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SCELTA
DI
CURIOSITÀ LETTERARIE
INEDITE 0 RARE
DAL SECOLO XIII AL XMI
in Appendice alla Collezione di Opere inedite o rare
DISPENSA CLXXX
Prezzo L. 10 ,. /
7^y
Di questa SCELTA usciranno otto o dieci volumetti
air anno ; la tiratura di essi verrà eseguita in numero
non maggiore di esemplari 202 : il prezzo sarà uniformato
al numero dei fogli di ciascheduna dispensa, e alla
quantità degli esemplari tirati : sesto , carta e caratteri,
uguali al presente fascicolo.
Gaetano Romagnoli
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F64-16 Lucius Anrva^^tv^ \-\ou\s
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DI
LUCIO ANNEO FLORO ,.
VOLGASIZZAMSNTO ISEWTO
SECONDO UN CODICE DELL' AMBROSIANA
PUBBLICATO PKR JK >
DEL DOTI. ANTONIO CERUTI
..ex
BOLOGNA
PRESSO GAETANO ROMAGNOLI
1881
Edizione di soli 202 esemplari
per ordine numerati
N. 2
BOLOGNA. TIPI FAVA E GARAGNANI
LUCIO ANNEO FLORO
Lucio Anneo Ploro è l'ultimo degli
storici, che fiorirono dopo Augusto
e pervennero sino a noi. Con lui
ebbero nominanza Svetonio, Cremu-
zio Cordo, Tito Labieno, Q. Curzio,
Tacito , Valerio Massimo , Vellejo
Patercolo : età ricca di scrittori
non meno che la precedente, seb-
bene di merito inferiore. 11 di lui
Compendio di Storia Eomana, che
gli die posto non ultimo fra gli
storiografi dei fasti di un gran po-
polo legistatore e conquistatore, è
ricordato da molti scrittori , ed eb-
be assai credito nell' antichità. Ma
fra coloro che scrissero di lui ,
v'ha discrepanza su alcuni partico-
lari della sua persona. Francesi e
Spagnoli si contendono la nazio-
nalità di questo scrittore, senza
tuttavia poter addurre argomenti
atti a provare in tutto la tesi ri-
spettiva (1), e lo stesso Giambat-
tista Giovio lo crede italiano e
speralo cittadino comense , per a-
verne letto il nome in una lapide,
rinvenuta da Benedetto Giovio poco
lungi dalla sua città (2), senza tut-
(1) Hisloir. liltér. de France, T. I., p. 255.
(2) Gli Uomini della comasca diocesi ecc.,
pag. 367. L' iscrizione sembra menzionare
invece un P. Orazio Floro, figlio di Pu-
blio, della tribìi Oufentina:
P. HORATIO
P. F. 0. V. F.
FLORO
mi VIRO A. p. mi VIRO
etc.
Le iniziali del nome di quella tribù, ram-
mentata in moltissime iscrizioni i'omane ,
l'invenute nel milanese e nel comasco,
furono dal Giovio credute quelle di tre
parole distinte.
tavia averla letta esattamente, né a-
vervi ravvisati gli estremi, che iden-
tifichino tal nome con quello dello
storico latino. D' altronde quelle
contese di Francia e di Spagna si
fondano su semplici congetture di
sinonimia, più che sovra indizi at-
tendibili, desunti dalle memorie ge-
nealogiche.
Sembra che il nostro Floro abbia
sortito i natali a Cordova. In vero
assai più probabilmente che d' al-
tronde , fu oriundo di Spagna , e
visse negli ultimi tempi dell' impe-
ratore Traiano, e più a lungo in
quelli d' Adriano. Su questa circo-
stanza v' è pure disputa tra 1 suoi
biografi; tuttavia avendo egli im-
preso nella sua storia a narrare le
vicende fortunose della potente Ko-
ma , dalla di lei fondazione sino
all' età d' Augusto per lo spazio di
ben sette secoli, viene egli stesso
ad affermare 1' epoca in cui scris-
se, asserendo nel proemio del suo
libro , che dal tempo di Cesare Au-
gusto sino all' età sua erano scorsi
quasi dugent' anni. Vuole il Vola-
terrano (1), ch'egli fosse figlio di
Giulio Floro Secondo, uomo di ma-
ravigliosa eloquenza e accuratissi-
mo, come attesta Quintiliano suo
coetaneo, facendo anco menzione
d' un altro Floro, zio di Secondo,
al quale dà in Gallia il primo luo-
go neir eloquenza, perchè aveala
colà ultimamente professata. Giu-
sto Lipsio lo fa egli pure spagnolo
e della famiglia di Seneca, senza
tuttavia addurne prove , mentre
Floro si dichiara sempre romano.
Lo stesso Lattanzio gli attribuisce
altresì il nome . di Seneca , quasi
confondendo due personaggi affatto
distinti, per essere questi stato il
primo, che abbia distinto il tempo
del popolo romano in quattro età,
(1) Maffei Raph. Volater. Commentar.
Urban., lib. XVI, col. 474. Lugd. MDLII.
come fece infatti Floro , in altret-
tanti libri dell' opera sua. Vera-
mente ambedue seguirono tale di-
visione in età d' infanzia, adole-
scenza, virilità e vecchiezza, ma
ripartirono ad intervalli differenti
quelle epoche, sebbene forse non
a caso seguirono quei criterj cro-
nologici , 0 piuttosto r uno così
scrisse ad imitazione dell' altro. Né
perciò forse potrà negarsi del tutto,
che Floro avesse qualche attinenza
gentilizia colla famiglia Seneca,
la quale alla sua volta derivò dal-
l'Annea (1), ed avesse perciò avuto
comunanza di stipite e patria.
Altrimenti è talvolta appellato
Floro col nome di Giulio da qual-
che scrittore, che lo credette il
Giulio Floro Secondo, ricordato con
benevoli parole da Quintiliano (2),
(1) Anche l'autore della Farsaglia, Lu-
cano, nativo egli pure di Cordova, avea il
nome gentilizio di M. Anneo.
(2) Instit. orator. , lib. X.
vissuto ei pure ai giorni di Tra-
iano, e quindi contemporaneo dello
storico. Ma mal s'appose chi ebbe
questa credenza, in quanto che il
Floro encomiato dal celebre retore
ed oratore non è da lui rammen-
tato fra gli scrittori di storia ,
bensì fra gli oratori più eccellenti
e di miglior fama al pari dello zio
Giulio (1) , a tacere di una circo-
stq,nza di non infimo momento , che
i codici più antichi e autorevoli
del Compendio della Storia Komana
recano il nome di Lucio Floro.
Quel Giulio, per altro, col quale
questi è talvolta scambiato dagli
scrittori, visse sotto Tiberio, e n' è
(1) « Memini Julium Secundum . . . mi-
rae facundiae virum . . . L. Florus, flos elo-
quentiae gallicae, cum ibi eam exercuerit,
princeps , alioquin inter pauoos disertis-
simus » Raphael Volaterr. , Commentar.
Urbanor., lib. XVI.
ricordo nelle opere di M. Seneca
e di Quintiliano (1).
(1) G. J. Voss dubita che 1' Oclavia,
attribuita al filosofo Seneca, sia piuttosto
dello storico Floro, che forse per un pre-
testo genealogico potè chiamarsi od esser
da altri appellato anche Seneca. Ma que-
sta credenza non è suffragata da pi'ove.
Lo si crede pur da taluno, ma senza baste-
vole fondamento, autore dell" inno Pervi-
gilium Veneris, composto sulla fine del
sec. II dell' era volgare. V. Fabrizio , Bi-
blioth, latina, t. II, e. 23 ; Voss , de Eistor.
latin. , 1. I, e. 30 ; de Poetis latin. , e. 4. Fu
anche sci'itto che lo storico Floro abbia
ardito gareggiare in poesia coli' imp. Adri-
ano, e che questi siasene vendicato con
una satira, nella quale gli rimprovera il
sudiciume fra cui vivea, frequentando le
bettole e le taverne:
Ego nolo Florus esse,
Ambulare per tabernas.
Latitare per propinas,
Culices pati rotundos,
per rimbeccarne un' altra , da Floro di-
vulgata al proprio indii-izzo:
Checché dell' autore sia stato
non sempre con eguale concordia
ed esattezza detto dagli eruditi, è
ormai fuor di dubbio, che i suoi
quattro libri di Storia Romana com-
pendiata furono assai famigliari a'
suoi medesimi contemporanei e a
quelli che vissero dappoi (l),i quali
restii alla lettura delle ampie opere
Ego nolo Caesar esse,
Ambulare per Britannos,
Scythicas pati pruinas;
ma quest'asserzione, ripetuta dall' ab. Long-
champs, Tabi, histor., T. I, p. 123, non
ha altro appoggio che alcune cose dette
da Sparziano in Vita Hadr., p. 155, non
parendo che 1' autore di que' versi sia il
Floro storico, se si tien conto anche del-
l' incertezza del nome di lui , accennato
dagli scrittori, che forse palliarono d' indi-
vidui diversi.
(1) « Scripsit historiam romauam brevi-
tate admodum et elegantia posteritati ac-
ceptissimem » Raphael. Volaterr. , Com-
mentar. Uì'han., lib. XVI.
degli scrittori di maggior lena, in-
teressavansi tuttavia di conoscere
con lieve fatica e risparmio di tempo
i fasti delle età trascorse. Erasi de-
stato non so se amore o bisogno di
rovistare i tesori del passato, e per-
ciò quel secolo ebbe in Svetonio il
suo Varrone, sebbene in chi stu-
diava facesse difetto l' attitudine a
trar profitto delle notizie apprese,
appropriarselo e fecondarlo in sé
medesimo; e però l'un dì piìi che
r altro veniva crescendo il biso-
gno di raccogliere in compendio le
ricchezze dell' età che furono , e
moltiplicavansi i compendiatori. Di
questi fu Floro ; e perchè 1' in-
clinazione degli scrittori era divisa
dai lettori , nacque il riprodursi
fuor misura degli esemplari del suo
libro in grazia della sua brevità, e
fors' anche per la sua forma reto-
rica, divenuta di moda. Però la
fretta e la negligenza de' copisti,
r ignoranza e la mala fede de' sac-
Xll
centi v'introdussero un nembo cV
errori, adulterazioni e interpolatu-
re, che affaticarono poi a dismi-
sura la mente de' critici nel discer-
nere la presunta lezione autentica
dalle falsificazioni (1).
Come già fu accennato or ora,
il favore che ottenne quell'opera,
attribuivasi senz' altro a quello
stile, sebben guasto da' difetti del
tempo e comune ai poeti e agli o-
ratori contemporanei , oltremodo
conciso, tenero d'una precisione
affettata, e causa perciò d' una mo-
lesta e spesso inestricabile oscurità,
soverchiamente sentenzioso, poeti-
co e fiorito più del bisogno ; è uno
scrivere troppo lontano dalla pu-
rezza del secolo precedente, e of-
fuscato da macchie create dal vo-
ler superare, anziché imitare, gli
eccellenti storici dei tempi addie-
(1) Il Codice pili corretto è riputato
quel di Bamberga del secolo IX.
tro, e dal volere i nuovi venuti mo-
strarsi più ingegnosi ed acuti di
quelli. Questa foggia usata ad espri-
mere i proprj pensieri ritrae il ca-
rattere speciale di quell' età, e ri-
flette lo stato delle lettere d' allo-
ra, decadute dallo splendore che
accompagnò 1' età dell' oro. Vi si
scorge r inettitudine a produrre al-
cunché d' originale e proprio, e 1'
arrendevolezza a foggie straniere.
Pochi soltanto (e furono di quelli
eh' erano stati educati al tempo di
Quintiliano, come Sveto nio, Fio-
ro e fors' anche Giustino) s' atten-
nero ai migliori modelli ; i più fu-
rono tratti dalla stessa loro fiac-
chezza e mancanza di gusto a me-
scolare ogni maniera di stile, a fug-
gire ciò che è ovvio e non cercar
che lo strano.
V ha chi attribuisce allo stesso
imperatore Adriano un' influenza ,
esercitata dal suo carattere perso-
naie, sulla letteratura contempora-
nea. Era uomo d' una strana na-
tura, che univa le qualità più op-
poste. Superstizioso e scettico, pe-
dante e spiritoso , sofistico e iro-
nico, d' una eccitabilità sconfinata
e d' una ostinatezza senza misura,
socievole e sospettoso, di buon cuo-
re ad un tempo e crudele, non si
mantenne mai eguale a sé stesso ,
fuorché nel variare di continuo
tempra e umore, e nel sentire al-
tamente di sé e del pi-oprio merito.
Voglioso d' apprender tutto , non
poneva mai serietà e perseveranza
in nulla. Tuttavia questa sua in-
cessante mobilità eh' avea del mor-
boso, stimolandolo a girare qua e
là per lo Stato, fu anche origine
di molte utili istituzioni. Sopratutto
la letteratura guadagnò e sofferse
per la sua predilezione e per le sue
stravaganze : i suoi scritti medesi-
mi non lasciano vedere niente più
che la mano di un dilettante (1).
Non si annoverano di certo fra i
pregi di Floro l'eccesso di sentenze
e di fiori poetici , l' iperbole, l' am-
pollosità, l'esagerazione delle figu-
re, persino le freddure, che rendo-
no non di rado quel suo scrivere
assai somigliante talvolta a quello
de' nostri secentisti. Si compiace di
forme nuove, ardite, declamatorie,
traslate , che comandano 1' ammi-
razione, immaginandosi infondervi
eleganza e venustà; crede grandez-
za r enfasi, la pompa, 1' affettazio-
ne, la gonfiezza, né è a tacere che
le sue frasi così architettate fanno
freddi i suoi racconti, monotoni ed
oscuri. Secondo lui, i Galli, distrut-
ta Roma, assaliti alle spalle da
Camillo, sono uccisi in tal numero,
(1) Veggasi quanto dice sul di lui conto
Sparziano, in Hadr., 14, 8 e segg. -Ne
scrisse non ha guari la vita anche F.
Gregorovius.
che coir inondazione del loro san-
gue vien cancellata ogni traccia
d' incendio. Le navi di Antonio e-
rano sì vaste, che non senza fatica
de' venti e gemito dell' onde il mare
le portava. L' oceano pare che si
faccia tranquillo e propizio, allor-
ché la flotta reca le prede guerre-
sche a Roma, quasi confessandosi
inferiore e sottomesso. Ninna cosa
era in Antioco bella, se non 1' es-
sere egli stato vinto dai Romani.
Cesare ritorna dalla spedizione di
Bretagna con maggior preda che
prima, avendo tranquillo e favore-
vole il mare, quasi come s' esso si
confessasse ubbidiente o da meno
del vincitore. Fabio Massimo, occu-
pate le alture, di là scaglia armi
sui nemici; e fu bello il vedere
quasi dal cielo e dalle nubi avven-
tati fulmini sugli abitatori della
terra. Bruto spira sopra l' ucciso
Arunte , quasi che ei volesse 1' a-
dultero perseguire sin nell' inferno.
Descrive la morte di Catone, sulla
quale si sbizzarrirono tanti entu-
siastici ammiratori? Egli si reca,
dice, due ferite di coltello ; accor-
rono i medici a fasciarlo, lui reni-
tente; ma egli risquarcia la piaga,
nella quale rimangono poi immobili
le mani moribonde. Pompeo asse-
dia il campo nemico, ma il crescere
d' un fiume assedia lui stesso e lo
priva di vettovaglie : ma poi che il
fiume « ebbe pace » , scoperse le
campagne e le rese atte a divenire
arena di battaglie. Le guerre coi
Galli facevano ai Eomani 1' ufficio
di cote, onde affilare il ferro del
loro valore. Narrando la spedizione
di Decimo Bruto lungo la Costa
celtica , assicura eh' egli non arre-
stò il vittorioso cammino, sinché
non vide il sole calar nell'Oceano,
e udì il friggere del suo disco al
toccar dell'acque, impaurito e inor-
ridendo come a un sacrilegio. Di-
cendo che all' attaccarsi d' una pu-
xvni
gna con Annibale scossesi la terra,
gli pare che questo sia stato effetto
dell' urto impetuoso de' fanti e de'
cavalli, e dello scotersi delle mac-
chine belliche.
La flotta di Mitridate è rotta e
dispersa da una procella nel Mar
Rosso, come se fosse sconfìtta; ma
a Floro sembra che Lucullo, d' ac-
cordo coi flutti e colle tempeste, a-
vesse voluto far debellare quel so-
vrano nemico dai venti. Il tribuno
Calpurnio Fiamma salva l'esercito
romano, tenendo a bada i nemici
che r infestavano , e pareggia la
fama delle Termopili e di Leonida,
anzi la supera per essere egli ri-
masto superstite a tanto evento ,
sebbene nulla abbia scritto col san-
gue. L'Apollo di Curaa trasuda (1)
per tema dell'Asia da lui protetta,
quando Roma ne agognava la con-
quista. Questa ha vittoria su Per-
(1) Lib. II, e. 8.
seo in Macedonia, ma innanzi che
la novella sia recata da' messag-
geri, n'ha presagio da due giovani
sconosciuti , che con bianchi ca-
valli (1) stavano tergendosi dalla
polvere e dal sangue presso il lago
Juturno, creduti da lui essere Ca-
store e Polluce, perchè erano due,
ed intervenuti alla battaglia, per
esser lordi di sangue ; venir dalla
Macedonia, essendo ancora tra-
felati.
Un consimile prodigio rinnovasi
quando Mario sconfigge i Cimbri ,
ammollitosi nel clima italico, poi-
ché nel giorno stesso della pugna
furono visti presso il tempio di Ca-
store e Polluce due giovani coronati
di lauro recar lettere al pretore,
nunzie della vittoria, ed udironsì le
acclamazioni del popolo spettatore:
« Felicità alla vittoria cimbrica. »
Ora che può darsi di più memora-
li) Lib. II, e. 12.
bile ed illustre, soggiunge l'enfa-
tico scrittore, che veder Eoma, tra-
sportata quasi sopra i suoi colli,
essere spettatrice della pugna come
nei giuochi gladiatorj, e nel mo-
mento stesso che i Cimbri venivano
disfatti, esultarne il popolo nella
città ? (1). Inezie non comportabili
ad uno storico serio. Nella guerra
civile destatasi per sua colpa, Mario
ritorna dall'Africa più rinomato per
le sue calamità (2), giacché il car-
cere , le catene , la fuga e l' esilio
l'avevano reso più rispettabile. Nel-
la guerra civile di Cesare e Pom-
peo, quando si combattè sull' Ocea-
no da Varrò e Didio, fu più aspra
battaglia col mare che fra le navi
nemiche, e come se l' Oceano casti-
gasse il furore civile, ruppe e af-
fondò le flotte. Che paura era quel-
la, riflette lo scrittore, che in un me-
(1) Lib. Ili, e. 3.
(2) Lib. Ili, e. 21.
desimo tempo 1' onde, la tempesta,
gli uomini, le navi e gli armamenti
di esse combattevano!
Troppo lungo e fuor di luogo, se
pure non furono già soverchi gli
esempi addotti, sarebbe il ricordare
le stranezze e le facezie, che vor-
rebbero essere arguzie , di cui ri-
bocca lo scrivere di Floro, e più
che a colpa sua, sono da ascriversi
alla decadenza del gusto letterario
del suo tempo, dacché per trovar
lettori e ottenere applauso e favore,
chi scrivea era costretto a ricorrere
a sì umili artifizj.
Come dei tempi, cosi eziandio dei
luoghi e dell' ordine del suo rac-
conto il nostro Floro mostrasi non
troppo di rado incerto o del tutto
imperito; annovera Capua tra le
città marittime d' Italia , fa due
montagne distinte il Falerno e il
Marsico, pone il Danubio come con-
fine tra la Macedonia e la Tracia,
e dà a regioni o fiumi nomi, dei
quali non sempre rinviensi oggi l' e-
quivalente, se pure tali ambiguità
ed inesattezze non sono da ascri-
versi air imperizia de' copisti.
Tuttavia se questo scrittore è dai
critici ripreso di non poche colpe,
gli vengono in certo compenso ri-
conosciuti non lievi pregi sì nello
stile, misto di qualità oratorie, poe-
tiche e storiche, che nella bontà
intrinseca della narrazione. Non
gli fa difetto, infatti, acutezza, vi-
vacità poetica, eleganza di stile e
buon criterio, in ispecie nei giudizj,
e laddove espone le cause delle
sedizioni, delle discordie civili e del
mutamento della romana repubbli-
ca, non è superato in questa descri-
zione, eh' è forse la parte migliore
dell' opera sua , da altro scrittore
più antico, che in ogni modo non
raggiunse quella concisione chiara
spesso ed evidente, che dipinge a
meraviglia come in un quadro tutta
l'imagine del popolo romano, i passi
e gli avanzamenti progressivi della
repubblica: qualità che rendono de-
gna di studio severo, accurato e di-
ligente un'opera, che non ha altra
che l'eguagli nelle sostanza e nella
forma, tratteggiata a grandi linee,
nelle quali non di rado l' autore
trascura i dettagli, che possono di-
strarlo dalla sua via retta, per ap-
plicarsi solo ai fatti principali. Tut-
tavia le figure di quel quadro sono
avvicinate e si rischiarano a vicen-
da, e vi risplende la grandezza ro-
mana sotto diversi aspetti, come se
vista in un campo ristretto attra-
verso ad una lente, ma con assai
maggior evidenza e lucidezza.
Né è a disconoscersi in Floro
un' altro pregio . che non appare
evidente ad un lettore superficiale.
Di leggieri si ravvisa egli un loda-
tore entusiasta del valore, della
fortuna, del senno romano, e gli
si rimprovera d' avere, colla sua
narrazione . tessuto un continuo
panegirico della gesta del gran
popolo ; ma la sua ammirazione
non è sì cieca e parziale, da disco-
noscere la decadenza romana, spe-
cialmente morale. Ne fa cenno e-
splicito sin dall' esordire del suo
racconto . La stessa ripartizione
che fa delle diverse età dei Komani,
dà a divedere come queste non fos-
sero , anche a' suoi occhi , sempre
abbellite dallo stesso grado di pro-
sperità civile e morale. In Antioco,
infatti ei dice, noi vincemmo Ser-
se, in Emilio eguagliammo Temi-
stocle, con Efeso compensammo
Salamina (1); applaude a Roma
nella guerra di Numanzia, e ac-
clama al suo popolo invitto, egre-
gio , pio , giusto e magnifico (2) ;
ma confessa che dappoi , quan-
tunque gli eventi fossero del pari
grandiosi , pur tuttavia coli' am-
(1) Lib. II, cap. 8.
(2) Lib. II, cap. 19.
pliarsi dello Stato aumentandosi
del pari i vizj, risultarono più tur-
bolenti e sozzi, ed essere succe-
duto al secolo d' oro il ferreo e
sanguinario, alle guerre giugurti-
ne , cimbriclie , mitridatiche , par-
tiche , di Gallia e di Germania ,
fattrici della gloria maggiore di
Roma, le sedizioni de' Gracchi , la
rivolta civile, de' servi e de' gladia-
tori. Altrove , parlando della terza
età del popolo romano, non teme
scrivere, che di essa i primi cento
anni furono santi e pietosi , e co-
me mondissimo oro senza macchia
e senza malvagità, sinché durò la
integrità di quella setta pastorale
pura e innocente, e finché persi-
stette la paura della nimistà degli
Africani, fu serbata 1' antica disci-
plina; ma il secolo seguente sino
a Cesare e Pompeo e Augusto ,
fu misero e di grande vergogna
pe' mali commessi in patria (1).
(1) Lib. Ili, cap. 12.
Le sue conquiste furono a Roma
causa di debolezza, le nuove ric-
chezze e r accresciuta possanza
afflissero i costumi di quel tempo
e calpestarono la repubblica , sop-
pozzata in vizj come una sentina;
la troppa abbondanza produsse la
fame, la troppa felicità i furori ci-
vili ; la guerra de' Servi nacque dal-
l' abbondanza della famiglia , quel-
la de' gladiatori dalle soverchie fe-
ste, delle quali quegli infelici era-
no le vittime. Dalle ricchezze sor-
sero gli scialacqui de' conviti e dei
doni dispendiosissimi e la stessa
povertà, la cupidigia della gran-
dezza e della signoria , la quale ar-
mò Cesare e Pompeo di faci fune-
ste a distruzione della repubblica.
Alcuni codici e qualche antico
editore o critico chiamano questa
storia un compendio di quella di
Tito Livio ; ma oltrecchè Floro
dissente in più luoghi dal sommo
scrittore padovano , egli adopera
XXVI r
uno stile, che ben più dell'imita-
zione, lascia apertamente travedere
r originalità , e mostrasi uno dei
più felici ed ingegnosi abbreviatori
di storia. Giornande tolse assai per
le sue cronache da lui ; lo stesso
fecero Freculfo , pur correggendolo,
Vincenzo Bellovicense ed altri.
Uno scrittore francese (1) trova
assai superstizioso e troppo credulo
questo compendiatore, per aver ri-
ferito con serietà e senza critica a-
neddoti e prodigi assurdi, alcuni
de'quali furono già in questo scritto
accennati ; lo incolpa d' avere ora-
messo alcuni fatti importanti, come
le azioni più cospicue di Cicerone,
del quale non tocca che di volo e
(1) L' ab. Paul nella sua versione fran-
cese. V. la lettera dedicatoria. Non è certo
che sia il nostro storico colui che scrisse
gli argomenti dei libri di Tito Livio, e
non solo di que' che rimasero, ma anche
degli smarriti.
quasi per incidente la morte; di tra-
scorrere con soverchia leggierezza
su alcuni altri, limitandosi a ri-
trarre il solo profilo degli avveni-
menti, in ispecie degli ultimi tempi
della repubblica, parte assai inte-
ressante della storia romana, ben
meritevole d' essere ritratta con
maggiore ampiezza. Gli sembra che
Floro vanti troppo le virtù e le ge-
sta de' Romani, de' quali pare a-
ver egli scritto piuttosto il panegi-
rico che la storia, e si scateni con
troppa vigoria contro le pretese a-
stuzie dei loro nemici, e non sem-
pre a proposito, e li chiami frodo-
lenti, scaltri, ingannevoli, mentre
pure i suoi connazionali non si sa-
ranno senza dubbio rimasti dal ri-
pagameli cogli avvedimenti e cogli
stratagemmi proprj . Contuttociò
quello scrittore afferma, che le bel-
lezze contenute nella storia di Floro
superano assai le macchie. Questi
s'accorse, scrivendola, che la pre-
cisione necessaria allo stile cV un
compendio, esposto originariamente
con narrazione continuata, senza
divisione in capitoli, introdotta dap-
poi dagli amanuensi, poteva di leg-
gieri degenerare in aridità, e die
su un cammino arido era d' uopo
seminar fiori. Fors' egli n' ha gittati
più del bisogno, e profuse soverchi
ornamenti, ma non perciò merita
le accuse lanciategli da' suoi criti-
ci. Il suo scritto, al contrario, ha
una varietà aggradevole, è sparso
d' imagini vive, espressioni pitto-
resche, pensieri energici, maschi e
profondi, passi brillanti, concisi e
rapidi, in una parola è spesso
grande, nobile ed eziandio sublime.
Non manca altresì chi difende
Floro da molti difetti che riscon-
transi nel suo Compendio, attri-
buendoli air improntitudine e igno-
ranza d' imperito copista, vissuto
poco dopo lo storico, il quale, ar-
rogandosi anche l'ufficio di com-
mentatore e quello di compir 1' o-
pera di lui, abbia frammisto ad
uno scritto ricco di vigore, inge-
gno, sobrietà, le ridondanze, le
inezie e le ridicolezze proprie.
E assai verisimile, ripeto, che
questo Compendio, ricco di qualità
atte a renderne aggradevole la let-
tura, fosse caro ai concittadini e
contemporanei stessi di Floro, più
che le opere storiche più diffuse e
prolisse. Certamente al ridestarsi
della civiltà, del sapere e degli stu-
dj classici dopo le nubi medioevali,
l'Abbreviazione di Lucio Anneo non
fu delle più dimenticate, se badia-
mo alla copia degli esemplari ma-
noscritti rimastici, né delle ultime
ad avere gli onori della stampa.
La prima edizione è in 4.°, senza
nota cronologica e di luogo, ma
curata in Parigi nella Sorbona ver-
so il 1470, secondo il Maittaire (1).
(1) Annal. Typogr., p. 87.
Altre due, delle quali una in carat-
tere volgarmente detto gotico, se-
guirono innanzi alla romana del
1472 e a quella di Lipsia del 1480,
pure in 4.° Altre cinque, almeno,
se n' ebbero ancora in quel secolo,
specialmente a Venezia. La prima
nel seguente (1502) è di Milano del
Minuziano , in 4.°, come quella
d' otto anni dappoi. Molte se ne
fecero (circa 43) durante il cinque-
cento, compresa l'Aldina del 1520,
arricchite di note e correzioni di
dotti critici, quali G. Eicuccio, Vel-
lino (Camers), Vinet, Gualtiero Fa-
brizio, Gio. Stadio, G. Grutero, CI.
Salmasio, Jano Fontano ed altri.
D' allora sino a noi le ristampe ,
quasi sempre commentate, si suc-
cedettero senza intermissione, an-
noverandosene moltissime, le quali
fanno testimonianza del pregio, in
cui era tenuto quel libro dagli stu-
diosi delle cose romane e dell' eru-
dizione classica.
Tale estimazione mosse altresì
gli eruditi a procurarne le versioni
volgari francesi, germaniche, ita-
liane, inglesi, belgiche, danesi e
polacche, allo scopo di rendere fa-
migliare quel libro anche ai non
periti nella lingua originale. Il pri-
mo volgarizzamento in Francia fece
un Nicolao Coeffeteau nel 1618 in
Parigi; assai anteriore a questo fu
il tedesco (1536) di Strasburgo,
eseguito per opera di Enrico Ep-
pendorff. Tacendo delle versioni in
altre lingue, che non hanno stretta
colleganza col presente scritto, la
prima traduzione italiana, nota ai
bibliofili, è quella di Domenico Tar-
sia di Capodistria, edita nel 1547
a Venezia (1). Il volgarizzatore in
(1) Lucio Floro, de' fatti de' Romani dal
principio della città per infino ad Augusto
Cesare. Venezia. Questa edizione fu se-
guita nel 1548 da altra pur di Venezia. -
V. Paitoni, Biblioteca degli aiit. Greci e
Lat. volgarizzati. Ven. 1766.
una lunga lettera dedica la sua
versione a Mario Savorgnano, nella
quale prodiga lodi a lui e alla sua
famiglia, e aggiunge al testo alcune
brevi ma utili note. Nel secolo se-
guente (1634, Koraa) apparve una
seconda versione per opera di Sante
Corti della Rocca Contrada (1), il
quale nel Breve assaggio al lettore
« sopra la vita e Y historia di Lu-
cio Floro » premesso al testo, ac-
cenna a non conoscere altra ver-
sione anteriore, e dice non sapersi
per qual causa potesse essere av-
venuto, « che r historie di Lucio
Ploro non fossero prima d' allora
state portate in italiano, o se pur
sieno state tradotte, non siano state
applaudite , poiché se v' è autore
che meriti d' esser letto in tutte le
lingue, e che possa arrecare orna-
(1) U Historia Romana di Lucio Giulio
Floro, Roma, appresso Pietro Antonio
Facciotti, in 12."
mento e riputazione al nostro idio-
ma, pare che questo non debba ce-
dere a ninno, si per le materie in
esso trattate, sì pel lungo spazio
de' 740 anni; il che non solo non
è stato fatto da niun altro scrit-
tore antico, ma appena da tutti
gli altri insieme, che scrissero l'i-
storie di que' tempi Se si con-
sideri lo stile, è succoso, e nulla
v'ha di superfluo; sebbene com-
pendiato, non lascia d'abbracciare
tutto ciò eh' è necessario sapere;
grave, elegante, concettoso e pieno
di spirito, libero e franco ne' suoi
giudizj, anche contro la nazione
romana (1) ».
(1) Il Paitoni, neir op. citata, inette in
dubbio l'edizione volgare del 1634 ^^ che
davvero esiste, avendosene un' esemplare
anche nell' Ambrosiana, ed è citata altresì
dall' Argelati. È dedicata al card. Fran-
cesco Barberino da Gerolamo Conti, figlio
del traduttore , il quale tra 1' altre cose
È però d'uopo avvertire, come la
versione di Sante Conti sia non
poco difettosa, per aver egli frain-
teso in più luoghi il testo originale
di Floro, del quale perciò non ri-
flette sempre il pensiero; non di
rado fa uso di ampie perifrasi, che
di soverchio diluiscono la succinta
di lui narrazione. A voler essere
eziandio indulgenti con quel tra-
duttore, molti errori che in lui si
riscontrano , sono accresciuti da
quelli, e non son pochi, aggiunti
da una grave negligenza tipogra-
fica. Comunque sia, è un lavoro
che lascia assai a desiderare sotto
i diversi rapporti di fedeltà, esat-
tezza, proprietà di locuzione, chia-
rezza ed una saggia economia di
frasi.
Celestino Masucco ne fece un' al-
aflferma essere stata eseguita tale versio-
ne dall' autore in sua gioventù , ed averla
egli rinvenuta fra i di lui scritti.
tra sul cominciare di questo seco-
lo (1); così dicasi di Filippo Bri-
ganti, che aggiunse alla sua ver-
sione alcune osservazioni politi-
che (2), e di Arrigo Arrigoni, che
corredò il suo libro di note critiche
ed emendazioni del testo (3).
Un' altro volgarizzamento presso-
ché recente (4) è quello di Carlo di
Ligny, principe di Caposele, dedi-
cato alla di lui figlia Olimpia. Egli
vi premette una diffusa disserta-
zione, nella quale espone alcune os-
servazioni sulla storia romana fino
ad Augusto. Egli dà a divedere ben
maggiore intelligenza del testo la-
tino preso a volgarizzare, di quella
eh' ebbero i suoi predecessori in
quell'impresa non facile, ma nep-
(1) Genova, 1806, in 16."
(2) Napoli, 1818.
(3) Venezia, 1841.
(4) La Storia Romana di Lucio Anneo
Floro, Milano, Bettoni, 1823, in 8."
XXXVII
pur egli seppe imitare lo scrittore
latino nella sua concisione: arte
invero non troppo agevole , non
comportando sempre, salva la chia-'
rezza, il linguaggio italiano la bre-
vità permessa ai Latini. Anch' egli
giudica Floro scrittore sovercliia-
mente stringente e spesso fiorito
con affettazione, ma che dipinse
con pennello tizianesco la vita po-
litica del popolo romano sino al
suo tempo,
Filippo Argelati (1) descrive un
codice in f.° dell'Ambrosiana, come
contenente una versione inedita
della Storia di Floro, eh' ei chiama
altresì incognita, senza chiarirsene
l'autore; lo dice un bel codice, e
ne riporta alcune parole del prin-
cipio e della fine. Il P, Paltoni non
lo conobbe. Il testo è quello che
vien pubblicato ora per la prima
(1) Biblioteca de Volgarizzatori, voi. II
e V.
volta , ed è prezzo dell' opera far
parola del suo valore. Ma
Or incomincian le dolenti note.
Pur troppo, s' esso non manca d' al-
cuni pregi, ove lo si riguardi solo
come testo di lingua del sec. XV,
d'ignoto autore, e lo si consideri
come volgarizzamento , saremmo
quasi tentati di lasciarlo nell' ob-
blio, nel quale rimase sinora. Né
gli vale, a titolo d' indulgenza e
commendatizia, 1' avere quel codice
cartaceo a due colonne appartenuto
al dottissimo bibliofilo Gian Vin-
cenzo Pinelli, che può solo averlo
raccolto fra i tanti suoi libri come
codice più che raro per ragione
della materia ivi trattata, assai me-
glio che pel merito intrinseco.
E veramente è d' uopo avvertire,
come questa versione riesce oltre-
modo e in troppi luoghi di mala-
gevole intelligenza, sì che raddop-
pia al lettore quell' oscurità, di
cui non è avara 1' estrema conci-
sione del dettato di Floro. La causa
però di essa è di doppia natura.
È innegabile che il volgarizzatore
ebbe innanzi a sé un testo latino
scorrettissimo, il che è un nuovo
argomento di prova, come il Com-
pendio di Storia Romana di quello
scrittore, giuntoci nei codici mss.
e nella stampa, diverge dall'origi-
nale primitivo e ribocca di varianti
dall'uno all'altro, circostanza av-
vertita anche dai critici; dal che
nasce l'incertezza della lezione vera
e autentica. Pare quindi accertato,
che gli amanuensi abbiano, sin dai
tempi più vicini all' autore , errato
nel trascrivere parole, frasi intere
e specialmente nomi; di questi so-
vratutto se ne riscontrano nei di-
versi testi alcuni, che altri scrit-
tori non rammentano affatto, op-
pure vi fanno modificazioni sostan-
ziali, quantunque si riferiscano ad
avvenimenti da essi pure narrati.
Altri copisti inserirono forse nel
testo chiose e commenti, che qual-
che espositore scrisse in margine
ad illustrare locuzioni oscure dello
storico, 0 apprezzamenti soggettivi
su checchessia; o non intendendo,
come più d'una fiata avveniva, il
senso delle cose esposte dall'autore,
mutavano di lor capo parole o frasi,
sostituendone altre da loro repu-
tate di più facile intelligenza. Fra
testi così corrotti dee aver navigato
il traduttore nell' ardua sua im-
presa di volgarizzare uno storico
già per sé sì malagevole; in diver-
so modo iion si comprenderebbero
i frequenti strafalcioni, nei quali
il lettore quasi ad ogni pie sospin-
to incespica, impedito il più delle
volte dal cogliere il senso di ciò
che gli passa sotto gli occhi, se
non ricorre al testo latino.
Più grave colpa e tutta imputa-
bile all'ignoto volgarizzatore è al-
lorquando, imperito, come si mostra
con estrema evidenza, dell'idioma
del Lazio, reso oscuro dallo stile
involuto di Floro, rende a rovescio
i di lui pensieri, i giudizj, i fatti
medesimi da lui raccontati, con-
fonde ed ommette periodi, dei quali
non serba la giusta misura asse-
gnata dal senso. Tal fiata però la
sua versione, sebbene di quando in
quando troppo libera, contro il co-
stume dei volgarizzatori trecenti-
sti, corre limpida e liscia, e se non
si guarda troppo pel sottile all' e-
sattezza nel riprodurre il testo ori-
ginale, il discorso è abbastanza re-
golare, e la lingua italiana non vi
soffre soverchi strapazzi.
Non è a meravigliarsi se il no-
stro traduttore, smarrito fra gli sco-
gli, tra cui trovossi impigliato nel
mandare ad efietto il suo divisa-
mento, scambia il Rodano col Re-
no, fiumi con città, le nevi colle
nubi, i nomi topografici coi perso-
nali , r antica città continentale
d' Enna in Sicilia, ora Castrogio-
vanni, col monte Etna, i nembi
di saette lanciate dai combattitori
coi venti, le forche caudine con
Candia. Se ciò non bastasse, alle
frasi 0 parole latine non sempre
contrappone V equivalente volgare,
comunemente usato dagli scrittori,
a scapito della chiarezza; così chia-
ma compagni i collegati, segno il
vessillo militare, peste una rovina
0 sventura politica, o un massacro
in battaglia, menati gli ostaggi,
impresa un piato, e così via. Lad-
dove poi non intese il pensiero di
Floro, e ne traduce i passi troppo
rasente alla lettera, è assolutamen-
te inintelligibile. L' ascrivere tutti
questi gravi difetti ad ignoranza e
trascuratezza dei copisti, ne sembra
una scusa inammissibile. Perciò il
raddrizzare questa versione nei luo-
ghi più guasti è una fatica d' Er-
cole, come il tenerle dietro passo
passo col raffronto continuo del te-
sto latino; nondimeno per la mag-
gior parte dei casi tentai correg-
gere queste storpiature mediante
la versione di Sante Corti; e dove
questi si scostava troppo dal det-
tato di Floro, 0 inesatta sembra-
vami la sua interpretazione, per
rispetto al volgarizzatore, sebbene
sì inesperto, segnai in nota la di-
vergenza. Il benigno lettore ne sarà
indulgente , se in piìi d' un luogo
trascorse inavvertita qualche ine-
sattezza, 0 qualche passo oscuro o
male interpretato.
Non ne venne dato di rinvenire
altro codice di questa versione, che
potesse agevolarne la correzione, o
fornirne un confronto coll'Ambro-
siano. È ben vero, che nella Mar-
ciana esiste altra versione di que-
sto Compendio storico (1); ma essa,
(1) Si trova in un codice ms. miscellaneo,
scritto da due divei-se mani , che chiudesi
colle parole: « Finisce la breviacione di
eseguita da altro autore, sembra
allargarsi a modo di parafrasi più
ampiamente che non comporti lo
stile dell'Autore; pertanto non potè
riescirci d' alcun giovamento.
La conclusione delle cose sin qui
discorse si è, clie la presente ver-
sione dell' ignoto quattrocentista
non potrà per certo essere proposta
come un buon testo di Storia Ro-
mana per clii volesse in essa eru-
dirsi , né come modello di traduzio-
ne italiana, commendevole per fe-
deltà ed esattezza, non essendo tale
specchio, da rendere con intera
verità l' imagine del testo floriano
nelle sue minute particolarità. Tut-
tavia non è a spregiarsi affatto,
riguardato come testo di lingua,
Lucio Eneo Floro sopra Tito Livio pado-
vano, vulgarizzato per mess. Jovane de
Garzoni, secretano del ra. s. (magnifico
signor) de Fermo nel MCCCCLV, finita e
scripta per mi. »
che lungi dall' essere de' migliori
per le gravi difficoltà, in cui tro-
vossi avvolto il suo autore per la
propria imperizia e per circostanze
a lui non imputabili, non è però
affatto spoglio dei fiori, che abbel-
liscono i libri degli scrittori vol-
gari dei secoli XIV e XV; e come
tale può senza soverchio disdoro
andar fra le mani di quanti a ra-
gione amano questa maniera di
scrivere sobrio e semplice.
Nel Marzo 1881.
EPITOM DI LOCIO ANNEO FLORO
DI TUTTA LA ISTORIA DI TITO LIVIO
LIBRO PRIMO
Proemio.
Lo popolo di Roma da Romulo infino
a Cesere Augusto per spazio di sette cento
anni fece tante cose con pace e con guer-
ra, che se alcuno considera la grandezza
della signoria, parràgli che quella avanzi
il tempo, perchè egli provò si in ogni
luogo per lo circuito della terra le sue
arme, che quegli i quali leggono i suoi
fatti, non giudicaro quegli essere fatti
d' uno popolo, ma fatti di tutta l' umana
generazione, perchè fu sbattuto in tante
fatiche e in tanti pericoli, che la fortuna
parve contendere con la virtù di quello nel-
lo stabilire della sua signoria. Per la qual
cosa essendo in specialità utile sapere
questo, nondimeno perchè la grandezza e
la diversità delle cose affatica la sottilità
4
dello intelletto, farò come solano fare que-
gli, i quali figurano il sito della terra, e
in una quasi piccola tavoletta compren-
derò tutta la figurazione di quello, e se-
condo ch'io spero, aggiugnerò alcuna cosa
a la ammirazione di quello signorevole
popolo, mostrando insieme tutta la sua
grandezza.
Dunque se alcuno considera lo popolo di
Roma in figura d'un uomo, e considera
tutta la sua età, com'egli cominciò, com' e-
gli cresce e pervenne quasi ad alcuno
fiore di gioventù, e come poi egli invec-
chiò, tro verrà quello essere proceduto per
quattro gradi.
La prima sua età fu sotto i re, ed appres-
so perfino a quattrocento anni, nei quali
quello popolo combattè intorno a sua ma-
dre con gli vicini, e questa sarà la in-
fanzia di quello. Lo tempo seguente sotto
Bruto e Collatino consoli fu infino a Quinto
Claudio e Quinto Fulvio consoli per spa-
zio di cento cinquanta anni, sotto i quali
consoli quel popolo sottomise Italia, e
quello fo tempo sommamente stimolato in
fatti e uomini d'arme, e perciò alcuno il
chiamerà adolescenzia. Da poi infino a
Ceserò Augusto fu anni cento cinquanta.
nel quale quello popolo pacificò tutto il
mondo, e questa fu la gioventù dello im-
perio e quasi alcuna robusta maturità. Da
Ceserò Augusto fino al nostro tempo fumo
pochi meno di dugento anni , ne' quali per
pigrizia degli imperadori quello popolo è
quasi invecchiato, salvo che sotto Traiano
iraperadore mosse le mani, e quasi oltra
la speranza d'ogn'uomo la vecchiezza dello
imperio retornò verde, quasi come gli fosse
restituita la gioventù.
Lo regno dì Bomnlo.
Romulo fu lo primo fondator di Roma
e dello imperio, lo quale fu figliuolo di
Marte e di Rea Silvia, e questo confessò
ella, essendo monaca e già gravida, e da
poi di questo non dubita la nominanzia;
poi che gittato di comandamento di Amulio
con Remo suo fratello , non potè morire ,
perchè gittato dal fiume del Tevero in
terra, una lupa avendo lasciato i figliuoli,
segui lo pianto di quegli fanciugli e latto-
gli in luogo di madre; e cosi trovati quegli
appresso un albero da uno pastore dor-
mendo, portogli nel suo albergo, e in quello
gli nutricò. E in quel tempo Alba, edificata
6
da Julo, era capo d'Italia, il quale aveva
avuto a dispregio Lavinio, terra d' Enea
suo padre, ed in quella era re Amulio, già
settimo dal primo, avendo cacciato Numi-
tore suo fratello, della cui figliuola nacque
Romolo.
Dunque Romolo subito nella prima gio-
ventù cacciò Amulio suo zio di signoina,
e rimise in signoria suo avo, ed elio ama-
tore di fiumi e di monti , appresso i quali
elio era notricato, tentava porre edificj
di nuova città. Erano due, e ciascuno pren-
deva agurio di signoria e facevano sacri-
ficj. Remo pigliò lo monte Aventino, e
Romolo pigliò lo monte Palatino; quello
prima vide sei avoltoj, e costui vide dappoi
dodici avoltoj; e cosi sendo vincitore nella
signoria, pose la città con piena speranza
eh' ella fosse terra da battaglie, e cosi gli
promettevano quegli uccegli, usati a sangue
ed a preda, e parevagli che bastasse uno
steccato per fortezza della nuova città,
della quale facendo beffe Remo, e dispre-
giando stare in quella distretto, passò di
fuori, ed è in dubbio s'egli fo morto di
comandamento del fratello ; ma pure e' fu
il primo morto in quella , e con lo suo
sangue fu consagrata la fortezza di quella
7
terra, ed aveva più tosto forma di città,
6h' ella non era città. Aveva pochi abita-
tori, ma era appresso di quella uno bosco
sagreto, il quale egli fece uno asilio,
ed incontinente venne grande moltitudine
d'uomini, pastori latini e toscani, ed ezian-
dio alcuni di Frigia, i quali venuti d'oltra
mare erano stati con Enea, e alcuni d'Ar-
cadia, i quali erano venuti con Evandro;
e cosi quasi di varj alimenti avevano ra-
gunato uno corpo , e quello fece popolo
romano.
Il re era d'una età con lo popolo degli
uomini (1). Dunque egli domandò matri-
monj ai vicini, e perchè non gli ottene-
vano , pigliarogli per forza , perchè facen-
do vista di fare giuochi di cavaglieri ,
pigliarono fanciulle ch'erano andate a ve-
dere, ed incontanente fumo cagione di
guerra; e cacciati e messi in fuga i Ve-
jenti, fu preso Vejo e gittato per terra,
e sopra ^ questo la preda tolta allo re di
quegli Romulo con le sue mani presentò
a love Feretrio. Ai Sabini fu aperte le
(1) Il testo Ialino: Res erat unius aetatis, po-
pulus virorum , cioè il popolo di Roma non poteva
conservarsi, non essendovi donne.
8
poi-te per una vergine, e non fu per in-
ganno, ma quella fanciulla aveva doman-
dato per pagamento di quello fatto una
cosa, che egli portavano nella ginestra
mano, ed è in dubbio se era uno scudo
o uno ornamento. Quegli acciò che osser-
vassino la promessa e vendicassonsi, am-
mazzaronla con gli scudi, e così entrati
nella terra i nimici, nella entrata fu cru-
dele battaglia, in tanto che Romulo pregò
Giove, che ritenesse i suoi che fuggivano
vituperosamente, e per questo fu fatto un
tempio a Giove chiamato Statore ; e usan-
do quegli crudeltà, quelle ch'erano state
prese, si missono in mezzo scapegliate, e
cosi fatto pace con Tazio, fu fermato i
patti; e segui maravigliosa cosa a dire,
che lasciata la sua terra, i nimici venis-
sino alla nuova città, e facessino comuni
le sue ricchezze, possedute in modo di dote
con gli suo' generi.
Accresciuta la possanza in brieve tem-
po, lo savissimo re fermò questo stato
alla repubrica, i giovani divise in tribi,
acciò che stessino apparecchiati a subite
guerre con armi e cavalli; lo consiglio della
repubrica pose appresso de' vecchi , i quali
per l'autorità fossino chiamati padri e per
9
la età senatori. Ordinate cosi le cose,
facendo elio consiglio presso al palude di
Capri , subitamente egli fu tolto dalla sua
presenzia, e pensano alcuni ch'egli fosse
morto dal senato per la sua asprezza. Ma
sopra venuta una tempesta d' ajere e man-
cando il sole, dissono quello essere con-
sacrato, della qual cosa incontinente fece
fé lulio Proculo, affermando ch'elio aveva
veduto Romulo in più nobile forma ch'elio
non era innanzi, ed ancora comandò ch'e-
gli fossi diputato per uno Dio da quegli,
e ch'egli era chiamato in cielo Quirino,
e che era piacere degli Dei che Roma
avessi gli Dei delle genti (1).
Lo regno di Numa Pompilio.
Succede a Romulo Numa Pompilio, il
quale i Romani domandorono di propria
volontà, abitando egli con gli Curj Sabini
per la gloriosa rilegione di quello. Quello
insegnò fare i sacrificj , le cerimonie ed
ogni coltivamento degli immortali Dei; quel-
lo ordenò per le religioni i sacerdoti e
(l) Il testo: Quirinum in coelo vocari placitum
diis; ita gentium Roma potiretur.
10
gli auguri e i salii, divise l'anno in dodici
mesi, discrisse i di filici e i di infilici;
quello primo diede gli anelli e '1 palladio,
secreta fermezza dello imperio, egli die
lano con due volti, fé della pace e della
guerra; e prima diede a conservare a la
vergine il fuoco di Vesta dea, acciò che
la fiamma, guardia dello imperio, vegghiassi
alla imagine delle celestiale stelle. E tutte
queste cose faceva per comandamento quasi
della dea Egeria, acciò che quegli barberi
meglio le accettassino; e ridusse a tanto
quello feroce popolo , eh' elio governava
con religione e con giustizia quella signo-
ria, acquistata per forza e con ingiuria.
Lo regno dì Tullio Ostilio.
Drieto a Numa Pompilio segui Tullio
Ostilio, al quale fu dato il regno di propia
volontà per premio della sua vertù. Questi
ordinò tutto lo maisterio della milizia e
r arte di combattere. Adunque per mara-
viglioso modo avendo esercitato i giovani ,
ardi muovere guerra agli Albani, i quali
erano popolo grave e lungamente usato a
signoria; ma per la ugual possanza ispesse
battaglie menomando ciascuna parte, fu
11
messa la guerra a brevità , e fu commessa
la fortuna d'arainduni quegli popoli a tre
frategli per ciascuna parte, agli Orazj e
agli Curiazj. Dubbiosa e bella contenzione
fu quella ed al fine maravigliosa, perchè
sendo da una parte fediti i tre e dall'altra
morti i due, Orazio, il quale avanzava, ag-
giunse inganno alla prodezza: acciò ch'egli
dispartissi i nimlci, finse fuggire, ed uccise
quegli ad uno ad uno, com' egli lo pota-
vano seguire; e così per la mano d'uno
fu acquistata la vettoria, rado onore altra
volta, la quale vettoria subito quello bruttò
con l'omicidio della sorella, la quale egli
vide piagnere innanzi sé le arme del ma-
rito, bench' egli fossi nimico, e con lo
ferro punì l'amor di quella fanciulla, il
quale era innanzi tempo. Le leggi mostra-
rono quello essere peccato, ma la sua vertìi
campò lo micidiale, e quello peccato gli
fu imputato a gloria.
Ma gli Albani non osservarono fede
lungamente, perchè nella guerra de' Fide-
nati, mandati in nostro aiutorio gli Al-
bani secondo i patti, stando in mezzo
aspettavano la fortuna; ma lo cauto re, poi-
ché vide i compagni piegarsi ai nimici,
levò le mani , come s' egli avessi combat-
12
tuto, e per questo diede speranza ai nostri
e mise paura ai nimici , e cosi l' inganno
de' traditori fu vano. Adunque vinti i ni-
mici, lo rompitore del patto, il quale fu
Mezio Fufezio, fu legato tra due carrette
menate da correnti cavagli, e fecelo squar-
tare e fece disfare Alba, la quale, ben' che
ubbidisse, era odiosa, ed in prima tramutò
a Roma tutte le ricchezze di quella città
e quello popolo, acciò che al postutto
quella città congiunta per parentado non
paresse essere perita, ma da capo paressi
essere tornata al suo corpo.
Lo regno d'Anco Marzio.
Da poi regnò Anco Marzio, nipote di
Pompilio, di simile ingegno. Questo dun-
que circondò Roma colle mura, e fece un
ponte sopra il Tevero, il quale passa per
mezzo Roma, e pose Ostia nel confino
tra '1 mare e '1 fiume, indovinando' infino
a quel tempo nel suo animo, che per lo
tempo avvenire tutte le ricchezze del mon-
do e tutta la vitto vaglia entrerebbono per
quella parte, come per uno ricetto di Roma
per lo mare.
13
Lo regno di Tarqnìno Prisco.
Tarquino Prisco da poi, benché fossi di
schiatta oltramarina, domandando quello
regno, prontamente ottennelo per sua in-
dustria e per sua loquenzia, il quale, nato
da Corinto, mescolò greco ingegno con le
arte d'Italia. Questo accresce in numero
la maistade del Senato , e aggiunse tre
centurie, benché Azio Navio contradicesse
che '1 numero fossi cresciuto, il quale era
sommo augure; e domandando il re se si
poteva fare pruova di quello eh' egli pen-
sava, l'ispose che si. 11 re disse: « lo pensa-
va se uno rasoio potrebbe tagliare quella
pietra »; adunque 1' augure disse: « Tu la
puoi tagliare », e tagliolla; e da poi lo
augurio fu sacro ai Romani. Tarquino non
fu più pronto alla pace che alla guerra,
perch' egli sottomise con spesse guerre do-
dici popoli di Toscana. Poi trovò la de-
gnità di fasce, trabee (1) e sedie, anelli,
coverte ai cavagli, paludamenti, preteste;
da poi trovò che '1 trionfo fossi fatto in
un carro dorato, menato da quattro cava-
(1) Vesti dei re e degli auguri.
14
gli , le vesti lavorate , le vesti palmate , e
finalmente ogni cosa bella ed ornata, per
le quali cose la degnità dello imperio fossi
eccellente.
Il regno dì Tullio Servilio.
Poi prese lo reggimento di Roma Tullio
Servilio, e non glielo veto sua vii nazio-
ne, essendo egli nato per madre d' una
serva, perchè Tanaquil, moglie di Tarquino,
r aveva nutricato diligentemente per la
sua eccellente indole, ed ancora gli aveva
promesso ch'egli sarebbe famoso una fiam-
ma, che gli era stata veduta intorno al
capo. Dunque alla morte di Tarquino, aju-
tandolo la reina, fu constituito in luogo
del re, e quasi la signoria fu acquistata
a tempo sotto inganno, e così fece saga-
cemente, acciò che paressi ch'egli l'avessi
acquistato con ragione. Questo fece il
censo del popolo di Roma, partillo per
classi, curie e collegi; e per la somma
sollecitudine di questo ne fu si ordinata
la replubbica, che per ordine fu ridotto
in iscritture tutti i patrimonj e le degni-
tade, le arte e l' etade e gli utficj , come
se una grandissima cittade si potessi or-
15
dinare con quella diligenzia che una mini-
ma casa.
n regno di Tarquino superbo.
L' ultinao di tutti i re fu Tarquino, il
quale per gli suoi costumi fu detto per
sopranome superbo. Costui volle più tosto
rapire che aspettare il regno dei suoi
passati, il quale era tenuto da Servio;
e mandati a quello gli ucciditori , non
tenne meglio eh' egli acquistassi la signo-
ria, acquistata per tradimento. Tullia sua
moglie non aveva in abominazione i co-
stumi di quello, la quale per chiamare
re il marito, si fece menare con una car-
retta sopra '1 corpo del padre, sicura ella,
avendo paura i cavalli. Elio furiò cen-
tra il senato con gli omicidj e contra
ogni uomo con la superbia, la quale è
più grave che la crudeltade; ed avendo
furiato contra i buoni , poi che ebbe eser-
citata la crudeltade a casa, finalmente si
volse ai nimici , e cosi prese forte terre
in Lazio, come fu Ardea, Ocricolo, Gabio,
Suessa Pomezia; e poi s'insanguinò de'
suoi, e non dubitò battere il figliuolo, ac-
ciò che mostrando egli fuggire appresso
16
i nimici, gli fossi dato fé, al quale, essendo
egli stato ricevuto a Gabio, come il padre
voleva , domandandogli quello consiglio
per uno messo quello ch'egli dovessi fare,
essendo a caso nell'orto, toccava con una
bacchetta le teste degli lunghi papaveri,
volendo che quello intendessi, per lo toc-
care degli alti papaveri, fare morire i prin-
cipi di quella terra, e così rispose la sua
superbia. Nondimeno della ruberia delle
prese cittadi dificò un tempio, il quale
sendo inaugurato, consentendo gli altri
Dei, luventa e Termino ferno risistenzia;
e piacque agli indovini la risistenzia de-
gli Dei, peroch' eglino promettevano ogni
cosa ferma ed eterna. Ma fu eziandio una
cosa paurosa, perchè dificando quegli lo
tempio, fu trovato nel fondamento una
testa d' uomo , e non dubitò ogn' uomo
che quello fossi bello miracolo, e che quello
promettessi in quello luogo la sedia e '1
capo della terra. E sostenne lo popolo di
Roma la superbia del re si lungamente,
infino che non gli fu la lussuria ; ma non
potè comportare ne' fighuoli la impronti-
tudine di questa, de' quali come 1' uno per
forza commise 1' avolterio con Lucrezia,
ornatissima donna, ella purgò la sua ver-
17
gogna con lo ferro , e lo imperio dei re
fu guasto.
Sipetizione sommaria di sette re.
Questa è la prima età del popolo di
Roma, e quasi infanzia, la quale quello
ebbe sotto sette re per alcuna industria
della fortuna, essendo quegli si varj del-
lo ingegno, come richiedeva la ragione
e l'utilità della riplubbica. Perchè chi fu
più ardente che Romolo? E fu necessario
sì fatto a pigliare la signoria ; e chi fu
più riligioso che Nuraa? E così richie-
deva la cosa, acciò che lo aspro popolo
fossi medicato per la paura degli Dei. Che
fece quello artigiano di milizia Tullio? E
quanto fu necessario agli uomini da bat-
taglia, acciò che con la ragione egli attiz-
zassi la virtù! Che fece Anco edificatore,
il quale aggiunse a Roma una colonia, con-
giunse Roma col ponte, fortificoUa con lo
muro? E poi gli ornamenti di Tarquino
e le sue insegne quanta degnità per lo
abito aggiunsono a quel popolo signore?
E il censo fatto da Servio che fece, se non
che la replubbica cognoscessi sé medesi-
ma ? Ultimamente la signoria di questo
18
superbo giovò alcuna cosa, anzi molto,
perchè avvenne che'l popolo, percosso dalle
ingiurie, fossi stimolato dalla cupidità della
libertà.
Qui finisce la prima età del popolo di
Roma.
Comincia la seconda età.
Dunque per guida e per opera di Bruto
e di Collatino, ai quali quella donna mo-
rendo aveva commessa la sua vendetta, il
popolo di Roma, mosso quasi per uno am-
maestramento degli Dei a vendicare l'onore
della libertà e della onestà, subito abban-
donorono il re, tolsegli i suoi beni e con-
sacrò i suoi campi al suo Marte, tramu-
torono la signoria agli autori e vendicatori
della libertà. Nondimeno mutare il nome
e '1 signore, pei'chè di perpetuo signore
piacquegli farlo per un anno, e per uno
farne due, acciò che la signoria non si
corrompessi, perchè uno fossi solo, o per-
chè regnasse in lunga dimoranza, e per
lo nome del re chiamorno quegli consoli,
acciò ch'eglino si ricordassino d'avere a
dare consiglio ai suoi cittadini. Ed era
seguita tanta allegrezza della nuova liber-
19
tà, che appena pigliavano fé che lo stato
fossi mutato; e l'uno de' consoli solamente
per lo nome e per la schiatta di i-e fecio-
no refìutare la degnità e eacciarolo di
Roma.
Adunque fatto in luogo di quello Ora-
zio Publicola, fu ricevuto, e con sommo
studio diessi ad accrescere la maistà del
Ubero popolo, perchè egli prese la degnità
in consiglio, e diede ragione di provocare
contra i re; e acciò che non offendesse la
speranza dell'arte (1), fece spianare le gran-
de case di quegli. Bruto eziandio acquistò
il favore del popolo con avversità della sua
famiglia e con 1' omicidio di suoi figliuoli ,
perchè affaticandosi essi di ridurre a Roma
i re, com'egli seppe questo, condusse quegli
in palazzo, e in mezzo lo consiglio fece
battere quegli con verghe di ferro, e fece-
gli ammazzare con una mannaja, acciò
che chiaramente apparessi, ch'egli comune
padre avessi adottato il popolo in luogo
di figliuoli. Poi libero già lo popolo di
Roma, pigliò le prime arme contra ogni
uomo per la libertà, poi per gli confini,
(1) Il testo latino: ne specie arcis oifendoret, e-
minentes sedes suas in plana submisit.
20
poi per gli collegati e poi per gloria e per
lo imperio, stimolandogli continuamente i
vicini; perchè non avendo alcuno terreno
da lavorare in sua patria, ma incontinente
uno giardino di nemici, e posti in mezzo
tra i Latini e i Toscani, quasi sopra uno
trebbio di due vie, per tutte le porte cor-
sone contra i nimici, irifino che andorono
coutra ciascuno, quasi come una infermità
contagiosa; e soperchiati tutti i vicini, sot-
tomisono a sé tutta Italia.
La guerra coi Toscani.
Cacciati i re di Roma , le prime guerre
fanno per la libertà, perchè Porsenna di
Toscana s'appresentò con grande moltitu-
dine, e con sua gente remenava i Tarqui-
ni; e bench' egli stringessi il popolo di
Roma con la gente e con la fame, e aven-
do preso il Janicolo, fossi accampato sopra
lo passo della città, sostenne e cacciogli
indietro, e ultimamente lo ridusse a tanta
ammirazione, che sendo egli superiore, di
propia volontà fermò patti d' amistà con
quegli, che quasi erano vinti.
21
Orazio Code, Muzio Scevola e Clelia.
Allora furono quegli miracoli romani
Orazio, Muzio e Clelia, quali, se non
fossino iscritti negli annali, parrebbono
favole al tempo presente; perchè Orazio
Code, poi che non poteva risistere ai ni-
mici soprastanti a quello da ogni parte, e
sendogli tagliato dietro il ponte, con tutte
armi notò il Tevero dall' altra parte. Mu-
zio Scevola assali lo re nascosamente nel
suo campo, ma avendo fallito del colpo
intorno d' uno ben vestito, e sendo preso,
mise la mano nello ardente fuoco e con
l'inganno raddoppiò la paura, dicendo al
l'e: « Acciò che tu sappi da che uomo tu
se' combattuto, noi siamo trecento, che ab-
biamo giurato fare questo medesimo »; e
in quel mezzo (che maravigliosa cosa è a
dire) quello estava senza paura, e '1 ve
aveva paura come se la sua mano ardesse,
e cosi feciono quegli uomini ; e acciò che
le femine non fossero sanza lode, ecco la
vertù d' una vergine. Una di quelle eh' e-
rano date per ostadigi allo re, chiamata
Clelia, fuggita alle guardie, passò il Te-
vero a cavallo notando. Lo re impaurito
22
per gli ammaestramenti di tante vertude,
disse eli' eglino stessine con Dio, e rima-
nessino in sua libertade. I Tarquinii fecio-
no guerra per lungo espazio, infino che
Bruto con la sua mano uccise Arorite, fi-
gliuolo del re, e fedito da quello, morigli
adosso, quasi per certo egli perseguisse
quello avoltero infino all' inferno.
La guerra coi Latini.
I Latini sostenevano i Tarquinii per di-
spetto e per invidia che '1 popolo, che si-
gnoreggiava quegli di fuori, almeno fossi
servo in casa. Adunque tutti i Latini sotto
Manilio capitano, il quale era da Tusculo,
levaron gli animi quasi a vendetta del re,
ed appresso il lago Regilo fu cambattuto
per lungo espazio in varie battaglie, infino
che Postumi© dittatore usò contra i nimici
degno e nuovo inganno, che come Cosso
maestro di milizia assalisse quegli, i suoi
traessino i freni ai cavagli; e questo fu
fatto perchè corressino più veloci, e fosse
aspra battaglia, che fu nominanza che gli
Dei fossino presenti a vedere, e non dubitò
alcuno che fossino Castore e Polluce in
bianchi cavagli. Dunque il capitano gli
23
fece riverenzia, e per la vettoria promis-
segli e fecegli un tempio, quasi come
egli dessi il soldo agli Dei suoi compa-
gnoni.
Infino a qui fu combattuto per la libertà,
poi fu combattuto cogli Latini per gli con-
fini continuamente e sanza alcuno mezzo;
e chi lo crederà che gli impaurirono Sora
e Algido? Satrico e Corniculo fumo fatte
Provincie, trionfammo de' Veruli e de' Bo-
vini, bene che fossi vergogna; Tiburi fu
fatto borgo, e Preneste, da fargli la state
luoghi dilicati, erano domandati, dupli-
cando i voti in Campodoglio. Allora Fie-
sole fece quello che aveva fatto innanzi
Capri, quello fece il passo Aricino che '1
passo Ercinio; Fragelle fece quello che
Gesoriaco, il Tigre quello che Eufrate.
Coriolo (oh vergogna!) ebbe tanta gloria
d' essere vinta , che Caio Marzio Coriola-
no, che prese quella terra, prese quel no-
me, come s' egli avessi preso Numanzia o
Affrica. Mostrasi la preda acquistata di
Anzio , la quale fu posta sopra l' entrata
del palazzo, poi che fu tolta l' armata delle
navi, se quella fu armata, poiché fumo sei
navi. Perduto questo numero, e quegli sendo
24
vinti, fu chiamata battaglia navale (1). Gli
Equi e i Volsci fumo molto più costanti
de' Latini e più continovi nimici , dicendo
io cosi; ma questi ispecialmente vinse Tito
Quinzio: quello fatto dittatore, sendo tolto
dall' aratro, con nobile prodezza salvò il
campo di Marco Manilio consolo, essendo
quegli assediato e già quasi preso. A caso
era in mezzo il tempo di seminare, quan-
do lo littore trovò nel suo lavorerìo quel
venerabile uomo, stando egli appoggiato
al suo aratro. Di quel luogo andò all'oste,
acciò che non cessasse in alcuna cosa
dal lavorio della villa per la mutazione.
Misse sotto il giogo i vinti a modo di
bestie, e cosi finita la sua cavalcata, tor-
nò ai buoi il trionfale agricola; e feciono
fede gli Dei, con quanta velocità fossi,
perchè in quindici di fu cominciata e al
postutto finita la guerra, acciò che '1 dit-
tatore paressi essere stato sollecito alla
lasciata opera.
(1) Il testo latino: Sed hic numerus illis initiis
navale bellum fuit.
25
La guerra degli Etruschi, Fallisci
e Fidenati.
I Vejenti, d' intra i Toscani, fumo con-
tinovi nimici e d' anno in anno, in tanto
che una sola famiglia sofficiente assai e
d'avanzo, cioè quella de' Fabii, oltra l'or-
dinato oste, promise e fece privata guerra
con quegli, e furone morti in una scon-
fitta trecento presso Cremerà: fu oste di
patrizi e descritto con escellerato nome
nella porta, per la quale quegli andarono
alla battaglia. Ma quella sconfitta fu ven-
dicata con grandissime vettorie, e poi che
per altri ed altri capitani fumo prese for-
tissime città per vario avvenimento, i Fal-
lisci di propria volontà s'arrenderono, i
Fidenati arsone con lo suo fuogo, i Ve-
jenti furono presi al postutto e diserti; e
sendo assediati i Fallisci, il capitano de'
Romani parve avere raaravigliosa fé, e non
sanza cagione, perchè egli rimandò legato
uno maestro de' giuochi , traditore della
terra, con gli fanciugli , i quali egli aveva
menati di fuori di propria volontà. Quello
santo e savio uomo sapeva quella essere
vera vettoria, la quale s'acquistassi con
salvamento e con integra degnità.
26
I Fidenati, i quali non erano pari a
combattere, armati di facelle in diversi
colori per mettere paura, a modo di serpenti
vinti uscirono fuori a modo di furiosi, ma
quello fu abito di furiale disfazione di tutti.
Ma come fossi grande fatto quello de' Ve-
jenti, mostra l' assedio per spazio di dieci
anni. Allora fu prima fatto con le pellic-
ce, cassato il soldo per lo verno (1), ridutti
i cavalieri per sagramento di propria vo-
lontà a non tornare a casa, se non piglias-
sono quella terra. La preda di Laerte
Tolunno re fu portata a Giove Feretrio, e
finalmente fu compiuta la disfazione di
quella terra, non con scale e non con rot-
tura, ma con cave e inganni fatti sotto
terra; e parve si grande la preda, che la
decima di quella fu mandata ad Apollo di
Pizia, e tutto lo popolo di Roma fu invi-
tato a disfare quella terra. Chi si ricorda
questa essere stata? Quali le reliquie di
quella cittade? E che vestigie? E appena
(1) Il lesto latino: Tunc primum hyematum sub
pellibus; taxata stipendio hyberna, volendo dire
Floro, che allora per la prima volta si guerreg-
giò d' inverno, rimanendo i combattenti sotto le
tende.
noi diamo fé agli annali, che queste cose
sieno estate vere.
La guerra con gli Gallici.
Questo velocissimo corso dello imperio
che cresceva, o che fossi per odio degli
Dei, 0 che fossi per fortuna, alquanto fu
ristretto per l'assalto de' Galli Senoni, il
quale tempo non so se fu più mortale per
sconfitte al popolo di Roma, o se fu più
chiaro per le esperienze della vertù; ma
certo quella misera ebbe questa forza, ch'io
penso essere stato fatto per esperimento
degli Dei immortali, i quali volevano sapere
se la vertù de' Romani meritava avere la
segnoria del mondo. I Galli Senoni, gente
feroce per natura di costumi ed ancora
grandi del corpo, per questo grandi fatti
d'arme fenno sì terribeli per natura, che
chiaramente parevano nati ad uccidere uo-
mini e a disfare città. Questi già venuti
dalle ultime parti della terra, dove égli
Oceano, che circonda tutta la terra, aven-
do guasto ogni cosa per la via, con gran-
de moltitudine posono sua sedia tra le
Alpe e '1 Po, e non contenti di quella,
discorrevano per Italia ; poi assediarono
28
Chiusi città, e '1 popolo di Roma s'inter-
pose con quegli compagni e collegati , e
secondo usanza mandò imbasciadori; ma
perchè i barbari non hanno alcuna ragio-
ne, seguitorono più aspramente, e per
questo seguì la guerra.
Dunque partiti quegli da Chiusi, andor-
no verso Roma, ai quali andò incontro
con r oste Fabio consolo infino al fiume
Alia, dove fu vituperosa esconfitta, e per-
ciò Roma dannò quel di de' suoi fasti.
Sconfitta r oste, già s'approssimava a Ro-
ma, e non v'era gente; e allora apparve
vera la vertù de' Romani , e non apparve
mai altra volta. Subito gli antichi , che
avevano avuti i grandi onori, corsono in
palazzo, e in quel luogo facendo il voto
il sacerdoto, fece il sacrificio agli Dei in-
fernali; e subito ciascuno tornò a sua se-
dia, ornati com' egli erano, e con magnifi-
co ornamento s' allogorono nelle sue e-
scranne, acciò che come sopra venissi no i
nimici, morissino nella sua degnità. I sa-
cerdoti e rilegiosi ricolsono ogni cosa di
rilegione, ch'erano ne'tempj, e parte ne
sotterrorono in vasi, parte ne misono in
carrette e portaronle con sé. Le moniche
della religione di Vesta fuggivano scalze
29
dietro alle sue cose, e nondimeno si dice
che Albino, omo di popolo, le tolse in suso
il suo carro, avendo in prima messo giuso
la moglie e i figliuoli: tanto allora nella
estremità la publica religione era premessa
ai privati affetti. Ma i giovani, i quali
appena è manifesto che fossino mille uo-
mini, tolto per suo capitano Manlio, pi-
gliarono la fortezza del monte Capitolino,
pregando Giove, come s' egli fosse pre-
sente, che colla sua deitade egli difen-
dessi la sua vertìi di quegli , come eglino
erano atanti a difendere lo suo tempio.
In quel mezzo erano sopravenuti i Galli,
e assalirono la città con grande remore e
impeto Come vidono quella abbandonata,
essendo prima stati paurosi, temendo che
non vi fosse alcuno inganno, perchè ave-
vano trovate le porte aperte, a poco a
poco entrati nelle case, poi ch'eglino tro-
varno i vecchi adornati in sulle sedie,
feciono riverenza a quegli come a Dei del-
lo luogo; ma poi eh' egli fu manifesto que-
gli essere uomini , non degnando quegli
rispondere alcuna cosa, con pari furia li
ammazzonno e misono fuoco nelle case, e
tutta la città espianarono col fuoco e col
ferro. Sei mesi quegli barbari stettono in-
30
torno a uno monte (e chi lo crederebbe?),
e con ogni cosa provarono il di non che
la notte. Finalmente Mallio, desto per la
voce d'un' oca, ricacciò fuori quegli, i quali
entravano dentro; e acciò che togliessi (1)
speranza ai nemici, bench' eglino avessino
grandissimo disagio di vettuvaglia, per mo-
strare speranza di tenersi, gittorno pane
giù per la costa, e ditermi natamente un
dì mandò di fuori per mezzo la guardia
de' nemici Fabbio sacerdote, il quale faces-
si solenne sacrificio nel monte Quirinale;
e quello per mezzo le lance de' nemici tor-
nò dentro salvo per ajutorio della reli-
gione, e riportò che gli Dei erano favo-
revoli. Ultimamente essendo già stanchi
quegli barbari per lo assedio, quello gli
dava per la sua partita mille libre d'oro,
e domandando malvagio peso, e ancora
malvagiamente è superbamente minaccian-
do con lo coltello (2) quegli vinti, subita-
mente Camillo gli assali dalle spalle e ta-
gliogli si affatto, che bagnò del sangue di
quegli barberi tutta la cenere delle case
arse.
(1) / Romani.
(2) Il testo latino: ad inifiua pondera addito ad-
huc gladio.
31
Piacerai rendere grazia di sì grande
sconfitta agli Dei immortali. Quello fuoco
e quella fiamma nascose la casa de' pastori
e la povertà di Romolo; quello incendio che
fece altro, se non che la città distinata
per ricettacolo degli Dei, non paressi gua-
sta né rovinata, ma più tosto purgata e
alluminata? Dunque ella suscitò più aspra
e più forte centra i vicini , poich' ella fu
difesa da Manlio e ricoverata da Camillo;
e innanzi a tutte le cose non fu contento
d' avere cacciato da Roma quella gente
gallica, discorrendo quella per Italia a
distruzione di quella, ma tanto perseguisse
quegli sotto la capitanta di Camillo, che
al presente non è alcuna vestigie di Galli
Senoni. In una volta fumo sconfitti e presi
al fiume Aniene, poi in una battaglia Man-
lio in singolare battaglia nella preda ne
portò un torchio d' oro ad uno barbero ,
e da quello fumo chiamati i Torquati;
poi nel campo Pontino, poi in simiglievole
battaglia Lucio Valerio, perseguendolo uno
Gallico, riportò preda di quello, essendo
aiutato da uno sacro uccello, e da quello
fumo i Corvini. Da poi alquanti anni Do-
lobella tagliò tutti quegli, che restavano
in Toscana presso il lago di Vadimone,
32
sicché non restò alguna di quella gente,
che si gloriassi avere arsa Roma.
La guerra con i Latini.
Volto da' Galli ai Latini (1), sotto lo con-
solato di Manlio Torquato e di Decìo Mu-
rano, quegli sempre erano odiosi per la
invidia dello imperio e per lo raagestrato,
e allora lo erano per lo dispregio dell'arsa
città, e domandavano ragione della città,
parte della signoria e del magisti-ato, e
già ardivano fare più innanzi che venire
alle mani; nel qual tempo chi si raaravi-
glierà quegli essersi tirati indietro dai
nimici , avendo 1' uno de' consoli morto il
figliuolo, bench' egli avesse vinto, perch'e-
gli aveva combattuto contra lo comanda-
mento, quasi come più volessi l'ubbidienza
che la vettoria ; 1' altro consolo, quasi am-
maestrato dagli Dei, col capo coperto in-
nanzi alla prima schiera consacrò sé agli
Dei infernali, acciò che nella strettissima
schiera de' nimici facessi nuovo introito
alla vettoria con la via del suo sangue?
(1) Il popolo romano.
33
La guerra cogli Sabini.
Dopo i Latini assalirono i Sabini, i qua-
li non ricordandosi del parentado fatto già
sotto Tito Tazio, corrotti per la guerra,
s' erano accostati ai Latini; ma sendo con-
solo Curio Dentato, guastò tutto quello
paese, eh' è circa Nar fiume e le fontane
d'Avellino infino al mare Adriatico, con
fuoco e con ferro; per la qual vettoria fu
ridutto sotto sua signoria tanta gente e
tanto paese, che quale più volessi egli che
l'aveva vinto, non lo potrebbe estimare.
La guerra con gli Sanniti.
Poi mossi a priego di quegli di Cam-
pagna, finalmente non per sé, ma per gli
collegati, la qual cosa gli fu più onore,
assalirono i Sanniti, ed avevano fermato
pace con ciascuno di quegli ; ma i Cam-
pagnuoli più fermamente e prima di tutti
s'erano corrotti. Adunque e Romani fe-
ciono la guerra con i Sanniti come per
sé; ed è Campagna paese non solamente
più bello di tutti quegli d' Italia, ma ezian-
dio di tutto il mondo, ed ha più tempe-
34
rato aere: e per questo à due volte l'an-
no fiori, e la terra è molta ubertosa, ed
imperciò in quella è contenzione di più
biada e di vino; niuno paese è meglio abi-
tato per la marina. In quella sono i nobili
porti Gaieta, Misseno e bagni con le cal-
de fontane; Lucrino, Averno, ne' quali il
mare à alcuno riposo. Qui sono e monti
vestiti di vite, Gauro, Falerno, Massico e
Vesuvio, molto piìi bello di tutti, il quale
s'assomiglia per lo fuoco ad Etna; le cit-
tadi della marina Formie, Come, Pozzuoli,
Napoli , Erculaneo, Pompeio e Capoa, capo
delle altre cittade, la quale già fu anomi-
nata terza con Roma e Cartagine; e per
questa città, per quegli paesi il popolo di
Roma assalì i Sanniti, i quali erano gente
ornati d'oro e d'argento, e se tu cerchi
iscaltrimenti, gente che furiava con ingan-
ni di passi e di montagna; se tu cerchi
la sua rabia e furore, con sacrate leggi e
con sacrificj d'uomini s'affaticavano adi-
sfazione di Roma; se tu cerchi pertinacia,
troverai che sei volte rotta la pace, per
le sconfitte era più animosa.
E nondimeno Roma soggiogò e domò
sì quegli in cinquanta anni per gli Fabii
e per gli Papirii e per gli suoi discen-
35
denti, e guastò si le sue cittade, che al
presente si domanda Sannio in Sannio, e
non si mostrano lievemente ventiquattro
trionfi (1), ed è sommamente manifesta la
magnifica sconfitta di quella gente presso
le forche Caudine, ricevuta sotto \eturio
e Postumio consoli , essendo serrato il no-
stro oste per inganno dentro a quel passo,
onde non potevano fuggire; e maraviglian-
dosi Ponzio, capitano de'niraici, di tanto
caso, domandò consiglio ad Erennio suo
padre. Quello consigliò saviamente eh' e-
gli lasciassi andare i nostri , o egli gli ucci-
dessi. Questo volse più tosto sanza armi
salvargli e mettergli sotto il giogo, acciò
che non fossino amici per lo benificio, né
per la crudeltà fossino più niraici. Adun-
que incontanente e magnificamente fu pur-
gata la vergogna del patto, essendosi il
consolo arrenduto volontariamente, ed i
cavalieri cercando la vendetta, sotto Papi-
rio suo capitano con le spade ignude (che
orribile cosa fu a dire), per quella mede-
sima via fu la battaglia, e venuti alle mani,
secondo il detto de'nimici, pareva che gli
(1) Ossia si cercherebbe il Sannio nel Sannio
stessOj materia o causa di tante guerre.
36
occhi de' nostri ardessino, e non fu fatto
fine alia uccisione, inflno che non fu ri-
posto il giogo ai nimici ed al capitano,
il quale fu preso.
La guerra con gli Etruschi
e con gli Sanniti.
Infin a qui il popolo di Roma fece guer-
ra con quelle genti ad una ad una, poi
con molte, e nondinoeno fu pari a tutti.
Furo dodici e popoli di Toscana; gli Um-
bri, antichissimo popolo d' Italia, non toc-
cati infin a quel tempo, e gli altri Sanniti,
subito feci'ono una congiurazione contra il
nome di Romani. La paura fu grande di
tutti e popoli insieme. Era Toscana odiosa,
discorrevano le insegne di quattro oste. In
quel mezzo erano due passi innanzi sanza
via chiaramente, come quello di Calidonia
0 quello della selva Ircinia, e questo faceva
sì grande paura, che lo senato disse al
consolo, eh' egli non ardissi a mettersi a
tanto pericolo; ma niuno di quegli impaurì.
Il capitano Fabio Massimo mandò innanzi
suo fratello a tentare i passi ; quello avendo
cercato di notte in abito di pastore, d'ogni
cosa faceva relazione. Fabio Massimo allora
37
dichiarò essere sanza pei-icolo quella peri-
colosa guerra, perchè subito assali e nimici
disordinati e sparti , e presa 1' altezza de'
monti, tornò secondo sua usanza contra
quegli eh' erano di sotto. Questa fu l' ap-
parenza di quella guerra, quasi come le
lancia fossino mandate da cielo per le
nuvole contra i giganti ; e nondimeno quel-
la vettoria non fu sanza effusione di san-
gue, perchè nel mezzo della valle l'uno
de' consoli, cioè Decio, secondo che aveva
fatto suo padre, fece sacrificio della sua
testa agli Dei infernali, e ridusse la solen-
ne consecrazione della sua famiglia in pre-
gio di vettoria (1).
La guerra con gli Tarentini.
Sieguesi la guerra con quegli da Ta-
ranto, la quale fu una per lo titolo e per
lo nome, ma la vettoria fu di molte ma-
niere. Questa guerra meschiò quasi con
una rovina i Campagnuoli e i Pugliesi e
i Lucani e i Tarantini , capo della guerra,
cioè tutta Italia , e con questa Pirro, famo-
(1) Comperò colla solenne consacrazione delia
sua famiglia la vittoria.
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gissimo re in Grecia; sicché in uno mede-
simo tempo essa consumò Italia e fu pre-
sagio delle vettorie d' oltre mare. Taranto
edificato per quegli di Lacederaonia, fu già
capo di Calavria e di Puglia ed eziandio
di tutta Lucania; nobile per la grandezza,
per le mura e per lo porto, per maravi-
glioso sito, e perchè posto nello stretto del
mare Adriatico, mandò navi in ogni parte,
in Istria, in Schiavonia e in Epiro, in Aca-
ja, in Africa, in Cicilia. Soprasta al porto
alla veduta del mare Io sommo teatro, lo
quale fu cagione alla miserabile città dì
tutte le sue miserie. A caso quegli face-
vano giuochi, quando egli vidono 1' armata
de' Romani navicanti presso Io suo lido,
e pensando quegli essere niraici, sanza
alcuno ordine gli assalirono, e non sape-
vano bene chi fossino, e onde fossino i
Romani; e sanza indugio i Romani man-
dorno a quegli imbasciatori con la lamen-
tanza, e questi fumo offesi con brutta ver-
gogna e vituperosa a dire, e da questo
cominciò la guerra. Ma l'apparecchiamento
fu orribile, facendo tanti popoli congiura-
zione per gli Tarentini, e Pirro, più pos-
sente di tutti, il quale veniva per difen-
dere la città mezza greca, edificata per gli
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Lacedemoni con tutta la possanza di Epi-
ro, di Tessaglia, di Macedonia e con gli
leofanti, non cognosciuti in quel tempo,
per mare e per terra, con uomini a cavallo
armati, e sopra a questo aggiugnendo la
paura delle fiere.
E' fu la prima battaglia appresso Era-
clea e Liri, fiume di Campagna, la qual
battaglia fu sì aspra , che Ossidio , pre-
fetto delle schiere de' Ferentani, venuto
alle mani con lo re, lo misse in paura,
e costrinselo gittare le 'nsegne e uscire
delia battaglia. Ed era finita la guerra , se
non fossino stati i leofanti , i quali , volta
in spettacolo la battaglia, corsone; per la
qual cosa i Romani, impauriti si per la
grandezza e per la bruttezza e pel nuovo
colore e stridore, pensando quelle bestie,
non vedute altra volta, raagiore cosa che
non erano, ebbono grande sconfitta, fug-
gendo subito. Poi combatterno in Puglia
presso Ascoli, essendo consoli Curio e Fab-
brizio, e già la paura di quelle bestie non
era piìi, perchè Gaio Numizio, astato della
quarta legione, aveva tagliato il muso ad
uno leofante, ed aveva mostrato che quelle
bestie potevano morire. Per questo lancia-
vano le lancie centra quegli, e contra le
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torri di quelle genti gittarono fuoco, sì che
coprivano tutti i combattitori, e non ebbe
la battaglia altro fine, se non che la notte
gli partì ; il suo re fu l' ultimo , che si
partì fedito e portato dai suoi servi in uno
scudo.
L' ultima battaglia fu in Lucania sui cam-
pi chiamati Arusini sotto i predetti capi-
tani, e allora la fortuna diede il fine con
tutta vettoria, il quale doveva dare la pro-
dezza; perchè menati da capo i leofanti
nella prima schiera, uno puledro di quegli
fedito nella testa d'un grande colpo, si
volse indietro, e correndo per le schiere
de' suoi, lamentandosi con grande stridore,
la madre lo conobe e fecesi innanzi, co-
ro'ella lo volessi vendicare; e allora vol-
gendosi intorno, come se ogni cosa le fosse
nemica, con la sua grandezza mescolò le
schere, e così e leofanti, e quali ci ave-
vano tolto la prima vettoria, e la seconda
avevano fatta uguale, ristituivano a noi la
terza senza alcuna contradizione.
Non solamente noi combattemmo con le
ai'mi in campo con lo re, ma eziandio ne'
consigli e in casa, perchè quel sagacissimo
dopo la prima vettoria, conosciuta la vertù
de' Romani, incontanente gli mancò la spe-
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ranza in fatti d'arme, e ridussesi a in-
ganni ; di che fece seppellire e morti , e i
presi trattò benignamente e restituigli sen-
za alcuna taglia, e mandati imbasciatori a
Roma, si sforzò per ogni modo d'essere
ricevuto per suo amico. Ma la vertù de'
Romani si provò allora ad ogni modo con
guerra e con pace, ed a casa e fuori, e
non mostrò la fortezza del popolo più in
altro luogo che nella vettoria di quegli da
Taranto, il senato il suo sapere, e capi-
tani la sua grandezza. Chi furono quegli
uomini, i quali, rotti dai leofanti nella pri-
ma battaglia, noi avemo udito? Le fedite
di tutti erano nel petto, alcuni erano morti
sopra i suoi nimici, tutti avevano le spade
in mano, dopo la morte il viso pieno di
minacce, e morendo rimaneva viva l'ira;
della qual cosa Pirro tanto si maraviglia-
va, ch'egli diceva: « Oh quanto era lieve
cosa acquistare il mondo , s' io avessi e
cavalieri romani ! Oh se e Romani aves-
sino me per suo re! » Ma che soUicitudine
ebbono quegli che camparono a rifare
l'oste, quando Pirro disse: « Io veggo
chiaramente, ch'io sono nato sotto la con-
stellazione d" Ercule , al quale , quasi come
dal serpente di Lorna, dai capi tagliati
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rinascevano tante teste di nimici ? Qual se-
nato fu quello, quando orando Appio Cie-
co , gì' imbasciatori furono cacciati di Ro-
ma con i suoi doni, i quali domandati
dal suo re, che gli paressi della terra de'
suoi nimici, dissono che la città gli pa-
reva un tempio , e '1 senato gli pareva
uno regno? Che capitani erano quegli,
quando Curio nel campo rimandò il me-
dico, il quale egli voleva per danari far
morire Pirro? Fabbrizio rifiutò parte della
signoria, la quale Pirro gli profereva.
In tempo di pace, quando Curio nella
guerra de' Sanniti misse i vasi della terra
innanzi a' vasi dell'oro (1), e Fabbrizio
condannò per sentenzia di censore Rufino,
uomo dell' ordine de' consoli, in dieci libre
d' argento , per la quale gravezza di cen-
sore dannò la lussuria.
Adunque chi si maraviglierà con questi
costumi il popolo romano avere vinto in
milizia, il quale con una guerra di que-
gli da Taranto in ispazio di quattro anni
ridusse ad ubidienzia grandissima parte
d' Italia, fortissime genti e ricchissime
(1) J/ teslo Ialino: quum Curius fìctitia sua Sam-
nilico praeferret auro.
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cittadi? E chi superchierà la sua lealtà-
de, per la quale, se noi consideriamo il
fine della guerra col principio , Pirro vin-
citore nella prima battaglia, avendo tutta
Italia paura, Campagna, Liri e Fregelle
saccheggiate, vide quasi presa Roma dalla
parte di Pi'eneste, e presso a venti miglia
empiè gli occhi della impaurita città di
fumo e di polvere? Da poi avendo perdu-
to due volle , fedito e ricacciato oltra '1
mare in Grecia alle sue terre, fu pace e
quiete, e fu sì grande ruberia di ricchissi-
me genti , che Roma non poteva tenere
la sua vittoria . Innanzi a quello di non
entrò in Roma più bello trionfo. Ma ave-
resti innanzi veduto le bestie de' Volschi,
gli armenti de' Sabini, le carrette de' Gal-
lici, le arme rotte de' Sanniti; allora se
guardato avessi ai presi , erano Tessalici ,
Macedoni, Molossi, Abruzzesi, Pugliesi,
Lucani; se alla preda, oro, porpora, ima-
gine d' avorio e le ricchezze di quegli da
Taranto; ma niuna cosa vide più volen-
tieri il popolo di Roma, che quelle bestie,
le quali aveano temute con le sue torri ,
le quali non senza cognoscere sé essere
prese, con la testa bassa seguivano i vin-
citori cavagli.
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La guerra con i Marchiani.
Poi tutta Italia ebbe pace, e chi arebbe
ardito, poi ch'erano vinti i Tarantini? Se
non che poi piacque ai Romani andare
dietro ai collegati de' nemici. Adunque fu-
rono domati ì Marchiani e Ascoli, capo di
quella gente, sotto la capitanarla di Sem-
pronio, il quale, tremando il campo quando
egli combatteva, quietò la dea Terra, pro-
mettendogli uno tempio.
la guerra con Salentini.
Dopo i Marchiani fumo domati i Sa-
lentini: capo di quello paese è Brandizio
col famoso porto; capitano fu Manlio, e
in quella battaglia Pales, dea de' pastori,
domandò per pagamento uno tempio.
La guerra con i Volsini.
Ultimi d' Italia furono fedeli quegli da
Bolsena, i quali sono più ricchi di tutti
i Toscani , domandando ajutorio contra
i suoi servi, i quali ì suo' signori ave-
vano fatti franchi , e quegli s' erano levati
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centra i suoi signori, e avevano presa la
signoria della sua ripublica, e furono pu-
niti sotto la capitanaria di Fabio Gurgite.
Sommaria ripetizione della seconda età(l).
La seconda età del popolo di Roma (e
questa fu quasi adolescenzia) sommamen-
te fu vigorosa, e come un fiore di vertù fu
ardente e vigorosa. Adunque eglino ave-
vano alcuna asperezza de' pastori e alcuno
indomito spiramento. Per questo avven-
ne, che l'oste lapidò Postumio, capitano
del campo, facendo una setta contra lui,
perch' egli negava dargli la preda, che gli
aveva promessa; e sotto Appio Claudio non
volle vincere il nimico, potendo, e sen-
do capitano Valerio Nerone (2), ritraendosi
molti, fu guasta la degnità del consolo, e
per questo avvenne che punirono molti
famosissimi principi con lo esilio, per-
ch' erano contradii alla sua volontà, come
fu Coriolano, il quale gli constringeva a la-
vorare i campi; ma quegli non avrebbe
(1) Il testo latino intitola de seditionibus questo
capitolo.
(2) // lesto latino: duce Voleroiie.
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meno fatta la vendetta della sua ingiuria
con r armi , se non fussi estato che già
lo figliolo avendo mosse le sue insegne,
la madre lo tolse da campo con le sue la-
grime, come avvenne dì Camillo, il quale
pareva avere divisa la preda iniquamente
tra 'I popolo e 1' oste ; ma questo osservò
migliore usanza verso la presa città, e
poi pregando quella, fece la vendetta de'
Galli suol nimici. Fu battaglia con il se-
nato giusto e buono, in tanto che lasciata
la sedia sua, minacciavano la patria di dis-
abitarla.
La prima discordia fu per la impoten-
zia degli usurai, i quali inasperiti contra
le spalle come a servi, il popolo armato si
partì e andò nel sacro monte, e se non
avessi ottenuto i tribuni, non sarebbe ri-
tornato alla città per l'autorità di Mene-
nio Agrippa, eloquente e savio uomo; e
truovasi per indurre la concordia una fa-
vola d' una orazione assai antica , nella
quale disse che già fu discordia tra le
membra dell' uomo , e affaticandosi tutto ,
solo il ventre stava in ozio: poi morendo
quelle membra tornarono congiunte a quel-
lo , quando sentirono che per opera di
quello erano nutrigate, riducendo il cibo
in sangue.
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La seconda discordia in mezzo di Roma
fu per la lascivia de' decemviri. Di coman-
damento del popolo dieci principi eletti
scrivevano lo leggi portate da' Greci, ed
era ordinata tutta la giustizia in dodici
tavole, e nondimeno ritenevano la digni-
tà data innanti per lo furore del re. In-
nanzi agli altri Appio si levò in superbia,
eh' egli traeva ad avolterio una libera fan-
ciulla, avendosi dimenticato Lucrezia e le
leggi e la ragione , eh' egli aveva compo-
ste. Adunque vedendo Verginio, padre dalla
fanciulla, sua figliuola dannata per andare
in servitudine, non indugiò punto, e in mez-
zo della piazza uccise quella con sua ma-
no, e prese le 'nsegne de' compagnoni, tras-
se del monte Aventino in prigione e ca-
tene tutti quegli rettori, assediati con gen-
te armata.
La terza discordia fu per la degni tà de'
raatrimonj, acciò che i popolani imparen-
tassino con i patrizj , il quale furore fu
nel monte laniccio, essendo capo di quello
Canuleo, tribuno del popolo.
La quarta discordia fu per la cupidità
degli onori, acciò che del popolo fossino
criati i magistrati. Fabio Ambusto, padre
di due figliuole diede 1' una a Sulpizio di
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nazione patrizia , 1' altra ad uno Stolo di
popolo. Nel tempo che era temuto il non
conosciuto suono della verga dello littore
nella sua casa, e dispregiata assai super-
bamente dalla sirocchia, non comportò la
ingiuria. Adunque avendo acquistato il tri-
bunato, fu compagno agli onori , alle de-
gnitade e al magistrato, benché gli avesse
contra volere del senato.
Ma in quelle medesime discordie non
guarderai sanza cagione il popolo signo-
re, perchè difese alcuna volta la libertà,
e alcuna volta l' onestà , e alcuna volta la
degnità degli onori naturali, le onoranze
e insegne, tra le quali tutte cose non fu
più aspro guardature d' alcuna d' esse,
che della libertà, e non si potè corrom-
pere con alcuno dono per pregio di quel-
la, bene che in quello grande popolo, ed
ogni di maggiore, in quel mezzo fossino
coi doni malvagi cittadini. Cassio, sospet-
to di reale signoria, per la legge agra-
ria fu punito con la presente morte. Il pa-
dre di Spurio certamente giudicò quello a
morte, e di mandato di Quinzio dittatore,
Servilio Alla, maestro di milizia, uccise Me-
lio in mezzo la piazza; e Manlio, difendi-
tore di Campodoglio, perchè aveva liberati
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alcuni debitori , levandosi piìi alto e non
civilmente, fu gittato dalla rocca, la quale
egli aveva difesa. È il popolo di Roma in
casa e fuori si fatto; in guerra e in pace
ebbe quel mare d' adolescenzia, cioè la se-
conda età dello imperio , nella quale sog-
giogò tutta Italia con le arme tra l' alpi
e '1 mare.
Qui finisce il primo libro della prima e
della seconda età del popolo di Roma, e
comincia il secondo.
LIBRO II.
Della terza etade di Boma.
Essendo domata e soggiogata Italia, il
popolo di Roma, venuto già al cinquecen-
tesimo anno, cresciuto con buona fé, se for-
tezza è alcuna cosa, e se gioventù è al-
cuna cosa, cominciò ad essere robusto e
giovane e pari al circuito della terra; cosi
che ( maravigliosa cosa è) se quasi per
cinquecento anni combattè in casa propria
(tanto era faticosa cosa a dar capo a Ita-
lia), in quegli ducento anni che sieguo-
no, cercò con guerra e con vettoria Af-
rica, Europa, Asia, e finalmente tutto il
circuito della terra.
La prima guerra con gli Africani.
Adunque poi che '1 popolo di Roma fu
vettorioso di Italia, arrivato dalla terra al
51
mare a modo di fuoco , il quale, poi che à
arso i boschi, arrivato ad alcuno fiume,
sta fermo, dimorò alquanto; poi vedendo
ricchissima preda innanzi a sé, alquanto
partita dalla sua Italia e quasi disgiunta,
in tanto si accese della cupidità di quella,
che non potendosi congiungere con edifizj
e con i ponti, parevagli che si potessi con-
giungere con le arme e con la guerra. Ed
ecco facendo la via la fortuna, non mancò il
modo. Lamentandosi Messina, città di Ci-
cilia collegata, della potenza degli Africa-
ni, e desiderando ugualmente i Romani
e quegli la signoria del mondo, in uno
medesimo tempo e con pari disiderio di-
sideravano Cicilia. Adunque con vista d'a-
iutare i suoi collegati, ma stimolando que-
gli in effetto la preda, bene che la novità
del fatto gì' impaurisse (avevano allora
fidanza nella sua prodezza), quello rozzo
popolo di pastori e terrestre mostrò non
essere differenzia ai vertuosi, s'eglino com-
battessino a cavallo o in nave. Con Ap-
pio Claudio consolo entrò in mare , lo
qual mare è infame per fabulosi mostri e
pericoloso per 1' ondeggiare; ma non s' im-
paurinno, si eh' eglino pigliassino quel fu-
rore del mare per un sollazzo, e subito
sanza alcuna indugia vinsono lerone l'e di
Saragozza (1) con tanta prestezza, che egli
medesimo confessò essere vinto innanzi che
egli vedessi i nimici.
Ardirono ancora venire alle mani, essendo
consoli Duilio e Cornelio , ed allora la pre-
stezza della apparecchiata armata fu augu-
rio, perchè in sessanta dì, cominciando dal
tagliare dello legname, fu diritta e stette a'
ferri una armata di cento sessanta navi, sì
che non parevano fatte per arte, ma per
alcuno dono degli Dei, convertiti in albori e
mutati in nave. La fama della battaglia fu
maravigliosa , perchè queste navi gravi e
tarde pigliarono quelle de' nimici leggiere
e preste; quelle avevano molto più del-
l' arte del navicare , a menare i remi e a
volgere le prode per ingannare fuggendo,
ed innanzi la battaglia facevano gran beffe
de' mangani e degli uncini di ferro, e fu-
rono constretti i nimici combattere quasi
come in terra. Adunque vinti i nimici ap-
presso Lipara, ebbono i Romani la prima
vettoria di mare, perchè in quel luogo
fu affondata e cacciata l'armata di quegli;
del qual trionfo che allegrezza fu poi ! Che
(1) Siracusa.
53
Duilio capitano non contento del trionfo
d'uno dì, tutto il tempo della sua vita,
quando andava a cena, comandava che fos-
si no accesi e doppieri e sonate le trombe,
quasi come s'egli trionfassi ogni di; e per
sì gran vettoria segui piccolo danno di
questa battaglia. L'uno de' consoli fu preso,
ciò fu Cornelio Asina, perchè mostrando
volere favellare , con quello inganno fu
chiamato , e cosi fu morto , la qual cosa
fu ammaestramento della malvagità di quel-
la gente. Sotto Calatino dittatore fu ri-
mossa tutta la gente degli Affricani, eh' e-
rano alla guardia di Agrigento e di Tra-
pani e di Palermo e di Erice e di Lilibeo.
Una volta ebbono paura presso il passo
Caraerinese, ma noi campammo per la vertù
di Calpurnio Fiamma, il quale tribuno di
milizia, con trecento eletti compagni, pi-
gliò un monte che gli offendeva, e che era
posseduto dai nimici, ed impacciò i nimici
infino che tutto 1' oste si ridusse, e cosi per
bello fine eguagliò la fama di Termopile e
di Leonida; ma lo nostro fu più chiaro,
perchè e' campò e sopravisse a sì grande
fatto, ben che egli non scrivessi alcuna
cosa di sangue.
Lucio Cornelio Scipione, essendo già
54
Cicilia suburbana provincia del popolo di
Roma, crescendo più largannente la guer-
ra, passò in Sardegna e in Corsica, con-
giunta con quella, dove egli fece paura
agli abitanti, guastando Calari città, e vin-
se sì gli Africani in terra e in mare, che
non restava già più alla vettoria alcuna
cosa se non Africa. Già la guerra pas-
sava in Africa, essendo capitano Marco
Attilio Regolo, ed erano in quel medesimo •
mare alcuni, i quali temevano, «accrescen-
do la paura Mannio tribuno, lo quale, s' e-
gli non avessi ubidito, il capitano con la
mannaia apparecchiata fece ardito a navi-
gare con la paura della morte; poi ebbo-
no prosperità di venti e di remi, ed ebbo-
no gli Africani tanta paura nell' arrivare
de' nimici, che poco meno Cartagine sa-
rebbe stata presa con la porta aperta.
La prima terra presa in quella guerra fu
Clipea, e quella è la prima città nel lido
d' Africa, la quale si stende innanzi quasi
come una veduta d'una rocca, e questa fu
guasta, ed appresso altre ti-ecento castella ;
e non fu combattuto solamente cogli uo-
mini, ma eziandio con mostruosi animali,
perchè uno serpente di maravigliosa gran-
dezza, nato quasi per vendicare l'Africa,
molestava il campo presso Bagrada fiume.
Ma Regolo, vincitore d' ogni cosa, avendo
esparta la paura con lo suo nome, e aven-
do preso la gran possanza de' suoi giova-
ni, e avendo presi i suoi capitani e tenen-
dogli in prigione, ed avendo mandato a
Roma r armata con grande preda e suffi-
ciente ad uno trionfo, già teneva asse-
diata Cartagine, capo della guerra, e stava
sopra le porte; e qui alquanto fu volta la
fortuna, solamente acciò che la romana
vertù avesse più gloria, la cui grandez-
za quasi è provata nell' avversitade. Volti
i nimici ad aiutorj forestieri, avendogli
mandato i Lacedemoni Antippo per suo
capitano, fumo vinti da quello uomo esper-
tissimo di milizia.
Allora fu per gli Romani bruttissima
esconfitta, e '1 fortissimo capitano venne
vivo nelle mani de' nimici; ma quello fu
costante a tanta miseria, perchè non si turbò
della prigione degli Africani, né per l'am-
basciata eh' egli doveva fare, la quale fece
per lo contradio a quel che i nimici gli ave-
vano imposto, e giudicò che pace non si
facessi , e che non si escambiassino i pri-
gioni. E non fu brutta la sua maestà, per-
eh' egli tornassi volontariamente ai nimici.
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né per lo ultimo supplizio o della prigione
0 della croce, anzi fu per tutte queste cose
più maraviglioso. E che altro fu egli, se
non che sendo vinto, fu vincitore de' vin-
citori? Ed eziandio perch' egli non trionfò
di Cartagine, trionfò della fortuna; ma il
popolo di Roma fu molto più aspro e
molto più odioso per la vendetta di Re-
golo , che per la vettoria.
Adunque sendo consolo Metello, e gli
Africani facendo magiore esforzo, tornata
la guerra in Cicilia, furono esconfitti e ni-
mici presso a Palermo, sicché da quel tem-
po innanzi non estimolarono più quell'iso-
la; e fenno argomento di grande vettoria
cento o circa leofanti, i quali furono pre-
si, e fu quella sì grande preda d' animali
sufficiente ad una caccia, non che in una
battaglia. Appio Claudio sendo consolo,
fumo vinti e Romani non dai nimici, ma
dagli Dei, de' quali quelli avevano dispregia-
to gli augurj , ed in quel luogo s' affondò
r armata, dov' egli aveva comandato di git-
tai'e i polli in mare, perchè quegli vieta-
vano combattere. Sendo consolo Marco
Fabbio Butteone, sconfisse l'armata de' ni-
mici appresso Egimuro nel mare d'Africa,
la quale già navicava in Italia. Oh come
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allora rimase grande trionfo per tempesta!
Con ciò sia cosa che l'armata con la ricca
preda, menata da contradj venti, per lo
suo affondare empiè Affrica e le Sirti e le
signorie di tutte le genti e l' isola e i lidi,
e la sconfitta fu grande , ma non sanza al-
cuna degnità dello popolo di Roma, che la
vettoria e '1 trionfo perissi per tempesta ;
e nondimeno discorrendo la preda degli
Africani per le montagne e per l'isole, il
popolo di Roma trionfò.
Essendo console Lutazio Catullo , final-
mente fu posto fine alla guerra appresso
le isole chiamate Ecates; e non fu altra
volta magiore battaglia in mare, perchè
r armata de' nimici era grande di vettu-
vaglia, dell' oste, delle bertesche e del-
l'arme, ed in quella quasi era tutta Car-
tagine, la qual cosa fu la sua disfazione.
Ma r armata de' Romani era presta e leg-
giere, espedita , e per alcuno modo d' uno
campo, a similitudine d'una battaglia di
cavalieri; movensi co' remi come con lo
freno; contra questi quegli movevano il
campo mobile come cosa viva. Adunque
in uno momento di tempo fumo rotte le
nave de' nimici , e con quella sconfitta co-
prinno tutto il mare tra Cicilia e Sardigna;
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e finalmente fu sì grande quella vettoria,
che non fu cercato di disfare la terra de'
nimici. Parve che fossi d' avanzo usare
crudeltade contra le mura e contra la ter-
ra, perchè già Cartagine era guasta in
mare.
La guerra con i Lignrì.
Compiuta la guerra d'Africa, brieve ri-
poso seguì, per certo quasi a rispirare, e
per argomento di pace e di buona fé fu
cessato dalle arme. Allora prima dopo
Numa fumo serrate le porte di lano, ma
subito e sanza indugio fumo aperte, e così
i Liguri, i Galli, gl'Insubri, e già gli
Schiavi stimolavano, e finalmente di sotto
le Alpe e di sotto i passi d' Italia gente
stimolate d'alcuno Dio continovamente, ac-
ciò che r arme non sentissino rugine né
mufia. Finalmente ciascuno di quegli aiu-
tavano la milizia de' nimici , e il popolo
romano arrotava il ferro della sua vertìi
con ciascuna di quelle genti. I Liguri abi-
tanti presso al giogo dell'Alpe tra la Macra
e '1 Varo fiume , impacciati in luoghi spi-
nosi delle selve, alquanto era maggiore fa-
tica a trovargli che vincergli ; erano sicuri
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pei' gli luoghi e per lo fuggire, e quella
dura gente e presta facevano più tosto
ruberia che guerra. Adunque i Salii, i
Deceati , gli Ossibii , gli Eubriati , gli In-
gauni avendo stancato per lungo spazio,
finalmente Fulvio circondò le sue tane
con il fuogo, Bebio gli condusse al piano,
Postumio gli disarmò , sicché appena gli
lasciò ferro da lavorare la terra.
La gnerra coi Galli Insubrii.
I Galli Insubrii e quelli che abitavano
nell'Alpe appresso quegli, anno animi di
fiere e corpi più che d' uomini , ma per
isperienza certamente fu trovato, come lo
suo primo assalto è più che d' uomini ,
cosi quello che siegue è meno che di fe-
mine. I corpi notricati nell'Alpe sotto umi-
da aria anno alcuna similitudine con le
sue nevi , i quali subito come sono ri-
scaldati per la battaglia, sudano, e per
lieve movimento si stancano come per lo
sole. Questi ispesso e altre volte, avendo
per capitano Britomaro, avevano giurato
che non si escioglierebbero le corregge,
infino che eglino non montassino in Cam-
co
podoglio (1); poi sendo suo capitano Ariovi-
sto. promissono al suo Marte uno torchio
della preda de' nostri , ma Giove gli tolse
il suo boto, perchè Flaminio dirizzò a Gio-
ve uno trionfo di torchi di quegli; e sendo
suo re Viridomaro, avevano promesso le
arme de' Romani a Vulcano , ma i boti
andorono per altro modo, perchè morto
quello re, Marcello offerse la terza volta
dopo Romolo padre quelle arme a Giove
Feretrio.
La grnerra con gli Schiavi.
GÌ' Illirii ovvero Liburni abitavano alla
radice delle Alpe tra Arsia e Tizio fiume,
discesi lungamente per tutto il lido del
mare Adriano. Questi sendo sua reina Teo-
tana, non contenti di rubare, giungono al
suo potere scellerato fatto, perchè eglino
uccisono e nostri imbasciadoii , non con le
spade, ma con le escure a modo di bestie,
i quali tenevano ragione de' falli, che que-
gli avevano commessi, ed arsono i pre-
fetti delle nave; ed acciò che questa fossi
(1) Il testo latino soggiunge qui: Factum est;
victos enim /Emilius du Capitolio discinxit.
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più indegna cosa , una femina signoreggia-
va, e perciò sendo capitano Cneo Fulvio
Centimalo, ampiamente fumo puniti; i
principi fumo ammazzati con le scure, e
fumo sacrificati alle anime degli amba-
sciadori.
La seconda gnerra cogli Africani.
Dopo la prima guerra degli Africani
appena fu riposo per ispazio di quattro
anni , ed ecco 1' altra guerra minore di
tempo, perchè non durò oltre l' ispazio di
diciotto anni, ma fu tanta più terribile,
che se alcuno fa comparazione de' danni di
ciascuna parte, quel popolo che vinse, fu
simiglievole a quello che fu vinto. Il nobile
popolo si vergognava che gli fossi tolto
il mare e tolte l'isole, ed essere costretti
a dare il trebuto, il quale egli soleva im-
porre ad altrui; e per questo Annibal es-
sendo fanciullo , aveva giurato al padre
fare la vendetta, e non indugiò. Adunque
Sagunto s' appresentò cagione della guer-
ra, la quale era antica e ricca città di
Spagna, e fu grande ma tristo ammaestra-
mento di tè intorno de' Romani , la quale
lasciata in libertade per comune patto.
62
Annibale cercando cagione di nuovo movi-
naento , guastò con le sue mani e con lo
mani di quegli, acciò che per la rotta pace
si facessi via a venire in Italia. La som-
ma de' patti era la religione appresso de'
Romani. Adunque eglino corsone subito
alle arme, ben eh' eglino udissino 1' asse-
dio dell' amica città, ricordandosi della fer-
ma pace con gli Africani, volendo inpri-
ma cercare modo ligitimo al male.
In quel mezzo i Saguntini stanchi dalla
fame e da' mangani e dalle battaglie , final-
mente volsono la fé in rabbia, e feciono in
piazza un gran fuogo, poi sopra quello col
ferro e col fuogo consumarono sé e i suoi
con tutte le sue ricchezze, ed era chiamato
e domandato Anibale autore di questa sì
grande pistolenzia; ed infingendosi gli A-
fricani, Fabbio capo della imbasciata disse:
« Io ò portato in questo grembo la guerra
e la pace; pigliate quella che vi piace »; e
sendo gridato che egli dessi quale che egli
volessi, disse: « Togliete la guerra », ed
aperto il grembo in mezzo la corte, non
sanza uno esmarriraento, quasi come s'egli
avessi la guerra in grembo, sparsela. Il
fine della guerra fu simile al comincia-
mento, perchè cosi facendo, fu fatto sacri-
63
ficio all' anime di quegli per lo guastare
d' Italia , per la presa d'Africa e per la
morte de' capitani e dei re, eh' avevano
fatta quella guerra, quasi come 1' ultime
furie avessino comandate si fatte purga-
zioni ai Saguntini in quel comune ucci-
dere de' parenti e comuno incendio.
Adunqne poi che cominciò in Ispagna
quella grave e dolorosa possanza della
guerra d'Africa, e poi che del fuoco di
Sagonto fu ingenerato uno folgore contra
i Romani, subito tratto con uno furore
ruppe per mezzo le Alpe, e discese in
Italia da quelle nevi di fabulosa altezza,
quasi come dal cielo, e primamente per
certo la nuvola di quello furore subito con
grande romore tonò tra il Tesino e '1 Po;
ed allora, sendo capitano Scipione, fu escon-
fitto l'oste de' Romani, e '1 capitano fedito
sarebbe venuto nelle mani de' nimici, se 'I
figliuolo, sendo ancora giovinetto, non avessi
difeso il padre e liberato quello dalla mor-
te; e questo fu Scipione, che cresce a di-
struzione d'Africa, e che pigliò poi nome
dai mali di quella. Dopo il Tesino seguitò
i fatti presso la Trebbia, e in quel luogo
fu aspra la seconda battaglia della guerra
degli Africani, essendo consolo Sempronio.
64
Allora i maliziosi nimici, avvisato un di
freddo e nevoso, e in prima avendosi con-
fortato con lo fuoco e con l'olio, vinsono
noi con lo nostro freddo; e fu cosa ma-
ravigliosa a dire, che uomini venuti da
mezzodì e di luogo caldo considerassino
questo.
Lo terzo folgore d'Annibale fu presso il
lago di Perugia, sendo capitano Flaminio,
e in quel luogo fu nuova arte degl' ingan-
ni de' nimici africani, perchè il lago era
coperto dalla nebbia e da padulosi can-
nelli , e subito i cavalieri assalirono i com-
battitori dalle ispalle; e non ci possiamo
lamentare degli Dei, perchè isciami d' api
avevano predetto al furioso capitano la
sconfitta che doveva seguire, le quali a
Pisa erano poste in suso le insegne, e le
insegne d' aquila non volendosi fare innan-
zi, e il grande tremuoto, il quale seguì il
cominciamento della battaglia, se però quel-
r orrore della terra il discorrimento degli
uomini e le arme mosse più forte non lo
feciono.
La quinta e quasi ultima piaga dello
imperio fu alle Canne, il qual luogo è uno
vile borgo in Puglia, ma per la grandezza
della sconfitta fu conosciuto; e fumo tro-
65
vati morti in quel luogo quaranta mila.
In quello luogo alla morte dello infelice oste
consenti il capitano, la terra, il cielo, il
di e finalmente tutta la natura delle cose,
perchè non contento Annibale di quegli
che simulatamente fuggivano, i quali su-
bito ferirne dalle ispalle quegli che com-
battevano, ancora lo scaltrito capitano nel-
lo aperto campo, considerata la ragione
e la condizione del luogo, perchè in quel
luogo il sole è molto caldo, polvere grande
e il vento di levante sempre quasi ad un
modo, ordinò sì le schiere, che sendo i
Romani dalla contradia parte, ed ogni
cosa ria sendo contra quegli, Annibale,
quasi tenendo il cielo secondo, combatteva
col vento e con la polvere e col sole.
Adunque due grande osti fumo morti, infin
che i nemici fumo sazii , e in fino che
Annibale disse a' suoi : « Non affaticate più
le spade ». L' uno de' capitani fu morto,
l'altro fuggì, ed è in dubbio quale egli fa-
cessi con maggiore animo. Pagolo si ver-
gognò, Varrone non si disperò. Aufido die-
de per lungo espazio chiarezza di sangui-
nosa sconfitta, e di comandamento d'Anni-
bale fu fatto un ponte di corpi d' uomini
nel fiume Vercelli. Fumo mandati a Car-
66
tagine due moggi d' anelli , e la degnila
de' cavalieri fu tassata con la misura. Per
questo non sarà dubio, se Roma doveva
aver quello per 1' ultimo dì, e se Annibale
poteva infra cinque di mangiare in Cam-
podoglio, s' egli avessi fatto quello che si
dice essere stato detto da quello africano
Maarbale di Bomilcare: « Sappiasi Amil-
care usare la vettoria com'egli sa vincere ».
Per certo, siccome si suol dire volgar-
mente, o la fortuna di quella città, o la
mala mente del capitano, e gli Dei rivolti
da Cartagine trassono quello al contra-
dio; e potendo avere la vettoria, volsela
indugiare, e lasciata Roma, volle andar
cercando Campagna e Taranto, dove poi
egli e r oste sua per lussuria s' indeboli
in tanto, che per verità fu detto : « Capua
fu Canni ad Annibale », perchè lo caldo di
Campagna e le tiepide fontane di Baj vin-
sono quello, il quale non era stato vinto
nelle Alpi, e non si poteva domare con le
arme. E chi crederebbe questo?
In quel mezzo rispirarono i Romani, e
tornorno quasi come s' eglino venissino
dall'inferno. Non avevano arme: tolsone
per gli tempi ; non avevano de' giovani :
ferno franchi i servi, e con sagramento
67
gli missono alla milizia ; non avevano da-
nari, e '1 sanato di volontà missono le sue
ricchezze a comune, e non ritennono alcuna
cosa d' oro, se non quello che eglino ave-
vano in bolle e in suggegli e anelli. I ca-
valieri seguirono l'assempro di quegli, e '1
popolo andò dietro, e finalmente sendo
consoli Levino e Marcello, appena bastavan
le tavole a contare e gli scrittori a scri-
vere, essendo portate in comune le private
ricchezze; ed era grande senno nello eleg-
gere ì maestri per le centurie, quando i
giovani domandavano consiglio dai vecchi
nello eleggere de' consoli, perchè cosi con-
venia combattere non solamente con la
prodezza, ma eziandio col senno contra lo
nemico tante volte vincitore.
E così la prima speranza di quello im-
perio che tornava in sé, anzi a dire me-
glio, che risuscitava, fu Fabio, il quale
ebbe la prima vettoria d'Annibale, pen-
sando non combattere, e per questo egli
ebbe per sopranome indugiatore, il qual
sopranome fu salutevole alla ripublica, e
per questo fu detto dal popolo, eh' egli
fossi chiamato scudo dell' imperio. Adun-
que egli stancò si Annibale per gli passi
di Sannio, per quegli di Falerno, per
68
quegli di Gauro, che per la indugia spez-
zammo la potenza di quello, che non si
poteva vincere con la prodezza. Poi Clau-
dio Marcello venne alle mani con quello,
e fumo presso l'uno all'altro, e Marcello
lo cacciò di Campagna, la quale quegli
aveva fatta sua, e levollo dall'assedio di
Nola città. Essendo capitano Sempronio
Gracco , ardirono i Romani seguirlo per
Lucania, stringendolo e fuggendo egli dalle
spalle, bene che allora (ed era vergogna)
noi combattemmo con i servi.
Infino allora avevano constretti noi a
tanti mali, ma ridutti a libertade, ave-
vano fatto Romani della sua servitudi-
ne (1). Oh cora' era sospetta fidanza in
tante avversitadi ! Oh com' era singulare
animo e spirito quello del popolo di Ro
ma, che in si strette e affritte cose dubi
tando d' Italia , ardi guardare a diverse
cose! E discorrendo i ni mici a morte d' o
gni uomo per Campagna e per la Puglia
e facendo Africa di mezzo Italia, in uno
medesimo tempo sosteneva costui, e man
dava gente armata divisa per lo mondo
in Cicilia, in Sardigna, in Ispagna.
(1) Cioè di servi s' erano falli Iì$^ani.
69
Cicilia commessa a Marcello non durò
lungamente, perchè in una città fu vinta
tutta l'isola. Saragozza, grande capo ed
innanzi a quel tempo non vinta, bene che
fossi difesa per lo ingegno d'Archimede ,
non di meno qualche volta fu vinta. Tre
muri, ch'ella aveva per lungo tempo, e
tante ricchezze, e poi'to di marmo, e la fa-
mosa fontana d'Aretusa non gli giovò, se
non come per lo tempo passato, che fu
perdonato alle belle cose della vinta città.
Gracco prese Sardigna, e non gli giovò
r asprezza né 'l furore di quelle genti , e
cosi è chiamata l'asprezza delle montagne,
e fue usata crndeltade contra le cittadi e
contra Calaris, capo delle altre cittade,
acciò che quella gente contumace e pronta
alla morte almeno fossi domata coli' amore
della sua patria. In Ispagna fu mandato
Gneo Scipione e Publio Scipione, e que-
sti avevano tolta tutta la speranza agli
Africani; ma per gli aguaiti e gl'inganni
d'Africa soperchiati, da capo l' avevano per-
duta, avendo egli con grande battaglie
sconfitta la possanza degli Africani, e ucci-
sono r uno ponendo il campo; l'altro sendo
fuggito in una torre, assediato col fuogo
morì.
70
Adunque Scipione, al quale la fortuna
aveva decretato sì grande nome d'Africa-
no, fu mandato con l'oste a vendetta di
suo padre e di suo avolo; e quegli rico-
verò tutta la Spagna, paese da battaglia,
nobile per uomini d'arme, terra d'oste di
nimici, maestra d'Annibale; e fu cosa incre-
dibile, che tutta la ricoverò dai monti Pi-
rinei infino alle colonne d'Ercole, infino
allo Oceano, e non sapresti se fu fatto più
prestamente o più leggiermente. Quanto
fossi fatto tosto, quattro anni fanno la
pruova; quanto fossi fatto lievemente, una
città almeno lo pruova: in quello medesi-
mo .di che fu assediata, fu presa, e fu
agurio della vettoria d'Africa, perchè Car-
tagine fu quella che fu vinta sì tosto; e
nondimeno è certo, che a soggiogare quel-
la provincia molto giovò la singulare san-
tità del capitano, perchè egli l'istituì a
que' barberi fanciugli e fanciulle di gran
bellezza, i quali erano presi, e non com-
portò che fossino menati alla sua presen-
zia, acciò che non paressi eh' egli cercassi
alcuna cosa della integrità della verginità
di quelle, almeno guardando.
Queste cose faceva il popolo di Roma
in diversi paesi, e non poteva per questo
71
rimuovere Annibale, il quale stava fermo
in mezzo d'Italia. Molti s'erano ribellati
al nimico , e 1' aspro capitano contra i
Romani usava le forze d' Italia; e nondi-
meno noi già l'avevamo rimosso d'alcune
terre e provincie. Taranto era tornato a
noi, e già noi avevamo ricoverato Capua,
sedia e casa e patria seconda d'Annibale,
la perdita della quale diede tanto dolore
a quello, che egli con tutta sua possanza
si converti a Roma. 0 popolo degno della
signoria del mondo, constretto all'ultimo
movimento con ogni favore e ammirazione
degli uomini e degli Dei! Non mancò di
sua impresa, e sendo sollecito della sua
città, nondimeno non abbandonò Capua,
ma lasciato in quella parte dell' oste sot-
to Appio consolo, parte aveva seguito Fiac-
co a Roma, e combatteva parte assente e
parte presente. Perchè dunque ci mara-
vigliamo noi, che movendo quegli l'oste
presso a Roma a tre miglia, da capo gli
Dei feciono risistenzia? E perchè tanto
furore di piova sopravenne, com' egli si
mosse, e tanto furore di venti, che pareva
da Dio essere rimossi i nimici , non dal-
l'aria, ma da Roma e da Campodoglio?
Adunque egli si fuggi e diede luogo, e
72
ridussesi nello stremo cantone d' Italia ,
avendo lasciata Roma, della quale non
aveva pure sentito il dolore. Piccola cosa
è a dire, ma ad approvare la magnanimità
del popolo romano assai efficace, che in
que' di lo campo , dove Annibale aveva
r oste suo, fu venduto in Roma e messo ad
incanto, trovo comperatore; ma Annibale
volse che per contradio fossi mutata la
speranza, e mise ad incanto le tavole de'
cambiatori in Roma, ma non trovò com-
peratola, acciò che tu sappi quello essere
stato augurio di fortuna.
Niente era fatto con tanta vertìi e con
tanto favore degli Dei, perchè Asdrubale,
fratello d'Annibale, veniva di Spagna con
nuovo oste, con nuova possanza e con nuo-
va grandezza di guerra, e sanza dubio era
compiuto, se quell' uomo si fossi congiunto
col fratello; ma ponendo egli campo, Claudio
Nerone e Livio Salinatore lo sconfissono.
Nerone teneva istretto Annibale nell'ultimo
cantone di Italia; Livio aveva posto le sue
insegne molto in diversa parte, nel comin-
ciamento di Italia , sicché era in mezzo
tutta la terra quanto quella è lunga; e
faticosa cosa è a dire, con che diliberazio-
ne e con che prestezza i consoli congiun-
73
sono i suoi osti, e non pensandolo i ni-
mici, gli aconfissono, Annibale non sen-
tendolo. Certamente Annibale, saputo il
fatto, e vedendo la testa di suo fratello git-
tata nel campo, disse: « Io cognosco la for-
tuna di Cartagine »; e questa fu la prima
confessione di quell' uomo , non sanza al-
cuno agurio della fortuna futura. Già era
certo che Annibale poteva essere vinto e-
ziandio per la confessione di quello, ma il
popolo di Roma, pieno della speranza di
tante cose prospere, estimava a gran pre-
gio poter vincere l'asprissirao nimico nella
sua Africa.
Adunque sendo capitano Scipione, con-
vertito con tutta la speranza dell' oste in
Africa, cominciò a vendicare in Africa la
disfazione della sua Italia. Oh Dii buoni ,
come grande gente d' Asdrubale , e che
osti di Siface sconfisse egli ! Che e come
grandi campi d' araendue in una notte
guastò egli col fuoco! E finalmente già
egli non assediava Cartagine non presso
a tre miglia, ma in su le porte; e cosi
fu fatto, acciò eh' egli rimovessi Anni-
bale dimorante e fermo in Italia, e non
fu maggiore di sotto l'imperio di Roma,
che quello nel quale due famosissimi ca-
74
pitani, più che prima o poi, questo vinci-
tore di Spagna, quello d'Italia, con le
insegne spiegate dappresso ordinarono le
schiere, ed abbono parlamento insieme
della condizione della pace, e per lungo
spazio stettono ferrai, guardando l'uno l'al-
tro con ammirazione. Poi che della pace
non s'accordarono, sonò il segno della bat-
taglia, ed è manifesto per la confessagione
d' amindue, che non si poteva ordinar me-
glio r oste , e non si poteva combattere
più gagliardamente; e questo disse Sci-
pione dell'oste d'Annibale, ed Annibale
dell'oste di Scipione; ma nondimeno An-
nibale fu vinto, e '1 premio della vettoria
fu Africa, e dopo l'Africa incontanente lo
circuito della terra.
La prima guerra di Macedonia.
Dopo Cartagine non si vergognò alcuno
d'esser vinto, e subito seguirno queste
genti Macedonia, Grecia, Soria e quasi
tutte le altre cose, quasi come un fiume
di fortuna, ma i primi di tutti funo que-
gli di Macedonia, popolo che già disiderò
signoria; e cosi allora, benché Filippo so-
prastessi al regno, pareva ai Romani do-
75
ver combattere con lo re Alessandro, e fu
la guerra di Macedonia magiore per lo
nome, che per lo effetto che segui. La ca-
gione della guerra cominciò dal patto ten-
tato da Filippo, lo quale egli aveva fatto
prima con Annibale, signoreggiando egli
in Italia; poscia cresce, domandando gli
Ateniesi aiutorio contra le ingiurie di quel-
lo, essendo egli crudele oltra la ragione
della vettoria contra i tempii e gli altari
e le sepulture. Piacque al Senato dare aiu-
torio per tanti prieghi, perciò che già i
re delle provincie, i capitani e popoli, le
nazioni domandavano aiutorio da questa
città. Adunque primamente, sendo consolo
Levino, il popolo di Roma entrato nel ma-
re Jonio , circondò tutti i lidi di Grecia ,
come se l' armata trionfassi , e portavasi
innanzi le ruberie di Cicilia, di Sardigna
e di Spagna e d'Africa, e manifesta vet-
toria prometteva uno alloro nato nella
nave del pretore. Di propia volontà era
presente in nostro aiutorio Attalo, re de'
Pergameni ; appresentavansi quegli da Ro-
di , popolo di navicanti , con gli quali il
consolo gli percoteva dal mare, come egli
lo percoteva da terra, e percoteva ogni
cosa con gli uomini e con i cavagli. Due
76
volte fu vinto il re, e due volte fu cac-
ciato e fugato del campo, non sendo al-
cuna cosa più terribile che quegli di Ma-
cedonia nello guardare delle piaghe, le
quali non facevano con saetta né con al-
cuno greco ferro, ma con grande lancìe,
né minori piaghe fatte con le spade gran-
de oltre alla morte vedevansi (1).
Essendo capitano Gneo Flaminio, noi
circondamo innanzi i monti da Caonia e
Indo fiume (2), il quale discorre per luoghi
rotti, ed entramo con 1' ajutorio ne' chio-
stri di Macedonia; e perchè da poi lo re
non ardi mai venire alle mani , alle mon-
tagne chiamate Cinocefalas, in una, e que-
sta non uguale battaglia, fu vinto. Allora
il consolo gli diede pace e lasciò il regno;
poi acciò che non rimanessi alcuna cosa
de'nimici, domò Tebe ed Eubea e Lace-
deraonia, che con somma possanza faceva
guerra sotto Nabide loro capo. Ridusse la
Grecia allo antico stato , eh' ella vivessi
(1) Il testo: nec minoribus adacta (vuluera) gla-
diis ultra mortem patebant, cioè erano si grandi
quelle ferite^ che s' anco fossero state assai più
lievi j avrebbero cagionato la morte.
(2) Il lesto latino: Aoumque araneni.
77
con le sue leggi , e usassi la libertà de'
suoi passati ; e molto funno grande 1' alle-
grezze e i chiamori, quando a caso a Ne-
mea nel palazzo, ne' giuochi di cinque anni,
fu gridato per lo banditore (1). Con che
allegrezza gridarno quegli! Gittorno contra
lo consolo molti fiori, e dicevano al ban-
ditore, che più e più volte ripetisse quella
boce, nella quale egli pronunciava la li-
bertà di Grecia, e non dicevano quella sen-
tenzia di consolo altrimenti , che con dol-
cissimo suono di cinamelle e di stor-
menti.
La guerra di Sorìa con Antioco.
Antioco incontanente pigliò la guerra
di Macedonia e di re Filippo per alcuno
caso e per alcuna industrìa, cosi gover-
nando la fortuna; sicché come da Africa
in Europa, così d'Europa lo imperio pas-
sassi in Asia, sopravenendo le cagioni
spontaneamente, ed acciò che l'ordine del-
le guerre procedessi col sito della terra.
(1) Il testo: Quae gaudia, quae vocit'erationes
t'uerunt , quum hoc forte Neraeae in theatro quin-
quennalibus ludis a praecone caneretur!
78
E non fu altra guerra di magiore paura per
la nominanza, perchè pensavano di Serse
e Dario e di quegli di Persia e d'Oriente,
quando fumo tagliati i monti, ed era an-
nunziato che '1 mare era coperto di vele.
Ancora le minacele dal cielo gli facevano
paura, perchè Apollo da Cume sudava con-
tinova umidità; ma questa era paura di
quello Dio, che favoreggiava la sua Asia,
e per certo niuno paese è più copioso che
Soria d'uomini, di ricchezze e d'arme;
ma era venuta alle mani di sì tristo re,
che niuna cosa era in Antioco bella, se non
che fu vinto dai Romani. Indussono da una
parte quello re alla guerra Toante, principo
d' Italia, lamentandosi che la compagna del-
la sua milizia non era onorata presso i
Romani centra quegli di Macedonia; dal-
l'altra parte Annibale, il quale vinto in
Africa, fuggito e impaziente di pace, cer-
cava per tutto il mondo nimico al popolo
di Roma. Il pericolo che fu in quella guer-
ra, era se lo re si fossi retto per lo con-
siglio di quello, e se Annibale misero avessi
avuta la possanza d'Asia; ma al re parve
meglio usare la sua possanza e '1 suo no-
me, e con quello muovere la guerra; e
già sanza dubio Uropia apparteneva ai Ro-
mani di ragione.
79
Questo Antioco domandava Lisimachia,
città posta per gli suoi passati nel lido di
Tarzia, come ragione di suo patrimonio.
Questo fu com' una tempesta della guerra,
la quale fossi mossa dal cielo, e grandis-
simo assembramento di re arditamente s'ap-
parecchiarono alla guerra, e con grande
stormido e romore avrebbono mosso Asia;
ed avendo già prese l' isole di Grecia e i
lidi, movevano i riposi e i giuochi come
vincitori. Eurippo disparte Euboia isola
dalla terra con stretto mare d'aqua corrente
a contrade. In quel luogo poste tende d'oro
e di seta al romore del mare tra '1 discorso
dell'acqua con le ciramelle e stormenti,
essendogli portate da ogni parte rose, be-
ne che fossi di verno; e acciò che in alcuna
maniera non paressi capitano, aveva eletta
moltitudine di fanciugli e di fanciulle. Si
fatto re, già vinto da lussuria, il popolo
di Roma assali in quell' isola, essendo con-
solo Acilio Glabrione, e subito nel comin-
ciaraento di sua venuta lo costrinse fug-
gire dell' isola; poi fuggendo egli, lo seguì
appresso Termopila, il qual luogo è me-
moriabile per la morte onorata di trecento
Laconi, e non facendo egli in quel luogo
ricistenzia per fidanza del luogo, costrin-
80
selo partirsi per terra, e per mare subito
andò in Soria; e l'armata del re fu com-
messa a Polissenide e ad Annibale, perchè
lo re non sofFeriva a vedere la battaglia.
Adunque sendo capitano Emilio Regillo,
rompemmo tutta 1' armata presso a Rodi ,
acciò che Atene non si glorii; in Antioco
noi vincemmo Serse; in Emilio fumo pari
d'Alcibiade; compensamo Efeso in Salami-
na; poi sendo consolo Scipione, Io cui fra-
tello Africano, poco innanzi vincitore di
Cartagine, era volontariamente legato, piac-
que vincere il re, e già era fuggito di tutto
il mare, ma noi andamo più oltre al fiume
Meandro, e fu posto il campo al monte
Sifilo; ed è incredibile a dire, con che aiu-
torio e con che gente il re era posto in
quel luogo. Trecento mila pedoni; di ca-
valieri e di carrette falcate non era mi-
nore numero, e aveva circondato il suo
oste di leofanti di smisurata grandezza,
adornati d' oro e di porpora e di suo avo-
rio. Ma tutte queste cose erano impacciate
della sua grandezza; a questo la piova, la
qual sopravenne con maravigliosa prestez-
za, aveva corrotti gli archi di quegli di
Persia; primamente la paura, poi la fuga,
poi il trionfo; e piacque ai Romani, essen-
81
do vinto ed aumiliandosi, dai-gli pace e
parte del regno, e pivi volentieri , perchè
s' arendè si tosto.
La guerra d'Etolia.
Dopo la guerra di Soria seguì , come
doveva, la guerra d'Etolia, però che vintcr
Antioco dai Romani, segui il fuoco della
guerra d' Asia. Adunque la vendetta fu
commessa a Fulvio Nobiliore. In quel luogo
al postutto egli percosse con gli mangani
Ambrachia , casa reale di Pirro , lo quale
era capo di quella. Seguissi eh' eglino s' ar^
renderno, appresentandosi a' prieghi degli
Etoli quelli da Rodi, e noi ci ricordamo
dello aiutorio, e cosi piacque a noi di per-
donargli; ma nondimeno la guerra si di-
stese più largo ai nimici , ed aggiunsesi
a la guerra degli Etoli ampiamente tutta
la Cefalonia, Zacinto e tutte l'isole, che
sono in quel mare tra i monti Ceraunii
e 'l monte Maliaco.
La guerra d'Istria.
L' Istri seguirno gli Etoli, perchè nuova-
mente avevano aiutati quegli, facendo egli-
82
no guerra. Adunque i cominciamenti della
battaglia fumo prosperi ai nimici, e quella
medesima fu cagione di sua morte, per-
chè avendo quegli preso il campo di Gneo
Manlio, e soprastando alla ricca preda,
Appio Fulcro assali quegli, mangiando
egli e stando in sollazzo, e non vedendo
dov' eglino fossino ; e così tornarono in-
dietro la mal acquistata vettoria con lo
sangue e con lo spirito. Il suo re, posto
in su uno cavallo pugliese , cadendo d' e-
brietà e d' errore di testa , poi che ebbe
provato il fatto, impazientemente conobbe
sé essere preso.
La guerra con i Gallogreci.
La rovina della guerra di Soria coinvolse
la Gallogrecia, ed è in dubio se quegli
fumo tra gli aiutatori d'Antioco re, o se
Manlio, cupido di trionfo, s'infinse che cosi
gli paressi; per certo fugli negato il trion-
fo, essendo egli vincitore, perchè egli non
approvò la cagione della guerra. Poi la
gente de' Gallogreci, come '1 suo nome ap-
pare, è mescolata e sono adulterate reli-
quie de' Galli , che avendo Breno per suo
capitano, avevano guasta Grecia, e se-
83
gueudo quello moto, fermaronsi nel mezzo
d'Asia; e come la somenza della biada tras-
Ugna , se si muta la terra , così la sua
doppia fierezza per la dolcezza d' Asia
s'intenerì. Adunque fumo esconfitti e mes-
si in fuga in due battaglie, bene che nello
arrivare de' nimici e' ridussonsi in altissi-
mi monti, e stimolati da ogni parte da
saette e da rombole, s' arrenderono in pace
perpetua. Ma fumo legati da uno mira-
colo, avendo tentato le catene con li morsi
e con la bocca, e avendosi stretto la gola
r uno all' altro per affogarsi ; ma la moglie
d'Orgiagonte re, essendo stata sforzata da
uno centurione, con memoriabile asempro
passò le guardie, e portò la testa tagliata
di quello cavaliere a suo marito.
La seconda g^ierra di Macedonia.
Seguendo altre e altre genti la rovina
della guerra di Soria, da capo Macedonia
si dirizzò. La memoria e la fama di sua
nobiltà stimolava lo fortissimo popolo, ed
era socceduto a Filippo Perse suo figliuolo,
il quale non pensava, che Macedonia vinta
una volta fossi vinta perpetualmente per
la degnità della gente. Levarnosi quegli
84
di Macedonia molto più aspri sotto questo,
che sotto suo padre, perchè egli trasse
quegli di Tarsia a suo aiutorio, e cosi
mescolarono la industria di quegli di Ma-
cedonia con la forza di quegli di Tarsia,
e la ferocità di quegli di Tarsia col mae-
sterio di quegli di Macedonia. A questo
s' aggiunse il senno del capitano, il quale
considerato dal monte Emo il sito de' suoi
paesi , ponendo per gli passi il campo, for-
tificò sì la sua Macedonia, che non pareva
avere lascialo 1' entrata ai nimici eh' egli
aspettava, se non per lo cielo. Entrato
in quella provincia il popolo di Roma
sotto Marzio Filippo consolo, cercato di-
ligentemente ì passi, entrò per lo palude
Astrude per aspri e dubiosi passi di mon-
tagne e per luoghi , che non parevano
avere via per gli uccegli , e seguitò il re
sicuro e che non temeva si fatto assalto.
Impauri quegli per la subitezza della bat-
taglia, ed ebbe sì gran paura, che comandò
che tutta la sua moneta fossi affondata
in mare, acciò che non si perdessi, e fece
ardere l'armata, acciò che non fossero arse
le navi da' nimici; ed essendo consolo Pa-
golo, e quello avendo imposto magiori e
più forti guarnimenti , per altra via fu
85
assaltata Macedonia, e per somma arte e
industria di quello capitano mostrò assalire
per altra via, e per altra via assali , la cui
venuta fue più terribile al re, tanto che
egli non ardì essere presente, ma commise
la guerra ad altri capitani. Adunque as-
sente fu vinto e fuggi in mare nell' isola
Samotrace, usando solenne rilegioni , quasi
come i tempii e le arti potessino difendere
lui, il quale i suoi monti e l'arme non
avrebbero potuto difendere. Ma ni uno de'
re piii lungamente ritenne la conscienzia
della perduta fortuna, ma subito come
umile escrisse allo imperadore da quel
tempio , dov' egli era fuggito , e notando
nella pistola lo suo nome, aggiunse re.
Non fue alcuno più riverente che Pagolo
della presa maiestà, perchè venuto nel co-
spetto del nimico, ricevello nel tempio e
menoUo nel convito, e ammonì i suoi fi-
gliuoli , eh' eglino avessino riverenzia alla
fortuna, alla quale fossi lecita sì grande
cosa. Il popolo di Roma riputò tra i molti
belli questo trionfo, e così lo vide, e durò
la festa per spazio di tre dì; il primo di
fumo mostrate le insegne e le tavole, il
secondo di le arme e la moneta, il terzo
dì e prigioni, e il re impaurito e ancora
86
smarrito come di subito male. Ma molto
innanzi il popolo di Roma aveva riceuto
la dolcezza della vettoria, che ricevessi le
lettere del capitano, perchè in quel di
che '1 re fu vinto in Macedonia, fu saputo
a Roma, perchè due giovani in due bianchi
cavagli presso il lago Giuturnese si lava-
vano della polvere e del sangue: questi dis-
sono la vettoria, e fu creduto nel popolo
che fossino Castore e Polluce, perchè fur-
no due, e che fossino presenti alla batta-
glia, perchè erano insanguinati, e ch'egli-
no venissino di Macedonia , perch' erano
stanchi.
Altra gnierra con gli Schiavi.
La corruzione della guerra di Macedonia
s' appiccò agli Schiavi. Egli fumo condutti
da Perse re per danari, acciò eh' eglino
stringessino i Romani dalle spalle, e sanza
indugio fumo soggiogati da Anicio pre-
tore, e bastò avere sconfitto Scordia, capo
di quella gente; ed incontanente segui ch'e-
glino s'arrenderne, e finalmente questa
guerra fu finita, innanzi che a Roma si
sapesse eh" ella fossi cominciata.
La terza guerra di Macedonia.
Per alcuna fortuna, quasi come gli Afri-
cani e quegli di Macedonia avessino per
patto, che questi fossino vinti la terza fia-
da, amminduni mossone guerra in un tem-
po medesimo; ma quegli di Macedonia
prima fumo rubelli , e fu alquanto più
grave, dispregiando quegli (1). La cagione
della guerra quasi fu da vergognarsene,
perchè Andrisco, uomo di vii nazione, ave-
va insieme preso il regno e cominciata la
guerra , ed era in dubio s' egli era servo
0 franco, ma per certo era uomo soldato;
ma perch' egli presso la gente aveva somi-
glianza di Filippo, ed era chiamato Pseu-
do-Filippo , con reale animo egli aveva
forma di re e nome di re. Adunque il
popolo di Roma, dispregiando le dette cose,
fu contento fare la guerra per Juvenzio
pretore, e tentò queir uomo mattamente,
il quale era forte non solamente della pos-
sanza di Macedonia , ma eziandio di quella
(1) // lesto Ialino: sed prior jugiim excutit Ma-
cedo, aliquanto, quam ante, gravior, dum con-
temnitur.
di Tarsia; e quegli che non erano stati
vinti dagli veri re, fumo sconfitti da quel-
lo non vero, anzi iraaginario e fatto per
uno schernio. Ma sendo consolo Metello,
fu fatta pienissimamente la vendetta del
perduto pretore con la legione, perchè pie-
nissimamente punì Macedonia, e menò a
Roma in catene il capo di quella guerra ,
avendolo manifestato lo re di Tarsia, pres-
so il quale era fuggito; e di questo con-
fortando lui la fortuna ne' suoi mali, il
popolo romano trionfò come di vero re.
La terza ^erra con gli Africani.
La terza guerra fu con Africa, e fu pic-
cola per lo tempo, perchè fu compiuta in
ispazio di quattro anni, e per compara-
zione delle prime guerre fu piccola in fa-
tiga, perchè non fu la guerra tanto con
gli uomini, quanto con la città, ma per
Io fine certamente fu grandissima, perchè
alla fine Cartagine fu disfatta ; e se alcuno
considera i momenti di tre tempi, prima-
mente fu mosso guerra, la seconda volta fu
fatta, la terza fu compiuta. Ma la ca-
gione di questa guerra fune, che contra i
patti della pace quegli avevano fatto una
89
armata ed apparecchiato oste, e importuni
stimolavano il paese di Massi nissa, e a
questo buono e collegato re era favoreg-
giato per gli Romani; e sendo diliberata
la guerra, fu trattato del fine della guer-
ra. Cato, dicendo alcuni altrimenti (1), con
perfido odio diceva che Cartagine fossi
guasta; Scipione Nasica diceva ch'ella fos-
si lasciata, acciò che Roma per la felicità
non cominciassi a stare in agio , essendo
tolta via la paura della nimica città. Il
Senato pigliò il mezzo, che la città fossi
mutata del luogo dov' eli' era ; e non gli
parve che alcuna cosa fossi più signore-
vole né più bella, che Cartagine fossi si
fatta, che non fossi temuta.
Adunque sendo consolo Manlio e Cen-
sorino, il popolo di Roma assali Cartagine
sanza speranza di fare pace, e Cartaginesi
gli diedono le suoi navi di volontà, le quali
egli arse in loro conspetto. Poi chiamati
di fuori i principi, comandò che eglino
andassino a stare altrove, s' eglino voleva-
no ch'egli gli lasciasse salvi, la qual cosa
parve si crudele, che mossi a ira, vollonsi
mettere ad ogni stremità; e subito levar-
(1) Il testo latino : et quum de alio consuleretui-.
90
no il pianto publicamente, e tutti insieme
cridando alle arme, deliberarno di rubel-
larsi ad ogni modo, non perch' eglino aves-
sino più alcuna speranza, ma perch' eglino
volevano più tosto che la lor terra fossi
guasta per le mani de' nimici , che per le
sue; e come fossi fatto lo furore di quegli
rubelli, si può conoscere per questo, che
per fare di nuovo l' armata disfeciono le
case, per fare arme mettevano alla fucina
l'oro e l'argento per rame e per ferro, e
per le corde delle macchine le donne por-
tavano i suoi capegli. Poi Mancino console
per mare e per terra gli stringeva con l'as-
sedio, e già era abbandonato il porto, il
primo e' 1 secondo e '1 terzo muro, poi la
sola rocca chiamata per nome Brisa, la
quale era com' una città e faceva riscisten-
zia, benché già fossi guasta la terra per
grande parte. Poi pareva che '1 nome degli
Scipioni fossi fatale in Africa. Adunque
la Ripublica, volta all' altro Scipione, cer-
cava porre fine alla guerra. Questo era
stato generato da Paulo Macedonico, e il
figliuolo del grande Scipione, per onore
di sua gente l' aveva adottato con questa
fortuna, ch'egli nepote disfacessi quella
terra, la quale suo avo avea guasta; e
91
come le bestie che muoiono, sogliono dare
mortali morsi , cosi fu più a fare con Car-
tagine mezza guasta, che quando ella era
intera.
Ridotti i nimici in una fortezza, i Ro-
mani tenevano assediato il porto, e quegli
cavarno un' altro porto dall' altra parte
della terra non per fuggire, ma perchè
ninno credeva eh' eglino potessi no cam-
pare, e per quello uscì fuori subito, co-
me fossi nata, una armata. Poi in quel
mezzo il di e di notte alcuna nuova pos-
sanza, alcuno nuovo dificio, alcuna nuova
brigata di quegli assediati uomini appara-
va, quasi come una subita fiamma esce dal-
la cenere dello morto fuoco. Ultimamente
messo fine al fatto, ed egli avendo pianto
il suo istato (1), arrenderonsi quarantasei
migliara d' uomini , la qual cosa meno cre-
derai , essendo capo di quegli Asdrubale.
Quanto fu più forte una femina, cioè la
moglie di quel duca, la quale presi due
figliuoli, della cima della casa si gittò in
terra in mezzo il fuoco , e seguì la reina
che aveva dificato Cartagine! Come fossi
(1) Il testo latino: Deploratis novissime rebus,
quadraginta se millia viroruni dediderunt.
92
grande quella guasta città, tacendo l'altre
cose, puossi provare per lo tempo che durò
il fuoco, perchè continuamente in dicias-
sette di appena si potè spegnere il fuoco,
il quale e nemici volontariamente avevano
messo ne' suoi tempii e nelle sue case, acciò
che '1 trionfo fossi tolto ai Romani, dai
quali non poteva essere difesa la cittade.
La guerra con quegli d^Acaia.
Quasi come in quel tèmpo fossi uno
corso di guastare le città, incontinente
dopo il guasto di Cartagine fu guasto Co-
rinto, capo di Acaia, onore di Grecia,
posto tra due mari, Jonio ed Egeo, quasi
d'una veduta (1). E questa (che scellerata
cosa fu a dire ed indegna) fu innanzi gua-
sta, ch'ella fossi giudicata inimica. Critolao
fu cagione della guerra, il quale usò centra
i Romani la libertà data da quegli, ed è
in dubio s' egl' ingiuriò gli ambasciadori
romani di fatti; per certo egli gì' ingiuriò
di parole. Fu commessa la vendetta a Me-
tello, il quale principalmente allora ordi-
nava Macedonia, e per questo fu fatta la
(1) Il lesto: quasi spectaculo exposita.
93
guerra di Acaia. Metello consolo per le
aperte campagne d' Elide , e per tutto il
fiume Alfeo tagliò Critolao con lo suo oste,
e in una battaglia era compiuta la guerra,
e già era assediata la città; ed (oh! come
è fatta la fortuna delle cose!) avendo com-
battuto Metello, Mummio andò alla vitto-
ria. Questo, sotto la degnltà dell'altro ca-
pitano, sconfisse l'oste sopra il passo del-
l' Istmo, e bruttò di sangue due porti ; poi
la città fu abbandonata dai cittadini, e poi
fu rubata, poi guasta a suono di tromba,
e grande copia di segni, di vestimente,
di tavole turno rubate e arse e gittate.
Puoi sapere come grande ricchezze fossi-
no tolte e arse per questo, che noi trovia-
mo che quello che avanzò al fuoco di me-
tallo da Corinto, è lodato per tutto il mon-
do; e la ingiuria di quella ricchissima terra
fece più preciosa la fama di quel metallo,
perchè mescolate per lo fuoco molte statue
ed intagli, le vene del rame e deli' 01*0 e
dell' argento discorsono in comune.
Cose fatte in Ispagna.
Come Corinto seguì Cartagine, cosi Nu-
manzia segui Corinto, e da poi per tutto
94
il mondo non fu toccato con le arme al-
cuna cosa indarno. Dopo il guasto famo-
sissimo di quelle due città, ampiamente
per ogni parte, e non l' uno dopo l' altro,
ma insieme, la guerra fu da ogni parte
al postutto, sicché quasi stimolando i venti,
parve espargere per tutto il mondo alcuni
incendii di guerre. Ma Ispagna non ebbe
mai tutta in animo di levarsi contra noi, e
non gli piacque di provare con noi la sua
possanza, e non gli piacque di mostrare
con noi la sua signoria, o difendere publi-
camente sua libertà; ma anco è si cir-
condata dal mare e da' monti Pirinei, che
per natura del sito non vi si potessi anda-
re, ma fu innanzi assediata dai Romani,
che ella il sentissi, e quella sola di tutte
le Provincie conobbe la sua possanza poi
che fu vinta. Ma durò la guerra in quella
dugento anni dai primi Scipioni infino a
Ceserò Augusto, ma non continuamente, e
non fu r una guerra dopo l' altra, ma come
le cagioni movevano; e dal cominciamento
non fu in Ispagna la guerra con gli Spa-
gnuoli, ma con gli Africani, e da quella
fu la corruzione e le cagioni delle guerre.
Le prime insegne de' Romani fumo por-
tate per i monti Pirenei per Publio Sci-
95
pione, e con grande battaglie sconfissone
Annone ed Asdrubale, fratello d'Annibale,
ed in uno assalto sarebbe stata presa Ispa-
gna, se quegli fortissimi uomini in quella
medesima rettoria per inganno degli Afri-
cani non fossino periti, avendo eglino vinto
per terra e per mare. Adunque Scipione,
quello che poi fu chiamato Africano, quasi
vendicatore di suo padre e suo avolo, assali
quella nuova e intera provincia, e quello
incontinente prese Cartagine e le altre
città, e non contento avere cacciati i Car-
taginesi, fece quella tributaria a noi; e
sottomessi al nostro imperio ogni cosa di
qua e di là dall' Ibero, vincitore pervenne
a Gade e all' altra riviera dell' Oceano.
E più conservare una provincia, che ac-
quistarla. Adunque erano mandati qua e là
capitani, i quali insegnorono essere servi
a quelle ferocissime e infino a quel tem-
po libere genti, per questo impazienti di
servitudine, con molta continua fatica e
non sanza molte sanguinose battaglie. Cato
Censorino con alcune battaglie domò i Cel-
tiberi , cioè la fortezza degli Spagnuoli ;
Gracco, padre de' Gracchi , punì quegli me-
desimi con lo guastare di centocinquanta
città, Metello, il quale aveva meritato sopra-
96
nome di Macedonico e poi Celtibero, avendo
preso Contrebia, con maraviglioso asempro
acquistò Nertobrige con raagiore gloria.
Lucullo acquistò i Turduli e i Vaccei, de'
quali il secondo Scipione con singulare bat-
taglia, essendo chiamato re e sendo stimo-
lato, aveva riportato grandi ricchezze. Deci-
mo Bruto alquanto andato per più largo
espazio, acquistò i Celtici ed i Lusitani, e
tutti i popoli di Gallizia, e '1 fiume della
Oblivione, temuto dai cavaliei'i; e sendo
vincitore, cercato il lido dello Oceano, non
volse le insegne indietro, infino che egli
non vide, non sanza paura e spavento di
sacrilegio, il sole cadente in mare e '1 suo
calore soppozzato nell' acqua. Ma tutta la
gravezza della battaglia fu con gli Lusi-
tani e con gli Numantini, e non sanza
cagione, perchè quegli soli delle genti di
Spagna ebbono capitano; e sarebbe stata
grave con tutti i Celtiberi , se '1 suo capi-
tano non fossi stato morto nel principio
di quegli movimenti, il quale era sommo
uomo per sagacità e per ardire, e se si fossi
partito Salondico, il quale maneggiando
una lancia inargentata, come uno che in-
dovinasse quella essergli stata mandata
dal cielo, aveva fattosi guardare ad ogn' uo-
97
mo. Ma sendo con simile temerità andato
al campo del consolo di notte, fu morto
con una lancia da uno che guardava ap-
presso al padiglione. Poi Viriato dirizzò i
Lusitani , il quale fu uomo d' aguzzo scal-
trimento; onde di cacciatore diventò ru-
batore, e subito diventò capitano e signo-
re, e se la fortuna l'avessi portato, era
uno Romolo di Spagna; e non contento
di difendere la libertà de' suoi, per spazio
di quatordici anni guastò ogni cosa col
fuoco e col ferro di qua e di là del fiume
Ibero, e assalì eziandio il campo de' preto-
ri, ruppe Claudio Unimano e l'oste, e le
nostre insegne con le veste e con gli orna-
menti , eh' egli aveva preso , pose per vet-
toria ne' suoi monti. Finalmente Fabio Mas-
simo consolo lo soperchiò; ma Pompilio
suo successore sforzò la vettoria, perchè
■ sendo egli cupido di compiere il fatto, as-
sali con inganno e con aguaiti e con assas-
sini suoi domestici quel capitano, già vinto
e già pensante per estremità d'arrendersi;
e diede questa gloria al nimico, eh' egli
paressi non potere essere vinto altrimenti.
98
La g^uerra di Xnmanzìa.
Quanto Numanzia fu minore in ricchez-
ze di Cartagine e di Capua e di Corinto,
tanto fu pari a quelle in vertù e in onore
per nominanza, e fu sommo onore di Ispa-
gna, se tu consideri la possanza; perchè
fondata in uno piccolo monte sanza muro,
sanza torri, appresso il fiume Sillata(l), con
quattro milia Celtiberi sostenne l' oste di
quattro milia uomini per spazio di qua-
tuordici anni, e non sostenne solamente,
ma sconfisselo alquanto più aspramente, e
offeselo con patti di nostra vergogna. Ulti-
mamente sendo manifesto che quella non
si potessi vincere, fu bisogno quello che
aveva guasto Cartagine, e non sanza ca-
gione ; e se licito è confessarlo, la cagione
di quella guerra fu più ingiusta. I Sige-
densi, collegati e partiti e parentati de' Ro-
mani, erano usciti delle sue mani (2), e sen-
do pregato per quegli, non valsono i prie-
(1) Il testo latino: apud flumen Durium sita.
(2) Il testo: Segìdenses, socios et consanguineos,
Romanorum manibuus elapsos exceperant; habita
prò eis deprecatio nihil valuit.
99
ghi, perchè, bene ch'eglino s'erano rimossi
da ogni corruzione di guerra, per la con-
venzione de' patti lugli comandato eh' egli
dessino tutte le arme. Questo fu a quegli
barberi come gli fossi tagliato le mani.
Adunque subito volti alle arme, avendo
vinto Megara, fortissimo capitano, assali-
rono Pompeo, ma nondimeno vollono pace,
potendo fare guerra; poi assalirono Ostilio
Mancino, e questo con continove sconfitte
sottomissono , sì che alcuno non poteva
sostenere vedere né udire alcuno Numan-
tino; nondimeno con questo ancora volso-
no pace, e fumo contenti torgli le arme,
bene eh' eglino avessino potuto farlo mo-
rire.
Ma non fu meno ardente ingiuria e ver-
gogna quella del patto di Nuraantini che
quella da Candia (1), ma il popolo di Roma
purgò la vergogna della presente ingiuria
collo arrendersi di Mancino ; poi sendo
Scipione capitano, volto a guastare le cit-
tade e pieno dello incendio di Cartagine,
finalmente eziandio si inasprì alla vendetta.
Ma allora si convenne combattere più
(1) Il testo: Sed non minus Numantini, quani
caudini illius foederis flagrans ic-nominia etc.
100
aspramente con gli nostri cavalieri nel cam-
po, che nella battaglia con gli Numantini,
perch' erano usati ad ingiuste e servili
opere sommamente, e avere più gente nel
campo, che non cognoscessi arme, ed era-
no costretti bruttarsi di fango, non volen-
dosi imbrattare di sangue. A questi fu
tolto via puttane e ribaldi, se non quelle
che fossino necessarie per uso; ed allora
fu veramente manifesto, che tanto è l' oste
quanto lo capitano. E cosi tornato a mae-
sterio di milizia, fu combattuto, la quale
cosa niuno pensava mai di vedere; e av-
venne che i Numantini, non veduti mai
fuggire d'alcuno, si volevano arrendere,
se gli fossi imposto cosa, ch'eglino la
potessino comportare; ma volendo Scipione
la vera vettoria sanza eccezione, costrinse
in prima quegli a tanta necessità, che aven-
do diterminato morire, vennono a batta-
glia; ma prima mangiarono, quasi s' em-
piessono di cai'ne cruda, quasi mezza cotta,
per purgazione de' morti , e di cervogia ,
che cosi chiamavano gli abitatori del paese
la bevanda fatta di fermento. Il capitano
de' Romani conobbe la diliberazione di que-
gli, e perciò non combattè con quegli in
quella volta, che volevano morire. Tenen-
101
dogli stretti la fame, e sendo egli circon-
dati con una fossa con le arme e con quat-
tro muri , quegli domandavano al capitano
la battaglia, acciò eh' egli gli uccidessi come
valenti uomini ; e non ottenendo questo ,
piacquegli uscire fuori , e cosi usciti fumo
alle mani e funne morti molti, e super-
chiandogli la fame, alquanto da poi vin-
sono; ultimamente diliberarno fuggire, e
questo non poterò, perchè le moglie ta-
gliarono loro le cinghie de' cavagli , e per
amore feciono sommo peccato. Adunque
non avendo pianto il non potere fuggire,
volsonsi a strema rabbia e furore, e final-
mente diterrainarono di morire, e per que-
sto modo uccisone e suoi capitani e se
col ferro e col veleno, e guastarne la sua
patria, mettendo il fuoco da ogni parte.
Affermo grandemente sé essere fortissi-
ma e in quella avversitade beatissima città
per quella oppenione, che serbò fede a' suoi
compagni, e sostenne sì lungamente la sua
gente contra il popolo di Roma, possente
con le forze del mondo. Finalmente fu vinta
dal grandissimo capitano, non lasciando
di sé alcuna allegrezza ai nimici , perchè
non si trovò uno uomo di Numanzia, che
fossi menato preso : la preda fu d' alcuna
102
cosa, ma come poveri, le armi avevano
eglino arse , e '1 trionfo fu solamente del
nome.
Qni cominciò a corrompersi il popolo di
Boma.
In fin a qui il popolo di Roma fu bello
e piatoso e santo e magnifico; le cose del-
l' altro tempo come fumo grandi, così piìi
torbide e più sozze divennero, crescendo i
vizii con quella grandezza dello imperio;
in tanto che se alcuno divida questa sua
terza etade oltramarina, la quale noi abbia-
mo fatto di ducento anni, confesserà giusta-
mente e non sanza cagione i cento anni pri-
ma di questi , nei quali noi domammo Afri-
ca, Macedonia, Cicilia, Ispagna, essere stati
d' oro , come dicono e poeti , ed i cento
seguenti di ferro e certamente sanguinosi;
e se alcuna cosa è più crudele, perchè me-
schiorno le guerre di Gracchi , di Drusi e
ancora la guerra de' Servi con quella di
Giugurta e de' Cimbri e di Mitridate , di
quegli di Partia e di Gallia e di Germa-
nia, per le quali la gloria montò al cielo;
ed acciò che non manchi alcuna cosa alla
bruttura, quelle de' gladiatori. Finalmente
103
volte le spade a sé medesimo, squarciò sé
quasi per rabbia e furore per le guerre di
Mario e di Siila, e ultimamente con le mani
di Cesaro e di Pompeo, le quale bene che
sieno tutte congiunte intra sé e confuse,
tuttavia acciò che meglio appajano insie-
me, e acciò che i peccati non facciano ru-
more con le vertude, saranno esposte di-
spartitamente; e prima, come noi abbiamo
cominciato, faremo memoria delle guerre
giuste e ragionevole con gente forestiere,
acciò che la grandezza dello imperio, che
cresceva ogni dì, appara; poi torneremo
alle sozze e scellerate battaglie de' citta-
dini.
La gnerra d'Asia.
Vinta [spagna infino allo Oceano, il po-
polo di Roma stava in pace inverso 1' 0-
riente, e non solamente in pace, ma con una
inusitata e non conosciuta felicità; le ric-
chezze erano lasciate per le reditadi di re,
e coi re i regni venivano insieme. Attalo
re de' Pergameni, figliuolo del re Eumene,
coulegato già e di nostra milizia, lasciò per
testamento: « Il popolo di Roma sia reda
de' miei beni». Nei beni del re fumo queste
104
cose prese. Adunque per la redità il popolo
di Roma teneva quella provincia non per
guerra né per arme, ma (che più giusta
cosa è) per ragione del testamento. Ma
faticosa cosa è a dire, s'egli la perde più
lievemente, o più lievemente la ricoverò.
Aristouico della schiatta reale, giovane fe-
roce, stimolò lievemente parte delle cittade
usate ubbidire ai re; alcune che facevano
risistenzia, prese per forza, come fu Min-
do, Samo e Colofona, e tagliò l'oste di
Crasso pretore e pigliò quello; ma quello
ricordandosi di sua gente e del nome ro-
mano, accecò con una bacchetta un bar-
bero che '1 guardava, e stimolò quello in
sua perdizione, la qual cosa egli voleva;
poi fu domato da Perperna e fu preso, e
arrendendosi fu messo in prigione. Aqui-
lio spaziò lo resto della guerra d'Asia , e
perchè alcune cittade s' arrendessino , av-
velenò tutte le sue fontane; la qual cosa
fece così vituperosa la vettoria, come tosto
la compiè, perchè contra la ragione degli
Dei e contra i costumi degli antichi, cor-
ruppe con medicine non leali le arme de'
Romani, sacre e sante infin a quel tempo.
Finisce il secondo libro di Floro, e co-
mincia il terzo.
LIBRO III.
La guerra con Giugurta in Namidia.
Queste cose fumo fatte inverso Oriente,
ma verso la parte di mezzodì non era si
fatto riposo. Chi arebbe temuto in Africa
alcuna guerra dopo la vettoria di Cartagi-
ne? Ma non lievemente Numidia fece no-
vità, e fece si che dopo Annibale fu temu-
ta. Per certo il re scaltritissimo assali con
le ricchezze il popolo di Roma, glorioso
con le arme e da non poterlo vincere, e
adoperò la fortuna contra 1' aspettanza
d'ogn'uomo, che lo re eccellente d'ingan-
ni fossi preso con inganni. Questo ebbe
per avo Massinissa, e fu figliuolo di Mi-
cipsa per adozione, il quale avendo dili-
berato uccidere suoi frategli , stimolato
dalla cupiditade del regno, non temeva più
quegli del Senato che '1 popolo di Roma,
106
sotto la cui fidanza e ubidienzia era lo re-
gno; il primo male fece per tradimento, e
fece uccidere lempsalem, e voltossi ad Ader-
balo; quello fuggi a Roma, e mandato am-
basciadori con monete, ridusse il Senato
a suo volere. Questa fu la sua prima vet-
toria di noi. Mandati da poi alcuni, che
partissino lo regno tra lui e Aderbale ,
similemente gli assalì, e avendo vinto in
Iscauro i costumi de' Romani, compiè il
peccato, eh' egli aveva cominciato, più ar-
ditamente. Ma i mali non stanno nascosi
lungamente, e appai-ì il peccato della cor-
rotta ambasciata, e piacque ai Romani per-
seguire quello omicida di frategli con la
guerra.
Fu mandato prima in Numidia Calpurno
Bestia consolo; ma quello re, il quale
sapeva che contra i Romani era più forte
r oro che '1 ferro, ebbe pace per moneta ,
del qual male essendo accusato, e trave-
gnendo la publica fé, fu mandato per lui
dal Senato, e usò simile audacia, perchè
mandato uno assassino, uccise Massiva, il
quale domandava parte del regno di Mas-
sinissa. E questa fu 1' altra cagione di far
guerra contra lo re. Adunque la seguente
vendetta fu commessa ad Albino, ma di
107
questo (e fu grande vergogna) il re cor-
ruppe si r oste, che fuggendo e nostri vo-
lontariamente, quel vinse e pigliò il campo;
e fu aggiunto per premio della salute con
vituperoso patto, che lasciò l' oste, il quale
prima egli aveva comprato.
In quel tempo a vendetta non tanto
dello imperio di Roma, quanto della ver-
gogna, si levò Metello, e assali lo scaltrito
nimico, il quale alcuna volta con prieghi,
alcuna volta con minacce, alcuna volta fa-
cendo vista di fuggire, alcuna veramente
fuggendo, faceva beffe con le sue arte; e
poi che fu contento delle ruberie de' campi
e del guastare delle ville, assali le terre
che erano capo di Numidia, e per lungo
ispazio volse indarno Zama, ma elio prese
Taia, grande di gente armata, e rubbò il
tesoro del re ; poi avendo tolte alcune cit-
tadi al re, già fuggendo alle confini del
suo regno, seguiva quello per gli Mauri
e per Getulia. Poi Mario, accresciuto molto
di gente, avendo constretto per sagramento
quegli eh" egli aveva eletti , perchè egli era
di vii condizione, assali lo re, il quale
era già sconfitto e fedito; ma nondimeno
non lo vinse più lievemente , che s' egli
fossi stato intero e nel suo regno; il quale
108
vinse con alcuna meravigliosa felicità Ca-
psa, città edificata da Ercole, posta in
mezzo Africa, circondata da serpenti e da
sabbione, e vinse Mulucca, città posta in
un monte di sasso, entrato in quello uno
di Liguria per un passo faticoso e non
usato. Poi sconfisse gravemente appresso
la terra di Cirta non solamente lui, ma
eziandio Bocco re di Mauritani, il quale
difendeva Numidia per ragione di parenta-
do; il quale perchè non si fidava di sua
possanza, e temeva che dopo lo altrui
male seguissi il suo, fece il re pregio di
sua lega e di sua amistà. E cosi quello
fraudolentissimo re fu condutto negli ag-
guati per gli inganni di suo suocero, e fu
dato in mano di Siila; e finalmente il
popolo di Roma vide Giugurta nel trionfo
legato con le catene, ed egli, bene che
fossi vinto e legato, vide Roma, la quale
egli aveva preditto indarno esser da ven-
dere, se trovassi il compratore, e che qual-
che volta ella perirebbe. Già ebbe compra-
tore quando fu da vendere, e non sendo
campato, quello certo sarà, quella non
dovere perire.
109
La guerra con gli Allobrogì.
Cosi il popolo di Roma verso il mezzodì ;
ma molto più fu a fare e per molti modi
e pili aspramente da settentrione. Niuna
parte è più odiosa ed il cielo più aspero.
Adunque da ogni parte sono odiosi ni-
mici, che dalla parte destra e dalla sinestra
e da mezzo settentrione cominciarono. I
Salii prima sentirono le nostre arme oltra
le Alpi, lamentandosi di sue correrie Mar-
silia, fidissima e amichissima città a noi;
poi la sentirono gli AUobrogi e gli Alver-
nii , facendo gli Edui simile lamentanza di
quegli, e domandando gente e aiutorio a
noi. Varo fiume è testimonio della vittoria,
Isara e Vindelico fiumi, e Rodano più ve-
loce degli altri. Gli elefanti impaurivano
sommamente quella gente barbera, i quali
sono simili alla sua crudelità. Nella vettoria
non era alcuna cosa simile a questa e mi-
rabile, che lo re di quegli Bituito in arme
dorate e nella carretta d' argento , quale
egli aveva combattuto. Di amendue vettorie
quanto grande allegrezza siasi fatta, per
questo almanco si può estimare, che Do-
raicio Enobarbo e Fabio Massimo in quegli
110
luoghi, dove avevano combattuto, edifi-
camo torri di sasso, e quelle di sopra or-
narono nella vettoria con le arme de' ni-
mici, non avendo questo per usanza i
nostri, perche' 1 popolo di Roma non rim-
proverò mai ai vinti nimici la sua vettoria.
La gnerra. con i Cìmlbri, Teutoni e
Tigurini in Gallìa Cisalpina.
I Cimbri, Teutoni e Tigurini, fuggiti dal-
l'estremitade di Gallia, avendo affondato il
mare lo suo paese, cercavano sedia per
tutto il mondo, e cacciati di Gallia e di
Spagna, intrati in Italia, raandarno iraba-
sciadori nel campo di Siila e da quello al
Senato , domandando che quello popolo
marziale gli dessi alcuno terreno quasi
per soldo ; poi che, come volessi, usassi le
sue mani e le sue armi. Ma che terre gli
doveva dare il popolo di Roma, che stava
per combattere intra sé per le leggi agra-
rie? Adunque dato commiato a quegli,
diterminarono ottenere con le arme quello,
che non potevano ottenere con gli prieghi.
Non potò sostenere Sillano lo primo as-
salto di quegli barberi, nò Manilio il se-
condo , né Cepione lo terzo : tutti fumo
Ili
messi ia fuga e cacciati del campo. Ed
era ispacciato il fatto, se non fossi sopra-
venuto Mario. Quello per certo non ardi
venire alle mani con quegli, ma subito
tenne nel campo i suoi cavalieri, infino che
quella rabbia e quello impeto, il quale i
barberi hanno per prodezza, se invecchiassi.
Adunque eglino si partirono dispregiando, e
avevano tanta speranza di pigliare Roma,
consigliandosi s' eglino dovevano imporre
alcuna cosa alle mogli. Venivano per le
Alpi, che sono serraglio d'Italia, partiti
in tre osti, non più pigramente che eglino
avessino minacciato. Mario incontinente
con maravigliosa prodezza prese le avan-
zate (1), passò innanzi i nimici, e seguitò i
Teutoni sotto il cominciare dell' Alpi in
un luogo chiamato Aque Sestie, e, con gran-
de favore degli Dei, vinse quegli. I nimici
tenevano una valle e' 1 fiume che era in
mezzo, e i nostri avevano carestia d' acqua.
Se' 1 nostro capitano fece quello che siegue
per bon consiglio, o se egli il fece per
errore, è in dubio ; ma pur la prodezza
(1) Il testo latino: mira statim velocitate occu-
patis compendiis , praevenit hostem. — Avanzata
nel senso di sentiero o via pili breve non è voce
registrata.
112
cresciuta per lo bisogno fu cagione della
vettoria, perchè domandando 1' oste acqua,
disse: « Voi siete uomini; ecco che voi la
vedete presente. » Adunque eglino combat-
terno con si grande ardire, e fu si grande
la mortalità dei niraici, che i Romani vin-
citori non bevvono più acqua nel fiume,
che sangue di quegli barberi ; e certamente
Teutobocco suo re, tentato di mutare quat-
tro 0 sei cavagli, appena fuggendo montò
in uno, e preso nel prossimo passo, fu
maraviglioso spettacolo nel trionfo, perchè
egli, uomo di smisurata grandezza (1), nel
trionfo sopi'astava agli altri.
Ispacciati al postutto i Tedeschi, volse
ai Cimbri. Quegli (la qua! cosa non sarebbe
creduta) di verno per le montagne di Trento,
che sono le più alte delle Alpi, passati in
Italia con roina, erano discesi ai nimici, e il
(1) Nell'anno 1613, nel Del/inaio, fra le città
di Mont-Rigaut, Serre e S. Antonio, fu scoperta
una tomba, a circa diciolto piedi di profondità nel
terreno, costrutta in mattoni, lunga trenta piedi,
larga dodici e alta otto, sulla quale stava una
tavola di marmo grigio, coli' iscrizione in lettere
romane: TEVTOBOCVS RBX. Conteneva essa delle
ossa d' una grandezza enorme, con medaglie d' ar-
gento. Tale scoperta die luogo a discussioni vivis-
sime tra i più dotti medici e chirurghi di Parigi.
113
fiume non per ponte né con le navi, ma
per una sciocchezza barbarica, poi che in-
darno ebbono tentato primamente passare
con le mani e con gli scudi , tagliato del
legname e gittato nel fiume, passorno; e
se fossino andati incontinente a Roma con
lo furioso oste, sarebbono stati a grande
pericolo ; ma la sua fortezza diventò debole
per la dilicanza della terra e dell* aria in
Venezia, nella qual parte quasi Italia è
dilicatissima ; e per questo Mario assalì
quegli immorbiditi per lo mangiare del
pane e della carne cotta e per la dolcezza
del vino. Già eglino avevano domandato al
nostro capitano il dì della battaglia, e così
egli gli diede lo seguente. Combatterno in
uno aperto campo chiamato Raggio (1), e in
quella battaglia fumo i morti sessanta mila.
Poi per tutto il dì fu combattuto.
Questo capitano, oltr'a la prodezza, usava
cautela secondo Annibale e l' arte da Canne ;
e prese uno dì nebbioso, primamente acciò
che non veduto venissi alle mani con lo
nimico; poi uno dì ventoso, acciò che la
polvere gli dessi negli occhi e nella faccia;
(1) Il testo latino: In patentissimo , quem Rau-
dium vocant, campo occurrere.
114
poi volse l'oste verso levante, acciò che
per lo ripercuotere dello sprendore degli
elmi paressi che' 1 cielo ardessi , la qual
cosa poi fu saputa dai prigioni. Non fu
minor battaglia con le mogli che con
quegli, perchè quelle circondarono il cam-
po da ogni parte con carri e con le car-
rette, e di sopra, quasi come fossino in
torri, combatterne con lance e con pali ; e
per quello videsi come fussi gloriosa la sua
morte come la sua battaglia, perchè mandato
a Mario ambasciadori, e non ottenendo ri-
manere in libertà né potersi fare rilegiose,
prima ammazzarono e strangolarono tutti
i suoi fanciugli, poi volte tra loro, ucci-
sonsi r una l' altra con le sue mani , o
elleno s' appiccarono agli albori. Bellove-
so (1) suo i^e, combattendo arditamente,
mori nella battaglia, e non sanza vendetta
di sua morte. La gente di Tigurini, la quale
era quasi per suo aiutorio, posta ne' monti
Norici presso le Alpi, volta a contraria
parte, fuggendo vituperosamente e rubando
disparì.
La novella di tanta liberazione d' Italia
e del confermato imperio non fu portata
(1) /; lesto latino: Boiorix rex.
115
al popolo di Roma per gli uomini secondo
usanza; ma s'è lecito a crederla, porta-
ronla gli Dei, perchè in quel medesimo di
che' 1 fatto fu, fumo veduti innanti al tem-
pio di Castore e di Polluce due giovani
con le ghirlande d' alloro , i quali davano
le lettei'e al pretore , e fu udito subito
inimore che disse: « Felicemente abbiamo
vettoria di Cimbri ». E che cosa può essere
più maravigliosa né più bella, perchè Ro-
ma vide in un monte la vettoria, quasi
come levata su gli suoi monti fossi stata
presente, la qual cosa soleva avvenire nel
giuoco di gladiatori; e perdendo i Cimbri
nella battaglia, il popolo di Roma faceva
festa.
La gnierra di Tracia.
Dopo quegli di Macedonia, come piacque
agli Dei, si rubellarono quegli di Tarzia;
quegli furono già tributarli di quegli di
Macedonia, e non fumo contenti solamente
correre nelle prossime provinole, ma ven-
nono infino in Tessaglia e Schiavonia e fino
al mare Adriatico; contenti infino a quel
confine, consentendolo la natura, lanciaro
le loro armi in quelle acque. Per tutto quel
116
mezzo tempo non rimase a fare alcuna cru-
delità contra quegli eh' eglino pigliavano,
e facevano sacrificio agli Dei del sangue u-
mano, bevevano con gli ossi delle teste, e
per simili ischerni facevangli morire cosi
di fuoco come di fumo, e con i tormenti
traevano il parto di corpo alle femine
gravide. Gli Scordici erano crudelissimi
sopra tutti gli altri Traci, e oltra la for-
tezza egli erano scaltriti; eglino sapevano
ingegnosamente il sito delle selve e de'
monti, e perciò 1' oste che aveva Cato, non
fu sconfitta né messa in rotta, ma fu tutta
presa per uno miracolo. Didio ricacciò
quegli disparsi e rubbatori con grande
libertà nella sua Tracia; Druso gli cacciò
più innanzi, e vietogli eh' eglino passassero
il Danubio; Minuzio gli disperse per tutto
lo Ebro e perde molti de' suoi, cavalcando
per lo fiume non sicuro per lo ghiaccio ; Pi-
sone passò Rodope e Caucaso; Curione
venne presso la Dacia, ma ebbe paura delle
oscuritade de' passi ; Appio arrivò insino ai
Sarmati; LucuUo insino al Tanai, confine
delle genti, e infino alle paludi Meotide.
Non si domarono quegli piìi micidiali di
tutti gli altri nimici altrimenti che ucci-
dendogli, e quegli eh' erano presi, erano
117
morti con fuoco e con ferro ; e non pareva
alcuna cosa più aspra a quegli barberi, che
tagliargli le mani, e lasciargli andare vivi
a veder la sua pena.
La gnerra con llitrìdate.
Le genti da Ponto anno suo sito verso
settentrione e da sinestra il mai'e, ed anno
sopranome dal mare Pontico. Re di quelle
genti e di quelle regioni antichissimo fu
Oete ; dopo Artabaze, nato da sette di quegli
di Persia; poi fu Mitridate, molto mag-
giore di tutti, perchè con Pirro bastarono
quattro anni, e con Annibale quattordici;
quello fece risistenzia quaranta anni, insino
che superchiato in tre grandissme guerre,
fu disfatto per la felicità di Siila, per la
vertù di Lucullo e per la grandezza di
Pompeo. La cagione di quella guerra di-
ceva a Cassio legato, che Nicomede re di
Bitinia pigliava oltra i suoi confini; poi
superbio con grand' animo per la signoria
di tutta l'Asia, ardeva di cupidità, se
avessi potuto acquistare la Uropia, dandogli
speranza e fé i nostri vizii, perchè sendo
noi in divisione di civili guerre, confortava
lui lo destro; e da lungi Mario, Siila e
118
Sertorio mostravano innudo- il lato della
republica. Tra queste piaghe della repu-
blica e questi movimenti, subito, quasi
preso tempo, negli affaticati e nudi una
nuvola subita della guerra di Ponto scop-
piò fuori come da una alta montagna di
settentrione , e nel primo furore della
guerra subito pigliò Bitinia, poi Asia fu
presa da simile paura, e senza indugio le
nostre cittade e i popoli s' arrenderono al re.
Egli s' appresentava e instava e usava cru-
delità quasi come prodezza, perchè niuna
cosa fu più crudele che uno suo coman-
damento, comandando che tutti i romani
cittadini che fossino in Asia, fossino morti.
Poi a le case, ai tempii, agli altari e a
tutte le cose umane e divine fu fatto vio-
lenzia, e questa paura di Asia apriva e-
ziandio Europia al re. Adunque mandati
Archelao e Neoptolemo prefetti, fuor di Ro-
di, che per noi era stato fermo, pigliò
possesso delle Cicladi e dell' Eubea, e te-
neva Atene, che è 1' onore di Grecia ; e già
la paura di quello re rifiatava sopra Italia e
sopra la città di Roma. Adunque Lucio Siila,
uomo perfettissimo per le arme, gli andò
contra con sollecitudine, e cacciò indietro
con simile violenza con la sua gente lo nimi-
119
co, che si faceva più innanzi ; ed in prima
ridusse con l' assedio e con la fame a
mangiare gli uomini Atene, madre delle
biade; poi sommerso il porto Pireo, domò
quel luogo forte di sei muri, e piìi perdonò
a quegli sommamente ingrati, secondo eh' e-
gli disse, per l' onore de' suoi passati, de' suoi
sacrificii e della sua nominanza. Poi avendo
cacciato da Eubea la gente del re, disperse
in una battaglia tutto 1' oste appresso Che-
ronia, e in un' altra appresso Orcomeno ;
e passato subito in Asia sconfìsse lui, e
sarebbe stato fine alla guerra , s' egli non
avessi voluto avere più presto che vero
trionfo di Mitridate. Ma Siila diede allora
questo stato all' Asia ; fermò la pace con
quegli da Ponto, da Nicomede ricevè Bi-
tiuia , da Ariobarzane Cappadocia , e cosi
da capo Asia era nostra, come era stata
in prima, e Mitridate era cacciato. Adun-
que questo non abbattè quegli da Ponto,
anzi gli addusse a ira, perchè lo re, quasi
adescato d' Asia e d' Europia, non la redo-
mandava come cosa altrui, ma come cosa
acquistata per ragione di guerra, perchè
r avevano perduta.
Adunque come lo fuoco non bene spento
si rivigorisce con maggiore fiamma, così
120
eoa quella di nuovo accresciuta gente per
maraviglioso modo, e finalmente con tutta
la grandezza del suo regno, da capo torna-
va in Asia per mare, per terra e per gli
fiumi. Cizico, nobile città per la rocca e
per gli dificii e per le torri di marmo,
allumina tutto il lido del paese d'Asia;
questa lo re assali con tutta la guerra,
quasi come un' altra Roma ; ai cittadini
diede speranza di difendersi la novella che
LucuUo sopraveniva, il quale (che mara-
vigliosa cosa è a dire) era fuggito per
mezzo le navi de' nemici, notando sopra
uno otre, e governandosi con gli piedi,
vedendolo i nimici da lungi quasi com'uuo
mostro marino. Poi volta la peste, strin-
gendo la fame il re per la lunga dimo-
ranza, e per la fame stimolandolo la mor-
talità, partissi, e Cuculio il segui e scon-
fisselo, uccidendone tanti, che Cranico ed
Esapo fiumi se n' insanguinarono. Lo scal-
trito re, ammaestrato dell' avarizia de' Ro-
mani, comandò che fuggendo i suoi git-
tassino sue valigie e some e moneta per
fare indugiare quegli che' 1 perseguivano;
e non fu più felice la sua fuga in terra
che in mare, perchè la tempesta assali nel
mare pontico 1' armata di cento navi e piìi,
121
e il grande apparecchiamento della guer-
ra ; e fece si vituperoso fracasso di quelle,
che era simile ad una sconfitta navale,
quasi come manifestamente LucuUo per
alcuno patto paressi avere dato a sconfig-
gere lo re alle onde e alla tempesta e ai
venti. Già erano abbattute tutte le forze
del potentissimo re, ma 1' animo cresceva
nella avversitade. Adunque voltosi a gente
vicine, avviluppò nella sua rovina quasi
tutto r oriente e' 1 settentrione. Sollecitava
gli Iberi, i Caspii , gli Albani e amendue
le Armenie, per le quali tutte cose la
fortuna cercava a Pompeo gli onori, la
fama e le dignitade ; il quale poi eh' egli
vide ardere Asia di novi movimenti, e
r uno dei re provenire dall' altro (1), pensò
che non fossi da indugiare, fino che fossino
ragunati insieme gli sforzi di quelle genti;
e subito fatto uno ponte di navi, passò il
fiume Eufrate, il quale non era stato passato
d' alcuni altro innanzi a lui ; e trovato il re
che fuggiva in mezzo 1' Armenia, vinselo
in una battaglia, la quale cosa fu grande
sua felicitade. Combatterno quella volta
(1) Il testo: aliosque ex aliis prodire reges, vaie
a dire un re succedere ad un altro.
122
di notte , e la luna tenne parte in quella
battaglia, perchè i nimici l'avevano dalle
spalle, e i Romani l'avevano nella faccia.
Quegli da Ponto per errore credendo che
le sue ombre fossino nimici, fedivano quelle,
le quali si distendevano più da lungi; e in
quella notte fu vinto Mitridate, perchè da
poi non ebbe alcuna possanza, bene che
provassi ogni cosa, a modo di serpenti, i
quali poi che hanno rotto il capo, ultima-
mente minacciano con la coda; perchè
avendo egli fuggito il nimico, volle impau-
rire con subita venuta quegli da Colchi
e i lidi di Sicilia e la nostra Campagna,
poi guastare il porto Pireo e congiungere
Bosforo con gli Colchi, e per quello passo
venne in Tarcia, in Macedonia e in Grecia,
e cosi solamente con lo pensiero non sen-
tito (1) assali Italia; ma prevenuto dalla
rebbilione de' cittadini e dalla crudeltà di
Farnace suo figliuolo, tentò prima uccidersi
con lo veleno, e non potendo, uccisesi con
lo ferro.
In quel mezzo Pompeo, perseguendo lo
resto della gente de' rubelli d' Asia , di-
scorreva per diverse gente e per diverse
(l) Il testo: sic Italiani nec opinatus invadere.
123
terre, alcuna volta seguendo gli Arminii
verso r oriente, e preso Artasate, capo di
quella gente, diterminò re Tigrane. Ma
cacciato poi verso settentrione, fece la via
per Scizia, seguendo la stella, e come per
mare, vinse i Colchi, perdonò agi' Iberi e
agli Albani, fece Orode re di Colchi, e
posto il campo sotto il monte Caucaso,
comandò che discendessino al piano. Co-
mandò ad Artoce, signore degli Iberi, che
dessi i figliuoli per stadigi ; fece doni ad
Orode, il quale gli mandò d' Albania uno
letto d' oro e altri doni , ed ancora volto
l'oste a mezzodì, passò in Soria, Libano
e Damasco, e passando per gli boschi odo-
riferi d' incenso e di balsimo , portò le
insegne de' Romani. Gli Arabi s' appresen-
tarono, s' egli comandava alcuna cosa, ma
i Giudei tentarono di difendere Gerusa-
lemme; ma pure egli entrò in quella, e
vide quello grande tempio di quella mal-
vagia gente, aperto e patente come sotto
uno cielo d'oro; e discordianJosi due fra-
tegli della signoria, fé albitrio e comandò
che fossi signore Ircano , Aristobolo fece
mettere in prigione, perch' egli aveva rin-
novato la questione.
Cosi sendo capitano Pompeo, il popolo di
124
Roma cercò tutta l' Asia per la sua larghez-
za, e fece media provincia il confine dello
imperio, la quale era nella stremità di esso.
Tutta l'Asia era domata o arrenduta, e
tenevasi sotto le insegne di Pompeio tra lo
mare Rosso e '1 mare Caspio e 1' Oceano,
salvo quegli di Partia, i quali erano in
pace coi Romani, e gli Indi, i quali non
ci conoscevano ancora.
La guerra con quegli di Cilizìa. (1)
Intanto che il popolo di Roma era tratto
per diverse parti della terra, quegli di
Cilizia assalirono il mare , e guaste le
mercatanzie e guasta la convenzione degli
uomini, avevano serrato il mare con la
guerra quasi come una tempesta. Dava
ardire a quegli mortali e furiosi ladroni
Asia, che era inquieta per le guerre di
Mitridate, furiando quegli sotto lo remore
dell' altrui guerra, non essendo puniti per
l'odio dello estranio re. Primamente, sendo
suo capitano Isidoro, erano contenti di
rubare il prossimo mare tra Greti e Cirene,
(1) Nel lesto Ialino questo capitolo è intitolato
Bellutn Piraticura.
125
Acaia e '1 golfo Maliaco, il quale egli
chiamarao d' oro per le ruberie ; e fu man-
dato centra quegli Publio Servìlio, il quale,
bene eh' egli impacciassi con le sue navi
gravi e battagliere quelle dei nimici, leggie-
re e infugate saettie, non le vinceva sanza
spargere sangue. Non contento avergli cac-
ciati del mare, guastò sue cittade for-
tissime e ricche per la lunga ruberia, di-
strusse Faselli, Olimpo, Isauro, eh' era la
fortezza di Cilizia; onde egli, che sapeva
la sua grande fatiga in acquistare quello,
disiderò essere chiamalo Isaurico. Non
per questo domati per tante sconfitte, si
poterono tenere a stare solo in terra, ma
come animali che hanno doppia natura di
stare in terra e in acqua, nel partire dei
nemici, impazienti di stare in terra, torna-
re al mare, alquanto più allargandosi che
prima, e cosi quella prima vettoria fu
felice. Ma da poi Pompeio parve degno
della vettoria, e fatta congiunta la provin-
cia di Mitridate, elio disperse quella peste
per tutto il mare ; e volendola spengere in
una volta per sempre, con uno apparec-
chiamento quasi divino 1' assalì, perchè
abbondando delle sue navi e di quelle da
Rodi, in compagnia con piii legati e pre-
126
fetti pigliò le parte tutte di Ponto e dell' 0-
ceano. Gelilo fu posto nel mare toscano,
Plozio nel mare di Cicilia, Gratilio assediò
lo mare di Liguria, Pompeo quello di Gallia,
Torquato quello di Maiorica, Tiberio Ne-
rone lo spagnuolo, dove comincia lo nostro
mare, Lentolo il mare di Barberia, Mar-
cello quello d' Egitto, i figliuoli di Pompeo
il mare Adriatico, Terenzio Varrone il
mare Egeo, quello di Ponto e di Panfilia,
Metello quello d'Asia, Scipione la bocca
del mare maggioro, Cato Porzio contrapose
le navi quasi come una porta.
Cosi tenendo tutti i porti, tutti i golfi,
i luoghi ascosi e i ricetti delle montagne,
i muri e le isole, quasi ogni luogo di
corsari circondato fu preso e serrato in
ogni maniera. Pompeo andò in Cilizia, ori-
gine e fontana della guerra; e non fuggi-
vano i nimici la battaglia, non perchè
avessino speranza, ma perchè erano asse-
diati, parevano avere ardire; nondimeno
non feciono alcuna cosa, se non nel primo
assalto. Poi come eglino vidono da ogni
parte volte a loro le prode, gittorno subito
i remi e calorno le vele, e da ogni parte
cominciorno a gridare, la qual cosa fu
segno d' arrendersi, e domandorno perdo-
127
nanza. Non avemmo mai vettoria con si
poco spargere di sangue, e da poi non
trovammo alcuna gente si fedele per lo
tempo che seguì; e fu trovato per singu-
lare consiglio di Pompeo , che quegli , e
quali erano uomini di mare, fossino rimossi
lungi dal mare, e perciò egli quasi gli
legò in campagna lungi dal mare. In quel
tempo egli racquistò l' uso del mare alle
nave, e diede i suoi uomini alla terra.
Di che ti maravigliera' tu prima in questa
vettoria ? Della prestezza , perchè fu com-
piuta la guerra in quaranta di, o della pro-
sperità, poiché non fu perduta una sola
nave, o della continovanza, che da poi
non fumo trovati corsari ?
La guerra dì Greti.
La guerra di Greti, se noi vogliamo sa-
pere il vero, noi la facemo per sola cupi-
dità di vincere quella nobile isola, e pa-
reva eh' ella avessi dato favore a Mitridate,
e di questo piacque fare vendetta. Il primo
che assali quell'isola, fu Marco Antonio,
con grande speranza e fé di vettoria, in
tanto che egli portò più catene che arme ;
ma egli portò pena della sua sciocchezza,
128
perchè i nimici pigliorno molte delle sue
navi, e quegli eh' eglino presono , appic-
corno con le sartie e con le vele, e cosi
i Cretensi navicando a modo di trionfanti,
andavano per gli suoi porti. Poi Metello
guastò tutta queir isola con fuoco e con
ferro, e pose il campo tra i castelli e le
cittade, e tra Gnossi ed Eritrea e Cidonia,
madre dell'altre cittade, secondo che i Greci
solevano dire; e trattava si male i prigio-
nieri, che molti s' uccidevano col veleno,
ed alcuni mandavano a Pompeo assente,
che si volevano arrendere a lui. Stando
egli ne' fatti d' Asia, mandato là Antonio
prefetto, fu glorioso nell' altrui provincia ;
e per questo, Metello più odioso contra i
nimici, usava la ragione del vincitore, e
avendo vinto Lastene e Panare, capitani
di Cidonia, tornò a casa, e non riportò
alcuna cosa di si famosa vettoria, se non
il sopranome, con lo quale fu chiamato
eretico.
La^gr^erra dell' Isole Baleariche.
Come la casa di Metello Macedonico a-
gli nomi delle guerre era usata, e uno de'
figliuoli era fatto Cretico, non fu indugia
129
che r altro fu chiamato Balearico. L' isole
Baleariche in quel tempo infestavano il
mare con uno furore di corsari, e ma-
ravigliera' ti che uomini salvatichi ab-
biano ardito por mente agli scogli e al
mare, ed eziandio entrare in mare, e con
furioso assalto montare in nave non ar-
mate; e non guardandosi, incuteva terrore
a que' che passavano rimpetto alle isole;
e vedendo quegli 1' armata de' Romani che
passavano, pensando rubare, ardirono far-
segli incontra, e nel primo assalto con una
piova di pietre e di sassi coprirono 1' ar-
mata. Combattè ciascuno con tre rombole
(e ciascuno si può maravigliare), traggono
diritto; e questo perchè quella gente non
à altra arme, e da sua puerizia anno questo
studio. 11 fanciullo non riceve il cibo dalla
madre, se egli non percuote quello in prima,
che quella gl'insegna. Ma non feciono paura
ai Romani con le pietre per lungo spazio ;
poi eh' eglino vennono alle mani, e prova-
rono le prode e le lancie, a modo che
bestie, levato il romore, fuggirono al lido,
e fumo cercati e vinti per le montagne.
130
La gnerra dì Cipri.
Era già venuta la fortuna nell' isole.
Adunque Cipro era stata acquistata sanza
guerra, e Tolomeo reggeva quell' isola ab-
bondevole d' antiche ricchezze, e per que-
sto consecrata a Venere; ma ella ebbe
tanta nominanza di ricchezze, e non era
falsa, che lo popolo vincitore del mondo,
usato donare i regni, comandò a Publio
Clodio capitano che confiscassi i beni del
vivo e amico re. Ma quello, udito per no-
minanza il comandamento, uccisesi di ve-
leno. Dopo questo, Ponzio Cato fece por-
tare a Roma con le galee quelle ric-
chezze di Cipro, la quale rapina compiè
meglio la tesoreria di Roma, che alcuno
trionfo.
La guerra Gallica per Ceserò.
Essendo soggiogata Asia per le mani di
Pompeo, la fortuna trasmutò in Ceserò
quello che restava in Europia. Restavano
i Galli ed i Germani, asprissimi sopra le
altre genti; da poi vinse Bretagna, bene
131
eh' ella sia dipartita da tutto il mondo.
Primieramente lo movimento di Gallia co-
minciò dagli Elvezii, i quali posti tra lo
Rodano e' 1 Reno, non bastandogli lo suo
terreno, cercavano altra sedia; ed arse le
sue case, giurando di non tornar mai, tol-
sono termine a sua deliberazione. Ma in-
dugiando quegli , Ceserò tagliò il ponte
del Rodano e tolsegli la via a fuggire, e
ridusse quella gente da guerra nella sua
sedia , come lo pastore riduce la sua
greggia nella stalla.
La seconda pugna, la quale fu coi Belgi,
fu molto più sanguinosa , perchè eglino
combattevano per la libertà; e qui avendo
fatto i cavalieri romani molte maravigliose
cose, sopravenne quello notabile atto del
suo capitano, che inchinando 1" oste a fug-
gire, preso lo scudo di braccio a uno che
fuggiva, corse nella prima schiera, e con la
sua mano sostenne la battaglia. Poi com-
battè con gli Veneti in navale battaglia;
ma fu maggior battaglia con lo Oceano
che con quelle navi, perchè quelle nuove
e male formate subito s' affondorono, come
sentirono le prode; ma era la battaglia
in sulle secche con le onde, e pareva che
lo Oceano, ritratto da battaglia, combat-
132
tessi con le onde. E quelle avversitade
avvennono per la natura delle gente e de'
luoghi. Ma gli Aquitani, gente scaltrita,
si riducevano in spelunche, di che egli
comandò ch'eglino fossino assediati ; quegli
che soprastando soccorrevano per selve,
comandò che gli fossi messo fuoco. Niuno
dirà che i Gallici sieno solamente feroci ,
anzi fanno con inganni. Indugiomaro e
Ambiorige convocarono i Treveri e gli
Eburoni, e ciascuno fatta la congiura-
zione , per r assenzia di Ceserò trovarono
i suoi legati; ma quegli gagliardamente
fu sostenuto da Dolobella, e fu portata la
testa del re. Questi posto V agguato in una
valle, offese con lo inganno; adunque fu
guasto il campo e rubato, e in quel luogo
perdemmo M. Cotta e Titurio Sabino le-
gati, né da poi fu alcuna vendetta del re,
perchè egli sempre fuggendo, stette nascoso
oltra il Reno; né ancora il Reno fu sanza
pena, perchè non era giusta cosa che lo
ricettatore e difenditore di nimici fossi
libero.
Fu la sua prima pugna centra i Germani
per giuste cagioni. Gli Edui si lamenta-
vano delle correrie di quegli ; e quanta fu
la superbia del re Ariovisto! Perchè di-
133
cendo i legati: « Vieni a Cesaro », ri-
spose: « Che cosa è Ceserò? » e « S' egli
vuole venire a me, venga; e che à egli a
fare di quello che faccia la nostra Germa-
nia ? » Adunque era nel campo tanta paura
di quella nuova gente, che ciascuno da prima
faceva testamento. Ma quanto quegli corpi
erano magiori, tanto si potevano meglio
fedire con lo ferro e con le spade; e che
fervore avessi no i cavalieri combattendo,
non si può meglio dire, se non che le-
vandosi dì sopra dalla testa gli scudi, co-
prendosi quegli barberi, soprastavano agli
scudi de' Romani, e da quegli ficcavano
le spade alla gola. Da poi ogni uomo (l) si
lamentata va de' Germani. Allora Ceserò,
fatto presto uno ponte di nave, passò la
Mosella e lo stesso Reno, e cercò nimici
nelle selve ercinie; ma eglino erano tutti
fuggiti nelle selve e ne' paduli , tanta
paura faceva la potenzia de' Romani ol-
tr' alla ripa del Reno ; e non fu pure una
volta 0 due passato il Reno, facendo il
ponte. Ma fu da capo alquanto maggiore
paura, perchè com' eglino vidono preso il
(1) Il testo latino: Iterum de Germano Tencteri
querebantur.
134
Reno con lo fatto ponte quasi con uno
giogo, fuggi rno da capo nelle selve e ne'
paduli, ma non fu trovato alcuno che si
potessi vincere, la qual cosa fu gravissima
a Ceserò.
Preso ogni cosa in terra e in mare,
guardò allo Oceano, e quasi come ai Ro-
mani non bastassi questo mondo, cercò
d' un altro. Aduuque apparecchiato 1' ar-
mata, andò in Inghilterra, e passò con
raaravigliosa prestezza, perchè partendosi
alla terza ora dal porto de' Merini, eistrò
neir isola innanzi mezzodì, dove i lidi erano
pieni di roraori, e correvano le paurose
carrette a vedere la novità della cosa. A-
dunque la paura diede la vettoria, e quegli
paurosi diederle arme e gli stadigi ; e sa-
rebbe andato piti oltre , se 1' Oceano non
avessi ritenuto l' armata con la tempesta.
Adunque tornato in Gallia, fatto maggiore
sforzo, con l'armata tornò da capo in
quello medesimo Oceano ed Inghilterra,
seguendo l' isole Calidonie, e appresso fece
prigione uno de' re Caveliani ; e contento
delle dette cose, perchè non attendeva alla
provincia ma alla nominanza, tornò indie-
tro con maggiore preda che prima, avendo
il mare più queto e piìi favorevole, quasi
135
come s' egli confessassi essere obbediente.
Ma allora fu una congiurazione molto
maggiore dell'altre, e fu 1' ultima in Gallia:
quello terribile uomo per la grandezza e
per le arme e per 1' ardire ed eziandio per
lo nome, Vergingetorige, quasi per una
composizione paurosa, contrasse insieme
gli Alverni, i Biturigi, i Carnuti e i Se-
quani (1). Quegli ne' dì delle feste facendo
concini per gli boschi, ragionando quegli
con feroce parole, dirizzogli a ragione di
libertà. In quel tempo era Ceserò a Ra-
venna, dove egli faceva gente; per lo verno
erano cresciute per la neve le Alpi, e così
quegli pensavano che fossi serrata la via;
ma quello, come che '1 fossi apparecchiato
alla novella, con felicissimo ardire e per mon-
tagne sanza via in quello tempo, per vie
non sapute e per le neve con poca gente
tornò in Gallia, e ragunò lo suo oste di
lontani luoghi, ne' quali faceva lo verno;
e fu con r oste in mezzo la Gallia, innanzi
che fossi sentito nella estremità. Allora
assalì le principali cittade della guerra, e
vinse Avarico, dove erano quaranta milia
(1) Oggi chiamati i paesi d' Auvergne , Berry ,
Chartres e Franca Contea.
136
combattitori, guastò con Io fuoco Alessia,
dov' erano dugento quaranta milia giovani
a difesa. Ma tutto il peso della guerra fu
a Gergovia, terra degli Alvernii, perchè
quella grandissima città era difesa da ot-
tanta mila uomini per numero, da mura,
rocche e tagliate, la quale egli circondò
con uno steccato, con pali, fosse e argeri ;
prima la domò con la fame, e poi ve-
dendo quegli della terra uscir fuori, tagliòli
allo steccato con le spade e con pali, e
ultimamente gli costrinse a rendersi. Lo
re di quegli, in grande onore della vettoria,
venuto nel campo, umilmente si gittò in-
nanzi ai piedi di Ceserò, e deposte le sue
arme e gli suoi ornamenti, disse: « Tu
ài me forte uomo, e tu sommamente m'ài
vinto ».
La gaerra di Partia.
Domando Ceserò per lo popolo di Roma
i Gallici verso settentrione, in quel mezzo
egli ricevè grave percossa verso levante da
quegli di Partia. Non ci potemo lamen-
tare della fortuna: la nostra sconfitta non
ha di che si consoli ; avendo contrari gli
Dei e gli uomini , disiderando la cupidità
137
di Crasso consolo 1' oro di Partia, fu punita
quella cupidità con» una sconfitta d' undici
leglioni e colla testa di quello medesimo.
Metello, tribuno del popolo, promise agli
Dei de' nimici il capitano, uscendo egli
a campo, e avendo passato 1' oste Zeuraa
città, l'Eufrate atfondò le insegne rapite
da subiti venti; e avendo posto il campo
presso a Niceforio , ambasciatori mandati
da Orode re dinunziaro, che egli si ricor-
dassi de' patti fermati con Pompeio e con
Siila. Quello, cupido de' tesori del re, ri-
spose, non pensando ad alcuna cosa di
ragione, che darebbe la risposta a Seleu-
cia. Adunque gli Dei vendicatori della pace
non mancorono al tradimento né alla pro-
dezza de' nimici. Già avevano lasciato dalle
spalle lo Eufrate, il quale solo poteva por-
tare la vettuaglia all' oste, e che era for-
tezza a quegli. Poi per guida d' uno Ma-
zara di Soria, secondo che fu creduto, il
quale fintamente era fuggito , vennono in
mezzo le campagne, da ogni parte avendo
i nimici. Adunque appena egli era arrivato
a Carra, quando da ogni parte Sillaces e
Surena, prefetti del re, mostravano le inse-
gne d' oro e di seta. Allora sanza indugia
sparti e cavalieri intorno, spargevano di-
138
verse maniere di saette a modo di gra-
gnuole e a modo di»nembi, e cosi con
raaravigliosa sconfitta fu disperso l' oste.
Elio, tentato di parlamento, facendo segno,
veniva nelle mani de' nimici ; ma quegli
barberi avrebbono morto il capitano, se i
tribuni non avessino ritenuto lui che fug-
giva, e cosi fu per schernia portata la sua
testa al nimico. 11 figliuolo quasi in pre-
senzia del padre fu morto da quegli me-
desimi. L' avanzo dello sciagurato oste ,
come ciascuno potè fuggire, arrivò in Ar-
minia, in Cilizia e in Soria, e appena
riportarono la novella della sconfitta. La
testa e la destra mano di Crasso fu per
dispregio appresentata al l'e, e non fu cosa
indegna; fugli scolato nella gola oro, acciò
che '1 suo corpo morto bevessi oro, lo cui
animo era arso di cupiditade di quello.
Sommaria ripetizione delle discordie
de' Bomani, e la cagione delle
gnerre civili.
Questa è la terza etade del popolo ro-
mano, nella quale ardito uscire d'Italia,
portò le sue arme per tutto il mondo, della
cui età e cento primi anni fumo santi e pia-
139
tosi, e come mondissimo oro sanza peccato
e sanza malvagità, infino che durò la in-
tegrità di quella setta pastorale pura e
innocente, e infino che durando la paura
della nimistà degli Africani, tenevano l' an-
tica disciplina; ed i seguenti cento anni,
nei quali noi vivemmo dalla distruzione di
Cartagine e di Corinto e di Numanzia, e
con la eredità d' Asia dello re Attalo, fino
a Ceserò e Pompeo e ad Augusto, il quale
segui questi (del quale noi diremo), come
fumo magnifichi per la chiarezza delle
cose e delle battaglie, così fumo miseri e
di grande vergogna per gli mali fatti in
casa. Perchè come fu bella e onorabile
cosa avere acquistata Gallia, Tracia, Cilizia,
Cappadocia, ricchissime provinole, e gli
Armeni e gli Britanni, non per uso, ma
per bellezza dello imperio , cosi in uno
medesimo tempo fu brutta e miserabile
cosa avere combattuto in casa con i cit-
tadini e con i compagni e servi, e con gli
gladiatori e tutto il senato intra sé; e non
so se fossi stato meglio contentarsi di
Sicilia e d' Africa, o non avere acquistate
quelle, e signoreggiare nella sua Italia,
e crescere a tanta grandezza, che guastarsi
con le sue forze. E che altra cosa, se non
140
la troppa felicità, produsse i furori civili ?
Siria prima corruppe noi come fu vinta,
poi la redità del re Asiatico da Pergamo ;
quella possanza e quelle ricchezze afflissero
i costumi di quel tempo, e calpestarono
la ripubblica, soppozzata in vizi come una
sentina. E d' onde domandava il popolo di
Roma terreni e vittuaglia, se non per la
fame, la quale aveva fatta per la troppa
abondanzia ?
Adunque per questo fu la prima e la
seconda discordia di Gracchi, e la terza
d' Apuleio. Onde avvenne, che separatisi
dal Senato i cavalieri , regnassino per le
legge giudiciarie, se non per 1' avarizia,
acciò che le gabelle e le sentenzie fossino
per lucro acquistate? Per questo fu pro-
messo dacapo la civilità agi' Italici, e per
questo fu la guerra con gli collegati.
Che diremo della guerra de' servi? Non
venn' ella per 1' abbondanzia di famiglie ?
Onde fu 1' oste de' gladiatori contra i suoi
signori, se non per 1' ampia cortesia usata
per conciliare il favore del popolo, dando
quelli opera ai giuochi, e le pene già date
ai nimici facendo a noi (1) arte di giuochi?
(1) Cioè le guerre de' gladiatori provennero dal
profuso spendere fallo per acquistare V aura pò-
141
Ma tocchiamo più notabili vizii. Non fu egli
stimolata la cupidità dalle ricchezze? Per
questo fu la tempesta di Mario e di Siila.
Non venne dalle ricchezze il magnifico
apparecchiamento de' conviti e i doni di
grande spesa, la quale incontanente partorì
povertà? Questo incitò Catellina contra la
sua patria. Finalmente onde venne la cu-
pidità della grandezza e della signoria, se
non dalle troppe ricchezze? Questa armò
Ceserò e Pompeo di furiali faci in distru-
zione della ripublica. Adunque io seguirò
per ordine tutti questi movimenti del po-
polo di Roma dentro da casa, dispartiti
dalle guerre giuste con gente stranie.
Onde ebbono principio le discordie.
La possanza de' tribuni destò tutte le
discordie e le cagioni, le quale erano sotto
ispecie di difendere il popolo, in cui aiuto-
rio queir ufficio fu trovato. Ma in effetto cre-
scevano i tribuni in signoria, acquistando
il favore e la benivoglienza del popolo con
polare negli spettacoli, i quali dove prima erano
supplizi e tormenti inflitti ai nemici, si mutarono
poi in arti e giuochi per dar gusto al popolo.
142
le legge agrarie, frumentarie e giudiziarie.
In tutte era apparenzia di equità, perchè
quale cosa è più giusta, che se il Senato
dava al popolo la sua ragione, acciò che
quello popolo, il quale era vincitore di
tutte le genti e posseditore del mondo,
non fossi cacciato dalla religione e dai sa-
crifìcii? Che cos'era si giusta, come che '1
povero popolo vivessi della sua tesoreria ?
Che cos' era più efficace a fare uguale ra-
gione della libertade, che regnando il se-
nato le Provincie, 1' autoritade dell' ordine
della cavalleria almeno si fermassi nella
signoria de' giudici? Ma queste medesime
cose tornaveno in distruzione, e la misera
ripublica era il pagamento a sua disfa-
zione: e mutata la signoria de' giudizii dal
senato ai cavalieri, gravava le gabelle, pa-
trimonio dell'imperio, e le compere del
formento votavano la tesoreria, eh' è i nervi
della republica. Onde potevasi ridurre il
popolo ne' campi sanza disfazione de' pos-
seditori, i quali medesimi erano parte del
popolo? E nondimeno possedevano le sedie
quasi per ragione di reditade, le quali da
gran tempo gli erano lasciate da i suoi
maggiori.
143
La discordia di Tiberio Gracco.
La prima facella di discordia accese
Gracco , il quale era lievemente da essere
signore per la sua schiatta, per la sua
apparenzia e per la sua loquenzia; ma per
questo temendo la corruzione della setta
di Mancino, perchè egli era stato promet-
titore al trattato ed era popolare, o perchè
egli fosse mosso da giusto e buon animo,
perchè avessi compassione al popolo pri-
vato delle sue possessione, acciò che '1
popolo vincitore delle genti e posseditore
del mondo non fossi cacciato della sua
patria e delle sue case, come che 1' animo
fossi fatto, ardi grande cosa. Poiché fu
venuto lo diterminato di, accompagnato da
molta gente, montò in palazzo, e non
mancò che si gli facessi incontro tutti 1
nobili e parte dei tribuni ;■ ma poi eh' egli
vide Gneo Ottavio contraporsi con sue
leggi centra la giustizia del collegio e la
forza di sua possanza, prese quello con la
mano e cacciòlo del consiglio , e in tanto
lo impauri con le minacce della presente
morte, che quello fu costretto rinunziare
al magistrato, e cosi fu criato triumviro a
144
dividere i campi. Volendo egli che si fossi
allungato 1' ufHcio per seguire la impresa
lo di de' coraizii , cominciarono a essere
morti alcuni nel palazzo, facendoglisi incon-
tro una brigata di notabili e di quei eh' egli
avea cacciati dai campi. Poi essendo fug-
gito quello in Campodoglio, e confortando
il popolo a difensione della sua salute,
toccandosi il capo con le mani, fece segno
d' uno che domandassi la signoria della
corona; e cosi per guida di Scipione Na-
sica stimolato il popolo ad arme, quasi di
ragione fu morto.
La discordia di Caio Gracco fratello.
Subito e non con minore furore si levò
Tiberio Gracco, vendicatore della morte e
delle leggi del fratello. Con simile tumulto
e paura mosse il popolo ne' campi de' suoi
passati, e domandava per nodrimento del
popolo la nuova reditade di Attalo; e già
troppo grande e potente pel secondo tribu-
nato per lo favore del popolo, essendo
ardito Minuzie di guastare le sue leggi,
usando la possanza de' compagni, assali
Campodoglio, il quale era la morte della
sua famiglia. Indi cacciato con la morte
145
de' suoi parenti, ridussesi su Aventino,
e di quel luogo fattosegli incontra la parte
del Senato, fu vinto da Opiraio consolo;
e fu proceduto con la morte contra i
suoi seguaci (1), e provveduto di moneta
agli ucciditori del maledetto tribuno.
La discordia di Apuleio.
Nondimeno Apulegio Saturnino non cessò
di confermare le leggi di Gracchi ; tant' a-
nimo dava Mario a quell' uomo , il quale
sempre nimico de' nobili, nel suo consolato
fidandosi, aveva morto palesemente ne' co-
mizii Annio, il quale domandava insieme
con lui lo tribunato, e in luogo di quello
s' era sforzato sostituire Caio Gracco , uo-
mo che non era d' alcuno tribo , e non
aveva alcuna nominanza; ma avendo ag-
giunto il titolo, egli medesimo s' adottava,
e levandosi con tanta e si grande schernia
sanza portarne pena, soprastette sì arden-
temente per sostenere le leggi de' Gracchi,
eh' egli costrinse eziandio il Senato a giurare,
(1) Il testo latino: Insultatum quoque niortis re-
liquiis , et illud sacrosanctum caput tribuni plebis
percussoribus auro pensatum est.
10
146
minacciando egli l' interdizione dell' acqua
e del fuoco a quegli che non consentivano ;
nondimeno fu uno tra quegli, che volle
più tosto andare in esilio. Adunque poiché
Metello fu fuggito , essendo percossi tutti
i nobili, avendo quello già signore regnato
tre anni, era pervenuto a tanta matteria,
ch'egli turbava i comizii de' consoli, a-
vendo di nuovo morto alcuno per fare
consolo Glaucia, esegui tore del suo furore ;
e comandò che fossi morto Caio Meni mio,
il quale concorreva con quello, e in quello
tumulto s' allegrò essere chiamato re dai
suoi famigli. Allora lo Senato tenendo
trattato , e Mario sendo consolo e a lui
nemico, per non poterlo più difendere nella
piazza venneno le schiere; onde cacciato
di quel luogo, ridussesi in Campodoglio;
ma essendovi quello assediato, domandò
per ambasciadori perdonanza al Senato, e
partendosi di Campidoglio con gli caporali
della setta , fu ricevuto nella corte. In
quello luogo, correndo il popolo, fu am-
mazzato con le pietre e con i bastoni,
perfino che tutto lo copersono con quelle.
147
La discordia di Draso.
Ultimamente Livio Druso non solamente
con la forza del tribunale, ma eziandio
con r autorità del senato e di consenti-
mento di tutta Italia, si sforzò d' approvare
quelle leggi ; e cercando una cosa d' un' al-
tra, scoperse tanto fuoco, che non si poteva
comportare la prima fiamma di quello, e
morto subito, lasciò a quegli che rimasono
una guerra ereditaria. Per la legge judi-
ciaria i Gracchi avevano diviso il popolo
di Roma, e avevano ad una città fatto
due capi (1). I cavalieri romani erano
fortificati di tanta autorità, che avendo in
mano la fortuna e le ricchezze dei prin-
cipi, prese le gabelle, per sua autoritade
movevano la ripublica. Lo Senato, indebo-
lito per lo esilio di Metello e per la dan-
nazione di Rutilio, aveva perduto ogni
onore di sua maestà; e stando così le cose,
essendo pari di possanza d' animo e di di-
gnità (onde era venuta audacia a Livio
Druso), Servilio Cepione difendeva V ordine
(2) Il testo Ialino: et bicipitem ex una fecerant
civitatem, cioè d' una città n' avean fatto due.
148
equestre, e Livio Druso il senato. Già
erano presenti le insegne, le aquile e le
bandiere; poi in una città si era cosi in di-
scordia, come in due osti. Cepione in prima
assali il Senato, e disse che Scauro e Fi-
lippo, principi de' nobili, erano cupidi di
signoria. Druso per risistere a quegli mo-
vimenti, chiamò a sé il popolo per le leggi
de' Gracchi, e accostò i compagni al popolo
per speranza di signoria; ed era la sua
voce non avere lasciato alcuna cosa a do-
nare, salvo se alcuno volessi partire lo
fango 0 il cielo. Era già il di che si do-
veva promulgare le leggi, e subito da ogni
parte appareva tanta moltitudine d'uomini,
che pareva che sopravenuti i nimici, Roma
fossi assediata; nondimeno Filippo con-
solo ardì contradire quelle leggi, ma un
banditore lo pigliò nella gola, e non lo
lasciò infìno che non gli fece uscire lo
sangue per gli occhi e per la bocca. Cosi
per forza le leggi fumo promulgate e con-
fermate; e subito i compagni domandorono
il pregio di sua fatica, e in quel mezzo
la presta morte spacciò Druso, debile e
dolente delle cose mosse stoltamente, es-
sendo egli in si fatto pericolo; ma i com-
pagni non lasciarono per quello di doraan-
149
dare con le arme al popolo le cose, che
a quelli aveva promesso Di-uso.
La guerra con gli collegati.
La guerra de' compagni ( bene che sieno
chiamati cosi, perchè sia avuta meno in
odio)j se noi vogliamo nondimeno dire il
vero, fu guerra civile, perchè il popolo di
Roma era mescolato di Toscani e di Latini
e di Sabini, e di tutti fece un sangue e di
tutte le membra un corpo, e di tutti è
uno; e non si rubellavano con minori mali
i compagni dentro da Italia, che i cittadini
dentro da Roma.
Adunque domandando i Toscani collegati
giustissimamente la cittadinanza, eh' eglino
avevano accresciuta di possanza, alla quale
speranza gli aveva dirizzato Druso per la
cupidità che quegli aveva di signoreggiare,
poscia che quegli era morto nel peccato della
sua patria (1), quella facella che accese lui,
accese i compagni a pigliare arme e a volere
vincere Roma. E che cosa fu di più tristizia.
(1) // testo latino: postquam ilio domestico sce-
lere oppressus est, poiché Druso rimase oppresso
dalia perfidia de' suoi domestici.
150
che quella peste ? E che cosa fu di più mise-
ria, levandosi centra Roma sua madre tutti
i Latini, la Marca Toscana e tutta Campa-
gna e ultimamente tutta Italia , avendo
tutti i collegati tutta sua possanza e fedeltà
ciascuno sotto suoi segni? Popedio teneva
i Marsi, e i Latini Afranio; teneva gli
Umbri tutto lo Senato e i consoli, teneva
Sannio e Lucania Telesino; e non poten-
dosi reggere il popolo di Roma, rettore
dei re e delle genti, andavano quegli da
Corfinia contro Roma, vincitrice d' Asia e
d' Uropia.
Lo primo consiglio della guerra fu in
monte Albano, ciò è che fu il di della festa
delle ferie latine che fu risoluto di far
morire lulio Ceserò e Marzio Filippo con-
soli, mentre facessino sacrificio; e poiché
fue manifestato quello male per lo agurio,
lo furore cominciò ad Ascoli , dove fumo
morti gli ambasciadori di Roma, i quali al-
lora erano presenti tra la moltitudine in sui
giuochi ; e quello fu uno consecrare di cru-
del guerra. Poi da ogni parte di Italia
discorrendo Popedio autore e capitano della
.guerra, fumo uditi sonare diversi suoni per
le cittade e per gli popoli, e non fece tanti
mali Annibale né Pirro. Ecco che fu combat-
151
tuto Ocricolo; Grumento e Fiesole, Carseoli,
Rieti, Nocera e Picenzia furno aperte e gua-
ste con ferro e con fuoco. Fu sconfitta la
gente di Rutilio, fu sconfitta la gente di Ce-
pione, e Giulio Ceserò avendo perduto l'oste,
ed egli essendo riputato morto, con misera-
bile sepoltura fecesi andare incontro mezza
Roma. Ma la gran fortuna del popolo di
Roma, sempre maggiore nelle avversitade,
levossi nuovamente con tutte forze, e assali
que' popoli ad uno ad uno: Cato spacciò
e Toscani, Gabinio i Marsi, Carbone i
Lucani, Siila i Sanniti, e Pompeo Strabo,
guastando ogni cosa con fuoco e con ferro,
non puose fine a 1' uccisione, infino che
egli non guastò Ascoli, e eh' egli non fece
sacrificio alle anime di tanti osti e di tanti
consoli e di tante guaste cittadi.
La guerra con gii Servi.
In ogni modo come che fossi combattuto
con gli compagni, almeno era la discordia
con gente libere e nobili. Ma chi porta
pazientemente la guerra de' servi contra
il popolo signore del mondo ? Primamente
la guerra de' servi fu nel principio in
Roma , essendo capo Erdonio Sabino, e
152
combatterono in Roma quando essendo Ro-
ma occupata per le discordie de' tribuni,
Campodoglio fu assediato e fu preso per
lo consolo ; ma questo fu più tosto tumulto
che guerra. Poi presa signoria per diverse
parti del mondo, chi crederebbe che Cicilia
fossi molto più guasta per la guerra de'
servi e con molto più sangue, che per la
guerra degli Africani ?
Erano i terreni fruttevoli di biade, e la
provincia, quasi ne' barchi di Roma, era
occupata ampiamente da' campi de' citta-
dini romani, ed in quella erano tenuti a
lavorare la terra per grande quantitade
servi, presi con le ferule e legati con ca-
tene; e questi diedono cagione alla guerra.
Uno di Soria, chiamato per nome Euno, il
quale mi fa ricordare la grandezza de' mali,
infingendosi essere furioso , scrollando la
testa innanzi alla dea di Soria (1), stimolò i
servi a libertà ed a pigliare arme, quasi
di comandamento degli Dei; e gridando
egli che quello eh' era fatto, procedeva da
Dio, avendosi messo e tenendo in bocca
una noce piena di fuoco e di zolfo, sof-
fiando fuori lievemente una fiamma, spar-
(1) La dea Cibele, secondo alcuni commentatori.
153
geva quella tra le parole. Questo miracolo
primieramente fece un' oste di domila uo-
mini; poi rotte le catene, crescendo la
guerra, fece un'oste di più di sessanta
milia; ed era adornato d'ornamenti reali,
acciò che non mancassi alcuna cosa ai
mali, e guastava con miserabile rovina
castegli, fortezze e ville. Ancora per quella
medesima strema vergogna di guerra fu
preso il campo de' pretori, e non me sera
grave nominargli: il campo di Manilio,
di Lentulo, di Pisone, di Ipsaco. Adunque
quegli, i quali doveano essere presi per
fuggitivi, perseguivano con la battaglia i
pretori capitani che fuggivano.
Finalmente fatto capitano Perperna,^fu
fatto vendetta di quegli. Questo avendogli
sconfitti, ultimamente gli assediò presso
al monte Etna (1) con la fame, quasi con una
pestilenzia; quegli che avanzavano, menogli
presi in ceppi ed in catene, e a modo di
rubatori fegli porre in croce; e fu contento
ricevere da' servi ovazione, acciò che non
offendessi la deguità del trionfo con la de-
(1) Il testo Ialino : apud Ennam, città di Sicilia^
ora Castro Giovanni.
154
scrizione de' servi (1). Appena ancora quella
isola respirava, e subito dai servi e da uno
di Scria fue fatto mutazione ad uno Cilice.
Atenio pastore, avendo morto lo suo si-
gnore, trasse la famiglia de' servi di quello,
e die ordine a quella sotto una insegna.
Quegli vestito di porpora e eoa la bac-
chetta reale d' argento , con la fronte or-
nata a modo di re, ragunò oste non minore,
che prima aveva fatto quello furioso; e
molto più aspramente, quasi come egli ven-
dicassi quello, furiava centra le ville, le città
e i castelli , contra i signori e contra i
servi più odiosamente che contra i fuggi-
tivi; e da questo fumo sconfitti gli osti
del pretore, e fu preso il campo di Ser-
vilio ed il campo di Lucullo Ma Aquilio
seguitò r asempro di Perperna, e condusse
lo nimico ad estremità con lo suo assedio,
ed indebolita quella gente con le arme,
lievemente la disperse con la fame; e sa-
rebbonsi arrenduti, se non che per paura
de' tormenti uccisonsi volontariamente, e
non si potè fare vendetta del capitano, ben
(1) Vuol dir qui Floro, che Perpenna appa-
gassi dell' ovazione per non diminuire la dignità
del trionfo, col titolo d' una guerra contro schiavi.
155
eh' egli fossi pi'eso, perchè contendendo la
moltitudine pigliare quello, egli già pri-
gione fu tagliato tra le mani di quegli
che '1 volevano (1).
La guerra con Spartaco.
Porta pazientemente la vergogna della
guerra de' servi, perchè eglino in ogni
cosa sono odiosi per fortuna, e nondime-
no perchè sono uomini quasi di seconda
schiatta , abbiamgli ne' beni di nostra
libertà. Ma io non so con che nome io
chiami la guerra mossa, essendo Spartaco
capitano, poiché sendo estati i servi cava-
lieri e i gladiatori signori, e quegli sieno
uomini di menoma condizione, e questi di
pessima, aggiungono miseria alla schernia.
Spartaco, Griso, Enomao, rotto il giuoco
di Lentulo, con trenta e più compagni di
sua condizione si partirono da Capoa, e
chiamati servi a sua insegna, ragunaronsi
subito dieci milia uomini e più, e non con-
tenti solamente essere fuggiti, già si vole-
vano vendicare. Prima gli piacque ridursi
(1) Fu dilaniato da coloro che se lo contrasla-
vano : inter rixautium raanus praeda lacerata est.
156
a Vesuvio monte, come ad uno tempio; e
sendo assediati da Clodio Glabrione, asso-
garsi per la scesa del cavo monte con
seghe di vite appiè del monte, e discesi a
basso, pigliarono il campo del capitano con
subito furore, non pensando egli si fatta
cosa, e da poi 1' altro campo, e poi discor-
sono a Cora e per tutta Campagna ; e non
contenti di guastare le ville e i borghi,
rubarono con terribile disfazione Nola ,
Nocera, Turio e Metaponto.
Traendo gente ogni di a quegli, e già
essendo grande oste, eglino che prima
avevano scudi di vimini e di scorze, face-
vano espade ed arme del ferro delle sue
catene; ed acciò che non mancassi alcuna
vergogna a quello giusto oste, domavano
le bestie che eglino pigliavano, per fare
cavalieri; e tolte le insegne di quegli che
eglino rubavano, portavanle al capitano,
e quello diventato di soldato di Tarzia
cavaliere fuggitivo ; poi rubatore ; poi levato
in onore di fortezza, gladiatore, faceva sep-
pellire i corpi de' capitani morti nella
battaglia con degnitade d' imperadore, ed
intorno alla sepoltura faceva combattere
con le arme quegli che erano prigioni,
quasi com' egli volessi chiaramente purgare
157
ogni sua passata viltà, diventando egli di
gladiatore donatore. Poi assaliti i consoli,
sconfisse l'oste di Lentulo in Apennino,
e appresso di Modena sconfisse 1' oste e '1
campo di Gaio Cassio ; per le quali vettorie
insuperbito, diiiberava assalire la città, la
qual cosa basta a nostra vergogna.
Finalmente con tutta la forza dello im-
pei'io fu proceduto contra Mirmillone (1), e
Licinio Crasso purgò la vergogna, e gli
nimici fuggirno nella strema parte d' Italia.
In quel luogo serrati in uno cantone di
Bruzzi, apparecchiandosi eglino a fuggire
in Cicilia, non avendo navigli, provarno
indarno fare navi con vasselli e graticci
nello correntissirao mare. Finalmente usciti
fuori , morirono come si conveniva a va-
lenti uomini, e combatterono sanza scam-
biarsi, la qual cosa convenne, perchè com-
batterno sotto uno gladiatore. Spartaco
nella prima eschiera combattendo arditis-
simamente come capitano , fu morto.
(1) Il titolo di Mirmillone è dato qui per anto-
nomasia a Spartaco, per indicarlo gladiatore.
158
La guerra civile di Mario e di Siila.
Questo solo male mancava al popolo di
Roma, che già intra sé in casa surgessi la
guerra della patria, e in mezzo Roma e
in mezzo la piazza, quasi come nella rena
a modo di gladiatori, combattessino cittadi-
no con cittadino. Con più paziente animo
portare', come che fossi fatto, se fossino
stati capitani del popolo, o, essendo nobili,
fossero stati almeno di bassa condizione
a far via alle crudeltadi. Ma che peccato fu
quello, che si fatti uomini e sì fatti capitani,
onore ed ornamento del suo tempo, Mario
e Siila, dessino la sua degnità a pessima
opera! Ed acciò ch'io dica, cosi fu lo
movimento per tre constellazioni: prima-
mente con leggiero e piccolo tumulto, e
minore che non fu la guerra, tra quegli
capitani del movimento non procedendo a
crudeltà (1); poi fu più aspro e più san-
guinoso, furiando la vettoria per le inte-
riori di tutto lo Senato; l'ultimo non so-
(1) Il testo: intra ipsos armorum duces subsi-
stente saevitia, ossia non estendendosi fuori de' capi
le crudeltà che vi si commisero.
159
lamente eccedè le animosità della guerra
civile, ma passò la rabbia de' nimici; e
traendo a quello il furore delle arme con
la possanza di tutta Italia, procede con gli
crudeli odii infino che non trovarono più
ch'egli uccidessino.
Cominciamento e cagione della guerra
fu la insaziabile fame degli onori di Mario,
promovendo egli la legge Sulpizia mentre
la provincia era data a Siila. Ma Siila
incontanente, impaziente della ingiuria,
apparecchiò le legioni, ed indugiato i fatti
di Mitridate, condusse dentro da Roma due
schiere per la porta Esquilia e per la porta
Collina; onde facendo risistenzia delibera-
tamente con la sua gente Sulpicio e Albino-
vano, gittando da ogni parte delle case
pali, sassi e lancie, quello si fece via con
fuoco, e montò quasi per forza in Campo-
doglio, il quale era campato dagli Africani
ed eziandio dai Galli Senoni; poi per di-
creto del Senato fatto vendetta degli av-
versarli e de' nimici, fu proceduto crudel-
mente di ragione contila lo presente tribuno
e contra gli altri di diversa setta. Mario
capo fuggi in abito di servo, anzi fu ri-
serbato dalla fortuna all' altra guerra.
Poi nel consolato di C. Cornelio Cinna
160
e Gneo Ottavio , il fuoco male spento si
riaccese per la discordia di quegli, rimet-
tendo al popolo di ritornare quegli, i quali
il Senato aveva pronunziato nimici. Es-
sendo armato il consiglio, ma vincendo
quegli, ai quali pareva meglio la pace e lo
riposo, Cinna fuggi della sua patria alle
parti; poi Mario tornò d'Africa con mag-
giore peste, perchè la prigione, le catene,
la fuga e lo esigilo avevano fatta orribile
la sua degnità. Adunque per la nominanza
di tanto uomo ampiamente corse la gente
ad arme. Oh che mal fu! Egli armava i
servi e i prigioni, e lo misero rubatore
lievemente trovò oste. Adunque tornando
per forza, onde per forza era stato cacciato,
e' potia parere eh' egli procedessi di ra-
gione, s' egli non avessi corrotto il suo
piato colla crudeltà.
Ma tornato quello odioso agli Dei e agli
uomini, subito nel primo furore prese 0-
stia, serva e madre di Roma, con crudele
uccisione ; poi entrò in Roma con quattro
schiere, e avevano partita la gente Cinna
e Mario, Carbone e Sertorio. Allora come
fu cacciata di lanicolo tutta la gente di
Ottavio, subito dato il segno, fu usato più
crudeltà in Roma con la uccisione de'
161
principi, che non era stato nelle terre degli
Africani o de' Cimbri. La testa d' Ottavio
consolo fu posta nel consìglio , quella d'
Antonio, dell' ordine de' consoli, fu posta
nella mensa di Mario; Cinna uccise due
Crassi padre e figliuolo, 1' uno in cospetto
dell'altro, nelle case di quegli (1); Bebio e
Numitorio fumo strascinati con uncini per
mezzo la piazza; Catulo si campò dalle
schernie de' nimici , mangiando il fuoco;
Merula sacerdote in Campodoglio bagnò
gli occhi di Giove con lo sangue delle sue
vene; Ancario fu tagliato in cospetto di
Mario, perchè non aveva porto quella for-
tunata mano, salutando lui Mario. Tutte
queste uccisione fumo fatte dal Senato
nel settimo consolato di Mario, da calendi
di gennaio infino agli tredici di di quello ;
ma che avrebbe egli fatto , se fossi vivuto
tutto r anno ?
Nel consolato di Scipione e Norbano,
tornò lo terzo furore della civile insania,
(1) Qui il traduttore sconvolse il testo, ove si
legge : Caesares a Fimbria in penatibus domorum
suarum trucidantur; Crassi pater et filius in mutuo
alter alterius conspectu ; Catulo poi si affogò col
fuoco: Calulus se ignis haustu ludibrio hostium
exemit.
11
162
perchè stando da una parte otto legioni
e dall' altra cinquecento coorti annate,
e dall' una parte Siila tornando d' Asia
con lo vettorioso oste , e Mario sendo
stato si crudele contra la parte di Siila,
quanta crudeltà era bisogno, acciò che
Siila si vendicassi di Mario? Primamente
fumo alle mani appresso Capua e al fiume
Volturno, e subito fu sconfitto l' oste di
Nerbano; e subito mostrando speranza di
pace, tutto r oste di Scipione fu vinto.
Allora Mario giovane e Carbone consoli,
quasi disperandosi della vettoria, acciò che
non perissino sanza vendetta, sacrificavano
a sé lo non toccato sangue del Senato (1);
ed avendo assediata la corte, traevano fuori
quegli che eglino uccidevano, come d'una
prigione; e molti n'erano morti in piazza
e in palazzo e negli aperti tempii. Quinto
Muzio Scevola, sacerdote di Vesta, non era
seppellito solamente di quel fuoco; Lam-
ponio e Telesino, capitani de' Sanniti, ru-
bando, guastando Campagna e Toscana
con più crudeltà che Pirro e Annibale, e
(1) Intendasi che Mario e Carbone, disperando
della vittoria, per non morire invendicati, preven-
nero le proprie esequie, cui celebrarono coli' effu-
sione del sangue dei Senatori.
163
sotto specie delle parte facevano sua ven-
detta. Appresso Sacri poi-to e la porta Col-
lina fu sconfitta tutta la gente de'ninoici;
in quel luogo fu vinto Mario, e in questo
Telesino, e non ebbe perciò fine alla uc-
cisione quando fu fine alla guerra, perchè
ancora fumo adoperate le spade in tempo
di pace, e fu proveduto contra quegli, che
s' erano volontariamente arrenduti. Fu il
meno che appresso Sacriporto e la porta
Collina Siila uccise settanta mila uomini e
più, ed era allora guerra; ma comandò che
fossino morti quattro milia cittadini disar-
mati, i quali s'erano arrenduti nella villa
pubblica. Ma chi potrà annoverare quegli,
che in Roma in ogni luogo uccise chiun-
que volle, infino che Furfidio giovane disse
che si doveva lasciare vivi alcuni, acciò
che eglino avessino chi signoreggiare ; e fu
proposta quella grande tavola del fiore de'
cavalieri e del senato, dove erano eletti do-
milia che dovevano morire, ed era coman-
damento di nuova maniera.
Dopo questo mi pesa raccontare essere
fatta schernia di Carbone, di Sorano pretore
e di Venuleio; Bebio sanza ferro essere e-
stracciato tra le mani degli squarciatori ;
Mario, fratello del grande Mario, innanzi la
164
sepoltura di Catulo, poi che ebbe tagliato
le mani e i piedi e cavato gli occhi, essere
serbato per alcuni dì, acciò eh' egli morissi
di membro in membro. E poste già le
pene di ciascuno uomo (1), particolarmente
le nobili terre d' Italia fumo vendute allo
incanto: Spoleto, Interamno (2), Penestre e
Firenze. Sormona, antica terra, compagna
e amica, non essendo ancora vinta (che
fu indegno fatto), come stadigi e per modo
di dannati a morte, fumo comandati che
fossiiio menati ; e cosi Siila comandò che
quella dannata città fossi guasta.
La guerra dì Sertorio.
La guerra di Sertorio non fu altra cosa,
che la eredità della proscrizione di Siila,
e non so s' io dica più tosto de' nimici ,
che de' cittadini ; per certo questo, che i
Celtiberi e i Lusitani 1' avevano fatta sotto
capitano romano. Quello uomo, cacciato
e posto in la mortale tavola, uomo di
somma, ma di misera fortezza, mescolò cogli
(1) Il testo: Positis singulorum hominum fere
poenis, poiché ogni uomo fu tormentalo con crudeli
uccisioni, ecc.
(2) Teramo.
165
suoi mali il mare e la terra ; e già avendo
provato la fortuna d'Africa, e già delle
Isole Baleariche entrato nel mare Ociano,
passò alle Isole Fortunate, e finalmente
ragunò gente d' arme in Ispagna. Lieve-
mente s' accorda valentre uomo con gli
valentri uomini; e non apparve meglio altra
volta lo valore de' cavalieri spagnuoli, che
sotto lo capitano romano, e perchè quello
non si contentò di Spagna, guardò a Mi-
tridate ed a quegli da Ponto, e ajutò quello
re con sue navi; e segui che non potè risi-
stere sufficientemente la parte de' Romani
a sì grande nimico con uno capitano, anzi
fo aggiunto a Metello Gneo Pompeio. Que-
gli per lungo espazio e sempre con pericolo
vinsono le genti di quello valentro uomo ,
e non ebbe fine la guerra, infino che egli
non fu morto per crudeltà e per tradi-
mento de' suoi. La sua gente fu perseguita
per lungo espazio quasi per tutta Ispagna,
e fu domata sempre con dubbiose battaglie.
Le prime battaglie fumo fatte per legati,
da una parte corseggiando Comizio e Torio,
dall' altra pai'te gli Erculei; poi essendo
vinti questi presso Segovia, e quegli presso
Ania fiume, quegli capitani appressati cora-
batterno con uguale sconfitta appresso il
166
Laurone e appresso il Sucrone. Allora que-
gli si convertirono a guastare le ville e le
campagne, e questi a guastare le cittadi ; e
la misera Ispagna sosteneva pena delle di-
scordie tra i capitani romani , infino che
Sertorio fu morto per tradimento de' suoi,
e Perperna fu vinto e arrendessi, e le città
vennono a signoria de' Romani, come fu
Osca, Terme, Tuzio, Valenzia, Ausima e
Calagure, che ogni cosa provò colla fame.
E così ricevuta Ispagna, i capitani vinci-
tori volsono che quella guerra fossi stata
con estranii e non con gli suoi, acciò che
egli ricevessino lo trionfo.
La guerra civile con Lepido.
Essendo consoli Marco Lepido e Quinto
Catulo, la civile guerra quasi fu finita più
tosto che cominciò; ma molto e ampia-
mente arse la facella di quel movimento
per la morte di Siila, perchè sendo Lepido
per superbia cupido di novitade, apparec-
chiò guastare le cose fatte per sì grande
uomo. E non era sanza cagione, se egli
avessi potuto sanza grande peste della ri-
publica, perchè avendo Siila dittatore per
ragione di guerra proscritti i nionici, ri-
tornando Lepido, quegli eh' erano campati.
167
a che altra cosa erano quegli tornati, che
a guerra ? Ed avendo Siila confiscati i beni
dei cittadini, bene che fossino male usur-
pati, essendo ridomandati di ragione, non-
dimeno facevano movimento nella quie-
tata città. Adunque era di bisogno alla
ripublica inferma e quasi fedita per ogni
modo riposarsi, acciò che le sue piaghe
non s'aprissino, essendo medicate; ed a-
vendo Lepido con torbidi portamenti im-
paurita Roma quasi come con una trom-
betta, andando in Toscana, aveva condutto
di quella gente, e fatto oste presso a Roma.
Ma già Lutazio Catulo e Gneo Pompeio,
capitani e gonfalonieri sotto la signoria di
Siila, con uno altro oste avevano preso lo
ponte sublizio e '1 monte Icuiicolo; e da
quegli subito nel primo furore fu cacciato
indietro Lepido, e fu giudicato nimico del
Senato, e sanza effusione di sangue fuggi
in Toscana e di quella in Sardigna, ed in
quel luogo mori d'infermità e di dolore.
I vincitori, non procedendo furiosamente
più innanzi con la guerra, fumo contenti
rimanere in pace.
Compie qui lo terzo libro della sommaria
abbreviatura di Lucio Floro; comincia lo
quarto.
LIBRO IV.
La congiara di Catelina
Lo disordinato spendere primamente, poi
la povertà delle cose necessarie per sua
famiglia, ed ancora il destro, perchè la
gente de' Romani era nelle streme parte
del mondo, indussono Catelina in perversi
consigli di guastare la sua patria, uccidere
Io Senato, tagliare i consoli, mettere fuoco
in Roma, rubare Io erario, e finalmente
volgere sottosopra tutta la republìca, e con
gli compagni fare quello che Annibale
non parve disiderare. Egli stesso era pa-
trizio; ma questo è meno: i Curii, i Porzii,
i Siili, i Cetegi, gli Antonii, i Varguntei
e i Longini che famiglie! Che insegne del
Senato! In ispecialità Lentulo era allora
pretore, e tutti questi ebbe fautori allo
crudelissimo peccato. Fu aggiunto per fer-
169
mezza della congiurazione crudelissima il
sangue umano, il quale portato intorno
nelle coppe eglino bevvono ; e sarebbe e-
stremo peccato, se non fossi piii quello
per che egli era bevuto.
Era compiuto il fatto di si bello imperio
per quella congiurazione, se non fossi
estata nel consolato di Tullio e d'Antonio,
de' quali 1' uno trovò il fatto per sua indu-
sti'ia, r altro spacciò con le mani, e fu
trovato quello escellerato fatto per Fulvia,
vilissima puttana; ma ella fu innocente a
manifestare nominatamente i guastatori
della patria. Allora il consolo Tullio, ra-
gunato il Senato, fece una orazione contra
lo presente guastatore della patria, ma non
fu fatto più innanzi ; se non che lo nimico
fuggì, ed egli minacciò che spegnerebbe
lo suo fuoco con la rovina. Egli andò
in Toscana all'oste apparecchiato ed a Man-
lio, per muovere le sue insegne contra
Roma. Lentulo, indovinando che la signoria
verrebbe a lui, essendo diputata alla sua
famiglia per gli versi della Sibilla, nel di-
terminato dì da Catelina per tutta Roma
dispose uomini, fuoco e arme; e non con-
tento del trattato civile, sollecitò ad arme
ambasciadori allobrogi, i quali allora erano
170
a Roma a caso, e sarebbe andato lo ro-
more oltre le Alpi, se non fossino state te-
nute le lettere del pretore con uno altro
tradimento di Vulturcio; ma subito per
comandamento di Cicerone quegli barberi
fumo presi, e '1 pretore palesemente fu
convinto nel Senato. Di punire il peccato.
Ceserò diceva che fossi perdonato alla de-
gnità; Cato diterminava che fossi punito,
la quale oppenione seguendo ogn'uomo,
i guastatori della patria fumo strangolati
in prigione.
Bene che in pai'te la congiurazione fossi
spenta, Catelina non cessò dalla impresa,
ma tornando di Toscana inverso la patria
con le odiose insegne, fu sconfitto da
r oste d' Antonio , che gli andava incon-
tro; e come fossi combattuto aspramente,
il fine lo mostrò: non campò alcuno de'ni-
mici dopo la battaglia, e in quel luogo, do-
ve ciascuno aveva cominciato a combattere,
in quello rimase morto. Catelina fu tro-
vato lungi dai suoi tra i corpi de' nimici,
e ben fu bellissima la sua morte, s' egli
fossi perito per la patria.
La gn^iorra civile di Ceserò e di Pompeo.
Pacificato già quasi tutto il mondo, la
signoria era sì grande, che non si poteva
171
vincere con alcuna strania potenzia. Adun-
que la invidiosa fortuna centra lo popolo
signore delle genti armò quello medesimo
a sua morte, e la rabbia di Mario e di
Cinna era serrata dentro da Roma, quasi
come se volessi provare; e nondimeno la
tempesta di Siila era scoppiata tanto più
ampiamente dentro da Italia, ma lo furore
di Ceserò e di Pompeo pigliò Roma, Italia,
le nazioni e finalmente da ogni parte che
è patente lo imperio, quasi come uno di-
luvio e come una fiamma, in tanto che non
solamente sia detto quella essei'e stata ci-
vile guerra, né sociale, né eziandio con
forestieri, ma più tosto di tutti questi una
guerra comune e più civile. Perchè se tu
guardi ai capitani di quella guerra, tutto
lo Senato era nelle parti; se guardi all'o-
ste, da una parte erano undici legioni,
dall'altra diciotto: era il fiore e la pos-
sanza di tutte le nobilita di Italia; se gli
aiutorii degli amici, da una parte era le
cerne di Gallia e di Germania, dall' altra
Deiotaro, Ariobarzane, Tarcondimoto, Coti
e la possanza di tutta Tarcia, di Cap-
padocia, di Cilicia, di Macedonia e di
Grecia e di Etolia e di tutto 1' oriente. Se
guardi al tempo, durò quattro anni , e fu
172
piccolo espazio a rispetto al danno delle
sconfitte; se guardi allo luogo e allo spazio
dove fu la guerra, fu dentro da Italia, e
poi si volse in Gallia e in Ispagna, e tor-
nato da ponente, con tutto sforzo si ridusse
in Epiro e in Tessaglia; poi passò subito
in Egitto, poi si volse verso Asia, saltò
in Africa e ultimamente die volta in Ispa-
gna, e in quel luogo per alcuno spazio
finì. Ma r odio delle parti non fini con la
guerra, perchè non fecioao fine, infino che
a Roma in mezzo del Senato 1' odio de'
vinti non si saziò conia morte del vincitore.
La cagione di si grande miseria fu quella
che è tra tutti , la troppa felicità, perchè
sendo consoli Quinto Metello e Lucio A-
franio, essendo chiara per tutto il mondo
la majestà de' Romani, e cantando e Ro-
mani nei palagi di Pompeo le nuove vet-
torie di Ponto e d' Arminia e i trionfi di
quello, la troppa potenzia di Pompeo presso
gli oziosi cittadini, secondo che suole, mosse
invidia. Metello e Cato mormoravano contro
a Pompeo e contra le cose fatte da lui:
quello per lo vetato trionfo di Greti, e
questo perchè sempre fu contrario verso
e potenti uomini ; e questo dolore lo menò
per traverso, e stimolò quello a pigliare
173
difesa alla sua degnità. A caso in quello
tempo Crasso era in grande fiore per na-
zione e per ricchezza e per degnità, ed
ancora egli voleva più possanza; ed ecco
Giulio Ceserò, il quale era già alzato per
loquenza d'animo e per lo consolato, e
nondimeno Pompeo avanzava ciascuno di
quegli. Adunque Ceserò disiderando d' ac-
quistare degnità. Crasso per accrescerla,
Pompeo per conservarla, tutti ugualmente
sendo cupidi di potenzia, accordaronsi lie-
vemente d' assalire la ripublica. Adunque
aiutando V uno 1' altro, ciascuno si sforzava
a suo onore, e cosi Ceserò andò in Gallia.
Crasso in Asia, a Pompeo toccò la Spagna,
ed erano tre grandissimi osti; e così la
signoria del mondo fu occupata per la
compagnia di tre principi.
Durò questa compagnia per ispazio di
dieci anni. Poi perchè 1' uno aveva paura
dell' altro, per la morte di Crasso appresso
i Parti, e per la morte di Giulia, figliuola di
Ceserò e moglie di Pompeo, la quale teneva
in concordia il genero e '1 suocero per lo
legame del matrimonio, subito la invidia se
manifestò, e già Pompeo aveva sospetto
della potenzia di Ceserò, e a Ceserò era grave
la degnitade di Pompeo, e questo non so-
174
steneva avere pari, né quello avere magiore.
Ed era cosa scellerata che eglino s' affati-
cavano per la signoria, come la fortuna di
sì grande imperio non bastassi a due.
Adunque sendo consoli Lentulo e Mar-
cello, fu rotta la fé della prima congiura-
zione, e della successione di Ceserò, il
Senato, cioè Pompeo, pensava, e quello non
lo negava, se fossi esaminata la sua ragione
ne' prossimi comizii. Il suo consolato, il
quale per favore di Pompeo dieci tribuni
avevano diliberato, poi infingendosi quegli,
eragli negato; ed era detto che egli tor-
nassi , e domandasselo secondo V usanza
degli antichi. Quello per contra domandava
il dicreto, e se eglino stessine nel propo-
sito, non lascierebbe l'oste. Adunque fu
proceduto contra lui come contra lo nimico.
Per queste cose Ceserò stimolato diliberò di
difendere lo premio delle arme con le arme.
Lo primo campo della civile guerra fu
in Italia , nelle cui fortezze era Pompeo
con lievi guarnimenti; e subito nel primo
assalto di Ceserò fu vinta ogni cosa. I
primi suoni di sue insegne fumo a Rimini,
e allora fumo cacciati di Toscana Libone,
Termo di Umbria, Domizio da Corfinio,
ed era compiuta la guerra sanza sangue,
175
s' egli avessi potuto vincere Pompeo a
Brandizio, e aveva cominciato ; ma quegli
fuggi per le serraglie di notte dell' asse-
diato porto. Ed è brutta cosa a dire: quello
che poco innanzi era principo del Senato
e governatore di guerra e di pace, fuggiva
per lo mare, del quale egli aveva trionfato,
in una nave mezzo rotta e quasi mezza
disarmata. E non fuggì più tosto Pompeo
di Italia, che '1 Senato di Roma ; ed entrato
Ceserò in Roma quasi vuota, fece consolo
sé medesimo. Il santo erario, il quale i
tribuni non aprivano, e' tosto comandò che
fossi rotto, e prima tolse per rapina lo
trebuto e lo patrimonio del popolo di
Roma, che lo 'mperio. Cacciato e messo in
fuga Pompeo, volle Ceserò in prima ordi-
nare le Provincie, che seguire quello. Tolse
Sardigna e Cicilia per suoi legati per fer-
mezza d' avere della biada. Non era al-
cuna parte in guerra. Egli aveva pacificato
la Gallia (1), e passando egli in Ispagna
air oste di Pompeo , quegli da Marsiglia
ardirono serrargli le porte, e quegli miseri
per paura di guerra, disiderando pace,
s' abbatterono alla guerra ; ma perchè eli' e-
(1) Il testo latino ì Nihil hostile erat in Gallia;
pacem ipse fecerat.
176
ra forte di mura, comandò, partendosi, che
ella fossi vinta, e quella greca città non
per dilicanza di suo nome ardì rompere i
dificii e ardere i mangani e venire alle
mani in battaglia navale; ma Bruto, al
quale era commessa la guerra, domò quegli
vinti in mare e in terra. Poi arrenduti
quegli, fugli tolta ogni cosa, salvo la li-
bertà, la quale eglino riputavano migliore
di tutte le cose.
In Ispagna fu dubbiosa e varia guerra
con gli legati di Gneo Pompalo, Petreio e
Afranio, i quali avendo il campo ad Ilerda
presso il fiume Sicoris, egli cercò assediare e
partirgli dalla terra. In quel mezzo soprave-
nendo la fiumana del tempo del verno (I),
non aveva vettuvaglia, e così lo suo campo
fu tentato dalla fame, ed egli eh' assediava,
quasi era assediato. Ma poi che' 1 fiume
ebbe pace, scoperse le campagne a poter
correre e combattere. In quel mezzo egli
aspro persevei'ò, e partendosi quegli per
andare in Celtiberia, seguigli e assediogli
con una fossa e con uno steccato, e per
questo per la sete costrinsegli a l'endersi;
(1) Il testo: Interim obundatione verni flumìnis
commeatibus proliibetur.
177
cosi la Spagna di qua s' arrendè, e quella
di là non fece indugia, perchè che poteva
fare una legione, essendone vinte cinque?
Adunque volontariamente arrendendosi Var-
rone. Gade, il mare, lo Odiano, ogni
cosa seguiva la felicità di Ceserò. Non-
dimeno r avversa fortuna ardì alcuna cosa
contra lo assente capitano in Ischiavonia
e in Africa, quasi come a studio, acciò
che le sue prosperitade fossino splendiente
per le avversitade; perchè sendo mandati
Antonio e Dolabella a pigliare la entrata
del mare Adriatico, e Antonio avendo posto
il campo dalla parte di Schiavonia, e l'altro
dalla parte di Italia, e tenendo già Pompeo
il mare da ogni parte, subito Ottavio Li-
bone suo legato con grande moltitudine
di stromenti assediò ciascuno. Antonio
s' ari'endè per fame, e Basilio gli mandò
navi in aiutorio, com'egli per bisogno
di nave aveva fatto (1); ma i Pompe-
iani con nuova arte di corsari, messe funi
in mare, pigliarono alcune di quelle, e
nondimeno due passorno per lo corrente
del mare; ma una, nella quale era gente
(1) Il testo latino: Missae quoque a Basilo in
auxilium ejus rates, quales inopia navium fecerat.
12
178
da Ovedercio (1), rimase in sul passo, ed
ebbe fine raemoriabile a quegli che dove-
vano seguire, perchè quella brigata quasi
di mille giovani, essendo assediata da ogni
parte, da sesta sostenne la battaglia tutto
il di; e non potendo la sua prodezza fare
pruova, nondimeno, acciò che non fossino
presi, per conforto di Vulteio tribuno vol-
sonsi tra sé ed uccisono 1' uno 1' altro.
In Africa fo simile prodezza e danno
ricevuto per Curione, il quale mandato a
pigliare quella provincia, avendo egli scon-
fitto e messo in fuga Varo , già sendo
superbie (2), non potè sostenere lo subito
assalto di Giuba re e la gente di Mauri; e
sendo egli vinto, potea fuggire, ma la
vergogna lo confortò che egli seguisse con
la morte lo perduto oste per sua temerità.
E già domandandolo la fortuna, Pompeo
aveva eletto per sedia della guerra 1' Epiro.
Ceserò non indugiò, anzi ordinato ogni
cosa dopo sé, bene che '1 tempo lo vetassi,
essendo in mezzo il verno, navicò ai ni-
mici, e posto il campo presso Orico, fa-
cendo indugio parte dell' oste rimaso con
(1) Il testo: Opiterginos, que' da Oderzo.
(2) Il testo: pulso fugatoque Varo jam superbus.
179
Antonio a Brandizio per povertade di navi,
era sì impaziente, che di notte nascosa-
mente tentò andare per menai'e quegli solo
in una piccola nave, furiando il mare di
venti. Truovasi che egli disse questa parola
ad Amiclate suo nocchiere, smarrito per
sì grande pericolo: « Di che ài tu paura?
Tu porti Ceserò ».
Ragunato da ciascuna parte lo sforzo, e
posto il campo l' uno appresso l' altro, i
capitani facevano diversa diliberazione. Ce-
serò, naturalmente feroce e cupido di finire
la cosa, mostrava l'oste, attizzava lo nimico,
stimolava, assediava lo campo, il quale ave-
va circondato con uno steccato di sedici
miglia; ma non gli noceva l'assedio, avendo
egli abondanzia di tutte cose per mare, e
r assedio di Durazzo era indarno, lo quale
il sito aveva fatto inespugnabile. In quel
luogo sendo continove battaglie per uscire
fuori, apparve la nobile prodezza di Sceva
centurione, nel cui scudo erano fitte cento
venti saette. Già erano prese e guaste cit-
tade degli amici, com' era Orico e Gomfos
e altre castella di Tessaglia.
Centra queste cose Pompeio indugiava,
tiravasi addietro, acciò che egli impaurissi
il nemico chiuso da ogni parte dalla bi-
180
sogna della vettuaglia, e acciò che si ri-
freddassi lo impeto dello ardentissirao ca-
pitano; ma non durò lungamente a Pompeo
lo savio consiglio. I cavalieri biasimavano
stare in ozio, gli aiutorii biastemavano la
indugia, i principi biastemavano la cupidità
del capitano ; e così traboccando la fortuna,
fu eletta Tessaglia per la battaglia, e sui
campi di Filippi fu commessa la fortuna
dello imperio, di Roma e della umana gene-
razione. Non vide mai la fortuna in alcuno
luogo tanta possanza né tanta degnità del
popolo di Roma. Erano tra dell' una e
dell' altra parte trecento e più migliaia
d' uomini, sanza 1' aiutorio dei re e del
Senato, e non fumo mai più manifesti
segni della rovina che soprastava. Gli ani-
mali fuggirono del sacrificio, gli isciami
degli api vennono nelle insegne, del di si
fé notte; il capitano medesimo in sogno
udì baci nel suo teatro in modo di pianto,
e la mattina (che fu rio segno) fu veduto
vestito di nero. Non fu mai 1' oste di
Ceserò più pronto né più allegro ; da quella
parte dove prima sonavano gli stormenti,
prima cominciò la battaglia. Fu notata la
lancia di Crastìno, il quale cominciò la bat-
taglia, il quale poi fu trovato tra i corpi con
181
uno coltello fitto nella bocca, e per la
novità della fedita mostrava la rabbiosa
cupidità, con la quale egli aveva combat-
tuto. Non fu meno ammirabile lo fino
della battaglia, perchè abbondando Pompeo
di grande moltitudine di cavalieri, acciò
che egli paressi lievemente circondare Ce-
serò, fu circondato: perchè combattendo
egli di pari per lungo espazio, e di coman-
damento di Pompeo uscendo fuori della
schiera i cavalieri, subito dall'altra schiera
fatto segno , le coorti de' Tedeschi fe-
ciono si grande assalto contra gli sparti
cavalieri, che quegli parevano essere pedoni
e questi cavalieri; e dietro a questa rotta
de* cavalieri che fuggivano, seguì la ro-
vina de' cavalieri di lieve armadura. Allora
ampiata la paura, impacciandosi la gente
intra sé, tutta 1' altra sconfitta fu fatta
quasi come d' una schiera. Non fu alcuna
cosa più nociva che la grandezza dell' oste.
In quella battaglia valse molto Ceserò, e
fu quando capitano e quando cavalieri, e
andando egli intorno, udivasi queste boci ;
r una era sanguinosa ma di majesterio, ed
apparteneva alla vettoria, dicendo egli:
« Combattete e fedite, cavalieri, nella
faccia » ; 1' altra era posta a sua loda ,
182
dicendo egli: « Perdonate ai nostri citta-
dini », seguendogli egli.
E come che fossino fatti i mali , beato
Pompeo, se egli avessi avuta quella fortuna,
che ebbe lo suo oste; ma egli vinse più
che la sua degnità, acciò che con maggiore
vergogna fuggissi a cavallo per gli boschi
di Tessaglia, e con una barca arrivassi a
Lesbo, e arrivato ad Edris, scoglio nel di-
serto di Cilicia, esaminassi se egli volessi
fuggire in Partia o in Africa o in Egitto;
e acciò che finalmente fossi morto nel lido
d'Egitto, di comandamento d' uno vilissimo
re per consiglio degli schiavi, e acciò che
non mancassi alcuna cosa ai mali, fu
trucidato con lo coltello di Settimio, il
quale era in prima partito, e questo in
presenzia della moglie e de' figliuoli.
Ma chi non avrebbe creduto , che fossi
compiuta la guerra con Pompeo ? Ma molto
più aspro e caldo si raccese lo fuogo della
cenere dell'incendio di Tessaglia, e fu la
guerra d' Egitto contra Ceserò sanza le
parti ; perchè avendo compiuto Tolomeo ,
re d' Alessandria, lo sommo male della ci-
vile guerra, e avendo fermato concordia
e amistà con Ceserò con la testa di Pom-
peo, cercando la fortuna vendetta all' ani-
183
ma di si grande uomo, non mancò cagio-
ne. Cleopatra, sorella di quello re, inginoc-
chiata innanzi a Ceserò, domandava parte
del regno. Era quella fanciulla bella, e per-
chè ella si fatta pareva avere ricevuta in-
giuria, duplicava l'odio contro lo re, il
quale aveva morto Pompeo , non per ri-
spetto di Ceserò, ma per la fortuna delle
parti , sendo ardito sanza dubio fare quel
medesimo contra Ceserò , s' egli n' avessi
avuto destro. E come Ceserò comandò che
Cleopatra fossi ristituita nel regno, subito
fu assediato da quegli, che avevano morto
Pompeo, nel palazzo del re, dove con pic-
cola fatica sostenne grande moltitudine
con maravigliosa prodezza ; e primamente
messo fuoco ne' prossimi dificii e nelle
navi del porto, disfece Ceserò gli armati
nimici ; poi subito fuggi dalla parte di die-
tro air isola Faron , e cacciato di quella
in mare, con maravigliosa felicità notò alle
prossime navi , lasciato in suso le onde
lo mantello , o che fossi a caso , o che
fossi a studio, acciò che i nimici che so-
prastavano, gittassino in quello le lancie
e i sassi. Poi ricevuto nelle sue navi, as-
sali da ogni parte e sconfisse quella per-
fida gente , e fece giusto sacrificio all' a-
184
nima di suo genero, perchè Teodoto, au-
tore e maestro di tutta la guerra, Potino
e Ganimede, mostri non virili, fuggendo
diversamente per mare e per terra, fumo
perseguiti e morti; il corpo del re fu tro-
vato soppellito nel sabbione, onorato d'uno
corsaletto dorato.
In Asia era un nuovo movimento di cose
dalla parte di Ponto, quasi come per certo
studiosamente cercando questo la fortu-
na (1), che lo padre fossi vinto da Pompeo,
e lo figliuolo da Ceserò. Farnace re aveva
corso ia Cappadocia come nimico più per
speranza di nostra discordia, che di sua ver-
tù. Ceserò assali e sconfisse questo in una
(e ancora posso dire) non compiuta bat-
taglia come uno folgore, e in uno movi-
mento percosse e partissi. Non fu una lo-
da di Ceserò, che '1 nimico fu vinto in-
nanzi che veduto, e cosi fece con gli stra-
nii. Ma in Africa fumo le cose molto i-
stranie e più aspre con gli suoi cittadini
che in Tessaglia, ed in quel luogo aveva
mandato il mare quegli che restavano delle
(1) Il testo latino: piane quasi de industria ca-
ptante fortuna hunc Mithridatico regno exitum, ut
a Pompejo pater etc.
185
parte disperse , e non averesti detto che
fossi no state genti avanzate, anzi guerra
integra. Era una possanza stata più to-
sto sparta che sconfitta, e la sconfitta del
capitano aveva accresciuto lo sacramento,
e non erano inviliti i capitani eh' erano
socceduti, perchè assai era famoso, in luogo
di Pompeo, Cato e Scipione, ed aggiun-
sesl alla possanza Juba re di Mauritania ,
cioè perchè la vincita di Ceserò fosse mi-
gliore. Dunque non fu alcuna differenzia
di quello che fu fatto in Farsaglia e
quello che fu fatto a Tapso , se non che
r impeto della gente di Ceserò fu magio-
re, perchè fu più aspro, avendo a sdegno
che dopo Pompeo fossi cresciuta la guer-
ra , e finalmente (quello che mai non era
avvenuto, innanzi che '1 capitano lo coman-
dassi) che da sé medesimo sonò il segno.
La sconfitta cominciò da Juba: i suoi leo-
fanti non ammaestrati di battaglia , ma
pure allora venuti dalla selva, impauriti
per lo subito suono delle trombe, missono
r oste incontanente in fuga, e i capitani
peggio che in fuga, e non morirono tutti
valentremente. Scipione fuggì in nave, ma
seguendolo i nimici, egli s' uccise ; e do-
mandando alcuno dov'egli si fosse, rispose
186
egli medesimo : « Lo imperadore sta bene. »
Juba fuggito nella casa reale, andò a man-
giare magnificamente lo seguente di egli
e Petreio, con lo quale egli fuggiva: poi
che ebbe mangiato e bevuto, dissi a Pe-
treio che r uccidessi, ed egli ubbidì al re,
e uccise sé, ed in quel mezzo insanguinò
la mensa e '1 cibo , mezzo mangiato, del
■ sangue del re e del sangue romano.
Cato non fu in quella battaglia, ma po-
sto il campo appresso il fiume Bagrada,
guardava Utica come una delle serraglie
d' Africa. Ma udita la sconfitta della sua
parte , non indugiò, come degna cosa era
del savio, ed eziandio allegro cercò mo-
rire; e poi che egli ebbe abbracciato lo
figliuolo e i compagni, licenziogli, e letto
in quella notte a lume di lucerna il libro
di Plato, nel quale egli insegna l'anima es-
sere immortale, dormi un poco; poi dopo
il primo sonno ignudò il coltello e sco-
persesi lo petto con la sua mano, e fedissi
due volte; e dopo questo cercando i medici,
questi ajutoronlo con le medicine. Egli il
comportò (1), e partiti quegli, egli si
(1) Il testo: Ausi post hoc virum medici viola-
re fomentis, frase assai più significativa della
sua corrispondente in volgare, assai scorretta.
187
squarciò la piaga, della quale usci molto
sangue; le mani che già morivano, rima-
sono nella fedita.
Da capo fumo prese le armi, come
mai non fossi stato combattuto , e quanto
Africa aveva avanzato Tessaglia, Ispagna
avanzava Africa. Dava molto favore alla
parte, che i capitani erano frategli, e per
uno Pompeo erano ritrovati due Pompei.
Adunque in niuno luogo fu più aspra-
mente combattuto né con maggiore peri-
colo , e primamente combatterò Varo e
Didio legati nella entrata del mare Oceano ;
ma fu più aspra battaglia con lo mare ,
che le navi ebbono intra sé, e pure, come
r Oceano castigassi lo furore civile, da
ciascuna parte ruppe le navi e affondò.
Che paura era quella, che in uno mede-
simo tempo r onde , la tempesta , gli uo-
mini , le navi e gli armamenti delle navi
combattevano? Aggiungi ancora la paura
dello luogo, dove da l' una parte piega lo
lido di Spagna, dall' altro lo lido di Mau-
ritania, il mare che è dentro e quello che
è di fuori, al quale sovrastavano le mon-
tagne d' Ercole ; e sendo ogni cosa e da
ogni parte aspi'a per la battaglia e per la
tempesta di ciascuna parte , corsono ad
188
assediare le cittade, le quali misere porta-
vano pena dell' amistà de' Romani tra
r uno e r altro capitano.
L' ultima battaglia di tutte fu a Monda,
dove non fu la felicità come altrove, ma
fu battaglia dubiosa e trista e per lungo
espazio, in tanto che la fortuna pareva dili-
berare non so che; e per certo Ceserò mede-
simo stava innanzi alla schiera tristo e non
secondo usanza , o che egli il facessi per
rispetto della umana fragellità, o per so-
spetto della grande conti nuanza della pro-
speritade , o pel timore di quelle cose,
ch'erano avvenute a Pompeo, essendo e-
gli venuto al grado ove quello era stato.
Combattendo egli per lungo spazio, la bat-
taglia sendo pari (la qual cosa niuno si
ricordava essere stata altra volta), e non
facendo altro, se non che le parti si ta-
gliavano in mezzo dello ardore de' com-
battitori , fu fatto subito grande silenzio
da ciascuna parte, quasi come allora fos-
sino accordati i sensi di tutti. Ultima-
mente avvenne quello inusitato miracolo
agli occhi di Ceserò dopo quattordici anni,
che la provata brigata degli antichi cava-
lieri si cessò indietro ; e bene che non fug-
gissi no ancora, pareva che la vergogna più
189
tosto gli ritenessi che la vertù. Ma smonta-
to da cavallo , a modo di furioso corse nella
prima schiera , e in quel luogo rivolgeva
quegli che fuggivano, e confortavagli , e
finalmente correva per tutto l'oste con gli
occhi, con le mani e con la boce. Dicesi
che in quella turbazione in sé medesimo
e' pensò della morte, e cosi mostrò nel
volto quasi com' egli si volessi uccidere
con la sua mano; se non che cinque coorti
de' nimici passando a traverso 1' oste, pa-
revano fuggire, le quali Labieno aveva
mandato in soccorso da quella parte che
r oste piegava . Questo egli credette, ov-
vero egli scaltrito capitano disse che era
per seguirli come eglino fuggissino , e
cosi dirizzò gli animi de' suoi e impauri
quegli de' nimici, perchè i suoi, pensando
vincere, combatterno più arditamente; e
quegli di Pompeo, credendo che i suoi
fuggissino, cominciorno a fuggire.
Come fossi grande la mortalità de' ni-
mici, la ira e '1 furore dei vincitori, puossi
estimare in questo modo: quegli che fug-
givano di quella battaglia, tornati a Monda,
Ceserò subito comandò che fossino assedia-
ti,' e fece fare uno arzero (1 ) di corpi morti,
(1) Un argine di corpi morti; il testo latino:
congestis cadaveribus agger effectus est.
190
i quali erano confitti insieme con le lan-
de e con le saette , la qual cosa sarebbe
stata brutta eziandio tra i barberi; ma di-
sperandosi della vettoria i figliuoli, Gneo
fuggì della battaglia fedito nella gamba
per luoghi diserti e sanza via, il quale
Cesonio perseguì appresso Laurone castello,
e combattendo quegli perchè ancora non si
disperava, ucciselo, e in quel mezzo la fortu-
na nascose Sesto in Celtiberia, e salvollo ad
altre guerre dopo Ceserò. Ceserò vincitore
tornò nella patria. Lo primo trionfo e d'oro
diedero lo Reno e '1 Rodano e 1' Oceano,
il quale era stato vinto; V altro trionfo e
di lauro dava lo Egitto e '1 Nilo, Arsinoe
e '1 faro ardente a similitudine d' uno fuo-
co; lo terzo carro era di Farnace e di
Ponto; lo quarto di Tuba e di Mauri, e
poi mostrava la Spagna due volta som-
messa. Di Farsaglia, di Tapso e di Monda
non faceva menzione; e molto maggiori
cose erano quelle , delle quali egli non
trionfava.
Allora fu alcuno fine alla guerra; la pace
dopo tante cose fu .sanza sangue, e fu
mutata in benignità la guerra; niuno fu
morto per suo comandamento, se non A-
franio, al quale bastava avere perdonato
191
una volta, e Fausto Siila; aveva imparato
temere Siila, genero di Pompeo, e la fi-
gliuola di Pompeo e i cugini di quella, e
questo Siila era sospetto per quegli che
restavano. Adunque dai cittadini non in-
grati gli onori fumo attribuiti al solo
principe. Per gli tempii erano poste le
imagini, nel teatro una corona ornata di
raggi, alta sedia nella corte, alta sedia in
casa, nel cielo un mese(l); e a questo era
aggiunto, che egli era chiamato padre della
patria e perpetuo dittatore, ed è in dubio
se fu di sua volontà. Ultimamente Antonio
gli presentò in consiglio, sendo consolo,
gli ornamenti reali. Le quali tutte cose si
ragunavano insieme come bende d'uno ani-
male diputato a sacrificio, perchè la invidia
vinse la benignità di quel principe, ed era
grave ai liberi uomini la possanza di dare
i beneficia Non fu conceduta lungamente
la indugia ; anzi Bruto e Cassio e gli altri
patrizii s' accordarono alla morte di quello
principo. Oh come è grande la forza della
fortuna! Era ampiata la congiurazione, e
in quel medesimo dì eziandio fu fatta a
(1) Il lesto latino: mensis in coelo, cioè fu chia-
mato Julius il mese, che dapprima dicevasi Quin-
di lis.
192
Ceserò uaa scritta, e non aveva potuto
fare sacrificio con cento animali. Andò non-
dimeno alla corte sopra pensiero di man-
dare l'oste in Partia, e in quello luogo,
sedendo egli nella sua sedia, i sanatori
r assalirono e fu fatto cadere fedito di
ventitré piaghe; e così egli, il quale aveva
pieno il mondo di sangue de' cittadini,
finalmente empiè la corte del suo sangue.
La gaerra civile con Ceserò Angnsto.
Dopo la morte di Ceserò e di Pompeo,
il popolo di Roma pareva essere tornato
nello estato della prima libertà, ed era tor-
nato, se Pompeo non avessi lasciati figliuo-
li, 0 Ceserò non avessi lasciato redi, ov-
vero (che fu più mortai cosa) se Antonio,
il quale prima era stato compagno, poi se-
guitatore della potenzia di Ceserò, facella
e nuvola del tempo seguente, non fossi so-
pravenuto. Perchè ridomandando Sesto la
ragione di suo padre, fu temuto per tutto
il mare , ed Ottavio facendo la vendetta
di suo padre, da capo si convenne ritor-
nare in Tessaglia; ed Antonio, vario d' in-
gegno , sdegnando essere Ottavio succes-
sore di Ceserò, ovvero per amore di Cleo-
193
patra, diventò re , e non poteva altrinaenti
essere salvo , s' egli non fossi ridutto ad
essere servo. Nondimeno fu d' allegrarsi
in tanta turbazione di cose, che in ispecia-
lità la somma della signoria tornò ad Ot-
tavio Ceserò Augusto, il quale per sua sa-
pienzia e sollecitudine ordinò il corpo dello
imperio, percosso e turbato da ogni parte,
il quale sanza dubio per altro modo non
avrebbe potuto congiungersi e convenire
insieme, se non per volontà d' uno signore,
come per una anima e come per una mente
fossi retto.
Essendo consoli Marco Antonio e Publio
Dolabella, la fortuna avendo già tramutato
r imperio romano agli imperadori, fu in Ro-
ma vario movimento e di molte maniere;
e quello che suole fare nella conversione .
che fa lo cielo in uno anno, come le mosse
stelle per lo suo movimento significano il
tempo (1), così nella conversione della si-
gnoria di Roma, cioè della umana genera-
zione, al postutto tremò tutto il corpo
dello imperio, e ricevè movimento con ogni
generazione di pericoli con le battaglie
civili per terra e per mare.
(1) Il lesto : ut mota sidera tonent , ac suos
flexus tempestate significent.
194
La gaerra di Ottavio con Antonio
a Modana.
La prima cagione de' civili movimenti
fu lo testamento di Ceserò, nel quale An-
tonio sendo secondo reda, furioso che Otta-
vio fosse premesso a lui , pigliò furioso
la guerra contro 1' adozione dell' asprissimo
giovane; perchè vedendo quello tenero di età
di diciotto anni risistente e contrario alla
ingiuria, egli pieno della compagnia di Ce-
serò, guastava la redità con furti, perseguiva
quel giovane con vergogna e con tutta ar-
te, non cessando vietare l' adozione di quello
nella gente di Giulii, e finalmente pigliò le
armi a deprimere quello giovane ; e già con
r oste apparecchiato assediava Decimo Bru-
to, il quale faceva riscistenzia ai suoi mo-
vimenti. Ottavio Ceserò, dovendo essere
favoreggiato per l' età e per l' ingiuria e
per la maestà del nome che egli s' aveva
vestito, ridutto a sé ed a pigliare ed arme
gli antichi cavalieri, privato cittadino (che
pare cosa incredibile), assali lo consolo, li-
berò Bruto assediato a Modena, e cacciò
da campo Antonio ; ed allora eziandio ap-
parve oh' egli valeva colla sua mano, perchè
195
sanguinoso e fedito, con le sue spalle ri-
portò nel campo la sua insegna dell'aquila,
che tolse al gonfaloniere, morendo egli(l).
Lo assedio d' Antonio a Feragia.
L' altra guerra fu mossa per la divi-
. sione dei campi, i quali Ceserò dava ai
vecchi cavalieri per pagamento di sua mi-
lizia. Fulvia, moglie d' Antonio, cinta del-
la spada della virile milizia, stimolava lo
pessimo ingegno di quello. Adunque stimu-
landò egli i villani cacciati dai campi, da
capo avevano prese 1' arme; e allora sendo
quello non p\ù privato nimico, per aiuto-
rio di tutto lo Senato diterminò Antonio
essere nimico, e lo assali e rinchiuselo den-
tro dalle mura di Perugia , e costrinselo
con istrema fame e bruttamente ad ar-
rendersi.
Lo Triumvirato.
Essendo Antonio grave alla pace solo e
grave alla ripublica , Lepido s' aggiunse
quasi come fuoco. E che cosa fu necessa-
(1) Il lesto : aquilani a inoriente signifero traditam.
196
rio contro due osti ? Venire in compa-
gnia di mortalissimi uomini. Ed era co-
gnosciuto lo diverso voto di tutti. Lepido
era stimolato da cupidità di l'icchezze ,
la quale speranza era nella turbazione del-
la ripublica ; Antonio era stimolato dalla
vendetta contro quegli, che l'avevano giu-
dicato nimico; Ottavio era stimolato al-
la vendetta di suo padre da Bruto e da
Cassio, i quali erano gravi all' anima di
quello, ed in questo per modo di patto fu
fatta composizione di pace tra questi tre
principi. Appresso di quegli che venivano
alle parti, si toccavano le mani fra Perugia
e Bologna, e gli osti diliberarono (1). Con
non buona usanza cominciò lo triumvirato,
e soperchiata con le armi la ripublica ,
tornò la proscrizione di Siila, la cui cru-
deltà non ebbe minore numero che di cen-
to quaranta sanatori, i quali uscirono di
Roma e fuggirono vituperosamente per
grande crudeltà e miseria per tutto il
mondo; per gli quali chi si dolerà per cosa
(1) Il testo latino: Apud confluentes inter Peru-
siam et Bononiani jungunt nianus et exercitus consa-
lutant. Qui il traduttore tra altri errori lesse con-
sulunt; e non puossi accettare nemmeno il testo
latino inter Perusiam et Bononiara.
197
degna ? Antonio proscrisse Lucio Ceserò
suo barbano, Lepido Lucio Paulo suo fra-
tello. Porre in consiglio le teste dei morti
era già usanza a Roma, e per certo e Ro-
mani non poterne tenere le lagrime, quan-
do vidono la testa di Tullio in quelle sedie;
e corse la gente a vedere quella testa, non
altrimenti che soleva correre ad udirlo,
E queste crudeltade erano nelle tavole di
Lepido e d'Antonio: Ottavio si conten-
tava di quegli eh' avevano morto suo padre,
e queste uccisioni, se non fossino state
soverchie, non erano ingiuste.
La guerra di Ceserò Angusto
con Bmto e Cassio.
Bruto e Cassio parevano avere cacciato
del regno Giulio Ceserò quasi come Tar-
quinio re, e così con quello niicidio per-
derono la libertade, la quale sommamente
eglino volevano avere ristituita. Adunque
come eglino ebbono morto quello, temendo
non sanza ragione gli antichi cavalieri
di Ceserò, subito fuggirono della coite
in Campodoglio. A quegli cavalieri non
mancava animo a fare la vendetta, ma
198
non avevano capitano. Adunque vedendo
che pericolo soprastava alla ripublica ,
temerono la vendetta diterminata con ter
via lo consolo ; e nondimeno, acciò che
non fossino presenti al publico dolore ,
andarono in Soria e in Macedonia, le
quali Provincie gli aveva dato Ceserò me-
desimo, il quale egli avevano morto, e
così la vendetta di Ceserò fu più tosto
indugiata che cancellata.
Adunque ordinata ne' triumviri la ri-
publica più tosto come si poteva, che come
si doveva, fu lasciato Lepido a guardia
di Roma, e Ceserò con Antonio si ap-
parecchiò contro Bruto e Cassio. Quegli,
apparecchiata grande gente, erano già
posti a campo in quello medesimo luogo,
eh' era stato fatale a Gneo Pompeo ; e
ancora allora apparve segno della pisto-
lenzia che soprastava, perochè uccelli usati
a pascersi di corpi , volavano intorno al
campo, quasi come già fossi suo; e andando
alla battaglia, uno Etiopo fu troppo mortale
segno , ed a Bruto di notte , portato a
lui il lume, pensando secondo usanza al-
cuna cosa, una escura imagine s'appresentò
a lui; e domandando egli chi fossi, disse;
199
« Io sono la tua mala natura » (1); questo
disse e dispari dai suoi ocelli. Nel campo
d' Attaviano fumo agurii, ma migliori
tutti, e cosi promettevano gli uccelli e gli
animali sacrificati. Ma niuna cosa fu più
chiara che questa: il medico d' Attaviano
fu ammonito in sogno, che Attaviano uscissi
del campo, il quale doveva essere preso,
come avvenne; e cominciata la battaglia,
sendo combattuto da ciascuna parte con
pari ardire per alcuno espazio, bene che i
capitani non fossino presenti, 1' uno sendo
infermo, l'altro sendo partito per viltà e
per paura, e nondimeno la fortuna stando
presta per le parti di quello che faceva
vendetta, e di quello del quale egli si vendi-
cava, fu da prima il pericolo si dubioso
e si pari da ciascuna parte, come mostrò
lo fine della battaglia . Dall'una parte
fu preso il campo di Ceserò, e dall' altra
il campo di Cassio. Ma quanto è più potente
la fortuna che la vertù , e come vero è
quello che Bruto morendo disse : « La pro-
dezza è in parole, e non in fatto »! In quel-
la battaglia lo fallo diede la vettoria. Cassio
(1) Piuttosto sarebbe a dirsi la tua mala ventura;
il testo latino: tuus malus Genius.
200
vedendo piegare la schiera de' suoi e tor-
nare indietro, avendo già preso il campo
d' Attaviano, pensò che egli fuggissono, e
partito ridussesi in uno monte; poi so-
pravenne la notte, e la polvere e lo remore
togliendogli la sentita, e una spia mandata
a sapere quello eh' era fatto non tornando,
pensò che la sua parte fossi espacciata, e
disse a uno di quegli che gli erano ap-
presso, che gli tagliassino la testa. Bruto
eziandio avendo perduta la sua esperanza
in Cassio, acciò che non risegassi alcuna
cosa di quello eh' era di proraessione tra
loro, porse lo fianco ad uno de' suoi
compagni , acciò che egli 1' uccidessi. E
chi non si maraviglierà questi savissimi
uomini allo estremo non essersi uccisi con
le sue mani ? Se questo non avvenne, fu
per non macchiare le sue mani , e per-
chè in privarsi delle santissime e piato-
sissime anime loro il suo giudicio e 1' al-
trui mani adoperassH>ro.
La gnierra d'Augusto con Sesto Pompeo.
Morti gli ucciditori di Ceserò, ancora
restava della famiglia di Pompeo. L' uno
201
(.li questi giovani era morto in Ispagna,
r altro era campato fuggendo , e raccolti
quegli che restavano della infelice guerra,
e sopra a questo avendo armato prigionieri,
riducevasi in Cicilia e in Sardigna, e già
era con l'armata in mare, ed era molto
diversamente da suo padre. Quello aveva
escacciato i corsari , questo cercava ruba-
tori di mare. Con tanta grandezza di
guerra fu sconfitto al postutto nel mare
di Cicilia, e averebbe portato con seco
all'inferno fama di grande capitano, se
egli non avessi tentato più innanzi altra
cosa; se non eh' è pure segno di grand' a-
nirao avere sempre esperanza. Avendo
perduta la sua gente, fuggi e navicò in
Asia, dov' egli doveva venire nelle mani
de' nimici e nelle catene, e (che miserissima
cosa egli è ai forti uomini) dov' egli doveva
essere morto a volontà de' nimici. Non
fii alcuna altra fuga più miserabile dopo
Xerse , perchè pur mo' elio , signore di
trecento cinquanta nave , fuggiva con
sei 0 sette, essendo espento il lume delle
navi del capitano, gittati gli auegli in
mare, pauroso e guardandosi indietro, e
non di meno non temeva perire.
202
La guerra di Ventidio contra i Parti.
Bene che Antonio avessi finito il nome
delle parti in Cassio e Bruto, in Ponnpeo
lo avessi in tutto tolto via, nondimeno
era ancora Antonio scoglio e groppo e
inducia della sicurtà della Ripublica ;
ed ancora non mancò che quello uno non
perissi, anzi, poi ch'egli ebbe provato
ogni cosa colla cupidità e colla lussuria,
primamente i niraici , poi liberò i suoi
cittadini, e finalmente il mondo del ter-
rore di sé. 1 Parti per la sconfitta di
Crasso avevano levato alto 1' animo ,
ed allegri udivano le discordie del po-
polo di Roma. Adunque come prima eb-
bono destro, non dubitarono mostrarsi ,
invitandogli Labieno, il quale mandato da
Cassio e da Bruto ( per non so che furore
di cose escellerate), aveva chiamati i nimici
in aiutorio; e quegli avendo per suo ca-
pitano Pacoro figliuolo del re, avevano
cacciata la gente d' Antonio . Saga suo
legato s' uccise per non venire nelle sue
mani. Finalmente avendo preso la Soria,
il male s' allargava più, vincendo i nimici
203
per sé sotto colore d' altoriare (1) , se
non fossi stato che Ventidio legato d'An-
tonio , con incredibile prosperità scon-
fisse e tagliò le genti di Labieno e Pacoro
e tutto r oste di Partia tra '1 fiume di
Oronte e d'Eufrate. Fumo venti milia e
oltra, e non fu sanza prudenzia di quello
capitano, il quale mostrando avere paura,
lasciossi tanto appressare i nimici al campo,
che non avendo quegli spazio, non po-
tevano saettare. Il re combattendo ardita-
mente fu morto ; poi portata la sua testa
per le cittadi che s'erano rivoltate, fu
racquistata Soria sanza combattere, e cosi
compensammo la morte di Crasso con
la morte di Pacoro.
La guerra d'Antonio contra ì Parti.
Avendo provato 1' uno 1' altro quegli di
Partia e i Romani, e Crasso e Pacoro
avendo da ciascuna parte fatto pruova di
sue fortezze, da capo fu rifatta l'amistà
con simile riverenzia , e Antonio fermò
(1) Cioè con speranza di soccorso: hostibus sub
auxìlii spe sibi vincentibus.
204
lega con lo re; ma la grande cupiditade
di queir uomo, disiderando che ne' titoli
delle sue degnitade fossi letto Arasse
ed Eufrate, non con cagione, né con dilibe-
razione, né con alcuna imaginaria condi-
zione di guerra, quasi come questa fossi
arte di capitano di corre in fretta, lasciò
subito Soria e assali quegli di Partia .
Quella gente , escaltrita oltra la fidanza
delle arme, fece vista di temere e fuggi pe'
campi. Egli subito, come fossi estato vin-
citore, gli seguiva, e subito i niraici con
molta gente contra quegli, stanchi per lo
caminare e non proveduti, verso la sera
si mostravano come una nuvola, e perco-
tendo con le saette da ogni parte, scou-
fissono due legioni.
Non era niente per rispetto alla scon-
fitta che soprastava ger lo dì seguente,
se non fossi sopravenuta la misericor-
dia di Dio. Uno di quegli eh' era sta-
to nella sconfitta di Crasso , in abito di
quegli di Partia venne al campo, e avendo
salutato in latino , fece fé di quello che
s' apparecchiava e mostroUo : ciò era che
il re era presso con tutto suo sforzo, e che
i nostri si ces.sassino indietro, e che si
riducessino alle montagne, ed ancora forse
205
non mancherebbero i nimici, e cosi segui
minore impeto de' nimici, che non n'ap-
parecchiavano; ma pure sopravennono, e
sarebbe stato sconfitto tutto V avanzo, se
non che 1 cavalieri, quasi per alcuna sorte
ammaestrati, s'abbassavano inginocchiati,
sopravenendo le saette come graguuole, e
levandosi gli scudi sopra la testa, facevano
vista d' essere morti. Allora i Parti cessa-
vano il saettare; poi levandosi suso i Ro-
mani fecero cosa sì miracolosa a quegli
barberi, che uno di quegli cridò: « Andate,
Romani, che Dio vi salvi ; suona vera la fa-
ma, che voi siete vincitori del mondo, poi
che voi avete fuggite le saette di quegli di
Partia. »
Da poi non riceverono minore sconfitta
dalle acque, eh' eglino avessino ricevuto
da' nimici, perchè quella regione noceva
con fiumi salsi, e ultimamente perchè quegli
già deboli beveano quelle avidamente, e
nocendogli parevangli dolci ; poi ricevendo
caldo per 1' Arminia e le nevi per Cappa-
docia, facendo subita mutazione dell'aria
dell' uno e dell' altro prese, fu una pesto-
lenzia, e così di sedici legioni la terza
parte a pena gli avanzò, tagliando lo suo
argento con le mannare per ogni parte;
206
e per questo indugiando, e nella indugia
domandando egli da uno suo gladiatore
che lo uccidessi, finalmente lo nobile im-
peradore fuggi in Soria; dove con alcuna
incredibile furia di mente diventò alquan-
to più feroce, quasi come egli, che era
fuggito, avessi vinto.
La guerra di Ceserò Angusto con Antonio
e Cleopatra.
Lo furore d' Antonio fini nella lussuria
e lascivia, acciò che non finissi in cupidità,
perchè dopo i fatti di Partia avendo in
odio le arme, stava in ozio, preso dell' a-
more di Cleopatra, e quasi come egli
avessi bene compiuti i suoi fatti, riposavasi
in grembo della reina. Questa donna d'E-
gitto aveva domandato allo ebbriaco im-
peradore lo imperio di Roma per pagamen-
to di sua lussuria, e Antonio glielo promise,
quasi come i Romani fossino più lievi a
vincere, che quegli di Partia. Adunque egli
s' apparecchiava alla signoria, e non taci-
tamente, anzi avendo smenticato la patria,
il nome, la toga e i fasci, era tutto come
cosa raonstruosa diventato ignorante, e
207
come egli aveva pensato, cosi credeva e
mostrava con lo volto. Portava in mano
una bacchetta d' oro, a lato una scimitarra,
veste di porpora, ornata di gemme di gran
pregioj portava la corona, acciò che coma
re usassi la regina.
Per la fama de' nuovi movimenti Otta-
viano passò da Brandizio, acciò eh' egli si
facessi incontro alla guerra che soprave-
niva; e posto il campo in Epiro, aveva
circondato con V armata Leucada isola, il
monte Leucate e le punte del golfo d' Am-
brachia. Noi avevamo quattrocento navi o
più, i niraici ducento e non meno, ma la
grandezza di quelle si compensava con lo
numero, perchè elle si movevano con or-
dine di sei remi infino ai nove, con torri
e con paraventi , armate di bertesche a
modo di castegli o di cittade, e non an-
davano sanza roraore del mare e fatica
de' venti. Quella medesima grandezza fu
a danno di quelle. Ma le navi d' Attaviano
erano con ordine di tre remi infino a sei
e non più, e perciò erano leggiere ad ogni
cosa che bisognava usarle, ad assalire, a
fuggire e a volgerle; quelle erano gravi
ad ogni cosa e impacciate, e ciascuna era
assalita da più con le saette; poi gittate
208
il fuoco nelle prode, sconfissonle come egli-
no vollono. Non apparve la grandezza de'
nimici più in alcuna cosa che per la vet-
toria, perchè la grande armata, fatta la
rotta per la battaglia, per tutto il mare
mostrava la preda degli Arabi e dei Sabei
e di molte altre gente d' Asia, e lo mare
mosso continuamente dai venti gittava fuori
in lido la porpora e 1' oro.
La prima che cominciò a fuggire, fu la
reina in una nave dorata e con le vele di
porpora, poi Antonio la seguì; lìia Atta-
viano gli seguiva presso. Adunque non
potè fuggire nello Oceano, e le punte
d' Egitto fornite a difesa, cioè Paretonio
e Peluzio, non gli giovarono, perchè quasi
quegli gli aveva le mani adosso. Antonio
prima s'uccise, ma la reina inginocchiata
ai piedi d' Attaviano, tentò indarno gli
occhi di quello, perchè la bellezza fu mi-
nore che la onestà di quello principe. El-
la non s' affaticava per la vita, la quale
gli era proferta, ma di parte del regno,
la quale come ella non sperò ottenere da
quello principo, e vide eh' eli' era riserbata
per lo trionfo, e videsi essere guardata più
strettamente (1), entrò nel mausoleo (così
(l) // lesto Ialino: iucautiorein iiacta custodem.
209
è chiamato lo sepulcro dei re); e in quel
luogo vestita, corri' ella soleva, di solen-
nissime veste, posesi presso al suo Antonio
in una sedia respersa di cose odorifere , e
postasi due serpenti alle vene, mori quasi
dormendo.
Qui fu la fine delle guerre civile; le
altre fumo contra gente estranie , le qua-
li vedendo stimolato circa i suoi mali
lo imperio, si mostravano in diverse par-
ti del mondo. Ma fu fatta nuova pace, e
lo collo, non usato ancora al freno della
servitudine delle genti superbie e infiate,
si ritraeva dal giogo posto nuovamente.
Le guerre dì Cesare Angusto
contro Settentrione.
Volta la piaga del ferro a settentrione,
ardeva più ferocemente, coni' erano i Norici,
Schiavi, Ungheri, Dalmati, Misii, Trachi,
Bachi, Sarmati e Germani. Ai Norici da-
vano animo le Alpi e la neve, che guerra
non potessi passare, ma tutti que' popoli
di quella regione, i Erenni, Senonìi e Vin-
delici, Ottaviano domò per Claudio Druso
suo figliastro. Come fossi fatta la crudeltà
di quelle scaltrite genti, lievemente mo-
14
210
strarono le feraine, le quali non avendo
che gittare contra i nimici, esbattevano i
fanciugli in terra, e poi gli gittavano
per lo viso ai cavalieri suoi nimici. Gli
schiavi abitavano sotto le Alpi, e guarda-
vano r entrate delle sue valli con alcune
serraglie di fossi e con le rotture de'
fiumi; contra questi egli medesimo con-
dusse r oste, e fece fare uno ponte presso
a quelle acque. In quel luogo temendo i
suoi e r acqua e i nimici , egli tolse lo
scudo di mano ad uno cavaliere, che du-
bitava montare in sul ponte, e primo fece
la via. Allora seguendo la moltitudine, lo
ponte cadde, ed egli fedito nelle mani e
nelle gambe, fatto più nobile per lo pe-
ricolo, mise in rotta i nimici.
I Pannonii sono circondati da due passi
e tre fiumi, Bravo, Savo e Istro, e rubando i
vicini, ridussonsi dentro dalle ripe. A do-
mare questi mandò Vibio, e quegli fumo
tagliati in que' fiumi , . e le sue arme non
fumo arse secondo usanza, ma funo tolte
e gittate nel fiume, acciò che la vettoria
fossi così contata agli altri, che facevano
rìcistenzia.
Quegli di Dalmazia spesse volte abita-
vano per gli boschi, e per questo erano
211
prontissimi a ruberie. Questi primi Marzio
quasi aveva tagliati , avendo arsa Dalminio
sua città; da poi Asinio Pollione gli con-
dannò in bestiame e in arme e in campi, e
questi fu secondo domatore. Augusto mandò
Vibio a domare quegli, il quale costrinse
quegli uomini a fare cave e a trarre oro
della vena della terra, il quale quella gente
cupida sopra tutte le altre con sollecita
diligenzia acquistò per serbarlo per suo
uso.
Ma i Misii quanto fumo aspri e quanto
crudeli, e quanto erano eglino barberi sopra
tutti i barberi, è orribile cosa a dire. Uno
de' suoi capitani innanzi alla schiera, posto
silenzio, domandò: « Chi siete voi? » E fu
risposto subitamente: « Noi siamo Romani,
signori delle genti; » e quegli risposono:
« Sera questo, se voi vincerete noi.» Marzio
Crasso prese questo agurio, e quegli subito
innanzi all' oste, morto uno cavallo, feciono
sacrificio con agurio di sacrificare e di.
mangiare le interiori de' morti capitani;
e parve che gli Dei gli udissino , e non
poterono aspettare la tromba. Non mise
piccola paura a quegli barberi Domizio
centurione, il quale aveva assai barbera
212
crudeltà, e nondimeno appresso de' suoi
pari era matto, il quale portava sopra
r elmo uno fuoco , e movendosi con lo
corpo, faceva fiamma e spargevala come
se la testa gli ardessi.
Da questi era differente sommamente il
popolo di quegli di Trazia (1). Quello, bene
che fossi barbero, era usato agli segni
romani in milizia e a la disciprina e alle
armi; ma domati da Pisone, essendo presi
raostravansi rabiosi , perchè mordendo le
catene, egli medesimi punivano la sua
asprezza.
I Dachi stanno per le montagne, e di
comandamento di Cotisone re, come lo Da-
nubio era ghiacciato, solevano fare correrie
e ruberie ai vicini. Parve ad Ottaviano
torre via quella gente, alla quale era dif-
ficile andare. Dunque mandato Lentulo,
cacciogli oltre l'altra ripa del fiume, e di
qua pose gente, e cosi allora i Dachi non
fumo vinti, ma fumo rimossi e indugiati.
I Sarmati cavalcano per aperte cam-
(1) Veramente dovrebbe qui leggersi, che i popoli
di Tracia eransi ribellali innanzi a costoro, se-
condo che scrisse Floro: Ante hos Thracum maxime
populus desciverat.
213
pagne, e questi bastò costringere per quel
medesimo Lentulo, che non passassino il
fiume del Danubio. Quegli non anno alcuna
cosa, se non nevi e radi boschi , ed anno
tanto de' costumi barberi , che non sanno
che cosa sia pace.
E volessi Dio eh' egli non avessi riputato
di sì gran pregio vincere Germania. Ella
fu perduta con più vergogna, che non fu
acquistata con gloria; ma perch'egli sapeva
Ceserò suo padre avere passato due volte
lo Reno, avendo fatto uno ponte, e avere
cercato le guerre, per onore di quello di-
siderò di ridurre quella provincia; e gli ve-
niva fatto, se quegli barberi avessino potuto
comportare cosi i nostri vizii, come la
signoria. Mandato Druso in quella pro-
vincia , prima gli Usipeti domò , poi
corse 1 Tenteri e gli Catti , e adornò
uno alto monte a modo d' uno trionfo
delle ornate spoglie de' Marcomanni. Poi
assali le fortissime nazioni de' Cheruschi ,
Svevi e Sicambri , i quali avendo arsi
venti centurioni, tolsono questa guerra
come per uno sagramento con sì certa
esperanza di vettoria, che innanzi partirono
per patto la preda. Toccava ai Cheruschi
214
i cavalli, ai Servi 1' oro e lo argento e ai
Sicarabri i prigioni. Ma ogni cosa andò
per contrario, perchè sendo vincitore Druso,
parti i cavagli suoi, lo bestiame e i suoi
torchi (1) e quegli medesimi per sua preda,
e vendègli, e ancora ordinò gente e guar-
die per quelle provincie e in ogni luogo
sopra la Mosa fiume , 1' Albi e il Vi-
surgi ; per la ripa del Reno pose cin-
quanta fortezze, e congiunse insieme Bonna
e Gesonia con ponti, e fece sicuro il passo
Ercinio non veduto e non passato infino
al suo tempo. Finalmente erasi fatta pa-
ce in Germania , che parevano mutati
gli uomini e la terra, l'aria medesima
pareva più temperata e più dolce che non
soleva; e finalmente il Senato diede a
quello fortissimo giovane, poi eh' egli morì
iu quello luogo , nome dalla provincia,
non per adulazione, ma per meriti , la
quale cosa non era mai avvenuta ad al-
cuno altro.
Ma è maggiore fatica a ritenere una
provincia che acquistarla , ed acquistasi
con la forza, ma ritiensi con la ragione.
(1) Il lesto Ialino: torques eoruni.
215
Adunque quella allegrezza fu brieve, perchè
poi che i Germani fumo vinti, non erano
domati, e sotto Druso capitano pigliavano
più tosto i nostri costumi che le armi; ma
poi eh' egli mori, cominciamo avere in
odio la lascivia e la superbia di Varo
Quintino, non altrimenti che la crudeltà.
Quello ardì fare assunanza (1), ed erasi ri-
dutto a campo , quasi coni' egli potessi fre-
nare la violenzia di quegli barberi con la
verga dello littore e con la boce del bandi-
tore. Ma quegli i quali già innanzi sapevano
le sue espade essere coperte di ruggine,
e i suoi cavagli stare sanza fatica, come
vidono le toghe e fare ragione con ma-
giore asprezza che con le armi, pigliorono
le arme sotto Arminio capitano. In quel
mezzo Varo aveva tanta speranza della
pace, che non si mosse per la congiun-
zione predetta e manifesta a lui per Se-
gesto, che era uno de' principi di quegli
signori. Adunque sanza alcuna dilibera-
zione assalirono quello non proveduto e
non temente si fatto assalto , mentre egli (e
(1) Lo slesso: agere conventum ; forse dee leg-
gersi adunanza, non registrandosi ne' dizionari la
voce qui riferita.
216
fu grande sicurtà) chiamava quegli innanzi
a sé, 1 quali lo assalirono da ogni parte ,
tolsongli lo campo, e fumo superchiate tre
legioni. Varo operò in quel dì con la
fortuna e con l' animo come Paulo il dì
della sconfitta da Canni ; e niuna sconfitta
fu più sanguinosa, che quella per gli boschi
e per gli paludi; niuno assalto de' barberi
fu più intolerabile , specialmente contra gli
avvocati delle questioni. Ad alcuni taglia-
vano le mani, ad alcuni cavavano gli occhi,
ad alcuno fu cucita la bocca, ma prima
tagliata la lingua, la quale tenendo in mano
uno barbero, disse: « Comanda (1) e non
zufolare; » ed il corpo del consolo, il quale
per pietà uno cavaliere aveva soppellito
in terra, fu dissotterrato. Le insegne e due
aquile quegli barberi ancora le tieneno , la
terza cavata di terra , lo gonfaloniere ,
innanzi che venissi alle mani de' nimici,
portolla nascosa nella sua cintura e gittolla
in uno sanguinoso padule. Per questa
sconfitta avvenne che lo imperio di Roma,
iì quale passava il lido dell' Oceano , non
passava la riva del Reno.
(3) Il lesto : tandem, inquit, vipera, sibilare de-
siste. Il volgarizzatore lesse impera.
217
Queste cose fumo fatte verso settau-
trione. Sotto la parte di mezzodì fumo
più tosto romori che guerra. Cosso capi-
tano quietò i Mugillani e i Getuli, i quali
abitavano le Sirti, e questo nome della
vettoria, che fu Getulico, fu più manifesto.
A Quirino (1) fu dato a domare i Marma-
rici e i Garamanti, e quello tornato potè
aver nome Marraarico, ma egli fu più mode-
sto ad estimare la vettoria.
Verso r oriente fu più a fare con gli
Arminii. A quel luogo Attaviano mandò
uno de' suoi Cesariani nipoti. Amendue
morirno , ma l' uno sanza fama , perchè
Lucio morì d' infermità a Massilia , ma
Gaio mori d' una fedita, ritraendosi d' Ar-
menia in Partia. Pompeo aveva usati gli
Arminii dopo la morte di Tigrane a questa
sola servitudine, eh' eglino toglievano rettori
da noi. Adunque questo ricoverava la ra-
gione perduta, e non sanza sangue, ma non
con molta battaglia, perchè Donnes, il
quale Artasate re aveva fatto prefetto ,
assalito quello con simulato tradimento ,
essendo egli intento a uno libro, nel quale
(1) Il testo : Garamantas Curinio subigendos
dedit .
218
sì conteneva la ragione de' tesori (ed egli
gliel' aveva porto), già ricreato della sua
fedita, lo colpi nella tempia. Quello barbero
da ogni parte avendo intorno tutto l'oste
odioso, con lo coltello si percosse e missesi
nel fuoco, e cosi sodisfece a Ceserò che
sopravisse (1).
Da ponente tutta la Ispagna era in pace,
se non da quella parte, dove lo Oceano
dalla parte di qua bagna quella, dove ella
s" accosta agli scogli , ov' è la fine del
monte Pirineo. In quel luogo sono due
fortissime genti, i Cantabri e gli Asturi,
e questi sanza signoria facevano novitadi.
L' animo di Cantabri fu primo e più atto
e più pertinace alla rebellione, i quali
non contenti di difendere la sua libertà,
tentavano signoreggiare i vicini, e stimo-
li) Questo passo è reso assai oscuro dai copisti,
che alterarono i' testo latino, e dall' inesperto vol-
garizzatore, che non intese qui V autore. Il senso è
che Cleone, il quale dal re Arlasate era stalo cre-
ato suo luogo teneri le, fingendo di voler tradire il
suo signore^ presentò a Caio una nota dei tesori
regi; e mentre lo vide intento a leggerla, colla spa-
da lo feri nella tempia. Vedendosi poi il barbaro
circondato da ogni parte e oppresso dall' esercito ,
si trafisse da sé e gettassi nel fuoco; in tal modo
soddisfece a Cesare ancora superstite.
219
lavano i Vaccei, i Curgioni e Autrigoni
con ispesse cori-erie. Centra questi adunque,
perchè si diceva che quegli stimolavano
più che non solevano, non mandò oste,
ma fece la impresa: egli medesimo andò
e pose il campo presso Segisama, poi con
lo oste dipartito in poco tempo prese
tutta Cantabria, e vinse quella aspra gente
e a modo di fiere, quasi con circondargli.
E non era pace dallo Oceano, perchè da
le spalle erano fediti i nimici dalla armata.
Prima combattè contra i Cantabri presso
la terra de' Belghi , e di quel luogo fug-
girono in uno altissimo monte chiamato
Vinnio, e credevano che prima montassi
in quello 1' aqua dallo Oceano, che le ar-
me de' Romani. La terza volta Arra-
cillo castello fece risistenzia con grande
possanza , ma finalmente fu preso e fu as-
sediato il monte Medulio, il quale circon-
davano con una fossa di quindici miglia,
stando i Romani intorno da ogni parte;
e poi che quegli barberi si vidono ad e-
stremità, a pruova avendo mangiato, pre-
sono la morte con lo fuogo e col ferro e
col veleno, il quale in quello luogo pale-
semente si prieme del sugo dell' albero
tasso ; la magiore parte per quello modo
220
si difesono di non essere prigioni.
Queste cose udì Ceserò Augusto per Aa-
tistio e Fusinio e per Agrippa suoi legati,
svernando egli sul lido di Teracone. Egli
presente cacciò questi da le montagne,
altri strinse a dare stadigi, altri vendè ad
incanto, e parve al Senato che questa
cosa fossi degna di trionfo; e già Atta-
viano era sì grande , che potia non curarsi
del trionfo. Gli Asturi in quello tempo
erano discesi dalle sue montagne con gran-
de oste, e non pigliarono come barberi
stoltamente speranza, anzi posto il campo
presso Astura fiume, partirono l'oste in
tre parti, e apparecchiavansi ad assalire
insieme tre campi de' Romani . Sarebbe
stata battaglia durissima e sanguinosa, ed
eguale da ciascuna parte la sconfitta, al-
lora quando così forti e così diliberati
subitamente venivano, se i Trigecini non
lo avessi no manifestato ; dai quali sendo
fatto avvisato Carisio, venuto con l'oste,
guastò quella congiurazione. Così quegli
che avanzarono dall' oste sconfitta da quel-
la battaglia, che non fu sanza sangue,
ricevè Lancia fortissima città , dove allo-
ra fu combattuto per tal modo, che vo-
lendosi incendiare la presa città, a fatica
221
lo capitano ottenne perdonanza , perchè più
tosto la terra rimanessi, salva, monumento
della vettoria de' Romani, ch'ella lo fossi
arsa.
E questa fu la fine delle battaglie e delle
guerre d' Attaviano , e quello fu la fine
della rebellione degli Spagnoli. Poi fu
certa fé e pace eterna con prodo ingegno
di quegli alla parte della pace. Allora per
consiglio d' Attaviano, il quale temeva la
fidanza de' monti, ne' quali quelli si ripo-
savano, comandò che lo suo campo, che
era nel piano, tenessi e abitassi quelli.
E' pigliò savio consiglio , e volle che
questo si osservassi. La natura di quello
paese tutto è eh' ella sia fruttevole d' oro
e di minio, di crisocolla e di altri colori.
Adunque egli comandò che fossino fatte
case, e cosi gli Asturi, i quali cercavano
per altrui le sue ricchezze , che sono na-
scose nel fondo . della terra , comincia-
ronle a conoscere.
Essendo quietate tutte le genti da ponen-
te e da mezzodì, solamente da settentrione
tra '1 Reno e '1 Danubio, ed ancora da orien-
te tra Ciro ed Eufrate, e quegli eziandio
ch'erano sanza signoria, sentivano nondi-
meno la grandezza del popolo di Roma e
222
la vettoria sopra le genti, ed avealo in rive-
renzia; e cosi i Tarteri mandorono imba-
sciadori ai sanatori, e domandano amistà.
I Seri e gì' Indi, i quali abitano sotto il
sole, con pietre preziose e perle e leo-
fanti e con altri doni si scusavano di
lunghezza del camino, nello quale erano
stati quattro anni; e ben mostravano i
colori degli uomini, che egli venissino
d' un' altro mondo. I Parti, quasi come
fossero pentiti della vettoria , rimandorono
volentiermente le insegne tolte per la scon-
fitta di Crasso . Così in ogni parte fu
pace e concordia ferma e continova di
tutta la umana generazione; e finalmente
Ceserò Augusto , lo setticentesimo anno
dopo la dificazione di Roma, ardi serrare lo
tempio di lano, il quale nondimeno era
stato serrato innanzi due volte, al tempo
di Numa re, e quando Cartagine fu vinta
la prima volta. Poi egli volto alla pace,
constrinse con molte gravi e aspre leggi
quel tempo pronto e inclinevole a tutti i
vizii, e in spezialità alla lussuria ; e per
questi tanti e si grandi fatti fu chiamato
perpetuo dittatore e padre della patria.
Ancora fu trattato nel Sanato, se fossi da
chiamarlo Romolo, perchè egli era stato
223
fondatore dello imperio; ma parve a loro
questo nome Augusto fossi più fermo e
di più riverenzia, perchè infino allora abi-
tando egli la terra, per quello nome e ti-
tolo fossi consacrato.
Amen.
Qui finisce lo libro di Anneo Floro, fa-
mosissimo autore, de' raemoriabili fatti de'
Romani, dalla dificazione di Roma infino
a Ceserò Augusto.
Epitoma di Udo Anneo Floro e di tutta la istoria
TITO LIVIO
TAVOLA SOPRA LE tlUBRICHE
Proemio P"^- ^
Lo regno di Romulo » ^
Lo regno di Numa Pompilio » 9
Lo regno di Tulio Ostilio » 10
Lo regno d' Anco Marzio » ^^
Lo regno di Tarquinio Prisco » IS
Lo regno di Tulio Servilio » 1*
Lo regno di Tarquinio superbo .... » 15
Ripetizione sommaria di sette re. . . » n
Qui finisce la prima età del popolo di Roma.
Comincia la seconda età >' i8
La guerra coi Toscani . " '"
Orazio Code, Muzio Scevola e Clelia . . » 21
La guerra coi Latini * "^*
La guerra degli Etnischi, Fallisci e
Fidenati " -^
La guerra con gli Gallici " 27
15
226
La guerra con i Latini Pajj.
La guerra cogli Sabini »
La guerra con gli Sanniti »
La guerra con gli Etruschi e con gli
Sanniti »
La guerra con gli Tarentiui »
La guerra con i Marchiani »
La guerra con gli Salentiiii »
La guerra con i Volsinii »
Sommaria repetizione della seconda etii . »
3-2
33
36
37
41
■io
Qui finisce lo primo libro della prima eia
e della seconda del popolo di Roma.
Della terza etade di Roma . . .
La prima guerra con gli Africani
La guerra con gli Liguri . . .
La guerra con gli Galli Insubrii .
La guerra con gli Schiavi . . .
La seconda yuerra con gli Africani
La prima guerra di Macedonia .
La guerra di Seria con Antioco .
La guerra d' Etolia
La guerra d' Istria
La guerra con gli Gallogreci . .
La seconda guerra di Macedonia
AKra guerra con gli Schiavi . .
La terza guerra di Macedonia .
La terza guerra con gli Africani
La guerra con quegli di Acaia .
Cose fatte in Ispagna . . .
La guerra di Numanzia, . . .
Quando cominciò a corrompersi lo popolo
di Roma
58
59
60
61
7i
77
81
ivi
82
83
86
87
88
92
93
98
102
La firuorra d' Asia
227
Pag. 103
Finisce lo secondo libro di Floro.
Terzo libro.
Delia guerra con Giusfiirta in Numidia
La guerra con gli .\lIobrogi. . . .
La guerra con gli CimLri , Teutoni e
Tigurini in Gallia Cisalpina.
La guerra di Tarzia ....
La guerra con Mitridate ....
La guerra con quegli di Cilizia. .
La guerra di Greti
La guerra delle Isole Baleariche .
La guerra di Cipri
La guerra di Gallia per Cesare
La guerra di Partia
Sommaria repetizione delle discordie
Romani e la cagione d' elle.
Onde ebbono principio le discordie
La discordia di Tiberio Gracco. .
La discordia di Caio Gracco fratello
La discordia d' Appulejo ....
La discordia di Druse
La guerra con gli collegali . . .
La guerra con gli Servi ....
La guerra con Spartaco . . . •
La guerra civile di Mario e di Siila
La guerra di Sertorio
La guerra civile con Lepido . .
de
100
109
HO
115
in
124
127
128
129
129
136
138
Ul
143
144
li5
147
U9
151
153
158
104
165
Qui finisce lo terzo libro della sommaria
abbreviatura di Lucio Floro.
228
Libro quarto
La congiura di Catelina ...■■■ Pag. 108
La guerra civile di Ceserò e dì Pompeo . » 170
La guerra civile con Ceserò Augusto , » i92
]<a guerra d' Attaviano con Antonio a
Modena » lOi
L' assedio d' Antonio a Perugia ... » 195
Lo Triumvirato . . » ivi
La guerra di Ceserò Augusto con Bruto
e Cassio » 197
La guerra di Augusto con Sesto Pompeo. » 200
La guerra di Ventidio centra i Parti . . > 202
La guerra d' Antonio centra i Parti . » 203
La guerra di Ceserò Augusto centra
Antonio e Cleopatra » 200
Lo guerre di Cesare Augusto contro
Settentrione » 209
Qui finisce lo libro di Anneo Floro, famosissimo autore,
di memoriabili fatti di Fiumani,
dalla edificazione di Roma infino a Cesare Augusto.
CATALOGO
DEI
LIBRI DI PROPRIA EDIZIONE
DI
GAETANO ROMAGNOLI
Libraio Editore della R.CammissioDe pe' Testi di Lingua
BOLOGNA
Via Toschi, 16
GENNAIO
1881
Avvertenza
I/ Editore, per agevolare 1' acquisto di entrambe
le sue Collezioni a biblioteclie ed amatori , accetta
anche pagamenti rateali da convenirsi. Gli articoli
segnati con asterisco non si vendono separatamente
anzi si acquistano pagando il doppio del prezzo se-
gnato. Ai librai si accorda lo sconto T~),
COLLEZIONE
DI
OPERE INEDITE 0 RARE
DEI PRIMI TRE SECOLI DELLA LINGUA
PUBBLICATE PER CURA
della R. Commissione pe' Testi di Lingua
L Bandi Lucchesi del secolo XIV, tratti
dai registri del R. Archivio di Stato di
Lucca, per cura di Salvatore Bongi.
Bologna, 18G3, ìn-8 di pagg. XVI-434
L. 7. 25
2. 3. Storia di Ajolfo del Bai-bicone e di
altri valorosi cavalieri compilata da
Andrea di Iacopo da Barberino di Val-
delsa, testo di lingua inedito pubblicato
a cura di Leone Del Prete. Ivi, 1863-64.
Voli. 2 in-8 di pagg. XXII-365-368.
L. 12. 37
4
4. 5. 6. Statuti Senesi scritti in volgare
ne' secoli XIII e XIV e pubblicati se-
condo i testi del Real Archivio di Stato
in Siena , per cura di Filippo Luigi Po-
lidori e Luciano Banchi. Voi. 1.° Ivi,
1863 in-8 di pagg. XXXVlIl-496. Voi.
2.° di pagg. XXXlI-372. Voi. 3.° di
pagg. XXXlV-512. L. 28. 43
7. I Fatti di Cesare, testo di lingua ine-
dito del sec. XIV pubblicato a cura
di Luciano Banchi. Ivi, 1863, in-8 di
pagg. LXXX-388. L. 7. 63
8. 9. La Tavola Ritonda, o l' Istoria di
Tristano, testo di lingua inedito, citato
dagli accademici della Crusca, ed ora
per la prima volta pubblicato secondo un
codice della Mediceo-Laurenziana per
cura e con illustrazioni di Filippo Luigi
Polidori e Luciano Banchi. Ivi, 1864-67.
Voli. 2 in-8 di pagg. CXX-552-340.
L. 16. 42
10. Cronache Siciliane dei secoli XIII,
XIV e XV pubblicate per cura del
Prof. Vincenzo Di Giovanni. Ivi, 186i")
in-8 di pagg. LVI-404. L- 4. 75
11. Storia di Rinaldino da Montalbano,
romanzo cavalleresco in prosa, pubbli-
cato per cura di Carlo Minutoli. Ivi ,
1865, in-8 di pagg. XLVlIl-404.
L. 7. 35
12. Trattati di Mascalcia attribuiti ad
Ippocrate , volgarizzati nel sec. XIII e
pubblicati a cura di Pietro Del Prato.
Ivi, 1865, di pagg. CXXX-308.
L. 7. 05
13. 14. 15. Commento alla divina com-
media d' Anonimo Fiorentino del sec.
XIV, ora per la prima volta stampato
a cura di Pietro Fanfani. Ivi, 1866-74.
Voli. 3 in-8. L. 34. 58
16. Prediche inedite del B. Giordano da
Rivalto, recitate in Firenze dal 1302
al 1305 , pubblicate dal Cav. Enrico
Narducci. Ivi , 1867 , in-8 di pagg.
XLVlII-500. L. 8. 82
17. 18. De'Rimedii dell'una e dell'altra
fortuna di Messer Francesco Petrarca,
volgarizzati nel buon secolo della lingua
per D. Giovanni Dassaminiato, pubblicati
a cura di Don Casimiro Stolfi. Ivi 1867-
68. Voli. 2 in-8 di pagg. 464-508.
L. 17. 02
6
19. 20. La Mascalcia di Lorenzo Rusio,
volgarizzamento del secolo XIV a cura
di Pietro Del Pietro e Luigi Barbieri.
Ivi, 1867. Voli. 2 in-8 di pagg. \lII-448-
340. L. 10
21. 22. H Eomuleo di Messer Benvenuto
da Imola , volgarizzamento del buon
secolo , messo per la prima volta in
luce dal dottor Giuseppe Guatteri. Ivi,
1867. Voli. 2 in-8 di pagg. XX-396-464.
L. 16. 95
23. 24. Valerio Massimo, De' fatti e detti
degni di memoria della città di Roma
e delle stranie genti, testo di lingua del
secolo XIV, riscontrato su molti codici,
e pubblicato da Roberto De Visiani. Ivi,
1867, in-8 di pagg. 740. L. 14. 35
25. n libro dì Sidrac, testo inedito del
secolo XIV, pubblicato da Adolfo Bar-
toli. Ivi, 1868, in-8 di pagg. XXX-408.
L. 8. 25
20. Leggenda minoi'e di S. Caterina da
Siena e Lettere dei suoi discepoli, scrit-
ture inedite pubblicate dal dott. Fran-
cesco Gi^ottanelli. Ivi, 1868, in-8 di
pagg. XXX-408. L. 8. 25
27. Antonio da Tempo, Trattato delle
rime volgari, composte nel 1332, dato
in luce integralmente ora la prima volta
per cura di Giusto Grion. Ivi, 18G9,
in-8 di pagg. 385. L. 7. 20
28. 29. 30. Codice della Divina Commedia
che fu del Papa Lambertini, dato se-
condo la sua ortografia, coi raffronti di
altri XIX Codici Danteschi inediti , per
cura di L. Scarabelli. Bologna, Regia
Tipografia, 1871-73. Voli. 3 in-8
L. 42 20
* 31. I Reali di Francia. Ricerche intomo
a' Reali di Francia per Pio Rajna se-
guite dal libro delle storie di Fioravante
e dal Cantare di Bovo D' Antona. Bo-
logna, R. Tip., 1872, in-8. L. II. 35
* 32. I Nobili Fatti di Alessandro Magno,
romanzo storico tradotto dal francese
nel buon secolo, ora per la prima volta
pubblicato sopra due codici Magliabe-
chiani, per cura di Giusto Grion. Ivi,
R. Tip., 1872, in-8 L. 9. IO
33. Dei Trattati morali di Albertano da
Brescia, volgarizzamento inedito fatto
nel 1268 da Andrea di Grosseto, a cura
di F. Selmi. Ivi, 1873, in-8. L. 8
* 34. 35. 36. Le Vite degli uomini illustri
di F. Petrarca volgarizzate da Donato
degli Albanzani da Pratovecchio ora
per la prima volta messe in luce se-
condo un codice Laurenziano citato
dagli accademici della Crusca. Voi. 2
parti 3, per cura di L. Razzolini. Ivi ,
R. Tip., 1874, in-8. L. 32. 60
37. La Scala del Paradiso di S. Giovanni
Climaco, testo di lingua del sec. XIV
per cura del Dott. Ab. Antonio Ceruti.
Ivi, R. Tip., 1875, di pagg. Ln-324.
L. 10. 80
38. 39. 40. Comedia di Dante degli Alla-
gherii col Commento di Iacopo della
Lana Bolognese — nuovissima edizione
della Regia Commissione per la pub-
blicazione dei testi di Lingua sopra ite-
l'ati studi del suo socio Luciano Scara-
belli. Bologna, R. Tip., 1866. Voli. 3
in-8. L. 36
*41. Le antiche rime volgari secondo la
lezione del Codice Vaticano 3793 , pub-
blicate per cura di A. D' Ancona e D.
Comparetti. Voi. I. Bologna, R. Tip.,
1873, in-8. L. 11
9
42. Del Reggimento e costumi di Donna di
M esser Francesco da Barberino secondo
la lezione dell' antico testo a penna
Barberiniano per cura del Conte Carlo
Baudi di Vesme. Bologna, 1875, in-8.
L. 9. 40
43. 44. Le Storie Nerbonesi, Romanzo
Cavalleresco del Secolo XIV, pubblicato
per cura di I. G. Isola. Bologna, 1877-80.
Voli. I. testo e Voi. III. preliminari par-
te I. L. 23. 40
N. B. Il Yol. II del Testo è in corso
di stampa.
45. 46. H Tesoro di Brunetto Latini, vol-
garizzato da Bono Giamboni raffi'ontato
col testo autentico francese edito dal
P. Chabaille emendato coi manos. ed
illustrato da Luigi Gaiter. Bologna,
1878-79. Voli. 2 in-8.° L. 18. 50
47 e 48. Volgarizzamento della Istoria
della Guerra Giudaica di losefo Flavio
testo di lingua antico ridotto a piìi sana
lezione da Luigi Calori. Bologna, 1879.
Voli. 2 in-8.° L. 19. 20
SCELTA
CURIOSITÀ LETTERARIE
INEDITE 0 KARE
dal Secolo XIII al XVII
in appendice alla Collezione suddefta.
DI questa Scelta, in Appendice alla Collezione
ufficiale, encomiata da molti giornali d' Italia e del-
l' estero , fin qui si sono pubblicate le seguenti
dispense, tirate in soli 202 esemplari ordinatamente
numerati.
* 1. ITovelle d' incerti autori del secolo
XIV. Bologna, Tipografia del Progresso,
1861, in-16 di pagg. 100. L. 3
2. Lezione o vero Cicalamento di Maestro
Bartolino dal Canto de' Bischeri sopra
'1 sonetto : Passere e beccafichi magri
arrosto. Bologna , Tipografia del Pro-
gresso, 1861, in-16 di pagg. 102. L. 5
* 3. Martirio d' una fanciulla Faentina
narrato per Frate Filippo da Siena nel
11
sec. XIV. Bologna, Tip. del Progresso,
1861, in-lG di pagg. 12. L. 1. 25
* 4. Due Novelle morali d' autore anonimo
del secolo XIV. Bologna, Tipografia del
Progresso, 1861, in-16 di pagg. 24.
L. 1. 50
* 5. Vita di M. Francesco Petrarca scritta
da incerto trecentista. Boi., Tipografia
del Progresso, 1861, in-16 di pagg. 24.
L. 1. 25
* 6. Storia d' una Fanciulla tradita da un
suo amante di messer Simone P'orestani
da Siena. Boi., Tipografia del Progresso
1862, in-16 di pagg. 48. L. 1. 75
7. Gominento di ser Agresto da Ficaruolo
sopra la prima Ficata del Padre Siceo.
Boi., Tipografia del Progresso, 1862,
in-16 di pagg. 216. L. 6
* 8. La Mula , la Chiave e Madrigali sa-
tirici del Doni Fiorentino. Boi., Tipo-
grafia del Progresso, 1862, in-16 di
pagg. 40. L. 1. 50
* 9. Dodici Conti morali di Anonimo Se-
nese, testo inedito del secolo XIII. Boi.,
Tipografia del Progresso, 1862, in-16
di pagg. XIV-152. L. 4
12
* 10. La Lusignaca, novella inedita del
buon secolo della lingua italiana. Boi.,
Tipografia del Progresso, 1862, in-16
di pagg. 32. L. 2
11. Dottrina dello Schiavo di Bari secondo
la lezione di tre antichi testi a penna.
Boi. , Tipografia del Progresso, 1862,
in-16 di pagg. 24. L. 1. 50
* 12. 11 Passio 0 Vangelo di Nicodemo
volgarizzato nel buon secolo della lingua,
e non mai fin qui stampato. Boi., Tip.
del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 52.
L. 2. 50
* 13. Sermone di S. Bernardino da Siena
sulle Soccite di Bestiami. Boi. , Tipo-
grafia del Progresso, 1862, in-16 di
pagg. 40. L. 1. 50
* 14. Storia d'una crudel matrigna, ove
si narrano piacevoli novelle. Scrittura
del buon secolo di nostra lingua. Boi.,
Tipografia del Progresso, 1862, in-16
di pagg. 68. L. 2. 50
* 15. H Lamento della Beata Vergine
Maria e le Allegrezze in rima, secondo
antichi codici manoscritti. Boi. , Tipo-
grafia del Progresso, 1862, in-16 di
pagg. 24. L. 1. 50
13
16. Il Libro della vita contemplativa,
saggio di un volgarizzamento del sec.
XIV, messo per la prima volta in luce.
Boi., Tipografia del Progresso, 1862,
in- 16 di pagg. 36. L. 1. 50
* 17. Brieve Meditazione sui benefici di
Dio per Agnolo Torini da Firenze, testo
inedito del buon secolo della lingua ita-
liana. Boi., Tipografia del Progresso,
1862, in-16 di pagg. 56. L. 2
18. La Vita di Bomolo composta in latino
da Francesco Petrarca col volgarizza-
mento citato dagli accademici della
Crusca di Maestro Donato da Prato-
vecchio. Boi. , Tipografia del Progresso ,
1862, in-16 di pagg. 56. L. 2
19. n Marchese di Saluzzo e la Griselda,
novella in ottave del secolo XV. Boi. ,
Tipografia del Progresso, 1862, in-16
di pagg. 40. L. 2
* 20. Novella di Pier Geronimo Gentile
Savonese. Boi., Tipogr. del Progresso,
1862, in-16 di pagg. 28. Vi è unito:
Un' Avventura amorosa di Ferdinando
d' Aragona Duca di Calabria , narrata
da Bernardo Dovizi da Bibbiena in una
14
lettera a Piero de' Medici. Boi. , Tip.
del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 24.
Vi è pure unito :
Le Compagnie de' Battuti in Roma nell' anno
1339. Boi., Tipografia del Progresso,
1862, in-16 di pagg. 16. L. 2. 50
21. Due Epistole d' Ovidio tratte dal vol-
garizzamento delle Eroidi fatto da mes-
sere Carlo Figiovanni nel secolo XIV.
Boi., Tipografia del Progresso, 1862,
in-16 di pagg. 40. L. 2
22. Novelle di Marco Mantova scrittore
del secolo XVI, novellamente stampate
a facsimile nella lezione del testo origi-
nale. Bologna, Tipografia del Progresso,
1862, in-16 di pagg. 144. L. 5
23. Dell' Illustre et famosa historia di
Lancilotto dal Lago, alcuni capitoli a
saggio. Boi., Tipografia del Progresso,
1862, in-16 di pagg. 72. L. 3
24. Saggio del volgarizzamento antico di
Valerio Massimo citato dagli accademici
della Crusca per testo di lingua. Boi.,
Tipografia del Progresso, 1862, in-16
di pagg. 44. L. 2. 50
15
25. Novella del Gerbino in ottava rima
di un Anonimo antico. Boi., Tipografia
del Progresso, 1862, in- 16 di pagg. 40.
L. 2
26. Trattatello delle virtù, testo francese
di Frate Lorenzo de' Predicatori e to-
scano di Zucchero Bencivenni scrittore
del secolo XIV. Boi., Tipografia del
Progresso, 1863, in-16 di pagg. 48.
L. 2
27. Negoziazione di Giulio Ottonelli alla
Corte di Spagna. Boi., Tipografia del
Progresso, 1862, in-16 di pagg. 32. L. 2
28. Tancredi Principe di Salerno. Novella
in rima di Hieronimo Benivieni Fioren-
tino. Boi., Tipografia del Progresso,
1863, in-16 di pagg. 62. L. 2
29. Le vite di Numa e T. Ostilio, testo
latino di Francesco Petrarca, e toscano
di M. Donato da Pratovecchio. Boi. ,
Tipografia del Progresso, 1863, in-16
di pagg. 38. L. 2
30. La Epistola di San Iacopo e i Capitoli
terzo e quarto del Vangelo di san Gio-
yanni, volgarizzamenti inediti. Boi., Ti-
pografia del Progresso, 1863, in-16 di
pagg. 44. L. 2
IG
31. Storia di san Clemente Papa fatta
volgare nel secolo XIV. Boi, Tipografìa
del Progresso, 18G3, in-16 di pagg. 104.
L. 3
32. n Libro delle Lamentazioni di lere-
mia e il Cantico de' Cantici di Salomone,
volgarizzamenti del secolo XIV. Boi.,
Tipografia del Progresso, 1863, in-16
di pagg. 32. L. 2
33. Epistola di Alberto degli Albizzi a
Martino V. volgarizzata da Don Giovanni
Dassamminiato. Boi., Tipografia del
Progresso, 1863, in-16 di pagg. 46.
L. 2
*34. I Saltarelli del Bronzino Pittore.
Boi., Tipografia del Progresso, 1863.
in-16 di pagg. 56. L. 2
35. Gìbello Novella inedita in ottava rima
del buon secolo della lingua. Boi., Ti-
pografia del Progresso, 1863, in-16 di
pagg. 60. L. 3
36. Commento a una Canzone di Francesco
Petrarca per Luigi de' Marsili. Boi. ,
Tipografia Monti, 1863, in-16 di pagg.
51. L. 2. 50
17
* 37. Vita e frammenti di Saffo da Miti-
lene. Boi., Tipogi'afia del Progresso ,
1863, in-16 di pagg. 104. L. 3
* 38. Bime di Stefano Vai rimatore pratese.
Boi., Tipografia del Progresso, 1863,
in-16 di pagg. 56. L. 2
39. Capitoli delle monache di Pontetetto
presso Lucca. Scrittura inedita del sec.
XIII. Bologna, Tipografia del Progresso,
1863, in-16 di pagg. 46. L. 2. 50
40. Libro della Cucina del secolo XIV,
testo di lingua non mai fin qui stam-
pato. Boi., Tipografia del Progresso,
1863, in-16 di pagg. LVI-128. L. 6
41. Historìa della Reina d' Oriente di
Antonio Pucci Fiorentino , Poema ca-
valleresco del secolo XIV, pubblicato e
restituito alla sua buona primitiva le-
zione su' testi a penna. Boi., Tipografia
Monti, 1862, in-16 di pagg. 86. L. 3
42. La Fisognomia trattatello in francese
antico colla versione italiana del Tre-
cento pubblicata la prima volta su
codici. Boi., Regia Tipografia, 1864,
in-16 di pagg. 62. L. 2. 50
2
18
43. Storia della Reina Ester scritta nel
buon secolo della lingua e non mai fin
qui stampata. Boi., Regia Tipografia,
1864, in-16 di pagg. 31. L. 1. 50
44. Sei Odi inedite di Francesco Redi.
Boi., Tipografia del Pi'Ogresso, 18C4,
in-lG di pagg. 52. L. 2
45. La Storia di Maria per Ravenna scritta
nel secolo XV da ignoto autore. Boi.,
Regia Tipografia, 1864, in-16 di pagg.
38. L. 2
46. Trattatello della verginità, testo di
lingua dell' aureo trecento non mai fin
qui stampato. Boi., Regia Tipografia,
1864, in-16 di pagg. 40. L. 2
47. Lamento di Fiorenza qual supplica la
Santità del Papa ad unirsi con esso lei
con invocazione di tutte le potenze cri-
stiane con la guerra, e quando si rese
con patti e convenzioni fatte con la
Santità di Nostro Signore e Maestà Ce-
sarea 1529-30. Boi., Regia Tipografia,
1864, in-16 di pagg. 36. L. 2
48. Un Viaggio a Perugia fatto e descritto
dal Beato Giovanni Dominici nel 1395
con alcune sue Lettere che non si leg-
19
gono tra quelle di Santi e Beati fio-
rentini. Boi., Regia Tipografia, 1864,
in-16 di pagg. 52. L. 2. 50
49. Il Tesoro canto carnascialesco mandato
a Cosimo I. Granduca , da Lorenzo
Braccesi. Si aggiunge la Canzone del
Nicchio ricordata nel Decamerone. Boi.,
Regia Tipografia, 1864, in-16 di pagg.
24. L. 1. 50
* 50. Storia di Fra Michele Minorità, come
fu arso in Firenze nel 1389, con docu-
menti risguardanti i Fraticelli della
povera Vita, testi inediti del buon sec.
di nostra lingua. Boi., Tipografia del
Progresso, 1864, in-16 di pagg. XX XVI-
128. L. 6.
*51. Dell'Arte del vetro per musaico;
tre trattatelli del sec. XIV e XV ora
per la prima volta pubblicati. Bologna,
Regia Tipografia, 1864, in-16 di pagg.
XVI-176. L. 6
52. 53. Leggende di alcuni Santi e Beati
venerati in S. Maria degli Angeli di
Firenze , testi del buon secolo. Boi. ,
Regia Tipografia, 1864, voli. 2 in-16
di pagg. 160 e 183. L. 10. 50
20
54. Regola dei Frati di S. Iacopo d' Al-
, topascio. Boi., Regia Tipografia, 1864,
in- 16 di pagg. 144. L. 5
55. Lettera de' Fraticelli a tutti i cristiani
nella quale rendon ragione elei loro
scisma, testo inedito del buon secolo
della lingua. Boi., Tipografia del Pro-
gresso, 1865, in- 16 di pagg. 36.
L. 1. 50
56. Gìacoppo novella e la Ginevra novella
incoaiinciata; dall'originale d'anonimo
quattrocentista dell' Archivio Mediceo
(con facsimile). Boi., Tipografia del
Progresso, 1865, in-16 di pagg. XVI-64.
L. 3
57. La Leggenda di Sant' Albano , prosa
inedita del secolo XIV, e la Storia di
S. Giovanni Boccadoro secondo due an-
tiche lezioni in ottava rima. Boi., Tipogr.
del Progresso, 1865, in-16 di pag. 109.
L. 4
58. Sonetti giocosi di Antonio da Pistoia,
e Sonetti satirici senza nome d' autore ,
, tratti per la prima volta da vari codici.
Boi., Regia Tipografia, 1865, in-16 di
pagg. 76. L. 2. 50
21
59. Fiori di Medicina di maestro Gregorio
Medico-fi|ico del secolo XIV. Boi., Re-
gia Tipografìa, 1865, in-16 di pagg. 86.
L. 3
60. Cronichetta di San Geminiano compo-
sta da F. Matteo Ciaccheri Fiorentino
l'anno MCGCLV. Boi., Tipogr. del Pro-
gresso, 1865, in-16 di pagg. XIV-44.
L. 2
61. Trattato di Virtù morali. Boi., Regia
Tipografia, 1865, in-16 di pagg. 216.
L. 6. 50
62. Proverbi di messer Antonio Cornazano
in facetie. Boi., R. Tipografia, 1865, in-16
di pagg. XII-176. L. 8
63. Fiore di Filosofi e di molti savi at-
tribuiti a Brunetto Latini, testo in parte
inedito, citato dalla Crusca e ridotto a
miglior lezione. Boi., Regia Tipografia,
1865, in-16 di pagg. XX-94. L. 3
64. Il Libro dei Sette Savi di Roma tratto
da un codice del secolo XIV, per cura
di Antonio Cappelli. Boi., Tipogr. del
Pi'ogresso, 1865, in-16 di pagg. XVI-88.
^" L. 3. 60
22
65. Del Lìbero arbitrio, trattato di San
Bernardo, testo di lingua citato dalla
Crusca , ora edito per la prima volta.
Bologna, Tipografia del Progresso ,
1866 in-16 di pagg. XVl-112. L. 4
66. Delle Azioni e sentenze di Alessandi-o
De' Medici , ragionamento d' Alessandro
Ceccheregli. Boi., Regia Tipografia, 1865,
in-16 di pagg. 206. L. 6
67. PronosticM d' Ippocrate volgarizzati
nel buon secolo della lingua e non mai fin
qui stampati. Boi., Tipogr. del Progresso,
1866, in-16 di pagg. 68.
Vi è unito:
Della Scelta di curiosità letterarie inedite
o rare, illustrazioni del Prof. Giosuè
Carducci. Boi., Tipogr. del Progresso,
1863, in-16 di pagg. 76. L. 3. 50
68. Lo Stimolo d' Amore attribuito a San
Bei'nardo, testo di lingua inedito. Boi.,
Tipogr. del Progresso, 1866, in-16 di
pagg. 52.
Vi è unito :
La Epistola di S. Bernardo a Raimondo,
volgarizzamento del buon secolo. Boi.,
23
Tipogr. del Progresso, 1866, in- 16 di
pagg. 20. L. 3
69. Bicordi sulla vita di messer Fi'ancesco
Petrarca e di Madonna Laura scritti da
Luigi Peruzzi loro contemporaneo. Boi.,
Tipogr. del Progresso, 1866, in- 16 di
pagg. 36. L. 1. 50
70. Tractato del Diavolo co' Monaci, isto-
ria in ottava rima di Bernardo Giam-
bullari. Boi., Tipogr. del Progresso, 1866,
in-16 di pagg. 40. L. 2. 50
71. Due Novelle aggiunte in un codice del
1437, contenente il Decameron di Gio-
vanni Boccacci, Boi., R. Tipografia, 1866,
in-16 di pagg. XII-72. L. 3. 50
72. Vbbie Ciancioni e Ciarpe del secolo
XIV. Boi., R. Tipogr., 1866, in-16 di
pagg. XXIV-62. L. 3
73. Specchio dei peccatori attribuito a S.
Agostino, edito per la prima volta. Boi.,
R. Tipogr. 1866, in-16 di pagg. XVI-34.
L. 2. 50
74. Consiglio contro a pistolenzia per mae-
stro Tommaso del Garbo conforme un
codice della Marciana 2:ià Farsetti raf-
24
frontato con altro codice Riccardiano.
Boi., R. Tipografia, 1866, in-16 di pagg.
60. L. 2
75. 76. Il Volgarizzamento delle favole di
Galfredo dette di Esopo, testo di lingua,
con un discorso intorno la origine della
Favola, la sua ragione storica e i fonti
dei volgarizzamenti italici. Bologna, Tip.
del Progresso, 1866, voli. 2 in-16 di
pagg. CCXVII-288. L. 14. EO
77. Poesie minori del secolo XIV. Boi.,
Tipogr. del Progresso, 1867, in-16 di
pagg. XL-108. L. 4
78. Due Sermoni di Santo Efrem e la
Laudazione di Josef. Boi., R. Tipografìa,
1867, in-16 di pagg. 72. L. 2. 50
79. Cantare del Bel Gherardino, Novella
cavalleresca in ottava rima del secolo
XIV, non mai fin qui stampata. Boi., R.
Tipografia, 1867, in-16 di pagg. 56.
L. 2
80. Fioretti de' Riraedii contro fortuna di
messer Francesco Petrarca, volgarizzati
per D. Gio. Dassaminiato, ed una Epi-
stola di Coluccio Salutati al medesimo
25
D. Giovanni, tradotta in latino di Ni-
colò Castellani, testi del buon secolo.
Boi., R. Tip., 1867, in-16 di pagg. 280.
L. 8
81. Compendio di più ritratti di Gio. Maria
Gecchi, oi^a per la prima volta messo
in luce. Boi., R. Tipogr., 1867, in-16 di
pagg 96. L. 3
82. Bime di Bindo Bonichi da Siena edite
ed inedite, ora per la prima volta tutte
insieme stampate. Boi., 1867, in-16 di
pagg. XXXVI-216. L. 7. 50
83. La Storia di Ottinello e Giulia, Poe-
metto popolare in ottava rima, ripro-
dotto sulle antiche stampe. Bologna, 1867,
in-16 di pagg. XLVlII-28. L. 2, 50
84. Fistola di S. Bernardo ai frati del
monte di Dio, volgarizzamento del se-
colo XIV, citato dalla Crusca. Bologna,
1867, in-16 di pagg. XVI-196. L. 7
85. Tre Novelle rarissime del secolo XVI.
Bologna, 1867, in-16 di pagg. 132.
L. 5
86. 86.2 87. 88. Il Paradiso degli Alberti,
ritrovi e ragionamenti del 1379 , ro-
2S
manzo di Giovanni da Prato dal codice
autografo e anonimo della Riccardiana.
Bologna, 1867. Volumi 4 in-16 di pagg.
X11I-382-IV-448-1V-242-1V-276. L. 40
89. Madonna Lionessa, cantare inedito del
secolo XIV, aggiuntavi una novella del
Pecorone. Bologna, 1866, in-16 di pagg.
VIIl-72.
Sta unito in questa medesima dispen-
sa il
Libro degli ordinamenti della Compagnia
di Santa Maria del Carmine, scritto nel
1280, per la prima volta messo in luce
secondo una pergamena originale. Bolo-
gna , 1867, in-16 di pagg. 48. L. 4
90. Alcune lettere famigliari del secolo
XIV, pubblicate da Pietro Dazzi. Boi.,
1868, in-16 di pagg. 72. L. 2. 50
91. Profezia sulla Guerra di Siena, stanze
del Perella accademico Rozzo. Boi., 1868,
in-16 di pagg. 61.
Vi è eziandio unito:
Delle Favole di Galfi'edo pubblicate da
Gaetano Ghivizzani. Lettere di Nicolò
Tommaseo e Luigi Barbieri. Boi., 1867,
in-16 di pagg. 76.
27
Vi è unito:
Due Opuscoli rarissimi del secolo XVI.
Boi., 1865, in-16 di pagg. 32. L. 5. 50
92. Lettere di Diomede Borghesi. Bolo-
gna, 1868, in-16.
Vi è unito:
Quattro Lettere di Daniele Bartoli. Bolo-
gna , 1868, in-16 di pagg. 16.
L. 3. 50
93. Libro di Novelle Antiche, tratte da
diversi testi del buon secolo della lin-
gua. Bologna, 1868, in-16 di pagg. XVI-
232. L. 7. 50
* 94. Poesie Musicali dei secoli XIV, XV,
XVI, tratte da vari codici, con un sag-
gio della musica dei tre secoli. Bologna,
1869 , in-16 di pagg. 76. L. 3
95. L' Orlandino , Canti due di messer
Pietro Aretino. Bologna, 1868, in-16 di
pagg. 32. L. 1. 50
96. La Contenzione di Mona Costanza e
di Biagio e tre Canzoni di messer Ber-
nardo GiambuUari. Bologna, 1868, in-16
di pagg. 36. L. 1. 50
28
97. STovellette , Esempi morali e Apolo-
ghi di San Bernardino da Siena. Boi.,
1868, in-16 di pagg. XVI-104. L. 3. 50
98. Un Viaggio di Clarice Orsini de' Me-
dici nel 1485, descritto da ser Matteo
Franco. Bologna, 18G8, in-16 di pagg. 24.
L. 1
99. La Leggenda di Vergogna, testi in
prosa e in verso del buon secolo , e la
Leggenda di Giuda, testo italiano antico
in prosa e francese antico in verso. Bo-
logna, 1869, in-16 di pagg. 236. L. 7. 50
100. Il Femia sentenziato, favola di Pier-
jacopo Martelli con postille inedite. Bo-
logna, 1869, in-16 di pagg. XVI-208.
L. 7
101. Lettere di Bartolomeo Cavalcanti,
tratte dagli originali che si conservano
nell'Archivio Governativo di Parma. Boi.,
R. Tipografìa , 1869 , in-16 di pagg.
XLIV-223. L. 8. 50
102. Il Libro segreto di Gregorio Dati.
Bologna, R. Tipografia, 1869, di pagg.
120. L. 3. 80
103. Lettere inedite di Bernardo Tasso ,
precedute dalle notizie intorno alla Vita
29
del medesimo. Bologna, R. Tipografia,
18G9, ia-16 di pagg. 222. L. 7
104. Del Tesoro volgarizzato di Brunetto
Latini, libro primo edito sul più antico
dei codici noti. Bologna, R. Tipografia,
1869, in-16 di pagg. 210. L. 7
105. Qidìno da Sommacampagna, Trattato
inedito dei Ritmi volgari. Boi., R. Ti-
pografia, 1870, in-16 di pagg. XXXll-
280. L. 10. 50.
106. La Leggenda d'Adamo ed Eva, testo
inedito del secolo XIV. Bologna, R. Ti-
pografia, 1870, in-16 di pagg. 82.
L. 1. 50
107. Novellino Provenzale, ossia Volgariz-
zamento delle antiche vitarelle dei Tro-
vatori, scritte in lingua d'oc, da Ugo
di S. Ciro, da Micheler della Torre e
da altri. Imola, Tip. d' I. Galeati e figlio,
1870. Di pagg. XXIl-222. L. 8
108. Lettere di Bernardo Cappello tratte
dagli originali che sono nell'Archivio
Governativo di Parma. Imola, Tip. d' I.
Galeati e figlio, 1870, di pagg. XX-108.
L. 4
30
109. Parma liberata dal giogo di Mastino
della Scala addi 21 Maggio 1341, Can-
zone politica di Francesco Petrarca, ri-
dotta a miglior lezione. Bologna, Regia
Tipografìa, 1870, di pagg. 202.
L. 6. 50
110. Epistola di S. Girolamo ad Eusto-
chio, volgarizzamento antico secondo la
lezione di un codice della Biblioteca
Municipale di Genova. Boi., R. Tip.,
1870, di pagg. 214. L. 7.
111. Novellette intorno a Curzio Mari-
gnolli, scritte da Andrea Cavalcanti. Boi.,
R. Tipografia, 1870, di pagg. 104.
L. 3. 50
112. n Libro di Theodolo, o vero la Vi-
sione di Tantalo, da un codice del XIV
secolo della Capit. Bibl. di Verona. Boi. ,
R. Tipogr., 1870, di pagg. XXXII-96.
L. 4
113. 114. I Viaggi di Gio. da Mandavilla,
volgarizzamento antico toscano ora ri-
dotto a buona lezione coli' aiuto di due
testi a penna. Imola , Tipografia d' I.
Galeati e figlio, 1870, di pagg. XXVllI-
184 e 220. L. 14
31
115. Lettere di Pietro Vettori, ora per la
prima volta pubblicate. Bologna, Regia
Tipogr., 1870, di pagg. 80. L. 2. 50
116. Lettere volgari del secolo XIII scritte
da senesi, pubblicate e illustrate con
documenti e annotazioni. Imola, Galeati,
1871, di pagg. XXlV-178. L. 6. 50
117. Bime del cav. Lionardo Salviati, se-
condo la lezione originale, confrontata
con due codici. Imola, Galeati, 1871, di
pagg. XVI-114. L. 4
118. La Seconda Spagna e l'Acquisto di
Ponente ai tempi di Carlomagno , testi
di lingua inediti del secolo XIV. Boi.,
R. Tip., di pagg. XCVl-272, con fac-
simile. L. 12
119. Novelle di Giovanni Sercambi. Bolo-
gna, R. Tipogx'afìa, 1871, di pagg. XII-
308. L. 12
120. Carte da giuoco in servigio dell' 1-
storia e della Cronologia, disegnate e
descritte da mons. Francesco Bianchini
secondo l' autografo della Capitolare Ve-
ronese. Boi., R. Tip., 1871, di pagg. 72,
con quattro tavole litografiche. L. 3. 50
32
121. Scritti varii editi ed inediti di G. B.
Adriani e di Marcello suo figliuolo. Boi. ,
R. Tipografia, 1871, di pagg. X-288.
L. 9. 50
122. Battecchio, Commedia di Maggio.
Boi., R. Tipografia, 1871, di pagg. 132.
L. 4
123. 124. Il Viaggio di Carlo ISIagno in
Ispagna per conquistare il cammino di S.
Giacomo. Imola, Tipografia Galeati, voli.
2 in-16 di pagg. LXVII1-1G4-252.
L. IG
125. Del Governo de' regni sotto morali
esempi di animali ragionanti tra loro.
Imola, Tipografia Galeati, 1872, in-16
di pagg. XXXlI-142. L. 5. 50
126. Il Salterio della B. V. Maria compi-
lato da S. Bonaventura, volgarizzamento
antico toscano. Bologna, Regia Tipo-
grafia, 1872, iri-16 di pagg. XVI-120.
L. 5
127. Trattato dei mesi di Bonvesin Da
Riva milanese. Imola, Galeati, 1871, di
pagg. XXIl-106. L. 4
128. Visione di Tugdalo, volgarizzata nel
secolo XIV, ed ora per la prima volta
33
posta in luce. Boi. , Regia Tipogr. ,
1872, di pagg. XC-140. L. 7
129. Prose inedite del cav. Lionardo Sal-
viati. Imola, Galeati, 1873, di pagg.
XVI-178. L. 6
130. Volgarizzamento del Trattato della
cura degli occhi di Pietro Spano, codice
Laurenziano citato dagli accademici del-
la Crusca, ora per la prima volta stam-
pato. Imola, Galeati, 1873, di pagg.
XXXII-96 , con una tavola incisa in
legno. L. 4
131. Trattato dell'Arte del Ballo di Gu-
glielmo ebreo pesarese, testo inedito del
secolo XV. Boi. , Tipografìa Fava e Ga-
ragnani, 1873, di pagg. XXX-112. L. 4
132. 132.2 132.3 132.4 Lettere scritte a
Pietro Aretino. Boi., R. Tipografia,
1873-74. Voi. I. parte I. II. di pagg.
XLVI-348-VIII-260. Voi. II. parte I. II.
di pagg. 352-412. L. 47
133. Bìme di Poeti Italiani del secolo XVI.
Boi., Tipografia Fava e Garagnani, 1874,
di pagg. VIII-160. L. 5
3i
134. TTovelle di ser Andrea Lancia. Boi.,
Tipogr. Fava e Garagnani, 1873, di
pagg. 76. L. 2. 50
135. I Cantari di Carduino giuntovi quello
di Tristano e Lancielotto quando com-
battettero al Petrone di Merlino, poe-
metti cavallereschi. Boi. , R. Tipografìa,
1873, di pagg. XXXVI-64. L. 5. 50
136. La Lettera dell'Isole che ha trovato
nuovamente il re di Spagna, poemetto
in ottava rima di Giuliano Dati. Imola,
Galeati, 1873, di pagg. LX-64, con tre
incisioni in legno. L. 5. 50
137. La Pietosa Fonte, poema di Zenone
da Pistoia in morte di Francesco *Pe-
trarca, testo di lingua messo novella-
mente in luce con giunte e correzioni.
Bolog., Regia Tipografia, 1874, di pagg.
LX-172, con una tavola incisa in legno.
L. 7. 50
138. Facezie e motti dei secoli XV e XVI,
codice inedito Magliabechiano. Boi., Re-
gia Tipografia, 1874, di pagg. XII-152.
L. 5.
139. Rime di ser Pietro De' Fay tinelli det-
to Mugnone poeta lucchese del secolo
35
XIV, ora per la prima volta pubblicate
con notizie sulla vita dell' autore ed altre
illustrazioni. Boi., Tipografìa Fava e
Garagnani , 1874, di pagg. 120, con
facsimile. L. 3. 50
140. Libro della natura degli uccelli fatto
per lo re Banchi, testo antico toscano.
Bologna, 1874, di pagg. XXXVI-72, con
figure in cromolitografìa. L. 12
141. Prose del giovane Buonaccorso da
Montemagno , inedite alcune , tratte da
due codici della Bibl. Capitolare di Ve-
rona. Imola, Galeati, 1874, di pagg.
XVIII-II4. L.^4
142. Bime di Luigi D' Eredia palermitano,
ora per la prima volta stampate. Boi.,
1875, in-16 di pagg. XXIV-64. L. 3
143. I primi quattro libri del volgariz-
zamento della Terza Deca di Tito Livio
Padovano, attribuito a Giovanni Boc-
caccio, (libro primo). Bologna, 1875,
in-16, di pagg. VIII-236. L. 8
144. Relazione delle. Scoperte fatte da C.
Colombo, da A. Vespucci e da altri dal
1472 al 1506 tratta dai manoscritti della
36
Biblioteca di Ferrai^a, pubblicata per la
prima volta ed annotata. Bologna, 1875,
in 16 di pagg. 208 con 4 tavole. L. 8
145-146. Lettere inedite di Uomini illustri
bolognesi pubblicate da Carlo Malagola.
Bologna, 1875, in-16, divise in due libri
di pagg. XL-524. L. 18
147. Il Tancredi, tragedia di Sempi'onio
Torelli, nuovamente pubblicata. Bolo-
gna,l875, in-16, di pagg. XXXVI-120.
L. 4. 50
148. La defensione delle Donne d'autoi-e
anonimo, scrittura inedita del secolo XV.
Boi., 1876, in-16 di pagg. 192.
L. 7. 50
149. La seconda e terza guerra punica,
testo di lingua inedito tratto da un co-
dice dell'Ambrosiana. Bologna, 1876 ,
in-16. L- 5
150. Euspoli Francesco. Sonetti editi ed
inediti col commento di Andrea Caval-
canti non mai fin qui stampato. Boi. ,
1876, in-16 di pagg. 146. L. 5
151. Le Rime di Bernardo Bellincioni ri-
scontrate sui manoscritti, emendate e
37
annotate, parte I. Boi., 1876, di pagg.
Vin-250. L. 9
152. Poesie popolari i-eligiose del secolo
XIV pubblicate per la prima volta. Boi. ,
1876, di pagg. LXXXVIII-84. L. 5. 50
153. I primi quattro libri del volgariz-
zamento della terza deca di Tito Livio
padovano, attribuito a Giovanni Boccac-
cio, (libro secondo). Boi. ,1876, di pagg.
256. L. 8
154. Libro del Gandolfo Persiano delle
medesine de' Falconi , pubblicato per la
prima volta. Bologna, 1877, di pagg. 157.
L. 5
155. Tre Novelle inedite di Pietro Fortini
senese. Boi., 1877, di pagg. 112.
L. 3. 50
156. Borgognoni A. Studi d' Erudizione e
d'Arte (Bindo Bonichi — L' Intelligenza).
Voi. I. Boi., 1877, di pagg. XXIV-312.
L. 10. 50
157. Lettere di Scrittori Italiani del se-
colo XVI stampate per la prima volta.
Boi. 1877, L. 12. 50
158. Cronica degli Imperatori Romani te-
sto ine:lito di lingua tratto da un codice
38
della Biblioteca Ambrosiana. Boi., 1878,
di pagg. XVI-200. L. 6. 50
159. Vita di S. Guglielma regina d'Un-
gheria e di S. Eufrasia vergine Romana
scritta da Frate Antonio Bonfadini. Boi.,
1878, di pagg. VIlI-104. L. 3. 50
160. Le Bime di Bernardo Bellincioni ri-
scontrate sui manoscritti, emendate e
annotate. Parte li. ( Vedi Disp. 151 ).
Boi., 1878, di pagg. XXXlV-268.
L. 9. 50
161. La Fabula del pistello da l'agliata
tratta da un' antica stampa e la que-
stione d' amore, testo inedito del secolo
XV. Boi., 1878, di pagg. 64. L. 3
162. La Passione del N. S. Gesù Cristo
poema attribuito a Giovanni Boccacci.
Boi., 1878, di pagg. XXVI-200. L. 7
163. Borgognoni Adolfo, Studi d'erudizio-
ne e d'arte. Voi. 2.° (Vedi Disp. 156.)
Boi., 1878, di pagg. 288. L. 9
164. Gambino d'Arezzo, versi con un car-
me di Tommaso Marzi. Boi. , 1878, di
pagg. XXXII-200. L. 7. 50
39
165. La prima Guerra Punica testo di lin-
gua riprodotto sopra un Codice a penna
della Bibl. Ambrosiana Boi., 1878, di
pagg. 248. L. 8
166. Lettere di Laura Battiferri Amma-
nati a Benedetto Varchi. Boi., 1879, di
pagg. 69. L. 2 50
167. Sonecti composti per M. Johanne De
Petruciis conte di Policastro publicati
per la prima volta dietro il manoscritto
della Biblioteca Nazionale di Napoli.
Boi, 1879, di pagg. XI.lV-104. L. 4. 50
108. Alcune Poesie inedite del Saviozzo e
di altri autori tratti da un ms. del Sec.
XV e pubblicate per la prima volta..
Boi., 1878, di pagg. 187. L. 4
169. Geta e Bìrria. Novella riprodotta da
un' antica stampa e riscontrata co' testi
a penna. Boi, 1879, di pagg. LX-84.L. 4
170. 171. Petrarca Francesco. La Vita so-
litaria, volgarizzamento inedito del Sec.
XV, tratto da un codice dell'Ambrosiana
pel Dott. Antonio Ceruti. Boi., 1879,
voli. 2, di pagg. LIl-428. L. 15
172. Le rime di Folgore da S. Gemignano
e di Cene da la Chitarra d'Arezzo nuo-
40
vamente pubblicate. Boi., 1880, di pagg.
CLXVIII-88.
L. 7. 50
173-173B. Delle Istorie di Giustino ab-
breviatore di Trogo Pompeio volgarizza-
mento del buon secolo tratto dai codici
Riccardiano e Laurenziano e migliorato
nella lezione colla scorta del testo lati-
no. Boi., 1880, di pagg. XXIV-736.
L. 23. 50
174. Bime di Alessandro Tassoni raccolte
sui codici e le stampe.. Boi., 1880, di
pagg. 80. " . L. 2
175. Amore Dispetto per Costanza, Visio-
ne di Ugolino Della Casa. Boi., 1880, di
pagg. 60. L. 2
176. Storia di Stefano Figliuolo d'un im-
peratore di Roma, versione in ottava
rima del libro dei sette Savi , pubblicata
per la prima volta. Boi., 1880, di pagg.
XXXII-250. L. 9
177. 178. Il Sacco di Prato e il ritorno
de' Medici in Firenze nel MDXII. Nar-
razioni in verso e in prosa. Voi. I. Nar-
razioni — Voi. IT. Documenti. Boi., 1880,
di pagg. LXIV-432. L. 16.
41
179. Poesie Religiose del Sec. XIV pub-
blicate secondo un codice Eugubino .
Boi. 1881, dipag. VIll-104 L. 3. 50
180. Compendio di Storia Romana di Lu-
cio Anneo Floro. Volgarizzamento ine-
dito secondo un codice dell' Ambrosiana.
Boi. 1881, di pag. XLVlll-228. L. 10.
IN CORSO DI STAMPA
1. Il Commento del Grappa a cura del
Cav. Costantino Arila.
2. Parnaso Bolognese del Sec. XIII, a cura
di Tommaso Casini.
3. Bime moi'ali edite e;l inedite di Antonio
Pucci a cura di Salomone Morpurgo.
4. Ifovella popolare in ottava rima di Cara-
priano Contadino a cura di Albino Za-
netti.
5. Fra Niccolò da Poggibonsi, libro di
oltramare a cura del Dott. Alberto Bac-
chi della Lega.
G. H Contrasto del Carnevale con la qua-
resima a cura del Conte Luigi Manzoni.
7. Due Rappresentazioni del Sec. XVI a
cura del Prof. Cav. Alessandro d' An-
cona.
IL PROPUGNATORE
STUDI FILOLOGICI, STORICI E BIBLIOGRAFICI
DI VARII
Soci della Commissione pe' Testi di Lingua
PERIODICO BIMESTRALE
diretto e compilato
DA. FRANCESCO ZAMBRINI
Fa seguito alle due Collezioni suddette.
ANKO DECIMGQUARTO
Questo Periodico è come un Supplemento
ad amendue le Collezioni sopra registrate,
e chi possiede le une non dovrebbe a meno
di non possedere eziandio l'altro. In esso ,
oltre gli articoli originali di critica, di fi-
lologia , di storia e di bibliografia , conten-
gonsi parimenti importantissime scritture
o inedite o rare dei primi secoli della lin-
gua, che per la loro brevità mal sarebbero
convenute nelle due sopraddette Collezioni.
E bimestrale e se ne pubblicano VI dispen-
se all' anno ; che formano ogni anno due
volumi in 8.° L. 18. 80.
LIBRI VARI
Bacchi Della Lega Alberto, Bibliografia
dei vocabolari ne' dialetti italiani rac-
colti e posseduti da G. Romagnoli. Boi.,
1879, in-8; 2.''^ Edizione L. 3
Bacchi Della Lega Alberto, Manuale del
cacciatore colla particolare descrizione
delle caccie romagnole. Boi., 1876, in-16.
L. 3
Bacchi Della Lega Alberto, Serie delle
edizioni delle Opere di Giovanni Boc-
cacci latine , volgari , tradotte e tra-
sformate. Boi., 1875, in-8, edizione di
soli 100 esemplari. L. 5
Bacchi Della Lega Alberto e Bazzolini
Luigi, Bibliografia dei Testi di Lingua
a stampa citati dagli accademici della
Crusca. Boi., 1878, in-8. L. 10
Bonora Tommaso, L' Arca di San Dome-
nico e Michelangelo Buonarroti, ricerche
storico-critiche. Boi., 1875, in-8.
L. 1. 20
45
Botta C. Dodici Lettere edite per cura
di Giuseppe Campori. Boi., Romagnoli.
1867, in-8. L. 1. 50
Calori Cesi F. Di una rara moneta di
Offa re de' Merciani , lettera all' onor.
Signor Gio. Evans, Segret. della società
numismat. di Londra. Boi., 1862, in-12.
L. — 60
— La croce di Gombola ed una carta
del sec. XVI. Lettera al molto IH. e
Rev. Sig. D. Lorenzo Casolani. Boi. ,
1863, in-12. L. — 60
— 11 Cardinal Alberto Bolognetto e la
sua nunziatura di Polonia. Boi., Fava e
Garagnani, 1863, in-8. L. 1. 50
Cesari Ab. Antonio, Lettere inedite. Boi.,
Romagnoli, 1868, in-8. L. 1. 50
Cittadella Cav. L. N. I Guarini famiglia
nobile ferrarese oriunda di Verona. Boi.,
Romagnoli, 1870, in-8. L. 2
Oozzadini G-iovannì, Nanne Gozzadipi e
Baldassarre Cossa poi Giovanni XXIII,
racconto storico. Boi., 1880, in-16, di
pagg. 604 con due ritratti. L. 6. 50
46
Grosso Stefano, Giuseppe Biamonti Poeta,
Professore di Eloquenza, Prosatore, Ra-
gionamento Storico Critico. Boi., 1880,
in-16 di pagg. 80. L. 3
Livi Giovanni, Il Guicciardini e Domenico
D' Amorotto. Narrazione Storica, nuova
edizione ampliata. Boi. 1879, in-16, di
pagg. 244. L. 3
Manzoni Luigi, Bibliografia degli statuti,
ordini e leggi dei municipii italiani.
Parte I. Bologna 1876, in-8. L. 12
Muratori L. A. Trentasei lettere inedite di
L. A. Muratori, edite per cura di Giu-
seppe Campori. Boi., Romagnoli, 1867,
in-8. L. 2. 50
Malagola Dottor Carlo, Luigi Galvani
neir Università, nell' Istituto e nell' Ac-
cademia delle Scienze di Bologna, do-
cumenti per la prima volta pubblicati.
Boi., 1879, in-16 di pagg. XXVI-72.
L. 2
Malagola Dott. Carlo, Memorie Storiche
sulle Maioliche di Faenza. Studi e ri-
cerche. Boi., 1880, di pagg. XIII-044, fig.
L. 6
47
Marchese P. Vincenzo, IMemorie dei più
insigni Pittori , Scultori e Architetti
Domenicani quarta edizione accresciuta
e migliorata. Bologna, 1878-79, voli. 2
in-16. L. 11. 60
Niccolini Ab. Antonio, Alcune lettere
ined. a mons. Gio. Bottari , intorno la
Corte di Roma, 1724-1761. Boi., Roma-
gnoli, 1866, in-8. L. 2. 50
Olivieri P. Mauriz.-Bened. Di Copernico
e di Galileo ora per la prima volta
messo in luce sulF autografo. Boi. , Ro-
magnoli, 1872, in-8. L. 3
Passano G. Batt. I Novellieri italiani in
verso. Boi., Romagnoli, 1868, in-8 gr.
L. 10
Popoli Conte Carlo, Due Centurie delle
iscrizioni italiane. Seconda Ediz. Boi. ,
Romagnoli, 1870, in-8. L. 4
-v^
IN CORSO DI STAMPA
1. Il Commento del Grappa — Cav. Costan-
tino Arlia.
2. Parnaso Bolognese del Sec. XIII. — T.
Casini.
3. Rime Morali edite ed inedite di Antonio
Pucci — Salomone Morpurgo.
4. Novella popolare in 8/ rima di Campriano
contadino — Albino Zenatti.
5. Fra Nicolò da Poggiìjonsi, Libro di Oltra-
mare — Dott. A. Bacchi della Lega.
6. Il Contrasto del Carnevale con la Qua-
resima — Luigi Manzoni.
1. Due Bappresentazioni del Sec. XVI — A.
D' Ancona.
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University of Toronto
Library
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