarmente  detto  gotico,  se- 
guirono innanzi  alla  romana  del 
1472  e  a  quella  di  Lipsia  del  1480, 
pure  in  4.°  Altre  cinque,  almeno, 
se  n'  ebbero  ancora  in  quel  secolo, 
specialmente  a  Venezia.  La  prima 
nel  seguente  (1502)  è  di  Milano  del 
Minuziano ,  in  4.°,  come  quella 
d'  otto  anni  dappoi.  Molte  se  ne 
fecero  (circa  43)  durante  il  cinque- 
cento, compresa  l'Aldina  del  1520, 
arricchite  di  note  e  correzioni  di 
dotti  critici,  quali  G.  Eicuccio,  Vel- 
lino  (Camers),  Vinet,  Gualtiero  Fa- 
brizio, Gio.  Stadio,  G.  Grutero,  CI. 
Salmasio,  Jano  Fontano  ed  altri. 
D'  allora  sino  a  noi  le  ristampe , 
quasi  sempre  commentate,  si  suc- 
cedettero senza  intermissione,  an- 
noverandosene moltissime,  le  quali 
fanno  testimonianza  del  pregio,  in 
cui  era  tenuto  quel  libro  dagli  stu- 
diosi delle  cose  romane  e  dell'  eru- 
dizione classica. 


Tale  estimazione  mosse  altresì 
gli  eruditi  a  procurarne  le  versioni 
volgari  francesi,  germaniche,  ita- 
liane, inglesi,  belgiche,  danesi  e 
polacche,  allo  scopo  di  rendere  fa- 
migliare quel  libro  anche  ai  non 
periti  nella  lingua  originale.  Il  pri- 
mo volgarizzamento  in  Francia  fece 
un  Nicolao  Coeffeteau  nel  1618  in 
Parigi;  assai  anteriore  a  questo  fu 
il  tedesco  (1536)  di  Strasburgo, 
eseguito  per  opera  di  Enrico  Ep- 
pendorff.  Tacendo  delle  versioni  in 
altre  lingue,  che  non  hanno  stretta 
colleganza  col  presente  scritto,  la 
prima  traduzione  italiana,  nota  ai 
bibliofili,  è  quella  di  Domenico  Tar- 
sia di  Capodistria,  edita  nel  1547 
a  Venezia  (1).  Il  volgarizzatore  in 

(1)  Lucio  Floro,  de' fatti  de' Romani  dal 
principio  della  città  per  infino  ad  Augusto 
Cesare.  Venezia.  Questa  edizione  fu  se- 
guita nel  1548  da  altra  pur  di  Venezia.  - 
V.  Paitoni,  Biblioteca  degli  aiit.  Greci  e 
Lat.  volgarizzati.  Ven.  1766. 


una  lunga  lettera  dedica  la  sua 
versione  a  Mario  Savorgnano,  nella 
quale  prodiga  lodi  a  lui  e  alla  sua 
famiglia,  e  aggiunge  al  testo  alcune 
brevi  ma  utili  note.  Nel  secolo  se- 
guente (1634,  Koraa)  apparve  una 
seconda  versione  per  opera  di  Sante 
Corti  della  Rocca  Contrada  (1),  il 
quale  nel  Breve  assaggio  al  lettore 
«  sopra  la  vita  e  Y  historia  di  Lu- 
cio Floro  »  premesso  al  testo,  ac- 
cenna a  non  conoscere  altra  ver- 
sione anteriore,  e  dice  non  sapersi 
per  qual  causa  potesse  essere  av- 
venuto, «  che  r  historie  di  Lucio 
Ploro  non  fossero  prima  d' allora 
state  portate  in  italiano,  o  se  pur 
sieno  state  tradotte,  non  siano  state 
applaudite ,  poiché  se  v'  è  autore 
che  meriti  d'  esser  letto  in  tutte  le 
lingue,  e  che  possa  arrecare  orna- 

(1)  U  Historia  Romana  di  Lucio  Giulio 
Floro,  Roma,  appresso  Pietro  Antonio 
Facciotti,  in  12." 


mento  e  riputazione  al  nostro  idio- 
ma, pare  che  questo  non  debba  ce- 
dere a  ninno,  si  per  le  materie  in 
esso  trattate,  sì  pel  lungo  spazio 
de'  740  anni;  il  che  non  solo  non 
è  stato  fatto  da  niun  altro  scrit- 
tore antico,  ma  appena  da  tutti 
gli  altri  insieme,  che  scrissero  l'i- 
storie di  que'  tempi Se  si  con- 
sideri lo  stile,  è  succoso,  e  nulla 
v'ha  di  superfluo;  sebbene  com- 
pendiato, non  lascia  d'abbracciare 
tutto  ciò  eh' è  necessario  sapere; 
grave,  elegante,  concettoso  e  pieno 
di  spirito,  libero  e  franco  ne'  suoi 
giudizj,  anche  contro  la  nazione 
romana  (1)  ». 


(1)  Il  Paitoni,  neir  op.  citata,  inette  in 
dubbio  l'edizione  volgare  del  1634 ^^  che 
davvero  esiste,  avendosene  un'  esemplare 
anche  nell'  Ambrosiana,  ed  è  citata  altresì 
dall'  Argelati.  È  dedicata  al  card.  Fran- 
cesco Barberino  da  Gerolamo  Conti,  figlio 
del  traduttore ,  il   quale  tra  1'  altre  cose 


È  però  d'uopo  avvertire,  come  la 
versione  di  Sante  Conti  sia  non 
poco  difettosa,  per  aver  egli  frain- 
teso in  più  luoghi  il  testo  originale 
di  Floro,  del  quale  perciò  non  ri- 
flette sempre  il  pensiero;  non  di 
rado  fa  uso  di  ampie  perifrasi,  che 
di  soverchio  diluiscono  la  succinta 
di  lui  narrazione.  A  voler  essere 
eziandio  indulgenti  con  quel  tra- 
duttore, molti  errori  che  in  lui  si 
riscontrano ,  sono  accresciuti  da 
quelli,  e  non  son  pochi,  aggiunti 
da  una  grave  negligenza  tipogra- 
fica. Comunque  sia,  è  un  lavoro 
che  lascia  assai  a  desiderare  sotto 
i  diversi  rapporti  di  fedeltà,  esat- 
tezza, proprietà  di  locuzione,  chia- 
rezza ed  una  saggia  economia  di 
frasi. 

Celestino  Masucco  ne  fece  un'  al- 

aflferma  essere  stata  eseguita  tale  versio- 
ne dall'  autore  in  sua  gioventù ,  ed  averla 
egli  rinvenuta  fra  i  di  lui  scritti. 


tra  sul  cominciare  di  questo  seco- 
lo (1);  così  dicasi  di  Filippo  Bri- 
ganti, che  aggiunse  alla  sua  ver- 
sione alcune  osservazioni  politi- 
che (2),  e  di  Arrigo  Arrigoni,  che 
corredò  il  suo  libro  di  note  critiche 
ed  emendazioni  del  testo  (3). 

Un'  altro  volgarizzamento  presso- 
ché recente  (4)  è  quello  di  Carlo  di 
Ligny,  principe  di  Caposele,  dedi- 
cato alla  di  lui  figlia  Olimpia.  Egli 
vi  premette  una  diffusa  disserta- 
zione, nella  quale  espone  alcune  os- 
servazioni sulla  storia  romana  fino 
ad  Augusto.  Egli  dà  a  divedere  ben 
maggiore  intelligenza  del  testo  la- 
tino preso  a  volgarizzare,  di  quella 
eh'  ebbero  i  suoi  predecessori  in 
quell'impresa  non  facile,  ma  nep- 

(1)  Genova,  1806,  in  16." 

(2)  Napoli,  1818. 

(3)  Venezia,  1841. 

(4)  La  Storia  Romana  di  Lucio  Anneo 
Floro,  Milano,  Bettoni,  1823,  in  8." 


XXXVII 

pur  egli  seppe  imitare  lo  scrittore 
latino  nella  sua  concisione:  arte 
invero  non  troppo  agevole ,  non 
comportando  sempre,  salva  la  chia-' 
rezza,  il  linguaggio  italiano  la  bre- 
vità permessa  ai  Latini.  Anch'  egli 
giudica  Floro  scrittore  sovercliia- 
mente  stringente  e  spesso  fiorito 
con  affettazione,  ma  che  dipinse 
con  pennello  tizianesco  la  vita  po- 
litica del  popolo  romano  sino  al 
suo  tempo, 

Filippo  Argelati  (1)  descrive  un 
codice  in  f.°  dell'Ambrosiana,  come 
contenente  una  versione  inedita 
della  Storia  di  Floro,  eh'  ei  chiama 
altresì  incognita,  senza  chiarirsene 
l'autore;  lo  dice  un  bel  codice,  e 
ne  riporta  alcune  parole  del  prin- 
cipio e  della  fine.  Il  P,  Paltoni  non 
lo  conobbe.  Il  testo  è  quello  che 
vien  pubblicato  ora  per  la  prima 

(1)  Biblioteca  de  Volgarizzatori,  voi.  II 
e  V. 


volta ,  ed  è  prezzo  dell'  opera  far 
parola  del  suo  valore.  Ma 

Or  incomincian  le  dolenti  note. 

Pur  troppo,  s' esso  non  manca  d' al- 
cuni pregi,  ove  lo  si  riguardi  solo 
come  testo  di  lingua  del  sec.  XV, 
d'ignoto  autore,  e  lo  si  consideri 
come  volgarizzamento ,  saremmo 
quasi  tentati  di  lasciarlo  nell'  ob- 
blio,  nel  quale  rimase  sinora.  Né 
gli  vale,  a  titolo  d' indulgenza  e 
commendatizia,  1'  avere  quel  codice 
cartaceo  a  due  colonne  appartenuto 
al  dottissimo  bibliofilo  Gian  Vin- 
cenzo Pinelli,  che  può  solo  averlo 
raccolto  fra  i  tanti  suoi  libri  come 
codice  più  che  raro  per  ragione 
della  materia  ivi  trattata,  assai  me- 
glio che  pel  merito  intrinseco. 

E  veramente  è  d'  uopo  avvertire, 
come  questa  versione  riesce  oltre- 
modo e  in  troppi  luoghi  di  mala- 
gevole intelligenza,  sì  che  raddop- 
pia  al    lettore    quell'  oscurità,   di 


cui  non  è  avara  1'  estrema  conci- 
sione del  dettato  di  Floro.  La  causa 
però  di  essa  è  di  doppia  natura. 
È  innegabile  che  il  volgarizzatore 
ebbe  innanzi  a  sé  un  testo  latino 
scorrettissimo,  il  che  è  un  nuovo 
argomento  di  prova,  come  il  Com- 
pendio di  Storia  Romana  di  quello 
scrittore,  giuntoci  nei  codici  mss. 
e  nella  stampa,  diverge  dall'origi- 
nale primitivo  e  ribocca  di  varianti 
dall'uno  all'altro,  circostanza  av- 
vertita anche  dai  critici;  dal  che 
nasce  l'incertezza  della  lezione  vera 
e  autentica.  Pare  quindi  accertato, 
che  gli  amanuensi  abbiano,  sin  dai 
tempi  più  vicini  all'  autore ,  errato 
nel  trascrivere  parole,  frasi  intere 
e  specialmente  nomi;  di  questi  so- 
vratutto  se  ne  riscontrano  nei  di- 
versi testi  alcuni,  che  altri  scrit- 
tori non  rammentano  affatto,  op- 
pure vi  fanno  modificazioni  sostan- 
ziali, quantunque  si  riferiscano  ad 
avvenimenti  da   essi  pure  narrati. 


Altri  copisti  inserirono  forse  nel 
testo  chiose  e  commenti,  che  qual- 
che espositore  scrisse  in  margine 
ad  illustrare  locuzioni  oscure  dello 
storico,  0  apprezzamenti  soggettivi 
su  checchessia;  o  non  intendendo, 
come  più  d'una  fiata  avveniva,  il 
senso  delle  cose  esposte  dall'autore, 
mutavano  di  lor  capo  parole  o  frasi, 
sostituendone  altre  da  loro  repu- 
tate di  più  facile  intelligenza.  Fra 
testi  così  corrotti  dee  aver  navigato 
il  traduttore  nell'  ardua  sua  im- 
presa di  volgarizzare  uno  storico 
già  per  sé  sì  malagevole;  in  diver- 
so modo  iion  si  comprenderebbero 
i  frequenti  strafalcioni,  nei  quali 
il  lettore  quasi  ad  ogni  pie  sospin- 
to incespica,  impedito  il  più  delle 
volte  dal  cogliere  il  senso  di  ciò 
che  gli  passa  sotto  gli  occhi,  se 
non  ricorre  al  testo  latino. 

Più  grave  colpa  e  tutta  imputa- 
bile all'ignoto  volgarizzatore  è  al- 
lorquando, imperito,  come  si  mostra 


con  estrema  evidenza,  dell'idioma 
del  Lazio,  reso  oscuro  dallo  stile 
involuto  di  Floro,  rende  a  rovescio 
i  di  lui  pensieri,  i  giudizj,  i  fatti 
medesimi  da  lui  raccontati,  con- 
fonde ed  ommette  periodi,  dei  quali 
non  serba  la  giusta  misura  asse- 
gnata dal  senso.  Tal  fiata  però  la 
sua  versione,  sebbene  di  quando  in 
quando  troppo  libera,  contro  il  co- 
stume dei  volgarizzatori  trecenti- 
sti, corre  limpida  e  liscia,  e  se  non 
si  guarda  troppo  pel  sottile  all'  e- 
sattezza  nel  riprodurre  il  testo  ori- 
ginale, il  discorso  è  abbastanza  re- 
golare, e  la  lingua  italiana  non  vi 
soffre  soverchi  strapazzi. 

Non  è  a  meravigliarsi  se  il  no- 
stro traduttore,  smarrito  fra  gli  sco- 
gli, tra  cui  trovossi  impigliato  nel 
mandare  ad  efietto  il  suo  divisa- 
mento,  scambia  il  Rodano  col  Re- 
no, fiumi  con  città,  le  nevi  colle 
nubi,  i  nomi  topografici  coi  perso- 
nali ,    r  antica    città    continentale 


d'  Enna  in  Sicilia,  ora  Castrogio- 
vanni,  col  monte  Etna,  i  nembi 
di  saette  lanciate  dai  combattitori 
coi  venti,  le  forche  caudine  con 
Candia.  Se  ciò  non  bastasse,  alle 
frasi  0  parole  latine  non  sempre 
contrappone  V  equivalente  volgare, 
comunemente  usato  dagli  scrittori, 
a  scapito  della  chiarezza;  così  chia- 
ma compagni  i  collegati,  segno  il 
vessillo  militare,  peste  una  rovina 
0  sventura  politica,  o  un  massacro 
in  battaglia,  menati  gli  ostaggi, 
impresa  un  piato,  e  così  via.  Lad- 
dove poi  non  intese  il  pensiero  di 
Floro,  e  ne  traduce  i  passi  troppo 
rasente  alla  lettera,  è  assolutamen- 
te inintelligibile.  L'  ascrivere  tutti 
questi  gravi  difetti  ad  ignoranza  e 
trascuratezza  dei  copisti,  ne  sembra 
una  scusa  inammissibile.  Perciò  il 
raddrizzare  questa  versione  nei  luo- 
ghi più  guasti  è  una  fatica  d'  Er- 
cole, come  il  tenerle  dietro  passo 
passo  col  raffronto  continuo  del  te- 


sto  latino;  nondimeno  per  la  mag- 
gior parte  dei  casi  tentai  correg- 
gere queste  storpiature  mediante 
la  versione  di  Sante  Corti;  e  dove 
questi  si  scostava  troppo  dal  det- 
tato di  Floro,  0  inesatta  sembra- 
vami  la  sua  interpretazione,  per 
rispetto  al  volgarizzatore,  sebbene 
sì  inesperto,  segnai  in  nota  la  di- 
vergenza. Il  benigno  lettore  ne  sarà 
indulgente ,  se  in  piìi  d'  un  luogo 
trascorse  inavvertita  qualche  ine- 
sattezza, 0  qualche  passo  oscuro  o 
male  interpretato. 

Non  ne  venne  dato  di  rinvenire 
altro  codice  di  questa  versione,  che 
potesse  agevolarne  la  correzione,  o 
fornirne  un  confronto  coll'Ambro- 
siano.  È  ben  vero,  che  nella  Mar- 
ciana esiste  altra  versione  di  que- 
sto Compendio  storico  (1);  ma  essa, 

(1)  Si  trova  in  un  codice  ms.  miscellaneo, 
scritto  da  due  divei-se  mani ,  che  chiudesi 
colle  parole:  «  Finisce  la  breviacione  di 


eseguita  da  altro  autore,  sembra 
allargarsi  a  modo  di  parafrasi  più 
ampiamente  che  non  comporti  lo 
stile  dell'Autore;  pertanto  non  potè 
riescirci  d' alcun  giovamento. 

La  conclusione  delle  cose  sin  qui 
discorse  si  è,  clie  la  presente  ver- 
sione dell'  ignoto  quattrocentista 
non  potrà  per  certo  essere  proposta 
come  un  buon  testo  di  Storia  Ro- 
mana per  clii  volesse  in  essa  eru- 
dirsi ,  né  come  modello  di  traduzio- 
ne italiana,  commendevole  per  fe- 
deltà ed  esattezza,  non  essendo  tale 
specchio,  da  rendere  con  intera 
verità  l' imagine  del  testo  floriano 
nelle  sue  minute  particolarità.  Tut- 
tavia non  è  a  spregiarsi  affatto, 
riguardato   come   testo  di  lingua, 

Lucio  Eneo  Floro  sopra  Tito  Livio  pado- 
vano, vulgarizzato  per  mess.  Jovane  de 
Garzoni,  secretano  del  ra.  s.  (magnifico 
signor)  de  Fermo  nel  MCCCCLV,  finita  e 
scripta  per  mi.  » 


che  lungi  dall'  essere  de'  migliori 
per  le  gravi  difficoltà,  in  cui  tro- 
vossi  avvolto  il  suo  autore  per  la 
propria  imperizia  e  per  circostanze 
a  lui  non  imputabili,  non  è  però 
affatto  spoglio  dei  fiori,  che  abbel- 
liscono i  libri  degli  scrittori  vol- 
gari dei  secoli  XIV  e  XV;  e  come 
tale  può  senza  soverchio  disdoro 
andar  fra  le  mani  di  quanti  a  ra- 
gione amano  questa  maniera  di 
scrivere  sobrio  e  semplice. 

Nel  Marzo  1881. 


EPITOM  DI  LOCIO  ANNEO  FLORO 

DI  TUTTA  LA  ISTORIA  DI  TITO  LIVIO 


LIBRO   PRIMO 


Proemio. 

Lo  popolo  di  Roma  da  Romulo  infino 
a  Cesere  Augusto  per  spazio  di  sette  cento 
anni  fece  tante  cose  con  pace  e  con  guer- 
ra, che  se  alcuno  considera  la  grandezza 
della  signoria,  parràgli  che  quella  avanzi 
il  tempo,  perchè  egli  provò  si  in  ogni 
luogo  per  lo  circuito  della  terra  le  sue 
arme,  che  quegli  i  quali  leggono  i  suoi 
fatti,  non  giudicaro  quegli  essere  fatti 
d'  uno  popolo,  ma  fatti  di  tutta  l' umana 
generazione,  perchè  fu  sbattuto  in  tante 
fatiche  e  in  tanti  pericoli,  che  la  fortuna 
parve  contendere  con  la  virtù  di  quello  nel- 
lo stabilire  della  sua  signoria.  Per  la  qual 
cosa  essendo  in  specialità  utile  sapere 
questo,  nondimeno  perchè  la  grandezza  e 
la  diversità   delle  cose  affatica  la  sottilità 


4 

dello  intelletto,  farò  come  solano  fare  que- 
gli, i  quali  figurano  il  sito  della  terra,  e 
in  una  quasi  piccola  tavoletta  compren- 
derò tutta  la  figurazione  di  quello,  e  se- 
condo ch'io  spero,  aggiugnerò  alcuna  cosa 
a  la  ammirazione  di  quello  signorevole 
popolo,  mostrando  insieme  tutta  la  sua 
grandezza. 

Dunque  se  alcuno  considera  lo  popolo  di 
Roma  in  figura  d'un  uomo,  e  considera 
tutta  la  sua  età,  com'egli  cominciò,  com'  e- 
gli  cresce  e  pervenne  quasi  ad  alcuno 
fiore  di  gioventù,  e  come  poi  egli  invec- 
chiò, tro verrà  quello  essere  proceduto  per 
quattro  gradi. 

La  prima  sua  età  fu  sotto  i  re,  ed  appres- 
so perfino  a  quattrocento  anni,  nei  quali 
quello  popolo  combattè  intorno  a  sua  ma- 
dre con  gli  vicini,  e  questa  sarà  la  in- 
fanzia di  quello.  Lo  tempo  seguente  sotto 
Bruto  e  Collatino  consoli  fu  infino  a  Quinto 
Claudio  e  Quinto  Fulvio  consoli  per  spa- 
zio di  cento  cinquanta  anni,  sotto  i  quali 
consoli  quel  popolo  sottomise  Italia,  e 
quello  fo  tempo  sommamente  stimolato  in 
fatti  e  uomini  d'arme,  e  perciò  alcuno  il 
chiamerà  adolescenzia.  Da  poi  infino  a 
Ceserò  Augusto  fu   anni  cento  cinquanta. 


nel  quale  quello  popolo  pacificò  tutto  il 
mondo,  e  questa  fu  la  gioventù  dello  im- 
perio e  quasi  alcuna  robusta  maturità.  Da 
Ceserò  Augusto  fino  al  nostro  tempo  fumo 
pochi  meno  di  dugento  anni ,  ne'  quali  per 
pigrizia  degli  imperadori  quello  popolo  è 
quasi  invecchiato,  salvo  che  sotto  Traiano 
iraperadore  mosse  le  mani,  e  quasi  oltra 
la  speranza  d'ogn'uomo  la  vecchiezza  dello 
imperio  retornò  verde,  quasi  come  gli  fosse 
restituita  la  gioventù. 

Lo  regno  dì  Bomnlo. 

Romulo  fu  lo  primo  fondator  di  Roma 
e  dello  imperio,  lo  quale  fu  figliuolo  di 
Marte  e  di  Rea  Silvia,  e  questo  confessò 
ella,  essendo  monaca  e  già  gravida,  e  da 
poi  di  questo  non  dubita  la  nominanzia; 
poi  che  gittato  di  comandamento  di  Amulio 
con  Remo  suo  fratello ,  non  potè  morire , 
perchè  gittato  dal  fiume  del  Tevero  in 
terra,  una  lupa  avendo  lasciato  i  figliuoli, 
segui  lo  pianto  di  quegli  fanciugli  e  latto- 
gli  in  luogo  di  madre;  e  cosi  trovati  quegli 
appresso  un  albero  da  uno  pastore  dor- 
mendo, portogli  nel  suo  albergo,  e  in  quello 
gli  nutricò.  E  in  quel  tempo  Alba,  edificata 


6 
da  Julo,  era  capo  d'Italia,  il  quale  aveva 
avuto  a  dispregio  Lavinio,  terra  d'  Enea 
suo  padre,  ed  in  quella  era  re  Amulio,  già 
settimo  dal  primo,  avendo  cacciato  Numi- 
tore  suo  fratello,  della  cui  figliuola  nacque 
Romolo. 

Dunque  Romolo  subito  nella  prima  gio- 
ventù cacciò  Amulio  suo  zio  di  signoina, 
e  rimise  in  signoria  suo  avo,  ed  elio  ama- 
tore di  fiumi  e  di  monti ,  appresso  i  quali 
elio  era  notricato,  tentava  porre  edificj 
di  nuova  città.  Erano  due,  e  ciascuno  pren- 
deva agurio  di  signoria  e  facevano  sacri- 
ficj.  Remo  pigliò  lo  monte  Aventino,  e 
Romolo  pigliò  lo  monte  Palatino;  quello 
prima  vide  sei  avoltoj,  e  costui  vide  dappoi 
dodici  avoltoj;  e  cosi  sendo  vincitore  nella 
signoria,  pose  la  città  con  piena  speranza 
eh'  ella  fosse  terra  da  battaglie,  e  cosi  gli 
promettevano  quegli  uccegli,  usati  a  sangue 
ed  a  preda,  e  parevagli  che  bastasse  uno 
steccato  per  fortezza  della  nuova  città, 
della  quale  facendo  beffe  Remo,  e  dispre- 
giando stare  in  quella  distretto,  passò  di 
fuori,  ed  è  in  dubbio  s'egli  fo  morto  di 
comandamento  del  fratello  ;  ma  pure  e'  fu 
il  primo  morto  in  quella ,  e  con  lo  suo 
sangue  fu  consagrata  la  fortezza  di  quella 


7 

terra,  ed  aveva  più  tosto  forma  di  città, 
6h'  ella  non  era  città.  Aveva  pochi  abita- 
tori, ma  era  appresso  di  quella  uno  bosco 
sagreto,  il  quale  egli  fece  uno  asilio, 
ed  incontinente  venne  grande  moltitudine 
d'uomini,  pastori  latini  e  toscani,  ed  ezian- 
dio alcuni  di  Frigia,  i  quali  venuti  d'oltra 
mare  erano  stati  con  Enea,  e  alcuni  d'Ar- 
cadia, i  quali  erano  venuti  con  Evandro; 
e  cosi  quasi  di  varj  alimenti  avevano  ra- 
gunato  uno  corpo ,  e  quello  fece  popolo 
romano. 

Il  re  era  d'una  età  con  lo  popolo  degli 
uomini  (1).  Dunque  egli  domandò  matri- 
monj  ai  vicini,  e  perchè  non  gli  ottene- 
vano ,  pigliarogli  per  forza ,  perchè  facen- 
do vista  di  fare  giuochi  di  cavaglieri , 
pigliarono  fanciulle  ch'erano  andate  a  ve- 
dere, ed  incontanente  fumo  cagione  di 
guerra;  e  cacciati  e  messi  in  fuga  i  Ve- 
jenti,  fu  preso  Vejo  e  gittato  per  terra, 
e  sopra  ^  questo  la  preda  tolta  allo  re  di 
quegli  Romulo  con  le  sue  mani  presentò 
a  love    Feretrio.    Ai    Sabini   fu   aperte  le 


(1)  Il  testo  Ialino:  Res  erat  unius  aetatis,  po- 
pulus  virorum ,  cioè  il  popolo  di  Roma  non  poteva 
conservarsi,  non  essendovi  donne. 


8 

poi-te  per  una  vergine,  e  non  fu  per  in- 
ganno, ma  quella  fanciulla  aveva  doman- 
dato per  pagamento  di  quello  fatto  una 
cosa,  che  egli  portavano  nella  ginestra 
mano,  ed  è  in  dubbio  se  era  uno  scudo 
o  uno  ornamento.  Quegli  acciò  che  osser- 
vassino  la  promessa  e  vendicassonsi,  am- 
mazzaronla  con  gli  scudi,  e  così  entrati 
nella  terra  i  nimici,  nella  entrata  fu  cru- 
dele battaglia,  in  tanto  che  Romulo  pregò 
Giove,  che  ritenesse  i  suoi  che  fuggivano 
vituperosamente,  e  per  questo  fu  fatto  un 
tempio  a  Giove  chiamato  Statore  ;  e  usan- 
do quegli  crudeltà,  quelle  ch'erano  state 
prese,  si  missono  in  mezzo  scapegliate,  e 
cosi  fatto  pace  con  Tazio,  fu  fermato  i 
patti;  e  segui  maravigliosa  cosa  a  dire, 
che  lasciata  la  sua  terra,  i  nimici  venis- 
sino  alla  nuova  città,  e  facessino  comuni 
le  sue  ricchezze,  possedute  in  modo  di  dote 
con  gli  suo'  generi. 

Accresciuta  la  possanza  in  brieve  tem- 
po, lo  savissimo  re  fermò  questo  stato 
alla  repubrica,  i  giovani  divise  in  tribi, 
acciò  che  stessino  apparecchiati  a  subite 
guerre  con  armi  e  cavalli;  lo  consiglio  della 
repubrica  pose  appresso  de'  vecchi ,  i  quali 
per  l'autorità  fossino  chiamati  padri  e  per 


9 

la  età  senatori.  Ordinate  cosi  le  cose, 
facendo  elio  consiglio  presso  al  palude  di 
Capri ,  subitamente  egli  fu  tolto  dalla  sua 
presenzia,  e  pensano  alcuni  ch'egli  fosse 
morto  dal  senato  per  la  sua  asprezza.  Ma 
sopra  venuta  una  tempesta  d'  ajere  e  man- 
cando il  sole,  dissono  quello  essere  con- 
sacrato, della  qual  cosa  incontinente  fece 
fé  lulio  Proculo,  affermando  ch'elio  aveva 
veduto  Romulo  in  più  nobile  forma  ch'elio 
non  era  innanzi,  ed  ancora  comandò  ch'e- 
gli fossi  diputato  per  uno  Dio  da  quegli, 
e  ch'egli  era  chiamato  in  cielo  Quirino, 
e  che  era  piacere  degli  Dei  che  Roma 
avessi  gli  Dei  delle  genti  (1). 

Lo  regno  di  Numa  Pompilio. 

Succede  a  Romulo  Numa  Pompilio,  il 
quale  i  Romani  domandorono  di  propria 
volontà,  abitando  egli  con  gli  Curj  Sabini 
per  la  gloriosa  rilegione  di  quello.  Quello 
insegnò  fare  i  sacrificj ,  le  cerimonie  ed 
ogni  coltivamento  degli  immortali  Dei;  quel- 
lo  ordenò    per  le   religioni   i   sacerdoti   e 


(l)  Il  testo:  Quirinum   in  coelo   vocari  placitum 
diis;  ita  gentium  Roma  potiretur. 


10 
gli  auguri  e  i  salii,  divise  l'anno  in  dodici 
mesi,  discrisse  i  di  filici  e  i  di  infilici; 
quello  primo  diede  gli  anelli  e  '1  palladio, 
secreta  fermezza  dello  imperio,  egli  die 
lano  con  due  volti,  fé  della  pace  e  della 
guerra;  e  prima  diede  a  conservare  a  la 
vergine  il  fuoco  di  Vesta  dea,  acciò  che 
la  fiamma,  guardia  dello  imperio,  vegghiassi 
alla  imagine  delle  celestiale  stelle.  E  tutte 
queste  cose  faceva  per  comandamento  quasi 
della  dea  Egeria,  acciò  che  quegli  barberi 
meglio  le  accettassino;  e  ridusse  a  tanto 
quello  feroce  popolo ,  eh'  elio  governava 
con  religione  e  con  giustizia  quella  signo- 
ria, acquistata  per  forza  e  con  ingiuria. 

Lo  regno  dì  Tullio  Ostilio. 

Drieto  a  Numa  Pompilio  segui  Tullio 
Ostilio,  al  quale  fu  dato  il  regno  di  propia 
volontà  per  premio  della  sua  vertù.  Questi 
ordinò  tutto  lo  maisterio  della  milizia  e 
r  arte  di  combattere.  Adunque  per  mara- 
viglioso  modo  avendo  esercitato  i  giovani , 
ardi  muovere  guerra  agli  Albani,  i  quali 
erano  popolo  grave  e  lungamente  usato  a 
signoria;  ma  per  la  ugual  possanza  ispesse 
battaglie    menomando   ciascuna    parte,    fu 


11 

messa  la  guerra  a  brevità ,  e  fu  commessa 
la  fortuna  d'arainduni  quegli  popoli  a  tre 
frategli  per  ciascuna  parte,  agli  Orazj  e 
agli  Curiazj.  Dubbiosa  e  bella  contenzione 
fu  quella  ed  al  fine  maravigliosa,  perchè 
sendo  da  una  parte  fediti  i  tre  e  dall'altra 
morti  i  due,  Orazio,  il  quale  avanzava,  ag- 
giunse inganno  alla  prodezza:  acciò  ch'egli 
dispartissi  i  nimlci,  finse  fuggire,  ed  uccise 
quegli  ad  uno  ad  uno,  com'  egli  lo  pota- 
vano seguire;  e  così  per  la  mano  d'uno 
fu  acquistata  la  vettoria,  rado  onore  altra 
volta,  la  quale  vettoria  subito  quello  bruttò 
con  l'omicidio  della  sorella,  la  quale  egli 
vide  piagnere  innanzi  sé  le  arme  del  ma- 
rito, bench' egli  fossi  nimico,  e  con  lo 
ferro  punì  l'amor  di  quella  fanciulla,  il 
quale  era  innanzi  tempo.  Le  leggi  mostra- 
rono quello  essere  peccato,  ma  la  sua  vertìi 
campò  lo  micidiale,  e  quello  peccato  gli 
fu  imputato  a  gloria. 

Ma  gli  Albani  non  osservarono  fede 
lungamente,  perchè  nella  guerra  de'  Fide- 
nati,  mandati  in  nostro  aiutorio  gli  Al- 
bani secondo  i  patti,  stando  in  mezzo 
aspettavano  la  fortuna;  ma  lo  cauto  re,  poi- 
ché vide  i  compagni  piegarsi  ai  nimici, 
levò  le  mani ,  come  s'  egli   avessi  combat- 


12 
tuto,  e  per  questo  diede  speranza  ai  nostri 
e  mise  paura  ai  nimici ,  e  cosi  l' inganno 
de'  traditori  fu  vano.  Adunque  vinti  i  ni- 
mici, lo  rompitore  del  patto,  il  quale  fu 
Mezio  Fufezio,  fu  legato  tra  due  carrette 
menate  da  correnti  cavagli,  e  fecelo  squar- 
tare e  fece  disfare  Alba,  la  quale,  ben' che 
ubbidisse,  era  odiosa,  ed  in  prima  tramutò 
a  Roma  tutte  le  ricchezze  di  quella  città 
e  quello  popolo,  acciò  che  al  postutto 
quella  città  congiunta  per  parentado  non 
paresse  essere  perita,  ma  da  capo  paressi 
essere  tornata  al  suo  corpo. 

Lo  regno  d'Anco  Marzio. 

Da  poi  regnò  Anco  Marzio,  nipote  di 
Pompilio,  di  simile  ingegno.  Questo  dun- 
que circondò  Roma  colle  mura,  e  fece  un 
ponte  sopra  il  Tevero,  il  quale  passa  per 
mezzo  Roma,  e  pose  Ostia  nel  confino 
tra '1  mare  e '1  fiume,  indovinando' infino 
a  quel  tempo  nel  suo  animo,  che  per  lo 
tempo  avvenire  tutte  le  ricchezze  del  mon- 
do e  tutta  la  vitto  vaglia  entrerebbono  per 
quella  parte,  come  per  uno  ricetto  di  Roma 
per  lo  mare. 


13 

Lo  regno  di  Tarqnìno  Prisco. 

Tarquino  Prisco  da  poi,  benché  fossi  di 
schiatta  oltramarina,  domandando  quello 
regno,  prontamente  ottennelo  per  sua  in- 
dustria e  per  sua  loquenzia,  il  quale,  nato 
da  Corinto,  mescolò  greco  ingegno  con  le 
arte  d'Italia.  Questo  accresce  in  numero 
la  maistade  del  Senato ,  e  aggiunse  tre 
centurie,  benché  Azio  Navio  contradicesse 
che  '1  numero  fossi  cresciuto,  il  quale  era 
sommo  augure;  e  domandando  il  re  se  si 
poteva  fare  pruova  di  quello  eh'  egli  pen- 
sava, l'ispose  che  si.  11  re  disse:  «  lo  pensa- 
va se  uno  rasoio  potrebbe  tagliare  quella 
pietra  »;  adunque  1'  augure  disse:  «  Tu  la 
puoi  tagliare  »,  e  tagliolla;  e  da  poi  lo 
augurio  fu  sacro  ai  Romani.  Tarquino  non 
fu  più  pronto  alla  pace  che  alla  guerra, 
perch'  egli  sottomise  con  spesse  guerre  do- 
dici popoli  di  Toscana.  Poi  trovò  la  de- 
gnità  di  fasce,  trabee  (1)  e  sedie,  anelli, 
coverte  ai  cavagli,  paludamenti,  preteste; 
da  poi  trovò  che  '1  trionfo  fossi  fatto  in 
un  carro  dorato,  menato  da  quattro  cava- 

(1)  Vesti  dei  re  e  degli  auguri. 


14 
gli ,  le  vesti   lavorate ,  le  vesti   palmate ,  e 
finalmente  ogni  cosa  bella  ed  ornata,  per 
le  quali  cose  la  degnità  dello  imperio  fossi 
eccellente. 

Il  regno  dì  Tullio  Servilio. 

Poi  prese  lo  reggimento  di  Roma  Tullio 
Servilio,  e  non  glielo  veto  sua  vii  nazio- 
ne, essendo  egli  nato  per  madre  d'  una 
serva,  perchè  Tanaquil,  moglie  di  Tarquino, 
r  aveva  nutricato  diligentemente  per  la 
sua  eccellente  indole,  ed  ancora  gli  aveva 
promesso  ch'egli  sarebbe  famoso  una  fiam- 
ma, che  gli  era  stata  veduta  intorno  al 
capo.  Dunque  alla  morte  di  Tarquino,  aju- 
tandolo  la  reina,  fu  constituito  in  luogo 
del  re,  e  quasi  la  signoria  fu  acquistata 
a  tempo  sotto  inganno,  e  così  fece  saga- 
cemente, acciò  che  paressi  ch'egli  l'avessi 
acquistato  con  ragione.  Questo  fece  il 
censo  del  popolo  di  Roma,  partillo  per 
classi,  curie  e  collegi;  e  per  la  somma 
sollecitudine  di  questo  ne  fu  si  ordinata 
la  replubbica,  che  per  ordine  fu  ridotto 
in  iscritture  tutti  i  patrimonj  e  le  degni- 
tade,  le  arte  e  l' etade  e  gli  utficj ,  come 
se  una  grandissima  cittade   si    potessi  or- 


15 

dinare  con  quella  diligenzia  che  una  mini- 
ma casa. 

n  regno  di  Tarquino  superbo. 

L' ultinao  di  tutti  i  re  fu  Tarquino,  il 
quale  per  gli  suoi  costumi  fu  detto  per 
sopranome  superbo.  Costui  volle  più  tosto 
rapire  che  aspettare  il  regno  dei  suoi 
passati,  il  quale  era  tenuto  da  Servio; 
e  mandati  a  quello  gli  ucciditori ,  non 
tenne  meglio  eh'  egli  acquistassi  la  signo- 
ria, acquistata  per  tradimento.  Tullia  sua 
moglie  non  aveva  in  abominazione  i  co- 
stumi di  quello,  la  quale  per  chiamare 
re  il  marito,  si  fece  menare  con  una  car- 
retta sopra  '1  corpo  del  padre,  sicura  ella, 
avendo  paura  i  cavalli.  Elio  furiò  cen- 
tra il  senato  con  gli  omicidj  e  contra 
ogni  uomo  con  la  superbia,  la  quale  è 
più  grave  che  la  crudeltade;  ed  avendo 
furiato  contra  i  buoni ,  poi  che  ebbe  eser- 
citata la  crudeltade  a  casa,  finalmente  si 
volse  ai  nimici ,  e  cosi  prese  forte  terre 
in  Lazio,  come  fu  Ardea,  Ocricolo,  Gabio, 
Suessa  Pomezia;  e  poi  s'insanguinò  de' 
suoi,  e  non  dubitò  battere  il  figliuolo,  ac- 
ciò che  mostrando   egli    fuggire  appresso 


16 
i  nimici,  gli  fossi  dato  fé,  al  quale,  essendo 
egli  stato  ricevuto  a  Gabio,  come  il  padre 
voleva ,  domandandogli  quello  consiglio 
per  uno  messo  quello  ch'egli  dovessi  fare, 
essendo  a  caso  nell'orto,  toccava  con  una 
bacchetta  le  teste  degli  lunghi  papaveri, 
volendo  che  quello  intendessi,  per  lo  toc- 
care degli  alti  papaveri,  fare  morire  i  prin- 
cipi di  quella  terra,  e  così  rispose  la  sua 
superbia.  Nondimeno  della  ruberia  delle 
prese  cittadi  dificò  un  tempio,  il  quale 
sendo  inaugurato,  consentendo  gli  altri 
Dei,  luventa  e  Termino  ferno  risistenzia; 
e  piacque  agli  indovini  la  risistenzia  de- 
gli Dei,  peroch' eglino  promettevano  ogni 
cosa  ferma  ed  eterna.  Ma  fu  eziandio  una 
cosa  paurosa,  perchè  dificando  quegli  lo 
tempio,  fu  trovato  nel  fondamento  una 
testa  d'  uomo ,  e  non  dubitò  ogn'  uomo 
che  quello  fossi  bello  miracolo,  e  che  quello 
promettessi  in  quello  luogo  la  sedia  e  '1 
capo  della  terra.  E  sostenne  lo  popolo  di 
Roma  la  superbia  del  re  si  lungamente, 
infino  che  non  gli  fu  la  lussuria  ;  ma  non 
potè  comportare  ne'  fighuoli  la  impronti- 
tudine di  questa,  de' quali  come  1' uno  per 
forza  commise  1'  avolterio  con  Lucrezia, 
ornatissima  donna,  ella  purgò  la  sua  ver- 


17 
gogna  con  lo  ferro ,   e   lo   imperio   dei   re 
fu  guasto. 

Sipetizione  sommaria  di  sette  re. 

Questa  è  la  prima  età  del  popolo  di 
Roma,  e  quasi  infanzia,  la  quale  quello 
ebbe  sotto  sette  re  per  alcuna  industria 
della  fortuna,  essendo  quegli  si  varj  del- 
lo ingegno,  come  richiedeva  la  ragione 
e  l'utilità  della  riplubbica.  Perchè  chi  fu 
più  ardente  che  Romolo?  E  fu  necessario 
sì  fatto  a  pigliare  la  signoria  ;  e  chi  fu 
più  riligioso  che  Nuraa?  E  così  richie- 
deva la  cosa,  acciò  che  lo  aspro  popolo 
fossi  medicato  per  la  paura  degli  Dei.  Che 
fece  quello  artigiano  di  milizia  Tullio?  E 
quanto  fu  necessario  agli  uomini  da  bat- 
taglia, acciò  che  con  la  ragione  egli  attiz- 
zassi la  virtù!  Che  fece  Anco  edificatore, 
il  quale  aggiunse  a  Roma  una  colonia,  con- 
giunse Roma  col  ponte,  fortificoUa  con  lo 
muro?  E  poi  gli  ornamenti  di  Tarquino 
e  le  sue  insegne  quanta  degnità  per  lo 
abito  aggiunsono  a  quel  popolo  signore? 
E  il  censo  fatto  da  Servio  che  fece,  se  non 
che  la  replubbica  cognoscessi  sé  medesi- 
ma ?    Ultimamente    la    signoria    di    questo 


18 

superbo  giovò  alcuna  cosa,  anzi  molto, 
perchè  avvenne  che'l  popolo,  percosso  dalle 
ingiurie,  fossi  stimolato  dalla  cupidità  della 
libertà. 

Qui  finisce  la  prima  età  del  popolo  di 
Roma. 

Comincia  la  seconda  età. 

Dunque  per  guida  e  per  opera  di  Bruto 
e  di  Collatino,  ai  quali  quella  donna  mo- 
rendo aveva  commessa  la  sua  vendetta,  il 
popolo  di  Roma,  mosso  quasi  per  uno  am- 
maestramento degli  Dei  a  vendicare  l'onore 
della  libertà  e  della  onestà,  subito  abban- 
donorono  il  re,  tolsegli  i  suoi  beni  e  con- 
sacrò i  suoi  campi  al  suo  Marte,  tramu- 
torono  la  signoria  agli  autori  e  vendicatori 
della  libertà.  Nondimeno  mutare  il  nome 
e  '1  signore,  pei'chè  di  perpetuo  signore 
piacquegli  farlo  per  un  anno,  e  per  uno 
farne  due,  acciò  che  la  signoria  non  si 
corrompessi,  perchè  uno  fossi  solo,  o  per- 
chè regnasse  in  lunga  dimoranza,  e  per 
lo  nome  del  re  chiamorno  quegli  consoli, 
acciò  ch'eglino  si  ricordassino  d'avere  a 
dare  consiglio  ai  suoi  cittadini.  Ed  era 
seguita  tanta  allegrezza  della  nuova  liber- 


19 

tà,  che  appena  pigliavano  fé  che  lo  stato 
fossi  mutato;  e  l'uno  de'  consoli  solamente 
per  lo  nome  e  per  la  schiatta  di  i-e  fecio- 
no  refìutare  la  degnità  e  eacciarolo  di 
Roma. 

Adunque  fatto  in  luogo  di  quello  Ora- 
zio Publicola,  fu  ricevuto,  e  con  sommo 
studio  diessi  ad  accrescere  la  maistà  del 
Ubero  popolo,  perchè  egli  prese  la  degnità 
in  consiglio,  e  diede  ragione  di  provocare 
contra  i  re;  e  acciò  che  non  offendesse  la 
speranza  dell'arte  (1),  fece  spianare  le  gran- 
de case  di  quegli.  Bruto  eziandio  acquistò 
il  favore  del  popolo  con  avversità  della  sua 
famiglia  e  con  1'  omicidio  di  suoi  figliuoli , 
perchè  affaticandosi  essi  di  ridurre  a  Roma 
i  re,  com'egli  seppe  questo,  condusse  quegli 
in  palazzo,  e  in  mezzo  lo  consiglio  fece 
battere  quegli  con  verghe  di  ferro,  e  fece- 
gli  ammazzare  con  una  mannaja,  acciò 
che  chiaramente  apparessi,  ch'egli  comune 
padre  avessi  adottato  il  popolo  in  luogo 
di  figliuoli.  Poi  libero  già  lo  popolo  di 
Roma,  pigliò  le  prime  arme  contra  ogni 
uomo  per  la  libertà,  poi  per   gli   confini, 


(1)  Il  testo  latino:  ne  specie  arcis  oifendoret,  e- 
minentes  sedes  suas  in  plana  submisit. 


20 
poi  per  gli  collegati  e  poi  per  gloria  e  per 
lo  imperio,  stimolandogli  continuamente  i 
vicini;  perchè  non  avendo  alcuno  terreno 
da  lavorare  in  sua  patria,  ma  incontinente 
uno  giardino  di  nemici,  e  posti  in  mezzo 
tra  i  Latini  e  i  Toscani,  quasi  sopra  uno 
trebbio  di  due  vie,  per  tutte  le  porte  cor- 
sone contra  i  nimici,  irifino  che  andorono 
coutra  ciascuno,  quasi  come  una  infermità 
contagiosa;  e  soperchiati  tutti  i  vicini,  sot- 
tomisono  a  sé  tutta  Italia. 

La  guerra  coi  Toscani. 

Cacciati  i  re  di  Roma ,  le  prime  guerre 
fanno  per  la  libertà,  perchè  Porsenna  di 
Toscana  s'appresentò  con  grande  moltitu- 
dine, e  con  sua  gente  remenava  i  Tarqui- 
ni;  e  bench' egli  stringessi  il  popolo  di 
Roma  con  la  gente  e  con  la  fame,  e  aven- 
do preso  il  Janicolo,  fossi  accampato  sopra 
lo  passo  della  città,  sostenne  e  cacciogli 
indietro,  e  ultimamente  lo  ridusse  a  tanta 
ammirazione,  che  sendo  egli  superiore,  di 
propia  volontà  fermò  patti  d' amistà  con 
quegli,  che  quasi  erano  vinti. 


21 


Orazio  Code,  Muzio  Scevola  e  Clelia. 

Allora  furono  quegli  miracoli  romani 
Orazio,  Muzio  e  Clelia,  quali,  se  non 
fossino  iscritti  negli  annali,  parrebbono 
favole  al  tempo  presente;  perchè  Orazio 
Code,  poi  che  non  poteva  risistere  ai  ni- 
mici  soprastanti  a  quello  da  ogni  parte,  e 
sendogli  tagliato  dietro  il  ponte,  con  tutte 
armi  notò  il  Tevero  dall'  altra  parte.  Mu- 
zio Scevola  assali  lo  re  nascosamente  nel 
suo  campo,  ma  avendo  fallito  del  colpo 
intorno  d'  uno  ben  vestito,  e  sendo  preso, 
mise  la  mano  nello  ardente  fuoco  e  con 
l'inganno  raddoppiò  la  paura,  dicendo  al 
l'e:  «  Acciò  che  tu  sappi  da  che  uomo  tu 
se'  combattuto,  noi  siamo  trecento,  che  ab- 
biamo giurato  fare  questo  medesimo  »;  e 
in  quel  mezzo  (che  maravigliosa  cosa  è  a 
dire)  quello  estava  senza  paura,  e  '1  ve 
aveva  paura  come  se  la  sua  mano  ardesse, 
e  cosi  feciono  quegli  uomini  ;  e  acciò  che 
le  femine  non  fossero  sanza  lode,  ecco  la 
vertù  d'  una  vergine.  Una  di  quelle  eh'  e- 
rano  date  per  ostadigi  allo  re,  chiamata 
Clelia,  fuggita  alle  guardie,  passò  il  Te- 
vero  a  cavallo    notando.   Lo   re   impaurito 


22 

per  gli  ammaestramenti  di  tante  vertude, 
disse  eli'  eglino  stessine  con  Dio,  e  rima- 
nessino  in  sua  libertade.  I  Tarquinii  fecio- 
no  guerra  per  lungo  espazio,  infino  che 
Bruto  con  la  sua  mano  uccise  Arorite,  fi- 
gliuolo del  re,  e  fedito  da  quello,  morigli 
adosso,  quasi  per  certo  egli  perseguisse 
quello  avoltero  infino  all'  inferno. 

La  guerra  coi  Latini. 

I  Latini  sostenevano  i  Tarquinii  per  di- 
spetto e  per  invidia  che  '1  popolo,  che  si- 
gnoreggiava quegli  di  fuori,  almeno  fossi 
servo  in  casa.  Adunque  tutti  i  Latini  sotto 
Manilio  capitano,  il  quale  era  da  Tusculo, 
levaron  gli  animi  quasi  a  vendetta  del  re, 
ed  appresso  il  lago  Regilo  fu  cambattuto 
per  lungo  espazio  in  varie  battaglie,  infino 
che  Postumi©  dittatore  usò  contra  i  nimici 
degno  e  nuovo  inganno,  che  come  Cosso 
maestro  di  milizia  assalisse  quegli,  i  suoi 
traessino  i  freni  ai  cavagli;  e  questo  fu 
fatto  perchè  corressino  più  veloci,  e  fosse 
aspra  battaglia,  che  fu  nominanza  che  gli 
Dei  fossino  presenti  a  vedere,  e  non  dubitò 
alcuno  che  fossino  Castore  e  Polluce  in 
bianchi    cavagli.    Dunque    il    capitano    gli 


23 
fece  riverenzia,  e  per  la   vettoria  promis- 
segli    e    fecegli    un    tempio,    quasi    come 
egli  dessi   il   soldo   agli   Dei   suoi  compa- 
gnoni. 

Infino  a  qui  fu  combattuto  per  la  libertà, 
poi  fu  combattuto  cogli  Latini  per  gli  con- 
fini continuamente  e  sanza  alcuno  mezzo; 
e  chi  lo  crederà  che  gli  impaurirono  Sora 
e  Algido?  Satrico  e  Corniculo  fumo  fatte 
Provincie,  trionfammo  de'  Veruli  e  de'  Bo- 
vini, bene  che  fossi  vergogna;  Tiburi  fu 
fatto  borgo,  e  Preneste,  da  fargli  la  state 
luoghi  dilicati,  erano  domandati,  dupli- 
cando i  voti  in  Campodoglio.  Allora  Fie- 
sole fece  quello  che  aveva  fatto  innanzi 
Capri,  quello  fece  il  passo  Aricino  che  '1 
passo  Ercinio;  Fragelle  fece  quello  che 
Gesoriaco,  il  Tigre  quello  che  Eufrate. 
Coriolo  (oh  vergogna!)  ebbe  tanta  gloria 
d' essere  vinta ,  che  Caio  Marzio  Coriola- 
no,  che  prese  quella  terra,  prese  quel  no- 
me, come  s'  egli  avessi  preso  Numanzia  o 
Affrica.  Mostrasi  la  preda  acquistata  di 
Anzio ,  la  quale  fu  posta  sopra  l' entrata 
del  palazzo,  poi  che  fu  tolta  l' armata  delle 
navi,  se  quella  fu  armata,  poiché  fumo  sei 
navi.  Perduto  questo  numero,  e  quegli  sendo 


24 

vinti,  fu  chiamata  battaglia  navale  (1).  Gli 
Equi  e  i  Volsci  fumo  molto  più  costanti 
de'  Latini  e  più  continovi  nimici ,  dicendo 
io  cosi;  ma  questi  ispecialmente  vinse  Tito 
Quinzio:  quello  fatto  dittatore,  sendo  tolto 
dall'  aratro,  con  nobile  prodezza  salvò  il 
campo  di  Marco  Manilio  consolo,  essendo 
quegli  assediato  e  già  quasi  preso.  A  caso 
era  in  mezzo  il  tempo  di  seminare,  quan- 
do lo  littore  trovò  nel  suo  lavorerìo  quel 
venerabile  uomo,  stando  egli  appoggiato 
al  suo  aratro.  Di  quel  luogo  andò  all'oste, 
acciò  che  non  cessasse  in  alcuna  cosa 
dal  lavorio  della  villa  per  la  mutazione. 
Misse  sotto  il  giogo  i  vinti  a  modo  di 
bestie,  e  cosi  finita  la  sua  cavalcata,  tor- 
nò ai  buoi  il  trionfale  agricola;  e  feciono 
fede  gli  Dei,  con  quanta  velocità  fossi, 
perchè  in  quindici  di  fu  cominciata  e  al 
postutto  finita  la  guerra,  acciò  che '1  dit- 
tatore paressi  essere  stato  sollecito  alla 
lasciata  opera. 


(1)  Il  testo  latino:  Sed  hic  numerus  illis   initiis 
navale  bellum  fuit. 


25 

La  guerra  degli  Etruschi,  Fallisci 
e  Fidenati. 

I  Vejenti,  d' intra  i  Toscani,  fumo  con- 
tinovi nimici  e  d' anno  in  anno,  in  tanto 
che  una  sola  famiglia  sofficiente  assai  e 
d'avanzo,  cioè  quella  de' Fabii,  oltra  l'or- 
dinato oste,  promise  e  fece  privata  guerra 
con  quegli,  e  furone  morti  in  una  scon- 
fitta trecento  presso  Cremerà:  fu  oste  di 
patrizi  e  descritto  con  escellerato  nome 
nella  porta,  per  la  quale  quegli  andarono 
alla  battaglia.  Ma  quella  sconfitta  fu  ven- 
dicata con  grandissime  vettorie,  e  poi  che 
per  altri  ed  altri  capitani  fumo  prese  for- 
tissime città  per  vario  avvenimento,  i  Fal- 
lisci di  propria  volontà  s'arrenderono,  i 
Fidenati  arsone  con  lo  suo  fuogo,  i  Ve- 
jenti furono  presi  al  postutto  e  diserti;  e 
sendo  assediati  i  Fallisci,  il  capitano  de' 
Romani  parve  avere  raaravigliosa  fé,  e  non 
sanza  cagione,  perchè  egli  rimandò  legato 
uno  maestro  de'  giuochi ,  traditore  della 
terra,  con  gli  fanciugli ,  i  quali  egli  aveva 
menati  di  fuori  di  propria  volontà.  Quello 
santo  e  savio  uomo  sapeva  quella  essere 
vera  vettoria,  la  quale  s'acquistassi  con 
salvamento  e  con  integra  degnità. 


26 

I  Fidenati,  i  quali  non  erano  pari  a 
combattere,  armati  di  facelle  in  diversi 
colori  per  mettere  paura,  a  modo  di  serpenti 
vinti  uscirono  fuori  a  modo  di  furiosi,  ma 
quello  fu  abito  di  furiale  disfazione  di  tutti. 
Ma  come  fossi  grande  fatto  quello  de'  Ve- 
jenti,  mostra  l'  assedio  per  spazio  di  dieci 
anni.  Allora  fu  prima  fatto  con  le  pellic- 
ce, cassato  il  soldo  per  lo  verno  (1),  ridutti 
i  cavalieri  per  sagramento  di  propria  vo- 
lontà a  non  tornare  a  casa,  se  non  piglias- 
sono  quella  terra.  La  preda  di  Laerte 
Tolunno  re  fu  portata  a  Giove  Feretrio,  e 
finalmente  fu  compiuta  la  disfazione  di 
quella  terra,  non  con  scale  e  non  con  rot- 
tura, ma  con  cave  e  inganni  fatti  sotto 
terra;  e  parve  si  grande  la  preda,  che  la 
decima  di  quella  fu  mandata  ad  Apollo  di 
Pizia,  e  tutto  lo  popolo  di  Roma  fu  invi- 
tato a  disfare  quella  terra.  Chi  si  ricorda 
questa  essere  stata?  Quali  le  reliquie  di 
quella  cittade?  E  che  vestigie?  E   appena 


(1)  Il  lesto  latino:  Tunc  primum  hyematum  sub 
pellibus;  taxata  stipendio  hyberna,  volendo  dire 
Floro,  che  allora  per  la  prima  volta  si  guerreg- 
giò d' inverno,  rimanendo  i  combattenti  sotto  le 
tende. 


noi  diamo  fé  agli  annali,  che  queste  cose 
sieno  estate  vere. 

La  guerra  con  gli  Gallici. 

Questo  velocissimo  corso  dello  imperio 
che  cresceva,  o  che  fossi  per  odio  degli 
Dei,  0  che  fossi  per  fortuna,  alquanto  fu 
ristretto  per  l'assalto  de' Galli  Senoni,  il 
quale  tempo  non  so  se  fu  più  mortale  per 
sconfitte  al  popolo  di  Roma,  o  se  fu  più 
chiaro  per  le  esperienze  della  vertù;  ma 
certo  quella  misera  ebbe  questa  forza,  ch'io 
penso  essere  stato  fatto  per  esperimento 
degli  Dei  immortali,  i  quali  volevano  sapere 
se  la  vertù  de'  Romani  meritava  avere  la 
segnoria  del  mondo.  I  Galli  Senoni,  gente 
feroce  per  natura  di  costumi  ed  ancora 
grandi  del  corpo,  per  questo  grandi  fatti 
d'arme  fenno  sì  terribeli  per  natura,  che 
chiaramente  parevano  nati  ad  uccidere  uo- 
mini e  a  disfare  città.  Questi  già  venuti 
dalle  ultime  parti  della  terra,  dove  égli 
Oceano,  che  circonda  tutta  la  terra,  aven- 
do guasto  ogni  cosa  per  la  via,  con  gran- 
de moltitudine  posono  sua  sedia  tra  le 
Alpe  e '1  Po,  e  non  contenti  di  quella, 
discorrevano    per    Italia  ;    poi    assediarono 


28 
Chiusi  città,  e '1  popolo  di  Roma  s'inter- 
pose con  quegli  compagni  e  collegati ,  e 
secondo  usanza  mandò  imbasciadori;  ma 
perchè  i  barbari  non  hanno  alcuna  ragio- 
ne, seguitorono  più  aspramente,  e  per 
questo  seguì  la  guerra. 

Dunque  partiti  quegli  da  Chiusi,  andor- 
no  verso  Roma,  ai  quali  andò  incontro 
con  r  oste  Fabio  consolo  infino  al  fiume 
Alia,  dove  fu  vituperosa  esconfitta,  e  per- 
ciò Roma  dannò  quel  di  de'  suoi  fasti. 
Sconfitta  r  oste,  già  s'approssimava  a  Ro- 
ma, e  non  v'era  gente;  e  allora  apparve 
vera  la  vertù  de'  Romani ,  e  non  apparve 
mai  altra  volta.  Subito  gli  antichi ,  che 
avevano  avuti  i  grandi  onori,  corsono  in 
palazzo,  e  in  quel  luogo  facendo  il  voto 
il  sacerdoto,  fece  il  sacrificio  agli  Dei  in- 
fernali; e  subito  ciascuno  tornò  a  sua  se- 
dia, ornati  com'  egli  erano,  e  con  magnifi- 
co ornamento  s'  allogorono  nelle  sue  e- 
scranne,  acciò  che  come  sopra  venissi  no  i 
nimici,  morissino  nella  sua  degnità.  I  sa- 
cerdoti e  rilegiosi  ricolsono  ogni  cosa  di 
rilegione,  ch'erano  ne'tempj,  e  parte  ne 
sotterrorono  in  vasi,  parte  ne  misono  in 
carrette  e  portaronle  con  sé.  Le  moniche 
della   religione  di  Vesta   fuggivano   scalze 


29 

dietro  alle  sue  cose,  e  nondimeno  si  dice 
che  Albino,  omo  di  popolo,  le  tolse  in  suso 
il  suo  carro,  avendo  in  prima  messo  giuso 
la  moglie  e  i  figliuoli:  tanto  allora  nella 
estremità  la  publica  religione  era  premessa 
ai  privati  affetti.  Ma  i  giovani,  i  quali 
appena  è  manifesto  che  fossino  mille  uo- 
mini, tolto  per  suo  capitano  Manlio,  pi- 
gliarono la  fortezza  del  monte  Capitolino, 
pregando  Giove,  come  s' egli  fosse  pre- 
sente, che  colla  sua  deitade  egli  difen- 
dessi la  sua  vertìi  di  quegli ,  come  eglino 
erano  atanti  a  difendere  lo  suo  tempio. 

In  quel  mezzo  erano  sopravenuti  i  Galli, 
e  assalirono  la  città  con  grande  remore  e 
impeto  Come  vidono  quella  abbandonata, 
essendo  prima  stati  paurosi,  temendo  che 
non  vi  fosse  alcuno  inganno,  perchè  ave- 
vano trovate  le  porte  aperte,  a  poco  a 
poco  entrati  nelle  case,  poi  ch'eglino  tro- 
varno  i  vecchi  adornati  in  sulle  sedie, 
feciono  riverenza  a  quegli  come  a  Dei  del- 
lo luogo;  ma  poi  eh'  egli  fu  manifesto  que- 
gli essere  uomini ,  non  degnando  quegli 
rispondere  alcuna  cosa,  con  pari  furia  li 
ammazzonno  e  misono  fuoco  nelle  case,  e 
tutta  la  città  espianarono  col  fuoco  e  col 
ferro.  Sei  mesi  quegli  barbari  stettono  in- 


30 

torno  a  uno  monte  (e  chi  lo  crederebbe?), 
e  con  ogni  cosa  provarono  il  di  non  che 
la  notte.  Finalmente  Mallio,  desto  per  la 
voce  d'un'  oca,  ricacciò  fuori  quegli,  i  quali 
entravano  dentro;  e  acciò  che  togliessi  (1) 
speranza  ai  nemici,  bench' eglino  avessino 
grandissimo  disagio  di  vettuvaglia,  per  mo- 
strare speranza  di  tenersi,  gittorno  pane 
giù  per  la  costa,  e  ditermi  natamente  un 
dì  mandò  di  fuori  per  mezzo  la  guardia 
de'  nemici  Fabbio  sacerdote,  il  quale  faces- 
si solenne  sacrificio  nel  monte  Quirinale; 
e  quello  per  mezzo  le  lance  de'  nemici  tor- 
nò dentro  salvo  per  ajutorio  della  reli- 
gione, e  riportò  che  gli  Dei  erano  favo- 
revoli. Ultimamente  essendo  già  stanchi 
quegli  barbari  per  lo  assedio,  quello  gli 
dava  per  la  sua  partita  mille  libre  d'oro, 
e  domandando  malvagio  peso,  e  ancora 
malvagiamente  è  superbamente  minaccian- 
do con  lo  coltello  (2)  quegli  vinti,  subita- 
mente Camillo  gli  assali  dalle  spalle  e  ta- 
gliogli  si  affatto,  che  bagnò  del  sangue  di 
quegli  barberi  tutta  la  cenere  delle  case 
arse. 

(1)  /  Romani. 

(2)  Il  testo  latino:  ad  inifiua  pondera  addito  ad- 
huc  gladio. 


31 
Piacerai  rendere  grazia  di  sì  grande 
sconfitta  agli  Dei  immortali.  Quello  fuoco 
e  quella  fiamma  nascose  la  casa  de'  pastori 
e  la  povertà  di  Romolo;  quello  incendio  che 
fece  altro,  se  non  che  la  città  distinata 
per  ricettacolo  degli  Dei,  non  paressi  gua- 
sta né  rovinata,  ma  più  tosto  purgata  e 
alluminata?  Dunque  ella  suscitò  più  aspra 
e  più  forte  centra  i  vicini ,  poich'  ella  fu 
difesa  da  Manlio  e  ricoverata  da  Camillo; 
e  innanzi  a  tutte  le  cose  non  fu  contento 
d' avere  cacciato  da  Roma  quella  gente 
gallica,  discorrendo  quella  per  Italia  a 
distruzione  di  quella,  ma  tanto  perseguisse 
quegli  sotto  la  capitanta  di  Camillo,  che 
al  presente  non  è  alcuna  vestigie  di  Galli 
Senoni.  In  una  volta  fumo  sconfitti  e  presi 
al  fiume  Aniene,  poi  in  una  battaglia  Man- 
lio in  singolare  battaglia  nella  preda  ne 
portò  un  torchio  d' oro  ad  uno  barbero , 
e  da  quello  fumo  chiamati  i  Torquati; 
poi  nel  campo  Pontino,  poi  in  simiglievole 
battaglia  Lucio  Valerio,  perseguendolo  uno 
Gallico,  riportò  preda  di  quello,  essendo 
aiutato  da  uno  sacro  uccello,  e  da  quello 
fumo  i  Corvini.  Da  poi  alquanti  anni  Do- 
lobella  tagliò  tutti  quegli,  che  restavano 
in  Toscana   presso    il   lago   di  Vadimone, 


32 
sicché  non  restò   alguna   di    quella  gente, 
che  si  gloriassi  avere  arsa  Roma. 

La  guerra  con  i  Latini. 

Volto  da'  Galli  ai  Latini  (1),  sotto  lo  con- 
solato di  Manlio  Torquato  e  di  Decìo  Mu- 
rano, quegli  sempre  erano  odiosi  per  la 
invidia  dello  imperio  e  per  lo  raagestrato, 
e  allora  lo  erano  per  lo  dispregio  dell'arsa 
città,  e  domandavano  ragione  della  città, 
parte  della  signoria  e  del  magisti-ato,  e 
già  ardivano  fare  più  innanzi  che  venire 
alle  mani;  nel  qual  tempo  chi  si  raaravi- 
glierà  quegli  essersi  tirati  indietro  dai 
nimici ,  avendo  1'  uno  de'  consoli  morto  il 
figliuolo,  bench' egli  avesse  vinto,  perch'e- 
gli  aveva  combattuto  contra  lo  comanda- 
mento, quasi  come  più  volessi  l'ubbidienza 
che  la  vettoria  ;  1'  altro  consolo,  quasi  am- 
maestrato dagli  Dei,  col  capo  coperto  in- 
nanzi alla  prima  schiera  consacrò  sé  agli 
Dei  infernali,  acciò  che  nella  strettissima 
schiera  de'  nimici  facessi  nuovo  introito 
alla  vettoria  con  la  via  del  suo  sangue? 


(1)  Il  popolo  romano. 


33 


La  guerra  cogli  Sabini. 

Dopo  i  Latini  assalirono  i  Sabini,  i  qua- 
li non  ricordandosi  del  parentado  fatto  già 
sotto  Tito  Tazio,  corrotti  per  la  guerra, 
s'  erano  accostati  ai  Latini;  ma  sendo  con- 
solo Curio  Dentato,  guastò  tutto  quello 
paese,  eh'  è  circa  Nar  fiume  e  le  fontane 
d'Avellino  infino  al  mare  Adriatico,  con 
fuoco  e  con  ferro;  per  la  qual  vettoria  fu 
ridutto  sotto  sua  signoria  tanta  gente  e 
tanto  paese,  che  quale  più  volessi  egli  che 
l'aveva  vinto,  non  lo  potrebbe  estimare. 

La  guerra  con  gli  Sanniti. 

Poi  mossi  a  priego  di  quegli  di  Cam- 
pagna, finalmente  non  per  sé,  ma  per  gli 
collegati,  la  qual  cosa  gli  fu  più  onore, 
assalirono  i  Sanniti,  ed  avevano  fermato 
pace  con  ciascuno  di  quegli  ;  ma  i  Cam- 
pagnuoli  più  fermamente  e  prima  di  tutti 
s'erano  corrotti.  Adunque  e  Romani  fe- 
ciono  la  guerra  con  i  Sanniti  come  per 
sé;  ed  è  Campagna  paese  non  solamente 
più  bello  di  tutti  quegli  d' Italia,  ma  ezian- 
dio di  tutto  il  mondo,  ed   ha  più   tempe- 


34 

rato  aere:  e  per  questo  à  due  volte  l'an- 
no fiori,  e  la  terra  è  molta  ubertosa,  ed 
imperciò  in  quella  è  contenzione  di  più 
biada  e  di  vino;  niuno  paese  è  meglio  abi- 
tato per  la  marina.  In  quella  sono  i  nobili 
porti  Gaieta,  Misseno  e  bagni  con  le  cal- 
de fontane;  Lucrino,  Averno,  ne' quali  il 
mare  à  alcuno  riposo.  Qui  sono  e  monti 
vestiti  di  vite,  Gauro,  Falerno,  Massico  e 
Vesuvio,  molto  piìi  bello  di  tutti,  il  quale 
s'assomiglia  per  lo  fuoco  ad  Etna;  le  cit- 
tadi  della  marina  Formie,  Come,  Pozzuoli, 
Napoli ,  Erculaneo,  Pompeio  e  Capoa,  capo 
delle  altre  cittade,  la  quale  già  fu  anomi- 
nata terza  con  Roma  e  Cartagine;  e  per 
questa  città,  per  quegli  paesi  il  popolo  di 
Roma  assalì  i  Sanniti,  i  quali  erano  gente 
ornati  d'oro  e  d'argento,  e  se  tu  cerchi 
iscaltrimenti,  gente  che  furiava  con  ingan- 
ni di  passi  e  di  montagna;  se  tu  cerchi 
la  sua  rabia  e  furore,  con  sacrate  leggi  e 
con  sacrificj  d'uomini  s'affaticavano  adi- 
sfazione  di  Roma;  se  tu  cerchi  pertinacia, 
troverai  che  sei  volte  rotta  la  pace,  per 
le  sconfitte  era  più  animosa. 

E  nondimeno  Roma  soggiogò  e  domò 
sì  quegli  in  cinquanta  anni  per  gli  Fabii 
e  per   gli   Papirii   e    per  gli   suoi    discen- 


35 
denti,  e  guastò  si  le  sue  cittade,  che  al 
presente  si  domanda  Sannio  in  Sannio,  e 
non  si  mostrano  lievemente  ventiquattro 
trionfi  (1),  ed  è  sommamente  manifesta  la 
magnifica  sconfitta  di  quella  gente  presso 
le  forche  Caudine,  ricevuta  sotto  \eturio 
e  Postumio  consoli ,  essendo  serrato  il  no- 
stro oste  per  inganno  dentro  a  quel  passo, 
onde  non  potevano  fuggire;  e  maraviglian- 
dosi Ponzio,  capitano  de'niraici,  di  tanto 
caso,  domandò  consiglio  ad  Erennio  suo 
padre.  Quello  consigliò  saviamente  eh'  e- 
gli  lasciassi  andare  i  nostri ,  o  egli  gli  ucci- 
dessi. Questo  volse  più  tosto  sanza  armi 
salvargli  e  mettergli  sotto  il  giogo,  acciò 
che  non  fossino  amici  per  lo  benificio,  né 
per  la  crudeltà  fossino  più  niraici.  Adun- 
que incontanente  e  magnificamente  fu  pur- 
gata la  vergogna  del  patto,  essendosi  il 
consolo  arrenduto  volontariamente,  ed  i 
cavalieri  cercando  la  vendetta,  sotto  Papi- 
rio  suo  capitano  con  le  spade  ignude  (che 
orribile  cosa  fu  a  dire),  per  quella  mede- 
sima via  fu  la  battaglia,  e  venuti  alle  mani, 
secondo  il  detto  de'nimici,  pareva  che  gli 

(1)  Ossia  si  cercherebbe  il  Sannio  nel  Sannio 
stessOj  materia  o  causa  di  tante  guerre. 


36 

occhi  de' nostri  ardessino,  e  non  fu  fatto 
fine  alia  uccisione,  inflno  che  non  fu  ri- 
posto il  giogo  ai  nimici  ed  al  capitano, 
il  quale  fu  preso. 

La  guerra  con  gli  Etruschi 
e  con  gli  Sanniti. 

Infin  a  qui  il  popolo  di  Roma  fece  guer- 
ra con  quelle  genti  ad  una  ad  una,  poi 
con  molte,  e  nondinoeno  fu  pari  a  tutti. 
Furo  dodici  e  popoli  di  Toscana;  gli  Um- 
bri, antichissimo  popolo  d' Italia,  non  toc- 
cati infin  a  quel  tempo,  e  gli  altri  Sanniti, 
subito  feci'ono  una  congiurazione  contra  il 
nome  di  Romani.  La  paura  fu  grande  di 
tutti  e  popoli  insieme.  Era  Toscana  odiosa, 
discorrevano  le  insegne  di  quattro  oste.  In 
quel  mezzo  erano  due  passi  innanzi  sanza 
via  chiaramente,  come  quello  di  Calidonia 
0  quello  della  selva  Ircinia,  e  questo  faceva 
sì  grande  paura,  che  lo  senato  disse  al 
consolo,  eh'  egli  non  ardissi  a  mettersi  a 
tanto  pericolo;  ma  niuno  di  quegli  impaurì. 
Il  capitano  Fabio  Massimo  mandò  innanzi 
suo  fratello  a  tentare  i  passi  ;  quello  avendo 
cercato  di  notte  in  abito  di  pastore,  d'ogni 
cosa  faceva  relazione.  Fabio  Massimo  allora 


37 

dichiarò  essere  sanza  pei-icolo  quella  peri- 
colosa guerra,  perchè  subito  assali  e  nimici 
disordinati  e  sparti ,  e  presa  1'  altezza  de' 
monti,  tornò  secondo  sua  usanza  contra 
quegli  eh'  erano  di  sotto.  Questa  fu  l' ap- 
parenza di  quella  guerra,  quasi  come  le 
lancia  fossino  mandate  da  cielo  per  le 
nuvole  contra  i  giganti  ;  e  nondimeno  quel- 
la vettoria  non  fu  sanza  effusione  di  san- 
gue, perchè  nel  mezzo  della  valle  l'uno 
de'  consoli,  cioè  Decio,  secondo  che  aveva 
fatto  suo  padre,  fece  sacrificio  della  sua 
testa  agli  Dei  infernali,  e  ridusse  la  solen- 
ne consecrazione  della  sua  famiglia  in  pre- 
gio di  vettoria  (1). 

La  guerra  con  gli  Tarentini. 

Sieguesi  la  guerra  con  quegli  da  Ta- 
ranto, la  quale  fu  una  per  lo  titolo  e  per 
lo  nome,  ma  la  vettoria  fu  di  molte  ma- 
niere. Questa  guerra  meschiò  quasi  con 
una  rovina  i  Campagnuoli  e  i  Pugliesi  e 
i  Lucani  e  i  Tarantini ,  capo  della  guerra, 
cioè  tutta  Italia ,  e  con  questa  Pirro,  famo- 


(1)  Comperò   colla   solenne  consacrazione  delia 
sua  famiglia  la  vittoria. 


38 
gissimo  re  in  Grecia;  sicché  in  uno  mede- 
simo tempo  essa  consumò  Italia  e  fu  pre- 
sagio delle  vettorie  d'  oltre  mare.  Taranto 
edificato  per  quegli  di  Lacederaonia,  fu  già 
capo  di  Calavria  e  di  Puglia  ed  eziandio 
di  tutta  Lucania;  nobile  per  la  grandezza, 
per  le  mura  e  per  lo  porto,  per  maravi- 
glioso  sito,  e  perchè  posto  nello  stretto  del 
mare  Adriatico,  mandò  navi  in  ogni  parte, 
in  Istria,  in  Schiavonia  e  in  Epiro,  in  Aca- 
ja,  in  Africa,  in  Cicilia.  Soprasta  al  porto 
alla  veduta  del  mare  Io  sommo  teatro,  lo 
quale  fu  cagione  alla  miserabile  città  dì 
tutte  le  sue  miserie.  A  caso  quegli  face- 
vano giuochi,  quando  egli  vidono  1'  armata 
de'  Romani  navicanti  presso  Io  suo  lido, 
e  pensando  quegli  essere  niraici,  sanza 
alcuno  ordine  gli  assalirono,  e  non  sape- 
vano bene  chi  fossino,  e  onde  fossino  i 
Romani;  e  sanza  indugio  i  Romani  man- 
dorno  a  quegli  imbasciatori  con  la  lamen- 
tanza,  e  questi  fumo  offesi  con  brutta  ver- 
gogna e  vituperosa  a  dire,  e  da  questo 
cominciò  la  guerra.  Ma  l'apparecchiamento 
fu  orribile,  facendo  tanti  popoli  congiura- 
zione per  gli  Tarentini,  e  Pirro,  più  pos- 
sente di  tutti,  il  quale  veniva  per  difen- 
dere la  città  mezza  greca,  edificata  per  gli 


39 

Lacedemoni  con  tutta  la  possanza  di  Epi- 
ro, di  Tessaglia,  di  Macedonia  e  con  gli 
leofanti,  non  cognosciuti  in  quel  tempo, 
per  mare  e  per  terra,  con  uomini  a  cavallo 
armati,  e  sopra  a  questo  aggiugnendo  la 
paura  delle  fiere. 

E'  fu  la  prima  battaglia  appresso  Era- 
clea e  Liri,  fiume  di  Campagna,  la  qual 
battaglia  fu  sì  aspra ,  che  Ossidio ,  pre- 
fetto delle  schiere  de'  Ferentani,  venuto 
alle  mani  con  lo  re,  lo  misse  in  paura, 
e  costrinselo  gittare  le  'nsegne  e  uscire 
delia  battaglia.  Ed  era  finita  la  guerra ,  se 
non  fossino  stati  i  leofanti ,  i  quali ,  volta 
in  spettacolo  la  battaglia,  corsone;  per  la 
qual  cosa  i  Romani,  impauriti  si  per  la 
grandezza  e  per  la  bruttezza  e  pel  nuovo 
colore  e  stridore,  pensando  quelle  bestie, 
non  vedute  altra  volta,  raagiore  cosa  che 
non  erano,  ebbono  grande  sconfitta,  fug- 
gendo subito.  Poi  combatterno  in  Puglia 
presso  Ascoli,  essendo  consoli  Curio  e  Fab- 
brizio,  e  già  la  paura  di  quelle  bestie  non 
era  piìi,  perchè  Gaio  Numizio,  astato  della 
quarta  legione,  aveva  tagliato  il  muso  ad 
uno  leofante,  ed  aveva  mostrato  che  quelle 
bestie  potevano  morire.  Per  questo  lancia- 
vano le  lancie   centra   quegli,  e  contra  le 


40 
torri  di  quelle  genti  gittarono  fuoco,  sì  che 
coprivano  tutti  i  combattitori,  e  non  ebbe 
la  battaglia  altro  fine,  se  non  che  la  notte 
gli  partì  ;  il  suo  re  fu  l' ultimo ,  che  si 
partì  fedito  e  portato  dai  suoi  servi  in  uno 
scudo. 

L'  ultima  battaglia  fu  in  Lucania  sui  cam- 
pi chiamati  Arusini  sotto  i  predetti  capi- 
tani, e  allora  la  fortuna  diede  il  fine  con 
tutta  vettoria,  il  quale  doveva  dare  la  pro- 
dezza; perchè  menati  da  capo  i  leofanti 
nella  prima  schiera,  uno  puledro  di  quegli 
fedito  nella  testa  d'un  grande  colpo,  si 
volse  indietro,  e  correndo  per  le  schiere 
de'  suoi,  lamentandosi  con  grande  stridore, 
la  madre  lo  conobe  e  fecesi  innanzi,  co- 
ro'ella  lo  volessi  vendicare;  e  allora  vol- 
gendosi intorno,  come  se  ogni  cosa  le  fosse 
nemica,  con  la  sua  grandezza  mescolò  le 
schere,  e  così  e  leofanti,  e  quali  ci  ave- 
vano tolto  la  prima  vettoria,  e  la  seconda 
avevano  fatta  uguale,  ristituivano  a  noi  la 
terza  senza  alcuna  contradizione. 

Non  solamente  noi  combattemmo  con  le 
ai'mi  in  campo  con  lo  re,  ma  eziandio  ne' 
consigli  e  in  casa,  perchè  quel  sagacissimo 
dopo  la  prima  vettoria,  conosciuta  la  vertù 
de'  Romani,  incontanente  gli  mancò  la  spe- 


41 
ranza  in  fatti  d'arme,  e  ridussesi  a  in- 
ganni ;  di  che  fece  seppellire  e  morti ,  e  i 
presi  trattò  benignamente  e  restituigli  sen- 
za alcuna  taglia,  e  mandati  imbasciatori  a 
Roma,  si  sforzò  per  ogni  modo  d'essere 
ricevuto  per  suo  amico.  Ma  la  vertù  de' 
Romani  si  provò  allora  ad  ogni  modo  con 
guerra  e  con  pace,  ed  a  casa  e  fuori,  e 
non  mostrò  la  fortezza  del  popolo  più  in 
altro  luogo  che  nella  vettoria  di  quegli  da 
Taranto,  il  senato  il  suo  sapere,  e  capi- 
tani la  sua  grandezza.  Chi  furono  quegli 
uomini,  i  quali,  rotti  dai  leofanti  nella  pri- 
ma battaglia,  noi  avemo  udito?  Le  fedite 
di  tutti  erano  nel  petto,  alcuni  erano  morti 
sopra  i  suoi  nimici,  tutti  avevano  le  spade 
in  mano,  dopo  la  morte  il  viso  pieno  di 
minacce,  e  morendo  rimaneva  viva  l'ira; 
della  qual  cosa  Pirro  tanto  si  maraviglia- 
va,  ch'egli  diceva:  «  Oh  quanto  era  lieve 
cosa  acquistare  il  mondo ,  s' io  avessi  e 
cavalieri  romani  !  Oh  se  e  Romani  aves- 
sino  me  per  suo  re!  »  Ma  che  soUicitudine 
ebbono  quegli  che  camparono  a  rifare 
l'oste,  quando  Pirro  disse:  «  Io  veggo 
chiaramente,  ch'io  sono  nato  sotto  la  con- 
stellazione  d"  Ercule ,  al  quale ,  quasi  come 
dal  serpente  di   Lorna,   dai    capi    tagliati 


42 

rinascevano  tante  teste  di  nimici  ?  Qual  se- 
nato fu  quello,  quando  orando  Appio  Cie- 
co ,  gì'  imbasciatori  furono  cacciati  di  Ro- 
ma con  i  suoi  doni,  i  quali  domandati 
dal  suo  re,  che  gli  paressi  della  terra  de' 
suoi  nimici,  dissono  che  la  città  gli  pa- 
reva un  tempio ,  e  '1  senato  gli  pareva 
uno  regno?  Che  capitani  erano  quegli, 
quando  Curio  nel  campo  rimandò  il  me- 
dico, il  quale  egli  voleva  per  danari  far 
morire  Pirro?  Fabbrizio  rifiutò  parte  della 
signoria,  la  quale  Pirro  gli  profereva. 
In  tempo  di  pace,  quando  Curio  nella 
guerra  de'  Sanniti  misse  i  vasi  della  terra 
innanzi  a' vasi  dell'oro  (1),  e  Fabbrizio 
condannò  per  sentenzia  di  censore  Rufino, 
uomo  dell'  ordine  de'  consoli,  in  dieci  libre 
d' argento ,  per  la  quale  gravezza  di  cen- 
sore dannò  la  lussuria. 

Adunque  chi  si  maraviglierà  con  questi 
costumi  il  popolo  romano  avere  vinto  in 
milizia,  il  quale  con  una  guerra  di  que- 
gli da  Taranto  in  ispazio  di  quattro  anni 
ridusse  ad  ubidienzia  grandissima  parte 
d'  Italia,    fortissime    genti    e    ricchissime 


(1)  J/  teslo  Ialino:  quum  Curius  fìctitia  sua  Sam- 
nilico  praeferret  auro. 


43 

cittadi?  E  chi  superchierà  la  sua  lealtà- 
de,  per  la  quale,  se  noi  consideriamo  il 
fine  della  guerra  col  principio ,  Pirro  vin- 
citore nella  prima  battaglia,  avendo  tutta 
Italia  paura,  Campagna,  Liri  e  Fregelle 
saccheggiate,  vide  quasi  presa  Roma  dalla 
parte  di  Pi'eneste,  e  presso  a  venti  miglia 
empiè  gli  occhi  della  impaurita  città  di 
fumo  e  di  polvere?  Da  poi  avendo  perdu- 
to due  volle ,  fedito  e  ricacciato  oltra  '1 
mare  in  Grecia  alle  sue  terre,  fu  pace  e 
quiete,  e  fu  sì  grande  ruberia  di  ricchissi- 
me genti ,  che  Roma  non  poteva  tenere 
la  sua  vittoria .  Innanzi  a  quello  di  non 
entrò  in  Roma  più  bello  trionfo.  Ma  ave- 
resti  innanzi  veduto  le  bestie  de'  Volschi, 
gli  armenti  de'  Sabini,  le  carrette  de'  Gal- 
lici, le  arme  rotte  de'  Sanniti;  allora  se 
guardato  avessi  ai  presi ,  erano  Tessalici , 
Macedoni,  Molossi,  Abruzzesi,  Pugliesi, 
Lucani;  se  alla  preda,  oro,  porpora,  ima- 
gine  d'  avorio  e  le  ricchezze  di  quegli  da 
Taranto;  ma  niuna  cosa  vide  più  volen- 
tieri il  popolo  di  Roma,  che  quelle  bestie, 
le  quali  aveano  temute  con  le  sue  torri , 
le  quali  non  senza  cognoscere  sé  essere 
prese,  con  la  testa  bassa  seguivano  i  vin- 
citori cavagli. 


44 

La  guerra  con  i  Marchiani. 

Poi  tutta  Italia  ebbe  pace,  e  chi  arebbe 
ardito,  poi  ch'erano  vinti  i  Tarantini?  Se 
non  che  poi  piacque  ai  Romani  andare 
dietro  ai  collegati  de'  nemici.  Adunque  fu- 
rono domati  ì  Marchiani  e  Ascoli,  capo  di 
quella  gente,  sotto  la  capitanarla  di  Sem- 
pronio, il  quale,  tremando  il  campo  quando 
egli  combatteva,  quietò  la  dea  Terra,  pro- 
mettendogli uno  tempio. 

la  guerra  con  Salentini. 

Dopo  i  Marchiani  fumo  domati  i  Sa- 
lentini: capo  di  quello  paese  è  Brandizio 
col  famoso  porto;  capitano  fu  Manlio,  e 
in  quella  battaglia  Pales,  dea  de' pastori, 
domandò  per  pagamento  uno  tempio. 

La  guerra  con  i  Volsini. 

Ultimi  d' Italia  furono  fedeli  quegli  da 
Bolsena,  i  quali  sono  più  ricchi  di  tutti 
i  Toscani ,  domandando  ajutorio  contra 
i  suoi  servi,  i  quali  ì  suo'  signori  ave- 
vano fatti  franchi ,  e  quegli  s'  erano  levati 


45 
centra  i  suoi  signori,  e  avevano  presa   la 
signoria  della  sua  ripublica,  e  furono  pu- 
niti sotto  la  capitanaria  di  Fabio  Gurgite. 

Sommaria  ripetizione  della  seconda  età(l). 

La  seconda  età  del  popolo  di  Roma  (e 
questa  fu  quasi  adolescenzia)  sommamen- 
te fu  vigorosa,  e  come  un  fiore  di  vertù  fu 
ardente  e  vigorosa.  Adunque  eglino  ave- 
vano alcuna  asperezza  de'  pastori  e  alcuno 
indomito  spiramento.  Per  questo  avven- 
ne, che  l'oste  lapidò  Postumio,  capitano 
del  campo,  facendo  una  setta  contra  lui, 
perch'  egli  negava  dargli  la  preda,  che  gli 
aveva  promessa;  e  sotto  Appio  Claudio  non 
volle  vincere  il  nimico,  potendo,  e  sen- 
do  capitano  Valerio  Nerone  (2),  ritraendosi 
molti,  fu  guasta  la  degnità  del  consolo,  e 
per  questo  avvenne  che  punirono  molti 
famosissimi  principi  con  lo  esilio,  per- 
ch' erano  contradii  alla  sua  volontà,  come 
fu  Coriolano,  il  quale  gli  constringeva  a  la- 
vorare i   campi;    ma    quegli    non    avrebbe 


(1)  Il  testo  latino  intitola  de  seditionibus  questo 
capitolo. 

(2)  //  lesto  latino:  duce  Voleroiie. 


46 
meno  fatta  la  vendetta  della  sua  ingiuria 
con  r  armi ,  se  non  fussi  estato  che  già 
lo  figliolo  avendo  mosse  le  sue  insegne, 
la  madre  lo  tolse  da  campo  con  le  sue  la- 
grime, come  avvenne  dì  Camillo,  il  quale 
pareva  avere  divisa  la  preda  iniquamente 
tra  'I  popolo  e  1'  oste  ;  ma  questo  osservò 
migliore  usanza  verso  la  presa  città,  e 
poi  pregando  quella,  fece  la  vendetta  de' 
Galli  suol  nimici.  Fu  battaglia  con  il  se- 
nato giusto  e  buono,  in  tanto  che  lasciata 
la  sedia  sua,  minacciavano  la  patria  di  dis- 
abitarla. 

La  prima  discordia  fu  per  la  impoten- 
zia degli  usurai,  i  quali  inasperiti  contra 
le  spalle  come  a  servi,  il  popolo  armato  si 
partì  e  andò  nel  sacro  monte,  e  se  non 
avessi  ottenuto  i  tribuni,  non  sarebbe  ri- 
tornato alla  città  per  l'autorità  di  Mene- 
nio Agrippa,  eloquente  e  savio  uomo;  e 
truovasi  per  indurre  la  concordia  una  fa- 
vola d' una  orazione  assai  antica ,  nella 
quale  disse  che  già  fu  discordia  tra  le 
membra  dell'  uomo  ,  e  affaticandosi  tutto , 
solo  il  ventre  stava  in  ozio:  poi  morendo 
quelle  membra  tornarono  congiunte  a  quel- 
lo ,  quando  sentirono  che  per  opera  di 
quello  erano  nutrigate,  riducendo  il  cibo 
in  sangue. 


47 
La  seconda  discordia  in  mezzo  di  Roma 
fu  per  la  lascivia  de'  decemviri.  Di  coman- 
damento del  popolo  dieci  principi  eletti 
scrivevano  lo  leggi  portate  da' Greci,  ed 
era  ordinata  tutta  la  giustizia  in  dodici 
tavole,  e  nondimeno  ritenevano  la  digni- 
tà data  innanti  per  lo  furore  del  re.  In- 
nanzi agli  altri  Appio  si  levò  in  superbia, 
eh'  egli  traeva  ad  avolterio  una  libera  fan- 
ciulla, avendosi  dimenticato  Lucrezia  e  le 
leggi  e  la  ragione ,  eh'  egli  aveva  compo- 
ste. Adunque  vedendo  Verginio,  padre  dalla 
fanciulla,  sua  figliuola  dannata  per  andare 
in  servitudine,  non  indugiò  punto,  e  in  mez- 
zo della  piazza  uccise  quella  con  sua  ma- 
no, e  prese  le  'nsegne  de'  compagnoni,  tras- 
se del  monte  Aventino  in  prigione  e  ca- 
tene tutti  quegli  rettori,  assediati  con  gen- 
te armata. 

La  terza  discordia  fu  per  la  degni tà  de' 
raatrimonj,  acciò  che  i  popolani  imparen- 
tassino  con  i  patrizj ,  il  quale  furore  fu 
nel  monte  laniccio,  essendo  capo  di  quello 
Canuleo,  tribuno  del  popolo. 

La  quarta  discordia  fu  per  la  cupidità 
degli  onori,  acciò  che  del  popolo  fossino 
criati  i  magistrati.  Fabio  Ambusto,  padre 
di  due  figliuole    diede  1'  una  a  Sulpizio  di 


48 
nazione  patrizia ,  1'  altra  ad  uno  Stolo  di 
popolo.  Nel  tempo  che  era  temuto  il  non 
conosciuto  suono  della  verga  dello  littore 
nella  sua  casa,  e  dispregiata  assai  super- 
bamente dalla  sirocchia,  non  comportò  la 
ingiuria.  Adunque  avendo  acquistato  il  tri- 
bunato, fu  compagno  agli  onori ,  alle  de- 
gnitade  e  al  magistrato,  benché  gli  avesse 
contra  volere  del  senato. 

Ma  in  quelle  medesime  discordie  non 
guarderai  sanza  cagione  il  popolo  signo- 
re, perchè  difese  alcuna  volta  la  libertà, 
e  alcuna  volta  l' onestà ,  e  alcuna  volta  la 
degnità  degli  onori  naturali,  le  onoranze 
e  insegne,  tra  le  quali  tutte  cose  non  fu 
più  aspro  guardature  d'  alcuna  d'  esse, 
che  della  libertà,  e  non  si  potè  corrom- 
pere con  alcuno  dono  per  pregio  di  quel- 
la, bene  che  in  quello  grande  popolo,  ed 
ogni  di  maggiore,  in  quel  mezzo  fossino 
coi  doni  malvagi  cittadini.  Cassio,  sospet- 
to di  reale  signoria,  per  la  legge  agra- 
ria fu  punito  con  la  presente  morte.  Il  pa- 
dre di  Spurio  certamente  giudicò  quello  a 
morte,  e  di  mandato  di  Quinzio  dittatore, 
Servilio  Alla,  maestro  di  milizia,  uccise  Me- 
lio  in  mezzo  la  piazza;  e  Manlio,  difendi- 
tore  di  Campodoglio,  perchè  aveva  liberati 


49 

alcuni  debitori ,  levandosi  piìi  alto  e  non 
civilmente,  fu  gittato  dalla  rocca,  la  quale 
egli  aveva  difesa.  È  il  popolo  di  Roma  in 
casa  e  fuori  si  fatto;  in  guerra  e  in  pace 
ebbe  quel  mare  d'  adolescenzia,  cioè  la  se- 
conda età  dello  imperio ,  nella  quale  sog- 
giogò tutta  Italia  con  le  arme  tra  l' alpi 
e  '1  mare. 

Qui  finisce  il  primo  libro  della  prima  e 
della  seconda  età  del  popolo  di  Roma,  e 
comincia  il  secondo. 


LIBRO  II. 


Della  terza  etade  di  Boma. 

Essendo  domata  e  soggiogata  Italia,  il 
popolo  di  Roma,  venuto  già  al  cinquecen- 
tesimo anno,  cresciuto  con  buona  fé,  se  for- 
tezza è  alcuna  cosa,  e  se  gioventù  è  al- 
cuna cosa,  cominciò  ad  essere  robusto  e 
giovane  e  pari  al  circuito  della  terra;  cosi 
che  ( maravigliosa  cosa  è)  se  quasi  per 
cinquecento  anni  combattè  in  casa  propria 
(tanto  era  faticosa  cosa  a  dar  capo  a  Ita- 
lia), in  quegli  ducento  anni  che  sieguo- 
no,  cercò  con  guerra  e  con  vettoria  Af- 
rica, Europa,  Asia,  e  finalmente  tutto  il 
circuito  della  terra. 

La  prima  guerra  con  gli  Africani. 

Adunque  poi  che  '1  popolo  di  Roma  fu 
vettorioso  di  Italia,  arrivato  dalla  terra  al 


51 

mare  a  modo  di  fuoco ,  il  quale,  poi  che  à 
arso  i  boschi,  arrivato  ad  alcuno  fiume, 
sta  fermo,  dimorò  alquanto;  poi  vedendo 
ricchissima  preda  innanzi  a  sé,  alquanto 
partita  dalla  sua  Italia  e  quasi  disgiunta, 
in  tanto  si  accese  della  cupidità  di  quella, 
che  non  potendosi  congiungere  con  edifizj 
e  con  i  ponti,  parevagli  che  si  potessi  con- 
giungere con  le  arme  e  con  la  guerra.  Ed 
ecco  facendo  la  via  la  fortuna,  non  mancò  il 
modo.  Lamentandosi  Messina,  città  di  Ci- 
cilia collegata,  della  potenza  degli  Africa- 
ni, e  desiderando  ugualmente  i  Romani 
e  quegli  la  signoria  del  mondo,  in  uno 
medesimo  tempo  e  con  pari  disiderio  di- 
sideravano  Cicilia.  Adunque  con  vista  d'a- 
iutare i  suoi  collegati,  ma  stimolando  que- 
gli in  effetto  la  preda,  bene  che  la  novità 
del  fatto  gì'  impaurisse  (avevano  allora 
fidanza  nella  sua  prodezza),  quello  rozzo 
popolo  di  pastori  e  terrestre  mostrò  non 
essere  differenzia  ai  vertuosi,  s'eglino  com- 
battessino  a  cavallo  o  in  nave.  Con  Ap- 
pio Claudio  consolo  entrò  in  mare ,  lo 
qual  mare  è  infame  per  fabulosi  mostri  e 
pericoloso  per  1'  ondeggiare;  ma  non  s' im- 
paurinno,  si  eh'  eglino  pigliassino  quel  fu- 
rore del  mare   per  un   sollazzo,   e   subito 


sanza  alcuna  indugia  vinsono  lerone  l'e  di 
Saragozza  (1)  con  tanta  prestezza,  che  egli 
medesimo  confessò  essere  vinto  innanzi  che 
egli  vedessi  i  nimici. 

Ardirono  ancora  venire  alle  mani,  essendo 
consoli  Duilio  e  Cornelio ,  ed  allora  la  pre- 
stezza della  apparecchiata  armata  fu  augu- 
rio, perchè  in  sessanta  dì,  cominciando  dal 
tagliare  dello  legname,  fu  diritta  e  stette  a' 
ferri  una  armata  di  cento  sessanta  navi,  sì 
che  non  parevano  fatte  per  arte,  ma  per 
alcuno  dono  degli  Dei,  convertiti  in  albori  e 
mutati  in  nave.  La  fama  della  battaglia  fu 
maravigliosa ,  perchè  queste  navi  gravi  e 
tarde  pigliarono  quelle  de'  nimici  leggiere 
e  preste;  quelle  avevano  molto  più  del- 
l' arte  del  navicare ,  a  menare  i  remi  e  a 
volgere  le  prode  per  ingannare  fuggendo, 
ed  innanzi  la  battaglia  facevano  gran  beffe 
de'  mangani  e  degli  uncini  di  ferro,  e  fu- 
rono constretti  i  nimici  combattere  quasi 
come  in  terra.  Adunque  vinti  i  nimici  ap- 
presso Lipara,  ebbono  i  Romani  la  prima 
vettoria  di  mare,  perchè  in  quel  luogo 
fu  affondata  e  cacciata  l'armata  di  quegli; 
del  qual  trionfo  che  allegrezza  fu  poi  !  Che 

(1)  Siracusa. 


53 
Duilio   capitano  non   contento   del   trionfo 
d'uno   dì,  tutto  il  tempo   della   sua   vita, 
quando  andava  a  cena,  comandava  che  fos- 
si no  accesi  e  doppieri  e  sonate  le  trombe, 
quasi  come  s'egli  trionfassi  ogni  di;  e  per 
sì  gran   vettoria   segui  piccolo    danno   di 
questa  battaglia.  L'uno  de' consoli  fu  preso, 
ciò  fu  Cornelio  Asina,   perchè  mostrando 
volere    favellare ,    con    quello  inganno    fu 
chiamato ,  e  cosi  fu  morto ,   la   qual   cosa 
fu  ammaestramento  della  malvagità  di  quel- 
la gente.   Sotto   Calatino   dittatore    fu    ri- 
mossa tutta  la  gente  degli  Affricani,  eh'  e- 
rano  alla  guardia  di  Agrigento  e  di   Tra- 
pani e  di  Palermo  e  di  Erice  e  di  Lilibeo. 
Una  volta   ebbono   paura    presso   il   passo 
Caraerinese,  ma  noi  campammo  per  la  vertù 
di  Calpurnio  Fiamma,   il  quale  tribuno   di 
milizia,  con    trecento  eletti  compagni,  pi- 
gliò un  monte  che  gli  offendeva,  e  che  era 
posseduto  dai  nimici,  ed  impacciò  i  nimici 
infino  che  tutto  1'  oste  si  ridusse,  e  cosi  per 
bello  fine  eguagliò  la  fama  di  Termopile  e 
di  Leonida;  ma  lo  nostro   fu   più    chiaro, 
perchè  e'  campò  e  sopravisse   a   sì  grande 
fatto,  ben    che   egli    non   scrivessi   alcuna 
cosa  di  sangue. 
Lucio    Cornelio    Scipione,    essendo    già 


54 
Cicilia  suburbana  provincia  del  popolo  di 
Roma,  crescendo  più  largannente  la  guer- 
ra, passò  in  Sardegna  e  in  Corsica,  con- 
giunta con  quella,  dove  egli  fece  paura 
agli  abitanti,  guastando  Calari  città,  e  vin- 
se sì  gli  Africani  in  terra  e  in  mare,  che 
non  restava  già  più  alla  vettoria  alcuna 
cosa  se  non  Africa.  Già  la  guerra  pas- 
sava in  Africa,  essendo  capitano  Marco 
Attilio  Regolo,  ed  erano  in  quel  medesimo  • 
mare  alcuni,  i  quali  temevano, «accrescen- 
do la  paura  Mannio  tribuno,  lo  quale,  s'  e- 
gli  non  avessi  ubidito,  il  capitano  con  la 
mannaia  apparecchiata  fece  ardito  a  navi- 
gare con  la  paura  della  morte;  poi  ebbo- 
no  prosperità  di  venti  e  di  remi,  ed  ebbo- 
no  gli  Africani  tanta  paura  nell'  arrivare 
de'  nimici,  che  poco  meno  Cartagine  sa- 
rebbe stata  presa  con  la  porta  aperta. 

La  prima  terra  presa  in  quella  guerra  fu 
Clipea,  e  quella  è  la  prima  città  nel  lido 
d'  Africa,  la  quale  si  stende  innanzi  quasi 
come  una  veduta  d'una  rocca,  e  questa  fu 
guasta,  ed  appresso  altre  ti-ecento  castella  ; 
e  non  fu  combattuto  solamente  cogli  uo- 
mini, ma  eziandio  con  mostruosi  animali, 
perchè  uno  serpente  di  maravigliosa  gran- 
dezza, nato  quasi  per  vendicare  l'Africa, 


molestava  il  campo  presso  Bagrada  fiume. 
Ma  Regolo,  vincitore  d'  ogni  cosa,  avendo 
esparta  la  paura  con  lo  suo  nome,  e  aven- 
do preso  la  gran  possanza  de'  suoi  giova- 
ni, e  avendo  presi  i  suoi  capitani  e  tenen- 
dogli in  prigione,  ed  avendo  mandato  a 
Roma  r  armata  con  grande  preda  e  suffi- 
ciente ad  uno  trionfo,  già  teneva  asse- 
diata Cartagine,  capo  della  guerra,  e  stava 
sopra  le  porte;  e  qui  alquanto  fu  volta  la 
fortuna,  solamente  acciò  che  la  romana 
vertù  avesse  più  gloria,  la  cui  grandez- 
za quasi  è  provata  nell'  avversitade.  Volti 
i  nimici  ad  aiutorj  forestieri,  avendogli 
mandato  i  Lacedemoni  Antippo  per  suo 
capitano,  fumo  vinti  da  quello  uomo  esper- 
tissimo di  milizia. 

Allora  fu  per  gli  Romani  bruttissima 
esconfitta,  e '1  fortissimo  capitano  venne 
vivo  nelle  mani  de' nimici;  ma  quello  fu 
costante  a  tanta  miseria,  perchè  non  si  turbò 
della  prigione  degli  Africani,  né  per  l'am- 
basciata eh'  egli  doveva  fare,  la  quale  fece 
per  lo  contradio  a  quel  che  i  nimici  gli  ave- 
vano imposto,  e  giudicò  che  pace  non  si 
facessi ,  e  che  non  si  escambiassino  i  pri- 
gioni. E  non  fu  brutta  la  sua  maestà,  per- 
eh'  egli  tornassi  volontariamente  ai  nimici. 


56 
né  per  lo  ultimo  supplizio  o  della  prigione 
0  della  croce,  anzi  fu  per  tutte  queste  cose 
più  maraviglioso.  E  che  altro  fu  egli,  se 
non  che  sendo  vinto,  fu  vincitore  de'  vin- 
citori? Ed  eziandio  perch' egli  non  trionfò 
di  Cartagine,  trionfò  della  fortuna;  ma  il 
popolo  di  Roma  fu  molto  più  aspro  e 
molto  più  odioso  per  la  vendetta  di  Re- 
golo ,  che  per  la  vettoria. 

Adunque  sendo  consolo  Metello,  e  gli 
Africani  facendo  magiore  esforzo,  tornata 
la  guerra  in  Cicilia,  furono  esconfitti  e  ni- 
mici  presso  a  Palermo,  sicché  da  quel  tem- 
po innanzi  non  estimolarono  più  quell'iso- 
la; e  fenno  argomento  di  grande  vettoria 
cento  o  circa  leofanti,  i  quali  furono  pre- 
si, e  fu  quella  sì  grande  preda  d'  animali 
sufficiente  ad  una  caccia,  non  che  in  una 
battaglia.  Appio  Claudio  sendo  consolo, 
fumo  vinti  e  Romani  non  dai  nimici,  ma 
dagli  Dei,  de'  quali  quelli  avevano  dispregia- 
to gli  augurj ,  ed  in  quel  luogo  s' affondò 
r  armata,  dov'  egli  aveva  comandato  di  git- 
tai'e  i  polli  in  mare,  perchè  quegli  vieta- 
vano combattere.  Sendo  consolo  Marco 
Fabbio  Butteone,  sconfisse  l'armata  de' ni- 
mici appresso  Egimuro  nel  mare  d'Africa, 
la  quale  già  navicava  in    Italia.    Oh    come 


57 

allora  rimase  grande  trionfo  per  tempesta! 
Con  ciò  sia  cosa  che  l'armata  con  la  ricca 
preda,  menata  da  contradj  venti,  per  lo 
suo  affondare  empiè  Affrica  e  le  Sirti  e  le 
signorie  di  tutte  le  genti  e  l' isola  e  i  lidi, 
e  la  sconfitta  fu  grande ,  ma  non  sanza  al- 
cuna degnità  dello  popolo  di  Roma,  che  la 
vettoria  e  '1  trionfo  perissi  per  tempesta  ; 
e  nondimeno  discorrendo  la  preda  degli 
Africani  per  le  montagne  e  per  l'isole,  il 
popolo  di  Roma  trionfò. 

Essendo  console  Lutazio  Catullo ,  final- 
mente fu  posto  fine  alla  guerra  appresso 
le  isole  chiamate  Ecates;  e  non  fu  altra 
volta  magiore  battaglia  in  mare,  perchè 
r  armata  de'  nimici  era  grande  di  vettu- 
vaglia,  dell'  oste,  delle  bertesche  e  del- 
l'arme, ed  in  quella  quasi  era  tutta  Car- 
tagine, la  qual  cosa  fu  la  sua  disfazione. 
Ma  r  armata  de'  Romani  era  presta  e  leg- 
giere, espedita ,  e  per  alcuno  modo  d' uno 
campo,  a  similitudine  d'una  battaglia  di 
cavalieri;  movensi  co'  remi  come  con  lo 
freno;  contra  questi  quegli  movevano  il 
campo  mobile  come  cosa  viva.  Adunque 
in  uno  momento  di  tempo  fumo  rotte  le 
nave  de'  nimici ,  e  con  quella  sconfitta  co- 
prinno  tutto  il  mare  tra  Cicilia  e  Sardigna; 


58 
e  finalmente  fu  sì  grande  quella  vettoria, 
che  non  fu  cercato  di  disfare  la  terra  de' 
nimici.  Parve  che  fossi  d'  avanzo  usare 
crudeltade  contra  le  mura  e  contra  la  ter- 
ra, perchè  già  Cartagine  era  guasta  in 
mare. 

La  guerra  con  i  Lignrì. 

Compiuta  la  guerra  d'Africa,  brieve  ri- 
poso seguì,  per  certo  quasi  a  rispirare,  e 
per  argomento  di  pace  e  di  buona  fé  fu 
cessato  dalle  arme.  Allora  prima  dopo 
Numa  fumo  serrate  le  porte  di  lano,  ma 
subito  e  sanza  indugio  fumo  aperte,  e  così 
i  Liguri,  i  Galli,  gl'Insubri,  e  già  gli 
Schiavi  stimolavano,  e  finalmente  di  sotto 
le  Alpe  e  di  sotto  i  passi  d' Italia  gente 
stimolate  d'alcuno  Dio  continovamente,  ac- 
ciò che  r  arme  non  sentissino  rugine  né 
mufia.  Finalmente  ciascuno  di  quegli  aiu- 
tavano la  milizia  de'  nimici ,  e  il  popolo 
romano  arrotava  il  ferro  della  sua  vertìi 
con  ciascuna  di  quelle  genti.  I  Liguri  abi- 
tanti presso  al  giogo  dell'Alpe  tra  la  Macra 
e  '1  Varo  fiume ,  impacciati  in  luoghi  spi- 
nosi delle  selve,  alquanto  era  maggiore  fa- 
tica a  trovargli  che  vincergli  ;  erano  sicuri 


59 
pei'  gli  luoghi  e  per  lo  fuggire,  e  quella 
dura  gente  e  presta  facevano  più  tosto 
ruberia  che  guerra.  Adunque  i  Salii,  i 
Deceati ,  gli  Ossibii ,  gli  Eubriati ,  gli  In- 
gauni  avendo  stancato  per  lungo  spazio, 
finalmente  Fulvio  circondò  le  sue  tane 
con  il  fuogo,  Bebio  gli  condusse  al  piano, 
Postumio  gli  disarmò ,  sicché  appena  gli 
lasciò  ferro  da  lavorare  la  terra. 

La  gnerra  coi  Galli  Insubrii. 

I  Galli  Insubrii  e  quelli  che  abitavano 
nell'Alpe  appresso  quegli,  anno  animi  di 
fiere  e  corpi  più  che  d'  uomini ,  ma  per 
isperienza  certamente  fu  trovato,  come  lo 
suo  primo  assalto  è  più  che  d' uomini , 
cosi  quello  che  siegue  è  meno  che  di  fe- 
mine.  I  corpi  notricati  nell'Alpe  sotto  umi- 
da aria  anno  alcuna  similitudine  con  le 
sue  nevi ,  i  quali  subito  come  sono  ri- 
scaldati per  la  battaglia,  sudano,  e  per 
lieve  movimento  si  stancano  come  per  lo 
sole.  Questi  ispesso  e  altre  volte,  avendo 
per  capitano  Britomaro,  avevano  giurato 
che  non  si  escioglierebbero  le  corregge, 
infino  che  eglino  non  montassino  in  Cam- 


co 

podoglio  (1);  poi  sendo  suo  capitano  Ariovi- 
sto.  promissono  al  suo  Marte  uno  torchio 
della  preda  de'  nostri ,  ma  Giove  gli  tolse 
il  suo  boto,  perchè  Flaminio  dirizzò  a  Gio- 
ve uno  trionfo  di  torchi  di  quegli;  e  sendo 
suo  re  Viridomaro,  avevano  promesso  le 
arme  de'  Romani  a  Vulcano ,  ma  i  boti 
andorono  per  altro  modo,  perchè  morto 
quello  re,  Marcello  offerse  la  terza  volta 
dopo  Romolo  padre  quelle  arme  a  Giove 
Feretrio. 

La  grnerra  con  gli  Schiavi. 

GÌ'  Illirii  ovvero  Liburni  abitavano  alla 
radice  delle  Alpe  tra  Arsia  e  Tizio  fiume, 
discesi  lungamente  per  tutto  il  lido  del 
mare  Adriano.  Questi  sendo  sua  reina  Teo- 
tana, non  contenti  di  rubare,  giungono  al 
suo  potere  scellerato  fatto,  perchè  eglino 
uccisono  e  nostri  imbasciadoii ,  non  con  le 
spade,  ma  con  le  escure  a  modo  di  bestie, 
i  quali  tenevano  ragione  de'  falli,  che  que- 
gli avevano  commessi,  ed  arsono  i  pre- 
fetti delle  nave;  ed  acciò  che  questa  fossi 

(1)  Il  testo  latino  soggiunge  qui:  Factum  est; 
victos  enim  /Emilius  du  Capitolio  discinxit. 


61 
più  indegna  cosa ,  una  femina  signoreggia- 
va, e  perciò  sendo  capitano  Cneo  Fulvio 
Centimalo,  ampiamente  fumo  puniti;  i 
principi  fumo  ammazzati  con  le  scure,  e 
fumo  sacrificati  alle  anime  degli  amba- 
sciadori. 

La  seconda  gnerra  cogli  Africani. 

Dopo  la  prima  guerra  degli  Africani 
appena  fu  riposo  per  ispazio  di  quattro 
anni ,  ed  ecco  1'  altra  guerra  minore  di 
tempo,  perchè  non  durò  oltre  l' ispazio  di 
diciotto  anni,  ma  fu  tanta  più  terribile, 
che  se  alcuno  fa  comparazione  de' danni  di 
ciascuna  parte,  quel  popolo  che  vinse,  fu 
simiglievole  a  quello  che  fu  vinto.  Il  nobile 
popolo  si  vergognava  che  gli  fossi  tolto 
il  mare  e  tolte  l'isole,  ed  essere  costretti 
a  dare  il  trebuto,  il  quale  egli  soleva  im- 
porre ad  altrui;  e  per  questo  Annibal  es- 
sendo fanciullo ,  aveva  giurato  al  padre 
fare  la  vendetta,  e  non  indugiò.  Adunque 
Sagunto  s' appresentò  cagione  della  guer- 
ra, la  quale  era  antica  e  ricca  città  di 
Spagna,  e  fu  grande  ma  tristo  ammaestra- 
mento di  tè  intorno  de'  Romani ,  la  quale 
lasciata   in    libertade    per    comune    patto. 


62 
Annibale  cercando  cagione  di  nuovo  movi- 
naento ,  guastò  con  le  sue  mani  e  con  lo 
mani  di  quegli,  acciò  che  per  la  rotta  pace 
si  facessi  via  a  venire  in  Italia.  La  som- 
ma de'  patti  era  la  religione  appresso  de' 
Romani.  Adunque  eglino  corsone  subito 
alle  arme,  ben  eh'  eglino  udissino  1'  asse- 
dio dell'  amica  città,  ricordandosi  della  fer- 
ma pace  con  gli  Africani,  volendo  inpri- 
ma cercare  modo  ligitimo  al  male. 

In  quel  mezzo  i  Saguntini  stanchi  dalla 
fame  e  da'  mangani  e  dalle  battaglie ,  final- 
mente volsono  la  fé  in  rabbia,  e  feciono  in 
piazza  un  gran  fuogo,  poi  sopra  quello  col 
ferro  e  col  fuogo  consumarono  sé  e  i  suoi 
con  tutte  le  sue  ricchezze,  ed  era  chiamato 
e  domandato  Anibale  autore  di  questa  sì 
grande  pistolenzia;  ed  infingendosi  gli  A- 
fricani,  Fabbio  capo  della  imbasciata  disse: 
«  Io  ò  portato  in  questo  grembo  la  guerra 
e  la  pace;  pigliate  quella  che  vi  piace  »;  e 
sendo  gridato  che  egli  dessi  quale  che  egli 
volessi,  disse:  «  Togliete  la  guerra  »,  ed 
aperto  il  grembo  in  mezzo  la  corte,  non 
sanza  uno  esmarriraento,  quasi  come  s'egli 
avessi  la  guerra  in  grembo,  sparsela.  Il 
fine  della  guerra  fu  simile  al  comincia- 
mento,  perchè  cosi  facendo,  fu  fatto  sacri- 


63 
ficio  all'  anime  di  quegli  per  lo  guastare 
d' Italia ,  per  la  presa  d'Africa  e  per  la 
morte  de'  capitani  e  dei  re,  eh'  avevano 
fatta  quella  guerra,  quasi  come  1'  ultime 
furie  avessino  comandate  si  fatte  purga- 
zioni ai  Saguntini  in  quel  comune  ucci- 
dere de'  parenti  e  comuno  incendio. 

Adunqne  poi  che  cominciò  in  Ispagna 
quella  grave  e  dolorosa  possanza  della 
guerra  d'Africa,  e  poi  che  del  fuoco  di 
Sagonto  fu  ingenerato  uno  folgore  contra 
i  Romani,  subito  tratto  con  uno  furore 
ruppe  per  mezzo  le  Alpe,  e  discese  in 
Italia  da  quelle  nevi  di  fabulosa  altezza, 
quasi  come  dal  cielo,  e  primamente  per 
certo  la  nuvola  di  quello  furore  subito  con 
grande  romore  tonò  tra  il  Tesino  e  '1  Po; 
ed  allora,  sendo  capitano  Scipione,  fu  escon- 
fitto l'oste  de' Romani,  e '1  capitano  fedito 
sarebbe  venuto  nelle  mani  de'  nimici,  se  'I 
figliuolo,  sendo  ancora  giovinetto,  non  avessi 
difeso  il  padre  e  liberato  quello  dalla  mor- 
te; e  questo  fu  Scipione,  che  cresce  a  di- 
struzione d'Africa,  e  che  pigliò  poi  nome 
dai  mali  di  quella.  Dopo  il  Tesino  seguitò 
i  fatti  presso  la  Trebbia,  e  in  quel  luogo 
fu  aspra  la  seconda  battaglia  della  guerra 
degli  Africani,  essendo  consolo  Sempronio. 


64 
Allora  i  maliziosi  nimici,  avvisato  un  di 
freddo  e  nevoso,  e  in  prima  avendosi  con- 
fortato con  lo  fuoco  e  con  l'olio,  vinsono 
noi  con  lo  nostro  freddo;  e  fu  cosa  ma- 
ravigliosa  a  dire,  che  uomini  venuti  da 
mezzodì  e  di  luogo  caldo  considerassino 
questo. 

Lo  terzo  folgore  d'Annibale  fu  presso  il 
lago  di  Perugia,  sendo  capitano  Flaminio, 
e  in  quel  luogo  fu  nuova  arte  degl'  ingan- 
ni de' nimici  africani,  perchè  il  lago  era 
coperto  dalla  nebbia  e  da  padulosi  can- 
nelli ,  e  subito  i  cavalieri  assalirono  i  com- 
battitori dalle  ispalle;  e  non  ci  possiamo 
lamentare  degli  Dei,  perchè  isciami  d' api 
avevano  predetto  al  furioso  capitano  la 
sconfitta  che  doveva  seguire,  le  quali  a 
Pisa  erano  poste  in  suso  le  insegne,  e  le 
insegne  d'  aquila  non  volendosi  fare  innan- 
zi,  e  il  grande  tremuoto,  il  quale  seguì  il 
cominciamento  della  battaglia,  se  però  quel- 
r  orrore  della  terra  il  discorrimento  degli 
uomini  e  le  arme  mosse  più  forte  non  lo 
feciono. 

La  quinta  e  quasi  ultima  piaga  dello 
imperio  fu  alle  Canne,  il  qual  luogo  è  uno 
vile  borgo  in  Puglia,  ma  per  la  grandezza 
della  sconfitta  fu  conosciuto;  e  fumo  tro- 


65 
vati  morti  in  quel  luogo  quaranta  mila. 
In  quello  luogo  alla  morte  dello  infelice  oste 
consenti  il  capitano,  la  terra,  il  cielo,  il 
di  e  finalmente  tutta  la  natura  delle  cose, 
perchè  non  contento  Annibale  di  quegli 
che  simulatamente  fuggivano,  i  quali  su- 
bito ferirne  dalle  ispalle  quegli  che  com- 
battevano, ancora  lo  scaltrito  capitano  nel- 
lo aperto  campo,  considerata  la  ragione 
e  la  condizione  del  luogo,  perchè  in  quel 
luogo  il  sole  è  molto  caldo,  polvere  grande 
e  il  vento  di  levante  sempre  quasi  ad  un 
modo,  ordinò  sì  le  schiere,  che  sendo  i 
Romani  dalla  contradia  parte,  ed  ogni 
cosa  ria  sendo  contra  quegli,  Annibale, 
quasi  tenendo  il  cielo  secondo,  combatteva 
col  vento  e  con  la  polvere  e  col  sole. 
Adunque  due  grande  osti  fumo  morti,  infin 
che  i  nemici  fumo  sazii ,  e  in  fino  che 
Annibale  disse  a'  suoi  :  «  Non  affaticate  più 
le  spade  ».  L'  uno  de'  capitani  fu  morto, 
l'altro  fuggì,  ed  è  in  dubbio  quale  egli  fa- 
cessi con  maggiore  animo.  Pagolo  si  ver- 
gognò, Varrone  non  si  disperò.  Aufido  die- 
de per  lungo  espazio  chiarezza  di  sangui- 
nosa sconfitta,  e  di  comandamento  d'Anni- 
bale fu  fatto  un  ponte  di  corpi  d'  uomini 
nel  fiume  Vercelli.    Fumo  mandati  a  Car- 


66 
tagine  due  moggi  d' anelli ,  e  la  degnila 
de'  cavalieri  fu  tassata  con  la  misura.  Per 
questo  non  sarà  dubio,  se  Roma  doveva 
aver  quello  per  1'  ultimo  dì,  e  se  Annibale 
poteva  infra  cinque  di  mangiare  in  Cam- 
podoglio,  s'  egli  avessi  fatto  quello  che  si 
dice  essere  stato  detto  da  quello  africano 
Maarbale  di  Bomilcare:  «  Sappiasi  Amil- 
care usare  la  vettoria  com'egli  sa  vincere  ». 
Per  certo,  siccome  si  suol  dire  volgar- 
mente, o  la  fortuna  di  quella  città,  o  la 
mala  mente  del  capitano,  e  gli  Dei  rivolti 
da  Cartagine  trassono  quello  al  contra- 
dio;  e  potendo  avere  la  vettoria,  volsela 
indugiare,  e  lasciata  Roma,  volle  andar 
cercando  Campagna  e  Taranto,  dove  poi 
egli  e  r  oste  sua  per  lussuria  s' indeboli 
in  tanto,  che  per  verità  fu  detto  :  «  Capua 
fu  Canni  ad  Annibale  »,  perchè  lo  caldo  di 
Campagna  e  le  tiepide  fontane  di  Baj  vin- 
sono  quello,  il  quale  non  era  stato  vinto 
nelle  Alpi,  e  non  si  poteva  domare  con  le 
arme.  E  chi  crederebbe  questo? 

In  quel  mezzo  rispirarono  i  Romani,  e 
tornorno  quasi  come  s'  eglino  venissino 
dall'inferno.  Non  avevano  arme:  tolsone 
per  gli  tempi  ;  non  avevano  de'  giovani  : 
ferno  franchi  i   servi,  e   con   sagramento 


67 

gli  missono  alla  milizia  ;  non  avevano  da- 
nari, e  '1  sanato  di  volontà  missono  le  sue 
ricchezze  a  comune,  e  non  ritennono  alcuna 
cosa  d' oro,  se  non  quello  che  eglino  ave- 
vano in  bolle  e  in  suggegli  e  anelli.  I  ca- 
valieri seguirono  l'assempro  di  quegli,  e  '1 
popolo  andò  dietro,  e  finalmente  sendo 
consoli  Levino  e  Marcello,  appena  bastavan 
le  tavole  a  contare  e  gli  scrittori  a  scri- 
vere, essendo  portate  in  comune  le  private 
ricchezze;  ed  era  grande  senno  nello  eleg- 
gere ì  maestri  per  le  centurie,  quando  i 
giovani  domandavano  consiglio  dai  vecchi 
nello  eleggere  de' consoli,  perchè  cosi  con- 
venia combattere  non  solamente  con  la 
prodezza,  ma  eziandio  col  senno  contra  lo 
nemico  tante  volte  vincitore. 

E  così  la  prima  speranza  di  quello  im- 
perio che  tornava  in  sé,  anzi  a  dire  me- 
glio, che  risuscitava,  fu  Fabio,  il  quale 
ebbe  la  prima  vettoria  d'Annibale,  pen- 
sando non  combattere,  e  per  questo  egli 
ebbe  per  sopranome  indugiatore,  il  qual 
sopranome  fu  salutevole  alla  ripublica,  e 
per  questo  fu  detto  dal  popolo,  eh'  egli 
fossi  chiamato  scudo  dell'  imperio.  Adun- 
que egli  stancò  si  Annibale  per  gli  passi 
di    Sannio,    per    quegli    di    Falerno,    per 


68 

quegli  di  Gauro,  che  per  la  indugia  spez- 
zammo la  potenza  di  quello,  che  non  si 
poteva  vincere  con  la  prodezza.  Poi  Clau- 
dio Marcello  venne  alle  mani  con  quello, 
e  fumo  presso  l'uno  all'altro,  e  Marcello 
lo  cacciò  di  Campagna,  la  quale  quegli 
aveva  fatta  sua,  e  levollo  dall'assedio  di 
Nola  città.  Essendo  capitano  Sempronio 
Gracco ,  ardirono  i  Romani  seguirlo  per 
Lucania,  stringendolo  e  fuggendo  egli  dalle 
spalle,  bene  che  allora  (ed  era  vergogna) 
noi  combattemmo  con  i  servi. 

Infino  allora  avevano  constretti  noi  a 
tanti  mali,  ma  ridutti  a  libertade,  ave- 
vano fatto  Romani  della  sua  servitudi- 
ne  (1).  Oh  cora'  era  sospetta  fidanza  in 
tante  avversitadi  !  Oh  com'  era  singulare 
animo  e  spirito  quello  del  popolo  di  Ro 
ma,  che  in  si  strette  e  affritte  cose  dubi 
tando  d'  Italia ,  ardi  guardare  a  diverse 
cose!  E  discorrendo  i  ni  mici  a  morte  d' o 
gni  uomo  per  Campagna  e  per  la  Puglia 
e  facendo  Africa  di  mezzo  Italia,  in  uno 
medesimo  tempo  sosteneva  costui,  e  man 
dava  gente  armata  divisa  per  lo  mondo 
in  Cicilia,  in  Sardigna,  in  Ispagna. 

(1)  Cioè  di  servi  s'  erano  falli  Iì$^ani. 


69 
Cicilia  commessa   a   Marcello  non  durò 
lungamente,  perchè  in  una  città   fu  vinta 
tutta  l'isola.    Saragozza,  grande  capo   ed 
innanzi  a  quel  tempo  non  vinta,  bene  che 
fossi  difesa  per  lo   ingegno   d'Archimede , 
non  di  meno  qualche  volta  fu    vinta.  Tre 
muri,  ch'ella  aveva  per  lungo   tempo,   e 
tante  ricchezze,  e  poi'to  di  marmo,  e  la  fa- 
mosa fontana  d'Aretusa  non  gli  giovò,  se 
non  come   per   lo   tempo   passato,  che   fu 
perdonato  alle  belle  cose  della  vinta  città. 
Gracco   prese   Sardigna,  e   non   gli  giovò 
r  asprezza  né  'l   furore   di    quelle   genti ,  e 
cosi  è  chiamata  l'asprezza  delle  montagne, 
e  fue  usata  crndeltade   contra   le  cittadi  e 
contra   Calaris,   capo   delle   altre   cittade, 
acciò  che  quella  gente  contumace  e  pronta 
alla  morte  almeno  fossi  domata  coli'  amore 
della  sua  patria.    In   Ispagna  fu   mandato 
Gneo  Scipione   e  Publio   Scipione,  e  que- 
sti   avevano    tolta    tutta   la   speranza   agli 
Africani;  ma  per  gli  aguaiti  e  gl'inganni 
d'Africa  soperchiati,  da  capo  l' avevano  per- 
duta,   avendo    egli    con    grande    battaglie 
sconfitta  la  possanza  degli  Africani,  e  ucci- 
sono  r  uno  ponendo  il  campo;  l'altro  sendo 
fuggito  in  una   torre,  assediato  col  fuogo 
morì. 


70 

Adunque  Scipione,  al  quale  la  fortuna 
aveva  decretato  sì  grande  nome  d'Africa- 
no, fu  mandato  con  l'oste  a  vendetta  di 
suo  padre  e  di  suo  avolo;  e  quegli  rico- 
verò tutta  la  Spagna,  paese  da  battaglia, 
nobile  per  uomini  d'arme,  terra  d'oste  di 
nimici,  maestra  d'Annibale;  e  fu  cosa  incre- 
dibile, che  tutta  la  ricoverò  dai  monti  Pi- 
rinei  infino  alle  colonne  d'Ercole,  infino 
allo  Oceano,  e  non  sapresti  se  fu  fatto  più 
prestamente  o  più  leggiermente.  Quanto 
fossi  fatto  tosto,  quattro  anni  fanno  la 
pruova;  quanto  fossi  fatto  lievemente,  una 
città  almeno  lo  pruova:  in  quello  medesi- 
mo .di  che  fu  assediata,  fu  presa,  e  fu 
agurio  della  vettoria  d'Africa,  perchè  Car- 
tagine fu  quella  che  fu  vinta  sì  tosto;  e 
nondimeno  è  certo,  che  a  soggiogare  quel- 
la provincia  molto  giovò  la  singulare  san- 
tità del  capitano,  perchè  egli  l'istituì  a 
que'  barberi  fanciugli  e  fanciulle  di  gran 
bellezza,  i  quali  erano  presi,  e  non  com- 
portò che  fossino  menati  alla  sua  presen- 
zia, acciò  che  non  paressi  eh'  egli  cercassi 
alcuna  cosa  della  integrità  della  verginità 
di  quelle,  almeno  guardando. 

Queste  cose  faceva  il  popolo  di  Roma 
in  diversi  paesi,  e  non  poteva    per  questo 


71 

rimuovere  Annibale,  il  quale  stava  fermo 
in  mezzo  d'Italia.  Molti  s'erano  ribellati 
al  nimico ,  e  1'  aspro  capitano  contra  i 
Romani  usava  le  forze  d' Italia;  e  nondi- 
meno noi  già  l'avevamo  rimosso  d'alcune 
terre  e  provincie.  Taranto  era  tornato  a 
noi,  e  già  noi  avevamo  ricoverato  Capua, 
sedia  e  casa  e  patria  seconda  d'Annibale, 
la  perdita  della  quale  diede  tanto  dolore 
a  quello,  che  egli  con  tutta  sua  possanza 
si  converti  a  Roma.  0  popolo  degno  della 
signoria  del  mondo,  constretto  all'ultimo 
movimento  con  ogni  favore  e  ammirazione 
degli  uomini  e  degli  Dei!  Non  mancò  di 
sua  impresa,  e  sendo  sollecito  della  sua 
città,  nondimeno  non  abbandonò  Capua, 
ma  lasciato  in  quella  parte  dell'  oste  sot- 
to Appio  consolo,  parte  aveva  seguito  Fiac- 
co a  Roma,  e  combatteva  parte  assente  e 
parte  presente.  Perchè  dunque  ci  mara- 
vigliamo noi,  che  movendo  quegli  l'oste 
presso  a  Roma  a  tre  miglia,  da  capo  gli 
Dei  feciono  risistenzia?  E  perchè  tanto 
furore  di  piova  sopravenne,  com'  egli  si 
mosse,  e  tanto  furore  di  venti,  che  pareva 
da  Dio  essere  rimossi  i  nimici ,  non  dal- 
l'aria,  ma  da  Roma  e  da  Campodoglio? 
Adunque  egli   si    fuggi   e    diede   luogo,    e 


72 

ridussesi  nello  stremo  cantone  d'  Italia , 
avendo  lasciata  Roma,  della  quale  non 
aveva  pure  sentito  il  dolore.  Piccola  cosa 
è  a  dire,  ma  ad  approvare  la  magnanimità 
del  popolo  romano  assai  efficace,  che  in 
que'  di  lo  campo ,  dove  Annibale  aveva 
r  oste  suo,  fu  venduto  in  Roma  e  messo  ad 
incanto,  trovo  comperatore;  ma  Annibale 
volse  che  per  contradio  fossi  mutata  la 
speranza,  e  mise  ad  incanto  le  tavole  de' 
cambiatori  in  Roma,  ma  non  trovò  com- 
peratola, acciò  che  tu  sappi  quello  essere 
stato  augurio  di  fortuna. 

Niente  era  fatto  con  tanta  vertìi  e  con 
tanto  favore  degli  Dei,  perchè  Asdrubale, 
fratello  d'Annibale,  veniva  di  Spagna  con 
nuovo  oste,  con  nuova  possanza  e  con  nuo- 
va grandezza  di  guerra,  e  sanza  dubio  era 
compiuto,  se  quell'  uomo  si  fossi  congiunto 
col  fratello;  ma  ponendo  egli  campo,  Claudio 
Nerone  e  Livio  Salinatore  lo  sconfissono. 
Nerone  teneva  istretto  Annibale  nell'ultimo 
cantone  di  Italia;  Livio  aveva  posto  le  sue 
insegne  molto  in  diversa  parte,  nel  comin- 
ciamento  di  Italia ,  sicché  era  in  mezzo 
tutta  la  terra  quanto  quella  è  lunga;  e 
faticosa  cosa  è  a  dire,  con  che  diliberazio- 
ne e  con  che  prestezza  i  consoli  congiun- 


73 

sono  i  suoi  osti,  e  non  pensandolo  i  ni- 
mici,  gli  aconfissono,  Annibale  non  sen- 
tendolo. Certamente  Annibale,  saputo  il 
fatto,  e  vedendo  la  testa  di  suo  fratello  git- 
tata nel  campo,  disse:  «  Io  cognosco  la  for- 
tuna di  Cartagine  »;  e  questa  fu  la  prima 
confessione  di  quell'  uomo ,  non  sanza  al- 
cuno agurio  della  fortuna  futura.  Già  era 
certo  che  Annibale  poteva  essere  vinto  e- 
ziandio  per  la  confessione  di  quello,  ma  il 
popolo  di  Roma,  pieno  della  speranza  di 
tante  cose  prospere,  estimava  a  gran  pre- 
gio poter  vincere  l'asprissirao  nimico  nella 
sua  Africa. 

Adunque  sendo  capitano  Scipione,  con- 
vertito con  tutta  la  speranza  dell'  oste  in 
Africa,  cominciò  a  vendicare  in  Africa  la 
disfazione  della  sua  Italia.  Oh  Dii  buoni , 
come  grande  gente  d' Asdrubale ,  e  che 
osti  di  Siface  sconfisse  egli  !  Che  e  come 
grandi  campi  d'  araendue  in  una  notte 
guastò  egli  col  fuoco!  E  finalmente  già 
egli  non  assediava  Cartagine  non  presso 
a  tre  miglia,  ma  in  su  le  porte;  e  cosi 
fu  fatto,  acciò  eh'  egli  rimovessi  Anni- 
bale dimorante  e  fermo  in  Italia,  e  non 
fu  maggiore  di  sotto  l'imperio  di  Roma, 
che  quello  nel    quale    due    famosissimi  ca- 


74 

pitani,  più  che  prima  o  poi,  questo  vinci- 
tore di  Spagna,  quello  d'Italia,  con  le 
insegne  spiegate  dappresso  ordinarono  le 
schiere,  ed  abbono  parlamento  insieme 
della  condizione  della  pace,  e  per  lungo 
spazio  stettono  ferrai,  guardando  l'uno  l'al- 
tro con  ammirazione.  Poi  che  della  pace 
non  s'accordarono,  sonò  il  segno  della  bat- 
taglia, ed  è  manifesto  per  la  confessagione 
d'  amindue,  che  non  si  poteva  ordinar  me- 
glio r  oste ,  e  non  si  poteva  combattere 
più  gagliardamente;  e  questo  disse  Sci- 
pione dell'oste  d'Annibale,  ed  Annibale 
dell'oste  di  Scipione;  ma  nondimeno  An- 
nibale fu  vinto,  e  '1  premio  della  vettoria 
fu  Africa,  e  dopo  l'Africa  incontanente  lo 
circuito  della  terra. 

La  prima  guerra  di  Macedonia. 

Dopo  Cartagine  non  si  vergognò  alcuno 
d'esser  vinto,  e  subito  seguirno  queste 
genti  Macedonia,  Grecia,  Soria  e  quasi 
tutte  le  altre  cose,  quasi  come  un  fiume 
di  fortuna,  ma  i  primi  di  tutti  funo  que- 
gli di  Macedonia,  popolo  che  già  disiderò 
signoria;  e  cosi  allora,  benché  Filippo  so- 
prastessi al  regno,  pareva   ai  Romani  do- 


75 

ver  combattere  con  lo  re  Alessandro,  e  fu 
la  guerra  di  Macedonia  magiore  per  lo 
nome,  che  per  lo  effetto  che  segui.  La  ca- 
gione della  guerra  cominciò  dal  patto  ten- 
tato da  Filippo,  lo  quale  egli  aveva  fatto 
prima  con  Annibale,  signoreggiando  egli 
in  Italia;  poscia  cresce,  domandando  gli 
Ateniesi  aiutorio  contra  le  ingiurie  di  quel- 
lo, essendo  egli  crudele  oltra  la  ragione 
della  vettoria  contra  i  tempii  e  gli  altari 
e  le  sepulture.  Piacque  al  Senato  dare  aiu- 
torio per  tanti  prieghi,  perciò  che  già  i 
re  delle  provincie,  i  capitani  e  popoli,  le 
nazioni  domandavano  aiutorio  da  questa 
città.  Adunque  primamente,  sendo  consolo 
Levino,  il  popolo  di  Roma  entrato  nel  ma- 
re Jonio ,  circondò  tutti  i  lidi  di  Grecia , 
come  se  l' armata  trionfassi ,  e  portavasi 
innanzi  le  ruberie  di  Cicilia,  di  Sardigna 
e  di  Spagna  e  d'Africa,  e  manifesta  vet- 
toria prometteva  uno  alloro  nato  nella 
nave  del  pretore.  Di  propia  volontà  era 
presente  in  nostro  aiutorio  Attalo,  re  de' 
Pergameni  ;  appresentavansi  quegli  da  Ro- 
di ,  popolo  di  navicanti ,  con  gli  quali  il 
consolo  gli  percoteva  dal  mare,  come  egli 
lo  percoteva  da  terra,  e  percoteva  ogni 
cosa  con  gli  uomini  e  con  i  cavagli.   Due 


76 
volte  fu  vinto  il  re,  e  due  volte  fu  cac- 
ciato e  fugato  del  campo,  non  sendo  al- 
cuna cosa  più  terribile  che  quegli  di  Ma- 
cedonia nello  guardare  delle  piaghe,  le 
quali  non  facevano  con  saetta  né  con  al- 
cuno greco  ferro,  ma  con  grande  lancìe, 
né  minori  piaghe  fatte  con  le  spade  gran- 
de oltre  alla  morte  vedevansi  (1). 

Essendo  capitano  Gneo  Flaminio,  noi 
circondamo  innanzi  i  monti  da  Caonia  e 
Indo  fiume  (2),  il  quale  discorre  per  luoghi 
rotti,  ed  entramo  con  1' ajutorio  ne' chio- 
stri di  Macedonia;  e  perchè  da  poi  lo  re 
non  ardi  mai  venire  alle  mani ,  alle  mon- 
tagne chiamate  Cinocefalas,  in  una,  e  que- 
sta non  uguale  battaglia,  fu  vinto.  Allora 
il  consolo  gli  diede  pace  e  lasciò  il  regno; 
poi  acciò  che  non  rimanessi  alcuna  cosa 
de'nimici,  domò  Tebe  ed  Eubea  e  Lace- 
deraonia,  che  con  somma  possanza  faceva 
guerra  sotto  Nabide  loro  capo.  Ridusse  la 
Grecia  allo    antico    stato ,   eh'  ella    vivessi 


(1)  Il  testo:  nec  minoribus  adacta  (vuluera)  gla- 
diis  ultra  mortem  patebant,  cioè  erano  si  grandi 
quelle  ferite^  che  s' anco  fossero  state  assai  più 
lievi j  avrebbero  cagionato  la  morte. 

(2)  Il  lesto  latino:  Aoumque  araneni. 


77 

con  le  sue  leggi ,  e  usassi  la  libertà  de' 
suoi  passati  ;  e  molto  funno  grande  1'  alle- 
grezze e  i  chiamori,  quando  a  caso  a  Ne- 
mea  nel  palazzo,  ne'  giuochi  di  cinque  anni, 
fu  gridato  per  lo  banditore  (1).  Con  che 
allegrezza  gridarno  quegli!  Gittorno  contra 
lo  consolo  molti  fiori,  e  dicevano  al  ban- 
ditore, che  più  e  più  volte  ripetisse  quella 
boce,  nella  quale  egli  pronunciava  la  li- 
bertà di  Grecia,  e  non  dicevano  quella  sen- 
tenzia di  consolo  altrimenti ,  che  con  dol- 
cissimo suono  di  cinamelle  e  di  stor- 
menti. 

La  guerra  di  Sorìa  con  Antioco. 

Antioco  incontanente  pigliò  la  guerra 
di  Macedonia  e  di  re  Filippo  per  alcuno 
caso  e  per  alcuna  industrìa,  cosi  gover- 
nando la  fortuna;  sicché  come  da  Africa 
in  Europa,  così  d'Europa  lo  imperio  pas- 
sassi in  Asia,  sopravenendo  le  cagioni 
spontaneamente,  ed  acciò  che  l'ordine  del- 
le guerre   procedessi   col  sito   della  terra. 


(1)  Il  testo:  Quae  gaudia,  quae  vocit'erationes 
t'uerunt ,  quum  hoc  forte  Neraeae  in  theatro  quin- 
quennalibus  ludis  a  praecone  caneretur! 


78 

E  non  fu  altra  guerra  di  magiore  paura  per 
la  nominanza,  perchè  pensavano  di  Serse 
e  Dario  e  di  quegli  di  Persia  e  d'Oriente, 
quando  fumo  tagliati  i  monti,  ed  era  an- 
nunziato che  '1  mare  era  coperto  di  vele. 
Ancora  le  minacele  dal  cielo  gli  facevano 
paura,  perchè  Apollo  da  Cume  sudava  con- 
tinova  umidità;  ma  questa  era  paura  di 
quello  Dio,  che  favoreggiava  la  sua  Asia, 
e  per  certo  niuno  paese  è  più  copioso  che 
Soria  d'uomini,  di  ricchezze  e  d'arme; 
ma  era  venuta  alle  mani  di  sì  tristo  re, 
che  niuna  cosa  era  in  Antioco  bella,  se  non 
che  fu  vinto  dai  Romani.  Indussono  da  una 
parte  quello  re  alla  guerra  Toante,  principo 
d' Italia,  lamentandosi  che  la  compagna  del- 
la sua  milizia  non  era  onorata  presso  i 
Romani  centra  quegli  di  Macedonia;  dal- 
l'altra parte  Annibale,  il  quale  vinto  in 
Africa,  fuggito  e  impaziente  di  pace,  cer- 
cava per  tutto  il  mondo  nimico  al  popolo 
di  Roma.  Il  pericolo  che  fu  in  quella  guer- 
ra, era  se  lo  re  si  fossi  retto  per  lo  con- 
siglio di  quello,  e  se  Annibale  misero  avessi 
avuta  la  possanza  d'Asia;  ma  al  re  parve 
meglio  usare  la  sua  possanza  e  '1  suo  no- 
me, e  con  quello  muovere  la  guerra;  e 
già  sanza  dubio  Uropia  apparteneva  ai  Ro- 
mani di  ragione. 


79 
Questo  Antioco  domandava  Lisimachia, 
città  posta  per  gli  suoi  passati  nel  lido  di 
Tarzia,  come  ragione  di  suo  patrimonio. 
Questo  fu  com'  una  tempesta  della  guerra, 
la  quale  fossi  mossa  dal  cielo,  e  grandis- 
simo assembramento  di  re  arditamente  s'ap- 
parecchiarono alla  guerra,  e  con  grande 
stormido  e  romore  avrebbono  mosso  Asia; 
ed  avendo  già  prese  l' isole  di  Grecia  e  i 
lidi,  movevano  i  riposi  e  i  giuochi  come 
vincitori.  Eurippo  disparte  Euboia  isola 
dalla  terra  con  stretto  mare  d'aqua  corrente 
a  contrade.  In  quel  luogo  poste  tende  d'oro 
e  di  seta  al  romore  del  mare  tra  '1  discorso 
dell'acqua  con  le  ciramelle  e  stormenti, 
essendogli  portate  da  ogni  parte  rose,  be- 
ne che  fossi  di  verno;  e  acciò  che  in  alcuna 
maniera  non  paressi  capitano,  aveva  eletta 
moltitudine  di  fanciugli  e  di  fanciulle.  Si 
fatto  re,  già  vinto  da  lussuria,  il  popolo 
di  Roma  assali  in  quell'  isola,  essendo  con- 
solo Acilio  Glabrione,  e  subito  nel  comin- 
ciaraento  di  sua  venuta  lo  costrinse  fug- 
gire dell'  isola;  poi  fuggendo  egli,  lo  seguì 
appresso  Termopila,  il  qual  luogo  è  me- 
moriabile  per  la  morte  onorata  di  trecento 
Laconi,  e  non  facendo  egli  in  quel  luogo 
ricistenzia  per  fidanza   del   luogo,   costrin- 


80 
selo  partirsi  per  terra,  e  per  mare   subito 
andò  in  Soria;  e  l'armata  del  re  fu  com- 
messa a  Polissenide  e  ad  Annibale,  perchè 
lo  re  non  sofFeriva  a  vedere  la   battaglia. 

Adunque  sendo  capitano  Emilio  Regillo, 
rompemmo  tutta  1'  armata  presso  a  Rodi , 
acciò  che  Atene  non  si  glorii;  in  Antioco 
noi  vincemmo  Serse;  in  Emilio  fumo  pari 
d'Alcibiade;  compensamo  Efeso  in  Salami- 
na;  poi  sendo  consolo  Scipione,  Io  cui  fra- 
tello Africano,  poco  innanzi  vincitore  di 
Cartagine,  era  volontariamente  legato,  piac- 
que vincere  il  re,  e  già  era  fuggito  di  tutto 
il  mare,  ma  noi  andamo  più  oltre  al  fiume 
Meandro,  e  fu  posto  il  campo  al  monte 
Sifilo;  ed  è  incredibile  a  dire,  con  che  aiu- 
torio  e  con  che  gente  il  re  era  posto  in 
quel  luogo.  Trecento  mila  pedoni;  di  ca- 
valieri e  di  carrette  falcate  non  era  mi- 
nore numero,  e  aveva  circondato  il  suo 
oste  di  leofanti  di  smisurata  grandezza, 
adornati  d'  oro  e  di  porpora  e  di  suo  avo- 
rio. Ma  tutte  queste  cose  erano  impacciate 
della  sua  grandezza;  a  questo  la  piova,  la 
qual  sopravenne  con  maravigliosa  prestez- 
za, aveva  corrotti  gli  archi  di  quegli  di 
Persia;  primamente  la  paura,  poi  la  fuga, 
poi  il  trionfo;  e  piacque  ai  Romani,  essen- 


81 

do  vinto  ed  aumiliandosi,  dai-gli  pace  e 
parte  del  regno,  e  pivi  volentieri ,  perchè 
s' arendè  si  tosto. 

La  guerra  d'Etolia. 

Dopo  la  guerra  di  Soria  seguì ,  come 
doveva,  la  guerra  d'Etolia,  però  che  vintcr 
Antioco  dai  Romani,  segui  il  fuoco  della 
guerra  d' Asia.  Adunque  la  vendetta  fu 
commessa  a  Fulvio  Nobiliore.  In  quel  luogo 
al  postutto  egli  percosse  con  gli  mangani 
Ambrachia ,  casa  reale  di  Pirro ,  lo  quale 
era  capo  di  quella.  Seguissi  eh'  eglino  s' ar^ 
renderno,  appresentandosi  a' prieghi  degli 
Etoli  quelli  da  Rodi,  e  noi  ci  ricordamo 
dello  aiutorio,  e  cosi  piacque  a  noi  di  per- 
donargli; ma  nondimeno  la  guerra  si  di- 
stese più  largo  ai  nimici ,  ed  aggiunsesi 
a  la  guerra  degli  Etoli  ampiamente  tutta 
la  Cefalonia,  Zacinto  e  tutte  l'isole,  che 
sono  in  quel  mare  tra  i  monti  Ceraunii 
e  'l  monte  Maliaco. 

La  guerra  d'Istria. 

L' Istri  seguirno  gli  Etoli,  perchè  nuova- 
mente avevano  aiutati  quegli,  facendo  egli- 


82 
no  guerra.  Adunque  i  cominciamenti  della 
battaglia  fumo  prosperi  ai  nimici,  e  quella 
medesima  fu  cagione  di  sua  morte,  per- 
chè avendo  quegli  preso  il  campo  di  Gneo 
Manlio,  e  soprastando  alla  ricca  preda, 
Appio  Fulcro  assali  quegli,  mangiando 
egli  e  stando  in  sollazzo,  e  non  vedendo 
dov'  eglino  fossino  ;  e  così  tornarono  in- 
dietro la  mal  acquistata  vettoria  con  lo 
sangue  e  con  lo  spirito.  Il  suo  re,  posto 
in  su  uno  cavallo  pugliese ,  cadendo  d'  e- 
brietà  e  d'  errore  di  testa ,  poi  che  ebbe 
provato  il  fatto,  impazientemente  conobbe 
sé  essere  preso. 

La  guerra  con  i  Gallogreci. 

La  rovina  della  guerra  di  Soria  coinvolse 
la  Gallogrecia,  ed  è  in  dubio  se  quegli 
fumo  tra  gli  aiutatori  d'Antioco  re,  o  se 
Manlio,  cupido  di  trionfo,  s'infinse  che  cosi 
gli  paressi;  per  certo  fugli  negato  il  trion- 
fo, essendo  egli  vincitore,  perchè  egli  non 
approvò  la  cagione  della  guerra.  Poi  la 
gente  de'  Gallogreci,  come '1  suo  nome  ap- 
pare, è  mescolata  e  sono  adulterate  reli- 
quie de'  Galli ,  che  avendo  Breno  per  suo 
capitano,    avevano    guasta    Grecia,    e   se- 


83 

gueudo  quello  moto,  fermaronsi  nel  mezzo 
d'Asia;  e  come  la  somenza  della  biada  tras- 
Ugna ,  se  si  muta  la  terra ,  così  la  sua 
doppia  fierezza  per  la  dolcezza  d' Asia 
s'intenerì.  Adunque  fumo  esconfitti  e  mes- 
si in  fuga  in  due  battaglie,  bene  che  nello 
arrivare  de'  nimici  e'  ridussonsi  in  altissi- 
mi monti,  e  stimolati  da  ogni  parte  da 
saette  e  da  rombole,  s'  arrenderono  in  pace 
perpetua.  Ma  fumo  legati  da  uno  mira- 
colo, avendo  tentato  le  catene  con  li  morsi 
e  con  la  bocca,  e  avendosi  stretto  la  gola 
r  uno  all'  altro  per  affogarsi  ;  ma  la  moglie 
d'Orgiagonte  re,  essendo  stata  sforzata  da 
uno  centurione,  con  memoriabile  asempro 
passò  le  guardie,  e  portò  la  testa  tagliata 
di  quello  cavaliere  a  suo  marito. 

La  seconda  g^ierra  di  Macedonia. 

Seguendo  altre  e  altre  genti  la  rovina 
della  guerra  di  Soria,  da  capo  Macedonia 
si  dirizzò.  La  memoria  e  la  fama  di  sua 
nobiltà  stimolava  lo  fortissimo  popolo,  ed 
era  socceduto  a  Filippo  Perse  suo  figliuolo, 
il  quale  non  pensava,  che  Macedonia  vinta 
una  volta  fossi  vinta  perpetualmente  per 
la    degnità   della   gente.   Levarnosi   quegli 


84 

di  Macedonia  molto  più  aspri  sotto  questo, 
che  sotto  suo  padre,  perchè  egli  trasse 
quegli  di  Tarsia  a  suo  aiutorio,  e  cosi 
mescolarono  la  industria  di  quegli  di  Ma- 
cedonia con  la  forza  di  quegli  di  Tarsia, 
e  la  ferocità  di  quegli  di  Tarsia  col  mae- 
sterio  di  quegli  di  Macedonia.  A  questo 
s'  aggiunse  il  senno  del  capitano,  il  quale 
considerato  dal  monte  Emo  il  sito  de'  suoi 
paesi ,  ponendo  per  gli  passi  il  campo,  for- 
tificò sì  la  sua  Macedonia,  che  non  pareva 
avere  lascialo  1'  entrata  ai  nimici  eh'  egli 
aspettava,  se  non  per  lo  cielo.  Entrato 
in  quella  provincia  il  popolo  di  Roma 
sotto  Marzio  Filippo  consolo,  cercato  di- 
ligentemente ì  passi,  entrò  per  lo  palude 
Astrude  per  aspri  e  dubiosi  passi  di  mon- 
tagne e  per  luoghi ,  che  non  parevano 
avere  via  per  gli  uccegli ,  e  seguitò  il  re 
sicuro  e  che  non  temeva  si  fatto  assalto. 
Impauri  quegli  per  la  subitezza  della  bat- 
taglia, ed  ebbe  sì  gran  paura,  che  comandò 
che  tutta  la  sua  moneta  fossi  affondata 
in  mare,  acciò  che  non  si  perdessi,  e  fece 
ardere  l'armata,  acciò  che  non  fossero  arse 
le  navi  da' nimici;  ed  essendo  consolo  Pa- 
golo,  e  quello  avendo  imposto  magiori  e 
più   forti    guarnimenti ,   per    altra    via    fu 


85 

assaltata  Macedonia,  e  per  somma  arte  e 
industria  di  quello  capitano  mostrò  assalire 
per  altra  via,  e  per  altra  via  assali ,  la  cui 
venuta  fue  più  terribile  al  re,  tanto  che 
egli  non  ardì  essere  presente,  ma  commise 
la  guerra  ad  altri  capitani.  Adunque  as- 
sente fu  vinto  e  fuggi  in  mare  nell'  isola 
Samotrace,  usando  solenne  rilegioni ,  quasi 
come  i  tempii  e  le  arti  potessino  difendere 
lui,  il  quale  i  suoi  monti  e  l'arme  non 
avrebbero  potuto  difendere.  Ma  ni  uno  de' 
re  piii  lungamente  ritenne  la  conscienzia 
della  perduta  fortuna,  ma  subito  come 
umile  escrisse  allo  imperadore  da  quel 
tempio ,  dov'  egli  era  fuggito ,  e  notando 
nella  pistola  lo  suo  nome,  aggiunse  re. 

Non  fue  alcuno  più  riverente  che  Pagolo 
della  presa  maiestà,  perchè  venuto  nel  co- 
spetto del  nimico,  ricevello  nel  tempio  e 
menoUo  nel  convito,  e  ammonì  i  suoi  fi- 
gliuoli ,  eh'  eglino  avessino  riverenzia  alla 
fortuna,  alla  quale  fossi  lecita  sì  grande 
cosa.  Il  popolo  di  Roma  riputò  tra  i  molti 
belli  questo  trionfo,  e  così  lo  vide,  e  durò 
la  festa  per  spazio  di  tre  dì;  il  primo  di 
fumo  mostrate  le  insegne  e  le  tavole,  il 
secondo  di  le  arme  e  la  moneta,  il  terzo 
dì  e  prigioni,  e  il  re   impaurito   e   ancora 


86 

smarrito  come  di  subito  male.  Ma  molto 
innanzi  il  popolo  di  Roma  aveva  riceuto 
la  dolcezza  della  vettoria,  che  ricevessi  le 
lettere  del  capitano,  perchè  in  quel  di 
che  '1  re  fu  vinto  in  Macedonia,  fu  saputo 
a  Roma,  perchè  due  giovani  in  due  bianchi 
cavagli  presso  il  lago  Giuturnese  si  lava- 
vano della  polvere  e  del  sangue:  questi  dis- 
sono la  vettoria,  e  fu  creduto  nel  popolo 
che  fossino  Castore  e  Polluce,  perchè  fur- 
no  due,  e  che  fossino  presenti  alla  batta- 
glia, perchè  erano  insanguinati,  e  ch'egli- 
no venissino  di  Macedonia ,  perch'  erano 
stanchi. 

Altra  gnierra  con  gli  Schiavi. 

La  corruzione  della  guerra  di  Macedonia 
s' appiccò  agli  Schiavi.  Egli  fumo  condutti 
da  Perse  re  per  danari,  acciò  eh'  eglino 
stringessino  i  Romani  dalle  spalle,  e  sanza 
indugio  fumo  soggiogati  da  Anicio  pre- 
tore, e  bastò  avere  sconfitto  Scordia,  capo 
di  quella  gente;  ed  incontanente  segui  ch'e- 
glino s'arrenderne,  e  finalmente  questa 
guerra  fu  finita,  innanzi  che  a  Roma  si 
sapesse  eh"  ella  fossi  cominciata. 


La  terza  guerra  di  Macedonia. 

Per  alcuna  fortuna,  quasi  come  gli  Afri- 
cani e  quegli  di  Macedonia  avessino  per 
patto,  che  questi  fossino  vinti  la  terza  fia- 
da,  amminduni  mossone  guerra  in  un  tem- 
po medesimo;  ma  quegli  di  Macedonia 
prima  fumo  rubelli ,  e  fu  alquanto  più 
grave,  dispregiando  quegli  (1).  La  cagione 
della  guerra  quasi  fu  da  vergognarsene, 
perchè  Andrisco,  uomo  di  vii  nazione,  ave- 
va insieme  preso  il  regno  e  cominciata  la 
guerra ,  ed  era  in  dubio  s' egli  era  servo 
0  franco,  ma  per  certo  era  uomo  soldato; 
ma  perch'  egli  presso  la  gente  aveva  somi- 
glianza di  Filippo,  ed  era  chiamato  Pseu- 
do-Filippo ,  con  reale  animo  egli  aveva 
forma  di  re  e  nome  di  re.  Adunque  il 
popolo  di  Roma,  dispregiando  le  dette  cose, 
fu  contento  fare  la  guerra  per  Juvenzio 
pretore,  e  tentò  queir  uomo  mattamente, 
il  quale  era  forte  non  solamente  della  pos- 
sanza di  Macedonia ,  ma  eziandio  di  quella 


(1)  //  lesto  Ialino:  sed  prior  jugiim  excutit  Ma- 
cedo,  aliquanto,  quam  ante,  gravior,  dum  con- 
temnitur. 


di  Tarsia;  e  quegli  che  non  erano  stati 
vinti  dagli  veri  re,  fumo  sconfitti  da  quel- 
lo non  vero,  anzi  iraaginario  e  fatto  per 
uno  schernio.  Ma  sendo  consolo  Metello, 
fu  fatta  pienissimamente  la  vendetta  del 
perduto  pretore  con  la  legione,  perchè  pie- 
nissimamente punì  Macedonia,  e  menò  a 
Roma  in  catene  il  capo  di  quella  guerra , 
avendolo  manifestato  lo  re  di  Tarsia,  pres- 
so il  quale  era  fuggito;  e  di  questo  con- 
fortando lui  la  fortuna  ne'  suoi  mali,  il 
popolo  romano  trionfò  come  di  vero  re. 

La  terza  ^erra  con  gli  Africani. 

La  terza  guerra  fu  con  Africa,  e  fu  pic- 
cola per  lo  tempo,  perchè  fu  compiuta  in 
ispazio  di  quattro  anni,  e  per  compara- 
zione delle  prime  guerre  fu  piccola  in  fa- 
tiga,  perchè  non  fu  la  guerra  tanto  con 
gli  uomini,  quanto  con  la  città,  ma  per 
Io  fine  certamente  fu  grandissima,  perchè 
alla  fine  Cartagine  fu  disfatta  ;  e  se  alcuno 
considera  i  momenti  di  tre  tempi,  prima- 
mente fu  mosso  guerra,  la  seconda  volta  fu 
fatta,  la  terza  fu  compiuta.  Ma  la  ca- 
gione di  questa  guerra  fune,  che  contra  i 
patti  della  pace  quegli   avevano    fatto  una 


89 

armata  ed  apparecchiato  oste,  e  importuni 
stimolavano  il  paese  di  Massi nissa,  e  a 
questo  buono  e  collegato  re  era  favoreg- 
giato per  gli  Romani;  e  sendo  diliberata 
la  guerra,  fu  trattato  del  fine  della  guer- 
ra. Cato,  dicendo  alcuni  altrimenti  (1),  con 
perfido  odio  diceva  che  Cartagine  fossi 
guasta;  Scipione  Nasica  diceva  ch'ella  fos- 
si lasciata,  acciò  che  Roma  per  la  felicità 
non  cominciassi  a  stare  in  agio ,  essendo 
tolta  via  la  paura  della  nimica  città.  Il 
Senato  pigliò  il  mezzo,  che  la  città  fossi 
mutata  del  luogo  dov'  eli'  era  ;  e  non  gli 
parve  che  alcuna  cosa  fossi  più  signore- 
vole  né  più  bella,  che  Cartagine  fossi  si 
fatta,  che  non  fossi  temuta. 

Adunque  sendo  consolo  Manlio  e  Cen- 
sorino,  il  popolo  di  Roma  assali  Cartagine 
sanza  speranza  di  fare  pace,  e  Cartaginesi 
gli  diedono  le  suoi  navi  di  volontà,  le  quali 
egli  arse  in  loro  conspetto.  Poi  chiamati 
di  fuori  i  principi,  comandò  che  eglino 
andassino  a  stare  altrove,  s'  eglino  voleva- 
no ch'egli  gli  lasciasse  salvi,  la  qual  cosa 
parve  si  crudele,  che  mossi  a  ira,  vollonsi 
mettere  ad  ogni   stremità;  e  subito  levar- 

(1)  Il  testo  latino  :  et  quum  de  alio  consuleretui-. 


90 
no  il  pianto  publicamente,  e  tutti  insieme 
cridando  alle  arme,  deliberarno  di  rubel- 
larsi  ad  ogni  modo,  non  perch' eglino  aves- 
sino  più  alcuna  speranza,  ma  perch'  eglino 
volevano  più  tosto  che  la  lor  terra  fossi 
guasta  per  le  mani  de'  nimici ,  che  per  le 
sue;  e  come  fossi  fatto  lo  furore  di  quegli 
rubelli,  si  può  conoscere  per  questo,  che 
per  fare  di  nuovo  l' armata  disfeciono  le 
case,  per  fare  arme  mettevano  alla  fucina 
l'oro  e  l'argento  per  rame  e  per  ferro,  e 
per  le  corde  delle  macchine  le  donne  por- 
tavano i  suoi  capegli.  Poi  Mancino  console 
per  mare  e  per  terra  gli  stringeva  con  l'as- 
sedio, e  già  era  abbandonato  il  porto,  il 
primo  e'  1  secondo  e  '1  terzo  muro,  poi  la 
sola  rocca  chiamata  per  nome  Brisa,  la 
quale  era  com'  una  città  e  faceva  riscisten- 
zia,  benché  già  fossi  guasta  la  terra  per 
grande  parte.  Poi  pareva  che  '1  nome  degli 
Scipioni  fossi  fatale  in  Africa.  Adunque 
la  Ripublica,  volta  all'  altro  Scipione,  cer- 
cava porre  fine  alla  guerra.  Questo  era 
stato  generato  da  Paulo  Macedonico,  e  il 
figliuolo  del  grande  Scipione,  per  onore 
di  sua  gente  l' aveva  adottato  con  questa 
fortuna,  ch'egli  nepote  disfacessi  quella 
terra,   la  quale   suo   avo  avea   guasta;   e 


91 
come  le  bestie  che  muoiono,  sogliono  dare 
mortali  morsi ,  cosi  fu  più  a  fare  con  Car- 
tagine mezza  guasta,  che  quando  ella  era 
intera. 

Ridotti  i  nimici  in  una  fortezza,  i  Ro- 
mani tenevano  assediato  il  porto,  e  quegli 
cavarno  un'  altro  porto  dall'  altra  parte 
della  terra  non  per  fuggire,  ma  perchè 
ninno  credeva  eh'  eglino  potessi  no  cam- 
pare, e  per  quello  uscì  fuori  subito,  co- 
me fossi  nata,  una  armata.  Poi  in  quel 
mezzo  il  di  e  di  notte  alcuna  nuova  pos- 
sanza, alcuno  nuovo  dificio,  alcuna  nuova 
brigata  di  quegli  assediati  uomini  appara- 
va, quasi  come  una  subita  fiamma  esce  dal- 
la cenere  dello  morto  fuoco.  Ultimamente 
messo  fine  al  fatto,  ed  egli  avendo  pianto 
il  suo  istato  (1),  arrenderonsi  quarantasei 
migliara  d' uomini ,  la  qual  cosa  meno  cre- 
derai ,  essendo  capo  di  quegli  Asdrubale. 
Quanto  fu  più  forte  una  femina,  cioè  la 
moglie  di  quel  duca,  la  quale  presi  due 
figliuoli,  della  cima  della  casa  si  gittò  in 
terra  in  mezzo  il  fuoco ,  e  seguì  la  reina 
che  aveva   dificato  Cartagine!   Come  fossi 


(1)  Il  testo  latino:   Deploratis  novissime   rebus, 
quadraginta  se  millia  viroruni  dediderunt. 


92 
grande  quella  guasta  città,  tacendo  l'altre 
cose,  puossi  provare  per  lo  tempo  che  durò 
il  fuoco,  perchè  continuamente  in  dicias- 
sette di  appena  si  potè  spegnere  il  fuoco, 
il  quale  e  nemici  volontariamente  avevano 
messo  ne'  suoi  tempii  e  nelle  sue  case,  acciò 
che '1  trionfo  fossi  tolto  ai  Romani,  dai 
quali  non  poteva  essere  difesa  la  cittade. 

La  guerra  con  quegli  d^Acaia. 

Quasi  come  in  quel  tèmpo  fossi  uno 
corso  di  guastare  le  città,  incontinente 
dopo  il  guasto  di  Cartagine  fu  guasto  Co- 
rinto, capo  di  Acaia,  onore  di  Grecia, 
posto  tra  due  mari,  Jonio  ed  Egeo,  quasi 
d'una  veduta  (1).  E  questa  (che  scellerata 
cosa  fu  a  dire  ed  indegna)  fu  innanzi  gua- 
sta, ch'ella  fossi  giudicata  inimica.  Critolao 
fu  cagione  della  guerra,  il  quale  usò  centra 
i  Romani  la  libertà  data  da  quegli,  ed  è 
in  dubio  s' egl'  ingiuriò  gli  ambasciadori 
romani  di  fatti;  per  certo  egli  gì' ingiuriò 
di  parole.  Fu  commessa  la  vendetta  a  Me- 
tello, il  quale  principalmente  allora  ordi- 
nava Macedonia,  e  per  questo    fu  fatta  la 

(1)  Il  lesto:  quasi  spectaculo  exposita. 


93 

guerra  di  Acaia.  Metello  consolo  per  le 
aperte  campagne  d' Elide ,  e  per  tutto  il 
fiume  Alfeo  tagliò  Critolao  con  lo  suo  oste, 
e  in  una  battaglia  era  compiuta  la  guerra, 
e  già  era  assediata  la  città;  ed  (oh!  come 
è  fatta  la  fortuna  delle  cose!)  avendo  com- 
battuto Metello,  Mummio  andò  alla  vitto- 
ria. Questo,  sotto  la  degnltà  dell'altro  ca- 
pitano, sconfisse  l'oste  sopra  il  passo  del- 
l' Istmo,  e  bruttò  di  sangue  due  porti  ;  poi 
la  città  fu  abbandonata  dai  cittadini,  e  poi 
fu  rubata,  poi  guasta  a  suono  di  tromba, 
e  grande  copia  di  segni,  di  vestimente, 
di  tavole  turno  rubate  e  arse  e  gittate. 
Puoi  sapere  come  grande  ricchezze  fossi- 
no  tolte  e  arse  per  questo,  che  noi  trovia- 
mo che  quello  che  avanzò  al  fuoco  di  me- 
tallo da  Corinto,  è  lodato  per  tutto  il  mon- 
do; e  la  ingiuria  di  quella  ricchissima  terra 
fece  più  preciosa  la  fama  di  quel  metallo, 
perchè  mescolate  per  lo  fuoco  molte  statue 
ed  intagli,  le  vene  del  rame  e  deli' 01*0  e 
dell'  argento  discorsono  in  comune. 

Cose  fatte  in  Ispagna. 

Come  Corinto  seguì  Cartagine,  cosi  Nu- 
manzia  segui  Corinto,  e  da  poi   per   tutto 


94 
il  mondo  non  fu  toccato  con  le  arme  al- 
cuna cosa  indarno.  Dopo  il  guasto  famo- 
sissimo di  quelle  due  città,  ampiamente 
per  ogni  parte,  e  non  l' uno  dopo  l' altro, 
ma  insieme,  la  guerra  fu  da  ogni  parte 
al  postutto,  sicché  quasi  stimolando  i  venti, 
parve  espargere  per  tutto  il  mondo  alcuni 
incendii  di  guerre.  Ma  Ispagna  non  ebbe 
mai  tutta  in  animo  di  levarsi  contra  noi,  e 
non  gli  piacque  di  provare  con  noi  la  sua 
possanza,  e  non  gli  piacque  di  mostrare 
con  noi  la  sua  signoria,  o  difendere  publi- 
camente  sua  libertà;  ma  anco  è  si  cir- 
condata dal  mare  e  da'  monti  Pirinei,  che 
per  natura  del  sito  non  vi  si  potessi  anda- 
re, ma  fu  innanzi  assediata  dai  Romani, 
che  ella  il  sentissi,  e  quella  sola  di  tutte 
le  Provincie  conobbe  la  sua  possanza  poi 
che  fu  vinta.  Ma  durò  la  guerra  in  quella 
dugento  anni  dai  primi  Scipioni  infino  a 
Ceserò  Augusto,  ma  non  continuamente,  e 
non  fu  r  una  guerra  dopo  l' altra,  ma  come 
le  cagioni  movevano;  e  dal  cominciamento 
non  fu  in  Ispagna  la  guerra  con  gli  Spa- 
gnuoli,  ma  con  gli  Africani,  e  da  quella 
fu  la  corruzione  e  le  cagioni  delle  guerre. 
Le  prime  insegne  de'  Romani  fumo  por- 
tate per  i  monti  Pirenei    per   Publio   Sci- 


95 
pione,  e  con  grande  battaglie  sconfissone 
Annone  ed  Asdrubale,  fratello  d'Annibale, 
ed  in  uno  assalto  sarebbe  stata  presa  Ispa- 
gna,  se  quegli  fortissimi  uomini  in  quella 
medesima  rettoria  per  inganno  degli  Afri- 
cani non  fossino  periti,  avendo  eglino  vinto 
per  terra  e  per  mare.  Adunque  Scipione, 
quello  che  poi  fu  chiamato  Africano,  quasi 
vendicatore  di  suo  padre  e  suo  avolo,  assali 
quella  nuova  e  intera  provincia,  e  quello 
incontinente  prese  Cartagine  e  le  altre 
città,  e  non  contento  avere  cacciati  i  Car- 
taginesi, fece  quella  tributaria  a  noi;  e 
sottomessi  al  nostro  imperio  ogni  cosa  di 
qua  e  di  là  dall'  Ibero,  vincitore  pervenne 
a  Gade  e  all'  altra  riviera  dell'  Oceano. 

E  più  conservare  una  provincia,  che  ac- 
quistarla. Adunque  erano  mandati  qua  e  là 
capitani,  i  quali  insegnorono  essere  servi 
a  quelle  ferocissime  e  infino  a  quel  tem- 
po libere  genti,  per  questo  impazienti  di 
servitudine,  con  molta  continua  fatica  e 
non  sanza  molte  sanguinose  battaglie.  Cato 
Censorino  con  alcune  battaglie  domò  i  Cel- 
tiberi ,  cioè  la  fortezza  degli  Spagnuoli  ; 
Gracco,  padre  de'  Gracchi ,  punì  quegli  me- 
desimi con  lo  guastare  di  centocinquanta 
città,  Metello,  il  quale  aveva  meritato  sopra- 


96 
nome  di  Macedonico  e  poi  Celtibero,  avendo 
preso  Contrebia,  con  maraviglioso  asempro 
acquistò  Nertobrige  con  raagiore  gloria. 
Lucullo  acquistò  i  Turduli  e  i  Vaccei,  de' 
quali  il  secondo  Scipione  con  singulare  bat- 
taglia, essendo  chiamato  re  e  sendo  stimo- 
lato, aveva  riportato  grandi  ricchezze.  Deci- 
mo Bruto  alquanto  andato  per  più  largo 
espazio,  acquistò  i  Celtici  ed  i  Lusitani,  e 
tutti  i  popoli  di  Gallizia,  e '1  fiume  della 
Oblivione,  temuto  dai  cavaliei'i;  e  sendo 
vincitore,  cercato  il  lido  dello  Oceano,  non 
volse  le  insegne  indietro,  infino  che  egli 
non  vide,  non  sanza  paura  e  spavento  di 
sacrilegio,  il  sole  cadente  in  mare  e  '1  suo 
calore  soppozzato  nell'  acqua.  Ma  tutta  la 
gravezza  della  battaglia  fu  con  gli  Lusi- 
tani e  con  gli  Numantini,  e  non  sanza 
cagione,  perchè  quegli  soli  delle  genti  di 
Spagna  ebbono  capitano;  e  sarebbe  stata 
grave  con  tutti  i  Celtiberi ,  se  '1  suo  capi- 
tano non  fossi  stato  morto  nel  principio 
di  quegli  movimenti,  il  quale  era  sommo 
uomo  per  sagacità  e  per  ardire,  e  se  si  fossi 
partito  Salondico,  il  quale  maneggiando 
una  lancia  inargentata,  come  uno  che  in- 
dovinasse quella  essergli  stata  mandata 
dal  cielo,  aveva  fattosi  guardare  ad  ogn'  uo- 


97 

mo.  Ma  sendo  con  simile  temerità  andato 
al  campo  del  consolo  di  notte,  fu  morto 
con  una  lancia  da  uno  che  guardava  ap- 
presso al  padiglione.  Poi  Viriato  dirizzò  i 
Lusitani ,  il  quale  fu  uomo  d'  aguzzo  scal- 
trimento;  onde  di  cacciatore  diventò  ru- 
batore,  e  subito  diventò  capitano  e  signo- 
re, e  se  la  fortuna  l'avessi  portato,  era 
uno  Romolo  di  Spagna;  e  non  contento 
di  difendere  la  libertà  de' suoi,  per  spazio 
di  quatordici  anni  guastò  ogni  cosa  col 
fuoco  e  col  ferro  di  qua  e  di  là  del  fiume 
Ibero,  e  assalì  eziandio  il  campo  de'  preto- 
ri, ruppe  Claudio  Unimano  e  l'oste,  e  le 
nostre  insegne  con  le  veste  e  con  gli  orna- 
menti ,  eh'  egli  aveva  preso ,  pose  per  vet- 
toria  ne'  suoi  monti.  Finalmente  Fabio  Mas- 
simo consolo  lo  soperchiò;  ma  Pompilio 
suo  successore  sforzò  la  vettoria,  perchè 
■  sendo  egli  cupido  di  compiere  il  fatto,  as- 
sali con  inganno  e  con  aguaiti  e  con  assas- 
sini suoi  domestici  quel  capitano,  già  vinto 
e  già  pensante  per  estremità  d'arrendersi; 
e  diede  questa  gloria  al  nimico,  eh'  egli 
paressi  non  potere  essere  vinto  altrimenti. 


98 


La  g^uerra  di  Xnmanzìa. 

Quanto  Numanzia  fu  minore  in  ricchez- 
ze di  Cartagine  e  di  Capua  e  di  Corinto, 
tanto  fu  pari  a  quelle  in  vertù  e  in  onore 
per  nominanza,  e  fu  sommo  onore  di  Ispa- 
gna,  se  tu  consideri  la  possanza;  perchè 
fondata  in  uno  piccolo  monte  sanza  muro, 
sanza  torri,  appresso  il  fiume  Sillata(l),  con 
quattro  milia  Celtiberi  sostenne  l' oste  di 
quattro  milia  uomini  per  spazio  di  qua- 
tuordici  anni,  e  non  sostenne  solamente, 
ma  sconfisselo  alquanto  più  aspramente,  e 
offeselo  con  patti  di  nostra  vergogna.  Ulti- 
mamente sendo  manifesto  che  quella  non 
si  potessi  vincere,  fu  bisogno  quello  che 
aveva  guasto  Cartagine,  e  non  sanza  ca- 
gione ;  e  se  licito  è  confessarlo,  la  cagione 
di  quella  guerra  fu  più  ingiusta.  I  Sige- 
densi,  collegati  e  partiti  e  parentati  de'  Ro- 
mani, erano  usciti  delle  sue  mani  (2),  e  sen- 
do pregato  per  quegli,  non  valsono  i  prie- 


(1)  Il  testo  latino:  apud  flumen  Durium  sita. 

(2)  Il  testo:  Segìdenses,  socios  et  consanguineos, 
Romanorum  manibuus  elapsos  exceperant;  habita 
prò  eis  deprecatio  nihil  valuit. 


99 

ghi,  perchè,  bene  ch'eglino  s'erano  rimossi 
da  ogni  corruzione  di  guerra,  per  la  con- 
venzione de'  patti  lugli  comandato  eh'  egli 
dessino  tutte  le  arme.  Questo  fu  a  quegli 
barberi  come  gli  fossi  tagliato  le  mani. 
Adunque  subito  volti  alle  arme,  avendo 
vinto  Megara,  fortissimo  capitano,  assali- 
rono Pompeo,  ma  nondimeno  vollono  pace, 
potendo  fare  guerra;  poi  assalirono  Ostilio 
Mancino,  e  questo  con  continove  sconfitte 
sottomissono ,  sì  che  alcuno  non  poteva 
sostenere  vedere  né  udire  alcuno  Numan- 
tino;  nondimeno  con  questo  ancora  volso- 
no  pace,  e  fumo  contenti  torgli  le  arme, 
bene  eh'  eglino  avessino  potuto  farlo  mo- 
rire. 

Ma  non  fu  meno  ardente  ingiuria  e  ver- 
gogna quella  del  patto  di  Nuraantini  che 
quella  da  Candia  (1),  ma  il  popolo  di  Roma 
purgò  la  vergogna  della  presente  ingiuria 
collo  arrendersi  di  Mancino  ;  poi  sendo 
Scipione  capitano,  volto  a  guastare  le  cit- 
tade  e  pieno  dello  incendio  di  Cartagine, 
finalmente  eziandio  si  inasprì  alla  vendetta. 
Ma    allora    si    convenne    combattere    più 


(1)  Il  testo:  Sed   non    minus   Numantini,    quani 
caudini  illius  foederis  flagrans  ic-nominia  etc. 


100 
aspramente  con  gli  nostri  cavalieri  nel  cam- 
po, che  nella  battaglia  con  gli  Numantini, 
perch'  erano  usati  ad  ingiuste  e  servili 
opere  sommamente,  e  avere  più  gente  nel 
campo,  che  non  cognoscessi  arme,  ed  era- 
no costretti  bruttarsi  di  fango,  non  volen- 
dosi imbrattare  di  sangue.  A  questi  fu 
tolto  via  puttane  e  ribaldi,  se  non  quelle 
che  fossino  necessarie  per  uso;  ed  allora 
fu  veramente  manifesto,  che  tanto  è  l' oste 
quanto  lo  capitano.  E  cosi  tornato  a  mae- 
sterio  di  milizia,  fu  combattuto,  la  quale 
cosa  niuno  pensava  mai  di  vedere;  e  av- 
venne che  i  Numantini,  non  veduti  mai 
fuggire  d'alcuno,  si  volevano  arrendere, 
se  gli  fossi  imposto  cosa,  ch'eglino  la 
potessino  comportare;  ma  volendo  Scipione 
la  vera  vettoria  sanza  eccezione,  costrinse 
in  prima  quegli  a  tanta  necessità,  che  aven- 
do diterminato  morire,  vennono  a  batta- 
glia; ma  prima  mangiarono,  quasi  s' em- 
piessono  di  cai'ne  cruda,  quasi  mezza  cotta, 
per  purgazione  de'  morti ,  e  di  cervogia , 
che  cosi  chiamavano  gli  abitatori  del  paese 
la  bevanda  fatta  di  fermento.  Il  capitano 
de' Romani  conobbe  la  diliberazione  di  que- 
gli, e  perciò  non  combattè  con  quegli  in 
quella  volta,  che  volevano  morire.  Tenen- 


101 
dogli  stretti  la  fame,  e  sendo  egli  circon- 
dati con  una  fossa  con  le  arme  e  con  quat- 
tro muri ,  quegli  domandavano  al  capitano 
la  battaglia,  acciò  eh'  egli  gli  uccidessi  come 
valenti  uomini  ;  e  non  ottenendo  questo , 
piacquegli  uscire  fuori ,  e  cosi  usciti  fumo 
alle  mani  e  funne  morti  molti,  e  super- 
chiandogli  la  fame,  alquanto  da  poi  vin- 
sono;  ultimamente  diliberarno  fuggire,  e 
questo  non  poterò,  perchè  le  moglie  ta- 
gliarono loro  le  cinghie  de'  cavagli ,  e  per 
amore  feciono  sommo  peccato.  Adunque 
non  avendo  pianto  il  non  potere  fuggire, 
volsonsi  a  strema  rabbia  e  furore,  e  final- 
mente diterrainarono  di  morire,  e  per  que- 
sto modo  uccisone  e  suoi  capitani  e  se 
col  ferro  e  col  veleno,  e  guastarne  la  sua 
patria,  mettendo  il  fuoco  da  ogni  parte. 

Affermo  grandemente  sé  essere  fortissi- 
ma e  in  quella  avversitade  beatissima  città 
per  quella  oppenione,  che  serbò  fede  a'  suoi 
compagni,  e  sostenne  sì  lungamente  la  sua 
gente  contra  il  popolo  di  Roma,  possente 
con  le  forze  del  mondo.  Finalmente  fu  vinta 
dal  grandissimo  capitano,  non  lasciando 
di  sé  alcuna  allegrezza  ai  nimici ,  perchè 
non  si  trovò  uno  uomo  di  Numanzia,  che 
fossi  menato  preso  :  la   preda  fu  d'  alcuna 


102 
cosa,   ma   come   poveri,  le  armi    avevano 
eglino  arse ,  e  '1   trionfo   fu   solamente  del 
nome. 

Qni  cominciò  a  corrompersi  il  popolo  di 
Boma. 

In  fin  a  qui  il  popolo  di  Roma  fu  bello 
e  piatoso  e  santo  e  magnifico;  le  cose  del- 
l' altro  tempo  come  fumo  grandi,  così  piìi 
torbide  e  più  sozze  divennero,  crescendo  i 
vizii  con  quella  grandezza  dello  imperio; 
in  tanto  che  se  alcuno  divida  questa  sua 
terza  etade  oltramarina,  la  quale  noi  abbia- 
mo fatto  di  ducento  anni,  confesserà  giusta- 
mente e  non  sanza  cagione  i  cento  anni  pri- 
ma di  questi ,  nei  quali  noi  domammo  Afri- 
ca, Macedonia,  Cicilia,  Ispagna,  essere  stati 
d' oro ,  come  dicono  e  poeti ,  ed  i  cento 
seguenti  di  ferro  e  certamente  sanguinosi; 
e  se  alcuna  cosa  è  più  crudele,  perchè  me- 
schiorno  le  guerre  di  Gracchi ,  di  Drusi  e 
ancora  la  guerra  de'  Servi  con  quella  di 
Giugurta  e  de'  Cimbri  e  di  Mitridate ,  di 
quegli  di  Partia  e  di  Gallia  e  di  Germa- 
nia, per  le  quali  la  gloria  montò  al  cielo; 
ed  acciò  che  non  manchi  alcuna  cosa  alla 
bruttura,  quelle  de' gladiatori.   Finalmente 


103 

volte  le  spade  a  sé  medesimo,  squarciò  sé 
quasi  per  rabbia  e  furore  per  le  guerre  di 
Mario  e  di  Siila,  e  ultimamente  con  le  mani 
di  Cesaro  e  di  Pompeo,  le  quale  bene  che 
sieno  tutte  congiunte  intra  sé  e  confuse, 
tuttavia  acciò  che  meglio  appajano  insie- 
me, e  acciò  che  i  peccati  non  facciano  ru- 
more con  le  vertude,  saranno  esposte  di- 
spartitamente;  e  prima,  come  noi  abbiamo 
cominciato,  faremo  memoria  delle  guerre 
giuste  e  ragionevole  con  gente  forestiere, 
acciò  che  la  grandezza  dello  imperio,  che 
cresceva  ogni  dì,  appara;  poi  torneremo 
alle  sozze  e  scellerate  battaglie  de'  citta- 
dini. 

La  gnerra  d'Asia. 

Vinta  [spagna  infino  allo  Oceano,  il  po- 
polo di  Roma  stava  in  pace  inverso  1'  0- 
riente,  e  non  solamente  in  pace,  ma  con  una 
inusitata  e  non  conosciuta  felicità;  le  ric- 
chezze erano  lasciate  per  le  reditadi  di  re, 
e  coi  re  i  regni  venivano  insieme.  Attalo 
re  de' Pergameni,  figliuolo  del  re  Eumene, 
coulegato  già  e  di  nostra  milizia,  lasciò  per 
testamento:  «  Il  popolo  di  Roma  sia  reda 
de' miei  beni».  Nei  beni  del  re  fumo  queste 


104 
cose  prese.  Adunque  per  la  redità  il  popolo 
di  Roma  teneva  quella  provincia  non  per 
guerra  né  per  arme,  ma  (che  più  giusta 
cosa  è)  per  ragione  del  testamento.  Ma 
faticosa  cosa  è  a  dire,  s'egli  la  perde  più 
lievemente,  o  più  lievemente  la  ricoverò. 
Aristouico  della  schiatta  reale,  giovane  fe- 
roce, stimolò  lievemente  parte  delle  cittade 
usate  ubbidire  ai  re;  alcune  che  facevano 
risistenzia,  prese  per  forza,  come  fu  Min- 
do,  Samo  e  Colofona,  e  tagliò  l'oste  di 
Crasso  pretore  e  pigliò  quello;  ma  quello 
ricordandosi  di  sua  gente  e  del  nome  ro- 
mano, accecò  con  una  bacchetta  un  bar- 
bero che '1  guardava,  e  stimolò  quello  in 
sua  perdizione,  la  qual  cosa  egli  voleva; 
poi  fu  domato  da  Perperna  e  fu  preso,  e 
arrendendosi  fu  messo  in  prigione.  Aqui- 
lio  spaziò  lo  resto  della  guerra  d'Asia ,  e 
perchè  alcune  cittade  s'  arrendessino ,  av- 
velenò tutte  le  sue  fontane;  la  qual  cosa 
fece  così  vituperosa  la  vettoria,  come  tosto 
la  compiè,  perchè  contra  la  ragione  degli 
Dei  e  contra  i  costumi  degli  antichi,  cor- 
ruppe con  medicine  non  leali  le  arme  de' 
Romani,  sacre  e  sante  infin  a  quel  tempo. 
Finisce  il  secondo  libro  di  Floro,  e  co- 
mincia il  terzo. 


LIBRO  III. 


La  guerra  con  Giugurta  in  Namidia. 

Queste  cose  fumo  fatte  inverso  Oriente, 
ma  verso  la  parte  di  mezzodì  non  era  si 
fatto  riposo.  Chi  arebbe  temuto  in  Africa 
alcuna  guerra  dopo  la  vettoria  di  Cartagi- 
ne? Ma  non  lievemente  Numidia  fece  no- 
vità, e  fece  si  che  dopo  Annibale  fu  temu- 
ta. Per  certo  il  re  scaltritissimo  assali  con 
le  ricchezze  il  popolo  di  Roma,  glorioso 
con  le  arme  e  da  non  poterlo  vincere,  e 
adoperò  la  fortuna  contra  1'  aspettanza 
d'ogn'uomo,  che  lo  re  eccellente  d'ingan- 
ni fossi  preso  con  inganni.  Questo  ebbe 
per  avo  Massinissa,  e  fu  figliuolo  di  Mi- 
cipsa  per  adozione,  il  quale  avendo  dili- 
berato uccidere  suoi  frategli ,  stimolato 
dalla  cupiditade  del  regno,  non  temeva  più 
quegli  del  Senato  che '1   popolo  di  Roma, 


106 
sotto  la  cui  fidanza  e  ubidienzia  era  lo  re- 
gno; il  primo  male  fece  per  tradimento,  e 
fece  uccidere  lempsalem,  e  voltossi  ad  Ader- 
balo; quello  fuggi  a  Roma,  e  mandato  am- 
basciadori  con  monete,  ridusse  il  Senato 
a  suo  volere.  Questa  fu  la  sua  prima  vet- 
toria  di  noi.  Mandati  da  poi  alcuni,  che 
partissino  lo  regno  tra  lui  e  Aderbale , 
similemente  gli  assalì,  e  avendo  vinto  in 
Iscauro  i  costumi  de' Romani,  compiè  il 
peccato,  eh'  egli  aveva  cominciato,  più  ar- 
ditamente. Ma  i  mali  non  stanno  nascosi 
lungamente,  e  appai-ì  il  peccato  della  cor- 
rotta ambasciata,  e  piacque  ai  Romani  per- 
seguire quello  omicida  di  frategli  con  la 
guerra. 

Fu  mandato  prima  in  Numidia  Calpurno 
Bestia  consolo;  ma  quello  re,  il  quale 
sapeva  che  contra  i  Romani  era  più  forte 
r  oro  che  '1  ferro,  ebbe  pace  per  moneta , 
del  qual  male  essendo  accusato,  e  trave- 
gnendo  la  publica  fé,  fu  mandato  per  lui 
dal  Senato,  e  usò  simile  audacia,  perchè 
mandato  uno  assassino,  uccise  Massiva,  il 
quale  domandava  parte  del  regno  di  Mas- 
sinissa.  E  questa  fu  1'  altra  cagione  di  far 
guerra  contra  lo  re.  Adunque  la  seguente 
vendetta   fu   commessa   ad  Albino,  ma   di 


107 

questo  (e  fu  grande  vergogna)  il  re  cor- 
ruppe si  r  oste,  che  fuggendo  e  nostri  vo- 
lontariamente, quel  vinse  e  pigliò  il  campo; 
e  fu  aggiunto  per  premio  della  salute  con 
vituperoso  patto,  che  lasciò  l' oste,  il  quale 
prima  egli  aveva  comprato. 

In  quel  tempo  a  vendetta  non  tanto 
dello  imperio  di  Roma,  quanto  della  ver- 
gogna, si  levò  Metello,  e  assali  lo  scaltrito 
nimico,  il  quale  alcuna  volta  con  prieghi, 
alcuna  volta  con  minacce,  alcuna  volta  fa- 
cendo vista  di  fuggire,  alcuna  veramente 
fuggendo,  faceva  beffe  con  le  sue  arte;  e 
poi  che  fu  contento  delle  ruberie  de'  campi 
e  del  guastare  delle  ville,  assali  le  terre 
che  erano  capo  di  Numidia,  e  per  lungo 
ispazio  volse  indarno  Zama,  ma  elio  prese 
Taia,  grande  di  gente  armata,  e  rubbò  il 
tesoro  del  re  ;  poi  avendo  tolte  alcune  cit- 
tadi  al  re,  già  fuggendo  alle  confini  del 
suo  regno,  seguiva  quello  per  gli  Mauri 
e  per  Getulia.  Poi  Mario,  accresciuto  molto 
di  gente,  avendo  constretto  per  sagramento 
quegli  eh"  egli  aveva  eletti ,  perchè  egli  era 
di  vii  condizione,  assali  lo  re,  il  quale 
era  già  sconfitto  e  fedito;  ma  nondimeno 
non  lo  vinse  più  lievemente ,  che  s' egli 
fossi  stato  intero  e  nel  suo  regno;  il  quale 


108 

vinse  con  alcuna  meravigliosa  felicità  Ca- 
psa,  città  edificata  da  Ercole,  posta  in 
mezzo  Africa,  circondata  da  serpenti  e  da 
sabbione,  e  vinse  Mulucca,  città  posta  in 
un  monte  di  sasso,  entrato  in  quello  uno 
di  Liguria  per  un  passo  faticoso  e  non 
usato.  Poi  sconfisse  gravemente  appresso 
la  terra  di  Cirta  non  solamente  lui,  ma 
eziandio  Bocco  re  di  Mauritani,  il  quale 
difendeva  Numidia  per  ragione  di  parenta- 
do; il  quale  perchè  non  si  fidava  di  sua 
possanza,  e  temeva  che  dopo  lo  altrui 
male  seguissi  il  suo,  fece  il  re  pregio  di 
sua  lega  e  di  sua  amistà.  E  cosi  quello 
fraudolentissimo  re  fu  condutto  negli  ag- 
guati per  gli  inganni  di  suo  suocero,  e  fu 
dato  in  mano  di  Siila;  e  finalmente  il 
popolo  di  Roma  vide  Giugurta  nel  trionfo 
legato  con  le  catene,  ed  egli,  bene  che 
fossi  vinto  e  legato,  vide  Roma,  la  quale 
egli  aveva  preditto  indarno  esser  da  ven- 
dere, se  trovassi  il  compratore,  e  che  qual- 
che volta  ella  perirebbe.  Già  ebbe  compra- 
tore quando  fu  da  vendere,  e  non  sendo 
campato,  quello  certo  sarà,  quella  non 
dovere  perire. 


109 

La  guerra  con  gli  Allobrogì. 

Cosi  il  popolo  di  Roma  verso  il  mezzodì  ; 
ma  molto  più  fu  a  fare  e  per  molti  modi 
e  pili  aspramente  da  settentrione.  Niuna 
parte  è  più  odiosa  ed  il  cielo  più  aspero. 
Adunque  da  ogni  parte  sono  odiosi  ni- 
mici,  che  dalla  parte  destra  e  dalla  sinestra 
e  da  mezzo  settentrione  cominciarono.  I 
Salii  prima  sentirono  le  nostre  arme  oltra 
le  Alpi,  lamentandosi  di  sue  correrie  Mar- 
silia,  fidissima  e  amichissima  città  a  noi; 
poi  la  sentirono  gli  AUobrogi  e  gli  Alver- 
nii ,  facendo  gli  Edui  simile  lamentanza  di 
quegli,  e  domandando  gente  e  aiutorio  a 
noi.  Varo  fiume  è  testimonio  della  vittoria, 
Isara  e  Vindelico  fiumi,  e  Rodano  più  ve- 
loce degli  altri.  Gli  elefanti  impaurivano 
sommamente  quella  gente  barbera,  i  quali 
sono  simili  alla  sua  crudelità.  Nella  vettoria 
non  era  alcuna  cosa  simile  a  questa  e  mi- 
rabile, che  lo  re  di  quegli  Bituito  in  arme 
dorate  e  nella  carretta  d'  argento ,  quale 
egli  aveva  combattuto.  Di  amendue  vettorie 
quanto  grande  allegrezza  siasi  fatta,  per 
questo  almanco  si  può  estimare,  che  Do- 
raicio  Enobarbo  e  Fabio  Massimo  in  quegli 


110 
luoghi,  dove  avevano  combattuto,  edifi- 
camo torri  di  sasso,  e  quelle  di  sopra  or- 
narono nella  vettoria  con  le  arme  de'  ni- 
mici,  non  avendo  questo  per  usanza  i 
nostri,  perche'  1  popolo  di  Roma  non  rim- 
proverò mai  ai  vinti  nimici  la  sua  vettoria. 

La  gnerra.  con  i  Cìmlbri,  Teutoni  e 
Tigurini  in  Gallìa  Cisalpina. 

I  Cimbri,  Teutoni  e  Tigurini,  fuggiti  dal- 
l'estremitade  di  Gallia,  avendo  affondato  il 
mare  lo  suo  paese,  cercavano  sedia  per 
tutto  il  mondo,  e  cacciati  di  Gallia  e  di 
Spagna,  intrati  in  Italia,  raandarno  iraba- 
sciadori  nel  campo  di  Siila  e  da  quello  al 
Senato ,  domandando  che  quello  popolo 
marziale  gli  dessi  alcuno  terreno  quasi 
per  soldo  ;  poi  che,  come  volessi,  usassi  le 
sue  mani  e  le  sue  armi.  Ma  che  terre  gli 
doveva  dare  il  popolo  di  Roma,  che  stava 
per  combattere  intra  sé  per  le  leggi  agra- 
rie? Adunque  dato  commiato  a  quegli, 
diterminarono  ottenere  con  le  arme  quello, 
che  non  potevano  ottenere  con  gli  prieghi. 
Non  potò  sostenere  Sillano  lo  primo  as- 
salto di  quegli  barberi,  nò  Manilio  il  se- 
condo ,  né    Cepione   lo   terzo  :   tutti   fumo 


Ili 

messi  ia  fuga  e  cacciati  del  campo.  Ed 
era  ispacciato  il  fatto,  se  non  fossi  sopra- 
venuto Mario.  Quello  per  certo  non  ardi 
venire  alle  mani  con  quegli,  ma  subito 
tenne  nel  campo  i  suoi  cavalieri,  infino  che 
quella  rabbia  e  quello  impeto,  il  quale  i 
barberi  hanno  per  prodezza,  se  invecchiassi. 
Adunque  eglino  si  partirono  dispregiando,  e 
avevano  tanta  speranza  di  pigliare  Roma, 
consigliandosi  s'  eglino  dovevano  imporre 
alcuna  cosa  alle  mogli.  Venivano  per  le 
Alpi,  che  sono  serraglio  d'Italia,  partiti 
in  tre  osti,  non  più  pigramente  che  eglino 
avessino  minacciato.  Mario  incontinente 
con  maravigliosa  prodezza  prese  le  avan- 
zate (1),  passò  innanzi  i  nimici,  e  seguitò  i 
Teutoni  sotto  il  cominciare  dell'  Alpi  in 
un  luogo  chiamato  Aque  Sestie,  e,  con  gran- 
de favore  degli  Dei,  vinse  quegli.  I  nimici 
tenevano  una  valle  e'  1  fiume  che  era  in 
mezzo,  e  i  nostri  avevano  carestia  d'  acqua. 
Se'  1  nostro  capitano  fece  quello  che  siegue 
per  bon  consiglio,  o  se  egli  il  fece  per 
errore,  è  in   dubio  ;   ma  pur   la   prodezza 

(1)  Il  testo  latino:  mira  statim  velocitate  occu- 
patis  compendiis ,  praevenit  hostem.  —  Avanzata 
nel  senso  di  sentiero  o  via  pili  breve  non  è  voce 
registrata. 


112 

cresciuta  per  lo  bisogno  fu  cagione  della 
vettoria,  perchè  domandando  1'  oste  acqua, 
disse:  «  Voi  siete  uomini;  ecco  che  voi  la 
vedete  presente.  »  Adunque  eglino  combat- 
terno  con  si  grande  ardire,  e  fu  si  grande 
la  mortalità  dei  niraici,  che  i  Romani  vin- 
citori non  bevvono  più  acqua  nel  fiume, 
che  sangue  di  quegli  barberi  ;  e  certamente 
Teutobocco  suo  re,  tentato  di  mutare  quat- 
tro 0  sei  cavagli,  appena  fuggendo  montò 
in  uno,  e  preso  nel  prossimo  passo,  fu 
maraviglioso  spettacolo  nel  trionfo,  perchè 
egli,  uomo  di  smisurata  grandezza  (1),  nel 
trionfo  sopi'astava  agli  altri. 

Ispacciati  al  postutto  i  Tedeschi,  volse 
ai  Cimbri.  Quegli  (la  qua!  cosa  non  sarebbe 
creduta)  di  verno  per  le  montagne  di  Trento, 
che  sono  le  più  alte  delle  Alpi,  passati  in 
Italia  con  roina,  erano  discesi  ai  nimici,  e  il 

(1)  Nell'anno  1613,  nel  Del/inaio,  fra  le  città 
di  Mont-Rigaut,  Serre  e  S.  Antonio,  fu  scoperta 
una  tomba,  a  circa  diciolto  piedi  di  profondità  nel 
terreno,  costrutta  in  mattoni,  lunga  trenta  piedi, 
larga  dodici  e  alta  otto,  sulla  quale  stava  una 
tavola  di  marmo  grigio,  coli'  iscrizione  in  lettere 
romane:  TEVTOBOCVS  RBX.  Conteneva  essa  delle 
ossa  d'  una  grandezza  enorme,  con  medaglie  d'  ar- 
gento. Tale  scoperta  die  luogo  a  discussioni  vivis- 
sime tra  i  più  dotti  medici  e  chirurghi  di  Parigi. 


113 

fiume  non  per  ponte  né  con  le  navi,  ma 
per  una  sciocchezza  barbarica,  poi  che  in- 
darno ebbono  tentato  primamente  passare 
con  le  mani  e  con  gli  scudi ,  tagliato  del 
legname  e  gittato  nel  fiume,  passorno;  e 
se  fossino  andati  incontinente  a  Roma  con 
lo  furioso  oste,  sarebbono  stati  a  grande 
pericolo  ;  ma  la  sua  fortezza  diventò  debole 
per  la  dilicanza  della  terra  e  dell*  aria  in 
Venezia,  nella  qual  parte  quasi  Italia  è 
dilicatissima  ;  e  per  questo  Mario  assalì 
quegli  immorbiditi  per  lo  mangiare  del 
pane  e  della  carne  cotta  e  per  la  dolcezza 
del  vino.  Già  eglino  avevano  domandato  al 
nostro  capitano  il  dì  della  battaglia,  e  così 
egli  gli  diede  lo  seguente.  Combatterno  in 
uno  aperto  campo  chiamato  Raggio  (1),  e  in 
quella  battaglia  fumo  i  morti  sessanta  mila. 
Poi  per  tutto  il  dì  fu  combattuto. 

Questo  capitano,  oltr'a  la  prodezza,  usava 
cautela  secondo  Annibale  e  l' arte  da  Canne  ; 
e  prese  uno  dì  nebbioso,  primamente  acciò 
che  non  veduto  venissi  alle  mani  con  lo 
nimico;  poi  uno  dì  ventoso,  acciò  che  la 
polvere  gli  dessi  negli  occhi  e  nella  faccia; 


(1)  Il  testo  latino:  In  patentissimo ,   quem  Rau- 
dium  vocant,  campo  occurrere. 


114 

poi  volse  l'oste  verso  levante,  acciò  che 
per  lo  ripercuotere  dello  sprendore  degli 
elmi  paressi  che'  1  cielo  ardessi ,  la  qual 
cosa  poi  fu  saputa  dai  prigioni.  Non  fu 
minor  battaglia  con  le  mogli  che  con 
quegli,  perchè  quelle  circondarono  il  cam- 
po da  ogni  parte  con  carri  e  con  le  car- 
rette, e  di  sopra,  quasi  come  fossino  in 
torri,  combatterne  con  lance  e  con  pali  ;  e 
per  quello  videsi  come  fussi  gloriosa  la  sua 
morte  come  la  sua  battaglia,  perchè  mandato 
a  Mario  ambasciadori,  e  non  ottenendo  ri- 
manere in  libertà  né  potersi  fare  rilegiose, 
prima  ammazzarono  e  strangolarono  tutti 
i  suoi  fanciugli,  poi  volte  tra  loro,  ucci- 
sonsi  r  una  l' altra  con  le  sue  mani ,  o 
elleno  s' appiccarono  agli  albori.  Bellove- 
so  (1)  suo  i^e,  combattendo  arditamente, 
mori  nella  battaglia,  e  non  sanza  vendetta 
di  sua  morte.  La  gente  di  Tigurini,  la  quale 
era  quasi  per  suo  aiutorio,  posta  ne'  monti 
Norici  presso  le  Alpi,  volta  a  contraria 
parte,  fuggendo  vituperosamente  e  rubando 
disparì. 

La  novella  di  tanta    liberazione  d' Italia 
e  del  confermato   imperio   non   fu  portata 

(1)  /;  lesto  latino:  Boiorix  rex. 


115 

al  popolo  di  Roma  per  gli  uomini  secondo 
usanza;  ma  s'è  lecito  a  crederla,  porta- 
ronla  gli  Dei,  perchè  in  quel  medesimo  di 
che'  1  fatto  fu,  fumo  veduti  innanti  al  tem- 
pio di  Castore  e  di  Polluce  due  giovani 
con  le  ghirlande  d'  alloro ,  i  quali  davano 
le  lettei'e  al  pretore ,  e  fu  udito  subito 
inimore  che  disse:  «  Felicemente  abbiamo 
vettoria  di  Cimbri  ».  E  che  cosa  può  essere 
più  maravigliosa  né  più  bella,  perchè  Ro- 
ma vide  in  un  monte  la  vettoria,  quasi 
come  levata  su  gli  suoi  monti  fossi  stata 
presente,  la  qual  cosa  soleva  avvenire  nel 
giuoco  di  gladiatori;  e  perdendo  i  Cimbri 
nella  battaglia,  il  popolo  di  Roma  faceva 
festa. 

La  gnierra  di  Tracia. 

Dopo  quegli  di  Macedonia,  come  piacque 
agli  Dei,  si  rubellarono  quegli  di  Tarzia; 
quegli  furono  già  tributarli  di  quegli  di 
Macedonia,  e  non  fumo  contenti  solamente 
correre  nelle  prossime  provinole,  ma  ven- 
nono  infino  in  Tessaglia  e  Schiavonia  e  fino 
al  mare  Adriatico;  contenti  infino  a  quel 
confine,  consentendolo  la  natura,  lanciaro 
le  loro  armi  in  quelle  acque.  Per  tutto  quel 


116 
mezzo  tempo  non  rimase  a  fare  alcuna  cru- 
delità  contra  quegli  eh'  eglino  pigliavano, 
e  facevano  sacrificio  agli  Dei  del  sangue  u- 
mano,  bevevano  con  gli  ossi  delle  teste,  e 
per  simili  ischerni  facevangli  morire  cosi 
di  fuoco  come  di  fumo,  e  con  i  tormenti 
traevano  il  parto  di  corpo  alle  femine 
gravide.  Gli  Scordici  erano  crudelissimi 
sopra  tutti  gli  altri  Traci,  e  oltra  la  for- 
tezza egli  erano  scaltriti;  eglino  sapevano 
ingegnosamente  il  sito  delle  selve  e  de' 
monti,  e  perciò  1'  oste  che  aveva  Cato,  non 
fu  sconfitta  né  messa  in  rotta,  ma  fu  tutta 
presa  per  uno  miracolo.  Didio  ricacciò 
quegli  disparsi  e  rubbatori  con  grande 
libertà  nella  sua  Tracia;  Druso  gli  cacciò 
più  innanzi,  e  vietogli  eh'  eglino  passassero 
il  Danubio;  Minuzio  gli  disperse  per  tutto 
lo  Ebro  e  perde  molti  de'  suoi,  cavalcando 
per  lo  fiume  non  sicuro  per  lo  ghiaccio  ;  Pi- 
sone  passò  Rodope  e  Caucaso;  Curione 
venne  presso  la  Dacia,  ma  ebbe  paura  delle 
oscuritade  de'  passi  ;  Appio  arrivò  insino  ai 
Sarmati;  LucuUo  insino  al  Tanai,  confine 
delle  genti,  e  infino  alle  paludi  Meotide. 
Non  si  domarono  quegli  piìi  micidiali  di 
tutti  gli  altri  nimici  altrimenti  che  ucci- 
dendogli, e  quegli  eh'  erano  presi,  erano 


117 

morti  con  fuoco  e  con  ferro  ;  e  non  pareva 
alcuna  cosa  più  aspra  a  quegli  barberi,  che 
tagliargli  le  mani,  e  lasciargli  andare  vivi 
a  veder  la  sua  pena. 

La  gnerra  con  llitrìdate. 

Le  genti  da  Ponto  anno  suo  sito  verso 
settentrione  e  da  sinestra  il  mai'e,  ed  anno 
sopranome  dal  mare  Pontico.  Re  di  quelle 
genti  e  di  quelle  regioni  antichissimo  fu 
Oete  ;  dopo  Artabaze,  nato  da  sette  di  quegli 
di  Persia;  poi  fu  Mitridate,  molto  mag- 
giore di  tutti,  perchè  con  Pirro  bastarono 
quattro  anni,  e  con  Annibale  quattordici; 
quello  fece  risistenzia  quaranta  anni,  insino 
che  superchiato  in  tre  grandissme  guerre, 
fu  disfatto  per  la  felicità  di  Siila,  per  la 
vertù  di  Lucullo  e  per  la  grandezza  di 
Pompeo.  La  cagione  di  quella  guerra  di- 
ceva a  Cassio  legato,  che  Nicomede  re  di 
Bitinia  pigliava  oltra  i  suoi  confini;  poi 
superbio  con  grand'  animo  per  la  signoria 
di  tutta  l'Asia,  ardeva  di  cupidità,  se 
avessi  potuto  acquistare  la  Uropia,  dandogli 
speranza  e  fé  i  nostri  vizii,  perchè  sendo 
noi  in  divisione  di  civili  guerre,  confortava 
lui  lo   destro;    e   da    lungi    Mario,  Siila  e 


118 
Sertorio  mostravano  innudo-  il  lato  della 
republica.  Tra  queste  piaghe  della  repu- 
blica  e  questi  movimenti,  subito,  quasi 
preso  tempo,  negli  affaticati  e  nudi  una 
nuvola  subita  della  guerra  di  Ponto  scop- 
piò fuori  come  da  una  alta  montagna  di 
settentrione ,  e  nel  primo  furore  della 
guerra  subito  pigliò  Bitinia,  poi  Asia  fu 
presa  da  simile  paura,  e  senza  indugio  le 
nostre  cittade  e  i  popoli  s' arrenderono  al  re. 
Egli  s'  appresentava  e  instava  e  usava  cru- 
delità  quasi  come  prodezza,  perchè  niuna 
cosa  fu  più  crudele  che  uno  suo  coman- 
damento, comandando  che  tutti  i  romani 
cittadini  che  fossino  in  Asia,  fossino  morti. 
Poi  a  le  case,  ai  tempii,  agli  altari  e  a 
tutte  le  cose  umane  e  divine  fu  fatto  vio- 
lenzia,  e  questa  paura  di  Asia  apriva  e- 
ziandio  Europia  al  re.  Adunque  mandati 
Archelao  e  Neoptolemo  prefetti,  fuor  di  Ro- 
di, che  per  noi  era  stato  fermo,  pigliò 
possesso  delle  Cicladi  e  dell'  Eubea,  e  te- 
neva Atene,  che  è  1'  onore  di  Grecia  ;  e  già 
la  paura  di  quello  re  rifiatava  sopra  Italia  e 
sopra  la  città  di  Roma.  Adunque  Lucio  Siila, 
uomo  perfettissimo  per  le  arme,  gli  andò 
contra  con  sollecitudine,  e  cacciò  indietro 
con  simile  violenza  con  la  sua  gente  lo  nimi- 


119 

co,  che  si  faceva  più  innanzi  ;  ed  in  prima 
ridusse  con  l' assedio  e  con  la  fame  a 
mangiare  gli  uomini  Atene,  madre  delle 
biade;  poi  sommerso  il  porto  Pireo,  domò 
quel  luogo  forte  di  sei  muri,  e  piìi  perdonò 
a  quegli  sommamente  ingrati,  secondo  eh'  e- 
gli  disse,  per  l' onore  de'  suoi  passati,  de'  suoi 
sacrificii  e  della  sua  nominanza.  Poi  avendo 
cacciato  da  Eubea  la  gente  del  re,  disperse 
in  una  battaglia  tutto  1'  oste  appresso  Che- 
ronia,  e  in  un'  altra  appresso  Orcomeno  ; 
e  passato  subito  in  Asia  sconfìsse  lui,  e 
sarebbe  stato  fine  alla  guerra ,  s'  egli  non 
avessi  voluto  avere  più  presto  che  vero 
trionfo  di  Mitridate.  Ma  Siila  diede  allora 
questo  stato  all'  Asia  ;  fermò  la  pace  con 
quegli  da  Ponto,  da  Nicomede  ricevè  Bi- 
tiuia ,  da  Ariobarzane  Cappadocia ,  e  cosi 
da  capo  Asia  era  nostra,  come  era  stata 
in  prima,  e  Mitridate  era  cacciato.  Adun- 
que questo  non  abbattè  quegli  da  Ponto, 
anzi  gli  addusse  a  ira,  perchè  lo  re,  quasi 
adescato  d' Asia  e  d' Europia,  non  la  redo- 
mandava come  cosa  altrui,  ma  come  cosa 
acquistata  per  ragione  di  guerra,  perchè 
r  avevano  perduta. 

Adunque  come  lo  fuoco  non  bene  spento 
si  rivigorisce   con   maggiore  fiamma,  così 


120 
eoa  quella  di  nuovo  accresciuta  gente  per 
maraviglioso  modo,  e  finalmente  con  tutta 
la  grandezza  del  suo  regno,  da  capo  torna- 
va in  Asia  per  mare,  per  terra  e  per  gli 
fiumi.  Cizico,  nobile  città  per  la  rocca  e 
per  gli  dificii  e  per  le  torri  di  marmo, 
allumina  tutto  il  lido  del  paese  d'Asia; 
questa  lo  re  assali  con  tutta  la  guerra, 
quasi  come  un'  altra  Roma  ;  ai  cittadini 
diede  speranza  di  difendersi  la  novella  che 
LucuUo  sopraveniva,  il  quale  (che  mara- 
vigliosa  cosa  è  a  dire)  era  fuggito  per 
mezzo  le  navi  de'  nemici,  notando  sopra 
uno  otre,  e  governandosi  con  gli  piedi, 
vedendolo  i  nimici  da  lungi  quasi  com'uuo 
mostro  marino.  Poi  volta  la  peste,  strin- 
gendo la  fame  il  re  per  la  lunga  dimo- 
ranza,  e  per  la  fame  stimolandolo  la  mor- 
talità, partissi,  e  Cuculio  il  segui  e  scon- 
fisselo, uccidendone  tanti,  che  Cranico  ed 
Esapo  fiumi  se  n'  insanguinarono.  Lo  scal- 
trito re,  ammaestrato  dell'  avarizia  de'  Ro- 
mani, comandò  che  fuggendo  i  suoi  git- 
tassino  sue  valigie  e  some  e  moneta  per 
fare  indugiare  quegli  che'  1  perseguivano; 
e  non  fu  più  felice  la  sua  fuga  in  terra 
che  in  mare,  perchè  la  tempesta  assali  nel 
mare  pontico  1'  armata  di  cento  navi  e  piìi, 


121 
e  il  grande  apparecchiamento  della  guer- 
ra ;  e  fece  si  vituperoso  fracasso  di  quelle, 
che  era  simile  ad  una  sconfitta  navale, 
quasi  come  manifestamente  LucuUo  per 
alcuno  patto  paressi  avere  dato  a  sconfig- 
gere lo  re  alle  onde  e  alla  tempesta  e  ai 
venti.  Già  erano  abbattute  tutte  le  forze 
del  potentissimo  re,  ma  1'  animo  cresceva 
nella  avversitade.  Adunque  voltosi  a  gente 
vicine,  avviluppò  nella  sua  rovina  quasi 
tutto  r  oriente  e'  1  settentrione.  Sollecitava 
gli  Iberi,  i  Caspii ,  gli  Albani  e  amendue 
le  Armenie,  per  le  quali  tutte  cose  la 
fortuna  cercava  a  Pompeo  gli  onori,  la 
fama  e  le  dignitade  ;  il  quale  poi  eh'  egli 
vide  ardere  Asia  di  novi  movimenti,  e 
r  uno  dei  re  provenire  dall'  altro  (1),  pensò 
che  non  fossi  da  indugiare,  fino  che  fossino 
ragunati  insieme  gli  sforzi  di  quelle  genti; 
e  subito  fatto  uno  ponte  di  navi,  passò  il 
fiume  Eufrate,  il  quale  non  era  stato  passato 
d'  alcuni  altro  innanzi  a  lui  ;  e  trovato  il  re 
che  fuggiva  in  mezzo  1'  Armenia,  vinselo 
in  una  battaglia,  la  quale  cosa  fu  grande 
sua   felicitade.    Combatterno    quella   volta 


(1)  Il  testo:  aliosque  ex  aliis  prodire  reges,  vaie 
a  dire  un  re  succedere  ad  un  altro. 


122 

di  notte ,  e  la  luna  tenne  parte  in  quella 
battaglia,  perchè  i  nimici  l'avevano  dalle 
spalle,  e  i  Romani  l'avevano  nella  faccia. 
Quegli  da  Ponto  per  errore  credendo  che 
le  sue  ombre  fossino  nimici,  fedivano  quelle, 
le  quali  si  distendevano  più  da  lungi;  e  in 
quella  notte  fu  vinto  Mitridate,  perchè  da 
poi  non  ebbe  alcuna  possanza,  bene  che 
provassi  ogni  cosa,  a  modo  di  serpenti,  i 
quali  poi  che  hanno  rotto  il  capo,  ultima- 
mente minacciano  con  la  coda;  perchè 
avendo  egli  fuggito  il  nimico,  volle  impau- 
rire con  subita  venuta  quegli  da  Colchi 
e  i  lidi  di  Sicilia  e  la  nostra  Campagna, 
poi  guastare  il  porto  Pireo  e  congiungere 
Bosforo  con  gli  Colchi,  e  per  quello  passo 
venne  in  Tarcia,  in  Macedonia  e  in  Grecia, 
e  cosi  solamente  con  lo  pensiero  non  sen- 
tito (1)  assali  Italia;  ma  prevenuto  dalla 
rebbilione  de'  cittadini  e  dalla  crudeltà  di 
Farnace  suo  figliuolo,  tentò  prima  uccidersi 
con  lo  veleno,  e  non  potendo,  uccisesi  con 
lo  ferro. 

In  quel  mezzo  Pompeo,  perseguendo  lo 
resto  della  gente  de'  rubelli  d' Asia ,  di- 
scorreva  per   diverse   gente   e  per  diverse 

(l)  Il  testo:  sic  Italiani  nec  opinatus  invadere. 


123 

terre,  alcuna  volta  seguendo  gli  Arminii 
verso  r  oriente,  e  preso  Artasate,  capo  di 
quella  gente,  diterminò  re  Tigrane.  Ma 
cacciato  poi  verso  settentrione,  fece  la  via 
per  Scizia,  seguendo  la  stella,  e  come  per 
mare,  vinse  i  Colchi,  perdonò  agi' Iberi  e 
agli  Albani,  fece  Orode  re  di  Colchi,  e 
posto  il  campo  sotto  il  monte  Caucaso, 
comandò  che  discendessino  al  piano.  Co- 
mandò ad  Artoce,  signore  degli  Iberi,  che 
dessi  i  figliuoli  per  stadigi  ;  fece  doni  ad 
Orode,  il  quale  gli  mandò  d'  Albania  uno 
letto  d'  oro  e  altri  doni ,  ed  ancora  volto 
l'oste  a  mezzodì,  passò  in  Soria,  Libano 
e  Damasco,  e  passando  per  gli  boschi  odo- 
riferi d' incenso  e  di  balsimo ,  portò  le 
insegne  de'  Romani.  Gli  Arabi  s'  appresen- 
tarono,  s'  egli  comandava  alcuna  cosa,  ma 
i  Giudei  tentarono  di  difendere  Gerusa- 
lemme; ma  pure  egli  entrò  in  quella,  e 
vide  quello  grande  tempio  di  quella  mal- 
vagia gente,  aperto  e  patente  come  sotto 
uno  cielo  d'oro;  e  discordianJosi  due  fra- 
tegli  della  signoria,  fé  albitrio  e  comandò 
che  fossi  signore  Ircano ,  Aristobolo  fece 
mettere  in  prigione,  perch'  egli  aveva  rin- 
novato la  questione. 

Cosi  sendo  capitano  Pompeo,  il  popolo  di 


124 

Roma  cercò  tutta  l' Asia  per  la  sua  larghez- 
za, e  fece  media  provincia  il  confine  dello 
imperio,  la  quale  era  nella  stremità  di  esso. 
Tutta  l'Asia  era  domata  o  arrenduta,  e 
tenevasi  sotto  le  insegne  di  Pompeio  tra  lo 
mare  Rosso  e  '1  mare  Caspio  e  1'  Oceano, 
salvo  quegli  di  Partia,  i  quali  erano  in 
pace  coi  Romani,  e  gli  Indi,  i  quali  non 
ci  conoscevano  ancora. 

La  guerra  con  quegli  di  Cilizìa.  (1) 

Intanto  che  il  popolo  di  Roma  era  tratto 
per  diverse  parti  della  terra,  quegli  di 
Cilizia  assalirono  il  mare ,  e  guaste  le 
mercatanzie  e  guasta  la  convenzione  degli 
uomini,  avevano  serrato  il  mare  con  la 
guerra  quasi  come  una  tempesta.  Dava 
ardire  a  quegli  mortali  e  furiosi  ladroni 
Asia,  che  era  inquieta  per  le  guerre  di 
Mitridate,  furiando  quegli  sotto  lo  remore 
dell'  altrui  guerra,  non  essendo  puniti  per 
l'odio  dello  estranio  re.  Primamente,  sendo 
suo  capitano  Isidoro,  erano  contenti  di 
rubare  il  prossimo  mare  tra  Greti  e  Cirene, 

(1)  Nel  lesto  Ialino  questo  capitolo  è  intitolato 
Bellutn  Piraticura. 


125 

Acaia  e  '1  golfo  Maliaco,  il  quale  egli 
chiamarao  d' oro  per  le  ruberie  ;  e  fu  man- 
dato centra  quegli  Publio  Servìlio,  il  quale, 
bene  eh'  egli  impacciassi  con  le  sue  navi 
gravi  e  battagliere  quelle  dei  nimici,  leggie- 
re e  infugate  saettie,  non  le  vinceva  sanza 
spargere  sangue.  Non  contento  avergli  cac- 
ciati del  mare,  guastò  sue  cittade  for- 
tissime e  ricche  per  la  lunga  ruberia,  di- 
strusse Faselli,  Olimpo,  Isauro,  eh'  era  la 
fortezza  di  Cilizia;  onde  egli,  che  sapeva 
la  sua  grande  fatiga  in  acquistare  quello, 
disiderò  essere  chiamalo  Isaurico.  Non 
per  questo  domati  per  tante  sconfitte,  si 
poterono  tenere  a  stare  solo  in  terra,  ma 
come  animali  che  hanno  doppia  natura  di 
stare  in  terra  e  in  acqua,  nel  partire  dei 
nemici,  impazienti  di  stare  in  terra,  torna- 
re al  mare,  alquanto  più  allargandosi  che 
prima,  e  cosi  quella  prima  vettoria  fu 
felice.  Ma  da  poi  Pompeio  parve  degno 
della  vettoria,  e  fatta  congiunta  la  provin- 
cia di  Mitridate,  elio  disperse  quella  peste 
per  tutto  il  mare  ;  e  volendola  spengere  in 
una  volta  per  sempre,  con  uno  apparec- 
chiamento quasi  divino  1'  assalì,  perchè 
abbondando  delle  sue  navi  e  di  quelle  da 
Rodi,  in  compagnia  con  piii  legati  e  pre- 


126 
fetti  pigliò  le  parte  tutte  di  Ponto  e  dell'  0- 
ceano.  Gelilo  fu  posto  nel  mare  toscano, 
Plozio  nel  mare  di  Cicilia,  Gratilio  assediò 
lo  mare  di  Liguria,  Pompeo  quello  di  Gallia, 
Torquato  quello  di  Maiorica,  Tiberio  Ne- 
rone lo  spagnuolo,  dove  comincia  lo  nostro 
mare,  Lentolo  il  mare  di  Barberia,  Mar- 
cello quello  d'  Egitto,  i  figliuoli  di  Pompeo 
il  mare  Adriatico,  Terenzio  Varrone  il 
mare  Egeo,  quello  di  Ponto  e  di  Panfilia, 
Metello  quello  d'Asia,  Scipione  la  bocca 
del  mare  maggioro,  Cato  Porzio  contrapose 
le  navi  quasi  come  una  porta. 

Cosi  tenendo  tutti  i  porti,  tutti  i  golfi, 
i  luoghi  ascosi  e  i  ricetti  delle  montagne, 
i  muri  e  le  isole,  quasi  ogni  luogo  di 
corsari  circondato  fu  preso  e  serrato  in 
ogni  maniera.  Pompeo  andò  in  Cilizia,  ori- 
gine e  fontana  della  guerra;  e  non  fuggi- 
vano i  nimici  la  battaglia,  non  perchè 
avessino  speranza,  ma  perchè  erano  asse- 
diati, parevano  avere  ardire;  nondimeno 
non  feciono  alcuna  cosa,  se  non  nel  primo 
assalto.  Poi  come  eglino  vidono  da  ogni 
parte  volte  a  loro  le  prode,  gittorno  subito 
i  remi  e  calorno  le  vele,  e  da  ogni  parte 
cominciorno  a  gridare,  la  qual  cosa  fu 
segno   d'  arrendersi,  e  domandorno  perdo- 


127 

nanza.  Non  avemmo  mai  vettoria  con  si 
poco  spargere  di  sangue,  e  da  poi  non 
trovammo  alcuna  gente  si  fedele  per  lo 
tempo  che  seguì;  e  fu  trovato  per  singu- 
lare  consiglio  di  Pompeo ,  che  quegli ,  e 
quali  erano  uomini  di  mare,  fossino  rimossi 
lungi  dal  mare,  e  perciò  egli  quasi  gli 
legò  in  campagna  lungi  dal  mare.  In  quel 
tempo  egli  racquistò  l' uso  del  mare  alle 
nave,  e  diede  i  suoi  uomini  alla  terra. 
Di  che  ti  maravigliera'  tu  prima  in  questa 
vettoria  ?  Della  prestezza  ,  perchè  fu  com- 
piuta la  guerra  in  quaranta  di,  o  della  pro- 
sperità, poiché  non  fu  perduta  una  sola 
nave,  o  della  continovanza,  che  da  poi 
non   fumo   trovati  corsari  ? 

La  guerra  dì  Greti. 

La  guerra  di  Greti,  se  noi  vogliamo  sa- 
pere il  vero,  noi  la  facemo  per  sola  cupi- 
dità di  vincere  quella  nobile  isola,  e  pa- 
reva eh'  ella  avessi  dato  favore  a  Mitridate, 
e  di  questo  piacque  fare  vendetta.  Il  primo 
che  assali  quell'isola,  fu  Marco  Antonio, 
con  grande  speranza  e  fé  di  vettoria,  in 
tanto  che  egli  portò  più  catene  che  arme  ; 
ma  egli  portò  pena  della  sua  sciocchezza, 


128 
perchè  i  nimici  pigliorno  molte  delle  sue 
navi,  e  quegli  eh'  eglino  presono ,  appic- 
corno  con  le  sartie  e  con  le  vele,  e  cosi 
i  Cretensi  navicando  a  modo  di  trionfanti, 
andavano  per  gli  suoi  porti.  Poi  Metello 
guastò  tutta  queir  isola  con  fuoco  e  con 
ferro,  e  pose  il  campo  tra  i  castelli  e  le 
cittade,  e  tra  Gnossi  ed  Eritrea  e  Cidonia, 
madre  dell'altre  cittade,  secondo  che  i  Greci 
solevano  dire;  e  trattava  si  male  i  prigio- 
nieri, che  molti  s' uccidevano  col  veleno, 
ed  alcuni  mandavano  a  Pompeo  assente, 
che  si  volevano  arrendere  a  lui.  Stando 
egli  ne'  fatti  d'  Asia,  mandato  là  Antonio 
prefetto,  fu  glorioso  nell'  altrui  provincia  ; 
e  per  questo,  Metello  più  odioso  contra  i 
nimici,  usava  la  ragione  del  vincitore,  e 
avendo  vinto  Lastene  e  Panare,  capitani 
di  Cidonia,  tornò  a  casa,  e  non  riportò 
alcuna  cosa  di  si  famosa  vettoria,  se  non 
il  sopranome,  con  lo  quale  fu  chiamato 
eretico. 

La^gr^erra  dell'  Isole  Baleariche. 

Come  la  casa  di  Metello  Macedonico  a- 
gli  nomi  delle  guerre  era  usata,  e  uno  de' 
figliuoli  era  fatto  Cretico,  non  fu  indugia 


129 

che  r  altro  fu  chiamato  Balearico.  L' isole 
Baleariche  in  quel  tempo  infestavano  il 
mare  con  uno  furore  di  corsari,  e  ma- 
ravigliera'  ti  che  uomini  salvatichi  ab- 
biano ardito  por  mente  agli  scogli  e  al 
mare,  ed  eziandio  entrare  in  mare,  e  con 
furioso  assalto  montare  in  nave  non  ar- 
mate; e  non  guardandosi,  incuteva  terrore 
a  que'  che  passavano  rimpetto  alle  isole; 
e  vedendo  quegli  1'  armata  de'  Romani  che 
passavano,  pensando  rubare,  ardirono  far- 
segli  incontra,  e  nel  primo  assalto  con  una 
piova  di  pietre  e  di  sassi  coprirono  1'  ar- 
mata. Combattè  ciascuno  con  tre  rombole 
(e  ciascuno  si  può  maravigliare),  traggono 
diritto;  e  questo  perchè  quella  gente  non 
à  altra  arme,  e  da  sua  puerizia  anno  questo 
studio.  11  fanciullo  non  riceve  il  cibo  dalla 
madre,  se  egli  non  percuote  quello  in  prima, 
che  quella  gl'insegna.  Ma  non  feciono  paura 
ai  Romani  con  le  pietre  per  lungo  spazio  ; 
poi  eh'  eglino  vennono  alle  mani,  e  prova- 
rono le  prode  e  le  lancie,  a  modo  che 
bestie,  levato  il  romore,  fuggirono  al  lido, 
e  fumo  cercati  e  vinti  per  le  montagne. 


130 

La  gnerra  dì  Cipri. 

Era  già  venuta  la  fortuna  nell'  isole. 
Adunque  Cipro  era  stata  acquistata  sanza 
guerra,  e  Tolomeo  reggeva  quell'  isola  ab- 
bondevole d'  antiche  ricchezze,  e  per  que- 
sto consecrata  a  Venere;  ma  ella  ebbe 
tanta  nominanza  di  ricchezze,  e  non  era 
falsa,  che  lo  popolo  vincitore  del  mondo, 
usato  donare  i  regni,  comandò  a  Publio 
Clodio  capitano  che  confiscassi  i  beni  del 
vivo  e  amico  re.  Ma  quello,  udito  per  no- 
minanza il  comandamento,  uccisesi  di  ve- 
leno. Dopo  questo,  Ponzio  Cato  fece  por- 
tare a  Roma  con  le  galee  quelle  ric- 
chezze di  Cipro,  la  quale  rapina  compiè 
meglio  la  tesoreria  di  Roma,  che  alcuno 
trionfo. 

La  guerra  Gallica  per  Ceserò. 

Essendo  soggiogata  Asia  per  le  mani  di 
Pompeo,  la  fortuna  trasmutò  in  Ceserò 
quello  che  restava  in  Europia.  Restavano 
i  Galli  ed  i  Germani,  asprissimi  sopra  le 
altre  genti;  da   poi  vinse   Bretagna,  bene 


131 

eh'  ella  sia  dipartita  da  tutto  il  mondo. 
Primieramente  lo  movimento  di  Gallia  co- 
minciò dagli  Elvezii,  i  quali  posti  tra  lo 
Rodano  e'  1  Reno,  non  bastandogli  lo  suo 
terreno,  cercavano  altra  sedia;  ed  arse  le 
sue  case,  giurando  di  non  tornar  mai,  tol- 
sono  termine  a  sua  deliberazione.  Ma  in- 
dugiando quegli ,  Ceserò  tagliò  il  ponte 
del  Rodano  e  tolsegli  la  via  a  fuggire,  e 
ridusse  quella  gente  da  guerra  nella  sua 
sedia ,  come  lo  pastore  riduce  la  sua 
greggia  nella  stalla. 

La  seconda  pugna,  la  quale  fu  coi  Belgi, 
fu  molto  più  sanguinosa ,  perchè  eglino 
combattevano  per  la  libertà;  e  qui  avendo 
fatto  i  cavalieri  romani  molte  maravigliose 
cose,  sopravenne  quello  notabile  atto  del 
suo  capitano,  che  inchinando  1"  oste  a  fug- 
gire, preso  lo  scudo  di  braccio  a  uno  che 
fuggiva,  corse  nella  prima  schiera,  e  con  la 
sua  mano  sostenne  la  battaglia.  Poi  com- 
battè con  gli  Veneti  in  navale  battaglia; 
ma  fu  maggior  battaglia  con  lo  Oceano 
che  con  quelle  navi,  perchè  quelle  nuove 
e  male  formate  subito  s'  affondorono,  come 
sentirono  le  prode;  ma  era  la  battaglia 
in  sulle  secche  con  le  onde,  e  pareva  che 
lo  Oceano,  ritratto   da  battaglia,   combat- 


132 

tessi  con  le  onde.  E  quelle  avversitade 
avvennono  per  la  natura  delle  gente  e  de' 
luoghi.  Ma  gli  Aquitani,  gente  scaltrita, 
si  riducevano  in  spelunche,  di  che  egli 
comandò  ch'eglino  fossino  assediati  ;  quegli 
che  soprastando  soccorrevano  per  selve, 
comandò  che  gli  fossi  messo  fuoco.  Niuno 
dirà  che  i  Gallici  sieno  solamente  feroci , 
anzi  fanno  con  inganni.  Indugiomaro  e 
Ambiorige  convocarono  i  Treveri  e  gli 
Eburoni,  e  ciascuno  fatta  la  congiura- 
zione ,  per  r  assenzia  di  Ceserò  trovarono 
i  suoi  legati;  ma  quegli  gagliardamente 
fu  sostenuto  da  Dolobella,  e  fu  portata  la 
testa  del  re.  Questi  posto  V  agguato  in  una 
valle,  offese  con  lo  inganno;  adunque  fu 
guasto  il  campo  e  rubato,  e  in  quel  luogo 
perdemmo  M.  Cotta  e  Titurio  Sabino  le- 
gati, né  da  poi  fu  alcuna  vendetta  del  re, 
perchè  egli  sempre  fuggendo,  stette  nascoso 
oltra  il  Reno;  né  ancora  il  Reno  fu  sanza 
pena,  perchè  non  era  giusta  cosa  che  lo 
ricettatore  e  difenditore  di  nimici  fossi 
libero. 

Fu  la  sua  prima  pugna  centra  i  Germani 
per  giuste  cagioni.  Gli  Edui  si  lamenta- 
vano delle  correrie  di  quegli  ;  e  quanta  fu 
la   superbia   del  re   Ariovisto!  Perchè  di- 


133 

cendo  i  legati:  «  Vieni  a  Cesaro  »,  ri- 
spose: «  Che  cosa  è  Ceserò?  »  e  «  S'  egli 
vuole  venire  a  me,  venga;  e  che  à  egli  a 
fare  di  quello  che  faccia  la  nostra  Germa- 
nia ?  »  Adunque  era  nel  campo  tanta  paura 
di  quella  nuova  gente,  che  ciascuno  da  prima 
faceva  testamento.  Ma  quanto  quegli  corpi 
erano  magiori,  tanto  si  potevano  meglio 
fedire  con  lo  ferro  e  con  le  spade;  e  che 
fervore  avessi  no  i  cavalieri  combattendo, 
non  si  può  meglio  dire,  se  non  che  le- 
vandosi dì  sopra  dalla  testa  gli  scudi,  co- 
prendosi quegli  barberi,  soprastavano  agli 
scudi  de'  Romani,  e  da  quegli  ficcavano 
le  spade  alla  gola.  Da  poi  ogni  uomo  (l)  si 
lamentata  va  de'  Germani.  Allora  Ceserò, 
fatto  presto  uno  ponte  di  nave,  passò  la 
Mosella  e  lo  stesso  Reno,  e  cercò  nimici 
nelle  selve  ercinie;  ma  eglino  erano  tutti 
fuggiti  nelle  selve  e  ne'  paduli ,  tanta 
paura  faceva  la  potenzia  de'  Romani  ol- 
tr'  alla  ripa  del  Reno  ;  e  non  fu  pure  una 
volta  0  due  passato  il  Reno,  facendo  il 
ponte.  Ma  fu  da  capo  alquanto  maggiore 
paura,  perchè  com'  eglino  vidono   preso  il 

(1)  Il  testo  latino:  Iterum  de   Germano  Tencteri 
querebantur. 


134 

Reno  con  lo  fatto  ponte  quasi  con  uno 
giogo,  fuggi rno  da  capo  nelle  selve  e  ne' 
paduli,  ma  non  fu  trovato  alcuno  che  si 
potessi  vincere,  la  qual  cosa  fu  gravissima 
a  Ceserò. 

Preso  ogni  cosa  in  terra  e  in  mare, 
guardò  allo  Oceano,  e  quasi  come  ai  Ro- 
mani non  bastassi  questo  mondo,  cercò 
d'  un  altro.  Aduuque  apparecchiato  1'  ar- 
mata, andò  in  Inghilterra,  e  passò  con 
raaravigliosa  prestezza,  perchè  partendosi 
alla  terza  ora  dal  porto  de'  Merini,  eistrò 
neir  isola  innanzi  mezzodì,  dove  i  lidi  erano 
pieni  di  roraori,  e  correvano  le  paurose 
carrette  a  vedere  la  novità  della  cosa.  A- 
dunque  la  paura  diede  la  vettoria,  e  quegli 
paurosi  diederle  arme  e  gli  stadigi  ;  e  sa- 
rebbe andato  piti  oltre ,  se  1'  Oceano  non 
avessi  ritenuto  l' armata  con  la  tempesta. 
Adunque  tornato  in  Gallia,  fatto  maggiore 
sforzo,  con  l'armata  tornò  da  capo  in 
quello  medesimo  Oceano  ed  Inghilterra, 
seguendo  l' isole  Calidonie,  e  appresso  fece 
prigione  uno  de'  re  Caveliani  ;  e  contento 
delle  dette  cose,  perchè  non  attendeva  alla 
provincia  ma  alla  nominanza,  tornò  indie- 
tro con  maggiore  preda  che  prima,  avendo 
il  mare  più  queto  e  piìi  favorevole,  quasi 


135 

come  s' egli  confessassi  essere  obbediente. 
Ma  allora  fu  una  congiurazione  molto 
maggiore  dell'altre,  e  fu  1'  ultima  in  Gallia: 
quello  terribile  uomo  per  la  grandezza  e 
per  le  arme  e  per  1'  ardire  ed  eziandio  per 
lo  nome,  Vergingetorige,  quasi  per  una 
composizione  paurosa,  contrasse  insieme 
gli  Alverni,  i  Biturigi,  i  Carnuti  e  i  Se- 
quani  (1).  Quegli  ne'  dì  delle  feste  facendo 
concini  per  gli  boschi,  ragionando  quegli 
con  feroce  parole,  dirizzogli  a  ragione  di 
libertà.  In  quel  tempo  era  Ceserò  a  Ra- 
venna, dove  egli  faceva  gente;  per  lo  verno 
erano  cresciute  per  la  neve  le  Alpi,  e  così 
quegli  pensavano  che  fossi  serrata  la  via; 
ma  quello,  come  che  '1  fossi  apparecchiato 
alla  novella,  con  felicissimo  ardire  e  per  mon- 
tagne sanza  via  in  quello  tempo,  per  vie 
non  sapute  e  per  le  neve  con  poca  gente 
tornò  in  Gallia,  e  ragunò  lo  suo  oste  di 
lontani  luoghi,  ne'  quali  faceva  lo  verno; 
e  fu  con  r  oste  in  mezzo  la  Gallia,  innanzi 
che  fossi  sentito  nella  estremità.  Allora 
assalì  le  principali  cittade  della  guerra,  e 
vinse  Avarico,  dove  erano   quaranta  milia 


(1)  Oggi  chiamati  i  paesi  d'  Auvergne ,    Berry , 
Chartres  e  Franca  Contea. 


136 

combattitori,  guastò  con  Io  fuoco  Alessia, 
dov'  erano  dugento  quaranta  milia  giovani 
a  difesa.  Ma  tutto  il  peso  della  guerra  fu 
a  Gergovia,  terra  degli  Alvernii,  perchè 
quella  grandissima  città  era  difesa  da  ot- 
tanta mila  uomini  per  numero,  da  mura, 
rocche  e  tagliate,  la  quale  egli  circondò 
con  uno  steccato,  con  pali,  fosse  e  argeri  ; 
prima  la  domò  con  la  fame,  e  poi  ve- 
dendo quegli  della  terra  uscir  fuori,  tagliòli 
allo  steccato  con  le  spade  e  con  pali,  e 
ultimamente  gli  costrinse  a  rendersi.  Lo 
re  di  quegli,  in  grande  onore  della  vettoria, 
venuto  nel  campo,  umilmente  si  gittò  in- 
nanzi ai  piedi  di  Ceserò,  e  deposte  le  sue 
arme  e  gli  suoi  ornamenti,  disse:  «  Tu 
ài  me  forte  uomo,  e  tu  sommamente  m'ài 
vinto  ». 

La  gaerra  di  Partia. 

Domando  Ceserò  per  lo  popolo  di  Roma 
i  Gallici  verso  settentrione,  in  quel  mezzo 
egli  ricevè  grave  percossa  verso  levante  da 
quegli  di  Partia.  Non  ci  potemo  lamen- 
tare della  fortuna:  la  nostra  sconfitta  non 
ha  di  che  si  consoli  ;  avendo  contrari  gli 
Dei  e   gli  uomini ,  disiderando  la  cupidità 


137 

di  Crasso  consolo  1'  oro  di  Partia,  fu  punita 
quella  cupidità  con»  una  sconfitta  d' undici 
leglioni  e  colla  testa  di  quello  medesimo. 
Metello,  tribuno  del  popolo,  promise  agli 
Dei  de'  nimici  il  capitano,  uscendo  egli 
a  campo,  e  avendo  passato  1'  oste  Zeuraa 
città,  l'Eufrate  atfondò  le  insegne  rapite 
da  subiti  venti;  e  avendo  posto  il  campo 
presso  a  Niceforio ,  ambasciatori  mandati 
da  Orode  re  dinunziaro,  che  egli  si  ricor- 
dassi de'  patti  fermati  con  Pompeio  e  con 
Siila.  Quello,  cupido  de'  tesori  del  re,  ri- 
spose, non  pensando  ad  alcuna  cosa  di 
ragione,  che  darebbe  la  risposta  a  Seleu- 
cia.  Adunque  gli  Dei  vendicatori  della  pace 
non  mancorono  al  tradimento  né  alla  pro- 
dezza de'  nimici.  Già  avevano  lasciato  dalle 
spalle  lo  Eufrate,  il  quale  solo  poteva  por- 
tare la  vettuaglia  all'  oste,  e  che  era  for- 
tezza a  quegli.  Poi  per  guida  d'  uno  Ma- 
zara  di  Soria,  secondo  che  fu  creduto,  il 
quale  fintamente  era  fuggito ,  vennono  in 
mezzo  le  campagne,  da  ogni  parte  avendo 
i  nimici.  Adunque  appena  egli  era  arrivato 
a  Carra,  quando  da  ogni  parte  Sillaces  e 
Surena,  prefetti  del  re,  mostravano  le  inse- 
gne d'  oro  e  di  seta.  Allora  sanza  indugia 
sparti  e  cavalieri  intorno,  spargevano  di- 


138 
verse  maniere  di  saette  a  modo  di  gra- 
gnuole  e  a  modo  di»nembi,  e  cosi  con 
raaravigliosa  sconfitta  fu  disperso  l' oste. 
Elio,  tentato  di  parlamento,  facendo  segno, 
veniva  nelle  mani  de'  nimici  ;  ma  quegli 
barberi  avrebbono  morto  il  capitano,  se  i 
tribuni  non  avessino  ritenuto  lui  che  fug- 
giva, e  cosi  fu  per  schernia  portata  la  sua 
testa  al  nimico.  11  figliuolo  quasi  in  pre- 
senzia del  padre  fu  morto  da  quegli  me- 
desimi. L' avanzo  dello  sciagurato  oste , 
come  ciascuno  potè  fuggire,  arrivò  in  Ar- 
minia,  in  Cilizia  e  in  Soria,  e  appena 
riportarono  la  novella  della  sconfitta.  La 
testa  e  la  destra  mano  di  Crasso  fu  per 
dispregio  appresentata  al  l'e,  e  non  fu  cosa 
indegna;  fugli  scolato  nella  gola  oro,  acciò 
che  '1  suo  corpo  morto  bevessi  oro,  lo  cui 
animo  era  arso  di  cupiditade  di  quello. 

Sommaria  ripetizione  delle  discordie 

de'  Bomani,  e  la  cagione  delle 

gnerre  civili. 

Questa  è  la  terza  etade  del  popolo  ro- 
mano, nella  quale  ardito  uscire  d'Italia, 
portò  le  sue  arme  per  tutto  il  mondo,  della 
cui  età  e  cento  primi  anni  fumo  santi  e  pia- 


139 

tosi,  e  come  mondissimo  oro  sanza  peccato 
e  sanza  malvagità,  infino  che  durò  la  in- 
tegrità di  quella  setta  pastorale  pura  e 
innocente,  e  infino  che  durando  la  paura 
della  nimistà  degli  Africani,  tenevano  l' an- 
tica disciplina;  ed  i  seguenti  cento  anni, 
nei  quali  noi  vivemmo  dalla  distruzione  di 
Cartagine  e  di  Corinto  e  di  Numanzia,  e 
con  la  eredità  d'  Asia  dello  re  Attalo,  fino 
a  Ceserò  e  Pompeo  e  ad  Augusto,  il  quale 
segui  questi  (del  quale  noi  diremo),  come 
fumo  magnifichi  per  la  chiarezza  delle 
cose  e  delle  battaglie,  così  fumo  miseri  e 
di  grande  vergogna  per  gli  mali  fatti  in 
casa.  Perchè  come  fu  bella  e  onorabile 
cosa  avere  acquistata  Gallia,  Tracia,  Cilizia, 
Cappadocia,  ricchissime  provinole,  e  gli 
Armeni  e  gli  Britanni,  non  per  uso,  ma 
per  bellezza  dello  imperio ,  cosi  in  uno 
medesimo  tempo  fu  brutta  e  miserabile 
cosa  avere  combattuto  in  casa  con  i  cit- 
tadini e  con  i  compagni  e  servi,  e  con  gli 
gladiatori  e  tutto  il  senato  intra  sé;  e  non 
so  se  fossi  stato  meglio  contentarsi  di 
Sicilia  e  d'  Africa,  o  non  avere  acquistate 
quelle,  e  signoreggiare  nella  sua  Italia, 
e  crescere  a  tanta  grandezza,  che  guastarsi 
con  le  sue  forze.  E  che  altra  cosa,  se  non 


140 
la  troppa  felicità,  produsse  i  furori  civili  ? 
Siria  prima  corruppe  noi  come  fu  vinta, 
poi  la  redità  del  re  Asiatico  da  Pergamo  ; 
quella  possanza  e  quelle  ricchezze  afflissero 
i  costumi  di  quel  tempo,  e  calpestarono 
la  ripubblica,  soppozzata  in  vizi  come  una 
sentina.  E  d'  onde  domandava  il  popolo  di 
Roma  terreni  e  vittuaglia,  se  non  per  la 
fame,  la  quale  aveva  fatta  per  la  troppa 
abondanzia  ? 

Adunque  per  questo  fu  la  prima  e  la 
seconda  discordia  di  Gracchi,  e  la  terza 
d'  Apuleio.  Onde  avvenne,  che  separatisi 
dal  Senato  i  cavalieri ,  regnassino  per  le 
legge  giudiciarie,  se  non  per  1'  avarizia, 
acciò  che  le  gabelle  e  le  sentenzie  fossino 
per  lucro  acquistate?  Per  questo  fu  pro- 
messo dacapo  la  civilità  agi'  Italici,  e  per 
questo  fu  la  guerra  con  gli  collegati. 
Che  diremo  della  guerra  de'  servi?  Non 
venn'  ella  per  1'  abbondanzia  di  famiglie  ? 
Onde  fu  1'  oste  de'  gladiatori  contra  i  suoi 
signori,  se  non  per  1'  ampia  cortesia  usata 
per  conciliare  il  favore  del  popolo,  dando 
quelli  opera  ai  giuochi,  e  le  pene  già  date 
ai  nimici  facendo  a  noi  (1)  arte  di  giuochi? 

(1)  Cioè  le  guerre  de'  gladiatori  provennero  dal 
profuso  spendere  fallo  per  acquistare   V  aura  pò- 


141 

Ma  tocchiamo  più  notabili  vizii.  Non  fu  egli 
stimolata  la  cupidità  dalle  ricchezze?  Per 
questo  fu  la  tempesta  di  Mario  e  di  Siila. 
Non  venne  dalle  ricchezze  il  magnifico 
apparecchiamento  de'  conviti  e  i  doni  di 
grande  spesa,  la  quale  incontanente  partorì 
povertà?  Questo  incitò  Catellina  contra  la 
sua  patria.  Finalmente  onde  venne  la  cu- 
pidità della  grandezza  e  della  signoria,  se 
non  dalle  troppe  ricchezze?  Questa  armò 
Ceserò  e  Pompeo  di  furiali  faci  in  distru- 
zione della  ripublica.  Adunque  io  seguirò 
per  ordine  tutti  questi  movimenti  del  po- 
polo di  Roma  dentro  da  casa,  dispartiti 
dalle  guerre  giuste  con  gente  stranie. 

Onde  ebbono  principio  le  discordie. 

La  possanza  de'  tribuni  destò  tutte  le 
discordie  e  le  cagioni,  le  quale  erano  sotto 
ispecie  di  difendere  il  popolo,  in  cui  aiuto- 
rio  queir  ufficio  fu  trovato.  Ma  in  effetto  cre- 
scevano i  tribuni  in  signoria,  acquistando 
il  favore  e  la  benivoglienza  del  popolo  con 

polare  negli  spettacoli,  i  quali  dove  prima  erano 
supplizi  e  tormenti  inflitti  ai  nemici,  si  mutarono 
poi  in  arti  e  giuochi  per  dar  gusto  al  popolo. 


142 
le  legge  agrarie,  frumentarie  e  giudiziarie. 
In  tutte  era  apparenzia  di  equità,  perchè 
quale  cosa  è  più  giusta,  che  se  il  Senato 
dava  al  popolo  la  sua  ragione,  acciò  che 
quello  popolo,  il  quale  era  vincitore  di 
tutte  le  genti  e  posseditore  del  mondo, 
non  fossi  cacciato  dalla  religione  e  dai  sa- 
crifìcii?  Che  cos'era  si  giusta,  come  che  '1 
povero  popolo  vivessi  della  sua  tesoreria  ? 
Che  cos'  era  più  efficace  a  fare  uguale  ra- 
gione della  libertade,  che  regnando  il  se- 
nato le  Provincie,  1'  autoritade  dell'  ordine 
della  cavalleria  almeno  si  fermassi  nella 
signoria  de'  giudici?  Ma  queste  medesime 
cose  tornaveno  in  distruzione,  e  la  misera 
ripublica  era  il  pagamento  a  sua  disfa- 
zione: e  mutata  la  signoria  de'  giudizii  dal 
senato  ai  cavalieri,  gravava  le  gabelle,  pa- 
trimonio dell'imperio,  e  le  compere  del 
formento  votavano  la  tesoreria,  eh'  è  i  nervi 
della  republica.  Onde  potevasi  ridurre  il 
popolo  ne'  campi  sanza  disfazione  de'  pos- 
seditori, i  quali  medesimi  erano  parte  del 
popolo?  E  nondimeno  possedevano  le  sedie 
quasi  per  ragione  di  reditade,  le  quali  da 
gran  tempo  gli  erano  lasciate  da  i  suoi 
maggiori. 


143 
La  discordia  di  Tiberio  Gracco. 

La  prima  facella  di  discordia  accese 
Gracco ,  il  quale  era  lievemente  da  essere 
signore  per  la  sua  schiatta,  per  la  sua 
apparenzia  e  per  la  sua  loquenzia;  ma  per 
questo  temendo  la  corruzione  della  setta 
di  Mancino,  perchè  egli  era  stato  promet- 
titore al  trattato  ed  era  popolare,  o  perchè 
egli  fosse  mosso  da  giusto  e  buon  animo, 
perchè  avessi  compassione  al  popolo  pri- 
vato delle  sue  possessione,  acciò  che  '1 
popolo  vincitore  delle  genti  e  posseditore 
del  mondo  non  fossi  cacciato  della  sua 
patria  e  delle  sue  case,  come  che  1'  animo 
fossi  fatto,  ardi  grande  cosa.  Poiché  fu 
venuto  lo  diterminato  di,  accompagnato  da 
molta  gente,  montò  in  palazzo,  e  non 
mancò  che  si  gli  facessi  incontro  tutti  1 
nobili  e  parte  dei  tribuni  ;■  ma  poi  eh'  egli 
vide  Gneo  Ottavio  contraporsi  con  sue 
leggi  centra  la  giustizia  del  collegio  e  la 
forza  di  sua  possanza,  prese  quello  con  la 
mano  e  cacciòlo  del  consiglio ,  e  in  tanto 
lo  impauri  con  le  minacce  della  presente 
morte,  che  quello  fu  costretto  rinunziare 
al  magistrato,  e  cosi  fu  criato  triumviro  a 


144 
dividere  i  campi.  Volendo  egli  che  si  fossi 
allungato  1'  ufHcio  per  seguire  la  impresa 
lo  di  de'  coraizii ,  cominciarono  a  essere 
morti  alcuni  nel  palazzo,  facendoglisi  incon- 
tro una  brigata  di  notabili  e  di  quei  eh'  egli 
avea  cacciati  dai  campi.  Poi  essendo  fug- 
gito quello  in  Campodoglio,  e  confortando 
il  popolo  a  difensione  della  sua  salute, 
toccandosi  il  capo  con  le  mani,  fece  segno 
d' uno  che  domandassi  la  signoria  della 
corona;  e  cosi  per  guida  di  Scipione  Na- 
sica stimolato  il  popolo  ad  arme,  quasi  di 
ragione  fu  morto. 

La  discordia  di  Caio  Gracco  fratello. 

Subito  e  non  con  minore  furore  si  levò 
Tiberio  Gracco,  vendicatore  della  morte  e 
delle  leggi  del  fratello.  Con  simile  tumulto 
e  paura  mosse  il  popolo  ne'  campi  de'  suoi 
passati,  e  domandava  per  nodrimento  del 
popolo  la  nuova  reditade  di  Attalo;  e  già 
troppo  grande  e  potente  pel  secondo  tribu- 
nato per  lo  favore  del  popolo,  essendo 
ardito  Minuzie  di  guastare  le  sue  leggi, 
usando  la  possanza  de'  compagni,  assali 
Campodoglio,  il  quale  era  la  morte  della 
sua   famiglia.  Indi   cacciato   con   la  morte 


145 

de'  suoi  parenti,  ridussesi  su  Aventino, 
e  di  quel  luogo  fattosegli  incontra  la  parte 
del  Senato,  fu  vinto  da  Opiraio  consolo; 
e  fu  proceduto  con  la  morte  contra  i 
suoi  seguaci  (1),  e  provveduto  di  moneta 
agli  ucciditori  del  maledetto  tribuno. 

La  discordia  di  Apuleio. 

Nondimeno  Apulegio  Saturnino  non  cessò 
di  confermare  le  leggi  di  Gracchi  ;  tant'  a- 
nimo  dava  Mario  a  quell'  uomo ,  il  quale 
sempre  nimico  de'  nobili,  nel  suo  consolato 
fidandosi,  aveva  morto  palesemente  ne'  co- 
mizii  Annio,  il  quale  domandava  insieme 
con  lui  lo  tribunato,  e  in  luogo  di  quello 
s'  era  sforzato  sostituire  Caio  Gracco ,  uo- 
mo che  non  era  d' alcuno  tribo ,  e  non 
aveva  alcuna  nominanza;  ma  avendo  ag- 
giunto il  titolo,  egli  medesimo  s'  adottava, 
e  levandosi  con  tanta  e  si  grande  schernia 
sanza  portarne  pena,  soprastette  sì  arden- 
temente per  sostenere  le  leggi  de'  Gracchi, 
eh'  egli  costrinse  eziandio  il  Senato  a  giurare, 

(1)  Il  testo  latino:  Insultatum  quoque  niortis  re- 
liquiis ,  et  illud  sacrosanctum  caput  tribuni  plebis 
percussoribus  auro  pensatum  est. 

10 


146 
minacciando  egli  l' interdizione  dell'  acqua 
e  del  fuoco  a  quegli  che  non  consentivano  ; 
nondimeno  fu  uno  tra  quegli,  che  volle 
più  tosto  andare  in  esilio.  Adunque  poiché 
Metello  fu  fuggito ,  essendo  percossi  tutti 
i  nobili,  avendo  quello  già  signore  regnato 
tre  anni,  era  pervenuto  a  tanta  matteria, 
ch'egli  turbava  i  comizii  de' consoli,  a- 
vendo  di  nuovo  morto  alcuno  per  fare 
consolo  Glaucia,  esegui tore  del  suo  furore  ; 
e  comandò  che  fossi  morto  Caio  Meni  mio, 
il  quale  concorreva  con  quello,  e  in  quello 
tumulto  s' allegrò  essere  chiamato  re  dai 
suoi  famigli.  Allora  lo  Senato  tenendo 
trattato ,  e  Mario  sendo  consolo  e  a  lui 
nemico,  per  non  poterlo  più  difendere  nella 
piazza  venneno  le  schiere;  onde  cacciato 
di  quel  luogo,  ridussesi  in  Campodoglio; 
ma  essendovi  quello  assediato,  domandò 
per  ambasciadori  perdonanza  al  Senato,  e 
partendosi  di  Campidoglio  con  gli  caporali 
della  setta ,  fu  ricevuto  nella  corte.  In 
quello  luogo,  correndo  il  popolo,  fu  am- 
mazzato con  le  pietre  e  con  i  bastoni, 
perfino  che  tutto  lo  copersono  con  quelle. 


147 
La  discordia  di  Draso. 

Ultimamente  Livio  Druso  non  solamente 
con  la  forza  del  tribunale,  ma  eziandio 
con  r  autorità  del  senato  e  di  consenti- 
mento di  tutta  Italia,  si  sforzò  d'  approvare 
quelle  leggi  ;  e  cercando  una  cosa  d' un'  al- 
tra, scoperse  tanto  fuoco,  che  non  si  poteva 
comportare  la  prima  fiamma  di  quello,  e 
morto  subito,  lasciò  a  quegli  che  rimasono 
una  guerra  ereditaria.  Per  la  legge  judi- 
ciaria  i  Gracchi  avevano  diviso  il  popolo 
di  Roma,  e  avevano  ad  una  città  fatto 
due  capi  (1).  I  cavalieri  romani  erano 
fortificati  di  tanta  autorità,  che  avendo  in 
mano  la  fortuna  e  le  ricchezze  dei  prin- 
cipi, prese  le  gabelle,  per  sua  autoritade 
movevano  la  ripublica.  Lo  Senato,  indebo- 
lito per  lo  esilio  di  Metello  e  per  la  dan- 
nazione di  Rutilio,  aveva  perduto  ogni 
onore  di  sua  maestà;  e  stando  così  le  cose, 
essendo  pari  di  possanza  d'  animo  e  di  di- 
gnità (onde  era  venuta  audacia  a  Livio 
Druso),  Servilio  Cepione  difendeva  V  ordine 

(2)  Il  testo  Ialino:  et  bicipitem  ex  una  fecerant 
civitatem,  cioè  d'  una  città  n'  avean  fatto  due. 


148 
equestre,  e  Livio  Druso  il  senato.  Già 
erano  presenti  le  insegne,  le  aquile  e  le 
bandiere;  poi  in  una  città  si  era  cosi  in  di- 
scordia, come  in  due  osti.  Cepione  in  prima 
assali  il  Senato,  e  disse  che  Scauro  e  Fi- 
lippo, principi  de'  nobili,  erano  cupidi  di 
signoria.  Druso  per  risistere  a  quegli  mo- 
vimenti, chiamò  a  sé  il  popolo  per  le  leggi 
de'  Gracchi,  e  accostò  i  compagni  al  popolo 
per  speranza  di  signoria;  ed  era  la  sua 
voce  non  avere  lasciato  alcuna  cosa  a  do- 
nare, salvo  se  alcuno  volessi  partire  lo 
fango  0  il  cielo.  Era  già  il  di  che  si  do- 
veva promulgare  le  leggi,  e  subito  da  ogni 
parte  appareva  tanta  moltitudine  d'uomini, 
che  pareva  che  sopravenuti  i  nimici,  Roma 
fossi  assediata;  nondimeno  Filippo  con- 
solo ardì  contradire  quelle  leggi,  ma  un 
banditore  lo  pigliò  nella  gola,  e  non  lo 
lasciò  infìno  che  non  gli  fece  uscire  lo 
sangue  per  gli  occhi  e  per  la  bocca.  Cosi 
per  forza  le  leggi  fumo  promulgate  e  con- 
fermate; e  subito  i  compagni  domandorono 
il  pregio  di  sua  fatica,  e  in  quel  mezzo 
la  presta  morte  spacciò  Druso,  debile  e 
dolente  delle  cose  mosse  stoltamente,  es- 
sendo egli  in  si  fatto  pericolo;  ma  i  com- 
pagni non  lasciarono  per  quello  di  doraan- 


149 
dare   con   le  arme  al  popolo  le  cose,  che 
a  quelli  aveva  promesso  Di-uso. 

La  guerra  con  gli  collegati. 

La  guerra  de'  compagni  (  bene  che  sieno 
chiamati  cosi,  perchè  sia  avuta  meno  in 
odio)j  se  noi  vogliamo  nondimeno  dire  il 
vero,  fu  guerra  civile,  perchè  il  popolo  di 
Roma  era  mescolato  di  Toscani  e  di  Latini 
e  di  Sabini,  e  di  tutti  fece  un  sangue  e  di 
tutte  le  membra  un  corpo,  e  di  tutti  è 
uno;  e  non  si  rubellavano  con  minori  mali 
i  compagni  dentro  da  Italia,  che  i  cittadini 
dentro  da  Roma. 

Adunque  domandando  i  Toscani  collegati 
giustissimamente  la  cittadinanza,  eh'  eglino 
avevano  accresciuta  di  possanza,  alla  quale 
speranza  gli  aveva  dirizzato  Druso  per  la 
cupidità  che  quegli  aveva  di  signoreggiare, 
poscia  che  quegli  era  morto  nel  peccato  della 
sua  patria  (1),  quella  facella  che  accese  lui, 
accese  i  compagni  a  pigliare  arme  e  a  volere 
vincere  Roma.  E  che  cosa  fu  di  più  tristizia. 


(1)  //  testo  latino:  postquam  ilio  domestico  sce- 
lere oppressus  est,  poiché  Druso  rimase  oppresso 
dalia  perfidia  de'  suoi  domestici. 


150 
che  quella  peste  ?  E  che  cosa  fu  di  più  mise- 
ria, levandosi  centra  Roma  sua  madre  tutti 
i  Latini,  la  Marca  Toscana  e  tutta  Campa- 
gna e  ultimamente  tutta  Italia ,  avendo 
tutti  i  collegati  tutta  sua  possanza  e  fedeltà 
ciascuno  sotto  suoi  segni?  Popedio  teneva 
i  Marsi,  e  i  Latini  Afranio;  teneva  gli 
Umbri  tutto  lo  Senato  e  i  consoli,  teneva 
Sannio  e  Lucania  Telesino;  e  non  poten- 
dosi reggere  il  popolo  di  Roma,  rettore 
dei  re  e  delle  genti,  andavano  quegli  da 
Corfinia  contro  Roma,  vincitrice  d'  Asia  e 
d'  Uropia. 

Lo  primo  consiglio  della  guerra  fu  in 
monte  Albano,  ciò  è  che  fu  il  di  della  festa 
delle  ferie  latine  che  fu  risoluto  di  far 
morire  lulio  Ceserò  e  Marzio  Filippo  con- 
soli, mentre  facessino  sacrificio;  e  poiché 
fue  manifestato  quello  male  per  lo  agurio, 
lo  furore  cominciò  ad  Ascoli ,  dove  fumo 
morti  gli  ambasciadori  di  Roma,  i  quali  al- 
lora erano  presenti  tra  la  moltitudine  in  sui 
giuochi  ;  e  quello  fu  uno  consecrare  di  cru- 
del  guerra.  Poi  da  ogni  parte  di  Italia 
discorrendo  Popedio  autore  e  capitano  della 
.guerra,  fumo  uditi  sonare  diversi  suoni  per 
le  cittade  e  per  gli  popoli,  e  non  fece  tanti 
mali  Annibale  né  Pirro.  Ecco  che  fu  combat- 


151 
tuto  Ocricolo;  Grumento  e  Fiesole,  Carseoli, 
Rieti,  Nocera  e  Picenzia  furno  aperte  e  gua- 
ste con  ferro  e  con  fuoco.  Fu  sconfitta  la 
gente  di  Rutilio,  fu  sconfitta  la  gente  di  Ce- 
pione,  e  Giulio  Ceserò  avendo  perduto  l'oste, 
ed  egli  essendo  riputato  morto,  con  misera- 
bile sepoltura  fecesi  andare  incontro  mezza 
Roma.  Ma  la  gran  fortuna  del  popolo  di 
Roma,  sempre  maggiore  nelle  avversitade, 
levossi  nuovamente  con  tutte  forze,  e  assali 
que'  popoli  ad  uno  ad  uno:  Cato  spacciò 
e  Toscani,  Gabinio  i  Marsi,  Carbone  i 
Lucani,  Siila  i  Sanniti,  e  Pompeo  Strabo, 
guastando  ogni  cosa  con  fuoco  e  con  ferro, 
non  puose  fine  a  1'  uccisione,  infino  che 
egli  non  guastò  Ascoli,  e  eh'  egli  non  fece 
sacrificio  alle  anime  di  tanti  osti  e  di  tanti 
consoli  e  di  tante  guaste  cittadi. 

La  guerra  con  gii  Servi. 

In  ogni  modo  come  che  fossi  combattuto 
con  gli  compagni,  almeno  era  la  discordia 
con  gente  libere  e  nobili.  Ma  chi  porta 
pazientemente  la  guerra  de'  servi  contra 
il  popolo  signore  del  mondo  ?  Primamente 
la  guerra  de'  servi  fu  nel  principio  in 
Roma ,    essendo    capo   Erdonio    Sabino,    e 


152 
combatterono  in  Roma  quando  essendo  Ro- 
ma occupata  per  le  discordie  de'  tribuni, 
Campodoglio  fu  assediato  e  fu  preso  per 
lo  consolo  ;  ma  questo  fu  più  tosto  tumulto 
che  guerra.  Poi  presa  signoria  per  diverse 
parti  del  mondo,  chi  crederebbe  che  Cicilia 
fossi  molto  più  guasta  per  la  guerra  de' 
servi  e  con  molto  più  sangue,  che  per  la 
guerra  degli  Africani  ? 

Erano  i  terreni  fruttevoli  di  biade,  e  la 
provincia,  quasi  ne'  barchi  di  Roma,  era 
occupata  ampiamente  da'  campi  de'  citta- 
dini romani,  ed  in  quella  erano  tenuti  a 
lavorare  la  terra  per  grande  quantitade 
servi,  presi  con  le  ferule  e  legati  con  ca- 
tene; e  questi  diedono  cagione  alla  guerra. 
Uno  di  Soria,  chiamato  per  nome  Euno,  il 
quale  mi  fa  ricordare  la  grandezza  de'  mali, 
infingendosi  essere  furioso ,  scrollando  la 
testa  innanzi  alla  dea  di  Soria  (1),  stimolò  i 
servi  a  libertà  ed  a  pigliare  arme,  quasi 
di  comandamento  degli  Dei;  e  gridando 
egli  che  quello  eh'  era  fatto,  procedeva  da 
Dio,  avendosi  messo  e  tenendo  in  bocca 
una  noce  piena  di  fuoco  e  di  zolfo,  sof- 
fiando fuori  lievemente  una  fiamma,  spar- 

(1)  La  dea  Cibele,  secondo  alcuni  commentatori. 


153 

geva  quella  tra  le  parole.  Questo  miracolo 
primieramente  fece  un'  oste  di  domila  uo- 
mini; poi  rotte  le  catene,  crescendo  la 
guerra,  fece  un'oste  di  più  di  sessanta 
milia;  ed  era  adornato  d'ornamenti  reali, 
acciò  che  non  mancassi  alcuna  cosa  ai 
mali,  e  guastava  con  miserabile  rovina 
castegli,  fortezze  e  ville.  Ancora  per  quella 
medesima  strema  vergogna  di  guerra  fu 
preso  il  campo  de'  pretori,  e  non  me  sera 
grave  nominargli:  il  campo  di  Manilio, 
di  Lentulo,  di  Pisone,  di  Ipsaco.  Adunque 
quegli,  i  quali  doveano  essere  presi  per 
fuggitivi,  perseguivano  con  la  battaglia  i 
pretori  capitani  che  fuggivano. 

Finalmente  fatto  capitano  Perperna,^fu 
fatto  vendetta  di  quegli.  Questo  avendogli 
sconfitti,  ultimamente  gli  assediò  presso 
al  monte  Etna  (1)  con  la  fame,  quasi  con  una 
pestilenzia;  quegli  che  avanzavano,  menogli 
presi  in  ceppi  ed  in  catene,  e  a  modo  di 
rubatori  fegli  porre  in  croce;  e  fu  contento 
ricevere  da'  servi  ovazione,  acciò  che  non 
offendessi  la  deguità  del  trionfo  con  la  de- 


(1)  Il  testo  Ialino  :  apud  Ennam,  città  di  Sicilia^ 
ora  Castro  Giovanni. 


154 
scrizione  de'  servi  (1).  Appena  ancora  quella 
isola  respirava,  e  subito  dai  servi  e  da  uno 
di  Scria  fue  fatto  mutazione  ad  uno  Cilice. 
Atenio  pastore,  avendo  morto  lo  suo  si- 
gnore, trasse  la  famiglia  de'  servi  di  quello, 
e  die  ordine  a  quella  sotto  una  insegna. 
Quegli  vestito  di  porpora  e  eoa  la  bac- 
chetta reale  d' argento ,  con  la  fronte  or- 
nata a  modo  di  re,  ragunò  oste  non  minore, 
che  prima  aveva  fatto  quello  furioso;  e 
molto  più  aspramente,  quasi  come  egli  ven- 
dicassi quello,  furiava  centra  le  ville,  le  città 
e  i  castelli ,  contra  i  signori  e  contra  i 
servi  più  odiosamente  che  contra  i  fuggi- 
tivi; e  da  questo  fumo  sconfitti  gli  osti 
del  pretore,  e  fu  preso  il  campo  di  Ser- 
vilio  ed  il  campo  di  Lucullo  Ma  Aquilio 
seguitò  r  asempro  di  Perperna,  e  condusse 
lo  nimico  ad  estremità  con  lo  suo  assedio, 
ed  indebolita  quella  gente  con  le  arme, 
lievemente  la  disperse  con  la  fame;  e  sa- 
rebbonsi  arrenduti,  se  non  che  per  paura 
de'  tormenti  uccisonsi  volontariamente,  e 
non  si  potè  fare  vendetta  del  capitano,  ben 


(1)  Vuol  dir  qui  Floro,  che  Perpenna  appa- 
gassi dell'  ovazione  per  non  diminuire  la  dignità 
del  trionfo,  col  titolo  d'  una  guerra  contro  schiavi. 


155 

eh'  egli  fossi  pi'eso,  perchè  contendendo  la 
moltitudine  pigliare  quello,  egli  già  pri- 
gione fu  tagliato  tra  le  mani  di  quegli 
che  '1  volevano  (1). 

La  guerra  con  Spartaco. 

Porta  pazientemente  la  vergogna  della 
guerra  de'  servi,  perchè  eglino  in  ogni 
cosa  sono  odiosi  per  fortuna,  e  nondime- 
no perchè  sono  uomini  quasi  di  seconda 
schiatta ,  abbiamgli  ne'  beni  di  nostra 
libertà.  Ma  io  non  so  con  che  nome  io 
chiami  la  guerra  mossa,  essendo  Spartaco 
capitano,  poiché  sendo  estati  i  servi  cava- 
lieri e  i  gladiatori  signori,  e  quegli  sieno 
uomini  di  menoma  condizione,  e  questi  di 
pessima,  aggiungono  miseria  alla  schernia. 
Spartaco,  Griso,  Enomao,  rotto  il  giuoco 
di  Lentulo,  con  trenta  e  più  compagni  di 
sua  condizione  si  partirono  da  Capoa,  e 
chiamati  servi  a  sua  insegna,  ragunaronsi 
subito  dieci  milia  uomini  e  più,  e  non  con- 
tenti solamente  essere  fuggiti,  già  si  vole- 
vano vendicare.  Prima  gli  piacque  ridursi 

(1)  Fu  dilaniato  da  coloro  che  se  lo  contrasla- 
vano  :  inter  rixautium  raanus  praeda  lacerata  est. 


156 
a  Vesuvio  monte,  come  ad  uno  tempio;  e 
sendo  assediati  da  Clodio  Glabrione,  asso- 
garsi  per  la  scesa  del  cavo  monte  con 
seghe  di  vite  appiè  del  monte,  e  discesi  a 
basso,  pigliarono  il  campo  del  capitano  con 
subito  furore,  non  pensando  egli  si  fatta 
cosa,  e  da  poi  1'  altro  campo,  e  poi  discor- 
sono  a  Cora  e  per  tutta  Campagna  ;  e  non 
contenti  di  guastare  le  ville  e  i  borghi, 
rubarono  con  terribile  disfazione  Nola , 
Nocera,  Turio  e  Metaponto. 

Traendo  gente  ogni  di  a  quegli,  e  già 
essendo  grande  oste,  eglino  che  prima 
avevano  scudi  di  vimini  e  di  scorze,  face- 
vano espade  ed  arme  del  ferro  delle  sue 
catene;  ed  acciò  che  non  mancassi  alcuna 
vergogna  a  quello  giusto  oste,  domavano 
le  bestie  che  eglino  pigliavano,  per  fare 
cavalieri;  e  tolte  le  insegne  di  quegli  che 
eglino  rubavano,  portavanle  al  capitano, 
e  quello  diventato  di  soldato  di  Tarzia 
cavaliere  fuggitivo  ;  poi  rubatore  ;  poi  levato 
in  onore  di  fortezza,  gladiatore,  faceva  sep- 
pellire i  corpi  de'  capitani  morti  nella 
battaglia  con  degnitade  d' imperadore,  ed 
intorno  alla  sepoltura  faceva  combattere 
con  le  arme  quegli  che  erano  prigioni, 
quasi  com'  egli  volessi  chiaramente  purgare 


157 
ogni  sua  passata  viltà,  diventando  egli  di 
gladiatore  donatore.  Poi  assaliti  i  consoli, 
sconfisse  l'oste  di  Lentulo  in  Apennino, 
e  appresso  di  Modena  sconfisse  1'  oste  e  '1 
campo  di  Gaio  Cassio  ;  per  le  quali  vettorie 
insuperbito,  diiiberava  assalire  la  città,  la 
qual  cosa  basta  a  nostra  vergogna. 

Finalmente  con  tutta  la  forza  dello  im- 
pei'io  fu  proceduto  contra  Mirmillone  (1),  e 
Licinio  Crasso  purgò  la  vergogna,  e  gli 
nimici  fuggirno  nella  strema  parte  d' Italia. 
In  quel  luogo  serrati  in  uno  cantone  di 
Bruzzi,  apparecchiandosi  eglino  a  fuggire 
in  Cicilia,  non  avendo  navigli,  provarno 
indarno  fare  navi  con  vasselli  e  graticci 
nello  correntissirao  mare.  Finalmente  usciti 
fuori ,  morirono  come  si  conveniva  a  va- 
lenti uomini,  e  combatterono  sanza  scam- 
biarsi, la  qual  cosa  convenne,  perchè  com- 
batterno  sotto  uno  gladiatore.  Spartaco 
nella  prima  eschiera  combattendo  arditis- 
simamente come  capitano ,  fu  morto. 


(1)  Il  titolo  di  Mirmillone  è  dato  qui  per  anto- 
nomasia a  Spartaco,  per  indicarlo  gladiatore. 


158 
La  guerra  civile  di  Mario  e  di  Siila. 

Questo  solo  male  mancava  al  popolo  di 
Roma,  che  già  intra  sé  in  casa  surgessi  la 
guerra  della  patria,  e  in  mezzo  Roma  e 
in  mezzo  la  piazza,  quasi  come  nella  rena 
a  modo  di  gladiatori,  combattessino  cittadi- 
no con  cittadino.  Con  più  paziente  animo 
portare',  come  che  fossi  fatto,  se  fossino 
stati  capitani  del  popolo,  o,  essendo  nobili, 
fossero  stati  almeno  di  bassa  condizione 
a  far  via  alle  crudeltadi.  Ma  che  peccato  fu 
quello,  che  si  fatti  uomini  e  sì  fatti  capitani, 
onore  ed  ornamento  del  suo  tempo,  Mario 
e  Siila,  dessino  la  sua  degnità  a  pessima 
opera!  Ed  acciò  ch'io  dica,  cosi  fu  lo 
movimento  per  tre  constellazioni:  prima- 
mente con  leggiero  e  piccolo  tumulto,  e 
minore  che  non  fu  la  guerra,  tra  quegli 
capitani  del  movimento  non  procedendo  a 
crudeltà  (1);  poi  fu  più  aspro  e  più  san- 
guinoso, furiando  la  vettoria  per  le  inte- 
riori di  tutto  lo  Senato;  l'ultimo  non  so- 


(1)  Il  testo:  intra  ipsos  armorum  duces  subsi- 
stente  saevitia,  ossia  non  estendendosi  fuori  de'  capi 
le  crudeltà  che  vi  si  commisero. 


159 
lamente  eccedè  le  animosità  della  guerra 
civile,  ma  passò  la  rabbia  de'  nimici;  e 
traendo  a  quello  il  furore  delle  arme  con 
la  possanza  di  tutta  Italia,  procede  con  gli 
crudeli  odii  infino  che  non  trovarono  più 
ch'egli  uccidessino. 

Cominciamento  e  cagione  della  guerra 
fu  la  insaziabile  fame  degli  onori  di  Mario, 
promovendo  egli  la  legge  Sulpizia  mentre 
la  provincia  era  data  a  Siila.  Ma  Siila 
incontanente,  impaziente  della  ingiuria, 
apparecchiò  le  legioni,  ed  indugiato  i  fatti 
di  Mitridate,  condusse  dentro  da  Roma  due 
schiere  per  la  porta  Esquilia  e  per  la  porta 
Collina;  onde  facendo  risistenzia  delibera- 
tamente con  la  sua  gente  Sulpicio  e  Albino- 
vano,  gittando  da  ogni  parte  delle  case 
pali,  sassi  e  lancie,  quello  si  fece  via  con 
fuoco,  e  montò  quasi  per  forza  in  Campo- 
doglio,  il  quale  era  campato  dagli  Africani 
ed  eziandio  dai  Galli  Senoni;  poi  per  di- 
creto  del  Senato  fatto  vendetta  degli  av- 
versarli e  de'  nimici,  fu  proceduto  crudel- 
mente di  ragione  contila  lo  presente  tribuno 
e  contra  gli  altri  di  diversa  setta.  Mario 
capo  fuggi  in  abito  di  servo,  anzi  fu  ri- 
serbato dalla  fortuna  all'  altra  guerra. 

Poi  nel  consolato  di  C.    Cornelio  Cinna 


160 
e  Gneo  Ottavio ,  il  fuoco  male  spento  si 
riaccese  per  la  discordia  di  quegli,  rimet- 
tendo al  popolo  di  ritornare  quegli,  i  quali 
il  Senato  aveva  pronunziato  nimici.  Es- 
sendo armato  il  consiglio,  ma  vincendo 
quegli,  ai  quali  pareva  meglio  la  pace  e  lo 
riposo,  Cinna  fuggi  della  sua  patria  alle 
parti;  poi  Mario  tornò  d'Africa  con  mag- 
giore peste,  perchè  la  prigione,  le  catene, 
la  fuga  e  lo  esigilo  avevano  fatta  orribile 
la  sua  degnità.  Adunque  per  la  nominanza 
di  tanto  uomo  ampiamente  corse  la  gente 
ad  arme.  Oh  che  mal  fu!  Egli  armava  i 
servi  e  i  prigioni,  e  lo  misero  rubatore 
lievemente  trovò  oste.  Adunque  tornando 
per  forza,  onde  per  forza  era  stato  cacciato, 
e'  potia  parere  eh'  egli  procedessi  di  ra- 
gione, s'  egli  non  avessi  corrotto  il  suo 
piato  colla  crudeltà. 

Ma  tornato  quello  odioso  agli  Dei  e  agli 
uomini,  subito  nel  primo  furore  prese  0- 
stia,  serva  e  madre  di  Roma,  con  crudele 
uccisione  ;  poi  entrò  in  Roma  con  quattro 
schiere,  e  avevano  partita  la  gente  Cinna 
e  Mario,  Carbone  e  Sertorio.  Allora  come 
fu  cacciata  di  lanicolo  tutta  la  gente  di 
Ottavio,  subito  dato  il  segno,  fu  usato  più 
crudeltà    in    Roma    con    la   uccisione    de' 


161 

principi,  che  non  era  stato  nelle  terre  degli 
Africani  o  de'  Cimbri.  La  testa  d'  Ottavio 
consolo  fu  posta  nel  consìglio ,  quella  d' 
Antonio,  dell'  ordine  de'  consoli,  fu  posta 
nella  mensa  di  Mario;  Cinna  uccise  due 
Crassi  padre  e  figliuolo,  1'  uno  in  cospetto 
dell'altro,  nelle  case  di  quegli  (1);  Bebio  e 
Numitorio  fumo  strascinati  con  uncini  per 
mezzo  la  piazza;  Catulo  si  campò  dalle 
schernie  de'  nimici ,  mangiando  il  fuoco; 
Merula  sacerdote  in  Campodoglio  bagnò 
gli  occhi  di  Giove  con  lo  sangue  delle  sue 
vene;  Ancario  fu  tagliato  in  cospetto  di 
Mario,  perchè  non  aveva  porto  quella  for- 
tunata mano,  salutando  lui  Mario.  Tutte 
queste  uccisione  fumo  fatte  dal  Senato 
nel  settimo  consolato  di  Mario,  da  calendi 
di  gennaio  infino  agli  tredici  di  di  quello  ; 
ma  che  avrebbe  egli  fatto ,  se  fossi  vivuto 
tutto  r  anno  ? 

Nel  consolato  di  Scipione  e  Norbano, 
tornò   lo  terzo  furore   della  civile  insania, 

(1)  Qui  il  traduttore  sconvolse  il  testo,  ove  si 
legge  :  Caesares  a  Fimbria  in  penatibus  domorum 
suarum  trucidantur;  Crassi  pater  et  filius  in  mutuo 
alter  alterius  conspectu  ;  Catulo  poi  si  affogò  col 
fuoco:  Calulus  se  ignis  haustu  ludibrio  hostium 
exemit. 

11 


162 
perchè  stando  da  una  parte  otto  legioni 
e  dall'  altra  cinquecento  coorti  annate, 
e  dall'  una  parte  Siila  tornando  d'  Asia 
con  lo  vettorioso  oste ,  e  Mario  sendo 
stato  si  crudele  contra  la  parte  di  Siila, 
quanta  crudeltà  era  bisogno,  acciò  che 
Siila  si  vendicassi  di  Mario?  Primamente 
fumo  alle  mani  appresso  Capua  e  al  fiume 
Volturno,  e  subito  fu  sconfitto  l' oste  di 
Nerbano;  e  subito  mostrando  speranza  di 
pace,  tutto  r  oste  di  Scipione  fu  vinto. 
Allora  Mario  giovane  e  Carbone  consoli, 
quasi  disperandosi  della  vettoria,  acciò  che 
non  perissino  sanza  vendetta,  sacrificavano 
a  sé  lo  non  toccato  sangue  del  Senato  (1); 
ed  avendo  assediata  la  corte,  traevano  fuori 
quegli  che  eglino  uccidevano,  come  d'una 
prigione;  e  molti  n'erano  morti  in  piazza 
e  in  palazzo  e  negli  aperti  tempii.  Quinto 
Muzio  Scevola,  sacerdote  di  Vesta,  non  era 
seppellito  solamente  di  quel  fuoco;  Lam- 
ponio  e  Telesino,  capitani  de'  Sanniti,  ru- 
bando, guastando  Campagna  e  Toscana 
con  più  crudeltà  che  Pirro  e  Annibale,  e 

(1)  Intendasi  che  Mario  e  Carbone,  disperando 
della  vittoria,  per  non  morire  invendicati,  preven- 
nero le  proprie  esequie,  cui  celebrarono  coli'  effu- 
sione del  sangue  dei  Senatori. 


163 

sotto  specie  delle  parte  facevano  sua  ven- 
detta. Appresso  Sacri poi-to  e  la  porta  Col- 
lina fu  sconfitta  tutta  la  gente  de'ninoici; 
in  quel  luogo  fu  vinto  Mario,  e  in  questo 
Telesino,  e  non  ebbe  perciò  fine  alla  uc- 
cisione quando  fu  fine  alla  guerra,  perchè 
ancora  fumo  adoperate  le  spade  in  tempo 
di  pace,  e  fu  proveduto  contra  quegli,  che 
s' erano  volontariamente  arrenduti.  Fu  il 
meno  che  appresso  Sacriporto  e  la  porta 
Collina  Siila  uccise  settanta  mila  uomini  e 
più,  ed  era  allora  guerra;  ma  comandò  che 
fossino  morti  quattro  milia  cittadini  disar- 
mati, i  quali  s'erano  arrenduti  nella  villa 
pubblica.  Ma  chi  potrà  annoverare  quegli, 
che  in  Roma  in  ogni  luogo  uccise  chiun- 
que volle,  infino  che  Furfidio  giovane  disse 
che  si  doveva  lasciare  vivi  alcuni,  acciò 
che  eglino  avessino  chi  signoreggiare  ;  e  fu 
proposta  quella  grande  tavola  del  fiore  de' 
cavalieri  e  del  senato,  dove  erano  eletti  do- 
milia  che  dovevano  morire,  ed  era  coman- 
damento di  nuova  maniera. 

Dopo  questo  mi  pesa  raccontare  essere 
fatta  schernia  di  Carbone,  di  Sorano  pretore 
e  di  Venuleio;  Bebio  sanza  ferro  essere  e- 
stracciato  tra  le  mani  degli  squarciatori  ; 
Mario,  fratello  del  grande  Mario,  innanzi  la 


164 

sepoltura  di  Catulo,  poi  che  ebbe  tagliato 
le  mani  e  i  piedi  e  cavato  gli  occhi,  essere 
serbato  per  alcuni  dì,  acciò  eh'  egli  morissi 
di  membro  in  membro.  E  poste  già  le 
pene  di  ciascuno  uomo  (1),  particolarmente 
le  nobili  terre  d' Italia  fumo  vendute  allo 
incanto:  Spoleto,  Interamno  (2),  Penestre  e 
Firenze.  Sormona,  antica  terra,  compagna 
e  amica,  non  essendo  ancora  vinta  (che 
fu  indegno  fatto),  come  stadigi  e  per  modo 
di  dannati  a  morte,  fumo  comandati  che 
fossiiio  menati  ;  e  cosi  Siila  comandò  che 
quella  dannata  città  fossi  guasta. 

La  guerra  dì  Sertorio. 

La  guerra  di  Sertorio  non  fu  altra  cosa, 
che  la  eredità  della  proscrizione  di  Siila, 
e  non  so  s' io  dica  più  tosto  de'  nimici , 
che  de'  cittadini  ;  per  certo  questo,  che  i 
Celtiberi  e  i  Lusitani  1'  avevano  fatta  sotto 
capitano  romano.  Quello  uomo,  cacciato 
e  posto  in  la  mortale  tavola,  uomo  di 
somma,  ma  di  misera  fortezza,  mescolò  cogli 

(1)  Il  testo:  Positis  singulorum  hominum  fere 
poenis,  poiché  ogni  uomo  fu  tormentalo  con  crudeli 
uccisioni,  ecc. 

(2)  Teramo. 


165 
suoi  mali  il  mare  e  la  terra  ;  e  già  avendo 
provato  la  fortuna  d'Africa,  e  già  delle 
Isole  Baleariche  entrato  nel  mare  Ociano, 
passò  alle  Isole  Fortunate,  e  finalmente 
ragunò  gente  d'  arme  in  Ispagna.  Lieve- 
mente s' accorda  valentre  uomo  con  gli 
valentri uomini;  e  non  apparve  meglio  altra 
volta  lo  valore  de'  cavalieri  spagnuoli,  che 
sotto  lo  capitano  romano,  e  perchè  quello 
non  si  contentò  di  Spagna,  guardò  a  Mi- 
tridate ed  a  quegli  da  Ponto,  e  ajutò  quello 
re  con  sue  navi;  e  segui  che  non  potè  risi- 
stere  sufficientemente  la  parte  de'  Romani 
a  sì  grande  nimico  con  uno  capitano,  anzi 
fo  aggiunto  a  Metello  Gneo  Pompeio.  Que- 
gli per  lungo  espazio  e  sempre  con  pericolo 
vinsono  le  genti  di  quello  valentro  uomo , 
e  non  ebbe  fine  la  guerra,  infino  che  egli 
non  fu  morto  per  crudeltà  e  per  tradi- 
mento de'  suoi.  La  sua  gente  fu  perseguita 
per  lungo  espazio  quasi  per  tutta  Ispagna, 
e  fu  domata  sempre  con  dubbiose  battaglie. 
Le  prime  battaglie  fumo  fatte  per  legati, 
da  una  parte  corseggiando  Comizio  e  Torio, 
dall'  altra  pai'te  gli  Erculei;  poi  essendo 
vinti  questi  presso  Segovia,  e  quegli  presso 
Ania  fiume,  quegli  capitani  appressati  cora- 
batterno  con  uguale   sconfitta   appresso   il 


166 
Laurone  e  appresso  il  Sucrone.  Allora  que- 
gli si  convertirono  a  guastare  le  ville  e  le 
campagne,  e  questi  a  guastare  le  cittadi  ;  e 
la  misera  Ispagna  sosteneva  pena  delle  di- 
scordie tra  i  capitani  romani ,  infino  che 
Sertorio  fu  morto  per  tradimento  de'  suoi, 
e  Perperna  fu  vinto  e  arrendessi,  e  le  città 
vennono  a  signoria  de'  Romani,  come  fu 
Osca,  Terme,  Tuzio,  Valenzia,  Ausima  e 
Calagure,  che  ogni  cosa  provò  colla  fame. 
E  così  ricevuta  Ispagna,  i  capitani  vinci- 
tori volsono  che  quella  guerra  fossi  stata 
con  estranii  e  non  con  gli  suoi,  acciò  che 
egli  ricevessino  lo  trionfo. 

La  guerra  civile  con  Lepido. 

Essendo  consoli  Marco  Lepido  e  Quinto 
Catulo,  la  civile  guerra  quasi  fu  finita  più 
tosto  che  cominciò;  ma  molto  e  ampia- 
mente arse  la  facella  di  quel  movimento 
per  la  morte  di  Siila,  perchè  sendo  Lepido 
per  superbia  cupido  di  novitade,  apparec- 
chiò guastare  le  cose  fatte  per  sì  grande 
uomo.  E  non  era  sanza  cagione,  se  egli 
avessi  potuto  sanza  grande  peste  della  ri- 
publica,  perchè  avendo  Siila  dittatore  per 
ragione  di  guerra  proscritti  i  nionici,  ri- 
tornando Lepido,  quegli  eh'  erano  campati. 


167 

a  che  altra  cosa  erano  quegli  tornati,  che 
a  guerra  ?  Ed  avendo  Siila  confiscati  i  beni 
dei  cittadini,  bene  che  fossino  male  usur- 
pati, essendo  ridomandati  di  ragione,  non- 
dimeno facevano  movimento  nella  quie- 
tata città.  Adunque  era  di  bisogno  alla 
ripublica  inferma  e  quasi  fedita  per  ogni 
modo  riposarsi,  acciò  che  le  sue  piaghe 
non  s'aprissino,  essendo  medicate;  ed  a- 
vendo  Lepido  con  torbidi  portamenti  im- 
paurita Roma  quasi  come  con  una  trom- 
betta, andando  in  Toscana,  aveva  condutto 
di  quella  gente,  e  fatto  oste  presso  a  Roma. 
Ma  già  Lutazio  Catulo  e  Gneo  Pompeio, 
capitani  e  gonfalonieri  sotto  la  signoria  di 
Siila,  con  uno  altro  oste  avevano  preso  lo 
ponte  sublizio  e  '1  monte  Icuiicolo;  e  da 
quegli  subito  nel  primo  furore  fu  cacciato 
indietro  Lepido,  e  fu  giudicato  nimico  del 
Senato,  e  sanza  effusione  di  sangue  fuggi 
in  Toscana  e  di  quella  in  Sardigna,  ed  in 
quel  luogo  mori  d'infermità  e  di  dolore. 
I  vincitori,  non  procedendo  furiosamente 
più  innanzi  con  la  guerra,  fumo  contenti 
rimanere  in  pace. 

Compie  qui  lo  terzo  libro  della  sommaria 
abbreviatura  di  Lucio  Floro;  comincia  lo 
quarto. 


LIBRO  IV. 


La  congiara  di  Catelina 

Lo  disordinato  spendere  primamente,  poi 
la  povertà  delle  cose  necessarie  per  sua 
famiglia,  ed  ancora  il  destro,  perchè  la 
gente  de'  Romani  era  nelle  streme  parte 
del  mondo,  indussono  Catelina  in  perversi 
consigli  di  guastare  la  sua  patria,  uccidere 
Io  Senato,  tagliare  i  consoli,  mettere  fuoco 
in  Roma,  rubare  Io  erario,  e  finalmente 
volgere  sottosopra  tutta  la  republìca,  e  con 
gli  compagni  fare  quello  che  Annibale 
non  parve  disiderare.  Egli  stesso  era  pa- 
trizio; ma  questo  è  meno:  i  Curii,  i  Porzii, 
i  Siili,  i  Cetegi,  gli  Antonii,  i  Varguntei 
e  i  Longini  che  famiglie!  Che  insegne  del 
Senato!  In  ispecialità  Lentulo  era  allora 
pretore,  e  tutti  questi  ebbe  fautori  allo 
crudelissimo  peccato.  Fu  aggiunto  per  fer- 


169 
mezza  della  congiurazione  crudelissima  il 
sangue  umano,  il  quale  portato  intorno 
nelle  coppe  eglino  bevvono  ;  e  sarebbe  e- 
stremo  peccato,  se  non  fossi  piii  quello 
per  che  egli  era  bevuto. 

Era  compiuto  il  fatto  di  si  bello  imperio 
per  quella  congiurazione,  se  non  fossi 
estata  nel  consolato  di  Tullio  e  d'Antonio, 
de'  quali  1'  uno  trovò  il  fatto  per  sua  indu- 
sti'ia,  r  altro  spacciò  con  le  mani,  e  fu 
trovato  quello  escellerato  fatto  per  Fulvia, 
vilissima  puttana;  ma  ella  fu  innocente  a 
manifestare  nominatamente  i  guastatori 
della  patria.  Allora  il  consolo  Tullio,  ra- 
gunato  il  Senato,  fece  una  orazione  contra 
lo  presente  guastatore  della  patria,  ma  non 
fu  fatto  più  innanzi  ;  se  non  che  lo  nimico 
fuggì,  ed  egli  minacciò  che  spegnerebbe 
lo  suo  fuoco  con  la  rovina.  Egli  andò 
in  Toscana  all'oste  apparecchiato  ed  a  Man- 
lio, per  muovere  le  sue  insegne  contra 
Roma.  Lentulo,  indovinando  che  la  signoria 
verrebbe  a  lui,  essendo  diputata  alla  sua 
famiglia  per  gli  versi  della  Sibilla,  nel  di- 
terminato dì  da  Catelina  per  tutta  Roma 
dispose  uomini,  fuoco  e  arme;  e  non  con- 
tento del  trattato  civile,  sollecitò  ad  arme 
ambasciadori  allobrogi,  i  quali  allora  erano 


170 
a  Roma  a  caso,  e  sarebbe  andato  lo  ro- 
more  oltre  le  Alpi,  se  non  fossino  state  te- 
nute le  lettere  del  pretore  con  uno  altro 
tradimento  di  Vulturcio;  ma  subito  per 
comandamento  di  Cicerone  quegli  barberi 
fumo  presi,  e  '1  pretore  palesemente  fu 
convinto  nel  Senato.  Di  punire  il  peccato. 
Ceserò  diceva  che  fossi  perdonato  alla  de- 
gnità;  Cato  diterminava  che  fossi  punito, 
la  quale  oppenione  seguendo  ogn'uomo, 
i  guastatori  della  patria  fumo  strangolati 
in  prigione. 

Bene  che  in  pai'te  la  congiurazione  fossi 
spenta,  Catelina  non  cessò  dalla  impresa, 
ma  tornando  di  Toscana  inverso  la  patria 
con  le  odiose  insegne,  fu  sconfitto  da 
r  oste  d'  Antonio ,  che  gli  andava  incon- 
tro; e  come  fossi  combattuto  aspramente, 
il  fine  lo  mostrò:  non  campò  alcuno  de'ni- 
mici  dopo  la  battaglia,  e  in  quel  luogo,  do- 
ve ciascuno  aveva  cominciato  a  combattere, 
in  quello  rimase  morto.  Catelina  fu  tro- 
vato lungi  dai  suoi  tra  i  corpi  de'  nimici, 
e  ben  fu  bellissima  la  sua  morte,  s'  egli 
fossi  perito  per  la  patria. 

La  gn^iorra  civile  di  Ceserò  e  di  Pompeo. 

Pacificato  già  quasi  tutto  il  mondo,  la 
signoria  era  sì  grande,  che  non  si  poteva 


171 

vincere  con  alcuna  strania  potenzia.  Adun- 
que la  invidiosa  fortuna  centra  lo  popolo 
signore  delle  genti  armò  quello  medesimo 
a  sua  morte,  e  la  rabbia  di  Mario  e  di 
Cinna  era  serrata  dentro  da  Roma,  quasi 
come  se  volessi  provare;  e  nondimeno  la 
tempesta  di  Siila  era  scoppiata  tanto  più 
ampiamente  dentro  da  Italia,  ma  lo  furore 
di  Ceserò  e  di  Pompeo  pigliò  Roma,  Italia, 
le  nazioni  e  finalmente  da  ogni  parte  che 
è  patente  lo  imperio,  quasi  come  uno  di- 
luvio e  come  una  fiamma,  in  tanto  che  non 
solamente  sia  detto  quella  essei'e  stata  ci- 
vile guerra,  né  sociale,  né  eziandio  con 
forestieri,  ma  più  tosto  di  tutti  questi  una 
guerra  comune  e  più  civile.  Perchè  se  tu 
guardi  ai  capitani  di  quella  guerra,  tutto 
lo  Senato  era  nelle  parti;  se  guardi  all'o- 
ste, da  una  parte  erano  undici  legioni, 
dall'altra  diciotto:  era  il  fiore  e  la  pos- 
sanza di  tutte  le  nobilita  di  Italia;  se  gli 
aiutorii  degli  amici,  da  una  parte  era  le 
cerne  di  Gallia  e  di  Germania,  dall'  altra 
Deiotaro,  Ariobarzane,  Tarcondimoto,  Coti 
e  la  possanza  di  tutta  Tarcia,  di  Cap- 
padocia,  di  Cilicia,  di  Macedonia  e  di 
Grecia  e  di  Etolia  e  di  tutto  1'  oriente.  Se 
guardi  al  tempo,  durò  quattro   anni ,  e  fu 


172 
piccolo  espazio  a  rispetto  al  danno  delle 
sconfitte;  se  guardi  allo  luogo  e  allo  spazio 
dove  fu  la  guerra,  fu  dentro  da  Italia,  e 
poi  si  volse  in  Gallia  e  in  Ispagna,  e  tor- 
nato da  ponente,  con  tutto  sforzo  si  ridusse 
in  Epiro  e  in  Tessaglia;  poi  passò  subito 
in  Egitto,  poi  si  volse  verso  Asia,  saltò 
in  Africa  e  ultimamente  die  volta  in  Ispa- 
gna, e  in  quel  luogo  per  alcuno  spazio 
finì.  Ma  r  odio  delle  parti  non  fini  con  la 
guerra,  perchè  non  fecioao  fine,  infino  che 
a  Roma  in  mezzo  del  Senato  1'  odio  de' 
vinti  non  si  saziò  conia  morte  del  vincitore. 

La  cagione  di  si  grande  miseria  fu  quella 
che  è  tra  tutti ,  la  troppa  felicità,  perchè 
sendo  consoli  Quinto  Metello  e  Lucio  A- 
franio,  essendo  chiara  per  tutto  il  mondo 
la  majestà  de'  Romani,  e  cantando  e  Ro- 
mani nei  palagi  di  Pompeo  le  nuove  vet- 
torie  di  Ponto  e  d'  Arminia  e  i  trionfi  di 
quello,  la  troppa  potenzia  di  Pompeo  presso 
gli  oziosi  cittadini,  secondo  che  suole,  mosse 
invidia.  Metello  e  Cato  mormoravano  contro 
a  Pompeo  e  contra  le  cose  fatte  da  lui: 
quello  per  lo  vetato  trionfo  di  Greti,  e 
questo  perchè  sempre  fu  contrario  verso 
e  potenti  uomini  ;  e  questo  dolore  lo  menò 
per  traverso,   e   stimolò  quello  a  pigliare 


173 

difesa  alla  sua  degnità.  A  caso  in  quello 
tempo  Crasso  era  in  grande  fiore  per  na- 
zione e  per  ricchezza  e  per  degnità,  ed 
ancora  egli  voleva  più  possanza;  ed  ecco 
Giulio  Ceserò,  il  quale  era  già  alzato  per 
loquenza  d'animo  e  per  lo  consolato,  e 
nondimeno  Pompeo  avanzava  ciascuno  di 
quegli.  Adunque  Ceserò  disiderando  d' ac- 
quistare degnità.  Crasso  per  accrescerla, 
Pompeo  per  conservarla,  tutti  ugualmente 
sendo  cupidi  di  potenzia,  accordaronsi  lie- 
vemente d' assalire  la  ripublica.  Adunque 
aiutando  V  uno  1'  altro,  ciascuno  si  sforzava 
a  suo  onore,  e  cosi  Ceserò  andò  in  Gallia. 
Crasso  in  Asia,  a  Pompeo  toccò  la  Spagna, 
ed  erano  tre  grandissimi  osti;  e  così  la 
signoria  del  mondo  fu  occupata  per  la 
compagnia  di  tre  principi. 

Durò  questa  compagnia  per  ispazio  di 
dieci  anni.  Poi  perchè  1'  uno  aveva  paura 
dell'  altro,  per  la  morte  di  Crasso  appresso 
i  Parti,  e  per  la  morte  di  Giulia,  figliuola  di 
Ceserò  e  moglie  di  Pompeo,  la  quale  teneva 
in  concordia  il  genero  e  '1  suocero  per  lo 
legame  del  matrimonio,  subito  la  invidia  se 
manifestò,  e  già  Pompeo  aveva  sospetto 
della  potenzia  di  Ceserò,  e  a  Ceserò  era  grave 
la  degnitade  di  Pompeo,  e  questo  non  so- 


174 
steneva  avere  pari,  né  quello  avere  magiore. 
Ed  era  cosa  scellerata  che  eglino  s'  affati- 
cavano per  la  signoria,  come  la  fortuna  di 
sì  grande  imperio  non  bastassi  a  due. 
Adunque  sendo  consoli  Lentulo  e  Mar- 
cello, fu  rotta  la  fé  della  prima  congiura- 
zione, e  della  successione  di  Ceserò,  il 
Senato,  cioè  Pompeo,  pensava,  e  quello  non 
lo  negava,  se  fossi  esaminata  la  sua  ragione 
ne'  prossimi  comizii.  Il  suo  consolato,  il 
quale  per  favore  di  Pompeo  dieci  tribuni 
avevano  diliberato,  poi  infingendosi  quegli, 
eragli  negato;  ed  era  detto  che  egli  tor- 
nassi ,  e  domandasselo  secondo  V  usanza 
degli  antichi.  Quello  per  contra  domandava 
il  dicreto,  e  se  eglino  stessine  nel  propo- 
sito, non  lascierebbe  l'oste.  Adunque  fu 
proceduto  contra  lui  come  contra  lo  nimico. 
Per  queste  cose  Ceserò  stimolato  diliberò  di 
difendere  lo  premio  delle  arme  con  le  arme. 

Lo  primo  campo  della  civile  guerra  fu 
in  Italia ,  nelle  cui  fortezze  era  Pompeo 
con  lievi  guarnimenti;  e  subito  nel  primo 
assalto  di  Ceserò  fu  vinta  ogni  cosa.  I 
primi  suoni  di  sue  insegne  fumo  a  Rimini, 
e  allora  fumo  cacciati  di  Toscana  Libone, 
Termo  di  Umbria,  Domizio  da  Corfinio, 
ed  era  compiuta  la  guerra  sanza  sangue, 


175 

s'  egli  avessi  potuto  vincere  Pompeo  a 
Brandizio,  e  aveva  cominciato  ;  ma  quegli 
fuggi  per  le  serraglie  di  notte  dell'  asse- 
diato porto.  Ed  è  brutta  cosa  a  dire:  quello 
che  poco  innanzi  era  principo  del  Senato 
e  governatore  di  guerra  e  di  pace,  fuggiva 
per  lo  mare,  del  quale  egli  aveva  trionfato, 
in  una  nave  mezzo  rotta  e  quasi  mezza 
disarmata.  E  non  fuggì  più  tosto  Pompeo 
di  Italia,  che  '1  Senato  di  Roma  ;  ed  entrato 
Ceserò  in  Roma  quasi  vuota,  fece  consolo 
sé  medesimo.  Il  santo  erario,  il  quale  i 
tribuni  non  aprivano,  e'  tosto  comandò  che 
fossi  rotto,  e  prima  tolse  per  rapina  lo 
trebuto  e  lo  patrimonio  del  popolo  di 
Roma,  che  lo  'mperio.  Cacciato  e  messo  in 
fuga  Pompeo,  volle  Ceserò  in  prima  ordi- 
nare le  Provincie,  che  seguire  quello.  Tolse 
Sardigna  e  Cicilia  per  suoi  legati  per  fer- 
mezza d'  avere  della  biada.  Non  era  al- 
cuna parte  in  guerra.  Egli  aveva  pacificato 
la  Gallia  (1),  e  passando  egli  in  Ispagna 
air  oste  di  Pompeo ,  quegli  da  Marsiglia 
ardirono  serrargli  le  porte,  e  quegli  miseri 
per  paura  di  guerra,  disiderando  pace, 
s'  abbatterono  alla  guerra  ;  ma  perchè  eli'  e- 

(1)  Il  testo  latino  ì  Nihil   hostile  erat    in  Gallia; 
pacem  ipse  fecerat. 


176 
ra  forte  di  mura,  comandò,  partendosi,  che 
ella  fossi  vinta,  e  quella  greca  città  non 
per  dilicanza  di  suo  nome  ardì  rompere  i 
dificii  e  ardere  i  mangani  e  venire  alle 
mani  in  battaglia  navale;  ma  Bruto,  al 
quale  era  commessa  la  guerra,  domò  quegli 
vinti  in  mare  e  in  terra.  Poi  arrenduti 
quegli,  fugli  tolta  ogni  cosa,  salvo  la  li- 
bertà, la  quale  eglino  riputavano  migliore 
di  tutte  le  cose. 

In  Ispagna  fu  dubbiosa  e  varia  guerra 
con  gli  legati  di  Gneo  Pompalo,  Petreio  e 
Afranio,  i  quali  avendo  il  campo  ad  Ilerda 
presso  il  fiume  Sicoris,  egli  cercò  assediare  e 
partirgli  dalla  terra.  In  quel  mezzo  soprave- 
nendo la  fiumana  del  tempo  del  verno  (I), 
non  aveva  vettuvaglia,  e  così  lo  suo  campo 
fu  tentato  dalla  fame,  ed  egli  eh'  assediava, 
quasi  era  assediato.  Ma  poi  che'  1  fiume 
ebbe  pace,  scoperse  le  campagne  a  poter 
correre  e  combattere.  In  quel  mezzo  egli 
aspro  persevei'ò,  e  partendosi  quegli  per 
andare  in  Celtiberia,  seguigli  e  assediogli 
con  una  fossa  e  con  uno  steccato,  e  per 
questo  per  la  sete  costrinsegli  a  l'endersi; 


(1)  Il  testo:  Interim   obundatione  verni  flumìnis 
commeatibus  proliibetur. 


177 

cosi  la  Spagna  di  qua  s'  arrendè,  e  quella 
di  là  non  fece  indugia,  perchè  che  poteva 
fare  una  legione,  essendone  vinte  cinque? 
Adunque  volontariamente  arrendendosi  Var- 
rone.  Gade,  il  mare,  lo  Odiano,  ogni 
cosa  seguiva  la  felicità  di  Ceserò.  Non- 
dimeno r  avversa  fortuna  ardì  alcuna  cosa 
contra  lo  assente  capitano  in  Ischiavonia 
e  in  Africa,  quasi  come  a  studio,  acciò 
che  le  sue  prosperitade  fossino  splendiente 
per  le  avversitade;  perchè  sendo  mandati 
Antonio  e  Dolabella  a  pigliare  la  entrata 
del  mare  Adriatico,  e  Antonio  avendo  posto 
il  campo  dalla  parte  di  Schiavonia,  e  l'altro 
dalla  parte  di  Italia,  e  tenendo  già  Pompeo 
il  mare  da  ogni  parte,  subito  Ottavio  Li- 
bone  suo  legato  con  grande  moltitudine 
di  stromenti  assediò  ciascuno.  Antonio 
s'  ari'endè  per  fame,  e  Basilio  gli  mandò 
navi  in  aiutorio,  com'egli  per  bisogno 
di  nave  aveva  fatto  (1);  ma  i  Pompe- 
iani con  nuova  arte  di  corsari,  messe  funi 
in  mare,  pigliarono  alcune  di  quelle,  e 
nondimeno  due  passorno  per  lo  corrente 
del   mare;  ma  una,  nella  quale  era  gente 

(1)  Il  testo  latino:  Missae  quoque  a  Basilo  in 
auxilium  ejus  rates,  quales  inopia    navium  fecerat. 

12 


178 
da  Ovedercio  (1),  rimase  in  sul  passo,  ed 
ebbe  fine  raemoriabile  a  quegli  che  dove- 
vano seguire,  perchè  quella  brigata  quasi 
di  mille  giovani,  essendo  assediata  da  ogni 
parte,  da  sesta  sostenne  la  battaglia  tutto 
il  di;  e  non  potendo  la  sua  prodezza  fare 
pruova,  nondimeno,  acciò  che  non  fossino 
presi,  per  conforto  di  Vulteio  tribuno  vol- 
sonsi  tra  sé  ed  uccisono  1'  uno  1'  altro. 

In  Africa  fo  simile  prodezza  e  danno 
ricevuto  per  Curione,  il  quale  mandato  a 
pigliare  quella  provincia,  avendo  egli  scon- 
fitto e  messo  in  fuga  Varo ,  già  sendo 
superbie  (2),  non  potè  sostenere  lo  subito 
assalto  di  Giuba  re  e  la  gente  di  Mauri;  e 
sendo  egli  vinto,  potea  fuggire,  ma  la 
vergogna  lo  confortò  che  egli  seguisse  con 
la  morte  lo  perduto  oste  per  sua  temerità. 
E  già  domandandolo  la  fortuna,  Pompeo 
aveva  eletto  per  sedia  della  guerra  1'  Epiro. 
Ceserò  non  indugiò,  anzi  ordinato  ogni 
cosa  dopo  sé,  bene  che  '1  tempo  lo  vetassi, 
essendo  in  mezzo  il  verno,  navicò  ai  ni- 
mici,  e  posto  il  campo  presso  Orico,  fa- 
cendo indugio  parte  dell'  oste  rimaso  con 

(1)  Il  testo:  Opiterginos,  que'  da  Oderzo. 
(2)  Il  testo:  pulso  fugatoque  Varo jam  superbus. 


179 

Antonio  a  Brandizio  per  povertade  di  navi, 
era  sì  impaziente,  che  di  notte  nascosa- 
mente tentò  andare  per  menai'e  quegli  solo 
in  una  piccola  nave,  furiando  il  mare  di 
venti.  Truovasi  che  egli  disse  questa  parola 
ad  Amiclate  suo  nocchiere,  smarrito  per 
sì  grande  pericolo:  «  Di  che  ài  tu  paura? 
Tu  porti  Ceserò  ». 

Ragunato  da  ciascuna  parte  lo  sforzo,  e 
posto  il  campo  l' uno  appresso  l' altro,  i 
capitani  facevano  diversa  diliberazione.  Ce- 
serò, naturalmente  feroce  e  cupido  di  finire 
la  cosa,  mostrava  l'oste,  attizzava  lo  nimico, 
stimolava,  assediava  lo  campo,  il  quale  ave- 
va circondato  con  uno  steccato  di  sedici 
miglia;  ma  non  gli  noceva  l'assedio,  avendo 
egli  abondanzia  di  tutte  cose  per  mare,  e 
r  assedio  di  Durazzo  era  indarno,  lo  quale 
il  sito  aveva  fatto  inespugnabile.  In  quel 
luogo  sendo  continove  battaglie  per  uscire 
fuori,  apparve  la  nobile  prodezza  di  Sceva 
centurione,  nel  cui  scudo  erano  fitte  cento 
venti  saette.  Già  erano  prese  e  guaste  cit- 
tade  degli  amici,  com'  era  Orico  e  Gomfos 
e  altre  castella  di  Tessaglia. 

Centra  queste  cose  Pompeio  indugiava, 
tiravasi  addietro,  acciò  che  egli  impaurissi 
il  nemico  chiuso   da  ogni   parte  dalla  bi- 


180 
sogna  della  vettuaglia,  e  acciò  che  si  ri- 
freddassi lo  impeto  dello  ardentissirao  ca- 
pitano; ma  non  durò  lungamente  a  Pompeo 
lo  savio  consiglio.  I  cavalieri  biasimavano 
stare  in  ozio,  gli  aiutorii  biastemavano  la 
indugia,  i  principi  biastemavano  la  cupidità 
del  capitano  ;  e  così  traboccando  la  fortuna, 
fu  eletta  Tessaglia  per  la  battaglia,  e  sui 
campi  di  Filippi  fu  commessa  la  fortuna 
dello  imperio,  di  Roma  e  della  umana  gene- 
razione. Non  vide  mai  la  fortuna  in  alcuno 
luogo  tanta  possanza  né  tanta  degnità  del 
popolo  di  Roma.  Erano  tra  dell'  una  e 
dell'  altra  parte  trecento  e  più  migliaia 
d'  uomini,  sanza  1'  aiutorio  dei  re  e  del 
Senato,  e  non  fumo  mai  più  manifesti 
segni  della  rovina  che  soprastava.  Gli  ani- 
mali fuggirono  del  sacrificio,  gli  isciami 
degli  api  vennono  nelle  insegne,  del  di  si 
fé  notte;  il  capitano  medesimo  in  sogno 
udì  baci  nel  suo  teatro  in  modo  di  pianto, 
e  la  mattina  (che  fu  rio  segno)  fu  veduto 
vestito  di  nero.  Non  fu  mai  1'  oste  di 
Ceserò  più  pronto  né  più  allegro  ;  da  quella 
parte  dove  prima  sonavano  gli  stormenti, 
prima  cominciò  la  battaglia.  Fu  notata  la 
lancia  di  Crastìno,  il  quale  cominciò  la  bat- 
taglia, il  quale  poi  fu  trovato  tra  i  corpi  con 


181 

uno  coltello  fitto  nella  bocca,  e  per  la 
novità  della  fedita  mostrava  la  rabbiosa 
cupidità,  con  la  quale  egli  aveva  combat- 
tuto. Non  fu  meno  ammirabile  lo  fino 
della  battaglia,  perchè  abbondando  Pompeo 
di  grande  moltitudine  di  cavalieri,  acciò 
che  egli  paressi  lievemente  circondare  Ce- 
serò, fu  circondato:  perchè  combattendo 
egli  di  pari  per  lungo  espazio,  e  di  coman- 
damento di  Pompeo  uscendo  fuori  della 
schiera  i  cavalieri,  subito  dall'altra  schiera 
fatto  segno ,  le  coorti  de'  Tedeschi  fe- 
ciono  si  grande  assalto  contra  gli  sparti 
cavalieri,  che  quegli  parevano  essere  pedoni 
e  questi  cavalieri;  e  dietro  a  questa  rotta 
de*  cavalieri  che  fuggivano,  seguì  la  ro- 
vina de'  cavalieri  di  lieve  armadura.  Allora 
ampiata  la  paura,  impacciandosi  la  gente 
intra  sé,  tutta  1'  altra  sconfitta  fu  fatta 
quasi  come  d'  una  schiera.  Non  fu  alcuna 
cosa  più  nociva  che  la  grandezza  dell'  oste. 
In  quella  battaglia  valse  molto  Ceserò,  e 
fu  quando  capitano  e  quando  cavalieri,  e 
andando  egli  intorno,  udivasi  queste  boci  ; 
r  una  era  sanguinosa  ma  di  majesterio,  ed 
apparteneva  alla  vettoria,  dicendo  egli: 
«  Combattete  e  fedite,  cavalieri,  nella 
faccia   »  ;   1'  altra    era   posta   a   sua   loda , 


182 

dicendo  egli:  «  Perdonate  ai  nostri  citta- 
dini »,  seguendogli  egli. 

E  come  che  fossino  fatti  i  mali ,  beato 
Pompeo,  se  egli  avessi  avuta  quella  fortuna, 
che  ebbe  lo  suo  oste;  ma  egli  vinse  più 
che  la  sua  degnità,  acciò  che  con  maggiore 
vergogna  fuggissi  a  cavallo  per  gli  boschi 
di  Tessaglia,  e  con  una  barca  arrivassi  a 
Lesbo,  e  arrivato  ad  Edris,  scoglio  nel  di- 
serto di  Cilicia,  esaminassi  se  egli  volessi 
fuggire  in  Partia  o  in  Africa  o  in  Egitto; 
e  acciò  che  finalmente  fossi  morto  nel  lido 
d'Egitto,  di  comandamento  d'  uno  vilissimo 
re  per  consiglio  degli  schiavi,  e  acciò  che 
non  mancassi  alcuna  cosa  ai  mali,  fu 
trucidato  con  lo  coltello  di  Settimio,  il 
quale  era  in  prima  partito,  e  questo  in 
presenzia  della  moglie  e  de'  figliuoli. 

Ma  chi  non  avrebbe  creduto ,  che  fossi 
compiuta  la  guerra  con  Pompeo  ?  Ma  molto 
più  aspro  e  caldo  si  raccese  lo  fuogo  della 
cenere  dell'incendio  di  Tessaglia,  e  fu  la 
guerra  d'  Egitto  contra  Ceserò  sanza  le 
parti  ;  perchè  avendo  compiuto  Tolomeo , 
re  d' Alessandria,  lo  sommo  male  della  ci- 
vile guerra,  e  avendo  fermato  concordia 
e  amistà  con  Ceserò  con  la  testa  di  Pom- 
peo, cercando  la  fortuna  vendetta  all'  ani- 


183 

ma  di  si  grande  uomo,  non  mancò  cagio- 
ne. Cleopatra,  sorella  di  quello  re,  inginoc- 
chiata innanzi  a  Ceserò,  domandava  parte 
del  regno.  Era  quella  fanciulla  bella,  e  per- 
chè ella  si  fatta  pareva  avere  ricevuta  in- 
giuria, duplicava  l'odio  contro  lo  re,  il 
quale  aveva  morto  Pompeo ,  non  per  ri- 
spetto di  Ceserò,  ma  per  la  fortuna  delle 
parti ,  sendo  ardito  sanza  dubio  fare  quel 
medesimo  contra  Ceserò ,  s'  egli  n'  avessi 
avuto  destro.  E  come  Ceserò  comandò  che 
Cleopatra  fossi  ristituita  nel  regno,  subito 
fu  assediato  da  quegli,  che  avevano  morto 
Pompeo,  nel  palazzo  del  re,  dove  con  pic- 
cola fatica  sostenne  grande  moltitudine 
con  maravigliosa  prodezza  ;  e  primamente 
messo  fuoco  ne'  prossimi  dificii  e  nelle 
navi  del  porto,  disfece  Ceserò  gli  armati 
nimici  ;  poi  subito  fuggi  dalla  parte  di  die- 
tro air  isola  Faron ,  e  cacciato  di  quella 
in  mare,  con  maravigliosa  felicità  notò  alle 
prossime  navi ,  lasciato  in  suso  le  onde 
lo  mantello ,  o  che  fossi  a  caso ,  o  che 
fossi  a  studio,  acciò  che  i  nimici  che  so- 
prastavano, gittassino  in  quello  le  lancie 
e  i  sassi.  Poi  ricevuto  nelle  sue  navi,  as- 
sali da  ogni  parte  e  sconfisse  quella  per- 
fida gente ,  e  fece  giusto  sacrificio    all'  a- 


184 
nima  di  suo  genero,  perchè  Teodoto,  au- 
tore e  maestro  di  tutta  la  guerra,  Potino 
e  Ganimede,  mostri  non  virili,  fuggendo 
diversamente  per  mare  e  per  terra,  fumo 
perseguiti  e  morti;  il  corpo  del  re  fu  tro- 
vato soppellito  nel  sabbione,  onorato  d'uno 
corsaletto  dorato. 

In  Asia  era  un  nuovo  movimento  di  cose 
dalla  parte  di  Ponto,  quasi  come  per  certo 
studiosamente  cercando  questo  la  fortu- 
na (1),  che  lo  padre  fossi  vinto  da  Pompeo, 
e  lo  figliuolo  da  Ceserò.  Farnace  re  aveva 
corso  ia  Cappadocia  come  nimico  più  per 
speranza  di  nostra  discordia,  che  di  sua  ver- 
tù.  Ceserò  assali  e  sconfisse  questo  in  una 
(e  ancora  posso  dire)  non  compiuta  bat- 
taglia come  uno  folgore,  e  in  uno  movi- 
mento percosse  e  partissi.  Non  fu  una  lo- 
da di  Ceserò,  che  '1  nimico  fu  vinto  in- 
nanzi che  veduto,  e  cosi  fece  con  gli  stra- 
nii.  Ma  in  Africa  fumo  le  cose  molto  i- 
stranie  e  più  aspre  con  gli  suoi  cittadini 
che  in  Tessaglia,  ed  in  quel  luogo  aveva 
mandato  il  mare  quegli  che  restavano  delle 


(1)  Il  testo  latino:  piane  quasi  de  industria  ca- 
ptante fortuna  hunc  Mithridatico  regno  exitum,  ut 
a  Pompejo  pater  etc. 


185 

parte  disperse ,  e  non  averesti  detto  che 
fossi  no  state  genti  avanzate,  anzi  guerra 
integra.  Era  una  possanza  stata  più  to- 
sto sparta  che  sconfitta,  e  la  sconfitta  del 
capitano  aveva  accresciuto  lo  sacramento, 
e  non  erano  inviliti  i  capitani  eh'  erano 
socceduti,  perchè  assai  era  famoso,  in  luogo 
di  Pompeo,  Cato  e  Scipione,  ed  aggiun- 
sesl  alla  possanza  Juba  re  di  Mauritania , 
cioè  perchè  la  vincita  di  Ceserò  fosse  mi- 
gliore. Dunque  non  fu  alcuna  differenzia 
di  quello  che  fu  fatto  in  Farsaglia  e 
quello  che  fu  fatto  a  Tapso ,  se  non  che 
r  impeto  della  gente  di  Ceserò  fu  magio- 
re,  perchè  fu  più  aspro,  avendo  a  sdegno 
che  dopo  Pompeo  fossi  cresciuta  la  guer- 
ra ,  e  finalmente  (quello  che  mai  non  era 
avvenuto,  innanzi  che  '1  capitano  lo  coman- 
dassi) che  da  sé  medesimo  sonò  il  segno. 
La  sconfitta  cominciò  da  Juba:  i  suoi  leo- 
fanti non  ammaestrati  di  battaglia ,  ma 
pure  allora  venuti  dalla  selva,  impauriti 
per  lo  subito  suono  delle  trombe,  missono 
r  oste  incontanente  in  fuga,  e  i  capitani 
peggio  che  in  fuga,  e  non  morirono  tutti 
valentremente.  Scipione  fuggì  in  nave,  ma 
seguendolo  i  nimici,  egli  s' uccise  ;  e  do- 
mandando alcuno  dov'egli  si  fosse,  rispose 


186 
egli  medesimo  :  «  Lo  imperadore  sta  bene.  » 
Juba  fuggito  nella  casa  reale,  andò  a  man- 
giare magnificamente  lo  seguente  di  egli 
e  Petreio,  con  lo  quale  egli  fuggiva:  poi 
che  ebbe  mangiato  e  bevuto,  dissi  a  Pe- 
treio che  r  uccidessi,  ed  egli  ubbidì  al  re, 
e  uccise  sé,  ed  in  quel  mezzo  insanguinò 
la  mensa  e  '1  cibo ,  mezzo  mangiato,  del 
■  sangue  del  re  e  del  sangue  romano. 

Cato  non  fu  in  quella  battaglia,  ma  po- 
sto il  campo  appresso  il  fiume  Bagrada, 
guardava  Utica  come  una  delle  serraglie 
d'  Africa.  Ma  udita  la  sconfitta  della  sua 
parte ,  non  indugiò,  come  degna  cosa  era 
del  savio,  ed  eziandio  allegro  cercò  mo- 
rire; e  poi  che  egli  ebbe  abbracciato  lo 
figliuolo  e  i  compagni,  licenziogli,  e  letto 
in  quella  notte  a  lume  di  lucerna  il  libro 
di  Plato,  nel  quale  egli  insegna  l'anima  es- 
sere immortale,  dormi  un  poco;  poi  dopo 
il  primo  sonno  ignudò  il  coltello  e  sco- 
persesi  lo  petto  con  la  sua  mano,  e  fedissi 
due  volte;  e  dopo  questo  cercando  i  medici, 
questi  ajutoronlo  con  le  medicine.  Egli  il 
comportò    (1),    e    partiti    quegli,    egli    si 

(1)  Il  testo:  Ausi  post  hoc  virum  medici  viola- 
re fomentis,  frase  assai  più  significativa  della 
sua  corrispondente  in  volgare,  assai  scorretta. 


187 

squarciò  la  piaga,  della  quale  usci  molto 
sangue;  le  mani  che  già  morivano,  rima- 
sono  nella  fedita. 

Da  capo  fumo  prese  le  armi,  come 
mai  non  fossi  stato  combattuto ,  e  quanto 
Africa  aveva  avanzato  Tessaglia,  Ispagna 
avanzava  Africa.  Dava  molto  favore  alla 
parte,  che  i  capitani  erano  frategli,  e  per 
uno  Pompeo  erano  ritrovati  due  Pompei. 
Adunque  in  niuno  luogo  fu  più  aspra- 
mente combattuto  né  con  maggiore  peri- 
colo ,  e  primamente  combatterò  Varo  e 
Didio  legati  nella  entrata  del  mare  Oceano  ; 
ma  fu  più  aspra  battaglia  con  lo  mare , 
che  le  navi  ebbono  intra  sé,  e  pure,  come 
r  Oceano  castigassi  lo  furore  civile,  da 
ciascuna  parte  ruppe  le  navi  e  affondò. 
Che  paura  era  quella,  che  in  uno  mede- 
simo tempo  r  onde ,  la  tempesta ,  gli  uo- 
mini ,  le  navi  e  gli  armamenti  delle  navi 
combattevano?  Aggiungi  ancora  la  paura 
dello  luogo,  dove  da  l' una  parte  piega  lo 
lido  di  Spagna,  dall'  altro  lo  lido  di  Mau- 
ritania, il  mare  che  è  dentro  e  quello  che 
è  di  fuori,  al  quale  sovrastavano  le  mon- 
tagne d'  Ercole  ;  e  sendo  ogni  cosa  e  da 
ogni  parte  aspi'a  per  la  battaglia  e  per  la 
tempesta   di    ciascuna   parte ,    corsono    ad 


188 
assediare  le  cittade,  le  quali  misere  porta- 
vano   pena  dell'   amistà    de'    Romani    tra 
r  uno  e  r  altro  capitano. 

L'  ultima  battaglia  di  tutte  fu  a  Monda, 
dove  non  fu  la  felicità  come  altrove,  ma 
fu  battaglia  dubiosa  e  trista  e  per  lungo 
espazio,  in  tanto  che  la  fortuna  pareva  dili- 
berare non  so  che;  e  per  certo  Ceserò  mede- 
simo stava  innanzi  alla  schiera  tristo  e  non 
secondo  usanza ,  o  che  egli  il  facessi  per 
rispetto  della  umana  fragellità,  o  per  so- 
spetto della  grande  conti nuanza  della  pro- 
speritade  ,  o  pel  timore  di  quelle  cose, 
ch'erano  avvenute  a  Pompeo,  essendo  e- 
gli  venuto  al  grado  ove  quello  era  stato. 
Combattendo  egli  per  lungo  spazio,  la  bat- 
taglia sendo  pari  (la  qual  cosa  niuno  si 
ricordava  essere  stata  altra  volta),  e  non 
facendo  altro,  se  non  che  le  parti  si  ta- 
gliavano in  mezzo  dello  ardore  de'  com- 
battitori ,  fu  fatto  subito  grande  silenzio 
da  ciascuna  parte,  quasi  come  allora  fos- 
sino  accordati  i  sensi  di  tutti.  Ultima- 
mente avvenne  quello  inusitato  miracolo 
agli  occhi  di  Ceserò  dopo  quattordici  anni, 
che  la  provata  brigata  degli  antichi  cava- 
lieri si  cessò  indietro  ;  e  bene  che  non  fug- 
gissi no  ancora,  pareva  che  la  vergogna  più 


189 
tosto  gli  ritenessi  che  la  vertù.  Ma  smonta- 
to da  cavallo ,  a  modo  di  furioso  corse  nella 
prima  schiera  ,  e  in  quel  luogo  rivolgeva 
quegli  che  fuggivano,  e  confortavagli ,  e 
finalmente  correva  per  tutto  l'oste  con  gli 
occhi,  con  le  mani  e  con  la  boce.  Dicesi 
che  in  quella  turbazione  in  sé  medesimo 
e'  pensò  della  morte,  e  cosi  mostrò  nel 
volto  quasi  com'  egli  si  volessi  uccidere 
con  la  sua  mano;  se  non  che  cinque  coorti 
de'  nimici  passando  a  traverso  1'  oste,  pa- 
revano fuggire,  le  quali  Labieno  aveva 
mandato  in  soccorso  da  quella  parte  che 
r  oste  piegava .  Questo  egli  credette,  ov- 
vero egli  scaltrito  capitano  disse  che  era 
per  seguirli  come  eglino  fuggissino ,  e 
cosi  dirizzò  gli  animi  de'  suoi  e  impauri 
quegli  de'  nimici,  perchè  i  suoi,  pensando 
vincere,  combatterno  più  arditamente;  e 
quegli  di  Pompeo,  credendo  che  i  suoi 
fuggissino,  cominciorno  a  fuggire. 

Come  fossi  grande  la  mortalità  de'  ni- 
mici, la  ira  e  '1  furore  dei  vincitori,  puossi 
estimare  in  questo  modo:  quegli  che  fug- 
givano di  quella  battaglia,  tornati  a  Monda, 
Ceserò  subito  comandò  che  fossino  assedia- 
ti,' e  fece  fare  uno  arzero  (1  )  di  corpi  morti, 

(1)  Un  argine  di  corpi  morti;  il  testo  latino: 
congestis  cadaveribus  agger  effectus  est. 


190 
i  quali  erano  confitti  insieme  con  le  lan- 
de e  con  le  saette ,  la  qual  cosa  sarebbe 
stata  brutta  eziandio  tra  i  barberi;  ma  di- 
sperandosi della  vettoria  i  figliuoli,  Gneo 
fuggì  della  battaglia  fedito  nella  gamba 
per  luoghi  diserti  e  sanza  via,  il  quale 
Cesonio  perseguì  appresso  Laurone  castello, 
e  combattendo  quegli  perchè  ancora  non  si 
disperava,  ucciselo,  e  in  quel  mezzo  la  fortu- 
na nascose  Sesto  in  Celtiberia,  e  salvollo  ad 
altre  guerre  dopo  Ceserò.  Ceserò  vincitore 
tornò  nella  patria.  Lo  primo  trionfo  e  d'oro 
diedero  lo  Reno  e  '1  Rodano  e  1'  Oceano, 
il  quale  era  stato  vinto;  V  altro  trionfo  e 
di  lauro  dava  lo  Egitto  e  '1  Nilo,  Arsinoe 
e  '1  faro  ardente  a  similitudine  d'  uno  fuo- 
co; lo  terzo  carro  era  di  Farnace  e  di 
Ponto;  lo  quarto  di  Tuba  e  di  Mauri,  e 
poi  mostrava  la  Spagna  due  volta  som- 
messa. Di  Farsaglia,  di  Tapso  e  di  Monda 
non  faceva  menzione;  e  molto  maggiori 
cose  erano  quelle ,  delle  quali  egli  non 
trionfava. 

Allora  fu  alcuno  fine  alla  guerra;  la  pace 
dopo  tante  cose  fu  .sanza  sangue,  e  fu 
mutata  in  benignità  la  guerra;  niuno  fu 
morto  per  suo  comandamento,  se  non  A- 
franio,   al  quale  bastava  avere  perdonato 


191 

una  volta,  e  Fausto  Siila;  aveva  imparato 
temere  Siila,  genero  di  Pompeo,  e  la  fi- 
gliuola di  Pompeo  e  i  cugini  di  quella,  e 
questo  Siila  era  sospetto  per  quegli  che 
restavano.  Adunque  dai  cittadini  non  in- 
grati gli  onori  fumo  attribuiti  al  solo 
principe.  Per  gli  tempii  erano  poste  le 
imagini,  nel  teatro  una  corona  ornata  di 
raggi,  alta  sedia  nella  corte,  alta  sedia  in 
casa,  nel  cielo  un  mese(l);  e  a  questo  era 
aggiunto,  che  egli  era  chiamato  padre  della 
patria  e  perpetuo  dittatore,  ed  è  in  dubio 
se  fu  di  sua  volontà.  Ultimamente  Antonio 
gli  presentò  in  consiglio,  sendo  consolo, 
gli  ornamenti  reali.  Le  quali  tutte  cose  si 
ragunavano  insieme  come  bende  d'uno  ani- 
male diputato  a  sacrificio,  perchè  la  invidia 
vinse  la  benignità  di  quel  principe,  ed  era 
grave  ai  liberi  uomini  la  possanza  di  dare 
i  beneficia  Non  fu  conceduta  lungamente 
la  indugia  ;  anzi  Bruto  e  Cassio  e  gli  altri 
patrizii  s'  accordarono  alla  morte  di  quello 
principo.  Oh  come  è  grande  la  forza  della 
fortuna!  Era  ampiata  la  congiurazione,  e 
in  quel    medesimo   dì   eziandio   fu   fatta  a 

(1)  Il  lesto  latino:  mensis  in  coelo,  cioè  fu  chia- 
mato Julius  il  mese,  che  dapprima  dicevasi  Quin- 
di lis. 


192 

Ceserò  uaa  scritta,  e  non  aveva  potuto 
fare  sacrificio  con  cento  animali.  Andò  non- 
dimeno alla  corte  sopra  pensiero  di  man- 
dare l'oste  in  Partia,  e  in  quello  luogo, 
sedendo  egli  nella  sua  sedia,  i  sanatori 
r  assalirono  e  fu  fatto  cadere  fedito  di 
ventitré  piaghe;  e  così  egli,  il  quale  aveva 
pieno  il  mondo  di  sangue  de'  cittadini, 
finalmente  empiè  la  corte  del  suo  sangue. 

La  gaerra  civile  con  Ceserò  Angnsto. 

Dopo  la  morte  di  Ceserò  e  di  Pompeo, 
il  popolo  di  Roma  pareva  essere  tornato 
nello  estato  della  prima  libertà,  ed  era  tor- 
nato, se  Pompeo  non  avessi  lasciati  figliuo- 
li, 0  Ceserò  non  avessi  lasciato  redi,  ov- 
vero (che  fu  più  mortai  cosa)  se  Antonio, 
il  quale  prima  era  stato  compagno,  poi  se- 
guitatore  della  potenzia  di  Ceserò,  facella 
e  nuvola  del  tempo  seguente,  non  fossi  so- 
pravenuto. Perchè  ridomandando  Sesto  la 
ragione  di  suo  padre,  fu  temuto  per  tutto 
il  mare ,  ed  Ottavio  facendo  la  vendetta 
di  suo  padre,  da  capo  si  convenne  ritor- 
nare in  Tessaglia;  ed  Antonio,  vario  d'  in- 
gegno ,  sdegnando  essere  Ottavio  succes- 
sore di  Ceserò,  ovvero  per  amore  di  Cleo- 


193 

patra,  diventò  re  ,  e  non  poteva  altrinaenti 
essere  salvo ,  s'  egli  non  fossi  ridutto  ad 
essere  servo.  Nondimeno  fu  d' allegrarsi 
in  tanta  turbazione  di  cose,  che  in  ispecia- 
lità  la  somma  della  signoria  tornò  ad  Ot- 
tavio Ceserò  Augusto,  il  quale  per  sua  sa- 
pienzia  e  sollecitudine  ordinò  il  corpo  dello 
imperio,  percosso  e  turbato  da  ogni  parte, 
il  quale  sanza  dubio  per  altro  modo  non 
avrebbe  potuto  congiungersi  e  convenire 
insieme,  se  non  per  volontà  d'  uno  signore, 
come  per  una  anima  e  come  per  una  mente 
fossi  retto. 

Essendo  consoli  Marco  Antonio  e  Publio 
Dolabella,  la  fortuna  avendo  già  tramutato 
r  imperio  romano  agli  imperadori,  fu  in  Ro- 
ma vario  movimento  e  di  molte  maniere; 
e  quello  che  suole  fare  nella  conversione . 
che  fa  lo  cielo  in  uno  anno,  come  le  mosse 
stelle  per  lo  suo  movimento  significano  il 
tempo  (1),  così  nella  conversione  della  si- 
gnoria di  Roma,  cioè  della  umana  genera- 
zione, al  postutto  tremò  tutto  il  corpo 
dello  imperio,  e  ricevè  movimento  con  ogni 
generazione  di  pericoli  con  le  battaglie 
civili  per  terra  e  per  mare. 

(1)     Il  lesto  :  ut  mota  sidera  tonent ,  ac  suos 
flexus  tempestate  significent. 


194 

La  gaerra  di  Ottavio  con  Antonio 
a  Modana. 

La  prima  cagione  de'  civili  movimenti 
fu  lo  testamento  di  Ceserò,  nel  quale  An- 
tonio sendo  secondo  reda,  furioso  che  Otta- 
vio fosse  premesso  a  lui  ,  pigliò  furioso 
la  guerra  contro  1'  adozione  dell'  asprissimo 
giovane;  perchè  vedendo  quello  tenero  di  età 
di  diciotto  anni  risistente  e  contrario  alla 
ingiuria,  egli  pieno  della  compagnia  di  Ce- 
serò, guastava  la  redità  con  furti,  perseguiva 
quel  giovane  con  vergogna  e  con  tutta  ar- 
te, non  cessando  vietare  l' adozione  di  quello 
nella  gente  di  Giulii,  e  finalmente  pigliò  le 
armi  a  deprimere  quello  giovane  ;  e  già  con 
r  oste  apparecchiato  assediava  Decimo  Bru- 
to, il  quale  faceva  riscistenzia  ai  suoi  mo- 
vimenti. Ottavio  Ceserò,  dovendo  essere 
favoreggiato  per  l' età  e  per  l' ingiuria  e 
per  la  maestà  del  nome  che  egli  s'  aveva 
vestito,  ridutto  a  sé  ed  a  pigliare  ed  arme 
gli  antichi  cavalieri,  privato  cittadino  (che 
pare  cosa  incredibile),  assali  lo  consolo,  li- 
berò Bruto  assediato  a  Modena,  e  cacciò 
da  campo  Antonio  ;  ed  allora  eziandio  ap- 
parve oh'  egli  valeva  colla  sua  mano,  perchè 


195 

sanguinoso  e  fedito,  con  le  sue  spalle  ri- 
portò nel  campo  la  sua  insegna  dell'aquila, 
che  tolse  al  gonfaloniere,  morendo  egli(l). 

Lo  assedio  d'  Antonio  a  Feragia. 

L' altra  guerra  fu  mossa  per  la  divi- 
.  sione  dei  campi,  i  quali  Ceserò  dava  ai 
vecchi  cavalieri  per  pagamento  di  sua  mi- 
lizia. Fulvia,  moglie  d' Antonio,  cinta  del- 
la spada  della  virile  milizia,  stimolava  lo 
pessimo  ingegno  di  quello.  Adunque  stimu- 
landò  egli  i  villani  cacciati  dai  campi,  da 
capo  avevano  prese  1'  arme;  e  allora  sendo 
quello  non  p\ù  privato  nimico,  per  aiuto- 
rio  di  tutto  lo  Senato  diterminò  Antonio 
essere  nimico,  e  lo  assali  e  rinchiuselo  den- 
tro dalle  mura  di  Perugia ,  e  costrinselo 
con  istrema  fame  e  bruttamente  ad  ar- 
rendersi. 

Lo  Triumvirato. 

Essendo  Antonio  grave  alla  pace  solo  e 
grave  alla  ripublica ,  Lepido  s'  aggiunse 
quasi  come  fuoco.  E  che  cosa  fu  necessa- 

(1)  Il  lesto  :  aquilani  a  inoriente  signifero  traditam. 


196 
rio  contro  due  osti  ?  Venire  in  compa- 
gnia di  mortalissimi  uomini.  Ed  era  co- 
gnosciuto  lo  diverso  voto  di  tutti.  Lepido 
era  stimolato  da  cupidità  di  l'icchezze , 
la  quale  speranza  era  nella  turbazione  del- 
la ripublica  ;  Antonio  era  stimolato  dalla 
vendetta  contro  quegli,  che  l'avevano  giu- 
dicato nimico;  Ottavio  era  stimolato  al- 
la vendetta  di  suo  padre  da  Bruto  e  da 
Cassio,  i  quali  erano  gravi  all'  anima  di 
quello,  ed  in  questo  per  modo  di  patto  fu 
fatta  composizione  di  pace  tra  questi  tre 
principi.  Appresso  di  quegli  che  venivano 
alle  parti,  si  toccavano  le  mani  fra  Perugia 
e  Bologna,  e  gli  osti  diliberarono  (1).  Con 
non  buona  usanza  cominciò  lo  triumvirato, 
e  soperchiata  con  le  armi  la  ripublica  , 
tornò  la  proscrizione  di  Siila,  la  cui  cru- 
deltà non  ebbe  minore  numero  che  di  cen- 
to quaranta  sanatori,  i  quali  uscirono  di 
Roma  e  fuggirono  vituperosamente  per 
grande  crudeltà  e  miseria  per  tutto  il 
mondo;  per  gli  quali  chi  si  dolerà  per  cosa 

(1)  Il  testo  latino:  Apud  confluentes  inter  Peru- 
siam  et  Bononiani  jungunt  nianus  et  exercitus  consa- 
lutant.  Qui  il  traduttore  tra  altri  errori  lesse  con- 
sulunt;  e  non  puossi  accettare  nemmeno  il  testo 
latino  inter  Perusiam  et  Bononiara. 


197 

degna  ?  Antonio  proscrisse  Lucio  Ceserò 
suo  barbano,  Lepido  Lucio  Paulo  suo  fra- 
tello. Porre  in  consiglio  le  teste  dei  morti 
era  già  usanza  a  Roma,  e  per  certo  e  Ro- 
mani non  poterne  tenere  le  lagrime,  quan- 
do vidono  la  testa  di  Tullio  in  quelle  sedie; 
e  corse  la  gente  a  vedere  quella  testa,  non 
altrimenti  che  soleva  correre  ad  udirlo, 
E  queste  crudeltade  erano  nelle  tavole  di 
Lepido  e  d'Antonio:  Ottavio  si  conten- 
tava di  quegli  eh'  avevano  morto  suo  padre, 
e  queste  uccisioni,  se  non  fossino  state 
soverchie,  non  erano  ingiuste. 

La  guerra  di  Ceserò  Angusto 
con  Bmto  e  Cassio. 

Bruto  e  Cassio  parevano  avere  cacciato 
del  regno  Giulio  Ceserò  quasi  come  Tar- 
quinio  re,  e  così  con  quello  niicidio  per- 
derono  la  libertade,  la  quale  sommamente 
eglino  volevano  avere  ristituita.  Adunque 
come  eglino  ebbono  morto  quello,  temendo 
non  sanza  ragione  gli  antichi  cavalieri 
di  Ceserò,  subito  fuggirono  della  coite 
in  Campodoglio.  A  quegli  cavalieri  non 
mancava    animo    a   fare   la   vendetta,    ma 


198 
non  avevano  capitano.  Adunque  vedendo 
che  pericolo  soprastava  alla  ripublica  , 
temerono  la  vendetta  diterminata  con  ter 
via  lo  consolo  ;  e  nondimeno,  acciò  che 
non  fossino  presenti  al  publico  dolore  , 
andarono  in  Soria  e  in  Macedonia,  le 
quali  Provincie  gli  aveva  dato  Ceserò  me- 
desimo, il  quale  egli  avevano  morto,  e 
così  la  vendetta  di  Ceserò  fu  più  tosto 
indugiata  che  cancellata. 

Adunque  ordinata  ne'  triumviri  la  ri- 
publica più  tosto  come  si  poteva,  che  come 
si  doveva,  fu  lasciato  Lepido  a  guardia 
di  Roma,  e  Ceserò  con  Antonio  si  ap- 
parecchiò contro  Bruto  e  Cassio.  Quegli, 
apparecchiata  grande  gente,  erano  già 
posti  a  campo  in  quello  medesimo  luogo, 
eh'  era  stato  fatale  a  Gneo  Pompeo  ;  e 
ancora  allora  apparve  segno  della  pisto- 
lenzia  che  soprastava,  perochè  uccelli  usati 
a  pascersi  di  corpi ,  volavano  intorno  al 
campo,  quasi  come  già  fossi  suo;  e  andando 
alla  battaglia,  uno  Etiopo  fu  troppo  mortale 
segno ,  ed  a  Bruto  di  notte ,  portato  a 
lui  il  lume,  pensando  secondo  usanza  al- 
cuna cosa,  una  escura  imagine  s'appresentò 
a  lui;  e  domandando  egli  chi  fossi,  disse; 


199 

«  Io  sono  la  tua  mala  natura  »  (1);  questo 
disse  e  dispari  dai  suoi  ocelli.  Nel  campo 
d' Attaviano  fumo  agurii,  ma  migliori 
tutti,  e  cosi  promettevano  gli  uccelli  e  gli 
animali  sacrificati.  Ma  niuna  cosa  fu  più 
chiara  che  questa:  il  medico  d'  Attaviano 
fu  ammonito  in  sogno,  che  Attaviano  uscissi 
del  campo,  il  quale  doveva  essere  preso, 
come  avvenne;  e  cominciata  la  battaglia, 
sendo  combattuto  da  ciascuna  parte  con 
pari  ardire  per  alcuno  espazio,  bene  che  i 
capitani  non  fossino  presenti,  1'  uno  sendo 
infermo,  l'altro  sendo  partito  per  viltà  e 
per  paura,  e  nondimeno  la  fortuna  stando 
presta  per  le  parti  di  quello  che  faceva 
vendetta,  e  di  quello  del  quale  egli  si  vendi- 
cava, fu  da  prima  il  pericolo  si  dubioso 
e  si  pari  da  ciascuna  parte,  come  mostrò 
lo  fine  della  battaglia  .  Dall'una  parte 
fu  preso  il  campo  di  Ceserò,  e  dall'  altra 
il  campo  di  Cassio.  Ma  quanto  è  più  potente 
la  fortuna  che  la  vertù ,  e  come  vero  è 
quello  che  Bruto  morendo  disse  :  «  La  pro- 
dezza è  in  parole,  e  non  in  fatto  »!  In  quel- 
la battaglia  lo  fallo  diede  la  vettoria.  Cassio 


(1)  Piuttosto  sarebbe  a  dirsi  la  tua  mala  ventura; 
il  testo  latino:  tuus  malus  Genius. 


200 
vedendo  piegare  la  schiera  de'  suoi  e  tor- 
nare indietro,  avendo  già  preso  il  campo 
d'  Attaviano,  pensò  che  egli  fuggissono,  e 
partito  ridussesi  in  uno  monte;  poi  so- 
pravenne la  notte,  e  la  polvere  e  lo  remore 
togliendogli  la  sentita,  e  una  spia  mandata 
a  sapere  quello  eh'  era  fatto  non  tornando, 
pensò  che  la  sua  parte  fossi  espacciata,  e 
disse  a  uno  di  quegli  che  gli  erano  ap- 
presso, che  gli  tagliassino  la  testa.  Bruto 
eziandio  avendo  perduta  la  sua  esperanza 
in  Cassio,  acciò  che  non  risegassi  alcuna 
cosa  di  quello  eh'  era  di  proraessione  tra 
loro,  porse  lo  fianco  ad  uno  de'  suoi 
compagni ,  acciò  che  egli  1'  uccidessi.  E 
chi  non  si  maraviglierà  questi  savissimi 
uomini  allo  estremo  non  essersi  uccisi  con 
le  sue  mani  ?  Se  questo  non  avvenne,  fu 
per  non  macchiare  le  sue  mani ,  e  per- 
chè in  privarsi  delle  santissime  e  piato- 
sissime  anime  loro  il  suo  giudicio  e  1'  al- 
trui  mani  adoperassH>ro. 

La  gnierra  d'Augusto  con  Sesto  Pompeo. 

Morti   gli   ucciditori    di  Ceserò,   ancora 
restava  della   famiglia   di  Pompeo.  L'  uno 


201 
(.li  questi  giovani  era  morto  in  Ispagna, 
r  altro  era  campato  fuggendo ,  e  raccolti 
quegli  che  restavano  della  infelice  guerra, 
e  sopra  a  questo  avendo  armato  prigionieri, 
riducevasi  in  Cicilia  e  in  Sardigna,  e  già 
era  con  l'armata  in  mare,  ed  era  molto 
diversamente  da  suo  padre.  Quello  aveva 
escacciato  i  corsari ,  questo  cercava  ruba- 
tori  di  mare.  Con  tanta  grandezza  di 
guerra  fu  sconfitto  al  postutto  nel  mare 
di  Cicilia,  e  averebbe  portato  con  seco 
all'inferno  fama  di  grande  capitano,  se 
egli  non  avessi  tentato  più  innanzi  altra 
cosa;  se  non  eh'  è  pure  segno  di  grand'  a- 
nirao  avere  sempre  esperanza.  Avendo 
perduta  la  sua  gente,  fuggi  e  navicò  in 
Asia,  dov' egli  doveva  venire  nelle  mani 
de'  nimici  e  nelle  catene,  e  (che  miserissima 
cosa  egli  è  ai  forti  uomini)  dov' egli  doveva 
essere  morto  a  volontà  de'  nimici.  Non 
fii  alcuna  altra  fuga  più  miserabile  dopo 
Xerse ,  perchè  pur  mo'  elio ,  signore  di 
trecento  cinquanta  nave  ,  fuggiva  con 
sei  0  sette,  essendo  espento  il  lume  delle 
navi  del  capitano,  gittati  gli  auegli  in 
mare,  pauroso  e  guardandosi  indietro,  e 
non  di  meno  non  temeva  perire. 


202 

La  guerra  di  Ventidio  contra  i  Parti. 

Bene  che  Antonio  avessi  finito  il  nome 
delle  parti  in  Cassio  e  Bruto,  in  Ponnpeo 
lo  avessi  in  tutto  tolto  via,  nondimeno 
era  ancora  Antonio  scoglio  e  groppo  e 
inducia  della  sicurtà  della  Ripublica  ; 
ed  ancora  non  mancò  che  quello  uno  non 
perissi,  anzi,  poi  ch'egli  ebbe  provato 
ogni  cosa  colla  cupidità  e  colla  lussuria, 
primamente  i  niraici  ,  poi  liberò  i  suoi 
cittadini,  e  finalmente  il  mondo  del  ter- 
rore di  sé.  1  Parti  per  la  sconfitta  di 
Crasso  avevano  levato  alto  1'  animo  , 
ed  allegri  udivano  le  discordie  del  po- 
polo di  Roma.  Adunque  come  prima  eb- 
bono  destro,  non  dubitarono  mostrarsi  , 
invitandogli  Labieno,  il  quale  mandato  da 
Cassio  e  da  Bruto  (  per  non  so  che  furore 
di  cose  escellerate),  aveva  chiamati  i  nimici 
in  aiutorio;  e  quegli  avendo  per  suo  ca- 
pitano Pacoro  figliuolo  del  re,  avevano 
cacciata  la  gente  d'  Antonio  .  Saga  suo 
legato  s'  uccise  per  non  venire  nelle  sue 
mani.  Finalmente  avendo  preso  la  Soria, 
il  male  s'  allargava  più,  vincendo  i  nimici 


203 

per  sé  sotto  colore  d'  altoriare  (1)  ,  se 
non  fossi  stato  che  Ventidio  legato  d'An- 
tonio ,  con  incredibile  prosperità  scon- 
fisse e  tagliò  le  genti  di  Labieno  e  Pacoro 
e  tutto  r  oste  di  Partia  tra  '1  fiume  di 
Oronte  e  d'Eufrate.  Fumo  venti  milia  e 
oltra,  e  non  fu  sanza  prudenzia  di  quello 
capitano,  il  quale  mostrando  avere  paura, 
lasciossi  tanto  appressare  i  nimici  al  campo, 
che  non  avendo  quegli  spazio,  non  po- 
tevano saettare.  Il  re  combattendo  ardita- 
mente fu  morto  ;  poi  portata  la  sua  testa 
per  le  cittadi  che  s'erano  rivoltate,  fu 
racquistata  Soria  sanza  combattere,  e  cosi 
compensammo  la  morte  di  Crasso  con 
la  morte  di  Pacoro. 

La  guerra  d'Antonio  contra  ì  Parti. 

Avendo  provato  1'  uno  1'  altro  quegli  di 
Partia  e  i  Romani,  e  Crasso  e  Pacoro 
avendo  da  ciascuna  parte  fatto  pruova  di 
sue  fortezze,  da  capo  fu  rifatta  l'amistà 
con    simile    riverenzia ,    e   Antonio   fermò 


(1)  Cioè  con  speranza  di  soccorso:  hostibus  sub 
auxìlii  spe  sibi  vincentibus. 


204 
lega  con  lo  re;  ma  la  grande  cupiditade 
di  queir  uomo,  disiderando  che  ne'  titoli 
delle  sue  degnitade  fossi  letto  Arasse 
ed  Eufrate,  non  con  cagione,  né  con  dilibe- 
razione, né  con  alcuna  imaginaria  condi- 
zione di  guerra,  quasi  come  questa  fossi 
arte  di  capitano  di  corre  in  fretta,  lasciò 
subito  Soria  e  assali  quegli  di  Partia  . 
Quella  gente ,  escaltrita  oltra  la  fidanza 
delle  arme,  fece  vista  di  temere  e  fuggi  pe' 
campi.  Egli  subito,  come  fossi  estato  vin- 
citore, gli  seguiva,  e  subito  i  niraici  con 
molta  gente  contra  quegli,  stanchi  per  lo 
caminare  e  non  proveduti,  verso  la  sera 
si  mostravano  come  una  nuvola,  e  perco- 
tendo  con  le  saette  da  ogni  parte,  scou- 
fissono  due  legioni. 

Non  era  niente  per  rispetto  alla  scon- 
fitta che  soprastava  ger  lo  dì  seguente, 
se  non  fossi  sopravenuta  la  misericor- 
dia di  Dio.  Uno  di  quegli  eh'  era  sta- 
to nella  sconfitta  di  Crasso ,  in  abito  di 
quegli  di  Partia  venne  al  campo,  e  avendo 
salutato  in  latino ,  fece  fé  di  quello  che 
s'  apparecchiava  e  mostroUo  :  ciò  era  che 
il  re  era  presso  con  tutto  suo  sforzo,  e  che 
i  nostri  si  ces.sassino  indietro,  e  che  si 
riducessino  alle  montagne,  ed  ancora  forse 


205 
non  mancherebbero  i  nimici,  e  cosi  segui 
minore  impeto  de' nimici,  che  non  n'ap- 
parecchiavano; ma  pure  sopravennono,  e 
sarebbe  stato  sconfitto  tutto  V  avanzo,  se 
non  che  1  cavalieri,  quasi  per  alcuna  sorte 
ammaestrati,  s'abbassavano  inginocchiati, 
sopravenendo  le  saette  come  graguuole,  e 
levandosi  gli  scudi  sopra  la  testa,  facevano 
vista  d'  essere  morti.  Allora  i  Parti  cessa- 
vano il  saettare;  poi  levandosi  suso  i  Ro- 
mani fecero  cosa  sì  miracolosa  a  quegli 
barberi,  che  uno  di  quegli  cridò:  «  Andate, 
Romani,  che  Dio  vi  salvi  ;  suona  vera  la  fa- 
ma, che  voi  siete  vincitori  del  mondo,  poi 
che  voi  avete  fuggite  le  saette  di  quegli  di 
Partia.  » 

Da  poi  non  riceverono  minore  sconfitta 
dalle  acque,  eh'  eglino  avessino  ricevuto 
da'  nimici,  perchè  quella  regione  noceva 
con  fiumi  salsi,  e  ultimamente  perchè  quegli 
già  deboli  beveano  quelle  avidamente,  e 
nocendogli  parevangli  dolci  ;  poi  ricevendo 
caldo  per  1'  Arminia  e  le  nevi  per  Cappa- 
docia,  facendo  subita  mutazione  dell'aria 
dell'  uno  e  dell'  altro  prese,  fu  una  pesto- 
lenzia,  e  così  di  sedici  legioni  la  terza 
parte  a  pena  gli  avanzò,  tagliando  lo  suo 
argento    con   le   mannare  per  ogni  parte; 


206 
e  per  questo  indugiando,  e  nella  indugia 
domandando  egli  da  uno  suo  gladiatore 
che  lo  uccidessi,  finalmente  lo  nobile  im- 
peradore  fuggi  in  Soria;  dove  con  alcuna 
incredibile  furia  di  mente  diventò  alquan- 
to più  feroce,  quasi  come  egli,  che  era 
fuggito,  avessi  vinto. 

La  guerra  di  Ceserò  Angusto  con  Antonio 
e   Cleopatra. 

Lo  furore  d'  Antonio  fini  nella  lussuria 
e  lascivia,  acciò  che  non  finissi  in  cupidità, 
perchè  dopo  i  fatti  di  Partia  avendo  in 
odio  le  arme,  stava  in  ozio,  preso  dell'  a- 
more  di  Cleopatra,  e  quasi  come  egli 
avessi  bene  compiuti  i  suoi  fatti,  riposavasi 
in  grembo  della  reina.  Questa  donna  d'E- 
gitto aveva  domandato  allo  ebbriaco  im- 
peradore  lo  imperio  di  Roma  per  pagamen- 
to di  sua  lussuria,  e  Antonio  glielo  promise, 
quasi  come  i  Romani  fossino  più  lievi  a 
vincere,  che  quegli  di  Partia.  Adunque  egli 
s'  apparecchiava  alla  signoria,  e  non  taci- 
tamente, anzi  avendo  smenticato  la  patria, 
il  nome,  la  toga  e  i  fasci,  era  tutto  come 
cosa   raonstruosa   diventato    ignorante,    e 


207 

come  egli  aveva  pensato,  cosi  credeva  e 
mostrava  con  lo  volto.  Portava  in  mano 
una  bacchetta  d'  oro,  a  lato  una  scimitarra, 
veste  di  porpora,  ornata  di  gemme  di  gran 
pregioj  portava  la  corona,  acciò  che  coma 
re  usassi  la  regina. 

Per  la  fama  de'  nuovi  movimenti  Otta- 
viano passò  da  Brandizio,  acciò  eh'  egli  si 
facessi  incontro  alla  guerra  che  soprave- 
niva; e  posto  il  campo  in  Epiro,  aveva 
circondato  con  V  armata  Leucada  isola,  il 
monte  Leucate  e  le  punte  del  golfo  d'  Am- 
brachia.  Noi  avevamo  quattrocento  navi  o 
più,  i  niraici  ducento  e  non  meno,  ma  la 
grandezza  di  quelle  si  compensava  con  lo 
numero,  perchè  elle  si  movevano  con  or- 
dine di  sei  remi  infino  ai  nove,  con  torri 
e  con  paraventi ,  armate  di  bertesche  a 
modo  di  castegli  o  di  cittade,  e  non  an- 
davano sanza  roraore  del  mare  e  fatica 
de'  venti.  Quella  medesima  grandezza  fu 
a  danno  di  quelle.  Ma  le  navi  d'  Attaviano 
erano  con  ordine  di  tre  remi  infino  a  sei 
e  non  più,  e  perciò  erano  leggiere  ad  ogni 
cosa  che  bisognava  usarle,  ad  assalire,  a 
fuggire  e  a  volgerle;  quelle  erano  gravi 
ad  ogni  cosa  e  impacciate,  e  ciascuna  era 
assalita  da  più  con   le  saette;   poi  gittate 


208 

il  fuoco  nelle  prode,  sconfissonle  come  egli- 
no vollono.  Non  apparve  la  grandezza  de' 
nimici  più  in  alcuna  cosa  che  per  la  vet- 
toria,  perchè  la  grande  armata,  fatta  la 
rotta  per  la  battaglia,  per  tutto  il  mare 
mostrava  la  preda  degli  Arabi  e  dei  Sabei 
e  di  molte  altre  gente  d'  Asia,  e  lo  mare 
mosso  continuamente  dai  venti  gittava  fuori 
in  lido  la  porpora  e  1'  oro. 

La  prima  che  cominciò  a  fuggire,  fu  la 
reina  in  una  nave  dorata  e  con  le  vele  di 
porpora,  poi  Antonio  la  seguì;  lìia  Atta- 
viano  gli  seguiva  presso.  Adunque  non 
potè  fuggire  nello  Oceano,  e  le  punte 
d'  Egitto  fornite  a  difesa,  cioè  Paretonio 
e  Peluzio,  non  gli  giovarono,  perchè  quasi 
quegli  gli  aveva  le  mani  adosso.  Antonio 
prima  s'uccise,  ma  la  reina  inginocchiata 
ai  piedi  d'  Attaviano,  tentò  indarno  gli 
occhi  di  quello,  perchè  la  bellezza  fu  mi- 
nore che  la  onestà  di  quello  principe.  El- 
la non  s'  affaticava  per  la  vita,  la  quale 
gli  era  proferta,  ma  di  parte  del  regno, 
la  quale  come  ella  non  sperò  ottenere  da 
quello  principo,  e  vide  eh'  eli'  era  riserbata 
per  lo  trionfo,  e  videsi  essere  guardata  più 
strettamente  (1),  entrò  nel  mausoleo   (così 

(l)  //  lesto  Ialino:  iucautiorein  iiacta   custodem. 


209 

è  chiamato  lo  sepulcro  dei  re);  e  in  quel 
luogo  vestita,  corri'  ella  soleva,  di  solen- 
nissime  veste,  posesi  presso  al  suo  Antonio 
in  una  sedia  respersa  di  cose  odorifere ,  e 
postasi  due  serpenti  alle  vene,  mori  quasi 
dormendo. 

Qui  fu  la  fine  delle  guerre  civile;  le 
altre  fumo  contra  gente  estranie ,  le  qua- 
li vedendo  stimolato  circa  i  suoi  mali 
lo  imperio,  si  mostravano  in  diverse  par- 
ti del  mondo.  Ma  fu  fatta  nuova  pace,  e 
lo  collo,  non  usato  ancora  al  freno  della 
servitudine  delle  genti  superbie  e  infiate, 
si  ritraeva  dal  giogo  posto  nuovamente. 

Le  guerre  dì  Cesare  Angusto 
contro  Settentrione. 

Volta  la  piaga  del  ferro  a  settentrione, 
ardeva  più  ferocemente,  coni'  erano  i  Norici, 
Schiavi,  Ungheri,  Dalmati,  Misii,  Trachi, 
Bachi,  Sarmati  e  Germani.  Ai  Norici  da- 
vano animo  le  Alpi  e  la  neve,  che  guerra 
non  potessi  passare,  ma  tutti  que'  popoli 
di  quella  regione,  i  Erenni,  Senonìi  e  Vin- 
delici,  Ottaviano  domò  per  Claudio  Druso 
suo  figliastro.  Come  fossi  fatta  la  crudeltà 
di   quelle   scaltrite   genti,  lievemente   mo- 

14 


210 

strarono  le  feraine,  le  quali  non  avendo 
che  gittare  contra  i  nimici,  esbattevano  i 
fanciugli  in  terra,  e  poi  gli  gittavano 
per  lo  viso  ai  cavalieri  suoi  nimici.  Gli 
schiavi  abitavano  sotto  le  Alpi,  e  guarda- 
vano r  entrate  delle  sue  valli  con  alcune 
serraglie  di  fossi  e  con  le  rotture  de' 
fiumi;  contra  questi  egli  medesimo  con- 
dusse r  oste,  e  fece  fare  uno  ponte  presso 
a  quelle  acque.  In  quel  luogo  temendo  i 
suoi  e  r  acqua  e  i  nimici ,  egli  tolse  lo 
scudo  di  mano  ad  uno  cavaliere,  che  du- 
bitava montare  in  sul  ponte,  e  primo  fece 
la  via.  Allora  seguendo  la  moltitudine,  lo 
ponte  cadde,  ed  egli  fedito  nelle  mani  e 
nelle  gambe,  fatto  più  nobile  per  lo  pe- 
ricolo, mise  in  rotta  i  nimici. 

I  Pannonii  sono  circondati  da  due  passi 
e  tre  fiumi,  Bravo,  Savo  e  Istro,  e  rubando  i 
vicini,  ridussonsi  dentro  dalle  ripe.  A  do- 
mare questi  mandò  Vibio,  e  quegli  fumo 
tagliati  in  que'  fiumi , .  e  le  sue  arme  non 
fumo  arse  secondo  usanza,  ma  funo  tolte 
e  gittate  nel  fiume,  acciò  che  la  vettoria 
fossi  così  contata  agli  altri,  che  facevano 
rìcistenzia. 

Quegli  di  Dalmazia  spesse  volte  abita- 
vano per  gli  boschi,    e   per  questo  erano 


211 

prontissimi  a  ruberie.  Questi  primi  Marzio 
quasi  aveva  tagliati ,  avendo  arsa  Dalminio 
sua  città;  da  poi  Asinio  Pollione  gli  con- 
dannò in  bestiame  e  in  arme  e  in  campi,  e 
questi  fu  secondo  domatore.  Augusto  mandò 
Vibio  a  domare  quegli,  il  quale  costrinse 
quegli  uomini  a  fare  cave  e  a  trarre  oro 
della  vena  della  terra,  il  quale  quella  gente 
cupida  sopra  tutte  le  altre  con  sollecita 
diligenzia  acquistò  per  serbarlo  per  suo 
uso. 

Ma  i  Misii  quanto  fumo  aspri  e  quanto 
crudeli,  e  quanto  erano  eglino  barberi  sopra 
tutti  i  barberi,  è  orribile  cosa  a  dire.  Uno 
de'  suoi  capitani  innanzi  alla  schiera,  posto 
silenzio,  domandò:  «  Chi  siete  voi?  »  E  fu 
risposto  subitamente:  «  Noi  siamo  Romani, 
signori  delle  genti;  »  e  quegli  risposono: 
«  Sera  questo,  se  voi  vincerete  noi.»  Marzio 
Crasso  prese  questo  agurio,  e  quegli  subito 
innanzi  all'  oste,  morto  uno  cavallo,  feciono 
sacrificio  con  agurio  di  sacrificare  e  di. 
mangiare  le  interiori  de'  morti  capitani; 
e  parve  che  gli  Dei  gli  udissino ,  e  non 
poterono  aspettare  la  tromba.  Non  mise 
piccola  paura  a  quegli  barberi  Domizio 
centurione,  il   quale   aveva  assai  barbera 


212 

crudeltà,  e  nondimeno  appresso  de'  suoi 
pari  era  matto,  il  quale  portava  sopra 
r  elmo  uno  fuoco ,  e  movendosi  con  lo 
corpo,  faceva  fiamma  e  spargevala  come 
se  la  testa  gli  ardessi. 

Da  questi  era  differente  sommamente  il 
popolo  di  quegli  di  Trazia  (1).  Quello,  bene 
che  fossi  barbero,  era  usato  agli  segni 
romani  in  milizia  e  a  la  disciprina  e  alle 
armi;  ma  domati  da  Pisone,  essendo  presi 
raostravansi  rabiosi ,  perchè  mordendo  le 
catene,  egli  medesimi  punivano  la  sua 
asprezza. 

I  Dachi  stanno  per  le  montagne,  e  di 
comandamento  di  Cotisone  re,  come  lo  Da- 
nubio era  ghiacciato,  solevano  fare  correrie 
e  ruberie  ai  vicini.  Parve  ad  Ottaviano 
torre  via  quella  gente,  alla  quale  era  dif- 
ficile andare.  Dunque  mandato  Lentulo, 
cacciogli  oltre  l'altra  ripa  del  fiume,  e  di 
qua  pose  gente,  e  cosi  allora  i  Dachi  non 
fumo  vinti,  ma  fumo  rimossi  e  indugiati. 

I  Sarmati    cavalcano    per  aperte   cam- 


(1)  Veramente  dovrebbe  qui  leggersi,  che  i  popoli 
di  Tracia  eransi  ribellali  innanzi  a  costoro,  se- 
condo che  scrisse  Floro:  Ante  hos  Thracum  maxime 
populus  desciverat. 


213 

pagne,  e  questi  bastò  costringere  per  quel 
medesimo  Lentulo,  che  non  passassino  il 
fiume  del  Danubio.  Quegli  non  anno  alcuna 
cosa,  se  non  nevi  e  radi  boschi ,  ed  anno 
tanto  de'  costumi  barberi ,  che  non  sanno 
che  cosa  sia  pace. 

E  volessi  Dio  eh'  egli  non  avessi  riputato 
di  sì  gran  pregio  vincere  Germania.  Ella 
fu  perduta  con  più  vergogna,  che  non  fu 
acquistata  con  gloria;  ma  perch'egli  sapeva 
Ceserò  suo  padre  avere  passato  due  volte 
lo  Reno,  avendo  fatto  uno  ponte,  e  avere 
cercato  le  guerre,  per  onore  di  quello  di- 
siderò  di  ridurre  quella  provincia;  e  gli  ve- 
niva fatto,  se  quegli  barberi  avessino  potuto 
comportare  cosi  i  nostri  vizii,  come  la 
signoria.  Mandato  Druso  in  quella  pro- 
vincia ,  prima  gli  Usipeti  domò  ,  poi 
corse  1  Tenteri  e  gli  Catti  ,  e  adornò 
uno  alto  monte  a  modo  d'  uno  trionfo 
delle  ornate  spoglie  de'  Marcomanni.  Poi 
assali  le  fortissime  nazioni  de'  Cheruschi , 
Svevi  e  Sicambri  ,  i  quali  avendo  arsi 
venti  centurioni,  tolsono  questa  guerra 
come  per  uno  sagramento  con  sì  certa 
esperanza  di  vettoria,  che  innanzi  partirono 
per  patto  la  preda.  Toccava   ai    Cheruschi 


214 
i  cavalli,  ai  Servi  1'  oro  e  lo  argento  e  ai 
Sicarabri  i  prigioni.  Ma  ogni  cosa  andò 
per  contrario,  perchè  sendo  vincitore  Druso, 
parti  i  cavagli  suoi,  lo  bestiame  e  i  suoi 
torchi  (1)  e  quegli  medesimi  per  sua  preda, 
e  vendègli,  e  ancora  ordinò  gente  e  guar- 
die per  quelle  provincie  e  in  ogni  luogo 
sopra  la  Mosa  fiume  ,  1'  Albi  e  il  Vi- 
surgi  ;  per  la  ripa  del  Reno  pose  cin- 
quanta fortezze,  e  congiunse  insieme  Bonna 
e  Gesonia  con  ponti,  e  fece  sicuro  il  passo 
Ercinio  non  veduto  e  non  passato  infino 
al  suo  tempo.  Finalmente  erasi  fatta  pa- 
ce in  Germania  ,  che  parevano  mutati 
gli  uomini  e  la  terra,  l'aria  medesima 
pareva  più  temperata  e  più  dolce  che  non 
soleva;  e  finalmente  il  Senato  diede  a 
quello  fortissimo  giovane,  poi  eh'  egli  morì 
iu  quello  luogo  ,  nome  dalla  provincia, 
non  per  adulazione,  ma  per  meriti ,  la 
quale  cosa  non  era  mai  avvenuta  ad  al- 
cuno altro. 

Ma  è  maggiore  fatica  a  ritenere  una 
provincia  che  acquistarla ,  ed  acquistasi 
con   la   forza,  ma   ritiensi  con  la  ragione. 

(1)  Il  lesto  Ialino:  torques  eoruni. 


215 
Adunque  quella  allegrezza  fu  brieve,  perchè 
poi  che  i  Germani  fumo  vinti,  non  erano 
domati,  e  sotto  Druso  capitano  pigliavano 
più  tosto  i  nostri  costumi  che  le  armi;  ma 
poi  eh'  egli  mori,  cominciamo  avere  in 
odio  la  lascivia  e  la  superbia  di  Varo 
Quintino,  non  altrimenti  che  la  crudeltà. 
Quello  ardì  fare  assunanza  (1),  ed  erasi  ri- 
dutto  a  campo ,  quasi  coni'  egli  potessi  fre- 
nare la  violenzia  di  quegli  barberi  con  la 
verga  dello  littore  e  con  la  boce  del  bandi- 
tore. Ma  quegli  i  quali  già  innanzi  sapevano 
le  sue  espade  essere  coperte  di  ruggine, 
e  i  suoi  cavagli  stare  sanza  fatica,  come 
vidono  le  toghe  e  fare  ragione  con  ma- 
giore  asprezza  che  con  le  armi,  pigliorono 
le  arme  sotto  Arminio  capitano.  In  quel 
mezzo  Varo  aveva  tanta  speranza  della 
pace,  che  non  si  mosse  per  la  congiun- 
zione predetta  e  manifesta  a  lui  per  Se- 
gesto,  che  era  uno  de'  principi  di  quegli 
signori.  Adunque  sanza  alcuna  dilibera- 
zione assalirono  quello  non  proveduto  e 
non  temente  si  fatto  assalto ,  mentre  egli  (e 


(1)  Lo  slesso:  agere  conventum  ;  forse  dee  leg- 
gersi adunanza,  non  registrandosi  ne'  dizionari  la 
voce  qui  riferita. 


216 
fu  grande  sicurtà)  chiamava  quegli  innanzi 
a  sé,  1  quali  lo  assalirono  da  ogni  parte , 
tolsongli  lo  campo,  e  fumo  superchiate  tre 
legioni.  Varo  operò  in  quel  dì  con  la 
fortuna  e  con  l' animo  come  Paulo  il  dì 
della  sconfitta  da  Canni  ;  e  niuna  sconfitta 
fu  più  sanguinosa,  che  quella  per  gli  boschi 
e  per  gli  paludi;  niuno  assalto  de'  barberi 
fu  più  intolerabile ,  specialmente  contra  gli 
avvocati  delle  questioni.  Ad  alcuni  taglia- 
vano le  mani,  ad  alcuni  cavavano  gli  occhi, 
ad  alcuno  fu  cucita  la  bocca,  ma  prima 
tagliata  la  lingua,  la  quale  tenendo  in  mano 
uno  barbero,  disse:  «  Comanda  (1)  e  non 
zufolare;  »  ed  il  corpo  del  consolo,  il  quale 
per  pietà  uno  cavaliere  aveva  soppellito 
in  terra,  fu  dissotterrato.  Le  insegne  e  due 
aquile  quegli  barberi  ancora  le  tieneno ,  la 
terza  cavata  di  terra ,  lo  gonfaloniere  , 
innanzi  che  venissi  alle  mani  de'  nimici, 
portolla  nascosa  nella  sua  cintura  e  gittolla 
in  uno  sanguinoso  padule.  Per  questa 
sconfitta  avvenne  che  lo  imperio  di  Roma, 
iì  quale  passava  il  lido  dell'  Oceano ,  non 
passava  la  riva  del  Reno. 

(3)  Il  lesto  :  tandem,  inquit,  vipera,  sibilare  de- 
siste. Il  volgarizzatore  lesse  impera. 


217 

Queste  cose  fumo  fatte  verso  settau- 
trione.  Sotto  la  parte  di  mezzodì  fumo 
più  tosto  romori  che  guerra.  Cosso  capi- 
tano quietò  i  Mugillani  e  i  Getuli,  i  quali 
abitavano  le  Sirti,  e  questo  nome  della 
vettoria,  che  fu  Getulico,  fu  più  manifesto. 
A  Quirino  (1)  fu  dato  a  domare  i  Marma- 
rici  e  i  Garamanti,  e  quello  tornato  potè 
aver  nome  Marraarico,  ma  egli  fu  più  mode- 
sto ad  estimare  la  vettoria. 

Verso  r  oriente  fu  più  a  fare  con  gli 
Arminii.  A  quel  luogo  Attaviano  mandò 
uno  de'  suoi  Cesariani  nipoti.  Amendue 
morirno ,  ma  l' uno  sanza  fama ,  perchè 
Lucio  morì  d'  infermità  a  Massilia  ,  ma 
Gaio  mori  d'  una  fedita,  ritraendosi  d'  Ar- 
menia in  Partia.  Pompeo  aveva  usati  gli 
Arminii  dopo  la  morte  di  Tigrane  a  questa 
sola  servitudine,  eh'  eglino  toglievano  rettori 
da  noi.  Adunque  questo  ricoverava  la  ra- 
gione perduta,  e  non  sanza  sangue,  ma  non 
con  molta  battaglia,  perchè  Donnes,  il 
quale  Artasate  re  aveva  fatto  prefetto  , 
assalito  quello  con  simulato  tradimento , 
essendo  egli  intento  a  uno  libro,  nel  quale 

(1)  Il  testo  :  Garamantas  Curinio  subigendos 
dedit . 


218 
sì  conteneva  la  ragione  de'  tesori  (ed  egli 
gliel'  aveva  porto),  già  ricreato  della  sua 
fedita,  lo  colpi  nella  tempia.  Quello  barbero 
da  ogni  parte  avendo  intorno  tutto  l'oste 
odioso,  con  lo  coltello  si  percosse  e  missesi 
nel  fuoco,  e  cosi  sodisfece  a  Ceserò  che 
sopravisse  (1). 

Da  ponente  tutta  la  Ispagna  era  in  pace, 
se  non  da  quella  parte,  dove  lo  Oceano 
dalla  parte  di  qua  bagna  quella,  dove  ella 
s"  accosta  agli  scogli ,  ov'  è  la  fine  del 
monte  Pirineo.  In  quel  luogo  sono  due 
fortissime  genti,  i  Cantabri  e  gli  Asturi, 
e  questi  sanza  signoria  facevano  novitadi. 
L'  animo  di  Cantabri  fu  primo  e  più  atto 
e  più  pertinace  alla  rebellione,  i  quali 
non  contenti  di  difendere  la  sua  libertà, 
tentavano  signoreggiare  i  vicini,  e  stimo- 
li) Questo  passo  è  reso  assai  oscuro  dai  copisti, 
che  alterarono  i'  testo  latino,  e  dall'  inesperto  vol- 
garizzatore, che  non  intese  qui  V  autore.  Il  senso  è 
che  Cleone,  il  quale  dal  re  Arlasate  era  stalo  cre- 
ato suo  luogo  teneri  le,  fingendo  di  voler  tradire  il 
suo  signore^  presentò  a  Caio  una  nota  dei  tesori 
regi;  e  mentre  lo  vide  intento  a  leggerla,  colla  spa- 
da lo  feri  nella  tempia.  Vedendosi  poi  il  barbaro 
circondato  da  ogni  parte  e  oppresso  dall'  esercito , 
si  trafisse  da  sé  e  gettassi  nel  fuoco;  in  tal  modo 
soddisfece  a  Cesare  ancora  superstite. 


219 

lavano  i  Vaccei,  i  Curgioni  e  Autrigoni 
con  ispesse  cori-erie.  Centra  questi  adunque, 
perchè  si  diceva  che  quegli  stimolavano 
più  che  non  solevano,  non  mandò  oste, 
ma  fece  la  impresa:  egli  medesimo  andò 
e  pose  il  campo  presso  Segisama,  poi  con 
lo  oste  dipartito  in  poco  tempo  prese 
tutta  Cantabria,  e  vinse  quella  aspra  gente 
e  a  modo  di  fiere,  quasi  con  circondargli. 
E  non  era  pace  dallo  Oceano,  perchè  da 
le  spalle  erano  fediti  i  nimici  dalla  armata. 
Prima  combattè  contra  i  Cantabri  presso 
la  terra  de'  Belghi ,  e  di  quel  luogo  fug- 
girono in  uno  altissimo  monte  chiamato 
Vinnio,  e  credevano  che  prima  montassi 
in  quello  1'  aqua  dallo  Oceano,  che  le  ar- 
me de'  Romani.  La  terza  volta  Arra- 
cillo  castello  fece  risistenzia  con  grande 
possanza ,  ma  finalmente  fu  preso  e  fu  as- 
sediato il  monte  Medulio,  il  quale  circon- 
davano con  una  fossa  di  quindici  miglia, 
stando  i  Romani  intorno  da  ogni  parte; 
e  poi  che  quegli  barberi  si  vidono  ad  e- 
stremità,  a  pruova  avendo  mangiato,  pre- 
sono la  morte  con  lo  fuogo  e  col  ferro  e 
col  veleno,  il  quale  in  quello  luogo  pale- 
semente si  prieme  del  sugo  dell'  albero 
tasso  ;    la    magiore  parte  per  quello  modo 


220 
si  difesono  di  non  essere  prigioni. 

Queste  cose  udì  Ceserò  Augusto  per  Aa- 
tistio  e  Fusinio  e  per  Agrippa  suoi  legati, 
svernando  egli  sul  lido  di  Teracone.  Egli 
presente  cacciò  questi  da  le  montagne, 
altri  strinse  a  dare  stadigi,  altri  vendè  ad 
incanto,  e  parve  al  Senato  che  questa 
cosa  fossi  degna  di  trionfo;  e  già  Atta- 
viano  era  sì  grande ,  che  potia  non  curarsi 
del  trionfo.  Gli  Asturi  in  quello  tempo 
erano  discesi  dalle  sue  montagne  con  gran- 
de oste,  e  non  pigliarono  come  barberi 
stoltamente  speranza,  anzi  posto  il  campo 
presso  Astura  fiume,  partirono  l'oste  in 
tre  parti,  e  apparecchiavansi  ad  assalire 
insieme  tre  campi  de'  Romani .  Sarebbe 
stata  battaglia  durissima  e  sanguinosa,  ed 
eguale  da  ciascuna  parte  la  sconfitta,  al- 
lora quando  così  forti  e  così  diliberati 
subitamente  venivano,  se  i  Trigecini  non 
lo  avessi  no  manifestato  ;  dai  quali  sendo 
fatto  avvisato  Carisio,  venuto  con  l'oste, 
guastò  quella  congiurazione.  Così  quegli 
che  avanzarono  dall'  oste  sconfitta  da  quel- 
la battaglia,  che  non  fu  sanza  sangue, 
ricevè  Lancia  fortissima  città ,  dove  allo- 
ra fu  combattuto  per  tal  modo,  che  vo- 
lendosi incendiare  la  presa  città,  a  fatica 


221 

lo  capitano  ottenne  perdonanza ,  perchè  più 
tosto  la  terra  rimanessi,  salva,  monumento 
della  vettoria  de'  Romani,  ch'ella  lo  fossi 
arsa. 

E  questa  fu  la  fine  delle  battaglie  e  delle 
guerre  d' Attaviano ,  e  quello  fu  la  fine 
della  rebellione  degli  Spagnoli.  Poi  fu 
certa  fé  e  pace  eterna  con  prodo  ingegno 
di  quegli  alla  parte  della  pace.  Allora  per 
consiglio  d' Attaviano,  il  quale  temeva  la 
fidanza  de'  monti,  ne'  quali  quelli  si  ripo- 
savano, comandò  che  lo  suo  campo,  che 
era  nel  piano,  tenessi  e  abitassi  quelli. 
E'  pigliò  savio  consiglio ,  e  volle  che 
questo  si  osservassi.  La  natura  di  quello 
paese  tutto  è  eh'  ella  sia  fruttevole  d'  oro 
e  di  minio,  di  crisocolla  e  di  altri  colori. 
Adunque  egli  comandò  che  fossino  fatte 
case,  e  cosi  gli  Asturi,  i  quali  cercavano 
per  altrui  le  sue  ricchezze ,  che  sono  na- 
scose nel  fondo  .  della  terra  ,  comincia- 
ronle  a  conoscere. 

Essendo  quietate  tutte  le  genti  da  ponen- 
te e  da  mezzodì,  solamente  da  settentrione 
tra  '1  Reno  e  '1  Danubio,  ed  ancora  da  orien- 
te tra  Ciro  ed  Eufrate,  e  quegli  eziandio 
ch'erano  sanza  signoria,  sentivano  nondi- 
meno la  grandezza  del  popolo  di  Roma  e 


222 
la  vettoria  sopra  le  genti,  ed  avealo  in  rive- 
renzia;  e  cosi  i  Tarteri  mandorono  imba- 
sciadori  ai  sanatori,  e  domandano  amistà. 
I  Seri  e  gì'  Indi,  i  quali  abitano  sotto  il 
sole,  con  pietre  preziose  e  perle  e  leo- 
fanti e  con  altri  doni  si  scusavano  di 
lunghezza  del  camino,  nello  quale  erano 
stati  quattro  anni;  e  ben  mostravano  i 
colori  degli  uomini,  che  egli  venissino 
d'  un'  altro  mondo.  I  Parti,  quasi  come 
fossero  pentiti  della  vettoria  ,  rimandorono 
volentiermente  le  insegne  tolte  per  la  scon- 
fitta di  Crasso  .  Così  in  ogni  parte  fu 
pace  e  concordia  ferma  e  continova  di 
tutta  la  umana  generazione;  e  finalmente 
Ceserò  Augusto ,  lo  setticentesimo  anno 
dopo  la  dificazione  di  Roma,  ardi  serrare  lo 
tempio  di  lano,  il  quale  nondimeno  era 
stato  serrato  innanzi  due  volte,  al  tempo 
di  Numa  re,  e  quando  Cartagine  fu  vinta 
la  prima  volta.  Poi  egli  volto  alla  pace, 
constrinse  con  molte  gravi  e  aspre  leggi 
quel  tempo  pronto  e  inclinevole  a  tutti  i 
vizii,  e  in  spezialità  alla  lussuria  ;  e  per 
questi  tanti  e  si  grandi  fatti  fu  chiamato 
perpetuo  dittatore  e  padre  della  patria. 
Ancora  fu  trattato  nel  Sanato,  se  fossi  da 
chiamarlo  Romolo,    perchè   egli  era  stato 


223 

fondatore  dello  imperio;  ma  parve  a  loro 
questo  nome  Augusto  fossi  più  fermo  e 
di  più  riverenzia,  perchè  infino  allora  abi- 
tando egli  la  terra,  per  quello  nome  e  ti- 
tolo fossi  consacrato. 

Amen. 

Qui  finisce  lo  libro  di  Anneo  Floro,  fa- 
mosissimo autore,  de'  raemoriabili  fatti  de' 
Romani,  dalla  dificazione  di  Roma  infino 
a  Ceserò  Augusto. 


Epitoma  di  Udo  Anneo  Floro  e  di  tutta  la  istoria 


TITO    LIVIO 


TAVOLA  SOPRA  LE  tlUBRICHE 

Proemio P"^-  ^ 

Lo  regno  di  Romulo »  ^ 

Lo  regno  di  Numa   Pompilio »  9 

Lo  regno  di  Tulio  Ostilio »  10 

Lo  regno  d'  Anco  Marzio »  ^^ 

Lo  regno  di  Tarquinio  Prisco »  IS 

Lo  regno  di  Tulio  Servilio »  1* 

Lo  regno  di  Tarquinio  superbo   ....       »  15 

Ripetizione  sommaria    di    sette   re.      .     .      »  n 

Qui   finisce   la  prima  età  del  popolo  di  Roma. 

Comincia  la  seconda  età >'  i8 

La  guerra  coi  Toscani   .          "  '" 

Orazio  Code,  Muzio  Scevola  e  Clelia  .     .       »  21 

La  guerra  coi  Latini *  "^* 

La  guerra  degli  Etnischi,  Fallisci  e 

Fidenati "  -^ 

La  guerra  con  gli  Gallici "  27 

15 


226 

La  guerra  con  i  Latini Pajj. 

La  guerra  cogli  Sabini » 

La  guerra  con  gli  Sanniti » 

La  guerra  con  gli  Etruschi  e  con  gli 

Sanniti » 

La  guerra  con  gli  Tarentiui » 

La  guerra  con  i  Marchiani » 

La  guerra  con  gli  Salentiiii » 

La  guerra  con  i  Volsinii » 

Sommaria  repetizione  della  seconda  etii    .  » 


3-2 
33 


36 
37 
41 


■io 


Qui  finisce  lo  primo  libro  della  prima  eia 
e  della  seconda  del  popolo  di  Roma. 


Della  terza  etade  di  Roma  .  .  . 
La  prima  guerra  con  gli  Africani 
La  guerra  con  gli  Liguri  .  .  . 
La  guerra  con  gli  Galli  Insubrii  . 
La  guerra  con  gli  Schiavi .  .  . 
La  seconda  yuerra  con  gli  Africani 
La  prima  guerra  di  Macedonia  . 
La  guerra  di  Seria  con  Antioco  . 

La  guerra  d'  Etolia 

La  guerra  d' Istria 

La  guerra  con  gli  Gallogreci .  . 
La  seconda  guerra  di  Macedonia 
AKra  guerra  con  gli  Schiavi  .  . 
La  terza  guerra  di  Macedonia  . 
La  terza  guerra  con  gli  Africani 
La  guerra  con  quegli  di  Acaia  . 
Cose  fatte  in  Ispagna  .  .  . 
La  guerra  di  Numanzia,  .  .  . 
Quando  cominciò  a  corrompersi  lo  popolo 
di    Roma 


58 
59 
60 
61 
7i 
77 
81 
ivi 
82 
83 
86 
87 
88 
92 
93 
98 

102 


La  firuorra  d'  Asia 


227 

Pag.  103 


Finisce  lo  secondo  libro  di  Floro. 


Terzo  libro. 

Delia  guerra  con  Giusfiirta  in  Numidia 
La  guerra  con  gli  .\lIobrogi.  .  .  . 
La   guerra  con   gli  CimLri  ,  Teutoni  e 

Tigurini   in  Gallia  Cisalpina. 
La  guerra  di  Tarzia     .... 
La  guerra  con  Mitridate  .... 
La  guerra  con  quegli   di  Cilizia.     . 

La  guerra  di  Greti 

La  guerra  delle  Isole  Baleariche    . 

La  guerra  di  Cipri 

La  guerra  di  Gallia  per  Cesare 

La  guerra  di  Partia 

Sommaria  repetizione  delle  discordie 

Romani  e  la  cagione  d'  elle. 
Onde  ebbono  principio  le  discordie 
La  discordia  di  Tiberio  Gracco.     . 
La  discordia  di  Caio  Gracco  fratello 
La  discordia  d'  Appulejo  .... 

La  discordia  di  Druse 

La  guerra  con  gli  collegali  .  .  . 
La  guerra  con  gli  Servi  .... 
La  guerra  con  Spartaco  .  .  .  • 
La  guerra  civile  di  Mario  e  di  Siila 

La  guerra  di  Sertorio 

La  guerra  civile   con   Lepido     .     . 


de 


100 
109 

HO 
115 

in 

124 
127 
128 
129 
129 
136 

138 
Ul 
143 
144 
li5 
147 
U9 
151 
153 
158 
104 
165 


Qui  finisce  lo  terzo  libro  della   sommaria 
abbreviatura  di  Lucio  Floro. 


228 

Libro  quarto 

La  congiura  di  Catelina    ...■■■  Pag.  108 

La  guerra  civile  di  Ceserò  e  dì  Pompeo  .  »  170 

La  guerra  civile  con  Ceserò  Augusto        ,  »  i92 
]<a  guerra  d'  Attaviano  con  Antonio  a 

Modena »  lOi 

L'  assedio  d'  Antonio  a  Perugia       ...  »  195 

Lo  Triumvirato .     .  »  ivi 

La  guerra  di  Ceserò  Augusto  con  Bruto 

e  Cassio »  197 

La  guerra  di  Augusto  con  Sesto  Pompeo.  »  200 

La  guerra  di  Ventidio  centra  i  Parti   .     .  >  202 

La  guerra  d'  Antonio  centra  i  Parti    .  »  203 
La    guerra   di   Ceserò  Augusto   centra 

Antonio  e  Cleopatra »  200 

Lo    guerre    di    Cesare   Augusto    contro 

Settentrione »  209 

Qui  finisce  lo  libro  di  Anneo  Floro,  famosissimo  autore, 

di  memoriabili  fatti  di  Fiumani, 
dalla  edificazione  di  Roma  infino  a  Cesare  Augusto. 


CATALOGO 

DEI 

LIBRI  DI  PROPRIA  EDIZIONE 

DI 

GAETANO  ROMAGNOLI 

Libraio  Editore  della  R.CammissioDe  pe' Testi  di  Lingua 

BOLOGNA 
Via  Toschi,  16 


GENNAIO 

1881 


Avvertenza 


I/ Editore,  per  agevolare  1'  acquisto  di  entrambe 
le  sue  Collezioni  a  biblioteclie  ed  amatori ,  accetta 
anche  pagamenti  rateali  da  convenirsi.  Gli  articoli 
segnati  con  asterisco  non  si  vendono  separatamente 
anzi  si  acquistano  pagando  il  doppio  del  prezzo  se- 
gnato. Ai  librai  si  accorda  lo  sconto  T~), 


COLLEZIONE 

DI 

OPERE  INEDITE  0  RARE 

DEI  PRIMI  TRE  SECOLI  DELLA  LINGUA 

PUBBLICATE  PER  CURA 

della  R.  Commissione  pe' Testi  di  Lingua 


L  Bandi  Lucchesi  del  secolo  XIV,  tratti 
dai  registri  del  R.  Archivio  di  Stato  di 
Lucca,  per  cura  di  Salvatore  Bongi. 
Bologna,  18G3,  ìn-8  di  pagg.  XVI-434 

L.  7.  25 

2.  3.  Storia  di  Ajolfo  del  Bai-bicone  e  di 
altri  valorosi  cavalieri  compilata  da 
Andrea  di  Iacopo  da  Barberino  di  Val- 
delsa,  testo  di  lingua  inedito  pubblicato 
a  cura  di  Leone  Del  Prete.  Ivi,  1863-64. 
Voli.  2  in-8  di  pagg.  XXII-365-368. 

L.  12.  37 


4 
4.  5.  6.  Statuti  Senesi  scritti  in  volgare 
ne'  secoli  XIII  e  XIV  e  pubblicati  se- 
condo i  testi  del  Real  Archivio  di  Stato 
in  Siena ,  per  cura  di  Filippo  Luigi  Po- 
lidori  e  Luciano  Banchi.  Voi.  1.°  Ivi, 
1863  in-8  di  pagg.  XXXVlIl-496.  Voi. 
2.°  di  pagg.  XXXlI-372.  Voi.  3.°  di 
pagg.  XXXlV-512.  L.  28.  43 

7.  I  Fatti  di  Cesare,  testo  di  lingua  ine- 
dito del  sec.  XIV  pubblicato  a  cura 
di  Luciano  Banchi.  Ivi,  1863,  in-8  di 
pagg.  LXXX-388.  L.  7.  63 

8.  9.  La  Tavola  Ritonda,  o  l' Istoria  di 
Tristano,  testo  di  lingua  inedito,  citato 
dagli  accademici  della  Crusca,  ed  ora 
per  la  prima  volta  pubblicato  secondo  un 
codice  della  Mediceo-Laurenziana  per 
cura  e  con  illustrazioni  di  Filippo  Luigi 
Polidori  e  Luciano  Banchi.  Ivi,  1864-67. 
Voli.  2  in-8  di  pagg.  CXX-552-340. 

L.  16.  42 

10.  Cronache  Siciliane  dei  secoli  XIII, 
XIV  e  XV  pubblicate  per  cura  del 
Prof.  Vincenzo  Di  Giovanni.  Ivi,  186i") 
in-8   di  pagg.   LVI-404.  L-  4.  75 


11.  Storia  di  Rinaldino  da  Montalbano, 
romanzo  cavalleresco  in  prosa,  pubbli- 
cato per  cura  di  Carlo  Minutoli.  Ivi , 
1865,  in-8  di  pagg.  XLVlIl-404. 

L.  7.  35 

12.  Trattati  di  Mascalcia  attribuiti  ad 
Ippocrate  ,  volgarizzati  nel  sec.  XIII  e 
pubblicati  a  cura  di  Pietro  Del  Prato. 
Ivi,  1865,  di  pagg.  CXXX-308. 

L.  7.  05 

13.  14.  15.  Commento  alla  divina  com- 
media d' Anonimo  Fiorentino  del  sec. 
XIV,  ora  per  la  prima  volta  stampato 
a  cura  di  Pietro  Fanfani.  Ivi,  1866-74. 
Voli.  3  in-8.  L.  34.  58 

16.  Prediche  inedite  del  B.  Giordano  da 
Rivalto,  recitate  in  Firenze  dal  1302 
al  1305 ,  pubblicate  dal  Cav.  Enrico 
Narducci.  Ivi  ,  1867  ,  in-8  di  pagg. 
XLVlII-500.  L.  8.  82 

17.  18.  De'Rimedii  dell'una  e  dell'altra 
fortuna  di  Messer  Francesco  Petrarca, 
volgarizzati  nel  buon  secolo  della  lingua 
per  D.  Giovanni  Dassaminiato,  pubblicati 
a  cura  di  Don  Casimiro  Stolfi.  Ivi  1867- 
68.    Voli.  2  in-8  di  pagg.  464-508. 

L.  17.  02 


6 

19.  20.  La  Mascalcia  di  Lorenzo  Rusio, 
volgarizzamento  del  secolo  XIV  a  cura 
di  Pietro  Del  Pietro  e  Luigi  Barbieri. 
Ivi,  1867.  Voli.  2  in-8  di  pagg.  \lII-448- 
340.  L.  10 

21.  22.  H  Eomuleo  di  Messer  Benvenuto 
da  Imola ,  volgarizzamento  del  buon 
secolo ,  messo  per  la  prima  volta  in 
luce  dal  dottor  Giuseppe  Guatteri.  Ivi, 
1867.  Voli.  2  in-8  di  pagg.  XX-396-464. 

L.  16.  95 

23.  24.  Valerio  Massimo,  De' fatti  e  detti 
degni  di  memoria  della  città  di  Roma 
e  delle  stranie  genti,  testo  di  lingua  del 
secolo  XIV,  riscontrato  su  molti  codici, 
e  pubblicato  da  Roberto  De  Visiani.  Ivi, 
1867,  in-8  di  pagg.  740.         L.  14.  35 

25.  n  libro  dì  Sidrac,  testo  inedito  del 
secolo  XIV,  pubblicato  da  Adolfo  Bar- 
toli.  Ivi,  1868,  in-8  di  pagg.  XXX-408. 

L.  8.  25 

20.  Leggenda  minoi'e  di  S.  Caterina  da 
Siena  e  Lettere  dei  suoi  discepoli,  scrit- 
ture inedite  pubblicate  dal  dott.  Fran- 
cesco Gi^ottanelli.  Ivi,  1868,  in-8  di 
pagg.  XXX-408.  L.  8.  25 


27.  Antonio  da  Tempo,  Trattato  delle 
rime  volgari,  composte  nel  1332,  dato 
in  luce  integralmente  ora  la  prima  volta 
per  cura  di  Giusto  Grion.  Ivi,  18G9, 
in-8  di  pagg.  385.  L.  7.  20 

28.  29.  30.  Codice  della  Divina  Commedia 
che  fu  del  Papa  Lambertini,  dato  se- 
condo la  sua  ortografia,  coi  raffronti  di 
altri  XIX  Codici  Danteschi  inediti ,  per 
cura  di  L.  Scarabelli.  Bologna,  Regia 
Tipografia,  1871-73.  Voli.  3  in-8 

L.  42  20 

*  31.  I  Reali  di  Francia.  Ricerche  intomo 

a'  Reali  di  Francia  per  Pio  Rajna  se- 
guite dal  libro  delle  storie  di  Fioravante 
e  dal  Cantare  di  Bovo  D'  Antona.  Bo- 
logna, R.  Tip.,  1872, in-8.       L.  II.  35 

*  32.  I  Nobili  Fatti  di  Alessandro  Magno, 

romanzo  storico  tradotto  dal  francese 
nel  buon  secolo,  ora  per  la  prima  volta 
pubblicato  sopra  due  codici  Magliabe- 
chiani,  per  cura  di  Giusto  Grion.  Ivi, 
R.  Tip.,  1872,  in-8  L.  9.  IO 

33.  Dei  Trattati  morali  di  Albertano  da 
Brescia,  volgarizzamento  inedito  fatto 
nel  1268  da  Andrea  di  Grosseto,  a  cura 
di  F.  Selmi.  Ivi,  1873,  in-8.  L.  8 


*  34.  35.  36.  Le  Vite  degli  uomini  illustri 
di  F.  Petrarca  volgarizzate  da  Donato 
degli  Albanzani  da  Pratovecchio  ora 
per  la  prima  volta  messe  in  luce  se- 
condo un  codice  Laurenziano  citato 
dagli  accademici  della  Crusca.  Voi.  2 
parti  3,  per  cura  di  L.  Razzolini.  Ivi , 
R.   Tip.,  1874,  in-8.  L.  32.  60 

37.  La  Scala  del  Paradiso  di  S.  Giovanni 
Climaco,  testo  di  lingua  del  sec.  XIV 
per  cura  del  Dott.  Ab.  Antonio  Ceruti. 
Ivi,  R.  Tip.,  1875,   di   pagg.   Ln-324. 

L.  10.  80 

38.  39.  40.  Comedia  di  Dante  degli  Alla- 
gherii  col  Commento  di  Iacopo  della 
Lana  Bolognese  —  nuovissima  edizione 
della  Regia  Commissione  per  la  pub- 
blicazione dei  testi  di  Lingua  sopra  ite- 
l'ati  studi  del  suo  socio  Luciano  Scara- 
belli.  Bologna,  R.  Tip.,  1866.  Voli.  3 
in-8.  L.  36 

*41.  Le  antiche  rime  volgari  secondo  la 
lezione  del  Codice  Vaticano  3793 ,  pub- 
blicate per  cura  di  A.  D'  Ancona  e  D. 
Comparetti.  Voi.  I.  Bologna,  R.  Tip., 
1873,  in-8.  L.  11 


9 

42.  Del  Reggimento  e  costumi  di  Donna  di 
M  esser  Francesco  da  Barberino  secondo 
la  lezione  dell'  antico  testo  a  penna 
Barberiniano  per  cura  del  Conte  Carlo 
Baudi  di  Vesme.  Bologna,   1875,  in-8. 

L.  9.  40 

43.  44.  Le  Storie  Nerbonesi,  Romanzo 
Cavalleresco  del  Secolo  XIV,  pubblicato 
per  cura  di  I.  G.  Isola.  Bologna,  1877-80. 
Voli.  I.  testo  e  Voi.  III.  preliminari  par- 
te I.  L.  23.  40 

N.  B.  Il  Yol.  II  del  Testo  è  in  corso 
di  stampa. 

45.  46.  H  Tesoro  di  Brunetto  Latini,  vol- 
garizzato da  Bono  Giamboni  raffi'ontato 
col  testo  autentico  francese  edito  dal 
P.  Chabaille  emendato  coi  manos.  ed 
illustrato  da  Luigi  Gaiter.  Bologna, 
1878-79.  Voli.  2  in-8.°  L.  18.  50 

47  e  48.  Volgarizzamento  della  Istoria 
della  Guerra  Giudaica  di  losefo  Flavio 
testo  di  lingua  antico  ridotto  a  piìi  sana 
lezione  da  Luigi  Calori.  Bologna,  1879. 
Voli.  2  in-8.°  L.  19.  20 


SCELTA 


CURIOSITÀ  LETTERARIE 

INEDITE  0  KARE 
dal    Secolo    XIII   al  XVII 

in  appendice  alla  Collezione  suddefta. 


DI  questa  Scelta,  in  Appendice  alla  Collezione 
ufficiale,  encomiata  da  molti  giornali  d' Italia  e  del- 
l' estero ,  fin  qui  si  sono  pubblicate  le  seguenti 
dispense,  tirate  in  soli  202  esemplari  ordinatamente 
numerati. 

*  1.  ITovelle   d'  incerti    autori    del   secolo 

XIV.  Bologna,  Tipografia  del  Progresso, 
1861,  in-16  di  pagg.   100.  L.  3 

2.  Lezione  o  vero  Cicalamento  di  Maestro 
Bartolino  dal  Canto  de'  Bischeri  sopra 
'1  sonetto  :  Passere  e  beccafichi  magri 
arrosto.  Bologna ,  Tipografia  del  Pro- 
gresso, 1861,  in-16  di  pagg.  102.  L.  5 

*  3.   Martirio    d'  una    fanciulla    Faentina 

narrato  per  Frate  Filippo  da  Siena  nel 


11 

sec.  XIV.   Bologna,  Tip.  del  Progresso, 

1861,  in-lG  di  pagg.  12.  L.  1.  25 

*  4.  Due  Novelle  morali  d'  autore  anonimo 

del  secolo  XIV.  Bologna,  Tipografia  del 
Progresso,    1861,    in-16    di  pagg.   24. 

L.  1.  50 

*  5.  Vita  di  M.  Francesco  Petrarca  scritta 

da  incerto  trecentista.  Boi.,  Tipografia 
del  Progresso,  1861,  in-16  di  pagg.  24. 

L.  1.  25 

*  6.  Storia  d' una  Fanciulla  tradita  da  un 

suo  amante  di  messer  Simone  P'orestani 
da  Siena.  Boi.,  Tipografia  del  Progresso 

1862,  in-16  di  pagg.  48.  L.  1.  75 

7.  Gominento  di  ser  Agresto  da  Ficaruolo 
sopra  la  prima  Ficata  del  Padre  Siceo. 
Boi.,  Tipografia  del  Progresso,  1862, 
in-16  di  pagg.  216.  L.  6 

*  8.  La  Mula ,  la  Chiave  e   Madrigali  sa- 

tirici del  Doni  Fiorentino.  Boi.,  Tipo- 
grafia del  Progresso,  1862,  in-16  di 
pagg.  40.  L.  1.  50 

*  9.  Dodici  Conti  morali  di  Anonimo  Se- 

nese, testo  inedito  del  secolo  XIII.  Boi., 
Tipografia  del  Progresso,  1862,  in-16 
di  pagg.  XIV-152.  L.  4 


12 

*  10.   La  Lusignaca,   novella    inedita  del 

buon  secolo  della  lingua  italiana.  Boi., 
Tipografia  del  Progresso,  1862,  in-16 
di  pagg.  32.  L.  2 

11.  Dottrina  dello  Schiavo  di  Bari  secondo 
la  lezione  di  tre  antichi  testi  a  penna. 
Boi. ,  Tipografia  del  Progresso,  1862, 
in-16  di  pagg.  24.  L.  1.  50 

*  12.  11  Passio   0  Vangelo  di  Nicodemo 

volgarizzato  nel  buon  secolo  della  lingua, 
e  non  mai  fin  qui  stampato.  Boi.,  Tip. 
del  Progresso,  1862,  in-16  di  pagg.  52. 

L.  2.  50 

*  13.  Sermone  di  S.  Bernardino   da  Siena 

sulle  Soccite  di  Bestiami.  Boi. ,  Tipo- 
grafia del  Progresso,  1862,  in-16  di 
pagg.  40.  L.  1.  50 

*  14.  Storia  d'una   crudel  matrigna,  ove 

si  narrano  piacevoli  novelle.  Scrittura 
del  buon  secolo  di  nostra  lingua.  Boi., 
Tipografia  del  Progresso,  1862,  in-16 
di  pagg.  68.  L.  2.  50 

*  15.    H    Lamento    della    Beata    Vergine 

Maria  e  le  Allegrezze  in  rima,  secondo 
antichi  codici  manoscritti.  Boi. ,  Tipo- 
grafia del  Progresso,  1862,  in-16  di 
pagg.  24.  L.  1.  50 


13 
16.  Il  Libro  della  vita  contemplativa, 
saggio  di  un  volgarizzamento  del  sec. 
XIV,  messo  per  la  prima  volta  in  luce. 
Boi.,  Tipografia  del  Progresso,  1862, 
in- 16  di  pagg.  36.  L.  1.  50 

*  17.  Brieve  Meditazione   sui  benefici   di 

Dio  per  Agnolo  Torini  da  Firenze,  testo 
inedito  del  buon  secolo  della  lingua  ita- 
liana. Boi.,  Tipografia  del  Progresso, 
1862,  in-16  di  pagg.  56.  L.  2 

18.  La  Vita  di  Bomolo  composta  in  latino 
da  Francesco  Petrarca  col  volgarizza- 
mento citato  dagli  accademici  della 
Crusca  di  Maestro  Donato  da  Prato- 
vecchio.  Boi. ,  Tipografia  del  Progresso , 
1862,  in-16  di  pagg.  56.  L.  2 

19.  n  Marchese  di  Saluzzo  e  la  Griselda, 
novella  in  ottave  del  secolo  XV.  Boi. , 
Tipografia  del  Progresso,  1862,  in-16 
di  pagg.  40.  L.  2 

*  20.   Novella  di   Pier   Geronimo   Gentile 

Savonese.  Boi.,  Tipogr.  del  Progresso, 
1862,  in-16  di  pagg.  28.  Vi  è  unito: 

Un'  Avventura  amorosa  di  Ferdinando 
d'  Aragona  Duca  di  Calabria ,  narrata 
da  Bernardo  Dovizi  da  Bibbiena  in  una 


14 

lettera  a  Piero  de'  Medici.  Boi. ,  Tip. 
del  Progresso,  1862,  in-16  di  pagg.  24. 
Vi  è  pure  unito  : 

Le  Compagnie  de'  Battuti  in  Roma  nell'  anno 
1339.  Boi.,  Tipografia  del  Progresso, 
1862,  in-16  di  pagg.  16.  L.  2.  50 

21.  Due  Epistole  d'  Ovidio  tratte  dal  vol- 
garizzamento delle  Eroidi  fatto  da  mes- 
sere Carlo  Figiovanni  nel  secolo  XIV. 
Boi.,  Tipografia  del  Progresso,  1862, 
in-16  di  pagg.  40.  L.  2 

22.  Novelle  di  Marco  Mantova  scrittore 
del  secolo  XVI,  novellamente  stampate 
a  facsimile  nella  lezione  del  testo  origi- 
nale. Bologna,  Tipografia  del  Progresso, 
1862,  in-16  di  pagg.  144.  L.  5 

23.  Dell'  Illustre  et  famosa  historia  di 
Lancilotto  dal  Lago,  alcuni  capitoli  a 
saggio.  Boi.,  Tipografia  del  Progresso, 
1862,  in-16  di  pagg.  72.  L.  3 

24.  Saggio  del  volgarizzamento  antico  di 
Valerio  Massimo  citato  dagli  accademici 
della  Crusca  per  testo  di  lingua.  Boi., 
Tipografia  del  Progresso,  1862,  in-16 
di  pagg.  44.  L.  2.  50 


15 

25.  Novella  del  Gerbino  in  ottava  rima 
di  un  Anonimo  antico.  Boi.,  Tipografia 
del  Progresso,  1862,  in- 16  di  pagg.  40. 

L.  2 

26.  Trattatello  delle  virtù,  testo  francese 
di  Frate  Lorenzo  de'  Predicatori  e  to- 
scano di  Zucchero  Bencivenni  scrittore 
del  secolo  XIV.  Boi.,  Tipografia  del 
Progresso,  1863,  in-16  di  pagg.  48. 

L.  2 

27.  Negoziazione  di  Giulio  Ottonelli  alla 
Corte  di  Spagna.  Boi.,  Tipografia  del 
Progresso,  1862,  in-16  di  pagg.  32.  L.  2 

28.  Tancredi  Principe  di  Salerno.  Novella 
in  rima  di  Hieronimo  Benivieni  Fioren- 
tino. Boi.,  Tipografia  del  Progresso, 
1863,  in-16  di  pagg.  62.  L.  2 

29.  Le  vite  di  Numa  e  T.  Ostilio,  testo 
latino  di  Francesco  Petrarca,  e  toscano 
di  M.  Donato  da  Pratovecchio.  Boi.  , 
Tipografia  del  Progresso,  1863,  in-16 
di  pagg.  38.  L.  2 

30.  La  Epistola  di  San  Iacopo  e  i  Capitoli 
terzo  e  quarto  del  Vangelo  di  san  Gio- 
yanni,  volgarizzamenti  inediti.  Boi.,  Ti- 
pografia del  Progresso,  1863,  in-16  di 
pagg.  44.  L.  2 


IG 

31.  Storia  di  san  Clemente  Papa  fatta 
volgare  nel  secolo  XIV.  Boi,  Tipografìa 
del  Progresso,  18G3,  in-16  di  pagg.  104. 

L.  3 

32.  n  Libro  delle  Lamentazioni  di  lere- 
mia  e  il  Cantico  de'  Cantici  di  Salomone, 
volgarizzamenti  del  secolo  XIV.  Boi., 
Tipografia  del  Progresso,  1863,  in-16 
di  pagg.  32.  L.  2 

33.  Epistola  di  Alberto  degli  Albizzi  a 
Martino  V.  volgarizzata  da  Don  Giovanni 
Dassamminiato.  Boi.,  Tipografia  del 
Progresso,  1863,  in-16  di  pagg.  46. 

L.  2 

*34.  I  Saltarelli  del  Bronzino  Pittore. 
Boi.,  Tipografia  del  Progresso,  1863. 
in-16  di  pagg.  56.  L.  2 

35.  Gìbello  Novella  inedita  in  ottava  rima 
del  buon  secolo  della  lingua.  Boi.,  Ti- 
pografia del  Progresso,  1863,  in-16  di 
pagg.  60.  L.  3 

36.  Commento  a  una  Canzone  di  Francesco 
Petrarca  per  Luigi  de'  Marsili.  Boi. , 
Tipografia  Monti,  1863,  in-16  di  pagg. 
51.  L.  2.  50 


17 

*  37.  Vita  e  frammenti  di   Saffo  da  Miti- 

lene.    Boi.,    Tipogi'afia   del   Progresso , 
1863,    in-16    di  pagg.  104.  L.  3 

*  38.  Bime  di  Stefano  Vai  rimatore  pratese. 

Boi.,  Tipografia  del  Progresso,    1863, 
in-16  di  pagg.  56.  L.  2 

39.  Capitoli  delle  monache  di  Pontetetto 
presso  Lucca.  Scrittura  inedita  del  sec. 
XIII.  Bologna,  Tipografia  del  Progresso, 
1863,  in-16  di  pagg.  46.  L.  2.  50 

40.  Libro  della  Cucina  del  secolo  XIV, 
testo  di  lingua  non  mai  fin  qui  stam- 
pato. Boi.,  Tipografia  del  Progresso, 
1863,  in-16  di  pagg.  LVI-128.        L.  6 

41.  Historìa  della  Reina  d'  Oriente  di 
Antonio  Pucci  Fiorentino ,  Poema  ca- 
valleresco del  secolo  XIV,  pubblicato  e 
restituito  alla  sua  buona  primitiva  le- 
zione su'  testi  a  penna.  Boi.,  Tipografia 
Monti,  1862,  in-16  di  pagg.  86.     L.  3 

42.  La  Fisognomia  trattatello  in  francese 
antico  colla  versione  italiana  del  Tre- 
cento pubblicata  la  prima  volta  su 
codici.  Boi.,  Regia  Tipografia,  1864, 
in-16  di  pagg.  62.  L.  2.  50 

2 


18 

43.  Storia  della  Reina  Ester  scritta  nel 
buon  secolo  della  lingua  e  non  mai  fin 
qui  stampata.  Boi.,  Regia  Tipografia, 
1864,  in-16  di  pagg.  31.  L.  1.  50 

44.  Sei  Odi  inedite  di  Francesco  Redi. 
Boi.,  Tipografia  del  Pi'Ogresso,  18C4, 
in-lG  di  pagg.  52.  L.  2 

45.  La  Storia  di  Maria  per  Ravenna  scritta 
nel  secolo  XV  da  ignoto  autore.  Boi., 
Regia  Tipografia,  1864,  in-16  di  pagg. 
38.  L.  2 

46.  Trattatello  della  verginità,  testo  di 
lingua  dell'  aureo  trecento  non  mai  fin 
qui  stampato.  Boi.,  Regia  Tipografia, 
1864,  in-16  di  pagg.  40.  L.  2 

47.  Lamento  di  Fiorenza  qual  supplica  la 
Santità  del  Papa  ad  unirsi  con  esso  lei 
con  invocazione  di  tutte  le  potenze  cri- 
stiane con  la  guerra,  e  quando  si  rese 
con  patti  e  convenzioni  fatte  con  la 
Santità  di  Nostro  Signore  e  Maestà  Ce- 
sarea 1529-30.  Boi.,  Regia  Tipografia, 
1864,  in-16  di  pagg.  36.  L.  2 

48.  Un  Viaggio  a  Perugia  fatto  e  descritto 
dal  Beato  Giovanni  Dominici  nel  1395 
con  alcune  sue  Lettere  che  non  si  leg- 


19 
gono   tra   quelle   di   Santi   e  Beati  fio- 
rentini. Boi.,  Regia  Tipografia,    1864, 
in-16  di  pagg.  52.  L.  2.  50 

49.  Il  Tesoro  canto  carnascialesco  mandato 
a  Cosimo  I.  Granduca ,  da  Lorenzo 
Braccesi.  Si  aggiunge  la  Canzone  del 
Nicchio  ricordata  nel  Decamerone.  Boi., 
Regia  Tipografia,  1864,  in-16  di  pagg. 
24.  L.  1.  50 

*  50.  Storia  di  Fra  Michele  Minorità,  come 
fu  arso  in  Firenze  nel  1389,  con  docu- 
menti risguardanti  i  Fraticelli  della 
povera  Vita,  testi  inediti  del  buon  sec. 
di  nostra  lingua.  Boi.,  Tipografia  del 
Progresso,  1864,  in-16  di  pagg.  XX XVI- 
128.  L.  6. 

*51.  Dell'Arte  del  vetro  per  musaico; 
tre  trattatelli  del  sec.  XIV  e  XV  ora 
per  la  prima  volta  pubblicati.  Bologna, 
Regia  Tipografia,  1864,  in-16  di  pagg. 
XVI-176.  L.  6 

52.  53.  Leggende  di  alcuni  Santi  e  Beati 
venerati  in  S.  Maria  degli  Angeli  di 
Firenze  ,  testi  del  buon  secolo.  Boi.  , 
Regia  Tipografia,  1864,  voli.  2  in-16 
di  pagg.  160  e  183.  L.  10.  50 


20 

54.  Regola  dei  Frati  di   S.   Iacopo  d' Al- 
,  topascio.  Boi.,  Regia  Tipografia,  1864, 

in- 16  di  pagg.  144.  L.  5 

55.  Lettera  de'  Fraticelli  a  tutti  i  cristiani 
nella  quale  rendon  ragione  elei  loro 
scisma,  testo  inedito  del  buon  secolo 
della  lingua.  Boi.,  Tipografia  del  Pro- 
gresso, 1865,  in- 16  di  pagg.  36. 

L.  1.  50 

56.  Gìacoppo  novella  e  la  Ginevra  novella 
incoaiinciata;  dall'originale  d'anonimo 
quattrocentista  dell'  Archivio  Mediceo 
(con  facsimile).  Boi.,  Tipografia  del 
Progresso,  1865,  in-16  di  pagg.  XVI-64. 

L.  3 

57.  La  Leggenda  di  Sant'  Albano ,  prosa 
inedita  del  secolo  XIV,  e  la  Storia  di 
S.  Giovanni  Boccadoro  secondo  due  an- 
tiche lezioni  in  ottava  rima.  Boi.,  Tipogr. 
del  Progresso,  1865,  in-16  di  pag.  109. 

L.  4 

58.  Sonetti  giocosi  di  Antonio  da  Pistoia, 
e  Sonetti  satirici  senza  nome  d'  autore , 

,  tratti  per  la  prima  volta  da  vari  codici. 
Boi.,  Regia  Tipografia,  1865,  in-16  di 
pagg.  76.  L.  2.  50 


21 

59.  Fiori  di  Medicina  di  maestro  Gregorio 
Medico-fi|ico  del  secolo  XIV.  Boi.,  Re- 
gia Tipografìa,  1865,  in-16  di  pagg.  86. 

L.  3 

60.  Cronichetta  di  San  Geminiano  compo- 
sta da  F.  Matteo  Ciaccheri  Fiorentino 
l'anno  MCGCLV.  Boi.,  Tipogr.  del  Pro- 
gresso, 1865,  in-16  di  pagg.  XIV-44. 

L.  2 

61.  Trattato  di  Virtù  morali.  Boi.,  Regia 
Tipografia,  1865,  in-16  di  pagg.  216. 

L.  6.  50 

62.  Proverbi  di  messer  Antonio  Cornazano 
in  facetie.  Boi.,  R.  Tipografia,  1865,  in-16 
di  pagg.  XII-176.  L.  8 

63.  Fiore  di  Filosofi  e  di  molti  savi  at- 
tribuiti a  Brunetto  Latini,  testo  in  parte 
inedito,  citato  dalla  Crusca  e  ridotto  a 
miglior  lezione.  Boi.,  Regia  Tipografia, 
1865,  in-16  di  pagg.  XX-94.  L.  3 

64.  Il  Libro  dei  Sette  Savi  di  Roma  tratto 
da  un  codice  del  secolo  XIV,  per  cura 
di  Antonio  Cappelli.  Boi.,  Tipogr.  del 
Pi'ogresso,  1865,  in-16  di  pagg.  XVI-88. 

^"  L.  3.  60 


22 

65.  Del  Lìbero  arbitrio,  trattato  di  San 
Bernardo,  testo  di  lingua  citato  dalla 
Crusca ,  ora  edito  per  la  prima  volta. 
Bologna,  Tipografia  del  Progresso  , 
1866  in-16  di  pagg.  XVl-112.         L.  4 

66.  Delle  Azioni  e  sentenze  di  Alessandi-o 
De'  Medici ,  ragionamento  d'  Alessandro 
Ceccheregli.  Boi.,  Regia  Tipografia,  1865, 
in-16  di  pagg.  206.  L.  6 

67.  PronosticM  d'  Ippocrate  volgarizzati 
nel  buon  secolo  della  lingua  e  non  mai  fin 
qui  stampati.  Boi.,  Tipogr.  del  Progresso, 
1866,  in-16  di  pagg.  68. 

Vi  è  unito: 

Della  Scelta  di  curiosità  letterarie  inedite 
o  rare,  illustrazioni  del  Prof.  Giosuè 
Carducci.  Boi.,  Tipogr.  del  Progresso, 
1863,  in-16  di  pagg.  76.  L.  3.  50 

68.  Lo  Stimolo  d'  Amore  attribuito  a  San 
Bei'nardo,  testo  di  lingua  inedito.  Boi., 
Tipogr.  del  Progresso,  1866,  in-16  di 
pagg.  52. 

Vi  è  unito  : 
La  Epistola  di  S.  Bernardo  a  Raimondo, 
volgarizzamento   del   buon  secolo.  Boi., 


23 

Tipogr.   del   Progresso,  1866,  in- 16  di 
pagg.  20.  L.  3 

69.  Bicordi  sulla  vita  di  messer  Fi'ancesco 
Petrarca  e  di  Madonna  Laura  scritti  da 
Luigi  Peruzzi  loro  contemporaneo.  Boi., 
Tipogr.  del  Progresso,  1866,  in- 16  di 
pagg.  36.  L.  1.  50 

70.  Tractato  del  Diavolo  co'  Monaci,  isto- 
ria in  ottava  rima  di  Bernardo  Giam- 
bullari.  Boi.,  Tipogr.  del  Progresso,  1866, 
in-16  di  pagg.  40.  L.  2.  50 

71.  Due  Novelle  aggiunte  in  un  codice  del 
1437,  contenente  il  Decameron  di  Gio- 
vanni Boccacci,  Boi.,  R.  Tipografia,  1866, 
in-16  di  pagg.  XII-72.  L.  3.  50 

72.  Vbbie  Ciancioni  e  Ciarpe  del  secolo 
XIV.  Boi.,  R.  Tipogr.,  1866,  in-16  di 
pagg.  XXIV-62.  L.  3 

73.  Specchio  dei  peccatori  attribuito  a  S. 
Agostino,  edito  per  la  prima  volta.  Boi., 
R.  Tipogr.  1866,  in-16  di  pagg.  XVI-34. 

L.  2.  50 

74.  Consiglio  contro  a  pistolenzia  per  mae- 
stro Tommaso  del  Garbo  conforme  un 
codice  della  Marciana  2:ià  Farsetti  raf- 


24 

frontato  con  altro  codice  Riccardiano. 
Boi.,  R.  Tipografia,  1866,  in-16  di  pagg. 
60.  L.  2 

75.  76.  Il  Volgarizzamento  delle  favole  di 
Galfredo  dette  di  Esopo,  testo  di  lingua, 
con  un  discorso  intorno  la  origine  della 
Favola,  la  sua  ragione  storica  e  i  fonti 
dei  volgarizzamenti  italici.  Bologna,  Tip. 
del  Progresso,  1866,  voli.  2  in-16  di 
pagg.  CCXVII-288.  L.  14.  EO 

77.  Poesie  minori  del  secolo  XIV.  Boi., 
Tipogr.  del  Progresso,  1867,  in-16  di 
pagg.  XL-108.  L.  4 

78.  Due  Sermoni  di  Santo  Efrem  e  la 
Laudazione  di  Josef.  Boi.,  R.  Tipografìa, 
1867,  in-16  di  pagg.  72.  L.  2.  50 

79.  Cantare  del  Bel  Gherardino,  Novella 
cavalleresca  in  ottava  rima  del  secolo 
XIV,  non  mai  fin  qui  stampata.  Boi.,  R. 
Tipografia,  1867,  in-16  di  pagg.  56. 

L.  2 

80.  Fioretti  de'  Riraedii  contro  fortuna  di 
messer  Francesco  Petrarca,  volgarizzati 
per  D.  Gio.  Dassaminiato,  ed  una  Epi- 
stola di  Coluccio  Salutati  al   medesimo 


25 

D.  Giovanni,  tradotta  in  latino  di  Ni- 
colò Castellani,  testi  del  buon  secolo. 
Boi.,  R.  Tip.,  1867,  in-16  di  pagg.  280. 

L.  8 

81.  Compendio  di  più  ritratti  di  Gio.  Maria 
Gecchi,  oi^a  per  la  prima  volta  messo 
in  luce.  Boi.,  R.  Tipogr.,  1867,  in-16  di 
pagg  96.  L.  3 

82.  Bime  di  Bindo  Bonichi  da  Siena  edite 
ed  inedite,  ora  per  la  prima  volta  tutte 
insieme  stampate.  Boi.,  1867,  in-16  di 
pagg.  XXXVI-216.  L.  7.  50 

83.  La  Storia  di  Ottinello  e  Giulia,  Poe- 
metto popolare  in  ottava  rima,  ripro- 
dotto sulle  antiche  stampe.  Bologna,  1867, 
in-16  di  pagg.  XLVlII-28.        L.  2,  50 

84.  Fistola  di  S.  Bernardo  ai  frati  del 
monte  di  Dio,  volgarizzamento  del  se- 
colo XIV,  citato  dalla  Crusca.  Bologna, 
1867,   in-16   di  pagg.  XVI-196.     L.  7 

85.  Tre  Novelle  rarissime  del  secolo  XVI. 
Bologna,  1867,  in-16  di  pagg.  132. 

L.  5 

86.  86.2  87.  88.  Il  Paradiso  degli  Alberti, 
ritrovi    e   ragionamenti   del   1379  ,   ro- 


2S 

manzo  di  Giovanni  da  Prato  dal  codice 
autografo  e  anonimo  della  Riccardiana. 
Bologna,  1867.  Volumi  4  in-16  di  pagg. 
X11I-382-IV-448-1V-242-1V-276.    L.  40 

89.  Madonna  Lionessa,  cantare  inedito  del 
secolo  XIV,  aggiuntavi  una  novella  del 
Pecorone.  Bologna,  1866,  in-16  di  pagg. 
VIIl-72. 

Sta  unito  in  questa  medesima  dispen- 
sa il 

Libro  degli  ordinamenti  della  Compagnia 
di  Santa  Maria  del  Carmine,  scritto  nel 
1280,  per  la  prima  volta  messo  in  luce 
secondo  una  pergamena  originale.  Bolo- 
gna ,    1867,    in-16    di  pagg.  48.     L.  4 

90.  Alcune  lettere  famigliari  del  secolo 
XIV,  pubblicate  da  Pietro  Dazzi.  Boi., 
1868,  in-16  di  pagg.  72.  L.  2.  50 

91.  Profezia  sulla  Guerra  di  Siena,  stanze 
del  Perella  accademico  Rozzo.  Boi.,  1868, 
in-16    di  pagg.  61. 

Vi  è  eziandio  unito: 

Delle  Favole  di  Galfi'edo  pubblicate  da 
Gaetano  Ghivizzani.  Lettere  di  Nicolò 
Tommaseo  e  Luigi  Barbieri.  Boi.,  1867, 
in-16  di  pagg.  76. 


27 
Vi  è  unito: 
Due  Opuscoli  rarissimi  del   secolo  XVI. 
Boi.,  1865,  in-16  di  pagg.  32.  L.  5.  50 

92.  Lettere  di  Diomede  Borghesi.  Bolo- 
gna, 1868,  in-16. 

Vi  è  unito: 

Quattro  Lettere  di  Daniele  Bartoli.  Bolo- 
gna ,    1868,   in-16    di   pagg.    16. 

L.  3.  50 

93.  Libro  di  Novelle  Antiche,  tratte  da 
diversi  testi  del  buon  secolo  della  lin- 
gua. Bologna,  1868,  in-16  di  pagg.  XVI- 
232.  L.  7.  50 

*  94.  Poesie  Musicali  dei  secoli  XIV,  XV, 
XVI,  tratte  da  vari  codici,  con  un  sag- 
gio della  musica  dei  tre  secoli.  Bologna, 
1869 ,  in-16  di  pagg.  76.  L.  3 

95.  L'  Orlandino  ,  Canti  due  di  messer 
Pietro  Aretino.  Bologna,  1868,  in-16  di 
pagg.  32.  L.  1.  50 

96.  La  Contenzione  di  Mona  Costanza  e 
di  Biagio  e  tre  Canzoni  di  messer  Ber- 
nardo GiambuUari.  Bologna,  1868,  in-16 
di  pagg.  36.  L.  1.  50 


28 

97.  STovellette ,  Esempi  morali  e  Apolo- 
ghi di  San  Bernardino  da  Siena.  Boi., 
1868,  in-16  di  pagg.  XVI-104.  L.  3.  50 

98.  Un  Viaggio  di  Clarice  Orsini  de' Me- 
dici nel  1485,  descritto  da  ser  Matteo 
Franco.  Bologna,  18G8,  in-16  di  pagg.  24. 

L.  1 

99.  La  Leggenda  di  Vergogna,  testi  in 
prosa  e  in  verso  del  buon  secolo ,  e  la 
Leggenda  di  Giuda,  testo  italiano  antico 
in  prosa  e  francese  antico  in  verso.  Bo- 
logna, 1869,  in-16  di  pagg.  236.  L.  7.  50 

100.  Il  Femia  sentenziato,  favola  di  Pier- 
jacopo  Martelli  con  postille  inedite.  Bo- 
logna, 1869,  in-16  di  pagg.  XVI-208. 

L.  7 

101.  Lettere  di  Bartolomeo  Cavalcanti, 
tratte  dagli  originali  che  si  conservano 
nell'Archivio  Governativo  di  Parma.  Boi., 
R.  Tipografìa ,  1869 ,  in-16  di  pagg. 
XLIV-223.  L.  8.  50 

102.  Il  Libro  segreto  di  Gregorio  Dati. 
Bologna,  R.  Tipografia,  1869,  di  pagg. 
120.  L.  3.  80 

103.  Lettere  inedite  di  Bernardo  Tasso , 
precedute  dalle  notizie  intorno  alla  Vita 


29 
del  medesimo.  Bologna,  R.  Tipografia, 
18G9,  ia-16  di  pagg.  222.  L.  7 

104.  Del  Tesoro  volgarizzato  di  Brunetto 
Latini,  libro  primo  edito  sul  più  antico 
dei  codici  noti.  Bologna,  R.  Tipografia, 

1869,  in-16  di  pagg.  210.  L.  7 

105.  Qidìno  da  Sommacampagna,  Trattato 
inedito  dei  Ritmi  volgari.  Boi.,  R.  Ti- 
pografia, 1870,  in-16  di  pagg.  XXXll- 
280.  L.  10.  50. 

106.  La  Leggenda  d'Adamo  ed  Eva,  testo 
inedito  del  secolo  XIV.  Bologna,  R.  Ti- 
pografia, 1870,  in-16  di  pagg.  82. 

L.  1.  50 

107.  Novellino  Provenzale,  ossia  Volgariz- 
zamento delle  antiche  vitarelle  dei  Tro- 
vatori, scritte  in  lingua  d'oc,  da  Ugo 
di  S.  Ciro,  da  Micheler  della  Torre  e 
da  altri.  Imola,  Tip.  d'  I.  Galeati  e  figlio, 

1870.  Di  pagg.  XXIl-222.  L.  8 

108.  Lettere  di  Bernardo  Cappello  tratte 
dagli  originali  che  sono  nell'Archivio 
Governativo  di  Parma.  Imola,  Tip.  d'  I. 
Galeati  e  figlio,  1870,  di  pagg.  XX-108. 

L.  4 


30 

109.  Parma  liberata  dal  giogo  di  Mastino 
della  Scala  addi  21  Maggio  1341,  Can- 
zone politica  di  Francesco  Petrarca,  ri- 
dotta a  miglior  lezione.  Bologna,  Regia 
Tipografìa,  1870,  di  pagg.  202. 

L.  6.  50 

110.  Epistola  di  S.  Girolamo  ad  Eusto- 
chio,  volgarizzamento  antico  secondo  la 
lezione  di  un  codice  della  Biblioteca 
Municipale  di  Genova.  Boi.,  R.  Tip., 
1870,  di  pagg.  214.  L.  7. 

111.  Novellette  intorno  a  Curzio  Mari- 
gnolli,  scritte  da  Andrea  Cavalcanti.  Boi., 
R.  Tipografia,  1870,  di  pagg.  104. 

L.  3.  50 

112.  n  Libro  di  Theodolo,  o  vero  la  Vi- 
sione di  Tantalo,  da  un  codice  del  XIV 
secolo  della  Capit.  Bibl.  di  Verona.  Boi. , 
R.  Tipogr.,  1870,  di  pagg.  XXXII-96. 

L.  4 

113.  114.  I  Viaggi  di  Gio.  da  Mandavilla, 
volgarizzamento  antico  toscano  ora  ri- 
dotto a  buona  lezione  coli'  aiuto  di  due 
testi  a  penna.  Imola ,  Tipografia  d'  I. 
Galeati  e  figlio,  1870,  di  pagg.  XXVllI- 
184  e  220.  L.  14 


31 

115.  Lettere  di  Pietro  Vettori,  ora  per  la 
prima  volta  pubblicate.  Bologna,  Regia 
Tipogr.,  1870,  di  pagg.  80.      L.  2.  50 

116.  Lettere  volgari  del  secolo  XIII  scritte 
da  senesi,  pubblicate  e  illustrate  con 
documenti  e  annotazioni.  Imola,  Galeati, 
1871,  di  pagg.  XXlV-178.        L.  6.  50 

117.  Bime  del  cav.  Lionardo  Salviati,  se- 
condo la  lezione  originale,  confrontata 
con  due  codici.  Imola,  Galeati,  1871,  di 
pagg.  XVI-114.  L.  4 

118.  La  Seconda  Spagna  e  l'Acquisto  di 
Ponente  ai  tempi  di  Carlomagno  ,  testi 
di  lingua  inediti  del  secolo  XIV.  Boi., 
R.  Tip.,  di  pagg.  XCVl-272,  con  fac- 
simile. L.  12 

119.  Novelle  di  Giovanni  Sercambi.  Bolo- 
gna, R.  Tipogx'afìa,  1871,  di  pagg.  XII- 
308.  L.  12 

120.  Carte  da  giuoco  in  servigio  dell'  1- 
storia  e  della  Cronologia,  disegnate  e 
descritte  da  mons.  Francesco  Bianchini 
secondo  l' autografo  della  Capitolare  Ve- 
ronese. Boi.,  R.  Tip.,  1871,  di  pagg.  72, 
con  quattro  tavole  litografiche.  L.  3.  50 


32 

121.  Scritti  varii  editi  ed  inediti  di  G.  B. 
Adriani  e  di  Marcello  suo  figliuolo.  Boi. , 
R.  Tipografia,  1871,  di  pagg.  X-288. 

L.  9.  50 

122.  Battecchio,  Commedia  di  Maggio. 
Boi.,  R.  Tipografia,  1871,  di  pagg.  132. 

L.  4 

123.  124.  Il  Viaggio  di  Carlo  ISIagno  in 
Ispagna  per  conquistare  il  cammino  di  S. 
Giacomo.  Imola,  Tipografia  Galeati,  voli. 
2  in-16  di  pagg.  LXVII1-1G4-252. 

L.  IG 

125.  Del  Governo  de'  regni  sotto  morali 
esempi  di  animali  ragionanti  tra  loro. 
Imola,  Tipografia  Galeati,  1872,  in-16 
di  pagg.  XXXlI-142.  L.  5.  50 

126.  Il  Salterio  della  B.  V.  Maria  compi- 
lato da  S.  Bonaventura,  volgarizzamento 
antico  toscano.  Bologna,  Regia  Tipo- 
grafia, 1872,  iri-16  di  pagg.  XVI-120. 

L.  5 

127.  Trattato  dei  mesi  di  Bonvesin  Da 
Riva  milanese.  Imola,  Galeati,  1871,  di 
pagg.  XXIl-106.  L.  4 

128.  Visione  di  Tugdalo,  volgarizzata  nel 
secolo  XIV,  ed  ora  per  la  prima  volta 


33 

posta    in   luce.    Boi.  ,  Regia   Tipogr.  , 
1872,  di  pagg.  XC-140.  L.  7 

129.  Prose  inedite  del  cav.  Lionardo  Sal- 
viati.  Imola,  Galeati,  1873,  di  pagg. 
XVI-178.  L.  6 


130.  Volgarizzamento  del  Trattato  della 
cura  degli  occhi  di  Pietro  Spano,  codice 
Laurenziano  citato  dagli  accademici  del- 
la Crusca,  ora  per  la  prima  volta  stam- 
pato. Imola,  Galeati,  1873,  di  pagg. 
XXXII-96 ,  con  una  tavola  incisa  in 
legno.  L.  4 

131.  Trattato  dell'Arte  del  Ballo  di  Gu- 
glielmo ebreo  pesarese,  testo  inedito  del 
secolo  XV.  Boi. ,  Tipografìa  Fava  e  Ga- 
ragnani,  1873,  di  pagg.  XXX-112.    L.  4 

132.  132.2  132.3  132.4  Lettere  scritte  a 
Pietro  Aretino.  Boi.,  R.  Tipografia, 
1873-74.  Voi.  I.  parte  I.  II.  di  pagg. 
XLVI-348-VIII-260.  Voi.  II.  parte  I.  II. 
di  pagg.  352-412.  L.  47 

133.  Bìme  di  Poeti  Italiani  del  secolo  XVI. 
Boi.,  Tipografia  Fava  e  Garagnani,  1874, 
di  pagg.  VIII-160.  L.  5 


3i 

134.  TTovelle  di  ser  Andrea  Lancia.  Boi., 
Tipogr.  Fava  e  Garagnani,  1873,  di 
pagg.  76.  L.  2.  50 

135.  I  Cantari  di  Carduino  giuntovi  quello 
di  Tristano  e  Lancielotto  quando  com- 
battettero al  Petrone  di  Merlino,  poe- 
metti cavallereschi.  Boi. ,  R.  Tipografìa, 
1873,  di  pagg.  XXXVI-64.       L.  5.  50 

136.  La  Lettera  dell'Isole  che  ha  trovato 
nuovamente  il  re  di  Spagna,  poemetto 
in  ottava  rima  di  Giuliano  Dati.  Imola, 
Galeati,  1873,  di  pagg.  LX-64,  con  tre 
incisioni  in  legno.  L.  5.  50 

137.  La  Pietosa  Fonte,  poema  di  Zenone 
da  Pistoia  in  morte  di  Francesco  *Pe- 
trarca,  testo  di  lingua  messo  novella- 
mente in  luce  con  giunte  e  correzioni. 
Bolog.,  Regia  Tipografia,  1874,  di  pagg. 
LX-172,  con  una  tavola  incisa  in  legno. 

L.  7.  50 

138.  Facezie  e  motti  dei  secoli  XV  e  XVI, 
codice  inedito  Magliabechiano.  Boi.,  Re- 
gia Tipografia,  1874,  di  pagg.  XII-152. 

L.  5. 

139.  Rime  di  ser  Pietro  De'  Fay tinelli  det- 
to Mugnone  poeta  lucchese   del  secolo 


35 
XIV,  ora  per  la  prima  volta  pubblicate 
con  notizie  sulla  vita  dell'  autore  ed  altre 
illustrazioni.  Boi.,  Tipografìa  Fava  e 
Garagnani ,  1874,  di  pagg.  120,  con 
facsimile.  L.  3.  50 

140.  Libro  della  natura  degli  uccelli  fatto 
per  lo  re  Banchi,  testo  antico  toscano. 
Bologna,  1874,  di  pagg.  XXXVI-72,  con 
figure  in  cromolitografìa.  L.  12 

141.  Prose  del  giovane  Buonaccorso  da 
Montemagno ,  inedite  alcune ,  tratte  da 
due  codici  della  Bibl.  Capitolare  di  Ve- 
rona. Imola,  Galeati,  1874,  di  pagg. 
XVIII-II4.  L.^4 

142.  Bime  di  Luigi  D' Eredia  palermitano, 
ora  per  la  prima  volta  stampate.  Boi., 
1875,  in-16  di  pagg.  XXIV-64.       L.  3 

143.  I  primi  quattro  libri  del  volgariz- 
zamento della  Terza  Deca  di  Tito  Livio 
Padovano,  attribuito  a  Giovanni  Boc- 
caccio, (libro  primo).  Bologna,  1875, 
in-16,  di  pagg.  VIII-236.  L.  8 

144.  Relazione  delle.  Scoperte  fatte  da  C. 
Colombo,  da  A.  Vespucci  e  da  altri  dal 
1472  al  1506  tratta  dai  manoscritti  della 


36 

Biblioteca  di  Ferrai^a,  pubblicata  per  la 
prima  volta  ed  annotata.  Bologna,  1875, 
in  16  di  pagg.  208  con  4  tavole.     L.  8 

145-146.  Lettere  inedite  di  Uomini  illustri 
bolognesi  pubblicate  da  Carlo  Malagola. 
Bologna,  1875,  in-16,  divise  in  due  libri 
di  pagg.  XL-524.  L.  18 

147.  Il  Tancredi,  tragedia  di  Sempi'onio 
Torelli,  nuovamente  pubblicata.  Bolo- 
gna,l875,  in-16,  di  pagg.  XXXVI-120. 

L.  4.  50 

148.  La  defensione  delle  Donne  d'autoi-e 
anonimo,  scrittura  inedita  del  secolo  XV. 
Boi.,  1876,  in-16  di  pagg.  192. 

L.  7.  50 

149.  La  seconda  e  terza  guerra  punica, 
testo  di  lingua  inedito  tratto  da  un  co- 
dice dell'Ambrosiana.  Bologna,  1876 , 
in-16.  L-  5 

150.  Euspoli  Francesco.  Sonetti  editi  ed 
inediti  col  commento  di  Andrea  Caval- 
canti non  mai  fin  qui  stampato.  Boi. , 
1876,  in-16  di  pagg.  146.  L.  5 

151.  Le  Rime  di  Bernardo  Bellincioni  ri- 
scontrate  sui    manoscritti,   emendate   e 


37 
annotate,  parte  I.  Boi.,  1876,  di  pagg. 
Vin-250.  L.  9 

152.  Poesie  popolari  i-eligiose  del  secolo 
XIV  pubblicate  per  la  prima  volta.  Boi. , 
1876,  di  pagg.  LXXXVIII-84.  L.  5.  50 

153.  I  primi  quattro  libri  del  volgariz- 
zamento della  terza  deca  di  Tito  Livio 
padovano,  attribuito  a  Giovanni  Boccac- 
cio, (libro  secondo).  Boi. ,1876,  di  pagg. 
256.  L.  8 

154.  Libro  del  Gandolfo  Persiano  delle 
medesine  de'  Falconi ,  pubblicato  per  la 
prima  volta.  Bologna,  1877,  di  pagg.  157. 

L.  5 

155.  Tre  Novelle  inedite  di  Pietro  Fortini 
senese.  Boi.,  1877,  di  pagg.  112. 

L.  3.  50 

156.  Borgognoni  A.  Studi  d'  Erudizione  e 
d'Arte  (Bindo  Bonichi  —  L' Intelligenza). 
Voi.  I.  Boi.,  1877,  di  pagg.  XXIV-312. 

L.  10.  50 

157.  Lettere  di  Scrittori  Italiani  del  se- 
colo XVI  stampate  per  la  prima  volta. 
Boi.  1877,  L.  12.  50 

158.  Cronica  degli  Imperatori  Romani  te- 
sto ine:lito  di  lingua  tratto  da  un  codice 


38 

della  Biblioteca  Ambrosiana.  Boi.,  1878, 

di  pagg.  XVI-200.  L.  6.  50 

159.  Vita  di  S.  Guglielma  regina  d'Un- 
gheria e  di  S.  Eufrasia  vergine  Romana 
scritta  da  Frate  Antonio  Bonfadini.  Boi., 
1878,  di  pagg.  VIlI-104.  L.  3.  50 

160.  Le  Bime  di  Bernardo  Bellincioni  ri- 
scontrate sui  manoscritti,  emendate  e 
annotate.  Parte  li.  (  Vedi  Disp.  151  ). 
Boi.,  1878,  di  pagg.  XXXlV-268. 

L.  9.  50 

161.  La  Fabula  del  pistello  da  l'agliata 
tratta  da  un'  antica  stampa  e  la  que- 
stione d'  amore,  testo  inedito  del  secolo 
XV.  Boi.,  1878,  di  pagg.  64.  L.  3 

162.  La  Passione  del  N.  S.  Gesù  Cristo 
poema  attribuito  a  Giovanni  Boccacci. 
Boi.,  1878,  di  pagg.  XXVI-200.      L.  7 

163.  Borgognoni  Adolfo,  Studi  d'erudizio- 
ne e  d'arte.  Voi.  2.°  (Vedi  Disp.  156.) 
Boi.,  1878,  di  pagg.  288.  L.  9 

164.  Gambino  d'Arezzo,  versi  con  un  car- 
me di  Tommaso  Marzi.  Boi. ,  1878,  di 
pagg.  XXXII-200.  L.  7.  50 


39 

165.  La  prima  Guerra  Punica  testo  di  lin- 
gua riprodotto  sopra  un  Codice  a  penna 
della  Bibl.  Ambrosiana  Boi.,  1878,  di 
pagg.  248.  L.  8 

166.  Lettere  di  Laura  Battiferri  Amma- 
nati a  Benedetto  Varchi.  Boi.,  1879,  di 
pagg.  69.  L.  2  50 

167.  Sonecti  composti  per  M.  Johanne  De 
Petruciis  conte  di  Policastro  publicati 
per  la  prima  volta  dietro  il  manoscritto 
della  Biblioteca  Nazionale  di  Napoli. 
Boi,  1879,  di  pagg.  XI.lV-104.  L.  4.  50 

108.  Alcune  Poesie  inedite  del  Saviozzo  e 
di  altri  autori  tratti  da  un  ms.  del  Sec. 
XV  e  pubblicate  per  la  prima  volta.. 
Boi.,  1878,  di  pagg.  187.  L.  4 

169.  Geta  e  Bìrria.  Novella  riprodotta  da 
un'  antica  stampa  e  riscontrata  co'  testi 
a  penna.  Boi,  1879,  di  pagg.  LX-84.L.  4 

170.  171.  Petrarca  Francesco.  La  Vita  so- 
litaria, volgarizzamento  inedito  del  Sec. 
XV,  tratto  da  un  codice  dell'Ambrosiana 
pel  Dott.  Antonio  Ceruti.  Boi.,  1879, 
voli.  2,  di  pagg.  LIl-428.  L.  15 

172.  Le  rime  di  Folgore  da  S.  Gemignano 
e  di  Cene  da  la  Chitarra  d'Arezzo  nuo- 


40 

vamente  pubblicate.  Boi.,  1880,  di  pagg. 

CLXVIII-88. 

L.  7.  50 
173-173B.  Delle  Istorie  di  Giustino  ab- 
breviatore  di  Trogo  Pompeio  volgarizza- 
mento del  buon  secolo  tratto  dai  codici 
Riccardiano  e  Laurenziano  e  migliorato 
nella  lezione  colla  scorta  del  testo  lati- 
no. Boi.,  1880,  di  pagg.  XXIV-736. 

L.  23.  50 

174.  Bime  di  Alessandro  Tassoni  raccolte 
sui  codici  e  le  stampe..  Boi.,  1880,  di 
pagg.  80.  "  .         L.  2 

175.  Amore  Dispetto  per  Costanza,  Visio- 
ne di  Ugolino  Della  Casa.  Boi.,  1880,  di 
pagg.  60.  L.  2 

176.  Storia  di  Stefano  Figliuolo  d'un  im- 
peratore di  Roma,  versione  in  ottava 
rima  del  libro  dei  sette  Savi ,  pubblicata 
per  la  prima  volta.  Boi.,  1880,  di  pagg. 
XXXII-250.  L.  9 

177.  178.  Il  Sacco  di  Prato  e  il  ritorno 
de' Medici  in  Firenze  nel  MDXII.  Nar- 
razioni in  verso  e  in  prosa.  Voi.  I.  Nar- 
razioni —  Voi.  IT.  Documenti.  Boi.,  1880, 
di  pagg.  LXIV-432.  L.  16. 


41 

179.  Poesie  Religiose  del  Sec.  XIV  pub- 
blicate secondo  un  codice  Eugubino . 
Boi.  1881,  dipag.  VIll-104        L.  3.  50 

180.  Compendio  di  Storia  Romana  di  Lu- 
cio Anneo  Floro.  Volgarizzamento  ine- 
dito secondo  un  codice  dell'  Ambrosiana. 
Boi.  1881,  di  pag.  XLVlll-228.    L.  10. 


IN  CORSO  DI  STAMPA 


1.  Il  Commento  del  Grappa  a  cura  del 
Cav.  Costantino  Arila. 

2.  Parnaso  Bolognese  del  Sec.  XIII,  a  cura 
di  Tommaso  Casini. 

3.  Bime  moi'ali  edite  e;l  inedite  di  Antonio 
Pucci  a  cura  di  Salomone  Morpurgo. 

4.  Ifovella  popolare  in  ottava  rima  di  Cara- 
priano  Contadino  a  cura  di  Albino  Za- 
netti. 

5.  Fra  Niccolò  da  Poggibonsi,  libro  di 
oltramare  a  cura  del  Dott.  Alberto  Bac- 
chi della  Lega. 

G.  H  Contrasto  del  Carnevale  con  la  qua- 
resima a  cura  del  Conte  Luigi  Manzoni. 

7.  Due  Rappresentazioni  del  Sec.  XVI  a 
cura  del  Prof.  Cav.  Alessandro  d'  An- 
cona. 


IL  PROPUGNATORE 

STUDI  FILOLOGICI,  STORICI  E  BIBLIOGRAFICI 

DI   VARII 

Soci  della  Commissione  pe' Testi  di  Lingua 

PERIODICO   BIMESTRALE 

diretto  e  compilato 
DA.  FRANCESCO  ZAMBRINI 

Fa  seguito  alle  due  Collezioni  suddette. 
ANKO  DECIMGQUARTO 


Questo  Periodico  è  come  un  Supplemento 
ad  amendue  le  Collezioni  sopra  registrate, 
e  chi  possiede  le  une  non  dovrebbe  a  meno 
di  non  possedere  eziandio  l'altro.  In  esso , 
oltre  gli  articoli  originali  di  critica,  di  fi- 
lologia ,  di  storia  e  di  bibliografia ,  conten- 
gonsi  parimenti  importantissime  scritture 
o  inedite  o  rare  dei  primi  secoli  della  lin- 
gua, che  per  la  loro  brevità  mal  sarebbero 
convenute  nelle  due  sopraddette  Collezioni. 
E  bimestrale  e  se  ne  pubblicano  VI  dispen- 
se all'  anno  ;  che  formano  ogni  anno  due 
volumi  in  8.°  L.  18.  80. 


LIBRI  VARI 


Bacchi  Della  Lega  Alberto,  Bibliografia 
dei  vocabolari  ne'  dialetti  italiani  rac- 
colti e  posseduti  da  G.  Romagnoli.  Boi., 
1879,  in-8;  2.''^  Edizione  L.  3 

Bacchi  Della  Lega  Alberto,  Manuale  del 
cacciatore  colla  particolare  descrizione 
delle  caccie  romagnole.  Boi.,  1876,  in-16. 

L.  3 

Bacchi  Della  Lega  Alberto,  Serie  delle 
edizioni  delle  Opere  di  Giovanni  Boc- 
cacci latine  ,  volgari ,  tradotte  e  tra- 
sformate. Boi.,  1875,  in-8,  edizione  di 
soli  100  esemplari.  L.  5 

Bacchi  Della  Lega  Alberto  e  Bazzolini 
Luigi,  Bibliografia  dei  Testi  di  Lingua 
a  stampa  citati  dagli  accademici  della 
Crusca.  Boi.,  1878,  in-8.  L.  10 

Bonora  Tommaso,  L'  Arca  di  San  Dome- 
nico e  Michelangelo  Buonarroti,  ricerche 
storico-critiche.  Boi.,  1875,  in-8. 

L.  1.  20 


45 
Botta  C.  Dodici  Lettere    edite    per    cura 
di  Giuseppe  Campori.  Boi.,  Romagnoli. 
1867,  in-8.  L.  1.  50 

Calori  Cesi  F.  Di  una  rara  moneta  di 
Offa  re  de'  Merciani ,  lettera  all'  onor. 
Signor  Gio.  Evans,  Segret.  della  società 
numismat.  di  Londra.  Boi.,  1862,  in-12. 

L.  —  60 

—  La  croce  di  Gombola  ed  una  carta 
del  sec.  XVI.  Lettera  al  molto  IH.  e 
Rev.  Sig.  D.  Lorenzo  Casolani.  Boi. , 
1863,  in-12.  L.  —  60 

—  11  Cardinal  Alberto  Bolognetto  e  la 
sua  nunziatura  di  Polonia.  Boi.,  Fava  e 
Garagnani,  1863,  in-8.  L.  1.  50 

Cesari  Ab.  Antonio,  Lettere  inedite.  Boi., 
Romagnoli,  1868,  in-8.  L.  1.  50 

Cittadella  Cav.  L.  N.  I  Guarini  famiglia 
nobile  ferrarese  oriunda  di  Verona.  Boi., 
Romagnoli,  1870,  in-8.  L.  2 

Oozzadini  G-iovannì,  Nanne  Gozzadipi  e 
Baldassarre  Cossa  poi  Giovanni  XXIII, 
racconto  storico.  Boi.,  1880,  in-16,  di 
pagg.  604  con  due  ritratti.        L.  6.  50 


46 
Grosso  Stefano,  Giuseppe  Biamonti  Poeta, 
Professore  di  Eloquenza,  Prosatore,  Ra- 
gionamento Storico  Critico.  Boi.,  1880, 
in-16  di  pagg.  80.  L.  3 

Livi  Giovanni,  Il  Guicciardini  e  Domenico 
D'  Amorotto.  Narrazione  Storica,  nuova 
edizione  ampliata.  Boi.  1879,  in-16,  di 
pagg.  244.  L.  3 

Manzoni  Luigi,  Bibliografia  degli  statuti, 
ordini  e  leggi  dei  municipii  italiani. 
Parte  I.  Bologna  1876,  in-8.         L.  12 

Muratori  L.  A.  Trentasei  lettere  inedite  di 
L.  A.  Muratori,  edite  per  cura  di  Giu- 
seppe Campori.  Boi.,  Romagnoli,  1867, 
in-8.  L.  2.  50 

Malagola  Dottor  Carlo,  Luigi  Galvani 
neir  Università,  nell'  Istituto  e  nell'  Ac- 
cademia delle  Scienze  di  Bologna,  do- 
cumenti per  la  prima  volta  pubblicati. 
Boi.,  1879,  in-16  di  pagg.  XXVI-72. 

L.  2 
Malagola  Dott.  Carlo,  Memorie  Storiche 
sulle  Maioliche  di  Faenza.  Studi  e  ri- 
cerche. Boi.,  1880,  di  pagg.  XIII-044,  fig. 

L.  6 


47 
Marchese  P.  Vincenzo,  IMemorie  dei  più 
insigni  Pittori ,  Scultori  e  Architetti 
Domenicani  quarta  edizione  accresciuta 
e  migliorata.  Bologna,  1878-79,  voli.  2 
in-16.  L.  11.  60 

Niccolini  Ab.  Antonio,  Alcune  lettere 
ined.  a  mons.  Gio.  Bottari ,  intorno  la 
Corte  di  Roma,  1724-1761.  Boi.,  Roma- 
gnoli, 1866,  in-8.  L.  2.  50 

Olivieri  P.  Mauriz.-Bened.  Di  Copernico 
e  di  Galileo  ora  per  la  prima  volta 
messo  in  luce  sulF  autografo.  Boi. ,  Ro- 
magnoli, 1872,  in-8.  L.  3 

Passano  G.  Batt.  I  Novellieri  italiani  in 
verso.  Boi.,  Romagnoli,  1868,  in-8  gr. 

L.   10 

Popoli  Conte  Carlo,  Due  Centurie  delle 
iscrizioni  italiane.  Seconda  Ediz.  Boi. , 
Romagnoli,  1870,  in-8.  L.  4 


-v^ 


IN  CORSO  DI  STAMPA 


1.  Il  Commento  del  Grappa  —  Cav.  Costan- 

tino Arlia. 

2.  Parnaso  Bolognese  del  Sec.  XIII.  —  T. 

Casini. 

3.  Rime  Morali  edite  ed  inedite  di  Antonio 

Pucci  —  Salomone  Morpurgo. 

4.  Novella  popolare  in  8/  rima  di  Campriano 

contadino  —  Albino  Zenatti. 

5.  Fra  Nicolò  da  Poggiìjonsi,  Libro  di  Oltra- 

mare  —  Dott.  A.  Bacchi  della  Lega. 

6.  Il  Contrasto  del  Carnevale  con  la  Qua- 

resima —  Luigi  Manzoni. 

1.  Due  Bappresentazioni  del  Sec.  XVI  —  A. 

D'  Ancona. 


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