1-850 E59d v.4 61-11989
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Dal Muratorl al Cesarotti
1-850
Bigi I12'00
Dal Muratori al Cesarotti
DATE DUE
LA LKTTKRATURA ITALIANA
STOKIA K TKSTI
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A1,FHF.1H> SCIUAFKIN1
Voi.tiMR 44 * TOMO IV
DAL MURATORI AL CESAROTTI
TOMO IV
CRITICI E STORICI
BELLA POESIA E DELLE ARTI
NEL SECONDO SETTECENTO
DAL MURATORI AL CESAROTTI
'f\ t
TOMO IV
CRITICI E STORICI
BELLA POESIA E DELLE ARTI
NEL SECONDO SETTECENTO
A CURA
DI EMILIO BIGI
RICCARDO RICCIARDI EDITORE
MILANO • NAPOLI
TUTTI I DIRITTI RISERVATI * ALL RIGHTS RESERVED
PRINTED IN ITALY
DAL MURATORI AL CESAROTTI
TOMO IV
CRITICI E STORICI DELLA POESIA E DELLE ARTI
NEL SECONDO SETTECENTO
INTRODUZIONE XI
BIBLIOGRAFIA XIX
MELCHIORRE CESAROTTI 3
GIROLAMO TIRABOSCHI 561
PIETRO NAPOLI SIGNORELLI 5^9
GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE 647
MATTEO BORSA 695
CLEMENTINO VANNETTI 747
AURELIO DE> GIORGI BERTOLA 7§5
FRANCESCO TORTI 843
FRANCESCO SAVERIO SALFI 927
FRANCESCO MILIZIA 1031
GIUSEPPE SPALLETTI Io87
LUIGI LANZI
NOTA AI TESTI
1169
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
ll panorama che risulta dagli scrittori compresi in questo volume
appare alquanto vario, almeno rispetto a quello che, nelFambito
del Settecento, puo offrire la critica dell' Arcadia o del pieno Illu-
minismo; ne per parte nostra si e cercato di schematizzare tale
varieta, anzi, proprio per evitare questa tentazione, e sembrato op-
portuno dedicare ai singoli autori profili separati, nei quali tro-
vassero posto piu agevolmente quei riferimenti alle personal! espe-
rienze letterarie, filosofiche, politiche e pratiche, che giovassero
a caratterizzare nella sua individualita ciascuno di essi. Riconoscere
e rispettare questa diversita di posizioni non signifLca pero esclu-
dere la esistenza di rapporti e di convergenze di interessi, di pro-
blemi e di risultati, che valgano a stabilire dei legami intend fra
questi scrittori e insieme a distinguerli nel piu ampio quadro della
critica settecentesca, e che giustifichino il loro raggruppamento in
uno stesso volume. A tali rapporti e convergenze si e avuto cura,
naturalmente, di accennare di volta in volta nei singoli profili: ma
non sara inutile insistervi piu esplicitamente e di proposito in queste
pagine introduttive.
II primo e piu generale aspetto che accomuna gli autori qui rac-
colti, e che per essi la cultura del pieno Illuminismo, quella cioe
rappresentata nei decenni centrali del secolo dalFAlgarotti, dal
Gozzi, dal Bettinelli, dal Baretti, dai Verri, dal Beccaria, dal Parini
(per ricordare i nomi piu significativi nelPambito della critica e della
storiografia letteraria e artistica), costituisce un precedente, un
punto di partenza piuttosto che un punto d'arrivo. Questo comune
carattere non e da intendere - e cio vale anche per coloro, come il
Torti e il Salfi, la cui attivita si esercita soprattutto nei primi de
cenni deirOttocento - nel senso che essi si pongano in esplicito e
consapevole contrasto con i loro predecessori, che insomma giun-
gano a concezioni estetiche e ad orientamenti di gusto integral-
mente nuovi. In tutti rimangono piu o meno forti ma sempre pre-
senti alcune convinzioni tipiche della critica arcadica e illumini-
stica, che cioe 1' opera dell'artista e il giudizio del critico debbano
essere guidati da principii che, siano essi dedotti a priori o progres-
sivamente formati attraverso I'esperienza, e compito della «filo-
sofia» ritrovare e indicare; che le bellezze « universal! » abbiano la
XII INTRODUZIONE
supremazia sulle bellezze «particolari» o «nazionali», alle quali si
riconosce al massimo la funzione di servire, se impiegate giudizio-
samente, come accessor! o contorni delle prime; che il freno della
convenienza, del decoro, della misura e in genere della «ragione»
non possa che giovare al poeta. Ne per contro si puo dire che essi,
anche quelli che pur ne conoscono e ne ammirano 1'opera, come il
Cesarotti, il Napoli Signorelli, il Salfi, intendano in modo dawero
approfondito il pensiero del Vico sulla natura appassionata e fan-
tastica della poesia; che accolgano il concetto, bandito proprio in
quegli anni dall'Alfieri, della poesia come espressione totale di un
individualissimo « forte sentire» (proprio all'Alfieri il Salfi, che pure
tra questi scrittori e quello che meglio ne comprende la grandezza,
rimprovera «d'avoir mele un peu trop de sa trempe dans la refonte
de ces etres qu'il a voulu nous represented)); che giungano ad una
rivalutazione integrale dei veri «geni» della poesia, di Dante, di
Omero, dello Shakespeare, o guardino con piena simpatia la nuova
arte che comincia a fiorire intorno a loro in Italia e in Europa. La
loro qualita di « successori » dei critici del pieno Settecento e invece
da intendere in un senso piu modesto, nel senso cioe che essi ne
riprendono ed elaborano alcuni motivi caratteristici, ora limitandosi
ad applicarli in nuovi campi non ancora sistematicamente indagati
e magari solo a riecheggiarli e a cristallizzarli, ora e piu spesso svol-
gendone, attraverso nuove esperienze, gli elementi meno razio-
nalistici.
^ Questa elaborazione si polarizza intorno ad alcuni problemi cri
tici, e prima di tutto intorno alle discussion! sulle opere straniere,
dai canti ossianici alle poesie e prose dello Young, del Gray e degli
altri scrittori preromantici inglesi e tedeschi, che vengono cono-
sciute e tradotte in Italia all'incirca tra il 1760 e il 1780. Seguendo
queste discussioni ci si accorge subito che e in giuoco non tanto
la questione del valore dell'una o dell'altra opera straniera, quanto il
problema ben piu importante e generale dell'allargamento della
sensibilita critica e quindi dell'estetica a nuovi contenuti e moduli
poeto, nuovi e sconcertanti, nelk loro sia pur limitata (comeoggi
sembra) tendenza al primitivo, al patetico, al fantasioso, aH'inego-
lare, airmdefinito, rispetto al medio gusto contemporaneo italiano
sohdamente ancorato ai criteri delk chiarezza, deUa verosixniglianza'
deOa precxsione. A questo allargamento della sensibilita critica e
dellestetica muministica contribuiscono soprattutto il Cesarotti e
INTRODUZIONE XIII
il Bertola, traduttori ed illustrator! entusiasti di quelle opere stra-
niere ; ma ne essi ne gli altri che operano nella stessa direzione sono
o vogliono ess ere del rivoluzionari : e non solo in quanto nelle loro
traduzioni e interpretazioni tendono costantemente ad una ridu-
zione della poesia straniera in forme piii ragionevoli e piu concrete,
ma anche perche, quando tentano di giustificarne gli aspetti meno
accettabili dai loro contemporanei, non si valgono di miovi ca-
noni, bensi preferiscono insistere su motivi gia affacciatisi nella
critica e nelPestetica arcadica e illuministica, come Tidea delTin-
finita del Bello, rintracciabile dal critico aweduto in ogni tempo
e sotto ogni cielo, il riconoscimento della poesia di «natura», il culto
della «sensibilita», il criterio dell'« interesse ». Tutti questi motivi si
trovano compresenti nelle opere del Cesarotti: ed e proprio questa
compresenza che fa di lui il critico piu aperto e geniale del secondo
Settecento italiano, anche se la sua azione piuttosto che attraverso
sistematici lavori di critica e di estetica (a cui la sua mente, in parte
per difetto di capacita speculativa e in parte per la sua stessa viva-
cita e mobilita, era scarsamente portata) si esercita sul piano piu
generale e piu elastico del rinnovamento del gusto, risolvendosi in
suggerimenti, in osservazioni, in rapidi giudizi affidati magari alia
breve e non impegnativa misura della lettera. Dal Cesarotti pro-
cedono il Bertola e il Torti, i quali, dotati di una preparazione cul-
turale meno solida e di una intelligenza meno acuta ed aperta, ma
in grado di valersi di altre esperienze speculative e artistiche, hanno
il merito di imprimere a qualcuno dei motivi compresenti nel
Cesarotti un piu forte rilievo e di sfruttarne al massimo le possibilita
sul piano critico. II primo, aiutato cosi dalla sua personale attivita
di imitatore dello Young, di traduttore dei lirici tedeschi e in genere
di letterato, come dalla meditazione di alcunl concetti dell'estetica
sulzeriana, approfondisce soprattutto il motivo della (csensibilita»,
e per tale via riesce non solo a descrivere criticamente la poesia
dei suoi tedeschi, ma anche a tracciare un ritratto assai aderente
del Metastasio e ad offrire acute indicazioni su certi aspetti raffi-
natamente ccnaturali)) dell'arte di alcuni scrittori classici come Teo-
crito, Esopo, Virgilio, nonche di poeti, pittori e musicisti moderni,
dal Sacchetti al Goldoni, dal Correggio al Pergolesi. II secondo,
discepolo ideale del Cesarotti, ammiratore di Ossian e di Gessner,
ma anche, sia pure attraverso la suggestione del giovane Monti,
della Bibbla e della Divina Commedia, giunge, attraverso un im-
XIV INTRODUZIONE
piego integrate del canone deir« interesse », ad una revisione, o,
come egli dice, ad un «prospetto» della nostra letteratura, in cui
figurano interpretazioni e valutazioni di Dante, del Petrarca, del-
PAriosto e della poesia del Seicento e del Settecento, gia singolar-
mente vicine nei risultati, se non nello spirito che le muove, a quelle
romantiche-
Se si passa dalle ariose e sensibili pagine del Cesarotti, del Ber-
tola, del Torti a quelle dei loro awersari, del Galeani Napione,
del Borsa, del Vannetti (per non parlare di altri non compresi in
questo volume, come il De Velo e il Rubbi), non ci si pu6 sottrarre
ad una impressione di ristrettezza ed aridita, di retrivo e ottuso
conservatorismo ; la stessa impressione che si prova leggendo gli
scritti piu tardi del Bettinelli, dai quali soprattutto gli scrittori ri-
cordati prendono Pawio per la loro polemica contro la validita
poetica non solo dei testi preromantici inglesi e tedeschi ma di ogni
opera straniera contemporanea e particolarmente contro ogni ten
tative di accoglierne i temi e le forme nella nostra letteratura. An-
ch'essi tuttavia, a ben guardare, non sono del tutto estranei alle
nuove tendenze. La loro polemica, se per gran parte riecheggia i
vecchi pregiudizi retorici e accademici gia combattuti dai migliori
illuministi, contiene pure in se, certo debole e confusa, ma non
per questo trascurabile, la tendenza ad un contatto meno spregiu-
dicatamente critico, piu attento e amoroso con la componente clas-
sica e umanistica della nostra culrura letteraria, una tendenza che
collabora anch'essa, seppure in modo meno vivo e fecondo, allo
spostamento del pensiero estetico e del gusto illuministico verso
posizioni meno razionalistiche, piu rispettose dei diritti del senti-
mento, della fantasia, della tradizione. In tal senso appunto possono
assumere un significato positive sia il misogallismo e le apologie
nazionalistiche del Napione, sia Phisistenza sui danni prodotti dal-
Pimitazione degli stranieri sulla coscienza letteraria italiana e la ra-
gionata difesa della « fantasia » contro Pintrusione dello spirito fi-
losofico da parte del Borsa, sia le polemiche del Vannetti per Pim-
piego moderno del latino e il suo culto di Orazio, come mo dello
di una poesia piu attenta alia « parola » e allo stile*
Questa convergenza fra preromantici e classicisti trova conferma
nelTambito particolare delle discussioni, che si fanno piu vivaci e
frequenti negli ultimi decenni del secolo, intorno alia questione
delk lingua. Anche in tale campo la posizione piu aperta e feconda e
INTRODUZIONE XV
quella del Cesarotti, accolta in sostanza dal Bertola e dal Torti
(che tuttavia per questo aspetto e piuttosto un ritardatario) e da
altri scrittori, non rappresentati in questo volume, come FArteaga,
il Colle e in parte il Pindemonte. Pur assumendo anche in tale
problema la veste non del rivoluzionario ma del « giudizioso » rin-
novatore, e riallacciandosi da un lato al Vico e agli arcadi e dalFal-
tro al sensismo, il letterato padovano offre la risposta piu avanzata
e matura che il Settecento italiano potesse dare alia richiesta di una
lingua piu aderente alia vita del sentimento e della fantasia, e ca-
pace al tempo stesso di servire come efficace strumento di unita
nazionale. Ma a queste esigenze cercano di rispondere, da un
punto di vista certamente piu ristretto e insistendo su alcuni aspetti
particolari del problema, e il Napione, quando, forte della sua espe-
rienza di piemontese, batte vivamente sul rapporto fra la lingua di
un popolo e la sua indipendenza ed unita politica; e il Borsa, al-
lorche nel «neologismo straniero» vede il rischio di uno snatura-
mento della nostra tradizione culturale e nel ccgergo filosofico»
un'insidia contro Pautonomia del linguaggio poetico ; e il Vannetti,
il cui intransigente purismo vuol essere anche un richiamo a non
dimenticare i tesori espressivi offerti dalla lingua latina e da quella
trecentesca e cinquecentesca. E se tutti e tre si accordano fra loro
nel combattere il presunto « lassismo » linguistico del Cesarotti, non
e senza significato che consentano col loro awersario in piu di un
punto importante: il Napione e il Borsa nel respingere le pretese
municipalistiche dei cruscanti, e, almeno il primo, anche nelPam-
mettere la necessita di uno snellimento della paludata lingua lette-
raria italiana; il Vannetti neiraccogliere la distinzione fra genio
rettorico e genio grammaticale e nelPindicare la dote fondamentale
di una lingua nella sua capacita di offrire ad ogni scrittore la possi-
bilita di esprimere liberamente il proprio pensiero e il proprio sen
timento.
Un altro interessante, anche se forse meno osservato, punto di
convergenza fra i critici del secondo Settecento e Faccentuarsi del-
Finteresse storiografico. Basterebbe ricordare che proprio nel loro
gruppo nascono la Storia della letteratura italiana del Tiraboschi,
la Storia critica de' teatri antichi e moderni e le Vicende della coltura
nelle due Sicilie del Napoli Signorelli, la continuazione della His-
toire litUraire d'ltalie e il Resume* de Vhistoire de la literature ita-
lienne del Salfi. Ma non va dimenticato che rapidi e succosi disegni
XVI INTRODUZIONE
storici si incontrano nelle opere del Cesarotti, come lo schizzo di
storia delFarte poetica nel giovanile Ragionamento su questo tema,
la delineazione dello svolgimento nei secoli della questione della
lingua nel Saggio sulla filosofia delle lingue, la narrazione delle vi-
cende del « gusto » letterario italiano nel Saggio sulla filosofia del
gusto ; che il Napione, autore di un Saggio sopra Varte istorica e di
un Discorso intorno alia storia del Piemonte, conduce (come i suoi
amici della Sampaolina e della Filopatria) indagini particolari sulla
storia letteraria, civile e militare della sua regione; che il Vannetti
imposta storicamente le sue Osservazioni sopra il sermone oraziano
imitato dagli italiani\ che il Bertola, per non parlare del suo trattato
Della filosofia della storia, traccia nella Idea della bella letter atur a
alemanna lo svolgimento della letteratura tedesca e nel Saggio
sopra la favola descrive Pevoluzione di quel genere letterario;
che una storia della poesia italiana, per quanto non si configuri
esplicitamente come tale, viene ad essere il Prospetto del TortL
Neppure questo comune interesse per la storiografia deve essere
sopravalutato, poiche tutte le opere ricordate rimangono ancora
lontane dal tipo romantico di storia letteraria, modellate come sono
sullo schema tipicamente settecentesco della narrazione dei pro-
gressi, o dei regressi, della ragione e del buon gusto, e costante-
mente rispettose delle partizioni classicistiche dei generi letterari.
Anzi il merito maggiore di taluna di queste opere, di quelle ad
esempio del Napoli Signorelli, va indicato nell'aver appHcato i
metodi illuministici in zone culturali non ancora sistematicamente
esplorate con tali metodi; ne manca qualche autore, come il Tira-
boschi, in cui i piu vitali concetti storiografici deirilluminismo, il
senso in particolare dei rapporti fra la letteratura e la civilta tutta,
appaiono solo pallidamente e di riflesso.
^ Se tuttavia si considera nel complesso tutta questa attivita sto-
riografica, bisogna riconoscere che attraverso di essa si vengono
variamente arricchendo quella sensibilita ai valori del sentimento,
delk fantasia e della tradizione, quelFattenzione piu amorosa per
la poesia classica, quel senso dell'unita e della vitalita deUa storia
letteraria e culturale itaKana, quei motivi insomnia che si sono
veduti accentuarsi nelle discussioni critiche e linguistiche. Nello
stesso Tiraboschi, che poi e il massimo rappresentante di tutta
una serie di ricercatori e raccogHtori di document! e di notizie, lo
scrapolo erudito, oltre che cercare una giustificazione nel compito
INTRODUZIONE XVII
di illustrate le glorie letterarie e cultural! italiane, si fa a volte
consapevole volonta di accertare quelle «verita di fatto», quei
particolari concreti (e saranno magari sempre esterni) che sfuggo-
no ai costruttori di «filosofici quadriw; n6 e da trascurare che la
ricerca di questi particolari egli conduce di preferenza nelle zone
piu oscure della cultura e della storia civile e religiosa del Medioevo.
Al Medioevo, e naturalmente al Medioevo piemontese, volge la sua
attenzione anche il Napione, a cui non sfugge il sapore carat-
teristico di certe manifestazioni cultural! e civili di quell'antica
eta; mentre il Napoli Signorelli nelle Vicende della coltura nel
le due Sicilie ribatte i giudizi bettinelliani intorno alia barbaric
deiritalia e specialmente delPItalia meridionale prima del Mille.
Ed e ancora il Napoli Signorelli, scolaro del Genovesi ma anche
studioso del Vico e amico del Tiraboschi, che nel tracciare la storia
dei teatri non solo si sofferma con curiosita sulle forme primitive di
rappresentazione scenica, ma sa altresi accostarsi ai grandi scrit-
tori classic! e in particolare greci con una viva simpatia per la gran-
diosa e patetica « semplicita » della loro poesia. II senso della tra-
dizione italiana antica e recente si fa luce spesso, in modo meno
geloso e polemico ma anche piu aperto e dinamico, nelle opere e
nelle pagine storiografiche del Cesarotti, del Bertola e del Torti.
Nel Prospetto di questo, poi, appare, seppure non costante e non
pienamente consapevole, una attenzione assai viva alia genesi sto-
rico-biografica delle opere poetiche, di quelle, ad esempio, di Dante,
del Metastasio, del Goldoni, Ma la storiografia letteraria settecen-
tesca trova la sua espressione piti alta nelle opere del Salfi. Uomo
di formazione tipicamente illuministica, seppure non ignaro del
Vico, illuminista fino all'ultimo anche nel gusto, per certi aspetti
piu arretrato di quello di un Cesarotti e di un Torti, egli pu6 va-
lersi per6 di un privilegio che manca a tutti gli altri critici di questo
volume, della sua esperienza di patriota « giacobino » e unitario;
un'esperienza che nelle opere composte durante Pesilio parigino,
al fecondo contatto con gli ideologi, gli consente di rivivere con
una piii vitale intensita il concetto illuministico del rapporto tra
letteratura e vita civile e quindi di accogliere, spogliandolo di ogni
residuo accademico e conservatore e riempiendolo invece di un'an-
sia risorgimentale, Torientamento nazionalistico degli storiografi
precedent!.
Nella critica e nella storiografia delle arti figurative i fermenti
XX BIBLIOGRAFIA
quata & Top era di G. SAINTSBURY, A History of Criticism and literary Taste
in Europe, Edinburgh 1900-1904; mentre quella recentc di R. WKLLKK,
A History of modern Criticism 1750-1950 : I, The later eighteenth Century,
New Haven, Yale University Press, 1955 (traduzione italiana di A, Lom-
bardo, Bologna, Societa Editrice «I1 Mulino», 1958), e di fondamentale
importanza, piu ancora che per le rapide pagine dedicate alia critica italiana,
quale aiuto per cogliere i rapporti fra questa e le contcmporancc corrcnti
critiche ed estetiche europee.
Vanno poi naturalmente tenuti presenti, anche perche* contengono spesso
indicazioni che interessano l'attivit& piu propriamente critica e storiogra-
fica, alcuni studi intorno alle idee estetiche di questo pcriodo e in gcnere
del Settecento. Anzitutto, di B. CROCE, i capitoli intorno alia storia deircste-
tica settecentesca, nell'Estetica, Bari, Laterza, I9468; e i saggi L1 estetica del
Gravina ed Estetici italiani della seconda meta del Settecento^ nei PrMemi di
estetica, Bari, Laterza, 1949*; e Iniziazione all' estetica del Settecento y ne#H
Ultimi saggi, Bari, Laterza, I9533; poi il volume di R. SPONGANO, La poe-
tica del sensismo e la poesia del Paring Messina-Milano, Principato, s. a.
(ma 1934) ; e, tra gh studi particolari che non vertono direttamcnte su atitori
compresi in questo volume, A. GALLETTI, Le teorie drammatichc e la tra-
gedia in Italia nel secolo XVIII, P. 7, 7700-1750, Cremona, Fern, igoi ;
S. CARAMELLA, / problemi del gusto e delVarte nella mentc di P. Verri, in
«LaRassegna», S. iv, xxxn (1924), pp. 1-14, 88-97, 217-35; R- MoNnou-'o,
Introduzione al volume Operescelte di C. Beccaria, Bologna, Cappclli, 1925 ;
E. BONORA, Pietro Verri e /'« Entusiasmo » del Bettinelli> in « Giorn. stor.
d. lett. it. », cxxx (1953), pp. 304-25. II saggio di S. CARAMEU.A, L'esMtca
italiana dalV Arcadia all'Illuminismo, neH'opera miscellanea Momcnti e pro
blemi di storia dell 'estetica, P. H, DalV Illuminismo al Romanticmno, Mihmo,
Marzorati, 1959, PP- 874-980, e stato pubblicato quando il presence vo
lume era gi£ in corso di stampa. Fra le operc piu gencralniente dedicate
all' estetica europea del Settecento, ricordo: W. FouciERSia, fintrtr k Classi-
cisme et le Romantisme, £tude sur Vesth&iqite et le sesthtticiens du XVIU
siecle, Paris- Craco vie 1935 ; e dello stesso, L'dtat pr&ent des recherches sur t&$
rapports entre les lettres et les arts au XVIII sificle, in Atti del V congresso
di hngue e letterature moderne, Firenze 1955; E. CASSHUJR, il capitolo //>w-
blemifondamentali dett9 estetica, nel volume Lafilosafia ddVllluminismo, tra-
duzione italiana di E. Pocar, Firenze, LaNuova Italia, 1936; V. K. Ar.FiKRi,
Ly estetica dalV Illuminismo al Romanticismo, Milano, Mar/orati, 1957, utilc
anche per Tampia ed accurata bibliografia (c si veda anche il «aggio, pKi
breve, sullo stesso argomento nell'opera miscellanea citata Moment i e pro
blemi di storia dell' estetica).
Sulle discussioni linguistiche bastera qui citare: G. MAZZONI, La
questions della lingua nel secolo XVIII, in Tra libri e cartt, Roma
Pasqualucci, 1885, pp. 115-68; TH. LABANDB-jHANROY, La question <le
la langue en Italie de Baretti d Manzoni, Paris 1925; A, ScmATONl
Aspetti della crisi linguistica italiana del Settecento (1937), ora in Momcnti
di storia della lingua italiana, Roma, Editrice Studium, I9532, PP Oi-na
(studio fondamentale); A. VISCARDI, II proUema della costntzionc nelk po-
Lemiche linguistiche del Settecento, in «Paidcia», n (1947), pp. x 97.^14*
BIBLIOGRAFIA XXI
B MIGLIORINI, La questione della lingua, nel volume miscellaneo citato
Questioni e correnti di storia letteraria', e dello stesso, il capitolo sul Sette-
cento dclla Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, pp. 497-
583 ; M. PUPPO, Introduzione al volume Discussioni linguistiche del Sette-
cento, Torino, U.T.E.T., 1957.
Sulla stonografia letteraria: B. CROCE, Storia della cntica e storia della
storia letteraria, in Problemi d'estetica, cit., pp. 425-33; M. GENTILLE,
Vongine del tipo di storia letteraria nazionale, in «Annali della Scuola
Normale Supenore» di Pisa, xxix (1927), PP- 9-40; e soprattutto G. GETTO,
Storia delle stone letterarie, Milano, Bompiani, 1 9472. E si aggiunga 1'interes-
sante indagine di E. MERIAN-GENAST, Voltaire und die Entwicklung der
Idee der Weltliteratur, in « Romamsche Forschungen », XL (1927), pp. 1-226.
Sulla critica e sulla storiografia delle arti figurative non sono molti gli
studi complessivi. Per un orientamento generale si vedano i cenni sull'ar-
gomento di L. VENTURI, II gusto dei primitwi, Bologna, Zanichelli, 1926;
e Storia della cntica d'arte, Roma-Firenze-Milano, Edizioni U, 1945; e
J. SCHLOSSER-MAGNINO, La letteratura artistica, traduzione italiana di
F. Rossi, Firenze, La Nuova Italia, 1935. Indicazioni piu precise nello
studio di A. M. GABRIELLI, VAlgarotti e la cntica d'arte in Italia nel Set
tecento, in « Critica d'arte », in (1938), pp. 155-69, e iv (1939), PP- 24-31;
discutibili, anche se non privi di qualche osservazione degna di nota, i saggi
contenuti nei volumi di F. ULIVI, Gallena di scritton d'arte, Firenze, San
soni, 1953; e Settecento neoclassico, Pisa, Nistn e Lischi, 1957.
Notizie c giudizi utili e spesso important! si trovano anche in non poche
opere di storia letteraria. Fra le storie e i compendii generali della letteratura
italiana vanno ncordati almeno il Resume de Vhistoire de la literature ita-
lienne di F. S. SALFI, per i due capitoli (riportati anche in questo volume)
sulla critica arcadica e illuministica, la Storia della letteratura italiana
di F. DE SANCTIS, quella di A. MOMIGLIANO, e il Compendia di storia della
letteratura italiana di N. SAPEGNO. Fra le trattazioni relative al Settecento:
C. UGONI, Della letteratura italiana della seconda meta del secolo XVIII,
Milano, Bottom, 1820-1822 (ripubblicata postuma con molte modifiche a
Milano 1856-1858); A. LOMBARDI, Storia della letteratura italiana nel se
colo XVIII, Modena, Tipografia Camerale, 1827-1830 (e poi, a Venezia
1832); S. TICQZZI, continuatore di G. B. CORNIANI, I secoli della letteratura
italiana dopo il suo risorgimento, Milano, Ferrario, 1833; E. DE TIPALDO,
Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII
e de' contemporanei, Venezia, Alvisopoli, 1834-1835; M. LANDAU, Ge-
schichte der italienischen Literatur im achtzehnten Jahrhundert, Berlin 1899;
A. D'ANCONA e O. BACCI, Manuale di storia della letteratura italiana, iv e
v, Firenze, Barbera, 1913-1914 (nuova edizione rifatta); T. CONCARI, II
Settecento, Milano, F. Vallardi, 1899; G NATALI, // Settecento, Milano,
F. Vallardi, I9SOS (n£ si trascuri la precedente edizione del 1929, dove sono
indicazioni bibliografiche tralasciate nellc due cdizioni successive) ; e dello
stesso, le due raccolte di saggi Idee, costumi, uomini del Settecento, Torino,
S.T.E.N., I9262, e Cultura e poesia in Italia nelVeta napoleonica, Torino,
S.T.E.N., 1930; B, CROCK, La letteratura italiana del Settecento, Ban,
Laterza, 1949 ; i profili e le note di E. BONORA, nel volume Letterati, memo-
XXII BIBLIOGRAFIA
ridisti e viaggiatori del Settecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1951 ; e, per il
preromanticismo, U. Bosco, Preromanticismo e Romanticismo, nel volume
miscellaneo citato Questioni e correnti di storia letteraria. Per i rapporti con
le letterature straniere bastera citare: A. GRAF, L'anglomania e Vinflusso
mglese in Italia nel secolo XVIII, Torino, Loescher, 191 1; H. BEDARIDA
e P. HAZARD, L} influence francaise en Italie au XVIII siecle, Paris 1934;
P. VAN TIEGHEM, Le Preromantisme . Etudes d'histoire litUraire eitropfonne,
Paris 1948; a cui si possono aggiungere i volumi di M, PRAZ, La came, la
morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, Sansoni, 1948s; c
Gusto neoclassico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, i9S9a.
Tra le opere sulla filosofia del Settecento sono da tener present!, oltre il
volume citato del Cassirer, G. GENTILE, Storia delta filosofia italiana dal
Genovest al Galluppi, Firenze, Sansoni, I937a; F. CHABOD, Illuminismo,
voce deirEncidopedia italiana; C. CAPONE-BRAGA, La filosofia francese e
italiana nel Settecento, Padova, Cedam, I94o-i9422; C, ANTONI, La lotta
contro la ragione, Firenze, Sansoni, 1942; P. HAZARD, Lap&ns4e europfonm
de Montesquieu a Lessing, Pans 1946; G. DE RUGGIERO, Storia delta
filosofia', P. IV, La filosofia moderna, II, L'etd dell'illuminismo, e ///, Da
Vico a Kant, Bari, Laterza, 1950*. Assai utile la Bibliografia vichiana, di
B. CROCE e F. NICOLINI, Napoli, Ricciardi, 1947-1948.
In particolare sul pensiero stonografico : E. FUETER, Storia delta storio-
grafia moderna, traduzione italiana di A. Spinelli, Napoli, Ricciardi, 1944;
il capitolo sulla stonograna delPIlluminismo in B, CROCE, Teoria e storia
della storiografia, Bari, Laterza, 1917; e, molto important! anche per Testc-
tica e la cntica, F. MEINECKE, Le ongmi dello storicismo, traduzione italiana
di M. Biscione, C. Gundolf, G. Zamboni, Firenze, Sansoni, 1954; e,
dello stesso, il saggio Classicismo, Romanticismo e pensiero storico nel secolo
XVIII, nel volume Senso stonco e significato della storia, traduzione italiana
di M. T. Mandalari, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1948, pp. 45-62.
Per la storia politica, sociale ed economica sar& qui sufficiente ricordare
le trattaziom generali di E. ROTA, Le origini del Risorgimento, Milano,
F.Vallardi, 1938; A. OMODEO, Veto, del Risorgimento italiano, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1946^ G. CANDELORO, Storia della eta mo
derna, /, Le origini del Risorgimento (1700-181$), Milano, Peltrinelli, 1956;
F. VALSECCHI, L? Italia nel Settecento dal 1714 al x?88, Milano, Monda-
dori, 1959; e quelle piti particolari di L. SALVATORELLI, // pensiero politico
italiano dal 1700 al 1870, Torino, Einaudi, i9498; G. DE RUGGIERO, //
pensiero politico meridionale, Bari, Laterza, 1922; A. GERBI, La politica
del Settecento, Bari, Laterza, 1928; D. CANTIMORI, Utopisti e riformatori
italiani (1794-1547), Firenze, Sansoni, 1943; Fintroduzione e i profili di
F. VENTURI nel volume Illuministi italiani, in, Riformatori lombardi, pie-
montesi e toscani, Milano -Napoli, Ricciardi, 1958; e infine gli studi ancora
del Cantimori e del Venturi, e poi di G. FALCO, F. VALSECCHI, R. ROMEO,
E. PASSERIN, U. SEGRE, contenuti nel volume miscellaneo citato La cultura
illuministica in Italia.
MELCHIORRE CESAROTTI
NOTA INTRODUTTIVA
Spirito vivacemente aperto ad ogni novita ma sempre attento
a non oltrepassare i Hmiti di una diberta giudiziosa)), fedele fino
all'ultimo alia filosofia dei lumi ma buon conoscitore del Vico e
dello Shaftesbury, lettore appassionato e traduttore di testi pre-
romantici stranieri ma anche ottimo scrittore latino ed espertissimo
di greco, dotato di notevoli interessi speculativi e insieme di sottile
sensibilita linguistica e stilistica, polcmista brillante eppure rispet-
toso delle ragioni degli avversari, Melchiorre Cesarotti rappresenta
nella cultura italiana del Settecento il punto massimo a cui po-
teva giungere I'llluminismo neiraccogliere i motivi nuovi nati
nel suo stesso seno senza giungere ad una drammatica rottura
con se medesimo. Nel carattcre pacifico di questo accoglimento
risiede il limite ma anchc la forza deir opera cesarottiana: ch6, se
vi mancano Ic intuizioni lampeggianti e il drammatico fervore
di un Herder o di un Diderot, & anche vero che essa in tal modo
viene a configurajrsi come una prima sistemazione concreta e orga-
nica, e sia pure di una organicita spesso provvisoria e superficial,
delle nuove esigenze preromantiche sul terreno della antica e re-
cente tradizione: una sistemazione che perci6 potra anche costi-
tuire una provvidcnziale base di partenza per la cultura roman-
tica italiana, e in particolare per alcuni dei suoi scrittori piu rap-
prcsentativi dall'Alfieri al Foscolo al Manzoni al Leopardi.
Al formarsi di questa vocazione di intelligente e sensibile con-
ciliatore non £ estranea la sua educazione giovanile nell'ambiente
letterario e culturale di Padova, dove egli era nato, di famiglia
nobile ma non ricca, il 15 maggio 1730. Allievo del scminario
di Padova, celebre per la sua tradizione nel campo della filologia
classica, e poi quivi assunto, ancora giovanissimo, come profes-
sore di retorica, egli acquist6 subito una notevole padronanza
delle lingue antiche tale da conciliargli la bcnevolenza dei circoli
classicistici padovani, e in particolare di Giovanni Antonio Volpi,
che gli apri la sua biblioteca ricchissima di autori greci e latini,
e di Paolo Brazzolo, maniaco ammiratorc di Omero e della lette-
ratura ellenica, che lo spinse a tradurre alcune odi di Pindaro e il
Prometeo di Eschilo. Ma proprio nel seminario padovano egli
ebbe come professore, e poi collega ed amico, F abate Giuseppe
4 MELCHIORRE CESAROTTI
Toaldo, che egli riconobbe poi sempre come suo primo vero
maestro (lo chiamava il suo « Socrate ») : per merito soprattutto
di lui, uomo di notevole apertura mentale, matematico e astro-
nomo di valore ma anche dotato di non comuni interessi filoso-
fici e letterari, il Cesarotti non solo fu spinto a leggere e meditare
i maggiori filosofi illuministici europei, da Voltaire a Hume, ma
pote anche conoscere gli scritti di Antonio Conti, e attraverso que-
sti -scrim, o tramite il Toaldo stesso, avere fin d'allora qualche
notizia di pensatori come il Vico e lo Shaftesbury. E non <b impro-
babile che ancora il Toaldo gli abbia indicato il libro che, secondo
le dichiarazioni del Cesarotti stesso, oper6 piu di ogni altro sulla
sua formazione spirituale giovanile, La sagesse dello Charron, di
cui dovette attrarlo soprattutto il tentative, congeniale alia sua
intima natura, di conciliare con equilibrata moderazione ragione
e sentimento, persuasione religiosa e spirito critico.
Ben s'intende come nel suo animo esaltato e arricchito da
queste letture si sviluppasse Faspirazione ad uscire dal ristretto
cerchio padovano e ad entrare in contatto diretto con ambienti
umani e culturali piu vari e aperti; e come nel 1760 non si lascias-
se sfuggire Poccasione di trasferirsi a Venezia, quale precettore
dei figli del patrizio Girolamo Grimani. Gli otto anni del suo
soggiorno a Venezia costituiscono un episodic importante nella
sua vita, che va ricordato a chi accolga senza riserve la deplora-
zione foscoliana sulla sua mancanza di una concreta esperienza
del mondo, di viaggi, di uomini. Nella Venezia di allora, in realta,
senza troppo muoversi, un osservatore aperto e intelligent^ come
il Cesarotti poteva bene aver modo di apprendere molto sulla
varia natura degli uomini e di tenersi al corrente delle piu recenti
novita culturali italiane ed europee, come e documentato del
resto dalle sue vivaci lettere scritte al Toaldo e al Taruffi in que-
gli anni. A Venezia non soltanto ebbe qualche esperienza amorosa
(che tuttavia non giunse mai alia passione), ma conobbe anche
qualcuna delle piu illustri personality politiche del tempo, come
Angelo Querini e Angelo Emo, e soprattutto entr6 in contatto
con i maggiori esponenti della cultura letteraria veneziana, dal
Gozzi al Goldoni, sull'arte del quale fin d'allora egli non temeva
d'esprimere giudizi nettamente positivd.
Al Goldoni appunto, approfittando del trasferimento di questo
in Francia, egli affidava nel 1762 Pincarico di consegnare al Vol-
NOTA INTRODUTTIVA 5
taire un volume, appena pubblicato, contenente la sua traduzione
in versi sciolti di due tragedie dello stesso Voltaire, la Morte di
Cesare e il Maometto, traduzione corredata di postille critiche
e di due Ragionamenti, il primo Sopra il diletto della tragedia,
il secondo Sopra rorigine e i progressi dell' arte poetica. Sono queste
le sue prime opere veramente impegnative, ben piu che i sonetti
petrarcheggianti e gli apologhi scritti pure in questo periodo:
soprattutto i due Ragionamenti, in grazia dei quali - dichiara-
va parecchi anni dopo in una importante e poco nota lettera ad
un francese sconosciuto - egli aveva stampato la versione delle
due tragedie. Piu strettamente legato alia mentalita e al gusto del
pieno Illuminismo, a quello per intenderci del Voltaire o del
Marmontel (a cui risale Tidea prima dello scritto), e il Ragionamen-
to sopra il diletto della tragedia. Dal punto di vista teorico Tin-
teresse dell' operetta consiste soprattutto nel fatto che Pautore ar-
disce affrontare, e con notevole informazione, un problema, come
quello dichiarato nel titolo, tra i piu dibattuti nella contemporanea
speculazione estetica europea e del quale si erano occupati, fra
gli altri, il Gravina, il Dubos, il Fontenelle, il Calepio, il Bodmer,
il Conti e lo Hume. Non molto originale e invece la soluzione
che Tautore offre a sua volta, dopo aver discusso le spiegazioni
del Dubos, del Fontenelle e dello Hume: che il diletto tragico
nasca «dall'accordo del risultato dramatico coll'interesse e Fi-
struzione morale)), dal fatto, in altre parole, che alia compassione
e al terrore suscitati dai personaggi della tragedia si mescola,
rafforzandosi in questa mescolanza, Tinteressamento o piacere
morale, derivante dall'insegnamento che «le pene e le disgrazie
che piu . . . affliggono [gli uomini] sono figlie delle passioni e degli
errori, mali ambedue che possono evitarsi o superarsi da loro quan-
do vogliano far uso della liberta e della ragione ». Tale soluzione,
infatti, se confrontata con quelle proposte dal Dubos e dallo
Hume, che piu consapevolmente degli altri tendevano a spostare
il diletto tragico (e in genere artistico) fuori della sfera della
razionalita, pu6 sembrare un regresso, o al massimo un ingegnoso
compromesso tra razionalismo e sensismo, ottenuto reintrodu-
cendo una moralita razionale come il termine di un processo psi-
cologico fondato su effetti piacevolmente patetici. Tale compro
messo tuttavia acquista un concreto significato e valore se viene
riportato dal piano teorico a quello della critica militante, se viene
6 MELCHIORRE CESAROTTI
cioe interpretato come difesa e illustrazione dell'ideale di una
tragedia nutrita di contenuto « filosofico » e al tempo stesso capace
di interessare pateticamente lo spettatore, ugualmente lontana dal-
Porrore «gratuito» della tragedia greca e inglese come dalla frivo-
lezza galante e romanzesca di quella seicentesca; e piu generalmente
dell'ideale di una arte viva e moderna, attraente e di serio e uni-
versale contenuto umano.
In tal modo il Cesarotti gia con questo Ragionamento si pone
sulla linea della piu alta critica illurninistica italiana, che, ripren-
dendo con nuovo vigore polemico le idee del Muratori e del
Gravina, proprio in nome di quell'ideale stava conducendo con
le discussioni teoriche e critiche e con 1'esempio la sua feconda
battaglia di rinnovamento. Ma piu consapevolmente, e anche con
apporti piu originali, il Cesarotti partecipa a tale battaglia con
Paltro Ragionamento sopra Vorigine e i progressi delVarte poetica. II
motive fondamentale, che anima tutto lo scritto e gli conferisce
unita, e infatti il proposito di mostrare Pillegittimita di ogni re-
gola basata sulPautorita e su ogni altro pregiudizio particolare,
soprattutto del piu radicato e pericoloso, quello fondato sul cieco
rispetto per gli autori antichi. L'argomento fondamentale di cui il
Cesarotti si vale per la sua dimostrazione e tutto illuministico,
anzi razionalistico : il concetto cioe della esistenza di «rapporti
eterni ed immutabili fra gli oggetti e Puomo», la cui conosccnza
una volta raggiunta possa servire di base per un'arte poetica e
quindi per una poesia valida per ogni tempo e luogo : un concetto
in lui cosl saldo che per esso egli rifiuta vivacemente Pafferma-
zione dello Hume sulla inesistenza di principii che non siano
a posteriori. E ancora tipicamente illuministici, se non raziona-
listici, sono altri argomenti di rincalzo: come la storia «genetica»
della poesia con cui il Ragionamento si apre, e di cui, sulle orme del
Condillac, Pautore si serve a mostrare Panteriorita della poesia stes-
sa rispetto ai precetti dei retori; o come la distinzione, quasi certa-
mente ripresa dalVEssai sur la potsie tyique del Voltaire, tra genio
(o gusto) universale e genio particolare delle singole nazioni e che
viene richiamata per chiarire che <cchi aspira alia gloria di poeta
universale delle nazioni e dei secoli, deve afferrarsi alle grandi ed
universali bellezze della natura, e delPaltre servirsi solo come di
un abbigliamento che non deformi ma rilevi i lineamenti di un
volto», come di uno strumento insomnia tollerabile e anche uti-
NOTA INTRODUTTIVA 7
le, ma da usare sempre con la massima cautela in quanto capace
di reintrodurre gli aborriti pregiudizi. Ma sempre nelPambito
della battaglia per una poesia libera dalle regole, e pacificamente
accordati con gli argomenti razionalistici e illuministici sopra ri-
cordati, si fanno luce due altri e piu interessanti motivi: un senso
vivissimo, anzitutto, della individualita e originalita del «genio»
poetico, al quale il Cesarotti perviene rielaborando in modo forte-
mente soggettivistico il vecchio argomento deirinfinita degli og-
getti imitabili, e un'insistenza, altrettanto viva, sul carattere istin-
tivo, fantastico-passionale della poesia. Si tratta, abbiamo detto,
di due « motivi», piuttosto che di concetti ragionati, e di motivi,
neppure veramente nuovi, poiche del primo e facile rintracciare
i precedenti nello Shaftesbury, nello Young e anche in alcuni
estetici intellettualistici, come il Bodmer; mentre per il secondo e
agevole richiamare il Vico, il Dubos e i sensisti in genere. Tuttavia,
a parte il loro stesso accoglimento, ci6 che importa notare e la
loro compresenza (non diciamo dialettizzazione), per cui il Ragio-
namento assume a buon diritto un posto importante nella storia
del pensiero estetico e critico almeno italiano, specialmente se si
consideri che esso precede nel tempo sia le prime riflessioni sulFar-
te del Verri e del Beccaria (1764-1766), sia VEntusiasmo (1769)
del Bettinelli, sia il Discours barettiano (1777).
Nella storia interna dello svolgimento del pensiero e del gusto
del Cesarotti stesso il Ragionamento riveste poi un singolare in-
teresse, in quanto dimostra come Fincontro con Ossian, avvenuto
giusto qualche mese dopo, verso la fine del 1762, sia stato per il
Cesarotti non tanto una improwisa e miracolosa rivelazione, quan
to piuttosto una splendida occasione per consolidare e sviluppare un
orientamento al quale il suo personale temperamento e la sua pre-
cedente formazione culturale lo avevano gia predisposto. In que-
sto senso appunto va intesa la sua dichiarazione, contenuta nel-
Timportante lettera gia citata, che, fra tutte le sue opere, solo la
traduzione di Ossian egli aveva intrapresa «par un mouvement
spontan6», per una intima congenialita fra se stesso e Tautore
tradotto. In che cosa precisamente consista tale congenialita; che
cosa egli abbia trovato o ritrovato in Ossian, e piu volte e in varie
sedi chiarito dal Cesarotti stesso, ma bastera ricordare quanto egli
dice nella famosa lettera al Macpherson, scritta fra la fine del 1762
e Tinizio del 1763, quando cioe il suo entusiasmo conservava tutta
8 MELCHIORRE CESAROTTI
la freschezza della prima impressione : «[Ossian] fait voir par
son exemple combien la poesie de nature et de sentiment est
au dessus de la poesie de reflexion et d' esprit, qui semble etre
le partage des modernes. Mais s'il demontre la supe"riorite de la
poesie ancienne, il fait aussi sentir les defauts des anciens poetes
mieux que tous les critiques. L/Ecosse nous a montr6 un Homere
qui ne sommeille ni ne babille, qui n'est jamais ni grossier ni
trainant, toujours grand, toujours simple, rapide, pr6cis, 6gal et
varie». Nei poemi ossianici egli aveva cioe ritrovato un esempio
luminoso di quell'ideale di poesia in nome del quale aveva scritto
i suoi Ragionamenti: di una poesia nata dalla « natura » e dal «sen-
timento », e tale da agire sulla natura e sul sentimento del lettore,
senza tuttavia oltrepassare quei limiti di biensdance, di conve-
nienza, di misura morale e artistica, che il classicismo illuministico
giudicava essenziali alFopera d'arte; di una poesia libera dalle
regole arbitrarie fondate sui difetti, elevati a virtu, di Omero e
degli altri poeti antichi, ma obbediente agli « immutabili » prin-
cipii della semplicita, della rapidita, della precisione, dclFunita
nella varieta. Una interpretazione in tal senso dei poemi ossianici
intende appunto essere, consapevolmente, la traduzione del Ce-
sarotti, non a caso accompagnata da tutta una serie di ragiona-
menti critici, di osservazioni, di note, di indici, che hanno il com-
pito preciso di spiegare e giustificare tale interpretazione: la qua
le, dunque, per essere rettamente compresa e valutata, va giudi-
cata non tanto con un criterio di poesia e non poesia, quanto sul
piano della critica militante, della poetica, quasi manifesto esem-
plare di una posizione di gusto. Considerata da questo punto di
vista la traduzione cesarottiana si rivela nella storia della nostra
cultura letteraria come un testo di fondamentale importanza. Pro-
prio la caratteristica tendenza dell'autore a conciliare libert& e
giudizio, ragionevolezza e sentimento, grazia e barbaric, in questo
caso si risolve in un' opera efficacemente idonea, per ripetere una
calzante defmizione del Binni, a ccmettere in luce il nuovo» e
insieme a «renderlo assimilabile alia letteratura italiana». Queste
novita erano anzitutto alcuni temi psicologici gik da tempo pre-
senti in forma piu o meno vaga nelle letterature nordiche, ma
per la prima volta in Ossian esplicitamente accentuati e compre-
senti: il gusto della passione violenta e barbarica, della malinco-
nia indefinita e inesplicabile, di una natura animata da una vita
NOTA INTRODUTTIVA 9
possente e misteriosa, tradotta in paesaggi desertici e nebbiosi,
lugubri e tetri. E gia per questa parte e significative come gli
interventi del Cesarotti (e le relative note) tradiscano sempre una
preoccupazione costante di accordare questa psicologia irrazionale
con le esigenze del «buon senso», della logica, della verosimiglian-
za. Ma il problema del Cesarotti, piu che quello deH'adattamento
di determinati contenuti nuovi, era, come egli stesso piu volte
dichiara, soprattutto un problema di adattamento stilistico. Nella
lettera piu volte citata 1'autore stesso riconosce che in quella tradu-
zione «s'il y a quelque chose d'original, cela ne regarde que le
style»: un giudizio a cui faceva eco il Foscolo, altrove assai se-
vero con il suo vecchio maestro, ammettendo che questi «con
gli stessi materiali adoprati dagli altri creo una poesia tutta sua,
che appariva scritta in un modo e in un linguaggio diverso da
quello d'ogni precedente poeta», e in particolare rilevando il
(ccarattere interamente nuovo» della sua metrica. In che cosa con-
siste dunque il problema stilistico affrontato dal Cesarotti e la
originalita della sua soluzione ? Anche a questo risponde con par
ticolare chiarezza e consapevolezza 1'autore nella stessa lettera:
«Le style d'Ossian ne trouvoit dans nos <§crivains rien d'analogue
a son caractere. Notre langue, toute feconde et flexible qu'elle est,
<§toit, grace a nos grammairiens, devenue st6rile, pusillanime,
superstitieuse, et notre sciolto n'avoit jusqu'alors re$u de nos
auteurs plus cel&bres qu'une majestueuse sonorit6 periodique, un
peu monotone. J'osai braver les prejuges de Pusage et les criail-
leries des p6dans: je hazardai de nouveaux tours, je donnai au
vers un m6chanisme, si j'ose le dire, pantomime, et mes efforts
ont ete assez heureux pour trouver quelque grace aupres du
public ». Nasce in tal modo una nuova lingua poetica, nuova perche*
costituita di «scorci e atteggiamenti di nuova specie)), e pure non
estranea al gusto italiano, poich<§ a questi nuovi scorci e atteggia
menti Tautore giunge proprio attraverso un sapiente impiego dei
materiali linguistici e metrici offertigli dalla secolare tradizione
letteraria italiana. Quale sarebbe stato Teffetto di questa sua fatica,
il Cesarotti ben vedeva, quando, nel Saggio sulla filosofia del gusto,
si lusingava che «per questo mezzo gli venisse fatto di arricchir
Ferario della lingua di qualche felice espressione, di dar qualche
nuova tinta al colorito poetico, di variar con qualche nuova fles-
sione quella musica imitativa che dipinge col suono, e insieme col-
10 MELCHIORRE CESAROTTI
1'oggetto porta nelPanima la sensazione che lo accompagna ». IT
realta le sue immagini suggestivamente indefinite ma sempre rifi-
nite con una certa precisione, i suoi « interrogativi ansiosi e af-
fettivi» (Binni) ma pur sempre letterariamente sostenuti, la mu-
sica patetica e insieme vigorosa prodotta dal suo sciolto variamentc
spezzato e accentato costituiscono un complesso di moduli stili-
stici in se non privi talora di una loro propria suggestione poetica
ma soprattutto suscettibili di servire da modello e da stimolc
per artisti come PAlfieri, il Foscolo, il Leopardi, i quali, sia pure
con ben altra intensita e originalita, aspirassero essi pure ad ur
« canto che fosse misura e sentimento: sentimentd ordinato ir
una misura che non era piu quella tradizionale, ma di quella ri-
portava il carattere di perfezione, di conclusione, di vittoria for-
male» (Binni).
L'opera di cauta conciliazione fra vecchio e nuovo, fra razio-
nalismo illuministico e nuova sensibilita, iniziata nel Ragionamentc
giovanile e poi brillantemente proseguita nella traduzione ossia-
nica, trova conferma e sviluppo durante gli anni succcssivi in una
serie di lavori di carattere prevalentemente critico, tutti composti
a Padova, dove il Cesarotti si era trasferito verso la fine del 1768,
in seguito alia nomina a professore di lingua greca ed cbraica
presso lo Studio di quella citta. II documento teorico piu signifi-
cativo per intendere i criteri che guidano qucsta attivita piu ma-
tura, e in particolare il suo stretto legame con quella degli anni
precedenti, va indicato, piuttosto che neH'mcompiuto Saggio sul
bello (che si impiglia in un tentative poco felice di teorizzare
Fesigenza di una poesia soggettiva e irrazionale entro strutture
oggettivistiche e razionalistiche, sulPesempio, spesso pcdissequa-
mente ricalcato, del Marmontel), nel Saggio sulla filosofia del gusto,
inviato nel 1785 alP Arcadia romana, che aveva solennemente col-
locato il ritratto del Cesarotti « nella sala del Serbatoio, fra le
immagini degli uomini piu celebri d'Europa aggregati all* Arca
dia ». In questo Saggio, in cui Tautore espone sinteticamcnte le
sue idee estetiche, appare forse piu accentuato che negli scritti
precedenti il concetto della libera individuality del «genio» crea-
tore; ma e assai significative che il Cesarotti, al tempo stesso,
quasi a compensare tale ardimento, si preoccupi di presentare e
questo concetto e gli altri che formano la sua ccfilosofia del gusto »
come uno sviluppo conseguente di quelli propugnati dall'estetica
NOTA INTRODUTTIVA II
arcadica e illuministica. Questa esigenza di inquadrare pacifica-
mente la propria afilosofia del gusto » in quella arcadica e illumini
stica e confermata dal rapido schizzo storico che egli traccia della
letteratura italiana attraverso i secoli, seguendone lo svolgimento
dal suo momento creative, rappresentato da Dante e dal Petrarca;
al Cinquecento, illustrate da geni «originali» come 1'Ariosto e il
Tasso, ma anche aduggiato e isterilito dall'imitazione e dalla critica
pedantesca; alia intemperante e licenziosa reazione del Marino e
dei suoi seguaci; alia sana opera riformatrice dell* Arcadia e dei
suoi critici e poeti: uno schizzo storico, in cui i poeti creator! e
originali vengono ad avere un piu netto rilievo, ma che poi non si
allontana nel complesso da quello tracciato dai primi Arcadi, dal
Muratori e dal Gravina, e poi accolto dalla successiva critica illu
ministica.
Guidato ancora da questo spirito di conciliazione, egli si preoc-
cupa nel medesimo Saggio, come si e visto, di presentare la pro
pria traduzione di Ossian come un cauto e rispettoso rinnova-
mento di motivi e di forme effettuato non contro ma in piena
aderenza con i principii della riforma arcadica. Allo stesso modo
egli cerca, sempre in queste pagine, di giustificare come un altro
contributo a quella riforma T opera alia quale si era dedicate
subito dopo aver terminato la traduzione ossianica, e che insieme
con questa inviava in omaggio agli Arcadi, il Cor so ragionato di let
teratura greca, pubblicato nel 1781 : «Bramoso di rianimar il com-
mercio alquanto languente colla greca letteratura, mi proposi di
farla conoscer meglio airuniversale, onde gli uomini di gusto non
abbiano a parlarne a caso sulla fede non sempre sicura degli eru-
diti, ne sulle dicerie degli spiriti superficial! e leggieri, ma a darne
matura sentenza fondata sul proprio senso e su i lumi d'una lim-
pida e incontaminata ragionew. E in effetto questo Corso, che
contiene una serie di traduzioni di oratori greci, accompagnate
da introduzioni e da ampio apparato di note critiche, cosi come
la traduzione commentata di Demostene, compiuta qualche anno
prima (1774-1779), si ricollega anzitutto alia battaglia razionali-
stica contro il « culto esclusivo e superstizioso » degli antichi, pro-
duttore di tanti pregiudizi non ancora pienamente domati. Ma se
questo e il motivo fondamentale del Cor so, c'e anche in esso,
per riprendere una frase del Cesarotti proprio nel passo citato, la
brama di « rianimar il commercio alquanto languente colla greca
12 MELCHIORRE CESAROTTI
letteratura», 1'esigenza cioe, che e una forma aurorale di storicismo,
di ristabilire con i classici un piu libero e spregiudicato e dirctto
contatto : una esigenza che, presente nella piu matura critica illu-
ministica italiana ed europea, trova particolare risonanza ncl Ict-
terato padovano, non solo dotato di specifica compctenza filolo-
gica, ma anche sorretto dal suo stesso spirito conciliante e aperto,
e ancor piu dalla sua sensibilita all'mdividualita soprattutto stili-
stica dei singoli scrittori. Ne sono prova non pochc osservazioni,
quelle ad esempio sulla lingua energica e vigorosa di Demostenc,
e la lunga nota, pure a proposito di questo scrittore, su quelli che
oggi chiameremmo i «valori tonali» dello stile antico, e sulla dif-
ficolta di renderli in una traduzione moderna.
Come una ideale continuazione del Corso ragionato va intesa
la tanto discussa attivita che il Cesarotti consacr6 ad Omero, pub-
blicando fra il 1786 e il 1794 una versione «letterale» in prosa
dell'Iliade, corredata di ragionamenti storico-critici e di un am-
plissimo apparato di note, e una «poetica» in versi sciolti, che e
un vero e proprio rifacimento, e che fu ristampata come opera a
parte, con ulteriori modifiche e col titolo Morte di Ettore, nel 1795.
L'autore adduce piu volte, come motivo di questa sua attivita,
un indebolimento della vista che lo avrebbe costretto a sospendere
il Corso ragionato per dedicarsi a uno scrittore, che conosceva
tutto a memoria, come Omero. In realta (a parte il fatto che fin dal
1778 egli aveva tentato la traduzione di alcune centinaia di versi
deH'IKade, come e detto in una lettera al Mattei di quell'anno),
egli era mosso da una ragione ben piu profonda, dal proposito
cioe di proseguire la revisione della letteratura antica, iniziata nel
Corso ragionato, su un terreno piti rischioso e affascinante, appli-
cando proprio al piia venerato fra i classici la sua «filosofia del
gusto », con le due anime che pacificamente vi coesistevano. Anzi
tale duplicita si rivela, questa volta, in maniera clamorosa nolle
giustificazioni che il Cesarotti stesso offre di ciascuna delle due
versioni, e nelle due versioni stesse che sono una fedele realizza-
zione dei suoi propositi. Nella versione poetica - egli spiega -
suo intento era stato di far «gustare» Omero: egli aveva cioi
seguito il criterio di «consultar la natura piu che le parole del
testo», di estrarre e accentuare le «bellezze eternc», la « parte
divina» del poeta antico, rendendo «piu espressi . . . quei carat-
teri di unite, di morale, di religione che i commentatori preten-
NOTA INTRODUTTIVA 13
dono », ed eliminando invece quella che egli giudicava la parte ca-
duca, legata al tempo e alle circostanze, facendo insomma quel
che avrebbe fatto lo stesso Omero, se fosse vissuto «in questo
secolo, che e quello delParte educata dalla ragione e dal gusto ».
Una riforma, questa, che non era tanto un capriccioso arbitrio
del Cesarotti, quanto (come ricorda il Fubini) (cl'ultima delle de-
formazioni fatte subire nel secolo decimottavo ad un testo poetico
del passato », in nome appunto della « ragione » e del « gusto ».
Come si sa, questa deformazione non ebbe fortuna in Italia, dove
a condannarla si trovarono concordi sia i vecchi classicisti acca-
demici sia i nuovi letterati che, come il Monti (a cui risale I5 idea
della famosa caricatura rappresentante la testa di Omero sulla
figuta di un damerino abbigliato alia francese) o come il Foscolo
(di cui sono noti gli aspri giudizi), guardavano alia poesia del
passato, e in particolare a quella omerica, con diversa e piu sto-
rica sensibilita. Eppure (come ancora ha osservato il Fubini) costo-
ro dimenticavano che «a formare questa sensibilita in Italia aveva
pure contribuito il Cesarotti »; e, si pu6 aggiungere, nel caso spe-
cifico di Omero, con Taltra sua versione, quella « letterale », alia
quale i precedenti traduttori illuministici non avevano pensato,
e di cui proprio il Monti e il Foscolo si varranno per le loro:
una versione nata - come Tautore dichiara - dal proposito di
far «conoscer» Omero, di « contemplarlo in tutti gli aspetti, dal
lato debole come dal lato forte, ravvisarne le diiferenze specifiche,
le singolarita, le fralezze che gli vengono dalla natura o dal tempo,
in somma tutto quell' accozzamento di circostanze individuali che
ne costituiscono 1'identita », e sia pure senza la precisa consapevo-
lezza che il conoscere questa identita dovesse servire ad agevolare
1'integrale comprensione storica del poeta antico.
Ma ad un risultato piu originale, e piu fecondamente operante
giunge il Cesarotti quando applica la propria mente e il proprio
gusto, con il loro caratteristico contemperamento di razionalismo e
di storicismo, al problema del rinnovamento della lingua letteraria
italiana. Questo problema, come e noto, comincia ad essere agi
tato gia nel Seicento; ma soltanto nel Settecento, in relazione con
la revisione critica che awiene in ogni campo della tradizione in
nome della « ragione » e del «buon gusto », con le nuove esigenze
espressive portate dai nuovi contenuti, e con Pintensificarsi dei
contatti con le altre letterature e lingue europee, esso diviene il
14 MELCHIORRE CESAROTTI
tema di serie e approfondite discussioni, a cui partecipano si pu6
dire tutti i principal! scrittori arcadici e illuministici. Attraverso
queste discussioni si vengono profilando due posizioni fondamcn-
tali: da un lato quella degli innovator!, che, partendo piu o meno
consapevolmente dal concetto razionalistico della parola come « se
gno » della cosa o dell'idea, ma soprattutto preoccupati di trovare
un tipo di lingua capace di esprimere in modo preciso e largamente
comprensibile le nuove cose e le nuove idee, sostengono non solo
la definitiva sostituzione dell'italiano al latino ma anchc la ne-
cessita di sottrarre questo alle norme irrazionalmente e tirannica-
mente fondate sulPautorita degli antichi; e dalPaltro quella dei
tradizionalisti, i quali, sia perch6 ancora fermi al concetto retorico
di una lingua «modello», sia perche in qualche caso effettivamente
piu sensibili alPaspetto estetico della lingua stcssa, e in particolarc
ai diritti del glorioso passato letterario di quella italiana, difendono
in tutto o in parte quelle norme e soprattutto la « purita » dell'idio-
ma italiano contro il pericolo di contaminazioni e snaturamenti.
Queste due posizioni rimangono in concrete, nei singoli parted-
panti alia discussione e nelPambito dei vari problemi particolari,
tutt'altro che nettamente distinte : e mentrc pu6 accadere che tra i
piu decisi awersari della Crusca e del primato del toscano e del
Trecento si schierino dei tradizionalisti come il Borsa e il Napione,
si deve riconoscere che il razionalismo degli innovator!, dal Mura-
tori, al Gravina, alPAlgarotti, al Baretti, al Bettinelli, agli stessi
scrittori del « Gaffe », e sempre temperato da un'attenzione spesso
assai viva ai valori estetici della lingua e ai diritti del «gcnio» na-
zionale, come mostra ad esempio Postiliti di un Baretti o di un
Bettinelli alPinnovazione del francesismo. Ma & merito proprio
del Cesarotti aver chiaramente compreso i motivi vitali dclPuna
e delPaltra posizione, e Paverne tentato una conciliazione e siste-
mazione, se non speculativamente rigorosa, certo efficaccmcntc
operante, appunto per la sua illuminata medieta, sul piano della
poetica e del gusto. A intendere la genesi di questa conciliazione
e sistemazione bisogna richiamarsi anzitutto alia sua espcrienza
di scrittore e specialmente di traduttore. Appunto attraverso que
sta esperienza egli aveva potuto rendersi conto non solo delPin-
capacita della vecchia lingua letteraria italiana, codificata dalla
Crusca e dei grammatici, a esprimere i nuovi concetti filosofico-
scientifici e i nuovi sentimenti, ma anche della inadeguatezza della
NOTA INTRODUTTIVA 15
stessa lingua degli scrittori illuministici a rendere certi inaspettati
contenuti poetici piu energicamente passional! e fantastici come
appunto quelli di Ossian. A questi problemi egli aveva allora rispo-
sto concretamente sul piano letterario, offrendo, come si e visto,
una soluzione non rivoluzionaria ma mediatrice, una lingua cioe,
in cui senza urti e rotture con la tradizione antica e recente veni-
vano giudiziosamente a mescolarsi nuovi «scorci», nuove «tinte»
e nuove «flessioni)) musicali. Come un primo tentativo di teoriz-
zare questa esperienza linguistica vanno interpretate alcune pro-
lusioni latine, composte nel 1769 e negli anni immediatamente
successivi: De linguarum studii origine, progressu, vicibus, pretio,
De naturali linguarum explicatione, e De universae et praedpue
graecae eloquentiae originibus. Concetto fondamentale della prima e
TafFermazione dell'intimo legame che corre fra lo sviluppo delle
lingue e quello della civilta delle nazioni che le parlano; mentre
nella seconda si espone la teoria deH'origine « naturale », meccanica,
istintiva delle lingue; e nella terza si distinguono i caratteri del
linguaggio poetico, tutto senso e immagini, da quello oratorio che
invece obbedisce alia ragione e alia logica. Considerate nella storia
della filosofia queste idee non si possono definire vere e proprie
novita: il concetto del rapporto fra lingua e civilta risale, come &
noto, al Muratori, al Gravina e soprattutto al Dubos, ed & larga-
mente rintracciabile nella successiva cultura illuministica; la teo
ria deirorigine « naturale » del linguaggio h esplicitamente attinta
al pensiero sensistico e in particolare al Condillac e al de Brosses ;
il riconoscimento, infine, dei caratteri sensibili e fantastici del lin
guaggio poetico, se & piu accentuate che nei sensisti, in grazia
delle coloriture vichiane di cui si riveste, risulta in definitiva limi-
tato da sempre rinascenti preoccupazioni razionalistiche.
N6 diverse giudizio, sempre da un punto di vista strettamente
teorico, si pu6 dare intorno alle idee che costituiscono Pimpal-
catura del Saggio sopra la filosofia delle lingue (1785). Vi ritornano
sia la teoria delPorigine « naturale », istintiva delle lingue, sia il
riconoscimento dei caratteri sensibili e fantastici del linguaggio
poetico, ma con i medesimi limiti e anzi perdendo qualche piu
energica coloritura vichiana. Piu nettamente vi riappare il senso
delPinesauribile svolgimento dei linguaggi in relazione con la sto
ria dei singoli popoli, ma senza atteggiarsi neppure qui in modo in-
tegralmente storicistico, frenato com'e dalla persuasione che esista-
l6 MELCHIORRE CESAROTTI
no delle leggi che si mantengono inalterate in ogni tempo e luogo :
persuasione che limita anche Faltra e connessa idea - che nelle pro-
lusioni non e svolta, e a cui ha dato molto rilievo il Puppo - della
liberta linguistica dello scrittore, come dimostra la persistente fidu-
cia in norme oggettive che fissino la bellezza intrinseca dei voca-
boli e costrutti. E questa pacifica incertezza si riflette nelle formule
cardinali del Saggio: nella massima che «la lingua scritta dee
avere per base 1'uso, per consigliere Tesempio e per direttrice la
ragione » ; in quella corrispondente che « la giurisdizione sopra la
lingua scritta appartiene indivisa a tre facolt& riunite, la filosofia,
Ferudizione e il gusto »; e infine nella distinzione fra (cgenio gram-
maticale)) e «genio rettorico» della lingua, il primo di natura logica,
immutabile quindi, anche se vario da lingua a lingua, e il secondo
invece legato ai sentimenti e ai gusti dei singoli popoli e dei singoli
scrittori, e suscettibile perci6 di arricchimento e di svolgimento.
Vero e che il Cesarotti non aveva bisogno di altri piu nuovi o piu
organici concetti: questi che abbiamo elencato, con tutti i limiti
che ora noi, dopo quasi due secoli, possiamo rilevarvi, anzi dirci
proprio in virtu di quei limiti, erano in realta i piu adeguati a
sorreggere teoricamente e a generalizzare quella soluzione media-
trice, giudiziosamente audace, del concrete problema della lingua
letteraria italiana, che egli aveva messo in atto nei suoi scritti e
soprattutto nella traduzione ossianica: i piu adeguati poich.6, con
il loro compromesso di razionalismo e irrazionalismo, di oggettivi-
smo e soggettivismo, di naturalismo e storicismo, gli conscntivano
di giustificare la legittimita di un arricchimento della lingua lette
raria italiana che corrispondesse alia nuova sensibilita e in genere
garantisse la liberta espressiva dei singoli scrittori contro ogni
norma assurdamente limitatrice, senza per6 disconoscere n6 le esi-
genze di chiarezza logica, di equilibrio razionale, di larga comunica-
zione che erano proprie del gusto illuministico, no i diritti, e le
feconde possibilita di ricupero, della secolare tradizionc italiana..
Che il Saggio non si proponga un problema di scienza pura,
ma di scienza, per cosl dire, « applicata », 6 detto gia nel titolo stcsso
che e propriamente Saggio sopra la filosofia delle lingue applicato
alia lingua italiana (e piu esplicitamente, nella prima edizionc,
Saggio sopra la lingua italiana)] e che tale problema sia proprio
quello che si e accennato, e apertamente dichiarato in quel bril-
lante e profondo esame di coscienza che e la Lettera al Galeani
NOTA INTRODUTTIVA 17
Napione: «Io m'era prefisso di toglier la lingua al despotismo del-
Tautorita e ai capricci della moda e delFuso, per metterla sotto il
governo legittimo della ragione e del gusto; di fissare i principii
filosofici per giudicar con fondamento della bellezza non arbitraria
dei termini, e per diriger il maneggio della lingua in ogni sua par-
te . . . ; di far ugualmente la guerra alia superstizione ed alia licen-
za, per sostituirci una temperata e giudiziosa liberta; di combattere
gli eccessi, gli abusi, le prevenzioni d'ogni specie; di temperare
le vane gare, le cieche parzialita; di applicar alfine le teorie
della filosofia alia nostra lingua, d'indicar i mezzi di renderla piu
ricca, piu disinvolta, piu vegeta, piu atta a reggere in ogni maniera
di soggetto e di stile al paragone delle piu celebri, come lo pu6
senza dubbio, quando saggiamente libera sappia prevalersi della
sua naturale pieghevolezza e fecondita». Ispirata appunto all'in-
tento di « eseguir questo piano », e, come egli spiega nella medesima
Letter a, la struttura del Saggio, articolata in quattro parti distinte :
la prima polemica, intesa a « combattere alcune opinioni domi-
nanti)), nate da quei «pregiudizi» che mettono ostacolo alia « li
bera vegetazion della lingua)), la seconda teorica, volta «a de-
terminare colle teorie filosofiche la bellezza intrinseca ed essen-
zial delle lingue, fissandone i canoni, e applicandoli a ciascheduna
delle loro parti cosl logiche che rettoriche » ; la terza normativa,
contenente le «regole che possono dirigere uno scrittore giudizioso
nel far uso delle varie parti della lingua » : la quarta, infine, esplici-
tamente applicata alia questione della lingua italiana, e nella quale,
dopo una rapida storia della nostra lingua letteraria, si mostra « qual
sia lo spirito dominante del secolo rispetto ad essa, le cause che lo
produssero, i due scogli tra i quali & posta, i pericoli imminent! del
libertinaggio, Pinutilita, anzi il mal effetto del rigorismo»; si indi-
cano, quindi, «i mezzi di evitar Tuno e 1'altro col temperare e
dirigere la corrente del gusto nazionale, senza affrontarla onde non
rompa gli argini e non tragga tutto in ruina»; e si propone, sem-
pre a questo scopo, Pistituzione di una « magistratura permanente »,
composta dal fiore dei letterati d' Italia ma diretta dall'Accademia
Fiorentina, e che «con un sistema concertato d'operazioni vegli a
depurare e ad accrescere il fondo della lingua, e a mantenerla in uno
stato di libert^ giudiziosa e di sana e florida vitalita». Del tipo di
lingua teorizzato e raccomandato nel Saggio, o meglio del suo im-
piego nella prosa, & intanto un esempio letterariamente felice (co-
l8 MELCHIORRE CESAROTTI
me del resto il contemporaneo Saggio sulla filosofia del gusto e
anche altri scritti critici precedent!) lo stile del trattato stesso,
col suo lessico ricco e colorito, la sua sintassi pieghevole e varia,
in cui la chiarezza della costruzione «diretta» si alterna alia ef-
ficacia di quella «inversa», con la sua vivace mescolanza di im-
magini e citazioni letterarie e di espressioni attinte alia viva fa-
vella contemporanea. Quale poi sia stata Fimportanza dell' opera
nella successiva storia della questione della lingua e piu in generale
nella formazione della coscienza linguistica italiana, e mostrato,
oltre che dalle vivaci discussioni da essa immediatamente suscitate
(non tutte, a dire il vero, sia in favore che contro, intelligent! ed
equanimi), dall'eco profonda che le dottrine e i consigli cesarot-
tiani ebbero sui piu illuminati spiriti del nostro Romanticismo,
dalFUgoni al Borsieri, al di Breme, al Manzoni, al De Sanctis
stesso, i quali tutti, pur tra parziali dissensi e sottolineandone piu
vigorosamente e con nuova consapevolezza alcuni motivi, appunto
a quelle dottrine e a quei consigli si richiameranno esplicitamente
nella loro battaglia per una lingua letteraria libera da regole acca-
demiche e pedantesche e aperta a giudiziose innovazioni, soprat-
tutto aderente alia vita storica e culturale della nazionc e insieme
capace di fornire allo scrittore gli strumenti adatti alia libera
espressione del suo mondo sentimentale e fantastico.
Oltre che attraverso questo complesso di opere di critica mili-
tante, la vocazione cesarottiana di pacifico rinnovatore della cul-
tura italiana si esprime, in questi anni maturi, attraverso altre
minori ma non trascurabili forme. Attraverso, anzitutto, la sua
attivita in seno alia Accademia padovana di Scienze, Arti e Lettere,
fondata nel 1779, e nella quale il Cesarotti, in qualita di scgretario,
lesse annualmente una serie di applauditissime Relazioni accadmi-
che, intorno ai lavori scientific! degli accademici : una attivita sen-
za dubbio informata, come appare nelle sue Riflessioni sopra i do-
veri accademici) da una fiducia tipicamente illuministica nell'opera
congiunta della ragione e deU'esperienza e nella funzionc positiva
del lavoro accademico, dei «piani concertati» in vista di un futuro
illuminato e pacifico, ma anche sostenuta da una rara larghczza di
interessi, da una viva persuasione dell'efficacia della circolazione
e della discussione delle idee, da una spregiudicata curiosita per
ogni novita culturale. Non diversamente ispirato era il suo inse-
gnamento universitario, in cui portava non soltanto - come rico-
NOTA INTRODUTTIVA 19
nosceva il Salfi - «le talent de communiquer a ses £l£ves une
veritable passion pour une litterature a la fois fondee sur le gout
des anciens, affranchie de prejuges et d'entraves, et propre a
satisfaire aux besoins des modernes » ; ma anche una simpatia uma-
na, una cordialita affettuosa, un rispetto per la personalita dei
suoi allievi, che spiega la suggestione da lui esercitata su intelli-
genze e temperamenti cos} diversi, sui fratelli Olivi, sul Barbieri,
sul Fieri e persino su un Foscolo. Ma forse piu ancora che at-
traverso I'insegnamento universitario e le libere conversazioni con
cui egli lo integrava, la feconda azione educatrice del Cesarotti
maturo si esercita nelle pagine del suo vastissimo epistolario, uno
dei piu interessanti del Settecento, pur cosi ricco di epistolari,
e nel quale, senza guardare troppo alia qualita dei corrispondenti,
fossero essi personaggi piu o meno illustri della cultura contempo-
ranea come 1'Alfieri, il Galiani, il Mazza, il Mattel, il Vannetti,
il Merian, il van Goens, o amici e scolari, oppure dame colte e
« sensibili », viene esponendo con pazienza e cordialita, e talora
con sviluppi o anticipazioni notevoli, le sue idee estetiche e i
suoi giudizi su scrittori antichi e moderni. Ma Pepistolario offre
anche la viva testimonianza di un altro aspetto del Cesarotti,
anch'esso non inutile alia piena conoscenza della sua personalita
e non privo di suggestione sui suoi contemporanei, e che esso
pure si era venuto lentamente costituendo nei lunghi e tranquilli
anni della vita padovana: del suo carattere, cioe, di uomo seden-
tario e fantasioso, pacifico e sensibile, fondamentalmente lieto ma
amante del «piacere delle lacrime)). Oltre che esprimersi nelle
lettere agli amici piu cari, questo carattere si rifletteva nella fisio-
nomia che aveva fatto assumere alia sua villetta, unico lusso che
si era concesso, di Selvaggiano, distante pochi chilometri da Pado-
va: un ritiro, egli scriveva, «destinato a perpetuare la memoria
degli oggetti piu interessanti del mio cuore, e ad alimentarlo di
quelle idee sentimentali che anche nella loro tristezza riempiono
Tanima di soavitaw. Nella villetta aveva intitolato alcune sale
rispettivamente alia filosofia razionale, alia filosofia morale e alia
letteratura; e vi aveva annesso un museo naturalistico e una
« grotta del lavoro solitario » ; ma ancor piu orgoglioso egli era del
piccolo parco, che chiamava il suo «poema vegetabile », ispirato
com'era ad una drregolare regolarita», con i suoi vialetti ordinati e
coltivati con artistica naturalezza, col suo «boschetto funebre» co-
20 MELCHIORRE CESAROTTI
sparse di iscrizioni e busti dedicati agli amici defunti, e nel quale
amava passeggiare e meditate, solo o con chi veniva a visitarlo.
II corso di questa vita cosi serenamente sistemata tra Padova e
Selvaggiano, tra gli studi, Finsegnamento universitario, Tattivita
accademica e il tempo dedicate agli amici e ai corrispondenti,
subisce se non una interruzione certo una brusca scossa dalPim-
prowisa tempesta prodotta dalla Rivoluzione francese. Come ri-
sulta dalle sue lettere, specialmente da quelle allo Zacco e al Bar-
bieri con i quali egli apriva di piu il suo animo, e dalle sue stesse
azioni, il suo atteggiamento, paragonato a quello di tanti altri
uomini di cultura del suo tempo, se non appare eroico, non &
neppure da giudicare in modo del tutto negative. II Foscolo, come
si sa, biasim6 il suo antico maestro per la scarsa «costanza nella
condotta politica», pur adducendo a scusa Teta di lui, e la sua vita
di ccsacerdote e di uomo che non aveva mai pellegrinato al di la
degli stretti confini della sua patria, la quale per piu di un secolo
aveva goduta la quiete piu profonda». In realta per giudicare
equamente 1' atteggiamento politico del Cesarotti, occorre richia-
marsi, piuttosto che ad aspetti particolari della sua vita, a quel-
Taperto e attivo ma sempre conciliante e moderate riformismo,
al quale abbiamo visto ispirarsi tutta la sua attivitk precedente di
letterato e di uomo. In accordo appunto con questo suo fondamen-
tale riformismo, il suo ideale in campo politico, fu, fin dall'inizio
della Rivoluzione francese, il Necker, con il suo umanitarismo
paternalistico, con i suoi propositi di riforme, per usare ancora la
parola cara al Cesarotti, « giudiziose », con il suo aborrimento per
ogni forma di rivoluzione violenta. «Per Puomo saggio ed onesto»,
egli scrive in quella Letter a al Merian (1801), che e forse Fespres-
sione piu sincera del suo intimo sentire politico, «il migliore e il
piu conveniente dei governi deve essere sempre Tattuale qualun-
que sia: e il solo mezzo permesso di migliorarlo 6 quello di com-
pier ciascheduno i propri uffici sociali col puro zelo della virtu, e
riformar colPesempio » ; e se «e lecito . . . bramare e coadiuvar le
riforme», «una rivoluzione propriamente detta non pu6 essere nc
ideata che da un fanatico, n6 promossa che da uno scellerato ».
Qualora si tengano presenti queste dichiarazioni bisogna ricono-
scere che ad esse si conformano abbastanza coerentemente, e il
Cesarotti lo sottolinea nella lettera citata, i suoi atteggiamenti du-
rante quegli anni cosi difficili: l'«aspettazione inquieta», il «tu-
NOTA INTRODUTTIVA 21
multo straordinario di affetti», il «cumulo di belle ma titubanti
speranze», suscitati in lui dalla fase «legale» della Rivoluzione;
il sentimento di orrore e di esecrazione per i successivi avvenimenti ;
la sua ostilita alia venuta dei Francesi in Italia e nel Veneto.
Questa ostilita non gli impedl, e vero, di «piegar il capo con
buona grazia al peso della necessita», di accettare da Bonaparte,
antico ammiratore di Ossian e del suo traduttore, una lauta pensione
e il titolo di professore soprannumerario di eloquenza alPUniver-
sita, e di indirizzargli un sonetto di elogio, che gli fu piu tardi
rinfacciato dal Denina; n6 bast6 a fargli rifiutare la carica di
« aggiunto libero » nel Comitato di istruzione pubblica della nuova
Municipalita. A buon diritto, tuttavia, egli poteva pretendere di
non essere confuso « coi Monti e coi Gianni ». Che, nei limiti che
gli erano consentiti dal suo carattere, anche in questa circostanza
avesse mantenuto fede alle sue intime convinzioni, e confermato
da due opuscoli che egli pubblic6 nel 1797 per incarico del Comitato
a cui apparteneva, la Istruzione d'un cittadino a' suoi fratelli meno
istruiti e // patriottismo illuminate : nel primo dei quali egli aveva
inteso fare «il ritratto della democrazia . . ., considerandola astrat-
tamente e nel suo stato di perfezione, e indicando quel bene che
poteva aspettarsene ove fosse amministrata nel suo vero spirito
e diretta dalla virtu » ; . mentre nel secondo aveva voluto rappre-
sentare «la democrazia nel fatto qual gia cominciava ad esser tra
noi, e qual purtroppo suol essere », fame «sentire i pregiudizi e i
pericoli », e combattere « gli eccessi del fanatismo repubblicano col
zelo deirumanita e della ragione», osando « primo e solo . . . aprir
bocca con generosa arditezza a difesa degli aristocrati veneti fatti
bersaglio di vessazioni e d'insulti». E parimenti condotto con cri-
teri di illuministica moderazione e insieme con intenti di larga
utilita sociale, & il Saggio sopra le instituzioni scolastiche private
e pubbliche, pure composto, per invito dello stesso Comitato, nel
1797; dove 6 notevole, ad esempio, la proposta di ridurre Tinse-
gnamento del latino nelle scuole medie e di allargare invece quello
della lingua italiana, delle lingue straniere e delle scienze na-
turali.
Meno simpatiche possono invece apparire certe manifestazioni
di pubblica adesione agli Austriaci dopo Campoformio: due so-
netti scritti rispettivamente per la conquista di Padova e per la resa
di Mantova, e una « cantata », VAdria consolata, composta nel 1803
22 MELCHIORRE CESAROTTI
per celebrare il genetliaco di Francesco III; anche se egli tent6 di
giustificarsi dichiarando che, sebbene il suo vero ideale fosse «una
democrazia saggia, tranquilla e temperata », pure «ad una mal
accozzata o fanatica» preferiva di cuore d'equabilita del governo
unitario, che opprime le fazioni e il tumulto delle vane speranze
col peso dell'autorita ». Piu sincera fu indubbiamente la sua sod-
disfazione, quando nel 1806 il Veneto ritornb sotto la Francia: e
non solo perche Napoleone gli dimostrb di nuovo la sua simpatia
e il suo rispetto, restituendogli la pensione toltagli dagli Austriaci,
conferendogli onorificenze e accogliendolo benevolmente a Milano,
dove i Padovani lo avevano inviato loro ambasciatore. Vero e che
il governo di Napoleone imperatore rispondeva tutto sommato
abbastanza bene alle sue esigenze congiunte di « democrazia » e di
«equabilita». E proprio questa rispondenza converra non dimenti-
care per intendere nel giusto senso anche la sua ultima opera, la
Proneay poema in versi sciolti in esaltazione deirimperatore e com-
posto circa un anno prima della sua morte, awenuta il 4 novembre
1808. «Misera concezione, frasi grottesche, verseggiatura di dram-
ma per musica, e, per giunta, gran lezzo di adulazione, infame ad
ogni scrittore, ma piu infame ad un ottuagenario, che non ha
bisogno di pane, e poco pu6 ormai temere dalla fortuna»: cosi
definiva la Pronea il Foscolo, in una lettera al Niccolini dell'ii
novembre 1807. Ma se il suo severe giudizio sul valore artistico
del poema rimane tuttora indiscutibile, non definiremmo piu win-
fame)) (o «schifoso)) come rincalzera il Carducci) Tatteggiamento
Iperbolicamente adulatorio verso Napoleone, quanto piuttosto (col
Fubini) «ingenuo». La mancanza, sottolineata dal Foscolo, di un
movente economico o di altra necessitk personale e infatti nel suo
caso la prova non di una abbietta libido adsentandi, bensl della
sostanziale sinceritk dell'autore, coerente con se stesso anche nella
senile persuasione (o illusione) di ritrovare nel governo napo-
leonico una di quelle soluzioni intermedie e concilianti tra vecchio
e nuovo, tra liberta e autorita, a cui per intima natura e per edu-
cazione culturale tendeva tutto il suo spirito.
Tutte le opere approvate dall'autore sono raccolte nell'edizione com-
plessiva delle Opere in quaranta volumi, di cui undici (i, Saggi sulla filosofia
delle lingue e del gusto, 1800; n-v, Poesie di Oman, 1801 ; vi-ix, La Iliade di
Omero [ragionamenti critici vari e La morte di Ettore], 1802; xvn-xviir,
NOTA INTRODUTTIVA 23
Relazioni accademiche, 1803) furono stampati a Pisa, presso la Tipografia
della Societa Letterana; altri ventisei (x-xvi [il primo e Pultimo constano
di due tomi ciascuno], Versione letter ale delVIhade, 1804; xix, Satire
di Giuvenale, 1805; xx-xxn, Corso ragionato di letteratura greca, 1806;
xxiii-xxvin, Le opere di Demostene tradotte e illustrate, 1807; xxix-xxx,
Prose di vano genere, 1808-1809; xxxi, De lingua praecipue graeca acr oases,
1810; xxxil, Poesie originali, 1809; xxxin, Versioni, poesie latine e iscri-
zioni, 1810; xxxiv, Vite del primi cento pontefici, 1811; xxxv-xxxvii,
Epistolario, 1811) a Firenze, presso Molini, Landi e C.; e infine gli ultimi
tre (XXXVIII-XL, Epistolario , 1813) di nuovo a Pisa, presso Capurro. Que-
sta edizione fu curata e seguita personalmente fino alia morte dal Cesarotti,
e perci6 i testi contenuti nei volumi dal I al xxix rappresentano effettiva-
mente Tultima volonta dell'autore, che apport6 spesso ritocchi e corre-
zioni alle opere precedentemente edite. I volumi seguenti furono invece
ordinati e curati dal suo discepolo Giuseppe Barbieri. Su questa edizione
sono condotte alcune scelte pubblicate successivamente : Opere scelte,
Milano, Tipografia de' Classici italiani, 1820, in quattro volumi; Prose
edite ed inedite, a cura di G. Mazzoni, Bologna, Zanichelli, 1822 (dove,
accanto a vari scritti in prosa gia pubblicati, figurano anche i seguenti
inediti, Piano ragionato di traduzioni dal greco, Osservazioni sul Caio
Gracco di Vincenzo Monti, Sommano d'un commento a un passo d'Omero,
Letter a al Wolf) ; Opere scelte, a cura di G. Ortolani, Firenze, Le Monnier,
1945, in due volumi (i, Operette estetiche e politiche; n, Poesie d'Ossian
\Fingal e alcuni poemetti minori], Letter e scelte), edizione condotta con
intenti critici (ma non priva di sviste e di trascuratezze) e corredata di un
commento illustrative, utile soprattutto per le lettere.
Ultenori notizie sulle vane edizioni dei singoli scritti riprodotti in
questo volume e sui criteri testuali seguiti si troveranno nella Nota intro-
duttiva ad ognuno degli scritti stessi.
Tra i non molti studi di carattere complessivo ricordiamo: G. BARBIERI,
Elogio deW abate Cesarotti, in appendice al volume XL delle Opere del Cesa
rotti, pp. LXXIX-CXXIII ; U. FOSCOLO, Saggio sulla letteratura contemporanea
in Italia, in Opere, xi, a cura di C. Foligno, Firenze, Le Monnier, 1958,
pp. 403-12; C. UGONI, Della letteratura italiana della seconda meta del se-
colo XVIII, Brescia, Bettoni, 1822, m, pp. 174-248; F. DE SANCTIS, Storia
della letteratura italiana, cap. xx; V. ALEMANNI, Un filosofo delle lettere,
parte i (la parte II non fu mai pubblicata), Torino, Loescher, 1894 (su cui
cfr. la recensione di E. BERTANA, in «Giorn. stor. d. lett. it.», xxvi, 1895,
pp. 237-44); M. FUBINI, M. Cesarotti, nell'antologia / classed italiani
diretta da L. Russo, Firenze, Sansoni, 1953 (i edizione 1939), n, pp.
1117-27; W. BINNI, Cesarotti e il preromanticismo italiano, in «Civilta
moderna», 1941-1942, rifuso nel volume Preromanticismo italiano, Napoli,
E.S.I., 1948, pp. 185-252; G. NATALI, // Settecento, Milano, F. Vallardi,
1 9443, pp. 532-3 e 1176-81; G. ORTOLANI, Prefazione alle Opere scelte,
cit. (1945); G. MARZOT, II gran Cesarotti, Firenze, La Nuova Italia, 1949.
In particolare sulla biografia del Cesarotti si vedano : I. TEOTOCHI AL-
BRIZZI, Ritratti, a cura di G. Bozza, Roma, Tumminelli, 1946 (i edizione
24 MELCHIORRE CESAROTTI
1808); G. BARBIERI, Memorie intorno alia vita ed agli studi dell' abate Cesa
rotti, in appendice al volume XL delle Opere del Cesarotti, pp. XLIII-LXXVI ;
V. MALAMANI, Proemio al volume Cento letter e inedite di M. Cesarotti a
Giustina Renier Michiel, Ancona, Morelli, 1885; G. GAMBARIN, M. Cesa
rotti e il Monti, in «Giorn. stor. d. lett. it. », LXV (1915), pp. 355-69;
G. MAZZONI, U abate Cesarotti e urfattrice famosa, in Abati, soldati, attori,
autori del Settecento, Bologna 1924, pp. 299-326; M. ScHERiLLO, / pri
mer di del Foscolo e gli ammonimmti del Cesarotti, in « Nuova Antologia »,
LXXIII (1928), pp. 165-70 e 273-88; N. VACCALLUZZO, Un accademico
burlesco contro un accademico togato (Carlo Gozzi e il Cesarotti), Livorno
I933-
Sulla traduzione di Ossian : G. ZANELLA, J poemi di Ossian e M. Cesa-
rottiy in Paralleli letterari, Verona, Minister, 1885, PP- H3-73J M.
SCHERILLO, Ossian, Milano, F. Vallardi, 1895; A. GRAF, Uanglomania e
Vinflusso inglese in Italia neJ secolo XVII, Torino, Loescher, 1911, pp.
291-8; P. VAN TIEGHEM, Le prfromantisme, I, Paris, Alcan, 1924, pp.
226-7 e passim; G. BALSAMO CRIVELLI, Prefazione al volume Poeste di
Ossian, Torino, Paravia, 1924.
Sulle traduzioni omeriche : U. FOSCOLO, Sulla traduzione dell\( Odissea »,
in Opere, vn, a cura di E. Santim, Firenze, Le Monmer, 1933, pp. 210-5;
G. DAL PINTO, VQme.ro del Cesarotti, in «Rivista d' Italia », in (1898),
pp. 348-55; C. OSTI, M. Cesarotti e la sua versione poetica deWIliade,
Trieste 1913.
Sugli scntti linguistici: G. MAZZONI, La questione della lingua nel secolo
XVIII, in Tra libri e carte, Roma, Pasqualucci, 1887, pp. 115-68; C.
TRABALZA, Storia della grammatica itahana, Milano, Hoepli, 1908, pp.
416-29; TH. LABANDE-JEANROY, La question de la langue en Italie de Baretti
a Manzoni, Pans 1925; A. SCHIAFFINI, Aspetti della crisi hnguistica ita
hana del Settecento (193?), ora in Momenti di stona della lingua italiana,
Roma, Editrice Studium, i9532> PP- 9*-*32; R. SPONGANO, Nota finale
al volume M. CESAROTTI, Saggio sulla filosofia delle lingue, Firenze, Sansoni,
1943; A. VISCARDI, II problema della costruzione nelle polemiche hnguistiche
del Settecento, in «Paideia», n (i94?)> PP- 193-214; G. NENCIONI, Quid-
quid nostri predecessor es ..., in «Atti e Memorie dell' Arcadia », S. Ill,
vol. ii (1950), pp. 10 e 20-8; M. PUPPO, Stoncita della lingua e liberta dello
scrittore nel ((Saggio sulla filosofia delle lingue » del Cesarotti, in «Giorn.
stor. d. lett. it.», cxxxin (1956), pp. 510-43; poi riprodotto nell'introdu-
zione al volume Discussioni linguistiche del Settecento t Torino, U.T.E.T.,
1957, PP. 55-83.
Sulle idee estetiche e critiche: B. CROCE, Estetica, Bari, Laterza, 1946**,
pp. 265-6; M. PUPPO, Un giudizio inedito del Cesarotti su Chateaubriand,
in «Giorn. stor. d. lett. it.», cxxxin (1956), pp. 74-8; R. WELLEK, A
History of modern Criticism, I, New Haven, Yale University Press, 1955,
pp. 138-40; E. BIGI, Le idee estetiche del Cesarotti, in «Giorn. stor. d. lett.
it.)), cxxxvi (1959), pp. 341-66.
Sulle idee politiche: G. MAZZONI, Testimonianxe stonche di un letter -ato
(Cesarotti e la Rivoluzione francese), in Tra libri e carte, cit, pp. 169-89;
NOTA INTRODUTTIVA 25
G. GAMBARIN, La politico, del Cesarotti e la « Pronea », in « Giorn. stor. d.
lett. it.», LXIX (1917), PP- 94-H5; S. ROMAGNOLI, Melchiorre Cesarotti
politico, in «Belfagor», in (1948), pp. 143-58.
Per altre indicazioni bibliografiche si pu6 ricorrere, oltre che ai repertori
generali del Prezzolmi, delPEvola, ecc., all'ampia e utile ricerca di G.
MARZOT, Cesarotti e cesarottismo nella cultura italiana, in appendice al
volume citato // gran Cesarotti.
RAGIONAMENTO
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA
Questo bizzarro fenomeno dello spirito umano che si compiace
di veder la rappresentazione d'uno spettacolo la di cui realta lo
affliggerebbe sensibilmente, sembr6 degno di riflessione e d'esa-
me a tutti i filosofi che presero a ragionare di cose poetiche.
L'ab. Dubos attribuisce ci6 all'estremo abborrimento che ha
1'animo nostro per Tinazione, per liberarsi dalla quale egli cerca
d'esser agitato e commosso an che a prezzo di fatiche, afflizioni
e danni grandissimi ; dal che ne inferisce che la tragedia trovando
il modo di separar il piacer delPagitazione dalle conseguenze
funeste ch'ella trae seco, col procurarci passioni fattizie e super-
ficiali, ella deve recarci un diletto tanto piu vivo quanto piu gagliarda
sara la perturbazione che in noi risveglia.1
Poco diverso da questo si e il sentimento del Fontenelle. Egli
pianta per base che il piacere e il dolore, benche siano sentimenti
Questo Ragionamento fu pubblicato per la prima volta nel volume II
Cesare e il Maometto, tragedie del signor di Voltaire, trasportate in versi
italiani, ton alcuni ragionamenti del traduttore, Venezia, Pasquali, 1762,
pp. 187-224. Tale volume fu spedito dal Cesarotti, tramite il Goldoni,
in omaggio al Voltaire, che rispose ringraziando e manifestando la sua
appro vazione, sia pure in forma generica, tanto per la traduzione come
per i due Ragionamenti (la lettera & riportata nell'epistolario del Cesarotti,
in Opere, XXXV, pp. 55-7). Che 1'autore rimanesse anche in seguito sod-
disfatto della soluzione da lui proposta sul dibattuto problema, e confer-
mato dal giudizio che egli ne dava dopo piu di quarant'anni in una
lettera (riportata anche in questo volume) a Giovanni Carmignam del 25
novembre 1806: dove, parlando del teatro alfieriano, aflermava: « quanto
alia parte morale di queste tragedie avr6 forse occasione di spiegarmi
in un discorso che medito di aggiungere ad un altro gi& da me stampato
circa quarant'anni fa, e del quale non so pentirmi, sopra il diletto della
tragedia ». Egli stesso, del resto, cur6 la ristampa del suo giovanile Ragio
namento nel volume xxix delle Opere, pp. 117-63. pur apportandoyi qual-
che notevole ritocco. A questa seconda redazione ci siamo attenuti segna-
lando in nota le differenze pii* importanti con la prima del 1762.
i. Dubos . . . risveglia: riassume le idee esposte dal Dubos specialmente nel-
la sezione vn della parte I delle sue Reflexions critiques sur la poesie et la
peinture (1719), testo canonico dell'estetica settecentesca. Si veda su questa
opera il giudizio del Cesarotti stesso nel Ragionamento sopra I'origine e ipro-
gressi dell'arte poetica, in questo volume a p. 82.
28 MELCHIORRE CESAROTTI
cosi diversi, pure non differiscono molto nella loro causa. «Col-
ljesempio del solletico » aggiunge egli « si scorge che il movimento
del piacere spinto troppo innanzi divien dolore, e che il movimento
del dolore un poco moderate divien piacere. Quindi awiene che
v'e una tristezza dolce e aggradevole, la quale e un dolore inde-
bolito e scemato. Questo dolore indebolito che si cangia in piacere
6 quello della tragedia. Per quanto uno spettacolo s'impadronisca
deH'imaginazione, resta sempre nel fondo dello spirito qualche
idea della falsita di quel che si vede, e questa basta per ridurrc il
dolore a quel grado in cui comincia a trasformarsi in diletto. Si
piangono le disgrazie d'un eroe che si ama, e nello stesso tempo ci
consoliamo pensando esser questa una fmzione; e da questa me-
scolanza di sentiment! si compone un dolore aggradevole, e n'e~
scono lagrime che ci fanno piacere)).1
Queste due soluzioni sembrano ingegnose e convincenti al sig.
Hume;2 contuttoci6 egli crede che lascino qualche cosa a desi-
derare; e che non possano applicarsi in tutta la sua estensione
al soggetto di cui si tratta. Poich6, quanto al principio dell'ab.
Dubos, se 1'agitazione bastasse per farci trovar piacere in uno
spettacolo doloroso, sembrerebbe che le disgrazie rappresentate
nelle tragedie recar ci dovessero maggior diletto quando realmcnte
accadessero sotto i nostri occhi, poiche allora sarebbero il rimcdio
il piu efficace contro il languore e 1'indolenza: eppure 6 fuor di
dubbio che ci cagionerebbero un'afflizione vera e sensibilissima.
Riguardo alia diminuzione del dolore in cui si fonda il Fontenelle,
egli dice che per quanto s'indebolisse per gradi un dolor realc
sino a farlo cessare, non si risentirk piacere in alcuna delle sue
degradazioni, e che il piacere non si forma se non se dall'infusione
d'un nuovo sentimento. Quanto alia falsita dello spettacolo, col-
Tesempio delle perorazioni patetiche di Cicerone, e specialmente
deiringiusto supplicio dei capitani di Sicilia trucidati per comando
i. Traduce il paragrafo xxxvn delle Reflexions sur la po&ique, pubblicate
dal Fontenelle nel 1685, e di ispirazione nettamente razionalistica. Cfr.
anche su quest'opera quanto dice il Cesarotti nel Ragionamento citato, a
p. 82. 2. Queste . . . Hume: allude al saggio Of Tragedy, pubbhcato per
la prima volta dallo Hume in Essays and Treatises on several Subjects}
London 1753-1754., ma che il Cesarotti lesse certamente nella versione
francese di J. B. Merian, Dissertations sur les passions, sur la tragtdie, sur
la regie du gout, Amsterdam, Schneider, 1759.
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 29
di Verre,1 mostra che la verita del fatto non impedisce che non
si senta sommo diletto da un discorso oratorio, e per conseguenza
da una tragedia.
Per ispiegar questo fenomeno ricorre egli dunque ad un altro
principio piu universale. Egli stabilisce con molte ragioni e molti
esempi che le passioni subordinate si cangiano nella passion do-
minante e la fortificano maggiormente, quand'anche fosse di na-
tura diversa ed alle volte contraria. Ora, secondo questo autore,
Timpression dominante prodotta da un'opera oratoria o poetica
e quella del diletto, e la passion del dolore e subordinata: per con
seguenza « il sentimento del bello da una nuova direzione ai moti di
tristezza, di compassione e di terrore. Le immagini forti, Tespres-
sioni energiche, un discorso armonioso, una bella imitazione, Tar-
te che raduna tutti i tratti toccanti, il giudizio che li colloca cia-
scheduno a suo luogo, produce no una mistura di vari diletti, che
riuniti insieme assorbono la passione subordinata, la sforzano a
cangiar natura e ad ingrossar la somma totale del piacere ».2
Se mi si permette di avanzar la mia opinione dopo quella di
tanti illustri ragionatori, parmi che questi correttivi, benche ab-
biano ciascheduno per se molta forza, e molto maggiore riuniti
insieme, pure non siano bastanti a cangiar in piacere il dolore
dello spettacolo, e che bisogni cercarne qualche altro piu intrin-
seco tratto dalla natura stessa dell'azione, il quale ove manchi, lo
spettatore provera un sentimento doloroso piu o meno temperato,
ma sempre superiore al diletto.
Bench6 Tab. Dubos dica che le passioni destate dalla tragedia
sono artificial! e fattizie, pure egli calca tanto sopra il massimo
piacer della commozione, ch'egli mostra chiaramente di credere
che questo piacere basti per superar il dolore d'uno spettacolo
anche reale. Egli raduna una gran copia d'esempi che tendono a
provare il suo principio: ma esaminandoli con piu d'attenzione
i. specialmente . . . Verre: cfr. II in V err em, v, xxxi, 82 sgg. 2. Ecco il passo
corrispondente nella citata traduzione francese del Merian, pp. 68 e 73 :
« Le sentiment du beau donne une nouvelle direction aux mouvements im-
pe"tueux de la tristesse, de la pitie et de la colere . . . Les images fortes, les
expressions 6nergiques, un discours bien cadenc6, une belle imitation, cha-
cune de ces choses a son agre"ment propre: lorsque tous ces agre"ments se
re"unissent en un seul objet qui tient a quelque passion subordonnee, ils
1' absorbent, la forcent a changer nature, et a grossir la somme totale du
plaisir ».
30 MELCHIORRE CESAROTTI
si trovera die non convincono bastantemente. Lasciamo stare i
giuochi d'azzardo : essi non presentano per se stessi nulla di funesto ;
perci6 il piacer dell'agitazione, ch'io riconosco per vero e grande,
non trovando ostacolo, pu6 aver pienamente il suo effetto. Osser-
viamo quegli spettacoli che hanno maggior relazione coll'atrocita
della tragedia. Tali sono i gladiatori, i duelli, le giostre antiche,
le esecuzioni dei malfattori e finalmente i combattimenti sanguinosi
degli animali: spettacoli tutti che in ogni tempo, com'egli dice,
attrassero gran moltitudine di popolo, e furono risguardati con un
diletto che degenerava talvolta in furore.
Ma quanto ai gladiatori bisogna osservare che costoro erano
parte malfattori gia condannati alia morte, parte persone vilissime
ed infami che vendevano a prezzo la loro vita. II titolo piu igno-
minioso insieme ed orribile che potesse darsi ad un romano era
quello di gladiator e\ egli corrisponde al nostro boia, e Cicerone
non trovo il piu energico, per qualificare Antonio,1 di questo.
Ora qual compassione poteano destare uomini di tal carattere, a
cui gia si dovea la morte per mille titoli ? Di piu costoro si face-
ano uno studio di morir non solo con fermezza, ma con disin-
voltura e con brio. «Si vis me flere, dolendum est primum ipsi
tibi»:2 per la stessa ragione se tu non piangi, se non sei sensibile
alia tua disgrazia, non vorrc- gia io sentirla per te.
Lo stesso pu6 dirsi dei delinquenti condotti al supplicio. Co
storo sono scelerati e nemici deirumanita. Giova a tutti, e a ciasche-
duno in particolare, che sia punito chi nuoce o e gia preparato a
nuocere: lungi dall'eccitar compassione, il loro supplicio non pu6
essere che approvato, e destar un sentimento nel quale predomini
il piacere. Io ammiro le leggi, godo che siano vendicati gli offesi,
spero di veder con questo esempio stabilita e fortificata la mia si-
curezza: la compassione machinale3 e subordinata al piacer domi-
nante, e secondo la dottrina dell'Hume si trasfonde nella sua na-
tura. Ma donde awiene, si pu6 domandare all'ab. Dubos, che
quando il carnefice non e destro nel fare il suo uffizio, quando la
morte non e presta, quando il delinquente e straziato, il popolo
si rivolta con alte grida contro il ministro4 e mostra la sua inde-
i. Cicerone . . . Antonio: cosl infatti Cicerone chiama spesso Antonio nellc
Filippiche (cfr , per es., Phil, n, m, 7: « Contentio erat cum uno gladiatore
nequissimo »). 2. Orazio, Ars poet., 102-3 («Se vuoi ch'io pianga, devi
commuoverti per primo tu stesso »). 3. machinale: meccanica. 4, mini
stro: carnefice.
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 31
gnazione ? £ forse commozion di piacere, o pur di dolore, quella
che lo fa prorompere in queste voci? Questo spettacolo peraltro
non attrae ugual concorso per tutto, ne sveglia il medesimo senti-
mento. In Italia non vi accorre se non la plebe piu vile; in altri
luoghi la consuetudine debilita il senso della compassione ; in altri
finalmente, per 1'abitudine giornaliera, si rintuzza colla compassio
ne anche il senso della commozione interna, e si lasciano i rei al
loro destino senza porvi cura.
I duelli offendono veramente Pumanita e la ragione : ma quando
un pregiudizio ha preso forza di legge e color di virtti, egli deve pro-
durre un effetto simile a quello che produrrebbe la virtu stessa.
Stabilito che sia una volta che Tonore comandi di vendicare un'of-
fesa di qualunque genere, e di terminar una gara colla spada alia
mano, quelli che a ci6 si espongono, debbono eccitare piu stima
che compassione, ed essere riguardati come persone capaci di sa-
crificar la vita alPonore e al dovere. Una prova di ci6 si e che se
Tuno o 1'altro non avesse fatta o accettata la sfida, sarebbe passato
per vile nell'opinione comune, e che gli stessi amici, anzi i padri,
Pavrebbero voluto piuttosto morto che disonorato. Inoltre in tali
occasion! non v'fe quasi alcuno che resti indifferente, e che non
prenda parte per 1'uno o per Taltro dei due campioni. Non e dun-
que il solo desiderio di commozione che li spinga a veder lo spetta
colo, ma la speranza di veder Peroe favorito vittorioso, e Paltro
soccombente. Una simile spiegazione pu6 darsi alle giostre. Un
principe, un cavaliere, che per dar prova del suo coraggio e per
acquistar gloria si espone a pericolo della vita, inspira col suo
esempio magnanimita, fortezza, disprezzo della morte, e pero see-
ma la compassione.
Quanto ai combattimenti degli animali, Pinumano pregiudizio
in cui siamo, di poter abusare a nostro talento della lor vita, ci
rende insensibili a' loro strazi : io non credo peraltro che un pita-
gorico avesse assistito con piacere a un simile spettacolo.1 Da questo
esame si scorge che in tutti gli esempi accennati, ed in altri simili,
la commozione non cangia il dolore in diletto, ma il dolore, mi-
tigato e cangiato in un sentimento aggradevole da qualche intrin-
seca cagione, lascia agir liberamente il piacer della commozione
delPanimo, ed unito con esso ci compone un diletto piu vivo.
i. non credo . . . spettacolo: perche" i pitagorici pensavano che le anime de
gli uomini potessero reincarnarsi in corpi di animali.
32 MELCHIORRE CESAROTTI
La falsita dello spettacolo (col qual termine il sig. di Fon-
tenelle non intende che il fatto che si rappresenta sia falso, come
mostra di credere il sig. Hume, ma solo che allora non succede
realmente) non mi par che basti per diminuir il dolore. lo non
ardirei di asserire, come il Gravina1 ed altri, che la rappresenta-
zione faccia un'illusione completa e continua aH'animo degli spet-
tatori: ma non mi par nemmeno che possa assolutamente sta-
bilirsi ch'ella non abbia luogo almeno per qualche spazio di tempo.
Una meditazione piu intensa deirordinario, una passione che ac-
cenda la fantasia, ci trasporta per modo fuor di noi stessi, che non
si vede chi ci sta intorno, ne si ascolta quel che si dice; anzi,
quel ch'e piu, talvolta si vede e si sente quel che non e. Or per-
ch6 non potra fare lo stesso effetto 1'incanto della rappresentazion
teatrale, che assedia con tante macchine la fantasia ? Si piange per
un eroe amato, dice il Fontenelle, e nel tempo stesso si conosce
che le sue disgrazie sono finte.2 Non sarebbe egli piu verisimile
che non ci accorgessimo della finzione, se non per intervalli e
come a scosse ? Per quanto poco voglia supporsi che duri 1'illusio-
ne, egli e certo che, se in quel punto il sentimento doloroso,
ch'esce dal fondo delPazione, supera il diletto, lo spettatore pro-
vera un dolore reale, o almeno assai grande. Se alcuno, come
spesso accade, avesse un sogno funesto di qualche minuto, ma
interrotto e ripigliato alternamente piu volte; crediamo noi che il
dolore ch'ei sentirebbe nei brevi istanti del sonno, sarebbe compen
sate, anzi superato dal suo disinganno nel risvegliarsi ? e si tro-
verebbe alcuno, che volesse sognar di nuovo per procacciarsi que-
sto piacere? Ma volendosi anche concedere che Pillusione non
abbia mai luogo in alcun punto della tragedia ; io dico che quando
il dolore dell'azione tragica non sia corretto da verun lenitivo in-
trinseco, ella cagionera sempre un dolore, che deve escludere o
i. come il Gravina: 1'Ortolani cita il seguentc passo del trattato Della tra
gedia: «la tragedia e . . . piii perfetta delPepica poesia, perch6 imita intic-
ramente Pazione, e la rappresenta appunto come vera e reale » (cfr. Opere
scelte, Milano 1819, p. 255); ma il Cesarotti allude, forse, anche al lib. I,
cap. II della Ragion poetica, dove si afferma pifr generalmentc che «il poe-
ta per mezzo delle immagini esprimenti il naturaie, e della rapprcscnta-
zion viva e somigliante della vera esistenza e natura delle cose immaginate,
commove ed agita la fantasia nel modo che fanno gli oggetti rcali » (cfr.
Opere scelte, ed. cit., p. io). 2. Si piange . . .finte: cfr. Reflexions sur la
po&ique, cit., § xxxvi.
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 33
prevalere al diletto. Nelle storie certo non puo esservi luogo al-
Fillusione; esse raccontano casi accaduti in paesi stranieri e in
tempi remoti. Pure chi puo leggere senza orrore gli assassinii e i
parricidii dei successor! di Alessandro, le barbare perfidie degPim-
peratori greci e le brutalita de' primi imperatori romani? Se la
storia non presentasse altri spettacoli che questi, ognuno rivolge-
rebbe altrove lo sguardo, e si abborrirebbero quei monumenti che
conservarono la memoria di fatti che doveano star sepolti nelle te-
nebre, per non funestar rimmaginazione degli uomini, e fargli
inorridir della propria natura. Le proscrizioni di Silla e de'
Triumviri ributtano; la guerra tra Pompeo e Cesare, e le morti
degli eroi repubblicani interessano: perche ci6? vi sono de' fatti
atroci dalPuna parte e dall'altra; ma quelli spirano puro orrore,
in questi il dolore e temperato dalFammirazione e dalla bene-
volenza.
Resta da esaminare Popinione delFHume. II suo principio del-
la trasfusione delle passioni subordinate nella passion dominante
e veramente filosofico e atto piu d'ogni altro a scioglier la nostra
questione. Ma non so poi se Fapplicazione ch'egli ne fa, sia intie-
ramente giusta. Egli suppone che il sentimento dominante in
un'opera d'eloquenza e in una tragedia sia quello del diletto, e il
subordinate sia il dolore. Vediamo se ci6 sia vero assolutamente.
Di due sentimenti contrari, che ci colpiscano in un tempo stesso,
sembra che il dominante debba esser quello che per sua natura
agisce con maggior forza e fa un'impressione piu gagliarda e piu
viva. Ora la ragione e Fesperienza fa vedere che i sentimenti pia-
cevoli sono assai piu deboli dei dolorosi. II piacere solletica, il
dolore lacera e strazia. L'impression del piacere sfuma, per cosl
dire, e svapora in pochissimi istanti; quella del dolore stampa or-
me profonde e durevoli. Mille piaceri non compensano un dolore:1
un dolor solo basta a distruggere tutti i piaceri. Si trovano vera
mente persone che, colPidea d'un piacere appreso, si espongono
a pericoli di tormenti e di morte ; ma ci6 accade perche non veg-
gono questi mali che in lontananza. Allorche sono vicini, Fespe-
rienza ci mostra che si sacrificano gli stessi oggetti dianzi ido-
latrati alia sola speranza, anche vana, di liberarsene. Di piu, e da
osservarsi che il piacere non ci spinge ad esporsi a questi pericoli,
i. Mille . . . dolore: adattamento del Petrarca, Rime, ccxxxi, 4: «mille pia-
cer non vaglion un tormento ».
34 MELCHIORRE CESAROTTI
se non quando ha generate un desiderio pungente ed insofferibile ;
cosicche non si cerca tanto Facquisto del piacere quanto la libe-
razion dal dolore.
La gelosia e una passione disaggradevole, dice il sig. Hume,
e pure Famor, ch'e un piacere, non sa esser ben vivo senza di essa;
ma la comparazione non mi sembra giusta, e parmi anzi ch'ella
comprovi la mia opinione pru che la sua. L/amore e un desiderio
di possedere; la gelosia e un timor di perdere: come non si teme
se non perche" si desidera, cosi e naturale che la gelosia, finch6
non giunge a distruggere Famore, gli serva di stimolo e d'alimento.
Ma Famore e un sentimento piacevole, la gelosia un sentimento
doloroso: s'interroghi Otello, Orosmane, Erode1 se in un amante
geloso predomini il diletto o il tormento. Quel che accade nei
piaceri e dolori reali e sensibili, perche" non accadera in quelli
dell'immaginazione ? In fatti, se in una compagnia, ove regni la
giocondita, sopraggiunge persona che racconti qualche atroce di-
sgrazia di se o d'altrui, la giocondita si cangia tosto in tristezza,
oppure le s'impone silenzio : segno che il dolore non pu6 cangiarsi
cosi facilmente in allegrezza, e che si teme, per lo contrario, che
la sua forza preponderi.
Parmi, in secondo luogo, che di due sentimenti contrari, 1'uno
de' quali sia prodotto dal soggetto, Faltro dagli ornamenti, Fin-
trinseco debba prevalere alFesterno e trasfonderlo nella sua na-
tura. Che un uomo voluttuoso o irreligioso dipinga ne' suoi versi
o ne' suoi discorsi, con tutta la vivacita e Feloquenza possibile, i
suoi lascivi piaceri o i suoi empi sentimenti, egli 6 certo che gli
orecchi delle persone pie ne resteranno tanto piu offesi, quanto la
pittura sara piu energica e viva. Tutta Farte d'un poeta non ren-
dera mai bello ed interessante un soggetto vile e spiacevole; la
luce ch'egli vi sparge sopra, ne far& meglio apparire la deformita;
il ridicolo della materia ricadera sulla forma. Se un'opera di simil
genere ha qualche successo, ci6 accaderk o perch<§ il soggetto sar&
solamente mediocre, e non basso e vile; o perche" in un soggetto
ributtante tutte le parti, o principal! o episodiche, non lo sono
i . Otello e il protagonista delFomonima tragedia di Shakespeare ; Orosmane
& un personaggio della Zaire di Voltaire; Erode, come personaggio tmgi-
camente dominate dalla gelosia, compare in varie tragedie, quali la Ma-
rianna di Ludovico Dolce, il Tetrarca de Jerusalem del Calderon, la Ma
rianne del Voltaire, rappresentata nel 1724, e che il Cesarotti ha certo so-
prattutto in mente.
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 35
egualmente, e la loro bellezza fara che si soffrano, ma non che
piacciano, Taltre. Gli abbigliamenti vistosi danno risalto a un
bell'aspetto, aiutano un mediocre, ma deformano maggiormente
un brutto.
Questo principio dee molto piu verificarsi nella tragedia, perche
lo stile in essa deve rigidamente servire al soggetto, a segno che qua-
lunque bellezza, che non fosse necessaria all'azione, diverrebbe un
difetto gravissimo. Vi e molta differenza fra la tragedia e gli altri
generi di poesia; quelli presentano Timitazion della cosa, questa
pone sotto gli occhi la cosa stessa: in quelli 1'imitatore si mostra
ed esce a riscuotere gli applausi; in questa si nasconde totalmente,
e crede d'esser giunto al colmo della perfezione quando gli spet-
tatori, assorti negli eroi del suo dramma, si scordano intieramente
di lui. Pu6 bensl qualche causa esterna prevenir lo spettatore con-
tro Tillusione dello spettacolo; ma se il poeta coopera al suo di-
singanno col palesarsi, egli ignora i principii della sua arte. Quindi
le descrizioni pompose, le comparazioni, i pensieri ingegnosi, il
fraseggiare immaginato, i numeri lavorati e sonanti, che sono essen-
ziali al poeta lirico ed all'epico moderatamente permessi, o sono
severamente proibiti al tragico, o non sono tolerati che con gran-
dissime restrizioni. Parmi che il sig. Hume non abbia abbastan-
za esaminato questo punto, e che abbia invertito 1'ordine della
cosa, quand'egli dice che le immagini forti, 1'espressioni energiche,
una bella ed artificiosa imitazione hanno ciascheduna il loro pro-
prio diletto; e che pero un tal sentimento deve debilitar la forza
del dolore e trasformarlo in piacere. L'espressioni svegliano Tim-
magine o 1'idea delle cose, e, in quanto le rappresentano, non hanno
alcuna propria e particolar qualita, ma prendono quella della cosa
stessa. In quanto poi lo spirito le considera come parto della fan
tasia del poeta, allora vestono il carattere di belle e dilettevoli,
qualunque sia la cosa da loro rappresentata. Ma lo spirito non pu6
considerarle per tali se non per mezzo d'un confronto piu o meno
rapido ch'egli fa tra un qualche modello della cosa e 1'espressioni
di quel poeta, ed altri vari modi di esprimersi, che avrebbero po-
tuto adoperarsi dagli altri. Per quanto rapido e simultaneo sembri
questo confronto, egli e certo che non pu6 farsi cosi agevolmente
se non da uno spirito assai pronto ed esercitato, specialmente
quando la cosa che si rappresenta e composta, come un'azione
tragica, di varie parti connesse ed awiluppate insieme, cosicche*
36 MELCHIORRE CESAROTTI
bisogni tutto ad un tempo architettarsi in mente un modello gran-
de e proporzionato, e rawisarne in un colpo d'occhio Tordine
e la simmetria: e per quanto poi sia pronto ed esercitato lo spirito,
e certo che rimmaginazione che percepisce e piu rapida del ri-
flesso che confronta; e che per conseguenza il sentimento che ri-
sulta dal soggetto dev'essere immediato e dominante, e quel dello
stile susseguente e subordinate. Sul principio dell'azione, quando
10 spirito non e ancora intorbidato dalle passioni, Tattenzione pu6
fissarlo abbastanza per fargli rawisare ad un tempo e la cosa e
Timitazione, ma quando il bollore degli affetti si solleva e s'ac-
cende, il modello si perde di vista, e non si sente che Timpressionc
della cosa imitata.
II contrario per6 pu6 accadere, ed in fatti accade nella poesia
lirica. L'imitatore vi si scopre palesemente: Tespressioni, le frasi,
11 numero, tutto porta scolpito il lavoro della fantasia e deH'intel-
letto; la materia resta quasi assorta1 dalla forma; non c'e talvolta
che un sentimento vestito con magnificenza e presentato sotto
•diversi aspetti ingegnosi e fantastici : lo spirito deve dunque fissarsi
piu suH'imitazione che sull'oggetto, e il piacere dcve dominate.
Ma la tragedia stessa presenta una prova sensibile dell'uno e del-
Taltro effetto. Nel tempo che si rappresenta Pazione, lo spcttatore
•s'interessa, piange, s'adira e trasfonde i suoi affetti dagli eroi agli
attori stessi; quando lo spettacolo e terminato, allora si volge a
fare i meritati elogi al poeta. Nella prima rappresentazione pre-
vale il dolore e il terrore; nelle susseguenti, e molto piu in una
lettura, il dolore svanisce, e il diletto prepondera. Perch<§ questa
inversione? Perch6 lo spirito, saziata la curiosita ed acchetato il
movimento tumultuoso degli affetti svegliati dall'efficacia e dalla
natura dello spettacolo, resta libero e pu6 tranquillamentc esa-
minare 1'ingegno dell'imitatore, congegnar meglio il suo modello,
confrontar con esso la copia, e gustar a parte a parte la rara mae-
stria del lavoro.
II sig. Hume allega Tesempio della pittura, in cui quanto
piu e doloroso 1'oggetto, tanto e maggior il piacere: ma la diffe-
renza e grande e sensibile. L'imitazione della pittura & molto im-
perfetta in confronto di quella d'una tragedia. La superficie piana
d'un corpo immobile potra somigliare ad un uomo, ma non lo
sara mai. II pittore non mostra che un punto di qualche fatto;
i. assorta: assorbita.
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 37
non spiega le cause e le macchine deirazione, non sviluppa il ca-
rattere, i pensieri, i sentiment! degli attori, non rileva le relazioni
e le circostanze che rendono il fatto veramente interessante ed
atroce. Non e Ifigenia1 sacrificata dal padre per la salute delFar-
mata, quella ch'io veggio su quella tela; non e Oreste,2 che uccide
la madre: io non ci scorgo che una fanciulla sacrificata e una
femmina uccisa. Se la storia o la favola non c'istruisse, noi non
giungeremmo che con gran pena a rilevar il vero soggetto d'un
quadro. Queste imperfezioni dello strumento del pittore, oltre il
scemar Pinteresse, fanno che Timitazione a suo mal grado si scopra,
e per ci6 che si fissi Focchio principalmente sopra il valor delParte-
fice, il quale ha saputo, per quanto gli permettea Parte sua, dar
anima e sentimento alia tela.
Le perorazioni di Cicerone non provano molto di piu. II peri-
colo d'un esiglio e alquanto diverso da un parricidio. Benche
Foratore debba servire alia causa, pure e molto piu libero del poe-
ta tragico e pu6 far uso piu scoperto del suo talento. Tra gli udito-
ri, altri credevano 1'accusato veramente colpevole e degno di pena;
altri lo giudicavano innocente e lo bramavano salvo: quelli non
potevano risguardare nella perorazione di Cicerone se non se Far-
tificiosa eloquenza delForatore, che sapeva interessare gli animi per
una persona si poco degna di compassione; in questi la speranza
di vedere assolto un reo, in grazia particolarmente delle patetiche
lamentazioni oratorie, rendeva dolce la loro amarezza; e per6 ne-
gli uni e negli altri dovea predominare il diletto. II supplizio del
capitani di Sicilia e veramente atroce. L'aringa ch'espone questo
fatto, non fu recitata, come suppone il sig. Hume, ma composta
solo da Cicerone per suo esercizio. Quando fosse stata pronunciata,
non ho difficolta di credere che il dolore si sarebbe trasformato in
piacere; ma ci6 non a cagion dello stile, ma per il desiderio e la
speranza della vendetta, la qual tanto piu facilmente doveva ot-
tenersi, in quanto piu atroce vista erano poste le crudelta di Verre.
Ma supponiamo che Verre fosse stato assolto dai giudici, e che
uno dei capitani siciliani scappato in qualche modo di mezzo ai
i. Ifigenia: figlia di Agamennone, fu sacrificata in Auhde per placare Arte-
mide che impediva la partenza delle navi dei Greci verso Troia. 6 la prota-
gonista di due tragedie di Euripide. 2. Oreste: figlio di Agamennone e di
Clitennestra, uccise la madre per vendicare il padre da lei assassinate. £
personaggio delle Coefore di Eschilo e felVElettra di Sofocle e di Euripide.
38 MELCHIORRE CESAROTTI
supplizi, fosse andato in qualche provincia a deplorar con tutta
Penergia di Cicerone Forribile strazio de' suoi compagni, la scelera-
tezza del pretore e Tingiusto giudizio di Roma: allora il dolore,
non trovando compenso nell'idea della vendetta, avrebbe sover-
chiati tutti gli animi degli ascoltanti e riempiutigli di angoscia e di
disperazione.
Ma finalmente anche il sig. Hume sembra riconoscer Tinsuf-
ficienza dello stile e la necessita di cercar un altro correttivo piu
intrinseco, poich'egli confessa che persino i sentimenti piu comuni
di compassione, per dar una soddisfazione intiera, dimandano
d'esser temperati da qualche affetto aggradevole. Per6 accettan-
do la sua confessione, e adottando pienamente il suo principio
delle passioni, io dico che la rappresentazione di un'azione tra-
gica fa un'impressione similissima a quella dell'azione realc, e
che il sentimento che domina nell'una, e pur dominante nel-
1'altra.
Ora in un fatto reale possono distinguersi due specie d'impres-
sione, Tuna intrinseca, Faltra esterna. Quella risulta dalla natura del
fatto, questa dalla vista del fatto istesso. Parler6 per ora della pri-
ma. QuelPazione vera, che riguardata per qualunque vista presenta
un'amarezza tutta pura e un dolore eccessivo senza mistura o com
penso di verun bene, o riferita o veduta o rappresentata sara
sempre ingrata ed orribile, ne alcun lenitivo esterno potra mai farle
cangiare la sua natura : pel contrario quel fatto reale la di cui acer-
bita tende per sua natura a destar un sentimento che preponderi
a quel del dolore, in qualunque modo sia esposto fara un'impressio
ne mista, nella quale il diletto crescera irji proporzione della tri-
stezza, e la sforzera a renderlo piu toccante e piu vivo.
Ma donde potra nascere un diletto di tanta efficacia, che possa
operare una cosi prodigiosa trasformazione ? Per ridurre i vari sen
timenti di piacere ad un principio generate, io dir6 che qucsto
non pu6 nascere che dall'accordo del risultato dramatico coll'in-
teresse e Tistruzione morale. L'interesse suppone affetto, e Taf-
fezione & proporzionata alle qualita amabili di chi patisce. Ora
Taffezione non e mai senza qualche dolcezza che s'insinua nel do
lore istesso. Le lagrime della pieta sono una crisi del dolore che va
sciogliendosi. Dall'interesse dramatico derivano ugualmente la
compassione e il terrore. La disgrazia di chi si ama, ci addolora;
il pericolo ci spaventa. La moralita si mescola ad ambedue queste
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 39
perturbazioni, ed alPinteresse che le sveglia, aggiunge il suo pro-
prio. Quest'e di dar agli uomini Pistruzione piu necessaria alia
vita, vale a dire che le pene e le disgrazie che piu gli affliggono
sono figlie delle passiom e degli errori, mali ambedue che possono
evitarsi o superarsi da loro quando vogliano far uso della liberta
e della ragione. Con questa idea la rappresentazione delle sciagure
altrui diventa uno specchio dei pericoli nostri, e 1'interesse ch'io
sentiva per gli altrui mali, risveglia il piu intrinseco ch'io sento per
me. L'uomo ama i suoi simili perche ama s6, e per legge di na-
tura ama piu s6 che i suoi simili. Spettatore delPaltrui sciagure, si
sostituisce a' suoi attori e si mette nei loro casi. Compassiona le
sventure deiruomo virtuoso o amabile, ma la causa che le produsse
10 chiama a se, e concentrando col terrore il di lui spirito nel peri-
colo proprio, gli da forze per sottrarsi a resistere alPesche e agli
impeti di quelle passioni che potrebbero sedurlo e trarlo a mal fine.
11 fatto reale non avrebbe permesso allo spettatore di coglier il
frutto di questa grande istruzione, e Pangoscia avrebbe forse do-
minato sola nel di lui ammo ; ma presentata in lontananza di tempi,
di luoghi, di relazioni, da campo alia riflessione di svilupparsi,
e il diletto gia tinto delle dolcezze delPaffetto, colpito dai tocchi
delPammirazione, rinforzato dalPidee d'utilita pu6 serpeggiar li-
beramente in mezzo al cordoglio, e sparso di care lagrime passar
ben accolto nei recessi del cuore.1
Ma per distinguer piu esattamente da quali azioni risultar possa
questo vantaggio, e con ci6 fissar meglio la natura e la differenza
della compassione, del terrore e dell'orror tragico, si supponga che,
innanzi che uno spirito si unisca al corpo, qualche genio gli pre-
senti dinanzi lo spettacolo della vita umana. Veggasi dunque una
grandissima moltitudine d'ombre rappresentanti tutto Puman ge-
nere profondato in un abisso di atroci sventure: altro non si scor-
ga che tradimenti, sceleraggini, nozze incestuose, parricidii, lacci,
pugnali, veleni: gl'infelici viventi, parte disperati cerchino dalla
i . Ma . . . cuore : tutto questo capoverso, che contiene la formulazione sin-
tetica del punto di vista del Cesarotti, fu profondamente rielaborato dal-
Pautore nelPedizione pisana. Nella prima edizione egli insisteva piu cru-
damente sulPidea del vantaggio personale, la quale in noi nasce natural-
mente — egli diceva — per forza delFamor proprio, «principio in cui . . . sta
la soluzione di tutti i fenomeni del cuore umano » : idea che probabilmente
egli derivava dal trattato De V esprit dell'Helvetius (1758).
40 MELCHIORRE CESAROTTI
morte rimedio alia loro funesta esistenza, parte alzino gli occhi
pieni di lagrime al cielo per implorar vanamente soccorso. Penda
di sopra il destine inesorabile, che con una invisibil catena awolga
indistintamente i giusti e gPingiusti in un labirinto di mali; e
quel ch'e piu orribile, gli awolga per quelle strade istesse per cui
cercano di sfuggirli: stiensi daH'altro lato gli dei oziosi e indolenti
spettatori di questo vasto teatro d'iniquita e di sciagure.1 Che di-
rebbe lo spirito ad una tal vista ? fremerebbe d'orrore, rivolgerebbe
altrove lo sguardo inferocito, abborrirebbe gli dei, detesterebbe
1'esecrabile dono della vita e vorrebbe tornar ad immergersi nelle
tenebre del nulla, piuttosto che rimirar un'altra volta rimmagine
non che la realita d'uno spettacolo cosi spaventevole. Ma se innanzi
d'aprir la scena il genio dicesse allo spirito : — lo voglio rattristarti
per tua salute: tu vedrai molti mali, molte disgrazie atroci; ma
non mormorare, non disperarti: sappi che queste non sono uni-
versali ne ingiuste ne inevitabili ; esse sono tutte o una conseguenza
necessaria de1 vizi e delle debolezze umane, o un effetto della giu-
stizia particolar degli dei. Tu porti in te stesso i germi della tua
rovina senza saperlo. Tu non conosci la forza delle passioni; la
ragione e imperfetta senza Tesperienza; Paffezione la piu ragione-
vole, Tinclinazione la piu indifferente, se non e ben diretta, sc si
lascia crescere senza freno, puo divenir lo strumento della tua
perdita, e pu6 condurti ad essere infelice e malvagio. Gli escmpi
degli altri faranno la tua scuola; dall'atrocita degli effetti, conoscc-
rai la malignita della causa. Fatti forza, osserva, e rifletti. — A tali
parole lo spirito s'accenderebbe di desiderio d'istruirsi, e pieno
d'una grata perturbazione dimanderebbe con impazienza che si
alzasse il sipario. Compariscano dunque su la scena varie persone,
parte disgraziate, parte ministre di disgrazia; vediamo qual di-
versa impressione egli ne sentira, e quai saranno i suoi sentimenti.
Sia il primo uno scellerato, che non si prefigga altro frutto delle
sue scelleraggini, che la compiacenza di farle, un inventore e raf-
finatore di crudelta che costringa il padre a cibarsi delle membra
del figlio ed a berne il suo sangue: un tal personaggio produrra
nello spirito osservatore un orrore eccessivo. Com'egli non pu6
creder d'essere o di poter divenir tale, cosi non nc cava alcuna istru-
zione: il supplizio di costui non basta per appagarlo; perch6 nis-
i. Penda . . . sciagure'. allude alia tragedia greca, della quale parleti pKi
ampiamente nelle ultime pagine del Ragionamento,
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 41
suna pena non pu6 essere adeguata alia sua malvagita; resta dun-
que che lo spirito abborrisca la natura umana capace di produrre
un mostro che solo basterebbe a distruggerla.
Ma se lo scellerato fosse tale per qualche gran cagione, come per
un trono, lo spirito entrerebbe tosto in se stesso, e direbbe: «Io
mi sento strascinato invincibilmente a cercar la mia felicita: cosi
saranno gli altri uomini; tutte le loro virtu e i loro vizi saranno
indifferentemente conseguenze necessarie d'un tal desiderio : se un
oggetto promette un massimo bene, e che non si possa giunger
a questo fine se non per mezzo d'un delitto, 1'amor proprio im-
picciolira o anche nobilitera 1'idea d'esso; il temerlo si credera
debolezza. II trono potrebbe farmi questa funesta illusione? Pur
troppo : io veggo la potenza, la gloria, tutti i piaceri che lo circon-
dano. Io trovo in esso tutti i mezzi d'esercitar la stessa virtu:
un delitto, che apre la strada a mille azioni virtuose, resta assorto
nel loro splendore. Ce molto di che tentarmi. Io potrei divenir
scelerato come costui. Osserviamo le sue awenture». II personag-
gio diventa istruttivo; specialmente se lo spirito dovesse essere un
sovrano, o una persona grande; e Torrore si cangia in terrore.
Se lo scelerato e basso e vile, il dispregio si unisce all'odio:
ma se alia sua sceleratezza egli congiunge qualche gran qualita,
come una vastita di mente, un'intrepidita di spirito, una costanza
straordinaria, Pammirazione mitighera Torrore. Detestando il suo
delitto, Fosservatore e costretto ad apprezzare e ad invidiare gli
altri suoi pregi. Non potendo separarli, egli sarebbe quasi tentato
a desiderarseli cosl come sono, misti col male. Tanto piu dunque
Tistruzione & necessaria. Esaminando meglio le circostanze e le
conseguenze d'un tal carattere, egli si determina a rigettar il vi-
zio bench6 ricoperto d'uno splendore che abbaglia, si risana da
un'ammirazione pericolosa, imparando a distinguer la virtu dalle
qualita straordinarie, le quali se non incontrano un ammo retto,
divengono il piu efficace e il piu formidabile strumento del vizio.
Se lo scelerato e un impostore, questo personaggio puo esser
puramente orribile, ma potrebbe altresi recar istruzione e diletto.
Se la sua impostura consiste in un tradimento, da cui ad un uomo
illuminato non sia possibile di guardarsi, Tartificio congiunto alia
malvagita riunisce tutti i punti delPorrore; ma se Pimpostura 6
fondata sopra un errore o un pregiudizio specioso e rispettabile,
che possa e debba sgombrarsi colla luce della ragione, lo spirito
42 MELCHIORRE CESAROTTI
godra tanto piu della sua scoperta, quanto piu sarebbe in pericolo
di lasciarsi infettare dalFuniversale contagio, ed apprendera a te-
ner deste ed armate tutte le sue interne potenze per impedir
Fingresso della sua mente a questi mostri insidiosi, che dopo la
seduzione deirintelletto si traggono dietro la seduzione del cuore,1
Se finalmente lo scelerato non fosse stato tale di sua natura,
ma ci fosse diventato per gradi, e ci6 per aver lasciato crescere
una passione che prima sembrava leggera e scusabile, la quale
avesse gettate a poco a poco nel suo animo profonde radici, e che,
dopo molte fluttuazioni tra la forza della passione e lo stimolo
de' rimorsi, egli si trovasse strascinato a qualche gran delitto,
quasi contro sua voglia, ed al fine restasse vittima della sua colpa;
questo personaggio sarebbe sommamente istruttivo e desterebbe
salutevole compassione e terrore. «Vedi» direbbe lo spirito «da
che piccioli semi che gran passioni germogliano! lo credeva im-
possibile di diventar scelerato. Ora scorgo che non v'e nulla di
piu facile. Dalla debolezza al delitto non v'e talvolta che un passo.
Profittiamo di questo terribile esempio».
Ma finalmente, perch6 lo spirito possa trarre istruzione da queste
diverse specie di malvagi, e necessario che li vegga tutti puniti.
II vizio felice disgusta della virtu. Ma se la punizione nasce dal
caso, cessa d'essere punizione, e non istruisce, Se lo scelerato e
punito da altro scelerato con una nuova sceleraggine, Porrore,
in luogo di scemarsi, si raddoppia; il punito re merita anch'csso
d'esser punito; non sembra ch'egli abbia distrutto il malvagio per
amor della giustizia, ma per gareggiar con lui di malvagita. L'osser-
vatore non apprende nulla, e gli detesta ambedue.
II malvagio che unisce Timpostura alia sceleraggine, s'cgli e
di quel genere che istruisce, non e necessario che sia punito,
Com'egli non pu6 giungere ad effettuare i suoi disegni se non per
mezzo de' pregiudizi altrui, il suo trionfo non sar& tanto un'esalta-
zione del vizio, quanto un castigo della credulita. II terrore c la
compassione insegnerk all'osservatore a guardarsi da questa peri-
colosa debolezza, e Podio istesso ch'egli porta airimpostore, accre-
scera Tistruzione e '1 diletto.
i. Se la sua . . . cuore: il Cesarotti pensa probabilmente al Maometto di
Voltaire, da lui tradotto, e pubblicato proprio insieme al Ragionamento.
Nella postilla cntica a tale traduzione egli dice che la tragedia del Voltaire
«squarcia il velo a quella formidabile impostura» che e la superstizione
(cfr. Opere, xxxm, p. 230).
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 43
Dopo i personaggi odiosi, compariscano sulla scena gl'interes-
santi ed amabili, sia per le qualita nobili e grandi, sia per le dolci
e toccanti. Un uomo che abbia tutti i dritti alia nostra benevo-
lenza per tutte le doti piu luminose e piu belle, dia ricetto nel suo
animo ad una debolezza, o ad una passione scusabile o anche
amabile, e questa poscia lo tragga in qualche atroce disgrazia:1
lo spirito ne sentira dapprima compassione e dolore. Ma se doman-
dera a se stesso la ragione d'un tal sentimento, egli trovera che non si
compatiscono se non quelle debolezze delle quali ci crediamo ca-
paci. lo avrei perdonato un tal difetto a quest'uomo: molto piu
lo perdonerei a me. Se ricoperto da tante belle qualita appena lo
rawiso in lui per difetto, come potrei scoprirlo in me stesso?
Lo scelerato mi ributtava da s6; questo avria potuto sedurmi. lo
mi specchier6 sempre in questo esempio necessario e funesto.
L'istruzione sarebbe piu grande, se la persona interessante, per
cagion d'una passione mal regolata, fosse condotta a commetter
una sceleraggine involontaria. Non si pu6 punir piu acerbamente
n6 piu fruttuosamente la virtu debole, quanto col farla cader in
un delitto. L/osservatore che si compiaceva di rassomigliare a
queiruomo amabile e si sostituiva a lui, si raccapriccia di tro-
varsi scelerato, quando piu si lusingava d'esser virtuoso.
Se il delitto delPeroe debole cade sopra una persona amabile o
innocente o virtuosa, il terrore e la compassione saranno spinti
all'ultimo eccesso; ma il pericolo d'una morte orribile e certa
deve render piacevole il ferro e '1 fuoco che ci risana.
Se il debole interessante e punito da un uomo indifferente o
malvagio, lo spirito sara piu disgustato del punitore che istruito
dalla punizione, e lo spettacolo sara vicino aU'orrore. L'uomo che
non e indulgente ai difetti dell'umanita, 6 piu degno di castigo
i. Un uomo . . . disgrazia: tale sara il personaggio di Ettore nel rifacimento
cesarottiano dell'//zVz<fe. Cfr. il Parallelo dell '« Iliade* greca e dell'italiana, in
Operey vn, p. XXli: «I1 poema in tal guisa [cioe con la trasformazione del
carattere di Ettore] riesce perfettamente uno e di tessitura drammatica;
esso s'accosta a quelle tragedie del primo genere istruttivo e patetico, nelle
quali (come con piu esattezza d'Aristotele mostr6 il Terrasson) un eroe in
teressante, ma soggetto ad una passione o una debolezza scusabile, in-
corre a cagion di essa in qualche disgrazia che desti compassione o terro
re ». La debolezza di Ettore, come spiega piti avanti Pautore, consistera nel
voler sostenere, per un falso sentimento d'onore, la causa, che pure egli n-
conosce ingiusta, di Paride fedifrago e adultero.
44 MELCHIORRE CESAROTTI
d'ogn'altro. La pena, per esser fruttuosa, deve essere una disgrazia
nata da se per la natura medesima della colpa, o un'operazione de-
gli dei, o un effetto della disperazione delPeroe difettoso.
Se il castigo dell'eroe debole nascesse dalPoggetto medesimo
della sua debolezza, come se il credulo restasse vittima dell'impo-
store, 1'amante della persona amata, crescerebbe Tistruzione. Niuna
cosa piu giova a purgar gli animi dalle passioni disordinate, quan-
to il trovar la nostra miseria in quegli oggetti che ci promettono
felicita.
Se 1'eroe infetto d'una debolezza perdonabile fosse per un'altra
debolezza perdonabile punito da un altro eroe interessante, e che
questo poscia fosse punito daj suoi rimorsi o dalla forza del suo
dolore, la compassione sarebbe doppia e maggiormente istruttiva.
Se finalmente il debole interessante per ragion di dovere fosse
punito, ma con dolore, da un uorno virtuoso ed unito al primo
per amicizia o per sangue, Tistruzione pure sarebbe doppia, e la
compassione saria temperata dairammirazione e dal diletto. Lo
spirito osservatore apprenderebbe dalPuna parte che qualunque
colpa e seguita dalla pena; dall'altra, che bisogna sacrificar alia
virtu anche gli oggetti piu cari.
— Fino ad ora — dovrebbe dire il genio allo spirito — tu hai vedu-
to il vizioso e il debole infelice, e 1'innocente dopo molti travagli li-
berato e contento. Ma io non debbo ingannarti. II fatto accadc ge-
neralmente cosi, ma pur non accade sempre. Qualche volta la forza
della malvagita prevale, e 1'innocenza soccombe. Se tu non sei
virtuoso che colla lusinga d'un evento felice, ti troverai forsc in
pericolo di pentirti della virtu e d'abbandonarla. 6 necessario cor-
roborare il tuo spirito e dar alia tua virtti una tempera cosi forte
che resista a qualunque scossa della fortuna e a qualunque strazio
della malvagita. Io ti mostrer6 cogli esempi che la virtu pu6 esser
vinta dalle forze esterne, ma non oppressa; ch'ella trova in s6
medesima mille conforti, ch'ella piacc a se stessa nolle sventure
piu gravi, e ch'ella e piii grande e piu felice in mezzo a' supplicii,
che il vizio coronato e trionfante in mezzo ai piaccri.
Mira cola quell'eroe, che per cagion della sua virtii divenuto
scopo dell'invidia e della calunnia, si vede in preda ai piu atroci
insulti della fortuna. Con qual indifferenza volge alternamente il
guardo alle passate grandezze ed alia miseria presente, ne" mostra
d'accorgersi di cambiar oggetto! Pago del testimonio della propria
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 45
coscienza, egli muore senza dolersi, senza applaudirsi, senza la-
gnarsi d'alcuno ; e non sente di morire, se non per la compiacenza
ch'ei prova di morire per la virtu.
Osserva quell'altro, che ridotto all'alternativa di macchiar la sua
virtu o di morir tra gli strazi, non bilancia un momento, affronta
intrepidamente i piu atroci supplicii, e ne fa gloria; ogni tormento
e per esso un nuovo trofeo ; sgrida e dispregia il tiranno come uno
scelerato impotente, e spira alfine vittorioso e trionfante, lasciando
Panimo del suo persecutore piu lacerato dal furore e da* rimorsi,
che non lo fu da' supplicii il suo corpo.
Volgi Tocchio a quel terzo: miralo afferrar con giubilo un pu-
gnale, piantarselo in mezzo al petto, e intriso volontariamente nel
proprio sangue, rallegrarsi con se stesso, e dire: « Ora finalmente
son libero: la mia gloria e in sicuro; finche le resta Pasilo della
morte, la virtu non sara mai sforzata a smentir se stessa».
Tutti questi spettacoli infonderebbero nell'animo delPosserva-
tore una inespugnabil fortezza; egli invidierebbe le nobili disgrazie
di quegli eroi, e si sentirebbe incoraggito a sfidar la fortuna e la
malvagita per aver la gloria di trionfarne.
Ma Pamor della vita non e sempre il piu forte, specialmente
in un animo nobile e delicato : un padre, un figlio, una sposa, un
amico sono oggetti che lo toccano molto piu al vivo, e che soli
potrebbono abbattere la sua fortezza. Se dunque il genio mostrasse
allo spirito un eroe, che per giovar al pubblico bene, o per non
tradir il suo dovere, giungesse a sacrificar uno di questi oggetti
cari ed innocenti, questo sarebbe il trionfo piu luminoso della
virtu.1 La compassione cadrebbe piu sul sacrificatore che sulla
vittima, e resterebbe vinta dairammirazione.
Ma se il virtuoso sacrificasse un innocente per un funesto pre-
giudizio, appreso irragionevolmente come un dovere, questo spet-
tacolo non sarebbe tanto d'ammirazione quanto d'orrore. Lo spi
rito, in luogo di rispettar Peroismo del sacrificante, detesterebbe il
dono infelice della ragione, la quale e soggetta a cosi mostruose
illusioni e giunge a trasformare in virtu le azioni piu ingiuste e
crudeli.
Maggiormente s'innorridirebbe lo spirito, se il virtuoso dovesse
i. un eroe . . . virtu: allude probabilmente al personaggio di Bruto, nella
tragedia voltairiana La morte di Cesarey pure tradotta dal Cesarotti e pub-
blicata insieme al presente Ragionamento.
46 MELCHIORRE CESAROTTI
spargere un sangue innocente per ubbidire alPingiusto voler degli
dei.1 Possono questi compiacersi dell'infelicita dei mortali? Tin-
nocenza sara perseguitata da chi dovrebbe proteggerla ? e dovremo
anche adorare i nostri tiranni? che disperazione! che orrore!
Se 1'innocente che resta vittima d'una vera virtu, partecipasse
alPeroismo di chi lo sacrifica col soffrir la sua sventura costante-
mente o col sollecitar egli stesso la propria morte, 1'ammirazione
s'accrescerebbe, e scemerebbesi il dolor della compassione. Ma
s'egli s'abbandona al dolore, se si lagna degli dei e della virtu,
se compiange la sua sventurata innocenza, i gemiti di questo in-
felice nuoceranno airammirazione dell'eroe, e Tosservatore s'in-
debolira troppo e sara tentato di riguardar la virtu sotto Faspetto
di crudelta: 1'istruzione si perde, e lo spettacolo e vicino alForrore.
A piu forte ragione, se una persona d'un carattere n6 odioso n6
interessante, cade da se stessa o per altrui malvagita in qualchc
atroce disgrazia, senza averla ne meritata per qualche colpa ne
incontrata volontariamente per la sua virtu, e ch'ella soccomba
aH'acerbita delPangoscia, Tosservatore sentira una pura amarczza
senza nissun compenso, e restera inorridito. Egli non impara ne
a fuggir il vizio, ne ad incontrar il male, ne a tollerarlo. Impara solo
che la natura umana e in preda ad ingiuste e crudeli sciagure, e
che non ha dal suo canto forza che basti a sostenerne i colpi funesti.
Parmi d'aver scorso tutti i generi d'atrocita e di sciagura che
costituiscono il soggetto delle rappresentazioni teatrali. L'efFetto
che farebbe il genio sopra lo spirito, additandogli i casi futuri, lo
fa a un di presso la tragedia sopra gli spettatori, esponendo come
presenti le awenture passate. Dopo ci6 non sara difficile di fissar
la natura della compassione, del terrore e dell'orrore tragico, e di
conoscer quali siano Pazioni in cui deve predominar il diletto o
il disgusto.
La compassione e un dolore mitigato dalla moralita,2 per una
disgrazia atroce, procacciatasi da un personaggio interessante a
cagion di qualche imperfezione di cui ci crediamo capaci.
II terrore e un timore violento, ma mitigato dalla moralita,
per cui lo spirito si concentra in se stesso affine di premunirsi
i. il virtuoso . . . dei: come Agaxnennone costretto a far sacrificare la figlia
Ifigenia. 2. moralita: nella prima edizione 1'autore, qui e nei due periodi
seguenti, aveva scritto « utilita » : il cambiamento e in rapporto con la riela-
borazione illustrata nella nota a p. 39.
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 47
contro 1'idea di un male atroce ch'egli potrebbe tirarsi addosso
per qualche colpa o difetto.
L'orrore e un fremito dell'anima, che tenta di rispinger da s6
la vista o 1'idea d'un fatto atroce, in cui 1'eccesso del male non e
temperate da verun bene, ne compensato dalla moralita.
Quelle azioni dunque, in cui la disgrazia serve a punir le colpe
o le debolezze, sono compassionevoli o terribili, o, come spesso
accade, terribili e compassionevoli insieme (riferendosi la compas-
sione particolarmente al paziente, il terrore all'agente o all'azione
istessa), ed in queste 1'istruzione del fatto, correggendo intrinseca-
mente il dolore e facendolo diventare una passione subordinata,
mescolatasi con tutti i lenitivi esterni accennati dagli altri, tra-
sformera compiutamente il dolore nella natura del diletto predo-
minante, e trarra dagli occhi degli spettatori lagrime dolci ed ag~
gradevoli.
L'orrore prodotto da un personaggio o da una parte dell'azione,
se inserve alia compassione, al terrore o airammirazione prodotta
dal fondo del soggetto, non fa che Pazione cangi natura, e il diletto
ancora prevale.
Le azioni in cui la compassione e il terrore e congiunta colPam-
mirazione o col diletto, sia per la fortezza dell'eroe, sia per la pu-
nizion de' malvagi e per la liberazione de' buoni, sono visibilmente
piu dilettevoli che dolorose.
Finalmente quelle azioni che rappresentano sceleraggini basse,
raffinate, gratuite, disgrazie ingiuste, accidentali, fatali, volute ed
operate dagli dei, che cadono sopra persone poco interessanti,
che non tendono n6 a punir la colpa ne ad esercitar la virtu la
quale volontariamente le incontri, che sono sofferte con debo-
lezza e deplorate miseramente: queste azioni tutte sono intrin-
secamente ed essenzialmente orribili e disgustose.
lo non dico per altro che non possano in alcun modo recar di
letto. In un'azione spiacevole, come s'e detto di sopra, vi possono
esser molte parti belle, aggradevoli, ammirabili. Lo stile e la
bellezza dell'imitazione, in quei luoghi in cui si pu6 rawisarla
piu agevolmente e separarla dal fondo dell'azione stessa, avra molta
forza: la commozione degli affetti, fmch.6 sta fra certi limiti, e
pur dilettevole; fmalmente, finch6 Fazione e sospesa, si spera di
vederla sciogliersi nel modo che si desidera, e questa speranza
diletta. Ma quando lo scioglimento ci tradisce, il dolore intenso che
48 MELCHIORRE CESAROTTI
si prova in quel punto, si rifonde sopra le parti antecedent! del-
1'azione, ed amareggia anche la dolcezza passata.
Chi si prendera la cura di esaminare con questi principii le tra-
gedie de' Greci e quelle dei loro imitatori, ne trovera assai poche
che non pecchino gravemente per la parte del soggetto. UEdippoyl
per non parlar dell'altre, ch'e la piu perfetta nella condotta, riu-
nisce quasi tutti gli orrori sopraccennati. Per6 non v'e nulla di piu
vano ne di piu falso quanto 1'utilita dell'antica tragedia, tanto de-
cantata da' critici prevenuti. II Gravina da una spiegazione parti-
colare alia bizzarra dottrina d'Aristotile sopra la purgazion degli
affetti.2 L'utilita della tragedia, secondo lui, consiste in queslo,
che, awezzandosi alia compassione ed al terrore ne' casi find,
si viene a perderne il senso nej veri, appunto come quelli ch'essen-
dosi assuefatti al veleno, giungono a non riceverne piu nocumento.
Ma se per compassione e terrore egli intende, come si dovrebbe,
quello che nasce da una disgrazia accaduta in pena d'un delitto
o d'una debolezza, la tragedia, in vece di giovare, verrebbe a pro-
durre il massimo de' mali: poich6 quando il vizioso perde il senso
del dolore e del danno a cui possono condurlo i suoi vizi, non vje
argine o freno che possa ritenerlo. Se poi sotto questi nomi,
come apparisce, egli comprende indistintamente tutti i generi di
disgrazie, non considerandole che come miserie inevitabili attac-
cate all'umanita, io crederei che gli spettacoli tragici servissero
piuttosto ad accrescere ed a moltiplicare il dolore, che a sminuir-
lo. Non v'e nulla di piu afflittivo, dice il sig. di Montesquieu,
quanto le consolazioni tratte dalla necessita delle cose e dalla con-
catenazion delle cause. — Perche piangi, — diceva uno a Solone
afflitto per la morte del figlio — se il male & irrimediabile ? — Ap
punto per questo io piango, — rispose — perch'e irrimediabile. —
Ma posto che Torror della tragedia potesse per questa parte gio-
varci, ci6 non sarebbe se non in caso ch'ella ci presentasse escmpi
di fortezza e costanza nelle disgrazie; dal che sono molto lontane
le greche tragedie, in cui gli eroi soffrono i loro mali con estrema
debolezza. Come potr6 consolarmi nelle mie sventure, s'io veggo
gli uomini piu grandi che si disperano nelle proprie?
i. VEdippo: YEdipo re di Sofocle. 2. // Gravina . . . qffetti: cfr. Della
tragedia, cap. iv, in Opere scelte, ed. at., pp. 258-9. Sulla interpretazione
graviniana, che e poi quella prevalente nel Rinascimento, cfr. B. CROCE,
Problemi di estetica, Bari, Laterza, 1949*, pp. 370-1.
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 49
II padre Brumoy1 crede trovare un altro vantaggio nelle anti-
che tragedie per rapporto agli Ateniesi. Egli dice che i tragic!
greci mettevano sotto gli occhi del popolo le sventure delle case
regali per fargli sempre piu abborrire la monarchia, e fomentar
in esso lo spirito repubblicano. Ma per produr questo effetto,
sarebbe stato d'uopo rappresentar disgrazie che fossero accadute
per soverchia brama di regnare, o almeno che nascessero dalla
natura istessa del governo monarchico, e che non potessero cadere
che sopra un sovrano. Or io vorrei che mi si mostrassero tre sole
tragedie antiche che avessero per soggetto una disgrazia la quale
non potesse accadere ugualmente bene in una repubblica che in
una monarchia; ad un cittadino, che ad un re. Tutte le difese di
una causa debole servono piu ad aggravarla che a sostenerla.
Suppongono la maggior parte de' critici, tra' quali il Gravina
stesso,2 che 1'orrore delle greche tragedie sia scemato abbastanza,
rimovendo, com'essi fanno, dalla vista gli spettacoli atroci, e cre-
dono questo punto tanto importante che lo stabiliscono per una
regola inviolabile di teatro. Questa e appunto quelPimpressione
esterna accennata di sopra, di cui m'ho riserbato di parlare. Io
accordo veramente che quando alPorror essenzial d'un'azione s'ag-
giunga 1'orror della vista, come nelP Andronico, ndV Hamlet, nel-
1J Arrigo VI di Shakespeare e nella maggior parte delle tragedie
inglesi, lo spettacolo avra tutti i numeri per far fremer Pumanita.
Contuttoci6 la morte violenta non e sempre il punto piu orribile
del soggetto. La ricognizione di Edippo con Giocasta appresso
Sofocle reca piu orrore di quel che farebbe la sua morte. Benche
il senso della vista sia piu intense di quello deirimmaginazione,
pure qualche volta la narrazione aggrava il fatto piu dello spetta
colo istesso. NelPazione molte circostanze si confondono e af-
follano insieme con tanta prestezza che divengono quasi istantanee,
i. II gesuita Pierre Brumoy (1688-1742), noto soprattutto per Le theatre des
Grecs (1730), contenente una serie di drammi greci tradotti, con discorsi in-
troduttivi e comment!. L'osservazione ncordata dal Cesarotti si trova ap
punto in questo lavoro, e precisamente nel Discours sur I'origine de la tra
gedie (cfr. edizione 1763, I, pp. 108-9): «On y vit [sur la scene], entre les
dieux, des grands princes et des rois perdre la couronne ou la vie et y
Staler a une republique jalouse de sa Iibert6 des malheurs d'autant plus
int^ressants pour elle, qu'ils flattoient son orgueilleuse compassion, et
qu'ils n'excitoient dans les coeurs republicams qu'une majestueuse terreur
a la vue des te"tes couronn6es qu'on sembloit lui immoler». 2. il Gravina
stesso: cfr. Delia tragedia, cap. xin, in Opere scelte, ed. cit, pp. 274-5.
SO MELCHIORRE CESAROTTI
n6 si distinguono bastantemente. La narrazione le spiega a parte
a parte Tuna dopo Taltra, le dilata, le aggrava, le ingrandisce col-
respressioni e fa che lo spirito si fermi sopra ciascheduna e ne
senta tutta la forza. II mostro mandate da Nettuno contro Ippolito
fa piu terrore nella descrizione di Teramene, che se si fosse veduto
sul teatro.1 Del resto abbiamo veduto di sopra colPesempio delle
storie che i fatti veramente orribili ributtano senza vederli. Quan-
to alle azioni che secondo la nostra definizione sono terribili e
compassionevoli, benche* la vista colpisca vivamente e prevenga il
riflesso, pure il rimedio interno, che ne scema e corregge la forza,
deve impedir lo spettacolo dal degenerar in orrore. Molte delle
azioni gia riferite, quando accadessero realmente, si risguardercb-
bero con una dilettevol tristezza, e taluna con diletto. La compas-
sione prodotta dal supplizio d'un eroe imperfetto, ma piu in-
teressante, e la piu soggetta a cader nelPeccesso. Ma in questo
punto io credo che abbia tutto il suo luogo il principio del sig.
di Fontenelle, e che il conoscer che il fatto non accade attualmcnte,
prevenga abbastanza Porrore.
6 poi da osservare che alcune azioni non inorridiscono tanto per
esser atroci, quanto perch6 sono sozze e schifose. Su questo punto
i tragici greci non furono poi tanto delicati. Pu6 immaginarsi cosa
che cagioni ad un tempo nausea e ribrezzo maggiore, quanto il
veder Edippo, trafittosi gli occhi colla fibbia della cintura di Gio-
casta, uscir sulla scena tutto imbrodolato il volto di sangue, a
deplorar cogli ululati e colle strida la sua sventura?2 Polinnestore
pure, accecato da Ecuba e dalle sue donne a colpi di spille, che
va brancolando per afferrarla,3 non fa una vista molto piu amcna.
Filottete, che infetta Paria col puzzo della pestilente sua piaga,4
non e forse uno spettacolo piu da spedale che da teatro ?
La tragedia della Matrigna ambiziosa* accennata dalPHume,
pecca per questa parte. Non e tanto la morte di quel vecchio vcne-
rabile che fa orrore, quanto la schifezza di veder un cranio spez-
zato e la colonna intrisa di cervello e di sangue.
i. // mostro . . . teatro: il racconto della morte di Ippolito, fatto da Tcra-
mene, e nell' Ippolito di Euripide, nella Phaedra di Seneca, e nella Phedre
di Racine, che il Cesarotti probabilmente ha soprattutto presente. 2. veder
Edippo . . . sventura: nell'Edipo re di Sofocle. 3. Polinnestore . . . offer-
rarla: neWEcuba di Euripide. 4. Filottete . . .piaga: nel Filottete di So
focle. 5. Matrigna ambiziosa: e The ambitious Stepmother dello scrittore
inglese Nicholas Rowe (1674-1718), rappresentata a Londra nel 1700.
SOPRA IL DILETTO BELLA TRAGEDIA 5!
Oltre questa circostanza, lo stesso genere di morte fa orrore in
questa e in simili tragedie. I lacci, i precipizi e Paltre morti dispe-
rate mostrano un animo perturbato e sconvolto da un'angoscia
eccessiva, e trasfondono negli spettatori il medesimo sentimento.
II ferro e il veleno conservano maggior dignita, sono indizi d'uno
spirito piu sedato e piu grande, e che sembra meno fuggir dal ma
le, che correre incontro ad un bene: per6 corroborano Panimo
degli spettatori, e gli awezzano al dispregio della morte. Mar-
ziale esalta un certo Festo perch6, volendosi privar di vita, abbia
fatto uso del ferro piuttosto che d'altro strumento, come di un
genere di morte piu eroico e da vero romano:
sanctam romana vitam sed morte peregit;
dimisitque animam nobiliore via.1
Se le circostanze schifose ributtano, le basse e vili pregiudicano
alPammirazione, che deve esser inchiusa necessariamente in ogni
tragica rappresentazione. Per6 i supplicii de' condannati si rimo-
vono a ragione dalla vista del pubblico, perche" non possono ge-
neralmente eseguirsi senza essere accompagnati da qualche per
sona o da qualche cosa che porta seco un'idea di bassezza.
Quel ch'e ordinario e comune, confma col basso. Noi siamo tan-
to prevenuti per i personaggi grandi ed interessanti, che c'immagi-
niamo che non possano morir come gli altri, e che ogni circostanza
della lor morte debba aver qualche cosa di particolare e maraviglio-
so. Pure non & sempre cosi. Alle volte un eroe non cade altrimenti
che un uomo del volgo. Allora Taspettazione delusa lascia lo spet-
tatore freddo e malcontento. In tali casi convien ricorrere alia
narrazione, che nobiliti le circostanze e le vesta d'una cert'aria
di meraviglia, che impone e seduce, e ci fa veder piu di quello che
avremmo veduto in effetto.
Talora si asconde il fatto per accender maggiormente la curiosita
dello spettatore. Giocasta riconoscendosi madre e moglie di Edip-
po, parte inorridita con un atroce silenzio.2 Se lo spettatore la
seguisse cogli occhi, la vedrebbe perir d'una morte; seguendola
coirimmaginazione, ne vede mille. L'esercizio della sua fantasia,
i. Cfr. Epigr.j I, LXXVIII, 7-8 («ma con morte romana concluse la sua santa
vita; e conged6 la sua anima per una piti nobile via»). Gli editor! modern!
leggono «rogo» invece che via. 2. Giocasta . . . silenzio: nelYEdipo re di
Sofocle.
52 MELCHIORRE CESAROTTI
le varie idee che gli si affollano, e la fluttuazione dell'incertezza
accrescono la perturbazione e il diletto.
Finalmente, se la vista del fatto non e necessaria ne per 1'interes-
se ne per lo scioglimento dell'azione, se lo spettatore non la desi-
dera e non Taspetta, se una narrazione vi pu6 supplire ugualmente,
sara bene non funestare inutilmente gli sguardi.
Orazio ndl'Arte poetica allontana dal teatro i fatti atroci e pro-
digiosi, come inverisimili. « Medea » dic'egli «non deve uccider i
figli dinanzi al popolo)).1 Se la scena si suppone in una stanza,
io non ci trovo inverisimile alcuno. Se poi Tazione si eseguisce,
o anche si medita, dinanzi un coro di donne, come nelle tragedie
greche, la cosa e veramente assurda. « Progne » soggiunge lo stes-
so poeta «non si cangi in uccello, Cadmo in serpente. Se mi pre-
senti un fatto in tal guisa, io scopro Tinganno e me ne disgusto ».2
Ma questi fatti, uditi a raccontare, diverrebbero forse piu verisi-
mili? Si fatte stravaganze non possono dar soggetto che ad una
farsa, o non sono degne che se ne parli. Quanto ai fatti veramente
tragici, se Orazio col suo precetto risguarda rinverisimiglianza
esterna, che nasce dalla difficolta di ben rappresentarli, questa 6
una cosa che appartiene agli attori ed ai macchinisti (i quali allc
volte eseguiscono a meraviglia si fatte cose); per6 non mcritava
che se ne stabilisse una regola per il poeta.
Conchiudiamo dunque che se la vista del fatto terribile o com-
passionevole non contiene nulla di sozzo o di vile, s'ella <b necessa
ria al compimento delPazione, se accresce Tinteresse, se giova a
render piu importante la massima della tragedia, s'6 desiderata dal-
lo spettatore, se una narrazione messa in suo luogo riusdrebbe
fredda, poco naturale e noiosa, i tragici fanno egregiamente a con-
sultar in questo punto, come negli altri, piu la ragione e 1'esperienza
che Tautorita.
Tutto & narrazione appresso i Greci, tutto azione appresso gl'In-
glesi; non fe proprio che degli spiriti d'un gusto delicatissimo e di
un giudizio assai fino, di'sfuggir ugualmente il difetto degli uni e
degli altri, e distinguer con precisione quali fatti debbano na-
scondersi intieramente, quali intieramente mostrarsi, e quaii in
parte esporli alia vista, in parte rimetterli airimmaginazione.
i. Cfr. Arspoet., 185 : «Ne pueros coram populo Medea trucidet », 2. Cfr.
Ars poet., 187-8: «[ne] in avem Procne vertatur, Cadmus in anguem. /
Quodcumque ostendis mihi sic, incredulus odi».
SOPRA IL DILETTO DELLA TRAGEDIA 53
Del resto tutta la presente questione sara giudicata da ciasche-
duno secondo il suo proprio sentimento. Le persone deboli e di
spirito femminile svengono ad una emisslone di sangue, non che
ad una morte violenta; i caratteri atroci, o per temperamento o
per abitudine, e i cuori poco sensibili restano indifferent! nelle piu
gravi e reali calamita. II popolo piu vile, incapace di principii e di
comparazioni, troppo rozzo per lasciarsi sedurre dall'illusion d'un'a-
zione ben imitata, non vede vedendo, si sbalordisce in luogo d'am-
mirare, ride, piange, si distrae, s'interessa nel tempo stesso ugual-
mente senza soggetto. Ma oltre gli spiriti illuminati, che intendo-
no il vero fine della tragedia, ed hanno conoscenza e sentimento
dell'ottimo, i quali non dubito che non siano per appro vare la
mia opinione, v'e un'altra specie di popolo, composto di persone
mezzane, n6 dotte n6 ignoranti, fornite d'un gusto naturale, e di
un buon senso non prevenuto da' precetti ne schiavo della con-
suetudine: questo e quel popolo che Tabate Dubos fa giudice
delle cose poetiche;1 a questo pure io m'appello, e credo che que
sto, unito alle altre persone dotte e sensate, faccia un numero
abbastanza grande per poter fissar della mia opinione una regola
tanto generate, quanto pu6 stabilirsi nelle materie di gusto.
i . questo , , . poetiche : questo concetto e svolto dal Dubos soprattutto nelle
ultime sezioni della II parte delle sue Reflexions citate.
RAGIONAMENTO
SOPRA L'ORIGINE E I PROGRESSI
DELL'ARTE POETICA
Tutte le arti, le quali al bisogno o al piacere degli uomini si ri-
feriscono, germogliano dalla radice d'una potenza o facolta natu-
rale atta a produrle e perfezionarle. Ma come appunto nel feto le
membra non ben ancora formate, cosi negli uomini del mondo
appena nascente le facolta delPanimo stannosi, per cosi dire,
rannicchiate e ristrette; ne si fanno conoscere o sentire alPanima
stessa che le contiene. Tra esse per6 quelle che per sostegno della
vita date ci furono, piu presto e piu agevolmente sviluppansi,
perche la natura, la quale veglia attentamente alia conservazione
delle sue produzioni, agita e mette in movimento tutte le macchine
Come appare da una lettera del 15 dicembre 1760 (riprodotta anche in
questo volume) a Giuseppe Toaldo, il Cesarotti fin da quel tempo medi-
tava, probabilmente per incitamento del Toaldo stesso, un saggio sull'arte
poetica. Questi propositi trovarono una prima realizzazione nel presentc
Ragionamento, che venne pubblicato nel 1762 di seguito al Ragionamento
sopra il diletto della tragedia nel volume citato (cfr. p. 27) // Cesar e
e tl Maometto ecc., alle pp. 225-65. Nell'edizione definitiva delle sue
Opere il Cesarotti non credette opportune ristamparlo: e le ragioni della
mancata pubblicazione vennero cosi spiegate in una Nota degli editon,
inserita nel volume xxix delle Opere stesse, pp. 164-5, e ccrtamente re-
datta o ispirata dall'autore : « Fece esso quando comparve molta sensazione
in Italia e fuori, a segno che giunto a caso in Olanda fu da un dotto di
cola tradotto nella sua lingua nazionale, e insento per intcro nel "Giornale
letterario" dell'Haja. Pure volendo noi ora darlo nuovamente alia luce,
non potemmo dall'autore impetrar Tassenso di porlo nella collezione
dell'altre sue Opere da lui sanzionate, risguardandolo egli come un frutto
alquanto immaturo del suo talento giovenile. Noi non diremo se i nostri
lettori dovessero bramar meglio ch'ei fosse severe o indulgente, diremo
solo che chi legge quello scritto trovcra sin d'allora nell'autore quel fondo
di filosofia e quella libert£ generosa di pensamento e di stile che distinse
in ogni tempo tutte le di lui opere di letteratura e di critica. Di fatto le
idee dominant! di questo Ragionamento sono sparse occasionalmentc in
vari dei di lui scritti, e segnatamente nel Saggio sulla filosofia del gusto ».
Ma e pure probabile che il Cesarotti, quando faceva stampare questa
Nota, pensasse ancora di poter terminare quel Saggio sul Bello (rimasto poi
incompiuto), in cui le sue idee estetiche avrebbero dovuto trovare la
loro espressione sistematica e definitiva. Dopo la morte del Cesarotti,
tuttavia, il Barbieri prowide ugualmente a far ristampare il Ragionamento
nel volume XL delle Opere, alle pp. 1-56. II testo qui riprodotto segue
naturalmente quello dell'edizione 1762, che e Tunica appro vata dall'au-
tore. Le note del Cesarotti sono seguite dalla sigla C.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 55
dell'anima, onde corra per mezzo dell'arti a rintracciar i soccorsi
che le abbisognano, o a distornare i mali che la minacciano. Non
e cosi di quelle facolta che tendono solamente a procacciarle diletto.
Lo sviluppo di queste, come meno necessarie, fu abbandonato
al tempo e alle circostanze : per lo che non sogliono esse spiegarsi,
se qualche felice occasione o qualche osservazione accidentale, co
me acciaio da selce, non ne fa uscire i semi fecondi della fiamma
nascosta. Cosi le arti, che belle per eccellenza si chiamano, benche
siano altrettanti rami dell'universal facolta imitatrice, non deono
contuttoci6 la loro origine aH'interno anteriore conoscimento
d'essa facolta, ma solo all' istinto, al caso ed alle osservazioni par-
ticolari.1
Nella dispersione delle genti succeduta al diluvio, quando gli
uomini abbandonati a se stessi, in preda ai bisogni, lottando colla
fame, col freddo, coi disagi, in perpetua guerra colle fiere, non si
distinguevano da esse che per la possibilita di diventar uomini,
ben altro doveano aver nella mente che di riflettere, per cagion
d'esempio, alia flessibilita e perfettibilita della voce e airarmonia
che potea risultarne. I loro organi informi ed irrigiditi li rendeano
ben piu atti ad imitare gli ululati dei lupi e i ruggiti dei leoni,
che il canto degli usignoli. Acchetate le grida della natura coll'in-
venzione delle arti piu necessarie, stabilita qualche societa, for-
mato un corpo di lingua, volti gli uomini a procacciarsi diletto,
avranno fatta maggior attenzione al sibilo de' zefiri, al gorgoglio
de' ruscelli, onde si saranno formata la prima idea d'un suono
aggradevole ; il canto degli uccelli gli avra rapiti, ed alcuni suoni
usciti a caso in qualche trasporto di gioia, facendo una sensazione
piacevole e svegliando il riflesso, gli avranno awertiti che la voce
umana conteneva in s6 una soavita non preveduta. Sara questa
la prima origine della musica. Ma quanta distanza v'e ancora tra
un accozzamento di suoni per cosi dire inanimati e queirarmonia
imitatrice, la quale coll'espression degli affetti si fa sovrana dei
cuori? Certo a parer mio non minore di quella ch'6 tra la voce
i. Cosi . . . particolari: il concetto delPorigine della poesia dairistinto e dal
caso risale al trattato Sur la pohie en general del Fontenelle (pubblicato nel
1751, ma scritto, a quanto pare, prima del 1700) e al Vico; la fonte^del
Cesarotti, per6, e soprattutto il cap. Sur V origine de la poesie ddl'Essai sur
I' origine des connaissances humaines del Condillac (cfr. Oeuvres philosophiques ,
Paris 1947, I, PP- 79-82).
56 MELCHIORRE CESAROTTI
selvaggia ed aspra, e la distinta ed armonizzata: n6 per conse-
guenza tra i suoni e la musica dovea passare minor spazio di tempo
di quello ch'era passato tra la voce e i suoni. Quasi nel tempo
stesso si saranno fissati gli uomini ad osservar 1'ombre formate
dall'opposizione che fanno al sole i corpi solidi; quindi un amico,
o piuttosto un amante desideroso di custodir Timmagine delPog-
getto amato (come appunto dicesi aver fatto Dibutadi),1 si sara in-
gegnato di delineare i contorni con qualche rozzo strumento, il
quale, dando luogo successivamente ad altri piu perfetti, avra fi-
nalmente prodotta Tarte maravigliosa di raddoppiar la natura.
La poesia e Farte fra tutte 1'imitatrici la piu complessa; e quan-
tunque, ad esaminar profondamente Timitazione che ne costituisce
Pessenza e la natura dello strumento di cui si serve, si scorga ch'el-
la non potea giungere alia sua perfezione senza quelle parti ond'e
presentemente composta, pur convien confessare che Ic suddette
parti possono stare cadauna da se indipendentemente dalPaltrc,
e non hanno tra loro un vincolo necessario ed indissoluble che
le unisca in un tutto. Perci6 e manifesto che doveano prima nasce-
re separatamente le membra, e che poscia il caso dovea accoz-
zarle insieme a formarne un corpo. II medesimo sentimento di gioia
il quale, come abbiam detto, espresse dalla bocca degli uomini i
suoni, avra pure espresse alcune parole che disposte accidental-
mente in un certo ordine doveano piacevolmente colpirli: la vocc
ripercossa nelle spelonche avra svegliata Pidea delle consonanzc:
dalPuna e Paltra di queste cose si saranno avveduti che le parole
erano suscettibili d'un'armonia diversa da quella de' suoni, e piu
di essa pregevole, poich6 quella non parla che agli orecchi, lad-
dove questa parla di piu allo spirito e al cuore. DalPaltra parte la
malignita delPamor proprio ci stimola ad inalzar noi stessi anche
nelle picciole cose colla depressione altrui : quindi si spiano at-
tentamente le parti difettose degli altri, si rilevano, si mettono in
vista, e per renderle maggiormente osservabili si contrafanno e si
caricano coi gesti e colle parole i loro moti, detti e sentimenti.
A questo principle per vero dire poco onorifico (giacche* si tratta
d'uno sviluppo accidentale) noi dobbiamo le prime traccc scnsibili
i . Dibutadi : propriamente Biitade di Corinto, che sarebbc vissuto nel
VII secolo a. C., e che, secondo la Icggenda, avrebbe per primo foggiato
un ritratto fittile m nlievo, ntraendo Tmnamorato dclla propria figlia.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 57
delFimitazione. Un altro principle pero piu naturale ed universale
del prime, benche la faccia meno sentire, la produce ugualmente
ma con estensione maggiore. Quest' e la compiacenza che hanno
tutti gli uomini di raccontar agli altri quelle cose che, vedute o
sentite, hanno fatta in essi qualche impressione. Sembra che Fuo-
mo non sappia o non osi ne pensare ne sentire da se solo ; egli cerca
Faiuto degli altri, e crede di moltiplicar se stesso trasfondendo
in altrui i suoi propri sentimenti. Secondo la natura della cosa che
piu o meno interessa, e secondo le qualita della fantasia piu o meno
lucida e vivida, ne risulta o la narrazione^ ch'e il discorso che fa
intendere, o Vimitazione, ch'e il discorso che fa sentire. Tanto
Timitazione che nasce dal contraffacimento de' modi altrui, quanto
quella che si fa colla semplice rappresentazione d'un oggetto o
d'un avvenimento, reca diletto: poiche nell'una gli uomini godono
di vedersi esenti dai difetti derisi negli altri, e li sacrificano volen-
tieri al ridicolo, sembrando loro cosi di partecipare alia superiorita
del derisore: nel secondo imparano senza fatica, si commovono
senza danno e restano internamente sorpresi di veder senza gli
occhi e di sentire senza esser colpiti. Questo eifetto succede quan-
do Fuomo che parla e dotato di fantasia ben disposta e tersa come
uno specchio, che rende gli oggetti co' suoi naturali lineamenti.
Ma se la fantasia, benche vivida, sia sconnessa e mal assettata,
o se le passioni, per cosi dire, col loro fuoco fummoso Finfiammano
ed offuscano, Fimitazione di chi parla e molto diversa. Simile
appunto ad un vetro colorato o ad uno specchio mal costrutto,
la fantasia spoglia gli oggetti de' loro colori naturali e li tinge de'
suoi; gli altera, gl'ingrandisce, gFimpicciolisce, gli difforma e tra-
sforma in mille diverse guise, ed alle volte, come in uno specchio
cilindrico accade, degFinformi e sconnessi abbozzi di oggetti e
d'idee si crea una figura quando regolare e quando mostruosa.
Se poi la religione o Fignoranza o la tradizion popolare favorisce
queste produzioni, esse prendono una tal forza che la fantasia vi
presta un'intera fede e vi si abbandona. L'espressioni d'un tal
uomo sentono la forza del suo concepimento ; quindi entrano con
piu veemenza nelF altrui spirito e vi si stampano profondamente ;
Felettricismo della fantasia si comunica dalFuno alF altro, ed il
maraviglioso credibile cagiona negli ascoltanti maggior movimento
e diletto. Ecco naturalmente prodotte tutte le membra della poe-
sia: versificazione, imitazione icastica^ o sia rappresentativa, ed
58 MELCHIORRE CESAROTTI
imitazione fantastica, o sia creativa* che porta seco necessariamente
il linguaggio entusiastico, il mirabile e la finzione. Ma da quel
ch'abbiam detto ben si scorge che queste membra possono star
separate, e recar separatamente quel diletto che basti per non pen-
sare al loro congiungimento. Veggiamo tuttora che gli agricoltori
e le persone del volgo mettono in rozzi versi i loro semplici sen-
timenti senza verun colore poetico, e se ne appagano. E comune-
mente parlando in prosa altri particolareggiano o una storia o una
novella, altri inventano una favola, altri usano linguaggio immagina-
to e fantastico, tutti con piacere degli ascoltanti.
Cosi ciascuna di queste parti avra per lungo tempo dilettati colla
bellezza sua propria quegli uomini rozzi; sino a tanto che alcuno
dotato ad un tempo di questi diversi talenti, naturalmente, e sen
za pensare che una tal facolta ne abbisognasse, avra fatta sentirc
Pattivitk e 1'aiuto reciproco delle loro forze congiunte. II diletto
dovea crescere in proporzione; la comparazion del migliore avrk
reso disgustoso quel ch'era da prima piacevole ; e ben tosto si co-
minci6 a non riconoscer. per poeta se non chi sapea colpir Tammo
con questi vari piaceri uniti in un solo. Abbiamo finalmente tutto
il corpo della poesia. Ma come perfezionarne cadauna parte ? co
me dar loro un moto regolare ? come servirsene ? con qual ordine ?
con qual proporzione ? con qual scelta d'oggetti ? Questo e quello
che la facolta poetica non pu6 mai giunger ad indovinare, senza
Taiuto della filosofia. Un'arte che imita Fuomo e le cose non pu6
perfezionarsi se non colla perfetta conoscenza della natura del-
Tuomo e delle cose, e della relazione tra Puomo e le cose. Questa
mancando necessariamente nei primi secoli, I'ingrandimento di
quest' arte dovea per conseguenza restar abbandonato al caso e
alPistinto medesimo che la produsse. Simili a queiramericano,
quei rozzi poeti doveano servirsi di questa grand'arme da fuoco
come d'un legno, e scagliarlo senz'arte cosi alia cieca. Niun vincolo
tra Tidee, niuna delicatezza nei sentimenti, niuna scelta nelle pa
role, niun disegno nei tutto, niuna proporzione nelle parti. La
loro fantasia era come un caos da cui scappava di tratto in tratto
qualche scintilla di luce, che, a chi avesse saputo accorgersene,
serviva a rilevarne meglio la difformita. Dirozzati a poco a poco
i. Questa distinzione fra imitasione icastica e imitazione fantastica e proba-
bilmente attinta da Antonio Conti (cfr. la Prefazione al volume I delle
Prose e poesie, Venezia 1739, p. 21).
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 59
gli spirit!, cominci6 a polirsi anche Parte, la lingua acquist6 qualche
regolarita, forza ed armonia; s'inventarono vari modi d'imitare; si
moltiplicarono le osservazioni. In queste felici disposizioni compar-
vero alcuni spirit! particolari, i quali congiungendo a tutto il ge-
nio poetico qualche cognizione deiruomo in generale, la scienza
dei caratteri, usi, costumi de' suoi nazionali, e la notizia d'altre
arti, produssero una nuova specie di poesia, appresso la quale
quella che dianzi piaceva, non era che un balbettar di fanciulli o un
farneticar d'ammalati. Tali autori diventarono i numi della poe
sia, ognuno rivolse gli occhi a questa nuova luce, ognuno Iasci6
ammaliarsi da si piacevole incanto : ecco le selve e le fiere amman-
sate ed animate da Orfeo. II loro esempio servi di scorta; le loro
produzioni furono la pietra del cimento degringegni poetic!; la
gloria maggiore fu quella di rassomigliarli ; i principii del gusto si
svilupparono e s'affinarono; imitator!, osservatori, interpret! ven-
nero in folia : finalmente qualche ragionatore piu destro degli altri,
esaminando minutamente le loro opere e TefTetto che produceano,
si diede a rintracciarne le cagioni, le ridusse a principii, stabill
regole e leggi fondate sull'osservazione, e formo, per cosi dire, un
codice poetico, che servisse di norma a chiunque aspirava al ti-
tolo di poeta.
Tali sono i principii essenziali, tale lo sviluppo, il progresso,
Fingrandimento si della facolta che delFarte poetica, appresso tutte
le nazioni che la coltivano; e per tal via e da credersi che se ne
svilupperanno, quando che sia, i germi nascosti appresso le nazio
ni non ben ancora civilizzate. Ma da questo sviluppo naturale, e
quasi necessario, si la pratica che la teorica della poesia contrae
molti pregiudizi, da! quali per depurarle non ci vuol meno che il
corso di molti secoli e la riunione di molti ingegni. E primieramente
egli 6 certo che un poeta (e posseda pur egli al piu alto segno la
facoltk imitatrice) non potra mai delibare che una menomissima
parte della natura. Gli oggetti sono infiniti: le loro parti, le loro
configurazioni, le minute differenze che 1! distinguono tra loro,
le quali non debbono sfuggire alPocchio d'un buon imitatore, sono
innumerabili.1 Tutti quest! oggetti hanno poi tra se stessi infiniti
i. Gli oggetti . . . innumerabili: il concetto dell'mfinita degli oggetti imi-
tabili e comune nella speculazione estetica settecentesca: cfr. J. B. Dubos,
Reflexions critiques sur la poesie et la peinture, parte I, sezione xxvil (i edi-
zione 1719) ; A. Conti, Prose e poesie, ed. cit., n, p. 124; e Ch. Batteux, Les
60 MELCHIORRE CESAROTTI
rapporti. Ogni cosa e simile o dissimile ad un'altra; una invisibil
catena lega insieme tutti i generi degli enti e tutti gli enti di cia-
scun genere, e li subordina 1'uno airaltro. Ma nissun calcolo pu6
giungere a rilevare tutti i rapporti e le relazioni che questi oggetti
hanno con Tuomo. Essi formano un nuovo mondo intellettuale e
sensibile, piu vasto e piu vario deiruniverso visibile. Che infinita
varieta di pensieri, di ragionamenti, di giudizi sopra la stessa cosa!
Chi pu6 sperar di comprendere col suo spirito tutte le modifica-
zioni possibili dei sentiment! e delle passioni ? il loro meccanismo
cosl contradditorio e cosi regolare, le loro graduazioni, i loro equi-
libri, i loro travestimenti impercettibili e le trasformazioni dal-
Funa nelPaltra, fatti alle volte o cosi insensibilmente che sfuggono
airanimo istesso, o per vie cosi tortuose ed intralciate ch'egli vi si
smarrisce e ne perde la vera traccia? Ora se nessun occhio vede
precisamente lo stesso oggetto che un altro, egli e ancora piu certo
che non possono trovarsi due uomini i quali abbiano individual-
mente il medesimo sentimento, non che la stessa passione. Da
ci6 risulta che la natura pu6 essere risguardata sotto infmiti punti
di vista, ed ugualmente bene sotto questi tutti rappresentata ; ma
che contuttoci6 ognuno che voglia imitarla, per 1'impulso e '1
moto delle forze esterne ed interne che agiscono in lui, e costrctto
a non risguardarla, ne per conseguenza a dipingerla che sotto un
tal punto determinato, cioe sotto quello in cui ella gli si prcsenta,
e con quei colori che gli si presenta. Ora volendo regolar Fimitazion
generale suirimitazion particolare d'un autore, seguira facilmente
che non si creda di poter rappresentar con successo ed applauso
se non quella picciola parte che fu da quelPautore rappresentata,
e che non possa imitarsi se non in quel tal modo. Niente pu6 es-
servi di piu pregiudicievole alia poesia quanto una tal opinione.
Non v'e piu varieta ne novita nei soggetti o nello stile ; ii gusto par
ticolare di queir autore diventa il gusto nazionale; un'insipida uni-
formita regnera nelPopere di tutti gli scrittori. Gringegni fecondi
s'insteriliscono ; sforzati dalla prevenzionc a veder colFaltrui fan
tasia, a sentire coll'altrui cuore, a rinunziare a se stessi per con-
traffar gli altri, non avranno quell'aria di verita, quell'energia di
sentimento che acquista fede e favore sino alle stravaganze; le loro
beaux arts reduits a un m§me principe, Paris 1747, p. 108. Ma si noti la rie-
laborazione in senso fortemente soggettivistico che di questo concetto fa
il Cesarotti nelle pagme che seguono.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 6l
opere non saranno tinte di quei forti colori, di quel marchio di
cui s'impronta una fantasia gagliarda che si fa suggello della
natura, non saranno infiammate di quel fuoco vitale che non si
attinge, come Prometeo, se non dal sole,1 non si sentira scorrer
per esse quello spirito animatore che porta la fecondita sin nelle
menti di chi legge: s'ammireranno i primi imitatori, come quelli
che andarono alia prima fonte; ma gli autori susseguenti come
imitatori d'imitatori, snervati, scoloriti, contraffatti, porteranno lo
sforzo, la languidezza e il gelo neiranima di chi e capace di fissar
gli occhi nelle vive bellezze del vasto originale della natura. Que-
sta imitazione, per6, quantunque dalla vera e primitiva molto di-
stante, non lascera contuttocib d'allettare ed appagare gli spiriti
incapaci di preveder le varie modificazioni del bello universale.
Tutto quello che somiglia ad un oggetto che piace, ha dritto an-
ch'esso di piacere. Un amante vagheggia con diletto anche Tom-
bra dell'amata. L'animo vola rapidamente dalPoggetto somigliante
all'oggetto rassomigliato ; la sua bellezza che si mostra improwisa-
mente allo spirito si trasfonde nell'imitazione e supplisce aj suoi
difetti, e per una grata illusione noi crediamo di gustar la copia
quando realmente non ammiriamo che il suo modello.
Questo inconveniente accadera nella poesia, quand'anche il poe-
ta che divien dominante fosse perfetto. Ma quando e dove s'e
mai trovato o troverassene un tale ? Se la perfezione non e propria
d'alcuna cosa umana, perche" lo sara d'uno scrittore? Egli e dimo-
strabile che vi sono dei talenti i quali si escludono quasi necessa-
riamente 1'un Paltro. La gran fantasia non fa lega col gran giudizio;
lo spirito pregiudica al sentimento ; la grandezza non soffre i vin-
coli della regolarita; chi dipinge vivamente i dettagli, manca nel
tutto ; chi ha vastita ed ordine nel disegno, non ha vivezza di co-
lorito. Di piu, qual e il poeta che trovi sempre in se stesso il dio
che lo agita, ne mai senta Tuomo ? che ogni giornata gli sia madre,
nessuna madrigna? che mai non s'addormenti, mai non si dimenti-
chi, che non s'abbandoni a se stesso, che non pecchi almeno nel-
Teccesso della sua virtu dominante ? che come un perfetto capitano
i. quel fuoco . . . sole: Pimmagine di Prometeo era stata gia impiegata a in-
dicare Tattivita del poeta creatore dallo Shaftesbury, in Characteristics,
London I7233 (i edizione 171 1), i, p. 207. II Cesarotti potrebbe avere avuto
notizia dello Shaftesbury attraverso le carte (possedute dal Toaldo) del
Conti, il quale certamente conobbe le opere del filosofo inglese.
62 MELCHIORRE CESAROTTI
(chimerico al par del poeta) tenga sempre in un proporzionato equi-
librio il sangue freddo che regola e il calore che agisce? Se questi
difetti debbon trovarsi necessariamente nei poeti d'ogni secolo,
quanto piu in quelli de' primi tempi ? Ma che ne avverra, svilup-
pandosi nel modo sopraccennato 1'arte poetica? Tali difetti per
lungo tempo non si distingueranno. La troppa luce non lascia
scorger le macchie del sole. Rinforzata un poco la vista, forse s'an-
dranno travedendo, ma non vi si far& riflesso : Panimo tutto volto
alia parte dilettevole d'un oggetto, appena suppone Pesistenza del-
Paltre. Ma vi si rifletta, che perci6 ? Non se ne restera molto col-
pito ; Pocchio vi sara awezzo ; quej difetti che non offendeano prima
per ignoranza, non offenderanno dopo per Pabitudine. Questo &
poco; si giungera perfino a trasformarli in bellezze. L'awenenza o
la deformita eminente d'un oggetto asperge 1'altre parti della sua
qualita dominante e fa quasi perder loro la sua natura. Se poi vi si
mescola la passione, 1'illusione e naturalissima. I difetti delle in-
namorate diventano vezzi, perche sono parti d'un tutto che piace
e si ama. Per questa strada si divinizzano a poco a poco anche i
vizi degli scrittori, come si divinizzavano gli antichi eroi coi loro vi
zi medesimi. I difetti troveranno piu facilmente imitatori che le
virtu, e si abitueranno. Se poscia in capo a qualche tempo una
persona di gusto piu delicato e d'uno spirito men prevenuto si
avvisa di fame conoscere la sconvenienza colla sua importuna ra-
gione, e troppo tardi. II pregiudizio, il nome combatte contro di
lui : il genio della poesia come poteva ingannarsi ? quanto piu stra-
vagante sembra Perrore, tanto meno sembra credibile, e si gareg-
gia colPautor suo nella stravaganza delle difese, s'inventano allu-
sioni, sensi nascosti; in ogni caso un'allegoria e sempre pronta al
soccorso; finalmente si declama contro il censore, come contro
un empio e reo d'aver violata la Poetica Divinita.
Ma molto maggiore e il pregiudizio che la poesia risentc dal
genio particolare della nazione che la coltiva.1 Ogni popolo ha
religione, leggi, costumi, opinioni, usanze e capricci.2 Chi ricer-
i. genio . . . coltiva\ la distinzione fra genio (o gusto) particolare o nazio-
nale e genio (o gusto) umversale e tipica della cultura illuministica. Ma il
Cesarotti ha forse presente soprattutto VEssai sur la pohie tpique del Vol
taire, da lui citato piu avanti. 2. Basta confrontare le idee della Divinit&
lasciateci dagli antichi poeti, che furono i teologi del paganesimo, con quelle
della poesia ebraica. In questa sola si vede 1'opera di Dio, in tutte Faltre
la stravaganza umana (C.)-
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 63
casse in questo ammasso di cose principii, sistema, ragionevolezza,
s'ingannerebbe di molto. Come possono trovarsi tali qualita in cose
prodotte dal caso, dalla passione, o dalPignoranza ? Contuttocio ogni
popolo si vagheggia i suoi costumi come piu perfetti e piu nobili
di qualunque altro ; e come no, se sono suoi ? Un poeta che vuol pia-
cere a' suoi cittadini deve adattarvisi ; ma una sana filosofia che
spezzasse i vincoli dei pregiudizi nazionali e il commercio cogli al-
tri popoli, cosicche* si potesse mirar piu dawicino i costumi stra-
nieri e paragonarli coi nostri, insegnerebbe a prestarsi ai pregiu
dizi della sua nazione, non ad abbandonarvisi, a sceglier per oggetto
della sua imitazione quell'usanze che sono meno irragionevoli,
non ad abbracciarle tutte indifferentemente, a volger agli occhi
di chi legge la parte piu brillante e far si che la deformita resti
o nascosta o abbellita; fmalmente a presentir le rivoluzioni che la
ragione coltivata dovea finalmente portar nella massa del pensar
umano, volgersi qualche volta alia posterita e cercar di conciliarsi
il piacer de' presenti senza perder di vista Pammirazion dei fu-
turi; tentar anche di far pregustar alia sua nazione qualche prin-
cipio di questo felice cangiamento, e, vestendo la verita de* colori
piu vivi e piu belli, render gli uomini ragionevoli per mezzo del-
Tillusione.1 Questo sarebbe Fultimo segno di gloria al quale po
tesse aspirar un poeta; e 1'alloro gli sarebbe dovuto ben con piu ra
gione che ai conquistatori e agli eroi. Ma per tal fine era d'uopo
d'uno spirito troppo penetrante, d'un sentimento troppo delicato,
d'un animo troppo nobile e grande. Possono ben dirlo le favole,
puo bene qualche commentatore idolatra attribuir queste viste
morali e politiche al suo autor favorito ; ma Fautor istesso smentisce
il panegirista. 0 i poeti antichi non si sono mai sognati di risanar
le menti de' loro nazionali;2 o se aveano questa buona intenzione,
bisogna confessare ch'erano medici ben poco destri, e che aveano
dei secreti assai strani. Doveano dunque i primi poeti adular la
loro nazione, fomentar le loro idee, per quanto stravaganti elle
fossero, accrescerle e spingerle innanzi per mezzo del mirabile.
Una tale poesia, quantunque forse per Paltre parti eccellente, pure
non solo pecca per la parte del soggetto, il quale essendo pieno
i. render . . . illusione: si ricordi la famosa definizione del Gravina: la poe
sia e « una maga ma salutare, ed un delirio che sgombra le pazzie » (Delia
ragion poetica, lib. I, cap. vn, in Opere scelte, Milano 1819, p. 22). 2. O i
poeti . . . nazionali: potrebbe essere un'eco di ben noti concetti vichiani.
64 MELCHIORRE CESAROTTI
d'assurdita e rozzezze non potra mai dilettare le menti ben fatte,
ma di piu ripugna allo spirito intrinseco dell'imitazione, le di cui
regole ben intese s'accordano perfettamente con quelle del buon
senso e della ragione. II popolo intanto, vedendo lusingati tutti i
suoi sentiment!, non fu parco d'elogi e d'onori. Si form6 tosto una
folia di maniere, d'idee, d'immagini relative a queste usanze, le
quali costituirono il corpo del linguaggio poetico. Non si vide nel-
la natura altro carattere che quello della nazione, non si credette
che le passioni fossero suscettibili d'altra modificazione che di
quella che riceveano dalle loro proprie circostanze. Che risulta
da ci6 ? O molti popoli coltivano con successo nello stesso tempo
1'arte poetica e se ne disputano la gloria, o una sola nazione e
colta in quest'arte in mezzo alia rozzezza universale. Nell'uno e
nelPaltro caso nasceranno due massimi inconvenienti. Se due o
piu nazioni gareggiano insieme, si formeranno altrettanti gusti
poetici nazionali, che pretenderanno di darsi Tesclusione Tun Tal-
tro. Non si riconoscera la natura se non abbigliata alia foggia del
suo paese. Noi soli, dira ciascun popolo, facciamo ritratti al natu-
rale; quei degli altri non sono che caricature, aborti, stravaganze,
Donde han cavato costoro quei caratteri, quei costumi, quel lin
guaggio, se non dalla loro sregolata fantasia? qual uomo pensa,
sente o parla cosi ? Ne s'accorgeranno che prendono se stcssi per
tutto il genere umano. Quindi mille falsi ed ingiusti giudizi di-
struttivi del buon senso e del buon gusto generale; quindi un'av-
versione, un dispregio, una guerra reciproca forse maggiore di
quella che risulta dalla contrarieta d'interessi politici, essendo gli
uomini piu gelosi della gloria dello spirito che di qualunque altra,
come di cosa piu immediatamente e particolarmente sua: n6 la
sana ragione arrivera se non assai tardi, e con pena grandissima,
a dividere giustamente cd imparzialmente agli scrittori di tutte le
nazioni quella porzione di gloria, di cui essa e la sola legittima
distributrice. Se poi un solo popolo brilla nella camera luminosa
di quest' arte, e col favore delFarmi e del commercio giugnc a
risplendere anche agli occhi dcll'altre nazioni, questo esercitera un
despotismo universale sopra il gusto ; gli altri popoli non awerten-
do che i semi della poesia sono ugualmente dalla natura distribuiti
a tutti i climi, ma che secondo la diversa indole dei terrcni la
pianta poetica diversamente cresce e germoglia, in vece di atten-
dere a sviluppare e coltivare gl'innati gcrmi alia foggia del loro
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 65
paese, con che sarebbe cresciuta ugualmente rigogliosa e feconda,
andranno a trapiantar nel proprio clima quella precisa ch'e nata
in quel clima straniero, di cui la crederanno un dono particolare.
Ond'essa necessariamente, non trovando piu lo stesso alimento,
produrra frutti acerbi o sciapiti, e degeneranti dalla sua prima
natura. Cosa in fatti assai strana che, mancando quasi affatto tutte
le cose che formano il soggetto e il modo delljimitazione, si voglia
prendere per regola una modificazion d'imitazion particolare, che
poggia sopra fondamenti tanto diversi. Una tal imitazione non
potra mai ottenere il suo vero fine: sia pur ella eseguita con tutta
la maestria possibile, siano pur esatte le sue pitture, gli uomini
ne cercheranno gli originali, e non trovandoli resteranno piutto-
sto confusi che commossi. La poesia piu perfetta non sara al piu
che un bel cadavere : si desteranno immagini senza corpo, passio-
ni morte, ombre di diletto. II pregiudizio dell' abitu dine giugnera
a segno che appresso la stessa nazione, essendosi cangiato col
tempo il sistema della religione e del governo, pure si sosterranno
ancora per lungo spazio gli antichi modi e Tantico meraviglioso
poetico, appunto come in un governo, cangiati i costumi, si con-
servano generalmente le leggi. II diletto andra a poco a poco sce-
mandosi: come un liquor prezioso, ma svaporato, la poesia antica
non destera piu quello spirito che rawiva: se ne restera stupito,
ma non si osera dirlo a se, non che ad altri ; si procurera di dimostra-
re a se stesso che si deve provarne piacere; a forza di creder di
doverlo sentire, si giugnera a darsi ad intendere di sentirlo, ma
non si sentira giammai. Se qualche buono spirito, colpito dalPassur-
dita della cosa, ne tentera la riforma, e che per mancanza di fuoco
e di genio poetico non riesca nel suo disegno ; in luogo d'incolpare
PinsufEcienza pratica dell'autore, si credera che la colpa venga
dalla natura stessa della riforma, e si conchiudera che, a prendere
tutto insieme, si guadagna piu ad attenersi alia foggia antica, che
a lasciarsi sedurre dalla nuova. Svegliatosi fmalmente nella nazione
qualche spirito filosofico insieme e poetico (senza la qual mi-
stura non si dara mai poesia perfetta), e tentando di dar nuova
vita a questa facolta languente, benche lo faccia con successo, gli
converra prima asciugare tutto il fuoco della noiosa e qualche volta
perniciosa ciurmaglia de' critici.
6 ancora da osservarsi un'altra cosa, la quale, se non pregiudi-
ca direttamente all'arte, serve nondimeno ad inceppare gli scrit-
66 MELCHIORRE CESAROTTI
tori e ad angustiarli con regole non necessarie. Fra gli errori chc,
secondo il gran Bacone, pregiudicano alia filosofia, uno si e chc gli
autori celebri tingono la loro dottrina sopra questa scienza d'altre
opinioni e d'altri concetti che sono loro particolarmente favoriti,
come fece, dic'egli, Platone, che alia sua filosofia frammischi6 la
teologia; Aristotele, la logica; Proclo, e gli altri della seconda scuola
platonica, le matematiche.1 Lo stesso accadera nella poesia. Uno
scrittore, che nel tempo stesso coltivera felicemente qualche altra
scienza o arte, aspergera le sue produzioni del sapore d'essa, e
faralle gustare al pubblico. Di piu, nel primo sviluppo della poe
sia si mescolera con essa qualche circostanza puramente acciden-
tale, che non fara nulla alia essenza dell'arte. Gli uomini scorgendo
che le opere poetiche dilettano tinte di questo colore straniero o
accompagnate da quella circostanza, non avvertendo che altro e
piacer con una cosa, altro piacer per una cosa, le crederanno ne
cessarie ed essenziali alia poesia, e si avvezzeranno ad esigerle da
tutti i poeti. Quindi un'usanza personale o locale, per sua natura
arbitraria o indifferente, acquistera generalita e forza di legge.
L'ultimo pregiudizio della poesia, non minore degli altri, viene
dalle regole e precetti dell'arte. Osserva lo stesso Bacone, colla sua
solita perspicacia e solidita, che la prematura riduzione delle dot-
trine in arti e in metodi fa che la scienza stessa poco o nulla
s'avanza; appunto come, dic'egli, quando le membra e i lineamenti
tutti d'un giovine hanno ricevuto troppo presto forma e compi-
mento, il corpo non suol piu crescere; cosl la scienza, fmch6 e
sparsa in osservazioni ed aforismi puo acquistare aumento c gran-
dezza, ma circoscritta una volta e rinchiusa dai metodi potr& pulirsi
forse e rendersi atta agli usi degli uomini, ma non potra piu cre
scere e dilatarsi.2 E ci6 accade tanto piu quando i maestri di quel-
i. Fra gli errori . . . matematiche: cfr. Bacone, Novum Organum, lib. I, afo-
risma xcvi (cfr. ed. J. Spcdding, London 1857, i, p. 201): «Naturalis
Philosophia adhuc sincera non invenitur, sed infecta et corrupta: in Ari-
stotelis schola per logicam, m Platonis schola per theologiam naturalem;
in secunda schola Platonis, Procli et aliorum, per mathematicam ». 2. Os-
serva . . . dilatarsi: cfr. Bacone, De dignitate et augmentis scientiarum, lib. I
(cfr. ed. cit., i, p. 460): ccAlius error . . . est praematura atque proterva
reductio doctrinarum. in artes ct methodos; quod cum fit, plerunque scien-
tia aut parurn aut nihil proficit. Nimirum ut ephebi, postquam membra
et lineamenta corpons ipsorum perfecte efTormata sunt, vix amphus cre-
scunt; sic scientia, quamdm m aphorismos et obscrvationes spargitur,
crescere potest et exurgere; sed methodis scmel circumscnpta et conclusa,
L'ORIGINE E I PROGRESS! DELL'ARTE POETICA 67
la dottrina usano un tuono dogmatico, che impone aH'intelletto
senza illuminarlo, piantano autorevolmente i loro principii senza
additar la strada per cui sono giunti a formarseli, onde gli altri,
riandando le stesse tracce, possono esaminare se quella fosse la
piu diritta, e se nella stessa le loro guide avessero qualche poco tra-
viato; col qual modo definitive, posto anche che non avessero er-
rato, con tuttocio le loro opere non istruiscono ; e quel che forse
era scienza in loro, diventa fede negli altri. Cosi la poetica facolta
sul fondamento di alcune poche osservazioni (che poche saranno
sempre, quando nascano dalle opere d'alcuni poeti o dal genio d'u-
na nazione, e non da un esame filosofico della natura deiruomo si
in generate che in particolare, o dal confronto dei vari modi d'imi-
tare delle diverse nazioni) ridotta troppo presto in arte, s'isterilira
ed inceppera da se stessa, chiudendo Tadito alle osservazioni nuo-
ve, si togliera il suo proprio alimento; tutte le sue produzioni
avranno fra loro una noiosa rassomiglianza, ed acquistando rego-
larita di lineamenti, perdera la vigoria, la mole e la pieghevolezza del
corpo. II metodo poi sintetico ed il tuono autorevole de' primi
maestri produrra due generazioni d'uomini ugualmente molesti e
dannosi a quest'arte, voglio dire i poeti mediocri e i critici pedan-
teschi. I primi credendo che i precetti bastino per far un poeta,
vorranno volar senz'ali e riscaldar senza fuoco ; e purch6 colla mec-
canica osservazione de' precetti giungano a comporre un piano
ben congegnato ed ottengano la gloria d'annoiar tutto il mondo
secondo le regole, si arrogheranno il privilegio esclusivo del gusto :
il che se fosse, le mummie e gli scheletri anatomici per la stessa ra-
gione avrebbero dritto di innamorarci, perche tutta Tarmonica
tessitura del corpo umano vi si rawisa perfettamente. I secondi,
come i custodi dei libri sibillini, col sacro testo del loro autore alia
mano, che andranno rawiluppando in un ginepraio di sofistiche
e vane questioni e d'interpretazioni vuote di senso, faranno la
guerra agli spirit! superiori, vorran fissare a loro arbitrio la stima
del pubblico, non permetteranno che un'opera piaccia, se non si
confronta co* loro magri principii; e quando i voti communi si
saranno riuniti in favor di una nuova produzione, citeranno il
sentimento al loro tribunale, come giudice illegittimo, e proveranno
giuridicamente che quell'opera non doveva piacere. A forza di
expoliri forsan et illustrari et ad usus humanos edolari potest, non autem
porro mole augeri».
68 MELCHIORRE CESAROTTI
spacciarsi per dittatori nelle materie poetiche, giungeranno ad im-
porre agli spirit! piccioli, che sono i piu ; i geni piu elevati resteran-
no per qualche tempo defraudati della loro gloria, e qualche volta,
per timore di queste vespe importune, le api poetiche si rimarranno
di formare il loro mele.
Una infinita d'esempi comprova la verita di quanto abbiam detto.
Omero compose Ylliade, i maestri delFarte presero da quella le
regole del poema epico: ma egli compose pur VOdissea, poema
di natura molto diversa. Omero non poteva errare ; bisognc- dun-
que conciliarlo con se stesso ; si racconciarono le regole alia meglio
e si fecero cangiar aspetto, come un vasellaio, accorciando o al-
lungando la stessa creta, d'un orciuolo fara una pentola. Suppon-
ghiamo ora che Omero non avesse cantato che Fira d'Achille:
crediamo noi che, dopo le regole delFarte, un altro avrebbe avuto
coraggio di celebrare i viaggi d'Ulisse? e se Pavesse fatto, i critici
sarebbero stati forse tanto indulgenti? Quante speciose ragioni
per negargli il titolo di poeta epico! Per non parlar della somma
differenza del luogo, del tempo e dell'azione dei due poemi, punti
tanto essenziali secondo i critici, che meschinita di soggetto (si
sarebbe detto), indegna della maesta delFepopea! wAVIliade il
fiore degli eroi della Grecia assedia la capitale dell' Asia, nelPO&-
sea un uomo piuttosto padre di famiglia che re, con una banda di
compagni ignobili, sconosciuto, mal in arncse, si mette in viaggio
per rivedere il nativo suo scoglio : ivi gli uomini e gli dei sono in
guerra; qui il re travestito fa alle pugna con un pezzente: ivi il
figlio d'una dea, il piu forte degli uomini, nel solo Ettore rovescia
Troia; quivi Feroe assistito da un porcaio uccide alquanti scia-
gurati, che manomettono la sua casa. Certamente tra YOdissea e
Ylliade non v'e minor distanza di quella che passa fra la commcdia
e la tragedia. Quanti critici vi furono, e quanti vi sono ancora,
che seguono a perfidiare1 ridicolarmente che Milton non e poeta
epico, non per altra ragione che perche Adamo non e Achille, e la
perdita delFEden non e Passedio di Troia? Se Dante fosse nato
dopo il Tasso, nel secolo in cui le regole e gli esempi degli antichi
avevano un'autorita religiosa, la forza e la vastita della sua fantasia
sarebbe sembrata stravaganza e vaneggiamento. II solo titolo avreb
be dato a7 critici materia per un in folio di censure. Ma Paver egli
fiorito in un tempo in cui Paver solo inteso il nome della Poetica
i . perfidiare : insinuate perfidamente.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 69
d'Aristotile era una prova d'erudizione poco comune; in cui per la
generale barbaric, da cui appena usciva P Italia, egli potea risguar-
darsi per il primo poeta dell'universo ; in cui fmalmente, bench'egli
dicesse che VEneide era sua ((mamma e nutrice)),1 pochi contuttoci6
erano in caso di confrontar la balia coirallievo ; queste cose, ancor
piu del vero suo merito, gli stabilirono una soda ed universale
riputazione. Per lo contrario il Tasso, poeta il piu regolare di
tutti gli altri italiani, e che piu d'ogni altro segui le tracce degli
antichi, per esser stato nel secolo della piu raffinata superstizione
letteraria, fu censurato e perseguitato dagli stessi idolatri del-
Pautorita e delPesempio. I pregiudizi non guardano di distruggersi
Tun T altro, purche distruggano la ragione. La tragedia appresso i
Greci non era che la rappresentazione d'una disgrazia fatale ed
inevitabile, che inorridiva piu di quello che interessasse. La su
perstizione per gli antichi fece che si escludessero dal teatro
molti altri soggetti piu delicati, piu interessanti, piu istruttivi ed
atti a recare nuove spezie di diletto. L' Italia particolarmente non
e ancora ben rinvenuta ne praticamente ne teoricamente da questo
error grossolano, cosicche si durera fatica a trovar quattro critici,
di quei che si piccano di buon gusto, che non si facessero scrupolo
di dar il titolo di vere tragedie a molte insigni produzioni di
Cornelio o di Racine, e che non preferissero a un Maometto* la piu
difettosa tragedia d'Euripide. La commedia parimenti, ai tempi di
Plauto e di Terenzio, era una pittura caricata dei difetti e dei
ridicoli piu grossolani degli uomini, o al piu un'imitazione di
qualche awentura ordinaria delle persone mezzane. Quando do-
po molti secoli il sig. de La Chauss6e3 in Francia arricchi il teatro
di un nuovo genere di commedia, rivolgendola ad imitare un
fatto interessante ed istruttivo della vita privata, quanti censori
non si scatenarono contro di lui, inventando il nome derisivo di
comico lagrimante, e trattando simili opere da mostri composti di
parti eterogenee, sconosciuti alPantichita per la sua incomparabile
squisitezza di gusto ? II Petrarca, uomo di sentimento dilicatissimo,
1 . Cfr. Purg., XXI, 97-8 : « delYEneida dico, la qual mamma / fummi e fummi
nutrice poetando ». Queste parole sono messe in bocca a Stazio, ma certo
Dante, come vuole il Cesarotti, allude anche ai propri debiti verso Virgilio.
2. Maometto: la tragedia del Voltaire tradotta dal Cesarotti nel 1762 e pub-
blicata insieme al presente Ragionamento. 3. Nivelle de La Chaussee
(1691-1754) e considerate Pmiziatore del genere della comddie larmoyante.
70 MELCHIORRE CESAROTTI
d'animo nobile ed onesto, d' ingegno perspicace e scientifico e di
gentilissima fantasia, risentiva una specie di amore singolare, o
certo rarissimo, e di cui appresso gli scrittori greci e latini non
se ne trova alcun vestigio. Egli lo dipinse come il sentiva, e facendo
servire il suo raro taiento poetico alia passione, non la passione
ad esso, giunse a render credibile una cosa che, secondo il pensar
comune, fu sempre riputata chimerica, e a far gustar la sua poesia
a persone che appena avranno sognata la possibitita di un tale
affetto, non che lo provassero; di cui, a parer mio, non pu6 darsi
lode maggiore. Come il Petrarca era il solo poeta lirico che avesse
1'Italia, si credette ben tosto che in versi non si potesse amare
che alia foggia di quell'autore ; ed eccoti Tltalia inondata da un
diluvio di verseggiatori, che tutti aveano il Petrarca sulla penna
e forse nessuno nel cuore. Non essendo questa passione nata in
lor casa, ma portatavi altronde, non potevano cssi per conseguenza
cavar dal proprio fondo i pensieri, i sentimenti e Tespressioni atte
a vivamente dipingerla : per6 furono costretti a ricorrere allo stesso
Petrarca, e prender da quello tutti i colori. Ma questi ornamenti
accattati e posticci, e qualche volta usati a rovescio, piangevano
loro intorno, come appunto un bel vestito, aggiustato sopra un
corpo vistoso ed armonico, se si trasporta ad un altro disadatto
e di mal garbo, ne acquista esso pure deformita. Le movenze deli
cate e gli atteggiamenti inimitabili del Petrarca diventarono con-
trafacimenti e contorsioni : traspirava Paria di donna volgare sotto
gli abbigliamenti di una divinita. Amando come Anacreonte, si
voile parlar come Platone; nessuno seppe andar al cielo se non
per la scala degli occhi della sua donna, e quel linguaggio platonico
che stemperato nella poesia del Petrarca diletta, perch6 si scorge
ch'egli entra naturalmente a modificare in quella guisa la sua pas
sione, ne' suoi imitatori divent6 un freddo ed oscuro gergo sco~
lastico, non meno ridicolo, alle persone non prevenute, di quella
galanteria metafisica colla quale molti francesi condiscono tutti
i loro soggetti piu seri e piu appassionati. Cosl la piu parte de'
poeti petrarcheschi,1 che a differenza di tutti i poeti della sua e
i. L'eccezione ha luogo in ogni giudizio generate, ma il giudizio sussiste.
lo potrei nommare un vero Petrarca veneto, che nissuno ammira piu di me.
La somiglianza del suo animo fa la somiglianza natural del suo stile. Ma
chi ha bisogno di copiar un aitro non lo somiglia (C.). Penso che il Cesa-
rotti alluda a Gaspare Gozzi, autore di un piccolo canzomere petrarcheg-
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 71
delle straniere nazioni si arrogano la vera delicatezza di gusto nelle
materie amorose, e che ad ogni parola si rimenano la natura per
bocca, vanno piu di tutti gli altri fuor di natura, perche la passione
che imitano non si trova ne negli altri ne in loro medesimi, e fa
solo vedere che quattro secoli fa esisteva un uomo il quale era
non meno poeta che amante straordinario.
Per conoscer poi come i difetti degli autori si erigano in virtu,
basta gittar Tocchio sopra i Dacier, i Bossu, i Mazzoni1 e gli altri
innumerabili alchimisti letterari, che nelle cose poetiche hanno tro-
vata la pietra con cui trasformano il ferro in oro; se non che 1'im-
postura di questi come di quelli o tosto o tardi si scorge.
Quanto ai difetti che dai costumi delle nazioni si trasfondono
nei poeti, ognuno pu6 facilmente chiarirsene. II carattere degli dei
e degli eroi d'Omero, le passioni ancora, per cosi dire, selvagge
dei tragici greci, le awenture romanzesche e grincantesimi del-
TAriosto, il vuoto e le generalita dei verseggiatori italiani, le ampol-
lose mostruosita degli spagnuoli, la noiosa galanteria e il rafrma-
mento dei franzesi, le irregolarita e carnificine del teatro inglese,
tutte son cose che debbonsi al sistema religioso, politico e morale
de' vari popoli.
II gusto nazionale trapiantato in colonie non e mai riuscito fe-
licemente. Non pu6 negarsi agF Italiani la gloria d'aver richiamate
in vita Parti e le lettere. Essi rawivarono 1'antica Grecia, che co-
nosceano perfettamente, ma non conobbero abbastanza PItalia.
Se i tragici del secolo sedicesimo si fossero trasportati in Atene,
la Grecia non avrebbe creduto d'aver perduti giammai i Sofocli
e gli Euripidi, ma Sofocle ed Euripide trasportati in Italia non
ritrovavano piu gli Ateniesi. Come se una nazione avesse a invi-
diare i ridicoli dell'altra e non ne fossero tutte egualmente feconde,
giante, e con cui era entrato in amicizia appunto in quegli anni a Venezia.
i. i Dacier, i Bossu, i Mazzoni: i comugi Andr<§ Dacier (1651-1722) e Anne
Lefevre Dacier (1654-1720), filologi e strenui difensori degli antichi: in
particolare la Dacier, che nel 1699 aveva stampato una traduzione letterale
delVIliade, nel 1715 pubbhc6 il libro Des causes de la corruption du gout, in
cui rispondeva aspramente alle censure mosse dal La Motte contro Omero,
insistendo soprattutto sul contenuto morale e religioso delVIhade e del-
VOdissea. II padre Rene Le Bossu (1631-1680), noto soprattutto per il suo
Traitd du poeme tyique (1675), e Qui ricordato come dilensore del Boileau
e m genere del partito degli antichi. lacopo Mazzoni (1548-1598) scnsse
una celebre e volummosa Difesa delta « Commedia » di Dante, in cui il valore
di Dante come poeta viene posto nel suo contenuto filosofico e morale.
72 MELCHIORRE CESAROTTI
i comici italiani vollero dileggiare nei lor nazionali i difetti dei
Romani e dei Greci, e rappresentar come accaduta ai loro tempi
un'avventura di molti e molti secoli prima. Mancava all' Italia la
poesia entusiastica che ha per soggetto I'ammirazione. II pregiudi-
zio facea credere che il genio della lingua non ammettesse questo
stile: il Chiabrera mostro il contrario; e T Italia ebbe in esso il
suo Pindaro. Grandissima obbligazione gli si dee certamente, ma
se gliene avrebbe maggiore se avesse voluto piuttosto crear questo
genere di poesia (ed avea senza dubbio talento da ci6) che rinno-
varla; se non si fosse gittato cosi a corpo morto nelPimitazione del
suo originate; se avesse fatto meno scialacquo di favole, le quali
non essendo attaccate alia religione o all'interesse nazionale, ne
trovando credenza nelFopinione del popolo, perdono la maggior
parte del loro incanto ; se fosse stato piu parco nei luoghi communi,
nelle sentenze generali, nelle lodi vaghe, come lo fu qualch'altro
poeta dej tempi nostri. Ronsardo, con molto minor genio poetico,1
fece da prima in Francia quel che il Chiabrera fece in Italia.
Egli impose per qualche tempo; ma giunto il secolo del gusto,
la sua poesia parve tanto barbara e strana quanto dianzi sembrava
ammirabile. II Desportes2 e altri poeti amatorii franzesi dei primi
tempi non ebbero scrupolo di far a gara cogl'italiani nello spogliare
il Petrarca, ma la delicatezza passionata e spirituale di questo
autore, mescolata coll'arguzia che fu sempre il gusto dominante
di questa nazione, venne a formare un innesto assai bizzarro. Al
presente in cui 1'Europa, siccome nelle materie filosofiche ha scosso
del tutto il giogo della stupida adorazion degli antichi, cosl 1'ha
scosso in buona parte nelle belle arti, tre nazioni si disputano
Timpero della gloria poetica, Pitaliana, la franzese e Fmglese.
A riserva di alcuni pochi geni elevati, che purificando il gusto
della loro nazione si attaccarono particolarmente a quelle bellezze
universali di natura che hanno dritto di piacere a tutti i popoli,
e che si conoscono e si pregiano vicendevolmente, qual dispregio
reciproco non hanno gli uni per gli altri? Ai Franzesi la poesia
inglese sembra gigantesca, sregolata e precipitosa, Pitaliana digiu-
i. Ronsardo . . .poetico: il giudizio del Ccsarotti sul Ronsard riechcggia
quello limitative dei critic! razionahsti francesi. II valorc poetico del Ron
sard era stato invece polemicamente nvendicato in Italia dal Manfrccli e
dal Martello (cfr. M. FUBINI, Dal Muratori al Baretti, Ban, Laterza, 1954,
p. 147). 2. Philippe Desportes (1546-1606), lirico petrarchista francese.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 73
na, plena di parole e vuota di senso. Gl'Inglesi dalla lor parte
trattano i Frances! da petits maitres non meno nella poesia
che nelle maniere: e gl'Italiani credono e gli uni e gli altri, benche
per vie diverse, ugualmente lontani dal dritto sentiero della natura,
da loro soli, dopo i Greci e i Latini, battuto.
La maggior parte di questi difetti furono corroborati e resi per
lungo tempo insanabili dalle regole dell'arte, formate con troppa
fretta e dettate con metodo sintetico e con tuono autorevole da un
filosofo assai rispettabile,1 ma che non era contuttoci6 ne la natura
n6 la ragione. Quindi la servitu degl'ingegni, Fadito chiuso ad
ogni riflesso e trovato nuovo, le pretensioni esclusive del gusto,
le sentenze ingiuste sopra il merito degli scrittori, le vane brighe
letterarie, che alle volte si cangiarono in acerbe persecuzioni, le
librerie intere composte per diciferar un passaggio di due righe
molto indifferenti, i commenti, le censure, le apologie ugualmente
ridicole, piene di erudite inezie e di sottili meschinita, che anne-
garono il buon senso in un mare d'inchiostro assassinato, ed eres-
sero in uomini grandi tanti pedanti. Se poi le regole bastino per
formare un poeta, serva d'esempio per tutti il signor d'Aubignac,3
autore della Pratica del teatro, il quale avendo composta una tra-
gedia assai fredda, ed allegandosi per difenderla ch'ella era pur
composta secondo le regole d' Aristotile : — lo non posso — rispose
con vivacita e sensatezza il principe di Conti — non lodare il sig.
d'Aubignac d'aver eseguite le regole d' Aristotile, ma non perdo-
ner6 mai ad Aristotile d'aver fatto comporre una cosi cattiva trage-
dia al povero sig. d'Aubignac. — II fatto e che il sig. d'Aubignac,
che avea studiato tutte le regole, non avea pero studiata questa
ch'e la prima d'ogn'altra, cioe che tutte le regole del mondo,
senza il talento poetico, giovano tanto quanto Tarte di Marcello3
per far danzare uno sciancato. Pure quanti Aubignac ha prodotto
1J Italia! Qual confronto fra le regole del Gravina e le sue tragedie!4
quelle sono scritte da filosofo, e queste da giurisconsulto.
i. un filosofo assai rispettabile'. Aristotele. 2. Francois d'Aubignac (1604-
1676) pubbhc6 nel 1657 la Pratique du theatre, trattato di precettistica tea-
trale, e compose quattro tragedie. II giudizio del Cesarotti risale probabil-
mente, come pensa TOrtolani, al Voltaire. 3. Benedetto Marcello, il famoso
musicista veneziano (1686-1739). 4. Qual confronto . . . tragedie: allude
alle cinque tragedie che il Gravina pubblico nel 1712 em cui tent6 di at-
tuare, con risultati poeticamente poco felici, il suo ideale di un teatro tra-
74 MELCHIORRE CESAROTTI
Questi pregiudizi, o tutti o la maggior parte, si sarebbero pre-
venuti, se qualche spirito vasto, penetrante e delicato, appena
sviluppate le prime tracce dell'imitazione poetica, si fosse fatto
ad esaminare le vere fonti del piacere che ne risulta, la natura degli
oggetti, lo stato dell'uomo considerato in se stesso, e lo stato del-
1'uomo considerato nelle diverse societa. Egli avrebbe allora chia-
ramente compreso che la natura e inesausta, che Tinfinita diversita
degli oggetti, risguardata sotto divers i punti di vista, fa diverse
impressioni negli animi umani, secondo le infinite diversita delle
loro disposizioni interne ed esterne, e che queste impressioni in
tante diverse guise modificate, quantunque per Pestremo difetto
de' termini si comprendano sotto un solo nome, sono per6 tra loro
intrinsecamente diverse, come diverse sono tutte le spezie degli
animali, benche comprese sotto lo stesso nome generico ; che ogni
passione ha il suo linguaggio ed i colori suoi propri, e che quando
sia con essi vivamente rappresentata, rechera sempre diletto; che
il cuore umano ha dritto sopra tutti i vari diletti che possono risul-
tare dalla imitazione delle varie passioni, e che una imitazione non
deve escluder 1'altra ne prender da un'altra i colori; che per6 il
restringer Tepopea o la tragedia tra i limiti di certi determinati
soggetti, e il pretender, per cagion d'esempio, che i diversi amori
degli uomini, come hanno abusivamcnte lo stesso nome, abbiano
pure il linguaggio e i colori medesimi, & lo stesso che dire: — lo
ho veduto con piacere un cavallo ben dipinto, dunque la pittura o
non pu6 dipingere altro animal che il cavallo, o tutti gli animali
debbono esser dipinti come il cavallo. — Egli avrebbe compreso
parimenti che il piacer delFimitazione & in ragion composta della
imitazione stessa e deila bellezza delle cose imitate, che le cose
o della natura o degli uomini, non essendo mai o rade volte per-
fette, per produrre il massimo diletto & necessario o sceglierle o
perfezionarle ; che essendovi due sorte d'imperfezione, Tuna che
consiste nella mediocrita del bello, 1'altra nella mistura del difetto-
so, conveni perfezionare in ambedue queste parti non meno gli
oggetti che i caratteri, le passioni e le azioni. Avrebbe finalmente
compreso che nelle cose le quali imitate dilettano, vi son due spe
zie di piaceri: 1'uno che vien da natura, Paltro che nasce dall'edu-
gico ispirato ad un severe classicismo grecheggiante. Le regole sono natural-
mente quelle dettate nei trattati Della ragion poetica e Della tragedia.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 75
cazione, dall'uso e da' pregiudizi. II primo e assoluto, universale,
immutabile, 1'altro relative, nazionale e soggetto a mille cambia-
menti; quello simile al sole risplende immancabilmente a tutto
I'universo, questo come una meteora brilla per poco ad un paese
e svanisce: che sopra quest'ultimo e fondata in gran parte la fin-
zione e il maraviglioso poetico ; che ogni nazione avendo religione,
costumi ed opinioni diverse, Ha pure un diverse mirabile, il quale
trasportato nella poesia di un altro popolo sembrerebbe strava-
gante e bizzarro ; che per6 chi aspira alia gloria di poeta universale
delle nazioni e dei secoli, deve afferrarsi alle grandi ed universal!
bellezze della natura, e dell'altre servirsi solo come di un abbiglia-
mento che non deformi ma rilevi i lineamenti di un volto: che
deve di piu esaminare la massa indigesta degli usi ed opinioni po-
polari e purificarla, sceglier tra esse quelle che confrontandosi
piu colla ragione, universale a tutti gli uomini, possono piu uni-
versalmente esser gustate; e perche le piu strane costumanze non
mancano di qualche principio ragionevole, far sentir questo viva-
mente e nasconder con destrezza 1'altre assurdita che 1'accompa-
gnano; ingentilire e nobilitar fmalmente anche i pregiudizi, e far
si che o si cangino in virtu, o, conosciuti a suo tempo per quei che
sono, quegli stessi che li disapprovano, incantati e commossi dalla
magia poetica, ringrazino quel felice errore che produsse in loro
cosi ragionevol diletto. Per quest'orme camminando i piu bei geni
delle nazioni, e prendendo ad imitare ciascuno alia sua maniera
qual una qual altra parte della natura, avrebbero assai per tempo
prodotta una poesia infinitamente varia, ma universale, che in
mezzo agPinnumerabili cangiamenti di religioni e di govern!, sotto
diversi aspetti tutti piacevoli, sarebbe stata la stessa; ed un pieno
corso d'esperienze poetiche avrebbe confermata la verita de' prin-
cipii, regolati i giudizi e servito di scorta non ingannevole agli
artefici e agli amatori delParte.
Questo sviluppo filosofico sembra impossibile a un gran ragio-
natore del nostro secolo, voglio dire al sig. Hume. «Egli e evidente»
dic'egli nel suo eccellente discorso Sopra la regola del gusto «che
nissuna delle leggi che si osservano nella composizione, non poteva
discoprirsi a priori: queste leggi non sono di quelle conseguenze
astratte che Tintelletto cava dai rapporti eterni ed immutabili delle
idee; il loro fondamento e lo stesso che quello di tutte le scienze
pratiche, Tesperienza: queste non sono che osservazioni generali
76 MELCHIORRE CESAROTTI
sopra quel ch'e piaciuto in tutti i secoli ed in tutti i paesiw.1
Parmi che da tutfaltri dovesse aspettarsi un tal sentimento, fuor-
che da uno scrittore che seppe cosi felicemente far uso della
filosofia nelle materie del gusto, e fissarne i principii stabili in
mezzo a tante apparent! contraddizioni. Se per esperienza egli
intende le osservazioni fatte sopra la natura e sopra Tanimo umano,
egli e in fatti evidente che, senza di queste, le regole dell'arte non
avrebbero potuto esistere; ma se, come apparisce, egli crede che
1'arte per svilupparsi dovesse necessariamente attender la pratica
e Tesempio degli scrittori, io confesso liberamente che non ci
scorgo questa necessita. Quantunque Tarte poetica sia una scienza
pratica, ella e per6 molto diversa dall'altre. La medicina, la nauti-
ca, 1'arte militare si fondano in gran parte sopra scoperte fortuite,
le quali era impossibile 1'indovinare. Non e cosi della poesia, clla
non ha bisogno di strumenti; ella non dcve i suoi principii ad al-
cuna cosa esterna, ella li trova tutti nelPanimo ove rinchiusa fer-
menta; le passioni la svegliano, la fantasia la veste; chi studiera
bene il suo spirito ed il suo cuore, trovera tutte le regole della poc-
sia scritte in se stesso, e vedra che senz'altro aiuto ella pu6 nascer
dalla sua mente, formata ed abbellita, come Pallade dal cervello
di Giove. Del resto, Tesperienza istessa combatte questa opinione.
Non si credera certo che Omero abbia composto Vlliade senza di-
segno. Senza prestargli le viste morali e politiche de' comentatori,
egli e certo che nella mente d'Omcro il modello avra preceduto la
fabbrica, come il Canone di Policleto2 la statua. Egli avra saputo
render la ragione della macchina e dellc parti del suo poerna, e
stabilirle sopra certi principii. Egli avea dunque trovate le regole
dell'arte innanzi di eseguirle: ma donde le aveva cavate? non dal-
Tesempio d'altri poeti, perche" innanzi d'Omero non ve ne fu alcuno
i. Anche per questo passo riporto il testo della traduzionc francesc del Me-
nan, nel volume Hume, Dissertations sur les passions, sur la trag^die, sur la
regie du goftt, Amsterdam, Schneider, 1759, p. 89 : « II est evident qu'aucune
des lois qu'on observe dans la composition n'a pu Stre decouverte en rai-
sonnant a priori: ces lois ne sont pas de ccs consequences abstraites que
1'entendement tire des rapports 6ternels et immuablcs dcs idees; leur fon-
dement est le m£me que celui de toutes sciences pratiques, F experience:
ce ne sont que des observations generates sur ce qui a plu dans tous les
siecles et dans tous les pays ». 2. il Canone di Policleto : cosi era mtitolato
il trattato del famoso scultore greco sulle leggi della simmetria della figura
umana, e cosi venne chiamato anche il Doriforo in cui egli applic6 queste
leggi.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 77
die potesse esser maestro d'un tanto discepolo ; e se ve ne fu, fa-
remo a questo la stessa domanda: donde avea egli cavate queste
regole? Dalla osservazion della natura, ((a priori)), dall'esame phi
o meno esatto del «rapporti eterni ed immutabili » tra gli oggetti e
Fuomo. Ora se Omero fosse stato tanto filosofo quanto poeta,
egli e chiaro che avrebbe potuto trovare il sistema perfetto dell'ar-
te, poiche" in qualunque modo ne trov6 uno. Siccome dunque la
poesia nacque dall'istinto, cosi 1'arte poetica poteva e doveva na-
scere dallo spirito filosofico; ed allo sviluppo piu o meno celere di
questo si devono i progressi, i ritardi, la rozzezza, la delicatezza,
1'ecclissamento, il risorgimento e la perfezion di quest'arte.
Conseguentemente a ci6 egli era riserbato al nostro secolo, in
cui questo spirito, raffinato dal commercio e dalla coltura dej co-
stumi, col suo soffio vitale s'e diffuso per tutto il corpo dello sci-
bile e lo anima, di veder un'arte cosi interessante per il cuore
umano, sciolta da' pregiudizi, purificata e stabilita sopra i suoi veri,
universali e fecondi principii. Sara qui, cred'io, cosa non meno
utile che dilettevole di riandar brevemente i principii e i progressi
dell'arte poetica, e di esaminare i caratteri de' principal! scrittori
di essa. Platone e Tautore piu antico che abbia parlato di poesia,
benche in una maniera vaga ed ambigua, secondo lo stile dei suoi
Dialoghi. II luogo, dov'ei si spiega piu chiaramente, sono i libri
della Repubblica. Egli awilisce Timitazione poetica con ragioni
che non fanno molto onore al suo raziocinio : egli conobbe la scon-
venevolezza degli dei e degli eroi omerici, ma condannandoli per
la parte della teologia e della morale, li rispett6 per la parte della
poesia, con che diede a vedere ch'egli non s'avea fatto una giusta
idea della vera imitazione poetica, e fece poi gran torto alia poe
sia non meno che alia filosofia, discacciando dalla sua repubblica
1'epopea e la tragedia, le quali col maneggio ben regolato delle
passioni possono essere le piu efficaci ministre della virtu. Pure
e degno di scusa. L'Odissea non era il Telemaco,1 ne VEdipo
VAlzira?
Aristotele pretese di darci un sistema dell'arte, ma, per vero dire,
molto imperfetto, oscuro e confuso. La lirica vi e trascurata;
i. Telemaco \ il romanzo del F6nelon, Aventures de T6lemaque (1699), citato
dal Cesarotti anche in altre sue op ere, come esempio di arte istruttiva e
sensibile. 2. Alzira: VAlzire, una delle piu celebri tragedie del Voltaire,
rappresentata nel 1736.
7 MELCHIORRE CESAROTTI
Pepopea appena abbozzata; quasi per tutto si trovano cenni in
vecc di ragioni. La sua idea della tragedia e poco esatta: le sue dot-
trine sopra il soggetto e il protagonista sono cavate piu dalla sua
fantasia che dalla ragione. La sua purgazione degli affetti e parti-
colare e bizzarra. Egli e un medico che vuol curar solamente
una o due infermita, e curarle per via deirinfermita stessa.1 II
tuono e definitivo; il metodo non & che apparente. Vi sono vera-
mente dei precetti sani e delicati sopra Punita, la condotta e la
regolarita della favola; ma in generale Popera, piena di minuzie
grammaticali e scolastiche, di nozioni vaghe e confuse, di defmizio-
ni nominali ed esclusive, di distinzioni e divisioni superflue, e
molto piu atta a ristringere e raffreddar il genio di quello che a
guidarlo, ad imbarazzar lo spirito che a dirigerlo, a render il gusto
capricciosamente schizzinoso piuttosto che a purificarlo ed illu-
minarlo. II Gravina fece piu onore ad Aristotele di tutti i suoi pa-
negiristi ; egli non crede la Poetica opera di questo filosofo, oppurc
la suppone una selva di materie ancora indigeste.2
Orazio, bello spirito e cortigiano, nella sua lettera, com'io credo,
di risposta alle ricerche di due nobili suoi allievi,3 tocc6 con vi-
vezza, sensatezza e precisione le regole piu comuni, ne per6 meno
important!, dell'arte. Ma siccome non le dedusse da' suoi principii
e non le consolid6 con ragioni (cosa piu conveniente ad un trattato
che ad una lettera), cosi le sue dottrine poetiche sono bensi bastanti
per diriger il criterio e il sentimento d'un uomo di mondo, ma non
gi& per formare un conoscitor filosofo che risguardi nel suo pieno
lume tutta Pampiezza della materia.
II rinascimento delle lettere in Italia non fu molto favorevolc a'
progress! delParte. Persuasi che Aristotele avesse pensato abba-
stanza, gPinterpreti, secondando le loro disposizioni naturali, si
dispensarono dal pensar essi e non permisero che pensassero gli
altri ; la critica tenne luogo di filosofia, la regola di genio. Siccome
il despotismo degenera in anarchia, cosi al secolo della superstizione
successe quello della sfrenatezza e della stravaganza, molto peg-
giore della primiera servitu. Ciascuno si fece la legge da s6, o
i. Egli . . . stessa : il Cesarotti accoglie Pinterpretazione rinascimentalc e gni-
viniana della catarsi anstotelica, interpretazione da lui gia ricordata e di-
scussa nel Ragionamento sopra il diletto della tragedia. 2. egli . . . indigeste:
cfr. Gravina, Delia tragedia, cap. xi, in Opere scelte, ed. cit., p. 272. 3. let
tera... allievi: 1'epistola Ad Pisones, pih nota sotto il titolo di Ars poetica.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 79
piuttosto non ne riconobbe alcuna, e Teccesso d'un'arte troppo
rigida pregiudic6 al legittimo imperio della vera.
II primo scrittore che abbia aspersa questa arte di filosofica
luce, fu Vincenzo Gravina, uno de' piu elevati ingegni d'ltalia.
Egli tento non meno di depurar la poesia dal gusto infetto del se-
colo, che di liberarla dalla servilita delle regole digiune ed arbi-
trarie; egli nobilitb ed abbelli la poetica, e d'un'arte pedantesca
la fece diventare scienza da filosofi, mostrando evidentemente che
non merita minor lode uno squisito conoscitore d'un compositor
perfetto, e che un estimator giusto e piu difficile a ritrovarsi che
uno scrittore mediocre. La sua opera e piena di principii scienti-
fici, luminosi e fecondi e di quei tratti sicuri e forti, che negli
errori stessi caratterizzano uno spirito elevato e di non comune
dottrina; ed e poi perpetuamente animata da un calore di stile
che ispira la poesia, mentre Topera istessa Finsegna, cosicche e
cosa che sorprende e diletta a veder il Gravina, che fu mediocre
prosatore in versi, diventare in prosa nobil poeta. Ma se io non
m'inganno, parmi che alle volte vi sia piu pompa filosofica che
sostanza, piu entusiasmo che precisione, piu rapidita che ordine:
al gergo dialettico di Aristotele egli sostituisce di tratto in tratto
un gergo metafisico; egli distrugge alcuni pregiudizi, ma ne cor-
robora degli altri, e li rende tanto piu nocivi quanto che, appoggiati
sopra base filosofica e vestiti con magnificenza poetica, impongono
e piacciono maggiormente. Nei suoi giudizi potrebbe desiderarsi
qualche volta minor parzialita e un'analisi piu delicata. La sua elo-
quenza maestosa, ma alquanto torbida, abbaglia e riscalda piu di
quello che illumini e convinca. Comunque sia, la sua Ragion poetica
fa onore all' Italia ed all'arte, e i suoi errori sono cosi speciosi e cosl
finitimi al vero che e degno di stima chi la gusta, e di gloria chi
la confuta.
Con minor apparato di dottrina, ma con molta sensatezza, il
Muratori rintracci6 le fonti del Bello poetico e sviluppb egregia-
mente tutto il lavoro della fantasia e delPintelletto in quelle parti
ove il poeta pu6 liberamente mostrarsi. Ma siccome, e per tenv
peramento e per professione, egli intendeva piuttosto le passioni
di quello che le sentisse; e di piu mancava di quel tatto fino e
delicato che distingue le minime differenze e pu6 chiamarsi quasi
il fiore del gusto ; cosi conobbe assai poco la poesia di sentimento :
e quel ch'e piu, confuse spesso il linguaggio della passione col
8o MELCHIORRE CESAROTTI
linguaggio delFintelletto e della fantasia, che riflette e lavora sopra
la passione. Am6 le virtu dello stile, ma piu quelle che sono piu
finitime ai vizi, i colori vivaci piu de' convenienti, 1'arte pomposa
e sfacciata piu di quella che con delicata modestia sa trasformarsi
in natura: in fatti la sua Perfetta poesia1 sembra patteggiar molte
volte coirimperfezioni del secolo da cui usciva.
Poco avanti T Italia, la Francia ebbe in Pietro Cornelio il padre
non meno della tragedia che dell'arte tragica. I suoi Esami critic?1
sopra le sue opere dramatiche meritano 1'autorita dei Commentari
di Cesare e delle Riflessioni militari del marescial di Sassonia.3
Egli e un capitano, che con ingenua grandezza parla non meno
delle sue perdite che delle sue vittorie, ed istruisce egualmentc
coll'une e coll'altre. Sarebbe desiderabile che tutti i gran professori
delle arti e delle scienze pratiche con ugual candore ci avessero
data un'analisi delle loro opere. Col fondamento della propria spe-
rienza essi ci avrebbero insegnati i colpi secreti dell'arte e quei
tratti inaspettati che gli speculatori piu fmi non possono se non
presentir confusamente ed indicar di lontano.
L'esempio di Cornelio fu imitato in parte tra i nostri dall'ab.
Antonio Conti,4 nelle cui dotte Prefazioni si scorge quanto la
scienza intima del cuore umano e la sua profonda cognizione di
storia e di politica gli abbiano giovato per rappresentar vivamente
e stemperar nelPazione i tre stati e i tre diversi caratteri del ro-
mano impero con una dignita e semplicita di stile, che non e n6
inferiore ne superiore al soggetto.
1. Perfetta poesia: il trattato Della perfetta poesia italiana, pubblicato ncl
1706. Questo giudizio del Cesarotti & assai notevole, perche d& la misura
della diflerenza del suo gusto rispetto a quello della generazione arcadica,
2. Esami cntici: allude ai giudizi cntici stesi dal Corneille su ognuna delle
sue tragedie per 1'edizione completa delle sue opere (1660). 3. Riflessioni
. . . Sassonia: le Reveries militaires di Maunzio di Sassonia, pubblicate
nel 1731. 4. Antonio Conti (1677-1749), una delle menti piu acute della
cultura itahana ed europea del pnmo Settecento, scnsse quattro tragodic
di argomento romano, corredate di lunghe Prefaxwni (cfr. Quattro tragedie,
Firenze 1751), in cui 1'autore illustra e difende 1'ideale di una tragedia am-
mata da intenti di educazione morale e civile ma fondata ngorosamentc sulla
realta storica. In particolare, nella prefazione al Druso, cgh dichiara di
aver voluto rappresentare (cTinstituzione della liberta c del consolato» nel
Giunio Bruto; «il tentative di cangiar la repubblica in monarchia» nel
Giulio Cesare (lodato dal Cesarotti nella postilla critica alia sua traduzione
della Morte di Cesare di Voltaire) ; e infine « lo sforzo di restituir con la pn-
ma liberta la repubblica, uccidcndo il tiranno » nel Marco Bruto.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 8l
Ma per tornare alia Francia, poco dopo Cornelio, insorte le gare
tra i partigiani degli antichi e quei de' moderni, svegliarono gli
spirit! a pensare piu ampiamente sopra tutta la scienza poetica.
La disputa fra Perrault e Despreaux1 non fu che un preludio di
veliti. Perrault, con un buon senso qualche volta grossolano,
mancava di cognizione della lingua e de' costumi dei Greci;
egli era un forastiero, che volea censurar le usanze d'un paese
innanzi di conoscerle: ma Despreaux dall'altra parte credeva che
un tratto spiritoso, e il rilevare con picciola malignita qualche
errore molte volte indifferente del suo awersario, bastasse per
assicurar la vittoria al suo partito.
II partito di Perrault fu sostenuto da successori molto meglio
agguerriti. II sig. de La Mothe2 avanz6 nelle cose poetiche molte
proposizioni ardite e le sostenne con forza di discorso. Egli posse-
deva la logica, ma non sapeva che la logica della poesia e alquanto
diversa dalla ordinaria; egli avea molto spirito ma non conoscea
che lo spirito; e non sembra che intendesse bene quanta distanza
passi ancora tra una prosa sensata e viva e la poesia. II vero Omero
co' suoi difetti aggradevoli gradira sempre piu che il suo Omero
riformato colle sue fredde ed affettate virtu.
La Dissertazione critica delFab. Terrasson sopra Ylliade3 con-
tiene le regole piu perfette del poema epico: egli rilev<b egregia-
mente i difetti d' Omero, ma e gran difetto suo di non sentirne le
bellezze. Questa sara forse la ragione per cui il sig. di Voltaire,
con un giudizio veramente alquanto rigido, chiama il suo esame
critico « senza gusto » :4 non era certo il gusto di raziocinio che gli
mancava. In generale i censori dichiarati d' Omero misurano e
calcolano troppo, e sentono troppo poco; i partegiani fanatici cre-
i . La disputa . . . Despreaux : la « querelle des anciens et des modernes » si
fa miziare con il poema sul Siecle de Louis le Grand, letto airAccademia il
2,6 gennaio 1687, del Perrault e i Paralleles des anciens et des modernes, pub-
blicati fra il 1688 e il 1697, dello stesso; a cui il Boileau rispose nel 1694 con
le prime nove Reflexions sur Longin, in cui, senza entrare nella questione
generale, difendeva Omero e Pindaro. 2. Antoine Houdar de La Motte
(1672-1731) scrisse delle Reflexions sur la critique (1716), dove difendeva
il suo famoso nfacimento dzll'Ihade (1713), al quale allude piu avanti il
Cesarotti. Nel suo giudizio questi riecheggia probabilmente il Voltaire,
Du siecle de Louis XIV, in Oeuvres, xn, Paris, Hachette, 1904, p. 418.
3. Dissertazione . . . Iliade: la Dissertation critique sur l\Iliade » d'Homere di
Jean Terrasson (1670-1750), pubblicata nel 1715, e tipico esempio di cri
tica razionalistica. 4. Cfr. Du siecle de Louis XIV, in Oeuvres, xn, ed.
cit., p. 103.
82 MELCHIORRE CESAROTTI
dono di sentire piu di quel che sentono, e mostrano d'intender
meno. Quelli prendono sempre Omero per poeta moderno o
franzese, essi fanno il processo ad un americano sopra le leggi
europee; questi si abusano troppo spesso della scusa del secolo:
le leggi della ragione sono di tutti i secoli e di tutti paesi: chi le
ha trasgredite, potra forse meritar scusa; ma chi merita scusa, e
molto vicino alia colpa.
Uno de' migliori libri che esistano sopra queste materie, sono
le Riflessioni dell'ab. Du Bos sopra lapoesia e lapittura.1 Esse sono
ugualmente fine, delicate e giudiziose; vi si scorge Puomo che
sente e che pensa. Nissuno meglio di lui conobbe quali siano le
qualita che costituiscono essenzialmente un poeta e gli assicurano
I'immortalita, ne su qual base debba appoggiarsi il ragionamcnto
intorno le cose poetiche; egli os6 appellarsi al giudizio di quel
popolo istruito dalla natura, e dar 1'esclusiva al tribunale incompe-
tente de' freddi speculatori, i quali mancando di sentimento, ch'e
Panima ugualmente del genio e del gusto, non possono che dar
giudizi simili a quello di quel cieco filosofo, il quale decise che il
color rosso e simile al suon della tromba. Pure sembra qualche
volta che egli per correggere un eccesso cada in un altro, e che,
compensando negli scrittori troppo facilmente i difetti colle virtu,
possa dar ansa a molti cervelli gagliardi di abbandonarsi all'istinto
e alia fantasia. I poeti non debbono veramente esser ritenuti per
un filo come i piccioli augelli ; si lascino pure spaziare Hberamente
per Tana come i falconi, purche al primo cenno del padrone tor-
nino al pugno.
Esenti da questo difetto, piu metodiche ed ugualmente cccellenti
sono le Riflessioni sopra la poetica del sig. Fontenelle.2 Si sentc per
esse lo spirito filosofico, che bisogna guardarsi di confonder, come
molti fanno, col geometrico: sicch£ non pu6 sembrar che assai
strano ed ingiusto il giudizio del sig. C16ment,3 il quale chiama
la sua poetica senza gusto di poesia. Naturalmente il desiderio
i . Riflessioni . . . pittura : le Reflexions critiques sur la pofaie et la peinture,
piti volte ricordate dal Cesarotti nel Ragionamento precedente. z, Rifles
sioni . . . Fontenelle: le Reflexions sur la poe'tique, anch'esse citate dal Cesa
rotti nel Ragionamento precedente; ma e probabile che qui egli abbia pre-
sente anche il trattato Sur la podsie en general, su cui cfr. la nota a p. 55.
3. giudizio . . . Clement: 1'Ortolani ritiene che il Cesarotti alluda a Pierre
Clement (1707-1767), che pubblic6 dal 1749 al 1754 Les cinq ann&es litte-
raires ou Lettres sur les ouvrages de litterature.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 83
di tratteggiare1 non Iasci6 ben riflettere questo scrittor spiritoso
a quel die dicesse: questo non n'e il solo esempio.
II Saggio sopra il poema epico del sig. di Voltaire2 e degno
dello scrittor dell'Enriade: la sensatezza de' suoi principii e Fim-
parzialita e finezza de' suoi giudizi sono atte a formar un poeta di
tutte le nazioni come lo e egli medesimo, quando per6 si trovi
un genio poetico simile al suo.
II Corso di belle lettere dell'ab. Batheux3 h utilissimo per for
mar il gusto de' giovani, e il suo discorso preliminare pu6 illuminare
i provetti. Ma neH'applicazione de' suoi principii, particolarmente
sopra la tragedia e il poema epico, egli si mostra alquanto prevenuto
per le opinioni comuni.
Molti principii di gusto, molti lumi filosofici, molti giudizi fini
e sensati si trovano sparsi nella Teoria de' sentimenti aggradevoli
del sig. Farmers,4 nei Ragionamenti e nelle Prefazioni dell'ab.
Conti,5 nello « Spettatore » dell'Addisson,6 nel Saggio di critica e
ne' Discorsi sopra Omero del Pope,7 nel ragionamento del cavalier
Temple Sopra lapoesia* nel libro del sig. Elvezio9 e nella disserta-
zione del sig. Hume Sopra la regola del gusto™ la quale e come
il filo d'Arianna, che dirige perfettamente in questo complesso
i. tratteggiare: pronunciare tratti, motti di spirito. 2. Saggio . . . Voltaire:
VEssai sur lapo&ie epique, pubblicato per la prima volta in inglese nel 1726,
e poi in francese nel 1733, e uno dei testi fondamentali del pensiero estetico
deirilluminismo. 3. Corso . . . Batheux: il Cours de belles lettres di Char
les Batteux (1713-1780), piu noto per il trattato Les beaux arts reduits a un
memepnncipe (1746), ispirato a criteri fortemente intellettualistici. 4. Teo
ria . . .Pamiers: come nota I'Ortolani, la Theorie des sentiments agreables non
appartiene al Pamiers, ma a Louis Jean LeVesque de Pouilly (1691-1750),
che la pubblic6 nel 1747 : e un trattato di orientamento empiristico. 5. Ra
gionamenti . . . Conti: allude ai trattati di estetica pubblicati, o riassunti
dal Toaldo, nelle Prose epoesie citate; e alle Prefazioni, pure citate, alle sue
quattro tragedie. 6. nello « Spettatore » dell'Addisson: TAddison pubblic6
nello « Spectator)) vari saggi di estetica: nel n. 62 (1711) il saggio sul «wit »;
nel n. 160 (1711), sul «genius»; nel n. 409 (1712), sul « taste »; nei nn. 411-
21, sui ((pleasures of imagination ». 7. Saggio . . . Pope: allude all' Essay on
Criticism (1711), diffusissima volgarizzazione dell'estetica empiristica (in
Italia fu tradotto dal Gozzi nel 1758), e ai tre discorsi rispettivamente in
elogio di Omero, sulla sua vita e sui combattimenti dell'Iliade, premessi
alia traduzione in inglese dell'Iliade (1715-1720). 8. ragionamento . . .
poesia: il saggio Of Poetry di William Temple (1628-1699), anch'esso
ispirato all'estetica empiristica. 9. libro . . . Elvezio: allude al trattato De
I' esprit (1758) - senza citarne il titolo, forse perche", come pensa I'Ortolani,
il libro era stato condannato -, in cui si trattano anche questioni estetiche
con metodo prevalentemente sensistico. 10. Sopra. . . gusto: il saggio,
piu volte ricordato, Of the Standard of Taste.
84 MELCHIORRE CESAROTTI
ed awiluppato labirinto, da cui a prima vista sembra impossible
trovar Tuscita.
Per mezzo di questi celebri scrittori Farte poetica sembra ormai
giunta al piu alto grado di perfezione. Contuttoci6 parmi ancora
che manchi, particolarmente all' Italia, un'opera piu ampia, piu
metodica, piu universale; in cui, prescindendo intieramente da
qualunque esempio, autorita o stabilimento, si cerchino nello spi-
rito e nel cuore umano le prime tracce della poesia, ed accompa-
gnandole passo passo colla scorta della ragione, senza mai perderla
d'occhio, si facciano scorrer le regole necessariamente dal loro
primo fonte, distinguendo quelle che sono essenziali e di natura,
da quelle che non sono che di riflesso e di congruenza; ed espo-
nendole con quel metodo con cui si sono scoperte, senza imporre
e preoccupar 1'animo con definizioni, le quali senza premetter1
le osservazioni non possono ne formarsi ne intendersi esattamente ;
in cui s'insegni a distinguere e ad appreziare secondo il lor giusto
valore le bellezze universali e di natura dalle locali e particolari;
in cui finalmente, escludendo tutte le ridicole prevenzioni per an-
tichi, moderni, nazionali e stranieri, si esamini la religionc, le
leggi e i costumi di tutti i popoli cogniti e la influenza che dcbbono
aver necessariamente sopra la poesia, i pregiudizi cd i vantaggi
che ne risultano, e Tuso ragionevole che potrebbe farsene, c su
quesfuso dei rispettivi costumi, non sopra i costumi medesimi,
si fondi una ragionevole ccnsura de' principali poeti, che diriga il
genio e fissi il gusto per modo che in mezzo al conflitto di tante
varie opinioni e costumi, c nella immensa distanza di paesi e di
secoli, la perfetta poesia sia universalmente ed ugualmente rico-
nosciuta e gustata, e quel ch'ella ha di straniero serva non a ributtar
chi la legge, ma a condirla di novita, e a renderla piu istruttiva e
piu dilettevole. Con un tal metodo si spargerebbe sopra le vere
regole un lume che non lascerebbe luogo al dubbio o aH'ambiguitk;
d'un'arte incerta, appoggiata su principii vaghi e precari, se ne
farebbe una scienza suscettibile di dimostrazione ; si fuggirebbero
ugualmente gli eccessi, e di quei che dispregiano 1'arte indistinta-
mente, e di quei che col compasso alia mano giudicano delle bel
lezze poetiche; di quelli che giustificano tutto coi costumi stra
nieri, e di quei che giudicano di tutto secondo i costumi della loro
i. premetter: cosl sembra di dover corrcggcrc «permetter», che si legge
neU'edizione 1762 e che e accolto anche dal Barbieri c daH'Ortolani.
L'ORIGINE E I PROGRESSI DELL'ARTE POETICA 85
nazione; si reciderebbero mille precetti arbitrari, si troncherebbero
mille vane contese, si toglierebbero le ridicole pretensioni esclu-
sive e le avversioni di gusto, si prevenirebbero mille ingiusti giu-
dizi, e si assicurerebbe ad ogni poeta quel giusto grado di gloria
di cui per la prevenzione sono generalmente defraudati in vita,
e di cui rari godono pienamente ancor dopo morte.
Con queste viste io mi sono abbozzato in mente il piano d'un'o-
pera, di cui per ora mi contenterc- di presentar al pubblico il solo
disegno. L'opera dovrebb'essere divisa in due libri, e il primo
libro in due parti. Nella prima si supporrebbe che non esista an-
cora ne la poesia ne Tarte poetica, e prenderebbesi a rintracciare
per quali strade un ragionatore illuminato di qualsivoglia nazione
avrebbe potuto accorgersi della possibilita d'una tal arte, e come
per quelle medesime 1'avrebbe perfezionata: ognuno si vedria na-
scere e crescere la poesia, per dir cosi, tra le mani, e potrebbe assi-
curarsi della verita dei principii col testimonio del proprio interno
sentimento : nella seconda, prescindendo da qualunque fatto istori-
co, si esaminerebbe colla pura ragione quali modificazioni debba
ricever la poesia da' diversi sistemi religiosi, politici e morali de'
vari popoli. II secondo libro conterrebbe un'istoria ragionata della
poesia di tutte le nazioni ed un'analisi imparziale delle opere de'
piu famosi poeti, la quale serviria di esempio e di prova di fatto
a quanto si fosse stabilito nel libro precedente sopra i soli ragiona-
menti. Una Storia filosofica della poesia era gia stata progettata
dall'ab. Antonio Conti, il quale nella Prefazione1 alle sue opere
ne apre un prospetto magnifico e corrispondente alia sua vasta let-
teratura ed al suo spirito sistematico. Capace di adeguare Tampiezza
della materia sarebbe pure tra' nostri la dotta penna delPeccellen-
tiss. sig. Sebastiano Molino,2 il quale in un discorso manoscritto
da lui composto molt'anni fa e ben degno della pubblica luce,
ragiona deU'origine della poesia con sublimita di principii, nobilta
di stile ed erudizione poco comune, cosicche farebbe desiderare
ch'egli potesse rivolgersi intieramente a siffatti studi, se la dignita
sua non lo richiamasse a piu giovevoli ed importanti soggetti.
Quanto a me, bench'io conosca assai bene che un tal progetto
richiederebbe ingegno e dottrina molto maggior della mia, pure
i. La Prefazione pubblicata dal Conti stesso in testa al I volume dell'edi-
zione citata delle sue Prose e poem. 2. Sebastiano Molino (1701-1768),
uomo politico veneziano.
86 MELCHIORRE CESAROTTI *
non e impossibile ch'io m'accinga, quando che sia, ad eseguirlo:
ne per6 mi rincrescera di vedermi prevenuto da qualche altro,
e mi compiacerc- abbastanza d'aver additata quella via ch'io credo
la migliore e la piu sicura d'ogn'altra.
DALLE ((POESIE DI OSSIAN
ANTICO POETA CELTICO»
DISCORSO PREMESSO ALLA SECONDA EDIZIONE
DI PADOVA DEL 1772
L'edizione, che ora si presenta al pubblico, dei poemi di Ossian
trasportati in verso italiano, oltre Tesser compiuta, contenendo
tutti i componimenti di questo poeta, che uscirono finora alia luce,
ha di piu molli notabili vantaggi sopra la precedente, anche ri-
spetto alia parte gia pubblicata nel 1763. Innanzi a tutto si ebbe
La prima conoscenza di Ossian da parte del Cesarotti risale agli ultimi
mesi del 1762, quando egli a Venezia ebbe la possibilita di leggere, aiu-
tato dall'amico Carlo Sackville, il Fingal, pubblicato Panno precedente
dal Macpherson. II suo entusiasmo fu tale che egli si accmse, sempre
con Paiuto del Sackville, a tradurre in versi italiam e quel poema e gli altn
che il Macpherson era venuto pubblicando nel frattempo. La traduzione,
miziata probabilmente tra la fine del 1762 e il principio del 1763, e uscita
nel dicembre del 1763 in due volumi, a Padova presso il Commo, compren-
deva tutti i poemi ossianici stampati dal Macpherson nel 1762 (tranne
Oitona e Berato), ed era corredata, oltre che dalle note esplicative del lette-
rato scozzese, anche da una sene di osservazioni di carattere morale ed este-
tico, aggiunte dal Cesarotti stesso alia fine di ogni canto o di ogni poemetto.
II favore con cui fu accolta tale edizione, e soprattutto il suo personale
appassionamento per Ossian, spmsero il Cesarotti a stampare una seconda
edizione nel 1772 (ancora presso il Comino di Padova) in quattro tomi,
i quah comprendevano, oltre le traduzioni rivedute e corrette dei poemetti
gia stampati nella prima, anche quelle di tutti gli altri scritti ossianici
pubblicati dal Macpherson dopo il 1762. In questa seconda edizione
vennero soppresse le osservazioni del traduttore, solo in piccola parte
riprese e rifuse in alcune note a pie di pagina; ma in compenso vi com-
parve un Discorso mtroduttivo, il Ragionamento preliminare intorno i
Caledom, la traduzione della Dissertazione cntica del Blair, un Indice dei no-
mi e delle cose principali contenute nelle poesie di Ossian e un Dizionano
di Ossian, ossia Raccolta delle parole ed espressioni piu singolari e notabili
che s'incontrano in queste poesie, colla dichiarazione dei modi piu oscuri.
Nella terza e definitiva edizione, pubblicata a Pisa nel 1801, pure in
quattro tomi (Opere, n-v), il Cesarotti, come dice VAvviso degli editori
(certo scritto o ispirato, al solito, dall'autore stesso), «si compiacque di
riveder nuovamente la sua traduzione da capo a fondo, collazionandola
col testo inglese, e insieme anche colla traduzione francese del Le Tour-
neur, revisione che produsse alcuni leggeri cangiamenti atti a fissare,
sviluppare e far gustar meglio il senso delPautor celtico. Quel ch'e piu,
ci6 gli diede occasione di spargere per tutto il corso dell'opera una folia
di piccole ma preziose annotazioni, nelle quali, confrontando le sue espres
sioni con quelle del testo, rende ragione delle piccole diversity che ci
corrono, come pure delle hbert£ ch'egli non ebbe scrupolo di prendersi,
ove gli parve d'esser autonzzato o dal buon senso o dal gusto ». Ma oltre
88 MELCHIORRE CESAROTTI
principal cura di rischiarare il testo delPautore, di spianarne le
difficolta e di aiutare ancor piu che per Pinnanzi Pintelligenza e la
memoria de' leggitori. E siccome Pimbarazzo di chi legge pu6 ri-
sultar e dall'oscurita dei fatti e dalla novita dello stile, s'e cercato di
provvedere ugualmente alPuno ed all'altro. A questo fine si e pre-
messo all'opera un ragionamento preliminare, che prepari gli spiriti
a questa lettura, presenti un compendio delle cose piu necessarie
a sapersi e prevenga quella sorpresa che suoi arrestare e confon-
dere; si e largheggiato nelle annotazioni, che tendono a fissar il
senso piu volte ambiguo delPoriginale e a ricordar le usanze de'
Caledoni, a cui fa allusione il poeta; finalmente si aggiunsero ncl
fine due indici copiosi ed esatti, Puno dei nomi e delle cose, Paltro
delle maniere e locuzioni piu singolari o notabili colle loro oppor-
che per questa revisione e per Paggiunta di qucste nuove note, la terza
edizione si distingue dalla scconda in quanto riprende quasi tutte le os-
servazioni della prima, in parte mserendole fra le note a pie di pagina,
m parte raggruppandole alia fine di ogm tomo. Inoltre VIndice dei nomi
e delle cose viene ora sostituito da un Indice poetico « non gia disposto per
alfabeto, ma classificato e distribuito secondo 1'ordme c le division! del-
1'artew, in cui sono «accennati coll'mdicazion delle pagme i luoghi pid
distinti, nei quali risplende Peccellcnza di Ossian in ciascheduno dei vari
pregi poetici»; mentre il Dizionano e ampliato con Taggiunta di altre
frasi ed espressioni caratteristiche, tra le quali sono « anche cornprese e
contrassegnate molte locuzioni del traduttore ». Invece la traduzione della
Dusertazione del Blair e qui sostituita da un Compendio della stessa fatto
dal Cesarotti, e da lui corredato di nuove note. Su questa terza e dcfimtiva
sono condottc tutte le numerose edizioni successive complete c parziali
(un elenco in K. WEITNAUER, Ossian m der ttahenischen Literatur, in « Zeit-
schrift fur vergleichende Literaturgeschichte », Neue Folge, xvi, Berlin
1906). Le miglion scelte commentate sono: Poesie di Ossian, a cura di
G. Balsamo Cnvelh, Torino, Paravia, 1924, che pero riproduce solo in
parte le note del Cesarotti; e quella comprcsa nelle Opere scelte, a cura
di G. Ortolani, citate, che riporta invece tutte queste note, aggiungendo
anche le vananti pnncipali tratte dalle due edizioni precedent!, Nella
nostra scelta, neccssanamcntc hmitata, si sono riportati, oltre I'lmportante
Discorso mtroduttivo, Fmgal, il primo poema tradotto c quello corredato
dalle note piu abbondanti ed intcressanti, e, tra i pocmctti mmori, Cartons,
I canti di Selma e La notte, non tanto pcrch6 sumo in senso assoluto i
migliori, quanto perche" sono sembrati i piti adatti a mostrare nei suoi vari
aspetti ed anche nei suoi limit! il gusto del Cesarotti traduttore, e anche
perch6 sono tra i piti ricchi di quclle immagini e di quei moduli stilistici,
di cui si varranno i poeti successivi c particolarmcnte il Foscolo e il Leo-
pardi. II nostro testo riproduce quello dell'edizione pisana del 1801, ma
tiene presenti le due edizioni antcriori, non solo per correggere gli eventuali
errori della terza, ma anche per trarne le vananti nspetto a questa, va-
rianti che ci e sembrato opportune riprodurre mtegralmente (indicando
quellc della pnma edizione con la sigla I e quella della scconda con la
POESIE DI OSSIAN 89
tune dichiarazioni.1 Molti di quest! modi di dire non sono vera-
mente di Ossian; tutti per6, s'io non m'inganno, sono lavorati sul
medesimo tornio e corrispondono alia forma di concepire e di espri-
mersi ch'e naturale a questo poeta. lo so bene che alcune di queste
locuzioni non sarebbero sofferte in una poesia che fosse origina-
riamente italiana, ma oso altresi lusingarmi che abbia a trovarsene
piii d'una, che possa forse aggiungere qualche tinta non infelice al
colorito della nostra favella poetica, e qualche nuovo atteggiamento
al suo stile. Questo e il capo per cui specialmente puo rendersi
utile una traduzione di questo genere, e questo e Toggetto ch'io mi
sono principalmente proposto. lo osai dire a me stesso con Orazio:
. . . Ego cur, acquirere pauca
si possum, invideor?2
I poemi gia pubblicati furono da me riveduti, ritoccati e corretti
in piu d'un luogo ; avendo io profittato assai volentieri degli awisi
delle persone d'intelligenza e di gusto in queste materie. E qui,
poiche mi cade in acconcio, e ben dritto ch'io renda onorata testi-
monianza a quelli che furono distintamente benemeriti di questa
fatica. S'io potei far qualche piacere agli amatori della poesia, pre-
sentando loro le opere di Ossian tradotte nella nostra lingua, pro-
testo dinanzi al pubblico, con una dolce compiacenza, di doverlo
principalmente al signor Carlo Sakville,3 gentiluomo inglese, a cui
da molto tempo sono stretto coi vincoli della piu cara amicizia.
Questo giovine signore, intendentissimo della lingua italiana e di
ottimo gusto nella poesia come in tutte le buone arti, abitando
allora in Venezia, non solo mi diede le prime notizie di questo
sigla n), dato Finteresse che esse rivestono per chi voglia seguire Pelabo-
razione stihstica di opere cosl important! appunto nella storia dello stile
preromantico e romantico italiano. Sono poi nportate, naturalmente, le
note a pie di pagina del Cesarotti e quelle del Macpherson da lui tradotte,
e che verranno indicate rispettivamente con le sigle C ed M. Per mag-
gior chiarezza le abbiamo fatte precedere, in corsivo, dalle parole cui si
riferiscono. Nelle citazioni in nota dtWIliade il Cesarotti rinvia alia propria
traduzione in versi, intitolata Morte di Ettore (i?95); fra parentesi quadre
diarno i numen dei versi del testo greco. II Discorso premesso alia seconda
edizione di Padova del 1772 e tratto dalle Opere, II, pp. 1-19; nella edizione
del 1772 il titolo era // traduttore italiano a chi legge.
i. A questo fine . . . dichiarasioni: cfr. il cappello che precede. 2. Cfr. Ars
poet., 55-6 («Se io posso acquistare [alia lingua latina] qualche nuova
espressione, perch6 impedirmelo ? »). 3. Carlo Sakville: o Sackville, nato
a Venezia di padre inglese.
QO MELCHIORRE CESAROTTI
straordinario poeta e me ne fece gustar qualche saggio, ma m'ina-
nim6 gagliardamente a intraprender questa fatica ; tuttoch6 allora
10 non fossi atto ad eseguirla da me, avendo appena qualche tintura
della lingua inglese. Scortato dalla sua perpetua assistenza per Pin-
telligenza letterale del testo, giunsi a metter in verso la prima parte
di queste poesie; e mi resi poi atto a compier da me solo ii restante
delPopera, quando comparvero gli altri componimenti di Ossian.
La parte gia data al pubblico, e molti poemi della seconda, furono
ultimamente riveduti da capo a fondo e confrontati col testo inglese
dal signor Domenico Trant, gentiluomo d'Irlanda, fregiato ugual-
mente della soda e della polita letteratura e di candidissimi costumi ;
11 quale, a riserva d'alcuni pochi luoghi, onoro la mia opera della sua
lusinghiera ed autorevole approvazione. Nella stessa guisa avrei
fatto uso assai di buon grado dei consigli di tutte le persone illu
minate, se gli uomini fossero tanto pronti ad ammonire cortese-
mente, quanto lo sono a vilipendere e a mordere.
Ad ogni modo per6 mi sarcbbe stato impossibilc di soddisfare al
desiderio di tutti i lettori. Alcuni brameranno forsc un'esattezza
piu scrupolosa; altri per avventura avrebbero voluto ch'io mi fossi
scordato affatto che Ossian fosse caledonio, e che lo avessi sfigurato
per farlo italiano : ciascheduno legge una traduzione con uno spirito
differente, e in questo genere, come negli altri, il pregiudizio tiene
spesso il luogo della ragione. Quanto a me, ho scguito costante-
mente lo stesso metodo di tradurre, cioe d'esser piu fedele allo
spirito che alia lettera del mio originale, e di studiarmi di tener un
personaggio di mezzo fra il traduttore e Pautore. Scorgo con molta
compiacenza che tutte le mie idee precedenti intorno Parte del
tradurre si accordano perfettamente colle dottrine che ne (1& il si
gnor d'Alembert nelle sue osservazioni sopra quest'arte, premesse
alia sua traduzione d'alcuni squarci di Tacito.1 II giudizio e Pcsem-
pio di questo grand'uomo compensa largamente i buoni traduttori
dell'ingiustizia che loro vien fatta dal volgo letterario; il quaie suol
mettergli sempre al di sotto, non dir6 dei geni original!, che ci6
e ben giusto, ma anche degli scrittori mediocri, i quali si crcdono
originali, perch6 il loro nome campcggia solo ncl frontispizio d'un
i. dottrine . . . Tacito: cfr. d'Alcmbert, Observations sur Vart dc tradtiire,
in Melanges de litterature, d'histoire et de philosophie> in, Amsterdam
1756, pp. 3-32. Queste osservazioni costituirono, ncl Settcccnto, un punto
di partenza obbhgato per ogni discussione sul problema, allora vivissimo,
del tradurre.
POESIE DI OSSIAN 91
libro, in cui bene spesso non hanno quasi altro di proprio che la
freddezza. Le osservazioni del signor d'Alembert meriterebbero
d'esser trascritte da capo a fondo : i traduttori ed i critici possono
trovare ugualmente da profittarci. Permettano questi ch'io ne al-
leghi qui un solo squarcio, contenente alcuni riflessi, di cui alcuni
di loro mostrano piu d'una volta d'aver bisogno. « Fra tutte le in-
giustizie delle quali i traduttori sono in dritto di reclamare, la
principale si e la maniera che sogliono tenere i critici per censurarli.
Non parlo delle censure vaghe, puerili, infedeli, che non meritano
veruna attenzione : parlo d'una censura appoggiata alle sue ragioni,
ed anche giusta in apparenza, e sostengo che questa medesima in
materia di traduzioni non basta. Si pu6 dar giudizio d'un' opera
libera, ristringendosi ad esporre in una critica ragionata i difetti
che vi si trovano, perche 1'autore era padrone del suo piano, di
ci6 che dovea dire e della maniera di dirlo : ma il traduttore si trova
in uno stato sforzato, rapporto a tutti questi punti, ed e costretto
a marciare per un sentiero stretto e sdrucciolevole che non e di
sua scelta, e a gittarsi talvolta da un lato per iscansare il precipizio.
Perci6 volendo censurarlo con giustizia, non basta mostrare che
egli e caduto in qualche errore, convien inoltre convincerlo ch'egli
poteva far meglio o ugualmente bene, senza cadervi. In vano gli si
rimprovera che la sua traduzione manca d'una esattezza rigorosa,
se non gli si mostra ch'egli potea conservarla senza perder nulla
dal canto della grazia: invano si pretende ch'egli non abbia spie-
gata tutta 1'idea dell'autore, se non gli si prova ch'ei potea farlo
senza render la copia debole e languida: invano si taccia la sua tra
duzione di soverchia arditezza, se alle sue maniere non se ne so-
stituiscono alcune altre piu naturali ed ugualmente energiche. Non
bisogna dunque stupirsi se in questo genere di scrivere, come
in tutti gli altri, le buone critiche sono ancora piu rare delle buone
opere. »J Se mai traduttore merit6 questa equita o, se cosi vuol
chiamarsi, condiscendenza da' suoi lettori, par certo che debba
meritarla chi si mette a lottare con un originale della tempra di
Ossian. Mi sarebbe stato assai grato di poter presentare ai lettori,
a fronte della traduzione poetica, il testo istesso di Ossian tradotto
letteralmente in prosa italiana: si conoscerebbe allora chiaramente
con qual atleta io fossi alle prese. Qualche luogo citato qua e la in
quest'opera potra dar qualche piccolo saggio del suo stile. Le sue
i. Cfr. d'Alembert, Observations ecc., m, ed. cit., pp. 30-2.
92 MELCHIORRE CESAROTTI
virtu e i suoi difetti sono ugualmente intrattabili, ed egli resiste
per ogni lato alia forza e alia desterita di chi vi si accosta. lo non
avea per istrumento della mia fatica che una lingua felice a dir vero,
armoniosa, pieghevole forse piu di quaiunque altra, ma assai Ion-
tana (dica pur altri checche si voglia) dall'aver ricevuto tutta la
fecondita e tutte le attitudini di cui e capace, e per colpa de' suoi
adoratori eccessivamente pusillanime. Aggiungesi anche la natura
del metro, che quantunque sembrasse il piu acconcio, pure non si
accordava molto collo stile del mio originale.1 Del resto, se mi si
mostra che ho sbagliato il senso dell'autore, ch'io 1'ho sfigurato o
gli ho fatto perdere qualche parte di bellezza o di forza, io accettcr6
queste censure per buone e valide, e soffrirb volentieri d'esserne
corretto o ripreso. Ma se mi si vuol dar carico di aver procurato
in vari luoghi di rischiarar il mio originale, di rammorbidirlo e di
rettificarlo, e talora anche di abbellirlo e di gareggiar con csso,
confesso ch'io sar6 piu facilmente tentato di pregiarmi di questa
colpa che di pentirmene. Ragionando un giorno un mio dotto e
colto amico con varie persone di lettere, ed essendosi detto da non
so chi che P Omero inglese di Pope2 non era Omero : — No invero, —
diss'egli — perch'egli e qualche cosa di meglio. — Felice il tradut-
tore che pu6 meritar una tal censura!
Rechera forse meraviglia ad alcuno di non vedere in questa edi-
zione le osservazioni che si trovano nella preccdente al fine di ca-
daun poema e tendono a sviluppare il merito poetico di Ossian,
Ma oltre che io non avrei potuto continuar sullo stesso piano senza
accrescer soverchiamente la mole delFopera, altre ragioni m'in-
dussero ad abbandonarlo. Io avea dapprima creduto necessario
il far ci6, per metter in cammino i lettori affatto nuovi nella storia
e nell'idee particolari di questo poeta; per awezzarli ad entrar nello
spirito di Ossian, e a sentir meglio certe bellezze, che la novita
e rapidita dello stile non avrebbe da principio lasciato ravvisarc
si agevolmente. Ora che queste poesie, e con loro le mic osserva
zioni medesime, sono gik sparse per le mani di tutti i letterati d' Ita
lia, rinunzio assai volentieri al personaggio talora utile c piii spesso
i. Vedasi osserv[azione] i al poema drammatico di Comala (C.). Cfr. Opere,
III, p. 341. Nell'edizione 1772 due passi di questa osservazione erano in-
seriti nel testo, appunto in questo luogo. 2. Omero . . . Pope: allude alia
traduzione, in heroic couplets, ddl'Ihade, fatta dal Pope tra il 1715 e il
1720, e seguita da quella ddl'Odissea, compiuta tra il 1725 e il 1726.
POESIE DI OSSIAN 93
noioso di comentatore, e pago di aver procurato di far intendere il
mio poeta, Iascer6 agli altri la cura di esaminarlo. Ma cio che sopra
tutto fece ch'io credessi superflue le mie osservazioni, fu la disser-
tazione del signer Blair, professore di belle lettere in Edimburgo,
la quale si trovera nel 4° volume di questa edizione.1 Ella usci alia
luce 1'anno dopo che fu pubblicata in inglese la prima parte delle
poesie di Ossian, che si credeva che avesse ad esser la sola; e non
giunse a mia conoscenza se non poscia che la mia traduzione era
gia uscita da' torchi. Questo dotto critico mostra assai bene sotto
qual punto di vista debbano riguardarsi i poemi di Ossian; ed
esamina partitamente cadauno di essi, rilevando il loro merito
particolare con molta accuratezza e dottrina. Egli fa inoltre un
parallelo nelle forme fra Omero ed Ossian, cosa ch'io pure aveva
fatta talora occasionalmente in alcune delle mie osservazioni. Esa-
minando con attenzione i sentiment! dell'erudito scozzese, si tro
vera che in questo confronto i suoi giudizi s'accordano assai spesso
co' miei, tuttoche egli si spieghi in un modo piu circospetto e meno
sensibile. Molti diranno ch'io pure avrei dovuto farmi una legge
della medesima ritenutezza: ma, quanto a me, confesso d'aver
creduto che quanto si dona alia circospezione, tanto si tolga alia
schietta verita dovuta alia buona critica, e che il non osare mostrarsi
pienamente libero in materia di lettere, sia una specie troppo me-
schina di servitu.
M'e no to che le mie osservazioni non andarono molto a grado di
quella classe d'uomini che vorrebbe stabilire un'idolatria lette-
raria, e ch'essi affettarono di crederle prodotte da quelle disposi-
zioni di spirito da cui mi glorio d'essere maggiormente lontano.
Siccome non v'e nulla di piu comune quanto Talterar i colori delle
cose, e attribuir a quelli che dissentono da noi quelle opinioni che
possono metterli in odiosita presso il maggior numero; cosi credo
i. Nella nostra si troveranno le osservazioni; e per ovviare allo sconcerto
di veder ripetute le stesse cose, 1'autore ha compendiato la dissertazione
del Blair, come si e detto nel nostro awiso (Nota degli editon di Pisa).
Hugh Blair (1718-1780), critico inglese di formazione tra empiristica e
classicistica, fu tra i primi banditori di Ossian in Europa con la disserta
zione ncordata dal Cesarotti (A critical Dissertation on the Poems of Ossian,
1763), nella quale paragonava, e per vari aspetti anteponeva, il poeta celtico
ad Omero. Un regresso verso il classicismo rappresentano invece le sue
diffusissime Lectures on Rhetoric and Belles Lettres (1782), compendiate
in Italia dal Soave e dal Galeani Napione.
94 MELCHIORRE CESAROTTI
necessario di spiegar con precisione e candorc i miei sentiment! a
quelli da cui solo pu6 esser prezzo dclPopera il farsi intendere.
Quest! non sono ne i malevoli che non si disarmano a vcrun patto,
ne" quei pesanti eruditi a cui una stupida ammirazionc tien luogo di
gusto, e 1'autorita di ragione: sono i giovani chiamati dalla natura
allo studio delle lettere, ma che non hanno ancor formalo abba-
stanza il loro giudizio; sono i ragionatori che fondarono le loro
opinioni, qualunque sieno, non sulla prevenzione, ma su i principii;
sono finalmente anche certe persone assennate, moderate c candide,
ma che non sembrano conoscere abbastanza in che diiferiscano tra
loro una liberta nobile e una condannabile temerita. A tutti questi
io dichiaro ch'io non ho mai preteso di levare ad Omero la giusta
riputazione che gli e dovuta, come a «primo pittor delle mcmorie
anticho);1 come ad inventor fra noi e padre della poesia cpica;
come finalmente a quello il di cui genio diversamente modificato
inspire- poscia tutti quelli che si distinsero in questa gloriosa car-
riera: ch'io non ho mai negato ch'egli non sia un poeta grandc cd
ammirabile per molti capi; ch'egli non abbia regolaritk di condotta,
ricchezza d'espressione, varieta di carattcri, armonia imitativa di
numero, pieghevolezza di stile, grandissima naturalezza animata
spesso da molta sublimita: ma ho negato ci6 non per tanto, e nego
tuttora, ch'egli perci6 debba risguardarsi come il « pontefice » della
poesia; ch'egli solo abbia il privilcgio dell'infallibilita, e debba
essere adorato piuttosto che giudicato; che le sue virtu siano in-
commensurabilmente superiori a quelle degli altri; ch'egli debba
in ogni sua parte considcrarsi come modcllo ; che o non si trovino
difetti nelle di lui opere, o questi non sieno che picciole macchie
che si ecclissano nella sua luce; che finalmente egli sia tanto mcra-
viglioso e perfetto, quanto avrebbe potuto esserlo in mezzo alle sue
circostanze. Dall'altro canto io conosco tutto ci6 che pu6 ragione-
volmente opporsi al mio originale; conosco che mancano ad Os-
sian quasi tutti quej pregi che nascono dai raffinamcnti convenzio-
nali delParte e dalla perfezione della societa; ch'egli ha spesso del-
Puniforme, del cupo, del faticante, delPinesatto e talora anche dello
strano e delPimprobabile : ma sostengo che i suoi difetti sono assai
piu scarsi di quel che poteva aspettarsi dalla sua eta, e che sono su-
perati di gran lunga da molte sue proprie, singolari e sorprendenti
i. 6 un verso del Petrarca, Trionfo della Fama, in, 15; ma gli editori
moderni leggono « pintor » in luogo di pittor.
POESIE DI OSSIAN 95
virtu; ch'egli ha non solo tutte quelle che poteva dare il suo secolo,
spinto ad un grado eminente, ma che egli, solo fra gli antichi, ne
possede inoltre alcune altre che potrebbero far onore ai poeti del
secoli piu raffinati. Dati i costumi, le opinioni, le circostanze dei tempi:
trarne il miglior uso possibile per dilettare, istruire e muovere con un
linguaggio armonico e pittoresco : ecco il problema che un poeta si
accinge a sciogliere colla sua opera, ed io osai credere, forse a torto
ma non gia temerar lament e, che Ossian per piu d'un capo Tabbia
sciolto piu felicemente d'Omero. Del resto, non bisogna mai sba-
gliare il punto di vista sotto cui dee riguardarsi un poeta, ne col-
locarlo in una classe non sua. Non dee ricercarsi da Ossian la ele
gante aggiustatezza di Virgilio, ne la nobile e conveniente eleva-
tezza del Tasso, ne le viste filosofiche e lo stile pensato e brillante
che distingue Tautor dell'Enriade.1 Ossian e il genio della natura
selvaggla: i suoi poemi somigliano ai boschi sacri degli antichi suoi
Celti : spirano orrore, ma vi si sente ad ogni passo la Divinita che vi
abita.
Alcuni per6 avrebbero voluto ch'io dichiarassi le mie opmioni in
un modo men vivo, astenendomi da qualche tratto che non poteva
riuscire a tutti ugualmente piacevole. A ci6 rispondo ch'e proprio
della prevenzione che detta leggi e da sentenze arbitrarie con aria
di despotismo, di generare negli uomini liberi un misto d'indigna-
zione e di nausea, che alle volte traspira nei loro scritti, anche suo
malgrado; e che qualora essi combattendo il fanatismo si restrin-
gono a qualche scherzo ingenuo, che ferisce le opinioni, non le
persone, meritano piuttosto lode di moderazione, che taccia d'acer-
bita. Si pensi con qual dileggio puerile e insultante il satirico fran-
cese schernisca e vilipenda Perault, autore del Parallelo fra gli
antichi e i moderni, perche os6 credere che la prima strofa di Pin-
daro possa esser un pomposo guazzabuglio d'immagini:2 con che
tuono da invasato il Gravina, critico per altro fra i nostri di prima
sfera, faccia 1'apoteosi d'Omero, e con quali dottrine tratte dagli
esempi omerici prenda a screditare il nostro Tasso,3 poeta per cui
possiamo francamente gareggiar colFantichita: con qual dispettosa
i. Vautor dell'Enriade: Voltaire. 2. il satirico francese . . . d'immagini: al
lude alia polemica fra il Boileau e il Perrault, gia ricordata nel Ragiona-
mento sopra Vorigine e i progressi deWarte poetica, qui a p. 81, e cfr., ivi,
la nota i. 3. tl Gravina . . . Tasso: nella Ragion poetica, lib. n, cap. xvm,
in Opere scelte, Milano 1819, pp. 178-80.
96 MELCHIORRE CESAROTTI
amarezza mad. Dacier si spieghi, non dir6 intorno il signer dc La
Mothe, ma intorno il Pope medesimo, scrittore ugualmcnte bene-
merito d'Omero, pel doppio titolo di traduttore e di critico:1
si consider! con qual sordida parsimonia i critici di profcssione
parlino quasi a forza e di fuga del merito dei moderni, mentre
hanno sempre Tincensiere alia mano per profumarne gli antichi : e
quanto piu spesso e con qual accanimento abbiano fatto la guerra
ai piu celebri poeti d'ltalia e di Francia, per alcuni difetti scusabili,
e spesso anche immaginari; chiudendo gli occhi alle tante luminose
virtu che brillano nelle loro opere: si pensi, dico, a tutto ci6, e poi
mi condanni chi vuole, sc talora ho cercato di far sorridere il buon
senso a spese della pedanteria.
Nam quis iniquae
tarn patiens critices, tamferreus, ut teneat sc?2
lo per6 non avea mestiere di ricorrerc col pensicro ad esempi
antichi o stranieri dello stile che suol tenersi dalla maggior parte
degli entusiasti d'Omero, avendo dinanzi agli occhi un cscmpio
singolare d'invasamento in questo genere, nella persona d'un mio
concittadino allora vivente ;3 uomo bensl dotto e pregcvole per moltc
sue qualita, ma che certo era il piu trasportato e feroce omerico che
mai fosse al mondo. Egli avrebbe assai volentieri fondato un online
di cavalleria militare a gloria di Omero, e sarebbc ito in capo al
mondo per battersi in campo chiuso con chiunque non giurava
che la sua Dulcinea letteraria4 era il modello archetipo della per-
fezione. II termine di Dulcinea spiega appunto adeguatamente le
sue strane immaginazioni intorno a questo poeta. Imperciocch6
TOmero ch'egli adorava non era quello che tutti leggono; egli era
un altro concepito nel suo capo, a cui egli attribuiva certe sue
strane e particolari bellezze, che non solo non furono mai in Omero,
ma non vi furono neppure mai ravvisate da veruno do* piiji felici
sognatori d'alcuna eta. Un saggio delle sue bizzarre teorie pu6 ve-
dersi nella prefazione da lui premessa alia sua traduxione del pocma
i. mad. Dacier . . . critico: allude alle Causes de la corruption du gout> su
cui cfr. la nota a p. 71. 2. Giovenale, Sat., I, 30-1 («Chi potrebbe
essere tanto paziente, tanto ferreo di fronte alia critica ingiusta, da domi-
narsi? »). 3. concittadino . . . vivente: allude al gentiluomo padovano Paolo
Brazzolo, che il Cesarotti conobbe in gioventd, c per mvito del qualc
tradusse il Prometeo di Eschilo 4. La Dulcinea letteraria del Brazzolo e
evidentemente la poesia omerica.
POESIE DI OSSIAN 97
d'Esiodo,1 intitolato VOpere e i giorni: ed e poi noto a chiunque
ebbe occasione di conoscerlo, con qual ingenua schiettezza e con
che aurea semplicita di stile egli usasse parlare dei piii celebri poeti
di tutte le nazioni, cominciando da Virgilio, e di tutti i loro estima-
tori, fregiando tratto tratto gli uni e gli altri del nome di quel mo-
desto quadrupede3 a cui Omero s'avvis6 di paragonar il suo Aiace.
Ad onta di ci6, la sua profonda cognizione della lingua greca, la
sua facondia entusiastica, il suo gergo peripatetico-platonico ac-
creditavano in qualche modo le sue medesime stravaganze, impo-
nevano agl'inesperti che non possono giudicar da se; e valevano
a dar animo ad altri che, indifferent! al vero ed al falso, fanno servir
le opinioni letterarie e 1'altrui autorita a sfogo della propria male-
volenza. Infastidito dalla lettura di vari scoliasti e dottori dell'arte
poetica e pieno gli orecchi da lungo tempo delle prefate declama-
zioni, credetti che Ossian allora uscito mi desse opportuna occa
sione, non gia di ricreder questo uomo, ch'era impossibile, ma di
convincer i giovani e i men prevenuti, con questo esempio, che
Omero non era ne 1'unico ne il perfetto neppur nel suo genere, e
ch'egli per piu d'un capo aveva pagato un tributo non indifferente
airumanita. Imperciocche mostrando 1'esempio d'un poeta il quale
posto in circostanze somiglianti da un lato a quelle d' Omero, e da
vari altri assai piu svantaggiose e infelici, seppe contuttoci6 scan-
sare alcuni difetti important! del poeta greco e distinguersi per al-
cune virtu non molto familiari al primo; ne risultava di conse-
guenza che Omero avrebbe potuto essere piu perfetto di quello
ch'egli e, e che il suo esempio non doveva in ogni punto passar per
legge. Questo e ci6 che mi ha determinato a far nelle mie osserva-
zioni il confronto tra Omero ed Ossian, e questo e lo spirito con cui
quelle furono scritte. Del resto, tuttoche io creda d'aver ragioni
valevoli per giustificare in gran parte le osservazioni suddette, io le
abbandono senza pena al giudizio degli uomini di lettere, che tutti
hanno dritto d'esser liberi al par di me. Pensi e parli ciascuno
d' Omero e di Ossian come gli piace, io non me ne offender6 punto,
ne mai la semplice differenza nelle opinioni letterarie fara ch'io
perda ai miei awersari la stima che pu6 esser loro dovuta. Si con-
futi uno scrittore, si opponga sentimento a sentimento, principii a
i. Stampato in Padova presso il Conzatti Tanno 1765 (Nota degli edi-
tori pisani). 2. quadrupede: Tasino, a cui e paragonato Aiace nell'Ihade,
si, 558-62.
98 MELCHIORRE CESAROTTI
principii, tutto e permesso. Ma ci6 che non e permesso ne dal buon
senso ne dalla liberta fondamentale della repubblica delle lettere,
ci6 che sara sempre una vergognosa e stomachevole pedanteria,
indegna dello spirito illuminate del secolo, si e Pintrodurre in
questo, o negli studi innocenti, una superstiziosa tirannide, Taccusar
d'empieta chi osa dubitare della divinita degli antichi, lo scatenarsi
contro di esso, il fargli una guerra insidiosa, o il risponder agli
argomenti con gPimproperi e combatter la ragione con Parme del
pregiudizio.
lo ho sempre creduto che in questo genere di cose si dovesse
far uso coi vivi di politezza e coi morti di liberta; ma troppo spesso
alcuni critici danno un esempio contrario, e si pregiano di super-
stizione coi morti e d'insolenza coi vivi. Comunque sia, io fo
intorno la mia traduzione di Ossian la stessa protesta che ho fatto
intorno le osservazioni. Non mi sara mai discara una censura
onesta ed ingenua, che mi faccia conoscere gli abbagli che ho preso
o gli errori in cui sono caduto. Ma se alcuno crede meglio di usar,
invece di ragioni, villanie o satire o altri modi scortesi e mordaci,
non si aspetti da me altro in risposta che ci6 che dissero gli Spartani
a quei di Chio, che avevano lordata la sala delle pubbliche cene
con mille brutture: «Si permette a quei di Chio d'operare villa-
namente ».
FINGAL1
POEMA EPICO
Introduzione.
Arto, supremo re cTIrlanda, essendo venuto a morte, ebbe per sue
cessore Cormac suo figliuolo, rimasto in minorita. Cucullino fi
gliuolo di Semo, signore dell'isola della nebbia, una delPEbridi, ri
trovandosi a quel tempo in Ulster, ed essendo rinomatissimo per 1<
sue grandi imprese, fu in un'assemblea di regoli e capi delle tribi
radunate per quest'oggetto a Temora, palagio dei re d'Irlanda, elet-
to unanimamente custode del giovine re. Non avea governati moltc
a lungo gli affari di Cormac, quando fu recata la novella che Sva-
rano figliuolo di Starno, re di Loclin, o sia della Scandinavia, avea
disegnato d'invader Plrlanda. Cucullino a tal nuova spedi tosto
Munan figliuolo di Stirmal, guerriero irlandese, a Fingal, re o capo
di quej Caledoni che abitavano la costa occidentale della Scozia,
per implorarne soccorso. Fingal, mosso non meno da un principio
di generosita che dall'affinita che passava tra lui e la famiglia regale
d'Irlanda, risolse di far una spedizione in quel paese: ma prima
ch'egli arrivasse, il nemico era gia approdato ad Ulster. Cucullino
in questo frattempo aveva raccolto il fiore delle tribu irlandesi a
Tura, castello di Ulster, e mandati scorridori lungo la costa, perch6
gli dessero pronte notizie dell'arrivo del nemico. Tal & lo stato degli
affari, quando il poema incomincia.
L'azione del poema non comprende che cinque giorni e cinque
notti. La scena e nella pianura di Lena, presso una montagna
chiamata Cromla, sulla costa di Ulster.
i. Dalle Opere, n, pp. 127-329.
CANTO I
ARGOMENTO
Cucullino postosi a seder solo sotto d'un albero alia porta di Tura,
mentre gli altri capitani erano iti a caccia sul vicino monte di Cromla,
e awisato dello sbarco di Svarano da Moran figliuolo di Fitil, uno
de' suoi scorridori. Egli raduna i capi della nazione; si tiene un con-
siglio, nel quale si disputa se debbasi dar battaglia al neniico. Conal
regolo di Togorma, ed intimo amico di Cucullino, e di parere che
debbasi differire sino airarrivo di Fingal; ma Calmar, figlio di Mata,
signer di Lara, contrada del Conaught, e d'opinione che si attacchi
tosto il nemico: Cucullino, gia desideroso di combattere, s'attiene
al parere di Calmar. Nella rassegna de' suoi soldati, non vede tre
de* suoi piu valorosi campioni, Fergusto, Ducomano e Catbar.
Giunge Fergusto, e da notizia a Cucullino della morte degli altri due
capitani. L'armata di Cucullino £ scoperta da lungi da Svarano, il
quale rnanda il figliuolo di Arno ad osservarc i movimenti del nemico,
mentre egli schiera le sue truppe in ordine di battaglia. Descrizione
del carro di Cucullino. Le armate s'azzufFano; ma, sopraggiunta la
notte, la vittoria resta indecisa. Cucullino, secondo 1'ospitalita di
que' tempi, invita Svarano ad un convito per mezzo del suo bardo
Carilo. Svarano ricusa ferocemente Tinvito. Carilo narra a Cucullino
la storia di Grudar e Brassolis. Si manda, per consiglio di Conal,
alcune scorte ad osservare il nemico: e con questo termina 1'azione
del primo giorno.
JL/i Tura accanto alia muraglia assiso,
sotto una pianta di fischianti foglie
stavasi Cucullin: 11 presso, al balzo
i. Di Tura accanto alia: i: «Appo di Tura la». 3. Cucullin: Cuculli
no, figliuolo di Semo e nipote di Caithbath, druido cclebre nolla tra-
dizione per la sua saviezza e pel suo valoro. Nella sua gioventCi sposd
Bragela, figliuola di Sorglan; ed csscndosi trasferito ncH'Irlanda, vissc
qualche tempo con Connal, nipotc, per via d'una figlia, di Congal, regolo
di Ulster. Dopo una serie di grand' imp rese fu ucciso in una battaglia
in un luogo della provincia di Conaughi. Vcdi il poemetto intitolato La
morte di Cucullino. Era tanto rinomato per la sua fortezza che passo in
proverbio per dinotare un uomo forte: «egh ha la fortezza di Cucullino ».
Si mostrano le reliquie del suo palazzo a Dunscaich ncll'isola di Schye:
ed una pietra, alia quale egli Ieg6 il suo cane Lualh, conserva ancora il
suo nome (M.); # presso, al balzo: i: « presso alia rupc»; n: «non lungi
al balzo ».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL IOI
posava 1'asta, appie giacea lo scudo.
Membrava ei col pensiero il pro' Cairba 5
da lui spento in battaglia, allor che ad esso
Pesplorator delPocean sen venne,
Moran figlio di Fiti. — Alzati, — ei disse
— alzati, Cucullin: gia di Svarano
veggo le navi; e numerosa Foste, 10
molti i figli del mar. — Tu sempre tremi,
figlio di Fiti, — a lui rispose il duce
occhi-azzurro d'Erina — e la tua tema
agli occhi tuoi moltiplica i nemici.
Fia forse il re de' solitari colli, 15
che a soccorrer mi vien. — No, no, — diss'egli
— vidi il lor duce: al luccicar delParme,
alia quadrata torreggiante mole,
parea masso di ghiaccio : asta ei solleva
pari a quel pin che folgore passando 20
disfrondato Iasci6: nascente luna
sembra il suo scudo. Egli sedea sul lido
sopra uno scoglio, annubilato in volto
5. i e n: «Erano i suoi pensier col pro' Cairba ». 7. i: «esplorator del-
Focean sen venne ». n. i figli: 1'originale ha: «eroi». Questo termine nel
testo inglese vale semplicemente « un guerriero ». Tra noi ha un senso piu
magnifico, e perci6 sconveniente alia circostanza (C.). I e n: «gli eroi».
13. occhi-azzurro: nell'originale sono frequenti le parole composte. II tra-
duttore non ha trascurata questa energica bellezza, di cui la lingua ita-
hana e suscettibile ; ma nel tempo istesso procur6 di sfuggir la durezza e
la stravaganza della composizione (C.); Erina: Erin, nome dell'Irlanda,
da ear, o jar, « Occident e », e da in, «isola» (C.). 15- d re de' solitari colli:
Fmgal (C.). 1 7-2 1 . duce . . . nascente luna : i : « duce, torreggiante, sodo / qual
montagna di ghiaccio: a quell'abete / pari e la lancia sua, nascente luna»;
n : « duce, torreggiante, sodo / qual montagna di ghiaccio : asta ei solleva /
pari a quel pin che folgore passando / disfrondato lascio: nascente luna».
1 9. parea masso di ghiaccio: neH'origmale non vi sono che queste parole:
«alto come una rupe di ghiaccio ». Si e cercato di sviluppar il senso di
questa espressione, come si fece in altri luoghi, avendo per6 sempre cura
di non pregiudicare alPenergia e vivacita della locuzione caratteristica del
nostro autore (C.)- 20-1. pari... lascio: questa iperbolica immagine
della persona di Svarano cornsponde alia gigantesca statura dei popoli
settentrionali, attestata da tutti gli storici. Awertasi moltre che quel che
parla e un uomo spaventato (C.). 23-4. sopra . . . colle: il testo ha: « simile
a nuvola di nebbia sul colle)). Non e sempre facile scorger il rapporto di
IO2 MELCHIORRE CESAROTTI
come nebbia sul colle. « 0 primo » io dissi
«tra' mortali, che fai? son molte in guerra 25
le nostre destre, e forti; a ragion detto
il possente sei tu; ma non pertanto
piu d'un possente dalPeccelsa Tura
fa di s6 mostra». «Oh,» rispos'ei col tuono
d'un'infranta allo scoglio e mugghiant'onda 30
«chi mi somiglia? al mio cospetto innanzi
non resistono eroi; cadon prostrati
sotto il mio braccio. II sol Fingallo, il forte
re di Morven nembosa, affrontar puote
la possa di Svaran. Lottammo un tempo 35
sui prati di Malmorre, e i nostri passi
crollaro il bosco; e traballar le rupi
smosse dalle ferrigne ime radici;
e impauriti alia terribil zuffa
fuggir travolti dal suo corso i rivi. 40
Tre di pugnammo e ripugnammo: i duci
stetter da lungi e ne tremar. Nel quarto
vanta Fingal che '1 re dcH'oceano
quest! modi comparativi assai spesso vaghi c confusi. Io cerco di fis-
same il senso possibilmente. La rupc di ghiaccio rappresentava la sta-
tura; ho creduto che la nuvola di nebbia non possa rifcrirsi che al volto
(C.)- I e II: «sopra uno scoglio, somigliante in vista / a colonna di nebbia ».
34. Morven in lingua celtica sigmfica una «fila d'altissimi colli». Proba-
bilmente sotto questo nomc si comprendc tutta la costa fra il settentrione
e 1'occidente della Scozia (M.)- 36. Malmorre : Meal-mor, « collina grandc ».
Questo deve essere uno dei monti di Morven, come apparisce dal c. 6,
v. 181 (M.). 36-7. i nostri . . , bosco: si sono ammollite un poco 1'espres-
sioni caricate dell' originale : «i nostri talloni rovcsciarono il bosco, le
rocce caddero dal loro sito». La traduzione di\ a qucste parole Taria di
quella figura che attribuisce il senso alle cose inanimate (C.). 43- Fingal;
siccome i nomi caledoni sono poco favorevoli aH'armonia del verso ita-
Jiano, cosl il traduttore si e prcso la liberta di farvi qualchc cangiamcnto.
Si awerte particolarmente che in questa traduzione i nomi i quali termi-
nano in al e in art ora hanno 1'accento sulla pcnultima sillaba, come
nell'onginale mglese, e ora si prendono ali'italiana, come accorciamenti
dei nomi in alle e in arre, nel qual caso hanno Taccento sull'ultima,
Un'orecchia esercitata pu6 sentir facilmente quando Farmonia del verso
richiede una tal differenza. Contuttocid s'e creduto bene di porre ne'
luoghi piu dubbi il segno dcll'accento, per facilitar la buona lettura ai meno
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 103
cadde atterrato; ma Svaran sostenta
ch'ei non pieg6 ginocchio e non die crollo. 45
Or ceda dunque Cucullino oscuro
a lui, che nelFindomita possanza
Torride di Malmor tempeste agguaglia».
— No, — grid6 il duce dal ceruleo sguardo
— non ceder6 a vivente: o Cucullino 50
sara grande, o morra. Figlio di Fiti,
prendi la lancia mia; vanne, e con essa
batti lo scudo di Cabar che pende
alia porta di Tura: il suo rimbombo
non e suono di pace: i miei guerrieri 55
Tudiran da' lor colli. — Ei va; phi volte
batte il concavo scudo: e colli e rupi
ne rimbombaro, e si diffuse il suono
per tutto il bosco. Slanciasi d'un salto
dalla roccia Curan; Conallo afferra 60
la sanguinosa lancia; a Crugal forte
palpita il bianco petto; e damme e cervi
lascia il figlio di Fai. — Ronnar, Lugante,
questo e lo scudo della guerra, & questa
1'asta di Cucullin: qua, qua, brandi, elmi, 65
compagni aH'arme: vestiti Tusbergo,
figlio dell'onda: alza il sanguigno acciaro,
fero Calmar: che fai? su sorgi, o Puno,
orrido eroe; scotetevi, accorrete,
Eto, Calto, Carban: tu il rosseggiante 7°
alber di Cromla, e tu lascia le sponde
esperti (C.); */ re delVoceano: cio& lui. Cosl sono spesso chiamati in
queste poesie i re della Scandinavia (M.)« 44. sostenta: sostiene. 53. bat
ti: I e n : «picchia»; Cabar: Cathbait, avolo di Cucullino, rinomato pel
suo valore. Lo scudo d'un eroe antico si conservava nella famiglia con
una specie di rispetto religioso; e i suoi posteri ne facevano spesso uso
per chiamar le genti a battaglia (C.). 62. damme: cerbiatti. 63. Ronnar,
Lugante: i due guerrieri qui nominati si chiamano vicendevolmente, e
s'incitano Fun Paltro alia guerra (C.). 71. Cromla: Crom-leach signi-
ficava tra' druidi un «luogo religioso ». Qui e il nome proprio d'un
monte sulla spiaggia d'Ullina o di Ulster (M).
104 MELCHIORRE CESAROTTI
del patrio Lena, e tu t'avanza, o Calto,
lunghesso il Mora, e Tagil piede impenna. —
Or si gli scorgo: ecco i campion possenti
fervidi, accesi di leggiadro orgoglio. 75
La rimembranza dell'imprese antiche
sprona il valor natio. Sono i lor occhi
fiamme di foco, e dei nemici in traccia
van dardeggiando per la piaggia i sguardi.
Stan su i brandi le destre: escon frequenti So
dai lor fianchi d'acciar lampi focosi.
Ciascun dal colle suo scagliossi urlando
qual torrente montan. Brillano i duci
della battaglia nei paterni arnesi,
precedendo ai guerrier: seguono qucsti 85
folti, foschi, terribili a vedersi,
siccome gruppo di piovose nubi
dietro a rosse del ciel meteore ardenti.
S'odon 1'arme stridir; s'alzan le note
del bellicoso canto; i grigi cani 90
le interrompon cogli urli, e raddoppiando
Findistinto fragor Cromla rintrona.
Stettersi tutti alfin sopra il deserto
prato di Lena, e Padombrar, siccome
nebbia la per Pautunno i colli adombra, 95
72. Lena: fiume nell'Ulster presso una pianura dello stesso nome, ch'c
il teatro della presente guerra (C.). 73- d Mora: neH'originale chiamasi
«il fischiante scopeto di Mora». V'e un'altra contrada di qucsto nomc in
Morven, di cm si fa menzione in altn luoghi di qucste pocsie (C,); «
/ agtlpiede impenna: in luogo di questo emistichio nel tcsto si ha: «il tuo
candido fianco, il tuo fianco ch'& candido come la spuma del turbato marc
quando gli oscuri venti lo spingono contro la mormorante roccia di Cuton »'
JNell ediziom precedent! questo luogo s'era tradotto Icttcralmcntc, Ora
non ebbi cuore di farlo, e volh salvar 1'onore piuttosto chc le parole di
Ussian. Jira questo il momento di osservar la bianchcswa del fianco di
Calto e di rappresentarlo con questa importuna prohssita? Se per6 acl
alcuno non placesse il cambio, ecco la traduzione precedente: dunchcsso
il Mora, e Piega il bianco lato, / sinule a spuma di turbato mare, / se ai
scogh di Cuton 1'mcalza il vento. (C.). 74-5- ecco . . . orgoglio: il testo-
«ora lo scorgo i duci nell'orgoglio delle loro passate gesta). (C.) 8c fire-
cedendo ai guerrier: i: «e precedon gli eroi».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 105
quando oscura, ondeggiante in alto poggia.
— lo vi saluto, — CuculHn comincia
— figli d'anguste valli, oh vi saluto,
cacciatori di belve; a noi ben altra
caccia s'appresta, romorosa, forte 100
come quell'onda che la spiaggia or fere.
Dite, figli di guerra: or via, dobbiamo
pugnar noi dunque, od a Loclin la verde
Erina abbandonar? Park, Conallo,
tu fior d'eroi, tu spezzator di scudi, 105
che pensi tu ? piu d'una volta in campo
contro Loclin pugnasti; ed or vorrai
meco la lancia sollevar del padre?
— Cucullino, — ei par!6 placido in volto
— acuta e 1'asta di Conallo, ed ama no
di brillar nella pugna e diguazzarsi
nel sangue degli eroi: pur se alia guerra
pende la man, sta per la pace il core.
Tu che alle guerre di Gorman sei duce,
guarda la flotta di Svaran: stan folte 115
sul nostro lido le velate antenne
quanto canne del Lego; e le sue navi
sembran boschi di nebbia ricoperti,
quando gli alberi piegano alle alterne
scosse del vento; i suoi guerrier son molti: 120
per la pace son io. Fingal, non ch'altri,
Tincontro scanseria, Fingallo il primo,
Tunico tra gli eroi, Fingal, che i forti
1 01, come . . .fere\ questo tratto serve alPevidenza del momento. Ma la
forza e il rimbombo d'un'onda pu6 mai paragonarsi al romore d'una batta-
glia? (C.)« 103. Loclin: nome celtico della Scandinavia. In un sense piu
nstretto s'intende per questo nome la penisola di lutlanda (C.). 104. Co
nallo: Connal, amico di Cucullino, era figliuolo di Cathbait, principe
di Togorma, probabilmente una dell'isole Ebridi (C.)- H4- Gorman:
Cormac, figlio di Arth, re d'Irlanda, rimasto erede del regno in eta assai
tenera, sotto la reggenza di Cucullino (M.)- 117. Lego: lago nella pro-
vincia di Conaught, appresso il quale rest6 ucciso Cucullino (M.)-
123-4. Fingal . . . arena: nelle ediziom precedenti tutto il luogo fu tra-
dotto letteralmente cosi: «... Fingal dei forti / disperditor, come minuta
106 MELCHIORRE CESAROTTI
sperde, qual turbo la minuta arena. —
A lui rispose disdegnosamente 125
Calmar figlio di Mata: — E ben va', fuggi,
tu pacifico eroe, fuggi, e t'inselva
tra' colli tuoi, dove giammai non giunse
luce d'asta guerriera: ivi di Cromla
i cervi insegui, ivi coi dardi arresta 130
i saltellanti cavriol del Lena.
Ma tu di Semo occhi-ceruleo figlio,
tu delle pugne correttor, disperdi
la stirpe di Loclin; scagliati in mezzo
dell'orgogliose schiere e latra e ruggi. 135
Fa' che naviglio del nevoso regno
piu non ardisca galleggiar sull'onde
oscure d'Inistor. Sorgete o voi,
voi d'Inisfela tenebrosi venti,
imperversate tempeste, fremete 140
turbini e nembi. Ah si, muoia Calmarre
fra le tempeste infranto, o dentro a un nembo
squarciato dall'irate ombre notturne;
muoia Calmar fra turbini e procelle,
se mai grato gli fu suono di caccia 145
quanto di scudo messagger di guerra.
— Furibondo Calmar, — Conai riprese
posatamente — & a me la fuga ignota;
misi Tale al pugnar; bench'anco £ bassa
arena / disperde il vento, allor che i gonfi rivi / scorron per mezzo a
Cona, e sopra i monti / con tutti i nembi suoi la notte siede ». Ora si
e pensato di omettere questo strascico imbarazzante di circostanze ozio-
se, che affogano 1'idca principale, e ne smaccano la forza invece di ac-
crescerla (C.). 133- correttor: signore. 135. ruggi: roriginale: «rug-
ghia tra le file del loro orgoglio» (C.). 136. del nevoso regno: dclla Scan
dinavia. In senso pita, nstretto s'mtcndo con questo nomc la pcnisola di
lutlanda (M.). 138, Inistor: Innis-torc, propriamente « 1'isole dellc balene » :
ma spesso vengono comprcse sotto questo nome tutte 1'isole Orcadi (M,).
139. Inisfela: altro nome dcll'Irlanda, cosi chiamata a cagione d'una colo-
nia di Falani coU stabilita. Inis-fail, cioe «l'isola dei Fail, o Falani» (M,).
148. ^ a me la fuga ignota: I e n: «io non fuggii giammai ». 149-50. ^
bassa . . . Conallo : Teroe paria cosl per eccesso di modestia, poich6 anzi
POESIE DI OSSIAN • FINGAL
I07
la fama di Conallo, in mia presenza 150
vinsersi pugne e s'atterrar gagliardi.
Figlio di Semo, la mia voce ascolta:
cura ti prenda del regal retaggio
del giovine Gorman; ricchezze e doni
e la meta della selvosa terra i55
offri a S varan, finche da Morven giunga
il possente Fingallo in tuo soccorso.
Quest' e '1 consiglio mio; die se piuttosto
la pugna eleggi, eccomi pronto; e lancia
brandisco e spada; mi vedrai tra mille 160
ratto awentarmi, e 1'alma mia di gioia
sfavillera nei bellicosi orrori.
— Si si, — soggiunse Cucullin — m'e grato
il suon dell'armi, quanto a primavera
tuono forier di desiata pioggia. 165
Su dunque tosto si raccolgan tutte
le splendide tribu, sicch'io di guerra
rawisi i figli ad un ad un schierarsi
sulla pianura, rilucenti come
anzi tempesta il sol, qualora il vento 170
occidental le nubi ammassa, e scorre
il sordo suon per le morvenie querce.
Ma dove son gli amici? i valorosi
compagni del mio braccio entro i perigli?
Ove se' tu, Catbarre? ove quel nembo 175
in guerra Ducomano ? e tu, Fergusto,
m'abbandonasti nel terribil giorno
della tempesta? tu de' miei conviti
nella gioia il primier, figlio di Rossa,
braccio di morte. Eccolo; ei vien, qual leve 180
cavriol da Malmorre. Addio, possente
figlio di Rossa, e qual cagion rattrista
^ quell'anima guerriera? — In su la tomba
di Catbarre, — ei rispose — in questo punto
era uno dei principal! campioni di quei tempi, e Cucullmo in questo poe-
ma istesso si pregia d'aver appresa da lui Farte della guerra (C.). 172. quer
ce: i: «querci».
I08 MELCHIORRE CESAROTTI
s'alzano quattro pietre, e queste mani 185
sotterrar Ducoman, quel nembo in guerra.
Catbarre, o figlio di Torman, tu eri
raggio sul colle; o Ducoman rubesto,
nebbia eri tu del paludoso Lano,
che pel fosco d'autunno aer veleggia 190
e morte porta al popolo smarrito.
0 Morna, o tra le vergini di Tura
la piu leggiadra, e placido il tuo sonno
nell'antro della rupe. Ah tu cadesti
come stella fra tenebre che striscia 195
per lo deserto, e '1 peregrin soletto
di cosi passagger raggio si dole.
— Ma di',— riprese Cucullin— ma dimmi:
come cadder gli eroi? cadder pugnando
per man dei figli di Loclin? Qual altra 200
cagion racchiude d'lnisfela i duci
nelPangusta magion ? — Catbar cadeo
per man di Ducomano appo la quercia
del mormorante rio; Ducoman poscia
venne all'antro di Tura, e a parlar prese 205
185. quattro pietre: le quattro pietre appresso gli antichi scozzesi contras-
segnavano costantemente la sepoltura (M.). 187. Tormani tuono. Que
sta e la vera origine del Giove Taramis degli antichi (M.). 187-8. tu
eri raggio sul colle: sembra che presso i Caledoni fosse un'usanza statuta-
ria di non nominar mai un uomo morto di fresco senza un'apostrofc e
una comparazione di lode. Quest'era per loro una specie del nostro
Requiem (C.). 189. II Lano era un lago della Scandinavia, che in tempo
d'autunno esalava un vapore pestilenziale (M.). 192-4. O Morna . . .
rupe: da^ queste parole niuno potrebbe immaginare il genere tragico di
morte di cui mori questa bella (C.). 197. passagger: i: « passegger ».
1 99. cadder: i: «cader». 202. angusta magion: cosi spesso vien chiama-
to da Ossian il sepolcro : « Ubi constituta est domus omni viventi » [« Do
ve e stabihta 1'abitazione per ogni vivente»], Giob., c. 30, v. 23 (C.);
Catbar cadeo: risponde Fergusto. L'autore colla sua cstrema rapidit^
tralascia spesso d'avvertire chi parli o risponda. II traduttore ha creduto
di poterlo imitare anche m qualche luogo ove il nome non e soppresso.
Questa omissione sara contrassegnata colla lineetta - (C.). L'avvertcnza
del Cesarotti non vale naturalmente per questa edizione, in cui si £ adot-
tata la punteggiatura moderna. 202-4. Catbar ... no: non si dice per
qual cagione Catbar fosse ucciso da Ducomano, ma da quel che segue
e facile intendere che ci6 fu per furore di rivahtk (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL
ICQ
alPamabile Morna: «O Morna, o fiore
delle donzelle, a che ti stai soletta
nel cerchio delle pietre, entro lo speco?
Sei pur bella, amor mio: sembra il tuo volto
neve la nel deserto, e i tuoi capelli 210
fiocchi di nebbia che serpeggia e sale
in tortuosi vortici, e s'indora
al raggio occidental. Sembran le mamme
due liscie, tonde, luccicanti pietre
che spuntano dal Brano; e le tue braccia 215
due tornite marmoree colonne,
che sorgon di Fingallo entro le sale».
«E donde vieni?» Pinterruppe allora
la donzelletta dalle bianche braccia
«donde ne vieni, o Ducoman, fra tutti 220
i viventi il piii tetro? oscure e torve
son le tue ciglia, ed hai gli occhi di bragia.
Comparisce Svaran? di', del nemico
qual nuova arrechi, Ducomano ? ». « O Morna,
vengo dal colle, dal colle de' cervi 225
vengone a te; colTinfallibil arco
tre pur or ne trafissi, e tre ne presi
coi veltri della caccia. Amabil figlia
del nobile Cormante, odimi: io t'amo
quanto Panima mia: per te col dardo 230
uccisi un cervo maestoso; avea
alta fronte ramosa e pie di vento. »
((Ducoman,» ripiglio placida e ferma
la figlia di Cormante «or via, non t'amo,
non t'amo, orrido ceffo; hai cor di selce, 235
ciglio di notte. Tu, Catbar, tu solo
sei di Morna Pamor, tu che somigli
raggio di sole in tempestoso giorno.
208. entro lo speco: segue nel testo: «Roco mormora il rio, s'ode nell'aria /
gerner la quercia antica, il lago e torbo, / scure le nubi ; ma tu sembri,
o bella » ec. Ma che ha a fare questo preambolo colla bellezza di Morna
per appiccarvi un mat Intendea forse di fare un contrapposto ? (C.). I
versi citati comparivano in I e n. 215. Brano: torrente nell'Irlanda (C.).
110 MELCHIORRE CESAROTTI
Di', lo vedesti amabile, leggiadro
sul colle de' suoi cervi ? in questa grotta 240
la sua Morna l'attende». «E lungo tempo
Morna Fattendera, » ferocemente
riprese Ducoman «siede il suo sangue
sopra il mio brando. Egli cadeo sul Brano :
la tomba io gli alzer6. Ma tu, donzella, 245
volgiti a Ducomano, in lui tu fisa
tutto il tuo core, in Ducoman che ha '1 braccio
forte come tempesta». «0ime! cadeo
il figlio di Torman ? » disse la bella
dairocchio lagrimoso «il giovinetto 250
dal bel petto di neve ? ei ch'era il primo
nella caccia del colle ? il vincitore
degli stranier dell'oceano ? Ah truce,
truce sei, Ducoman; crudele a Morna
e '1 braccio tuo : dammi quel brando almeno, 255
crudo nemico, ond'io lo stringa; io amo
il sangue di Catbar». Diede la spada
alle lagrime sue: quella repente
pass6gli il petto : ei rovin6 qual ripa
di torrente montan; stese il suo braccio, 260
e cosi disse: « Ducomano hai morto;
freddo e Facciaro nel mio petto; o Morna,
freddo lo sento. Almen fa' che '1 mio corpo
1'abbia Moina; Ducomano il sogno
era delle sue notti; essa la tomba 265
innalzerammi ; il cacciator vedralla,
mi lodera: trammi del petto il brando,
Morna, freddo e ljacciar». Venne piangendo;
trassegli il brando: ei col pugnal di furto
253. degli stranier dell'oceano: cioe dei popoli della Scandinavia. «Stra-
niero» appresso di Ossian prendesi alle volte per « nemico ». Lo stesso
doppio senso aveva hostis appresso gli antichi Latini (C.). 263-4. -Al-
men . . . Moina: i: « Almen dammi a Moina, / la giovinetta». 264-5. Du
comano . . . notti: ella era innamorata di me (C.). 269. ei . . . di furto: il
testo ha solo : « egli le trapassd il bianco lato coll'acciaro ». Ma di qual ac-
ciaro si parla ? La spada era gi£ in mano di Morna. Parmi che questo ter-
mine non possa aver altro senso che quello che gli si e dato da me. L'av-
POESIE DI OSSIAN - FINGAL III
trafisse il bianco lato e sparse a terra 270
la bella chioma: gorgogliando il sangue
spiccia dal franco; il suo candido braccio
striscian note vermiglie: ella prostesa
roto!6 nella morte, e a' suoi sospiri
1'antro di Tura con pieta rispose. 275
— Sia lunga pace — Cucullin soggiunse
— alPalme degli eroi ; le loro imprese
grandi fur ne' perigli. Errinmi intorno
cavalcion sulle nubi, e faccian mostra
de' lor guerrieri aspetti; allor quest'alma 280
forte fia ne' perigli, e 1 braccio mio
imitera le folgori del cielo.
Ma tu, Morna gentil, vientene assisa
sopra un raggio di luna, e dolcemente
t'affaccia allo sportel del mio riposo, 285
quando cesso lo strepito deH'arme,
e tutti i miei pensier spirano pace.
Or delle mie tribu sorga la possa,
alia zuffa moviam; seguite il carro
delle mie pugne: a quel fragor di gioia 290
brillivi Talma; mi sien poste accanto
tre lance, e dietro all'anelante foga
de' miei destrier correte. lo vigor quindi
novo concepiro, quando s'offusca
la mischia ai raggi del mio brando intorno. — 295
Con quel rumor, con quel furor che sbocca
torrente rapidissimo dal cupo
precipizio di Cromla, e '1 tuon frattanto
mugge su i fianchi, e sulla cima annotta;
verbio difurto aggiunto rende il fatto un po' piu credibile. All'incontro il
Le Tourneur colla sua traduzione lo rende ancor piu difficile a concepirsi:
«Elle retire T6p6e du sein du guerrier: Ducomar en tourne la pointe sur
elle, et perce son beau sein» (C.). Pierre Le Tourneur (1736-1788) pub-
blic6 una traduzione completa dei poemi ossianici nel 1777. i e n: «ei di
soppiatto intanto». 289. zuffa: i: «pugna»; carro: i regoli e signori della
Brettagna usavano il carro in segno del loro grado (C.). 290-1. delle mie
pugne. . .mi sien: i: « delle battaglie mie, con gridi e canti / 1'accpmpa-
gnate: mi sien». 293-4. Jo ... concepiro: nelP originate: «cosi la mia ani-
ma sara forte ne' miei amici» (C.). i: «Io la dall'alto / vigor v'infonder6 ».
112 MELCHIORRE CESAROTTI
cosi vasti, terribili, feroci 3°°
balzano tutti impetuosamente
d'lnisfela i guerrier. Precede il duce,
siccome immensa d'ocean balena
die gran parte di mar dietro si tragge.
Lungo la spiaggia ei va rotando, e a rivi 305
sgorga valor. L'alto torrente udiro
i figli di Loclin : Svaran percosse
10 scudo, e a s6 chiamb d'Arno la prole:
— Dimmi, che e quei mormorio dal monte,
che par d'un sciame di notturni insetti? 310
scendono i figli d'lnisfela, o '1 vento
freme lungi nel bosco ? In cotal suono
romoreggia Gormal, prima che s'alzi
de' flutti miei la biancheggiante cirna.
Poggia sul colle, o figlio d'Arno, e guata 315
Poscura faccia della piaggia. — Andonne,
ma tosto ritornb: tremante, ansante
sbarra gli occhi atterriti, e il cor nel petto
sentesi palpitar; son le sue voci
rotte, lente, confuse. — Alzati, o figlio 320
dell'ocean, veggo il torrente oscuro
della battaglia, I'affollata possa
della stirpe d'Erina: il carro, il carro
della guerra ne vien, fiamma di morte,
11 carro rapidissimo sonante 325
di Cucullin figlio di Semo. Addietro
curvasi in arco, come onda allo scoglio,
come al colle aurea nebbia: i fianchi suoi
son di commesse colorate pietre
309-10. Dimmi . . . insetti: questo tratto sarebbe insigne e convenientis-
simo al carattere di Svarano trasmodatamente orgoglioso. Ma convemva
arrestarsi qui, e non guastarlo colla mterrogazione che segue. Allora si
sarebbe ammirata cotesta grandezza d'orgoglio, al quale il romor dell'eser-
cito nemico non sembra che il ronzio d'uno sciame d'insetti. Ma quando ei
dubita che possa anche essere il vento che rugge nel bosco, non si vede
prii che la sproporzione della prima similitudme (C.). 313. Gormal: mon-
tagna della Scandinavia (C.). 322-3. Vaffollata . . . Erina: i poderosi guer-
rieri irlandesi che si precipitano in folia.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 113
variati e distinti; e brillan come 330
mar che di notte ad una barca intorno
de' remi all'agitar lustra e s'ingemma.
Forbito tasso e Jl suo timone, e '1 seggio
di liscio e lucid' osso: e quinci e quindi
aspro e di lance, e la piu bassa parte 335
e predella d'eroi: dal destro lato
scorgesi il generoso, il ben-crinito,
di largo petto, di cervice altera,
alto-sbufTante nitritor destriero;
Tunghia sfavilla, ed i suoi sparsi crini 340
sembran quella cola striscia fumosa.
Sifadda ha nome, e Duronallo e Taltro,
che al manco lato del terribil carro
stassi, di sottil crin, di robusta unghia,
nelle tempeste delFacciar bollente 345
veloce corridor, figlio del colle.
Millq strisce di cuoio il carro in alto
legano; aspri d'acciar bruniti freni
nuotano luminosi in biancheggiante
corona ampia di spume, e gemmi-sparse 350
lisce sottili redini scorrendo
libere van su' maestosi colli
dej superbi destrieri: essi la piaggia
libano velocissimi, qual nebbia
le acquose valli, e van ferocemente 355
con la foga de' cervi, e con la possa
d'aquila infaticabile che piomba
sulla sua preda, e col fragor del verno
la per le terga di Gormal nevose.
Sul carro assiso alto grandeggia il duce, 360
il tempestoso figlio della spada,
331-2. mar . . . s'ingemma: si accenna il lume fosforico che manda di not
te 1'acqua del mare agitata e rifranta. Nella pnma edizione non si era ben
colto il senso dell' originate. II traduttore confessa con vera compiacenza di
dover la correzione di quest o luogo e d'alcuni altri ai giudiziosi awer-
timenti del signor Domenico Trant, dottissirno e gentilissimo cavalier e
irlandese (C.)- i: «mar che alia nave si rifrange e vibra». 342. Sifad
da: Sulin-Sithfadda, «lungo passo» (C.).
MELCHIORRE CESAROTTI
il forte Cucullin, prole di Semo,
re delle conche: le sue fresche guance
lustrano a paro del mio tasso, e '1 guardo
de7 cerulei suoi lumi ampio si volve 365
sottesso all'arco delle ciglia oscuro.
Volagli fuor come vibrante fiamma
del capo il crin, mentr'ei spingesi innanzi
crollando 1'asta minacciosa: fuggi,
o re delFocean, fuggi, ei s'avanza 370
come tempesta. — E quando mai — rispose
— mi vedesti a fuggir ? quando ho fuggito,
figlio di codardia? Che? di Gormallo
le tempeste affrontai, quando dei flutti
torreggiava la spuma; affrontai fermo 375
le tempeste del cielo, ed or vilmente
fuggir6 da un guerrier? Foss'ei Fingallo,
non mi si abbuieria Talma di tema.
Alzatevi, versatemivi intorno,
forti miei mille, in vorticosi giri 380
qual rotante profondo; il brando vostro
segua il sentier del luminoso acciaro
del vostro duce, e dei nemici all'urto
siate quai rupi del terren natio,
363. re delle conche: s'e gia detto che gli Scozzesi ne' loro conviti usavano
di bear nelle conche, come pure lo usano i montanari ai giorni nostri.
Perci6 il termine di conche in queste poesie si usa spesso in cambio di
«convito». Re delle conche significa «re de' conviti », cioe re ospitale e
cortese (C.). 364. a paro del mio tasso: cioe, a paro del mio arco di tasso.
Del resto, credo d'aver colto il vero senso delle parole deH'originale :
«lasiaa rossa guancia e simile al mio polito tasso ». II Le Tourneur sup
pose che questa somiglianza stesse nel colore, e da alia guancia di Cucul-
lino la. tinta basanee in cambio di vermiglia, affine di accostarla a quella
del tasso. Ma questa tinta non e mai quella dcgli eroi di Ossian, e Tepiteto
di polito mi parve determinar il rapporto (C.). 364-6. e 'I guardo . . .
air arco: I e n: «e '1 guardo / de' ceruleo-giranti occhi ben sotto / giace
dell'arco». 377. guerrier: I: «eroe». 380. Mille appresso di Ossian signi
fica K esercito », benche composto di maggior moltitudine. II numero finito
e posto per Pinfinito. Cosl Virgilio, [Aen., I, 491]: «mediisque in millibus
ardet» [«arde in mezzo a migliaia di guerrieri))], C. 381. rotante: vor-
tice, gorgo. 381-2. il brando . . . sentier: I en: «e vi spingete / dictro al
sentier ». 383-4. e dei nemici . . . rupi: i e ii: «radicati, immoti / come le
rupi».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 115
che baldanzosamente alle tempeste 385
godon di farsi incontro, e stendon tutti
al vento irato i tenebrosi boschi. —
Come d'autunno da due baize opposte
iscatenati turbini focosi
s'accavallan tra lor, cosi Tun Faltro 390
s'awiluppan gli eroi; come dall'alto
di rotte rupi rotolon cadendo
due torrenti spumosi urtansi in giostra
con forti cozzi, e giu con le miste onde
van rovinosi a tempestar sul piano; 395
si romorose, procellose e negre
Inisfela e Loclin nella battaglia
corronsi ad incontrar: duce con duce
cambiava i colpi, uomo con uom, gia scudo
scudo preme, elmetto elmo, acciar percosso 400
rimbalza dall'acciaro: a brani, a squarci
spiccansi usberghi, e sgorga atro e fumeggia
il sangue, e per lo ciel volano, cadono
nembi di dardi e tronchi d'aste e schegge:
quai circoli di luce, onde s'indora 405
di tempestosa notte il fosco aspetto.
Non mugghiar d'oceano e non fracasso
d'ultimo tuono assordator del cielo
pu6 uguagliar quel rimbombo. Ancor se presso
fosservi i cento di Gorman cantori, 410
391. s*awiluppan gli eroi: 1'espressione dell'onginale e languida in tal cir-
costanza: « s'awicinano » (C.). 391-3- come . . . giostra: v. Om., [//.], c. 4, v.
515 [452-5], C. 398-401 . duce con duce. . . acciaro : Omero, ivi, v. 506 [446-9].
II traduttore mglese cita qui due versi di Stazio, [Theb., vin, 398-9]: « lam
clypeus clypeis, umbone repellitur umbo, / ense minax ensis, pede pes,
et cuspide cuspis » [« Gia scudo e respinto da scudo, umbone da umbone,
spada minacciosa da spada, piede da piede, asta da asta»]. Egli loda il
poeta latino d'aver imitate felicemente Omero. 6 pero da osservarsi che
nei versi -di Stazio v'e piuttosto simetria che intrecciamento. Omero di-
pinse una battaglia; Stazio rappresenta una scherma (C.). 409. Ancor se:
i e II : « ancor che ». 410. cantori: il costume di condur seco i cantori nelle
battaglie era comune non meno ai Celti che ai popoli della Scandinavia.
Olao Triggueson, re di Norvegia, ne condusse seco alquanti in una spe-
dizione, e collocatigli in una certa distanza: «Voi non canterete» disse
Il6 MELCHIORRE CESAROTTI
per dar al canto le guerresche imprese;
pur di cento cantor foran le voci
fiacche, per tramandar ai di futuri
le morti degli eroi; si folti e spessi
cadeano a terra, e de' gagliardi il sangue 415
si largo trascorrea. Figli del canto,
piangete Sitalin; piangi, Fiona,
sulle tue piagge il grazioso Ardano.
Come due snelli giovinetti cervi
la nel deserto, essi cader per mano 420
del feroce Svaran: che in mezzo a mille
mugghiava si che il tenebroso spirto
parea della tempesta, assiso in mezzo
dei nembi di Gormal, che della morte
del naufrago nocchier s'allegra e pasce. 425
Ne gia sul fianco ti dormi la destra,
sir della nebulosa isola; molte
del braccio tuo furon le morti, e il brando
era un foco del ciel quando colpisce
i figli della valle : incenerite 430
cadon le genti, e tutto il monte e fiamma.
Sbuffan sangue i destrier; nel sangue guazza
Tunghia di Duronal, Sifadda infrange,
pesta corpi d'eroi: sta raso il campo
addietro lor, quai rovesciati boschi 435
nel deserto di Cromla, allor che '1 turbo
rivolto loro con fierezza « quel che avete udito, ma quel che avete veduto ».
Mallet, Introd. alia storia di Danim. (C.)- Paul Henri Mallet (1730-1807)
di Ginevra, pubblic6 nel 1755 V Introduction a Vhistoire du Danemark,
che molto contribui al sorgere dell'interesse per il primitive nordico.
4.1 1. per . . .imprese: il testo: «per dar la guerra al canto » (C.). ten:
«per intonare il bellicose carme». 412. foran: i e u: «eran». 422. il
tenebroso: i: «lo squillante». 427. sir ... isola: Cucullino, signore del-
Pisola di Schy, non impropriamente chiamata V isola della nebbia, perch6
gli alti suoi monti, sopra di cui s'arrestan le nuvole dell'oceano occidentale,
vi cagionano una quasi perpetua pioggia (M.). 429. foco del ciel: nel-
1' originate vi e «raggio», che talora presso Ossian dinota la folgore. lo
non volli abusare di questo bel termine (C.). 434. pesta . . . eroi: v. Om.,
[//.]» c. 20, v. 412 [394], C. 434-5. sta . . . lor: 1'onginale: «la battagha
giace dietro loro» (C.). i: «rasa la pugna sta dietro lor».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 117
sulla piaggia pass6 carco de' tetri
spirti notturni le rugghianti penne.
Vergine d'Inistorre, allenta il freno
alle lagrime tue, delle tue strida 440
empi le baize; il biondo capo inchina
sopra 1'onde cerulee; o tu piu bella
dello spirto del colli in su '1 meriggio,
che nel silenzio dei morveni boschi
sopra d'un raggio tremulo di luce 445
move soavemente; egli cadeo.
E basso il tuo garzon, pallido ei giace
di Cucullin sotto la spada; e '1 core
fervido di valor piu nelle pugne
non fia che spinga il giovinetto altero 450
de' regi il sangue ad emular. Trenarre,
Pamabile Trenar, donzella, e morto.
Empion la casa d'ululati i fidi
grigi suoi cani, e del signor diletto
veggon 1'ombra passar. Nelle sue sale 455
pende 1'arco non teso, e non s'ascolta
sul colle de' suoi cervi il corno usato.
Come a scoglio mille onde, incontro Erina
tal di Svaran va 1'oste; e come scoglio
mille onde incontra, di Svaran la possa 460
cosi Erina incontro. Schiude la morte
tutte le fauci sue; tutte 1'orrende
sue voci inalza e le frammischia al suono
dei rotti scudi: ogni guerriero e torre
d'oscuritade, ed ogni spada e lampo. 465
Monti echeggiano e piagge, al par di cento
ben pesanti martelli alternamente
437-8. carco . . . penne : I : « carco dei tetri / spirit! della notte ambe le penne » ;
n : «ambedue l'ale». 439. Vergine d'Inistorre: forse la figlia del re cTIni-
storre, ossia delle Orcadi. Trenar era figlio del re d'Iniscona, che si suppo-
ne una delle isole di Settland (M.). 446. egli cadeo: chi? bella ed interes-
sante sospensione! (C.). 447. £ basso: e a terra, e morto. 461-2. Schiu
de . . . sue: «dilatavit mfernus animam suam, et aperuit os suum absque
ullo termino » [« 1'inferno dilat6 la sua anima, e spalanc6 simsuratamente
la sua bocca»], Isaia, c. 5, v. 14 (C.).
Il8 MELCHIORRE CESAROTTI
alzantisi, abbassantisi sul rosso
figlio della fornace. E chi son questi,
questi chi son, che tenebrosi, orrendi 470
vanno con tal furor ? Veggo due nembi,
due folgori vegg'io : turbati intorno
sono i colli minori, e trema il musco
sull'erte cime delle rupi annose.
E chi son questi mai, fuorche il possente 475
figlio dell'oceano, e il nato al carro
d'Erina correttor ? Tengon lor dietro
spessi sul piano ed anelanti sguardi
dei fidi amici, alia terribil vista
turbati, incerti: ma gia gia la notte 480
scende, e tra nubi i due campioni involve;
e alPorribil conflitto omai da posa.
Di Cromla intanto sull'irsuto fianco
pose Dorglante i cavrioli e i cervi,
felici doni della caccia, innanzi 485
che lasciassero il colle i forti eroi.
Cento guerrieri a raccor scope in fretta
468-9. rosso figlio della fornace: il ferro rovente (C.); E chi son questi:
questa e una maniera generalmente usata da Ossian per scuotere improv-
visamente lo spirito, e fissar Tattenzione sopra un oggetto importante.
Un tal modo & pur frequentissimo nella poesia ebraica, che ha moltissima
affinita con quella di Ossian (C.). 471. nembi: I e n: «tuom». 476. nato
al carro: la voce car-born deU'originale pud significare ugualmente «por-
tato sul carro » e « nato al carro ». Quantunque il primo significato sembri
il piii naturale e *1 piti semplice, il traduttore s'e attenuto al secondo ch'e
piti poetico, e in fondo vale lo stesso: specialmente che si trova spesso
in queste poesie figlio del carro, usato nel medesimo senso. Cosi nato
al carro e quanto dire fra noi «nato al sogho» (C.). 477-80. Tengon . . .
incerti: 1* originate: «molti sono gli ansiosi occhi dei loro amici, mentre
veggono loro oscuri sopra la piaggia» (C.). 485. felici . . . caccia: 1'ori-
ginale: «la fortuna della caccia » (C.). 487-90. Cento . . . convito: la
tradizione ci ha trasmessa Pantica maniera d'apprestar il convito dopo la
caccia. Formavasi un pozzo intonacato di pietre lisce. Intorno ad esso si
raccoglieva un cumulo d'altre pietre lisce e piatte del genere delle focaie.
Queste ugualmente che il pozzo si riscaldavano con le scope. Poi si de-
poneva una parte della cacciagione nel fondo del pozzo, ricoprendola con
uno strato di pietre, e cosl facevano successivamente, sin che il pozzo ve-
niva a riempiersi. II tutto poi si ricopriva con le scope per impedir il fumo.
Se ci6 sia vero, non posso dirlo. So bene che si mostrano anche al giorno
POESIE DI OSSIAN • FINGAL IIQ
dansi, trecento a seer le lisce pietre,
died accendon la fiamma, e fuma intorno
Fapprestato convito. Allor d'Erina 490
il generoso duce il suo leggiadro
spirito ripiglic-r sulla raggiante
landa chinossi e a Carilo si volse,
canuta prole di Chinfena, e dolce
figlio de' canti : — E per me solo adunque 495
s'imbandira questo convito, e intanto
stara il re di Loclin sulla ventosa
spiaggia d'Ullina abbrividato, e lungi
dai cervi de' suoi colli e dalle sale
de' suoi conviti? Or via, Carilo, sorgi, 5°°
porta a Svaran le mie parole: digli
che la mia festa io spargo : ei venga in queste
ore notturne ad ascoltare il suono
de' miei boschetti, or che gelati, acuti
pungono i venti le marine spume. 505
Venga, e la dolce arpa tremante e i canti
ascolti degli eroi. — Carilo andonne
con la voce phi dolce, e cosi disse
al re dei bruni scudi : — Esci dall'irte
pelli della tua caccia, esci, Svarano, 51°
d'oggi alcuni pozzi, i quali il volgo dice che solevano servir a quest'uso
(M.). 490-2. Allor . . . ripiglio: le parole del testo sono: «Cucullino, duce
della guerra d'Erina, ripigli6 la sua possente anima ». Da ci6 che segue e
visibile che il senso non pu6 esser che questo: che quel duce torn6 alia
sua naturale generosita. Se cosl e, 1'aggiunto di possente non e il piu pro-
prio, o certo non il piu chiaro. II termine di leggiadro quadra assai me-
glio, avendo presso i buoni scrittori un senso misto di gentilezza e nobilta
d'animo, qualitk caratteristiche di questo eroe. Del resto, il traduttor fran-
cese non colse nel segno quando tradusse : « Cucullin a recueilli sa grande
ame» (C.). II traduttore francese a cui si accenna e il Le Tourneur. i: «il
generoso duce in cotal guisa / se stesso rampogn6». 493. Carilo: celebre
cantore di Cucullino (C.). 498. Ullina: Ulster, provincia dell'Irlanda, il
di cui nome sar& sempre al traduttore di gratissima ricordanza, per la
dolce memoria che gh risveglia di Mylord Hervey, vescovo di London-
Derry (C.). Frederick August Hervey (1730-1803), fautore delle riforme
irlandesi. 508. con la voce piu dolce: i: «con Farmonica voce». 509-
10. Esci . . . caccia: cioe: «lascia le pelli delle fiere uccise in caccia, sopra le
quali ti stai sdraiato » (C.).
120 MELCHIORRE CESAROTTI
signer dei boschi: Cucullin diffonde
la gioia delle conche e a se t'invita.
Vieni, o Svaran. — Quei non par!6, muggio,
simile al cupo brontolio di Cromla
di tempeste forier: — Quand'anche, Erina, 515
le giovinette tue mi stendan tutte
le lor braccia di neve, e faccian mostra
dei palpitanti petti, e dolcemente
girino a me gPinnamorati sguardi;
fermo quai mille di Loclin montagne 520
qui Svaran rimarra, finche '1 mattino
venga co' raggi suoi dal mio oriente
a rischiarar di Cucullin la morte.
Grato mi freme nelForecchio il vento
che percote i miei mari: ei nelle sarte 525
parlami e nelle vele, e mi rimembra
i verdi boschi di Gormal, che spesso
a* miei venti echeggiar, quando rosseggia
la lancia mia dietro le belve in caccia.
A Cucullin tu riedi: a ceder pensi 530
Fantico trono di Cormano imbelle;
o i torrenti d'Erina, al nuovo giorno,
alle sue rupi mostreran la spuma
rossa del sangue del domato orgoglio. —
Carilo ritorno : — Ben — disse — e trista 535
la voce di Svaran. — Ma sol per lui; —
ripigli6 Cucullin — tu la tua sciogli,
Carilo, intanto, e degli antichi tempi
rammenta i fatti; fra le storie e i canti
scorra la notte: entro il mio core infondi 540
521-2. fincM . . .oriente: il Le Tourneur fece svanire affatto la bellezza
singolare di questa espressione traducendo «jusqu'a ce que Faurore se
levant sur mes 6tats». Ho sviluppato altrove i pregi originali di questa
parlata, unica nella sua brutale sublimita (C.). II Cesarotti allude alia sua
«osservazione» relativa appunto a questi versi. 537. npiglio Cucullin: Cu-
cullino non degna nemmeno d'mformarsi di quel che Svarano ha nsposto,
e senza curarlo, lo abbandona al suo brutale carattere (C.). 540-5. en
tro . . . monti : il senso piu chiaramente e questo : « cantaci qualche stona
o irlandese o scozzese; qualche canzone o tua o di Ossian» (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 121
la dolcezza del duol; che molt! eroi
e molte vaghe vergini d'amore
gia fioriro in Erina, e dolci air alma
scendon le note del dolor, che s'ode
Ossian cantar la dj Albion su i monti, 545
quando cess6 la romorosa caccia,
e s'arresta ad udir Tonda del Cona.
— Venne in Erina nei passati giorni —
ei cominci6 — dell'ocean la stirpe.
Ben mille navi barcollar sulPonde 550
ver Tamabile Ullina. Allor s'alzaro
i figli d'Inisfela, e fersi incontro
alia schiatta dei scudi. Ivi Cairba,
cima dei duci, ed ivi era pur Gruda,
maestoso garzon: gia lunga rissa 555
ebber tra lor pel variato toro,
che nella valle di Golbun muggia.,
Ciascun volealo, e fu spesso la morte
gia per calar sulle taglienti spade.
Pur nel gran giorno Fun dell'altro a lato 560
pugnar que' prodi; gli stranier fuggiro.
Qual nome sopra il colle era si bello
quanto Gruda e Cairba? Ah perche mai
torno '1 toro a muggir? quelli mirarlo
trescar bizzarro e saltellar sul prato, 565
candido come neve, e si raccese
1'ira dei duci: in sulPerbose sponde
del Luba essi pugnaro, e Jl maestoso
545. Ossian: si awerte che questo nome e sempre dissillabo, e dee pro-
nunziarsi costantemente coll'accento nella penultima (C.) ; Albione e il
nome generale della Brettagna. Ma in queste poesie si prende per la Scozia
occidentale in un senso piu ristretto e piu proprio. La voce Albione
denva dall'altra alpe, «paese montuoso» (M.). 547- e s'arresta . . . Cona:
Poriginale: « e i ruscelli di Cona rispondono alia voce di Ossian ». Ma poich6
i ruscelli non lasciano di mormorare, sia che Ossian canti o che taccia,
questo mormorio non e un onor particolare fatto dal Cona alia voce d' Os
sian ; tanto piu che il suo rumore poteva affogarla. L'immagine sostituita
ci parve piu conveniente (C.). 558-9. efu.>. spade: i: «e fu piu volte il
sangue / sopra la punta delle forti spade ». 568. Luba: Lubar, fiume in
Ulster (C.)-
122 MELCHIORRE CESAROTTI
Gruda cadeo. Venne Cairba oscuro
alia valle di Tura. Ivi Brasilia, 570
delle sorelle sue la piu leggiadra,
sedea soletta, e gia pascendo il core
coi canti della doglia. Eran suo canto
le prodezze di Gruda, il giovinetto
de' suoi pensier segreti; ella il piangea 575
come gia spento nel campo del sangue.
Pur sosteneala ancor picciola speme
del suo ritorno. Un cotal poco uscia
fuor delle vesti il bianco sen, qual luna
che da nubi trapela: avea la voce 580
dolce piu ch'arpa flebile gemente:
fissa in Gruda avea Talma, era di Gruda
il suo segreto sospiretto e il lento
furtivo sogguardar delle pupille:
«Gruda, quando verrai? guerriero amato, 585
quando ritorni a me?» Venne Cairba,
e si le disse: «Or qua, Bresilla, prendi
questo sanguigno scudo, entro la sala
1'appendi per trofeo: la spoglia e questa
del mio nemico)>. Alto tremor le scosse 590
il suo tenero cor; vola repente
pallida, furibonda, il suo bel Gruda
trov6 nel sangue, e gli spir6 sul petto.
Or qui riposa la lor polve, e questi
due mesti tassi solitari usciro 595
di questa tomba, e s'affrettar Tun Taltro
ad abbracciarsi con le verdi cime.
Tu sul prato, o Bresilla, e tu sul colle
bello eri, o Gruda; il buon cantor con doglia
rimembrera i tuoi casi, e co' suoi versi 600
575. de* suoi pensier segreti: Toriginale: « della sua anima segreta» (C.)-
576. nel campo del sangue: nella guerra contro quegh di Loclm (C.). 590-
I. Alto . . . cor: Cairba non avea detto che «il mio nemico», col qual ter-
mine poteva intendersi un danese : ma per il cuor d'una amante la possi-
bihta equivale alia certezza (C.). 596. e s'affrettar Pun Valtro: I e n:
«e corsero anelanti».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 123
consegnera questi amorosi nomi
alia memoria di remote etadi.
— Dolce e la voce tua, Carilo, e dolce
storia narrasti: ella somiglia a fresca
di primavera placidetta pioggia, 605
quando sorride il sole, e volan levi
nuvole sottilissime lucenti.
Deh, tocca 1'arpa, e fammi udir le lodi
delFamor mio, del solitario raggio
dell'oscura Dunscaglia; ah tocca Parpa, 610
canta Bragela: io la lasciai soletta
neirisola nebbiosa. II tuo bel capo
stendi tu, cara, dal nativo scoglio,
per discoprir di Cucullm la nave?
Ah che lungi da te rattienmi, o cara, 615
1'invido mar: quante fiate e quante
per le mie vele prenderai la spuma
del mar canuto, e ti dorrai delusa!
Ritirati, amor mio; notte s'avanza,
e '1 freddo vento nel tuo crin sospira. 620
Va' nelle sale de' convrti miei
a ricovrarti, e alle passate gioie
volgi il pensier; che a me tornar non lice,
se pria non cessa il turbine di guerra.
Ma tu, fido Conal, parlami d'arme, 6zs
parla di pugne, e fa' m'esca di mente,
che troppo e dolce la vezzosa figlia
del buon Sorglan, Tamabile Bragela
dal bianco sen, dalle corvine chiome.
— Figlio di Semo, — ripigli6 Conallo 630
a parlar lento — attentamente osserva
del mar la stirpe ; i tuoi guerrier notturni
manda all'mtorno, e di Svaran la possa
statti vegliando. II pur dir6 di nuovo,
per la pace son io, finche sia giunta 635
6 io. Dunscaglia: Dunscaich. Nome del palagio di Cucullino (C.). 616-
8. quante . . . delusa: 1'originale: «e la sua bianca spuma t'ingannera per
le mie vele» (C.).
124 MELCHIORRE CESAROTTI
la schiatta del deserto, e che, qual sole,
1'alto Fingallo i nostri campi irraggi. —
Cucullin s'accheto; colpi lo scudo
di scolte ammonitor: mossersi tosto
i guerrier della notte, e su la piaggia 640
giacquero gli altri al zufolar del vento.
L'ombre de} morti intanto ivan nuotando
sopra ammontate tenebrose nubi;
e per lo cupo silenzio del Lena
s'udiano ad or ad or gemer da lungi 645
le fioche voci e querule di morte.
638-9. lo scudo . . . ammonitor: Toriginale: «lo scudo del suo allarme» (C.)-
I e II : « ministro di terrore ».
CANTO II
ARGOMENTO
L'ombra di Crugal, uno degli eroi irlandesi ch'era stato ucciso in
battaglia, apparisce a Connal e predice la sconfitta di Cucullino nel
prossimo combattimento. Connal comunica a questo la sua visione, e
10 sollecita vivamente a far la pace con Svarano: ma Cucullino e
inflessibile per principio d'onore, ed e risoluto di proseguir la guerra.
Giunge il mattino. Svarano propone a Cucullino disonorevoli condi-
zioni, le quali vengono rigettate. La battaglia incomincia, e dura osti-
natamente per qualche tempo, finche" alia fuga di Grumal tutta 1'ar-
mata irlandese va in rotta. Cucullino e Connal coprono la ritirata,
Carilo conduce i soldati irlandesi ad un monte vicino, dove sono
tosto seguiti da Cucullino medesimo, il quale scopre da lungi la flotta
di Fingal, che s'avanzava verso la costa: ma sopraggiunta la notte,
la perde di vista. Cucullino, afflitto ed abbattuto per la sua sconfitta,
attribuisce questo sinistro awenimento alia morte di Ferda suo
amico, qualche tempo innanzi da lui ucciso. Carilo, per far vedere che
11 cattivo successo non seguita sempre coloro che innocentemente
uccidono le persone a lor care, introduce Tepisodio di Comal e di
Galvina.
Fosan gli eroi, tace la piaggia. Al suono
d'alpestre rio, sotto 1'antica pianta
giace Conallo : una muscosa pietra
sostiengli il capo. Delia notte udia
stridula acuta cigolar la voce 5
per la piaggia del Lena. Ei dai guerrieri
giace lontan, che non temea nemici
il figlio della spada. Entro la calma
del suo riposo, egli spiccar dal monte
vide di foco un rosseggiante rivo. 10
Per quell'ardente luminosa riga
a lui scese Crugallo, uno dei duci
5. la voce: cioe il vento notturno; oppure le voci dell' ombre accennate
sul fine del canto antecedente (C.). 9. spiccar: n: «spicciar». 11-4. Per
quelV ardente . . , Svaran: pu6 paragonarsi questa apparizione con quella
delPombra di Patroclo ad Achilla, Hi., c. 23, v. 116 [65 sgg.], e quella di
Ettore ad Enea presso Virgilio, [Aen.], 1. 2, [270 sgg.], C.
126 MELCHIORRE CESAROTTI
poc'anzi estinti, che cadeo per mano
del fier Svaran. Par di cadente luna
raggio il suo volto; nugoli del colle 15
forman le vesti: sembrano i suoi sguardi
scintille estreme di languenti faci.
Aperta, oscura, nel mezzo del petto
sospira una ferita. — O Crugal, — disse
il possente Conal — figlio di Dedga, 20
chiaro sul colle, o frangitor di scudi,
perche pallido e mesto ? lo non ti vidi
mai nelle pugne impallidir di tema.
E che fattrista ? — Lagrimoso e fosco
quegli si stette: sull'eroe distese 25
la sua pallida man, languidamente
alz6 la voce in suon debole e roco
come 1'auretta del cannoso Lego:
— • Conal, tu vedi 1'ombra mia che gira
sul natio colle, ma il cadaver freddo 3°
giace d'Ullina sulPignude arene.
Piu non mi parlerai, ne le mie orme
vedrai sul prato: qual nembo di Cromla
son vuoto e lieve, e per Taere galleggio
come nebbia sottile; odimi, o duce: 35
veggio 1'oscuro nugolo di morte
che sul Lena si star cadranno i figli
d'Inisfela, cadran: da questo campo
ritirati, o Conallo ; e campo d'ombre. —
Disse; e sparl come offuscata luna 40
nel fischiante suo nembo. — Ah no, t'arresta,
t'arresta, o fosco rosseggiante amico, —
disse Conal — vientene a me ; ti spoglia
di quel raggio celeste, o del ventoso
Cromla guerriero. In qual petrosa grotta 45
ricovri tu ? qual verdeggiante colle
35. come nebbia sottile: i e n: «qual ombra nella nebbia ». 39. campo
d'ombre: cioe, destinato a raccoglier Pombre d'un gran numero de* tuoi
guerrieri che vi resteranno uccisi, se arrischi la battaglia (C.). 40-1. spa
rl ... nembo: [Omero], lit., c. 23, v. 164 [100], C.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 127
datti albergo e riposo? e non udremti
dunque nella tempesta o nel rimbombo
dell'alpestre tor rente, allor che i fiacchi
figli del vento a cavalcar sen vanno 50
per 1'aeree campagne?— Ei, cosi detto,
rizzasi arrnato; a Cucullin s'accosta,
picchia lo scudo ; risvegliossi il figlio
della battaglia. — E qual cagion ti guida? —
disse del carro il reggitor sublime 55
— per che nel buio della notte armato
vieni, o Conal? Potea la lancia mia
volgersi incontro a quel rumore, ond'io
piangessi poi del mio fedel la morte.
Conal, che vuoi? Figlio di Colgar, parla; 60
lucido e '1 tuo consiglio a par del sole.
— Duce, — ei rispose — a me pur ora apparve
1'ombra di Crugal: trasparian le stelle
fosche per la sua forma; avea la voce
di lontano ruscello: egli sen venne 65
messaggero di morte; ei favellommi
dell'oscura magion. Duce d'Erina,
sollecita la pace, o a sgombrar pensa
dalla piaggia del Lena. — Ancor che fosche
per la sua forma trasparian le stelle,— 70
soggiunse Cucullin — teco, o Conallo,
Pombra par!6 ? Questo fu '1 vento, amico,
che nelle grotte mormoro del Lena.
O se pur fu Crugal, che nol forzasti
[.7-9. e non udremti . . . torrente: in una nota delPedizione 1763, poi sop-
>ressa nelle edizioni seguenti, il Cesarotti spiegava, citando il Vico e il Fon-
enelle, come sia propno dei popoh primitivi, e dei fanciulli, dar senso e
dta alle cose inanimate. 49-50. i fiacchi figli del vento: le aeree ombre dei
aoiti. Cfr. anche al v. 77: ospite dei venti. 60. Sembra chefigho in questo
uogo non sigmfichi altro che « discendente » ; poiche Connal non era figlio,
na nipote di Colgar, o Congal, essendo nato da Fioncoma, figlia di questo
M.)- 63-4. trasparian. . .forma: cfr. Carducci, Per il quinto anniversario
lella battagha diMentana, 13-4: «Per le ferite ridono / pie le virginee stel-
* ». 64. avea la voce : da questa espressione apparisce che i Caledoni sup-
•onevano che Tanirna dei morti fosse materiale, e simile all'idolon dei
Jreci (M.)-
128 MELCHIORRE CESAROTTI
di comparirmi innanzi ? e non gli hai chiesto 75
dove sia 1'antro suo, dove 1'albergo
delFospite del venti? Allor potrebbe
forse il mio brando rintracciar cotesta
presaga voce, e trar da quella a forza
il suo saper: ma '1 suo saper, Conallo, So
credimi, e poco. Or come? Egli poc'anzi
fu pur tra noi: piu su che i nostri colli
ei non varco; chi della nostra morte
potriagli adunque rivelar Tarcano ?
— L'ombre su i venti e sulle nubi in frotta 85
vengono e vanno a lor piacer, — soggiunse
il senno di Conal — nelle spelonche
fanno alterni colloqui e degli eventi
parlano de' mortali. — E dej mortali
parlino a senno lor, parlin di tutti, 90
di me non gia, che 1 ragionarne e vano.
Scordinsi Cucullin, perch'io son fermo
di non fuggir. Se fisso e pur ch'io caggia,
trofeo di gloria alle future etadi
sorgera la mia tomba; il cacciatore 95
versera qualche lagrima pietosa
sopra il mio sasso, e alia fedel Bragela
saro memoria ognor dolce ed acerba.
Non temo di morir, di fuggir temo
e di smentirmi: che piu volte in guerra 100
scorsemi vincitor Palto Fingallo.
0 tenebroso fantasma del colle,
su via mostrati a me, vien sul tuo nembo,
vien sul tuo raggio; in la tua man rinchiusa
mostrami la mia morte, aerea forma; 105
87. il senno di Condi: cioe, il saggio Connal. Questa maniera e frequente
appresso i poeti greci e latini : « sententia dia Catonis » [« la divma massima
di Catone», Orazio, Sat., i, n, 32], C. 89-91. E de' mortali . . . e vano:
questa risposta e simile a quella di Ettore a Polidamante. V. [Omero], Ili.t
c. 12, v. 259 [230 sgg.], C. 94-5. trofeo . . . tomba: Porigmale: «s'alzera
la mia tomba tra la fama dei tempi futuri» (C.)- 98. sard . . . acerba: cfr.
Leopardi, Le ncordanze, 58-60, 101-3, 171-3.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 129
non fuggiro. Va', va', Conal, colpisci
lo scudo di Cabar che giace appeso
la tra quell'aste; i miei guerrier dal sonno
sveglinsi tutti e alia vicina pugna
s'accingan tosto. Ancor che a giunger tardi no
Feroe di Selma e la robusta schiatta
de? tempestosi colli, andianne, amico;
pugnisi, e sia con noi vittoria o morte. —
Si diffonde il romor; sorgono i duci:
stan su la piaggia armati al par d'antiche 115
querce crollanti i noderosi rami,
se gelata onda le percote, e al vento
s'odon forte stormir Taride fronde.
Gia la nebbiosa dirupata fronte
di Cromla appar; gia '1 mattutino raggio 120
tremola su la liquida marina,
ne fosca piu ne ben lucente ancora.
Va roteando lentamente intorno
la grigia nebbia, e d'lnisfela i figli
nasconde agli occhi di Svaran. — Sorgete, — 125
disse il signor dei tenebrosi scudi
— sorgete o voi che di Loclin dall'onde
meco veniste: gia dairarmi nostre
fuggir d'Erina i duci. Or che si tarda?
S'inseguano, s'incalzino. Tu, Morla, 130
tosto alia reggia di Gorman t'awia:
comanda a lui che di Svaran la possa
prostrato inchini, anzi che '1 popol tutto
nella morte precipiti, ed Ullina
in. Selma: nome del palagio reale di Fingal (C.). m-2. la robusta . . .
colli: i Caledoni (C.). 113. sia .. .morte: il testo: «noi combatteremo
e morremo nella battaglia degli eroi». Ma perche rinunziare alia spe-
ranza della vittoria? (C.). H4- sorgono i duci: segue nell* originate:
«come lo spezzarsi d'un'onda azzurro-rotante ». Talvolta s'e creduto
di poter tralasciare alcuna di queste maniere comparative; si perche"
nell'originale sono tratto tratto ripetute; si anche perche non si scor-
ge precisamente in che convengano 1'oggetto della comparazione e
1'oggetto comparato (C.). 121. tremola . . . marina: cfr. Dante, Purg., I,
117: «conobbi il tremolar della marina ». 134-5. e& Ullina ... tomb a:
« Memphis in solitudinem erit, / erit Babylon in tumulos » [« Menfi sara
130 MELCHIORRE CESAROTTI
altro non resti che deserto e tomba. — 135
S'adunano color, simili a stormo
d'augei marini, quando il flutto irato
li rispinge dal lido; e fremon come
nella valle di Cona accolti rivi,
qualor dopo notturna atra bufera 140
alia sbiadata mattutina luce
volvon riflussi vorticosi oscuri.
Sfilan, quai succedentisi sul monle
nugoloni d'autunno, orride in vista
le awerse schiere: maestoso e grande, 145
a par del cervo de' morvenii boschi,
Svaran s'avanza, e fuor dell'ampio scudo
esce il fulgor della notturna fiamma,
che per la muta oscurita del mondo
fassi guida e sentiero alPerranti ombre: 150
guatale il peregrin pallido, e teme.
Ma un nembo alfin sorto dal mar la densa
nebbia squarci6: tutti apparir repente
d'Inisfela i guerrier schierati e stretti,
qual catena infrangibile di scogli 155
lungo la spiaggia. — Oh, — disse allor 1'altero
dei boschi regnator — vattene, o Morla,
offri pace a costoro, offri quei patti
che diamo ai re, quando alia nostra possa
piegan le vinte nazioni, e spenti 160
ridotta ad un deserto, Babilonia in sepolcn»], Geremia, [46, 19 e 51, 37],
C. 136-8. sirmli . . . hdo: «... aut ad terram gurgite ab alto / quam
multae glomerantur aves, ubi fngidus annus / trans pontum fugat et terris
immittit apricis» [«o quanti uccelli dall'alto mare si affollano . verso la
terra, quando il freddo mvernale li caccia oltre il mare e h spinge verso
spiagge aprichea], Virg., [Aen.], 1. 6, v. 3io-[a], C. 143-4. Sfilan . . .
autunno: i: «sfilan come d'autunno i foschi spettri / su 1'erbose collme».
146. a par . . . boschi: e vensimile che questo fosse un cervo particolare di
Fingal, di straordmaria grandezza e maesta, poiche il poeta lo crede
degno di rappresentarci Svarano. Ad onta di cio, non par che il cervo sia
Tanimale piu appropriato d'lmmagine a questa gran bestia (C.). 148-9. esce
. . . mondo: cfr. Leopardi, La gmestra, 165-6: «tutto di scintille in giro /
per lo voto seren brillare il mondo », e anche Foscolo, Sepolcri, 203-4:
«vedea per Pampia oscurita scintille / balenar d'elmi».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 131
sono i guerrieri, e le donzelle in lutto. —
Disse. Con lunghi risonanti passi
Morla awiossi, e baldanzoso in atto
venne dinanzi al condottier d'Erina,
che stava armato, e gli fean cerchio intorno 165
gli eroi minori. — O Cucullino, accetta —
diss'ei — la pace di Svaran, la pace
ch'egli offre ai re, quando alia sua possanza
piegan le nazioni; a lui tu cedi
la verdeggiante Ullina, e in un con ess a 170
la tua sposa e il tuo can: la dal ricolmo
e palpitante sen bella tua sposa
ed il tuo can raggiungitor del vento.
Questi a lui cedi in testimonio eterno
della fiacchezza del tuo braccio, e in esso 175
scorgi il tuo re. — Porta a quel cor d'orgoglio,
porta a Svaran che Cucullin non cede.
Egli m'offre la pace: io offro a lui
le strade dell'oceano, oppur la tomba.
Non fia giammai ch'uno stranier possegga 180
quel raggio di Dunscaglia; e mai cervetta
non fuggira per le loclinie selve
dal pie ratto di Lua. — Vano e superbo
del carro guidator, — Morla riprese
— vuoi tu dunque pugnar ? pugnar vuoi dunque 185
contro quel re, di cm le navi figlie
di molti boschi trar potrian divelta
tutta Tisola tua seco per 1'onde ?
Si, quest' Ullina e meschinetta e poca
contro il signor del mar. — Morla, — ei soggiunse 190
— cedo a molti in parole, a nullo in fatti.
162-4. Disse . . . venne: i: «E cosi detto a passeggiar si pose / crollando il
capo alteramente. Morla / venne ». 178-9.20 offro ... tomba: le parole
precise delForiginale son queste: «io gli do il fosco-azzurro rotear del-
Foceano, oppur le tombe del suo popolo in Erina». II traduttore premise
quelle parole, egli m'offre la pace\ affinche la risposta spiccasse piii viva-
mente; e levd gli aggiunti per renderla piu vibrata e pHi energica (C.).
183. Lua: nome del cane di Cucullino (C.). 191. cedo . . .fatti: «Dummo-
do pugnando superem, tu vmce loquendo» [«Purche io prevalga com-
battendo, tu vinci pure a parole »], Ovid., [Metam., IX, 30], C.
132 MELCHIORRE CESAROTTI
Rispettera la verdeggiante Erina
10 scettro di Gorman, finche respiri
Conallo e Cucullin. Conallo, o primo
tra' duci, or che dirai? Pur or di Morla 195
le voci udisti; o generoso e prode,
saran pur anco i tuoi pensier di pace?
o spirto di Crugallo, e tu di morte
m'osasti minacciar? Schiudimi il varco
dell'angusta tua casa: ella fra' raggi 200
m'accogliera della mia gloria involto.
Su, su, figli d'Erina, alzate 1'asta,
piegate Tarco; disperatamente
sul nemico awentatevi, ond'ei creda
che a lui dall'alto si rovescin sopra 205
tutti i notturni tempestosi spirti. —
Or si mugghiante, orribile, profondo
volvesi il buio della zufTa: nebbia
cosi piomba sul campo, allor che i nembi
invadono il solar tacito raggio. 210
Precede il duce; irata ombra il diresti,
che dietro ha negra nube ed infocate
meteore intorno e nella destra i venti.
Carilo era in disparte: ei fa che s'alzi
11 suon del corno bellicoso; e intanto 215
scioglie la grata voce, ed il suo spirto
216. scioglie la grata voce: s'e gia veduto altrove che i cantori accompa-
gnavano i capitani alia battaglia. II loro sacro carattere h rendeva sicuri
e rispettabili agli stessi nemici. Perci6 essi potevano cantar tranquillamente
in mezzo al fragor delFarmi senza tema d'alcun pericolo (C.). 216-7. ed
il suo spirto . . . eroi: 1' originate: «e sgorga la sua anima nella mente degli
eroi ». Nella prima edizione s'era tradotto : « ed il suo spirto / sgorga nel-
1'alme degli estinti eroi». Questo senso di fatto sembrava il piu convene-
vole. La canzone di Carilo non si riferisce per nulla ai guerrieri irlandesi
viventi, ma solo a Crugal gia morto. La mischia era gia appiccata, e i com-
battenti avevano altro che fare, che badare al canto di Carilo, che in luogo
d'ispirar loro entusiasmo di guerra, avrebbe illanguidito il loro spinto
colla sua patetica lamentazione. Pure se il principio di questa canzone
appartiene ai morti, vedremo che il fine va a terminar nei viventi, e il
dolore serve di stimolo alia vendetta. Quest' e forse I'mtendimento della
frase di Ossian, che perci6 questa volta si e conservata come sta. Del
resto, chi e in caso d'intender Poriginale, e conosce quanto spesso le
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 133
sgorga nel cor de' bellicosi eroi.
— Dove, dove e Crugal? — disse la dolce
bocca del canto — ei basso giace ; e muta
la sala delle conche; oblio lo copre. 220
Mesta e la sposa sua, che peregrina
entro le stanze del suo lutto alberga.
Ma qual raggio vegg'io, che tra le schiere
del nemici si scaglia? Ella e Degrena,
la sposa di Crugallo : addietro ai venti 225
lascia la chioma; ha rosseggiante sguardo,
strillante voce. Ahi lassa! azzurro e vuoto
e ora il tuo Crugal : sta la sua forma
nella cava del colle: egli al tuo orecchio
fessi pian plan nel tuo riposo, alzando 230
voce pari al ronzio d'ape montana.
Ve' ve' cade Degrena, e sembra nube
che striscia in sul mattino: e nel suo fianco
la spada di Loclin: Cairba, e spenta,
cadde Degrena tua. Degrena, il dolce 235
risorgente pensier dej tuoi verd'anni. —
espressioni del bardo caledonio sieno ripiene d'ambiguita e d'imbarazzo,
trovera forse che il traduttore ha fatto uso di qualche sagacita non disprege-
vole per fissarne il senso, e d'una industria non indifTerente per farlo
gustare (C.). n : « degli azzuffati eroi ». 219. bocca del canto : Teocrito chia-
ma un cantore «la calda bocca delle grazie» (C.). 219-20. e muta ... co
pre : I e il : « e mute / son le sue conche : e lo ricopre obblio » ; la sala delle
conche: cioe la sala ov'egli accoglieva gli stranieri a mensa ospitale (C.).
221-2. peregrina . . . alberga: Crugal avea sposata Degrena pochissimo tem
po innanzi la battaglia, e in conseguenza ella pu6 chiamarsi propriamente
«peregrina nelle stanze del suo lutto » (M.). 223. raggio: cosi talora ven-
gono chiamate da Ossian le belle. Questa volta la denominazione di-
venta propria, perche* Degrena in lingua celtica significa appunto « raggio
di sole» (M.). 224-5. Etta . . . Crugallo: questa non e gia una visione
fantastica. Carilo vede realmente Degrena, che cerca la morte per non
soprawivere al suo sposo (C.). 22 7. strillante: i e n: « squillante ».
229-30. egli . . . riposo: 1'originale: «egh viene all'orecchio del riposo » (C.).
Prima s'era tradotto : « fassi pian pian nel tuo riposo, ed alza », come appun
to ha il testo. Ma quello era tempo di tutt'altro che di riposo. S'e dunque
sostituito il tempo passato al presente, come piu adattato al luogo (C.).
231. d'ape montana: nell'originale segue: «o dei raccolti insetti della sera».
S'e creduto che Tape potesse bastar per tutti (C.). 234. di Loclin: di
qualche guerriero danese (C.); Cairba: il padre di Degrena (C.).
134 MELCHIORRE CESAROTTI
Udi Cairba il mesto suono, e vide
la morte della figlia; in mezzo a mille,
qual balena che '1 mar frange col pondo,
slanciasi e mugghia: la sua lancia incontra 240
il cor d'un figlio di Loclin: s'ingrossa
la sanguinosa mischia. In bosco annoso
ben cento venti, o tra ramosi abeti
di cento colli violenta fiamma,
potriano appena pareggiar la strage, 245
la rovina, il fragor deH'affollate
schiere cadenti. Cucullin recide
come cardi gli eroi; Svaran devasta,
diserta Erina: di sua man Curano
cadde, e Cairba dal curvato scudo. 250
Giace Morglano in ferreo sonno, e Calto
guizza morendo: del suo sangue ha tinto
il bianco petto; e strascinata e sparsa
la gialla chioma per la molle arena
del suo terren natio: spesso ov'ei cadde 255
gia conviti imbandi; spesso dell'arpa
la voce sollevo; festosi intorno
saltellavangli i veltri, e i giovinetti
stavansi ad assettar faretre ed archi.
Gia Svaran cresce, e gia soverchia come 260
torrente che trabocca, e i minor poggi
schianta e travolve, e i maggior pesta e sfianca.
Ma s'attraversa Cucullin, qual monte
di nembi arrestator: cozzano i venti
sulla fronte di pini, e i massi informi 265
la ripercossa grandine flagella:
237. II canto di Carilo & terminate. Ossian comincia la sua narrazione (C.).
239. qual . . . pondo: il testo non aggiunge nulla alia balena. Si e creduto
che questa immagme debba riferirsi all'atto di piombar disperatamente
e con tutto il peso del corpo sopra il nemico. La frase aggiunta fa sentire
questo rapporto (C.). 260-2. come . . . sfianca: v. Om., [//.], c. 5, v. 107
[87-8] e c. n, v. 587 [492-5], C. 263-8. qual . . . valle: simile, benche" in
apparenza diversa, e la comparazione presso Omero di Polipete e Leonteo
a due querce. V. //., c. 12, v. 154 [131-4], C.
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 135
quello in sua possa radicato e fermo
stassi, ed adombra la soggetta valle.
Tal Cucullino ombra faceasi e schermo
ai figli d'lnisfela: a lui d'intorno 270
di palpitant! eroi zampilla il sangue,
come fonte da rupe: invan, ch'Erina
cade pur d'ogni parte, e si dilegua
siccome neve a caldo sol. — Compagni, —
Gruma grid6— Loclin conquista, e vince: 275
che piu dunque pugnar, palustri canne
contro il vento del cielo? al colle, al colle
fuggiam, compagni. — Ed ei fuggissi il primo
come cervo inseguito, e la sua lancia,
simile a raggio tremulo di luce, 280
dietro traea. Pochi fuggir con Gruma,
duce di picciol cor: gli altri pugnando
caddero e '1 Lena ricoprir coi corpi.
Vede dalPalto del gemmato carro
la sconfitta dej suoi, vedela, e freme 285
d'Erina il condottier: trafisse il petto
a un fier nemico, indi a Conal si volse.
— 0 Conallo, — esclamo — tu m'addestrasti
questo braccio di morte: or che farassi?
ancor ch'Erina sia fugata o spenta, 290
non pugnerem perci6 ? Si, si, tu vanne,
Carilo, e i sparsi fuggitivi avanzi
di nostre schiere la raccogli e guida
dietro quell'erto cespuglioso colle.
Noi stiam fermi quai scogli, e sostenendo 295
Timpeto di Loclin, de' fidi amici
la fuga assicuriam. — Balza Conallo
sopra il carro di luce; i due campioni
stendono i larghi tenebrosi scudi,
come la figlia dei stellati cieli 300
lenta talor move per Paere e intorno
di fosco cerchio s'incorona e tinge.
300. la figlia dei stellati cieli: la luna.
136 MELCHIORRE CESAROTTI
Palpitante, anelante, e spuma e sangue
spruzza Sifadda, e Duronallo a cerchio
volvesi alteramente, e calca e strazia 3°5
nemici corpi: quei serrati e fold
tempestano gli eroi, quai sconvolte onde
sconcia balena d'espugnar fan prova.
Di Cromla intanto sul ciglion petroso
si ritrassero alfine i pochi e mesti 310
figli d'Erina, somiglianti a un bosco
cui strisciando Iambi rapida fiamma,
spinta dai vend in tempestosa notte.
Dietro una quercia Cucullin si pose
taciturno, pensoso: il torbid'occhio 315
gira agli astand amici. Ecco venirne
Moran, del mare esplorator : — Le navi,
le navi ; — egli grid6 — Fingal, Fingallo,
il sol dei duci, il domator d'eroi,
ei viene, ei vien: spumano i flutti innanzi 320
le nere prue; le sue velate antenne
sembran boschi tra nubi. — O vend, o voi
vend, — soggiunse Cucullin — che uscite
dalFisoletta dell'amabil nebbia,
spirate tutte favorevoli aure, 325
secondate il guerrier: vientene, amico,
alia morte di mille, amico, ah vieni.
Nubi deH'oriente a questo spirto
son le tue vele, e Faspettate navi
luce del cielo; e tu mi sei tu stesso 330
come colonna d'improwiso foco
rischiaratrice della notte oscura.
O mio Conal, quanto graditi e cari
ci son gli amici! ma s'abbuia intanto
la notte: ov'e Fingal? noi le fosch'ore 335
stiam qui passando, e sospiriam la luna. —
Gia sbuffa il vento; dalle fesse rupi
gia sboccano i torrenti; al capo irsuto
308. sconcia: enorme.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 137
di Cromla intorno s'aduno la pioggia,
e rosse tremolavano le stelle 340
per le spezzate nubi. Appresso un rivo,
di cui la pianta al gorgoglio risponde,
mesto s'assise il condottier d'Erina.
Carilo, il buon cantor, stavagli accanto
e '1 pro' Conallcf. — Ah, — sospirando disse 345
di Semo il figlio — ah che infelice e fiacca
e la mia man* dacch6 Tamico uccise!
O Ferda, o caro Ferda, io pur t'amava
quanto me stesso. — Cucullin, deh dinner —
• Tinterruppe Conal — come cadeo 350
quelFillustre guerrier? Ben mi sowengo
del figlio di Damman: grande era e bello
come Tarco del ciel. — Ferda, signore
di cento colli, d' Albion sen venne.
Nella sala di Muri ei da' prim'anni 355
Parte del brando apprese, e d'amistade
strinsesi a Cucullin; fidi alia caccia
n'andammo insieme; era comune il letto.
Era a Cairba, gia signor d'Ullina,
Deugala sposa: avea costei nel volto 360
la luce di belta, ma in mezzo al core
la magion delPorgoglio. Ella invaghissi
di quel raggio solar di gioventude,
del figlio di Damman. « Cairba, » un giorno
disse la bella ccorsii dividi il gregge; 365
dammi la mia meta: restar non voglio
nelle tue stanze: il gregge tuo dividi,
fosco Cairba». « Cucullin » rispose
«lo divida per me: trono e Jl suo petto
di giustizia: tu parti ». Andai: la greggia 370
divisi: un toro rimaneva, un toro
bianco di neve; al buon Cairba il diedi;
Deugala n'awampb: venne all'amante:
355. sola di Muri: scuola in Ulster, per ammaestrarsi nel maneggio del-
Fanni (C.)« 359- Cairba: signore irlandese, diverse dal padre di De-
grena (C.).
138 MELCHIORRE CESAROTTI
«Ferda,» diss'ella «Cucullin m'offende;
fammi udir di sua morte, o sul mio corpo 375
scorrera il Luba: la mia pallid' ombra
staratti intorno, e del mio orgoglio offeso
piangera la ferita: o spargi il sangue
di Cucullino, o mi trapassa il petto ».
«0ime,» disse il garzon « Deugala, e come? 380
io svenar Cucullino? egli e Tamico
de' miei pensier segreti, e contro ad esso
solleverb la spada ? » Ella tre giorni
pianse; nel quarto di cesse al suo pianto
Pinfelice garzon. « Deugala, » ei disse 385
« tu Jl vuoi, combattero : ma potess'io
cader sotto il suo brando! Io dovrei dunque
errar sul colle, e rimirar la tomba
di Cucullin ? » Noi presso a Muri insieme
pugnammo: s'impacciavano Tun Taltro 390
ad arte i brandi nostri, il fatal colpo
sfuggendo, sdrucciolavano sugli elmi,
strisciavano su i scudi. Eragli accanto
Deugala sua: con un sorriso amaro
diedesi a rampognarlo: «O giovinetto, 395
debole e '1 braccio tuo ; non e pel brando
questa tenera eta; garzone imbelle,
cedi al figlio di Semo; egli pareggia
10 scoglio di Malmor». Corsegli all'occhio
lagrima di vergogna; a me si volse, 400
e par!6 balbettando : « Alza il tuo scudo,
alzalo, Cucullino, e ti difendi
dal braccio delFamico: ho grave e negra
Fanima di dolor, che* uccider deggio
11 maggior degli amici e degli eroi». 405
Trassi a quei detti alto sospir, qual vento
da fessa rupe: sollevai del brando
Tacuto filo: ahi lasso! egli cadeo.
390-2. s'impacciavano . . . elmi: i: «si sfuggiano i brandi nostri / I'un Tal-
tro, sdrucciolavano sugli elmi». 399-400. Corsegli . . . vergogna: Torigi-
nale: «stassi la lagrima suirocchio di gioventu» (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 139
Cadde il sol della pugna, il caro, il primo
tra' fidi amici: sciagurata, imbelle 410
e la mia man, dacche Pamico uccisi.
— Figlio del carro, dolorosa istoria —
Carilo ripigli6 — narrasti : or questa
mi rimanda alia mente un fatto antico,
che puo darti conforto. lo spesso intesi 415
membrar Comallo che 1'amata uccise;
pur sempre accompagn6 vittoria e fama
la sua spada e i suoi passi. Era Comallo
un figlio d'Albion, di cento colli
alto signor: da mille rivi e mille 420
i suoi cervi beveano, e mille scogli
rispondeano al latrar de5 veltri suoi.
Era soavita di giovinezza
Tamabile suo volto; era il suo braccio
morte d'eroi. De' suoi pensier Tobietto 425
uno era e bello, la gentil Galvina,
la figlia di Colonco: ella sembrava
sol tra le donne, e liscia ala di corvo
la sua chioma vincea; sagaci in caccia
erano i cani suoi, fischiava al vento 430
la corda del suo arco. I lor soavi
sguardi d'amor si riscontrar sovente:
uno alia caccia era il lor corso, e dolci
le lor segrete parolette e care.
Ma per la bella si struggea d'amore 435
il fier Gormante, il tenebroso duce
d'Arven nembosa, di Comal nemico.
Egli tuttor della donzella i passi
sollecito esplorava. Un di che stanchi
tornavano da caccia, e avea la nebbia 440
tolti alia vista lor gli altri compagni,
si riscontraro i due teneri amanti
416. Comallo'. guernero scozzese. Non bisogna confonderlo con un altro
Comal, padre di Fingal (C.). 437- Arven: contrada appartenente a Mor-
ven (C.).
140 MELCHIORRE CESAROTTI
alia grotta di Ronna. Ivi Comallo
facea spesso soggiorno; ivi del duce
pendean disposti i bellicosi arnesi: 445
cento scudi di cuoio e cento elmetti
di risonante acciar. «Qui dentro» ei disse
«riposati, amor mio, riposa, o luce
dello speco di Ronna: un cervo appare
su la vetta di Mora; io la men volo, 45°
ma tosto torner6 ». « Comal, » rispose
«temo Gormante il mio nemico; egli usa
in questa grotta: io posero fra Parmi;
ma fa* tosto, amor mio». Vol6 Peroe
verso il cervo di Mora. Allor la bella 455
voile far prova sconsigliatamente
delPamor del suo caro: il bianco lato
ella coperse di guerriere spoglie
e della grotta usci. Comal Padocchia,
credela il suo nemico; il cor gli balza: 460
iscolorossi, intenebrossi ; incocca
Parco; vola Io stral; cade Galvina
nel sangue suo. Quei furibondo, ansante
vola alPantro, e la chiama: alcun non s'ode;
muta e la rupe. «O dolce amor, rispondi, 465
dove sej tu ? » Torna alPestinto, e vede
il cor di quella palpitar nel sangue
dentro il suo dardo: «0 mia Galvina, oh vista!
or se* tu quella?» E le cadeo sul petto.
Vennero i cacciatori e ritrovaro 470
la sventurata coppia. II duce ancora
err6 sul colle; ma solinghi e muti
443. Comallo: guerriero scozzese, la di cui morte e riferita nel 9 frammento
di poesia antica, pubblicato nel 1761 dallo stesso valente traduttore in-
glese (C.). Si tratta dello stesso guerriero nominato al v. 416. II Cesarotti
ha evidentemente dimenticato la nota apposta a quel verso. 450. Mora :
monte della Scozia. Erane un altro di simil nome in Irlanda, di cui si fa
menzione nel canto I, e in altri luoghi di questo poema (C.). 455-9- Al
lor . . . usci : forse per fargli una dolce sorpresa ? o pmttosto per un prin
ciple di gelosia? (C.). 465-6. O dolce . . . tu?: cfr. Leopardi, Le ricor-
danze, 138-40: «Dove sei gita, / che qui sola di te la ncordanza / trovo,
dolcezza mia ? »
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 141
erano i passi suoi presso Poscura
magion delPamor suo. Sceser le navi
delPoceano; egli pugn6; fuggiro 47S
dal suo brando i stranier: cerco la morte,
ma chi dar la poteagli ? A terra irato
scagli6 lo scudo; una volante freccia
riscontr6 alfine il maschio petto. Ei dorme
con Pamata Galvina in riva al mare; 480
e fendendo il nocchier le nordiche onde,
scorge le verdi tombe, e ne sospira.
474-5. Sceser. . . oceano: cioe: vennero i Danesi per far un'invasione nella
Scozia (C.). 479- Ei dorme: e nel sepolcro (C.). 481-2. Cfr. Foscolo,
Sepolcrij 201-3 : «I1 navigante / che veleggi6 quel mar», ecc.
CANTO III*
ARGOMENTO
Cucullino, essendosi molto compiaciuto della storia di Carilo, in-
siste perche canti piu a lungo. II bardo riferisce le azioni di Fingal in
Loclin e la morte di Aganadeca, la bella sorella di Svarano. Soprag-
giunge Calmar, ed espone loro il disegno di Svarano di sorprender
il rimanente delFesercito irlandese. Propone di resistere egli solo a
tutte le forze del nemico in un angusto passaggio, finche 1'armata
irlandese possa ritirarsi in buon ordine. Cucullino, ammirando la
coraggiosa proposizione di Calmar, risolve d'accompagnarlo, e co-
manda a Carilo di scortar al trove que' pochi irlandesi che rima-
nevano. Venuta la mattina, Calmar muore dalle sue ferite; e com-
parendo i navigli de' Caledoni, Svarano tralascia d'inseguire
gl' Irlandesi, e torna addietro per opporsi allo sbarco di Fingal.
Cucullino, vergognandosi di comparire innanzi a Fingal dopo la sua
sconfitta, si ritira nella grotta di Tura. Fingal attacca la zuffa col ne
mico e lo mette in fuga. Ma la notte che soprawiene fa che la vittoria
non sia compiuta. II re che aveva osservato il valore e '1 coraggio
dj Oscar suo nipote, gli da alcuni ammaestramenti per ben condursi
in pace ed in guerra. Storia di Fainasollis figlia del re di Craca, cui
Fingal aveva preso a proteggere nella sua gioventu. Fillano ed Oscar
sono inviati ad osservar, durante la notte, i movimenti dei nemici.
Gaulo, figliuolo di Morni, domanda il comando deH'armata nella
seguente battaglia, e Fingal glielo accorda.
— Soavi note, dilettose istorie,
raddolcitrici de' leggiadri cori! —
soggiunse Cucullin — tal molce il colle
rugiada del mattin placida e fresca,
quando il sogguarda temperate il sole, 5
e la faccia del lago e pura e piana.
Segui, Carilo, segui: ancor satollo
non £ Jl mio cor. La bella voce sciogli,
dinne il canto di Tura, il canto eletto
che soleasi cantar nelle mie sale; 10
quando Fingallo, il gran signer dei brandi,
* Continua la seconda notte. Cucullino, Connal e Carilo sono tuttavia
nel luogo descritto nel canto precedente (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 143
v'era presente, e s'allegrava udendo
o le sue proprie, o le paterne imprese.
— Fingallo, uom di battaglia, — in cotal guisa
Carilo incomincio — prevenne gli anni 15
la gloria tua. Nel tuo furor consunta
resto Loclin, che la tua fresca guancia
gara avea di belta con le donzelle.
Esse amorosamente alia fiorita
vezzosa faccia sorridean, ma morte 20
stava nella sua destra. Avea la possa
della corsia del Lora; i suoi seguaci
fremeangli addietro come mille rivi.
Essi il re di Loclin, Taltero Starno,
presero in guerra, e Jl ricondusser poi 25
alle sue navi: ma d'orgoglio e d'ira
rigonfiossegli il core, e nel suo spirto
piantossi oscura del garzon la morte:
perch£ non altri che Fingallo avea
vinta di Starno rindomabil possa. 30
Stava in Loclin costui dentro la sala
delle sue conche, e a s6 chiamo dinanzi
il canuto Snivan; Snivan che spesso
17. che: quando ancora. 22. corsia: corrente. 23. come mille rivi: questa
maniera e frequente nella poesia ebraica: «sonabunt fluctus eorum quasi
aquae multae» [«risuoneranno i loro flutti come molte acque»], Ger.,
c. 51, v. 55; «sonabit super eum sicut sonitus maris» [«risuonera
su di lui come il suono del mare»], Is., c. 5, v. 30 (C.). 24. Starno
era padre di Svaran e di Aganadeca. Vedi 1'atroce carattere di costui
nel poema mtitolato Calloda (C.). 27-8. nel suo spirto . . . la morte:
nelP originale: «e se gli oscur6 nell'alma la morte del giovinetto» (C.).
33. Snivan: questo Snivano doveva essere uno degh scaldi danesi, ordine
similissimo a quello dei bardi scozzesi. Non sara discaro agh amatori della
poesia, che io ponga qui sotto uno squarcio del sig. Mallet, il quale fa
iredere in qual venerazione fosse quest'arte appresso le nazioni credute
Darbare ed insensibili a queste delizie di spirito: «La storia della poesia
ion pud citare alcun paese che le sia stato piu favorevole della Scandi-
lavia, ne alcun secolo piti glorioso. I monumenti storici del Nord sono
Dieni di testimonianze d'onon resi loro dai popoli e dai re. I re di Dani-
narca, Svezia, Norvegia andavano sempre accompagnati da uno o piu
jcaldi. Araldo ctda' bei capelli'' nei conviti dava loro il primo posto tra gli
afiziali della corte. Molti principi e in guerra e in pace confidavano loro
144 MELCHIORRE CESAROTTI
cantava intorno al circolo di Loda,
quando la pugna nel campo del forti 35
volgeasi, e a' canti suoi porgeva ascolto
la pietra del poter. «Snivan canuto,
va5 » disse Starno « alle dal mar cerchiate
arvenie rocce; ed al possente e bello
re del deserto tu dirai ch'io gli offro 40
la figlia mia, la piu gentil donzella
ch'alzi petto di neve; essa ha le braccia
candide al par della marina spuma;
dolce e nobile il cor. Venga Fingallo,
venga co' suoi piu forti alia vezzosa 45
vergine figlia di segreta stanza ».
Alle colline d' Albion ventose
venne Snivano, e Jl ben chiomato eroe
seco n'and6 : dinanzi a lui volava
rinfiammato suo cor, mentr'ei Pazzurre 5°
nordich'onde fendea. «Ben venga a noi,»
Starno grido «ben venga il valoroso
re di Morven scoscesa; e voi ben giunti
siate pur suoi guerrieri, illustri figli
deirisola solinga: in feste e canti 55
gli ufizi i piii important!. Non si faceva alcuna spedizione militare, senza
che vi fossero presenti. Aquino, conte di Norvegia, ne condusse seco
cinque in una famosa battaglia, ove ciascheduno cant6 un inno per mfiam-
mar il coraggio de* soldati. Le loro poesie erano ricompensate coi piu ma-
gmfici doni. II rispetto che si avea per essi gmngeva a segno di rimetter
loro la pena di qualche delitto, a condizione che domandassero la loro gra-
zia in versi; ed esiste ancora 1'ode, colla quale un celebre poeta, chiamato
Egil, si riscatt6 da un omicidio. Finalmente i principi e i re si apphcavano
seriamente a quest'arte, come Ronvaldo, conte delle Orcadi, Regner Lod-
brog, re di Danimarca, ed altri. Un principe spesse volte non esponea la
sua vita se non per esser lodato dal suo scaldo, rimuneratore del suo va-
lore. Gli scaldi cantavano poscia i loro versi nei conviti solenni e nelle
grandi assemblee, al suono del flauto e del lmto». Introd. alia stor. di
Danim. (C.). 34- Questo passo allude certamente alia religione di Loclin.
II circolo di Loda dovrebbe essere quel doppio recinto di pietre, con cui
gli Scandinavi, come rapporta il sig. Mallet, circondavano 1'altare del loro
idolo, e la collina sopra di cui era collocato (C.). 37- La pietra del potere
e rimmagine del dio Odin, o di qualche altra divimta della Scandinavia.
Vedi il poema di Carritura [nota al v. 291, in Opere, iv, pp. 33-5], C.
40. re del deserto: Fmgal (C.). 46. figlia: abitatnce (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 145
vi starete tre giorni, e tre le belve
seguirete alia caccia, affin die possa
giunger la vostra fama alia donzella
della segreta stanza abitatrice ».
Si fmtamente favello Paltero 60
re della neve, e meditava intanto
di trarli a morte. Nella sala ei sparse
la festa delle conche. Avea sospetto
Fingal di frode, ed awedutamente
Tarme ritenne; si sguardar Fun Paltro 65
pallidi in volto i figli della morte,
e taciti svanir. S'alzan le voci
della vivace gioia: arpe tremanti
mandan dolce armonia; cantano i vati
scontri di pugna o tenerelli petti 70
palpitanti d'amor. Stava tra questi
il cantor di Fingallo, Ullin, la dolce
voce di Cona. Ei celebro la bella
vergine della neve e '1 nato al carro
signer di Selma: la donzella intese 75
56. tre giorni'. sembra che le nazioni antiche siansi accordate nelTaver
una particolare venerazione per il numero tre. Gli scandinavi lo riguardava-
no come un numero sacro e particolarmente grato agli dei. Una simile
opinione doveano aver gli Scozzesi. Ossian ne fa uso non solo nelle cose
solenm o di costume, come in questo luogo, ma anche nelle piu acciden
tal!, e che non dipendono che dalla elezione; in cui per conseguenza la
determinazione costante di questo numero non sembra che possa aver
luogo. Tre giorni sta prigione un guerriero, nel quarto vien liberate;
tre giorni una donna piange, nel quarto ottiene il suo intento; tre giorni
un'altra rafrrena il suo amore, nel quarto vi si abbandona. Questo sarebbe
un bel soggetto per qualche pittagorico. lo mi contentero di aggiunger
quest'osservazione all'altre del Matanasio a quelle parole della sua cele-
bre canzone: «Trois fois frappa» (C.). Allude al Chef d'oeuvre d'un inconnu,
poeme heureusement decouvert et mis au jour par le docteur Chrysostomc
Mathanasius, pubblicato nel 1714 da Hyacinte Cordonnier (1684-1746),
e che vuol essere una burlesca parodia dei commenti eruditi alia Dacier.
61. Starno e qui poeticamente chiamato re della neve, dalla gran quantita
che ne cade ne' suoi dominii (C.). 66. i figli della morte: cioe i sicari ap-
postati da Starno per uccider Fingal. In altro senso Davidde e chiamato da
Saule « filius mortis », nel libro i dei Rey c. 20, [3 1], vale a dire « persona desti-
nata alia morte » (C.)- 72. Ulhn: questo e il pnmo dei cantori di Fingal,
ed il suo araldo nelle battaglie. Ne vien fatta spesso onorevol menzione
in queste poesie (C.). 74. della neve: cioe del paese nevoso (C.).
MELCHIORRE CESAROTTI
Famabil canto, e abbandon6 la stanza
segreto testimon de' suoi sospiri.
Usci di tutta sua bellezza adorna,
quasi luna da nube in oriente.
Le leggiadrie cingevanla e le grazie, 80
come fascia di luce: i passi suoi
movean soavi, misurati e lenti
come armoniche note. II garzon vide,
videlo e n'arse. «O benedetto raggio»
disse tra se. Gia del suo core egli era 85
il nascente sospiro, e a lui di furto
spesso volgeasi il desioso sguardo.
Tutto raggiante il terzo di rifulse
sul bosco delle belve. Usci Fingallo,
signor dei scudi, e '1 tenebroso Starno. 9°
Del giovin prode rosseggio la lancia
nel sangue di Gormallo. Era gia '1 sole
a mezzo il corso suo, quando la bella
figlia di Starno al bel Fingal sen venne
con amorosa voce e coi begli occhi 95
in lagrime girantisi e tremanti;
e si parlo: « Fingallo, ah non fidarti
del cor di Starno; egli nel bosco agguati
pose contro di te: guardati, o caro,
dal bosco della morte; ad awisarti 100
spronami amor: tu, generoso eroe,
rammenta Aganadeca, e mi difendi
dallo sdegno del padre ». II giovinetto
1'udl tranquillo, ed awiossi al bosco
spregiantemente : i suoi guerrier possenti 105
stavangli a fianco. Di sua man cadero
i figli della morte, e a' loro gridi
76-7. abbandono . . .sospiri: neir originate: «lasci6 la sala del suo segreto
sospiro » (C.)- 81-3. i passi . . . note: le parole dell' originate sono queste:
«i suoi passi erano simili alia musica dei canti». II traduttore ne ha svi-
luppate le idee, che forse non tutti avrebbero cosi agevolmente distinte
nell'espressione ristretta e precisa di Ossian (C.). 92. nel sangue di Gor
mallo: cioe, nel sangue delle fiere del monte Gormal (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 147
Gormallo rimbombo. Rimpetto all'alta
reggia di Starno si raccolser tutti
gli stanchi cacciatori. II re si stava no
torbido, in se romito; avea sul ciglio
funesta nube, atro vapor negli occhi.
« Ola, » grid6 Taltero « al mio cospetto
guidisi Aganadeca; ella ne venga
al re di Selma, al suo leggiadro sposo. 115
Gia del sangue de' miei tinta e la destra
del suo diletto ; inefficaci e vane
non fur sue voci: del fedel messaggio
e giusto il guiderdon». Venne la bella,
sciolta il crin, molle il ciglio: il bianco petto 120
le si gonfiava air aura de' sospiri,
come spuma del Luba. II fero padre
Tafferr^, la trafisse. Ella cadeo
come di neve candidetta falda
che dalle rupi sdrucciolar del Rona 125
talor si scorge, quando il bosco tace,
e basso per la valle il suon si sperde.
Giunse Fingal, vide la bella; il guardo
vibro sopra i suoi duci, e i duci suoi
Farme impugnaro: sanguinosa e negra 130
pugna mugghio; Loclin fu spersa o spenta.
Pallida allor nella spalmata nave
la vergine ei racchiuse: in Arven poi
le alzo la tomba; or freme il mar d'intorno
alFoscura magion d* Aganadeca. 135
— Benedetto il suo spirto, e benedetta
in. in sd romito : cfr. Dante, Purg.y vi, 72: «l'ombra, tutta in se romita».
1 1 1-2. avea . . . nube: cfr. Foscolo, Sepokri, 194-5 : «avea sul volto / il pal
lor della morte ». 116-7. Gtd • - - diletto: convien supporre che Starno fos
se stato awertito in qualche modo dell'awiso dato dalla figlia a Fingal (C.).
128-9. Giunse . . . duci: neH'originale non vi sono che queste parole: «adoc-
chi6 allora Fingal i valorosi suoi duci». Si sono premesse queste altre,
acci6 non sembrasse che Fingal fosse gia presente a questa tragedia, il
che non pu6 supporsi (C.). 135. Ma che e divenuto di Starno? Ma in-
torno a questa stona vedi 1'osservazione (C.). Come osserva anche 1'Or-
tolani, nulla si trova, fra le Osservazioni del Cesarotti, a proposito di
Starno.
148 MELCHIORRE CESAROTTI
sii tu, bocca del canto ; — allor riprese
di Semo il figlio — di Fingal fu forte
il braccio giovenil, forte e Tantico.
Cadra Loclin sotto Pinvitta spada, 14°
cadra di nuovo. Esci da' nembi, o luna;
mostra la bella faccia, e per 1'oscura
onda notturna le sue vele aspergi
della serena tua Candida luce.
E se forse lassu, sopra quel basso 145
nebuloso vapor sospeso alberghi,
o, qual che tu ti sia, spirto del cielo,
cavalcator di turbini e tempeste,
tu proteggi 1'eroe, tu le sue navi
dagli scogli allontana, e tu lo guida 150
securo e salvo ai desiosi amici. —
Si parlo Cucullin; quando sul colle
sali di Mata il valoroso figlio,
Calmar ferito: egli venia dal campo
nel sangue suo; ne sostenea la lancia 155
i vacillanti passi: ha fiacco il braccio,
ma indomabile il cor. — Gradito a noi
giungi, — disse Conal — gradito, o forte
figlio di Mata. Ond'e ch'esce il sospiro
dal petto di colui che in mezzo all'arme 160
mai non teme ? — Ne temera giammai,
sir dell'acuto acciar. Brillami Talma
entro i perigli, e mi festeggia il core.
Son della schiatta delPacciaro, a cui
nome ignoto e '1 timor. Cormar fu '1 primo 165
della mia stirpe. Eran suo scherzo e gioco
flutti e tempeste: il suo leggiero schifo
saltellava sull'onde, e gia guizzando
su le penne dei venti. Un negro spirto
turb6 la notte. II mar gonfiasi, i scogli 170
rugghiano, i venti vorticosi a cerchio
147. Le parole qual che tu ti sia, aggiunte dal traduttore, indicano la
natura indeterminata di questo spirito. Vedi il Ragionamento sopra i Cale-
doni (C.)- Cfr. Opere, n, p. 41.
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 149
strascinano le nubi; ale di lampi
volan focose. Egli smarrissi, a terra
ei ricovro; ma s'arrossi ben tosto
del suo timore: in mezzo al mar di nuovo 175
scagliasi, il figlio a rintracciar del vento.
Tre giovinetti del suo legno han cura
e ne reggono il corso. Egli si stava
col brando ignudo : ecco passar Foscuro
vapor sospeso: ei I'afferr6 pel crine 180
rapido, e con 1'acciaro il tenebroso
petto gli ricerc6: Faereo figlio
fuggi stridendo, e comparir le stelle.
Tal fu 1'ardir de' miei: Calmar somiglia
ai padri suoi: dalPinalzata spada 185
fugge il periglio: uom c'ha fermezza, ha sorte.
Ma voi, progenie delle verdi valli,
dalla del Lena sanguinosa piaggia
scostatevi; adunate i tristi avanzi
dei nostri amici, e di Fingallo al brando 190
ad unirvi correte. II suono intesi
delFoste di Loclin che a noi s'avanza.
Partite, amici, restera Calmarre,
Calmar combattera: bench'io sia solo,
tal dar6 suon, come se mille e mille 195
fossermi a tergo. Or tu, figlio di Semo,
rammentati Calmar, rammenta il freddo
corpo giacente. Poi ch'avra Fingallo
guasto il campo nemico, appo una pietra
di memoria ripommi, onde il mio nome 200
passi ai tempi futuri, e si rallegri
la madre di Calmar, curva sul sasso
della mia fama. ~ Ah no, figlio di Mata, —
176. il figlio . . . del vento: e il negro spirto di cui al v. 169. 186. uom . . .
sorte: «audentes fortuna iuvat» [«la fortuna aiuta gli audaci», Virgilio,
Aen., x, 284], C. 199-200. una pietra di memoria: una pietra in que' rozzi
tempi era il solo mezzo di conservar in generate la memoria d'una per
sona o d'un awenimento notabile. II canto e la tradizione spiegavano
particolarmente i nomi e le cose (C.).
150 MELCHIORRE CESAROTTI
rispose Cucullin — non voj lasciarti ;
io sar6 teco: ove piu grande e certo 205
rischio s'affaccia, ivi piu '1 cor di gioia
m'esulta e ferve e mi s'addoppia in petto.
Forte Conallo, e tu Carilo antico,
voi d'Inisfela i dolorosi figli
scorgete altrove; e quando al fin sia giunto 210
Paspro conflitto, rintracciate i nostri
pallidi corpi: in questo angusto passo,
presso di questa pianta ambedue fermi
staremci ad affrontar 1'atro torrente
della pugna di mille. O tu, va', corri, 215
figlio di Fiti, ale di vento impenna.
Vanne a Fingal, digli ch'Erina e bassa,
fa' die s'affretti. Oh venga tosto a noi
qual vivo sole, e le tempeste nostre
sgombri coi raggi e rassereni il colle. — 220
Grigio in Cromla e '1 mattin; sorgono i figli
dall'oceano: usci Calmar fumante
di bellicoso ardor; ma pallida era
la faccia sua: chinavasi sull'asta
de' padri suoi, sopra quelPasta istessa 225
che dalle sale egli port6 di Lara,
e stava mesta a risguardar la madre.
Ma or languido, esangue a poco a poco
manca e cade Peroe, qual lentamente
cade sul Cona sbarbicata pianta. 230
Solo rimane Cucullin qual rupe
nell'arenosa valle: il mar coi flutti
221-2. sorgono i figli dalVoceano: tutte e tre le edizioni hanno cosi; ma forse
si dovra leggere i figli delVoceano, cioe i guerneri di Loclin, venuti dal
mare. 231-5. qual rupe ... spuma: Om., [I/.], c. 15, v. 699 [618-21]. Ossian
e ancora piu somigHante a Virgilio: «ut pelagi rupes magno veniente fra-
gore, / quae sese, multis circum latrantibus undis, / mole tenet ; scopuh
nequicquam et spumea circum / saxa fremunt, laterique illisa refunditur
alga» [«come una rupe in mezzo all'assalto del grande fragore del mare,
la quale si tiene salda nella sua mole, mentre mtorno latrano numerose
le onde; invano intorno fremono gli scogli e le rocce spumeggianti, e Palga
e travolta e sbattuta contro i suoi fianchi»], En., 1. 7, v. sSy-foo], C.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 151
viensene e mugge su i petrosi fianchi;
stridono i massi, e la scoscesa fronte
spruzza e ricopre la canuta spuma. 235
Ma gia fuor fuor per la marina nebbia
veggonsi a comparir le di Fingallo
bianco-velate navi; e maestoso
s'avanza il bosco dell'eccelse antenne.
S varan Tadocchia, e di combatter cessa 240
d'Inisfela Peroe. Qual per le cento
isole d'Inistor s'arretra e ferve
gonfia marea; si smisurata e vasta
la possa di Loclin scese a rincontro
air alto re dei solitari collL 245
Ma lento, a capo chin, mesto, piangente,
la lunga lancia traendosi dietro,
Cucullin ritirossi, e si nascose
dentro il bosco di Cromla, e amaramente
pianse gli estinti amici. Egli temea 250
1'aspetto di Fingal, che tante volte
seco gia s'allegr6, quand'ei tornava
dal campo della fama. — Oh quanti, oh quanti
giaccion cola dej miei possenti eroi,
sostegni d'Inisfela! essi che un tempo 255
festosi s'accogliean nelle mie sale,
delle mie conche al suon. Non piii sul prato
le lor orme vedro ; non piu sul monte
udr6 Fusata voce. Or la prostesi,
pallidi, muti, in sanguinosi letti 260
giacciono i fidi amici. O cari spirti
dei dianzi estinti, a Cucullin venite;
con lui vi state a favellar sul vento
quando Talbero piegasi e bisbiglia
su la grotta di Tura: ivi solingo 265
giacerb sconosciuto; alcun cantore
non membrera '1 mio nome, alcuna pietra
a me non s'ergera. Bragela, addio:
242. s'arretra: i: «sbattesi». 244. scese a rincontro: i: «volsesi incontro».
254. Parole di Cucullmo (C.).
152 MELCHIORRE CESAROTTI
gia piu non son, gia la mia fama e spenta;
piangimi cogH estinti, addio, Bragela. — 270
Si parlo sospirando; e si nascose
ove la selva e piu selvaggia e cupa.
Ma d'altra parte maestosamente
passa Fingal nella sua nave, e stende
la luminosa lancia: orrido intorno 275
folgoreggia 1'acciar, qual verdeggiante
vapor di morte che talor si posa
su i campi di Malm6r: scura e nel cielo
la larga luna, il peregrin soletto.
— Terminate e il conflitto; io veggo il sangue 280
de' nostri amici ; — il re grido — le querce
gemon di Cromla, e siede orror sul Lena.
Cola cadero i cacciatori: il figlio
di Semo non e piu. Rino, Fillano,
diletti figH, or via, suonate il corno 285
della battaglia di Fingal; salite
quel colle in su la spiaggia, e dalla tomba
del buon Landergo il fier nemico in campo
sfidate alia tenzon. La vostra voce
quella del padre nel tonar pareggi, 290
allor che nella pugna entra spirante
baldanza di valor: qui fermo attendo
questo possente uom tenebroso; attendo
con pie fermo Svarano. E venga ei pure
con tutti i suoi; ch6 non conoscon tema 295
gli amici degli estinti. — II gentil Rino
vo!6 qual lampo; il brun Fillano il segue,
pari ad ombra autunnal. Scorre sul Lena
la voce loro : odon del mare i figli
il roco suon del bellicoso corno, 300
del corno di Fingallo; e piomban forti,
grossi, mugghianti, qual riflusso oscuro
del sonante ocean, quando ritorna
284. Rino era il minore dei figli di Fingal. Ossian, Fillano, Fergusto era-
no gli altn (C.). 288. Landergo: guernero irlandese, di cui si ha la stona
nel canto 5 (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 153
dal regno della neve: alia lor testa
scorgesi il re superbo; ha tetro aspetto 305
d'ira awampante, occhi rotanti in fiamma.
Lo rimiro Fingallo, e rammentossi
d'Aganadeca sua: perche Svarano
con giovenili lagrime avea pianto
la gentil suora dal bel sen di neve. 310
Mand6 Ullino dai canti, e alia sua festa
cortesemente Finvit6; che dolce
del nobile Fingal ricorse alPalma
del suo primiero amor la rimembranza.
Venne Fantico Ullin di Starno al figlio, 315
e si par!6 : — Tu che da lungi alberghi
cinto dall'onde tue, come uno scoglio,
vieni alia regia festa e '1 di tranquillo
passa; doman combatterem, domani
spezzeremo gli scudi. — Oggi — rispose 320
— spezzinsi pur, staro domani in festa;
domani si, che fia Fingal sotterra.
— E ben, spezzinsi tosto, e poi festeggi
doman, se puo ; — con un sorriso amaro
Palto Fingal riprese — Ossian, tu statti 325
da presso al braccio mio; tu, Gaulo, inalza
il terribile acciar; piega, Fergusto,
Fincurvato tuo tasso ; e tu, Fillano,
la tua lancia palleggia: alzate i scudi
qual tenebrosa luna, e ciascun'asta 330
sia meteora mortal: me me seguite
per lo sentier della mia fama, e sieno
le vostre destre ad emularmi intese. —
Cento nembi aggruppati, o cento irate
onde sul lido, o cento venti in bosco, 335
o cento in cento colli opposti rivi,
forse con tale o con minor fracasso
323.5 ben\ s'intenda che Ullino avea riportata a Fingal la risposta di
Svarano. Non v'e poeta piu rapido, ne piti parco di parole di Ossian (C,).
326. Gaulo era figlio di Morni, ed uno de' piu gran guerrieri di Fingal (C.).
334-8. Cento . . . Valtro: v. [Omero], II., c. 15, v. 32 [xiv, 394-401], C.
154 MELCHIORRE CESAROTTI
strage, furia, terror s'urtan Tun Taltro,
di quel con cui le poderose armate
vannosi ad incontrar nell'echeggiante 340
piaggia del Lena: sparges! su i monti
alto infinito gernito confuso,
pari a notturno tuon, quando una nube
spezzasi in Cona, e mille ombre ad un tempo
mandan nel vuoto vento orrido strido. 345
Spinsesi innanzi in la sua possa invitta
Talto Fingal, terribile a mirarsi,
come lo spirto di Tremmor, qualora
vien sopra un nembo a contemplar i figli
della possanza sua; crollan le querce 350
al suon delle sue penne, e innanzi ad esso
s'atterrano le rupi. Atra, sanguigna,
era la man del padre mio rotando
il balenante acciar; struggeasi il campo
nel suo corso guerrier. Rino avanzossi 355
qual colonna di fuoco; e scuro e torvo
di Gaulo il ciglio; rapido Fergusto
corre con pie di vento; erra Fillano
come nebbia del colle. lo stesso, io stesso
piombai qual masso: alle paterne imprese 360
mi sfavillava il cor: molte le morti
fur del mio braccio, ne di grata luce
splendea la spada di Loclin sul ciglio.
Ah, non avea cosi canuti i crini
Ossian allor, ne in tenebre sepolti 365
eran quest'occhi, ne tremante e fiacca
Pantica man, ne '1 pie debole al corso.
Chi del popol le morti, e chi le gesta
pu6 ridir degli eroi, quando Fingallo
nella sua ardente struggitrice fiamma 370
348. Tremmor: bisavolo di Fingal (C.). 351-2. innanzi ... rupi: questa
immagine ricorda la frase scritturale : « montes fluxerunt a facie Domini »
[«i monti rovmarono dinanzi alia faccia del Signore»], Giud., c. 5, v. 5 (C.).
370-1. nella . . . Loclin: «misisti iram tuam quae devoravit eos sicut sti-
pulam» [« scagliasti la tua ira, che li ha divorati come paglia»], Esodoy c.
15, v. 7 (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 155
divorava Loclin ? Di colle in colle
gemiti sopra gemiti s'affollano
di morti e di spiranti, infin che scese
la notte, e tutto in tenebre rawolse.
Smarriti, spauriti, sbalorditi 375
come greggia di cervi, allor sul Lena
strinsersi i figli di Loclin: ma noi
lietamente sedemmo in riva al vago
ruscel di Luba, ad ascoltar le gaie
note dell'arpa. II gran Fingal sedea . 380
non lungi dai nemici, e dava orecchio
ai versi del cantor. S'udian nel canto
altamente sonar gli eccelsi nomi
di sua stirpe immortale. Ei sullo scudo
piegava il braccio, e ne bevea tranquillo 385
la soave armonia. Stavagli appresso,
curvo sulla sua lancia, il giovinetto,
il mio amabile Oscarre. Ei meraviglia '
avea del re di Selma, e i suoi gran fatti
scorrean per Talma e gli scoteano il core. 390
— Figlio del figliuol mio, — • disse Fingallo
— onor di gioventu: vidi la luce
del tuo brando, la vidi, e mi compiacqui
della progenie mia: segui la fama
de' padri tuoi, segui Tavite imprese. 395
Sii quel ch'essi gia fur, quando vivea
Talto Tremmor, primo tra' duci, e quando
Tratal, padre d'eroi. Quei da' prim'anni
pugnar da forti: or son dej vati il canto.
Valoroso garzon, curva i superbi, 400
ma risparmia gPimbelli: una corrente
di molt'acqua sii tu contro i nemici
del popol tuo; ma a chi soccorso implora
sii dolce, placidissimo, qual aura
che lusinga Terbetta e la solleva. 405
388. Oscarre: figho di Ossian (C.). 389-90. e i suoi . . . core: F originate:
«e le sue imprese gli si gonfiavano nelTamma» (C.). 39^. Tratal: avolo
di Fingal (C).
156 MELCHIORRE CESAROTTI
Cosi visse Tremmor, Tratal fu tale,
tal e Fingallo. II braccio mio fu sempre
schermo degl'infelici, e dietro al lampo
della mia spada essi posar securi.
Oscarre, io era giovinetto appunto 410
qual se' tu ora, quando a me sen venne
Fainasilla, la vezzosa figlia
del re di Craca, vivida soave
luce d'amore. Io ritornava allora
dalla piaggia di Cona, avea con meco 415
pochi de? miei. Di bianche vele un legno
da lungi apparve, che movea sull'onde
come nebbia sul nembo. Awicinossi,
la bella compari. Salia, scendea
il bianco petto a scosse di sospiri, 420
e le strisciavan lagrimose stille
la vermiglietta guancia. «E qual tristezza
alberga in si bel sen, » placido io dissi
«o figlia di belta? poss'io, qual sono
giovine ancor, farmi tuo schermo e scudo, 425
donna del mar? Non ho invincibil brando,
ma cor che non vacilla». «A te men volo, »
sospirando rispose «o prence eccelso
di valorosi, a te men volo, o sire
delle conche ospitali, alto sostegno 430
della debile destra. II re di Craca
me vagheggiava, qual vivace raggio
della sua stirpe; ed echeggiar sovente
le colline di Cromala s'udiro
ai sospiri d'amor per Pinfelice 435
Fainasilla. II regnator di Sora
bella mi vide, e n'arse: ha spada al fianco
qual folgore del ciel; ma torvo ha 1 ciglio
e tempeste nel cor: da lui men fuggo
sopra il rotante mar; costui m'insegue». 440
413. £ probabile che questa Craca fosse una dell'isole di Setland. Nel
sesto canto hawi una storia intorno la figlia del re di Craca (C.)- 436. So
ra: paese della Scandinavia (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 157
« Statti dietro al mio scudo e posa in pace,
raggio amoroso; fuggira di Sora
il fosco re, se di Fingallo il braccio
rassomiglia al suo cor: potrei celarti
in qualche cupa solitaria grotta: 445
ma non fugge Fingallo ove tempesta
d'aste minaccia; egli Paffronta e ride.»
Vidi la lagrimetta in su le guance
della belta: m'intenerii. Ma tosto,
come da lungi formidabil onda, 450
del tempestoso Borbaro la nave
minacciosa appari; dietro alle bianche
vele vedi piegar 1'eccelse antenne;
fiedono i fianchi con le bianche spume
Tonde rotanti; mormora la possa 455
delPocean. « Lascia il muggir del mare, »
io dissi a lui « calpestator dei flutti,
e vienne alia mia sala; essa e Palbergo
degli stranieri)). Al fianco mio si stava
la donzelletta palpitante; 'ei Parco 460
scocc6 ; quella cadeo. « Ben hai del paro
infallibile destra, e cor villano»
dissi; e pugnammo: senza sangue e leve
non fu la mortal zuffa: egli pur cadde;
e noi ponemmo in due tombe di pietra 465
1'infelice donzella e '1 crudo amante.
Tal fui negli anni giovenlli: Oscarre,
tu la vecchiezza di Fingallo imita.
Ma non andarne di battaglia in traccia,
ne la sfuggir giammai quando a te viene. 470
Fillano e Oscarre dalla bruna chioma,
figli del corso, or via pronti volate
sopra la piaggia, ed osservate i passi
441. Statti: risponde Fingal (C.). 447- Ma egli potea non fuggire e prov-
veder meglio alia salvezza della bella (C.). 45 1. Borbaro: il re di Sora,
come spiega il Cesarotti nell'Indice delFedizione 1772. 452-3. dietro . . .
antenne: i: ccvolano attorte / vele di neve alle sublimi antenne ». 466. Su
questa storia e sulle moralita che seguono vedi Posservazione (C.).
158 MELCHIORRE CESAROTTI
dei figli di Loclin; sento da lungi
il trepido rumor della lor tema, 475
simile a mar che bolle. Itene, ond'essi
non possano sottrarsi alia mia spada
lungo 1'onde del Nord: son bassi i duci
della stirpe d'Erina, e molti eroi
giaccion sul letto squallido di morte. — 480
Volaro i due campion, come due nubi,
negri carri delPombre, allor che vanno
gli aerei figli a spaventar la terra.
Fecesi innanzi allor Gaulo, il vivace
figlio di Morni, e si piant6 qual rupe. 485
Splendea Tasta alle stelle: alzo la voce
pari al suon di piu rivi : — O generoso
delle conche signor, figlio di guerra,
fa' che '1 cantor con 1'arpa al sonno alletti
d'Erina i stanchi figli. E tu, Fingallo, 49°
lascia per poco omai posar sul fianco
la tua spada di morte, e alle tue schiere
permetti di pugnar: noi qui senz'opra
stiamci struggendo inonorati e lenti;
poiche tu sol, tu spezzator di scudi 495
sei solo, e sol fai tutto, e tutto sei.
Quando il mattin su i nostri colli albeggia,
statti in disparte, le prodezze osserva
de' tuoi guerrieri. Di Loclin la prole
provi di Gaulo la tagliente spada; 500
onde me pur cantino i vati, e chiaro
voli il mio nome ancor: tal fu '1 costume
della nobil tua stirpe, e tale il tuo.
— Figlio di Morni, — a lui Fingal rispose
— gioisco alia tua gloria: e ben, combatti, 505
prode garzon, ma ti fia sempre a tergo
478. Sud, Nord, Est e Ovest nella mitologia dei Celti danesi erano i
nomi di quattro nani, che sostenevano la volta del cielo formata dal cranio
del gigante Ymer. Mallet, Introd. alia stor. di Dan. (C.). 485. Morm:
capo d'una tribu che per lungo tempo disput6 la premmenza allo stesso
Fingal (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL
la lancia mia, per arrecarti aita
quando sia d'uopo. O voi, la voce alzate,
figli del canto, e '1 placido riposo
chiamatemi sul ciglio. lo giacerommi 510
tra i sibili del vento: e se qui presso,
Aganadeca, amabile t'aggiri
tra i figli di tua terra, o se t'assidi
sopra un nembo ventoso in fra le folte
antenne di Loclin, vientene, o bella, 515
rallegra i sonni miei, vieni e fa' mostra
del tuo soave rilucente aspetto. —
Piu d'una voce e piu d'un'arpa sciolse
armoniose note. Essi cantaro
le gesta di Fingallo e dell'eccelsa 520
stirpe di Selma; e nelFamabil canto
tratto tratto s'udia sonar con lode
dell'or cosi diverso Ossian il nome.
Ossian dolente! io gia pugnai, gia vinsi
spesso in battaglia: or lagrimoso e cieco, 525
squallido, inconsolabile passeggio
coi piccioli mortali. Ove, Fingallo,
o padre, ove se' tu? piu non ti veggo
con Feccelsa tua stirpe; erran pascendo
cervetti e damme in su la verde tomba 530
del regnator di Selma. O benedetta
ranima tua, re delle spade, altero
esempio degli eroi, luce di Cona!
CANTO IV*
ARGOMENTO
Ossian riferisce la storia de' suoi amori giovanili con Evirallina
madre di Oscar, gia morta, e le sue imprese per ottenerla in isposa.
Dopo questo episodic, introdotto assai felicemente, ritorna alPazion
del poema. L'ombra d'Evirallina gli apparisce, e gli dice che Oscar,
spedito sul far della notte ad osservar il nemico, era alle mani con un
corpo di truppe avanzate e quasi vicino a restar vinto. Ossian accorre
in soccorso di suo figlio; e si da 1'awiso a Fingal, che Svarano s'awi-
cinava. II re s'alza; chiama a raccolta la sua armata, e siccome avea
promesso la notte antecedente, ne da il comando a Gaulo, figlio di
Morni, e si ritira sopra un colle, donde scorgeva tutto il combatti-
mento. La mischia s'attacca; il poeta celebra le prodezze di Oscar.
Ma mentre questi unito al padre vince in un'ala, Gaulo, assalito da
Svarano in persona, era sul punto di ritirarsi nell'altra. Fingal invia
Ullino suo bardo ad incoraggiarlo con una canzone militare: cio
nullostante Svarano riman superiore; e Gaulo e 1'esercito de' Cale-
doni sono costretti a cedere. Fingal scendendo dalla collina riordina
le sue genti. Svarano desiste dall'inseguirle ; s'impadronisce d'una
eminenza ed attende che Fingal s'accostL II re dopo aver animati i
soldati da gli ordini necessari, e rinnuova il combattimento. Cucul-
lino, il quale insieme con Tamico Connal e con Carilo s'era ritirato
nella grotta di Tura, udendo il romore, sale sulla cima del monte che
dominava il campo di battaglia, ove vede Fingal, ch'era alle prese
col nemico. Cucullino, essendogli impedito di andare a raggiunger
Fingal ch'era per ottenere una compiuta vittoria, manda Carilo a
congratularsi con quest' eroe del suo buon successo.
Chi dal monte ne vien, bella a vedersi
siccome il variato arco che spunta
di sopra il Lena? La donzella e questa
* Questo canto puo supporsi che mcominci dopo la meta della terza not
te (C.)- 1-3. Chi . . . Lena?: « Quae est ista quae ascendit per desertum ? »
[«Chi e costei che sale per il deserto?], Cant., c. 3, v. 6; «Quae est ista
quae progreditur quasi aurora consurgens?» [«Chi e costei che avanza
come aurora che sorge? », Cant.], c. 6, v. 9 (C.). i: «Chi dal monte ne vien
pari al piovoso / arco del Lena?». 3-5. La donzella . . . braccia: Malvi-
na, sposa di Oscar, figlio di Ossian. Siccome questo canto contiene in
gran parte le prodezze di questo giovine eroe, cosl il poeta con molta
naturalezza introduce Malvina che viene per ascoltarle (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 161
dalla voce d'amor; la bella figlia
del buon Toscar, dalle tornite braccia. 5
Spesso udisti il mio canto, e spesso hai sparse
lagrime di belta: vieni alle pugne
del popol tuo ? vieni ad udir 1'imprese
del tuo diletto Oscarre ? E quando mai
cesseranno i miei pianti in riva al Cona? 10
Tutta la mia fiorita e verde etade
pass6 tra le battaglie, ed or tristezza
i cadenti anni miei turba ed oscura.
Vezzosa figlia dalla man di neve,
non ero io gia cosi dolente e cieco, 15
si fosco, abbandonato allor non ero,
quando m'amo la vaga Evirallina:
Evirallina, di Gorman possente
dolce amor, bruna il crin, Candida il petto.
Mille eroi ne fur vaghi, e a mille eroi 20
ella niego '1 suo core : eran negletti
i figli dell'acciar, perch' Ossian solo
grazia trovo dinanzi agli occhi suoi.
Alle nere del Lego onde n'andai,
per ottener la vaga sposa. Avea 25
dodeci meco valorosi figli
delFacquosa Albion. Giungemmo a Brano,
amico dei stranieri. — E donde — ei disse
— son quest' arme d'acciar? Facil conquista
non e la bella vergine che tutti 30
spregio d'Erina gli occhi-azzurri duci.
Benedetto sii tu, sangue verace
del gran Fingallo! awenturata sposa
ben e colei che del tuo cor fai degna.
Fossero in mia balia dodeci figlie 35
d'alta belta, che tua f6ra la scelta,
o figlio della fama. — Allora aperse
1 1. 6 un verso del Petrarca, Rime, cccxv, I. 17. Evirallina: figlia di Brano,
signore irlandese (C.). 18. Corman: nobil signore irlandese, diverse da
van altri di questo nome (C.)-
l62 MELCHIORRE CESAROTTI
la stanza della vergine romita,
d'Evirallina. A queiramabil vista,
dentro i petti d'acciar corse a noi tutti 40
subita gioia e ci sorrise al core.
Ma sopra noi sul colle il maestoso
Cormano apparve, ed un drappel de' suoi
traea pronto alia pugna. Otto i campioni
eran del duce, e fiammeggiava il prato 45
del fulgor di lor arrne. Eravi Cola,
Durra dalle ferite eravi, e Tago
e '1 possente Toscarre e '1 trionfante
Frestallo e Dairo il venturoso e Dala,
rocca di guerra. Scintillava il brando 5°
di Gorman nella destra, e del guerriero
lento volgeasi e grazioso il guardo.
D'Ossian pur otto erano i duci: Ullino
figlio di guerra tempestoso e Mullo
dai generosi fatti ed il leggiadro 55
Selaca e Oglano e Piracondo Cerda
e di Dumarican Tirto-vellute
ciglia di morte. Ove te lascio, Ogarre,
si rinomato sugli arvenii colli?
Ogar si riscontro testa con testa 60
col forte Dala: era il conflitto un turbo
sollevator della marina spuma.
Ben del pugnale rammentossi Ogarre,
arme ad esso gradita; egli di Dala
nove fiate lo piant6 nel fianco. 65
Cangi6 faccia la pugna: io sullo scudo
del possente Gorman ruppi tre volte
la mia lancia, ei la sua. Lasso, infelice
38. vergine romita: espressione accolta dal Foscolo nel famoso episodio
delle Grazie. 49. venturoso: I e II: « armisonante ». 68-71. Lasso ...
fuggiro: nella prima edizione s'era tradotto cosi: « Lasso, infelice / giovi-
netto d'amore! io 1'afferrai / gagliardamente, e lo crollai pei crini / ben
cinque volte, e gli recisi il capo. / Cadde il tronco sanguigno: i suoi fug-
giro ». Cosi, il crollar del capo sembrava un atto necessario per uccidere il
rivale; laddove nel testo sembra un tratto di ferocia gratuita, che non
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 163
garzon d'amore! io gli recisi il capo,
e per lo ciuffo il sanguinoso teschio . 70
crollai ben cinque volte : i suoi fuggiro.
Oh chi m'avesse allor detto, chi detto
m'avesse allor, vaga donzella, ch'io
egro, spossato, abbandonato e cieco
trarrei la vita, avria costui dovuto 75
usbergo aver ben d'infrangibil tempra,
petto di scoglio e impareggiabil braccio.
Ma gia del Lena su la piaggia oscura
a poco a poco s'accheto la voce
dell'arpe e dei cantor. Buffava il vento 80
vario-stridente, e m'ondeggiava intorno
Tantica quercia con tremanti foglie.
Erano i miei pensier d'Evirallina,
d'Evirallina mia, quand'ella in tutta
la luce di beltade, e cogli azzurri 85
ocelli pregni di lagrime, m'apparve
sopra il suo nembo ; e in fioca voce : — Ah sorgi,
Ossian; — mi disse— il figlio mio difendi,
salvami Oscar: presso la rossa quercia
del ruscello di Luba egli combatte go
coi figli di Loclin. — Disse; e s'ascose
nella sua nube. Io mi vestii Tusbergo,
m'appoggiai sulla lancia; uscii sonante
d'arme il petto e le terga: a cantar presi,
qual solea ne' perigli, i canti antichi 95
de' valorosi eroi. Loclin m'intese
come tuono lontano; essa fuggio;
inseguilla mio figlio. Io pur da lungi
lo richiamai: — Figlio, — diss'io — deh riedi,
riedi sul Lena, ancor ch'io stiati appresso, 100
s'accorda molto colla solita umanita di Ossian, n<§ colla patetica esclamazio
ne che lo precede (C.)« 78. II poeta ritorna al suo soggetto (C.). 96. Lo
clin rrfintese: Oscar non era alle mani che con una picciola banda di nemici,
che andava errando senz'ordine. Questa dovette credere che il canto di
Ossian fosse il segnale della battaglia, e che Fingal lo seguitasse. Un .si
mile inganno trovasi nel poema intitolato Latmo (C.).
164 MELCHIORRE CESAROTTI
e cessa d'inseguirli. — Egli sen venne,
ed agli orecchi miei giunse giocondo
il suon delFarmi sue. — Perche — diss'egli
— m'arrestasti la destra ? Avria ben tosto
morte d'intorno ricoperto il tutto: 105
che oscuri, formidabili, Fillano
e il figlio tuo fersi ai nemici incontro,
che per la notte, alle sorprese arnica,
del loro campo erano a guardia. Alquanti
le nostre spade n'abbatter. — Ma come no
spingono i negri venti onda dopo onda
cola di Mora su le bianche arene,
tal Tun Taltro incalzandosi i nemici
inondano sul Lena: ombre notturne
stridon da lungi, ed aggirarsi io vidi us
le meteor e di morte: il re di Selma
corrasi a risvegliar, 1'eccelso eroe
sfidator di perigli, il sol raggiante
dissipator di bellicosi nembi.
Erasi appunto allor da un sogno desto 120
Fingallo, e sullo scudo erto si stava,
lo scudo di Tremmor, famoso arnese
de' padri suoi: nel suo riposo avea
veduta il padre mio la mesta forma
d'Aganadeca; ella venia dal mare 125
e sola e lenta si movea sul Lena.
Faccia avea ella pallida qual nebbia,
guancia fosca di lagrime: piii volte
trasse Pazzurra man fuor delle vesti,
vesti ordite di nubi, e la distese 130
accennando a Fingallo, e volse altrove
i taciturni sguardi. — E perche piangi,
figlia di Starno ? — domando Fingallo
con un sospiro — a che pallida e muta,
bell'ospite dei nembi? — Ella ad un tratto 135
108-9. che • - • guardia: il testo: «essi vegliavano i terrori della notte » (C.).
i: «n6 gia senza lor danno essi aspettaro / i due spaventi della notte ».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 165
sparve col vento, e lo lascio pensoso.
Piangeva il popol suo, che sotto il brando
del re di Selma era a cader vicino.
L'eroe svegliossi, e pieni ancor di quella
avea gli occhi e la mente. Ode appressarsi 140
d'Oscarre i passi, e n'adocchi6 lo scudo,
che incominciava un deboletto raggio
via via d'Ullina a tremolar sulPonda.
— Che fa '1 nemico fra i terrori involto ? —
richiese il re — fugge sul mare, o attende 145
la novella battaglia? A che tel chiedo?
Non odo io gia la voce lor che suona
sul vento del mattin? Vattene, Oscarre;
desta gli amici. — II re s'alzo ; piantossi
presso il sasso di Luba, e in tuon tremendo 150
ben tre volte rugghio : balzaro i cervi
dalle fonti di Cromla, e tremar tutte
le rupi e i monti. Come cento alpestri
rivi, sboccando con mugghianti spume,
si confondon tra lor; come piu nubi 155
s'ammassano in tempesta e alia serena
faccia del ciel fan velo ; in cotal guisa
si ragunaro del deserto i figli
del lor signore alia terribil voce:
terribile ai nemici, a' suoi guerrieri 160
143. onda: i: «onde». 150. in tuon tremendo: Ossian da sempre a' suoi eroi
un tuono straordinario di voce ; e ne parla come d'una qualita assai comune.
Troviamo lo stesso anche in vari luoghi d'Omero. II modo pero con cui
si esprime Ossian dee parere a' tempi nostri oltremodo iperbolico e stra-
vagante. Ma egli dovea ben sapere meglio di noi di chi parlava; e si sa-
rebbe reso ridicolo a* suoi nazionali, s'egli avesse attribuita loro una qua
lita smentita dall'esperienza e npugnante alia natura. Questa voce formi-
dabile dovea convenirsi alia vasta corporatura d'uomini nati in quei climi,
in quei secoli, e con una educazione rozza e selvaggia. L'autore della vita
di Tamas Koulikan ci assicura che la sua voce era straordinariamente al-
ta e forte, di modo che sovente, senza far alcuno sforzo per inalzarla,
faceva intender i suoi ordini a piu di 300 piedi di distanza. Che sarebbe
poi stato, s'egli avesse voluto spingerla quanto piu alto poteva, per ispirar
ardor militare, o per metter terror nei nemici ? (C.). 1 60. terribile ai nemici :
questo emistichio s'e aggiunto: il testo dopo la terribil voce segue: «perche
l66 MELCHIORRE CESAROTTI
grata e gioconda; perche spesso ei seco
li condusse alia pugna, e dalla pugna
carchi tornar di gloriose spoglie.
— Su su, — diss'egli — alia zuffa, alia morte,
figli della tempesta: a risguardarvi 165
starassi il vostro re. Sopra quel colle
balenera *1 mio brando, e sara scudo
del popol mio ; ma non awenga, amici,
che n'abbiate mai d'uopo, or che di Morni
per me combatte il valoroso figlio. 170
Egli fia vostro duce, onde il suo nome
sorger possa nel canto. O voi scendete,
ombre dej morti duci, ombre dei nembi
correggitrici, i miei guerrier cadenti
accogliete cortesi, e i vostri colli 175
sien lor d'albergo : oh possan quei su Tale
del nembo rapidissimo del Lena
per Taereo sender varcar sublimi
i flutti de' miei mari, e al mio riposo
cheti venirne, ed allegrar sovente 180
con la piacevol vista i sogni miei.
Fillano, Oscarre dalla bruna chioma,
e tu Rino gentil, fate, o miei figli,
d'esser forti in battaglia: i vostri sguardi
stien fisi in Gaulo, ond'emularne i fatti. 185
Brando a brando non ceda, o braccio a braccio ;
si gareggi in valor : del padre vostro
proteggete gli amici, e stienvi in mente
gli antichi duci. Se cader sul Lena
doveste ancor, non paventate, o figli, 190
vi rivedr6: di cava nube in seno
le nostre fredde e pallid'ombre in breve
s'incontreranno, o figli; e andrern volando
spirti indivisi a ragionar sul Cona. —
Simile a nube tempestosa, orlata 195
piacevole era la voce del re ai guerrieri della sua terra »; il che senza la
nostra aggiunta avrebbe un'apparenza di contradizione (C.). 165. figli
della tempesta: cioe, «abitatori di monti soggetti a tempeste» (C.).
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 167
di rosseggiante folgore del cielo,
che in occidente dal mattin s'avanza,
il re s'allontan6. Funesto vampo
esce dalFarrni sue; nella man forte
crolla due lance; la canuta chioma 200
giu cade al vento; tre cantor van dietro
al figlio della fama, a portar pronti
i suoi cenni agli eroi. Sull'erto fianco
di Cromla ei si poso, volgendo a cerchio
il balen dell'acciar. Lieti alia pugna 205
movemmo intanto. Sfavillo sul volto
d' Oscar la gioia: vivida vermiglia
era la guancia sua; spargono gli occhi
lagrime di piacer: raggio di foco
sembra la spada nella destra: ei venne; 210
e con gentil sorriso in cotai detti
ad Ossian favello : — Sir delle pugne,
ascolta il figlio tuo: scostati, o padre,
segui Feroe di Selma, e la tua fama
lasciala intera a me. Ma s'io qui cado, 215
rammentati, o signor, quel sen di neve,
quel grazioso solitario raggio
deH'amor mio, la tenera Malvina
dalla Candida man. Parmi vederla
curva sul rivo risguardar dal monte 220
con la guancia infocata; e i lisci crini
sferzanle il sen, che per Oscar sospira.
Tu la conforta, e di* ch'io son gia fatto
dei venti albergator, che ad incontrarmi
venga, mentre io pe' colli miei sul nembo 225
m'affretto a ri vederla. — Oscar, che dici?
A me piuttosto, a me la tomba inalza.
No, non cedo la pugna: il braccio mio
piu sanguinoso e piu di guerra esperto
tutta di gloria t'aprira le strade. 230
Ma ben tu, figliuol mio, s'awien ch'io caggia,
questa spada, quest' arco, e questo corno
rammenta di riporre entro Fangusta
l68 MELCHIORRE CESAROTTI
scura magion; fa' che una bigia pietra
1'additi al passeggero: alia tua cura 235
alcun amor non accomando, o figlio,
che piu non e la vaga Evirallina,
la madre tua. — Cosi parlammo ; e intanto
crebbe sul vento e piu e piu gonfiossi
Talta voce di Gaulo ; ei la paterna 240
spada rotando con furor si spinse
alia strage, alia morte. Appunto come
candido-gorgogliante onda colmeggia
e scoglio assale; e come scoglio immoto
Porrid'urto sostien, cosi i guerrieri 245
assalir, resistero: acciar si frange
contro acciaro, uom contr'uom; suonano scudi,
cadono eroi. Quai cento braccia e cento
della fornace sul rovente figlio,
cosi s'alzano, piombano, martellano 250
le loro spade : orrido in Arven turbo
Gaulo rassembra; in sul suo brando siede
distruzion d'eroi: parea Svarano
foco devastator. Come poss'io
dar tanti nomi, e tante morti al canto ? 255
D'Ossian pur anco fiammeggi6 la spada
nel sanguigno conflitto: e tu pur anco
terribil fosti, Oscarre, o de' miei figli
il maggiore, il miglior. Nel suo segreto
gioiami il cor, quand'io scorgea '1 tuo brando 260
arder sul petto dei nemici ancisi.
Essi fuggiro sbaragliati, e noi
inseguimmo, uccidemmo: e come pietre
235. cura: cosi la n; 1'edizione 1801 ha «cara», ma si tratta evidente-
mente di errore di stampa. 249. della.. . figlio: il ferro rovente. 251. or
rido . . . turbo : « Dominus turbo confringens » [« II Signore . . . turbine
devastatore »], Is., c. 28, v. 2; « quasi vastitas a Domino veniet» [«verra
come la devastazione mandata dal Signore, Isai.], c. 13, v. 6 (C.). 258-9. de*
miei . . .maggiore: da questo luogo apparisce che Ossian ebbe altri figli,
oltre Oscar, ma in tutte queste poesie non se ne trova fatta menzione
o cenno di sorta. Convien dire che sieno morti in et£ assai tenera, giac-
che" il poeta da a divedere in piu d'un luogo che nella morte di Oscar
venne a perire tutta la discendenza di Fingal (C.).
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 169
van saltellon di balza in balza, o come
scuri, di quercia in quercia, in bosco annoso 265
erran, colpi alternando; o come tuono
di rupe in rupe si rimbalza in rotti
spaventosi rimbombi: in cotal guisa
colpo a colpo succede, e morte a morte
dalla spada d'Oscarre e dalla mia. 270
Ma gia Svaran Gaulo circonda, e freme
qual corsia d'Inistor, Fingallo il vede,
vedelo, e gia gia s'alza e gia gia Pasta
solleva. — Ullin, va', mio cantore, — ei disse
— vattene a Gaulo, e gli rammenta i fatti 275
de' padri suoi; la disugual contesa
col tuo canto sostien: rawiva il canto
e rinfranca gli eroi. — Mossesi Ullino,
venne a Gaulo dinanzi e '1 canto sciolse
infiammator dei generosi cori: 280
— Combatti, combatti,
distruggi, abbatti,
figlio del sir dei rapidi destrieri,
fior dej guerrieri.
Pugna, pugna, o braccio forte, 285
in fatica aspra ed estrema;
sir d'acute arme di morte,
duro cor che mai non trema.
Figlio di guerra,
atterra, atterra, 290
fa' che piu Candida
vela non tremoli
sulPonde d'Inistor.
Alza scudo orrendo qual nembo,
che di morte ha gravido il grembo; 295
272. corsia: corrente. 281. La canzone di Ullino anche neH'onginale dif-
ferisce dal restante del poema nella versificazione. II costume d'incorag-
giare gli uomini in battaglia con versi composti sul fatto, s'e quasi con-
servato sino ai giorni nostri. Esistono varie di queste canzoni militari;
ma la maggior parte non e che un gruppo d'epiteti, senza alcun poetico
merito (M.).
170 MELCHIORRE CESAROTTI
il tuo brando - baleni rotando
qual sanguigno notturno vapor.
II tuo braccio sia tuono sul campo;
sia Pocchio di lampo,
di scoglio sia *1 cor. 300
Combatti, combatti,
distruggi, abbatti;
figlio del sir dei rapidi destrieri,
doma gli alteri. —
Gaulo awampa a tai note; il cor gli balza; 3°5
fassi di se maggior. Ma Svaran cresce,
e soverchia il garzon: fende in due parti
lo scudo a Gaulo; del deserto i figli
sbigottiti fuggiro. Allor Fingallo
nella possanza sua sorse, e tre volte 310
la voce sollev6. Cromla rispose
al forte tuono; s'arrestaro a un punto
del deserto i guerrier; piegaro a terra
rinfocate lor facce, e a quella voce
di se stessi arrossiro. Egli sen venne, 315
come in giorno di sol piovosa nube
move sul colle tenebrosa e lenta:
stan muti i campi ad aspettar la pioggia.
Vide Svaran da lungi il formidato
signor di Selma, ed arrestossi a mezzo 320
del corso suo. Fosche aggrott6 le ciglia;
alia lancia s'attenne, e i rosseggianti
occhi intorno rivolse. Ei muto e grande,
quercia parea sopra il ruscel di Luba,
cui gia rapida folgore del cielo 325
Iasci6 brulla di foglie e incotta i rami:
quella pende sul rio, sibila il musco.
305. Gaulo . . . balza: nel testo non vi sono che queste parole: «il cuor del-
1'eroe batte alto» (C.). 306-7. Ma Svaran . . . garzon: qui pure 1'espres-
sione delPoriginale e debole: «ma Svaran venne colla battaglia». In am-
bedue quest! luoghi il traduttore voile far sentir di piii e I'efTetto del canto
d'Ullino sopra Gaulo, e lo sforzo maggior di Svarano per soprafTarlo (C.).
319. formidato : temuto. 326. incotta i rami: con i rami bruciati.
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 171
Tal si stava Svarano: ei lento lento
si ritiro sopra il ciglion del Lena:
1'accerchiano i suoi mille; e sopra il colle 330
s'addensa il buio delPorribil zuffa.
Ma in mezzo al popol suo splendea qual raggio
Fingallo; e tutti intorno a lui festosi
s'accolgono i suoi duci. Alza la voce
del suo poter: — Su su, miei fidi, ergete 335
tutti i stendardi miei: spieghinsi al vento
sulla piaggia del Lena, e vibrin come
fiamme su cento colli: essi ondeggiando
s'odano alPaure sibilar d'Erina,
e guerriera armonia spirinci in petto. 340
Qua qua, figli, compagni: al vostro duce
fatevi appresso, e della sua possanza
le parole ascoltate. O Gaulo, invitto
braccio di morte, o generoso Oscarre
dai futuri conflitti, o delle spade 345
figlio Conallo, o bruno il crin Dermino,
o tu re della fama, Ossian, dei canti
alto signer; voi le vestigia e '1 corso
seguite, o figli, del paterno braccio;
imitatelo, o prodi. — Alzammo il raggio 350
solar della battaglia, il luminoso
regio stendardo, e lo seguian volando
gli spirti nostri. Sventolava altero
quello per Faere, ori-lucente e tutto
gemmi-distinto, qual la vasta azzurra 355
stellata conca del notturno cielo.
Avea pur ciascun duce il suo vessillo ;
341. figli: 1'originale: « figli di mugghianti ruscelli, che scaturiscono da
mille colli » (C.)- 346. Conallo: questo non e 1'amico di Cucullino, ma un
celebre guerriero scozzese, figlio di Ducaro, di cui le imprese e la morte
vengono riferite nel poema di Temora, canto 3 (C.); Dermino: Dermid,
figlio di Dutno, di cui pure molto si park nello stesso poema (C.)- 350-1. «7
raggio solar: lo stendardo di Fingal distinguevasi col nome di « raggio
solare»; probabilmente dallo splendor che mandava, per esser coperto
d'oro. « Inalzar il raggio solare » nelle antiche poesie significa il dar prin-
cipio alia battaglia (M.).
172 MELCHIORRE CESAROTTI
ciascun vessillo i suoi guerrier. — Mirate, —
disse il prence ospital — mirate come
Loclin sul Lena si divide e parte. 360
Stanno i nemici somiglianti a rotte
nubi sul colle, o a mezzo arso e sfrondato
bosco di querce, quando il ciel traspare
fra ramo e ramo, ed il vapor trasvola.
Amici di Fingal, ciascun di voi 365
scelga una banda di color che stanno
minacciosi lassuso; e non si lasci
che alcun nemico dei sonanti boschi
sull'onde d'Inist6r ricovri e fugga.
— E ben, — Gaulo grid6 — miei fieno i sette 370
duci del Lano. — D'Inistorre il fosco
sovrano — Oscar grido — vengane al brando
del figlio d'Ossian. — Venga al mio — soggiunse
Conallo, alma d'acciaro — il bellicoso
sir d'Iniscona. — O '1 re di Muda od io 375
oggi per certo dormirem sotterra —
disse Dermino. Ossian, bench'or si fiacco
e si dolente, di Terman s'elesse
1'atroce re: — Non torner6 — gridai
— senza il suo scudo. — O generosi, o forti, — 380
disse Fingal col suo sereno sguardo
— sia vittoria con voi. Tu re delPonde,
Svaran, la scelta di Fingal tu sei. —
Disse; e quai cento vari venti in cento
diverse valli a imperversar sen vanno, 385
cosi divisi noi movemmo ; e Cromla
scossesi e n'echeggi6. Cotante morti
chi pu6 narrar ? Bella di Toscar figlia,
le nostre destre eran di sangue, e folte
cadder le squadre di Loclin, quai ripe 390
traportate dal Cona: alle nostr'armi
tenne dietro vittoria: ognun dei duci
la promessa adempie. Spesso, o donzella,
368. nemico . . . boschi: cioe, nemico deH'Irlanda (C.). 388. Bella .. .fi
glia: Malvina,
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 173
sedesti in riva al mormorevol Brano,
mentre il bianco tuo seno alternamente 395
s'alzava all'alternar de' bei respiri,
qual piuma candidissima gentile
di liscio cigno, che soave e lento
veleggia per la liquida laguna,
qualor di fianco una scherzosa auretta 400
con dolce sferza la sommuove e sparge.
Spesso, o bella, sedesti; e spesso hai visto
dietro una nube rimpiattarsi il sole
lento, infocato, e notte rammassarsi
d'intorno al monte, e 'I variabil vento 405
romoreggiar per le ristrette valli.
Cade alfin pioggia grandinosa: il tuono
rotola, ulula; il fulmine scoscende
gli erti dirupi; sui focosi raggi
van cavalcando orridi spettri; e in basso 4»
rovesciasi precipitosa e torba
Turlante possa de' torrenti alpini.
Tal della pugna era il fragor. Malvina,
perche piangi, perche? Piangan piuttosto
394-7. al mormorevol . . . gentile: i: «al mormorio del Brano / mentre dolce
cresceva il morbidetto / tuo bianco sen, qual candidissima ala ». 400-
i . qualor . . . sparge : I : « se '1 vago veleggiar Paura seconda ». 412. A questa
insigne descrizione pu6 paragonarsi la seguente di Virgilio nelle Georgiche,
1. i, v. 322-[34] : « Saepe etiam immensum coelo venit agmen aquarum, /
et foedam glomerant tempestatem. imbribus atris / collectae ex alto nubes ;
ruit arduus aether, / . . . / cum sonitu fervetque fretis spumantibus aequor. /
Ipse pater, media nimborum in nocte, corusca / fulmina molitur dextra;
quo maxima motu / terra tremit, fugere ferae et mortalia corda / per gentes
humilis stravit pavor. Ille flagranti / aut Athon, aut Rhodopen, aut alta
Ceraunia telo / deicit; ingeminant Austri et densissimus imber: / mine ne-
mora ingenti vento, mine litora plangunt» [« Spesso anche si forma nel
cielo una massa immensa di acque, e le nubi raccoltesi dall'alto mare
addensano una paurosa tempesta con oscuri rovesci; 1'alto cielo rovina
con gran rumore, e ribolle il mare di gorghi spumeggianti. Giove stesso
in mezzo alia notte dei nembi scaglia con la destra fulmini fiammeggianti ;
e a quel movimento tutta Pimmensa terra trema, fuggono le fiere, e di
gente in gente una paura tremenda abbatte i cuori mortali. Egli col dardo
folgorante abbatte o TAthos o il Rodope o gli Acrocerauni; raddoppiano
gli Austri e i densissimi rovesci; ora i boschi ora i lidi gemono percossi
dal vento impetuoso»], C.
174 MELCHIORRE CESAROTTI
le figlie di Loclin, che n'han ben donde. 415
Cadde di lor contrada il popol, cadde,
perche di sangue si pasceano i brandi
della stirpe de' miei. Lasso! infelice!
qual fui! qual sono! abbandonato e cieco,
non piu compagno degli eroi passeggio, 420
piu quelPOssian non sono. A me, donzella,
quelle lagrime a me, ch'io con quest'occhi
di tutti i cari miei vidi le tombe.
Nella confusa mischia il re trafisse
guerriero ignoto. Ei la canuta chioma 425
per la polve traendo, i languid'occhi
ver lui solleva. II rawis6 Fingallo,
ed: — • Ahi, — grido — tu di mia man cadesti,
d'Aganadeca amico ? io pur ti vidi
gli occhi molli di lagrime alia morte 430
deiramata donzella, entro le stanze
di quel padre crudel: tu de' nemici
delFamor mio fosti nemico, ed ora
cadi per la mia mano ? Ullin, la tomba
ergi all'estinto, ed il suo nome aggiungi 435
d'Aganadeca alia canzon dolente.
Addio, donzella dell'arvenie valli
abitatrice, a questo cor si cara. —
Giunse all'orecchio a Cucullin nel cupo
speco di Cromla lo scompiglio e '1 tuono 440
della turbata pugna: a se Conallo
e Carilo chiam6. L'udiro i duci,
presero Taste: ei della grotta uscio,
e a mirar s'affacci6. Veder gli parve
faccia di mar rimescolato e smosso 445
dal cupo fondo, che flagella e assorbe
con bollenti onde 1'arenoso lito.
A cotal vista Cucullino a un punto
s'infiammb, s'oscurb: la mano al brando,
1'occhio corre al nemico: egli tre volte 450
425. guerriero , . .chioma; i: « ignoto eroe. Quei la canuta chioma ».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 175
si scagli6 per pugnar, tre Io rattenne
Conal. — Che fai, sir di Dunscaglia ? — ei disse
— Fingallo e vincitor; gia tutto ei strugge,
tutto conquide ei sol; non cercar parte
nella fama del re, ch'e tardi e vano. 455
— E ben, — quei ripiglio — Carilo, vanne
al re di Selma, e poiche spento in tutto
sia il rumor della pugna, e che dispersa
fugga Loclin, qual dopo pioggia un rivo,
seco t'allegra; il tuo soave canto 46o
gli lusinghi Porecchio; inalza al cielo
Tinvincibile eroe. Carilo, prendi,
reca a Fingal questa famosa spada,
la spada di Cabar, che d'inalzarla
non e la man di Cucullin piu degna. 465
Ma voi del muto Cromla ombre romite,
spirti d'eroi che piu non son, voi soli
siate oggimai di Cucullin compagni;
voi venitene a lui dentro la grotta
del suo dolor: piu tra' possenti in terra 470
nomato io non sar6; brillai qual raggio,
e qual raggio passai; nebbia son io,
che dileguossi alPapparir del vento
rischiarator delFoffuscato colle.
Conal, Conal, non mi parlar piu d'armi; 475
gia svani la mia gloria: i miei sospiri
di Cromla i venti accresceran, sintanto
che i miei vestigi solitari e muti
cessino d'esser visti. E tu, Bragela,
piangi la fama mia, piangi me stesso : 480
tu piu non mi vedrai; raggio amoroso,
non mi vedrai, non ti vedr6; son vinto.
477- gloria: I e 11: «fama».
CANTO V*
ARGOMENTO
Continua la battaglia. Fingal e Svarano s'azzuffano. Svarano e vinto
e dato come prigioniero in custodia ad Ossian e Gaulo. Fingal, i suoi
pifr giovani figliuoli ed Oscar inseguiscono gli avanzi deH'armata
nemica, S'introduce Tepisodio d'Orla, uno dei capitani di Loclin,
ch'era stato mortalmente ferito nella battaglia. Fingal, commosso
dalla morte di Orla, comanda che si cessi dall'inseguire il nemico;
e chiamando a se i suoi figliuoli, viene informato che Rino, il piti gio-
vine di essi, era stato ucciso. Compiange la sua morte, ode la storia
di Landergo e di Gelcossa, e torna verso il luogo ove avea lasciato
Svarano. In questo mezzo Carilo, ch'era stato inviato da Cucullino
a congratularsi con Fingal della sua vittoria, si trattiene con Ossian.
La conversazione di questi due cantori termina 1'azione del quarto
giomo.
Al generoso reggitor del carro
Conal si volse, e con soavi detti
preselo a confortar: — Figlio di Semo,
perche ti lasci alia tristezza in preda?
Son. nostri amici i forti, e rinomato 5
se' tu, guerrier: molte le morti e molte
gia fur del braccio tuo; spesso Bragela
con ceruleo-giranti occhi di gioia
il suo sposo incontro, mentr'ei tornava
cinto dai valorosi, in mezzo ai canti 10
dei festosi cantori, e rosseggiante
avea il brando di strage; e i suoi nemici
giacean sul campo della tomba esangui.
Datti conforto, e '1 re di Morven meco
statti lieto a mirar. Ve' com'ei passa 15
qual colonna di foco, e tutto incende!
qual vigor! qual furor! non par di Luba
la correntia? non par di Cromla il vento
schiantator di ramose alte foreste ?
Awenturato popolo felice, 20
* Continua la quarta giornata (C.). 20. Priamo, presso Omero, [//.], c. 3,
v. 328 [182-3], alia vista delParmata greca fa un'esclamazione simile e
POESIE DI OSSIAN • FINGAL
177
Fingallo, e '1 tuo! tu gli sei fregio e schermo!
Tu prime in guerra, e tu nei di di pace
in consiglio il maggior. Tu parli, e mille
s'afTrettano a ubbidir: ti mostri, e innanzi
ti cadono gli eroi. Popol felice! 25
popolo di Fingal, d'invidia degno!
Chi e, chi e, figlio di Semo, osserva.
Chi e costui si tenebroso in vista,
che tonando ne vien? Questo e 1'altero
figlio di Starno. Oh! con Fingal s'affronta: 3o
stiamo a veder. Par d'ocean tempesta
mossa da due cozzanti aerei spirti,
che van delFonde a disputar 1'impero:
trema dal colle il cacciator, che scorge
ergersi il fiotto e torreggiargli a fronte. — 35
Si Conallo par!6, quando a scontrarsi
in mezzo al loro popolo cadente
corsero i due campion. Questa e battaglia,
questo e fragor: qui ciascun urto e turbo,
ciascun colpo e tempesta: orrore e morte 40
spirano i sguardi. Ecco spezzati scudi,
smagliati usberghi e sminuzzati elmetti
balzan fischiando : ambi i guerrieri a terra
gettano Farmi, e con raccolta possa
vannosi ad afferrar. Serransi intorno 45
le noderose, nerborute braccia.
Si stirano, si scrollano, s'intrecciano
sotto e sopra in piu gruppi alternamente
le muscolose membra: ai forti crolli,
alPalta impronta dei tallon robusti, 50
scoppian le pietre, e dalle nicchie alpestri
sferransi i duri massi, e van sossopra
rovesciati cespugli. Alfin la possa
a Svaran manca; egli e di nodi awinto.
diversa. Egli chiama felice Agamennone a cagion del suo popolo: qui
Conallo, con piu ragione, chiama felice il popolo a cagion del suo re (C.).
45-53- Serransi . . . cespugli: puo paragonarsi questa lotta a quella d'Aia-
ce e d'Ulisse: [Omero], 77. , c. 23, v. 810 [710 sgg.], C.
178 MELCHIORRE CESAROTTI
Cosi sul Cona gia vid'io (ma Cona 55
non veggo piu), cosi vid'io due sconci
petrosi scogli trabalzati e svelti
dall'orrid'urto di scoppiante piena;
volvonsi quei da un lato alPaltro, e vanno
ad intralciarsi le lor querce antiche 60
colle ramose cime; indi cozzando
piombano assieme, e si strascinan dietro
sterpi e cespi ammontati, e pietre e piante:
svolvonsi i rivi, e da lontan si scorge
il vuoto abisso della gran rovina. 65
— Figli, — grid6 Fingal — tosto accorrete,
statevi a guardia di Svaran, che in forza
ben pareggia i suoi flutti: e la sua destra
mastra di pugna; egli e verace germe
di schiatta antica. O tra' miei duci il primo, 7°
Gaulo, e tu re dei canti, Ossian possente,
aHJamico e fratel d'Aganadeca
siate compagni, e gli cangiate in gioia
il suo dolor: ma voi Fillano, Oscarre,
Rino, figli del corso, i pochi avanzi 75
di Loclin disperdete, onde nemica
nave non sia che saltellare ardisca
sull'onde d'Inist6r. — Simili a lampo
volaron essi. Ei campeggi6 sul Lena
posatamente, come nube estiva 80
lento-tonante per lo ciel passeggia:
tace sott'essa la cocente piaggia.
Vibra il raggiante suo brando, cui dietro
striscia spavento. Egli da lungi adocchia
un guerrier di Loclin: ver lui s'awia, 85
e cosi park: — E chi vegg'io li presso
alia pietra del rio? Tenta, ma indarno,
di var carlo d'un salto: agli atti, al volto
sembra eroe d'alto affar; pendegli a fianco
il curvo scudo, ed ha lung'asta in mano. 90
Giovine eroe, di', chi se' tu? rispondi,
56. sconci\ enormi. 75. figli del corso: abili nella corsa.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 179
sej tu nemico di Fingallo ? — lo sono
un figlio di Loclin, di forte braccio.
La sposa mia nella magion paterna
stassi piangendo, e mi richiama: invano; 95
Orla non tornera. — Combatti o cedi ? —
disse Talto Fingallo. — I miei nemici
lieti non son; ma ben famosi e chiari
sono gli amici miei. Figlio dell'onda,
seguimi alia mia festa: i miei cervetti 100
vientene ad inseguir. — No, no, — rispose
— ai deboli io soccorro ; e la mia destra
schermo dej fiacchi. Paragon non ebbe
mai la mia spada. II re di Morven ceda.
— Garzon, Fingal non cede. Impugna il brando, 105
e t'eleggi un nemico: i miei campioni
son molti e forti. — E la tenzon ricusi ? —
grido '1 guerriero. — Orla e di Fingal degno ;
e degno e Fingal d'Orla, e Fingal solo.
Ma se cader degg'io, die pur un giorno no
cade ogni prode, odimi, o re, la tomba
alzami in mezzo al campo, e fas che sia
la maggior di tutt'altre: e giii per Fonda
manda il mio brando alia diletta sposa,
onde mesta il ricovri, e lagrimando 115
lo mostri al figlio, ed a pugnar Pinfiammi.
— Giovine sventurato, a che con questi
funesti detti a lagrimar m'invogli ? —
disse Fingallo. — 6 ver pur troppo! il prode
deve un giorno cader, debbono i figli 120
vederne 1'armi inutili e sospese.
Pur ti conforta: io t'alzero la tomba,
Orla, non dubitarne; e la tua sposa
96. La storia di Orla nelP originate e cosi bella e patetica che molti del nord
della Scozia la sanno a memoria, benche non abbiano mai udita una sillaba
del restante del poema (M.). 118. a lagrimar m'invogli: cfr. Tasso, Ger.
lib.j xii, 66: «gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza». 122. io . . . tomba:
s'intende: s'egli e pur destin che tu muoia. Fingal era ben lungi dal pen-
siero d'ucciderlo (C.)«
l8o MELCHIORRE CESAROTTI
avra '1 tuo ferro, e il bagnera di pianto. —
Presero essi a pugnar, ma '1 braccio <TOrla 125
fiacco fu contro il re: scese la spada
del gran Fingallo, e in due parti lo scudo.
Cadde quegli rovescio; sopra Fonda
Parme riverberar, come talvolta
sopra notturno rio riflessa luna. 130
— Re di Morven, — diss'ei — solleva il brando,
passami il petto: qui ferito e stanco
dalla battaglia i fuggitivi amici
m'abbandonaro : giungera ben tosto
lungo le sponde delPacquosa Loda 135
alFamor mio la lagrimosa istoria;
mentre romita e muta erra nel bosco,
e tra le foglie il venticel susurra.
— Orla, ch'io ti ferisca ? ah non fia vero : —
disse Fingal — lascia, guerrier, che in riva 140
del patrio Loda, dalle man di guerra
sfuggito e salvo, con piacer t'incontri
Paffannoso amor tuo; lascia che '1 padre
canuto, e forse per Feta gia cieco,
senta da lungi il calpestio gradito 145
de' piedi tuoi: lascia che lieto ei sorga,
e brancolando con la man ricerchi
il figlio suo. — Nol rinverra giammai :
io vo' morir sul Lena; estrani vati
canteranno il mio nome: un'ampia fascia 150
copremi in petto una mortal ferita;
ecco io la squarcio e la disperdo al vento. —
Sgorg6 dal fianco il nero sangue; ei manca,
ei more; e sopra lui pietosamente
Fingal si curva; indi i suoi duci appella: 155
— Oscar, Fillan, miei figli: alzisi tosto
la tomba ad Orla: ei posera sul Lena,
lungi dal grato mormorio del Loda,
125-6. ma ... re: Orla, come si vede piu sotto, era gia ferito gravemente, e
sembra che non abbia provocato Fingal se non affine d'aver la gloria di
morir per mano di quell'eroe (C.)«
POESIE DI OSSIAN - FINGAL l8l
lungi dalla sua sposa: un giorno i fiacchi
vedranno 1'arco alle sue sale appeso, 160
ma non potran piegarlo: tirlano i cani
sopra i suoi colli, esultano le belve
ch'ei soleva inseguir: caduto e '1 braccio
della battaglia, il fior dei forti e basso.
Squilli il corno, miei figli, alzate il grido, 165
torniamcene a Svaran; tra feste e canti
passi la notte. 0 voi Fillano, Oscarre,
Rino, volate; ove se' tu mio Rino,
Rino di fama giovinetto figlio ?
Pur giammai tu non fosti a correr tardo 170
al suon del padre tuo. — Rino — rispose
Pantico Ullin — de' padri suoi sta presso
le venerande forme; egli passeggia
con Tratal, re dei scudi, e con Tremmorre
dai forti fatti: il giovinetto e basso, 175
smorto ei giace sul Lena. — E cadde adunque, —
grido Fingal — cadde il mio Rino ? il primo
a piegar 1'arco, il piu veloce in corso ?
Misero! al padre i primi saggi appena
davi del tuo valor: perche cadesti 180
si giovinetto ? Ah dolcemente almeno
posa sul Lena: in breve spazio, o figlio,
ti rivedr6: si spegnera ben tosto
la voce mia; de' passi miei sul campo
svaniran Forme: canteranno i vati 185
di me soltanto, e parleran le pietre.
Ma tu, Rino gentil, basso per certo,
basso se* tu: tu la tua fama ancora
non ricevesti. Ullin ricerca Farpa,
parla di Rino, e di' qual duce un giorno 190
171-3. Rino . . .forme: la risposta d'Ullino ricorda quella del messo, ap-
presso Ctesia, alia madre di Giro: «Ciro dov'e? - Ove esser debbono i va-
lorosi» (C.). 179-80. al padre. . .valor: Poriginale: « appena eri tu da
me conosciuto ». Parmi che queste parole non possano aver altro senso che
quello ch'io loro ho dato (C.). 188-9. l°> tua fama • • • ricevesti: cioe: tu
non hai ancora ricevuti gli elogi che i cantori sogliono fare agli eroi: tu
non hai ancora fatto imprese degne d' esser celebrate coi canti (C.)-
l82 MELCHIORRE CESAROTTI
f6ra stato il garzone. Addio, tu primo
in ogni campo: il giovenil tuo dardo
piii non godr6 di regolare. O Rino,
o gia si bello, ah tu sparisti: addio. —
Scorgevasi la lagrima sospesa 195
sulle ciglia del re : pensa del figlio
al crescente valor; figlio di speme!
Pareva un raggio di notturno foco,
che gia spunta sul colle; al fischio, al corso,
piegan le selve: il peregrin ne trema. 200
— In quell'oscura verdeggiante tomba —
riprese il re — chi mai sen giace ? lo scorgo
quattro pietre muscose, indizio certo
della magion di morte. Ivi riposi
anche il mio Rino, e sia compagno al forte. 205
Forse e cola qualche famoso duce,
che con mio figlio volera su i nembi.
Ullin, rianda le memorie antiche,
sciogli il tuo canto, e ci rammenta i fatti
degli abitanti della tomba oscuri. 210
Se nel campo dei ford essi giammai
non fuggir dai perigli, il figlio mio,
benche lungi da1 suoi, sul Lena erboso
riposera tranquillo ai prodi accanto.
— In questa tomba— incomincio la dolce 215
bocca del canto — il gran Landergo e muto
e Jl fero Ullin. Chi e costei, che dolce
sorridendo da un nembo, a me fa mostra
196-7. pensa. . .speme: nell' originate : «perche terribile era suo figlio in
guerra » ; espressioni che sembrano contradire a cio che Fingal disse di so-
pra intorno a Rino. L'emistichio figlio di speme e 1'epiteto di crescente dato
al valore sono awertenze del traduttore per levar la contradizione (C ).
201-2. In quelVoscura . . . giace?: nelPoriginale : «la fama di chi e in quell'o
scura verdeggiante tomba? » (C.). 208. Fingal non avea bisogno di ricor-
rere ad Ullino per sapere che quello era il sepolcro di Landergo. II poeta s'e
lasciato sfuggir di mente che Fingal, nel canto 3 [w. 286-9], ordina a*
suoi figli di salir sulla tomba di Landergo, per indi sfidar a battaglia
Svarano(C.); nanda: ripercorri. 217. Ulhn: si tratta evidentemente di
un altro Ullino, diverse dal cantore dello stesso nome.
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 183
del suo volto d'amor? Figlia di Tutla,
0 prima tra le vergini di Cromla, 220
perche" pallida sei? dormi tu forse
fra i due forti rivali in queste pietre?
Bella Gelcossa, tu Pamor di mille
fosti vivendo, ma" Landergo solo
fu Tamor tuo : ver le muscose ei venne 225
torri di Selma; e '1 suo concavo scudo
picchiando, favel!6: «Dov'e Gelcossa,
dolce mia cura? lo la lasciai pocanzi
nella sala di Selma, allor che andai
a battagliar contro 1'oscuro Ulfadda. 230
"Riedi tosto," diss'ella "o mio Landergo,
ch'io resto nel dolore". Ed umidetta
avea la guancia e sospiroso il labbro.
Ma or non la riveggio : a che non viene
ad incontrarmi e a raddolcirmi il core 235
dopo la pugna? Tacito e 1'albergo
della mia gioia: in sull'amata soglia
Brano non veggo, il fido can, che crolli
le sue catene e mi festeggi intorno.
Ov'e Gelcossa? ov'£ '1 mio amor?». « Landergo, » 240
Ferchio rispose «ella sara sul Cromla:
ella con le sue vergini dell'arco
1 cervi inseguira». « Ferchio,)) riprese
di Cromla il sire «alcun romor non fiede
Porecchio mio, taccion del Lena i boschi; 245
non e cervo che fugga; ah ch'io non veggo
la mia Gelcossa, ella spari: Gelcossa
222. fra i due for ti rivah: i: «fra '1 nemico e ljamante». 226. Selma: que-
sto non e il palagio di Fingal nella Scozia: ma dovrebbe essere un luogo sul
monte di Cromla, ove fosse 1'abitazione di Tuathal, padre di Gelcossa.
Conviene far molta attenzione ai nomi di queste poesie, alcuni dei quali ap-
partengono spesso a luoghi e a persone diverse (C.)- 238. Brano: Bran e
un nome che fino al giorno d'oggi continua a darsi ai cani levrieri. Si co-
stuma nel nord della Scozia d'imporre ai cani i nomi degli eroi celebrati in
questo poema. Ci6 prova che sono familiari aH'orecchio, e noti general-
mente a tutti (M.). 241. sul Cromla: cioe, in altra parte del Cromla (C.)-
242. vergini deWarco : cacciatrici (C.).
184 MELCHIORRE CESAROTTI
bella qual luna che pian pian s'asconde
dietro i gioghi di Cromla. O Ferchio, vanne
a quel canuto figlio della mpe, 250
al venerabil Allado : ei soggiorna
nel cerchio delle pietre, ei di Gelcossa
avra novelle». And6 d'Adone il figlio,
ed all'orecchio dell'eta si fece:
«Allado, abitator della spelonca, 255
tu che tremi cosi, di', che vedesti
cogli antichi occhi tuoi?». «Vidi» rispose
aUllino, il figlio di Cairba; ei venne
come nube dal Cromla, alto intonando
disdegnosa canzon, siccome il vento 260
entro un bosco sfrondato. Ei nella sala
entr6 di Selma: "Esci," grido "Landergo,
terribile guerriero, escine; o cedi
a me Gelcossa, o con Ullin combatti".
"Landergo non e qui;" rispose allora 265
Gelcossa "ei pugna contro Ulfadda: o duce,
ei non e qui, ma che percio? Landergo
non fia che ceda, egli non cesse ancora;
combattera". "Se* pur vezzosa e bella/'
disse 1'atroce Ullin "figlia di Tutla. 270
lo ti guido a Cairba, e del piii forte
sara Gelcossa; io restero sul Cromla
tre di la pugna ad aspettar; se fugge
Landergo, il quarto di Gelcossa e mia"».
«Allado, or basta,» ripiglio Landergo 275
«sia pace a' sonni tuoi. Suona il mio corno,
251. Allado e certamente un druido. Vien chia.ma.to figlio della rupe, per-
che abitava in una grotta ; e il cerchio delle pietre e la circonf erenza del tem-
pio de' druidi. Vien egli qui consultato com'uno che si credeva che avesse
una cognizione soprannaturale delle cose. Non v'ha dubbio che non sia
venuta dai druidi la ridicola opinione della seconda vista, che prevale
nella Scozia e nell'isole (M.). 253. d'Adone il figlio: Ferchio, figlio
di Aidon (C.). 254- all'orecchio dell'eta: all'orecchio senile (C.). 256. che
vedesti: cosi spesso si legge appresso i Profeti: «Quid vides?» Anzi nel
medesimo senso i Profeti stessi appresso gli Ebrei erano chiamati «veg-
genti»(C.)- 271. a Cairba: a suo padre, perche" stesse come in custo-
dia (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 185
Ferchio, si ch'oda Ullino». E si dicendo,
sali sul colle in torbido sembiante
dalla parte di Selma: a cantar prese
bellicosa canzone, in tuon d'un rivo 280
d'alto cadente. Alfin del monte in cima
egli si stette; volse intorno il guardo,
qual nube suol che al variar del vento
varia d'aspetto: roto!6 una pietra,
segno di guerra. II fero Ullin Fudio 285
dalla sala paterna, udi giulivo
il suo nemico, ed impugno la spada
de' padri suoi. Mentr'ei la cinge al fianco,
illumino quel tenebroso aspetto
un sorriso di gioia: il pugnal brilla 290
nella sua destra; ei s'avanzo fischiando.
Vide Gelcossa il sir torbido e muto,
che qual lista di nebbia iva poggiando
f erocemente : si percote il seno
candido palpitante, e lagrimosa 295
trema per Famor suo. « Cairba antico, »
disse la bella «a piegar Farco io volo,
veggo i cervetti». Frettolosa il colle
sali, ma indarno ; gFinfiammati duci
gia tra lor combatteano. Al re di Morven 300
io narrer6 come pugnar sien usi
crucciati eroi? Cadde il feroce Ullino.
Venne Landergo pallido anelante
alia donzella dalla liscia chioma,
alia figlia di Tutla. « Dime che sangue, 305
che sangue e quello» ella grido «che scorre
sul fianco all' amor mio ? ». « Sangue d'Ullino, »
disse Landergo «o piu Candida e fresca
della neve di Cromla: o mia Gelcossa,
lascia ch'io mi riposi». Ei siede, e spira. 3*0
301-2. io . . . eroi?: I: «perche deggio narrar come pugnaro / gFirati eroi? »
310. Ci6 viene a dire che Landergo era stato anch'egli ferito mortalraente
da Ullino. II poeta 1'avea dissimulato per sorprendere e colpir con piu for-
za, com'e solito costume di Ossian (C.).
l86 MELCHIORRE CESAROTTI
ccCosi cadi, o mio ben?» Stette tre giorni
lagrimandogli appresso: i cacciatori
la trovar morta; e su i tre corpi estinti
ersero questa tomba. O re, tuo figlio
pu6 qui posar, che con eroi riposa. 315
— E qui riposera: gli orecchi miei
spesso feri della lor fama il suono —
disse 1'alto Fingal. — Fillan, Fergusto,
Orla qua mi s'arrechi, il valoroso
garzon del Loda; ei giacera con Rino, 32°
coppia ben degna: sopra entrambi il pianto
voi, donzelle di Selma, e voi di Loda,
sciogliete, o figlie: ambi crescean a prova
come vivaci rigogliose piante;
e come piante or li giaccion prostesi, 325
che sul ruscel riverse, al sole, al vento
tutto il vitale umor lasciano in preda.
Oscarre, onor di gioventu, tu vedi
come cadder da forti. A par di questi
fa' tu d'esser famoso, e sii com'essi 330
subietto dei cantor: menavan vampo
essi in battaglia, ma nei di di pace
faccia avea Rino placida ridente,
simile al variato arco del cielo
dopo dirotta pioggia, allor che spunta 335
gaio sull'onde, e d'altra parte il sole
puro tramonta, e la collina e cheta.
Statti in pace, o bel Rino, o di mia stirpe,
Rino, il minor: ti seguiremo, o figlio;
che tosto o tardi han da cadere i prodi. — 340
Tal fu la doglia tua, signor dei colli,
quando giacque il tuo Rino. E qual fia dunque
d'Ossian la doglia, or che tu giaci, o padre?
Ah ch'io non odo la tua voce in Cona,
311. Cosi... ben?: parole di Gelcossa (C.)- 313. la trovar morta: le storie
di Ossian sono quasi tutte tragiche. Si scorge sin d'allora il genio britannico
per gli spettacoli tetri (C.). 321-3. sopra . . . figlie : questa frase manca in I.
331. menavan vampo: s'infiammavano.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 187
ah die piii non ti veggo! Oscuro e mesto 345
talor m'assido alia tua tomb a accanto,
e vi brancolo sopra. Udir talvolta
parmi la voce tua, lasso! e m'inganna
il vento del deserto. £ lungo tempo
che dormi, o padre; e ti sospira il campo, 350
alto Fingal, correggitor di guerra.
Lungo Perboso Luba Ossian e Gaulo
sedean presso a Svarano. lo toccai Tarpa
per allegrare il cor del re, ma tetro
era il suo ciglio; ad ogn'istante al Lena 355
girava il bieco rosseggiante sguardo;
piangeva il popol suo. Gli occhi ver Cromla
anch'io rivolsi, e riconobbi il figlio
del generoso Semo. Ei tristo e lento
si ritrasse dal colle, e volse i passi 360
alia di Tura solitaria grotta.
Vide Fingal vittorioso, e in mezzo
della sua doglia involontaria gioia
venne a mischiarsi. Percoteva il sole
sull'armi sue: Conal tranquillo e cheto 365
lo venia seguitando; alfine entrambi
si celar dietro il colle, appunto come
doppia colonna di notturno foco,
via via spinta dal vento. £ la sua grotta
dietro un ruscel di mormorante spuma 370
entro una rupe; un albero la copre
con le tremanti foglie, e per li fianchi
strepita il vento. Ivi riposa il figlio
del nobil Semo; i suoi pensier son fisi
pur nella sua sconfitta; aride strisce 375
gli segnano la guancia: egli sospira
la fama sua, che gia svanita ei crede
come nebbia del Cona. O sposa amata,
o Bragela gentil, perche si lungi
346. talor . . . accanto: cfr. Leopardi, La vita solitaria, 23: « Talor m'assido
in solitaria parte». 347. e vi brancolo sopra: cfr. Foscolo, Sepolcri, 281-2:
« e brancolando / penetrar negli avelli ».
l88 MELCHIORRE CESAROTTI
se' tu da lui, che serenar potresti 380
I'anima delPeroe? ma lascia, o bella,
che sorga luminosa entro il suo spirto
I'amabile tua forma: i suoi pensieri
a te ritorneranno, e la sua doglia
dileguerassi al tuo sereno aspetto. 385
Chi vien coi crini dell'etade ? II veggo,
egli e '1 figlio dei canti. lo ti saluto,
Carilo antico, la tua voce e un'arpa
nella sala di Tura, e i canti tuoi
son grati e dolci, come pioggia estiva 390
la nel campo del sol. — Carilo antico,
ond'e che a noi ne vieni ? — Ossian, — diss'egli
— delle spade signor, signor dei canti,
tu m'avanzi d'assai. Molt'e che noto
a Carilo sei tu: piu volte, il sai, 395
nella magion del generoso Brano,
dinanzi alia vezzosa Evirallina
ricercai Parpa: e tu piu volte, o duce,
le mie musiche note accompagnasti :
e talor la vezzosa Evirallina 400
tra i canti del suo amor, tra i canti miei,
mescea la soavissima sua voce.
Un giorno ella canto del giovinetto
Gorman, che cadde per amarla: io vidi
sulle guance di lei, sulle sue ciglia 405
le lagrime pietose: ella commosso
sentiasi il cor dairinfelice amante,
bencb.6 pur non amato. X)h come vaga,
come dolce e gentile era la figlia
del generoso Brano! — Ah taci, amico, 410
non rinnovar, non rinnovarmi alPalma
la sua memoria: mi si strugge il core,
e gli occhi mi ringorgano di pianto.
II diletto amor mio, la bella sposa
dal soave rossor, Carilo, e spenta. 415
386. coi crini dell'etade: coi capelli canuti (C.)-
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 189
Ma tu siedi, o cantore, e le nostr'alme
mold col canto tuo, dolce ad udirsi
quanto di primavera aura gentile,
che nell'orecchio al cacciator sospira,
quand'ei si sveglia da gioioso sogno, 420
tra '1 bel concento dei notturni spirti.
CANTO VI*
ARGOMENTO
Viene la notte. Fingal da un convito alia sua armata, al quale
Svarano e presente. II re comanda ad Ullino suo bardo di cantare una
Canzone di pace, costume che sempre si osserva al fine d'una guerra.
Ullino narra le imprese di Tremmor, bisavolo di Fingal, nella
Scandinavia, e i suoi sponsali con Inibaca sorella del re di Loclin,
ch'era un antenato di Svarano. Fingal generosamente rimette Sva
rano in liberta, e gli permette di ritomare col rimanente del suo
esercito a Loclin. Fingal dimanda a Carilo nuove di Cucullino.
Storia di Grumal. Giunge la mattina. Svarano parte. Fingal va alia
caccia; poscia s'incammina alia volta di Cucullino. Lo ritrova nella
grotta di Tura; lo conforta, e lo lascia consolato. II giorno dietro
egli fa vela per la Scozia, con che si chiude il poema.
Precipitaro i nugoli notturni
e si posar su la pendice irsuta
del cupo Cromla. Sorgono le stelle
sopra Tonde d'Ullina, e i glauchi lumi
mostrano fuor per la volante nebbia. 5
Mugge il vento lontano: e muta e fosca
la pianura di morte. Ancor gli orecchi
dolce fiedea rarmoniosa voce
del buon cantore. Ei celebro i compagni
di nostra gioventude, allor che prima 10
noi c'incontrammo in sull'erboso Lego,
e la conca ospital girava intorno.
Tutte del Cromla le nebbiose cime
risposero al suo canto, e Tombre antiche
dej celebrati eroi venner sull'ale 15
ratte dei nembi, e con desio fur viste
piegarsi al suon delle gradite lodi.
Benedetto il tuo spirto in mezzo ai venti,
Carilo antico. Oh venistu sovente
* Questo canto incomincia dalla quarta notte, e termina al principio del
sesto giorno (C.). 19. Ossian, dalla conversazione avuta allora con Carilo,
passa ora a pensar airombra di quel cantore gia morto, e parla con essa del
suo stato presente (C.); venistu: venissi tu.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 191
la notte a me, quando soletto io poso. 20
E tu ci vieni, amico: odo talvolta
la tua maestra man, ch'agile e leve
scorre per Parpa alia parete appesa:
ma perche non favelli alia mia doglia?
perche non mi conforti? i cari miei 25
quando mi fia di riveder concesso ?
Tu taci e parti; e '1 vento che t'e scorta
fischiami in mezzo alia canuta chioma.
Ma dal lato di Mora intanto i duci
s'adunano al convito. Ardon nell'aria 30
cento querce ramose, e gira intorno
il vigor delle conche. I duci in volto
splendon di gioia: sol pensoso e muto
stassi il re di Loclin; siedongli insieme
ira e dolor sull'orgogliosa fronte. 35
Guata il Lena, e sospira: ha ferma in mente
la sua caduta. Sul paterno scudo
stava chino Fingallo: egli la doglia
osservo di Svarano, e cosi disse
al primo de' cantori : — Ullino, inalza 40
il canto della pace, e raddolcisci
i bellicosi spirti, onde Torecchio
ponga in oblio lo strepito delParmi.
Sien cento arpe dappresso, e infondan gioia
nel petto di Svaran. Tranquillo io voglio 45
che da me parta: alcun non fu per anco
che da Fingal mesto partisse. Oscarre,
contro gli audaci e valorosi in guerra
balena il brando mio: se cedon questi,
pacatamente mi riposa al fianco. 50
— Visse Tremmorre, — incomincio dei canti
la dolce bocca— e per le nordiche onde
32. II vigor delle conche significa il liquor che beveano i guerrieri scozzesi:
ma di qual sorta egli si fosse non e facile il determinarlo. Vedi il Ragiona-
mento preliminare intorno i Caledoni (C.)- Cfr. Opere, II, p. 65. 34-5. sie
dongli . . .fronte: Toriginale: «la tnstezza rosseggia negli occhi del di lui
orgoglio» (C.).
192 MELCHIORRE CESAROTTI
di tempeste e di venti err6 compagno.
La scoscesa Loclin coi mormoranti
suoi boschi apparve al peregrine eroe 55
tra le sue nebbie: egli abbasso le vele,
balzo sul lido, ed insegui la belva
che per le selve di Gormal ruggia.
Molti eroi gia fugo, molti ne spense
quella, ma Tasta di Tremmor Puccise. 60
Eran tre duci di Loclin presenti
all'alta impresa, e raccontar la possa
dello straniero eroe: disser ch'ei stava
qual colonna di foco, e d'arme chiuso
raggi spandea d'insuperabil forza. 65
Festoso il re largo convito appresta,
ed invita Tremmorre. II giovinetto
tre giorni festeggi6 nelle ventose
loclinie torri; e a lui diessi la scelta
dell'arringo d'onor. Loclin non ebbe 70
si forte eroe che gli durasse a fronte.
N'and6 la gioia della conca in giro;
canti, arpe, applausi: alto sonava il nome
del giovine regal che dal mar venne,
delle selve terror, primo dei forti. 75
Sorge il quarto mattin. Tremmor nell'onde
Ianci6 la nave, e a passeggiar si pose
lungo la spiaggia in aspettando il vento,
che da lungi s'udia fremer nel bosco.
Quand'ecco un figlio di Gormal selvoso, 80
folgorante d'acciar, che a lui s'avanza.
Gota vermiglia avea, morbida chioma,
mano di neve; e sotto brevi ciglia
placido sorridea ceruleo sguardo;
e si prese a parlargli: «Ola t'arresta, 85
arrestati, Tremmor: tutti vincesti,
ma non hai vinto di Lonvallo il figlio.
La spada mia de' valorosi il brando
spesso incontr6 : dal mio infallibil arco
57. belva: probabilmente un cinghiale (C.)-
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 193
s'arretraro i piu saggi». «O giovinetto 90
di bella chioma,» ripiglio Tremmorre
«teco non pugnero. Molle e '1 tuo braccio,
troppo vago sei tu, troppo gentile:
torna ai cervetti tuoi». «Tornar non voglio
se non col brando di Tremmor, tra '1 suono 95
della mia fama: giovinette a schiere
circonderan con teneri sorrisi
lui che vinse Tremmor; trarran del petto
sospiretti d'amore, e la lunghezza
della tua lancia misurando andranno, 100
mentr'io pomposo mostrerolla e al sole
ne inalzero la sfavillante cima. »
«Tu la mia lancia ?» disdegnoso allora
soggiunse il re «la madre tua piuttosto
ritroveratti pallido sul lido 105
del sonante Gormallo, e risguardando
verso Poscuro mar, vedra le vele
di chi le uccise il temerario figlio».
«E ben, » disse il garzon ccmolle dagli anni
e il braccio mio; contro di te non posso no
Pasta inalzar, ma ben col dardo appresi
a passar petto di lontan nemico.
Spoglia, o guerrier, quel tuo pesante arnese;
tu sei tutto d'acciaro : io primo a terra
getto Pusbergo, il vedi; or via, Tremmorre, 115
scaglia il tuo dardo ». Ondoleggiante ei mira
un ricolmetto seno. Era costei
la sorella del re. Vide ella il duce
nelle fraterne sale, ed invaghissi
del viso giovenil. Cadde la lancia xao
dalla man di Tremmorre: abbassa a terra
focoso il volto: Pimprowisa vista
sino al cor lo colpi, siccome un vivo
raggio di luce che diritto incontra
i figli della grotta, allor che al sole 125
escon dal buio e al luminoso strale
125. i figli della grotta: gli abitatori della grotta (C.).
194 MELCHIORRE CESAROTTI
chinano i sguardi abbarbagliati e punti.
« O re di Morven, » comincio la bella
dalle braccia di neve « ah lascia ch'io
nella tua nave mi riposi, e trovi 130
contro Tamor di Corlo asilo e schermo.
Terribile e costui per Inibaca,
quanto il tuon del deserto: amami il fero,
ma dentro il buio d'un atroce orgoglio;
e diecimila lance all'aria scuote 135
per ottenermi)). «E ben, riposa in pace»
disse 1'alto Tremmor «dietro lo scudo
de' padri miei; poi diecimila lance
scuota Corlo a suo senno, io non pavento;
venga, Pattendo». Ad aspettar si stette 140
tre di sul lido: alto squillava il corno
da tutti i monti suoi, da tutti i scogli
Corlo sfido, ma non apparve il fero.
Scese il re di Loclin: rinnovellarsi
i conviti e le feste in riva al mare, 145
e la donzella al gran Tremmor fu sposa.
— S varan, — disse Fingal — nelle mie vene
scorre il tuo sangue : le famiglie nostre
sitibonde d'onor, vaghe di pugna,
piu volte s'affrontar, ma piu volte anco 150
festeggiarono insieme, e Tuna alPaltra
fer di conca ospital cortese dono.
Ti rasserena adunque, e nel tuo volto
splenda letizia, e alia piacevol arpa
apri Porecchio e '1 cor. Terribil fosti 155
qual tempesta, o guerrier, de' flutti tuoi;
tu sgorgasti valor; Palta tua voce
quella valea di mille duci e mille.
Sciogli doman le biancheggianti vele,
fratel d'Aganadeca; ella sovente 160
viene aU'amma mia per lei dogliosa,
qual sole in sul meriggio: io mi rammento
131. Questo Corlo deve esser qualche re dell'isole Orcadi (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 195
quelle lagrime tue; vidi il tuo pianto
nelle sale di Starno, e la mia spada
ti rispett6 mentr'io volgeala a tondo 165
rosseggiante di sangue, e colrni avea
gli occhi di pianto, e '1 cor ruggia di sdegno:
che se pago non sei, scegli, e combatti.
QuelParringo d'onor, che i padri tuoi
diero a Tremmor, Tavrai da me: gioioso 170
vuo' che tu parta, e rinomato e chiaro
siccome sol che a tramontar sfavilla.
— Invitto re della morvenia stirpe,
primo tra mille eroi, non fia che teco
piu mai pugni S varan: ti vidi in pria 175
nella reggia paterna, e i tuoi freschi anni
di poco spazio precedeano i miei.
E quando, io dissi a me medesmo, e quando
la lancia inalzero, come 1'inalza
il nobile Fingal? Pugnammo poi 180
sul fianco di Malmor, quando i miei flutti
spinto m'aveano alle tue sale, e sparse
risonavan le conche: altera zuffa
certo fu quella e memoranda: or basta;
lascia che il buon cantore esalti il nome 185
del prode vincitor. Fingallo, ascolta:
piu d'una nave di Loclin poc'anzi
resto per te de' suoi guerrieri ignuda;
abbiti queste, o duce: e sii tu sempre
Pamico di Svaran. Quando i tuoi figli 190
all'alte torri di Gormal verranno,
s'appresteran conviti, e lor la scelta
della tenzon s'ofFerira. — Ne nave —
rispose il re — ne popolosa terra
non accetta Fingal: pago abbastanza 195
son de' miei monti e dei cervetti miei.
Conserva i doni tuoi, nobile amico
d'Aganadeca: al raggio d'oriente
spiega le bianche vele, e lieto riedi
al nativo Gormallo. — O benedetto 200
196 MELCHIORRE CESAROTTI
lo spirto tuo, re delle conche eccelso; —
grid6 Svaran, di maraviglia pieno
— tu sei turbine in guerra, auretta in pace.
Prendi la destra d'amistade in pegno,
generoso Fingallo. I tuoi canto ri 205
piangano sugli estinti, e fa' ch'Erina
i duci di Loclin ponga sotterra
e della lor memoria erga le pietre:
onde i figli del Nord possano un giorno
mirare il luogo ove pugnar da forti 210
i loro padri, e '1 cacciatore esclami,
mentre s'appoggia a una muscosa pietra:
«Qui Fingallo e Svaran lottaro insieme,
que* prischi eroi». Cosi diranno, e verde
la nostra fama ognor vivra. — Svarano, — 215
Fingal riprese — oggi la gloria nostra
della grandezza sua giunse alia cima.
Noi passerem qual sogno: in alcun campo
piu non s'udra delle nostr'arme il suono:
ne svaniran le tombe, e '1 cacciatore 220
invan sul prato del riposo nostro
1'albergo cerchera: vivranno i nomi,
ma fia spento il valor. Carilo, Ullino,
Ossian, canton, a voi son noti i duci
che piu non sono. Or via, sciogliete i canti 225
dej tempi antichi, onde la notte scorra
tra dolci suoni, ed il mattin risorga
nella letizia. — Ad allegrare i regi
sciogliemmo il canto, e cento arpe soavi
la nostra voce accompagnar: Svarano 230
rasserenossi e risplende, qual suole
colma luna talor, quando le nubi
sgombran dalla sua faccia, e lascian quella
ampia, tersa, lucente in mezzo al cielo.
Allor Fingallo a Carilo si volse, 235
e prese a dirgli: — Ov'e di Semo il figlio?
ov'e il re di Dunscaglia? a che non viene?
come basso vapor forse s'ascose
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 197
nella grotta di Tura ? — Ascoso appunto —
rispose il buon cantor •— sta Cucullino 240
nella grotta di Tura: in su la spada
egli ha la destra, e nella pugna il core,
nella perduta pugna. 6 cupo e mesto
il re delPaste, che piu volte in campo
gia vincitor si vide. Egli t'invia 245
la spada di Cabarre, e vuol che posi
sul fiance di Fingal, perche" qual nembo
i poderosi suoi nemici hai spersi.
Prendi, o Fingal, questa famosa spada,
che gia la fama sua svani qual nebbia 250
scossa dal vento. — Ah non fia ver — rispose
1'alto Fingal— ch'io la sua spada accetti;
possente e Jl braccio suo : vattene, e digli
che si conforti; gia sicura e ferma
e la sua fama, e di svanir non terne. 255
Molti prodi fur vinti, e poi di nuovo
scintillaron di gloria. E tu pur anche,
re dei boschi sonanti, il tuo cordoglio
scorda per sempre: i valorosi, amico,
benche vinti, son chiari: il sol tra i nembi 260
cela il capo talor, ma poi ridente
torna a guardar su le colline erbose.
Viemmi Gruma alia mente. Era gia Gruma
un sir di Cona: egli spargea battaglia
per tutti i lidi; gli gioia Porecchio 265
nel rimbombo delParmi e '1 cor nel sangue.
Ei spinse un giorno i suoi guerrier possenti
sulPecheggiante Craca; e il re di Craca
dal suo boschetto Pincontro, che appunto
tornava allor dal circolo di Brumo, 270
ove alia pietra del poter poc'anzi
parlato avea. Fu perigliosa e fera
la zufTa degli eroi per la donzella
258. re . . . sonanti: si rivolge a Svarano. 270. circolo di Brumo: si allude
alia religione del re di Craca. Vedi Pannot[azione] al v. 34 del canto 3 (C.).
271. pietra del poter: cfr. Pannotazione del Cesarotti al v. 37 del canto in.
198 MELCHIORRE CESAROTTI
dal bel petto di neve. Avea la fama
lungo il Cona natio portato a Gruma 275
la peregrina amabile beltade
della figlia di Craca, ed egli avea
giurato d'ottenerla o di morire.
Pugnaro essi tre di: Gruma nel quarto
annodato resto. Senza soccorso 280
lungi da' suoi, rimmersero nel fondo
delPorribile circolo di Brumo,
ove spesso ulular Pombre di morte
diceansi intorno alia terribil pietra
del lor timor. Ma che? da quell'abisso 285
usci Gruma e rifulse. I suoi nemici
cadder per la sua destra; egli riebbe
Tantica fama. O voi cantor, tessete
inni agli eroi, che dalla lor caduta
sorser piu grandi, onde il mio spirto esulti 290
nella giusta lor lode, ed a Svarano
il cordoglio primier tornisi in gioia. —
Allor di Mora su la piaggia erbosa
si posero a giacer. Fischiano i venti
tra le chiome agli eroi. S'odono a un tempo 295
cento voci, cento arpe: i duci antichi
si rimembrar, si celebraro. E quando
udr6 adesso il cantor? quando quest'alma
s'allegrera nelle paterne imprese?
L'arpa in Morven gia tace, e piu sul Cona 300
voce non s'ode armoniosa; e spento
col possente il cantor; non v'e piu fama.
Va tremolando il mattutino raggio
su le cime di Cromla, e d'una fioca
luce le tinge. Ecco squillar sul Lena 3°s
il corno di S varan: delFonde i figli
si raccolgon d'intorno, e muti e mesti
salgon le navi: vien d'Ullina il vento
forte soffiando a rigonfiar le vele
candido-galleggianti, e via gli porta. 310
280. annodato: prigioniero. 284. diceansi: i: «s'udiano».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 199
— Ola, — disse Fingal — chiaminsi i veltri,
rapidi figli della caccia, il fido
Brano dal bianco petto, e la ringhiante
forza arcigna di Lua. Qua qua, Fillano,
Rino, ... ma non e qui: riposa il figlio 315
sopra il letto feral. Fillan, Fergusto,
rintroni il corno mio, spargasi intorno
la gioia della caccia: impauriti
Podan del Cromla i cavrioli e i cervi,
e balzino dal lago. — Erro pel bosco 320
1'acuto suon: dello scoglioso Cromla
s'alzano i cacciator; volano a slanci
chi qua, chi la mille anelanti veltri
sulla lor preda ad awentarsi. Un cervo
cade per ogni can: ma tre ne afferra 325
Brano, e gli addenta, e di Fingallo al piede
palpitant! gli arreca. Egli a tal vista
gongola di piacer. Ma un cervo cadde
sulla tomba di Rino, e risvegliossi
il cordoglio del padre. Ei vide cheta 330
starsi la pietra di colui che '1 primo
era dianzi alia caccia: — Ah figlio mio,
tu non risorgi piu! tu della festa
a parte non verrai; gia la tua tomba
s'ascondera, gia Perba inaridita 335
la coprira: con temerario piede
calpesteralla un di la schiatta imbelle,
senza saper ch'ivi riposa il prode.
Figli della mia forza, Ossian, Fillano,
Gaulo re degli acciar, poggiam sul colle 340
ver la grotta di Tura, andiam, veggiamo
d'Erina il condottiero. (Dime, son queste
le muraglie di Tura? ignude e vuote
son d'abitanti, e le ricopre il musco.
Mesto e '1 re delle conche, e desolato 345
sta Palbergo regal: venite, amici,
332-4. Ah figlio . . . verrai: cfr. Leopardi, Le ricordanze, 160-1: «o Nerina,
a radunanze, a feste / tu non ti acconci piu, tu piu non movi ».
200 MELCHIORRE CESAROTTI
al sir dei brandi, e trasfondiamgli in petto
tutto il nostro piacer. Ma che? m'inganno?
Fillano, e questi Cucullino? oppure
e colonna di fumo? Emmi sugli occhi 350
di Cromla il nembo, e rawisar non posso
Pamico mio. — Si, Cucullino e questo —
gli rispose il garzon. — Vedilo, e muto
e tenebroso, ed ha la man sul brando.
— Salute al figlio di battaglia: addio, 355
spezzator degli scudi. — A te salute, —
rispose Cucullin — salute a tutta
Palta schiatta di Selma. O mio Fingallo,
grato e Paspetto tuo ; somiglia al sole,
cui lungo tempo sospir6 lontano 360
il cacciatore, e lo rawisa alfine
spuntar da un nembo. I figli tuoi son vive
stelle ridenti, onde la notte ha luce.
0 Fingallo, o Fingal, non tale un giorno
gia mi vedesti tu, quando tornammo 365
dalle battaglie del deserto, e vinti
fuggian dalle nostr'arme i re del mondo,
e tornava letizia ai patrii colli.
— Gagliardo a detti, — Finterruppe allora
Conan di bassa fama — assai gagliardo 370
se' tu per certo, Cucullin: son molti
1 vanti tuoi, ma dove son Fimprese?
or non siam noi per Focean qua giunti,
per dar soccorso alia tua fiacca spada?
Tu fuggi alFantro tuo: Conanno intanto 375
le tue pugne combatte. A me quelFarme,
cedile a me, che mal ti stanno. — Eroe
alcun non fu che ricercare osasse
355-6. Salute . . . scudi: parole di Fingal a Cucullino (C.). 357-8. a tut
ta. . . Selma : i : « a tutti / i tuoi figli possenti ». 367. i re del mondo : gl'impe-
ratori di Roma. Questo e '1 solo passo in tutto il poema in cui s'alluda alle
guerre di Fingal contro i Romam (C.). 370. Conan era della famiglia di
Morni. Egli vien nominato in molti altri poemi, e sempre comparisce con
lo stesso carattere, che somiglia alquanto a quello del Tersite d'Omero (C.).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 2OI
Tarme di Cucullin ; — rispose il duce
alteramente — e quando mille eroi 380
le cercassero ancor, sarebbe indarno,
tenebroso guerriero: alia mia grotta
non mi ritrassi io gia, finche d'Erina
vissero i duci. — Ola, — grid6 Fingallo
— Conan malnato, dall'ignobil braccio, 385
taci, non parlar piu. Famoso in guerra
e Cucullino, e ne grandeggia il nome.
Spesso udii la tua fama, e spesso io fui
testimon de* tuoi fatti, o tempestoso
sir d'Inisfela. Or ti conforta, e sciogli 390
le tue candide vele in ver Tazzurra
nebbiosa isola tua; vedi Bragela
che pende dalla rupe; osserva Tocchio
che d'amore e di lagrime trabocca.
I lunghi crini le solleva il vento 395
dal palpitante seno. Ella I'orecchio
tende air aura notturna, e pure aspetta
il fragor de' tuoi remi e '1 canto usato
de' remiganti e '1 tremolio dell'arpa
che da lungi s'avanza. — E lungo tempo 400
stara Bragela ad aspettarlo invano.
No, piu non torner6 : come potrei
comparir vinto alia mia sposa innanzi,
e mirarla dolente? II sai, Fingallo,
io vincitor fui sempre. — E vincitore 405
quinci inanzi sarai, qual pria tu fosti : —
disse Fingal — di Cucullin la fama
rinverdira come ramosa pianta.
Molta gloria t'avanza, e molte pugne
t'attendono, o guerriero, e molte morti 410
usciran dal tuo braccio. Oscarre, i cervi
reca e le conche, e '1 mio convito appresta.
I travagliati spirti abbian riposo
382. tenebroso: Ossian dinota spesso le qualita dell'animo colle qualita
esterne del corpo (C.). 398. '/ canto usato : 1'uso di cantar quando remano,
e universale fra gli abitanti della costa settentrionale della Scozia (M ).
202 MELCHIORRE CESAROTTI
dopo lunghi perigli: e i fidi amici
si rawivin di gioia al nostro aspetto. — 415
Festeggiammo, cantammo. Alfin lo spirto
di Cucullin rasserenossi : al braccio
torn6 la gagliardia, la gioia al volto.
Ivano Ullino e Carilo alternando
i dolci canti: io mescolai pin volte 420
alia lor la mia voce, e delle lance
cantai gli scontri ove ho pugnato e vinto:
misero! ed or non piu: cesso la fama
di mie passate imprese, e abbandonato
seggomi al sasso de' miei cari estinti. 425
Cosi scorse la notte, infin che '1 giorno
sorse raggiante. Dall'erbosa piaggia
alzossi il re, scosse la lancia, e primo
lungo il Lena movea: noi lo seguimmo
come strisce di foco. — Al mare, al mare 430
spieghiam le vele, ed accogliamo i venti
che sgorgano dal Lena — egli si disse.
Noi salimmo le navi, e ci spingemmo
tra canti di vittoria e liete grida
delPocean per la sonante spuma. 435
OSSERVAZIONI
CANTO I
v. i. II poeta si mostra tosto quale egli e in tutte le sue opere.
Egli entra francamente in materia, e senza perdersi in preamboli.
La proposizione veramente serve alia chiarezza, e fissa 1'idea e I'unita
dell'azione: pure non e assolutamente necessaria. Tutto giorno si
raccontano mille storie e novelle, senza premettervi alcuna cosa. La
Musa era una divinita incognita ad Ossian: percio non poteva im-
plorarne il soccorso. Ma quando egli Tavesse conosciuta, io credo
che potesse dispensarsi da questo cerimoniale. L'invocazione, dicono
i critici, acquista fede alle cose, giustifica il mirabile, e concilia di-
gnita al poeta, facendolo comparire ispirato. Quanto al primo, po-
trebbe dirsi piuttosto ch'ella genera diffidenza. « Sappiamo » dicono
le Muse appresso Esiodo « raccontar molte bugie, simili al vero ».x
Riguardo al mirabile, se questo mal s'accorda col verisimile e col
conveniente, 1'invocazione disonora la Musa, in luogo di giustificar il
poeta. Ossian il di cui mirabile non ripugna al buon senso, non avea
bisogno di mallevadori. Finalrnente e meglio che 1'ispirazione appa-
risca dallo stile, che dalFawiso dell'autore. Ossian non espone Vaf-
fisso di poeta. Si crede d'ascoltar un uorno ordinario, che racconti un
fatto. Ma la divinita che lo agita non si fara sentire che con piu forza.
« Non fumum ex fulgore, sed ex fumo dare lucem / postulat. »z
v. 24. Le relazioni per dialogismo sono molto in uso appresso i
poeti antichi. Esse hanno molta energia ed evidenza, e percid sono
piu confacenti alia poesia. Ma e da osservarsi che questa bellezza
poetica deve 1'origine alia rozzezza delle menti nei secoli primitivi.
II rilevar lo spirito d'un discorso e farlo suo nel riferirlo, non e proprio
che d'un ingegno riflessivo ed esercitato. Cosi vediamo che le rela
zioni delle persone del volgo sono quasi sempre drarnmatiche.
v. 33. Una delle regole intorno al carattere dell'eroe d'un poema
si e che la prima idea che si presenta di lui, ci prevenga favorevol-
mente. Alcuni poeti fanno essi medesimi i ritratti dei loro eroi. Ma il
modo piu semplice insieme e piu artifizioso e quello di farli risaltare
indirettamente. Nessuno conobbe questa finezza meglio di Ossian.
Fingal non comparisce che nel terzo canto, e sembra che il principale
attore sia Cucullino. Ma il suo nome si presenta sul bel principio in
un tale aspetto che fa presentir ben tosto 1'eroe del poema. Svarano,
i. Traduce Esiodo, Theog., 27. 2. Cfr. Orazio, Ars poet.> 143-4, dove pero
si legge « cogitat » in luogo di postulat (« II poeta cerca di produrre non fumo
dal fulgore, ma luce dal fumo »).
204 MELCHIORRE CESAROTTI
il suo nemico, Tinvasor dell'Irlanda, in mezzo alle sue bravate non
teme che il paragone di Fingal. Qual idea non dobbiam concepirne!
Vedremo vari altri tratti d'ugual finezza. Omero non si e piccato
d'una condotta si delicata. Appresso di lui gli eroi piu importanti
dello stesso partito, non che i nemici, si trattano reciprocamente da
codardi e da vili. Come potra ammirarli il lettore, se si dispregian
tra loro?
v. 51. Fingal e il primo eroe del poema: Cucullino il secondo. II
carattere dell'uno e delPaltro e grande, generoso ed interessante. Ma
quel che piu particolarmente distingue Cucullino in questo poema,
si e un delicatissimo senso d'onore. Ossian con uno squisito giudizio
distribui le parti a questi due gran personaggi, senza che lo splendor
dell'uno pregiudicasse a quello delPaltro. Cucullino e 1'eroe del primo
atto: Fingal compisce 1'azione.
v. 59. Puo vedersi un quadro piu vivo, piu animato, piu varia-
mente atteggiato di questo ? « L'arte del poeta, considerate puramente
come descrittore, » dice un celebre autor moderno « e di non ofFrir
alia vista se non se oggetti in moto, ed anche di ferir se si puo
molti sensi ad un tempo ».T Se cosi e, Ossian merita il nome di poeta
per eccellenza.
v. 74. Questo e '1 quadro istesso sotto un altro punto di vista. II
primo cagiono una cornmozione piu viva: questo fa una impression
piu forte e profonda.
v. 87. Ossian e abbondantissimo di comparazioni : qualita la quale
e comune ai poeti piu antichi di tutte le nazioni. L'imperfezion della
lingua le introdusse, e il grand'effetto che fanno, le accredito nella
poesia. La loro soverchia frequenza puo bene esser disapprovata dai
critici rigidi che meditano a sangue freddo: ma qualora questo ma-
gnifico difetto ci si presenta, esso abbaglia e seduce nel punto che si
vorria condannarlo; e il sentimento, com'e dritto, la vince sopra il
riflesso. Giova qui di osservare che lo spirito di comparazione e
forse la qualita piii essenziale della poesia. L'ufizio del poeta, come
rappresentatore fantastico, e di raccoglier tutte le somiglianze delle
cose: e il corpo del linguaggio poetico e in gran parte composto di
comparazioni ristrette.2 Del resto, le frequenti comparazioni sono
comuni ad Ossian e a tutti i poeti antichi : ma pochi dividono con lui
la gloria della loro straordinaria bellezza.
i. II passo sembrerebbe del Dubos; ma non sono riuscito a rintracciarlo
nelle Reflexions critiques sur la poesie et la pemture. Probabilmente il Cesa-
rotti cita a memoria. 2. Uufizio . . . nstrette: cfr Vico, La scienza nuova,
in Opere, a cura di F. Nicolini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1953, p. 539:
« simiglianze o comparazioni, che . . . fanno tutta la suppellettile della fa-
vella poetica».
POESIE DI OSSIAN - FINGAL
205
v. 109. II carattere di Connal e anch'esso d'un genere di cui non
v'ha esempio in Omero. Egli e un eroe saggio e moderate. Benche
gran guerriero, consiglia sempre la pace. E prudente, ma non della
prudenza ciarliera di Nestore. Non si altera ne per la poca riuscita
de' suoi consigli, ne per gli altrui rimproveri ingiusti : ma segue tran-
quillamente a far 1'ufizio di saggio capitano e d'amico fedele.
v. 114. Notisi questo tratto. II dissuader Cucullino dal combattere
colFidea del suo pericolo, sarebbe stato un oflendere la grandezza
di animo di quell' eroe. Connal con queste parole gli mette in vista
che qui non si tratta principalmente della sua gloria, ma della sal-
vezza del suo pupillo; ed insinua questa eccellente massima, che
1'onor privato deve ceder al dovere.
v. 121. Questo sentimento, benche sembri derogare alTeroismo di
Fingal, pure tende ad inalzarlo. Egli e qui rappresentato come il mo-
dello del valore ; e il dire ch'egli scanserebbe la battaglia, non e per
altro se non perche Cucullino, troppo delicato in queste materie,
non si recasse a disonore di far lo stesso. Cos! Agamennone nel 7
deiriliade per dissuader Menelao dal combatter contro di Ettore,
gli dice che Achille istesso tremava di scontrarsi con quel guerriero,1
quantunque sapesse ch'Ettore, all'opposto, non osava uscir delle
mura per timor d* Achille. Ove si osservi ch'ivi Agamennone dice
crudamente a Menelao ch'Ettore e assai piu forte di lui. Qui Connal
non paragona il valore di Svarano con quello di Cucullino, ma solo
la superiorita delle forze del prirno colla scarsezza delle truppe ir-
landesi.
v. 147. La sedatezza eroica di Connal fa un eccellente contrasto
con la ferocia di Calmar, espressa poc'anzi coi piu forti colori.
Questo discorso e nel suo genere un modello di perfezione. Connal
ribatte con dignita, e con una modestia piena di grandezza, gl'insulti
di Calmar; poi trascurandolo, si rivolge gravemente a Cucullino; lo
consiglia a sacrificar la sua gloria alia sicurezza del suo pupillo, e
termina con una risoluzione rispettosa insieme ed eroica.
v. 183. Ossian e fecondo d'episodi. Le regole piu severe vorreb-
bero che questi fossero come strumenti dell'azion principale, e ser-
vissero di mezzo o d'ostacolo. Ma nissun poeta si assoggetto perpe-
tuamente a questa eccessiva e non necessaria rigidezza. Quasi la
meta deU'Eneidc e composta d'episodi, che potrebbero levarsi sen-
za che 1'azion principale ne soffrisse danno. Basta dunque che gli
episodi sieno chiamati naturalmente da qualche circostanza del
soggetto, e che sieno collocati in luogo opportune. II presente e
van altri hanno tutte e due queste qualita. In qualche altro sembra
i. Cosi . . .guerriero: cfr. Omero, //., vn, 109-19.
206 MELCHIORRE CESAROTTI
che manchi un poco la prima. Vedi piu sotto Fosservazione al v. 548.
v. 211. Chi avrebbe mai creduto che la nebbia potesse presen-
tarci una comparazione cosi gentile? Peccato che la bocca d'un
brutale, come costui, la disonori un poco. Certo non poteva immagi-
narsi una cosa piu vaga, piu fina e piu propria, per rappresentar con
un solo oggetto una chioma liscia, bionda, crespa e ondeggiante tutto
ad un tempo. Ecco di quelle squisitezze che si cercherebbero in-
darno in Omero. L'autor degli «Annali tipografici », parlando della
differenza che passa tra Omero ed Ossian, trova un vantaggio a
favor del primo nella natura del clima. «Egli e ridente» dic'egli
« nella Grecia e nell'Asia minore : laddove il nostro poeta non aveva
altri spettacoli che immense foreste, vasti e sterili deserti, montagne
coperte di neve, nebbie eterne, mari burrascosi e cinti d'orribili
scogli)).1 Cio e verissimo. Contuttocio non si vede che il clima ri-
dente di Grecia abbia ispirata ad Omero una gentilezza d'immagina-
zione molto distinta. Laddove 1'occhio sagace di Ossian, rischiarato
dalla finezza del suo spirito, fa scorger in quei tetri spettacoli delle
grazie invisibili a qualunque altro, e talora la sua fantasia sforza la
natura a cangiar d'aspetto.
v. 218. II carattere di Morna e quello d'una donna accorta insieme
e risoluta. Ella sfugge una dichiarazione, e cerca di distrar Duco-
mano con una ricerca che dovrebbe interessarlo. Quando si vede
stretta, abbandona le riserve, e lo rigetta con un sangue freddo il piu
disperante.
v. 274. « Moriensque suo se in vulnere versat. » Virg.2
L'espressione di Virgiho e pui naturale, quella di Ossian piu
energica. La morte dice molto di piu. Una ferita fa una sola imma-
gine visibile : la morte ne presenta un ristretto, e lo spirito del lettore
ha la compiacenza di svilupparlo.
v. 275, Non v'e poeta paragonabile ad Ossian nelle narrazioni
tragiche. Questa ha tutte le qualita per sorprendere e scuoter lo
spirito. II carattere fiero di Ducomano; Patroce negligenza colla
quale colui riferisce la morte del suo rivale; 1'accortezza donnesca
e 1'arditezza virile di Morna; lo stile rapido e conciso; infine que'
due gran colpi, ambidue, benche simili, inaspettati, percotono e
crollano 1'anima, e lascianvi un'impressione profonda e complessa,
che poi va a sciogliersi in una dolce tristezza. lo osservero un artifizio
ch'egli usa costantemente in si fatte narrazioni, e che mostra il gran
maestro. Egli da prima interessa il cuore coi modi i piti. toccanti. Come
i. Non saprei da dove il Cesarotti abbia tratto questa citazione. Nessuna
nvista francese o inglese porta il titolo di « Annali tipografici ». 2. Aen., xi,
669 («e morendo si contorce sulla sua ferita))).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 207
se n'e reso padrone, lo precipita violentemente alia meta, senza dargli
tempo di presentirlo. Di piu, egli omette spesso qualche circostanza
che rischiarerebbe il fatto, ma ne snerverebbe la forza. Come qui
non si concepisce chiaramente il modo onde Ducomano ferisce
Morna. Ma Ossian sa troppo bene i colpi segreti delParte per non
curarsi di cio. Scoppia il fulmine, stordisce, abbaglia, e lascia in
un'oscurita che mette il colmo all'orrore.
v. 323. Questa e la descrizione piu ricca, piii magnifica e piu
ampia di quante si trovino in Ossian, e somiglia piu d'ogni altra alia
maniera abbondante d' Omero. Se questo carro si considera isolata-
mente, esso sfolgora di vivacita e di bellezze. Ma 1'aggiustatezza
imparziale della critica ci obbliga a confessare che la descrizione pecca
alquanto d'intemperanza, e, quel ch'e piu, non s'accorda coi rapporti
delle persone e del tempo. L'esploratore torno troppo presto, ed e
troppo spaventato per aver osservate tutte queste particolarita, e
riferite cosl distesamente, quasi anche con un'oziosa compiacenza.
Svarano era poi egli uomo da ascoltar tranquillamente questi det-
tagli, che tendevano a magnificar la pompa del suo nemico e ad
esortar lui alia fuga ? Sembra che questo carro abbia qui abbagliato
co' suoi lumi lo stesso Ossian, ne gli abbia lasciato scorgere abba-
stanza chi parlava, e a chi parlava. La convenienza e la misura sono
le due ministre del gusto, e non v'e bellezza poetica, se non s'accorda
con esse.
v. 377. II poeta non ci lascia dimenticar del suo eroe. Noi eravamo
immersi in Cucullino, e nel suo terribile apparato. Fingal si mostra
obliquamente, e ci richiama a se. Non c'e pericolo che la sua assenza
gli pregiudichi. La sua immagine ci segue per tutto.
v. 405. Questa adattissima e vaga comparazione slancia un colpo
di luce improwisa sulla terribile scena di questa descrizione, e fa
sullo spirito dei lettori un efTetto del tutto corrispondente a cio
ch'ella rappresenta.
v. 435. Non si puo ammirare abbastanza la forza, Taggiustatezza
e la finezza di queste comparazioni. Non puo negarsi che Omero
non ne abbia molte piene di sublimita e d'evidenza: ma bisogna
parimente accordare ch'egli ne ha forse altrettante basse e sconve-
nienti : e quelle stesse che sono le piu pregevoli, rare volte abbracciano
insieme tutte le qualita necessarie. Di piu, nelle sue comparazioni
non si scorge certa rarita di scelta, ne molta lode d'ingegno. Omero
per lo piu accetta gli oggetti che si presentano : Ossian spesso gli
sceglie, e talvolta in certo modo gli crea.
v. 439. Osservisi questa artificiosa alternativa d'affetti forti e pa-
tetici. Poco e ad Ossian d'esser ammirabile : il suo massimo studio e
d'esser toccante. Sono ran in Omero questi tratti preziosi di senti-
208 MELCHIORRE CESAROTTI
mento, o appena abbozzati. Egli tocca alle volte qualche particolarita
interessante, ma lo fa con uno stile cosi disteso ed unito che fa po-
chissimo effetto. II tuono delle sue narrazioni somiglia molto al canto
delle sue cicale: e lungo ed uniforme. La tenera apostrofe di Ossian
rompe la monotonia dello stile, e corregge la ferocia che ispirano
le scene di guerra. Solo sarebbe stato desiderabile che quell'amabile
guerriero avesse potuto piuttosto cadere per man del feroce Svarano,
che del virtuoso Cucullino. Ma questi almeno non 1'insulta villana-
mente come fa quel brutale d'Idomeneo col generoso giovine Otrio-
neo nel 13 dell'Iliade.1
v. 466. Cento martelli sembrano piccola cosa dopo tanto fracasso.
Ma il poeta non intende qui di spiegare la grandezza del rimbombo,
ma solo il frequente e vicendevole rimbalzo delPeco : nel qual senso
la comparazione ha tutta la proprieta.
v. 480. Dopo averci messi in un'aspettazione si grande, il poeta ci
pianta, e copre la scena. Questa e una crudelta molto artificiosa. Ella
attacca e tiene in moto lo spirito: delude la curiosita per eccitarla
maggiormente e per soddisfarla a suo tempo con maggior diletto.
v. 513. Non ci volea meno per prepararci a una risposta cosl bru
tale.
v. 515. II Vico riconoscerebbe con piacere nella cruda selvati-
chezza di costui que* primi Polifemi, che secondo Platone erano i
capi di famiglia nella natura selvaggia, e viveano nelle loro grotte,
ricusando qualunque commercio e societa.2 «Nec visu facilis, nee
dictu afTabilis ulli. »3 Abborre tutto quello che non e suo, e si fa centro
della natura. II mattino non ha altro ufncio che di servir alia sua
fierezza. L'oriente appartiene a lui. Se il sole spuntasse dall'Irlanda,
Taborrirebbe come suo nemico. II suismo4 di questo gran carattere
ciclopico, e la stranezza che ne segue, sono scolpiti con una forza
che sbalordisce.
v. 536. In due sillabe che gran senso! Notisi la naturalezza e la
disinvoltura del passaggio per introdurre il seguente episodio.
v. 548. Se qualcheduno domandasse qual relazione abbia quest'epi-
sodio con 1'azion principale, si puo rispondere che nelle parti oziose
di un poema il poeta e libero d'inserirvi quelle descrizioni che gli
i. come . . . Iliade: cfr. Omero, //., xm, 374-82. Veramente Idomeneo non
insulta villanamente Otrioneo, ma piuttosto lo apostrofa con feroce sar-
casmo. 2. 77 Vico . . . societa : cfr. La scienza nuova, ed. cit., p. 470 : « Appres-
so Strabone e un luogo d'oro di Platone, che dice, dopo i particolari diluvi
ogigio e deucalionio, aver gli uommi abitato nelle grotte sui monti, e gli
riconosce ne' polifemi, ne' quah altrove rincontra i primi padri di famigha
del mondo». 3. Virgdio, Aen., m, 621 («ne facile a vedersi, n6 agevole a
descriversi da alcuno»). L'espressione virgiliana e riferita a Polifemo.
4. suismo: egocentrismo.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 2OQ
sembrano piu natural! e opportune. Quindi in tutti i poemi veggiamo
grintervalli dell'azione riempiuti con giochi, feste, sagrifizi e altre
cose relative ai riti, agli usi e ai trattenimenti di quella nazione. Ora
bisogna mettersi seriamente nello spirito che il canto appresso i
Celti era tutto, e che nulla si facea senza il canto. II passar la notte
fra i canti era costume solenne ed universale. Le loro istorie, la sacra
memoria de' lor maggiori, gli esempi degli eroi, tutto era confidato
alle canzoni dei bardi. II bisogno, il diletto, la gloria, la pieta, il
dovere, tutto cospirava a fomentar in quelle nazioni il violento
trasporto che nutrivano per la poesia. Ora se i canti dei bardi aveano
tanti dritti per esser introdotti nel poema di Ossian, e se il canto,
come tale, non ha veruna relazione al soggetto, io non ci veggo mag-
gior necessita che le storie contenute in quei canti debbano riferirsi
al medesimo. Ma se alcuni dei canti episodici di Ossian non hanno
una relazione diretta al soggetto particolar del poema, tutti per6 si
riferiscono allo spirito ed al fine generale di questo e degli altri poemi
di Ossian; il qual e d'ispirar grandezza d'animo e sensibilita di cuore
col racconto d'awenture eroiche e compassionevoli.
v. 574. Una delle maggiori bellezze di Ossian sono gli amori, i
quali>vengono da lui maneggiati con una delicatezza cosi particolare
che merita d' esser esaminata. Basta notare la diversita con cui fu
trattata questa passione dai poeti dell' altre nazioni. L'amore dei Greci
e dei Latini e un bisogno fisico e materiale: quello degritaliani e
spirituale: quel dei Francesi bel-esprit. L'amore di Ossian e di un
genere che non rassomiglia a verun di questi. Egli ha per base il
sentimento, percio e tenero e delicate, e '1 suo linguaggio non e spi-
ritoso, ma toccante. Si riferisce ai sensi, ma tra questi sceglie i piti.
puri, quali sono la vista e Pudito : quindi non e ne astratto, ne gros-
solano, ma naturale e gentile. Ossian parla spesso del seno, e mostra
di compiacersi nel dipingerlo. Questo oggetto appresso gli altri poeti
s'accosta al lascivo: ma cio nasce perch'essi accompagnano le lor
descrizioni con tali sentimenti che mostrano di non appagarsi della
sola vista. In tutto Ossian non si trovera un'espressione che si rife-
risca al tatto. Da tutto cio risulta che 1'amore di Ossian e decente,
senza afTettazion di modestia. La ritenutezza degli altri porta seco
un'aria di mistero, ch'e piu un incentive che un freno. Ossian scorre
con una franca innocenza sopra tutti gli oggetti del bello visibile, e
in lor si riposa cosi naturalmente che non da luogo al sospetto. Non
si va piu oltre, perche non si crede che si possa andarvi. Dopo il
cuore e la vista, non c'e altro da bramar da una donna.
v. 626. Che bel cangiamento d'affetti e di sentimenti! che contrasto
toccante fra lo sposo e Peroe! Non si sa se debbasi ammirar piu questo
o interessarsi per quello.
210 MELCHIORRE CESAROTTI
v. 631. Epiteto convenientissimo alia pmdenza e al sangue freddo
di Connal.
v. 637. Ecco di nuovo in campo Fingal per la quinta volta. No;
senza di lui non v'e speranza. Cucullino e un gran guerriero: pure
la salute dell'Irlanda dipende dal solo Fingal. Questa e 1'idea con
cui il poeta ci congeda.
CANTO II
v. 22. Dopo la precedente descrizione, questa domanda a dir vero
sembra alquanto strana. Viene alia mente la risposta di colui ad
uno che gli domandava perche piangesse: « Minim quin cantern:
condemnatus sum)).1
v. 29. Ottimamente il poeta scelse fra tutti il personaggio di Con
nal, per fargli comparire questa visione. II suo carattere sedato lo
rendeva piu atto a prestarle fede, ad inspirarla agli altri e a dar au-
torita al consiglio deH'ombra.
v. 72. Come riluce questo tratto di spirito, in mezzo alle tenebre
di queste superstizioni! Lo spirito puo trovarsi unito alPignoranza,
come la dottrina alia stupidita. II sentimento di Cucullino fa onore
alia svegliatezza del poeta, e mostra che la sua mente era anco in
questo superiore al suo secolo. Del resto, le parti di questo dialogo
sono egregiamente distribute e convengono perfettamente ai carat-
teri. Connal teme : il timore e padre dei fantasmi e dispone alia cre-
dulita. Cucullino non sente che il suo eroismo, ed e passionatissimo
per la gloria. Questo carattere non s'accorda molto con la super-
stizione.
v. 101. Non e proprio che dei gran maestri il far sentir della
differenza nei caratteri simili. Sembra che Peroismo di Cucullino
sia spinto al piu alto segno : pure Ossian, senza pregiudicare a questo
eroe, trova il modo di farci concepir nel suo Fingal qualche cosa
ancor di piu grande. Cucullino non puo risolversi a fuggire: ma
perch6? perche ha vergogna di Fingal. Sembra che questi sia Tidea
archetipa della perfezione eroica. Cucullino riguardo ad esso ha quella
inferiorita che ha un particolare rispetto al suo universale, una per-
fetta copia rispetto al suo modello.
v. 191. Non si fara certamente ad Ossian il rimprovero che Omero
fa a se stesso, che i suoi eroi garriscono e si svillaneggiano come fem-
minelle, nel che certamente egli si fa giustizia ed ha piu buona
i . Citazione a memona (donde il quin cantem invece del piu corretto e
testuale «ni cantem))) d'un passo d'una «atellana» di Novio presso Cice
rone, De orat., n, LXIX, 279 («£ veramente strano che io non canti: sono
stato condannato ».
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 211
fede de' suoi difensori. Le risposte degli eroi di Ossian sono brevi,
gravide di senso e piene di dignita.
v. 193. L'azione di un poema e tanto piu nobile ed interessante,
quanto meno ella si riferisce all'interesse personale dell'eroe. Ab-
biamo pochi poemi epici d'una tal nobilta, Enea vuol fondare un
impero negli stati altrui con dritti molto equivoci. Achilla non pensa
che a soddisfar ciecamente una privata vendetta. II poema di Ossian
anche in questa parte e uno dei piti perfetti. Cucullino espone la vita
per il suo pupillo, Fingal per 1'alleato e per rarnico.
v. 194. La condotta reciproca di questi due eroi ha qualche cosa
d'ammirabile. Connal consiglia costantemente la pace, Cucullino
vuol sempre la guerra. Contuttocio questi e sempre pieno di rispetto
e di fiducia neH'amico, e quegli sempre, senza mai smentire i suoi
sentimenti, lo assiste con fe delta e con zelo. Questa e una vera scuola
di politezza e di virtu. Qual delicatezza di spirito non dovea esser
quella di Ossian, per osservare in un secolo barbaro questi esatti e
gentili riguardi, che sembrano il frutto della piu colta e piu raffinata
societa ?
v. 197. Quanto e mai nobile questa indignazione! E come cresce
per gradi proporzionatamente! Comincia da un dolce e rispettoso
rimprovero a Connal ; s'accende al confronto della morte minacciata
daH'ombra e del disonore; e termina con una esortazione ai soldati,
piena di fuoco e di forza.
v. 218. «Virgilio ci lascia lettori, Omero ci fa spettatori», dice il
Pope.1 Questo riflesso puo applicarsi con piu ragione ad Ossian.
Omero racconta e particolareggia. Ossian e presente alTazione, e ne
risente tutti gli afTetti. I vari slanci del suo cuore, espressi nel suo
stile patetico, rimbalzano sopra il nostro. La narrazione di Omero
e troppo distesa per poterci fare illusione. In Omero si ascolta, in
Ossian si sente.
v. 263. II traduttore inglese cita qui un luogo di Virgilio nel 12
deU'Eneide, v. 701 -[3]:
Quantus Athos, aut quantus Eryx, out ipse coruscis
cum f remit ilicibus, quantus, gaudetque nivali
vertice se attollens pater Apenninus ad auras.2
i. La citazione e tolta dal primo dei discorsi su Omero contenuti nella pre-
fazione alia traduzione inglese di Omero (1720). II passo, nella traduzione
francese (Paris, Duchesne, 1779) che probabilmente il Cesarotti tenne pre
sente, suona: «Entraines par Homere, nous ne pensons pas tant a r^crivain
qu'en lisant Virgile, dont la froide imagination nous interesse moins dans
ce qu'il d6crit : Pun nous rend auditeurs ; Fautre nous laisse apercevoir que
nous lisons». 2. «Cosi e grande 1'Athos o 1'Erice, o lo stesso padre Ap-
pennino quando freme con le sue elci agitate dal vento e gode di innalzarsi
212 MELCHIORRE CESAROTTI
Ma non mi sembra che quest! due luoghi abbiano piena rasso-
miglianza. Ossian intende di rappresentare la resistenza di Cucul-
lino e lo schermo ch'ei presta a' suoi. Virgilio non rappresenta che il
rimbombo dell'armi e la grandezza d'Enea. Percio la comparazione
di Ossian e perfettamente appropriata al suo oggetto; laddove 1'im-
magine di Virgilio sembra eccessiva e poco confacente al suo per-
sonaggio. Si fatte comparazioni non si adattano bene se non se ad
uomini feroci e d'una statura gigantesca.
v. 318. Non e da tutti il produrre sulla scena il suo eroe a tempo.
Se Fingal fosse giunto prima, il suo arrivo non avrebbe fatta un'im-
pressione cosi gagliarda. Lo stile tronco ed esultante del nunzio
mostra 1'importanza della sua venuta. Pure Fingal non e ancor giunto,
ma solo annunziato. II poeta lo riserba per un colpo di maggior ef-
ficacia.
v. 347. II rimproverarsi le colpe involontarie e I'ultima delica-
tezza della virtu.
v- 353- Questa istoria e d'un genere diverso dalPaltre, ed interessa
in un modo particolare. Ella presenta un eccellente contrasto fra
Tamore e 1'amicizia. II carattere di Ferda e veramente tragico. Egli e
virtuoso, ma debole, e resta vittima della sua debolezza. II lettore lo
condanna e lo compiange.
v. 360. In Deugala e rappresentato vivissimamente il modello
d'una donna superba, imperiosa ed artificiosa; che si abusa della
debolezza del suo amante, e lo conduce ad un delitto per un suo vano
puntiglio. Questa parte e maneggiata con un'eccellenza che sor-
prende. Osservisi il tuono brusco e tronco con cui parla allo sposo;
la precisione, 1'imperiosita coll'amante. — M'offese, si uccida. — £
amico. — E che percio ? io lo voglio. — Poi si viene alia malia delle
lagrime : per ultimo si punge Tamante nella parte prd delicata per un
eroe, cioe nell'onore. Quante Deugale pronte a rovinar gli amanti per
una spilla, non che per un toro! Giovani Ferda, specchiatevi.
v. 469. Nell'estremo delle passioni il poeta non mette per lo piu
che due o tre parole in bocca de' suoi personaggi ; e molte volte egli
esprime I'affetto con un silenzio piu eloquente d'ogni discorso. Que-
sto e il velo di Timante sul volto d'Agamennone, nel sacrifizio d'lfi-
genia.1
Curae leves loquuntur, ingentes stupent.2
nel cielo con le sue cime nevose. » II paragone virgiliano si riferisce ad
Enea che si appresta al duello finale con Turno. i. il velo . . . Ifigenia: in
un quadro famoso del pittore greco Timante (V-IV secolo a. C.), rappre-
sentante il sacnficio di Ifigenia, Agamennone era effigiato col volto nco-
perto, a sigmficare I'inesprimibihta del suo dolore. 2. Seneca, Hipp.,
607 («I lievi dolori si sfogano parlando, i grandi tacciono stupefatti»).
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 213
CANTO III
v. 14. Giudiziosamente, dice il traduttore inglese, viene introdotta
la storia d'Aganadeca, perche grand'uso ne vien fatto nel restante
del poerna, e perche in gran parte ne produce la catastrofe. Con-
tuttocio parmi che questo episodic avrebbe potato inserirsi molto
piu opportunamente sul fine del canto, dopo la venuta di Fingal;
e che sarebbe stato meglio in bocca di Ullino, che di Carilo. Ivi il
progresso delFazione e Finteresse di Fingal lo chiamava naturalrnente,
anzi lo rendea necessario : laddove qui non sembra che un abbelli-
mento senza disegno e senza conseguenza; e la sua singolar bellezza,
perch6 non e precisamente a suo luogo, non fa tutto TefTetto ch'ella
potrebbe.
v. 115. La fredda amarezza di queste parole e piu terribile di
qualunque dimostrazion di furore. Le passioni determinate pren-
dono un'aria di sedatezza atroce, che non lascia luogo alia speranza.
v. 157. Connal era stato vivamente punto da Calmar nel consiglio
di guerra. Ma 1'animo grande di Connal non se ne rammenta, o si
vendica con un tratto d'amicizia e di politezza.
v. 185. II parlar per sentenze universali ed astratte e proprio dei
filosofi e degli oziosi ragionatori. Gli uomini rozzi ed appassionati
singolarizzano e parlano per sentimenti. Se questa e la qualita piu
essenziale del vero linguaggio poetico, come vuole il Vico,1 Ossian
e '1 piu gran poeta d'ogn'altro. Non ve n'ha alcuno piti ricco di sen-
timenti e piu scarso di sentenze di lui. La presente e forse Tunica
che s'incontri in tutte le sue poesie. Del resto, la sentenza di Calmar
sembra assai particolare in bocca d'un uomo che per frutto del suo
coraggio avea riportata una ferita mortale. Bisogna che costui non
computasse tra i pericoli la morte.
v. 198. La vittoria di Fingal e dunque certa. II suo valore maggior
d'ogn'altro non ammette dubbi. Questo sentimento e d'un gran peso,
specialmente in bocca d'un uomo del carattere di Calmar.
v. 228. La morte di quest'eroe non corrisponde molto alia nostra
aspettazione. Dopo 1'alta idea che il poeta ci avea fatta concepire
del suo valore, s'era in dritto d'attenderne dei prodigi e di esiger da
lui un genere di morte assai meraviglioso e straordinario. Non oc-
i. come . . . Vico\ cfr. La scienza nuova, ed. cit., p. 455: le « sentenze poe-
tiche . . . sono formate con sensi di passioni e d'affetti, a difTerenza delle
sentenze filosonche, che si formano dalla riflessione con raziocini: onde
queste piu s'appressano al vero quanto piu s'innalzano agli universali, e
quelle sono piu certe quanto piu s'appropiano a' particolari ».
214 MELCHIORRE CESAROTTI
correva erger tant'alto questo colosso, s'egli dovea cadere con si
poco strepito. Parmi che qui il gran genio di Ossian paghi, come tutti
gli altri, il suo tribute alFumanita. Awertasi per altro che questa e
piuttosto una mancanza che un errore. Non v'e nulla di piu naturale
quanto che un guerriero muoia dalle sue ferite. Ma la nostra imma-
ginazione stende le sue pretensioni molto innanzi. Quando il poeta
ha cominciato a solleticarla, ella si lusinga che il suo diletto debba
andar sempre crescendo. II dono del poeta divien dovere. Quanto
piii ella e soddisfatta, tanto pretende di piu; e s'egli non giunge ad
appagarla pienamente, ella quasi gli sa rnal grado anche dei diletti
antecedent!.
v. 240. La condotta del poeta mi sembra in questo luogo di cosi
meraviglioso artifizio, che ben merita i riflessi di tutte le persone di
gusto. Cucullino avea perduta la battaglia, non per mancanza di
valor personale, ma per la scarsezza delle sue truppe. Questa taccia
d'inferiorita, benche senza sua colpa, doveva esser insoffribile ad un
eroe come Cucullino. Egli tenta dunque di risarcir il suo onore con
un colpo grande ed ardito. Pensa d'andar solo incontro airarmata di
Svarano, ma non gia colla speranza di porla in rotta, ma col pensiero
di combatter a corpo a corpo col suo nemico, di vincerlo o di monre
gloriosamente. Ma qual doveva esser 1'esito di questa battaglia?
Se vince Svarano, la gloria di Cucullino resta offuscata, e un eroe
virtuoso ed amabile e sacrificato ad un brutale. Se la vittoria si di-
chiara per Cucullino, la venuta di Fingal e inutile. Sembrava inevi-
tabile 1'inciampare in uno di questi due scogli. Ossian seppe scansarli
felicemente ambedue con una destrezza che non puo ammirarsi
abbastanza. Cucullino sta per azzuffarsi, comparisce Fingal, Svarano
vola, pianta Cucullino; e questi si trova improwisamente solo e
deluso, senza poter far prova di se, ne ottener la consolazion della
morte. Con ci6 si cagiona una gran sorpresa in chi ascolta, e si salvano
tutti i riguardi. L'onor del trionfo sopra Svarano si riserba intatto
per Fingal. Cucullino non perde nulla dal canto della gloria, ed
acquista infinitamente da quello dell'interesse. Bisognerebbe esser
privo di sentimento per non esser commosso insino aH'anima dal suo
patetico lamento. La vergogna ch'egli ha di presentarsi innanzi a
Fingal, la commiserazione de* suoi amici morti in battaglia, la de-
plorazione della sua farna, il suo tenero addio alia sposa lontana
formano un nuovo genere di patetico, un misto di mirabile e com-
passionevole che c'intenerisce e c'incanta. Infine quest 'eroe sven-
turato, non potendo soffrire il suo appreso disonore, va a nascondersi
in una grotta. Cio mette il colmo alia fmezza dell' artifizio del poeta.
Questa risoluzione toccante all'estremo grado rimove il confronto
pericoloso fra i due eroi principali. La scena resta vuota per Fingal.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 215
Cucullino parte, e porta seco i nostri affetti : resta Fingal a riempirci
lo spirito.
v. 273. II carattere di Fingal e uno de' piu perfetti che sia mai
stato immaginato da vemn poeta, e forse a certi riguardi egli e piti
perfetto d'ogni altro. La perfezione morale dei caratteri e diversa
dalla poetica. Consiste la prima in un aggregate delle piu belle
qualita: la seconda nell'idea astratta ed universale d'una qualita, o
buona o viziosa, applicata ad un personaggio. Quand'io dico che il
carattere di Fingal e perfetto, intendo non solo di quest'ultima per
fezione, ma specialmente della prima. La perfezione, ossia I'eroismo
di Fingal, e d'una specie particolare, e pressoche unica. II distintivo
specifico di questo carattere e rumanita. Fingal e acceso dalPentu-
siasmo di gloria, ma non vagheggia altra gloria che quella acquistata
per mezzo d'imprese benefiche, non perniciose e funeste. Benche
sia il piu grande de' guerrieri, non ama pero la guerra; anzi com-
piange piu d'una volta se stesso d'esser costretto a passar la vita tra le
battaglie e le stragi. Egli non combatte mai che per difesa propria o
dell'innocenza ; e cerca di vincere ancor piu colla generosita che
coirarmi. £ grande, non strano ; forte, non duro ; sensibilissimo senza
esser debole: amantissimo de' suoi, cortesissimo verso gli estrani,
amico disinteressato, nemico generoso e clemente. Compassiona gl'in-
felici, e sente i mali delPumanita; ma non cede, e si consola col sen-
timento della sua virtu e x;oll'idea della gloria. lo non so se Fingal
sia veramente padre di Ossian, o figlio della sua fantasia. E credibile
che la natura e il poeta abbiano gareggiato in formarlo. Comunque
siasi, un tal carattere e glorioso alTumanita e alia poesia. Omero e
un gran ritrattista. Le sue copie sono eccellenti, ma i suoi original!
non hanno nulla di comune con Fingal.1
i. Nella prima edizione del 1763 questa nota era molto piu ampia, poich.6
comprendeva anche una discussione teorica intorno alia « perfezione » dei
caratteri dei personaggi, in polemica con quei critici i quali, suggestionati
dalPesempio omerico, avevano sostenuto che «i caratteri poetici debbano
esser cosi mescolati di contraddizioni e di difetti, come li veggiamo comu-
nemente negli uornini », e in particolare col Gravina, il quale giungeva ad
escludere che la perfezione morale potesse esser suscettibile di rappre-
sentazione poetica (cfr. Della ragion poetica, lib. I, cap. vi, in Opere scelte,
ed. cit., pp. 17-21). Secondo il Cesarotti, e antipoetica solo una perfezione
intesa come « rigidita di natura, che si rende insensibile a tutte le passioni
umane», e non perche inverosimile, ma in quanto pnva di interesse; poe
tica e invece quella perfezione che consiste «nel dirigger le passioni al
bello assoluto o al relative », una passione virtuosa, insomnia, che domini
e governi le altre. La poesia, infatti, al contrario della storia che rappre-
senta il vero particolare, deve rappresentare il vero universale e metafisico,
i modelli eterni del vero, non le sue copie imperfette; e al tempo stesso
2l6 MELCHIORRE CESAROTTI
v. 307. Ecco il primo tratto deH'umanita di Fingal. Vede il suo
nemico, ma non lo riconosce per tale: non iscorge in lui che il
fratello della sua amata; e la tenerezza che Svarano avea mostrata
per la sorella, gli fa dimenticare la di lui feroce natura.
v. 309. Parra forse ad alcuni che questa tenerezza di Svarano mal
s'accordi col suo selvaggio carattere. Ma Faffetto domestico non e
mai piu forte che nello state primitivo di societa. I selvaggi americani,
crudelissimi contro i nemici, hanno pei lor congiunti un trasporto
sorprendente. E quanto alle lagrime, la forza d'un caratter selvaggio
non consiste nel superar le passioni, ma nel sentirle con estrema
veemenza ed abbandonarvisi. Le lagrime nel dolore sono tanto natu-
rali ad uomo di tal fatta, quanto i ruggiti nello sdegno.
v. 364. Ossian non e solo poeta, ma uno dei principal! attori del
suo soggetto. Cio mette nelle sue narrazioni un calore ed un interesse
che non puo trovarsi nell'opere degli altri poeti, per quanto eccellenti
essi sieno. Alia descrizione delle sue prodezze giovanili egli fa sempre
succedere la commiserazione dell'mfelice stato della sua vecchiezza :
e questo contrasto patetico fa un massimo effetto.
v. 374. La descrizione di questa battaglia e molto piu breve delle
antecedent!. Svarano e Cucullino erano pari in valore, percio la vit-
toria dovea disputarsi piu a lungo. Ma Fingal era superiore al para-
gone. La brevita della descrizione mostra la maggior facilita della
vittoria.
v. 391. Questa conversazione e molto ben collocata e toccante.
Ella spira virtu ed amor domestico. Oscar e un giovine amabile,
pieno di tenerezza per il padre e d'entusiasmo per 1'avo, che arde
di desiderio di rendersi degno d'entrambi. Fmgal si compiace della
sua generosa indole, e gli da le lezioni del vero eroismo. Che bel
soggetto per un quadro! Fingal in mezzo, appoggiato sullo scudo in
atto d'ammaestrar il nipote: i cantori stan con le mani sospese sul-
Tarpa per ascoltarlo. Gli altri eroi siedono per ordine con diversi
atteggiamenti d'animirazione, piu sedata nei guerrieri provetti, nei
giovani piu vivace. Gaulo in disparte, pensoso ed alquanto torbido.
rispondere al suo «gran fine», che e quello di interessare, di muovere, e di
eccitare alia virtu. Molto discutibile e d'altro lato, per il Cesarotti, 1'idea
del Conti, che cerca di giustificare i caratteri viziosi, in quanto valgono a
far abornre il vizio al lettore. Piuttosto, egli precisa, e da dire che la per-
fezione morale e obbhgatona solo per 1'eroe principale. Infine il critico
distingue due specie di tale perfezione: «perfezione di natura », che con
siste « nel depurar la natura e secondarla », e « perfezione di societa », che
consiste «nel cancarla ed alterarla speziosamente ». II piu bel carattere
poetico e quello in cui i due eroismi appaiono mescolati: tale e appunto
Fingal.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 217
Oscar in piedi dirimpetto a Fingal, pendente dalla sua bocca, con la
gioia e '1 trasporto dipinto sul volto: ed Ossian tra Tuno e Taltro con
la lagrima all'occhio, e diviso tra 1'ammirazione del padre e la tenera
compiacenza pel figlio.
v. 406. Fingal era figlio di Comal. 6 cosa degna d'osservazione,
che Fingal il quale fa sempre Pelogio di Tremmor e di Tratal, suoi
progenitori, non fa mai alcuna menzion di suo padre. Parmi che la
spiegazione sia questa. Da qualche luogo di questi poemi apparisce
che Comal fosse un guerriero soverchiamente feroce. Cio basta per-
che 1'umanita di Fingal non possa molto compiacersi della gloria pa-
terna. Egli ricopre il nome del padre in un silenzio che equivale ad
una rispettosa condanna.
v. 468. Parrebbe che Fingal avesse proposta questa sua impresa
giovanile come un esempio da imitarsi : ma da queste parole sembra
piuttosto ch'egli non se ne compiaccia gran fatto. Non si scorge per
altro chiaramente sotto qual vista egli disapprovi la sua condotta.
Forse gli sembrera imprudente la sua soverchia fiducia, per cui egli
non permise che la donzella si nascondesse in qualche grotta, e
trascuro le cautele per assicurarla. 6 certo ch'egli fu inescusabile,
ma non e molto piu scusabile Ossian d'avere scelto a preferenza una
storia di tal fatta, per farla il soggetto delle sue lezioni d'eroismo be-
nefico date al nipote. Era questa molto propria per dare ai lettori o
ascoltatori un'idea ben augurata delle imprese cavalleresche di quel-
Teroe? Aggiungo ch'ella non quadra bene ne co' sentimenti prece-
denti di Fingal, ne colla moralita ch'egli ne deduce. Fingal avea
detto di sopra che il suo «braccio fu sempre schermo degl'infelici,
e che posarono sempre sicuri dietro il lampo della sua spada». Chi
non avrebbe aspettato in conferma di cio Pesempio d'un'impresa for-
runata di questo genere ? Non fu ella ben sicura la povera Fainasilla
alTombra della spada di Fingal? Qual e poi la sentenza ch'ei cava
da un tal fatto per Tistruzione d'Oscar? « Ch'egli non imiti la gio-
ventu, ma la vecchiezza dell'avo : che non vada mai in traccia di bat-
taglie, ne le ricusi quando gli vengono incontro. » Ma in quest'azione
non puo dirsi che avesse cercata la battaglia, ne egli potrebbe con-
dannar se stesso percio, senza contradire alia sua massima di dar
soccorso agrinfelici. Farei io torto al sig. Macpherson se osassi du-
bitare che questo episodic, cantato forse isolatamente, fosse, come
tanti altri, appiccato con qualche inawedutezza ad un luogo non
suo ? Se cio non vuol credersi, converra dire che lo spirito d' Ossian
nella scelta e collocazione di quest'awentura si risentisse alquanto
delle nebbie caledonie.
v. 484. II carattere di Gaulo ha qualche cosa di vizioso. II suo
entusiasmo di gloria non e interamente puro. II suo coraggio s'ac-
2l8 MELCHIORRE CESAROTTI
costa alia presunzione. Par ch'ei voglia gareggiar di gloria con Fingal .
Con questa tinta caricata Ossian diversifica questo carattere dagli altri
di simil genere, fa spiccar maggiormente la generosita e la politezza di
Fingal, ed eccita grande aspettazione per la battaglia seguente.
v. 495 . Si puo lodare con piu finezza ? Questo e un panegirico in
aria di lamento.
v. 516. II poeta ci prepara al sogno di Fingal nel canto seguente.
Veggasi se questo non sarebbe stato il luogo opportune per 1'epi-
sodio d'Aganadeca.
CANTO IV
v. 20. Quest'episodio, benche sembri estraneo al soggetto, pur na-
sce felicemente da quello, quantunque cio non si scorga che nel pro-
gresso. Evirallina era comparita ad Ossian, per muoverlo a soccorrer
suo figlio. Egli era a questo passo del suo poema, ed avea pieno lo
spirito della memoria della sua sposa. Giunge Malvina nel punto
ch'egli stavasi per narrare la sua visione. Nulla di piu naturale quanto
ch'egli sospenda per un poco il filo della sua narrazione per introdur
la storia de' suoi amori con la sua sposa e delle sue giovenili prodezze ;
il di cui confronto collo stato infelice della sua vecchiaia e il fonte
principale del gran patetico delle sue poesie.
v. 103. Ossian attribuisce costantemente un carattere nobile e vir
tuoso all'amato suo figlio. II pronto ritorno di Oscar e le sue parole
mostrano la sommissione dovuta ad un padre e il calore che si con-
viene ad un giovine guerriero.
v. 136. Si loda giustamente il silenzio d'Aiace neirOdissea, e di
Didone ntlYEneide.1 Vi sono molti generi di silenzio, come di di-
scorso: e potrebbe farsene un trattatello rettorico, che non sarebbe
il meno importante. Nissun poeta ne fece maggior uso ne piu giudi-
zioso di Ossian.
v. 154. Non puo negarsi che non si trovi qualche uniformita nelle
comparazioni di Ossian. Ma questo difetto non e piu suo che degli
altri piu antichi poeti, e distintamente di Omero. Ossian per altro
ha dei titoli ben piu giusti di lui per giustificarsi appresso i lettori di-
screti. La sfera dell'idee del poeta celtico dovea essere senza confronto
piu ristretta che quella del greco. La natura e Parte erano piu fe-
conde delle loro ricchezze per Omero, di quello che fossero per
Ossian, e gli presentavano molto maggior copia d'oggetti di tutti i
generi. Si detraggano inoltre dall'Iliade tutte le immagini e le com
parazioni basse, le quali Omero credette di potersi permettere, e da
i. silenzio . . . Eneide: cfr. Omero, Od., xi, 541-67 e Virgilio, Aen., vi, 469-71.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 219
cui lo spirito nobile di Ossian religiosamente si astenne; si vedra
che a proporzione questo non avanza meno il primo nella varieta,
di quello che nella scelta e nella finezza.
v. 170. Che nobile sentimento! DalParia con cui parlo Gaulo nel
canto antecedente, ben si scorge che non gli sarebbe riuscito discaro
che Fingal si trovasse in pericolo di soccombere, per aver la gloria
di dargli soccorso. Ma la magnanimita di Fingal non conosce queste
piccolezze ; e la sua gloria e tanto grande che non puo discendere ad
invidiar I'altrui.
v. 185. Gaulo non era che un capitano subalterno, come gli altri.
Ma Fingal 1'avea creato suo luogotenente. Gli stessi suoi figli do-
veano prestargli deferenza. Fingal con un discorso molto onorifico
per Gaulo previene le gare di dignita, e non ispira se non quella
d'una rispettosa emulazione. I suoi eroici conforti ai figli somigliano
quel di Leonida a' suoi Spartani: «Pranziamo lietamente, o com-
pagni, che cenerem sotterra»: se non che qui c'e un grado di tene-
rezza paterna.
v. 198. II poeta artificiosamente fa che Fingal s'allontani accioc-
che il suo ritorno riesca piu magnifico e faccia maggior impressione.
v. 207. Negli atti e nelle parole di Oscar e vivamente dipinto 1'ine-
briamento d'un giovine che pregusta il piacer della gloria, e che
brama d'attuffarvisi senza ritegno. Pure anche Famor filiale v'ha la
sua parte, e sembra ch'egli preghi il padre a scostarsi, anche per al-
lontanarlo dal pericolo che potea sovrastargli.
v. 226. Come e bella questa gara di morire tra padre e figliol
Euripide ce ne presenta un'altra alquanto diversa nella sua Alceste.
Veggasi la scena tra Ferete e Admeto.
v. 238. Osservisi con che amabile semplicita Ossian tocca 1'illiba-
tezza della sua fedelta coniugale.
v. 246. Questa e quasi la stessa descrizione che abbiam veduta nel
canto I. Meno profusione e un po' piu d'economia nelle descrizioni
antecedenti 1'avrebbe salvato dalla necessita di ripetersi. lo che non
amo i comenti a la Dacier? mi fo un dovere non solo di non palliare,
ma di neppur dissimulare i luoghi difettosi del mio autore. Ma questa
obiezione avrebbe assai mal earbo in bocca degli adoratori d'Omero,
appresso di cui si trovano si frequentemente ripetute non solo le
descrizioni, ma i discorsi interi.
v. 273. Fingal s'alza, ma non si da fretta d'accorrere. Egli non
vuol rapire a Gaulo 1'onor di rimettersi. Troppa sollecitudine sarebbe
stata un'ofTesa alia sua gelosa delicatezza su questo punto.
i. & la Dacier: cioe ispirati, come appunto quelli di madame Dacier (cfr.
la nota a p. 71), al proposito esclusivo di difendere da ogni accusa Ome-
ro e in genere gli scrittori antichi.
220 MELCHIORRE CESAROTTI
v. 306. La soverchia fidanza di quest'eroe ci avea preparati a que-
sto colpo : ne" displace molto al lettore di veder Famabile Oscar vin-
citor da una parte, e il baldanzoso Gaulo umiliato dall'altra.
v. 313. Non par che Fingal sia il Giove Statore,1 che arresta tutto
in un punto i fuggitivi Rornani? La vergogna de' soldati in un tale
state e '1 piii grand'elogio e '1 piu delicate che possa farsi ad un ca-
pitano.
v. 341. La condotta di Fingal co} suoi guerrieri e veramente am-
mirabile. Lungi dal rimproverarli, egli parla a tutti con espressioni
di politezza e di lode, e specialmente a Gaulo. Egli vide la loro
fuga: questo e Jl rimprovero piii grande d'ogn'altro; e la fiducia ch'ei
mostra in loro, e lo stimolo il piu efficace per emendar il passato.
v. 370. Questa nuova foggia di battaglia la diversifica in un modo
particolare. Qual prontezza, qual vivacita negli eroi! qual energia e
varieta neU'espressioni! e con qual giudizio Svarano e lasciato ulti
mo, come degno unicamente di Fingal!
v. 387. Omero ed Ossian nelle descrizioni delle battaglie seguono
una condotta direttamente opposta. Omero e pieno di minuti rac-
conti: Ossian gli sfugge a piu potere. L'uno ammassa, e 1'altro
sceglie. Appresso Omero tutti i guerrieri agiscono, ma non sempre
si osserva la proporzione e la convenienza dovuta ai loro caratteri.
Ossian per lo piu sceglie un eroe principale, e lo fa brillare, lasciando
i subalterni confusi tra la folia. Questi fa qualche volta abortir le
idee con la soverchia precisione, e ci defrauda di qualche piacere
che si sarebbe aspettato : quello dilaga lo spirito in un mare di par-
ticolarita poco interessanti, e non lo lascia fissare distintarnente sopra
alcun oggetto. L'abbondanza dell'uno e Taggiustatezza dell'altro
temperate insieme avrebbero fatto un misto perfetto.
v. 413. Chi avrebbe atteso questo slancio improvviso? e chi
avrebbe creduto di dover passar in un tratto da un orrido cosi
grande ad un patetico cosi toccante?
v. 429. Un incidente di tal genere val ben per molte delle parti-
colarita d' Omero.
v. 448. Questa e una pittura eccellente, ma non & meno meravi-
gliosa per la finezza che qui mostra il poeta. Cucullino non puo
raffrenarsi. Ma il suo arrivo in tale stato di cose e pericoloso. Che
fara egli ? verra ad usurpar la gloria di Fingal, o a perder quella del
suo valor personale? Non si puo ammirar abbastanza la finezza del
i. Giove Statore: il Cesarotti ha presente un passo di Livio (i, 12), in cui
si narra come Giove, accoghendo la preghiera di Romolo, fosse interve-
nuto a fermare i Romani in fuga davanti ai Sabini : episodic da cui avrebbe
avuto ongme, appunto, il culto di Giove Statore.
POESIE DI OSSIAN • FINGAL 221
ripiego. Connal con estrema delicatezza ha salvato Finteresse di
Cucullino e quel del poeta.
CANTO v
v. 15. Noi siamo sul monte di Cromla insierae con Cucullino.
Le prodezze di Fingal accadono sotto i nostri occhi.
v. 38. NelP ultima zufTa del canto antecedente il poeta disse che
ciascheduno de' guerrieri scozzesi aveva attenuta la sua promessa di
vincer il nemico ch'ei s'avea scelto. Si sara dimandato : e di Svarano
e Fingal non si sa nulla di piu ? Ossian con sommo giudizio ha riser-
bata la zuffa dei due massimi eroi al presente canto. Ell'era troppo
importante. Conveniva separarla dall'altre, collocarla in un sito piu
luminoso e preparar lo spirito di chi ascolta, perch'ella facesse tutta
1'impression conveniente.
v. 49. Questo e forse 1'unico luogo in tutto il poema che possa con
qualche fondamento chiamarsi gonfio. Pure egli e molto probabile
che quello che ai tempi nostri ci sembra gonfio, ai tempi di Ossian
non sembrasse che meraviglioso. L'idea di forza e interamente rela-
tiva; e si prenderebbe un grosso equivoco, se si volesse misurar dalla
nostra la forza degli antichi Celti. Qual proporzione tra la tessitura
di corpi nati da germi viziati, ristretti dal primo lor nascimento tra
mille nodi, cresciuti aU'ombra e nelTinazione, custoditi con mille
dannose riserve e guasti interamente dalla mollezza; e tra la vasta
corporatura d'uomini nati tra i boschi, che aveano per vestiti le carni,
per letto la terra, per tetto il cielo, indurati al sole, al ghiaccio, a
tutte le inclemenze dell' aria, ed affaticati continuamente in esercizi
di guerre, ove tutto si decidea con la forza P1 Non e egli visibile che
il nostro vigore appetto a quello non deve esser che un'ombra? In
fatti, tutti i monumenti che restano dell'antiche nazioni celtiche,
sono indizi d'una robustezza prodigiosa. Trasportlamoci dunque nei
tempi d'Ossian; e rinettiamo di piu che il poeta in Fingal e Svarano
vuol darci un'idea del piu alto grado a cui possa giunger la forza;
che Svarano era un gigante; che Fingal non poteva esser molto
minore, se dovea vincerlo; e si vedra allora che queste iperboliche im-
magini sono meno lontane di quel che si credea a prima vista, dal
verisimile o almeno da quel possibile che solo basta al poeta. In
oltre, Ossian ci avea gia preparati a questi prodigi ; ed egli ci racconta
il fatto con tal semplicita di termini e con una certa aria di buona
i. tra la vasta . . .forza: evidente riecheggiamento di immagini vichiane.
Cfr. soprattutto La scienza nuova, ed. cit., pp. 498-9.
222 MELCHIORRE CESAROTTI
fede, che sarebbe discortesia il non credergli almen la meta di quel
ch'ei dice.
v. 72. Per un altro poeta, il poema sarebbe terminate, ma per
Ossian ci manca ancora la piu bella parte dell'azione. Fingal non ha
riportato che una vittoria volgare. Egli se ne promette una molto
piu nobile. Vuol trionfar dello spirito di Svarano, sopraffarlo di
generosita e rimandarlo consolato e tranquillo. Ma questa vittoria
non e ancor matura; ci volcano dei preparativi. La presenza di Fingal
non poteva in quei primi momenti che aggravar la tristezza di Sva
rano. Fingal parte, per dar soddisfazione a chi bramasse di far prova
del suo valore, e per accoglier cortesemente chi volesse arrendersi;
e lascia Svarano tra le mani di Gaulo e di Ossian. L'idea del van-
taggio che Svarano avea riportato sopra Tuno, e la soavita dell'altro
erano atte a mitigar la sua tristezza, ad ammollir la sua ferocia e a
disporlo meglio all'eroica bonta di Fingal.
v. 117. Abbiam gia detto in altro luogo che Fingal e Feroe della
natura. Eccone una prova sensibile. Egli s'intenerisce sopra i mali
deirumanita, e la compiange. Le sue lagrime sono date alia natura
umana, non a lui stesso. Egli trova in se medesimo dei conforti ben
degni di lui; e sa darli anche agli altri opportunamente. Ma non
lascia di sembrar duro e strano ad un cuore sensibile, che gli uomini
anche i piu grandi debbano perire come i piu vili. Non bisogna equi-
vocare, come molti fanno, tra rinsensibilita e la fortezza. Esse sono
qualita molto diverse; anzi Tuna esclude 1'altra.
v. 176. Questo lamento fa sentir il padre e Teroe. £ tenero, ma
d'una tenerezza sedata e decente. In generale il poeta non ama i
lunghi e stemperati piagnistei. Egli sfiora gli affetti, non gli esaurisce.
Nessuno intese piu di Ossian la verita di quel detto: «Nihil citius
arescit, quam lacryma».J
v. 332. Ossian non loda mai i suoi eroi per le sole qualita di guerra;
ma vi aggiunge sempre il contrapposto delle qualita pacifiche e
dolci. II vero eroismo risulta dalla felice temperatura dell'une e
dell'altre.
v- 359- Presso i grandi maestri Tallontanamento ' de' protagonisti
non pregiudica al decoro di quelli, e serve alia bella economia del-
Tazione. Achille sta lontano dalla scena pressoche per la meta del-
Ylliade senza cessare d'essere Achille. Appresso Ossian, Fingal non
comparisce che alia meta del terzo canto, e nel punto ch'ei giunge,
Cucullino sparisce. Ma siccome Tassenza di Fingal serve ad eccitar
i. Cfr. Rhet. ad Herennium, n, xxxi, 50: «nihil . . . lacrima citius arescit »
(«nulla si asciuga piu presto delle lagrime »). E cfr. anche Cicerone, De
inv.f i, LV, 109.
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 223
Paspettazione, cosl la ritirata di Cucullino non lascia languir Pinte-
resse. Questa e la seconda volta ch'egli si mostra, e sempre opportu-
namente, e con grand'effetto. Che gran colpo d'occhio non fa egli,
veduto cosi in distanza nella sua mesta e muta grandezza! Anche
Tattitudine di Connal e conveniente al suo carattere. II vero amico
tenta di mitigar la passione dell'altro con le ragioni opportune:
quando cio e vano, egli la rispetta con un affettuoso silenzio.
v. 363. La felicita degli altri desta, se non invidia, almeno rancore
negl'infelici : specialmente quando la disgrazia di questi nasca da un
difetto, e 1'altrui felicita da un merito. La vittoria di Fingal dovea
sembrar un rimprovero a Cucullino. Pure lungi dal rattristarsene,
egli ne risente qualche conforto. II suo punto d'onore non ha nulla
che offenda la nobilta del suo animo. Chi puo lasciar d'interessarsi
per un tal carattere?
v. 404. Evirallina era degna sposa di Ossian. Che beiranimo non
mostra il suo canto, e le sue lagrime donate alia mernoria delFinfelice
Cormano! Nella morte di quest* amante disamato rnolte donne non
avrebbero scorto che un oggetto di compiacenza e d'orgoglio. Cor
mano sarebbe stato una vittima sacrificata a un idolo superbo, che la
riguarda con indifferenza. Tale appunto e il senso che mostra Elena
nel canto 3 dtll'Iliade* ove sta ricamando nella tela le battaglie che
si facevano per lei fra i Troiani e i Greci, battaglie che potevano de-
cidere della vita o di Menelao o di Paride.
CANTO VI
v. i . « Se Ossian » dice Fautore degli Annali tipografici « ha preso
il colorito cupo degli oggetti del suo clima, con qual forza e con qual
verita non ne ha egli rappresentata Fimmagine ? E queste immagini
appunto e questo colorito cupo, ma sublime, sbalordiscono e tras-
portano Tanima quasi ad ogni pagina del suo poema».2 Egregia-
mente. Noi per altro abbiam veduto che Ossian sa maneggiar con
ugual maestria tutte le specie di colon. E s'egli fa piii spesso uso del
cupo, quest'e perche il cupo e piu spesso confacente a' suoi soggetti.
v. 51. Artificiosamente il poeta introdusse quest'episodio, come
il piu acconcio a dispor gli animi alTesito felice dell'azione.
v. 147. Tutte le parlate di Ossian sono ragguardevoli per molti
pregi : ma questa mi sembra d'un'eccellenza superiore ad ogni altra.
Non so se sia piu ammirabile la generosita di Fingal o 1'artifizio con
cui egli s'insinua nelT animo di Svarano. Poteva questi esser esacer-
i. Tale . . . Iliade: cfr. Omero, //., in, 125-8. 2. Cfr. la nota i a p. 206.
224 MELCHIORRE CESAROTTI
bato verso di Fingal per quattro motivi: per Finimicizia nazionale
degli Scozzesi e dei Danesi ; per Finimicizia personale tra lui e Fingal ;
per la vergogna della sua sconfitta; e per desiderio di risarcirsi.
Fingal prende a superar tutti questi ostacoli con la nobilta dej suoi
sentimenti ; e lo fa con un ordine il piu conveniente. Comincia dal
primo, prendendo occasione dal canto di Ullino, e mostra colFesem-
pio di Tremmor che le guerre delle loro famiglie non venivano
da un odio ereditario, ma da una gara di gloria, e che anzi esse
da principio erano amiche e congiunte. Passa indi ad allontanargli
dalFanimo Fidea della vergogna, ch'era il punto piii delicato e piu
necessario; e f a un grand'elogio del valore di Svarano, indicando
che nel suo spirito egli non ha perduto nulla delFantica sua gloria.
La lode non e mai piCi lusinghiera quanto in bocca d'un nemico.
Riconfortato Famor proprio di Svarano con questo calmante, Fingal
mette in uso i modi piu blandi. Lo chiama delicatamente fratello
d'Aganadeca, per destar in lui sentiment! teneri ed amichevoli col-
Fimmagine d'una sorella amata non meno da lui che da Fingal. Mo
stra che, sin dal tempo di quella, egli avea concepita molta propen-
sione per lui, e gli rammemora la prova sensibile che gliene diede in
quella occasione. Con cio egli induce Svarano a vergognarsi di con-
servar odio e rancore con una persona che gia da gran tempo Favea
provocato in affetto e in benevolenza. Finalmente mette in opera un
tratto di generosita singolare, che doveva espugnar Fanimo il piii in-
domabile. Svarano era vinto: Fingal era padrone della sua vita e
della sua liberta. Ma questi si scorda della sua vittoria : suppone che
Svarano sia libero come innanzi la battaglia, e propone per soddi-
sfarlo un nuovo cimento personale, come se il passato non dovesse
decidere. Svarano non e un nemico vinto, ma un ospite nobile a cui
si desidera di far onore. Se Dionigi d'Alicarnasso1 avesse avuto da
analizzare discorsi di questo genere, egli avrebbe fatto ben miglior
uso della sua critica, di quello che nello sviluppare lo strano artifizio
d'Agamennone nel 2 doll'Iliade.*
v. 173. La generosita di Fingal va operando. Svarano non e piti
quel brutale che rispose con tanta asprezza a* cortesi inviti di Cucul-
lino e di Fingal. Un confronto si luminoso dovea farlo troppo ar-
rossire della sua prima natura. La rozzezza di Svarano s'ingentilisce,
e la sua ferocia si va cangiando in grandezza.
v. 1 80. Svarano rammemora piia volentieri la zurTa di Malmor che
la presente. Abbiam veduto nel principio del poema ch'egli volea far
i. Dionigi d'Alicarnasso (30-8 a. C.), storico e retore greco, che studi6 in
particolare lo stile degli oratori ellenici. 2. lo strano . . . Iliade: la falsa pro-
posta di ritorno in patria, fatta da Agamennone per tentare Fanimo dei
Greci. Cfr. Omero, //., u, 110-41.
POESIE DI OSSIAN - FINGAL 225
credere di non esser rimasto inferiore in quella battaglia. Ma dalle
sue stesse espressioni si scorge che questa non era che un'illusione
del suo amor proprio. La straordinaria gentilezza di Fingal e vicina
a strappargli di bocca la confessione della sua inferiorita; ma egli si
spiega in un modo alquanto indiretto ed equivoco. La virtii sta per
vincerla; ma la natura fa ancora qualche resistenza.
v. 193. Gli eroi de' poeti greci erano molto lontani da questi
magnanimi sentimenti. Achille nel 24 dell'Iliade, avendo reso a
Priamo il corpo di Ettore, fa le sue scuse coH'ombra di Patroclo per
aver usato questo atto di pieta;1 e potendo allegare per sua giusti-
ficazione, se non i sentimenti naturali d'umanita, almeno il comando
di Giove e 1'esortazioni di sua madre Tetide, egli lascia questa ra-
gione plausibile (giacche pur credea d'aver bisogno di scusa) e ad
duce unicamente quest 'altra, che Priamo gli avea fatto dei doni che
non erano da dispregiarsi. Hawi un luogo nelle Supplici d'Euripide
che ha una relazione piij. piena con tutta la condotta di Fingal in
questa guerra, e ch'e un esempio luminoso della somma differenza
che passava tra lo spirito degli antichi poeti greci e quello di Ossian.
Adrasto, re di Argo, ricorre personalmente a Teseo, re d'Atene, af-
fine d'indurre col suo soccorso i Tebani a dar sepoltura agli estinti
uccisi nella passata guerra. Teseo, dopo avergli fatto 1'uomo addosso2
con poca discrezione e con molta superiorita, gli da crudamente una
negativa. Mosso poi dalle persuasioni della madre piu che dall'onesta
della causa o dai sentimenti d'un animo generoso, si determina con
malissimo garbo a sostener Adrasto con le sue armi. Dopo la sua vit-
toria segue a trattar Adrasto con disprezzo: nnalmente per compir
1' opera comparisce Minerva, per ricordar a Teseo ch'egli si faccia
dar la sua mercede da Adrasto pel suo benefizio, e che per assicurar-
sene lo costringa ad un giuramento. Questa e la delicatezza inirnita-
bile del poeta greco. Si esamini ora la condotta del barbaro. Fingal,
intesa Tinvasione meditata da Svarano, corre in soccorso di Cucullino
e salva Flrlanda. Lungi dal rimproverar la sua disgrazia alPamico,
lo conforta e lo esalta; e in luogo d'esiger guiderdone dall'alleato,
ricusa Fomaggio del suo stesso nemico.
v. 202. Ecco il trionfo di Fingal interamente compiuto. Avrebbe
potuto il poeta far che Svarano persistesse nella sua ferocia, che vo-
lesse di nuovo combattere, e che morisse pugnando. Ma il suo can-
giamento e molto piu glorioso per Fingal, piu interessante e piti.
istruttivo. Ossian c'insegna con quest' esempio che la virtii doma i
cuori piu barbari, e ch'ella trionfa alle volte dell'educazione e della
i. Achilla . . . pieta: cfr. Omero, IL, xxiv, 592-5. 2. avergli . . . addosso:
averlo trattato con sgarbato sussiego.
226 MELCHIORRE CESAROTTI
natura. Lezione utilissima, e ch'e d'un massimo stimolo per corri-
sponder colla beneficenza a coloro che ci provocarono colle offese.
v. 235. La presenza di Carilo risveglia in Fingal 1'idea di Cucullino,
ma egli non s'indirizza a quest'eroe se non dopo la partenza di Sva
rano, Questa mi sembra un'avvertenza assai delicata. Cucullino e
Svarano non erano caratteri da potersi conciliar insieme cosi age-
volmente. La presenza del primo avrebbe destato nell'altro qualche
movimento d'orgoglio; e quella di Svarano non poteva che accrescer
la vergogna e 1'afflizione di Cucullino. Cosi la loro reciproca vista
era piu atta ad inasprir gli animi che a riconciliarli. Fingal giudizio-
samente allontana prima 1'uno, e poi pensa a consolar 1'altro.
v. 328. Questo incidente e molto toccante. D'ugual finezza e il
tratto di sopra, ove Fingal, chiamando i suoi figli, nomina Rino.
I gran poeti sanno far nascer di questi incidenti quando meno si
aspettano: gli altri non veggono i piu owi e presentati spontanea-
mente dal soggetto.
CARTONE1
ARGOMENTO
Al tempo di Comhal, figlio di Trathal e padre di Fingal, Cles-
samorre, figlio di Thaddu e fratello di Morna, madre di Fingal,
fu spinto dalla tempesta nel fiume Clyde, sulle rive del quale stava
Balclutha, citta che apparteneva ai Britanni di qua dal muro. Egli
fa ospitalmente ricevuto da Reuthamiro, ch'era il re o signore del
luogo, e n'ebbe in moglie Moina, unica figlia di quel re. Reuda>
figlio di Cormo, ch'era un signore britanno irmamorato di Moina,
venne in casa di Reuthamiro e tratto aspramente Clessamorre.
Vennero alle mani, e Reuda resto ucciso. I Britanni del suo se-
guito si rivolsero tutti contro di Clessamorre, di modo ch'egli fu
costretto a gettarsi nel fiume e ricovrarsi a nuoto nella sua nave.
Spiego le vele, ed essendogli il vento favorevole, gli venne fatto di
uscir in mare. Tent 6 piu volte di ritornarsene e di condur seco
in tempo di notte la sua diletta Moina; ma rispinto sempre dal
vento, fu forzato a desistere. Moina, lasciata gravida, diede alia
luce un fanciullo, e da li a poco mori. Reuthamiro impose al fan-
ciullo il nome di Carthon, cioe mormorio dellsonde, in memoria della
tempesta che, come credevasi, avea fatto perire suo padre. Avea
Carthon appena tre anni, quando Comhal, padre di Fingal, in una
delle sue scorrerie contro i Britanni, prese ed abbrucio Balclutha.
Reuthamiro fu ucciso in battaglia, e Carthon fu trafugato dalla
nutrice, che si rifugio neirinterno della Brettagna. Carthon, fatto
adulto, delibero di vendicare la distruzione di Balclutha sopra la
posterita di Comhal. Fece vela colle sue genti dal fiume Clutha,
e giunto sulla costa di Morven, abbatte sulle prime due dei guerrieri
di Fingal: finalmente venuto a singolar battaglia con Clessamorre,
suo padre, da lui non conosciuto, resto da quello miseramente uc
ciso. Questa e la storia che serve di fondamento al presente poema,
il quale contiene la spedizione e la morte di Carthon. Le cose an-
tecedenti vengono artificiosamente raccontate, come per episodic,
da Clessamorre a Fingal. II poema si apre la notte precedente alia
morte di Carthon, mentre Fingal tornava da una spedizione contro
i Romani stabiliti nelFInghilterra. £ indirizzato a Malvina, vedova
di Oscar, figlio del poeta.
i. Dalle Opere, iv, pp. 189-218. Al titolo in I era apposta questa osservazione
poi eliminata: «Questo poema e forse il meglio condotto di quanti si tro-
vano in questa raccolta, e senza dubbio il piti interessante d'ogn'altro. lo
non ne indicher6 le bellezze: il cuore le fara sentire assai meglio di qua-
lunque discorso».
2Z8 MELCHIORRE CESAROTTI
Storie de' prischi tempi e forti fatti
il mormorio delle tue onde, o Lora,
mi risveglia nelPalma; e dolce, o Garma,
e a quest'orecchio de' tuoi boschi il suono.
Malvina, vedi tu quelPerta rupe 5
che al cielo inalza la petrosa fronte ?
Tre pini antichi cogli annosi rami
vi pendon sopra, ed al suo pie verdeggia
pianura angusta: ivi germoglia il fiore
della montagna, e va scotendo al vento 10
Candida chioma; ivi soletto stassi
Tispido cardo: due muscose pietre
mezzo ascoste sotterra ai riguardanti
segnan quel luogo: dall'alpestre balzo
bieco il sogguarda il cavriolo, e fugge 15
tutto tremante, che nell'aere ei scorge
la pallid'ombra ch'ivi a guardia siede.
Per6 che la nella ristretta valle
dell'alta roccia, ineccitabil sonno
dormon Talme dei forti: or odi, o figlia, 20
storie de' prischi tempi e forti fatti.
Chi e costui, che daU'estrania terra
vien tra' suoi mille? Lo precede il sole,
e sgorga lucidissimo torrente
innanzi ad esso, e de' suoi colli il vento 25
vola incontro al suo crin: sorride in calma
placido il volto, come suole a sera
raggio che fuor per Pazzurrino velo
di vaga nuvoletta in occidente
guarda di Cona su la muta valle. 3°
Chi, fuor che il figlio di Comallo, il prode
di Morven re, dai gloriosi fatti?
Ei vincitor ritorna, e i colli suoi
3 . Garma : Garmallar, monte di Lora (C.)- 5 • erta : I : « alta ». 20. dei forti :
di Cartone e di Clessamorre (C.)- I : « grandi ». 22. dalVestrania terra: Fin-
gal era di ritorno da una spedizione contro i Romam. II poeta incommcia
la sua narrazione da questo punto, e si esprime col suo solito modo interro
gative, come se Fmgal tornasse allor allora dalla sua impresa (C.)«
POESIE DI OSSIAN • CARTONE 22Q
di riveder s'allegra, e vuol che mille
voci sciolgansi al canto. — Alfin fuggiste, 35
audaci figli di lontana terra,
domati in guerra - lungo i campi vostri
dai brandi nostri; - e con dolor profondo
il re del mondo - che la strage or sente
della sua gente - ed il suo scorno vede, 40
la guancia fiede, - e giu balza dal soglio
rosso d'orgoglio : - il fero sguardo gira,
lampeggia d'ira - a' suoi danni pensando,
e indarno il brando - de' suoi padri afFerra:
fuggiste, o figli di lontana terra. — 45
Si parlaro i cantor, quando alle mura
giunser di Selma: scintillaro intorno
mille tolte ai stranier candide luci.
Si diffonde il convito, e in feste e canti
passa la notte. — Ov'e — Fingallo esclama 50
— il nobil Clessamorre ? ov'e '1 compagno
del padre mio ? perche non viene anch'egli
il giorno a festeggiar della mia gioia?
Ei sulle rive del sonante Lora
vive mesto ed oscuro. Eccolo, ei scende 55
dalla collina; e nelle vecchie membra
porta fresco vigore, e par destriero
che fiuta Paura de5 compagni e scuote
lucide giubbe. Oh benedetta 1'alrna
di Clessamorre! perche mai si tardo 60
giungesti in Selma ? — Ah tu ritorni — ei disse
— in mezzo alia tua fama, o duce invitto.
Tal, mi rimembra, era Comallo il padre
nelle battaglie giovenili: insieme
spesso varcammo de' stranieri a danno 65
le sponde del Carron, ne i brandi nostri
tornar digiuni di nemico sangue,
35. Questo e il canto dei bardi per la vittoria di Fingal (C.). 39- H re del
mondo : I'imperator de' Romani (C.). 41. fiede: colpisce. 48. mille...
luci: probabilmente candele di cera (C.)- 58-9- che . . . giubbe: I e II : «cui
scosse al vento le lucenti giubbe / sferzan le spalle ».
230 MELCHIORRE CESAROTTI
ne 11 re del mondo ebbe cagion di gioia.
Ma perche rammentar battaglie e fatti
di giovinezza? I miei capelli omai 70
fans! canuti, la mia man si scorda
di piegar 1'arco, e 1'infiacchito braccio
inalza asta piu lieve. Oh se tornasse
la mia freschezza ed il vigor primiero
nelle mie membra, come allor ch'io vidi 75
il bianco seno di Moina e gli occhi
fosco-cerulei! — E in questo dir sul labbro
spunta un sospiro. Allor Fingallo a lui:
— Narraci — disse — la pietosa istoria
des tuoi verd'anni. Alta mestizia, amico, So
fascia il tuo spirto, come nebbia il sole:
son foschi i tuoi pensier; solingo e muto
lungo il Lora ti stai; di sgombrar tenta,
sfogando il tuo dolor, della tristezza
la negra notte che i tuoi giorni oscura. 85
— Era — quei ripiglio — stagion di pace,
quando mi prese di mirar talento
le di Barcluta torreggianti mura.
Soffiava il vento nelle bianche vele,
e '1 Cluta aperse alia mia nave il varco; 90
cortese ospizio nel regale albergo
ebbi tre di di Rotamiro, e vidi,
vidi quel raggio d'amorosa luce,
76. Moina, «soave di temperamento e di persona ». I nomi britanni in que-
ste poesie sono denvati dal celtico, il che mostra che 1'antico linguaggio
di tutta Tisola era lo stesso (M.)- 77- fosco-cerulei: i: « nero-cerulei ».
77-8. E in questo . . . sospiro : veramente Ossian non aggmngc che Clessa-
morre sospirasse; ma io ne sono tanto certo come se Favessi mteso, e le
parole seguenti me ne assicurano (C.). 83-5. di sgombrar . . . oscura: I'on-
ginale: «facci udir il cordogho della tua gioventu, e Foscurita de* tuoi gior
ni ». Cosl par che Fingal lo stimoli a parlare per semplice cunosita. Io volli
dargli un motivo piu interessante (C.). 86. La narrazione di Clessamorre
e per se stessa eccellente; ma la sua bellezza ci far£ molto maggior im-
pressione sul fin del poema, perch6 per mezzo di essa ci troveremo istruiti,
senza saperlo, di tutto ci6 ch'era necessario per prepararci allo sciogli-
mento dell'azione (C.). 88. Barcluta: Bal-clutha, «la citta del Clyde »,
probabilmente 1'Alcluta di Beda (M.)-
POESIE DI OSSIAN - CARTONE 231
la figlia sua. N'ando la conca in giro
portatrice di gioia: il vecchio eroe 95
diemmi la bella. Biancheggiava il petto
come spuma sull'onda; erano gli occhi
stelle di luce, e somigliava il crine
piuma di corvo; era gentile e dolce
quel caro spirto: amor mi scese alPalma 100
profondamente, ed al soave aspetto
sentia stemprarsi di dolcezza il core.
Giunse in quel punto uno stranier, che ambiva
di Moina Pamor; parlommi altero,
e la man nel parlar correagli al brando. 105
«Ov'e» diss'egli d'inquieto errante
figlio del colle? ov'e Comallo? Ei certo
poco lungi esser dee, poiche si ardito
qua s'inoltra costui ». « Guerrier, » risposi
« Talma mia d'una luce arde e sfavilla, no
ch'e propria sua, ne la mendica altronde:
benche i forti sien lungi, io sto fra mille,
ne m'arretro al cimento. Alto favelli
perche solo son io; ma gia 1'acciaro
mi trema al fianco e impaziente agogna 115
di scintillarmi nella man: t'accheta,
non parlar di Comal, figlio superbo
del serpeggiante Cluta». A cotai detti
tutta la possa del feroce orgoglio
sorse contro di me; pugnammo, ei cadde 120
sotto il mio brando: al suo cader, le rive
sonar del Cluta, e mille lance a un punto
splender io vidi e mille spade alzarsi.
Pugnai, fui vinto; io mi slanciai nell'onda,
spiegai le vele e in mar mi spinsi. Al lido 135
venne Moina, e mi seguia cogli occhi
rossi di pianto, e verso me volava
sparsa al vento la chioma; io ne sentia
106. La parola che qui si traduce per inqmeto errante, nelP originate e a scu
ta », dal qual termine i popoli della nostra provincia ebbero la denomina-
zione di «Scoti». Vedi il Ragionamento prelim. (M.)- Cfr. Opere, n, p. 31.
232 MELCHIORRE CESAROTTI
le amare strida, e gia piu volte il legno
di rivolger tentai; prevalse il vento, 130
ne piu il Chita vid'io ne il candidetto
sen di Moina. Ella morio, m'apparve
la bell'ombra amorosa: io la conobbi
mentre veniane per Poseur a notte
lungo il fremente Lora, e parea luna 135
teste rinata, che traluce in mezzo
di densa nebbia, allor che giii dal cielo
fiocca spessa la neve in larghe falde,
e '1 mondo resta tenebroso e muto. —
Tacque, cio detto, e a' suoi cantor rivolto 140
disse 1'alto Fingal:— Figli del canto,
aH'infelice e tenera Moina
lodi tessete, e coi leggiadri versi
la belPombra invitate ai nostri colli,
ond'ella possa riposarsi accanto 145
alle di Morven rinomate belle,
raggi solari dei passati giorni,
e dolce cura degli antichi eroi.
Vidi Barcluta anch'io, ma sparsa a terra,
rovine e polve: strepitando il foco 150
signoreggiato avea per 1'ampie sale,
ne piu citta, ma d'abitanti muto
era deserto: al rovinoso scrollo
delle sue mura avea cangiato il Cluta
Pusato corso: il solitario cardo 155
fischiava al vento per le vuote case,
ed affacciarsi alle fenestre io vidi
la volpe, a cui per le muscose mura
folta e lungh'erba iva strisciando il volto.
Ahi di Moina e la magion deserta, 160
silenzio alberga nei paterni tetti:
sciogliete il canto del dolore, o vati,
su i miseri stranieri: essi un sol punto
I57~9- edaffacciarsi . . . volto: cfr. L,eopaTdi,Aunvtncitorenelpallone, 44-6:
«le citta latine / abitera la cauta volpe, e 1'atro / bosco mormorera fra le
alte mura».
POESIE DI OSSIAN • CARTONE 233
prima di noi cadero; un punto poi
cadrem noi pur, si cadrem tutti. O figlio 165
del giorni alati, a che le sale inalzi
pomposamente ? Oggi tu guardi altero
dalle tue torri: attend! un poco, il nembo
piombera dal deserto; ei gia nel vuoto
tuo cortil romoreggia e fischia intorno 170
al mezzo infranto e vacillante scudo.
Ma piombi il nembo : e che sara ? Famosi
fieno i di nostri; del mio braccio il segno
stara nel campo, e andra '1 mio nome a volo
su le penne dei versi. Alzate il canto, 175
giri la conca, e la mia sala echeggi
di liete grida. 0 tu celeste lampa,
dimmi, o sol, cesserai? verrai tu manco,
possente luce? Ah, s'e prescritto il fine
del corso tuo, se tu risplendi a tempo, 180
come Fingallo, avrem camera, o sole,
di te piu lunga; Palta gloria nostra
sorvivera nel mondo ai raggi tuoi. —
Cosi canto Falto Fingallo: i mille
cantori suoi da' lor sedili alzarsi, 185
e s'affollaro ad ascoltar la voce
del loro re, che somigliava al suono
di music'arpa, cui vezzeggia auretta
di primavera. Eran leggiadri e dolci,
Fingallo, i tuoi pensieri: ah, perche mai 190
Ossian da te la gagliardia non trasse
delFalma tua? Ma tu stai solo, o padre,
e qual altro oseria portisi accanto ?
Passo in canti la notte, e Jl di rifulse
sulla lor gioia: gia le grige cime 195
scopron le rupi, al loro pie da lungi
rota Fonda canuta, e in lievi crespe
Tazzurra faccia sorridea del mare.
165-6. O figlio . . . alati: o uomo figlio del tempo, cioe mortale (C.).
177-9. O tu... luce?: questo motive sara sviluppato dal Leopardi nel Can-
tico del gallo silvestre. 192. tu stai solo: tu non hai chi ti pareggi (C.).
MELCHIORRE CESAROTTI
S'alza nebbia dal lago, e in se figura
forma di veglio : le sue vaste membra 200
lentamente s'avanzano sul piano,
a passi no, che la reggeva un'ombra
per mezzo aU'aria; nella regia sala
entra di Selma, e si discioglie in pioggia
di nero sangue. II re fu '1 sol che scorse 205
Forrido obietto, e presagl la morte
del popol suo. Tacito ei sorge e afferra
Fasta del padre; gli fremea sul petto
ferrato usbergo; ergonsi i duci, e muti
si risguardan Tun Faltro, e spiano intenti 210
del re gli sguardi: a lui pinta sul volto
veggon la pugna, e suU'acuta lancia
scorgon la morte delParmate intere.
Mille scudi impugnarsi, e mille spade
s'imbrandiro ad un punto, e Selma intorno 215
suona d'arme e sfavilla: urlano i cani,
non respirano i duci, e in aria Taste
sospese stanno, e nel re fitti i sguardi.
— 0 di Morven — diss'ei — figli possenti,
tempo or non e di ricolmar la conca 220
gioiosamente ; sopra noi s'abbuia
aspra battaglia, e su le nostre terre
vola la morte. A me Tannunzio arnica
ombra rec6 : vien lo stranier dal mare
fosco-rotante, che dall'onde il segno 225
venne del gran periglio. Ognuno impugni
la poderosa lancia, ognuno al fianco
cinga il brando paterno ; ad ogni capo
il nero elmo s'adatti, e in ogni petto
splenda 1'usbergo : si raccoglie e addensa, 230
come tempesta, la battaglia, e in breve
udrete intorno a voi Turlo di morte. —
Mosse 1'eroe delle sue squadre a fronte,
simile a negra nube, a cui fa coda
verde striscia di foco, allor che in cielo 235
s'alza di notte ed il nocchier prevede
POESIE DI OSSIAN • CARTONE 235
vicino nembo. Si ristette Toste
sopra il giogo di Cona, e lei daH'alto
le verginelle dal candido seno
rimirano qual bosco : esse la morte 240
preveggon gia dei garzonetti amati,
e paurose guardano sul mare
e fansi inganno; ad ogni candid'onda
credon mirar le biancheggianti vele
degli stranieri, e sulle smorte guance 245
stannosi Tamorose lagrimette.
Sorse dal mare il sole, e noi scoprimmo
lontana flotta: lo stranier sen venne,
come dalljocean nebbia; sul lido
balza la gioventu. Sembrava il duce 250
cervo in mezzo al suo gregge; asperso d'oro
folgoreggia lo scudo, e maestoso
s'avanza il sir delPaste; awiasi a Selma,
seguonlo i mille suoi. — Vattene, Ullino,
col tuo canto di pace al re dei brandi; — 255
disse Fingal — digli che siam possenti
nelle battaglie, e dei nemici nostri
molte son Tombre; ma famosi e chiari
son quei che festeggiar nelle mie sale.
Essi de' padri miei mostrano Parme 260
nelle terre straniere, e lo straniero
n'ha meraviglia, e «Benedetti» ei grida
(csien di Morven gli amici». I nostri nomi
suonan da lungi, e ne tremaro in mezzo
dei popoli soggetd i re del mondo. — 265
Ullino ando col suo canto di pace,
e sopra 1'asta riposossi intanto
Palto Fingallo. Ei scintillar nell'armi
vide il nemico, e benedisse il figlio
dello stranier. — Prole del mare, — ei disse 270
237. Voste: Tesercito. 251-2. asperso . . . scudo: Carthon essendo un bri-
tarino della provincia romana, o a quella contiguo, poteva esser fornito
d'oro piii abbondevolmente dei Caledoni (C.). 260. Vedi il Rag. prelim.
(C.). Cfr. Opere, n, p. 63.
236 MELCHIORRE CESAROTTI
— deh come arieggi maestoso e bello!
Raggio di forza che ti splende al fianco
e la tua spada, e la tua lancia un pino
sfidator di tempeste, e della luna
lo scudo uguaglia il variato aspetto 275
in ampiezza e splendor: vermiglia e fresca
la faccia giovenil, morbide e lisce
sono le anella della bruna chioma.
Ahi, ma cader poria si bella pianta,
e la memoria sua svanir per sempre! 280
Trista sara dello stranier la figlia,
e guardera sul mare: i fanciulletti
diran tra lor: «Nave vediamo, oh! nave!
Questo e '1 re di Barcluta». II pianto corre
agli occhi della madre, e i suoi pensieri 285
sono a colui che forse in Morven dorme. —
Si disse il re, quando a Carton dinnanzi
sen giunse Ullin, getto la lancia a terra,
e cosi sciolse della pace il canto :
— Vieni alia festa di Fingallo, oh vieni, 290
figlio del mar: vuoi del regal convito
venirne a parte, o sollevar ti piace
1'asta di guerra? de' nemici nostri
molte son 1'ombre; ma famosi e chiari
gli amici son della morvenia stirpe. 295
Mira, Carton, quel campo: ivi s'inalza
verde collina con muscose pietre
e susurrante erbetta, ivi le tombe
son dei nemici di Fingallo invitto,
audaci figli del rotante mare. 3oo
— 0 — rispose Carton — delFarborosa
Morven cantor, che parli ? a cui favelli ?
forse al debol nell'armi? e la mia faccia
pallida per timor, figlio canuto
del pacifico canto? E perche dunque 305
pensi il mio spirto d'atterrir, membrando
le morti altrui ? Fe' di se prova in guerra
300. rotante: turbmoso. 301. arborosa: ncca di alberi.
POESIE DI OSSIAN • CARTONE 237
spesso il mio braccio, e la mia fama e nota.
Vanne a' fiacchi neirarmi, ad essi impera
dl cedere a Fingal. Non vidi io forse 310
Parsa Barcluta? e a festeggiar andronne
col figlio di Comal? col mio nemico?
Misero! io non sapea fanciullo allora
per che acerba cagion dal mesto ciglio
delle vergini affitte e delle spose 315
sgorgasse il pianto, e s'allegravan gli occhi
nel mirar le fumose atre colonne
ch'alto s'ergean su le distrutte mura.
Spesso con gioia rivolgeami indietro,
mentre gli amici dissipati e vinti 320
lungo il colle fuggian. Ma quando giunse
Peta di giovinezza, e '1 musco io vidi
delPatterrate mura, i miei sospiri
usciano col mattino, e con la sera
da quest'occhi scendean lagrime amare. 325
Ne pugnero, meco diss'io, coi figli
de' miei nemici? ne faro vendetta
delParsa patria? Si, cantor, battaglia
voglio, battaglia, che nel petto io sento
gia palpitar la gagliardia delPalma. — 330
Strinsersi intorno delPeroe le squadre,
e si snudar le rilucenti spade.
Qual colonna di foco in mezzo ei stassi:
tralucongli le lagrime sugli orli
mezzo ascose degli occhi: ei volve in mente 335
Tarsa Barcluta, e Fimpeto dell'alma
sorge affollato e balza fuor; la lancia
tremagli nella destra, e pinta innanzi
10 stesso re par che minacci. — Oh, — disse
11 nobile Fingal — degg'io si tosto 340
farmegli incontro ed arrestarlo in mezzo
del corso suo, prima che in fama ei saiga?
Ma dir potria nel rimirar la tomba
delPestinto Carton, futuro vate:
337. affollato: incalzante.
238 MELCHIORRE CESAROTTI
«Fingal co' suoi Palto garzone oppresse, 345
pria ch'ei salisse in rinomanza e in fama».
No, future cantor, no, di Fingallo
non scemerai la gloria: i duci miei
combatteran col giovinetto, ed io
staro la pugna a riguardar: s'ei vince, 350
10 piombero nel mio vigor, simile
alia corsia del romoroso Lora.
Chi primo il figlio del rotante mare,
miei duci, affrontera? Molti ha sul lido
prodi guerrieri, e la sua lancia e forte. — 355
Primo nel suo vigor sorse Catillo,
possente figlio di Lormar; trecento
giovani Io seguian, prole animosa
del suo flutto natio : fiacco e '1 suo braccio
contro Cartone; i suoi fuggiro, ei cadde. 360
Scese Conallo e rinnovo la pugna,
ma spezzo Pasta poderosa: avvinto
giace nel campo, i suoi Cartone insegue.
— Clessam6r, — disse il re — dov'e la lancia
del tuo vigor ? puoi tu mirar senz'ira 365
Conallo avvinto, il tuo Conallo, all'acque
del patrio Lora? Ah ti risveglia, e sorgi
nello splendor del tuo possente acciaro,
tu di Conallo amico, e faj che senta
11 giovinetto di Barcluta altero 37°
tutta la possa del morvenio sangue. —
S'alza Feroe, cinge Pacciaro, impugna
10 scudo poderoso: esce crollando
11 crin canuto, furibondo e pieno
della baldanza del valore antico. 375
Stava Carton sulPalta roccia: ei vede
appressarsi il guerriero, in lui s'affisa.
361. Conallo : questo dovrebbe essere quello stesso Connal, che accompagn6
Fmgal nella sua spedizione contro Svarano Egh e famosissimo nell'antiche
poesie per la sua prudenza e valore. Sussiste ancora presentemente nel
nord una picciola Inbu che pretende discender da lui (M.). 374-5. pieno
. . . antico: I'onginale: «nell'orgoglio del valore » (C.)-
POESIE DI OSSIAN • CARTONE 239
Piacegli la terribile del volto
serenitade, e in canutezza antica
il vigor giovenil. — Degg'io — diss'egli 380
— quell'asta sollevar che non colpisce
piu che una volta? o salvero piuttosto
con parole pacifiche la vita
del vecchio eroe ? Sta maesta ne' suoi
passi senili, e de' suoi giorni sono 385
amabili gli avanzi. Ah! forse questo
e Famor di Moina, il padre mio:
piu volte udii ch'egli abitar solea
lungo il Lora echeggiante. — Ei si parlava,
quando a lui giunse Clessamorre, ed alto 390
sollevo la sua lancia; il giovinetto
la riceve sopra lo scudo, e a lui
volse cosi pacifiche parole:
— Dimmi, guerriero dalPantica chioma,
mancan giovani forse alia tua terra 395
che impugnin Pasta? o non hai figlio alcuno
che in soccorso del padre alzi lo scudo
e della gioventude il braccio affronti?
non e piu forse del tuo amor la sposa?
o siede lagrimosa in su la tomba 400
de' figli suoi? Deh di', sarestu mai
un dei re de' mortali ? e se tu cadi,
qual fia la fama del mio brando ? — Grande,
figlio delP alter ezza, — a lui rispose
Feccelso Clessamor — famoso e noto 405
in guerra io son ; ma ad un nemico il nome
378-9. la terribile . . . serenitade: nel testo : « la terribile gioia della sua faccia ».
La voce serenita sembro piu adattata ad un vecchio guerriero, sicuro di se
stesso (C.)- 384-5. Sta . . . senili: Toriginale: «maestosi sono i suoi passi
dell' eta » (C.). 402. un . . . mortali: uno dei capi di tribu, o uno dei piti
famosi guerrieri (C.). 406-7. ma . . . giammai: vedi il Rag. prelim. (C.).
Cfr. Opere, II, pp. 63-4. Vi si spiega che «se nel calor della battaglia due
nemici venivano a scoprire che i loro antenati avessero avuto insieme rela-
zione d'ospizio, si deponevano rarme sul fatto, e si rinnovava tra loro
Pantica amicizia. Quindi e che il ricercare il nome del suo nemico, o lo
24° MELCHIORRE CESAROTTI
non scopersi giammai. Figlio dell'onda,
cedimi, allora saprai die in piu d'un campo
rimase impresso del mio braccio il segno.
— Ch'io ceda, o re dell'aste ? — allor soggiunse 410
del giovinetto il generoso orgoglio.
— lo non cessi giammai: spesso in battaglia
ho pur io combattuto, e vidi I'ombra
di mia fama futura; o de' mortali
capo, non mi spregiar: forte e '1 mio braccio, 415
forte la lancia mia, va' fra' tuoi duci
a ricovrarti, e le battaglie e Tarmi
lascia ai giovani eroi. — Perche ferisci
Talma mia d'una lagrima pietosa ? —
replico Clessamor. — L'eta non trema 420
nella mia destra, inalzar posso il brando.
Io fuggir di Fingallo innanzi agli occhi?
innanzi agli occhi di Conal? No, figlio
del fosco mar, non ho fuggito ancora,
non fuggiro ; stendi la lancia, e taci. — 425
Essi pugnar, come contrari venti
ch'onda frapposta d'aggirar fan prova.
Ma }l garzon comandava alia sua lancia
ch'ella sfallisse, perche pur credea
che il nemico guerriero esser potesse 430
10 sposo di Moina. Egli in due tronchi
1'asta spezz6 di Clessamorre, il brando
gli strappo dalle man; ma mentre ei stava
per annodarlo, Clessamorre estrasse
11 pugnal de' suoi padri; inerme il fianco 435
vide, e 1'aperse di mortal ferita.
svelare il suo proprio si riguardava in que' tempi come atto <Tun codardo,
che cerca pretesto di sottrarsi al cimento». 413-4. vidi . . .futura: cioe,
diedi tali saggi di valore che posso lusingarmi d'una gloria ancora piu
grande (C.)- 418-9. Perch6 . . . pietosa ? : parmi che il senso sia questo : « per-
ch6 m'offendi tu con cotesta tua pieta inopportuna ed umiliante ? » (C.).
436. Clessamorre non s'era arreso, ma seguitava a difendersi, benche Car-
tone lo computasse per vinto, e 1' orgoglio del vecchio guerriero doveva es
ser irntato dal vedersi sul punto d' esser fatto prigioniero da un giovinet-
POESIE DI OSSIAN - CARTONE 241
Scorge abbattuto Clessamor dalPalto
Fingallo, e rapidissimo discende
d'arme sonando: in faccia a lui si stette
1'oste in silenzio; neireroe son fitti 440
tutti gli sguardi. Somigliante ei venne
al fragor cupo di negra tempesta
pria die i venti sollevinsi: smarrito
il cacciator nella vicina valle
Pode, e ricovra alia montosa grotta. 445
Stava il garzone immobile; dal fianco
scorreagli il sangue: il re scendere ei scorse,
e dolce speme nel suo cor destossi
d'ottener fama; ma la faccia avea
pallida, svolazzavano i capegli 450
sciolti, lo scudo vacillava, in testa
Telmetto tremolavagli : la forza
mancava in lui, ma non mancava il core.
Vide Fingal del duce il sangue, e Pasta
sollevata fermo : — Cedimi, — ei disse 455
— re degli acciar, veggo il tuo sangue: forte
fosti nella battaglia, e la tua fama
non fia mai che s'oscuri. — Ah se' tu dunque, —
rispose il giovinetto al carro nato
— - se' tu '1 re si famoso ? or se' tu quella 460
luce di morte, orror dei re del mondo?
ma perche domandarne? e non ti veggo
pari al torrente nel deserto? forte
come un fiume in suo corso, e al par veloce
delFaquila del cielo? Eh teco avessi 465
pugnato almen, che soneria nel canto
alto il mio nome, e '1 cacciator potria
dir, rimirando il mio sepolcro: aQuesti
combatte con Fingallo ». Or sconosciuto
more Carton, ch'esercit6 sua possa 470
to. Percio Tazione di Clessamorre non pu6 riguardarsi come proditoria, ma
come una difesa permessa dalle leggi della guerra (C.)- 44§-9- « dolce . . .
fama: sperando d'aver la gloria di morire per mano di Fingal (M.)- 459- d
carro nato: nato per la battaglia.
16
242 MELCHIORRE CESAROTTI
contro grimbelli. — Sconosciuto, o prode, —
soggiunse il re — tu non morrai; son molti
i miei cantori, e ai secoli remoti
passano i loro canti: udranno i figli
dei di futuri di Carton la fama, 475
mentre in cerchio staran sedendo intorno
1'accesa quercia, e passeran le notti
tra i canti e i fatti delPantica etade.
Udra sul prato il cacciatore assiso
la susurrante auretta, e gli occhi alzando 480
vedra la rupe ove Carton cadeo,
e volgerassi al figlio e '1 luogo a dito
gli mostrera dove pugnaro i prodi:
«La combatte» diragli «il giovinetto
re di Barcluta, in suo vigor simile 485
di mille fiumi all'affollata possa». —
Gioia si sparse del garzon sul volto,
alza gli occhi pesanti, ed a Fingallo
porse il suo brando, onde pendesse in mezzo
della sua sala, perche in Morven resti 490
del giovine regal la rimembranza.
Cesso la pugna, che il cantore avea
gia pronunziata la canzon di pace.
S'afTollarono i duci, e cerchio ferno
al cadente Cartone, e sospirando 495
udir 1'estreme moribonde voci.
Taciti s'appoggiavano sull'aste
mentre Teroe par!6; fischiava al vento
la sparsa chioma; debolette e basse
n'uscian le voci. — O re di Morven, — disse 500
— io cado in mezzo del mio corso, accoglie
tomba straniera nei verd'anni suoi
1'ultimo germe della schiatta illustre
di Rotamiro: oscuritade e notte
siede in Barcluta: spaziando in Cratmo 505
van Pombre del dolor. Ma sulle sponde
del Lora, ove i miei padri ebbero albergo,
486. affollata,'. incalzante, impetuosa.
POESIE DI OSSIAN • CARTONE 243
alzate voi la mia memoria, o duci;
che forse qualche lagrima, se vive,
dara lo sposo di Moina airombra 5IO
del suo spento Carton. — Mortal! punte
scesero al cuor di Clessamorre : ei cadde
muto sul figlio. Tenebror si sparse
su tutta Foste; non sospir, non voce
sentesi in Lora; usci la notte, e fuori 515
delle nubi la luna in oriente
getto gli sguardi sul campo del pianto.
Stette tutto Fesercito li li
senza parole, senza moto, come
muto bosco che in Gorma alza la fronte, 520
quando stan cheti i romorosi vend,
e sovrasta alle piagge autunno oscuro.
Tre di si pianse il giovinetto; al quarto
mori suo padre; or nelFangusta valle
giacciono della roccia, e un'orrid'ombra 525
ne difende la tomba. Ivi sovente
fassi veder la tenera Moina
quando del sole il ripercosso raggio
sulla rupe risplende, ed alFintorno
e tutto oscuro. Ella cola si scorge; 530
ma gia figlia del colle ella non sembra.
Son le sue vesti dall'estrania terra,
e soletta si sta. Tristo Fingallo
stavasi per Cartone; a' suoi cantori
egli commise di segnare il giorno, 535
quando ritorna a noi Fombroso autunno.
509. se vive: si e aggiunta questa condizionale, prima perch' e ben certo che
se il padre di Cartone era vivo, avrebbe pianta la di lui morte, poi perehe
e un po' strano che, se lo credea veramente vivo, non abbia tosto cercato di
lui, ne si sia curato di farsi conoscere. Forse per6 anch'egli temeva il rim-
provero di codardia dato a quelli che passavano il loro nome al nemico, e
perci6 si ristrinse a far alcune interrogazioni a Clessamorre coll'idea di ri-
levare se questo potesse esser suo padre. Awertasi inoltre ch'egli ardeva di
brama di vendicar la distruzione di Barcluta sopra il figlio di Comal, il che
non era forse conciliabile colla troppo sollecita scoperta del padre nel caso
ch'ei fosse in vita (C.). 531 . figlia . . .sembra: non somiglia alle donne
caledome (C.).
244 MELCHIORRE CESAROTTI
Essi il giorno segnaro, e al ciel le lodi
inalzar dell'eroe:
— Chi dal muggito
vien dell'oceano
al nostro lito, 540
torbido come nembo tempestoso
d'autunno ombroso?
Nella man forte
trema la morte,
e sono gli occhi suoi vampe di foco. 545
Chi mugghia lungo il roco
Lora fremente ?
Ah lo rawiso! egli e Carton possente,
Falto re delle spade.
II popol cade: 550
vedi come s'avanza, e come stende
Tasta guerriera:
Fombra severa
par che a Morven selvosa in guardia siede.
Ahi giovinetta pianta, 555
tu giaci, e turbin rio t'atterra e schianta.
Nato al carro inclito giovine,
quando quando t'alzerai,
di Barcluta o gioia amabile,
negli amabili tuoi rai? 560
Chi dal muggito
vien dalFoceano
al nostro lito,
torbido come nembo tempestoso
d'autunno ombroso ? — 565
538. Questo canto funebre e per mio awiso quello che fa men d'onore
d'ogn'altro alia maestria di Ossian. Certo e che leggendolo niuno potrebbe
farsi un'idea deirawentura singolare di Cartone. Un fatto cosl nuovo ed in-
teressante meritava qualche cosa di piii che un « luogo comune » sulla morte
d'un giovine guerriero (C.)- 553- Vombra severa: Torigmale: « simile al
torvo spirito di Morven ». Ci6 parrebbe indicar uno spirito particolare de-
stinato alia custodia di Morven. Forse per6 quest' espressione si riferisce
unicamente aH'ombra di Tremmor, progenitore di Fingal e protettor na-
turale del suo paese. Tremmor e comunemente rappresentato in aspetto
terribile (C.).
POESIE DI OSSIAN • CARTONE 245
Tai fur le note del cantor nel giorno
del loro pianto. Accompagnai dolente
le loro voci, e canto a canto aggiunsi.
Era Tanima mia trista e invilita
pel misero Cartone; egli cadeo 570
nei di della sua gloria. O Clessamorre,
ov'e nell'aria il tuo soggiorno ? dimmi,
essi scordato ancor della ferita
il caro giovinetto ? e vola ei teco
sopra le nubi, e alFamor tuo risponde? 575
Sento il sole, o Malvina: al mio riposo
lasciami: forse quelle amabili ombre
scenderan ne' miei sogni: udir gia parmi
una debole voce: il solar raggio
gode di sfavillare in su la tomba 580
del garzon di Barcluta; io sento il suo
dolce calor che si diffonde intorno.
O tu che luminoso erri e rotondo,
come lo scudo de' miei padri, o sole,
donde sono i tuoi raggi ? e da che fonte 585
trai rimmensa tua luce ? Esci tu fuora
in tua bellezza maestosa, e gli astri
fuggon dal cielo : al tuo apparir la luna
nelFonda occidental ratto s'asconde
pallida e fredda: tu pel ciel deserto 59°
solo ti movi. E chi potria seguirti
nel corso tuo ? Crollan le querce annose
dalle montagne, le montagne istesse
sceman cogli anni, Tocean s'abbassa
e sorge alternamente; in ciel si perde 595
la bianca luna; ma tu, sol, tu sei
sempre lo stesso, e ti rallegri altero
nello splendor d'interminabil corso.
573. essi: si e. 583. O tu: si notino in tutta questa strofa le rispondenze
col Canto notturno del Leopardi. 586, rimmensa: i: «la viva»; n: «Teter-
na». 590-1. tu . . . movi: il solo e di Ossian; il cielo deserto e di Pindaro.
Ho unito insieme le espressioni di questi due geni, che dicono lo stesso, ed
eran fatte Tuna per 1'altra (C.).
246 MELCHIORRE CESAROTTI
Tu quando il mondo atra tempesta imbruna,
quando il tuono rimbomba e vola il lampo, 600
tu nella tua belta guardi sereno
fuor delle nubi e alia tempesta ridi.
Ma indarno Ossian tu guardi: ei piu non mira
i tuoi vividi raggi, o che sorgendo
con la tua chioma gialleggiante inondi 605
le nubi orientali, o mezzo ascoso
tremoli d'occidente in su le porte.
Ma tu forse, chi sa? sei pur com'io
sol per un tempo, ed avran fine, o sole,
anche i tuoi di: tu dormirai gia spento 610
nelle tue nubi senza udir la voce
del mattin che ti chiama. Oh dunque esulta
nella tua forza giovenile. Oscura
ed ingrata e I'ela, simile a fioco
raggio di luna, allor che splende incerto 615
tra sparse nubi, e che la nebbia siede
su la collina: aura del nord gelata
sofHa per la pianura: e trema a mezzo
del suo viaggio il peregrin smarrito.
I CANTI DI SELMA1
ARGOMENTO
Questo poema stabilisce Tantichita d'un costume ricevuto ed
osservato per molti secoli nel settentrione della Scozia e nell'Irlanda,
e rischiara vari luoghi dell'altre poesie. Nella Scozia e nelTIrlanda
i cantori in una festa anniversaria, ordinata dal re o capo di quelle
nazioni, usavano di ripeter solennemente le loro canzoni. Una di
queste occasion! somministro ad Ossian il soggetto del presente
poema. S'introducono in esso alcuni cantori di Fingal, gia morti,
i quali in una di quelle feste cantano alcune awenture dei loro tempi.
L'argomento del primo canto e questo: Salgar e Colma erano
due amanti, ma di famiglie nemiche. Colma delibero di fuggirsene
col suo amante in una determinata notte, e ando ad aspettarlo sopra
una collina, ov'egli le avea promesso di venire ad unirsi con lei.
Ma essendosi questo scontrato alia caccia col fratello di Colma sopra
un colle poco discosto da quello ov'ella stava ad aspettarlo, appic-
catasi zuffa tra loro, restarono ambedue uccisi quasi sotto gli occhi
di Colma.
II secondo canto e un'elegia funebre in morte d'un certo Morar,
uno dei loro eroi.
Nel terzo s 'introduce Armino, signor di Gorma, a raccontar la
morte di Daura e d'Arindallo, suoi figli. Egli avea promessa Daura
in isposa ad Armiro, guerriero illustre. Erath, nemico d'Armiro,
travestito venne sopra un legno a Daura, fingendo d'esser mandato
dal suo sposo per condurla al luogo ov'egli stava ad attenderla
sopra una rupe cinta dal mare. Condotta Daura cola, e trovandosi
tradita, quando gia cominciava ad insorgere una burrasca, diessi
ad alta voce a chiamar soccorso. Arindallo, suo fratello, accorse alle
sue grida. Ma giunto nel punto stesso da un'altra parte lo sposo
Armiro, e volendo scoccar 1'arco contro di Erath, colpi inaweduta-
mente Arindallo. Poscia salito sul legno per salvar la sua Daura,
resto miseramente affogato dalla tempesta: e Daura, spettatrice
d'una si atroce tragedia, mori di dolore.2
i. Dalle Operey iv, pp. 219-40. 2. Segue in i : « II poema e interamente li-
rico, ed ha una gran varieta di versificazione. L'invocazione alia Stella not-
turna, con cui si apre, ha tutta Fannonia che i numeri possono dare; e i versi
scorrono con quella delicata soavita che inspira una scena cosi piacevole
della natura».
248 MELCHIORRE CESAROTTI
Stella maggior della cadente notte,
deh come bella in occidente splendi!
e come bella la chiomata fronte
mostri fuor delle nubi, e maestosa
poggi sopra il tuo colle! E che mai guati 5
nella pianura ? I tempestosi venti
di gia son cheti, e 'I rapido torrente
s'ode soltanto strepitar da lungi,
che con 1'onde sonanti ascende e copre
lontane rupi: gia i notturni insetti 10
sospesi stanno in su le debili ale,
e di grato susurro empiono i campi.
E che mai guati, o graziosa Stella?
Ma tu parti e sorridi; ad incontrarti
corron Tonde festose, e bagnan liete 15
la tua chioma lucente. Addio, soave
tacito raggio: ah disfavilli omai
neH'alma d'Ossian la serena luce!
Ecco gia sorge, ecco s'awiva; io veggo
gli amici estinti. II lor congresso e in Lora, 20
come un tempo gia fu; Fingal sen viene
ad acquosa colonna somigliante
di densa nebbia che sul lago avanza.
Gli fan cerchio gli eroi: vedi con esso
i gran figli del canto, Ullin canuto 25
e Rino il maestoso, e '1 dolce Alpino
dalParmonica voce, e di Minona
i. Parla alia Stella di Espero (C.). 1-5. Stella . . . colle!: cfr. Leopardi,
Ultimo canto di Saffo, i -4 : « Placida notte, e verecondo raggio / della ca
dente luna ; e tu che spunti / fra la tacita selva in su la rupe, / nunzio del
giorno», e anche Tinizio delle Ricordanze: ccVaghe stelle dell'Orsa»,
22-3 . ad acquosa . . . avanza : questa somiglianza non nguarda Fmgal vivo,
ma Tapparizione della di lui ombra che la fantasia esaltata del poeta gli fa
immaginar di vedere (C.). 26. Alpino ha la stessa radice che Albione, o
piuttosto Albino, antico nome della Brettagna. Alp, «paese montuoso » (C.).
27. Minona; sembra da ci6 che le donne fossero ammesse nell'ordine dei
bardi. Esse doveano certo esser particolarmente ammaestrate nella musica,
poiche Ossian non parla quasi mai d'una donna senza attnbmrle un'ar-
monia distinta di voce (C.).
POESIE DI OSSIAN • I CANTI DI SELMA 249
il soave lamento. Oh quanto, amici,
cangiati siete dal buon tempo antico
del convito di Selma! allor che insieme 30
faceam con canto graziose gare;
siccome i venticelli a primavera,
che volando sul colle alternamente
piegan Terbetta dal dolce susurro.
Suonami ancora nella memoria il canto, 35
ricordanza soave. Usci Minona,
Minona adorna di tutta beltade;
ma il guardo ha basso e lagrimoso il ciglio,
e lento lento le volava il crine
sopra Tauretta, che bufFando a scosse 40
uscia del colle. Degli eroi nell'alma
scese grave tristezza, allor che sciolse
la cara voce: che di Salgar vista
spesso aveano la tomba e '1 tenebroso
letto di Colma dal candido seno. 45
Colma sola sedea su la collina
con la musica voce; a lei venirne
Salgar promise; ella attendealo, e intanto
giu dai monti cadea la notte bruna.
Gia Minona incomincia: udite Colma, 50
quando sola sedea su la collina:
COLMA
— £ notte: io siedo abbandonata e sola
sul tempestoso colle: il vento freme
sulla montagna, e romoreggia il rivo
giu dalle rocce, ne capanna io veggo 55
che dalla pioggia mi ricovri: ahi lassal
28. il soave lamento: Minona dotata di voce soavemente lamentevole (C.).
36. Usci Minona: Ossian introduce Minona non nella scena ideale della sua
immaginazione, dianzi descritta, ma in un annuo convito di Selma, ove i
bardi recitavano le loro opere in presenza di Fingal (M.). 43-5- che • • •
seno : la storia di Salgar e Colma doveva esser il soggetto del suo canto (C.)-
50. udite Colma: cioe, udite il canto che Minona mette in bocca di Col
ma (C.)-
250 MELCHIORRE CESAROTTI
che far mai deggio abbandonata e sola
sopra il colle dej venti? Luna, o luna,
spunta dalle tue nubi, uscite, o voi
astri notturni, e coH'amico lume 60
me conducete ove il mio amor riposa,
dalle fatiche della caccia stanco.
Parmi vederlo: Farco suo non teso
giacegli accanto, ed i seguaci cani
gli anelano alPintorno: ed io qui sola 65
senza lui deggio starmi appo la rupe
deH'umido ruscel ? Susurra il vento,
freme il ruscel, ne posso udir la voce
dell'amor mio. Salgar mio ben, che tardi
la promessa a compir? Talbero e questo, 70
questa e la rupe e '1 mormorante rivo.
Tu mi giurasti pur che con la notte
a me verresti: ove se' ito mai,
amor mio dolce? ah con che gioia adesso
1'ira del padre e del fratel Torgoglio 75
fuggirei teco! Lungo tempo insieme
furon nemiche le famiglie nostre;
ma noi, caro, ma noi non siam nemici.
Cessa, o vento, per poco, e tu per poco
taci, o garrulo rio: lascia che s'oda 80
la voce mia, lascia che m'oda il mio
Salgar errante : o Salgar mio, rispondi,
chiamati Colma tua: Talbero e questo,
questa e la rupe: o mia diletta speme,
son io, son qui : perch6 a venir sei lento ? 85
Ecco sorge la luna, e ripercossa
Fonda risplende, le pendici alpine
70-1. I'albero . . . rivo: questo e 1'albero e questa la rupe ove mi ordinasti
di venire ad aspettarti (C.). 74-6. adesso . . . teco: le parole precise del-
1'originale nella lingua e colla puntuazione del traduttore inglese sono le
seguenti : « with thee I would fly, my father, with thee my brother of pride ».
Parmi visibile che la puntuazione e sbaghata. II testo non pu6 aver che il
senso che gh ho dato, e cosl spiega anche il Le Tourneur (C.). I e u: « ades
so / fuggirei teco! tu fratel, tu padre, / tu mi sei tutto».
POESIE DI OSSIAN • I CANTI DI SELMA 251
gia si tingon d'azzurro, e lui non miro;
ne de' suoi fidi cani odo il latrato
forier della venuta: afflitta e sola 90
deggio seder. Ma che vegg'io ? chi sono
que' duo cola sopra quelFalta vetta?
son forse il mio fratello e Tamor mio ?
Parlate, amici miei: nissun risponde,
freddo timor Talma mi stringe. Oime! 95
essi son morti; dalla zuffa io veggo
le spade a rosseggiar. Salgar, fratello,
crudeli! ah mio fratello, e perche mai
Salgar mio m'uccidesti ? Ah Salgar mio,
perche m'hai dunque il mio fratello ucciso ? 100
cari entrambi al mio cor, che dir mai posso
degno di voi ? tu fra mill'anni, o Salgar,
bello su la collina, e tu fra mille
terribile, o fratel, nella battaglia.
Parlate, o cari, la mia voce udite, 105
figli dell'amor mio: lassa! son muti;
muti per sempre, e son lor petti un gelo.
Ah per pieta dalla collina ombrosa,
ah dalla cima delPalpestre rupe,
parlate, ombre dilette, a me parlate: no
non temer6: dove n'andaste, o cari,
a riposarvi? in qual petrosa grotta
trovero i cari spirti? Alcun non m'ode;
ne pur si sente una fiochetta voce
volar per Faere, che s'affoga e sperde 115
fra le tempeste del ventoso colle.
101-2. che. . . voi?: il dir tosto qualche cosa in lode d'un morto era pei Ca-
ledoni lo stesso ch'e a noi il recitar le preci religiose all'ombra d'un tra-
passato (C.). 107. son . . .gelo: 1'originale: afreddi sono i lor petti di
creta». Sara questa la creta fina che si usava nelle sepolture; e il poeta in-
tendera con ci6 di spiegar la candidezza e la finezza della lor carnagione.
Ma questa creta appresso di noi non rappresenta che 1'idea d'una pen-
tola (C.). 112-3. in Qual • • • spirti?: I'origmale ha: «in qual grotta del colle
trover6 voi ? » Ma e chiaro che qui si parla dei loro spiriti, poiche quanto al
luogo ove riposavano i corpi, non avea bisogno di domandarlo (C.);
spirti: i: «corpi».
252 MELCHIORRE CESAROTTI
Misera! io siedo nel mio duolo immersa
fra le lagrime mie, fra i miei sospiri,
ed attendo il mattino. Alzate, amici,
la mesta tomba agl'infelici estinti, 120
ma non la chiudan le pietose mani,
finche" Colma non vien ; via la mia vita
fugge qual sogno : a die restarne indietro ?
Qui poserommi a' miei diletti accanto,
lungo il ruscel della sonante rupe. 125
Quando sul colle stendera la notte
le negre penne, quando il vento tace
su Terte cime, andra '1 mio spirto errando
per I'amato aere, e dolorosamente
pianger6 i miei diletti: udra dal fondo 130
della capanna la lugubre voce
il cacciator smarrito, e ad un sol tempo
e temenza e dolcezza andragli al core;
ch6 dolcemente la mia flebil voce
si lagnera sopra gli estinti amici, 135
del paro entrambi a lo mio cor si cari. —
Cosi cantasti, o figlia di Tormante,
gentil Minona dal dolce rossore.
Sparse per Colma ognun lagrime amare,
e Tanime assali dolce tristezza. 140
Ullin venne con 1'arpa, ed a noi diede
d'Alpino il canto. Era ad udir gioconda
d'Alpin la voce, e Talma era di Rino
raggio di foco, ma da lungo tempo
117-9. io siedo . . . mattino: cfr. Leopardi, Le ncordanse, 53-5*- «nella buia
stanza / per assidui terrori io vigilava / sospirando il mattin». 124. pose
rommi: I : « sederommi ». 128. andra . . . errando : cfr. Foscolo, Sepolcri, 43 :
« errar vede il suo spirto ». 135. gli estinti amid: cfr. Foscolo, Sepolcri, 32 :
«per lei si vive con 1'amico estinto». 137. Tormante: Torman, figlio di
Carthul signer d'Imora, una dell'isole occidentali. Egli era padre di Mi
nona e di Morar, di cui si parla ben tosto (M.). 141-2. Ullin . . . canto:
cioe Ullino cant6 sull'arpa una canzone da lui composta, nella quale s' in
troduce Alpino, cantor gia morto, a far Telogio funebre di Morar (C.).
143. Rino: altro bardo gi& morto, di cui si par!6 in altri poemi (C.).
POESIE DI OSSIAN • I CANTI DI SELMA 253
giaceano entrambi nell'angusta casa, 145
ne piu sonava la lor voce in Selma.
Tornava un giorno dalla caccia Ullino
pria che fossero spenti, ed ei gl'intese
dalla collina. Dolce si, ma mesto
era il lor canto : essi piangean la morte 150
del gran Moradde, tra' mortal! il primo.
Ei Talma all'alma di Fingallo, e '1 brando
aveva, Oscar, mio figlio, al tuo simile.
Pure anch'egli cadeo: piansene il padre,
e fur pieni di lagrime i begli occhi 155
della sorella, di Minona gli occhi,
sorella sua, di lagrime fur pieni.
Ella al canto d'Ullin ritorse il volto,
ne voile udirlo: tal la bianca luna,
qualor pressente la vicina pioggia, 160
tra nubi asconde la polita fronte.
lo toccai Tarpa accompagnando Ullino,
e incominciammo la canzon del pianto:
RING
— Gia tace il vento, ed il meriggio e cheto,
cess6 la pioggia, diradate e sparse 165
erran le nubi; per le verdi cime
lucido in sua volubile camera
si spazia il sole, e giu trascorre il rivo
rapido via per la sassosa valle.
Dolce mormori, o rio; ma voce ascolto 170
di te piu dolce, ella e d'Alpin la voce,
figlio del canto, che gli estinti piagne.
Veggo 1'annoso capo a terra chino,
e lagrimoso gli rosseggia il guardo.
Alpin, figlio del canto, onde si solo 175
su la muta collina? a che ti lagni,
145. nelVangusta casa: nella tomba. 151. Moradde: di questo eroe non si
trova presso Ossian altra menzione che questa (C.)- 164-9. Gia tace . . .
valle: cfr. Tinizio della leopardiana Quiete dopo la tempesta.
254 MELCHIORRE CESAROTTI
come nel bosco venticello, o come
su la deserta spiaggia onda marina?
ALPINO
— Queste lagrime mie sgorgano, o Rino,
pel prodi estinti, e la mia voce e sacra 180
agli abitanti della tomba. Grande
sei tu sul colle, e bello sei tra i figli
della pianura; ma cadrai tu stesso
come Moradde, e sulla tomba avrai
pianti e singulti: a questi colli ignoto 185
sarai per sempre, e inoperoso Parco
dalle pareti pendera non teso.
Tu veloce, o Morad, com'agil cervo
sul colle, tu terribile in battaglia
come vapor focoso : era il tuo sdegno 190
turbine, e '1 brando tuo folgor ne' campi.
Gonfio torrente in rovinosa pioggia
parea tua voce, o tra lontane rupi
tuon che rimbomba ripercosso: molti
cadder pel braccio tuo, consunti e spersi 195
del tuo furor nelle voraci fiamme.
Ma cessato il furor, deposte Tarmi,
come dolce e sereno era il tuo ciglio!
Sol dopo pioggia somigliavi al volto;
oppur di luna grazioso raggio 200
per la tacita notte, o, cheto il vento,
placida limpidissima laguna.
Angusto e ora il tuo soggiorno; oscuro
di tua dimora il luogo, e con tre passi
la tua tomba misuro, o pria si grande. 205
Son quattro pietre la memoria sola
che di te resta, e un arboscel gia privo
delPonor delle foglie, e la lungh'erba
che fischia incontro '1 vento, addita al guardo
192. pioggia: i: «piaggia». 195. pel: i: «dal». 200. di luna grazioso rag-
gio: cfr. Leopardi, Alia luna, i: «graziosa luna».
POESIE DI OSSIAN • I CANTI DI SELMA 255
del cacciator, del gran Morad la tomba. 210
Tu se' umile, o Morad; tu non hai madre
che ti compianga, o giovinetta sposa
che d'amorose lagrime t'asperga.
Spenta e colei che ti die vita, e cadde
di Morglano la figlia. E quale e questo 215
che curvo pende sul baston nodoso?
chi e quest'uom che ha si canuto il capo,
tremulo passo e rosseggiante sguardo?
Moradde, egli e tuo padre, ahi! Porbo padre
non d'altri figli che di te. Ben egli 220
udi '1 tuo nome nelle pugne, intese
de' nemici la fuga, intese il nome
del suo Morad; perche non anco intese
la^sua ferita? Piangi, o padre, piangi
il figlio tuo; ma il figlio tuo sotterra 225
non t'ode piu: forte 6 de' morti il sonno,
e basso giace il lor guancial di polve.
Tu non udrai la voce sua, ne questi
risveglierassi di tua voce al suono.
E quando fia che sulla tomba splenda 230
giorno che desti addormentato spirto?
Addio, piu forte de' mortali, addio,
conquistator nel campo; or non piu '1 campo
ti rivedra, ne piu 1'oscuro bosco
risplendera dal folgorante acciaro. 235
Prole non hai, ma fia custode il canto
del nome tuo; Peta future udranno
parlar di te, vivra Moradde estinto
nell'altrui bocche, e via di figlio in figlio
tramanderassi Tonorato nome. — 240
Tutti gemean, ma sovra ogn'altro Armino
a cotai voci, che nel cor si sveglia
215. di Morglano la figlia: evidentemente la sposa di Morad. 226. forte
. . . sonno : « Olli dura quies oculos et ferreus urget / somnus » [« Una dura
quiete e un ferreo sonno gli preme gli occhi»], Virg., [Aen., x, 745-6], C.
241. Armino: questi era capo o regolo di Gorma, cioe «isola azzurra»,
che si crede esser una delPEbridi (M.)-
256 MELCHIORRE CESAROTTI
la rimembranza dell'acerba morte
deirinfelice figlio, il qual cadeo
nei di di giovinezza. A lui dappresso 245
sedea Cram6r, di Gamala echeggiante
Cramoro il sire. — E perche mai — diss'egli
— sulle labbra d' Armin spunta il sospiro ?
ecci cagion di lutto ? Amabil canto
Tanima intenerisce e riconforta: 250
simile a dolce nebbia mattutina
che s'inalza dal lago, e per la muta
valle si stende, ed i fioretti e 1'erbe
sparge di soavissima rugiada;
ma il sol s'inforza, e via la nebbia sgombra. 255
O reggitor di Gorma ondi-cerchiata,
perche si mesto ?
ARMING
— Mesto son, ne lieve
e la cagion di mia tristezza. Amico,
tu non perdesti valoroso figlio,
ne figlia di belta. Colgar, il prode 260
tuo figlio, e vivo, ed e pur viva Annira,
vaga pulcella. Rigogliosi e verdi
sono, o Cram6ro, di tua stirpe i rami;
ma della schiatta sua Tultimo e Armino.
Daura, oscuro e '1 tuo letto, o Daura, forte 265
e '1 sonno tuo dentro la tomba: e quando
ti svegHerai con la tua amabil voce
a consolar Taddolorato spirto ?
Oh sorgete, soffiate impetuosi,
venti d'autunno, su la negra vetta; 270
nembi, o nembi, affollatevi, crollate
Tannose querce; tu, torrente, muggi
per la montagna, e tu passeggia, o luna,
pel torbid'aere, e fuor tra nube e nube
265. Daura: si rivolge alia figlia morta (C.).
POESIE DI OSSIAN • I CANTI DI SELMA 257
mostra pallido raggio, e rinnovella 275
alia mia mente la memoria amara
di quell' amara notte, in cui perdei
i figli miei diletti, in cui cadero
il possente Arindal, Tamabil Daura.
O Daura, o figlia, eri tu bella, bella 280
come la luna sul colle di Fura,
bianca di neve e piu che auretta dolce.
Forte, Arindallo, era il tuo arco, e Tasta
veloce in campo; era a vapor sull'onda
simil Tirato sguardo, e negra nube 285
parea lo scudo in procelloso nembo.
Sen venne Armiro il bellicoso, e chiese
Famor di Daura, ne resto sospeso
lungo tempo il suo voto, e degli amici
bella e gioconda rifioria la speme. 290
Fremette Erasto, che il fratello ucciso
aveagli Armiro, e medito vendetta.
Cangio sembianze, e ci comparve innanzi
come un flglio dell'onda: era a vedersi
bello il suo schifo; la sua chioma antica 295
gli cadea su le spalle in bianca lista;
avea grave il parlar, placido il ciglio.
« O piu vezzosa tra le donne, » ei disse
«bella figlia d'Armin, di qua non lunge
sporge rupe nel mar, che sopra il dorso 300
porta arbuscel di rosseggianti frutta.
Ivi t'attende Armiro; ed io men venni
per condurgli il suo amor sul mare ondoso».
Crede Daura, ed ando : chiama, non sente
che il figlio della rupe: «Armir, mia vita, 305
amor mio, dove sei? per che mi struggi
287. Armiro: Armar (C.). 291. Erasto: Erath, figlio di Odgal (C.).
294. come . . . onda: come un nocchiero (C.)- 305. il figlio della rupe: Peco.
Era opinione del volgo che questa repetizione del suono provenisse da uno
spirito che stava dentro la rupe. Percio 1'eco era dai Caledoni detta mac-tal-
la, vale a dire «il figlio che abita nella roccia». La rnitologia nellaprima
epoca fu la fisica delle nazioni, e questa fisica fu sempre a un di presso la
17
258 MELCHIORRE CESAROTTI
di tema il core ? o d'Adanarto figlio,
odi, Daura ti chiama». A queste voci,
fugginne a terra il traditore Erasto
con ghigno amaro. Essa la voce inalza, 310
chiama il fratello, chiama il padre: «Armino
padre, Arindallo, alcun non m'ode? alcuno
non porge aita all'infelice Daura ?»
Passo il mar la sua voce; odela il figlio.
Scende dal colle frettoloso, e rozzo 315
in cacciatrici spoglie; appesi al fianco
strepitavano i dardi, in mano ha Parco,
e cinque cani ne seguian la traccia.
Trova Erasto sul lido, a lui s'awenta
e Tannoda a una quercia; ei fende invano 320
Taria di strida. Sovra il mar sul legno
balza Arindallo, e vola a Daura. Armiro
giunge in quel punto furibondo, e 1'arco
scocca; fischia lo strale, e nel tuo core,
figlio Arindallo, nel tuo cor s'infigge. 325
Tu moristi, infelice, e di tua morte
ne fu cagion lo scellerato Erasto.
S'arresta a mezzo il remo; ei su lo scoglio
cade rovescio, si dibatte, e spira.
Qual fu, Daura, il tuo duol, quando mirasti 330
sparso a' tuoi piedi del fratello il sangue
per la man dello sposo? il flutto incalza,
spezzasi il legno; Armiro in mar si scaglia
per salvar Daura, o per morir; ma un nembo
spicca dal monte rovinoso, e sbalza 335
sul mar; volvesi Armir, piomba, e non sorge.
Sola dal mar su la percossa rupe
senza soccorso stava Daura, ed io
stessa (C.). Per questo concetto cfr. Vico, La scienza nuova, in Opere, a
cura di F. Nicolini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1953, pp. 684-6. 307. d'A
danarto figlio-. Armino, sposo di Daura (C.). 314. il figlio : Arindallo, fi
glio di Armino, che parla, e fratello di Daura. 325. Convien supporre o
che Arindallo fosse poco discosto da Erasto, e che Armiro pieno d'agita-
zione colpisse involontariamente 1'uno per Taltro: o che questo, accecato
dalla passione, prendesse Arindatlo per Erasto medesimo (C.).
POESIE DI OSSIAN • I CANTI DI SELMA 259
ne sentia le querele; alte e frequent!
eran sue strida; I'infelice padre 340
non potea darle aita. lo tutta notte
stetti sul lido, e la scorgeva a un fioco
raggio di luna; tutta notte intesi
1 suoi lament! : strepitava il vento,
cadea a scrosci la pioggia. In sul mattino 345
infiochi la sua voce, e a poco a poco
s'ando spegnendo, come suol tra Ferbe
talor del monte la nofturna auretta.
Alfin, gia vinta da stanchezza e duolo,
cadde spirando, e te, misero Armino, 350
lascio perduto ; ahi, tra le donne e spenta
la mia baldanza e la mia possa in guerra.
Quando il settentrion 1'onde solleva,
quando sul monte la tempesta mugge,
vado a seder sopra la spiaggia, e guardo 355
la fatal roccia: spaziar li miro
mezzo nascosti tra le nubi, insieme
dolce parlando. «Una parola, o figH,
pieta, figli, pieta !» Passan, ne '1 padre
degnan d'un guardo. Si, Cramor, son mesto, 360
ne leve e la cagion del mio cordoglio. —
Si fatte usciano dei cantor le voci
nei di del canto, allor che il re festoso
porgeva orecchio alParmonia dell'arpa,
e udia le gesta degli antichi tempi. 365
Da tutti i colli v'accorreano i duci
vaghi del canto e n'avea plauso e lodi
di Cona il buon cantor, primo tra mille;
ma siede ora 1'eta sulla mia lingua,
e vien manco la lena. Odo talvolta 370
358-9. « Una parola . . . pieta! » : P originate : « nissuno di voi parlera con pieta,
o per pieta ?», owero «nissun di voi col parlarmi mostrera d'aver pieta di
me?» (C.). 359-60. Passan . . . guardo: cosi dovea sembrar ad Armino,
perch* egli avea qualche rimorso di non aver dato soccorso alia figlia (C.)-
368. il buon cantor: Ossian (C.).
260 MELCHIORRE CESAROTTI
gli spirti de' poeti, ed i soavi
modi ne apprendo, ma vacilla e manca
alia mente memoria; ho gia dappresso
la chiamata degli anni, ed io gl'intendo
Tun contro Taltro bisbigliar passando: 375
— Perche canta costui ? Sara fra poco
nella picciola casa; e alcun non fia
che col suo canto ne rawivi il nome. —
Scorrete, anni di tenebre, scorrete,
che gioia non mi reca il corso vostro. 380
S'apra ad Ossian la tomba, or che gli manca
Tantica lena: gia del canto i figli
riposan tutti: mormorar s'ascolta
sol la mia voce, come roco e lento
mugghio di rupe che dall'onde e cinta, 385
quando il vento cess6: la marina erba
cola susurra, ed il nocchier da lunge
gli alberi addita e la vicina terra.
371. gli spirti de' poeti: gia morti: i canti delle loro ombre (C.). 377. pic-
oiola casa: la tomba. 377-8. alcun. . . tl nome: Ossian fa spesso inten-
dere d'esser egli stato 1'ultimo de' guernen, non meno che de' canton
illustri della sua schiatta (C ).
LA NOTTE*
I CANTORE
Trista e la notte, tenebria s'aduna,
tingesi il cielo di color di morte:
qui non si vede ne Stella ne luna,
che metta il capo fuor delle sue porte.
Torbido e Jl lago, e minaccia fortuna; 5
odo il vento nel bosco a ruggir forte:
giu dalla balza va scorrendo il rio
con roco lamentevol mormorio.
Su quelPalber cola, sopra quel tufo,
che copre quella pietra sepolcrale, 10
il lungo-urlante ed inamabil gufo
1'aer funesta col canto ferale.
Ve' ve':
fosca forma la piaggia adombra:
quella e un'ombra: 15
striscia, sibila, vola via.
Per questa via
tosto passar dovra persona morta:
quella meteora de' suoi passi e scorta.
II can dalla capanna ulula e freme, 20
* In piii d'un luogo di queste poesie, e segnatamente nel poemetto di Cro-
ma, al v. 191 [cfr. Opere, IV, p. 162], si fa menzione di canti fatti alTim-
prowiso. Furono questi tenuti in grandissimo pregio dai bardi dei tempi
susseguenti. Cio che ci riman di quel genere mostra piuttosto il buon orec-
chio che il genio poetico degh autori. II traduttore inglese non ha incontra-
to che una sola di queste composizioni che meriti dosser conservata, ed e
per Fappunto la presente. Ella e di mille anni piii recente del secolo di
Ossian, ma sembra che gli autori si sieno studiati d'imitar lo stile di questo
poeta, e di adottarne molte espressioni. Eccone il soggetto. Cinque bardi, o
cantori, passando la notte in casa d'un signore, o capo di tribu, il quale era
anch'esso poeta, uscirono a far le loro osservazioni sopra la notte, e ciasche-
duno ritorn6 con una improwisa descrizione della medesima. La notte de-
scritta e nel mese d'ottobre, e nel nord della Scozia elTha veramente tutta
quella varieta che i cantori le attribuiscono (C.)- Dalle Opere, iv, pp, 365-
78. Contrariamente a quanto afferma rOrtolani, questo poemetto fu pub-
blicato per la prima volta gia nell'edizione 1762, e precisamente nella
osservazione finale del poemetto Croma.
262 MELCHIORRE CESAROTTI
il cervo geme - sul musco del monte,
1'arborea fronte-il vento gli percote;
spesso ei si scuote - e si ricorca spesso.
Entro d'un fesso - il cavriol s'acquatta,
tra Tale appiatta - il francolin la testa. 25
Teme tempesta - ogni uccello, ogni belva,
ciascun s'inselva-e sbucar non ardisce;
solo stridisce - entro una nube ascoso
gufo odioso;
e la volpe cola da quella pianta 3°
brulla di fronde
con orrid'urli a' suoi strilli risponde.
Palpitante, ansante, tremante
il peregrin
va per sterpi, per bronchi, per spine, 35
per rovine,
che ha smarrito il suo cammin.
Palude di qua,
dirupi di la,
teme i sassi, teme le grotte, 40
teme Tomb re della notte,
lungo il ruscello incespicando,
brancolando,
ei strascina Pincerto suo pie.
Fiaccasi or questa or quella pianta, 45
il sasso rotola, il ramo si schianta,
Paride lappole strascica il vento;
ecco un'ombra, la veggo, la sento:
trema di tutto, ne sa di che.
Notte pregna di nembi e di venti, 50
notte gravida d'urli e spaventi!
LJ ombre mi volano a fronte e a tergo:
aprimi, amico, il tuo notturno albergo.
25. francolin: uccello selvatico. 3 3 -44. Palpitante . . .pie: si pu6 notare
qualche rispondenza fra questi versi e la strofa del « vecchierello » del
Canto notturno leopardiano. 47. lappole: erbe secche.
POESIE DI OSSIAN • LA NOTTE 263
II CANTORE
Sbuffa '1 vento, la pioggia precipitasi,
atri spirti gia strillano ed ululano, 55
svelti i boschi dall'alto si rotolano,
le fenestre pel colpi si stritolano.
Rugghia il flume che torbido ingrossa:
vuol varcarlo e non ha possa
Taffannato viator. 60
Udiste quello stride lamentevole ?
Egli e travolto, ei muor.
La ventosa orrenda procella
schianta i boschi, i sassi sfracella:
gia Pacqua straripa, 65
si sfascia la ripa;
tutto in un fascio la capra belante,
la vacca mugghiante,
la mansueta e la vorace fera
porta la rapidissima bufera. 7°
Nella capanna il cacciator si desta,
solleva la testa,
stordito awiva il fuoco spento: intorno
fumanti
stillanti 75
stangli i suoi veltri; egli di scope i spessi
fessi riempie, e con terrore ascolta
due gonfi rivi minacciar vicina
alia capanna sua strage e rovina.
La sul franco di ripida rupe 80
sta tremante - Terrante pastor.
Una pianta sul capo risuona,
57. le fenestre . . . stritolano: questo e uno di quei vari tratti di questi canti
dai quali il Macpherson e il Blair conchiudono che questo poema sia po-
steriore di piu secoli ai tempi di Ossian. Le finestre nel secolo di quel poeta
erano un capo di lusso incognito ai Caledoni. lo osserver6 soltanto che
dopo i boschi rovesciati lo sbattimento delle finestre, come sta nel testo,
e troppo picciola cosa per far onore a questa burrasca. lo volli almeno che
le finestre fossero stritolate piuttosto che sbattute o peste (C.)-
264 MELCHIORRE CESAROTTI
e 1'orecchio gli assorda e rintrona
il torrente col roco fragor.
Egli attende la lima, 85
la luna che risorga,
e alia capanna co' suoi rai lo scorga.
In tal notte atra e funesta
sopra il turbo e la tempesta,
sopra neri nugoloni, 90
vanno Tomb re a cavalcioni.
Pur e giocondo
il lor canto sul vento:
che d'altro mondo
vien quel novo concento. 95
Ma gia cessa la pioggia: odi che soffia
1'asciutto vento, 1'onde
si diguazzano ancora, ancor le porte
sbattono: a mille a mille
cadon gelate stille 100
da quel tetto e da questo. Oh! oh! pur veggo
stellato il cielo: ah che di nuovo intorno
si raccoglie la pioggia; ah che di nuovo
Toccidente s'abbuia.
Tetra e la notte e buia, 105
Faer di nembi e pregno :
ricevetemi, amici, a voi ne vegno.
Ill CANTORE
Pur il vento imperversa, e pur ei strepita
tra 1'erbe della rupe: abeti svolvonsi
dalle radici, e la capanna schiantasi. no
Volan per 1'aria le spezzate nuvole,
le rosse stelle ad or ad or traspaiono;
nunzia di morte 1'orrida meteor a
fende co' raggi Taddensate tenebre.
Ecco posa sul monte: io veggo Tispida 115
vetta del giogo dirupato, e Parida
felce rawiso e Tatterrata quercia.
POESIE DI OSSIAN • LA NOTTE 265
Ma chi e quel cola sotto quell'albero,
prosteso in riva al lago
colle vesti di morte? 120
L'onda si sbatte forte
sulla scogliosa ripa, e d'acqua carca
la piccioletta barca,
vanno e vengono i remi
trasportati dalPonda 125
ch'erra di scoglio in scoglio: oh! su quel sasso
non siede una donzella?
Che fia? L'onda rotante
rimira,
sospira 130
misero Pamor suo! misero amante!
Ei di venir promise,
ella adocchio la barca,
mentre il lago era chiaro: — Oh me dolente!
oime questo e Jl suo legno! 135
oime questi i suoi remi!
questi sul vento i suoi sospiri estremi! —
Ma gia s'appresta
nuova tempesta;
neve in ciocca 140
fiocca, fiocca;
biancheggiano dei monti e cime e fianchi;
sono i venti gia stanchi,
ma punge 1'aria ed e rigido il cielo:
accoglietemi, amici, io son di gelo. 145
IV CANTORE
Vedi notte serena, lucente,
pura, azzurra, stellata, ridente;
i venti fuggiro,
le nubi svaniro,
si fan gli arboscelli 150
140. in ciocca: con grande abbondanza.
266 MELCHIORRE CESAROTTI
piu verdi e piu belli;
gorgogliano i rivi
piu freschi e piu vivi;
scintilla alia luna
la tersa laguna. i55
Vedi notte serena, lucente,
pura, azzurra, stellata, ridente.
Veggo le piante rovesciate, veggo
i covoni che il vento - aggira e scioglie,
ed il cultor che intento 160
si curva e li raccoglie.
Chi vien dalle porte
oscure di morte
con pie pellegrin?
Chi vien cosi leve 165
con vesta di neve,
con candide braccia,
vermiglia la faccia,
brunetta il bel crin ?
Questa e la figlia del signer si bella, 170
che pocanzi cadeo nel suo bel fiore:
deh t'accosta, t'accosta, o verginella,
lasciati vagheggiar, viso d'amore.
Ma gia si move il vento, e la dilegua;
e vano e che cogli occhi altri la segua. 175
I venticelli spingono
per la valle ristretta
la vaga nuvoletta:
ella poggiando va:
finche ricopre il cielo 180
d'un candidetto velo,
che piu leggiadro il fa.
Vedi notte, serena, lucente,
pura, azzurra, stellata, ridente.
Bella notte, piu gaia del giorno : 185
addio, statevi, amici, io non ritorno.
162. II cantore, vedendo una nuvola variamente colorata che in qualche
guisa raffigurava una donna, crede, o finge di credere, secondo 1'opinion
di que' tempi, che questa sia la figlia del suo signore (C.).
POESIE DI OSSIAN • LA NOTTE 267
V CANTORE
La notte e cheta, ma spira spavento;
la luna e mezzo tra le nubi ascosa:
moves! il raggio pallido e va lento ;
s'ode da lungi Tonda romorosa. 190
Mezza notte varc6, die '1 gallo io sento:
la buona moglie s'alza frettolosa,
e brancolando pel buio s'apprende
alia parete, e '1 suo foco raccende.
II cacciator, che gia crede il mattino, 195
chiama i suoi fidi cani, e piu non bada;
poggia sul colle e fischia per cammino:
colpo di vento la nube dirada;
ei lo stellato aratro a se vicino
vede, che fende la cerulea strada: 200
— Oh, — dice— egli e per tempo, ancora annotta.—
E s'addormenta sull'erbosa grotta.
Odi, odi:
corre pel bosco il turbine,
e nella valle mormora 205
un suon lugubre e stridulo :
quest 'e la formidabile
armata degli spiriti,
che tornano dairaria.
Dietro il monte si cela la luna 210
mezzo pallida e mezzo bruna:
scappa un raggio e luccica ancora,
e un po' poj le vette colora:
lunga dagli alberi scende Tombra,
tutto abbuia, tutto s'adombra, 215
tutto e orrido e pien di morte:
amico, ah! non tardar, schiudi le porte.
199. lo stellato aratro : la costellazione dell'Orsa maggiore; rinunagine risale
probabilmente alTAriosto (Or/. fur.y xx, 82).
268 MELCHIORRE CESAROTTI
IL SIGNORE
Sia pur tetra la notte, ululi e strida
per pioggia o per procella,
senza luna ne Stella; 22°
volino 1' ombre, e '1 peregrin ne tremi,
imperversino i venti,
rovinino i torrenti, errino intorno
verdi-alate meteore; oppur la notte
esca dalle sue grotte 22s
coronata di stelle, e senza velo
rida limpido il cielo;
e lo stesso per me: 1'ombra sen fugge
dinanzi al vivo mattutino raggio,
quando sgorga dal monte, 230
e fuor dalle sue nubi
riede gioioso il giovinetto giorno:
sol Tuorn, come passo, non fa ritorno.
Ove son ora, o vati,
i duel antichi? ove i famosi regi? 235
Gia della gloria lor passaro i lampi.
Sconosciuti, obliati
giaccion coi nomi lor, coi fatti egregi,
e muti son delle lor pugne i campi.
Rado awien ch'orma stampi 240
il cacciator sulle muscose tombe,
mal noti avanzi degli eccelsi eroi.
Si passerem pur noi; profondo oblio
c'involvera: cadra prostesa alfme
questa magion superba, 245
e i figli nostri tra F arena e Ferba
piu non rawiseran le sue rovine.
E domandando andranno
234-9. Ove . . . campi'. cfr. Leopard! , La sera del di di festa, 33-9: «Or
dov'e il suono / di que' popoli antichi ? or dov'e il grido / de* nostri avi
famosi ? . . . / Tutto e pace e silenzio, e tutto posa / il mondo, e piu di lor
non si ragiona». 242. degli: cosi la I e n edizione; mentre Tedizione pi-
sana ha « dagli ».
POESIE DI OSSIAN - LA NOTTE 369
a quei d'etade e di saper piu gravi:
— Dove sorgean le mura alte degli avi ? — 250
Sciolgansi i cantici,
Tarpa ritocchisi,
le conche girino,
alto sospendansi
ben cento fiaccole; 255
donzelle e giovani
la danza intreccino
al lieto suon.
Cantore accostisi,
il qual raccontimi 26o
le imprese celebri
del re magnanimi,
del duci nobili,
che piu non son.
Cosi passi la notte, 265
finche il mattin le nostre sale irraggi.
Allor sien pronti i destri
giovani della caccia e i card e gli archi.
Noi salirem sul colle, e per le selve
andrem col corno a risvegliar le belve. 270
ELEGIA DI TOMMASO GRAY SOPRA
UN CIMITERO DI CAMPAGNA
Parte languido il giorno; odine il segno
die il cavo bronzo ammonitor del tempo
al consueto rintoccar diffonde.
Va passo passo il mugolante armento
per la piaggia awiandosi: dal solco 5
move alPalbergo Parator traendo
Taffaticato fianco, e lascia il mondo
alle tenebre e a me. Gia scappa al guardo
gradatamente, e piu e piu s'infosca
la faccia della terra, e 1'aer tutto 10
silenzio in cupa maestade ingombra.
Se non che alquanto lo interrompe un basso
ronzar d'insetti e quel che il chiuso gregge
tintinnio soporoso al sonno alletta.
E la pur anco da quelPerma torre, 15
ch'ellera abbarbicata ammanta e stringe,
duolsi alia luna il pensieroso gufo
di quei che al muto suo segreto asilo
d'intorno errando, osan turbare i dritti
del suo vetusto solitario regno. 20
Sotto le fronde di quegli olmi, all'ombra
La Elegy written in a Country Churchyard, pubblicata nel 1750, e il ca-
polavoro di Thomas Gray (1716-1771), uno dei piomeri della nuova sen-
sibilita preromantica, come appare anche da altre sue poesie, ispirate dalle
antiche letterature gallese e scandinave, The Bard, The fatal Sisters, The
Descent of Odin. Tale elegia ebbe subito grandissima fortuna in Europa
e in Italia, dove fu tradotta, oltre che dal Cesarotti, da Giuseppe Torelli,
da Giuseppe Gennari, da Giovanni Costa (in distici latini), e da altri.
Fra tutte la traduzione cesarottiana si distingue non solo per rintrinseco
valore poetico, ma anche per la suggestione che esercito sui poeti roman-
tici (cfr. W. BINNI, Preromanticismo italiano, cit., pp. 249-50), come di-
mostrano per esempio le non rare immagini che verranno riecheggiate
dal Foscolo (cfr. per es. i w. 17, 65-9, 87-8, 134-6, 140-1) e dal Leopardi
(w. 15, 115-7, 143, 155, 158-9, 1 66). La traduzione del Cesarotti venne
pubblicata per la prima volta, insieme con quella del Gennari e del Costa,
a Padova, Comino, 1772, e poi ristampata nelle Opere, xxxin, pp. 331-8,
ristampa a cui si attiene il nostro testo.
1-3. Par te ... diffonde: cfr. Dante, Purg., vm, 5-6: « squilla . . . / che
paia il giorno pianger che si more».
ELEGIA DI TOMMASO GRAY Zji
di quel tasso funebre, ove la zolla
in polverosi tumuli s'inalza,
ciascun riposto in sua ristretta cella,
dormono i padri del villaggio antichi. 25
Voce d'augello annunziator d'albori,
auretta del mattin che incenso olezza,
queruli lai di rondinella amante,
tonar di squilla o rintronar di corno
non gli alzeran dal loro letto umile. 30
Piii per essi non fia che si raccenda
il vampeggiante focolar; per essi
non piu la fida affacendata moglie
discorrera per la capanna, intesa
di scars o cibo ad apprestar ristoro. 35
Non correran festosi i figliuoletti
al ritorno del padre, e balbettando
vezzi indistinti aggrapperansi a prova
sul ginocchio paterno, a c6rre il bacio,
della dolce famiglia invidia e gara. 40
Quante volte cadeo sotto i lor falci
la bionda messe! Tostinata zolla
quante dei loro vomeri taglienti
cesse airimpronta! come lieti al campo
traean cantando gli aggiogati bovi! 45
Come al colpir delle robuste braccia
gemeano i boschi disfrondati e ignudi!
No, della rozza villereccia gente
le pacifiche ed utili fatiche,
le domestiche gioie e '1 fato oscuro 50
non dispregiarlo, Ambizion superba;
ne sdegni il Fasto con sorriso altero
della semplice e bassa Povertade
gli oscuri si ma non macchiati annali.
Pari e di tutti il fato: avito ceppo 55
nella notte de' secoli nascoso,
26-7. Voce . . . olezza: cfr. Dante, Purg., xxiv, 145-6: «E quale annunzia-
trice delli albori, / 1'aura di maggio movesi ed olezza ». 28. queruli . . .
amante: cfr. Dante, Purg., IX, 13-4: «Nell'ora che comincia i tristi lai/
la rondinella presso alia mattina».
272 MELCHIORRE CESAROTTI
' pompa di gloria e di possanza, e quanto
puo ricchezza ottener, donar beltade,
tutto sorprende inevitabil punto,
e ogni via dell'onor guida alia tomba. 60
Vano mortal, non recar loro ad onta
se su i sepolcri lor trofeo non erge
la pomposa Memoria ove per Palte
volte dei tempii ripercossa echeggia
canora laude. Ah Fammirato busto 65
o Purna effigiata al primo albergo
pu6 richiamar lo spirito fugace ?
Pu6 risvegliar la taciturna polve
voce d'onore? o adulatrice lode
il freddo orecchio lusingar di Morte? 7°
Ma die ? negletto in questo angolo oscuro
un cor gia pregno di celeste foco
forse e riposto, e qualche man possente
a regger scettro di fiorito impero
o ad awivar Tarmoniosa cetra, 75
rapitrice deiranime gentili.
Sol non apri Dottrina ai loro sguardi
il suo misterioso ampio volume
delle spoglie del Tempo altero e carco.
La freddolosa Povertade il sacro 80
foco ne sperse, ed inceppo dell'alma
Pagile vividissima corrente;
che molte gemme di serena luce
disfavillanti T ocean rinserra
nelljime grotte, e molti fior son nati 85
a vagamente colorarsi invano
non visti, e profumar Taer solingo
di loro ambrosia genial fragranza.
Questa zolla, chi sa? forse ricopre
rustico Hamdeno, che de' patri campi 90
al picciolo tiranno oppose il petto.
La forse giace inonorato, ignoto
90. Hamdeno: John Hampden (1594-1643), cugino di Cromwell e tenace
oppositore di Carlo I.
ELEGIA DI TOMMASO GRAY 273
Miltone agreste, e Cromoel poc'oltre,
cui non brutto della sua patria il sangue.
Attrar con lingua imperiosa i plausi 95
d'attonito senate, ire, minacce
di tiranni sfidar, bear contrade
coi doni d'uberta, legger negH occhi
d'intenerito popolo confuso
la grata istoria de' suoi fatti egregi 100
vieto la sorte a que' negletti ingegni.
Pur se basso natal rattenne il volo
delle innate virtu, represse ancora
di vizi e di misfatti il germe e Pesca.
Fortunata impotenza a lor non diede 105
per mezzo il sangue farsi varco al trono,
ne di pietade al meschinello in faccia
chiuder le porte, ne affogar le strida
di coscienza roditrice, e '1 foco
delFingenuo pudor spegnersi in petto, no
ne del lusso e del fasto arder sull'are
incenso acceso airapollinea face.
Lungi dal folle vaneggiar del volgo,
dai desiri infiniti e gare insane,
non traviar giammai le innocue genti 115
dal sentier di natura, e per la cheta
della vita mortal solinga valle
tennero un corso tacito e tranquillo.
Or a guardar le fredde ignobili ossa
dalFingiurie del ciel, qui presso eretto 120
di fragil terra un monumento, adorno
di rozze rime e disadatte forme,
dal molle cor del passaggero implora
picciol tributo di sospir pietoso.
I lor nomi, i lor anni, informe scritto 125
d'inerudita Musa, alPombre oscure
servon di fama e d'eleghi dolenti.
127. eleghi: elegie; forse con allusione al fatto che le iscrizioni sepolcrali,
o i versi in elogio dei defunti illustri erano spesso in distici elegiaci
latini.
18
274 MELCHIORRE CESAROTTI
E sparse miri le pareti intorno
di sagrate sentenze a scolpir atte
ne' rozzi petti il gran dover di morte. 130
Poiche chi tutta mai cesse tranquillo
in preda a muta obblivion vorace
questa esistenza travagliosa e cara?
chi del vivido giorno i rai sereni
abbandono senza lasciarsi addietro 135
un suo languente e sospiroso sguardo?
Ama posar su qualche petto amato
1'alma spirante, e i moribondi lumi
chieggono altrui qualche pietosa stilla.
Fuor della tomba ancor grida la voce 140
della natura, e sin nel cener freddo
degli usati desir vivon le fiamme.
Ma tu, che serbi ricordanza e cura
d'obbliati mortali e in questi versi
la lor semplice istoria altrui disveli, 145
che fia di te? Se in queste piagge errando,
pien d'un alto pensier che lo desvia,
qualche spirto romito al tuo conforme
chiede mai del tuo fato, in tali accenti
forse awerra che di lanuta greggia 150
qualche canuto pascitor risponda:
— Spesso il vedemmo alPalbeggiar del giorno
scoter le fresche rugiadose stille
con frettoloso passo, e farsi incontro
sulPerma piaggia a' primi rai del sole. 155
Sotto quel faggio, che in bizzarri scherzi
colle barbe girevoli serpeggia,
sdraiar soleasi trascuratamente
in sul meriggio, muto muto e fiso
li su quelPonda che susurra e passa. 160
Presso quel bosco or con sorrisi amari
gia seco stesso barbottando arcani
fantastici concetti, or s'aggirava
147. un alto . . . desvia: cfr. Petrarca, Rime, CLXIX, i : «un vago pensier che
me desvia / da tutti ».
ELEGIA DI TOMMASO GRAY 275
mesto, languido, pallido; Taresti
detto uom per doglia trasognato, o folle 165
per cruda sorte, o disperato amante.
Spunto un mattin; sopra 1'usato poggio,
lungo la piaggia, sotto il faggio amato
piu non si scorse; altro mattin succede,
ne sul rio, ne sul balzo, ne sul bosco 170
piu non apparve; il terzo giorno alfine
con mesta pompa e con dovuti ufizi
a lenti passi per la strada al tempio
lo vedemmo portar: t'accosta, e leggi
(che cio solo a te lice) il verso inciso 175
in quel sasso cola ch'e mezzo ascosto
da quel folto spineto. «I1 capo stanco
qui della terra in grembo un garzon posa
alia fortuna ed alia fama ignoto.
Bella scienza la sua culla umile 180
non ebbe a sdegno, e di gentile impronta
melanconia nell'anima marchiollo.
Larga avea carita, sincere il core,
largo a' suoi voti guiderdon pur anco
concesse il Cielo : alia miseria ei diede 185
quanto aveva, una lagrima; dal Cielo
ebbe, quanto bramava, un fido amico.
I merti suoi, le sue fralezze ascose
da quel che le ricopre augusto abisso
non cercar di ritrarre: e quelli e queste 190
in palpitante dubitosa speme
al suo Padre, al suo Dio posano in grembo. »
191. dubitosa speme \ cfr. Petrarca, Rime, cxxvr, 21-2: «se questa spene
porto / a quel dubbioso passo ».
RIFLESSIONI
SOPRA I DOVERI ACCADEMICI
II primo pensiero d'un Accademia sembra che debba esser quello
di farsi un'idea precisa ed esatta de' suoi doveri, e di cercar seco-
stesso qual sia il miglior mezzo di soddisfare alia sua destinazione,
alia fiducia deireccellentissimo Magistrate1 e all'aspettazione del
pubblico.
Su questo soggetto avendo io fatte per mio uso alcune riflessioni,
ho deliberato di comunicarle con voi, egregi accademici, con una
schietta ed amichevol fiducia; non perch'io m'arroghi di potervi
dar consigli, e molto meno precetti, ma piuttosto per sottoporre al
vostro giudizio que' pensieri che mi furono unicamente dettati
dal zelo che ho comune con tutti voi dell'utilita e del decoro di
questo corpo.
Chi dice accademia dice una societa d'uomini di lettere radunati
insieme a fine di cooperare in comune ad aumentare e perfezionare
le discipline e le arti. Due sono adunque le qualita essenziali che
debbono caratterizzar le fatiche di tutto il corpo accademico: im-
portanza nella scelta delle materie e piano concertato e sistematico
d'operazioni. L'una di queste qualita sembra che difficilmente si
possa ottener senza 1'altra; ed ambedue son tali che, qualunque di
esse ci manchi, oso dubitare che possa da noi soddisfarsi pienamente
alToggetto del nostro uffizio e alia qualificazione del nostro nome.
Senza la prima potremo bensi chiamarci letterati, non accademici;
e senza la seconda non saremo riuniti che in apparenza: e ciasche-
Nel 1779, per iniziativa dei Riformaton dell'Universita di Padova, fu
costituita anche in questa citta una Accademia di Scienze, Lettere ed
Arti, della quale il Cesarotti fu nominato segretano perpetuo. In tale
qualita egli lesse all' Accademia, nel marzo 1780, queste Riflesstom, che
mtendevano fissare le linee fondamentali del future lavoro degli accademici.
Esse furono pubbhcate per la prima volta nei « Saggi scientifici e lettera-
n » dell'Accaderma stessa, I (1786), pp. LXXII-LXXXIII, e poi nstampate
dallautore, senza modifiche di nlievo, nelle Opere, xvn, pp i-2i in
testa alia raccolta delle Relazioni accademiche, che il Cesarotti era've-
nuto leggendo fra il 1780 e il 1798. II nostro testo riproduce quest'ultima
e derimtiva edizione.
i. Magistrate: la magistratura composta dai tre Riformatori, o sovrinten-
denti dell Universita di Padova, i quali avevano promosso la creazione
dell Accademia.
RIFLESSIONI SOPRA I DOVERI ACCADEMICI 277
duna facolta non ritrarra da un corpo niente di pin di quel che po-
tevano prestarle le forze separate degli individui.
Al primo requisite del nostro uffizio sara da noi soddisfatto, se
avremo sempre dinanzi allo spirito che ogni produzione accademica
dee riunire essenzialmente tre pregi, verita, novita ed utilita. La
verita deve esser lo scopo di tutte le nostre ricerche, il genio che
deve ispirarci, 1'idolo a cui dobbiamo sacrificare ogn'altro rispetto,
e sin Tamor proprio medesimo. Verita di ragionamento, verita di
sentimento, verita di fatto abbracciano tutti i generi delle umane
conoscenze ; e in ognuna di queste verita ne campeggiano tre altre
relative alPesercizio del nostro spirito intorno di esse, verita d'os-
servazione, verita d'induzione, verita d'applicazione. Le verita di
ragionamento sono appunto Poggetto della ragione, del gusto Paltre,
rultime del criterio. Andiamo in traccia di queste diverse verita cia-
scheduno pei lor diversi sentieri; e facciamo uso del lor naturale
strumento, guardandoci di snaturarle con principii eterogenei e
stranieri. Non si provi che un fatto non doveva essere, quando te-
stimoni irrefragabili depongono altamente che fu: non vaglia a
convalidar un'opinione Pautorita d'intere nazioni o la prescrizione
dei secoli, quando una sola luminosa dimostrazione ne rivela la
falsita: non si citi il sentimento al tribunale della fredda ragione,
ma il gusto assistito dalla ragione rintracci le vie per cui opera il
sentimento, e le indichi a chi vuol destarlo, acciocche ottenga piu
sicuramente il suo fine. Awertasi sopra tutto che contro la verita
puossi peccar doppiamente, o per errore o per scelta: e che il primo
peccato puo talora e forse dee trovar grazia; il secondo e indegno
assolutamente di scusa. Lungi da noi adunque la vana idea di
brillar con un paradosso, d'abbagliar in luogo d'illuminare, di
sedurre in cambio di convincere, di far pompa d'ingegno a spese
della verita, di mostrarsi, per cosi dire, ambidestro di spirito e di
sostener con uguale indifferenza ambedue le parti, imitando quei
ciarlatori forensi pronti di due cause contrarie ad abbracciar quella
o questa, secondo che piu gPinvita non il chiaror della verita, ma
il baglior delPoro. Lungi da noi parimenti la vilta d'animo di pen-
sar sempre dietro gli altri, di creder piu vero quel ch'e piu antico
o piu recente, di adorar un nome sulPaltrui fede, di prediliger un
popolo : lungi da noi sopra tutto il basso indegno artifizio di far
la corte alPopinion dominante, di lusingar i pregiudizi d'un paese
o d'una setta a fine di aver un appoggio, e sopraffare gli altri col
278 MELCHIORRE CESAROTTI
numero o Fautorita assai phi che colla ragione. Abbiasi il nobile
orgoglio di pensar da se stesso; non c'imponga il fantasma del-
Fantichita, il brillante fantoccio della moda non ci seduca; niente si
adotti senza un esame severe, senza una piena conoscenza di causa;
tutto sia dettato dalPintima persuasione, e vogliasi piuttosto errar
giudicando, di quello che appagarsi di coglier nel vero credendo.
Ne gia dee pretendersi da noi che si trovi sempre la verita, ma sol
che si cerchi con buona fede e con industria e con zelo. Nelle te-
nebre che la cingono, nei laberinti fra cui s'awolge, perderemo,
e vero, piu d'una volta fatica e passi. Ma qualora con una sagace
osservazione si cammini dirittamente per le sue orme; quando af-
ferrato un principio sicuro e fecondo si segua il filo d'una esatta
induzione ; quando con una accurata analisi si sgombri il viluppo
eterogeneo che talor Faffoga e nasconde; quando raccogliendone
le parti disperse, connettendole insieme, se ne formi un esatto rag-
guaglio ; quando il soggetto contemplato per tutte le facce possibili
non solo colPocchio ignudo, ma coi vetri delParte, ci riveli sino
nei menomi element! la sua interna struttura, ci giova sperare che
i nostri sforzi non abbiano sempre a riuscir vani; senzache la sola
agitazione dello spirito e lo sfregamento, diro cosi, delPidee spri-
giona talora alcune improwise scintille, per cui quasi involontaria-
mente traluce il vero. So che vi sono in certe materie alcuni sog-
getti che sogliono risguardarsi come problematic!, in cui perci6
Tingegno si crede comunemente permesso di sbizzarrirsi a suo
senno, prefiggendosi per oggetto piuttosto Puso e la pompa delle
sue forze, che la scoperta del vero. Ma quando la cosa si esamini
profondamente, si trovera che cosi fatti argomenti il piu delle volte
non sono problematic! che per equivoco di termini o per poca
esattezza e precisione d'idee, e che perci6 il nostro intelletto non e
mai libero. II sistema del probabilismo deve essere ugualmente
proscritto nella letteratura e nella morale. Dobbiamo, non v'ha
dubbio, contentarci piu d'una volta del verisimile, finche ci riesca
di essere o piu fortunati o piu sagaci; ma v'e una scala di verisimili
per cui dee sempre poggiarsi ; e Pultimo grado della verisimiglianza
forma il limitar della verita.
La verita non basta se non e unita alia novita. Novita di scoperte,
novita di prove, novita di metodo, novita di viste, novita di applica-
zioni: alcuna di queste specie dee sempre trovarsi in ogni produ-
zione accademica, di cui forma essenzialmente il pregio. Due sono
RIFLESSIONI SOPRA I DOVER! ACCADEMICI 279
gli error! in cui si potrebbe cadere su questo articolo: Tuno appa-
gandosi d'una novita piu apparente che reale, Paltro sdegnando
tutto cio che non ha tutta la pompa e la freschezza ancora intatta
della novita. Non dee credersi nuovo un argomento perche vestito
con maggior eleganza e con varieta di stile, o trattato con maggior
lusso d'erudizione o con maggior ampiezza e abbondanza, o consi
derate vagamente e preso in generale, cose tutte che non apparten-
gono all'essenza del soggetto, e possono bensi far il merito d'un
retore o d'un compilatore o d'un declamatore, non gia quello d'un
accademico. Ne pero dee sdegnarsi come mancante di novita un
argomento per cio solo che fu prima trattato da altri, o perche
comunemente si tien per vero senza bastevole fondamento, o per-
ch6 nelle opere degli scrittori se ne fa qua e la un qualche cenno
fuggitivo ed ambiguo. II timore talor puerile di riandare sulle cose
gia dette, e la vanita di cercar punti del tutto nuovi fece abbandonare
molti soggetti importanti, che percio rimasero imperfetti o pieni di
confusione e d'equivoci, fonti di vane alter azioni, preda della pe-
danteria o giuoco della temeraria opinione dei semidotti. Finche
il soggetto non e provato con quel rigor di ragionamento che lo
porta alia dimostrazione, finche non si e risalito alia prima origine
ed all'essenza della cosa, finche il pregiudizio non e snidato da tutti
i suoi trinceramenti, finche la materia non e posta in quel lume
vittorioso che trionfa dei sofismi e del dubbio, finche tutte le parti
integral! d'una dottrina non sono raccolte, rawicinate e connesse,
finche non se ne sono sviluppate tutte le ultime conseguenze, il
soggetto e sempre nuovo e sempre degno delle nostre discussion!
e ricerche.
Ma la corona degli altri due pregi, Toggetto massimo e il fine
delle nostre fatiche e 1'utilita. Senza di questa ogni nostro lavoro
non e che abuso d'ingegno, e in questo senso e vero il detto di
Fedro:
Gloria ch'util non e, gloria e da stolti.1
II volgo, ordine d'uomini che serpeggia per tutte le condizioni e le
class!, crede inutile e vano tutto cio che non ha un'innuenza im-
mediata ne' suoi bisogni: ma i dotti vicendevelmente non sarebbero
talora soggetti a dar troppo di peso e d'importanza a tutto cio che
i. Traduce Fedro, Fab., m, xvn, 12: «Nisi utile est quod facimus, stulta
est gloria ».
280 MELCHIORRE CESAROTTI
ha qualche relazione col loro studio favorito? e nell'assegnare il
prezzo alle varie class! di studi non consultano piu volentieri la
prevenzione dell' amor proprio, che il loro valore intrinseco e la
pubblica utilita? Vi sono alcune verita infeconde e insociabili, da
cui non si puo aspettare alcun frutto; ve ne sono di gregarie che
non servono che a far numero; d'ignobili divenute scienza di
pochi che s'impadronirono d'un fondo abbandonato dall'altrui
disprezzo ; di vane che aumentano il lusso e la pompa senza aumen-
tar la ricchezza; finalmente ve n'ha, il di cui merito e puramente
convenzionale, perche dipendente dalla stima a cui presso certe
nazioni ed in certi secoli vengono sollevati alcuni generi di studi o
dal pregiudizio o dal caso. Confonderemo noi tutte queste, non
diro verita, ma notizie e realita inanimate con le verita solide,
vivifiche, interessanti, dirette ad alimentar la ragione, a perfe-
zionar le discipline, a promuovere i vantaggi della societa? Fa-
remo lo stesso conto di quel viaggiatore che ci ragguaglia delle mode
e dei cerimoniali delle corti straniere, e di quello che ci spiega la
legislazione, i costumi, le scienze e le arti di vari popoli ? di chi sa
nel germe scoprir la pianta, e di chi ne annovera ad una ad una
le foglie ? di chi sceglie le spighe, e di chi rammassa le paglie ? di
chi imbianca le pareti della casa, e di chi ne rassoda i fondamenti
che crollano ? Crederemo finalmente che basti far mostra d'erudi-
zione o di ingegno, qualunque sia la materia su cui si eserciti, a
guisa dei pittori, la di cui gloria, secondo Topinion comune, dipende
solo dalla maestria del lavoro, non dalla scelta e la qualita del sog-
getto ? Se alcuno per awentura cosi pensasse, questi mostrerebbe
di mal conoscere la natura delPuffizio suo e le note caratteristiche
che lo distinguono. Se Paccademico e un personaggio distinto dal
professore, come lo mostro egregiamente il mio valoroso collega,1
esso non e punto meno diverse dal letterato. Siccome questo non
s'applica ad uno studio che per esercizio del suo spirito o per di-
porto o per altre sue viste particolari, ne scrive soltanto pei dotti,
ma per quei lettori, qualunque sieno, a cui le sue opere possono
riuscir opportune, qualunque materia ei scelga, in qualunque
modo prenda a trattarla, niuno puo esiger da lui altra cosa o
i. mostro . . . collega: il conte abate Matteo Franzoia, segretario dell'Acca-
demia per le Scienze, nel suo Ragionamento prehmmare, letto nella prima
sessione pubblica (29 novembre 1779) e stampato nei «Saggi scientific! e
letterari)) dell'Accademia, I (1786).
RIFLESSIONI SOPRA I DOVERI ACCADEMICI 28l
piu di quello che vuol offerire egli stesso ; e purche eseguisca feli-
cemente il suo assunto, purche gli riesca d'intrattener un qualche
ordine di lettori con diletto o con qualche specie d'utilita, il pub-
blico dee sapergli buon grado della sua fatica. Riordini egli dun-
que o classifichi, immagini o scherzi, rischiari o abbellisca, scelga
o ammassi, ristringa o amplifichi, tutto e suo dono, tutto e oppor-
tuno a qualche uso, tutto merita riconoscenza e favore. Ma 1'ac-
cademico, membro d'una repubblica sempre intenta a migliorare
e a dilatar maggiormente le sue conquiste, 1'accademico, che non
parla al popolo a cui tutto e nuovo e che si pasce di fronde piu
che di frutti, ne a uno stuolo di docili e rispettosi discepoli tanto
piu pronti a credere, quanto men atti a giudicare, ma bensi alia
dieta generale di tutti i dotti, I'accademico, la di cui lode privata
dee perdersi nella gloria del corpo, questi dee prefiggersi una
meta piu nobile e piu sublime. A lui solo e lecito di piangere
con Alessandro perche di tanti mondi non abbia ancora fatto
conquista d'un solo ; a lui e bello d'esclamar con Cesare che nulla
s'e fatto, ove qualche cosa resti da farsi. Inventare, migliorare,
perfezionare, compire son le sue parti: s'egli non aspira che al
mediocre, se si contenta d'un vano e sterile applauso, se tien sem
pre gli occhi dietro di se, se piantato nel centro non gira intorno
lo sguardo e non divora la vasta estensione che gli sta innanzi,
e colFimpeto deirimmaginazione non vi si slancia nel mezzo alia
prima vista, egli smentisce il suo nome e defrauda la giusta espet-
tazione del pubblico, ch'e in dritto di esigere dalle sue fatiche
la piu estesa e solida utilita. Un uomo di genio travede 1'esistenza
d'un nuovo mondo, e traccia il cammino che dee condurvi. Alia
testa d'una truppa d'animosi e scelti seguaci si porta cola e ve-
rifica le sue idee credute chimeriche. II drappello balza sul lido,
e si sparge qua e la a far le scoperte e le osservazioni necessarie.
Altri esplora 1'indole degli abitanti, altri la natura del paese,
altri i suoi vari prodotti: chi scava sotterra per trovar le vene
di qualche prezioso metallo, chi dirada una selva che serve d'in-
ciampo a' suoi passi, chi s'adopera a disseccar una palude, chi
a distrugger le serpi e grinsetti venefici che fanno guerra agli
ospiti importuni, chi pianta, chi innesta, chi semina; i deserti
divengono colti, le spine dan luogo alle messi: scelto il luogo piu
acconcio, vi stabilisce una colonia e la rassoda con una legislazione
opportuna. In tanto una parte di questi felici venturieri sopra
282 MELCHIORRE CESAROTTI
navi cariche delle piu scelte e curiose produzioni d'un mondo
incognito torna in Europa, meno per far pompa delle sue scoperte,
die per convertirle in uso della societa. Al loro arrivo mercatanti,
coltivatori, artefici, curiosi, amatori, donne ed uomini di buon gusto
accorrono in folia. Ciascuno scorre avidamente con Tocchio le
nuove spoglie, ciascuno brama di possederne una qualche parte.
I mercatanti diffondono per la nazione le nuove ricchezze e le
fanno circolar per tutti gli ordini e tutte le classi; i coltivatori
tentano di far allignar nel lor terreno i frutti stranieri, onde
naturalizzarli ed accrescer Tabbondanza dei generi; i curiosi e
gli amatori fanno raccolta delle varie produzioni, quelli per ammas-
sarle e pascersi di nomi nuovi, e vantarsi d'aver appresso di se
un tesoro concesso a pochi, questi per sceglierle, paragonarle,
disporle e formarne un ben inteso gabinetto e museo ; gli artefici
fmalmente ne fanno acquisto per dar a quei prodotti in certo modo
una nuova e forse piu brillante esistenza lavorandogli, frastaglian-
doli, configurandogli in varie guise, innestandogH coi nostri, incas-
sandoli in oro o in pietre, onde servano d'ornamento e di lustro
alle donne gentili e agli uomini di bel mondo, e diano risalto alia
bellezza e decoro alia maesta. In questa immagine raffigurate, o
signori, indicate con precisione le varie classi di tutti i ministri
della letteratura, e le diverse lor qualita. Riconoscete con grati-
tudine nei coltivatori e nei mercatanti i benemeriti professori e i
giudiziosi maestri che spargono sulla nazione i lumi delle discipline
e delParti; osservate nel curioso raccoglitore quelPutile e laborioso
erudito, che ammassa nella sua memoria que' materiali che alia
ragione architettrice servon di base per alzarvi sopra un ben inteso
edifizio; vedete nel facitor d'un gabinetto il conoscitor giudizioso
e Tuomo di gusto, che apprezza il valor delle cose e ne sa far uso ;
applaudite negli artefici agli scrittori d'immaginazione e di spirito,
che abbelliscono ed awivano le cogniziom, rendono la verita piu
brillante, e adornano Minerva della cintura di Venere.1 Ma chi
indovina, chi scopre una verita non preveduta, chi acquista un
nuovo regno all'intelligenza, chi sbosca la selva delle difficolta,
chi si fa strada fra precipizi e torrenti, chi snida gPinsetti ve-
nefici del pregiudizio, chi feconda i deserti delPignoranza, chi
porta la face tra le nebbie delPerrore, chi osserva sagacemente le.
i. Minerva qui simboleggia il contenuto morale e scientific©, la cintura
di Venere gh allettamenti dell'arte.
RIFLESSIONI SOPRA I DOVERI ACCADEMICI 283
proprieta delle cose, chi, consultando la natura colle sperienze o
tormentandola coll'analisi, le strappa i piu profondi segreti, chi
d'alcune cognizioni sparse forma un corpo sistematico di soda
dottrina, e lo incatena colle savie leggi del metodo, quest! (con
template voi stessi) son gli accademici.
Fra queste varie operazioni niuna ve n'ha che non meriti le
nostre cure, niuna che non sia di massima utilita ed importanza,
perche non awene alcuna, senza di cm non manchi una qualche
parte integrale delle rispettive discipline. Ma a quale fra tante da-
remo noi la preferenza delPordine? con qual metodo, con qual
distribuzione di forze prenderemo noi ad esercitarvisi ? qual sara
in fine il piano delle nostre operazioni accademiche ? ch'e appunto,
come abbiam detto sin da principio, I'altro requisite essenziale del
nostro uffizio. Non altro certamente deve esser questo se non
quello che domandano i bisogni reali di ciascheduna facolta: stan-
teche, benche a tutte manchi qualche cosa per giungere alia per-
fezione, tutte non per tanto non vi sono ugualmente discoste, ne
tutte percio abbisognano degli stessi aiuti. Consultiamo adunque
le facolta istesse piuttosto che il nostro genio o le nostre opportu-
nita ; e sarem certi di non errar nella scelta. Tre cose mi sembrano
necessarie per determinarsi con fondamento: i. di aver dinanzi
allo spirito la natura e Fessenza di ciascheduna disciplina, le sue
principali diramazioni, i principii su cui fonda, e 1'oggetto a cui
tende; 2. di riandarne Torigine, lo sviluppo, i progressi, i ritardi,
gli errori e i pregiudizi, e le cagioni di essi; 3. finalmente di fer-
marsi nello stato attuale di ciascheduna facolta, e di esaminarne i
bisogni. Avendo in tal guisa dinanzi agli ocelli lo stato della nostra
provincia e delle sue parti, batteremo il cammino piu diritto e
sicuro, ne perderemo di vista la nostra meta, rawisando gPintoppi
che si attraversarono ai nostri predecessori, e i laberinti che gli tra-
viarono ; apprenderemo dal loro esempio ad essere piu aweduti e
guardinghi, conoscendo al fine con esattezza i terreni fruttuosi o
sterili, i ben lavorati o grincolti, la fabbriche rovinose o le solide;
vedremo tosto di quale industria e di qual riparo abbisognino,
e ci appresteremo a soddisfarvi nel modo il piu salutare ed ac-
concio. Premesso un tal esame, potremo rawisar con precisione
qual parte dello scibile ricerchi miglioramento o ristoro, qual man
chi di principii o di metodi o di dettagli interessanti o d'applicazioni
felici; quale solleciti Focchio d'un osservatore sagace o le ricerche
284 MELCHIORRE CESAROTTI
d'un raccoglitor diligente ; qual altra 11 severe giudizio d'un critico ;
quale i tentativi d'uno sperimentator giudizioso o le viste anima-
trici d'un uomo di genio o Tindustria d'un assiduo coltivatore
che la renda piu feconda e piu vegeta; e ci accingeremo a pre-
stare ad esse queU'efficace soccorso che ricerca la natura di ciasche-
duna e la loro costituzione presente. II primo passo adunque che
per mio awiso dovrebbe farsi dal nostro corpo si e questo, che
ciascheduno dei membri metta in iscritto le sue idee e i suoi
pensamenti relativi allo stato della facolta ch'ei professa, e ai meszi
di perfezionarla tanto nella speculazione che nella pratica. Da tutti
questi vari scritti esaminati e discussi in comune tra i membri di
ciascheduna classe, e combinati insieme giudiziosamente, si ver-
rebbe a formar un piano ragionato di ciascheduna facolta; e dalla
riunione di questi piani si formerebbe un piano universale e siste-
matico, che sarebbe come la carta itineraria del nostro viaggio
accademico. Fissate le materie veramente utili ed interessanti su
cui e necessario di versare, ciascheduno potrebbe allora appigliarsi a
quella parte che piu si trovi confacente al suo carattere e alia natura
de' suoi talenti, certo di meritar sempre lode quando vi si adoperi
con valore e con zelo. Questo primo passo sarebbe esso medesimo
una delle piu grandi ed importanti operazioni accademiche, ricer-
cando aggiustatezza d'idee, sagacita di viste e cognizione estesa
della storia fllosofica d'ogni facolta; e il prospetto di questo piano
sarebbe la facciata piu luminosa delFedifizio letterario che deve
alzarsi. Oso affermare, illustri accademici, rimettendomi al giudizio
delle vostre menti, che questo e 1'assunto il piu conveniente, il
piu nobile, il piu degno del vostro nome e di voi, assunto che solo
pu6 bastare a nobilitar 1'Accademia di Padova, a trarre il massimo
frutto dai nostri ingegni, a dar un'idea vantaggiosa delle nostre
fatiche, ad impor silenzio ai malevoli ed ai semidotti, razza sempre
collegata coi primi, a formar lo spirito della gioventu, dandole idee
adeguate delle dottrine e dei metodi, a diriger infine gl'incerti e
capricciosi giudizi del pubblico, animal bizzarro, raccozzato di
molti capi, tra i quali i meglio assettati non sono i piu, e di suono
tumultuoso e discorde, in cui la debol voce della modesta ragione
e troppo spesso affogata dalle pazze grida dell'arrogante ignoranza.
Con questo modello le evoluzioni del nostro corpo saranno ben
intese e opportune, i movimenti armonici e progressivi, le forze
ben distribuite e proporzionate : con questo non ci sara pericolo
RIFLESSIONI SOPRA I DOVERI ACCADEMICI 285
die si giri senza fine intorno un soggetto esaurito, che si dia troppo
a una parte, lasciando 1'altra senza coltura, che si raccolgano delle
schegge in luogo d'alzar una fabbrica; il piano sara concertato, gli
argomenti ben scelti, le materie ponderate e discusse; ognuno
sara certo che la sua fatica riuscira utile, opportuna, gradita, per-
che avra la sanzione della comune autorita; e le produzioni dei
membri saranno come il risultato delle idee generali del corpo.
Si dira forse che Timpresa e troppo vasta, e che molta e bensi
la messe, ma gli operai troppo scarsi. A questo rispondo che 1'acca-
demia e una repubblica permanente di successivi individui, e che
perci6 i presenti possono a buon diritto associarsi coirimmagina-
zione ai posteri, e mettendo mano alia fondazione dell'opera aver
parte precedentemente nella compiacenza del fine. Si tracci il cam-
mino e s'irnpronti delle prime orme; il buon principio e malleva-
dore del buon progresso, e Tentusiasmo cresce per via come il fuoco.
Che se pure vogliam pensare soltanto alle nostre forze presenti,
queste non son gia cosi scarse, come potrebbe sembrare a prima
vista. Abbiamo, oltre i membri naturali di ciascheduna classe,
il corpo de? nostri rispettabili soci, ai quali farei troppo torto
se osassi dubitare che, per indurli a cooperare alle nostre fatiche,
il loro animo nobile e i loro attivi talenti avessero bisogno d'al-
tro stimolo che di quello delPonore e del ben comune: abbiamo
1'altro corpo non men ragguardevole de' soci nazionali e stranieri,
da cui siamo in dritto di sperar non lieve soccorso, e che tanto phi
volentieri concorreranno alle nostre viste, quanto piu verranno
invitati dalla nobilta deirimpresa: abbiamo pur anche i nostri colti
e studiosi alunni volonterosi e disposti ad assumere quella porzion
di fatica che sembrera convenirsi alle loro forze: abbiamo al fine
tutto il ceto letterario diffuse per PEuropa, che sara da noi annual-
mente allettato co' premi ad esercitarsi in qualche soggetto d'e-
rudizione o di scienza, il qual soggetto se sara sempre de' piu
nuovi, utili, difficili, interessanti, non vorremo certamente che
quelli scelti da noi per dover d'uffizio sieno meno importanti o
men nobili; ne saremo cosi poco sensibili al nostro amor proprio,
che contend d'una lode mediocre vogliam cedere agli stranieri
la miglior porzione di gloria. Del resto, e perche non dovremo
sperare che, anche senza 1'allettamento del premio, 1'idea della
nostra impresa, le nostre sollecitazioni, la nostra attivita, il nostro
esempio, il desiderio di ottener gli elogi del nostro corpo possano
286 MELCHIORRE CESAROTTI
indur molti altri a marciar nel cammino da noi segnato, facendo
a noi cortese omaggio de' lor felici progress! ? Vi sono in ogni citta
dei giovani pieni d'ingegno, dei letterati tranquilli e liberi, ch'er-
rano incerti coi lor pensieri o passano con indifferenza da uno stu
dio alPaltro senza consacrarsi ad alcuno, solo per mancanza d'og-
getto die gli determini alia preferenza, o perche non hanno chi
gl'inanimi nelle loro ricerche e dia loro le viste e le direzioni op
portune. II piano da me proposto, ove si pubblichi e si diffonda,
puo diventar un segnale di riunione, un invito generale agli studiosi
ed ai dotti, un mezzo atto a suscitar delle idee, a somministrar
delle viste, a porre in moto e in fermento tutti gli spiriti. Qual
compiacenza per noi se il nostro piano servisse di codice generale
a tutti i dotti che vogliono coi loro scritti rendersi benemeriti delle
discipline e utili alia societa? Ma stendiamo piu oltre le nostre
speranze ed i nostri voti. L' Italia ha fmalmente nel suo seno varie
accademie fornite d'illustri soggetti: perche non tentare di riu-
nirle tutte insieme e formarne una specie di repubblica federativa>
che a guisa delle repubbliche civili di questo genere abbia un piano
di regolamenti comune, e in cui ciascheduna provincia prenda
in comune le sue deliberazioni e cospiri al maggior bene di tutte ?
Osi PAccademia di Padova afferrar quest'idea sublime, osi comu-
nicar all'altre le utili ed interessanti sue viste, concepisca giudizio-
samente il piano il piu grande e il meglio architettato d'ogn'altro,
apra un trattato di commercio reciproco di lumi e di riflessioni, e
inviti le altre accademie a collegarsi con lei per lavorar di con
certo alia perfezione del sistema universal delle conoscenze, ch'e
quanto a dire alia massima gloria dello spirito umano e al massimo
vantaggio delPumanita. Un tal fenomeno sarebbe Pepoca la piu
luminosa nei fasti della letteratura : io v'invito a segnarla coi vostri
nomi.
RAGIONAMENTO PRELIMINARE AL CORSO
RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA
Magni sunt, homines tamen.
Quinct.1
La vita delle lingue non e immortale ne inalterabile niente piu
che quella dell'uomo che ne fa uso. Rozze dapprima e selvagge,
poetiche per necessita, ridondanti per indigenza,2 crescono colla
nazione; divengono piu sobrie perche piu ricche; imparano a di-
stinguer i vocaboli in classi ed in gradi; acquistano precisione dalla
Accettando nel 1767 la cattedra di lingua greca ed ebraica all'Universita
di Pad ova, il Cesarotti si assumeva, per invito dei Riformatori che ave-
vano proposto la sua nomina, anche 1'incanco di «tradur qualche opera
dal greco per uso delle stampe di Venezia». Quale fosse all'inizio 1'ani-
mo con cui egli si accingeva a tale compito, si rileva da una sua lettera
(nprodotta anche in questo volume) al van Goens del marzo 1768: «Un
tal progetto» egli scriveva «non e molto di mio genio, ma oltreche mi
conviene ubbidire, cotesti signon mi persuadono inoltre con un argomento
stringente, quest'e che si mostrano disposti a pagare le mie ^ fatiche ».
II lavoro fini tuttavia per interessarlo, e nel 1775, approntato un primo volu
me di traduzioni delle orazioni di Demostene, scrisse una Lettera ai Ri
formatori dello Studio di Padova, la cui pubblicazione fu per6 sospesa dai
Riformatori stessi, timorosi delle reazioni che avrebbe potato suscitare la
violenza polemica dell'autore contro gli adoratori delle lingue e letterature
antiche, e venne effettuata solo molto piii tardi nelle Opere, xxvni, pp.
395-406. L'argomento fu allora ripreso dal Cesarotti, con maggiore mo-
derazione, in un Piano ragionato di traduzioni dal greco, steso probabil-
mente intorno al 1778 (come mostra un accenno ai primissimi tentativi
di traduzioni omeriche, effettuati appunto in quell' anno) e che, rimasto
inedito, fu poi stampato postumo dal Mazzoni, in Prose edite ed inedite,
cit., pp. 3-36. Una rielaborazione piu che altro formale del Piano ragionato
e appunto il presente Ragionamento preliminare, pubblicato per la prima
volta nel 1781, in testa al I volume del Cor so ragionato di letter atur a greca,
e poi ripubblicato, « con giunte e correzioni », nelle Opere, XX, pp. i-xxx.
A quest 'ultima e definitiva edizione si attiene il nostro testo. Le note del
Cesarotti sono seguite dalla sigla C.
i . Cita a memoria Quintiliano, Inst. or at., x, 1, 24 : « Demosthenes, Homerus
summi sunt, homines tamen » (« Demostene, Omero sono sommi, ma pure
uomini »). 2. Le lingue dei popoli rozzi e semibarbari abbondano^di pleo-
nasmi, di ripetiziom e di sinonimi: prova non di copia d'osservazioni, ma
di sterilita d'idee e d'insufficienza di termini. II discorso degl'idioti e Fesem-
pio del carattere delle lingue in un tale stato d'infanzia. Non^e ristretto
nelle espressioni se non chi possede idee aggiustate e termini che vi si
combaciano (C.). II concetto e anche vichiano, ma probabilmente il Ce
sarotti ha presenti piuttosto analoghe formulazioni condillachiane, come
dimostra anche 1'intonazione negativa del giudizio.
288 MELCHIORRE CESAROTTI
filosofia, splendor dalPimmaginazione, finezza dalFanalisi, copia
dal commercio: aspre o molli, fastose o semplici, prendono i ca-
ratteri del clima, della nazion, dello stato: maschie e schiette nei
governi popolari, polite nelFaristocrazie, nella monarchia lusin-
ghiere e ingegnose, alfme capricciose e strane si corrompono a
poco a poco coi raffinamenti d'un lusso barbarico, sino a tanto che
percosse gagliardamente insiem collo stato da una nazion piu
potente, si sfasciano e vanno a perdersi nelPidioma conquistatore,
che dovra poi per le stesse vie esser ingoiato da un altro con inter-
minabil vicenda. La vita dunque d'una lingua corrisponde alia
vita di una nazione,1 e il dominio di essa dipende da quello del
popolo a cui s'appartiene. Ora il dominio d'un popolo e di due
specie, politico e intellettuale. Ovunque una nazione stende le sue
armi o Fautorita del comando, ivi porta pur anche la sua favella.
Ma questo dominio nato sol dalla forza dura poco piu di quel che
sussiste la forza che lo fondo, e cede a un altro che lo incalza.
AlPincontro il dominio intellettuale, piu lusinghiero e piu sta
bile, signoreggia anche nelle straniere provincie, e soprawive
alle mine di quella nazione appo cui fioriva. D'ambedue queste
specie di dominii ci danno un esempio luminoso le due piu celebri
lingue delPantichita. La romana ebbe Fimpero della potenza, la
greca quello del sapere. Di fatto quando la Grecia era la culla delle
scienze, il teatro delFarti, quando il genio di Pericle facea pullulare
in Atene tutte le specie d'ingegni e spargea per ogni parte nume-
rose colonie di dotti, quando una folia di spiriti i piu penetranti
faceva a gara per indovinar la natura, quando la ragione e Feloquen-
za empievano di giornalieri trofei le scuole, la bigoncia,z i tempii e le
scene, quando nelle sole opere dei Greci trovavansi raccolti e
riuniti i tesori di Minerva e i doni delle Muse, forza era certa-
mente che gli stranieri o apprendessero quella lingua che sola era
Pinterprete dei misteri del scibile, o soffrissero di sentirsi sfregiare
col nome di barbari, condannati a vivere tra Pignoranza e Fob-
brobrio. Con questi titoli, assai piu che colParme d'Alessandro,
non solo la lingua greca domino nelPEgitto e nelPAsia, ma poiche
i . La vita . . . nazione : il concetto del rapporto fra la vita della lingua e
quella del popolo che la parla, ha in Italia i suoi precedent! nel Gravina
e nel Muratori (cfr. M. PUPPO, Storicitd della lingua e hbertd dello scrittore
nel ^Saggio sulla filosofia delle lingue* del Cesarotti, cit., p. 522, nota 2);
ma nel Cesarotti, qui e altrove, acquista maggiore accentuazione e consa-
pevolezza. 2. bigoncia: pulpito, tribuna.
CORSO RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA 289
la Macedonia e PAcaia accrebbero il numero delle provincie
romane, poiche Atene vide desolati i sacri boschetti dell'Accade-
mia dall'arme del barbaro Silla, la Grecia debellata soggiogo
coll'erudizione i suoi vincitori, e Roma pago alia lingua dei Greci
quel tribute d'omaggio ch'ella esigeva dalla nazione. Da indi in
poi la greca lingua divenuta il primo elemento dell'educazione ro-
mana, la caratteristica delPuomo ben nato, e persino il vezzo
delle belle, digross6 gli spiriti d'un popolo di guerrieri, e comuni-
co un'armonia e una eleganza sconosciuta alia favella rusticana
ed imperatoria del Lazio. Roma impar6 anch'essa a poco a poco a
sacrificar alle Muse e alle Grazie, e i grandi scrittori di Grecia
trovarono imitatori degnissimi d'esser imitati. Ma poiche per la
feroce ignoranza settentrionale, sprezzata 1'educazione de' Greci,
obbliata la loro favella, rimasero aboliti anche i monumenti del
loro spirito, Pintelletto perde il suo strumento, la scienza il suo
dizionario, rimmaginazione i suoi modelli: la capitale del mondo
rest6 come il gran corpo del Ciclope privo delPocchio,1 e 1'Europa
per molti secoli ebbe a dormire il sonno della piu alta stupidita,
interrotto soltanto dalle larve della Sofistica.2 Poiche alfine venne
a poco a poco ad acquistar tanti lumi quanti le bastavano a rico-
conoscersi barbara, s'accorse che per dirozzarsi non aveva altro
mezzo che quello di ricorrere agli oracoli delFantichita. I monu
menti dell'ingegno dei Latini, disotterrati dalle rovine dj Italia,
accrebbero la smania di rintracciare e possedere anche quelli de*
Greci, che dai piu famosi Latini erano riconosciuti per esemplari
e maestri nell'arte di ragionare e di scrivere. I codici greci di-
venuti oggetto di lusso principesco, i viaggi di vari illustri ventu-
rieri in Oriente, affine di tornarne carichi di prede in ogni senso
preziose, i pericoli e fmalmente la ruina dell'impero greco, che
costrinse i dotti nazionali a rifuggirsi in Occidente senz'altre ric-
chezze che la loro lingua e i lor manuscritti, riversarono in seno
all'Europa i tesori della greca erudizione, appunto nel tempo che
Tarte della stampa trovata di fresco agevolava i mezzi di accomu-
narli e diffonderli.
L'Europa e 1'Asia nei tempi della lor piu colta floridezza non
i. Si allude al detto di Demade intorno la Macedonia (v. Corso di lett.
greca, t. 2, Rag. critico sopra Demade). L'applicazione che qui si fa di questa
favola e forse piu felice ed acconcia di quella di Demade (Nota degli edi-
tori). 2. Sofistica: la Scolastica.
19
MELCHIORRE CESAROTTI
furono piu favorabili alia riputazion del grecismo1 di quel che lo
fosse allora TOccidente che usciva appena appena dalla barbaric.
Se per una parte il gusto ragionato e il coltivato giudizio possono
soli far sentir al vivo e appreziar adeguatamente quelle perfezioni
degli scrittori che sfuggono a uno spirito inesercitato e incapace
di conoscere la fecondita d'un principio o la squisitezza d'un rap-
porto; per Faltra la mancanza dell'idee proprie e la scarsezza dei
confront! mettono lo spirito in uno stato direi quasi di passivita,
che favorisce quell' entusiasmo di prevenzione, quell'acume di
stupidezza2 che tutto ammira, tutto difende, ed apre la strada
alTidolatria letteraria. I Greci sarebbero stati in ogni epoca uomini
meravigliosi : doveano in quella esser piu che uomini perche tutto
in essi eccedeva la misura dell'ingegno umano in que' tempi.
Preceduti dalla fama che viaggiava per loro da tanti secoli, grandi
pel loro merito e per la base deH'opinione su cui si alzavano,
doveano comparire agli Europei cio che gli Europei stessi pochi
secoli dopo comparvero allo sbalordito americano, che faceva un
tutto prodigioso del cavallo e del cavaliere, e gli eroi non conosciuti
prendea per dei. II bisogno, la lusinga di trovar nei greci autori tutti
i tesori del scibile, la novita, la curiosita, la difficolta istessa che
accresce pregio anche alle conoscenze le piu indifferent!, la ragione
infine e '1 pregiudizio si unirono ad impreziosire tutte le cose de1
Greci, e fecero che il grecismo fosse creduto Tapice e la perfe-
zione del sapere umano. Intender i Greci, interpretarli, rassomi-
gliarli erano tre generi principali di merito. Quindi tre classi
d'uomini doveano in quei tempi dividersi tra loro il patrimonio della
fama, i filologhi, gl'imitatori, i commentatori. II campo delFerudi-
zione, ingombro di sterpi e di spine, esercito utilmente Pindustria
degli uomini laboriosi e sagaci. Gl'ingegni ameni ed eleganti
impararono dai grandi esemplari Parte di scrivere con quella gra-
zia regolare, senza di cui non v'e opera che resista al tempo; alfme
gl'indagatori della verita, superbi di poter consultare direttamente
gli oracoli stessi di Grecia, si diedero a svilupparne le dottrine,
che tanto piu amavano di creder vere, perch6 Poscurita delPorigina-
i. grecismo: civilta greca. 2.1 Greci collo stesso accozzamento d'idee
diedero il titolo di oximorosy ossia « acutofatue », a quelle espressioni, che
sotto un'apparenza ingegnosa, contengono un pensiero falso o puerile. *Non
e scarso il numero di quelli che sono tanto piu acuti e sagaci nel difendere
un pregiudizio, quanto hanno meno di senso nel gustare una verita (C.).
CORSO RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA 291
le lasciava alFinterprete partecipare del merito dell'invenzione.
Cosi mentre le altre facolta s'incamminavano alia perfezione,
la ragion sola non fej guadagno che d'un vassallaggio piu specioso
e d'un esterior meno incolto: i sogni brillanti di Platone contra-
starono al gergo misterioso d'Aristotele la gloria di sedurre e
d'imporre: Fintelletto non ebbe altro ufizio che di sceglier fra i
due quello a cui doveva servire; tutti i dotti gareggiavano a chi
vaneggiasse meglio perche Funo o Faltro "avesse ragione, e il
vaneggiamento piu curioso fu quello di costringerli ad aver ra
gione ambedue ad un tempo, e di provare che avevano detto lo
stesso senza awedersene. Rispettiamo senza approvarla questa
nuova piega dello spirito, riflettendo che il pregiudizio e anch'es-
so un di quei gradi intermedi per cui la nostra imperfetta ragione
si strascina lentamente dalPignoranza al sapere. Questi due stati
possono dirsi i punti polari della nostra mente, e per disgrazia
quel della scienza non e il boreale per noi. Ora tra questi due
estremi passano per mio awiso sei altri successivi punti o stati
dello spirito, per cui questo si conduce progressivamente dalFuna
alFaltra estremita. II primo si e la curiositd, che attizzata dal biso-
gno attizza se stessa: la curiosita unita all'ignoranza produce
Vopinione, madre delFerrore. Questa e Fepoca delFanarchia del-
Fidee; son questi gli atomi d'Epicuro che s'accozzano a caso
nel vuoto per formar dei mondi d'un giorno. L'anarchia ben tosto
fa luogo al despotismo. In questo conflitto d'errori, il piu specioso, il
meglio organizzato si configura in sistema e divien dominante.
Ecco il regno del pregiudizio: Fimmaginazione lo ammira, Finer-
zia lo accarezza, Fabitudine lo convalida, lo divinizza il partito.1
Destasi finalmente il dubbio, prima modesto e timido, poi bal-
danzoso; si trova il debole del sistema e si osa attaccarlo; il pre
giudizio si scandalezza, s'irrita, infuria perche teme, ricorre ai
sofismi, alle ingiurie e, quando il possa, agli anatemi. L'ingegno
si agguerrisce in questa scherma letteraria; malgrado gli sforzi dei
dottori e dei cattedranti, il sorriso del buon senso confonde la
pedanteria: quando tutto e preparato, ecco Fuomo di genio che asse-
sta il colpo fatale, Fidolo e atterrato e la ragione in liberta. In tale
stato, ben diverse dalFantica licenza, lo spirito ammaestrato dalle
sue vicende, in guardia ugualmente contro la temerita e la pre-
venzione, studia le sue forze e la natura degli oggetti su cui si eser-
i . il partito : il partito preso.
MELCHIORRE CESAROTTI
cita, e cercando prima di tutto il metodo direttore si appiglia
all2 ] osservazione, ossia Farte di ben vedere, e accompagnato dal-
Panalisi e dalPesperienza raccoglie senza fretta gli element! del
sapere, e rawicinandoli e connettendoli ne forma a poco a poco
il patrimonio reale dell'intelletto, il quale non ha oggimai che a
marciar per la stessa via per aumentarsi di sempre nuove ricchezze.
«Tantae molis erat. »* Poiche dunque ognuno di questi stati e una
conseguenza necessaria del precedente, 6 chiaro che la mente
umana non potea giunger alia verita senza arrestarsi qualche tempo
nella stazione del pregiudizio. Comunque sia, poiche nel secolo
quindicesimo e nel susseguente fuor di Platone e d'Aristotele
non v'era scienza, poiche Toscurita naturale del loro stile, accre-
sciuta dalla scorrezione dei codici, dava luogo a molte ambiguita
e generava sette e scismi fra i commentatori e gl'interpreti, e cosa
evidente che i nodi delle quistioni che andavano di giorno in giorno
nascendo, non potevano sciogliersi se non se colla profonda cono-
scenza della greca lingua, che la squisitezza nel cogliere il senso
d'un vocabolo o d'una frase, la prontezza nel rawisar le pia-
ghe dei testi, la sagacita nelFindovinarne i rimedi, 1'analisi delle
varianti, in somma tutto 1'apparato della scienza grammatical
era cio che spianava la strada alia filosofia; e che per conseguenza il
trascurar lo studio della lingua greca era in que5 tempi un rinun-
ciar al solo mezzo di conoscer il vero da se, e un voler camminar
al buio fra precipizi dietro una scorta forse inesperta o fallace.
£ fuor di dubbio che se la filosofia fosse perpetuamente rimasta
nei ceppi delPautorita, avrebbe il greco idioma continuato neces-
sariamente ad esser la lingua universale della dottrina e dei dotti.
Ma poiche Galileo, introdotta una nuova maniera di filosofare,
aperse la strada alia vera fisica; poiche Cartesio alzato il vessillo
di liberta abbatte Tare del Peripato;2 poiche Copernico mal-
grado la deposizione dei sensi costrinse la ragione a convincersi
della mobilita della terra;3 poiche Locke, rovesciate 1'idee plato-
niche, capovolse tutto il sistema intellettuale, quell'urto che crollo4
la filosofia de' Greci fu nel tempo stesso funesto alPautorita della
i. Cfr. Virgilio, Aen.y I, 33 : «Tantae molis erat romanam condere gentem»
(«Tanta fatica richiedeva il fondare lo stato romano»). 2. 1' are del Peri
pato: il culto di Aristotele. ^. poiche . . . terra: nella prima edizione la
frase era molto piti pittoresca: « poiche Copernico sparse il cielo dei rottami
degli epicicli tolemaici, e ordino alia terra di muoversi ». 4. crollo : fece
crollare.
CORSO RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA 293
loro lingua, la quale cessando d'esser la chiave del scibile, ne
conservando della sua antica influenza se non se quella d'una
sterile nomenclatura, venne a perdere il massimo e yl piu essen-
zial de' suoi pregL Esclusa per6 ella dal regno scientifico, restava
ancora in possesso d'un altro assai vasto, quello voglio dire della
letteratura, acquistato a piu giusto titolo. Ma questo regno fondato
dapprima sulla necessita e sulla ragione, non potea rimanerle as-
soluto, indiviso, incomunicabile se non per mezzo del pregiudizio
o della mediocrita. Conveniva che le lingue vernacole, lasciate
alle femminelle ed al volgo, restassero eternamente in una barbara
infanzia; conveniva che tutti i migliori ingegni credessero 1'apice
della gloria e 1'ultimo sforzo possibile dello spirito il figurar
nella classe subalterna d'imitatori, che il codice d'Aristotele esau-
risse tutta la fecondita deirimitazione poetica, che Ylliade fosse
il canone di Policleto,1 che senza la mitologia greca svanisse affatto
il mirabile della poesia, che finalmente in una cosi immensa di-
versita d'opinioni, d'instituzioni, d'idee, la tragedia non potesse
interessarci che rappresentando passioni modificate alia greca, n6
la commedia purgarci de' nostri difetti se non prestando a personag-
gi moderni costumi ed usanze anteriori di venti secoli. Ma questa
massa d'opinioni pregiudicate non potea resistere a lungo al
progressivo sviluppo della ragione e agli slanci inaspettati del
genio. Molti buoni spiriti s'awidero esser cosa insensata il trascu-
rar la propria lingua per intisichir sulle altrui, piuttosto che pre-
valersi saggiamente delle lingue antiche per incivilir le presenti.
La lingua italiana, che doveva a Dante un'energia ch'ei non dovea
che a se stesso, giunse col Petrarca e col Tasso a una perfezione
non sospettata: le altre lingue d'Europa, scosse a questo esem-
pio, acquistarono un po' piu tardi quella regolarita e quella bel-
lezza che potea conciliarsi colla loro costituzione grammaticale :
le lingue dirozzate dai primi scrittori prestarono ai susseguenti
il mezzo di maggiormente abbellirle, gli uomini di genio diedero
a ciascheduna 1'impronta del loro carattere e seppero trar le bel-
lezze dalle imperfezioni medesime. Ben tosto 1'Europa vide uscir
d'ogni parte produzioni originali invidiabili dalPantichita : s'au-
mentarono le modificazioni del Bello, si perfezionarono gli antichi
i . che . . . Policleto : avesse validita normativa come il modello ideale che lo
scultore greco Policleto stabili per il corpo umano, e che tradusse nella sua
statua piu celebre, il Doriforo (e cfr. p. 76 e la nota 2).
294 MELCHIORRE CESAROTTI
generi, se ne trovarono di nuovi; Tepopea seppe farsi ammirare
senza gli del della favola; la lirica imparc- a destar Pentusiasmo
anche senza le irregolarita e le aberrazioni di Pindaro; la galan-
teria prese maniere piu decenti; Tamore non fu piu soltanto
un'ubbriachezza del sensi, ma un sentimento delicato del cuore;
la tragedia acquisto un'azione piii viva, un viluppo piu interes-
sante, una sfera piu estesa di passioni e di oggetti; la commedia
fti la sferza dei nostri ridicoli o la pittura delle vicende private;
la storia divenne la scuola dell'umanita, non il giornal delle guerre;
1'oratoria apprese ad accomodarsi alle forme dei nostri governi,
e a farsi piu delicata senza essere meno efficace e toccante; final-
mente il gusto del ragionamento e delle notizie utili, diffuse per le
nazioni, tinse di nuovi colori il frasario general dello stile, fece
che le immagini servissero di veste all'idee, e rese Teloquenza
piu atta a propagar fra il popolo il sapor della dottrina e le viste
della ragione. Dairaltro canto, colla copia dei confronti e col
perpetuo esercizio della riflessione, perfezionossi la critica, detta
a ragione da un gran moderno « la decima e la miglior delle Muse »,
frutto prezioso di quello spirito filosonco che vivifica tutte le di
scipline e le arti. Essa insegno a render giustizia ai Greci senza adu-
larli, e in luogo del cieco entusiasmo successe il gusto che assapora
tanto meglio le vere bellezze, quanto piu squisitamente sente i
difetti contrari. Ci mostro ella che i Greci, dotati di sommi doni
di spirito non erano per6, ne poteano essere, niente piu di ve-
run'altra nazione, posseditori esclusivi delFidea archetipa ed uni
versal del perfetto ; ci fe' gustar al vivo quella preziosa naturalezza,
quella elegante semplicita, quella forza di verita e d'evidenza,
quelFunzione toccante di sentimento che domina nei loro grandi
scrittori; ma ci fe* sentire altresi che per la legge costante delPuma-
nita le loro virtu non mancano della loro mistura di vizio, che se la
loro maniera ideale e sempre la piu felice, Tesecuzione non e
sempre la piu perfetta, che se le circostanze morali e politiche co-
municarono alle loro produzioni molte bellezze, ne tolsero varie
altre non men pregevoli, e forse in qualche senso maggiori, che
noi dobbiamo ad altre circostanze diverse; e che finalmente per
la perpetua successione e complicazion delle cause che influiscono
nella massa della poesia e delPeloquenza, e una vera assurdita
il credere che i Greci, o alcun popolo al mondo, possano mai
presentare alle nazioni ed ai secoli un modello in ogni sua parte
CORSO RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA 295
invariabile, o esaurire tutte le forme e tutti gli atteggiamenti del
Bello.
Queste idee che, per dir cosi, riumanavano i Greci divinizzati,
non pregiudicarono punto presso i veri uomini di lettere al fa-
vore e allo studio del loro idioma. Oltre al rispetto e alFinteresse
che conciliava a questa lingua il pensiero di veder in lei la prima
educatrice delPintelletto, quella che Iasci6 in tutte le scienze tracce
indelebili della antica benemerenza; la medesima considerata
in se stessa avea dei titoli singolari che doveano renderla cara e
pregevole ai letterati piii degni di questo nome; come quella che
musicale, pittoresca, precisa, varia, flessibile in sommo grado, atta
colla natural composizion dej suoi termini a rappresentar in un
sol tratto Faccoppiamento, la contemperazione, il contrasto d'idee
diverse, si prestava con ugual felicita alle opere d'urtmaginazione
e a quelle di ragionamento, quella che spesso nella radice d'un
vocabolo presentava il cammino della mente nello sviluppo e nella
progression delle idee, quella infine che ci mostra la prima origine
di molte voci tramandate o per mezzo della sua figlia latina, o
anche direttamente per se nelle nostre lingue moderne: origine
senza la quale i termini divengono cifre inanimate e arbitrarie,
e la di cui profonda conoscenza pu6 sola insegnarci quella filoso-
fia delle parole, ben diversa dalla grammatica, ch'e Telemento pri-
mario e fondamental dello stile.1 Inoltre conoscevano i saggi niente
esser piu giovevole alia perfezione d'un'arte, quanto di studiarne
progressivamente la storia colTesame dell'opere dei primi autori,
di confrontar la diversa maniera dei grandi artefici d'ogni nazione,
notarne i reciproci vantaggi o discapiti, i pregi o i difetti prodotti
in essi dalla natura dello strumento, dal gusto nazionale, dal carat-
tere particolar delPartista, ed awezzarsi a distinguere quelle mi
nute e pressoche impercettibili modificazioni di stile, che non
possono ne prevedersi ne rawisarsi senza la moltiplicita e Pap-
prossimazion dei rapporti : sapevano che in parita di talenti quegli
tra gli scrirtori avevano il gusto piu sicuro, e piu stagionato il
giudizio, che s'erano posti sotto la disciplina degli antichi: che
finalmente, dovendo Tuomo eloquente procacciarsi un tesoro
d'espressioni e di modi, atto, per quanto puo, a rappresentare
i. quella filosofia . . . stile: questa distinzione fra la grammatica e Izfilosofia
delle parole e ragionata piu ampiamente nel Saggio sulla flosofia delle lin
gue.
296 MELCHIORRE CESAROTTI
tutte le combinazioni possibili degli oggetti, dei pensieri e del
sentiment!, e un impoverirsi gratuitamente il rinunciare alle ab-
bondanti miniere di Grecia, miniere che dopo tanti secoli presen-
tano un fondo assai ricco all'industria d'un esplorator giudizioso.
Malgrado pero alle riflessioni d'alcuni pochi, caduta nelle scien-
ze, scemata nelle lettere 1'autorita dei greci autori, vennero in
tal guisa a mancare in tutto o in parte ambedue le cause che
aveano impreziosita cotanto universalmente la loro lingua. Da
quel punto ella non fu piu risguardata come la base delTeducazione
e la favella universal dello studio, ma solo come una conoscenza
arbitraria d'una classe particolar di studiosi, che poteva impune-
mente ignorarsi dal maggior numero; e molti ragionatori, poco
riverenti dell'antichita e delle usanze, cominciarono a dubitare se
fosse prezzo dell' opera il comperare con dispendio di fatica e di
tempo, rubato alle discipline piu interessanti, Tacquisto d'una
lingua, se non del tutto inutile, certamente non necessaria, quan-
do le recenti ricche d'ogni specie di monumenti letterari ci pre-
sentano spontaneamente 1'istruzione e '1 diletto uniti al merito
della giornaliera influenza nell'uso comun della vita. L'esempio
d'alcuni uomini di genio che brillarono nella carriera dell'eloquen-
za, senza aver se non di volo salutata la Grecia, sedusse anche
molti di questa sfera, e gl'indusse a credere che per farsi ammirare
non fosse punto necessario d'intisichir sopra i Greci, bastando di
conoscere la loro storia letteraria e d'aver letto i loro autori piu
celebri in qualche traduzione ben fatta, persuasi che le bellezze
essenziali e solide, quelle per le quali i Greci son grandi, possano
conservarsi in qualunque lingua, e che quelle che svaporano in
questo trasporto non siano che la parte la piu leggiera delle loro
opere, e di cui la perdita non val gran fatto la pena d'esser com-
pianta. Indarno i grammatici e i minuziosi eruditi cercarono di
opporsi a queste opinioni scandalose che andavano a poco a poco
minando i fondamenti del loro regno scolastico, indarno credette-
ro di sollecitar il gusto svogliato colle nuove edizioni corredate
di varianti e condite di tutte le delizie della critica grammaticale ;
indarno finaimente alcuni, trasportati da un entusiasmo di zelo
per 1'ortodossia letteraria, tentarono di rinnovar 1'apoteosi de' gre
ci autori, fulminarono Tanatema contro lo stile di tutte Paltre
nazioni, e stabilirono per dogma che nelle lettere non v'e salute
fuori di Grecia. Queste declamazioni non fecero che verificare il
CORSO RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA 2Q7
detto del Savio, che « chi sorge di notte e sale sul tetto per esaltar un
amico, equivale nelFeffetto al suo detrattore)).1 I ragionatori mo
dern! opposero il sarcasmo e la finezza del dileggio a questo tuono
imponente: Tamor proprio nazionale gareggio con quel della setta,
la critica perde quello spirito di moderazione che le concilia cre-
denza ed autorita, e i Greci trovarono dei censori acerbi perche avea-
no trovato dei lodatori fanatici. Quindi e che intorno i Greci
non vi sono comunemente che due opinioni ugualmente lontane
dal vero: chi li sprezza, chi Tidolatra; pochi sanno giudicarne
e trarne profitto. I piu modesti o Fipocriti (giacche anche la lette-
ratura ha i suoi) si pregiano d'esaltar Omero e Platone per sot-
trarsi al peso di leggerli, e tra quelli stessi che si piccano di col-
tura pochi sono che abbiano dei greci autori una maggior cono-
scenza di quella che suole acquistarsene a dispetto nelle scuole, asili
della decrepitezza dei metodi, pochi che non amino meglio di
ammirarli sulPaltrui fede, che di procacciarsi il mezzo d'esaminarli.
Quanto alia moltitudine, incerta di quel che debba pensarne, e
troppo occupata o distratta per poter ricorrere ai fonti, consulta
talora svogliatamente le traduzioni dette fedeli, e trovandole per
la piu parte stentate, aride, spoglie di finezza e desterita, sorpresa
d'incontrar la noia dove attendeva il diletto, confonde Foriginal
coll'interprete, e condanna Puno e Paltro a una perpetua dimen-
ticanza.
Per questo cumulo di cause, se gli autori detronati3 pregiu-
dicarono al favor della lingua, la lingua trascurata pregiudico al
merito degli autori, e questo ramo importantissimo d'erudizione
si va perdendo a vista d'occhio con danno sensibile dei buoni
studi e del gusto. Sia permesso, se si vuole, ad un uomo colto
d'ignorare 1'idioma greco, ma d'ignorar la letteratura dei Greci,
il carattere dei lor famosi scrittori, le bellezze reali delle loro opere,
non e permesso se non a chi si compiace del nome di barbaro.
Conversar con quella nazione che civilizzo due volte TEuropa;
contemplate m una storia poetica un quadro animato de' tempi
eroici;3 accompagnar dalla culla smo al trono 1'arte dramma-
tica; veder la voce d'un oratore rovesciar i progetti del piu accor-
i. Parafrasa un versetto dei Prov., 27,14: « Qui benedicit proximo suo voce
grandi, / de nocte consurgens, maledicenti similis erit». 2. detronati: de-
tronizzati. 3. contemplare . . . eroici: allude, con espressioni di sapore vi-
chiano, ai poemi omerici.
298 MELCHIORRE CESAROTTI
to conquistator deU'antichita;1 legger le imprese de' Greci scritte
da quel capitano che dal cuor della Persia, di mezzo a un'oste in-
numerabile, trasse salva ed illesa alia patria una brigata de' suoi,
con una ritirata superiore alle piu brillanti vittorie;2 addimesti-
carsi con quella capricciosa ma brillante mitologia che ardma
ancora i capi d' opera delle bell'arti: sono oggetti troppo interessanti
perch.6 possano trascurarsi senza vergogna. La societa in questo
secolo ha pressoche in tutte le classi varie persone colte, illuminate,
atte a conoscere e gustare il bello forse piu di qualche dotto
di professione, perche non obbligate dallo spirito del corpo a
formarsi un gusto fattizio e a sforzarsi di sentire quel che non
sentono. Se la loro applicazione a studi piu gravi, le occupazioni
sociali, la copia dei buoni libri moderni, la noia della fatica e
delle spine grammaticali non permettono loro di addimesticarsi
coiridioma de' Greci, dovranno percio esser escluse da qualun-
que commercio con quella famosa nazione? e il cercar il miglior
metodo di familiarizzar questa classe d'uomini colle belle forme
dell'eloquenza greca non sarebbe questo un render il piu opportune
servigio alia fama de' greci autori, che perduta sempre piu nella
lontananza non e oggimai per la moltitudine che un suono vano ?
Poiche dunque e piu da desiderarsi che da sperarsi di moltipli-
car i proseliti alia greca lingua, altro non resta che di esporre
allo sguardo e alPintelligenza comune lo spettacolo della greca
letteratura con una serie di gmdiziose traduzioni, atte a mettere
nel miglior lume possibile tutto il merito degli originali. Ma per
tal fine dovrassi regalar il pubblico d'una biblioteca in foglio,
in cui gli autori greci si trovino tradotti quanti sono da capo a
fondo? Questo sarebbe intender poco lo spirito della cosa e del
secolo/ Cio potea farsi due secoli fa, quando tutto ci6 ch'era
greco si adorava indistintamente : ma ora che i titoli delPantichita
hanno cessato d'imporre, ora che il nome d'una nazione non
fa piu diventar perfetto cio ch'e difettoso o mediocre, come at-
tendere un buon successo da questo metodo? II fatto stesso ne
dimostra 1'inutilita. Tutte 1'opere dei Greci non sono forse tra-
dotte esattamente in latino, lingua universalmente nota se non
posseduta, perche di maggior uso e per cosi dire inviscerata colle
moderne? e queste opere cosi tradotte non uscirono piu volte
1. veder . . . antichita: allude alle orazioni di Demostene contro Filippo.
2. legger . . . vittorie: allude dRAnabasi di Senofonte.
CORSO RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA 299
alia luce con tutto quell' ammasso di notizie filologiche che si
credono necessarie per facilitarne Pintelligenza? E che? Gli scrit-
tori greci son forse in grazia di questo piu gustati, piu letti, piu
conosciuti, fuorche da quelli che si piccano d'erudizione ? Non gia.
E perche cio ? Perche tutto nei Greci non e interessante, tutto puo
forse intendersi, non tutto sentirsi, tutto non e conciliabile col
nostro gusto, perche il bello nelle migliori produzioni e spesso
affogato nel mediocre, o non s'incontra cosi tosto a grado della
nostra impazienza, perche pochi hanno il coraggio di affrontar
una siepe di spine per coglierne alcune rose, pochi amano di cer-
car il grano confuso tra la paglia, laddove ognuno il raccorrebbe
assai di buon grado se gH si presentasse sceverato, vagliato e mon-
do. Se da una parte Tignoranza irreparabile di molte notizie a
cui si fa spesso allusione dai greci autori, ci fes perdere alcune delle
loro bellezze, dall'altra il cangiamento della religione, del governo,
dei costumi, dell'usanze, ciascheduno dei quali punti ha una
massima influenza sullo stile e sul gusto, e decide dell'interesse
delle produzioni letterarie, la copia, e sto per dire la sazieta delle
opere eccellenti di cui abbondano le piu colte nazioni d'Europa, i
lumi delle discipline e delle arti diffusi nella societa, che nei
piaceri istessi deirimmaginazione fanno sentir alTintelletto il bi-
sogno del suo proprio alimento, finalmente, per dir tutto, anche
la volubilita, la mo da, il disamore delPerudizion faticosa non
agguagliata dal frutto, Pamor proprio delle nazioni e del secolo,
tutte queste cause riunite resero il gusto delicato, difficile e a dir
vero un po' schizzinoso e sofistico, e ci fecero ben piu sensibili ai
difetti che alle virtu degli antichi. I Greci (checche si dica) non
hanno un Cicerone (parlero sol dei Latini) che faccia sentir nel suo
stile i pregi di tutti i generi d'eloquenza e raccolga per cosi dire
in se stesso le bellezze di tutte Peta; non hanno un Livio, la di cui
narrazione incantatrice tenga il lettore in una seduzione perpetua,
e la di cui facondia gareggi con quella de* piu perfetti oratori;
non hanno un Tacito, che presentando in un termine un gruppo
d'idee e chiudendo un ragionamento in un cenno, abbia Parte di
destar neirintelletto quella sensazione vivace, profonda e rapida
che le immagini energiche sogliono comunicare alia fantasia. Po-
trei forse estendere questo confronto negativo, ma mi ristringer6
a dire ch'io trovo nei Greci molte cose degnissime d'esser tradotte,
e pochi autori da tradursi. fe perci6 vano il pensare che le loro
300 MELCHIORRE CESAROTTI
opere possano essere generalmente gustate fuorche in que' luo-
ghi ove ci presentano le grandi ed universali bellezze della natura,
bellezze che brillano in ogni clima e resistono ai cangiamenti de'
secoli, in que' luoghi che offrono virtu depurate dalla mistura de' vi
zi, che riuniscono tutti i pregi di cui quel genere e suscettibile, che
conciliano le qualita che sembrano comunemente esclusive, e che
infine o non ammettono il meglio o non lasciano spazio a pensarvi.
Una scelta dunque giudiziosa di quanto si trova nell'opere dei Greci
di luminoso, di singolare, di grande nei vari generi d'eloquenza,
sembra la sola cosa conveniente al gusto del secolo e alPoggetto
che si contempla. Una tal opera presenterebbe ai giovani modelli
perfetti in ogni specie, servirebbe a formar un gusto delicato e
solido, offrirebbe a ciaschedun dei lettori il pascolo piu adattato
al suo genio, e riunendo la varieta, la perfezione e la serie, incon-
trerebbe il favor universale, perche sodisfarebbe ad un tempo
a tutte le disposizioni dello spirito umano, curioso e stancabile,
avido di saper tutto e impaziente, amator del perfetto e poco di-
sposto a cercarlo, e bramoso sempre di conciliare, per quanto e
possibile, Pattivita colPinerzia.
Ma la scelta non basta ad ottenere il suo fine, se il genere della
traduzione non corrisponde all'oggetto. E opinione comune, dettata
dalla mediocrita ed accolta dal pregiudizio, che niuna traduzione
possa mai uguagliare il suo originale, e che sia molto se vi si ac-
costa. Niente di piu vero se si parla di quelle traduzioni fredde
ed esangui che ci presentano un cadavero in luogo d'un corpo
animate, di quelle lavorate con quella infedelissima fedelta che
sacrifica ad una parola arbitraria o una frase inconcludente
tutti i pregi e le qualita dello stile, o con quella pedanteria scola-
stica che per mostrar d'intendere 1'etimologia d'una voce, stem-
pera un'espressione viva e rapida come un lampo in una fredda
perifrasi grammaticale, o fmalmente con quella goffa e servil timi-
dezza per cui 1'interprete sembra uno schiavo cogli abiti del suo
padrone. Ma mi si dia un traduttore che sia animato dal mede-
simo spirito delPautor favorito e ne abbia colto perfettamente il
carattere, che conosca a fondo il genio d'ambedue le lingue e la
fecondita della propria, che posseda tutti i segreti della sua arte,
che sappia a tempo modificare o sostituire, sviluppare o compri-
mere, rinfrescar, ove occorra, il colorito del testo senza alterarlo,
e oso credere che 1'autor originale, se non conservera sempre le sue
CORSO RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA 30!
identiche bellezze, trovera nella traduzione un equivalente, e talor
per awentura potra far guadagno nel cambio. Con questo spirito
Cicerone crede di poter con qualche gloria tradur le aringhe reci-
proche d'Eschine e di Demostene, e vorrei ben sentire se cotesti
rigoristi della fedelta grammaticale volessero trattar da bastarda
una traduzione del primo fra gli autori classici, perche non s'accorda
colla loro scrupolosa servilita. Con questo spirito medesimo il
Davanzati1 fra i nostri os6 lottare con Tacito, ne sempre usci
soccombente da tanta lotta: con questo il Pope si fe' ammirare
dalFInghilterra per la sua traduzion ddl'Iliade niente meno che
per il Saggio sulVuomo? e le recenti versioni de' signori Rochefort3
e Delisle4 passeranno alia posterita insieme colle piu celebri opere
originali di cui si pregi la Francia.
Ma il presentar al pubblico le sole bellezze dei Greci sarebbe
una specie di frode ufficiosa, un volerli far ammirare piu che co-
noscere. II nostro secolo ama di giudicare con piena conoscenza
di causa, ne sofTre che gli s'imponga o nella lode o nel biasimo:
si vuol vedere lo scrittore al paro deH'uomo nella pienezza del suo
carattere, confrontarne le qualita, pesarne i pregi e i difetti, che
nei grandi autori sono forse ugualmente istruttivi. Innoltre anche
per gustar il bello gli spiriti non esercitati abbisognano di prepa-
razione e di scorta; specialmenteche le bellezze dei Greci non sono
sempre esattamente le nostre, ed anche il gusto moderno ha la
sua pedanteria e i suoi pregiudizi. Per soddisfare a questo ogget-
to dovrebbesi accompagnar 1'accennata scelta con vari ragiona-
menti storico-critici, nei quali si contenesse il carattere letterario
e morale degli autori piu illustri, gli aneddoti, i detti, i tratti partico-
lari, il giudizio fatto delle loro opere dai ragionatori piu celebri,
i. Bernardo Davanzati (1529-1606) e qui ricordato per la sua traduzione di
tutte le opere di Tacito, condotta in uno stile che cerca di gareggiare con
I'originale in energia e concisione. 2. Pope . . . uomo : la traduzione del-
Vlliade in heroic couplets, compiuta dal Pope fra il 1715 e il 1720, fu in
realta ammiratissima non solo in Inghilterra, ma in tutta PEuropa sette-
centesca, per Paccorto adattamento del wild paradise di Omero al gusto ele-
gantemente e ordinatamente classicistico allora dominante. L3 'Essay on Man
(1733-1734), a sua volta, dovette lo straordmario favore con cui fu accolto
alia sua consonanza con i piu diffusi principii della morale illuministica.
3. Guillaume de Rochefort (1731-1788) tradusse in versi francesi i due
poemi omerici e tutte le tragedie di Sofocle. 4. Jacques Delisley o Delille,
(173 8- 1813) e qui ricordato per la sua fortunatissima traduzione delle Geor-
giche (1770); compose anche, fra Taltro, un famoso poema didattico, Les
jar dins (1782).
302 MELCHIORRE CESAROTTI
Tanalisi imparziale del loro principal! componimenti, il parallelo
cogli altri scrittori antichi o moderni che si esercitarono sopra
soggetti analoghi a quelli dei Greci, o cercarono di seguirne le
tracce ; in somma tutto cio che la loro vita e le loro opere possono
sommmistrar d'osservabile e d'interessante. In tal guisa il pub-
blico colto, ma non abbastanza erudito, avrebbe il fior delPelo-
quenza greca insieme colla storia della greca letteratura; e la
gioventu studiosa troverebbe uniti il precetto all'esempio, Peru-
dizione alia critica, cio che puo alimentare il gusto e ci6 che cor-
robora e perfeziona il giudizio.
Tal e il piano sul quale si e architettata 1'opera, di cui ora
si presenta al pubblico il primo volume: piano simile in parte a
quello che desiderava il celebre signor d'Alembert,1 che onoro
questo ramo d'eloquenza mal conosciuto non meno colla teoria che
coll'esempio. La prima divisione dell'eloquenza e di essere o
sciolta o legata. La sciolta puo ridursi a tre classi, oratoria, storica
e filosofica: e nella prima si comprendono quattro ordini di scrit
tori, gli oratori propriamente detti, i sofisti, gli aringatori storici,
i santi padri. Questo primo volume conterra dunque le aringhe
scelte degli oratori forensi o politici, omesso Demostene, che si
suppone abbastanza noto. Ciaschedun volume avra due parti,
Tuna rettorica, Taltra critica. Quanto alia prima, nemico per
sistema di quel gusto esclusivo ch'e fonte di tanti ingiusti giudizi,
ne punto piu disposto ad accarezzar i pregiudizi del secolo che
quei della scuola, io non mi propongo di prediligger un solo stile,
ma seguendone tutti i gradi e le varie modificazioni, far6 in tutto
la scelta deirottimo, formando in tal guisa una specie di scala
armonica nella quale il bello rettorico ricorrendo dal piu basso
grado al piu sublime e mostrandosi sotto ogrd forma, si fara scor-
gere uniforme nelPessenza, nei sembianti e nel colorito diverse.
Non si daranno pero interi se non quei componimenti che con-
servano sino al fine la bellezza del loro genere convenevolmente gra-
duata, o quelli in cui la particolar tessitura e disposizion delle
parti forma un grado principale di merito. Ne per6 mi far6 scru-
polo di ammetter talvolta anche qualche componimento non in-
colpabile, quando i difetti siano in certo modo cosi tessuti colle
i. piano . . . d'Alembert: allude alle Observations sur I' art de traduire, gia
ricordate dal Cesarotti nel Discorso premesso all'edizione 1772 di Ossian
(cfr. in questo volume, p. 90 e la not a).
CORSO RAGIONATO DI LETTERATURA GRECA 303
virtu che ne divengano inseparabili, o quando la celebrita del-
Topera o i vizi speciosi di essa possano dar soggetto ad utili
riflessioni. Gli squarci poi luminosi ed interessanti, ma che spesso
sepolti nel mediocre sono perduti per la fama dej loro autori e
per 1'uso di chi pu6 leggere, si troveranno opportunamente inse-
riti nella parte storico-critica di questo e dei seguenti volumi.
Conterra questa parte una serie d'osservazioni non meno filosofiche
che letterarie, nelle quali si vedra raccolto quanto di piu sensato si
trova sparse nelle memorie delle diverse accademie, e nelle dis-
sertazioni particolari dei dotti, dei di cui lumi mi pregio d'aver
profittato, senza mai giurare nelle parole d'alcuno, perche la repub-
blica delle lettere riconosce molti magistrati e niun dittatore. Per-
suaso che ogni membro di questa repubblica debba goder della
stessa facolta, accogliero volentieri, anzi con senso di gratitudine,
non solo tutti i lumi, gli awertimenti, i consigli, ma insieme anche
le censure oneste e imparziali di cui volessero onorarmi quei veri
letterati che uniscono Ferudizione al gusto, e la dottrina alFurba-
nita.
Sento troppo bene quanto io debbo esser lontano dalla perfe-
zione di cui quest'opera e suscettibile : ma spero che i giudici
discreti vorranno donare1 qualche difetto d'esecuzione al concepi-
mento del piano, alPutilita dell'assunto e alia somma difEcolta
delFimpresa, ricordandosi dell'antico detto
Anco il voler nelle grand' opre e molto.2
i. donare: perdonare. 2. Traduce Properzio, n, x, 6: «in magnis et vo-
luisse sat est».
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE
APPLICATO ALLA LINGUA ITALIANA
"CON VARIE NOTE, DUE RISCHIARAMENTI
E UNA LETTERA
Ut sdvae fohis pronos mutantur in annos,
prima cadunt, ita verborum vetus interit aetas
et iuvenum ntu florent modo nata vigentque.
Horat.1
AVVERTIMENTO
L'autore di questo scritto avea tutt'altro in pensiero che di fame
un libro. Aveva egll in qualche momento di maggior ozio gittato
sulla carta alcune idee, che formavano lo sbozzo d'un' opera, e
Come sia sorta nella mente del Cesarotti 1'idea di comporre questo Saggio
e spiegato dairautore stesso neirAvvertimento. La prima edizione uscl a
Vicenza, presso la stampena Penada, nel 1785, col titolo Saggio sopra
la lingua italiana, seguita nel 1788 da una seconda edizione, con lo stesso
titolo, presso la stamperia Turra di Vicenza. II Saggio fu infine ristampato
per la terza volta nel 1800 nelle Opere, I, pp. 1-300, con il titolo Saggio
sulla filosofia delle hngue applicato alia lingua italiana con vane note, due
rischiaramenti e una letter a, tutto inedito. Tra la prima e la seconda edi
zione non esistono difTerenze degne di nota; nella terza invece, a parte il
mutamento del titolo, e la soppressione di una breve lettera di dedica
al senatore Andrea Querini, furono aggiunte molte note a pie di pagina,
le quali vennero contrassegnate con asterisco. Inoltre, in appendice a
questa edizione, il Cesarotti stampd VAvvertimento degli editori, i due
Rischiaramenti apologetici e La lettera dell'ab. Cesarotti al sig. conte Gian-
Francesco Galeani Napione. All' edizione pisana si sono attenute quelle re-
centi di R. Spongano, stampata a Firenze, Sansoni, 1943, senza commento
ma corredata da una importante Nota finale; di G. Ortolam, nelle Opere
scelte, cit., I, pp. 3-197, dove sono riportate anche le poche variant! della
I e il edizione, ma annotata un po' scarsamente; e di M. Puppo, nel
volume Discussioni linguistiche del Settecento, cit., pp. 299-487, fornita
di note utili, specie per i riferimenti alia situazione della questione
della lingua nel Settecento. Noi pure riproduciamo il testo dell' edizione
pisana, tenendo presenti anche la prima e la seconda per la soluzione di
qualche caso dubbio che verra di volta in volta segnalato. Le note del
Cesarotti sono seguite dalla sigla C.
i. Ars poet., 60-2 («Come le selve cambiano le foglie col rapido passar
degli anni, e cadono quelle foglie che sono nate per prime, cosi periscono
le parole vecchie, e quelle da poco nate fioriscono al modo dei giovani e
raggiungono il pieno vigore »). Questi versi famosi, spesso citati a comincia-
re da Dante (P<zr.,xxvi, 136-8), sono riprodotti dal Cesarotti in testa al suo
trattato per significare il concetto, fondamentale nel trattato stesso, dell'evo-
luzione storica delle lingue, con particolare allusione al caso della lingua
letteraria italiana, di cui i puristi avrebbero voluto arrestare il moto vitale.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 305
n'erano come il sommario. Ma disperando di poterla intrapren-
dere a cagion dell'altre sue occupazioni, si contento di comunicarle
a piu d'uno de' suoi amici e colleghi, e specialmente ai dottissimi
signori ab. Sibiliato1 e Francesco Colle,2 ambedue rinomati acca-
demici di Padova;3 i quali essendosi talora occupati suirargomento
della nostra lingua, potevano coi loro lumi awalorare o rettificar
Tidee dell'autore. Accadde che il secondo di essi, avendo tessuto
una serie di lezioni accademiche sull'influenza del costume nello
stile, condotto dal filo del suo ragionamento esprimesse un voto
sopra la formazione d'un nuovo vocabolario, e nell'accennare il me-
todo d'eseguirlo facesse onorifica menzione delle viste e delPabboz-
zo della presente opera. Essendosi PAccademia mostrata deside-
rosa d'esserne piu ampiamente istruita dall'autore stesso, egli si
accinse a or dinar meglio i suoi pensamenti, e a dar a ciascheduno
quel tanto di diffusione che potesse bastare a far concepir esatta-
mente Pintero piano e la connession delPidee. La buona accoglienza
fatta alia prima parte lo invit6 a proseguir il lavoro, dilatando
Paltre alquanto di piu. Quindi e che la prima & piu concisa e indi-
retta, perche conserva il carattere del suo primo concepimento,
laddove le altre si accostano maggiormente alia dissertazione.
L'autore incoraggito dal favor del suo Corpo, essendosi approfit-
tato dei lumi e dei consigli di ottimi conoscitori della materia,
presenta questo Saggio al pubblico colla lusinga che possa aver
qualche utilita. Egli non si vanta d'aver detto cose del tutto nuove,
assunto in un tal soggetto impossibile ad eseguirsi e di mal augurio,
anzi si pregia d'aver seguito le tracce dei piu celebri ragionatori
del secolo sulla parte filosofica delle lingue, pago assai se ai piu
i. Clemente Sibiliato (1719-1795), gia collega del Cesarotti al seminario
e poi all'Universita di Padova come professore di lettere greche e latine,
scrisse alcuni notevoli saggi estetici come la Dissertasione sopra il quesito
se la poesia influisca sul bene dello Stato (1770) e soprattutto il discorso
Sopra lo spirito filosofico nelle belle lettere^ pubbhcato nei « Saggi scienti
fic! e letterari» delTAccademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, I
(1786), pp. 456-509, ma letto fin dal 1779, e in cui, utilizzando anche
ricordi vichiani, tenta di provare sistematicamente la radicale estraneita
dello « spirito filosofico » rispetto alia poesia e all'eloquenza. 2. Francesco
Maria Colle (1744-1815) scrisse alcune memorie Sopra V influenza del
costume nello stile letterarioy ricordate dal Cesarotti nel periodo seguente, e
delle quali egli stesso dette ampia notizia nelle sue Relazioni accademiche
(cfr. Opere, xvn, pp. 144-9 e 171-2; xvni, pp. 66-71). 3. accademici di
Padova: appartenenti all'Accadeniia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova,
di cui il Cesarotti era segretario perpetuo.
306 MELCHIORRE CESAROTTI
aweduti pu6 sembrar, come spera, ch'egli pure abbia lasciato
qualche orma non dispregevole in un tal cammino. D'una cosa
si crede egli in diritto di pregar i lettori; quest' e di non voler
giudicar delF opera da qualche proposizione incidentale o inter
media, presa in generale e isolatamente, ma di compiacersi di
paragonarla colPaltre che ne spiegano o ne restringono il senso,
e di seguir la progression dell'idee e la connession del ragionamento,
innanzi d'arrestarsi al minuto esame delle parti.
PARTE i
Si confutano alcuni pregiudizi che regnano intorno le lingue.
SOMMARIO
I. Opinioni dominant! intorno la lingua, i e sgg. Serie di proposizioni
che restringono o combattono le prime. II. Del dialetto dominante, e dei
vantaggi e discapiti che reca alia lingua. III. Differenze tra la lingua parlata
e la scritta, e parallelo fra i loro vantaggi e svantaggi. IV. [1-2.] Conseguen-
ze delle teorie precedent!. 3. DelTautorita delPuso. 4J>s]. DelPautorita
delTesempio. 6. DelPautorita dei grammatici. 7. Conclusione.
I. Nella classe di quei letterati che si dedicano particolarmente
allo studio delle lingue corrono per assiomi alcune opinioni, che
mal fondate, o mal applicate, impediscono costantemente il mi-
glioramento della lingua medesima. Si crede da loro comunemente
che fra le lingue altre abbiano qualche peccato d'origine, altre il
privilegio speciale della nobilta; che queste siano per se stesse es-
senzialmente in ogni lor parte colte, giudiziose, eleganti per la
sola ragione che appartengono a qualche privilegiata nazione;
le altre barbare, grossolane, disarmo niche, incapaci d'essere ab-
bastanza civilizzate o purgate dalla loro intrinseca ruggine : si con-
fonde colla lingua il dialetto dominante nella nazione, e si cre-
dono tutti gli altri indegni di confluire alPincremento ed abbelli-
mento di essa: si suppone che tutte le lingue siano reciproca-
mente insociabili5 che il loro massimo pregio sia la purita, che
qualunque tintura di peregrinita le imbastardisca e corrompa: si
fissa la perfezione d'ogni lingua ad un'epoca particolare per lo
piu remota, dalla quale quanto piu si scosta, tanto piu si de-
grada, e «peggiorando invetera)):1 s'immagina che, giunta a quel-
i. Adattamento del Sannazzaro, Arcadia, ecloga vi, 112: « '1 mondo insta-
bile / tanto peggiora piu, quanto piu invetera ».
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 307
1'epoca, elk sia ricca abbastanza per supplire a tutti i bisogni
dello spirito, e che Paumentark di voci o di modi non sia che
un'affettazione viziosa che la guasta in luogo d'arricchirla: si de-
clama contro qualunque innovazione, e si pretende che la lin
gua possa e debba rendersi in ogni sua parte inalterable ; i ter
mini, secondo le loro massime, non hanno veruna bellezza in-
trinseca, ma tutto il loro pregio dipende dal trovarsi registrati
in un qualche libro canonico: finalmente si stabilisce per prin-
cipio fondamentale che Puso, Fesempio e Tautorita dei grammatici
sono i legislatori inappellabili in fatto di lingua.
Prendendo ad esaminare colla scorta della filosofia la storia
delle lingue, accompagnandole dal punto della loro naturale ori-
gine sino a quello del loro scioglimento, si vedra, s'io non erro,
risultarne alcune proposizioni quasi direttamente opposte alle
precedenti.
i. Niuna lingua originariamente non e ne elegante ne barbara,
niuna non e pienamente e assolutamente superiore ad un'altra:
poiche tutte nascono allo stesso modo,1 cominciano rozze e me-
schine, procedono con gli stessi metodi nella formazione e propa-
gazione dei vocaboli, tutte hanno imperfezioni e pregi dello stesso
genere, tutte servono ugualmente agli usi comuni della nazion che
le park,2 tutte sono piacevoli agli orecchi del popolo per cui son
fatte, tutte sono suscettibili di coltura e di aggiustatezza, tutte si
i. Le lingue o nascono o derivano. Nasce una lingua qualora si sviluppa
per semplice impulse di natura, come farebbe la lingua d'una famiglia di-
scesa da due o piu fanciulli d'ambedue i sessi cresciuti in una selva. lo
non so se esistano di queste lingue, ma so che possono esistere, e in tal caso
procederebbero con uno stesso metodo naturale, salvo I'influenza diversa
del vario clima. Nelle derivate c'e qualche differenza nata dal vario accoz-
zamento delle due lingue, da cui risulta la terza. Qualunque sia questo ac-
cozzamento, ne nasce sempre una fermentazione e un conflitto, che per
qualche tempo sembra nuocere ad una lingua, senza giovar molto alTaltra.
Ma finalmente la lingua nuova prende una sintassi regolare e un color di-
stinto, ed allora ha quanto basta per migliorarsi a segno di non avere ad
invidiar le piu celebri. Awertasi che ogni lingua e sempre formata dal
popolo, vale a dire dagP ignoranti che procedono per istinto o per caso:
percio anche le derivate sono a un dipresso alia condizione di quelle che
nascono. Le proposizioni che seguono rischiarano il mio intend imento.
Ognuno di questi articoli domanderebbe una dissertazione; ma per chi
pu6 intendere spero di dir quanto basta (C.)- 2. che le parla : correggo
Fedizione pisana («che parla «), seguendo, con rOrtolani, le due prime
edizioni.
308 MELCHIORRE CESAROTTI
prestano ad un'armonia imitativa,1 tutte si vincono e si cedono re-
ciprocamente in qualche pregio particolare, tutte in fine hanno
difetti che danno luogo a qualche bellezza, e bellezze che n'esclu-
dono altre non men pregevoli. Sicche cotesta gara di lingue, coteste
infatuazioni per le nostrali o per le antiche o per le straniere
sono pure vanita pedantesche. La filosofia paragona e profitta,
il pregiudizio esclude e vilipende.2
2. Niuna lingua e pura. Non solo non n'esiste attualmente
alcuna di tale, ma non ne fu mai, anzi non puo esserlo : poiche una
lingua nella sua primitiva origine non si forma che dall'accozza-
mento di vari idiomi,3 siccome un popolo non si forma che dalla
riunione di varie e disperse tribu. Questa originaria mescolanza
d'idiomi nelle lingue si prova ad evidenza dai sinonimi delle so-
stanze, dalla diversita delle declinazioni e coniugazioni, dall'irre-
golarita dei verbi, dei nomi, della sintassi, di cui abbondano le
lingue piu colte. Quindi la supposta purita delle lingue, oltre che e
affatto falsa, e inoltre un pregio chimerico, poiche una lingua del
tutto pura sarebbe la piu rneschina e barbara di quante esistono,
e dovrebbe dirsi piuttosto un gergo che una lingua. Poiche dun-
que molti idiomi confluirono a formar ciascheduna lingua, e vi-
sibile che non sono tra loro insociabili, che maneggiati con giu-
dizio possono tuttavia scambievolmente arricchirsi, e che que-
sto cieco abborrimento per qualunque peregrinita e un pregiu
dizio del paro insussistente e dannoso al vantaggio delle lingue
stesse.
3. Niuna lingua fu mai formata sopra un piano precedente,
ma tutte nacquero o da un istinto non regolato o da un accozza-
mento fortuito. Quindi sarebbe una vanita il credere che le deno-
i. Cio non vuol dire che non vi siano difference, ma che sono poco sensibili
nel loro effetto. E chi ne dara la sentenza ? Ognuno ha ragione in casa pro-
pria. Non v'e popolo colto che creda di ceder agli altri in fatto di lingua,
benche rutti convengano nelPidee che ne formano la perfezione; segno che
ognuno ha cio che gli basta, ne sente che gli manchi nulla (C.). 2. Sopra
questo e i seguenti paragrafi vedi Rischiaramento I, § 2, (C.). 3. Finche
una famiglia o una tnbu vive isolata, non ha che un idioma povero, e pres-
soche un gergo. Pochi nomi e molto linguaggio d'azione bastano a' suoi
scarsi bisogni, e alle sue piu scarse idee. In uno stato cosi isolato gl}idiomi
sono in gran parte diversi e disanaloghi, come son quelli dei selvaggi d* Ame
rica. Convien che molte tribu s'accostmo insieme e formino un popolo,
perche ne risulti una vera lingua. Quindi ella fin dal suo nascere e una
mescolanza d'idiomi talora dissonanti e discordi (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 309
minazioni, le metafore, le maniere, le costruzioni d'una lingua
qualunque siasi, abbiano, specialmente rapporto ai primi tempi,
un pregio intrinseco che le renda costantemente migliori di quelle
che possono appresso introdurvisi, in guisa che Falterarle o poco
o molto sia un deteriorate la lingua e renderla scorretta e bar-
bara.
4. Niuna lingua fu mai formata per privata o pubblica autorita,
ma per libero e non espresso consenso del maggior numero. Quin-
di niuna autorita d'un individuo o d'un corpo puo mai nemmeno
in progresso arrestare o circoscrivere la liberta della nazione in
fatto di lingua; quindi la nazione stessa, ossia il maggior numero
dei parlanti, avra sempre la facolta di modificare, accrescere e con-
figurar la lingua a suo senno, senza che possa mai dirsi esser que-
sta una lingua diversa finche non giunge a perdere la sua struttura
caratteristica. Quindi e ridicolo il credere, come si crede e si
afTerma, che la lingua latina, per esempio, fosse men latina nel
secolo detto di bronzo che in quel delVoro^ benchd forse potesse
dirsi men pura, poiche nell'uno e nelPaltro era essa la lingua
della nazione medesima, sempre libera di adottar nuovi termini
e nuove fogge d'esprimersi. Ove giovera osservare che il libero
consenso del maggior numero presuppone in ciaschedun indi
viduo la liberta di servirsi di quel termine o di quella frase che
gli sembra piu acconcia, onde ciascuno possa paragonarla con
altre, e quindi sceglierla o rigettarla, cosicche il giudice della sua
legittimita non puo mai esser un particolare che decida ex cathedra
sopra canoni arbitrari, e nieghi a quel termine la cittadinanza,
ma bensi la maggior parte della nazione che coll'usarlo o riget-
tarlo o negligerlo, ne mostri Tapprovazione o '1 dissenso. E sicco-
me nella lingua parlata (giacche ora non si favella se non di que-
sta) il maggior numero dei parlanti e quello che autorizza un vo-
cabolo, cosi nella scritta una voce o una frase nuova non puo
ess ere condannata a priori sulle leggi arbitrarie e convenzionali
dei grammatici, ma suiraccoglienza che vien fatta ad esse in
capo a qualche tempo dal maggior numero degli scrittori, inten-
dendo sempre quelli che hanno orecchio, sentimento e giudizio
proprio, non di quelli che sono inceppati dalle prevenzioni d'una
illegittima autorita.
5. Niuna lingua e perfetta: come non lo e verun'altra delle isti-
tuzioni umane. I pregi delle lingue si escludono reciprocamente.
310 MELCHIORRE CESAROTTI
Una collezione di termini propri e distinti per ogni idea affoghe-
rebbe la memoria, e toglierebbe alia lingua la vivacita: il sistema dei
traslati e delle derivazioni genera confusioni ed equivoci. La co-
struzione logica degl'Italiani e Francesi rende la lingua piu pre-
cisa e meno animata, le inversion! dei Latini interessano il senti-
mento, ma turbano Pintelligenza. Se pero niuna lingua e perfetta,
ognuna non per tanto pu6 migliorarsi, come si vedra.
6. Niuna lingua e ricca abbastanza, ne puo assegnarsi alcun
tempo in cui ella non abbia bisogno di nuove ricchezze. Le arti,
le scienze, il commercio presentano ad ogni momento oggetti
nuovi, die domandano d'esser fissati con nuovi termini. Lo spirito
reso piu sagace e piu riflessivo raggira le sue idee sotto mille aspetti
diversi, le suddivide, ne forma nuove classi, nuovi generi, ed au-
menta Perario intellettuale. Come lavorarci sopra senza vocaboli
aggiustati che si prestino alle operazioni dell'intelletto ? Allora
solo la lingua potra cessar d'arricchirsi, quando lo spirito non avra
piu mil la da scoprire ne da riflettere. £ dunque un operar diretta-
mente contro Foggetto e '1 fine della lingua il pretender di to-
glierle con un rigor mussulmano il germe della sua intrinseca fe-
condita.
7. Niuna lingua 6 inalterable. Le cause delF alter azione sono
Inevitabili e necessarie. Ma la lingua si altera in due modi, dal
popolo e dagli scrittori. La prima alterazione cadendo sulla pro-
nunzia, sulle desinenze, sulla sintassi, tende lentamente a discio-
glierla, o agevola una rivoluzione violenta: quella degli scrittori
cade piuttosto sullo stile che sulla lingua; di cui se altera i colori,
ne conserva pero la forma, fors'anche a perpetuita.
8. Niuna lingua e parlata uniformemente dalla nazione. Non
solo qualunque difrerenza di clima1 suddivide la lingua in vari
dialetti, ma nella stessa citta regna talora una sensibile diversita di
pronunzia e di modi. Le diverse classi degli artefici si formano il lo-
ro gergo: i colti, i nobili hanno anche senza volerlo un dialetto
diverse da quello del volgo. Tra i vari dialetti uno diviene il pre-
dominante, e questo predominio e dovuto ora aH'autorita d'una
i . clima : questo e uno dei punti in cui anche il Cesarotti accoglie il concetto
illuministico (svolto sistematicamente per la prima volta dal Dubos) del-
rinfluenza del clima sull'evoluzione della civilta dei vari popoli. Un altro
accenno e nella nota i riportata a p. 307.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 31!
provincia sopra le altre, ed ora al merito degli scrittori. II secondo
titolo potrebbe rispettarsi come valido, ma quello dell'altro e talora
mal fondato e illegittimo.
ii. E qui cade in acconcio di esaminare se il predominio d'un
dialetto giovi o nuoccia maggiormente alia lingua. Esso giova:
i. perche fissa in qualche modo Panarchia della prommzia; 2. per
che accerta un sistema di costruzione, essendo meglio finalmente
una sintassi, qualunque siasi, che cento; 3. perche comincia a
render la lingua piu polita, invitando i piu colti ad esercitarvisi ;
4. perche ne facilita Pintelligenza agli stranieri, a cui basta d'ap-
prendere un solo dialetto per profittar di cio che in esso si scrive,
e per intendere ed esser inteso dalla classe piu ragguardevole. Ma
dall'altro canto il dialetto dominante pregiudica per molti capi
alia lingua: i. perche abbandona al volgo, e condanna all'incoltura
e al dispregio altri dialetti non punto inferiori ad esso, e forse talor
piu pregevoli; 2. impoverisce Perario della lingua nazionale, de-
fraudandola d'una quantita di termini e d'espressioni necessarie,
opportune, felici, energiche, che si trovano negli altri dialetti;
3. genera un gusto fattizio e capriccioso, altera il senso natural
delle orecchie, introduce le simpatie e le antipatie grammaticali ;
4. autorizza le irregolarita e i difetti gia preesistenti in quel dia
letto, li trasforma in virtu col nome di vezzi di lingua, e produce
false nozioni d'urbanita e di barbarismo, deducendo le une e le
altre non dalla ragione, ma dall'uso. Cosicche sarebbe forse da
desiderarsi che, siccome appresso i Greci, tutti i dialetti principal!
fossersi riputati ugualmente nobili, e si maneggiassero ugualmente
dagli scrittori. In tal guisa sarebbero essi tutti a poco a poco
divenuti piu regolari e piu colti, la nazione avrebbe avuto una
maggior copia di scrittori illustri, giacche piu d'uno riesce ec-
cellente nel proprio idioma vernacolo,1 che si trova imbarazzato
i.* In prova di cio il dialetto veneto puo vantarne un esempio singolare
nelle poesie di Antonio Lamberti, che non solo nei soggetti famihari e scher-
zevoli, ma, quel che non si sarebbe cosi facilmente creduto, anche nei toc-
canti, nei delicati e nei filosofici porto il suo idioma vernacolo a una tal
eccellenza poetica che non teme il confronto dei poeti pih celebri delle lin-
gue nobiH, e ci fa sentir a suo grado Anacreonte, Petrarca e La Fontaine.
Potrei aggiunger al Lamberti Francesco Gntti, P. V. [patrizio veneziano],
che ne' suoi apologhi si distingue per piacevolezza d'espressione, per la
finezza delle allusioni e per una sua propria e singolare vivacita: ma questo
esempio non quadrerebbe esattamente, perche il Gritti maneggia la lingua
312 MELCHIORRE CESAROTTI
e si mostra appena mediocre in un dialetto non suo: finalmente
da tutti questi dialetti approssimati e paragonati fra loro avreb-
besi potuto formare, come appunto formossi fra i Greci, una lin
gua comune, che sarebbe stata la vera lingua nazionale, la lingua
nobile per eccellenza, composta d'una scelta giudiziosa dei ter
mini e delle maniere piii ragguardevoli, lingua che sarebbe riu-
scita ricca, varia, feconda, pieghevole,1 atta forse a prestarsi colle
sole derivazioni sue proprie, senza 1'aiuto di linguaggi stranieri,
alia modificazione deU'idee antiche, o alia succession delle nuove
che s'introducono dal ragionamento e dal tempo.
m. La maggior parte di cio che s'e detto finora risguarda la
lingua parlata; passeremo ora a ragionar della scritta, e paragonan-
dole tra loro noteremo i loro vantaggi e svantaggi reciproci. La
lingua parlata serve agli usi comuni, si usa sol tra i present!, si
adopera in cose che direttamente e immediatamente interessano;
non si prefigge che 1'intelligenza degli ascoltanti, e 1'effetto; non
e preceduta da pensamento e dall'arte; il piacere che puo derivar-
ne in chi 1'ascolta, e talora la conseguenza, ma non 1'oggetto e '1
fine primario di chi favella. La scritta per lo contrario e diretta
ai lontani, tratta di argomenti che non risguardano i nostri bi-
sogni piu immediati e pressanti, e usata da persone tranquille e
colte per uso d'altre colte e oziose persone, si fa con scelta e pen
samento, si propone non solo Pintelligenza e la persuasione di
chi legge, ma insieme anche il diletto, precede con arte e con
regola. Quindi ne derivano diverse qualita di carattere nell'una
e nell'altra. La parlata e irregolare e negletta, ama a preferenza i
termini originari, e sparsa di maniere familiari, di allusioni par-
ticolari o triviali, e piena d'anomalie e d'ambiguita, pero senza
conseguenza, perche Tazione e '1 gesto che 1'accompagna, e la
conoscenza delle persone e degli oggetti previene abbastanza gli
italiana con ugual maestria e felicita che la veneta (C.). Antonio Lamberti
(1757-1832) scrisse Canzonette, Apologhi e Idillii, Stagioni cittadmesche e
campestri in dialetto veneziano. Sua e la famosa Biondina in gondoleta.
Francesco Gritti (1740-1811), oltre a varie opere in italiano, compose in
veneziano degli Apologhi, che piacquero anche al Foscolo. i . Alia liberta
di far uso di tutti i dialetti e di mescolarli fra loro attribuisce il Gebelin la
ricchezza, la forza e Tarmonia della lingua greca, e in gran parte il genio
originale de' suoi scrittori (C.). Antoine Court de Gebelin (1725-1784)
scrisse fra Faltro una Histoire naturelle de la parole (1776), ispirata a prin-
cipii sensistici, a cui il Cesarotti qui si rifensce.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 313
equivoci. La scritta e, e dev'essere, piu regolare e grammaticale,
poiche senza di questo i lontani sbaglierebbero piu d'una volta
il senso delle parole: e piu armoniosa e piu nobile, cerca i modi
meno ordinari, ne sfugge le allusioni men owie e i termini tratti
da lingue o dotte o talora straniere ma cognite, perche serve all'i-
struzione e al diletto degli scienziati e dei colti, che ne intendono
ugualmente il senso, e ne risentono piacevolmente 1'effetto. D'al-
Paltro canto la parlata ha dei vantaggi considerabili: i. ella e piu
ricca, perche i parlanti sono infinitamente in piu numero che gli
scriventi. Niun uomo che parla si trova mai imbarazzato per
mancanza di termini ; 2. e piu animata, perche chi parla e mosso da
un senso vivo e presente; 3. e piu disinvolta e meno affettata, per
che non porta seco la solennita e la compostezza dell'arte; 4. e piu
libera e piu feconda, perche non inceppata da regole, ne turbata
da scrupoli grammaticali. Chi si spiega nel suo idioma vernacolo
non s'informa innanzi di parlare se il termine che gli vien sulla
bocca siasi usato o non usato prima di lui. Avendo il senso in-
timo del genio della sua lingua, consapevole del valore delle termi-
nazioni e dell'analogia, si abbandona alFimpulso interno, conia
sugli stampi antichi cento vocaboli nuovi senza pensar che sien
tali, e adotta fra gli stranieri tutti quelli che gli sono opportuni.
Cosi la lingua si riempie d'espressioni calzanti, felici, originali,
e spira in ogni sua parte un'aura di vita. La scritta alTopposto
e piu povera, piu misurata, piu studiata ne' suoi movimenti, piu
uniforme, superstiziosa e infeconda. Due cagioni afTatto diverse
riunite insieme producono quest'ultimo discapito: Teccellenza e la
mediocrita. Alcuni scrittori di genio, essendosi resi celebri per
qualche monumento di spirito, destano un'ammirazione in alcu-
ni pochi ragionata, stupida nel maggior numero.1 Le loro opere
diventano soggetto non di esame, ma di adorazione. Non basta
che le loro parole, i loro tornii2 siano felici e convenient!; devono
essere gli ottimi fra tutti i possibili, anzi gli unici assolutamente.
Si forma su i loro scritti una specie di cabala, si osserva con su-
perstizione il numero degli esempi, si suppone una ragione a priori
i . Alcuni . . . numero : torna qui, spostata sul piano linguistico, la polemic*
contro il cieco ossequio all'autorita dei classici, gia condotta dal Cesarotti
nei suoi precedent! scritti estetici, a cominciare dal Ragionamento sopra
Porigine e iprogressi delP arte poetica. 2. tornii: giri di frase, modi di espri-
mersi.
314 MELCHIORRE CESAROTTI
di qualunque loro abitudine indifferente, quindi se ne formano
canoni, e si proscrive come strana, licenziosa, illegittima qualun
que parola non trovata sul loro frasario, e qualunque maniera
discordante dal loro uso. I mediocri, die sono i piu, si fanno
sostenitori di queste leggi che fanno loro un merito di non aver
d'originale nemmeno un termine: i pochi che avrebbero spirito
proprio, parte per una persuasione pregiudicata, parte per ti-
mor delle sentenze del tribunal della prevenzione, vi si adattano
a scanso di brighe: cosi il pregiudizio si awalora sempre piu, e
dopo aver prodotta Puniformita degli esempi, si prevale della stes-
sa uniformita a perpetuare la sua tirannide. Quindi negli scritti
predomina Paria imitativa, la lingua non ha che un colore ed
un tuono, e ad onta della sua facolta vitale e generativa diventa
sterile e morta.
iv. Da queste premesse caveremo per corollari alcune propo-
sizioni che serviranno di fondamento a quanto sarem per dire
in appresso.
1. La lingua, e molto meno la scritta, non dee confondersi col
dialetto principale. La lingua appartiene alia nazione, il dialetto
alia provincia. La lingua si forma di cio ch'ella ha di comune, il
dialetto di cio che v'e di particolare. La lingua scritta e sempre
piu colta e piu nobile di qualunque dialetto.
2. La lingua scritta dee considerarsi come il compimento e la
perfezione della parlata, dovendo essa aggiungere alia regolarita
ed alia scelta che le sono proprie, la franchezza e la fecondita
che caratterizzano 1'altra. Di fatto sarebbe strano e assurdamente
contradittorio, che si negasse ai colti ed agli scienziati che scri-
vono pensatamente, quella facolta che si accorda ai rozzi o al co
mune del popolo, che parla senza studio ed alia sprowista.
3. La lingua scritta non dee ricever la legge assolutamente
dalTuso volgare del popolo. L'uso deve dominar nella lingua par
lata, non nella scritta. Se Puso dovesse prendersi per norma ver-
rebbero ad autorizzarsi tutte le sconcordanze, le irregolarita e le
storpiature della pronunzia, che pur vengono condannate anche
iai grammatici, tuttoche questi ne approvino altre della medesima
jpecie. Ne mi si dica che le sopraddette sconcezze sono condanna-
:>ili perche deviano dalla lingua madre, nascono dall'ignoranza,
ravisano le parole, peccano contro Panalogia: perche Puso e cieco,
ntrodotto sempre dagPignoranti, che formano il maggior numero,
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 315
esso non segue costantemente verun principio, esso formo la lin
gua parlata come piu gli piacque, ne puo riconvenirsi1 di nulla:
astat pro ratione voluntas».s Se dunque Fuso solo nella lingua
scritta dovesse legittimar le parole e i modi di dire, mi si provi
come non debba pur anche legittimar le stravaganze della pro-
nunzia, e come, piantando Tuso per norma infallibile di chi scrive,
si possa approvar alcuni modi e condannarne altri, quando hanno
ugualmente spaccio presso la nazione.
4. La lingua scritta, nella scelta delle parole e delle espressioni
non dee nemmeno aderir ciecamente alPuso degli scrittori appro-
vati, ne farsi una legge di non dipartirsi dal loro esempio :3 perche
non tutti gH scrittori furono ugualmente colti, riflessrvi, diligenti
in fatto di lingua; perche molti, o per pregiudizio o per maggior
facilita, presero per lingua il loro dialetto; perche le costruzioni
e le maniere che piu frequentano4 non partono sempre da cono-
scenza di causa, ma dal caso o dalFabitudine ; perch6 gli scrittori
originali non intesero ne di ricever la legge ne di darla agli altri,
ma di far uso della comun liberta e del loro proprio giudizio,
senza pretender di togliere lo stesso diritto a quelli che verreb-
bero dopo; perche tutti hanno le loro imperfezioni; perche in-
fine tutti gli scrittori del mondo non potrebbero mai giungere
ad esaurire tutte le voci e tutte le maniere possibili che successi-
vamente si rendono necessarie o proficue ai bisogni dello spirito e
della lingua. E perch6 Tautorita degli scrittori approvati e il grande
Achille5 dei grammatici, si domandera loro se gli scrittori faccia-
no legge perche si conformano alTuso, o perche ne discordano:
se dicono il primo, sara dunque 1'uso il supremo arbitro della lin
gua, e quindi cadranno nelTinconveniente o nelle contraddizioni
accennate di sopra. Se poi fanno legge quando si appartano dal-
1'uso comune, domanderemo con quale autorita essi lo facciano,
e perche non debbano chiamarsi novatori e barbari quando usano
termini non piu adoperati, e tratti da lingue straniere, o qualche
neologismo d'espressione, che sara certo neologismo quando si
usa la prima volta. Ne potrebbero essi rispondere che quei ter-
i. riconvenirsi: riprendersi, essere rimproverato. 2. Cita a memoria Gio-
venale, Sat., vi, 223 : « hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas » (« questo
voglio, cosi comando, la volonta valga in luogo di ragione»). 3. Vedi
Risch. I, § 8 (C.). 4- frequentano: sono frequentL 5. il grande Achille:
'argomento fondamentale.
316 MELCHIORRE CESAROTTI
mini sono espressivi, chiari, ben derivati, armoniosi, giacche i
grammatici niegano la cittadinanza a una folia di vocaboli mo-
derni, malgrado queste medesime riconosciute qualita, per la sola
ragione che sono stranieri o non prima usati. Che se pur si vuole
che gli scrittori avessero autorita di coniar termini nuovi perche
il fecero con ragioni valide, primieramente avranno la bonta di
esporci queste ragioni, onde si possa esaminarle e confrontarle
coi termini introdotti dagli scrittori: poi faranno somma grazia
ad istruirci perche facendo uso delle medesime ragioni non ah-
biano i moderni la medesima facolta, e per quale strana metamor-
fosi cio ch'era un merito negli antichi diventi un delitto nei nostri.
Che se per ultimo rifugio verranno a dirci, come pur troppo si
dice, che gli scrittori approvati ebbero questo diritto perche ap-
partenevano alia provincia del dialetto dominatore, primieramente
dovranno rispondere a quanto si e detto da noi rispetto ai dialetti
e alia lingua, poi avranno a combattere coiresempio della lingua
latina, presso di cui gli autori classici, trattone alcuni pochissirm
romani, sono per la phi parte stranieri, ne d' Italia sola, ma galli,
spagnuoli, e per sino afrricani e traci ; e similmente coll'esempio del-
la scrupolosa lingua toscana, la qual pure concedette il diritto del
parlare ad alcuni lombardi e regnicoli.1 Finalmente volendosi con-
cedere ai grammatici esser questo diritto naturale dei soli munici-
pali o provinciali di quel dialetto, ne risultera che 1'aria e '1 clima
sono la causa causarum della giurisdizion sulla lingua, ed in con-
seguenza chiunque vive sotto quel cielo porta seco questo ori-
ginario diritto, ne per ottenerlo fanno di mestieri altri titoli: dun-
que il popolo sara il dittatore e '1 despota della lingua e d'ogni sua
parte: dunque, s'ella e cosi, se la ragione non ha veruna parte
nelPautorizzar le parole, ma tutto dipende dalPuso fondato sul
beneplacito della nazione2 privilegiata, Fuso del maggior numero
sara sempre piu autorevole che quello dei pochi, qualunque siane
la ragion che li guida, ed in conseguenza qualunque novita non
autorizzata dall'uso comune sara ugualmente illegittima, scanda-
losa e mal sonante tanto negli scrittori antichi che nei moderni, e
nei provinciali che negli stranieri.
5. Se tutti gli scrittori non possono mai fondare una prescri-
zione inalterabile rapporto alia lingua scritta, molto meno po-
i. regnicoli: abitanti del regno di Napoli. z. nazione: qui nei senso di re-
gione, citta.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 317
tranno produrla gli scrittori d*un certo secolo, e ancora meno
quelli de' piu remoti, poiche nelle arti, come nella vita, 1'eta dell'in-
fanzia non e mai quella del vigore. II progresso della lingua e sem-
pre in proporzione di quei dello spirito.1 Quindi in una nazione
colta, ricca, scienziata, fornita d'arti e di commercio, tanto piu
la lingua si accosta alia perfezione quanto piu si dilunga dalle
prime epoche: cosicche non dubitero d'affermare, malgrado Pap-
parenza di paradosso, che la lingua latina per esempio era a mi-
glior condizione nel secolo degli Antonini che in quello d'Augu-
sto; anzi, quando volesse accordarsi cio che per alcuni si crede,
che Feloquenza si corrompa a misura che le scienze si perfezio-
nano, ne seguirebbe che i secoli della corruzione sono quelli della
maggior fioridezza della lingua: perciocche la lingua non dee
confondersi collo stile, come suol farsi da mold. II pregio di essa
consiste nelF esser ad un tempo ricca, precisa, abbondante di colori
e d'atteggiamenti, pieghevole ad ogni argomento e ad ogni genere
di scritture. L'ufizio di essa e di presentar i materiali allo stile,
e lo stile e Farte di fame uso. Quindi puo darsi nello scrittore me-
desimo, non che in vari, ottima lingua senza ottimo stile, benche
uno scrittore non possa aver ottimo stile senza buona lingua; ma la
lingua dello scrittore puo esser ottima nella sua specie, benche
in generale la lingua della nazione sia lontana dalP esser F ottima.
La poca esattezza e precisione di queste idee genera tutto giorno
dispute di parole e falsi giudizi.
6. Meno ancora di tutto la lingua scritta dovra dipendere dal
tribunal dei grammatici, poiche non hanno ne veruna autorita le-
gislativa ne verun titolo per meritarla. Non quella, perche ne la
nazione ne il corpo degli scrittori non gli fecero depositari dei lor
diritti; ne i grammatici forrnarono gli scrittori, rna gli scrittori i
grammatici: non gli altri2 poiche riportando tutto alFuso e alFe-
sempio, mancano di mezzi per giudicar a priori della vera bonta
della lingua. Si contentino dunque di far Fufizio di vocabolari, e si
pregino di poter dire se una voce siasi usata, e quando, e da chi,
e quante volte, ma non si arroghino di dar sentenza sulla bellezza
ed aggiustatezza dei termini e delPespressioni, di cui solo tocca a
1. II progresso . . . spirito: concetto gia svolto nel Ragionamento prelimina-
re al corso ragionato di letteratura greca (cfr. in questo volume, p. 288).
2. gli altri: si riferisce a verun titolo.
318 MELCHIORRE CESAROTTI
decidere agli scrittori di genio e agli uomini che accoppiano al
gusto il ragionamento.
7. Conchiuderemo che la lingua scritta dee aver per base 1'uso,
per consigliere Pesempio e per direttrice la ragione:1 Puso, per
che ove si prescinda intieramente da esso, la lingua non sarebbe
piu intesa dalla nazione; Pesempio, perche se i modi dei grandi
scrittori non fanno legge, fanno pero una presunzione favorevole
che merita esame e rispetto; la ragione fmalmente, perche quanto
si fa con arte puo e deve essere oggetto di scienza, e perche la
ragion sola puo darci i mezzi di ben giudicare dell'uso e delPesem-
pio, e di distinguer nelle lingue la bellezza intrinseca dalla con-
venzionale e fattizia.
PARTE n
Dei principii che debbono guidar la ragione nel giudicar della
lingua scritta, nel perfezionarla e nel fame il miglior uso.
SOMMARIO
I. Divisione della lingua in un doppio ordine di parti. II. Vocaboli di due
specie. Sviluppo natural della lingua. Onomatopea. Rapporto fra le lettere e
le qualita degli oggetti. III. Metodo della natura per denominar gli oggetti
visibili. Osservazioni sopra il medesimo. IV. Operazioni dello spirito
nel modificare i vocaboli. V. Terzo fonte di vocaboli naturali. VI. [Termini-
figure e terrnini-cifre.]2 VII. Doppio rapporto dei vocaboli, e doppia
bellezza o difettuosita dei medesimi secondo 1'uno o 1'altro rapporto.
VIII. Del pregio dei vocaboli nel rapporto tra 1'oggetto e il suono. Esame
d'un detto di Quintiliano. IX. Del pregio dei vocaboli nel rapporto tra
oggetto e oggetto. X. Nomi delle idee spiritual! tratti da oggetti sensibili.
XI. Pregi e difetti dei vocaboli derivativi nel rapporto al senso. Esempi
ed osservazioni. XII. Dei vocaboli di moltiplice significato. XIII. Vicende,
metamorfosi e invecchiamento dei vocaboli. XIV. [1-3.] Corollan. Soluzione
d'alcuni fenomeni. 4. Necessita di rinfrescar di tempo in tempo il colorito
della lingua. XV. Delle frasi. Doppio contrasto che vi si trova. XVI. Dei
modi proverbiali e dei loro fonti. i. Di quelli tratti dalla natura. 2. Di
quelli tratti dalle scienze. 3. Dalle arti. 4. Dalle usanze. Osservazioni
sul frasario antico dei latinisti moderni. 5. Di quelle tratte dalle partico-
larita. XVII. Della sintassi: materia, forma e parti della medesima. XVIII. i.
i . la lingua scritta . . . ragione : cfr. su questa formula conclusiva le osser
vazioni di M. PUPPO, Discussioni linguistiche del Settecento, cit., Introdu-
zione, pp. 70-1. 2. Aggiungo, seguendo 1'Ortolani, questo titolo che
manca nel sommario del Cesarotti.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 319
Desinenze, concordanza, reggimento. 2. Delia costruzione elittica. 3. Del-
la costruzione diretta e inversa. XIX. Degl'idiotismi. Loro distinzione in
due specie. XX. Doppio genio della lingua.
I. La giurisdizione sopra la lingua scritta appartiene indivisa a tre
facolta riunite, la filosofia, 1'erudizione ed il gusto. La filosofia ci
mostrera in che consista la vera bellezza ed aggiustatezza delle
parole, e i veri bisogni della lingua; Perudizione, facendoci risa-
lire ai sensi primitivi dei termini e informandoci degli usi, costumi,
circostanze che diedero occasione ai van vocaboli, ce ne fara sentir
con precisione Pesatto valore, e P aggiustatezza o la sconvenienza;
finalmente il gusto c'insegnera quando e come vogliasi condi-
scendere all'uso o rettificarlo, in qual modo possano conciliarsi i
diritti della ragione e quei delPorecchio, e quali siano i limiti che
dividono la saggia liberta dalla sfrenata licenza.
Seguendo la scorta della prima di queste facolta, osserveremo
che la lingua come materia del discorso consta di due parti, Tuna
delle quali chiameremo logica, e 1'altra rettorica. Logica sara quella
che serve unicamente alPuso delPintelligenza, somministra i se-
gni delle idee, del vincolo che le lega tra loro, e di tutti quei rap-
porti di dipendenza che ne formano un tutto subordinate e connes-
so. Rettorica e quella parte che, oltre alPistruir Pintelletto, colpisce
rimmaginazione, ne contenta di ricordar 1'idea principale, la di-
pinge o la veste o Patteggia in un modo piu particolare o piu vivo,
o ne suscita contemporaneamente altre d'accessorie, le quali oltre
alToggetto hidicato dinotano anche un qualche modo interessante
di percepirlo, o un grado di sensazione che comunica una specie
d'oscillazione al cuore o allo spirito di chi ci ascolta. Parlero in
primo luogo della parte rettorica, come piu suscettibile di bellezza
o difetto. I vocaboli, le frasi, i modi proverbiali e gPidiotismi ci
daranno materia per investigarne le sopraddette qualita.
II. Quanto ai vocaboli osservero in primo luogo generalmente
che tutti possono dividersi in due classi, vocaboli memorativi e
vocaboli rappresentativi: quelli ricordano Foggetto, questi in qual
che modo il dipingono ; percio i primi possono chiamarsi termini-
cifre, gh* altri termini-figure. I primi a guisa delle chiavi cinesi1
non hanno coll'idea altro che un rapporto convenzionale e arbitra-
rio, gli altri lo hanno direttamente o indirettamente naturale, e a
i. chiavi cinesi: i monosillabi radicali della lingua cinese.
320 MELCHIORRE CESAROTTI
guisa della scrittura del primi secoli possono suddividersi in altre
due specie: la geroglifica che figura Poggetto stesso prima intero,
poi compendiato o indicato, e la simbolica che colla figura d'un
oggetto ne rappresenta un altro, o da una forma sensibile ad un'idea
intellettuale.
Per far meglio concepire il mio intendimento, tocchero qual-
che cosa dello sviluppo natural della lingua e delle fonti universal!
dei vocaboli. £ certo che Puomo porta seco dalla natura una lin
gua incoata, e in un certo senso uniforme, la quale serve di base
comune airimmensa famiglia di tutte le lingue dell'universo, e
della quale gli eruditi d'alta sfera scopersero in ciascheduna trac-
ce profonde e sensibili. Pressato Tuomo dal bisogno immediate di
fissar con un qualche nome gli oggetti che lo interessano, e di
farli conoscere agli altri con ugual prontezza e colla minima am-
biguita, non potea nella sua rozzezza aiutarsi con altri mezzi che
con quei due di cui la natura gli avea fatto un dono spontaneo:
la tendenza all'imitazione e le primitive disposizioni dell'organo
vocale. La prima operazione delTuomo sopra la lingua dovea ne-
cessariamente esser quella di cogliere ed imitar il rapporto posto
dalla natura fra il suono di certi oggetti e quel della voce, e di dar
agli oggetti stessi un nome analogo al suono ch'essi tramandano.1
Che questa fosse la prima origine natural dei vocaboli ben lo
conobbero e ce lo insegnarono i Greci, chiamando questo metodo
per eccellenza onomatopea, ossia invenzione dei nomi. Per una am-
pliazione di questo metodo presero gli uomini ad esprimere i
rapporti che passano fra certe proprieta esterne degli oggetti e le
articolazioni vocali. E poiche mi trovo d'aver cio spiegato altre
volte latinamente, prendero la liberta di ripeterlo cosi come sta.
«Nimirum inter litteras et certas rerum proprietates, eas praecipue
quae ad auditum ratione aliqua referuntur, arcanam analogiam
natura statuit, quam sagax animus arriperet, eaque ductus ad res
ipsas exprimendas quamproxime accederet. Enimvero cum litterae
i . La prima . . . tramandano : vedi de Brosse [cosi scrive costantemente il
Cesarotti], Form, mech, des long. [Traitede la formation mechamque des Ian-
gues et des principes physiques de V etymologic, Paris 1765], 1. 1 (C.). II Traite
del de Brosses, fondato su pnncipu condillachiani, e, come si e detto nella
Nota mtroduttiva, una delle principali fonti teoriche dell' opera cesarottia-
na. Oltre che per questo trattato, Charles de Brosses (1709-1777) e ricor-
dato come autore di un Voyage en Italie, pubblicato postumo, e come col-
laboratore delV Encyclopedic.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 321
in pronunciando aliae aegre exploduntur, aliae elabuntur atque
effluunt; nonnullae abblandiuntur organo; nonnullae vehemen-
tius impingunt; quaedam se caeteris facile agglomerant ; reluctan-
tur quaedam; cum sibilat haec, ilia frendit, altera glocitat; nonne
propemodum clamitant esse se certissimas notas analogis corpo-
rum proprietatibus exprimendis ab ipsa natura constitutas? Ita-
que dentales litteras constantibus rebus et firmis ; gutturales hian-
tibus et laboriose excavatis; fluidis, laevibus, volubilibus liquidas;
asperae ac rapidae vehementiae caninam; anguineam sibilae cele-
ritati notandae, natas et conformatas verissime dixeris.))1
in. Non era difficile Pafferrar questi due rapporti intrinseci e
diretti fra il suono e le cose: ma come denominar gli oggetti
visibili che non hanno veruna specie d'analogia colla voce? Qui
fu dove Tindustria aiut6 la natura. Tutto e legato nelPuniverso,
e tutto lo e bene o male nel nostro spirito. L'esatta corrispondenza
fra Tidea e Poggetto costituisce la verita, la corrispondenza esat-
ta fra il legame delPidee nostre col legame naturale degli esseri
forma la scienza. Ma perche queste due serie si corrispondano
esattamente, abbisognano d'una terza che ne stabilisca il com-
mercio, e le annodi reciprocamente. I vocaboli sono come la catena
trasversale che riunisce quella degli oggetti con quella delPidee. Un
vocabolo primitivo tratto dal suono non risveglia direttamente se
non se Pidea del corpo sonoro, in quanto egli e tale, ma con una
indiretta celerita risveglia pur anche Pidea dell'intera sostanza ri-
vestita delle sue intrinseche proprieta. Ora questa sostanza ha
molti e vari rapporti piu o meno vicini o vividi con altre infinite
i . La citazione e tratta dalla prolusione latina De naturali linguarum expli-
catione\ cfr. Opere, xxxi, pp. 71-2 («E evidente che fra le lettere e deter
minate proprieta delle cose, quelle principalmente che si riferiscono in
qualche modo alPudito, la natura ha stabilito una arcana analogia, tale da
poter essere awertita daH'animo sagace, che da essa guidato giungesse ad
esprimere le cose stesse nel modo piu aderente possibile. E in realta, dato
che alcune lettere, quando sono pronunciate, vengono esplose a fatica,
altre scivolano e scorrono; altre accarezzano Torgano vocale; altre lo sfor-
zano piu energicamente; altre si rifiutano ; dato che una sibila, una digrigna,
un'altra ancora chioccia; non dichiarano quasi a gran voce di essere dei
segni certissimi stabiliti dalla stessa natura ad esprimere analoghe pro
prieta dei corpi ? Cosi si potrebbe affermare con piena verita che le dentali
sono nate e conformate a denotare cose salde e ferme; le gutturali, cose
spalancate e laboriosamente scavate; le liquide, cose fluide, hsce e volubili;
la canina a esprimere una violenza aspra e rapida, 1'anguinea, una sibilant e
celerita »)• La lettera « canina » e la r (cosi chiamata daunafrasedi Persio>
Sat., i, 109), r«anguinea» e la s, di forma serpentina.
322 MELCHIORRE CESAROTTI
sostanze; siccome il primo vocabolo ha per mezzo de' suoi pri-
mitivi element! relazioni moltiplici con altre voci die risultano
dalla lor mescolanza. Percio il vocabolo primigenio formato dal
suono generatore e come I'ultimo anello a cui si connettono lateral-
mente quinci la catena degli oggetti, quindi Taltra dei vocaboli
analoghi; e percio qualunque derivazione da cotesto primo vo
cabolo corrispondera alia derivazione del primo oggetto, e ne de-
stera nello spirito una qualche immagine.1 Giova pero di osservare
quattro cose di molta conseguenza. i . La relazione tra i suoni e gli
oggetti derivati non essendo se non indiretta e mediata, il rapporto
tra i vocaboli e gli oggetti di questa specie sara meno sensibile e
meno vivace che quello tra i vocaboli e i corpi sonori. 2. II rapporto
tra il suono della voce e quello del corpo sonoro e unico, precise e
distinto; quello tra il vocabolo e '1 corpo visibile e vago, confuso,
moltiplice, avendo un corpo molti e molti aspetti per cui puo
appartenere ad un altro, ne potendo chi ascolta aver mezzo di cono-
i. * Nelle dottrine metafisiche che formano il preambolo del mio discorso,
mi sono in gran parte attenuto al sistema del sagace ed erudito filosofo de
Brosse nella sua insigne opera sulla formazion meccanica delle lingue.
Siccome pero questo non era 1'oggetto del mio libro, cosi non ho fatto che
toccar di volo quel tanto delle sue dottrine che potea bastar al mio intento,
sol per servirmene come di base alia mia teoria sulla bellezza dei termini.
Quindi e che per esser breve e passar al mio vero assunto, sar6 forse ad al-
cimi riuscito men chiaro. Osserva sensatamente il Condillac che Tidea d'un
oggetto, trattone alcuno de' piu emmenti, non si sveglia, o non si arresta
nella memoria, se non e fissata da un segno, e tra questi niuno e piu sicuro,
piu distinto, piu dipendente dal nostro arbitrio dei segm vocali: ma per
suscitar prontamente Fidea convien che il segno vocale abbia qualche rap
porto coll' oggetto stesso, e questo nel primo tempo non pu6 esser altro che
il suono. Quindi fra gli oggetti fisici, i corpi sonori, o quelli che hanno una
qualita relativa al suono, furono denominati i pnmi. Fissato in tal guisa il
nome d'un oggetto dal rapporto del suono, il primo vocabolo per mezzo del
suono stesso alquanto diversificato divenne radice d'un altro nome per in-
dicar un secondo oggetto, che avesse qualche rapporto col primo, benche
il rapporto non fosse piu di suono, ma d'altra qualita diversa. Suppongasi
che 1'oggetto che fissa 1'attenzion dell'uomo il quale s'inizia nella loquela,
sia il mare, ch'io adesso chiamo A, ma ch'egli vorrebbe denominar, ne sa
come. Sente che questo coll'onde manda un suono simile a B, egli imita
quel suono, e chiama appunto BA quell' oggetto incognito. Cosi dicendo
BA, la somiglianza del suono B gli svegliera 1s idea dell' oggetto A. Ma il ma
re ha un rapporto coi legni marinareschi, non pero in qualita di sonoro ma
di navigabile. II nostro uomo vede un naviglio, e osserva il suo rapporto
col mare, e avendo chiamato questo BA, chiama il naviglio BARC; cosi
la nuova articolazione BARC, derivata dal suono primitive BA, serve a in-
dicar un oggetto che ha bensi relazione col primo A, ma non gia col suono B
che servi a denominarlo. Vedi la nota seguente (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 323
scere in che si faccia consistere cotesta relazione. 3. Un corpo ha
infinitamente piu rapporti con altri corpi anche della medesima
specie, di quello che im suono coi suoni della medesima classe:
quindi le derivazioni dell'idee devono essere superiori senza con-
fronto di numero alle derivazioni vocali; quindi una sola articola-
zione comprendera sotto di se molte e varie significazioni d'oggetti
derivati per diverse strade dal primo; quindi alfine potendo cia-
scheduno osservar contemporaneamente van e diversi rapporti
tra un corpo stesso ed altri molti della stessa o di diversissima
specie, e dinotando pur ciascheduno questi rapporti diversi colla
stessa o con similissima derivazione vocale, ne risultera che chi
ascolta o non verra facilmente ad intendere qual sia la sostanza
indicata con quel derivato vocabolo, o sostituira volentieri le idee
proprie a quelle degli altri, supponendo che chi parla intenda
con quel termine d'indicar lo stesso rapporto da cui egli fa mag-
giormente colpito. 4. Potendo ciaschedun oggetto derivato in gra-
zia degli anzidetti rapporti diventar centro di molti, e questi suc-
cessivamente d'altri in infinite, ne segue che i vocaboli, quanto piu
si slontanano dal primo termine radicale, piu vanno deviando dal
significato di esso, e procedono desultoriamente1 e trasversalmente
d'idea in idea, in guisa che non possono risalire alia prima se non
se per un laberinto d'obliquita, di cui e talora assai malagevole
trovar il filo.2
i. desultoriamente'. a salti. 2. * Sarebbe desiderabile aver alle mani un
esempio tratto da un corpo sonoro che potesse render pienamente sensibili
le rinessioni del testo; ma I'immenso deviamento delle lingue dalla prima
origine, e 1'infinito mescolamento e intralciamento delle medesime non
permette di trovame alcuno di questa classe che sia pienamente aggiustato,
Fortunatamente pero ne trovo uno presso il de Brosse [Traite de la for
mation mechanique des langues ecc., ed. cit., i, p. 261] abbastanza ricco e fe-
lice, benche tratto non da oggetti sonori, ma da una qualita analoga al
suono. E questa la fissita e 1'arrestamento, a rappresentar il quale sembra
indicata dalla natura rarticolazione st formata dalla dentale t piu stabile
d'ogni altra lettera, a cui la s aggiunge un impulso di forza. Ecco dunque
qual moltiplicita d'oggetti e d'idee analoghe e disparate sia compresa sotto
una sola articolazione di suono pochissimo diversificata. St articolazione
radicale. I Latini con questo suono intimavano arrestamento e silenzio.
Statore, nome di Giove che arresto i nemici. Sto, da cui stanza, exto, resto,
adsto ; e constare e constantia ; e praesto e praestantia e substantia, nei quali
nomi 1'idea di stabilita materiale e quasi perduta di vista. Stabilis, statuo,
constituo, e quindi statute e constituzione, indicanti una stabilita morale, o
destituo, e substituo, e prostituo da cui prostituzione, nei quali la traccia del
primo senso e quasi afFogata dagli accessori. Statua, stqffa, stabulum o
stalla ; e Stallone e stabbio, « letame », per il solo rapporto d'appartener alia
3^4 MELCHIORRE CESAROTTI
Malgrado le imperfezioni di questo metodo, e certo esser que-
sto il piu naturale d'ogni altro, poiche di questo non solo nei roz-
zi secoli, ma in ogni tempo fecero gli uomini uso costante-
mente per denominare gli oggetti nuovi e le nuove combinazioni
d'idee.
IV. Quattro sono le operazioni dello spirito sopra i vocaboli
rispetto a questo rappoxto : la traslazione, la composizione, Pappo-
sizione, la derivazione. Se un oggetto nuovo, benche di divers a
specie, mostrava una somiglianza o un'analogia fortemente sen-
sibile col primo, si connotava questo rapporto accomunando lo
stesso nome ad ambi gli oggetti. Se una sostanza sembrava parte-
cipar di due altre, se ne formava il nome coiraccoppiamento dei
due rispettivi vocaboli. Se il nomenclatore osservava nel tempo
stesso cio che in un oggetto v'era di somigliante e cio che di pro-
prio, si apponevano 1'uno alPaltro separatamente due termini, il
primo dei quali mostrava la somiglianza, il secondo la differenza
caratteristica: cosi i Romani chiamarono gli elefanti buoi lucani>
gli Americani denominarono il leone gatto grosso e malvagio, e gli
Ottentoti non trovarono miglior modo di rappresentar il cavallo
che chiamandolo asino selvatico. Se finalmente una sostanza o
un'idea aveva una qualche specie di dipendenza o di connessione
con un'altra gia nota, s'indicava colFinflettere e modificare in va-
rie guise il vocabolo gia destinato a dinotar la sostanza a cui la
nuova per qualche punto attenevasi.
v. Ecco dunque due fonti universali dei vocaboli indicatici dalla
natura: i. rapporto fra oggetti e suoni; 2. rapporto tra oggetto
e oggetto.
Non dee per6 dissimularsi esservi anche un terzo fonte af-
fatto di verso, in cui la natura non e guidata da veruna specie di
rapporto. Fra i vari membri dell'organo vocale, alcuni si mettono
stalla. Stella, stellione, stellionato, oggetti disparatissimi. Vedi di questi
PP-333 e 34i- Stereos in greco, « fermo », sternon, il « petto ». Stipite, « tronco »,
estipite, «ceppo di famiglia». Stipula, stipulazione, stih m greco, «colonna».
Stirps, «radice» e «schiatta». Stupore, stupido. Noi veggiamo che mentre
Tidea del vocabolo and6 divagando per una infinita d'oggetti, il vocabolo
stesso si attiene sempre alia prima articolazione radicale st appoggiata sol-
tanto ai cinque suoni vocali sta, ste, sti, sto, stu. Apphcando ora a questo
esempio le nflessioni poste di sopra, sara facile osservare la marcia irrego-
lar dello spirito nell'associazione e derivazion dell'idee, e la tendenza piu
naturale degli uomini nella denominazion degli oggetti, e gl* inconvenient!
inevitabili di questo metodo (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 325
in movimento con piu prontezza e facilita, e come per impulse
spontaneo. £ dunque credibilissimo die gli uomini, nella fretta
di dar un nome a qualche oggetto visibile di cui non iscorgevano
ancora verun rapporto, abbiano o mandato fuora un suono vo-
cale inarticolato, per cui non v'e bisogno che d'aprir la bocca, o
proferito una qualche articolazione organica emanata da quella par-
te che prima delle altre metteva in gioco il suo meccanismo. Tali
sono in Europa le labbra: quindi le prime articolazioni dei bam
bini sono labiali, e quindi sogliono essi naturalmente chiamar
pappa il cibo, bobb il cavallo, benche queste voci non abbiano
veruna specie di relazione con quegli oggetti.1
Collo stesso metodo debbono presso tutti i popoli essersi co-
niati molti vocaboli che accompagnati dal gesto avranno indicate
abbastanza il senso del primo nomenclatore. £ pero da awertirsi
che questo fonte e il piu scarso d'ogni altro, e questo metodo,
benche a prima vista il piu owio, e pero non solo il meno confa-
cente allo sviluppo dello spirito, che non si fa adulto se non
colTassociazion dell'idee risvegliata dalPassociazion dei vocaboli,
ma insieme anche il piu ripugnante alia natura, poich6 dai primi
secoli della coltura sino ai presenti non fu mai che alcun uomo
ne colto ne rozzo dinotasse verun oggetto della natura o dell'arte,
veruna idea o complessa o semplice con un vocabolo induTerente e
gratuito; tanto in qualunque operazion dello spirito e necessaria
una ragion sufEciente che lo determini.
vi. Checche ne sia, troviamo nella natura le due classi di voca
boli sopraccennate, voglio dire i termini-figure e i termini-dire.
i. *De Brosse mostra con un copiosissimo e curioso catalogo d'esempi di
tutte le lingue cognite che presso tutte le nazioni del mondo i termini in-
servienti al primo linguaggio dei bambini, come padre, madre, poppa, pop-
pare e simili, sono tatti espressi colle lettere labiali, o, in difetto di queste,
colle dentali, come appartenenti a quelle parti dell'organo vocale il di cui
giuoco e piu pronto e facile a mettersi in moto. II catalogo del de Brosse
e tratto dalla relazione del filosofo viaggiatore sig. de La Condamine e da
quelle di vari dotti missionari rapporto alle lingue d* America, e sopra tutto
dalla traduzione d&WOrazione Domenicale in tutte le lingue del mondo pub-
blicata dal Chamberlain (C.). II catalogo del de Brosses e nel Traits de la
formation mechanique des langues ecc., ed. cit., I, pp. 231-8. Charles Marie de
La Condamine (1701-1774) scrisse varie relazioni intorno ai suoi viaggi nel-
1' America centrale. L'erudito inglese John Chamberlayne pubblicd la sua
traduzione in centocinquanta lingue dell'Oratio dominica ad Amsterdam
(1715)-
3^6 MELCHIORRE CESAROTTI
I prirni dedotti da qualche principio, e per conseguenza soggetti
ad esame e giudizio: i second! affatto insignificant! e arbitrari,
e percic- non suscettibili di veruna qualificazione di lode o di bia-
simo. Non e possibile di conoscer al presente in veruna lingua
quali siano i vocaboli originari di questa classe, ma divengono
tali rispetto a noi tutti quelli di cui non si conosce la derivazione,
e che abusivamente sogliono prendersi per radical!, benche non
lo siano se non rapporto ad altri che da loro derivano.
Giovera di osservare innanzi di terminar questo punto, che in
questo sviluppo natural della lingua si scorge indiviso Puniforme
dal diverso, il sistematico dalParbitrario. L'uniformita ed il s!-
stema e posto nel metodo, la diversita e Parbitrio nelPapplica-
zione. Poiche, tralasciando Tinfinita varieta nella derivazion del-
Tidee, primieramente ciaschedun membro dell'organo vocale non
ha una sola articolazione che gli appartenga, ma varie affini nate
dalla sua varia flessione e dal vario grado d'impulso, che si diver-
sifica piu o meno in ciascheduno degl'individui parlanti ; poi regna
necessariamente molto d'arbitrio nelPaccozzamento, nelPordine e
nella temperatura1 delle consonant! e delle vocali; finalmente i
segni arbitrari della derivazione prefissi, inseriti o posposti modi-
ficano i vocaboli nati dallo stesso fonte in cento guise diverse:
dal che appunto deriva che pochi germi della medesima specie
propagano colPandar del tempo la selva immensa ed intralciatis-
sima delle lingue. Quindi al proposito nostro ricaveremo che ogni
lingua in ognuno dej suoi element! ha una parte materiale, e
Paltra per cosi dire animata; questa degna delP esame del retori
e dei filosofi, quella soggetto soltanto delPosservazione e del regi-
stro dei grammatici.
vii. Premesse queste teorie necessarie, verremo a dedurne le
conseguenze.
Sara la prima che le voci insignificant! non hanno in veruna
lingua alcun pregio particolare, ne le nostrali o le latine di questa
classe possono vantare maggioranza2 sopra quelle degridiomi piu
rozzi ; se non in quanto talora il caso o il capriccio attacca a qual
che termine un'idea gratuita di politezza o di nobilta.
Sara 1'altra che i vocaboli da noi chiamati figure hanno due
i. temperatura'. varia e graduata mescolanza. 2. maggioranza: maggior
pregio.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 327
specie di bellezza o difettuosita, secondo il doppio rapporto so-
praccennato degli oggetti col suono e degli oggetti fra loro.
vui. Quanto al primo saranno belli e pregevoli que' vocaboli
che colla natura e Paccozzamento de' loro element! rappresentano
piu al vivo le qualita esterne degli oggetti che hanno una qualche
analogia diretta o indiretta coll'organo della voce: men belli o
difettosi saranno quelli che o non esprimono adeguatamente que-
sta analogia, o fanno una discordanza col suono dei corpi. Sotto
questo aspetto sara migliore la voce stabilis dei Latini che il
bebaeos dei Greci, flumen di potamos^ serpens di ophis, grus molto
piu bello di gheranos.1 Cosi Yacqua italiano e il vague francese che
si diguazzano nella bocca, avranno piu pregio che hydor e cyma\
guerra, liscio, tromba saranno da preferirsi a bellum, glaber, tuba\
schiantare avra quella bellezza espressiva che manca ad evellere,
e cosi d'altri simili.2
Vi sono delle metafore anche di suono. Per un' arcana armonia
hawi un occulto rapporto tra certe qualita deiranimo e '1 suon
della voce. La riflessione dirigendo Pistinto coglie quest' affinita,
e la rappresenta per mezzo della combinazion delle lettere, il che
porge ai vocaboli una nuova e piu distinta bellezza. Orgoglioso,
baldanzoso, tracotante, colle vocali piene, rinfiancate dalle acconce
consonanti, e colla moltiplicita delle sillabe spirano una certa au-
dacia di suono: umile, timido, stupido colla loro esilita vocale
corrispondono alle accennate meschinita dello spirito. Di questo
merito sembra dotata la voce francese flatter, che rappresenta la
lusinga come un soffio d'aura piacevole che solletica e vezzeggia
Porecchio.
Quintiliano non mostra d'aver sentito abbastanza questo pregio
singolarissimo delle parole. «Laudamus» dic'egli «verba bene re
bus accomodata»; ma immediatamente soggiunge: «sola est quae
notari possit vocalitas, quae su9covta dicitur, cuius in eo delectus
est, ut inter duo quae idem significant, ac tantundem valent,
quod melius sonat malis ».3 Con cio sembra ch'egli non riconosca
i. stabilis . . . gheranos: confronta a due a due parole latine e greche, che si-
gnificano rispettivamente: stabile, fiume, serpente, gru. 2. II francese
vague e il greco cyma significano «onda»; il greco hydor, «acqua»; bettumt
glaber, tuba, evellere sono termini latini di significato rispettivamente uguale
a quello dei termini italiani loro opposti dal Cesarotti. 3. Inst. orat., I, v, 3-4
(« Lodiamo le parole bene appropriate alle cose. La sola qualita che possa
328 MELCHIORRE CESAROTTI
nelie voci altro pregio esterno che una insignificante e materiale
vocalita. Ma oltre che questa non puo paragonarsi colPaccozza-
mento imitativo del suoni, da cui nella prosa non meno che nella
poesia si forma 1'armonia pittoresca ed incantatrice del numero,
deesi anche osservare: i. che ogni lingua aborre bensi da certe
strutture meccaniche, ma purche queste si sfuggano, non vi e
nel resto alcun suono che possa dirsi men bello, avendo la lin
gua ugualmente bisogno di parole sonanti o mute, aspre o soavi,
pesanti o agili, ne in altro essendo mai posto il loro merito fuor-
che nella maggiore o minore corrispondenza coiroggetto rappre-
sentato, cosicche il suono piu dissonante fa talora una consonanza
piacevolissima ; 2. che questa preconizzata eufonia e spesso capric-
ciosa e fattizia. «Scite» dice Cicerone nell'Oratore «maiores no-
stri dixere insipientem, iniquum, tricipitem)).1 lo avrei domandato
ben volentieri al gran Tullio in che stesse mai questo « scite », e se
quando gli antichi avesser detto insapientem, inaequum, tricapitem,
le sue orecchie non vi si sarebbero di buon grado accomodate, anzi
non avrebbero trovato barbaro il suono contrario, tanto piu perche
discordava dalla sua legittima derivazione.
Del resto a proposito di questo pregio dei termini osservero che
avrebbe gran torto chi percio rigettasse come spregevoli tutti quelli
che non giungono ad una tal perfezione, e sfuggisse affettatamente
di fame uso, perche questi possono aver pregi piu considerabili
d'un'altra specie, come vedremo ben tosto; perche non sempre
chi scrive vuole ne deve dipingere, bastando assai spesso d'indi-
care, e perche finalmente rarmonia imitativa non dee risultare
da ciascheduno dei termini, ma dalla somma totale che si forma
del loro reciproco intrecciamento. Sara pero sempre vero che,
prendendo ogni parola isolata, ella sara per questo capo tanto piu
bella quanto piu mandera un suono adeguato alle qualita della
cosa che si rappresenta.
ix. La bellezza o Jl difetto delle parole spiccano maggiormente
notarsi e la vocalita, che chiamano "eufonia", il cui criterio di scelta con-
siste nel prefenre fra due voci di uguale signincato e valore quella che
suona meglio »). Ma gli editori moderni di Quintiliano pongono « velut » da-
vanti a vocalitas. i. II passo di Cicerone, Or., XLVIII, 159, suona esatta-
mente cosi : « Quid, in verbis iunctis quam scite insipientem non insapientem,
iniquum non inaequum, tricipitem non tncapitem, concisum non concaesuml >
(« Quanto accortamente [i nostri antenati dissero] insipientem^^ ecc.)-
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 329
nel secondo rapporto, ch'e quello che passa tra oggetto e oggetto.
Tutti i termini di questa specie sono tratti dall'uno di questi due
fonti, la metafora e la metonimia. La prima segue i rapporti di
somiglianza, Faltra quelli di dipendenza o di connessione qualun-
que siasi. Le parole che si riferiscono alia metafora allettano mag-
giormente Timmaginazione a cui dipingono un oggetto colle sem-
bianze d'un altro, quelle della metonimia appagano Tintelletto
coll'istruirlo di qualche notizia relativa alia natura, alle proprieta
o alia storia delPoggetto stesso. Quanto piu dunque la metafora pre-
sentera una somiglianza vivace, eminente, adeguata, piu sara bello il
termine che la racchiude; e men sarallo all'opposto, se la somi
glianza sara languida, oscura, lontana, ecclissata da altri punti
notabili di ^convenienza. DalP altro canto avranno maggior pre-
gio intrinseco quei vocaboli che nella loro derivazione da un altro
contengono una specie di definizione della cosa, o la dinotano
da una proprieta essenziale o da un accidente luminoso ed insepa-
rabile o da un'idea dominante e feconda di molte altre o in fine
da qualche particolarita propria, inerente, incomunicabile. Quindi
saran piu belli i termini che si traggono dalla causa, dall'effetto,
dalla forma, dal fine, dalTuso, dalla connessione prossima, e quelli
ancora piu che obbligandoci ad una leggera attenzione ci fanno
con un picciolo esercizio di spirito scoprire una verita: men pre-
gevoli saranno quei che si deducono dalla materia, dalPautore,
dalla causa occasionale, dal paese: difettosi alfine quei che derivano
da una particolarita accidentale e indifferente, da una circostanza
momentanea, da un appicco soverchiamente lontano, da una opi-
nione falsa, da una qualita comune e generica. Meritano il vanto
quei termini che riuniscono i pregi d'ambedue le specie, vale a di
re che ci presentano una verita in una immagine. Nulla di piu
felice in questo genere della greca voce psiche, «farfalla», applicata
alPanima nel senso appunto che fu espresso divinamente dal nostro
Dante :
non v'accorgete voi che not siam vermi
noli a formar I* angelica farf alia?1
x. Tutte le idee e le operazioni spirituali, tratte necessaria-
mente dal corpo, sono metafore piu o men belle, secondo i gradi
i. Purg., x, 124-5.
330 MELCHIORRE CESAROTTI
della lor convenienza e chiarezza.1 Bellissime sono le voci delibe-
rare, «star in bilancia», pensare, cioe «pesar le ragioni», rifiettere,
come a dir « ripiegarsi e reagire sopra gli oggetti o le idee che ci
colpiscono». Felici son pure le denominazioni delle qualita del-
1'animo tratte dagli oggetti fisici e dalle loro proprieta. Rivali,
che val propriamente «uomini che gareggiano per 1'uso dello
stesso fiume)), si disse egregiamente di due che contendono per
dissetarsi ad una fonte d'un'altra specie, espressione che divenne
men bella quando si dilato ad oggetti che non hanno una somi-
glianza cosi marcata col primo senso. Inclinazione mostra bene il
pendio dell'animo verso una cosa; modestia dinota misura in
ogni genere ; scrupolo la smania cagionata da un sassolino che pre-
me un piede; tribolazione ci fa sentir le spine che pungono il
cuore; coquetterie rappresenta al vivo il carattere d'una donna ga-
lante che tiene a bada molti amanti, a guisa d'un gallo che vez-
zeggia cento galline ad un tempo, dal qual termine va poco lungi
Taltro italiano, non men felice, civetteria.2
Ma non so se possa lodarsi ugualmente la metafora dei Latini
congruere, ch'e quanto a dir grueggiare, per «andar djaccordo»,3
o Taltra concilium, « radunanza di popolo », tratta da condliare, voce
dei tintori che fissano i panni,4 col qual rapporto bensi fu esso
verbo impiegato con felice traslazione da Lucrezio in quei versi:
omnia quae sursum cum concihantur in alto,
corpore concrete, subtexunt nubila caelum.5
XL Venendo alle derivazioni, il nome della divinita presso di
noi non parla ne all'intelletto, ne al cuore: presso i Greci, signi-
ficando o «corrente» o « spettacoloso », sembrava indicare il culto
degli astri.6 II Tien dei Cinesi, nome del cielo materiale, procac-
cio loro la taccia bene o mal fondata d'ateismo. Presso gli Ebrei
i. [De Brosses], Form. mech. des lang., [ed. cit., i, p. 270], C. 2. Scrupolo
denva infatti dal latino scrupulus, « sassolino » ; tribolazione, dal latino tri-
bulus, «spino»; il francese coquetterie, da coq, « gallo ». 3. Di congruere il
Cesarotti accoglie Tetimologia di Festo, ma ora si fa denvare la parola
da cum -f- mere. 4. L/etimologia di concilium accolta dal Cesarotti e quella
varroniana ; ora il termine viene ricondotto a cum + calare o ad altra ori-
gine. 5. De rer. not,, v, 465-6 (« quando tutti questi atomi, innalzatisi, si
uniscono addensandosi, allora le nubi oscurano il cielo »). 6. presso . . .
astri: allude alia voce greca -8-e6?, «dio», di cui per6 gli studiosi moderni
propongono etimologie diverse da quelle accolte dal Cesarotti.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 331
soltanto ebbe Dio un nome degno di se nella voce arcana Jehova,
che dinota 1'Ente per eccellenza. £ un poj strano pero che gli Ebrei
si servissero comunemente dell'altro nome Eloim> che sembra
puzzar di politeismo.1 Gli altri orientali denominarono anch'essi
Dio dalla potenza o dal terrore. E qui giovera di osservare che sa-
rebbe altamente desiderabile che Dio presso tutti i popoli avesse
sortito il nome da' suoi attributi metafisici. L'Eterno, Pliifinito, lo
Stante-per-se, la Causa-prima, e simili, essendo titoli coessenziali
a Dio e incomunicabili, avrebbero date idee piu pure della natura
divina; laddove gli altri vocaboli che vagliono tutti «forte», «ec-
celso», «grande», «potente», «terribile», potendo cader anche
sulPuomo, possono forse aver, se non generata, almeno mantenuta
Tidolatria. Relativamente agli uomini miglior degli altri e il nome
tedesco di Dio, Gott, che ce lo rappresenta colP attribute adorabile
della bonta.2
Religio dei Latini, derivata da religare, porta seco idee di timore
e di scrupolo : il che fu espresso da Lucrezio con una traslazione
tanto felice, quanto il sentimento n'e detestabile:
et arctis
religionum animos nodis exsolvere pergo.3
Meglio sarebbesi ella denominata amor-di-Dio, e migliore in
questo senso e la nostra voce pietd, anche perche coll'altro senso
di compassione ci dinota che il soccorrer alle miserie degli uomini
e un atto principalissimo di religione.
Arete e virtus portavano presso i Greci e i Latini Pidea di forza.
Quanto meglio sarebbesi ella denominata filantropia, umanital
Con questo nome non si sarebbe dagli antichi eretto in virtu il fu
ror patriottico o lo spirito di conquista, ne il Machiavello avrebbe
rovesciate tutte le idee morali, chiamando virtuoso un Cesare
i. *Da questa osservazione principalmente trae il Clerc argomento di cre
dere che la lingua ebraica non fosse altro che quella dei Palestine Del resto
e credibile che avendo gli Ebrei un sacro ribrezzo nel proferire il nome mi-
sterioso di Jehova, abbiano santificato il nome profano di Eloim, dando alia
terminazione plurale un senso d'unicita enfatica, come a dire «il Dio sopra
tutti gli Dei», «il Dio che val solo tutti gli Dei», espressioni che s'mcon-
trano assai spesso nei testi biblici (C.)- Jean Clerc (1657-1736). teologo gi-
nevrino, e autore, fra 1' altro, di un commento latino della Bibbia. 2. Assi-
mila Go«, «Dio», a gut, «buono» o «bene». 3. Cfr. De rer. not., I, 931-2
(«e continue a liberare gli animi dagli stretti nodi della superstizione»).
332 MELCHIORRE CESAROTTI
Borgia. Solo le nostre ninfe di teatro1 potrebbero ancora con-
servar un equivalente al loro titolo di virtuose chiamandosi uma-
nissime.
Astutia e urbanitas sono derivate da due nomi diversi del mede-
simo senso, astu ed urbs, e significano propriamente costume cit-
tadmesco: denominazione felicissima, perche ci dinota che gli
uomini, prima semplici e rozzi nelle ville, ragunatisi nelle citta
acquistarono ad un tempo e politezza e malizia.
La verita, insignificante tra noi, ha fra i Greci un nome insigne,
alethla, vale a dir « che non puo star nascosta ».
All'incontro la voce latina ambitio non ha niente che corri-
sponda ne in buona ne in cattiva parte a questa qualita deH'animo,
perche tratta dalFatto materiale e generico dell'andar attorno, am-
bire, come facevasi nel brigar gli onori ; cosicche per se stessa de-
sterebbe qualunque senso innanzi che '1 vero.
Opportuna ai Latini, non pero in se stessa bellissima, era Paltra
candidatuS) dall'imbiancatura che facevasi colla creta alia toga dei
concorrenti agli ufizi; circostanza particolar dei Romani, e che
non e punto connessa coll'oggetto. Persio dall'accozzamento di
queste due voci trasse un'espressione felicissima, che unisce la
vivacita alia convenienza: «quos ducit hiantes cretata ambitio ».2
Tra i vocaboli che dinotano Punione legittima della donna e
delPuomo, la nostra voce maritaggio e insignificante, la latina
nuptiae, tratta dal velo di cui le spose si coprivano, non da veruna
idea della cosa. Migliore e matrimonio, che indica il fine di render
madre la femmina. Ma insigne, perfetta e doppiamente bellissima
e 1'altra voce dei Latini coniugium, che ci rappresenta due persone
accoppiate insieme con un solo nodo per vivere in pace e in con-
cordia, aiutandosi scambievolmente a portar i pesi della vita so-
ciale, come una coppia di buoi arnica, laboriosa e pacifica, dividen-
do il peso del suo giogo, coopera alia fecondazion della terra.
Ma non puo lodarsi in verun modo il termine pontifex, che in
luogo di spiegare gli ufizi intrinseci d'un capo della religione,
non si riferisce che ad uno accidentalissimo e per niun conto
connesso col suo carattere, qual fu quello di presiedere alia fab-
i. ninfe di teatro \ le cantanti cTopera lirica. 2. II passo di Persio, Sat., v,
176-7, suona esattamente cosi: «Ius habet ille sui palpo, quern tollit hian-
t em / cretata ambitio ?» (« Quell' adulatore, che 1'ambizione di candidate
rende bramosamente agitato, e forse padrone di se? »).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 333
brica del ponte Sublicio. Cosi 1'altro, signum, e troppo generico
per indicar una costellazione. La quin-quina,1 che conserva fra noi
il suo nome originario, ne ha uno piu bello in tedesco che ne
spiega 1'uso e la proprieta, Fieberrinde, ccscorza della febbre».2
Fra le derivazioni fondate sopra supposizioni vane, e sopra
rapporti oscuri e sforzati, parmi curiosa quella dei legist! romani,
a cui piacque di denominare stellionato un contratto fraudolento
con cui Tizio vende a Sempronio una cosa non sua, o venduta
prima ad un altro; deducendo un tal nome dalla tarantola, detta
in latino steltio, e cio perche questo animate invidioso e maligno,
ma dotto di storia naturale, sapendo che la sua pelle e un gran ri-
medio contro il mal caduco, la si divora perche non serva agli
usi dell'uomo. Non saprei dire se sia piu grande la malizia della
tarantola o quella dei legisti nomenclatori che ci vollero dar la
tortura con un rapporto cosi recondito.
Le voci terra e mare al presente sono puri segni indifferenti ; ma
se dovesse darsi il nome al primo di questi elementi, sarebbe me-
glio il chiamarla/<?£0wJ#, o tutto-madre, come la denomina Eschilo,3
di quello che salda, o rotonda. o anche arida, come si dice in
ebraico: nome che non poteva esser buono se non col rapporto
alle acque del caos da cui era dianzi ingombrata, o a quelle del
diluvio da cui usciva: cosi il mare sarebbe meglio detto namgabile^
o abbraccia-terra, che sale, come lo chiamarono i Greci e i Latini.4
xii. Abbiam gia detto come un vocabolo e spesso carico di vari
significati diversi. Tuttoche questa moltiplicita possa produrre
oscurita, errori ed equivoci, ella puo altresi avere un pregio di-
stinto, e generare insieme diletto ed utilita, qualora i sensi della
parola siano cosi fra loro connessi, o abbiano un cosi felice rapporto,
che 1'uno svegliando 1' altro, s'illustrino a vicenda, e ci facciano
scoprire qualche verita di ragionamento o di fatto.
In tal senso parmi bello il doppio significato della voce greca
anaestesia, che vale ugualmente «stupidezza» e «tracotanza», dal
i. quin-quina: la china. 2. Michaelis, Dissertation] stir Vinfl[uence] re-
cipr[oque] des opinions] el des lang[ues], C. Quest'opera di Johann David
Michaelis (1717-1791), file-logo orientalista tedesco, vinse nel 1749 il con-
corso bandito suH'argoinento dall'Accademia di Berlino, e fu pubblicata,
nella traduzione francese del Menan, a Brema, nel 1762. 6 una delle prin-
cipali fonti teoriche del Saggio cesarottiano. 3. come . . . Eschilo : nel Prom.,
90: 7ra£Z[i.7)TGdp. 4. coTHB . . . Latini : «mare» si dice in greco 0X5, in la
tino sal (che pero e voce poetica).
334 MELCHIORRE CESAROTTI
die osserviamo che molti non per altro sono bnitali e insolent!,
se non perche la loro stupidezza non permette loro di conoscere la
propria inferiorita o le leggi dei riguardi sociali. Poco dissimile di
pregio e di senso e Faltra voce analgesia, che vale «mdolenza» e
« stupidezza», con che ci mostra che Tuna di esse e reciproca-
mente causa dell'altra, e che il talento e Pindustria sono figli della
sensibilita punta dal bisogno, ch'e un dolore incoato.1 II verbo
ebraico halal, che vale «lodare» e « ammattire », c'insegna que-
sta verita, che nulla piu giova a sconvolger lo spirito quanto la
lode caricata ed adulatoria.
Ma non puo darsi una connessione e progressione di sensi piu
bella e piu filosofica di quella che si trova nella voce greca nomos,
con cui si dinotano ad un tempo cinque cose affatto diverse,
«pascolo», «ripartimentO)), «armonia)), (degge)) e « matrimonio ».
Questa sola parola c'istruisce che gli uomini prima pastori divisero i
pascoli comuni, e gli ripartirono equabilmente : questo riparti-
mento, producendo il tuo e '1 mio, introdusse le leggi per custo-
dirlo: dal ripartimento dei beni sociali, protetto dalle leggi, ri-
sult6 Parmonia della societa, come Parmonia della musica nasce
dal ripartimento proporzionato dei suoni: effetto utilissimo di
queste leggi e il sancir colla propria autorita Paccoppiamento fra
due persone de? due sessi, e formarne sotto certi riti un con-
tratto pubblico, di cui la legge stessa e garante. Ecco un trattato
di ius naturale e civile racchiuso in un termine.
Abbiamo recati esempi di omonimie felicissime fondate sopra
rapporti veri e non difficili a scoprirsi; ma sarebbe curioso a sa-
persi qual rapporto trovassero gli antichi Latini tra il brodo e la
leggej Per dinotar ambedue queste idee con un solo termine ius.2
Ne molto piu agevole e lo scoprir prontamente il rapporto che
passa tra un argomento e un cristero,3 come lo scopersero tosto
i venerabili padri della nostra lingua, che dinotarono collo stes-
so vocabolo Poperazione d'un dialettico e quella d'uno speziale,
forse colPidea espressa posteriormente dal Berni, parlando d'Ari-
stotele :
i. il talento . . . incoato: concetto tipico della filosofia sensistica, e che risale
al Locke. 2. ma sarebbe.. .tus: in realtk ius, « brodo », e ius, a legge »,
hanno etimologia del tutto diversa. 3. cristero: clistere.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 335
Ti fa con tanta grazia un argomento,
che te lo senti andar per la persona
sino al cervello, e rimanervi drento.1
xiii. La materia dei vocaboli e feconda d'altre osservazioni re
lative alia lingua: andro notandone le principali.
1. I termini oltre il senso diretto ne hanno spesso un altro
accessorio di favore o disfavore, d' appro vazione o di biasimo:
questo secondo senso ora e intrinseco, ed ora estraneo. Intrinseco
quando risulta dalla derivazione originaria del termine; estraneo
quando le viene appiccato dall'uso o dal capriccio degli ascoltanti.
L'accessorio intrinseco non pu6 cancellarsi se non si cancella 1'e-
timologia del vocabolo, ma Pestraneo puo abolirsi o quando il
vocabolo passa da una nazione alTaltra, o anche nella nazione
stessa col progresso del tempo; e talora uno scrittore riabilita Te
nor d'un termine, usandolo con desterita e collocandolo acconcia-
mente. II senso accessorio e quello che distingue fra loro le voci
sinonime, e la conoscenza di questo doppio senso e una parte
essenziale del gusto.
2. La moltiplicita dei significati d'un termine e o simultanea
o successiva. I termini peregrinando da un senso all' altro giun-
gono talora ad un punto non sol diverso, ma pressoche opposto
a quello della loro origine, e cio con alternative or di vantaggio
or di scapito.
3. II significato dei vocaboli si dilata e restringe a vicenda. I
termini dapprima individuali diventano a poco a poco generici;
o dopo aver errato pel genere discendono alia specie, e s'arrestano
nuovamente nelFindividuo. Animate e la denominazione delle
bestie, pontum dinota il mare in generale, e la voce generica
aequor e discesa a indicare unicamente la pianura marittima. Gli
Assassini, popolazione dell' Asia, i Ribaldi, specie di milizia, son
passati a caratterizzar collettivamente tutti i malfattori e i sicari.
Questi passaggi alterano il valor delle parole, e ne diversificano
Peffetto.
4. I vocaboli soggiacciono ad una successiva e perpetua meta-
morfosi di propri in traslati, di traslati in propri; nella qual tra-
smigrazione so d'aver mostrato in altro luogo2 che passano per
i. Capitolo In lode di Aristotele, 34-6. 2. Opere di Demostfene], t.
vi, osserv[azione] i alia Filipp. II (C.). Cfr. Opere, xxvm, pp. 151-62,
336 MELCHIORRE CESAROTTI
tre stati: d'immagine, d'indizio e di segno; secondo che la metafo-
ra o conserva la sua freschezza e vivacita, o sfiorisce a poco a poco,
o viene in tutto a logorarsi ed a spegnersi. Cosi nella lingua tutto e
alternamente figura e cifra. Questo cangiamento e per6 utile e
necessario; poiche essendo i termini per la piu parte, come ab-
biam mostrato di sopra, originariamente traslati, se quest! con-
servassero sempre la loro doppia sembianza, lo spirito nell'ascol-
tare o nel leggere resterebbe stanco, abbagliato e confuso da
una folia d'immagini assai spesso incoerenti e contradittorie :
laddove essendosi per tal guisa introdotta nel linguaggio una
serie di termini propri, lo scrittore puo far scelta di quelli che
corrispondono meglio al suo soggetto e al suo fine: le voci proprie
servono come di chiave alle figurate, le figurate comunicano il
loro lume alle proprie: cosi per una felice mescolanza s'aiutano
reciprocamente Pimmaginazione e lo spirito.
5. Similmente i termini derivativi e metonimici ritornano sem-
plici caratteri qualora vengono a perder le tracce della loro deri-
vazione, o perche passarono da una lingua all'altra scompagnati
dal primitivo da cui derivano, o perche la cattiva pronunzia al-
tero in essi qualche elemento radical della voce, o perche alfine il
tempo logoro la memoria di quell'idea, usanza, particolarita che
diresse il primo nomenclator del vocabolo. Nel mentovato pas-
saggio d'ambedue le specie di termini appassiscono i belli e i
disacconci migliorano, coprendo la sconvenienza originaria sotto
una cifra indifferente.
6. I vocaboli invecchiano per alcuna delle anzidette ragioni, per
la soprawenienza d'altri migliori, per la rivoluzion deiridee che
rende piu familiari nuove allusioni, per la maggior delicatezza e
talora fastidiosita delTorecchio, per il reciproco commercio dei
popoli, per Tautorita di qualche scrittore accreditato che inalzo un
qualche vocabolo sulle rovine d'un altro, finalmente per la semplice
sazievolezza dell'uso e per capricciosa vaghezza di novita.
Da tutte queste osservazioni fluisce per necessaria conseguenza
una verita non osservata, che la lingua in capo a qualche secolo, an-
che conservando intatta la sua forma esterna, diviene per6 in-
trinsecamente ed essenziaknente diversa nel valore, nel color,
nelTeffetto.
dove sono svolte anche altre idee accennate in questo paragrafo e nel
seguente.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 337
xiv. Quindi ne seguono alcuni corollari importanti per chi ama
di filosofar nelle lettere.
1. Da cio si rileva Testrema difficolta di giudicar adeguata-
mente delle opere scritte in una lingua morta o straniera, riu-
scendo spesso impossibile di conoscer con precisione qual fos
se allora lo stato attuale e individual dei vocaboli, quale il senso
accessorio predominante, se i colori delle metafore fossero viva-
ci o sfumati, e se le voci derivative conservassero 1'impronta ori-
ginaria, o se questa fosse gia corrosa dall'uso e ridotta a segno
indistinto.
2. Questa teoria ci presenta la soluzione di due fenomeni, in
apparenza contradittorii, che hanno luogo nei nostri giudizi intorno
gli autori classici: 1'uno, che molti luoghi delle loro opere ci sem-
brano appena mediocri, che pur sappiamo aver destato negli an-
tichi arnmirazione ed applauso: Paltro, che spesso troviamo in
essi ammirabile e trascendente cio che forse i contemporanei tro-
vavano comune, e talor anche difettoso o disadatto; come sap
piamo aver gli antichi trovata la « patavinita » in Livio1 e il «pin-
gue e peregrino» nei poeti di Cordova,2 e qualcheduno anche in
Cicerone3 medesimo. Poiche per Tuna parte gli antichi, conoscen-
do piu intimamente il valor dei loro vocaboli, doveano spesso
gustar un'occulta allusione, ove noi non ne scorgiamo pur Tom-
bra, e rawisar un'immagine ove noi non osserviamo che un cenno ;
dalPaltra, facendoci noi uno studio ponderato dell'opere degli an
tichi, qualora i termini ci presentano un'etimologia nota o una
traslazione sensibile, crediamo volentieri che quei vocaboli aves-
sero sempre quelFenfasi che ci troviamo noi stessi, quando forse
elPera in tutto o in parte svanita ; ne sappiamo inoltre dubitare che
quelPespressioni non fossero sempre le piu aggiustate e felici,
quando per awentura i lor coetanei dovevano trovarne piu d'una
di strana, disadatta ed audace. Cosi veggiamo che Eschine chia-
i.in Livio: cfr. Quintiliano, Inst. orat., I, v, 56, dove e riferita la testi-
monianza di Asinio Pollione. 2. nei poeti di Cordova: cfr. Cicerone, Pro
Arch., 10. 3. «Rufus qui toties Ciceronem allobroga dixit», Iuven[alls:
cfr. Sat., vn, 214, «Rufo che tante volte chiamo allobrogo Cicerone »;
ma gli editori moderni leggono: «Rufum, quern, totiens Ciceronem allo
broga dixit»]. Sara questa una calunnia, ma pure doveva avere un qualche
fondamento, almen d'apparenza. Chi di noi saprebbe dire ove stesse?
Inoltre Cicerone alia fazione degli atticisti, e forse a Bruto stesso, non sem-
brava abbastanza puro (C.).
MELCHIORRE CESAROTTI
ma ccspauracchi)) e «mostri»J alcune frasi di Demostene, che a noi
sembrano vivaci ed energiche.
3. Quindi pure venghiamo ad intendere come accada che fra
gli scrittori nostrali, quelli specialmente che si distinguono per
sceltezza ed ornamenti di lingua, molti ci colpiscano al vivo e ci
sembrino pieni di grazie, che riescono freddi ed insipidi agli stra-
nieri che pure intendono la nostra lingua, e come poi quegli stessi
in capo a qualche periodo di tempo non facciano piu nemmeno
sul nostro spirito la stessa impressione di prima, in guisa che ta-
lora siamo tentati di ammirar la bonta dei nostri maggiori nelPam-
mirarli cotanto.
4. Finalmente, quel che piu importa, viene da cio a dimo-
strarsi la necessita di rinfrescar di tempo in tempo il colorito della
lingua colPintrodur nuovi termini, nuove derivazioni e metafore,
se vogliamo che 1'espressioni siano assortite al sentimento, nel che
e posta tutta la bellezza e vivacita dello stile. Questo bisogno
pero non e sentito al vivo che da due classi d'uomim, i ragionatori e
gli appassionati : i primi analizzando piu sottilmente oggetti ed idee,
e colla loro chimica intellettuale sciogliendole a vicenda e ricom-
ponendole, e formandone or gruppi or atomi, trovano scarsa e di-
sadatta la lingua per dar un nome adeguato alia popolazion suc-
cessiva dei loro esseri nozionali : gli altri poi, colpiti profondamen-
te dagli oggetti della loro passione, e ingombri di sempre nuovi
fantasmi, si lagnano di non trovar nella loro lingua se non colori
svenuti2 e logori, e d'esser costretti a presentar una copia langui-
da e inanimata del quadro che il cuore dipinge nella loro fantasia
con tratti di foco. Perci6 quand'anche volesse fingersi che si fossero
gia scoperti e denominati tutti gli oggetti possibili, la lingua agli
uomini di questa specie riuscirebbe ancor povera, perche il frasa-
rio del genio e del sentimento e sempre inesausto.
xv. Continuando il nostro esame sulle parti rettoriche della lin
gua faremo un cenno delle frasi. Siccome queste constano di due
termini, Puno dei quali modifica o determina il primo, oppure
riceve 1'azione comunicata dall'altro, cosi la frase dee partecipar
delle qualita dei vocaboli da cui e composta. Quindi ci6 che ab-
biam detto dei pregi o difetti di essi pu6 bastare per le frasi me-
i. Oraz. contro Ctesifonte. Vedi Tosserv. a quel luogo, t. vi, Op. di Demost.,
p. 250, ediz. di Padova (C.)- 2. svenuti: sbiaditi.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 339
desime: quindi le frasi formate da nomi o verbi indifferent! ser-
viranno bensi all'uso, non pero alFornamento della lingua, ne po-
tranno qualificarsi per bellezza o deformita, come le altre formate
di vocaboli d'tm'altra specie. £ pero da osservarsi che la frase in
forza della riunione dei termini puo anche ricevere un altro pregio
distinto da quello che hanno i termini stessi presi da se. Consiste
questo nel contrasto sia del nome che modifica la sostanza, sia del
verbo che agisce sopra Foggetto. Questo contrasto e di due specie,
contrasto di somiglianza e contrasto di riflessione. Sitibondo di
sangue presenta un contrasto di somiglianza: uno di riflessione
puo scorgersi nella bella frase di Cicerone a Cesare, «tu vincesti
la vittoria)).1 Perche queste frasi sian belle, convien che il loro
contrasto possa conciliarsi per mezzo o delPanalogia o dell'analisL
L'analogia concilia felicemente il primo, poiche sono analoghi tra
loro tanto il sangue e Facqua, quanto la sete e il desiderio vio-
lento: il secondo e conciliato dalFanalisi, poiche, analizzando le
cause della guerra e gli effetti della vittoria, si scorge tosto esser
egregiamente detto che vinca la vittoria chi trionfa di quelle pas-
sioni che sono destate e fomentate dalla medesima. AlFincontro
il celebre «sudate, o fochi»2 delFAchillini non puo conciliarsi in
verun senso, e perci6 non e un contrasto, ma una contradizione
nei termini. Cio bastera aver toccato, giacche le frasi che si ricer-
cano- dagli scrittori appartengono piuttosto allo stile che alia lin
gua. Pure la lingua stessa ne offre da se molte e molte rese comuni
dalFuso, e considerate come termini semplici e propri, le quali esa-
minate a dovere si trovano dedotte dagli accennati principii, e percio
possono aver pregio o biasimo, secondo la lor convenienza o stra-
nezza. Tal e la frase contadinesca la terra va in mare, usata dai
villani senza intenderci mistero, e tale sarebbe il gemmare vites
dei Latini, se questa, come credea Qmntiliano,3 fosse una vera
metafora. Ma questo ingegnoso retore prese certamente un abbaglio,
essendo la gemma delle vrti termine proprio, perche gli uomini, e
molto piu i Romani, furono prima agricoltori e poi ricchi; e le
gemme delle viti erano conosciute da loro molti secoli innanzi
1. Cfr. Cicerone, Pro Marc., iv, 12: «ipsam victoriam vicisse videris».
2. Inizio del sonetto indirizzato dalFAchillini a Luigi XIII per la presa di
La Rochelle e la Hberazione di Casale. Lo citera anche il Manzoni nei
Promessi sposL 3. Cfr. Inst. orat., vin, vi, 4. E cfr. anche Cicerone, De
or at., in, xxxvn, 155.
34° MELCHIORRE CESAROTTI
che quelle del monti.1 Bensi eccellente con tal parola e la frase
metaforica di Lucrezio «herbae gemmantes rore recent! ».a
xvi. Al fondo material della lingua appartengono i modi pro-
verbiali, ossia certe frasi contenenti un senso allusivo o una com-
parazione indiretta o in generale qualche espressione simbolica.
Introdotti questi nei discorsi familiari come di giurisdizione co-
mune, e registrati ne' vocabolari dietro Pesempio di qualche clas-
sico scrittore, sono accolti ben volentieri dagli altri, e usati indi-
stintamente per buoni come si fa dei vocaboli. A fine pero di fissar
con qualche maggior esattezza il loro pregio legittimo, osserveremo
che tutti questi modi possono dedursi da cinque fonti: natura,
scienze, arti, usanze, particolarita. Giovera arrestarsi alquanto su
ciascheduno.
i. Alia natura si riferiscono quei modi che si fondano sopra le
proprieta degli animali o d'altre sostanze fisiche. Essendo tali pro
prieta reali, permanenti, e potendo comunemente esser note, le
allusioni che si fanno ad esse, istruttive insieme e dilettevoli,
avranno tanto maggior pregio e vaghezza, quanto sara piu espres-
sa ed aggiustata la convenienza tra il soggetto e Pintendimento. Tra
queste pero sara dovuta la preferenza a quelle che alia bonta as-
soluta aggiungono la relativa, vale a dir quelle che sono tratte da
proprieta cosi note e familiari che al solo accennarsi il loro rap-
porto balzi agli occhi da se, e colpisca vivamente chi ascolta. Con-
ciossiache una nazione grande essendo sparsa per molte e diverse
provincie, non tutti gli abitanti possono aver familiari gli og-
getti medesimi, e osservarne le qualita. Quindi, a cagion d'esem-
pio, una frase allusiva ai pesci sara meglio intesa e gustata dagli
abitanti delle coste marittime, che dai mediterranei o dagli alpi-
giani. Le fiere e gli uccelli presenteranno frasi piu vive ai popoli
cacciatori che agli agricoli, i quali avranno osservati meglio i
fenomeni delle cose rurali. Ora una lingua essendo spesso comune
a popoli di clima e situazione diversi, dal trovarsi in qualche buo-
i. Alia prima lettura di Quintiliano io aveva portato questo giudizio, che
trovai poscia awalorato dal Du Marsais nella sua opera dei tropi (C.)-
Allude al Traite des tropes (1730) di Cesar Dumarsais (1676-1756), che fu
anche collaboratore dell' Encyclopedia per la parte grammaticale. 2. II
passo di Lucrezio, De rer. nat., v, 461-2, suona esattamente cosi: «aurea
cum primum gemmantis rore per herbas / matutina rubent radiati lumina
solis » (« appena per Terbe ingemmate dalla rugiada rosseggia 1'aurea luce
mattutina del raggiante sole»).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 34!
no scrittore usato un modo proverbiale non ne segue percio che lo
stesso sia ugualmente buono per tutti gli altri, potendo darsi che
cio ch'era chiaro e spiritoso in un luogo, riesca nell'altro oscuro
ed insipido. II proverbio quest* e il pesce pastinaca, applicato a una
cosa che non ha ne capo ne coda,1 sara piu gustato dai cenobiti
ittiofaghi che dai carnivori. I Latini chiamano stellio un uomo
livido e maligno per la storia dianzi accennata della sua pelle:
ora chi dicesse d'uno ctiegli ha Vanima della tarantola, sarebbe
per awentura inteso in Calabria piu che fra noi; ove un'anima di
scorpione sarebbe meglio appropriata a quelPanime nere e schi-
fose che cercano distinguersi col pungiglione venefico.
2. Per una consimil ragione non saranno sempre le piu acconce
quelle frasi proverbiali che pur avrebbero in se stesse il massimo
pregio, voglio dir quelle che si traggono dalle scienze, e si vanno
introducendo dagli scienziati; e cio perche, essendo fondate so-
pra rapporti reconditi e comunemente inosservati, non possono
esse sfavillar negli occhi a guisa di lampo, e destar negli anirni
un senso vivido e pronto, nel che e posto il maggior pregio di
questi modi. A proporzione pero che i lurni della dottrina si
diffonderanno per la nazione, andra essa parimenti addimestican-
dosi con questi modi, e il maggiore o minor uso di questi potrebbe
valere a darci un'idea dei progressi dello spirito, e delle conoscenze
di ciaschedun popolo. Tocca agli scrittori di genio, a quelli che
uniscono la scienza alle grazie dello stile, di spargerla d'una luce
piacevole, di abituar insensibilmente la massa della nazione a
quei modi che nel seme d'una frase portano il germe d'una dot
trina, e sarebbero forse il mezzo il piu efficace di accomunar
senza sforzo colle classi inferiori le notizie utili e i risultati della
scienza. Non puo negarsi che i Francesi in questo secolo, ac-
coppiando i lumi dell'eloquenza a quelli del sapere, non siano
altamente benemeriti colla loro nazione di questo felice progresso.
L' Italia partecipo anch'essa del commercio delle loro opere, e non
e raro tra noi sentir al presente anche nella bocca d'uomini non
abbastanza iniziati nei misteri delle facolta2 un frasario allusivo
alle facolta stesse, frasario che a poco a poco va passando anche
i. II proverbio . . . coda: il proverbio nasce dai fatto che il pesce pastinaca,
oltre a non avere la testa sporgente, veniva venduto con la coda mozzata
(cfr. il Tornmaseo-Bellini, s. v.). 2. facolta: discipline universitarie.
342 MELCHIORRE CESAROTTI
negli scritti. Si, ma quest! sono francesismi : ohime! lasciamo per
ora questa piaga; noi la toccheremo a miglior tempo, e vedremo al-
lora se vi sia qualche lenitive che possa disacerbarla. Osservere-
mo intanto che altro e la frase proverbiale, altro la comparazione :
questa da qualunque scienza sia tratta puo sempre esser ottima,
purche sia aggiustata; perche sviluppandosi in essa il punto del
rapporto non v'e pericolo d'imbarazzo e d'oscurita, laddove nella
frase proverbiale la notizia si suppone e si accenna: quindi lo
scrittore nelPuso di queste deve esser molto piu cauto e meno ar-
rischiato. Quando pero io dissi che le frasi dedotte dalle scienze
non sono sempre le piu acconce, intesi rapporto agli usi che puo
farne la lingua negli scritti destinati alPintelligenza del maggior
numero, quali sono le opere d'istruzione pratica, la poesia tea-
trale, Teloquenza sacra, deliberativa, forense, la storia, i romanzi
e simili cose: ma qualora un uomo dotto ed eloquente prende a
trattar con facondia di cose che suppongono dottrina dinanzi ad
altri dotti suoi pari, non potra niegarglisi il diritto di far uso di
allusioni intese e gustate ugualmente dal parlatore e dagli ascol-
tanti: atractant fabrilia fabri)).1
Non Iascer6 d'osservare, su questo articolo, che le allusioni
scientifiche saranno meglio dedotte da fatti e leggi naturali, che da
sistemi filosofici; poiche potendo questi esser falsi, come troppo
spesso lo furono, le frasi che ne portassero Timpronta o verrebbero
a perpetuar Perrore, o essendosi quel sistema mandato da li a qual
che tempo nella sua patria, voglio dir nel paese delle chimere,
rimarrebbero esse un gergo vano, un segno insignificante. Sono
restate ancora fra noi alcune frasi di questa specie, che mostrano
quanto fosse diffusa comunemente e radicata in tutti gli spiriti
Tastrologia giudiziaria :z aver ascendente sopra d'alcuno; nascer sotto
cattiva Stella. La seconda ha perduto la miglior parte della sua gra-
zia, poiche ha perduto la credenza su cui fondavasi; e la prima
non s'intende piu, e desta solo un'idea confusa di superiorita trat
ta dallj ascendere in generale, che non ha piu veruna relazione
€o!T ascension delle stelle. Da questo fonte ci e pur derivata la
voce dtsastro, ossia «influsso di Stella malefica»: senso che antica-
1. Orazio, Epist., n, i, 116 («ogni artigiano sa maneggiare i propri arnesi»).
2. astrologia giudiziaria: espressione tecnica, che indicava 1'astrologia che,
dall'osservazione degli astri, giudicava il destine e il carattere degli uomini.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 343
mente dava al termine molto maggior espressione e vivacita;
laddove non prendendosi ora che nel senso general di «sciagura»,
non suscita come prima un gruppo distinto d'idee, ne gli resta altra
bellezza che quella del suono, che le conserva un posto nello stile
maestoso e poetico.
3, Le arti1 sono pressoche tutte comuni alle nazioni giunte a un
grado notabile di civilita: percio i modi proverbiali che ci sommi-
nistrano, essendo universalmente intesi, possono produr pronta-
mente il loro effetto, e trovarsi opportuni ed acconci. Se non che
avendo Fopinione spesso capricciosa dei popoli attaccata a certe
arti Tidea di bassezza, e assai comune che una frase di questa
specie, graziosa in una provincia, riesca sconcia nell'altra, e forse
nella stessa in tempi diversi. Percio non tutti i modi tratti dalle
arti che regnavano nel paese ch'era la sede della lingua, ossia del
dialetto dominante, devono pero credersi ugualmente belli, e de-
gni d'esser ammessi dagli scrittori che vivono in un altro secolo
ed in un* altra citta.
4. Men perfette delle frasi delle tre specie precedenti, perche
d'intelligenza meno universale, son quelle tratte dalle usanze, ben-
che forse abbiano per qualche tempo una piu interessante viva
cita. Ma appunto non Phanno che per qualche tempo : cangiano le
circostanze della nazione, un'usanza e scacciata da un'altra, Tin-
teresse dell'antica svanisce, a poco a poco se ne perde anche la
memoria; allora il modo allusivo e come un'essenza svaporata, ed
esso non ha piu pregio se non presso qualche erudito che vi fa so-
pra un laborioso commento, e se si continua ad usarla, ella non
e piu che un segno convenzionale che non ha veruna influenza
sul gusto. E qui non sara inutile 1'osservare che questo smarri-
mento successive delle antiche usanze, siccome sgraziatamente
rende sempre meno gustabili gli autori delle lingue dotte, cosl
reca un pregiudizio notabile a quelli che per necessita o per scelta
continuano ad esercitarvisi. Poiche le frasi antiche, fondate sopra
usanze che piu non esistono, possono tutto al piu intendersi, ma
non sentirsi; giacche in luogo d'un color vivace non mandano che
un'ombra sfumata, e non essendo legate colla serie delle nostre idee
familiari, non destano verun interesse se non sforzato e fattizio;
i. arti: la parola e qui usata nel suo sigmficato piii generate, e comprende
anche le profession! e i mestieri.
344 MELCHIORRE CESAROTTI
anzi talora fanno colPidee nostre una discordanza spiacevolissima,
come la fece il Bembo, il Castiglione e qualche altro cinquecentista,
adattando le frasi idolatriche dei Roman! alia liturgia del Cristia-
neslmo.1 Ma lasciando stare anche questa troppo palpabile as-
surdita, qual grazia puo aver piu la formula bonis avibus2 attaccata
a un pregiudizio insensatissimo dei Roman! ? E poiche i vecchi
sessagenari per loro fortuna non si gettano piu giu dal ponte, qual
vivacita puo trovarsi nel dar ad alcuno il titolo di senex depontanus ?3
E se il mal caduco non disturba piu i comizi, qual pregio vi sara
nel chiamarlo morbus comitialis ?4 IS oleum et operam perdere* tratto
dalla lotta, non potrebbe piu riferirsi se non all' olio della lucerna
che perde invano qualche studioso, stillandosi il cervello con poco
frutto. La frase comunissima dei Latini in arenam descender ~e6 ha
ella piu senso, non che grazia, in bocca d'un cattedratico che
parla la prima volta dalPalto? Percio se chi scrive latinamente
vuole spiegar le idee presenti colle formule antiche, fa lo stesso
come chi volesse abbigliarsi con abiti tagliati sulFaltrui dosso.
Se poi scrivendo di cose nostre vuol destar un senso vivo e pro-
porzionato, si trova talora costretto a inventar nuovi termini, nuo-
vi accozzamenti, nuove allusioni, e farsi trattar da barbaro da
tuttigliscolastici, che stabiliscono per dogma di religione latina non
potersi in questa innovar un iota senza sacrilegio; benche vi sia
qualche ardito eterodosso che crede d'aver buone ragioni di pen-
sar anche su questo alquanto altrimenti.7
i. Poiche . . . Cristianesimo: e probabile che il Cesarotti abbia presenti le os-
servazioni analoghe, sulTimpossibilita di esprimersi efficacemente valen-
dosi di parole e modi latini, deirAlgarotti nel Saggio sopra la necessita di
scnvere nellapropria lingua (1750). Cfr. M. PUPPO, Storiata della lingua ecc.,
tit., pp. 539-40. 2. boms avibus: letteralmente «con uccelli favorevoli»,
con rifenmento all'uso romano di prendere gli auspici dal volo degli uc
celli ; quindi, « con f avorevoli auspici ». 3 . senex depontanus : allude alia
spiegazione di Festo: ^depontani senes appellabantur, qui sexagenarii de
ponte deiciebantur ». 4. morbus comitiahs: un caso di epilessia nei giorni
dei comizi veniva considerate di cattivo augurio, e provocava 1'annulla-
mento delle deliberaziom prese. 5. oleum . . . perdere: la frase si riferiva
al costume di ungersi d'olio prima di accingersi alle gare di lotta. 6. in
arenam descendere: «scendere neirarena», quindi «entrare in gara».
7. *Dovea bene aver Fanima di bronzo quel latimsta che os6 rimproverare
aU'elegantissimo Flaminio il nuovo vocabolo floncomus. Ma io sono ben
certo che la primavera a cui egli apphc6 queH'amenissimo epiteto, glie ne
avra avute molte grazie. II Flaminio rispose sensatamente al Zanchi sulla
liberta di comar voci nuove in lingua latina. La sua opinione fu poi com-
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 345
Tutte le lingue sono sparse di quest! modi proverbial! tratti dalle
usanze. Ottimi fra gli altri son quelli che appartengono a co-
stumanze nazionali, inveterate, cognite universalmente, alle leggi
del governo, ai riti solenni d'una religione diffusa, qual sarebbe
per esempio: esser iniziato nei misteri della politico,, o della filosofia\
giacche i misteri di Cerere e i loro arcani veneratissimi in tutta
I'antichita sono noti e celebri anche a! tempi nostri. Quanto agli
altri tocca allo scrittore di gusto il conoscer il punto in cui ces-
sano d' esser opportuni e calzanti, e non son da darsi che ai ferra-
vecchi. La lingua francese ci dara un esempio degnissimo dj esser
qui riferito. La guerra detta della Fionda ebbe un'origine assai
curiosa.1 Nel 1648 una frotta di garzoni avea preso il vezzo di
radunarsi in una contrada, e dividers! in due bande, le quali gio-
cavano a lanciarsi dei sassi colla fionda. Questo giuoco avendo
delle conseguenze serie, gli ufiziali della Police vennero piu volte a
scacciarli ; ma quei garzoni fingendo di sbandarsi, appena gli ufi
ziali aveano rivolte le spalle, che tornavano a sasseggiarsi come
prima. Nacquero nel tempo medesimo i tumult! fra il Parlamento
e la Corte, sotto il ministero del Mazarini; e temendosi che il
Parlamento non prendesse qualche risoluzione contraria alle mire
del governo, il duca d' Orleans intervenne in quell' adunanza, a
fine di tener in qualche freno gli spirit!. II consiglier Bachau-
mont vedendo che la presenza del duca impediva che i membri
del Parlamento parlassero con liberta: «0ra» disse «e forza star
cheti, ma quand'egli sara partito, no! torneremo a frombolar come
va». Questo detto allusivo al giuoco dei fanciulli fece fortuna,
e giro per tutte le bocche. I malcontent! comparvero coll'insegna
battuta da vari critic! nostrali ed esteri, e passa generalmente per un para-
dosso. Parmi pero che questa opinione possa piantarsi sopra una base piu
salda, ma converrebbe avanzar qualche teoria che parrebbe un paradosso
piu grande. £ meglio tacere, e contentarsi d'errare in latinita in compagnia
del Flaminio (C.). Allude alia polemica £ra il Flaminio e Basilic Zanchi, a
proposito del neologismo citato. Invece, a provare « contro il Flaminio non
potersi aggiungere nuove voci alia lingua latina», dedica un apposite para-
grafo il Galeani Napione nel suo trattato DelVuso e deipregi della lingua ita-
liana (lib. in, cap. i, § 6, cfr. edizione di Torino, Balbino, 1791, che &
quella tenuta presente dal Cesarotti, II, pp. 23-30)- i- Mem. du card, de
Retz, t. II ; de Brosse, Form. mech. des long., t. n (C.). Paul de Gondi,
cardinale di Retz (1613-1679), lascio nei suoi Memoires un quadro spre-
giudicato e vivissimo della sua vita e della sua epoca.
34^ MELCHIORRE CESAROTTI
(Tuna frombola in sul cappello, ed ebbero il nome di frondeurs,
o di « frombolieri », e da indi innanzi il verbo fronder non ebbe altro
senso che quello di (cmormorar del governo». Non v'ha dubbio
che Tespressione non avesse allora, e non dovesse conservar per
qualche tempo, molta grazia e vivacita, anche per il rapporto
felice che avea quella guerra, che potea dirsi la parodia delle
guerre civili, con tin giuoco buffonesco di giovinastri insolenti;
ma finalmente, cangiate affatto le circostanze, cessati gl'interessi
e scemandosi la memoria della prima origine, la voce fronder non
risveglio piu le stesse idee accessorie che ne facevano il principal
merito, e rest6 solo nella lingua per significar in generale la
disposizione di mormorar delle cose pubbliche. £ verisimile che
col tempo ella diventi sempre piu generale e si applichi ad ogni
specie di mormorazione, ne le restera altra bellezza se non se quel
la che le viene dalla somiglianza tra uno che scaglia una fionda
contro d'un altro, e chi fa segno ai colpi della sua maldicenza la
riputazione altrui. Le allusioni della natura, se forse hanno una gra
zia men viva, I'hanno pero ben piu stabile e universalmente dif-
fusa che quella delle usanze.
5. Di assai minor pregio di tutte, anzi difettose o prossime
al difetto, sono le frasi proverbiali tratte dalle particolarita, voglio
dire relative a cose, fatti, persone, accident!, novelle della vita
privata; come quelle che uniscono Poscurita alia bassezza, man-
cano d'utilita e d'interesse, divengono col tempo insipidi enigmi,
solo degni di formar il gergo dei begli spiriti della plebaglia.
Tali sono quelli ond'e tessuto il Pataffio1 di ser Brunetto, di
cui bastera per darne un saggio il principio:
Squasimodeo, introcque, e afusone,
ne hoi, n£ hai, pilorza con mattana,
al can la tigna} egli e mazzamarrone :
i. II Pataffio, poemetto in terza rima, mtessuto di proverbi e riboboli fio-
rentini, fu un tempo attribuito a Brunetto Latini, ma risale certamente a
qualche secolo dopo. Fu stampato per la prima volta a Napoli nel 1788,
ma il Cesarotti ne avra avuto notizia tramite il Varchi, che cita appunto i
versi ricordati piu avanti nell5 Ercolano (cfr. edizione di Milano 1804, i,
P- 143).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 347
tali moltissimi di quelli che il Varchi raccolse ntlVErcolano* quasi
fossero gioie, come: piu tristo che ire assi, piu cattivo che Banchel-
lino, far le scalee di S. Ambrogio, dondolar la mattea, far come il
cavallo del Ciolle, dire a uno il padre del porro, vendere i merli di
Firenze, aver scopato piu d'un cero, e cent'altre spiritosaggini di
simil fatta: tali al fine quei tanti che sono sparsi nel Morgante e nel
Malmantile? che pur da piu d'uno si tengono per le delizie della
lingua, e che propriamente non sono che il frasario di quello stile
che i Francesi chiamano burlesco, in senso di buffonesco e plebeo,
stile che pressoche sino ai nostri giorni fu da molti con vergogna
delPItalia confuso col faceto, il che sarebbe presso a poco lo
stesso come confondere le caricature d'un Sosia3 colle grazie di
Luciano.
xvn. Resterebbe tra le parti rettoriche ad esaminar gl'idiotismi,
ma cio che abbiamo a dime si rendera piu chiaro, poscia che avre-
mo parlato delle parti logiche della lingua.
Sono queste comprese tutte nella sintassi, della quale giova di-
stinguere la materia e la forma. Chiamo materia della sintassi la
collezione4 di tutte le parti del discorso e deiloro accidenti: forma,
la collezione dei segni destinati a indicar gli accidenti delle stesse
parti, la loro relazione reciproca, i loro rapporti di dipendenza
e la collocazione di ciascheduno per formar un tutto coordinate
i. NelYErcolano, dialogo scritto da Benedetto Varchi nel 1560-1564 (ma
pubblicato postumo solo nel 1570), Fautore espone le proprie idee intorno
alia questione della lingua, riallacciandosi al Bembo e allo Speroni. Le frasi
citate piu avanti dal Cesarotti vengono cosi spiegate dal Varchi stesso:
piu tristo che tre assi e piu cattivo che Banchellino si dicono di uno « se si
vuol mostrare lui essere uomo per aggirare e fare stare gli altri»; far le
scalee di S. Ambrogio « significa dir mal d'uno » ; dondolar la mattea e far
come il cavallo del Ciolle si dice « di quelli che si beccano il cervello, sperando
vanamente che una cosa debba loro riuscire, e ne vanno cicalando qui e
qua » ; dire a uno il padre del porro « significa riprenderlo e accusarlo alia li-
bera, e protestargli quello che awenire gli debba, non si mutando»;
vendere i merli di Firenze, si diceva di quei faccendieri che « si spogliavano
in farsettino per favorire o aiutare qualcuno, come dice la plebe, a brache
calate » ; aver scopato piu d'un cero, di chi « per essere pratico del mondo^
non e uomo da essere aggirato o fatto fare» (cfr. Ercolano, ed. cit, i,
pp. 142-56, 168, 175, 183). 2. // Malmantile racquistato, poema eroico-
mico di Lorenzo Lippi (1606-1665), e scritto in una lingua ricca di idiotismi
e riboboli fiorentini. 3. Sosia: e il servo di Anfitnone noll'Amphitruo di
Plauto. Con la frase le caricature dyun Sosia il Cesarotti allude in genere al
linguaggio comico plautino, a cui antepone, con significativa preferenza,
le grazie dello stile di Luciano. 4. la collezione: il complesso.
348 MELCHIORRE CESAROTTI
e connesso. Le parti del discorso ne sono i membri necessari, ed
ove alcuno ne manchi, il discorso riescira manco o imperfetto.
Finch6 la lingua non ha fissato una serie di segni per ciascheduna
di queste parti, ella e barbara, imperfetta, piena d'oscurita, inetta
agli usi dello spirito, essa e la lingua d'un popolo balbo:1 non e
se non se dopo ch'ella si e proweduta di questi segni che si rende
atta a spiegar esattamente Tidee e le loro modificazioni, e si presta
alle arti di filosofare e di scrivere. Le lingue dei popoli colti hanno
a un di presso lo stesso numero di queste parti. Esse formano il
fondo della grammatica naturale. Nomi, pronomi, verbi, av-
verbi, preposizioni, congiunzioni si trovano in ogni lingua. Esse
non si distinguono se non nella maggiore o minor finezza di os-
servar gli accidenti dei membri principali, e di contrassegnarli in
un modo fisso e distinto. II maggior numero e la maggior pre-
cisione di questi segni subalterni rendono la lingua piu precisa
e piu filosofica. V'e pero talora anche in questo un'abbondanza
superflua, ch'e piuttosto una ridondanza imbarazzante.2 Tal forse
potrebbe parere il duale dei Greci, di cui essi medesimi fanno
pochissimo uso; tale la terminazion femminina nelle seconde e
terze persone dei verbi presso gli Ebrei. Ewi un'altra abbondanza
sterile e assolutamente viziosa benche non osservata, che trovasi
in tutte le lingue piu nobili: quest' e quando si moltiplicano i
segni senza che sia moltiplicata 1'idea o nella sostanza o negli
accidenti. Che giovano mai alia lingua latina e greca le varie de-
clinazioni dei nomi ? Qual vantaggio ne viene a quelle e alle nostre
dal noiosissimo imbarazzo di tante coniugazioni che fanno la
croce di chi vuole impararle ? Una sola forma pei nomi sostantivi
distinti solo nel genere, una per gli adiettivi ed una pei verbi
avrebbe reso la lingua piu analoga e sempHce, e meno tediosa ed
imbarazzata. II vantaggio che puo risultarne per lo stile nella
varieta materiale di tanti suoni, pu6 mai esser posto in confronto
i. balbo: balbuziente. 2. *E perd curioso ad osservarsi che certe ridon-
danze le quali sembrano figlie del lusso e della finezza di spirito, si trovano
talora nelle lingue dei popoli piu meschini e piu barbari. La lingua dei
Caraibi, come osserva il sig. Herder, si divide in certo modo in due,
ogni sesso ha la sua: quella degli Uroni ha tutti i verbi doppi, uno per le
cose animate, 1'altro per le inanimate (C.). II luogo dello Herder ricordato
dal Cesarotti si trova nel Saggio sulVorigine del linguaggio (cfr. la traduzione
di G. Necco, Mazara-Roma, S.E.S., 1954, p. 77).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 349
colle difficolta e colle spine di cui, merce questa inutile varieta,
e seminata la lingua? II vantaggio del metodo contrario e tanto
sensibile, ch'io non so repeter Porigine delPuso che predomina nelle
antiche lingue e nelle nostre se non se dalPaccozzamento primi
tive di varie popolazioni e dalla somma difficolta di ridur tutti
gPindividui d'una nazione ancora informe ad assoggettarsi ad
una medesima analogia di terminazioni.
Lasciando star cio, veggiamo che la materia della sintassi ci e
presentata dalla natura, ed ha una ragione intrinseca che la rende
pregevole, generale, uniforme. Ma la forma di essa e piena di di-
versita : la scelta dei segni, Pordine materiale dei loro rapporti sono
convenzionali e arbhrari. Questa parte conseguentemente non am-
mette la qualificazione di bella o difettosa, poiche non e diretta
da una ragione sensibile di preferenza, ma fiuisce o dalla costi-
tuzione dei primi elementi della lingua, o dalle circostanze che
decisero della sua origine, o dai motivi incogniti e forse capric-
ciosi che determinarono i primi fondatori della medesima. Ne in
questa parte veruna lingua colta puo vantarsi d'una piena supe-
riorita sopra le altre ; poiche quantunque dalla diversita delle forme
sintattiche ne risultino conseguenze diverse che rendono una lin
gua piu atta delPaltra ad esprimere le modificazioni dei concetti
o dei sentimenti, tutte pero prese nella loro totalita producono
un effetto uniforme, poiche tutte diedero alPEuropa in ogni ge-
nere di scrittura autori eccellenti, che non lasciano desiderare i piu
celebri delle altre nazioni; e gli svantaggi stessi che una sintassi
parrebbe avere rispetto all'altra su qualche articolo, divengono
strumento di bellezze d'un'altra specie, in guisa che tutte le Hn-
gue illustri maneggiate da scrittori di genio trovano nelle loro
opere un equivalente compenso.
Se pero ogni forma di sintassi puo dirsi in se stessa buona
egualmente, ella non e del pari nelPuso che se ne fa da chi scrive.
A fine di determinar con fondamento cio che la renda o difettosa
o pregevole, la divideremo nelle quattro parti che la compongono :
le desinenze, la concordanza, il reggimento, la costruzione. Nelle
tre prime il merito propriamente non consiste che nelTevitar il
difetto, ma la quarta, oltre la bonta logica e grammaticale, puo
dar luogo ad una bellezza rettorica. Osserveremo prima, in gene-
rale, che Poggetto della sintassi e quello di render il discorso chiaro,
precise, coerente alPordine e alia connessione delle idee; tutto cio
35° MELCHIORRE CESAROTTI
dunque che genera oscurita, imbarazzo ed equivoco si oppone al
fine della sintassi e Foffende, ne puo mai giustificarsi dall'uso. Ne
vale il dire che Pabitudine supplisce al difetto e raddrizza il senso,
poiche altro e Fesser inteso, altro il farsi intendere, e chi scrive
non parla solo a chi possiede la sua lingua, ma insieme ad ogn'al-
tro che vuole apprenderla. Quando pero Foggetto della sintassi
sia in salvo, qualche piccola negligenza collocata giudiziosamente
puo talora diventar una grazia, rappresentandosi con essa la fran-
chezza sicura e libera del discorso naturale e non lavorato. Dopo
cio diremo qualche cosa di ciascheduna di queste parti.
XVIIL i. Le desinenze sono il segno il piu caratteristico della
lingua. Sono esse che determinano gli accidenti dell'azione e i
rapporti delle sostanze. La sola distinzione dei casi rese le lingue
latina e greca piu disinvolte, piu agili, piu passionate, piu armo-
niche. Ogni desinenza dee dunque esser indizio di una osservabile
e individuata modificazione, che diversifica in qualche senso la
cosa. Se questi segni si confondono, tutto il sistema delle idee
sara indistinto e confuso. Due percio saranno i difetti di questa
specie: la moltiplicita delle desinenze per una sola idea e la mol-
tiplicita delle idee sotto una sola desinenza. Ma il primo difetto,
quando una desinenza non si confonde con altre, e almeno com
pensate dallavarieta del suono utile allo stile e grato alPorecchio,
laddove il secondo genera un'ambiguita in ogni senso spiacevole.
Dovra dunque aversi per imperfezione della lingua greca, che pure
e cosi abbondante, Paver negPimperfetti e negli aoristi la prima
del singolare affatto la stessa colla terza plurale, etypton, etypton,1
imperfezione che non trovasi nei verbi latini.
2. La necessita della concordanza si rende evidente da se. II
violarla e un costringer le idee a far a' cozzi tra loro. Benche que
sta regola sia universalmente ricevuta, pure tutte le lingue si per-
mettono delle licenze, alcune delle quali non possono giustificarsi
nemmeno al tribunale della piu discreta ragione. Tal b quella
stranissima dei Greci che accordano i nomi neutri plurali col
verbo singolare. Meritano maggior indulgenza quelle sconcordanze
di termini che nascono dalla concordanza delPidea, e possono dirsi
sconcordanze materiali e apparenti, come allorche un singolar col-
i. etypton, etypton: prima persona singolare e terza plurale dell'imperfetto
di T^TTTCO, « batto ».
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 351
lettivo, ch'e in fondo im plural travestito, si accorda con un verbo
plurale, o come quando Orazio, avendo chiamata Cleopatra « fatale
monstrum)),1 segue a parlar di lei col relativo «quae», pensando
che cotesto mostro metaforico era una donna. Questa specie di
sconcordanze puo talora rappresentar bene il color del discorso,
a cui non disdicesi una certa sprezzatura animata. Ma tutte le
altre sconcordanze, ad onta di qualunque esempio, saranno di-
fetti reali, tuttoche i grammatici vogliano nobilitarle col nome di
certe figure scolastiche, che potrebbero chiamarsi i palliativi dei
solecismi degli autori classici.
3. II reggimento consiste nella forma particolare che dee pren-
der un nome per indicar la sua relazione con un altro nome, o
con un verbo che lo precede e lo regola. Questa forma presso i
Greci e i Latini viene indicata dai casi, e dai moderni che ne man-
cano, coi vice-casi.2 Regna in questa parte nelle lingue molto
d'arbitrio, che ne rende 1'acquisto malagevole, a dir vero, con poco
frutto. Che la scelta non fosse determinata da veruna ragione in-
trinseca, si scorge da cio che nella lingua greca, per esempio, si
dara il genitivo ad un verbo che domanda 1'accusativo nella latina,
e da cio pure che talora nella lingua stessa il medesimo verbo
si regge in due modi, come fra noi domandare ha ugualmente il
terzo caso ed il quarto, e '1 plenus presso i Latini regge a suo grado
ora il secondo, ora il sesto. Ci6 serve di nuova prova a cio che
abbiam detto sin da principio, che le lingue non si formarono
sopra un piano concertato e ricevuto generalmente, ma sull'accoz-
zamento accidental delle varie abitudini d'uomini liberamente
parlanti, abitudini che a poco a poco si andarono awicinando
e rassettando alia meglio con un'analogia naturale, che non pote
per6 mai togliere affatto le irregolarita originarie introdotte dal-
Farbitrio e convalidate dalTuso. E certo sarebbe stato assai meglio
per tutte le lingue che non regnasse in esse tanta varieta capricciosa
di reggimenti, quando una o due forme bastavano a segnar la
dipendenza dei nomi dai verbi. Almeno se ne fosse usata una sola
per tutti i verbi che rappresentano idee della medesima specie:
ma no; il tatto e Todorato presso i Greci domandano costante-
mente il secondo caso, e la vista il quarto; quando il gusto e 1'u-
i. Carm.y I, xxxvii, 21 (« mostro fatale »). 2. vice-casi: segnacasi, prepo-
sizioni.
352 MELCHIORRE CESAROTTI
dito hanno il privilegio d'averne due a' loro servigi. La ragione
di queste varieta lascero cercarla agli Edipi grammatical!:1 quanto
a me credero sempre che tutto questo ammasso di regole non
serva che a facilitare i solecismi, e a difficoltar le lingue, senza
aggiunger loro ne utilita ne bellezza.
4. La costruzione2 abbraccia le leggi della collocazione dei ter
mini componenti le frasi, a fine di presentar all'intelligenza il con
cetto in quel lume che lo faccia rawisar meglio e nelle parti e nel
tutto. Abbiam detto di sopra che questa parte, a differenza delle tre
precedenti, non e puramente logica, e che la scelta della costru
zione non ha un semplice merito grammaticale, ma insieme an-
che e suscettibile d'una bellezza rettorica. Per farlo sentire riguar-
deremo la costruzione, prima secondo il numero dej suoi membri,
poi secondo Tordine della loro disposizione. Quanto al primo pun-
to la costruzione sara piena o difettiva. Ella e piena quando il
sentimento esce corredato di tutto punto, e d'ognuna anche delle
minime parti che lo rendono perfettamente chiaro e compito:
difettiva all'opposto, qualor manca d'alcuna di esse. La costru
zione difettiva non e per6 sempre difettosa; anzi talora divien
espressiva, energica e pittoresca. L'uomo concepisce un pensiero,
e molto piu un sentimento, tutto in un punto, ma non pu6 spie-
garlo se non successivamente : percio tutto quest' apparecchio di
termini di cui fa uso non e dovuto che alia necessita, ed egli non
ricorre ad esso che contro voglia. Nella fretta ch'egli ha di co-
municare agli altri le idee che lo ingombrano, vorrebbe, se fosse
possibile, esprimersi con un sol nome: quindi e portato natural-
mente a sopprimere tutto ci6 che non & precisamente necessario
o che pu6 facilmente supplirsi. Tal e la disposizione deUJuomo,
specialmente se sia riflessivo e troppo affollato d'idee, e molto
piu se si trovi in uno stato d'impazienza, d'ansieta, di passione.
Analoghe sono pur anche le disposizioni di quei che ascoltano,
e cio in maggior grado a proporzione della curiosita, dell'affetto
i. Edipt grammaticali: allude, con un certo disprezzo, ai grammatici che si
afFaticano a nsolvere quesiti che al Cesarotti sembrano futili e insolubih
indovinelli. 2. La costruzione: sulle discussion! settecentesche intorno a
questo problema, e in particolare sulla posizione del Cesarotti, cfr. A. Vl-
SCARDI, // problema della costruzione nelle polemiche hnguistiche del Sette-
cento, cit., pp. 193-214, e M. PUPPO, Storicita della lingua ecc., cit., pp.
532-6.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 353
o della prontezza e vivacita delFintelligenza che sdegna i ritardi,
e riguarda come un'offesa del suo amor proprio la soverchia
sollecitudine d'accuratezza. La costruzione difettiva o ellittica avra
dunque un pregio quando serva a rappresentar la fretta, la rapi-
dita, il tumulto, il turbamento degli affetti; o vagHa a fissar lo
spirito sopra un'idea dominante, o a vibrar con piu forza un detto
o un tratto energico e caratteristico, che sarebbe ritardato o rintuz-
zato dagPimbarazzi d'una costruzione piu regolare. Questa sin
tassi, se non e bella, e pero naturale e innocente, qualora il ter-
mine soppresso puo supplirsi prontamente e senza veruno sforzo;
e cosi fatte soppressioni regnano comunemente in tutte le lingue.
Ma ella sara difettosa quando genera oscurita ed equivoci, quando
omette un termine necessario non facile ad indovinarsi, e special-
mente se cio si faccia nei discorsi sedati, istruttivi, e senza verun
oggetto che la compensi. La costruzione, rispetto alFordine, e di due
specie: diretta e inversa; Tuna s'attiene alPordine analitico delle
idee, Paltra al grado della loro importanza e dell'interesse che ne ri-
sente chi parla: la prima serve meglio alPintelligenza, Faltra parla
piu vivamente alPaffetto. Si e creduto generalmente sino a questi
giorni che la costruzione diretta fosse quella della natura, quella del-
Farte Finversa: i ragionatori di questo secolo osservarono sagace-
mente che la cosa e tutta alPopposto, e che la sintassi inversa e figlia
spontanea della natura, la diretta e frutto della meditazione e
delParte, e nata solo dalPimpotenza di spiegar i nostri sentiment!
colPaltra in un modo pienamente e costantemente intelligibile.1
Le Hngue antiche, prowedute di casi declinabili, preferirono Tin-
versa, e quindi ebbero il mezzo di presentar le idee piu impor-
tanti nel punto di vista il phi luminoso; d'intrecciare col princi-
pale i sentimenti intermedi che lo illustrano e lo rinforzano; di
accrescer Finteresse colla sospensione; di raccoglier come in un
centre tutti i sentimenti parziali nelFultimo termine, e colle loro
forze riunite piombar sul cuore ; finalmente di formar col periodo
una specie di concerto imitative e graduate di suoni corrispon-
denti alia scala del sentimento: pregi tutti che difficilmente pos-
sono conseguirsi allo stesso grado colla sintassi diretta, resa ne-
i. i ragionatori . . . intelligibile: allude iiTparticolare al Dubos, al Batteux
e al Condillac. L/opinione opposta era stata invece sostenuta, fra gli altri,
dal Dumarsais, dal Beauzee e dal Diderot e, in Italia, dal Baretti (cfr.
A. VISCARDI, Tarticolo citato nella nota precedente).
354 MELCHIORRE CESAROTTI
cessaria alle nostre lingue per la sola mancanza dei casi. Ma
gli scrittori di genio sanno indocilire la loro lingua, e per mezzo
d'una delicata e giudiziosa desterita rawlcinarla senza sforzo ai
pregi delle altre, ed aspergerla di straniere bellezze. Quindi veg-
giamo che la francese stessa, ch'e la piu schizzinnosa fra le mo-
derne, s'accosta talora, ove puo farlo senza durezza ed oscurita,
alia sintassi latina, cercando qualche inversione parziale o nei sensi
intermedi o nei termini. Lo stesso fecero i grandi scrittori italiani,
tra i quali mi giova ora di rammentar il luogo del Petrarca nella
sua insigne canzone all' Italia, ove, dopo aver detto:
Vedi, Signer cortese,
di che lieve cagion che crudel guerra\
segue con felice inversione:
e i cor che indura e serra
Marte superbo e fero
apri tu} Padre, e intenerisci, e snoda:1
con che sembra presentar a Dio i cuori induriti che fanno 1'idea
principale, accio egli li renda soggetto della sua azione d'aprirli
e d'intenerirli. II Boccaccio, seguito dal Bembo e da tutti i cin-
quecentisti, trattone il Davanzati,2 per dar armonia alia lingua
italiana cerco di snaturarla, afFettando 1'inversioni della latina e
Pondeggiamento periodico. II francesismo, che sembra il gusto
predominante del secolo, tende a renderla soverchiamente pre-
cisa e logica nella sua costruzione colla frequenza degl'incisi,
colFinfilzar i sentiment! Tun dopo Paltro piuttosto che Tun nelPal-
tro intrecciarli, e con un certo tuono familiare o filosofico, che
repugnano ugualmente alia sintassi indiretta. Ma i pochi italiani
ben disciplinati non men che liberi sanno coglier i vantaggi pre-
ziosi della costruzione latina, senza rinunziar a quelli della loro
propria. Qualora dunque uno scrittore giudizioso sapra usar di
questa liberta, anche in modo che non abbondi d'esempi, pur-
che non generi scompiglio nei senso e sforzo nell'intendimento,
i. Cfr. Rime, cxxvm, 10-4. La lezione esatta e un po' diversa: « Vedi, segnor
cortese, / di che lievi cagion che crudel guerra; / e i cor che 'ndura e serra /
Marte superbo e fero, / apri tu, padre, e 'ntenerisci e snoda ». 2. Bernardo
Davanzati: cfr. p. 301 e la nota i.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 355
non dovra percio tacciarsi (Tarditezza condannabile o di peccato
di violata sintassi, ma piuttosto credersi benemerito della lingua,
a cui procaccia qualche atteggiamento nuovo e felice. Ma non
sara verun pregio, anzi un'affettazion puerile e un difetto del pan
grammatical che rettorico, il travolgere 1'ordine fra noi naturale
dei termini, e dar la tortura alle frasi a fine di preparar al verbo
il posto d'onore, collocandolo in fin del periodo, senza verun og-
getto utile e per la semplice vaghezza d'imitar la struttura di
due secoli fa, e di generare un vano e insignificante rimbombo;
quando la sola scelta dei vocaboli maestrevolmente disposti con
naturale artifizio puo dar ai sentimenti un'armonia fluida, espres-
siva, varia, piacevole, uscita dalla cosa, non estorta sforzatamente
dalTarte.
xix. Passeremo ora agridiotismi, che sono certe forme di dire
irregolari, elittiche, meno comuni, e phi relative al modo di espri-
mer Tidea o '1 sentimento, che al vocabolo o alia frase che li
rappresentano. Di questi modi ve ne sono moltissimi in ogni
lingua, e si credono comunemente cosi propri di ciascheduna,
che siano assolutamente incomunicabili. Sopra di essi io non faro
che una distinzione non osservata, ed e che alcuni di questi sono
idiotismi grammaticali, ed altri rettorici. I primi son quelli che non
esprimono nulla di piu di quel che potrebbe spiegarsi con una
frase o una costruzione ordinaria, e perci6 non avendo veruna
bellezza particolare sono in fondo capimorti della lingua; benche"
dalla corrente dei grammatici o dagli scrittori pregiudicati si chia-
mino vezzi. Gli altri son quelli che dinotano un modo particolar
di percepire o di sentire in chi parla, ed insieme colFidea princi-
pale risvegliano per mezzo della struttura le idee accessorie di
delicatezza, d'ingegnosita, di rapidita o simili altre che raccom-
pagnano nello spirito del parlatore. Quali siano le conseguenze
di questa distinzione, lo vedremo in altro luogo.
xx. Abbiamo esaminato, quanto basta al nostro oggetto, non meno
le parti logiche che le rettoriche della lingua. Dalla riunione d'am-
bedue queste parti formasi cio che si chiama il genio delle lin-
gue: idolo, come si crede comunemente, superbo, intrattabile,
sufficiente a se stesso, sdegnatore di qualunque comunicazione
o commercio. Se ci6 sia vero, e sino a quanto, mi riserbo a trat-
tarlo nella parte terza, contento per ora di osservar una sola cosa:
che questo genio e biforme, e pu6 distinguersi in due, Puno de' qua-
356 MELCHIORRE CESAROTTI
li pub chiamarsi genio grammaticale e Faltro rettorico: il primo
dipende dalla struttura meccanica degli element! della lingua e
dalla loro sintassi; Paltro dal sistema generale delPidee e del sen
timent! die predomina nelle diverse nazioni, e che per opera de
gli scrittori impronto la lingua delle sue tracce. Questa distinzione
potra darci qualche lume atto a rischiarar un po' meglio un ar-
gomento intorno al quale, s'io non erro, e piu facile il disputar
che Pintendersi.
PARTE in
Delle regale che possono dirigere uno scrittor giudizioso
nel far uso delle varie parti della lingua.
SOMMARIO
I. Correzione grammaticale di due specie. II. Conseguenze di questa di
stinzione, e awertimenti rispetto airuso. III. Qualita che costituiscono
la bonta intrinseca d'un vocabolo. i. Un termine proprio non esclude il
bisogno d'un altro nuovo. 2. Esempi importanti di vario genere. 3. Dei
sinonimi. IV. Diritti degli scrittori rispetto ai vocaboli. i. Del diritto di
ringiovenire i termini antichi. 2. Awertenze e applicazioni. V. Diritto d'am-
pliare il senso dei vocaboli : piu ristretto dell'altro. VI. Utilita della scienza
etirnologica per ben usar dei vocaboli. VII. Diritto di coniar termini
nuovi. Licenza del neologismo condannata. VIII. Lingua nazionale; pri
mo fonte di vocaboli nuovi. IX. Delle parole composte. X. Dialetti nazio-
nali; secondo fonte. XI. Lingua latina; terzo fonte. Proposizione del Sal-
viati densa. Latinismi del Vocabolario condannabili. XII. Lingua greca;
quarto fonte. Abuso del grecismo in alcune scienze, e in particolare nella
medicina, XIII. Lingue straniere; quinto fonte. DelTintroduzione dei
termini francesi. XIV. Novita di frasi denvata dalla novita dei vocaboli.
Osservazioni critiche sulle metafore antiche e moderne. XV. Awertenze
sopra le frasi proverbiali. XVI. Discussione sopra gl'idiotismi. XVII. Esame
da farsi rispetto ad essi. XVIII. Utilita delle traduzioni. XIX. Discussione
filosofica sul genio rettorico della lingua. XX. Conseguenza.
i. Quanto siam per dire in questa parte non sara che un'applica-
zione dei principii stabiliti nella precedente.
Incominceremo dalle parti logiche e grammaticali, comprese
tutte nella sintassi. Questo e il punto nel quale i zelatori della lingua
fanno piu che negli altri i severi e gli schizzinnosi, e dannano senza
pieta chiunque si diparte poco o molto dai loro canoni. £ fuor di
dubbio che deesi rispettar la sintassi, come quella che forma
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 357
Fessenza e '1 carattere delle lingue, ed e altresi certissimo che
il prime pregio d'uno scrittore e quello d'esser corretto. Ma gio-
vera di osservare che la correzione1 e di due specie, le quali non
debbono confondersi tra loro, come suol farsi comunemente: Tu
na e assoluta ed intrinseca, Taltra arbitraria e convenzionale. La
prima consiste nell'osservanza di quelle cose che rappresentano
la differenza, Tordine e la connession delle idee, quali sono Ta-
nalogia, la concordanza, la costante distinzione dei segni, e la
regolarita ed aggiustatezza delle costruzioni. Questa specie di cor
rezione serve all'oggetto e alia perfezion delle lingue; ma non
v'e forse alcuna lingua, nemmeno tra le piii celebri, ov'ella sia
compiutamente e costantemente osservata. In tutte, per le ragioni
da noi mentovate di sopra, regnano piu o meno anomalie, contradi-
zioni, capricci, da cui non vanno sempre esenti neppur gli scrittori
piu rinomati e primari. La correzione convenzionale e posta nella
conformazione alle leggi dell'uso : ora siccome questo e o ragionevo-
le o mdifferente o vizioso, cosi una tale osservanza partecipa delle
sopraddette qualita; e talora piuttosto che correzione dovrebbe dirsi
una scorrezione2 autorizzata. Per la stessa ragione non tutti gli er-
rori contro la sintassi sono dello stesso genere: altri di loro sono
reali, altri d'opinione. I primi sono peccati gravi, gli altri non
sono che venialita di picciol conto, e talora anche liberta meri-
torie. Alia prima classe appartiene tutto cio che genera contro-
senso, imbarazzo, equivoco ed oscurita : alia seconda gli atti di ri-
bellione o d'irriverenza alle pratiche del dialetto principale, o agli
usi degli scrittori privilegiati, o alle parzialita e awersioni dei
grammatici per certe parole, o per una fra molte particolar modi-
ficazione delle medesime, che a qualche profano potrebbe per av-
ventura sembrare indifferentissima. Di questa specie sono tra
noi il delitto del per il in luogo di per lo o di pel, e lo scandalo
dell'z7 zelo per lo zelo, e Tenormita del buonissimo per bonisstmo,
e del mat senza il non, e delFz Dei per gli Dei, e del devo per debbo,
e delYabbenche per benche, e del sqffri3 per sofferse, cosi giustamente
rimproverato al Tasso, e le bestemmie del red in cambio di rendei,
e del vissuto, empito, concepito, assolto, piuttostoche vivuto, empiuto,
conceputo, assoluto: modi tutti di cui non so se sia piu evidente la
i. correzione'. correttezza, regolarita grammaticale. 2. scorrezione: scor-
rettezza, errore di grammatica. 3. soffri: nel verso «molto soflEri nel glo-
rioso acquisto» (Ger. lib., i, i, 4).
358 MELCHIORRE CESAROTTI
reita o deplorabile la conseguenza. Sopra Tuna e 1'altra specie
d* error! suol farsi uguale schiamazzo dai timorati grammatici, che
in cose tanto gelose non ammettono parvita di materia : pure e de-
gno d'osservazione che siccome le scorrezioni della prima classe
offendono anche i men colti, cosi quelle della seconda non fanno
pressoche alcuna sensazione nel maggior numero dei letterati, trat-
tone quei soli che si sono formati, sto per dire, un « gusto d'au-
torita». L'Ariosto fra i nostri autori d'alta sfera e in questo genere
il piu licenzioso d'ogn'altro e il meno scusabile: le scorrezioni del
Furioso occupano presso il Nisiely1 molte e mol.te pagine. Pure
non solo questo difetto non pregiudico punto al favore universale
di quel poeta in tutta 1J Italia, ma, quel ch'e piu curioso, lo stesso
Infarinato Salviati,2 il persecutore del Tasso, il capomastro della
«bigotteria» della lingua, lo ammise senza scrupolo fra i pochi eletti
che figuravano alia testa del Vocabolario.3 II Goldoni e tutt'altro
che scrupoloso su questo articolo, e se Metastasio non e scorretto,
non e nemmeno ricercatore delle schizzinnose squisitezze del
toscanesimo : pure Tuno e Taltro di essi ugualmente insigne nella
sua specie, oltre che formano le delizie di tutta T Italia, resero la
nostra lingua alquanto piu nota e cara all'Europa, di quel che fa-
cessero i Villani ed i Passavanti.4 Non si trova presso il Parini ne
un /', ne un E\ ne un ribobolo o verun'altra lascivia del parlar
toscano, per usar la frase del Berni:5 contuttocio non so credere
che i Toscani sensati del nostro secolo osassero porre in con-
fronto i Canti Carnascialeschi o la Compagnia del Mantellaccio^
col Mattino e col Mezzogiorno. Ora se le lingue son fatte per Puso
delle nazioni, e se il senso di chiunque le ascolta o legge e il
i. Nisiely: con lo pseudonimo di Udeno Nisieli, Benedetto Fioretti (1579-
1642) pubblico i suoi Proginnasmi poetici, raccolta di osservazioni critiche
spesso pedanti e maligne, ma talora acute, intorno all'Ariosto e ad altri
scrittori. 2. Leonardo Salviati (1540-1589), accademico della Crusca (do
ve aveva assunto il nome di Infannato), principale promotore del Vocabo-
lario deirAccademia stessa, pubblicd censure aspramente polemiche contro
la Gerusalemme liber ata. 3. Vocabolario: della Crusca. 4. i Villani ed i
Passavanti'. la Cronaca di Giovanni, Matteo e Filippo Villani e lo Specchio
di vera penitenza di lacopo Passavanti sono fra i testi piu frequent emente
citati nel Vocabolario della Crusca. 5. lascivia . . . Berni: la frase non e del
Berm ma del Lasca, in un sonetto In lode delle rime di Francesco Berni, i 2-3 :
«non offende gli orecchi della gente / colle lascivie del parlar toscano » (cfr.
G. GRAZZINI, Scritti scelti, a cura di R. Fornaciari, Firenze, Sansoni, 1911,
p. 248). 6. Compagnia del Mantellaccio: capitolo burlesco stampato per
la prima volta anonimo (ma certo di autore toscano) nel 1568.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 359
solo tribunal competente in tali materie, quai pregi o quai difetti
son questi, che non sono curati o sentiti se non se da una picco-
lissima parte della nazione, la quai pure non saprebbe allegare
una ragione appagante delle sue preferenze o della sua schifilta?
Un'altra prova della poca importanza di questa specie di scorre-
zione si trae dalFosservare ch'ella e appena riconosciuta, non che
sentita, dai dotti e colti stranieri, anche i piu versati nelle altrui
lingue. II Voltaire esalta TAriosto per Tesarta purita dello stile.1
II Vaugelas2 e gli altri grammatici francesi trovano piu d'uno
di questi difetti nei loro scrittori piu celebri e in Racine stesso;
il Voltaire ne rilevo un gran numero nelle sue note a Cornelio:3
pure fra tanti italiani appassionati per la lingua francese appena
oso credere che uno o due ci avessero posto mente senza questi
awisi, e sono piu certo che niuno ne resta offeso, o trova percio
i suddetti autori meno pregevoli.4 AlPincontro nelle qualita essen-
ziali della sintassi, sia la lingua nostrale o straniera, PEuropa tutta
non ha che un giudizio e una voce, perche i pregi o i difetti di
questa specie hanno un fondamento di realita e non d'opirdone.
Checche ne sia, quanto si e detto finora dee piu servir per chi giu-
dica, che per chi scrive. Un saggio scrittore nelle cose che non
ammettono una poziorita5 sensibile, cerchera di sfuggire anche
i difetti apparenti, se non altro per non irritare il « bigottismo »,
ugualmente pericoloso in letteratura ed in societa.
i. II Voltaire . . . stile: veramente nella voce Spopee del Dictionnaire philo-
sophique (cfr. Oeuvres, xvn, Paris, Hachette, 1903, p. 419) il Voltaire elogia
PAriosto solo per il «molle et facetum», per «l'urbanite» e « 1'atticisme »
del suo stile. 2. Claude Favre de Vaugelas (1585-1660), uno dei prtnci-
pali compilatori del Dictionnaire de V Academic, e autore di Remarques sur la
langue francaise. 3 . note a Cornelio : i Commentaires sur Corneille, pub-
blicati nel 1764. 4. *Probabilmente doveano esser di questo genere con-
venzionale le scorrezioni dell1 orator Marco Antonio, il quale per detto di
Cicerone ccinquinate loquebatur » ; cosa che non gl'impedi di dividere la
palma delTeloquenza col suo celebratissimo collega Marco Crasso. £ veri-
simile che siano dello stesso ordine anche quelle tante che un non so quai
francese, per detto del sig. Napione, trovava quasi in ogni facciata delle
opere del Thomas, e delle quali 1'Europa o non s'awede o non se ne cu-
ra (C.). II giudizio di Cicerone su Marco Antonio e nel Brutus, xxxvn, 140,
Antoine Leonard Thomas (1732-1785) fu al suo tempo notissimo soprat-
tutto come autore di eloges\ il giudizio su di lui e riportato dal Galeani
Napione nella sua opera DelVuso e dei pregi della lingua italiana, lib. II,
cap. i, § 2, ed. cit., i, p. 102. Cfr. anche la discussione intorno al Thomas
nelle lettere scambiate fra il Cesarotti e il Vannetti, e riportate in questo
volume. 5. poziorita: preferibilita.
360 MELCHIORRE CESAROTTI
II. Ma per dir qualche cosa di piu preciso, parmi die possano
stabilirsi due canoni atti a conciliar la ragione e Farbitrio.
1. L'uso, qualunque siasi, fa legge quando sia universale e
comune agli scrittori ed al popolo, ne, ove sia tale, pub mai ripu-
tarsi vizioso, poiche finalmente il consenso generale e Fautore e '1
legislator delle lingue. Ma se una nazione separata in diverse
provincie, senza una capitale ch'eserciti veruna giurisdizione mo-
narchica sopra le altre, avra un dialetto principale e una lingua
comune, 1'uso anche generale del dialetto primario non potra dirsi
universale, ne per conseguenza aver forza di legge se non quan
do resti autorizzato dal consenso della nazione, e accolto dalla lin
gua comune. Cosi gli atticismi non erano leggi della lingua greca,
ma idiotismi particolari degli Ateniesi, e cosi tra i fiorentinismi
quei soli debbono risguardarsi come obbligatorii, che furono una-
nimemente adottati dagli altri celebri scrittori d'ltalia.
2. Qualora fra gli scrittori celebri v'e discordanza nelFuso, deve
esser lecito a chi scrive di determinarsi col suo giudizio, nel che
non dovra consultare il maggior numero degli esempi, ma la mi-
glior ragion sufficiente. Conciossiache per una parte la diversita
delFuso mostra che non v'era legge precedente che obbligasse piu
a quella forma che a questa, e che ambedue s'accordano col ge-
nio della lingua; dall'altra la moltiplicita degli esempi deriva spesso
da tutt'altro che da ragioni di preferenza; poiche molti autori,
specialmente del dialetto predominant^, o seguono le scorrezioni
(del popolo o non la guardano in questo punto troppo sottilmente,
e trovando due o piu modi ugualmente autorizzati dalFuso,
colgono assai spesso il primo che lor si ofTre, e continuano po-
scia ad usarlo per accidentale abitudine. Cosi noi tutto giorno
nel nostro idioma vernacolo abbiamo alia bocca un qualche ter-
mine piuttosto che un altro d'ugual valore, senza che sappiamo
noi stessi il motivo di questa materiale predilezione. Ora la rego-
larita maggiore della sintassi deve essere la ragion sufficiente in
queste materie: con che si rettifica Fuso e si perfeziona la lin
gua. Che se la moltiplicita degli esempi, come talora accade, sta
per la parte men ragionevole, osino i buoni scrittori sostener la
migliore, e in poco tempo avra ella il doppio vantaggio e della
ragione e del numero.
In forza di questi principii, senza mendicare autorita, condan-
neremo i modi voi amasti o amassi, io andasse, come sconcordanze
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 361
patent! ; e '1 noi amassimo per amammo come equivoco ; e '1 torniano
per torniamo, e M e lei nel retto,1 t gli nel terzo caso plurale o nel
singolar femminino; e '1 siete per sete, e '1 mosterro per mostrerb,
e '1 mia per mid o TraV, e facessino, e mewo o risono, come forme
tutte viziose o strane o disanaloghe ; tuttoche proprie del dialetto
fiorentino, e comunissime qual piu qual me no agli scrittori piu
antichi e autorevoli della lingua. Per la ragione contraria credere-
mo meglio detto, perche inserviente alia distinzion delle persone,
tu abbi che tu abbia, ed io amavo ch'zo amava\ benche il primo
sia poco approvato, e '1 secondo proscritto dai grammatici che
fulminano sentenze coi loro testi alia mano. Ne perche gli an
tichi usino egli in plurale, vorremo percio lodarlo, ne perche il
Boccaccio e tutti i Fiorentini senza eccezione siansi fatto una leg-
ge di dir gliele diede per glielo diede, cesseremo di crederlo una
sconcordanza stranissima: ne adotteremo gli abusi della plebe e di
qual che scrittor fiorentino nello storpiare e travisare i vocaboli,
come in oppenione, sopperire,pistolenza*pricissione, piuvico? ritruo-
pico* obbrigare, interpetre, e drieto, e albttrio, e lalde,5 e cento altri
che infettano il Vocabolario; ne ci parra un bel che il sostituire
alia loro foggia il d al g, o il g all'w consonante, dicendo diacere e
pagone piuttosto chegiacere e pavone alia foggia comune d' Italia;
ne supporremo d'aver colto il fiore dell'atticismo quando con
apparente sconcordanza avrem detto uom leggieri, roba fine alia
fiorentina, in vece di leggier o e fina colla terminazione universale e
legittima ; ne ci lasceremo indurre a credere che le figure gramrna-
ticali e gli esempi vagliono a giustificare il si per sino a tanto che,
o il non fosse per se non fosse stato, o varie altre costruzioni oscure ed
equivoche, che si trovano nel Boccaccio e negli altri autori del
beato ed aureo Trecento; ne finalmente raccoglieremo come gioie
tutti i cosi detti vezzi di lingua, il piu delle volte o insignificant!
o viziosi: ben awisandoci che questi son di quei modi che carat-
terizzano i dialetti particolari, e che una citta rimprovera alFaltra
come difettosi e ridicoli, e che in conseguenza possono tutto al
piu tollerarsi, ma non meritano d'essere trasformati in bellezze
e cercati smaniosamente dagli scrittori. Ne sempre, ove regna la
diversita dell'uso, dovra lo scrittor giudizioso attenersi alia maggior
esattezza della sintassi, ma talora fara gran senno a sacrificarla o
i. retto: nominativo. 2. pistolenza; pestilenza. ^.piuvicoi pubblico.
4. ritruopico: idropico. 5. lalde: lode.
32 MELCHIORRE CESAROTTI
alia convenienza del numero o alPagilita o all'energia o alle altre
qualita dello stile, e talora anche a una giudiziosa e piacevole
varieta, specialmente in que* luoghi ove si tratta piu di dipin-
gere o muovere, che d'istruire. Ma il sentire ove e perche si con-
venga meglio di servire all'accuratezza o all'espressione, e cosa
di finissimo conoscimento, che puo solo ispirarsi del1 gusto in-
terprete nato e dominator delle regole.
in. Le parti logiche danno alia lingua perspicuita ed aggiu-
statezza, le rettoriche le comunicano bellezza e vivacita. Tra
queste faremo in primo luogo alcune osservazioni pratiche sopra
i vocaboli.
1. Attenendosi ai principii da noi stabiliti di sopra, chi scrive
non avra piu mestiere di rimescolare gli archivi delle parole per
dar adeguato giudizio della loro intrinseca qualita. Quando un
termine e conveniente alFidea, quando rappresenta vivamente Pog-
getto o colla struttura de' suoi elementi o con qualche somiglianza
o rapporto ; quando inoltre e ben derivato, analogo nella formazio-
ne, non disacconcio nel suono, di qualunque autore egli siasi, a
qualunque data appartenga, sia esso parlato o scritto o immaginato,
sara sempre ottimo, e da preferirsi ad altri insignificanti, strani,
disadatti, che non abbiano altra raccomandazione che quella del
Vocabolario.
2. Debbonsi rispettare i vocaboli propri quando siano unici, ri-
cevuti generalmente ed intesi, poiche, quand'anche fossero di
quella specie che abbiam di sopra chiamata termini-cifre, la buo-
na sorte d'esser unici e costantemente affissi ad un oggetto parti-
colare ne suscita immediatamente Pidea, e la rappresenta spiccata
nelle sue individual! sembianze; nel che consiste il primo pregio
e Popportunita dei vocaboli. Non dee credersi non pertanto che
Punicita e Puniversalita d'un termine proprio escluda sempre il
bisogno d'un altro nuovo, in guisa che Pintrodurlo sia in ogni caso
un'affettazione viziosa, quando all'opposto molte voci per van-
taggio della lingua e per uso delljintelligenza domanderebbero il
soccorso d'un qualche termine suffraganeo che supplisse al loro
difetto. Di fatto i vocaboli nozionali essendo rappresentativi d'idee
complesse, e queste non essendo che una collezione di semplici,
ne ciascheduno individuo convenendo sempre nel numero delle
i. del: 1'edizione pisana ha «dal», che correggo con 1'Ortolani, seguendo
i edizione del 1785.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 363
semplici che formano il fascio delle altre, ma ora soprabbondando,
ora mancandone alcuna; ne segue che il termine unico, destinato a
connotare una idea complessa, generi equivoci, oscurita e question!
di parole che si sarebbero prevenute colla distinzion dei vocaboli.
Disputarono molto i teologi e i ragionatori se le virtu dei pagani
fossero vere virtu: disputa vana, nata solo da cio che gli uni nel
formar Fidea complessa di virtu v'includevano quella di reli-
gione, che dagli altri non si credea necessaria. La guerra pedan-
tesca suscitata in Parigi contro il nuovo genere della commedia
passionata1 non aveva altro fondamento fuorche il non esserci
originariamente un termine che distinguesse la rappresentazione
delle awenture interessanti della vita privata da quelle dei di-
fetti ridicoli.
Non e meno desiderabile la duplicita dei termini nelle nozioni
morali, al di cui vocabolo e annessa dalPuso 1'idea accessoria di
lode o di biasimo, benche la cosa vi sia per se stessa indifferente,
ne si accosti all'mnocenza o alia colpa che per 1'oggetto, le mi-
sure o le circostanze.2 La compiacenza dehziosa d'un uomo one-
sto per le sue azioni virtuose non ha un titolo preciso che la di-
stingua dalla superbia; ne la giustizia che un Socrate rende tran-
quillamente a se stesso e segnata con un carattere proprio e di-
verso dalla millanteria d'un Trasone;3 quindi e facile al volgo e
alFanime basse o maligne di dare ai sentimenti nobili il color
del difetto o del vizio. La voce voluptas dei Latini scredito piu del
dovere la dottrina moral d'Epicuro; i vocaboli amor proprio, in-
i. commedia passionata'. il Cesarotti allude alia comedie larmoyante, i cui ar-
gomenti erano appunto i casi tristi e dolorosi della vita quotidiana, e sulla
cui legittimita estetica molto si discusse in Francia nel secolo XVIII, con
1'intervento anche del Beaumarchais e del Diderot. 2. *Mai non si rese
piu sensibile rimportanza della duplicita dei termini nelle nozioni ^morali
quanto ai tempi nostri, nei quali pu6 dirsi con verita che il mondo e posto
sossopra dalla fraudolenta e tirannica unicita d'alcuni vocaboli, Odasi come
parla un celebre scrittor francese, il cui testimonio e in piu d'un senso
autorevole. «6 ben da compiangersi che la lingua non abbia che un solo
termine per dinotare alcune nozioni politiche, e che abbia confidato agli
adiettivi e alle perifrasi la cura di marcame le distinzioni anche piu nota-
bili. lo dico seriamente che se ci fossero stati due nomi particolari, un dei
quali designasse la liberta saggia, e 1'altro la liberta senza limiti, questa li-
beralita di lingua ci avrebbe risparmiate molte disgrazie», N.R.F. (C.)- La
sigla corrisponde probabilmente a Necker, \De la] Revolution f ran faise,
opera pubblicata a Parigi nel 1796. 3. Trasone: e un personaggio dell^w-
nuchus di Terenzio, che riprende il tipo del plautino miles gloriosus.
3^4 MELCHIORRE CESAROTTI
teresse, lusso, usura, passione, presi costantemente in senso vizioso,
generarono idee false, persecuzioni pericolose, declamazioni vio-
lente.
Hi motus animorum atque haec certamina tanta
nominis exigui lactii compressa fatiscunt.1
Quindi i ragionatori, che appunto si distinguono dai semidotti
nella maggior aggiustatezza dei loro gruppi nozionali, sentono
spesso il bisogno d'un nuovo segno che li rappresenti adeguata-
mente, bisogno creduto chimerico da tutti quelli il di cui spirito,
posto al livello comune, non e mai tormentato da una nuova com-
binazione d'idee che tenti di sprigionarsi.
Gli oggetti fisici, come reali e costanti, qualora abbiano un
nome proprio, sembra che debbano andarne contenti, senza ri-
cercar di phi. Pure anch'essi passano per vari stati, e soggiacciono
a molte modificazioni esterne ed interne. Chi pu6 asserire che
non sia opportune e forse talor necessario il fissarne alcuna con
un vocabolo? Gli Ebrei aveano due termini, Tuno appropriate
alPerba vergine, e Paltro alia fecondata.2 Questo doppio nome,
se si fosse trovato nella nostra lingua, non avrebbe agevolata al
popolo e diffusa la conoscenza del doppio sesso delle piante?
Dicesi che gli Arabi abbiano 200 vocaboli per dinotar il cavallo.
Sia questo, se vuolsi, un lusso stranamente eccessivo: ad ogni
modo e certo che quella nazione deve aver osservato in quelPani-
male una folia di differenze mal distinte da noi, perche compresse
e confuse in un solo termine. II comune degli uomini e degli
scrittori non conosce il bisogno di questa moltiplicita ; solo gli
uomini che per dovere, per professione o per genio si applicano
a studiar gli oggetti della natura e delParte, sentono il vantaggio
di aver un vocabolo che fissi Pidea senza equivoco, e la presenti al-
Pintelligenza di chi gli ascolta per fame il soggetto delle loro ri-
flessioni. Lasceremo ora decidere a chi sa ragionare qual sia
maggior assurdita, quella d'immaginarsi che gli scrittori approvati
abbiano esaurito tutti i termini successivamente necessari, o quel
la di obbligar tutti g'individui d'una nazione a lasciar abortire le
i. Adatta Virgilio, Georg., iv, 86-7, sostituendo nomims a « pulveris », e fa
tiscunt a « quiescent » (« Questi movimenti e queste cosi grand! lotte degli
animi sono frenati e dissolti dal getto di un piccolo nome »). 2. Michaelis,
Dissert, sur la lang. (C.). Su quest'opera cfr. la nota 2 a p. 333.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 365
loro idee piuttosto che servirsi d'un termine non registrato nelle
tavole della lingua.
3. I sinonimi sono assai minori di numero di quel che si pensa.
Abbiamo osservato di sopra che molte voci sinonime nelPidea prin-
cipale son diverse nelF access oria, ne possono usarsi indistintamente.
II conoscerne le difference e spesso opera di molta finezza e saga-
cita. Sarebbe desiderabile che nella lingua itaiiana si facesse una
raccolta di sinonimi, come la fece nella francese Fab. Girard;1
ma a fine di renderla preziosa ed utile non solo ai letterati, ma in-
sieme anche agli eruditi filosofl, converrebbe aggiungere alle dif-
ferenze dell'uso quelle del loro senso primitive ed intrinseco, se-
guendo i vestigi dell'etimologia e le loro trasmigrazioni successive,
e rintracciando le ragioni che finalmente ne determinarono il
significato ad un'idea piu che all'altra: notizia ugualmente oppor-
tuna e a chi scrive a' tempi nostri, e a chi vuol giudicare fondata-
mente delle opere di quei che scrissero.
Quando i sinonimi siano veramente tali in ogni senso, e non
differiscano fuorche nel materiale della parola, lo scrittore giu-
dizioso non si fara schiavo degli esempi o delTuso piu comune
d'un qualche dialetto, ma fra due termini ugualmente analoghi
ad altri gia ricevuti nella lingua scegliera quello che colla sua strut-
tura o colla terminazione corrisponda meglio all'effetto che vuol
destarsi, e s'adatti al colore o alTintonazione general dello stile.
Non solo in due parole di suono diverso, ma nella stessa, la dif-
ferenza d'una vocale, la semplicita o il raddoppiamento d'una
lettera non sono indifferent! a uno squisito conoscitor di queste
materie, che distingua la natura dei vari generi e i diritti della
prosa e del verso. Per un orecchio sensibile ai menomi element!
delPimitazione, insuperbisce o insuperba, inacerbire o inacerbare,
intenebrito o intenebrato, lieve o leve non son lo stesso. Percio
nelTuso di queste e simili voci lo scrittore non si fara scrupolo
di discordare da se medesimo, purche s'accordi sempre coll'esi-
genza particolare della cosa e del senso che vuol destare in chi
ascolta.
i come . . . Girard: allude all' opera Lajustesse de la langue franpaise ou les
differences significations des mots qui passent pour synonymes, pubblicata nel
1718 dall'abate Gabriel Girard (1677-1748) e ristampata con aumenti nel
1736, con il titolo Synonymes franpais, leurs differentes significations ecc.:
primo tentative di un vocabolario di sinonimi.
366 MELCHIORRE CESAROTTI
4. In una lingua viva e vegeta, coltivata da una folia d'ingegni
forniti d'erudizione e di gusto, non altro che la tirannide d'un ridi-
colo pregiudizio puo togliere agli scrittori moderni la doppia liberta
conceduta ai loro antecessori di dispor dei vocaboli antichi e d'in-
trodurne di nuovi; purche Tuna e Paltra di queste operazioni sia
fatta giudiziosamente e a proposito. Cio potrebbe al piu essere un
problema se si trattasse della lingua parlata, che servendo agli
usi comuni del popolo dee dipender in gran par-te da' suoi capricci.
Ma noi abbiam gia mostrato, nella prima parte, che la lingua
scritta ha molte intrinseche diversita che le danno diritti e privilegi
diversi: ella dee considerarsi come il dialetto particolare d'una
nazione non ristretta a veruna citta, ma diffusa per ogni parte
d'ltalia, nazione composta del fiore degli uomini colti delle di
verse provincie, che si regge a repubblica, che ha per tutto gli
stessi principii regolativi, e la di cui liberta non riconosce altri vin-
coli che quelli della ragione. Essa vive in ogni luogo confusa col-
Paltra nazione piu numerosa del popolo, si adatta alia sua capacita
misuratamente, ma non ne riceve la legge; ne il popolo stesso si
e mai arrogato di dargliela, anzi ne rispetta le usanze, sa che la
lingua di essa non puo essere perfettamente intesa che dagl'mi-
ziati, che, somigliante alia comune, n'e per diritto in vari punti
diversa, e che, come la lingua degli dei presso Omero, ha molte
locuzioni non usate ma venerate dagli uomini. Perci6 qualora un
letterato scrupoleggia sopra un termine o una frase non comune,
e se ne mostra offeso per la semplice ragione che quel termine
non e inteso o comunemente usato dal popolo, egli si degrada da
se medesimo e si confonde col volgo. Egli e un cittadino illegitti-
mo che si fa schiavo dey suoi servi.
iv. Rapporto ai vocaboli gia ricevuti, la prima facolta che si
compete ad uno scrittore si e quella di ringiovenire opportuna-
mente le voci invecchiate e richiamarle alia luce. Questo e un atto di
pieta, un vero beneficio fatto alia lingua che si ripopola, come lo fa-
rebbe a un conquistatore chi trovasse il modo di ringagliardire
gPinvalidi e mandarli di nuovo al campo. Questo rinnovamento
accade alle volte naturalmente in ogni lingua : quel che si fa per caso
non potra farsi per arte ? « Multa renascentur » dice Orazio « quae
iam cecidere»: e vero ch'egli ci aggiunge «si volet ususw;1 ma
i. Cfr. Ars poet., 70-1: « Multa renascentur quae iam cecidere, cadent-
que / quae nunc sunt in honore vocabula, si volet usus » (« Molti vocaboli
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 367
quest'uso, a dirlo una volta per sempre, non deve egli aver un au-
tore che gli faccia da padrino e lo introduca nel mondo ? Si ripete
eternamente che 1'uso e il sovrano delle lingue; bel sovrano per
mia fe, a cui s'impedisce di nascere! I Frances! sono ritrosi forse
piu d'ogni altro popolo a questo rinnovamento delle parole. Molti
dei loro scrittori si lagnano che siano andati in disuso vari ter
mini espressivi e calzanti di Montaigne, d'Amiot1 e degli altri
antichi. Si lagnino piuttosto della loro pusillanimita, che non ar-
disce di rimetterli in voga. Ma presso una nazione che ha una
capitale e una corte, gli scrittori son men liberi, e le idee accessorie
trionfano delle principali.3 Fra noi questa liberta e la meno con-
trastata dalla setta dei zelatori. Non ista certamente in loro che
non si rinnovi tutto il frasario del Trecento: essi piangono a
cald'occhi sul deperimento giornaliero dell'antica lingua, e chi osa
di rawivare un termine dell'epoca primitiva, e certo di farli
rimbambolire di tenerezza. Tutti i retori convengono che un certo
colore d'antichita concilia maesta alle parole, come alle medaglie
la ruggine. Benche cio sia vero, e per conseguenza opportune in
qualche circostanza, specialmente nella poesia, non parmi per6
che questa sia generalmente una ragione bastevole per autorizzar
un termine antiquato, ma che vi si richiegga qualche raccomanda-
zione piu intrinseca. Secondo Quintiliano, fra le parole antiche
sono migliori le piu recenti, come fra le nuove le piu antiche.3
lo direi piu volentieri che fra le nuove sono da preferirsi quelle
che sembrano vecchie, e fra le vecchie quelle che hanno Papparen-
za di nuove. Abbiamo osservato nella prima parte che fra i ter
mini antichi altri vanno in disuso per qualche difetto intrinseco,
altri per semplice capriccio o vaghezza di novita. I primi, che si
palesano col suono disadatto, colla formazione disanaloga, colla
che gia scomparvero, rinasceranno, e invece scompariranno quelli che ora
sono in onore, se lo vorra Puso») i. Amiot: Jacques Amyot (1513-1593),
famoso soprattutto per la sua traduzione delle Vite parallels di Plutarco,
fu lodato dallo stesso Montaigne per « la naivete* et la purete du language,
en quoi il surpasse tous autres ». 2. *Quando Pautore scrisse cosi egli era
ben lungi dal prevedere che 1*85 fosse cosi presso all'SQ. Ma 1'epoca della
democrazia fu ella piu favorevole alia lingua francese che quella della
corte? II problema sarebbe degno delPAccademia dei quaranta, ma non
so se la liberta permetta di scioglierlo (C.). 3. Secondo . . . antiche: cfr.
Inst. orat., i, vi, 41: «Ergo ut novorum [verborum] optima erunt maxi-
me vetera, ita veterum maxim e nova».
3^8 MELCHIORRE CESAROTTI
insignificanza, colla stranezza, si fara gran senno a lasciarli nelle
tenebre deU'oblivione : ma tutti quelli che sono ben dedotti, ben
coniati, che rappresentano un'idea mancante d'altro segno o d'uno
egualmente espressivo, che nella loro etimologia o derivazione
portano scolpito il loro senso, che con una desinenza analoga ad
altri della sua specie possono servire ad una piacevole varieta, che
in fine non hanno milla in se stessi che ci ammonisca del loro deca-
dimento; hanno un pieno diritto alia luce ed al commercio degli
scrittori, ed annicchiati1 a dovere avranno il doppio merito di
ferire colla novita, mentre esigono rispetto colPantichezza. Per-
ci6 non sa piacermi di veder nel Dizionario marcati indistintamente
colla lettera del disuso, e confusi coi vocaboli rancidi e strani,
molti delPultima specie, senza almeno un awiso che gli distin-
gua; perche i giovani inesperti e poco atti a ragionare gli credono
tutti d'una sfera, e si awezzano sempre piu a giudicar delle parole
dall'autorita, piuttosto che dal loro intrinseco pregio. Boattiere?
a cagion d'esempio, e nome unico di professione che non dee per-
dersi. Incompassione porta un'idea che non e lo stesso che crudeltd.
Dringolare, che dinota il tremito interno, e della classe dei termini
pittoreschi preziosi allo stile. Incominciaglia colla sua desinenza
rappresenta felicemente un esordio goffo e tedioso. Disragione,
opposto a ragione, oltre alTesser secondo Panalogia, fa un belPef-
fetto nelTesempio citato di fra Giordano.3 Infamigliarsi, infugare,
innamicare, rimbaldire son termini tutti opportunissimi e non pun-
to strani. Rischievole e accorgevole spiegano idee, e son di stampa
comunissima. Non vorrei perder miraglio, ben piu espressivo di
specchio. Sceleranza potrebbe nel verso far miglior comparsa di
sceleraggine: e se il Boccaccio uso scropuloso per bernoccoluto, dal
latino scrupulus, parlando dei cedriuoli,4 non sara esso meglio ap-
plicato in poesia a rappresentar col suono la schiena scoscesa d'un
monte? La terminazione -oso significando comunemente ab-
bondanza, i vocaboli giocondoso e facondioso non potrebbero ap-
i. annicchiati: collocati come nella loro nicchia. a. Boattiere: custode o
mercante di buoi. I vocabolari citano un esempio del Sacchetti. 3. Disra-
gione . . . Giordano: il Vocdbolario della Crusca non cita esempi di fra Gior
dano, ma il seguente, tratto dalle Letter e di Guittone: «Non ragione ne
sapienza no : ma disragione e mattezza disnaturata dimora loco ». 4. il
Boccaccio . . . cedriuoli: cfr. Ninfale d'Ameto, ed. N. Bruscoli, Bari, Laterza,
> P- ?i : ((gli scrupolosi cedriuoli ».
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 369
plicarsi felicemente in ischerzo ad un uomo perpetuamente e
stemperatamente giocondo, e a chi si compiace d'una pomposa
loquacita? Solettamente non val nulla nelPesempio del Vocabo-
lario,1 ma sarebbe egregiamente detto d'un amante che passeg-
giando co* suoi pensieri si delizia nella solitudine. In generale la
scelta delle parole e poca cosa; la grand'arte dello scrittore e
quella di sceglier il luogo di collocarle, e di sentir le circostanze
che possono dar loro risalto. Questo e il solo mezzo di far cono-
scere la ricchezza della lingua. Tal parola isolata riesce strana, che
annicchiata a dovere diventa una gemma dello stile.
v. La seconda facolta, rapporto a questi vocaboli, sara quella
d'ampliarne il senso, di cui pero vuolsi usare con vie maggior
sobrieta e awedutezza. Questo per6 e quel che si e fatto costante-
mente dall'uso in tutte le lingue. Ma una tale ampliazione non e
permessa se non quando o la stretta affinita delle idee sembra
attrarre naturalmente la comunicazion del vocabolo,2 o il vo-
i. nelVesempio del Vocabolario: che e il seguente, tratto dalle Meditazioni
sopra la vita di Gesu Cristo : « e cosi tutta quella sera, solettamente, quanto
potea onestamente e convenevolmente, ando cercando di lui ». 2. *La de-
licatezza del sig. co. Napione per la purita della nostra lingua giunge a far-
gli condannare di gallicismo manifesto 1'espressione, venuta di Francia ma
comunissima in Italia, uomo digenio. Giova sentirne la ragione. «Tra i di-
versi significati» dic'egli «che ha in lingua italiana la voce genio, assai pro-
prio e comune si e quello d'un ente superiore allo spirito umano. Si puo
dire pertanto in lingua nostra in senso traslato che un uomo grande e un
genio; per denotare esser egH in certa guisa superiore agli altri uomini . . .
Sarebbe pero un gallicismo manifesto il chiamare qualche scrittore uomo
di genio, ma il dirlo un genio assolutamente, ed il contrapporre il genio
allo spirito, non e altro se non prevalersi in nuovo senso traslato di una
voce antica italiana per denotar con precisione i diversi gradi e le diverse
specie d'ingegno, senza offender in nulla la purita dell'idioma nostro ». lo
osservo: i. che tra esser un genio, e accostarsi al gemo, o partecipar d'un
genio v'e qualche difTerenza, come ce n'e tra uom divino e Dio; perci6
queste idee non possono scambiarsi Tuna per 1'altra, e dritto e che Tuna e
Paltra abbia un'espressione sua propria che la distingua. 2. Che 1'usar la
voce genio in questo senso originate per contrapporla allo spirito, e una
sconcordanza logica, poiche quest'e paragonar un essere a un'idea, una so-
stanza a una qualita. 3. Che quasi tutte le frasi di questo genere rese fami-
liarissime in tutti gli scritti, molte delle quali le trovo anche usate dal sig.
Napione in questa istessa sua opera, intese con questo rapporto diverreb-
bero poco men che ridicole, Che \oiol dire il genio de* poeti che si conserua
colle traduzioni, il genio deirinvenzione, il genio originale degV Italiani, il genio
creator d'Omero paragonato alia squisitezza di Virgilio, se in tutte queste e
cento altre espressioni sirnili dee sempre ricorrersi all' idea di un vero genio,
d'un essere supposto reale ? E bene, si sostituisca dunque alia voce genio
24
37° MELCHIORRE CESAROTTI
cabolo stesso par che c'inviti colla sua etimologia ad usarlo anche
neiraltro senso, che talor per awentura e il piu naturale e Jl piu
owio. Indonnarsi fu sempre usato in senso d'« insignorirsi », da
donno: ma come non sara dedotto ugualmente bene, e forse me-
glio, da donna! O chi vorra riprendere un poeta moderno, che
parlando alle femmine disse con espressione energica che non
debbono pretendere che,
travolte le natie sembianze,
sformato il mondo d piedi lor s'indonnit
Alcuni termini trovansi usati nel senso proprio, e non mai nel
metaforico ; altri viceversa. Sara questa una legge invariabile ? cosi
vorrebbero i superstiziosi che fanno un precetto d'ogni accidente.
II trasporto reciproco da un senso alPaltro fu sempre liberta origi-
naria e coessenziale alle lingue. La Crusca nota che acerbitd si
dice in senso metaforico per asprezza di carattere; che vuolsi
intender con cio? Sarebbe forse mal detto in senso proprio Va-
cerbitd delle frutta ? o Taltra metafora di chi disse V acerbitd de-
gli anni1 e men buona della precedente ? Delia voce vaporoso non
si trovano esempi citati che nel senso proprio. Ecco come un mo
derno, conciliando nello stesso termine tre sensi, proprio, me-
quella di angelo, demonio, semideo, ente superior e\ e si veda il bel senso che
ne risulta. Per gmstificar questi modi convien dunque stabilire ci6 che in
fatto e, vale a dire che la voce gento, in grazia delTafHnita delPidea e insieme
della sua etimologia, pass6 a significar per ampliazione una qualita d'in-
gegno superiore al comune, e che sembrava appartenere ai soli gem. In
questo solo significato il genio pu6 contrapporsi allo spirito, con questo
nuovo significato il termine di genio s'e gia da gran tempo addimesticato
colla lingua, e in questo solo esso fa un senso aggiustato in tante frasi che
lo ricevono. Se cosi e, ne vengono due conseguenze legittime. i. Che chi
primo invento la voce uomo di genio , voile rappresentar un'idea diversa
da quella di genio assoluto, e non avea torto se cercava d'esprimersi con
qualche diversita. 2. Che T espressione uomo di genio, in qualunque paese
sia nata, e ora tanto italiana quanto lo e uomo di spirito, uomo d'ingegno,
uomo di senno, e tante altre simili. Resta a desiderarsi che la cosa sia tanto
comune in Italia, quanto lo e divenuto il vocabolo (C.)- II passo citato del
Galeani Napione e tratto da una nota dell' op era DelVuso e del pregi della
lingua itahana, lib. n, cap. v, § 7, ed. cit., i, pp. 264-6. i. chi disse . . .
anni: allude al Tasso, che, nella canzone Al Metauro, 44-6, dice: «anzi
stagion, matura / 1'acerbita de' casi e de5 dolori / in me rende" 1'acerbita
degli anni ». II Vocdbolario della Crusca cita invece un esempio del Fili-
caia, che imita senza dubbio il Tasso.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 371
taforico ed allusivo, indico le due malattie delle belle, la vanita
ed i vapori:
Verra stagion che di mortal bellezza
fora vedovo il tempio, e fredde Pare,
senza Vonor del vapor osi incensi.
Acdaiato, se consult! il Vocabolario, si dice solo del vino medicato
colTacciaio. Perche non potra applicarsi ad un uomo vestito d'ac-
ciaio? o dir metaforicamente che un tale ha 1'anima acdaiata,
cioe dura e indomabile?
Fra i termini antichi trovasene talora alcuno che ha un senso
contrario alia sua forma: un saggio scrittore non potrebbe retti-
ficarlo, impiegandolo nel senso piu conveniente? Sprovare, voce
antiquata, e posta in senso di provare con patente contradizione.
Ma quanto non sarebbe acconcia se si dicesse d'un ragionatore
inetto: egli non provb Vargomento, ma lo sprovb!
vi. Del resto deesi qui awertire che, a giudicar esattamente e a
ben usar de' vocaboli, si rende indispensabile la scienza etimologica,
studio meschino, sol fecondo d'inezie finche si stette fra le mani
dei puri grammatici, ma che ai nostri tempi, maneggiato da pro-
fondi eruditi ed insigni ragionatori, divenne fonte di utili e pre-
ziose notizie, studio a di cui gloria basta il dire che formava le de-
lizie del gran Leibnizio.1 Questo solo ci rende atti, come si esprime
un dotto francese,2 a «dominare il valor dei termini », questo ci
fa assistere alia loro nascita e alle circostanze che gli produssero;
esso ci porge il filo che puo guidarci nei vari loro passaggi da
un significato alTaltro, dal senso proprio a tanti altri o traslati
o analogici, che non sembrano aver fra loro veruna specie d'affinita:
per mezzo di esso si gusta il sapor primigenio dei vocaboli e
delle frasi, si giudica fondatamente dell'uso o delPabuso fattone da-
gli antichi scrittori, s'indovina il senso de' loro contemporanei,
si risuscita una folia di sensazioni gia spente: istruiti da questo,
acquistiamo maggior sagacita nell'impiegare gli antichi termini, e
collocandoli hi un certo lume ne facciamo distinguer Timpronta o
i . *Un critico italiano chiama con enfasi Petimologia una scienza vana, lo
ho la debolezza di fidarmi piii del Leibnizio; e il Turgot, il Michaelis e
il de Brosse sono deboli al par di me (C.)- 2. M. Gebelin (C.)« £ il gia ri-
cordato Antoine Court de Gebelin. Cfr. la nota a p. 312.
MELCHIORRE CESAROTTI
logora dal tempo o sfigurata dall'altrui poca desterita: conoscendo
alfine per questo Tessenza originale del termine proprio, imparia-
mo Parte non comune di adattarvi le piu opportune metafore, e
giudichiamo con precisione dell'aggiustatezza o sconvenienza delle
medesime. Cosi, per arrecarne un solo esempio, quando sappia-
mo che abbacinare e una specie d'accecamento che facevasi con
por dinanzi agli occhi un bacino d'argento infocato, si vede to-
sto ch'e ben detto per traslazione essere abbadnato dalla gloria,
che manda uno splendor metaforico; e si conosce altresi esser
affatto sconveniente Puso che ne fecero due scrittori fiorenti-
ni, citati nel Vocabolario, voglio dire il Davanzati, che uso que-
sta locuzione, «si abbacinarono le stelle)),1 e 1'autor d'un'antica
storia, che parlando d'una famiglia disse ch'ella «rest6 abbaci-
nata per la morte»2 di non so chi: perche 1'abbuiamento reale
prodotto dalle nuvole, e molto piu il metaforico nato dalla mor-
te, non hanno veruna analogia con quella del bacino ardente.
Bensi Pespressione sarebbe stata appropriatissima e vivacissi-
ma, se il Davanzati avesse detto che le stelle restano abbacinate
dal sole.
Quindi chi vuol mantenere la squisita conoscenza dei termini
e la intrinseca vivacita delle lingue, dee custodir gelosamente
le notizie etimologiche, registrarle con diligenza nei dizionari, e
diffonderle per la nazione : senza di che, perdendosene la memoria,
i vocaboli, di figurati, particolari, pieni di spirito, divengono ge-
nerici, insignificant! ; e tutta la loro bellezza, a guisa d'un'essenza
mal custodita, svapora insensibilmente e dileguasi.
vn. Dai vocaboli antichi passiamo ai nuovi. Dopo cio che si e
detto in vari luoghi di questo ragionamento, credo superfluo il
diffondermi a mostrar che la lingua nostra, al pari delle altre,
& povera in proporzione dei bisogni dello spirito, e domanda d'es-
ser arricchita di nuovi termini. Cristiano Guglielmo Buttner, pro
fessor di Gottinga, come riferisce Michaelis nella sua insigne dis-
i. Evidentemente il Cesarotti non ricordava bene Fesempio del Davanzati
che nel Vocabolario della Crusca e invece : « Tultimo splendore del sole che
si conca, vi dura fino a tanto che si leva tanto chiaro che abbacma le
stelle » (traduzione della Germania di Tacito, cap. XLV). 2. Questo esem
pio, dato dalla Crusca sotto abbadnato e tratto dalla Cronaca di Luca di
Totto da Panzano, suona propriamente cosi : « e cosi rimase abbacinata e
disfatta questa famiglia [de* Ricasoh]».
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 373
sertazione suirinfluenza reciproca delle opinion! e delle lingue,1
stava preparando un dizionario poliglotto per mezzo del quale
poteva scorgersi in un colpo d'occhio Pabbondanza o sterilita re-
lativa degPidiomi, e distinguere le ricchezze proprie di ciasche-
duno dalle straniere e accattate. Nel fine di quest'opera noi propor-
remo qualche cosa di simile, indicando un metodo forse miglior
di quello del Buttner, e piu atto a mostrar tanto quel che manca alia
nostra lingua, quanto il mezzo di acconciamente supplirvi. Posto
il bisogno, ne viene di conseguenza il diritto, e chi ci obbligasse
a provarlo, sarebbe piu degno di compassione che di risposta. Ma
per prevenire tutte Perronee o maliziose interpretazioni che po-
trebbero darsi alle nostre idee, protestiamo prima solennemente
che Pandare smaniosamente in caccia di termini nuovi o stranieri
senza veruna necessita, e per la sola vaghezza di distinguersi dal
comune, e una affettazione puerile, viziosa e degnissima d'esser
censurata non men delPaltra di cercare i vocaboli piu rugginosi e
piu rancidi. La novita delle voci dev'esser autorizzata, anzi estorta
da qualche novita di cosa: ma questa novita puo trovarsi o nel-
Poggetto preso in generate, o nello stesso riguardato sotto qual
che aspetto importante e considerabile, o nelle idee semplici o
nelle loro moltiplici combinazioni, e finalmente nella complica-
zione, nei gradi e nelle tinte del sentimento.a
vin. Tolti in tal guisa gli equivoci, parleremo dei fonti da cui
possono trarsi vocaboli nuovi ; dal che si scorgera inoltre che siamo
ben lungi dalPautorizzare in questa materia una indefinita licenza,
o uno sconsigliato capriccio.
II primo fonte e il fondo della lingua gia ricevuta e approvata.
II diritto di trar da essa nuovi vocaboli e d'una tale evidenza
che sembra stranissimo che potesse mai esser posto in controversia
da alcuno. Le parole portano seco i loro germi indestruttibili, atti
a propagar la lor famiglia. Qual forza legittima puo impedirne la
fecondita? Sempre un verbo potra generare i suoi verbali, sem-
pre da un adiettivo potra dedursi il sostantivo astratto, o dalla
sostanza generale il nome adiettivo che ne partecipa. Non e egli
strano di trovar assai spesso nel Vocdbolario una femmina ver-
i. Michaelis A . lingue: nella dissertazione Sur V influence reciproque des opi
nions et des langues, piti volte citata. 2. Su questo luogo, e altri sirnili,
vedi Rischiar. n e Lett, al con. Napione (C.)-
374 MELCHIORRE CESAROTTI
bale e di cercarvi indarno il mascolino consorte? I grammatici
notano con sacro rispetto queste bizzarrie come misteri dell'arte:
essi hanno sempre in bocca il lor « non si dice», ma che s'intendono
con questo termine? Che non si e detto? che importa? Che non
puo dirsi ? questo e ci6 che convien provare, e che non proveranno
giammai. Le occasion! son quelle che fanno sentire il bisogno dei
vocaboli; e '1 gusto ne pressente1 Teffetto. «Derivare, flectere,
componere quando desiit licere ? » dice Quintiliano ;2 e a chi non e
noto il (dicuit semperque licebit» d'Orazio?3 Potrei allegare un
fascio d'autorita; ma, ove parla la ragione, Taltra puo tacersi. Tutti
i grandi scrittori, presso ogni nazione, convalidarono questa liber-
ta col loro esempio; tutti reclamarono altamente il loro diritto:
pure in ogni secolo i grammatici i piu schiavi deH'autorita e del-
Tesempio contrastarono un tal diritto ai discendenti di quegli
scrittori medesimi, che tali debbono chiamarsi tutti gli eredi del
loro spirito. Fanno pieta le censure del Castelvetro contro la
canzone del Caro,4 e movono a sdegno le persecuzioni contro il
Tasso per colpe di questa specie. I Siri adoravano Belzebu, vale
a dire il dio delle mosche. La pedanteria parmi appunto la stessa
divmita: non si cessera mai d'incensar quest'idolo molesto e
ridicolo ?
Del resto le terminazioni sono come le matrici dei nuovi voca
boli, e Tanalogia puo dirsene la levatrice. Altre desinenze si pre-
stano a tutte le idee, altre sono consacrate ad alcune classi partico-
lari: ciascheduna ha un carattere che la distingue nella struttura
e nelPordine de* suoi elementi. Rawicinando e paragonando fra
loro le desinenze di diversa specie, e analizzando i vari termi
ni che a ciascheduna appartengono, si viene a sentirne con pre-
cisione il valore e a notarne esattamente le differenze caratte-
i. pressente: cosl hanno le edizioni di Padova e di Vicenza; quella di
Pisa ha invece «presenta». 2. Cfr. Inst. orat., vm, in, 36: «At deri-
vare, flectere, coniungere, quod natis postea concessum est, quando de
siit licere ?» («I1 derivare una parola da un'altra, il crearne nuove per
mezzo di inflessioni e di composizioni, quando cesso di esser permesso ? »)
3* Cfr. Ars poet., 58-9: «Licuit semperque licebit / signatum praesente
nota producere nomen» («Fu e sempre sara lecito mettere in circola-
zione una parola coniata or ora»)« 4- censure . . . Caro: la canzone Ve-
nite alVombra de> gran gigli d'oro (1553), in lode della Casa di Francia,
fu acremente censurata dal Castelvetro, perche infedele al modello petrar-
chesco.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 375
ristiche. Quindi se un termine nuovo e ben gettato nello stam-
po della sua classe, s'egli n'esce ben conformato in ogni sua
parte e colle sembianze de' suoi fratelli, se Panalogia lo impronta
del suo conio, niuno puo non riconoscerlo per nazionale e le-
gittimo, e la lingua dee lietamente riceverlo come un nuovo suo
cittadino.
ix. A questo medesimo fonte appartiene Paccoppiamento di due
vocaboli noti: invenzione felicissima, utile ugualmente allo stile,
a cui concilia speditezza, espressione e vivacita, ed alia filoso-
fia, che con cio acquista il mezzo di rappresentar 1'innesto, la
temperatura,1 il contrasto delle idee e dei sentiment! die si mo-
dificano a vicenda nel punto stesso. Questa e la ricchezza phi
preziosa della lingua greca: ricchezza invidiata da tutte le lin-
gue, ma non da tutte emulata, piuttosto per dappocaggine che
per importanza.
Presso i Latini, tuttoche al par de' Greci abbondassero di de-
clinazioni, le voci composte non avevano uno spazio cosi comune,
«neque id» aggiunge Quintiliano ((fieri natura puto, sed alienis
favemus, ideoque cum cyrtauchena mirati sumus, incurvicervicum
vix a risu defendimus».2 Ma i Romani aveano ben ragione se
ridevano di questo pesante e disadatto composto. La loro lingua
ne avea molti altri assai piu acconci e piacevoli, e non e che loro
colpa se non ne fecero un uso piu frequente anche nelle prose. La
mancanza dei casi nelle lingue moderne le rese meno suscettibili
di questa bellezza. Pure la tedesca e 1'mglese, benche i loro nomi
non siano punto piu declinabili e i monosillabi di cui abbondano
ne rendano Taccozzamento piu disagevole, s'impadronirono fran-
camente di questa straniera ricchezza. La lingua italiana non
ha nulla che vi repugni, pure non par che ancora siasi abbastanza
addimesticata con questa specie di vocaboli. Quelli a cui si adatta
piu volentieri sono gli adiettivi composti d'un verbo e d'un nome,
indicanti professione e abitudine di far checchesia, come picchia-
petto, cattdbrighe, e simili. Dell'accoppiamento di due adiettivi
pochi esempi se ne ha fra gli antichi innanzi il Redi, che gPintrodus-
i. la temperatura: il contemperamento. 2. Inst. orat., i, v, 70 («ritengo
che cio awenga non per gusto naturale, ma per ossequio a cio che e stra-
niero : dopoche abbiamo arnmirato cyrtauchena^ ci tratteniamo a stento dal
ridere di fronte a incurvicervicum »). Tanto il termine greco che quello la
tino (usato da Pacuvio) significano «dal collo ricurvo».
37^ MELCHIORRE CESAROTTI
se nella poesia ditirambica.1 II Salvini2 nelle sue malaugurate tra-
duzioni ne invento molti, atti ben piu a screditarne Tuso che a
raccomandarlo. Ma ne' tempi recenti alcuni scrittori d'ingegno piu
destro e d'orecchio meglio armonizzato ne formarono vari di
felicissimo effetto.3 Nella prosa potrebbero per awentura sem-
brare un ornamento ricercato: ma quando siano opportuni alia
circostanza, domandati dal bisogno, non intrusi dalla vanita, per-
che proscriverli ? Perche privarsi d'uno strumento cosi acconcio e
di tanta efficacia? Ora la loro opportunita non e conosciuta da
chi detta leggi unicamente sull'esempio dei testi, ma da chi ha
Tabitudine di scrivere e di pensare nel tempo stesso, cose che non
fanno un composto de' piu comuni.
x. II secondo fonte sono i dialetti nazionali. Pu6 permettersi
al dialetto dominante la primazia4 sopra gli altri, non la tirannide.
Tutti i dialetti non sono forse fratelli? non son figli della stessa
madre? non hanno la stessa origine? non portano Pimpronta co-
mune della famiglia? non contribuirono tutti ne' primi tempi
alia formazion della lingua ? Perche ora non avranno il diritto e la
facolta d'arricchirla ? I dialetti di Grecia non mandavano vocaboli
alia lingua comune, come le diverse citta i loro deputati al collegio
degli Anfmoni ? Non dice Quintiliano ch'egli reputa romani tutti
i vocaboli italici? Perche vorremo noi stabilire un assioma oppo-
sto, e creder barbari tutti gPitalici fuorche quelli d'una provincia,
anzi pure d'una citta ? II diritto della Toscana di confluire all'am-
pliazione della lingua non soffrira per awentura gran controversia.
Ma come accordarlo senza orrore ai Napoletani, ai Romagnuoli,
ai Lombardi? Non e questo un imitar la pazzia di Caracalla,
che dono la cittadinanza romana a tutto 1'imperio ? Si certamente,
quando si ammettessero indistintamente i loro vocaboli senza ne-
cessita, senza bisogno, senza scelta, lasciandogli nella loro roz-
zezza e nelle spoglie municipali: ma non gia quando vengano in
i . il Redi . . . ditirambica : nel Bacco in Toscana sono in effetto frequenti le
parole composte, anche se son rare quelle costituite dairaccoppiamento
di due aggettivi. 2. Anton Maria Salvini (1623-1729), letterato ed eru-
dito fiorentino, tradusse moltissimo dal greco, dal latino, dall'ebraico, dal
francese e dall'inglese. Ma il Cesarotti allude qui soprattutto alle sue tradu-
zioni omeriche. 3. alcuni scrittori . . . effetto: allude, assai probabijmente,
anche alia propria traduzione ossianica, dove si fa molto uso di parole
composte. 4. primazia: primato.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 377
supplemento d'altri che mancano al dialetto principale; quando si
trascelgano con giudizio: quando si raddrizzino e s'acconcino alia
foggia gia convenuta, secondo Tanalogia delle forme; quando infine
siano ben costrutti, ben derivati, espressivi, noti o intelligibili a
tutta 1' Italia, convenient!, non disarmonici: del qual ordine se ne
trovano molti in ognuna delle nostre citta, piii d'uno de' quali
e degno forse di preferenza sopra il suo corrispondente registrato
nel Vocdbolario. Indarno si direbbe che non essendosi questi dia-
letti introdotti nelle scritture nobiK, ma servendo solo alFuso
del popolo, i loro termini hanno in se stessi una bassezza originaria
che ofTende gli orecchi purgati: poiche primieramente tutte le
lingue piu colte furono da principio e sono tuttavia nello stesso
caso, giacche la lingua e prima nella bocca e poi negli scritti, ed
ogni termine sarebbe vile se per cio bastasse d'esser usato dal
popolo. La prima, la vera bellezza d'un termine e la convenienza:
un vocabolo unico e proprio e sempre bello finche non se ne trova
un altro piu acconcio. Gli scrittori son quelli che colla loro scelta
e colle giudiziose collocazioni fanno sentir piu al vivo 1'uso oppor
tune dei vocaboli e conciliano ad essi splendore e grazia. Or se i
dialetti italici non furono nella loro totalita nobilitati dagli scrittori,
molti per6 dei loro vocaboli, trovandosi sparsi nelle loro opere, sono
gia divenuti abbastanza nobili, ed entrano a formar il corpo di
quella lingua comune di tutti gli uomini colti d'ltalia, che non
credono lorda e schifosa ogni parola che non sia purgata nell'Arno.
Sia permesso di far gli schizzinnosi quando non siamo stretti da
verun bisogno ; ma il rifiutar le voci necessarie, perche non son frut-
ti del nostro terreno, e un'insensatezza simile a quella d'un princi-
pe che lasciasse mancar 1'opportuno alimento al suo popolo, per
che quel genere non e un prodotto della sua capitale.
xi. II fondo nazionale non basta sempre alTaumento e alia dila-
tazion delle idee: convien talora ricorrere ai linguaggi stranierL
Questo e un discapito, 1'accordo, ma esso e necessario e comune a
tutte le lingue antiche e moderne. Tutte presero i nomi degli og-
getti della natura e dell'arte da quei popoli ove sono piu familiari,
e che ce ne portarono la conoscenza. Tutte inoltre si recarono a
gloria di abbellirsi colle spoglie delle piu antiche e autorevoli. La
lingua latina si alimento della greca, benche non avesse la stessa
origine: or ella, tuttoche poco opulenta, e in possesso d'esser ge-
nerosa colle piu recenti. Madre delTitaliana, ella ha un titolo le-
37$ MELCHIORRE CESAROTTI
gittimo di soccorrer ai bisogni della figlia. Essa e la lingua dell'eru-
dizione, della religion, delle leggi: non solo chi assaggi6 le buone
lettere, ma chiunque non e affatto plebe, ha una qualche conoscen-
za de' suoi vocaboli e delle loro allusioni. Forse la meta delle voci
italiane dei primi secoli porta Timpronta patente della sua origi-
naria latinita. Ci6 dunque che si prende da lei non puo dirsi asso-
lutamente straniero. I suoi termini giudiziosamente trascelti danno
maesta e splendore allo stile: essi posson specialmente giovare a
coprir d'un velo decente un'idea sconcia o a nobilitarne una bassa
in quelle scritture ove la bassezza e difetto. Dee perci6 sembrar
alquanto strana la proposizione del Salviati nej suoi Avvertimenti
della lingua, il quale supponendo gratuitamente che la lingua dal
Boccaccio in giu andasse deteriorando per la introduzione di
nuovi ed impuri vocaboli, deduce cotesta depravazione dallo stu
dio della lingua latina, che essendosi diffuse tra '1 popolo innest6
nell'idioma e sparse nelle scritture una quantita di vocaboli non
prima usati. E perche era troppo visibile, per dissimularsi, la rispo-
sta: non esser ci6 punto strano, avendo gia i nuovi termini latini
nella lingua nostra una quantita d'affini e di consanguinei, egli la
propone con ottima fede, sicuro d'avere una replica trionfante.
Udiamola: ella e veramente, direbbe un francese, impagabile. «I
termini antichi di questa specie non vennero dal latino, ma dalla
corruzione di esso e dalla mescolanza colle lingue barbare, ne
accadde per umano consiglio, ma per opera della Prowidenza;
laddove i moderni si traggono dal latino puro, e sono introdotti
senza autorita delParte e dalParbitrio degli uomini. »* Ci6 vuol dire,
in altro linguaggio, che i vocaboli sono puri e perfetti quando na-
scono dal caso e dall'ignoranza, ed escono da un fondo guasto
e debbono dirsi viziosi qualora con scelta e giudizio si traggono
da radice sana per opera di persone fornite d'intelligenza e di gusto.
E chi poi si sarebbe aspettato di veder la Prowidenza impiegata a
dar la sanzione divina agli spropositi e alle storpiature del popo-
laccio? Aggiunge poi, con una logica ugualmente poderosa, che
se questi nuovi vocaboli fossero stati opportuni, non si sarebbero
in quel primo tempo lasciati come soverchi e disutili : come se le
i. Cfr. Degli avvertimenti della lingua sopra il «Decamerone» (1584-1586),
lib. II, cap. vin (Milano, Tipografia de' Classic! italiani, 1809, 1, pp. 177-8).
II Cesarotti non cita esattamente il testo, ma ne riassume il contenuto.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 379
lingue, specialmente in tempo di barbarie e sconvolgimento, si
formassero dal popolo con antivedenza e consiglio, e non piut-
tosto fossero il risultato degli accozzamenti del caso. Noi pero,
raffazzonando un poco questo disacconcio ragionamento, diremo
che, qualunque siano le prime alterazioni o corruzioni dei vocaboli
originari, acquistano dal tacito consenso del popolo non pregio
intrinseco, ma bensi autorita; che dietro alle prime usanze, buone
o ree che si siano, Tanalogia forma un sistema di derivazione che
dee rispettarsi, perche forma il carattere della nuova lingua; che nel
dedurre nuovi vocaboli dall'antico fondo deesi seguir la norma dei
primi esempi, ed osservar lo stesso metodo nelle desinenze, nelle
derivazioni, nelPordine, nelPalterazione o sostituzion delle let-
tere; e che, quando cio si faccia, le voci latine di piii comune
intelligenza, abbigliate alPitaliana, serviranno felicemente agli usi
della lingua, e coll'acconcia mescolanza d'un colore straniero e
domestico possono svegliar la riflessione e arrestare piacevolmente
gli sguardi. Del resto tanto e lungi che si voglia da noi autorizzar
la licenza sconsigliata di latineggiare italianamente, che vorremmo
anzi veder purgato il Vocabolario dalle tante voci di cruda e strana
latinita, che non potrebbero far buona comparsa fuorche nello
stile fidenziano,1 delle quali appunto il secolo del Trecento, ido-
latrato dal Salviati, ne somministra cosi gran folia d'esempi. Questi
pero possono donarsi a quel secolo, nel quale la lingua latina era
tuttavia usata nella predicazione dei tempii nelle occasioni solenni,
e nelle scritture piii autorevoli: ma chi vorra scusare il Machiavelli,
che senza necessita fece scialacquo di latinismi e che oso dire
contennendo per dispregevole?2
xn. La Grecia diede al mondo le arti e le scienze: quindi non
solo comunico a tutte le lingue sin dai primi tempi gran parte del
suo vocabolario scientifico, ma tuttavia al presente colla sua age-
volezza, colla fecondita delle composizioni e colla comprensiva
espression de' suoi termini si presta felicemente alle successive in-
venzioni e scoperte, e in luogo d'una circonlocuzione ci da un
vocabolo. Noi dobbiamo ad essa barometro, termometro, telescopio,
i. stile fidenziano: questo stile (che prende nome dai Cantid di Fidensio
Glottocrisio Ludimagistro, composti fra il 1540 e il 1545 dal vicentino Ca-
millo Scroffa) consiste nell'applicare la morfologia e la sintassi del volgare
al lessico latino. 2. Cfr. J7 Principe, xvi, 4: « intra tutte le cose di che uno
principe si debbe guardare, e lo esser contennendo e odioso ».
380 MELCHIORRE CESAROTTI
microscopic*, e per essa il globo aerostatico s'aggira per le bocche
del popolo, come per Faria. Ella presentera sempre ai dotti una
maniera1 inesausta per la loro nomenclatura, e qualche allusione
felice agli scrittori di non volgare eloquenza. Ma i termini di questa
specie sono poi d'una necessita tanto pressante e comune quanto
potrebbe credersi dal linguaggio generale degli scienziati ? possono
servir a tutti gli oggetti di chiunque scrive? 1'idioma nostro non
ha nulla die vi si approssimi ? Se cosi non fosse, potrebbe dubi-
tarsi se la lingua greca renda un pieno servigio, e non piuttosto
in un certo senso nuoccia ugualmente e alia scienza stessa e alia lin
gua. Quel che rende piu malagevole ai principianti Facquisto delle
discipline, quel che le fa piu misteriose ed inaccessibili al popolo, si
e la difficolta di familiarizzarsi col loro frasario. Un ammasso di
termini esotici che non hanno veruna affinita coi nostrali, offende
Porecchio e ributta Pintendimento, che dovrebbero allettarsi e
giovarsi scambievolmente. Termini di tal fatta non sono pel mag-
gior numero che cifre cinesi e geroglifici egizi; essi tolgono alle
classi medie qualunque comunicazione colla scienza, e ritardano
i progressi dello spirito e della cultura nazionale: laddove le idee
dottrinali stemperate nell'idioma comune spargerebbero nel po
polo qualche barlume di scienza utile agli usi della vita e ne de-
sterebbero il gusto. La lingua dal suo canto, costretta ad accattar
altronde termini poco sociabili, perde la parte piu fruttuosa della
sua ricchezza, ch'e quella di destar vivamente e rapidamente le
idee per mezzo di vocaboli d'un rapporto luminoso e sensibile.
Sarebbe dunque desiderabile che le scienze e le arti avessero un
bisogno meno universale della lingua greca, che i termini tecnici si
lasciassero al commercio dei dotti, ma questi pur anche trovassero
nell'idioma proprio i mezzi di accomodar la loro dottrina all'in-
telligenza comune. La botanica, la storia naturale, la fisica, Fana-
tomia, studi di cosi estesa utilita, sono seminate di termini greci
che ne tolgono al maggior numero quella parte di conoscenza che
non e punto superiore alia sfera del suo intendimento. La medi-
cina sopra tutto e, diro cosi, ammorbata da un grecismo perpetuo,
che ne forma un gergo vano e ributtante,2 il quale non puo tornare
a profitto se non se delFimpostura e delPignoranza. Sia lecito
conservar i termini gia domati dalFuso e fatti cittadini di tutte le
i. maniera'. come osserva 1'Ortolani, sembrerebbe da correggere in «mi-
niera». 2. nbuttante: che ributta, allontana i non esperti.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 381
lingue. Ma perche grecheggiare eternamente senza necessita, anzi
pure senza utilita o vaghezza d'alcuna specie, quando la lingua no-
stra ci presenta una folia di termini equivalent! di senso e per-
fettamente gemelli? Perche dir sintoma per accidente, narcotico
per sonniferO) dialed per disposizioney e miasma^ e marasmo, ed
emetico, ed altri a migliaia che non hanno verun diritto di pre-
ferenza ? Renderebbe per mio awiso un servigio non indifferente
alia lingua e alia societa chi prendesse ad esaminare tutti i vocaboli
greci relativi alle scienze ed alle arti, tanto quei che si trovano nelle
opere degli scrittori approvati, quanto quei che regnano negli scritti
dei professori e dei dotti; indi cercasse se fra i nostrali n'esistano o
possano formarsene altri uguali di valore e di pregio. In tal guisa
verrebbero con precisione a conoscersi i necessari, gli opportuni e
gFinutili ; e posta in chiaro la vanita degli ultimi, potrebbe a poco
a poco introdursi un'acconcia sostituzione a vantaggio comune ed
a vero arricchimento della lingua. La ragione awalorata dall'esem-
pio prevale alia lunga sopra la cieca abitudine.
xin. II quarto ed ultimo fonte sono le lingue straniere, le quali
ai tempi nostri rapporto all'italiana si riducono alia sola francese,
ch'e appunto la sola universalmente nota e addimesticata coll' Ita
lia. Questa e la pietra dello scandalo, il porno della discordia,
TElena delle nostre Iliadi, il soggetto eterno delle patetiche la-
mentazioni dei zelatori.1 lo rinforzo le mie proteste, e mi dichiaro
di condannar altamente la licenza di coloro che vanno tutto giorno
infrancesando la lingua italiana senza proposito. Quando non ci
fossero altre ragioni di condannar questo abuso, converrebbe an-
cora astenersene per non offendere la vanita nazionale, che nelle
cose picciole si fa forse sentir piu al vivo che nelle grandi. Ma
dalTaltro canto, se la lingua francese ha dei termini appropriati
ad alcune idee necessarie che in Italia mancan di nome, e se que-
sti termini hanno tutte le condizioni sopra richieste, per quale
strano e ridicolo aborrimento ricuserem di accettarle? Che la
Francia abbia molti termini di questa specie non e permesso di
dubitarne se non a chi e affatto digiuno delle conoscenze del secolo.
Qual insensate patriottismo ci fa dunque sdegnar i frutti stranieri
che possono esserci d'alimento e delizia? II Voltaire disse della
sua lingua ch'ella «e una pitocca orgogliosa, che si sdegna che le
i. Vedi Rischiaram. n, § 2, (C.).
382 MELCHIORRE CESAROTTI
venga fatto limosina)).1 L'idioma italiano e nel caso stesso: la
colpa pero non e degli stessi idiomi, che non repugnano punto a
queste adozioni, ma degli scrittori pusillanimi che vezzeggiano i
pregiudizi del pedanti, in luogo di combatterli con giudiziosa li-
berta. La lingua latina non si fe' scrupolo di adottar molte voci
non solo degli Etruschi e degli Oschi, ma dei Galli pur anche e
degli Spagnuoli e degli AiFricani e d'altri popoli barbari. La na-
zione inglese si pregia d'una liberta nlosofica anche in questo
punto, e tuttoche in perpetua gara colla Francia, non isdegna d'ar-
ricchirsi colle spoglie della sua rivale. I Francesi stessi, benche
schizzinnosi al par di noi, danno ai nostri giorm la loro cittadinanza
a molti vocaboli italiani senza immaginar d'awilirsi. La lingua
francese e ormai comunissima a tutta 1'Italia: non v'e persona
un poco educata a cui non sia familiare e pressoche naturale:
la biblioteca delle donne e degli uomini di mondo non e che fran
cese. I vocaboli di quella lingua hanno in gran parte molta affinita
coi nostri, come tratti dal fondo stesso, e sono piu chiari forse d'un
terzo di quelli registrati nel nostro vocabolario. La lingua, nobi-
litata da un gran numero di scrittori d'alta sfera, ricchissima d'o-
pere piene di ragionamento e di spirito e sparse di tutto il fiore
delFurbanita, acquist6 presso Funiversale quell'autorita e quella
grazia che concilia favore e pregio ai vocaboli. Ma quel ch'e piu
curioso, e che sembra non esser noto ai nostri puristi, ella e gia
in possesso fin dai primi tempi di prestar le sue voci alP Italia:
e quel ch'e ancora piu singolare si e che le voci francesi adottate
dalla nostra lingua nella sua origine, nel tempo della vantata sua
purita, le voci autorizzate nei nostri registri sono appunto di quelle
che dovrebbero esserne capitalmente sbandite, perche prive d'ogni
titolo d'esser tollerate, non che accolte.2 S'io per esempio facessi
uso d'alcuna delle seguenti locuzioni: io fui aggiornato per la
Tussanti\ Vanned fu trista; balitemi quel libro; colui e bornio\
sono intoppato in un buscione\ convien ch'io chitti la casa; questa
e una storia controvata\ costui e convoitoso\ io non ridotto nulla;
egli ha commesso dei gran/orjfefr; io sono invironnato da nemici;
i fisiciani non son d'accordo fra loro ; qual discorso fa do ; il prin-
cipe deve giuggiare e vengiar i torti; plusori pensano altrimenti;
i. Cfr. Voltaire, lettera del 15 gennaio 1768 al Beauz6e: «C'est une indi-
gente orgueilleuse qm craint qu'on ne lui fasse I'aum6ne» (in Oeuvres,
ed. cit., XLII, 1893, P- 39)- 2. Vedi Rischiar. n (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 383
la fantesche hanno in lei una buona maestressa\ siate visto che ho
fretta; certanamente convien ch'io mi faccia segnare dal cirugiano:1
s'io, dico, parlassi o scrivessi cosi, chi non crederebbe ch'io facessi
la caricatura d'un goffo francese italianato, o d'un italiano che
franceseggia burlescamente ? pure io non farei che servirmi di
termini toscanissimi, tutti autorizzati dagli esempi dei Boccacci,
dei Villani, dei fra Giordani,2 e degli altri scrittori del secol d'oro
della lingua. Or non e egli dunque assai strano che, poiche la
lingua toscana si mostro sin dal suo nascere cosi corriva nelTaprir
il seno capricciosamente a tante voci disadatte venute di Francia,
si pretenda ora ch'ella divenga ritrosa, schizzinnosa e fantastica,3
quando si tratta di accettarne di nuove scelte a proposito, au-
torizzate dal bisogno e non rifiutate dal gusto ?
xiv. I vocaboli nuovi generano nuovi traslati, nuove frasi meta-
foriche ed allusive. Ammessa dunque la novita dei vocaboli, non
puo escludersi la novita dei traslati e delle locuzioni che ne derivano.
Se la lingua soffre I'elettricita nei corpi, dovra ben permettere che
si elettrizzi lo spirito : se la virtu della calamita ha il nome di ma-
gnetismo, come impedire al cuor d'un amante di sentir la forza
magnetica negli occhi della sua bella? Quelle stesse ragioni che
mettono in voga una nuova classe di vocaboli, conciliano anche fa-
vore alle locuzioni metaforiche, che sono i rampolli di quel germe.
Quindi ad ognuna delle grandi epoche delle nazioni si veggono gli
scrittori attignere i loro traslati a una nuova fonte, e la lingua rin-
novarsi e ricolorirsi sensibilmente. Nel tempo della rozzezza re-
gnano i traslati di somiglianza, ne* secoli dell'ingegno quei del
contrasto: i primi si colgono dagli oggetti fisici, i secondi si trag-
gono piu volentieri dalle conoscenze e dalle arti: quelli son figli
della poverta, del bisogno, del caso; questi delTabbondanza, della
i. S'io . . . cirugiano: diamo la spiegazione solo delle parole meno chiare:
Tussanti (francese Toussaint), « Ognissanti » ; balitemi (antico francese bail-
tir), «prestatemi»; bornio (francese borgne), «orbo»; buscione (francese buis-
sori), « cespuglio » ; controvata (francese controuvee), « inventata » ; convoitoso
(francese convoiteux), «voglioso»; ridotto (francese redoute), «temo»;/or-
fatti (francese forfaits), « misfatti » ; fado (francese fade), «sciocco»; giug-
giare (francese juger), «giudicare», usato anche da Dante (Purg., xx, 48);
plusori (francese plusieurs), « parecchi » ; segnare (francese saigner), « salas-
sare»; cirugiano (francese chirurgien), «chirurgo». 2. fra Giordani: fra
Giordano da Rivalta (o da Pisa), vissuto tra il 1260 e il 1311 e famoso pre-
dicatore, e spesso citato nel Vocabolario della Crusca. 3. fantastica:
capricciosa.
MELCHIORRE CESAROTTI
scelta, del lusso. Gli antichi mancano talora d'aggiustatezza, i
nuovi di facilita: negli uni e negli altri scorgesi un'audacia diversa:
quella e Timpeto d'una fantasia senza guida, questa e la baldanza
dello spirito che sente le proprie forze ed ama di farle conoscere.
lo non mi diffondero piu oltre su questo articolo, che appartiene
allo stile piu che alia lingua. Solo non so astenermi dall'osservare
quanto la prevenzione domini spesso nelle materie di gusto, e
come ella renda i nostri giudizi inesatti e contraddittorii. Gli ama-
tori d'uno stile sobrio e castigato sono assai disposti a trovar o
sfacciate o strane le locuzioni metaforiche degli scrittori piu ani-
mati e vivaci, e vi oppongono quelle del buon tempo antico, che
sembrano loro piu misurate e d'una modesta semplicita: questa
non e che un'illusione nata dalla poca awertenza e dall'abitudine.
Le frasi metaforiche de' tempi nostri, essendo tratte da somiglian-
ze o da contrasti non comuni, colpiscono con tutta la forza della
no vita e gittano d'improwiso una luce viva che abbaglia le viste
piu deboli: laddove le metafore antiche, smaccate dall'uso e rese
a noi familiari per Pabitudine, fanno un'impressione men forte.
Quindi noi per un errore troppo comune trasportiamo a colpa
della cosa cio che dee mettersi a carico delle nostre sensazioni:
che se, analizzando il senso primitive ed intrinseco delle locuzioni
antiche in ognuna delle lingue piu celebri, ne facessimo un esatto
ragguaglio colle moderne piu analoghe, troveremmo forse piu d'u-
na volta che quelle in origine non erano punto piu sobrie, ma
solo men aggiustate delle recenti. Lascio stare le mascelle del fuoco,
che si leggono presso Eschilo,1 e Vinnumerabile riso del mare2 del
poeta stesso, che Catullo colla stessa metafora, per6 in luogo piu
conveniente, chiamo cachinno? e la nave dalle-guancie-di-minio
del buon Omero,4 e lo strale di Pindaro che-avea-le-gengive-di-
bronzo* e tante altre locuzioni di simil fatta che si ammirano nel
cigno dirceo,6 e sarebbero fischiate nel Ciampoli:7 ma la chioma
i. Cfr. Prom., 370: TCOTOCfJLo! Trupos SCXTTVOVTE^ aypicag yva&cnc;. 2. Cfr.
Prom., 90: TTOU-UCOVTS xu[idhrcov dcvqpi&piov ysXaa^a. 3. Cfr. Carm., LXIV,
273: «[undae] ^leviterque sonant plangore cachinni». 4. Cfr. //., 637:
vvjeg. . . [xiXTOTOxpflot. 5. Cfr. Pyth.y i, 44: xaXxoTrapqcov axovra. (Propria-
mente, « guance » e non gengive.) 6. cigno dirceo : Pindaro. L'immagine e
di Orazio, Carm., iv, n, 25 : «multa dircaeum levat aura cycnum ». 7. Gio
vanni Czampoh (1590-1643), sull'esempio del Chiabrera, cerco di reagire al
marinisrno e al petrarchismo attraverso 1'imitazione dei classici latini e gre-
ci, e specialmente di Pindaro.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 385
parlante (Tun albero mosso dal vento non s'accorda molto colla
semplicita di Catullo;1 e il tagliar le midolle (Tun monte presso il
medesimo,2 non e forse gemello di sviscerar i monti di Paro, come
volea rAchillini?3 Ne so dire se le querce orecchiute d'Orazio4
avrebbero trovato lo stesso favore nel Testi, ne se le mammelle del
terreno, che tanto vale uber glebae, si passerebbero al Marino,
come si rispettano nel misurato Virgilio.5 Molti esaltano Dante per
la proprieta de' vocaboli: cosa vera specialmente in cio che per
lui non v'e nulla d'improprio. II suo frasario spira talora la felice
arditezza d'un uomo di genio : ma molte delle sue locuzioni non
dovrebbero renderlo degno d'esser alia testa dei secentisti? Tali
sono fra cento altre, il curro o carro dello sguardo, far monchi i
pensieri, la penna tempra del sole che scioglie le nevi, e le piaghe che
inebbriano le luci, e i lamenti che lo saettano cogli straliferrati dipietd,
e la notte che china le ale de' suoi passi, e V superbo strupo, o stupro
di Lucifero, e la rimembranza che da delle cakagna ai giusti, e
Vinvidia che move il mantaco ai sospiri, e Varco del dire tratto sino al
ferro, e ruomo cavalcato dal buon volere, e il fummo accidioso, e
la cruna del desio, e Volvo della fiamma, e '/ seme del piangere,
e il pagar lo scotto della colpa, e Vortica del pentimento, e '/ sole
lucerna del mondo, e il fiume della mente, e il piede dell* animal
i. Cfr. Carm., iv, 12: «loquente saepe sibilum edidit coma». 2. Cfr.
Carm., LXVIII, in: «caesis mentis ... medullis ». 3. Cfr. il sonetto ci
tato Sudate, o fochi, 2-3 : « voi, ferri vitali, itene pronti, / ite di Paro a svi-
scerare i monti ». 4. Cfr. Carm., I, xn, 11-2: ccauritas . . . quercus».
5. Cfr. Aen., 1,531: « terra . . . potens . . . ubere glebae ». 6. Ecco per ordine
le citazioni complete delle locuzioni dantesche ricordate in questo periodo :
Inf., xvii, 61: «Poi, procedendo di mio sguardo il curro »; 7w/., xin, 30:
ah pensier c'hai si faran tutti monchi »; Inf., xxrv, 6: «ma poco dura a la
sua penna tempra »; Inf., xxix, 1-2: «La molta gente e le diverse piaghe /
avean le luci mie si inebriate »; Inf., xxix, 43-4: « lamenti saettaron me
diversi, / che di pieta ferrati avean li strali»; Purg., ix, 7-9: «e la notte de'
passi con che sale / fatti avea due nel loco ov'eravamo, / e '1 terzo gia chi-
nava in giuso Tale »; Inf., vii, 11-2: «dove Michele / fe' la vendetta del su
perbo strupo»; Purg., xn, 20-1 : «la puntura de la rimembranza, / che solo
a' pii da de le calcagne » ; Purg., xv, 5 1 : « invidia move il mantaco a' sospiri » ;
Purg., xxv, 17-8: «Scocca / 1'arco del dir che 'nfino al ferro hai tratto »;
Purg., xvni, 95-6: « color . . . / cui buon volere e giusto amor cavalca»;
Inf., vii, 123: «portando dentro accidioso fummo » (1'esempio ricordato
dal Cesarotti compare nelle due prime edizioni, ma non in quella di Pisa) ;
Purg., xxi, 37-8: «S1 mi die, dimandando, per la cruna / del mio disio»;
Purg., xxvii, 25-6: « dentro a 1'alvo / di questa fiamma»; Purg., xxxi, 46:
apon giu il seme delpiangere ed ascolta»; Purg., xxx, 144-5: «sanza alcuno
25
MELCHIORRE CESAROTTI
Niuno certamente dei prosatori o del poeti di quel secolo scomu-
nicato disse nulla di piii strano o in vari sensi piu sconveniente.
lo non sar6 certamente quello che voglia bestemmiar lo stesso
poeta perche abbia detto cibarsi di speranza, dispiccar tenebre dalla
luce, arrivar a vari porti nel gran mare dell'essere; ne faro mal
viso zll'arco degli anni che scende, o al nome che tien f route nel
mondo, o al parlor visibile, o all' or lo della vita, o alia navicella
delTingegno che aha le vele, o al luogo muto d'ogni luce] e ne pur
mi lascero spaventare dallo spavento che bagna la mente di sudore:1
diro solo che tutte queste sono locuzioni dell'ordine stesso di
quelle che tutto giorno nei moderni si condannano di neologismo
e d'audacia. Le schiume della coscienza? e, per mio awiso, un'espres-
sione di Dante non mal appropriata a rappresentar le sozzure
deiranima: ma s'uno de* nostri si arrischiasse a dire che il pen-
timento dischiuma la coscienza, io sono ben certo che i delicati
se ne farebbero beffe, ne vorrebbero vederci che la schiumatura
della pentola: bensi sarebbero contentissimi se si dicesse che la
penitenza purga Vamma, senza pensare ai purganti. II gentilissimo
ed aggiustatissimo Petrarca danteggio alquanto colle ginocchia della
mente, e piu col sole che guarda dal balcon sovrano} Quand'egli
ci dice che Laura portb in cielo le chiavi del suo cuore,4 niuno ci
trova a ridire; ma se uno de' moderni avesse introdotta questa
espressione, non si direbbe ch'egli fa della sua Laura una came-
scotto / di pentimento»; Purg., xxxi, 85: «Di penter si mi punse ivi 1'or-
tican; Par., 1,37-8: « Surge ai mortali per diverse foci / la lucerna del
mondo»; Purg., xm, 89-90: «si che chiaro / per essa [la coscienza] scenda
de la mente il fiume»; Par., m, 27: «sopra '1 vero ancor lo pie non fida».
i. Diamo le citaziom complete anche di queste locuzioni dantesche: Inf.,
viii, 106-7: «lo spirito lasso / conforta e ciba di speranza buona»; Purg.,
xv, 66: «di vera luce tenebre dispicchi»; Par., i, 112-3 : «onde si muovono
a diversi porti / per lo gran mar de l'essere»; Purg., xm, 114: «gia discen-
dendo Tarco di miei anni»; Inf., xxvn, 57: «se *1 nome tuo nel mondo te-
gna fronte»; Purg., x, 95: «esto visibile parlare»; Purg., xi, 127-8: «atten-
de, / pna che si penta, Torlo de la vita »; Purg., i, 1-2: «Per correr migliori
acque alza le vele / omai la navicella del mio ingegno»; Inf., v, 28: «Io
venni in luogo d'ogni luce muto»; Inf., in, 131-2: «de lo spavento / la
mente di sudore ancor mi bagna » (dove per6 il soggetto non e spavento,
ma mente). 2. Cfr. Purg., xm, 88-9: «se tosto grazia resolva le schiume /
di vostra coscienza ». 3. Cfr. Rime, CCCLXVI, 63-4: «Con le ginocchia de
la mente mchine / prego»; e Rime, XLIII, 1-2: «I1 figliuol di Latona avea
gia nove / volte guardato dal balcon sovrano ». 4. Cfr. Rime, cccx, 1 1 :
« quella ch'al ciel se ne porto le chiavi ».
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 387
riera smemorata, die uscendo di casa si pose in tasca le chiavi del
gabinetto del suo padrone, sicch'egli non puo piii entrarci? lo
non consiglierei certamente alcuno a dir d'un sopraffattore che
non soffre resistenza, ch'egli stupra Paltrui libertd] ma sosterrei che
questo modo e assai piu appropriate che Paltro comunissimo di
adulterar le droghe, a cui pur nessuno pon mente. Chi seriamente
chiamasse un dialettico sartor e di ragionamenti* Tespressione si
troverebbe bassa e ridicola: mi si mostri perche sia piu nobile e
piu conveniente Faltra autorizzata da cento esempi, fabbro del par-
lore? applicata a un oratore o a un poeta.
Ne solo le frasi metaforiche ricercate per ornamento, ma gli
stessi termini propri che sembrano portar il vanto d'aggiustatezza
e sempHcita sono per la piu parte traslati bizzarri ed audaci, tratti
da un rapporto il meno opportune e conveniente: in prova di
che bastera ricordar i due verbi latini da noi mentovati nella prima
parte, conciliare e congruere.
Che vuolsi alfine conchiudere da tutto cio? che chi scrive del
paro e chi giudica, dee aver principii costanti e bilance uguali.
Finche non avremo per norma che le date del tempo o i nomi de-
gli autori, le nostre opinioni saranno sempre capricciose, inconse-
guenti ed incerte. L'esame del senso radicale e del successive, del
principale e degli accessori, e sopra tutto della convenienza e del
cumulo dei rapporti fra le cose e i vocaboli, potranno soli servirci
di guide sicure; e se non ci riuscira sempre di migliorar Fuso, po-
tremo almeno mantener sano il giudizio.
xv. Cio che abbiam detto delle frasi proverbiali, mostra abba-
stanza quali awertenze vogliano aversi nella loro scelta, e come pos-
sano meglio impiegarsi. Quelle tratte dalla natura, dalParti, dalle
costumanze solenni e d'universal conoscenza, sia nostrale o stra-
niero lo scrittore che primo ne fece uso, non debbono credersi pro-
prie di veruna nazione, ma comuni a tutte, ne possono rifmtarsi
da veruna lingua. Ma quelle che si fondano sopra le particolarita
private, sara meglio lasciarle ai dialetti provinciali dov'ebbero ori-
gine, e dove trovano chi ne conosca i rapporti, se pur ancora
non se n'e spenta la memoria. 6 peccato che il Davanzati, scrittore
i. Cfr. Dante, Par., xxxii, 140-1: «qui farem punto, come buon sarto-
re / che com'egli ha del panno fa la gonna ». 2. Cfr. Dante, Purg.t xxvi,
117: «fu miglior fabbro del parlar materno» (Arnaldo Daniello).
388 MELCHIORRE CESAROTTI
che nell'energia e neU'evidenza puo dirsi il Dante dei prosatori
toscam, abbia talora degradato Tacito con qualche locuzione di
questa specie: e chi poi perdonera a Dante stesso, che crede di
rappresentar degnamente la giustizia infallibile dell' off esa Di-
vinita coll'alludere a ima sciocca superstizione della plebaglia di
Firenze in quel verso singolare:
la vendetta di Dio non teme supped1
xvi. NelPaltra parte non abbiam fatto che un cenno degl'idio-
tismi: e questo il luogo di parlarne. Essi danno alia lingua un
certo sapor nazionale: ognuna ha i suoi, e questi, secondo la
comune opinione, son cosi propri di ciascheduna, che non pos-
sono trasportarsi da quella a questa senza snaturarla e corromperla.
Questa opinione e poi tanto vera quanto si crede? e non sofTri-
rebbe qualche eccezione? Vediamolo. Presa assolutamente, ella
sembra contrastata e dalla ragione e dal fatto. E quanto al primo,
Tidiotismo considerate nel suo materiale non altro essendo che
una configurazione non comune di parole formanti un senso in-
telligibile, e chiaro che la lingua non pu6 aver alcuna repugnanza
intrinseca e veruna configurazione nuova, se non qualora ella
sia inconciliabile colla struttura de' suoi elementi grammaticali o
coll'ordme dei loro rapporti, in guisa che ne risulti un senso oscuro
contrario al suo intendimento. Ove cio non abbia luogo, la lingua
dee prestarsi a guisa di cera a tutte le forme. Di fatto gl'idiotismi
gia ricevuti non s'introdussero in veruna lingua tutti ad un tratto,
ma successivamente o dalFuso del popolo o dal genio particolare
degli scrittori. Or s'ella in ogni tempo si mostro passiva alle nuove
configurazioni nazionali, donde pu6 nascere in lei questa resisten-
za alle straniere, ove queste si adattino ugualmente bene alia sua
organizzazion radicale ? Quanto al fatto, le stesse cause che intro-
dussero in una lingua i vocaboli stranieri, vanno insinuandoci
insensibilmente anche gridiotismi. Oltre Paccozzamento origi-
nario de' vari idiomi, il bisogno, il commercio, rammirazione per
i. Cfr. Purg., xxxm, 35-6: «dii n'ha colpa, creda / che vendetta di Dio
non teme suppe». Dante allude all'uso del suo tempo per cui Tomicida,
che per nove giorni riusciva a mangiare una zuppa sulla tomba dell'uc-
ciso, andava libero da ogni vendetta e condanna.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 389
una lingua autorevole, la familiarita coj di lei scrittori inducono na-
turalmente una comunicazione reciproca delle fogge di parlare,
come dell'altre usanze socievoli. Tutte le favelle antiche e moderne
ci somministrano esempi costanti di tal verita. L'italiana, oltre i
latinismi originari, n'ebbe per opera del Davanzati vari altri che
la resero piu vibrata e piu agile; come dal Chiabrera ebbe piu
djuna maniera greca che le aggiunse splendore e vivacita. Sia questo
un omaggio permesso che si rende alle lingue madri. Ma che sara
della purita della nostra lingua se si mostra (« eloquar, an sileam ? »)r
che anche in questa parte vitale ella porta seco il peccato originale
del f rancesismo ? Nulla di piu scandaloso, ma nulla ancor di piu
vero. II comunissimo vi ha in luogo di vi e, costmito col plurale,
e preceduto dall'inutilissimo egli, non e forse lo stessissimo idio-
tismo francese il y a des gens ? idiotismo inoltre che non ha altro
pregio se non la singolarita di riunire in tre parole tre solenni
peccatacci grammaticali ? Della stessa origine sono persona usata
per niuno, il desinare I presto per alVordine, avvisarsi d'una co-
sa, conoscersi d'una materia, nulla monta per nulla rileva, trop-
po bene per ottimamente, amar meglio, tenter forte, stare il me-
glio del mondo, ed altri moltissimi. Come dunque non sara stra-
na e bizzarra la contradizione d'alcuni, che, accarezzando gli
accennati modi come graziosi e legittimi, ove poi nelle scritture
moderne s'incontrano in qualche modo francese, rinculano d'or-
rore quasi alia vista d'una serpe, e gittano il libro piu che di
fretta?
xvii. Ma perche le nostre awersioni o parzialita abbiano qual
che miglior fondamento, giovera qui di ricordare che gl'idiotisnu,
secondo la divisione da noi fatta nella parte seconda, son di due spe
cie, grammaticali e rettorici. I primi essendo, come abbiam detto,
insignificanti, o non significando nulla di piu d'altri analoghi che
corrono in ciascheduna lingua, quand'anche potessero ugualmente
bene trasportarsi dalFuna all'altra, ragion vuole che si lascino
senza invidia a quell' idioma a cui per natura appartengono. Chi
dicesse triveloce o triforte in luogo di fortissimo e velodssimO)
sarebbe inteso ugualmente, e la lingua italiana poteva in origine
adottar ugualmente bene un modo che Faltro. Ma se la desinenza
latina da lei prescelta spiega egregiamente lo stesso, sarebbe una
i. Cfr. Virgilio, Aen., m, 39 («dovro parlare o tacere?»).
39<> MELCHIORRE CESAROTTI
stravaganza gratuita il sostituir al nostrale un segno straniero.
Ma gPidiotismi rettorici essendo di natura diversa, possono e deb-
bono meritare qualche privilegio. Sono essi configurazioni espres-
sive, che accennano idee accessorie, atteggiano i sentiment! e ne
rappresentano i diversi gradi e il modo particolare con cui ci
affettano. Sotto questo punto di vista appartengono phi all'eloquen-
za che alia lingua, e per conseguenza non sono propriamente piu
d'una nazion che delPaltra, ma di giurisdizione comune di chiun-
que sente o concepisce in un modo analogo. Conciossiache Pelo-
quenza considerata nell'elocuzione, come nelPaltre sue parti, ab-
braccia e comprende Paggregato di tutti i mezzi possibili di rap-
presentare, d'illustrare, di dilettare e di muovere. Ora la lingua
tanto dovra dirsi migliore e piu prossima alia perfezione, quanto
sara piu pieghevole e piu ricca di maniere che servano alFelo-
quenza, vale a dire a tutti i possibili bisogni della vita, dell'intellet-
to e del cuore. La cosa stessa non e veduta, ne sentita, ne concepita
ugualmente da un uom volgare e da un dotto, da un rozzo e da
un colto, da un appassionato e da un freddo. Se ognuno ha
un diritto naturale di sentir a suo modo, come non lo avra pa-
rimente d'esprimersi adeguatamente ? Ora in questa infinita d'uo-
mini circondati da oggetti stessi, dotati degH stessi organi, posti
in circostanze analoghe, soggetti infine alle stesse passioni diversi-
ficate soltanto nelle combinazioni e nei gradi, non e egli visibile
che in tutte le nazioni debbono trovarsene molti che s'incontrino,
diro cosi, nelPatto individuale del concetto1 o del sentimento?
Che importa se un popolo, che accidentalmente abbonda d'uomini
della stessa tempera di spirito, usa un modo piu comunemente
di quel che si faccia tra noi ? Ogni nazione ben esaminata raccoglie
nei caratteri tutte le altre: e che vuol dire originale, se non uomo
che ha qualche cosa nello spirito che lo distingue dai piu? Se
dunque la costituzione interna d'uno scrittore lo approssima ta-
lora ad un'altra nazione piu che alia sua, com'e possibile che le sue
maniere non sentano di questa natural somiglianza? Servendosi
delFespressioni che piu gli convengono, egli non toglie Paltrui, anzi
nemmeno lo riconosce per tale, ma si prevale del proprio ovun-
que lo trovi, ne lo attinge dallo scarso erario d'una lingua, ma dai
i. concetto: preferisco, con TOrtolani, questa lezione che figura nella i edi-
zione, in luogo di a concerto », che si legge nella n e in quella pisana.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 39]
tesori inesausti dell'eloquenza, che lo presenta senza parzfaliti
a chiunque ne sente il bisogno e sa fame uso. Con questo ragio-
namento non si pretende di provare che sia lecito a chicchesia d
far un guazzabuglio babelico degl'idiotismi di varie lingue, ma sole
che non debbono ne accettarsi indistintamente, ne ciecamente
proscriversi. II gusto e Tanalisi possono esserci di scorta per giu-
dicar fondatamente non meno di questa che delFaltre parti dells
lingua. Sarebbe percio per mio awiso utilissimo di esaminare
i van idiotismi delle lingue phi celebri, secondo gli oggetti se-
guenti :
1. Osservare se appartengano all'una o all'altra delle due men-
tovate specie,1 e se alcuno della prima si fosse intruso neU'idioma
nostro, farlo almeno conoscere, perche non si faccia rispettare
come originario, e non si prenda per un gioiello della lingua.
2. Analizzar quelli della seconda specie, rilevarne con precisione
il valore, gli usi e le minute differenze dagli altri della medesima
classe nella stessa lingua: operazione necessaria alia finezza dell'in-
tendimento e alia squisitezza del gusto.
3. Cercare se nella nostra lingua ve ne siano di realmente equi
valent!, nel che suol prendersi piu d'uno abbaglio; fame un
esatto ragguaglio coi nostri analoghi, notarne le somiglianze, le
approssimazioni, i gradi maggiori di delicatezza o di forza.
4. Ove si scopra che la lingua nostra manchi assolutamente
d'alcuno di essi, esaminar prima qual effetto farebbe trasportato
fra noi, e in quali luoghi potrebbe piu opportunamente usarsi;
indi cercar se sia gia noto e comune e inteso generalmente e usato
o nei discorsi familiari o negli scritti o nell'opere degli uomini
colti, benche non per anco abbia avuto la sanzione legittima, della
quale in tal caso si renderebbe degnissimo.
5. Se con ugual merito non fosse pero ancora abbastanza co
mune, cercar se repugni alia struttura grammaticale della nostra
lingua e sia percio necessariamente da escludersi, o se possa non
disconvenirle e adattarsi alia sua sintassi ; se abbia neU'idioma no
stro qualche costruzione analoga che lo autorizzi, o se finalmente
con qualche modificazione potesse addimesticarsi meglio e pren-
der un'aria piu nazionale, conservando o la stessa sua forza o
almeno un grado assai prossimo.
i. due . . . specie: graminatica e rettorica.
392 MELCHIORRE CESAROTTI
xvin. Del resto per awezzarsi a sentire squisitamente queste
fmezze, e per dar nuovi atteggiamenti e nuove ricchezze alia lin
gua, nulla gioverebbe maggiormente che Pinstituire una serie di
giudiziose traduzioni degli autori piu celebri di tutte le lingue
in tutti gli argomenti e in tutti gli stili;1 purche queste traduzioni
non siano fatte ne dai grammatici, ne da quei tanti guastame-
stieri di cui abbonda T Italia. Questo e il solo mezzo di conoscere
con esattezza Fabbondanza e la poverta rispettiva delFidioma no-
stro, i suoi discapiti e i soccorsi che possono trarsi dalla sua fe-
condita, dall'uso libero delle sue forze o dall'accortezza nel giovarsi
degli aiuti stranieri. La corrente degli scrittori, sia per mancanza
d'un carattere proprio, sia per una meticulosa deferenza agli usi
ordinari, accomoda le sue idee e i suoi sentimenti al modello co-
mune, e non tenta nulla di piu; quindi la lingua resta sempre
sterile, uniforme, non abbastanza pieghevole. Un traduttore di
genio prefiggendosi per una parte di gareggiar col suo originate,
e sdegnando di restar soccombente ; temendo per Paltra di riu-
scire oscuro e barbaro ai suoi nazionali, e costretto in certo modo
a dar la tortura alia sua lingua per far conoscere a lei stessa ttitta
Festensione delle sue forze, a sedurla accortamente per vincer
le sue ritrosie irragionevoli e rawicinarla alle straniere, a inven-
tar van modi di conciliazione e d'accordo, a renderla in fine
piu ricca di flessioni e d'atteggiamenti senza sfigurarla o scon-
ciarla. La lingua d'uno scrittore mostra Fandatura d'un uomo
che cammina equabilmente con una disinvoltura o compostezza
uniforme; quella d'un traduttore rappresenta un atleta addestra-
to a tutti gli esercizi della ginnastica, che sa trar partito da ognun
de' suoi membri, e si presta ad ogni movimento piu strano co-
i. *I1 sig. Napione riconosce anch'egli utilissime le traduzioni per miglio-
rar la lingua, ma sembra che si restringa a quelle dei classici greci e latini.
Pure cotesti autori hanno spesso dei modi tanto repugnanti a quelli della
nostra lingua, quanto alcuno de' piu disanaloghi fra le moderne. Se v'e
un modo di ammorbidirli e conciliarli col genio italiano, perche la stessa
industria non puo esser ugualmente felice applicandola alia traduzione
d'un autor francese, inglese o tedesco ? Mi fu domandato dallo stesso critico
qual aiuto io abbia tratto dagli autori francesi per la traduzione di Ossian:
niuno certamente, ma non ne trassi niente di piu dagFitaliani, ne potea
trarne: e se avessi avuto gli scrupoli di questo dotto scrittore, non mi sarei
mai accinto a questo lavoro, poiche nulla potea darsi di piu alieno dal genio
della lingua e della poesia italiana delle maniere del bardo celtico. E
pure . . . (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 393
si agevolmente che lo fa sempre parere il piu naturale, anzi
Punico.1
xix. Cio che abbiam detto intorno agl'idiotismi, ci apre la strada
all'altra questione sopra il genio della lingua. Questo e il nome
che domina nella bocca di chiunque favella di tali materie. Ogmino
si appella a cotesto genio, e chi e convinto d'averlo violate, non
ha difesa. Si conviene comunemente che qualunque innovazione
che giunga ad alterarlo sia essenzialmente viziosa e tenda alia distru-
zion della lingua. Cerchiamo prima di farci un'idea esatta della
cosa di cui si park. II genio della lingua non puo essere che il ri-
sultato del genio particolare di tutte le sue parti, ossia la somma
dei caratteri che 1'uso della nazione impress e in ciascheduna
di esse e nel loro scambievol rapporto. Ora noi abbiamo gia mo-
strato sin dal principio che le parti della lingua sono di due classi,
rettoriche e logiche, o vogliam dire grammaticali. Quindi ne fluisce
necessariamente che il genio della lingua, secondo il cenno da noi
fatto nel fine della seconda parte, e anch'esso di due specie, vale a
dire grammaticale e rettorico. Per mancanza di questa distinzio-
ne e di qualche altra, parmi che il Condillac, trattando lo stesso
argomento, non abbia fatto spiccare in tutto il suo lume la sua solita
aggiustatezza e sagacita.2 II genio della lingua, che dee riguardarsi
come propriamente inalterabile, e il grammaticale, poiche questo
e annesso alia natura intrinseca de' suoi elementi. L'essenza ma
terial d'una lingua dipende dalle desinenze e dalla sintassi, come
Tessenza dei corpi dipende dalla figura degli atomi elementari e
dalle loro primitive combinazioni. La sola mancanza dei casi de-
clinabili e dei participi3 rende essenzialmente diversi ed incon-
ciliabili il genio della lingua italiana e quello della latina. Ma il
genio rettorico, derivando da principii diversi, non puo aver come
Paltro una rigidezza immutabile. Esso e, non v'ha dubbio, il risul-
tato del mo do generale di concepire, di giudicar, di s entire che
i. Per le idee espresse in questo paragrafo cfr. soprattutto il Discorso pre-
messo alia traduzione di Ossian, il Ragionamento preliminare al corso ra-
gionato di letter atur a greca, e anche le lettere al Vannetti riportate esse pure
in questo volume. 2. il Condillac . . . sagacita: cfr. Essad sur V origins des
connaissances humaines (1746), n, I, xv (Du genie des langues), in Oeuvres
philosophiques, I, Paris 1947, pp. 98-104. L'opinione del Condillac e rias-
sunta dal Cesarotti piii avanti. 3. *Ai quali vanno annessi i gerundi e i
supini. Molti participi sono pero ammessi nella lingua italiana, e anche
qualche gerundio comincia ad esservi ben accolto (C.).
394 MELCHIORRE CESAROTTI
domina presso i vari popoli, quindi il genio della lingua e propria-
mente Pespressione del genio nazionale. Tutto cio dunque che can-
gia o modifica il secondo genio, dee necessariamente portar tosto o
tardi anche nel primo una alterazione corrispondente. Ora chi non
conosce le vicissitudini mo rail e politiche delle nazioni, e la loro
influenza mal contrastata dal clima, influenza che trasforma un
popolo d'eroi in una greggia di schiavi, e al rozzo e libero lin-
guaggio della schiettezza repubblicana sostituisce la politezza lu-
singhiera e Pingegnosa urbanita della corte?1 Non appartiene al
mio assunto il diffondermi su questo articolo, e sarebbe ormai va-
no il farlo, dopo che PElvezio lo pose nella piu luminosa e trion-
fante evidenza.2 «I1 carattere d'una lingua » dice il Condillac «dura
piu a lungo dei costumi del popolo »:3 ma nel corso di questo
ragionamento, parmi d'aver mostrato abbastanza se questa sup-
posizione sia ben fondata o gratuita. La necessita inevitabile delle
alterazioni successive della lingua e i loro intrinseci principii furono
egregiamente sviluppati da un valente spagnuolo benemerito del-
Tltalia piu di vari nazionali, poiche in luogo di adularne i pregiudi-
zi, Ponora ed illustra colPopere.4 lo aggiungero che se cotesta rigi-
dezza di genio fosse naturale, ella avrebbe dovuto conservarsi
nelFantiche lingue.
£ noto che i Greci e i Romani riguardavano tutti i popoli
come barbari, destinati al dispregio e alia servitu: i loro costumi,
le loro opinioni ed usanze non erano per essi, non dir6 oggetti di
1. *E viceversa cangia un popolo di filosofi umanissimi e di gentilissimi
cortigiani in un gran club d'eroi sanculottici, e al molle frasario del bon ton
sostituisce i termini origmali e sublimi di terrorism*}, guigliottina, settembriz-
zare, ec. ec., i quali saranno un ornamento singolare dei glossari della lingua
e della storia politica (C.). Si ricordi che questa nota fu aggiunta nel 1800.
2. Cfr. De V esprit (1758): specialmente gli ultimi capitoli del discorso
in. 3. Cfr. Essai sur I'origine des connaissances humaims, n, i, xv, in Oeu~
vres philosophiques, ed. cit., i, p. 99: «le caractere d'une langue, surtout s'il
est fixe par des ecrivains celebres, ne change pas aussi facilement que les
moeurs d'un peuple». 4. II sig. ab. Stefano Arteaga nelle sue note aUa
dissertazione del sig. Borsa sul recente problema deH'Accademia di Man-
tova. Innanzi che le suddette annotazioni comparissero al pubblico, il sig.
Francesco Colle, accademico di Padova, avea trattato lo stesso argomento
con dottrina e sagacita in un ragionamento letto alTAccademia, e degnis-
simo di uscir alia luce (C.). Sul Borsa, sulla sua dissertazione, sulle note
delF Arteaga, e su quella del Colle cfr. la Nota mtroduttiva alle pagine del
Borsa stesso riprodotte in questo volume. Su Francesco Colle cfr. VAv-
vertimento che precede il presente Saggio, e la nota 2 a lui relativa, a p. 305.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 395
stima, ma nemmeno di curiosita e di ricerche. Inoltre gridiomi
di quelle nazioni, prive di scrittori illustri, digiune delle discipline
e delParti, non aveano di che adescar le lingue dominanti a far
alieanza con loro. Or se ad onta di cio la favella de' Greci e de*
Romani si modifico da se stessa seguendo 1'impulso progressive
dello spirito e le vicende dello stato sociale, il carattere affatto di-
verso del nostro secolo rende Pinalterabilita delle lingue moderne
pressoche fisicamente impossibile. La scoperta d'un mondo in
cognito, il commercio e la comunicazione universale da un polo
alPaltro, la propagazione dei lumi per mezzo della stampa, le co-
noscenze enciclopediche diffuse nella massa delle nazioni, che
trapelano insensibilmente fmo nel popolo, i tanti capi d' opera di
cui abbondano tutte le lingue piu celebri, e attraggono da ogni
parte gli sguardi, i pregiudizi d'una tolleranza fHosofica sostituiti
in ogni genere a quelli del patriottismo,1 non solo hanno prodotta
una rivoluzione generale in tutti gli spiriti, ma insieme atterrarono
tutte le barriere che separavano anticamente una nazione dall'al-
tra, e confusero in ciascheduna le tracce del loro carattere origi-
nario. Le antipatie religiose e politiche non si conoscono piu:2
le usanze e le opinion! sono in una circolazione perpetua: PEuropa
tutta nella sua parte intellettuale e ormai divenuta una gran fa-
miglia, i di cui membri distinti hanno un patrimonio comune di
ragionamento, e fanno tra loro un commercio d'idee di cui niuno ha
la proprieta, tutti Puso. In tal rigenerazione di cose non e assurdo
Pimmaginare che il genio delle Hngue possa conservarsi immuta-
bile? e non dee piuttosto scorgersi in ciascheduna di esse, come
presso Ovidio,
fades, non omnibus una,
nee diversa tamen, qualem decet esse sororum ?3
Tal e in fatti la loro tendenza insensibile a rawicinarsi e a pro-
fittar delle altrui ricchezze, che senza il genio grammaticale, da
i . *Chi h chiama pregiudizi non vuol certo fame un elogio ; ne pero vuolsi
intendere che la tolleranza e il patriottismo considerati in se stessi sian
pregiudizi ; ma le idee nel diventar cose cangiano spesso di proporzioni e di
forme (C.)- Si ricordi che anche questa nota e la seguente furono aggiunte
nel 1800. 2. *L'autore non prevedeva che dentro pochi anni si sarebbe
trovato il modo di conciliar Fantipatia religiosa coirindifTerenza, e il pieno
scetticismo morale col piu assoluto dogmatismo politico (C.). 3- Met.t n,
13-4 («una fisionomia non uguale in tutte e tuttavia non diversa, quale si
conviene a sorelle »).
MELCHIORRE CESAROTTI
cui solo si forma la linea di divisione insormontabile fra Tuna e
Taltra, diverrebbero a poco a poco una sola, e molte opere d'una
lingua non parrebbero die traduzioni dalFaltra. lo non intendo
ne di biasimar ne di approvare questa tendenza: dico solo ch'ella
regna nelle lingue moderne, e nell'italiana sopra d'ogn'altra.1 Qual
miglior prova di cio del testimonio di quegli stessi che gridano
piu altamente allo scandalo? Sono incessanti le lor querele, che
il genio della lingua nostra si sfigura e si guasta ogni giorno piu per
Tintroduzione dei modi stranieri, che nelle opere pressoche d'ogni
specie domina il colorito francese, che il buon gusto antico d' Italia
o non si conosce o si sprezza. Or io domando se cio possa mai
accadere senza che la nazione vi acconsenta tacitamente, e s'ella
possa acconsentirvi senza esserci predisposta dai cangiamenti acca-
duti nel sistema di pensare del maggior numero. Alcuni ne accu-
sano la corrente degli scrittori indisciplinati. Io non temero di
avanzare una verita che ha Paria di paradosso, vale a dire che il
genio nazionale si scorge appunto nelPopere degli scrittori di questa
sfera, ben piu che in quelle dei castigati e saputi. Questi formano
una piccola classe, scrivono studiatamente, si fanno un pregio di
discostarsi dai piu, s'attengono agli esempi antichi, e usano della
lingua viva come fosse morta: quelli alTincontro, bramosi solo di
piacer alia maggior parte, vanno a seconda dell'uso, e accettano per
buone quelle espressioni che trovano gia familiari nella bocca de
gli uomini o ben nati o ben educati, ed accolte con favore negli
scritti comuni. Or se i componimenti di questa specie, come se
ne lagnano i puristi, riscuotono applauso generale da quella parte
della nazione che giudica per istinto, non per conoscenza; se
questi corrono per le mani del popolo, quando gli altri scritti col-
Tantica accuratezza non appagano che pochi lettori, non e questa
una prova convincente che i primi s'adattano meglio al genio at-
i . *Questa protesta nguarda non meno cio che precede che cio che segue
sino al fine di questa parte. L'autore non fa 1'elogio ma la storia del gusto
moderno, ne indaga le cause, le espone imparzialmente, e mostra colPespe-
rienza che I'effetto e certo, e pressoch6 necessario. In tal circostanza il con-
siglio piu sano pargli quello di patteggiar col gusto del secolo, e cercar di
dominarlo destramente fingendo di cedere. Solone domandato se credesse
che le sue leggi fosser le ottime tra le possibili, disse che le credeva le ottime
tra quelle che poteano riceversi dagli Ateniesi (C.). Sul concetto della con-
vergenza delle lingue europee cfr. G. NENCIONI, Quidquid nostri predeces-
sores, citato nella bibliografia.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 397
tual della lingua? Quindi e che quantunque non sappiano forse
trarne il miglior uso possibile, e talor anche ne abusino, pure si
rendono piu grati di quelli che vorrebbero, a dispetto del secolo,
conservar un frasario sfiorito, il di cui colore non corrisponde ab-
bastanza a quel delPidee. Altri incolpano di tali scandalose novita
qualche scrittor luminoso, che fa prova d'imbastardire e snaturare
la lingua. Ma s'egli realmente le facesse violenza, se la sforzasse
a parlar un gergo non inteso, se volesse costringer la nazione a
guardar le cose sotto un aspetto contrario alle sue disposizioni di
spirito, non e egli evidente che in luogo di riscuoterne applauso
e favore, sarebbe riguardato come uno stravagante ed esposto
alia derisione e al disprezzo? Che se pur vuolsi credere che lo
stile d'uno scrittore possa esser di tanta efficacia, sara questa la
prova la piu convincente delTinsussistenza della supposta inalte-
rabilita del genio rettorico; giacche un sol uomo basta a cangiarlo.
E poiche questo non puo alterarsi senza che si generi una rivolu-
zione nelle menti de' coetanei, restera da sapersi se questa meta-
morfosi torni a danno o a profitto delta nazione, per decidere se
chi la opera debba dirsi corruttore o benefattore della lingua.
Quello stesso scrittore, secondo il Condillac, che nato in un'epoca
perfeziona il linguaggio materno, ne accelera la rovina in un'altra.
«Quando una linguae segue lo stesso filosofo «ha degli autori
originali in ogni genere, chi vien dopo loro coi talenti medesimi
trova il carattere della lingua gia fissato, e occupati tutti i tornii
dell'espressione: quindi volendo segnalarsi e costretto a cercar una
strada nuova, a dipartirsi dall'analogia ed a introdurre un neolo-
gismo vizioso)).1 Ma ne tutte le lingue abbondano in tutti i ^ge
neri d'autori classici, ne i generi possono cosi facilmente esaurirsi.
Essi si dividono e suddividono assai piu di quel che si pensa. Ogni
secolo ne vide nascere piu d'uno di non preveduto: e quando pure
fossero esauriti, chi puo metter un termine ai modi di rappresen-
i Traduce riassumendo un passo del Condillac, Essai sur Vorigine des can-
naissances humaines, II, I, XV, in Oeuvres philosophiques, ed. cit. i, pp. 102-3,
che suona esattamente cosl: «Quand une langue a, dans chaque genre,
des ecrivains originaux, plus un homme a de genie, plus il croit apercevoir
d'obstacles a les surpasser. Les ^galer, ce ne seroit pas assez pour son am
bition: il veut, comme eux, etre le premier dans son genre. II tente done
line route nouvelle. Mais, parce que tous les styles analogues au catactere
de la langue et au sien sont saisis par ceux qui 1'ont precede, il ne lui reste
qu'a s'ecarter de Tanalogie».
39^ MELCHIORRE CESAROTTI
tarli, e alle loro infinite e indefinite combinazioni ? Cosi nella na-
tura se le specie sono limitate, gl'individui ci mostrano una ine-
sausta diversita. Quanto agli scrittori, non merita il nome di
grande chi cerca la novita per distinguersi, ma chi sente e pensa
in un modo originale e si esprime adeguatamente. Siano questi
men ran, si abbandonino alTimpulso interne, e ci daranno del
nuovo senza volerlo. I vizi condannati a ragione dal Condillac,
e che sogliono tener dietro alia novita, appartengono allo stile,
non alia lingua. E chi poi non sa che 1'affettazione e Feccesso si at-
taccano a tutto, e lo guastano? II bene cessa percio d'esser tale,
perch'altri ne abusa? Se un pazzo fastoso vuol comparire in pub-
blico tutto coperto di perle, se un vecchio ecclesiastico sfoggia nelle
sue vesti gli ornamenti propri d'una donna galante, si dira per
cio che le perle sono da sprezzarsi, o che i ricami non formano
una vaghezza?
XX. II carattere rettorico di tutte le lingue e dunque progressiva-
mente e necessariamente alterabile. Si puo forse ritardarlo, non
impedirlo. Le cause morali e politiche colla loro lenta influenza
portano un'alterazione nel sistema intellettuale del secolo, e ne
configurano il genio : il genio nazionale prepara e forma a poco a
poco quello degli scrittori; ma siccome Pesempio e Tautorita
sono i due numi scolastici, cosi negli scritti degli studiosi, anche
cangiato Tantico gusto, continua per qualche tempo Tantico gene-
re: si fa una tacita lotta fra il senso reale e Jl fittizio: molti sentono
i ceppi, ma non v'e chi ardisca spezzarli: alfine uno scrittore piii
animoso, sospinto imperiosamente dal genio, presenta i suoi pen-
samenti con un colorito piu vivace e piu fresco, nuovo forse negli
scritti, non gia nello spirito della nazione che ne vagheggia Tidea:
allora essendo la materia preparata da lungo tempo, la scintilla
desta un incendio; il genio della nazione scoppia con forza e
trionfa sul despotismo della scuola. Questi cangiamenti essendo in
ogni tempo proporzionali ai bisogni dello spirito nazionale nelle
date epoche, non possono mai tornare a discapito della lingua,
se non qualora la nazione ricada nella vera barbaric, ch'e Figno-
ranza. II grande scrittore, giudizioso ed originale ad un tempo,
non vorra anticipar bruscamente il genio ancora acerbo della na
zione, ma vegliera al suo sviluppo, e sapra coglierlo nel punto della
sua maturita: dall'altro canto il buon critico non sara quello che
declama e cerca di contrastar vanamente al gusto del secolo,
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 399
ma quello che, conoscendone squisitamente 1'uso e 1'abuso, si
applica solo a depurarlo, illuminarlo e dirigerlo.
PARTE iv
Delia lingua italiana e dei modi d'ampliarla e perfezionarla.
SOMMARIO
I. Rimproveri dei latinisti alia lingua italiana smentiti dal successo.
II. Lingua italiana una e comune a tutta la nazione, malgrado la diversita
dei dialetti. III. Sviluppo della lingua. Sua maggior gloria dovuta a Firenze.
IV. Dispute sul nome della nostra lingua. V. Libro di Dante della volgare
eloquenza. VI. Se la lingua dei primi tre padri debba dirsi fiorentina o
italiana. VII. Dispute intorno al secolo classico della lingua. Sentenza del
Salviati disaminata. VIII. Fondazione delPAccademia della Crusca. IX. Im-
perfezioni del suo vocabolario. X. Parzialita e contradizioni nel catalogo
degli scrittori approvati. XI. Motivi che confluirono a stabilir 1'autorita
della Crusca. XII. Rivoluzione d'idee rispetto alia lingua, e cause che
la produssero. XIII. Abusi ed eccessi. XIV. Necessita di stabilire una sana
e saggia hberta. XV. Progetto d'una magistratura italica sopra la lingua.
Ufizi estesi ed operazioni della medesima. XVI. Piano per conoscer la
vera ricchezza e i veri bisogni della lingua. Compilazione di due diversi vo-
cabolari, e oggetti dell'uno e dell'altro. Altre operazioni importanti, e
loro utili conseguenze.
I. Egregiamente disse il Varchi che Pinondazione dei popoli
settentrionali produsse due grandissimi beni alPItalia: la repub-
blica di Venezia e la lingua toscana.1 Ma quella sorta da principii
tenui bensi, ma pur nobili, potea far concepir sin d'allora alte e ge-
nerose speranze: delTaltra non potevano farsi che molto infelici
pronostici. Nata dalla corruzione e dalla barbarie, generata da
due popoli, Tuno scordato del suo sapere, 1'altro istupidito dalPi-
gnoranza, accozzata da vari idiomi o guasti o selvaggi, non sem-
brava ella condannata fin dal suo nascere al dispregio e alPoscurita ?
Se nelPinfanzia di essa qualche antico romano sorto dalla tomba
avesse ragionato in tal guisa, sarebbe stato certamente scusabile.
Ma chi vorra scusare a' tempi nostri quei mediocri latinisti del se
colo decimosesto che si ostinarono a vituperarla, malgrado, non
i. Egregiamente . . . toscana: cfr. Ercolanoy ed. cit., n, p. 17: «Fra tante
miserie e calamita . . . ne nacquero due beni, la lingua volgare e la citta
di Vinegia, repubblica veramente di perpetua vita e d'eterne lodi degnis-
sima ».
400 MELCHIORRE CESAROTTI
dir6 ai dogmi della filosofia delle lingue, di cui non sospettavano
neppure il nome, ma all'evidenza contraria; avendo gia la nostra
favella nel loro tempo piu d'uno scrittore eminente e molti assai
ragguardevoli, che aveano fatto o gustar pienamente o presentire
in gran parte Fampiezza e '1 valore delle sue forze ? Ad onta delle
loro declamazioni pedantesche1 la nostra lingua, nobilitata e ab-
bellita sempre piu, giunse a tal grado di pregio, che presa nella
sua totalita cede di poco alFantiche,2 puo per molti capi far in-
vidia alle moderne, e se in qualche parte e forse inferiore ad
alcuna, non e certamente colpa della sua attitudine. Questo esem-
pio dovrebbe bastare a distruggere le prevenzioni nazionali o
scolastiche sulla nobilta originaria e sulle qualita esclusive delle
lingue, delle quali abbiam gia parlato sul principio di questo ra-
gionamento ; a mostrarci che, se ogni lingua appassisce fra le mani
degl'idioti e dei rozzi, ognuna alFopposto si perfeziona e risplende
qualora serve agli usi d'un popolo ingegnoso e colto, ed e maneg-
giata da uomini originali ; ad insegnarci in fine che le lingue fan-
no i piccoli scrittori, e i grandi scrittori fanno le lingue.
n. Arrestandoci nella nostra, siccome comuni all' Italia furono
le rivoluzioni politiche, comuni le cagioni che le produssero, co-
mune Fantica lingua che vi dominava, comune ancora doveva
riuscir il nuovo idioma che ne deriv6. Non v'e lingua senza dialetto
come non v'e sostanza senza i suoi modi: ne per6 la lingua cessa
d'esser una; altrimenti vi sarebbero tante lingue quante citta. La
sintassi uniforme, le desinenze, la massa comune dei vocaboli,
la conservazione delle lettere radicali sono i caratteri distintivi
d'una stessa lingua: i termini particolari, le frasi proverbiali, qual
che singolarita nelle parti delPorazione, e sopra tutto le alterazioni
della pronunzia, costituiscono i dialetti. Ora in ogni citta d' Italia
regna lo stesso sistema di costruzione e di reggimento anche nella
bocca del volgo ; comune e la maggior parte de5 vocaboli e comu-
nemente intesa, perche le radicali o sono le stesse o affini tra loro.
La differenza in questa parte sta solo nelle desinenze; perche i
Lombardi sino a Rimini, ed alcuni altri, troncano le parole nel
i. Chi vuol vederne un esempio che val per tutti, legga il ragionamento di
Lazaro Bonamico, celebre professor di Padova, nel dialogo di Sperone Spe-
roni sopra le lingue (C.). Nel Dialogo delle lingue dello Speroni Pumanista
Lazzaro Bonamico e introdotto a combattere contro il volgare, sostenuto in-
vece dal Bembo. 2. *Se pur e vero che ceda assolutamente (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 401
fine, sicche vengono a terminare nelle consonant!: i Toscani al-
1'opposto e pressoche tutti gli aitri da Rimini al confine dell'Italia,
e i Veneti parimente, conservano la terminazione vocale, ter-
rninazione sana e legittima e riconosciuta per tale da quegli stessi
che non Fosservano esattamente. Non so dire se la desinenza con-
sonante provenga dal clima o dal dialetto antico dei Galli domina-
tori della Lombardia innanzi i Romani, come crede il Muratori,1
o dalla maggior influenza dei Longobardi. Potrebbe pero dubitarsi
s'ella fosse originaria e propria di quelle provincie sin dal primo
nascer della lingua, o non piuttosto introdotta posteriormente o
dalTintrinseca disposizione degli organi vocali di quelle genti o
da qualche altra causa difficile ad assegnarsi. Di fatto la terminazio
ne vocale fluisce naturalmente dalla corruzione della pronunzia
latina, colla semplice elisione delle due lettere finali s ed m, in-
veterata nel popolo di Roma fin dai primi tempi : dal che appunto
principalmente molti dotti uomini, non senza apparenza di verita,
vennero in opinione che la nostra lingua volgare non fosse altri-
menti una lingua nuova sorta dai Goti e Lombardi, ma la stessa
antica usata comunemente dalla plebe romana, e corrotta sem-
pre piu nella successiva declinazion delTImpero. Che poi questa
pronunzia debba supporsi non antica, ma recentissima nella Ro-
magna, potrebbe farcelo credere il veder che Dante nel suo libro
Della volgare eloquenza, esaminando tutti i dialetti dj Italia, attribui-
sce per carattere a quello dei Forlivesi, Imolesi e altri Romagnoli
una mollezza e lenita femminile, molto diversa dal suono che
fanno al presente quegridiomi alle nostre orecchie, e preferisce agli
altri volgari municipali quel di Bologna, come piu leggiadro e
piu morbido, il che, secondo lui, aweniva da cio che i Bolognesi
prendevano qualche cosa dei dialetti d'Imola, di Ferrara e di Mo-
dena, e cosi ammollivano e temperavano il proprio idioma colla
mescolanza degli altri.2 E verisimile che una certa celerita di pro-
i. come . . . Muratori: cfr. Antiquitates italicae Medii Aevi, dissertazione
xxxn (trad, di G. Cenni, Firenze, Maxdim, 1833, in, p. 213). 2. Dan-
te . . . altri: cfr. De vulg. el.} i, xv, 2-5: «non male oppinantur qui Bono-
nienses asserunt pulcriori locutione loquentes, cum ab Ymolensibus, Fer-
rariensibus et Mutinensibus circumstantibus aliquid proprio vulgari ad-
sciscunt . . . Accipiunt etenim prefati cives ab Ymolensibus lenitatem
atque mollitudinem, a Ferrariensibus vero et Mutinensibus aliqualem gar-
rulitatem ... Si ergo Bononienses utrinque accipiunt, ut dictum est, ra-
tionabile videtur esse quod eorum locutio per commistionem oppositorum
ad laudabilem suavitatem remaneat temperata ».
26
402 MELCHIORRE CESAROTTI
nunzia naturale a quelli e ad altri popoli, e la fretta del parlar fa-
miliare, gl'inducesse a toccar le vocali cosi di volo, dal che poi
passassero a perfettamente ingoiarsele. Checche ne sia, poiche que-
sti e gli altri tutti nei loro scritti o monument! pubblici posero sem-
pre le parole intere e vocalizzate, segno e che credono esser que-
sto il distintivo della loro lingua comune, che tutti i dialetti italici
riconoscono ugualmente per madre. Le provincie d' Italia hanno
dunque comuni tutte le parti costitutive della lingua, ed hanno per-
cio tutte un diritto originario ed inalterable sopra di essa. Tutte
pero hanno parimente i loro termini particolari forse intelligibili,
come attinti a una fonte comune, non pero usati ne intesi pronta-
mente dagli altri: tutte hanno alcune proprieta che le distinguono
tra loro, altre buone, altre indifferenti, altre viziose. Se alcuni po
poli peccano nella terminazione, altri anche de' piu riputati gua-
stano le parole in altra guisa, troncando le sillabe intere, omettendo
o permutando le lettere o intrudendone di soverchie; sicche il
loro linguaggio, a chi non 1'ha familiare, non riesce gran fatto ne
piu chiaro ne piu piacevole degli altri, come ciascheduno ha il
sapore il piu conveniente alle orecchie di chi lo parla. Inoltre deve
awertirsi che ogni dialetto puo suddividersi in due, Funo del
volgo, 1'altro degli uomini colti: questo e sempre poco o molto
piu regolato ed acconcio; 1'altro per tutto senza eccezione ine-
satto nella pronunzia, sparso di solecismi e di sconcordanze, e
pieno di storpiature di vari generi.1 Da quest' analisi risulta che
ogn'uomo colto d' Italia puo aver diritto di opinare e giudicar
d'una lingua che appartiene a lui quanto agli altri ; che niun dia
letto popolare, come precisamente si parla, puo prendersi come
modello di lingua scritta; niuno ve n'ha che possa essere corren-
temente inteso da un capo alTaltro d'ltalia; niuno finalmente che
purgato dagFidiotismi plebei, emendato colle regole d'una giudi-
ziosa grammatica e maneggiato da scrittori illustri non possa con-
tribuire alia ricchezza e all'ornamento della lingua scelta d' Italia,
che sola deve dominare nelle scritture piu nobili. Se pero niun
dialetto particolare e cosi perfetto che possa scambiarsi per la
lingua, awene pero alcuno presso ogni nazione che piu degli altri
s'accosta alia perfezione. Sarebbe ingiusto e insensato chi non
i. Lingua vernacola vuol dir propriamente lingua dei servi. V'era dunque
presso i Latini anche nella citta stessa quella dei padroni e dei liberi (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 403
riconoscesse in Italia Pidioma toscano per piii corretto ed elegante,
e degnissimo del primato sopra d'ogn'altro : quindi lo scriver esat-
tamente e nobilmente e pei Toscani un'attenzione, per noi uno
studio.
in. La lingua volgare non comincio a farsi conoscere nelle scrit-
ture fuorche nel secolo duodecimo. I poeti son sempre i primi a
digrossare ed ingentilire le lingue, ed e costume troppo naturale
di prender dalle straniere piu celebri di che abbellire la propria.
La lingua provenzale avendo il vanto tra le moderne, specialmente
nella poesia amatoria e nei romanzi di cavalleria, i piu colti di
tutta Italia, datisi a traslatar le opere de' Provenzali e ad imitar
i loro poeti, arricchirono Pidioma italiano di moke voci e locuzioni,
che formano tutta via una porzione non dispregevole della lin
gua comune. I Siciliani, ossia gli scrittori che sotto Federigo se-
condo fiorirono nella real corte di Napoli dianzi stabilita in Si-
cilia, si distinsero sopra gli altri, e diedero tal pregio alia nostra
favella che, al dire di Dante, idioma volgare e siciliano valea lo
stesso.1 Ad esempio loro i piu svegliati spiriti dell'altre provincie
d' Italia impararono a civilizzar i loro dialetti, e scegliendo come
meglio potevano Pottimo da tutti gPidiomi, formarono il primo
fondo della lingua italiana piu nobile, che doveva esser quella
degli scrittori. Essa pero in tutto quel secolo non fe' che saggiar
le sue forze quasi brancolando: lo svilupparle era riserbato al se-
guente. Firenze ebbe la gloria di alimentar la nostra lingua, invi-
gorirla, formarla. II genio di Dante, il gusto squisitissimo del Pe-
trarca, la copia e piacevolezza del Boccaccio la impress ero de' loro
caratteri e le comunicarono colori, armonia, movimento e ricchezze
proprie. I loro scritti furono come altrettante facelle che sparsero
sopra la lingua la luce dell'analogia. Tutta F Italia rivolse gli occhi
cola: e siccome in tutte Paltre citta riunite non v'erano scrittori
che potessero in verun modo paragonarsi a quei tre, cosi tutti si po-
sero a studiar le loro opere non solo come esemplari di stile, ma
come tesori e norme perfette di lingua; e passando, come suol
farsi, dagli autori alia patria, credettero volentieri esser privilegio
special di Firenze cio ch'era frutto in gran parte della loro mae-
i. al dire . . . lo stesso: cfr. De vulg. el, I, XII, 2: «videtur siciliamim vul-
gare sibi famam pre aliis asciscere, eo quod quicquid poetantur Ytali si-
cilianum vocatur». E cfr. anche i, xn, 6.
4°4 MELCHIORRE CESAROTTI
strevole desterita, che seppe purgar piu o meno il proprio dia-
letto, e acconciamente temperandolo fario primeggiar vagamente
sopra la massa dei vocaboli e delle maniere comuni. Quindi il loro
merito asperse del proprio lume anche vari altri scrittori fiorentini,
che circa quel tempo si esercitarono in altre materie, scrittori non
dispregevoli rapporto al secolo, ma che aveano coi mentovati
triumviri comune il dialetto piu che lo spirito. In tal guisa anda-
rono a poco a poco stabilendosi due opiniord ricevute per assiomi
dal maggior numero: i. che la lingua degli scrittori abbia a dirsi
fiorentina; 2. che gli autori del Trecento siano la norma infallibile
della lingua. Queste due opinioni si convalidarono maggiormente
dacche il Bembo, scrittor gia celebre in ambe le lingue per dot-
trina e per eleganza, sostenne altamente la denominazione so-
praccennata del nostro idioma, e dalle opere degli autori del detto
secolo trasse, dopo il Fortunio, le regole sopra la lingua, e Pas-
soggetto in awenire alle leggi della grammatica.1
iv. Siccome pero nel secolo decimosesto anche il restante d' Ita
lia fioriva di scrittori e d'ingegni, ne fu piu d'uno a cui le due sur-
riferite sentenze parvero tutt'altro che assiomi, e oso provocar
al pubblico da questo giudizio tacciato di parzialita. II Tolomei2
alia testa de' suoi Senesi e d'altri Toscani, a cui aderiva il Dolce,3
pretese con legittimi titoli che la lingua dovesse dirsi toscana dalla
provincia, come la latina dal Lazio: il Trissino dall'altro canto,
accordandosi col Castiglione,4 sostenne che non potea chiamarsi
altrimenti che italiana, senza far torto ai diritti dell'intera nazione;
ed a far il secondo al Trissino usci poscia in campo quel gran
«battagliere» del Muzio;5 mentre intanto il Martelli, il Varchi,6 e gli
1. il Bembo . . . grammatica: allude alle Prose della volgar lingua, pubbhcate
dal Bembo nel 1525. A Gianfranco Fortunio si deve uno dei pnmi tentativi
di grammatica volgare : Le regole grammaticali della volgar lingua (1516),
ispirate a criteri non dissimili da quelli seguiti dal Bembo nelle sue Prose.
2. Claudio Tolomei (1492-1555) sostenne le sue idee nel Polito (1525) e
piu esplicitamente nel Cesano (scritto nel 1527-1528, pubblicato solo nel
1555). 3- Ludovico Dolce (1508-1566) partecipo alle discussioni sulla
lingua con le Osservaziom sulla volgar lingua (1550). 4. Giangiorgio Tris
sino espose la sua teoria dell'«italianita» della lingua volgare in una Epistola
(1524) e poi nel Castellano (1529), riallacciandosi anche ad alcune idee
espresse dal Castighone nei capitoli xxvin-xxix del I libro del Cortegiano.
5; Si allude ai di lui scritti polemici intorno la lingua, intitolati Battaghe
[in diffesa deWitalica lingua, 1582], C. 6. Lodovico Martelli nella Risposta
alia « Epistola » del Trissino (1524); il Varchi noWErcolano, piu volte ricor-
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 405
altri Fiorentini combattevano a tutta possa per la sentenza del
Bembo, che insieme col nome assicurava alia loro patria la proprieta
della lingua. Ciascheduna delle tre denominazioni poteva ugual-
mente competere alia nostra lingua, secondo rispetti diversi, e
questa gara di titoli potrebbe sembrare una vana question di
parole: ma questa differenza di nome si traeva dietro varie diffe-
renze di cose. Di fatto, accordandosi che la lingua dovesse dirsi
fiorentina, ne veniva di conseguenza che Firenze avesse non gia
il principato, ma la dittatura di essa lingua; che le voci, gPidioti-
smi, le locuzioni di quel popolo fossero tutte le ottime fra le
possibili, le sole legittime ed autorevoli; che le scorrezioni stesse
facessero legge, giacche un popolo parlante un linguaggio clas-
sico non riconosce ragione sopra il suo uso ; che tutti i termini de-
gli altri dialetti italiani fossero essenzialmente sconci e spregevoli ;
che niuno scrittore, per quanto avesse elevatezza d'ingegno, ric-
chezza di conoscenze, finezza di gusto, non avesse autorita d'in-
trodurre un nuovo vocabolo o un nuovo tornio di frase; e che
ciascheduno di questi, benche opportuno e necessario, dovesse te-
nersi per barbaro sino a tanto che per grazia speciale non avesse
ottenuto da Firenze 1'onore delFadozione. Awedutamente percio
i sopraccitati ragionatori, benche conoscessero Teccellenza del tre
che nobilitarono superiormente il dialetto fiorentino, contrastarono
pero al dialetto stesso un titolo che avrebbegli conferito un do-
minio esclusivo, e dando alia lingua la denomination d'italiana,
conservarono ad essa e a tutti i suoi colti scrittori i diritti d'una
giudiziosa liberta. Le ragioni da loro usate furono a un di presso
le stesse che noi abbiamo, s'io non erro, poste in miglior lume e
piantate sopra una base piii solida.
v. Ad awalorare altamente la sua opinione, diede il Trissino
alia luce opportunamente la traduzione delT opera di Dante, Della
volgare eloquenza, pubblicata poscia nel suo latino originale dal
Corbinelli,1 nella quale quel filosofo, non men che poeta, superiore
a' suoi tempi, troppo grande per lasciarsi dominare dai pregiudizi
dato. Fra gli altri sostenitori della tesi « fiorentina » vanno ricordati il Ma-
chiavelli, il Giambullari, il Gelli, il Lenzoni, i quali tuttavia (come anche il
Martelli e in parte il Varchi) difendono i diritti piuttosto del fiorentino
vivo che di quello letterario trecentesco. i. diede . . . Corbinelli: il Tris
sino pubblico una traduzione del trattato dantesco nel 1529. L'edizione
di lacopo Corbinelli usci a Parigi nel 1577.
406 MELCHIORRE CESAROTTI
patriottici, sostenne due secoli innanzi con forza di ragionamento
quella sentenza medesima. Egli mostra ad evidenza che la lin
gua degli scrittori non nacque ne fu allevata in Toscana, ma si
and6 formando dai migliori spiriti delle diverse citta, fra i quali con-
ta pure un Brandino o Ildobrandino da Padova,1 i quali andarono
giudiziosamente scegliendo da tutti gridiomi cio che v'era di piu
leggiadro e piu acconcio; sostiene che tutti i dialetti popolari
sono pieni di scorrezioni e deformita, ed esaminandoli ad uno ad
uno specifica i loro particolari difetti, e taccia segnatamente i
Toscani di vanita, perche menavano vampo del loro idioma mu-
nicipale, come fosse il piu purgato e '1 piu nobile;2 osserva che
gli autori piu celebri fur sempre quelli che piu si scostarono dalle
singolarita e dagl'idiotismi de' lor dialetti; conchiude che niuno di
questi non e tale che possa cosi come sta esser ammesso neile opere
dedicate alia fama, ma che queste debbono esser dettate nella lin
gua comune e scelta d'ltalia, lingua ch'ei chiama «aulica)) e «cor-
tegiana», perche nelle cord usa la parte meglio educata e piu colta
delle nazioni, la quale si fa uno studio di distinguersi nel favellare
e nello scrivere con politezza. Con ci6 Dante venne a rispondere
anticipatamente alPobiezione del Bembo, che questa specie di lin
gua non si park in veruna citta, poich6 la lingua scritta servendo,
come abbiamo osservato altrove, ad usi diversi, non e necessario
che sia precisamente la stessa colla parlata, come non lo fu forse
mai presso verun popolo, ne lo e nemmeno tra i Fiorentini mede-
simi, bastando che sia intesa comunemente dalla nazione. Ne tam-
poco farebbe obietto3 il dire che tutta la nazione non intende per-
fettamente la detta lingua, poiche nemmeno i dialetti stessi verna-
coli sono intesi in ogni loro parte da tutte le classi del popolo, ne la
plebe intende i dotti quando parlano di materie ragionative, ben-
che non si servano se non di voci nazionali; ne i dotti intendono
tutti i termini dei mestieri ne tutti gPidiotismi della plebaglia. Che
i. conta . . . da Padova: cfr. De vulg. el., i, xiv, 7: « Inter quos [Venetos]
omnes unum vidimus nitentem divert ere a materno et ad curiale vulgare
intend ere, videlicet Ildebrandinurn paduanum». 2. E noto il luogo del
Passavanti, fiorentino e autor classico di lingua, che taccia specialmente
i Fiorentini d'una tal boria, e rimprovera al loro idioma piu d'un difetto (C.).
II luogo del Passavanti (gia citato, come osserva il Puppo, dal Bettinelli
nel Risorgimento dy Italia} e nello Specchio di vera penitenza, Milano 1741,
P- 3°3- 3- farebbe obietto: sarebbe obiezione valida.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 407
se niuno trova a ridire che gli artefici e gli agricoltori abbiano il loro
particolare frasario, non inteso correntemente dagli altri ordini,
come puo far obietto per toglier la nazionalita ad una lingua, che
i piu colti nelle scritture abbiano un corpo di vocaboli meno vol-
gari e bisognosi di spiegazione presso gPindotti? Se cosi fosse,
la lingua non dovrebbe constare se non dei termini relativi agli
usi piu ordinari e alle faccende giornaliere della vita comune. Del
resto 1'autorita e le ragioni di Dante erano di tal peso che i Fio-
rentini piu appassionati credettero miglior partito il negar a di-
rittura Fautenticita di quelPopera, supponendola gratuitamente una
impostura del Trissino stesso;1 ma secondo il giudizio dei ra-
gionatori che vennero appresso, tutto prova e niente smentisce
il vero autor di quel libro, degno in ogni senso di Dante.
VI. Ma perche 1'uno e 1'altro partito conveniva allora perfetta-
mente che i tre primi lumi di Firenze fossero sovrani maestri di
quella lingua leggiadra e nobile che si cerca dagli scrittori, in
guisa che tutte le question! di questo genere si decidevano unica-
mente colla loro autorita, non aveano il Trissino e il Muzio gua-
dagnato nulla se non giungevano a provare che il linguaggio dei
loro esemplari non era quello succhiato dalle balie, ma quel che
s'apprende collo studio, ne proprio del popolo di Firenze, ma
comune ai dotti d' Italia. Non fu difficile il mostrar ci6 del Petrar-
ca, che nato in Arezzo, non avendo in tutta la vita posto piu
piede in Toscana, aggiratosi per tutte le corti italiane e straniere,
fornito sopra ogn'altro d'erudizione, d'aggiustatezza e di gusto, cer-
cava Tottimo in ogni cosa. Quindi le sue rime non solo in que*
tempi furono intese senza intoppo e gustate da un capo alPaltro
d'ltalia, ma sin d' allora formarono nel genere amatorio nobile il
fondo di quella favella poetica che in capo a quattro secoli con-
serva tra noi la sua prima intatta freschezza, e incanta tutta-
via chiunque ha senso di squisitezza e di grazia. II genio di Dante
mostra abbastanza che non era schiavo del proprio idioma: il suo
zelo era piu nazionale che patriottico: creator d'un linguaggio
filosofico, egli sacrifica Peleganza convenzionale all'espressione e
alia forza, e lungi dalTadular un dialetto particolare, padroneggia la
lingua stessa, e sembra talora strascinarla dispoticamente alia
i. i Fiorentini . . . stesso: il piii accanito impugnatore delTautenticita del De
vulgari eloquentia fu Ludovico Martelli.
408 MELCHIORRE CESAROTTI
liberta. II solo Boccaccio potrebbe dirsi che scrivesse nel pretto
idioma fiorentino : cio per6 soltanto fec'egli nelle novelle i di cui
soggetti sono spesso popolari e scherzevoli, e vi s' introduce no
personaggi bassi e plebei: ma nelle altre d'argomento piu nobile
si diparti anch'egli dagl'idiotismi del suo dialetto, e lo arricchi di
varie locuzioni sue proprie, derivate dal fondo comune ai colti
scrittori d'ltalia, a segno che il Salviati stesso, quantunque esta-
tico ammirator del Boccaccio, lo rimprovera d'esser alquanto men
puro degli altri del suo secolo,1 ch'e quanto dire men fiorentino.
Che Popinione dei detti critici sopra i tre luminari dello stile non
fosse ne falsa ne strana, niente puo meglio provarlo del testimonio
del Davanzati, scrittore zelantissimo del proprio idioma e per molti
capi pregevolissimo, il quale schiettamente distingue la lingua
fiorentina dalla italiana comune, «la quale)) dic'egli «non si favella,
ma s'impara, come le lingue morte, nei tre scrittori fiorentini»,
nella qual pure confessa che « molti grandi hanno scritto mirabil-
mente », benche soggiunga che « avrebbero fatto prodigi » se avessero
fatto uso della fiorentina piu pura.2 lo non diro se questa asserzio-
ne sia vera o falsa, diro solo ch'io credo che ogni discrete italiano,
pago assai del titolo di « mirabile », rinunziera senza pena a quello
di (cmiracoloso)).
VII. Ne senza contrasto di van dotti passo 1'altra opinione, che
la lingua nostra nel secolo del Trecento fosse giunta all'apice della
sua floridezza. Di fatto non era facile il persuadere che la favella
italiana, a differenza d'ogn'altra, fosse perfetta pressoche nel suo
nascere; che il secolo piu rozzo nella cultura fosse il miglior per
la lingua, che le scritture stese senza esemplari e senza grammatica
fossero piu corrette di quelle che uscirono dopo le osservazioni e le
regole; che nella total mancanza di molti generi, nella scarsezza
d'alcuni altri, senza confronti dell'altre lingue, senza lumi delle
discipline, senza scorta di buona critica, quando non si trattavano
comunemente che argomenti tenui nel dialetto municipale per uso
del popolo, la lingua potesse essere abbastanza nobile, morbida,
i . il Salviati . . . secolo : cfr. Degli avvertimenti della lingua sopra il « De-
camerone», lib. II, cap. xii, ed. cit., I, pp. 244-8. Va notato tuttavia
che le riserve del Salviati vertono soprattutto su la Fiammetta, il Filocolo
e VAmeto. 2. Cfr. la lettera a messer Baccio Valori del 20 maggio 1599,
preposta al Volgarizzamento di Corneho Tacito, in Opere, Firenze 1853, I,
pp. LXXIV-LXXV.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 409
espressiva, ornata, flessibile, regolata nelle costruzioni, dovi-
ziosa di termini opportuni e di locuzioni acconce, atta infine a
soddisfare ai bisogni progressivi e indefinibili di chiunque scrive,
sente e ragiona. Indarno si faceano sonar alto i nomi dei tre so-
vrani scrittori di quel secolo, poiche tre scrittori non fanno una
lingua. Dante, come ogmm sa, ebbe phi genio die gusto: tratto
dal bisogno e dall'arditezza, tento piu di quel die perfeziono, ed
afferro spesso in luogo di scegliere. II Boccaccio, ricco delle lo
cuzioni del comico familiare, manca dei tornii dell'urbanita deli-
cata, e da lui forse e addivenuto die P Italia in questo genere e
tanto inferiore alia Francia;1 nei soggetti gravi snaturo la lingua
colle sforzate inversioni latine, e diede per carattere all'eloquenza
italiana la sterile abbondanza delle parole, 1'aggiramento e la tedio-
sita periodica; inoltre s'attenne anch'egli di soverchio all'uso del
popolo, e la sua dicitura, come fa osservato dai critici posteriori,
non va esente da varie macchie non escusabili, ed e gia gran tempo
die quella maniera di scrivere fu abbandonata generalmente in
Italia. II Petrarca, solo dei tre die possa dirsi perfetto, diede vera-
mente alia lingua un frasario leggiadro e nobile; ma egli non e
pienamente benemerito die del suo genere, anzi pure della modi-
ficazione particolare di esso. Egli ha quei colori che convengono
ad un amore modesto, rispettoso, contemplative e quasi divoto;
ma non ha quelli dell' amor comune e naturale dei Latini, ne del
vivace e solazzevole d'Anacreonte, ne del candido ed innocente
di Gessner,2 ne del galante e spiritoso dei Francesi, ne del pro-
fondo, ardente, smanioso di vari inglesi e tedeschi. Gli altri po-
chi suoi componimenti di soggetti piu grandi sono anch'essi rag-
guardevolissimi per una sensatezza toccante e per una equabile,
inaffettata e signoril dignita; ma non vi si trova ne la sentenziosa
vibratezza oraziana espressa dal Testi, ne la franchezza pindarica
del Chiabrera, ne la pensata sublimita del Filicaia, ne Tinvasamento
profetico del Guidi, ne la splendidezza fantastica del Frugoni.
i. *I1 primato nelle opere di urbanita delicata e accordato di buon grado
alia Francia dal co. Napione medesimo. C'est tout dire (C.). Cfr. il trattato
DelVuso e dei pregi della lingua italiana, lib. n, cap. ir, § 7, ed. cit., I,
pp. 169-70. 2. Salomon Gessner (1730-1788), soprattutto con i suoi Idyllen
(1756 e 1772) in prosa ritmica, fu uno dei piii tipici rappresentanti del-
1'idillico sentimentalismo del Settecento. Letto e tradotto in tutta Europa,
in Italia trovo nel Bertola il suo piu efficace banditore.
410 MELCHIORRE CESAROTTI
Gli altri scrittori del Trecento non sono celebri che nel Vocabola-
rio, e trattone alcuni pochi il conoscerne i nomi e divenuto un
punto d'erudizione : benche cio non tolga che possano dalle loro
opere estrarsi alcune locuziom felici, come accade in qualunque
idioma piii rozzo, e come Virgilio traeva qualche granellino d'oro
dalla mondiglia di Ennio.1 II Salviati loda altamente gli scrittori
di quel secolo per la purita: sopra di che non so astenermi dall'os-
servare che in una lingua derivata la purita dei vocaboli negli
scrittori piu antichi e un merito pressoche immaginario. Perciocche
s'e vero ch'ella consiste nella nazionalita originaria di essi vocaboli,
tanto questi debbono sembrar men puri, quanto meglio si cono-
sce la loro origine e derivazione straniera. Quindi le voci di quel
secolo riescono bensi pure a noi che da molto tempo siamo awezzi
a riguardarle come italiane, ma non potevano assaporarsi come tali
dai coetanei che sapevano 1'una esser provenzale, 1'altra francese o
lombarda, oltre infinite latine. Che se pure volesse dirsi che sin
d'allora si avevano per nostrali, dovrebbe inferirsene che colla
derivazione erasene anche s cor data Petimologia, e quindi pure la
conoscenza del significato primitivo e di tutti quei rapporti che for-
mano il pregio intrinseco dei vocaboli, e che i piu puri fra gli
antichi erano gia rientrati nella classe di quelli che furono da
noi detti cifre: dal che verrebbe a risultarne una conseguenza al-
quanto strana, che i termini abbiano a credersi allora appunto
migliori, quando sono per se stessi insignificant! e privi della loro
piu essenziale bellezza. Del resto il Salviati, diviso tra il culto del
Boccaccio e quello della purita, trovo un mezzo felicissimo di
conciliarsi ambedue e di far che un pregiudizio non turbi i diritti
dell'altro. Egli afferma tranquillamente che non pu6 ora piu di-
sputarsi se qualche voce o locuzione del Decamerone sia pura o
non pura, poiche 1'autore «le fe' tutte pure ugualmente, avendole
bollate col marchio di quel volume ».2 Non parrebbe egli che il
Boccaccio avesse il segreto di purificar le parole, e che questo fos-
sesi perduto con lui?
i. Virgilio . . . Ennio: cfr. Donatus Auctus, 71, in Vitae Vergilianae, ed. E.
Diehl, Bonn, Marcus u. Weber, 1911, p. 35 : « Vergilium . . . cum aliquan-
do ipsum [Enmum] in manu haberet, rogatum quid faceret, respondisse
se aurum colligere ex stercore Ennii». 2. Cfr. Degli avvertimenti della lin
gua sopra il «Decamerone»y lib. n, cap. xn, ed. cit., i, p. 248. II Cesarotti
cita con una certa liberta, ma senza tradire il concetto.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 4!!
vili. Con questa diversita d'opinioni si andarono formando due
sette di scrittori e di critici, e la lingua ebbe anch'essa i suoi gian-
senisti e molinisti.1 L'Accademia della Crusca dopo la meta del
secolo decimosesto awaloro il partito dei prinii. Ella fondo un
tribunale rispettato dai piii docili, ma le di cui sentenze non furono
da tutti credute ne imparziali ne inappellabili. II Tasso perse-
guitato dalla Crusca diede auspici troppo infausti a quell'acca-
demia. L'impresa che la segnalo maggiormente fu la compila-
zione del Vocabolario. L'opera utilissima per se stessa merita cer-
tamente lode ed applauso, ma sarebbe stata assai piii pregevole se
non avessero presieduto a questa fatica due speciosi pregiudizi,
quel della patria e quel della scuola. Sembra che i primi che posero
mano a tale impresa si siano prefissi di stabilir le due opinioni
da noi esaminate di sopra, e di costringere gli scrittori tutti d' Ita
lia ad adottarle, anche lor mal grado, sotto pena di passar per igno-
ranti o per barbari. In conseguenza di questo fine il Vocabolario
riusci un' opera parziale e imperfetta; e quantunque nelle succes
sive edizioni siasi poi sempre migliorato e arricchito, pure, sussi-
stendo i due radicali pregiudizi, non appag6 mai abbastanza le
brame universali ne soddisfece interamente all'oggetto naturale
d'un tal lavoro. Di fatto come dovra realmente chiamarsi cotesto
vocabolario? Italiano? no certamente, perche le provincie d' Ita
lia, trattone una, non ci trovano i lor comuni vocaboli. Toscano ?
neppure, poiche non solo vi mancano i termini particolari delle
diverse citta, ma scarsissimo e inoltre il numero degli scrittori della
Toscana che vi siano ammessi a confronto di quei di Firenze.
Sara dunque fiorentino? mai no, perche una quantita di voci
usate dal popolo, e riconosciute dai compilatori stessi per buone,
utili e necessarie, non osarono essi di registrarle, perche non le
trovarono usate da' buoni scrittori. E bene: sara senza fallo il
vocabolario degli scrittori fiorentini: no ancora, poiche non tutti
gli scrittori di Firenze furono posti nel ruolo di testi di lingua, ne
ottennero 1'onore d'essere citati. Quale specie dunque di vocabo
lario e mai questa ? Eccolo : esso e il vocabolario degli scrittori del
Trecento e d'alcuni altri modern! scelti a piacimento dal nuovo
tribunale, perche scrissero alia maniera dei trecentisti. Con un
i. giansenisti e molinisti: rigoristi e lassisti in fatto di lingua, cioe i difensori
del purismo fiorentino o toscano e i sostenitori di una illimitata liberta lin-
guistica.
412 MELCHIORRE CESAROTTI
tal assunto ognun vede quanto scarso e insufficiente riuscir dovesse
cotesto tesoro della lingua.
ix. Di fatto del due oggetti del vocabolari, Puno di far intender
la lingua nazionale agli stranieri, 1'altro di servir alPuso di chi scri-
ve, il nostro non ne adempie perfettamente veruno. Viene un
forestiero per trattenersi in Italia: il suo primo pensiero e quello
di possederne Tidioma, per non esser sordo fra i parlanti: si prov-
vede a tutto costo delPultima edizione del Vocabolario, e con que-
sto turcimano1 e ben certo d'intendere Tultime differenze dei ter
mini. E bene: scorre la Romagna, il regno di Napoli, il Friuli, la
Lombardia, ode una loquela incognita; consulta 1'interprete, egli
e muto. Passa in Toscana: oh qui no die non trovera enigmi; il
suo Edipo2 e nato in questa provincia, essa e la sede della lingua,
e le diede il nome: si mescola col popolo che park d'arti, di mestieri,
di faccende comuni: segna molte voci che lo colpirono; giunto alia
sua stanza, si mette attorno al suo testo, cerca le ignote: qual
sorpresa! le cerca indarno. Come non dovra indispettirsene ? come
potra capire che un termine cittadino nelPuso sia cacciato come
spurio dal ruolo delle parole ? DalPaltro canto un uomo scienziato,
ragionativOj eloquente, ma di coscienza timorata in fatto di lingua,
col capo gravido del suo soggetto si mette a scrivere: gli si pre-
senta un'idea nuova che sembra domandar un termine: non e
pago, vuole assicurarsi della sua validita, rifrusta la Bibbia della
lingua: non c'e. Pure e bello, ben derivato, acconcio che nulla piu:
che importa? non e il merito, ma il clima che fa il destine de*
vocaboli. Ma gli pare d'averlo nelPorecchie, lo ha letto presso
qualche scrittore italiano, e dei celebri. Che Italia? che celebrita?
in fatto di lingua non v'& salute fuor di Toscana. E bene, la voce
e appunto di quel paese; ei la intese a pronunziare da un viaggia-
tor di cola: non basta; per legittimar un termine la lingua non
vale senza la penna; i vocaboli anche delPuso debbono aver per
padrino un qualche scrittore autorevole. Ma se il termine e cosi
sciaurato che non trova nemmeno chi lo ricolga, come potra usarsi
senza scandalo ? e qual sara poi quello scrittore privilegiato sulla cui
penna i vocaboli vili ed innominati ringentiliscano ? Oh questo poi
i . turcimano : turcimanno, interprete. 2. Edipo : il Vocabolario della Cru-
sca, cosi chiamato scherzosamente in quanto dovrebbe risolvere gli enigmi
della lingua.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 413
e un segreto die sta negli abissi della grazia. Ma intanto, che sara
di quel vocabolo? Restera barbaro in eterno, o finche «si voglia
dove si puo )).x E lo scrittore che fara egli ? Mandi con Dio la sua
idea, o la storpi con un altro termine il meglio che sa.
x. Anche il catalogo degli scrittori aggiunti, posto in fronte del
Vocabolario, dovea dar luogo a querele ed a rimostranze. Non e ben
chiaro se voglia intendersi che gli autori registrati siano que' soli
da cui si sono presi i vocaboli, o che gli stessi siano i soli che si
distinguano per esattezza di lingua. Se il primo, chi potra credere
che in tanta moltitudine d'autori italiani non ve ne sia neppur uno
in cui trovisi un solo termine che meriti d'esser trascelto? Se il
secondo, quest'approvazione esclusiva non dovra ella sembrar odio-
sa, e difficile a giustificarsi ? Che se alcuno volesse dire che gli
altri non si sono citati non perche fossero inferior! nel pregio di
purgatezza, ma perche niun di loro avea di proprio ne una locu-
zione ne un termine, primieramente cio e falsissimo rispetto a
molti ; poi, quando pur cosi fosse, non doveasi ad ogni modo va-
lersi anche tratto tratto dej loro esempi a mostrar la continuazione
dell'uso? e il loro merito non esigeva che se ne citassero i nomi,
a fine di prevenir un equivoco ingiurioso alia lor memoria, e atto
a traviare il giudizio dei mal accorti? Sembra a dir vero che in
cotesto ruolo regni non poco di parzialita, di contradizione e
d'arbitrio, tanto neirammettere che nell'escludere. Chi ha scorso
YEloquenza italiana del Fontanini,2 e ha veduti in ogni classe tanti
scrittori accreditati ed illustri per dottrina e facondia, come non
dee credere che il vocabolario della nostra lingua sia formato di
tutte le voci che si trovano nelle loro opere? E come poi non
dovra farsi le meraviglie, allorche prendendo in mano il dizionario
della Crusca, vede che i compilatori di esso non hanno aperto la
bocca che ad un centinaio appena dei prefati autori, ed hanno
vietato a tutti gli altri il diritto della parola? specialmente che
ne tutti i termini dei classici esauriscono i bisogni della favella,
ne quei da loro trascelti sono sempre i migliori, ne i piu comune-
i . si voglia . . . pud : adatta scherzosamente il dantesco : « vuolsi cosi cola do
ve si puote /cio che si vuole» (Inf., in, 95-6). 2. II Cesarotti allude in
particolare alia terza parte dell'opera del Fontanini intitolata Biblioteca
delV eloquenza italiana e contenente un catalogo degli scrittori italiani, la
quale parte fu ripubblicata nel 1753 con important! annotazioni e corre-
zioni di Apostolo Zeno.
4H MELCHIORRE CESAROTTI
mente usati, ne i meglio intesi; ne molti degli autori approvati
sono in verun senso piu pregevoli di molti esclusi; e quando lo
fossero nella totalita dello stile, niente ripugna che si prendano gli
ottimi termini anche dagli autori non ottimi. Questo rnetodo non
e certamente quello del celebre lessico latino,1 ove, benche siasi
adottata la scolastica distinzione delle voci d'oro e d'argento,
pure si veggono registrati tutti gli autori d'ogni secolo e d'ogni
provincia, senza omettere un solo de? loro vocaboli. lo lascero che
la Toscana e Firenze stessa domandino conto ai compilatori del
Vocabolario perche non si veggano sul loro ruolo tanti altri egregi
lor nazionali cittadini, che nobilitarono coi loro scritti non meno
la lingua comune che il loro leggiadro dialetto. Ma che risponde-
ranno Fombre degl'Infarinati, e degl'Inferrigni,2 e degli altri loro
consorti alle rimostranze di tutta Italia, che di tanti rinomati suoi
figli, sparsi per le sue citta, ne trova appena dieci fatti degni di
servir agli usi della lingua: cosicche quand'ella guardandosi intorno
si gloriava d'un'ampia famiglia benemerita della sua favella, ove
poi gitta gli occhi sul Vocabolario, si sorprende della sua sterile
mendicita? Potrebbe anche domandarsi modestamente ragione di
alcune scelte e predilezioni d'autori, o di opere, che sembrano
contradittorie. Perche tanta facilita per FAriosto, che largheggia
sopra d'ogn'altro nella liberta della lingua ? perche il Tasso fu pur
ammesso dopo infiniti contrasti? o perche fu tanto contrastato,
se meritava d'esser ammesso? perche fra Faltre sue opere non
si citano Le sette giornate2 ne le sue prose? perche fra i testi di lin
gua si annovera il Castiglione che protesta di scriver lombardo ?4
perche d'Annibal Caro non si trascelgono che i Mattacini3 e le
lettere, omettendo la Rettorica d'Aristotele e YEneide? e quel ch'e
i celebre lessico latino: il Lexicon totius latinitatis di Egidio Forcellini,
pubblicato postumo a Padova nel 1771. 2. Per VInfarinato cfr. la nota 2
a p. 358; Inferrigno era il nome assunto nell'Accademia della Crusca da
Bastiano de' Rossi. 3. II poema in versi sciolti Le sette giornate del mondo
creato, composto dal Tasso fra il 1592 e il 1594. 4. il Castiglione . . . lom
bardo: cfr. la lettera dedicatona del Cortegiano, in Opere di Baldassare
Castiglione , Giovanni Della Casay Benvenuto Cellini, a cura di C. Cordie,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, p. n: «ne credo che rni si debba impu-
tare per errore lo aver eletto di farrni piu tosto conoscere per Lombardo
parlando lombardo che per non Toscano parlando troppo toscano».
5. Mattacini: dieci sonetti d'invettive contro il Castelvetro, allegati al-
Y Apologia, nominata piu avanti. 6. La traduzione della Rettorica di Ari-
stotele, pubblicata postuma nel 1570, e quella, piu famosa, dell'Eneide, edita
pure postuma nel 1581.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 415
piu P Apologia,1 opera squisitissima per grazia di stile, non meno
che per sensatezza di critica?2 perche del Magalotti si trascurano
le lettere scientifiche e le familiari, piene di termini filosofici e di
locuzioni ingegnose ?3 Perche ? . . . le interrogazioni non finirebbero
cosi tosto. Non e da dubitarsi che quegli accademici non avessero
in tutto cio le loro ragioni; ma piu di uno poteva desiderare che
si fossero rese note, onde il pubblico fosse in caso di esami-
narle.
xi. Malgrado le opposizioni e le querele di alcuni, Pautorita
legislativa della Crusca fu riconosciuta dal maggior mimero. Gli
scrupolosi abbracciarono il sistema del tuziorismo4 che calmava
la loro coscienza; gli scrittoruzzi subalterni godettero che si fosse
formata una scienza di memoria, nella quale speravano di sover-
i. Apologia-, con cui il Caro, nel 1558, rispose alle censure mosse dal Castel-
vetro alia sua canzone Venite alVombra de' gran gigli d'oro. 2. *Queste
grazie parvero ad alcuni alquanto acri. Ma il disprezzo insolente, il tuono
da oracolo e le sofisticherie pedantesche dell'Aristarco potean mover la
bile al piii flemmatico. L'ape e tutta mele, ma non bisogna irritarla, se
non si vuole che si ricordi del pungiglione (C.). Col nome di Aristarco si
allude al Castelvetro. 3. *Questo celebre autore, vantato meritamente per
forbitezza di stile ne' suoi Saggi dell'Accademia del Cimento, fu accusato
d'esser poi nelle sue lettere familiari scritte in eta piii matura (si noti la
circostanza) caduto in neologismi, gallicismi e barbarisrni evidenti. II co.
Napione, che ripete i pregi e le colpe del Magalotti, lo scusa in parte sulla
necessita in cui fu di crearsi uno stile nuovo di conversazione nobile e
disinvolta, di cui nella sua lingua toscana non avea esempio ; e anche perche
avea lungamente praticato le corti ed i letterati oltramontani. Cio viene a
dirci due cose : Tuna che di questo stile di conversazione graziosa e nobile
trovava negli scrittori oltramontani e segnatamente francesi quel modello
che non gli presentava 1' Italia; 1'altra, ch'e assai difBcile ricopiar nel suo stile
i caratteri rettorici d'una nazione senza accostarsi poco o molto a quelle
maniere che appunto gli rappresentano. Resta a cercarsi se il danno sia
maggior delPacquisto. Monsignor Fabroni, grande ed illustre amatore della
nobile e purgata eleganza nelle due lingue d' Italia, afferma che, non ostante
i suddivisati difetti, la dicitura del Magalotti e « plena di maesta splendida e
luminosa, ha somma vaghezza e decoro, e porta scolpita (cio che fu lodato
nello stile di Messala) la nobilta dell' autore ». Piu d'uno per awentura sof-
frirebbe senza gran pena le censure fatte al Magalotti per meritar da un si
buon giudice il compenso d'una tal lode (C.)- Angelo Fabroni (1732-1803),
direttore del « Giornale dei letterati » di Pisa, e ricordato soprattutto per le
Vitae Italorum doctnna excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt
(Pisa 1778-1805) e per gli Elogi di uomini illustn (Firenze 1773-1775); il
giudizio sullo stile del Magalotti si legge nelle Vitae Italorum ecc., xn, Pisa
I7^5, P- 192: «lucere orationem pompa plenam, illustrem, splendidam,
ut habeat summam speciem et dignitatem, prae se feratque, quod de Mes-
salla olim praedicatum est, auctoris nobilitatem ». 4. tuziorismo: dottrina
teologica secondo cui nel dubbio occorre attenersi alia sentenza piu « sicu-
ra » (cioe piu vicina alia legge), anche se meno probabile.
4*6 MELCHIORRE CESAROTTI
chiar i loro maggiori piu trascurati o -piu indocili; gli accorti
non vollero ne cozzare con un tribunale autorevole, ne perder un
nuovo capo di merito ; e i grandi stessi, tranquilli su i loro diritti,
non disapprovarono una legislazione severa che metteva un freno
alia licenza, ben sapendo che non e permesso se non ai geni di
dar la legge a se stessi, e che per chi non sa reggersi, una sconsigliata
liberta e vie peggiore d'un'aweduta tirannide.1 L'Accademia della
Crusca predicava ancora meglio coiresempio che col precetto:
la singolar gloria di Firenze d'essersi serbata intatta nel contagio
universale del cattivo gusto che imperversava in Italia, fu non a
torto da un giudizioso moderno2 attribuita appunto alia compila-
zione del Vocabolario, che, obbligando quegli accademici ad aver
sempre alia mano gli esemplari d'un miglior secolo, gli abituava
alle schiette grazie d'uno stile piu castigato e piu sobrio.3
xii. Ma la rivoluzione accaduta nel sistema intellettuale dopo
la meta del secolo diciassettesimo ebbe una nuova e piu sensibile
influenza anche sulla lingua. Firenze merito d'esser chiamata
per doppio titolo 1'Atene d' Italia. Ella accese e propago fra noi la
luce della filosofia, come dianzi avea propagata quella delle let-
tere : e quasi nel tempo stesso Tuna e Paltra brillavano vivamente
sopra la Francia. Quindi le scienze, lo spirito filosofico e il france-
i. *Lettori italiani, non v'ingannate: io parlo di letteratura (C.)« II tono
e evidentemente ironico, poiche il Cesarotti, quando scriveva questa nota,
nel 1800, pensava proprio cosi anche in politica. 2. giudizioso moderno:
allude quasi certamente al Tiraboschi. Cfr. Storia della letteratura ita-
liana, vin, parte i, lib. i, cap. xiv, edizione di Milano 1824, pp. 79-80.
3. *Questa lode ai meno aweduti puo sembrar una contradizione : nulla
meno. Niente repugna, anzi e convenientissimo che i compilatori del Vo-
cabolano scrivessero con piu di mondezza e d'eleganza che i loro contempo-
ranei; e che questa 1'avessero specialmente acquistata dal commercio per-
petuo cogli scrittori d'un secolo piu purgato. E chi poi puo negare che il
Firenzuola, il Gelli, il Caro, il Castiglione e vari altri non avessero e casti-
gatezza e grazia ? Ma i loro vocaboli, i loro modi erano gli unici ? la lingua,
10 stile eran fissati in perpetuo ? qui sta il torto della Crusca. Vaglia la stessa
risposta per chi credesse imbarazzar Tautore, e farlo cader in contradizione
col domandargli: come? il tale o tal altro autore di stampa rigorosamente
italiana non e forse un nome giustamente distinto ? non sa pensare ? non
sa scrivere ? le sue opere non sono pregiate e pregevoli ? Si, si, si, ma che
percio ? ha egli esaurito tutti i generi ? ha egli riuniti tutti i pregi del suo ?
Tha fatto in modo cosi eminente che non lasci desiderare ne il meglio, ne
11 piu, ne il diverso? Tra il bene particolare e 1'assoluto, tra 1'ottimo e 1'ec-
cellente, tra 1'eccellente e il sublime v'e una salita di molti poggi, e piii
strade menano ad essa; chi vi si arrampica, chi sale lentamente, chi marcia
spedito, chi corre e si stanca, alcuni s'arrestano a mezzo, piu d'uno salta
e precipita, pochi si slanciano alia cima e fissano gli sguardi del secolo (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 417
sismo furono le tre cagioni che riunite alterarono non poco Fidee
comuni in fatto di lingua.1 Le discipline fecero sentire al vivo il
bisogno incessante di nuovi termini, lo spirito di ragionamento
voile separare anche in tal materia i diritti della ragione da quei
deH'autorita, mostro la vergogna di sacrificar 1'idea al vocabolo,
e insegno a distinguere il pregio reale della lingua dal convenziona-
le e arbitrario : finalmente il predominio del gusto francese, lontano
ugualmente dalla vuota sonorita italiana e dalla gonfiezza spa-
gnuola, e spirante una sensata vivacita, abituando le orecchie dei
lettori ad un frasario diverso e percio piu dilettevole, scemo quel
sacro ribrezzo ai modi stranieri, che formava la salvaguardia della
pudicizia del toscanesimo. Da quel punto ando prendendo sem-
pre piu forza uno spirito d'indipendenza tanto piu pericoloso per-
che fondato su principii piu seducenti. Di fatto gli scrittori emi-
nenti fecero sentire dopo quest'epoca uno stile piu ricco d'idee,
e piu atto ad appagare e a tener deste nel tempo stesso tutte le
facolta dello spirito, reso da' suoi progress! piu agile nelle sue
operazioni e piu bisognoso di pascolo e di movimento. Ma che?
si abusa di tutto, e la scienza delle misure non e mai quella del
maggior numero. A poco a poco si and6 all'eccesso: ogni legge
parve tirannica, ogni regola si taccio di superstizione ; una folia
di voci e di locuzioni forestiere introdotte senza necessita e senza
scelta inondo P Italia; i nostri scrittori furono obliati, trascurate le
nostre ricchezze. Dall'altra parte il zelo cieco dei rigoristi irrito
il libertinaggio in luogo di frenarlo ; si confuse al solito il vero e '1
falso; le declamazioni e gli scherni tennero luogo d'analisi. In
questa confusione d'idee vari Aristarchi2 bastardi acquistarono
Pimpunita di dar sentenze e bastonate alia cieca, e la gioventu
incerta, non sapendo a che attenersi, risolse di non seguir che il
suo impeto e di farsi guida a se stessa.
xin. I piu saggi s'awidero che conveiuva patteggiar col secolo,
appagarne i bisogni, temperarne grimpeti e permetter la liberta
per impedir la licenza. La Crusca allargo la mano, ma a stento,
ma senza abbandonar le sue redini: il Vocabolario ricomparve
i. Vedi Rischiaram. n, 6 (C.)- 2. Aristarchi: critici. Come altre volte
il vocabolo ha per6 intonazione spregiativa; non e improbabile che qui il
Cesarotti alluda proprio al Baretti, che adotto, coine si sa, lo pseudonimo
di Aristarco Scannabue, e che aveva espresso giudizi poco benevoli sulla
traduzione cesarottiana di Ossian (nella Easy Phraseology, del 1775, dia-
logo XLIII).
27
418 MELCHIORRE CESAROTTI
accresciuto,1 ma la facolta di accrescerlo e le misure di farlo di-
pendevano sempre da lei; ella volea che si ricevesse il poco per
grazia, quando molti gia pretendevano d'aver diritto sul tutto. A
Napoli si fece una giunta al Dizionario? qualche erudito ufizioso
segno i vocaboli omessi disawedutamente negli autori classici;3
alfine qualche altro a' nostri tempi s'attento di autorizzar molte
voci tratte da scrittori piii recenti e non per anco approvati.
Vani compensi, arditezze pusillanimi e senza frutto: quest'e far
troppo e troppo poco. Chi ha dato a questi privati Pautorita di
legislatori ? con qual titolo fecero nuovamente una scelta esclusiva ?
qual e il principio che gli diresse ? Basta leggere le loro prefazioni
per sentire che le novita da loro introdotte non sono che tentativi
mal sicuri di servi tremanti. Finche dura un tribunale riconosciuto
inappellabile dalla prescrizione ; finche non si mostra Pinsussistenza
dei fondamenti su cui si appoggia Passoluta sua potesta, ogni inno-
vazione e illegittima. Inoltre Poggetto e picciolo e vano. Si accresca
pure il Dizionario di varie migliaia di vocaboli: gli avremo esau-
riti percio ? E se in capo a dieci anni si scopre il bisogno d'un altro
termine, presenteremo un memoriale per ottenerne Pingresso? o
attenderemo che qualche nuovo tribuno creato da se si faccia autore
di nuove tavole? Non c'e mezzo: o convien negare i principii o
adattarsi alle conseguenze qualunque siano. Non si tratta d'un
aumento precario di vocaboli, si tratta di liberta: ma d'una liber-
ta permanente, universale, feconda, lontana dalle stravaganze, fon-
data sulla ragione, regolata dal gusto, autorizzata dalla nazione
in cui risiede la facolta di far leggi. E tempo omai che P Italia
si afrranchi per sempre dalla gabella delle parole bollate, come
gl'insurgenti d' America si affrancarono da quella della carta.4
i. il Vocabolario . . . accresciuto: allude alia iv edizione del Vocabolario della
Crusca, curata dal Salvini, dal Bottari e da altri, e pubblicata fra il 1729 e
il 1738. 2. A Napoli . . . Dizionario: il Vocabolario della Crusca fu ristarn-
pato a Napoli tra il 1746 e il 1748 con una Giunta dey vocaboli raccolti dalle
opere degli autori approvati dalV Accademia della Crusca\ e piu tardi, nel
1763, 1'editore Pitteri pubblico a Venezia un'altra edizione, anch'essa con
aggiunte. 3. qualche . . . classici: allude probabilmente al padre Giampie-
tro Bergantini, autore di varie opere lessicografiche, fra cui una raccolta di
Voci italiane d* autori approvati dalla Crusca nel Vocabolario d'essa non regi-
strate, con altre molte appartenenti per lo piii ad arti e scienze, Venezia 1745.
4. come . . . carta: fra i motivi delTinsurrezione delle colonie inglesi in
America contro la madre patria vi fu 1'imposizione della carta bollata da
parte di questa (1756).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 419
xiv. Questo e Foggetto die ci siamo proposti nello stender il
Saggio presente : questo e che c'indusse a prender la cosa dalFalto,
e a dar alia materia una tessitura alquanto piu solida che si sosten-
ga da se e resista ai cavilli ed ai dubbi. Se al pubblico illuminate
puo sembrare che abbiamo portato in questo argomento qualche
maggior accuratezza d'idee e sparsovi qualche lume filosofico atto
a guidare gFincerti, ci compiaceremo d'aver rischiarato il cam-
mino e piantato una base piu ferma alle operazioni susseguenti
intorno la lingua. Noi ci lusinghiamo che la nostra voce sia stata
Forgano del voto pressoche universale dei buoni spiriti d' Italia,
che bramano questa liberta giudiziosa; ma Fapplicazione di questi
principii airampliazione ed al buon uso della lingua non e opera
d'un uomo o d'un corpo o d'una citta. Lungi dal pretendere di
abolire una magistratura legittima sopra la lingua, noi bramiamo
anzi di convalidarla col renderne Fautorita meno concentrata e piu
stabile. Con questa idea si e da noi concepito un piano di governo
e d'operazioni che osiamo presentar all' Italia.
xv. La lingua e della nazione: ogni novita relativa ad essa dee
aver la sua sanzione dal consenso pubblico. La nazione non puo
essere rappresentata che da un Consiglio nazionale, ed ogni Con-
siglio dee avere un senato che vi presieda, ed un centro ove si
raccolgano i voti comuni. A quest' onore niuna citta ha un titolo
piu legittimo di Firenze, niun corpo letterario vi ha un diritto
piu incontrastabile di quella Accademia. Rigenerata al presente
sotto un nome piu adattato allo spirito ragionativo del secolo;
posta sotto gli auspicii d'un sovrano illuminato che mira in tutto
al vero ed al solido,1 feconda d'ingegni sagaci, riflessivi, forniti di
tutti i presidii delle discipline e delle arti, ella ha troppe ragioni
alFautorita per aver bisogno di mendicarla dal sostener tenace-
mente le pretensioni mal fondate della sua antenata. Ella e degna
di far epoca, non di seguire i fasti d'un'altra: nudrita nella filoso-
fia, inconciliabile col despotismo d'ogni specie, ella non esige una
fede cieca, ma un ossequio ragionevole, ed e ben certa d'ottenerlo :
superiore alle ristrettezze d'un patriottismo maHnteso, abbraccia
col suo zelo Fonor nazionale e vagheggia una gloria piu nobile,
quella di primeggiare di comun consenso sopra uominl liberi.
i. Rigenerata . . . solido: il 7 luglio 1783 un decreto del granduca Pier Leo-
poldo di Lorena aveva soppresso TAccademia della Cmsca, rifondendola,
insieme con quella degli Apatisti, nell* Accademia Fiorentina.
420 MELCHIORRE CESAROTTI
Alia testa del Consiglio Italico potra ella esercitar un impero meno
assoluto, ma piu rispettato e durevole. Noi prendiamo la liberta
di esporre a lei stessa le nostre idee con quella nobil fiducia che
la onora ben piii di una bassa adulazione o d'un'insidiosa mode-
stia. Ecco dunque come ci sembra che possa meglio configurarsi
questo Consiglio, e in quai modi possa rendersi pienamente operoso
ed utile.
L'Accademia Fiorentina scelga con ponderato esame in tutte le
citta dj Italia, o almeno nelle principali, alcuni de' piu accreditati
negli studi della nostra letteratura e noti per le loro op ere, i quali
presiedano ciascheduno dal loro canto agli esercizi che saranno
dichiarati qui presso. Questi primi, scelti dalPAccademia, for-
mando vari Consigli provincial!, abbiano la facolta di sceglier
colla pluralita dei voti nelle citta stesse, o nelle finitime, un numero
opportuno di soci che possano cooperar con valore alle lor fatiche,
e di cui si rendano mallevadori all' Italia; e i loro nomi appro vati a
Firenze siano pubblicati a notizia comune di tutti gli altri. I
membri dell' Accademia Fiorentina, dedicati particolarmente a que-
sto ramo di erudizione, saranno chiamati direttori del Consiglio
Italico per la lingua: e questi avranno la sopraintendenza e Pin-
spezione generale delle operazioni dei vari corpi.
Saranno queste di vario genere, ed abbracceranno tutto cio che
puo appartenere alia lingua nostra considerata sotto i suoi moltiplici
rapporti: vale a dire, tutto cio che interessa 1'uso, il ragionamento,
la critica, Terudizione ed il gusto.
xvi. Giovera specificare tutte le accennate operazioni, ridu-
cendole ai capi seguenti.
1. Ricercar le origini italiane coll' esame e '1 confronto di tutte
le lingue le quali concorsero a formar la nostra, quali sono, oltre
la latina, e in parte la greca, Tantica gallica o celtica, la gotica,
la longobardica, la tedesca, la provenzale, la francese moderna, la
spagnola, Tarabica, giovandosi delle conoscenze e delle ricerche
di tanti insigni eruditi che illustrarono qual una e qual altra delle
dette lingue. Queste discussioni, oltre i lumi che spargerebbero
sulla storia della nazione e della favella, potrebbero specialmente
rischiarare la parte geografica della lingua, e in conseguenza la
storia fisica delle nostre diverse provincie.
2. Esaminar di proposito Petimologia delle voci: esame che puo
darci un tesoro di conoscenze preziose si per la storia delle idee,
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 42!
dei costumi, delle usanze, e si anche per giudicar con fondamento
del vero valor e e del pregio intrinseco dei vocaboli. Le regole criti-
che, proposte dal presidente de Brosse nelPinsigne opera Del
meccanismo delle lingue, possono guidarci felicemente in questo
laberinto, in cui tanti eruditi andarono a smarrirsi per mancanza
di buone scorte.
3. Far uno studio di tutti i dialetti nazionali, e tesserne dei par-
ticolari vocabolari,1 studio raccomandato a ragione dallo stesso
de Brosse2 e dal sensato Muratori:3 studio curioso insieme e ne-
cessario per posseder pienamente la lingua italiana, per conoscer
le vicende e trasformazioni dello stesso vocabolo, e sopra tutto
per paragonar tra loro i diversi termini della stessa idea e le varie
locuzioni analoghe, valutarne le differenze, rilevar i diversi modi
di percepire e sentire dei vari popoli, indi trarre opportunamente
partito da queste osservazioni e supplir talora con un dialetto
alle mancanze d'un altro.
4. Legger di nuovo con attenzione gli autori classici, tanto per
notar i termini che possono essere sfuggiti alia diligenza dei com-
pilatori, quanto per esaminar 1'uso da loro fatto di essi, e giudicarne
con buona critica ed esatta imparzialita.
5. Siniilrnente dividere tra i vari membri della societa la lettura
dell'opere degli altri celebri scrittori si toscani che italiani, negletti
dalla Crusca; notarne i vocaboli e le locuzioni particolari e gli esem-
pi che ne fanno risaltar il valore, insieme col nome dei loro autori.
6. Applicarsi a conoscer con precisione le vere ricchezze as-
solute e comparative, e i veri bisogni della lingua, onde non ecce-
dere nel ricercare il soverchio, ne lasciarsi mancare del necessario.
A tal oggetto il metodo phi esatto e piu filosofico parmi il seguente.
Facciasi uno spoglio del nostro vocabolario, classificandone tutti
i termini sotto le varie categoric di oggetti naturali, arti, scienze,
i . *Cosi fece nel dialetto padovano il fu ab. Gaspare Patriarch!, accademico
di Padova. Intendentissimo di tutte le finezze della lingua toscana, egli
voile facilitarne 1'uso ai suoi concittadini, e con tale oggetto compile un
vocabolario vernacolo mettendo a fronte d'ogni vocabolo e idiotismo pa
dovano 1'equivalente toscano tratto dai migliori autori, senza restringersi
ai soli citati dalla Crusca. II paragone non e sempre a svantaggio nostro (C.).
Gaspare Patriarchi (1709-1780) compile un Vocabolario veneziano e pa
dovano colle voci e locuzioni toscane corrispondenti, Parma 1775. 2. dallo
stesso de Brosse: cfr. Traite de la formation mechanique des langues ecc., ed.
cit., n, pp. 495-6. 3. dal sensato Muratori: nelle Antiquitates italicae Me-
dii Aevi, dissertazione xxxin (cfr. trad, cit., in, pp. 238-9).
422 MELCHIORRE CESAROTTI
usanze, professioni e operazioni d'ogni specie. Se ne formino di-
versi cataloghi, sotto i quali si pongano i diversi vocaboli estratti
dagli altri autori non classici. Questi cataloghi cosi accresciuti
si diano in mano ai professori delle varie facolta, come pure agli
artefici e ad altri uomini versati nelle respettive materie, e si do-
mandi loro se in essi si contengono tutti i termini relativi alia
data classe. Rispondendo di no, si esiga che segnino appie del
catalogo gli altri nomi di loro uso, siano quest! d'un qualche dia-
letto vernacolo o d'un'altra lingua. Tenuto lo stesso metodo nelle
principal! citta d'ltalia, si giungerebbe a conoscere esattamente
quel che ci manca, e si avrebbe il mezzo di supplirvi colla mag-
giore aggiustatezza possibile : poiche, paragonando fra loro i ter
mini de' vari dialetti italiani relativi all'oggetto stesso, si potrebbe
scegliere il piu chiaro, il piu comune, il meglio dedotto, il piu
espressivo, il piu conveniente; e questo, approvato dal Consi-
glio Italico, entrerebbe senza difficolta nel commercio general della
lingua, e ne accrescerebbe il patrimonio. In tal guisa si verrebbe
a conoscere con molto miglior fondamento la copia o la sterilita
dei dialetti nostri, e quindi la totale e vera ricchezza della lingua
nazionale: laddove stando al sistema presente, e ristringendola al
dialetto d'una sola provincia, anzi d'alquanti scrittori, ella dee
necessariamente comparire assai piu povera di quel che in fatti lo e.
7. Per assicurarsi della ricchezza relativa, si paragoni il voca-
bolario italiano cosi accresciuto coi vocabolari delPaltre lingue,
e siano questi i piu che si puo; e si notino con diligenza tutti i
termini che non hanno Tequivalente fra noi, o lo hanno soltanto con
una approssimazione imperfetta ed equivoca. Se i termini riguarda-
no oggetti reali della natura o delParte, rileveremo con precisione
di quali generi siamo piu scarsi o mancanti: se appartengono alle
nozioni ed ai sentimenti, potremo arguirne la varia tempera di
carattere dell'altre nazioni, osservar la diversita de' colori, esami-
nar se giovasse talora d'appropriarseli, e come cio potesse farsi
acconciamente e senza stranezza. Le ricerche e i tentativi per
supplire ai difetti nostri o per gareggiar colle ricchezze degli altri
popoli, potrebbero esercitar utilmente la sagacita dei vari membri
del Consiglio, e un cumulo d'osservazioni di questa specie pro-
durrebbe la metafisica del gusto, studio ben degno d'un filosofo,
e senza di cui lo scrivere non e che un istinto cieco o una pra-
tica materiale.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 423
8. Con questo apparato di conoscenze il Consiglio sarebbe in
caso di dedicarsi alia compilazione di due vocabolari, Funo d'am-
pia mole e di moltiplici ed important! ricerche per utilita delle
varie classi degli eruditi e ragionatori, 1'altro piu breve e fornito
solo del necessario, per uso giornaliero di chi vuole intendere e
maneggiar la lingua scritta. II primo dovrebbe essere un vocabo-
lario veramente e pienamente italiano, cioe contenente tutte le
voci e locuzioni di tutti i dialetti nazionali, vocabolario etimolo-
gico, storico, iilologico, critico, rettorico, comparative, atto a ser-
vir a tutti gli oggetti per cui puo studiarsi una lingua: un tal
dizionario sarebbe la fatica permanente, I'impresa per eccellenza
del Consiglio Italico, il risultato piu prezioso dei travagH comuni,
largamente compensate dalla pubblica utilita. Vorrebbe questo
esser disposto per ordine non alfabetico, ma radicale, il che non
solo gioverebbe a conoscer con facilita le diramazioni delle lin-
gue e dei dialetti, le mescolanze dei popoli, le prime ragioni dei
termini, le derivazioni o ragionevoli o capricciose dal senso primi-
tivo e le lor cagioni non owie : ma insieme anche potrebbe presentar
qualche anello opportuno alia catena general delle lingue, tessuta
sulle prime fila d'una lingua naturale,1 catena che va cercandosi
in questo secolo da vari eruditi di prima sfera, forse indarno per
Peffetto totale, ma certo nelle ricerche parziali con dotta e non
inutile sagacita.
9. II secondo vocabolario potrebbe ordinarsi, secondo il solito,
per alfabeto: ma il fondo attuale domanda d' esser migliorato in
piu guise.2 Vuolsi: i. aumentar notabilmente di vocaboli special-
i. catena . . . naturale: nuova allusione al problema della convergenza delle
lingue europee. Cfr. p. 396 e la nota relativa. 2. II voto per una nuova
compilazione del Vocabolario fu concepito ed espresso quasi nel medesi-
mo tempo da molti uomini di lettere, e specialmente da* due miei dotti e
ingegnosi amici sig. cav. Pindemonte e sig. ab. Arteaga. Sentiamo ora con.
vera compiacenza che 1'Accademia di Firenze abbia determinato di appa-
gare il desiderio del pubblico. Se questa notizia non mi fosse giunta un po1
tardi, e a cosa gia fatta, avrei risparmiata questa fatica. L'erudizione e 1
buon gusto di chi presiede a questa compilazione non lasciano dubitar del
successo ; ed io saro contentissimo che questa illustre accademia faccia sen-
tir col fatto che i miei awertimenti erano superflui. N.B. Questo progetto
quanto onorifico alia Toscana, altrettanto utile e vantaggioso al resto del-
T Italia, per diverse disgraziate circostanze sembra inevitabilmente svanito
(C.). II Cesarotti allude al piano di lavori presentato nel 1784 dal padre
Ildebrando Frediani, e in cui erano prese in considerazione anche le voci
tecniche.
424 MELCHIORRE CESAROTTI
mente relativi alle arti e alle scienze, e di molti altri opportuni
ed utili autorizzati dagli scrittori, o dalPuso di chi ne abbisogna,
e approvati dal Consiglio con esami e confront!, awertendo
sempre di dar a cosa pari la preferenza ai toscani, indi agli altri
italici, e di non ricorrere agli stranieri se non in caso di vero bi-
sogno, o di riconosciuta e sensibile poziorita. 2. Purgarlo dalle
bnitture e storpiature della plebaglia. 3. Bandirne gli arcaismi
strani, i latinismi pedanteschi e le voci disusate e inintelligibili,
conservando quelle che non hanno veruna colpa del lor disuso e
possono essere opportune e calzanti. Dei termini antiquati e
degPidiotismi oscuri e plebei, potrebbe farsi un piccolo glossario
a parte per rintelligenza degli autori antichi. 4. Notar nei vocaboli
non meno il senso accessorio che il principale. 5. Cercar con di-
ligenza il senso primitivo, sia generate, sia proprio, talora diverse
dalPapparente ; indi per ordine i successivi e dipendenti, indicando
gli appicchi per cui si attengono tanto al primo quanto fra loro.
6. Apporvi P ethnologic, non pero tutte, ma quelle soltanto che
derivano da fondo nostro, alludono a rapporti non obliati e pos
sono servir di lume nelTuso de' vocaboli. 7. Ai termini greci intro-
dotti nell'arti e accettati nel vocabolario, aggiungerei non la spie-
gazione soltanto, ma, quando si puo, anche la traduzione italiana:
il che potrebbe indur taluno ad usar il termine nostro in luogo del-
lo straniero, non senza vantaggio della lingua, ove cio potesse farsi
con ugual chiarezza ed agilita. 8. Mostrar coi vari esempi le varie
costruzioni ed applicazioni de' termini. 9. Nella scelta degli esempi
aver cura di non preferir sempre i piu antichi, ma quelli che sono
i piu atti a mostrar il buon effetto del termine: sendoche talora un
termine in un esempio non ha verun pregio, e spicca mirabilmente
in un altro. Che se non ve ne fosse alcuno di ben appropriate,
potrebbesi formarlo appostatamente. 10. Premettere al vocabolario
un trattatello delle terminazioni italiane e del lor valore e inten-
dimento di ciascheduna, onde possa tosto conoscersi se un voca-
bolo nuovo consuoni col genio della Hngua, ed occorrendo di for-
marne, si abbia una norma per dirigersi. Per lo stesso fine gio-
verebbe spiegar la forza delle preposizioni che si annettono ai
verbi.
10. Occupazione importante di questo Consiglio sarebbe pur
Pintraprendere una serie di traduzioni degli autori originali di
tutte le lingue: incominciando dall'esaminare le piu celebri tra
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 425
quelle ch'esistono, e segnatamente quella del Davanzati, che po-
trebbe sopra d'ogn'altra presentar molte osservazioni utilissime
alia perfezione del gusto. Qual debba esser Poggetto e lo spirito di
cosi fatte traduzioni, fu da noi accennato di sopra.
11. Venendo a mancare qualche autor celebre per opere di
amena letteratura o d'altre materie trattate con qualche pregio
d'eloquenza, il Consiglio fara Tanalisi delle suddette opere, e ne
dara coi metodi piu autorevoli modesto e imparziale giudizio ri-
spetto alia lingua e allo stile; notera la voci nuove e le locuzioni
a lui proprie, le quali, ove siano approvate a tenore dei principii
stabiliti dal comun consenso, saranno registrate in un nuovo cata-
logo e pubblicate insieme collo stesso giudizio.
12. Non si citeranno autori viventi, n6 si giudichera delle loro
opere, salvoche di quelli che cosi bramassero, e indirizzassero al
Consiglio il loro manoscritto o la stampa stessa per averne un giu
dizio privato o pubblico. Per tal mezzo gli scrittori sarebbero giu-
dicati all'mglese, vale a dire da' loro pari; potrebbero esser certi
della vera opinione del pubblico illuminato, di cui tanto si abusa
il nome; non avrebbero a temere ne Tadulazion ne 1'invidia: il
giudizio delParistocrazia italica imporrebbe silenzio alia maligna
temerita; e quindi essi potrebbero o illuminarsi daddovero su i
lor difetti, o goder di quella piena e tranquilla compiacenza che
un autore al presente non puo mai gustare con sicurezza, incerto
sempre tra le illusion! delPamor proprio, le punture dei rivali e le
grida degl'imperiti o malevoli.
Questi sono gli studi che possono far 1'occupazione permanente
e successiva degli amatori della nostra lingua, e dar loro un eser-
cizio corrispondente al genio, aH'attivita e ai vari talenti di ciasche-
duno. L'ordine e la distribuzione di questi esercizi, la scelta e la
sostituzione dei capi primari del Consiglio, i metodi delle giudi-
cature, le onorificenze letterarie, la facolta di proporre, Pultima
sanzione delPautorita; tutto cio dritto e che appartenga al Diret-
torio delTAccademia di Firenze.
II piano da noi proposto e certamente atto a nobilitar lo studio
della lingua e a purgarlo dalTantica taccia di laboriosa frivolezza;
e questa nuova magistratura puo lusingar Famor proprio di tutti
i membri ed accendere il loro zelo. Noi abbiam presentato quel
che da noi si poteva, delle idee e dei voti : saranno questi dispersi
al vento? L'impresa e grander ma che non puo il zelo, la riunione,
426 MELCHIORRE CESAROTTI
il concerto? L'ltalia abbonda d'ingegni attissimi a verificarla:
Firenze gli raccolga, ne formi un corpo, lo diriga, lo animi: il
volere fu sempre la cote del potere; si voglia dawero, e si potra.
AVVERTIMENTO DEGLI EDITORI1
A fine di far intendere e gustar meglio ai lettori il senso e le
allusioni di cio che contiensi negli scritti die stan per leggere,
troviarno necessario di premettere alcune notizie relative all' opera
precedente.
II Saggio sopra la lingua venne in luce la prima volta in Padova
nel 1785, e fu poi ristampato in Vicenza nel 1788 coll'aggiunta del
Ragionamento all' Arcadia?
L' opera piena di filosofia e di novita fece nel pubblico una sen-
sazione assai viva, e procaccio all'autore i piu giusti elogi. Bastera
qui riferire il giudizio del celebre ab. Andres,3 il quale nel tomo v
della sua Storia della letter atur a si spiega nei seguenti termini:
«L3Italia gode in questi giorni nel Saggio sulla lingua italiana del
Cesarotti d'un'opera grammatical, quale non 1'aveva veduta si-
nora, e per la quale solo la Francia potea fornirgliene pochi esem-
pi. Non entro a decidere dell'utilita del suo progetto, ne della ve-
rita di ciascuna sua proposizione ; ma le fine osservazioni, le ri-
flessioni profonde, le ingegnose e giuste viste, Pesattezza e la pre
cision delle idee, e la poliglottica e scientifica erudizione rendono
quel Saggio 1'opera d'una giusta metafisica e d'una sottile gram-
matica: e se invece d'abbondare in tanti esempi d'etimologia e
d'omonimie, che possono sembrar soverchi, avesse aggiunte le
necessarie investigazioni dello stile che tanto e legato colla lingua, e
che anzi in essa in gran parte comprendesi, avrebbe lasciato poco
da desiderare in questa materia ai grammatici ed ai filosofi».4
i. Questo Avvertimento, molto probabilmente steso dal Cesarotti stesso, e
comunque da lui approvato, fu stampato per la prima volta in appendice
all'edizione pisana del Saggio. 2. Ragionamento air Arcadia: e il Saggio
sulla filosofia del gusto. 3. L'abate Giovanni Andres (1740-1817), gesuita
spagnolo immigrate in Italia, pubblico a Parma tra il 1782 e il 1799 1'opera
Dell'ortgine, de' progressi e dello stato attuale d'ogni letteratura, in 7 volumi,
poi ristampata con aggiunte e correzioni. 4. Cfr. Andres, DelV origine ecc.,
Venezia, Antonelli, 1832, ill, pp. 550-1.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 427
Dovea pero awertire il dotto storico che Tetimologia nell'aspetto
in cui la riguarda 1' autore apparteneva direttamente al di lui sog-
getto: alFincontro le teorie dello stile non potevano averci luogo
che occasionalmente, non essendo questa unj opera di rettorica,
ma di filosofia grammaticale considerata ne' suoi rapporti colla
rettorica. Se pero egli non s'arresta di proposito sulle varie parti
dello stile, non puo dirsi che lo trascuri quando tratta della lingua
e delle parole, che sono gli elementi dello stile medesimo.
Sarebbe stato un prodigio troppo grande se un'opera che di-
chiara la guerra alle prevenzioni d'ogni specie fosse andata illesa da
ogni censura. Un certo ab. Garducci1 avendo nel 1786 pubblicata
in Vicenza una dissertazione sopra il quesito proposto dalFAcca-
demia di Mantova intorno i Caratteri del gusto italiano presente,
vi premise una prefazione, nella quale, senza nominar Tab. Ce-
sarotti, prese ad impugnar alcune proposizioni del di lui Saggio
male interpretate e mal esposte; e cio con un'aria di franchezza
trascurata e d'autorita superiore, che la sproporzione fra il cen-
sore e il censurato rendea per lo meno indecente. L'ab. Cesarotti
non crede di dover rispondere a quello scritto che col silenzio.
Ma un altro letterato, che non voile norninarsi,2 usci a sostener la
causa del nostro autore con un opuscolo ingegnoso e piccante,
pubblicato col titolo curioso di Ristampa d'un articolo del Giornal
d*Aletopoli. £ prezzo dell'opera il far conoscer il disegno e il tenore
di quest' opuscolo, si perche serve a giustificar le opinioni dell'ab.
Cesarotti, e si anche per la singolarita del tornio dato dall'autore
alia sua difesa. Egli si assume la persona d'un giornalista perfetta-
mente imparziale, e anche piu versato nelle materie scientifiche
che in quelle di letteratura. Accenna d'aver gia parlato in altro
foglio delle dissertazioni d'altri illustri letterati sul problema propo
sto dalPAccademia di Mantova: e percio trovando nella nuova dis
sertazione delPab. Garducci, uscita molto tempo dopo quelle del
i. ab. Garducci: pseudonimo delT abate vicentino Giambattista de Velo
(1752-1819), che fu di idee liberali in politica e puristiche in letteratura.
La dissertazione, a cui qui si allude, e Topuscolo Del carattere nazionale
del gusto italiano e di certo gusto dominante in letteratura straniera (Vi
cenza 1786), in cui il de Velo polemizzava con le note apposte dall'Ar-
teaga al trattato di Matteo Borsa, Del gusto presente in letteratura italiana,,
e con le idee del Saggio cesarottiano. 2. un altro letterato . . . nominar si:
autore dell' opuscolo era in realta un allievo ed amico del Cesarotti, 1' abate
Angelo Zendrini (1763-1849),
4^8 MELCHIORRE CESAROTTI
sig. Borsa e del cav. Pindemonte,1 ripetute in gran parte (pero con
ordine e stile affatto diverse) le idee dei due prelodati scrittori, si
astiene dal dar un ragguaglio esatto del discorso del Garducci,
bastandogli di render conto d'alcuni di lui pensamenti, e «di dar
un saggio della lingua e dello stile ch'ei crede opportuno di ado-
perare scrivendo un'opera diretta a far rivivere il buon gusto in
Italia »: protestando pero ch'ei non si arroga di darne giudizio,
« essendo » aggiunge « nostra costante opinione che 1'ufizio di gior-
nalista sia quello di semplice relatore, o al piii di opinatore privato,
non mai di giudice» (verita di cui piu d'un giornalista si scorda
assai volentieri). Premesso cio, prende ad esporre alcune opinioni
dell'ab. Garducci, e attenendo la sua parola di non darne verun
giudizio, trova un mo do originale di confutarle assai meglio che
se il facesse espressamente e direttamente. « Giacche » dic'egli «l'ab.
Garducci con molta awedutezza dedico il suo libro al sig. Bettinelli,
celebre dentro e fuori d' Italia per le sue riputatissime opere, colla
vista, come dee credersi, di rendergli un omaggio e di farlo giudice
arbitro della sua fatica . . . ; cosi giacche nelle opere del suddetto
sig. ab. Bettinelli, le quali sono un testimonio irrefragabile delle
sue opinioni, troviamo aver gia egli prevenuto il giudizio che sara
per dare di questo opuscolo, noi ci daremo il piacere di notarne
i luoghi, da cui potra raccogliere Tab. Garducci, se coll'ab. Bettinelli
abbia nel pensare niente di comune». Dopo cio prende a fare
un esatto parallelo fra le asserzioni del letterato vicentino e quelle
delTab. Bettinelli, estratte dalla collezione delle opere del mede-
simo stampata in Venezia nel 1780 coll'approvazione e con varie
aggiunte dell'autore, le quali asserzioni sono quasi direttamente
opposte a quelle del Garducci; alcune s'accordano affatto con
quelle del Cesarotti; anzi eccedono di molto le misure di quel-
Farditezza che da alcuni vien rimproverata a quest'ultimo. In
questa condotta del supposto giornalista, oltre la finezza manife-
sta, sembra di scorgerne un'altra meno osservata e maggiore.
Sembra che paresse strano alPautor di quest'opuscolo che Tab.
Bettinelli, dopo aver in varie opere, e segnatamente nelle sue ce-
lebri Lettere virgiliane ed inglesi, parlato della lingua e degli scrit-
i. Anche Ippolito Pindemonte aveva risposto al quesito dell'Accademia di
Mantova con una Dissertazione pubblicata nel 1783, e su cui cfr. la Nota
introduttiva alle pagine del Borsa nprodotte in questo volume.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 429
tori italiani con una liberta che da molti e molti fu riguardata
come un'audacia scandalosa; dopo aver costituito un parallelo
fra la letteratura d'ltalia e Poltramontana, che non era sempre a
vantaggio nostro; scordandosi di tutto questo,1 e quel ch'e piu
della guerra acerba che gli suscito in Venezia questa arditezza,
guerra che gli trasse addosso una tempesta di scritti mordaci e
satirici;2 abbia ora sofferto di comparir il mecenate e il padrino
d'un libro diretto a pungere Tab. Cesarotti, che nel suo Saggio
uso ne' suoi giudizi particolari una piu severa ritenutezza, ed ebbe
cura di astenersi da ogni confronto; quell' ab. Cesarotti ch'egli do-
vea piuttosto riguardar come suo collega e fratello di riputazione
e di merito, e il di cui nome egli non puo ignorare che passera
unito al suo alia memoria dei posteri. Questa sconvenienza e cio
che Pautor dell'opuscolo voile far sentire delicatamente senza
spiegarsi.
Passa poi lo stesso ad esaminar quei luoghi nella prefazione del
Garducci, coi quali intende di combattere le opinioni dell'ab. Ce
sarotti, e a confutar 1'oppositore si vale d'un modo assai particolare,
ch'e quello di giustificarlo. «Non dobbiamo dissimulare» die' egli
«che piu d'uno voile darci ad intendere che questa prima parte
fosse diretta a confutar il libro dell'ab. Cesarotti uscito poco fa
alia luce, che ha per titolo Saggio sulla lingua italiana. Da cio
noi rileviamo con dispiacere che il sig. ab. Garducci ha vari nemici
impegnati a renderlo odioso e ridicolo. Siccome noi crediamo
che uno dei doveri principal! d'un giornalista sia quello d'esser
ingenuo ed onesto, cosi ci troviamo in dovere di dichiarar al
pubblico che questa e una solenne calunnia; che Tab. Garducci e
innocentissimo di questa colpa, e che tanto e lungi ch'egli abbia
inteso di confutar 1'opera dell'ab. Cesarotti, che anzi non 1'ha
nemmen letta. Di fatto chi potra mai darsi a credere che un
onest'uomo imprenda a confutar le proposizioni d'un autore
dando loro il senso che a lui piu piace, prendendole staccate,
mutilandole, e che dia poi come propri ritrovati le cose gia dette,
trattate in un modo superiore dalPautore stesso ch'egli pretende
i . scordandosi . . . questo : sui caratteri e sui limiti del nuovo orientamento
(che comincia verso il 1780) del Bettinelli verso un purismo nazionalistico
cfr. pure la Nota introduttiva al Borsa. 2. guerra . . . satirici: allude agH
scritti polemici, contro le Lettere virgiliane, di Gasparo Gozzi, del Gen-
nari, del Paradisi e delTAlgarotti.
430 MELCHIORRE CESAROTTI
d'impugnare? Eppure cio avrebbe fatto appunto Tab. Garducci,
se avesse scritta questa prima parte colla mira che gli viene appo-
sta . . . Quanto egli sia lontano da questa imputazione noi ci fare-
mo un vero placer di mostrarlo confrontando le parole del sud-
detto coi luoghi dell'ab. Cesarotti a cui vuolsi che pure alluda . . . ».
Quindi confrontando le parole citate dal Garducci con quelle del
testo, mostra ad evidenza che 1'oppositore omettendo1 qualche
termine essenziale venne ad alterare il sentirnento per impugnarlo,
e che park in modo come se Tab. Cesarotti favorisse colle sue
massime una licenza sfrenata, e avesse ignorato o trascurato quel
le salutari awertenze sulle quali appunto egli si diffonde di propo-
sito, e che appunto rendono la di lui « opera originale, filosofica,
istruttiva sopra quante ne uscirono su tali argomenti in Italia ».
Mostra in fine il giornalista di temere che nemmeno la lingua
e lo stile dell'ab. Garducci possano trovar molta grazia presso
Tab. Bettinelli, come puo arguirsi da vari luoghi delle opere di
questo egregio scrittore; sembrando che tutto il libro del cri-
tico sia dettato in quello stile che Tab. Bettinelli dichiara il piu di-
rettamente contrario al gusto italiano. Ma non potendo esso gior
nalista, che si professa non molto esperto in questo ramo di studi,
indursi a credere che un uomo ch'esce gratuitamente in campo a
far il paladino della lingua e il riformatore del gusto italiano, ne
ignori i principali elementi e voglia comparir al pubblico coperto
di tutti quei vizi che condanna cosi altamente negli altri, vuole
piuttosto persuadersi che tutte le singolarita di stile che s'incontra-
no nella di lui opera siano di quei tratti originali che distinguono i
geni privilegiati, e debbano percio riporsi tra i gioielli piu preziosi
del vero gusto. In conseguenza egli crede di far cosa utile alia
studiosa gioventu presentandone a parte un breve catalogo che
merita d'esser letto in fonte, e accompagnando ciascheduna di
quelle veramente singolarissime locuzioni con qualche riflessione
ironica che ricorda la maniera di Voltaire o di Swift.
Non dobbiamo omettere che Tab. Garducci comparve poscia
al pubblico col nome dell'ab. Velo, e ristampo a parte la sua
prefazione ridotta a ragionamento,2 omettendo alcuni passi che
aveano dato luogo, dic'egli, a « false ed ingiuste applicazioni».
i. omettendo: cosi mi sembra da correggere (con POrtolani) « mettendo »
dell'edizione pisana. 2. Nell'opuscolo Sulla preminenza di alcune lingue
e suWautoritd degli scrittori approvati e del grammatici, Vicenza 1789.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 43!
Confessa egli d'aver tratte le proposizioni ch'egli impugna dal-
1'opera dell'ab. Cesarotti, ma si duole altamente che siasi potato
supporre che colle sue invettive contro gli scrittori intemperanti
egli possa aver preso di mira Tab. Cesarotti, al quale protesta esti-
mazione e rispetto; benche la niuna cura ch'egli si prese nella pre-
fazione d'allontanar 1'idea contraria, sembri rendere scusabile il
giornalista; oltreche il rappresentar alcuno come apologista e mae
stro delPintemperanza di stile e un farlo anche reo dell'intempe-
ranza degli altri. La liberta d'opinare e di contradire in letteratura
e concessa a tutti, ma v'e un'arte di conciliarla col rispetto e
colla politezza, e questa forma una teoria importante dello stile
e della societa, ne sembra che Tab. Velo la possedesse abbastanza.
Usci poi al pubblico nel 1791 in Torino 1'opera in due volumi
del conte Gian- Francesco Galeani Napione Dei pregi della lingua
italiana. Benche le opinioni di questo dotto scrittore convengano
esattamente in vari punti essenziali con quelle dell'ab. Cesarotti,
pur egli mostro di non awedersene, ne si euro di farne menzione:
bensi si arresto di proposito in un capo intero del suo libro1 a
confutar un periodo del Saggio sulla lingua, contenente alcune
proposizioni preliminari, senza por mente alle tante spiegazioni
delle medesime che ne rischiarano il senso. Vari altri cenni di
censura, anzi di rimprovero, sono sparsi nel decorso dell1 opera,
ma separatamente nella lettera del conte Napione che si trova
nel secondo volume, diretta alPab. Bettinelli, il quale gli avea
spedito il libro dell'ab. Garducci-Velo a lui dedicate. II critico
torinese fa molti applausi al zelo e al valore del critico vicentino,
ed approva e convalida le opposizioni fatte al Saggio del Cesarotti.
Due sono i capi d'accusa che il conte Napione crede di poter fare
all'autore: i. di favorir il libertinaggio della lingua; 2. di esser
partigiano appassionato del francesismo. L'ab. Cesarotti, rispet-
tando il nome e il carattere del conte Napione, non avrebbe tar-
dato a dargli risposta, se la di lui opera non gli fosse giunta alle
mani solo tre anni poich'ella usci. Ora che il suo Saggio si ripro-
duce da noi alia testa delle di lui opere, colse Foccasione di ri-
sponder al nuovo censore con una lettera che sara un ornamento
singolare di questa ristampa. In essa pero egli non fa che difen-
dersi dalle due imputazioni sovraccennate, senza curarsi di soste-
i. in un capo . . . libro: e il § i del cap. n del lib. n delT opera Dell'uso e dei
pregi della lingua italiana, riprodotto anche nel presente volume.
MELCHIORRE CESAROTTI
ner le sue asserzioni particolari; pretendendo d'averle gia espo-
ste e specificate per modo che un uomo illuminate, qual era il
conte Napione, non potesse prendervi abbaglio. Voile percio che
il Saggio fosse ristampato appunto come stava, senza cangiarvi
ne aggiungervi una parola. Ma per accertar pienamente il senso
delle sue espressioni e prevenir Fimpressione che potrebbero fare
su i piu deboli le sinistre interpretazioni, risolse di unire al Saggio
due Rischiar amenti^ coi quali, conversando coj suoi lettori e illu-
strando vari luoghi del testo, mostra Finsussistenza delle opposi-
zioni dei critici e le ribatte con forza e vivacita.
Dopo questa esposizione non ci resta che a por qui sotto i
luoghi principal! dell' opera del conte Napione, ai quali Tab. Ce-
sarotti ora allude ed ora risponde, tanto nei Rischiaramenti che
nella Lettera.
Nap[ione], t. i, lib. 2, p. 130. «Ma siccome v'ha chi teme che le
nuove filosofiche dottrine di questo valoroso poeta non siano per re-
care egual giovamento e lustro alia prosa italiana, come nuovi spiriti
e vigore infuse nella poesia la famosa sua traduzione di Os-
sian . . * »J
p. 131. «Tali sono i dogmi di generate tollerantismo nelle
cose di lingua professati dalTab. Cesarotti; tollerantismo che v'ha
chi crede non possa riuscir meno fatale alle lettere ed al carattere
nazionale di quello che a' buoni costumi il tollerantismo religioso;
e che nel resto nulla possa produrre di buono, ma soltanto in-
trodurre e spargere ogni volta piu, sotto il pretesto di vantare una
maniera di pensare spregiudicata, la disistima della lingua propria
ch'e Timpronta piu viva e piu palpabile del carattere nazionale,
ed una fredda e filosofica indifTerenza per tutte.»
ivi. « Che se egli pretende che questi pregi debbano esser vinti
da altri, e queste bellezze particolari n'escludano altre non men
lodevoli, diremo noi non sapere come possa aver egli fatto, quasi
colla bilancia alia mano, esattamente questo confronto di tutti
gridiomi, e come dimostrar possa di averli trovati, ragguagliata
ogni cosa, tutti appuntino dello stesso e medesimo peso. »
p. 134. aE non dovra egli temere che da certi antichi rigidi
italiani non si voglia rawisare questa sua soverchia condiscen-
denza (rapporto alTarmonia delle lingue) come nata dal pregiudi-
i. Questa e le seguenti citazioni sono tratte dall'edizione 1791 del trattato.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 433
zio pur troppo comune di affettar i costumi e di adular le nazioni
straniere; e non come proveniente da quella gentilezza e cortesia
connaturale alle anime generose, e percio propria del sig. abate,
di voler piuttosto cedere di quello che ci appartiene che usurpar
Paltrui ? »
p. 135, annot. «Non pochi italiani resteranno meravigliati dal
mostrar che fa Tab. Cesarotti di riguardar come inseparabili in
Italia il genio filosofico, la coltura delle scienze ed il francesi-
smo . . . Non concede egli che Firenze merita d'esser chiamata per
doppio titolo PAtene d'ltalia? ... I nostri politici, i nostri filosofi,
i nostri uomini grandi non seppero scrivere senza Paiuto di libri
francesi ? »
T. II, p. 86. « Ma i Toscani pur troppo non sono i soli in Italia
che, scosso ed infranto il pesante giogo della Crusca, aspirino
ad una liberta che degenera in Kcenza. A che mai tanto si vanta
e replicatamente dal celebre ab. Cesarotti in un libro diretto per
perfezionare la lingua italiana, la lingua e la filosofia, il genio e la
galanteria francese? Non si vuol essere, e vero, piagnone della
Crusca estinta, ma nemmeno frivolo damerino francese in Italia. »
ivi. « I gallicism! sfuggiti dalla penna dei nostri buoni antichi del
Trecento non danno diritto ad introdurne di nuovi per solo vezzo,
a levar via ogni freno salutare e a render barbara affatto la lingua. »
p. 87. «Tanto non mi diffonderei se dal modo in cui e detta-
to quel per altro ingegnoso ed in molte parti eziandio giudizio-
so libro dell'ab. Cesarotti, non mi sembrasse di poter argomentare
che dalPabbagliante liscio oltramontano alcun poco siasi lasciato
sedurre quel nostro valoroso poeta; e se gia stato non vi fosse
chi awerti aver egli alquanto abusato della massima sua, e cio
non solo in prosa, ma eziandio nella stessa famosa traduzione di
Ossian ...»
Risposta airdb. Bettinelli, p. 291. «Io non le so dire con quanta
compiacenza abbia letto questo ragionamento del sig. ab. Velo . . .
Piacquemi pur assai che da coteste provincie sia uscito il pro-
pugnatore delle prerogative di nostra lingua e della veneranda
autorita dei nostri antichi scrittori. Che non pochi scrittori, che
il volgo letterario d'ltalia scrivano ne da Italiani ne italiana-
mente, e male antico pur troppo: ma che un letterato di grido
prenda sistematicamente a giustificarli e danno grandissimo in
vero e nuovo; ed ognuno affrettar si dee a correre al riparo, a
28
434 MELCHIORRE CESAROTTI
prowedere alia salvezza della repubblica letteraria periclitante,
tanto piu che gia si scorge che fanno progresso queste nuove
dottrine. »
p. 307. «Ad ogni modo chi considerera questo sistema del Be-
celli (il quale volea che il Trecento fosse il secol d'oro della lingua)
non sapra darsi pace che nella contrada medesima e nello stesso
secolo un altro letterato di grido, quale si e Tab. Cesarotti, pretenda
essersi tenuta la lingua sinora in fasce, onde abbisogni, spez-
zati i lacci della Crusca e d'ogni autorita d'antichi scrittori, d'invigo-
rirsi, prender energia e spiegar le ali a piu animosi voli, mediante
lo studio delle lingue oltramontane e della oltramontana filosofia;
pregiudicio nazionale e vanita pedantesca chiamando la pretesa
sua superioritiL »
ivi. «Molti italiani a' giorni nostri, tacciando di fanatici pane-
giristi e di adulatori della propria nazione quelli che lodano le
cose italiane, le vilipendono ingiustamente per acquistarsi ripu-
tazione presso gli stranieri, secondo le massime del moderno
egoismo, a costo della riputazione della patria stessa. »
Se ne omettono parecchi altri, perche vengono citati co' propri
termini nei Rischiaramenti.
RISCHIARAMENTI APOLOGETICI1
I
SOPRA ALCUNE TEORIE PRELIMINARI
lo aveva detto nella nota a2" (parte i) che « per chi puo intendere
spero di dir quanto basta»: ma veggo che il numero di quei che
intendono e alquanto rninore di quel ch'io credeva, e che inoltre
c'e piu d'uno che non vuole intendere. Dir6 qualche cosa di piu
per chi vuole intendere sinceramente, ma si lascia sopraffare
da chi non puo e parla come se potesse, e da chi mostra di volere
e non vuole.
i. «Niuna lingua originariamente non e ne elegante ne bar-
bara» (Saggio, P. i, [art. i], § i). Non elegante perche tutte son
barbare nella barbaric natural della societa; non barbara perche
i. Ricordiamo che anche questi Rischiaramenti compaiono nell'edizione pi-
sana del Saggio. 2. nota a: e la nota i a p. 307.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 435
questo termine non ha luogo ove non e il contrapposto delTele-
ganza. Fu detto che «in alcune possono sin da principle rawi-
sarsi i segni della futura grandezza»: cio si riferisce alle due lin-
gue classiche : ma ho pena a credere che la lingua di Romolo pre-
sagisse quella d'Augusto; o che quando i Greci, al dir di Tucidide,
vivevano come i bruti, pascendosi di radici d'alberi, ululassero i lo-
ro amori colla musica d'Anacreonte.
2. « Niuna non e pienamente e assolutamente superiore ad un'al-
tra. » lo supponeva che questi due awerbi specificassero abbastanza
il mio sentimento. Si voile supporre ch'io negassi qualunque su-
periorita all'una sull'altra lingua, e siccome in piu d'un luogo io
mi spiego diversamente, cosi si conchiude ch'io cado in contra-
dizione manifesta. Io avrei creduto che in forza di buona logica
e di buon senso si dovesse piuttosto conchiudere cio ch'era ma
nifesto, ch'io riconosco bensi in tutte qualche vantaggio reci-
proco, ma niego ad ognuna di esse la superiorita assoluta, vale a
dir totale, esclusiva, incommensurabile in ogni parte ed in ogni
grado. Basterebbe a farmi ragione Tesempio stesso, recato dai
critici, della lingua greca e latina. La greca, dicesi, e la piu dolce,
la latina la piu maestosa delle lingue. Dunque, rispondo, la greca
e meno maestosa, e la latina men dolce. «La lingua francese»
dice mal suo grado il con. Napione « e pregevole sopra ogn'altra
per le opere di stile leggiadro, disinvolto e di buona societa».
Dunque 1'italiana cede alia francese per questo capo. « Ma la no-
stra» soggiunge «ha tanti pregi che compensano largamente que
sto difetto)).1 Dunque le lingue si cedono e si vincono recipro-
camente; dunque vi sono per tutte i suoi compensi: e questi
compensi possono essere o in una qualita eminente o in un maggior
numero di qualita o in una certa proporzione che formi un tutto
aggiustato ed armonico. Ma i compensi in tutte non sono uguali.
E quando ho io detto che lo siano? E se pur io 1'avessi detto,
non sarebbe un'indiscrezione assurda 1'esigere ch'io mostrassi ri-
gorosamente esserci in questi compensi una parita geometrica?
Non basta ch'ella vi si trovi a un di presso? specialmente negli
effetti che ne risultano, da cui soli il senso universale misura i
pregi e la perfezion delle lingue? Ed e poi facil cosa il bilanciare
i. Cfr. DelVuso e dei pregi della lingua italiana, lib. 11, cap. n, § 7 e 8 (ed
cat., i, pp. 170 e 178).
436 MELCHIORRE CESAROTTI
esattamente cotesta superiorita dei compensi? L'amor proprio,
la prevenzione, Tabitudine non avranno un' influenza insensi-
bile nei nostri giudizi? II celebre ab. Denina mostra d'averne
qualche dubbio. «Le comparazioni » dic'egli «sono per Pordi-
nario difettose, e quella delle lingue non puo essere die parziale»/
In conseguenza di questo dubbio lo stesso letterato, dopo molti
esami su varie lingue, conchiude che « sarebbe difficile a giudicare
quale tra le cinque o sei lingue che si scrivono o si parlano oggi
in Europa abbia una superiorita assoluta e intrinseca in paragone
deH'altre».2 I miei awersari sono piu decisivi e sicuri. lo non mi
pento della mia ritenutezza, e credo di poter confermare che «le
differenze tra queste lingue rivali non sono molto sensibili nel loro
effetto»: ne mi rimovero da questa opinione se non mi si dimostra
nelle forme che la diversita della lingua rende in tutto altamente
e sensibilmente superiori
Demostene a Bossuet e Rousseau;
Cicerone a Massillon,3 Segneri;
Polibio a Machiavello e al card, di Retz;4
Tucidide a Bentivoglio, Robertson e Gibbon;5
Guicciardini a Hume;6
Quinto Curzio a Gaillard;7
Senofonte a Fenelon;
Luciano a Voltaire e Swift;
Platone a Shaftesbury e Speroni;8
Teofrasto a La Bruyere;
i. Cfr. Sur le caractere des langues et particulierement des modernes, nei
«Nouveaux m6moires de F Academic royale des Sciences et Belles-lettres »,
Berlin 1785, p. 483. 2. Cfr. Sur le caractere ecc., cit., p. 508. 3. Jean-
Baptiste Massillon (1663-1742), celebre oratore religioso francese. 4. II
card, di Retz (cfr. la nota a p. 345) e qui citato per le osservazioni politiche
contenute nei suoi Memoir es. 5 . Guido Bentivoglio ( 1 579- 1 644) e ricordato
per la 'Storia della guerra di Fiandra\ William Robertson (1721-1793) e
Edward Gibbon (1737-1794) sono fra i piu tipici rappresentanti della sto-
riografia iUuministica inglese ed europea. 6. Anche lo Hume e qui citato
per la sua attivita storiografica e soprattutto per la sua History of Great
Britain (1754-1761). 7. Gabriel-Henri Gaillard (1726-1806), storiografo
francese : forse qui il Cesarotti pensa soprattutto alia sua Histoire de Char
lemagne, 1* opera che si puo piu facilmente opporre alia Storia di Alessandro
Magno di Curzio Rufo. 8. Assai note vole la menzione di un filosofo come
lo Shaftesbury di fronte a Platone ; mentre piuttosto strano figura il nome
delTanstotelico padovano Sperone Speroni (1500-1588), ricordato forse
per carita patria.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 437
Seneca a Montaigne, Charron, Nicole1 e La Rochefoucault;
Terenzio a Moliere e Goldoni;
Fedro a La Fontaine;
Achille Tazio a Richardson, Wieland e Fielding;2
Petronio a Crebillon e Marmontel;3
Plinio a Buffon, Bonnet e Bailly;4
Omero e Virgilio a Tasso, Milton, Klopstock e Ossian;
Esiodo a Thompson e Saint Lambert;5
Orazio moralista a Pope ed Haller;6
Teocrito a Gessner;
Ovidio alTAriosto e a Fontenelle;7
Anacreonte e Tirteo a Gleim;8
Eschilo, Sofocle, Euripide a Cornelio, Racine, Voltaire, Alfie-
ri; ecc. ecc.
Attendero la dimostrazione senza fretta, e intanto godro 1'usura
del mio pregiudizio.
3. «Tutte si prestano ad un'armonia imitativa.» Mi si domanda
«con qual fondamento io asserisca che gli altri linguaggi siano
capaci d'armonia imitativa al paro del nostro».9 Domando io al-
i. II trattato di Pierre Charron (1541-1603), De la sagesse, era stato uno del
libri piu cari al Cesarotti giovane (vedi la Nota introduttiva) ; Pierre Ni
cole (1628-1695), armco e collaborator di Pascal, sara qui citato per i suoi
Essais de morale. 2. Achille Tazio (V secolo d. C.) e autore della Storia di
Leucippe e Clitqfonte. A lui sono opposti tre fra i piu famosi romanzieri del
Settecento: gli inglesi Samuel Richardson (1689-1761), autore di Pamela, di
Clarissa e della History of Sir Charles Grandisony e Henry Fielding (1707-
1754), autore fra 1'altro di Tom Jones e di Amelia-, e il tedesco Martin Wie
land (1733-1813), i cui piu famosi romanzi sono Musarion, Don Sylvio von
Rosalva e Die Abderiten. 3. Claude Prosper de Crebillon (1707-1777), figlio
del tragediografo, scrisse dei Conies dialogues di gusto esotico e licenzioso ;
il Marmontel, scrittore caro al Cesarotti anche per i suoi scritti di esteti-
ca, e qui ricordato per i Contes moraux, assai letti anche in Italia, e per i
romanzi Belisaire e Les Incas. 4. Charles Bonnet (1720-1793), natura-
lista e psicologo svizzero; Jean Sylvain Bailly (1720-1793), francese, astro-
nomo e storico deirastronomia. 5. James Thomson (1700-1748) e ricordato
per il poema didascalico The Seasons; Jean-Fran?ois de Saint Lambert
(1716-1803), che fu anche collaboratore dell1 * Encyclopedic, per il poema, di
argomento analogo, Les saisons. 6. Albert von Haller (1708-1777), autore
del poemetto Die Alpen, dove esalta i semplici e sani costumi dei montanari
svizzeri, contrapponendoli a quelli corrotti della citta. 7. Fontenelle sara
qui ricordato soprattutto per i suoi Dialogues des morts. 8. Johann Lud-
wig Gleim (1719-1803) e contrapposto ad Anacreonte per gH Scherzhafte
Lieder e a Tirteo per i Preussische Kriegslieder, che esaltano Federico il
Grande. 9. Cfr. CJaleani Napione, Dell'uso e dei pregi della lingua italiana,
lib. n, cap. n, § i, ed. cit., i, p. 134.
438 MELCHIORRE CESAROTTI
rincontro con qual titolo siasi aggiunta alle mie parole quella
picciola coda «al paro del nostro», in cui sta il veleno. lo dissi
unlcamente « armonia imitativa», e questa pub trovarsi in una lingua
benche meno armonica della nostra; basta che lo sia tanto quanto
il comporta la sua struttura e il rapporto tra gli oggetti e i suoni
della detta lingua. II Pope asserisce francamente che niuna lingua
dopo la greca ha un'armonia tanto imitativa quanto 1'inglese.
Niun di noi e obbligato a credergli; ma e certo che i critici d'ogni
nazione riconoscono nei lor poeti e prosatori piu celebri i diversi
gradi di questo merito. Non e pero cosa ne tanto agevole ne molto
sicura 1'assumersi di giudicare dell'armonia d'una lingua stra-
niera. V'e un'arte di ben pronunziare e un'altra di ben intendere,
e dopo esser ben certo che 1'espression vocale del parlante e la piu
esatta, distinta e piacevole, converrebbe esserlo altrettanto che
Porecchio delTascoltante e con essa nella miglior proporzione, e
atto a risponder prontamente e senza sforzo alia varieta dei colpi
vocali. Men sicuri sono i giudizi a priori fondati sopra argomenti
esterni. Quello del clima a cagion d'esempio e alquanto men solido
di quel che puo sembrar a prima vista. Si crede comunemente
che le lingue de' paesi freddi debbano esser piu aspre: pure la
svedese, per attestato dell'ab. Denina, e piu dolce della tedesca,
e lo e di piu nella parte settentrionale che nelle altre. La polacca,
aggiunge il medesimo, e piacevolissima ad udirsi, e la russa si
accosta piu d'ogn'altra alia soavita della greca:1 pure la Svezia, la
Polonia e la Russia sono i paesi piu freddi d'Europa. Che piu?
fino le lingue del popoli piu barbari non sono disarmoniche
quant' altri pensa. Quella degH Uroni,2 se crediamo al baron La
Hontanc,3 si distingue per la bellezza del suono. Ma lasciando stare
gPidiomi selvaggi, fra le nostre lingue sorelle dal lato di madre,
la spagnuola nella maestosa sonorita de' suoi vocaboli non avrebbe
anch'essa un titolo per aspirare alia preminenza? lo pero, guar-
dando al tutto, credo assai volentieri che la superiorita dell' armo
nia sia il pregio piu incontrastabile della nostra, almeno sopra le
altre moderne: ma tanto e tanto convien confessare che un tal pre
gio ha molto del relativo, che la sensazione e in parte modificata
i. Cfr. Denina, Sur le caractere ecc., cit., p. 509. 2. Uroni: popolazioni
indigene dell' America settentrionale. 3. Allude al Nouveau voyage du ba
ron de La Hontan dans VAmerique Septentrionale, L'Aia 1702, e Amster
dam 1705.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 439
dalPabitudine, e che anche con qualche inferiorita per questo capo
una lingua puo nel suo complesso non ceder punto ad un'altra.
Se alcuno da queste parole volesse arguire ch'io sono poco sen-
sibile alle squisitezze della bella armonia imitativa, spero che 1' Ita
lia mi permettera di sorridere.
4. «Tutte hanno difetti che danno luogo a qualche bellezza,
bellezze che n'escludono altre non men pregevoli. » Questa as-
serzione sembro tanto vera airAccademia di Berlino, la quale
filosofo molto sopra le lingue, che un celebre accademico1 ne
trasse un problema che gli parve non facile a sciogliersL Giova
citar le sue parole. «Tale essendo» dic'egli «la debolezza umana
che le perfezioni non si acquistano se non se a spese Tuna delPal-
tra, io proporrei di trovare per una data lingua la combinazione
di qualita la piu felice, e da cui nel complesso risultasse la maggior
perfezione che la natura d'una tal lingua permettesse di ottenere.
Dovrebbe per esempio determinarsi come la sua regolarita si
concili colla ricchezza, fino a quando convenga di sacrificar Tuna
alTaltra, e in quali proporzioni esse debbano bilanciarsi: lo stesso
dicasi della forza, delT armonia, dell' altre sue qualita. Le lingue
morte e le vive sarebbero altrettanti fenomeni che dovrebbero ana-
lizzarsi e paragonarsi fra loro». I miei critici mostrano d'aver gia
sciolto il problema senza gran difficolta, ma oso dubitare se scri-
vendo per il concorso avessero riportato il premio.
5. aSicche cotesta gara di lingue, coteste infatuazioni per le
nostrali o per le antiche o per le straniere, sono pure vanita pe-
dantesche: la filosofia paragona e profitta, il pregiudizio esclude
e vilipende. » Qual e il senso naturale di questo periodo ? i. Che 1'au-
tore non ha nessuna prevenzione eccessiva ne per le lingue antiche
ne per le moderne, ne per le straniere ne per la propria. 2. Ch'egli
non condanna le preferenze, poiche loda i paragon! su cui si fondano
le preferenze medesime. 3. Che le parole «gare» e <c infatuazioni))
devono intendersi in senso composite, e non diviso\ e che in fine
egli non vitupera qualunque gara, ma le gare ostinate, le riscaldate,
le esclusive, le orgogliose, le cieche, quelie che produssero le
i. un celebre accademico: non so a chi il Cesarotti voglia qui alludere.
Forse al Merian, direttore della classe di belle lettere dell'Accademia
di Berlino, e amico e corrispondente del Cesarotti stesso, e su. cui cfr. la
nota 2 a p. 466. II concetto esposto nella citazione e pero gia accennato
sommariamente dal Condillac, ndREssai sur I9 origins des connaissances hu~
maims, u, i, xv, in Oeuvres philosophiques, ed. cit., i, p. 102.
440 MELCHIORRE CESAROTTI
estasi fanatiche del Dacier1 per tutti gli antichi, la nausea di
tanti grecisti per tutto cio che non era greco, i vilipend! dei latini-
sti alia lingua italiana, il purismo persecutore degPInfarinati,2
i panegirici ridicolamente trasmodati della lingua francese e gl'im-
properi detri alia nostra dal p. Bouhours,3 le ingiustizie fatte alia
stessa dal Condillac,4 e le impertinenze d'alcuni nostri folliculari5
e faccendieri di letteratura dette in onor della nostra lingua contro
la francese e contro i piii celebri scrittori di Francia. Queste sono
le gare che meritano il nome d'infatuazioni, e alle quali confermo
il titolo di vanita pedantesche. Chi avrebbe creduto che un dotto
critico, che uno scrittor valoroso, un sig. co. Napione dovesse pren-
der tanto scandalo di tutto il presente paragrafo, e segnatamente
di quest'ultimo sentimento sino ad accusarmi d'un « tollerantismo
che mena alia disistima della nostra lingua » (il che equivale secondo
lui al rinnegamento della patria), «a una fredda indifferenza per
tutte», e che infine «puo riuscir non meno fatale alle lettere ed al
carattere nazionale di quello che ai buoni costumi il tollerantismo
religioso?» lo credeva («Vedi il giudizio uman come spesso er-
i. Sui coniugi Dacier cfr. la nota a p. 71. 2. Infarinati: col nome che ave-
va nella Crusca il Salviati designa, come altre volte, i puristi fanatici. 3. II
gesuita cartesiano Dominique Bouhours (1628-1702), iniziatore, con la Ma-
mere de bien penser sur les ouvrages de V esprit, della famosa polemica che
prende nome da lui e dall'Orsi. Ma qui il Cesarotti allude al secondo degli
Entretiens d'Ariste et d'Eugene, intitolato De la langue francaise, e che con-
tiene una serie di critiche alia lingua italiana, alle quali rispose il Muratori
nella Perfetta poesia italiana, lib. in, cap. ix, Modena, Soliani, 1706, n,
pp. 127-45. 4' ingiustizie . . . Condillac: allude a un passo del Cours dye-
tudes, vi, xx, I (cfr. Oeuvres philosophiqu.es, ed. cit., II, 1948, p. 175), che
riporto integralmente poiche spesso ricordato nelle polemiche settecente-
sche sulla lingua italiana: «Je crains que la confiance d'ecrire si bien en
latin dans le seizieme siecle, n'ait nui a la langue italienne qui se cultivoit
alors, et que 1'usage ou etoient les latinistes d'ecrire sans trop choisir les
tours, n'ait accoutume les Italiens a n'etre pas assez difficiles. Quoique la
beaute du style exige, pour employer toujours le terme propre, qu'on
demele jusqu'aux nuances qui distinguent deux mots; il paroit qu'a cet
egard ils ne sont pas fort scrupuleux, et que leurs meilleurs ecrivains ne sont
pas a 1'abri de tout reproche. On peut encore remarquer que s'etant ac-
coutumes dans les commencemens a imiter les tours de la langue latine,
ils n'ont plus su ecrire qu'en imitant cette langue ou quelque autre, et c'est
le francais qu'ils imitent aujourd'hui. Aussi leur langue est elle tres-pro-
pre a contre-faire toutes les autres ; mais elle n'a point de caractere decide,
et n'en aura vraisemblablement jamais ». Alia confutazione di questa tesi
dedica un apposito capitolo del suo trattato (lib. n, capo IV, § 4) il Galeani
Napione, capitolo riportato anche nel presente volume. $.folliculari\ adat-
tamento del francese folliculaire, creato dal Voltaire (cfr. Candide, xxi), per
indicare un « faiseur de feuilles », un giornalista da strapazzo.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 44!
rab)1 che si potesse amar la patria, anche senza far Fapoteosi
della sua lingua; che il tollerantismo di questo genere, in luogo del-
rindifferenza per tutte le lingue, dovesse produrre una stima ge-
nerale, una giustizia equabile e una giudiziosa concordia; e non
avrei mai pensato che I'intolleranza in letteratura fosse una virtu.
Veramente un'Inquisizione per la lingua sarebbe un istituto nuovo
e curioso. Comunque sia, ho detto quel ch'io penso; se il sig.
co. Napione vuol protegger le infatuazioni, sel faccia in pace;
ma se mai si stabilisce il suo SanfUfizio, Dio mi guardi dai trasporti
della sua divozione.
6. ccNiuna lingua e pura» ecc. (P. i, [art. i], § 2). Non bisogna
confonder la teoria di speculazione colla dottrina di pratica:
quella considera la cosa in se stessa, e la enunzia nella sua ge-
neralita; questa modifica la teoria secondo i rapporti estrinseci, e
la proporzione e suggerita dal gusto. Similmente non deesi scam-
biare una proposizione negativa colla positiva contraria, ne darle
maggior forza ed estensione di senso di quel che comporta la
negazione medesima. Se qualche censore avesse avuto present!
questi due canoni di buona critica, non avrebbe tosto preso fuoco
al solo pronunziarsi d'alcune teorie speculative esposte astratta-
mente, malgrado i cenni abbastanza espressi di quelle modifica-
zioni il di cui pieno sviluppo era riserbato all'altre parti dell'opera.
Chi nega una proposizione assoluta, non ha che a produrre
un solo caso in cui possa aver luogo Popposta. Chi dice che gPi-
diomi non sono tra loro insociabili, espone un fatto, ne pero af-
ferma che ogni idioma debba associarsi cogli altri, ma che lo puo ;
ne che lo puo sempre ne in tutto n6 a caso ne a capriccio, ma
talora e in qualche parte e ove la ragione il consigli: chi condanna
il trasmodato ribrezzo per ogni ombra di peregrinita, non biasima
la verecondia, ma la superstizion della lingua, o a meglio dir dei
grammatici. Merita ogni rimprovero la leggerezza degli Ateniesi che
fecero lor cittadino un cuoco asiatico per Tinvenzion d'una salsa: ma
niuna repubblica virtuosa, niun principe saggio crede mai d'imba-
stardire o di degradar la sua nazione, ammettendo alia cittadinanza
o per bisogno o per premio qualche straniero di merito. Del re-
sto, e qui e in altri luoghi, Pautore si e difFuso alquanto su cotesta
santissima e inviolabile purita, perche s'impari a parlarne con piu
i. Cita a memoria un verso dell'Ariosto, Orl.fur., i, 7: «ecco il giudicio
unian come spesso erral ».
442 MELCHIORRE CESAROTTI
esattezza d'idee, e perche non si creda, come vorrebbero far cre
dere i puristi, ch'ella sia il massimo pregio, per non dir Punico,
della lingua, e che basti da se sola a conciliar autorita e riverenza
a uno stile vuoto d'idee, freddo, esangue, senza colore e purissimo
d'ogni infezione di spirito.
7. «Non v'e popolo che creda di cedere agli altri in fatto di
lingua)) (P. i, [art. i], § 2, nota b).1 Mi fu opposto che molti dotti
confessano Pinferiorita e i difetti della loro lingua, e qui si rac-
colse una folia di testimoni d'autori francesi anche d'alta sfera, co
me Fenelon, Voltaire, Delisle,2 non che Dacier, Boutrier,3 Sana-
don,4 Dubos, i quali fanno pressoche la satira della loro lingua,
ne vanno specificando le imperfezioni, la chiamano povera, imba-
razzata, antimusicale, antipittorica, schizzinnosa, fredda, monoto-
na, alcuni anche inferiore alPitaliana, non che alia latina e alia
greca. S'io mi fossi un partigiano appassionato della lingua fran-
cese, come vengo gratuitamente supposto, mi sarebbe facile Pin-
debolir di molto P autorita di tutti questi testimoni, e dar anche
1'eccezione a piu d'uno. Potrei osservare che Pautorita degli
eruditi di professione, quali erano i Dacier ed alcuni altri, e di
poco peso essendo gia note le loro prevenzioni scolastiche ; che i tra-
duttori, come Delisle, sono costretti dal loro proprio interesse a
magnificar la lingua dei loro original! e umiliare la propria, per
che in tal guisa procacciano o scusa all'imperfezione o gloria al
successo ; che i grandi autori preferiscono la loro lingua alle altre, e
se stessi alia propria lingua; e che sogliono apprezzarla alternativa-
mente un giorno piu e un giorno meno, secondo che la trovano
piu cortese o ritrosa ai bisogni del loro genio; che nulla e piu
comune quanto di veder un amante indispettito prorompere in
rimproveri colla sua bella senza cessar di adorarla, e un citta-
dino far anche nello stesso giorno la satira e il panegirico della sua
patria, lacerarla egli stesso, e uscir a battersi per lei sol ch'altri
la punga; che niuno si distinse per un tal carattere piu di Voltaire,
niuno fu detrattore piu acre della sua lingua, ne zelatore piu
i. Cfr. la nota i a p. 308. 2. Su Jacques Delisle o Delille cfr. la nota 4 a
p. 301. 3. Boutrier: poiche non esiste nessun letterato di questo nome, e
probabile, come pensa TOrtolani, che il Cesarotti intendesse Jean Bouhier
(1673-1746), giureconsulto francese che si occupo anche di letteratura e
tradusse varie opere di Cicerone. 4. Jean fitienne Sanadon (1676-1733),
noto soprattutto per la sua traduzione e commento di Orazio.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 443
ardente; e che dopo aver magnificata la lingua italiana in una sua
lettera al Deodati canto poi collo stesso la palinodia, facendo della
sua e della nostra un confronto poco meno sgraziato che quello
del p. Bouhours.1 Tutto cio, dico, potrei allegare, e molto di piu;
ma siccome una tal questione particolare non ha una connessione
necessaria col mio soggetto, cosi lascero che chi n'ha voglia con-
fronti le accuse accennate colla dissertazione del signer Schwab2
sulla universalita della lingua francese, coronata dalPAccademia
di Berlino, e giudichi della cosa come gli pare. lo piuttosto mi re-
stringero a far alcune osservazioni, da cui apparira che il mio
rispettabile censore co. Napione, raccogliendo tutte le citate au-
torita, venne a convalidare senza awedersene le mie principal!
asserzioni.
Osservo: i. Che se malgrado i vari meriti innegabili della lingua
francese, gli autori piu illustri di quella nazione, quelli che la resero
piu cara e apprezzata in Europa, ci trovano ancora tanto soggetto
d' accuse, sembra naturale il conchiudere che qualunque altra, esami-
nata con severa analisi e senza parzialita, darebbe anch'essa materia
da esercitarsi alia critica; che ognuna avra le sue mancanze ed im-
perfezioni; che Teccellenza delle lingue non e che relativa; e che il
pregio o il difetto di esse e piu o meno sensibile a proporzion del bi-
sogno di chi ne usa, e del rapporto col soggetto che dee trattarsi.
2. Che le mancanze e le imperfezioni delle lingue, inosservabili al
maggior numero, non sono sentite che dagli scrittori di genio, e piu
sempre da chi ne ha piu. 3. Che le censure fatte alia lingua fran
cese cadono propriamente su i grammatici e non sulla lingua,
come se n'esprimono chiaramente gli autori stessi, i quali la
vorrebbero svincolata dai loro ceppi, il che mostra che presso ogni
nazione i grammatici furono sempre i veri eunuchi letterari, che,
incapaci di fecondar una lingua e di ottener i di lei favori, fanno
ogni prova per mantenerla in perpetuo in una sterile schiavitu.
i . dopo . . . Bouhours : allude alia lettera scritta dal Voltaire il 24 gennaio
1761 a Deodati de* Tovazzi, autore di una Dissertation sur V excellence de
la langue italienne (cfr. Oeuvres, ed. cit., xxxvin, 1891, pp. 171-6). In essa
effettivamente il Voltaire, pur riconoscendo le qualita della lingua italiana,
fa soprattutto rilevare i pregi di quella francese. 2. J. Cristoph Schwab
(1743-1821) vinse nel 1784, alia pan con il Rivarol, il concorso bandito
dall'Accademia di Berlino sulle cause delPuniversalita della lingua france
se, con una dissertazione, di cui fu pubblicato un compendio in francese a
cura del Merian nei « Nouveaux memoires de TAcadeniie royale de Sciences
et Belles lettres » di Berlino, 1785.
444 MELCHIORRE CESAROTTI
4. Che se il Fenelon colla sua tanto da lui rimproverata lingua
riusci 1'autor del Telemaco, se Voltaire colla stessa ugualmente e
piu da lui censurata seppe farsi ammirare come il Proteo della
letteratura nazionale, e segno evidente che o le lingue piu difet-
tose hanno in se tali compensi che fanno scordar i difetti, o gli
scrittori di genio hanno Parte di soggiogarli e di trarne anche pro-
fitto col farli servire a qualche virtu. 5. Osservero per ultimo
che, poiche il Fenelon consiglia i Francesi ad arricchire e miglio-
rar la sua lingua;1 poiche oso suggerire in piena Accademia non
solo d'inventar voci nuove, ma insieme anche nuove frasi, nuovi e
non usati accozzamenti di termini, e cio ad onta del tribunal
grammaticale e accademico che avea gia proscritta qualunque inno-
vazione, e senza temer di passar per fautore del neologismo; e
manifesto ch'egli credeva che queste arditezze fossero lodevoli,
non che lecite. Avrebbe mai il castigate, il delicatissimo Fenelon
voluto snaturar Findole e guastar il genio della sua lingua ? Or a si
domanda modestamente come le opinioni degne d'esser citate con
lode in bocca del Fenelon quando sono applicate alia lingua fran-
cese, possano diventar bestemmie quando sono pronunziate da un
italiano, e applicate temperatamente alia nostra. lo non trovo che
una risposta: quest' e che i principii del Fenelon erano sani e lode
voli trattandosi della lingua francese che sotto Luigi XIV era
meschina, imperfetta e bambola, come ognun sa; ma sono assurdi
e pregiudiciali alia nostra ch'e ormai giunta al colmo della sua
ricchezza, e all'ultimo termine della sua perfettibilita, che ha una
superiorita non parziale ma assoluta su tutte le lingue d'Europa,
in tutti i generi, in tutti i soggetti, in tutte le maniere di stile.
Finche non mi si dimostri ch'ella e realmente tale non in potenza
ma in atto, io mi vedro in dovere di ringraziar il mio censore
che mi aiuta cosi bene a sostener la mia causa, e supporro ch'egli
abbia voluto meco scherzare, mostrando di togliermi con una ma-
no cio che mi dona assai largamente colTaltra.
8. «La lingua scritta nelTuso delle parole non dee nemmeno
aderir ciecamente alTuso degli scrittori approvati, ne farsi una leg-
ge di non dipartirsi dal loro esempio» (P. I, art. iv, § 4).
Si e voluto dar a queste parole un senso odioso, come s'io non
i. Fenelon . . . lingua: allude, qui e nei period! seguenti, alia Lettre a VAca-
demie, reflexions particulieres sur la grammaire, la rhetorique, la poetique et
rhistoire, pubblicata postuma nel 1716.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 445
volessi che si rispettasse 1'autorita degli scrittori piu illustri. Ma
altro e far autorita, ed altro far legge; ed io non mi oppongo che a
questa, intesa nel senso rigoroso dei camarlinghi1 dell'ortografia.
Potrei dir molte cose, ma lascero che parli per me un gran maestro
in ogni genere e in ogni maniera d'eloquenza, dico il celebre Mar-
montel. Poscia ch'ebbi pubblicato il mio Saggio, mi venne alle
mani la sua memoria sopra 1'uso,2 ed ebbi la compiacenza d'incon-
trarmi con lui non solo nelle opinioni, ma talora anche nelTespres-
sioni medesime. II seguente squarcio spiega con precisione tutte
le mie idee su tal proposito:
« Siamo meno superstiziosi ; ma per evitar un eccesso, guardiamo-
ci d'intoppar nelF altro; ricordiamoci che 1'uso ha uguahnente i
suoi diritti e i suoi limiti.
Convien distinguer nelFuso le leggi positive dalle proibitive.
Rispettiamo le prime quand'anche fossero contrarie alia ragione,
dacche ebbero la sanzione pubblica e dalPesempio e dal tempo.
Ma tenghiamoci in guardia rispetto alle proibitive, perciocche
quanto sarebbe da temersi che la liberta non fosse senza freno,
altrettanto sarebbe pericoloso che 1* autorita fosse senza limiti. »
Le leggi positive restringono la liberta, ma le proibitive la tol-
gono affatto. L'uso allora e un tiranno, i di cui disgusti si anmm-
ziano colle proscrizioni.
«I grand'uomini del secolo passato insegnarono a pensare e a
parlare. Fu prima Tautor del Ginna, degli Orazi, del PoUeuto, e
dopo lui La Rochefoucault, il card, di Retz, Pascal, Bossuet,
Bourdaloue, Moliere, Pelisson,3 Boileau, Racine; Fenelon, La Bru-
yere, che formarono lo spirito, la lingua e '1 gusto della nazione. »
aQuesti » aggiunge «diedero all'uso un' autorita legittima, e alia
nazione il diritto di giudicar della lingua scritta. Ma questo diritto
acquistato da una nazione coltivata non si estende sino ad inter-
dire agli artefici della parola ogni specie d'innovazione, e s'egli ac-
cadesse che il gusto diventasse troppo minuzioso, schizzinnoso,
timido, e che pretendesse di marcar a suo grado i confini della
lingua scritta, e proibire al genio di oltrepassarli, io non so creder
i. camarlinghi: custodi e amministratori. 2. memoria sopra Vuso: allude al
discorso De Vautorite de V usage sur la langue, Paris 1785. I passi citati pi\i
avanti sono alle pp. 8-9 e 13-5. 3. Paul Pellisson Fontanier (1624-1692),
noto soprattutto per la sua Histoire de VAcademiefranfaise, scritta in colla-
borazione con il cT Olivet.
446 MELCHIORRE CESAROTTI
ch'ei debba una cieca deferenza a proibizioni di questa fatta.
Un gusto delicate e timido si crede il gusto per eccellenza
quand'egli s'astiene da cio che puo dispiacere: ma un gusto ben
superiore sarebbe quello che azzardasse con un'arditezza illiuninata
cio che, dopo aver dispiaciuto per alcuni istanti, e fatto per piacer
sempre.
Diro di piu, in un pubblico imbevuto d'una sana letteratura
non e mai ne il maggior numero ne il fiore dei veri letterati quel
che si arrischia di offendere con qualche innovazione felice, ma
sono alcuni uomini indegni d'esser liberi, i quali vorrebbero che
tutti fossero schiavi al par di loro. Egli e Scudery che vieta a
Cornelio di dire . . .;* ed ecco il modello di quella folia di critici
da cui fu assalito Racine allora appunto ch'egli portava la sua
Hngua al piu alto grado di gloria. Quelle che oggi si ammirano nel
suo stile come le arditezze d'un maestro, gli furono rimproverate
al suo tempo come falli d'uno scolare. Cosi Focchio losco deH'invi-
dia o Pocchio torbido delFignoranza, esaminando gli scritti dei
grand }uo mini viventi, prende per scorrezioni 1'eleganze le piu squi-
site, ed e sempre Tuso che il pregiudizio mette innanzi, come se
Puomo di genio non avesse mai dritto di parlar senza Fuso, ne
innanzi all'uso.
O Subligny,2 tu pretendevi di saper la grammatica meglio di
Racineh)
0 Infarinati, o Inferrigni,3 voi pretendeste di saper gramma
tica e poesia meglio del Tasso! O Castelvetro, tu pretendevi di
sequestrar in bocca al Caro tutte le voci che non erano del Pe-
trarca!
O . . ., O . . ., O . . ., o razza eterna dei Subligny, tu sei pur pro-
pagata in Italia!
i. Scudery . . . dire: allude alle Observations sur le Cid di Georges Scu
dery (1601-1667). 2. Adrien-Thomas de Subligny, letterato francese vis-
suto nella seconda meta del secolo XVII, fece rappresentare nel 1668 la
Folle querelle ou la Critique d? Andromaque, parodia della tragedia racinia-
na. 3. O Infarinati^ o Inferrigni: cfr. le note 2ap.358ezap.4i4; qui
si allude in genere ai critici puristi del Tasso.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 447
II
SUL FRANCESISMO1
1. « Si, ma quest! sono francesismi. Ohirne, lasciamo per ora» ecc,
(Saggio, P. n, p. 342).
Ognuno intende o deve intendere che questo non e che uno
scherzo. Le metafore tratte da oggetti di scienza, le frasi allusive
ad arti o a scoperte, non appartengono in proprieta a veruna lin
gua, ma sonc ricchezze comuni all'eloquenza d'ogni nazione, Pu6
bensi un popolo aver fatto uso di queste maniere o prima, o piii
spesso, o con piu successo degli altri; puo un altro popolo pro-
fittar di questo esempio o col crearne altre di nuove e sue proprie,
o coll'adottar quelle stesse che furono di gia introdotte dal primo,
senza che cio pregiudichi punto all'essenza della sua lingua. Le
metafore e le frasi di questa specie non sono dunque francesismi,
ma si spacciano per tali da una classe d'uomini, che intende di
proscrivere con questo titolo mal definite ogni espressione che
suscita la riflession coU'irnrnagine, che presenta un'idea in un
nuovo lume, che colpisce con qualche lampo o di dottrina o d'in-
gegno. Se i gufi s'awisano mai di diventar letterati, queste saran-
no probabilmente le loro teorie rettoriche.
2. «Ma dall' altro canto » ecc. (P. m, p. 381). aQuando man-
ca» risponde il conte Napione ccalla lingua nostra il termine pro-
prio, e che la francese lo abbia, non si e mai avuto ribrezzo, e
nuova non e la massima dell'ab. Cesarotti ».2 Vi sono certi dogmi
di buon senso che il pregiudizio non osa di negare in massima,
e si riserba a contrastarli nell'applicazione. Temo che questo sia
il caso nostro, ne so se presso certi critici un termine francese
sia mai passato impunemente. Comunque sia, se la massima e
vera, s'egli stesso Tapprova, noi siam d'accordo. A che dunque
tanto schiamazzo? Ho io mai sostenuto altro che cio che concede
1. *Siccome questo articolo e quello che pose maggiormente in ardenza il
zelo del mio censore, e mi procacci6 da lui replicati e gravi rimproveri,
piacemi di riunire insieme tutti quei luoghi ove mi accadde di parlare della
lingua o della letteratura francese, onde i miei lettori potranno conoscer
esattamente tutta la gravezza de* miei reati, e darne adeguata sentenza (C.)-
2. Cfr. DelVuso e dei pregi della lingua italiana, lib. in, cap. n, § 8, ed. cit.,
n, pp. 83-7, da cui sono tolti anche gli altri passi riportati in questo
paragrafo.
44^ MELCHIORRE CESAROTTI
egli stesso? Non ho io protestato altamente in piu luoghi contro
Fabuso di questa liberta? e quel ch'e piu, indicate le precauzioni
da usarsi perche non ecceda i suoi limiti ? E non ha poi egli stesso
pronunziata espressamente per me la sentenza die « Fabuso d'una
facolta non esclude Fuso legittimo di essa, anzi il presuppone?»
Potrei citar van altri luoghi della sua opera nei quali egli sembra
un'eco ufiziosa de' miei sentimenti. Qualora adunque gli piace di
declamar cosi all' aria contro le mie arditezze, non par egli un
uomo a cui abbia preso il capriccio di combatter colla sua ombra?
Confesso pero che in un certo senso noi potremmo essere un po'
men d'accordo di quel che sembra. Egli permette di usar un ter-
mine francese in caso di necessita; ma ho gran sospetto che egli
intenda di restringer il bisogno della lingua a quella necessita
estrema nella quale anche la Chiesa permette di rubare. Se cosi
e, non so dissimulare che Fidea di bisogno ha presso di me un
senso piu largo. Gli agricoltori non conoscono altro prodotto ne-
cessario che il grano e Tuva; la coltura delFingegno, come quella
della societa, esige inoltre e manifatture proprie e merci straniere.
« Deesi usar con gran riserbo » die' egli « della facolta di usar voci
nuove». Benissimo: «ne dir che manca la voce perche s'ignora, o
perche per affettazione piace piu la straniera». Egregiamente :
ma non bisogna nemmeno, replico io, credere d'aver il vocabolo
quando o manca, o quando non corrisponde adeguatamente all'i-
dea, e questo esame e piu difficile di quel che si pensa. No, non
dee credersi d'aver il vocabolo quando non si ha che un termine
solo per un oggetto di molte facce ; non dee credersi d'aver nella no-
stra un equivalente della straniera, quando Fidea delFuna e piu
ristretta o piu estesa; quando la nostra non presenta che un'ap-
prossimazione, un'analogia vaga e generate, quando colFidea prin-
cipale non si conserva 1'accessoria, o quando Fuso fra noi ve ne
ammetta un'altra diversa, e talora opposta, di lode e di biasimo,
di nobilta o di bassezza. Se mai i fHosofi e gli scrittori eminenti si
uniranno tra loro a formar due vocabolari comparativi di tutte le
lingue, Funo scientifico e F altro rettorico, solo allora potra co-
noscersi la vera ricchezza o la poverta respettiva di ciascuna lingua,
non meno per gli usi della ragione che per quelli delFeloquenza;
allora ognuna sentira meglio ove abbondi del superfluo, ove manchi
del necessario, se sia piu in caso di donare o di ricevere, e in che,
e come, e con quale delFaltre lingue possa giovarle d'instituire un
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 449
regolato commercio. Finche ci6 non si faccia, si parlera sempre a
caso, vagamente, confusamente, e la vanita d'ogni nazione dara
sempre la sentenza per se.
3. In generale per6 sembra innegabile che ogni lingua deve
abbondar maggiormente di termini relativi a quelle facolta che da
un maggior numero di scrittori furono coltivate di piu. E bene:
quanti terreni non presentano le provincie dell'enciclopedia che
non furono ancor dissodati dagli scrittori d? Italia collo strumento
naturale della loro lingua? quanti che non furono collo stesso
coltivati, n6 fertilizzati abbastanza in proporzione del loro fondo
e dei metodi di coltivazione introdotti dalla sagacita ed esperienza
moderna? AlFincontro qual e il ramo di scienze, qual e Tarte o la
disciplina o la facolta che non fosse, non diro superiormente colti-
vata in Francia, ma illustrata neH'idioma della nazione e resa
oggetto di spettacolo e di profitto comune? Qual e di esse che
non presenti una serie successiva di scrittori celebri che colle
scoperte e coi metodi ne arricchirono il vocabolario? Basterebbe
questa notizia per far tosto presentire senz'altro esame qual delle
due lingue debba essere piu doviziosa di termini di questa classe,
e quale sia piu spesso in caso dl ricorrere ai soccorsi dell'altra.
Una traduzione del dizionario enciclopedico1 intrapresa da una
societa dei piu valorosi scrittori italiani, tra i quali io conterei volen-
tieri il conte Napione medesimo, sarebbe un lavoro de' piu im-
portanti, e potrebbe doppiamente giovarci, e facendo conoscer
con precisione i nostri bisogni, e obbligando chi pu6 a supplirvi
con vantaggio non meno del saper nazionale che della lingua.
4. Ma non e impossibile di far sentire anche ai piu ritrosi la
necessita di prender i vocaboli di questa specie ovunque si trovano.
V'e un altro ordine di termini d'un bisogno non meno reale, benche
meno sentito dal maggior numero, i quali perch6 venuti di Fran
cia sono guardati di mal occhio dai puristi, ancorche abbiano
tutti i titoli per esser ben accolti come italiani. La metafisica,
come ognun sa o almeno accorda, e la scienza madre del ragiona-
mento, e il di lei solo spirito distingue in ogni classe di studi 1'uo-
mo superior dal comune. Chiunque vuol analizzar un soggetto, ra-
gionarne con precisione, distinguere con esattezza, comporre o de-
compor Fidee, fissar una nuova teoria intellettuale, non pu6 a
i. dizionario enciclopedico: V Encyclopedic.
29
450 MELCHIORRE CESAROTTI
meno di ricorrer al frasario metafisico, e quanto questo e piu
esteso e individuate, piu lo spirito nelPesercizio delle sue operazioni
precede con sicurezza e facilita. Perci6 ogni pensatore profondo,
ogn'uomo d'una tempera originale di mente fu spesso costretto
ad ampliar questo frasario con nuovi termini, che usati poscia dagli
scrittori eloquent! passarono talora ad arricchire le lingue. La tede-
sca, per attestato del Michaelis, ne deve molti di questo genere
alia filosofia volfiana.1 I Francesi piu degli altri popoli posero in
voga il frasario metafisico incorporandolo nella lingua e introdu-
cendolo in tutti i soggetti, e anche nelle opere di spirito e di so-
cieta. Non cerco se ne abbiano sempre usato colla debita tempe-
ranza, dico solo che in conseguenza lo accrebbero di molti voca-
boli, i quali poi per mezzo delle opere divennero piu familiari
air Italia, ove per conto della loro origine non godono ancora un
pieno favore, non sono ammessi nei nostri vocabolari, ne usati
senza scandalo o senza ribrezzo. Ma debbono questi dirsi propria-
mente francesi? Non gia: essi son tratti pressoch£ tutti dal fondo
della lingua latina, madre comune della francese e dell'italiana,
e da quel della greca, nonna veneratissima dell'una e deH'altra.
Non istava dunque che negPItaliani di appropriarseli fin da prin-
cipio, e non ista che in loro di adottarli come propri, anzi ricono-
scerli per fratelli legittimi di tanti altri usciti dallo stesso ceppo.
E non e egli veramente assurdo che quando nel Vocabolario sono
esattamente raccolti tanti veri, pretti e ridicoli francesismi,2 ana-
lizzare non ch'altro, anzi pure analisi, non vi si trovino? E non
i. filosofia volfiana: cioe del filosofo Christian Wolff. 2. *Nel testo ne
ho prodotti molti (P. in, art. xm e art. xvi). II mio censore parla di
ci6 in piu luoghi come s'lo intendessi di prevalermi di questi esempi
per autorizzare i gallicismi d'ogni specie o scappati alia inawertenza, o
introdotti a capnccio e cosl per vezzo. Convien che la prevenzione
sia molto forte per intenderla a questo modo. 6 visibile che il mio non e
che uno di quegli argomenti che diconsi ad hominem o ad homines. II pro-
scnver, voleva io dire, ogni termine francese, sol perch6 tale, ancorch6
fosse il piu necessario, sarebbe assurdo in ciascheduno, ma e stranamente
ridicolo in voi, puristi sofistici, compilatori, patrocinatori, adoratori della
buon'anima della Crusca; in voi che avete posti tra gli autori classici pri-
mari coloro che infettarono senza proposito la lingua toscana di tanti fran
cesismi goffi e disacconci, in voi che gli avete registrati come gioielli nel
codice della vostra lingua, e che volete perpetuarli colle ristampe. Oh, an-
date prima a purgare il vostro Vocabolario di cotesta feccia gallicana, e poi
venite a fare gli schizzinnosi contro qualche termine di schiatta gallica legit-
timato dalla ragione (C.).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 451
temiamo noi che FEuropa creda che 1' Italia manchi del termine,
perch6 non fa uso del senso ?
5. Sto a vedere che almeno da quanto ho detto tragga motivo di
ripetere che io vezzeggio, prediligo e magnifico la filosofia francese
per mettermi in odiosita di quei tanti che in altro aspetto Paborro-
no. Nulla di piu facile, ne per disgrazia di piu comune, che abusar
d'un termine generale per fame qualche applicazione inesatta, e
suscitar idee odiose ad altrui discapito. Niun termine ebbe mai
piu sensi che quello di filosofia e di filosofo. Ma di che si tratta in
quest' opera? di letteratura e di lingua: e di qual filosofia si park?
non d'altra che di quella che puo servir agli usi delPuna o delTaltra.
Che ha ella dunque di comune colla morale, colla politica? E il
lodar un popolo per aver fatto maggior uso di termini filosofici
o per aver qualche pregio di stile che manca al nostro, e forse lo
stesso che adorarlo ciecamente e sposar in tutto la di lui foggia di
pensare o di vivere? Cicerone, quando lodava i Greci per acume
e sagacita d'ingegno, n'approvava egli percio le usanze, i costumi, il
carattere? Applaudiva egli alFaffettazione d'un Albuzio1 e d'altri
sguaiati grecheggianti ? Quando paragonava la sua lingua alia gre-
ca, e la trovava ora piu povera e talor piu ricca; quando bramava
che i suoi nazionali rapissero alia Grecia la palma in ogni ma-
niera di scrivere, amava egli meno la sua lingua, la sua patria,
1'onor del nome romano ? Quando esalta nei Greci lo studio della
filosofia, confonde egli questo nome generico colle sette particolari,
egli che combatte" a tutta possa 1'epicureismo dominante in Roma
a' suoi tempi ?
6. Ma le mie espressioni stesse portano testimonio contro di
me. Io ebbi il coraggio di affermare che il ctgenio filosofico, la
cultura delle scienze ed il francesismo sono inseparabili in Italia »:
proposizione della quale il mio censore mostra meraviglia, anzi
scandalo. Ma i lettori ingenui saranno meravigliati alquanto di piu
di non trovar in quel luogo ne le parole, ne il senso di cui mi si
vuol fare una colpa.2 Io cerco in esso luogo le cause che dopo la
meta del secolo diciassettesimo confluirono ad alterar le idee co-
muni in fatto di lingua, e le trovo nella combinazione fortuita di
tre cose in se stesse separabilissime, le quali operando ciascheduna
i. Albuzio, o Albucio, e un personaggio delle satire di Lucilio, canzonato
per la sua grecomania. 2. Veggansi i precisi termini deirautore, P. iv,
pag. 416-7 (C.)-
452 MELCHIORRE CESAROTTI
dal loro canto, acquistarono piu forza dal trovarsi per accidente
riunite nel tempo stesso. Sono queste la scienza, vale a dire,
com'io mi spiego assai chiaramente, la nuova fisica, di cui rispetto
all' Italia attribuisco tutta la gloria a Firenze; lo spirito filosofico
in genere, vale a dire quello spirito di ragionamento che in tutti
gli studi umani prescinde dall'autorita e non s'appaga che della
ragione e dei fatti, spirito che, derivato prima dalla liberta di
filosofare introdotta in fisica, fu poco dopo dal Cartesio esteso
anche alle scienze razionali, e applicato dal gran Bacone a tutti i
rami dello scibile; e finalmente il predominio del francesismo,
termine che, preso in generale, si riferisce alFascendente sugli spiri-
ti e sulle opinioni preso dalla Francia sotto il regno brillante di
Luigi XIV; ma che qui e unicamente applicato alle cose di lette-
ratura, nelle quali intorno quel tempo la Francia ebbe in ogni
genere una folia di scrittori eminenti per un cumulo e un'eccellenza
di qualita, che nella stessa epoca aveano ben pochi esempi in
Europa. Veggasi ora se ci6 sia lo stesso che il dire che la scienza
e lo spirito filosofico siano inseparabili dal francesismo; e veggasi
se con questo termine intruso con poca innocenza si possa impu-
tarmi d'aver voluto insinuare che in Italia niuno sapesse ne pen-
sare ne scrivere prima dei Francesi. lo avrei creduto che il ben
leggere, il ben comprendere e il ben esporre fossero tre qualita
veramente inseparabili in un critico, e piu in un censore.
7. Ma torniamo al nostro primo soggetto. Ho parlato sinora dei
diritti della scienza su qualche vocabolo francese necessario al-
1'una o alFaltra delle sue facolta. Ma Teloquenza, rimmaginazione,
il sentimento non hanno anch'essi i loro diritti particolari ? E sara
uno scrittore obbligato sempre, sotto pena di peccato irremissibile,
a valersi d'un termine anche oscuro, rugginoso, inesatto, sol per-
che nostro: piuttosto che adottarne un altro noto, calzante, ade-
guato, in ogni senso felice, per la sola colpa d'essere, Dio ce ne
scampi, francese? Cosl non mostra di pensarla il prelodato sig.
Marmontel. Odasi com'ei si spiega parlando delle traduzioni: «Le
lingue, il di cui scopo comune doveva esser quello d'una perfetta
corrispondenza, si sono insuperbite ciascheduna delle sue pro-
prieta, e hanno negletto il loro commercio. Toccava agli scrittori
distinti a sapersene prevalere. Cosi fecero Montaigne, Amiot, La
Fontaine, spesso anche Racine: la loro lingua e conquistatrice,
ella prende i tornii e le forme delle lingue eloquent! e poetiche
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 453
ch'ella ha per awersarie, come i Roman! adottavano Tarme dei
loro stessi nemicb.1 E altrove, parlando dell'Inghilterra: «I1 me-
desimo spirito di liberta e d'ambizione che anima la sua politica e
il suo commercio, la indusse ad arricchir la sua lingua di tutto cib
ch'ella trov6 di opportune e di conveniente a se nelle lingue de'
suoi vicini, e senza il vizio indestruttibile della sua formazione,
ella sarebbe divenuta a cagione de' suoi acquisti la piu bella lin
gua del mondo».2
8. II mio censore, per iscusar i francesismi degli autori del
Trecento, discende generosamente a dire che non si ha da badare
ad alcune voci o frasi isolate, ma al generale impasto della lingua
per vedere se un libro sia dettato col carattere proprio della lin
gua e della nazione italiana. C'e dell'ambiguita molta in cotesti
termini vaghi ftimpasto e carattere di lingua. lo credo d'aver fatta
qualche distinzione importante sul carattere o genio delle lingue,
ne occorre ch'io perda il tempo a ripetermi. Solo mi giova d'ag-
giungere il sentimento del de La Mothe. «Le lingue » dic'egli
«per se stesse non hanno genio: sono gli scrittori celebri, i quali,
per Tuso diverso ch'essi ne fanno, stabiliscono quelle prevenzioni
confuse, alle quali in seguito si lascia usurpare il nome di princi-
pii».3 lo cito queste autorita, non perche creda d'averne bisogno,
ma perche si scorga che o le mie non sono bestemmie, o se lo sono,
io bestemmio almeno in buona compagnia.
9. Del resto conservisi pure intatto il genio grammaticale, vero
custode della lingua, ma non si tolga al genio rettorico il diritto
di migliorarsi e perfezionarsi, o di prender a suo grado tutte le
facce; e se uno scrittor non volgare, pieno lo spirito di tutte le
forme del bello, ricco la memoria e fecondo rimmaginazione di
mille colori diversi, presenta un impasto di stile ben temperato,
che ricordi talora lo stile d'una nazione diversa, ma si conservi
pur nostro ed originate nella sua mistura medesima, non si voglia
tosto accusarlo senza esame come depravator della lingua, quando
forse dee chiamarsi benefattore deireloquenza. N6 gia dissento
che si conservi saggiamente anche il genio dello stile italiano;
ma domando prima se s'intenda che il nostro genio debba con-
i. Cfr. De Vautorite de Vusage sur la langue, ed. cit., p. 21. 2. Cfr. op.
cit,, p. 7. 3. Cfr. de La Motte, Reflexions sur la critique (1716). II con
cetto fu poi ripreso dal Condilkc.
454 MELCHIORRE CESAROTTI
servarsi in cio che ha di pregevole, o anche in ci6 che potesse avere
di difettoso e imperfetto; e se il genio d'ogn'altra lingua debba
da noi ributtarsi ne* suoi vizi, o insieme anche nelle sue virtu;
domando ancora se non sarebbe meglio, potendo, moltiplicar i pregi
nostri colFaggiunta degli stranieri, guardandoci ugualmente dai
difetti stranieri e dai nostri; e posto che il genio d'un'altra lingua
avesse appunto alcuni pregi che mancano al nostro, domando per
ultimo se non gioverebbe profittar del di lui esempio, piuttosto che
perderne il frutto per mal inteso amor proprio. La lingua italiana
e certamente in se stessa leggiadra, armoniosa, imitativa, feconda,
pieghevole, atta a prestarsi felicemente a tutti i soggetti ed a tutti
i generi; la questione e solo s'ella sia ricca quanto potrebbe, se
non sia mceppata e isterilita da* suoi grammatici, e se i suoi
scrittori ne abbiano fatto il miglior uso che potea farsene. La
poesia italiana ebbe ed ha tuttavia in ognuna delle sue parti autori
eminenti, acclamati dalPapplauso universale, e tali che non la
lasciano temere di veruna rivalita: ma la eloquenza sciolta non
e ancor giunta fra noi allo stesso apice di gloria. Fornita d'alcuni
scrittori distinti e memorabili in qualche genere, ella ne manca
afTatto in alcuni, scarseggia in altri, e tra quelli stessi che passano
per classici, non ne ha forse alcuno ch'ella possa oppor al confron-
to delle rivali straniere con sicurezza di piena superiorita. Molti
fra i nostri scrittori hanno ci6 che basta alia fama, pochi cio
ch'esige la gloria. Paghi di distinguersi per un qualche carattere
pregevole, sensati, eleganti, dignitosi, eruditi, metodici, mancano
generalmente di quel genio che fissa, incanta, trasporta, che non la-
scia bramar di piu, di ci6 che fa circolar un libro per tutte le classi
dei lettori, che provoca le traduzioni straniere, che resiste alFin-
stabilita del gusto, alle vicende dei secoli. II nostro e alquanto
piu difficile a contentarsi che quello dei precedenti. Una o due qua-
lita distinte bastavano allora per assicurar il credito d'un'opera:
ora appena ne basta un cumulo, e si crede aver nulla se non si ha
tutto. Lo spirito dei lettori piu sagace, piu addottrinato e piu pronto
domanda pascolo ed esercizio; il gusto solleticato da tante parti
non s'appaga d'un sapor solo, e ricerca in tutto il piu squisito e il
piu vario; tutte le facolta deiranima pretendono di partecipar in
comune del piacere che par destinato a una sola; si vuol che la
fantasia si unisca alPingegno, il ragionamento alia grazia, la con-
venienza alia varieta; che una decente vivacita temperi i soggetti
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE 455
piu seri, che nei piii leggeri una riflessione fuggitiva, un cenno
pensato arresti lo spirito con istruzione e diletto; che una tintura di
sentimento, un tratto di carattere dia alle materie piii indifferenti
una dose d'interesse morale, che Pautore non sia mai disgiunto
dal filosofo, e che Pespressione ora precisa ed energica scolpisca
un'idea profonda, ora immaginosa e vivace dia corpo e colore
a una verita. II gusto modificato rapporto al carattere generate
dell'eloquenza dovea ugualmente modificarsi nella parte esterior
dello stile. II carattere delPitaliano, quello che predominava ne-
gli scrittori approvati e in quelli che piu si piccavano d'irnitarli,
perde gia molto del suo favore, e quelle stesse qualita che dianzi
si prendevano per virtu sembrano al presente partecipar del
difetto. Generalmente si rimprovera allo stile italiano la servil
deferenza alia Crusca, i bassi idiotismi del toscanesimo, la scarsezza
d'idee, la prolissita, la vuota sonorita periodica, le inversion! sfor-
zate, il fraseggiamento ozioso, la lentezza, la pesantezza, il por
tamento imbarazzato e soverchiamente uniforme, e una cert' aria di
soggezione e per cosi dire di cerimonia coll'argomento medesimo.
Un'opera anche pregevole per le cose, ma dettata con questo
stile, indarno spera d'esser tra quelle di cui disse Orazio:
hie meret aera liber Sosiis, hie et mare transit.1
Altro & quello che al presente sembra aver fissato il gusto del-
PEuropa. Ella e da qualche tempo awezza ad esigere che i senti-
menti abbiano piu sostanza che diffusione, che la sentenza sia
vibrata a guisa di strale da una energica brevita, che 1'idea prin-
cipale sia fiancheggiata utilmente dalle accessorie, che nulla vi
manchi, nulla ecceda, nulla soprabbondi, che si trovi in ogni
parte quelFa proposito, quella misura, quella convenienza col
soggetto, quel perfetto accordo fra Pespressioni e Pidee che mo-
stra 1'aggiustatezza del pensamento e del gusto; che le parole siano
pregne di senso, la dicitura sia sgombra dagPimbarazzi di frasi varie,
d'aggiunti vaghi ed inutili, il numero sia scorrevole, espressivo
e vario; in fine che il contesto presenti per tutto nella proporzion
la piu giusta colore, calore, forza, vivezza, grazia, disinvoltura,
celerita, pieghevolezza di movimenti e di forme. Non pu6 negarsi
che questa idea d'eloquenza e di stile non ispicchi in modo parti-
i. Ars poet.> 345 (« questo libro fa guadagnare denaro ai librai, questo
passa anche il mare»).
456 MELCHIORRE CESAROTTI
colare nelle opere dei grandi scrittori di Francia: ella e poi dive-
mita piu o meno familiare anche agli altri, e quasi propria della
nazione; ed e a questa eloquenza comprensiva, e ancor piu a
questo carattere di stile agile, aggiustato e leggiadro, che i Fran-
cesi debbono specialmente quella universale avidita colla quale in
Europa si cercano e leggono i loro libri anche indifferenti da
tutti gli ordini di persone colte; mentre qualche opera forse piu
solida d'altre nazioni, ma spoglia di queste attrattive, non e ben
nota che a qualche classe di dotti, e si legge piu per bisogno che
per diletto. Or chi vi vieta di profittar saggiamente d'un tal esem-
pio e d'imparar dalla Francia Parte d'emularla e di vincerla?
tutte le fogge di stile non appartengono ugualmente all'arte co-
mune del dire? e perche Peloquenza non pu6 ella rafFazzonar in
certo modo il suo costume municipale, e giovarsi di quegli abbi-
gliamenti che possono renderla piu cara al gusto del secolo?
Giunone era bella, e degna di Giove, ma per suscitarne il senso
svogliato si prevalse della cintura della sua rivale.1 Ella non fu
men Giunone, ma piacque di phi.
i. rivale-. Venere.
LETTERA DELL'AB. CESAROTTI
AL SIG. CONTE GIAN-FRANCESCO
GALEANI NAPIONE1
Nello stendere il vostro trattato panegirico-polemico sui pregi
della lingua italiana voi non vi sareste naturalmente aspettato che
io mi sarei uno de' piu caldi encomiatori d'una tal opera, e che
anzi in un mio scritto, relative alia prima educazione scolastica,z
Favrei raccomandata come utilissima all'istruzione della gioventu.
Veramente non e molto comime fra gli uomini, e ancora meno fra i
letterati, di risponder cogli elogi a chi ci previene coi biasimi.
Ma tal e il mio carattere, che la scortesia verso di me non ha mai pre-
giudicato nel mio animo ai dritti del merito: e questo merito non
pu6 certamente negarvisi da chi si pregia d'imparzialita. Che im-
porta se non avete creduto necessario di usar meco tutta quella
urbanita e gentilezza che vi distinguono? Che importa se non vi
siete curato d'intendermi ? se vi siete compiaciuto d'interpretar
sinistramente le mie opinioni, malgrado le mie non equivoche e
reiterate proteste? Queste sono piccole ingiustizie private rese
scusabili, e fors'anche meritorie, dal zelo della causa pubblica
del bene e dell'onor nazionale. L' Italia ha certamente a voi un'ob-
bligazione straordinaria: fra tutti i letterati nostrali voi meritate
per eccellenza il soprannome d'ltalico, e potreste anche alia
maniera dei Latini aver quello di Gallicano, giacche dopo Giu-
lio Cesare niuno piu di voi fu prossimo a trionfar delle Gallie.
Sostener il solo residuo di liberta e di proprieta che avanza ancora
air Italia, la sua lingua, onde colla lingua non vengano del tutto a
spegnersi le abitudini, il carattere, il nome della nazione; vendicar-
la del fasto insultante d'una rivale che abusa della fortuna; met-
ter in pieno lume i suoi diritti, i suoi pregi, Panteriorita della sua
cultura, la sua influenza generate su quella d'Europa, lo splendore
delTantica sua gloria; rianimarne nei cuori italiani il zelo e lo stu-
i. Anche questa Letter a comparve per la prima volta in appendice all'edi-
zione pisana del Saggio. 2. un mio scritto . . . scolastica: allude al proprio
Saggio sopra le instituzioni scolastiche private e pubbliche, scritto nel 1797,
dove raccomanda 1'opera del Napione come base per gli studi « elementari »
(cioe della nostra scuola media superiore), riservando il proprio Saggio
«per un'et^ piu matura» (cfr. Opere, xxix, p. 20).
458 MELCHIORRE CESAROTTI
dio; far sentir meglio a lei stessa Festensione delle sue forze;
difenderla daH'awilimento suo proprio, dalFinvasione delle lin-
gue straniere, dalla seduzion, dalle insidie; indicar i mezzi di ri-
metterla in seggio, di propagarne Fuso, di nobilitarla, di abbi-
gliarla meglio de* suoi natural! ornamenti, onde non abbia mestiere
d'accattarne altronde; questo e Fassunto che vi siete proposto, e
ognuno dee confessare che niuno concepi un piano cosi ampio,
niuno poteva eseguirlo con piu di esattezza, di facondia, d'erudi-
zion, di calore. lo che, senza tanta ostentazione di patriottismo,
non mi sento punto meno interessato di voi per Fonor delF Italia
(e credo d'averne gia dato piti. d'una prova), non potei non applau-
dire al vostro nobile e generoso progetto, n6 seppi per lunga pezza
dubitare d'aver in voi un collega animoso e ben agguerrito, che
palesava arditamente al pubblico ci6 ch'io avea piu volte sostenuto
privatamente, e accennato anche in vari luoghi delle mie opere.
Se talora mi parea di scorgere nel vostro discorso un po' di pre-
venzione passionata per le cose nostre, un po? d'intolleranza ec-
cessiva, una critica non abbastanza imparziale su i titoli delFaltre
lingue, credetti che ci6 dovesse donarsi alle circostanze della lingua
nostra in Piemonte, minacciata piu d'appresso d'un'intera ecclissi
dalla troppa prossimita e mescolanza della francese; e dalFirrita-
mento giustamente prodotto in voi dalla gallomania d'ogni specie
che domina a' giorni nostri in Italia.
Ma oltre Felogio che meritava Fimpresa e il piano delFesecu-
zione, vari squarci considerabili della vostra opera avevano un
pieno diritto sulle mie lodi. Ricordatevi quanto spesso e con
quanta facondia vi diffondete a difender la lingua italiana dalle
tacce pedantesche datele nella sua origine dai latinisti; a confutar
le pretese dei Fiorentini e dei Toscani stessi sul dominio esclusi-
vo della nostra lingua; a sostener il diritto dei dialetti italici di
confluire ad arricchirla e ad accrescerla; come sostenete Fautenti-
cita e le ragioni di Dante sulla volgare eloquenza; come condan-
nate il despotismo della Crusca, la persecuzione fatta al Tasso;
come rilevate i difetti del Vocabolario, il bisogno di riformarlo e
aumentarlo: infine come riconoscete Futility e Fimportanza delle
traduzioni per dar alia lingua nuove ricchezze e maggiore desterita.
Su tutti questi articoli, per tacer d'altri, io era invincibilmente co-
stretto a far applauso ai vostri sentimenti: Famor proprio me ne
faceva una legge: e come no, se sono i miei? Essi sono i corollari
LETTERA AL CONTE GALEANI NAPIONE 459
principal! del mio Saggio sopra la lingua italiana\ essi sono tanto
identicamente i miei, che in piu d'un luogo leggendovi mi parve
di trovare un ingegnoso commento e un'erudita parafrasi delle
mie proposizioni. Una tal conformita, oltre la compiacenza ragio-
nevole d'aver pensato aggiustatamente, me ne diede un'altra d'un
genere nuovo e piccante. lo mi congratulai meco stesso d'un po'
di dono profetico, poiche sei anni innanzi mi venne fatto d'indovi-
nare e di dire al pubblico cio che sei anni dopo doveva esser pub-
blicato da voi. Ma che? non v'e consolazione al mondo senza
rammarico. Vedete qual fatalita e la mia! lo potei presagire cio
che voi avreste scritto innanzi di leggervi : voi non vi siete accorto di
quel ch'io scrissi, nemmeno dopo avermi letto. Di fatto, in tutti
questi e simili luoghi voi vi scordate cosi perfettamente di me, e
mostrate una cosi piena e tranquilla persuasione di non avermi,
non dir6 per precursore, ma nemmen per collega, che piu d'una
volta stetti in forse d' esser io il prevenuto da voi, e mi convenne
ricorrer al confronto dei millesimi per accertarmi del fatto. Questo
silenzio era a dir vero un po' strano e difficile a spiegarsi anche in
un awersario, non che in un alleato qual io vi credei da principio :
perciocche, s'e naturale il censurar alcuno in ci6 che si condanna
da noi, sembra e naturale ed onesto il fargli ragione in ci6 che
s' appro va: e qual altro segno piu certo d'approvazione che quello
di sostener dopo lui le sue proposizioni stesse, facendo uso a un
di presso degli argomenti medesimi? Ma, compita la lettura del
vostro libro, il fenomeno cess6 di sorprendermL Voi siete un
patriotta pronunziatissimo in fatto di lingua, e credete me un
professore di moderantismoy come di fatto lo sono: cio basta perche,
secondo lo stile del patriottismo moderno, voi non vogliate aver
nulla di comune con me: la verita stessa vi e sospetta e discara
nella mia bocca. Voi avete imitato quel rigido spartano che fece
ripetere da un senatore di specchiata spartanita una sentenza
giusta ed utile, pronunziata prima da un altro sospetto d'indvismo,
sdegnando che la patria avesse a lui 1'obbligazione d'un buon
consiglio. Taci, o profano, avete voi detto a me, tu non hai dato
il tuo giuramento grammaticale secondo le formule; tu sei reo
d'intelligenze sospette; ci6 che tu dicesti lo penso anch'io, e
vero, e utile, ma e detto da te. Abbiasi dunque per non detto,
e lo pronunzi come nuovo un buon cittadino. Quindi essendo voi
uno dei migliori fra gli ottimi, risolveste di ripeter voi stesso i miei
460 MELCHIORRE CESAROTTI
sentimenti, e di profani che prima erano, eccoli purificati dalla
vostra penna*
Ma ci6, com'io dissi, non fu da me rilevato che nel progresso
delPopera, e fino al punto della scoperta io fui cosi semplice che,
veggendo scritto alia testa dell'articolo i, capo 2, « DelP opinione
deirab. Cesarottb, credei con ottima fede che voleste compia-
cervi di far onorata menzione di me; e questa lusinga, nol niego,
mi dest6 un po' di solletico di vanita. II « laudari a laudato viro »z
mi si affacci6 piacevolmente allo spirito. Ma
quante speranze se ne porta il vento!
dir6 col Petrarca:2 e qual fu la mia sorpresa quando m'accorsi
che il mio povero nome era posto li non ad onore, ma bensl a
segnale di riprovazione, a bersaglio di censure e rimproveri, sen-
za il menomo lenitivo che disacerbasse le piaghe del mio trafitto
amor proprio! Di fatto, come non dovea sorprendermi che, dopo
esservi tenuto in un assoluto silenzio sulle parti sane e lodevoli
della mia opera, voleste tutto ad un tratto diventar facondo sul-
1'altra che vi parve infetta, quando pure o Purbanita sociale parea
suggerire un metodo del tutto opposto, o certo Pequita letteraria
esigeva che foste ugualmente giusto e coi difetti e coi pregi?
Ben e vero che in piu d'un luogo vi piace di qualificarmi per un
valoroso poeta; ma oltrech6 al mio qualunque siasi merito poe-
tico contrapponete per correttivo i dubbi di qualche timorato
sul pregiudizio ch'io posso recar alia prosa, il titolo di buon poeta
nel nostro soggetto non mi onora niente di piu che se, parlando
della mia poesia, m'aveste lodato come filosofo. Vero £ parimente
che assai tardi, e gia sfogate le vostre censure, vi siete awisato di
dire per via di parentesi intorno al mio Saggio, «quel per altro
ingegnoso, e in molte parti eziandio giudizioso libro», ma di que-
ste molte parti non vi curaste di accennarne pur una, e questo
cenno tardo, fuggitivo e misterioso, quando sia verace, serve solo
a provare che, trattandosi di me, Tanalisi e la diffusione vi parve
piu bella nel biasimo che nella lode.
Ne potea gran fatto piacermi che, avendo meco qualche dif-
i. laudari . . . viro: «esser lodato da un uomo lodato ». £ frase tratta da Ci
cerone, Ad font., xv, vi, i : «Laetus sum laudari me, inquit Hector (opinor
apud Naevium), abs te, pater, a laudato viro». 2. Rime, cccxxix, 8.
LETTERA AL CONTE GALEANI NAPIONE 461
ferenza d'opinione, abbiate voluto piuttosto parlar di me che con
me. Vivo io in altro emisfero ? son io un di quei letterati arcigni,
irritabili, serpi awoltolate nel loro orgoglio, che appena tocche
s'avventano? Chiunque mi conosce, vi dira se questo ritratto
somigli all'originale. Senza uscir dal Piemonte, avreste potuto aver
nozioni piu esatte del mio carattere : piu d'uno de* vostri concitta-
dini mi onora della sua benevolenza, e sono ben certo che verun
di loro non ha di che lagnarsi delPintemperanza del mio amor
proprio. Perche dunque non vi compiaceste di espor le vostre
opposizioni a me stesso ? Una censura espressa per via di domanda
o di dubbio perde ella la sua solidita ? Io mi sarei recato ad onore
d'esser invitato da voi a una gara insieme d'opinione e di genti-
lezza; ccvincitore o vinto,» avrei detto con Ettore «sar6 degno
di tew.1 Spero anzi che la disputa si sarebbe terminata come il
duello di que* due campion! omerici, voglio dire con pegni re-
ciproci d'estimazione e concordia. Una spiegazione alquanto este-
sa, un po' di rischiaramento, avrebbe levato ogni equivoco; io,
che amo le conciliazioni, mi sarei fatto un pregio d'accostarmi
a voi, e Tavrei potuto far senza sforzo n6 sacrifizi; giacche con
vostra buona grazia, e malgrado qualche apparenza diversa, io
pretendo d'esser nel fondo ben piu d'accordo con voi di quel che
voi Io siate con taluno dei vostri fratelli d'arme.
Ma forse questa disputa ufiziosa con un awersario sentiva al
quanto il francesismo della penultima data, e voi credeste meglio
di attenervi alia buona schiettezza italiana. Questa allocuzione
diretta vi avrebbe per awentura obbligato a sopprimere qualche
espressione del vostro zelo, perci6 voi cautamente schivaste il
pericolo di sacrificar il vero ai rispetti umani, e voleste scaricar
in piena libertk il peso della vostra coscienza. E bene a ragione;
si trattava di troppo; non c'era tempo di complimenti. Conveniva
farmi rawisar dall' Italia nel mio vero lume, prevenirla contro
la seduzione de* miei sofismi, awertirla di star in guardia dalle
mie trame. Voi certamente non mancaste a si pio ufizio. Io sono,
secondo i vostri detti, neologista, francesista, tollerantista, indif-
ferentista e poco meno che calvinista e certo scismatico. Le mie
i. Queste parole non si trovano nell' episodic del duello fra Ettore e Aiace
Telamonio (nel vn libro dell' Iliade), a cui il Cesarotti accenna piti sotto ;
ma sembrano piuttosto riecheggiare il discorso di Ettore ad Achille nel
xxn libro, w. 250-9.
462 MELCHIORRE CESAROTTI
dottrine sono erronee o malsonanti; io non riconosco le autoritd
costituite, non rispetto n£ Topinion ne* Tesempio; abbagliato dal
liscio oltramontano,1 io non cesso di encomiare la lingua, la let-
teratura, la galanteria, che piu ? la filosofia francese. Io mi fo un
pregio d'imbastardire la nostra lingua, io prendo a giustificar ex
professo il libertinaggio dello scrivere, e per dir tutto, tratto da
prevenzione pedantesca Io stesso amor della patria. Questo cumulo
d'accuse mi fece stupire come avessi potuto farmi reo di tante
colpe senza awedermene. Ma quando v'intesi gridar allo scandalo,
all'empieta; esclamar che la repubblica letteraria e periclitante ;
che ognuno deve affrettarsi d'accorrere al riparo; invitar i fedeli
a una specie di guerra sacra; allor si ch'io raccapricciai da capo
a piedi, e mi parve di veder piombarmi addosso un battaglione
di grammatici e di scrittori minorum gentium,2 superbi di militar
sotto i vostri stendardi, pronti a bersagliarmi a colpi di citazioni
e d'autorita; e far piu strazio di me di quel che fece del povero
Berni quell'altro esercito di cui cantava
Non mend tanta gente in Grecia Serse,
non tanto il popol fu de* Mirmidoni.3
Spaventato da questa immagine, afferrai con dispetto quel mio
sciaurato libricciattolo, disposto di gittarlo alle fiamme: ma pen-
sando poi che con ci6 non averei posto riparo al male gia fatto,
risolsi piuttosto di mettermi tristamente a rileggerlo, a fine di
riconoscer meglio tutta la gravita di quelle colpe che mi attrassero
il pericolo d'un tal flagello. Degg'io dirvelo schiettamente ? que
sta lettura mi fe* respirare, e il timore ch'io avea concepito per me,
fu mitigate da un po' di compassione per voi. Rispettabile per
carattere, fornito di lumi, zelator della buona causa, voi siete,
per quel che mi sembra, in disgrazia del dio Pane, che gode di
turbarvi co' suoi fantasmi, e di farvi temer nemici e pericoli dove
non sono : « omnia tuta timens ».4 Di fatto, rileggendo attentamente
il mio SaggiOj non seppi trovar cosa ehe per un uomo sanamente
i. liscio oltramontano: la falsa e superficial bellezza della lingua e della let-
teratura francese. 2. minorum gentium: di scarso valore. 3. Sono i vv.
151-2 del Capitolo al Fracastoro, nei quali si allude burlescamente alia
«turba crudel di cimicioni», che tormenta il poeta durante la notte passata
in casa del prete di Povigliano. 4. Virgilio, Aen.y iv, 298 («temendo tutto
cio che invece non dovrebbe destare timore »).
LETTERA AL CONTE GALEANI NAPIONE 463
spregiudicato potesse aver nulla, direi, d'allarmante, se non temessi
d'allarmarvi con questo termine.
lo ho sempre creduto che le leggi della buona critica esigano
che per giudicare d'un libro si cerchi prima di tutto di rilevar
Pintenzion delPautore e lo spirito dell'opera; ne questo si supponga
ad arbitrio, ma si raccolga dalPopera stessa, ne da pezzi spiccati
della medesima, ma dalla connessione del tutto e dall'analisi com-
parata delle sue parti. lo aveva anche modestamente pregato di cio
i miei lettori, prevenendoli col mio avvertimento ; ma per mia
sfortuna voi non credeste di dover far conto d'una preghiera che
aveva tutto il diritto d'esser pretesa. £ pur, s'io non erro, dettame
di sana critica, di non lasciarsi traviare ne' suoi giudizi da qualche
proposizion subalterna, da qualche espressione azzardata, da qual
che contradizione apparente, da qualche tratto scappato all'im-
peto o dovuto alle circostanze particolari di chi scrive, o al biso-
gno di calcar con piu forza sopra un articolo contrastato piu te-
nacemente dal pregiudizio; ma di attenersi costantemente al sog-
getto principale, alia progression del discorso, alle dottrine piu
espresse, alle ragioni piu solide. Se cosi aveste fatto, non vi sareste
permesso di presentar alcune mie proposizioni come generali e
assolute, dissimulando le tante spiegazioni e restrizioni che ne in-
dividuano il senso, n6 di suppor nelP opera disegni odiosi e con-
trari allo spirito della medesima, e in piu luoghi solennemente
smentiti. Quand'anche si accordi che i mezzi da me usati nel
trattar il mio assunto non fossero sempre i piu acconci, il suo
fine era meritorio, non che innocente. lo m'era prefisso di toglier
la lingua al despotismo deH'autorita e ai capricci della moda e
deiruso, per metterla sotto il governo legittimo della ragione e
del gusto ; di fissare i principii filosofici per giudicar con fondamen-
to della bellezza non arbitraria dei termini, e per diriger il ma-
neggio della lingua in ogni sua parte, cosa non so se eseguita
pienamente da altri, e certo non piu tentata fra noi; di far ugual-
mente la guerra alia superstizione ed alia licenza, per sostituirci
una temperata e giudiziosa liberta; di combattere gli eccessi, gtL
abusi, le prevenzioni d'ogni specie; di temperare le vane gare,
le cieche parzialita; di applicar alfine le teorie della filosofia alia
nostra lingua, d'indicar i mezzi di renderla piu ricca, piu disin-
volta, piu vegeta, piu atta a reggere in ogni maniera di soggetto
e di stile al paragone delle piu celebri, come lo pu6 senza dubbio,
464 MELCHIORRE CESAROTTI
quando saggiamente libera sappia prevalersi della sua naturale pie-
ghevolezza e fecondita. Per eseguir questo piano presi dapprima
a combattere alcune opinioni dominant!, non perch6 io le creda
assolutamente false, ma perch6 non le credo assolutamente vere
come si spacciano, e perch6 la loro supposta assoluta verita e ap-
punto quella che mette ostacolo alia libera vegetazion della lingua :
nella qual disputa preliminare, se forse mi espressi talora con un
po' di franchezza inconsiderata, il che pur non credo, era per6
visibile che il senso delle mie asserzioni era piuttosto negativo
che positive, e che non tendeva ad altro che a temperare, dir6 colla
frase di Bacone, d'iniquita degli assiomi oppostiw. Negai la no-
bilta in cuna1 di alcune lingue privilegiate, la superiorita senza
limiti, la perfezione assoluta, la fissita inalterabile, la ricchezza non
bisognosa d'aumento, il pregio inarrivabile delPeterna vestalita3
delle lingue: perche queste opinioni, o mal fondate o mal applicate,
producono non estimazioni giuste, ma presunzioni vane e infatua-
zioni scolastiche; non paragoni ragionati e preferenze imparziali,
ma disprezzi ingiusti; non castigatezza onesta, ma schizzinnosita
fastidiosa e selvatichezza insociabile ; non opposizione alia licenza,
ma cieco abborrimento alia piii sobria e ragionevole liberta. Mi
opposi alia tirannide delPuso, alPidolatria delPesempio, accor-
dando alPuno e all' altro quelPautorita che potea conciliarsi colla
ragione, giudice legittimo e dell'esempio e delPuso: provocai3
alfine, a nome degli scrittori non volgari, dal tribunale dei gram-
matici pedanteschi a quello dei grammatici filosofi, i quali sanno
che la lingua e Pinterprete del pensamento e la ministra del gusto.
Fatta cosl strada al mio assunto, passai a determinare colle teorie
filosofiche la bellezza intrinseca ed essenzial delle lingue, fissan-
done i canoni, e applicandoli a ciascheduna delle loro parti cosi
logiche che rettoriche: nella qual trattazione mi lusingo d'aver
in poco ristretto molto, detto piu cose non comuni n6 inutili, e
gittato sul mio soggetto qualche nuovo colpo di lume, atto a
rischiararlo con precisione e a prevenir molti abbagli, Imparziale
con tutte le lingue feci alia nostra senza equivoco quei giusti e
fondati elogi che le convengono: parlai della francese quanto
comportava il soggetto; n6 sempre con lode, ma non lasciai d'in-
dicare, n6 potea ometterlo senza ingiustizia o vilta, quei pregi
i. in cuna: in culla, cioe originaria. L'Ortolani corregge arbitrariamente «al-
cuna». z. vestalita: purezza. 3. provocai: mi appellai.
LETTERA AL CONTE GALEANI NAPIONE 465
particolari nei quali i loro grandi scrittori la resero finora superiors
alia nostra: quindi, dopo aver protestato espressamente contro Ta-
buso del francesismo, mi credei permesso di far anche sentir il
ridicolo di quella cieca antipatia che vilipende Topere le piii di-
stinte o d'eloquenza o d'ingegno per la mescolanza d'un solo ter-
mine o d'un idiotismo francese introdotto con la sua ragion suf-
ficiente o scappato a una certa nobile negligenza, e li vuol tutti
proscritti, anche in urgenza di bisogno, senza esame o eccezione
d'alcune specie. Fissai sopra fondamenti piu saldi la indestrut-
tibile liberta della lingua di crear ove sia d'uopo nuovi vocaboli,
traendoli o dal fondo proprio o talora anche dagli stranieri; nel
che per6 aggiunsi tali condizioni, restrizioni, awertenze, che niu-
no pu6 accusarmi di favorir il neologismo nostrale o esotico, senza
taccia o di mala intelligenza o di mala fede. Per ultimo, scorsa la
storia della lingua italiana e di tutte le sue vicende, m'arrestai
al suo stato attuale, mostrai qual sia lo spirito dominante del
secolo rispetto ad essa, le cause che lo produssero, i due scogli tra i
quali e posta, i pericoli imminenti del libertinaggio, Tinutilita, anzi
il mal effetto del rigorismo, indicai i mezzi di evitar Puno e Faltro
col temperare e dirigere la corrente del gusto nazionale, senza af-
frontarla onde non rompa gli argini e non tragga tutto in ruina:
per assicurar alfine il governo giudizioso e stabile della lingua
proposi d'instituire una magistratura permanente composta del
fiore dei letterati d' Italia, la quale fissi un po' meglio le idee flut-
tuanti degli studiosi, accerti piu fondatamente i giudizi, e quel
ch'e piu, con un sistema concertato d'operazioni vegli a depurare
e ad accrescere il fondo della lingua, e a mantenerla in uno stato
di libertk giudiziosa e di sana e florida vitalita. Tal e la condotta
e il ristretto della mia opera. Qual poi n'era Toggetto e lo spirito ?
Italiani, voleva io dire, che aspirate al titolo d'illustri scrittori
(giacche" non ho inteso mai di parlar al volgo), non v'e eloquenza
senza stile, n6 stil senza lingua; ma se volete maneggiarla da mae
stri, studiatela prima da filosofi, disponetevi a conciliare il ragio-
namento col gusto e ambedue coU'uso: la piu estesa lettura sia
sempre accompagnata dalla riflessione, esaminate la locuzione nei
suoi piu minuti elementi, abbiate sempre dinanzi i bisogni, la
convenienza, i rapporti, paragonate il vocabolo coU'idea, la vi-
vacit& e le tinte delFespressione coi lumi deiroggetto, colla mo-
dificazion del pensiero, coirimpasto e la gradazion degl'affetti;
466 MELCHIORRE CESAROTTI
conoscete Tindole della lingua in quel che fa e in quel che pu6,
specchiatevi nelle opere dei grandi autori, senza farvi servi d'al-
cuno, e nell'appropriarvene le maniere phi scelte, investitevi dello
spirito che gli anim6. Fatti gia per tal modo possessor! tranquilli
delle ricchezze e dell'indole della vostra lingua, coltivate saggiamen-
te il commercio colle straniere, notatene i caratteri, i pregi, le ric
chezze relative, le differ enze e le affinita colla vostra, e troverete
forse in esse di che supplire a qualche mancanza domestica,
di che aggiungere all'idioma nazionale qualche tinta pellegrina che
dia rilievo alia sua bellezza senza alterarne le forme: allora prov-
veduti d'un corredo inesausto di segni, di colori, di tornii ben
distribuiti e graduati nelle loro classi, colla facolt£ abituale di
paragonare e di scegliere, colla moltiplicita degli esempi, allora,
dico, sappiate pensare e sentire, e la figura del concetto verrk a
stamparsi nell'espressione, che sara conveniente, vivace, italiana
e vostra: voi non sarete piu schiavi n6 dei dizionari n6 dei gram-
matici, non sarete ne* antichisti ne" neologisti, ne* francesisti ne*
cruscanti, n£ imitatori servili n6 affettatori di stravaganze; sarete
voi\ voglio dire italiani moderni che fanno uso con sicurezza na-
turale d'una lingua libera e viva, e la improntano delle marche ca-
ratteristiche del proprio individual sentimento.
Quest^, sig. conte pregiatissimo, quell'anarchia senza limiti
ch'io tendo d'introdur nella lingua: questi i principii di quel dete-
stabile tollerantismo che minaccia secondo voi ruina al linguaggio,
al costume, e pressoch6 alia religion dellltalia, e per opporvi al
quale vi parrebbe bella una crociata e fors'anche un auto da fe.1
Malgrado a questo schiamazzo T Italia non crederi si facilmente
che chi diede alia sua favella Ossian, Omero e Demostene abbia
in animo di awilire e disonorar la sua patria. lo pretendo di
amarla al par di voi, bench6 non in tutto alia foggia vostra; ma
spero ch'ella mi permetta di aver in letteratura dei principii al-
quanto piu liberi. Quali essi sieno vel dira per la mia bocca il
mio celebre e rispettabil collega sig. Merian2 che espresse con pre-
1. auto daft: cosl erano chiamate le esecuzioni ordinate dalPInquisizione.
2, Johann Bernard Merian (1723-1807) di Basilea, fu dal 1771 direttore del-
la classe di belle lettere deHJAccademia di Berlino. Filologo, critico e
filosofo di ampia cultura e di mente aperta, buon conoscitore della filosofia
e della critica inglese, e sensibile alia poesia primitiva, e autore fra Taltro
di una importante dissertazione sui rapporti fra la poesia e le scienze, che
LETTERA AL CONTE GALEANI NAPIONE 467
cisione i miei sentiment!, e sembra appunto essersi spiegato per me :
« II patriottismo e senza dubbio una bella virtu : praticatela come
cittadino, amate, servite, difendete la vostra patria, morite per lei
se bisogna: ma nella vostra qualita d'uomo di lettere voi non avete
patria, voi siete cittadino del mondo: amate il vero, gustate il bello,
siate giusto con tutte le nazioni. E quando pur vi si accordasse
un po' d'entusiasmo per la vostra, perche perdere in vane querele
un tempo che potete impiegar assai meglio? Onoratela coi vostri
scritti, rendetevi immortale per immortalare la vostra lingua.
Quanto a me vorrei potermele appropriar tutte, e ragunar intorno
di me le ricchezze letterarie e classiche delle nazioni e dei secoli,
farmi a vicenda greco, latino, italiano, spagnuolo, inglese, tedesco,
e assaporar colla stessa delizia i frutti i piu squisiti di tutti i climi.
In tal guisa crederei di compire i doveri del filosofo, dell'accade-
mico, del letterato, deiruomo)).1 Eccovi la professione esatta del-
la mia religion letteraria; se non che al voto del sig. Merian io
ne aggiungo nel mio cuore un altro piu patriottico, cioe che quelle
ricchezze di tutte le nazioni ch'egli vorrebbe radunare d'intorno a
s6, io vorrei, se fosse possibile, vederle trasfuse nella mia lingua,
cosicch6 in luogo d'aver per qualunque capo a invidiarne alcun'al-
tra d'Europa, fosse ella a tutte 1'altre oggetto d'ammirazione e
delizia, e che a guisa dell'antico alimento giudaico piovuto dal
Cielo,2 presentasse nelFopere de' suoi scrittori al vario gusto delle
nazioni tutti i piu squisiti sapori dell'eloquenza. Giudicatene ci6
che vi pare. Io per me, per non demeritar il titolo che voi mi date di
tollerante, estender6 la mia tolleranza fino alle ingiustizie del vo-
stro zelo, e pago d'aver esposto con precisione la sostanza e il
vero oggetto della mia opera, non aggiunger6 una parola ne per
convalidar le mie opinioni ne per confutar gli argomenti di cui vi
servite a combattermi. Io ho inteso di rispondere al vostro nome,
non alle vostre ragioni, perche queste io suppongo d'averle pre-
venute prima di leggerle. Vi dir6 piu volentieri che le nostre discre-
panze sono piu apparent! che reali, che i punti di convenienza tra
noi sono in piu numero e piii rilevanti che quei di discordia, e che
veni ricordata nel commento alle pagine del Borsa riportate in questo vo
lume. II Cesarotti ebbe con lui un'assidua corrispondenza, e gli indirizzd,
in particolare, una lunga lettera in difesa del proprio atteggiamento poli
tico (cfr. Opere scelte, a cura di G. Ortolani, cit., pp. 431-57)- *• Cfr- il
compendio citato nella nota 2 a p. 443 della dissertazione dello Schwab,
p. 399. 2. antico . . . Cielo: la manna.
468 MELCHIORRE CESAROTTI
in questi stessi non ci manca il mezzo termine per conciliar un
accordo. Perche* dunque arrestarvi piu volentieri sulle apparenze
d'opposizione che sulle dimostrazioni sicure di conformita?
Soyons amis, Cinnat c'est moi gui fen convie.1
Noi non siamo fatti per essere awersari: io non so risolvermi a
credervi tale, e vi riguardo come un amico illuso da prevenzioni e
supposti. Che se tanto vi sta a cuore 1'onor delF Italia, senza met-
tervi ad armeggiare con chi Fama non men di voi, avete un mezzo
assai facile per sostenerlo. Attenetevi al consiglio del saggio Me-
rian. Voi avete scritto un libro in molti sensi pregevole, e que-
sto non e il solo : scrivete dunque il piu che potete, ma consigliate
qualche paladino d' Italia a scrivere il meno che pu6:
Non his auxiliis nee defensoribus istis
tempus eget.2
i. Corneille, Cinna, atto V, scena in (parole di Augusto). 2. Cita a me-
moria Virgilio, Aen., n, 521-2 «Non tali auxilio nee defensoribus istis/
tempus eget » (« La gravit£ del momento non ha bisogno di tale soccorso
n6 di tali difensori »).
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DEL GUSTO
ALL' ARCADIA DI ROMA
EGREGIO CUSTODE
ARCADI VALOROSISSIMI
Sarei reo d'un orgoglio imperdonabile se nell'inviare a voi la
mia effigie1 avessi osato concepire Tidea ch'ella potesse in al-
cun tempo meritar un posto tra i simulacri di quegli uomini grandi
che onorano i fasti d' Arcadia, ch'e quanto a dir quei della lette-
ratura italiana. Altro e il mio intendimento, e con altro spirito
io le ho permesso di comparirvi dinanzi. Ella ne viene a voi a so-
stener le mie veci, e ad esser la muta interpetre de* miei sentimenti;
e siccome s'io avessi la sorte di spirar Taure del Tebro, mi farei un
pregio singolare di attestar al vostro Corpo la grata mia riverenza,
e d'intervenire alle vostre dotte adunanze a fine di attrarre in me
alcune di quelle elettriche scintille che brillando nei vostri com-
Le circostanze in cui questo Saggio fu composto sono narrate dal Ce-
sarotti stesso nella sua prima nota a pie di pagina. Dopo la prima stampa a
Roma, nel 1785, per cura delPAccademia dell* Arcadia, in un opuscolo
che comprendeva vari componimenti poetici in onore del Cesarotti, Pau-
tore prowide a ripubblicarlo in appendice alia n edizione del Saggio
sopra la lingua italiana, Vicenza, Turra, 1788, pp. 173-84, e poi in appendi
ce al Saggio sulla filosofia delle lingue, nelle Operet I, pp. 301-28. A questa
ristampa definitiva si attiene il testo qui riprodotto. Che il Cesarotti ri-
tenesse il presente Saggio come 1'esposizione definitiva del suo pensiero
estetico risulta dalla Nota degh edttori relativa al Ragionamento sopra Vo-
rigine e i progressi delVarte poetica, e che abbiamo riprodotta nel cappel-
lo introduttivo a quel Ragionamento. Le note del Cesarotti sono seguite
dalla sigla C.
i. Sulle istanze replicate deiregregio custode d'Arcadia ab. Giovacchino
Pizzi e d'altri membri ragguardevoli di quel corpo, Tab. Cesarotti invi6 a
quell'adunanza il suo ritratto, che fu poi collocato solennemente nella sala
del Serbatoio fra le immagini degli uomini piu celebri d'Europa aggregati
air Arcadia. Al ritratto aggiunse egli un esemplare delle sue Poesie di Ossian
e un altro del suo Corso ragionato di letteratura greca, accompagnando il
tutto col presente Saggio in forma di lettera. In tal occasione 1'Arcadia ce-
Iebr6 una festa pastorale in onor dell'autore, il di cui Ragionamento fu
letto dal sig. ab. Luigi Godar, e seguito da* vari componimenti poetici in
lode del nuovo pastore, a cui, secondo il rito di quefla societa, fu dato il
nome di Meronte Larisseo. II Ragionamento e i componimenti accennati
furono dati alia luce in Roma nell'anno 1785 (C.). Tralascio una Canzo
ne di Michelangiolo Monti in elogio del Cesarotti, che fu recitata nella
suddetta « festa pastorale », e che e riportata nel seguito di questa nota.
47° MELCHIORRE CESAROTTI
ponimenti comunicano ad un tempo il fuoco e la luce, cosi volli
compensar nel solo modo ch'io posso i discapiti della mia lonta-
nanza, e porvi sotto gli occhi un testimonio costante di quel ch'io
sento, godendo nel pensare che quante volte vi awenga d'alzar
lo sguardo verso di me, altrettante mi vi vedrete dinanzi, in atto
di modesta compiacenza, dirvi tacitamente ch'io son pur vostro,
e che d'esser vostro mi glorio.1 E perch6 non le sole esteriori sem-
bianze, ma insieme anche la miglior parte di me vi renda 1'omaggio
dovuto, volli indirizzarvi un esemplare di quelle tra le mie opere
che la fanno piu notabilmente conoscere. Scarsa e certamente Pof-
ferta al molto di cui siete degni, ma mi conforta a sperare che
possa esser da voi accolta cortesemente, il pensiero che ambedue
queste opere siano dettate da quel medesimo spirito che presie-
dette alia fondazione della vostra gloriosa adunanza. Una tal idea
e per me troppo lusinghiera, perch'io non vi preghi a soffrire ch'io
mi ci arresti, e che prenda a sviluppar le ragioni che m'inspirano
una cosi nobil fiducia.
lo ho sempre portato credenza che il talento di dominar sopra
gli animi con sciolta o legata favella, e quello non meno raro di
sentirne squisitamente gli effetti e darne adeguato giudizio, non
fossero doni spontanei d'una incolta natura n6 conseguenze la-
boriose di freddi precetti scolastici, ma frutti preziosi (Tuna filo-
sofia particolare alle lettere che pu6 chiamarsi fafilosofia del gusto.
Ella e il genio che presiede alle arti del bello ; ella dirigge ugual-
mente il conoscitore che giudica e 1'inspirato che detta. Lungi
dal concedere la facolta di giudicare in queste materie (facolta che
sembra a' di nostri divenuta un diritto comune) a una turba spen-
sierata e leggiera, che digiuna degli studi istrumentali e delle
cognizioni sussidiarie accorda alia lettura qualche momento avan-
zato alia gozzoviglia, applaude a controsenso, disprezza sulPaltrui
fede, alterna sentenze e sbadigli, e getta per noia il libro che avea
preso in mano per noia, questa giudiziosa e sensibile filosofia non
dubita di negare una tale autorita e ai dotti anche rispettabili di
varie classi e a molti pur di coloro che, avendo consacrata la vita
allo studio dei grandi scrittori, si credono dal volgo, e piu da loro
stessi, giudici nati, anzi arbitri del tribunal letterario. Si, ella la ne-
i. II ritratto dell'ab. Cesarotti tenea nella mano una cartuccia col motto
di Virgilio [Eel., x, 32-3]: «soli cantare periti / Arcades » [«i soli esperti nel
canto sono gli Arcadi »], C.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DEL GUSTO 47!
ga francamente alFaccigliato geometra che vorrebbe portar la squa-
dra e Jl compasso nelle produzioni dell'entusiasmo; la nega allo
spinoso dialettico che pretende guidar la logica delle passion! colle
regole del sillogismo ; al fisico severe che nel regno delPimmagi-
nazione cerca inopportune e inamabili verita; all'erudito che, freddo
in mezzo a un incendio, si occupa a raccorne con diligenza tiz-
zoni e cenere ; al pesante commentatore che studia il suo classico
per notomizzarlo come un cadavere; all'umanista che crede di
formar un poeta con un ricettario scolastico; finalmente al fasti-
dioso grammatico che, piu inanimato del suo stesso vocabolario,
ne consulta ad ogni momento gli oracoli per chiamare a sindacato
la sacra lingua del genio. E dir6, cosa strana forse, non per6 men
vera, che la filosofia del gusto non accorda indistintamente la fa-
colt^i legislativa e giudiziaria nemmeno a quelli che piu grandeg-
giano nella camera delFeloquenza, e rispettandogli come scrittori
originali osa talora negar loro il titolo e '1 diritto illimitato di critici.
N6 a torto : perciocch6 essendo in ciaschedun oggetto rappresenta-
bile gli aspetti moltiplici, e pressoch6 infiniti i rapporti coiruom
che sente, n6 potendo 1'uomo per leggi individuali del proprio essere
sentir, concepire, rappresentar ci6 che prova se non se in una de-
terminata guisa e con certi e determinati colori,1 ne awerrebbe
assai facilmente che il grande scrittore, allorch6 teorizza sull'elo-
quenza, sedotto dall'amor proprio erigesse in legge il suo esempio,
e desse per norma universale del bello quella particolar maniera di
rappresentarlo per cui egli e ammirato e distinto. In tal guisa
verrebbe ad autorizzarsi quel gusto esclusivo, figlio d'una ristret-
tezza di spirito che il nostro orgoglio vorrebbe trasformare in
virtu, il quale sembra non ammettere nelParte altro che una for
ma del bello, ch'ei chiama arbitrariamente perfetto ed unico,
quando pur la natura con pochi colori e alquante figure ci presen-
ta una varied infinita di combinazioni e di forme, e popola di
sempre nuove bellezze uguali e diverse la scena incantatrice del-
Tuniverso visibile. Dalla medesima ristrettezza di spirito e dalla
imperfezione di ragionamento deriva Taltro pregiudizio di farsi
schiavo d'un autore, d'una nazione, d'un secolo, di adorarne i di-
fetti stessi e dar la tortura all'ingegno per giustificarli a dispetto
n.perciocchd. . . colori: per questo concetto dell' infinite degli oggetti imi-
tabili e dei modi deirimitazione cfr. il Ragionamento sopra Vorigine e i pro-
gressi delVarte poetica, in questo volume, p. 59 e la nota.
MELCHIORRE CESAROTTI
della ragione e del gusto, di confondere colle bellezze essenziali ed
intrinseche gli accident! locali e arbitrari che la religione, le usanze,
il carattere cangiabile del vari popoli, e quello particolar degli au-
tori introducono nell'esercizio dell'arte, e sopra tutto di venerar
come testi sacri i dettati d'un antico ragionatore, e trattar come
irreligioso chiunque osa talora dubitare modestamente della loro
infallibile autorita. SifFatti pregiudizi debbono essere doppiamente
aborriti dal gusto e dalla morale ; conciossiach6 non solo portano
nelle lettere uno spirito di superstizione e di servitu, ma defraudano
gl'ingegni della giusta mercede di gloria, somministrano arme con-
tro il genio alia maligna mediocrita, generano partiti fanatici,
invettive sanguinose, guerre acerbissime, delle quali T Italia (o
ombra tardi placata del Tasso!)1 fu troppo spesso il teatro. Non
ad altri dunque concede la nostra filosofia il diritto del voto nel
tribunal letterario fuorcb.6 a coloro che partecipano delle qualita
degli autori stessi, e a cui niuno manca degli organi che formano
il sensorio2 del gusto, dico orecchia armonizzata, fantasia desta,
cuore presto a rispondere con fremito istantaneo alle minime
vibrazioni del sentimento, prontezza a trasportarsi nella situazion
delPautore, celerita nel cogliere i cenni occulti e i lampi fuggitivi
delljespressione; a quelli inoltre che aggiungono a questi doni
naturali tutti i presidii d'una ben intesa disciplina, vale a dire
scienza profonda dell'uomo, perizia filosofica della lingua, cono-
scenza squisitissima dei rapporti fra le modificazioni dell'amma e
le tinte dello stile che le dipingono, fmalmente uno spirito lon-
tano ugualmente dalla servitu e dalFaudacia, superiore ai misera-
bili pregiudizi del secolo, della nazion, della scuola, che concittadino
di tutti i popoli intende tutti i linguaggi del bello, lo raffigura
senza equivoco, lo rawisa in qualunque spoglia, n6 lo adora stu-
pidamente sotto una forma, ma gli rende omaggio in tutti gli
aspetti che ne rappresentano acconciamente rimmagine.
N6 con minor sensatezza la medesima filosofia da consiglio ai
cultori delle Muse. Vuoi tu, dic'ella, esser poeta ? consulta meglio
te stesso per conoscere se hai pegni legittimi di questa missione
d' Apollo: guardati dal confondere colla sacra fiamma del genio
i. o ombra . . . Tasso: le critiche mosse al Tasso dai critici pedanti e dai
puristi cruscanti sono spesso ricordate dalla cntica illuministica come prova
dell'assurdita delle regole fondate sulP autorita degli antichi. 2. sensorio:
senso, facolta.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DEL GUSTO 473
il fuoco fatuo d'una puerile immaginazione. Se alia lettura di
qualche grande originale non balzi e fremi come Achille travestito
alia vista delle armi d' Ulisse;1 se dopo aver meditato un soggetto
non ti senti inseguito da mille fantasmi che sembrano domandar
la vita dalla tua penna; se non puoi a tuo grado animar i corpi e
vestire di corpo Fidee; se rivale della natura, conciliando il possi-
bile colFimmaginario, non sai popolar il mondo di esseri piu me-
ravigliosi e perfetti senza snaturarne le specie; se credi d'aver fatto
assai ricopiando in te stesso qualche esemplare famoso, e ti movi
incerto e tremante sull'altrui orme, cessa d'affaticarti per annoiare
i tuoi simili, rinunzia a un'arte non tua. Perche stancarmi 1'orec-
chio con una vana sonorita? perche con un gergo ampolloso far
pompa d'un freddo entusiasmo? perche affettar un sentimento
smentito da un linguaggio suggerito dalla memoria e non inspirato
dal cuore ? Aspiri tu alia gloria d'una facondia piu libera? distingui
Peloquenza degli affetti da quella della ragione, impara a con-
temperarle saggiamente fra loro, e rendi la fantasia non padrona,
ma ministra giudiziosa d'entrambe: riempiti del tuo soggetto; vero
camaleonte, prendi il color della cosa su cui t'arresti; conosci la
scienza delle proporzioni e delle misure; abbi sempre dinanzi la
massima delle virtu di chi scrive, la convenienza; innanzi di pre-
sentar quadri animati, riflessioni ingegnose, espressioni energiche,
prepara lo spirito degli ascoltanti; pressenti il momento del desi-
derio e il punto della sazieta; sopra tutto abbi vigoria di pensa-
mento e quel sublime delFanima senza di cui la sublimita delle pa
role non e che fumo e rimbombo: questo solo comunichera alle
tue opere energia, calore, interesse; questo ti rendera degno a cui
la verita commetta Ponor di difenderla, e la virtu di premiarla.
i. Achille . . . Ulisse: narra il mito che Achille, travestito da donna alia
corte di Deidamia per sottrarsi ai rischi della guerra troiana, si rive!6 alia
vista di una spada astutamente mostratagli da Ulisse, che si era camuffato
da mercante. Tutto questo capoverso riecheggia un passo della famosa vo-
ce Genie del Dictionnaire de musique del Rousseau (cfr. Oeuvres, vii, Pa
ris, Hachette, 1906, p. 125): «Veux-tu done savoir si quelque etincelle de
ce feu deVorant t'anime; cours, vole £ Naples 6couter les chefs-d'oeuvre
de Leo, de Durante, de Jomelli, de Pergolese. Si tes yeux s'emplissent de
larmes, si tu sens ton coeur palpiter, si des tressaillemens t'agitent, si Pop-
pression te suffoque dans tes transports, prends le Metastase et travaille
. . . Mais si les charmes de ce grand art te laissent tranquille, si tu n*a ni
delire ni ravissement, si tu ne trouves que beau ce qui transporte, oses-tu
demander ce qu'est le ginie ? Homme vulgaire, ne profane point ce nom
sublime ».
474 MELCHIORRE CESAROTTI
Questi sono i dettami generali di quella filosofia che dee regnar
nelle lettere, Felici quegli spirit! privilegiati che possono awerarli
colfopere! io non so che pregiarmi d'averne fatto uno studio e
cercato di profittarne. Tuttoch6 possa lusingarmi che i saggi di
vario genere da me scritti nella nostra lingua e in quella del
Lazio non siano affatto privi di qualche carattere proprio che li
distingua, sento per6 abbastanza qual vasto spazio mi divida da
quegPingegni creatori che nobilitano cotanto la letteratura d? Italia.
Pure se la mia tenuita non mi permise di rendermi direttamente
benemerito della poesia nazionale, ebbi per6 la sorte di procacciar-
le qualche straniera bellezza e d'arricchirla delFaltrui spoglie. Chi
avrebbe pensato che le montagne di Caledonia dovessero aprire una
miniera poetica del tutto nuova?1 Nel cuore della barbarie, nelle
tenebre della piu alta ignoranza, in un sistema rozzo ed informe
di societa, sotto un cielo nebbioso, fra lo squallor dei deserti, in
mezzo al rugghiar dei torrenti e delle tempeste, sorse cola un es-
sere straordinario che la natura sembra avere espressamente for-
mato per fame il suo poeta per eccellenza, e mostrar quanto ella
possa collo sviluppo pieno e libero delle sue forze. Un cuore pro-
fondamente sensibile e penetrato da quella melanconia sublime
che sembra il distintivo del genio, una fantasia in cui s'impronta-
no, anzi si scolpiscono tutti gli oggetti, un'anima che trabocca e
riversasi sopra tutto ci6 che la circonda, sono i caratteri principal!
che lo rendono singolare, anzi unico nella sua specie. Alternative
perpetue d'affetti grandi e patetici, quadri i piu toccanti di te-
nerezza domestica, narrazione animata che ti trasporta imperiosa-
mente in mezzo all'azione, scene silvestri spiranti un orrore au-
gusto, fenomeni della natura rappresentati ora con imponente mae-
sta, ora col piu dolce vaneggiamento, espressione pregna della
cosa, brevitk comprensiva, energia d'evidenza, tratti or di foco or
di lampo, vibratezza e rapidita inarrivabile formano un cumulo
di pregi che riuniti e portati ad un grado cosl eminente si cerche-
rebbero indarno in tutto il regno poetico.
Quel ch'fe piii singolare, oltre un eroismo d'umanita che fa ver-
gogna ai poeti dei piu colti secoli, vi si scorge una composizione
cosi ben intesa, un disordine di narrazione cosl giudizioso, un'ac-
cortezza nelPannunziar il carattere e nel preparare o nel nascon-
dere Pevento, indicazioni e talora silenzi cosi eloquenti, insomma
i, Chi . . . nuova: allude ad Ossian.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DEL GUSTO 475
awedutezze cosl squisite che sembrano eifetti, se lice il dirlo,
di un'arte raffinatissima della natura. D'un cosi grande originale eb-
bi Parditezza di fame un dono alTItalia. Senza un esempio che mi
servisse di scorta, con una lingua feconda si, ma isterilita dalla
tirannide grammaticale, a guisa d'atleta mediocre costretto a lot-
tare con un gigante, a fine di non restarne oppresso dovetti ricor-
rere a una scherma particolare e inventare scorci ed atteggiamenti
di nuova specie. Com'io sia riuscito non posso dirlo: ma se al
vostro purgato giudizio, valorosissimi Arcadi, pu6 sembrar che
per questo mezzo mi venisse fatto di arricchir Perario della lingua
di qualche felice espressione, di dar qualche nuova tinta al colorito
poetico, di variar con qualche nuova flessione quella musica imi-
tativa che dipinge col suono, e insieme colFoggetto porta nelPa-
nima la sensazione che lo accompagna, oser6 lusingarmi che la
mia impresa sia tutt'altro che un lavoro subalterno e meccanico.
Pieno dei consigli della mentovata filosofia, m'accinsi pur an-
che a trattare argomenti di critica letteraria, segnatamente nelTal-
tra opera che ho 1'onore di presentarvi. Chi non conosce i Greci,1
e qual uomo di buon senso non gli rispetta come i padri delle arti
del gusto, gPinventori di pressoche tutti i generi dell'eloquenza, i
maestri di quella sensata e naturale semplicita che ha il diritto di
farsi ammirare anche adorna sol di se stessa ? Ma non basta al pre-
giudizio che si ammiri il suo idolo : vuol che si adori con un culto
esclusivo e superstizioso : e la superstizione e sempre aborrita
dalla filosofia, anche perche" tosto o tardi conduce naturalmente
alFirreligione. Ben tosto le opinioni dei Greci si videro trasformate
in oracoli, gli esempi in leggi, le usanze arbitrarie in doveri
universali ed essenzialissimi, i difetti stessi in virtu. Un eccesso
produsse Faltro, e i Greci trovarono bestemmiatori e idolatri in
luogo di conoscitori e di giudici. La rivoluzione accaduta nel si-
stema intellettuale alter6 anche a poco a poco quel delle lettere;
i nuovi tesori fecero scordare gli antichi; il gusto si rese piu raffi-
nato, e acquistb bellezze particolari e difetti propri: la Grecia,
trascuratane la lingua, divenne per Funiversale un paese incogni
to, intorno al quale alcuni pochi viaggiatori raccontano in bene e in
male prodigi e favole. La moltitudine non conserv6 per gli autori
i. Chi . . . Greci: nella pagina che segue sono riassunti i concetti principal!
del Ragionamento preliminare al corso ragionato di letteratura greca, ripor-
tato anche in questo volume.
MELCHIORRE CESAROTTI
greci che una stupida e confusa venerazione, e i nomi loro piu
noti delle loro opere servirono a qualche Aristarco1 di spauracchio
per umiliar i talenti, e di soggetto a molte pie lamentazioni sulla
perdizione del secolo. Bramoso di rianimar il commercio alquanto
languente colla greca letteratura, mi proposi di farla conoscer me-
glio aH'universale, onde gli uomini di gusto non abbiano a par-
larne a caso sulla fede non sempre sicura degli eruditi, n6 sulle
dicerie degli spiriti superficiali e leggieri, ma a darne matura sen-
tenza fondata sul proprio senso e su i lumi d'una limpida e incon-
taminata ragione. Con questo disegno volli dar al pubblico nella
favella d' Italia le piu insigni produzioni degli autori di quella ce-
lebre nazione nei vari generi d'eloquenza, accompagnandole con
osservazioni e ragionamenti, nei quali sviluppandone le virtu sen-
za dissimularne i difetti, mi sono fatto una legge di render ugual-
mente giustizia ed ai Greci e alia verita. lo assoggetto rispetto-
samente quest'opera al vostro dotto consesso, e quando esso la
trovi non inutile alia perfezione del gusto, e dettata da quello spi-
rito di libera e ponderata equita, ch'e ranima d'una saggia critica,
sorTrir6 senza pena i clamori degrimperiti e gli anatemi inevita-
bili dei settari.
Da quanto ho detto, voi scorgete assai chiaramente, ornatissimi
Arcadi, ch'io son d'awiso che chiunque si consacra alle lettere
debba esser filosofo nella teoria, original nella pratica. Che questo
medesimo principio fosse la base su cui fondossi la vostra gloriosa
adunanza, basta a provarlo la storia della sua origine. Soffrite
ch'io la rammemori scorrendo prima per 1'epoche delPitaliana
letteratura. Fu veramente fortuna per la poesia nazionale che i
primi padri di essa, Dante e Petrarca, non avessero nei grandi scrit-
tori deH'antichita verun esemplare del loro genere. Senza di ci6,
sedotti da una giusta riverenza, sarebbero probabilmente stati
imitatori a dispetto della lor vocazione, laddove isolati e soli con
la natura e se stessi comunicarono alia poesia italiana Timpronta
originate dei loro diversi caratteri. II primo, dotato d'una fantasia
inventiva e robusta, si fa creatore della sua lingua, la doma e
1'atteggia in varie guise, affronta con essa le idee piu astratte e intrat-
tabili e le si assoggetta: concepisce un piano vasto, che abbraccia
i . Aristarco : col nome del celebre filologo e critico alessandrino, il Cesa-
rotti anche qui indica, come altre volte, i critic! stolidamente attaccati alle
regole.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DEL GUSTO 477
tutto il reale e rimmaginario, ed inalza un immenso edifizio
d'architettura alquanto grottesca, ma che sorprende per Parditezza
e la forza delPesecuzione anche gli amanti cfun'esatta regolarita:
il secondo, fornito d'organi squisitissimi, di spirito colto, d'anima
delicata e pendente ad una nobile melarxconia, preso da un amore
che avea per base la contemplazione del bello piu che Tebbrezza
dei sensi, ringentili la sua favella togliendole quanto avea d'informe
e di scabro, e porto nello stile quella dolce gravita, quel fior di de-
cenza, queirarmonia di sentimento, quel colorito leggiadramente
modesto che lo rendono tanto poeta singolare, quanto amante
straordinario. Vanta il secolo sedicesimo due altri insigni poeti, ben-
che piuttosto original! che creatori, i quali ugualmente celebri per
diverse qualita tengono tuttavia sospesa 1' Italia sulla preferenza
del merito. Ambedue pittori insigni, ma Tuno naturalista felicis-
simo copia il vero particolare, Taltro ci presenta il bello ideale:
1'uno ha Fevidenza del dettaglio, 1'altro quella della precisione e
delFenergia: Funo trattiene colla varieta, Faltro appaga e interessa
colFordine : il macchinismo1 dell* Ariosto scherza alia fantasia con
un mirdbile capriccioso e gratuito; quello delTasso, fatto stromento
delFazion principale, alletta la ragione colla convenienza: nel pri-
mo la piacevolezza d'un verseggiamento spontaneo sembra impe-
trar perdono alia licenza d'uno stile senza pretensione, talora me-
no semplice che familiare e piu trascurato che facile; nelTaltro
la maestosa compostezza del numero, la esatta osservazion del
decoro, i tanti lumi di locuzione e d'ingegno rendono piu sensibili
alcune sconvenienze di stile, e trovano il lettor piu difficile perchd
costretto ad una ammirazione perpetua: in una parola in quello
si scorge la fecondita irregolare della natura, nell'altro la sim-
metria e il lavoro delFarte, occupata forse di soverchio a perfezio-
narla. Perci6 dei quattro grandi originali dj Italia parmi che Dante
possa dirsi il poeta del genio, il Petrarca quello del gusto, 1'Ariosto
della verita, il Tasso della ragione : la lingua nostra deve al primo
energia, gentilezza al secondo, al terzo facilita, aH'ultimo maesta,
splendore ed aggiustatezza. Mentre Tepica italiana giungeva a si
grande altezza, la lirica in questo secolo langui nell'imitazione.
II Costanzo e piu pregevole per Tingegno e la condotta dej suoi
sonetti, che pel sentimento ch'e Tanima del genere amatorio; e il
i. il macchinismo: il meccanismo, il complesso delle invenzioni fantastiche.
MELCHIORRE CESAROTTI
Casa, cercando la gravita, non diede al numero che un meccani-
smo sforzato, e allo stile che qualche frase non sempre la piu assor-
tita al soggetto.1 II Tansillo, il Caro, il Coppetta2 vi aggiunsero
qualche novita di pensiero o di locuzione, il Chiabrera v'introdusse
felicemente Paria e le maniere dei Greci:3 ma il maggior numero
non fe' che spogliare, far in brand, travestire in cento guise il Pe-
trarca. La fredda uniformita, il platonismo affettato, il vuoto d'idee
s'impadroni dello stile : il colorito il piu leggiadro, logoro e svenuto4
dal soverchio uso, perde la freschezza e la grazia, e le copie ina
nimate fecero al fine venir a noia Toriginale medesimo. Nel tempo
stesso la critica pedantesca esercitava il suo impero su tutta Tarte ;
i commentatori pretendevano dar leggi al genio; il teatro italiano
non dovea rappresentar che usanze e passioni greche; un titolo,
una parola, un testo equivoco destavano tra i dotti guerre civili
tanto piu acerbe quanto il soggetto n'era piu vano e ridicolo. Che
ne addivenne fmalmente ? ci6 che doveva aspettarsi. II despotismo
genero Taudacia, e la nausea deirimitazione dest6 la passion della
novita. Nel letargo della noia tutto piace purche ci scuota. Un
ingegno troppo felice5 accelero la rivoluzione gia preparata, e
abusando delle sue ricchezze abbagli6 gli spiriti con un falso lume,
e gli sedusse colle lascivie d'una intemperante immaginazione.
Ognuno si rivolse con trasporto a questa brillante meteora, e 1'ap-
plauso comune invito la moltitudine ad aprirsi nuovi sentieri,
e a segnalarsi nelParditezza. La moda soggiogo la ragione; la
turgidezza, 1'affettazione, Facume, la stravaganza medesima furono
piu ben accolte, quanto piu andavano lungi dalla fastidiosita del-
Tesempio.
Per tal via si propago e prese forza quella corruzione del gusto,
che rese ignominioso nella nostra storia letteraria il nome di un
1. I giudizi sul di Costanzo e sul della Casa, due fra i poeti piu cari ai
primi Arcadi, sembrano riecheggiare, con piu forti limitazioni, quelli del
Bettinelli nelle Letter e virgiliane (ed. V. E. Alfieri, Bari, Laterza, 1930, p. 39) :
« II Casa, per non so quale asprezza e violenza posta ne' versi suoi, parve
alquanto acquistare di forza e di gravita, nel Costanzo trovavasi una certa
disprezzatura, che semplice e graziosa parea, bench6 piuttosto vicina alia
prosa e alPargomentazione apparisse che alTottimapoesia. Nelprimo unpo'
troppo sentivasi la fatica e lo studio, nel secondo un po' troppo poco».
2. II perugino Francesco Coppetta dej Beccuti (1509-1553), autore di liriche
petrarchistiche che si distinguono per una certa varieta di argomenti e di
toni, e che furono ammirate anche dal Tasso. 3. il Chiabrera . . . Greci:
imitando Pindaro e Anacreonte. 4. svenuto : sbiadito. 5 . Un ingegno trop
po felice: il Marino.
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DEL GUSTO 479
secolo1 cosi rispettabile in quella della filosofia. Non e gia che
questo secolo stesso non conti alcuni poeti assai ragguardevoli e
che vagliono forse ufi centinaio di rimatori del precedente; ma pochi
e dispersi per T Italia non bastavano a far fronte all'anarchia ge-
nerale: ci voleva una confederazione di buoni spiriti autorevoli
per talenti non meno che per dottrina, i quali in una citta rispetta
bile come in un centro comune raccogliessero le loro forze, ani-
massero i loro alleati, e ne formassero un solo corpo diretto dagli
stessi principii e tendente allo stesso fine di cooperar giudiziosa-
mente alia riforma del gusto. Era ben giusto che Roma desse la
legge all' Italia. Fu qui che un drappello di scelti cultori delle Muse
spieg6 il vessillo della ragione e richiamo i traviati; qui fu che sotto
il nome d} Arcadia, provincia cosi rinomata per la disciplina musi-
cale, alz6 un riparo contro il torrente della corruzione, come ap-
punto gli antichi Arcadi eressero la citta di Megalopoli per far
argine all'insolenza di Sparta. Ma per condurre a buon fine si
grande impresa qual fu il piano di direzione che voi formaste?2
Voi dico, perch6 scorgendovi eredi dell'antico spirito, contemplo
in voi stessi i vostri egregi progenitori. Per opporvi ai vizi del
vostro secolo avete voi adottato i pregiudizi del precedente ? avete
voi sostenuto che tutto il codice della poesia stava racchiuso
in un esemplare anche perfetto nella sua specie? che in questo
naufragio non v'era altra tavola che Timitazione ? che doveasi avere
assolutamente per guasto qualunque stile che scostavasi da un
certo e determinato modello? No; ch6 ben altro vi dettava la
natura vostra educata nella filosofia delle lettere. Conciossiache
voi ben conosceste che Timitazione della natura e inesauribile come
la natura medesima; che la verita dell'imitazione dipendendo meno
dal rapporto fra essa e Toggetto, che da quello che passa fra il modo
d'imitare e Timpression dell'oggetto fatta neiranimo, e potendo
la ragione, la fantasia e il sentimento lavorare o sole o mescolate
fra loro intorno ad un oggetto stesso, tanti per conseguenza possono
esser gli stili che ne risultano, quante sono 1'impressioni degli og-
getti e le combinazioni delle mentovate facolta; conosceste che
i. un secolo: il Seicento. 2. Ma . . .formaste?: in realta & piano che il Ce-
sarotti espone nella pagina che segue, contiene non tanto i principii che
guidarono i primi Arcadi, quanto una loro interpretazione e rielaborazio-
ne alia luce della poetica del Cesarotti stesso. Cfr. su questo punto la No-
ta introduttiva.
40 MELCHIORRE CESAROTTI
ogni virtu dello stile & affine e contigua ad un vizio analogo, e che
quelle e questi scambiano assai spesso sembianze; che perci6 &
ufizio d'un buon critico di distinguerli esattamente fra loro e
fissarne con precisione i caratteri, e ch'e ugual fallo confonder il
vizio colla virtu, che rigettar una virtu per la somiglianza del
vizio: che tra le virtu dello stile e una debolezza irragionevole il
prediligerne alcuna a preferenza, non che ad esclusione delle altre,
quando tutte sono ugualmente necessarie, e la migliore d'ogni al-
tra non e che la piu opportuna al momento : conosceste finalraente
che ad onta di ci6 ogni secolo per la necessaria influenza del siste-
ma intellettuale e socievole pende a favorir maggiormente quella
maniera di stile che ha piu d'analogia colla generale disposizion
dello spirito, e che la moltitudine, mancante d'esatto criterio, non
ama talora il difetto che per Papparenza di una virtu da cui 6
colpita piu vivamente: dal che saggiamente inferiste esser follia
il pretendere di liberarla dall'illusione col volerla trarre violente-
mente allo stile opposto, ma doversi piuttosto disingannarla col
presentarle la virtu medesima ch'ella predilige, nella sua vera bel-
lezza e depurata dalla mistura del vizio. Con queste idee vi fu age-
vole il distinguere con esattezza il reale dall'apparente, il difettoso
dal diverso, il gusto particolare dal filosofico. II vostro esempio
sparse un nuovo lume sulla faccia della letteratura italiana; a
fronte del vero sparirono Pombre e le larve; il bello si moltiplic6
in mille forme, ed ebbe aspetti ed atteggiamenti diversi. Altri s'ap-
pigliarono al nuovo, altri conservarono il color delPantico, ma
nelle loro opere si scorsero fisonomie somiglianti d'uomini vivi,
e non gia maschere di cadaveri. Si trattarono tutti i soggetti, tutti
gli stili si coltivarono: il pensato, il grandioso, il galante, Pinge-
gnoso, il disinvolto, il vibrato, Pimmaginoso, il fantastico, generi
o ignoti o sospetti, figurarono accanto del semplice non disadorno
e del modesto toccante. La pastorale si nobilitb senza perdere le
innocent! sue grazie; la lirica imparo a toccare con ugual mae-
stria tutte le sue corde; alle voci delPamabile Zappi, del fatidico
Guidi1 e degli altri illustri figli o alunni del Tebro, accorsero i
migliori ingegni d'ltalia; P Arcadia aperse il suo seno e si po-
po!6 di nuovi cittadini tutti animati del medesimo spirito; il
i. fatidico Guidi: 1'appellativo allude alle canzoni, ricche di immagini bi-
bliche, composte dal Guidi, che il Leopardi chiamera «emulo impotente
di Pindaro».
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DEL GUSTO 481
bosco Parrasio1 echeggib al suono di cento cigni diversi, e i loro
canti diversamente concordi, le zampogne, le trombe, i flauti, le
cetere formarono un'armonia infinitamente varia ed incantatrice,
invidiabile al Parnaso stesso. A voi dunque, valorosissimi Arcadi,
deve Titalica poesia la nuova e piu vegeta e meglio fondata sua
vita, da voi riconosce i suoi progress! e il suo stato sempre cre-
scente di floridezza e di gloria: tutte Topere di cui si pregia sono
frutto de' vostri auspici, o ebbero dal vostro esempio il primo ger-
me vitale per cui fiorirono. L' Italia non vant6 poscia alcun valo-
roso poeta che non fosse o cittadino o colono vostro ; fra i quali non
so tacer di que* due che soli bastano a render eternamente me-
morabile la nostra eta. L'uno e Feccelso Comante,2 grand'artefice
delFarmonia libera e maestro di quella splendida e immaginosa
grandiloquenza che awera 1'antico detto, esser la poesia piuttosto
la favella degli dei che degli uomini: Taltro (i vostri cuori gia
mi prevengono) 6 il poeta degno soltanto di Roma, il mime della
scena drammatica, di cui che dir6? nulla: perche tutto e poco.
Osserver6 piuttosto che niun altro piu di lui pu6 giustificare i
nostri comuni principii: niuno pu6 mostrar meglio i diversi effetti
della prevenzione e del genio, del gusto fattizio e di quello della
natura. Un dotto3 della vostra adunanza, rispettabile per molti
titoli, prosator tanto nobile quanto sgraziato verseggiatore, cri-
tico prevenuto ma ragionator imponente, e che ardiva credersi
libero coi ceppi al piede, sembrava aver preso assunto di guastar
colla sua disciplina lo spirito il piu felice del secolo. Egli volea ch'ei
radesse il suolo, schiavo della regola, quand'era fornito di penne
per tentar un volo da Dedalo, e che apprendesse le leggi del tea-
tro dalPusanze dei Greci, quando per inspirazion di Melpome
ne ne leggeva tutta Tarte dentro il suo cuore: fortunatamente i
principii e 1' esempio di tutto il Corpo parlarono piu alto che
Tautorita d'uno de' suoi membri, rinvigorirono la ragione ed ina-
i. bosco Parrasio: cosi era chiamato il luogo dove si adunavano gli Arca
di, dal bosco omonimo deir Arcadia. 2. Comante Eginetico era il nome
arcadico di Carlo Innocenzo FrugonL 3. Un dotto: allude al Gravina, che
fu in realt^ uno dei pensatori piu robusti e geniali delPet£ arcadica, e la
cui influenza sul Metastasio fu tutt' altro che negativa. Ma il Cesarotti qui,
come gi& nel Ragionamento sopra il diletto della tragedia, vede in lui soprat-
tutto uno strenuo classicista. Un giudizio piu positive sul suo pensiero
estetico si legge invece nel Ragionamento sopra Vorigine e i progressi del-
Varte poetica.
31
MELCHIORRE CESAROTTI
nimarono il genio: qual prodigiosa diversita: la scuola il rese
autor del Giustino* 1' Arcadia il fe' Metastasio. Arcadia, dopo un
tal nome non si pu6 aggiunger di piu ne al mio argomento n6
alia tua gloria.
i. Giustino: tragedia di tipo rigidamente classicistico, che il Metastasio
compose a quattordici anni, quando era sotto la diretta influenza del Gra-
DALLE LETTERE
I
A GIUSEPPE TOALDO1
[Notizie letterarie da Venezia.]
Venezia, 15 dicembre 1760.
Le mie cose vanno benissimo in tutti i sensi, ed io non ho
niente d'aggiungere a quel che ho detto. La mia abitazione sara
di la dal Ponte di Rialto, ma vicinissimo ad esso, in calle della
Doana,z ma non andr6 ad abitarvi che ai primi del venturo.
6 uscito il primo tomo della Storia di Moscovia di Voltaire.3
£ scritta sullo stile dell'altre sue cose in questo genere. II russo a
Parigi e II povero diavolo* sono due satire assai graziose e forti
Le lettere qui riprodotte non costituiscono che una minima parte della
vastissima corrispondenza del Cesarotti, ancora in buona parte inedita.
Le principal! raccolte pubbhcate sono : I'Epistolario, che occupa i volumi
xxxv-xxxix e parte del volume XL delle Opere, e comprende anche non
poche lettere dei corrispondenti, ma che il Barbieri ordin6 con scarso
rispetto della successione cronologica, ed escludendo molte lettere di ar-
gomento politico, da lui giudicate compromettenti; 1' Epistolario scelto, a
cura di B. Gamba, Venezia, Alvisopoli, 1826, che e una scelta del pre-
cedente; Cento lettere inedite di M. Cesarotti a Giustina Renier Michiel, a
cura di Vittorio Malamani, Ancona, Morelli, 1885 (tratte dagli autografi
conservati nel museo Correr di Venezia), con qualche nota non sempre
esatta; e infine la scelta dell'Ortolani nelle citate Opere scelte, corredata di
molte e preziose note illustrative. Altre lettere sono riportate negli articoli
del Gambarin e dello Scherillo, citati nella bibliografia, in numerose pub-
blicazioni occasional! per nozze, ecc. L'indicazione delle fonti da cui sono
tratte le lettere qui riprodotte e data, di volta in volta, nella pnma nota
a pie di pagina di ciascuna lettera.
i. DaH'opuscolo a cura di Giuseppe de Leva, Per nozze Valmarana-
Cittadella Vigodarzere, Padova, Tipografia del Seminario, 1879. Giuseppe
Toaldo (1719-1797) fu professore del Cesarotti al seminario, e poi suo
collega all'Universita di Padova, dove occup6 la cattedra di astronomia
e meteore. A lui si deve, fra 1'altro, la prima edizione delle opere di Galileo
e quella degli scritti di Antonio Conti. Per la notevole influenza da lui
esercitata sulla formazione culturale del Cesarotti si veda la Nota intro-
duttiva. 2. calle della Doana: calle scomparsa lungo la Dogana da terra
(ossia per le merci di terraferma), situata sulla Riva del vin (Ortolani).
3. B uscito . . . Voltaire: allude alia Histoire de I* empire de Russie sous
Pierre le Grand, il cui primo tomo fu pubblicato appunto nel 1760.
4. Le Russe a Paris (1740) e Le pauvre diable (i758)-
44 MELCHIORRE CESAROTTI
contro Fr6ron, Chaumeix, Gauchat, Palissot1 e gli altri persecutor!
ddVEncidopedia, Sono gia state trasmesse all'ecc. sig. Angelo,3 e
potrete averle da lui.
II Goldoni ha fatto una graziosissima commedia veneziana, in-
titolata // trasporto di casa o La casa nova? che ha incontrato rni-
rabilmente e con tutta raglone. La sua bravura in dipingere i
caratteri bourgeois, e la vivezza e artifizio del dialetto e spiccato in
tutto il suo lume. Ho letto manoscritto il primo canto della Morte
d'Abel tradotta dal Gozzi.4 Questo poema non e meno semplice
n6 meno interessante per le sue bellezze naturali, di quel che sia
la Morte d'Adamo,5 la traduzione della quale, per parentesi, piac-
que tanto in Francia, dove Tha mostrata il Tiepolo56 che un fran-
cese ha risolto di tradurla nella sua lingua sul testo italiano.
La versificazione del poema e la piu bella che il Gozzi abbia mai
fatta. Eccovi le nuove letterarie: non credo che vi curerete ora di
essere informato d'una miserabil guerra tra le Rane o i Rospi e i
Topi, cioe tra i Chiaristi e i Granelleschi,7 che sono Lazaristi8
maiorum gentium.9 In ogni caso potrete consultar la «Gazzetta».10
lo ho composto alcuni sonetti che, s'io non m'inganno, sono
i migliori ch'io abbia mai fatto, ed e molto tempo che avea voglia
di spedirveli. Ma siccome versano sopra un soggetto che poteva
i. filie-Catherine Frfron (1718-1778), direttore della rivista «L'annee litte-
raire », fu il piu accanito awersario di Voltaire ; Abraham-Joseph Chaumeix
(1730-1790), Gabriel Gauchat (1709-1780) e Charles Palissot (1730-1814)
sono figure meno important! della polemica contro Voltaire e gli en-
ciclopedisti. z. Probabilmente Angela Querini, gentiluomo veneziano di
sentiment! democratici, che in quel tempo ricopriva la carica di avogadore
di Comune, magistratura istituita per la difesa del popolo ; due anni dopo
sara arrestato sotto Faccusa di abuso dei suoi poteri. 3. La casa nova fu
rappresentata per la prima volta 1' 1 1 dicembre 1760. 4. tradotta dal Gozzi :
una traduzione parziale della Morte d'Abele, poemetto in prosa del Gessner
(su cui cfr. la nota 2 a p. 409), fu pubblicata nel numero LXXIII (15 ottobre
1760) della «Gazzetta venetaw. 5. La morte di Adamo e una tragedia del
Klopstock, di cui il Gozzi pubblic6 una traduzione nel Mondo morale (1760).
6. Domenico Almor6 Tiepolo, ambasciatore veneto a Parigi. 7. I Chiaristi
sono i partigiani del Chiari; i Granelleschi, gli appartenenti all'accademia
omonima, capeggiati da Carlo Gozzi. 8. Lazaristi: e probabile, come
pensa TOrtolani, che si debba leggere « Lazzarinisti », cioe partigiani di
Domenico Lazzarini (1668-1734), vissuto a lungo a Padova, e noto per
il suo intransigente classicismo grecheggiante, a cui si ispira la sua tra
gedia Ulisse il giovane, assai famosa nel Settecento e lodata anche dal-
1'Algarotti. 9. maiorum gentium: propriamente riferito ai patrizi romani,
«di stirpe piti nobile», quindi, per estensione, «di genere piu elevato».
10. la «.Gazzettay>-. s'intende la «Gazzetta veneta» del Gozzi.
LETTERS 485
forse allarmare la vostra prudente tenerezza verso di me, mi sono
ritenuto fino ad ora. Adesso poi che dopo molte prove mi sono
assicurato della mia fortezza, ve ne mando quattro acci6 li leggiate
colPindifferenza con cui leggereste quattro sonetti del Petrarca. Vi
consiglio a risparmiare gli awisi su questo punto, perch6 vera-
mente non ne ho bisogno. Dopo avervi cosi prevenuto, vi dir6 il
soggetto. Madamigelle Winne1 sono state a Padova, ed ora sono
a Venezia. lo le ho vedute prima in un luogo, ed ora le vedo
nelPaltro. Questo ha dato occasione cosi scherzando ai sonetti
che vedrete, i quali se vi piaceranno, ve ne mander6 alcuni altri . . .
Amatemi. Addio.
P. S. In questo punto ricevo la vostra. Voi mi fate quasi pen-
tire d'avervi mandato questi sonetti. Pure vi consiglio a conten-
tarvi del poco ch'io posso, senza volermi imbarcare senza biscotto2
nell'alto mare letterario. Le vostre lodi mi stordiscono, e non mi
animano: sono troppo sproporzionate, perch'io possa addossar-
mele e perche mi lusinghi di corrispondervi. Bench6 voi siate
sempre esatto e ragionevole nei vostri giudizi, pure in quel che
risguarda a me, mi sono accorto ch'e un pezzo, e m'accorgo piu
che mai da questa lettera, che Pamicizia vi fa assolutamente ec-
cedere tutti i limiti. Potrebbe darsi per6 che questa Poetica2 si
eseguisse: io cerco ora di legger quella d'Aristotele tradotta dal
Dacier,4 e poi forse comincer6. La prefazione di Rousseau5 m'e
sempre paruta un vero capo d'opera. Quanto al suo discorso, che
anche a me sembra eccellente, non vi pare ch'egli s'impegni troppo
nei dettagli della vita selvaggia, e che voglia venderci molte con-
ghietture per moneta contante e sicura?
Dei due degni rivali non so nulla piu di voi. Se non che il
Metafisico chiamo il Letterato6 «homunculum inepte dicentem»,7
i. Giustiniana, Maria Elisabetta ed Anna Amalia Wynne, di padre inglese
e di madre veneziana. 2. senza biscotto: senza rifornimenti ; quindi, senza
le doti necessarie. 3. Poetica: penso che alluda al Ragionamento sopra
Vorigine e i progressi delVarte poetica, stampato nei 1762, e riportato anche
in questo volume. 4. quella . . . Dacier : la traduzione di Andr6 Dacier
fu pubblicata nei 1692. 5. La prefazione di Rousseau: quella al Discours
sur Vorigine et les fondements de Vindgalite parmi les hommes (i755)» come
si rileva da quel che segue. 6. II Metafisico e Clemente Sibiliato (su cui
cfr. la nota i a p. 305) e il Letterato probabilmente Natale dalle Laste
(1707-1792), latinista; ambedue concorrenti, insieme con Gaspare Gozzi,
alia cattedra di umane lettere dell' University padovana, che fu assegnata
al Sibiliato. 7. « Ometto incapace di parlare. »
486 MELCHIORRE CESAROTTI
e questo nomine- Paltro anescio quern de faece Romuli et de rebus
non suis temere disputantem)).1 Come sta bene quella «feccia di
Romolo)) in bocca d'un cosi gran cittadino della Repubblica di
Platone, qual e il nostro Sibiliato! Bisognerebbe veder le orazioni,
e ne ho gran voglia; ma non m'arrischio a domandarle, per non
esser costretto a dichiararmi. V'abbraccio con tutto lo spirito.
Addio.
II
AL MACPHERSON2
[Ossian.]
Permettez, Monsieur, qu'avec toute Fltalie je vous felicite sur
Theureuse decouverte que vous avez faite d'un nouveau monde
po6tique, et sur les precieux tresors dont vous avez enrichi la
belle litterature. Vous avez de grands droits a la reconnoissance
de votre patrie, et le public doit vous tenir compte de vos voya
ges et de vos travaux. Cest bien autre chose que de nous apporter
une plante sterile ou quelque medaille rouillee. Non, je ne puis
revenir de mon ravissement. Votre Ossian m'a tout-a-fait enthou-
siasme. Morven est devenu mon Parnasse, et Lora mon Hippocre-
ne.3 Je reve toujours a vos heros; je m'entretiens avec ces admi-
rables enfants du chant; je me promene avec eux de coteau en
coteau; et vos rochers couverts de chenes touffus et de brouillard,
votre ciel orageux, vos torrens mugissans, vos steriles deserts, vos
prairies qui ne sont parses que de chardons, tout ce spectacle grand
et morne a plus de charmes a mes yeux que Tile de Calypso et
i. «Non so chi, discettante a vanvera della feccia di Romolo [che Cicero
ne contrapponeva, appunto, alia Repubblica di Platone: cfr. Ad Alt., II, I,
8] e di cose che non conosce. » z. Dalle Opere, xxxv, pp. 9-15. L'Orto-
lani ne pone la data fra la fine del 1763 e il principio del 1763, poich6
la risposta del Macpherson (nprodotta in Opere, xxxv, pp. 313-4, e su cui
cfr. F. VIGLIONE, // testo originate della lettera di J. Macpherson all' abate
M. Cesar otti, in «Fanfulla della domenica», xxx, 7 settembre 1913) porta
la data del 4 maggio 1763. 3. Morven e nei poemi di Ossian il nome di
quella parte della Scozia dove regnava Fingal; Lora un fonte di quella
regione, contrapposto all' Ippocrene, fatto sgorgare sulFElicona, secondo il
rruto greco, dal cavallo Pegaso, e spesso citato dai poeti classici a simbo-
leggiare 1'ispirazione poetica.
LETTERE 487
les jardins d'Alcinoiis.1 On a dispute longtemps, et peut-etre avec
plus d'aigreur que de bonne foi, sur la preference de la po6sie
ancienne et moderne. Ossian, je crois, donnera gain de cause a la
premiere, sans que les partisans des anciens y gagnent beaucoup.
II fait voir par son exemple combien la poesie de nature et de
sentiment est au dessus de la poesie de reflexion et d' esprit, qui
semble etre le partage des modernes. Mais s'il demontre la superio-
rit6 de la poesie ancienne il fait aussi sentir les defauts des anciens
poetes mieux que tous les critiques. L'Ecosse nous a montre un
Homere qui ne sommeille ni ne babille, qui n'est jamais ni gros-
sier ni trainant, toujours grand, toujours simple, rapide, precis,
6gal et vari6. Mais il n'appartient pas a moi de faire 1'eloge d' Ossian
a celui qui a su rendre ses traits avec tant de force et de precision,
qu'on pourroit le prendre pour modele. Je vous dirai plutot,
Monsieur, qu'en marchant sur vos traces, je pense aussi de trans
porter ces poesies en ma langue maternelle, c'est-a-dire en vers
blancs italiens. Non que je me flatte d'approcher des beautes
inimitables de ce grand genie; mais j'espere par ce moyen de me
remplir mieux 1'esprit de mon modele, et de m'approprier ses
manieres.
Mais il faut tout dire, Monsieur. Savez-vous que ce poete a excite
ici de terribles querelles? L'antiquite d* Ossian trouve ici beaucoup
d'incr6dules, sur tout parmi les savans ; on dispute, on s'echauffe, on
vous fait votre proces dans les formes, et on se moque de moi,
qui donne bonnement dans le piege, et qui le crois ancien sur
votre parole. A la verite ce ne seroit pas une petite affaire que de
vouloir en imposer a ces messieurs. Us sont presque tous dans le
cas de ces Thessaliens, qui, a ce qu'en disoit Simonide, etoient
trop sots pour etre la dupe des mensonges poetiques. Malheur a
tous ceux qui ne raisonnent que faute de sentiment. Cependant
ceux-ci sont de bonne foi. II y en a d'autres qui n'agissent pas
aussi simplement. Get Ossian est un barbare; son nom ne se
decline point a la grecque ni a la latine; il ne connoit point les
myst&res de la mythologie; il n'a point lu la Poetique d'Aristote,
et il ose faire des epop6es ; et, qui pis est, sans machines et sans al
legories. Voila qui est de la derniere impudence. Cependant on le
i . Vile . . . Alcinoiis : Tisola di Calipso e i giardini di Alcinoo stanno qui a
indicate i paesaggi omerici (Od.y v e vn) e in genere classici.
488 MELCHIORRE CESAROTTI
prone, on ose le mettre en parallele avec Homere, et la comparaison
ne tourne pas toujours a 1'avantage du poete grec. Cela est d6so-
lant. Comment s'y prendre done? On n'a qu'a supposer que cet
ouvrage soit forge par un moderne, pour le faire tomber aussitot.
Car vous savez bien, Monsieur, qu'il est demontre, selon ces cri
tiques, que les modernes ne feront jamais rien qui vaille, a moins
qu'ils ne pillent les anciens. On aura beau leur faire sauter aux
yeux les eclatantes beautes de ces poesies; ils seront en droit de
n'y voir rien, et ils vous diront pour toute reponse: — II est mo
derne. — Parmi ces gens entetes de leurs sots pr6jug6s, il y a des
personnes de bon sens et d' esprit, a qui toute cette dispute est fort
indifferente; qui d'ailleurs ne seroient point f£ch6es de devoir a
notre siecle cette excellente production, et qui trouveroient bien
plus de force d'esprit dans un moderne qui auroit su se transformer
en Ossian, qu'en Ossian lui-meme.
Pour moi, s'il m'etoit permis de douter apres votre temoignage,
je vous dirois, Monsieur, que comme je reconnois dans ces po6sies
une grandeur et une simplicite qui portent en soi la plus forte em-
preinte de la nature: j'y trouve aussi une finesse de dessein; un
ordre si d£licatement irr<§gulier; une si sage retenue dans les vols
les plus hardis; une precision si constante et si f<§conde; une ju-
stesse si exacte pour saisir ce pr£cieux milieu si difficile a garder:
enfin un choix si delicat et si judicieux d'objets et de caract&res,
que tout cela semble annoncer Tart le plus consomm6, qui sait
d<§purer la nature sans y toucher. Quoiqu'on en pense, la chose est
en tout sens surpr6nante: mais on sait que la Grande-Bretagne
moderne est feconde en merveilles d'esprit, et on pourroit douter
si Tficosse au troisi&me si&cle 1'etoit aussi. Soit raison, soit scrupule,
soit indulgence pour la foiblesse des autres, je ne puis me d6fen-
dre, Monsieur, de vous faire une recherche, que je vous prie de
ne pas trouver tem6raire. De bonne foi, Monsieur, dois-je vous
admirer comme un homme plein de lumi&res et d' esprit, ou dois-
je r£v6rer en vous le plus grand peintre de la nature? Si cela est,
je serai bien loin de me facher, comme Scaliger contre Muret.1
Qu'Ossian soit ancien ou non, il le sera toujours par le style.
Ceux qui le jugent de ce cote-ci sont bien surs de ne s'y pas
i. Scaliger contre Muret: allude ad un feroce epigramma scritto dallo
Scaligero contro il Mureto, che per beffarlo gli aveva spacciato come
antico un proprio epigramma.
LETTERE 489
meprendre. Quoiqu'il en soil, Monsieur, si ma hardiesse peut
m'attirer de votre part 1'honneur d'une reponse, je croirai d'avoir
toujours gagne beaucoup, et j'en ferai gloire. En voulant bien
m'honorer de cette fa£on, vous pouvez vous adresser a M.r Hudny,1
consul de la Nation Britannique a Venise, qui a beaucoup d'a-
mitie pour moi, et qui est ravi devoir pour concitoyen un homme
tel que vous.
Je suis, Monsieur, avec tout le respect votre tres-humble servi-
teur en Iitt6rature, et votre confrere en Ossian.
in
A GIUSEPPE ANTONIO TARUFFI2
[Confidence sentimentali.]
Au diable les sto'iques et les optimistes: on a beau etaler des
maximes; la nature va toujours son train. Quoi! quitter une
maitresse? La plus chere moiti6 de soi meme! Voila qui est tout-
a- fait desolant. Ah que je vous plains! «non ignara mali».3 Que
T homme est malheureux! Les chagrins les plus cuisants ne nous
viennent que du sentiment, et sans le sentiment ce n'est pas la
peine de vivre. C'est pourquoi, quelques soient les depresses d'un
homme sensible, je ne voudrois point les changer ni avec la
froide indolence des ames lethargiques, ni avec les fades et bruyans
plaisirs du vulgaire. Aimons toujours, c'est le parti plus sur.
L' amour saura bien meler quelque douceur a ses amertumes. II
est d6sesperant, je Tavoue, de perdre ce qu'on aime. Mais qu'il est
doux d*en emporter avec soi les regrets et les soupirs! Vous
pleurez, mais ne voyez vous pas ses larmes qui coulent sur les
votres ? Vous souffrez : mais on souffre aussi : vous fremissez, mais
c'est que vous avez un coeur, c'est que vous etes ne tendre, sen-
i . All' Hudny il Macpherson indirizz6 in effetti la sua risposta. 2. Dalle
Opere, xxxv, pp. 42-6. La lettera fu scritta da Venezia nel giugno 1765,
come si rileva da quella del TarufS, a cui il Cesarotti risponde, e che e
riportata pure nelle Opere, xxxv, pp. 36-42. L* abate Giuseppe Antonio
Taruffi (1722-1786), giurista e letterato, visse a lungo in Polonia e poi
a Vienna, dove era ritenuto il piu brillante ingegno italiano dopo il Me-
tastasio. 3. Virgilio, Aen., i, 630, «non ignara della sofferenza» (parole
di Didone ad Enea).
49° MELCHIORRE CESAROTTI
sible, c'est-a-dire honnete, c'est enfin que vous avez le bonheur
d'etre a la fois charmant et charme. Est-ce qu'il y a d'idees plus
flatteuses, est ce qu'il y a des plaisirs plus ravissants et plus dignes
d'une &me? Malheur a qui le croiroit. Au reste souvenez vous,
mon cher, de ces vers du grand poete de rhumanit6:
Havvi dentro la languida tristezsa
un non so che, che Vanima uezzeggia,
quando in petto gentile abita pace;
ma Vangoscioso duol strugge il piangente,
diletta figlia, e i suoi giorni son pochi.1
Puisque je suis tombe sur le sujet d' Ossian, il faut vous dire que
dans le a Journal de Bouillon »2 on annonce un livre d'un anonyme
anglois, qui traite notre venerable barde de haut en bas, et lui
prodigue les titres polis de fou et d'insens6. Le journaliste est
plus modeste, il se borne a nous dire tres-positivement qu' Ossian
n'est rien moins que poete. Assur6ment vous ne voulez pas,
mon cher, que je m'en etonne et encore moins que je m'en fiche.
Que conclure de tout cela? Qu'il y a de franches betes a Londres
aussi bien qu'a Venise, et que pour etre journaliste on n'est pas
toujours juge competent. Je crois que la meilleure fa9on d'y r6-
pondre est de poursuivre mon travail3 sans me tourner ni a droite
ni a gauche. Cependant nous verrons. M.r le comte Savioli4 m'est
connu depuis quelque temps par ses vers : et votre jugement sur
son compte ne sauroit etre plus juste. Faites-lui bien des compli-
mens de ma part, mais que ce soient des compliments a la Ta-
ruffi et a la Cesarotti. Que ne vous dois-je pas, mon tres-cher?
Votre amitie pour moi est doue"e de la vertu electrique: elle se
communique aux autres sans s'affoiblir. Vous m'accablez de
louanges. Je sais bien que Tamiti6 ne se pique point d' exactitude,
et qu'elle se fait m£me gloire d'un peu de partialite". Mais c'est
trop, mon cher, votre enthousiasme sur mon compte n'a point de
i. Sono i w. 60-4 della traduzione cesarottiana del poemetto Croma di
Ossian. 2. ((Journal de Bouillon*: e il «Journal encyclop6dique », diretto
da Pierre Rousseau e pubblicato nella piccola signoria di Bouillon, or-
gano non soltanto francese ma europeo del partito dei filosofi parigini.
3. mon travail: la traduzione completa dei poemi di Ossian, che fu poi
pubblicata nel 1772. 4. Dell' opera piu nota di Ludovico Savioli, gli
Amori, il Taruffi si era fatto editore nel 1758.
LETTERE 49!
bornes. Je vous demande quartier. II est vrai cependant que vous
melez 1'antidote au doux poison de la seduction. Le moyen de
s'enyvrer de soi meme quand on a sous les yeux de tels modeles
que vos lettres ? Savez-vous qu'il y a de quoi faire enrager 1'elite
des plus beaux esprits de la France? Que de graces! que de sens!
et au surplus quelle aisance inimitable 1 Votre stile coule de source,
et c'est la source du gout le plus epure. Je me traine avec effort
dans la carriere que vous parcourez en grand maitre nonchalam-
ment. II me semble d'etre Anacharsis qui se m61e d'ecrire au
plus poli des Atheniens.1 Treve done de louange, s'il vous plait.
J'aurois trop beau jeu, et malgre votre delicatesse je vous dirois
vos verites trop nettement. D'ailleurs, il y a tant de gens, et
quelles gens, qui se font un m6tier de s'entre-louer. ficartons-nous
de la foule, aimez-moi, c'est mon eloge le plus beau. Dites bien des
choses de ma part a M.r le M. Albergatif mon attachement
pour lui est extreme. Je suis ravi, enchante de la noblesse de son
caractere, et des marques singulieres de la veritable politesse qu'il
m'a donnee par sa lettre. Voila de vos tours: c'est vous qui 1'avez
prevenu si favorablement pour moi. C'est a vous aussi d'achever
votre ouvrage. En lui faisant vos adieux, rappellez-lui mon sou
venir: faites qu'il me regarde comme le plus zele de vos amis.
C'est en dire assez. Adieu, mon aimable voyageur;3 voyagez
done puis qu'il le faut, mais comptez que mon amitie vous suivra
jusqu'au bout de Tunivers. Adieu, je vous embrasse de tout mon
coeur. Adieu.
i. Secondo la leggenda Anacarsi fu un savio scita che percorse a lungo
la Grecia ai tempi di Solone. A lui Tabate Barthelemy intitolera il suo
celebre romanzo Le voyage du jeune Anacharsis en Grece (1788). a. II
marchese Francesco Albergati Capacelli, caratteristica figura della cul-
tura bolognese settecentesca, noto come attore e commediografo. 3. ^03;^-
geur: il Taruffi aveva annunziato al Cesarotti la sua prossima partenza
per Varsavia.
492 MELCHIORRE CESAROTTI
IV
A MICHELE VAN GOENS1
[Giudizi sul Metastasio, sul Goldoni e su Ossian.]
Non vi lagnate per questa volta de' vostri librai, ma de' miei.
Quando vi scrissi, consegnai ad un di costoro i libri, ed egli mi disse
d'aver occasione di spedirgli per la via d' Augusta: con tal lusinga
egli mi tenne piu d'un mese, mandandomi sempre d'oggi in do-
mani : annoiato di tali stancheggi ripresi i libri, e gli raccomandai
ad un amico, il quale avendomi detto che la spesa dirittamente
per la posta era troppo forte, e che in breve s'attendeva Fincontro
d'una nave per FOlanda, aspettai buona pezza invano. Feci per
ultimo ci6 ch'io doveva far prima : mi rivolsi al sig. ambasciador di
Francia, il quale assunse di spedir il pacchetto a Parigi, e di la
farvelo giunger con sicurezza. Mi vergogno veramente di tanti
ritardi, e non vorrei che aveste a dir con ragione che la cosa non
valea la pena d'esser tanto aspettata.
La pittura che voi mi fate del vostro carattere e appunto qual
io la desidero, e se fosse delFumor d'una volta potrei anch'io
farmi onore dicendovi con Orazio: «utrumque nostrum incredi-
bili modo / consentit astrum ».2 Voi sete « secondo il mio cuore »
quanto il buon Davidde lo era secondo quello di Adonai.3 (Permet-
tete questa allusione ad un novello professore in lingua santa.)4
Voi sete, posso dir Funico, col quale io abbia intavolata una cor-
rispondenza letteraria: io ho sino ad ora costantemente sfuggite
siffatte cose. Convien far un lago di cerimonie, una scherma di
lodi, mostrarsi sempre nel miglior punto di vista: ogni lettera
diventa una dissertazione o un componimento : tutto ci6 m'annoia
i. Dalle Opere, xxxv, pp. 129-40. Questa lettera non e datata, ma deve
essere di poco posteriore a quella del van Goens, alia quale risponde,
e che porta la data dell' 8 febbraio 1768 (cfr. Opere, xxxv, p. 107). II
filologo olandese Michele Ryklof van Goens, professore di greco alPUni-
versita di Utrecht, era entrato in corrispondenza col Cesarotti, tramite il
matematico Paolo Frisi, fin dal settembre del 1767. 2. Carrn., n, xvn,
21-2 («le costellazioni di ognuno di noi due si accordano in maniera incre-
dibile»). 3. Voi . . . Adonai: penso che si riferisca al versetto biblico //
Reg., 7, 21 : «Propter verbum tuurn et secundum cor tuum fecisti omnia
nxagnalia haec». 4. novello . . . santa: in quell'anno il Cesarotti aveva ot-
tenuto la cattedra di lingua greca ed ebraica all' University di Padova.
LETTERE 493
a morte. Forse per6, senza ch'io m'accorga, c'entra qui un po' di
malizia dell1 amor proprio. Per esser tenuto da qualche cosa con-
vien ch'io sia veduto di rado e in iscorcio. II fondo delle mie
cognizioni e la dose del mio spirito non sono tali da poter reggere
alPosservazione non interrotta d'un occhio perspicace; e dunque
forza ch'io mi tenga in economia, e ch'io non m'esponga ad una
luce troppo viva e continua. Percio vorrei che aveste la generosita
di permettermi d' esser in molti e in molti capi un vero ignorante,
e di mancar di spirito tutte le volte che ne avro voglia. Cosi, pren-
dendo come per grazia quel poco ch'io posso darvi, ne resterete
abbastanza contento; laddove promettendovi molto, v'accerto che
vi trovereste il piii delle volte deluso. Questi sono i preliminari ne-
cessari se volete che la nostra corrispondenza proseguisca con
passo eguale.
Voi avete tutti i titoli per esser detestato dai nostri critici di
buon gusto, poiche osate stimar Goldoni e Metastasio. Sapete voi
che cotesti signori si beffano altamente del primo ? e se pur pure
fanno qualche grazia al secondo, darebbero pero tutti i suoi dram-
mi per VUlisse dell'ab. Lazarini,1 di cui se avete qualche cono-
scenza, Dio vel perdoni. lo mi compiaccio per altro di avervi
per compagno in questa come in varie altre eresie letterarie.
Approvo il vostro giudizioso riflesso sopra 1'ariette di Metastasio:
non parmi per6 che tutte siano cosi spiccate dalla situazion di chi
parla, ne che contengano una comparazione o un tratto di spirito.
Quella per esempio di Sabina neirAdriano, «Digli ch'e un in-
fedelew, e nello stesso dramma quella di Farnaspe, «S'io non ti
moro a lato», nel Tito quella di Sesto, ccSe mai senti spirarti sul
volto», quell'altra di Catone, «Con questo nome in fronte» non
sono di questo genere.2 Credo che, esaminando, se ne troverebbero
varie altre. Ma generalmente egli pecca assai spesso su questo
articolo. Pure confesso ch'io sono piu sensibile agli altri suoi
difetti, come alle scene oziose, alle galanterie subalterne, ai colpi
i. Allude alia celebre tragedia Ulisse il giovane del gia ricordato Domenico
Lazzarini (cfr. la nota Sap. 484), che il Cesarotti in un'altra lettera
(del 15 gennaio 1801 a Francesco Rizzo, qui non riprodotta) defimva
« fredda, trista e servile imitazione delle tragedie greche ». 2. Quella . . .
genere: le ariette citate appartengono rispettivamente ai seguenti melo-
drammi: Adriano in Siria, atto II, scena i; e atto I, scena xrv; La clemenza
di Tito, atto n, scena xv ; Catone in Utica, atto i, scena I.
494 MELCHIORRE CESAROTTI
di teatro che nascono piu dal poeta die dalla cosa. Ma lo stile
e il sentimento compensano di gran lunga le sue mancanze: una
delle sue scene patetiche val per tutte le tragedie di costoro che
si credono in dritto di annoiarci con Aristotele alia rnano.
Quanto a Goldoni,1 s'egli avesse tanto studio quanto ha natura,
s'egli scrivesse un po* piu correttamente, se il suo ridicolo fosse
alle volte piu delicato, se le sue circostanze gli avessero permesso
di comporre un minor numero di commedie e di lavorarle di piu,
parmi che potrebbesi con molta franchezza contrapporlo a Mo-
liere, il quale oser6 io dirvi che mi sembra che venga piuttosto
idolatrato che ammirato da' suoi Francesi. Egli non ha che quat-
tro o cinque commedie, 1'altre son farse per divertir il basso popolo ;
e a sentir i critici nazionali sembra ch'egli abbia esauriti tutti i
soggetti. Goldoni ha spinta molto innanzi la commedia morata?
anzi pu6 dirsene il padre, giacche egli non ha tanta coltura per
andarne a cercar il modello appresso 1'altre nazioni. La sua me-
diocrita nell'erudizione fa in questo punto il suo elogio; egli deve
tutto al suo genio. II sig. Diderot dice che sino ad ora non si
sono posti sul teatro se non se i caratteri, e dice che sarebbe un
campo nuovo e fecondo il mettere in scena le condizioni della
vita.3 Egli s'e scordato che Goldoni aveva molto prima eseguito
con gran successo ci6 ch'egli progetta compiacendosi come d'una
sua vista particolare. Non e per6 meraviglia che questo illustre
letterato siasi scordato di ci6, giacch6 seppe anche scordarsi che
il suo Figlio naturale sia precisamente il Vero amico del comico
veneto, benche* a dir vero ingentilito e migliorato dal francese.
Sopra tutto Goldoni m'incanta nelle sue scene di tableau* Ma,
convien dirlo, egli e troppo fecondo: dopo Lopez di Vega non so
qual altro abbia scritto tante commedie. Ora se ne fa in Venezia
un'edizione compiuta in 40 tomi, di cui ne sono gia usciti io.s
Egli la fa in vista del suo interesse: vorrei che ne facesse un'altra
di molto minor mole, unicamente per la sua gloria. Mi duol ve-
i. Quanto a Goldoni: il giudizio che segue e uno dei primi veramente
notevoli nella storia della critica goldoniana, anche per il confronto col
Moliere, che qui e per la prima volta impostato. 2. morata: di costume,
di carattere. 3. // sig. Diderot . . . vita: negli Entretiens sur le «Fils na-
turel» (1757), e nel trattato De la po&ie dramatique (1758). 4. scene di
tableau: d'assieme. 5. edizione . . . io: allude all'edizione Pasquali, inizia-
ta nel 1761 e rimasta interrotta al tomo XVII.
LETTERE 495
ramente di veder alcune delle sue commedie disgustar i conosci-
tori, quando potrebbero rendersi perfette con leggerissimi can-
giamenti. £ anche gran discapito che molte delle migliori sono
scritte in dialetto veneziano, che non pu6 esser gustato fuori
d' Italia. Del resto voi mostrate d'esser all'oscuro che questo
celebre scrittore si trova da tre anni a Parigi.1 L'aver qui a fare
con un gentiluomo padron di teatro,2 che conosceva assai meglio
qual differenza passi tra cinque e tra dieci diecine di ducati che tra
un'opera di genio e una sconciatura, lo indusse a cercar fortuna
fuor della patria, e and6 a Parigi per direttore della Commedia
Italiana.3 Qui pure ebbe le sue molestie, e il sig. Diderot non
credette di disonorarsi col tentar di screditare un ospite cosi illu-
stre, solo perche i nemici deirenciclopedista trovavano grandis-
sima somiglianza tra le due commedie di esso e quelle del Goldoni,4
senza che questo abbia mai mostrato di accorgersene. L'aria di Pa
rigi non giov6 molto, a dir vero, ai talenti del nostro comico:
egli cess6 d'esser originale, e prese ad imitare quella certa legge-
rezza delicata che caratterizza le petites pieces3 francesi senza mol
to successo. Le due ch'egli di la mando a Venezia confermano il
mio giudizio.6 Dopo varie amarezze pensava di lasciar la Francia,
ma inaspettatamente trovo grazia alia corte, e fu fermato per
maestro di lingua italiana appresso madama Adelaide.7
Niente pu6 esservi di meglio pensato quanto ci6 che voi dite
intorno la sublimita dello stile creduta sinora propria degli Orien-
tali. Ma nelle poesie di Ossian io ci trovo inoltre una sublimita
di sentimento e un eroismo cosi delicato che non sembra molto
conciliabile col carattere del suo secolo e della sua nazione, anzi pur
i. questo . . . Parigi: in realta il Goldoni era a Parigi fin dal 1762, cioe
da sei anni. 2. gentiluomo . . . teatro: Francesco Vendramin, proprietario
del teatro di San Luca. 3. andd . . . Italiana: non ando il Goldoni a
dirigere la Commedia Italiana, ma piu umilmente a rinnovare gli scenarii
invecchiati di quel vecchio teatro, e a scriverne di nuovi (Ortolam). 4. tra
. . . Goldoni: oltre la materia del Fils naturel, ricordato sopra dal Cesarotti,
Diderot trasse dal Goldoni, e precisamente dal Padre di famiglia, 1'argo-
mento del Pere defamille. Sull'atteggiamento del Diderot verso il Goldoni
cfr. anche i Memoir es, m, 5. 5. petites pieces: brevi azioni teatrali comi-
che da uno a tre atti che venivano rappresentate dopo quelle in cinque
atti. 6. Le due . . . giudizio: tra il 1763 e il 1768 il Goldoni mand6 da
Parigi a Venezia parecchie commedie (tra cui II ventaglio, la trilogia di
Zelinda e Lindoro, Gli amanti timidi)', difficile percid stabilire a quali tra
queste alluda il Cesarotti. 7. madama Adelaide: la primogenita di Lui-
giXV.
49^ MELCHIORRE CESAROTTI
della natura umana in un tale stato. Quand'anche voglia supporsi
che quei poem! celticl non siano veramente del figlio di Fingal,
conviene ad ogni modo accordare che sono d'una antichita cosi
remota che la mia difficolta conserva ancor la sua forza. Per po-
terne discorrer con fondamento converrebbe esser al fatto del
vero spirito di quel popolo, ed averne una storia seguita e parti-
colareggiata. Ma dove sono i monument! ? Quel poco che ne sappia-
mo dagli storici greci e latini ci rappresenta i Caledoni in un
punto di vista affatto diverse da quello in cui Ossian ce li dipinge.
II sig. Blair,1 professor di belle lettere a Edimburgo, pubblic6 una
dotta Dissertazione a questo proposito, in cui raccoglie una serie
di circostanze atte, secondo lui, a spiegar questo singolare fe-
nomeno. Le sue osservazioni son giudiziose, ma confesso che non
m'appagano interamente. Le circostanze ch/ei mette in campo
sono in gran parte comuni a molte altre nazioni, pure i loro anti-
chi poeti non somigliano punto ad Ossian per questo capo. S'io
compisco mai questa traduzione, penso di dime anch'io qualche
cosa, prendendola per un'altra parte. La mia idea potra sembrar
una stravaganza, ma s'io giungessi a provarla, converra confessare
che Ossian e il piu gran genio che sia mai comparso sulla scena
poetica. Attendo intanto il vostro giudizio e i vostri riflessi: forse
sono anch'io attaccato senza accorgermene dal contagio dei tra-
duttori : confesso che sento per questo poeta un entusiasmo straor-
dinario. Non e ch'io non ne conosca i difetti; ma le sue bellezze
mi sembrano innumerabili e trascendenti. Correggetemi, illu-
minatemi.
Non so dirvi per altro quando potr6 proseguire il lavoro in-
trapreso. II Magistrate de' Riformatori dello Studio di Padova
s'e fitto in capo ch'io debba attendere a tradur qualche opera dal
greco per uso delle stampe di Venezia.2 Un tal progetto non e
molto di mio genio, ma, oltreche mi conviene ubbidire, cotesti
signori mi persuadono inoltre con un argomento stringente, quest' 6
che si mostrano disposti a pagare le mie fatiche. L'autore dell'opera
la piu originate ed interessante qui tra noi potrebbe benissimo
consumarsi d'inedia tra Jl fumo degrincensi, come quel Mene-
crate alia mensa di Filippo. Per me confesso che ci vuol qualche
i. Sul Blair e la sua Dissertazione cfr. la nota a p. 93. z. II Magistrate . . .
Venezia: cfr. su questo punto, a p. 287, il cappello al Ragionamento pre-
Kminare al corso ragionato di letteratura greca.
LETTERE 497
cosa di piu solido che un po' di lode per impegnarmi. II sentimen-
to non e molto eroico, ma e assai naturale in chi ha passata la prima
gioventu. Senza esser punto interessato, trovo che un po' di agio
e la quiete e quanto si pu6 ragionevolmente bramar nella vita.
Fuwi un tempo in cui mi lasciava solleticar un po' piu della
gloria (benche sarei ridicolo se mi dessi a credere che una certa
gloria luminosa potesse giammai appartenermi), pure questa bella
chimera mi sedusse alcun poco : ma poiche osservai piu dappresso
quanto ella sia distribuita a capriccio, quante pene ci costi, a quan-
te brighe ci esponga, quando vidi che per dieci freddi lodatori ci
procaccia cento invidiosi malevoli, mi son messo in una calma
perfetta su questo punto, e pago di non esser disprezzabile a me
stesso e agli occhi di qualche amico sincere e discreto, rinunziai del
tutto al progetto di farla da venturier letterario. S'io fossi uno di
quei felicissimi ingegni a cui basta il volere per produr sempre
qualche opera singolare e distinta, vorrei anch'io incalorirmi un
po' piu perche la gloria e '1 diletto sarebbero comperati a buon
prezzo. Ma nella mia mediocrita il piu picciolo lavoro di spirito
mi gravita nella fantasia e la soverchia. Se 1* opera e un po' lunga,
io non ho mai riposo fincb.6 non e terminata: quell'idea mi perse-
guita per tutto e non mi lascia un momento ne solo n6 accompa-
gnato, e posso dir con verita che ho addosso una specie di febbre.
Ora senza esser molto sparso nella societa non son per6 uomo da
troncar ogni commercio con essa, e andarmi a seppellir come De-
mocrito per trar dal suo pozzo la verita.1 Ci6 fa ch'io mi contento
di costeggiar i lidi della letteratura, senza mettermi in alto mare,
e a riserva di qualche bagattella galante o ufiziosa non ho mai fatto
di mio cosa che vaglia la pena d' esser letta. Io mi soglio applicar
alcuni versi d'un uomo di spirito mio amico:
Ve I'ho gia detto, ed or vel torno a diret
che la poltroneria mi da la vita,
e vo' far poco e adagio, ovver morire.2
i. seppellir . . .verita: Democrito pass6 gran parte della sua vita nella
citta natale di Abdera, unicamente intento ai suoi studi. 2. Sono versi
tratti da un sonetto Agli amid di Gasparo Gozzi, raccolto nelle Rime
piacevoli. II primo verso e propnamente : « Gia ve Tho detto ed or torno
a ridire».
32
498 MELCHIORRE CESAROTTI
Eccovi una sincera confessione del mio carattere e della mia for
ma di pensare su quest! punti. Pure le cortesi espressioni della
vostra dolce amicizia avrebbero di che sedurmi, e s'io non fossi
ora alle prese colla Legge Vecchia,1 potrei forse mettermi di propo-
sito a lavorar questo piano di Poetica? bench'io vegga quanto son
lungi dalTaver i talenti e i lumi necessari per questa impresa.
II vostro confronto me lo fa sentire piu vivamente; veggo dalle
vostre lettere stesse che voi possedete il sistema, del quale io non
ho se non se qualche idea mal seguita, abbondate di cognizioni
sussidiarie, e avete il dono delle lingue quanto un apostolo nella
Pentecoste. Invece dunque di spronar me, stimolate voi stesso,
ed arricchite le lettere di questa beH'opera per cui siete fatto.
Intanto, lungi dal far qualche conto sopra i miei sparsi capitali,
disponetevi piuttosto a lasciarmi bottinar3 sopra i vostri. Fatemi
parte delle produzioni del vostro spirito : e ben giusto che 1'amico
opulento soccorra all'indigenze del meno agiato.
Voi m'avete fatto cenno di certi componimenti polari.4 Questo
e parlar di cibi delicati ad un ghiotto. Se vi trovate averli alle mani,
mi f arete un distinto regalo a trasmettermegli.
L'edizione deH'Ariosto fatta dall'Orlandini5 & compiuta, ma pie-
na di scorrezioni. Addio.
i. Legge Vecchia: il Vecchio Testamento, al cui studio il Cesarotti si dedi-
cava in qualit& di professore d'ebraico. 2. piano di Poetica: fin dalla sua
prima lettera il van Goens aveva invitato il Cesarotti a realizzare il suo
vecchio progetto di un'opera filosofica sulla poesia, progetto accennato
nella fine del Ragionamento sopra Vorigine e i progressi delVarte poetica
(qui a p. 85). 3. bottinar: far bottino, predare. 4. componimenti polari:
nella lettera a cui il Cesarotti risponde, il van Goens aveva fatto cenno ai
frammenti d&\VEdda, pubblicati dal Mallet nei suoi Monuments de la
mythologie et de la po6sie des Celtes, et particuherement des anciens Scandi-
naves, Copenhague 1756. 5. L'edizione Orlandini deWOrlando furioso
era uscita a Venezia in due tomi nel 1731, seguita nel 1741 da una seconda
in quattro tomi.
LETTERE 499
V
A MICHELE VAN GOENS1
[Poeti tedeschi e poeti primitivi.]
lo arrabbio di dispetto e di noia: il mio povero Ossian e ben
da compiangersi: non c'e alcuno che voglia incaricarsi di que
sto deposito;2 ed io mi trovo costretto a scomparir senza colpa.
Resta dunque ch'io m'addrizzi a voi. Prescrivetemi il modo pre
cise ch'io debbo tenere per farvelo giungere, ed io lo eseguir6
puntualmente.
Go do di veder la vostra giudiziosa critica libera del paro e
indulgente conciliar insieme 1'esattezza ed il candor d'animo.
Questo non e certo il metodo della corrente de' nostri satrapi let-
terari. Satirici maligni o ridicoli entusiasti, mettono in cielo gli
antichi per cacciar sotterra i moderni. In luogo di bilanciar
i pregi e i difetti, e format con questo mezzo un giudizio esat-
to e ragionevole, non rilevano che gli ultimi, come se alcuno
scrittore ne andasse esente, e con un maligno silenzio nei loro
artifiziosi estratti sorprendono la semplicita dei lettori, e danno
loro a credere che Popera censurata non sia che un tessuto d'er-
rori e d'imperfezioni.
Voi mi toccate il cuore lodandomi i poeti tedeschi. Sapete
voi ch'io ne sono innamorato al par di voi stesso, benche non sia
in caso di gustare gli originali, e non ne abbia letto che alcu-
ni pochi componimenti nelle traduzioni francesi ? Parmi che Fes-
ser comparsi piu tardi delFaltre nazioni sulla scena poetica ab
bia confluito molto a perfezionarli. Essi conservano quell' amabi-
le semplicita e per cosi dire quella freschezza di natura che sembra
caratterizzar le prime produzioni di tutti i popoli, e sono nel
tempo stesso a portata di profittar dei lumi del secolo, della
moltiplicita dei grandi modelli e del gusto della buona critica
che la vera filosofia ha sparse in questo genere di studL Le Poesie
i. Dalle Opere, xxxv, pp. 157-61. Anche questa lettera non ha data, ma sai&
di poco posteriore a quella del van Goens, scritta il 24 marzo 1768 (cfe.
Opere, xxxv, p. 141), alia quale essa risponde. 2. di questo deposito: doe
di far pervenire al van Goens, che li aveva chiesti, i volumi delle tradu
zioni ossianiche.
S°° MELCHIORRE CESAROTTI
di Haller, gVIdilli di Gesner e la Morte diAdamo di Klopstok1 sono
le sole cose che mi giunsero alle mani, e m'incantarono estrema-
mente. lo trovo ch'essi hanno sfiorato le bellezze delle altre nazio-
ni scansando maestrevolmente i loro difetti: senza esser grossolani
hanno la semplicita del Greci, e sono ingegnosi al par del Frances!
senza far sempre pompa di spirito a spese della natura e del senti-
mento. Ove si trova in tutta Tantichitk cosa si delicata come
// primo navigatore, e la novella di Zemia e Gulindi ?2 Ardo sopra
tutto di voglia di legger la Messiade:3 ragguagliatemi se siane an-
cora uscita la traduzione.
Dei fabliaux non ho altra conoscenza che quella che ne dk il
co. di Caylus4 nella sua Memoria inserita fra Paltre dell'Acca-
demia. lo non sono di quelli che trattano da rancidumi tutte le
cose scritte in un linguaggio alquanto antico. Per lo contrario
quella semplice rozzezza spesso m'alletta piu che il raffinamento
dej tempi piu colti. Mi piace di veder le prime tinte dell'elegan-
za nascente. lo mi sono fatto uno studio di legger tutti i nostri
piu antichi italiani. Non pur Dante nelle sue poesie liriche, ma
Guido,5 Cino ed altri ancora piu antichi hanno delle cose ammira-
bili, espressioni energiche, immagini vive, tratti toccanti. Per
esempio non e forse una gentilissima pittura questa di Guido
Cavalcanti ?
In un boschetto trovai pastorella
piu che la stella bella al mio par ere:
capelli avea biondetti e ricciutelli;
e gli occhi pien d'amor, cera rosata:
con sua verghetta pasturava agnelli,
e scalza, e di rugiada era bagnata;
cantava come fosse innamorata,
era adornata di tutto piacere 6
i. Su Haller e su Gessner (autore del poemetto II primo navigator ey ricor-
dato piu avanti dal Cesarotti) cfr. le note 6 a p. 437 e 2 a p. 409; sulla
Morte di Adamo, la nota sap. 484. 2. la novella . . . Gulindi: del Wie-
land, su cui cfr. la nota 2 a p. 437. 3. La Messiade: il capolavoro del
Klopstock, pubblicato fra il 1748 e il 1773. II van Goens gli mandera la
traduzione inglese del Colhser, Tunica allora esistente (cfr. Opere, xxxv,
p. 1 66). 4. co. di Caylus: celebre archeologo e letterato francese (1692-
1765)* pubblic6 una raccolta di Fabliaux nel tomo xx dei «Recueils de
1' Academic des Inscriptions)). 5. Guido : Cavalcanti. 6. Sono i primi
otto versi della famosa ballata. Mantengo naturalmente il testo del Ce
sarotti.
LETTERE 501
La mescolanza della religione colla galanteria, regalo dello spi-
rito cavalleresco, e Fassurda metafisica di que* tempi guasta-
rono le opere dei nostri antichi. Essi sminuzzarono Panima in
mille parti: anima, mente, cuore, spirito sono altrettanti enti
distinti che si accapigliano tra loro, benche spesso, rappattu-
matisi nello stesso componimento quando men si aspetta, diventino
una cosa stessa. Lo spirito, di piu, genero molti figli detti (cspi-
ritelli» che sono i principali agenti di quelle poesie: Puno par-
la, 1'altro risponde, e fanno tra loro un vero galimatias.1 Del
resto quanto ho detto di sopra basta per farvi intendere ch'io
gradisco al sommo il regalo che meditate di farmi.z Intanto vi
ringrazio del saggio che me ne avete trasmesso.3 Quella pecca-
trice m'ha fatto molto ridere: vi so dire ch'ella ha ben rotto lo
scilinguagnolo, come si dice tra noi. Ella dice a que* santi le
lor verita, ed essi ben le meritarono per la loro durezza. Questo
e il carattere dei divoti, d'esser importuni vivi e morti. La can
zone del salce e ancora piu di mio genio. Ella e semplice e toc-
cante, ed io la gustai estremamente.
Ho letto il libro di M.r Mallet,4 e ne ho fatto qualche uso
nelle mie Osservazioni sopra Ossian. Accennandomi dei componi-
menti nati sotto il polo, io credea che parlaste in rigor di terrnine,
Lo Scheffero5 rapporta due piccole canzonette lappone ch'io ho
tradotte. Mi lusingava che La Condamine6 o Maupertuis7 potes-
sero averne fatta qualche raccolta. Addio.
i. galimatias: chiacchierata. 2. il regalo . . .farmi: allude alia promessa,
fattagli dal van Goens (cfr. Opere, xxxv, p. 153), di inviargli una raccolta
di Fabliaux et conies, dei secoli XII-XV, e un'altra di antiche poesie inglesi
(Reliques of ancient english Poetry, pubblicate nel 1765 da Thomas Percy).
3. saggio . . . trasmesso: il van Goens gli aveva inviato, in appendice alia
sua lettera, la trascrizione (che non ci e pervenuta) di due antiche poesie
inglesi. II Cesarotti allude appunto ad esse nelle righe che seguono. 4. il
libro . . . Mallet: i Monuments ecc. del Mallet, sui quali cfr. la nota 4 a p.
498. 5. Scheffero: Johann Scheffer (1621-1679), erudito alsaziano, autore
di un' opera intitolata Lapponia, sen gentis regionisque lapponicae descriptio
accurata (1673). 6. Sul La Condamine, celebre viaggiatore francese del
Settecento, cfr. la nota a p. 325. 7- Piuttosto che del famoso matematico
penso che il Cesarotti intenda parlare di Jean-Baptiste Drouet du Mau-
pertuy (1650-1730), autore di una Histoire generale des Goths (1703)-
502 MELCHIORRE CESAROTTI
VI
A SAVERIO MATTEI1
\Traduzioni delta BibUa e di scrittori greet.]
Padova, II giugno 1778.
Mi rallegro che abbian trovata qualche grazia dmanzi al vostro
tribunale i miei Ragionamentf che vanno dietro alle due tragedie
del Voltaire. lo gli ho scritti molti anni fa, e gli avrei certamente
migliorati e rettificati in piu d'un luogo, se avessi dovuto ristam-
parli, specialmente dopo aver letto le vostre maravigliose ed in-
comparabili dissertazioni su queste materie.3 Confesso ch'io stava
con molta trepidazione del vostro giudizio. lo vi metto assoluta-
mente alia testa dell'areopago letterario, n6 avrei saputo come o
a chi appellarmi da una vostra sentenza condannatoria. Or che
ho la buona sorte di trovarvi favorevole, sfido francamente tutti
gli Eaci e i Radamanti, non che un intero esercito de} nostri giu-
dici triobolari.4
Ho letto nuovamente il vostro discorso sopra i tragici greci,5
<e lo trovo sempre piu sorprendente. Non poteva immaginarsi
niente di piu solido, di piu nuovo e di piu felice, ne trattarsi con
maggiore sceltezza di erudizione e forza d'ingegno. Questo e il
solo sistema che pu6 giustificare i tragici greci di tante apparenti
incongruenze, che in ogn'altro modo riescono inescusabili. Voi
mi consolate facendomi toccar con mani che la scena dei Greci
era discretamente variabile; giacch£ non ho mai saputo adottare
come un canone inrefragabile quella scrupolosa unita di luogo
contraria alia natura dej fatti che hanno preparamento e viluppo.
Se avessi dovuto tradurre i tragici greci, credo che, senza essermi
i. Dalle Opere, xxxv, pp. 270-6. Saverio Mattei, giureconsulto, orienta-
lista e musicofilo calabrese (1742-1795), noto soprattutto per la sua tra-
duzione in strofette metastasiane dei Libri poetici della Bibbia (Napoli
1766-1774). 2. Ragionamenti: quelli Sopra il diletto della tragedia e So
pra Vorigine e i progressi delVarte poetica, ambedue riportati in questo
volume. 3. dissertazioni . . . materie: allude alia Dissertazione sulla « Ohio-
ma di Berenice » di Callimaco e di Catullo e alia Maniera d'interpretare i tra
gici greci, stampate a Siena (1776-1778). 4. triobolari'. che valgono un
triobolo (moneta greca di scarso valore). 5. discorso . . . greci: la Maniera
d*interpretare i tragici grecit citata.
LETTERE 503
incontrato col vostro sistema, ci avrei aderito cosi per istinto,
trasportando in versi lirici rimati i pezzi di maggior passione e
scritti con metodo diverso. Ma certamente adesso disperarei di
potermi accostare all'eccellente traduzione che avete fatto di quel-
la scena delVEcuba* che mi mette in un furioso desiderio di ve-
dere un'intiera tragedia da voi tradotta in un modo cosi naturale
e mirabile.
In prova che 11 vostro discorso ha fatto un vero effetto sopra
il mio animo, devo chiamarmi in colpa dinanzi a voi d'un pec-
cato non indifferente, ed e quello di aver inawedutamente aderito
al pregiudizio de' nostri pedanti, ch'escludono i drammi del Me-
tastasio dal numero delle genuine tragedie. Ci6 fece ch'io non
ne parlassi ne' miei giambi intorno a' tragici antichi e moderni.2
Posso per 6 pregiarmi, a differ enza di costoro, di aver sempre
ammirato Metastasio come uno dei piu sovrani poeti che sieno
mai stati al mondo.3 Del resto, non mi crediate punto piu parziale
de' moderni che degli antichi. lo mi pregio in queste materie della
perfetta neutralita; e se talora sembro un po' piu sensibile a*
difetti che alle virtu dei Greci questo non e che per 1'odio che mi
destano i nostri miserabili critici, che esaltano costantemente gli
antichi a spese de' moderni, e rinegano il buon senso per tra-
sformare in pregi anche i loro vizi.
Veniamo alle cose vostre. Voi v'ingannate se credete che io
possa adularvi, e che le mie espressioni non nascan dal cuore.
Voi vi offrite di cambiare nella vostr'opera quel che a me non
piacera senza esame, come se il mio gusto sia piu fino e piu sicuro
del vostro. Comunque sia, per darvi una prova del mio candore
vi compiego un foglio de' passi che crederei che potreste ritoccare
nella vostra traduzione. Egli e certo che, quanto alia sagacita cri-
tica che risplende nelle dissertazioni e nelle note, non vi pu6 es-
sere che una voce di applauso. La traduzione in generale e feli-
cissima, disinvolta ed originate : i Salmi possono chiamarsi vostri,
giacch6 voi per lo meno fate a meta con Davide. II vostro modo di
ifEcuba: la tragedia di Euripide. 2,. giambi . . . moderni: allude ai suoi
Iambi de poetis tragicis, stampati la prima volta nel 1762 con le traduzioni
del Cesare e del Maometto di Voltaire e i due Ragionamenti. Degli italiani
vi sono ricordati solo il Maffei e il Conti. 3- Posso . . . mondo: sull'am-
mirazione del Cesarotti per il Metastasio cfr. qui, a pp. 481-2, 1'elogio
nel Saggio sulla filosofia del gusto, e il giudizio nella lettera al van Goens
riportata in questo volume, a p. 492.
504 MELCHIORRE CESAROTTI
tradurre adegua tutte le mie idee in questo proposito. Chi sa tradur
cosi, merita di esser posto fra gli originali ben piu die fra i tradutto-
ri. Potrebbe non pertanto in qualche luogo non piacere intera-
mente a tutte le classi per qualche negligenza, per qualche scar-
sezza di rime nelle canzoni libere, e per qualche non grato concorso
di vocali, che non di rado s'incontra ne' versi, cose a cui le schiz-
zinose orecchie de' nostri potrebbero esser troppo sensibili. Mi
taccereste voi di temerita, se osassi confortarvi a ritoccare alcuni
luoghi almeno per adattarvi alia nostra superstizione, e sapete
che questa e una divinita, a cui bisogna o poco o molto sacrificare
ad ogni costo? Ho stimato ancora notarvi tutti i versi sdruccioli
posti a caso: non parlo dei componimenti intieri in tal sorta di
versi, parlo di quei che si frammischiano e ch'io vorrei che non
si frammischiassero se non quando esprimessero qualche cosa che
richiedesse la novita di tale straordinaria cadenza, come sono que-
gli ammirabili e divini sdruccioli che frammischiate nella tradu-
zione del salmo «Diligam te, Domine». Ne' luoghi segnati forse
il mio affetto per voi mi avra reso un poco timido, e forse io stesso
sono un poco piu superstizioso di quel ch'io creda, e mi figuro di
poter dispiacere a taluno qualche cosa che forse non dispiacera;
ma in ogni modo la nostra amicizia non soffre ch'io vi dissimuli
ciocche sento e che parmi di esser di maggior vostra gloria.
Intanto datemi ancor voi prova della vostra sincerita. Non sara
difficile che, dopo terminata la traduzione di Demostene, io debba
lavorare intorno alFOmero. Per dare a me stesso un saggio delle
mie forze ho tradotti i primi 500 versi dell'Iliade, e se tutto po-
tesse continuar cosi, non potrei esser discontento della mia fatica.
Se mai accadesse ch'io dovessi daddovero esercitarmi in questo for-
midabile lavoro, mi raccomandero caldamente a' vostri lumi, giac-
che in tal caso sarebbe mio pensiero di arricchire il testo di tutte
le annotazioni ed illustrazioni piu ragionevoli. Vi accludo anticipa-
tamente questi 500 versi, su de' quali aspetto un particolare e
minuto vostro giudizio; ma il piacer di discorrer con voi mi fa
abusar della carta e dell'ozio vostro. Continuate ad amarmi, ed
accertatevi che io sono con tutto Io spirito.
LETTERE 505
VII
A CLEMENTINO VANNETTI1
[Sulle epistole del Vannetti al Monti.]
Ebbi successivamente e lessi con sommo piacere le due sue poe-
tiche epistole2 piene di sapore e di grazia. II buon gusto critico,
la disinvoltura dello stile, la finezza delle allusioni, il sale e Tur-
banita degli scherzi che regnano ugualmente in ambedue, le ren-
dono cosi pregevoli che potrebbero far onore, per non dir invidia,
ad Orazio. Se queste espressioni sembrano forse caricate alia sua
modestia, ella non deve incolpar che se stesso, giacche scrive in
mo do che non si puo con lei esser ingenuo senza parer lusinghiero.
Merita anche somma lode il suo assunto di purgar il Parnaso ita-
liano dalla corruzione che lo minaccia. Vorrei per6 ch'ella non si
contentasse di compier 1'uffizio sol per meta, e che censurando un
difetto non usasse troppa clemenza col suo contrario. La gonfiez-
za, la preziosita dello stile, il francesismo, il barbarismo e la pe-
danteria scientifica erano vizi ben degni della sua sferza: ma non
la meritano meno la vacuita d'idee, la magrezza, la timida su-
perstizione, la servile imitazione, Tabuso della mitologia, il fra-
seggiamento ozioso, le cruscheggianti ricerche che formano tutto
il merito d'un'altra classe de' nostri verseggiatori. M'inganno io
forse credendo che la nausea promossa giustamente in lei dagli
sgraziati e fanatici imitatori degli scrittori oltramontani 1'abbia
messo di mal umore anche coi loro originali innocenti ? A cio vorrei
attribuire Pepiteto di fumoso e quasi idropico che da a Thomas,3
qualita ch'io confesso di non riconoscere in lui, non parendomi
che il suo stile sia sconveniente ne alia grandezza dei soggetti, n£
alia sublimita dell'oggetto ch'ei si propone, ne alia specie di lettori
i. Dalle Opere, xxxvi, pp. 52-4. La lettera non ha data, ma dalla risposta
del Vannetti (riprodotta anche in questo volume) che e del 17 giugno 1780,
si trae che questa del Cesarotti deve essere di poco anteriore. Su questa
corrispondenza tra il Cesarotti e il Vannetti cfr. la Nota intraduttiva
al secondo. 2. due . . . epistole: due epistole di tipo oraziano indirizzate
al Monti e composte nel 1779 e nel 1780. 3. Vepiteto . . . Thomas: nella
nota 14 alia sua seconda epistola al Monti il Vannetti aveva defimto il
Thomas « fummosissimo e direi quasi idropico » (cfr. C. Vannetti, Opere
italiane e latine, vi, Venezia, Alvisopoli, 1831, p. 223). Sul Thomas cfr.
la nota 4 a p. 359.
506 MELCHIORRE CESAROTTI
a cui s'indirizza. lo la trovo anche un po' severe coi poeti tedeschi,
tra' quali vorrei domandar grazia per Tamabile e virtuoso Gesner.
Essi hanno, non v'ha dubbio, i loro difetti; ma i nostri, i latini e i
greci ne mancano ? e nella letteratura non meno die nella morale,
non e questa una legge inevitabile dell'umanita, che Tuomo il
piu grande partecipi almeno del vizio ch'e rmitimo alia sua virtu ?
Ella vede, sig. cavalier gentilissimo, ch'io non mi sono poi fatto
una legge di lodar tutto senza qualche eccezione; e Taver cuore
di avanzarle questi dubbi malgrado la dolce seduzione d'un cenno
inaspettato di lode uscito dalla sua penna sopra di me,1 parmi un
tratto di rigidezza stoica che pu6 rassicurarla per sempre sulla
mia eroica sincerita. Del resto, malgrado qualche apparente di-
versita nelle nostre opinioni, io amo di credere che siam d'accordo.
Ho troppo interesse a pensar cosi: ella non ha che a far dei versi
per aver sempre ragione. L'ltalia, com' ella ben dice in una sua
nota,2 aspetta il suo Boileau. II sig. cav. Vannetti pu6 esser il
Boileau italiano senza che disprezzi Quinault3 o faccia una cattiva
apologia della prima strofa di Pindaro.4 Mi continui la sua buona
grazia, e mi creda colla piu affettuosa stima.
VIII
A CLEMENTINO VANNETTI 5
[((Arricchire Verario della nostra lingua.^
Padova.
Io ho bisogno di tutta quella virtu da cui deriva il suo nome
per farmi perdonar Teccesso della mia tardanza a rispondere al
suo pregiatissimo foglio dei 17 dello scorso. Non e gia ch'io non
1. cenno . . . sopra di me: nella citata epistola al Monti il Vannetti aveva
ricordato, fra i migliori poeti contemporanei d' Italia, il «caldo Cesarotti».
2. in una sua nota: nella nota 49 alia stessa epistola il Vannetti aveva detto:
«Noi abbiamo de' Perrault e de' Marets in Italia, e aspettiamo un Boi
leau » (cfr. Opere italiane e latine, ed. cit., VI, p. 230). 3. Philippe Quinault
(1625-1688), autore di tragedie e di libretti per musica, e ricordato dal
Boileau neft'Art poitique con i versi famosi: «Si je veux exp rimer un
auteur sans deiaut, / la raison dit Virgile, et la rime Quinault ». 4./ac-
cia . . . Pindaro : come aveva fatto appunto il Boileau* in polermca col
Perrault, nelle Reflexions critiques sur Longin. 5. Dalle Opere, xxxvi, pp.
59-66. Risponde alia lettera del Vannetti del 17 giugno 1780, pure ripor-
tata in questo volume.
3
LETTERE 507
potessi scemar la mia colpa con varie scuse plausibili, ma credo
meglio lasciar a lei tutto intero il merito del perdono, valendomi
per mediatore del suo favorito Orazio. La sua lettera sopra la tra-
duzione del Corsetti1 ch'io non ho letta, e dopo la sua censura
non ho veruna voglia di leggere, e plena di sensatezza e di gusto.
Ella e tra i pochissimi che a' nostri tempi meritino 1'apostrofe ora-
ziana « docte sermone utriusque linguae »,2 e si mostra perfettamente
iniziato in tutti i misteri dell'arte dello stile, comunemente scono-
sciuta in Italia. Alcuni fra noi sono come i Moscoviti, cui, al dire
di Montesquieu, bisogna scorticare per dar loro del sentimento,3
e per cui i ^pungoli delicati della locuzione sono interamente
perduti: altri affettano un purimo inanimate, e giudicano del-
1'espressioni sull'autorita dei dizionari: ma il senso esquisito
della bellezza intrinseca dei termini, Tanalisi filosofica del lo
ro valore, la fmezza di giudicar fra due espressioni apparente-
mente sinonime & un dono di pochi eletti, fra cui ella tiene un
posto assai ragguardevole. In somma in questa sua lettera io
non trovo che da lodarla a suo dispetto. Solo volendo sofisti-
care, affin di piacerle, giacche ella brama le censure, come gli
altri vanno a caccia degli elogi, potrei dir che nell'esame critico
fatto alFinterprete parmi di subodorare una prevenzione forse
eccedente per Poriginale; ma siccome ella non tratta questo pun-
to exprofesso, cosi non mi credo in diritto di fargliene ancora una
colpa.
Approvo molto ch'ella si proponga di estendere la sua censura
poetica all'altra classe di difetti che awilisce il Parnaso italiano.
Non e per6 mestieri che io le additi o i componimenti o gli autori.
Oltrech6 io amerei piuttosto la critica ideale che la personale, i
vizi accennati si trovano sto per dire in quasi tutte le opere dei
poeti italiani che si piccano di conservar intatto il buon gusto
nazionale. La servile imitazione, la superstizion della lingua, la
scarsezza delPidee, la timidezza eccessiva nello stile, Pabborrimento
a tutto ci6 che sente di novita o d'arditezza anche la piu felice,
i. lettera . . . Corsetti: cfr. la nota relativa nella lettera del Vannetti del
30 agosto. 2. Orazio, Carm., in, vin, 5, dice esattamente: « Docte ser-
mones utriusque linguae » («Dotto conoscitore di ambedue le lingue»);
e intende del latino e del greco, mentre il Cesarotti allude all'italiano e al
latino. 3. Moscoviti . . . sentimento: cfr. De V esprit des lois, in Oeuvres, I,
Paris, Hachette, 1908, p. 316.
508 MELCHIORRE CESAROTTI
sono i caratteri dominant! delFitalianismo,1 e, se volessi citar del
nomi, Venezia, Padova, Verona, per non estendermi piii oltre,
potrebbe somministrarmi piu d'un esempio. Un vano fraseggia-
mento detto poetico, tratto dalla mitologia, forma una gran parte
del merito di vari altri. La cieca adorazione dei Latini e dei Greci,
1'erudizione grammatical, la critica senza filosofia e senza gusto,
la ridicola fedelta delle traduzioni sono i difetti comunissimi della
corrente dei maestri e dei dotti, e sono piu perniciosi degli altri
perch6 impongono maggiormente coH'autorita. L'educazione della
gioventu e in mano di pedanti e di scrittori mediocri che diffon-
dono il pregiudizio e lo awalorano per loro proprio interesse. Gli
oltramontani, che hanno il doppio peccato d'essere moderni e
stranieri, non hanno un credito cosl radicato che basti ad im-
porre all'universale ; i loro vizi comunemente non seducono che le
persone di mondo o quelli d'ingegno men disciplinato e men
colto; e combattuti ragionevolmente dai pochi, pedantescamente
dai molti, liberalmente dai tutti, non possono essere gran fatto
pericolosi: laddove gli antichi e i principali italiani hanno per loro
il fanatismo delPantichita, la fazione autorevole degli eruditi, la
prevenzione del patriottismo, ne si pu6 arrischiar di attaccarli senza
pericolo d'aver la taccia di sacrilego. lo posso dirlo con fonda-
mento, io che fui trattato poco meno che da eresiarca perche qua
e la nelle mie opere osai parlare su questi soggetti con una onesta
e filosofica liberta. Ci6 deve tanto piu animare il suo zelo ad eser-
citar una critica pienamente libera: «Tros Rutulusve fuat nullo
discrimine habeto».2 Io non condanno adunque la censura degli
autori grandi purche" sia proporzionata al difetto e lontana da
qualunque sospetto di prevenzione. II gusto esclusivo, la scuola,
Tautorita, la passione ci seducono talora malgrado nostro. Non sa
piacermi il metodo di condurre i lettori nel sentier di mezzo col
trarli da un estremo all'altro. AlFincontro, le opinioni estreme
sembrano autorizzar le contrarie, e Teccesso o la parzialita sce-
mano fede alia critica meglio fondata. Confesso che trovai strano
nella sua bocca il titolo di fumoso e d'idropico dato a Thomas.3
i. italianismo: la letteratura italiana. z. Virgilio, Aen., x, 108, dice esat-
tamente : « Tros Rutulusne fuat, nullo discrimine habebo » (« che sia troiano
o rutulo, non far6 alcuna distinzione»). 3. Confesso . . . Thomas: sul Tho
mas cfr. la lettera precedente e la nota relativa.
LETTERS 509
M5e noto che piu d'uno pensa cosi, ma questo appunto parmi uno
di que' tanti giudizi dettati dalla prevenzione di cui abbonda
Tltalia, e che mi spiacque di veder autorizzato dalla penna d'uno
scrittor come lei. II gonfio e lo sproporzionato nel grande: mi si
mostri questa sproporzione, e la causa e vinta: finche non si fa
questo, il denominar un autore pieno di somme virtu da un difetto
apparente, e ci6 con un'espressione caricata ed acerba, e un tratto
che non par facile a giustificarsi. lo non prendero la briga di far
1' apologia dei poeti tedeschi, vorrei solo che si rendesse adeguata
giustizia anche ai loro rneriti, e questa non e adeguata quando si
scorre leggermente sopra di questi, e si calca soltanto sopra i difetti.
Cosa ha V Italia, anzi tutta Pantichita, che uguagli Ilprimo naviga
tor e di Gesner ? che meraviglie, che fanatismo non si sarebbe de-
stato giustamente fra i dotti se questo componimento si fosse ri-
trovato in un codice greco? Ella non fa parola di Haller e di
Vieland;1 pure le Alpi> la Doride, la Morte di Marianna nel primo,
la novella di Zemin e Gulindy nel secondo, sono componimenti
d'una bellezza straordinaria. Hanno questi e tutti gli altri i loro di
fetti: ma se ci6 basta per farci disprezzare un autore, saremo co-
stretti a non amarne o apprezzarne alcuno. Crede ella che Omero,
Pindaro, il suo stesso Orazio non abbiano la loro gran dose d'uma-
nita ? e approverebbe ella un critico che da qualche loro imperfe-
zione si credesse autorizzato a parlar di loro con disprezzo o con
leggerezza? Le qualita essenziali d'un poeta son quelle che deb-
bono formarne il carattere. Ella confessa che Thomas e un sicuro
maestro nelParte d'imprimere nei lettori qualunque affetto si vo-
glia. Questo giudizio forma il sommo elogio d'un oratore: perch6
dunque denominarlo da una equivoca imperfezione, piuttosto che
da una vera, massima e riconosciuta virtu? Parmi ch'ella tema
un po' troppo di veder la poesia italiana colorita di tinte straniere.
Perch6 creder un delitto Tappropriarsi le altrui bellezze quando
cio possa eseguirsi felicemente ? Parmi eziandio che comunemente
si confonda il genio grammaticale d'una lingua col genio retto-
rico.2 Quello e sempre stabile; questo si modifica tante volte
quanti sono gli scrittori originali che vi fioriscono. Quante espres-
i. Sxil Gessner, sullo Haller e sul Wieland, cfr. a p. 499 i giudizi del Ce-
sarotti nella lettera al van Goens, e le note relative. 2. Parmi . . . rettorico:
anticipa uno dei concetti cardinal! del Saggio sulla filosofia delle lingue.
510 MELCHIORRE CESAROTTI
sioni non ha Dante che dovrebbero dirsi audaci e repugnant! al
genio italiano, se si volesse prender norma dai susseguenti poeti?
Quanti grecismi non furono felicemente introdotti dal Chiabrera ?
quanti modi energici non si trovano nel Davanzati, ch'ei deve solo
alia sua gara con Tacito ? II mal e che pochi fra noi conoscono le
regole d'una sobrieta giudiziosa e d'una delicata desterita nel ram-
morbidire i colon stranieri: ove questa si possedesse un po' me-
glio, crederei che un certo misto di sapor peregrino e nostrale do-
vesse conciliar allo stile una novita piccante, e arricchir 1'erario
della nostra lingua, che parmi, checche" se ne creda, un pos scarso.
Ohime, io non volea fare che alcuni cenni, e a poco a poco ho fatto
una dissertazione. Vaglia almeno la lunghezza di questa lettera a
compensare la mia tardanza, se pur il compenso non e peggior
della colpa. S'io avessi la fortuna d'esserle vicino, mi sarebbe un
vero piacere il trattenermi con lei sopra questi soggetti; e credo
che non ci sarebbe difficile il persuadersi reciprocamente. La no
stra comunione deve essere in fondo la stessa, e quando ci fosse
qualche diversita, e certo che fra noi non avrebbero luogo gli
anatemi. Tomato in citta donde fui lontano parecchi giorni, tro-
vai la sua operetta latina1 di cui la ringrazio vivamente. Fara
questa il soggetto d'un'altra lettera, ma la prevengo che questa
non potra essere molto sollecita. Mi conservi la sua pregiatissima
grazia, e mi creda con vera e singolare compiacenza, ec.
IX
A CLEMENTINO VANNETTI2
[((Appropriarsi felicemente le bellezze straniere.v]
Padova.
Jbbbi fuor di citta la sua lettera dei 30 scaduto, e non mi fu pos-
sibile di risponderle nelPaltro ordinario. S'ella vuol ch'io le dica
« quanti difetti ho notati » nel suo Commentario zorziano3 non posso
assolutamente servirla. Frema quanto vuole la sua modestia, io
i. operetta latina: il Commentarius de vita Alexandri Georgii, su cui cfr.
la lettera del Vannetti del 30 agosto e la nota relativa. 2. Dalle Opere,
xxxvi, pp. 72-6. Risponde alia lettera del Vannetti del 30 agosto 1780,
riportata anche in questo volume. 3. Commentario zorziano: l'« operetta
latina » ricordata nella lettera precedente.
LETTERE 511
le dico in faccia schiettamente ch'esso m'incanto da capo a fondo.
Ci scorsi un candor di latinita, un'eleganza, una grazia naturale
che ricorda il secolo d'Augusto. Cicerone (conviene sofTrirlo) avreb-
be scritto cosi Telogio di Attico. Lo stesso merito brilla nelle sue
lettere non punto inferior! a quelle del suo degno amico. «Micat
inter omnes )>T quella sopra 1'uso della lingua latina.2 lo sono stato
sempre della sua opinione su questo punto, persuaso a un dipresso
delle medesime ragioni: ma ne io ne alcun altro avrebbe potato
trattar questa causa con una facondia, un acume, una sensatezza
uguale alia sua. La questione e posta in tutto il suo lume, gli
obbietti3 sciolti con ragioni trionfanti, e dopo la sua lettera non
e piu permesso di porre la cosa in problema. Mi permetta per6
di dirle che tutta la sua argomentazione era superflua. Basta ch'ella
scriva qualunque cosa latinamente, e il suo assunto e dimostrato
senza replica. Del resto, la materia ch'ella tratta mi ricorda alcune
riflessioni da me scritte pochi anni fa che hanno qualche relazione
con essa; le quali mi sarebbe grato ch'ella leggesse. Si trovano
queste nel torn. 6° della mia traduzion di Demostene, osservaz. I
alia Filippica 2.
Tornando alle nostre differenze, convengo anch'io che per
isciogliere il nodo ci vorrebbe una conclusione nelle forme, e
un'analisi delle opere in controversia. Finche si parla in generale,
ambe le parti possono cantar vittoria. Convien fissar con precisione
i termini della questione, definir esattamente e poi applicar i
principii, senza spaventarsi dei corollari qualunque sieno. Ella
dice che il genio grammaticale influisce talvolta nel rettorico ; po-
trei forse ridurmi ad accordarle il suo talvolta, ma ella deve accor-
darmi altresi che molti critici gli confondono piu spesso di quel
che bisogna e ne traggono conseguenze che possono francamente
negarsi. La poesia italiana secondo lei non puo appropriarsi feli-
cemente le bellezze straniere. Oso temere che questa asserzione
sia un po' gratuita. Ella non trova in questo genere se non dei
mali esempi di depravazione. A me sembra che ve ne siano anche
di felici, ma non mi provo a citarli perch6 darebbe loro Pesclu-
sione, e mi direbbe ch'io suppongo quel ch'e in quistione: nil
agit exemplum.4 Quelli del Chiabrera e del Davanzati non hanno
i. Orazio, Carm.t i,'xn, 46 («splende fra tutte»). 2. quella. . . latina: m*
titolata De usu linguae latinae ad Alexandrum Georgium epistula, e scritta
nel marzo 1776. 3. gli obbietti: le obiezioni. 4. «L'eseinpio non vale.»
S12 MELCHIORRE CESAROTTI
forza appresso di lei, perche la lingua greca e la latina sono la
madre e Favola della nostra. Ma io sono ben certo che chi tra-
sportasse alia nostra lingua le precise locuzioni di Pindaro, e
talor anche quelle di Orazio, farebbe un gergo assai strano. Non
e dunque la simpatia delle lingue, e la destrezza degPimitatori, che
seppe conciliar grazia alle frasi straniere e naturalizzarle. Rendasi,
da chi puo e sa, lo stesso ufizio agli originali oltramontani, e la
nostra poesia potra sobriamente e felicemente arricchirsi. Non mi
creda pero il difensore di chi fa uno studio de' colori oltramontani.
Lo studio confina coll'affettazione e la ricercatezza, ed io lo con-
danno generalmente. Non si cerchino i colori d'una nazione o
delPaltra, ma i colori della natura, degli oggetti e specialmente delle
modificazioni del cuore, dello spirito e della fantasia di chi parla,
che sono infinite ed inesauribili. Che importa che la lingua italiana
non abbia certa affinita colPinglese o colla tedesca? L'eloquenza
d' Italia simpatizza con quella di tutte le altre nazioni perche in
Italia si trovano spiriti ingegnosi o brillanti, profondi o sensibili,
cupi o energici come son quelli delle nazioni straniere. E che?
dovra taluno soffocar il suo carattere, e gittar i colori naturali della
sua passione o de' suoi concetti per non sembrar dissomigliante
al comune degli scrittori non originali d'ltalia? Pensi ogni uomo
e senta secondo se stesso. Sappia esattamente la sua lingua, sia
ricco di buone letture e di buona critica, sia pieno del suo soggetto
e si metta a scrivere, i colori si presenteranno da se e non saranno
antichi o moderni, nazionali o stranieri, saranno suoi. «Ma piu
tempo bisogna a tanta lite)),1 ed io son trascorso piu oltre di quel
ch'io voleva. Ella intanto non mandi nel paese de' sogni le sue
Transazioni poetiche.2 Niuno e piu atto di lei a farla da concilia-
tore, purche" stia in guardia contro lo spirito di plausibile patriot-
tismo, tanto piu seducente quanto piu onesto. Scusi un'arditezza
i. Petrarca, Rime, CCCLX, 157. 2. Transazioni poetiche: allude ad un' opera
cosi intitolata che il Vannetti, nella lettera a cui il Cesarotti risponde, ave-
va detto di accarezzare nella mente, e di cui cosl abbozzava lo schema:
«... esaminare profondamente le bellezze e i difetti de' poeti alemanni,
inglesi, ec., e trarne un quadro del vero lor merito e del genio del lor Par-
naso. Indi confrontare insieme le poesie greca, latina e italiana, e rilevar
1'influenza e Taffinita delle medesime colla nostra. Poi fissar la distanza
di questa dall'inglese e tedesca gia ben conosciute, e concludere con dimo-
strare quale e quanta possa essere la congruenza e 1'accordo delle predette
colla nostra. Finalmente esibir de' modelli perfetti di simile mescolanza ed
LETTERS 513
a cui ella m'incoraggisce. Non mi defraudi delle preziose produ-
zioni del suo ingegno, e mi creda con vera stima e cordialita.
x
A GIAMBATTISTA GIOVIO1
[Qualitd e doveri del buon critico.]
Padova, 27 luglio 1782.
Il favorevol giudizio che ella si compiace di dare sulla mia opera*
mi lusinga oltre modo. lo fui sempre d'opinione che sia piu facile,
almeno in Italia, trovar un mezzo centinaio di buoni autori che
una dozzina di buoni giudici. Per meritare il primo titolo basta
esser distinto in un genere, ma per esser degno del secondo convien
possedere tutte le modificazioni del gusto, e conoscerne squisita-
mente tutti i rapporti cogli oggetti di cui si scrive.3 Cosi, oltre i
pregiudizi di varie specie che pervertiscono il criterio, talora quel-
la stessa eminente qualita che forma il grande scrittore, impedisce
ch'esso non sia il critico il piu aggiustato. Inoltre le qualita morali
influiscono il piu delle volte per invisibili strade nei nostri giudizi:
il partito, Tadulazione, 1'invidia dettano la sentenza, e quando
Toracolo £ uscito, Pamor proprio e '1 puntiglio sono sempre pronti
a difenderlo. Le modeste sentenze di un giudice illuminato
ed onesto devono gradirsi anche quando siano contrarie. Quanto
piu devono esser care e sto per dire seducenti, allorche sono favo-
revoli come le sue, ed entrando nell'analisi delP opera mostrano
di non essere uscite a caso, ne dettate dall'uffiziosita, ma da un
sincere e ponderato sentimento? lo non la ringrazio dunque, sig.
cav. ornatissimo, che sarebbe contradittorio con quanto ho detto,
ma le rinnovo le proteste della mia singolar compiacenza4 del
suo cortese giudizio, e mi pregio di confermarmele, ec.
i. Dalle Opere, xxxvi, pp. 143-5. Giambattista Giovio, comasco (1748-1814),
amico del Volta e del Foscolo, scrisse moltissimo in ogm campo se^sa
distinguersi veramente in nessuno. 2. opera: il tomo I del Corso ragto-
nato di letteratura greca, pubblicato a Padova nel 1781. 3- Per menta-
re scrive: queste idee sulla critica anticipano in parte quelle esposte
nel Saggio sulla filosofia del gusto. 4- compiacenza: compiacimento.
5H MELCHIORRE CESAROTTI
XI
A GIUSEPPE ANTONIO TARUFFI1
[Breve giudizio sulP Alfieri.]
Vous voulez bien me permettre que je reponde en frai^ais a
votre belle lettre angloise pleine <T elegance et d' esprit comme
tout ce qui coule de votre plume. Je serai charme de connoitre
M.r Alfieri,2 quoique assurement je ne vaille pas a beaucoup pres
la peine de son voyage. Mon savoir est peu de chose, et je crains
bien qu'il ne le trouve plus apocryphe que les cendres de Tite
Live.3 Quoiqu'il en soit, je me ferai une fete de Paccueillir et de
lui donner tous les temoignages de 1'estime qu'on doit a ses talents.
J'ai lu ses pieces de th6atre; elles m'ont frappe. La noble simplicite
du plan, la chaleur de 1'action, la verite et la force de caractere,
la grandeur des sentiments, le langage marque au coin de la nature
et jamais a celui de 1'ecole, tout cela le fait connoitre comme un
veritable genie dramatique. Son Antigone sur tout m'a touch6
jusqu'aux larmes, et, n'en deplaise aux grecomanes, Sophocle
aupres de lui ne m'a semble en plus d'un lieu qu'un apprentif
maladroit. Quel dommage que tant de beautes soient presque
fl6tries par le style! II faut absolument qu'il s'attache a le soigner.
S'il apprend a sacrifier aux Graces, comme il sait sacrifier au
Genie, notre Melpomene4 levera sa t6te, et dira fierement aux
nations: respectez-moi ; j'ai aussi mon Alfieri.
Souvenez-vous que j'ai des droits incontestables sur votre eloge
de Metastase.5 Vous avez beau vous retrancher dans votre mode-
stie tres-d6placee ; je le reclame comme mon bien. J'ai meme
promis de le faire tenir a des gens qui vont en faire Tusage le plus
convenable en rimprimant a la tete d'une edition de ce grand pretre
i. Dalle Opere, xxxvi, pp. 177-8. La lettera non e datata, ma si pu6 collo-
care in un tempo non molto anteriore al 23 aprile 1783, data della lettera
con cui il cardinale Flangim presentava FAlfieri al Cesarotti. Sul Taruffi
cfr. la nota zap. 489. 2. Je . . . Alfieri: Tincontro awenne probabilmente
nel maggio o nel giugno del 1783. Lo ricorda come gia lontano TAlfieri
in una lettera al Cesarotti da Siena il 18 settembre di quell'anno. 3. cen
dres de Tite Live: allusione scherzosa alia tomba di Tito Livio, conservata
nella Sala della Ragione a Padova. 4. Melpomene: la musa della poesia
tragica. 5. votre eloge de Metastase: fu pubbhcato nel dicembre 1783.
LETTERS 515
bien digne d'un tel orateur: encore une fois, point de quartier
sur cet article.
Aimez-moi toujours, comme je vous aime.
XII
A FERDINANDO GALIANI1
[Su Omero ed Orazio.]
20 agosto.2
Sapete voi che mi farete montar in superbia quanto un Lucifero,
quondam Lucibello? Una lettera del consiglier Galiani, di quel-
Puomo che fece ammirare e invidiar le sue grazie nella capitale
del bel-esprit, del flagello degli economisti, del confidente d'Orazio,3
una sua lettera dico mi sarebbe sempre stata preziosa. Ora poi
che m?e nota la vostra antipatia col commercio epistolare, figura-
tevi quanto mi riesca dolce e lusinghiera la distinzione che vi
compiaceste d'usarmi. Se il mio lavoro omerico4 e secondo il
vostro cuore, ci6 mi assicura ch'esso ha un diritto sull'approva-
zione del filosofi e degli uomini di gusto. Quanto agli antiquari5
non me ne euro, giacche appunto non ho preso la loro maschera
che per meglio smascherarli, ed io so bene che saranno assai poco
contend della mia poco ingenua ufiziosita. E pur bella la vostra
idea che Omero fosse per gli antichi un libro sacro! Io avea gia
detto piu volte cosi per ischerzo che Omero era la Bibbia dej pe-
danti, ma voi volete ch'io prenda il termine alia lettera, e che Io
estenda a tutte le classi, ed io sono vicinissimo a persuadermene.
Trovo in Libanio6 un passo ch'e fatto precisamente per noi. Tra i
capi d'accusa dati a Socrate dall'agente del sacerdote Anito v'era
i. Dalle Operey xxxvn, pp. 36-9. II destinatario e il notissimo abate
Ferdinando Galiani (1728-1787), una delle menti pid brillanti dell'Illu-
minismo italiano. II Cesarotti Io aveva conosciuto di persona in occasione
del suo viaggio a Napoli nel 1786. 2. £ il 20 agosto del 1787, come si trae
dalla lettera del Galiani, in data 31 luglio 1787, a cui il Cesarotti risponde.
3. confidents d* Orazio : il Galiani si occup6 molto di Orazio, suo poetapredi-
letto (cfr. F. NiCOLlNl, Gli studi sopra Orazio deW abate Galiani, in «Atti
dell'Accademia Pontaniana», 1910). 4. lavoro omerico: la traduzionc del-
Ylliade, che il Cesarotti aveva cominciato a pubblicare nel 1785. 5. an
tiquari: gli eruditi fanatici deirantichita. 6. Libanio: retore e gramiria-
tico greco (3i4-circa 393 d. C.), autore d'una Difesa di Socrate (afla quaie
il Cesarotti qui allude) importantissima perch6 costruita su noateriali au-
tentici dell'incipiente IV secolo a. C.
5*6 MELCHIORRE CESAROTTI
questo, ch'egli parlava con. poco rispetto de' poeti. Non e questo
un dir chiaramente che costoro si risguardavano come autori
ispirati? I poeti erano i rufHani della gerarchia pagana. Questi
due ordini formavano causa comune: i poeti mettevano in versi
le tradizioni mitologiche, componevano gli inni e gli oracoli, e la
pentola degli uni e degli altri bolliva allo stesso fuoco. Era dun-
que ragionevole che il clero del paganesimo sostenesse Tautorita
sacra dej loro terziari. Ora tra questi chi vi aveva piu diritto d'O-
mero? Non apparisce che innanzi di lui vi fosse un codice tra-
dizionale, come non c'era una storia della nazione. Tutte le ra-
gioni si accordavano perche Ylliade e I'Odissea fossero risguardate
come il Pentateuco1 de* Greci. Con questo principio voi osservate
assai bene che si spiega un fenomeno il quale senza d'esso parrebbe
un enigma inconcepibile. Passando da Omero ad Orazio ricorda-
tevi ch'io non vi perdonerb mai se non vi risolvete di rivelar al
pubblico i di lui segreti dei quali voi solo avete la chiave. Ho
propriamente voglia che il mondo sappia che Orazio non sim-
patizzava punto con quell'ipocrita di Augusto, e che costui, che
ben sapeva d'esserne conosciuto, non lo amava di cuore, e lo pro-
teggeva per vanita. Mi sta sul cuore anche quella spada di Cesare
Borgia per cui non avrei mai creduto di dovermi interessare. Voi
fareste pure una bella cosa se voleste dettare a qualcuno le vostre
curiose scoperte sulla storia di costui poco nota, quanto sugli em-
blemi della spada che possono eccitar la curiosita degli eruditi
piii di qualche basso rilievo greco o romano. Se dopo questa det-
tatura vi compiaceste di spedirmela a Padova, mi fareste pure
un prezioso regalo. Oh sjio vi fossi vicino so ben io che vorrei ado-
prarmi tanto finche avessi saccheggiato quello scrigno che avete
nel cervello, che somiglia molto al pozzo delle Danaidi. L/ottimo
ed egregio Toaldo2 vi fa i piu affettuosi complimenti. I miei aurei
amici di Venezia3 non si lasceranno veder da me che in autunno :
ora sono cosi occupati a raccoglier palme e zecchini che non dan-
no segni di vita. Addio con tutto lo spirito. Conservatevi sano e
vegeto per decoro dell' Italia e della vostra Partenope, e ricorda-
tevi di uno che si gloria d'essere, ec.
i. Pentateuco: i primi cinque e fondamentali Hbri deU'Antico Testamento.
a. Sul Toaldo cfr. la nota i a p. 483. 3. aurei . . . Venezia: gli awocati
Cromer e Gallino, che avevano accompagnato il Cesarotti nel suo viag-
gio a Napoli.
LETTERE 517
XIII
A COSTANTINO ZACCO1
[Prime impressioni di front e alia Rivoluzione francese.]
Noventa, 12 agosto.2
Veramente le nuove di Francia non mi sono tanto care quanto
avrei bramato, pure mi e carissima la vostra ufiziosita. Dio mi
guardi dal far Tapologia degli orrori parigini come il dolce Ca-
veirac la fece del S. Bartolommeo :3 ma poiche" si parla tranquilla-
mente delle guerre politiche, e si racconta tutto giorno a sangue
freddo, anzi spesso con allegrezza che i Turchi o gli Austriaci, i
Svezzesi o i Russi, trucidarono bravamente dieci o venti migliaia
di nemici, e desolarono cento villaggi senza ne ragione ne collera,
parmi che sia da stupirsi un po' meno degli eccessi a cui si lascia
trasportare un popolazzo infuriate che crede di vendicare i suoi
torti. Del resto le storie di tutte le nazioni presentano di queste
scene d'atrocita quando appena era noto il nome di filosofia, e i
fllosofi appunto diranno che, se si veggono ancora di questi spetta-
coli, quest' e per che" lo spirito filosofico non e diffuso abbastanza.
Voi per6 ben sapete ch'io sono assai lontano dal favorire il filoso-
fismo del secolo, e che se fosse stato in me, avrei da molto tempo
confinati alle Petites-Maisons4 molti di cotesti celebri filosofanti,
e piu d'uno anche in galera. La mia filosofia non e che quella di
Necker,5 e questa e ugualmente nemica della sedizione che della
tirannide e abborrisce la violenza di qualunque specie. Tocca a
voi a rispondere alle accuse contro il secolo filosofico, a voi dico
begli spiriti libertini, che trattate da pregiudizi tutti quei principii
che sono Tunica base della morale e della politica, 1'unico vincolo
della societa, Tunico freno che serve a reggere e ad ammazzar
i. Dalle Opere, xxxvil, pp. 329-31- Costantino Zacco, gentiluomo veneziano
(1760-1841), di tendenze liberali e non privo di interessi letterari, fa tra
gh amici piii can del Cesarotti. 2. 12 agosto: certamente del 1789, come
si trae dall'accenno al richiamo del Necker dopo la caduta della Bastiglia.
3 . come . . . S. Bartolommeo : allude alia Dissertation sur la journee de Barthe-
lemy (1758), dell' abate Jean de Caveirac. 4. Petites-Maisons •: ixome di un
ospedale di Parigi dove si ricoveravano i pazzi. 5. La mia. . . Necker :
sull'ammirazione del Cesarotti per il Necker cfr. la Nota introduttiva.
Nella tirata predicatoria che segue, sono brevemente esposte le idee po
litiche alle quali egli si conformera anche in seguito.
5*8 MELCHIORRE CESAROTTI
questa fiera da due piedi, chiamata uomo, e che, dopo aver diffuse
in tutte le classi la licenza la piu sfrenata di spirito e abbolito il
fondamento d'ogni rimorso, v'immaginate poi che le vostre mi-
serabili leggi, i vostri imperfettissimi ordini, la vostra forza pre-
caria, i vostri sistemi sofistici possano supplire alia religione, alFi-
dee ingenite dell'onesto e alle speranze future. SI, le turbolenze
istesse di Francia rendono un tristo omaggio alle dottrine di
Necker: senza religione non v'e onesta naturale, senza onesta na-
turale non v'e dovere, senza dovere non si ubbidisce che alia forza.
E quando & cosi, non e che il calcolo delle forze che decida della
ragione fra chi comanda e chi serve, fra il povero e '1 ricco, il basso
e il potente. Scusate questa tirata predicatoria. Informatemi di
quanto sapete fuori dei fogli1 intorno Parrivo di Necker.2 Que-
sto e un punto di massima aspettazione. Non mi stupirei punto
s'egli restasse la vittima della sua virtu; ma son certo che il suo
fine non ismentira la sua vita. Addio con tutto lo spirito. In mezzo
ai nostri piccoli dispareri, il mio cuore portera sempre la vostra
coccarda. Addio.
XIV
ALLA CONTESSA D'ALBANY3
[Sul «Panegirico» delly Alfieri.]
J ai Thonneur de vous envoyer le troisieme de mes travaux ho-
m6riques. N'en d6plaise au grand Hercule, j'ose appeller de ce
nom mon entreprise, car j'ai aussi a lutter avec des g6ants, a
combattre des hydres, a purger des etables, a ravir la ceinture
a une amazone, enfin a percer de fleches quelque centaure de nou-
velle espece: je ne me flatte pas pour cela d'egaler ce heros de
la mythologie, mais je me croirai fort heureux si vous ne trouvez
pas toujours en moi le batard d' Amphitryon plutot que le fils de
Jupiter.
i, fuori dei fogli: oltre che dalle notizie riportate dai giornali. 2. arrivo di
Necker: allude al richiamo del ministro dopo la caduta della Bastiglia.
3. Dalle Opere, xxxvn, pp. 141-2. Manca la data, che si pu6 porre tutta-
via intorno al 1787, per 1'accenno sia al in volume della traduzione ome-
rica del Cesarotti, sia al Panegirico dell' Alfieri, Tuno e Taltro pubblicati
appunto in quell' anno.
LETTERE 519
Je vous dois des remerciments bien singuliers pour le pre-
cieux morceau dont vous m'avez regale. Notre ami fait plus d'hon-
neur a Pline, et peut-etre a Trajan meme, qu'ils ne meritoient.
Car, pour le premier, le style delicat et recherche de son veri
table Panegyrique decele bien plus 1'honnete et habile courtisan
que Porateur de la liberte. Et quant a Trajan on pourroit douter
qu'il eut agree qu'on lui tint en plein senat des propos qu'Agrip-
pa n'osa tenir a Auguste qu'apres avoir ete consulte par lui dans
un tete-a-tete. Au reste notre Pline, dans cette piece, ne dement
ni ses id6es ni son style. J'y admire cette grandeur des senti
ments, cet amour ardent de la liberte, cette touche fiere et har-
die, qui caracterisent chacun de ses ouvrages. Mais quoi? Vous
en avez fait, Mad., le plus energique et le plus juste des elo-
ges, en disant que ce morceau est digne des beaux temps de la
R6publique: on ne feroit que gater le portrait en ajoutant a ce
trait unique; il est tres-digne de son sujet.
Faites-lui, Mad., bien des compliments de ma part, et souvenez-
vous, je vous prie, que je fais gloire d'etre avec tout le devoue-
ment, ec.
xv
A GIAMBATTISTA CORNIANI1
[// Bello morale.]
Padova, n dicembre 1790.
Il prezioso saggio del suo talento e del suo cuore di cui ella si com-
piacque di farmi dono2 esige da me tutt'altro che compatimento.
Esso corrispose perfettamente al suo titolo poiche m'inondfr lo
spirito di straordinario piacere. Ammirai nella sua opera la triplice
felicissima unione della metafisica, della morale e del gusto, studi
fatti per formar una lega indissoluble e che cosi spesso si trovano
i. Dalle Operey XXXVTI, pp. 146-9. Giarribattista Corniani (1742-1813),
noto soprattutto per la sua opera stonografica I secoli della letteratura
italiana, il cui primo volume fu pubblicato sei anni dopo k data di questa
lettera. 2. // prezioso . . . dono: il saggio su / piaceri deUo sptrito, o$sia
analisi de' principii del gusto e della morale (Verona 1790), nel quale, scri-
veva Fautore al Cesarotti, egli aveva tentato di «portare k metafisica negli
argomenti del gusto e della morale », ma che e opera di assai scarso valore.
520 MELCHIORRE CESAROTTI
fatalmente disgiunti. Sopra tutto godei di vederla uno del pochi
zelatori di quella filosofia religiosa e nobile die solleva Puomo
sopra la sfera dei sensi, ringentilisce e spiritualizza gli affetti,
e ci fa salire per una scala mistica dalPultimo degli esseri sino
alPAutore della natura, e discendere per la stessa portando Pidea
del primo Autore sino al piu basso degli esseri. Questi sentimenti
di stima mi saranno certamente comuni con altri; ma quello ch'e
proprio e particolare a me si e la complacenza di veder da lei egre-
giamente eseguito pressoche lo stesso progetto ch'io mi vagheg-
giava da hmgo tempo. Sono piu anni ch'io meditava di far un'opera
sopra il Bello considerate come il fondamento delPeducazione
morale,1 e ci avrei certamente posta la mano, se altre fatiche let-
terarie, piu comandate che scelte, non mi avessero impedito di se-
condare il mio cuore. Quel che & piu curioso si e ch'io pensava pre-
cisamente di far uso del suo medesimo principio mostrando che
gli elementi del Bello morale non son altro che quelli del Bello
fisico, e che ambedue questi generi possono illustrarsi e convali-
darsi a vicenda. Lungi dal sentire invidia di trovarmi prevenuto
(sentimento che troppo disdirebbe al nostro comune sistema), io
mi compiaccio altamente di vedermi cosi alPunisono col suo modo
di concepire e sentire, e guardo la sua opera con una predilezione
quasi paterna, e come uno sviluppo di quelPidee che mi bollivano
nello spirito, e ch'ella seppe indovinare da s6 ed esporre in modo
che non lascia desiderar la mano d'un altro artefice. « Conobbi al-
lor siccome in Paradiso / vede Pun Paltro. »2 Non e gia che in qual-
che proporzione3 subalterna e incidental non ci sia forse nelle
nostre idee qualche picciola differenza, ma oltrech6 questa potrebbe
agevolmente conciliarsi, essa non pu6 togliermi la compiacenza
di convenire con lei nelle basi fondamentali a cui s'appoggia il si
stema. Ella mi permetta dunque congratularmi con lei e con me,
e se prima io mi pregiava d'esser suo giusto estimatore, soffra
ora ch'io mi glori di esserle confratello nell'amor del Bello e nella
filosofia del gusto e del cuore. Non fo torto a un titolo cosl pre-
zioso profanandolo con quelli delPetichetta, e semplicemente mi
segno, ec.
i. opera. . .morale: il risultato di queste meditazioni sara Pincompiuto
Saggio sul Bello, su cui cfr. la Nota introduttiva. 2. Petrarca, Rime,
cxxm, 5-6. 3. proporzione: cosl e stampato nelle Opere; ma si dovii
probabilmente leggere, come pensa POrtolani, « proposizione ».
LETTERE 521
XVI
A COSTANTINO ZACCO1
[Altre impressioni sulla Rivoluzione francese.]
lo ben m'immaginava che per questa volta m'avreste perdonato
di farla da deputato deirassemblea eccedendo i miei poteri.2
Al mio ritorno a Padova, che sara forse martedi, trover6 il libro gia
letto, e lo rimanderb tosto. Ci6 vi dice che al presente mi trovo nel
mio ritiro di Selvaggiano, ch'e divenuto abitabile, e che promette
un asilo dolce e piacevole alia mia sentimentale e un po* trista
filosofia, se pure, dopo Pabuso atroce che si e fatto di questo nome,
e piu permesso a un uomo onesto di chiamarsi filosofo. II mio
abbominio anzi orrore per cotesti Masanielli ragionatori3 non pu6
granger piu oltre, n6 mi consola che la speranza, anzi certezza,
che il loro mal accozzato edifizio cadra necessariamente su i loro
capi, e i loro nomi saranno consacrati alPesecrazione dei secoli.
Mi piace per6 di vedere ch'io non mi sono ingannato nel giudizio
che ho fatto del La Fayette,4 ch'io credei sempre condotto da
rette intenzioni, come lo erano Necker, Lally-Tolendal,5 Cler-
mont Tonnerre6 ed alcuni altri. Ma quelli seppero ritirarsi a tem
po; e questi forse non pu6 anche volendolo, trovandosi in tal
situazione ove qualunque suo passo e ugualmente pericoloso. Cosi
probabilmente egli dovra soggiacere al destino di tutti gli uomini
onesti che tentarono di quelle imprese nelle quali non si pu6 riu-
1. Dalle Opere, xxxvn, pp. 332-4. La lettera non e datata, ma le allusioni
storiche in essa contenute indurrebbero a porla nel 1792. Sullo Zacco
cfr. a p. 517 la lettera del 12 agosto 1789, a lui indirizzata, e la nota relativa.
2. farla . . . poteri: non e chiaro a quale fatto alluda il Cesarotti: probabil
mente all* aver trattenuto piu del previsto il libro di cui parla nel periodo
seguente. 3. Masanielli ragionatori: allude al Robespierre e in genere
ai giacobini francesi. 4. non mi sono . . . La Fayette : allude probabilmente
al manifesto contro i giacobini che il La Fayette scrisse dal campo il 16
giugno 1792. Ma contrariamente alle pessimistiche previsioni del Cesa
rotti, esposte nel periodo seguente, il La Fayette pote" abbandonare Te-
sercito rivoluzionario e la Francia il 20 agosto dello stesso anno. 5. II
marchese Lally-Tolendal, gia deputato agli Stati Generali, aveva lasciato
la Francia dopo le giornate d'ottobre del 1789. 6. II conte Clermont
Tonnerre, deputato all'assemblea costituente, prese anch'egli posizione
contro gli estremisti dopo le giornate d'ottobre del 1789, e fu ucciso a furor
di popolo il 10 agosto 1792.
522 MELCHIORRE CESAROTTI
scire senza la cooperazione del scelerati. lo compatisco perfetta-
mente Hobbes, che divenne partigiano del despotismo per Por-
rore concepito delle scelleraggini prodotte dal fanatismo di liberta!
Passando ad altro, convien dire che Famico Cromer1 fosse sme-
morato, o che voi non 1'abbiate inteso. Egli mi par!6 bensi con
lode delle stanze del Lamberti,2 ma non avendole seco non pote*
leggermele, e solo mi fe' sentire la sua graziosa canzone alia
Vadori.3 Vi ringrazio pero d'avermele comunicate. Esse m'inte-
ressano moltissimo per il soggetto, e ci trovo del merito, ma per
dirvi schiettamente quel ch'io ne penso, parmi che 1'autore sia
stato sopraffatto dal suo argomento, e non abbia avuto quella gra
ziosa disinvoltura di spirito che da tanto sapore agli altri suoi
componimenti. Egli ha preso la cosa sul tuono eroico, e le Grazie
vi si trovarono imbarazzate. Ci6 sia detto alia vostra discrezione;
giacche bramo che il sig. Lamberti sappia in generale ch'io lo
pregio al sommo e desidero vivamente di conoscerlo.
Non so cosa sia la canzone del Pindemonte,4 e perci6 non
posso giudicare del vostro detto, ma la credo a priori aggiustatissi-
ma per la conoscenza che ho del lodato e del lodatore.
Ebbi lettera dal nipote5 che fece la sua rinuncia ed ottenne li-
cenza di portarsi tosto a Padova per indi passar a Cologna a pren-
der possesso del noto impiego; pero a condizione di tornar a Pin-
guente, quando non riuscisse a quella comunita di trovar un
successore opportune innanzi il termine dei quattro mesi di ob-
bligo. Giova per6 sperare che tutto si accomodera, avendo quei
signori mostrata verso il nipote tutta la gentilezza. Ora sono in
pensiero per la rea stagione, temendo che possa ritardar la sua
venuta, o esporlo a qualche pericolo. Addio con tutto il cuore.
i. Vamico Cromer\ awocato veneziano gia ricordato nella lettera al Ga-
liani (cfr. la nota 3 a p. 5 16). 2. Antonio Lamberti: cfr. la nota a pp. 311-2.
Le stanze, a cui qui si allude, sono, probabilmente, come pensa TOrtolani,
quelle dell' Inverno citadin, comprese nelle Stagioni cittadinesche e campe-
stn. 3. Annetta Vadori, veneziana, vissuta anche a Milano e a Parigi,
arnica e corrispondente di molti letterati, fra cui il Foscolo e il Monti.
4. la canzone del Pindemonte: I'Ortolani pensa che si alluda alia canzone
Ad Agnese H***, scritta a Londra nel 1791. 5. nipote: Melchiorre Capo-
villa Cesarotti, medico.
LETTERE 523
XVII
A GIUSEPPE OLIVI1
[Per un corso di buone letture.]
Padova, 1792.
JMi console di sentirvi occupato in un ramo di storia naturale
piu interessante d'ogn'altro. Un bel cuore che va sviluppandosi
felicemente e il piu prezioso de' vegetabili: beato chi pu6 spe-
rare di coglierne il frutto.
La coltura piu opportuna alia vostra educanda (o almeno quel-
la su cui posso essere consultato) non e che quella della poesia
e della morale accompagnata dal gusto e posta in azione. Conver-
rebbe dunque far un corso di buone letture di questo genere nel-
la lingua nostra e nella francese. II Petrarca e il Tasso debbo-
no esser posti alia testa dei nostri poeti, senza parlar di Me-
tastasio, ugualmente insigne per la poesia e per la morale. Non
sono da trascurarsi i nostri rimatori, tra i quali ve ne sono va-
ri di eccellenti. Per la prosa non saprei suggerire che I'Osser-
vatore del Gozzi, opera sparsa di novelle, dialoghi, ritratti, fa-
volette che hanno molta eleganza, sensatezza ed amenita. I Fran-
cesi abbondano infinitamente piu di noi di opere di questo gene-
re, ma ci vuol giudizio nella scelta per non guastar il cuore,
volendo formar il gusto. « Lo spettatore » inglese* e le opere di ma-
dama di Genlis3 possono essere, per ora, una scuola perfetta di
tutto ci6 che pu6 aver bisogno d'apprender la vostra alunna. Quan-
to alle lettere io preferirei quelle della Sevigne: il suo diret-
tore pu6 sceglier le piu opportune e piu interessanti. Esse con-
tengono una gran varieta di soggetti e sono il modello dello sti
le epistolare per consenso dei Francesi stessi.
Cio basti per ora. Alia vostra venuta ne parleremo piu di pro-
i. Dalle Opere, xxxvn, pp. 187-9. L'abate Giuseppe Olivi, di Chioggia
(1769-1795), autore della Zoologia adriatica, fu assai caro, come il fratello
Tommaso, al Cesarotti, che di lui morto scrisse un Elogio (cfr. Opere,
xxix, pp. 167-228). 2. «£o spettatore^ inglese: la famosa rivista «The
Spectator)) dell'Addison. 3. madama di Genlis \ scrittrice francese (1746-
1830), autrice di drammi, romanzi e racconti animati da intenti edu-
cativi.
MELCHIORRE CESAROTTI
posito. lo la desidero sollecita con tutto il cuore. Greati,1 ch'e
il solo de' miei amici ch'io veda di frequente, vi saluta, e si consola
con voi. lo non ebbi difficolta a fargli confidenza della vostra
lettera.
Addio cordialmente.
XVIII
A GIUSEPPE WALKER2
\SulVautentidta dei poemi ossianici.]
JLa lettura delPopera di cui ella voile onorarmi intorno ai poemi
di Ossian mi fa passare da una meraviglia ad un'altra ancora piu
sorprendente. Ella prova il suo assunto con argomenti di fatto
cosi decisivi e convincenti che sembrano dover trionfare della
piu ostinata prevenzione. Dalla mia lettera al Macpherson ella
avra gia rilevato che sin dal principio insorsero nel mio spirito
alcuni dubbi,3 ma questi, il confesso, restavano sopraffatti dal
cumulo delle prove interne ed esterne che mi sembravano militare
per Fautenticita dei poemi caledoni, ne avendo contezza che questa
fossesi ancora solennemente smentita, e privo d'ogni mezzo di ri-
schiarar la questione di fatto, riposava tranquillamente nel-
Padorazione di cosi specioso fantasma. Ella viene ora a sgombrar
il mio sogno colla luce d'un'evidenza a cui non 6 possibile di re-
sistere. Ma qual e poi la conseguenza di questo mio risveglia-
mento ? Eccola. lo ammirava Ossian come un genio straordinario,
difficile a concepirsi qual mi veniva rappresentato, ma pur possibile ;
ora mi veggo costretto ad ammirar il Macpherson non solo come
un genio ugualmente grande, ma come un fenomeno unico ed
inesplicabile.
lo veggo in lui un poeta che comparisce gigante innanzi d'essersi
i. L'abate udinese Giuseppe Greati o Greatti (1758-1812), bibliotecario
a Padova e poi prefetto della biblioteca di Brera a Milano. 2. Dalle
Opere, xxxvn, pp. 302-5. Manca la data di questa lettera, che si pu6
collocate, per alcuni indizi contenuti nel seguito della corrispondenza col
Walker, verso Tagosto del 1793. II destinatano dovrebbe essere Joseph
Cooper Walker di Dublino (1766-1810), autore di Memorie storiche sopra
i bardi irlandesi (1788). 3. alcuni dubbi: cfr., a p. 486, la lettera al Mac
pherson, in cui il Cesar otti effettivamente espone qualche dubbio sul-
Pautenticita dei poemi ossianici.
LETTERE 5^5
mostrato uomo, che ha la forza di scordarsi di se, del suo secolo,
di quanto lo circonda per trasportarsi in una remotissima eta e
vestire un personaggio disparatissimo senza mai lasciar trasparire
il suo, ne ci6 in un breve componimento ma per tutto il corso di
due inter! volumi; che per un raffinamento singolare vuol anche
assumere nello stile vari difetti non suoi, qual e un'estrema conci-
sione che rende strane e improbabili pressoche tutte le sue nar-
razioni, la soverchia uniformita di colori e di fasti, Poziosita degli
epiteti, la mancanza totale d'idee religiose e del macchinismo,
mobile potentissimo della poesia e strumento general del mira-
bile: veggo un uomo continuar per anni ed anni con faticosa
intensione di spirito a rappresentare il personaggio di Ossian
tessendo una lunga serie di poemi, quando uno o due componi-
menti bastavano a procurar al pubblico una illusione che assicu-
rasse Fautore del proprio merito e gli procacciasse compenso
d'ammirazione e di lode; un uomo finalmente che, potendosi far
venerar dal suo secolo come un genio trascendente, non solo ri-
nunzia alPamor proprio cedendo la sua gloria ad un vano idolo,
ma soffre di guadagnarsi i titoli d'impostore e falsario, piuttosto che
depor la sua maschera ed uscire a riscuotere in suo nome i dovuti
applausi. Una parte della mia medesima ammirazione e sorpresa
e parimenti dovuta al sig. Smith,1 che si mostra gemello del
Macpherson e nei talenti e nelForiginalita del carattere. Questo
cumulo di singolarita 6 cosi strano, bizzarro e fuor di natura che
confonde e sopraifa il mio debole intendimento. lo sono ben certo
che in tutta la storia umana non si trova esempio d'una dissimu-
lazione di questa specie. Ella, sig. cav. onoratissimo, che conosce
con precisione non solo i fatti ma le persone e le circostanze, pu6
trovar la spiegazione d'un tale enigma, e darmi il filo per uscire
da questo labirinto in cui mi perdo: senza di ci6 io non osero
certamente sostenere che le poesie di Ossian siano original! ed
autentiche, ma sar6 tentato di credere che il capo d'opera piu
sublime della poesia sia uscito dalla immaginazion d'un frenetico.
Comunque sia, la ringrazio del piacere che ella mi procaccib con
questa sua interessante e curiosa storia, e pieno di riconoscenza e di
stima ho Ponore di protestarmi, ec.
i.John Smith, che aveva pubblicato nel 1780 undici poemetti barditi,
uno dei quali, La morte di Gaulo, apparve, tradotto dal Barbieri, nel
volume v delle Opere del Cesarotti.
5^0 MELCHIORRE CESAROTTI
XIX
A ENRICHETTA TREVES1
[La memoria degli amid defunti.]
JClla mi legge nel cuore, tanto i di lei sentimenti s'accordano per-
fettamente co' miei. Si, & una vilta il cercar di sottrarsi alia tristezza
nata da una causa cosi interessante. Ci6 che sempre mi ributtb si e il
vedere come in cosi fatte occasioni i piu familiari e domestici si fanno
una legge di non far piu nemmeno un cenno che risvegli Pidea d'un
caro defunto, e di usar ogn'industria perch6 Pamico o il congiunto ap
passionato ne scordi, se fosse possibile, persino il nome. lo attribui-
sco questa usanza alPinfluenza di quella trista e odiosa filosofia che
tanto predomina ai tempi nostri. Di fatto, se tutto termina colla vi
ta presente, se chi muore e sparito per sempre dai regni dell'esisten-
za, un'afflizione ostinata, un'angoscia permanente e in tal caso
ugualmente cruda ed irragionevole. Non si pu6 sentire a lungo se
non per chi sente: una cosa inanimata pu6 esserci cara, ma non si
ama se non chi pu6 amare ed intendere. Un'amarezza tutta pura,
un dolor disperato soverchia di troppo le forze della natura per
ch' ella non rifugga da ci6 che lo eccita ed alimenta: perci6 Puma-
nita e la ragione si accordano in questa funesta ipotesi ad allon-
tanare dal nostro spirito un'idea desolante che non ammette con-
forto e manca di soggetto reale. Ma se il nostro caro esiste ancora
in qualche mondo, il caso e affatto diverse. S'ei vive, egli e sen-
sibile al nostro affetto, gradisce le nostre lagrime, si compiace dei
nostri elogi, testimoni del suo virtuoso carattere, interviene col
suo spirito ai nostri colloqui, applaude a quelle azioni di bonta,
a quei sentimenti onesti ed amabili che tanto lo interessavano.
Queste idee consolanti temperano il nostro cordoglio, e lo sciolgono
in quella dolce melanconia ch'& Palimento dell'anime delicate e
sensibili. Ma noi nol vediamo piu: no, ma egli ci vede: questo
pensiero mette in picca il nostro cuore e la nostra immaginazione,
i. Dalle Opere, xxxvi, pp. 187-90. La lettera, non datata, si pu6 assegnare
al 1795, se il car<> defunto di cui vi si parla e, come sembrerebbe da alcuni
accenni, il naturalista Giuseppe Olivi (su cui cfr. la nota i a p. 523),
morto appunto in quelPanno. Enrichetta Treves, gentildonna veneziana,
ma residente a Padova, dilettante di letteratura inglese e di botanica, teneva
anche un salotto letterario.
LETTERE 527
e fa che accrescano le loro forze per compensarci del nostro dan-
no, e far, s'e possibile, illusione ai sensi medesimi. Questa sola,
pregiatissima sig. Enrichetta, pu6 essere la fonte delle nostre
consolazioni: con questa nulla di piu dolce che parlar di lui, deli-
ziarsi nel rammemorar le sue qualita, nello sviluppar i suoi me-
riti, nel riandar collo spirito tutte quelle particolarita che ce lo re-
sero caro. Che bel concerto armonico di lugubre dolcezza non
faressimo insieme, sig. Enrichetta amatissima, sopra questo in-
teressante soggetto! e quanto mi riuscirebbe caro di poter pro-
fittare del suo grazioso invitol Ma oltreche varie convenienze
mi obbligano a passar 1'autunno in queste parti, sono ora tratte-
nuto da una ragione troppo rispettabile, voglio dire dallo stesso
amato defunto. La sua immagine che ho voluto rapire alia morte
deve adornare un deposito, a* piedi del quale una mia iscrizione
fara sentire a chi legge la perdita che fecero in lui le scienze e
rumanita. lo attendo qui il di lui degno fratello per concertar
con esso i modi dell'esecuzione. Ella si conforti coll'idee sopraccen-
nate, e le porti seco nella scorsa che medita di far sino a Pisa, ch'&
il sollievo il piu adattato alia circostanza. Una conferenza col dotto
ammiratore del nostro amico relativa a un ramo delle facolta col-
tivate da lui medesimo e il piu grato omaggio che possa rendere
alia di lui ombra. Essa interverra per terzo alle sue sessioni, e Tani-
mera a mostrarsi al mondo sua degna arnica, perfezionandosi in
quegli studi che non sono ormai piu separabili dalla sua memoria.
Prego il Cielo che il suo fisico non si opponga al progetto, e desi-
dero che i suoi nervi non siano mai mobili fuorche a quelle pla-
cide scosse che svegliano nelle anime privilegiate le idee del Bello
e del Buono. Mi conservi la sua cordialita, e mi creda con affettuo-
so sentimento, ec.
xx
A VITTORIO ALFIERI1
\Presentazione di Isabella Teotochi.]
Una combinazione inaspettata mi porge occasione di rinfrescarvi
la memoria d'un vostro zelante ammiratore. Non pu6 certamente
i. Dalle Opere, xxxvin, pp. 3-5. La data della lettera sara di poco ante-
riore a quella della risposta dell'Alfieri, che e del 25 aprile 1796.
5*8 MELCHIORRE CESAROTTI
riuscirvi nuovo il nome della contessa Isabella Teotochi,1 fu
Marini. Voi dovete senza dubbio averlo inteso piu volte a ram-
mentare dal comune amico cav. Pindemonte:* egli vi avra detto
che questa dama & ugualmente favorita delle Muse che delle
Grazie, ch'ella £ piena d'ottimo gusto in letteratura, che unisce
alPerudizione solidita e svegliatezza di spirito, che non v'6 forestie-
ro colto in Venezia il quale non si pregi di conoscerla e di fre-
quentarla, e per dir tutto in poco, ch'ella & d'una classe medesima
colla vostra illustre arnica e compagna,3 alia quale vi prego di ri-
cordare la mia affettuosa riverenza. Ora questa dama facendo il
viaggio di Roma passa per la Toscana. Poteva ella non desiderare
di conoscer Punico Alfieri? e potete voi non compiacervi della
conoscenza d'una dama che pu6 render giustizia al vostro merito
piu di molti letterati di professione ? lo forse non vi sorprenderei
gran fatto se vi dicessi ch'ella ammira altamente il Sofocle astigiano,
ma vi aggiungerb che ammira ugualmente Pautore del Panegirico
di Plinio, e che pu6 discorrer con voi di costituzioni politiche
quanto di drammatiche. Permettetemi adunque ch'io vada su-
perbo d'esser il conciliatore di questa conoscenza, per la quale
attendo un doppio ringraziamento.
Che fa la vostra Musa? Chi sa quanti tesori poetici avete nel
vostro portafoglio! Sarebbe un delitto Pesserne piu oltre avaro
col pubblico. Non vorrei che lo spettacolo di tante tragedie reali
v'avesse fatto abborrire per sempre la vostra favorita Melpomene.
Ad ogni modo, se come mi fu accennato, Pavete lasciata per far
la corte a Calliope,4 si pu6 ancora perdonarvi, essendo ben certo
che saprete servir ugualmente bene una sorella che Paltra. Non so
se le vostre idee siano tuttavia democratiche ; so bene che il pubblico
vi terra sempre per uno dei maggiori aristocrati di Parnaso, e il
tiranno della scena italica.
1. Isabella Teotochi (1763-1836) e la notissima gentildonna e letterata
veneziana, arnica del Pindemonte e del Foscolo e di altri letterati. Uno
dei prii felici dei suoi Ritratti (1808) e dedicate appunto al Cesarotti.
2. Ippolito Pindemonte, che dedic6 alia Teotochi, chiamandola Temira,
alcuni versi d'amore. 3. arnica e compagna: la contessa d' Albany. 4. Cal
liope: allude alle poesie liriche composte dalP Alfieri tra il 1790 e il 1799.
LETTERS 529
XXI
A UGO FOSCOLO1
Mo gradito le vostre notizie, e godo che vi troviate piu in calma
e disposto a trar profitto delPawersita. Questa e una scuola dura ma
utile. Voi vivrete in pace cogli uomini quando avrete appreso a
conoscerli meglio, amarli meno e lusingarli di piu. Bisogna soffrir
tutto per uscir un giorno dalla loro dipendenza. Costa2 vi saluta,
mi ordina di rimproverarvi di non aver mai risposto alle sue lettere,
e di aggiungere che il march. Ronconi attende con premura la
dissertazione a voi confidata e che ha trasmesso a lui un zecchino
per conto vostro. Addio. Profittate della cara conversazione del
sentimentale e sociabile Olivi,3 e immaginatevi ch'io sia spesso
in terzo con voi.
XXII
A TOMMASO OLIVI4
[La sistemazione di Selvaggiano.]
23 novembre 179 6.
Sono ancora a Selvaggiano, beato per i miei lavori e per la spe-
ranza di veder nella primavera prossima compita pienamente
la divisata sistemazione della mia delizia campestre. Parmi d'a-
vervi gia detto che qui pure ebbe luogo una rivoluzione. Qualche
disgusto che ebbi dal proprietario del campo posto dinanzi al
casino, m'indusse a rinunziarne la fittanza. Cio venne a scomporre
il primo piano: addio ingresso sulla strada maestra, addio viale
d'ingresso, addio, sopra tutto, stradoncino lugubre, boschetti e
prospettive che io vagheggiava cotanto. Cosi parrebbe a prima
vista; ma il fatto sta che questo disordine porto un ordine. Tutte
i. Dall'opuscolo Per nozze Rasi-Vanzan, a cura di G. Mazzoni, Padova
1891, pp. 9-10. Manca la data, ma la lettera deve essere stata scntta nello
stesso tempo di un'altra indirizzata a Tommaso Olivi il 23 settembre
1796, e nella quale era acclusa la presente. 2. Paolo Costa (1771-1836)
di Ravenna, alunno, come il Foscolo, del Cesarotti a Padova, fu uomo
di spiriti democratici e buon verseggiatore neoclassico. 3. Tommaso Qli-
vi, fratello di Giuseppe, e amico del Cesarotti e del Foscolo. 4. Dalle
Opere, xxxvin, pp. 18-22. Su Tommaso Olivi cfr. la nota precedente.
53° MELCHIORRE CESAROTTI
le mie idee possono eseguirsi, e sono gia pressoche affatto ese-
guite molto meglio nel mio brolo1 e nei campi miei. lo sono
obbligato di cuore alia malagrazia d'un nostro aristocrato che diede
luogo a questo felice ripiego. Mi sono sempre ricordato il vostro
detto che quel ritiro funebre non aveva la fisonomia de' miei
disegni. Spero ora d'averla espressa a dovere, ed esulto immagi-
nando Fimpressione che dovra farvi. Non vi prevengo di nulla;
solo esigo da voi che, quando vi scrivero di venirmi a trovare a
Selvaggiano, dobbiate subito compiacermi, nel qual caso vi ren-
dero la pariglia. Vengo ora alle vostre grazie. Ho gia esaminate le
due prime casse, e separati i vari corpi. L'altre due sono ancora a
Padova, e non le aprir6 se non sono trasportate qui. Voi foste
troppo generoso, e temo che diverr6 povero per la soverchia ric-
chezza. Preveggo che avr6 piu tesori che luogo per collocarli o
mezzi di fame uso. Per Pidea principale si fara la scelta dei corpi
piu vistosi e durevoli che congegnati con altre naturalita montane
faranno ottimo effetto. Trovo sparse nelle varie classi alcune bagat-
telle che mi sembrano preziosita marittime da gabinetto, e queste
potrebbero incollarsi sulla carta e formarne de' quadri. Altri pezzi
mi sembra che possano servire a incrostar piedestalli di vasi ; altri
ad abbellire un qualche selciato : insomma si vedra di trar partito
da tutto. Non so quel che contengono T altre due casse, ma sup-
pongo che saranno corpi di diverse specie. In ogni modo ci6 che
avete spedito e piu che bastante airoggetto, ne occorre che v'in-
comodiate di piu. Bensi per continuare ad abusarmi della vostra
cordialita, vi pregherei, se avete a Murano persone di cui possiate
fidarvi, che mi procuraste una cassa di quei pezzi che escono da
quelle fornaci, ma facendo una scelta dei migliori e piu curiosi nel
colorito e nelle forme. Parmi confusamente che possano questi
servire a vari dej miei oggetti. Ma questa volta esigo formalmente
da voi che ci6 sia senza vostro dispendio, e che mi awisiate in
prevenzione del prezzo. Potrei con questa disposizione rivolgermi
ad altri, ma non potrei trovar alcuno che avesse la vostra cor
dialita, attenzione ed intelligenza. I cinquecento olmi potete spe-
dirli per la ventura settimana supponendo che siamo a tempo per
la piantagione. Se vi sembrasse troppo tardi, potrete anche dif-
ferir alia primavera. Di Verona non so dirvi nulla di precise, per-
ch6 da tre giorni manco dalla citta; domenica a Padova intesi che
i. brolo: giardino.
LETTERE 531
dopo molte battaglie sanguinose e bilanciate Davidovic1 avea pas-
sato la Chiusa, e dicevasi anche in Verona: ma la musica infernal
del cannone, che in questi giorni venne a funestar le mie orecchie
e a turbar la mia pace interna, non mi lascia senza inquietudine
per quella infelice citta. Caro Tommaso, amiamo i corpi marini,
gli alberi e noi e i pochi della nostra spezie, e piangiamo su questo
animale indefinibile chiamato uomo, che ha passioni cosi violente
e una ragione cosi fragile, losca, cerea, seducibile, depravabile,
che cercando la suprema felicita si fabbrica la suprema miseria.
V'abbraccio con tutta 1'anima: fra poche ore vado a stabilirmi
a Padova a far il dotto e il cittadino a mio dispetto. Addio senza
fine a tutto il monte OUmpo.2
XXIII
A COSTANTINO ZACCO3
[Inquietudine per la situazione politica.]
Padova, 1796.
JLa vostra cordiale inquietudine merita ch'io faccia il sacrifizio di
scrivere. Dico sacrifizio perch6 sono cosi svogliato che a stento
reggo la penna. Tornai iersera da Selvaggiano per intender meglio
lo stato degli affari, e per non esser al caso spettatore se non
vittima di qualche sopraffazione violenta. lo per altro vi accerto
che non ho nessun timor personale, e che sono preparato a
qualunque evento; solo ho Tanima penetrata da un'amarezza
cupa, e talora da un'apatia disperata e stupida. Ho persino per-
duta quelPaccensione di collera e quelFimpeto declamatorio che
mi teneva in vita. Se il Cielo vuole che costoro4 partano, io tor-
ner6 ad immergermi nella mia solitudine per essere aifatto alPo-
scuro di quanto accade. Vorrei dormir sempre per risvegliarmi
tranquillo o non risvegliarmi mai piu. Intanto vi prego a non mi
scriver piu nulla di cose politiche d'alcuna specie, e a non aspet-
tarne da me. Noi non potressimo che rattristarci a vicenda. Scri-
vetemi di amarmi, che questa e una delle poche cose che m'inte-
ressano. V'abbraccio di cuore. Addio.
i. Davidovic: generate austriaco, che pochi giorni dopo sara battuto da
Napoleone a Rovereto. 2. monte Olimpo: allude forse, scherzosamente,
ad amici comum. 3. Dalle Opere, xxxvn, pp. 339-40. Sullo Zacco cfr.
la nota lap. 517. 4. costoro: probabilmente allude all'esercito francese.
532 MELCHIORRE CESAROTTI
XXIV
A TOMMASO OLIVI1
[La nuova democrazia.]
Padova, 15 decembre 1797.
La tua lettera mi commosse con una tenera compiacenza. Duolmi
solo che questa fosse amareggiata dalla trista notizia della mancan-
za del fratello.2 Conservati, caro Tommaso, a te, alia tua famiglia,
a me che ti appartengo col cuore. Conservati, e tienti lontano
quanto puoi da tuttocio che pu6 agitare soverchiamente i tuoi
nervi. Quante volte bramai di scriverti! e quante mortificazioni
ebbi di non farlol Ma che poteva io dirti, e come spiegarmi? Ci
volevano discorsi troppo lunghi, troppo liberi per farmi inten-
dere con qualche speranza di frutto, e il nostro bel sistema di li-
berta avea posta un'inquisizione sulle parole. Io non sapeva il tuo
incomodo fisico, ma era ben certo che il tuo spirito si trovava in
burrasca, e quel ch'e piu, che tu amavi la burrasca medesima
sperando di arrivar per essa al porto della felicita. Illusione fatale,
rea di tutte le nostre sventure! Io gia conosceva da molto tempo
la fallacia di quei venti insidiosi che ci spingevano nell'alto, e
non presagiva che tempeste e naufragi; ma conveniva essere piu
che profeta per immaginare che cotesto turbine di liberta conducea
direttamente e deliberatamente alia servitu. Vaglia almeno questo
singolare esempio a guarirci per sempre dalle chimere filosofiche,
le quali non servono che al trionfo degl'impostori. Ma io ho detto
assai piu di quel ch'io voleva. Questi discorsi non devono riser-
barsi che a Selvaggiano. Attendo con trasporto la primavera e te.
Se il cielo benedice le mie piante, spero che il mio boschetto ti
presenti un dolce spettacolo. Tutto il brolo ha una faccia nuova
e piu interessante. La tua allegrezza per la mia pensione3 me la
1. Dalle Opere, XL, pp. 38-40. Su Tommaso Olivi cfr. la nota 3 a p. 529.
2. fratello: non Giuseppe Olivi, che era morto nel 1795. 3. pensione: per
iniziativa di Napoleone stesso, arnmiratore di Ossian e del suo traduttore,
al Cesarotti era stata assegnata una pensione di tremila franchi annui sul
vescovado di Padova, ed era stato accordato il trasferimento « dalla cat-
tedra di lingua greca a quella di belle lettere col titolo rarissimo di so-
praordinario e colla permissione di leggere quando e quanto mi piace»,
come il Cesarotti stesso scriveva compiaciuto in una lettera ad Angelo
Mazza, anch'essa del 15 dicembre 1797 (cfr. Opere, XL, pp. 29-30).
LETTERE 533
rende assai piu grata. La mia maggior compiacenza e il pensare
che questa onorificenza fu perfettamente gratuita, e ch'io non
me 1'ho procacciata neppur coirombra di bassezza d'alcuna specie.
Aggiungo un nuovo solletico alia tua cordialita col dirti che fui
trasferito alia cattedra d'eloquenza senza nuovi aggravi, e con un
decreto il piu lusinghiero. Quando sara stampato, te ne spedirb
una copia. Saluta caramente la famiglia che bramo pur di rivedere.
Mio cognato, io, i miei domestici, e credo anche il cane e il gatto,
tutti ti amano, ti salutano e non cessano di desiderarti. Addio
con vero affettuoso trasporto.
xxv
A MONSIEUR. . .*
[Sulle proprie traduzioni ossianiche e omericke.]
Ossian et moi nous avons a vous des obligations communes,
lui a votre talent, et moi a votre politesse. L'impromptu qui
m'est sorti du coeur plus que de la plume n'est qu'un petit a
compte que j'aime a vous payer pour moi et pour mon vieux
barde. Dans ma lettre a la comtesse Albrizzi,2 dame d'un gout
exquis dans la belle litterature, j'ai dit nettement ce que je sens
sur vos essais, c'est a dire que tout ce qu'il y a de beau vient de
votre habilete; ce qu'on pourroit y souhaiter, ne regarde que vo
tre langue. Boileau lui-meme en travaillant sur Ossian ne 1'au-
roit trouv6 quelquefois moins rebelle. Un auteur italien, dans
un tel travail, avoit bien plus facilite et dans la langue plus
libre et dans le vers plus harmonieux, plus varie, plus pitto-
resque. Ces caracteres appartiennent en particulier a nos vers
blancs, que le comun des Francois croit invente par nous afin
i. Dalle Opere, xxxvin, pp. 61-4. Di questa interessante e poco nota
lettera non e indicate il destinatario, n6 e facile scoprirlo da quanto e detto
nel testo della lettera, dove risulta solo che si tratta di un francese che si
era provato a tradurre Ossian. Non escluderei che possa trattarsi del
Ginguen6, che intorno al 1800 si occupava di Ossian, e che in seguito
cur6 una ristampa della traduzione del Le Tourneur. Anche la data manca,
ma Taccenno alFedizione veneziana della Morte di Ettore la sposta a dopo
il 1795. 2. la comtesse Albrizzi: Isabella Teotochi (su cui cfr. la nota i a
p. 528), sposata dal 1796 in seconde nozze a Giuseppe Albrizzi.
534 MELCHIORRE CESAROTTI
de nous soustraire aux entraves de la rime, au lieu que c'est
sa propre beaute qui le recommande, beaute" qui aux oreilles ita-
liennes ne laisse point envier Tagrement de la consonnance, et
d'autant plus estimable que ses charmes se font plus sentir que
pressentir. On pourroit lui appliquer le mot d'Horace : «ut sibi qui-
vis / speret idem, sudet multum frustraque laboret / ausus idem)).1
Vous pouvez, Monsieur, assurer vos nationaux qu'en Italic ne fait
pas de vers blancs qui veut, et il y a chez nous plus d'un rimeur
tr&s-heureux qui dans une piece de vers libres y perdroit tout
son latin. N'allez pas croire cependant qu'il ne me fallut aussi
lutter avec des obstacles considerables: si j'ai pu les vaincre,
je le dois bien plus a ma hardiesse qu'a mes talens. Le style
d'Ossian ne trouvoit dans nos ecrivains rien d'analogue a son
caractere. Notre langue, toute feconde et flexible qu'elle est,
6toit, grace a nos grammairiens, devenue sterile, pusillanime,
superstitieuse, et notre sciolto n'avoit jusqu'alors re9u de nos
auteurs plus celebres qu'une majestueuse sonorite" p&riodique, un
peu monotone. J'osai braver les prejuges de 1'usage et les criail-
leries des pedans: je hazardai de nouveaux tours, je donnai au
vers un mechanisme, si j'ose le dire, pantomime, et mes efforts
ont ete assez heureux pour trouver quelque grace aupres du public.
Mais malgr6 la seduction de vos louanges, ne saurois accepter
sans scrupule le titre, dont vous m'honorez, du Delille2 de T Ita
lic. Je veux croire que mes vers vaillent les siens, mais Delil
le a donn6 beaucoup du propre, et moi je n'ai bati que sur les
fonds d'autrui. Professeur de Iitt6rature grecque il me fallut
travailler sur les auteurs de cette nation; et de plus presque
tous mes ouvrages de prose et de vers ne furent que command6s.
II n'y a qu'Ossian dont j'ai entrepris la traduction par un mou-
vement spontanS. *Mais enfin ce n'est qu'une traduction, et sjil
y a quelque chose d' original, cela ne regarde que le style. Quel
que droit plus solide a Toriginalite pourroit me donner, j'ose
mjen flatter, mon Homere, tel en particulier qu'on l'a public a
Venise avec le titre de Vlliade ou la mort d* Hector. Ce n'est pas
une traduction ni une imitation, mais on peut 1'appeler une re-
i. Ars poet., 240-2 («affinch6 chiunque speri di poter riuscire ad ottenere
lo stesso risultato, e osando tentare il medesimo lavorp, molto sudi e invano
si affatichi »). 2. Delille, o Delisle (cfr. la nota 4 a p.' 301), e qui citato per
le sue traduzioni delle Georgiche e del Paradise perduto di Milton.
LETTERE 535
forme et presque line regeneration de Vlliade, Cest de tous mes
ouvrages celui sur lequel le public et les connoisseurs peuvent for
mer un jugement plus fonde de ma faculte poetique quelle qu'elle
soit. Mais quoiqu'on en juge, ma carriere est fournie. Fatigue par
de longs travaux, et de plus aifaisse sous le poids d'une atmosphere
qui n'a rien d'electrique, je demandai mon cong6 aux Muses, et
je 1'ai obtenu sans peine. A present retire de la lice, j'assiste spec-
tateur tranquille aux jeux des talens, pret a applaudir sans jalousie
a ceux qui remportent le prix. Vos essais me font presager que
plus d'une couronne vous attend: il ne tiendra qu'a vous de
I'obtenir. Qu'il me sera doux de 1* entendre! et que je serai heureux
de votre gloire. Agreez, Monsieur, les sentimens sinceres d'estime,
de reconnoissance et d'amitie avec les quels je suis, etc.
XXVI
A FRANCESCA MORELLI1
[Le consolazioni delVamidzia e della natura.]
E pur troppo vero ch'io sono occupato, ed e vero altresi che la
frequenza e la moltiplicita delle lettere mi e spesso a carico, e
talora a noia. Ma cosa hanno mai di comune le lettere di cotesta
turba di scriventi con quelle di Fanny? Dettate dal cuore, in-
gentilite dalle grazie naturali del vostro spirito, esse sono il vero
specifico contro il tedio inspiratomi dalle altre, e mi servono d'una
cara distrazione dalle brighe incessanti che mi tira addosso il mio
affisso di letterato in titolo, che portai sempre a dispetto, e che mi
diviene di giorno in giorno piu intollerabile. La collezione delle
vostre lettere e per me un tesoro prezioso; io le ricevo con traspor-
to, e le leggo e rileggo con vera delizia. II piacere di legger voi non
puo essere superato che da quello di vedervi. Voi mi date percio
la piu dolce notizia coirannunziarmi che avro questo bene alia
i Dalle Opere, xxxix, pp. 112-5, Se Taccenno agli odiosi congressi si ijfei-
sce, com'e probabile, aUe riunioni che precedettero k pace, di Luneville
(o febbraio 1801), la presente lettera dovrebbe essere stata scntta poco
prima. La contessa Francesco, (o Fanny) Morelli collabor6 col Fieri, il
Furlanetto e il giovane Politeo Niseteo (col quale conviveva) ad un «Cxior-
nale della letteratura straniera», uscito per sei mesi nel 1805.
536 MELCHIORRE CESAROTTI
fine di Quaresima. Immaginatevi s'io prepare Fanima a dir con
divozione alleluia. Mi congratulo con voi che andiate diventando
sempre piu insensibile ai frivoli trattenimenti del sedicente gran
mondo, che non e grande fuorche nella picciolezza. L'amicizia e
la natura sono le due uniche fonti dei piaceri solidi ed interessanti.
II fisico nella campagna offre lo spettacolo che si cerca indarno
dal morale nelle citta. La generosita, la gratitudine, la beneficenza
universale risiedono nella madre Terra; lo stato d'innocenza, la
letizia cordiale e semplice, la cortesia ospitale non si trova che tra
gli esseri vegetabili. II mondo morale non e che un teatro di mal-
vagita e di miseria. Quando fmiranno questi odiosi congressi? lo
vorrei vederne uno tra la Ragione, PUmanita e la Giustizia. Que-
ste dovrebbero essere le vere dominatrici della terra: ma esse non
sono che regine detronate, le quali non sanno nemmeno sperare
una meschina indennizzazione.
Mi consola assai la salute migliorata delFottimo Bepo1 e la spe-
ranza che abbia sempre piu a convalidarsi.
La vostra afTezione alia cara Marina2 fa ch'io v'ami di piu Tuna
e Paltra. Interessante per la sua bonta non meno che per la bel-
lezza, ella ha il privilegio singolare di aver tante amiche nel suo
sesso, quanti adoratori nel nostro. Fatele per me le piu cordiali
carezze. L'ultimo periodo del povero C . . .3 diede qui luogo a
molte ciarle divotamente maligne. lo credo che anche un buon
cristiano possa non gradir gran fatto gli imponenti prolegomeni
della sua morte. I teologi hanno fatto il possibile per rendere
sconsolante e inamabile una religione ch'6 tutta amore. La sua
fisonomia naturale era fatta per spargere un balsamo di consola-
zione e di speranze sulFoccaso del nostro giorno : essi la sfigurarono
a segno di fame uno spettro, e ci resero piu trista la morte coi
terrori esagerati d'un'altra vita. Se i frenetici novatori di Francia
in luogo di abolir il cristianesimo Pavessero richiamato al suo vero
spirito, spruzzandolo d'un po* di filosofia temperante, essi avreb-
bero reso un grande e reale servigio alFumanita: ma fatalmente
in questi tempi la ragione stessa non fu che la serva del male.
i . Bepo : Giuseppe Albrizzi, il marito di Isabella Teotochi. 2. Marina Que-
rini Benzon (1757-1839), celebre per i suoi amori e per le sue idee demo-
cratiche, arnica del Foscolo e del Pindemonte, del Byron e dello Stendhal.
Per lei il Lamberti scrisse la famosa Biondina in gondoleta (cfr. la nota a
pp. 311-2). 3. povero C. . .: non saprei a chi il Cesarotti alluda.
LETTERS 537
Ma abbandoniamo queste idee, pensiamo a vivere e ad amarci.
Addio con tutto il cuore.
XXVII
A FRANCESCA MORELLI1
[Autoritratto morale.]
Grazie intanto alia Battaglia,2 alia sua aria, a' suoi monti che
sparsero la serenita sullo spirito della cara Fanny, e grazie alia
cara Fanny che s'affrettb a dar questa dolce consolazione al suo
Cesarotti col descrivergli Pimpressione piacevole che fecero sopra
lei le scene campestri. Possano i Bagni consumar P opera del
suo ben essere, e renderla a chi Pama e Papprezza quanto merita,
sana e contenta per Ponore della Providenza e per delizia dei suoi
amici. Voglio darvi una notizia che pu6 forse rendervi piu inte-
ressante il paesaggio che vi circonda, Innanzi di arrivare alia Batta
glia rimpetto al Cataio,3 in un luogo detto il Pigozzo, lungo il
canale v'e un casino con una chiesetta, e un picciolo pozzetto a
fianco. Ivi per qualche anno abit6 un uomo che non era dei piu
comuni, d'uno spirito tra il filosofico e il poetico, passionatamente
innamorato del Bello morale che ando sempre cercando nelPamore,
nelPaniicizia, nei caratteri degli uomini, nella contemplazione del-
Pordine e del sistema delPuniverso. Trovatosi fatalmente illuso
nelle idee piu care, costretto a rinunziare ai suoi diletti fantasmi,
disgustato di tutta la sciaurata razza di Prometeo,4 e quasi quasi del-
Pabilita delPartista, Iasci6 quelPabitazione e and6 a ritirarsi in una
perfetta solitudine campestre ove sfoga Pattivita del suo cuore cogli
esseri vegetabili, pascendosi anche talora de' suoi favoriti roman-
zi,s ma senza lasciarsi tormentare dalPidea illusoria di vederli
realizzati. II Cielo finalmente per decoro proprio, e per premio
delle sue buone intenzioni, gli fece conoscere Fanny, ed egli be-
nedisse tosto Peconomia della Providenza, che nelP ultimo pe-
i. Dalle Opere, XXXIX, pp. 100-3. Mancano indizi che permettano di fis-
sarne la data, che per6 non dovrebbe essere lontana da quella della lettera
precedente. 2. Battaglia : luogo di cure termali ai piedi dei colli Euganei.
3. Cataio: nome di un castello situato nei pressi della Battaglia, e apparte-
nente alia famiglia padovana degli Obizzi. 4. razza di Prometeo : Puma-
nita. 5. romanzi; sogni romanzeschi.
538 MELCHIORRE CESAROTTI
riodo della sua vita gli riserbb questo bene, e gli mostr6 che gl'idoli
del suo spirito non erano tutti assolutamente chimere. Di quest' uo-
mo non vi dico il nome, ma quello del suo eremo e Selvaggiano.
Egli lo trova delizioso, e oserebbe preferirlo alia Battaglia, se
ora la Battaglia non fosse abitata da Fanny, Godo immaginandomi
che, dopo questa storia, al vostro ritorno getterete uno sguardo
di compiacenza su quel luogo in memoria del suo antico abitatore,
e godo ancora piu colPidea che abbiate a bearlo nel suo romitag-
gio colla vostra presenza.
Per me al certo nori v'e spettacolo cosl pomposo che m'inte-
ressi piu de' miei verdi ; e la giocondita e I'affetto de' miei domestic!
ha per me assai maggior pregio che tutte le societ& di ban ton.
Non mi stupisco se il nostro Z . . .* s'annoia. Egli non e il siba-
rita che per sazieta brama i cibi semplici; e il buon Adamo che,
avendo per cagion vostra gustati i frutti dell'Eden, non sa piu adat-
tarsi a quelli d'una terra rivoluzionata. Egli ha per6 torto di dedi-
carsi come fa a certe relazioni che egli si ostina a risguardare come
amicizie, e quasi merita il suo trattamento, adattandosi da tanto
tempo a soffrirlo. Ma Tattaccamento a Fanny non sark senza ef-
fetto, ed io gia preveggo che voi Pavrete o guarito o rovinato.
Voi m'avete fatto sorridere pregandomi d'instruirvi. E di che
volete voi ch'io v'instruisca ? Io non potrei che insegnarvi a co-
noscere meglio voi stessa. Ci6 che dite per scemare il vostro me-
rito fa il vostro maggiore elogio. Non credete ch'io vi lusinghi:
10 non sar6 n6 il primo ne il solo che v'abbia reso giustizia. La
vanita e viziosa, ma un'onesta compiacenza di se stesso e una
buona compagna, e voi avreste gran torto di ricusarla.
Addio, arnica dilettissima. Un cordiale saluto alia buona Miml,
che ha ben dritto d'esser amata, poich6 ama voi. Addio con tutto
11 cuore.
i. il nostro Z . . . : lo Zacco (cfr. la nota i a p. 517).
LETTERE 539
XXVIII
A FRANCESCA MORELLI1
\pescrizione di Bassano.]
Selvaggiano.
1 ornai da Bassano coll'ansieta d'aver nuove di vol. Fortunatarnen-
te m'awenni tosto in Zacco, e intesi da lui che vi aveva inaspetta-
tamente veduta al Terraglio2 e trovata in ottimo stato di salute; e
se non del tutto tranquilla, almeno tanto padrona del vostro spi-
rito, quanto bastava a metterlo in commercio nella societa. Ci6
mi diede molta consolazione, facendomi sperare che vogliate coo-
perar efficacemente a ristabilire il vostro fisico, cercando di sere-
nare la fantasia, e prestandovi a tutto ci6 che pu6 diradarne le
nuvole. lo passai dieci giorni a Bassano in casa d'un giovane
monaco di Praglia, ch'io soglio chiamare il figlio della mia ultima
eta, e talora il mio Oscar,3 perche ama con trasporto Ossian e me,
ed ha la stessa maniera di vedere, di sentire e di scrivere. In conse-
guenza di queste disposizioni, egli e incantato di Fanny, di cui gli
lessi alcuni scritti che lo posero in entusiasmo. Bassano, voglio dire
la sua posizione, sarebbe degna del vostro pennello. Esso po-
trebbe essere una scuola di pittura per i paesisti; esso presenta un
aggregate di vedute che formano un teatro di spettacoli naturali,
sempre inter essanti e sempre vari. II coltivato e Jl silvestre, Pa-
meno e Torrido, le colline, i monti, le montagne offrono gruppi,
intrecci, contrasti di forme, di colon, di aspetti, che arrestano e
trasportano ad ogni passo. Tutte queste scene graduate e suc
cessive nel territorio sembrano riunirsi dinanzi agli occhi dello
spettatore nella citta stessa quando si guarda dal Castello, gia
soggiorno d'un tiranno, e ora d'un arciprete. lo lo contemplai
estatico, ma la maggior mia sorpresa fu come quel mostro d'Ez-
zelino potesse pascere lo spirito d'idee di sangue in un sito fatto
i. Dalle Opere, xxxix, pp. 104-7. L'allusione alTincertezza fra pace e
guerra indurrebbe a poire la data della lettera nel periodo precedente alia
pace di Amiens (marzo 1802). 2. al Terraglio: sulla riviera trevigiana,
probabilmente nella villa Albrizzi, come si rileva dalla notizia in fine della
lettera. 3. il mio Oscar: 1'abate Giuseppe Barbieri, su cui cfr. la nota 3
a p. 543-
54° MELCHIORRE CESAROTTI
per inebbriare Panima del nettare dei geni. Passai le mie giornate
aggirandomi per le terre circonvicine, specialmente lungo il ca
nal della Brenta, ove il fiume non sente ancora il torpore della
patavinita,1 ma corre e sbalza e spuma irritate tra gli spezzoni
dei massi, e fa presentire una forza che pu6 giustificare il detto
d'Elvezio, che il sublime e un terribile incoato.2 Allora per6 il
fiume non avea che una vivezza piacevole. Le persone del bel
mondo avrebbero ben riso in veder me col mio compagno e coi
domestic! aggirarci tutti attentamente per la ghiaia della Brenta
a ricogliervi petruzze e ciotoli come se fossero gemme. Ben per6
piu prezioso di tutte le gemme dell' India fu per me il gabinetto
di storia naturale ch'ebbi a vedere in Bassano. Fra le cose che lo
distinguono non & la meno singolare che chi lo form6, e lo possede,
pu6 dirsi con esatta proprieta un arlecchino3 naturalista, poich<§ ap-
punto facendo egli il personaggio d'arlecchino a Parigi, acquistc- ric-
chezze considerabili, una parte delle quali, per una inspirazione che
non si sarebbe aspettata, I'impieg6 a procacciarsi una sceltissima
collezione di corpi naturali, che per essere ammirata con trasporto
non ha bisogno di scienza, Nella mia dimora in Bassano io m'era
scordato di tutte le ribalderie misteriose della politica: appena
giunto a Padova, intesi tosto che siamo tuttavia incerti della guerra
o della pace, ma certissimi della miseria. Per iscappare da queste
idee sconsolanti corsi tosto a rintanarmi nella mia selva, ove di-
vido le ore tra il mio giardino autunnale e il mio gabinetto grot-
tesco.4 Non so se questo sia un embrione o una parodia del museo
bassanese, ma so che in ogni modo m'interessa e m'appaga. Ebbi
dalPaureo e amabile Albrizzi una lettera cordialissima che m'invita
al Terraglio. Io avea tutta Pintenzione di andare a passar un giorno
con lui, ma per ora sono ritenuto da qualche faccenda morale,
n£ so quando potr6 secondare il mio desiderio. Addio, amatissima
i. il torpore della patavinita'. immagine scherzosa, tratta forse dalPaccusa
di « patavinitas », che Asinio Pollione formu!6 contro lo stile del pado-
vano Livio. 2. il detto . . . incoato : cfr. Helvetius, De Vhomme, London
1777, n, p. 232: «il faut . . . que la sensation du sublime renferme tou-
jours celle d'une terreur commencee » : concetto ripreso dal Cesarotti an-
che nel Saggio sul Bello (cfr. Opere, xxx, p. 17). 3. arlecchino: Pattore
Zanuzzi, che per6 era stato Yinnamoratot non Varlecchinot della Comedie
Italienne. Era stato lo Zanuzzi ad invitare nel 1761 il Goldoni a Pari
gi. 4. grottesco : qui ha il senso di « ornato, ordinato in modo irrego-
lare ».
LETTERE 541
Fanny: confortatevi, sollevatevi, e amate chi si fa una gloria d'esser
vostro. Addio.
XXIX
A FRANCESCO RIZZO E GIUSTINA RENIER1
[Elogio del Necker.]
Aimiei carissimi: Rizzo-Giustina; Giustina-Rizzo.
La vostra lettera e il vostro dono mi furono ugualmerxte cari.
La rivoluzione di Francia descritta e individuata nelle sue epoche
principal! e un'idea curiosa, felice e felicemente eseguita.2 Ella
e istruttiva, ma trista perche fa disperare che gli esempi del passato
servano mai di scuola per Tawenire. lo per6 1'ho letta con gran pia-
cere. Tutto e ben scelto ed appropriate, e Tultima parte che ap-
partiene al console perpetuo3 chiude egregiamente il discorso con
veracita e convenienza. £ per6 un po' di mal augurio per Bona
parte che gli elogi a lui fatti sieno quegli stessi che furono profusi
a Cesare per addormentarlo sul suo destino. Amerei di saper il
nome del traduttore che mi parve aver colto bene il senso degli
original! (notate che non scrivo cosi in risposta d'una sua lettera).
Per Paltra opera tradotta e comentata dal cittadino Bettoni4 non
ho ne tempo ne voglia d'occuparmene. Vedo ch'ella tende tutta a
magnificar le glorie della Francia, ed io non posso compiacermi
dell'esaltazion d'una nazione, la di cui grandezza ha per base la
sceleragine, e nella quale la perfidia ha per lo meno tanta parte
1. Dall'articolo di A. BENZONI, Alcune letter e inedite del Cesar otti al
co. Francesco Rizzo, in «Ateneo Veneto», settembre-ottobre 1904, pp.
144-7. La data di questa lettera si pu6 porre, per 1'accenno a Napoleone
console perpetuo, probabilmente nell'agosto o nel settembre 1802. Giusti-
na Renier Michiel (1755-1832) tenne il piu famoso salotto letterario del
Sette cento veneziano, e si interess6 di letteratura e di scienze. A lei si
debbono traduzioni in prosa deH'Ote/fo, del Macbeth e del Coriolano e
un'opera storica sull'origine delle feste veneziane. II conte Francesco Rizzo
Patarol, piu giovane di lei di quindici anni, fu per lungo tempo suo amico.
2. La rivoluzione . . . eseguita : si tratta di un'opera straniera tradotta (come
e detto in seguito), ma gli indizi sono troppo generici per determinare
quale sia precisamente. 3. console perpetuo : Napoleone, nominato con
sole a vita nell'agosto 1802. 4. Nicol6 Bettoni e il noto tipografo ed
editore bresciano.
S42 MELCHIORRE CESAROTTI
quanto il valore. lo Pabborro ancor di piu ora che ho per le
mani un'opera tutta celeste. £ questa il corso di Morale religiosa di
Necker.1 Non posso esprimervi quanto io sia incantato e rapito
da questa lettura. Tutti i piu grandi uomini del secolo mi paiono
pigmei appresso un gigante. Nessuno ha saputo al par di lui
smentir la falsa filosofia col presentarci lo specchio della vera filo-
sofia dell'uomo, che non e il prodotto della sola ragione, ma il ri-
sultato di tutte le facolta dell'anima combinate e illustrate Tuna
per Faltra. Ne parimenti alcuno seppe spogliare con piu destra
saviezza la religione di ci6 ch'ella sembra avere di aspro, di ribut-
tante, di triste per farla brillare nel suo vero carattere consolatorio
e fecondo delle piu dolci virtu. Una metafisica delicatamente uma-
nizzata, una morale la piu pura e convincente, un'unzione sen-
timentale la piu toccante formano un innesto originale e perpetuo.
II suo discorso e la geometria del cuore e il cuore serve di scala
al suo genio. Lo stile e sempre animato con giuste proporzioni
e sparso d'un lume equabile d'immaginazione che talora si cangia
in lampo focoso, talora in raggio penetrativo e piccante. Oso dire
che se un abitante di qualche sfera celeste avesse presa forma e
Hnguaggio umano non avrebbe altra eloquenza che quella di
Necker. Vari pezzi introdotti naturalmente, relativi alle tragedie
di Francia, scritti con tutta Tenergia del cuore ma senza fiele,
senzafurori, senza attizzamento di vendette, sparsero in quest'opera
un interesse ancora piu vivo. Egli ha posta in pieno lume colla
piu limpida e sublime filosofia questa gran veritk che la religione
ben intesa e il fondamento della morale, che la morale e Tunico
fondamento della politica, e che senza una politica morale e reli
giosa non pu6 esservi felicita n6 privata ne* pubblica. Vengano
ora tutti i detrattori di Necker, essi non faranno mai ch'io nol
creda un uomo adorabile e benemerito dell'umanita. Io sono sem
pre piu convinto che i suoi falli politici (se debbono chiamarsi tali)
nacquero appunto dalla purita della sua morale, ed io amo piu gli
errori della bonta che tutte le imprese fortunate della malizia. In
mezzo alia delizia di questa lettura il mio piccolo amor proprio
ha talora la temerita di mortificarsi poich6 pargli che Necker siasi
internato ne' suoi pensieri, e gli abbia rapito piu d'una idea ch'ei
si vagheggiava come sua propria. Di fatto la mia filosofia della
i. il corso . . . Necker: e il Cours de morale religieuse, stampato a Ginevra
nel 1800.
LETTERE 543
Bibbia era un dipresso lo stesso piano di Necker, ed io arrabbio
colle distrazioni social! e colle puerilita letterarie che non mi per-
mettono d'abbandonarmi ai progetti favoriti del mio spirito e del
mio cuore. Ho gia ordinata quest'opera che leggo ora per indul-
genza altrui: prowedetela anche voi e sono certo che insieme
coll' arnica mi renderete grazie, e amerete di piu e Necker e me.
L'arTare di mio nipote1 e ancora un mistero. Questa dilazione
sarebbe vergognosa per il governo, se chi e gia carico di vergogne
potesse sgomentarsi d'una di piu. £ qui Barbieri che va in estasi
al par di me nella lettura di Necker. Perdonate, cari amici, se non
vengo a trovarvi, ma siate certi che vi amo, che vi desidero, e che
la vostra idea si mescola sempre nei miei pensieri piu cari. Zacco
rende alia Giustina affettuose grazie dej suoi sentiment! per lui,
e vi saluta entrambi cordialmente. L'amico dubitativo, la matrimo-
niata Costanza, TUnico Assaggiatore, il primogenito delPOssian,2
tutti mandano all'uno e all'altra affetti di tutti i colori. Giovedi
saranno tutti a passar meco le ore delPamicizia. Unitevi a noi
collo spirito. Io vi stringo, v'abbraccio e mi amalgamo a voi con
tutta Tanima. Addio.
xxx
A GIUSEPPE BARBIERI 3
\Giudizio sullo alacopo Orttsv.]
3 decembre*
Mio caro figlio, sento che ti lagni della tua salute, e me ne duole vi-
vamente. Tu hai bisogno d'un sistema di vita equabile in ogni sen-
so, e credo che ti gioverebbe sopra tutto un po' d'esercizi spirituali
per metter meglio in assetto le tue idee e i tuoi sentimenti. Nel
i. mio nipote: cfr. lanota sap. 522. 2. Uamico . . . Ossian: con questi ap-
pellativi scherzosi sono designati alcuni amici. La matrimoniata Costanza
e la moglie del giureconsulto Girolamo Trevisan ; 1' Unico Assaggiatore e
1'abate Bmnetti, amante del vino; il primogenito dell' Ossian, cioe Oscar,
e il Barbieri. Non e chiaro invece chi sia Vamico dubitativo. 3. Dalle
Opere, xxxix, pp. 6-8. LJ abate Giuseppe Barbieri, di Bassano (1774-1852),
discepolo prediletto del Cesarotti, che si compiaceva di chiamarlo, con
nome ossianico, Oscar (cfr. p. 539), e suo successore all'Universita di Pa-
dova, fu mediocre poeta, buon predicatore e uomo di sentimenti liberali
4. 3 decembre: certamente del 1802, come si rileva dall'accenno
foscoliano, stampato appunto in queiranno, e da altri indizi.
544 MELCHIORRE CESAROTTI
comune degli uomini 6 il corpo che nuoce al bene deH'anima, in te
tutto all'opposto, e 1'anima che nuoce al corpo, poiche sono in
origine cause morali quelle che t'inducono a trascurar il tuo fisico.
fe ben dura cosa che il tuo direttore non possa esserti vicino, come
bramerebbe con tutto il cuore. Ma possibile che per Natale almeno
non possiamo accostarci Puno alPaltro ? II tempo che si va lenta-
mente calmando non mi toglie affatto la speranza. Ti rimando gli
Amori delle piante* che sono un pezzo delizioso. Ho per6 segnate
alcune bagattelle che puoi rettificar facilmente. Ricorretto che tu
Pabbia, rimandalo tosto. Nella stampa non vorrei porre il tuo
nome, ma lo travestirei alia greca dicendo Fileremo Limonio,
ch'e quanto a dire monaco di Praglia. Ho bisogno che tu mi
mandi tosto tutti i tomi d'Omero, perche ho voglia di sbrigarme-
ne per metter subito mano alle Relazioni accademiche.2' Leggo
interrottamente vari libri interessanti. Mad. Necker3 ha molti
pezzi insigni e finissimi, bench6 vi domini spesso un poj di mi-
sterioso e di raffinato: ma per la morale ed il sentimento ella e
degna moglie di Necker. Massa4 mi spedi da Napoli il suo poe-
metto sopra Buonaparte, che farebbe il piii grande onore a qua-
lunque dei piu celebri poeti francesi. Te lo spedisco, ma a patto
che tu nol lo distragga in altre mani, e me lo rimandi presto.
II gen. Miollis5 fece un'allocuzione per TAccademia di Man-
tova sopra Fagricoltura, che pu6 farlo stimare e amare dagPIta-
liani come letterato e come uomo. Ella e sparsa di cenni allusivi
che saranno poco grati . . . Te la spedir6 un altro giorno. Foscolo
mi spedi la sua storia ch'e una specie di romanzo intitolato Le
ultime lettere di lacopo Ortis. Egli ha ben ragione di dire che lo
« scrisse col suo sangue ». lo mi guarder6 bene dal fartelo leggere :
perch6 e fatto per attaccare una malattia d'atrabile sentimentale da
terminare nel tragico. lo lo ammiro e lo compiango. Ma parlando
i. Amori delle piante: poemetto didascalico del Barbieri. 2. Ho bisogno
accademiche: il Cesarotti stava rivedendo le sue opere per 1'edizione pisana.
Le Relazioni accademiche furono stampate nel 1803. 3- Mad. Necker:
di Suzanne Curchod, moglie del Necker, furono pubblicati postumi dei
Melanges extraits des manuscrits de madame Necker nel 1798, e dei Nou-
veaux melanges nel 1802. 4. Flaminio Massa da Pacentro, discepolo di
Mario Pagano, fu tra i giacobini napoletani della Cisalpina, dove conobbe
il Monti e il Foscolo; mori di tisi nel 1805. 5. II generale S. A. Fra^ois
Miollis (1759-1828) si dilettava di letteratura ed era in particolare ammi-
ratore di Virgilio, al quale fece erigere un monumento a Mantova.
LETTERS 545
solo delFopera, ella e tale che farebbe il piu grande entusiasmo
se si credesse d'un oltramontano. Ella ricorda Werther, ma pu6
farlo anche dimenticare. Tu per6 dei astenerti rigorosamente da
queste letture dolci venefiche, e leggi piuttosto Bertoldo o le no-
velle arabe. Addio, mio caro figlio, governati per carita in ogni
senso. Un bacio a' tuoi compagni, e cento a te. Quando verr6
a gustare il vostro groppello?1 Addio.
XXXI
A GIUSTINA RENIER MICHIEL2
\Giudizi sul Foscolo e suH'Alfieri.]
Padova, 20 dicembre 1803.
Selvaggiano non fu da me visitato che coll'intenzione, per-
che, malgrado ai cavalli, m'avrebbe convenuto far a piedi un
miglio di gita e uno di ritorno, il che allora non era per me. Cosi
dovei contentarmi di passar una giornata a Brusegana, insieme
col mio caro Barbieri. Le sue qualita me lo fanno amar con tra-
sporto, ma egli fa ugualmente la mia delizia e la mia inquie-
tudine. La sua salute instabile non mi lascia otto giorni tranquillo.
Ci6 che ha finora guadagnato con tanta cura, non e che inter-
mittenze d'incomodi sulle quali non pu6 molto contarsi. Non e
pero obbligato al letto ne al ritiro severo. Si aiuta col regime, colla
tolleranza, collo spirito, e mostra nelPaspetto e nella vita giorna-
liera tutti gli attributi del sano. La sera io gli rendo la pariglia
tenendogli compagnia. Obbligato a dispetto a conversare con Escu-
lapio, egli cerca di ristorarsi col padre Apollo. Attualmente egli
sta lavorando un componimento3 sopra Bassano d'una squisitezza
di gusto e di stile veramente impareggiabile. Non mi stupisco
che i begli spiriti palustri mi taccino di esagerazione per Felogio
fatto ai Morlacchi.4 Fa sempre piu fortuna chi morde che quel
i. groppello: un vino del luogo. 2. Da Cento lettere inedite a Giustina
Renier Michiel, cit., pp. 63-6. Su Giustina Renter Michiel cfr. la nota i a
p. 541. 3. componimento: un poemetto descrittivo, intitolato appunto
Bassano. 4. ai Morlacchi: ritengo che il Cesarotti alluda al romanzo Les
Morlaques di Giustiniana Rosemberg Wynne (cfr. la nota i a p. 485), che
egli, forse anche in grazia degli evident! ricordi ossianici che vi compaiono,
aveva elogiato nel « Giornale di Modena», XLH (cfr. G. ORTOLANI, Voci e
visioni del Settecento veneziano, Bologna 1926, pp. 263-4).
35
546 MELCHIORRE CESAROTTI
che loda. Ma io consulto la ragione, e spiego col sentimento;
n6 so pentirmi di gustar la compiacenza di trovar cose degne
di esser esaltate, che, pur troppo, non sono tante. Non leggendo
mai fogli, non so nulla delle novita letterarie che m'indicate. Sen-
tir6 volentieri cosa sia Topera di Scrofani,1 il quale sempre mi
pesa che non abbia ricevuto la mia lettera di risposta alle sue
sulla Grecia come pure che mi sia mancato il mezzo d'inviargli
la seconda, che sta ancora sul mio tavolino. Chi dubitasse ancora
se Foscolo fosse un pazzo, Callimaco2 potrebbe convincerlo. Non
& questo un bel pendant al suo Ortis ? Dopo aver assaporata tutta
la dolcezza del suicidio, eccolo risuscitato pedante. Dico cosi
senz'averlo letto, giacch6 non si fa un tomo sopra Callimaco senza
pedanteria poca o molta, e questa era Tultima delle stravaganze
di cui lo credeva capace. Ma forse egli mira a qualche cattedra,
e dopo essersi ammazzato in stampa, ha voglia di vivere il meglio
che pu6! D'Alfieri,3 della sua apoteosi e delle sue opere, sono
anch'io in aspettazione. Fra queste ho piu fede che ad ogni altra
alia sua traduzione di Sallustio, che non sara eclissata da quella del
Dandolo.4 Anche delle sue satire pu6 farsi un pronostico non in-
felice : ma per le commedie non so crederlo. Per far ridere, convien
saper ridere, e chi ha mai riso nello stato abituale del delirio,
in mezzo ai pugnali e alle Furie? S'egli non dovea morire che
dopo aver mosso il riso del pubblico, egli sarebbe vissuto eter-
no. Senonch6 il grazioso Mollo5 dira che, in un altro senso, egli
dovea morir molto prima, perch6 il suo stile fece ridere fin da
principio ogni uomo di gusto, e lo fara sempre piu. Avrete, sup-
pongo, veduto Rosini,6 e parlato delle mie cose. Se le mie Re-
lazioni7 incontrano qualche favore, ne godo ancor piu per voi che
i. II siciliano Saverio Scrofani (1756-1835) aveva pubblicato fin dal 1799 il
suo Viaggio in Grecia fatto nelVanno IJ94-IJ95, a cm piu avanti allude
il Cesarotti. 2. Callimaco: allude al commento che accompagna la tradu
zione della Chioma di Berenice (1803). 3. Alfieri: si ricordi che era morto
T8 ottobre 1803. 4. Matteo Dandolo, veneziano (1741-1812), aveva pub
blicato nel 1802 una sua Storia di C. C. Sallustio, preceduta da una dis-
sertazione. 5. II napoletano Gaspare Mollo (1754-1823), dei duchi di
Lanciano, noto improwisatore, fu uno degli autori della famosa parodia
alfieriana Socrate. 6. Giovanni Rosini (1776-1855), professore di elo-
quenza all'Umversita di Pisa e futuro autore della Monaca di Monza, si
occupava dell'edizione delle Opere complete del Cesarotti. 7. Relazioni:
i due tomi delle Relazioni accademiche, stampate appunto a Pisa in quel-
1'anno come volumi xvn e xvm delle Opere.
LETTERS 547
per me, perche non vorrei che perdeste la riputazione colTesube-
ranza delle vostre lodi. Perch6 non crediate ch'io disaggradisca
le vostre nuove anglogalliche, alle quali rare volte rispondo, per
che non sono del colore che si vorrebbe, vi dir6 anch'io questa volta
una notizia che mi sorprese. II marchese Lazara,1 tomato di Parigi,
tra le cose esorbitanti che racconta del lusso di quella nazione ex
giacobina, ci assicura che la Gran Sultana2 ha sopra di se diciotto
perle tutte tutte grandi come una nostra noce, e con queste com-
parisce in pubblico diademata il capo e brillante il collo. Questo
e bene far le fiche a Semiramide e a Cleopatra. D'altro genere e
singolare e Taneddoto del Protoconsole dei despoti.3 II giovine
Lazara tanto si adoper6, che gli riusci d'accostarglisi e accor qual-
che sillaba dalla sua bocca. Oso quello farsi conoscere per pado-
vano: — Ah si, si . . .; — rispose 1'altro — parmi d'essere stato
una volta a Padova. — Padova & certo assai poca cosa, ma questa
affettata smemorataggine ha un sublime originate, e, per chi in-
tende, vale una storia.
In questo punto mi sopraggiunge Barbieri in buono stato e
d'ottima voglia. Immaginatevi s'io ne godo: egli manda a voi e
airamico saluti e desiderii di rivedervi. Altrettanti distribuitene
per me a quelle belle e buone anime che si compiacciono di vo-
lermi bene. A Rizzo e a Francesconi4 baci extra ordinem comme de
raison. Allo spiritoso, sensato e indulgente signor Rostagni, pro-
teste ingenue di grata e affettuosa stima. A voi un addio ineffabile.
Zacco abbonda tanto d'interesse per Myledi, che non sa creder
che alcuno possa accostarsele con indifferenza. lo non la vidi che
una volta, e la trovai veramente piena di merito ; ma non pertanto
non ho nessuna ansieta di frequentarla; perche, quantunque mi
sembri amabile, parmi piu amabile ancora la liberta del mio tempo.
E poi che bisogno ho io di cose amabili? Non son io amato da
Giustina? Addio di nuovo con tutto il cuore.
i. Domenico Lazara, gentiluomo padovano (Malamani). 2. la Gran Sul
tana: Giuseppina Beauharnais. 3. Protoconsole dei despotic Napoleone,
primo console. 4. L'abate Daniele Francesconi (1761-1835), matematico
e fisico.
54-8 MELCHIORRE CESAROTTI
XXXII
A VINCENZO MONTI1
[La caricatura del ritratto di Omero.]
Padova, 16 marzo 1805.
C^omincio a trattarvi da amico: rispondo tardi, e non mi giu-
stifico. Voglio sperare che il nostro Massa2 possa ancora esser
tra' vivi, e che la natura smentisca i funesti presagi de' medici.
Abbiamo qui piu d'un esempio di questi miracoli. Possa questo
rinnovarsi in lui, e possa egli gradire i miei cordialissimi auguri
e i miei affettuosi saluti.
Vi ringrazio della pena che vi siete presa di sincerarmi sulla ca
ricatura del ritratto d'Omero;3 ma non v'era bisogno di tan-
to. Vi parler6 anch'io con ingenuita e con franchezza, giacche
non intendo di cedere ad alcuno in queste due qualita. M'era
noto che il mio lavoro omerico non incontrava gran fatto la vo-
stra grazia. Perci6 quando intesi attribuirsi a voi quel ritrat
to, non credei a dir vero la cosa impossibile, ma non per tanto
non prestai fede a quella voce, perch6 non amo di credere rei
d'una scortesia insolente quei che io stimo e rispetto pei lor
talenti. Vi dir6 anzi che la notizia di questo ritratto in luogo
di farmi adirare mi fe' sorridere. L'idea mi parve spiritosa e fe-
lice nel senso di chi la concepl, bench6 non credessi di meritar-
la. Io non sono (perch6 mi conosciate meglio) uno del « genus
irritabile vatum»,4 ne mi sono mai offeso, n6 ho meno stimato un
uomo di merito perche discordi da me in materia di lettere, o per-
ch6 non apprezzi le mie cose a grado del mio discreto amor proprio.
Sensibile alia lode spontanea che mi venga da un uomo giustamen-
i. Dalle Opere, xxxvni, pp. 248-50. Risponde ad una lettera del Monti
in data 23 febbraio 1805 (cfr. Epistolario, n, a cura di A. Bertoldi, Firen-
ze, 1928, pp. 366-8). 2. Flaminio Massa: cfr. la nota 4 a p. 544. 3. ca
ricatura . . . Omero : la famosa caricatura, che rappresentava un figurino
vestito alia francese con la testa di Omero, chiara allusione al travestimento
compiuto dal Cesarotti nella sua versione poetica, fu realmente ispirata
dal Monti durante una conversazione a Roma nel gmgno 1790. Cfr. G.
DEL PINTO, V Omero del Cesarotti, in «Rivista d'Italia», in (1898), pp.
338-55> dove e anche una riproduzione del disegno. 4. Cfr. Orazio, Epist.,
n, n, 102: « genus irritabile vatum» («la razza irritabile dei poeti»).
LETTERE 549
te lodato, ho sempre sdegnato di procacciarmela colle ufiziosita
della politica letteraria. Accolgo con gratitudine gli awisi e le
censure stesse esposte colla dovuta decenza, pronto a correg-
germi o a difendermi con urbanita. Degli oscuri e malnati sdegno
le lodi e non euro i biasimi, e ho la vanita di vendicarmene con
assoluto silenzio.
Mi lusingo che questa pittura ingenua del mio carattere pos-
sa confluire a quel sentimento d'amicizia che mi esibite, e che mi
da motivo di giusta e cara compiacenza.
Ho letto il vostro giudizio sopra i tre satirici1 che mi par giu-
sto, sensato, espresso con precisione e con grazia, e tale che in tal
proposito non puo dirsi n6 piu ne meglio.
Conservatemi il vostro aifetto, e credetemi cordialmente e con
piena stima, ecc.
XXXIII
A GIUSTINA RENIER MICHIEL2
[Elogio della Stael]
Son io questa volta ch'ero in diritto di attender primo le vo-
stre nuove, e di fatto mi dolsi d'esserne stato privo per otto
giorni. Non fu Petichetta, ma Tinteresse deiramicizia che mi
faceva esigere questo diritto. Quando voi partiste da me, io era
libero di febbre, ma il polso del vostro cuore non batteva ancora
regolarmente. Era troppo naturale ch'io fossi impaziente d'avere
un piu esatto ragguaglio del vostro stato attuale, e un vivo desi-
derio di sentirvi in perfetta calma. Ho finalmente una vostra let-
tera, e quantunque ella non mi specifichi ben chiaramente la
vostra situazione di spirito, parmi contuttocio di poter arguire che
siete abbastanza tranquilla, e Io desidero di cuore per vostro inte-
resse e per mio.
Lasciate dir Venezia e il mondo di madama Stael; ella e fatta per
suscitar furori pro e contro di s6. Io per me sono infuriato di
i. giudizio . . . satirici: il parallelo fra Orazio, Persio e Giovenale, conte-
nuto in una nota alia versione montiana di Persio (Milano 1803). 2. Da
Cento letter e inedite a Giustina Renter Michiel, cit,, pp. 97-9. La lettera
non ha data, ma 1'accenno a // beneficio montiano induce a collocarla in-
torno al maggio 1805.
LETTERE 551
stra, ma sperava che Fautore, o altri per lui, me la spedisse (Tuna
edizione piu degna del re d'ltalia.
xxxiv
A MADAMA DE STAEL1
[Elogio del Necker}
oi, madama, ho letta e riletta la vostra opera:2 ma come par-
larne? Come esprinxervi con qual trasporto la lessi, e qual im-
pressione mi Iasci6? Voi mi avete fatto sentir troppo perche" la
lingua possa bastar al cuore. Un cumulo di pensieri, un tumulto
di affetti mi tengono agitato e commosso. lo tengo ancora sotto
gli occhi le vostre Memorie, e la mia immaginazione e *1 mio sen-
timento passano dalla figlia al padre, e tornano dal padre alia
figlia senza saper bene dove arrestarsi di piu, e terminano col
confondersi Funo colFaltro e far d'ambedue un tutto uno, indi-
visibile ed unico. Dacch6 mi vennero alle mani le opere di M.
Necker, furono per me un lampo elettrico, che mi sparse lo
spirito d'una luce nuova e mi scosse tutte le fibre deiranima. II
filosofo sublime e sensibile, Fapostolo della piu pura moralita,
il ministro della virtu, il genio d'una eloquenza propriamente «ete-
rea», questo composto di qualita superiori innestate e fuse in
un solo essere, mi colpl della piu alta sorpresa. Vidi per esso
realizzati quegl'idoli intorno ai quali io andava vaneggiando da
lungo tempo, e mi si affacci6 viva e spirante quelPidea di per-
fezione ch'io non cessava di vagheggiare con piu di trasporto
che di speranza. Da quel punto divenni 1'entusiasta il piu appas
sionato e poco meno che Fadoratore di Necker e mi feci una glo
ria di riversar su quanti mi awicinarono la piena della mia am-
mirazione. Intento a contemplar3 le sue massime colla condotta po-
litica, lo vidi sempre coerente a' suoi virtuosi principii, stranie-
ro ai partiti, alle passioni, al fanatismo di ogni specie, zelator
del bene e del retto, protettor costante delFumanita, della giu-
stizia e dell'ordine, inaccessibile alia corruzione, inconcusso nelle
i. Dalle Opere, xxxvin, pp. 320-4. Questa lettera e senza dubbio, come ap-
pare dall'accenno alia vita di Necker scritta dalla Stael, contemporanea
alia precedente. 2. opera: & il Du caractere de Necker et de sa vieprivee,
citata nella lettera precedente. 3. contemplar: confrontare.
552 MELCHIORRE CESAROTTI
tempeste, incapace di timore, di servilita e di lusinghe. La stess;
rivoluzione della sua fortuna fu per me la prova piu autentic;
della sua virtu, e in mezzo al fumo delPinvidia e alle nebbi
delPerrore che tentarono di denigrare o di offuscar la sua fama
seppi ravvisarlo qual era nella sua limpida luce, e lo scorsi ragiona
tranquillo colla sua coscienza e colla posteritk. Compiansi <
abbominai la Francia che lo perd6. Lo seguitai nel suo ritiro
e bench6 non mi fossero noti i dettagli della sua vita domestica
pure io me lo rappresentai tanto degno di venerazione nella su;
augusta solitudine, quanto lo era stato d'ammirazione nella grai
scena del mondo. Ma voi, madama, voi eel rendeste animat<
com1 era e spirante da ogni parte virtu. Voi eel rendeste nell'analis
squisita delle sue opere, nelle reliquie preziose del suo spirito
in ognuna delle quali rawisai, secondo i vari soggetti, ora i germi
ora i saggi di quel Necker ch'io aveva tanto ammirato nelle su<
produzioni complete, il segretario della Divinita, il filosofo ch<
trionfa del fato e sente in se stesso rimmortalitk che lo attende
il conoscitor fino e sagace dei caratteri e degli affetti, l'uom<
infine dotato d'un cuore inesausto e ricco di forme nuove ed in
cognite. Voi ce lo rendeste finalmente colFimpronta di quello still
originate tutto paterno, che non parla solo a una parte dell'uonv
ma al complesso di tutte le sue facolta. Quai tratti sublimi! quant
riflessioni profonde! qual sicurezza generosa! qual alterezza ma
gnanima! qual tinta di melanconia interessante, ora profonda ch<
mi concentra nella sorte dell'uomo, ora tenera che mi rende dole
le lagrime. Quel che mi riuscl piu caro, perch£ piii nuovo per me
fu che mel faceste contemplare come Peroe della vita privata <
domestica, personaggio ben piu difficile a sostenersi che quell<
d'un eroe teatrale. Marito e padre incomparabile, consolatore
soccorritore generoso, benefico, modesto e grande, austero con s£
indulgente cogli altri, ignaro d'ire e rancori, immemore delle pom
pe e delle amarezze mondane, occupato non tanto a terminar degna
mente la vita terrena, quanto a contemplar il barlume della celeste
io rammirava da lungi, voi mel faceste adorar dappresso. Si, io veg
go, io sento tutto Necker, anzi Tabbraccio, e lo stringo con voi
per voi ed in voi. Quanto sono sensibile alia compiacenza d'ave
dalle vostre mani un si caro dono! Per pieta, compite la vostr;
benemerenza colPumanitk e con me, pubblicate anche la vita poli
tica di tanto padre. Non omettete il piti piccolo aneddoto; tuttc
LETTERE 553
e troppo interessante e prezioso. Voi avete dinanzi molto spazio
per pubblicarla a grand'agio, ma io ne ho troppo poco per legger-
la: non fate ch'io termini la mia camera senza questa consola-
zione. L'opere di vostro padre unite alle vostre saranno la par-
te piu cara della mia biblioteca del cuore. Scusate, madama,
questo sfogo soprabbondante di un'anima che avea bisogno di ri-
versarsi sopra un soggetto il quale non dovea cominciarsi perch6
non dovea finirsi. Gradite solo la causa di questo impulse, e
credete che niuno & al mondo piu attaccato di me con viva e pro-
fonda affezione alia memoria di Necker, e a quella che cosi espres-
samente lo rappresenta, ec.
xxxv
A GIOVANNI ROSINI1
[La traduzione di Giovenale.]
Sono assai contento degli applausi e dei presagi che fate al mio
Giuvenale,2 e approvo il ripiego della data.3 NelPultima let-
tera che avrete ora ricevuta io consigliava di ometter due pezzi,
ora mi rimetto a voi. II correttivo sulle oscenita del testo 1'ho
gia posto nella nota al luogo piu osservabile, ma lo ripeter6 anche
nella prefazione. Questa & gik cominciata, ma una gita d'alquanti
giorni fuori di citta non mi permette di terminarla. Tomato che sa-
r6, mi spaccer6 tosto. Accoglier6 volentieri i vostri awisi e con-
sigli: ma vi domando grazia per quello « sfoder6 »,4 il quale non so
intendere perch6 non vada a sangue a voi e agli amici vostri. A me
certo pareva e par tuttavia una delle piu felici espressioni che mi
sian cadute dalla penna. « Sfoderare » in questo senso e un ter-
i. Dalle Opere, xxxvni, pp. 229-30. La lettera deve essere stata scritta
intorno al 14 ottobre 1805, data di una lettera alia Renier (cfr. Cento lettere
inedite ecc., cit., p. in), in cui e detto: «Ho gia spedito a Pisa il mio
Giuvenale, e n'ebbi da Rosini riscontri pieni d'entusiasmo e di presagi
felici ». Giovanni Rosini (cfr. la nota 6 a p. 546) curava 1'edizione pisana
delle Opere del Cesarotti. 2. mio Giuvenale: la traduzione di otto satire
di Giovenale, con prefazione e note, pubblicata nel 1805 nel volume xix
delle Opere. 3. il ripiego della data: cioe Papposizione della data 1805, in-
vece del 1806, quando fu effettivamente stampato il volume. 4. «sfoderd»:
cosl il Cesarotti traduce l'«ostendit . . . ventrem», riferito a Messalina, di
Giovenale, Sat., vi, 124.
554 MELCHIORRE CESAROTTI
mine che aggiunge alia no vita 1'arditezza la piii conveniente alia
cosa, poich6 mostra con precisione e vivacitk e la prontezza istan-
tanea dello snudamento, e la audacia impudente di Messalina che
facea pompa della sua stessa ignominia. Non & questo l'«6tala» di
Desalux,1 espresso piu vivamente? Quest'& ben far altro uso del
termine «sfoderare» di quello che fece il Davanzati, quando disse
d'un non so chi che « sfoderd Marcello », per dire che lo fece uscir
fuora per sostener le sue parti.3 In somma chiedete scusa ai vostri
amici, ma lasciate quel termine sulla mia fede, ch'io ne garantisco
il successo. Addio di cuore.
xxxvi
A FRANCESCO RIZZ03
[La dolcezsa delle lacrime.]
Voi m'avete reso giustizia credendomi degno d'accogliere i pri-
mi respiri del vostro cuore. L/angoscia che avete sofferta per
questa perdita4 fa il piu belFelogio del vostro carattere; e la
mia tenerezza per voi si & accresciuta sensibilmente. Tutti i
motivi piu interessanti esigevano da voi questo tribute di do-
lore: compiacetevi d'averlo pagato coll'esuberanza del senti-
mento. Questa compiacenza aiutata dal tempo, chiamato a ragione
da Voltaire quel che consola, cangerk il vostro cordoglio in
quella dolce tristezza ch'& il senso il piu delizioso deiranima.
Voi sapete Fiscrizione del mio boschetto che chi «non gusta
la dolcezza delle lacrime » non 6 degno porci il piede.5 Voi ce lo
porrete, mio caro amico, e noi mesceremo insieme le nostre la-
mentazioni, che non saranno forse perdute. Congratulatevi con voi
stesso di non esser filosofo alia moderna. Pur troppo & vero che
i. Desalux: traduttore francese di Giovenale. 2. Davanzati . . , parti: al
lude all'esempio del Davanzati, riportato dalla Crusca sotto la voce s/o-
derare: «Che altro che la tua eloquenza, sfoder6 poco fa Eprio Marcello
contro all'ira de* Padri?». 3. Dalle Opere, xxxvin, pp. 215-6. Questa let-
tera deve essere di poco anterior© a quella, in data 28 aprile 1806 (ripor-
tata dall'Ortolani, in Opere scelte, cit., 11, pp. 448-9), indirizzata pure al
Rizzo (cfr. la nota i a p. 541) in occasione della morte di sua madre.
4. perdita: della madre, Laura Patarol. 5. Viscrizione . . . piede: Piscnzione
e riportata m Opere, xxxni, pp. 424-5.
LETTERE 555
la natura dopo averci attaccati con tanti nodi all'esistenza, li
tronca poi d'improwiso senza pietk. Ma questa natura ha certa-
mente una causa, che opera con disegno ; e poiche questa ha posto
nel solo uomo Pidea, il senso e il desiderio della perennitk, non
pu6 credersi che voglia render frustranei1 questi sentimenti
e contradire a se stessa unicamente nell'essere il piii privile-
giato, in quel solo che pu6 adorarla e conoscerla. Se questa
fosse un'illusione, qual verita fu mai piu preziosa e piu conso-
lante? II nulla non pu6 esser un conforto che per lo scellera-
to o per un'anima di fango. Quanto a me, io voglio credere di
poter anch'io metter sul mio sepolcro il «non omnis» dell'Alga-
rotti,2 ma in senso piu sublime che quello della vanita letteraria.
Addio, mio dolcissimo amico; v'abbraccio e vi stringo col cuore.
Addio.
XXXVII
A GIUSTINA RENIER MICHIEL3
\Giudizi sulla Stael e notizie del Foscolo.]
Selvaggiano, 20 giugno 1806.
Grazie alia mia cara e fida interprete, del disturbo che si pre-
se per darmi la chiave di quelle cifre.4 Non so per6 s'io deb-
ba ringraziarvi dell'effetto che ne risult6. Mi convenne rispon-
dere a quel gentile aiutante,5 ed ebbi una nuova occasione di
convincermi della mancanza di quella facolt^6 che voi vi ostinate
a supporre in me. In luogo di rispondere in verso, come avrei
dovuto, fui costretto, per ripiego, a farlo in una prosa francese,
della quale, per giunta, fui anche piti scontento dopo che rilessi il
vostro ingegnoso e felicissimo elogio.7 Io si persisto con ragione a
dirvi che avete tutti i doni per questo genere. Voi sapete conciliare
i. frustranei: vani. 2. ((non omnis» dell* Algarotti: allude all'epitaffio com-
posto dall' Algarotti stesso per la propria tomba: «Hic iacet Algarottus,
sed non omnis». 3. Da Cento letter e inedite a Giustina Renier Michiel,
cit., pp. 129-31. 4. di quelle cifre: cioe della lettera scrittagli con pessima
calligrafia dal generate Miollis, e che il Cesarotti aveva pregato la Renier
di decifrargli e trascrivergli (cfr. Cento lettere inedite a Giustina Renier
Michiel, cit., p. 128). 5. aiutante: il Miollis, su cui cfr. la nota 5 a p. 544.
6.facolta: poetica. 7. elogio: del Miollis.
MELCHIORRE CESAROTTI
con singolar finezza la veracitk colla grazia; senza dissimular a Miol-
lis veruna delle «sue verita», le avete presentate in modo ch'ei pu6,
se vuole, compiacersi del suoi difetti medesimi. Voi siete ad un
tempo il pru lusinghiero dei censori e il piu sincero degli elogi-
sti. lo non saprei bramar al mio nome sorte migliore che quella
di passar per la vostra penna. Sono pure del parer del nostro
Tonin1 rapporto alia lettera che avete scritta a Bettinelli. Aven-
do fissato di concepirla cosl, non poteva usarsi n6 una modestia
prti maliziosa ne" una malizia piu semplice. Godo che il mio Giu-
venale2 incontri la vostra grazia, in particolare nelle annotazioni,
d'alcune delle quali ho anch'io qualche compiacenza, bench6 ben
prevegga che saranno perdute per il maggior numero, che scorre
talora un libro, ma n6 sa n6 si cura di leggerlo . . . Non mi saii
discaro che esitiate le copie che vi restano. E se in Venezia si tro-
vassero 1'opere, o i Frammenti, come sono intitolate, di madama
Necker,3 mi riuscirebbe gratissimo di cambiar con esse il ritratto
di Giuvenale, aggiungendo, se occorresse, il di piu. Non potei
finora andar piu oltre del primo tomo nella lettura di Delfina* ma
avendone scorso Tindice e arrestandomi qua e Ik verso il fine, temo
anch'io di dover conchiudere come voi. Ad ogni modo io voglio
aver meco tutto ci6 che appartiene a questa sacra famiglia. Di
ci6 che bramate da me sulla vostra annotazione, non posso dirvi
nulla se voi non mi dite di pitu Convien che sappia di chi parla
Tautore e come ne parla; senza questo non potrei suggerir niente
di precise n6 di approposito. Ho veduto Foscolo e ne fui molto
contento in ogni senso. Egli parmi un orso addimesticato che
pu6 anche farsi ballare, per6 da chi lo conosce e sa maneggiarlo.
Tonin fu presente alia conversazione come spettatore muto; e
mi dispiacque di non poterlo poi vedere, per intendere ci6 ch'ei
ne pensa. Rizzo mi parve un convalescente che va stando meglio,
senza volerlo n6 crederlo. Mi promise di essere a Selvaggiano al
suo ritorno da Verona. Ma voi quando vi risolverete di portarvi
a Padova? Dopo tante promesse e proteste di desiderio questa
lentezza e quasi repugnanza ha di che sorprendermi. Ci sarebbe
mai qui sotto qualche mistero ? Venite presto o a spiegarmelo o a
disingannarmi. Addio intanto con tutto il cuore.
i. Tonin: fratello della Renier. 2. il mio Giuvenale: la traduzione ricor-
data a p. 553. 3. Frammenti . . . Necker: cfr. la nota 3 a p. 544. 4. Del-
fina: cfr. la nota zap. 550.
LETTERE 557
XXXVIII
A GIOVANNI CARMIGNANI1
[Giudizio sulVAlfieri]
Padoua, 25 novembre 1806.
Non so esprimerle abbastanza con qual grato senso di compia-
cenza io abbia ricevuto il pregevolissimo dono della sua Disser-
tazione cosi degnamente coronata per solidita di dottrine, finezza
di riflessioni e maestria di maneggio. Ammirator dell'Alfleri nella
forza del suo pennello politico, che lo rende, corn'ella ben dice,
emulo di Tacito, e trasportato talvolta sino all'entusiasmo dalFar-
ditezza sublime de' suoi sentimenti, fui perd sempre colpito dalle
stranezze da esso introdotte con affettazione e sforzo gratuito per
cieca smania d'originalita, e sopra tutto ributtato altamente da
queirammasso d'atrocita, da quei raffinaiaenti di sceleraggine e
di perfidia, da quell'odio quasi frenetico contro i principi di qua-
lunque specie, resi tutti tiranni e mostri, che renderono la tra-
gedia una scuola perpetua di massime tiranniche o rivoluzionarie
ancora piti perniciose alia morale che all'arte drammatica. Nella
lettera ch'io scrissi a di lui richiesta sul principio della mia co-
noscenza con lui,z e nella quale perci6 cercai piii i punti della
lode che quelli della censura, non ebbi occasione di toccar questo
articolo. Ben lo feci in un'altra ch'io gli scrissi sopra la Congiura de'
Pazzi, ch'egli lesse in Padova in un circolo priiua di stamparla,3
lettura che mi tenne alia tortura facendomi fremere di dispetto e di
rabbia. Parti to esso il giorno dopo, non potei astenermi dallo scri-
vergli Fimpressione che m'avea fatta, e osai anche indicargli come
avrei creduto che potesse riformarsi questa tragedia affine di ren-
derla interessante (giacch6 non aveva ancora penetrato abbastanza
i. Dalle Opere, xxxvm, pp. 296-300. Giovanni Carmignani (1768-1847)
aveva pubblicato in quelFanno una Dissertazione accademica sulle tragedie
di V. Alfieri, in cui, pur tra riserve sul contenuto e sullo stile alfieriano,
appaiono non poche osservazioni acute. 2,. lettera , . . lui: allude alia nota
lettera, scritta il 25 marzo 1785, e contenente una serie di osservazioni
critiche intorno sM'Ottavia, al Timoleone e alia Merope (cfr. Opere, xxxvi,
pp. 286-331). 3. ch'egli lesse . . .stamparla: lo ricorda anche T Alfieri in
una sua lettera al Cesarotti del 18 setternbre 1783, e in una a Pietro Zaguri,
del 24 giugno dello stesso anno.
55$ MELCHIORRE CESAROTTI
lo spirito rivoluzionario d'Alfieri): questa lettera non so perche"
non gli arriv6 mai alle mani,1 e duolmi di non averne serbato copia.
In seguito andai gittando sulla carta altre osservazioni sulle tra-
gedie d'Alfieri che andavano uscendo, senza pensiero di pub-
blicarle, abborrendo io all'estremo il dar sospetto d'invidiar la
gloria degli uomini celebri, quand'anche mi sembri maggior del
merito. Ora il farlo sarebbe una vanita senza oggetto dopo la sua
luminosa Dissertazione. Bensi quanto alia parte morale di queste
tragedie avr6 forse occasione di spiegarmi in un discorso che me-
dito di aggiungere ad un altro g& da me stampato circa quarant'an-
ni fa, e del quale non so pentirmi, sopra il diletto della tragedia.2
Ma da ci6 che ho detto ella rileva abbastanza ch'io convengo con
lei nel complesso della sua Dissertazione, e credo 1'originalitk d'Al
fieri piu nociva che utile a chi si decida alia carriera drammatica.
Io non posso perci6 che aggiunger un fiore alia sua corona accs.-
demica. Ella per6 ben prevede che sara tacciato di soverchia se-
verita, e le sara dato a carico di sviluppar accuratamente tutti i
difetti di quel genio senza toccar le bellezze se non di volo. Ma
i termini del problema proposto sembrano difenderla abbastanza
da questa accusa. Non mi resta che a ringraziarla d'avermi fatto
accorgere d'una mia inawertenza rapporto alia scena 2a dell'atto IV
di Merope. La bellezza di questa scena presa isolatamfcnte m'avea
fatto scordar Merope per Polidoro, come Tavea scordata Al-
fieri. Ella rilev6 a colpo d'occhio la nostra comune imprudenza.
Ma io non so dolermi del mio sbaglio, che mi procaccib da lei
nella nota apposta un cenno particolare della sua gentilezza.
Scusi la prolissita della mia lettera, nella quale per6 ho detto as-
sai poco. Io non potea parlar del suo discorso che in generale.
L'esaminarlo a parte a parte arrestandosi a tuttoci6 che potrebbe
ammettere riflessioni o discussioni particolari, domanderebbe piu
tempo di quel che m'avanza. Ella accolga intanto i miei cordiali
ringraziamenti e le ingenue proteste di quella giusta e affettuosa
stima colla quale me le dichiaro, ecc.
i. questa . . . mani: cosl afferma infatti TAlfieri in una sua lettera al Cesa-
rotti del 30 marzo 1785. Ma esiste un'altra lettera del Cesarotti all'Al-
fieri, m data 19 settembre 1785, che parla appunto della Congmra dey
Pazzi (cfr. Alfieri, Opere, vn, Torino, Paravia, 1903, pp. 301-4). 2. un
altro . . . tragedia: il Ragionamento riportato anche m questo volume.
GIROLAMO TIRABOSCHI
NOTA INTRODUTTIVA
«lmmaginatevi un uomo che da quarant'anni in qua non ha avuto
altra malattia se non qualche febbricciatola di un giorno o due,
di temperamento non freddo, ma tranquillo e regolare, che non ha
beghe di famiglia, che puo anche abbandonare con sicurezza il pen-
siero della piccola economia domestica a qualche fidato suo fa-
migliare, che non ha altro pensiero che quello dei suoi studi, che
non fa I'amore, benche non sfugga le piacevoli conversazioni; e
forse allora vedrete che non e poi meraviglia che io faccia quel poco
che mi viene di fare. » A questo ritratto del proprio temperamento
e del proprio metodo di vita, che il Tiraboschi tracciava aHJamico
Vernazza, si direbbe che si ispirasse il Foscolo quando, in un arti-
colo londinese, trovandosi a definire spiriti cosi diversi dal suo co
me il Muratori e appunto il Tiraboschi, proprio in una particolare
disposizione d'animo « tar da e fredda», ma a suo modo geniale, in-
dicava la ragione profonda per cui essi «possono eseguire ci6 che
gli altri non potrebbero mai fare », e « guardano senza sgomentarsi
le tradizioni, le opinioni e gli errori adunarsi da tutte le parti a
torrenti da secoli e popoli e religioni, e ne seguono il corso; e vi
s'immergono a trovare alcune poche verita di fatto ad utilita del
genere umano, e quel che & piu straordinario, intraprendono o rie-
scono a dar ordine e forme a una turba innumerabile di testimoni,
di date e di awenimenti, che sino ad allora cozzavano e si confon-
devano fra loro». Questo giudizio foscoliano, inadeguato rispetto
al Muratori, ofTre invece tuttora il miglior punto di partenza per
una giusta valutazione della personalita del Tiraboschi. 6 certo pos-
sibile che ad orientare questi nella sua carriera di studioso abbia
contribuito I'esempio di eruditi come Mario Lupo e Antonio Se-
rassi, viventi ed operanti in Bergamo, dove egli era nato il 18 di-
cembre 1731, e ancor piu Feducazione ricevuta a Monza e a Ge-
nova nell'ordine dei gesuiti, nel quale era entrato a quattordici anni,
vincendo la resistenza del padre. Ma che nel suo caso si debba
parlare proprio di vocazione intima, di innata disposizione spiri-
tuale, nel senso indicato dal Foscolo, e testimoniato gia dalla sicu
rezza con cui fin dalFinizio il Tiraboschi sceglie la sua strada. Non
e privo di significato il fatto che la sua operosita letteraria abbia ini-
zio con un lavoro come la rielaborazione del vocabolario latino del
36
562 GIROLAMO TIRABOSCHI
Mandosio, effettuata quando egli ancora insegnava nelle scuole
inferior!. Ma ancor meglio la vera direzione dei suoi interessi si
precisa nell'entusiasmo con cui, chiamato nel 1755 alia cattedra
di Retorica di Brera, si assume spontaneamente il compito di rior-
dinare la grande biblioteca delPistituto, iniziandone un catalogo
concepito con miovi e piu razionali criteri. Qui appunto, nelPatmo-
sfera propizia delle ampie sale rivestite di libri e di manoscritti, na-
scono i suoi primi lavori scientifici, dalla prolusione latina De pa-
triae historia (Milano 1760), che e una minuta rassegna, corredata
da ampie e particolareggiate annotazioni, dei milanesi illustri in
ogni campo; fino al capolavoro della sua operosa giovinezza, i tre
tomi dei Vetera Humiliatorum monumenta annotationibus ac disser-
tationibus prodromis illustrata (Milano, Galeazzi, 1766-1768). Nella
prefazione di quest' opera, condotta su approfondite e originali ri-
cerche di archivio, con ampia appendice di documenti inediti ed
eruditamente illustrati, il Tiraboschi non pu6 fare a meno di mani-
festare la sua soddisfazione per il lavoro compiuto, e in particolare
di esprimere, rivolgendosi ai competenti, il suo orgoglio per aver
saputo portare la luce della verita «in obscurissimis plerumque in-
certis rebus ac nemini fere hactenus tentatis». In realta proprio
quest'opera, mentre fece conoscere al mondo degli eruditi italiani
ed europei il nome del Tiraboschi, dovette anche rivelare definiti-
vamente all'autore stesso la misura e la qualita delle sue doti. Ad
esplicare appunto tali doti non poteva darsi occasione migliore del-
Pufficio, oifertogli nel 1770, di direttore di quella biblioteca Estense
in cui si erano succeduti prima di lui il Bacchini, il Muratori e lo
Zaccaria, e che egli avrebbe dovuto tenere fino alia morte, awe-
nuta il 3 giugno 1794.
Con quanta serieta egli si applicasse al suo lavoro di bibliotecario,
e dimostrato dalPimpegno da lui spiegato fin dalPinizio (come do-
cumentano le ricerche del Sandonnini) nella riorganizzazione e
neiraccrescimento della farnosa biblioteca. Ma questa assidua e ap-
passionata attivita non e per il Tiraboschi fine a se stessa, bensi,
come era gia accaduto a Milano, gli serve quasi da atmosfera sti-
molante per la creazione di tutta una serie di monumentali lavori,
progettati e condotti a termine con una impressionante regolarita,
a cominciare dalla Storia della letteratura italiana, compiuta in
dieci anni, dal 1772 al 1782. La migliore caratterizzazione di questa
opera resta tuttora, in quanto ne coglie se non tutti i motivi ispira-
NOTA INTRODUTTIVA 563
tori certo il fondamentale, quella espressa nella famosa definizione
foscoliana, «archivio ordinato dej fatti, delle date e dei nomi de*
libri e de' document! letterari di molti secoli»: una definizione che,
riportata al giudizio generale gia citato del Foscolo sul Tiraboschi,
appare si limitativa (come comunemente la si intende), ma anche
intesa a riconoscere quanto entro questi limiti vi e effettivamente
di piu positive nella Storia: la ricerca, Tindividuazione e la clas-
sificazione di alcune « verita di fatto ad utilita del genere umano».
Che proprio questo sia consapevolmente lo scopo primo della
Storia del Tiraboschi, e detto chiaramente nella prefazione alia se-
conda edizione, dove 1'autore, rispondendo a chi gia allora lo accu-
sava di non aver procurato che un «ammasso di fatti e di date»>
non esita ad esprimere cosi il suo pensiero: «Io son persuaso, e
spero che nessuno vorra contrastarmelo, che la verita e Pesattezza
sono la prima dote che in uno storico si richiede, e che le riflessioni
e i sistemi cadono a terra, se i fatti, a cui sono appoggiati, non hanno
che fondamenti o rovinosi o incerti. Percio prima di ogni altra cosa
io mi sono studiato di scoprire la verita e le circostanze de' fatti, e
poscia ne ho tratte le riflessioni che mi son sembrate opportune ».
Appunto per questo suo concedere alPaccertamento dei « fatti » il
primato ideale, 1* opera del Tiraboschi si inserisce anzitutto (come
ha osservato il Getto) nella fervida attivita erudita settecentesca che
di tale accertamento faceva il suo scopo supremo. Non a caso il
Tiraboschi stesso nella prefazione alia prima edizione della Storia,
accingendosi a nominare le opere da cui, pur distinguendosi, ha
preso le mosse, ricorda anzitutto con gran lode i due massimi ri-
sultati di quelP attivita nel campo letterario, la Storia della lettera-
tura veneziana di Marco Foscarini e gli Scrittori italiani del Maz-
zuchelli; mentre nella prefazione alia seconda si soiferma a citare
tutta una serie di dotti dal Napoli Signorelli al Verci, dal Vernazza
al Bandini, «i quali ben conoscendo, che a lui non era possibile il
ricercare e Tindicare ogni parte del vastissimo campo ch'egli aveva
preso a correre, quali una quali altra parte ne hanno con assai mag-
giore diligenza esaminata e illustrata», concludendo, col partico-
lare compiacimento di chi sente per parte sua di avervi molto con-
tribuito, che « tutta insomma P Italia pare ora ardentemente rivolta
a tali studi, che forse in addietro eran troppo trascurati e negletti».
Quanto poi in concreto la Storia del Tiraboschi risponda a questa
prima e fondamentale intenzione del suo autore, e noto a chiunque
564 GIROLAMO TIRABOSCHI
abbia avuto modo di sfogliarne i volumi, e di constatare come tutte
le volte che si tratti di stabilire la forma esatta di un nome o di un
titolo, di accertare un particolare biografico o una data, Tautore
non soltanto si dimostra aggiornatissimo sullo stato della questione,
ma spesso propone soluzioni nuove e non di rado definitive, sia
che porti documenti inediti sia che sfrutti quelli gia conosciuti ed
erroneamente interpretati, e comunque sempre appoggiando ogni
sua asserzione su citazioni precise e da lui ricontrollate con scru-
polo, poich6 «Pesperienza mi ha insegnato» egll afFerma «che &
cosa troppo pericolosa Faffidarsi agli occhi o alia memoria altrui».
Ed & per tale aspetto principalmente che la Storia ha reso in pas-
sato, dal Foscolo al De Sanctis, tanti servizi, e costituisce tuttora
in molti casi un' opera di utile consultazione.
Bisogna tuttavia aggiungere subito che questo non e Tunico
aspetto sotto cui Fopera del Tiraboschi pu6 e deve essere valutata.
Quando 1'autore, nella prefazione alia seconda edizione, dopo aver
insistito su quello scrupolo di «verita» e di «esattezza» che e in
cima ai suoi pensieri, afferma che, spogliando la sua Storia delle
« cronologiche discussioni » e delle « minute ricerche » e traendone
«solo la sostanza de* fatti e le conseguenze che [egli] ne ha dedotte,
e le generali considerazioni sullo stato della letteratura, che qua e la
ha sparso in piu luoghi, [si] verrebbe forse a formare quel filosofico
quadro, che ad alcuni sembra mancare a quest'operaw, non esprime
una oziosa vanteria. Anzi, e proprio la presenza di questa inten-
zione c(filosofica» che distingue la Storia dalle <cbiblioteche» e da
opere del tipo di quella del Mazzuchelli, a cui, come si e visto,
egli pure si riallaccia cosi strettamente. Appunto dopo aver parlato
con ammirazione del Foscarini e del Mazzuchelli, il Tiraboschi, gia
nella prefazione alia prima edizione, osserva che «niuna di queste
o di altre opere di somigliante argomento non ci oftre un esatto
racconto deH'origine, dej progressi, della decadenza, del risorgi-
mento, di tutte insomma le diverse vicende che le letter e hanno in-
contrato in Italia ». Tale invece vuol essere il suo lavoro : «la storia»,
come ripete piu avanti, « delPorigine e de' progressi delle scienze
tutte in Italia »: una storia, cioe, che si configuri come una ordinata
narrazione dello svolgimento, attraverso i secoli, dei valori ccfilo-
sofici» della «ragione» e del « gusto ». Un simile proposito e, come
ognuno sa, tutt'altro che nuovo, e risale, prima ancora che alia
critica illuministica, al Muratori, al Gravina e in genere al pensiero
NOTA INTRODUTTIVA 565
arcadico italiano. N6 si pub dire che, nella realizzazione concreta
di tale proposito, il Tiraboschi si dimostri profondo e originale:
anzi per questa parte egli, volto com'e a rispondere ad altre e per
lui piu importanti esigenze, si limita ad accogliere e a riassumere
rapidamente e pallidamente i giudizi della critica arcadica e illu-
ministica, unicamente preoccupato di attenersi alia « media » di tali
giudizi. Lo dimostra la linea che egli traccia, nei primi due tomi,
della letteratura romana, che egli vede lentamente progredire dalle
sue rozze origini fino a Plauto, Terenzio, Lucilio, Lucrezio ; rag-
giungere la sua perfezione nell'eta di Cicerone e soprattutto sotto il
mecenatismo illuminate di Augusto, con Orazio e Virgilio ; per poi
decadere, a causa di un malinteso desiderio di novita, e per impulse
specialmente degli scrittori spagnoli (soprattutto Seneca e Mar-
ziale), nei secoli successivi. Ma la sua aderenza alle correnti valu-
tazioni illuministiche & ancora piu evidente nei tomi seguenti, con-
sacrati alia letteratura latina medioevale e a quella italiana. Anche
per lui il Medioevo e sostanzialmente un'epoca di oscurita e di
barbaric, da cui vede cominciare a svincolarsi faticosamente gli
Italian! verso il Mille, progredire nei Duecento e nei Trecento,
malgrado le lotte politiche a suo giudizio cosi funeste ai progressi
delle lettere, emergere col geniale e strano poema di Dante, per
poi raggiungere la perfezione poetica col Petrarca. Ma la rinascita
complessiva della cultura comincia anche per lui solo nei Quattro
cento, il secolo vincitore della barbaric, e piu glorioso, per questa
ragione, dello stesso Cinquecento, che a sua volta supera il secolo
precedente per il numero e la grandezza degli scrittori (fra i quali,
e questo e forse il suo giudizio piu ardito, da la preferenza airArio-
sto, anche rispetto al Tasso), favoriti dalla illuminata protezione
dei principi. Dalla perfezione del Cinquecento si passa alia deca-
denza del Seicento : decadenza strana, a suo parere, se si pensa alia
tranquillita politica delPepoca, ma che egli spiega con ragioni ana-
loghe a quelle proposte per la decadenza postaugustea, ed entro
la quale, in ogni modo, non manca di sottolineare i progressi
effettuati nelle scienze da Galileo e dai suoi discepoli. Del Sette-
cento, per espressa decisione, il Tiraboschi non si occupa, ma al-
rinizio delTultimo tomo egli dedica alcune pagine alPelogio del
suo secolo, ponendo in particolare rilievo i meriti del Muratori,
del Maffei e dello Zeno. Tuttavia, per quanto superficial e scar-
samente originale, questa preoccupazione <cfilosofica» del Tira-
566 GIROLAMO TIRABOSCHI
boschi ha una importanza che non deve essere trascurata. Anzitutto
Taccoglimento dell'estensione arcadica del concetto di lettera-
tura a tutto il complesso delle manifestazioni cultural!, sia pure
diluito m una trattazione estremamente analitica, segna pero nel-
1'ambito, per cosi dire, «tecnico » della storiografia letteraria italiana,
un progresso tanto rispetto ai lavori del Crescimbeni e del Qua-
drio, umanfsticamente e formalisticarnente limitati alle « belle let-
tere», quanto ai caotico tentative del Gimma, i cui meriti di pio-
niere sono comunque onestamente riconosciuti dal Tiraboschi stes-
so. Per quanto poi riguarda phi particolarmente Faspetto struttu-
rale delTopera, la preoccupazione «filosofica» porta lo storiografo
ad adottare una periodizzazione in gruppi di secoli, o in secoli,
centro cui ragionare partitamente di ciascheduna scienza ed esa-
minare quai ne fossero allora i progress! e le vicende»: un com-
promesso insomma fra Fordine cronologico e Fordine dei generi,
che non e certo una invenzione del Tiraboschi, caratteristico com'e
della precedente storiografia settecentesca, ma che egli ha co-
inunque il merito di avere trasportato e canonizzato nel campo della
storiografia letteraria, oltrepassando le pure classificazioni gene-
riche del Crescimbeni, del Quadrio e dell1 Andres, e iniziando una
tradizione a cui si atterranno il Ginguene, il Salfi, il Napoli Signo-
relli, il Corniani e che non scomparira, almeno come schema este-
riore, neppure nella successiva storiografia romantica. Anche i som-
mari giudizi sui singoli scrittori e sulle varie epoche, e la linea di
svolgimento che ne deriva, appunto perche riflettenti la « media »
delle valutazioni illuministiche, ne rappresentano una consacra-
zione, e se si vuole una cristallizzazione, che costituira un utile
punto «ufficiale» di riferimento per il future.
Alia fisionomia complessiva della Storia del Tiraboschi concorre
infine un terzo motive ispiratore: «il desiderio . . . di accrescere
nuova lode alFItalia, e di difenderla ancora, se faccia d'uopo, con-
tro Pinvidia di alcuni tra gli stranieri», dimostrando la sua legit-
timita a fregiarsi del «glorioso nome di madre e nudrice delle
scienze e delle bell'artia. 6 quasi superfluo ricordare che anche in
questo caso, generalmente parlando, il Tiraboschi si riallaccia ad
un atteggiamento comune alia cultura italiana settecentesca, e che
nelTambito delk storiografia letteraria si nota gia nel Crescimbeni,
n«l Quadrio e nel Gimma. Va precisato tuttavia che rispetto a co-
storo il nazionalismo letterario del Tiraboschi si distingue per la
NOTA INTRODUTTIVA 567
presenza, sia pure non molto accentuata (niente e veramente ac
centuate in lui, salvo lo scrupolo erudite), di un sentimento piu
geloso e polemico della tradizione letteraria italiana: un sentimento
che vale a determinare piu esattamente il collocamento storico del-
P opera, in quanto permette di riportarla, almeno per questo aspetto,
entro quell'orientamento che negli ultimi decenni del Settecento si
viene costituendo intorno al vecchio Bettinelli, e che e rappresentato
anche dal Borsa, dal Vannetti, dal Galeani Napione e da altri, tutti
non a caso amici e corrispondenti del Tiraboschi stesso. Sul piano
storiografico si deve a questo atteggiamento (oltre che alia preoc-
cupazione erudita di completezza, di cui parla il Getto) la deci-
sione di comprendere nella trattazione anche le culture deU'Etru-
ria, della Magna Grecia e di Roma, intese come fonti genuine
della nostra letteratura. E ad esso si devono ancora (oltre il rilievo
che in genere il Tiraboschi non manca mai di dare ai contributi
italiani in ogni campo della cultura, si tratti di una scoperta scien-
tifica o delPinvenzione di un genere) le Riflessioni sulVindole della
lingua italiana, premesse al tomo in, e in cui Tautore ribatte, con
argomenti assai simili a quelli del Napione, del Borsa, del Vannetti,
le accuse di «poverta» e «pusillanimita» formulate dal cesarottiano
Arteaga nelle sue note al Gusto presente del Borsa; e soprattutto
la famosa dissertazione, premessa al tomo II, SulVorigine del deca-
dimento delle scienze, nella quale 6 svolta la gia accennata teoria (che
e poi uno sviluppo di idee bettinelliane e addirittura umanistiche)
delTinfluenza esercitata dai letterati spagnoli sulla decadenza post-
augustea e sulla corruzione letteraria del Seicento. Questa teoria,
per quanto esposta dal Tiraboschi con la consueta moderazione,
gli attir6 tutta una serie di polemiche in cui ebbe difensori e com-
pagni, non a caso, il Bettinelli e, come si vedra, anche il Vannetti e
il Napoli Signorelli. Primo a risentirsi ma in forma cortese fu T An
dres (1776); poi segui un altro gesuita spagnolo, Tommaso Ser
rano, che in particolare voile difendere Marziale (1776) e che fu
confutato dal Vannetti; infine con maggior violenza Saverio Lam-
pillas (nel Saggio storico apologetico della letteratura spagnola, Ge-
nova 1778), diretto anche contro il Bettinelli, e a cui rispose,
uscendo dal consueto riserbo, il Tiraboschi stesso.
Meno sensibile nella Storia Tinfluenza (sottolineata invece dal
Foscolo) della sua formazione gesuitica. II suo conservatorismo
politico, filosofico e religiose, la sua assoluta incapacita di pene-
568 GIROLAMO TIRABOSCHI
trare anime tempestose e rivoluzionarie come quelle di un Dante
e di un Machiavelli, per quanto senza dubbio favoriti da tale for-
mazione, hanno in realta la loro prima origine nella natura stessa
della sua mentalita di pacifico erudito. Per questa parte, anzi, deve
essere ascritta a suo vantaggio (oltre la polemica con i suoi confra-
telli spagnoli, della quale si e fatto cenno) la guerra mossagli dal
domenicano Tommaso Mamachi, maestro del Sacro Palazzo, il
quale, avendo osservato nella Storia affermazioni poco ortodosse o
poco rispettose verso i pontefici, si era preso Parbitrio di far ristam-
pare a Roma Popera dapprima con correzioni, e poi con note pole-
miche: arbitrio a cui il Tiraboschi, turbato nella sua tranquillita di
buon cattolico oltre che nel suo onore di studioso, si oppose con una
decisione e una violenza che non aveva mostrato neppure nella
risposta al Lampillas.
Ad ogni modo una chiara riprova che gli interessi sia filosofici
sia nazionalistici sia religiosi erano in fondo secondari nella sua
mente rispetto a quello fondamentale di scrupoloso indagatore,
accertatore e classificatore di «fatti», e fornita dalla natura delle
opere compiute dopo la Storia della letteratura italiana, tutte con-
cepite con uno spirito che, meglio che da altre testimonialize, &
illustrate da queste parole premesse alia imponente Storia delVau-
gusta abbazia di San Silvestro di Nonantola (Modena, Societa tipo-
grafica, 1784-1789): «La storia di un monastero in due tomi in
foglio! Cosi forse al primo comparire di quest' opera esclamera al-
cuno de' gravi e severi filosofi de' nostri giorni, che, tutti occupati
al calcolar le forze de* regni, Putilita del commercio, Pinfluenza del
clirna, le vicende delle leggi e de' costumi, sdegnano le minute
ricerche, e si ridono di uno storico che in vece di adombrare gli av-
venimenti con tratti di ardito pennello, freddamente attiensi a fis-
sarne le epoche e ad esaminarne le circostanze. Dovr6 io dunque
venir con essi a contesa, e mostrar loro il vantaggio che dalla storia
che or do alia luce, si puo raccogliere? Ma qual sarebbe il frutto di
tal controversia ? Io mi rimarrei fermo nella mia idea, che la esat-
tezza delle ricerche e uno de' principali fondamenti a uno storico
necessari, che se la verita e le circostanze de' fatti non si stabiliscon
dapprima, cade a terra qualunque sistema si voglia sopr'essi innal-
zare; che molti moderni i quali hanno voluto in vece di una, com' es
si la dicono, pedantesca storia darci un filosofico quadro, non ci
hanno dato ne quadro ne storia, ma un gruppo di errori ne' fatti,
NOTA INTRODUTTIVA 569
e un ammasso di sogni nelle conseguenze che ne han dedotte».
A questa limitazione allo studio dei «fatti», piu consapevole che
nella stessa Storia della letteratura italiana, si deve un gruppo di
opere ignorate dai non specialist!, ma, a parte il loro valore intrin-
seco, essenziali per comprendere la personalita del Tiraboschi. Esse
vertono tutte su argomenti della storia letteraria, civile ed eccle-
siastica di Modena e della sua zona, e non a caso, poiche proprio
in questo campo Pautore sapeva di potersi fondare su ricerche dav-
vero esaurienti, come egli soprattutto desiderava. Bastera qui ricor-
dare - oltre la citata Storia deiraugusta abbazia di San Silvestro di
Nonantolay che gli fece provare una delle piu grandi emozioni della
sua vita, (da sorte a niun altro finora conceduta» di vedersi «tutto
schierato innanzi agli occhi» quell' archivio delPabbazia che la tra-
dizione diceva smarrito, e da cui il Muratori stesso non era riuscito
ad avere piu di venti pergamene - la Biblioteca modenese, owero
notizie della vita e delle opere degli scrittori di Modena (Modena,
Societa tipografica, 1781-1786), nel cui ambito rientra anche la
Vita di Fulvio Testi (Modena, Societa tipografica, 1780); le Notizie
de' pittoriy scultori, incisori, architetti natii degli stati del duca di
Modena (Modena, Societa tipografica, 1786); le Memorie storiche
modenesi (Modena, Societa tipografica, 1793-1795); il Dizionario
topografico storico degli stati estensi, stampato postumo (Modena,
Tipografia Carnerale, 1824-1825); e infine la pubblicazione, con
introduzione e note, dell' opera Della origine della poesia rimata
(Modena, Societa tipografica, 1790) del cinquecentista modenese
G. M. Barbieri, e della quale egli ha il merito di aver compreso
rimportanza nella storia degli studi romanzi e in particolare
provenzali.
Anche 1'attivita da lui esercitata tra il 1773 e il 1790, prima come
collaboratore e poi come direttore del «Nuovo giornale dei lette-
rati» di Modena, rientra perfettamente nellj ambito degli interessi
essenziali del Tiraboschi: che se la rivista, soprattutto per la colk-
borazione del Bettinelli e del Vannetti, venne assumendo anche un
orientamento classicistico e nazionalistico, essa rimase fondameB-
talmente, come era appunto nelle intenzioni del direttore, una case-
sta e scrupolosa rassegna informativa della contemporanea cetera,
quasi ideale continuazione della Storia della letteratura it
57° GIROLAMO TIRABOSCHI
Un elenco complete delle opere del Tiraboschi, stampate e inedite, si trova
all'inizio delTedizione di Milano (Classic! Italiani, 1822-1823) della Storia
detta letteratura italiana, I, pp. xxin-xxvii. Qui ricorderemo, oltre le opere
citate nelle pagine precedent!, la vastissima conispondenza epistolare del
Tiraboschi che, per quanto di scarso valore dal punto di vista letterario e
critico, vale a documentare la genesi laboriosa della Storia della letteratura
italiana e degli altri lavori, ed e anche una miniera di notizie erudite sui
piii vari argomenti della storia letteraria, civile ed ecclesiastica italiana. Tale
corrispondenza e stata in gran parte pubblicata nelle seguenti raccolte, cu
rate soprattutto da studiosi della scuola storico-positivistica, che vedevano
nel Tiraboschi uno dei loro piu autorevoli predecessor! : Corrispondenza fra
G. Tirabosch^ L. S. Parenti e A. P. Ansaloni, a cura di V. Santi, in « Atti e
memorie della deputazione di storia patria per le provincie modenesi»,
S. iv, vol. v (1894); Lettere inedite di G. Tiraboschi al can. M. Lupo, a cura
di G. Ravelli, Bergamo, Bolis, 1894; Lettere di G. Tiraboschi al padre L
Affd, a cura di C. Frati, Modena, Vincenzi, 1894-1896; Carteggio fra
Fab. G. Tiraboschi e Favv. E. Cabassi, a cura di P. Guaitoli, in « Memorie
storiche e documenti sulla citta e sull'antico principato di Carpi », vi
(1894-1895); Carteggio fra G. Tiraboschi e Cl. Vannetti (1776-1793), a cura
di G. Cavazzuti e F. Pasini, Modena, Ferraguti, 1912; Lettere di G. Tira
boschi e I. Affd a eruditi correggesi, a cura di G. Simonetti, in « Atti e me
morie della deputazione di storia patria per le provincie modenesi », S. v,
vol. IX (1914); L* epistolario di G. Tiraboschi a G. Cancellieri, a cura di
G. Albertotti, in «Atti del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere, Arti»,
xcin (1933-1934), pp. 1173-209; Carteggio inedito dell'Avogaro e del Ti
raboschi, a cura di A. Serena, in «Atti del R. Istituto veneto di Scienze,
Lettere, Arti», xcv (1935-1936), pp. 463-97; A. MONDOLFO, II Tiraboschi
e il Bandini, da carteggi inediti, in «Accademie e biblioteche d* Italia »,
x (1937), PP. 357-402-
Manca tuttora un esauriente lavoro complessivo sul Tiraboschi. Per un
primo orientamento sono utili: C. Cioccm, Vita e opere di Girolamo Tira
boschi, al termine della II edizione della Storia della letteratura italiana,
Modena, Societa tipografica, 1794; C. UGONI, Della letteratura italiana
della seconda meta del secolo XVIII, Brescia, Bettoni, 1822, in, pp. 350-77;
P.A.PARAVIA, VitadiG. Tiraboschi,mOpuscolivarii,Tormo 1837 (stampa-
ta anche nel de Tipaldo, Biografia degli italiani illustri ecc., n, Venezia
*&35, PP- 347~52);T. SANDONNINI, CommemorazionediG. Tiraboschi, in « At
ti e memorie della deputazione di storia patria per le provincie modenesi »,
S. iv, vol. vi (1895), pp. xxvin-ucv; V. CIAN, G. Tiraboschi, in « Memorie
della R. Accademia di Scienze, Lettere, Arti» di Modena, S. IV, vol. IV
(i933-i934)> PP. 2-13* con utili note bibliografiche; G. BERTONI, voce del-
VEnciclopedta italiana', G. NATALJ, II Settecento, cit., pp. 427-31 e 478-9
(bibliografia). Qualche utilita ha anche il modesto volumetto di M. LATER-
ZA, G. Tiraboschi. Vita e opere, Ban, Laterza, 1921.
In particolare sulla vita, le amicizie e le relazioni culturali del Tirabo
schi, si vedano, oltre le introduzioni e le note ai carteggi gi£ ricordati, le
rassegne di R. RENIER, nel « Giorn. stor. d. lett. it. », xxvin (1896), pp. 430-
40; e di V, CIAN, nella «Nuova rivista storica», xii (1895), pp. 463-82.
NOTA INTRODUTTIVA 571
Sulla Storia delta letteratura italiana si vedano, oltre i giudizi di U. Fo-
SCOLO, in Opere, xr, Firenze, Le Monnier, 1958, parte i, pp, 138-9, e
parte n, pp. 302-5 ; 1'importante capitolo di G, GETTO, in Storia delle storie
ktterarie, Milano, Bompiani, 1942, pp. 101-27; e 1'articolo di A. BONFATTI,
L'«eroey> del Tiraboschi, in «Let±ere italiane», v (1953), pp. 236-47.
Sull'attivita giornalistica del Tiraboschi si veda G. CAVAZZUTI, Tra eru-
diti e giornalisti del secolo XVIII (G. Tiraboschi e il *Nuovo giornale dei let-
terati»), in « Atti e memorie della deputazione di storia patria per le pro-
vincie modenesi », S. vii, vol. m (1924), pp. 131-4, studio interessante anche
per i rapporti col Bettinelli, col Vannetti, ecc.
DALLA
« STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA*
PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE
Non vi ha scrittore alcuno imparziale e sincere, che alia nostra Ita
lia non conceda volentieri il glorioso nome di madre e nudrice
delle scienze e delle bell'arti. II favore di cui esse hanno tra noi
goduto, e il fervore con cui da* nostri si son coltivate e ne* piu lieti
tempi del romano impero e ne' felici secoli del loro risorgimento, le
ha condotte a tal perfezione e a tal onore le ha sollevate, che gli stra-
nieri, e quegli ancora tra essi che della lor gloria son piu gelosi,
sono astretti a confessare che da noi mosse primieramente quella
Alia composizione di una Storia della letteratura italiana il Tiraboschi
pensava gia a Milano, incoraggiato in questo proposito dal padre Zac-
caria (cfr. G. BERTONI, La storia del Tiraboschi e A. F. Zaccaria, in « Giom.
stor. d. lett. it. », cxvin, 1941, pp. 200-1); ma alia realizzazione del suo
progetto si accinse soltanto dopo il 1770, appena stabilitosi a Modena.
La prima edizione, in nove tomi, fu pubblicata a Modena, presso la
Societa tipografica, fra il 1772 e il 1782, al ritmo dunque di un tomo
all' anno. I primi due tomi comprendevano la trattazione della letteratura
deirEtruria, della Magna Grecia e di Roma; il terzo quella del periodo
che va dalla caduta delTimpero romano al 1183 (pace di Costanza). I
tomi seguenti contenevano la storia della letteratura italiana propriamente
detta: il quarto dal 1183 al 1300; il quinto, diviso in due volumi, dal 1300
al 1400; il sesto, pure in due volumi, dal 1400 al 1500; il settimo, distinto
in quattro volumi, dal 1500 al 1600; 1'ottavo, in due volumi, dal 1600
al 1700; mentre il nono e ultimo tomo era riservato alle aggiunte e corre-
zioni. L' opera ebbe subito grande fortuna e difnisione, tanto che ne ven-
nero pubblicati vari compendi, in tedesco da Joseph von Retzer, in fran-
cese da Antonio Landi, in italiano da Lorenzo Zenoni. Spinto anche da
questa favorevole accoglienza il Tiraboschi si accinse a pubblicare una
seconda edizione, in cui, pur mantenendo in genere inalterato il testo della
prima, vi inseri, nelle note a pie di pagina e piti raramente nel testo stesso
fra virgolette, le aggiunte e correzioni gia comprese nel nono tomo, e altre
ancora resesi necessarie nel frattempo. II nono tomo fu. quindi interamente
consacrato alTindice analitico. Questa seconda edizione, pubblicata pure
a Modena, presso la Societa tipografica, fra il 1787 e il 1794, rappresenta
rultima volonta delFautore, e su essa sono modellate tutte le numerose
edizioni apparse dopo la morte del Tiraboschi, da quella stampata a Vene-
zia, dallo Stella, nel 1795-1796, alle milanesi dei Classici italiani (1822-
1823), del Fontana (1826-1829 e 1833-1837), e del Bettoni (1833)- Per
altre notizie sulla fortuna dell' opera del Tiraboschi nelFOttocento rrman-
diamo al volume citato di G. GETTO, Storia delle storie letterarie. II passo
qui riprodotto e tratto dalla seconda edizione modenese, I, pp. i-Xin.
L/e note del Tiraboschi sono seguite dalla sigla T.
574 GIROLAMO TIRABOSCHI
si chiara luce che baleno a' loro sguardi, e che gli scorse a veder cose
ad essi finallora ignote. Potrei qui arrecare molti scrittori, che cosi
hanno pensato. Ma a non annoiare i lettori fin da principio con
una tediosa lunghezza, mi bastin due soli. II primo e Federigo
Ottone Menckenio,1 il quale nella prefazione premessa alia Vita di
Angelo Poliziano^ da lui con somma erudizione descritta e stam-
pata in Lipsia Panno 1736, cosi ragiona: «Ebbe il Poliziano a sua
patria PItalia, madre gia e nudrice delParti liberali e della lettera-
tura piu colta, la quale, come in addietro fiori per uomini in ogni
genere di dottrina chiarissimi e fu feconda di egregi ingegni, cosi
nel tempo singolarmente in cui nacque il Poliziano, una prodigiosa
moltitudine ne produsse, talche non vi ha parte alcuna del mondo,
che in una tal lode le sia uguale o somigliante. II che, benche sia
per se stesso onorevole e glorioso, piu ammirabile sembrera non-
dimeno a chi consideri la caKgine e Poscurita de' secoli precedenti
e osservi quanto stento e fatica dovesse costare, e insieme a quanto
onore tornasse, Puscire improwisamente dalla rozzezza e barbaric
delPeta trapassate e il terger felicemente le macchie tutte di cui
Pignoranza gia da tanto tempo avea deformata P Italia ». L'altro e
il sig. de Sade,2 autore delle Memorie per la vita di Francesco Pe-
trarca, stampate colla data d' Amsterdam Panno 1764, che nella let-
tera agli eruditi francesi premessa al primo tomo : « Rendiam giusti-
zia» dice3 «alPItalia, e sfuggiamo il rimprovero, che i suoi scrittori
ci fanno, di esser troppo invidiosi della sua gloria e di non voler
riconoscere i nostri maestri. Convien confessarlo: a' Toscani, alia
testa de' quali si dee porre il Petrarca, noi dobbiamo la luce del
giorno che or ci risplende: egli ne e stato in certo modo Paurora.
Questa verita e stata riconosciuta da un uomo che tra voi occupa un
luogo assai distinto. Egli c'insegna4 che i Toscani fecer rinascer le
scienze tutte col solo genio lor proprio, prima che quel poco di
i. Menckenio: Friedrich Otto Mencken (1708-1754), erudito tedesco, scris-
se oltre alia Historic, vitae inque literis meritorwn A. Politiani (1736) citata
dal Tiraboschi, e che e il primo studio complessivo sulPAmbrogini, molte
altre opere, fra cui un volume De vita, moribzis, scriptis meritisque H.
Fracastori (1731). 2. Jacques-Fran9ois de Sade (1705-1778), autore, ol
tre che dei Memoires pour la vie de F. P&rarque, tires de ses oeuvres et
de ses auteurs contemporains (1764-1767), indagine erudita fondamentale,
anche di Observations sulla poesia francese primitiva. 3. [Memoires ecc.,
tit.], pag. xcm (T.). 4- Voltaire, Hist[oire] univ[erselle], t. n, pag.
STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA 575
scienza, che rimasta era a Costantinopoli, passasse insiem colla
lingua greca in Italia per le conquiste degli Ottomani»,
Un si bel vanto, di cui I'ltalia va adorna, ha fatto che molti era-
diti oltramontani si volgessero con fervore alia storia della nostra
letteratura; e in questi ultimi tempi singolarmente abbiam veduto
esercitarsi in questo argomento e dare alia luce opere assai prege-
voli Tedeschi e Francesi di non ordinario sapere. Cosi tra i primi
Giovan Burcardo1 e il sopraccitato Otton Federico Menckenio,
Giangiorgio Schelornio2 e Gian Alberto Fabricio ;3 e tra* secondi gli
autori delle vite degli uomini e delle donne illustri d' Italia,4 il gia
lodato signor de Sade ed altri han preso a diligentemente illustrare
quali uno quali altro punto della nostra storia letteraria. Egli e
questo un nuovo argomento di lode alia nostra Italia; ma potrebbe
anche volgersi a nostro biasimo, se, mentre gli stranieri mostrano
di avere in si gran pregio la nostra letteratura, noi sembrassimo non
curarla, ed essi avessero a rinfacciarci che ci conviene da lor me-
desimi apprendere le nostre lodi. E veramente ce Thanno talor rin-
facciato ; come fra gli altri il mentovato autore delle Memorie per
la vita del Petrarca, il quale con modesto5 bensi ma assai pungente
rimprovero si maraviglia che noi non abbiam finor sapute non sol
le picciole circostanze, ma nemmen Pepoche principali della ^ita
di si grand'uomo, e che un oltramontano, qual egli e, abbia dovuto
insegnarci cose che egli avrebbe dovuto apprender da noi. Esami-
neremo a suo luogo se di una tale trascuratezza siam noi accusati a
ragione. Ma certo pare che gli stranieri possan dolersi di noi, che
in un secolo, in cui la storia letteraria si e da noi coltivata singo
larmente, niuno abbia ancora pensato a compilare una storia gene-
rale della letteratura italiana.
i. Burcardo: Jacob Burckard (1681-1753), erudito tedesco, autore di in-
dagini sulla cultura umanistica tedesca ed europea. 2. Schelornio: Johann
Georg Schelhorn (1694-1773), erudito e bibliografo tedesco. Penso cbe il
Tiraboschi alluda in particolare alk dissertazione sulla storia delTarte ti-
pografica premessa alia edizione da lui curata nel 1761 delTopera De op&-
morum scriptorum editiorubus quae Romae primum prodierunt del cardmale
Angelo Maria Querini. 3. Fabricio: il tedesco Johann Albert Fabrichis
(1668-1736), autore di monumental! opere di erudizione, fra cui ima
Bibliotheca latina mediae et infimae aetatis, alia quale probabilmente altefe
il Tiraboschi. 4. vite . . . Italia: penso che alluda ai Memoires po&r server
a rhistoire des hommes fflustres dans la rfyubtique des lettrez, pebi)licati a
Parigi tra il 1727 e il 1745 dal barnabita Niceron. 5. modesto: moderasta-
mente espresso.
5?6 GIROLAMO TIRABOSCHI
Abbiamo, e vero, moltissimi libri che a questo argomento appar-
tengono; e per riguardo alle biblioteche1 degli scrittori delle nostre
citta e provincie particolari, non ve n'ha quasi alcuna al presente,
che non abbia la sua. Talune ancora hanno avuto scrittori che la
storia delle scienze da lor coltivate hanno diligentemente esami-
nata e descritta, fralle quali degna d'immortal lode e la Storia della
letteratura veneziana delFeruditissimo procuratore e poscia doge
(Ji Venezia Marco Foscarini,2 a cui altro non manca se non che
venga da qualche accurato scrittore condotta a fine. Ma fra tutte le
opere alFitaliana letteratura appartenenti deesi certamente il primo
luogo agli Scrittori italiani del ch. conte Giammaria Mazzucchel-
1L3 Noi ne abbiamo gia sei volumi che pur non altro comprendono
che le prime due lettere delPalfabeto ; e Ferudizione e la diligenza
con cui la piu parte degli articoli sono distesi, ci rende troppo do-
lorosa la memoria deirimmatura morte da cui fu rapito Fautore.
Sappiamo che molti articoli e copia grandissima di notizie pe' se-
guenti volumi egli ha lasciato a' suoi degnissimi figli, e noi speriamo
che essi alia gloria loro non meno che a quella di tutta 1* Italia prov-
vederanno un giorno col recare al suo compimento un'opera a cui
non potranno le straniere nazioni contrapporre Fuguale. Ci6 non
ostante niuna di queste o di altre opere di somigliante argomento
non ci offre un esatto racconto delForigine, de' progressi, della de-
cadenza, del risorgimento, di tutte in somma le diverse vicende
che le lettere hanno incontrato in Italia. Esse sono comunemente
stone degli scrittori anzi che delle scienze; e quelle a cui questo
secondo nome pu6 convenire, son ristrette soltanto o a qualche
particolare provincia o a qualche secolo determinato. II Leibnizio
i. biblioteche: cosl erano chiamate le opere contenenti le notizie sulla vita
e sugli scritti degli autori di una determinata citta o regione, o anche
nazione (come la Biblioteca delV eloquenza italiana del Fontanini). 2. Mar
co Foscarini (1698-1763), doge di Venezia dal 1762, pubblic6 nel 1752 il
I volume delFopera storiografica citata dal Tiraboschi, e che e in effetto
pregevole per Faccuratezza delle ricerche (a cui contribul anche Gaspare
Gozzi) e per qualita di ordine e precisione. 3. Giammaria Mazzucchelli
(o, piu esattamente, Mazzuchelli, 1707-1768) concepl e condusse Fopera
citata dal Tiraboschi (il cui titolo esatto e Gli scrittori d 'Italia, cioe notizie
storiche e critiche intorno alle vite e agli scritti de' letterati italianif e di cui
furono pubblicati tra il 1753 e il 1763 sei grandi volumi in folio, com-
prendenti le lettere A e B) come un grande dizionario bibliografico alfabe-
ticamente ordinato: tipica opera erudita di consultazione, fondata su
indagini ampie e sistematiche (cfr. G. GETTO, Storia delle storie letterarie,
cit., pp. 94-5).
STORIA BELLA LETTERATURA ITALIANA 577
bramava che una opera di tal natura fosse intrapresa dal celebre
Magliabecchi;1 ma non sappiamo ch'egli pensasse a compiacerlo.
L'unico saggio che abbiamo di una storia generale dell'italiana let-
teratura, si e YIdea della storia delVItaUa letterata di Giacinto Gim-
ma2 stampata in Napoli Fanno 1723, in due tomi in quarto, opera
in cui sarebbe a bramare che P autore avesse avuto eguale a una
immensa lettura anche un giusto criterio, e a una infinita copia un
saggio discernimento. Se vi ha alcuno a cui io cada in sospetto di
volermi innalzare sulle rovine altrui, il prego a leggere egli stesso
1'opera accennata, e a giudicare per se medesimo se io abbia recato
troppo disfavorevol giudizio. Certo cosi ne ha pensato anche chi
naturalmente dovea esser portato a lodarla, cio& il dott. Mauro-
dinoia,3 che ha scritta la vita di questo autore, e che confessa che
in quest'opera deesi bensi lodare 1'intenzion dell' autore, ma non
il modo con cui 1'ha condotta ad effetto.
II desiderio adunque di accrescere nuova lode all' Italia, e di di-
fenderla ancora, se faccia d'uopo, contra 1'invidia di alcuni tra gli
stranieri, mi ha determinate a intraprendere questa storia generale
della letteratura italiana, conducendola da' suoi piu antichi prin-
cipii fin presso a' di nostri. Dovro io qui forse discendere alle usate
proteste di essermi accinto a un' opera superiore di troppo alle
forze del mio ingegno e del mio sapere? A me pare che cotali
espressioni siano omai inutili ed importune. Se tu non ti credevi
uomo da tanto, dicon talvolta i lettori, perche entrasti tu in si dif-
ficil camera ? E se hai pensato di poterla correre felicemente, perch6
ci annoi con cotesta tua affettata modestia? Io ho intrapresa que
st' opera, e colla scorta di tanti valentuomini, i quali or 1'uno or
1'altro punto di storia letteraria hanno dottamente illustrate, ho
usato di ogni possibile diligenza per ben condurla. Come io siaci
riuscito, dovran giudicarne i lettori. Se io sono stato troppo ardito
i. Ep\istolae clarorum] Germ[anorum] ad Malidb\ecchium, Firenze 1745],
p. 101 (T.)- Antonio Magliabecchi, o, piu esattamente, Magliabechi
(1633-1714), bibliotecario di Cosimo III de* Medici, non pubblico opere
col suo nome, ma ni ammirato e consultato per la sua straordinaria eredi-
zione dai dotti di tutta Europa., 2. Giacinto Gimma (1668-1735), erodito
barese di formazione seicentesca, si ricorda solo per 1s opera citata cM
Tiraboschi, piena di inesattezze e disordinata nella struttum, ma noCevole
come primo tentative di storia della cultura letteraria italiana, espikita-
mente animata da propositi nazionalistici (cfr. G. GETTO, Storia deO&
storie letterarie, cit., pp. 65-75). 3- Caiogera, Racc\pltd\ d*opusc[Qltl, t. xvn,
[i737]> P. 4i8 (T.).
37
578 GIROLAMO TIRABOSCHI
nelPintraprenderla, sar6 ancor facile a condennarla, quando dal
parer comune de' dotti io veggala condennata. Nemmeno mi trat-
terro io a ragionare deU'utilita e delTimportanza di questa mia
opera. Se essa avra la sorte di essere favorevolmente accolta e posta
tra quelle che non sono indegne d'esser lette, io mi lusinghero di
aver fatta cosa utile e vantaggiosa. Ma se essa sara creduta mancante
di que' pregi che le converrebbono, invano mi stancherei a mo-
strarne la necessita e il vantaggio. Meglio impiegato per awentura
sara il tempo nel render conto a' lettori dell'ordine e del metodo a
cui in questa mia storia ho pensato di attenermi.
Ella e la storia della letteratura italiana, non la storia de* letterati
italiani, ch'io prendo a scrivere. Quindi mal si apporrebbe chi giu-
dicasse che di tutti gritaliani scrittori e di tutte Fopere loro io do-
vessi qui ragionare e darne estratti e rammentarne le diverse edi-
zioni. Io verrei allora a formare una biblioteca,1 non una storia; e
se volessi unire insieme Tuna e Taltra cosa, m'ingolferei in un' opera
di cui non potrei certo vedere n6 altri forse vedrebbe mai il fine.
I dotti maurini, che hanno intrapresa la Storia letter aria diFranda?
perche han voluto congiungere insieme storia e biblioteca, in do-
dici tomi hanno compreso appena i primi dodici secoli, e pare che
essi, atterriti alia vista del grande oceano che innoltrandosi lor si
apre innanzi, abbiano omai deposto il pensiero di continuarla. Per
altra parte abbiam gia tanti scrittori di biblioteche e di catalogi, che
una tal fatica sarebbe presso che inutile; quando singolarmente
venga un giorno a compirsi la grand'opera, mentovata di sopra,
degli Scrittori italiani. Ella e dunque, il ripeto, la storia della lette
ratura italiana, ch'io mi son prefisso di scrivere; cioe la storia del-
Torigine e de5 progressi delle scienze tutte in Italia. Percio io verr6
svolgendo quali prima delle altre e per qual modo cominciassero
a fiorire, come si andassero propagando e giugnessero a maggior
perfezione, quali incontrassero o liete o sinistre vicende, chi fosser
coloro che in esse salissero a maggior fama. Di quelli che col loro
sapere e colFopere loro si renderon piu illustri, parlero piii ampia-
mente; piu brevemente di quelli che non furon per ugual modo
i. bibliotecai nel senso illustrate nella nota zap. 576. 2. / dotti . . . Fran-
da: YHistoire litter air e de la France, iniziata nel 1733 dal monaco mau-
rino Antoine Rivet de La Grange (1683-1749) e proseguita fino al se-
colo XII dai suoi confratelli, e la prima storia letteraria europea di ca-
rattere critico-erudito.
STORIA DELLA LETTERATURA JTALIANA 579
famosi, e di altri ancora mi bastera accennare i nomi, e rimettere il
lettore a quelli che ne hanno piu lungamente trattato. Dalla vita de*
piu rinomati scrittori accennero in breve le cose che son piu note;
e cerchero d'illustrare con maggior diligenza quelle che son rimaste
incerte ed oscure: e singolarmente cio che appartiene al loro ca-
rattere, al lor sapere e al loro stile. La storia ancora de' mezzi che
giovano a coltivare le scienze, non sara trascurata; e quindi la sto
ria delle pubbliche scuole, delle biblioteche, delle accademie, della
stampa e di altre somiglianti materie avra qui luogo. Le arti final-
mente che diconsi liberali, col qual nome s'intendono singolarmente
la pittura, la scultura, Farchitettura, hanno una troppo necessaria
connession colle scienze perche non debbano essere dimenticate;
benche nel ragionare di esse saro piu breve, poiche non apparten-
gono direttamente al mio argomento.
Sono stato lungamente dubbioso qual metodo convenisse meglio
seguire; cioe se di tutte insieme le scienze dovessi formar la storia,
seguendo Fordin de* tempi, o di ciascheduna scienza favellare par-
titamente. L'uno e Faltro metodo parevami avere i suoi ineomodi
non meno che i suoi vantaggi. L'ordine cronologico, che e piu
secondo natura, sembra che rechi confusion tra le scienze, sicch6
non possa distintamente vedersi cio che a ciascheduna appartiene.
L'ordine delle scienze, che potrebbe credersi piu vantaggioso, sem
bra che rechi confusione ne' tempi, e che sia noioso al lettore quel
dover piu volte ricorrere la stessa camera, e dall'eta antiche scen-
dere alle moderne, e poi di nuovo risalire alle antiche, e non tenere
mai fisso il piede in un'epoca determinata. Per isfuggire, quanto
sia possibile, gFincomodi e per godere insiem de' vantaggi di
amendue i metodi, mi e sembrato opportuno il seguir Fordine cro
nologico, ma diviso in varie epoche piu ristrette, di uno, a cagion
d'esempio, di due o piu secoli, secondo la maggiore o la minor am-
piezza della materia; e in queste diverse epoche ragionare partita-
mente di ciascheduna scienza, ed esaminare quai ne fossero allora
i progressi e le vicende. In questa maniera senza andar sempre
salendo o discendendo per la lunga serie de* tempi si potra age-
volmente vedere cio che alia storia di ciascheduna scienza appar
tiene, e si potra insieme vedere qual fosse a ciascheduna epoea il
generale stato della letteratura in Italia,
Quando io dico di voler scriver la storia della letteratura italiana,
parmi ch'io spieghi abbastanza di qual tratto di paese io intenda
5§0 GIROLAMO TIRABOS-CHI
di ragionare. Nondimeno mi veggo costretto a trattenermi qui al-
cun poco, poiche alcuni pretendono di aver de' diritti su una gran
parte d' Italia, e per poco non gridano all'armi per venirne alia
•conquista. Convien dunque che ci rechiam noi pure sulle difese, e
ci disponiarno a ribattere, se sia d'uopo, un si terribile assalto. Gli
eruditi autori della sopraccennata Storia letteraria di Francia, par-
lando della letteratura de' Galli al tempo della repubblica e deirim-
pero romano,1 ci awertono che, se volessero usare de' lor dritti,
potrebbono annoverare tra' loro scrittori tutti que' che furon nativi
di quella parte d' Italia che da' Romani dicevasi Gallia Cisalpina,
perciocche i Galli, ch'erano di la dall'Alpi, occuparono 400 anni
innanzi alFera cristiana tutto quel tratto di paese, ed erano lor di-
scendenti quei che poscia vi nacquero. E qual copia, dicon essi, di
valorosi scrittori potremmo noi rammentare! Un Cecilio Stazio,
un Virgilio, un Catullo, i due Plinii e tanti altri uomini si famosi.
Essi son nondimeno cosi cortesi che spontaneamente ce ne fan
dono, e ci permetton di annoverarli tra' nostri; e si aspettano per
awentura che di tanta generosita ci mostriam loro ricordevoli e
grati. Ma noi Italiani per non so qual alterigia non vogliam rice-
vere se non cio che e nostro, e nostri pretendiamo che siano tutti i
suddetti scrittori della Gallia Cisalpina. Di fatto, come allor quando
si scrive la storia civile di una provincia, altro non si fa se non rac-
contare cio che in quella provincia accadde, qualunque sia il po-
polo da cui essa fu abitata, cosi quando si parla della storia lette
raria di una provincia, altro non si fa che rammentare la storia
delle lettere e degli uomini dotti che in quella provincia fiorirono,
qualunque fosse il paese da cui i lor maggiori eran venuti. A qual
disordine si darebbe luogo nella storia, se si volesse seguire il sen-
timento de' mentovati autori ? Che direbbono essi se un tedesco
pubblicasse una Biblioteca germanica, e vedessero nominati in essa
Fontenelle e Voltaire? Eppure non discendono eglino i Francesi da'
Franchi, popoli della Germania? Oltre di che, come proveranno
essi che quegli scrittori discendessero veramente da? Galli Transal-
pini ? Eran forse essi i soli che abitassero que' paesi ? Niuno dunque
eravi rimasto degli antichi abitatori di quelle provincie ? Non po-
tevano fors'anche molti dalTItalia Cispadana o da altre parti esser
passati ad abitare nella Traspadana ? Gli stessi maurini non hanno
essi stesa la loro storia a tutto quel tratto di paese che or chiamasi
i. [Histoire litteraire de la France}, t. i, p. 54 (T.)-
STORIA BELLA LETTERATURA ITALIANA 581
Francia? Permettan dunque a noi pure che, usando del nostro di-
ritto, nostri diciamo tutti coloro che vissero in quel tratto di paese
che or dicesi Italia. Ad essa appartengono similmente 1'isole, che
diconsi adiacenti, ed esse perci6 ancora debbono in questa storia
aver parte, e la Sicilia singolarmente, che di dottissimi uomini in
ogni genere di letteratura fin da' piu antichi tempi fu fecondissima*
Gli stessi autori della Storia letteraria di Francia si dichiarano1
di voler dar luogo tra' loro uomini illustri per sapere anche a quelli
che, benche non fossero nativi delle Gallic, vi ebbero nondimeno
stanza per lungo tempo, singolarmente se ivi ancora morirono. Ed
essi hanno in cio eseguita la loro idea piu ampiamente ancora che
non avesser promesso. Perciocche hanno annoverato tra' loro scrit-
tori, come a suo luogo vedremo, anche Timperador Claudio, per
che a caso nacque in Lione, anzi ancora Germanico di lui fratello,
solo perche e probabile che egli pur vi nascesse. Nel che non parmi
che essi saggiamente abbiano proweduto alia gloria della loro na-
zione. Troppo feconda d'uomini dotti e sempre stata la Francia
perche ella abbisogni di mendicarli, per cosi dire, altronde e di usur-
parsi gli scrittori stranieri. L'adornarsi delle altrui spoglie e proprio
solo di chi non puo altrimenti nascondere la sua poverta. lo mi
conterro in mo do che alia nostra Italia non si possa fare un tale
rimprovero. Degli stranieri che per breve tempo vi furono, parlero
brevemente e come sol di passaggio. Piu lungamente tratterrommi
su quelli che quasi tutta tra noi condussero la loro vita, perciocche,
se essi concorsero a rendere o migliore o peggiore lo stato delFita-
liana letteratura, ragion vuole che nella storia di essa abbiano il
loro luogo.
Ne in cio solamente, ma in ogni altra parte di questa storia, io
mi lusingo di adoperar per tal modo che non mi si possa rimpro-
verare di avere scritto con animo troppo pregiudicato a favore della
nostra Italia. Egli e questo un difetto, convien confessarlo, comune
a coloro che scrivono le cose della lor patria, e spesso anche i piii
grandi uomini non ne vanno esenti. Noi bramiamo che tutto cI6
che torna ad onor nostro, sia vero; cerchiam ragioni per persea-
dere e noi e gli altri; sempre ci sembrano convincenti gli argomenti
che sono in nostro favore; e mentre fissiamo Tocchio su essi, ap-
pena degniam di un guardo que' che ci sono contrari. MoM ancora
de' nostri piu valenti scrittori italiani hanno urtato a questo scogfio;
i. [Histoire litteraire de la France}, Pref., p. vii (T.).
582 GIROLAMO TIRABOSCHI
e io mi rechero a dovere il confutarli, quando mi sembri che qual-
che loro asserzione, benche gloriosa alFItalia, non sia bastantemente
provata. Ma gli stranieri ancora non si lascian su questo punto vin-
cer di mano; e i gia mentovati dottissimi autori della Storia lette-
raria di Franria ce ne daranno nel decorso di quest'opera non pochi
esempi. Qui basti Paccennarne un solo a provare che anche i phi
emditi scrittori cadono in gravi falli, quando dall'amor della patria
si lasciano ciecamente condurre. Essi affermano1 che i Romani ap-
presero primamente da* Galli il gusto delle lettere. L'opinion co-
mune, che esamineremo a suo tempo, si e che il ricevesser da'
Greci; e niuno avea finora pensato che i Galli avessero a' Romani
insegnata Peloquenza e la poesia. Qual pruova recano essi di si
nuova opinione? Lucio Plozio Gallo, dicono, fu il primo che inse-
gnasse rettorica in Roma, come aiferma Svetonio. Lasciamo stare
per ora che non sappiamo se Plozio fosse nativo della GalliaTransal-
pina o della Cisalpina, e se debba perci6 annoverarsi tra' Francesi
o tra gl'Italiani. Ma come e egli possibile che si dotti scrittori, come
essi sono, non abbiano posto mente al solenne equivoco da cui sono
stati tratti in errore? Svetonio e Cicerone, come a suo luogo ve-
dremo, non dicon gia che Plozio fosse il primo professore di retto
rica in Roma, ma che fu il primo che insegnolla latinamente, poi-
che per Faddietro tutti i retori usato aveano della lingua greca.
In fatti Plozio visse a' tempi di Cicerone: e il gusto delle lettere erasi
introdotto in Roma piu di un secolo innanzi. Io credo certo che,
se non si fosse trattato di cosa appartenente alia gloria della lor
patria, avrebbero i dotti autori riconosciuto facilmente il loro er
rore; ma e cosa dolce il trovare un nuovo argomento di propria
lode, e quindi un'ombra vana e ingannevole si prende spesso per
un vero e reale oggetto. Forse a me ancora awerra talvolta ci6 che
riprendo in altrui; ma io sono consapevole a me medesimo di es-
sermi adoperato, quanto mi era possibile, perche Pamore della co-
mun nostra patria non mi acciecasse, ne mi conducesse giammai ad
affermar cosa alcuna che non mi sembrasse appoggiata a buon
fondamento.
A questo fine assai frequenti s'incontreranno in questa mia opera
le citazioni degli autori che servono di prova alle mie asserzioni, e
posso dire con verita che ho voluti vedere e consultare io stesso quasi
tutti i passi da me allegati; poiche Fesperienza mi ha insegnato che
i. [Histoire littfraire de la France], t. i, pag. 53 (T.).
STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA 583
e cosa troppo pericolosa Paffidarsi agli occhi o alia memoria altruL
Ne io per6 mi sono punto curato di una cotal gloria, di cui alcuni
sembrano andare In cerca, colTaffastellare citazioni sopra citazioni
e schierare un esercito intero di autori e di libri, facendo pompa
per tal maniera della sterminata loro erudizione. Io saro pago di
produrre gli autori che bastino a confermare cio che avr6 asserito.
Le leggi, che in cio io mi sono prefisso, sono di appoggiarmi singo-
lannente agli autori o contemporanei o il men lontani che sia pos-
sibile da' tempi di cui dovro ragionare; ad autori che non possan
cadere in sospetto di avere scritto secondo le loro proprie passioni;
ad autori che non mi narrino cose che la ragione mi mostra impos-
sibili; ad autori finalmente che non vengano contraddetti da piu
autentici monumenti. Che mi giova, a cagion d'esempio, che molti
autori moderni mi dicano che Pollione prima d'ogn'altro apri in
Roma una pubblica biblioteca? Se essi non mi recano in pruova il
detto di qualche antico, la lor autorita non mi convince abbastanza.
Ma io veggo che cio si afferma da Plinio e da qualche altro antico
accreditato scrittore; e questo mi basta perche il creda. Se in ci6
singolarmente che a storia appartiene, Pautorita di uno o piu scrit-
tori bastasse a far fede, non vi sarebbe errore che non si dovesse
adottare. II numero degli autori copisti e infinito; e tosto che un
detto e stampato, sembra che da alcuni si abbia in conto di ora-
colo. Io dunque piu alia scelta che al numero degli autori ho posto
mente, e nella storia antica ho allegati comunemente gli autori
antichi, lasciando in disparte i moderni. Questi per6 ancora ho io
voluti leggere attentamente, quanti ne ho potuti aver tralle mani,
che trattassero cose attenenti al mio argomento, e di essi mi son
giovato assai, e si vedra ch'io allege spesso il lor sentimento, e fo
uso delle loro scoperte, e talvolta ancora rimetto il lettore agli ar-
gomenti che in pruova di qualche punto essi hanno arrecato. Ed
io mi lusingo che niuno potra rimproverarmi ch'io siami occulta-
mente arricchito colle altrui fatiche, poiche", quanto ho trovato di
pregevole e d'ingegnoso negli altrui Kbri, tutto ho fedelmente at-
tribuito a' loro autori.
II diligente studio ch'io ho dovuto fare sugli antichi scrittori per
trarne quanto potesse essere opportune alia mia idea, mi ha nfices-
sariamente fatto scoprire molti errori e molte inesattezze degli scrit
tori moderni. Ma ordinariamente non mi son preso la briga di rile-
varli; che troppo a lungo mi avrebbe condotto il fario, e spesso
GIROLAMO TIRABOSCHI
avrei dovuto arrestarmi per dire che il tale e il tal altro hanno er-
rato, senza alcun frutto e con molta noia de' miei lettori. Se io
comprovo bene il mio sentimento, cade per se stesso a terra Top-
posto. Allor solamente ho giudicato che mi convenisse di farlo,
quando mi si offrisse o a combattere I'opinione o a scoprire 1'errore
di qualche autore che fosse meritamente avuto in pregio di dotto e
di veritiero. Le opere di tali scrittori si leggono comunemente con
si f avorevole prevenzione che facilmente loro si crede quanto essi as-
seriscono. E questo e il motivo per cui e in questa prefazione e altre
volte nel decorso delP opera ho preso a esaminare e a confutare al-
cuni passi della piii volte mentovata Storia letter aria di Francia, nej
quali mi e sembrato che senza ragione si volesse scemar Ponore
alia nostra Italia dovuto. Ella 6 questa un' opera di una vastissima
erudizione e di un'immensa fatica, e piena di profonde e diligenti
ricerche; e troppo e facile ad accadere che Tautorita di si dotti
scrittori sia ciecamente e senza esame seguita. Io mi son dunque
stimato in dovere di confutare, ove fosse d'uopo, cio che a svan-
taggio delF Italia vi si afferma, singolarmente col toglierle alcuni
uomini illustri che noi a buon diritto riputiam nostri. Ma nel com
battere le opinioni di questi e di altri accreditati scrittori io ho
usato di quel contegno che e proprio d'uomo che si conosce infe-
riore di molto in forze al suo awersario, e che spera di vincere solo
per che si lusinga di avere armi migliori. Si pu6 combatter con
forza, si pu6 ancora scherzare piacevolmente, senza dire un motto
onde altri a ragione si reputi offeso. Le ingiurie e le villanie troppo
mal si confanno a uomini letterati, e noi Italiani siamo forse non
ingiustamente ripresi di esserne troppo liberali coj nostri awersari.
A questo fine mi sono astenuto dalPentrare in certe contese sulla
patria di alcuni nostri antichi scrittori, nelle quali Io spirito di par-
tito regna da lungo tempo per modo che non e possibile il mo-
strarsi favorevole ad una parte senza che 1'altra se ne dolga troppo
aspramente ; e nelle quali percio il voler decidere e cosa pericolosa
al pari che inutile. Io accenner6 le ragioni che da amendue le parti
si arrecano, e Iascer6 che ognuno senta come meglio gli piace.
Tutta 1'opera sara divisa in sette o otto volumi, i quali, se il Cielo
mi concedera vita e forze, verrannosi, colPintervallo, come spero,
non maggiore di un anno seguendo Tun Taltro. Forse sembrera ad
alcuni troppo ristretto un tal numero di volumi all'ampiezza della
materia. Ma nel metodo a cui ho pensato di attenermi, mi lusingo
STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA 585
che possan quest! bastare a porre in sufficiente luce la storia della
letteratura italiana. Chi vuol dir tutto, comunemente non dice nulla;
e molte opere son rimaste e rimarran sempre imperfette, perche gli
autori avean preso a correre troppo ampio campo. Quando io ab-
bia condotta a fine la mia opera, se alcuno vorra darle una maggior
estensione, potra farlo piu agevolmente; ed io mi riputero ono-
rato se vedro altri di me migliori entrare piu felicemente di me in
questa stessa camera.
Per ultimo, comunque io abbia usato di ogni possibile diligenza
nel compilar questa storia, sono ben lungi dal credere che non vi
abbia in essa errori e inesattezze in buon numero. E percio, anzi
che sdegnarmi contro chi me gli additi, io gliene sapro grado; e, ove
fia d'uopo, ne' seguenti volumi inserir6, come in altra mia opera
ho fatto, le correzioni e le giunte da farsi a* volumi precedenti. Io
non so intendere come alcuni siano cosi difficili a confessare di
avere errato ; quasi ci6 non fosse stato comune anche a' piu famosi
scrittori. E non deesi egli scrivendo cercare il vero ? Se dunque tu
non sei riuscito a scoprirlo, e un altro cortesemente te Io addita,
perch6 chiuder gli occhi e ricusar di vederlo? Io certamente da
niuna cosa mi stimero piu onorato che dal vedere uomini eruditi
interessarsi per dare a questa mia opera una maggior perfezione; e
suggerirmi perci6 lumi e notizie, che giovino o a corregger gli
errori nej quali mi sia awenuto di cadere, o ad accrescere pej se
guenti volumi nuovi argomenti di gloria aH'italiana letteratura . . .*
i. Tralascio 1'ultimo capoverso della Prefazione, nel quale il Tiraboschi
spiega le ragioni per cui ha esposto solo in modo concise la letteratura
etrusca.
PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
NOTA INTRODUTTIVA
Coetaneo ed amico del Tiraboschi e per alcuni aspetti vicino a
lui e agli altri eruditi contemporanei, Pietro Napoli Signorelli
se ne distingue tuttavia nettamente per assai piu spiccati interessi
e qualita di critico e di storiografo. La sua stessa prima formazione
non e tanto di un erudito quanto piuttosto di un letterato vivamente
partecipe alia vita culturale del suo tempo. Nato a Napoli di
agiata famiglia il 28 settembre 1736, fu awiato dal padre notaio
agli studi di giurisprudenza, che egli segui regolarmente fino ad
ottenere la laurea e ad esercitare anche per qualche tempo la pro-
fessione di awocato. Appunto durante questi studi egli ebbe la
possibilita di ascoltare le lezioni di etica di Antonio Genovesi,
allora nel momento piu fervido della sua battaglia per il rinnova-
mento della cultura napoletana: lezioni alle quali egli non solo
assistette con entusiasmo per due anni (come ricordera poi nelle
Vicende della coltura nelle due Sicilie), ma si ispir6 nel «trattato mo
rale esposto ai giovani» Degli affetti umani (Napoli, Cirillo, 1754),
che e la sua prima opera stampata. Ne e inutile ricordare che sem-
pre in questi primi anni il Signorelli si provo a scrivere anche qual
che commedia, che non ci e pervenuta, ma che probabilmente si
ispirava a quelle romanzesche del marchese di Liveri, domina-
tore in quel tempo della scena napoletana.
Ma un periodo ancor piu importante nella formazione culturale
e letteraria del giovane napoletano fu il suo soggiomo a Madrid,
dove si trasferi dopo la morte del padre, verso la fine del 1765,
spinto probabilmente dalla speranza di poter migliorare la propria
situazione economica, e dove rimase ininterrottamente, salvo un
viaggio in Italia nel 1777-1778, sino al 1783. «Io sempre mi ram-
menterb con tenerezza e con diletto» egli scriveva nel 1785 al-
T Arteaga « di una gran nazione, dalla quale in venti anni di dimora
non ho ricevuto altro disgusto se non quello di vedermi inutile a
servirla. Posso affermare senza mentire che in essa lascio moltissi-
mi amici veri e niun nemico. Nella mia abitazione, concessami
da S. M. Cattolica, contigua al Real Palazzo Nuovo, io vedeva
passare sotto i miei occhi il di Lei patrio Manzanare, unico testi-
monio, per cosi dire, di tante dilettevolmente vegliate notti in
compagnia delle Muse. Quante volte, spuntando Falba, mentre
590 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
vegliava ancora, io vi vagheggiai in distanza i monti di Segovia
coperti di neve, il sito del Prado, la Quinta e la Zarzuela. Giorni
felici . . . ». In verita il Signorelli non aveva torto quando ricor-
dava con cosi grata e commossa nostalgia gli anni trascorsi in
Ispagna. Fin dai primi tempi del suo arrivo, quando era ancora
giovane e sconosciuto nel mondo della cultura, aveva trovato un'ac-
coglienza piena di simpatia non solo nel piccolo gruppo degli stu-
diosi italiani stabiliti a Madrid, come Giambattista Conti, Gia-
cinto Ceruti e Placido Bordoni, ma anche tra quegli spagnoli che
nel campo culturale partecipavano alFopera di riforma illumini-
stica iniziata da Carlo III: Nicolas Fernandez de Moratin, an-
zitutto, al quale il Signorelli fu particolarmente legato e che pro-
babilmente gli fece ottenere il comodo e ben remunerate impiego
di (cprimo custode del suggello della lotteria reale», e poi il figlio
di lui Leandro, Jose Cadalso, Ignazio Ayala e Tommaso Iriarte.
Insieme con questi letterati troviamo il Napoli Signorelli nelle
riunioni della cosiddetta Tertulia liter aria de la fonda de San Se
bastian, durante le quali i partecipanti, guidati dall'intento di
«rinnovare» la letteratura e in particolare il teatro spagnolo, in
dichiarata opposizione sia alia tradizione secentesca e ai suoi di-
fensori, come Vicente Garcia de la Huerta, sia ai contemporanei
tentativi di gusto popolareggiante, quali i sainetes di Ramon de
la Cruz, leggevano e discutevano i maggiori esemplari della lette
ratura classicistica e illuministica francese e italiana, i poemi del-
PAriosto, del Tasso e del Boileau, le liriche del Filicaia, del Chia-
brera, del Frugoni, di J. B. Rousseau, e soprattutto le opere tea-
trali del Corneille, del Racine, del Moliere e del Voltaire; espesso
sottoponevano al giudizio degli amici i propri scritti di carattere
letterario o critico. Appunto attraverso queste animate riunioni,
in cui sappiamo che il Signorelli si distingueva per assiduita e spiri-
to battagliero, si viene maturando e precisando il pensiero e il
gusto del letterato napoletano.
Proprio durante il soggiorno spagnolo nascono le sue piu no-
tevoli opere letterarie: le Satire (Geneva, Stamperia Gesiniana,
1774) in versi martelliani e su argomenti tipici della contempo-
ranea letteratura illuministica italiana, come le lodi della vita ru-
stica, Timpostura, la smania del francesismo, ecc. ; e le commedie
Faustina (Lucca 1778), ricavata da un racconto del Marmontel,
Ueroismo fra i nemid (inedita, ma rappresentata nel 1780) e La
NOTA INTRODUTTIVA 591
tirannia domestica (stamp ata nel 1793 negli Opuscoli variiy ma com-
posta dieci anni prima): tre commedie «tenere», come Pautore le
definiva per distinguerle da quelle, da lui aborrite, del miovo ge-
nere larmoyant, e che cioe, secondo i principii del Voltaire, del
Marmontel, dei due Moratin, intendono svolgere e dimostrare una
tesi moralistica (che e sempre la vittoria della «ragione» e degli
affetti « naturali» sugli error! e i pregiudlzi social!) attraverso la
rappresentazione di una vicenda dolcemente patetica ma non pri-
va di tinte comiche accortamente mescolate. Ma e assai piu signi-
ficativo che proprio in Ispagna il Napoli Signorelli prenda coscien-
za della sua vocazione di critico e di storiografo della letteratura
e della cultura, e che qui componga le sue opere piu important!
in questo campo e in genere fra tutte quelle da lui scritte, La
storia critica de' teatri antichi e moderni, pubblicata nel 1777, e
in gran parte rielaborata per la seconda edizione, prima del
ritorno dell'autore in Italia, e le Vicende della coltura mile due Si-
cilie, stampate fra il 1784 e il 1786, ma certo gia terminate prima
deirottobre del 1782.
Nell'una e nell'altra opera ha senza dubbio parte notevole quel
gusto della ricerca erudita, deiraccertamento e della raccolta or-
dinata delle «verita di fatto», che ispira le opere del Tiraboschi,
delPAiFo, del Vernazza, delFAmaduzzi, con i quali il Signorelli
stesso teneva assidua corrispondenza per chiedere e fornire a sua
volta notizie e dati, e che accolsero con molto plauso i suoi due
lavori, a cominciare dal Tiraboschi, il quale, come si e visto, , cita
con onore, nella sua Storia della letteratura italiana, fra le migliori
indagini erudite contemporanee, le Vicende della coltura nelle due
Sicilie, e che certo avrebbe citato anche La storia critica de' teatri
antichi e moderni, se avesse gia potuto vederne la seconda e piu
ampia edizione del 1787-1790. Non aveva torto per6 il Napoli
Signorelli quando, in un appunto del 1786 destinato alPamico Ama-
duzzi (e parzialmente pubblicato dal Mininni), pur protestando la
sua ammirazione per il Tiraboschi, teneva a distinguere le sue
opere da quelle delPerudito bergamasco non solo per la diversita
degli argomenti ma anche e soprattutto per la presenza e la pre-
minenza di una precisa ispirazione «nlosofica». Questa «filosofia»,
come e facile immaginare ripensando alia formazione culturale na-
poletana e spagnola del Signorelli, e nel suo nucleo fondamentale
la «filosofia dei lumi» nella forma, che aveva preso appunto a
5Q2 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Napoli e in Ispagna, di voltairismo moderate : ed anzi va precisato
subito die il carattere e il merito primo delle due opere del Signo-
relli non consiste nella novita o nelTarditezza delle idee e neppure
in quelle sparse anticipazioni di gusto preromantico o neoclas-
sico sulle quali dovremo pure soffermarci, ma nell'aver applicato
i criteri di valore e gli schemi storiografici di quella filosofia a due
campi non ancora sistematicamente esplorati sotto tale punto di
vista.
Concetto fondamentale della Storia critica de' teatri antichi e
moderni e Fidea che «la poesia drammatica e la stessa morale po-
sta in azione», una idea, come ognuno sa, propria delFestetica
classica e classicistica, ma che il SignorelH intende - seguendo
Tinterpretazione in cui si accordavano il Voltaire, il Cesarotti (nel
Ragionamento sopra il diletto della tragedia) e i suoi amici spagno-
li - nel senso che il teatro debba purgare «le passioni smoderate»,
specie quelle funeste derivanti dal pregiudizio e dalFignoranza, e
quindi consentire il trionfo della «ragione» mediante la sugge-
stione esercitata suir«interesse)> dello spettatore dalla rappresen-
tazione efficace ma verosimile, varia nelfintreccio ma chiaramente
costruita, di fatti esemplari di universale signifkato umano. Que-
sto ideale di teatro e posto dal SignorelH quale punto di arrivo di
uno schema storiografico generale, comune cioe al teatro di ogni
nazione, che Fautore, utilizzando razionalisticamente elementi vi-
chiani, costruisce alFinizio della sua opera, e che si articola come
un ccprogresso » dalle originarie rozze e istintive «imitazioni)> di per-
sone e di fatti, alle prime rappresentazioni sceniche regolari an
cora limitate agli argomenti sacri e scritte in versi, alia trasforma-
zione dei teatri, per Fincremento della coltura, in «tante scuole di
sana morale)) volte a scoprire e a correggere «le ingiustizie, le
stravaganze e le ridicolezze » della societa, fino al momento in cui
tale azione moralizzatrice viene dalla ccvigilanza della legge» gui-
data e frenata, cosi che gli autori non solo sono trattenuti dal
degenerare in eccessi, ma anche stimolati «ad uscire dall'uni-
formita, a spianarsi nuove strade, ed a rendere il teatro piii vago,
piu vario, piu delicate »: uno schema a cui il Napoli SignorelH
si attiene poi in effetto, se non rigidamente, abbastanza fedelmente
nel tracciare la storia del teatro presso i singoH popoli, mostrando
per esempio il « perfezionamento » di quello greco da Eschilo ad
Euripide, da Aristofane a Menandro; di quello latino da Pacuvio
NOTA INTRODUTTIVA 593
a Seneca, da Plauto a Terenzio; di quello francese dal Corneille al
Moliere, al Racine, al Voltaire; di quello inglese dallo Shakespeare
all'Addison; di quello italiano dall'Ariosto e dal Trissino al Me-
tastasio, al Goldoni e airAlfieri; di quello spagnolo da Lope de
Vega ai letterati della Fonda de San Sebastian. Ma la sua adesione
alPideale illuministico di un teatro razionalmente istruttivo e pia-
cevolmente patetico, rispondente nella struttura e nello stile alle
esigenze della chiarezza, della verosimiglianza e della convenienza,
trova piu ampia conferma nei giudizi particolari sui singoli autori
e sulle singole opere, sia che egli si richiarni, citandoli o riassumen-
done il pensiero, ai critici che quelPideale avevano soprattutto
contribuito a formare, quali il Voltaire (che ha presente nello sten-
dere i capitoli sullo Shakespeare, sul Corneille e sul Racine), il
Brumoy e il Batteux (che segue nella parte relativa al teatro greco),
e poi gli italiani Maffei, Calepio, Martello e Bettinelli (ai quali si
ispira speciahnente nelle pagine sul teatro italiano); sia che egli si
impegni in valutazioni proprie, come, per fare solo qualche esem-
pio, nei capitoli dedicati al teatro spagnolo, i quali proprio dal-
Fapplicazione dei criteri dell'estetica illuministica traggono il loro
limite (si vedano le valutazioni sostanzialmente negative del Gon-
gora, di Lope de Vega, della Celestina, definita addirittura una
ascandalosa mostruosita »), ma anche il merito di rappresentare la
prima sistematica trattazione critica dell'argomento ; o come nei
lungo paragrafo sulPAlfieri, al quale il Signorelli giunge a ricono-
scere come «pregio singolare . . . Tarte grande di rintracciare entro
il piu intimo del cuore umano i pensieri che contribuiscono a
consumare i delitti)), ma le cui tragedie egli classifica poi secon-
do questo ordine significativo : «eccellenti» Bruto I, Bruto IT,
Merope, Oreste, Timoleone, Agide\ «buone con qualche neo» Saul,
Agamennone, Mirra, Antigone, Polinice, Virginia, Sofonisba, Fitip-
pOy «inferiori a queste» La congiura dei Pazzi, Ottavia, Don Gar-
zia\ «tollerabili appenaw Maria Stuarda e Rosmunda.
Ancor piu evidente, forse, Filliiminismo voltairiano del Signo
relli nelle Vicende della coltura nelle due Sidlie, e prima di tutto
poiche la storia vi e intesa - secondo Pesempio del Voltaire e dei
suoi seguaci, dal Robertson al Bettinelli al Denina (tutti frequente-
mente citati, anche se discussi in qualche particolare) - come imr-
razione delle «vicende» appunto della « coltura » nella $ua batta-
glia, guidata dai «filosofi» e dai principi illuminati, contro Tigno-
38
594 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
ranza, la barbaric, i pregiudizi politici, religiosi e letterari. Ma nel-
lo stesso ambito rientra anche quel principio dell'aamor di liberta»
che lo storico pone quale « movimento primario inerente all'umana
natura» in sostituzione del principio deir«amor del potere» pro-
posto dalPHelvetius e dal Filangieri, e nel cui soddisfacimento
consiste a suo giudizio il fine di ogni buon governo : poiche in ef~
fetto il suo concetto di «liberta», per quanto talora espresso con
fornmle rousseauiane, non ha nulla di rivoluzionario, ma trova la
sua perfetta realizzazione nel quieto benessere assicurato dalle
prowidenze escogitate dai «filosofi» e messe in atto dai principi.
Ispirandosi appunto a questi criteri egli vede la coltura nelle
due Sicilie cominciare e progredire nel periodo greco, raggiun-
gere il culmine negli ultimi tempi della repubblica romana e so-
prattutto sotto Fimpero illuminato di Augusto, per poi decadere
nei primi secoli dell'era volgare, mandare ancora deboli barlumi
come un «languido crepuscolo» durante le invasioni barbariche
e infine quasi del tutto oscurarsi «nel regno de3 Longobardi e
nelle accanite contese e nelle vittorie sanguinose de' Greci e de'
Saracini»; rinascere come una promettente «alba» sotto i monar-
chi svevi, protettori delle arti e del commercio, rifiorire sotto gli
Angioini e gli Aragonesi per poi decadere di nuovo sotto il dominio
spagnolo, fra I'indifferenza e 1'incompetenza dei vicere, le pre-
potenze dei baroni e le astuzie interessate dei legulei, gia in quel
secolo XVI che « chiamossi per adulazione pedantesca "illuminato"
ed "aureo", attendendo solo all'erudizione e alPeleganza introdotta
nelle lettere », mentre « per la sobria filosofia si considera epoca del-
la decadenza delle Sicilie », e poi ancor piu nel secolo successive,
in cui le Sicilie non solo soffrono mali politici maggiori che il
resto dell'Italia, ma subiscono altresi nella letteratura con par-
ticolare intensita 1'influenza deleteria del cattivo gusto spagnolo.
In questo oscuro quadro del Seicento il Napoli Signorelli non tra-
scura di porre in rilievo quei fatti che possano testimoniare la re-
sistenza all'imbarbarimento opposta dai popoli meridionali, ma e
sintomo significativo della sua mentalitk «moderata» sia il suo giu
dizio sulle rivolte popolari, come quella di Masaniello, che gli
sembrano effetti di «una sfrenata anarchia popolare di cui non
v'ha tirannide peggiore», sia la sua tendenza a sottolineare piut-
tosto Topera di scienziati puri come il Cristoforo e il Borrelli, che
quella di filosofi e riformatori come il Bruno o il Vanini, de
NOTA INTRODUTTIVA 595
quali condanna o cerca di attenuate «l'empieta», o come il Cam-
panella, di cui deplora, in pieno accordo col Tiraboschi e col
Buonafede, la partecipazione alia famosa congiura. Documento non
meno significative della mentalita e dei limiti del Napoli Signorelli
e il quadro della civilta meridionale nel Settecento die egli deli-
nea nel prime volume del Supplimento alle Vicende della coltura
mile Sitilie (1791) e nel Regno di Ferdinando IV (1798), e che poi
riassume e completa nei due ultimi tomi della seconda e defi-
nitiva edizione delle Vicende (1811). ccBorbonico di cuore, liberale
per isbaglio d'una corte accecata dalFodio che portava alia liber-
ta», lo giudicava severamente ma giustamente il Manzoni. In real-
ta, malgrado che egli fosse dovuto andarsene dalla Spagna per
ordine di Carlo III e che Ferdinando IV lo avesse mandato in
esilio nel 1799, anche nelle pagine scritte piu tardi si sente come,
malgrado alcune riserve particolari, rimanga intatta la sua ammira-
zione per P opera paternalisticamente riformatrice di questi sovra-
ni e per la cultura che sotto di essi si era sviluppata e in seno alia
quale egli stesso si era formato, la pacifica cultura del Genovesi
e del Filangieri, ai quali dedica elogi piuttosto generici ma pieni
di commosso rimpianto. E ancor piu interessanti, poich£ valgono
a far misurare la sua distanza da quei «giacobini» che essi pure
si erano formati in seno a quella cultura, sono i suoi duri giudizi
sulla Repubblica Napoletana del 1799 (nella quale aveva *ac-
cettato qualche carica, ma solo perche tratto dagli eventi), aVeftmera
repubblica che . . . crede di aver per se stessa conquistato il regno,
e si organizz6 a seconda del proprio capriccio ed interesse, e dispo
se delle cariche e delle ricchezze in vantaggio di coloro che essi
tenevano per patriotti, escludendone ogni uomo onesto di merito
sperimentato, e fabbric6 su questo pantanoso fondo tutti i suoi ca-
stelli» (Vicende della coltura nelle due Sicilie, vn, p. 287); e la sua
esultanza, certo caricata ma nel fondo sincera, quando «tutto di
piacer gestiente ripieno il petto » si accinge a descrivere la situazione
politica e culturale durante il regno di Giuseppe Napoleone e poi
di Gioacchino Murat.
Di questi giudizi bisogna tener conto anche per valutare esat-
tamente le frequenti polemiche, a cui egli volentieri si abbandona,
in difesa della cultura italiana e che, malgrado la violenza verbale
con cui sono condotte, non oltrepassano in realta i limiti di un
nazionalismo accademico, quale e quello, per intenderci, di un
59^ PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Tiraboschi, al cui fianco egli si trov6 non a caso nella piii accanita
delle sue battaglie letterarie, quella contro 1'ex-gesuita spagnolo
Lampillas: anche se, a differenza del Tiraboschi, per questa via
egli giunge a scrivere qualche pagina criticamente notevole, co
me quando, nella Storia critica de* teatri antichi e moderni, sotto-
linea Tefficacia del teatro rinascimentale italiano sul moderno tea-
tro europeo, o quando, nelle Vicende della coltura mile due Sicilie,
discutendo le affermazioni di chi, come il Bettinelli, aveva a suo
giudizio eccessivamente insistito sui debiti del Petrarca verso la
cultura provenzale, cerca di mostrare la diversita fra la profonda
e complessa ispirazione sentimentale del Canzoniere e gli esercizi
letterari dei lirici provenzali.
Piu che in questo nazionalismo polemico, comunque, Taspetto
piu nuovo del Napoli Signorelli parrebbe doversi indicare nella
sua esigenza di rendere giustizia ai caratteri e ai gusti particolari
di ogni epoca e di ogni popolo: esigenza spesso apertamente di-
chiarata, come quando egli afferma che ccqualunque produzione
deiringegno porta la divisa del proprio secolo, del costume, del
gusto corrente impressovi con caratteri indelebili»; che «per giu-
dicar dritto di un autor comico non basta intender Parte, ma con-
vien trasportarsi al di lui secolo »; e ancora che ccogni popolo ha
un gusto particolare, ed e stravagante il pretendere che il proprio
gusto abbia ad essere norma a tutti gli altri» (Storia critica de'
teatri antichi e moderni, n, p. 15; vn, p. 54; in, p. 54). Certo
sarebbe incauto prendere troppo alia lettera e interpretare come
sintomo di una mentalita consapevohnente storicistica queste affer
mazioni, che in realta non incrinano affatto (come nel Voltaire
e negli altri illuministi in cui non e difficile isolarne di simili) la
fiducia altrettanto chiaramente proclamata nelle regole eterne del-
la ragione e nel primato delle verita e delle bellezze universali,
valevoli per ogni tempo e luogo. Va detto pero che nel critico na-
poletano il riconoscimento dei caratteri e dei gusti particolari delle
varie epoche e dei vari popoli trova effettivo riscontro in alcuni
notevoli giudizi critici.
Tali giudizi non si incontrano di frequente, come forse ci si
attenderebbe, nelle pagine dedicate ai teatri stranieri, e neppure
nella sezione dedicata alia Spagna, dove invece prevale Tintento
di esaminare alia luce dei criteri della ragione Pinesplorato teatro
di quella nazione, e dove si puo al massimo indicare il capitolo
NOTA INTRODUTTIVA 597
dedicate al Calderon per la circostanziata analisi delle opere e
per rammissione finale che esiste in lui «uno spirito elettrico che
sfugge al tatto grossolano di certi freddi censori». Cosi pure,
nelle Vicende della coltura mile due Sicilie, la sistematica difesa
della civilta meridionale si risolve piuttosto nella indicazione e
magari esagerazione degli episodi e delle figure in cui brilli la luce
della « coltura», che nella individuazione delle forme caratteri-
stiche di quella civilta: e cio vale anche per alcune pur notevoli
pagine in cui, polemizzando ancora col Bettinelli, Fautore dimo-
stra come anche prima del Mille non fosse mai del tutto spenta la
cultura nell'Italia meridionale; o per quelle, pure degne di rilievo,
dove, parlando del Meli, sostiene la piena legittimita artistica della
poesia dialettale.
C'e pero effettivamente una zona dove i suoi giudizi si staccano
piu spesso e piu consapevolmente da quelli della critica illuministi-
ca, la zona cio& della poesia classica e specialmente greca. Che a
questa piu positiva valutazione abbia contribuito la suggestione
del Vico, parrebbe da piu di un accenno, come quando, a propo-
sito della teoria vichiana su Omero, il Signorelli afTerma che il
filosofo « voile insegnarci che le inarrivabili dipinture [omeriche]
furono eseguite con tale evidenza e conoscimento dei costumi
eroici che sembra che ciascuna parte della Grecia ancor barbara
ne avesse impastate le vivacissime tinte» (Vicende della coltura nelle
due Sicilie, I, p. 201); o quando rimproverava i censori delle in-
giurie violente che si incontrano nelYAiace di Sofocle, «per non
avere abbastanza riflettuto alia natura eroica di que' tempi lon-
tani che i tragici intesero di ritrarre», e in particolare al Calepio
(che aveva definite una «coda oziosa» la scena in cui Teucro
insiste perche il corpo del fratello non rimanga insepolto) ricorda
che adopo la vita era per gli antichi il piu importante oggetto
la sepoltura; e noi nel censurarli non dobbiamo dimenticare le
loro opinioni» (Storia critica de* teatri antichi e moderni, I, pp.
no e 1 1 6). Manca tuttavia al Signorelli un effettivo gusto del
primitivo e del barbarico, come dimostra, oltre la sua gia notata
preferenza per gli autori piu colti e raffinati quali Euripide e Me-
nandro, Seneca e Terenzio, qualche osservazione particolare rivela-
trice, per esempio quando, proprio dopo aver difeso le ingnirie
deWAiace con le considerazioni citate, egli sente il bisogno di ag-
giungere che in fondo non si tratta di ingiurie veramente triviali
59 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
e grossolane (Storia critica de' teatri antichi e moderni, i, p. 112).
Alia radice della sua preferenza per la poesia classica c'e piuttosto
il gusto di un patetico grandiose e vario, espresso in forme solen-
nemente « semplici », un gusto cioe che piu che al Vico si riallaccia
da un lato agli insegnamenti graviniani e anche a quelli dei « parti-
giani degli antichi » (da lui frequentemente citati, a cominciare
dai Dacier), e dall'altro si accorda con le tenderize del nascente
neoclassicismo italiano ed europeo. £ appunto a questa sua sen-
sibilita che si deve, per esempio, la distinzione fra il «pressoche
immenso e nelle sue grandiose fabbriche mirabilmente variato
Omero» e «un poeta limitato e non rare volte ridotto a ripetere
le stesse immagini e dipinture come Ossian» (Storia critica de'
teatri antichi e moderni, I, p. 17); alcune interessanti analisi del-
la Medea e di altre tragedie di Seneca, nelle quali egli sa indi-
care tra il sentenzioso e Partificioso «i tratti grandi e gravemente
espressi», «le passioni grandi rilevate . . . con uno stile vigoroso
•ed energico»; e soprattutto una serie di acuti confronti fra opere
classiche e opere classicistiche, tra YIppolito di Euripide e la Fedra
•del Racine, fra VAnfitrione di Plauto e quello del Moliere, ecc.,
in cui il confronto si risolve in una positiva caratterizzazione non
solo del poeta antico ma anche del moderno.
Piu particolareggiate « analisi comparative)) sono contenute nei
tre tomi Delle migliori tragedie greche e francesi (1804-1805), dove
non manca qualche altra pagina critica notevole, ma si fa pero piu
evidente, per Taccentuarsi della tendenza ad erigere la tragedia
greca quale modello ideale, la distanza che separa il Signorelli
da una mentalita dawero storicistica. Questa distanza e in genere la
sua incapacita di oltrepassare veramente i limiti del pensiero e
del gusto illurninistico, sono testimoniate anche piu chiaramente
da due opere teoriche composte e pubblicate, come la precedente,
a Milano, dove il Signorelli si era trasferito, dopo qualche anno
passato in Francia, in seguito al suo esilio da Napoli, e dove egli
rimase dal 1800 al 1804 esercitando gli incarichi di professore
di poesia rappresentativa al Liceo di Brera e di direttore di decla-
mazione nelTAccademia del Teatro Patriottico. Nella prima opera,
nata appunto in margine a queste attivita e che si intitola Elementi
di poesia drammatica (Milano 1801), ritorna, fondamentale, il
concetto che ceil teatro, che abbraccia cotanta parte della societa,
& il solo atto ad occupare Paltissimo incarico di pubblico educatore,
NOTA INTRODUTTIVA 599
il solo educatore bene accolto poiche unisce Futilita al diletto»
(p. i>)' e intorno a questo concetto si dispongono con pacifico eclet-
tismo i principii dell'estetica razionalistica e sensistica, da quello
dell'arte come (cimitazione della verita velata e abbellita dalla
finzione» a quelli della verosimiglianza, dell'unita nella varieta,
del patetico educative e similL Per dare un'idea delFaltro trattato,
Del gusto (Milano, Galeazzi, 1802; ripubblicato, con poche varia-
zioni e col titolo Del gusto e del Bello, a Napoli, Orsino, 1807),
bastera citare le definizioni, che vi sono contenute, del gusto, «un
sentimento pronto e delicato che misura il piacere e rileva Fessen-
za del Bello e del deforme, rintracciando le regole delFarte sua
imitatrice» (p. 17), e del Bello, «ci6 che in s6 contiene la ragione
di eccitare nel nostro intelletto 1'idea piacevole dei rapporti col-
Funita colla proporzione colFordine colFarmonia delle parti » (p.
41): definizioni a cui Fautore stesso dichiara di esser pervenuto
acogliendo il piu bel fiore» del Crousaz, delFHutcheson, dell1 An
dre e del Pagano.
Ne diversamente impostate sono altre due opere, che il Signo
relli compose negli ultimi anni della sua lunga vita, pacificamente
trascorsi a Napoli, alFombra del governo muratiano, e che furono
pubblicate dopo la sua morte, awenuta il i° aprile 1815: il trattato
Sulla satira antica e moderna (stampato negli «Atti della Societa
Pontaniana», in, 1819) e le Ricerche sul sistema melodrammatico
(negli stessi «Atti», IV, 1847), fondate queste ultime sulFidea,
anch'essa tipicamente settecentesca, che Fopera in musica e «quel-
la azione che sulle umane modellata si espone agli ascoltatori
per trattenerli gratamente» e naturalmente per contribuire, at-
traverso questa grata emozione, alia purgazione razionale delle lo-
ro passioni.
L'elenco complete dei molti scritti editi ed inediti di Pietro Napoli
Signorelli si trova in appendice al volume del Mininni citato piu avanti.
Le opere di maggior rilievo sono state ricordate nella precedente Nota
introduttiva. Aggiungiamo qui il Discorso storico critico da servire di htme
alia « Storia critica de' teatri » e di risposta alTautore del « Saggio apologetico »,
Napoli, Amato Cons, 1783 (diretto a ribattere le accuse mossegli dal
LampiUas negli ultimi due volumi del suo Saggio storico apologetico della
letter atura spagnola, Genova 1778); il Discorso istorico, premesso al volu
me i (1788) degli «Atti della R. Accademia napoletana di Scienze e Let-
tere», di cui il Signorelli era allora segretario; i quattro volumi di Opuscoh
600 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
varii, Napoli, Vincenzo Orsino, 1792-1795 (dove sono raccolte, fra Paltro,
le commedie Faustina e La tirannia domestica) ; e infine i tre volumi degli
Elementi di critica diplomatica con istoria preliminare, stampati il I a Parma,
Mussi, 1805, e il ii e m a Milano, Stamperia e Fonderia Al Genio, 1805;
ai quali fa seguito un iv volume di Elementi di diplomatica politica, Napoli,
Vincenzo Orsino, 1808.
Gli studi complessivi sul Napoli Signorelli si limitano al vecchio scrit-
to di P. M. AVELLINO, Elogio storico di P. Napoli Signorelli, nel « Giornale
enciclopedico », I (1816), pp. 160-201, e poi in «Atti della Societa Ponta-
niana», in (1819), pp. XXXIV-LVII; e alia monografia, criticamente assai
modesta ma importante per le notizie sulla vita e sugli scritti, di C. G.
MININNI, P. Napoli Signorelli. Vita, opere, tempi, amid, con lettere, docu-
menti ed altri scritti ineditit Citta di Castello, Lapi, 1914 (da integrare con
le recensioni di G. BROGNOLIGO, in «Rass. crit. d. lett. it. », 1914, pp. 53-6;
e di C. CALCATERRA, in <cGiorn. stor. d. lett. it. », LXVI, 1915, pp. 234-54).
In particolare sulla Storia critica de* teatri antichi e moderni si veda:
V. CIAN, Italia e Spagna nel secolo XVIII. G. B. Conti e alcune relazioni
letter arie fra V Italia e la Spagna nella seconda meta del Settecento, Torino,
Lattes, 1896, pp. 165-208 (soprattutto sulla parte relativa al teatro spa-
gnolo). Sugh Elementi di critica diplomatica'. N. BARONE, Pagine di storia
della diplomatica, in «Atti dell'Accademia Pontaniana», 1908; R. GUARI-
GLIA, P. Napoli Signorelli, maestro di diplomazia, in « Nuova Antologia »,
LXXXVIII (1953), fasc. 115, pp. 3-18. Non vanno infine dimenticate le ra-
pide ma criticamente importanti indicazioni di M. FUBINI nello studio
Racine et la critique italienne (1939), ristampato nel volume Dal Muratori
alBaretti, Bari, Laterza, 1954 (cfr. specialmente lepp. 402-3 ; 408-9 ; 421-2).
DALLA ASTORIA CRITICA DE' TEATRI
ANTICHI E MODERNS
[I]
In qudli cose si rassomigU ogni teatro.1
Una catena d'idee uniformi fece spuntar la poesia rappresenta-
tiva in tanti paesi che insieme non comunicavano ; ed il concor-
so di altre simili idee, soprawenute a moltissime societa pure
senza bisogno di esempio, le condusse a produrre alcuni fatti co-
muni a tutti i teatri.
L'idea di stendere la Storia critica de' teatri antichi e moderni nacque alia
mente del SignorelH durante il suo soggiorno in Spagna, e in particolare
durante le fervide conversazioni tenute nella Tertulia literaria de lafonda
de San Sebastian, conversazioni in cui i problemi teatrali avevano, come
sappiamo dal SignorelH stesso, parte preponderante. L'autore aveva gia
pronta la sua opera quando torno in Italia nel 1777, tanto da poterla far
stampare in quell5 anno stesso a Napoli, presso la Stamperia Sansimoniana.
A questa prima edizione, in un solo volume, il Signorelli ne fece seguire
una seconda, gia in parte iniziata in Spagna, e che fu pubblicata a Napoli,
presso Yincenzo Orsino, in sei tomi, il I e il n nel 1787, il in nel 1788,
il iv nel 1789 e il v nel 1790: edizione assai piu ampia della prima, per
1'aggiunta di paragrafi su molti scrittori minori e di analisi di parecchie
opere, ma nella struttura e nello spirito sostanzialmente fedele alia prima.
Un volume di Addizioni usci poi a Napoli, presso Migliaccio, nel 1798.
Infine una terza e definitiva edizione della Storia, in cui venne rifusa la
materia delle Addizioni, e corredata di nuove aggiunte, fu pubblicata ^ nel
1813 a Napoli, presso Vincenzo Orsino, in dieci tomi (di cui I'ultimo
distinto in due volumi), nei quali gli argomenti sono cosi distribuiti:
nei primi due tomi si tratta del teatro greco, nel ill e nel IV del teatro
latino e di quello medioevale; nel v, nel vi e nel vn del teatro italiano,
inglese, francese, tedesco e spagnolo del Cinquecento e del Seicento:
nell'vm, IX e x del teatro di queste e altre nazioni nel Settecento. In
appendice al iv tomo e ristampata la Prolusione alle lezioni di poesia rap-
presentativa, tenuta e pubblicata per la prima volta nel 1801 (Milano,
Veladini). I passi qui riprodotti sono tratti da questa ultima edizione.
Le note del Napoli Signorelli sono seguite dalla sigla N. S.
i. Dalla Storia critica de' teatri antichi e moderni, ed. cit., I, pp. 12-22.
Si noti in questo passo come il Signorelli, oltre le singole remimscenze
che verranno notate, abbia tratto dal Vico e appHcato alia storia del teatro
il principio esposto neUa degnita mi: «Idee uniformi nate appo intien
popoli tra essoloro non conosciuti debbon avere un motivo comune di
vero», e 1'altro fondamentale principio, espresso nella degnita LUi e in
tanti altri luoghi della Sdenxa nuova, del ritmo eterno di sens©, fantasia
e raziocinio; e abbia tenuto presente altresi il capitolo intitokto Istona de
poeti dramatici e Uriel ragionata (cfr. La scienza nuova, in Opere, a cura di
F. Nicolini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1953, PP- 762-7)-
602 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Come il genere umano diviso in grandi famiglie e societa ci-
vili ha la sussistenza di esse assicurata colPunione delle forze
particolari, e proweduto al comodo colla fatica, tosto si volge a
procacciarsi riposo e passatempi. Manifesta allora lo spirito imi-
tatore, e chiede un teatro. Ma dall'idea complicata di societa non
pu6 a ragione scompagnarsi quella di una divinita e di un culto
religioso1 (malgrado de' sofismi e delle sceme induzioni de' mo-
derni lucreziani), e tali idee nelT inf anzia delle nazioni agisco-
no con tanto maggior vigore, quanto minore e la fiducia che al
lora ha Tuomo nella debolezza del proprio discorso. Quindi e che
non si tosto egli comincia a far prova delle forze del suo inge-
gno, che ne dirige le primizie a quella Prima Cagione da cui sente
interiormente di dipendere. Troviamo perci6 nella storia ante-
riore ad ogni profana produzione gli oracoli composti da sacer-
doti gentili, le greche poesie nomiche e ditirambiche ad Apollo e a
Bacco, i versi saliari del Lazio, grinni peruviani al Sole, quel-
le de' Germani alle loro guerriere divinita, e tanti altri. Pieni
adunque i popoli di tali idee religiose molto naturalmente le tra-
sportano eziandio ne5 loro passatempi, i quali in tal guisa quasi
consacrati si cangiano in una specie di rito; ond'e che per primo
fatto generale osserviamo che in tanti paesi tutte le prime rappre-
sentazioni furono sacre.
II nostro intendimento poi, il quale da' sensi attende le no-
tizie delle cose esteriori, non in un tratto ma successivamente
si arricchisce. Egli si awezza al facile, cioe ad osservare i parti
colari e a dipingerseli; e prima di avere acquistata una gran copia
d'unmagini e di averle in mille guise combinate, non pu6 per
una piena induzione sollevarsi agli universali, donde comincia il
sillogismo. L'uomo adunque precede per gradi ne' lavori del-
Pingegno, ed e naturalmente prima poeta che filosofo. Perci6
i. Plutarco nel libro Contra Colote [31, 1 125 e] afferma con asseveranza che
possono ben trovarsi nel mondo citta senza mura, senza lettere, senza re,
senza case, senza facolta, senza moneta, senza teatri, senza ginnasi; ma senza
templi, senza numi, senza oracoli, ou£si<; Icmv ouSl laral yeyovGi; -8-ear^c;,
n£ alcuno la vide ne* la vedra mai. II Warburton nella sua Divina missione
di Mose validamente sostiene la necessita della religione per la societa
(N.S.)- L' opera citata del teologo inglese William Warburton (1698-1779),
Divine Legation of Moses demonstrated on the Principles of a Religious Deist,
fu pubblicata tra il 1737 e il 1741. Ma per lo stesso concetto cfr. anche
Vico, La sdenza nuova, ed. cit., p. 480.
STORIA CRITICA DE' TEATRI ANTICHI E MODERNI 603
s'incontra da per tutto la poesia coltivata prima della filosofia
e Pesercizio del verseggiare anteriore allo scrivere in prosa.1 Co-
minciando dagli Ebrei Popera letteraria piu antica sono i Cantid
del loro legislatore Mose. In versi erano le memorie de' defun-
ti scolpite nelle colonne egiziane, ed intorno alle urne lagrimali
poste ne' sepolcri d'Iside e di Osiride vedevansi incise alcune can-
zoni, come puo leggersi nel primo libro della storia di Diodoro
Siculo. Tra' barbari le prime leggi dettaronsi in canzoni.2 Se-
condo Ateneo nelle feste degli Ateniesi cantavansi le leggi del
nostro Caronda.3 I Goti, feroci popoli antichi della Scandinavia
die abitavano nelle coste del Baltico, ebbero le famose poesie
runiche che talora erano ancor rimate, e i loro poeti detti ascal-
di», i cui canti chiamaronsi zoyses.4 I Celti, nazione piu antica e
piu potente dej Goti, pregiarono sommamente i loro ccbardi». Tra
gli antichi Scozzesi ed Irlandesi di origine celtica fiorirono mol-
tissimi cantori appellati parimenti ccbardi», nel cui ordine sembra
che avessero luogo ancor le donne per quello che apparisce dal
poema di Ossian intitolato Canti di Selma:
. . . vedi con esso
i gran figli del canto, Ullin canuto
e Pino il maestoso, e il dolce Alpino
i . Ci6 ne sugerisce un f ondato raziocinio sostenuto da antichissime tradi-
zioni e dalla storia : che che ne abbiano pensato in contrario Ludovico Castel-
vetro nelle sue esposizioni alia Poetica di Aristotile, Le Batteux nella sua
opera Le belle arti ridotte ad un principio, e 1'autore [anonimo] dell'articolo
Prose nel dizionario deWEnciclopedia (N. S.)- L' opera del Castelvetro a cui si
allude e la Poetica d> Aristotile vulgarizzata ed esposta (15?°): quella del
Batteux (e non Le Batteux come il Signorelli costantemente scrive) il
trattato Les beaux arts reduits a un meme principe (1746). L'idea della
precedenza della poesia rispetto alia prosa risale in ogni modo al Vico (cfr.
La scienza nuova, ed. cit., p. 559 e passim), anche se si ritrova poi nei
pensatori sensisti. 2. Aristotile nel I de' Politici. Pu6 anche vedersi su
di cio Topera di Goguet, De Vorigine des loix, [des arts et des sciences et
de leurs pr ogres chez les anciens peuples, Paris 1758], torn. I, part. I, lib. I
(N. S.). L' opera del Goguet, piu volte ristampata, e importante soprattutto
in quanto viene ad infirmare la tesi del Rousseau sullo stato di natum
II luogo di Diodoro Siculo: I, xxi, 9. 3. Caronda, uno dei piu anticM e
famosi legislatori del mondo greco, dette le leggi alia citta di Catania,
4 Olao Wormio, De litteratura runica; e Mallet, neWIntroduzione alia
storia di Danimarca (N. S.)- L'opera di Ole Worm .(1588-1654), ^edko
ed erudito danese, fu pubblicata nel 1636. Per quella del MaBet cfr., alle
pp. 115-6, la nota al v. 410 di Fingal.
604 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
dalV armomca voce, e di Minona
il soave lamented
Secondo Tacito i German! non aveano altra storia se non che i
canti de' loro bardi.z Lino, Orfeo, Museo, Esiodo, Omero, ecc. fio-
rirono in Grecia molto tempo avanti che scrivessero in prosa Cad-
mo ed Ecateo milesii e Ferecide siro,3 maestro di Pitagora. Gli
anzinominati versi saliari latini sono anteriori alia prosa usata
la prima volta da Appio Cieco contro Pirro. AU'emergere dalla
seconda barbaric le moderne nazioni europee, prima di avere chi
potesse dettare uno squarcio di prosa competente, abbondarono di
trovatori provenzali e di rimatori siciliani. I Lapponi, popolo
assai materiale e barbaro, fanno versi. Ne fecero in AfTrica e in
Asia molti negri ed indiani senza lettere. Nel Nuovo Mondo i Ca-
raibi, i Brasiliani, gli abitanti della Florida e del Mississipi,
gFIrochesi e gli Uroni compongono canzoni.4 1 Messicani ne inse-
gnavano alcune aj fanciulli, le quali contenevano le imprese de'
loro eroi e servivano d'istorie. ((Strana cosa» diceva il sig. di
Voltaire «che quasi tutte le nazioni abbiano prodotto poeti pri
ma di altri scrittori».s Non v'ha cosa meno strana di questa. La
prosa, colla quale si ragiona ordinatamente, abbisogna di metodo
e di principii che non si acquistano prima che Tintendimento si
perfezioni. La poesia che dipigne, abbisogna d'irnmagini che rap-
presentano le cose, la cui storia dalla prima eta si va imprimen-
i- Veggasi la bella versione de* poemi pubblicati sotto il nome di Os-
sian fatta dal sig. ab. Melchiorre Cesarotti sulla traduzione inglese di
Macpherson, impressa in Padova nel 1763. Questo famoso bardo celtico
di Scozia, figliuolo di Fingal, che scrisse in lingua ersa o gallica, merita
un posto distinto tra* poeti, bench6 al pressoche immenso, e nelle sue
grandi fabbriche mirabilmente variato Omero, non sembri paragonabile
un poeta limitato e non rare volte ridotto a ripetere le stesse immagini e
dipinture come Ossian (N.S.). Per i versi citati cfr., alle pp. 248-9, I canti
di Selma, 24-8. 2. Secondo . . . bardi: cfr. Germ., 2. 3. Gli antichi dispu-
tavano se il primo prosatore greco fosse Cadmo di Mileto, presunto autore
di una Fondazione di Mileto e di tutta la Ionia, o Ferecide di Siro, che scrisse
una cosmogonia intitolata VAntro dai sette recessi: Puno e 1'altro fioriti nel
VI secolo a. C. ; del V secolo incipiente e Ecateo di Mileto, il maggiore dei
logografi. 4. Vedi la Dissertazione del dottor Browon sulla nascita, 1'u-
nione, il potere, i progressi, la separazione e il corrompimento della poesia
e della musica, stampata in Londra nel 1763 (N. S.). 5. Cfr. Essai sur la
poesie epique, v, in Oeuvres, vin, Paris, Hachette, 1902, p. 22: « chose
estrange que presque toutes les nations du monde aient eu des poetes
avant que d'avoir aucune sorte dJ6crivains ».
STORIA CRITICA DE» TEATRI ANTICHI E MODERNI 605
do nella fantasia. Oltre a cio gli scrittori primitivi ambivano
di scostarsi dal favellar volgare, e non essendo ancor destri abba-
stanza per conseguirlo nella sciolta orazione che aveano comune
con tutti, adoperarono la meccanica dej versi, i quali subito e a
poco costo allontanansi dal linguaggio naturale. Quindi si scorge
perch6 tutte le prime composizioni sceniche (come non molto lon-
tane da' primi passi delle nazioni verso la coltura) si trovino scritte
in versi, cbe e il secondo fatto generale da notarsi ne' teatri.
Ma quando le societa diventano piu colte, veggonsi tosto
gPinconvenienti che produce quel mescolarsi un divertimento
colle delicate materie religiose. Allora le classi de' cittadini si
vanno aumentando, si assegnano a ciascuna di esse i lirniti e le
cure corrispondenti; e la religione intatta e rispettata va a sedere
in un trono augusto e sublime, donde si vede a* piedi gli autorevoli
capi delle societa, non che i poetici scherzevoli capricci. Da tal
punto i poeti teatrali tutta rivolgono la curiosita verso gli oggetti
non religiosi, notano le grandi rivoluzioni e gli evenimenti me-
diocri, ne scuoprono le ingiustizie, le stravaganze, le ridicolezze,
ne tentano la correzione, e i teatri fortunatamente si cangiano in
tante scuole di sana morale. £ questo il terzo fatto osservato in
tutti i teatri.
Cresce poi nelle nazioni colla coltura la popolazione, colla po-
polazione la ricchezza, colla ricchezza il lusso, e col lusso cre-
scono nuovi bisogni e nuovi mali. II teatro che vuol considerarsi
come uno de' pubblici educatori, per rimediare a que' mali so-
vente eccede, trascorre, inveisce e degenera in malignita, e tal-
volta awiene che si corrompa coU'esempio del resto della societa.
NelTuno e nelTaltro caso viene dalla vigilanza della legge corretto
e richiamato al dovere. Ma questo freno che apparentemente avreb-
be dovuto inceppare Pattivita degFingegni, in tutti i teatri che co-
nosciamo bene, ha prodotto awenturosamente un effetto assai
diverso. Imperciocche, in cambio di trattenere il volo dell'immagi-
nazione de' poeti, la legge gli ha costretti ad uscire dalVuniforanta^
a spianarsi nuove strade, ed a renders il teatro piu vago, pill vario^
piu delicato. Ed e questo il quarto fatto da notarsi, che noi trovere-
mo awerato in tutti i teatri europei, e dall'analogia delle idee ci
sentiamo inclinati a conchiudere che troveremmo eziandio ne*
teatri orientali e in quello del Peru, se gli storici e i viaggiatori,
da' quali soltanto noi possiamo instruirci sulla legislazioae e la
6o6
PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
poesia di tali region!, si fossero awisati di riguardarli nel punto di
vista die qui presentiamo.
Or da quanto si e ragionato scende per natural conseguenza
che la poesia rappresentativa non nasce nelle tribu de' selvag-
gi, perche essa richiede maggior complicazione d'idee per saper
volgere rimitazione in satira ed istruzione. In fatti nelle picciole
nascenti popolazioni del vecchio e del nuovo continente trovan-
si si bene i semi della drammatica, cioe saltazione, canto, ver-
si, ma non rappresentazione che meriti di chiamarsi teatrale.
Ne segue parimenti un'altra filosofica e sicura conseguenza, cioe
che la poesia teatrale prende 1'aspetto della coltura di ciascun po-
polo: se esso non eccede i costumi primitivi e semplici, Pimi-
tazione scenica ne secondera la materia: se ha costumi barbari,
feroci, romanzeschi, il teatro gl'irnitera: e se si giunga all'ultimo
rafEnamento e alia doppiezza propria de' popoli culti, nasceranno
i Tartuffi de' Molieri e i Cleoni de' Cresset.1
[II]
[L\(Ippolitoy> d'Euripide e la « Fedra » di Racine.}2
La scena dell'atto secondo, in cui Fedra manifesta alia nutrice
la cagione del suo male, fu ancora trasportata quasi interamente
dal Racine nella sua tragedia, a riserba3 di uno squarcio molto
delicato, in cui Fedra risponde alle istanze della nutrice:
Ah prevenirmi perche mai non puoi?
Perche non dir tu stessa
do che forza e scoprire?4
i. i Cleoni dey Gresset: allude al protagonista della commedia Le mechant
di Jean-Baptiste Gresset (1709-1777), in cui e rappresentato satiricamente
un carattere egoista e maldicente, per puro gusto di noirceur. II Napoli
Signorelli si sofferrna su questa commedia nella Storia critica de* teatri
antichi e moderni, ed. cit., viu, pp. 147-53. 2- Dalla Storia critica de'
teatri antichi e moderni, ed. cit., I, pp. 158-61. Un confronto piu ampio
e particolareggiato fra le due tragedie verra poi svolto dal Signorelli nella
Analisi comparativa dett'tlppolito » greco e della « Fedra vfrancese, nel tomo I
delFopera Delle miglion tragedie greche e francesi, ed. cit., pp. i-xxxii,
come introduzione alle proprie traduzioni delle tragedie stesse. In questo
secondo confronto sono piu numerose le riserve sulla tragedia francese.
3. a riserba: ad eccezione. 4. Traduce liberamente il v. 345 deWIppolito
di Euripide, che letteralmente suona: «Ahime! Perche non mi dici tu
stessa le parole che io dovrei dire?».
STORIA CRITICA DE> TEATRI ANTICHI E MODERNI 607
Per altro Tillustre txagico francese scorre piu rapido e con maggior
nerbo, ne si ferma come fa Euripide a far dire da Fedra alia nu-
trice: «Sai tu che mai sia una certa cosa che si chiama amore?»;
e giudiziosamente si appiglia subito a quelle parole: «Conosci
tu il figlio dell'Amazone.V Anche la scena di Teseo ed Ippo-
lito nell'atto quarto e stata dal Racine copiata maestrevolmen-
te ; ma la greca riesce piu tragica e importante per lo spettacolo
di Fedra morta. Racine in somma si e approfittato, da gran-
de ingegno ch'egli era, della tragedia greca; ma avendo preso
un cammino alquanto differente, ne ha dovuto perdere non poche
bellezze, come il dolore di Teseo per la morte di Fedra e la tra
gica scena d'Ippolito moribondo. II racconto della di lui morte e
vagamente ornato ma con sobrieta e naturalezza nel greco, e so-
verchio pomposo e poetico nel tragico francese. Osserva il lodato
Brumoy che alTincontro del mostro il poeta greco, pieno del ter-
rore che ne presero i cavalli, non presta ad Ippolito altro pensiero
se non se quello di governarli. Seneca gli diede maggior coraggio
facendolo disporre ad assalire il mostro. Racine passa piu oltre,
e fa che arrivi a lanciare un dardo che lo ferisce. ccNel che» sog-
giugne quell'erudito «si scorge il progresso della mente umana che
tende sempre alia perfezione ».2 lo ardisco dissentire dal di lui av-
viso. Ognuno de* tre potrebbe trovare qualche partigiano che ne
approvi rimmagine che rappresenta; ma il greco a me sembra assai
piu internato nella verita delPorribil caso. E questo ne addita lo
spirito de* Greci ognora intento a copiare con esattezza la natura
e lo spirito dej moderni propenso a spingerla oltre, a manierar-
la, a preferire al vero lo specioso. Questo confronto degli au-
tori antichi e moderni in un medesimo argomento e il vero modo
di pesarne il merito rispertivo, e di studiare nel tempo stes-
so Tarte drammatica con fondamento. In simil guisa si rileva
Fartificio usato da' diversi scrittori nel maneggiare le passianiy ma-
teria essenziale della poesia drammatica che non varia per tempo
ne per luogo. II tacciar quelli o questi per le maniere^ per un de-
coro locale, variabile e incostante al pari della moda (siccome fanno
certi critici moderni), e un far la guerra agli accidenti e sfuggire la
1. Traduce liberamente i w. 347 e 351 dell5 'Ippolito di Eimpide, cbe,
esattamente resi, suonano : « Che e dunque ci6 che si chiama amare presso
gli uomini?», e «Colui, chiunque esso sia, che nacque daIFAmazzaae»*
2. Cfr. P. Brumoy (su cui vedi la nota i a p. 49), Le th&&re des
Paris 1763, n, pp. 327-8.
608 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
sostanza della contesa, e un volere allucinar volontariamente se
stessi e chi loro crede. Di grazia, quando anche accorderemo a
Udeno Nisieli, a Pietro da Calepio1 e ad ogni altro che Ippolito,
trafitto dalla sventura che soffre immeritatamente, sia trascorso in
una espressione che sente alcun poco d'irreligione verso gli del,
che cosa avremo appreso de' pregi inimitabili di questa bella tra-
gedia ? I giovani non ne sapranno se non che un neo forse in parte
scusabile per la veemenza della passione che rare volte lascia al-
Tuomo tutto 1'uso della sua ragione. E forse da queste critiche
esagerate su i difetti piii che su i pregi degli antichi proviene la
moderna non curanza delle favole greche, e 1'idolatria per le ro-
manzesche degli ultimi tempi.
[in]
[L'«Anfitrione» di Plauto e quello di Moliere.]2
Moliere accrebbe la piacevolezza di tale argomento col dare a
Sosia per moglie Cleanthis che e il personaggio di Tessala intro-
dotto da Plauto, e colTimmaginare che essa al pan di Alcmena
sua padrona ammetta in casa come proprio marito un altro Sosia.
Piace oggi questa graziosa ripetizione de' colori comici impie-
gati nelTazione de' personaggi principali; e Moliere stesso se ne
valse felicemente nel Dispetto amoroso,3 e la praticarono alcuni ita-
liani del Cinquecento e i comici detti dell'arte, ed anche nel teatro
spagnuolo del passato secolo il grazioso* ripete colPinnamorate le
parole dette da' padroni, facendone per lo piu una parodia. Ma agli
antichi, e specialmente a Plauto, forse ci6 sarebbe sembrato una
spezie di poverta. Ogni popolo ha un gusto particolare, ed e stra-
vagante il pretendere che il proprio gusto abbia ad essere norma
a tutti gli altri. Comprendo che la pratica del teatro dimostra non
esser priva di grazia tale ripetizione, e singolarmente quando si
i. U. Nisieli (Benedetto Fioretti, su cui cfr. la nota i a p. 358), Progim-
nasmi poetici, Firenze, Matini, 1695, i, P- 146; e P. de' conti di Calepio,
Paragone della poesia tragica d* Italia con quella di Francia e sua difesa,
Venezia, Zatta, 1770 (i edizione 1732), pp. 112-3. 2. Dalla Storia critica
de' teatri antichi e moderni, ed. cit., in, pp. 54-8. 3. nel Dispetto amoroso:
nel Depit amour eux (1656) alia vicenda principale di Eraste, Valere e Lu
cille comsponde quella secondaria, e apertamente comica, di Gros-Rene,
Mascarille e Marinette, loro servL 4. ilgrazioso: cosl era chiamato (pro-
priamente gracioso) nel teatro spagnolo il personaggio comico di una corn-
media e 1'attore che lo rappresentava.
STORIA CRITICA DE' TEATRI ANTICHI E MODERNI 609
colorisce con vivacita, e si varia in alcuna parte, come uso Moliere.
Ma non ardirei per questo di asserire con soverchia franchezza
(come seguendo Bayle1 fassi da alcuni i quali sogliono mirar gli
oggetti da un lato solo) che in ci6 il f ranees e superb il suo mo-
dello. Dicasi la stessa cosa dello scioglimento usato dall'uno e
dall'altro comico. II latino, secondoche ben conveniva in un teatro
ripieno di superstiziosi adoratori di Giove, fa che questo padre
degli dei preceduto dallo strepito de* tuoni comparisca nel teologiony
o pulpito des nurni, manifesti Taccaduto, e comandi ad Anfitrione
di rappacificarsi colla moglie, e che costui piegando la fronte al
decreto soggiunga:
Faciam ita ut lubes . . .
Ibo ad uxorem intro?
Ma il francese ora che tali divinita sono appunto divenute comi-
che larve, accomodando Pazione a' tempi moderni, fa che Sosia
con molta piacevolezza tronchi il compimento di congratulazione
di Naucrate:
Le grand dieu Jupiter nous fait beaucoup d'honneur . . .
mais enfin coupons aux discours . . .
Sur telles affaires toujours
le meilleur est de ne rien dire2
Egli e vero che non senza ragione madama Dacier4 imputa a Plau-
to lo studio di filosofare con qualche affettazione; ma in questa
favola sparge alcuna massima fHosofica senza gonfiezza, e come
si farebbe in una conversazione. Cosi nel prologo,
. . . iniusta ab iustis impetrare non decet;
iusta autem ab iniustis petere, insipientia *st.5
E pOCO dopo,
Virtute ambire oportet, non favitoribus.
Sat habet favitorum semper qui recte facitf
1. Bayle: nella voce su Plauto del Dictionnaire historique et critique (1697).
2. Plauto, Amph., 1144-5 («Far6 come comandi . . . Andro in casa da
mia moglie »). 3. Moliere, Amphitrion, atto in, scena x. 4. Anne Le-
fevre Dacier (cfr. la nota a p. 71) pubblic6 nel 1683 una traduzione
commentata di tre commedie plautine (Amphitruo, Rudens, Epidicus),
alia quale allude il Signorelli. 5. Plauto, Amph., 35-6 («non conyiene
pretendere dai giusti azioni ingiuste; ma chiedere azioni giuste dagli in-
giusti e una sciocchezza»). 6. Amph., 78-9 («Bisogna tendere agli onori
con la -virtu, non grazie ai protettori. Ha sempre abbastanza protettori
chi agisce rettamente»).
39
6lO PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
E nelPatto n, scena 2,
. . . ita quoique comparatum est in aetate hominum,
ita diis placitum, voluptati ut moeror comes consequatur. I
Si osservi finalmente in qual maniera Anfitrione adirato nella sce
na 3 delTatto iv sollevi il tuono del dire, e minacci udendo che
Alcmena e in procinto d*infantare,
Numquam aedepol me inultus istic ludificdbit, quisquis est, etc.2
A nostra istruzione Orazio aveva gia detto
Interdum tamen et vocem comoedia tollit,
iratusque Chremes tumido delitigat ore.3
Ma che pro ? I pedanti loschi vorrebbero ridurre questo poema a
quattro riboboli del popolaccio, e Pimmaginazione della gioven-
tu a un limitato numero di picciole idee. Ma essa che e la speran-
za delle belle arti, rompa oramai que* ceppi pedanteschi, e si av-
vezzi a studiare la natura, a consultare il proprio cuore, a ritrarre
la societa, a ridere sul viso degli orgogliosi pedagoghi, ascoltando
i consigli del buon gusto.
[iv]
[Analisi della aMedeav di Seneca.]*
Se v'ha tralle tragedie latine conservate alcuna che sostenga il
confronto delle greche, e questa Medea. L'autore manifesta di avere
abbastanza conosciuto il carattere del sublime tragico e senten-
zioso. II piano semplice e lavorato sulla greca di Euripide; ma
in alcune parti e alterato, e talvolta con miglioramento. Tutto va
senza intoppi al suo scopo, tutto e animato dalla passione, ed hav-
vi pochi passi ne' quali possa dirsi di aver piu parte la mente
che il cuore. II soliloquio di Medea che forma Fatto i, e serve d'in-
i. Amph., 634-5 («cosi neUa vita umana e prescritto ad ognuno, cosl e
voluto dagli dei, che il pianto segua quale compagno il piacere »). 2. Am-
ph.y 1041 (« Mai, per Polluce, costui, chiunque sia, mi schernira senza
che io mi vendichi»). 3. Ars. poet., 93-4 («Talora tuttavia anche la
commedia alza la voce, e Cremete irato contende acerbamente con espres-
sioni violente»). 4. DaUa Storia critica de* teatri antichi e moderni, ed.
cit., in, pp. 258-70.
STORIA CRITICA DEJ TEATRI ANTICHI E MODERNI 6ll
troduzione, e vigoroso. Invocati gli del che presiedono alle nozze
funeste, come furono le sue, e il Caos e le Furie (che pu6 risen-
tirsi alcun poco della declamazione senza riserba imputata a Se
neca), si determina a una vendetta orrenda. In parole altiere, e
quali dalFacuto critico Boileau si concedono allo sdegno e allln-
dignazione,1 da ad intendere i delitti e la strage che va meditando:
Quodcumque vidit Pontus out Phasis nefas,
videbit Isthmos. Effera, ignota, horrida,
tremenda caelo pariter ac terris mala
mens intus agitat; vulnera, et caedem, et regum
funus per artus. Levia memoravi nimis:
haec virgo fed; gravior exsurgat dolor.
Maiora iam me scelera post partus decent.2
Neirepitalamio cantato dal coro per le nozze di Giasone con
Creusa, vedesi il progresso deirazione; e Medea dice nel co-
minciar Tatto n:
Occidimus! aures pepulit hymenaeus meas . . .
Hoc facer e lason potuit?3 . . .
Cresce il suo furore; numera i passati delitti da lei commessi per
amore, e soggiugne:
, . . nullum scelus
irata fed 4
Sommamente energica e la risposta che da alia nutrice che le
rappresenta di trovarsi priva di ogni soccorso. Ecco le parole di
entrambe:
NUT. Abiere Colcki, coniugis nulla est fides,
nihilque superest opibus tantis tibi.
MED. Medea superest.5
i. Art poetique, [133]: «La colere est superbe, et veut des mots altiers*
(N. SO- 2- Seneca, Med., 44-50 (aQualunque nefandezza vide il Ponto
o il Fasi, la vedra Tlstmo. Una intenzione feroce, ignota, orrida, pari-
mente tremenda al cielo e alle terre mi agita 1'animo; ferite e ucci-
sioni e funerali di re [le edizioni moderne hanno pero « vagum » in luogo
di regum] con le membra sparse. Ho ricordato azioni troppo lievi: le
ho compiute da vergine; sorga ora piii grave il mio dolore. Ora che ito
partorito, mi convengono piii grandi delitti »). 3. Med., 116 e 118 («Sonso
perduta! il canto dell'imeneo ha colpito le mie orecchie . . . Questo ha
potuto fare Giasone ?»). 4. Med., 135-6 («non ho commesso alcun de-
litto per odio »). 5. Med., 164-6 («Nur. La Colchide e lontana, non puoi
fidarti del tuo consorte, e nuia ti rimane di tanta potenza. MED. Mi ri-
mane Medea »).
6l2 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Questa sublime risposta e seguita da un dialogo enfatico e rapido :
NUT. Rex est timendus. MED. Rex meus fuerat pater.
NUT. Non metuis arma? MED. Sint licet terra edita.
NUT. Moriere. MED. Cupio. NUT. Profuge. MED. Poenituit fugae.
Medea fugiam? NUT. Mater es. MED. Cui sim, vides.1
Nella scena con Creonte si scorge Partificio medesimo della tra-
gedia greca; ma in questa latina e da notarsi die Medea in mezzo
alle preghiere serba certo nobile contegno che tira Pattenzione.
Di piu Tinteresse in questa par maggiore, perche Seneca ingegno-
samente suppone esser Giasone astretto a sposar Creusa per evi-
tar la morte, perche Acasto, figliuolo di Pelia, minaccia di sac-
cheggiar Corinto, se Creonte non rende i colpevoli al castigo che
gli attende. Or Giasone prowede alia sua salvezza promettendo di
sposar la figlia di Creonte, e Medea rimane sola la vittima dello
stato; per la qual cosa obbligata ad abbandonar tosto Corinto,
ottiene a stento la dilazione di un solo giorno. NelPatto in e piena
di bellezza la scena delPincontro di Giasone e Medea. Vi si mo-
stra alia prima meno odiosa Pinfedelta di Giasone ed in certo
modo scusabile, trovandosi egli nella dura necessita di morire in-
sieme coi figliuoli o di tradir Medea:
. . . si vellem fidem
praestare meritis coniugis, leto fuit
caput offerendum : si mori nolimus, fide
misero carendum est. Non timor vincit virum,
sed trepida pietas . . .
Nati patrem vicere.2
I/indignazione, Pimpeto, Porgoglio, tutta in somma ad ogni trat-
to Medea si manifesta. Awedutasi di Giasone gli va incontro con
questa amara ironia:
i. Med., 168-71 (« NUT. Devi temere il re. MED. Re era anche mio padre.
NUT. Non temi i suoi armati? MED. Neppure se nascessero dalla terra.
NUT. Morrai. MED. Lo desidero. NUT. Fuggi. MED. Ho dovuto pentirmi
di essere fuggita. lo, Medea, fuggiro? [le edizioni moderne leggono di-
versamente le due ultirne parole: NUT. Medea. MED, Fiam]. NUT. Sei
madre. MED. Per chi lo sia, tu ben vedi»). 2. Med.t 434-41 («se avessi
voluto essere fedele ai meriti della consorte, avrei dovuto ofTrire il capo alia
morte : se non voglio morire, sono costretto, infelice, a tradire la promessa.
Non il timore mi vince, ma la tremante pieta ... I figli hanno vinto il
padre »).
STORIA CRITICA DEJ TEATRI ANTICHI E MODERNI 613
Fugimus, Ia$ony fugimus: hoc non est novum:
ma dove andra?
. . . Phasim et Colchos petam,
patriumque regman?1 . . .
e cio e tratto dalla Medea di Euripide. Giasone le domanda:
Obiicere crimen quod potes tandem mihi?
ed ella « Quodcumque feci »* risponde con enfasi, disdegno e calo-
re. La stessa sublimita spicca nella risposta data alPaltra di lui
domanda:
IAS. Quid facer e possim? eloquere. MED. Pro me vel scelus.3
Si scusa lo sposo infedele col timore de' due re Creonte ed Aca-
sto, (chine rex et illincs, e Medea minaccevole gli ricorda quanto
sia piu da temersi la sola Medea:
Est et his motor metus,
Medea*
ccAlta extimesco sceptra» soggiugne Giasone, e Medea rinfaccian-
dogli le di lui ambiziose mire replica: «Ne cupias vide».5 Giaso
ne vuol troncare il discorso, ed ella freme, invoca Giove, ne
implora i fulmini sopra qualunque di loro due. Tenta egli infine
di moderarne le furie ad ogni costo, insinuandole di chiedere
qualche conforto, al che ella domanda i figliuoli per condurli seco.
Ma il padre risolutamente si oppone, manifestando la somma te-
nerezza che ha per essi:
. . . Spiritu ritius queam
carere, membris, luce.6
1. Med.y 447 e 451-2 («Fuggiamo, Giasone, fuggiamo: non e una novi-
ta. . . Raggiungero il Fasi e la Colchide, e il regno di mio padre?*).
2. Med., 497-8 (« GIAS. Di quale colpa infine mi puoi accusare ? . . . MED. Di
tutto quello che ho fatto»)- 3- Med., 515 («GiAS. Che cosa potrei fare?
Parla. MED. Per me, anche un delitto»). 4. Med., 516-7 (fiGiAS. Da ogni
parte un re mi minaccia. MED. C*e tin timore maggiore anche di co-
storo, Medea »). 5. Med., 529 (a GIAS. Temo gli alti scettri. MED. Guarda
di non desiderarli»). 6. Med., 548-9 («Preferirei rimaner privo del re-
spiro, delle membra, della luce»).
614 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Come? tanto trasporto? «Sic gnatos amat?» dice Medea maravi-
gliata «Bene est; tenetur; vulneri patuit locus w.1 Questa bellezza,
questa giudiziosa catena di pensieri, questa origine dell'ultimo
grande delitto di Medea cosi scortamente disviluppata, e pure
sfuggita ad Euripide. Ma le studiate bellezze poetiche profuse
nelFatto rv, allorche la nutrice novera i veleni raccolti, e gl'in-
cantesimi di soverchio particolareggiati con descrizioni mitolo-
giche e geografiche, appartengono a tutt'altro genere che al dram-
matico; benche, a quel che io ne giudico, 1'azione onde venivano
accompagnati, doveva forse produrre nella scena romana un vago
effetto. Bella in Euripide e la narrazione delPincendio e della mor-
te di Creonte e della figliuola, che serve a far trionfare Medea
per la ben riuscita vendetta. Ma forse non men bellamente Seneca
se ne disbriga in quattro o sei versi, scorrendo piu rapidamente alia
tremenda strage de? figliuoli per trafigere nella piu tenera parte
il cuor del padre. La nutrice atterrita esorta Medea a fuggirsi:
ccEgon' ut recedam?» risponde ella colla solita energia e ferocia.
«Si profugissem prius, / ad hoc redirem.))/ E si accende, e si da
moto per eseguire ci6 che le rimane a fare. « Fas omne cedat . . .
Quidquid admissum est adhuc, / pietas vocetur . . . Prolusit dolor /
per ista noster . . . Nescio quid ferox / decrevit animus intus . . .
Ex pellice utinam liberos hostis meus / aliquot haberet! Quidquid
in illo tuum est, Creusa peperit.»3 Tratti grandi e gravemente
espressi, che manifestano la serie de' pensieri che la conducono
al gran misfatto. £ parimente maneggiata con vigore Pesitazione
ed il contrasto di Medea madre con Medea consorte oltraggiata:
. . . Liberi quondam mei>
vos pro patemis sceleribus poenas date.
Cor pepulit horror, membra torpescunt gelu,
pectusque tremuit; ira discessit loco,
materque tola, coniuge expulsa, redit.
Egon* ut meorum liberum ac prolis meae
fundam cruorem? . . .
i . Med,, 549-50 (« Cosi ama i suoi figli ? Bene; e preso ; si e scoperto il luogo
dove ferirlo»). 2. Med., 893-4 («Che io mi ritiri? Se fossi gia fuggita,
ritornerei per questo»). 3. Med., 900-22 («Ceda ogni legge . . . Quel che
ho commesso fino ad ora si chiami pieta . . . Con codeste azioni il nostro
dolore ha solo cominciato . . . Non so che cosa ha stabilito nel suo intimo
il mio animo feroce . . . Avesse il mio nemico dei figli dall*adultera! Tut-
to ci6 che hai da lui, Io ha partorito Creusa »).
STORIA CRITICA DEJ TEATRI ANTICHI E MODERNI 615
. . . Quad scelus miseri luent?
SceliLS est lason genitor, et mains scelus
Medea mater. Occidant: non stint mei.
Pereant: mei sunt.1
Ucciso un figlio giugne Giasone e porge a Medea lo spietato pia-
cere di trucidar 1'altro sotto gli occhi del padre:
. . . Deerat hoc unum mihi,
spectator ipse: nihil adhuc factum reor;
quidquid sine isto fecimus sceleris, periit.2
Nuovo interesse, nuova situazione estremamente tragica, quadro
fuor di modo orribile. Un figlio svenato, una madre in atto di
trapassare il cuore all'altro, un padre trafitto dallo spettacolo del
primo e spaventato dalljirrevocabil morte imminente dell'altro,
Egli prega, piagne, smania, vuol morire in vece del figlio e la
madre disumanata insultandolo risponde:
Hac qua recusas, qua doles ferrum exigam . . .
In matre si quod pignus etiamnum latet,
scrutabor ense viscera, et ferro extraham.3
Che idee! che terribili pennellate! Esse risvegliano il fremito del-
Pumanita, e giustificano il gusto di cui detestando il fatto ne ammira
la dipintura. Non aveva torto Orazio allorche del latino linguaggio
affermava che aspirat tragicum satis, et feliciter audet».4
Da alcuni questa Medea latina e anteposta alia greca. Noi
non osiamo giudicare del patetico che in entrambe si trova espres
so con tanta verita che giugne al cuore. Ma la condotta della
latina sembra piu rapida e piu regolare, e vi si eccita il terrore
i. Med., 924-35 («Figli una volta miei, voi pagate il fio per i delitti pa-
terni. II mio cuore e colpito dall'orrore, le membra intorpidiscono di
ghlaccio, il petto trema; 1'ira e scomparsa, e la madre, cacciata la moglie,
tutta ritorna. lo dovrei spargere il sangue dei miei figli e della mia pro
le ? ... Di quale colpa, miseri, pagheranno il fio ? II vostro delitto e Ta-
vere Giasone come genitore, maggior delitto Tavere Medea come madre.
Muoiano: non sono miei. Periscano: sono miei»). 2. Med., 992-4 («Mi
mancava solo questo, che egli stesso fosse spettatore: ritengo di non aver
fatto nulla finora; tutto quello che ho fatto, quando costui non c'era, non
conta»). 3. Med., 1006 e 1112-3 («Dove tu non vuoi, dove ti duole cac-
cero il ferro . . . Se qualche pegno si nasconde ancora nella madre, scnite-
r6 le mie viscere con la spada, e lo estrarro col ferro »). 4. Epist., n, I, 166
(«spira abbastanza la passione tragica, e osa felicemente »).
6l6 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
con tratti cosi forti e vivaci che farebbero nobile comparsa in qua-
lunque tragedia di Eschilo e di Euripide.1 Notava il signer di Vol
taire in tal tragedia come un principal difetto che non produce in-
teresse, al suo dire, in pro di veruna persona. « Medee » diceva « est
une mechante femme qui se venge d'un malhonnete homme. La
maniere dont Corneille a traite ce sujet, nous revoke aujourd'hui,
celle d'Euripide et de Seneque nous revolterait encor davantage ».2
AfTermava ancora che essa presso i Romani non ebbe felice in-
contro. Se quest'ultima notizia e vera (di che non mi si e presen-
tato sinora verun documento), non debbe essere awenuto perche
Medea e malvagia e Giasone perfido e senza onesta. Medea tuttoche
feroce alia prima ha dritto di lagnarsi dell'mdegna incostanza di
Giasone, ed allora ha per se tutto Tinteresse ed i voti deU'uditorio ;
Medea indi eccede nel vendicarsi arrivando alia piu inaudita
spietatezza, e n'e detestata, e fa inorridire lo spettatore, che de-
plora un padre trafitto e punito con tale eccesso. L'una situazione
e Taltra deriva con naturalezza dalle loro ben dipinte grandi pas-
sioni che perturbano ed interessano alternativamente per 1'uno e
per Paltro personaggio, ed attaccano chi ascolta all'azione intera.
Queste riflessioni menano a conchiudere Popposto di ci6 che so-
stenne Voltaire. Doppiamente apparisce poco giusta Tosservazio-
ne delTillustre autore francese, se si considera che quest'atroce ar-
gomento, che per suo awiso non produce interesse per veruno, si
e conservato per tanti secoli, e nelle nazioni piu colte ha eccitato
Tentusiasmo di tanti tragici. La Grecia ammir6 la Medea di Euripi
de. Cicerone e Quintiliano ed altri romani intelligent! non rima-
sero nauseati ne dalla Medea di Ennio, ne da quella di Ovidio,
ne dalle due di Pacuvio e di Azzio,3 ne probabilmente da questa
di Seneca. Stile e grandi affetti comprendono il gran secreto della
scena tragica; e se Targomento di Medea non esclude le passioni
grandi, e Seneca le ha rilevate con uno stile vigoroso ed energico,
onde viene Tumore che prende Voltaire per una favola tanto dagli
antichi e da' modern! maneggiata e ripetuta?
i.£ da vedersi il Teatro greco di Pietro Brumoy, il quale in parlando
della Medea di Euripide, ne ha fatto il paragone con questa di Seneca,
ed in questa ha notate molte rare bellezze e vari tratti degni di ammira-
zione (N. S.)- Cfr. P. Brumoy, Le theatre des Grecs, ed. cit., iv, pp. 355-79.
2. Commentaires sur Corneille. Remarques sur Medee (cfr. Oeuvres, XXI, ed.
cit., 1893, p. 4). 3- Azzio: Accio.
STORIA CRITICA DE' TEATRI ANTICHI E MODERNI 6iy
[V]
\Giudizi ml Racine.]*
Nel medesimo anno 1666 quando si rappresento V Agesilao del
Cornelio,2 comparve sulle scene YAlessandro di Giovanni Racine,
nobile e giovane poeta, da cui cominci6 una specie di tragedia
quasi novella. Nelle tragedie del Cornelio grandeggia la virtu e
Peroismo vi si tratta con una sublimita che riscuote ammirazione;
ma vi si accoppiano certi amori per lo piu subalterni che riescono
freddi e poco tragici. In quelle del Racine trionfa un amor tenero,
semplice, vero, vivace, forse non sempre proprio per la grandezza
del coturno perche non sempre principale e furioso, ma sempre
idoneo a commuovere. II felice pennello del Racine con grazia e
diligenza al vivo e maestrevolmente ritrae la delicatezza delle ani-
me sensibili. La gioventu, e specialmente le donne pieghevoli alia
tenerezza, poco intendono e poco prendono interesse, p. e., nelle
vedute politiche di un tiranno, nelTambizione di un conquistatore,
nel patriotismo eroico di un romano o di un greco. Ma subito pre-
stano attenzione a ci6 che rassomiglia a quel che sentono in se
stesse; e vanno agevolmente seguitando il poeta nelle commo-
zioni che disviluppa, e ne favellano con vivacita e conoscimento.
Qual giovinetta posta nelle circostanze di Ermione non vi fara le
medesime richieste?
Mais as-tu bien, Cleone, observe son visage?
Goute-t-il des plaisirs tranquilles et parfaits?
N*a-t-il point detoume ses yeux vers le palais?
Dis-moi, ne fes-tu point presentee a sa viie?
Uingrat a-t-il rougi lorsqu'tl fa reconnue?^
Tutte le donne possono comprendere senza stento la dolorosa se-
parazione di Tito e Berenice; parra loro di trovarsi nel caso; al
pari di quella tenera regina si sentiranno penetrate da queste
espressioni:
i. Dalla Storia critica de* teatri antichi e moderni, ed. cit., vii, pp. 180-5,
191-5, 198-9. 2. Cornelwi Pierre Corneille. 3. Cfr. Racine, Andromaque,
atto v, scena n.
6l8 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Je riecoute plus rien, et pour jamais adieu
Pour jamais! Ah seigneur, songez-vous en vous m&me
combien ce mot cruel est affreux quand on aime?1
Siffatte analisi delicate della tenerezza, o, se vuol dirsi alia fran-
cese, del sentimento^ anche senza tanti pregi che adornano le fa-
vole del Racine avrebbero bastato a farle riuscire in Francia e
nella corte di Luigi XIV, che respirava per tutto amoreggiamenti
anche nelle spedizioni militari. Ma Giovanni Racine al tenero,
al seducente accoppio il merito di una versificazione mirabilmente
fluida e armoniosa, correzione, leggiadria e nobilta di stile, ed una
eloquenza sempre eguale, che e la divisa delPimmortalita onde si
distinguono i poeti grandi da' volgari.3
In questo secolo per la Francia fortunatissimo forse la poesia
francese pervenne alia possibile venusta per le favole del Racine
e pe' componimenti del Boileau; ma il drammatico scrittore ebbe
sul legislatore del Parnasso francese il vantaggio del raro dono del-
la grazia, che la natura concede a' suoi piu cari allievi, agli Apelli,
a i Raffaelli, a i Correggi, a i Pergolesi, a i Racini, a i Meta-
stasi.
Tralle tragedie del Racine, senza dubbio piu giudiziosamen-
te combinate, meglio ordinate e piu perfette di quelle di Pietro
Corneille, per awiso dej piu scorti critici, trionfano Vlfigenia, rap-
presentata nel 1675, in cui con singolar diletto di chi non ignora
il tragico tesoro greco, si ammirano tante bellezze di Euripide,
mal grado delle awenture di Erifile che muore in vece d'lfigenia
senza destar pieta, trovando lo spettatore disposto unicamente a
compiangere la figliuola di Agamennone; YAtalia, uscita nel 1691,
ove il poeta s'innalza e grandeggia imitando alcuna volta il lin-
guaggio de' profeti; il Britannico, rappresentato nel 1670, in cui si
eccita il tragico terrore per le crudelta di un mostro di tirannia
nascente in Nerone, e di passaggio s'insegna a* principi ad aste-
i. Cfr. Racine, Berenice, atto iv, scena V. 2. «Ce qui me distingue de
Pradon» diceva Racine «c'est que je sais ecrire». II signer di Voltaire,
ottimo giudice, cosi si esprime in tal proposito: ccC'est la diction seule
qui abaisse Campistron au dessous de Racine ... II n'y a que la poesie
de style qui fasse la perfection des ouvrages en vers» (N. S.). Nicolas
Pradon (1632-1698) cerc6 di rivaleggiare con Racine scrivendo fra Taltro
Phedre et Hyppolite; Jean Galbert de Campistron (1656-1723) compose
tragedie che sono pallide imitazioni di quelle raciniane.
STORIA CRITICA DE» TEATRI ANTICHI E MODERNI 619
nersl da certi esercizi disdicevoli alia maesta; e la Fedra, com-
parsa sulle scene nel 1677, la quale per tanti pregi contende-
rebbe a tutte il primato senza il freddo inutile innamoramento
d'lppolito ed Aricia. In fatti questa galanteria, per dirla alia fran-
cese, sconvenevole al carattere d'lppolito, e fredda a fronte del
tragico disperato amor di Fedra, non si approve ne da* contempo-
ranei ne da' poster! . . .r
Circa lo stile di esse,3 senza derogare ai pregi inimitabili
di Pietro Corneille e di Giovanni Racine e di altri che gli se-
guirono, vengono in generale tacciati i tragici francesi, e singo-
larmente il Cornelio, dal marchese Scipione Maffei, dal Mu-
ratori, dal Gravina e dal Calepio, di certo lambiccamento di
pensieri, di concetti ricercati e tal volta falsi, di tropi profusi
e ripetuti sino alia noia, di espressioni aifettate, di figure sconve-
nevoli alia drammatica.3 A ci6 che fra' Greci e gritaliani chiamasi
poesia, trovasi ne5 drammi francesi sostituito certo parlar poetico
particolare. I vizi e le virtu ed anche gli attributi accidentali nelle
loro favole (osserva il Calepio)4 diventano le persone agenti. L'odio
giura, vede, teme; il furore si lascia disarmare; la virtu trema,
1'ira chiama; 1'amicizia e la gloria arrossiscono. I segni si usano
per le cose, come i «troni», le «corone», gli «scettri», gli «allori»,
le «catene». Non v'ha scena in cui non s'incontri «tempesta» per
awersita, «abisso» per oppressione, «ftilmine>> per castigo, «sa-
crificio» per sofferenza, ecc. Sono, e vero, tali figure ammesse
ancora nelle poesie dej Greci e degl'Italiani; ma da' francesi dram-
i. Tralascio alcune pagine in cui 1'autore, richiamandosi soprattutto ad
alcune osservazioni del Voltaire sulTargomento, si sofferma a mostrare
come anche Racine, seguendo la tradizione francese, abbia spesso peccato
nel rappresentare 1'amore come un sentimento molle ed elegiaco e non
come una passione furiosa e terribile, quale converrebbe alia vera tra-
gedia 2. di esse: delle tragedie francesi in genere. 3- vengono . . . dram
matica: 1'accusa risale al Muratori (cfr. Delia perfetta poesia itaUana, lib.
II, cap. vii, Modena, Soliani, 1706, n, pp. 419-^3, e anche altrove); e n-
torna poi nel trattato Delia tragedia, cap. XLI, del Gravina (cfr. Oparesc^U,
Milano 1819, pp. 388-404); nell'introduzione al Teatro itahano del MafTei,
Verona 1723, 1, pp. xvi-xvii (e anche nella risposta aUa letter* del Voltaire
sulla Merope, e altrove); e infine e soprattutto nel Paragon* detta poesia
traeica d'ltalia con quella di Francia e sua difesa del Calepio, capo VI,
art. iii-vni. 4. osserva il Calepio: cfr. Paragone della poesia tragica ecc.,
ed. cit., p. 117.
620 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
matici usate con troppa frequenza, e di rado variate colla mesco-
lanza di altre formole poetiche non disdicevoli alia scena, per la
qual cosa partoriscono rincrescimento.
Simili maniere abbondano anco nelle tragedie del Racine; ma
ecco in qual cosa egli si distingue da' tragici mediocri. In que-
sti quel perpetuo tessuto di astratti i quali diventano persone,
e la ripetizione de' medesimi tropi forma 1'unico fondo del loro
stile; ma Racine le accompagna con altre maniere poetiche cal-
cando da gran poeta le tracce degli antichi tragici che studiava
e si proponeva per modelli e per censori.1 Non e percio me-
raviglia che avesse portato a cosi alto punto 1'espressione, 1'ele-
ganza, rarmonia e la vaghezza dello stile ed il patetico. Gli si
notarono tal volta alcune trasposizioni inusitate, e certe maniere
non sempre limpide, di che giudichino di pieno diritto i nazionali.
Certo e per6 che specialmente n.z\V Alessandro e ne' Fratelli ne-
mici si osservano molti concetti ricercati, il dolore espresso con
troppo studio, vari contrapposti non propri della scena, alcun
sentimento freddo e qualche immagine superflua. Piu rari sono
tali difetti nelle altre sue favole, benche alcuni se ne rinvengano
anche nel Mitridate, nell'Andromaca e nell! 'Ifigenia. Nella Fedra,
piu che la soverchia pompa del racconto di Teramene da ognuno
osservata, ferisce il gusto ed il buon senso il sentire con figure
intempestive e con impropri e falsi pensieri, che «il cielo guarda
con orrore il mostro marino, la terra n'e scossa, 1'aria infettata, e le
onde che lo condussero alia riva, rinculano spaventate».2 Ma senza
tali nei nel Racine che studiava si felicemente il cuore dell'uomo e
la poesia originate de' Greci, Racine che possedeva il rarissimo
dono dello stile e della grazia, che avrebbe mai lasciato alia gloria
della posterita? Quante poche tragedie soffrono il confronto del-
Vlfigenia, dell'Atalia, del Britannico e della Fedral Questi com-
ponimenti saranno sempre le piu preziose gemme del tragico tea-
tro, per le quali Racine si acclamera come principe de' tragici
i. Vedi la sua prefazione al Britannico (N. S.). Nella prima prefazione
(1670) a questa tragedia, il Racine in effetti si richiama, nel difendersi
dalle censure dei suoi critici, al giudizio «de ces grands homrnes de
Fantiquite que j'ai choisis pour modeles ». 2. Sono immagini tratte ap-
punto dal racconto di Th6ramene nella Phedre, atto v, scena vi : « Le ciel
avec horreur voit ce monstre sauvage; / la terre s'en emeut, Tair en est
infect^; / le flot, qui Papporta, recule 6pouvante».
STORIA CRITICA DE> TEATRI ANTICHI E MODERNI 621
del secolo XVII dovunque regnera gusto, sapere, giudizio, sensi-
bilita ed ingegno . . *
... In simil guisa declinando il passato secolo pose in Fran-
cia il suo seggio una specie di tragedia inferiore alia greca per
energica semplicita, per naturalezza e per apparato, ma certa-
mente da essa diversa per disegno e per ordigni, forse piu no-
bile per li costumi, fondata su di un principio novello. I Gre-
ci che nella poesia rawisarono 1'amore per Taspetto del piacer
de} sensi, non rammisero nella tragedia come non convenevole.
I moderni sulla scorta del Petrarca attinsero nella filosofia pla-
tonica una piu nobile idea dell'amore, e ne arricchirono la poesia,
e quindi cosi purificato passo alle scene. Pietro Cornelio non mai
se ne valse come oggetto principale, e Racine fa il primo a in-
trodurlo nella tragedia con decenza e delicatezza; per la qual cosa
dee dirsi che da lui cominciasse la scena tragica ad avere un ca-
rattere tutto suo. Adunque la tragedia greca e la francese in un
medesimo genere presentano due specie differenti; e giudicar del-
Tuna col rapportarla all'altra, e veder le cose foscamente, e quali
d'alto mare veggonsi le terre, che paiono un groppo di azzurre
nuvolette.
i Tralascio altre pagine in cui 1'autore polemizza duramente centre il
critico spagnolo Vicente Garcia de la Huerta, che aveva ndotto il mento
di Racine alia «esatta osservanza deUe regole» e ad una «scrupolosa pro-
lissa pazienza in lavorare stentatamente », e lo aveva accusato di mancare
di forza di ccmasculinidad», d'ingegno, di vivacita, di fuoco e dimma-
ginazione.
DALLE « VICENDE BELLA COLTURA
NELLE DUE SICILIE»
I
Prime memorie delle nostre popolazioni e del gradb di coltura
che vi pote regnare.1
In ogni uomo la robustezza del corpo e della mente cresce per
gradi, e si rinforza col tempo, procedendo di ordinario in lui
con ragion reciproca la forza e Peta; di modo che, questa saputa,
puo ad un di presso misurarsene la forza, e colla forza pu6 co-
noscersene Teta. Un popolo intero soggiace al medesimo corso, e
si avanza con pan rapporto del tempo in cui surse e crebbe, e
del vigore che va acquistando. Si pu6 in ciascun popolo, come
in ciascun uomo, notare in prima una fanciullezza rozza e curiosa,
in cui per essere la memoria robusta e la fantasia vivace, si osser-
Anche questa opera fu ideata ed elaborata durante il soggiorno del Na-
poli Signorelli in Ispagna, probabilmente subito dopo la Stona critica de*
teatri antichi e moderni, fra il 1778 e il 1782, anno in cui 1'autore scriveva
al Vernazza informandolo di aver terminato il suo lavoro. La prima edi-
zione delle Vicende fu pubblicata per6 solo dopo il ritorno definitivo del
Signorelli in Italia, col titolo Vicende della coltura nelle due Sicilie o sia
storia ragionata della loro legislazione e polizia, delle lettere, del commercio,
delle arti e degli spettacoli dalle colonie straniere insino a not, a Napoli,
presso Vincenzo Flauto, in cinque volumi, il i, n e in nel 1784, il iv
nel 1785, e il v nel 1786. Tra il 1791 e il 1793 usci poi un Supplimento
alle Vicende della coltura nelle Sicilie, a Napoli, presso Vincenzo Orsino,
in due parti, la prima contenente un Prospetto del secolo XVIII, la seconda
una serie di Addizioni ai volumi gia pubblicati. Negli anni seguenti il
Signorelli scrisse poi una nuova opera intitolata Regno di Ferdinando IV,
adombrato in due volumi in continuazione delle Vicende della coltura nelle
Sicilie, ma non fece a tempo a pubblicarne che il primo volume (Napoli,
Migliaccio, 1798), mentre il secondo e il terzo rimasero inediti (ora nella
biblioteca dei Girolamini a Napoli). La materia sia del Supplimento che
del Regno di Ferdinando IV venne poi dall'autore rifusa e condensata
nella seconda e defimtiva edizione delle Vicende della coltura nelle due
Sicilie, pubblicata a Napoli, presso Vincenzo Orsino, in otto volumi, i
primi quartro con la data del 1810 e gli altri con la data del 1811: del
tutto nuovo e Pvm volume, che comprende il primo decennio del secolo
XIX. Per i passi qui riprodotti ci siamo attenuti al testo di questa edi
zione. Le note del Napoli Signorelli sono seguite dalla sigla N. S.
i. Dalle Vicende della coltura nelle due Sicilie, ed. cit., I, pp. 25-32. An
che in questo capitolo e facilmente riconoscibile la reminiscenza vichiana
di senso, fantasia e raziocinio.
VICENDE DELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 623
va assai e si ritiene, ed in seguito, come frutto proprio di tale sta-
gione, si disviluppa lo spirito verseggiatore. Vi si contempla po-
scia una virilita colta e industriosa, nella quale si trova la forza
dell'intendimento gia capace di combinare e ricavar principii dal
le cose delle quali ha fatto tesoro, e si diviene prosatore e filosofo.
Egli e assai naturale che un popolo faccia uso de' propri lu-
mi a seconda delPeta, e che nelTinfanzia, non potendo in altra
forma mostrare ingegno, si awisi di verseggiare e descrivere gli
oggetti particolari che gli si presentano. Ed e naturale altresi che
col tempo acquisti forze maggiori atte a salire agli universali, a
ragionare e a distinguersi col discorso senza bisogno di misurar
le sillabe di ogni parola.
Nella storia de' popoli selvaggi e barbari, cioe fanciulli, ben
presto si trovano verseggiatori ; ne qui fa uopo ripetere cio che
molti altri e noi stessi altrove divisammo,1 cioe rammemorare
tanti versi sacri, eroici, amorosi e pastorali de' popoli nascenti.
Hawi pero un genere poetico, in cui si richiede ingegno piu adul-
to, e non basta lo studio d'incatenar le sillabe, ma si vuol ragionare
e osservare e dipignere i costumi piu che le cose. Questa e la
poesia rappresentativa, la quale nasce contemporanea colla pro-
sa e colla filosofia, e percio non basta che fra un popolo trovinsi
inni e canzoni per rinvenirvi drammi. Non se ne vede alcun vesti-
gio fra i Groenlandi, i Tongusi, gli Eschimali,a gli Uroni, gli
Otentotti: non tra' bellicosi Apachi inquieti vicini della Nuova
Biscaglia nel Nuovo Messico: non tra' Guarauni, Betoi, Caver-
ri, Guami, Otomachi ed altre famiglie disperse per grimmen-
si boschi bagnati dalTOrenoco, intorno a' quali selvaggi puo ve-
dersi singolarmente El Orinoque ilustrado del p. Gomilla.3 E pure
i. altrove dimsammo: nella Storia critica de' teatri antichi e moderni, e pre-
cisamente nel cap. In quali cose si rassomigli ogni teatro, riportato anche in
questo volume a p. 601. 2. Tongusi: o Tungusi, popolazione dell* Asia set-
tentrionale ; Eschimali : Esquimesi. 3 . Quanto al non credersi da noi questi
ed altri popoli fanciulli capaci di poesia scenica, noi ne siamo persuasi per
una copiosa induzione. Se a qualche viaggiatore moderno e sembrato di
aver vedute orme di teatral poesia regolare in alcuna tribu da lui stimata
selvaggia, bisogna dire che cio in prima potrebbe essere una eccezione
alTosservazione generale. Chi sa poi che non siesi reputata selvaggia una
popolazione che non era tale se non perch6 a noi non rassomigliava?
Chi sa ancora se Tignoranza della lingua del paese non facesse parere
quell'imitazione un dramma conforme alle idee nostrali ? Chi sa se meglio
osservando que* selvaggi non si sarebbe per awentura rinvenuto fxa essi
qualche altro indizio di coltura antica, che potrebbe indurci a credere
624 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
tutti questi e tanti altri selvaggi hanno versi, e canticchiando ac-
compagnavano sovente le loro marce e i travagli che sostenevano
della pesca e della caccia. E perche mai? Perche non si eleva la
pesante materialita dell'uomo fanciullo sino alia idea delicata di
correggere 1'uomo coHJuomo, facendone imitazione e spettacolo.
Diciamo meglio: 1'uomo non ancora addottrinato nella doppiezza
de' popoli culti, da qual bisogno, padre delle arti, pub ricevere sti-
moli a notarla e a dipignerla?
Non nasce la poesia teatrale, se non quando gli uomini tro-
vansi raccolti in societa fisse; quando le mura che gli circondano
e le ceneri degli avi per essi diventano sacre: quando i matrimoni
certi e le terre dissodate con tanto sudore dirigono gl'impulsi del-
1'amor proprio degrindividui ad esser solleciti del corpo intero.
Allora dalla cura di se stessi e delle proprie famiglie vien generata
quella del tutto. Allora si va esaminando 1'indole e la condotta
de' compagni, se ne osservano le passioni e le mire; e quando si
trova che queste non secondano i disegni della societa, quando
chi debbe esser socio e custode diventa oppressore, perche man-
cano le leggi che emendano i torti privati (come delle antichis-
sime repubbliche no to Aristotile ne' Libri politici),1 incominciano
le querele secrete, indi le pubbliche rimostranze.2 Ed allora il bi
sogno di un censore e la paura di esporsi al risentimento de' po-
tenti apportano naturalmente il desiderio delle favole sceniche,
le quali servono per denunciare al popolo i viziosi senza rischio
delljaccusatore.
che fossero discendenti obbliati di qualche popolo un tempo culto?
(N. S.)- i. ne' Libri politici: piu esattamente nei primi capitoli del libro v
di questa opera. 2. Cio si conferma con quanto scrissero lo scoliasta di
Aristofane e Cassiodoro citato anche dal Bulengero [Jules-Cesar Bou-
lenger, erudito francese, vissuto fra il 1558 e il 1582], De theatro: «Olim
ii qui iniuria in vicis affecti erant a civibus, noctu ventitabant in eum
pagurn ubi morabatur is qui laeserat, dicebantque: "In hoc pago quidam
est qui agricolas vexat". Hoc facto discendebant eius nomine citato, qui
iniuriam intulerat. Ubi illuxisset, qui laeserat in quaestionem vocabatur,
et sic pudore affectus ab inferenda vi deterrebatur » [«Una volta coloro
che nei villaggi avevano subito mgiustizie dai cittadini, solevano venire di
notte in quel villaggio dove abitava chi aveva commesso Tingiustizia, e
dicevano: "In questo villaggio c'e uno che vessa i contadim". Fatto que-
sto, se ne andavano, dopo aver dichiarato il nome di colui che aveva com
messo Tingiustizia. Quando si era fatto giorno, ForTensore veniva chiamato
in giudizio, e cosi, preso da timore, veniva distolto dal commettere pre-
potenze»], N. S.
VICENDE DELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 625
Ma conoscenza di diritti, osservazioni sul costume, raziocini,
artifizio di lamentarsi impunemente, sagacita di ottener ci6 per
via di giuoco, sono idee di popoli gia in gran parte dirozzati, e
per conseguenza puo bene asserirsi che di tutti i generi poetici
il teatrale singolarmente alligna nelle societa gia stabilite e dove
gia regni una competente coltura. E perche poi la delicatezza delle
arti viene colle filosofie, questo genere di poesia non tocca Pec-
cellenza se non quando la nazione giunta sia ad uno stato florido,
e quando i vizi delPuomo colto e del lusso, i quali sono si compli-
cati, e si bene nascondono sotto ingannevoli apparenze la pro-
pria enormita e ridicolezza, apprestano al poeta drammatico una
materia moltiforme e dilicata che sfugge al tatto che non e molto
fine.
Seguendo queste idee somministrate dalPordine delle cose ci-
vili, possiamo rawisare tre principali eta in ogni popolo che com-
pia il suo corso intero: quella de' versi, nella quale per la corta
durata appena si danno alcuni pochi passi verso I'umanita; quella
della prosa e de' prind tentativi scenici, in cui col tempo acquistata
consistenza esso perfeziona la lingua, moltiplica le sue idee e
s'innoltra nella coltura; e quella delle filosofie, in cui sfoggia di
tutto il lume, ed ostenta un teatro dilicato. Ogni sagace leggitore
applichera da se stesso simili osservazioni alle nazioni antiche e
moderne; ne si fara arrestare dal riflettere alia disuguaglianza del
tempo speso da' popoli a passare dall'una alTaltra eta, conside-
rando che le cagioni intrinseche possono aver formati i corpi po-
litici diversamente organizzati, e le cagioni estrinseche trattenerne
o accelerarne il corso.
Prima delle colonie straniere meno incerte, diversi popoli occu-
parono le terre del continente che ci appartiene, e della Sicilia
e delle altre isolette. Appena pero ci si presentano o nello stato
famigliare, o erranti a guisa delle selvagge tribu americane o tar-
tare, ad oggetto di cercar nutrimento o dar luogo ad altre1 phi
marziali.
i. altre: trihii.
40
626 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
II
[Discussioni col Bettinelli.]1
. . . Tali riferiti preziosi rottami di edifizi magnifici possono con-
solarci dell'esagerazione poetica del fu eruditissimo Saverio Bet-
tinelli, il quale nel suo Risorgimento non voile vedere in Italia
prima del Mille se non che im «campo di stragi e d'ignoranza»,
una apalude, un deserto, case di paglia e di fango».2 £ ben vero
che gli forni questa idea una dissertazione del dottissimo Mura-
tori,3 il quale osservo un gran numero di simili vili ed income de
abitazioni erette a que' tempi in Italia per la frequenza delle guerre
e delle incursioni straniere. Ma ci6 che poteva essere un punto di
storia nel guardarsi generalmente T Italia, divenne nelle mani del
Bettinelli una figura oratoria ingigantita ed approssimata all'iper-
bole, e falsa senza dubbio, se dee servir di scorta a rinvenir 1'epo-
ca del risorgimento delle arti. Istoricamente parlando erano quel-
le case mal costruite piu effetto passeggero delle accennate guerre
che mancanza totale di gusto, di ricchezza e d'intelligenza. Di fat-
ti trovasi a que' medesimi tempi, dovunque si miri, copia di
magnifici edifizi che ci6 comprovano, distruggendo Pepoca del
risorgimento fissata dal lodato esgesuita.4 E quanto noi delle pro-
vincie del regno di Napoli e della Sicilia rechiamo nel presente
volume, dimostra ad evidenza che il rinascere delle arti e della
coltura debba stabilirsi almeno qualche secolo prima, e rinvenirlo
gradatamente. Ma quando anche il Bettinelli non avesse distesa la
sua occhiata sino alle nostre contrade, ne si fosse ricordato se non
altro di Monte Casino e di una intera citta forte fondata alle radi-
ci di quel monte dalF abate Bertario, cioe di san Germano, mu-
nita di valide difese verso Tanno 865, e del monistero di Ca-
sauria in Abruzzo fondato neH'866, e secondo il Muratori nel-
1*871 ; quando, dico, avesse questi nostri paesi obbliati, come al
meno non si sowenne delle pinguissime badie di Nonantola, di
i. Dalle Vicende della coltura nelle due Sicilie, ed. cit., n, pp. 105-9, I92>~5>
246-9. 2. Cfr. // Risorgimento d'ltalia, parte I, cap. I, in Opere, vn, Ve-
nezia, Cesare, 1799, p. 103 e passim. 3. una dissertazione . . . Muratori: la
dissertazione xxi delle Antiguitates italicae Medii Aevi che tratta «dello
stato dell5 Italia, dell'abbondanza d'abitatori, della coltura delle campagne,
mutazione delle citta, felicita e infelicita dej secoli barbarici ». 4. esgesuita :
ex-gesuita: il Bettinelli.
VICENDE DELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 627
Farfa e di Subiaco, che non ebbero giammai fama di deserti e di
capanne? Come si dimentico di tante e tante castella fortificate
nella sua Lombardia specialmente in occasione delle dissensioni
di Guido e Berengario e delle escursioni degli Ungari al cader
del nono secolo e nej primi lustri del decimo ? Pote scordarsi del-
la ricchissima e popolatissima Pavia piena di chiese, di palagi e
di monument!, di splendidezza, incendiata da que' barbari 1'anno
922 P1 Verso il 970 era Ravenna una citta magnifica, e non un
pantano, allorche Ottone I il grande vi fe' costruire un nuovo
palazzo per propria abitazione;2 ne crederei che Pavessero fatto
elevare sul modello di qualche abituro di capraio. Di porfido, e
non di loto, fu 1'avello in cui in Roma si seppelli Ottone II quivi
morto 1'anno 981? il quale avello durava tuttavia a' tempi del car
dinal Baronio insieme coU'immagine del Salvadore nelTatrio delk
Basilica Vaticana, donde poscia fu tolto da Paolo V. Di grazia,
poteva essere di fango e di paglia il ragguardevole monistero che
si trovava unito all'antichissima chiesa di San Salvadore di Pavia
per cura della santa imperatrice Adelaide prima del 988 ? Intorno
a questi tempi (diro colle parole del Muratori) «in Parma sorse
il monistero di San Giovanni, in Brescello quello di San Genesio,
in Milano quello di San Celso, in Genova quello di San Siro,
in Firenze la badia di S. Maria, in Reggio il monistero di San
Prospero, oggidi di San Pietro, in Padova Tinsigne di S. Giu-
stina, per tacer di altri».4 Nella sola Roma poi contavansi quaranta
monisteri di monaci, venti di monache, sessanta collegiate di cano-
nici. Pietro Orseolo II, doge di Venezia (e mancavano ancora set-
te anni per arrivare al Mille), ristauro la citta di Grado, la cinse di
mura (non di loto) da' fondamenti e vi fabbric6 il palazzo du-
cale presso alia torre occidentale. Simil copia di grandi fabbri-
che, tanti monisteri, chiese, palazzi imperiali e principeschi, tante
fortezze e castella munitissime furono erette in un deserto, in
una palude, di paglia e di loto? Pavia, Ravenna, Venezia, Genova,
Verona, Ferrara, Modena, Reggio, Milano, Firenze, Pisa, Bolo-
i Vedi le Stone di Luitprando, lib. nr, c. IV (N. S.). ABude all'-dato-
podosis di Liutprando. 2. Vedi il placito dato alia luce dal Murattm,
nella dissert, xxxi delle Antickitd itaL. (N. S.). 3- Ditmaro, Chyo^com\,
Hb. in; e Leone Ostiense, [Chronicon Monasteri Casinmsis], lib. n, P
medesimo Muratori, Armali d'ltal (N. S.). 4- C£r. Muratori, Annah
talia, vni, Venezia, Pasquali, 1753, p. 206.
628 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
gna, Roma, ecc. ; e fra noi Salerno, Benevento, Manfredonia, Ca
pua, Napoli, Gaeta, Amalfi, Bari, Taranto, ecc., sedi d'imperadori,
di principi reali, di re, capital! illustri di grandi stati e di provin-
cie, che resistevano alia violenza delle macchine belliche per mesi
ed anni, erano tutte prima del Mille edificate di fango e coperte
di paglia, e nulla piu che tuguri ancor piu poveri della reggia del
re Evandro? lo non saprei di quale Italia potesse esser pieno il
capo dell' elegante scrittore Bettinelli, allorche voile tessere la bel-
lissirna tirata del suo Risorgimento . . .
... Ed e questo il ritratto istorico del secondo periodo1 de'
Longobardi, de' Greci e de' Saracini italiani. Noi ben vi rawi-
siamo le orme di una ferocia stanca e spossata piuttosto che am-
mollita, ed un misto di barbaric vicina a cedere alia benignita
del clima, ma che pure ritorna all'antico vezzo. Non possiamo
pero rafEgurarvi quel deserto e quella palude italiana sbucciata
dalla testa poetica del pregiato esgesuita Bettinelli. Se tale apparve
alia sua immaginazione F Italia, la storia rappresenta a noi la gran
parte dell'Italia che noi abitiamo, anche in tempo cosi fatale, spar-
sa di grandi citta, coltivata, fiorente e navigatrice. Noi veggiamo
che essa conserv6 le arti; raccolse libri per mezzo di Autperto;2
custodi gran parte degli eventi per opera di Giovanni Diacono
e di Erchemperto,3 senza de' quali si rimarrebbe in maggior buio ;
accolse la gioventu nelle scuole basiliane4 di Otranto e di Nardo
ed in piu luoghi della Sicilia; non intermise gli studi sacri in Mon
te Casino; mand6 piu pontefici a Roma ed alia sede patriarcale
di Costantinopoli un san Metodio;5 si esercit6 quasi senza inter-
missione nelle greche lettere. Ora siffatte glorie possono uscire dalle
paludi e dai deserti ? II prelodato Bettinelli che suol restrignere il
i. secondo periodo: cioe del periodo che va dalla fine del secolo VIII a
tutto il X, secondo la divisione del Napoli Signer elli. 2. Autperto : abate
del monastero di Montecassino fino alT8s7, autore di Omehe e assiduo
raccoglitore di codici (cfr. Vicende ecc., ed. cit., n, p. 198). 3. Gio
vanni Diacono, napoletano, vissuto fra la fine del IX secolo e il principio
del X, autore dei Gesta episcoporum neapolitanorum e di altre op ere sto-
riche ; Erchemperto, di Benevento, vissuto nella seconda meta del secolo IX,
e noto soprattutto per un'opera storica sui duchi longobardi di Benevento
(cfr. Vicende ecc., ed. cit., n, pp. 130-2 e 134-5). 4- basiliane: tenute da
monaci greci dell'ordine basiliano. 5. san Metodio, siracusano, morto
nell'847, autore di opere sacre in greco (cfr. Vicende ecc., ed. cit., u, pp.
140-3)-
VICENDE BELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 629
significato cTItalia nella Lombardia e poco piu, quando Fltalia
a suo credere risorge, e ne separa le due Sicilie; dovea separarle
ancora quando essa era una palude, giacche le Sicilie conservarono
le vestigia delle arti, dell'industria e della ragione. Ma dovea
singolarmente awertire quest'abile letterato che le idee di de-
serto e di palude nel Mille mal preparano un vicino risorgimento,
che nascer non pote come un fango in un tratto ed in pochi anni.
Dove non si conservano i semi delle scienze e delle arti, Tamor
dell'ordine, una immagine non totalmente fosca di governo e di
liberta; non basta qualche secolo a far rinascere la colta umanita.
Se Fltalia risorse dopo il Mille, cio awenne appunto perche pri-
ma del Mille essa non era in ogni parte caduta ugualmente. Nel-
le Sicilie specialmente essa lottava colla barbaric; lottava con isvan-
taggio, ma non cedeva, ma, per cosi dire, quasi esangue sdegnava di
soccombere o di parer vinta. Cio si dovea esaminare ed awertire
se si voleva sobriamente rilevare il risorgimento dell* Italia. Ma
si vede chiaro che assai piii difficile e il filosofare sulle nazioni
e veder le scintille di luce in mezzo alle tenebre, che declamare
fuor di tempo e lanciar dietro di una siepe languidi e insipidi epi-
grammi e strali che non eccedono la durezza de' giunchi, e che
si sotterrano usciti appena dalla cocca. Noi abbiamo fatto il possi-
bile per dimostrare la sorgente del risorgimento dell'Italia mani-
festando colla fiaccola della storia e della critica i magnanimi suoi
sforzi assai prima del Mille. Essi supplirono alia debolezza in cui
era caduta, e Teroica sua pazienza e fatica la riserbo al gran
trionfo . . .
Ma certi eruditi che non sanno accordare a qualche popolo
progresso veruno se non vi scorgono una successione di scuola,
si sono occupati a indagare il fondatore della scienza medica in
Salerno. Non basta a costoro un cumolo di fatti, per gli quali si
prova che lo spirito d'industria suole sugerire all'uomo cognizioni
ed arti senza bisogno di acquistarle coU'esempio. Non vogliono
vedere che 1'amore di sussistere senza dolore e una delle primi
tive molle che ci muovono a cercare la guisa di respingere i mail
fisici del proprio individuo; e che sebbene gli eventi in mille popo-
lazioni possono averla rallentata e resa inutile, in taluno pero puo
essere stata di tempra tale che avra conservata una parte della
propria attivita. Sin che non trovino un egizio, un etrusco, un
630 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
greco, un latino, o almeno un arabo che vada di paese in paese
portando la fiaccola dello scibile, essi non mai crederanno che
Pumanita possa pensare, operare e vivere. Hanno essi di piu adot-
tato un altro pregiudizio letterario, sorgente inesausta di errori,
nel rintracciare il risorgimento della coltura deiringegno in Ita
lia. Suppongono che colle incursioni de' barbari tutta essa si estinse,
tutta fini a un tratto, e ritorno Tantica confusione degli elementi.
Ma non riflettono che i barbari non furono una fiamma contempo-
ranea che tutto in un punto solo divor6 e ridusse in cenere. Men-
tre fumavano varie citta combuste, alcuna ne rimaneva intatta,
e Fincendio la si spegneva, quando qua divampava. Ora in tal sue-
cessione d'incendi la coltura perseguitata e fuggiasca ancora giva
qua e la lasciando di se desiderio e qualche striscia di lume benche
moribonda, che quando non altro ne conservava la memoria. For-
tunatamente contribui a conservarla alcun intervallo di tranquilli-
ta. Contenne di tempo in tempo gli attentati della barbaric un
Teodorico, un Rotari, un Luitprando, un Arechi,1 un Carlo Ma-
gno, un Ottone. Se la Lombardia inondata, desolata e schiava
attendeva la pace di Costanza per godere un'ombra di liberta, le
nostre provincie contavano diverse repubbliche quasi indipenden-
ti non allagate, non ridotte a un deserto, non totalmente imbarba-
rite, le quali conservarono ancorche in parte guasti molti semi
delle antiche cognizioni. Salerno nel secolo piu infelice, nel X,
era la reggia magnifica de' propri principi e fioriva singolarmente
nella medicina. E quando i Saracini siciliani passarono ad insul-
tarla, i Normanni vennero, vinsero e fondarono un gran regno,
e non distrussero, ma fabbricarono sulle conservate memorie della
coltura.
in
[Italianita della poesia petrarchesca.f
. . . Quanto al Petrarca che nobilit6 ed abbelli la poesia italiana
nel genere lirico ed amoroso quanto Dante la sublim6 nel grande
e ranim6 nel satirico; c'invita a parlar di lui alcun poco per ven-
dicarlo di alcuni giudizi diretti a minorarne la gloria. Ed e ben giu-
i. Arechi: duca longobardo di Benevento, morto nel 787. a. Dalle Vi-
cende della coltura mile due Sicilie, ed. cit., in, pp. 81-93.
VICENDE DELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 63!
sto che a lui si consacri qualche foglio di quest'opera per gratitu-
dine di aver egli preferita Napoli a Roma e a Parigi per udire il
giudizio sul suo merito poetico, ed a molti poeti italiani ed oltra-
montani suoi contemporanei anteposti i nostri sulmonesi e na-
poletani.1
Strano sembra a chi ben legge le Rime del Petrarca, che do-
po il Bembo alcuni italiani abbiano asserito ch'egli studiasse la
poesia provenzale. Stranissimo che Saverio Bettinelli, il quale,
per dipignere in grande e per mostrarsi scrittor robusto, cerca ani-
mare 1'epoche del risorgimento degli studi colla filosofia, ritrovi
poi la cagione deir«eccellenza», della «grazia», della <cfinezza poe-
tica» del Petrarca la dove men dovrebbe rintracciarla, cioe ne'
disordini, nella licenza e neU'effeminata urbanita della corte d'A-
vignone, vale a dire in quelle cose che atte anzi sembrano ad im-
mollar le ali delTentusiasmo. « Nella Provenza e nella corte papa-
le» egli dice « Petrarca trovo esempio ed incitamento al suo poe-
tare ».2 « Incitamento », si, perche nulla piu stimola Fuomo di genio
che vede piu oltre della sua eta, a tramandar fuori di se quel sacro
fuoco che 1'accende, quanto il vedere la facolta prediletta da mani
volgari strapazzata. L'altrui traviamento e mediocrita oh come in-
cita a fregiarsi di un lauro non ancor toccatol « Esempio », no,
perche Petrarca apprese nej propri lari, in Italia, gusto piu fine
e vide migliori scorte. Splendeva, quando egli venne al mondo,
un cielo piu depurato in Italia. Piu non era il tempo in cui i mi
gliori italiani illustravano la lingua provenzale adoperandola per
la poesia. I trovatori del XII e XIII secolo cominciavano a tra-
montare. L'accademia di Toronetto e la « Gaia Scienza di Tolosa»,3
e tutto il corredo dell'enidizione provenzale spiegato net Risorgi
mento per adornarlo, se conservava la propria celebrita oltramonti,
in Italia piu non destava Tinvidia poiche comparvero le tre can-
1 . Veggasi su di ci6 una sua lettera pubblicata dal dotto abate de Sade
nel torn, in delle Memorie della vita di Francesco Petrarca (N.S.). Allude
alia Fam.t xni, 7, indirizzata a Pietro, abate di San Benigno, e in parti-
colare al passo di questa lettera che il Signqrelli traduce piu avanti.
2. Risorgimento, parte II, c. ill, pag. 80 (N. S.)- Cfr. Opere, ed. cit., rx,
1799, p. 129. 3. Uaccademia . . . Tolosa: allude airaccademia tenuta
intorno al 1300 nelTabbazia di Toronetto e alle gare poetiche («jeux
floraux») indette dal 1323 in avanti a Tolosa da sette rimatori che si
dicevano « mantenedors del gay saber », ossia della <cgaya sciensa», la teo-
rica d'amore gia elaborata nella scuola provenzale.
632 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
tiche dantesche. Petrarca, nato nel 1304, crescendo si nutriva delle
robuste dipinture delTAlighieri e della lirica dolcezza di Cino da
Pistoia. GPinspirarono i suoi coetanei compatriotti 1' amore del-
Perudizione latina, ed accesero nel giovanetto cuore vivide fiamme
di leggiadra invidia, onde sursero i semi della futura sua grazia e
finezza poetica. Fini di assicurarne il gusto il dotto Barlaamo1 con
additargliene i veri fonti ne' greci esemplari e con insegnarli ad
investigare le bellezze di Platone e di Omero.
Pieno il petto di greca e latina sapienza, di ammirazione per
Cino e piu per Dante, di amore pel nativo idioma di cui tutta com-
prendeva la forza e la venusta nascente, e soprattutto di quel genio
grande che sorge in noi colla felice organizzazione, e che da chi nol
sorti per natura non si trova ne dentro ne fuor di casa, ne con oro
si merca, n6 con diplomi si ottiene, ne* colla spada o col cannone
si conquista; Petrarca passo le Alpi e apparve nella Provenza.
E che vi apprese in poesia ? che vi trovo ? lo mel rappresento in
mezzo agPistitutori della «Gaia Scienza», tra' parlamentari2 della
aCorte d' Amore)), tra' giudici delle atenzoni)), porgendo Pudito a*
nuovi modi dej giuglari3 provenzali. Apparentemente egli in essi
non vide che un giuoco scenico della poesia, non la poesia stessa;
un pinger di maniera non naturale, non vero; ne dove per essi
dimenticare Parmonico verseggiar di Dante, Paurea elegante mae-
stosa sempKcita virgiliana, Penergia oraziana e Peloquio di Pla
tone e di Tullio. Firenze dove presentarglisi al pensiero : gli occhi
suoi talvolta si volsero all'ingiu cercando lung'Arno i patri ci-
gni. I provenzali Arnaldo e Folchetto e Sordello, rimator pro-
venzale nato in Mantova, potevano sfuggire di esser da lui ra-
pidamente comparati a Cavalcanti, a Cino, al cantor di Ugolino?
Piu di una fiata non dovette dire a se stesso: ccDov'e la mera-
vigliosa evidenza, rarmonia perenne, il robusto colorito della gran
Commediat Perche qui non si studia Tullio e Platone, Virgilio
ed Orazio, o studiandosi perche* non s'imitano?4 Non e dunque
da stupirsi se qui si parli un linguaggio ben diverso dalTamante
i. Fini . . . Barlaamo: il Petrarca pens6 in effetti di poter apprendere il
greco dal monaco calabrese Barlaam, col quale si trov6 ad Avignone nel
1342 e nel 1346-1347, ma sembra che 1'insegnamento non sia andato ol-
tre i primi element!. 2. parlamentari: partecipanti. 3. giuglari: italianizza
ilpTOvenzalejoglar, «giullare». 4. II signor di Fontenelle nella Storia del
teatro francese confessa che i rimatori provenzali verseggiavano per abito
amorosamente senza curar di Greci e di Latini (N. S.)-
VICENDE DELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 633
di Beatrice, se qui non si sospiri con quel dolce patetico onde
fu pianta Ricciarda)).1
«Veggio ben io» egli pot6 aggiugnere «su qual perno si ag-
giri il rimar de5 trovatori. Delicatezze argute, arzigogoli dello spi-
rito piu die slanci di cuore appassionato; bellezze ipotetiche di
convenzione piu che spontaneita inspirata dalla natura; artificio
nella forma delle noiose sestine e delle ballate e de' madrigaK
piu che verita e scelta di concetti; sonetti epigrammatici piu che
pindarici; non sublimita nuova nelle canzoni, non epico suono ner
capitoli lontani dalla mollezza, in cui si congiunga alia forza dan-
tesca un colorir gaio e gentile, di cui Cino abbozzo rimmagine.
La patria lingua docile, pieghevole, armoniosa per natura, tutto
abbellira, s'io voglio, quanto quassu si ammira. E bene io ne faro
saggio alcuna fiata mostrando di poetare alia lor maniera negli
amorosi deliri; s'io a lor non discendo, quando mai a Dante essi
s'innalzeranno ? Cerchero una o due delle loro "trove"35 piu pre-
giate, le animero colle tosche maniere dandole quelParmonia me-
trica che ricusa di ricevere la costituzione del loro idioma; essi
vi si delizieranno per cio che loro parra produzione del paese,
ed intanto si addimesticheranno alia maniera italiana. Messer
Jordi, per esempio, poeta valenziano del XIII secolo,3 dice in una
sua "trova" :
E no he pau, e no tine quim guarreig,
vol sobre el eel, e nom movi da terra,
e no strenc res, e tot lo mon abras.
Io prestero a questo pensiero oltramontano armonia, legiadria, no-
bilta novella in simil forma:
i . Petrarca in effetto mostro di pensar cosi quando nella sopracitata lettera
rapportata dalT abate de Sade, affermo che dall'Inghilterra, dalla Francia,
dalPAlemagna, dalla Grecia de* suoi tempi gli piovevano sopra tanti versi
di poetastri che si strisciavano pel suolo, e che solo in Italia trovava buoni
poeti (N. S.). Cfr. a p. 637 la citazione di questo passo petrarchesco e la
nota relativa. Ricciarda e certo un errore di memoria per Selvaggia, la
donna cantata e pianta da Cino. 2. trove: italianizza il provenzale troba,
« maniera di trovare, di poetare*; quindi, « componimento poetico*.
3. Messer Jordi. . . secolo: in realta, come poi dimostrarcmo gli eruditi
spagnoli Sarmiento e Sanchez, Timitatore non e il Petrarca, ma lo Jordi,
vissuto non nel secolo XIII, ma due secoli dopo (cfr. sulla questione
G. Andres, DeWorigine, progressi e stato attuale di ogm lettcratura, Ve-
nezia, Antonelli, 1830, I, parte I, pp. 455-64).
634 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Pace non trovo, e non ho da far guerra, . . .
e volo sopra il cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo ablraccio.1
I Provenzali mi leggeranno, e mi fia caro poiche qui ora dimo-
ro; forse alcuna bella di Avignone se ne compiacera, e mi udira
cantare in mia favella. Prevedo che giugnendo a' posteri que-
sti concetti studiati, queste manifesto attillature parranno ri-
pugnanti alia verita e alia passione; taluno me ne riprendera; qual-
che valenziano o catalano o provenzale ne trionfera ancora.2 Ma
quel fuoco novello che tutto mi riscalda, quelle idee piu nobili
che attingo nella filosofia di Platone, quelle immagini che mi
presenta la natura, quel bello delle greche e delle latine forme
che mi rapisce, gia mi eleva sopra cio che mi circonda, m'infonde
nuovo gusto ed una leggiadria originale ignota a' parlamentari3 ol-
tramontani. Se non m'inganna il nume che mi riempie, io ne tra-
smettero si gran parte nelle mie rime che i posteri ben compren-
deranno che io scherzo imitando alcuna volta i rimatori della Pro-
venza per divertimento, per capriccio, per far prova del mio idio-
ma in ogni forma, come essi forse faranno col tempo imitando e
traducendo, e forse scempiatamente, i barbari cantori celtici e gli
orientali; ma si awedranno poi che io cerco rimmortalita per sen-
tiero migliore».
Petrarca di fatti cosi pens6, giacche veggiamo quanto si di-
i. Petrarca, Rime, cxxxiv, i e 3-4. 2. Saverio Lampillas, erudito cata
lano esgesuita, trionfa appunto nel tomo II del suo Saggio apol[ogetico]
perch6 Petrarca trascrisse 1'indicato pensiero di messer Jordi; e ne de
duce che i suoi paesani avevano influito «ai progress! della poesia italia-
na » e alia gloria del Petrarca. Ci6 che soggiugniamo mostrera al pubblico
in che sia posta la vera poesia petrarchesca (N. S.). Francesco Saverio
Lampillas (1731-1810), venuto a Geneva dopo Tespulsione del suo or-
dine dalla Spagna, e noto soprattutto per il Saggio storico apologetico della
letter atur a spagnuola, in sei volumi e pubblicato fra il 1778 e il 1781, nel
quale, polemizzando col Tiraboschi, col Bettinelli e col Napoli Signorelli,
ribatte le accuse relative alia dannosa influenza degli scrirtori spagnoli
prima sulla letteratura latina (Seneca, Lucano, Marziale, ecc.), e poi
sulla letteratura italiana del Seicento. Le risposte del Tiraboschi e del
Bettinelli con le controrisposte del Lampillas furono raccolte in un vo
lume pubblicato a Roma nel 1781. Ma il piu acerrimo awersario del
Lampillas fu il Napoli Signorelli, che, a quanto pare, proprio a questa
polemica dovette Tallontanamento dalla Spagna (cfr. C. G. MININNI,
P. Napoli Signorelliy cit., pp. 84-93). 3. parlamentari: cfr. p. 632 e la
nota 2.
VICENDE DELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 635
lunghi dalla maniera provenzale quel gran gusto che spieg6 nelle
impareggiabili sue canzonL E che ha che fare colle « trove » di
messer Jordi e colle «tenzoni» provenzali la bellissima graziosa
dipintura della sua donna a pie di un albero nella canzone Cfuare,
fresche e dolci acque, cui milk adegua se non qualche tratto mae-
strevole del pennello del Correggio? Qual trovatore ebbe mai
idea del seguente ben noto quadro ?
Da' bei rami scendea
(dolce nella memona)
una pioggia di fior sovra il suo grembo;
ed ella si sedea
umile in tanta gloria,
cover ta gia delV amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual sulle trecce bionde,
ch*oro forbito e perle
eran quel di al vederle.
Qual si posava in terra, e qual sulVonde,
qual con un vago errore
girando parea dir - qui regna Amore.1
Quando mai si seppe a' suoi di oltramonti nobilitar piu altamente
1'oggetto dell'amorosa fiamma?
In qual parte del cielo, in quale idea
era Vesempio, onde natura tolse
quel bel viso leggiadro in ch'ella volse
mostrar qua giii quanto lassu potea?
Qual ninfa in fonte, in selva mai qual dea
chiome d'oro si fino air aura sciolse?
quando un cor tante in se virtudi accolse?
Benche la somma e di mia morte rea.
Per divina bellezza indarno mira
chi gli occhi di costei giammai non vide,
come soavemente ella li gira.
Non sa come Amor sana, e come ancide,
chi non sa come dolce ella sospira,
e come dolce parla, e dolce ride.2'
Dove si vede arte pari a quella che si pone nelTaltro bellissimo
sonetto
i. Rime, cxxvi, 40-52. 2. Rime, CLIX.
636 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Chi vuol veder quantunque pud natura*
per invogliar chi legge a veder la sua donna? Si e mai piu va-
gamente animate il passeggiar semplice ed il mirar della donna
amata prima che Petrarca 1'insegnasse col sonetto
StiantOj Amore, a veder la gloria nostra?
lo non posso non trascriverne i ternarii:
L'erbetta verde e i fior di color mille
spar si sotto queWelce antica e negra
pregan pur che il bel pie li prema e tocchi.
E il del di vaghe e lucide faville
s'accende intorno, e in vista si rallegra
dresser fatto seren da si begli occhi. 2
Ma si contenta egli delle idee che gli sugerisce la natura? Egli
segue la sua donna sin nelPingresso del Paradiso. Leggasi il
sonetto
Gli angeli eletti e le anime beate.3
E come meglio dipingere 1'amorosa invidia ch'egli porta alia terra
ed al cielo che la posseggono? Leggasi il vago sonetto
Quanta invidia ti porto, avara terra*
Tronchiamo questo piacevole esame, che oramai ci fa perdere
troppo camino, dopo avere additata la grata visione dipinta nel
sonetto
Levommi il mio pensiero in parte ov'era,
trascrivendone la leggiadrissima chiusa:
Deh, perche tacque, ed allargb la mano,
che al suon de i detti si pietosi e casti
poco manco ch'io non rimasi in cielo.5
Questo e Petrarca, Pinimitabile, il non traducibile Petrarca, e
non il traduttore di tre versi di messer Jordi. Ma questo Petrarca
non abbisognava della mollezza licenziosa della corte avignonese,
che, con pace del cav. Bettinelli, non gli porse veruno esempio
i. Rime, CCXLVIII. 2. Rime, cxcn, 9-14. 3. Rime, CCCXLVI. 4. Rime, ccc.
5. Rime, cccn, 12-4.
VICENDE BELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 637
di simil poetare. Noi converremo con lui e col suo confratello Lam-
pillas tosto che ci adducano le poesie provenzali e valenziane onde
possono esser tratte queste bellezze original! del poetar petrar-
chesco. Ma la fonte provenzale non getta di queste acque, ed al-
tronde spiccia la vena della leggiadria del Petrarca e della subli-
mita dell'Alighieri. Quei che non sono nemici della storia, osser-
veranno che, nel fiorire della poesia italiana merce di questi due
grandi ingegni, divenne roca ed in seguito ammutoli la proven
zale. L'apologista Lampillas pretese che questa decadde nella Pro-
venza al mancar de' principi catalani. E bene: perche pero non
conserv6 le antiche sue glorie in Aragona e in Catalogna? Perche la
« Gaya Ciencia» e le poesie di Febrer e di Ausias Marc1 non tolsero
il primato a quelle di Dante e di Francesco Petrarca?
Si diffuse per 1'Europa lo splendore di si begli astri, e spar-
vero le facelle nebulose che producevano un debole crepuscolo.
Petrarca da motivo di andar fastose del suo giudizio le citta che
prescelse. Tra gl'Inglesi, i Francesi, i Tedeschi, i Greci e gFItaliani
stessi, egli trovo poeti veri in ben pochi paesi. «Se non m'acceca»
egli scrive nella mentovata lettera «Famor delk patria, io ne veggo
in Firenze, in Padova, in Verona, in Sulmona, in Napoli; mentre
altrove veggo sol poetastri che strisciano pel suolo»2 . . .
IV
\Uamore della liberta, primario movimento delta natura umana.]3
Per risalire alPorigine di un disordine uopo e formarsi chiara
idea del principio dell'ordine. Per vedere se una costituzione siesi
alterata con vantaggio o detrimento del pubblico bene, che e lo
scopo di un buon governo, bisogna investigare il principio onde
i . Andreu Febrer , poeta catalano della prima meta del secolo XV, noto,
piu che per le sue poche liriche, per una traduzione della Dwina Comme-
dial Auzias March (1397-1459), il maggior lirico catalano del Quattro
cento, contimiatore della tarda tradizione provenzale della scuola di To-
losa. 2. Cfr. Petrarca, Fam., xin, 7, 15: «unum est quod patrie niee
gratuler cui inter infelix lolium et steriles avenas toto orbe difnisas, ali
quot iuvenum ingenia feliciora consurgunt, nisi me amor fallit, non ina-
niter fontem potura Castalium. Tibi quoque dilecta Musis Mantua, tibi
Patavum, tibi Verona, tibi Cimbria, tibi Sulmo meus gratulor et tibi,
domus Maronea Parthenope, dum alibi poetantium novos greges incertis
tramitibus late vagos, semper aridos sitientesque conspicio*. 3. Dalle
Vicende della coltura nette due Sicilie, ed. cit., IV, pp. 6-13.
638 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
muovesi ad operate ne' diversi govern! ogni individuo. Monte
squieu, queirillustre pensatore del secolo XVIII, che voile addi-
tarci il codice della natura manifestando Lo spirito delle leggi delle
nazioni, rawis6 diversi principii di azione nelle tre principali for
me di governo, il timore negli stati dispotici, Vonore nelle monar
chic e la wrtii nelle repubbliche. Ma portando lo sguardo filoso-
fico nelTultima sorgente delle verita, cioe neirintimo del cuore
umano, si vedra che questi diversi principii discendono come sem-
plici effetti da una cagione singolare che muove ogni uomo.
Ben cio vide PElvezio;1 il vide Tincomparabile Filangieri;2 e mo-
strai nel passato secolo di vederlo anch'io.3 II leggitore vedra in
che cosa io discordai da si illustri pensatori. Uni Fautore della
Sdenza della legislazione i tre principii del Montesquieu sotto Tu
nica universal cagione dell' amor delpotere, seguendo in cio le trac-
ce dell'autore dell* Esprit, che diede agli uomini tutti un desiderio
di esser despoti.4 Ma prima delT a/nor del potere, del dispotismo,
non vi e un movimento che lo precede e che ha maggior diritto
ad essere unica universal cagione? Un'analisi piu metafisica mo-
strera che il primo grado di piacere a cui si aspira, sia quello di
non esser soggetto, da cui discende poi Taltro piu complicato e
piu pernicioso di soggettar gli altri, che mette in contrasto tutti con
tutti. In vece dell'amor del potere del Filangieri, che e Vamor del
comando dell' Elvezio, la cercata cagione che unisce i nominati
principii e che precede qualunque altro desiderio, e per me Vamore
della libertd, primario movimento inerente all'umana natura che
opera ancor quando non s'intende.
Non ci vuole una lunga dimostrazione a convincere che il pia
cere sia il motivo determinante che dopo deU'amore della vita
risveglia in noi Tidea e I'amore della liberta sin dalTinfanzia.
Un'occhiata serena dentro di noi stessi basta a provarlo. La prima
passione che si fa sentir nel bambino, e quella ch'egli mostra per
i. NelT.E!spn'*, nel cap. 17 del in discorso (N. S.). 2. Nella Scienza della
legislazione (N. S.)- 3- Nel tomo iv, pag. 6 di quesfopera, uscito nel 1785
(N. S.). 4- «Ce d£sir prend la source dans Famour du plaisir, et par
consequent dans la nature m£me de Phomme. Chacun veut 6tre le plus
heureux qu'd est possible; chacun veut ^tre revetu d'une puissance qui
force les hommes a contribuer de tout leur pouvoir a son bonheur: c'est
pour cet effet qu'on veut leur commanders (N. S.). Cfr. Helv6tius,
De Vesprit, discorso in, cap. 17, Amsterdam 1761 (i edizione 1758), i,
p. 441.
VICENDE BELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE 639
Falimento che la natura gFinsegna a cercare negK oggetti vicinL
Quella che dopo di questa si disviluppa e la passione della liberta
di soddisfarsi. L'attitudine del suo corpo, i movimenti tutti mani-
festano la brama di frangere gljiinpacci delle fasce per appressarsi
airoggetto che Finvita. Egli coj vagiti richiama la facolta che gli
s'impedisce di toccar la fiamma, e palesa Paffetto nascente per
la liberta di operare ed il piacere che attende daiFappagarla. Noi
pensiamo a godere della liberta prima che a torla ahriiL Prima
che Fuomo si accorga di esser soggetto, si vede nascer in lui Fidea
della libertd, la quale non lede gli altrui diritti: nasce Fidea del
potere e del comando dei due celebri scrittori piu tardi dalla co-
noscenza dello stato sociale, e per natura tende alToppressione.
Prima dej Montezumi ed Atabalipi1 corteggiati dalle serve nazioni,
errano per grimmensi boschi americani quasi solitari i selvaggi
cercando di sussistere nell'indipendenza colla caccia e colla pesca.
Poich6 ci awediamo di esser soci, noi non cangiamo natura, ne
perdiamo la cara rimembranza di quel diritto primitivo di non esser
comandati; e con ogni sforzo ne' van governi cerchiamo di con-
servarlo. Per non perderlo tutto, ne cediamo di buon grado una
parte: poco, come si spera, nelle societa popolari; un poco piu
e da* piu nelle aristocratiche; molto e da tutti nelle monarchic;
quasi tutto e con minor fiducia nelle dispotiche.
Per questo amore di liberta coltiviamo la virtit nelle repub-
bliche, come quella che piu di qualunque principio motore so-
stenendo il diritto di ciascuno alia liberta, inspira Famor della
patria, e conduce eziandio a partecipare delFautorita. Per esso nel
le monarchic rawisando nel sovrano la sorgente, per cosi dire,
del favore, il quale puo assicurarci e raddoppiare la liberta qua
lunque sia che ci rimane, aspiriamo a fregiarci di quel segno di-
stintivo, che ingrandisce agli occhi della moltitudine colui che ne
partecipa, ed in cio ponghiamo Tidea Aoffonore^ la quale non esclu-
dendo la virtu, ci fa agire in tal forma di governo. Per Fistesso
amore di liberta che ci sembra vicina a pericolare in tutto sorto
di un despota, si eccita in noi il timore di una possanza arbitraria
che si gran parte ha soggiogata della liberta universale. lo veggio
nella stessa vogHa di divenir despota additata dall'Elvezio, se-
i. Montezumi ed Atabalipi: cioe i monarchi assoluti come Montezizma, re
del Messico (1440-1464), e Atabalipa o Atahualpa (morto nel 1533), re
del Peril.
640 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
guito dal Filangieri, operate con vigore anticipatamente 1'amor
primitive della liberta. Questo c'infonde il desiderio di partecipar
corrmnque della suprema potesta come mezzo piu sicuro di con-
servar la nostra libera e piu che si possa felice sussistenza. lo
veggo in piu di un petto tacer talora Tamor del potere e del coman-
do, ma non mai quello della liberta; sempre si vuol esser libero,
sovente si vuol comandare. Elvidio, Trasea1 ed altri prodigi di eroi-
smo e di virtu, sotto la tirannide piu tremenda e capricciosa di
alcuni primi imperadori romani, rinunziarono al potere e non alia
virtu e alia liberta. Decio che si precipita nella voragine, usa del
diritto di liberta per salvar la patria col proprio sacrificio, e moren-
do abbandona ogni idea di autorita. Forse un inglese col privar-
si dell'esistenza vorra mostrare di partecipare del potere, ma co-
mincia dal reclamare la liberta di correre al ponte di TamigL*
AUorche" da lungi ressero queste provincie i principi spagnuoli
per mezzo de' vicere, la liberta universale e particolare si trovb
scossa impetuosamente da venti opposti che spiravano da diverse
parti. Pieno il sovrano della propria potenza volea esercitarla sen-
za molti ceppi tanto riguardo a* vassalli tutti in queste terre,
quanto riguardo a chi pretendeva in esse partecipar del potere
di lui. II pontefice sosteneva gli antichi suoi diritti che credeva di
derivare dalle investiture, e pensava a' mezzi di dilatarli. I grandi
baroni non lasciavano di presumersi regoli pressoche indipendenti.
II popolo di Napoli tratto tratto ricalcitrava, e supponeva di potere
ancora dar la legge ai tribunal! ed a? ministri, come segui al tempo
di Margherita e di Ladislao fanciullo. I vicere investiti di una
potesta superiore alia classe dej baroni e alia magistratura, senza
lasciare le passioni e gl'interessi di un privato, e (si pu6 aggiugnere)
colla facolta di eludere le private e le pubbliche rimostranze come
secreti confidenti del gabinetto del principe, destavano ne* soggetti
rimpazienza del giogo.
i. Elvidio Frisco e il suocero di lui, Trasea Peto, furono tra i piii austeri
rappresentanti delTopposizione sanatoria nel I secolo d. C. 2. correre al
ponte di Tamigi: per suicidarsi.
DA « DELLE MIGLIORI TRAGEDIE
GRECHE E FRANCESI»
[Classid e classicistL]
Certi italiani e Perudito ex-gesuita spagnuolo Andres,1 i quali,
dietro le tracce del Voltaire2 e di altri oltramontani, ripresero il
Trissino ed altri nostri tragici cinquecentisti singolarmente per
certo «languore» acquistato, al loro dire, dalP« imitazione de' Gre-
ci», soffrano che io il dica, essi non lessero o non ben lessero i
greci tragici. Ne dico gia che in qualche greca favola tal lan-
guore non vi si scorga, specialmente in quelle che abbondano
soverchio di esseri allegorici. Nego bensi senza veruna esitanza
che esso siasi difetto insito naturalmente e necessario del tragico
teatro greco; e sostengo che si appartenga a qualche tragico as-
settatuzzo simile al molle Clistene proverbiato da Aristofane,3 che
non seppe guardarsene. Che se talora awiene che non a torto
si noti ne' cinquecentisti italiani la rimproverata languidezza, essa,
secondo me, da tutt'altro deriv6 che dairimitazione de' Greci.
Furonvi essi indotti per lo piu dalla copia stessa della propria erudi-
zione. Sacrificarono talvolta la verita richiesta dalla passione al
piacere d'inserire in una patetica situazione una frase o una ma-
Compiuta a Milano nelTinverno del 1804, durante i ritagli di tempo che
gli lasciava il suo incarico di riordinatore della biblioteca di Brera, questa
opera fa pubblicata col titolo Delle migliori tragedie greche e francesi,
traduzioni ed analisi comparative, a Milano, presso la Stamperia e Fonderia
Al Genio, in tre tomi: il primo (contenente le traduzioni in versi sciolti
doll' Ippolito coronato di Euripide e della Fedra di Racine, con un' analisi
comparativa delle due tragedie) e il secondo (che comprende le traduzioni
della Merope e dell'Orfano della China del Voltaire, precedute da una
Storia, frammenti ed analisi delV argomento del Cresfonte, cioe del tema
tragico di Merope) nel 1804; il terzo (che contiene le traduzioni del-
rifgenia in Aulide di Euripide e di quella del Racine, con un' analisi
comparativa delle due tragedie) nel 1805. Le pagine qui riprodotte sono
tratte dal tomo in, pp. xxiv-xxvii.
i . Cfr. DelVorigine, progressi e stato attuale di ogni letter atura^ Venezia, An-
tonelli, 1830, I, parte I, pp. 543-4: al'attaccamento agli antichi maestri
li fece bensi regolari e ordinati, ma non li Iiber6 dalla freddezza e dalla
lentezza delTazione, che or ne rendono stucchevole la lettura, e che af-
fatto intollerabile ne renderebbero la rappresentazione ». 2. Cfr. Disserta
tion sur la trage'die ancienne et moderne, in Oeuvres, IV, Paris, Hachette,
1891, p. 6. 3. Clistene: un ateniese deriso per la sua efTemminatezza da
Aristofane (cfr. Nub., 355, e altrove) e da altri commediografi greci.
41
642 PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
niera di qualche classico greco o latino. L'arte oratoria che posse-
devano a meraviglia, li sedusse non rare volte, ed aspirarono a
mostrarla soverchio la dove conveniva sentire e far sentire, ap-
passionarsi ed appassionare. Arnatori, com'erano ancora a que' di,
di manifestar 1'arte, di saper far versi numerosi e sonori e mae-
stosi, questa medesima li men6 oltre i confini deU'armonia dram-
matica. Simili pregi sul teatro sovente intempestivi, e non gia,
come si disse e si trascrisse senza mai esaminare, Fimitazione de'
Greci, apport6 talvolta il languore che si censura ne' tragici cin-
quecentisti.
Ma quale languidezza hanno alcuni nostri troppo eruditi cin-
quecentisti, che non venga sorpassata da quella che osservano
gli stessi Francesi nel Sertorio, nel Pertarite, nella Sofonisba, nel-
VEdipo, TitlV Agesilao, nel Pompeo stesso di P. Cornelio, a cagione
della galanteria monotona che ne deturpa i tragici colori? Qual
maggior languore degli amori deirElettra del Crebillon,1 di Filot-
tete e di Giocasta ntNEdipo del Voltaire, di Porzio, di Marco, di
Giuba, di Marzia, di Lucia, di Sempronio nel Catone delF Adisson ?
Per questo tedioso languore appunto il dotto sig. Dacier2 diede a
simili componimenti il titolo non di tragedie, ma di commedie
melanconiche. Essi intanto, che languidi pur sono senza contra-
sto, non attinsero certamente codesto languore, che gli awelena,
neH'imitazione de' Greci. Desistano dunque gli antiellenisti dal
copiarsi Tun Taltro e dal ripetere per pappagallesche giacolatorie
le invettive inserite nelle Varietd delle gazzette oltramontane, nelle
quali si riprende negli Italiani 1'imitazione della greca languidezza.
E voi, illustri letterati di primo ordine, voi Zeni, Maffei, Lami,
Tiraboschi, voi dotti Pisani del secolo XVIII, che miraste sem-
pre con venerazione i Greci, ma che talvolta scendeste, come pur
fece il Baile, a spargere la vostra erudizione in qualche foglio perio-
dico,3 perdonate aj modernissimi gazzettieri o giornalisti che dir
i. Prosper Jolyot de Crebillon (1674-1762), autore di tragedie romanzesche
e convenzionali. 2. Andre Dacier (cfr. la nota a p. 71), il filologo fran-
cese pifc volte ricordato, e i cui giudizi il Napoli Signorelli cita spesso
con lode, insieme con quelli della moglie Anne Lefevre, nelle sue pagine
polemiche in difesa della poesia classica. 3. Zeni . . . periodico: Apostolo
Zeno fondo e diresse tra il 1710 e il 1718 il « Giornale de' letterati d'Italia»;
Scipione Maffei, dopo aver collaborato alia suddetta rivista, pubblic6 tra
il 1737 e il 1740 le « Osservazioni letterarie»; Giovanni Lami fu il princi-
pale compilatore delle «Novelle letterarie» di Firenze (1740-1768); Gi-
rolamo Tiraboschi fu prima collaboratore e poi direttore del « Nuovo gior-
DELLE MIGLIORI TRAGEDIE GRECHE E FRANCESI 643
si vogliano, se ardiscono scagliarsi contro i Teocriti, I Sofocli, gli
Eschili e gli Euripidi; essi li conoscono per pura volgare tradizione,
come i Caffri e gli Eschimali;1 essi empiono di ciance i loro
scartocci; essi scrivono per vivere, mentre abborriscono la zappa
a cui la natura gli fece nascere.
nale dei letterati d'Italia» di Modena (i773-i79°); i dotti Piswn dd secolo
XVIII sono i professori delTUniversita di Pisa che, sotto la direziooe di
Angelo Fabroni, collaborarono tra il 1771 al 1796 al «Giornale dei I«t-
terati» di Pisa. II Bayle e ricordato per le cNouvelles de la r£jmblique des
lettres* da lui pubblicate in Olanda. i. Esckimali: Esquimesi.
GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
NOTA INTRODUTTIVA
ccPer quasi mezzo secolo di questo periodo sono pochi i periodic!
in cui non si trovino ricordati il nome e gli elogi del Chiarissimo
Signer Conte Gian Francesco Galeani Napione di Cocconato»
constatava il Foscolo nel suo articolo su La letteratura periodica
italiana (1824), burlescamente sottolineando la <csonante» im-
ponenza dei nomi e dei titoli dello scrittore piemontese. E da parte
sua opponeva a quella vacua fama accademica un giudizio assai
severo sull'opera di lui, a cominciare dal trattato sulla lingua ita
liana, «ricco d'erudizione e non privo di senso comune», ma scritto
in modo mediocre e gelidissimo, e ccinteso espressamente ad adu-
lare la vanita degli italiani», e concludeva che non avrebbe fatto
parola «di questo nobile autore, s'ei non avesse giovato a dare
un'idea delTaristocrazia letteraria, come quello che e il piu an-
tico e venerabile fra gli idoli viventi ai quali vien tributata pe-
riodica adorazione da' giornalisti italiani», idolo tanto piu peri-
coloso «per il proponimento da lui avanzato di voler istmire i
propri concittadini nell'arte difficile di scordare quanto hanno ap-
preso dalTanno 1790 ai nostri tempi ». Anche ad un lettore mo-
derno che ripercorra e il trattato sulla lingua e gli altri infiniti
scritti del Galeani Napione, non e certo facile sottrarsi alia sugge-
stione di questo spiritoso e amaro giudizio foscoliano, e non awer-
tire quanto di accademica presunzione, di erudizione oziosa, di
retrivo conservatorismo, di monotona freddezza aduggi irrimedia-
bilmente tutti quegli scritti. Ad una meditata considerazione sto-
rica, tuttavia, Topera del Napione puo rivelarsi non priva di interes-
se, oltre che quale testimonianza fra le piu significative di tutta
una zona della cultura italiana fra la fine del Settecento e il prin-
cipio deirOttocento, anche per qualche aspetto positive piu preciso
del generico « senso comune» riconosciutogli dal Foscolo. A que
sto scopo occorre anzitutto richiamare almeno sommariamente la
situazione politico-culturale del Piemonte verso gli ultimi decenni
del Settecento, Tambiente cioe entro il quale si forma e si svolge
Pattivita del Napione. Di questo ambiente e stato tracciato da
qualcuno, soprattutto dal Calcaterra, un quadro assai positive, in
cui si e dato forte rilievo, in particolare, a quei gruppi che si
raccolgono intorno alia Conversazione SampaoUna e alia Societa
648 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
Filopatria, e che hanno come loro principal! esponenti il con-
te Emanuele Bava di San Paolo, il conte Felice di San Martino,
Giuseppe Vernazza, Prospero Balbo, Domenico Azurri, Giuseppe
Franchi di Pont e il Napione stesso: ai quali tutti andrebbe ri-
conosciuto il merito di aver elaborato un orientamento politico-
culturale che, pur prendendo 1'awio dalP esigenza rinnovatrice
deirilluminismo, si verrebbe arricchendo di vivi fermenti sto-
ricistici e patriottici, tanto da poter essere indicato come uno dei
piu fecondi preludi al ccnostro imminente Risorgimento ». In real-
ta piu recenti e spregiudicate ricerche storiografiche hanno per-
suasivamente dimostrato quanto scarsa sia stata Tefficacia di que-
sti gruppi nella formazione effettiva della coscienza risorgimentale
italiana, specie se confrontata con quella, per esempio, della cor-
rente « giacobina », o, tra i Piemontesi stessi, di uomini come il
Baretti, il Denina, FAlfieri, Giambattista e Dalmazzo Vasco, Gio
vanni Antonio Ranza, che ebbero aH'inizio contatti con quei grup
pi, ma che poi non a caso preferirono svolgere la loro attivita fuori
del Piemonte, owero furono qui imprigionati dal sospettoso gover-
no. Quel che invece sta soprattutto a cuore ai frequentatori del-
la Sampaolina e della Filopatria, anche quando cercano di mante-
nersi al corrente del movimento culturale europeo e propongono
giudiziose riforme amministrative, economiche e finanziarie, non
e tanto un radicale rinnovamento in senso moderno delle strutture
esistenti, quanto piuttosto un loro aggiornamento e snellimento
capace di permettere ad esse di affrontare e superare senza troppi
danni 1'imminente tempesta rivoluzionaria. Allo stesso modo il loro
cosiddetto nazionalismo, la loro insistenza sulla italianita culturale e
politica del Piemonte e sulla necessita di una unione o federazione
degli stati italiani, ha alia sua radice non Pidea di una nazione ita
liana in senso risorgimentale, bensi da un lato Pantico programma
piemontese, che risale ad Emanuele Filiberto, di una espansione del
Piemonte verso la penisola, e dalPaltro la concezione umanistica, ri-
presa dal vecchio Bettinelli e dal suo gruppo, del primato culturale
e soprattutto letterario italiano. Fatte queste riserve sulla efficacia
« italiana» del pensiero e delPazione di questi «filosofi)> piemontesi,
nulla poi vieta di riconoscere che nelPambito della particolare si-
tuazione storica del Piemonte, culturalmente arretrato e insieme
fortemente minacciato daU'influenza politica e culturale della vicina
Francia, essi abbiano esercitato un* opera complessivamente positiva.
NOTA INTRODUTTIVA 649
Appunto a questi principii si ispira, con una coerenza che e
doveroso ammettere, tutta Fattivita aimninistrativa, politica e cul-
turale del Galeani Napione. Nato a Torino il i°novembre 1748 da
una famiglia di funzionari, da poco insignita di titoli nobiliari,
entro a ventotto anni, dopo essersi laureato in legge, nella camera
amministrativa quale impiegato delle Regie Finanze, dove rag-
giunse nel 1779 il grado di Intendente, nel 1796 quello di Consi-
gliere di Stato e di Sovrintendente degli Archivi, e infine, nel 1797,
Palta carica di Generale delle Finanze, dalla quale per6 dette le
dimissioni dopo qualche mese per non firmare alcuni prowedi-
menti d'emergenza che non si sentiva d'approvare. A questa sua
attivita amministrativa si lega tutta una serie di studi e proposte
di riforme di carattere soprattutto economico e finanziario, che
rivelano, oltre ad una specifica competenza, acquistata attraverso
lunghi anni di pratica, dei problemi concreti deireconomia e della
finanza piemontese, anche una relativa audacia e modernita. Era
convinto, ad esempio, che la formazione dei grandi latifondi - specie
in un paese come il Piemonte, fondato su un'economia prevalen-
temente rurale - fosse causa di conseguenze rovinose, in quanto co-
duceva alia scomparsa di « una societa fissa e stabile tra il padrone
e il lavoratore» e quindi da un lato alia miseria e allo scontento
dei contadini e dalTaltro ad una riduzione del prodotto, funesta
per tutto lo Stato; e per owiare appunto a tali conseguenze,
giungeva fino a proporre, richiamandosi al Mably, una riforma
radicale delle leggi sulle succession^ che avrebbe dovuto as-
sicurare un frazionamento della proprieta e una piu equa di-
stribuzione delle ricchezze. Ancora ad un miglioramento della
economia rurale piemontese egli pensava soprattutto quando, in
altri scritti, combatteva il vincolismo e propugnava una perequa-
zione dei tributi, che gravavano soprattutto sui contadini; ma non
gli sfuggiva il beneficio che il Piemonte avrebbe ricavato anche
da uno sviluppo della sua scarsa attivita industriale e commerciale,
e a tal fine suggeriva una serie di opportuni prowedimenti. Ma,
a parte il fatto che tutte queste proposte non sono, considerate
nel quadro del pensiero economico italiano, n6 nuove ne" partico-
larmente ardite, e che, nel Piemonte stesso, erano state sostenute
con ben piu viva forza da Gian Battista Vasco (formatosi nella
Filopatria, ma poi costretto a rifugiarsi a Milano), bisogna tener
presente che esse sono dettate non tanto da sensibilita sociale,
650 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
quanto invece, come dichiara piu volte Tautore stesso, dalla preoc-
cupazione di impedrre nel Piemonte i pericolosi sconvolgimenti
social! che si preannunciavano o stavano gia verificandosi in altri
paesi: e non a caso, proprio in uno dei suoi scritti economici,
egli tiene, per esempio, ad affermare che «non sono le ordinarie
entrate, ma Paffezione e il coraggio de' popoli, il valore e Pingegno
dej capi, le armi e i prodotti delle provincie, in una parola son le
forze della nazione apparecchiate e disposte e pendenti dal cenno
del sovrano che i piu stabili, i piu vantaggiosi tributi costitui-
scono ».
Dalla stessa preoccupazione si rivelano guidati, a ben guardare,
anche i suoi numerosi opuscoli politici. Molto rilievo e stato dato
fra questi, dalla storiografia nazionalistica, ad alcuni progetti, pre-
sentati a Vittorio Amedeo III o ai suoi ministri, come le Osserva-
zioni intorno al progetto di pace tra Sua Maesta e le potenze barba-
resche (1780), VIdea di'una confederazione delle potenze d* Italia
(1791) e la Memoria sulla necessita di una confederazione delle potenze
d* Italia (1794), dove egli era venuto esponendo e successivamente
precisando un suo piano di confederazione dei vari stati d' Italia
sotto la presidenza del papa, confederazione attraverso la quale
sarebbe potuta, a suo giudizio, rinascere d'antica potenza e Pan-
tica gloria navale d'Italia», ed essere assicurata Pindipendenza sia
del Piemonte che delP Italia contro le mire espansionistiche del-
P Austria e della Francia. Ma quale sia il fondo vero del pensiero po
litico del Napione, e quanto in particolare sia lontano da una con-
cezione delPunita italiana in senso risorgimentale, e dimostrato
con singolare evidenza da un altro opuscolo, non a caso trascurato
dagli storici nazionalisti, che e intitolato Del nuovo stabilimento
delle Repubbliche lombarde. In questo opuscolo, scritto nel 1797
sotto la pressione degli awenimenti, e probabilmente ispirato dalla
stessa corte torinese, il Galeani Napione combatte, con una violen-
za insolita in uno scrittore solitamente freddo e paludato come lui,
il progetto, che i giacobini della Cisalpina venivano allora elaboran-
do, di una « repubblica sola e indivisibile », e che il letterato piemon-
tese aveva conosciuto specialmente attraverso la pubblicazione (da
lui ritenuta scritta da un francese ma in realta composta da Matteo
Galdi) su La necessita di stabilire una repubblica in Italia. A questo
progetto egli oppone il suo vecchio piano di «una confederazione
ben attuata dagli stati attualiw; ma Faspetto antirisorgimentale del
NOTA INTRODTJTTIVA 651
suo scritto non consiste tanto in questa tesi, quanto nei motivi
che egli porta per dimostrare pericolosa quella degli awersari e
accettabile e vantaggiosa la propria: nella considerazione, cioe,
che un governo unitario repubblicano in Italia significherebbe
« dark in preda alia discordia la piu sfrenata e sterminatrice, ac-
cendere un incendio inestinguibile », significherebbe in altre parole
il radicale rinnovamento di quelle strutture prerisorgimentali che
invece il piano confederativo del Napione aveva il precise scopo
di conservare. E non e meno significativo che, per rincalzare que
sta considerazione, egli non si faccia scnipolo di ripetere (come
ha dimostrato il Vaccarino) i motivi addotti da un nemico dichia-
rato delPindipendenza e delTunita italiana, quale il Lacretelle.
Durante Toccupazione francese del Piemonte il Napione, pur
mantenendosi in disparte e non accettando cariche governative,
non si dimostra ostile ad una pace dignitosa con la Francia e
neppure rifiuta la legion d'onore offertagli da Napoleone: ma la
ragione di questo atteggiamento sara da cercare non in un'evolu-
zione in senso democratico, bensi nella persuasione, del resto esat-
ta, che Fawento di Napoleone al potere significava, se non un ritor-
no alia situazione precedente, certo la scomparsa dei piu gravi peri-
coli di sconvolgimento politico e sociale. Ne di questa relativa
acquiescenza a Napoleone gli fecero colpa i Savoia, che al loro
ritorno lo riassunsero alia carica di Sovrintendente agli Archivi,
e che egli riprese a servire con fedele impegno mostrandosi fer-
mamente ostile ad ogni awentura liberale (condanno decisamente
i moti del '21) fino alia morte, awenuta il 12 giugno del 1830.
La conoscenza delFattivita e delle idee del Napione nel campo
politico e, come per altri scrittori di questo periodo, un utile punto
di partenza per intendere e valutare la sua opera di storiografo e di
critico della letteratura e delle arti figurative, che qui soprattutto ci
interessa. Gran parte di questa opera nasce soltanto da un puro
e semplice dilettantisms erudito o addirittura da un gusto quasi
di grafomane, pronto sempre a buttar giu pagine e pagine sui piu
svariati e anche piu futili argomenti. Se tuttavia si ha la pazienza
di scorrere i suoi scritti storiografici e critici, si vede che un motivo
vi ritorna se non organicamente, certo con particolare frequenza:
il concetto, appunto, delle relazioni fra la vita politica e la cultura,
un concetto, si sa, generalmente illuministico, ma che nel Napione
si accentua e si precisa entro i caratteri e i limiti propri delle
652 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
convinzioni politiche dell'autore. Gia nel giovanile, e per il resto
poco interessante, Saggio sopra Varte istorica (Torino, Mairesse,
1773), si afferma esplicitamente che «se la storia e Pocchio della
politica, ... si potrebbe dire viceversa che la politica e Focchio
della storia». Appunto all'intento di confermare e documentare
attraverso lo studio del passato le sue concezioni politiche - Fidea
di una unione italiana promossa e guidata dal Piemonte e quella
di rafforzare le strutture preesistenti contro ogni awentura demo-
cratica - si ispirano le sue successive ricerche storiografiche che si
sollevano dalla pura divagazione erudita. Questo intento si ri-
solve talora piu crudamente in libelli di vera e propria polemica e
propaganda reazionaria, come ad esempio nel Paragone fra la ca-
duta deirimpero romano e gli evenimenti del fine dello scorso seco-
lo XVIII (1819), in cui egli cerca di provare che i Francesi erano
stati, sotto tutti gli aspetti, peggiori dei barbari invasori deirimpero
romano; owero in indagini dettate da ambizioni campanilistiche,
come quelle volte a identificare la patria di Cristoforo Colombo col
paese di Cuccaro nel Monferrato. Non manca pero qualche scritto
in cui quel suo proposito si traduce in attente e amorose ricerche
sulle tradizioni antiche e recenti del Piemonte, ricerche che vorreb-
bero fornire i materiali per una storia complessiva della sua regio-
ne, per una storia - come egli dichiara in un saggio intitolato appun-
to Discorso intorno alia storia del Piemonte (1791) - «di diverse po-
polazioni . . . che cio non ostante si radunarono sotto un solo sovra-
no, sovrano i cui progenitori ebbero pero insino dal Mille, ora piu
ora meno esteso dominio nelle contrade medesime ; . . . di un paese
che non ostante un corso di interi secoli di awersita, acquisto quel
grado di prosperita, di popolazione, di coltura, di lettere e di esti-
mazion di cui gode al presente ». Questo interesse per il caratteri-
stico patrimonio comune di tradizioni politiche e culturali del
Piemonte si ritrova nel suo studio sui Cronisti piemontesi (1784),
come quando si dichiara animate dal consapevole gusto di affon-
dare lo sguardo in quei « secoli privi di luce» ma nei quali «la
storia della moderna Europa incomincia», o si compiace di vedere,
nelle pagine del cronista della Novalesa, rappresentata «non gia
una qualunque siasi immagine di grosso, ma que' minuti e dilicati
lineamenti, que' costumi, que* modi, quella foggia di pensare e di
agire che una eta, una nazione rende dalle altre totalmente diversa» ;
o anche nel trattato Dell'antica milizia del Piemonte e del modo
NOTA INTRODUTTIVA 653
di ristabitirla, in cui lo scopo di trarre dalle riforme militari di
Emanuele Filiberto suggerimenti per la costituzione di una mili-
zia nazionale atta ad opporsi agli eserciti rivoluzionari francesi,
lo conduce a ristudiare con attenzione quelle riforme.
Nei suoi scritti di critica letteraria e delle art! figurative & stata
indicata (ancora dal Calcaterra) quale motivo centrale la cosiddetta
dottrina del « Bello ideale ». In realta, a ben guardare, se e vero che
egli piu di una volta dichiara la sua adesione a questa dottrina,
se in qualche punto sembra inclinare verso il concetto di un'arte
che dia « riposo » e « quiete » e lasci un « appagamento che innalza
1'animo)); si deve poi concludere che il suo pensiero estetico, se
proprio di pensiero si vuol parlare, si riduce, come e piu che nel
vecchio Bettinelli (a cui il Calcaterra, questa volta a ragione, lo ricon-
duce), ai concetti del vecchio classicismo accademico riverniciati
superficialmente e confusamente di elementi sensistici e neoclassici.
1/aspetto che invece caratterizza la sua attivita critica, e che spiega
e precisa la sua stessa simpatia per il Bettinelli, per il Tiraboschi,
per il Vannetti e in genere per gli esponenti del movimento di
reazione classicistica, e non tanto un principio di gusto quanto
piuttosto il suo atteggiamento politico, gia illustrato, di naziona-
lista conservator e, preoccupato soprattutto di combattere anche
in campo letterario i pericoli che sarebbero potuti derivare dalTin-
filtrazione e dalla difPusione di motivi stranieri o comunque in qual
che modo sowertitori delTordine costituito e delle antiche tradi-
zioni in Italia e soprattutto in Piemonte. Conseguenze negative
di questo punto di vista sono certamente la sua costante awersione
(del resto condivisa dai suoi amici della Sampaolina e della Filopa-
triay e persino da Giambattista Vasco) per FAlfieri, sottoposto ad
una vera e propria requisitoria nella Lettera a Francesco Benedetti
sul merito delV Alfieri paeta tragico (1818), e altrove esplicitamente
accusato di aver infiuito con le sue tragedie «sullo stabilimento
di quelle italiane repubbliche che ebbero vita si breve, e di tanti
mali furono cagione » ; la sua antipatia per la cc ruggine » e per « Fan-
tica ferocia ghibellina» di Dante, e per i suoi moderni irnitatori,
i quali, come il Monti, a questa avevano congiunto «il genio sangui-
nario straniero»; e ancora il suo aborrimento per i « carmi barbari-
ci usciti dalle foreste de' druidi e tinti di sangue », chiara allusione
alle traduzioni cesarottiane, e per VOrtis foscoliano, il cui stile (come
quello del Cesarotti) gli sembrava tanto diverse dal suo proprio -
654 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
egli dichiarava con involontario umorismo - quanta lo e il sapore
dell'acquavite da quello delTacqua chiara. Ma e anche giusto rico-
noscere che e questo stesso punto di vista che spinge il Napione
a studiare e a porre in rilievo nel quadro della storia letteraria
italiana scrittori piemontesi come il Botero, al quale egli dedica un
lungo saggio (1781) nato si anche dal proposito di rivaleggiare in
« pompa di stile » con gli elogi del Thomas e, piu ancora, di presen-
tare Fautore della Ragion di stato come modello di pensiero politico
« moderate »; ma pure notevole per le molte notizie raccolte con
pazienti ricerche d'archivio e per Fattenzione rivolta agli interessi
economic! dello storico piemontese; e il Bandello, di cui in un
altro saggio (1782-1783) non esita a difendere lo stile dalle riserve
classicistiche del Tiraboschi e del Mazzuchelli, e a preferirlo per la
sua facilita e disinvoltura a quello del Boccaccio, e di cui piu ge-
neralmente definisce Popera come una gustosa e varia rappresen-
tazione della vita del secolo XVI.
Scritti di questo genere non si ritrovano invece tra quelli dedicati
alle arti figurative, quasi tutti raccolti nei tre tomi dei Monumenti
delV arckitettura antica, e che, quando non sono pure esercitazioni
erudite, si ispirano alia dichiarazione, contenuta nella prima delle
lettere riunite nei Monumenti, che «il sostanzialissimo punto di
conformita che passa tra Perudizione antiquaria, il genio per le
belle cose antiche e gli studi di morale)), cioe soprattutto di poli-
tica, consiste nello scopo di «schiarire, ordinare e persuadere le
antiche verita, difenderle e sostenerle contro il falso sapere e gli
speciosi paradossi dej malvagi, non gia d'inventar cose nuove».
Questo criterio cosi esplicitamente conservatore spiega per esem-
pio, oltre i frequenti elogi tributati ai principi che protessero le
arti come aistromento di buon governo», la preferenza per Farte
romana (a cui sono dedicati due tomi su tre) rispetto a quella
greca; 1'antipatia dichiarata non solo verso il gotico e il barocco,
ma anche verso Parchitettura egiziana, in cui egli awerte spiace-
volmente «un non so che di mastino e di tetro», paragonando il
nascente appassionamento verso quell' arte, con significative con-
fronto, alia nuova moda dantesca in letteratura; la difesa contro il
Milizia, e contro la stessa teoria del «Bello ideale», di Michelange
lo, unicamente perche « genio della nazione»; la diffidenza verso
il Winckelmann e il Mengs, ai quali vengono anteposti due italiani
come il Lanzi e il Visconti.
NOTA INTRODUTTIVA 655
I criteri a cui si ispira la critica del Napione sono anche alia
radice della sua opera piii famosa, il trattato Dett'tiso e del fregi
della lingua itaUana^ pubblicato per la prima volta nel 1791. Fissate
le premesse fondamentali che « la lingua e uno dei piii forti vincoli
che stringa alia patria», e che la nazione che parla una sola lin
gua sara «piu atta a spiegare neU'originale sua forza Poriginale ca-
rattere di cui e dotata»; egli applica queste premesse al caso par-
ticolare del Piemonte, dimostrando i danni del suo attuale bilin-
guismo (o trilinguismo, se si tiene conto non solo delPitaliano e
del francese ma anche del latino) e sostenendo che Tunica lingua
ccvolgare, colta, naturale» di esso non puo essere che Pitaliano,
sia per Findole dello stesso dialetto piemontese, sia per Pimpo-
nente tradizione letteraria piemontese di scrittori che si sono valsi
delPitaliano. II secondo libro e dedicate alia discussione degli ar-
gomenti che si possono opporre all'accoglimento di questa tesi, e
in particolare risponde ai sostenitori delTuso del francese con un
ampio elogio della lingua italiana, di cui e posta in rilievo non solo
Farmonia e Fabbondanza, ma anche la capacita intrinseca, per
quanto poco sfruttata, di essere impiegata in opere di intratte-
nimento e di divulgazione scientifica; e conclude con un accenno ai
motivi politici che consigliano la scelta delFitaliano, e che consi-
stono essenzialmente nella « inclinazione e spirito italiano» propri
della storia politica piemontese: inclinazione e spirito che ccin
nessuna maniera meglio si manifestano che nelFabbracciar uni-
camente come propria, nel far uso pubblico, letterario e famigliare
della lingua d' Italia ». Nel terzo libro, infine, Fautore passa ad
indicare i «mezzi per render comune e popolare la Hngua colta
italiana ». Tali mezzi dipendono in parte dai letterati, i quali do-
vrebbero scrivere il piu possibile in italiano, limitando Puso del
latino ma tenendo presenti i classici quali modelli da opporre
come «antemurale contro la barbaric, il gusto falso, il manierato,
il corrotto », e svincolarsi d'altro lato dalla servitu del toscano e
della Crusca, aaccademia di una lingua municipale»; mentre ai
governi spetterebbe il compito di far della lingua italiana la lin
gua delle corti e della pubblica istruzione, nonche quello di agevo-
lare e regolare la stampa delle opere italiane di qualche pregio.
Come appare anche da questo rapido sonunario, non e cer-
to Poriginalita teorica che costituisce il pregio del trattato: il con
cetto, a cui egli soprattutto si appoggia, del rapporto che inter-
656 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
corre fra la civilta, il genio nazionale di un popolo e la sua lingua,
e un comune concetto illuministico : anzi (ha giustamente osser-
vato il Puppo) nel Napione questo rapporto non e inteso in modo
dinamico, come invece per esempio nel Cesarotti, ma statico, co
me fedelta ad una tradizione costituitasi una volta per sempre,
in coerenza con il suo pensiero politico e storiografico e in genere
con la sua caratteristica forma mentale. D'altra parte il suo pu-
rismo nazionalistico, preoccupato di evitare ogni infiltrazione stra-
niera e particolarmente francese, che possa contaminare le « natie
bellezze pudiche» della lingua italiana, risale, come del resto
e piu volte esplicitamente dichiarato dal Napione stesso, al Betti-
nelli, che in tal senso era venuto orientandosi fin dal 1780. L'aspet-
to dawero interessante del trattato va invece indicato nella ener-
gica e consapevole insistenza delFautore, sia pure entro i limiti
che sappiamo, suiraspetto politico della lingua e in particolare
nelFapplicazione di questo concetto al caso specifico del Piemonte,
minacciato nella sua esistenza e nella sua italianita dalla suggestione
fortissima della lingua francese : un aspetto questo che giustifica al-
meno in parte (come il Cesarotti acutamente riconosceva) la sua
polemica contro il Saggio sulla filosofia delle lingue, e che distin
gue comunque nettamente il pensiero linguistico del Napione da
quello di un Vannetti o di un Cesari, guidati soprattutto da ragioni
di gusto, e che non a caso finivano per giudicare troppo « lassiste »
certe proposizioni dello scrittore piemontese, preoccupato non tan-
to di attenersi rigorosamente ad un ideale puristico quanto di
proporre un tipo di lingua che effettivamente collaborasse a quel-
rinserimento culturale e politico del Piemonte in Italia, che a lui
stava soprattutto a cuore.
Manca tuttora una bibliografia degli scritti editi e inediti del Galeani
Napione che possa ritenersi definitiva. Elenchi utili ma incompleti sono
negli studi del Martini, del Gribaudi, della Fusani e del Fossati citati piii
avanti. Qui bastera ricordare le raccolte in cui Tautore riuni, negli ultimi
anni della sua vita, le op ere a cui maggiormente teneva: Estratti ragionati
di varie opere di grido, scritti e pubblicati in diversi tempi, or a raccolti, riveduti
e corretti ddWautoret in due tomi, Pisa, Capurro, 1816 (contiene, fra 1'altro,
una lunga recensione del Voyage du jeune Anacharsis en Grece del Bardie" -
lemy, la recensione al volume del Milizia DelVarte di vedere nelle belle arti
del disegno, e due ampi estratti dalle Lezioni di belle lettere del Blair) ; Vite ed
elogi d'illustri italiani, in tre tomi, Pisa, Capurro, 1818 (comprende, fra
NOTA INTRODUTTIVA 657
Paltro, gli elogi del Botero, def cronisti piemontesi e del Bandello, la vita e
Pelogio del Bettinelli, e la vita di Federico Asinari, dove si legge il giudizio
sulPAlfieri citato nella Nota introduttiva) ; Monumenti dell* architettura an-
tica, lettere al conte Giuseppe Francki di Pont, in tre tomi, Pisa, Capurro,
1820; Opuscoli di letter atur a e belle arti, in due tomi, Pisa, Capurro, 1826
(comprende, fra Paltro, un Discorso sopra la scienza militare del Tasso e un
Discorso intorno al canto IV dell\ Inferno » di Dante}. Alcuni scritti econo-
mici sono stati pubblicati nella Raccolta d'opere d'economia politica di scrit-
tori piemontesi, Torino 1820; e in appendice al volume del Fossati citato
piu avanti. I piu important! opuscoli politici, YIdea di una confederations
delle potenze d* Italia e Del nuovo stabilimento delle Repubblicke lombarde
si leggono in N. BIANCHI, Storia delta monarchiapiemontese dal 1773 al 1861,
Torino, Bocca, 1877-1885, in, pp. 527-48 e 570-611. L'opera DeU'antica
milizia del Piemonte e del modo di ristabilirla e stata pubblicata da E. Scala
nel volume Le milizie sabaude, Roma 1937, pp. 53-125. Sul trattato Del-
Vuso e deipregi della lingua italiana e sul Discorso intorno alia storia del Pie
monte si vedano i cappelli alle pagine qui riprodotte.
Manca intorno al Napione un' opera complessiva condotta criticamente.
Tali infatti non sono n6 i profili di L. MARTINI, Vita del conte G. F. Ga-
leani Napione, Torino, Bocca, 1836 (che e un «elogio» in stile tacitiano);
e di V. GRIBAUDI, Discorso critico su G. F. Galeani Napione, Cuneo 1872;
e neppure la modesta monografia di L. FUSANI, G. F. Galeani Napione, vita
e opere, Torino, Tip. Baravalle e Falconieri, 1907. L'opera di C. CALCA-
TERRA, II nostro imminente risorgimento, Torino, S.E.I., 1935, deve essere
tenuta presente per le molte indicazioni sia suH'ambiente culturale della
Conversazione Sampaolina e della Societa Filopatria, sia sul Napione, ma
va adoperata con cautela per le ragioni accennate nella nostra Nota intro
duttiva. II giudizio del Foscolo si legge in Opere, xi, a cura di C. Foligno,
Firenze, Le Monnier, 1958, pp. 360-1.
In particolare sul pensiero economico del Napione si veda A. FOSSATI,
Ilpensiero economico del conte G. F. Galeani Napione, Torino, Fedetto, 1936.
Sul pensiero politico sono important! le osservazioni limitative di G. VAC-
CARINO, I patrioti « anarchistes » e Videa delFunita italiana (1796-1799), To
rino, Einaudi, 1955, pp. 19-24 (a cui si rimanda anche per ulteriori indica
zioni bibliografiche sulPargomento). Sul pensiero storiografico qualche in-
dicazione in G. NATALI, Idee, costurrti, uomini del Settecento, Torino,
S.T.E.N., I9262, pp. 72-5 (e dello stesso si veda anche // Settecento, cit,
pp. 456-7, 461-2 e 1185-7). Sulle idee estetiche e critiche, C. CALCATERRA,
La questione estetica delle « Lettere virgHiane ». Dante gotico e U Petrarca
creator e delTitalica poesia, in <t Archivio storico per le provincie parmensi^
N. S., xxxiv (1934), pp. 7-27, poi in IlPamaso in rivolta, Milano, Mooda-
dori, 1940, pp. 259-80 (in particolare cfr. le pp. 267-74). Sul pensiero lin-
guistico, si veda rottimo capitolo di M. PUPPO, Discussioni lingttistiche dd
Settecento, Torino, U.T.E.T., 1957, pp. 83-90 (a cui si rimanda andhe per
Pindicazione dei precedent!, ma tutti poco notevoli, studi sull'argoinento).
DA«DELL'USO E DEI PREGI
DELLA LINGUA ITALIANA»
LIBRO I • CAPO I
\Intr oduzi onel\ r
QuelPistromento dalla natura alTuomo concesso, per via di cui
non solo il piacere ed il dolore si manifesta, ma s'instruisce, si
delibera, si persuade, si comanda, e che somrninistra i segni me-
Nella dedica al conte Felice Durando di Villa, premessa alia prima edi-
zione, compiuta nel 1791, del suo trattato DeJTuso e del pregi deUa lingua
italiana, il Napione dichiarava che tcsebbene piu di dieci anni or sieno
passati da ch6 Topera gia era terminata, le incombenze che gli vennero
successivarnente addossate in due provincie, e le domestiche vicende ezian-
dio» non gli avevano permesso di attendere alia revisione definitiva e
alia pubblicazione del suo lavoro. Da tale dichiarazione si trae, e il Na
pione stesso lo faceva esplicitamente rilevare in una lettera scritta al Betti-
nelli il 6 dicembre 1801 (e pubblicata da M. G. MACCHIA ALONGI, Di
alcuni carteggi piemontesi col Bettinelli, in « Atti della R. Accademia delle
Scienze» di Torino, LXXVII, 1941-1943), che il trattato, nella sua struttura
generate, sarebbe stato composto prima che uscisse, nel 1785, la prima edi-
zione del Saggio sulla lingua italiana del Cesarotti; anche se non resta
del tutto eliminato il sospetto, affacciato appunto dal Cesarotti nella sua
Lettera al Napione (err. in questo volume, pp. 457-68), che lo scrittore pie-
montese, almeno nella revisione della sua opera, abbia potiito tener pre-
sente il Saggio cesarottiano anche per confermare e precisare alcune
idee — la polemica contro la tirannia della Crusca, il concetto di una
lingua insieme «colta» e «popolare», ecc. -, cosi come lo tenne presente
per discuterne in alcuni appositi paragrafi varie afFermazioni con le qua-
li non consentiva. II trattato fu dunque pubblicato per la prima volta a
Torino (Balbino, 1791), in due tomi contenenti anche alcuni scritti mi-
nori relativi all'argomento trattato nelTopera maggiore (una Lettera del
Tiraboschi alTautore e la Risposta di questo, e una lunga Lettera del Na
pione al Bettinelli intomo al discorso del de Velo Sulla prerrtinenza di
alcune lingue e sulVautorita degli scrittori approvati e dei gramatict), e inol-
tre il Discorso intomo al modo di ordinare una biblioteca scelta italiana
e il Discorso intorno alia storia del Piemonte. Una seconda ediziooe del
trattato e degli altri scritti minori, « diligentissimamente purgata dagli er-
rori e difetti che si scorgevano con dispiacere nella prima ediziooe <fi
essa», ma senza variazioni sostanziali fu poi stampata a Firenze, presso
Molini, Landi e C., nel 1813. Su questa seconda edizione sono modellate
tutte le successive edizioni a cominciare da quella di Milano (Silvestri,
1819). Alcuni passi del trattato, con note illustrative, sono stati recen-
temente ristarnpati da M, Puppo nella sua antologia, Discussiom Ungui-
i. Dal trattato Dett'uso e dei pregi della lingua italiana, ed. cit., I, pp. 1-2.
660 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
desimamente per mezzo de' quali Fanima richiama tra se stessa
le idee e le connette; il linguaggio, in una parola, dalle diverse
inclinazioni di una nazione, dai diversi studi ed arti dominanti
e dalle vicende cui va soggetta, pu6 ricevere modificazioni essen-
zialissirne. Dipende adunque in gran parte dagli uomini mede-
simi il perfezionare quest' organo, e quanto sara desso piu per-
fetto, tanto piu facile riuscira Facquistare il sapere, Fistruzione piu
pronta, la meditazione piu profonda, piu sensibile, piu generosa,
piu energica Fanima stessa, ondeche le speculazioni tutte e le
cure dirette a migliorare un si fatto universale istromento, sono
troppo piu rilevanti di quello che a prima fronte sembrar possa.
Gli uomini grandi delFantichita non solo della lingua loro erano
teneri amatori e lodatori continui, ma tale sollecitudine se ne pren-
deano, che eccessiva sembra a' giorni nostri. Cesare, quel lette-
rato guerriero, le di cui doti erano si rare e si risplendenti, che
per poco non abbagliarono la posterita nel recar giudizio dell'uso
abominevole che ne fece, in mezzo allo strepito delle sue vittorie,
tra le pratiche di stato, tra' suoi studi e tra' suoi amori non trala-
sci6 di dettar trattati appartenenti a cose di lingua.1 E Cicerone,
nel tempo istesso in cui scoppiava la piu gran rivoluzione del
piu grande impero della terra e che stava pendente la rovina che
dovea opprimerlo, intorno a minuzie gramaticali consultava il suo
arnico e confidente Pomponio Attico.
In questo secolo dietro la scorta dei Le Clerc, dei Locke, dei
Leibnitz, nomi grandissimi, i Genovesi, i Du Marsais, i Condillac,
i Michaelis, i Cesarotti2 ed altri sottili ingegni hanno creduto di
stiche del Settecento, cit., pp. 493-503. Per il testo dei passi riprodotti
in questo volume anche noi ci siamo attenuti alTedizione fiorentina del
1813, pur tenendo presente, per qualche caso dubbio, quella torinese del
1791. Le note del Galeani Napione sono seguite dalla sigla G. N.
i. Blackwalius, De praest[antid\ class[icorum] auct[orurn]y cap. n, § 3 (G. N.).
Thomas Blackwell (1701-1757), critico inglese, e noto soprattutto per la sua
Enquiry into the Life and Writings of Homer (1735), tentative di interpre-
tare Omero come un bardo primitive. Cesare scrisse un trattato De ana-
logia, a noi non pervenuto, in cui era difeso il principio delTanalogia con-
tro quello dell'anomalia, e si riven dicava Fuso dei vocaboli correnti contro
quello dei vocaboli desueti o speciosi. 2. dei Le Clerc . . . i Cesar otti: in
questo elenco stupisce un po', accanto ai nomi del Locke, del Leibniz,
del Dumarsais, del Condillac, del Michaelis (sui quali cfr., in questo
volume, il Saggio sulla filosofia delle lingue del Cesarotti e le note rela
tive) e del Cesarotti stesso, la citazione di quelli del BurTon (Jean-Louis
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 66l
dover esaminare filosoficamente la natura delle lingue; mentre
altri si sono applicati piu particolarmente ad osservare e descrivere
il genio, Tindole, la storia di un determinate idioma. Laonde questa
materia di gramaticale e letteraria che al piu era, e diventata filoso-
fica e diventar dovrebbe eziandio politica, merce il giovamento che
puo arrecare alia civile societa.
§ i. La lingua e uno deipiuforti vincoli che stringa
alia patria.1
Se le voci di nazione e di patria non sono del tutto vuote di
significato, se e cosa importante che ogni societa civile abbia un
carattere suo proprio, da cui, quasi da interne spirito, venga animata
ogni singolar persona; se i maggiori progressi nel sapere, la mag-
gior gloria della nazione, i maggiori piaceri e la maggior coltura
della vita, non sono oggetti di picciol momento, certa cosa e che ogni
via ed ogni spediente atto ed opportune per accendere vieppiu que-
sto fuoco e per istringere si fatti awenturosi nodi non si dee tra-
scurar di ricercarsi dagli studiosi, ne di porsi in pratica da chi
Fautorita alle cognizioni congiunge. L'avere una lingua propria,
il coltivarla, Famarla, F apprezzarla, il fame uso non meno nelle
solenni pompose occasion! e nelle severe che nelle familiari e bril-
lanti, non e Fultimo motivo che stringa gli uomini e gli affezioni
alia contrada in cui vivono; che giovi ad imprimere in loro cuore
un carattere originale e si fattamente proprio della nazione, talche
ne risulti il piu vivo interessamento per lo pubblico bene, sparso ne'
diversi membri di essa, e la piu intima e salda unione del corpo
politico e degli ordini di persone che il compongono. Non e da
dire di quanto minuti elementi composte sieno le piu gran moli,
e quante picciole cagioni abbiano avuto parte negli effetti piu
strepitosi. Quell' eroico amor della patria, che sprono Greci e Ro-
mani ad imprese cosi magnanime, procedeva dal gran concetto
in cui tenevano ogni cosa loro anche oltre il dovere. Alia cura che
si prendeano per diffondere la lingua loro, al conto che ne face-
Le Clerc de Buffon), autore del Ltiscours sur le style (1753)7 Hnguistka-
mente poco importante, e del Genovesi, che si occupo di qu^tkcd lin-
guistiche senza vera originalita negli Elementorwn artis logico-criticae (i745)
e nella Logica per giovanetti (1766). i. Dal trattato DeLTuso e dei pregi
della lingua italiana, ed. cit., I, pp. 2-6.
662 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
vano, all'ardore con cui la coltivavano attribuir si dee in gran parte
quello spirito patriottico che tanto in essi si ammira, quell'entu-
siasmo nazionale produttor di azioni si straordinarie, che altri e
pressoche tentato di negar fede agli scrittori da cui ci vengono
descritte.
Quando regnava Pantica diffidente ed esclusiva politica, bastava
il dire nazione che parlasse lingua diversa, per intendere nazione
nimica. Certamente non troppo filosofica ne troppo umana era
una tal foggia di ragionare; conteneva per6 questo di vero, che le
nazioni, le quali facevano uso di lingua diversa, diverse erano
d'indole parimenti tra di loro; il che, in tempi ne' quali le societa
eran piene di sospetti, perche deboli e nascenti, ed in cui il genio
conquistatorio delle eta barbariche faceva credere che non si po-
tesse esser felice se non se distruggendo il ben essere altrui, tanto
valeva quanto nimiche. I climi, i costumi, le lingue sono mura
di divisione che, assai meglio di quella famosa de' Cinesi, sepa-
rano e distinguono le nazioni. Si potranno talvolta sforzare in
qualche parte, ma non riuscira mai di rovinarle. Dica pure a suo
senno Luigi XIV: «Non vi sono piu Pireneb; i re di Germa-
nia, da Ottone il grande sino a Carlo V, scendano a piacer loro
in Italia; i valorosi Inglesi conquistino pure provincie francesi,
e salgan pure sul trono d'lnghilterra i duchi di Normandia; que-
ste unioni non saranno mai se non se violente e passeggere. La
massa d'acqua ritenuta a forza rompe gli argini, si divide, e scor-
re tosto di bel nuovo naturalmente ne' propri suoi canali. Se
tutto cio e in natura, non solamente riuscira ognora impresa di-
sperata il tentare di sradicarlo, ma conviene inoltre cercar modo di
trarne profitto, non essendovi forza veruna in natura, la quale,
ben maneggiata e diretta, produrre non debba vantaggiosissimi
effetti.
Che il materno linguaggio sia un segno che ad un tratto natu
ralmente ci metta innanzi tutti i vincoH che corrono tra' concitta-
dini, e ci rammemori le idee tutte piu gioconde della patria radu-
nate in un sol punto, pienamente il dimostra il singolar senso di
piacere che si prova abbattendoci in lontan paese a ragionare con
chi parli lo stesso Knguaggio. Ed in vero sara il cuor dell'uomo in
tal guisa formato,1 che con dolce interna commozione e singolar
i. Embser, La paix perp[etuelle\, i par., p. 60, Manheim (G. N.).
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 663
diletto si ritorni a visitar que' luoghi stessi selvaggi ed alpestri,
in cui altri abbia fatto lunga dimora, tanta e la forza dell'abitudine,1
e non debba pigliar affetto a que' segni che le prime e piu gradite
impressioni gli rammentano2 e le persone piu care ed i momenti
piu felici ? E se quelli che in loro gioventu in piu luoghi si trova-
rono, e con molti di nazioni diverse conversarono, non saranno al
certo cotanto della patria loro innamorati come quei buoni alpi-
giani i quali per la sola lontananza da essa cadono in isfinimento,
non sara forse vero che quelle nazioni e quelle persone, che di piu
di una sola lingua fanno uso, meno saranno attaccate al suolo, al
pensare, ai costumi nazionali, in confronto di quelle che di un
solo idioma principalmente si servono ?
Una prova di questo si e che non mai, se non in un cogli stra-
nieri costumi, s'introdussero ad essere comunemente parlate e
adoperate lingue straniere. Quando i Greci portarono le arti loro
ed i loro vizi in Roma, la lingua greca prevalse pressoche alia
latina tra que' leziosi romani che alia voluttuosa attica eleganza
aspiravano. Cosi il provenzale fu coltivato e si sparse in un coi
costumi di quella nazione in tutta la meridionale Europa dopo il
Mille: e dicasi lo stesso deH'italiano in Francia, al tempo delle
arti italiane in quel regno introdotte dal re Francesco I, e quindi
sotto le reggenze di italiane principesse. Osserva il Bembo,3 fa-
vellando di Alessandro VI, che poiche le Spagne aveano mandati
i popoli loro a servire il loro pontefice a Roma, e Valenza4 il
colle Vaticano occupato, a* nostri uomini ed alle nostre donne
altri accenti aver in bocca non piaceva che spagnuoli. In un colla
i . Cic., De amicitia, n. xix, [68], G. N. « In iis etiam quae sunt inanima, con-
suetudo valet, quum locis ipsis delectemur, montuosis etiam et silvestribus,
in quibus diutius commorati sumus. » 2,. Leone Allacci,^avendo perduta la
penna, di cui erasi per quarant'anni servito, ne senti tal dolore che a
grande stento trattenne le lacrime. Mabillon, De re diplom[atica], cap. xi,
p. 51, Parigi 1704 (G. N.). Leone Allacci (1586-1669) fu uno dei piu fa-
mosi e tipici rappresentanti della erudizione secentesca, noto soprat-
tutto per la Drammaturgia, catalogo di op ere teatrali. 3. Prose [della vol-
gar lingua], libro I, [cfr. ed. M. Marti, Padova, Liviana, 1955, p. 30:
«poi che le Spagne a servire il loro pontefice a Roma i loro popoli man
dati aveano, e Valenza il colle Vaticano occupato avea, a* nostri uomini
e alle nostre donne oggimai altre voci, altri accenti avere in bocca non
piaceva, che spagnuoli »]; v. Ariosto, Satira II, [w. 76^84, dove e argu-
tamente rappresentato un dialogo fra un postulante e il servo spagnolo
di un prelato pure spagnolo], G. N. 4. Valenza: la famiglia dei Boigia,
originaria di quella citta.
664 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
politica, co* principi e co' ministri spagnuoli s'introdusse adunque
sin dal principle del secolo XVI quella lingua tra noi, e quindi
piu stabilmente neirultimo passato col lungo dominio avuto da
quella nazione sopra una gran parte d' Italia; e nel presente si e
stabilito il francese idioma colle mode, co' romanzi, co* libri
galanti.
CAPO II
§ 2. [Scrittore originale e solo chi scrive la propria lingua.] x
. . . Chi scrive in una lingua non sua, antica e straniera, o convien
che scriva barbaramente, o e necessario che scriva con istento e
con fatica, senza speranza di poter mai giungere alia eleganza,
alia forza di quegli scrittori che si fatti idiomi adoperarono come
propri e nativi. L'entusiasmo ha luogo anche nel ragionare piu
astratto e nelle materie piii spinose e sottili. A che adunque spe-
gnerne il fuoco, a che ritardarne I'impeto coll'impaccio di dover
cercare e scegliere voci e frasi che mai non si affacceranno alia
mente con quella prontezza con cui si presentano le proprie ? Chi
aspira alia gloria di elegante scrittore, servendosi di lingua diversa
dalla materna, oserei dire che non pensera mai originalmente,
non sara mai genio sommo, nelle scienze non meno che nelle belle
arti, ne potra dire giammai con Dante:
. . . io mi son un, che quando
natura spira noto, ed a quel modo
che delta dentro vo sigmficando.2
II comporre a centoni, come di necessita far si dee adoperan-
do una lingua morta, quando si voglia che elegante riesca la
i. Dal trattato DeWuso e deipregi detta lingua italiana, ed. cit., I, pp. 23-5.
Ai concetti espressi in questo passo avra forse dato lo spunto il seguente
passo del Bettinelli: « gl'idiomi tutti nella rozzezza dej primi lor tempi han
forza ed energia singolare, e si dipingono pei traslati di colon tanto piu
vivi quanto piu naturali, mentre in appresso per le leggi grammaticali,
per la schiavitu dello stile e del gusto si fan timidi e fiacchi» (cfr. Risorgi-
mento d' Italia, in Opere, iv, Venezia, Zatta, 178 1 , pp. 30-1). 2. Purg., xxiv,
52-4. Come ha osservato il Puppo, il Napione cita questi versi danteschi
secondo la lezione (si noti in particolare la sostituzione di natura ad
«Amore») dell'Algarotti nel Saggio sopra la necessita di scrivere la propria
lingua (in fine), dal quale riprende anche i concetti fondamentali che ispi-
rano le considerazioni che precedono.
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 665
dicitura, suppone una lentezza ed un freno nello scrivere, che
non sara mai il caso ne del genio profondo investigator delle
cose, ne di una immaginativa forte e creatrice. Siccome i poemi
affatto nuovi ed original! furono tutti dettati in lingue viventi,
parimente in idioma materno stesero i piu acuti pensatori le spe-
culazioni loro, od almeno in un latino cosi fatto che, come quello
appunto degli scolastici, piu si accostava alia latinita di Teofilo
Folengo che a quella di Cicerone. Quanto e scorretto, impuro,
sgramaticato e barbaro il latino in cui sono dettati diversi inni
della Chiesa, sequenze e ritmi composti ne' secoli di mezzo, che
altronde per6 sono piu teneri, piu immaginosi, piu affettuosi ed
espressivi che non gli inni eleganti del Flaminio e del Vida?1 In
cosl fatto rozzo latino e pure dettato il libro della Imitazione di
Cristo, che dallo spregiudicato filosofo Fontenelle2 e riputato il
miglior libro che uscito sia di mano d'uomo ; latino assai piu espres-
sivo che non sia quello ciceroniano, in cui pretese voltarlo Papo-
stata savoiardo Sebastiano Castalione:3 e tra i cronisti parimente de'
tempi di mezzo, raccolti dal Muratori, riescono assai piu piacevoli,
piu vivaci ed espressivi quelli che affatto barbaramente scrissero
e senza prendersi cura nessuna della lingua, che non quelli i quali
alcun poco conservarono di buona frase latina. L'Azario e Gugliel-
mo Ventura4 sono piu originali di molti altri, perche" piu rozzi.
Chi ha cose nuove da dire conviene che in gran parte si formi una
lingua, come una nascente repubblica ordina le classi de' suoi cit-
tadini; ed allo stesso modo che, dopo serrato il consiglio, Tautorita
sovrana rest6 in Venezia presso le famiglie in esso comprese, cosi
presso degli antichi latini scrittori e depositato Ferario delle voci
i. Marcantonio Flaminio (1498-1550) e qui ricordato per gli inni religiosi
contenuti nella Paraphrasis in triginta psalmos e per i carmi De rebus
divinis'y Marco Girolamo Vida (1485-1566), per i suoi inni sacri pure in
latino classico. 2. [Oeuvres], t. n, p. 74, Amsterdam] 1754, Vie de Cor-
neille (G. N.). 3. Fontanini, Bibl\ioteca delV eloquenza italiana, Venezia,
Pasquali, 1753], t. n, p. 456 (G. N.). Sebastiano Castalione (francese
Chateillon), vissuto fra il 1515 e il 1563, umanista e calvinista dissidente,
tradusse in latino anche la Bibbia. 4. Pietro Azario (nato nel 1312),
novarese, e noto soprattutto per il Liber gestorum in Lombardia per et
contra Vicecomitesy racconto degli awenimenti dell* Italia settentrionale fra
il 1250 e il 1364; Guglielmo Ventura (vissuto nella seconda meta del secolo
XIII), astigiano, scrisse un Memoriale de gestis civium astensium. SulPuno
e sull'altro si vedano i giudizi piii particolareggiati del Galeani Napione
nell'Elogio dei cronisti piemontesi, citato nella Nota introduttiva.
666 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
latine, il quale non si pu6 in verun modo piu accrescere da' mo-
derni . . .
CAPO III
§ i. Diver so concetto, in cui son tenute in Piemonte la lingua
italiana e la francese; conseguenze che ne derivano.1
Se confessar vogliamo apertamente il vero, Tattual sistema no-
stro in fatto di lingua, ed in cui gia da gran tempo (qualunque
siane la cagione) ci troviamo, e tale che la lingua italiana viene
riguardata come la lingua d'istruzione popolare, delle cose di reli-
gione e de' tribunali e degli autori gravi; la francese, all'incontro,
come quella della gente leggiadra, delle gentili brigate, delle no-
bil persone e segnatamente delle gentildonne piu spiritose e di
chi ambisce la gloria di persona brillante. Ora, da quanto si e
detto sopra, ne risulta che lo esaminar partitamente se gli scritto-
ri piemontesi d'ogni maniera servir debbansi tutti di una sola
lingua scegliendo tra Pitaliana e la francese; oppure se gli autori
di certi generi di opere valer si debbano dell'una, altri deH'altra,
non e quistione meramente letteraria, ma politica altresi, e si riduce
a considerare se sia spediente che il genio della nazione divenga
francese del tutto o del tutto italiano, oppure se meglio convenga
lasciar che una parte della nazione resti per questo rispetto, a
dir cosi, italiana e 1'altra francese, quale si e il caso nostro pre-
sentemente.
Ed in fatti certa cosa e che da non pochi italiani veniam riguar-
dati come nazione appena italiana, tuttoche da' Francesi in nulla
veniamo per nazion francese riconosciuti. II marchese Orsi, che
prese a difendere parecchi scrittori italiani, a torto censurati dal p.
Bouhours,* abbattendosi in un'accusa data da questo letterato fran
cese al nostro troppo a' suoi tempi famoso abate Tesauro,3 non si
credette di aver miglior modo per uscir di mano deirawersario
1. Dal trattato DelVuso e dei pregi della lingua italiana, ed. cit., I, pp. 45-8.
2. Consider az\ioni sopra «.La maniera di ben pensarev] del marchese Orsi,
Dial, vn, § 8, p. 376, Modena 1735 (G. N.). Le Consider azioni (i edizione
1703) sono Top era con cui Giuseppe Orsi rispose per primo a La ma-
mere de bien penser surles ouvrages de ? esprit (1687) del padre Bouhours:
cfr. la nota 3 a p. 440. 3. nostro . . . Tesauro: Emanuele Tesauro, Tauto-
re del Cannocchiale aristotelicoy era nato a Torino di padre fossanese.
DELL'USO E DEI PREGI BELLA LINGUA ITALIANA 667
e difendere in questa parte 1'onor d'ltalia (veramente difficile a so-
stenersi qualora fosse stato tutto riposto nel buon gusto di quel
nostro abate), che di negarlo per italiano; e vediam tutto giorno
riguardarsi la nazion nostra per questo rispetto come un miscuglio
difficile a definirsi. Facciamoci pertanto, avanti ogni cosa, a con-
siderare se il rimanere in questa situazione indecisa in fatto di
lingua non porti seco alcuno inconveniente e non sia per arrecare
danni non piccioli alle lettere, ai progressi della coltura tra noi,
e scemar quella affezion medesima che verso la patria nutrir si dee.
Se dicessi che nessun ente intermedio nella gran catena della
natura fu giammai riputato perfetto, che gli animali anfibi sono
per Pordinario schifosi e deformi, che le nazioni semibarbare peg-
giori sono delle barbare affatto, in somma che nessun ordine,
che nessun istituto, che non parta da un solo principio e che da
un solo spirito mosso non sia, non potra mai riuscir vantaggioso
e produrre grandi effetti, se tutto cio dicessi, mi servirei di argo-
menti od oratorii soltanto o soverchiamente speculative ed astrusi.
Quello che affermar si pu6, senza tema di errore, si e che una na-
zione, la quale in due si divida, in vece di avere il carattere di en-
trambe, non ne avra veruno; e che i diversi ordini di persone
che la compongono, non saranno mai tra di loro in un solo corpo
congiunti a quel grado che il sarebbono qualora non regnasse
questa diversita di genio, diversita che dall'uso principalmente di
lingua diversa precede. lo non asserir6 mai che un popolo per
amar la patria debba avere in odio le altre nazioni ; convien essere
ben poco ragionevole e poco umano per aver mestieri delFodio per
incentive all'amore; ma per lasciar da parte che quando awien
che si parli di classi numerose di persone, ancorche della nazion
medesima, si vuol concedere assai al volgo ed a quelli che volgar-
mente pensano, sfido Tanima piu spregiudicata ed il cuor piu sen-
sibile, che non si senta con minor affezione portato verso coloro
che hanno un genere di vita, un modo di conversare, di pensare,
di agire diverso dal suo, in una parola, verso le persone di una
nazione diversa, quali nel caso divisato diventerebbono in certo
modo le diverse classi degli stessi concittadini le une rispetto a-
le altre.
668 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
LIBRO II - CAPO II
§ i. Opinione dell 'abate Cesar otti intorno at diver si pregi
delle lingue.1
Vero e che tutte queste nostre ricerche intorno ai pregi delle
due lingue, italiana e francese, riuscirebbono inutili affatto, anzi
andar non potrebbono esenti dalla taccia di vanita pedantesche, se
attener ci dovessimo in fatto di lingue a ci6 che ne pensa il celebre
abate Cesarotti. Ma siccome vi ha chi teme che le nuove filosofiche
dottrine di questo valoroso poeta non sieno per recare ugual gio-
vamento e lustro alia prosa italiana, come nuovi spiriti e vigore
infuse nella poesia la famosa sua traduzione di Ossian, prima
perci6 di procedere innanzi resta necessario di fermarsi alquanto ad
esaminare uno di que' principii sopra dei quali egli fonda tutta la
macchina del suo sistema. Niuna lingua, dic'egli,2 originariamente
non e ne elegante ne barbara, niuna e assolutamente superiore
ad un'altra, tutte nascono allo stesso modo, cominciano rozze e
meschine, tutte hanno imperfezioni e pregi dello stesso genere,
tutte sono piacevoli agli orecchi del popolo per cui son fatte, tutte
son capaci di armonia imitativa, tutte si vincono e si cedono reci-
procamente in qualche pregio particolare. Le differenze che vi sono,
segue a dire, non esser sensibili, ognuno aver ragione in casa
propria, ne esservi popolo colto che creda di dover cedere agli
altri in fatto di lingua, benche" tutti convengano nelle idee che
formano di perfezione; tutte le lingue, in somma, aver difetti che
danno luogo a qualche bellezza, e bellezze che ne escludono altre
non men pregevoli.
Tali sono i dogmi di generate tollerantismo nelle cose di lingua
professati dall'abate Cesarotti, tollerantismo che v'ha chi crede
non possa riuscir meno fatale alle lettere ed al carattere nazionale
di quello che a' buoni costumi il tollerantismo religiose ; e che nel
resto nulla possa produrre di buono, ma soltanto introdurre e spar-
gere ogni volta piu, sotto il pretesto di vantare una maniera di
pensare spregiudicata, la disistima della lingua propria, che e Pim-
i. Dal trattato DelVuso e dei pregi della lingua italiana, ed. cit, I, pp.
126-31. 2. Saggio sopra la lingua italiana^ dell'abate Cesarotti, parte i,
§ i, pag. 2 e seg., Vicenza 1788 (G. N.)- Cfr. in questo volume, pp. 307-8.
DELL'USO E DEI PREGI BELLA LINGUA ITALIANA 669
pronta piu viva e piu palpabile del carattere nazionale, ed una
fredda e filosofica indifferenza per tutte. Concederemo che le lin-
gue nella infanzia loro sieno deboli, mancanti, imperfette, sebbene
anche in que' principii rawisar si possano i segni della futura gran-
dezza, ed Ercole in cuna fosse diverse da Tersite. Ma lasciando
quegli abbozzi, e paragonando le lingue giunte al vigore della
florida loro eta, non riconosce e non confessa lo stesso autor no-
stro che le une possono avere qualche pregio, qualche bellezza
che manchi alle altre ? Che se egli pretende che questi pregi deb-
bano esser vinti da altri, e queste bellezze particolari escluderne
altre non meno lodevoli, diremo noi non sapere come possa avere
egli fatto, quasi colla bilancia alia mano, esattamente questo con-
fronto di tutti gli idiomi, e come dimostrar possa di averli trovati,
ragguagliata ogni cosa, tutti appuntino dello stesso e medesimo
peso. Crediamo anzi di poter senza tema di errore affermare es-
servi lingue che vincono le altre per esser dotate di maggior
perfezione, di pregi piu luminosi e per soggiacere a minori difetti.
Per provare una verita cosi fatta non abbiam mestieri di pro-
fondarsi in troppo astruse e sottili speculazioni. Ognun sa che le
lingue sono un risultato del clima, dell'indole, del naturale ingegno,
del carattere morale, delle arti dominanti, degli studi, delle profes-
sioni, della instituzione politica delle nazioni diverse. Ora chi
negar vorra che i climi piu felici, che le nazioni piu ingegnose e piu
immaginose, in cui le nobili passioni delPamore e della gloria piu
facilmente si accendono, che inventarono e perfezionarono le
bell'arti e le scienze, e famose furono per virtu politiche e guer-
riere, non debbano avere una lingua piu pregevole e piu perfetta?
Ne giova il dire che ogni popolo creda perfetto il suo linguaggio,
perciocch.6 Terrore per esser comune a tutti non diventa per que
sto verita; ne un inganno, anche universale, potrebbe far cangiar
la natura delle cose. Con questa stessa foggia di ragionare tentaro-
no non pochi di distruggere non solo le idee fondamentali del Bello,
ma eziandio i principii del giusto e dell'onesto. Non vi ha deformita
che presso qualche barbara popolazione non sia stata scambiata
per una bellezza; ne vi ha costume empio, dissoluto ed inumano
che non sia stato praticato come buono e giusto da qualche popolo
corrotto o feroce. Diremo perci6 che non esistano i principii meta-
fisici del Bello ; e che la intrinseca bonta e reita delle azioni sia
una invenzione dei moralisti fanatici o degli astuti uornini di stato?
670 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
Del rimanente, e poi forse cosa posta del tutto fuori di contro
versia, che ogni popolo preferisca la lingua propria alle straniere
ed alle antiche? Certamente, se intendiamo per popolo coloro che
altra lingua non sanno salvo la propria, la terranno questi in con
cetto della prima lingua di tutte, non avendo il modo di fame
confronto con alcun altro idioma. Ma tra coloro che arrivarono
a possedere ad un certo segno le lingue antiche o straniere, quanti
non confessarono apertamente i difetti del proprio linguaggio natio
e riconobbero il pregio degli altri ? Tutti i dotti delle colte nazioni
non sono concordemente d'awiso che la lingua greca fu la piu
bella, e la lingua latina la piu maestosa che abbiano mai parlato
gli uomini ? E, rispetto alParmonia, non si concede da tutti la palma
alia lingua nostra, anche da quelli che una parola sola non ne capi-
scono, ed il suono materiale ne intendono soltanto ? Non riconosco-
no tutti i popoli non barbari che T Italia e il nido della miglior
musica e del linguaggio piu musicale di Europa? E come si potra
dipingere con lingue antipittoriche, antimusicali, con tanti suoni
indistinti, con tanti monosillabi, sia veri e propri che tali dive-
nuti per la pronuncia, come interviene nella lingua francese, che
non hanno colore ne carattere proprio nel suono, secondoche os-
serva giustamente F abate Bettinelli,1 mentre le voci italiane han
tutte carattere e fisonomia pittoresca ? Con qual fondamento
adunque potra affermare il signor abate Cesarotti che gli altri
linguaggi di Europa capaci sieno di armonia imitativa al pari del
nostro ? E non dovra egli per awentura temere che da certi antichi
rigidi italiani non si voglia rawisare questa soverchia sua condi-
scendenza come nata dal pregiudicio pur troppo comune di afTet-
tare i costumi e di adular le nazioni straniere, e non come pro-
veniente da quella gentilezza e cortesia connaturale alle anime gene-
rose, e percio propria del signor abate, di voler piuttosto cedere di
quello che ci appartiene, che usurpar deU'altrui? Tanto piu che i
suddivisati difetti sono pure schiettamente confessati e candida-
mente riconosciuti da non pochi valorosi critici francesi, siccome
abbiam veduto piu sopra.2
i. Lettere di Diodoro Delfico, lett. xi, p. 46, «Giornale di Modena», torn,
xxxvin, 1787 (G. N.). 2- siccome . . . sopra: nei §263 del capo I del li-
bro II, intitolati rispettivamente Giudicio che danno della lingua francese
i piu celebri scrittori di quella nazione e Giudicio che i critici francesi recano
della loro lingua, in ispecie confrontandola colla lingua greca e colla latina.
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 671
E per rispetto ai pregi della lingua italiana, a confronto, non
che della francese, ma di tutte le altre moderne, ne io n6 qualunque
panegirista di essa riputato da* nostri begli ingegni piu fanatico e
piu pregiudicato, potrebbe maggiormente vantarli di quello che
fa il dotto ed ingegnoso professor di belle lettere in Edimborgo, il
signor Blair. Ragionando egli della pieghevolezza di un linguaggio
o sia della facolta di adattarsi a diversi stili e maniere, riconosce
la lingua italiana come assai piu fornita di questa dote che non la
francese. Mediante la sua copia di voci, la sua libera costruzione,
la straordinaria bellezza ed armonia dei suoni, felicemente, die' egli,
si piega ad ogni soggetto, tanto in verso come in prosa; e au-
gusta, energica e forte al bisogno, del pari che tenera e dilicata; e
conchiude con chiamarla la piu perfetta di tutte le lingue moderne
che sien sorte dalle mine delle antiche.1
§ 4. Costruzione della lingua italiana : si difende da una tacda
datale dair abate di Condillac*
Le prerogative suddivisate, di cui, a preferenza del francese,
gode il nostro idioma, non solo piu armonico il rendono, ma piu
maneggevole eziandio, ed una lingua maneggevole ognun vede che
a qualunque soggetto, sia grave che piacevole, sia dotto e severe che
ameno, sia recondito che comunale, pu6 con facilita grandissima
piegarsi. La lingua latina non pu6 quasi procedere senza invertir
Fordine naturale; la lingua francese non ha facolta d'invertirlo ;
i. « Among the modern tongues, the Italian possesses a great deal more
of this flexibility than the French. By its copiousness, its freedom of
arrangement and the great beauty and harmony of its sounds, it suits itself
very happily to most subjects, either in prose or in poetry; is capable
of the august and the strong, as -well as the tender; and seems to be on
the whole the most perfect of all the modern dialects which have arisen
out of the ruins of the ancient » [« Tra le lingue moderne Titaliana possiede
questa flessibilita in grado molto maggiore della francese. Per la sua ab-
bondanza, la sua liberta di atteggiamento e la grande bellezza ed armonia
dei suoni, si adatta molto felicemente ai piu vari argomenti, sia in prosa
che in poesia; e capace del tono augusto e del forte come del tenero; e
sembra nel complesso essere il piu perfetto di tutti i dialetti moderni
che sono sorti dalle rovine degli antichi»], Lectures on Rhetoric and Bdles
Lettres by Hugh Blair, Lect. ix, The English language, vol. I, p. zoo, Ba-
sil[ea] 1788 (G. N.)- Sul Blair e le sue Lectures cfr. la nota a p. 93. 2. Dal
trattato DeWuso e dei pregi della lingua italianaf ed. cit., i, pp. 142-52.
672 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
la lingua italiana pu6 ed invertire e non invertire, secondo che
meglio torna in acconcio, e secondo che meglio si confa allo stile
in cui quegli che se ne serve intende di adoperarla. A questo pre-
gio della lingua italiana non pose mente il dotto abate di Condillac,1
quando asseri esser dessa propria a contraffare tutti gli altri lin-
guaggi, ma priva di carattere proprio ed originale, allegandone per
motivo (giacch6 troppo facil cosa si e il trovare la supposta ca-
gione di un effetto immaginario) che i nostri scrittori, usati da
prima ad imitare i modi ed il giro delle frasi della lingua latina,
non seppero piu scrivere se non se imitando o la lingua latina
stessa od alcun altro idioma, quasi dipintori privi di fuoco ori
ginale, che non sanno trarre un segno senza avere davanti una
carta, un modello od un gesso per guida. N6 lascia di osservare
in appresso, ascrivendo ad universal difetto della nazione ci6 che
e colpa di alcuni soltanto, che al presente Pidioma francese si e
quello il genio di cui ed il sapore tentano d'imitare gli Italiani,
secondo Tusato loro stile di appoggiarsi sempre ad alcuna lingua
straniera.
lo ripiglier6 prima di tutto: i nostri scrittori piu antichi, piu
riputati e classici, e chi non vede che quantunque nudriti de7 libri
delPantichita, hanno tutti un carattere loro proprio che dai latini
li distingue ? Non parler6 dei poeti per esser la cosa troppo mani-
festa. Veniamo a1 prosatori, ed a quelli tra essi che sono piu cono-
sciuti fuori d'ltalia, quai sono gli storici. Se la lingua nostra non
avesse un carattere originale, come sarebbe possibile che avessimo
storici originali? come potremmo in questa parte superare tutte
le nazioni moderne ? Ne" questi sono gia vanti e pregiudici nazionali ;
che anzi vi ha taluno tra* nostri letterati* che troppo severamente
ne ha recato giudicio. Qualunque sieno pertanto i difetti di cui
possano dessi venir tacciati, il Voltaire confessa in piu luoghi non
i. Cours deludes, t. xv, p. 173 (G. N.). II passo a cui il Napione allude e
che e da lui riassunto nelle righe che seguono, e riportato integralmente
in questo volume, alia nota 4 di p. 440. 2. Bettinelli, Pref. al Risorg.
d'ltal. (G. N.). Nell'Introduzione al Risorgimento il Bettinelli rimprovera
gli storici italiani di essere stati «piu solleciti dello stile e de' pensieri
ingegnosi che della comune utilit& e della buona filosofia » ; e in particolare
elenca i seguenti difetti: 1'aver omesso una «esatta cronologia»; la scar-
sezza di precise citazioni di documenti; i racconti di «prodigi», ad imi-
tazione degli storici antichi; Finserimento di rettorici discorsi, sempre ad
imitazione degli antichi; la parzialita (cfr. Opere, ed. cit, in, 1780, pp.
XII-XVIIl).
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 673
aver la Francia uno storico, qual si e il Guicciardini, da contrap-
porre all'Italia, e celebra parimente il segretario fiorentino, nella
pura qualita di storico considerandolo. E il Bolingbroke,1 uomo di
lettere e di maneggio, e die conoscea piu che mediocremente la
lingua e gli scrittori nostri, non ha alcun ribrezzo di collocare il
Guicciardini succennato sopra Tucidide, e di eguagliare il Davila
a T. Livio; che anzi per combattere quell'accusa che vien data a
quest'ultimo di essere troppo sottile e fantastico indagatore dei
secreti istromenti di que' gran moti che ebbe a descrivere, narra
che il duca di Epernon,3 il quale tanta parte avuto avea nelle
guerre civili di Francia, ancora vivente allorch6 usci alia luce la
storia di Davila, non solo confermo la verita delle cose ivi rac-
contate, ma facea le meraviglie come uno straniero, qual egli si
era, avesse potuto essere appieno informato de' consigli piu secreti
e delle pratiche e negoziazioni arcane di que' tempi. Osserva al-
trove3 lo stesso Milord Bolingbroke nulla avervi nella storia di
piu difficile di que' ritratti politici in generale, che presentano 1'a-
spetto dei tempi e dej paesi diversi; e dopo aver accennato che
trovar non sapea alcun' opera di tal natura presso gli antichi ese-
guita a dovere, soggiunge che il primo libro delle Storie fiorentine
del Macchiavelli e un pregevolissimo originale in questo genere,
e che alcun'opera del famoso fra Paolo4 in questo stesso modo
di scrivere e forse inimitabile. La contrada dell'Europa, dice il
signor Blair,5 dove il genere storico abbia fatto maggior pompa
di s6 negli ultimi secoli, 6 senza dubbio PItalia. Tosto dopo il rina-
scimento delle lettere, Macchiavelli, Guicciardini, Davila, Benti-
voglio, fra Paolo si distinsero oltremodo nella storia. Questi tutti
se ne formarono le idee piu giuste, e riuscirono dilettevoli, instrut-
tivi ed interessanti scrittori, talche, qualunque sieno i difetti loro,
meritano, ragguagliata ogni cosa, di venir collocati nel primo or-
dine degli storici moderni. II sign. Gibbon poi ultimamente af-
i. Bolingbroke's Letters on study of Hist[ory, pubblicate postume nel 1752],
vol. i, p. 197 (G- N.). Henry Bolingbroke (1678-1751), uomo politico
e brillante scrittore, fu uno dei piu tipici rappresentanti del deismo in-
glese del secolo XVIII. 2. Mori il duca di Epernon nel 1642, vecchio di
88 anni. V[edi] H6nault, Abrege de Vhist\pire] de France (G. N.). Jean-
Louis de Nogaret, duca d'£pernon (1554-1642), fu uno dei protagonist!
delle guerre di religione. 3. Letters on study of History, vol. u, p. 186
(G. N.)- 4. Paolo: Sarpi. 5. Blair, [Lectures] on Rhetoric and Bell. Let.,
lect. xxxvi, Historical Writings, vol. in, p. 65 (G. N.).
43
674 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
ferm61 che il Guicciardini, il MacchiavelH, fra Paolo ed il Davila
erano giustamente riputati i primi storici delle moderne lingue di
Europa, insino a tanto che in questo secolo sorgesse la Scozia2 a
contrastar questa gloria all' Italia medesima,
Una lingua la quale, a giudicio degli stranieri medesimi illu-
minati, pu6 vantare scrittori cosi fatti, io non so con qual fronte
potra limitarsi al solo uso di contraffare gli altri idiomi, quasi a
servile e buffonesca condizione condannata. Egli e vero che il Bet-
tinelli accusa i nostri storici di aver troppo imitato gli scrittori
dell'antichita,3 ma io son certo che egli con questo biasimo, che
credette di dover dar loro, non pretese mai di negar ad essi il pre-
gio, ragguagliata ogni cosa, di essere uomini originali, e tanto
meno di metterli sotto gli storici di qualunque altra nazione mo-
derna. Ragionavasi una volta, tra colti ed eruditi soggetti, degli
storici nostri, e venendosi, per quanto mi sowiene, a confrontarli
co* latini, si dovette conchiudere non potersi rawisare tra gli uni
e gli altri se non rassomiglianze generali, e queste rassomiglianze
risguardavano la qualita delle consimili circostanze estrinseche de'
tempi, de' luoghi, delle cariche sostenute e de' consimili successi
descritti, piuttosto che una intrinseca conformita ne' concetti, nel-
10 stile e nel sistema delle op ere loro ; la quale difficolta di for mare
un paralello de' nostri cogli antichi vie piu dimostra Toriginalita
de' primi.
Non niego che, se a giudicio star volessimo di alcuni piu del
dover affezionati alia latinita vuota4 ed a ci6 che alle frasi latine ed
alFonda di que' periodi si confa, tra' classici italiani ammetterem-
mo scrittori cosi fatti che daremmo peso alia prima parte dell' ac
cusa del Condillac. Ma ognun sa che il Bembo co' suoi seguaci,
11 Casa medesimo nello stile didattico ed altri scrittori del secolo
XVI, i quali, riguardando la lingua nostra come morta, racco-
i. Gibbon's History of the Ded\ine\ and Fall of the Roman Empire, chap.
70, not. 89 (G. N.). 2. sorgesse la Scozia: allude alle opere storiografiche
dello Hume e del Robertson, ambedue scozzesi. 3. il Bettinelli . . . antichi-
ta: nelle pagine della Introduzione al Risorgimento d> Italia, ricordate nel-
la nota zap. 672, e dove in particolare si afferma (pp. xn-xni) che « siccome
i nostri poeti ed oratori, i romanzieri e scrittori di novelle sono per la piu
parte copie degli antichi, o degli imitatori degli antichi, cosi Io furono an-
che gli storici per loro e nostra disgrazia, senza awedersi mai che prende-
vano dagli antichi la sola veste e il colorito per dilettare ed esser lodati; tra-
scurando il corpo e il disegno per istruire e giovar dilettando ». 4. latinita
vuota : la lingua la tina per se stessa.
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 675
gliean frasi da quelli del Trecento, ed il giro del periodo imparava-
no da' piu pomposi tra* latlni, non sono al presente riputati assai
ne gran fatto studiati. Che piu? II Boccaccio medesimo, tuttoche"
qualche condiscendenza usar si debba al primo prosatore, secondo
Tordine de' tempi, piu regolato e gentile della lingua nostra, tut
toche inarrivabile ei sia nella imitazion del costume, tuttoche na-
turale ed espressivo in quej soggetti delle sue novelle, che piu
si accostano allo stile comico, tutto si trasformi nelle cose stesse
ch'ei narra, con tutto questo, a cagione appunto di quel suo sem-
pre pomposo andamento e dell'affettata dicitura, non ha piu quel
si gran numero di adoratori die vantava una volta, e buona parte
vide cader a terra degli altari alzati ad onor suo.
Lo stile poi adoperato da* moderni Italian! o e vizioso, ristretto
ad alcuni pochi e biasimato dai piu savi, ed in tal caso, sebben
tolto ed imitato dai Francesi, non puo recar tal danno alia lingua,
da farla risguardar come tutta generalmente infetta e priva di ca-
rattere proprio: o e uno stile naturale, schietto, elegante ma non
affettato, florido ma non concettoso, quello stile che esprime una
nobile e disinvolta conversazione, instruttiva e dilettevoie ; e questo
stile non pu6 esser mai imitato da' moderni Francesi, a* quali,
secondoche osservo lo stesso Voltaire,1 troppo vanno a grado il dire
sforzato, 1'epigrammatico, il sentenzioso e 1'entusiastico. Senzache
questa maniera di scrivere schietta e naturale ha tra noi esemplari
antichi lodatissimi, ed anteriori di piu secoli a quelli del regno di
Luigi XIV. Gli scrittori nostri del Mille trecento sono tutti, gene
ralmente parlando, concisi, se ne togliamo ii Boccaccio. E se ri-
fiutar li vogliamo come troppo aridi, digiuni e sparsi di voci anti-
quate, abbiam pure il Macchiavelli sopraccitato, lo stile di cui non
ha invecchiato pressoche punto ne poco, il Castiglione nimico di-
chiarato della lingua fiorentina e della bocaccevole dicitura; il
Bandello, che, scrivendo novelle, seppe pigliar nuova strada, che, se
non & migliore di quella battuta dai Boccaccio, alia lingua corrente
a' di nostri sicuramente assai piu si accosta.* Tutti questi nacquero
nel 1400 e nel principio fiorirono del secolo XVI; e di un tal modo
I, secondoche . . . Voltaire: per quanto ho potuto vedere, il Voltaire fa
qualche affermazione in tal senso solo nella voce Esprit del Dictiormaire
philosophique. 2. il Bandello . . . si accosta: questo giudizio sul Bandello si
richiama a piu ampie considerazioni in proposito contenute ntWElogio del
Bandello stesso, citato nella Nota introduttiva.
676 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
di scrivere si piccarono i piu rinomati scrittori di quello stesso
secolo, che tuttora vengono riguardati come i maestri del bel
parlare. II sempre gentile e colto Annibal Caro, richiesto dal cele-
bre scrittore delle Vite degli artifici del disegno, Giorgio Vasari,
a spiegargli il parer suo intorno allo stile di cui avea stimato do-
versi servire nello stenderle, dopo aver lodata Topera di lui, come
ben si meritava, soggiunge desiderar soltanto che in alcuni luoghi
si levassero via certi trasporti di parole e certi verbi posti nel fine,
talvolta per eleganza, che nella lingua nostra a lui generavano fa-
stidio.1 In opere simili, ei conchiude, la dettatura vuol essere
appunto come il parlare; aver piu del proprio che del metaforico
0 del pellegrino, e del corrente piu che dell'affettato. Ne sola-
mente al troppo rumoroso e risonante giro de' periodi ed ai rimoti
trasporti2 si dimostra contrario il Caro, ove si tratti di opere che,
come la sopraccennata del Vasari, sono per natura loro di stile me
diocre; ma, quello che e degno di maggior considerazione, non sa
neppure appro var tal cosa interamente anche nello stile oratorio.
Di fatti, scrivendo al Salviati e ragionando delPorazione di questo
cruscante in lode del Varchi, non ha alcun ribrezzo di dirgli
che la composizione delle parole, per bella, artificiosa e figurata
ch'ella si fosse, gli pareva alle volte confusa: ed aggiunge che cre-
deva proceder questo dalla lunghezza de' periodi, per esser dessi
di piu membri che non bisogna alia chiarezza del dire, il che fa
confusione e si lascia indietro gli uditori.3 Finalmente neirultimo
scorso secolo, sebben tanto biasimato da chi non ne conosce che gli
ampollosi scrittori, il Dati, il Magalotti, il Segneri, il Redi erano
gia pervenuti, secondo che osserva il nostro abate Denina,4 a quel
grado di precisione e di costruzione analitica, di cui tanto si vantano
1 Francesi, e prima che i Francesi medesimi potessero aspirarvi.
Ecco pertanto che lo stile chiaro, preciso, naturale e disinvolto e
tanto antico fra noi che nessuna moderna nazione, non che la fran-
cese, puo vantarsi di esserne stata maestra alPItalia. Ad ogni modo,
1. Caro, Lettere famil., vol. i, lett. 174, p. 289, Padova 1763 (G. N.).
2. trasporti: inversion!. 3. Caro, Lett[ere familiari], t. n, lett. 265, p. 473
(G. N.). 4- Lettr. cntiq. pour servir de supplem. au Disc, sur la question
«Que doit-on a l'Espagne?v>, par 1'abbe Denina, Berlin 1788, p. 14 (G. N.).
Nell' opera citata, cosi come nella precedente Reponse a la question «Que
doit-on a VEspagne* (1786), il Denina difende contro le accuse degli
enciclopedisti la cultura cristiana e medioevale della Spagna.
DELL* USD E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 677
quello che evidentemente dimostra essere la lingua italiana do-
tata di un proprio suo e special carattere originate, si e che ven-
gono meritamente biasimati anche al giorno d'oggi, sono di leggieri
riconosciuti per corruttori, e non sono sicuramente scrittori di
primo ordine, coloro che imitano in italiano la sintassi e la ma-
niera di fraseggiare francese,1 e trasportano, senza necessita veruna,
nel nostro idioma le voci e i modi di dire francesi.2
Concederemo al Condillac che quelli che imitano servilmente
non arrivino giammai ad eguagliare gli autori imitati. Gli uomini
tutti, come awerti assai bene il solitario meditativo poeta Young,3
hanno un carattere proprio, che si travisa e si perde col voler
ciascheduno diventar altro, per via d'imitazione, da quello che
naturalmente si e; s'impiccioliscono dessi in questa guisa, e tutto
quello che, abbandonato aH'indole spontanea, riuscirebbe grande,
i. V[edi] Bettinelli, Prefazione alle Opere sue (G.N.). Allude alia polemi-
ca del Bettinelli contro Pintrusione del francesismo nella lingua italiana,
che e uno dei motivi fondamentali del discorso Sopra lo studio delle belle
letters, e sul gusto moderno di quelle, premesso alia i edizione delle Opere
(1780), e in particolare ai rimproveri mossi per questa ragione, nelle
ultime pagine del medesimo discorso, ali'Elogio del Cavalieri di Paolo
Frisi, all'elogio dello Zanotti di uno scrittore che non nomina, e alia
Storia critica de' teatri antichi e moderni del Napoli Signorelli (cfr. Opere,
ed. at., i, 1780, pp. 28-39). 2. Non pochi italiani resteranno meravi-
gliati dal mostrar che fa 1'abate Cesarotti di risguardar come insepara-
bili in Italia il genio filosofico, la coltura delle scienze ed il francesismo
(Saggio sopra la lingua italiana, [Vicenza 1788], p. 157 e p. 118). A me
pare che il francesismo nulla abbia prodotto che il francesismo, vale a di
re una ridicola e dannosa imitazione di lingua e di costumi stranieri.
Non concede egli che Firenze merita d'esser chiamata per doppio titolo
1'Atene d' Italia, per aver propagata tra noi e difTusa la luce della filosofia,
come dianzi avea propagata quella delle lettere? I nostri politici, i nostri
fUosofi, i nostri uomini grandi in ogni maniera di scienze non seppero
scrivere senza aiuto di libri francesi ? Sarpi non iscrisse prima di Bossuet,
Galileo prima di Cartesio? L'Accademia del Cimento non fu il modello
di quella delle Scienze di Parigi? La Francia non cerco Cassini in Italia?
Quant i politici, quanti scrittori di guerra, di architettura, d'ogni facolta
prima del predomimo francese? Qual bisogno adunque di libri e di let-
teratura francese tra noi? Qual e lo scrittore di poesia veramente celebre
che abbia affettato il francesismo ? Quale aiuto trasse lo stesso signor abate
Cesarotti dal francesismo per tradurre 1'antico poeta celtico, traduzione
che il rese celebre in Italia? (G. N.). A queste osservazioni il Cesarotti
rispose nel secondo dei Rischiaramenti in appendice al suo Saggio, e ripor-
tato anche in questo volume a pp. 447-56. 3. Young, La comp[osizione]
orig[inale], (G. N.). Le Conjectures on original Composition (1759) di Edward
Young sono una delle prime esplicite difese della individualita e delTo-
riginalita della creazione poetica.
678 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
tanto nella letteratura come nelle diverse profession! della vita, me-
schino ed abbietto per via delParte diventa. Ma che perci6? L'ac-
cusa va a ferire direttamente i francesi scrittori, gritaliani non mai.
Se gli scrittori francesi non imitano quelli di alcun'altra nazione,
non ne segue gia da questo per necessaria conseguenza che non
imitino in nessun modo. Concedendo 1'abate di Condillac aver
dessi tutti un carattere loro proprio, uno stesso colore uniforme,
anzi per questo appunto celebrandoli, non e forse costretto a con-
fessare che tutti s'imitano vicendevolmente, e quasi senz'aweder-
sene ? Ora non e forse miglior partito (quando pure imitar si debba)
che ciascheduno a seconda delFindole sua, del genio e del soggetto
di cui intende trattare, si rivolga ad esemplari diversi, piuttosto
che copiarsi Tun 1'altro nella guisa succennata? Essendo libera
la scelta, ed ampio il tesoro da cui scegliere, vale a dire lingue
ed autori d'ogni contrada e d'ogni secolo, ciascheduno imitatore
perdera meno di quel carattere originale che annida in lui, e che,
a giudicio di Young, viene dalla educazione, sia letteraria che do-
mestica, soffocato ed oppresso.
Inoltre, se si dice aver un carattere suo proprio una lingua,
la quale fa buona prova in pochi generi di stile, in ciascun de'
quali domina una certa uniformita, che, se mal non m'awiso, si
e il caso della lingua francese, e perche mai Fattitudine di poter
riuscire in tutti non formera il carattere speciale di un altro idio-
ma? tanto piu che, tra le lingue viventi, appartenendo per awen-
tura questa qualita alia sola lingua italiana, giunto alFessere la piu
armoniosa ed espressiva, il pregio di lei ed il carattere principale
e dominante ne costituisce? Lo sbaglio del dotto istitutore del
principe di Parma1 in ci6 consiste, che non fece differenza da lin
gua a stile. Se avesse egli affermato la lingua francese non avere
se non se pressoche uno stile, Titaliana averli tutti, come di fatti
la cosa sta, non avrebbe sicuramente con una si fatta asserzione
dato il biasimo alia lingua nostra di non aver carattere proprio;
ma disse: la lingua francese non imita alcuna altra lingua; Tita-
liana le contraffa tutte; ed il contraffare supponendo ognora
un originale od un modello, molto al di sotto del quale restar si
dee di necessita, venne a dare una taccia non picciola al linguaggio
italiano. E questa accusa essendo uscita dalla penna di un uomo
T. dotto ... Parma: il Condillac.
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 679
istruito assai, e che, attesa la lunga dimora fatta in Italia, avrebbe
dovuto conoscerne Pidioma, tenderebbe a deprimerlo ed awilirlo
nel concetto degli stranieri troppo ingiustamente, se non si fosse ri-
putato egli stesso tenuto a soggiungere che arrischiato per awentu-
ra potea essere il giudicio suo in questo particolare, ondech6 ne
lasciava ad altri la risoluzion decisiva. Siccome quell* istromento
musicale che puo adattarsi a tutti i tuoni, e assai piu perfetto di
quelli i quali di un solo o di pochi son capaci, cosi senza contro-
versia riguardar si dee per maggiormente perfetta quella lingua
che ad ogni stile si piega, in confronto di altri idiomi che in trop
po piu angusto giro si ritrovan ristretti.
LIBRO in • CAPO ii
[Introduzione.]1
Per rendere comune e popolare la lingua colta d* Italia non
basterebbe che gli scienziati d'ogni maniera 1'adoperassero in tutte
le opere loro da cui sperano maggior celebrita; sarebbe d'uopo
eziandio che in ogni genere di scritti si pigliasse una cert'aria
disinvolta e signorile; lontana del pari dalla pedanteria, dalla seve-
rita austera, dalla astrusita, che dalla frivolita e dalla inesattezza su-
perficiale ; una certa nobile sprezzatura, che non sentisse la ruggine
de* collegi e lo stento e Timbarazzo di chi da studi malinconici
e solitari e da un soggiorno tenebroso trovasi trasportato in un
tratto in mezzo di un'adunanza di persone awezze alia pratica
del mondo, spiritose e brillanti; si congiungesse, in somma, al
genio originale, alia sensibilita, alia dottrina ed alia maesta ed esat-
tezza italiana, Turbanita, il brio e la disinvoltura francese. II mar-
chese Maffei, il conte Algarotti, il consiglier Bianconi2 ed altri
uomini grandi viventi, per non parlare del Magalotti e di altri genti-
luomini della corte di Toscana de' tempi suoi, gia ci hanno fatto
vedere questo fortunato innesto; e non e da dire che per essere e
per comparir dotto convenga far professione di esser pesante, ispi-
do e sgarbato.
i. Dal trattato Dell'uso e dei pregi della lingua italiana, ed. cit., n, pp.
41-2. 2. Giovanni Ludovico Bianconi (1717-1781), autore di prose di
argomento scientifico e archeologico e di vivaci ed acute Lettere sulla
Baviera e altre regioni della Gennania.
680 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
§ i. Coltura ed eleganza necessaria a tutti; necessitd di arricchir
la lingua di opere elementari e di letter atur a galante.1
Non e soltanto il dilicato nostro secolo che esiga dagli scrittori
di congiunger la gentilezza al sapere; non sono soli gli svogliati
leggitori dei giorni nostri che vogliano essere instruiti per via del
diletto. In ogni eta, in ogni contrada, ed in Italia singolarmente
dopo il risorgimento delle lettere, gli uomini veramente grandi
sagrificarono alle Grazie. Talvolta furono innalzati altari al gusto
corrotto, ma il vero sapere non va mai disgiunto da un sano sa-
pore nella letteratura e nelle bell'arti. Se vi furono uomini grandi,
ingegni straordinari alieni dalle Muse, ci6 segui in secoli tenebrosi,
quando accendere non si potea, colpa le estrinseche circostanze,
quella scintilla di fuoco celeste, che tenean dessi per avventura,
senza saperlo, nella piu intima parte del cuore ristretta. Tra' prin-
cipi occupati in grandi imprese Cesare, Federico, Eugenio di Sa-
voia, tra gli spiriti immersi in scienze astratte ed in meditazioni
astruse e difEcili Aristotile e Galilei, per citar soltanto i piu gran
nomi, tutti unirono la coltura e Teleganza alia penetrazione, alia
attivita, al coraggio.
Ne dovrebbero i letterati della nazion nostra contentarsi di ab-
bellire con appropriati ornamenti le opere originali e profonde, e di
fornir la mente di belle cognizioni risguardanti la poesia, il dise-
gno, 1'elegante antichita e Tamena erudizione. Sarebbe deside-
rabile che alcuni tra essi a quella specie di letteratura si volges-
sero, a cui e debitrice la nazion francese di quasi tutta la sua cele-
brita. Dopo il secolo XVI pare che Tltalia abbia alquanto trascu-
rata questa parte del saper gentile e galante. Pochi de' nostri scien-
ziati si curarono di avere per ascoltatrici e discepole le gentildonne,
e quand'anche alcuna volta a tal cosa si ridussero, il fecero con
tanta pompa e con tanta dottrina, che, ben lungi d'invogliar dello
studio il gentil sesso, contribuirono non poco a fare che il sapere
tenessero in concetto di inaccessibile per esse. II sempre pomposo
ed erudito Gravina, avendo preso a stendere un Regolamento degli
studi di nobile donna,2 pare che da capo a piedi armare intenda le
1. Dal trattato DelVuso e deipregi della lingua italiana, ed. cit., n, pp. 42-5.
2. Regolamento degli studi di nobile donna, alia principessa di Santa Croce,
Opere italiane, pag. 248 (G. N.).
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 68l
eroine, le Marfise e le Clorinde della letteratura, piuttosto che le
dame dilicate de' giorni nostri, di tal peso sono le armi che loro
propone. I libri di Cicerone Degli uffici, Forazione d'Isocrate a
Demonico, Tucidide, Erodoto, Sallustio, Tacito, non che il Guic-
ciardini ed il Davila; ed Omero e Virgilio e Dante, non che FA-
riosto ed il Tasso, sono i libri che quelPuomo imperturbabile,
e soverchiamente dotto, non teme di metter tra le mani delle
gentildonne, quasi fossero libriccini di toeletta e di trattenimento
sollazzevole. Per vero dire, non credo che di cotesti autori for
mate sieno le biblioteche delle signore francesi, ed anche di molti
uomini di quella nazione, che son pure stimati colti e addottrinati.
Lo stomaco della gente leggiadra a' di nostri non e piii appropriato
a quella carne bovina, a quel cibo da eroi. Che ne venne da questo ?
Pochissimi sono in grado di fare studi cosi severi e fondati nella
letteratura; si lasciarono percio da parte dai piu i libri delFantichita
ed i gravi nostri scrittori medesimi italiani, e si rivolsero ai libri
ed alle traduzioni francesi. E perch6 non potremmo noi arricchir
la letteratura nostra di tutte quelle specie di opere che ci vengono
d'oltremonti, dalle quali, tanto originali come tradotte, vien con-
tinuamente corrotta la lingua, ed il carattere nazionale travisato
e guasto ? E perch6 non potremmo noi pure aver libri elementari,
storie, compilazioni non troppo dotte ne pedantesche, miscella-
nee, romanzetti instruttivi, lettere, viaggi, e vadasi dicendo mille
maniere diverse di opere di amena e galante letteratura, proprie ad
ingentilire gli spiriti, dirozzar i costumi, ammaestrare eziandio,
od almeno prestar materia d'innocente diletto?
§ 2. Dialetti italiani e lingua universale tratta da essi.1
Certa cosa e che ad una si fatta impresa si oppone il sistema
di alcuni toscani ed anche non toscani, di restringere Fuso ed il
dritto di dettar le leggi e di mantener in vita la lingua nostra alia
sola Toscana, per questa ragione lingua toscana e non italiana chia-
mandola; per modo che siccome la solamente pura si park, cosi a*
soli scrittori che in quella scuola impararono Farte del conversare,
sia dato di poterne rappresentare un'immagine nelle opere loro.
Ma checche sia della opinione di alcuni vecchi cruscanti riformati,
i. Dal trattato DelVuso e dei pregi della lingua italiana, ed. cit., n, pp.
45-50-
682 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
maestri di collegio, reliquie ancora delPantica milizia, nutrita nelle
civili guerre gramaticali che in principio del corrente secolo insor-
sero, i piu chiari letterati de' giorni nostri, quelli per cui la lingua
italiana e viva tuttora e spira; quelli, le opere de* quali passano
le Alpi e caratterizzano la nostra nazione, sono oggimai tutti di
awiso che ogni particolar dialetto italiano abbia diritto di sommi-
nistrar voci alia lingua colta e comune, purche intese o facili ad
intendersi in tutta Italia; che anche i Toscani hanno d'uopo di
regola e di gramatica, non essendo lingua vivente che non ne
abbisogni; e che, all'ultimo, gli scrittori toscani pretti e che fanno
uso soverchio di toscanesimi, di idiotismi, di riboboli, non sono
al piu che autori del miglior dialetto d'ltalia, ma non gia autori
italiani. Perci6 1'abate Bettinelli stabilisce come massima fondamen-
tale che non solo dai dialetti toscani sceglier si dee ci6 che si confa
alia lingua italiana, ma che inoltre questa scelta pu6 estendersi agli
altri dialetti italiani, che hanno pur essi i loro diritti, le loro grazie
e ricchezze, ove con occhio critico vengano considerati.1 Cosi usa-
rono di fare i primi padri della lingua nel Mille trecento: e quante
non sono le voci lombarde, a cagion d'esempio, espressive, gentili,
evidenti, bench6 men felicemente pronunciate? L'origine di esse e
molte fiate nobilissima. Le voci latine sono sparse a piena mano in
tutti i dialetti d'ltalia, come a tutti e palese; molte ne lasciarono i
Greci a Venezia2 col gran commercio che vi ebbero : cosl in Sicilia,
in Puglia, in Calabria. L'araba lingua, si illustre, molte ne Iasci6
singolarmente in Sardegna, in Corsica, in Malta. E la celtica, si
antica e diffusa, £ forse spenta da per tutto ? E le reliquie dell'idio-
ma degli Etruschi, cioe de' piu possenti e celebrati popoli italici
i. ly abate ... considerati: il Bettinelli dice esattamente: «Convien dun-
que dai dialetti toscani scegliere esaminando ci6 che sta bene airindole
della lingua italiana, e questa scelta pu6 stendersi ancora agli altri dia
letti italiani, che hanno anch'essi lor dritti, lor grazie e ricchezze, ove
con critico awedimento siano considerati » (cfr. Risorgimento d'ltalia, in
Opere, ed. cit., iv, 1781, p. 33). 2. «I1 dialetto veneziano e ricchissimo
di voci tutte sue proprie, ed & quello che ha piu di grazia e di vezzo fra
quanti se ne parlano corrottamente in Italia. Moltissime di queste nostre
voci deriyano a dirittura dai greco, daU'illirico e dall'arabico e da altre
lingue orientali ; il che provenne dai lungo e continuato commerzio che
ebbero i nostri con quelle nazioni. Chi si mettesse a formare espressa-
mente un Vocdbolario veneziano, ne farebbe conoscere Tanalogia e la ric-
chezza», Zeno, note al Fontan[ini, Biblioteca delV eloquenza italiana, ed.
cit.], torn. I, p. 72 (G. N.).
DELL'USO E DEI PREGI BELLA LINGUA ITALIANA 683
prima che Roma dominasse, il cui impero sino alle Alpi si esten-
deva, e forse da credere che siensi tutte in Toscana riconcentrate ?
Inoltre, parlandosi i dialetti popolari in Italia dalle persone gentili,
nobili e dotte e ingegnose, ne segue che non solo dall'uso continue
acquistano Pattitudine di esprimere ogni concetto, ma si arric-
chiscono giornalmente di voci e modi di dire pregevolissimi e
giungono ad una perfezione infinitamente maggiore di quella che
ricever possono in quelle contrade dove vengono unicamente ado-
perati dal popolo, eziandio il piu rozzo. E che diremo dei dialetti
d' Italia, dacche persino col genovese e col milanese si pote giun-
gere a tradurre il Tasso, ed in versi piemontesi si dettarono ottimi
sonetti petrarcheschi e si tent6 una traduzione di Lucrezio ? Al-
tronde poi i dialetti, a guisa delle piante e degli animali lasciati
in balia della natura, hanno sempre una certa maschia energia e
vigorosa mossa, di cui mancano alcune volte le Imgue troppo li-
mate e troppo culte dall'arte.
Ora, ci6 posto, cotesti vocaboli e modi di dire, quando intesi
sieno da tutta Italia, quando sieno espressivi, armoniosi e calzanti,
e perche non saranno ammessi nel comune erario della lingua ita-
liana? Chiama perci6 il prelodato Bettinelli ottimo consiglio quel-
lo che in ciascuna provincia e dialetto si formasse un proprio vo-
cabolario: e che da questi particolari scegliendosi Tottimo, si ve-
nisse a comporre un dizionario universale a giudizio di tutta la
nazione, che si potrebbe allora finalmente vantare di avere un vero
tesoro di lingua.1 Se questo possa sperarsi da un'accademia di
gramatici filosofi spregiudicati ed intelligent!, protetti ed aiutati
da' principi italiani, nol saprei dire. Ad ogni modo, si e per6 quello
che fecero ognora nel loro particolare, leggendo e conversando e
viaggiando eziandio per tutta Italia, gli scrittori tutti di maggior
grido. II chiarissimo nostro abate Denina, dopo aver notato che
in tutta Italia un solo si e Timpasto ed il fondo della lingua, e dopo
i. Risorg. d* Italia, torn, n, capo i, Lingua [in Opere, ed. cit., iv, 1781], p.
32 e seg. (G. N.). II Bettinelli dice esattamente: « Ottimo certo sarebbe il
pensiero di farsi in ciascun dialetto e provincia un proprio vocabolario,
giacch6 si saporite e si grate son pure le poesie gia pubblicate in milanese,
bergamasco, genovese, veneziano, bolognese, napoletano ed in altri, nelle
quali impiegarono le lor penne chiarissimi ingegni. Allor da questi par
ticolari scegliendosi 1'ottima parte verrebbe a comporsi un dizionario
universale a giudizio di tutta la nazione provato, e s'avrebbe allor final
mente un vero tesoro di lingua ».
684 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
aver biasimato giustamente chi vorrebbe fame lingua municipale,
osserva ottimamente che non solo le scritture nobili e dottrinali,
le storie, le opere scientifiche di maggior grido, dettate in lingua
italiana, portano Pimpronta di questa lingua italiana universale,
ma che il Berni ed il Mauro,1 tuttoche padri e maestri di quello stile
piacevole che si crede proprio soltanto di chi abbia bevuto delle
acque di Arno, nacquero in Toscana 1'uno, nel Friuli Taltro, e
fecero uso entrambi di una lingua comune, intesa in tutta Italia.
Che anzi il Berni, che dimor6 lungamente in Roma ed anche in
Lombardia, ed in Verona col famoso datario Ghiberti, venne
celebrate da un altro toscano, voglio dire dal Lasca, perch.6
non offende gli orecchi delta gente
colle lasdvie del parlor toscano. 2
E per mordere cotesta generazione di gramatici e di piccioli inge-
gni, di soverchio affezzionati airidioma che si parla sulle sponde
delPArno, il Berni medesimo loda facetamente Aristotile, perch6
dice le cose sue semplicemente,
e non affetta il favellar toscano.3
Riflette inoltre il mentovato abate Denina, che moltissime voci
credute dai piu tra noi unicamente piernontesi o lombarde, sono
di buona lega, e gia usate da approvati autori e da scrittori toscani
eziandio; cosa che sempre piu Faffinit^ dimostra che passa tra tutti
i dialetti italici, anche i piu rimoti dal ceppo comune della lingua
colta e regolare. E qui si vuole awertir un difetto in cui cadono al-
cuni nostri nazionali, che di due voci, che abbiano lo stesso signifi-
cato, tengono per italiana quella soltanto che e. piu dal nostro dia-
letto diversa; quandoche ogni qual volta che non si tratti di due
voci, nobile Tuna, bassa e plebea Paltra, certa cosa e doversi sem
pre preferire, come piu italiana, quella che e comune al dialetto
toscano e ad alcun altro dialetto italiano, a quella ch'e meramente
toscana.
Dovrebbono adunque i Toscani ed i partigiani del caduto impero
i.Bibhopea, [Torino 1776], p. 80 (G.N.). Giovanni Mauro (1490-1536),
amico e imitatore del Berni. 2. Questi due versi del Lasca sono citati
anche dal Cesarotti nel Saggio sulla filosofia delle lingue (cfr. in questo
volume p. 358 e la nota 5.) 3. Capitolo In lode di Aristotele, 65-6.
DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA 685
della Crusca diportarsi col rimanente de' popoli italiani nelle cose
della lingua colle stesse massime colle quali, per rispetto alle cose
politiche, si governarono i Romani verso le antiche nazioni itali-
che : unirsi tutti e cospirare e concorrere unanimemente a parlare,
ad apprezzare, a coltivare e ad avere in conto di propria una sola
lingua, e non gia far torto alia comune patria per gara di primato,
per voler trar vanto da ci6 che non gia una lingua, ma il primo,
il piu elegante ed il piu purgato dialetto soltanto costituisce. E la
gente colta e letterata delle altre provincie dovrebbe, conversando
con civili e addottrinate persone, abbandonar del tutto il popolare
rozzo dialetto natio, e servirsi della lingua medesima adoperata
nelle scritture, nelle istruzioni, nei dispacci, avanti a' magistrati,
nei tribunali e sui pulpiti. Converrebbe che in tutta Italia, come
appunto si fa in tutta Francia, da' Pirenei e dalle Alpi sino all'Ocea-
no ed alle Fiandre, in ogni civil brigata la lingua colta si parlasse,
qualunque sia il dialetto popolare. Allora troppo facile riuscirebbe
il dialogizzare in lingua purgata, nei che tanta difficolta incontrasi
da' non Toscani al presente; maggiori e nuovi pregi acquistereb-
be la lingua; piu agevole diverrebbe lo spiegarsi, il pensare (oserei
dire); piu comune la scienza, piu celebri gli scienziati;1 e non po-
tremmo piu lagnarci che mancasse alia massima parte d'ltalia un
modello vivente per rappresentar nelle opere d'ingegno una con
versazione nobile, signorile, disinvolta.
La precisione che manca, secondo certuni, alia lingua italiana
non e sicuramente nello stile poetico, pomposo ed oratorio, e nep-
pure nelPistruttivo e dottrinale; si e nello stile tenue soltanto. La
ragione n'e manifesta. Non si conversa in istile sublime ne scien-
tifico. £ questa una lingua che viene parlata, o, per dir meglio,
i. V[edi] Algarotti, Dedica dei Dialoghi sopra Vottica neutoniana al re di
Prussia (G. N.)- Allude al noto passo in cui TAlgarotti deplora la scarsa ca-
pacita della lingua letteraria italiana «pour ce genre d'ouvrages qui doivent
rendre 1'air et le tour de la conversation familiere», poiche, egli afferma,
«notre langue n'est, pour ainsi dire, ni vivante ni rnorte. Nous avons
des auteurs d'un siecle fort recule que nous regardons comme classiques;
mais ces auteurs sont parsem6s de tours afTectes et de mots hors d'usage.
Nous avons un pai's ou la langue est plus pure que dans aucune autre
contree de 1* Italic; mais ce pais ne sauroit dormer le ton aux autres qui
pretendent Tegalite et meme la superiorite a bien des egards. Sans capitale
et sans cour il nous faut £crire une langue presqu'ideale, craignant toujours
de choquer ou les gens du monde ou les savans des academies; et dans
cette caimere on n'a pour guide que le gout, dont il est si difficile de fixer
les loix» (cfr. Opere, n, Venezia, Palese, 1791, pp. 5-6).
686 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
scritta in ciascima delle provincie italiane da pochi personaggi ad-
dottrinati. Questi concordano presto cogli altri delle altre contrade
italiche, rispetto alia sceltezza, al valore, al significato delle voci
che adoperar debbono. Ma ove si tratti di lingua che abbia a rap-
presentare il conversar Hbero e sciolto, si corre rischio di scrivere
lombardo, infrancesato, affettato toscano, pedantesco antico, e qui
sorgono le dubbieta in gran numero, difficolta che tutte si toglie-
rebborxo con far uso favellando della buona lingua italiana rego-
lare e purgata.
DAL «DISCORSO INTORNO ALLA STORIA
DEL PIEMONTE»
§ ix. Opposizioni contro al disegno di una storia del Piemonte.
Ma il piu grande ostacolo peraltro, Pimpedimento insuperabile nel
promuovere gli studi della storia nostra, non e che manchino si-
nora scrittori degni di esser letti, ma, quello ch'e piu, si & che,
a giudicio di dotte ed ingegnose persone fra* Piemontesi medesimi,
manca soggetto e materia per la storia.1 Se dobbiamo dar retta a
quelli tra' nostri scienziati che, lontani dalla polvere critica, vol-
gendo lo sguardo alia storia delle grandi nazioni di Europa, e ri-
mirando lo spettacolo magnifico che presentano pei gran successi,
per la gloria delle armi, per Pesteso commercio ed i lumi delle dot-
trine, giudicar intendono delle cose scevri di prevenzione, scorn-
pare affatto e si dilegua airocchio loro filosofico quella che alcuni
buoni cittadini, piu commendabili per buon volere che per lo
buono discernimento e per ampiezza di mente, credono esistere
nazion piemontese. Pieni di queste idee grandi, non altrimenti che
Scipione Affricano, dal cielo riguardando la terra2 fanno le mera-
Come dichiara il Napione stesso nella dedica del suo trattato DelVuso e
dei pregi della lingua italiana al conte Felice Durando di Villa, il Discorso
intorno alia storia del Piemonte fu opera « breve e di pochi giorni», da
lui intrapresa e compiuta poco tempo prima che si accingesse alia revi-
sione del suo trattato, quindi, presumibilmente, non molto tempo prima
del 1791, data della prima edizione del trattato stesso, in appendice alia
quale il Discorso fu inizialmente pubblicato. Esso comparve poi, senza
mutamenti degni di nota, nelP edizione fiorentina del 1813 dell' opera
maggiore e in quelle successive. II testo dei passi qui riprodotti (§ ix e x)
si attiene a quello definitive delPedizione fiorentina del 1813. Le note del
Galeani Napione sono seguite dalla sigla G. N.
i. Vi sono pure altre specie di persone. che tengono in nessun conto gli
studi della storia patria, e questi vengono chiamati dal celebre Tiraboschi
(Depatriae historia, oratio, Mediolani 1759, p. n): « Homines aut discipli-
narum omnium pene rudes, quosque ea tantum literatura delectat, quae
nullis vigiliis, nullo incommodo comparetur; aut scientiae cuiuspiam studio
unice addicti, qui ceteras quotquot sunt omnes post habendas putent»
[ccUomini o pressoch6 inesperti di ogni scienza e che si dilettano solo di
quella cultura che senza alcuna veglia, senza alcuna fatica si acquista;
o dediti unicamente allo studio di qualche scienza, e che ritengono do-
versi a questa posporre tutte le altre quante sono »], G. N. 2. non altri
menti . . . terra: allude al sogno di Scipione narrato da Cicerone nel Som-
nium Scipionis (De rep., vi, xvi, 16 sgg.).
688 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
viglie che in cosl angusto teatro si sforzi di spiegarsi la gloria no-
stra nazionale. 0, dicono essi, si intende di scrivere la storia dell'au-
gusta famiglia che ora ci governa, e questa, abbench6 grande ed illu-
stre ab antico, picciol dominio tenne ne' tempi andati nelle contrade
che al presente Piemonte si addimandano. I piu ampi, doviziosi ed
antichi suoi stati erano in que' tratti di paese di la da' monti,
che ora formano buona parte di floride provincie della Francia
ed il piii fertile e delizioso de' cantoni elvetici, compresa la repub-
blica di Ginevra, oltre al ducato intero della Savoia; n6 ebbero
i principi nostri fissa residenza in Italia, fuorch£ dal duca Ema-
nuele Filiberto in appresso, nato ancora e nodrito di la da' monti al
pari de' suoi progenitori. 0 s'intende di descrivere la storia di quel
paese, che ora anche nel senso phi ampio si chiama Piemonte, e
questa non & storia di nazione veruna ne' secoli addietro, ma di
diversi piccioli stati divisi e di alcune citta, che nulla ci presentano
che degno sia di considerazione ; storia che non & possibile di riu-
nire sotto un solo punto di vista e con narrazion continuata prose-
guire. Che anzi, ancorch6 fosse una tale impresa meno malagevole
ed una si fatta storia scrivere si potesse, questa non sarebbe storia
del Piemonte per ci6 che appartiene a' tempi antichi, dacch.6 tal
nome nacque soltanto, come ognun sa, poco avanti al dominio
avuto da' conti di Provenza in questa parte d' Italia verso la meta
del secolo XIII, onde soltanto parimente a quell' epoca dovrebbe
avere principio la storia.
E gli avvenimenti poi, dicono essi, quai sono che meritino di
esser ricordati ? Sono questi forse 1'influenza nella politica in tutte
le corti di Europa, la maesta della religione, la potenza, la grandezza
di Roma anche dal Mille in appresso ? le strepitose rivoluzioni del
regno di Napoli? 1'esteso florido commercio, 1'antica gloria na-
vale, la potenza orientale di Venezia? la navigazione, i traffici,
la coltura delle scienze e delle arti di Pisa, di Firenze e di tutta
Toscana? 1'antica potenza marittima, le armi trionfatrici al di Ik
delPEllesponto de' Genovesi? 1'opulenza dello stato di Milano,
grande anche per 1'abuso che ed i Visconti e gli Sforza ne fecero,
e per li saccheggi e per le depredazioni a cui pot£ resistere durante
secoli interi ? Che piii ? proseguono a dire con ingenua schiettezza
questi spregiudicati piemontesi, quante citta particolari d' Italia
somministrano alia storia piu importante oggetto da per s6 sole
quanto tutto il Piemonte intero ? Cosl Verona, Bologna, Modena,
DISCORSO INTORNO ALLA STORIA DEL PIEMONTE 689
Mantova, per lettere, per antichi monumenti, per illustri perso-
naggi famose. Che, alPincontro, nei fasti di queste provincie che
riunir si vorrebbono per formarne una storia, altro non ci rav-
visano, se si parla de' tempi piu antichi, che alcuni cavalieri erranti
al pie delle Alpi, occupati in piccole scaramucce, in amoreggia-
menti ed in fondar badie in espiazione de' loro falli; e ne' tempi
piu a noi vicini una serie non mai disco ntinuata di disastri di una
popolazione conculcata dalle grandi potenze di Europa. Si lasci
percio, conchiudono dessi, alia vanita delle private famiglie il con-
sultare gli antiquari de' tempi di mezzo, altrettanto rozzi ed ispidi
quanto i documenti e le carte fra le quali si rawolgono di continuo,
per provare una genealogia, una discendenza sempre certa airamor
proprio di chi la riguarda, e sempre dubbiosa alia invidia altrui;
si lasci all'interesse de' comuni, de' prelati, de' feudatari il far
chiarire e decidere i punti di diritto, i privilegi de' loro territori,
delle loro giurisdizioni e badie; ma nessuno si lusinghi mai con
questi materiali critico-giuridici di poter formare una storia colta
e filosofica che di troppo piu grandiosi fondamenti abbisogna.
Queste ingegnose osservazioni son frutto in vero de' progressi
grandi che hanno fatto tra noi gli studi del pubblico diritto, dello
stato politico di Europa attuale e della lettura e meditazione delle
storie straniere, scritte con vivacita di stile, con energia e con pom-
pa; perciocch6 insino al fine dello scorso secolo sempre si e cre-
duto non impossibile da* nostri men dotti maggiori una si fatta
intrapresa. Dir6 di piu, procedono eziandio in gran parte tali oppo-
sizioni dalle spine colle quali sono stati a' nostri ultimi tempi cir-
condati questi studi, che appunto, come congiunti agli studi legali,
gli han fatti pigliare in abbominazione da ogni bell'ingegno. Ed e
cosa in vero singolare che mentre i critici tengono che si debbano
intraprendere nuove opere colossali per illustrazkme della storia
nostra, e che bastanti non sieno quelle che in non picciola copia
gia abbiamo, quegli all'incontro che professano letteratura piu
colta e, direi cosl, piu disinvolta e lontana da ogni ombra di spirito
pedantesco, credano che da tutti questi materiali impossibil sia
il ricavar un volume di storia patria, di cui una persona, che fana-
tica non sia, possa sostener la lettura.
690 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
§ x. Riflessioni intorno alle oppodzioni sopraccennate.
Per isciogliere tutte queste opposizioni e per conciliare dispareri
cosi grandi, non vi sarebbe altro mezzo se non se di presentare
una storia del Piemonte dettata con discernimento, con buon crite-
rio, con filosofia, che imparzialita rigorosissima vantasse e facesse
pompa di eleganza e coltura di stile, tale, in somma, che ottener
potesse lettori ed applausi perfin da quelli che prevenuti sono
contro. Ma, come ognun vede, se per un canto sarebbe questo
il solo modo di sciogliere e levar via vittoriosamente le allegate
difficolta, d'altra parte non e questa materia di un breve discorso.
Per far tuttavia alcuna generale considerazione intorno a questo
rilevante oggetto, prima che qualche anima ben nata abbia ozio,
lumi, ingegno, volonta e favore per darvi opera daddovero, si
potrebbe, avanti ogni cosa, riflettere che non trattasi gia di tessere
un panegirico della nazion piemontese e degli antichi abitatori di
queste contrade, ma di descrivere con sincerita e chiarezza i suc-
cessi1 quai furono; perciocche la storia dei gloriosi evenimenti
serve piii ad accrescere il fasto nazionale che alia istruzione de'
posteri. Concedero in oltre per un istante che la storia del Pie
monte sia un'iliade miseranda di disawenture; che queste contrade
sieno state in paragone degli altri stati d' Italia pressoche senza
lettere, senza commercio, e che le armi non abbiano mai bastato
e difenderle dalle pubbliche sciagure dalle quali furono nej tempi
andati desolate; e dico che in tale supposizione una storia di di
verse popolazioni (se nazione non si vuol che si addimandi) che
ci6 non ostante si radunarono sotto un solo sovrano, sovrano i cui
progenitori ebbero per6 sempre insino dal Mille ora piu ora meno
esteso dominio nelle contrade medesime ; la storia di un paese che
nonostante un corso d'interi secoli di awersita acquistb quel gra-
do di prosperita, di popolazione, di coltura, di lettere e di estimazion
di cui gode al presente, una storia cosi fatta presenta un raro feno-
meno agli occhi non meno del politico che del filosofo investiga-
tore delle cagioni delle cose. La serie perci6 di queste disgraziate
awenture meriterebbe di venire diligentemente esaminata, dap-
poiche ebbe piu prospero esito che non il gran traffico e la potenza
di mare degli altri italiani. E que' disastri in vero furono gloriosi,
i. i successi: gli awenimenti.
DISCORSO INTORNO ALLA STORIA DEL PIEMONTE 691
se, non altrimenti che le sconfitte del Romani nella guerra contro
Pirro, impressero sentimenti di venerazione nei nemici stessi e
fruttarono in fine la grandezza e la prosperita del Piemonte. E
sebbene non vorrei che il racconto fedele di queste sciagure ed il
rinnovarne pateticamente la rimembranza risvegliasse sentimenti
di sdegno e di livore contro le potenze di Europa che ne furono
le infauste cagioni, perciocche sono cose troppo vili 1'astio e la ven
detta, cio non toglie pero che il minuto ragguaglio di questi eve-
nimenti, deH'origine che ebbero, del corso con cui seguirono, delle
conseguenze che produssero, servir non possano d'istruzione in
ordine al contegno da serbarsi in consimili emergenze ed at modo
di guardarsene in awenire.
Senzach6 la vastita de' dominii non basta da per se sola a rendere
importante la storia di un impero, come, d'altro canto, pu6 essere
famosissimo uno stato di angusti confini. Alia repubblica di Atene,1
il territorio di cui forma al presente una picciolissima non curata
sconosciuta parte di un barbaro impero, si pregiano di paragonarsi
le piu grandi nazioni delPEuropa: gPInglesi per lo spirito di com-
mercio, la potenza navale, i capricci del volgo e la liberta burra-
scosa; i Francesi per Teleganza della vita e de' piaceri; per lasciar
da parte quelli che forse han maggior diritto di venir in paragone
per politica, per traffici, non meno che per letteratura e per belle
arti, voglio dire gPItaliani. Ne ci6 tanto attribuir si dee alia grandez
za delle cose operate, come alia celebrita degli scrittori da cui furono
tramandate a' posteri. Ad ogni modo poi, non ostante che stata vi
sia la repubblica romana, la storia con tutto ci6 di quella di Gine-
vra parimente da piu di un autore si scrisse; e cosi quantunque
piu clamorosi evenimenti contengano le storie di altre contrade,
a noi premono piu i nostri men rumorosi e solenni che gli altrui
tanto decantati. Se il predicante valdese Leger di pochi tumulti
seguiti in un angolo delle montagne della provincia di Pinerolo
ne scrisse e pubblic6 nello scorso secolo un volume in folio in
Olanda, intitolandolo Storia delle chiese evangeliche del Piemonte?
dove non mancano effigiati piemontesi che quali antropofagi divo-
i. The History of Athens, by William Young, 1786 (G. N.). Quest' opera,
accompagnata da un Saggio «in cui si ricercano le ragioni immediate di
elevazione e di decadenza che influiscono in uno stato libero e commer-
ciale », ebbe una certa rinomanza in Inghilterra e in Europa. 2. II titolo
di quest' op era di Giovanni Llger (1615-1670) e Histoire generate des tglises
dvangeliques des valUes de Piemont ou vaudoises; fu pubblicata nel 1669.
692 GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
rano le carni abbrustolate de' Valdesi trucidati, e perch6 mai
non sara possibilc il mettere insieme una storia, meno ingiurio-
sa alia memoria dei nostri maggiori, di tutte le contrade e di
tutti gli avvenimenti del Piemonte? Lascio da parte che a man-
tenerci nella picciolezza non vi ha forse motive piu forte che
il troppo basso concetto appunto delle cose proprie; e che una
delle cagioni della grandezza, non solo delle antiche nazioni, ma
eziandio delle singolari persone medesime che di picciolo stato
salirono a gran potenza, si & Tessersi ognora credute, sin da* loro
principii, destinate a cose grandi. Ed in ordine appunto alia esten-
sion de' paesi ed ai success! che si vorrebbono comprendere nel
la storia di cui si tratta, a me sembra che, sebben con altro nome
questo tratto d' Italia si chiamasse negli andati tempi, con tutto ci6
non sia cosa contraria alia pratica serbata dagli storici delle altre
nazioni ed alia retta ragione il formarne un solo corpo, un sol tutto,
non gia colla rigorosa unita di azione di una composizion di teatro,
ma con quella che puo ricevere una storia alquanto estesa, sia
rispetto a* tempi che a' paesi. Tutti i geografi nostri chiamarono
Piemonte i dominii della real casa di Savoia in Italia. E sebbene il
sagace investigatore delle patrie antichita, Francesco Agostino del-
la Chiesa,1 non abbia ritrovato documento piu antico di un di
ploma del conte Amedeo di Savoia del 1245,* in cui venga fatta
chiaramente menzione del Piemonte,3 nome che divenne poi comu-
ne in queste contrade al tempo del dominio ch'ebbero di gran
parte di esse i conti di Provenza, conquistatori del regno di Na-
poli, ci6 non trattenne il dotto nostro magistrato, autore del
Piemonte cispadano anticoy di spingere insino a' tempi romani le
sottili e profonde sue geografiche ricerche.
1. Francesco Agostino della Chiesa (morto nel 1663), vescovo di Saluzzo,
autore di un Catalogo degli scrittori del Piemonte e della Savoia, e di altre
opere sulla storia piemontese, fra cui quella citata nella nota seguente.
2. V. Corona reale di Savoia, torn. I, pp. 204-5 (G. N.). 3. venga . . . Pie
monte'. in Pietro delle Vigne ed in un'antica cronaca trov6 il signor col-
laterale lacopo Durandi il nome di Piemonte, e ci6 anteriormente all'e-
poca del diploma del conte Amedeo, di cui parlano il Monod ed il Chiesa
(G. N.). lacopo Durandi (1737-1817) di Santhia, autore di un Saggio
sulla storia degli antichi popoli d' Italia (1769) e del Piemonte cispadano
antico (1774), ricordato piu avanti dal Napione. Pietro Monod (1586-1644)
scrisse varie opere storiche sulla casa di Savoia.
MATTEO BORSA
NOTA INTRODUTTIVA
Se il richiamo agli insegnamenti del tardo Bettinelli pu6 essere
utile per meglio comprendere la formazione e Torientainento del
pensiero e del gusto di un Tiraboschi, di un Galeani Napione e di
un Vannetti, esso diventa obbligatorio nel caso di Matteo Borsa.
AlPombra del Bettinelli si svolge per gran parte la sua stessa
vita. Nato a Mantova nel 1751 da una cugina dello scrittore, e
probabile che proprio per suggerimento di questo fosse inviato a
frequentare il collegio dei gesuiti di Verona, dove il Bettinelli al-
lora si trovava, e poi il collegio dei preti secolari di Reggio Emi
lia, dove ebbe modo di distinguersi per la sua inclinazione alia
filosofia e agli studi letterari. Tale inclinazione, tuttavia, fu viva-
mente osteggiata dal padre che voleva fare del figlio un medico,
e che a questo scopo, appena terminate le scuole secondarie, lo
invi6 a studiare medicina presso PUniversita di Bologna. Pur dedi-
candosi a questi studi con impegno (fra i suoi scritti figurano due
opere di argomento medico, / fisiologi e Gli empirici) fino ad ot-
tenere con onore la laurea, il Borsa anche a Bologna continud ad
occuparsi di filosofia, di letteratura e di musica, e in particolare
riuscl ad impadronirsi delPinglese tanto da poter leggere corren-
temente gli autori britannici nella loro lingua. Da Bologna si
mosse anche per qualche gita in Toscana e nel Veneto, ma que-
ste furono le sue uniche esperienze di viaggio, poich6, tornato a
Mantova nel 1776, non si allontan6 piu dalla citt& nativa, accon-
tentandosi, anche perch<§ cagionevole di salute, della tranquilla e
oscura vita di studioso di provincia. A Mantova appunto egli ri-
trov6 il Bettinelli, che qui si era ritirato fin dal 1773, e che prese
subito in simpatia il giovane parente, incoraggiandolo agli studi
preferiti e certo anche favorendo la sua nomina, nel 1779, a se-
gretario delPAccademia mantovana, come successore delP abate Gi-
rolamo Carli, e poi, nel 1783, a professore di logica e metafisica
nel ginnasio della sua citta. E i legami tra il Bettinelli e il Borsa
si strinsero ulteriormente quando questi ne spos6 una nipote, e
soprattutto allorche, costretto ad uscire dalla casa paterna per
«scontentezze domestiche», entr6 insieme con la moglie in quella
dello zio, presso il quale convisse in piena armonia fino alia morte,
avvenuta nel 1798.
696 MATTED BORSA
Ma anche se si ignorassero questi vincoli di parentela e di ami-
cizia, si sarebbe in ogni caso costretti a ricollegare strettamente il
Borsa al vecchio letterato mantovano dalla natura stessa della sua
opera letteraria, critica e filosofica, la quale si configura esplicita-
mente come un tentativo di sistemare e approfondire la conta-
minazione, che caratterizza Porientamento del Bettinelli dopo il
1780, tra i motivi moderatamente preromantici delVEntusiasmo
delle belle arti e del Risorgimento d* Italia e il tradizionale classi-
cismo accademico e xenofobo: un tentativo che si traduce spesso
in irrigidimenti scolastici e pedanteschi, ma che talora perviene,
almeno sul piano critico ed estetico, a risultati non privi di origi-
nalitk, e comunque non trascurabili da chi voglia seguire, nel suo
complesso rapporto di opposizione e di convergenza col prero-
manticismo, la formazione del movimento neoclassico italiano sul
finire del Settecento.
I primi scritti dedicati dal Borsa a problem! estetici, La musica
imitativa (1781) e I balli pantomimi (1783), possono interessare
solo in quanto dimostrano come Tautore agli inizi fosse rigidamente
legato ai criteri della poetica classicistica, e addirittura ai principii di
Orazio, che egli definisce «un autore un po? vecchio, ma un autor
sempre classico e inappellabile ». Si pu6 anzi affermare che ci6 che
distingue il Borsa dai pensatori che prima di lui si erano volti ai
problemi estetici della musica e della danza - i collaborator!
dello « Spettatore », lo Hume, il Rousseau, PAlgarotti e anche il
Bettinelli - e proprio la rigorosita spinta fino alia pedanteria con
cui egli applica a quei problemi i principii oraziani dell'imitazione,
della verosimiglianza, della convenienza e simili.
L'aderenza al pensiero e al gusto del tardo Bettinelli e insieme
la pur limitata originalitk del Borsa si manifestano invece nel
successive e piu noto saggio Del gusto presente in letter atur a ita-
liana^ che egli stese nel 1783 in risposta al quesito proposto
daH'Accademia mantovana (e ispirato probabilmente dal Bettinelli)
appunto sul gusto contemporaneo in Italia, pubblic6 nel 1784
con alcune note polemiche dell'Arteaga, e ristamp6 nel 1795 con
aggiunte e col titolo I vizi piu comuni e osservabili del corrente gusto
italiano in belle letter e. Per comprendere esattamente Porientamento
del Borsa non e inutile ricordare le risposte degli altri letterati par-
tecipanti al medesimo concorso, Ippolito Pindemonte e Francesco
Colle. Un franco tentativo di giustificare in tutti i suoi aspetti il
NOTA INTRODUTTIVA 697
<c gusto presente » italiano appare nella risposta di Francesco Colle,
il quale poi non fa che svolgere le idee che Famico Cesarotti aveva
gia accennate in alcuni scritti precedenti e avrebbe sistemati-
camente sviluppate nel Saggio sulla filosofia delle lingue (1785).
II Pindemonte a sua volta assume una posizione intermedia, da
un lato ammettendo la legittimita del filosofismo didascalico illu-
ministico, ormai connaturato al ccgemo» del secolo, e Putilita di
«buone» traduzioni, dall'altro raccomandando quali correttivi lo
studio degli antichi e F opera vigile di un'accademia italiana; cor
rettivi su cui insiste particolarmente in una seconda redazione
della sua risposta, orientandosi verso una sua personale poetica
fondata sulla «bella semplicita». Rispetto non solo al Colle ma
anche al Pindemonte, il Borsa appare senza dubbio il piu legato
al classicismo tradizionale, ma proprio entro questa posizione egli
assume, al tempo stesso, Patteggiamento piu consapevolmente po-
lemico nei confronti del razionalismo illuministico. Questo atteg-
giamento comincia gia a profilarsi nell'introduzione del suo sag-
gio, dove alia condanna dei «vizi» propri del « gusto presente »,
vizi in quanto deviazioni dai principii del classicismo, si intreccia
la constatazione che queste deviazioni sono pure qualcosa di ine-
vitabile, che nasce da impulsi che, per essere non razionali, non
possono essere semplicisticamente negati, ma invece debbono es
sere ricercati nella complessa evoluzione storica dei popoli; e ai
quali perci6 si pu6 e si deve reagire, come Tautore spiega nella
seconda parte del suo lavoro, significativamente richiamandosi allo
Shaftesbury, non tanto facendo appello alia ragione, quanto piut-
tosto agendo sul «sentimento» del lettore attraverso il ridicolo.
Questa esigenza di intendere proprio nella loro natura non ra-
zionale, nella loro formazione storica le deviazioni del « gusto pre
senter, appare nelPanalisi delle ragioni che hanno prodotto il pri-
mo vizio, il «neologismo straniero». Tale analisi prende Tawio
indubbiamente da alcune considerazioni del Bettinelli in quel Di-
scorso sopra lo studio delle belle letter e in Italia e sul gusto moderno
di quelle (1780), che e la prima dichiarazione esplicita delPorien-
tamento a cui il vecchio letterato si conformera negli ultimi de-
cenni della sua vita. Ma, mentre questi si era limitato ad incolpare
da lettura universale dei libri francesi e degli inglesi eziandio ve-
nuti alia moda», il Borsa cerca di indagare piu a fondo la genesi
storica del «neologismo straniero» in Italia. Dopo aver stabilito
698 MATTEO BORSA
il principle generate che la lingua di un popolo influisce su quella
di un altro o per « forza » o per « sapere », per supremazia politica
o culturale, il Borsa passa ad esaminare il caso concrete delP Italia,
constatando che su di essa hanno agito concomitant! Tuna e Pal-
tra causa. Piu precisamente, egli spiega, la lunga servitu politica
ha prodotto lentamente negli Italian! una disposizione psicologica
a subire 1'influenza di civiltk straniere, come e soprattutto quella
francese, effettivamente piu avanzate della nostra: influenza che,
nel campo particolare della letteratura, si va concretando nella « di-
struzione dello spirito nazionale», nella progressiva insensibilitk
alia speciale armonia della lingua italiana (e qui sar£ da vedere un
omaggio al Bettinelli, che tanto spesso insiste su questa armonia),
nella tendenza a trascurare lo studio della lingua latina, «madre
dell'italiana», e infine nella «fiumana lutulenta e fangosa» delle
traduzioni, o almeno di quelle fatte da scrittori ignoranti della
propria e dell'altrui lingua. Questa limitazione, che manca nel
Bettinelli, non e senza significato. Ma la relativa apertura mentale
del Borsa meglio si rivela in alcune precisazioni aggiunte nella se-
conda edizione, dove, pur mantenendo ferma, di fronte alle obie-
zioni del cesarottiano Arteaga, la sua condanna del «neologismo
straniero », tiene a distinguersi dai ciechi custodi della purit&, che
vogliono non «serbar vergine ma stupida la lingua », e giunge ad
ammettere, accogliendo in parte le idee del Cesarotti, la legittimitk
di un rinnovamento continue della lingua, di un «neologismo
continue nelle lingue di qualunque nazione, il quale neologismo
abbraccia non sol le parole materiali, ma la tessitura grammatical
eziandio e tutto il complesso dello stile, e quinci va ad attaccare i
generi stessi e le maniere di scrivere e di comporre».
Piu notevole, ad ogni mode, Tanalisi del secondo vizio, il «filo-
sofismo enciclopedico ». Anche per questa parte il Borsa trae lo
spunto dal citato discorso bettinelliano Sopra lo studio delle belle
lettere, e certamente anche da alcuni passi contenuti nella con-
temporanea introduzione alia seconda edizione &$\V Entusiasmo
(1780), dove il letterato mantovano, nella sua difesa deirimmagina-
zione e della sensibilita, deplora i danni prodotti dall'intrusione
della ctragionatrice e osservatrice filosofia» e delle scienze esatte
nei dominii della eloquenza e della poesia. Queste e simili afferma-
zioni del Bettinelli, tuttavia, interessanti sul piano della poetica e
del gusto ma non inquadrate in un pensiero organico (basterk ricor-
NOTA INTRODUTTIVA 699
dare che nel Saggio sulV eloquenza, del 1782, si sostiene che non
solo la storiografia e Teloquenza ma la stessa poesia moderna sono
migliori delle antiche perch6 nutrite di «spirito filosofico »), for-
niscono al Borsa non piu che un generico suggerimento. Piu di-
rettamente egli si richiama invece ad altri due studiosi contempo-
ranei, lo svizzero Merian e il veneto Sibiliato: due studiosi che
sono in genere trascurati dagli storici delPestetica e della critica
settecentesca, ma che sono forse i primi a dar forma sistematica
alia polemica contro la tendenza didascalica della letteratura illu-
ministica. II Merian - assiduo corrispondente del Cesarotti e buon
conoscitore della estetica empiristica inglese e in particolare di
quei critici come il Lowth, il Wood, il Warburton, il Blair, che
avevano rivolto il loro interesse alia poesia biblica, omerica, ossia-
nica e in genere primitiva - svolge le sue argomentazioni sul pia
no critico, passando successivamente in rassegna le letterature anti
che, dalFebraica alia greca alia latina, e poi 1'italiana fino al Quat
trocento, e facendo notare di volta in volta come le scienze, ivi
compresa la filosofia, abbiano sempre influito negativamente sulla
poesia. II Sibiliato, studioso di letterature classiche e non ignaro
del Vico, si pone invece sul piano teorico, e dopo aver precisato
che lo «spirito filosofico » di cui vuol provare Pestraneita alle belle
lettere non e la filosofia intesa come <cdottrina delle proporzioni
nelle materie di gusto » ma piuttosto lo «spirito dottrinario e ana-
litico», dimostra successivamente la diversita del principii da cui
partono rispettivamente questo spirito e le attivita letterarie, delle
facolta spirituali in cui risiedono, degli strumenti di cui si servono,
e degli uditori a cui si rivolgono. Nella prima edizione del suo
saggio il Borsa si limita a ricordare il solo Merian (o piu esatta-
mente le sue prime quattro dissertazioni), citando in particolare
le sue analisi di poeti greci e latini, per comprovare «Tordin con-
trario che tengono queste due facolta [filosofia e poesia]: talch6
decadere s'osserva sensibilmente la poesia quando la filosofia va
salendo in sommi gradi, e cosi viceversa». Ma in alcune pagine
aggiunte nella seconda edizione allo scopo di rispondere alle ri-
serve formulate dalPArteaga, che in sostanza tornava a difendere
la funzione didascalica della letteratura, egli si fa a precisare, que-
sta volta con Faiuto del Sibiliato, ma piu risolutamente e con piu
sottili distinzioni, i rapporti fra le due facolta. In un primo mo-
mento sembra anch'egli, con il Sibiliato, concedere alia filosofia
700 MATTED BORSA
la funzione di una anticipata «meditazione)), che precede 1'ope-
razione e dirige la esecuzione dell'artista; ma, subito dopo, ridu-
ce tale funzione, sostanzialmente, ad una osservazione, inconsa-
pevole di se stessa, dei propri sentimenti; chiarendo poi ulterior-
mente il suo pensiero mediante una netta distinzione fra questa
filosofia e « la filosofia pratica delle belle lettere », cioe la riflessione
teorica sull'arte, a sua volta distinta da una terza specie di filosofia,
«la filosofia di dogma, di teoria, d'intelletto », che e poi quella so-
prattutto «viziosa» se introdotta nelle opere letterarie. Ispirata dal-
la preoccupazione di separate nettamente il dominio della filoso
fia da quello delle lettere, 6 anche, almeno in parte, la difesa dei
generi letterari che occupa il terzo capitolo del trattato : il pericolo
maggiore, infatti, che secondo il Borsa nasce dalla « confusione dei
generi)), 6 proprio Fintrusione del filosofismo didascalico in opere
che per loro natura intrinseca sono destinate non a « convincere »,
ma a «piacere» e a « commuovere ».
Un tentative di ragionare in modo piu sistematico questa di
stinzione tra poesia e filosofia & nel trattato Delia fantasia (1795),
al quale il Borsa stesso si richiama nella seconda edizione del saggio
sul «gusto presenter II primo spunto a occuparsi dell'argomento
gli viene ancora una volta dal Bettinelli, che (come Tautore dichiara
neirawertimento premesso al trattato) lo aveva invitato a stendere
alcune « riflessioni sulla natura della fantasia », le quali furono pub-
blicate nella nota in della seconda edizione doirEntusiasmo. Della
fantasia il Bettinelli stesso parla, com'& noto, in questa sua opera:
ma si tratta al solito di accenni piuttosto che di definizioni orga-
niche. L'autore dell' Entusiasmo si limita infatti a rammentare che
Bacone aveva attribuito alia fantasia «tutto il talento delle bell'ar-
ti», e a distinguere, forse ricordando il Conti, fra immaginazione
attiva, «madre del bello, del grande e dello straordinario », e pas-
siva, legata ai sensi e causa di errori, concludendo comunque che
le due specie sono in concrete inseparabili.
II Borsa invece, gi£ nella sua nota e poi in modo piu preciso
e particolareggiato nel saggio Delia fantasia, parte anzitutto da
una breve ma serrata critica dei pensatori empiristi e sensisti, dal
Locke al Bonnet al Condillac al Soave, facendo notare come essi,
che pur distinguono sottilmente le varie facoltk delPanimo, non
diano poi alia fantasia un posto adeguato; e in particolare, pole-
mizzando con il Condillac, insiste in una notevole pagina sulla
NOTA INTRODUTTIVA 7OI
necessitk di distinguere nettamente fra la a percezione » e P«imma-
ginazione », che « non sono che due servili ed umili pittrici di ritrat-
ti», e la «fantasia», nome che egli riserva a quella facolta (dibera,
efficace, operosa», la quale (cscorre Pimmensa galleria del ritratti gia
disegnati dalPimmaginazione, e gli scompone e ticompone, e ne
combina esseri nuovi e nuove forme, e di mille parti proprieta
indizi illusioni idoleggia nuove sostanze e colora un nuovo mondo
d'idee».
Cosi intesa la fantasia non pu6 essere piu considerata, a giudizio
del Borsa, come una delle tante (e per giunta delle meno impor-
tanti) operazioni delPintelletto, ma si rivela invece inerente a tutte
le operazioni di questo, se £ vero, come egli ritiene, che tali ope
razioni consistono appunto nello scoprire nuove relazioni fra gli
oggetti e le idee : la fantasia, insomma, assurge alia dignita di un
«modo d'agire» delPintelletto stesso, un modo di agire analogo
per importanza al « raziocinio », ma, pure, profondamente diverso
da esso. Se infatti, precisa il Borsa, fantasia e raziocinio hanno in
comune il compito di scoprire nuove relazioni, differiscono per6
«nel diverso genere di relazioni che si prefiggono ad oggetto. La
fantasia per s6 si contenta di relazioni prime, di somiglianze su-
perficiali . . ., di ci6 che all'occhio si appartiene e al senso esamina-
tore, e il raziocinio al contrario ricerca le relazioni essenziali del-
1' oggetto esaminato: quella & paga di similitudini, vuol questo ana
logic. La prima si limita a tali cose le quali possono aver comuni
i principii, il secondo va in traccia di cagioni e di effetti».
A chi pensi al Vico, allo Shaftesbury, al Baumgarten tali idee
non possono certo apparire una novita. Se pero si tiene presente
Pestetica empiristica e sensistica che & quella dominante nel pe-
riodo in cui scrive il Borsa, e da cui in effetto, come si e visto, egli
prende le mosse, mi pare che non si possa non riconoscere un
certo valore a questa ragionata accentuazione delPufficio della fan
tasia, intesa come facolta attiva (non solo passiva come Pimmagi-
nazione) e opposta al raziocinio, nelPambito della vita spirituale.
A questa impostazione preliminare rimane tuttavia limitata so-
stanzialmente Poriginalita del Borsa. A sviluppare radicalmente la
sua difesa della fantasia egli trova anche qui un ostacolo proprio
in quella sua fedelta al classicismo tradizionale che, mentre lo
spinge a rivalutare Pattivita fantastica di fronte al didascalismo il-
luministico, d'altro lato lo tiene ancorato ad un gusto morale e
702 MATTEO BORSA
artistico lontano non solo dal romanticismo ma anche dal neoclas-
sicismo. «Che felice invidiabile rarissimo veramente e quel mezzo
di fantasia e raziocimo, in che sta 1'eccellenza de' sommi uomini»
egli dichiara esplicitamente : e in perfetta coerenza con questo
principio generale, se ammette che la fantasia interviene utilmente
anche nell'attivita scientifica, fa per6 notare che a sua volta «il
raziodnio ricambia poi i buoni servigi alia fantasia del poeta,
il quale attinge quell'aria di giudicio, proporzione, sobrieta, cioe
verita, chje Tunica pietra di paragone del gusto e deiringegno ».
E se in qualche punto egli sembra orientarsi in senso neoclassico,
come quando addita quale meta delle belle arti quel « Bello ideale
sublime perfetto inesistente che da Omero e Platone ereditarono
Fidia e Palladio, e appresero poi dalla filosofia Winckelmann e
Mengs» e idoleggia «uno stile di grazia ignota alia natura»; in
realta dal contesto si chiarisce che il « Bello ideale » e la « Grazia
ignota alia natura» di cui egli parla, sono da lui concepiti (come dal
Bettinelli) quali risultati di un processo intellettualistico di selezione
piuttosto che come irrazionale intuizione di una trascendente idea
di nobile e remota bellezza.
I limiti del classicismo tradizionale del Borsa si chiariscono
piu nettamente nelle sue prose letterarie e nei suoi versi, che in
genere riprendono temi e forme del Bettinelli con un piu angusto
accento moralistico e in uno stile (come e anche quello delle stes-
se opere critiche ed estetiche) che, mentre vuol atteggiarsi ad una
decorosa scioltezza, riesce per lo piti accademico e impacciato.
Motivi bettinelliani, ma svolti senza Pestro polemico del letterato
mantovano, ritornano nt\YElogio di Calandrino bibliofago e nel-
YElogio di me stesso, i quali vogliono essere una satira rispettiva-
mente degli scrittori seguaci di ogni nuova moda e in particolare
di quella degli «elogi», e dei letterati disonesti che intendono la
letteratura solo come un mezzo per arricchire o per procurarsi
privilegi. Al teatro moraleggiante del Bettinelli si ispirano a loro
volta le due tragedie, YAgamennone e Clitennestra e YAnfia\ an
che se non vi manca qualche tratto che potrebbe far pensare a
suggestioni alfieriane: come, nella prima, il carattere di Clitenne
stra, dibattuta fra Pamore per Egisto e Paffetto per i figli e per il
marito; e, nella seconda, il personaggio di Panormo, animato da
un odio cupo e inestinguibile e non privo di una sua feroce dignita.
Tra gli altri versi, pochi e per lo piti d'occasione, si possono ricor-
NOTA INTRODUTTIVA 703
dare due vision! in terza rima, scritte rispettivamente per la mor-
te di Maria Teresa e per Fuccisione di Luigi XVI, e che, se pos-
sono rappresentare dal punto di vista stilistico una concessions
alia moda varaniana rimessa in onore dal Monti, sono per6 so-
prattutto un documento di quel rigido conservatorismo polltico
sociale che costituisce 1'aspetto piu retrivo della personalita del
Borsa.
Questo conservatorismo si traduce piu sistematicamente in tre
saggi scritti sotto 1'impressione degli sconvolgimenti prodotti dalla
Rivoluzione francese e probabilmente, come sembra da numerose
allusioni, durante Fepoca del Terrore: La metafisica popolare, II
patriotismo e La noUlta. Nel primo si fa esplicita la componente
reazionaria di quella polemica contro il filosofismo illuministico
che ispirava i saggi sul « gusto presente» e sulla fantasia: «Bisogne-
rebbe accorgersi» egli afferma «e penetrarsi di una verita infini-
tamente importante, ed e che siamo nati a comprendere.soltanto
una porzione delle cose, e a vedere soltanto certi lati degli oggetti;
che oltre a ci6 non bisogna inoltrarsi: che siccome sappiamo di
buona coscienza di non comprendere intero Poggetto, cosl non
ci dobbiamo ostinare su tutta intera la conseguenza; e che vice-
versa la conseguenza per poco che urti, ci deve far dare addietro
per la non integrity delle premesse. Sapersi infine fermare a metk
di viaggio, contentarsi della meta delPoggetto, rassegnarsi a vedere
quel solo che realmente si vede, e la virtu piti difficile ma la piu
necessaria alia ragione». Ma sotto questa cccritica della ragione»
c'e non tanto un nuovo pensiero, quanto - per riprendere un'acu-
ta e severa osservazione di Pietro Verri a proposito delle accuse di
«astrattismo» mosse contro i principii dell'Ottantanove - «la lun-
ga corruzione» che «ha depressi e awiliti gli animi»; c'e, in altre
parole, la preoccupazione di difendere quelle strutture politiche
e sociali che «Fabuso della ragione» e in particolare il principio
dell'uguaglianza sociale, affermato dal Rousseau, minaccia nei loro
fondamenti.
Ad opporre un efficace riparo a questo pericolo sono rivolti
appunto gli altri due saggi. II principio fondamentale a cui il
Borsa si richiama e quello che egli defmisce lo «spirito di famiglia»,
cioe quel sentimento «naturale» che lega ogni individuo alia fa-
miglia a cui appartiene, e in particolare al capo di essa, e che,
per estensione, diventa piu generalmente d'idea d'una societa che
704 MATTED BORSA
tutta dipende da un capo non per estrinseca forza, non per insi-
nuazion di precetti, non per sovvertimento di persuasione, non
per condizione di patto, ma per necessaria tendenza di cuore, per
awiso intimo della natura, per amor, per piacere, per abito, infine
per rimmutabile e universale sentimento dell'ordine ». DalFidea di
famiglia, cosi intesa, Pautore nel trattato sul Patriotismo, svilup-
pando raffermazione del Montesquieu che la patria potesta e
necessaria nelle repubbliche, giunge alia conseguenza che «Tidea
di patria, nel senso universale e costante di tutti gli uomini, non
fu, non ^ n6 esser pu6 mai se non se Tunica unicissima idea di
famiglia insensibilmente trasportata dalle case al f6ro, dai parenti
ai magistrati, dal privato al pubblico»: giunge, in altre parole,
ad una difesa delTassolutismo contro ogni forma di stato fondato sul
principio « astratto » e « metafisico » dell'uguaglianza. Un corollario
di questa tesi e la giustificazione delle distinzioni sociali, e in par-
ticolare della classe aristocratica, nell'altro e piu lungo trattato su
La nobiltd: dall'idea di patria intesa come estensione dello spirito
di famiglia, deriva, a giudizio del Borsa, la legittimita, anzi la
necessita, di una classe, come quella dei nobili, intermedia fra il
sovrano e il popolo, che assicuri cioe - come egli dice, sviluppando
un'altra e ben nota osservazione del Montesquieu, - ccnella ten
denza comune di tutti gli ordini a soverchiarsi Tun Taltro . . .,
tutto quelFequilibrio che si possa sperare in tante collusion di
passioni». In questi due trattati, tuttavia, malgrado Pesplicito pro-
posito reazionario che li ispira, Taccusa di astrattismo contro i
principii illuministici non rimane sempre, come nel trattato su
La metafisica popolare, un semplice pretesto polemico. Se infatti
in queste opere non si arriva ad un vero e proprio storicismo, se vi
affiora solo sporadicamente quel senso delle singole individuality
nazionali che invece e cosi fervido (per ricordare un autore dal
Borsa conosciuto e citato) nel Burke, o il concetto della formazlone
storica delle istituzioni difese; vi si fa luce, talora, una sensibilita
viva, se pure espressa sempre accademicamente, del valore che
hanno, anche nel campo politico, i vincoli creati dalFistinto, dal-
Taffetto, da una lunga consuetudine.
Tutti gli scritti del Borsa sono raccolti nei sei volumi delle Opere, i primi
tre stampati a Verona (Giuliari, 1800), e gli altri tre a Mantova (Agazzi,
1813-1818): edizione postuma, curata dal Bettinelli e da Luigi Tonni, ma
NOTA INTRODUTTIVA 705
su material! approntati e riveduti dal Borsa stesso (cfr. il Saggio del Betti-
nelH, citato piu avanti, p. xvi).
Assai scarsi sono gli studi critici sul Borsa: 1'unico lavoro di carattere
complessivo e ancora il Saggio su la vita e le opere di M. Borsa, anonimo,
ma di S. BETTINELLI, premesso all'edizione citata delle Opere% e che, seb-
bene impostato come un « elogio », resta sempre utile come fonte di notizie
e anche per qualche osservazione critica. Un rapido profile e dedicate al
Borsa da G. NATALI, nel Settecento, cit., pp. 1187-8 (e cfr. anche p. 497).
Cenni degni di nota alia dissertazione sul « gusto presente» si leggono
neirarticolo di W. BiNNl, Lo sviluppo del neoclassicismo nelle discussioni sul
<(gusto presente», in «Annali della Scuola Normale Superiore» di Pisa,
S. II, vol. xxn (1953), pp. 275-9; e nelPintroduzione di M. PUPPO al vo
lume Discussioni linguistiche del Settecentoy Torino, U.T.E.T., 1957, pp. 63-
4. Sulle risposte del Pindemonte e del Colle al concorso mantovano si veda
lo studio di G. FINZI, Ippolito Pindemonte e un concorso settecentesco sul
<tgusto-»t in «Archivio Veneto», LXXXIX (1958), pp. 41-62.
Per una trattazione piu particolareggiata e documentata delle idee
esposte in questa Nota introduttiva rimando al mio studio Tra classicismo
epreromanticismo: M. Borsa, in «Lettere italiane», xi (1959), pp. 320-33.
45
DA «I VIZI Pit! COMUNI E OSSERVABILI
DEL CORRENTE GUSTO ITALIANO
IN BELLE LETTERED
[Introduzione.]
Qualunque volta uno si pone a studiare attentamente la storia
delle varie nazioni, e con accuratezza va dietro agli andamenti
dei vari popoli in ogni genere di cultura e di lettere, mi pare
ch'egli non abbia a potersi levare da quelle letture e medita-
zioni senza una grande melanconia. Perch6 passano, e vero, d'un
Questo saggio del Borsa fu presentato nel 1783 al concorso bandito dal-
1'Accadernia di Mantova sul tema: «Qual sia presentemente il gusto delle
belle lettere in Italia, e come possa restituirsi se in parte depravato »,
e poi pubblicato col titolo Del gusto presente in letteratura italiana, disser
tazione del signor dottor Matteo Borsa, regio professore nella Universita di
Mantova, data in luce e accompagnata da copiose osservazioni relative al
medesimo argomento da Stefano Arteaga, a Venezia, Palese, 1784. Le os
servazioni dell' Arteaga (ex-gesuita spagnolo, vissuto fra il 1747 e il 1799,
noto soprattutto per 1* opera Le rivoluzioni del teatro musicale italiano dalla
sua origine fino al presente) sono stampate in appendice al saggio del Borsa
e vertono sui seguenti argomenti : Riflessioni intorno al primo carattere co-
stitutivo del presente gusto (ciofc sul « neologisrno straniero ») ; Esame d'un'opi-
nione del signor di Merian intorno alV influenza ch'ebbe la filosofia sulla poesia
de' Greet e de' Latini; Osservazioni su i due principali abusi dell' eloquenza
sacra in Italia\ Confutazione d'una opinione circa Vistinto\ Osservazioni
sulVuso della parodia e del ridicolo ; Mezzi di restituire il gusto depravato.
La dissertazione del Borsa ottenne, appena stampata, un certo successo,
e divenne anzi uno dei testi piu frequentemente citati dai letterati del
movimento di reazione classicistica. Alle note critiche dell' Arteaga rispo-
sero in particolare, spesso riprendendo gli argomenti stessi del Borsa,
Giambattista de Velo nella dissertazione Del carattere nazionale del gusto
italiano e di certo gusto dominante in letteratura straniera, Vicenza 1786
(dove attraverso 1* Arteaga era attaccato, come si & visto a p. 427, so
prattutto il Cesarotti) e Andrea Rubbi, nei Dialoghi fra il signor Arteaga
e A. Rubbi in difesa della letteratura italiana, Venezia 1786. A sua volta
il Borsa, poco prima della morte, nel rivedere il proprio lavoro prima di
ristamparlo nelle Opere, vi inserl parecchie aggiunte intese soprattutto a
rispondere alle due prime osservazioni dell' Arteaga, e in genere a chiarire
e a precisare il suo pensiero. In questa seconda redazione Tautore mut6
anche il titolo primitivo col seguente: / vizi piu comuni e osservabili del
corrente gusto italiano in belle lettere, « per il ragionevole scrupolo », come &
spiegato in un'awertenza, « d'aver esagerata e universalizzata un po* troppo
Tidea del carattere nazionale in questo genere di studi». Nelle pagine
qui riportate riproduciamo il testo di questa seconda e definitiva redazione,
pubblicata postuma nelle Opere (cfr. II, pp. 5-74); ma abbiamo tenuto
presente anche la prima per correggere qualche errore ed omissione. Le
note del Borsa sono seguite dalla sigla B.
708 MATTEO BORSA
paese nelFaltro le opinioni ed i gusti; cangian colPandare de'
secoli le manierc di scrivere e di pensare; tutti si vantano d'ag-
giugner grandi ricchezze al tesoro delFumana sapienza; e ognu-
no guarda con occhio di compassione or gli antichi, ora i vi-
cini. Ma che? Si migliora ella nel totale e s'avanza la lettera-
tura per le frequenti metamorfosi che soffre nei van individui?
Romanzieri e poeti, oratori e filologi pretendon tutti la gloria
di creatori e inventori. Eppure centinaia e migliaia di mani che
altro fan mai se non se rimpastar di continue la medesima cera?
Pur troppo e cosL E come in fisica, presso a poco anche del pari
in belle lettere la quantita della materia e sempre la stessa, e
passano le forme e senza posa si riproducono; sempre diverse
bensl, ma simili sempre e costanti. Tutti insomma sono gelosi
alPestremo della indipendenza nelle idee, anzi pure del vanto di
dominar coll'ingegno. Ma in sostanza son eglino i dominati; e
senza awedersene van seguendo 1'impulso di mille circostanze
e combinazioni estrinseche, che li conducono, li modificano, li
formano. Talche giunti che siano a certi punti, tutti s'incon-
trano in certi vizi, in certi pregi, in certo disprezzo o ravviva-
mento delle idee piu antiche. E tutti cosi alia fin del periodo han-
no compiuto un medesimo viaggio, fatto uno stesso cammino, e
niente piu. Finch<§ dopo molto ondeggiare tra il bene e '1 male,
un turbine di guerra, un canale abolito, un fiume travolto, un tre-
muoto che chiude una strada, un navigante che ne apre una nuova,
portano altrove coi danari i soldati, col lusso i libri, coi letterati
i mercanti; e la nazione rientra nell'antico silenzio della sua prima
oscurita per dar luogo a qualch'altra in sul teatro del mondo.
Ora questi pensieri parvero tutti accorrere in folia alia so-
luzione del problema seguente. Qual & il gusto d' Italia in belle
lettere? Qual saranne il rimedio, s'e depravato? Problema im-
portante, ma che si presenta con tanta estensione e complicazione
d'oggetti, che non lascia sperare di poter esser ridotto a tale unita
e precisione di lineamenti e di forme, che renda compiuto e vero
in ogni sua parte 1'oggetto. Perci6 e prudenza il ristringerlo ; e
senza volere definir veramente qual sia cotesto gusto, accennarne
alcuni de' piu comuni e osservabili caratteri. Ma e tra questi ca-
ratteri perch6 scegliere i vizi anzi che i pregi, quasi che non
avesse quest'eta nostra molti altri aspetti, sotto cui venire vantag-
giosamente a confronto colle epoche nostre piu belle ? Perch6 quelli
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 709
offrono una qualche lusinga di frutto nella conversione almeno di
qualche individuo. Anche cosi ristretto per6 il problema conserva
tanto di peso e di gravita che, a trattarlo con qualche dignita, ci
par necessario il confronto de' secoli e delle nazioni.
Cosi e: a voler trovare rimedi, risalire bisogna alle cagioni che
a tali vizi ci guidano e ci affezionano. Mai si apporrebbe quel
medico che non si tosto osservato qualche sintoma, s'affrettasse
a ordinare questo o quel farmaco. AH'origine della infermita, alia
natura, alia cagione del male risalire bisogna attentamente, onde
n6 nuocere colle contrarie, n6 vanamente stancar Tammalato colle
inutili droghe. Ed ecco come quelle antiche riflessioni su le lette-
rarie vicende dei vari popoli spontaneamente accorrono all' opera.
Perch6 mostrandoci esse per quali cagioni le nazion varie subirono
queste e quelle metamorfosi or di gusti or d'idee, ci fanno certi
altresi, colla ragione e col fatto, di quelle cagioni che tali ora ci
rendono quali pur siamo in realta.
Quanto a queste cagioni, non & no (o almen cosi credo), non
e per un principio di ragione, n<§ per un intrinseco merito ed
eccellenza intima e reale della cosa in s£, che gli uomini d'or-
dinario decidansi per questo stil, per quel gusto, per un tal ge-
nere o 1'altro di produzioni, di studi e di maniere in letteratura.
Sono le circostanze politiche e le morali, sono le combinazioni
civili e religiose, dai letterati per lo piii indipendenti, che qua e
la pieganli e volgono potentemente. Data un'esatta somiglianza e
riunione di tutte queste cagioni, avremo e sempre e costantemente
simili anch'essi gli effetti nelle mode letterarie, nelPidee del Buono
e del Bello> nel credito delle composizioni e dei compositori in
ogni popolo ; senza che moltissimo il clima e pur un poco le cangi
la distanza dei secoli diversi. Ci concorrera talvolta benissimo il
temperamento e la situazione speciale di qualche grand'uomo, che
a certi tempi si trovi, per mandar al sommo le cose. Ci entrera lo
sforzo di migliorar il perfetto, la smania di raffinare il raffinato.1
Ma si volga e rivolga in tutti i modi la cosa, tutto poi va a finire
i. Ci entrera . . . raffinato: allude probabilmente alia teoria che il Tira-
boschi aveva proposto, nella dissertazione SuW origine del decadimento
delle science (premessa al tomo II della sua Stona della letteratura italiana),
per spiegare la decadenza latina dopo Augusto e quella italiana del Sei-
cento, decadenza che egli attribuiva, in ambedue i casi, all'ambizioso de-
siderio di offrire qualcosa di nuovo, che potesse superare la perfezione
raggmnta nelle epoche precedenti.
7*O MATTEO BORSA
in cercar gloria e fortuna. E perci6 quel perfetto non sara altro
se non ci6 che a quel tempo passa per perfetto. E questo perfetto
si vorra migliorare secondo le idee di perfezione, di utile, d'irn-
portanza che corrono; o almeno secondo idee estremamente ana-
loghe. Far sensazione, esser cercato, e come mai, se non si consul-
tano i palati? Dunque raffinare ci6 che a forza d'abitudine non
riesce piu fino. Dunque aggiugnere ogni dl qualche cosa per velli-
care; ma qualche cosa delle droghe accreditate. Dunque non solo
le idee generali del bene e del male e le nozioni vaghe e indistinte
del gusto sano o depravato, ma di la vengono anche quelle parti-
colari piegature e modificazioni per cui certi generi, certi stili,
certi argomenti, certi soggetti e non altri salgono in moda e son
trattati e maneggiati a gara da tutti. Son quelle le vere cagioni del
fenomeno, e la lor forza proviene dalla natura stessa delle arti di
che trattiamo.
Infatti a due soli oggetti tendono sempre gli studi di belle let-
tere (almeno i principali, e quelli che formano Tintima loro so-
stanza) a dipinger, cio&, ed a commuovere. Ora le immagini pre-
sentate dalFimitazione e quello stesso che imita, forse che non di-
pendono affatto dagli originali ? E col cambiar dei prototipi cangiar
forse non debbono anche le copie? E non sara dunque lo stesso
di quest'arti pittrici che d'imitative ebber nome? Vi fu gia un
inglese,1 che scrisse eccellenti essere riesciti appunto in pittura
Greci e Italiani per ci6 che la natura benefica, innamorata quasi
del clima dolce e ridente, par che compiacciasi d'abbellirne e
renderne degni gli abitatori colla eleganza delle forme, la nobilta
dei contorni e la leggiadria delle membra. Ma quando occuparono
i barbari queste terre felici, e fusi, per cosi dire, Tuno neir altro
furon que* popoli, cangiarono gli uomini, e con essi ancora le
arti che nei volti, negli atti, nelle fabbriche stesse un continue
ritratto ci serbano di quegli inconditi oggetti che loro stavan pre-
senti. Cosl, per passare alia letteratura, dopo la guerra di Troia
comunicossi ai poeti Tamor della gloria, e dalle ceneri ancor cal-
de di lei, dice un autore, s'accese ne' Greci quell'entusiasmo fe-
lice per cui Omero e gli altri a lui posteriori, massime tragici, tra
i. un inglese: non so a quale scrittore inglese alluda il Borsa; il concetto
che segue & in ogni modo esposto in modo particolareggiato dal Winckel-
mann, Storia delVarte presso gli antichi, lib. I, cap. in, § 10-5 (cfr. Opere,
traduzione italiana, i, Prato, Giachetti, 1830, pp. 105-13).
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERS 711
que' gran fatti e personaggi sempre s'aggirano e quelli ad ogni
tratto dipingono e non san ritrarre il pennello da que' grandi ori-
ginali. Che se si tratti dell'altro oggetto delle arti letterarie, che e
la commozione, chi e che possa commuovere e piacere, se la
disposizione non sente e non seconda de' suoi uditori; se gPinteressi
non tratta che stan loro a cuore; e se da un medesimo spirito non
6 agitato e condotto ? Quindi fu che investendosi dell'amor patrio,
della causa pubblica, della religion popolare e quasi direi roman-
zesca dei Greci, piacquer cotanto, e in tanto numero crebbero
per conseguenza e poeti ed artisti incomparabili in si piccolo spa-
zio e di tempo e di luogo. Furon le adunanze anfizionie, istmiche,
olimpiche, che lor piegaron la testa a quegli oggetti, siccome le
dissensioni interne ed esterne produssero tanti oratori e si gravi,
i quali e tutti e sempre s'aggirano nella stessa sfera e s'uniscono
nelle medesime mire e tendono ai'fini medesimi. Diversi oggetti
e circostanze ebbero sotto Augusto i Romani. La licenza, anzi
pure la dissolutezza di quella corte e gli spettacoli assidui e il
governo inflessibile estinse gli oratori gia divenuti inutili e trascu-
rati, poich6 non c'era piu un popolo a cui parlare. La poesia amo-
rosa e la storica adulatrice raffinaronsi in cambio estremamente
nei lirici e negli epici, perch£ que* poeti avean sempre presenti
alia fantasia mollezze e lascivie epicuree, ma insieme anche nitore,
eleganza, giustezza. La corte e i palagi non eran che ci6. Ecco
per Tuna parte chi rese celebri e Lesbia e Cinzia; e chi su Parte di
amare alz6 una cattedra.1 Ecco per Taltra tutta la nazione occupata
d'un uomo solo, e tutti i letterati vederlo e cercarvi fortuna col-
Parmi loro; con quel senso cioe, che hanno acutissimo, di tutte le
piegature le piu dissimulate delPamor proprio. Questo & che guid6
la mano che scrisse quel «tu Marcellus eris»;2 questo, che dett6
tante politiche odi ad Orazio ; e che alle amiche di Tibullo e d'Ovi-
dio rub6 tanti tratti in quell' elegie cosi tenere e appassionate.
Rivali assai piu soffribili di quelli che trovano ora le nostre donne
negli esseriy i&lYumanita, nell'elettricismo, nella chimica, nel patto
sociale, e in tante altre ridicolezze rubate alle professioni che danno
del pane, per pur veder di accattarne. Per non dissimil maniera
i. chi . . . catteda: Ovidio, ricordato come autore dell'Ars a?natoria, e con-
trapposto cosl a Catullo (peraltro di eta cesariana) e a Properzio. 2. Al
lude ai celebri versi di Virgilio (Aen., vi, 860-86) in onore di Marcello,
nipote e genero di Augusto.
712 MATTEO BORSA
Dante e Miltono annebbiano delle oscurita teologiche i lor poe-
mi in secoli tutti ispidi di teologia. Camoens trasporta nel suo
Fentusiasmo recente delle scoperte americane e Voltaire e Aken-
side1 e tant'altri fanno echeggiar ne' lor versi la legge naturale, il
deismo e gli altri dogmi anche troppo famosi della corrente filo-
sofia. Che piu? Come da specchio gli oggetti, cosi dal carattere
della letteratura quello altresi rappresentato ci viene che una nazio-
ne contrae dalla situation sua morale, religiosa e politica. £ certo
che la mutazione dei re, delle sette, dei commerci, dei sistemi
tosto si propaga e palesa nelle mode letterarie, nelle opinioni, nei
gusti degli autori anche i piu leggieri in ogni nazione, come si
potrebbe facilmente mostrarlo di ciascheduna. Ma basta il detto
fin qui a provar in genere vero il mio pensiero cosi dal canto della
ragione, come da quello del fatto. E basta Faverlo provato co
si, per servire alia chiarezza e certezza di ci6 che si verra osser-
vando in appresso piu particolarmente. Vedremo allora che niente
dissimili sono quei principii che i present! gusti in Italia hanno
introdotti. Vedremo che non la ragione d'un'eccellenza o bonta
intrinseca e indipendente della cosa in se stessa opera questo fe-
nomeno; ma si anzi la necessaria sua dipendenza dagli oggetti
circostanti ed estrinseci a tutto ci6 che possa esserci in lei di buono
o di cattivo. E se si pensi che la prepotente influenza di questi og
getti nasce da quel principio d'imitazion materiale insito all'uo-
mo, da quel suo desiderio indeterminato di novita, qualunque
sia, dalFinteresse, dairambizion, dal bisogno, tosto vedremo che
non ragione, non esame, no studio, ma una mera combinazione
d'impulsi necessari e da noi non intesi, ma Tistinto, quasi direi,
ha condotta a questo t ermine la letteratura italiana invincibilmente,
e per quel modo medesimo che le altre nazioni colte g& vi condusse
in paritk di circostanze.
Prima per6 d'andar oltre, due solenni proteste debbo qui fa
re ad evitare ogni ingiusto sospetto. La prima risguarda gli au
tori viventi, rispetto ai quali mi son prefissa una legge di non
nominarne pur uno n£ in ben n6 in male. Ho dovuto, a dir vero,
farmi una specie di violenza per tacer molti nomi che Fetk no-
stra onoran non meno che la nazione. Ma era da farsi per isfug-
i. Mark Akenside (1721-1770), autore del poemetto The Pleasures of Ima
gination (1744), ispirato al noto saggio omonimo delPAddison e tradotto
in italiano da Angelo Mazza nel 1764.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 713
gire ogni noioso confronto che con se far ne potessero gli scrit-
tori tacciuti, per quanto poco debba importare ad ognuno il mio
giudicio. L'altra protesta, ne meno solenne, risguarda Pautori-
ta del passati autori italiani nella materia medesima di che si
tratta. Di questa parra ch'io non usi come dovrei, o affetti an-
zi di non usare, citando sempre greci e latini, ma anche piu in-
glesi e francesi, di cui maggior copia abbondava al mio intento.
Riflettan per6 che abbiam precettisti d'ogni genere e autori d'ar-
te savi e accreditati; ma che qui non si cerca di dare un trattato
su Pessenza della buona letteratura. Cercasi cosa sien gPitaliani;
non cosa debban essere in genere i buoni letterati. Ora autori
passati che applicare si possano alle stravaganze presenti, dove
trovarli, se Italia, dacch.6 Italia e rigorosamente parlando, mai non
trovossi in tai circostanze, sebben vi fosse in certa maniera ai di
dei latini ? E poi non si provera forse che la massima parte degP ita
liani questi vizi di gusto ha contratti dagli stranieri per quel tra-
sporto che mostrasi verso ogni lor cosa, per la prontezza ad imi-
tarli, per Pavidita di raccoglierli, per Padorazione d'ogni lor detto,
sentenza e dottrina? E non & egli omai certo che questi stranieri
medesimi, i quali in tale periodo ci van precedendo, s'aweggono
essi stessi in gran parte de} torti loro, e contro Pabuso declamano
e predicano la riforma ? Giacche dunque P Italia si fa oggi discepola,
al tribunal provochiamola de' suoi maestri medesimi, onde pie-
namente convincerla; e se si pu6, convertirla.
PARTE PRIMA
PRIMO VIZIO
Neologismo straniero.
Premesse quelle considerazioni sul generale andamento del-
lo spirito umano, & facile trovare Pimpronta de' suoi passi nel
particolare paese che andiamo a descrivere. Cominciam dalla lin
gua, che 6 materia a ogni stile e composizione. Non segui ella
forse sempre la condizione delle nazioni? Due sono i modi con
che la lingua d'un popolo diventa conquistatrice, e soggioga quella
d'un altro. Quello della forza egli & il primo, quel del sapere il
secondo. Dal grado con cui questi due principii equilibrando si
van nei due popoli e resistendo, il vario grado pure dipende dei
714 MATTEO BORSA
progress! che fa Puna lingua ai danni delFaltra. Ma quando dal-
Funa parte e si trovano riuniti amendue e vanno al sommo, s'e-
stingue allora nelFaltra a poco a poco ogni principio di vita lette-
raria, e la lingua dileguasi, e '1 popol si perde assorto e confuso
nel vincitore, per creare un popolo nuovo ed una lingua novella.
Vediamolo nel fatto. Alia politica e al valore romano cesse la Gre-
cia ineguale in armi al confronto a que' di. Ma perche" serbava an-
cor vivo quel sacro fuoco che anim6 tanti ingegni e tanta luce gia
sparse per tutto il mondo, pote" colla fama degli orator, dei poeti
e dei filosofi e col vigore della sua letteratura reggersi a segno che
seguit6 a tenersi con assai dignita tra le nazioni piu celebri per
qualche tempo dopo ancor che fu vinta. Anzi i suoi padroni me-
desimi fin da Roma correvano a lei per apprendere Parti del foro,
e le dottrine del Portico1 insiem colla lingua di Pindaro e Seno-
fonte. Riescl perci6 essa a mutare, e non poco, in fatto d'elocuzione
e sintassi quella del Lazio; vendicando quasi cosl in terreno
straniero la domestica servitu. Cesse di poi alPimpeto de' set-
tentrionali Fimpero latino, ma allora non si fermaron piu qui le
cose; giacch6 per mancanza d'uomini grandi e d'ingegni domi-
natori, al suo destino fatale dov6 tener dietro quasi immediata-
mente quello ancor della lingua, e la nazione scomparve. Ebber
contraria fortuna le lingue in Inghilterra, perche" contraria in-
contrarono la direzione della corrente. Difatti cotesta Inghil
terra fin dal suo nascere dov6 piegarsi per poco alia violenza
normanna, e nelle sue scuole, negli atti pubblici, nella nazione
insomma vide stabilita a forza e diffusa la lingua de* Franchi.
Ma tra rozzi e rozzi le cose rimaser del pari; n6 i Francesi ten
ner Fimpero sopra le menti, come ben presto il perdettero an-
che nel resto. Quindi que' fieri isolani misti d'indigeni e Sas-
soni seguirono a farsi una propria lor lingua che in molti avan-
zi francesi rimastile mostra non rare anche al dl d'oggi le or-
me della sofferta schiavitu. Ecco tre casi assai noti, con cui Fesatta
gradazione si mostra, secondo la quale la forza ed il saper si com-
binano ad ottenere Feffetto proporzionato. E questi assai ci di-
spensano dal ricercarne esempi piu oltre in altri popoli e in noi
medesimi, a cui, dopo d'esserci di Latini cangiati in Italiani,
fu dato pur risalire di nuovo in fama e splendore, chiamando qui
d'ogni parte e d'ogni clima a discepoli gli stranieri. Noi, che ora
i. del Portico: peripatetiche.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 715
i monti passiamo e dalle sponde opposte de' mari in tanti libri ci
chiamiamo i maestri a grandi spese; cosi dalle cattedre alle pan-
che discesi miseramente.
Con questi principii date le varie situazioni d' Italia nei vari
tempi, non & egli facile assai Findovinare il destino della sua
lingua e la sorte della sua letteratura? Fermiamoci alle circostanze
present!. Siam d'ogni parte sotto il dominio straniero: dunque
soggiacciamo alia forza. E sebbene piuttosto il patrocinio che il
dominio d' Italia diviso si sieno i nostri signori, cosl temperati
sono nelFuso del lor potere e cosi le leggi nostre generalmente
sostengono1 ed i costumi ; pur mai non potra la lingua nostra sot-
trarsi al destino comune. Chi in fatti non vede che il dover piacere
a' padroni, il cercar cariche, il trattar liti, il bisogno d'impieghi,
la necessita di farsi intendere, tutto infine propagar deve lo studio
delle lor lingue, delle loro storie, delle loro costituzioni, delle leg
gi, degli usi, dei pregiudici e delle opinioni? Chi non confessa
che ci6, coirawezzarci agFinteressi, alle idee, alle passioni degli
stranieri, ci abbia anche dovuti awezzare alle lingue e facendocele
stimare e diminuendoci la paura della fatica a studiarle ? Chi, che
abbia dovuto cosl preparare una rivoluzione, la quale dal con-
corso di circostanze piu efficaci doveva esser poscia operata? Chi
pu6 dissimulare che questo non sia un effetto del distruggersi che
faceva lo spirito nazionale per condizione politica de* popoli? Se
Fanalogia delle lingue, che di tanto decide in questo affare, si
fosse combinata abbastanza colla gloria letteraria e civile di altre
nazioni dominatrici, chi sa che il neologismo presente non fosse
o spagnuolo o tedesco ? lo non ci so vedere, a dir vero, difficolta.
Ma cosi com'eran le cose, non potevano che preparar la materia e
dispor le provincie. Fu la celebritk della Francia prima deirorribile
suo traviamento, fu Pintrinseco merito, Famenita e la sorte, quasi
direi, delle sue scienze e delParti, della dottrina e della eleganza,
della vivacita e della grazia, della varieta e del capriccio, della ma-
lizia perfino e di una certa amabilita petulante, che vinse Far-
ringa e strascinb la fortuna. Non dunque cieca prevenzion per
Pltalia, non puerile disprezzo per gli stranieri, che mal saria
giustificato dal loro, comunemente parlando; ma il vero soltanto,
ma Fevidenza mi guida a sostener questa causa. Si, agli stranieri
il dobbiamo questo neologismo. N6 perch<§ al saper loro, alle opere
i . sostengono : mantengono.
716 MATTEO BORSA
ed alia gloria si debba, egli & meno vizioso. N6 perche" vizioso sia
evidentemente, egli e men necessario e inevitabile. Due cose, in
cui debbo con diligenza spiegarmi, giacch6 massime in una un
cosi buon lettore, come certo e il mio dotto amico Arteaga, non
ha per6 preso bene il mio pensiero nelle sue note.1 Forse anche
fu ch'egli al mio volea aggiugnerne un suo, o anche semplice-
mente uno. Quest'idea mi libera dal timore d'aver veramente om-
messa cosa che fosse importante in un oggetto che non pu6 da
uomo italiano prendersi a cuor per meta.
Intesi dunque allora, come intendo anche adesso, che vizio
so sia non g& puramente e semplicemente il neologismo, ma il
neologismo straniero. Quello & nella natura, e nelFordine intrin-
seco della cosa, ed e utile perci6 e ragionevole : questo non e.
Che le lingue sieno in un moto perpetuo, e continuamente
subiscano mutazioni necessarie e essenziali cosl nelle voci come
nella sintassi e nei periodi e in ogni altra parte dello stile, col se-
condare appunto che fanno quelle mutazioni le quali van succe-
dendosi nelle idee umane tanto riguardo alle nozioni fisiche, mo-
rali, politiche, quanto riguardo agli usi stessi, ai bis ogni ed ai capric-
ci, questo e un fatto indubitabile ed evidente. Dopo che per opera
massimamente di Sulzer, di Condillac, di Marsais,2 ec., la metafisi-
ca delle lingue e divenuta la metafisica di moda, non si posson
tai cose decentemente ignorar da nessuno. Tanto piu che Tog-
getto e di tale natura che, riflettendoci un po' seriamente, non &
possibile il non indovinare anche da s6 grandissima parte di quel-
lo che gli altri avean detto ; ond'e che come e in Arteaga e in Ce-
sarotti per esempio si trovano alcune idee di que' francesi, cosl
in questi se ne trovano alcune del nostro Vico, e di forse qualch'al-
tro. In ci6 stesso abbiamo un argomento dell'evidenza del fe-
nomeno e della inesorabile necessita che lo conduce. II voler
impedire questa successiva e tacita metamorfosi delle lingue sa-
i. non ha . , . note: allude alia nota intitolata Riflessioni intorno al primo
carattere costitutivo del presents gusto, in cui F Arteaga aveva difeso Top-
portunitk del neologismo, quale mezzo per arricchire e rinvigorire 1'impo-
verita lingua letteraria itahana. 2. Johann Georg Sulzer (1720-1779) si
occup6 di filosofia delle lingue in alcune voci della sua Allgemeine Theo-
rie der schdnen Kunste (1771-1774), ma limitandosi a riportare le idee
correnti del secolo. Ben piu important! le pagine sull* argomento del Condil
lac e del Dumarsais, piu volte ricordati nelle note al Saggio sulla filosofia
delle lingue del Cesarotti, qui a pp. 304 sgg.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 717
rebbe tanto pazzo quanto il voler metter argine al successive
cangiarsi d'alveo ne' fiumi e al progressive moto delPimmensa
mole dei mari d'Oriente in Occidente. II volerla poi accusare
d'irragionevolezza, sarebbe tanto irragionevole e sciocco quanto
il volere che, parlando pur noi per esprimere ci6 che pensiamo,
si dovesse parlare in un modo attualmente diverso da quello con
cui si pensa; e che leggendo pur noi per giudicare, e stampando
pur gli altri per essere giudicati, i giudicii non dovessero essere
secondo i nostri attuali studi e principii, secondo infine il com-
plesso delle nostre abitudini intellettuali. Sarebbe cioe, per esem-
pio, tanto irragionevole quanto il pretendere che presentando noi
discorsi e scritture sopra oggetti o argomenti che nell'attuale ac-
cettazione comune non significano nulla, o esprimono idee da
nulla, idee trite e puerili, il pubblico ci6 non ostante ne debba
sentenziare in un modo opposto a quello con cui pensa attual
mente, e abbia torto e sia di gusto diffamato a non prenderle
tutte per cose important!, fine, deliziose. Tanto irragionevole quan
to lo & 1'affettazione cinquecentistica dei piccoli eleganti, che dila-
vano ancora in una brodaglia di parolucce vapide e aeree quelle
quattro o cinque idee anche forse important! ma rancide di cui
si propongono di comporre un libro presentabile a un secolo
abituato alia precisione e alia velocita, e avezzo a calcolar i suo-
ni per suoni. E cosi quel travaglioso getto di periodi eterni
a stento leggibili e meno anche intelligibili. E cosi quei riscon-
tri di certe corrispondenze estrinseche tra le forme grammati-
cali ed i modi rettorici a grande fatica e a gran distanza latina-
mente condotte, in un secolo in cui i progress! della filosofia,
dopo quello di Cicerone, consigliano altra chiarezza e precisio
ne nell'analizzare e dividere le idee parziali con cui va perio-
dicamente al suo termine un ragionamento, e d'altro or dine sono
gli ornamenti accessori che si desiderano. Ornamenti di generaliz-
zazione, di contrasto, di causalita nella sostanza istessa delle
cose. E cosi quella miseria di aspirare a una venusta di stil fa-
migliare parlandosi il gergo casereccio, e i plateali idiotismi di
tre o quattro cent'anni fa, i quali non hanno piu un soffribile
significato, poich6 suppongono evidentemente usi, costumi, abi-
ti, mobili perfino e abbigliamenti totalmente diversi dai no
stri. E cosi quella meschinita anche peggiore del degradare dalla
dignita letteraria a titolo di trascuratezza e ineleganza quello scrit-
7l8 MATTEO BORSA
to che traducesse in letteratura la vivacitk, la disinvoltura, lo stile,
la grazia conversevole infine della nostra gente colta e gentile,
usa ad idee solide e decisive e alia vellicante urbanita del vero
atticismo. Questo non e un volere serbar vergine, ma stupida la
lingua. Questo e un non accorgersi che ora non si pu6 piu attac-
care un'idea molto grandiosa a piccole intarsiature di frasi pue-
rilmente ricercate. fe un non sentire che, se i libri italiani sono forse
venuti in un certo discredito, egli e perch6 s'e sempre scritto da
troppi, come allora che usavasi scriver moltissimo e non pensare
quasi a niente al di la della penna che tenean tra le dita, mentre
adesso si vorrebbe tutto pensiero e tutto cosa. Ci son de' volumi
e de' volumi che non significano un atomo piu di quel che fac-
ciano le vocalizzazioni nelFarie teatrali. Sono vocalizzazioni let-
terarie, sono gorgheggi stampati; e niente piu. Ma non cosl Mac-
chiavello, Galileo, fra Paolo1 e quelli che oggi loro rassomigliano,
non intendendo* di approvare tutte le loro dottrine. £ dunque
inerente alPumana natura un neologismo continuo nelle lingue di
qualunque nazione, il quale neologismo abbraccia non sol le pa
role materiali, ma la tessitura grammaticale eziandio e tutto il
complesso dello stile, e quinci va ad attaccare i generi stessi e
le maniere di scrivere e di comporre. Gli esempi addotti non
posson lasciare ombra d'accusa di superstizion nazionale a mio
riguardo. E credo anzi che se mai si potesse citare una lingua
che per molti secoli fosse restata fissa ed immobile, non ci sarebbe
chi non ne traesse conseguenze assai svantaggiose alPingegno,
allo spirito, alia capacitk di quella nazione. Dunque c'e un lo-
devole neologismo; ma lodevole solo allor quando & neologismo
nostro, neologismo endemio, neologismo nazionale. Quando cioe
allato alle nuove idee nascono anche nelle parole quelle nuove
inflessioni e piegature, che sono e necessarie ad esprimerle, ed
emanate dal fondo istesso della lingua nazionale. Ecco le due
condizioni probabilmente decisive in questo affare. Se nelle for
me giik usate si trovi con che destramente poter presentare con
lucidezza e vivacitk Pidea che si vuol offerire, sarebbe irragione-
vole e vizioso il moltiplicare inutilmente i modi col pericolo di
indurre delle battologie3 e deiranfibologie ad ogni linea. E molto
i . fra Paolo : Sarpi. 2. non intendendo : con valore concessive : anche se
non intendo. 3. battologie: ripetizioni inutili e viziose di parole e di frasi.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 719
piu col pericolo di far perdere alia lingua quella fisonomia pro-
pria ed originate che testifica la nobilti di sua origine e la bonta
intrinseca della sua costituzione. Se i bisogni della cultura richie-
dono nuovi generi, sarebbe irragionevole il trasportarli tra noi in
abito e costume straniero, quando i nostri abiti e costumi si po-
tesser piegare senza perdere Tindole nazionale. Se poi le forme
gia usate non somministrassero materiali opportuni ai nuovi bi
sogni, si dovrebber bensi coniar parole, frasi e modi, e usarvi
coraggio e franchezza pel bene comune; ma usarvi anche giudizio
e ponderazione. Perch6 sarebbe irragionevole il farlo inventan-
do parole radicalmente straniere, quando nelle vecchie radici del-
la nostra si potesser trovare dei capitali opportuni; oppure anche
non serbando, potendolo, una ragione qualunque d'analogia in-
sita e originale; come sarebbe a dire, preferendo la celtica e la
germanica alia latina. Sarebbe irragionevole, potendo pure, mo-
dellare ed inflettere a nuovi atteggiamenti le nostre frasi e vi-
brarle e discioglierle ; il ricorrere a frasi e modi che suppongono
una originaria differenza di costituzione grammaticale : e cosi ma-
no a mano. Queste son pratiche che perderebber la lingua, per-
ch6 non sarebbero gia una rigenerazione naturale di lei, che ri-
producesse essa se medesima e naturalmente e spontaneamente;
ma sarebbe un mescolare e confondere elementi eterogenei, ma-
terie repellenti, lingue diverse infine: il che alia lunga termine-
rebbe neirannientamento totale della lingua nazionale.
Ecco il neologismo straniero e il neologismo che nessun pu6
scusare. Neologismo, che & riprovabile e sempre e da tutti e in
qualunque piccolo grado si supponga, giacch6 egli £ il genere stes-
so che & vizioso. Esso sta tutto e consiste in una corruzione;
n6 & gia che la corruzione si palesi soltanto in qualche grado di lui,
come se spinto a quello soltanto cominciasse a corrompersi.
Ma posto il caso dell'assoluta necessita di quel naturale neo
logismo in una nazione, si pu6 egli sperare che questa nazione
si fermi al primo neologismo suo e proprio, e non trascorra al
neologismo stranierol Un popolo intero, una nazione fermarsi e
stare a differenze cosl sottili, ad awertenze cosi ingegnose ? Cam-
minar su un filo, non passar una linea si lubrica e nascosta?
Quest^ un voler dei miracoli. In Italia poi? Ora? Sarebbe il
pui miracoloso tra tutti i miracoli; lusingata, spinta, adescata,
come Tabbiamo veduta da mille parti. La & la Francia da si gran
72° MATTEO BORSA
tempo potente, ricca, ambiziosa, madre di mille piaceri e no vi
ta in ogni genere; cara alle donne e ai signori per i comodi, il
lusso e le mode; rispettata per que' tanti geni del secolo passa-
to; famosa per sei o otto incomparabili penne del presente e per
centinaia minori: e vero die assai tra queste produssero dottrine
empie e sowertitrici deirordine e delFarmonia sociale, bench6 ta-
lora feconde di libri ora facili e ameni, or singolari e spiritosi.
Qui la Germania e Flnghilterra mandano sempre nuove colonie
d'autori ad apprestarci nuovi sapor letterari, e ad imbandirci la
mensa di frutta estranie di forma e di color e. Si traducono a
folia prosatori e poeti, e gli autor d'ogni sorte si moltiplicano e
spargono rapidamente. Tutto infine ci alletta e ci guida allo stu
dio dell'opere straniere. Sieno per6 queste e belle e istruttive e
necessarie quanto si vuole; se il sapore ed il gusto costitutivo ed
essenziale della nostra lingua e dello stil nostro ci tolgono, ci
fanno un gravissimo danno. E tale che gravissimo sempre sara,
per quanto le cose insegnateci possan parerne un compenso. Ogni
lingua ha le sue proprie bellezze, le sue venusta, il suo intimo
valore, Parmonia e 1'indol nativa. Ci6 tolto, g& piu quella non e,
Invano altrove si cerca quel piacer soavissimo che da lei dovrcb-
be venirci, e che tanto dev'esser maggiore quanto piu e noi per
lei siamo fatti ed ella per noi per singolare provedimento della
natura. Invano una nazione spera fama e celebritk, se dall'altra
e costretta a mendicar le parole ad ogni tratto. Qual segno piii
vergognoso di servitu, che il perder perfino quella caratteristica
impronta che dalPaltre nazion ci distingue, che ci erige in na
zione, e che tale agli occhi del mondo ci costituisce ? Non siamo,
& vero, ancor venuti in tanta miseria; ma ogni passo di decadenza
la c'incammina. E qual infamia saria mai per P Italia, se si lascias-
se a tanto d'indolenza trascorrere, che non sentisse il confronto
delle vicine nazioni, le quali sono si religiose e zelanti delle lor
lingue, e che con ci6 sono giunte piu che con altro a sparger tanto
splendore ?
Eppur tutto questo e inevitabile. E poich6 gli uomini non per
ragione operano in quelle cose medesime che pur sembrano es-
sere oggetto immediate della ragione; cosl noi cedendo a tanti
impulsi stranieri senza avvedercene, andiamo perdendo la nostra
lingua, quando anzi tutto invitarci dovrebbe a guardarla con piu
cautela. Qual maraviglia? Cosi in ben come in male siamo gli
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 721
stessi; e purch6 imitiamo e mutiamo e facciam qualche cosa, tut-
to ci alletta, n6 cerchiamo di piu. Tre soli oratori venuti di Gre-
cia bastarono a trar dietro s6 tutto il fiore di Roma a' di di Ca-
tone.1 Un sol uomo grande pot6 cambiar faccia alle lettere sotto
Nerone.2 Alcuni versi e le cattive opere musicali d' Italia perver-
tirono quasi Inghilterra, se non vi si opponevano lo «Spettato-
re»,3 la Dmciade* quegli altri famosi. E noi resisteremo ? Ne la
nostra lingua colorir non dovrebbesi di quelle tinte non nostre,
come gik 1'orazion colorivasi a M. Antonio tra le sue letture poe-
tiche, per parlare con Cicerone? Tanto pote il semplice amore di
novita, e in tempo si breve, e in oggetti talora anche piu chiari e
piu distinti ; e molto piu non potranno tante e si gravi cagioni, e si
lungamente e con tanto vigore ai danni riunite della lingua italiana ?
Cos! pur troppo era stato gia sciolto anticipatamente quel pro-
blema proposto da Arteaga, come secondario bensl, ma come inti-
mamente connesso col principale. £ egU possibil dob Vevitar Vin-
fluenza del neologismo str order o?
Per molti mezzi pertanto la nostra lingua ci tolgono,5 che a
quattro ridurre si possono principalmente. II primo di questi,
e forse anche il piu attivo, quello si & di distruggere lo spirito
nazionale. Questo forse per6 ora & da levarsi, dopo che tal verita
fu tanto approvata anche da Arteaga, che non dubitb di levarla egli
pure dal testo, e porla per la prima di quelle quattro cagioni
ch'egli per fretta ha creduto di aver tutte aggiunte alle accennate
da me. Fu pure per fretta ch'ei registr6 in secondo luogo la pre-
parazione antecedentemente accaduta per Tinfluenza delPaltre na-
zioni; e Pammirazione che eccitava il nome francese per la sua
politica prosperitk : erano gia state calcolate piu sopra. Aveva io
dunque scordato i viaggiatori nostri da lui citati per terzo ; ma ci6
fu perch6 non mi parvero tornar di Francia in tal numero da
I. Tre . . . Catone: lo stoico Diogene, il peripatetico Critolao e 1'accade-
mico Carneade, inviati a Roma nel 155 dagli Ateniesi con rincarico di chie-
dere la remissione della pena pecuniaria loro inflitta per la devastazione di
Oropo, furono entusiasticamente accolti dai giovani romani. 2. Un sol . . .
Nerone: Seneca il nlosofo. L'accusa di aver corrotto lo stile latino, che risale
a Quintiliano, era stata ripetuta, fra gli altri, anche dal Tiraboschi nella
dissertazione gia ricordata. 3. lo «Spettatoref>: la rivista dell'Addison.
4, la Dunciade: la Dunciad del Pope, poema satirico in cui Tautore de
ride i vizi del mondo letterario del suo tempo, dominato dalla dea Stupi-
dita. 5. ci tolgono: gli stranieri.
46
722 MATTED BORSA
presentare un elemento molto computabile in una combinazione
si prodigiosa di tanti altri. E sebben fin d'allora mi sembrasse
prudente il tacere dei nostri bisogni letterari (quarto suo assunto),
pure anche senza di ci6 mi parve abbastanza e troppo forse pro-
vata la trista verita di quel detto, che siam divenuti indifferenti
per tutto. N6 gia ci6 in senso di non prevenuti; ma in senso di non
curanti, di sprezzatori. N6 questo solo; ma siamo anzi avidi e
adoratori superstiziosi delle cose straniere, e per le nostre al con-
trario trascurati e mal prevenuti. Dimandate a un libraio operc
italiane. Ei vi chiede perdono, ma per la difficoltk dello smercio que-
sta classe & affatto mancante. Proponete una stampa. Se non avrk
tutta Faria di traduzione o di copia, perfin nel titolo spirante
vezzi francesi, pani che chiediate la elemosina; tanto lo stampator
troverete superbamente fastidioso.1 Scorrete finalmente le case.
Vincontrerete in libri stranieri ad ogni angolo, mentre i nostri
buoni italiani dormon coi greci nelle pubbliche librerie. Ben veg-
go che ci6 succeder doveva, avendo Italia oggimai per lung'abito
posta cosl tutta la mente ed il cuore nella forestiera letteratura;
e prendendo i molti che leggono a guida del lor giudicare que-
gFistessi inglesi e francesi, che dei nostri non intendono sillaba,
eppur si pongono a scranna, e ci condannan dall'alto senza appel-
lazione. Or che far£ la gioventu fra tali esempi e si gran contagio-
ne ? S'abbevera ella al torrente, e per parer colta nelle cose altrui,
perde la cultura nelle sue; e per correre dietro incessantemente
airaltre nazioni abbandona la propria e se ne scorda. Onde non &
maraviglia se, poco o nulla degli autori italiani sapendo, le altre gen-
ti le paion maggiori di noi assai piu che nol sono, Non lo e, se
uno scrittore cerca mostrarsi ai pregiudicati2 italiani straniero
affatto nei modi, nelle frasi, nei pensieri. Non lo e, se, perdendo
infine ogni coscienza del suo mal fare, collo scandalo pubblico del
proprio esempio e promuove e dilata questa universal letteraria
scostumatezza. Quanti nomi, ed illustri, qui citar non potrebbersi,
se il rispetto e Tonore che ai viventi e dovuto, non lo vietasse! Ma
ben citerannogli i posteri nei secoli venturi, quando, dopo com-
i. superbamente fastidioso: insolente e schizzinoso; fe espressione model-
lata su Orazio, Sat., n, vi, 86-7; «cupiens varia fastidia cena/vincere
tangentis male singula dente superbo*, 2. pregiudicati: dominati dai
pregiudizi.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 723
piuto Tintero giro del suo corrompimento, tornera un di questa
terra a sentir ci6 che vaglia e ci6 che possa.
Intanto in questo proposito e da osservare che furon ben sem-
pre grandi imitator gPItaliani, siccome la nazione il dimostra or
tutta latinizzante nel perorare, ora platonica negli amori poetici,
or cavalleresca negli epici, e cosi mano a mano. Ma il furon perb
di tutt'altra maniera che or nol sono. Perche" una caratteristica
differenza del secolo nostro consiste nel non aver esso, come gli
altri, un uomo grande per guida, il quale fattosi duce e signore,
e prevalendosi dei semi g& sparsi d'una rivoluzione, abbia man
date al sommo le cose, e fatta un'epoca illustre e riconosciuta.
Cosi pur fu sempre presso 1'altre nazioni, ma fermiamci sol nel-
la nostra. Dante, Petrarca, Marini, per esempio, afferraron le re-
dine chi in ben chi in male nei vari tempi. E se la nazione imit6,
imit6 almeno se stessa in un uomo grande e sommo ed illustre e
suo e solo. Ma ora tutto e perfetta anarchia, e mille stranieri
conquistatori c'invadono. Chi segue Thomas1 negli elogi. Chi cor-
re dietro a Voltaire nella varieta. Chi si crede d'aggiugner Rous
seau a forza di coraggio indiscreto. Chi minia con Gesner. Chi
tratteggia con Young. Eguali tutti in ci6 solo e uniformi, che a
maestri e esemplari tutt' altri si propongono che italiani.
Tolgonci per seconda maniera la nostra lingua togliendo agli
orecchi dei piu fra gV Italiani quella dilicatezza e sensibilitk scru-
polosa onde d'ogni minimo urto, d'ogni elision la piu tenue,
d'ogni sospension piu sfuggevole siamo fedelmente awertiti. E
certo, che se altra lingua mai, Pitaliana in fatto d'armonia e super-
bissima.2 Delle minime differenze fra la sceltezza delle parole e
oltremodo sollecita, siccome lo e della loro collocazione e d'una
certa proportion tra i periodi e d'una certa organizzazion nelle
membra e del vario alternare dei vari suoni ora molli, or flessibili,
or ritenuti, ora scabri. Aggiungasi a tutto ci6 sempre e la ricchez-
za e la gravita e le maniere ampie e maestose. Ma chi potr& mante-
nere tanta finezza negli organi e awedutezza nella mente nelFatto
I, Sul Thomas e i suoi Sloges cfr. la nota 4 a p. 359. 2. certo . . . super-
bissima: e probabile che per questa affermazione e per le osservazioni che
seguono il Borsa abbia present! soprattutto le pagine del Bettinelli intorno
all'armonia della lingua italiana nel Discorso sopra la poesia italiana,
pubblicato nel 1781 (cfr. Letter e virgiliane e inglesi e altri scritti cntici,
a cura di V. E. Alfieri, Bari, Laterza, 1930, pp. 186-99).
MATTEO BORSA
stesso che non solo trascura ogni esercizio opportune, ma in cose
affatto contrarie tutta impiega la vita e ogni studio consuma?
Qual mai orecchio dopo d'essersi a forza d'ostinazione piegato ad
ogni sorta di suoni, di frasi, di modi, dopo d'aver superata a
grave stento la naturale avversione allo scroscio continuo di conso-
nanti le piu stranamente accozzate, al fischio, al sibilo di tante
smozzicature ; e dopo esser giunto perfino a trovar piacerc e
delizia in quella cacofonia di tanti monosillabi, in quello sten
to d'andamenti, in quella esilita di desinenze; qual mai orec
chio, diss'io, non dovra sentirsi le fibre rese insensibili e, per cosi
dire, incallite ad ogni intemperie di clima? Molte ragioni for-
tissime qui addur si potrebbero, se entrare volessimo in quei prin-
cipii che legano le nostre idee, e da cui i giudizi dipendono dal-
Pabitudine. Molte, se della natura delle umane fibre e delle modi-
ficazion sostanziali che vanno ricevendo dall'uso, si volesse in-
trodurre disco rso. Ma n6 piacerebbero ora si alte ed oscure in-
dagazioni; n6 avrebber gran forza, dove Pesperienza ed il fatto
parlan si chiaro. Intanto non & gia da pretender perci6 che s'ab-
biano ora a rinnovare gli esempi del Cinquecento, quando Pestre-
ma paura di corrompere, bench6 in menoma parte, i giudizi se-
veri di questo orecchio, facea ai nostri latinisti recitare in greco
Pufficio divino. N6 troppo accorto pure sarebbe chi a questo ti-
more non anteponesse il vantaggio infinito che da tanti autori
eccellenti francesi, inglesi, tedeschi ed altri ci viene apprestato.
Troppo s'offenderia la giustizia e la ragione, anzi pure il senso co-
mune. Ci sarebbe anche una specie d'ingratitudine verso quelle
nazioni che di tanta copia di letterarie delizie tutto il dl ci forni-
scono. Sarebbe inoltre una stolidita il non confessare che scnza
ricorrere agli autori stranieri pochissimo o nulla e omai da sperare
nella filosofia e nelle scienze pi.ii utili, non meno che in molti ge-
neri di bella e amena letteratura. Ma e ben chiaro egualmente
che se a queste letture non si frammischi uno studio frequente
de' nostri autori, se non vi s'aggiunga Passiduo e paziente eser
cizio della penna, se non si risvegli e conservi Pamore delle co
se nostre colPattingere spesso a quelle fonti donde ogni ben let-
terario ne deriv6, ci si fara tosto sentire la prepotenza delle lin-
gue straniere sopra la nostra. Or quanti son gPitaliani che con
tale awedimento procedano ne' loro studi ? Assai eel mostra Pef-
fetto. Assai ce lo dice uno sciame infinito di libri d'ogni maniera.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 725
Assai ce lo scuopre la massima parte di coloro che leggono. Cice
rone correrebbe pericolo di destare le risa di molti a' dl nostri, se
con quel suo zelo del bene e quel profondo sentimento delle cose
ci venisse ora a dire di quelli i quali non intendon ne" sentono 1'ar-
monia dello stile, ch'ei non saprebbe che orecchie s'avessero mai,
n6 in che s'assomigliassero ad uomo.
A questi due mezzi con cui andiamo perdendo la nostra lin
gua, altri due ne aggiugner6, cui per6 bastera toccar di volo.
Quanto nella presente disgrazia dell'italiano quella1 influisca a
cui va soggiacendo gia da gran tempo, si potrebbe mostrare as-
sai lungamente. L'autorita per6 d'un uom grande quello fara in
un tratto ch'io difficilmente otterrei con molto studio e fatica.
Chiese il signor della Grange al signor Bitaube,* perch6 Pita-
liano e '1 francese nati al tempo medesimo pure abbiano avuta
sorte tanto diversa, che mentre la lingua nostra fin dalle prime
sue mosse rapidamente vo!6 alia perfezione, Taltra alPopposto
dov6 languir nell'infanzia per tanto tempo. E di ci6 il signor Bi-
taub6 awedutamente ritrova un'amplissima soluzione nell'affini-
ta del latino coll'italiano,3 e della nostra con quella nazione,4
se pur cosi si pu6 separare una nazione unica e sola.5 Di piu a
somma lode della sua integrita fa vedere come dal latino ci ven-
ne una lingua e piu sonora e piu ampia e piu nobile e piu mae-
i . quella : disgrazia. 2. Giuseppe Luigi Lagrange, o Lagrangia (1736-1813),
famoso matematico torinese, era allora direttore della classe di scienze
deirAccademia di Berlino; Paul-J6r6mie Bitaubd (1732-1808), pure mem-
bro dell'Accademia di Berlino, & noto soprattutto per una traduzione
di Omero (1786), condotta con scrupolo letterale, secondo i criteri da lui
esposti in alcune memorie (pubbhcate nei « Nouveaux m6moires de 1' Aca-
de"mie royale de Sciences et Belles Lettres» di Berlino, vi, 1777, pp. 455-90,
e x, 1781, pp. 454-79), dove sosteneva che «il y a des beauty's nationales
qui sont d'aussi vraies beaut^s que celles qui sont regues chez tous les
peuples», e che quindi il buon traduttore non deve trasportare Pautore
tradotto nel proprio secolo, ma trasportarsi lui stesso in quello dell'au-
tore: idee assai notevoli per il tempo. La memoria di cui qui il Borsa
riassume i concetti principal! si intitola: Pourquoi la langue italienne
a-t-elle eu sur toutes les autres langues, et en particulier sur la langue fran-
poise, la prerogative d'arrivert presque de sa naissance, a la perfection, pub-
blicata nei citati « Me"rnoires » dell'Accademia di Berlino, xxv (1771), pp.
427-36. 3. colVitaliano: queste parole mancano nell'edizione Veronese del
1800, ma compaiono in quella veneziana del 1784. 4. quella nazione: lati-
na. 5. se . . . sola: il Borsa vuol dire che la civilta latina e Titaliana for-
mano quasi una civilta unica: vecchio concetto umanistico, ripreso dai
classicisti di fine Settecento e codificato nella Storia della letteratura ita-
liana del Tiraboschi.
MATTEO BORSA
stosa. Piena di belle cose e quella sua memoria inserita negli
atti dell'Accademia reale di Berlino. Ed e interessante il ve-
derlo, siccome scorre sicuro per le varie circostanze morali e
politiche che fanno al suo scopo. Basta per6 questo cenno a con-
chiuder cosi. Se tanto sono congiunte queste due lingue, e se il
destin della nostra cosl da quella dipende, quanto affrettar mai
non deve il decadimento dell'italiano quella che omai si pu6 di-
re ignoranza general del latino, se la nazione in corpo si consi-
deri? «La moderna gracilit^ piii non soffre quelle lunghe fatiche
del Cinquecento sui gran modelli di tutte le colte nazioni. L'e-
ducazione e troppo rilasciata e indulgente; i letterati troppo dis-
sipati; i maestri troppo imperiti; gli esercizi pubblici troppo
ridotti ad una vana e puerile comparsa; gli studi dej piccoli
fanciulli troppo sproporzionati al naturale progresso delle lor fa-
coltk; quei di rettorica troppo brevi e precipitati; i precettisti
troppo rivoltosi e impazienti delFantica autoritk»: dicea Carli1 in
quei giudicii, che delle dissertazioni concorse egli leggeva al-
TAccademia, Carli, che dal lungo uso d'una scuola severa era
disposto a veder nelle scuole di latinit& e di rettorica e nella no
stra socievole dissipazione Torigine di tutti i nostri peccati. Tutto
vero; ma oltre che sono le circostanze nostre civili che col cam-
biarci in testa le idee e pratiche e teoriche ci fan quali siamo,
qui infin non resta che ad esclamar: colpa nostra. Per altro allato
di tutto questo si potrebbe proporre una domanda curiosa ed ar-
dita, ma ragionevole insieme ed opportuna. I Latini formarono
i cinquecentisti. I cinquecentisti non son che Latini nella so-
stanza, nel succo, nell'abito e nella forma. Quanto hanno di buo-
no e di bello e tolto, trasportato di pianta dal latino. Giro, periodo,
sintassi, disposizione, ordine, tutto. Eppure e cosa di fatto e
d'esperienza che i cinquecentisti, e quelli che lor rassomigliano
con qualche precisione e che com'essi con un po* troppo di su-
perstizione si conformano ai Latini, si trovano ora da quasi tutti
noiosi o strascinati, flacidi o freddi, esili o affettati; infine me-
schini d'idee, piccoli nella loro ampiezza medesima e poco con-
cludenti anche allora che pur in capo a certi spazi concludono
i. L'abate Giovanni Girolamo Carli (1719-1786), archeologo e segretario
perpetuo dell'Accademia di Mantova prima del Borsa. Alcuni dei suoi
giudizi sulle dissertazioni presentate al concorso mantovano si possono
leggere nell'articolo di G. Finzi citato nella bibliografia.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 727
qualche cosa. Ecco dunque la domanda. Com'e che i Latini son
necessari a formare un eccellente scrittore italiano, eppure i La
tini stessi lo guastano? In che sta la ragione? In che il confine,
il mezzo, P antidote ? Qual differenza ci & tra noi e Taltre nazioni
in questo riguardo ? A questa domanda per6 non e qui da rispon-
dere, perch6 molto dipende dalPesame delle opinioni, degl'inte-
ressi e piu del foro e della filosofia del secol d'oro, che, determi-
nando le idee, determinavan con esse anche uno stile ch'era ec
cellente per le idee che correvano. Per altro se questa riflessione
pu6 circoscriver in parte le esagerazioni e giustificare il nostro se-
colo, non lo scusa perci6 dal prendere, ch'egli ora fa, ogni cultura
antica per una pedanteria, e del non awedersi che alia pedanteria
greca e latina si sostituisce la pedanteria inglese, la francese, la
tedesca.
E chi sa che tra poco non venga anche la russa, ramericana?
Raro e presentemente e mostrasi a dito colui che cerchi certa
stravaganza e singolaritk di composti greci nelle parole, certe al-
lusioni perpetue e appena appena accennate a cose e costu-
manze antichissime, come se fossero d'ultima moda; e piu quel
tale accavallar figurati Tun sopra Paltro, senza interstizi di frasi
piu chiare che gli spieghino, con simili altre affettazioni erudite,
che rendono i commenti piu necessari ai moderni che non ai
Greci i piu remoti e ai Latini. Invece di ci6, pongono adesso
un testo di Pope in fronte a un'inezia morale; chiudon due stro-
fette amorose con un passo d'Addison; mettono una letterina fran
cese avanti a quattro versucci filosofici; tutto ammorbano infine
di versi anglo-toscani. E i libriccini e i fogli volanti, sebbene ita-
liani nella prima destinazione, sono francesi per6 almen per meta
tra prefazioni, citazioni, allusioni; e piu francesi son anche per
quelParia di compassione cordiale con cui guardano e la lor patria
ed il pubblico italiano.
Ma che si dirk in ultimo luogo delle traduzioni; di quella
fiumana lutulenta e fangosa, che tutte inonda oggimai le nostre
contrade? Se il dotto Wezio1 giunse a sostenere che perfino le
traduzioni le piu belle non son mai senza danno delle buone
lettere; se pot6 egli trovare tante e si forti ragioni per sostener
i. Wezio: allude probabilmente all* erudite tedesco Joharm Weitz (1576-
1642), autore di molte opere nel campo della filologia classica.
MATTEO BORSA
la sua tesi, e se il sig. di Vatry1 con tanta copia (Targomenti e
filologici e fisici e metafisici, dedotti dalFintima natura delle cose,
e colle autorita piu rispettabili e cogli esempi piu chiari pot6
tessere un'ampia dissertazione, diretta a provare che una tradu-
zione bella, esatta e fedele (e in qualunque lingua che sia, non g&
nelFitaliana soltanto, come par che tema Arteaga) non & mai da
sperarsi per ingegno ed istudio che vi s'impieghi; che resta a de-
durne? Certo il seguire una ragione di mezzo non potr& sem-
brare a nessuno se non savia cosa e discreta. E dovranno ambi i
partiti concedere che in si grande difficoltk di riescimento e con
tanta fatica che vi si richiede, le traduzioni tentar non debbonsi
mai che da scrittori eccellenti sopra eccellenti originali. Ma qui e
abbiam d'ogni parte traduttor prezzolati che da un libraio ignoran-
te van mendicando il lor pane a tanto per pagina. E le donne ed i
giovani per loro esercizio traducono i libri piu a loro proporzio-
nati, cio& poi i piu vapidi e i piu leggeri. E infiniti, per dir tutto
in un tratto, si gettano a questa agiatissima strada di farsi autori.
Non san n6 la propria n6 la lingua tampoco del loro scrittorc;
ma ogni cosa insieme affastellano indecentemente senza proprie-
ta, senza sintassi, senza concordanza. Traduzioni insoffiribili, ed
anche delle peggiori cose straniere, infarnano i nostri teatri, dove
i cattivi e piu lugubri romanzi si mettono in dialoghi degni de'
pazzi e disperati. Traduzion nauseose si pu6 dir che compongano
il famigliare carteggio di tante e tanti, che mai non sanno ab-
bastanza ammirare la disinvoltura e la leggerezza delle loro leg-
gerissime idee. Traduzioni, infine, quasi direi e le conversa
zioni e le cordialita e i complimenti ; giacch<§ quelle formole,
quelle frasi, quelle affettazioni o dalle traduzioni si spargono per
le compagnie, o traducendo contraggonsi da chi, senza nulla saper
della propria, studia le lingue degli altri, e vi s'esercita sotto mae
stri niente piii dotti di lui. Diremo forse che questi non son let-
terati? Guardi il ciel che lo sieno. Ma intanto il mai gusto pro-
pagasi in materia di lingua. Anzi pure di stile, giacch6 ognun vede
che di lingua parlando si & accennato tutto ci6 che a quella parte
dello stile pu6 appartenere la quale risguarda la propriety la sintas
si, la maniera di figurare e simili cose, indipendentemente dagli
i. Ren6 Vatry (1697-1769), erudito e filologo francese, autore di una
Dissertation sur la po&ie dpique, a cui probabilmente allude il Borsa, e che
fu pubblicata nel tomo ix dei «M6moires de 1* Acad&nie des inscriptions)).
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 729
oggetti, dagli argomenti, infin dalle cose. Quella porzione intanto
d'autori, che dal giudizio comune condur si lascia o per amore di
lode o per debolezza d'ingegno, sempre piu coj suoi libri tutto
deforma e contamina. Talche" il neologismo straniero gia non si li-
mita adesso alle strane parole soltanto e alle forme di dire meno
italiane; ma allo stile s'estende inciso nei periodi, impacciato
nei movimenti, scabro nella tessitura, arido nelle maniere, sen-
za dignita, senza numero, senza armonia. E quindi anche in ver
so quella minutezza d'ornato, quella esiguita di riflessioni e det-
tagli, quella uniformita di pitture, quella umilta quasi prosaica
d'espressioni e d'immagini, che al carattere della nostra poesia
men si conviene per quella intima diversitk che dipende dalla na-
tura e organizzazion delle lingue.
SECONDO VIZIO
Filosofismo endclopedico.
Passiamo ora ad altri vizi, che dagli stranieri ci vengono, per
dire il vero, ma che son di natura molto diversa. L'esaminato
pur ora diventa vizio sol quando si trasportan tra noi quelle
frasi e quelle maniere che sono altronde ottime in loro, perch6
dipendenti dal genio originale e dairintimo meccanismo di quelle
lingue. Ma non cosl gli altri di che son per parlare, e che son
vizi, e vizi gravissimi, presso di loro medesimi. Parlo prima
di tutto del filosofismo enciclopedico, che prima altrove, poi in
Italia viene ogni di dilatandosi e tutta infestando la bella lettera-
tura. Per questo riguardo tutte ora le colte nazioni fanno una sola
famiglia per quel vincol comune di mutuo corrompimento onde si
stringono insieme. Tutti ora siamo in tale combinazione di circo-
stanze in cui questo filosofismo universale e leggero dovea na-
scere naturalrnente. Cosl nato e cresciuto propagarsi doveva ancor
nelle lettere. Giuntovi dovea nuocer loro e corromperne Pintrin-
seco gusto nativo, siccome sempre successe in ogni tempo e na-
zione, qualora tai circostanze per la stessa maniera vi si riuni-
rono.
Ma qui convienmi sospender le prove di queste tre proposi-
zioni per levar prima ogni occasione agli equivoci che per Tin-
certezza de' vocaboli potessero aver luogo. Ardisco dire che per
ci6 che risguarda cotesto filosofismo universale, le obbiezioni del-
730 MATTEO BORSA
1' abate Arteaga non sol contro me ma contro Merian,1 vengono per
la massima parte da un equivoco appunto di parole. Per dire la
veriti m'era lusingato a principle d'andarne esente. Prima per quel
termine « filosofismo », che suona un certo disprezzo, lontano assai
dalla venerazione che devesi alia vera filosofia. Poi per quel ag-
giunto d'« enciclopedico », che notoriamente ora abbraccia tutte
quelle che propriamente si dicono scienze; e le esatte cio6 e le
probabili e le natural! e le speculative. Ma poich£ veggo essere sue-
ceduto altrimenti, tenterb di spiegare 1'oggetto con piti di avver-
tenza. Filosofia e amor di sapienza, e per sapienza propriamente
e comunemente intendevano i Greci la prudenza e 1'ampiezza del-
la ragione applicata agli oggetti morali, alle cose della vita, agl'inter-
ni ed esterni doveri, alia dignita propria ed altrui, agli ordini pub-
blici e agli uffici privati. Basta osservare che le occupazioni per-
petue deirAccademia, della Stoa, del Peripato versavano sui fini,
sul sommo bene, su la natura degli dei, su quella delFanima, ec.
ec. Basta riflettere che i sette saggi, cioe i sette filosofi per eccel-
lenza, non coltivarono che morale, politica, legislazione, e che nel
totale quinci non dipartivasi la filosofia; salvo il dilatarsi con qual-
che raro (come fece con Teofrasto) oltre al prescriver le leggi alle
passioni, a descriverne anche 1'indole ed il carattere. Dunque seb-
bene per filosofia s'intendesse talvolta, e anche adesso s'intenda,
Tattuale esercizio degli uffici e delle virtti del saggio, pure, piii
comunemente intendendosene la contemplazione e la discussione,
ne viene che Toggetto prossimo, immediate, non ricercato, quello
che si presenta al primo pronunciar quel vocabolo, egli 6 un com-
plesso di dogmi, spiegazioni, insegnamenti, teorie, discussioni, ec,
ec. su tutto quello che alPanimo nostro appartiene. E perci6,
quando si dice « filosofismo )>, non altro s'intende, o pu6 intendersi
comunemente, che Taffettazione di dogmatizzare, esortare, ad-
dottrinare fuor di luogo, di tempo, di misura, in fatto di costume,
sia morale, sia civile, sia socievole. fe egli questo o non ^ il vizio
epidemico della letteratura corrente ?
Ma alia parola « filosofismo » quella s'aggiunse altresl d'ccen-
ciclopedico ». S'insinu6, cio^, che non solo la filosofia diviene
i . le obbiezioni . . . Merian : si riferisce alia seconda nota dell' Arteaga, in-
titolata Esame d'un'opinione del signor di Merianintorno airinfluenza ch'ebbe
la filosofia sulla poesia de* Greci e de* Latini, opimone che il Borsa cita pid
avanti.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 73!
intemperante dentro 1'ordine degli oggetti accennati, ma che va
molto al di la di questi stessi, e che ne abbraccia degli altri situa-
ti perfettamente fuori di quella sfera, e trascende i suoi limiti in
ogni senso. E questo e accaduto per lo esserci di molte cose che
o contribuiscono o sono anche necessarie del tutto al ben essere
e alia sicurezza cosl degl'individui come dell'intera societa: fisica,
geografia, astronomia, agricoltura, arti, medicina, ec. ec. £ dun-
que (dissero) del filosofo il procurarle alia societa ed a s6. £ dun-
que (aggiunsero) da lui ancor lo studiarle. L'ultima conseguenza
non e in tutto rigore; e anzi falsa e genera una gran confusione
d'equivoci e pretensioni. La volonta dell'uomo & lo studio che
appartiene al savio ; le cose esterne ma utili alFuomo appartengono
ad altre o facolta o arti o profession!. Quello ordina e dispone s6
e gli uomini al bene proprio e comune secondo Fattitudin spe-
ciale di ciascheduno. Queste ordinano le cose natural! o fattizie
al fine stesso. Quello, dunque, a non eccedere gli uffici d'uomo
semplicemente savio e prudente, quando voglia promuovere e
procurare Fuso di queste cose a vantaggio comune, s'applica di-
rettarnente a dirigere verso di quelle le idee, gli usi, i capricci
degli uomini con mezzi politici e morali. Su le cose stesse non
opera che indirettamente. E con cio suo studio sempre rimane
Fuom solo, e altrui resta lo studio deir altre cose. £ filosofo Fim-
perador della Cina, quando nelle feste solenni pon mano alFara-
tro, perch6 non intende con ci6 al solco che fa, ma si agli animi
d'un'immensa nazione che dallo splendor del suo esempio e
animata a moltiplicare i doni benefici della natura co* suoi su-
dori. Pietro Primo era un grande filosofo, quando calafatava le
navi e sudava colla sega e il martello alia mano; non lo son
gia i marinari e i falegnami russi che ora lavorano tanto meglio
di lui.
Ma che perci6? Dal promovere gli studi delle cose utili al
Fuomo allo studiarle il passo era piccolo. L'idea presto con-
fondevasi. II fine ultimo si mescolava colFoggetto piu prossimo.
E tutti presto furon filosofi quelli che s'applicarono alle utili ve-
rita di qualunque genere fossero; dentro o fuori delPuomo, nella
societa stessa o ordinate a lei semplicemente. Cosl la filosofia sorse
in monarchia universale, appena salvandosene le belle lettere, piu
per gravita e alterigia della prima, che per osservanza dei diritti
e dei privilegi delle seconde. S'aggiunse a ci6 1'autorita di que'
732 MATTEO BORSA
grand! che, d'ogni cosa scrivendo essi soli, come gia fecc lo sta-
girita, furon detti filosofi anche quando di filosofia non trattarono ;
e cosl introdussero Fopinione che tutto lo scibile appartenessc per
proprio diritto alia filosofia. E con ci6 finl la cosa che furon filo
sofi anche Anassagora colle sue omeomerie; Anassimandro cogli
oroscopi e il gnomone; Diogene rApolloniate1 colPAria-Dio ; e
Parmenide e Posidonio e cent'altri, come Newton lo fu co' stioi
Prindpii di filosofic? e Cartesio co' «vortici».3 Ecco Torigine dello
spirito enciclopedico che, aggiunto all'altra parola « filosofismo »
suona uno spirito di dogmatizzare e sentenziare e istruire e ad-
dottrinare prima di tutto e sopra tutto in morale e costumi ; ma poi
in qualunque genere o materia che sia o che corra sotto la no-
zione di scienza, per qualunque poi ragione od equivoco questo
succeda.
6 dunque Tenciclopedismo una tendenza che nasce quasi dal-
Tintima e originaria natura della filosofia. Ma quando poi la
cultura, a forza d'estendersi e dilatarsi, diventa leggera e uni-
versale, questa tendenza & inevitable, irresistibile, tirannica perfino
colle belle lettere; no certo nate a tanta gravitk e servitu, n<5 a si
gran pretensioni; ma di costumi piu sciolti, piu conversevoli, e
quasi direi piu liberali. FinchS i primi contemplatori e scopritori
del mondo filosofico si trovano a certa altezza sopra i circostanti
ingegni, scrivono liberamente, arditamente e senza studio di chia-
rezza volgare. Seguon perci6 rapidamente la serie di loro idee,
e si fanno agli altri oscurissimi, i quali gia sono disposti a trovargli
oscuri, anche dove nol sono, per rimperizia delle menti ancor molli
e dilicate, quasi direi. Ma sopravvenendo in appresso altri filosofi
a diradare ed espandere, v'ha pur chi gli ascolta; e 1'udienza s'ac-
cresce, e si sparge la fama. Se non sono intesi del tutto, pure or
da quello or da questo qua e & si comprendono. E cosi i minori
ingegni delle minori idee cadute ai grand'uomini s'impadroniscono
e in commercio le mettono e le maneggiano e impastano in varie
i. Diogene VApolloniate: filosofo greco del V secolo a. C., che pone quale
principle centrale della sua cosmologia appunto il concetto citato dai
Borsa, combinando Anassimene e Anassimandro. ^. Prindpii di filosofia:
i Philosophiae naturalis principia mathematica (1687), 1'opera fondamentale
del Newton, importantissima anche dal punto di vista filosofico. 3. « vor~
ft'a»: allude alia teoria cosmogonica, detta appunto « dei vortici », che Car
tesio espone nei Principia philosophiae (1644), e che fu combattuta dal
Newton nei suoi citati Principia.
i
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 733
forme, sicche* una filosofia ne emerga proporzionata a lor forze.
E questo & il punto in cui si veggon filosofi pullular d'ogni lato.
Massime poi se alcuno, accorgendosi e che il sommo e per pochi
e che dal sommo qualche cosa pu6 trarsi che gli rassomigli e si
adatti alia turba ambiziosa o impotente, s'appiglia a quest' ultimo
partito. Ecco la rapidita dello stile, il calor delle immagini, il fuo-
co delle passioni, Ten-are per ogni facolta a lambirne soltanto la
superficie, i paragon disparati e la confusione delle frasi tecniche
sottentrare alia meditazione, alia scienza, alia dottrina. Si sparge
il contagio per ogni ceto e societa di persone. S'impadronisce per-
fino dei giovani e delle donne piu dissipate. Non e infin chi non
merchi a prezzo si tenue quel dolce nome di filosofo.
Non sarebbe dunque un gran merito il far da profeta in cosi
chiara combinazione di cose. Ma per quanto sia piccolo, anche
questo eel toglie la storia, col dimostrarci quanto sia vecchia
una tal verita. Gik ne accennammo in prova la Grecia, di cui non
possono a questo proposito non tornarci a memoria i sofisti, i
quali a poter emulare Aristotile e Platone, crearonsi quella lo-
ro arte eristica con cui disputavano prontamente sopra ogni cosa
a forza di piccoli artifici metafisici e d'un'eloquenza versatile, co-
lorita e capziosa, e con cui acquistarono fama di scienza universale.
Dietro G.orgia e Protagora non ci voile di piu: tutti i Greci furono
filosofi. L'arti, le profession si confusero. I sessi, le condizion
s'accostarono. La severita repubblicana in questo mezzo ceder do-
vette al torrente. E quando prima nei tempi migliori saggia era piu
quella donna di cui meno sapevasi e si parlava in citta; quando
cioe la verecondia, il pudore e le virtu domestiche sole facevan
Pelogio di quel sesso timido e gentile; vidersi le Tergelie1 e le
Aspasie del titol di sofiste insuperbirsi. Per poco allora nuovo lu-
stro acquistarono I'arti del dire e le scienze in questo universale
fermento. Ma preparossi altresl la lor decadenza, togliendosi il vero
amor dello studio e della profonditk e tutto ponendo nella super
ficie e nelFapparenza.
In Grecia dunque quella progressione ebbe luogo. E in noi?
Vediam come i secoli niente mutino gli uomini. Cominciammo
dagli aristotelici, da cui per liberarci tanto sudarono Ramo2 e
i. Tergelie-. allude all'etera Targelia di Mileto, poi divenuta moglie di
Antioco, re di Tessaglia. 2. Pietro Ramo (1515-1572) sottopose ad esa-
me critico soprattutto la logica aristotelica.
734 MATTED BORSA
Bacone. Andarono poi avanti le cose, finch£ Cartesio e Neutono
per varia sorte traendosi dietro la filosofia, tutta infin rinovaro-
no la faccia delle scienze: come avria fatto piu di lor Galileo,
se la condizione de' luoghi e de' tempi non se gli fosse attra-
versata. Pochi gl'intesero quej profondi scrittori in su le pri
me. Ma si ampliarono poi, si agevolaron le cose dai posteri. Vi
fu chi tra le spine matematiche stese la mano a c6rne or frutte
ed or fiori; e ne invaghl gli altri; e credette di far intender Neu
tono e Cartesio alle dame1 col raccontarne loro qualche spe-
rienza piu facile e qualche massima piu generale e piu trita.
Furono questi, a dir vero, colti scrittori, anche dotti; ma cosl
secondando la mollezza comune, accelerarono la rivoluzione. Po-
co studiarono i lor successori le scienze, che per quelle opere
parver si facili; e del loro poco di scienza a vicenda insuper-
biti non curarono piu n6 lo stil n£ la lingua. Accrebbero il ma
le gFinfiniti dizionari moderni, per cui phi non seppesi n6 la
filosofia n£ la letteratura. E quella cotale specie d'autori usci fuori
che altro non san veramente se non d'avere stampato. Ci6 che
dei fisici, dicasi dei metafisici e moralisti; le di cui piu sublimi
meditazioni gia, se s'ascolti la moda, non ispaventano piu le fan-
tasie meno stabili e gl'ingegni meno pazienti. Che piu? Dov'& ora
un solo che di filosofici assiomi non faccia vanit£, e di filosofo il
nome ad ogni tratto non vanti, fino quasi a arrossirne chi lo & ve
ramente? E dove il libretto, la novelletta o la canzone, in cui di
termini astratti, di relazioni lontane, di allusion, di sistemi non
si scopra una pompa tanto piu intollerabile quanto meno conviene
e alia persona e alia cosa? Si comunica intanto il moto universale
e si distende per tutto. Penetra anche i recessi delle dimestiche
mura e le giovanette abbagliate dai moderni Protagora, che scri-
ver voglion di tutto, bench6 tutto non sappiano, g& sdegnano le
tranquille lor cure, g& sconosciuti libri sottentrano ai noti lavori,
gia vogliono anch'esse sapere, gik decidon, g& innalzano tribunali,
i. far intender , . . dame: chiara allusione all'Algarotti, autore, oltre che
del Neutonianismo per le dame (piu tardi ripubblicato col titolo definitive
di Dialoghi sopra Vottica neutoniana), anche di un Saggio sopra il Cartesio
(1754). Proprio FAlgarotti, tuttavia, aveva biasimato in una lettera ad
uno sconosciuto (4 aprile 1760) 1'usanza di «trattare in versi cose filosofiche
che non sono da versi » e di cacciar « la filosofia in soggetti che di lor natura
non la comportano e 1'aborriscono piuttosto » (cfr. A. GRAF, Vanglomania
ecc., cit., p. 367).
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 735
Quindi poeti, romanzieri, novellisti, storici, eruditi e letterati d'ogni
maniera non piaccion piu a se medesimi se non quanto piacciono
al popolo filosofante. E fanno ogni sforzo per parere filosofi, se
non per esserlo. E con muTarti e allusion! astutamente procaccia-
no di metter negli altri sospetto che nessuna scienza non siavi a loro
straniera.
Ecco dunque introdotto in letteratura il filosofismo enciclope-
dico. Ma giova o nuoce ? II modo con cui ci6 e seguito, il carattere
delle persone, la natura del fine, gli studi e le letture intraprese per
ci6 pur troppo eel dicono ; e non e vano alia soluzion del problema
in questa parte il prospetto delle cose presenti esposto pur or
fedelmente. Sebbene e pur meglio lo spiegarsi una volta aperta-
mente. Dir6 dunque che 1'introduzione del filosofismo non solo ha
nociuto, ma che doveva nuocere necessariamente alle lettere e
guastarle. E vaglia il fatto a troncar la quistione.
II chiarissimo signor di Merian ha negli Atti della R. Acca-
demia di Berlino quattro eccellenti dissertazioni su Tinfluenza
delle scienze in poesia,1 le quali ci mostrano come in ogni tempo
i poeti si sono gittati alia filosofia tosto ch'ella s'e resa facile e
agiata all'universale ; siccome li consiglia ancor essi la volontk di
piacere e ottener fama. Ma ci mostran del pari come quella por-
zione di filosofia e di scienze, a cui erano essi proporzionati, e le
metamorfosi, che dovean far pure subire a queste scienze per pro-
porzionarsele, gli abbian sempre corrotti cosl nello stile che nei
pensieri, Sia la poesia pertanto la misura universale d'ogn'altro
ramo di belle lettere, siccome il grado sommo ella & a cui si possa
mirare in materia di gusto. N6 gia mi giova il ricordare quanto
scrisse Aristotile contro le poesie filosofiche;2 ne quanto severo
I . quattro . . . poesia : allude alle prime quattro di una serie di dissertazioni
che J. B, Merian (su cui cfr. la nota 2, a pp. 466-7 e la Nota introduttiva al
Borsa) pubblic6 nei « Nouveaux m&noires de FAcade'mie royale des Scien
ces et Belles Lettres» di Berlino, tra il 1776 e il 1796, col titolo complessivo
Comment les sciences influent sur la poesie. In queste prime quattro disserta
zioni il Merian tratta successivamente deH'origine della poesia (attenendosi
ai Condillac), della poesia ebraica, di Ossian e di Omero (iv, 1776, pp.
455-519); poi degli altri poeti greci e in particolare di Pindaro e di Eu-
ripide (vn, 1779, pp. 391-425); e infine della poesia latina (ix, 1780, pp.
351-494; XII, 1783, pp. 499-538). 2. Aristotile . . .filosofiche: allude pro-
babilmente a quel passo del capitolo I della Poeticat dove Aristotele afTer-
ma che «non c'e niente di comune fra Omero ed Empedocle all'infuori
del verso » (traduzione M. Valgimigli, Ban, Laterza, 1934, p. 52).
736 MATTED BORSA
Zenon si mostrasse contro i poeti;1 ne" quanto male riescissero in
poesia i piu grandi filosofi. Lascio le autorita, le opinioni e i parti-
colari esempi di Socrate e di Platone. All'esperienza universa-
le m'appello. A quella stessa, che sola persuase il signer di Me-
rian dell'ordin contrario che tengono queste due facolta; talch6
decadere s'osserva sensibilmente la poesia, quando le dottrine filo-
sofiche vanno salendo a sommi gradi d'onore ed occupando mag-
gior superficie d'opinioni, e cosi viceversa. Diffatti quale istitu-
zione di filosofia mai pu6 mostrarsi che esistesse allor quando
Omero divinamente cant6 que' suoi poemi? Ma il grande Euri-
pide, sebben per ingegno grande al pari d' Omero, pur comincid a
lasciarsi corrompere dalPascendente che aveva la filosofia a' suoi
giorni, introducendo in teatro sermoni filosofici e raffinamento
indiscreto e quasi metafisico di passioni e di morale. L/approvava
Socrate,2 & vero: ma n6 in poesia vale gran fatto il giudizio di lui,
come or ora si disse, n6 dall'amor proprio esente poi era questo
giudizio medesimo, mentre le filosofiche sue dottrine vedeva egli
da Euripide con tanto splendor d'eloquenza predicate. Bene in
contraccambio accusollo altamente Aristotile.3 E la gente anzi di
gusto piu fino lo proverbiava leggiadramente con quel certo ter-
mine che quasi suona <c euripideggiare »,4 a mostrare una cotale
affettazione di sentimenti sentenziosi e condotti a forza di stento
e d'ingegno. Segui poi avanzandosi la filosofia, la qual tocc6 il
sommo nei tempi de* Tolomei con Euclide e quegli altri fa-
mosi, e col Museo si splendido e la celebre Biblioteca d' Ales
sandria. Ma la vantata Pleiade greca,5 che a questi giorni ap-
punto vuolsi ridur come a centre, secondo Tautor nostro, ci
somministra ella forse un sol poeta che aggiunga que* grandi
originali e inventori d'ogni poesia piu nobile e piii sublime ? Che
han che fare con questi non pur Tarido Nicandro e il nebuloso
i. severo Zenon , , . poeti: la notizia e tramandata in un passo di Diogene
Laerzio (vii, 23). 2. L'approvava Socrate: il Borsa si riferisce, come il
Merian da cui egli prende la notizia, ad Eliano, Var. hist,, n, 13. 3, ac
cusollo . . . Aristotile: in realta Aristotele, se fa riserve su alcuni partico-
lari tecnici della tragedia euripidea, ne riconosce piti volte Televata arte
tragica (cfr. Poetica, ed, cit., pp. 101-2). 4. « euripideggiare »; sOpt-
TutS^eLv; e verbo testimoniato dagli scolii di Aristofane. 5. Pleiade gre
ca: nome con cui i grammatici antichi designavano un gruppo di sette
poeti tragici (fra cui Licofrone, citato pih sotto dal Borsa), nella prima
meta del III secolo a. C.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 737
Licofrone,1 ma e Mosco e Bione e Teocrito stesso, che tanto da
quell'altezza di stile e d'argomenti discesero? Ecco la gradazio-
ne retrograda cui Perudito accademico va fedelmente seguendo
fin dove e la filosofia e la letteratura e ogni scienza ed ogni
arte si perde nella caligine gotica, e al ferro cede e all'ignoranza
barbarica.
N6 meno nocque alia letteratura romana il filosofismo. E mi
giova il narrarlo, si per mostrare piu chiaramente, non gia il
pericol soltanto, ma il certo danno di questo, che alcuni preten-
dono essere e miglioramento e perfezionamento dell' arte; si per-
ch£ anche piu vivo troveremo in Roma il ritratto delle nostre
sventure. Resisterono infatti que' prodi per alcun tempo alia
tentazione, e chiusero ogn'adito della lor poesia alia filosofia greca,
avvertiti che essa, per trapelare ove non deve, bisogna che si assot-
tigli, si sfibri, s'attenui e che corrompa la sua intima organizza-
zione e Faltrui. Ma pur soggiacquero alfine alFuniversale destino
degFingegni umani. «I1 gusto squisito,» dice il signor di Merian
«il sentimento dilicato e finissimo del vero e del bello; Testrema
avversione ad ogni affettazion bench.6 minima; la sobria lontanan-
za da tutt'ornamento straniero; ecco ci6 che forma il carattere della
poesia del secolo d'Augusto. Ma quando a sottentrar cominciano
gli opposti difetti, cio& Taffettazion della scienza, la mania di filo-
sofare in versi, col ricercato ed il singolare preferito al naturale
ed al semplice, g& non & desso piu quello n6 il secolo n£ la poe
sia dell'eta deH'oro».2 Cosl il dotto uomo, a cui non si peggiora
la causa per 1'esempio di quel gioviale epicureo d'Orazio, che si
leggermente tocca ogni cosa e sol la sfiora ed accenna, e par che si
guardi da ogn'ombra di scienza e gravita filosofica. Ne piu gli
nuoce Lucrezio, di cui s'6 detto abbastanza, sottilmente in lui
-L.Nicandro di Colofone (II secolo a. C.) e qui ricordato come autore
di due poemi didascalici, i Veleni e i Controveleniy Licofrone di Calcide
(IV-III secolo a. C,), per la sua tragedia Alessandra, di lettura difficile
per lo stile oscuro e i numerosi riferimenti eruditi. 2. Traduce libera-
mente dalla terza dissertazione del Merian (cfr. «Nouveaux m^moires»
ecc,, cit., IX, 1780, p. 379): «le gout exquis, ce sentiment du vrai et du beau,
cet ^loignement de toute affectation, cette justesse d' esprit qui fait rejeter
les ornemens Strangers; c'est la ce qui caractdrise la po^sie du siecle
d'Auguste . . . Des que vous verrez les d6fauts opposes prendre le des-
sus, j'entends T affectation de la science, la manie de philosopher en vers,
la preference donn£e & ce qui est singulier et recherch£ sur ce qui est simple
et naturel; des lors ce n'est plus ce siecle, ce n'est plus cette po£sie».
47
738 MATTEO BORSA
distinguendo dal poeta il filosofo, che si vanno sfuggendo scam-
bievolmente. Ma fu sotto Nerone che la filosofia, massime stoica
(siccome a lei ricorrevano per indurarsi contro Torrore di quelle
tirannie), s'and6 avvanzando e intrudendo in letteratura. Fu allora
che questa a vicenda s'and6 corrompendo e peggiorando ognor
piu. E in veritk quel Persio discepolo dello stoico Cornuto, quanto
dai buoni non 6 gi& lontano? Persio, che parve il Licofron dci
Latini. Quanto non ne sono lontani i figli di Seneca il retore, dei
quali non so chi piu contribuisse al mal gusto o Seneca Gallione
col suo stile si languido e effeminate, che appiccato gli venne qua
si in proverbio quel ((tinnitus Gallionis));1 o Mela col suo figlio
Lucano ; o Seneca il filosofo finalmente, che colle sue tragedie ed
opere varie e moltiplici voile essere tutto; fu filosofo in poesia,
poeta in filosofia, e in ogni cosa poi fu uno sforzato declamatore ?a
Ecco la teoria del signer di Merian. L'abate Arteaga per6 non
ha fatta un'attenzione abbastanza paziente a queste cose. Altri-
menti non avrebbe creduto di scontare i peccati del filosofismo coi
meriti della filosofia riguardo alle belle lettere. Una massima parte
delle operazioni di queste & diretta ad agire su la fantasia e sul cuore,
ad agire cio& su gli animi umani prevalendosi della sensibiliti, dei
pregiudici, delle inclinazioni. La vera filosofia, che di sua natura &
indagatrice delle tendenze di quest'animo, sta in questi casi in
disparte, osservando quali sono gli aditi i piu molli, le piegature
le piu scorrevoli per introdurcisi, quale il modo d'applicarvi gli
urti e gl'impulsi, onde sforzar gli uomini a sentire e vedere in
quel modo e in quel lume che si vuole, e a non poter far altri-
menti. Questa filosofia dunque precede 1'operazione, dirige Pese-
cuzione, determina cosi la disposizione del totale come i tratti
parziali. fe una condizione che entra nella cosa stessa, ma nascosta,
ma tacita, ma impercettibile; ma non & infine la cosa. Nel fatto
pratico non si accenna, non dee trasparire pur da lontano 1'anti-
1. fe definizione di Tacito, Dial, de orat., xxvi (« scampanellio di Gallione »).
2. Giover& qui citare le parole medesime del dotto Merian, le quali si al
vivo nell'autore latino i moderni autor ci dipingono, senza egli volerlo:
« Les objets y paroissent dans un faux jour et sous dcs couleurs factices.
Ce sont des bluettes, des e"claires, des tours de force; Ik des hyperboles
qui s'entrechoquent dans les nues; ici des petites pens6es qui tournent
sur une pointe, partout un e"chaufTaudage de propos sententieux, qui peu-
vent £blouir les jeunes gens, mais qui d^plaisent a quiconque a le gout
form6 sur des principes solides» (B.)- Cfr. la terza dissertazione del
Merian, nei «Nouveaux m6moires» ecc., cit, ix (1780), pp. 414-5.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 739
cipata meditazione e artificiosa dell'artista; n£ lo denno quelle
malizie le quali piuttosto qua che la '£ anno in questo o quel luogo
volgere il corso delPorazione. Sembra tutta determinata dal mo-
mento presente, dall'attual commozione. Si dirige tutta ad in-
vadere 1'uditore per una comunicazione o di fantasmi o di affetti ;
nonsi ripiega sopra di s6; e non sembra accorgersi pure di ci6
che fa, non che guidarlo colla riflessione. Ecco la vera filosofia
dell'oratore e del poeta: quella delParti d'imitazione, d'immagina-
zione, di commozione: quella delPeloquenza. Sembra ed & la filo
sofia d'uno che attualmente sente egli stesso, osserva, soffre ed
esulta, e che vuol propagare ci6 che sente in altrui per interno
bisogno, per un sentimento impaziente di espandersi e diffondersi.
Non vuol gia insegnare ad altri teoricamente come debbano os-
servare e sentire.
Questa filosofia poi che parte 6 di natura e parte d'arte, e che
& la filosofia pratica delle belle lettere, si spiega, a dir vero, e
dimostra assai apertamente per una cosa assai fina e sottile; ma
non gia nelle opere di chi fu filosofo in belle lettere a quel modo
che lo 6 chi scrivc e compone per un senso segreto di dettami e
principii passati in abitudine. A quel modo che Mengs1 lo era di-
pingendo, assai diverso da quello con cui eralo mentre sulle cose
dipinte spargea tanta luce di metafisica. Fina e sottilissima invece
si palesa nelle sole opere di chi filosof6 su le belle lettere, espo-
nendone le teorie e le segrete forme analitiche, come Aristotile
anticamente e piu recentemente Hume, nella filosofia della ret-
torica Blair, Campbell,2 e tanti e tant' altri. Anche la discussione
presente, per esempio, non & gia un lavoro di belle lettere; n'6 uno
di filosofia sopra le belle lettere. Ma perch6 sia sottile e fina quella
filosofia, non lascia gi& d'essere percib puramente una filosofia
pratica e di cuore soltanto e di fantasia. Per Popposto la filosofia,
di cui sotto nome di filosofismo parlavamo piu sopra, come di
cosa viziosa, nel caso & filosofia di dogma, di teoria, d'intelletto.
Se son dunque contrarie d' indole, deve nuocere che una occupi
il luogo dell'altra contro Toriginale costituzione della cosa. Su
questa contrariety di natura assai cose sarebberci a dire, ma le
i. Sui Mengs e le sue teorie estetiche cfr. le note alle pagine del Milizia
e dello Spalletti riprodotte in questo volume. 2. George Campbell (1719-
1796), autore di una Philosophy of Rhetoric (1776) di orientamento em-
piristico.
740 MATTEO BORSA
dice in parte, e in tutto il rigore della formalitk metafisica, il sag-
gio prime,1 determinando la natura della fantasia e mostrandola tut-
ta rivolta ad oggetti estremamente lontani da quelli che cerca il
raziocinio, cio& I'intelletto, nelle cose di filosofia. E negli «Atti»
poi dell'Accademia di Padova stampati due anni dopo questa dis-
sertazione, & piu ampiamente esposta dal chiarissimo signer Sibi-
liato la diramazione di principii assai simili in una gran quantita
di relazioni e confronti.2
Ora ci6 posto, non & perfettamente ben detto (se si dice in un
senso d'opposizione die accuse qui date al filosofismo) che Omero
filosofb in versi, perch6 descrisse tante cose fisiche e intellettuali
e politiche e religiose. Tocchi leggeri, rapide pitture immaginose,
semplice esposizione disinvolta d'opinioni e di riti non 4 il ragio-
nare, il discutere, il teorizzare, Panalizzare minutamente, artista-
mente,3 scientificamente su quegli oggetti, come si fa ora per tutti
i versi possibili. 6 un espor da poeta un qualche lato piu vistoso,
piu sensibile, piu volgare e palpabile d'un qualche soggetto che
per s6 e in origine appartiene alia filosofia. Le relazioni ch'ei cerca
tra le parti di questo soggetto son diversissime da quelle che vi
cerca la filosofia. L'uno, le somiglianze superficial! e materiali;
T. il saggio primo: allude evidentemente al proprio saggio Delia fantasia,
pubblicato nelle «Memorie della reale Accademia di Mantova», I (1705),
e poi ristampato nelle Opere, tomo in. Sui concetti fondamentali di questo
saggio cfr. la Nota introduttiva. 2. negli « Atti » . . . confronts: allude al saggio
dell' abate Clemente Sibiliato (su cui cfr. la nota i a p. 305 e anche la Nota
introduttiva al Borsa) Sopra lo spirito filosofico nelle belle letter e> pubblicato
nei «Saggi scientifici e letterari» dell' Accademia di Scienze, Letters ed
Arti di Padova, I (1786), pp. 456-509. II Sibiliato, ricordando che talc saggio
era stato scritto e letto fin dal 1779, si vanta di essere stato il primo in
Italia e fuori che «sotto nuovo intendimento se la prenda pubblicamente
contro lo spirito filosofico introdotto o piuttosto intruso nelle umane
lettered A quanto si e detto su di esso neila Nota introduttiva, si ag-
giunga che, sebbene egli citi il Vico solo per deplorare che abbia vo-
luto trovare neH'J/uzdfe la «storia graduata della societ&», echi vichiani
si avvertono spesso nelle sue pagine, come per esempio quando dice che
la «poesia come la primogenita del coltivato spirito umano , . , in ogni
tempo e luogo ebbe a fiorire innanzi alle scienze, appunto come la fantasia
spunta prima della ragione, tutta grande ed attuosa fin dai suo nascere,
lanciandosi per rapida intuizione nel modo che gli occhi corporei eserci-
tano il loro potere, e non gi& procedendo per consecutiva serie di principii,
siccome fa la riservata ragione» (p. 470). Delia dissertazionc del Sibiliato
dette notizia anche il Cesarotti nelle sue Relaxioni accademichc (cfr. Opere,
xvil, Pisa, Tipografia della Societ& Letteraria, 1803, pp. 43-6), ma limi-
tandosi ad appro varne genericamente gli intendimenti. 3. artistamente:
artificiosamente.
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 741
1'altra, le condizioni intime essenziali. L'uno, una qualche simi-
litudine; Paltra, le analogic gradatamente condotte. L'uno, una
qualunque dipendenza di omogeneita apparente; Faltra, Fintrinse-
co delle cagioni e degli effetti. Uno vede e narra ci6 che vede;
I'altra insegna e a vedere e ad intendere anche diversamente da
qucllo che si vede. Cosi analizando si espose nel saggio accen-
nato.1 Neppur e perfettamente ben detto,* in quel senso, che Pin-
daro fu filosofo per la gravita ed abbondanza di sentenze; e cosi
Simonide e Alceo, se pur somigliano a Pindaro, giacch6 non li
conosco. Anche la fantasia ed il cuore dan delle occhiate alia mo
rale, ma piu per sentimento che per dottrina. Sfuggon loro tal-
volta delle sentenze, ma su la morale comune, piana, popolare,
sui dettami universali e notissimi; e sono subito investite dal-
la corrente dell'affetto e dal moto delle pitture, come da loro fu-
ron portate. Non sono analisi e sminuzzamenti pesati e sottili,
non alludono alle teorie e ai segreti speculativi delle scuole;
che sarebbe una ridicolezza, per convincere e commuovere il pub-
blico, proporgli e motivi e ragioni che non pu6 intendere n6 af-
ferrare. Neppure e detto perfettamente bene che Euripide con-
trar non pot6 dalla filosofia i difetti di che comunemente £ ac-
cusato, perch6 la filosofia a suoi di non era assai raffinata in
morale; contraendo e mutando, non so come, tutto in un trat-
to la mia proposizione col dare improwisamente un nuovo senso
alia parola « morale ». Perch6 se la morale in quanto scienza del
mondo, come qui 1'intende Arteaga, non era a grande altezza, bol-
liva per6 un'infinita di quistioni in morale speculativa, in teo-
gonia, ec. ec., come 1'intendo io. L'esempio poi di Dante e di
Milton conferma anzi la mia idea egregiamente, perch6 Dante e
Milton, se non contrassero dalla filosofia (trista a lor di) la sma-
nia di dogmatizzare e ammonticchiar dottrinali ne' lor poemi,
la contrassero bene dalla teologia speculativa, che & la filosofia
metafisica applicata alle cose divine. Tanto & prepotente questo
contagio, che non rallenta per distanza che lo separi dalle idee
e dai bisogni della vita comune. Ma Sofocle e Aristofane ed altri
non furon cosi, dice Arteaga. Ma non & nemmen detto dal si-
gnor di Merian che tutti senza eccezione lo fossero, come pur ades-
i. nel saggio accennato: il proprio Delia fantasia, z. Neppur . . . ben detto:
qui e in seguito ribatte alcune affermazioni particolari dell' Arteaga nella
sua seconda nota citata.
742 MATTEO BORSA
so nol sono. Quanto ai Latini poi, vere son le cagioni delPelo-
quenza tra loro degenerata, che si adducono dal mio dotto spa-
gnuolo: «L/arte della declamazione introdotta, i retori, la libertk
perduta, 1'affluenza degli stranieri, il desiderio di sorpassar gli ot-
timi, Timitazione dej Greci viventi gia corrotti». Ma queste a
considerarle dappresso determinano in genere Fanimo alia cor-
ruzione per la dimenticanza e il fastidio de' modelli eccellcnti:
non piu. Onde dunque questa speciale indole di corruzion filosofi-
ca? Dal filosofismo, ch'e in voga, e che trovando gl'ingegni rilas-
sati e gli aditi aperti, gli occupa e li precipita tosto per mancanza
dei ripari distrutti. Se il secolo d'Augusto, benche" dalPavver-
sario di Merian si dica il secolo filosofico, non produsse a un certo
segno questo fenomeno, egli e perch6 e necessario un certo spa-
zio di tempo al dilatarsi dei gusti e delle opinioni. E se Lucrezio fu
grande, nol fu gi& perche" prendesse a trattare di proposito materie
filosofiche, ma perche* a dispetto dell'assunto non felice fu si gran
poeta per6, dove poet6, che fe' scordare tutte le lungherie della sua
fisica, come i bei passi di Milton e di Dante la loro teologia. M'ap-
pello allo stesso Arteaga nell'opera delle Rivoluzioni* dove si di-
chiara ampiamente ed esplicitamente di questo parere. Di Vir-
gilio e d'Orazio poi si posson ripetere le stesse cose che di Pindaro
e Omero. E qualche tratto pivi lungo d'astronomia, per esempio,
o di teogonia, e ci6 in un poema didascalico, e ci6 lanciandosi tosto
immaginoso attraverso la teoria per darle anima e vita, non pro-
van contro di me. Se si abbadi anzi al modo e alia proporzione,
apparir& una opposizione palpabile colle conseguenze che Top-
portunitk forse piti che la persuasione ne suggerisce all' abate Ar
teaga. Egli troppo e gusta e sa per non sentir cosa'provi, oltre i
citati, Tesempio del filosoficissimo Cicerone, che appena lascia fug-
gire nelle sue orazioni qualche raro cenno e fugace di quelle greche
dottrine che pure nelPaltre opere sue indefessamente ripete sotto
tutte le forme possibili, e anche sotto le oratorie. Demostene, cosl
pieno di scienza platonica, pur dalle orazioni sue non pare che
avesse mai dato un sol passo verso TAccademia. Cosl erano i poeti
del secolo d'Augusto, coltissimi, finissimi, profondissimi, tutto
quello che vuole il nostro Arteaga, ma quanto alPessere filoso-
fi nel senso di questo articolo, ci ho una infinita difficoltJi. Ca-
i. Le rivolustioni del teatro musicale italiano dalla sua origins fino al presents
(Bologna 1783 e Venezia 1785).
I VIZI DEL CORRENTE GUSTO IN BELLE LETTERE 743
tullo, dice il signer Sibiliato, avea il soprannome di dotto.1
Se cosi &, in verita die neppur io non saprei indovinare cosa ci
restasse per gli altri di questa merce. Ma non cosi i men buoni
scrittori, sebben forse in sostanza niente piii dotti. La ricerca-
tezza e la stringatura di Persio; la declamazione e il continue dis-
sertare invece d'agire de' personaggi di Lucano; la profusione di
teoremi e teorie negli altri non sono filosofia quanto alia materia
che hanno per mano, ma son bene vizi filosofici, perch6 affet-
tano lo stile, la disposizione, il giro, 1'aspetto che da alle materie
il filosofismo e la fredda speculazione. E cosi questo filosofismo
anche dove non pu6 intrudere le sue merci, lavora per6 sorda-
mente la perdizione delPeloquenza ccalterando lo stile » come giu-
stamente accenna Arteaga «ed ammorzando 1'entusiasmo del-
Pimmaginazione, e sostituendo la fredda analisi alia vivacita del
sentimento, e ingombrando d'inutilissime astruse teorie quel sen-
tiero ch'esser dovrebbe di facilita e di chiarezza». Le eresie lettera-
rie de' filosofanti francesi, ch'egli ricorda, non fanno che aggiugnere
un novo lume alle riflessioni proposte . . .
i. Catullo . . . dotto: cfr. il saggio citato del Sibiliato, p. 467.
CLEMENTINO VANNETTI
NOTA INTRODUTTIVA
«La mia fir a Stella m'ha collocato in un paese piccolo, senza
maestri; non son mai uscito di queste angustie; ho studiato sem-
pre da me senza metodo e per diletto, d'una cosa in altra passando,
come il caso ed il capriccio volea. Confesso d'aver sentito diversi
amori quasi periodic! ; il mio primo idolo fu Giampietro Maffei,
indi Plauto e Terenzio, poi Cicerone e Ovidio per piu anni, final-
mente Plinio ed Orazio e fra i nostri il Chiabrera, I'Algarotti, il
Frugoni, Boccaccio e Petrarca. Vegga quale irregolarita di studi
e in conseguenza che scarso e povero fondo debba esser il mio. »
Cosl, in una lettera del 28 luglio 1784 a Giambattista Giovio, il
Vannetti cercava di giustificare i risultati, in verita alquanto scarsi,
della sua attivitk letteraria. Ma era dawero colpa di una fira
Stella, della sua nascita in un paese piccolo e privo di maestri,
come egli affermava (del resto senza troppa convinzione), o piut-
tosto della sua stessa indole aliena per natura da interessi profondi
e costanti, poco portata ad impegnarsi organicamente in una dire-
zione ben determinata? Che proprio tale fosse Pindole del Vannet
ti & testimoniato anche dalle notizie biografiche che si possono trarre
dai suoi carteggi e dai ricordi dei suoi amici, e che tutte concor-
dano nel delineare il ritratto, se non di una «devota animetta»,
come diceva il Foscolo, certo di un uomo di ideali e affetti umani
alquanto limitati, dai temperamento cordiale ma incapace di veri
e propri appassionamenti : il ritratto insomma di un uomo in
fondo soddisfatto della comoda e tranquilla monotonia e delle mo-
deste glorie della sua vita di agiato letterato di provincia. A questa
vita egli era stato senza dubbio avviato, si pu6 dire, fin dalla nasci
ta, awenuta il 4 novembre 1754. II padre, Giuseppe Valeriano,
gentiluomo d'origine veneziana, letterato di fama locale e fonda-
tore della roveretana Accademia degli Agiati, era morto poco dopo
la nascita del figlio. Ma la madre, Luisa Saibante, autrice di prose
e di versi lodati dai Metastasio, e di carattere autoritario (Clemen-
tino, nelle lettere agli intimi, la chiamava scherzosamente «il pa
pa))), assunse personalmente Teducazione del figlio, e se ne com-
prese e second6 le inclinazioni per gli studi letterari, non contri-
bui certo a spingerlo ad uscire fuori della piccola patria per allar-
gare le sue esperienze e la sua cultura. Ma che il Vannetti da
748 CLEMENTINO VANNETTI
parte sua si acconciasse di buon grado alia amorevole tirannia della
niadre, 6 confermato dal fatto che anche divenuto mature non si
mosse da Rovereto che una sola volta, nel 1788, per compiere un
viaggio di poche settimane a Verona, a Venezia, a Padova e in
altre citta venete, dove solo allora pote conoscere di persona il
Cesarotti, il Pindemonte, il Cesari, e frequentare il salotto di qual-
che dama dilettante di letteratura, come Silvia Curtoni Verza ed
Elisabetta Mosconi. Da allora fino alia morte, awenuta il 13 marzo
1795, egli non cerc6 piu di uscire da Rovereto, accontentandosi di
dividere il suo tempo fra la sua casa roveretana e la villa «Le
Grazie» (dove il Cesari fara svolgere il suo dialogo omonimo);
fra le conversazioni di pochi amici, come e soprattutto Fabate
Giuseppe Pederzani e Marianna Chiusole de' Givanni, alia quale
era legato da un moderate affetto tra platonico e letterario, e le
periodiche adunanze deirAccademia degli Agiati, di cui era stato
nominato fin dal 1776 segretario perpetuo; fra le ore dedicate allo
studio e quelle consacrate a mantenere tutta una serie di carteggi
assidui (che gli costavano la somma annuale, allora enorme, di
quattrocento fiorini) sia con amiche letterate come le dame gik
ricordate, sia con alcuni scrittori a lui piu vicini per indole e per
orientamento di gusto, quali il Bettinelli, il Bertola, il Pindemonte,
il Monti, e soprattutto il Tiraboschi e il Cesari.
Tutto preso com'era nel cerchio di queste occupazioni egli do-
veva sentirsi perfettamente in pace con se stesso tanto da non
awertire il bisogno di impegnarsi in attivitk civili o comunque di
carattere pratico. Si 6 voluto da qualcuno attribuire al Vannetti
veri e propri atteggiamenti di fattivo « patriottismo di frontiera»,
e addirittura il merito di aver tenuto desta e salva Fanima tren-
tina, «trasformando FAccademia degli Agiati in un focolare d'ita-
lianita)) (Natali). In realta, se 6 vero che nelle sue lettere e altrove
si colgono a volte espressioni di insofferenza verso i Tedeschi e
rivendicazioni della italianitk della sua regione (dtaliani noi siam,
non tirolesi » scriveva per esempio in un sonetto al Tiraboschi), non
& meno vero che queste espressioni e rivendicazioni, tradizionaii
del resto nella cultura trentina dal Tartarotti in poi, non si con-
cretano in una precisa volonti d'azione come, per scegliere
Fesempio di uno scrittore a lui per vari aspetti paragonabile,
in un Galeani Napione. N6, malgrado Finsistenza del Cesari su
questo aspetto, si pu6 dire che la sua fede religiosa, senza dubbio
NOTA INTRODUTTIVA 749
sincera, abbia riflessi degni di nota nella sua vita e nella sua opera.
Ma, anche senza tener conto di queste indicazioni, la sua intima
incapacity di impegnarsi in modo profondo ed organico si manifesta
gia chiaramente nella sua stessa attivitk letteraria. Di non possedere
vere e proprie doti poetiche era consapevole egli stesso, tanto che
si Hmit6, per questa parte, a comporre alcuni sermoni ed epistole
in sciolti e qualche epigramma e capitolo bernesco. Piu numerosi
sono i suoi scritti in prosa latina e italiana: ma anche quando non
si tratta di « elogi » di concittadini ed amici, essi si presentano per
lo piu come opere « occasionali » nel senso piti umile della parola,
e comunque sempre aduggiati da una certa accademica e oziosa fri-
volezza. Neppure fra quelli di argomento critico, filologico ed eru-
dito si ritrovano lavori condotti con informazione dawero esau-
riente e sistematicitk scientifica: a parte la sua ignoranza, se non
del greco (come egli affermava), certo del tedesco e delFinglese,
quasi tutte le sue indagini in questo campo nascono come recen-
sioni di scritti altrui o come considerazioni slegate e sparse; e
tali sono anche le Osservazioni intorno ad Orazio, P opera sua di
maggior impegno, costituitasi a poco a poco durante quattordici
anni, dal 1778 al 1792, piuttosto per lenta accumulazione che se-
condo un piano meditato. Testimonianza della dispersivitk della
mente del Vannetti & per altro verso la sua tendenza ad esprimere
e a comunicare le sue idee e i suoi sentimenti soprattutto nella
forma rapida e conversevole della lettera, dove egli poteva inserire
un giudizio critico o una notizia erudita tra i garbati complimenti
rivolti al corrispondente e le informazioni sulle proprie occupazio-
ni giornaliere e sulla salute della madre.
Entro questi limiti va riconosciuta, tuttavia, nell' opera del
Vannetti la presenza di un motivo costante e non privo di origi-
nalitk: il vagheggiamento di un ideale stilistico che, se prende le
mosse dal classicismo sensistico del Parini e dei lirici oraziani e
ancor piu dal purismo accademico e nazionalistico del tardo Bet-
tinelli, del Borsa, del Tiraboschi e del Galeani Napione, se ne
distingue per6 sia per una piu insistente rivendicazione del valore
delle « parole» rispetto a quello delle «cose», sia soprattutto per
la consapevole volontk di rinnovare e potenziare Pitaliano let-
terario richiamandolo alle radici originarie del suo «genio», rin-
vigorendolo cio& mediante Tinnesto di saporosi arcaismi tratti dal
latino e specialmente dalla lingua trecentesca e cinquecentesca.
750 CLEMENTINO VANNETTI
Per comprendere esattamente la genesi e la natura di questo
orientamento occorre rifarsi assai piii indietro dell'episodio, che
si suole comunemente citare, del cosiddetto « ribattezzamento » in
Dante, awenuto nel 1786 per merito del Pederzani: occorre rifarsi
cio& proprio alia «gioventu latina» del letterato roveretano. Non
sono privi di interesse ai fini di questa ricerca neppure i primissi-
mi fanciulleschi scritti in latino di cui i biografi ci serbano noti-
zia, come le «imitazioni» rispettivamente dello stile del gesuita
cinquecentesco Gian Pietro Maffei in una traduzione latina del-
la vita di san Gottardo, e di quello dei comici latini nella Lampa~
daria, dove ~ narra il Cesari - Fautore «affermava non csservi
modo o parola che inPlauto io non avessi potuto trovare»: precoci
testimonianze di una non comune sensibilita linguistica, e in par-
ticolare di una capacita di riprodurre i caratteri stilistici di singoli
scrittori latini, che si ritrova poi in tutta una serie di brillanti eserci-
zi prosastici composti negli anni seguenti, dal ciceroniano Commen-
tarius de vita Alexandri Georgii (1779) agli elogi, elaborati nello
stile piano di Cornelio Nipote o in quello « vibrato, sentcnzioso
e nobile » di Tacito, alle numerose epistole fra ciceroniane e plinia-
ne, fino a quello che h il suo capolavoro in questo campo, il Liber
memorialis de Caleostro quum esset Roboreti (1788), dotta e spirito-
sa parodia del latino evangelico.
Ma questa sensibilita stilistica si riflette, fin dalPinizio, anche sul
piano critico. Non possediamo quelle considerazioni sulla lingua di
Plauto, stese a tredici anni, di cui parla il Cesari, ma rimangono
due brevi lavori sulla lingua di Ovidio (Lettera al cavalier Carlo
Rosmini sopra la lingua usata da Ovidio e De Virgilii et Ovidii
Orpheo) e uno, in italiano, su Plinio il Giovane (1783), nei quali
si possono cogliere alcuni precisi e gustosi giudizi sui particolari
atteggiamenti stilistici di ognuno di questi scrittori ; alcune epistole
latine in cui il Vannetti sostiene, contro il d'Alembert e il Giorgi, la
legittimita di impiegare in opere letterarie moderne la lingua la
tina; e infine, piu importante, una lettera, pure latina, allo spa-
gnolo Serrano, intesa a ribadire con nuovi argomenti il giudizio
limitativo del Tiraboschi su Marziale e la superiority su questo
delFitalico Catullo, ma soprattutto utile a chiarire come il culto del
latino nel Vannetti si venga fin d'ora configurando quale difesa
di una tradizione linguistica connaturata alia cultura letteraria
italiana e capace di operare tuttora efficacemente su di essa.
NOTA INTRODUTTIVA 751
In questi primi scritti, comunque, il classicismo nazionalistico
del Vannetti rimane ancora generico, come appunto nel Tiraboschi.
Solo in un secondo momento, attraverso Pincontro con Orazio, e
soprattutto con 1J Orazio delle Satire e delle Epistole, tale orienta-
mento si viene precisando in modo piti. originale e personale. 6
senza dubbio possibile che a questo incontro abbia contribuito an-
che una certa congenialitk morale: ma dal complesso delle Osser-
vazioni intorno ad Orazio e da altre testimonianze contenute nelle
lettere italiane e latine si vede chiaramente che nella preferenza
del Vannetti per Orazio agiscono soprattutto ragioni di gusto: «Egli
& stretto e conciso » afferma a proposito dello stile dei Sermones « ma
insieme piano ed aperto. Ingemmato per6 a luogo e tempo di gen-
tili ed ingegnose espressioni: certo non mai rozzo, anzi stu-
diato, ma di quello studio ch'esclude la rafEnatezza, e talora imi-
ta la negligenza. Purissima vi risplende la lingua; e certi vocaboli
or piccanti e propri della satira secondo il latin costume, or nuovi
o di nuovo significato arricchiti, or anche bassi ma dalla colloca-
zion rilevati, vi fanno ottima prova per la giudiziosa distribuzione.
Ed havvi eletta copia non meno di detti proverbiali o tolti dal po-
polo o a questo donati dal bello ingegno del poeta, che d'eccellenti
sentenze maestrevolmente assestate. N6 non vi mancan figure e
metafore, se non isfarzose, certo leggiadre e da uomo di corte.
Ma due cose vi si paiono specialmente : viva istanza d'interroga-
zioni e compendiosa efficacia d'epiteti» (Opere, iv, pp. 25-6). A
restituire appunto la saporosa precisione ed energia dello stile di
Orazio, trascurata e travisata dalla faciloneria e dalPignoranza di
commentator! e traduttori, sono volti gli scritti filologici delle Os-
servazioni intorno ad Orazio : come quando, per portare solo qual-
che esempio, il Vannetti fa notare Terrore di tradurre (come il
Corsetti aveva tradotto) con il generico «vasi di creta» Toraziano
salinum, che invece & ricordato espressamente dal poeta, in luogo
di altro vasellame, «perch6 il sale appo i Romani era sacro, perch.6
la saliera era il primo arnese di che si fornivan le mense, ed il
piij caro e prezioso di quanti Tuom ne lasciava a' suoi discendenti »
(Opere, in, p. 24) ; o quando rimprovera lo stesso Corsetti di aver
mutato un'altra frase oraziana (Carm., in, x, 5-8) da interrogativa
in affermativa, senza accorgersi che «togliendo quinci 1'interro-
gazione, se ne toglieva la forza», con pregiudizio «se non in tutto
di senso, almen di poesia» (Opere, in, p. 30). Dal rilevare Tin-
752 CLEMENTINO VANNETTI
comprensione di queste caratteristiche bellezze di Orazio da parte
del traduttori e commentatori, al tentative di renderle egli stesso
in versioni proprie il passo non era difficile: ed e proprio attra-
verso questo tentative, e in particolare nella versione dell'epistola
a Mecenate (Epist., i, vn) che egli g& verso il 1780 viene a porsi
il problema di innestare «la forza e il nerbo» dello stile oraziano
nella lingua letteraria italiana. « Converti equidem » scriveva allo
zio Francesco Saibante, mandandogli appunto quella versione
«quam potui accuratissime rebus, ordine, imaginibus; addo etiam
stili genere, quantum sermo noster patiebatur. Nam acriora quae-
dam verba ac velut abruptos numeros de industria sum sequutus,
quo propius ad Horatii vim et robur accederem. In quo fateor
me magnam gratiam habere bono illi Chiabrerae, qui primus hunc
scribendi characterem Italiae ostendit . . . Prudens me conieci in
angustias, unde vix pedem, ut ipse ait Horatius. Volui enim plane
experiri, quid vel sermo noster, vel certe ipse possem» (Opera,
vni, pp. 193-4). Ispirati ai medesimi propositi sono anche al-
cuni sermoni ed epistole in versi sciolti, di argomento morale e
letterario, pure composti intorno al 1780. Ma il problema di tra-
sferire nella lingua letteraria italiana i caratteri dello stile satirico
oraziano e affrontato con piti chiara e piu polemica consapevo-
lezza nel discorso, composto qualche anno dopo, Sopra il sermone
oraziano imitato dagli Italian^ in cui il Vannetti, prendendo lo
spunto da un'affermazione del Bettinelli, che nelle Lettere virgilia-
ne aveva negato alia nostra lingua Tattitudine alia poesia satirica,
segue lo svolgimento del « sermone » italiano, attraverso i secoli,
dal Muzio al Gozzi. Tale discorso, per quanto condotto come
storia di un genere letterario che ha raggiunto una volta per sempre
la sua perfezione nei sermoni oraziani, non manca di acuti giudizi
critici, per esempio sulk scarsa congenial^ spirituale e stilistica
tra TAlgarotti e Tautore dei Sermones (« II venosino pativa alcuna
volta di mal umore, ed allentavagli il freno, esponea qualche vero
poco piacevole a lume aperto ed affrontava Paltrui disdegno senza
temerlo. II vinizian per Topposito se non era sempre dolce in cuor
suo, affettava sempre parere; cercava in ogni immagine, in ogni
frase una cotal vernice di galanteria cortigiana; e come colui che
della satira avea sommo ribrezzo, molto ben si guarclava di provo-
carla. Con tanto politica dissimulazione e raffinata dilicatezza certo
egli non poteva dall'un canto afforzar, dir6 cosl, le sue pistole della
NOTA INTRODUTTIVA 753
critica severita d'Orazio, e non dovea dall'altro imitar di questo
poeta se non i felici ardiri e le vaghe maniere, schifando a un'ora
quant'egli ha di popolaresco, non che di mordace. Or come spe-
rare che PAlgarotti ci desse dell'epistole veramente oraziane, e
non anzi d'una sua nuova foggia, pregna bensi di quelle grazie, ma
per6 tutta sua?)), Opere, iv, p. 52); sul Frugoni («Quel, sopra
tutto, che mel fa in ci6 riguardare come affatto da' venosini modi
lontano, si e una cotale affluenza di parole canora insieme e sner-
vata», Opere, iv, p. 70); sui sermoni del Gozzi («Ha certe sue fan-
tasie cosi fra Toraziano e il lucianesco, che provocan mirabilmente
il ghigno satirico, e senza esser bernesche sono oltre modo gra-
ziose. Quando descrive che che sia, spezialmente se stravaganze,
fa proprio quello a che & nato. Si lascia addietro il Chiabrera an-
che nel sapor della lingua e nel concerto de' versi. Brusco & talora
piu d'Orazio, e fa sentir nel suo stile generalmente come una cor-
da grossa, possedendo Tarte difficile di ben collocare e con digni-
ta, non che i proverbi, ma i vocaboli eziandio bassi, li quali sieno
per6 nel medesimo tempo risentiti ed asprigni », Opere, iv, p. 78) ;
ed anche sul Parini, il cui stile, « creduto da alcuni pretto oraziano »,
gli sembra invece che sormonti «d'un grado almeno quel del ser~
mone, tuttoch6 n'abbia qua e la delle tracce» (Opere, iv, p. 99).
Ma sia questi giudizi, sia in genere tutto il discorso sono da valu-
tare soprattutto come testimonianza di un gusto, e in particolare
di un ideale stilistico, che distinguendosi dairorazismo e in ge
nere dal classicismo «delicato» e conversevole dell'Algarotti e da
quello « canoro » e « snervato » del Frugoni, e appoggiandosi invece
ai modi piu sostenuti ed asprigni di un Parini e di un Gozzi, si pro
pone di richiamare, mediante un'accorta conciliazione fra il ge-
nio della nostra lingua «piii vereconda e phi morbida» e i modi
rapidi, energici, talora popolareschi di Orazio, «gringegni tra-
viati in languide inezie od in gonfiezze sonore o in lugubri e spa-
ventose follie, alia solidita delle cose, alia purita della lingua e al
vigor dello stile » (Opere, iv, p. 114).
C'6 in quest'ultima frase, accanto ad una chiara allusione alia
poesia arcadica (« languide inezie » e « gonfiezze sonore »), un rife-
rimento non meno esplicito alia letteratura preromantica (« lugubri
e spaventose follie »). La sua opposizione a questa letteratura il
Vannetti aveva chiarito fin dal 1780 soprattutto in una epistola
al Monti, e poi, nello stesso anno, in una cortese polemica col
48
754 CLEMENTINO VANNETTI
Cesarotti, occasionata dalle riserve di questo su qualchc severe
giudizio, contenuto nella epistola, intorno al Thomas e ad alcuni
poeti tedeschi tradotti dal Bertola. £ evidente, nel Vannetti, la
suggestione dei solenni ammonimenti lanciati dal Bettinelli nel
suo discorso Sopra lo studio delle belle lettere in Italia (citato del
resto in una nota della ricordata epistola al Monti) contro i peri-
coli deirimitazione delle nuove mode straniere. Ma, a ben guar-
dare, la opposizione del Vannetti, specialmente nelle lettere al Cesa
rotti, si ispira ad un classicismo piu dinamico di quello del lette-
rato mantovano, e tale anzi che per piti di un aspetto, per quanto
possa sembrare strano a prima vista, finisce per accordarsi con le
idee del Cesarotti medesimo. Attraverso Pamichevole discussione
con questo il Vannetti finisce per accogliere da lui anzitutto un
concetto fondamentale, che cioi - come 6 detto nella lettera del 23
settembre 1780 (riportata anche in questo volume, a pp, 772-7) -
il primo dovere dello scrittore e quello di « cercar i colori della na-
tura e Pespressione del proprio sentimento e non altro)>; e quin-
di che a tale scopo giova, anzi & necessario, arricchire il «gcnio ret-
torico» della lingua, valendosi anche e soprattutto di opportune
traduzioni da altre lingue. La divergenza si riduce dunque «a
questo solo, se molto o non molto possano a noi sommmistrare
gli oltramontani poeti » : domanda a cui il Vannetti risponde nega-
tivamente, ma proprio richiamandosi al principio cesarottiano del-
la libera individuality della poesia: «Tengasi dunque la natura e
Titaliano segua appunto nello scrivere il suo spirito ed il suo cuore.
S'egli k, ingegnoso, lo sia alia propria maniera: e non faccia forza a
se stesso volendo imitare Pingegnoso tedesco. Infine o siam cupi
o profondi o energici o teneri o immaginosi, siamolo alPitaliana,
non g& per studio alia tedesca, alPinglese, alia moscovita . * . Tutte
le nazioni hanno un medesimo volto ; ma pure ciascuna ha la sua
speciale fisionomia».
fe appunto a questo classicismo dinamico, dichiaratamente anti-
preromantico, ma ravvivatosi attraverso le Osservazioni intorno ad
Qrazio e la polemica con il Cesarotti di fermenti preromantici,
che occorre richiamarsi per comprendere esattamente Pultima e
conclusiva conversione del Vannetti al purismo toscaneggiante,
e in particolare per distinguere tale purismo da quello dei cruscanti
settecenteschi. II Cesari nella sua Vita del Vannetti presenta que-
sta conversione come una specie di improwiso miracolo, inter-
NOTA INTRODUTTIVA 755
cessore Famico Giuseppe Pederzani, studioso di Dante e fana-
tico del Berni : « il fatto e che dopo assaporato quelF antico Falerno
[il toscano antico] e tutto riconfortatosene, questo de' moderni,
sebben piu molle, gli sapea un acquerello scipito». Ma che il let-
terato roveretano fosse consapevolmente guidato verso il toscano
antico da quello stesso ideale stilistico che abbiamo visto pro-
gressivamente precisarsi, e confermato proprio da una lettera (ri-
portata in questo volume a pp. 778-82) al Cesari medesimo del 2
giugno 1787. Nella quale il Vannetti, pur ammettendo la necessita di
rifarsi ai modelli trecenteschi toscani, ne limita Fimitazione, adot-
tando la famosa distinzione cesarottiana, al solo « stile rettorico»,
contemperandola, per quanto riguarda lo « stile grammatico », con
quella dei «precisi» e «svelti» cinquecentisti, e in defmitiva subor-
dinando Tuna e Paltra all'esigenza di arricchire e rinvigorire la lin
gua letteraria italiana e di esprimere meglio in tal modo il proprio
sentimento individual: «studiate la lingua ne' trecentisti, poiche"
di tutt'i buoni italiani la lingua esser non dee che una sola: lo
stile poi, purche" non corrotto, debb'esser quello delPanima e del
cuor di ciascuno».
Tenendo present! quest! principii sara possibile dare degli stessi
scritti in volgare del Vannetti un giudizio meno severo e piu pre-
ciso di quello del Foscolo che li definiva « accademiche lascivie».
Essi infatti, se non rivelano una robusta e originate personalita di
scrittore, non sono privi di interesse quando li si valuti, come del
resto intendeva Fautore, quali esercizi ed esempi del nuovo stile
italiano da lui vagheggiato : e non solo i tredici Dialoghi, composti
fra il 1783 e il 1794, intorno ad argomenti vari di morale e di let-
teratura (fra cui fe notevole La scuola del buon gusto nella bottega
del caffe - riportato parzialmente anche in questo volume -, pa-
rodia della poesia lugubre e gessneriana), le novelle in stile boc-
caccesco, le rime bernesche e il vastissimo epistolario ; ma anche le
stesse Osservazioni intorno ad Qrazio^ soprattutto nella revisione
che il Vannetti ne fece prima di raccoglierle insieme nel 1792, dedi-
candole alFAccademia della Crusca, e piu ancora nella rielabora-
zione preparata per una seconda edizione, e in cui furono ag-
giunte non poche note dirette esplicitamente a giustificare con
esempi boccacceschi, danteschi, petrarcheschi, ecc., i vocaboli e i
modi impiegati dalFautore. Interrotti dalla morte precoce furono
invece due suoi progetti, ai quali accenna il Cesari, rispettivamente
756 CLEMENTINO VANNETTI
di «un solenne trattato sopra Teleganza)) del toscano, che avrebbe
dovuto integrate Fopera del Deputati sopra il Decamerone] e di un
altro trattato «in cui dimostrare qual dovesse esser lo stile del
toscano scrivere che fosse oggidl da seguire»; e per la medesima
ragione rimasero incompiuti gli spogli linguistic! di trecentisti e
cinquecentisti per la nuova edizione del Vocabolario della Crusca^
dei quali era stato incaricato fin dal 1784. Ma se qucsti piti am-
biziosi e sistematici progetti non furono portati a compimento
(e forse non lo sarebbero stati neppure se egli fosse vissuto piu
a lungo), la sua lezione stilistica, amabilmente dispersa negli scritti
rimastici, resta in ogni caso, come il Cesari stesso per primo
riconosceva, uno dei piu efficaci stimoli per la formazione del
nuovo gusto puristico e piti generalmente del neoclassicismo ita-
liano del primo Ottocento.
La maggior parte delle opere del Vannetti & raccolta negli otto volumi
delle Opere italiane e latine, pubblicate per cura dell' I. R, Accademia di
Rovereto, a Venezia, Alvisopoli, 1826-1831. In particolare il volume I
comprende, tra 1'aitro, i tredici Dialoghi; il volume n, 11 laxsaretto lette~
rariO) Le cose pliniane e La questions con Clemente Baroni intorno aWin-
fluenza della filosofia e della cultura letter aria sulla religione] i volumi Hi, IV,
v contengono le Osservazioni intorno ad Orazio (fra cui, nel volume IV,
le Osservazioni indirizzate alVab. S. Bettinelli sopra il sermone orasiiano imi-
tato dagli Italiani) ; il volume vi, oltre a varic operette in prosa, ie poesie
italiane (fra cui le Epistole e i Sermoni)- i volumi vii e VIII, il Liber memo-
rialis de Caleostro e le altre opere in latino. Questa edizione deve essere in-
tegrata con due volumi di Prose e poesie inedite, Milano, Bernardoni, 1836;
e con molte raccolte di lettere pubblicate in vari tempi. Tra queste raccolte
le piu ampie e important! sono: Epistularum libri V, Pavia 1795 ; Epistolario
scelto, a cura di B. Gamba, Venezia, Alvisopoli, 1831; Veducastione lette-
raria del bel sesso promossa dal cav. CL Vannetti in alcune sue lettere e poesie
inedite, Milano, Pirotta, 1835 ; Lettere di CL Vannetti e Ippolito Pindemonte,
a cura di G. Orti Manara, Verona, Antonelli, 1839; Carteggio fra G, Ti-
raboschi e CL Vannetti (1776-1793), a cura di G, Cavazssuti e P. Pasini,
Modena, Ferraguti, 1912 (su cui cfr. V, CIAN, in «Rass. bibl. d, lett. it. »,
xxi, 1913, pp. 2-1 1). Per altre edizioni di lettere e per carteggi vannettiani
ancora inediti cfr. : G. PICCIOLA, V Epistolario di CL Vannetti, Firenze, Ti-
pografia del Vocabolario, 1881 ; e C. POSTINGER, / manoscritti di CL Van
netti, in «Atti dell* Accademia degli Agiati» di Rovereto, xiv (1908), pp,
199-224. Postuma & stata pubblicata anche la Vita di Girolamo Tartarotti,
a cura di G. Amalfi, Napoli, Priore, 1889, con una appendice contenente
un elenco degli opuscoli vannettiani stampati dopo il 1800.
NOTA INTRODUTTIVA 757
Scarso valore critico ha la lunga Vita premessa da A. Cesar! all'edizione
citata delle Opere, la quale tuttavia va tenuta presente come un interes-
sante documento dell'ammirazione e venerazione del letterato Veronese per
il Vannetti. Piti utili lo studio citato di G. Picciola; i lavori di F. PASINI,
La personalita di CL Vannetti, Rovereto 1899; // Vannetti, profilo, Rove-
reto 1907; e Di alcuni giudizi di CL Vannetti sulla letter atur a contempora*
nea, in « Tridentum », x (1901) e xr (1902); lepaginedi G. NATALI, 21 Set-
tecento, cit., pp. 1189-90 e 1204-5 (bibliografia) ; e soprattutto di W. BINNI,
Lo sviluppo del neoclassicismo nelle discussioni sul ((gusto presenter, in «An-
nali della Scuola Normale Superiore» di Pisa, S. II, vol. xxxi (1953), pp.
275-89.
DAI ccDIALOGHI))
DIALOGO V
La scuola del luon gusto nella bottega del caffe.
. . . E. Capo primo.1 «I1 Settentrione & la scuola delPottimo gusto;
pregiudizi delP Italia su ci6: il clima gelato influisce a maravi-
glia su 1'arti di fantasia.)) Questa mi sembra una proposizione
affatto nuova.
A. Ma se vi dico die tutto il libro & una novita: tirate innanzi.
E. Capo secondo. «Le parole non sono che segni di conven-
zione a spiegar le idee. Dunque Teleganza e una chimera fuor di
moda, ed il progetto d'un'accademia di lingua e ridicolo.» Capo
terzo. «I1 linguaggio degli affetti & il medesimo in tutti i po-
poli, ed & una pedanteria la distinzione fra '1 genio grammati-
cale e '1 genio rettorico d'un idioma.2 Dunque liberta di voci e di
sintassi straniere in ogni idioma. »
I Dialoghi del Vannetti furono pubblicati per la prima volta nel lunario
roveretano intitolato «L'Eremita», tra il 1783 e il 1794, uno per anno,
e quindi ristampati dopo la morte deH'autore, nella rielaborazione che
questi ne aveva fatto nel 1794 e con 1'aggiunta di un tredicesimo dialogo,
La moglie (pubblicato la prima volta per nozze nello stesso anno), nelle
Opere, I, pp. 1-197. In tutti i dialoghi, salvo che nell'ultimo, protagoni-
sta e sempre 1'Eremita, al quale il Vannetti affida il compito di espnmere
di volta in volta, sotto il velo dell'ironia, le proprie idee morali o letterarie.
Tra essi sono degni di nota il n (/ temi), sulla moda delle traduzioni
di opere straniere; il in (II teatro), sull'utilita educativa del teatro, il iv
(La letterata), satira delle donne dilettanti di letteratura, e in particolare
delle fanatiche della lingua e della letteratura francese; Pxi (Gli studi),
difesa degli studi umanistici, e soprattutto della «cura delle parole »
e della poesia. I due passi qui riprodotti (dalle Opere, I, pp. 56-63 e
68-70) appartengono al dialogo v, intitolato La scuola del buon gusto nella
bottega del caffe (1787), che vuol essere una satira di alcuni aspetti della
contemporanea letteratura preromantica. Gli interlocutori, oltre 1'Ere-
mita (E.), sono P abate Buonnaso (A.), il conte Russone (C.) e Fabrizio
(F.), padrone della bottega del caffe.
i. Capo primo: nelle pagine che precedono, 1'abate Buonnaso ha mostrato
all'Eremita un libro intitolato La crisi benefica del gusto ovvero Dettagli e
quadri d'eloquenza e poesia per gVItaliani del secolo illuminate. Qui 1'Ere-
mita comincia a leggere e a commentare i « sommari de* capi della parte
teorica» di questo libro. 2. la distinzione . . , idioma: e la nota distinzione,
che il Cesarotti aveva esposto per la prima volta proprio al Vannetti in
alcune lettere del 1780 (nprodotte anche in questo volume, a pp. 506-13);
e poi svolto nel Saggio sulla filosofia delle lingw\ e che il Vannetti stesso
accoglie anche nella lettera al Cesari riportata a pp. 778-82.
?o CLEMENTINO VANNETTI
A. Che capo divino e questo! bisogna vedere come bene vi si
ribatte mezza la poetica d'Orazio, massimamente la dove si dice
ch'ei dica che un cittadino di Tebe parlerk altrimenti che un
cittadino d'Argo.1 Eh son finite oggimai le superstizioni, e gl'idoli
cadono a terra.
E. Capo quarto. «Essendo Feloquenza e la poesia egualmente
figlie delle passioni, e trovandosi queste nel cuor d'ogni uo-
mo, si rende superfluo il ricorrere a' modelli consecrati dal tempo.
Danni perci6 deirimitazione, inutilita de' precetti, e bando neces-
sario di tutti gli antichi autori, che sono i tiranni dell'ingegno. »
A. lo piango ancora i miei prim'anni miseramente perduti dietro
a quej barbogi di Cicerone e di Virgilio. Buon per me, che di tut-
ta quella broda mi s'e appiccato addosso pochissimo. Ma fu certo
mia gran ventura che una brutta dama contemplativa mi desse
in mano le Notti dell' Young ed il Messia del Klopstock;2 fu allora
che mi si apersero gli occhi dell'intelletto.
c. Oh in questo poi, bench'io non abbia mai atteso a tai baie,
dico che avete cento ragioni. Ricordami che essendo io un giorno
in camera d'un amico, e trovandogli sul tavolino un certo Bocca . . .
Bocca . . .
A. Boccaccio.
c. Bravo; ed un certo Dante, de' quali avea gia udito maravi-
glie, mi posi a scartabellarli cosi per curiosita; ma, non ne po-
tendo piu, li gittai a Dio gli rivegga, e dissi al padrone:— Che
vergogna e egli cotesta di adorar libri che ti fanno dormire, per
ci6 che sien vecchi ? — L'amico, ch'era benissimo un'eccellenza, fece
bocca da ridere, e mi confess6 ch'ei gli leggeva per tenersi in ripu-
tazione, ma che non gli era mai venuto fatto d'intenderne fiato.
A. Ed io potrei affermarle la stessa cosa di me senza punto
d'umilta. Seguiamo Telenco.
E. Capo quinto. «Natura, genio, sensibilita, independenza, in-
farinatura universale sono i veri e soli fondamenti d'uno scrittore.
1. dove . . . Argo: allude ai vv. 114-8 dell' Ars poetica di Orazio, citati anche
nella lettera al Cesarotti del 23 settembre 1780, riportata a pp 772-7
2. I Night Thoughts (1742-1745) di Edward Young (1683-1765), uno dei
testi^ fondamentali della nuova letteratura preromantica, erano stati tra-
dotti in Italia dalFAlberti (1770), dal Bottoni (1771) e dal Loschi (1774),
e imitati dal Bertola nelle Notti Clementine (1775). Delia Messiade del
Klopstock la prima traduzione italiana, di Giacomo Zigno, fu pubblicata
nel 1782.
DIALOGHI 761
Progetto d'un'aria infiammabile particolare, onde caricato per la
bocca e le nari il cerebro umano possa produrre uno stile sinora
incognito, che si chiamera stile areostatico, owero montgolfilo-
quio.» E viva! almeno in questo caso non c'& pericolo che alcuno
si rompa il collo.
A. Mirate un poco a che giugne la ragione e la chimica a' giorni
nostril Dappoich6 si e trovato modo con certe caraffe ed ampolle
empiriche d'instillar la virtu, si va meditando come infondere
altresl 1'eloquenza. Beati noi, se si potesse fare questo gaz del cer-
vello! noi diverremmo un popolo di grandi autori, come i Ro-
mani erano un popolo di eroi.
C. Si, si, un popolo di parolai e di pitocchi. Svanito il gran
progetto di convertire in oro i metalli, io m'ho tutti gli altri in ta-
sca, io.
E. Siamo al sesto capo. «La poesia e riposta nella sublimit^ del-
le idee, nel disordine, nel furore. II metro e estrinseco all'essenza
di essa, e per6 superfluo. Quindi la prosa non si distingue tal volta
dalla poesia, e la poesia rimane sempre tale anche in prosa. » E
nel vero io m'abbattei ieri a vedere un Elogio cosi pieno zeppo di
ghirlande, busti, are, geni; con orizzonti, aquile, torrenti e fiamme,1
ch'io tornai al titolo, pur credendo aver malamente letto Elogio
scambio di Poema.
A. Quest' e il bel dej moderni, ed io scrivo sempre i miei pa-
negirici a questo modo.
E. Ella fa cosi ben come pensa. Capo settimo . , .
C. Che roba eternal oggi io non mi farei che sbadigliare. Caro
abate, guardate un poco che ora e,
A. Ho dato il mio orologio a racconciare appunto stamane.
c. (I/avra dato, cred'io, al calderaio.) II mio infallibile fa le
ventidue . . . Che miseria non saper dove s'andare! e' m'avea detto
di capitar qui il marchese Sciancati, quella tromba de' segreti scan-
dalosi, che ci da tanto gusto ; ma e' non si vede ancora. Sara dalla
cantatrice, dal bell'avanzo di Troia.
E. (Costui seccherebbe le pescaie.)2 Or via, non rimangon che
i. un Elogio . . .fiamme: allude al Thomas e ai suoi imitator! italiani. Si
vedano i giudizi del Vannetti sul Thomas nelle lettere al Cesarotti, ripor-
tate a pp. 767 sgg. 2. seccherebbe le pescaie: cioe farebbe piti rumore,
con le sue chiacchiere, dell'acqua che cade giu da una pescaia. £ frase
idiomatica toscana riferita dal Varchi nvlVErcolano.
7&2 CLEMENTINO VANNETTI
quattro capi. Capo settimo. (cVolendo scriver poesia in versi, a-
dattisi il metro a* pensieri, e quindi in uno stesso componimen-
to si usin piu, metri ad arbitrio, e dagli sciolti si passi alle ot-
tave, dalle ottave agli sdruccioli, dagli sdruccioli a* terzetti, ecc. ;
il che sara propriamente Porgano della poesia. Ciascun poi dej
metri dee recarsi alia maggior perfezione, doe alia maggiore so-
norita. 6 ridicolo Pelogio che vien fatto alia durezza delFAlighieri
e del Petrarca, chiamandola or energia, or varieta, or soavita
amorosa ...»
A. Oh come bene si spiana nell'articolo questo cenno! si ci-
tano vari passi di Dante come quello fra gli altri:
Diverse lingue, orribili favelle^ ec.;
poi, per meglio fame intendere la fiacchezza, vi si mettono a
rincontro di bellissimi versi tratti da un moderno poema, YEner~
gumeneide, che cominciano:
Fredde stelle, atra luna, erranti masse
di vapor negri, rosseggianti righe
di tuonifere folgori, stridore
di crollanti le selve euri frenetici,
sfracellate citta, sconvolti gorghi,
sgominate montagne, aperU foci
alto mugghianti di sulfurea spuma,
tenebria, funestume^ urli e ruine
seppellian ne Vorror le sfere e '/ mondo . . .2
Del resto non mi sowiene; ma voi sentite che questi son versi,
e Dante e il Petrarca sono tanta stoppa. Tiriamo innanzi.
E. «La maggior nemica dej versi sonori e la lima ...»
A. Piano! a questo proposito si nota che Orazio, il qual solea
tanto limare le cose sue, incanutl innanzi tempo, e fece i piili
sciancati versi del mondo in que' suoi grami sermoni. Anzi si vuole
ch'ei divenisse anche lippo3 del troppo aguzzar le ciglia su le cancel-
lature.
c. Quest'Orazio, che facea sermoni, era egli un parroco?
A. II signer conte canzona, Sermoni vien a dir satire.
E. ccFinalmente e una sciocchezza circonscriver nel verso le
i. Inf., in, 25. 2. Si tratta, naturalmente, di versi inventati dal Varmetti,
e che vpgliono essere una parodia della poesia notturna e lugubre di tipo
younghiano. 3. lippo: cisposo: «lippus» si defmisce lo stesso Orazio.
DIALOGHI 763
cose quando si hanno i lor vocaboli propri, specialmente scienti-
fici.» Oh bravo! se il poeta & un galantuomo, egli ha a dire al
pan pane, e alia gatta gatta, e non mucia.1
c. Galantuomini i poeti? essi son tutti bugiardi e sviati: adu-
lar le donne, andar a tavola apparecchiata e grattarsi la pancia
£ il loro mestiere. Abate, datemi una presa del vostro tabacco,
per mutare.
A. Da vero ho lasciato la scatola a casa.
c. O Tavete data a racconciare insieme con Porologio ? (Per al-
tro questi abati sono o canne buge o pillacchere.)2
A. Anche qui si espongon delle dottrine eccellenti, e si d&
la baia al Fracastoro, al Nocetti, allo Spolverini e a tant'altri
che si son lambiccati miseramente il cervello in mille andirivieni
e involture, per venir poi a divisare il legno santo, Piride, il riso3
e cosi fatte altre novelle; mostrandosi inoltre, che gli episodi e i
passaggi dolci e sfumati4 son proprio un'invenzione diabolica per
menar Fuomo fuori di strada. lo ringrazio il cielo di non aver
mai letto simili baionacci.5
E. E' non si pu6 dir meglio. Capo ottavo. «Pregi dello stile
nelPeloquenza si legata che sciolta; irregolarita originate, concet-
tosita, patina filosofica, rompimento del discorso in piccoli pe-
riodi a beneficio del polmone; industria di repetizioni per aiuto
della memoria; scrupolosa minutezza di particolareggiamenti, on-
de non lasciar nulla da pensare agli altri ; lusso di personificazioni,
multiplicity di riflessioni non mai abbastanza inculcate, sebben co-
muni; effusioni di soliloqui e colloqui etico-mistici; raccapriccio
di convulsion! spirituali e stcmperamento di teneri deliqui; rin-
forzo d'invocazioni e d'interiezioni sospirose ad ogni terza parola;
1. mucia: micia, gatta mansueta. Tutta la frase significa «dir le cose come
stanno, senssa palliativi». Anch'essa e riferita dal Varchi noli'Ercolano.
2. canne buge o pillacchere: poveri in canna o avari; idiotismi toscani.
3. al Fracastoro . . « il riso: allude ai poemi didascalici Siphilis sive de
morbo gallico (il legno santo o guaiaco era un rimedio per questa malattia)
del Fracastoro, De iride di Carlo Noceti (1694-1759), e La coltivazione dd
riso di Gian Battista Spolverini (1695-1762), 4. gli episodi. , . sfumati: al
lude al precetto di Orassio xitli'Arspottica, 99-100: «Non satis est pulchra
esse poemata; dulcia sunto, / et quocumque volent animum auditoris
agunto»: che raccomanda appunto la tecnica della «transizione dissimu-
lata », tipica della poetica classicistica (cfr. L. SPITZER, Varte della « iron-
sistione* in La Fontaine^ in Critica stilistica e storia del linguaggio, Ba-
ri» Laterxia, 1954, pp. 161 sgg.)* 5- baionacci: burloni; altro idiotismo
toacano.
764 CLEMENTINO VANNETTI
sontuosita ed insieme esattezza compassata di paragon! tolti il piu
dalla forza elastica, centripeta, elettrica, o dall'aurora o clalla pri-
mavera; cocior di metafore arabico-rabbiniche ; prepotenza d'epi-
teti grandisonanti; lusinga di nomi speziosi, quai sono amor puro,
cuor sensibile, innocenza, virtu, beneficenza, ec.; e sopra tutto una
bella eguaglianza di tuono declamatorio anche nelle scosse e ne*
voli piu rapidi, che per la loro felice sconnessione somiglieranno
quelli d'un maniaco. » Respiriamo, che questa volta il sunto val per
un capo.
c. lo non so come costoro si facciano a mettere insieme tante
corbellerie senza stordirsi: e' convien dire ch'abbian la testa di
ferro. La mia, sol ch'io detti una ricevuta, comincia a girarmi
come una trottola.
A. Credami, signor conte, che quando vi s'e fatto callo, e
un piacere: nulla piu costano versi e prose. In sola una notte
ben cento ottave io composi sopra la torre di Babelle per 1'ingres-
so d'un curato, che fur giudicate veramente di nuovo conio.
E. Veggiam che narri il capo nono. «Soggetti piu acconci a
vestirsi del suddetto stile: apparizioni, meditazioni, treni pro-
fetici, romanzerie pastorali, sventure d'amanti, fulmini, vulcani,
comete, tremuoti, infermerie, sepolcri, eremi, sacrilegii, bestem-
mie, veleni, stili, catene, cilicci, disperazioni eroiche, suicidi, ec.
Bisogna guardarsi da tutto ci6 che ha troppo del naturale, o che
non giunge alPeccesso, perche" non fa piu colpo. »
A. Ecco il male de' nostri italiani sino a questi ultimi tem
pi. I Manfredi, i Zanotti, gli Algarotti, i Lazzarini, i Bianconi1
e cent'altri furono tanti cacastecchi,2 de' quali, per nostra sciagura,
non e ancora del tutto spenta la mala semenza. In Verona special-
mente si mantien viva cotal zizzania.3
E. Allegri, signor conte, che siam giunti al decimo ed ultimo
capo. «Mezzi per disporsi allo stile ed a' soggetti descritti: no-
drirsi di castagne, di mele cotogne e di fave, e ber acquavite e
i. Eustachio Manfredi (1674-1739) e Francesco Maria Zanotti (1692-1777)
sono tra i piti noti arcadi del gruppo petrarchesco bolognese; Domenico
Lazzarini: cfr. la nota Sap. 484; Giovanni Ludovico Bianconi (su cui
cfr. la nota 2 a p. 679) & qui citato (come anche 1' Algarotti) per la sua
correttezza ed eleganza stilistica, lodata anche dal Galeani Napione. 2. ca-
castecchi: stitici, eccessivamente sobri e controllati. 3. In Verona . . . ziz~
zania\ allude soprattutto al Cesari e al Pindemonte, amicissimi del Van-
netti, e che vivevano appunto a Verona.
DIALOGHI 765
birra, vestir di bigio, abitar presso qualche strepitosa cascata d'ac-
qua in volte terrene, ove il sole non possa; e, s'& fattibile, vicino
d'alcun patibolo; non usar altro lume che di poco lucignolo; non
aver altre immagini nella camera che quelle d'una Giunia, d'un
Dullis, d'una Giulia, d'un Enrico Mandeville,1 ec.; guardare tutti
gli oggetti con vetri che ingrandiscano a mille doppi; vagheggiar
solitudini e temporali; non legger che traduzioni di romanzetti,
di commedie piangolose o tragedie e di piccole enciclopedie ingle-
si, francesi, e tedesche, senza cercar indiscretamente n£ lingua n6
fedelta; tener un orologio, la cui campanella suoni lento, roco e
cupo; andar a meditare sotto Pombre di cipressi o di noci; for-
marsi 1'orecchio al rimugghiar dell'eco d'alcuna grotta frequentata
da* barbagianni, leggendo quivi i propri scritti; visitar falliti, ca-
chettici, vedove d'uffiziali, mogli d'invalidi, ec., e passeggiare al
raggio di luna pe' cimiteri» . . .
... A. Ah ma quant' & singolare il componimento che viene ap-
presso!2
E. Come s'intitola egli?
A. Bertoldo e Cacasenno, o vero La voce del cigno, Idilio. Per-
mettete che io mel venga rileggendo, per carita! Com'& bello il
principio! «I1 canuto Bertoldo in grembo ad una collina ricevea
supino dallj astro diurno i benefici influssi. Un'estasi tranquilla lo
possedeva: le sue cispose palpebre erano immobili. Fra tanto Ca-
casenno, il suo nipote, guardavalo non veduto. II buon vecchio
rapito sospirava. II nipote sentiva dei fremiti di gioia. — Amato
nonno, — proruppe al fin questi con la voce tremola della tene-
rezza — a quai deliziosi trasporti s'abbandona ora il tuo spirito ?
II globo s'incupa e s'annichila dinanzi al tuo sguardo che non
i. Giunia . . . Mandeville'. forse nomi di personaggi di romanzi «neri» o
sentimental! del tempo. Giulia (Julie) e la protagonista della Nouvelle He-
loise del Rousseau. Enrico Mandeville potrebbe essere un errore per Ber
nard Mandeville (1670-1733), filosofo pessimista inglese. 2. che viene ap-
presso: nelle pagirie che abbiamo tralasciato 1'Eremita ha gia letto alcuni
dei « quadri oratorii e poetici, che formano la seconda parte del libro »,
e che sono poi esempi burlescamente caricaturati di varie maniere della
letteratura contemporanea : il romanzo sentimentale alia Richardson, la
commedia lagrimosa, il poema di argomento filosofico-scientifico, Tode li-
rica di tipo tedesco. Nella pagina che segue TEremita legge una parodia
di uno degli idilli del Gessner tradotti dal Bertola, La canzone d'autunno
(cfr. Idea della bella letteratura alemanna, Lucca, Bonsignori, 1784, n, pp.
71-5)-
766 CLEMENTINO VANNETTI
lo cura. Tu segui a sospirare! O nonno mio, ti vorrei chieder una
grazia. — Caro nipote — disse allora Bertoldo ...»
E. Al vedere, ei non avea per6 legato Pasino a si buona caviglia,1
come qui il nostro conte.
A. Zitto! «... — Caro nipote, chiedi pur francamente; vieni al
mio seno, ch'io voglio stemprare il mio cuore in baci su la tua
fronte onorata. — Cacasenno si pose a sedere, e Bertoldo non
saziavasi di baciarlo. — Solea raccontarmi — disse il giovane —
la mia madre Menghina, die su 1'aprile degli anni tuoi tutto ii
paese ti rispettava qual vate estemporaneo, e che nellc tenzoni
riportasti un giorno in premio del canto piu d'un bccco. Ah se
di nuovo tu volessi, caro il mio nonno, tentare il canto! — Si, —
rispose Bertoldo con un parossismo di dolcezza, che gli fece bril-
lar gli occhi della rugiada del cuore, — si, il tenter6; e tu udirai
Tultima canzone delFavolo. — Cacasenno gli sugge le lagrime
con le sue labbra: egli si raccoglie un momento, e prende a cantar
cosl: — 0 maccheroni, una volta ancora beatemi del vostro sa-
pore! Gli anni m'opprimono; gli anni, che m'invidiano il trattar
la mestola e la forcina2 con la fcrmezza d'un giorno! lo tremo,
o maccheroni, quasi come tremano le gocce di burro, allorch6 careg-
giano3 spumose la superficie delle vostre creste! Cadrei, se non
mi sostenesse la speranza di rigustarvi. Oh maccheroni, il vostro
bacio e il balsamo del mio essere! La morte m'adocchia: io qual
campione mi calco in testa il cappello, e pronunzio il vostro nome:
ella fugge. Ah che questa bocca, eziandio fatta polvere, parlera
sempre di voi — ». Oh semplicitk inarrivabile, oh verita! lasciate
ch'io mi rasciughi gli occhi . . .
E. fe forse anch'ella, come Bertoldo, facile a schizzar fuori la
« rugiada del cuore » ?
A. Si, son fatto di questa pasta. Ma dove trovate voi in Vir-
gilio, che tristo il faccia Dio, si vezzosi pensieri e tanta unzione di
sentimento ? in due versi ei pretende colorire una figura, consu-
mare un affetto: eh si, ci vuol altro, Attento bene alia chiusa:
«Fini Bertoldo, e cantarono in coro gli amabili araldi di maggio:4
cantarono, e nella lor cara melodia gli ricordaron le gaie ariettc
della sua gioventu» . . .
i. non avea . . . caviglia: non era cosi libero da preoccupaxioni : altro idio-
tismo toscano. 2. mestola; cucchiaio; forcina: forchetta. 3. careggiano:
carezzano. 4. gli amabili araldi di maggio: gli asini.
DALLE « LETTERE»
I
A MELCHIORRE CESAROTTI1
[Sul Thomas e sui poeti tedeschi.]
Roveredo, 17 giugno 1780.
Confessole ingenuamente che il principle della sua lettera m'a-
vea fatto entrare in qualche diffidenza della sua sincerita, pre-
sentandomi delle lodi cui mi parea un delitto accettare sen-
za riserva; ma il progressed m'ha poi consolato, togliendomi un
dubbio che mi rendeva men grate le lodi stesse, e poteva in
qualche modo disonorare la nascente nostra amicizia. Ella dopo
avermi fatto coraggio colFampie sue appro vazioni, che sono la
piu grande mercede che io ricever potessi di mie fatiche, mi
somministra eziandio nuovi argomenti onde esercitare lo stile,
e con una gentilezza tutta sua propria mi ritrae dallo spregiare
soverchiamente Thomas e i poeti tedeschi.3 In questa guisa la
sua lettera, dandomi dej lumi e degli awertimenti, mi riesce
divero profitto. E quanto alia nuova censura poetica ch'ella degna
propormi,4 altro non le dir6 se non che ho tosto notata qualche
fantasia venutami in mente nel legger le sue parole, riserbandomi
a por mano alPopera nelPozio autunnale, quando Apollo non sia
meco avaro de' suoi favori. Bramerei per6 ch'ella mi mandasse
con tutto Tagio 1'uno o 1'altro di questi poemetti infetti di que'
vizi che accenna, ma in grado eminente, onde far si potessero de'
ritratti pieni di carattere e di varieta: altrimenti langue ogni cosa,
n6 molto s'intende in che consista il difetto. Quanto poi a Tho
mas e a' tedeschi certamente ch'io sono irritato (com'ella dice)
dal fanatismo per essi de' nostri italiani; n6, come sogliono i me-
i Dalle Opere del Cesarotti, Firenze, presso Molini, Landi e C., xxxvi,
1811, pp. 55-8. II Vannetti risponde alia lettera del Cesarotti nprodotta
in questo volume alle pp. 505-6. 2. progresso: seguito. 3- ™ nt*ae - • :
tedeschi: nella sua lettera il Cesarotti aveva difeso il Thomas e i poeti
tedeschi dai severi giudizi pronunciati dal Vannetti nella seconda epistola
diretta al Monti (cfr. la lettera del Cesarotti e le note relative). 4. quan
to ... propormi: il Cesarotti lo aveva invitato a diventare il «Boileau
italiano ».
768 CLEMENTINO VANNETTI
dici ne' mail estremi usar gli estremi rimedi, ho dubitato di enun-
ziare la mia opinione con qualche risentimento. Ella sa che que-
sta & un'arte per richiamare i traviati, di trarli aU'estremita op-
posta a quella cui seguono, onde in mezzo a due forze contrane
piglino una terza direzione che li conduca alia verita. Non sono
per altro io solo che tenga Thomas in concetto di un oratore troppo
amante di circoscrizioni1 e di strane fantasie e di periodi gonfi e alti-
sonanti. Sono poi bensl pronto a dargli tutta la lode di buon filo-
sofo, di intimo conoscitore de' suoi eroi e de' secoli loro, e di sicuro
maestro nell'arte di imprimere ne' lettori qualunque affetto egli
voglia. Ma ella non inorridisce in udire che un nostro letterato per
far buoni versi italiani legge uno squarcio di questo prosatore
francese? Vengo a' tedeschi; e s'io fossi uomo da far grazie, e non
da chiederne, nulla negherei per Gesnero ad un tanto interccs-
sore. Si, pregiatissimo sig. abate, io lodo quel poeta, io anzi lo
amo, e lo amo al pari della nostra signora Bettina,2 salvo se il
sesso diversificasse in qualche maniera le nostre dilezioni. Egli
& buono, 6 amabile, & soave; e nell'epistola e nelle note io Tesalto,
n6 altro n'eccettuo che un'ombra di mestizia e un poco di mono-
tonia.3 Sebbene, a dir vero, non parlo io generalmente de' vati
alemanni con dovuto rispetto e non concedo loro 1'onore di molti
pregi ? ne censuro solamente Tuniformita, la tetrezza e certa stra-
vaganza di cupi pensieri e di metafisiche astrazioni; le quali cose
negli stessi originali (dicon taluni) sono per avventura bellezze
(il che io non posso sapere come ignaro di quelFidioma), ma nel-
la versione mostrano abbastanza di non volere far lega col ge~
nio della nostra poesia; e quindi conviene avvertir la nazione
sempre vaga di novita, perch6 non tenti uno sforzo ed inutile
e pernicioso. Ho creduto bene di esporle con maggior diffusione
il mio pensiero, non g& per iscusarmi, se ho errato, ma per sa-
i. circoscrizioni: perifrasi. 2. Bettina: Elisabetta Mosconi, dama Vero
nese dilettante di letteratura e arnica anche del Bertola, del Bettinclli c
del Pindemonte. 3. nelVepistola . . . monotonia: nella seconda epistola in
versi sciolti diretta al Monti il Gessner e cosi giudicato : «... Dolce e
Gesnero / e un secondo Maron, com'altri dice, / La rosea aurora in cento
carte ei pinge, / e la stagion, che frondc e fior disserra, / gli antri muscosi,
i vivi fonti al rezzo, / fra Taleggiar di Zeffiro soave, / le ninfe assise, e per
gli aperti campi / d'acque fugaci i tortuosi errori. / Ma a pena & mai che
pennel cangi e tinta ; / o levi il dito da la corda istessa ; / c non so quai
perpetue ombre lugubri / spandon suoi boschi, a le fifimminghe tele / assai
simili» (cfr. Opere, vi, p. 216).
LETTERE 769
pere appunto se abbia errato; o se anzi la mia credenza non sia
in fine che la sua medesima. Ella certo mi fa sperare quest 'unita dl
dogma poetico, e molto mi dorrebbe di trovarmi fuori della sua
comunione, ch'esser debbe ortodossa quant* altra mai. Permet-
tami intanto d'inchiudere qui un altro mio librettino,1 e di pregar-
la a giudicare colla stessa sincerita, ma, se pu6 essere, anche piu
rigorosa. Uno, che ha chiamato «idropico» M.r Thomas,2 merita
egli giammai compassione ? Quando per6 scende dal tribunale, do
ve non voglio che il giudice, ella torni ad esser mio amico, almen
di nascosto, e mi creda senza cirimonie ma di cuore.
II
A MELCHIORRE CESAROTTI3
[/ poeti tedeschi e il ((genio » della lingua italiana.]
Rover edo, 30 agosto 1780.
O ella ha di gia autorizzata la mia tardanza in rispondere, o
io al presente autorizzo la sua. E bene, «veniam petimusque da-
musque vicissim ».4 L'ultima sua lettera e una vera dissertazione,
piena di lumi, di dottrine e di bellissime cose enunziate collo
stile il piti. vivace e succoso. Io me Tho sempre tenuta sul ta-
volino, e la debbo ringraziare del sommo vantaggio e piacer
che ne ho tratto colla frequente lettura. Le lodi date al mio li
bretto sopra il Corsetti5 mi paion veramente maggiori del me-
rito, ma pure le soffro in grazia delle tante e si preziose rifles-
sioni che mi somministra sul proposito de* pregiudizi che in-
festano una parte de' nostri italiani, e sopra Taltre controversie
poetiche. A dir vero, per isciogliere il nodo circa Thomas, ci
vorrebbe un'analisi a parte, la quale togliesse Pincertezza di due
asserzioni contrarie. Io ne ho parlato secondo il sentimento di
i . librettino : la Lettera a Giovanni Fabroni sopra le Odi di Orazio tradotte
dal dottor Corsetti, Vicenza, Vendramin, 1778 (ristampata in Opere, in,
pp. 11-45). 2- Un° • • • Thomas: si rifensce al proprio giudizio sul Tho
mas in una nota dell'epistola al Monti, e su cui si veda la nota sap. 505.
3. Dalle Opere del Cesarotti, ed. cit., xxxvi, pp. 66-71. Risponde alia lettera
del Cesarotti riportata in questo volume alle pp. 506-10. 4. Orazio,
Ars poet., ii («chiediamo e ci concediamo perdono a vicenda»). 5. li
bretto sopra il Corsetti: cfr. sopra la nota i.
40
77° CLEMENTINO VANNETTI
molti dotti e il mio proprio, senza pens are a provar attualmente
quanto diceva, per esser quella una menzione soltanto accidentale.
Forse un'altra volta si offrirk il luogo per un esame piu solido ed
aggiustato. Cosl parimente s'io avessi inteso di dare un compiuto
giudizio sui poeti tedeschi, avrei certo appiccati alia stadera tanto
i lor vizi quanto i lor pregi, e ne avrei poscia considerate il rispet-
tivo sbilancio. Ma io parlava agl'Italiani gi& informati dclla storia
loro, delle lor opere e persuasissimi del loro valore; ed altro non
voleva accennare se non che essi non sono poi esenti da ogni
difetto; e ci6 ad intendimento di far argine al dominante fanati-
smo. Io ho detto, per6, che son poeti venerabili, che Gesnero
e dolce, che Klopstock 6 grande e magnifico; ma sonmi poscia
fermato sui loro creduti eccessi o mancamenti, come fa per
esempio Orazio nella satira sopra Lucilio,1 di cui dimostra piti
accuratamente i vizi che le virtu, perche", essendo queste gi& co-
gnite, suo scopo era appunto di disingannarne gli accecati fautori.
Quindi io non credo in veruna maniera che i greci e i latini autori
non «patiscano» essi pure i lor «marsi»,2 o che un autore qualun-
que non si debba pesare da ci6 che forma il principal suo carattere ;
ma io penso che anche i tedeschi abbiano dej difetti non piccoli
di minutezza, di melanconia, di prolissitk, di stravaganza, di ro-
manzesco, di uniformitk; e penso che il lor carattere principale,
benche" in quella lingua, in que' costumi, in quel clima forse assai
bello, non sia molto accomodabile alia nostra poesia. Ma io le
sembro troppo geloso contro ogni peregrinitk, e m'avverte di non
confondere il genio grammatical d'una lingua col genio rettorico.3
Ottimamente, quando pure il primo non influisca talvolta sui se-
condo* Ella pertanto dice che non sarebbe un delitto il tentare
d'appropriarsi le altrui bellezze « quando ci6 possa eseguirsi feli-
cemente». Oh qui sta il punto, e questa e la somma, Se ci6 possa
eseguirsi « felicemente », cosl, cioe, che la nostra poesia s'adorni
e non s'infraschi, si perfezioni e non si corrompa, noi siamo d'ac-
cordo. Ma finora si vede e si tocca con mano che Io studio de*
colori oltramontani non ha prodotto che mali esempi di deprava-
i. come . . . Lucilio: cfr. Sat., I, iv, 5-13. 2. patiscano , . . mam: la frase
non & chiara, a meno che non si debba intendere marsi come plurale di
Marsia (il satire vinto da Apollo) e intendere: abbiano poeti di scarso
valore. 3. m'avverte . . . rettorico: cfr. per questa distinzione la nota 2
a p. 759-
LETTERE 77*v
zione. Ella mi nomina il Chiabrera imitatore di Pindaro e il Da-
vanzati traduttore di Tacito, aj quali molto debbe il nostro idio-
ma. Ma troppo e gia chiaro che le lingue greca e latina furon
sempre le buone avole e madri e nodrici delPitaliana. Ora v'ha
egli la stessa relazione e parentela colla lingua tedesca, ingle-
se, ec. ? «atqui hie est, aut nusquam, quod quaerimus)).1 I tenta-
tivi fin qui non sono molto felici ne" favorevoli, com'ella stessa
confessa, e la ragione pu6 ripetersi appunto dalla diversita de*
geni e delle lingue medesime. Ella oppone piu volentieri la man-
canza d'ingegni capaci d'effettuare un simile accordo. Ma qui
pure la cosa riducesi a mera specolazione, ed e tutta ipotetica la
possibilita di tali ingegni e di tale accordo, sicche non puossi
decidere nulla. Non so s'ella abbia in mano YEntusiasmo di Betti-
nelli riprodotto or ora colle stampe del Zatta ; se Tha, vegga, di gra-
zia, quanto vi si dice sul gusto tedesco alia pag. 32 e alia pag. 346
e seguente; dove sta pure una mia brevissima letterina, che Tautore
ci voile gentilmente inserire.2 Del rimanente perche, dico io ghi-
ribizzando, non si potrebbe pescare piu al fondo di questa mate-
ria, e sedar le sette sorgenti3 con un libretto di Transazioni poe-
tichel In esse converria esaminare profondamente le bellezze
e i difetti de' poeti alemanni, inglesi, ec., e trarne un quadro del
vero lor merito e del genio del lor Parnaso. Indi confrontare in-
sieme le poesie greca, latina e italiana, e rilevar P influenza e
Paffinita delle medesime colla nostra. Poi fissar la distanza di
questa dall'inglese e tedesca gia ben conosciute, e concludere con
dimostrare quale e quanta esser possa la congruenza e P accordo
delle predette colla nostra. Finalmente esibir de' modelli per-
fetti di simile mescolanza ed unione. Intendo bene che il pre-
sente piano non e digerito abbastanza, il qual forse potrebbe
essere anche piu semplice. Ad ogni modo P opera non sarebbe che
per chi avesse piena cognizione di tutte queste lingue, e fosse
i . « Eppure & proprio qui, o in nessun altro punto, il nucleo della questio-r
ne. » 2. Non so ... inserire: a p. 328 (non 32, come & erroneamente
stampato nel testo) & solo un breve cenno suirargomento; mentre nelle
pp. 346-57 (nota xxvn) il Bettinelli osserva nei contemporanei poeti tedeschi
minuzia, monotonia, languore, in una parola mancanza di « entusiasmo » ;
e riporta una lettera del Vannetti non brevissima ma anzi piuttosto
ampia, in cui questi conferma il giudizio del Bettinelli mediante Tanalisi
di alcune liriche (nella traduzione del Bertola) del Gleim e del Richey.
3. sedar le sette sorgenti: esaurire la questione*
772 CLEMENTINO VANNETTI
nell'italiana grande poeta o almeno avesse a suoi cenni de' gran
poeti. Vada intanto questo progetto a perdersi tra gli altri so-
gni e deliri del nostro secolo. A me per ora non preme se non
di sapere dal mio dottissimo e perspicacissimo abate Cesarotti
quanti e quanto grandi difetti abbia egli notati nel mio breve
Commentario zorziano e nelle Letter e annesse,1 e a qual partito
s'attenga in proposito della quistione alembertiana compresa nelle
lettere in e iv. Mi ammaestri ella, mi corregga, non mi risparmi
censura alcuna, ma continui sempre ad amarmi e a credermi.
in
A MELCHIORRE CESAROTTI2
[Come arricchire la lingua letteraria italiana.}
Roveredoy 23 settembre ijSo.
S'io mi volessi lasciar trasportare dalla vanitk, la sua genti-
lissima lettera me ne darebbe certo il piu giusto motivo. Bi-
sogna assolutamente ch'io mi scordi quanto ella vi dice sopra
il mio Commentario,3 o che lo interpetri come un amichevole ar-
tifizio per farmi coraggio a meritare un giorno davvero cosi gran
lodi. Per ci6 che riguarda alia quistione latina, ho somma cu-
riositk di vedere le osservazioni al suo Demostene* ch'ella mi cita,
ed ho in conseguenza sommo dolore di non aver tra' miei libri
codest'opera si celebrata, cui spesso indarno cercai. S'clla con
i. mio breve . . . annesse: allude al proprio Commentarius de vita Atexandri
Georgii, accedunt nonnullae utriusque epistulae, Siena, Pazzini, 1779 (ristam-
pato, senza le epistole, nelle Opere, VII, pp. 91-124), La lettera III e la IV,
a cui il Vannetti allude piu avanti, trattano la questione dell'uso del latino
come moderna lingua letteraria, uso che lo Zorzi, accogliendo la tesi so-
stenuta dal d'Alembert, riprovava, e che invece il Vannetti, rifacendosi a
sua volta a Girolamo Ferri, difendeva, Alessandro Zom (*747-*779)>
gesuita veneziano, e noto soprattutto per il progetto di una enciclopedia
italiana di ispirazione cattolica, che avrebbe dovuto opporsi a quella fran-
cese, progetto esposto in un Prospetto (Ferrara, Rinaldi, 1776), ma non
realizzato per la morte dello Zorzi stesso. 2. Dalle Opere del Cesarotti,
ed. cit., xxxvi, pp. 76-86. Risponde alia lettera del Cesarotti riportata in
questo volume alle pp. 510-3. 3. Commentario: il Commentanus de vita
Alexandri Georgii, su cui cfr. sopra la nota i. 4. le osservazioni al suo
Demostene: le riflessioni sull'uso moderno delle lingue antiche, contenute
nella osservazione i alia Filippica U tradotta dal Cesarotti stesso, e che
questi aveva ricordato al Vannetti nella sua lettera.
LETTERS 773
suo comodo me ne potesse mandare una copia, indicandomene
la spesa, mi farebbe una grazia particolare. Dopo d'aver gia com-
posta quella piccola lettera a Zorzi,1 vidi soltanto il Saggio d'Al-
garotti sulla necessita di scriver nella propria lingua,2 e vi trovai
delle obiezioni contro la lingua latina coincident! con quelle cui
avea riposto. Per altro, Dio mi guardi dall'eresie di Lagomarsini,3
che volea tutto in latino ed aboliva 1'uso della nostra si dolce fa-
vella. Altro e che si debba scriver sempre in latino, altro 6 che
volendo, o dovendo, non si possa. Due punti, che furono sovente
confusi.
A proposito di latino e di traduzioni, io ho bisogno non delle
sue lodi, sig. abate pregiatissimo, ma della sua piu imparzia-
le e piu rigorosa censura. Sto lavorando una lettera non dissi-
mile a quella diretta al Fabbroni,4 che le mandai, sopra una nuo-
va versione d' Orazio e su quella troppo dimenticata che gia ne
fece il Pallavicini.5 In fine alia lettera vorrei porre, per saggio del
mio gusto in tradurre, uno o due pezzi dello stesso Orazio, qua-
lora mi venisse fatto di voltarli con quella fedelta e con quel nerbo
insieme che negli altri io ricerco. Ho perci6 tentata 1'impresa ne'
giorni scorsi, recando in versi sciolti la settima epistola a Mece-
nate, dopo d'averla recata in prosa e commentata con Dacier e
Bentleio6 alia mano fino dal 1778. Inerendo ai concetti e alle im-
magini con ogni studio, ho procurato di trasportare nel nostro
verso la vibratezza e il genio satirico del latino, non facendomi
scrupolo d'usar certi modi un po' piii bassi e certi suoni un po' rotti,
sull'esempio del gran Chiabrera, che ne' suoi sermoni ha conse-
i, quella . . . Zorzi'. 1'epistola De usu linguae latinae (1776), pubblicata in
sieme al citato Commentarius. 2. II Saggio sopra la necessita di scnvere la
propria lingua, pubblicato dall'Algarotti nel 1750, e in cui questi, svolgendo
idee lockiane e voltairiane, sostiene che ogni lingua ha un suo proprio
« genio », diverse da quello delle altre e riflettente il carattere del popolo
che la parla, e in particolare afferma 1'impossibilita di scrivere una lingua
morta come il latino (cfr. M. PUPPO, Discussioni linguistiche del Settecento,
cit, Introduzione, pp. 35-6). 3. Girolamo Lagomarsini (1698-1773), ce-
lebre latinista, e autore, fra Taltro, di un poema De origine fontium.
4. quella . , . Fabbroni: la lettera gia ricordata sulla traduzione delle Odi
di Orazio, fatta dal Corsetti. 5. sopra . . . Pallavicini: la lettera al Betti-
nelli Sopra il canzoniere di Orazio volgarizzato dal signor Giuseppe Necchi
d'Aquila (cfr. Opere, in, pp. 47-93). 6. Cioe con la traduzione di Ora
zio di Andre Dacier (cfr. la nota a p. 71); e con Tedizione critica di Orazio
pubblicata nel 1711 dal grande filologo inglese Richard Bentley (1662-
1742).
774 CLEMENTINO VANNETTI
guita forse meglio d'ogn' altro la forza oraziana, ed ha fondato,
per cosi dire, tra noi il vero stil della satira negli scioltL Ci6
premesso, io le trasrnetto appunto il mio tentative, con questo
patto precise, che se non giunga a quel tanto che richiedesi in una
composizione destinata a servire di saggio, ella lo rigetti senza
pietk; e se ha dei difetti, ma dei difetti per6 rimediabili, non
isdegni di additarmene gli opportuni rimedi. Tanto peso io pongo
nel suo giudizio quanto se venisse dal beato Eliso Orazio stesso
g& istrutto del nostro idioma, e ne desse sentenza. Ma si sovven-
ga del ccvir bonus » con ci6 che segue nell'Arte.1
Circa la quistion tedesca, noi ci awiciniam molto bene. Quanto
per6 il genio grammatical d'una lingua influisca talor nel ret-
torico, potrebbe vedersi da una qualche version letterale, qual
e, per esempio, quella de* Salmi che, tradotti in latino secon-
do la frase ebraica, non ci lasciano scorger gran fatto quel me-
rito e quella bellezza che nelPoriginale tanto ammirano gl'in-
tendenti. Voltinsi al modo medesimo degli squarci tedeschi od
inglesi, e la stravaganza della frase oscurerk non una volta tutto
10 splendore del testo, n6 si capirk come quello sia eloquente o
poetico. Ma il greco tradotto anche letteralmente nella nostra
lingua non produce egli minori e men frequent! sconcerti? Ella
11 sa meglio d'ogni altro.2 Voltando poi alia lettera anche una delle
piu entusiastiche ode d' Orazio,3 io penso che il nostro idioma
esprimer possa la massima parte di quelle frasi e maniere, come
se nate fosser nel proprio suo senso, senza punto guastarsi, anzi
con acquisto di convenienti bellezze. «0r si dee bere, or con pie
libero si dee batter il suolo: ora e tempo, o compagni, di ornare i
letti de' numi con saliari vivande. Non era lecito prima d'ora di
1. si sowenga . . . Arte: cfr. Orazio, Ars poet., 445-51: «Vir bonus et
prudens versus reprehendet inertis, / culpabit duros, incomptis allinet
atrum / traverso calamo signum, ambitiosa recidet / ornamenta, parum
claris lucem dare coget, / arguet ambigue dictum, mutanda notabit, /
fiet Aristarchus: nee dicet: "Cur ego amicum / ofTendam in nugis?""
(«L'uomo buono e aweduto censurera i versi insulsi, biasimera i duri,
quelli rozzi cancellera con un tratto di penna, togliera gli ornament! pieni
di pretese e fara dar luce ai poco chiari, denunzier& ci6 che e detto con
ambiguita, indichera quel che & da mutare, diventera un Aristarco e non
dira: <cPerch6 io dovr6 ofTendere un amico, in cose di poco conto?"»).
2. Ella . . . altro : in quanto traduttore delle orazioni di Demostene, unico
scrittore classico tradotto dal Cesarotti prima della data di questa lettera.
3. una . .. Orazio: 1'ode xxxvn del I libro, di cui poco pito avanti il
Vannetti trascrive la propria traduzione letterale.
LETTERE 775
trarre il Cecubo dalle avite dispense, mentre la reina preparava
al Campidoglio furiose rovine e la tomba all'Impero, in mezzo a
genti ammorbate, audace a sperare ogni cosa ed ebbra di sua dolce
fortuna: ma compresse le furie appena salva dalle fiamme una
nave, e la mente dalPegizio vino travolta ridusse Cesare a paven-
tar seriamente, incalzando co* remi lei, che dalPItalia volava (co
me incalza lo sparviere le timide colombe o nej campi della ne-
vosa Emonia il pronto cacciatore la lepre) per dare a' ceppi quel
mostro fatale. La qual cercando di morire da forte, ne pavent6
femminilmente la spada, n6 ritirossi su pronti legni in piagge
remote. Essa pot6 rivedere intrepida la desolata reggia con faccia
serena e Taspre serpi trattare, onde trar nelle membra Patro ve-
leno, resa piu feroce della morte omai stabilita; sdegnando appunto
non ignobile donna d'esser condotta dai fieri liburni qual privata sul
superbo trionfo.» Questa 6 una mia improwisata, ma che non
dee n£ pu6 far pruova alcuna. Ora non nego io gia che in una
version letterale del latino qualche modo di dire non debba riu-
scir violento; dico solo che un testo latino fara colFitaliano assai
maggior lega che un tedesco o un inglese; cosl che non sara d'uo-
po mutar molte cose perch.6 tutto s'accordi col nostro genio, e
ritenga insieme le bellezze poetiche o in una parola rettoriche del
suo originale. Se dunque io m'unisco a lei nel dar molto alia de-
strezza degrimitatori in conciliar grazia e naturalizzare le frasi stra-
niere, io do anche molto alia maggiore o minor simpatia dej linguag-
gi tra loro, e penso che in ci6 pure vaglia il detto di Orazio:
«alterius sic/altera poscit opem res et coniurat amice)).1 Ma quanto
ella soggiunge sopra il dover di cercar i colori della natura e
Tespressione del proprio sentimento e non altro, e sopra la simpatia
delPeloquenza d' Italia con quella di tutte le nazioni, attesa la va-
rieta analoga degl'ingegni italiani; e cosi giusto e forte che nulla
piu. Siccome ogni nazione e composta d'uomini, ch'hanno gli
stessi gradi di talento, le stesse passioni, gli stessi vizi, le stesse
virtu; cosl v'ha un'eloquenza generate ch'e il linguaggio di questi
abiti ed affetti, che variano rispettivamente in ciascuna nazione
secondo il vario clima e costume, di modo che il brio dell'italiano
non e precisamente quel del francese; n6 noi siam cupi e melan-
conici alia maniera che lo sono gl'Inglesi; anzi le nostre ire me-
i. Cfr. Ars poet., 410-1 («cosi Tuna cosa richiede 1'aiuto dell'altra e
amichevolmente collabora [con questa] »).
776 CLEMENTINO VANNETTI
desime e le nostre allegrezze sono di diversa tempra da quelle
delFaltre nazioni, ed hanno anche spesso diversa origine; onde
esistono nello stesso genere different! caratteri e modificazioni ;
cosl pur varia in ciascuna nazione il linguaggio rclativo agli stessi
ingegni ed affetti, e perci6 Peloquenza. Altrimenti parlerebbe Enea,
se Virgilio fosse stato spagnuolo; altrimenti Achille in Sciro1 se
Metastasio fosse nato sulla Senna. E per qual altra ragione gl'In-
glesi ne' loro drammi fanno parlare gli eroi romani da veri ro~
mani, se non perch6 s'accostano essi medesimi naturalmente al
pensare di quella libera e bellicosa nazione? Tengasi dunque
la natura, e 1'italiano segua appunto nello scrivere il suo spirito
ed il suo cuore. S'egli & ingegnoso, lo sia alia propria maniera;
e non faccia forza a se stesso volendo imitare Tingegnoso tede-
sco. In fine o siam cupi o profondi o energici o teneri o immagi-
nosi, siamolo all'italiana, non gia per istudio alia tedesca, all'inglese,
alia moscovita. « Intererit multum Davus ne loquatur an heros . , .,
Thebis nutritus, an Argis. »2 Tutte le nazioni hanno un medesimo
volto; ma pure ciascuna ha la sua speciale fisonomia. Ci6 che ac-
cade nel corpo, molto piu accade neiranimo, di cui 6 interprets
Feloquenza. E questo io dico rispetto al massiccio e alia sostanxa do*
componimenti oratorii e poetici, in somma al genio rettorico. Quan-
to poi al genio grammatical, se gli oltramontani ci offrono qual-
che bella espressione e qualche modo acconcio a render piu sncllo
e piti vibrato il discorso, profittiamone pure con quella sobria e fe-
lice arditezza ch'ella stessa commenda, escludendo ogni affetta-
zione. Anche nello stesso genio rettorico avverr& che noi c'in-
contriamo non di rado in qualche pensiero ed immagine d'auto-
re inglese o tedesco, o che la imitiamo; e sara questa ottima
cosa, tosto che si avra ad essa guidati 1'infallibil natura, la quale,
com'ella dice ed io confermo di sopra, & poi in grande per tutto
il mondo la stessa. Veggo che la nostra quistione va ognor piu sce-
mando, e riducesi a questo solo se molto o non molto possano
a noi somministrare gli oltramontani poeti. Trattandosi del piti o
del meno non han piti luogo le speculazioni ; ci vogliono esempi.
Io bramerei ch'ella mi palesasse codesti felici imitatori, se mai cono-
1 . Allude al melodramma metastasiano intitolato appunto Achilla in Sciro.
2. Orazio, Ars poet., 114-8 («C'& molta differenza se parli Davo o un
eroe, . . . un tebano o un argivo »). Gli editori moderni leggono per6
«divusne».
LETTERE 777
scendoli potessi ricredermi. Intanto le voglio comunicare quan-
to in proposito de' Tedeschi mi scrive di Roma il sig. abate Ta-
ruffi1 bolognese, uomo dottissimo, perito di queiridioma, e die fu
in Germania ed ivi lesse gli autori piu famosi, pe' quali conserva
una grande venerazione. II padre don Gregorio Fontana2 mi scri
ve egli pure come intendente della stessa lingua che i Tedeschi in
originale sono poeti eccellenti, ma che il p. Bertola gli ha sfi-
gurati barbaramente,3 tanto che nella sua versione non si rico-
noscono piu ; che tuttavia crede meco non potersi per noi prender
con onore assai cose in prestanza da quelli. Ma ella ascolti Taruffi.
lo le dimando scusa della mia importunita, e insieme la prego a
ricrearmi e istruirmi con lunghissime lettere. Sono tutto il suo
vero servo ed amico.
EX EPISTOLA 10. ANTONII TARUFFI
III. CAL. SEPT.
Quaeris nunc pro re nata, neque sine ingenti sollicitudine per-
contari videris, Vannetti, quo loco habendos putem audaces quos-
dam frigidarum regionum cantores, quos Italia nostra, tuo qui-
dem iudicio, vel insulse celebrat vel nimis patienter miratur.
Cave tamen credas velle me tibi ea de caussa bellum indicere.
Sed neque tibi palpum obtrudam; ergo habeto me, praesertim
in Germania quum essem, Halleros, Hagedornios, Ramleros, Klei-
stios, Klopstochios aliosque praestantes illius gentis poetas cu-
pide legisse, quorum nomina mitiores Musae expavescunt. Neque
vero non habent septentrionales illi modulatores quos et ingenue
commendare et parce quidem in usum nostrum excerpere possi-
mus. Vim mehercle exserunt, ut est illius linguae indoles, prope in-
credibilem, fuscis coloribus affabre utuntur; vocem vel ad side-
ra vehementissime attollunt; animi affectus per philosophicos
quosdam tramites consectantur; amoeniora quoque, si diis placet,
sibi subdere et vindicare student. Ut tamen nonnulla nos docere
i. Giuseppe Antonio Taruffi: amico anche del Cesarotti. Su di lui cfr. la
nota 2 a p. 489. 2. Gregorio Fontana, roveretano (1735-1803), filosofo e
matematico. 3. il p. Bertola . . . barbaramente: allude alle traduzioni di
poeti tedeschi pubblicate da Aurelio Bertola nella Idea della poesia ale-
manna, Napoli 1779 (poi ripubblicata col titolo Idea della bella letter atur a
alemanna, Lucca, Bonsignori, 1784).
CLEMENTINO VANNETTI
fortasse queant,1 stili temperiem, imaginum castitatem, ordinis
nitorem, charitum lepores docebunt profecto nunquam. Nativam
illam caliginem atque asperitatem exuent profecto numquam. Tere-
tes religiosasque aures mulcebunt profecto nunquam.1
AD ANTONIO CESARI2
[La zprofessiom di fede?> linguistica del Vannetti.]
Roveredo, 2 giugno 17^7.
A questa volta ella m'ha proprio mandate un tesoro di belle
cose: io per abbracciarle tutte dir6 di ciascuna il piu brevemen-
te che potr6. E prima, della sua lettera per ci6 che riguarda la
nostra quistione. Eccole senza piu la mia quasi professione di
fede.
Io credo che i trecentisti sieno in lingua la nostra Bibbia,
ed i cinquecentisti i nostri Santi Padri. Credo che la dipenden-
za da quelli sia di necessity a salute, ed i lumi di questi sien
i. « Dall'epistola di Giuseppe Antonio Taruffi, del 30 agosto. - Tu mi
chiedi secondo la natura delle circostanze, o Vannetti, e mi sembra che tu
me Io chieda non senza grande premura, in quale modo io pensi che
si debbano giudicare certi cantori nordici, che la nostra Italia, almeno
a tuo parere, o celebra scioccamente o ammira troppo pazientemente. Non
credere, tuttavia, che io voglia dichiarare una guerra per tale questione.
Ma neppure intendo adularti [per la frase «palpum obtrudam» cfr. Plauto,
Pseud., 945]; sappi dunque che io, specialmente quando ero in Germania,
lessi avidamente gli Haller [cfr. la nota 6 a p. 437], gli Hagedorn [Fried-
rich von Hagedorn, vissuto tra il 1708 e il 1754, autore di liriche, poesie
morali ed epigrammi di gusto classicistico], i Ramler [Karl Wilhelm
Ramler, vissuto fra il 1725 e il 1798, scrisse anch'egli poesie di gusto clas
sicistico], i Kleist [Ewald Christian von Kleist, vissuto tra il 1715 e il
1759, autore di idilli e di un poemetto sulla primavera], i Klopstock
e altri eccellenti poeti di quel popolo, ai cui nomi le Muse piu dolci si
spaventano. Non mancano invero a quei popoli nordici scrittori che noi
possiamo e sinceramente lodare e, sia pure con cautela, scegliere per il
nostro uso. Mostrano, per Ercole, una forza d'espressione, secondo i'in-
dole di quella lingua, quasi incredibile ; usano abilmente di colori foschi ;
alzano la voce con grandissima violenza fino alle stelle ; cercano di raggiun-
gere il sentimento attraverso sentieri filosofici, tentano, se piace agli dei, di
assoggettarsi e rivendicare anche generi letterari piu ameni. Ma anche se
ci possono fornire qualche insegnamento, la temperanza dello stile, la
castita delle immagini, il nitore dell'ordine, le leggiadrie delle grazie non
ce le insegneranno certo mai. Certo mai potranno spogliarsi della loro
innata caligine e asprezza. Certo mai accarezzeranno piacevolmente le
orecchie finemente educate e scrupolose. » 2. Dall'Epistolario scelto, a cu-
ra di B. Gamba, cit., pp. 68-73.
LETTERS • 779
guida alia perfezione. E data la verissima distinzione fra lin
gua e stile, e di nuovo fra stile grammatico e stile rettorico,1
quello consistente nel giro della sintassi, questo ne' colori e
nelle figure si della prosa che del verso, credo che ogni grazia
di lingua imparisi dal Trecento, e che il Trecento ed il Cinque-
cento insieme, quasi contemperati, possano dare il migliore giro
della sintassi, cio& lo stil grammatico piu limpido e sciolto ; credo
poi che lo stile rettorico ci presenti nel Trecento le piu preziose
ricchezze, cosi per6 che quelle aggiuntevi ne* secoli posteriori pel
Casa, per 1'Ariosto, pel Tasso, pel Chiabrera, pel Guidi, pel Me-
tastasio, pel Frugoni e per i piu celebri prosatori sien degne nel
genere loro di molto studio e di assai vantaggi feconde. E tornan-
do un momento allo stile grammatico, o vero alia sintassi, credo
che qui pure debba farsi una distinzione fra la sintassi prosaica
e la poetica del Trecento, notando che il vizioso lentore ed awilup-
pamento de' trecentisti ristrignesi solo a quella, e questa general-
mente lascia intatta; come certo veggiam nel Petrarca, della cui
sintassi, toltone qualche raro luogo, non pu6 esser piu chiara la
chiarezza medesima; Ik dove quella del maggior prosatore2 & spesso
oltra il dovere allungata, spesso contorta, qualche volta irregolare
e somigliante a viuzza senza riuscita. Nel Cinquecento pure il
Bembo ed altri, appunto perch6 ligi degli autor del Trecento,
caddero in simil difetto; e per6 quand'io propongo i cinquecen-
tisti a migliore e piu morbido impasto del grammatico stile, in-
tendo sempre parlare de' Davanzati, de' Castiglioni, de* Cari e
de' piti vicini alia precisione e sveltezza di questi tre. Nel qual
mio sistema 1'opera sta n£ piu n6 meno «ut si quis Falerno vino
delectetur)) (mi servir6 delle parole di Cicerone nel Bruto); «sed
eo nee ita novo, ut proximis consulibus natum velit, nee rursus
ita vetere, ut Opimium aut Anicium consulem quaerat. "Atqui
hae notae sunt optimae." Credo : sed nimia vetustas nee habet earn,
quam quaerimus, suavitatem, nee est iam sane tolerabilis, etc.
Sic ego istis censuerim et novam istam quasi de musto ac lacu
fervidam orationem fugiendam, nee illam praeclaram Thucydide
nimis veterem, tanquam anicianam notam, persequendam. Ipse
enim Thucydides, si posterius fuisset, multo maturior fuisset et
i. fra . . . rettorico: il Vannetti accoglie qui la distinzione proposta dal
Cesarotti per la prima volta proprio allo stesso Vannetti (cfr. pp. 506-13
e la nota 2 a p. 759). 2, maggior prosatore: il Boccaccio.
780 CLEMENTINO VANNETTI
mitior)).1 Cicerone le ha parlato per me, ne* io saprei certo in tal
lite qual altro scegliere od awocato o giudice piu reverendo, sup-
posta la incontrastabile proporzione tra lingua e lingua, autori ed
autori. Quanto al Muratori, n£ questi fu il solo da me citatole,
ch6 il Caro pure ed il Pallavicini allegai, n<§ non le tacqui esser
mio avviso ch'ella dovesse intender per discrezionc le costoro sen-
tenze. Ella mi cita il Salvini, e taccia il Muratori di liccimosita
(mi condoni il vocabolo); io taccio di superstizione il Salvini, e
soggiungo che quel mezzo onde la licenziositk del primo dalla
superstizione dividesi del secondo, quel mezzo appunto fra quella
e questa & cic- in che si ferma la mia opinione. Ragiona ella poi
sottilmente intorno airanalogica unita della natura del pcnsare e
del parlare in tutti gli uomini di buon senso ; donde inferisce pur
la unita del gusto nelle arti imitatrici del Bello. E di vcro cotal
natura, in quanto nasce dalla ragione e della ragione & ministra,
forza & che in tutti sia simile ed una. In quanto poi si applica, spc-
zialmente col mezzo della poesia, alia imitazione della natura fisi-
ca, de' costumi ed affetti, simile ed una rimane bensl nel prin-
cipio con cui opera in tutti, ma dissimile e varia divien nelle
forme a cui guida ciascuno e cui per ciascuno produce. Percioc-
ch6 all'universal natura razionale di tutti s'aggiugne e concor-
re la natura particolare d'ognuno, intellettuale e sensibile, in-
trinseca ed estrinseca, fattizia od abituale: voglio dir, vi concor-
rono Tingegno, la fantasia ed il cuore, che non sono in tutti gli
stessi; il clima, la educazione e piti altre cose che in molti son
diversissime, e le quali piegan la comune natura e la modificano
in mille guise.2 Quindi altri s'appigliano ad un genere di poesia,
altri ad altro; e di nuovo d'un genere stesso altri questa spezie
coltivano ed altri quella. Ed ecco gia le maniere di pensare e di scri-
vere, benche" procedenti da una stessa razional natura, tanto per6
i. Brut, y LXXXIII, 287-8 («come se a uno pxaccia bore del vino Falerno;
ma non cosl nuovo da volerlo nato 1'anno scorso, ne* d'altra parte cosl
vecchio da cercarlo del tempo dei consoli Opimio o Anicio. "Ma quelle
etichette sono ottime." Lo credo: ma Teccessiva antichita non ha ne"
quella soavita che cerchiamo, n6 e ormai piix tollerabile, ecc. Cosl, io con-
siglierei a costoro che bisogna evitar cotesto nuovo stile che quasi ribolle
come il mosto, e che non si debba andare in cerca di quello stile ottimo
per Tucidide ma troppo antico, come un'etichetta di Anicio. Lo stesso
Tucidide, se fosse vissuto piu tardi, sarebbe stato molto piu maturo e
piu dolce»). 2. Perciocchd . . . guise: anche queste idee sono di chiara
derivazione cesarottiana (cfr. la Nota introduttiva).
LETTERE 781
fra loro dissimili e opposte, quanto sono gli oggetti della na-
tura fisica innumerabili. Ecco in poesia, come nelle cose visibi-
li, 1'ameno, il lugubre, il tenue, il grande, il magnifico, il sem-
plice: ecco in poesia, come in pittura, i Rubens e i Correggi,
i Vandick e i Michelagnoli, i Tintoretti e gli Albani, i Raffaelli ed
i Paoli.1 N6 gia condannar puossi alcuna forma o spezie di stile
in se stessa, qualora dal modello non si dilunghi della natura fi-
sica o razionale poeticamente perfezionata, e de' propri confini
non esca; cosl che quella cotal virtu, o di copia o di sobrieta o di
splendidezza, non passi nel vizio che Yb vicino, o di ridondanza
o di seccore o di gonfiezza. II che se non fosse, io non so come
nello stesso Trecento potrebbe un medesimo critico ammirar Dan
te e non rigettare il Petrarca, o vero ammirar il Petrarca e a Dante
non dar commiato. Conciossiach6 in quello tutto sia candore, le-
nita, dolcezza, affetto: in questo, eziandio quand'& lirico, tutto
sia nerbo, asprezza, evidenza, ardire e talora sforzo.
Quale poi di tante spezie e quasi forme di rettorico o imi-
tativo stile sia Tottima, parmi assai difficile a giudicare; vie piu,
ch'altri vorr£ far quistione se quest* ottimo diasi assoluto o sol ri-
trovisi relativo. Certo & che ad ogni classe di poesia, come di
eloquenza, si conviene diverso stile; ma piu spezie hawi appunto
di stili che ad una stessa classe o materia possono convenire.
Or egli 6 di queste che si domanda qual sia 1'ottima in s6. Cicerone
teneva che nell'eloquenza forense lo stil magnifico fosse il miglio-
re; pur soggiugne che tutte le spezie di buono stile, ove sieno per-
fette in se stesse, voglion lodarsi: «Etsi id melius est, quod splen-
didius et magnificentius, tamen in bonis omnia, quae summa sunt,
iure laudantur. »a Non & il Casa soave come il Petrarca; non 6
TAriosto vibrato come Dante; non e, come 1'Ariosto, evidente il
Tasso; n£ come il Boccaccio 6 fiorito il Castiglione; il pindarico
Chiabrera, il profetico Guidi nulla non hanno a costoro di somi-
gliante: « tamen in bonis omnia, quae summa sunt, iure laudan
tur ». Perciocch6 tutti questi sono di fatto eccellenti, ciascuno nella
sua maniera. E bench6 della maniera miglior di tutte non sia per
anche deciso, assolutamente parlando, deciso 6 perd, relativamen-
i. Paoli: allude al Veronese (Paolo Caliari). 2. Brut., LV, 201 (« Anche
se e migliore lo stile piti. splendido e piti magnifico, tuttavia nei buoni
scrittori tutte le qualit& che raggiungono 1'eccellenza, vengono a ragione lo-
date »).
782 CLEMENTINO VANNETTI
te, quella esser di tutte la miglior maniera, la quale in un medesi-
mo genere alPindole o natura particolar di chi scrive piu si con-
faccia. « Atque . . . illud animadvertendum est» io conchiuderft con
lo stesso Tullio, infallibil maestro di queste arti, « posse esse sum-
mos, qui inter se sint dissimiles . . . Quare hoc doctoris intelli-
gentis est, videre quo ferat natura sua quemque: et ea duce uten-
tem sic instituere, ut Isocratem »,* con quel che segue nel Bruto,
S'io dunque vegga un giovine taciturno, pensoso, severo darsi tutto
alia imitazione di Dante, io nol consiglierb mai di rivolgersi alPA-
riosto con dirgli che questi & piu scorrevole, piu vago, piu deli-
zioso. N6 per Popposito se un giovine io vegga tutto foco e vi-
vacitk Forme premere delPAriosto, io mai non dirogli: — Imitate
Dante, perciocch6 questi e piu robusto e massiccio. — « Doctoris
intelligentis est videre quo ferat natura sua quemque.)) Ben dir6
al dantista:— Guardatevi dalla oscurita e dalla ruggine; sfuggi-
te — dir6 alPariostista — il lusso, la bassezza, la sfacciataggine : —
<c et ea duce utentem sic instituere, ut Isocratem . . . traditum est ».
Ma sempre alPuno ed alPaltro ripeter6 : — Studiate la lingua ne'
trecentisti, poich6 di tutt'i buoni italiani la lingua esser non
dee che una sola: lo stile poi, purch6 non corrotto, debb'esser
quello delPanima e del cuor di ciascuno. — La mia profession di
fede e finita; e mi giova sperare che sia cattolica.
Sono obbligatissimo al sig. ab. Trevisani, la cui lettera pur riten-
go per mia vanita. Volea piu scrivere, ma sono interrotto. Dunque
de' suoi versi elegantissimi alias. Mille cose al padre Ippolito,* e
sono tutto suo.
i. Cfr. Brut., LVI, 204 («E. . . bisogna comprendere questa veriti, che pos-
sono esservi sommi scrittori fra loro dissimili . . . E compito quindi del
maestro intelligente vedere dove ogni allievo sia indirizzato dalla sua
propria natura: e prendendo questa come guida, in tal guisa educarlo,
come Isocrate»). 2. padre Ippolito: allude probabilmente al Pindemonte,
comune amico e abitante a Verona come il Cesari.
AURELIO DEJ GIORGI BERTOLA
NOTA INTRODUTTIVA
Se tutta, si pu6 dire, la critica della seconda meta del Sette-
cento sta in vivo rapporto con la letteratura contemporanea e
anzi spesso con 1'attivita propriamente letteraria dei singoli cri-
tici, non c*& dubbio che questo rapporto appare particolarmente
esplicito nel caso del Bertola. Come illustrazioni e difese delle
proprie traduzioni dai poeti tedeschi nascono sia i saggi contenuti
nei due volumi della Idea della bella letteratura alemanna, dal Sag-
gio storico-critico sulla poesia alemanna al Ragionamento sulla poesia
pastorale alle Letter e sopra varie parti della (.(Bella letteratura ale-
manna-b (ed & significative anche come parecchie idee di quest!
saggi vengano anticipate o riprese in non poche note a pie di pa-
gina che corredano le traduzioni), sia YElogio di Gessner. II Saggio
sopra lafavola, a sua volta, secondo quanto dichiara Tautore stesso,
venne « insensibilmente » a costituirsi da una serie di « annotazio-
ni» che egli aveva steso per chiarire a lettori e critici gli intend
che lo avevano guidato nella composizione delle sue Favole : genesi
confermata anche dalla ultima sezione del Saggio, in cui il Bertola
rafTronta i principii esposti nelle sezioni precedenti con i risul-
tati concreti a cui ritiene di essere pervenuto come favolista. Anche
le Osservazioni sopra Metastasio traggono la loro origine da un
atteggiamento non diverso, dalla persuasione cioe che far Pana-
lisi dello stile del poeta e «indagarne le sorgentb sia il miglior
sistema per imitarne «rammirabil privilegio di facilita, di soa-
vita, di armonia nel verseggiare » e « la maniera con cui aveva egli
colto da* nostri quel fior si vago e gentile di poetica locuzione».
Quanto poi quella « grazia », che costituisce Pargomento del saggio
omonimo, coincida con Tideale artistico del Bertola, direi che si
awerta in ogni pagina dell'operetta, la quale essa stessa, nelle sue
immagini e nei suoi ritmi, & una esemplificazione concreta di
poesia della « grazia », non inferiore, forse, da questo punto di vi
sta, alle Lettere campestri e al Viaggio sul Reno.
Appunto per tale genesi tutte queste opere vanno valutate anzi-
tutto, come quelle di un Cesarotti, di un Baretti, di un Bettinelli,
e forse piu ancora, quali documenti del gusto personale dello
scrittore; e se si pu6 e si deve, come qui e nostro compito, esa-
minarle sotto Taspetto critico-estetico e proprio a tale gusto per-
786 AURELIO DE' GIORGI BERTOLA
sonale che prima di tutto occorre richiamarsi. Quale sia il nucleo
caratteristico di questo gusto & stato esaurientemente indicate da-
gli studiosi del Bertola, e con particolare acutezza, mi sembra,
dal Binni e dal Fubini, quando, approfondendo e storicizzando
una vecchia ma sostanzialmente giusta definizione (d'abatc epi-
cureo sentimentale))), parlano di « insoddisfatto edonismo», di
«estenuazione di un sensismo complesso», di una tensione che
« dall'edonismo porta al sentimentalismo » (Binni), ovvero di «sen-
sualitk . . . irrequieta e trascolorante in sentimentalismo », di « preoc-
cupazione del pittorico, ma non senza un accenno ad alcunch6 di
piu intimo» (Fubini). A precisare, tuttavia, come questa par
ticolare «sensibilita», di origine edonistica ma tendente, pur senza
superare mai del tutto i limiti delPedonismo, verso il sentimenta
lismo, si trasferisca dal piano letterario a quello estetico-critico,
mi sembra utile tener conto (come non credo sia stato fatto) dei
congeniali suggerimenti in tal senso che possono esser venuti al
Bertola dal Sulzer. II cui nome & citato con onore anche nei
saggi sulla favola e sulla grazia, ma particolarmente significativa
& la traduzione di alcuni squarci della sulzeriana Allgemdne Theorie
der schonen Kiinste che il Bertola fece fin dal 1775 e poi pubblic6
in appendice all'Idea della bella letteratura alemanna. Questa tra
duzione, infatti, non solo testimonia Tinteresse del letterato rimi-
nese per Testetica, e in particolare per Testetica tedesca, ma con-
sente di vedere come e in che senso il pensiero del Sulzer gli fosse
d'aiuto per acquistare consapevolezza estetica e critica del proprio
gusto. Specialmente indicativo il primo passo tradotto, che 6 tratto
dall'articolo sulle « Belle Arti» in generale, nel quale lo scrittore
tedesco, contaminando echi empiristici e sensistici con motivi del
Baumgarten, del Mendelssohn e del Winckelmann, viene ad ela-
borare una specie di estetica (cito naturalmente dalla traduzione
bertoliana) della «preziosa e delicata sensibility », fondata cioi su
un concetto dell'arte quale attivitk capace di suscitare, imitando
«il procedere della natura», sensazioni piacevoli ma cosl «pure» e
cosi « delicate» da svegliare e potenziare «un sentimento pito te-
nero che ne sollecita e i nostri gusti fortifica», in modo che do
spirito e il cuore diventan piu attivi : e noi allora piu limitati non
siamo a sensazioni grossolane, comuni a tutti gli animali; ma im-
pressioni piu dolci vi si aggiungono, s'impadroniscono della no-
str'anima; diventiamo uomini)>: una attivitk insomma che rag-
NOTA INTRODUTTIVA 787
giunge il suo scopo quando Topera d'arte, «per mezzo del trava-
glio, acquista una grazia particolare, la quale colPaiuto de' sensi
richiama la riflessione» (Idea delta bella letter atur a alemanna, n,
pp. 247-52). £ appunto tramite queste riflessioni del Sulzer (an-
che se non senza qualche suggestione dellj« entusiasmo » del Betti-
nelli e del « Bello morale » cesarottiano) che la personale esperienza
letteraria del Bertola si traduce nel concetto che, in modo dissi
mulate ma piu solidamente forse di quanto non sembri a prima
vista, regge il pensiero estetico e critico del Bertola: il concetto,
cio&, di un'arte eccitatrice di « sensazioni » piacevoli, ma cosi inti-
mamente godute nella loro «naturale» e insieme squisita «sempli-
cita», nella loro « grazia » fragrante e sottilmente «furtiva» da com-
porre un nuovo mondo di tenere emozioni deliziosamente conso-
lanti: «un mondo incantato», come & detto nella chiusa (giustamen-
te posta in rilievo dal Fubini) del Saggio sopra la grazia, « ove en-
triamo a ricrearci allorch6 quello in cui viviamo c'infastidisca e
ci turbi: un mondo nel quale sopra tutti gli oggetti cosi brillano
la calma, 1'ilarita, la vaghezza, che ne sentiamo amabilmente il ri-
verbero fino al fondo delPanima».
Non c'& bisogno d'insistere sui limiti di questo concetto, che
sono poi pressappoco quelli della poesia realizzata dal Bertola: mal-
grado i presentimenti foscoliani e leopardiani che si possono awer-
tire nel passo citato e altrove, il Bertola critico rimane ben lontano
dal senso romantico dell'arte come integrate espressione della vita
del sentimento, e quindi incapace di intendere la grande poesia
antica e contemporanea. Entro questi limiti, per6, non c'& dubbio
che egli riesca a penetrare, con una adesione e una finezza critica
ignota non solo agli altri critici italiani del Settecento, ma agli
stessi romantici, certi poeti e certe forme d'arte pui congeniali al
suo edonismo sentimentale.
£ sotto questo punto di vista che debbono essere valutati - a
parte il loro valore, esaurientemente illustrate dal Binni, nella
storia della poetica o del gusto - i saggi compresi ndl'Idea della
bella letteratura alemanna (1779-1784) e VElogio di Gessner (1789):
ai quali, dal punto di vista critico, va riconosciuto non solo il me-
rito generico di aver promosso 1'interesse per una letteratura ancora
poco nota in Italia, ma anche quello piu specifico di averne illu-
strato con positiva simpatia alcuni aspetti nuovi, piu di quan
to oggi possa a noi sembrare, a zone assai ampie della cultura lette-
788 AURELIO DE1 GIORGI BERTOLA
raria italiana contemporanea, come quelle rappresentate da un Bet-
tinelli e da un Vannetti. Tra questi aspetti, quello su cui il Bertola
insiste piu frequentemente, e direi (se Pespressione £ consentita
per un critico cosl garbato) piu polemicamente, &, in coerenza col
proprio gusto personale (nella formazione del quale, d'altra parte,
questa esperienza ha un posto importante), quel «certo bisogno
di risentire Tinfluenza della natura nella sua primitiva purezza»,
il quale desta « negli Alemanni qucl trasporto per gli oggetti cam-
pestri, che poi & trasfuso in tante lor poesie, e che non 6 g& capric-
ciosamente effimero, ma filosoficamente costante, e per modo che
s'immerge in un dolce pelago di gioiose considerazioni e se le va
prolungando secondato dalla lingua oltremodo arnica del det-
taglio e delle immagini villerecce» (Idea della bella letter atur a ale-
manna, i, pp. no-i). Quanto del gusto arcadico rimanga in que
sta preferenza, & stato giustamente sottolineato dal Maier e clal
Fubini: ma che il Bertola stesso avvertisse e cercasse di fare av-
vertire la differenza tra la poesia « pastorale », ispirata dalla « natu
ra », dei Tedeschi e quella classicistica, si scorge chiaramente al-
rinizio del Ragionamento sulla poesia pastorale, dove egli cerca di
caratterizzare Tispirazione del suo poeta preferito : « Cercasi forse
invano per le anime gentili una situazione piu grata di quella in cui
sono elleno allora che, per mezzo di un vivo immaginare uscendo
dalla sfera de' modern! costumi, vanno a trattenersi soavemente
in seno al dolce riposo e al candor di sentiment! della felice eti del-
Toro. In questa I'immortale Gessner ha Pazion trasportata de* suoi
idilli: la quale ne acquista una verisimiglianza siffatta che ci
muove piti intimamente, presentandoci non gik ie puerili chimcre
de' fiumi che scorron latte, e delle piante che stillan m≤ ma una
immagine incantatrice della innocenza e della felicitk che gli anti-
chi patriarchi godevano» (Idea della bella letter atur a alemanna,
II, p. 3). Certo questa distinzione & ancora ben lontana da quella
romantica fra poesia letteraria e poesia veramente naturale e primi
tiva, come basta a dimostrare la lode, tributata allo stesso Gessner
ntlYIdea e poi nelVElogio, di essere « il poeta che dopo Vautor del-
VAminta si & piti awicinato alia divina semplicit& degli antichi».
Ma, a parte il fatto che non sark un caso se il Leopardi proprio
dal passo citato prenderk lo spunto per una strofa della canzone
Ai Patriarchi, il concetto bertoliano di « naturalezza » e di « semplici-
tk» con quanto di raffinatamente letterario serba in s6, e direi pro-
NOTA INTRODUTTIVA 789
prio in virtu di questo suo carattere, consente al critico se non di
arrivare a comprendere temperamenti poetici troppo diversi come
quelli del Goethe o del Lessing, o magari di Martin Opitz e di
Klopstock, almeno di apprezzare e fare apprezzare, e sia pure con
esagerata valutazione, il particolare sapore tra candido e maniera-
to, tra familiare e letterario, tra semplice e squisito, del Gessner
e di certa lirica minore del Settecento tedesco: la «facilitik dilicata»
dello Hagedorn ; la « spontaneita », la « tenerezza », la <c insinuazione »,
il « divino linguaggio del cuore » dei lamenti dello Haller, « la vaga
modulazion delle tinte», «il pastoso dello stile », il ccdolce calore»
del Kleist; il «patetico insinuantissimo » dello Zaccaria; la «dol-
ce semplicita », « indifinibile come la grazia», del Gleim; la «bellez-
za tutta modesta)) come «il calore di un bel mattino di primavera»
del Gellert; e gli consente altresi, per quanto riguarda lo stile,
di difendere quelle espressioni « naturali », proprie della lingua te-
desca, che egli in parte tentava di trasportare nelle sue tradu-
zioni, e soprattutto quell'aria di « uniformita » e di monotonia un
po' languida, quel gusto del «dettaglio», che sembravano difetti
ai suoi amici classicist!, dal Bettinelli al Vannetti, e che egli inve-
ce cerca di giustificare dalPinterno richiamandosi alPattento e in-
genuo amore dei poeti alemanni per la natura.
Attraverso questi poeti, e specialmente il Gessner, il Bertola
ritorna come scrittore, non diversamente da quanto per altra via
faceva il Meli (secondo Fosservazione del Fubini), a Teocrito:
ma tale ritorno avviene anche sul piano critico e qui si risolve in una
ragionata rivalutazione delPantico poeta greco, preferito, contro
Fawiso del Fontenelle e del Pope e degli altri critici illuministi,
non solo ai moderni ma ai latini stessi : « un ingenuo e fedel pittore
della natura £ stato Teocrito : la semplicit^ e Famor per Pagricol-
tura dominanti nella eta in cui egli vivea, gli agevolarono di mol-
to Fimpresa; e il dialetto dorico pieno di una soavissima na-
turalezza gli fu d'un soccorso che cercarono invano i Latini e
invano sperano i moderni » (Idea della bella letteratura alemanna, n,
p. 6). Piu generalmente anzi, difendendo il «dettaglio» dei poeti
tedeschi, egli giunge addirittura a distinguere quasi due classi di
poeti, la prima (per cui egli non cela la sua predilezione) di coloro
che, come Omero e i Greci in genere e FAriosto, d'Omero fer-
rarese », « sono stati piii inclinati a fedelmente ricopiare » la natura,
provvisti com'erano di « quelle miti disposizioni che richieggonsi
79° AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
affinch6 gli spirit! amino di restate placidamente immersi nel seno
di lunghe e dilicate impressioni », e una seconda, in cui pone gli
artisti intenti piuttosto ad « abbellirla », a descriverla cio& in modo
piu rapido e artificioso, come i poeti latini del secoio di Augusto
e il Tasso, vissuti in epoche piu « cortigiane » e raffinate (Idea delta
bella letter atur a alemanna, n, pp. 19-20).
Ma per quanto possano riuscire interessanti i giudizi che sia-
mo venuti citando, piu impegnative e mature sono le opere criti-
che composte dal Bertola dopo Yldea, a cominciare dalle Osserva*
zioni sopra Metastasio (pubblicate nel 1784), forse il pifi aderente
ritratto settecentesco delFautore dQlYOlimpiade. Anche in queste
pagine risuonano i soliti elogi alia « chiarezza » e alia « moralitci » dei
melodrammi e delle canzonette metastasiane. Ma in realtJt Fatten-
zione del Bertola si volge soprattutto (e qui & da indicate il suo
maggior merito) a sottolineare e a caratterizzare, ricordando ma
anche sottilmente precisando e direi limitando alcuni famosi sug~
gerimenti del Rousseau («M6tastase est le seul po£te du cocur»),
la capacitk metastasiana di spandere sull'anima del lettore - come
aveva cantato in un'ode del 1774 - di «delizie un ncttare», ii
dono incantevole di suscitare sensazioni e quindi emozioni pure e
delicate. Cosl impostato, il saggio viene naturalmente a configurarsi
soprattutto come una ricerca e individuazione degli aspetti dello
stile metastasiano che valgono ad eccitare queste sensazioni ed
emozioni. E pita particolarmente, se il critico aveva indicate nei
poeti tedeschi e nel loro linguaggio una suggestione sensibile so
prattutto di carattere pittorico, qui invece, con acuta percezione
deiroriginaliti del Metastasio, & sull'incanto « musicale » dello stile
di questo poeta che egli soprattutto insiste, su «quel suo ammi-
rabil privilegio di facilitk, di soavitk, di armonia nel verseggiare »,
su « quel supremo artificio di una precisa, simmetrica, melodiosa
collocazione di voci, e di una spontanea distribuzione de' piti
morbidi accentu. E di questa «musica» metastasiana non solo
indica la formazione, in pagine tuttora indiscutibili, attraverso lo
studio soprattutto di tre poeti quali il Tasso, il Guarini e il Ma
rino; ma cerca anche di seguire lo sviluppo nel tempo e i diversi
caratteri che assume nei recitativi, nelle arie (« conoscitor profondo
della teoria musicale di& , . . a' suoi versetti una tornitura cosl
linda, svelta e gentile, e un tuono in essi impresse cosl facile,
scorrevole e melodioso che entrar parevano come spontaneamente
NOTA INTRODUTTIVA 791
ne' numeri della musica») e nei duetti, die gli sembrano prefe-
ribili anche ai terzetti, quartetti e finali per « pieghevolezza ne*
versi» e ccmorbidezza nella frase». Come un elemento dello squi-
sito e spontaneo incanto dello stile metastasiano viene in definitiva
presentata dal Bertola anche la qualita della « chiarezza », che egli,
polemizzando col Bettinelli (il quale Faveva attribuita al servilismo
del poeta verso i musicisti), riporta airinterno del gusto dell'autore,
ad «una inclinazione invincibile che alia limpidezza lo trasportava»,
facendogli rifmtare le trasposizioni bembesche e i acontorni di
frase» del Casa, e tutti gli altri dirici infioramenti » impiegati dai
« nostri vecchi tragici eccitatori eccellenti della noia e del sonno ».
E quando viene a parlare della moralita metastasiana, non 6 sul
contenuto di essa che egli insiste, quanto sulla « graziosa insinuazio-
ne », sulle « immagini sensibili e ridenti » con cui il poeta sa presen-
tarla al lettore e allo spettatore.
Allo stesso modo nel Saggio sopra lafavola (1789) ci6 che inte-
ressa il critico non e tanto Paspetto educativo di quel genere let-
terario, quanto la «maniera» con cui la moralita vi viene «insi-
nuata», e in particolare la possibilita, che gli sembra ofFerta da
quel genere, di impiegare tutta una serie di artifici atti a scuotere
ed eccitare deliziosamente la «sensibilita» del lettore. Questi arti
fici consistono per il Bertola anche nel rispetto delle regole tra-
dizionali delPunita, della convenienza e della verosimiglianza, ma
soprattutto nel seguire la « gradazione insensibile dal principio verso
il nodo e dal nodo verso lo sviluppo della favola» e piu ancora
nel serbare «ingenuita» e « lepidezza » nei pensieri e nello stile:
due qualitk che il Bertola viene analizzando con una sottilissima
finezza di cui pu6 valere come esempio questa definizione della
«ingenuita», che e poi soltanto un punto di partenza per altre e piu
sottili distinzioni: «Non si pu6 forse caratterizzar meglio Pinge-
nuita, che dicendo dover essa comparire da s<§ venuta e non ri-
cercata, fe nel genere semplice, ma e qualche cosa di piu che
la semplicita; n6 i vocaboli "natio", "candido", dicono abbastan-
za; bisogna aggiugnervi alquanto di quel vivo e animate che tro-
vasi in quell'amabile libertk e franchezza da cui Fingenuita non
va mai disgiunta»; owero le considerazioni sulla scelta e sulP«im-
pasto» delle forme proverbiali, degli idiotismi e in genere delle
voci e dei costrutti piu adatti per creare uno stile italiano vera-
mente «lepido». Queste analisi non rimangono astratte, ma sono
792 AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
corredate e rawivate da continui esempi: e 1'originalita del Saggw
sopra la favola sul piano critico consiste appunto nella revisione
che pur in forma conversevole e garbata il Bertola, alia luce dei
suoi criteri, viene facendo delle valutazioni tradizionali dei princi
pal! favolisti antichi e moderni. Fra i piu notevoli risultati di
questa revisione porrei anzitutto i giudizi su Esopo, ammirato ma
anche acutamente caratterizzato per la sua eccellenza nella «gra-
dazione insensibile », nelPingenuita, nella lepidezza, per il suo mi-
rabile equilibrio insomma tra naturalezza e raffinatezza; su Fedro,
il quale talora «volea conversare un poco piii alia scoperta coy
Romani della sua eta»; sul La Fontaine, di cui sa cogliere con
precise analisi la squisita malizia psicologica e artistica che si cela
sotto Tapparente ingenuita, e in cui non esita a indicare come H-
mite proprio questa consapevole malizia (<calcuni tacciano questo
gran favolista di essere talvolta un poco troppo ciarliero nella sua
ingenuita; ma io direi piuttosto che talvolta non e ingenuo . . .»);
e ancora, quando viene a parlare dei tre maggiori favolisti italiani
contemporanei, le garbate ma decise riserve sul Roberti, ora « lec-
cato e pomposo » ora sciattamente familiare, Telogio della « spedi-
tezza vivace e gentilmente capricciosa» del Pignotti, Pindulgente
simpatia per il « candido e cordiale » Passeroni. N6 vanno dimenti-
cati alcuni accenni rapidi ma suggestivi: per esempio, ai «passaggi
dilicatissimi » del Petrarca, giik <cripresi da* commentatori come
un vizioso deviamento»; alP« energica evidenza», «con cui espone
TAriosto la moralit& nelle sue favole»; alia «ingenuit& lepida» del
Sacchetti, del Firenzuola, delle commedie veneziane del Goldoni ;
a certi «tratti» del Boccaccio, del Passavanti e di altri scrittori di
quella eta, « i quali tratti erano sentiti come ingenui da' contempo
ranei di quegli scrittori ; e come tali non sono oggi sentiti che da po-
chissimi ».
Ma Fedonismo sentimentale del Bertola critico appare in forma
piii pura, piti libera cioe da addentellati col razionalismo e con il
moralismo illuministico, e anche fecondo di piti suggestivi risul
tati, nel Saggio sopra la grazia, letto nel 1786, ma in seguito rie«
laborato, e pubblicato postumo solo nel 1822. II procedimento e
il fine delPopera sono gik abbozzati in una nota apposta, nel se-
condo tomo dell'Idea della bella letteratura alemanna, alia tradu-
zione delFarticolo del Sulzer sulla (cgrazia». «Non sarebbe utile»
egli si chiede in questa nota «di ricercare una via, onde far di-
NOTA INTRODUTTIVA 793
stinguere in qualche maniera il grazioso a coloro eziandio che di
quel fino sentimento son privi? Non sarebbe questo un servigio
grandissimo che al cuore umano si presterebbe, dilatando cosi la
sfera de' suoi piaceri? Uomo non v'ha, per quanto aspro sia
d'indole e duro, il qual non sia suscettibile di una qualche dolce
impressione, e che alcune delle dolci impressioni non abbia ricevuto
in sua vita. Or non si potrebbe da un giudizioso esame dell'ef-
fetto di queste impressioni che a lui son note, condurlo appoco
appoco ad avere un'idea di quelle che non ha ricevuto, ma che pur
sono della medesima classe? e fortificar poi questa idea cogli
esemplari della natura e dell'arte, e fare osservar fmalmente quali
siano gli oggetti suscettibili o no della grazia, in virtu del loro
carattere originate ?» (p. 263).
Seguendo appunto questa traccia, il Bertola, nel Saggio sopra la
grazia, dopo aver brevemente accennato alle definizioni della « gra
zia)) proposte da antichi e moderni scrittori, preferisce, piuttosto
che entrare in una vera e propria discussione teorica, costruire il suo
trattato come una analisi di ((impressioni)) e di esempi tratti dalla
natura e dairarte, che valgano a suscitare quasi insensibilmente
ma concretamente Tidea di quella forma di bellezza, o, come egli
dice, di quella « sorta di fragranza». E il primo aspetto notevole del-
T opera andrk indicato proprio in questa cosl consapevole im-
postazione impressionistica, anche se essa si riallaccia a tutto un
filone del pensiero estetico illuministico dal Dubos allo Hume.
Ma non meno interessante & quella caratterizzazione della « gra
zia », che in definitiva risulta chiara dalle analisi del Bertola, e che
egli compendia, con mille garbate proteste, nella definizione
«una furtivita di eleganza e di affetto»: dove la novita consiste (co
me ha notato il Binni) in questa « furtivita », nella quale entrano
echi deiredonismo classico, cinquecentesco ed arcadico, del sen-
sismo raffinato del Sulzer e dello Hogarth, del neoclassicismo del
Mengs e del Webb (per citare autori ricordati dal Bertola stesso)
e anche della «naturalezza» rousseauiana, rna che pure se ne di
stingue per una accentuazione tutta bertoliana delle qualitk di
«vaghezza», di «deliziosa dubbiezza», di «pudore», di «timidita»,
di «mistero)>.
Sul piano critico & naturale che questo criterio non possa essere
applicato (n6 il Bertola, ben consapevole dei suoi limiti, ci si prova)
ad artisti che non siano (come diceva la Teotochi) amorbidi e di-
794 AURELIO DE' GIORGI BERTOLA
licatb. Ma non c'e dubbio che esso permette al critico di inten-
dere e caratterizzare, col massimo di abbandono all'incanto della
«sensibilita» che possa esser consentito ad un uomo del Settecento,
e con un finissimo linguaggio critico, ricco di metafore tratte non
solo dal linguaggio della pittura ma anche della musica e dei profu-
mi, alcuni artisti di questa seconda categoria. Tra i quali, accan-
to ad Anacreonte («sotto de' sottili velami sta il fiore della tua
eleganza, e in che sprezzatura fanciullesca e involata la soavitk
del tuo affetto»), al Correggio («se da ad imprestanza la piii inge-
nua eloquenza del cuore a una ciocca di capelli, a una piega,
chi dira dell'affetto che furtivamente volteggia sul collo, sugli oc-
chi, sulle labbra che uscirono dalla mano . . . ? »), al Pergolesi
(« quale immenso ma placidissimo giro non fa egli fare alia nostra
anima per varie strade di affetti, pur non mostrando di voler pi-
gliarla di mira, non che signoreggiarla»), a Virgilio (di cui ad-
dita le <c transizioni . . . tanto innocentemente velate»), alFAriosto,
a Raffaello, al Petrarca, al Parmigianino, al Paisiello, accanto cioe
ad autori noti ed amati nel secolo XVIII, troviamo con gradita
sorpresa non solo il Goldoni, e proprio il Goldoni delle commedie
in dialetto («nelle commedie veneziane, dove & il fior piti soave
di quel giocondo dialetto, massimamente incontriamo scene in
cui si direbbe che parlino tra loro sotto finti nomi Teocrito e
Plauto, ma Plauto fatto verecondo e soave »), ma anche il Sacchetti
(«se mi si chiede perch6 io apra un luogo fra questa schiera a
Franco Sacchetti, io chieder6 che mi si nomini un prosatore
nostro il quale grazieggi come fa costui nelle sue novelle»).
Quanto mi sembra giusto sottolineare gli aspetti positivi del
critico, altrettanto mi pare dover andar cauti nel valutare il Ber-
tola filosofo della storia. Che Pautore stesso sentisse il suo trat-
tato sulla Filosofia della storia come estraneo ai suoi interessi piii
genuini, e confermato sia dalle frequenti espressioni di fastidio
e di fatica con cui parla agli amici del suo lavoro, sia dallo stile in
cui P opera, almeno nella redazione pubblicata, e stesa, uno stile
classicheggiante e contorto che ricorda le pagine peggiori di un
Galeani Napione e di un Borsa. In realt& se il titolo, almeno
in Italia, e nuovo, tutt'altro che nuove si rivelano le idee conte-
nute nel libro. L'impostazione illuministica, che vi 6 stata posta
in rilievo dal Catalano, e in particolare Papplicazione del concetto
di « progresso », appaiono invero pregi molto relativi, se si consi-
NOTA INTRODUTTIVA 795
dera che il lavoro fu pubblicato nel 1787, quando cio& non solo
le opere del Voltaire, del Montesquieu, del Robertson, dello Hu
me, ma anche quelle del Bettinelli e del Denina, per tacer d'altri,
erano entrate da tempo in circolazione. Anche Pintonazione clas-
sicistico-nazionalistica, che il Catalano ha pure sottolineato, & mo-
tivo assai diffuso della storiografia illuministica italiana, e, prima
che nel Bertola, si ritrova chiaramente nel Bettinelli, nel Galeani
Napione, nel Napoli Signorelli e persino nel Tiraboschi; senza
dire poi che, se Tautore concentra Tattenzione sulla storia anti-
ca, la sua scelta dipende non tanto da una preferenza per quel
periodo, quanto dal proposito dichiarato di limitare la materia di
studio. Indicherei se mai quale carattere positivo del trattato il
concetto, su cui spesso Tautore insiste, della impossibility di ri-
durre in leggi semplici e uniformi la complessita delle vicende stori-
che dei vari popoli; ma in verita tale concetto non trova poi
effettiva appiicazione nelle considerazioni per lo piii astratte e ge-
neriche che costituiscono Topera.
Sintomo della relativa apertura mentale del Bertola possono es-
sere invece le Idee di un repubblicano sopra un piano di pubblica
istruzione, stcse nel 1797 per incarico del Comitato d'Istruzione
pubblica di Bologna, e in particolare la constatazione, giustamen-
te posta in rilievo ancora dal Catalano, della ignoranza delle mas
se popolari italiane e dei pericoli che questa ignoranza, se non
efficacemente combattuta, poteva produrre per Tesistenza dei nuo-
vi stati: anche se non si rimane del tutto liberi dal sospetto che i
timori del Bertola si riferiscano, piuttosto che a possibili involuzio-
ni in senso reazionario, alFeventualita (che impauriva anche uno
scrittore a lui per molti aspetti vicino, come il Cesarotti) di radicali
rivolgimenti della struttura sociale.
Per la biografia del Bertola e per la bibliografia generale rimandiamo
alia Nota bio-bibliografica di B. MAIER nel volume Lirici del Settecento,
Milano«Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 742-4; volume in cui, oltre ad una
scelta di versi e di prose d'arte del Bertola, sono riprodotte anche alcu-
ne pagine dell'Elogio di Gessner. Notizie particolari sulle edizioni delle
Osservastioni sopra Metastasio, del Saggio sopra la favola e del Saggio
sopra la grazia si troveranno nei cappelli alle pagine di queste opere
qui riprodotte. Le altre opere culturali del Bertola sono: Idea della
poesia alemanna, Napoli, Raimondi, 1779; ripubblicata con aggiunte e
796 AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
correzioni e col titolo Idea delta bella letteratura atemanna, in due tomi,
Lucca, Bonsignori, 1784; Lesdoni di storia scritte ad uso della R. Acca-
demia di Marina, Napoli, Stamp eria Reale, 1782; Della filosofia della storia,
Pavia, Bolzani, 1787; Idee di un repubblicano sopra un piano di pubblica
istruzione, a cura di A. Tambellini, per nozze Zavagli-Gruan, Rimini,
Malvolti, 1893.
Tra gli studi critici ci limitiamo a citare solo quelli che riguardano piu
direttamente Taspetto culturale del Bertola. Tra le opere complessive:
I. TEOTOCHI ALBRIZZI, Ritratti, a cura di T. Bozza, Roma 1946, pp. 46-8;
G. Scorn, La vita e le opere di A. Bertola, Milano, Aliprandi, 1896
(estratto dal «Pensiero italiano», voll. LXX, LXXI e LXXII); O. SACCQZZI,
Ilmigliore Bertola, in «Rivista di sintesi letteraria», III (*937)> PP* 433-77 >
F. FLORA, A. De Giorgi Bertola, nel volume miscellaneo Studi su A.
Bertola nel 11° centenario della nascita, Bologna, S.T.E.B., 1953, PP- *-a6*>
A. PIROMALLI, A. Bertola nella letteratura del Settecento, Firenze, OLschki,
1959; e soprattutto W. BINNI, Preromanticismo italiano, Napoli, E. S. L,
1948, pp, 255-70 (e si cfr. anche, dello stesso, la recensione al citato
volume miscellaneo Studi ecc., in «La rass. d. lett. it. », LVin, 1954, pp.
489-92) ; e M. FUBINI, Introduzione al volume citato Lirici del Settecento,
pp. LXXVII-LXXX e xc-c.
L'unico studio specifico e complessivo sul Bertola critico & qucllo,
per molti aspetti pregevole, di B. MAIER, La critica di A, Bertola, nel
citato volume miscellaneo Studi ecc., pp. 141-94. In particolare sul Ber
tola critico della letteratura tedesca si vedano: F. FLAMINI, A. Bertola
e i suoi studi intorno alia letteratura tedesca^ Torino, Loescher, 1895 (su
cui cfr. A, FARINELU, Poesia germanica, Milano, Corbaccio, 1927, pp.
501-19); B. CROCK, £. Gessner e un suo ammiratore italiano, in «Quaderni
della Critica », nn. 17-8 (1950), pp. 118-25; A. NOYER WEIDNER, Die
Aufkltirung in Oberitatien, Miinchen, Hueber, 1957, pp. 269-82. Sul
pensiero storico: G. GASPERONI, A. De Giorgi Bertola e la sua filosofia della
storia, in Studi e ricerche, Roma-Milano, Albrighi e Segati, 1910, pp.
169-88; e F. CATALANO, Note sul pensiero storico di A. Bertola, nel citato
volume miscellaneo Studi ecc., pp. 65-74.
DALLE «OSSERVAZIONI SOPRA METASTASIO»
de nessuna cosa b piu acconcia a risvegliar Tamore per le belle
fatiche e per la gloria, che il tener dietro alia maniera con cui i
grancTingegni han fatto lor cammino; se in seguir collo spirito
siffatte tracce, anche i piu svogliati uomini ritrovan pascolo, io
prender6 di mira le particolarita piu importanti degli studi e lavori
drammatici di Metastasio non inutilmente : quelle della sua vita
civile note g& sono abbastanza. Pochi scrittori meritan piu di
questo riflessioni ed esame: al teatro antico e al moderno manca
Pesempio di una brillante originalita rimasta unica per lo spazio di
sessant'anni.1 Aggiungasi, che a tentar di emularla veduto ha T Ita
lia sorger di tratto in tratto i piu felici de? suoi poeti, senza ec-
cettuarne Frugoni. In minore spazio di tempo divise i suoi voti la
Grecia fra Sofocle ed Euripide; in minore possedemmo noi la
Sofonisba2 e il Torrismondo] e in minore ancora i Francesi fecer
plauso al Cid e zlYAtalia. Possano queste ricerche concorrere in
qualche modo alia letteraria educazione di un successore di Me
tastasio!
Gi£ & notissimo che Gravina s'invaghi delPingegno del gio-
vanetto Trapassi, udendolo improwisare;3 che a quel tempo
Come si trae da una lettera del Bertola all'Amaduzzi in data 28 agosto 1783,
queste Osservazioni furono stese a Vienna in quell' anno, per invito di
monsignor Giuseppe Garampi, nunzio apostolico in quella citta e amico e
protettore del Bertola, che a lui appunto dedic6 il suo scritto, ricordando
fra 1'altro come proprio per mezzo di lui il Metastasio lo avesse tante volte
«avvertito, consigliato, incoraggito nella camera de' poetici studi ». Dal
Garampi stesso e in particolare dai coniugi de Martines (espressamente
ricordati in nota piu volte) il Bertola ebbe anche non poche notizie su par-
ticolari biografici del poeta studiato. Le Osservazioni, precedute dalla ri-
cordata lettera di dedica al Garampi e seguite da trentotto ottave intitolate
Al sepolcro di Metastasio, furono stampate la prima volta col titolo Osserva
zioni sopr a Metastasio, con alcuniversi, Bassano, Remondini, 1784; e quindi
ripubblicate nel tomo II delle Operette in verso e in prosa, Bassano, [Remon
dini], 1785, alle pp. 181-229. II passo qui riprodotto segue il testo di questa
seconda e definitiva edizione, pp. 181-9. Le note del Bertola sono seguite
dalla sigla B.
i. Dicesi di sessant'anni, facendosi partir quest* epoca dai primi lavori
drammatici di Metastasio (B.). 2. Sofonisba: la tragedia del Trissi.no.
3. Metastasio si espose a parlare in versi su qualunque soggetto dall'eta di
dieci in undici anni fino ai sedici (B.).
79§ AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
risorto era di fresco in Italia il buongusto poetico; che a sif-
fatto risorgimento avea il Gravina contribuito soprammodo ; c che
in cosi schietta scuola e sicura rammirabile alunno studi6 pro-
fondamente gli antichi, le scienze e la legge in ispecie, da lui pro-
fessata in Roma, indi in Napoli; e che in essa scuola s'imbeve"
delle idee piu giuste del bello e del vero in materia d'arti e di
lettere.
II GiustinOj tragedia ch'egli compose intorno ai quattordici anai,
ben ci scopre il religioso attaccamento ch'eragli stato inspirato
pe' Greci. Di una produzione cosi grave e misurata in siffatta etk
non e forse esempio: tutti i primi parti de' sommi poeti peccano
singolarmente per qualche ambizione di ornamenti. Ma poich6
Fautoritk del severo maestro and6 permettendo alcun volo alPin-
gegno, questo si slanci6 ardentemente a coglier fiori d'ogni ma-
niera: indi verso i vent'anni, gi& morto il Gravina, god6 Metasta-
sio di abbigliare di piu moderne vesti i suoi ridenti prodotti,
e li consecr6 all'armonia teatrale, a seconda di quelPinclinazione
irresistibile che vince tutte le circostanze che la combattono, e che
sola produce i grandjuomini in ogni classe di professione, Nella
Galatea, nzlYEndimione, negli Orti Esperidi1 chiaro apparisce che
Ovidio eragli divenuto assai famigliare. Ne ricopiava la facilitk,
Tamenita, Pevidenza ; ma era gik in lui sicurezza di gusto si forte
da saperne troncar le ridondanze e temperar le acutezze colla
semplicit£ di Teocrito e colPeconomia di Virgilio.2
Mentre per6 andavasi egli nudrendo della miglior sostanza de'
classici antichi, si prese in assidua compagnia parzialissima un
i. La Galatea, VEndimione e gli Orti Esperidi furono scritti e rappresentati
a Napoli tra il 1721 e il 1722. 2. II sig. caval. Varmetti ha con singolar di-
scernimento osservata e messa a confronto la maniera con cui Teocrito,
Ovidio e Metastasio han rappresentato Polifemo ; ed ha acconciamente ri-
sposto a una delle censure che il sig. ab. Arteaga fa al nostro poeta (B.)«
Allude ad una lunga nota apposta dal Vannetti alia sua Liber a versions del-
Vidillio XI di Teocrito (cfr. Opere italiane e latine, vi, Venezia, Alvisopoli,
1831, pp. 302-7), in cui loda il Metastasio per aver fatto nella Galatea « co
me un impasto della poesia di Teocrito con quella del diletto Ovidio, ri-
manendo per6 originale », e in particolare lo difende da alcune critiche del-
TArteaga, che nelle sue Rivoluzioni del teatro musicale italiano aveva notato
in quell'opera alcune inverosimiglianze ; e conclude poi che « la candidezza
di Teocrito piu che negli altri si sente in Virgilio, bensi di molto addolcita,
indi nel Metastasio, pochissimo in Ovidio, eccessivo amatore del proprio
ingegno; ma che Teocrito non pertanto resta solo ed inimitabile in quella
sua rustica eppur amabilissima gracilita ».
OSSERVAZIONI SOPRA METASTASIO 799
altro studio ; quello che gia da alcun tempo pochi poeti e pochissi-
mi prosatori fanno in Italia; quello che fatto daj Francesi diligen-
tissimamente, ha procacciato alia lor lingua la gloria di essere og-
gimai universale; quello che rimmortale Zanotti1 faceva ancora
nella etk d'ottant'anni: lo studio della propria lingua.z
A nessuno per awentura de' tanti imitatori di Metastasio 6 pia-
ciuto di por mente che questo studio giudizioso, ordinato, inde-
fesso & la certissima origine della parte piu bella e piii malagevole
de' suoi lavori : e che quel suo ammirabil privilegio di facilitk, di
soavita, di armonia nel verseggiare non era da conseguirsi mai
col rivolgere tutta la cura a ricopiare il tuono de* suoi periodi,
a rimpastare le piu eleganti delle sue scene, ad accozzare i fregi
delle dilicate sue frasi; ma col far Panalisi del suo stile, colPin-
dagarne le sorgenti, col cercare d'imitar la maniera con cui ave-
va egli colto da* nostri quel fior si vago e gentile di poetica lo-
cuzione.
Avea gia esaminato profondamente i diversi gradi di eleganza
e di leggiadria in coloro che anelarono di segnalarsi nella scuola del
Petrarca;3 con diletto e con meraviglia avea numerato le originali
bellezze dell' Orlando \ e con quella saporita e tenera compiacenza
che nasce dalla simpatia deiringegno, avea sentito e venerato nel
Tasso il piu gran poeta della nazione. Gia della lirica, dell'epica
e della didascalica poesia fissato vide lo stile nelle primarie norme :
ma alia drammatica piegando, fu spaventato dalla discrepanza de'
pareri de? nostri critici e dalla varieta dej metri, non che da quella
degli stili infinita da Trissino fino a Martelli.4 Qui la scolastica
verbositk; Ik le ricchezze e la pompa delPepica e della lirica;
quella che awilisce il decoro tragico; questa che sul piu bello
tronca il corso della passione.
i. Francesco Maria Zanotti: cfr. la nota i a p. 764. 2. Pur negli ultimi
suoi giorni era Metastasio studiosissimo della propria lingua ; e i suoi scru-
poli si estendevano talvolta fino alia piu minuta e materiale ricerca delle
voci (B.)- Per il concetto generale espresso in queste righe cfr. il Saggio
sopra la necessita di scrwere nella propria lingua (1750) delPAlgarotti, che
forse il Bertola ha presente. 3. Aveasi formata Metastasio una scelta de'
migliori componimenti Hrici che abbia 1' Italia. Qual prezioso libro poetico
sarebbe mai una raccolta messa insieme da cosl gran maestro! (B.)
4. Pier lacopo Martello (1665-1714), una delle menti piu vivaci della prima
cultura arcadica, scrisse parecchie tragedie in stile piano e naturale e per lo
piu impiegando il verso che da lui appunto prese il nome di « martelliano »
e che egli difese nel trattato Del verso tragico.
800 AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
Nelle tragedie del Cebk per altro, del Bonarelli, del Delfino,1
e in quelle finalmente del ContP e nella Merope3 scoprl utili lampi
della schietta e grave dicitura tragica. Ma seguire unicamente le
tracce piu plausibili de' nominati esemplari, e soddisfare al secolo,
al teatro musicale, e piu alia finezza del suo proprio gusto, gi& non
si poteva. Quanto al Zeno, egli trovava nello stile de' suoi drammi
il poeta, ma non il poeta di teatro. Si determin6 di crcar egli uno
stile, formando, per dir cosl, di moltc e differenti corde un nuovo
istrumento.
Tre furono le miniere da cui trasse piu studiosamente e co-
piosamente che altronde i materiali per la sua fabbrica: la Ge~
rusalemme liberata, il Pastorfido e le migliori opere del Marino.
La predilezione che ha egli sempre ostentata per questc opere,
la lettura che ha continuato a fame fino agli ultimi anni suoi,
1'averne avuto a mente square! grandissimi, della Gerusalemme sin-
golarmente,4 sarebbono gi& chiare pruove di ci6 che ho avanzato :
ma io ne produrr6 altre ancora, che andr6 da* suoi drammi
traendo.
Sembrar pu6 strano un cosl passionate studio sopra il Marino :
la costante locuzion poetica, Povidiana felicit& di dir tutto ele-
gantemente innamorarono Metastasio.5 Basta aver letto con qualche
posatezza i piu felici prodotti di quel poeta, per ritrovarc una
evidente correlazione di frasi, di forme e di scorrevolezza di nu-
mero fra essi e la Didone abbandonata. Qui talvolta, siccome an
cora in alcune feste teatrali a un di presso contemporanee, quel-
1'ardir di metafore, che, se in qualche luogo incontrasi degli altri
drammi, & incomparabilmente piu temperato. L'essersi egli si lun-
go tempo arrestato in si pericolosa scuola, ed esserne uscito colle
dovizie di mille brillanti colori, in mezzo a* quali si perde la leg-
i, Ansaldo Cebti (1565-16x3) scrisse tre tragedie del tipo cosiddetto «ap-
passionato», ciofc con intreccio semplice e senza colpi di scena; Prospero
Bonarelli (1588-1659), fratello di Guidubaldo, e autore del Solimano, una
delle piu famose tragedie «implesse» o « awiluppate » ; tale e anchc il
Creso di Giovanni Delfino (morto nel 1699), che compose perd anche quat-
tro tragedie « appassionate ». 2. Sulle tragedie di Antonio Conti cfr. la
nota 4 a p. 80. 3. la Merope: di Scipione Maffei. 4, Recitando egli a
mente, o udendo leggere dalla signora de Martines scelti squarci della
Gerusalemme, si abbandonava a* piti vivi trasporti, cambiava di colore,
piangeva, interrompeva sclamando, non si saziava di ripetere i versi che
Tavean pto colpito (B.). 5- Chi crederebbe che allor che Metastasio do-
vea comporre, vi si preparasse con una lettura de' piii bei pesszi dvirAdone ?
Cosl fece costantemente (B.).
OSSERVAZIONI SOPRA METASTASIO 8oi
ger'ombra di alcune poche licenze, ben & da segnarsi qual prodigio
negli annali poetici. Prendansi ad esaminar diligentemente il Siroe*
il Catone* VEzio? e vi si scoprira quasi dappertutto un nobile
impasto delle tinte del Marini e del Tasso. Balzano poi anche
piu agli occhi cento bei lumi della Gerusalemme sparsi nella Se-
miramide* nell'Alessandro,5 nell'Artaserse,6 nell'Issipile.7 Le rispo-
ste piu brillanti di Semiramide e di Scitalce sono uscite da quelle
di Tancredi e di Armida; il feroce linguaggio di Porro da quel di
Argante, e il toccantissimo di Arbace e d'Issipile8 da quello di
Erminia, da quel di Olindo e Sofronia. E chi versato alcun poco
nella lettura del Pastorfido non ne rawisa il piu dilicato estratto
inserito eccellentemente nel Demetrio e nella Olimpiadel9 Siffatte
imitazioni cosi maestrevoli, cosi fine, cosi libere non fan certamen-
te torto alia fama altissima del poeta. Chi mai rimproverato ha
il Tasso d'essersi proposto nelVAminta lo stile della Canace dello
Sperone ? Chi ha mai condannato il Guarini, perche si gloriava di
aver profittato cotanto e dell'una e delFaltra in favore della sua
f avola ?
Data cosi un'occhiata alle sorgenti donde Metastasio trasse
principalmente le bellezze del suo stile, ricerchiamo se in questo
abbia egli fatto mai alcun cambiamento. Si, lo ha fatto, e assai
notabile a parer mio; e il chiamerei volentieri la sua seconda
maniera, la qual consiste singolarmente in una maggior consistenza,
varieta e melodia ne* periodi e nelle cadenze; e in una piii natu-
rale maesta, energia e nitidezza di linguaggio tragico.10
i. Scritto nel 1726 (B.). 2. Scritto nel 1727 (B). 3- Scritto nel 1728 (B.).
4. Scritto nel 1729 (B.). 5. Scritto nel 1729 (B.). 6. Scritto nel 1730 (B.).
7. Scritto nel 1732 (B.)« 8. Semiramide e Scitalce sono personaggi della
Semiramide; Porro dell'Alessandro; Arbace deWArtaserse e Issipile del-
Vlssipile. 9. II Demetrio fu rappresentato nel 1731, VOlimpiade nel 1733-
10. la sua . . . tragico: segue una analisi piu particolareggiata di questa se
conda maniera, che il Bertola fa iniziare con VAdriano in Stria.
DAL «SAGGIO SOPRA LA FAVOLA »
Ingenuita delta favola.
Io stimo che non occorra dire di alcune doti con cui la favola
pu6 esser bella, e senza cui pu6 esserlo ancora. Tale & la brevit&,
fra le altre; e abbiamo in molti maestri favole ben lunghe e allo
stesso tempo perfette. Cos! di alcuni parziali ornamenti, di cui
disputano i retori piti per vaghezza di farlo che per bisogno;
la favola riceve il lor soccorso o ne fa senza; e nulla essenzialmente
perde o guadagna.
Non & lo stesso di due qualitk le quali sono della sua natura ; n£
pu6 essere bella senza di esse, e appena direi che possa esser fa
vola. Queste qualit& sono la ingenuitk e la lepidezza ne' pensieri
egualmente che nello stile : ed io ne parler6 non gi£ per ambizione
di dettar regole; che io so che non debbo averla, n6 Tho; ma per
dimostrare con qualche ordine quali idee io ne abbia, e quindi
come io mi sia studiato di conseguirle in qualche maniera; e
forse ancora come altri possa o conseguirle o distinguerle negli
autori che le posseggono. Io ne parler6 tanto piu volentieri, quanto
piu parmi che si scarseggi di chi abbia diligentemente considerate
tali qualiti riguardo alFapologo: e duolmi assai che il Roberti,1
Alia composizione di favole il Bertola aveva cominciato a dedicarsi fino dal
1779, quando ne inviava alcune manoscritte airamico Amaduzzi, ma una
prima raccoltina di otto comparve solo nel 1782, alia quale ne seguirono
una di trentotto nel 1783 e una di cento nel 1785. Queste raccolte susci-
tarono notevole interesse e anche discussioni critiche, che mossero Tautore
- come egli stesso dichiara all'inizio di questo Saggio - a scrivere « tratto
tratto . . . alquante annotazioni », le quali «poi avvicinate una airaltra» gli
sembrarono degarsi scambievolmente tra di loro, trarsi dietro con molta
naturalezza piu sottili riflessi, e prendere quasi da se medesime un certo
oirdine : ed ecco insensibilmente un Saggio sopra la favola ». Con questo
titolo appunto 1'operetta venne pubblicata nel volume Saggio sopra la fa-
volat aggiunta una raccolta di favole e di epigrammi, Pavia, Bolzani, 1788,
e poi ristampata nel tomo m delle Operette in verso e in prosa, Bassano,
[Remondini], 1789, pp. 1-92. Da questa seconda e dcfinitiva ediaiione,
pp. 23-41, togliamo il passo qui riprodotto. Le note del Bertola sono seguite
dalla sigla B.
i. Giambattista Roberti (1719-1796), gesuita e letterato classicista, scrisse
fra Taltro Cento favole esopiane (Como, Scotti, 1781), a cui & premesso un
Discorso delVautore, dove sono elencate tra le qualit& della favola la sem-
plicita, la grazia, la naturalezza, la facezia, ma senza entrare in particolari
(pp. 11-4).
SAGGIO SOPRA LA FAVOLA 803
dotto, nitido e sottile espositore di canoni poetici, vi passi .sopra
cosi leggermente fino a non donare pur una pagina intera all'una
e all'altra, dove die non e si stretto e si sobrio donatore di parole
e di riflessioni a materie ancora che ne dimandano meno.
Sulzer1 e Mendelsohn2 han trattato della ingenuita piu da
filosofi che non da uomini di gusto; n6 pu6 forse trarsi da es-
si un appoggio, il quale sia, per dir cosi, maneggevole. Si so-
no ambedue serviti in tedesco della voce naivete de' Francesi,
i quali hanno qui dissertato prolissamente; ma cercando la no-
vitk un dopo 1'altro, non han posto mente all'aggiustatezza.
II Marmontel la divide in tanti rami, che ne forma quasi un al-
bero immenso ;3 e tiene un metodo diametralmente opposto a quel-
10 del Batteux, il quale, seguendo 1'opinione del La Motte, non
distingue abbastanza 1'ingenuo dal sublime.4 N6 il Ramler5 vede
piu avanti ne' suoi commenti al Batteux. Ricorriamo a' Greci
e a' Latini; speriamo piu in que' vecchi incomparabili, i quali
in due o tre parole aprono talvolta un largo fonte di limpide
teorie.
Primieramente parmi che sulle lor tracce convenga distin-
guere due maniere d1 ingenuita, una che trae al grave, Taltra
che trae al lepido. Nella prima son maestri Omero, Euripide,
Teocrito, Virgilio, Dante, Petrarca; e il Maffei nella Merope,
11 Voltaire nella Zaira e Gessner calcano felicemente Forme di
quei maestri. Nella seconda occupano i primi posti Esopo, Teren-
zio, Franco Sacchetti, il Firenzuola, il Berni nel suo Orlando,
gli autori delle commedie La Tanda, II granchio, L'errore, La
i. V. Allgemeine Theorie ecc. (B.)- II notissimo dizionario del Sulzer, il
cui titolo esatto e Allgemeine Theorie der schonen Kunste, era stato pub-
bhcato fra il 1771 e il 1774. II Bertola stesso era stato il primo, fin dal
I775> a tradurne in italiano alcuni passi (cfr. Idea della bella letter atura
alemanna, ed. cit., II, p. 220). 2. V. Ueber das Erhabene und Naive ecc. [in
den scho'nen Wissenschaften, 1758], B. - Moses Mendelssohn (1729-1786)
in questo e in altri scritti di estetica combina, con risultati spesso notevoli,
motivi neoplatonici e leibniziani con idee empiristiche e sensistiche.
3. Marmontel . . . immenso: nella voce Fable, pubblicata nell'Encyclope'die.
4. V[edi] Batteux], Cours de belles lettres, [1765], p. 3, sez. i, art. 3 (B.). Lo
scritto del La Motte a cui allude il Bertola e il Discours premesso alia rac-
colta delle sue Fables (1719). Sul Batteux e sul La Motte cfr. la nota 3 a
p. 83 e la nota 2 a p. 81. 5. Karl Wilhelm Ramler (cfr. la nota i a p. 778),
uno dei Hrici tedeschi tradotti dal Bertola nelVIdea della bella letteratura
alemanna (ed. cit., i, p. 82), scrisse anche una Introduzione alle belle let-
terey ispirata al Cours de belles lettres del Batteux.
804 AURELIO DE' GIORGI BERTOLA
spina* che molti si meraviglieranno ch'io citi, perch6 non gli han
letti; in, oltre Moliere, La Fontaine, e Goldoni nelle sue commcdie
veneziane, che alcuni non vogliono assaporare, e ben puniscono
se stessi della loro ingiustizia. Sarebbe vano il nominar qui altri
che potrebbero ancor nominarsi: ho voluto ricordare 1'idca di
quelle due maniere, e non g& svolgere una biblioteca.
Non si pu6 forse caratterizzar meglio ringenuiti, che dicendo
dover essa comparire da s6 venuta e non ricercata. £ nel genere
semplice, ma e qualche cosa di piu che la semplicitk; n6 i voca-
boli «natio», <(candido» dicono abbastanza; bisogna aggiugnervi al-
quanto di quel vivo e animato che trovasi in quelPamabile liberti
e franchezza, da cui Tingenuitk non va mai disgiunta.
Certo quel vivo e animato, quel libero e franco debbono aver
confini: chi giugnesse a segnarli con esattezza, diffinirebbe facil-
mente la ingenuita. Si osservi che la base, per dir cosJ, di questa
qualitk e una certa bellezza d'indole. A ci6 che si & detto, e a ci6 che
ancora vuol dirsi, recherk maggior chiarezza un esempio.
Chiamiamo e stimiamo concordemente ingenui alcuni villa-
nelli, i quali uscendo fuori con quelle loro domande e rispo-
ste tutte natura, ci mostrano per6 un'indole pronta e vivace: e le
stesse domande e risposte a un dipresso in bocca a persone che
non abbiano quella indole, vengono riguardate altrimenti ; ora co
me effetto d'imbecillitci e stupidezza, ora come effetto di tcmeriti
o d'imprudenza. Dicasi lo stesso degli scrittori.
Quella scelta di espressioni che sembri sprezzatura, quelFa-
gevolezza di espressioni, in cui sentasi per6 e dolcezza e alquanto
ancora di vivacita; una certa collocazione di parole che sembri
come fatta a caso, costituiranno lo stile ingenuo: e avranno ingc-
nuitk que* pensieri che sembrino quasi prontamente fuggire dal-
Tanima, e che palesino una natura gentile; che anmmzino una
certa libertk, come se non si ponesse mente al piacere altrui e al
decoro altrui e proprio ; intanto e cercasi quel piacere e si provvede
a quel decoro.
Quindi sark chiaro che ringenuiti non esclude affatto gli or-
namenti, come alcuni prctesero: ha per6 i suoi propri che non
stanno bene che ad essa sola, e rib gelosissima; non si piega mai
i. Delia Tancia k autore Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568-1642);
del Granchio e deWErrore Giambattista Gelli (1498-1563); della Spinet
Leonardo Salviati (su cui cfr. la nota 2 a p. 358).
SAGGIO SOPRA LA FAVOLA
a darli ad imprestito, e li darebbe inutilmente. La favola dunque
pu6 essere ingenua, e al tempo medesimo ornata: e tale e pure in
Esopo, ma quasi fanciulla; e in Fedro, divenuta ambiziosa al-
quanto, e nel La Fontaine poi, fatta quasi sposa, e quindi un poco
piu vistosetta.
Spira Esopo una mirabile ingenuita principalmente nelle fa-
vole La talpa, II cerbiatto, II serpents e il granchio, L'avaro, La
cerva, I pescatori, I gatti e i topi. La formica e la colomba : parlo
di una ingenuita distesa e continuata, dove piu il soggetto la per-
metteva. Bisognerebbe riportar qui la meta di quell'aureo libret
to, a voler indicare le proposte, le risposte e gli altri tratti che hanno
ingenuita; i quali in oltre trasportati in altra lingua perderebbero
non poco di quella loro candidissima leggerezza.
Ma La talpa sembrami il modello piu nitido; e non vi vuol
meno che tutto il ben fondato timore di alterarla, perch'io non
la dia qui tradotta. L'abbiamo gia in varie lingue; la bellezza
per6 originale vi svanisce come un vapore. Chi potrebbe rico-
piare le mezzetinte di quella gradazione con cui la talpa figlia vie-
ne involontariamente accusando i suoi difetti alia madre ; e il lampo
vivo ma sfuggevolissimo che fa risaltare la risposta materna?
In questa parte Fedro ha studiato profondamente il suo mo
dello, e ne ha tratto alcune forme di una vezzosa schiettezza per
certe risposte soprattutto cosi bene adattate a* caratteri: il solo
((Equidem natus non eram»x vaglia per molti altri esempi. So-
pra altre forme ha steso colori un poco piu vivi, senza per6 troppo
mortificarle. Finalmente se le perde affatto di mira in qualche pro-
logo e in alcune riflessioni, si scorge manifestamente ch'egli ebbe
allora altro disegno: volea conversare un poco piu alia scoperta
co1 Romani della sua eta.
II La Fontaine sa insinuare ingenuita ne' discorsi degli uomi-
ni del pari che in quelli degli animali; e allorch6 entra a parlare
il poeta, n'ha d'ordinario Taria piu cara. I prologhetti, le chaise,
le picciole riflessioni con cui balza fuori d'improwiso, sembrano
poter esser fatte ed espresse da un fanciullo ; e non v'e che un filo-
sofo e un sommo poeta che possa farle ed esprimerle a quel
modo.
Alcuni tacciano questo gran favolista di essere talvolta un poco
i. Fab., i, i, 10 (« Veramente non ero nato»). 6 la risposta dell'agnello al
lupo.
806 ATJRELIO DE» GIORGI BERTOLA
troppo ciarliero nella sua ingenuita; ma io direi piuttosto che tal-
volta non e ingenuo, come sul finire della favola Lasdmmia e ildel-
fino, e nel proemietto di quella diretta alia Sevign<§ // Hone innamo-
- rato9 nel Fascio di frecce, nel Mugnaio, il suo figlio e Vasino, nel
Taglialegna e Mercuric, nel Depositario infedde, e in qualche altra,
dove ha voluto ciarlare piti da bello spirito che da favolista. N6
10 so formarmi idea di una ingenuitk la quale debba essere ripresa
perche" sia piuttosto spartana che asiatica, o il contrario.
Ma che asiatica e pure gratissima ingenuiti non e nella Lot-
tivendola, nel Giardiniere e il padrone, ne' Due picdoni, e in quelle
11 lupo e il cane, II pazzo che vende la saviezxa, e in tante altrel
Quanto a' tratti piti brevi e concisi, potrei astenermi dal recarne
esempi; giacch<§ ne ridondano tanti libri francesi che sono nelle
mani di tutti. Ricorder6 tuttavia alcuni pochi, i qtiali per6 mal
soffrono di stare cosi smembrati dal rispettivo lor corpo.
La raison du plus fort est toujours la meitleure:
nous Gallons montrer toute a Vheure,1
Ognun vede con che natural precisione si annunzi la morale nel
primo verso; e come il secondo cada giu ingenuissimamente; si
troverk Io stesso carattere nel suono e nel senso de' seguenti
versi :
Une fable avoit cours parmi Vantiquitt;
et la raison ne m'en est pas connue, etc. . . .
Je bldme id plus de gens qu'on ne pense . . .
Et que faire en un gite & mains que Von ne songe? , . .
Un « tien » vaut, ce dit-on, mieux que deux « tu V auras » . * .
La dispute est d'un grand secours:
sans elle on dormiroit toujours*
E che mai di piu ingenuo che quel principio?
Deux pigeons s'aimoient d* amour tendre:
l*un d'eux s'ennuyant au logis
fut assez fou pour entreprendre
un voyage en lointain pays.
L? outre lui dit:— Qu* attest vous faire?
i. Fables, I, x (Le loup et Vagneau), 1-2. 2, Fables, iv, xn (Tribut envoyd
par les animaux & Alexandre\ 1-2; i, xix (V enfant et le maitre d'6coh\ 19;
II, xiv (Le lievre et les grenouilles), 2; v, in (Le petit poisson et lep&cheur), 24;
IX, xiv (Le chat et le renard), 9-10.
SAGGIO SOPRA LA FAVOLA 807
Voulez-vous quitter votre frere?
V absence est le plus grand des maux, etc.1 . . .
E il lamento del ragno a Pallade contro la rondine:
Prognt me vient enlever les morceaux:
caracolant, frisant Vair et les eaux,
elle me prend mes mouches a ma porte:
miennes je puis les dire; et mon re'seau
en seroit plein sans ce maudit oiseau:
je Vai tissu de matiere assess forte.21
E quella risposta della canna alia rovere:
Votre compassion . . .
part d'un bon naturel.3
Cosi quel dirsi al lupo :
Montrez-moi patte blanche, ou je n'ouvrirai point:
. . . (patte blanche est un point
chez les loups, comme on sait, rarement en usage)* . . .
E quelPaltro principle:
On cherche les rieurs; et moi je les evite, etc. . . .
J*en vais peut-£tre en une fable
introduire un: peut-etre aussi
que quelqu'un trouvera que faurai reussi.5
Di questi e simili tratti sono ricche oltremodo le favole La
ghianda e la zucca^ Simonide preservato dagli dei, I conigli, la lepre
e le rane, II topo e Vostrica verso il fine; ed anche i meno accorti
potranno riscontrarveli; tanto evidente e la loro bellezza. I piu
accorti poi analizzeranno con gran diletto quel vezzo, quel tuono,
quel colorito che regnano laddove si fan parlare gli animaletti piu
mansueti e gentili, e dove si esprimono i loro appassionamenti
piu dilicati; e vedranno per quanti gradi e per quali artifizi si
devii felicemente da Esopo e si cresca sopra Fedro.
Fra gli Alemanni non & da tacersi il sig. Pfeffel,6 il quale ha
i. Fables, IX, II (Les deux pigeons), 1-7. 2. Fables, X, VI (Laraignte et Vhi-
rondelle), 5-10. 3. Fables, i, xxn (Le chfae et le roseau), 18-9. 4. Fables,
IV, xv (Le hup, la chevre et le chevreau), 20-2. 5. Fables, viu, vin (Le rieur
et les poissons), i e 5-7. 6. Gottlieb Konrad Pfeffel (1736-1809) scrisse
Favole (1783) sul modello del Gellert.
808 AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
forse voluto comporsi una ingenuita, mescendo insieme e tem-
prando Tuna colFaltra le tinte del favolista frigio c del franccse.
Ne vaglia di saggio il prologhetto ch'egli fa precedere alle sue
favole: io lo ridurr6 alia nostra prosa, diffidando per6 di fame
sentire tutto il garbo originate:
Una fanciulla venditrice di fiori in Atene, e io credo che si chiamasse
Taide, portava attorno narcisi, garofani, gelsomini e millc belle cose.
S'imbatte" in una dama che le par!6 bruscamente: — Io non saprei che
fare de' tuoi mazzetti; sara appena sera, e queste tue belle cose langui-
ranno tutte. — E la povera fanciulla: — Signora, io non inganno il com-
pratore; io non dico che i fiori sieno immortali.
Lettore, io penso lo stesso di questi apologhi.
Fra i nostri il Firenzuola aggiugne mirabilmente un non so
che di proprio al gusto esopiano; e se avesse scritto in versi,
non temerebbe forse il paragone del La Fontaine; ne* forse lo te-
merebbe il Pulci, se i suoi pensieri fossero un poco piu in armonia
col suo stile. L'Ariosto crede" di dover principalmente abbracciare
la lepidezza in grazia della nicchia, dir6 cosl, entro cui adatt6
le sue favole:1 e come non avrebbe egli, volendo, conseguito que-
st'altro pregio,z egli che ne condi in si dolce guisa tante parti del
suo gran poema?
Io non so se il Roberti si proponesse questa qualita: certo e
che anche coloro che piu amano i suoi apologhi, non dicono di
trovarlavi. II sig. Pignotti3 poi non la si prefisse in alcun modo,
piacendogli di battere un sentiero ora apertamente fiorito, ora
brillante di galanteria tutto quanto. II sig. Passeroni4 la prese di
mira e la colpl in molte favole, e piu ancora ne' prologhi, malgrado
la non sempre felice negligenza della espressione: la colpl soprat-
tutto nel giro e nella natural caduta de* versi, nella spontaneity
delle rime, nella Candida e inaspettata prontezza di certi riflessl.
Ne addurr6 alquanti esempi.
1. in grasia . . , favole: in quanto le sue favole sono inserite nelle Satire.
2. quest* altro pregio: 1'ingenuit^. 3. Lorenzo Pignotti aveva stampato le
sue favole nel volume Favole e novelle, Pisa, Pieraccini, 1782; ripubblicato
con aggiunte e correzioni a Bassano, 1785 (e poi con nuove aggiunte e cor-
rezioni a Milano, Pirotta e Maspero, 1807). 4. Le Favole esopiane di Gian
Carlo Passeroni erano state pubblicate in sette volumi a Milano, presso
Bianchi, Galeazzi e Bertarelli, tra il 1779 e il 1788. A questa edizione il
Bertola si riferisce nelle citazioni che seguono.
SAGGIO SOPRA LA FAVOLA 809
Nella favola 9 del libro 4, tomo 2, s'introduce a parlare la
colomba con grande ingenuita; e sul finire entra in scena il poeta a
questo modo:
Ingannato si sovente
10 mi trovo, che a ragione
posso appresso le persone
darmi il titol d'innocente.
La favola i del libro 3, tomo 5, ha molti tratti di questo genere;
quello fra gli altri ove Pautore ricorda certe accoglienze fatte
alle sue poesie:
Da uno ch'e di gusto fine
le mie favole ho trovato,
di cui vedesi tagliato
solo Vindice ch'e in fine.
Narra ingenuissimamente nzlYAvaro deluso, tomo 3, libro 4:
Presso ogni ordin di persone
era celebre in Atene
11 giardino di Cimone,
uomo illustre, uom dabbene:
quel giardino era ripieno
di gran piante che feconde
tutti gli anni eran non meno
di beifrutti che difronde:
senza siepe era il pomiere;
e mangiava di que' frutti
Vabitante e il forestiere, etc. . . .
E sferza il vizio con ingenuitk nella favola La scimmia e la volpe
nello stesso libro 4. Ecco poi il sentimento nella Formica salvata
dalla colomba:1
Nel salvarsifu felice,
ma fu ancor piu fortunatat
che poti mostrarsi grata
alia sua benefattrice :
quanto invidio ad una bruna
formichetta tal fortuna!
Dipinge perfine con colori della stessa natura, ma piu vezzosa-
mente, nella favola Venere e la gotta, ch'e Tottava del libro 4,
i. Favole esopiane, ed. cit., I, lib. i, favola 15.
8lO AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
tomo 3. Dopo avere esposto lo strano invaghimento del giovane
e la sua preghiera a Venere, vien fuori a questo modo:
Lo esaudl la dea pietosa,
e converse quella micia,
pronta avendo una camicia
per coprirla, in una tosa,
vaga si che non la cede
in bellexza a Ganimede.
Vorrei che tutti vedessero Parte finissima, e tuttavia coperta
di popolarita, onde & tessuta questa strofetta: non v'& una pa~
rola che non spiri ingenuita; e il contrapposto poi dell'idea di
Ganimede con quella della gatta & un naturalissimo finimento al
quadretto.
fe chiaro che la ingenuit& del sig. Passeroni non tiene punto
di quella del La Fontaine: & un impasto di quella di Esopo con
un non so che di proprio delPautore del Cicerone.*
L'osservazione di questi vari impasti, gusti e maniere in uno
stesso genere varr& soprammodo a fame distinguere le diverse vie,
onde giugnere all'ingenuo; e quali di queste vie sieno le piu
sicure; e quali i principali artifizi di cui si servissero i piii grandi
maestri.
Uno de' primi e piti importanti artifizi & riposto nella persuasio-
ne in cui mostra essere il poeta della veritk di ci6 che vien narran-
do : il quale artifizio & sempre messo in opera da Esopo e mirabil-
mente. Si direbbe che Fedro si vergogni qualche volta di far vedere
quella persuasione ; e ricorre quasi scherzando airoracolo frigio ;*
lo che distrugge quella illusione che dobbiamo accogliere, per
accogliere Pingenuita. II La Fontaine ci adesca con quella sua
buona fede; ma pure non ci adesca ai pari di Esopo; dietro al
quale ha camminato in questa parte piti fedelmente degli altri il
sig. Passeroni. Gli Alemanni, tranne Pfeffel, ora han seguito Fedro,
ora han fatto Topposto di Esopo.
Talvolta pu6 nascere Fingenuit^i dal far sospettare ignoranza
di ci6 ch'^ noto anche a' piii; dal timore e dalllncertezza nel
pronunziare le sentenze, le opinioni e finanche i nomi meno co-
muni: ma nulla di piu nauseante se Tignoranza, il timore, Tin-
i. // Cicerone, 1'opera piti nota del Passeroni, k un lunghissimo poema
giocoso m ottave, pubblicato in sei tomi fra il 1755 e il 1774. 2. aWoracolo
frigio : all'autorita di Esopo.
SAGGIO SOPRA LA FAVOLA 8ll
certezza sentano alcun poco di affettazione ; e di questa e ripreso da
alcuni il Gellert.1
Giova altresl il mettere insieme certe picciole circostanze, le
quali per se stesse non sono di rilievo, ma vagliono a destar nel
lettore Pidea della sincerita del poeta. Esopo ne fa uso piu par-
camente del La Fontaine : ma questi prende sempre a svolgere una
tela piii lunga, e non gli si disdice un qualche arbitrio. E al Passero-
ni vuolsi perdonarne piu d'uno, laddove quella sua facilita lo stra-
scina di circostanza in circostanza a segno die la sincerita stessa
incomincerebbe a diventarne un peso, s'egli ne facesse sentir me-
no quella sua cosl costante e cosl viva filantropia.
Hawi una forma di gradazione nelle asserzioni e nelle interro-
gazioni, che si awicina quasi a una insistenza infantile, la quale
adoperata a tempo e proporzionata a' caratteri e di un effetto
maraviglioso. Tale & nella Talpa di Esopo, gia citata un'altra volta.
I dialoghetti la ricevono anche piu acconciamente. Domanda un'a-
ria di risolutezza nelle parole e un'aria di dubbiezza nel sentimen-
to: e questa specie di contraddizione ne forma la piu gran bel-
lezza.
V'ha una ingenuita riposta ne' passaggi da una idea aU'altra,
0 per la inaspettata affinita delle idee tra di loro, o per la leggerez-
za con cui sono, per dir cosl, sfumati i loro limiti; o finalmente
per una certa apparenza di liberta onde si fa vista di uscir di cam-
mino senza per6 uscirne. Di questo artifizio non sono cosl amici
1 favolisti, ne" senza ragione; poich6 lo trovano frequentemente
nelle mani de* lirici piu forbiti; e temono che quell' amicizia non li
tenti ad uscir fuori dell' ingenuita nell'atto che piu la cercano.
Tuttavia ne abbiamo esempi in Esopo e singolarmente nelle fa-
vole Uaquila e lo scarafaggio, Uuomo e il cane, dove i passaggi son
maneggiati con una inimitabile agevolezza.
Se io volessi qui parlar d'altro che di favole, con qual com-
piacenza citerei parecchi lirici italiani, i quali coir artifizio de'
passaggi hanno sparso le lor poesie di quella ingenuita che trae
al grave! Pur da essi potrebbero i favolisti prender soccorso;
con grandi cautele per6, come se dovessero cercar qualche cosa
i. Chris cian Gellert (1715-1769), uno dei poeti tedeschi tradotti dal Ber-
tola ndVIdea della bella letter atur a alemanna, compose anche favole, riunite
nella raccolta Fabeln und Erzahlungen (1746), assai note e tradotte nel-
FEuropa settecentesca.
AURELIO DE' GIORGI BERTOLA
in mezzo alle fiamme. Certo i Greci recarono questo artifizio
alia squisitezza; la quale fra tutti i moderni non fu ben ricopiata
che dagli Italian!, e dal Petrarca principalmente in quelle due
celesti canzoni:
Chiare fresche e dolci acque . . .
Quando il soave mio fido conforto1 . . .
i cui passaggi dilicatissimi furono ripresi da' commentatori sicco-
me un vizioso deviamento: e i commentatori fanno il rovescio
pita volte.
Un certo andamento nella dizione produsse una specie d'inge-
nuit& che si potrebbe dire relativa: n6 gi& intendo le frapposmoni e
le sospensioni, che non possono addomesticarsi colla qualit& di
cui si parla: intendo un armonioso accorciamento di voci; una
discreta ommissione di articoli e talvolta di verbi, una certa tron-
catura, inflessione, caduta di periodo, che non mostrino aver co-
stato fatica a chi ha scritto, n6 mostrino volerla dare a chi legge.
II Boccaccio ha de' tratti di questa natura; e ne hanno gli altri
che scrissero a quella et&, e moltissimi il Passavanti alia foggia
della celebre risposta deiralbergatore di Malmantile:* i quali trat
ti erano sentiti come ingenui da7 contemporanei di quegli scrit-
tori; e come tali non sono oggi sentiti che da pochissimi. Tanto
siamo lontani dalPaver pifi negli orecchi quell'andamento, che
venendovi esso alcuna volta, ne abbiamo ribrezzo e lo chiamiamo
crudezza.
Ora io credo che non solo i moderni prosatori, ma i poeti
didascalici ancora e i favolisti principalmente non gitterebbero il
lor tempo neUJesaminare i fonti di quella tale ingenuity ondc voder
pure se vi fosse modo di fame declinare una parte verso di noi;
mescendola intanto con altre di quelle acque, per dir cosl, che
giornalmente beviamo. Intrapresa per6 si scabrosa che non so se
dimandi piti la sofferenza o il criterio: certamente moltissimo di
i. Rime, cxxvi e CCCLIX. 2. risposta . . . Malmantile: neircscmpio xiv
dello Specchio di vera penitenssa, 1'albergatore di Malmantile, interrogate)
da sant'Ambrogio «di suo essere e di sua condizione », cosl risponde: « Jo
ricco, io sano, io bella donna> io assai e begli figliuoli, assai famiglia, n6
ingiuria, nd danno mai non ricevetti da persona. Io non senti' mai n6 male
ni tristizia, n6 che maninconia si fosse o si sia; ma sempre lieto e contcnto
sono vivuto e vivo» (cfr. Prosatori minori del Trecento, i, a cura di G, De
Luca, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954, p. 90).
SAGGIO SOPRA LA FAVOLA 813
tutti e due; e il Zanotti,1 che la tent6 non di rado e felicemente,
era pieno delPuna e dell'altro; n6 e facile asserire quale de' due
requisiti mancasse all'Algarotti, che la tent6 ancora in alquante
prose non felicemente. II Gozzi e forse il solo fra i piu recenti,
che dimostri esservisi qualche volta accinto in versi.
Alcuni scambiarono 1'ingenuo col grazioso ; e sono due qualita
molto diverse Tuna dall'altra, cosi che per6 chi e grazioso e an-
che ingenuo; ma chi e ingenuo non e sempre grazioso. Le quali
piu sottili teorie io ho cercato di svolgere in un trattato Sopra la
grazia nelle letter e e arti: e questo trattato sara il piu fortunato
fra tutti gli scritti miei, se il pubblico vorra riguardarlo a quel mo-
do che Than riguardato finora parecchi eccellenti giudici a' quali
io Tho letto; e da' quali ho preso animo di darlo in luce.
I. Francesco Maria Zanotti (cfr. la nota i a p. 764) e qui citato per le sue
prose scientifiche e filosofiche, assai ammirate nel Settecento per la loro
eleganza.
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA
NELLE LETTERS ED ARTI
Gli scrittori e gli artefici che hanno posseduto la graxia, paghi
di si caro tesoro, sembrano non aver punto curato di ragionarne.
Ci6 che possiamo attingerne ai libri degli antichi filosofi e critici*
ben fu segno della mirabile purezza di que* fonti; ma non & forse
abbastanza. Chi di loro mir6 a diffinirla ricorrendo aH'mdole della
soavita, chi cerc6 di descriverla analizzando la convencvoleim,2
Come si fe detto nella Nota introduttiva, Fidea di scrivere un saggio sopra
la grazia compare gia in una nota apposta alia traduzione della voce omo-
nima dell'Allgemeine Theorie der schd'nen Kiinste del Sulzer (cfr. Idea della
bella letteratura alemanna, ed. cit., n, pp. 262-3), dove & anche abbosszato
il procedimento e indicate il fine che il Bertola riteneva opportune seguire
e raggiungere in un lavoro su tale argomento. Nella nota citata il Bertola
affermava anche che « a fare un libro o un articolo che questi erTetti produca,
si richiederebbe un Mengs, un Gluck o un Gessner ». Ma il tema, eviden-
temente, troppo lo allettava perch£ non vi si provasse egli stesso ; e due anni
dopo, il 15 febbraio 1786, egli lesse all'Accadernia degli AfHdati di Pavia
(di cui era «principe») il suo Saggio sopra la grazia (cfr. A. CoRBElxwi,
Ninfe e pastori sotto Vinsegna dello « Stellino », in « Bullettino della 8ociet&
pavese di storia patria», x, 1910, pp. 475-83), II breve trattato dovette avere
accoglienze assai favorevoli da parte sia degli ascoltatori sia dei letterati a cui
1'autore lo fece leggere manoscritto, se egli poteva scrivere tre anni dopo,
nel Saggio sopra lafavola: « questo trattato sara il pito fortunato fra tutti gli
scritti miei, sc il pubblico vorra riguardarlo a quel modo che Than riguar-
dato finora parecchi eccellenti giudici a' quali io 1'ho letto; e da' quali ho
preso animo di darlo in luce» (cfr. in questo volume, p. 813). Che il Ber
tola personalmente tenesse molto alia sua operetta, e provato anche dal
fatto (finora non osservato) che egli continu6 a lavorarvi anche negli anni
seguenti, come dimostrano il paragrafo sul Pa&r, certamente aggiunto
dopo il 1791, anno in cui il musicista parmense comincio ad essere noto,
e la nota sulla Griselda, rappresentata nel 1793. fe probabile che, proprio
per il desiderio di perfezionare ulteriormente il suo scritto, il Bertola fi-
nisse per lasciarlo inedito. Esso fu stampato postumo nel 1822 ad Ancona
da Alessandro Sartori, col titolo Saggio sopra la graxia nelle fatter* ed arti,
edizione riprodotta (come fa fede qualche errore di stampa ripetuto) in
Alcune operette in prosa, a cura di B. Gamba, Venezia, Alvisopoli, 1829.
Qui riproduciamo il testo dell'edizione 1822. Le note del Bertola sono se-
guite dalla sigla B.
1. Platone, Tullio, Plinio, Quintiliano, Pausania, Luciano, ec, (B.)«
2. V. singolarmente Tullio, lib. i e 3 De oratore e in Bruto> e Quintiliano,
[Inst. or.], al lib. 6 e 10 (B.), Per le citazioni particolareggiate si vcdano
le note seguenti.
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 815
e chi si ristrinse alia voce «venere», agguagliata non so quanto
dalla nostra « awenenza », si valsero di questa massimamente par-
lando di Apelle;1 e sotto la medesima intesero e soavita e conve-
ncvolezza e luce ad un tempo.
Fra i moderni e filosofi e critici e artefici ancora rinnovarono a
gara interrogazioni alia grazia: e molti Thanno sperimentata ri-
trosa e difficile, quanto con Polifemo una Galatea. lo vorrei venir
mentovando i pensamenti di que' pochi, i quali mostraronsi de-
gni di penetrare interamente questo secreto; e non vorrei diffor-
marli.
Fu tra noi dichiarato, e gia gran tempo, un certo splendore che
nasce da occulte proporzioni e misure;* idea, in cui nulla man-
chcrebbe, dove non mancasse la consolazione di un «come». Al-
tri3 dimostr6 esscre la sprezzatura uno de' primi elementi di
quest'arcana composizione ; ma non precede" piu oltre. V'ebbe chi
la diffini una giusta relazione fra la maniera di pensare e di espri-
mersi e il fine che uno si proponga;4 e chi la ripose in un certo
grado di piacevolezza, amenita e leggiadria che a s6 tragga i cuo-
i. «Unam illam Venerem», ec. (B.). Cfr. Plinio, Nat, hist., xxxv, x,
36: « Quorum [pictorum] opera quum admiraretur, collaudatis omnibus,
deesse iis unam Venerem dicebat, quam Graeci Charita vocant» («Am-
mirando 1'opera di questi pittori, dopo averli lodati tutti, diceva che
ad cssi rnancava quella sola Venere che i Greci chiamano Grazia »).
2< II Firenzuola nel discorso Sopra le bellezze ec. Questa idea nesce a
quella del Casa, nel Trattato dey costumi\ e tutte e due alle idee degli antichi
piu ch'ogni altra de' moderni (B.). II Firenzuola, nel discorso I del Dialogo
delk bellexxe delle donne, definisce esattamente la grazia uno « splendor »
che nasce «da una occulta proporzione, e da una misura che non e ne'
nostri Hbri» (cfr. Opere, a cura di A. Seroni, Firenze, Sansoni, 1958, p.
563); la definizione del Casa, che veramente si riferisce alia bellezza, ^ nel
Galateo, xxvi : « dove ha convenevole misura fra le parti verso di s6 e fra
le parti e '1 tutto, quivi & la bellezza » (cfr. Opere di Baldassare Castiglione,
Giovanni Delta Casat Benuenuto Cellini, a cura di C. Cordie, Milano-Na-
poli, Ricciardi, 1960, pp. 428-9). 3. L'autore del Cortigiano (B.). Cfr. Ca
stiglione, // CortegianO) I, xxvi, in Opere, ed. cit., p. 47: «avendo io gia piu
volte pensato meco onde nasca questa grazia . . ., trovo una regula univer-
salissima . . .: e ciofe fuggir quanto piii si po, e come un asperissimo e pe-
ricoloso scoglio, la affettazione ; e, per dir forse una nova parola, usar in
ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda Tarte e dimostri ci6, che si
fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi ». 4. Reflexions]
sur Us sentiments agrfables (B.). Allude al trattato di L. J. L6vesque de
Pouilly, Theorie des sentiments agredbhs (Paris 1747), di orientamento em-
piristico, gi^i citato anche dal Cesarotti nel Ragionamento sopra Vorigine e
i progressi delVarte poetica (cfr. in questo volume p. 83 e la nota 4).
8l6 AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
ri:1 ma quella relazione e quel grado non dimandano pur eglino
una deffinizione? Altri s'argoment6 di non poterla chiamare piu
acconciamente che un non so che ; e di non poter meglio assegnar
ragioni, che col ricorrere alia sorpresa:* con che vennc ibrse a
confonderne le ragioni e gli effetti con quelli del sublime. Altri ci
lascia alquanto indeterminati in questa per altro assai ingegnosa
diffinizione: (d'azione piu gradevole espressa colla maggiore sem-
plicita».3 Altri con linee ideali4 disse molto per Timmaginazione,
poco per Fintendimento e per 1'uso. Un illustre artefice concepen-
dola come la perfezione stessa5 esclude o dissimula quelle qualitsk
che sono inerenti al grazioso, e che ad altri generi non si confanno.
V'ebbe finalmente chi dopo un vario e brillante girar di parole
conchiuse che la grazia esiste; pigliando la sua esistenza c la sua
natura per lo medesimo.
Nessuna adunque di queste deffinizioni o dichiarazioni, per
molto che vogliasi aver rispetto all'autorita, & bastevole a dissipare
le tenebre che velano tuttora la prima e piu eccellente cosa che
sia tra le amabili. Or non potrebb'egli sperare di diradarle alcun
poco chi, senza aspirare a lode di novita, imparzialmente si provasse
di riunire in un punto e il miglior lume che spunta fuori dalle
i. Sulzer, Allgemeine Theorie, [voce] Reiz (B.). fe la voce tradotta dal Ber-
tola stesso n&ll*Idea delta delta letter atura alemanna, ed. cit, n> pp. 257-63,
Oltre la defmizione citata nel testo, se ne trova, nella voce del Sulzer, qual-
che altra piu vicina al gusto del Bertola, per esempio dove si definisce la
grazia « un non so che squisitamente tenero e dilicato, che desta nel fondo
del cuore il desiderio e rinclinazione piu viva » (p. 260). 2. Montesquieu,
Essai sur le gout (B.)- II saggio fu scritto per \Ency clopldie> dove apparve
nel 1757. 3. Webb (B.). Allude all'opera di Daniel Webb, An Inquiry into
the Beauties of Painting (London 1760; traduzione francese, Paris 1765),
dove sono ripetute idee del Mengs. La definizione citata & nel dialogo IV,
Del disegno (cfr. traduzione italiana di F. Pizzetti, Parma, Stamperia Im-
periale, 1804, p. 51). 4. Hoguart (B.)« William Hogarth nel trattato The
Analysis of Beauty > written with a View of fixing the fluctuating Idea of Taste
(London 1753 ; traduzione italiana, Livorno 1761), dopo aver definite quale
linea «della bellezza » quella ondeggiante (« waving line»)> specifica che la
linea « della grazia » & quella serpentina (« serpentine line »)» sviluppo della
precedente. 5. Mengs (B.). La definizione citata dal Bertola £ in realta
data dal Mengs non alia grazia ma alia bellezza: « La Bellezza consiste nella
perfezione della materia secondo le nostre idee » (cfr. A. R. Mengs, Ri-
flessioni su la bellezza e sul gusto della pittura, cap. in, in Operet a cura di
G. N. D'Azara, Parma, Stamperia Reale, 1780, r, p. 13); mentre altrove
la grazia e da lui esplicitamente distinta dalla bellezza, e stabilita nella
« elegante varieta» (nelle Lezioni pratiche di pittura, in Qp&re> ed. cit.,
n, p. 287).
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 8iy
idee degli antichi, e quello che pu6 trarsi dalle ricerche de' mo-
derni ? lo m'appresto di farlo. Possa io, parlando della grazia, non
profanarla!
n
Nulla di piu caro che quell'aria di sprezzatura, la quale ci fa
vedere che le cose furono pensate, dette, fatte senza fatica, e
quasi senza porvi mente. Ma questa sprezzatura, perch6 tragga
a s6 i cuori non solo non dee punto sentire di ruvidita e di bas-
sezza; ma vuol vestirsi d'eleganza, da quelli che sceglie e abbel-
lisce rispetto alle arti e lettere: quanto alle persone intendesi per
eleganza quel fior di decenza che essenzialmente si richiede a
piacere altrui. V'ha una sprezzatura che apparisce elegante e non
appartiene alia grazia: tale e quella che talvolta incontriamo nel
Tasso, in Michelangiolo, nel Galuppi.1 II Petrarca, 1'Ariosto, il
Coreggio han quella in cui 1'eleganza s'insinua come di furto.
Due valenti suonatori di violino sieno per poco d'ora sotto a*
nostri occhi: voi vedete un d'essi che vuole che brillino le sue
dita e che Tarco voli: voi vedete brillar le dita e volar Farco
dell'altro, e gik non vedete ch'egli lo voglia. Hannovi per6 nella
sprezzatura gradi diversi o colori che sono da riferirsi ora alia
particolar indole di ciascuno, ora alia materia che uno ha per le
mani, ora ai modelli a cui piu siasi applicato. E siccome non vanno
per le vie del fiero a un modo stesso Pordenone e Caravaggio,
Michelangiolo e Giulio Romano ; cosl non e la sprezzatura mede-
sima in Anacreonte e in Virgilio, nel Petrarca e neirAriosto, in
Raffaele e nel Coreggio.
Io non vedo che abbia a negarsi alFessenza della grazia questa
sprezzatura furtivamente elegante o, a dir meglio, questa furtivitd
di eleganxa: n6 parmi per6 di poter riconoscere in essa sola tutte
le principali proprieta della grazia: dunque cerchiamo ancora.
Mi far6 a dimandare se alcuno abbia mai ricevuto le impression!
del grazioso, senza che gli andasse pel cuore un qualche senso di
tenerezza. E vorrei che mi si additasse un solo di quegli oggetti a*
quali ben si appropria il nome di grazioso, donde non spunti un
qualche germe di affetto. Chi h che non dica e non senta somma-
i. Baldassare Galuppi (1706-1785), fecondo compositore di opere comiche
e serie, di oratorii e di senate per clavicembalo.
8l8 AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
mente graziosi i fanciulli, i quali a quella loro ingenuitk naturale
accoppiano la cordialitk cosi bene?
Affinch6 per6 non sia alcimo che, pigliando in senso rigoroso
Taffetto che sta nella grazia, trapassi dalle cagioni agli effetti, di-
chiariamo che vuolsi qui concepirlo principalmente come un co-
tal modo, il quale faccia intendere che la cosa, dove, a cagion
d'esempio, appartenga alle arti, fu anzi fatta colFanima che colle
mani: un modo che faccia intendere certa naturale amorevolezza
d'indole, certa disposizione, facilita, prontezza a piacere altrui;
certa blandezza di passione, la quale abbia preseduto alle opere co
me ai pensieri; quello finalmente che nelle persone s'appella cor-
dialita, e che con diletto incredibile leggiamo in volto a certuni,
da* quali n6 riceviamo n6 aspettiamo beneficenza o favore.
£ qui inoltre da tener conto delle idee accessorie ancora, e di
ci6 che i metafisici dicono concomitanza e associazione d'idee;
per cui la ragion dell'affetto si distende ottimamente su quegli
oggetti che a bella prima crederemmo mal comportarla. Sara
quindi grazioso un cestino di fiori non tanto per certo venusto
disordine nella piegatura delle foglie, nella giacitura de' gambi,
nel fortuito intrecciarsi de' fiori; quanto per alcun che, onde di la
s'adombri 1'affetto. Potranno i fiori essere di quelli il cui colore
riduca nella immaginazione dolci ed attraenti cose: in una ra-
metta di rose una sia ancor bottoncino, e un'altra cadevole e gia
spogliata di qualche foglia: un fioretto de' piu gracili rimanga
anche piu oppresso che occultato da un fior grande e cupo di
tinte: nella qual foggia di artifizi graziosi in poesia Teocrito &
maraviglioso. In pittura alcuni grazieggiarono per eccellcnza ne*
capelli, toccandoli con certo leggiadro disprezzo: trovarono il
modo, per dir cosi, di farli parlare; e col loro mezzo espressero
soprattutto il patetico.
Siccome rawisammo la furtivit& della eleganza nella conve-
nevolezza e luce degli antichi, cosi ravvisaremo 1'affetto nella loro
soavita. Ma questa per essere veramente tale, dee pur aver il
suo furtivo ancor essa; senza il quale non diremo una persona
o un'opera delParte soave, ma smorfiosa. E per allargar un poco
Tesempio appunto delle persone, pongasi mente quanto mal di-
spongano 1'animo le cordialit£ caricate e quasi invereconde; e
quanto alPincontro ci compiacciamo di quelle che dicono al no-
stro cuore piu che non mostrano ; che offrono anche alia immagina-
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA
zione di che pascersi giocondamente, che ci toccano e poi sem-
brano fuggire, e tornano, e lascian dubbio se mai si partissero:
ben si vedra chiaro che Paffetto non pub non furtivamente insi-*
nuarsi nella grazia. A chi poi cerchi questa fra le persone, si
affaccera singolarmente nelle donne men belle, come quelle che
piu provando il bisogno di rendersi amabili ricorrono alParte;
il pudore per6 vien quasi mortificando quesfarte, ed ecco cert' aria
furtiva, da cui & naturalmente alimentato il grazioso. Quindi inter-
viene si spesso che le men belle eccitano le forti passioni pill che
non fan le bellissime.
I finti sdegni tanto dilettano nella poesia e nella musica per
quel vero appunto che spiccandosi dal cuore celatamente vi tra-
luce: e assaissimo piacciono ne* fanciulli: e mi ricorda di essermi
avvenuto in uno fra gli altri, al quale essendo stato vietato di
accarezzare persona che gli era cara oltremodo, come questa gli
si appressava, egli levavale incontro la sua picciola mano quasi
a maniera di minaccia; e intanto i suoi occhi tenerissimi dicevanle
soavemente di farsi presso : mossa che dava nel grazioso fuor di
misura. '
Grazioso 6 il canto che gli augelletti mandano per Tana, o
tutti appiattati entro una siepe, o mezzo ascosi fra le tremole foglie
degli alberi; e non & pur tale per certo quello de' medesimi au
gelletti chiusi e ammaestrati nelle domestiche gabbie. 6 grazioso
un ruscello che, rompendo tortuosamente la svariata eguaglianza
di una pianura, vedasi qua e la archeggiar ne' cespugli: n6 gia &
tale una fonte che alto zampilli in mezzo a un giardino. E per
dire dell'odorato ancora, non denominiamo altrimenti fragranza
che leggermente trasvoli, e che ci lasci incerti donde ella spiru
Ovidio ed il Marino sono pur facili tutti e due ed eleganti;
Taffetto che tanto Iargheggi6 nel lor animo, lo trasfusero ne' loro
versi. N6 per6 son graziosi; perciocch6 manca all'uno e all'altro
quella furtivita; siccome ne son senza piu altri poeti e prosatori
e pittori e maestri di musica, i quali aspirarono visibilmente al
grazioso; come il Cotta cinquecentista,1 il Zappi, il Roberti,* il
i. Giovanni Cotta (1480-1510), umanista e autore di liriche latine, per cui
fu lodato dal Sannazzaro e dal Flaminio come un « nuovo e pid dolce Ca-
tullo ». 2. Giambattista Roberti, gia ricordato e giudicato piuttosto seve-
ramente dal Bertola nel Saggio sopra lafavola (cfr. in questo volume, p. 802
e la nota).
820 AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
Mignard,1 il Bach, ec. Non manca a Virgilio e airAriosto; e
poich6 nel secondo non & chi non la vegga, i meno intelligent! po-
trebbero non vederla in Virgilio, il quale ne cosparse pcrfin le mi-
nime parti delle sue opere ; le transizioni,3 a cagion d'esempio,
tanto innocentemente velate, e tanto leggiere quanto ne' dipintori
le tinte che separano i diversi colori, onde mal si discerne quella
entro da quella che esce.
A Venere furon date per ancelle le Grazie; lo che dimostra
che la bellezza non riceve le chiavi del cuore umano che da certa
innocente ma vezzosa negligenza e da cert'aria modestamente
affettuosa che a lei si accompagnino. Cosl in Psiche, la piti inge-
gnosa favola delFantichit^, in Psiche, che di& tanta molestia a Ve
nere e tanta ne ebbe, si cerc6 di significare il grazioso, soprat-
tutto in quel pudore, in quella timidit&, in quel mistero.
La sola indicazione delle parti principali che costituiscono un
cosi prezioso carattere viene a dar rilievo alle grandi difficolt& che
si frappongono al conseguimento del medesimo: ora qual ma-
raviglia se questo carattere Fincontriamo tanto di rado nelle pcrso-
ne, come nelle opere di lettere e d'arti ? Dalla stessa indicazione
spuntano fuori nuove conferme della forza e deirincantesimo del-
la grazia: perciocch<§ v'ha egli alcuna cosa, la quale piu adcschi
gli animi e gli leghi e gli arresti, che il buon garbo e Tingcnua
cordialit^ congiunti insieme? Che amabili idee non risvegliano,
che giocondi desiderii non mettono in moto ? Come poi c'innamo-
rano quelle persone in cui li troviamo, tanto piu dove non solo
non sospettiamo alcuna mira, ne* dubitiamo di alcun artifizio, dove
non solo non fe ombra di ricercatczza o di affettazione, ma tutto
& semplicitk di natura.
Messe pertanto insieme le fin qui esposte e dichiarate propriety
della grazia, si potrebbe estrarne una diffinizione: e forse andreb-
be ad awicinarsele molto, se non a raggiungerla, chi la dicesse
una furtivite di eleganza e di affetto. Ma io non oser6 gi£ diffinire.
Nella sprezzatura per6 elegante, ossia nclla furtivitk dell'eleganssa
rinverremo a mio credere la convenevolezza degli antichi, e la
i.Pierre Mignard (1612-1695), pittore franccse, allievo dei Carracci, e
celebre soprattutto per i suoi raffinati ritratti. a. le transisioni: tipico ar-
tificio della poetica classicistica, raccomandato in patticolare da Orazio, e
su cui cfr. anche la nota 4 a p. 763. II Bertola insiste su questo artificio anche
in altri luoghi delle sue opere critiche.
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 82!
lor soavita e la lor luce nella furtivita dell'affetto, attribuita altresi
piu espressamente alPavvenenza da alcun di loro;1 per nulla dire
del raccogliere che si fa in questa espressione il meglio che fu
ritrovato dai moderni , le idee soprattutto de* due italiani3 e del
Webb.
ill
La grazia fu molte volte scambiata colla finezza, gentilezza,
delicatezza, volutta, lepidezza, e importa assai il distinguerla dalle
medesime. Ora a farlo con piu accuratezza, noi prenderemo a
considerare le mentovate qualitk una ad una; ne" sara poi vano
venir esaminando le diverse relazioni e tendenze che possono avere
verso la grazia.
Diciamo fino e gentile ci6 che riguarda la mente; delicato e
voluttuoso ci6 che va al cuore. Ha la finezza un occhio acutissimo,
per dir cosi, onde tutte scoprendo le mezzetinte degli oggetti,
ne scompone quasi le idee elementari, e le riordina poi e le rim-
pasta temprandole al sentenzioso.
II gentile ha seco una gracilita, una lindura, onde tutti gli oggetti
ch'esso tratta, acquistano un lusinghevole che tosto si addomesti-
ca col nostro spirito, o che lo direste trasparenza e tuttavia non
gli manca il suo occulto.
La delicatezza, la cui base e la sensibilitk piu squisita, adom-
bra ciascuna idea e ciascun sentimento d'idee e di sentimenti
accessori, ed e talvolta cosi leggiera che poco manca che non isva-
nisca: e talvolta fa mestieri che, ricopiata bene, in noi passi onde
raccoglierla : quindi e che le opere delParti, insigni per delicatezza,
perdono nelle copie fuor di misura.
II voluttuoso s'appoggia in qualche maniera al delicato: non
pare che sia stato mai analizzato abbastanza come un carattere a
parte: e pure lo &, ed ha egregia forza sopra Tanimo umano.
i, wlllam, quidquid agit, quoquo vestigia vertit / componit furtirn subse-
quiturque Decor » [«Lei, qualunque cosa faccia, dovunque volga i passi,
furtivamente compone e segue la Grazia »; gli editori moderni leggono
«movit» in luogo di vertit], Tibullo, lib, 4, carmen 2, [7-8], B. Da questi
versi tibulliani deriva evidentemente 1'immagine del « furtivo » cosi spesso
impiegata dal Bertola. 2, dey due italiani: del Firenzuola e del Castiglione,
ricordati pnma.
SZ2 AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
Son propri del medesimo un certo abbandono, una certa ncgligen-
za morbidamente leggiadra, non per6 furtiva: quindi non mai si
dirk voluttuoso un fanciullo : quindi il Tiziano nelle freschissime
sue Veneri non 6 che voluttuoso.
II lepido che nasce da un ingegnoso e improvviso accoppia-
mento di due cose disparate tra loro e disconvenienti, dove ritenga
delta finezza, 6 arguto; dove della delicatezza, 6 soavc, c move
allora piu il riso deiranima che quel della bocca.
Nelle lettere: Isocrate e fino e delicato, Longo* & fino, Seno-
fonte gentile, lepido Aristofane e Plauto, siccome Tullio ne* dia-
loghi; Ovidio & fino, Tibullo dilicato, Orazio fino, dilicato vo
luttuoso gentile e lepido il Boccaccio; fini e gentili il Tasso e il
Guarini nelle loro pastorali, fino il Marini, fino e gentile il Chia-
brera, quando si mette sulle tracce d' Anacreonte : il Zappi gentile
e dilicato, il Rolli dilicato e voluttuoso, fino e gentile PAlgarotti,
fino gentile e dilicato il Metastasio: lepido il Berni: lepido e fino il
Tassoni: fino il Fontenelle, lepido il Molier, dilicato e gentile il
de La Motte,2 dilicato il Racine, Chaulieu e il Bernard3 voluttuosi:
Gregeo4 fino e gentile, il Prior5 dilicato, il Gray6 gentile, il Waller7
fino, lo Swift lepido : Starte8 lepido e fino, fino il Gleim, il Kleist
dilicato, fino e gentile Wieland, Hagedorn gentile, dilicato e
gentile il Gaspar.9
Nelle arti; dilicato il Barocci, fino e dilicato il Penmino,10
voluttuosi Guido" e PAlbani, gentile Andrea del Sarto. Fino il Ber-
x . Longo Sofista, autore degli Amori pastorali di Dafni e Che, tradotti da
Annibal Caro. 2 . Antoine Houdar de La Motte (su cui cfr. la nota 2 a p . 8 1 )
& qui ricordato per le sue Odes (1709) e Fables (1719). 3, Guillaume Amfrye,
abbe" de Chaulieu (1636-1720), scrisse rime (pubblicate postume) soprattutto
di argomento amoroso, assai apprenzate dai contemporanei per la loro ele-
ganza n&glig6e\ Pierre-Joseph Bernard (1708-1775) cant6 1'amore volut
tuoso in parecchie liriche e soprattutto nella Art d* aimer. 4, Gregeo: non
so a chi alluda il Bertola. 5. Matthew Prior (1664-1721), poeta inglese,
autore di satire e di epigrammi. 6. Thomas Gray (1716-1771), 1'autore
della Elegy written in a Country Churchyard, di cui e riprodotta in questo
volume, a pp. 270-5, la traduzione cesarottiana. 7. Edmund Waller (1606-
1687), uno degli iniziatori del classicismo inglese. 8. Starte: allude pro-
babilmente a Gotthelf W. Chr. Starke (1762-1830), autore di Gemdlde aus
dem hftuslichen Leben in Erztthlungen (1793-1798). 9. II Gleim, il Kleist,
il Wieland e V Hagedorn sono tra i poeti tedeschi tradotti dal Bertola nel-
Vldea della bella letteratura alemanna. Sul Gleim e sul Wieland cfr. le note
2 e 8 a p. 437; sul Kleist e PHagedorn la nota i a p, 778. Non so chi possa
essere il Gaspar, 10. Perusxino: Perugino. u. Guido: Reni.
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 823
aim, il Cellini gentile, dilicato e gentile il Gonelli1 ogni qual volta
ha voluto esser tale, dilicato il Gujom,2 fino dilicato e gentile
Traietta,3 fino e dilicato il Gluk, il Sacchini4 fino e gentile, vo-
luttuoso il Paesiello, lepido il Sarti.5
Alcuni mostrarono di pigliare Tuna per 1'altra la delicatezza e la
finezza; perch6 Tuna e Faltra trascurano e dissimulano le idee
intermedie, e coprono i pensieri e le immagini di un qualche ve-
lo : cosi gli odorati volgari non discernono talvolta una fragranza
dall'altra; ma il profumiere non ci s'inganna.
Viene ad alterarsi 1'ingegno per Fabuso della finezza e della
gentilezza, come il palato per 1'abuso delle sake. Prende uno 1'a-
bito di mascherar ogni idea piu comune di acutezze pellegrine e
rimote e si distempra troppo nel carezzevole o da nello stenta-
to, di stropicciare, per dir cosl, un metallo gik netto senza mai
rifinire. II Tasso abus6 della finezza ntlVAminta, e della genti
lezza il Guarini nel Pastor fido\ e la prima fu condotta dal Ma
rino e da' suoi seguaci a quello strano corrompimento che tutti
sanno. Chi dicesse che dell'una e dell'altra si abusi alcun poco
nel Tempio di Gnidof dispiacerebbe a molti, ma piacerebbe alia
veritk.
La delicatezza degenera di leggeri in una leziosa galanteria, in
una misteriosa insipidezza; anzi che verso il diletto, conduce il
nostro pensiero verso una rincrescevole dubbiezza. Si vuole che
molti recenti lirici e tragici d'oltremonti, gli alemanni singolar-
mente, sieno caduti in questo vizio.
II voluttuoso corrompesi anche piu facilmente, e piu sconcia-
mente piega al licenzioso e all'osceno, siccome veggiamo in al-
i. Giovanni Francesco Gonnelli o Gonelli (1603-1664), scultore toscano,
che Iasci6 opere a Firenze, a Genova e nel Senese. 2. Gujom: allude allo
scultore e architetto francese Jean Goujon (1510 circa- 1568), uno degli
iniziatori della tradizione rinascimentale francese nelle arti figurative.
3. Traietta: Tommaso Traetta (1727-1779), musicista, noto soprattutto
come compositore di opere serie e buffe, nelle quali arricchl di cori e balli,
sull'esempio francese, il melodramma italiano. 4. Anton Maria Gaspare
Sacchini (1730-1786), anch'egli autore di opere serie e buffe, antagonista
del Gluck negli ultimi anni della sua vita. 5. Intorno a* compositori di
musica specialmente non si pretende, rawisando in essi una qualita, esclu-
dere le altre di cui furono forniti : si vuole qui unicamente accennare quella,
dir6 cosl, a che ciascuno parve nato (B.); Giuseppe Sarti (1729-1802),
autore di opere serie e bufTe e di musica religiosa. 6. Le Temple de Cnide>
del Montesquieu, pubblicato nel 1725 sotto altro nome.
824 AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
cune odi di Orazio, e molto piu nel Bernard; dove non disdica
far si gran salto.
II lepido finalmente si trasforma agevolmente in abbietta buf-
foneria o in motteggi frivoli o indecent ; c non & privo il Bcrni
di siffatte macchie, per nulla dire degrimitatori di lui, de* piu
moderni massimamente.
A tutte le arti si conferiscono la finezza, la delicatezza, la vo-
lutta, la gentilezza, la lepidezza: ma non a tutte ugualmente. La
poesia e Toratoria offrono liberi e distinti spazi a tutte del pari.
Nella pittura, nella scultura, nella musica, e piu nella danza il
fino e il gentile possono qualche volta esser presi un per Taltro.
II dilicato nelle due prime arti pu6 scambiarsi facilmente col vo-
luttuoso. La musica apre un cosi largo ed acconcio campo alia
lepidezza, che piu nol possono aprire la poesia e Toratoria.
Le idee, le immagini, i sentimenti saranno fini, dilicati, volut-
tuosi, gentili, lepidi, senza che lo stile sia tale, e viceversa non
saranno graziosi i sentimenti, le immagini, le idee, senza che lo
stile lo sia; e viceversa altresi. Questo e quelli formano nella grazia
un tutto inseparable. Non 6 gik che una idea fina espressa senza
finezza non sia un difetto : vogliamo dire che, malgrado il difetto
della espressione, ci accorgiamo della finezza della idea, e la pre-
giamo; siccome facciam lo stesso di una espression fina di non
fino concetto: la qual cosa non & mai della grazia; non poter av~
venir della grazia torna manifesto da ci6 che si & detto della essen-
za della medesima.
Pare che la finezza e la gentilezza possano assai bene e penetrare
e spargersi nel corpo di un'opera e infiorarlo tutto; dicasi lo
stesso della lepidezza, con che si espongono largamente le cose/e
con che si pu6 rallegrare un intiero trattato. Non cosl la delicatez
za ne" la volutta: perciocche* se & dato allo spirito insinuarsi dapper-
tutto e dappertutto rimaner sempre; al sentimento g& non e dato.
Pur la grazia cosl acconciata si distende nel tutto come annic-
chiasi nelle parti, n6 stanca ne" sazia mai,
Siccome hawi una finezza e una gentilezza che piacciono in
ogni et£ e ad ogni nazione, quali si riscontrano nel Metastasio ;
cosl ve n'ha che si confanno solamente a certe et& e a certe nazioni:
e ci6 non ha d'uopo di esempi o di prove. Ancor piu soggetta ad
eccezioni 6 la lepidezza: ne" solamente ci6 che parve lepido in
certi anni e in certi paesi piu nol parve in altri ed altrove: ma
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 825
nelle provincie di una nazione medesima ebbe ed ha pur oggi varia
fortuna. Quante facezie di Plauto e Terenzio: quante delle com-
medie de' nostri cinquecentisti non piaccion piu oggi! Quale delle
citt£ d'ltalia trova un grato sapore nel Gigli e nel Fagiuoli,1 e
quale mal li comporta.
Per la dilicatezza, per la volutta non ci & un secolo ne una na
zione: in ogni tempo tutti i colti uomini hanno gustato e guste-
ranno Orazio, Tibullo, il Racine.
Ma la grazia non pur non soggiace al variar de' tempi e al
genio particolare delle nazioni come la finezza, la gentilezza, la
lepidezza, non pur in tutte le eta e gustata da tutti i colti uomini
come la dilicatezza e la volutta; ma & riconosciuta, & sentita, 6
avuta cara sempre e da per tutto ancor da' non colti.
Ove tengasi alquanto dietro ai remoti periodi della storia delle
arti, si riscontreranno argomenti della maniera onde gli Egizi si
addomesticarono colle arti grate. Invano si trasportavano a Neu-
crati2 e busti e pitture di mano maestra: il genio nazionale rima-
nevasi tutto freddo ed immoto. Comparve finalmente una tavola
d'Apelle, un marmo uscito dalle mani di Prassitele, e FEgiziano
allora sentl per la prima volta, e quasi suo malgrado senti, averci
fra gli stranieri alcun oggetto verso cui i suoi desiderii inchinavano
irresistibilmente.
A chi abbia esaminato i principii e i progressi della comunica-
zione degli Europei colla Cina, balza certo agli occhi come il
primo voto che sorgesse in cuore ai Cinesi per le arti europee,
si diresse a que' disegni che traevano al grazioso. E chi siasi av-
venuto in alcuno di quella gente a Roma, dee aver osservato come
passi correndo dinanzi alle opere di artefici di sublime carattere,
e si arresti e vagheggi e girisi avidamente attorno ai piccioli
quadri dove parla la grazia. Cosl parecchi son testimoni dell'ap-
passionarsi che fanno quegli stessi uomini nella galleria napole-
tana di Capo di Monte per la S. Catterina del Coreggio.3 Si
osserverk proporzionatamente la stessa cosa fra i selvaggi, come
i. Girolamo Gigli (1660-1722), autore fra Taltro della Sorellina di don Pi-
lone, e Giambattista Fagiuoli (1660-1742) sono fra i piti notevoli rappre-
sentanti del teatro comico settecentesco pregoldoniano. 2. Neucrati: Nau-
crati, porto sul Nilo e centre degli scambi con la Grecia. 3. la S. Cat
terina del Coreggio: lo Sposalizio di S. Caterina (1518), oggi al Museo
Nazionale di Napoli.
826 AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
pu6 ognuno rilevare dalle storie delle due Indie, e come lo ha a
me confermato a voce un ingenuo e sagace viaggiatore cd arte-
fice, il sig. Zimmerman che accompagn6 il Cook nelFultimo de'
suoi viaggi.
A tutto ci6 torna d'aggiungere 1'esempio si giornalicro de' no-
stri idioti, i quali non san mai levarsi d'attorno a un dipinto
in cui sia impresso il grazioso; mentre n6 bella n6 brutta lor sem-
bra una tela di robusta e grandiosa maniera. Lo stesso 4 ancor
piti comunemente nella danza; lo spettatore piti volgare per cui
la finezza e la gentilezza de* moti e rivolgimenti sfumano inos-
servate, ove gli si presenti la grazia, divora per dir cosl collo sguar-
do, non move palpebra, e sente il soave bisogno di dare in un
sospiro.
Finalmente per dir d'un'altr'arte ancora, se cerchiamo fra Ic
poesie, quali sono le predilette dal popolo e quelle che gli s'in-
cidono quasi a mezzo il cuore, verremo ad accertarci che il ca-
rattere poetico il quale s'apre tosto la via airanimo idiota, & il
grazioso. Questa vernice, dir6 cosl, & che diffonde una magica
amenita sopra qualsivoglia oggetto; & questa superficie morbidis-
sima che adesca tutte le menti; & tale nel Petrarca la privileggiata
natura di questo sapor prezioso, che lusinga i palati anche stupidi
o guasti.
IV
Pu6 uno essere fino o delicato o voluttuoso o gentile o lepido,
od anche tutte queste cose insieme, e non esser grazioso; giac-
ch6 in nessuna di queste qualita risiede tutto quello che forma
Tessenza della grazia: non pu6 uno esser grazioso senza essere
fornito della maggior parte delle anzidette qualita; giaccW 6 pur
chiusa nelle medesime una parte delFessenza della grazia. Lo che
verra a farsi piti chiaro, ove ricorriamo a una distinzione limpida
e naturalissima.
La grazia pertanto or trae al grave,1 ora allo scherzevole, ora
i. Grazia grave, grazia sublime, o seria per sublime •; «Quid Herodoto
dulcius, aut Thucydide gravius ? » [« Che cosa e piti dolce di Erodoto, piti
grave di Tucidide? »], Cic., in Hon., B. (citazione da Nonio, De comp. doct.r
s. v. grave).
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 827
al vago. La prima ritiene alcun che dalla gentilezza e dalla deli-
catezza: la seconda dalla finezza e dalla lepidezza: la terza dalla
delicatezza, dalla volutta e dalla gentilezza.1
Per la grazia che trae al grave noi non intendiarrio gia quella
che da alcuni fu attribuita ad Omero, e della quale vien egli pro-
clamato inventore da Falereo,2 grazia terribile, risentita, che altri
rinvenne in Michelangelo, in Dante, nel Milton. Deh chi vorra
avere si poca pieta della grazia da stringerla in compagnia della
sublimitk della maesta della grandezza? Queste ben furono corn-
partite a Giunone e a Minerva, e movono ad ammirazione e a ri-
spetto: troppo alti sentimenti, perch6 il cuore ardisca concepire
alcun voto, e perch6 spunti quella soave e tenera inclinazione
che dalla grazia 6 ispirata. Se que' forti atteggiamenti, se quelle
I . Questa distinzione ci viene abbastanza adombrata dagli antichi maestri,
singolarmente da Tullio e da Quintiliano ; ed e maraviglia che non ci sia
stato finora chi abbia voluto vederla ne' medesimi, e chiamarla a portar
luce ne' secreti penetrali delle lettere e delle arti. « [Omni] lepore ac ve-
nustate affluens» [«Riboccante di lepidezza e di venusta»], Cic., 7 Verr.y
[LIV, 142], «Amemtates omnium venerum et venustatum» [«Le amenita
di tutte le veneri e venusta»], Plauto, Sticho, 2, I, [5]. «[Venustum . . .]
quod cum gratia quadam (nel quadam e espresso il non so che) et venere di-
catur» [«Venusto . . . ci6 che si esprime con un non so che di grazia e di
leggiadria»], Quintil., [Inst. or.], lib. 6, c. 4, [18]. «Dicendi vis summa
festivitate et venustate coniuncta» [«Energia d'espressione congiunta
con una somma festivita e venusta»], Cicer., De orat., [i], cap. 57, [243].
«Cum pulchntudinis duo genera suit, quorum m altero venustas sit,
in altero dignitas, venustatem muliebrem dicere debemus, dignitatem
virilem» [«Essendo due i generi di bellezza, uno dei quah consiste nella
venusta, Taltro nella dignita, dobbiamo ritenere la venustd. qualita muliebre,
la dignita qualita virile »], Cic., [De] offic., [i], cap. 36, [130]. Con che si
viene in chiaro che colla voce venustas e indicata la grazia grave, colla voce
lepos la scherzevole, colla voce venus la vaga. La voce venustas e quasi ge-
nerica, come in Tullio; e per dir cosl la radice delle altre due; e Quintiliano
la dice « grazia », bench£ non sempre cosl la chiami. II venusto distingue egli
dal ridicolo ossia dal salso assai acconciamente (vedi [Inst. or.], libro 6, ca-
pitolo 4, [20]), e il lepos divisa col faceto (vedi loco citato), non volendo egli
che significhi non solamente il ridicolo, ma ancora certa appellazione di de-
coro, e certa gentile e disinvolta eleganza. Quindi riporta le parole di Bruto
conservateci da Tullio nelle sue lettere: «non ci son piedi piu faceti, n6
che piti mollemente facciano 1'entrare delizioso»; indi quelle di Orazio,
con che loda il suo amico Virgilio, cioe il «molle atque facetum» (B.)-
Nell'edizione del 1822 le parole da II venusto alia fine sono poste, per errore,
come un'altra nota alia fine del capoverso seguente; mentre neiredizione
del 1829 il Gamba le sopprime addirittura. La citazione oraziana fe tratta
dai Serm., I, x, 44. 2. « Homerus . . . primus dicitur horrentes Veneres re-
perisse » [« Si dice che Omero per primo abbia ritrovato la bellezza tcr-
], B.
828 AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
gagliarde espressioni n'ebbero il nome, vi rawiseremo Pardir d'un
traslato giustificato dalla grande malagevolezza di bene caratteriz-
zar gli uni e le altre.
Trae al grave quella grazia che si fa interprete di nobilc pas-
sione, che si raggira per intorno alia eccellenza e non interne
alia singolaritk degli oggetti, quella per cui il pianto divien tal-
volta uno de' piu cari piaceri. Tale per 1'ordinario & quella di
Virgilio, del Petrarca, di Raffaele, del Pergolesi.
Trae allo scherzevole quella grazia, la quale spruzzi Tingenua
facezia e giocondit£ d'alcun affetto soave. Tale per Tordinario &
quella di Catullo e del La Fontaine. N<§ si pu6 rawisarla in Cicero
ne, nato veramente per la facezia, o in questa cosi studioso, che
sappiamo da Plutarco1 averlo gli amici di lui ricercato che si mo-
derasse nella copia dello scherzo e nel motteggiare: pcrciocch6
non altro e in lui che il ridicolo e il salso senza ombra alcuna mai
di quelPaffettuoso e di quello sprezzato senza che non pub stare
il grazioso. Molto meno vorremo compatire questa allo Swift, il
quale deridendo la debolezza degli uomini prende a compor libri
colFaiuto di una macchina e a fabbricar case incominciando clal
tetto:2 concetti dicevoli interamente al lepido, Diciamo graziosi i
piccioli cagnoletti che imitano con gioconda tenerezza le carezze
che lor si fanno: la quale appellazione non si conf& per certo n<5
a un grosso cane ne* a uno scimiotto, che vengono imitando le
sagacitk e le azioni degli uomini.
Come circoscrivere quella grazia che trae al vagol Leggiera,
fresca, innocente ritiene quasi il fior piu squisito delle altre due;
e forse alcuno vorrebbe dirla la grazia vera. Chi non sa che ci6
che e in moto e va vagando eccita maggior desiderio che ci6 che
possiamo vedere a nostr'agio? Quindi per certo vaghezza viene
a significare cosa che non si pu6 mirare senza divenirne desideroso ;
senza cercarla tosto e avidamente, senza vagar colla mente e col
cuore. Leggiadramente diffinl un nostro vecchio scrittore vaga
donna quella che ha «un certo ghiotto colla onestk mescolato ».3
i. da Plutarco: nella Vita di Cicerone^ xxvi. 2. prende , . . tetto: sono due
dclle invenzioni escogitate dagli scienziati deH'accademia di Laputa, uno
dei paesi immaginari descritti nei Viaggi di Gulliver , 3. un nostro . . ,
mescolato: il Firenzuola nel Dialogo delle bellezste delle donne, discorso I
(cfr. Opere, ed. cit, p. 564).
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 829
Or della grazia che trae a questo vago pu6 ancor dirsi che quel
suo andarsi movendo, quel cangiar che fa di luogo e talor di
colore mette altrui in una deliziosa dubbiezza; perciocch6 inna-
morato or di questa or di quella attrattiva, che gli si vengono
successivamente svelando, corre lor dietro col pensiero, e poi
vorrebbe raccoglierle tutte, e gli par che si fuggano; ma gli la-
scian fuggendo tanto di che soddisfarsi. Anacreonte, tale e la
tua grazia. Ogni nazione t'ha rivestito alia sua foggia, e tralu-
cono le tue bellezze, qualunque sia Pabito che tu prenda. In
ogni nazione avesti imitatori: quella tua naturalezza per cui sen-
za mai mostrar di cercar nulla trovi tutto, quella ispir6 fiducia
di facilita; simile a certi punti di vista a' quali crediamo di
giugnere bentosto, e che poi sembrano pixi fuggire da noi
quanto piii crediamo di awicinarci. Sotto de' sottili velami sta
il fiore della tua eleganza, e in che sprezzatura fanciullesca e
involata la soavita del tuo affetto! Tale e la grazia del Coreggio,
allievo fortunato della natura, in cui colori e attrattive irresi-
stibili sono sinonimi! Se da ad imprestanza la piu ingenua elo-
quenza del cuore a una ciocca di capelli, a una piega, chi dira
delPaffetto che furtivamente volteggia sul collo, sugli occhi, sulle
labbra che uscirono dalla mano, se non le Grazie stesse che glie
Than retta?
Al fin qui detto si procaccera miglior lume col chiamare in
mezzo alquanti esempi di autori e di artefici e delle opere loro.
Non ne allegheremo gia quanti sarebbero opportuni a un trattato ;
ma quanti bastino a fiancheggiare le nostre asserzioni; ed anche
a far in mo do che chi non abbia piu di domestichezza con questa
sorta di fragranza, si metta in mente i differenti fiori che la tra-
mandano.
E per tornar subito ad Anacreonte, quella colomba che aleg-
giando piove odori, quella che venduta al poeta al prezzo di
una sola delle sue canzonette gli ruba 1'esca di mano, e va a dor-
mire sulla sua cetra; quel nido che gli Amori han fatto in petto
al poeta; quelle saette uscite dalla fucina di Lenno, le cui punte
Venere tingea di mele, e Amore vi andava mescendo il fiele; la
descrizione delFintaglio rappresentante Venere; e le lodi della
830 AURELIO DEJ GIORGI BERTOLA
rosa, e i ritratti della primavera . . .* quale furtiva profusione di
eleganza e di affetti!
Bench<§ di questo nettare dell'arte, dir6 cosi, sieno sparsi pa-
recchi idilli di Teocrito, in nessun altro luogo per6 si fa sentire
piu puramente che nelPidilio delle Siracusane, dove e la grazia che
trae allo scherzevole e quella che trae al vago quasi consumano
Testremo delle loro forze.
Pare che i Latini, senza soverchiamante abbagliarsi di se me-
desimi, non abbiano avuto a vile di riconoscersi in questa parte in-
feriori di molto ai Greci, a' quali alcun di loro non sollevb qui
le speranze, siccome pur fecero in altri generi ad Esiodo e a
Callimaco. Anzi Quintiliano appena mostra di voler credere che
le Veneri potessero sorrider mai di si buono garbo al Lazio sic-
come avean fatto alia Grecia.* Checch6 ne sia, assaissimo si ad-
domestic6 con quelle Catullo, spirante ogni qualvolta gli piaccia o
lepidezza o grazia: e nel Passer e3 e in altri endecasillabi innamora
e colla scherzevole e colla vaga.
Della vaga e della grave I come il trionfo il quarto libro del-
VEneide\ e in que' libri finanche, Targomento de' quali & si alieno
da siffatto carattere, s'incontrano passi tratto tratto che se ne
rivestono a maraviglia: tale & quello del lib. 2, dove Cassandra
vien tratta fuori del tempio di Minerva.
Avea sparse le chiome, e gli occhi al cielo
rivolti indarno; gli occhi, poicht, avvinte
le sue tenere mani eran da lacci*
Pochi saranno che non distinguano qui entro e la gentilezza
e la delicatezza e quel soprappiu che le lega e le impreziosi-
sce nella immagine delle mani, che sembra gettata la a caso, e ch'&
un secreto alimento di tenerissimo affetto. Se non sentiamo nel-
le Buccoliche la grazia originale del siracusano, pur ve n'ha di
1 . quella . . . primavera : gli esempi citati in questo capoverso non apparten-
gono ad Anacreonte (come ancora nel Settecento si credeva), ma ad epi-
grammi a lui attribuiti e raccolti in appendice alia Antologia palatina.
2. Quintiliano ... Grecia: cfr. per esempio Inst. or., xil, X, 35: «qui
exiget illam gratiam sermonis attici, det mihi in eloquendo eandem iucun-
ditatem et parem copiam». 3. nel Passer e: ciofe nei faleci « Passer, deliciae
meae puellae» ecc. (Carm., n). 4. «Ecce trahebatur . . . / ad coelum ten-
dens ardentia lumina frustra, / lumina, nam teneras arcebant vincula pal-
mas », B. (^4^72., ir, 403-6; la traduzione fe del Bertola stesso).
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 83!
siffatta che quegli compiacerebbesi della copia. Mai s'intende per6
come meno apparisca dove il poeta fa parlare i pastori, che dove
park egli stesso : ed e molte volte il contrario in Teocrito. Tanto
forse teme Virgilio la concorrenza, che fuggl a bella posta di
toccar quelle corde nel punto in cui Taltro le avea g& tocchel Nelle
Buccoliche e insimiata vieppiu la scherzevole : e Orazio voile diffi-
nirla con quel « molle faceto » che attribuisce alle boscherecce muse
del suo amico.1
Non so se i comentatori del Petrarca, fra le tante cose che
hanno scritto di lui, abbiano pure awertita questa ch'e la prima
e piii vera, cio& che in lui e questo caro senso per eccellenza.
E ne diede egli stesso la migliore testimonianza non accorgendosi
di possederlo, e scrisse assai tardi:
Se io avessi pensato che si care
fosser le voci de' sospir miei in rima.*
E alFandamento di certi versi, come di quello
dalle tenere piante sue par ch'escaJ
E in quelle certe frasi e in quelle certe rime che alcuni vorreb-
bero bandir dal poeta come quasi decrepite o di mal suono, pure
si sente a maraviglia una elegantissima sprezzatura. Egli si com-
piace soprattutto della grazia grave e per dir cosl virgiliana;
cosl tutto virgiliano e il velo delle sue transizioni. Nel sonetto
Mai non fu in parte ove si chiar vedessi*
nel quale sembra Pautore andar fuggendo via dalPanimo del
lettore nelPatto che vi si attacca con una tenacitk soavissima; nel-
le canzoni
Se il pensier che mi strugge . . .
Chiare, fresche, dolci acque , . ,
Di pensier e in pensier, di monte in monte* . . .
il carattere di cui parliamo, e piegato verso il prii amabil lume.
V'hanno parecchi i quali non trovano nel Petrarca alcun pascolo :
v nanno pareccm i quan non trovano nei r eirarca aicun ]
i. Cfr. la nota i a p. 827. 2. Rime, ccxcni, 1-2. 3. Rime,
4. Rime, CCLXXX. 5. Rime, cxxv, cxxvi, cxxix.
CLXV, 4.
832 AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
potrebbe uno dire dunque : il Petrarca non & grazioso. E un altro
potrebbe rispondere che que' parecchi non guardarono poi mai quel
poeta o rattenuti dalla paura d'imbrattarsi della ruggine di certe
frasi, di certe rime (di che si & dianzi fatto cenno), o di rabbrivi-
dire fra il platonismo poich<§ lor fu detto che il libro & vecchio assai,
e che e tutto d'idee ancor prii vecchie : ma lo guardino ima volta,
e la paura si cangerk nel piti vivo e piu dolce de* desiderii.
Se mi si chiede perch£ io apra un luogo fra questa schiera a
Franco Sacchetti, io chiederb che mi si nomini un prosatore no-
stro il quale grazieggi come fa costui nelle sue novelle. Gli sta a
fianco 1'Ariosto nella poesia, piu degno ancora di essere comparato
co' Greci che non co' Latini; avendo originalmente maneggiato
qua e Ik tutti e tre i colori del grazioso, oserei dire, con unico
esempio; perciocch6 il La Fontaine non voile o non seppe abba-
stanza comporsi al grave, emulo per6 del ferrarese nel far sempre
con somma awenentezza, e non parer mai di fare. Dove non
avesse egli scritto che la sola favola delle Canne,1 da lui stcsso
preferita a tutte le altre sue, gik sarebb'egli, com'e, il poeta della
natura e delle grazie. A queste e a quella carissimo <b stato ancora
in questi di un italiano, il quale se avesse potuto liberarsi piu
spesso da' ceppi in che lo strinse il cattivo altrui gusto, non so
chi non godrebbe di accordargli le prime palme : dico il Goldoni.
E sventuratamente pochi mi avranno indovinato : ma se alcuno vor-
ra pigliar meraviglia di tanta opinione che io ho di lui, io la pren-
der6 che tale opinione non sia quella di tutta Italia. Nelle com-
medie veneziane, dove & il fior piti soave di quel giocondo dialetto,
massimamente incontriamo scene in cui si direbbe che parlino tra
loro sotto finti nomi Teocrito e Plauto, ma Plauto fatto e verecondo
e soave.
Rispetto alle arti, n'6 appena conceduto vaggheggiar qualche
ombra delle attrattive de' pennelli greci, esaminando i pochissimi
avanzi a noi pervenuti delle antiche pitture. Una di quelle che
fatte sul muro furono trovate in Pompei, e che ora custodisconsi
nel R. Museo di Portici, rappresenta alcune ballerine:* la grazia
le caratterizza; le due massimamente che tengonsi per mano; qucl-
le poi che appariscono coverte di un velo trasparente, offrono all'oc-
i. favola delle Canne: credo che alluda alia favola, gia citata con lode nel
Saggio sopra la favola (qui a p. 807), Le cMne et le roseau. 2. alcune bal~
lerine: oggi nel Museo Nazionale di Napoli.
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 833
chio un miracolo di awenentezza nelle pieghe del velo stesso.
Quale idea dovremo comporci di quel quadro d'Apelle fra gli altri
rappresentante Venere nell'atto di sorgere dalla spuma del mare,
e che con una mano sostenta le trecce bagnate dalPonde?1
Malgrado il concetto del Lomazzo, il quale volendo un Ada-
mo disegnato da Michelangiolo e colorito dal Tiziano, avrebbe
pur voluto un' Eva disegnata da Raifaele e colorita dal Coreggio,*
riconosceremo Fingegno di quell'uomo divino3 come specialmente
conformato a questo carattere. Quindi ne fregi6 qua e Ik que* la-
vori stessi, dove sollevavasi alia grandezza e alia maesta, le quali
due e noto che non consegui veramente prima che il Bramante
non gli avesse svelate le idee magnifiche di Michelangelo : ne gia
pot6 mai, per molto che tentasse, superare Lionardo da Vinci
in un certo fondamento terribile di concetti, benche" lo si lasciasse
tanto addietro nell'aria delle teste e nel dar grazia alia figura; a
quel modo appunto che Virgilio a somigliante riguardo e per
somigliante cagione si rimase al di sotto di Omero. Ben mostra
egli quel che possa la grazia nelle sue mani sia negli andari de'
panni, sia nella sfilatura dej capelli, sia nel dare qualsivoglia af-
fetto all'aria delle sue teste : lo mostra allorche" mette celatamente
ranima sul volto alle diverse sante vergini che dipinse, a S. Ce
cilia4 singolarmente, dove in oltre quelle canne d'organo rovesciate
sono e pittura e poesia squisitamente anacreontica e virgiliana.
Nelle Sibille5 la Tiburtina quanto non da nel grazioso! e tutti due
i caratteri di questo brillano quivi negli angeli in alto diversamente
atteggiati ; i quali caratteri o gradi sono anche piu manifestamente
impressi ne' tre personaggi della Madonna della Seggiola\ e nel
S. Giovannino lo scherzevole e si incantatore che nulla piu. Nella
Madonna incisa dal Du Flos sulForiginale ch'& in Francia,6 che
i. I Greci dissero questa Venere « Anadyomene » : V. Plin., [Nat. hist.],
lib. 35, [x, 36]; Cic., \De\ offic., lib. 3, [n, 10] e Epist. fam., Ad Lent.,
lib. I, [ix, 15]; Ovidio, Amorumy lib. i e 14, [33], B. 2. Cfr. Giovan
Paolo Lomazzo, Idea del tempio della pittura, Milano, Ponzio, 1590, p. 60:
« bisognerebbe che TAdamo si dasse a Michel Angelo da disegnare, a
Tiziano da colorare, togliendo la proporzione e convenienza da Rafaello,
e TEva si disegnasse da Rafaello e si colorasse da Antonio da Coreggio».
3. quell'uomo divino \ Raffaello. 4, a S. Cecilia: nel quadro Santa Ce
cilia (1515) della pinacoteca di Bologna. 5. Nelle Sibille: nell'affresco del
Collegio del Cambio di Perugia, la cui attribuzione a Raffaello e perd con-
trastata; o, piu probabilmente, in quello della chiesa di Santa Maria della
Pace in Roma. 6. Madonna . . . Francia: ritengo che alluda alia Ma-
S3
834 AURELIO DE» GIORGI BERTOLA
non dicono al cuore le mani e un pi& del Bambino! 6 in quante
altre Madonne lo scherzevole e il vago, come in quella che descri-
ve il Vasari tenersi fra le gambe un putto, a cui S. Giovannino
tutto gioioso porge un uccello con leggiadrissima attitudine di
amorevole semplicitk puerile.1 £ il grave e il vago nei volti tutti
della Vergine, ne' quali espresse con si naturale facilitk e la di-
vinita e la modestia ad un tempo! Nel Cristo morto2 & senza esem-
pio il grave nelle teste di tutte le figure piangenti : n6 fu mai pianto
cosi grazioso.
De' personaggi sopra i quali il Coreggio3 nel S. Girolamo4 dif
fuse quella sua soavissima luce, chi parlera abbastanza? La sola
testa della Maddalena & la piu graziosa cosa che sia al mondo.
Degli angioli dipinti da costui ben fu detto che par che sieno
piuttosto piovuti dal Cielo, che fatti dalla mano di un pittore. Come
possiamo vedere in un'oda di Anacreonte un quadro di Coreggio,
cosl un'oda di quello in un quadro di questo: «Era in una sua Ve-
nere un paese mirabile; ed oltre di ci6 capelli si leggiadri di colore
e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quelli non
si pu6 vedere. Eranvi alcuni Amori che delle saette facevano pro-
va su una pietra; quelle d'oro e di piombo lavorate con bello
artificio; e quel che piu grazia donava alia Venere, era un'acqua
chiarissima e limpida che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi
di quella e quasi nessuno ne occupava».5 lo cercher6 di entrare piti
donna degli OrUans, ora nel Museo Conde* a Chantilly; Claude-Augustin
Duflos (1700-1784), incisore francese. i. quella . . .puerile: la Madonna
del Cardellino (1506), che si trova agli Uffizi. 2. Nel Cristo morto: nella
Deposizione (1503-150?) della Galleria Borghese. 3. Come pu6 mettersi
insieme la grazia di Raffaele con quella del Coreggio ? L'uno e di una
perfezione che non esclude 1'idea dello studio, Taltro tutto il contrario.
Potrebbe forse dirsi che neli'uno regn6 nel carattere delle « teste », ciofe in
Coreggio; nell'altro nelle parti de' «nudi», e che Coreggio fu principe nella
grazia vaga: difatti le articolazioni delle mani del Coreggio sono di una
eloquenza aggraziatissima. N6 RafTaele adunque, n6 Virgilio, ne Petrarca
ebbero questo genere di grazia, che fu di pochissimi. Voltaire dette perci6
ad ogni arte la sua grazia (B.). Allude alia voce grdce scritta dal Voltaire
per r Encyclopedic, in cui si distingue la grazia della pittura e della scultura
da quella della eloquenza e della poesia. 4. nel S. Girolamo : nella Madon
na di san Girolamo (1527-1528) alia Pinacoteca di Parma. 5. Vasari, Vita
di Antonio da Coreggio (B.)- Cfr. Vite ecc., a cura di C. L. Ragghianti, n>
Milano, Rizzoli, 1942, pp. 45-6. II Bertola riproduce il passo vasariano
con qualche Heve variazione. II quadro a cui si allude e la Danae (non
Venere), che si trova alia Galleria Borghese di Roma.
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 835
addentro ad un'altra inarrivabile fattura di questo pennello, con
gran rischio per6 di smarrirmi. Nella Madonna della scudella1 il
Bambino movesi in due sensi: la meta inferiore del corpo gira
alPopposto del volto della Vergine Madre, e-1'altra superiore lo va
anzi cercando, donde nasce un effetto meraviglioso : perciocch6
si viene a mostrare nel divin figlio amorosissimo una certa brama
di rinvenir gli occhi e il volto materno col superare ch'egli fa
in una maniera insolita e risoluta la precedente natural tendenza
di sua persona piantata tutf all'opposto di quel che si vorrebbe
in tal atto. Cresce Y effetto tuttavia pel ricevere che fa il Bambino
colla destra alcune frutta che S. Giuseppe distacca da un albero
con una mano e che coiraltra vien inoltrando verso la Sposa.
Questa & a sedere, e piu che la guardi, piu ci vedi tutto il paradiso
nel volto: non & possibile mostrare maggiore abilitk in una fa-
cetezza che sembra escluderla. Travedi in Lei una dolce compia-
cenza nata gia da alcun tempo: non dimostra punto quella scossa
che reca un piacere improwiso, ma di corta durata: eccesso in
cui avrebbe dato ogni altro pittore al quale non fosse stata dome-
stica la grazia.
Quante cose non fa egli intendere questo quadro, le quali
non promette? Qual eleganza, quale affetto sta sotto una specie
di velo, come se il pittore non avesse pensato a mettervi dentro
n6 Tuna n6 Taltro? E ben & qui dispiegata la grazia, se non &
difinita.
II Parmigianino 1& dove non pens6 di voler essere grazioso,
& tale a meraviglia; soprattutto nel quadro della Madonna della ro-
sa? La S. Agnese del Domenichino, quadro ch'& in Inghilterra,3
e di cui abbiamo una bella stampa dello Strange,4 non pu6 non
ricordarsi: le mani giunte della santa, gli occhi rivolti al Cielo,
Tangioletto a* suoi pi& che accarezzando un agnellino appoggia
il mento al collo del medesimo, e un pi& deirangioletto, e lo stesso
abito della santa ripiegato alia cintura sono un felice composto dello
scherzevole e del vago, tutto vaghezza e innocenza. Nella scuola
che Lionardo da Vinci stabili in Milano si distinse poi per questo
attraentissimo carattere Bernardino Luvini ben degno di essere
i. Madonna della scudella: compiuta nel 1529-1530, ora nella Pinacoteca
di Parma. 2. Madonna della rosa: dipinta nel 1527, ora nella Galleria di
Dresda. 3. in Inghilterra: precisamente nel castello di Windsor. 4. Ro
bert Strange (1721-1792), incisore inglese.
836 AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
piii noto che generalmente non &, e il cui solo S. Giovannino,
che vedesi nell'Ambrogiana di Milano, ha una movenza ingenua,
cara oltre ogni dire, e furtivamente affettuosa.
Rispetto alia scultura, agevole a chichessia & il distinguerc co
me e nella Venere de* Medici e nel Morfeo della villa Pinciana1
e ntir Apollo di Belvedere e nelle figlie di Niobe si annidi la
grazia, ivi la vaga, qui la grave. Cosl ancora nel Pane Farnesiano2
che insegna a suonar la siringa, dove & un avvenentissimo atteg-
giamento del discepolo, di desiderio e di timore nel volto non
meno che nelle mani,
A questo amabil carattere non pare che i moderni scultori ab-
biano posto tanto amore come i pittori, vaghi piti assai del grande
e del maestoso, piii ancor disperando per avventura di raggiun-
gere in quello gli antichi. Tuttavia veggiamo marmi parecchi ram-
morbiditi dall'arte moderna fmo a grazieggiare con somma soa-
vita. In Roma tale & la statua di S. Teresa;3 tali le due donne a
un sepolcro del Vaticano di Gugiielmo della Porta:4 tali la S.
Susanna nella chiesa di Loreto,5 e nella chiesa dell'Anima i put-
tini piangenti intorno a un monumento sepolcrale,6 opere dello
scalpello di Francesco Quesnoy7 detto il Fiammingo, Questo stes-
so scalpello, che parve esser posto in fra le dita dalle Grazie,
empi£ del caro lume di queste la cappella Filomarino nella chiesa
de' SS. Apostoli in Napoli:8 sono alquanti angioletti che fan mu-
sica: i lor volti e le lor mani pigliano atteggiamento dalla piii
pura avvenentezza: ma quello fra gli angioletti che posa la destra
sul ginocchio del vicino e la mossa della testa di questo danno
supremamente nel coreggesco.
Tra i compositori di musica ci si affaccia il primo quegli che
i . Morfeo della villa Pinciana : allude probabilmente a // sonno o Cupido
dormente dello scultore Alessandro Algardi (1602-1654), nella Galleria
Borghese di Roma. 2. Panefarnesiano: il gruppo di Pan e Olympos, ora
nel Museo Nazionale di Napoli. 3. la statua di S. Teresa: I'Estasi di
santa Teresa del Bernini (1616), che si trova a Roma in Santa Maria della
Vittoria. 4. le due donne . . . della Porta : la Giustizia e la Prudenza, ef-
figiate ai piedi della tomba di Paolo III, in San Pietro, da Gugiielmo della
Porta (morto nel 1577). 5. nella chiesa di Loreto: cioe di Santa Maria
di Loreto, m Roma. 6. nella chiesa . . . sepolcrale: nella chiesa di Santa
Maria deirAnima in Roma, intorno alia tomba di Adriano Vryburch.
7. Fran9ois du Quesnoy o Duquesnoy (1594-1642), scultore fiammingo, la-
vor6 molto in Italia, subendo 1'inrluenza del Timno, deH'Albani e del
Bernini. 8. la cappella . . . in Napoli: precisamente nel bassorilievo del-
1'altare.
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 837
in quest'arte pu6 dirsi Anacreonte e Coreggio: come in que* due
piu chiaramente riluce quanto dicemmo delle possenti attrattive
del grazioso: perciocch6, malgrado le rivoluzioni del gusto mu-
sicale, le composizioni del Pergolesi sono tuttavia la delizia di
tutti gli orecchi. II p. Martini,1 ricopiato poi in questo luogo dal
Saverien, qualifica di viziosa medesimezza i motivi dello Stdbat
e quelli della Serva padrona: confondendo quel grand'uomo, non
si sa come, i motivi collo stile, il quale senza dubbio pergoleseggia
da per tutto. Nello Stdbat h un celeste misto del grave e del vago.
Deh come mai certa sprezzatura, cert' aria furtiva si nelPeleganza
che nell'affetto modificano, per cosl dire, ogni nota! Quale im-
menso ma placidissimo giro non fa egli fare alia nostra anima
per varie strade di affetti, pur non mostrando di voler pigliarla
di mira, non che signoreggiarla! anzi par che vi trascorra non
sol con modestia, ma ancora con negligenza. E VOlimpiadet La
sparse parzialmentc d'ogni soavita di tacita persuasione; e nel Se
cerca> se dice2 occultamente trasparisce 1'amico in mezzo ai sospiri
e alle smanie deiramante, con un artifizio sommamente furtivo
di eleganza e di affetto. Le sue cantate ancora grazieggiano qua
e la : se non che & chiaro aver egli voluto sbizzarrire nelle medesime
con vari caratteri, or fino, or dilicato, or gentile, or voluttuoso:
modello finalmente della grazia scherzevole nella Serva padrona.
Emulava i talcnti del Pergolesi Domenico Taradella,3 morto
alia eta di 22 anni per rammarico preso allorch£ comparve lo
Stdbat. £ autore della eccellente musica della Merope* alcu-
ne scene della quale sono state messe a sacco da molti ma oscuri
maestri posteriori: ma con poco frutto; perciocch£ mal si copia
la grazia. Ne avvertono quelle scene che il Taradella, ben cono-
scendo il valore del Pergolesi, poco o nulla conobbe il suo proprio,
Fra i compositor! de' nostri dl Paesiello £ quegli che ha mo-
strato di voler andare piu da presso al Pergolesi : infiniti suoi motivi
hanno un'aria di grazia che innamora. La fuga che, ancorch£ bella,
£, dice Rousseau, r«ingrato capo d'opera d'un buon armonista»,5
i. Giambattista Martini (1706-1784), autore di una erudita Storia della mu~
sica e di numerose altre opere di teoria e critica musicale. 2. Se cerca, se
dice: la famosa arietta delVOlimpiade del Metastasio, che servi da libretto
air opera del Pergolesi. 3, Domenico Taradella: Domingo Terradellas
(1713-1751), morto suicida (ma a trentotto anni, non a ventidue), musi-
cista spagnolo, educato e vissuto in Italia. 4. Merope: rappresentata a
Roma nel 1743. 5. Cfr. la voce Fugue del Dictionnaire de musique:
838 AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
diviene nelle mani di Paesiello il capo d' opera del scntimento;
e si direbbe che le Grazie gli sono allato ogni volta che incomin-
cia a scrivere, e che poi lo abbandonano in seguito e lo lasciano
solo: ond'e che di mezzo a un fonte d'acqua pur dolcissima sorge
non so che d'amaro che t'ange fin tra' fiori.1 Egli e il Parmigiani-
no, come 1'altro il Coreggio di quest'arte: passiamo a dire del
Raffaele,2 nel quale giunse al piu alto grado la perfezione che sari,
largamente vendicata dalla posterity d'ogni oltraggio che possano
averle fatto grimperiti e i parziali. La buona figliuola e nello scher-
zevole a proporzione ci6 ch'e lo Stabat nel grave e nel vago.
E in quante opere serie il grave! che delizioso oscillar non fa IV
nima accarezzata dal secreto affetto e dalla semplicitk di quell'aria3
Alia selva, al prato, al fonte!
Quel suo canto, privo quasi di ogni armonia istromentale e che
erra solo da lui, ben manda agli occhi anche de' meno veggenti la
semplicitk e la natura.
Peccato che il sentimento di una straordinaria disposizione a
tutti i generi del comporre abbia piu d'una volta indotto questo
grand'uomo a scrivere unicamente per 1'intelletto! Ci & stato cosl
sottratto non poco di ci6:4 mentre egli pifr che alcun altro de*
suoi contemporanei era stato dalla natura destinato a scrivere per
Timmaginazione e pel cuore. Ma che? ancora diresti che men-
tr'egli fugge studiatamente le Grazie, queste corron dietro al Paer
lor favorito, ed osano quasi rimescolarsi per amore di lui fra le
spine del piu aspro e ruvido contrappunto.5 Con non maggior
«on peut dire qu'une belle fugue est Tingrat chef d'oeuvre d'un bon
harmoniste» (in Oeuvres, VH, Paris, Hachette, 1906, p. 122). i» «. . . me-
dio de fonte leporum / surgit amari aliquid, quod in ipsis floribus angat »,
Luc[rezio, De rer. nat.], lib. 4, v. 1126 (B.)- 2. del Raffaele: cio& del
Paer (nominate pitt avanti), la cui grazia, nella musica, corrisponde a
quella di RafFaello nella pittura. Ferdinando PaSr (1771-1839), che diven-
tera poi successore dello Spontini a Parigi, compose soprattutto opere li-
riche, tra cui La buona figliuola e la Griselda, ricordate piu avanti dal Ber-
tola. 3. I Francesi traducono il nostro andante per grazioso [gracieux]; &
meraviglia che il Rousseau, che ci6 ancora ripete, non se ne maravigli : giac-
ch£ come pu6 profanarsi cosl questa voce ? E come pu6 dirsi poi che un tal
movimento ^ un di quelli che posson essere «saisis et rendus par tous les
musicians »? (B.)« Cfr. Rousseau, nelle voci Andante e Mouvement del
Dictionnaire de musique (in Qeuvres, ed. cit, vi, 1909, p. 348; VII, 1906,
p. 177). 4. di cid: cioe, della sua grazia. II Gamba corregge in «da ci6».
5. Segnatamente nella Griselday messa in iscena a Venezia nel teatro di
San Samuele nel 1793 (B.)-
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA 839
fedelt&, io credo, avrebbero corteggiato Anacreonte, dove a questo
fosse dato a distendere un trattato di fisica o di morale.
VI
Tali sono i classic! esempi che io ho stimato doversi principal-
mente allegare della grazia. Intorno a' quali inculcher6 ancora
quell'avvertenza, cio& che si & mirato a far soltanto menzione di
quegli scrittori ed artefici i quali ebbero 1'animo privilegiatamente
conformato alia medesima; e si coltivarono e si mantennero par-
zialmente un cosl prezioso dono. N£ i giudizi per6 son miei;
siccome non direi mia, qualunque ella si fosse, la diffinizione,
perciocch6 se in questa si epiloga la sostanza delle migliori altrui
idee, in quelle si raccoglie il sentimento di quanti hanno occhi ed
orecchi non impcditi da prevenzione. Meriter6 unicamente ripren-
sione per non aver esposto e distinto con lucidezza ed allaccia-
to con armonia ci6 che ho pigliato ad imprestanza : se non che
intendendosi da ognuno la difficoltk di vincere colla perspicacitk
delle parole e coll'accuratezza delPordine il restio di certe intime,
sfuggevoli e troppo svariate cose, io potrei essere anche piu com-
patito che ripreso.
Che se avessi pur lasciato da banda alcuno cui la grazia si
tenga da vero per un de* suoi, non 6 qui nessun fallo a danno
degl'intendenti, e a quello degl'idioti & leggero.
Mi stimerei bensl lodatissimo, dove queste poche osservazioni
eccitassero acuti e leggiadri ingegni a piu felici ricerche sopra
materia tanto rilevante per le lettere e per le arti. Ma dove ancora
questo picciolo scritto non fosse atto a trar da altrui alcuna scin
tilla, poich6 ad altro g& non aspiro, io non mi pentirei del mede-
simo. SI, gli studi di questa cosl amena e venusta indole vagliono
a crear per noi quasi un mondo incantato, ove entriamo a ri-
crearci, allorch6 quello in cui viviamo c'infastidisca o ci turbi;
un mondo nel quale sopra tutti gli oggetti cosl brillano la calma,
l'ilarit&, la vaghezza, che ne scntiamo amabilmente il riverbero
fino al fondo dell'anima: e questo piacere direi quasi si filosofico,
e tuttavia si facile a conseguirsi da* mediocri uomini, appena vuol
cedere a quello di che la gloria inebria i piu grandi.
FRANCESCO TORTI
NOTA INTRODUTTIVA
«Noi ci siamo conosciuti, signer cavaliere, da lungo tempo . . .
Noi abbiamo amato insieme le lettere, la poesia, i poeti, e soprat-
tutto i grandi poeti: noi abbiamo meditato insieme sopra le bel-
lezze di quest'arte divina: 1'abbiamo considerata nella sua ori-
gine e ne' diversi cangiamenti del gusto italiano nel corso pro-
gressivo di cinque secoli : e queste interessanti ricerche hanno for-
mato per qualche tempo fra noi il letterario argomento d'una ani-
mata corrispondenza. » Con queste parole, nel Dante rivendicato,
il Torti ricordava al Monti, che sembrava essersene completamente
dimenticato, la fervida amicizia che li aveva legati tanto tempo
prima, ma che per lui, ancora dopo quarant'anni, rimaneva sem-
prc Pesperienza decisiva della sua camera di letterato e di critico.
A questa esperienza il Torti, bench6 giovanissimo ed oscuro, non
era giunto del tutto sprovveduto. Nato il 30 settembre del 1763
a Bevagna, neirUmbria, da una famiglia di agiati possidenti, era
stato inviato ancora giovinetto dalla madre, originaria di Cameri-
no, a studiar legge nell'universita di questa cittadina, dove aveva
potuto seguire le lezioni dell'ex-gesuita spagnolo Ludenna, il qua-
le gli aveva ispirato - come egli stesso ricorda in un breve profilo
autobiografico - «un ardore vivissimo per la metafisica, che non
Tha mai abbandonato ». E ancora aveva pubblicato, a vent'anni, un
poemetto di argomento biblico, VErodiade, piu tardi rifiutato. Ma
certo e solo a Roma, dove egli era passato nel 1783 per far pratica
d'avvocato, e in particolare attraverso Pamicizia col Monti, che
il Torti scopre veramente e la grande poesia e la sua vocazione di
critico, e si orienta verso quel gusto al quale si manterra poi
sostanzialmente fedele per tutta la vita. Quali siano i testi poe-
tici e critici su cui si forma questo " gusto, si pu6 trarre alme-
no in parte dalle testimonianze fornite dal Torti medesimo: le
opere del Monti, anzitutto, allora nel momento piu fresco e fe-
condo del suo eclettismo, attento a blandire i gusti del neoclassi-
cismo romano ma aperto alle aure del preromanticismo europeo,
e in particolare la Bassvilliana, che Tautore inviava canto per
canto alFamico, tornato nel 1786 a Bevagna, ricevendone entu-
siastiche annotazioni critiche; e poi la Bibbia, Ossian, Gessner
e gli altri lirici tedeschi appena tradotti dal Bertola, ma soprat-
844 FRANCESCO TORTI
tutto Dante, al quale il giovane letterato umbro rivolgc la sua
attenzione, come egli stesso piu tardi dichiarera, sotto la sug-
gestione della Bassvilliana, e su cui egli scrive il suo primo vero
lavoro critico, un saggio rimasto inedito, ma che costituiri il nucleo
del capitolo dantesco del Prospetto del Parnaso italiano. Dal Monti
gli viene altresl qualche suggerimento nel campo delFestetica e
della critica: il consiglio, per esempio (in una lettera dell'agosto
1792), di leggere il Gravina e TAddison; ma fin da allora il
Torti dovette studiare senza dubbio per suo conto altre opere
del genere, fra cui certamente qualcosa del Cesarotti, se egli, nel
gi& ricordato profilo autobiografico, rammenta come nelle ami-
chevoli discussioni col Monti opponesse all'esclusivo entusiasmo
di questo per Dante il concetto (tipicamente cesarottiano) della
((universality del bello della natura, sempre prodigiosa nella sua
immensa varieta».
Questa formazione abbastanza ben definita in senso preroman-
tico deve essere tenuta presente per poter valutare, nei suoi caratte-
ri e nei suoi limiti, la prima e fondamentale opera critica del Tor
ti, il Prospetto del Parnaso italiano^ composto durante gli anni
successivi al ritorno a Bevagna, quando erano ancora vivi e ope-
ranti i ricordi dell'amicizia e della corrispondenza col Monti, e
pubblicato fra il 1806 e il 1812. Concetti preromantici, e piti esat-
tamente illuministici ma accolti e accentuati dal Preromanticismo
sono i punti programrnatici che Pautore espone nella prefazione
e neirintroduzione dell'opera. Tale & il proposito, espresso fin
nella citazione del frontespizio («Pauci quos aequus amavit Ju
piter))), di distinguere i veri poeti, i «geni original!)), dalla molti-
tudine dei loro servili imitatori e in genere dei «mediocri)) che
usurpano il nome di poeti: un proposito che, mentre si riallaccia
al giovanile interesse per i «grandi poeti », ha dietro di s<£ tutta
una tradizione nella critica settecentesca, a cominciare da quella
arcadica: come il Torti del resto non ha scrupolo di riconoscere,
richiamandosi - piuttosto che ai Verri, al Baretti, al Cesarotti -
alia condanna pronunciata dal Muratori, nella Perfetta poesia, con-
tro «Pimmensa schiera» di coloro che si erano limitati a «copiare»
e a «travestire)) i concetti e i sentimenti del Petrarca; alle deplo-
razioni delPAlgarotti, sdegnato della «superstiziosa mania che te-
neva servilmente attaccati gFingcgni nazionali alPimitazione di un
sol genere»; e alia «pretesa» bettinelliana di « disingannare ar-
NOTA INTRODUTTIVA 845
ditamente gli italiani troppo prevenuti della loro gloria poeti-
ca». Ma tutto settecentesco e altresl (come ha osservato il Fu-
bini) il criterio a cui egli dichiara di attenersi allo scopo di ef-
fettuare tale distinzione, e che consiste nel respingere sia il
pedantismo e Perudizione, sia le valutazioni distorte da pregiu-
dizi retorici o regionalistici, o comunque influenzate da prefe-
renze parziali, e nel fare appello, invece, al giudizio del «pub-
blico)), ccgiudice naturale dell'opere di gusto », ad un pubblico
il piu vasto possibile, non solo italiano, ma europeo, a quel «sen-
so comune», insomma, di cui il critico non vuol essere che Fin-
terprete accorto e sensibile, secondo il principio fatto valere, fin
dai primi del Settecento, dal Dubos, e accolto poi dai migliori
rappresentanti della nostra critica illuministica. E ancora al Du
bos, e alia tradizione estetica che da lui muove, risale quel concetto
di «interesse» in cui viene concretamente a precisarsi il giudizio
del pubblico e del critico, e a cui il Torti si richiama, si pu6 dire,
in ogni pagina della sua opera. Di questo concetto egli da a volte
definizioni tutte sensistiche, intendendolo, proprio come il Dubos,
quale capacita di suscitare nell'animo del lettore una piacevole
agitazione che lo liberi dalla noia; ma non escono fuori dai confini
del pensiero e del gusto settecentesco neppure altre pagine teori-
che piu avanzate, come quella contenuta nel capitolo (riportato
anche in questo volume) suirAriosto, e in cui si distingue dall'cun-
teresse» proprio della poesia classica e fondato sulla rappresen-
tazione dei «tratti piu decisi e piu marcati» delle passioni, un al-
tro e piu complesso tipo di «interesse», caratteristico dei moderni,
un ccgenere di patetico piu toccante, piu universale, piu energico
e piu sublime», come quello che nasce dal vedere «la virtu sensi
bile in preda alia passione e in contrasto con essa)), ccun'anima tor-
mentata da cento passioni different!, la quale riaggndo sopra se
medesima comprime tutte le molle della sensibilita, e fa risultarne
quel torbido cupo e lacerante da cui ci sentiamo si vivamente
penetratiw, lo «sforzo grandioso di un cuore . . . che sacrifica
le sue piu dolci inclinazioni al dovere e la passione alia virtu »,
il « combattimento sublime ed animato dei grandi interessi e del
le grandi passioni, che urtandosi e rispingendosi a vicenda agi-
scono nelPanima dello spettatore con pari energia, e formano di
diverse opposte e profonde sensazioni un luminoso teatro di virtu,
d'umanita, di grandezza». In realta, leggendo una pagina come
846 FRANCESCO TORTI
questa e altre simili, malgrado vi si parli tanto di passione e di
contrast!, viene spontaneo di pensare non tanto al Vico o ai ro-
mantici, quanto al Cesarotti e al Monti; a quell'ideale di un
«patetico» interessante, vario, moderno ed educativo a cui si ri-
chiamano gli scritti teorici e critici del primo, e insieme a quel
gusto un po' facile ed esteriore del grandioso, dell'energico, del
drammatico, che caratterizza Topera poetica del secondo, e in
particolare quella Bassvilliana che aveva ispirato al Torti le sue
prime osservazioni critiche. Ma il merito deirautore del Prospetto
del Parnaso italiano non consiste nell'aver superato sul piano della
teoria e neppure su quello del gusto i confini del Preromanticismo,
quanto piuttosto nell'aver impresso al criterio preromantico di
«interesse», nella particolare accezione tra sensistica, cesarottiana
e montiana che assume in lui questo termine, un rilievo unico,
nell'averne fatto, cioe, il principio fondamentale in base al quale
procedere alia sua revisione dei valori della nostra letteratura.
Questa revisione e condotta con un atteggiamento di vivace e fervi-
da baldanza, di istintivo «abbandono» alie fresche impressioni del-
la lettura, piii che con meditata e metodica cautela, atteggiamento
certo accentuate dalla atmosfera tutta provinciale in cui il Torti
scrive la sua opera, fra i ricordi dei giovanili entusiasrni e senza il
controllo esercitato da scambi di idee e di giudizi con altri lettori
e studiosi: cosi che non di rado gli capita di incorrere in vere
e proprie dimenticanze, per esempio del Poliziano e delle Odi
pariniane, ovvero di indulgere ad apprezzamenti affrettati e in-
genui, quali la sbrigativa stroncatura del Pulci e del Boiardo, e
per contro la sopravvalutazione di un Minzoni, di fronte al quale
confessa di sentire ccuna specie di costernazione e di sbalordimen-
to», o Fammirazione incondizionata per il Metastasio, per «l'im-
mortale» versione cesarottiana, per il Monti della Bassvilliana,
senz'altro paragonato a Dante. Ma bisogna poi riconoscere che
proprio questo spirito di baldanzosa e fresca sicurezza gli con-
sente di estendere spregiudicatamente Fapplicazione del suo cri
terio anche a quegli scrittori e a quei fenomeni letterari, nella
cui interpretazione e valutazione i precedent! critici settecenteschi
erano piti o meno consapevolmente frenati da pregiudizi classici-
stici o razionalistici, e di giungere quindi, per tale via, a giudizi
che, mentre costituiscono Pultimo e piti radicale punto d'arrivo
della critica preromantica, anticipano spesso nei risultati, se non
NOTA INTRODUTTIVA 847
nello spirito, quelli della vera e propria critica romantica dal Fo-
scolo al De Sanctis.
Un primo e assai notevole esempio del metodo e dei risultati
della revisione critica del Torti si incontra subito nel capitolo
dedicate a Dante, con cui il Prospetto del Parnaso italiano si apre.
Scorrendo questo capitolo e osservando con quanta positiva sim-
patia si insista sulla « originalita » e sul contenuto appassionato
della poesia dantesca, si potrebbe pensare che abbiano agito nel
Torti dirette suggestioni vichiane. In realta, guardando piu atten-
tamente, ci si persuade che di veramente vichiano c'e poco o nulla.
Dante non vi e affatto rappresentato come il poeta della « barbaric »
medioevale, anzi come colui che per primo reagisce al « gusto arido
e bizzarro del genio gotico », non senza tuttavia risentirne, almeno
in parte, «la trista e inevitabile influenza)), apparendo anche egli,
sia pure a tratti, «in preda al grottesco ed al bizzarro » e spesso
«cupo, ineguale, slegato». Quanto, piu generalmente, il Torti sia
lontano dal mito del poeta « primitivo », e poi chiaramente dimo-
strato dalla sua preoccupazione di mettere in evidenza, accanto
a « quel terribile » e a « quel fiero » che pur riconosce come « tuono
naturale?) della musa dantesca, anche quei luoghi in cui si scorge
ccriunita la grazia e la delicatezza di Gesner alia sublimita di
Milton», o addirittura «una facilita e morbidezza di coloritow su-
periore a quella stessa del Petrarca, «tanto celebrato per il poeta
della dolcezza».
L'effettiva novita del Torti consiste invece nelPaver esteso e ap-
profondito, attraverso una piu abbandonata e spregiudicata ap-
plicazione del criterio di « interesse », il riconoscimento, gia pre-
sente in forma limitata nella critica illuministica e preromantica
(per esempio nel Bettinelli), del ccpatetico», del « drammatico »,
del « grandiose » dantesco, e piu particolarmente nell'aver indicate
(svolgendo forse suggestioni graviniane) come motivo centrale di
questa patetica e drammatica grandiositk d'ardita e felice idea
di tutto riferire alia storia del suo secolo, e di far servire la pittura
dell'altro mondo a rilevare gli eccessi e la malvagita di questo »,
1'idea insomma di avere scelto un argomento capace di eccitare
al piu alto grado, per la sua bruciante attualitk, «l'interesse e 1'at-
tenzione de' suoi contemporanei ». Ed e proprio per questa via
che egli riesce a giungere alia geniale affermazione che la <.(Divina
Commedia non e, per cosl dire, che lo sviluppo ed il comento del-
848 FRANCESCO TORTI
le , . . awenture pubbliche e private » di Dante, e che <c invano
vorremmo noi riempirci delle qualitk del poeta, se prima non ab~
biamo analizzato Puomo politico ed il cittadino » : ad un riconosci-
mento, insomma, ben piu netto che nei suoi predecessor! sette-
centeschi e nel Vico stesso, dell'ispirazione autobiografica, e piii
precisamente politico-morale, del poema dantesco.
Da un impiego ardito ma conseguente del criterio d'intcresse
nasce anche la spregiudicata stroncatura della lirica amorosa pe-
trarchesca, stroncatura certo criticamente assai discutibile, ma sto-
ricamente notevolissima poiche" rompe decisamente con 1'ossequio
tributato al poeta anche dai pru avanzati critic! illuministici e pre-
romantici, anticipando invece in forma clamorosa le riserve dei
romantici dal Sismondi al De Sanctis. II difetto veramente grave
del Petrarca, afferma infatti il Torti, & proprio nell'aver «mancato
nel punto piti essenziale, qual e quello di interessare », nell'aver cioe
non soltanto trascurato di rispettare la legge della « variet&», ma an
che e soprattutto nell'aver espresso il suo amore per Laura in
forma astratta, metafisica, sofistica, sforzata, seguendo i dettami
del « platonicismo » e della «cavalleria» in luogo di offrire, aderen-
do alia « natura », quei « dettagli », quegli « aneddoti », quei « piccoli
fatti», quelle « descrizioni minute », quegli «urti di affetti, di sen-
timenti, di trasporti, quelle scene d'anima e di movimento», che
soli possono veramente alimentare d'interesse del cuore». N6 con-
trasta, a ben guardare, con il gusto che ispira questi giudizi, la
ammirazione che il critico manifesta per le poesie politiche, in
quanto in esse e solo in esse - egli afferma - «lo spirito del Pe
trarca naturalmente elevato e patetico si spande sopra questi gran-
diosi oggetti ["i grandi affari del suo secolo", "gli errori e le sven-
ture"] con una nobile e incantatrice facility : niente vi si scorge che
annunzi lo sforzo e il raffinamento »,
Dopo una cosl ardita revisione della fama poetica del Petrarca,
meno sorprenderk la rude Hquidazione dei petrarchisti quattro-
centeschi e cinquecenteschi, nei quali tutti il Torti trova «l*istesso
vuoto nelPidee, Tistesso languore del colorito, la stessa nuliitk di
genio e d'immaginazione»; e neppurc la netta eccettuazione, fra
essi, del Casa per la sua « immaginazione forte ed energica, nemi-
ca della mollezza e deirartificio », e per il suo stile «cupo e se-
vero», che ne fanno dl Petrarca selvaggio del nostro Parnasow:
un giudizio e una defmizione che parrebbero gik di sapore ro-
NOTA INTRODUTTIVA 849
mantico, se non venissero poi ricondotti nei loro limiti preroman-
tici dalla preferenza accordata ad un sonetto come quello sopra
la gelosia, la cui asprezza tende verso effetti di gustosa e un po'
facile drammaticita.
Solo ad una troppo frettolosa considerazione va invece attri-
buita, come si & detto, la condanna del Pulci e del Boiardo, ai
quali il Torti rimprovera non solo « le figure e i caratteri » che « non
hanno n£ verita di costume, n6 imitazione della natura, n6 forza
e grazia di sentimento », ma anche, senza farsi scrupolo di ripetere
ed esagerare accuse di tipo razionalistico e classicistico, «mancanza
di piano, sconnessione di fatto, anacronismi d'awenture », e «ne-
gligenza insopportabile » di stile.
Residui di valutazioni razionalistiche e classicistiche restano an
che nel capitolo dedicate all'Ariosto: per esempio quando il cri-
tico si rammarica che il poeta si sia lasciato «sedurre dal gusto e
dai pregiudizi del suo tempo che riguardavano Pantica cavalleria
come Pistituzione piu sublime delPonore e dell'eroismo», e abbia
cosi scelto un genere letterario «che manca della base essenziale
del verosimile » ; che abbia fatto «pompa inutile di un troppo
gran numero di personaggi» e « moltiplicato indoverosamente una
troppa quantita di azioni isolate)), cadendo cosl in «un abuso di
fantasia, in una intemperanza d'immaginazione, che sofFoca il gu
sto e insulta il buon senso»; e infine che abbia «mancato di ri-
spetto, in piu luoghi delP opera, al pudore e alia decenza». Nel
complesso, tuttavia, questo capitolo costituisce una delle migliori
testimonianze dei risultati a cui pu6 giungere il Torti attraverso la
fresca e spregiudicata lettura che gli e consentita dal suo gusto e
da quel criterio di «interesse» in cui esso si risolve sul piano cri-
tico. Partendo, infatti, da questo punto di vista, egli si rende conto,
anzitutto, del valore poetico che assume la « varieta» ariostesca, fino
a giustificare per tale via la stessa scelta, poco prima deplorata,
del genere cavalleresco e la violazione delle regole epiche, come
mezzi prowidenziali a moltiplicare «mirabilmente le situazioni e gli
awenimentiw e a risvegliare «ad ogni istante Pinteresse»; e a
giungere, di qui, ad una definizione singolarmente acuta e anti-
cipatrice (si ricordi che il Torti scrive nel 1806) della ccpositiva
liberta fantastica» del poeta cccome un autentico valore creative*
(Binni): «I1 talento delPintreccio e della combinazione e per ve
rita portentoso neirAriosto. II suo genio fecondo e creatore, quasi
54
850 FRANCESCO TORTI
librato al di sopra delFuniverso, sembra presiedere a tutti i moti
come a tutte le passioni degli uomini, e nella sua vasta immagi-
nazione animando ed abbracciando un immenso circolo di cose,
egli guida, per cosl dire, la natura per mano».
Ma forse ancor piu importante e il forte rilievo che il Torti,
nel suo tentative di approfondire ulteriormente i motivi dell'dn-
teresse » del Furioso e appoggiandosi alia digressione teorica a suo
luogo citata, da alia «profonda cognizione del cuore umano», al
«nuovo patetico interessante)) delPAriosto : un rilievo che, pur
sempre entro i confini di una sensibilitk e di un moralismo tutti
settecenteschi e si direbbe metastasiani (accanto agli episodi di
Olimpia e di Ginevra, e ricordato con particolare ammirasdone il
«grande e sublime contrasto» fra Leone e Ruggiero), e nuovo -
anche se ha qualche precedente nel Baretti - proprio rispetto alia
critica del Settecento, volta piuttosto ad insistere sull'agevole gra-
zia e ricchezza della fantasia ariostesca.
Parimente Paspetto notevole del capitolo dedicate al Tasso non
e tanto la difesa del poeta contro le censure dei pedanti, motivo
costante della critica illuministica, della quale il Torti ripete an
che Pelogio alia unit& e regolaritk strutturale non che alia esattezza
e precisione stilistica della Gerusalemme, quanto Paver concentrate
Pattenzione sul « patetico interessante » del poema, su «quel tor-
rente di poesia animata e sentimentale » in cui «s'appassionano,
s'infiammano, s'inebriano tutti i cuori gentilb, e che il critico
documenta attraverso vivaci e aderenti analisi degli episodi di
Erminia fra i pastori, della morte di Clorinda, del colloquio fra
Rinaldo e Armida: « patetico interessante)), che invece il cri
tico non riesce a trovare ntlYAminta, alia quale rimprovera so-
stanzialmente gli stessi difetti notati nella lirica petrarchesca, «il
vuoto delPazipne e il languore dell'interesse »„
Ma il campo dove la revisione del Torti fa le sue prove pifc
felici, 6 la letteratura del Seicento. Qui, infatti, dove egli non si
trova ad affrontare i complessi mondi poetici di un Dante, di un
Petrarca, di un Ariosto o di un Tasso, ma solo una serie di scrit-
tori sostanzialmente mediocri, il suo gusto, pur nei limiti che co-
nosciamo, gli consente agevolmente di precisare, in termini che si
possono definire senz'altro romantici, la condanna arcadica ed il
luministica della letteratura di quel secolo, di sostituire cio& ad
una svalutazione in nome del buon gusto e del buon senso o
NOTA INTRODUTTIVA 851
della morale, qual & quella anche di un Baretti o di un Cesarotti,
un giudizio negative fondato sulla constatazione della mancanza
di un genuine e schietto contenuto sentimentale. Che alia radice
anche di questo giudizio ci sia un'esperienza non vichiano-roman-
tica, come & sembrato al Croce, ma tutta preromantica, e pre-
cisamente di carattere, come sempre nel Torti, tra cesarottiano
e montiano, & assai chiaramente comprovato dalle pagine, giusta-
mente note, in cui il critico, prendendo evidentemente lo spunto
dalla condanna in cui il Bettinelli e i classicist! in genere coin-
volgevano senza distinzione i preromantici stranieri e italiani e
i seicentisti, distingue con molta nettezza le metafore dello sti
le barocco da quelle non meno « iperboliche » di due testi esem-
plari del gusto preromantico, la Bibbia e Ossian: le prime im-
poetiche perch6 «non cercano che di brillare all'ingegno o di
sorprendere lo spirito», le seconde invece poeticissime in quan-
to (cprovengono quasi sempre da un cuore bollente e da una fan
tasia esaltata dalla forza della passione e dell'entusiasmo».
Partendo appunto da questa notevolissima distinzione, il Torti
giunge ad intendere come il vero difetto dolVAdone consista non
tanto nei suoi « tratti lubrici » o nella « viziosita dello stile », quanto
invece, come egli dice, nella mancanza «di quell'ardore vasto e
profondo che sviluppa le passioni, crea i caratteri, anima i senti-
menti; di quell* arte possente che si rende fin dal principio padro-
na del cuore, e lo trasporta e lo spinge fino alPultime strette del-
Femozione e della sorpresa», nella mancanza cio& (per tradurre,
con una forzatura in realta non grave, questa osservazione in
termini piu moderni) di una genuina e organica ispirazione sen
timentale.
Per una via non diversa il Torti perviene a giudizi non meno
notevoli, nella loro decisa limitazione, sulla lirica antimarinistica
del Seicento, alia quale gli illuministi e persino un Salfi guardavano
ancora con occhio benevolo, come quella che si era mantenuta
libera dal «cattivo gusto » del secolo, preparando il rinnovamento
arcadico. Anche in questo caso, infatti, il confronto con la lirica
eroica e religiosa, per lui veramente genuina, di Ossian e dei
Salmi, & sufficiente al critico per far giustizia di quella seicentesca,
per ridurre entro piti modesti confini il valore di poeti come il
Testi, il Filicaia, il Guidi e per indicare la vena piu sincera del
pindarico Chiabrera nelle sue odicine amorose di imitazione
852 FRANCESCO TORTI
anacreontica. Applicando poi alia poesia comica il suo criterio
dell'interesse, valutandola cioe in base alia presenza o meno
di « quel grazioso piccante, quel sale attico, che e il risultato tutto
insieme della facilita, dell'arguzia, della delicatezza e del buon
senso », egli non esita a condannare in blocco tutta la letteratura
burlesca ed eroicomica dal Quattrocento al Seicento: e se tale
condanna, che coinvolge anche il Magnifico, il Berni, il Tassoni
e il Redi, e senza dubbio affrettata e sbrigativa, essa resta pure
criticamente assai notevole, come stimolo a rivedere, da un punto
di vista meno letterario, piu vivacemente umano, le troppo posi
tive valutazioni della critica settecentesca.
Naturalmente, insistendo sulla genesi tutta preromantica di que-
sti giudizi sul Seicento, cosi come di quelli sui secoli precedenti,
non si vuole diminuirne Timportanza, quanto piuttosto precisarla
con maggiore esattezza storica. Parimenti, solo tenendo presente
Peffettivo nucleo di gusto da cui il Torti prende le mosse, sembra
possibile intendere nei loro limiti ma anche nella loro concreta
originalita le sue valutazioni degli scrittori del Settecento, Cosi,
ad esempio, se il suo ideale di una poesia « interessante », ma in
realta aderente agli interessi di un «pubblico» dai gusti ancora
tutti settecenteschi, patetica quindi ma non barbaricamente ap-
passionata, educativa ma entro i confini di una moralitJt non rivo-
luzionaria, espressa in un linguaggio sensibile e facile, ma non in-
tegralmente individual e popolare; se questo ideale non gli basta
per giungere ad una valutazione della letteratura arcadica che
possa dirsi romantica, esso perc- gli consente da un lato di isolare
il nucleo sentimentale di quella letteratura con una sensibilita piu
acuta degli illuministi, volti piuttosto a sottolinearne la ehiarezza
e la precisione, e dall'altro di intenderne la poesia con una con-
genialita maggiore di quella dei romantici. Esagerato e senza dub-
bio il rilievo accordato ad alcuni poeti arcadici, allo Zappi, al Fru-
goni, al Savioli e soprattutto al Metastasio. La sua ammirazione
pcr6 si risolve non in elogi accademici, ma in circostanziati ritratti
critici. « lo non dir6 » afferma per esempio a proposito del primo
«che Zappi e poeta di sentimento nel senso che lo sono Qssian,
Young, Gessner, ec.; ma egli ispira una si gaia sensibilita, una
si galante tenerezza, che i suoi versi quasi esprimono delle lacri-
me nel tempo stesso che si ha il sorriso sulla bocca». Questa
esigenza del « sentimento » lo avverte anche dei limiti del Frugoni ;
NOTA INTRQDUTTIVA §53
«L'immaginazione era la caratteristica piu forte del genio di Fru-
goni. In tanti versi da lui prodotti egli non dava niente al cuore
e al sentimento ». Ne gli sfugge la faciloneria con cui questo «abusa»
della sua immaginazione, e la documenta anzi attraverso gustose
analisi stilistiche; n6 si fa scrupolo di ridurre la sua poesia ge-
nuina ai pezzi «ispirati dall'estro momentaneo dell' allege ria, del-
1'amore, dell'amicizia e dei legami di societa». E se mancano
riserve suU'arte del Savioli, il critico sa per6 caratterizzarne con
precisione 1'ispirazione amorosa, «associata ne' suoi intimi rap-
porti col lusso e colla morbidezza delle nostre citta italiane», e^lo
stile, in cui vede mescolarsi «al tenero e dolce linguaggio dell'a-
more . . . tutte le grazie dell'eleganza, e al suono facile degli an-
tichi elegiaci ... la vibratezza e la castigatezza di Orazio».
Nel lungo capitolo sul Metastasio, poi, egli ripete le^lodi tri-
butate gia dagli illuministi (compreso il Baretti) alia chiarezza e
precisione della struttura e dello stile e alia moralita dei suoi melo-
drammi, ma, come gia nel caso del Tasso, egli ne sottolinea parti-
colarmente (forse sviluppando giudizi del Rousseau e del Bertola,
ma soprattutto obbedendo al proprio gusto personale) il « senti
mento », quella capacita cioe di interessare commovendo, che si
riflette anche nel « linguaggio, che esprime tutta la verita della
passione)) e nell'armonia del verso, «che dipinge col suono della
parola le affezioni dell'anima». E, sia pure con 1'intento non di
caratterizzare il poeta ma di mostrarne la maggiore <cperfezione»
rispetto ai suoi predecessor!, il critico tenta anche una^ pnma
storicizzazione del Metastasio, osservando come egli si sia pro-
dotto «in un'epoca della civilizzazione la piu favorevole o a dir me-
glio la piu analoga al carattere della sua anima», in una ((felice
epoca del gusto e della prosperita generale, mentre il genio euro-
peo, ammorbidito dall'arti della pace, ne propagava i piaceri e
ne raffinava i godimentb.
Anche del Goldoni il Torti pone in forte rilievo 1'aderenza al
proprio secolo, e piu particolarmente alia vita di «una citta cosl
gaia, cosl voluttuosa e di una societa cosi facile e cosl amena, come
Venezia alia meta del secolo passato». E se anche in questo caso
il Torti e mosso non da una vera esigenza storicistica, ma dalla
persuasione che in quella aderenza consista la superiorita della
commedia goldoniana rispetto al Moliere e al teatro comico pre-
cedente, e di qui che egli prende le mosse per caratterizzare in
854 FRANCESCO TORTI
modo penetrante, appunto attraverso un confronto con «il ridi-
colo vivo e caricato » dell'autore del Misantropo, vissuto in un'cpoca
vigorosa e risentita, la comicitk piii varia e piu borghesementc rea-
listica del Goldoni, il tono « graziosamente famigliare» della sua
moralit^, ed anche per apprezzarnc positivamente, in quanto « na-
turali», lo stile e la lingua.
Questa esigenza di uno stile « naturale », cio& sensibile e facile,
cosl intimamente connaturata al suo gusto della poesia dnteres-
sante» e che era perfettamente soddisfatta da poeti quali il Meta-
stasio e il Goldoni, non poteva non rimanere spiacevolmente urtata
dal difficile classicismo dello stile pariniano. Tale dissenso, tut-
tavia, non rimane criticamente sterile; anzi stimola il Torti a vol-
gere dichiaratamente la sua attenzione, piu che al contenuto morale
(che naturalmente elogia) del Giorno, alP« esecuzione », all'aspetto
formale, il quale, a suo giudizio, costituisce «il prezzo principale
dell'opera»; e a precisare le ragioni del suo giudizio attraverso una
analisi che, pur nella sua intonazione negativa, coglie acutamente,
e per la prima volta, alcuni di quelli che anche per noi restano
caratteri essenziali e insieme sono in un certo senso effettivamente
I limiti deli'arte del poemetto. «Un'arte infinita suppliva in Pa-
rini alia natura»: cosl e dejSnito, epigraficamente, con una frase
•che anticipa in modo singolare le valutazioni del Foscolo e del
Leopardi e in parte dello stesso De Sanctis, il carattere centrale del-
la poesia pariniana. Ma non meno notevoli sono le osservazioni
in cui questo giudizio si particolareggia: sulla necessitk di inquadra-
re il gusto del Parini entro il classicismo oraziano di fine Settecen-
to ; sulla discordanza fra Tintento satirico e le « escursioni liriche »
o le frequenti comparazioni («tanti quadri ritoccati e finiti, che
ci sorprendono considerati isolatamente, e fanno che si perda di
vista il primo oggetto delPautorew); sulle «prosaiche transazionu;
sul colorito latineggiante del linguaggio; sulPuso <c soverchiamente
prolungato » dell'ironia.
E TAlfieri? Come mai il Prospetto del Parnaso italiano non si
chiude col suo nome invece che con quello del mediocrissimo
Minzoni? DelPAlfieri il Torti tratt6 successivamente nel Purismo
nemico del gusto o consider azioni sulla prosa italiana (1818), e piu
ampiamente in un capitolo della Filosofia delle medaglie dti grandi
uomini d'ogni secolo (1838), dove Tastigiano, mentre k, lodato co
me «il piu perfetto dei tragiciw e per aver fatto sentire all'uo-
NOTA INTRODUTTIVA 855
mo che da sua dignita e una emanazione di una legge anteriore
ad ogni legge d'ingiustizia e di violenza», viene biasimato per il
suo stile, e in particolare per aver incoraggiato con il suo esempio
i puristi e i cruscanti. Vero & che non una questione di stile, ma,
come si vede nelle stesse lodi di colore tutto settecentesco, una
profonda diversita di sentimento e di gusto impediva al Torti di
aderire integralmente alia rivoluzionaria poesia alfieriana e, piu
generalmente, alia nuova letteratura che fioriva e prendeva vi-
gore mentre egli viveva e scriveva ritirato nella solitudine della
sua cittadina umbra. Ben si accorgeva dei limiti del Torti un
giudice qualificato come il Leopardi, quando, in una lettera allo
Stella del 21 ottobre 1825, 1° defmiva «uomo di ingegno suf-
ficiente, ma di nessun gusto, e che, per essere sempre vissuto in
citt& piccole, non conosce punto il genio di questo secolo, n6 lo
stato attuale della letteratura italiana». Questa incapacita di in-
tender il genio del nuovo secolo & documentata altresi dal fatto
che nelle opere scritte dopo il Prospetto del Parnaso italiano il
Torti sembra ignorare le polemiche romantiche; che vi ricorda
il Foscolo solo una volta (nell5 Antipurismo) e come « servile » imi-
tatore del Werther-, che, in una pagina inedita, trova nei Promessi
sposi «goffe figure, e soprattutto due rozzi sposi, che stentano
a sposarsi e che nessuno ha interesse di vedere sposati, quadri e
figure tutti dipinti graficamente sul gusto tavernale della scuola
di Vandich»; che non nomina mai il Leopardi. In realta le ul-
time opere del Torti rimangono tutte nel cerchio degli interessi
e dei gusti del Prospetto del Parnaso italiano , e nascono anzi espli-
citamente dalFintento di difendere alcuni dei criteri e dei giudizi
fondamentali di quelFopera. In tal senso va interpretata la po-
lemica contro i puristi che costituisce Pargomento del Purismo ne-
mico del gusto, della Risposta ai puristi (1819) e in parte del Dante
rivendicato (1825): una polemica non priva di sensate e talora
acute osservazioni, ma di sapore ancora tutto settecentesco, con-
dotta com'& sulla falsariga delle battaglie illuministiche e so
prattutto cesarottiane per una prosa agile e moderna, libera dal-
1'imitazione boccaccesca, e senza distinguere fra le ragioni del
purismo di un Alfieri, e anche di un Giordani e di un Monti,
e quelle del purismo accademico romano, contro il quale sol-
tanto 1'attacco del Torti poteva essere ancora attuale. Anche le
polemiche con il Monti, contenute nelFopuscolo Le affinitd poeti-
856 FRANCESCO TORTI
che fra il genio di Ossian e il genio di Monti (1824) e nel Dante
rivendicatO) vogliono essere non tanto una vendetta contro il vec-
chio amico dimentico, quanto una appassionata difesa di quel-
Tideale di poesia che entrambi avevano sentito un tempo, e che
per il Torti rimaneva sempre vivo e vero. 6 appunto con que-
sto spirito che egli, nel primo opuscolo, si volge a cercare nelle
opere del Monti reminiscence ossianiche quali prove di fatto « che
la lettura del bardo settentrionale & una sorgente inesausta di
sublimita e di patetico ». A sua volta il Dante rivendicato vuol essere
una conferma e una illustrazione di quella interpretazione di Dan
te che il Torti, sotto la suggestione del Monti e in particolare
della Bassvilliana, aveva esposto, come si & visto, nel Prospetto
del Parnaso italiano, e che ora gli sembrava di vedere tacitamente
combattuta proprio dal Monli, il quale nella Proposta di atcune
correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca aveva definito
« didascalico » il contenuto e lo stile del poema dantesco: n6 ol-
trepassano veramente i limiti del Prospetto alcune pur notevoli
pagine critiche contenute in questo scritto, e nelle quali vie-
ne piu energicamente, e attraverso analisi piu particolareggiate,
sottolineata Tispirazione tutta passionale e « nazionale » della DzW-
na Commedia.
Non escono infine dai confini della mentalitk settecentesca nep-
pure altre opere di carattere politico-morale pubblicate dal Torti
negli ultimi anni della sua vita, come la g& ricordata Filosofia
delle medaglie del grandi uomini d'ogni secolo> che 6 una raccolta
di ritratti di alcuni grandi uomini da Alessandro a Voltaire, da
Seneca airAlfieri, analizzati e giudicati nei loro aspetti positivi
e negativi, e La corrispondenza di Monteverde (1832), romanzo
epistolare che si svolge in una immaginaria cittadina delPItalia
centrale. Questa ultima opera procur6 al suo autore non poche
amarezze. Accusato ferocemente da Monaldo Leopardi di «li-
beralismo», <csansimonianismo» e irreligiosit&, egli non solo vide
il suo romanzo, malgrado la difesa tentata in una lunga Apologia^
messo airindice, ma dovette esplicitamente sconfessarlo pochi
giorni prima della morte, awenuta a Bevagna il 2 febbraio 1842.
Eppure, leggendo la Corrispondenza di Monteverde^ ci si persua
de presto che essa non contiene nulla di veramente sovversi-
vo. Vi si esalta 1'amor di patria e se ne deplora la attenuazione
nei tempi moderni ; vi si lamenta spesso la miseria e 1'oppressione
NOTA INTRODUTTIVA 857
in cui vive la povera gente; vi si criticano, infine, alcuni abusi delle
autorita civili ed ecclesiastiche. Ma non e meno vero che il centre
intorno a*cui si raccolgono questi motivi non e un ideale politica-
mente o socialmente o religiosamente rivoluzionario, quanto piut-
tosto il sogno generoso e candidamente utopistico di una specie
di ritorno, fra rousseauiano ed arcadico, allo stato di natura, ad
un «nuovo Eden sulla terra », ove sia possibile esplicare, protetti
e difesi da « buone leggi », « le preziose ed inesauribili affezioni che
la natura ispira a tutti gli uomini», e godere cosi «una felicita che
occupi dolcemente il cuore senza degradarlo e ammollirlo, che
associ Tinnocenza alia volutta, che riunisca insieme il sentimento
morale e il godimento fisico»: «una felicitk pura e perenne, non
soggetta alle leggi dell'opinione ed ai capricci della moda, ma che
sia veramente neiranima, che Tinvesta, la penetri e vi risieda con
tutte le dolcezze della pace, dell'onesta, della innocenza».
Un elenco degli scritti cditi e inediti di Francesco Torti si trova nel
volume piu avanti citato del Trabalza, Delia vita e delle opere di F. Torti.
Qui bastera ricordare, nmandando per quanto riguarda il Prospetto del
Parnaso italiano al cappello alle pagme qui nprodotte, che gli opuscoli
polemici contro il purismo e il Monti furono pubblicati in quest' ordine:
// purismo nemico del gusto o consider axiom sulla prosa itahana, Perugia,
Baducl, 1818; Risposta ai puristi, Firenze, Piatti, 1819; Le bellezze poe-
tiche di Ossian imitate dal cav. Monti, Fuhgno, Tomassini, 1824; Dante
rivendicato, letter a al cav. Monti, Fuhgno, Tomassini, 1825 ; e poi nstampati
con qualche aggiunta e mutamcnto (in particolare al terzo fu apposto il
nuovo titolo Le affinita poetiche fra il genio di Ossian e il genio di Monti)
e con venti letterc scntte dal Monti all'autore fra il 1786 e il 1797, in
un volume unico intitolato Antipurismo, Fuligno, Tomassini, 1829. II
Dante rivendicato, insieme con il capitolo dantesco del Prospetto del Parnaso
italiano, fu poi ristampato a cura di C. Trabalza, Citt£ di Castello, Lapi,
1901, La corrispondenza di Monteverde o Letter e morah sulla felicita dell'uo~
mo e sugli ostacoli che essa incontra nelle contradiswni tra la politico, e la
morale uscl alia macchia ncl 1832, e pure alia macchia furono pubblicati
VAneddoto letter ario di un epigramma per la morte di Giulio Perticari, 1834
(e cosi una seconda edizione, con note aggiunte, del 1835), e V Apologia
della «Corrispondenza di Monteverde^, 1835. La filosofia delle medaglie dei
grandi uomini d'ogni secolo fu stampata a Parma, Rossetti, 1838. Non va
infine dimenticato il breve profilo autobiografico che il Torti stesso scris-
se per il volume Biografie autografe ed inedite di questo secolo, pubblicate
da D. Diamillo Mtiller, Torino, Pomba, 1853, pp. 343-5-
II merito di aver richiamato Tattenzione degli studiosi sul Torti spetta
a GIRO TRABALZA, che al suo conterraneo dedic6 il volume Della vita e
858 FRANCESCO TORTI
delle opere di F. Torti, Bevagna, Tipografia Properziana, 1897: il quale,
per quanto criticamente poco approfondito, rimane tuttora una fonte in-
dispensabile di notizie; e quindi la prefazione all'edizione citata del Dante
rivendicato, ripubblicata col titolo La polemica del Torti col Monti nel
volume Studi e profili, Torino, Paravia, 1903, pp. 93-105; e scrnpre in
questo volume, pp. 106-30, lo studio Due letterati reatini e il Torti, nel
quale e illustrate il carteggio del Torti con Scipione Colelli e Angelo
Maria Ricci. Ma i primi ad accorgersi veramente delPimportanza del-
Fopera critica del Torti furono G. A. BORGESE, nella Storia ddla critica
romantica in Italia, Milano I949a (i edizione 1905), pp. 182-90; e B. CROCE,
in alcuni brevi ma assai notevoli cenni contenuti nei Problemi di estetica,
Bari, Laterza, 1949*, pp. 421-2 e 436-7. Nelle pagine del Borgese, tutta-
via, 1'opera del Torti, per mancanza di un'adeguata storicizzazione,
viene considerata come una eterogenea mescolanza di vieti rcsidui classi-
cistici e di intuizioni gia del tutto romantiche, mentre a sua volta il Croce
vi ritrova echi vichiani in realta molto discutibili. I legami del critico um-
bro con la cultura settecentesca sono stati invece per la prima volta chia-
ramente awertiti da M. FUBINI nella presentazione di un florilegio di
pagine del Prospetto del Parnaso italiano, in «I1 Baretti», gennaio 1927,
pp. 4-5, e ribaditi nel saggio Arcadia e Illuminismo, ora nel volume Dal
Muratori al Baretti, Bari, Laterza, 1954, p. 371. Per una piti particola-
reggiata e documentata esposizionc delle idee svolte in questa Nota in-
troduttiva rimando al mio studio Francesco Torti critico preromantico, in
«La rass. d. lett. it. », LXIII (1959), pp. 177-93.
DAL
« PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO»
TOMO I
AL LETTORE1
Se voi volete acquistarvi delle idee false, frivole, meschine e pedan-
tesche del Parnaso italiano, non avete che ad aprire i pesanti tomi
di Landino, Vellutello, Gesualdo, Mazzoni, Fornari, Pellegrini,
Salviati, Quadrio, Crescimbeni, Tiraboschi, ec.2 In questo irn-
menso pelago di commenti, di storie, di erudizioni ammassate e di
Come dichiara il Torti stesso nel breve profile autobiografico ricordato
nella Nota introduttiva, il «germe del Prospetto del Parnaso italiano » fu-
rono le osservazioni sulla Bassvilhana e lo studio su Dante, che egli aveva
stese quando ancora durava la sua corrispondenza col Monti, all'mcirca
mtorno al 1793. Ma la prima parte dell' opera uscl a Milano, presso De
Stefanis, solo nel 1806, col titolo Prospetto del Parnaso italiano da Dante
fino al Tasso. Verso la fine della Introduzione di questo volume il Torti
dichiarava di ignorare se dovesse permettersi di condurre il suo lavoro
« piti oltre e di afTrontare i moderni ». In realta 1'opera fu continuata, e un
secondo e terzo tomo, comprendenti rispettivamente il Seicento e il Set-
tecento, vennero pubblicati sei anni dopo a Perugia, presso Costantini e
Santucci e C.i, nel 1812. II Prospetto ebbe una certa risonanza, anche se
non sempre favorevole, come nei circoli classicistici e puristici di Roma,
ai quali appunto il Torti rispose polemicamente con il Purismo nemico del
gusto o consider azioni sulla prosa italiana e con la Risposta ai puristi ; giudizi
positivi furono invece pronunciati dal Niccolini e dal Biagioli, nel suo
commento alia Divina Commedia. Una seconda edizione del Prospettot
pure in tre tomi, fu poi pubblicata a Firenze, presso Pagni, nel 1828;
essa riproduce sostanzialmente il testo della prima, salvo qualche ritocco
stilistico e Taggiunta di sette note a pie di pagina, intese ad attenuare qual
che affermazione di carattere politico e religiose che avrebbe potuto in-
correre nella censura. A questa seconda e definitiva edizione ci siamo at-
tenuti per le pagine qui riprodotte, tenendo presente anche la prima per
correggere qualche errore di stampa. Le note del Torti sono seguite
dalla sigla T.
i, Dal Prospetto del Parnaso italiano, ed. cit., I, pp. 5-10. 2. Cristoforo
Landino e qui ricordato per la sua Esposizione allegorizzante della Divina
Commedia (1481); Alessandro Vellutello per le sue Esposizioni del Canzo-
niere e della Commedia, pubblicate rispettivamente nel 1538 e nel 1544
e piu volte ristampate ; Giovanni Andrea Gesualdo, per la sua Esposizione
del Canzoniere (1541); Simone Fornari per una Sposizione dell' Orlando
furioso (1549), intesa a dimostrare la «regolarita» del poema; Camillo
Pellegrino per il Carrafa o vero dialogo delVepica poesia (1584), in difesa
della Gerusalemme liberata; Leonardo Salviati per i suoi scritti in di-
86o FRANCESCO TORTI
contese grammaticali voi vi troverete perduto, smarrito, spaventato
dall'enormita del viaggio; voi vedrete da ogni parte gli scogli e le
sirti che minacciano d'inghiottirvi ; e se talvolta voi credercte di
avere infine afferrato una spiaggia fortunata, la vostra immagina-
zione illusa, simile ai primi navigatori del nuovo mondo guidati
dal pregiudizio e dall'ignoranza, si persuader^ facilmente di aver
veduto de' giganti e delle miniere, laddove non esistevano in
realtk che rupi inaccessibili e terre colorate.
Se alPincontro, rigettando tutti i libri, voi crederete di poter
giudicare de' nostri poeti sulle decisioni degli altri, sulla parola
de' maestri, o anche sulle vostre proprie letture, voi non sarete
esposto niente meno al pericolo d'ingannarvi. Una parola, un giu-
dizio, una censura, un elogio pronunciati a caso e senza cogni-
zione basteranno ad imprimere nel vostro spirito delle prevention!
indelebili, che vi seguiranno infallibilmente anche nel silenzio del
gabinetto. Noi succhiamo, per cosi dire, nascendo gli errori ed i
pregiudizi di coloro in mezzo ai quali viviamo ; e impossibile che ta-
luno di essi non penetri fino al fondo dell'anima, e non sc ne
impadronisca per sempre. II grecista Gravina avea inspirato al gio-
vane Metastasio un orrore cosl profondo per la poesia del Tasso,
che egli senza averlo mai letto non poteva ascoltarne il nome
senza abborrimento e disprezzo. Non vi voleva meno che Pingegno
delicato e sublime delPautore del Tito1 e del Temistock per ri-
credersi a tempo d'un errore cosl fatale, e che formava non-
dimeno un articolo essenziale del gusto letterario del suo dotto
maestro.
Ma senza ricorrere ai nostri vecchi compilatori, che hanno trat-
tata la letteratura piti colPerudizione che col buon senso, e senza
troppo abbandonarci alle decisioni isolate del nostro spirito, v'&
una strada, io penso, piii sicura e piti ragionevole, onde formarsi
una giusta idea delle nostre ricchezze poetiche. Allontaniamo, io
ne convengo, il pedantismo e Perudizione dal santuario delle Muse;
che io non sia piii obbligato a dimandare a Mazzoni e a Salviati
ci6 che debbo pensare di Dante e deirAriosto; ma in luogo di
essi consultiamo il sentimento e il gusto nazionale. Non siamo
piti ai tempi di Castelvetro, in cui la traduzione di un libro greco
fesa delPAriosto e contro il Tasso (cfr. p. 358 e la nota 2); il Quadrio,
il Crescimbeni e il Tiraboschi per le loro storie letterarie. i . Tito : il melo-
dramma La clemenza di Tito.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 86l
sembrava un prodigio dello spirito umano.1 I lumi d'ogni specie
si sono propagati e diffusi; il tesoro delle lettere non & piii racchiuso
in una sola citta, in una sola accademia. Non & dunque solamente
a Firenze, ma a Napoli, a Roma, a Milano, a Venezia dove noi
impareremo ad apprezzare il merito del Petrarca e del Boccaccio ;
e tutto al piu, quando fia d'uopo ascoltare le voci delFArno,
ci sia permesso di riportarci alia generalita de' buoni ingegni to-
scani, piuttosto che al dispotismo ristretto e grammaticale della
Crusca. Le opinioni quanto piu si concentrano, tanto piu vanno
soggette alPillusione e alFinganno: non v'& che la loro universalita
che possa renderle sicure e rispettabili.
Tali sono le vedute che mi hanno guidato nella formazione di
questo libro. Ma io ho fatto anche di piu: ho osato interrogate
il giudizio dell'Europa sul grado di merito del Parnaso italiano;
ho consultato la maniera di pensare delle nazioni estere; ho spiato
i loro giornali, le loro accademie, le loro teorie. Io rispetto infini-
tarnente la mia nazione; ma non sarebbe forse un awenturarsi
troppo alle seduzioni delPamor proprio il confidare alle sue pro-
prie decisioni una causa che tocca si da vicino la gloria e 1'onore
di se medesima?
La vanita nazionale & una malattia di tutti i popoli. Orazio me-
desimo non ha potuto dispensarsi dal rimproverarla ai Greci suoi
maestri, « praeter laudem nullius avaris ».2 Quindi se la letteratura
moderna giudica oggi piu sensatamente d'Omero e d'Euripide,
di quello si giudicasse di loro due mila anni addietro, qual n'&
mai la ragione se non perch6 i popoli della moderna Europa
non hanno nulla di comune con una nazione estinta e con una
lingua morta? Ora la distanza de* luoghi e de' climi, la diversita
della lingua, degli usi, delle leggi e della patria producono il
medesimo effetto che la distanza de' tempi; e da ci6 avviene che
le produzioni d'una nazione sono sempre meglio apprezzate dal
criterio dell'altre, e che per esempio il fenomeno dell'Inghilterra,
Tidolatrato Shakespear, & piu esattamente giudicato a Parigi e a
Berlino, che a Londra medesima.
i . Non . . . umano : allude alia traduzione ed esposizione della Poetica di
Aristotele, che il Castelvetro pubblic6 nel 1570. 2. Ars poet., 324 («di
nulla avari fuorch6 di lodi»).
862 FRANCESCO TORTI
CAPITOLO PRIMO
Introduxione.1
Non potria mai di tutti il nome dirti;
ch& non uomini pur, ma del gran parte
empion del bosco degli ombrosi mirti.2
Questa epigrafe fastosa, posta in fronte alia collezione del Parnaso
italiano stampata in Venezia nel I782,3 contiene im sense assolu-
tamente contrario alFapplicazione che si ebbe in vista di fame.
Si & preteso onorare con esso la nostra poesia, e le si & fatta senza
avvedersene la censura e la satira. Infatti quella moltitudine di
uomini mescolati insieme cogli dei, vale a dire quella moltitudine
di cattivi verseggiatori confusi con i buoni poeti, che sono i veri
dei della poesia, non forma essa un pregiudizio assai svantaggioso
per Tonore del nostro Parnaso? Non prova essa anche troppo la
poca delicatezza del gusto nazionale e Pindiscreta facilitk colla qua-
le i nostri antichi accordavano alia mcdiocritfc. gli stessi omaggi e
le stesse corone riserbate al merito ed al genio superiore ?
I Greci ed i Romani avevano ben altre idee in fatto di poesia.
Orazio pretendeva che un'anima veramente poetica e degna di
questo nome dovesse partecipare in certo modo della natura di~
vina, «ingenium cui sit, ac mens divinioo;4 che tutti gli sforzi
dello spirito rimangono inutili quando esso non vada accoppiato
ad un fondo ricco e naturalmente fecondo, «nec studium sine
divite vena » ;5 che finalmente la natura stessa delle cose ha decre-
tato esser fra loro opposte e incompatibili poesia e mediocrit&,
«mediocribus esse poetis / non homines, non dii, non concessere
columnae».6 Questo codice del criterio poetico & stato dimenticato
i. Dal Prospetto del Parnaso italiano , ed. cit, I, pp, 11-39. 3. Cfr. Pe-
trarca, Trionfo d'Amore, I, 148-50. II Torti dimentica «c» dope bosco.
3. collexione . , . xj82\ i cinquantasei volumi del Parnaso italiano '» con-
tenenti una scelta di pocti italiani fatta dal veneziano Andrea Rubbi (1738-
1817), critico di gusto puristico e classicistico, e stampati a Veneasia dallo
Zatta tra il 1784 e il 1791. 4. Serm., i, iv, 43 («che abbia ingegno e
mente piii divinaw). 5. An poet,, 409 («non [vedo a che giovi] lo studio
senza una abbondante vena poetica »). 6. Ars poet., 372-3 («non gli uo
mini, non gli dei, non ie edicole dei librai concessero ai poeti di essere
mediocri »).
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 863
da tre quart! almeno de' coltivatori del nostro Parnaso, e quindi
esso si e riempito piu di uomini che di dei.
I Greci, quella nazione primogenita delle Muse, rimarrebbero
ben sorpresi osservando che il solo secolo del Cinquecento ha
prodotto air Italia piu di sessanta poeti lirici, quando essi in
tanti secoli di splendore e di pulitezza non hanno potuto contare
che Pindaro, Alceo, Callimaco, Anacreonte, Corinna e Saffo. La
loro maraviglia diverrebbe anche maggiore se vedessero che in
luogo di un solo Omero ch'essi ebbero, noi osiamo vantarne una
dozzina, e ristampiamo ogni giorno con una cieca compiacenza i
poemi de' Pulci, de' Boiardi, de' Berni, de' Lippi,1 de' Fortiguerra,2
i quali anzi con una critica sublime non manchiamo di mettere
quasi al paro degli Ariosti e de' Tassi. Questa opprimente esube-
ranza poetica, questa sterile fecondita di verseggiatori e di versi
e un fenomeno singolare e stravagante, indigeno alia sola Italia,
e di cui 1'altre nazioni non ebbero giammai 1'idea.
Un inglese, il celebre Sherlock,3 ha creduto di trovare la spie-
gazione del fenomeno nella pieghevolezza, fluidita ed armonia della
nostra lingua, che la caratterizzavano sopra 1'altre lingue viventi.
Infatti come potrebbe 1* Italia esser cosi feconda di poeti improv-
visatori, se la sua lingua non si piegasse con estrema facilita al-
1'accento della poesia e airinflessioni del verso ? La facilita dun-
que di verseggiare e quella che produce 1'eccessivo numero de'
verseggiatori. Ci applichiamo volontieri ad un genere di talento,
che non esige fatica, ed ha la ricompensa di piacere e divertire.
Gli amici, le donne, le piccole societa fanno plauso al poeta che si
produce e si crede pagato dal diletto medesimo che procura agli
altri; un mecenate, un grande lo prende sotto la sua protezione;
i. Lorenzo Lippi: cfr. la nota zap. 347. 2. Fortiguerra: Niccol6 Forte-
guerri (1674-1735), autore del Ricciardetto, poema eroicomico. 3. Martin
Sherlock (circa 1750-1797), letterato inglese, pubblic6 a Napoli, nel 1778,
un volumetto intitolato Consiglio ad un giovane poeta> nel quale criticava
aspramente e disordinatamente i pih grandi poeti italiani (tranne il Meta-
stasio), ai quali opponeva i poeti greci, francesi e inglesi, levando al cielo
soprattutto Shakespeare. II volumetto suscit6 una serie di risposte pole-
miche da parte di alcuni letterati italiani, fra cui Alessandro Zorzi (in
Letter e tre a Marco Lastri, Ferrara, Rinaldi, 1779) e il Napoli Signorelli
(nella Storia critica de' teatri antichi e moderni, vi). Sullo Sherlock cfr.
B. CROCK, Un viaggiatore in Italia nel Settecento, apostolo dello Shake
speare, in «La Critica », xxvi (1928), pp. 461-7.
864 FRANCESCO TORTI
egli £ ricercato e festeggiato da ogni parte. Questo incontro abba-
gliante seduce il giovane alunno delle Muse; il suo cuore si
gonfia; egli gik si riguarda come il Pindaro o 1'Anacreonte del suo
secolo ; egli g& vede aprirsi avanti di s6 il tempio dell'immortalitsk,
e vi si colloca modestamente. Si stampano intanto le sue rime:
un erudito di qualitk ne fa Pelogio ; i suoi compagni di mestiere
lo ripetono o per imbecillit& o per etichetta; la moltitudine lo
crede sulla parola, ed eccovi un poeta italiano nelle forme. Frat-
tanto che sono in sostanza i suoi versi ? Nient'altro che ripetizioni
di parole e di frasi de' capiscuola d' Italia. Saranno versi petrar-
cheschi, marineschi, chiabrereschi, frugoniani, quello che voi vo~
lete ; ma saranno tutt'altro che poesia e poesia originale.
Finch6 la riputazione dej poeti sark in Italia il risultato de*
gusti parziali e de' giudizi isolati, essa poggeri sempre sopra delle
basi assai frivole ed illusorie. II giudice naturale dell'opere di gu
sto & il pubblico.1 Quando esso ha assaporato una volta il buono
e il bello, egli & il meno soggetto ad ingannarsi. Osservate la Grecia
ne' suoi bei giorni. Qual era il tribunale inappellabile, innanzi al
quale il poeta, Poratore, il pittore, il musico recavano palpitando
i capi d'opera del loro talento ? Questo tribunale era il popolo, era
Tintera nazione adunata maestosamente ai giuochi olimpici. L&
Pindaro e Corinna si disputarono tante volte il premio della
pubblica ammirazione ; Ik Dionigi, tiranno di Siracusa, mandava a
declamare i suoi versi per riunire, s'era possibile, la corona della
gloria a quella delPambizione ; 1£ Erodoto si portava a leggervi le
sue storie, Isocrate i suoi discorsi, Platone i suoi sistemi di filoso-
fia. Se in quella circostanza un inno, un poema, un quadro, un
canto non giungeva a sostenere il formidabile giudizio di quella
grande assemblea, Topera cadeva per sempre e s'annientava da se
medesima. Tutta la falange de* nostri eruditi glossatori avrebbe ten-
tato invano di risuscitare neppure un verso di un'opera qualunque
fulminata dalla disapprovazione della Grecia riunita.
Noi popoli moderni non abbiarno niente di somigliante alia pom-
pa, airimportanza ed alia utiliti di questi grandiosi spettacoli; noi
manchiamo soprattutto del prezioso vantaggio di riunire in una
i, II giudice . , .pubblico: & uno dei concetti fondamentali dell'estetica del
Dubos, e poi di quella illuministica in genere (cfr. M. FUBINI, Dal Mura~
tori al Baretti) cit., pp. 369-72).
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 865
sola capitale i voti e i giudizi di tutta una nazione.1 Questo incon-
veniente si rendeva piu sensibile prima della propagazione del-
Tarte della stampa, e ne' tempi piu prossimi a Dante e Petrarca.
La folle lusinga d'uguagliare il merito di questi primi idoli del
nostro Parnaso ricopiando senza esame le loro virtu come i loro
difetti, fece sortire uno sciame innumerabile di servili imitatori,
i quali a guisa di una nuvola di locuste portarono Paridita e lo
squallore nelle piu belle campagne di Pindo.2 Per lo spazio di due
secoli dopo il Petrarca non si videro che bronchi e spine innestati
sopra i fiori appassiti della sua lirica; e gl'indiscreti ed imbecilli
coltivatori si occuparono ostinatamente a sfrondare il suo alloro, a
schiantarne i rami e dividerseli a vicenda. Cosi si procedette senza
interruzione in tutto il secolo del Quattrocento, secolo per verita
assai celebre negli annali della nostra antichita letteraria,3 ma oscu-
ro e nullo nella storia del buon gusto e della poesia. Questo si-
stema di cieca e servile imitazione, portato all'eccesso fino ai giorni
felici deirAriosto, facilitb oltremodo 1'arte gia troppo facile di
verseggiare, moltiplic6 i cattivi poeti e popo!6 il sacro soggiorno
delle Muse di quella moltitudine d'uomini, di cui pur troppo 6
forza ripetere
non potria mai di tutti il nome dirti.
Questa ricchezza piu apparente che solida e lungo tempo ch'e
stata traveduta da' letterati di buon senso e meno preoccupati dal
pregiudizio. II buon Ludovico Antonio Muratori nel suo trattato
Delia perfetta poesia fa assai chiaramente sentire ci6 ch'egli pensa
di queirimmensa schiera di petrarchisti, intorno ai quali egli si
esprime cosi: «Ma contuttoci6 se si considera la gran massa delle
poesie liriche stampate in argomento amoroso, si trovera per espe-
rienza che in un campo non molto vasto si vanno aggirando
grinnamorati poeti. Questo quasi tutto s'era prima occupato dal
i. manchiamo . . . nazione: 1'idea risale all'Algarotti, ma il Torti probabil-
mente riecheggia il Bettinelli, che deplora la mancanza di una capitale
italiana nella nota xxix dell* Entusiasmo delle belle lettere e altrove (cfr. M.
FUBINI, Dal Muratori al Baretti, cit., p. 215). 2. Pindo: monte della
Tessaglia, sacro ad Apollo e alle Muse. 3. secolo . . . letteraria: allude
probabilmente all'elogio del Quattrocento che si legge nella Storia della
letteratura italiana del Tiraboschi, il quale, coerente con il suo punto
di vista, definisce quel secolo « il piu celebre e il pid glorioso nella storia
dell' italiana letteratura » (cfr. II edizione di Modena, v, 1789, p. m).
55
866 FRANCESCO TORTI
grancTingegno del Petrarca; ed & pur convenuto infino ai migliori
che dopo lui hanno scritto versi amorosi, o copiare o travestire in
qualche altra maniera i medesimi concetti e sentimcnti di quel
maestro; il che appunto & un camminare senza far viaggiow (lib. 3,
cap. 7).
II celebre Algarotti in una delle sue epistole in versi indirizzata
a Metastasio geme anch'esso sullo stato infelice della poesia ita-
liana, deplorando la superstiziosa mania che teneva servilmente
attaccati gPingegni nazionali all'imitazione di un sol genere, e li
rendeva tanto vili e disprezzabili poeti, quanto nemici funesti
deiravanzamento e perfezione dell'arte:
Nuovo non & che la volgare schiera
solo dagli anni la virtude stimif
e piu la rugia che il metallo apprezxi,
Forse la vena del castalio fonte
secca £ a* di nostri, e di Parnaso in cima
forse soli poggiar Dante e Petrarca?
O di servile eta povere menti?
Nulla dunque lasciar Dante e Petrarca
airindustria de' posteri e alPingegno?
Dunque fra not la lunga arte d* Apollo
perfetta surse in rozste etadi, in cut
Varti che pur di lei sono sorelle
giacean ancor nelVunnica ruina?1
Coloro pero che hanno innalzato in Parnaso lo stendardo rivo-
luzionario, ed hanno preteso disingannare arditamente gli Italiani
troppo prevenuti della loro gloria poetica, sono stati Tex-gcsuita
Bettinelli e Tingiese Sherlock. II primo diede alia luce nel 1757
un piccol libro col titolo : Died letter e di P. Virgilio Marone, scritte
dagli Elisi all' Arcadia di Roma, sopragli abusi introdotti nella poesia
italiana: il secondo pubblicb il suo circa vent'anni dopo, col titolo:
Consiglio ad un giovane poeta. Questi due autori cosl diversi fra
loro di patria e di professione, lo sono altrettanto nolle loro idee,
nel loro gusto e ne' loro principii. Ma, posta ogni altra osservazione
a parte, hanno essi adempito alPoggetto che si sono proposti ? Per
verit^i, s'io avessi potuto persuadermene, mi sarei dispensato dal
pubblicar questo libro.
i. Cfr. epistola Al signor abate Pietro Metastasio, 38-44 e 65-71 (Qpere, I,
Venezia, Palese, 1791, pp. 15-6),
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 867
Per rilevare giustamente, come hapreteso Bettinelli, «gli abusi
introdotti nella poesia italiana»,x sarebbe stato prima necessario di
rimontare alia sua origine, seguirla nelle sue diramazioni, fissare
il carattere de' nostri poeti classici, penetrarne lo spirito, formarne
il ritratto e presentarlo in quel lume di verit& che ne facesse subito
riconoscere Pingenua e naturale fisonomia, non adulata dal pre-
giudizio, n£ sfigurata dalPignoranza. In questa specie di quadro
storico-morale del nostro Parnaso ciascuno de' suoi primi geni vi
troverebbe naturalmente il posto che gli conviene; vi si vedrebbe
Penorme distanza a cui restano i nomi di coloro che si erano fatta
scrupolosamente la legge di non camminare se non dietro i loro
vestigi; si sarebbero infine messe in disparte tutte le scorie, le
superfluity e le false ricchezze ammassate senza esame e per tanti
secoli nel nostro erario poetico: giacch6 Terrore degli Italiani non
consiste gik nelPaver troppo apprezzati i loro tesori, ma nell'averne
esagerato il numero e la quantity. Essi immaginavano falsamente
di possedere una gran massa d'oro e d'argento ; ebbene, aprite loro
gli occhi sulle tre o quattro gemme inestimabili che realmente
possiedono, e li vedrete rinunciare volontieri a tutto il resto d'una
ricchezza inutile e imbarazzante.
L/ex-gesuita Bettinelli all'incontro ha trattato questo soggetto
in una maniera pedantesca, incompleta e disonorante per la na-
zione; egli ha battuto una strada che non & punto quella della
veritk e della buona fede. Un terzo almeno del suo opuscolo &
interamente impiegato a lacerare in dettaglio il merito e la riputa-
zione di Dante. Senza considerare la profondhi e la grandezza
di questo genio, senza apprezzare Tarditezza del suo disegno, la
fierezza del suo colorito, senza abbracciare Pestensione e i rapporti
del suo piano, tutte le ricerche di Bettinelli non vertono che sulle
qualitk dello stile. Lo stile sembra richiamare tutto il suo esame;
lo stile & il grande oggetto delle sue discussioni. Quindi egli si
dclizia a rilevare minutamente agli occhi del lettore la rozzezza
della sua elocuzione, la ruggine delle parole, il grottesco d'alcune
immagini: quindi i versi piii grossolani, i terzetti piu urtanti vi
sono additati con una minutezza ributtante. Egli suppone chime-
I. Cita dalla decima delle Letter e virgiliane: «gli abusi introdotti in ogni
parte <T Italia » (cfr. Tedizione a cura di V, E. Alfieri, Bari, Laterza, 1930,
P- 58).
868 FRANCESCO TORTI
ricamente che la poesia di Dante abbia formata una scuola parti-
colare; egli declama contro i dantisti d'imitazione, ed egli s'in-
ganna. Egli dovrebbe arrossire d'ignorare la storia letteraria del
proprio paese. Ognuno sa che PItalia ha avuto i petrarchisti, i
marinisti, i seicentisti ec., ma i dantisti pratici non esistono che
nella fantasia del critico. Oso dire di piu, che degli imitatori di
Dante non possono esservene n£ formare una scuola; quello che
v'& di cattivo in lui non & capace di sedurre alcuno; all'incontro
le sue originali bellezze non sono a portata di un volgare imitatore ;
conviene aver la forza di Teseo per sostenere la clava d'Alcide.1
Dante & il Michelangelo della nostra poesia; la sua lettura & una
sorgente inesausta di robuste idee; i savi zelatori delle lettere non
potrebbero mai abbastanza raccomandarne ai giovani la medita-
zione e lo studio; e Bettinelli ha fatto il contrario.
Nel rimanente delle Died lettere di Virgilio Tex-gcsuita Betti
nelli parla del Petrarca e della sua scuola. Egli & ben sorprendente
che dopo aver definito questo Hrico italiano «un poeta di lingua
vivente che canta d'amore e d'una semplice donxcllctta », e che
«pur trova il modo di farsi oscuro, enimmatico ed insoffribilc per
la rima e per la durezza nelle tre parti delFopera sua»,a egli £ ben
•sorprendente, dico, come questo poeta « oscuro, enimmatico, in-
soffribile e duro» sia nel tempo stesso Tautore «de' piu nobili e
gentili modi di dire, delle grazie, delPelocuzione, delle frasi e delle
•espressioni poetiche».3 Dopo aver affermato che il Petrarca sem-
bra aver fatto di tutto per ccrecar piii tedio che non diletto, e per
non essere inteso dalle tre parti della sua stessa nazione»:4 egli &
ben sorprendente che Tautore di questo giudizio osi aggiungere,
nella lettera quinta, che «lo stesso Amore dett6 di sua bocca al
i. lo non conosco che un solo imitatore di Dante, e tutta T Italia 1© conosce
^gualmente: ma questi non & piii un imitatore, L'energica, libera c franca
maniera, con cui egli ha afTerrato le bellezze del suo modello, mette senza
dubbio 1'imitatore al jfianco dell'onginale medesimo (T.). II Torti allude,
come <b facile capire, al Monti, z. Cita dalla quarta delle Lettere virgi-
liane (ed. cit, p. 25; ma il Torti ha presente una delle prime edbioni
delle Virgiliane, nelle quali figura « donzelletta » in luogo di donna, che
compare invece nell'edizione Zatta). 3. Cita liberamente dalla quinta
delle Lettere mrgilianet dove ^ detto esattamente: «I pi{i nobili, i piu
gentili modi di dire, le grazie dell'elocuzione, le frasi insomma e 1'espres-
sioni poetiche, e proprie di lui e dcgV Italian!, tutte o poco meno a lui
son dpvute» (ed. cit., p. 32). 4. Cita dalla quarta delle Lettere virgiliane
(ed. cit, p. 25).
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 869
poeta le formole della lingua)).1 E questo poeta « insoffribile nelle
tre parti delFopera sua» come ottiene poi dalFinesorabile senato
dell'ombre de* poeti greci e latini, che «si ripurghi d'una terza
parte delF opera »2 sua solamente? E perch£ all'incontro la severitk
di questo tribunale poetico si rovescia tutta sopra il povero Dante,
fino quasi ad annientarlo, riducendo il suo poema all'impercetti-
bile mole di trecento versi, mentre l'« insoffribile » Petrarca resta
quasi intcramente al Parnaso, nonostante i due buoni terzi d'«oscu-
ritk», di (ctediositk» e di «durezze»? Per verita e ben capriccioso
il criterio de' morti, allorch£ s'impegnano a voler giudicare sul
gusto letterario d'una lingua vivente.
Che se alcuno domanda qual luogo ottengano in questo esame
critico di Bettinelli 1'Ariosto, il Tasso, Guarini, Chiabrera (giac-
ch6 sopra i piu moderni egli osserva un politico silenzio), resterk
ben sorpreso in sapere che questi grandi uomini non vi sono no-
minati che di passaggio e per esservi oltraggiati indecentemente.
Come ? Bettinelli impiega un terzo del suo libro a discutere seria-
mente se Dante debba essere preferito ad Ennio, e non consacra
due sole pagine ai nomi immortali delFAriosto e del Tasso? Si
fa egli una legge di glossare minutamente l'« enimmatico » e l'« in
soffribile )> Petrarca e non dice una parola de7 loro poemi, delizia
della nazione e del loro genio originate ed ardito, che si aprl una
nuova strada fin'allora sconosciuta in Parnaso? II sonetto, la can
zone attireranno tutta Tattenzione di Bettinelli, ed egli trascurera
i due piu grandi monumenti della nostra letteratura, che hanno
fatto conoscere la superiority del Parnaso italiano all'altre nazioni
europee! Finalmcnte & 1'ex-gesuita Bettinelli che ha avuto la sfron-
tatezza unica di stampare in Italia le seguenti parole: «non si
ristampi il Tasso senza prowedere all'onor suo . . . ».3
Con un fondo di spirito piu luminoso, piu brillante, piu filo-
sofico il signor Sherlock & entrato dopo Bettinelli nella stessa
camera; ma se il suo libro, Consiglio ad un giovane poeta, riunisce
piti grazie e piu brio di stile, esso non e punto inferiore all'altro
i. II Bettinelli dice esattamente: «Ciascuna [lingua] ha le sue formule . . .
II Petrarca diede all* Italia le sue ... Egli stesso Amore le dett6 di sua
bocca al poeta » (ed. cit, p. 33). a. Cita dalla nona delle Letters virgiliane
(ed. cit., p. 54). 3. Cita ancora dalla nona delle Letter e virgiliane, dove
e detto esattamente: «I1 Tasso piii non si stampi senza prowedimento
all'onor suo» (ed. cit., p. 54).
870 FRANCESCO TORTI
per gli error! di critica e la nullit& del suo oggetto. Come 1'autore
delle Lettere di Virgilio ha preteso impiccolirc la riputazione di
Dante, cosl Pautore del Consiglio ha cercato di mettere in pezzi
il merito dell'Ariosto: 1'uno e Taltro hanno combattuto una chi
mera che non esisteva, cio& la scuola de' dantisti il primo, il gusto
ariostesco predominate ed unico in Italia il secondo. « U Ariosto
infatti» dice Sherlock (pag. 9) «<b il poeta della nazione, e qucsto
& il corruttore del gusto ». Egli dice altrove (pag. 35 e 36): «Ariosto
non pu6 far dej poeti; Ariosto non & gran poeta ». Se «PAriosto
& gran poeta, Marini lo 6; e se Marini 6 gran poeta, Ovidio lo &;
e se Ariosto, Marini ed Ovidio sono grandi poeti, che sono Omero
e Virgilio ? » Altrove egli s'avanza e dice (pag. 40) : « Un solo senti-
mento sublime, che eleva e trasporta Tamma, non si trova in tutto
V Orlando furioso», E sembrandogli forse aver detto poco, egli
continua ancora: «Ho spesse volte pensato che I'uomo che aveva
dato il titolo d' Omero ferrarese all' Ariosto non aveva niente letto
d' Omero se non la Batracomiomachia*. Noi vedremo al capitolo
delF Ariosto di quest'opera ci6 che dovremo pensare di tutto questo.
Perdoniamo pure ad uno straniero, ad un inglese, di non cono-
scere Fimmensa distanza che v'& fra Marini e T Ariosto; perdonia-
mogli di non sapere quanto gli Italian! apprezzino il Tasso e
Metastasio; quanto la lettura di questi due poeti sia deliziosa per
essi, e quanto in generale sia preferita a quella dell'Ariosto e di
Dante. Ma potremo noi perdonargli lo stravagante disegno di voler
abbassare il merito di tutti i poeti d'ogni secolo e d'ogni lingua per
innalzare sulle loro rovine il suo adorato Shakespear, poeta tragico
della sua nazione ? II piccoi libro del sig. Sherlock non contiene che
114 pag.: giunto alia pagina 57 (che appunto i la met& del libro),
egli non 6 piu capace di resistere all'urto del suo entusiasmo:
divorato dalla smania d'esaltare il suo idolo, & forza che rompa
ogni argine e che si slanci al di la del suo soggetto* Nello scoppio
della sua ebbrezza egli esclama cosl: «La natura, o adorato Sha
kespear, era il tuo libro . . , Tu sei stato il figlio primogenito e
favorito della natura, e simile alia tua madre vago, stupendo, su
blime, grazioso, la tua varied k inesauribile. Sempre nuovo, sem-
pre vero tu sei il solo prodigio che la natura abbia prodotto, Omero
fu il primo degli uomini, ma tu sei piu che umano ... II dire che
Shakespear ebbe Fimmaginazione di Dante e la profonditk di Mac-
chiavello sarebbe un elogio debole; aveva queste ed assai piu: il
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 871
dire che possedeva le grazie terribili di Michelangelo e le grazie
amabili del Correggio sarebbe un elogio debole ; aveva queste ed
assai piu. Col brio di Voltaire giungeva i nervi di Demostene, e
colla semplicita de La Fontaine la maesta di Virgilio . . . Ogni ec-
cellenza d'ogni scrittore Shakespear possedeva al piu alto segno
della perfezionew.
Con questo tuono d'invasamento il sig. Sherlock continua fino
all'ultima pagina del suo libro. Tutto questo per verita non sembra
aver gran relazione colla poesia italiana; ma egli ha creduto di mo-
strare in Shakespear il maestro di tutte le nazioni. Nondimeno
malgrado i suoi sforzi la riputazione di questo preteso gigante in
poesia rimane ancora un problema agli occhi dell'Europa.
In tal guisa questi due scrittori che hanno creduto portare nel
Parnaso italiano la fiaccola della critica e del gusto illuminato;
Puno di essi (Bettinelli) avendo trattato Pargomento colle ristrette
vedute di un retore, 1'altro (Sherlock) collo spirito esaltato d'un
entusiasta, ambedue hanno traviato dal loro oggetto ed hanno
mancato al disegno che si erano formato. Sembrava necessario
un libro che mettesse come in un quadro ordinato la varietk e la
grandezza de' nostri monumenti poetici; ed io ho creduto che,
malgrado ci6 ch'esiste in questo genere, potesse ancora aver luogo
un Prospetto del Parnaso italiano. II lettore giudicherk s'io mi
sono ingannato. II mio lavoro non s'inoltra piu avanti de' tempi
di Torquato Tasso, ma il periodo ch'esso racchiude comprende
forse quanto v'& di piu interessante nella nostra letteratura. Io
ignoro se debba permettermi un giorno di condurlo piu oltre e di
affrontare i moderni in mezzo ai raggi della loro fama, di cui go-
dono adesso si dolcemente Io strepito. Aspettiamo di vedere qual
accoglienza essi preparino ad una serie di giudizi che non li tocca,
e che appartiene unicamente a degli uomini che piu non sono.
In questa spinosa carriera ho cercato di tener lontana egualmente
Tadulazione e la satira. Ma se talvolta alia vista de' grandiosi mo
numenti della nostra letteratura un senso di rispetto e d'ammira-
zione mi ha fatto spargere de' fiori sulla tomba de' grandi uomini
che 1'hanno onorata; se la mia penna si risente talvolta del rapi-
mento piii che della calma dello spirito, io ne chiedo perdono al
lettore; ma non ho potuto resistere al sentimento che mi traspor-
tava. Le anime sensibili e interessate all'onor nazionale, i cuori
gentili che risponderanno al mio, mi saranno grati, io spero, di que-
07* FRANCESCO TORTI
sto dolce abbandono, e mi perdoneranno facilmente il difetto piut-
tosto che Teccesso del rigore.
CAPITOLO II
Di Dante Alighieri. Disgraziate vicende della sua vita. Suo poema
della (( Divina Commedia ». Originalita e pregi caratteristici che
lo distinguono*
La dea Maesta, dicono i poeti, fu grande nel giorno medesimo
in cui ella nacque. Non potrebbe dirsi altrettanto della poesia ita-
liana? Dante Alighieri, nato in Firenze Panno 1265, fu il padre
ed il creatore di questa poesia. Si e osservato che la natura pre-
para a gradi Tesplosione de' grandi talenti. Esiodo ed Ennio annun-
ciarono da lontano Omero e Virgilio. Nel secolo decimoterzo la
natura prese un contegno diverso, e il genio di Dante si mostro
tutto intiero senza alcun ingegno intermedio che lo precedcsse.
La lingua italiana, risultato ammirabile della corruzione e della
mescolanza di cento dialetti colla lingua del Lazio, trascinavasi
ancora nel fango gotico, e tutt'altro prometteva che di emulare
un giorno le bellezze della sua augusta madre. I saggi poetici, che
esistevano prima di lui, potevano appena riguardarsi come i primi
passi dello spirito verso la coltura, o piuttosto essi erano abbastanza
miserabili per ributtare dalFimpresa qualunque altro ingegno, a cui
la natura avesse donato un grado meno d'elevazione e d'entusiasmo.
La vita di Dante non e che una serie continuata di disgrazie e di
cattivi trattamenti per parte degii uomini e della fortuna. La sua
virtu e il suo coraggio repubblicano furono le funeste qualit& che lo
perdettero. Firenze era allora lacerata dalle discordie civili, come
tutto il resto dell' Italia, ed oltre la grande scissione dej Guelfi
e Ghibellini, che animava tutti i partiti, mille altre picciole fa-
zioni fermentavano e s'agitavano in seno della piu grande. Quella
de1 Uanchi e de* negri era diventata la piti funesta ai tempi del
nostro poeta. Bonifacio VIII, guidato da una politica solamente
propria di quei tempi, s'immaginb d'abbassare la fierezza de' Fio-
rentini chiamando in Italia un dominatore formidabile e pericolo-
so, quale poteva essere Carlo di Valois della casa reale di Francia.
Dante, che in quella circostanza occupava un posto distinto nella
x. Dal Prospetto del Parnaso italiano, ed, cit., i, pp. 30-61-
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 873
repubblica, si oppose violentemente ai progetti degli stranieri.
Egli pensava1 che la patria non avrebbe trovato giammai una
stabile felicita che sotto 1'impero delle leggi e nell'energica fer-
mezza de7 suoi cittadini.
Frattanto il partito di Carlo e di Bonifacio prevaleva ogni gior-
no. Dante era corso fino a Roma ad arringare il pontefice colla va-
na lusinga di sviarlo dal suo progetto e d'ispirargli sentimenti piu
moderati. Nel mentre per6 che egli agitavasi senza profitto ai piedi
di Bonifacio, la fazione dei negri, favorita apertamente da Carlo
di Valois, aveva trionfato del partito contrario, ed usava della vit-
toria con tutta la ferocia degli odi civili. Si bandirono le famiglie
de* bianchi, si compi!6 un processo contro Dante assente e im-
possibilitato a difendersi, e si ebbe persino la barbara demenza
di condannarlo alia pena del fuoco. Cosi alcuni vili e perversi con-
cittadini osarono condannare ad esser bruciato vivo un uomo che
dovea essere il primo ornamento del suo secolo, come la gloria
della sua nazione, e di cui dopo la morte Pingrata sua patria cerc6
con tanto impegno di riavere le ceneri per onorarle, facendogli
innalzare delle statue ed imprimere delle medaglie.
Dante and6 errando per V Italia e per la Francia cercando un
asilo contro la rabbia de' suoi persecute ri ed un ricovero contro
le ingiustizie della sorte. II suo coraggio lo sosteneva, ma la sua bile
s)infiamm6. Fu allora ch'egli scrisse il celebre poema della Divina
Commedia, in cui egli prende occasione d'esalare tutta Tamarezza
di un cuore esulcerato da tante ferite. II suo risentimento vi com-
parisce senza alcun velo, i suoi nemici non vi sono in alcun modo
risparmiati, e si direbbe ch'egli ha cercato di render loro in in-
famia quanto essi gli aveano cagionato di male coiringiustizia.
Frattanto non si & mai provato che la passione gli abbia fatto sa-
crificare la verit& della storia. £ impossibile di gustare completa-
mente il poema di Dante, se prima non si & a portata di conoscere
le notizie istoriche del suo tempo e la serie degli awenimenti
che lo determinarono a scrivere. La Divina Commedta non 4,
per cosi dire, che lo sviluppo ed il comento delle sue awenture
pubbliche e private; ed invano vorremmo noi riempirci delle qua-
litk del poeta, se prima non abbiamo analizzato Tuomo politico
ed il cittadino.
i. pensava: a questo punto, nella I edizione, era inserito Tinciso «come
tutti i veri repubblicani », poi eliminate) nella n.
874 FRANCESCO TORTI
Ma perch.6 mai i contcmporanei di Dante non ci hanno trasmesso
le memorie che lo concernono con quella accuratezza che desidc-
riamo vanamente, e senza la quale riesce quasi impossible d'ap-
profondare il genio di quest'uomo st raor dinar io ? II suo pocma
consiste meno nella visione teologica dei tre regni delPaltra vita,
che nel quadro morale e politico del suo tempo. Nell'agitazione
e nel tumulto della sua vita come ha potuto quest'uomo renders!
noti e palesi i maneggi delle corti, gli intrighi dei partiti, i colpi
segreti delPambizione e della politica, e soprattutto quella molti-
tudine di aneddoti tutti singolari e piccanti, di cui ha riempito le
sue cantiche ? La nostra maraviglia andrl ancora piti innanzi quan-
do si riflette alFestrema difficoltk, cui andavasi incontro ai tempi
del poeta nel procurarsi le notizie di si vari, reconditi e gelosi
awenimenti. Le comunicazioni ed i rapporti sociali erano allora
rari, difficili e quali potevano aversi in un secolo di barbaric. La
gelosia, il mistero, il punto d'onore presiedevano al secreto delle
famiglie, e il timore delPinfamia serviva di velo alPinfamia me-
desima. Malgrado tutto ci6 si direbbe che Dante era presente in
tutti i luoghi e in tutte le circostanze; ch'egli era Tanima di tutti
i partiti, il depositario di tutti i segreti e fino della coscienza de'
suoi contemporanei, e, quello che & pito degno di sorprendere, si &
che svelando egli al pubblico le turpitudini di tanta gente non &
stato smentito n.6 contraddetto da alcuno.
La Divina Commedia, quesfopera cosl famosa da cinque secoli,
ha incontrata la sorte di tutte le straordinarie produzioni del genio,
vale a dire ch'essa 6 stata alternativamente lodata con entusiasmo
e criticata con eccesso. II gesuita Bettinelli nelle sue Letter e di
Virgilio agli Arcadi ha parlato di Dante col genio di Zoilo1 e collo
spirito d'un pedante. Non avendo avuto coraggio di descriverlo
per un poeta piccolo, egli si sforza dl renderlo odioso coiraffettata
esagerazione del cattivo che vi si trova. Dopo aver detto che « de*
buoni ternari ve n'ha sino ad un centinaio, se ben gli ho contati
tra cinque mille, che formano tutto il poema», egli decide aspra-
mcnte «che se pur egli & vero, come verissimo <b pure, non con-
sistere il pregio d'un libro e d'un poema in alcuni bei tratti qua
e Ik scelti e cercati, ma si nel numero delle cose belle paragonate
a quello delle malvage, e nella soprabbondanza di quelle a queste, io
i, Zoilo: critico alessandrino, famoso per il suo odio contro Qmero, e pas-
sato in proverbio a indicare il tipo del critico ingiusto e pedante.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 875
conclude che Dante non deve esser letto piu d'Ennio e di Pa-
cuvio)).1 Quindi se malgrado i calcoli della pedanteria gli Italian!
leggono e leggeranno sempre i versi di Dante con un trasporto
d'ammirazione, che non otterranno giammai quelli del critico
Bettinelli, io domando quale di questi due autori sara FEnnio o il
Pacuvio dell* Italia. I paragoni sono assurdi, e la critica diventa
ridicola allorche mediante alcune piccole e triviali osservazioni si
pretende urtare di fronte la massa del gusto nazionale. Presso i
Latini Orazio e Virgilio fecero obbliare completamente Ennio e
Pacuvio. Presso di noi Ariosto e Minzoni2 non fanno che renderci
sempre piu rispettabile Pautore della Divina Commedia.
II signor Sherlock, critico inglese, non si mostra niente piu
riservato nel suo giudizio sopra questo poeta. Egli rassomiglia la
Divina Commedia alia facciata di una chiesa gotica, e non vi rav-
visa di pregevole che i due celebri pezzi deirUgolino e della
Francesca d'Arimino. Dalla maniera per6 colla quale parla di tutto
il poema si vede che egli Pha osservato colla fretta d'un viaggiatore.
Questi due critici si sono messi in testa la falsa idea che la lettura
di Dante potrebbe esser funesta al gusto d'un giovane non an-
cora formato. Ma questo timore e veramente di buona fede ? Pos-
sono essi sinceramente dubitare che i grossolani difetti di questo
poeta siano capaci d'abbagliare e di sedurre? Certi versi che i critici
amano di citare con tanta compiacenza, come
Pape Satan, pape Satan, aleppe?
ovvero
i. Cita dalla terza delle Letters virgiliane (ed. cit., pp. 17 e 20). 2. II
nome di Onofrio Minzoni (1734-1817), mediocre verseggiatore soprat-
tutto di liriche sacre, suona per noi assai strano accanto a quelli di Dante
e dell' Ariosto, cosl come strani appaiono gli elogi iperbolici che il Torti
gli tributa in altre pagine del Prospetto del Parnaso italiano, e special-
mente nel capitolo a lui dedicate e col quale 1'opera si conclude. Questa
esagerata valutazione si pu6 tuttavia in parte spiegare (oltre che, natural-
mente, con i limiti stessi del gusto del Torti) ricordando la faraa che alia
fine del Settecento e al principio dell'Ottocento il Minzoni effettivamente
godeva: proprio scrivendo al Torti, il Monti gli raccomandava di non di-
menticare (accanto a se stesso) tre altri poeti contemporanei che avevano
reagito alia «corruttela degli stili»: il Parini, TAlfieri e il Minzoni (cfr.
Epistolario, a cura di A. Bertoldi, i, Firenze, Le Monnier, 1928, pp.
393-4). E a sua volta il Tommaseo univa il Minzoni al Varano e al Parini
(cfr. G. NATALI, // Settecento, cit, p. 716). 3. Dante, Inf., vii, i.
876 FRANCESCO TORTI
. . . che se Tabernich
m fosse su caduto, o Pietrapana,
non avria pur dalVorlo fatto crick,1
sarebbe mai possibile che questi o consimili versi facessero nascere
in alcuno la tentazione d'imitarli ? No, non & dalla scuola di Dante
ch'& derivato il cattivo gusto in Italia. I Marini, gli Achillini, il
brillante mostro del Seicento s'impadronirono del nostro Parnaso,
quando Dante non era phi letto, ed all'epoca stessa in cui questo
padre della nostra poesia veniva riguardato come il poeta della
barbarie e del goticismo.
In quanto a me, dimenticando i censori e le critiche, e spogliando
questo grand'uomo delle macchie esteriori che lo deturpano, ma
che appartengono meno al poeta che alia rozzezza del secolo in
cui scriveva, mi sia permesso per un momento di considcrarlo
nella sua semplice e originale sublimita. lo veggo in Dante un
genio robusto, profondo e creatore; ma d'una specie tutta nuova
e propria di lui. Quando si volesse paragonarlo agli altri poeti che
Thanno preceduto e seguito, io non saprei rassomigliarlo ad al
cuno. Egli & originale in tutta la forza e Testensione di questa
parola. Le immense cognizioni che egli aveva acquistate non al-
terarono giammai il fondo creatore e caratteristico della sua anima,
Dante ha inventata una nuova specie di poema, come un nuovo
genere di poesia; egli 6 originale nella macchina come ne' detta-
gli delFesecuzione; egli & il creatore delle sue idee come del lin-
guaggio con cui l'esprime.
La prima differenza, che separa Dante da tutti gli epici antichi
e moderni, 6 la singolar novit& del suo soggetto. Senza andare a
cercare nella favola o nella storia degli eroi chimerici, o soltanto
famosi per il male che hanno essi operato, senza cantare le battaglie
e gli assedi, egli si propose un oggetto assai piu utile, e dir6 ancora
piu grandioso; egli ha voluto dipingere i vizi del suo secolo, i
falli e la miseria delle nazioni c de' loro capi, Non & gii ch'io
riguardi come una sublimita originale la descrizione delFInferno,
del Purgatorio e del Paradiso. La favola di Orfeo e la discesa di
Ulisse e d'Enea nell'Inferno, descritta dagli antichi mitologi, po-
tevano avergli somministrata un'idea somigliante. Ma la profonda
moralita del suo poema, la pittura del costume, la censura aspra
i. Inf., xxxn, 28-30.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 877
e animata della depravazione del suo tempo, le sortite vive e piccanti
contro gli abusi d'ogni specie d'autorita, 1'invettive patriottiche
sulle discordie civili, in una parola Pardita e felice idea di tutto
riferire alia storia del suo secolo, e di far servire la pittura delFaltro
mondo a rilevare gli eccessi e la malvagita di questo, tali sono i
tratti decisi che imprimono alia Divina Commedia una fisonomia
originale, un carattere cosl marcato di novita, che lo distinguono
senza contrasto fra tutti i poeti antichi e moderni.
I coltivatori delPepopea non hanno avuto in vista che di sorpren-
dere col mirabile delle azioni e col prodigioso degli awenimenti.
Che la serie e la qualitk di queste azioni avessero o no qualche
rapporto col popolo a cui le presentavano ; che i costumi e i caratteri
che descrivevano fossero disparati o analoghi con quelli del loro
tempo, che il fondo del soggetto fosse piu o meno capace di colpire
il genio e Tinteresse nazionale ; questo e ci6 che i poeti epici prima
di Dante si son dati pochissima cura d'osservare. Purch6 il loro
epos, ossia narrazione, fosse pieno d'awenture e di fatti maravi-
gliosi, tutto il resto & indifferente per essi. Omero tratt6 la guerra
di Troia trecento e piu anni dopo 1'esito, ed abbelli il valore eroico
de' re della Grecia in un tempo in cui la piu parte de' suoi popoli
aveva preso una forma repubblicana. Virgilio cant6 gli dei d'Enea
dieci secoli dopo 1'arrivo di quest' eroe nel Lazio, e rimise sotto
gli occhi de' Romani le risse e le gare puerili de' numi omerici
in un secolo in cui Lucrezio e Cicerone avevano bastantemente
analizzate e definite le divinitk del loro paese. L'Ariosto non si
propose che di divertire la brigata, e mise sulla scena i paladini
di Carlomagno, gl'incantesimi e le fate. II Tasso ha cantata Tinu-
tile e funesta spedizione delle Crociate, e 1'inglese Milton ha
cavato un poema dai tre primi capitoli della Genesi.
Dante senza seguire alcun modello, senza consultare le regole
ordinarie dell'uso, senza il soccorso abbagliante delle macchine
epiche, si aprl arditamente una carriera tutta nuova, eccitando
al piu alto grado Tinteresse e Tattenzione de' suoi contemporanei.
Non potendo innalzare al tuono dell'epopea le virtu e le azioni del
suo secolo, egli intraprese di fame la censura e di ritrattarne la
deformitk. E per veritk gli annali del mondo non avrebbero potuto
somministrare al di lui pennello materiali cosi abbondanti quanto
egli ne trove- nelle triste vicende nazionali e straniere alPepoca in
cui viveva. Tutto ci6 che Tignoranza e la barbaric, gli odi civili,
878 FRANCESCO TORTI
Pambizione, Postinata rivalitk del trono e delPaltare, una politica
falsa e sanguinaria ebbero mai d'odioso e di detestabile, tutto en-
trava naturalmente nel piano che il poeta si era proposto. II colorito
e la tinta di questi differenti oggetti & sempre proporzionato alia
loro nerezza, ed il suo pennello non comparisce mai tanto sublime
quanto allorch6 tratteggia fieramente gli orrori accumulati in quel
funesto periodo sulla met& delPoccidente cristiano.
Uno de* principali oggetti di Dante era di umiliare Firenze e
di spargere 1'orrore e la vergogna degl'attentati sanguinari sopra
tutte quelle citt& italiane che si erano piu fanaticamente distinte
nella persecuzione ghibellina. Quindi le frequenti apostrofi, con
cui egli inveiva or Tuna or Paltra di esse; le impetuose sortite, con
cui si scaglia contro i primi personaggi che v'ebbero parte, e quclla
cupezza di colorito con cui egli annerisce tutto ci6 che ha relazione
colla sua disgrazia.
Godi, Fir ens e, poicht se1 si grande,
che per mare e per terra batti l*ali>
e per lo 'nferno il tuo nome si spande.
Ma quelVingrato popoto maligno,
che discese di Fiesole ab antico,
e tien ancor del monte e del macigno , . ,
AMI Pisa, vituperio delle genti
del bel paese la dove il si suona :
poicM i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona , , .
Ahi! Pistoia, Pistoia, che non stanzi
d'incenerarti si che piii non durit
poichl in mai far lo senie tuo avansti, ec.1
Ma uno de' principali meriti che rende Dante superiore a se
stesso fe la nobile arditezza, colla quale egli sviluppa agli occhi del
suo secolo i vizi della politica e i falli di quegli uomini rivestiti
del supremo potere, che influirono si potentemente sul gcnerale
i. Le citazioni sono trattc dall'Jw/., xxvi, 1-3; xv, 61-3; xxxin, 79-82;
xxv, 10-2.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 879
sconvolgimento in cui trovavasi allora una gran parte del mondo
cristiano. II celebre personaggio, die rinunci6 al primo seggio del
mondo per 1'umile oscurit^ del ritiro, viene tratteggiato dal poeta
con una di quelle pennellate del genio, che colpiscono tanto piu
vivamente quanto il tratto e piu rapido:
guardai e vidi I'ombra di colui,
che fece per viltade il gran rifiuto.1
Bonifacio VIII, uno de' primari agenti della rovina del partito di
Dante, occupa anch'esso un luogo ben distinto in questo quadro
degli orrori morali e politici del suo tempo. Allorche" il poeta scri-
veva, allorch6 la sua penna si compiaceva di gettare il fiele del
risentimento sulla tomba di Bonifacio, le ceneri di questo ponte-
fice non avevano ancora avuto il tempo di raffreddarsi, e la Corte
romana era piena di un gran numero di sue creature capaci di
vendicarne la memoria. Ma tutto questo non lo trattenne, e ci6
ch'4 piu singolare si k che il suo pennello volendo colorire il ritratto
di Bonifacio scorre di passaggio ad adombrare il profilo di altri due
papi, uno de' quali lo precedette e 1'altro lo segui immediatamente;
il che termina di rendere il gruppo piu piccante quanto meno
aspettato.2 L'ombra di Nicola III capovolta nel foro simoniaco 6
quella che dialogizzando con il poeta d& introduzione alia scena;
- O qual che se* che il di su tien di sotto,
anima trista come pal commessa -
comincia* 10 a dir - se puoi, fa motto.
Ed ei gridd : - Se' tu gid costi rittot
se' tu gia costi rittof Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentl lo scritto.
Se' tu si tosto di quelVaver sazio,
per lo qual non temesti torre a inganno
la bella donnat e di poi fame strazio?
Se di saper ch'io sia, ti cal cotanto,
che tu abbi perd la ripa scorsay
sappi ch'io fui vestito del gran manto :
e veramente fui figliuol dell'orsa,
cupido si per avanzar gli orsatti,
i. Inf., in, 59-60. II v. 59 fe propriamente «vidi e conobbi Tornbra di
colui». 2. II lettore sensato non ha bisogno di essere prevenutp che i
vizi e 1'umane debolezze di alcuni papi, quali ha conservato la storia, nulla
tolgono alia santit^i del loro carattere, T. (Nota aggiunta nella II edizione.)
88o FRANCESCO TORTI
che su I'avere, e gui me misi in borsa.
Di sotto al capo mio son gli altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
per la fessura della pietra piatti.
E dopo lui verra di piu laid'opra
di ver ponente un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.
Nuovo lason saraf ec.1
Nel canto xxvn il carattere di Bonifacio viene ancora meglio
dettagliato nell'esposizione del piccantissimo aneddoto della presa
di Palestrina, a cui il poeta di principio con questi versi:
Lo principe de* nuovi Farisei
avendo guerra presso Laterano,
e non coy Saracin, ne con Giudei, ec.2
La casa reale di Francia, ch'ebbe tanta parte nellc rivoluzioni
di quel tempo, somministrava de' tratti singolari di storia, che il
poeta non ha mancato di fare entrare nel suo nuovo piano d'epopea.
Bisogna ricordarsi della lega che form6 Carlo di Valois, fratello di
Filippo il Bello, col pontefice Bonifacio ad oggetto di opprimere
i partiti e la liberte della Toscana: bisogna ricordarsi che prima di
questo tempo un altro Carlo di Valois3 avea portato in Italia la
desolazione e la guerra, occupando Napoli e la Sicilia; poi Tinfe-
lice esito di qucsta occupazione; poi le accanite dissensioni del re
Filippo con il papa, Toltraggio sanguinoso fatto al pontefice in
Anagni, I'estinzione delFordine de' Templari, ec,, tutti oggetti
vivamente interessanti, sopra i quali il rapido pennello di Dante
si compiace di spaziare colla sua ordinaria energia. II poeta di-
pinge i tristi luoghi del Purgatorio, ove sono racchiusi ad espiare
le loro colpe gli ambiziosi ed i conquistatori. Egli vi ravvisa Ugo
Capeto primo stipite della casa di Francia, e quest'ombra penante
del padre di tanti re vi esala il suo dolore in tal modo che sembra
piti vivamente lacerata dalle ree prevaricazioni della sua discenden-
za, che dai tormenti di un fuoco divoratore:
Jo fui radice della mala pianta
che la terra cristiana tutta aduggia,
si che buon frutto rado se ne schianta.
i. Inf., xix, 46-8, 52-7, 67-75, 82-5. 2. Inf., xxvn, 85-7, 3.^71 altro
Carlo di Valois : il Torti confonde con Carlo I d'Angi6.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 88l
Chiamato fui di la Ugo Ciappetta:
di me son nati i Filippi e i Luigi>
per cui novellamente & Francia retta.
Figliuolfui d'un beccaio di Parigi:
quando li regi antichi venner meno
tutti, fuor ch'un renduto in panni bigi . . ,
Li comindo con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia per ammenda
Ponti e Normandi prese e la Guascogna.
Carlo venne in Italia, e per ammenda
vittima fe* di Curradino> e poi
respinse al del Tommaso per ammenda.
Tempo vegg'iOj non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
per far conoscer meglio e se e i suoi.
Sensfarme rtesce e solo con la lancia
con la qual giostrd Giuday e quella ponta
si che a Fiorenza fa scoppiar la panda,1
Niente sfugge al pennello di Dante. Voi vedrete nella macchina
del suo poema tutti i personaggi celebri del suo tempo delineati
e descritti secondo le loro qualit& rispettive. Rodolfo imperatore,
Ottachcro re di Boemia, Filippo TArdito, Federico di Sicilia,
Giacomo d'Aragona ec., tutti questi principi hanno un luogo
distinto neila prospettiva ch'egli fa dello spirito del suo secolo.
Alcuni di essi vengono delineati in maniera che sono riconoscibili
ai semplici tratti della loro fisonomia. Tale e per esempio il colpo
di pennello, con cui il poeta tratteggia Filippo FArdito senza
nominarlo,
E quel nasetto che stretto a consiglio
par con colui ch'ha si benigno aspetto,
mori fuggendo e disfiorando il giglio.2
Ma che dir6 della prodigiosa quantitk d'aneddoti e di partico-
larit^i istoriche riguardanti tante persone meno illustri, e ch'egli
ha inserito nella tela del suo poema senza alterarne la macchina
e la gravit^ ? II lettore potr& giudicarne da se medesimo senza che
io m'impegni ad entrare in un dettaglio quanto lungo, altrettanto
superfluo. Egli ve n'ha profusi d'ogni qualita, d'ogni genere, d'ogni
maniera: alcuni teneri e passionati, come Tawentura di Francesca
I. Purg,, XX, 43-5, 49-54, 64-75. 2. Pwg-* vn, 103-5.
56
882 FRANCESCO TORTI
d'Arimino; altri cupamente tragic! e terribili, come il conte Ugo-
Hno e Pietro delle Vigne; altri d'una fierezza grandiosa, come la
storia di Farinata e del partito de' bianchi\ altri d'un patetico dolce
e tranquillo, come la morte di Manfredi e di Buoncuore;1 altri
curiosi e piccanti, come i dialoghi e le confessioni di lacopo Ru-
sticucci, di Vanni Fucci, del Mosca, di Guido di Montefeltro, di
Pietro da Medicina, di frate Alberigo, ec. Si direbbe che il poema
di Dante non e che la storia domestica de' suoi cittadini e de'
suoi nazionali, e come ciascun popolo avrebbe potato riconoscervi
il suo carattere e le sue vicende, cosi ciascuna famiglia avrebbe
potuto leggervi le disgrazie e gli errori o delFavo o del padre o di
se medesima; ci6 che, unito felicemente alia energica e grandiosa
tela di quanto offriva di piu importante la politica e la storia, viene
a formare della Divina Commedia un monumento il piti interes-
sante ed originale fra quanti ne ha prodotti in poesia lo spirito
umano.
Tale e il punto di vista, sotto cui bisogna osservare Finsieme
dell'opera di Dante. Quando egli venga giudicato con questa re-
gola di giudizio, spariranno le piccole censure che si sono scagliate
contro di lui da alcuni spiriti superficial!, i quali, disgustati dalla
rugginosita che ricopre il poema, non si sono curati di penetrare
nel fondo delle grandi bellezze che vi sono racchiuse. Essi, per
esempio, non sanno perdonare a Dante di aver preso Virgilio per
compagno e per guida nel suo fantastico viaggio delPaltro mondo;
di aver trasformato Fautore A&lVEneide in un teologo barbaro e
pedante; di aver posto Catone in Purgatorio, Rifeo e Traiano in
Paradiso; di aver associate assurdamente Enea con S, Paolo; i
misteri della fede colle favole del paganesimo; i sistemi della filo-
sofia greca colle arabe sottigliezze della scolastica.*
Come rispondere a tutte queste formidabili accuse? Con due
sole parole. I critici hanno ragione, ma la loro critica non 6 di alcu-
na conseguenza. Guai a noi, dice Virgilio scrivendo agli Arcadi,3
guai a me, guai ad Omcro e a tutti i poeti del mondo, se Dante non
i, Buoncuore: il Torti intende Buonconte da Montefeltro, 2. Essi...
scolastica : per la maggior parte queste censure corrispondono a quelle del
Bettinelli nella seconda delle Letter e virgiliane. 3. «Amico mio,» diss'io
rivolgendomi verso Omero (fguai a noi se questo poema fosse pifo re-
golare e scrittp tutto di questo stile », Bettinelli, Lett[ere\ di Virgilio agli
Arcadi, [ed. cit., p. ir, dove per6 si legge «caro», invece che mto], T.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 883
avesse i difetti che gli vengono rimproverati! Ma questi difetti,
ripetiamolo, siccome appartengono meno al poeta che al tempo in
cui egli scrisse, cosi non distruggono in nessuna maniera la supe-
riorita del suo merito reale. La lingua ed il secolo di Dante erano
barbari. II gusto arido e bizzarro del genio gotico avea infettato
i principii di tutte le arti, e deformava tutti i prodotti delPingegno
e della mano delPuomo. La scoltura, la pittura, Parchitettura di
quel tempo non presentavano che un'aria grottesca e manierata.
Dante cresciuto in mezzo a questi monumenti di stravaganza co
me poteva non risentirne anch'esso la trista ed inevitabile influen
za? Ecco perci6 il suo genio in preda al grottesco ed al bizzarro;
eccolo cupo, ineguale, slegato; ma in mezzo a queste irregolarita
egli e sempre il genio di Dante, vale a dire il genio d'un'anima
ardita, sublime, robusta e pensatrice.
Questo carattere d'originalita, che spicca in ogni parte della
macchina epica dantesca, diviene anche piu luminoso osservandolo
dalla parte dello stile e delPelocuzione. Gli stessi suoi piu accaniti
detrattori non sanno negargli questa marca di superiorita, e per
consenso di tutti Dante e il poeta delPenergia e delPevidenza.
Gettiamo un'occhiata anche su questa parte della sua preminenza
poetica, che lo contraddistingue in paragone di tutti gli altri.
£ ben difficile che nella storia letteraria di tutte le nazioni si trovi
Pesempio d'un uomo solo che sia stato il creatore ed il perfeziona-
tore insieme della sua lingua. Prima di Omero Pidioma greco era
elegante e poetico; la Tebaide e il Velio d'oro1 erano due poemi
che avevano preceduto la comparsa dell'IZzVwfe, ed avevano riscossi
gli applausi della nazione. Pacuvio ed Ennio avevano perfettamente
sbozzato Pidioma latino, che Virgilio ed Orazio resero si ele
gante un secolo dopo. II sublime Corneille in Francia era stato
preceduto da venti poeti, ed il genio di Shakespear trov6 tutto
preparato in Inghilterra per far brillare con tanta energia i pu-
gnali della tragedia inglese. AlPincontro in quale stato di barbaric
non era la lingua italiana allorch.6 Dante prese la penna? Un
linguaggio, o piuttosto un suono aspro, snervato, disarmonico, che
nella bocca dei Guittoni e dei Bonagiunta giungeva appena ad
ottenere una forma di metro ed una languida impressione dei mo-
i La Tebaide k uno dei « poemi ciclici » ; non si hanno invece notizie pre
cise di poemi sul Velio d'oro, e in genere sull'impresa degli Argonauti,
anteriori ad Omero.
FRANCESCO TORTI
vimenti delFanima. Conveniva sollevarsi al di sopra di questo
caos di rozzezza e di torpore; conveniva svolgcrne i gcrmi dell'ele-
ganza e del gusto, ricondurvi Tordine e Tarmonia, fissarne il mo-
vimento e Fespressione, e per un tratto del solo genio awivare
questa massa disanimata di parole col sacro fuoco dell'eloquenza e
deirentusiasmo poetico. Tali erano i prodigi riservati a Dante.
Invano si vorrk crudamente opporgli ch'egli stesso e pieno tal-
volta de' difetti che avrebbe dovuto evitare. Ah! quest'abuso della
critica e atroce! Dante e il padre della nostra lingua e della nostra
poesia; ecco una veritk incontrastabile. I suoi pezzi migliori non
sono mai stati superati da alcuno. Se la lingua italiana ha uno stato
di fissazione e di carattere, essa Pha ricevuto da lui. L/idioma ita-
liano, grazie alia sua meravigliosa pieghevolezza, ha saputo prendere
nelle mani d'abili artisti tutte le forme chc si e voluto aclattargli ;
esso ha Taria greca in Guidi e Chiabrera; e abbigliato alia latina
in Savioli e Parini; e divenuto celtico e settentrionale nelPimmorta-
le versione d'Ossian; ma quando vorremo spogliarlo cli questi co-
lori stranieri, quando noi vorremo osservarlo nclla sua venustsk
originale, esso ci comparir& sempre sotto le forme elegant! e pre
cise che gli ha impresso da principio il fondatore del nostro Par-
naso. Chi & oggi nel secolo decimonono chc osi vantarsi di supe-
rare, non dir6 Fenergia e Fevidenza (pregi decisamente suoi propri,
che lo costituiscono senza imitatori, come senza modello), ma
la grazia, il morbido e la freschezza di alcuni tratti di Dante?
Chi rested insensibile alia bellezza di questi versi ?
Dolce color d? oriental zaffiro,
che s'accoglieva nel sereno aspetto
deWaer puro, infino al prime giro,
agli occhi miei ricomincid diletto,
tosto ch'io usd fuor dell* aura mortat
che m'avea contristati gli occhi e '/ petto.
Lo bel pianeta, ctiad amar conforta,
faceva tutto rider Voriente,
velando i Pesci, chy erano in sua scoria.
lo mi volsi a man destrat e posi mente
aWaltro polo, e mdi quattro stelle
non viste mait fuor ch*alla prima gente.
Goder pareva il del di lor fiammelle.
0 settentrional vedovo sito,
poi che private $e* di mirar quelle! ec.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 885
Io vidi gia net cominciar del giorno
la parte oriental tutta rosata,
e Valtro del di bel sereno adorno:
e la faccia del sol nascere ombratay
si che, per temperanza di vapori,
Vocchio lo sostenea lungafiata:
cost dentro una nuvola di fieri
che dalle mani angeliche saliva,
e ricadea in giii, dentro e di fuori,
sovra candido vel, cinta d'oliva,
donna m'apparve sotto verde manto,
vestita di color di fiamma viva, ec.
A noi venia la creatura bella,
bianco vestita e nella faccia quale
par tremolando mattutina Stella.
Le braccia aperse, ed indi aperse Pale:
disse: - Venite; son qui presso i gradi,
ed agevolemente omai si sale, ec.1
II Petrarca, tanto celebrate per il poeta della dolcezza, put*
egli vantare una facilita e morbidezza di colorito superiore a que-
sta? Ed osservate che il Petrarca scriveva un mezzo secolo dopo.
Coloro che insultano con tanta facilita alia riputazione di Dante,
vorrei che mi additassero le sorgenti da cui egli ha ricavato quel
terribile e quel fiero che & per cosi dire il tuono naturale della sua
musa. Vorrei che mi citassero il poeta greco e latino che abbia
potuto somministrargli Pidea di quella profondita e di quella for-
za di stile che si ammira da un capo alPaltro del suo poema.
Per me si va nella citta dolente:
per me si va nelVeterno dolor e:
per me si va tra la perduta gente,
Giustizia mosse 'I mio alto fattore:
fecemt la divina potestatet
la somma sapienza e '/ primo amore.
Dinanzi a me non fur cose create
se non eterne, ed io eterna duro:
lasciate ogni speranza voi che 'ntrate, ec.
i.Purg., I, 13-27; XXX, 22-33; xn, 88-93.
886 FRANCESCO TORTI
E gia venla su per le torbid* onde
un fracasso d'un suon pien di spavento,
per cui tremavan ambedue le sponde;
non altrimenti fatto che d'un vento
impetuoso per gli avversi ardori,
che fier la selva, e senza alcun rattento
li rami schianta, abbatte e porta fuori:
dmanzi polveroso va superbo,
e fa fuggir le fiere e gli pastori.
Ora incomincian le dolenti note
a farmisi sentire: or son venuto
la dove molto pianto mi percuote,
lo venni in luogo d'ogni luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti e combattuto, ec.1
Se i talenti superiori, i quali si aprono una nuova strada nella
camera delle belle arti, meritano giustamente gli omaggi degli uo-
mini, Omero e Dante hanno un diritto speciale alia nostra amrni-
razione e al nostro rispetto. lo non pretendo di mettere nella stessa
linea il merito dell'uno e dell'altro; dico soltanto che, se Omero
e il padre di tutti i poeti, bisogna eccettuare da questa lista Dante
Alighieri. DalPepoca del primo fino al secondo vi e corso un
intervallo di circa ventidue secoli. Questo lunghissimo tratto di
tempo e stato riempito da un piccol numero di poeti greci e latini,
ognuno de' quali si e fatta una legge d'imitazione, studiando tutti
al medesimo fonte, e avendo sempre innanzi agli occhi lo scrittore
dell'Iliade e dell'Odissea. Questa si lunga e costante abitudine in
riconoscere una sola regola di gusto ha prodotto un certo numero
di belle copie e nessun quadro originale. II colorito d' Omero e
scorso a piccoli ruscelli sulla tela de? suoi scrupolosi imitatori.
Essi non veggono gli oggetti che sotto il medesimo profilo. Tutti
i fenomeni della natura sono dipinti airomerica. II mattino per
essi e costantemente r Aurora, che lascia il letto di Titone ed apre
al sole le porte del giorno; la sera & Febo, che si attuffa nelFoceano
col suo carro di luce; i venti sono esscri personificati, di cui cia-
scuno ha il suo carattere ed il suo nome; le tempcste e la calma
sono sempre all'ordine del tridente di Ncttuno; le fonti, i fiumi,
le stagioni, la pioggia, Tarco baleno sono altrettante minori deita,
i. Inf., tn, 1-9; ix, 64-72; v, 25-30.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 887
di cui si conoscono anticipatamente le forme, gli offici, il ca-
rattere e fino le diverse parti del loro abbigliamento. In tal guisa
Tidee mitologiche d'Omero inceppavano ad ogni passo i fenomeni
della natura e ristringevano rimmaginazione de' poeti imitatori.
E inutile aspettar da essi un'idea nuova e originate, un'immagine
ardita, che colpisca per la sua novit& e grandezza: molto meno voi
incontrerete nel gusto greco quelle mezze tinte, quei dolci colori
del sentimento, quei tocchi fievoli e mancanti, che sono Pespressio-
ne delPanimaj e dipingono cosi bene il quadro delle malinconiche
passioni.
Dopo la rivoluzione di tanti secoli, dopo il cangiamento essen-
ziale in ogni genere di sistema politico, morale, religioso e lettera-
rio, il nostro Dante prese a considerare la natura in un aspetto
tutto nuovo, e vi scopri delle bellezze sconosciute o sfuggite alia
scuola omerica. I fenomeni delPuniverso lo colpivano con forza;
il morale agiva sopra il suo spirito con un'influenza profonda. Egli
ha espresso le immagini della sua fantasia, come i sentimenti del
suo cuore, con un'energia di colorito, di cui prima non si aveva
Pidea. Dolce e terribile a vicenda egli ha secondato fedelmente
gli impulsi della natura, la quale non & sublime che per la sua
indefinibile fecondita. Vuol egli dipingere la sera? Addio Febo,
addio cavalli, addio carro del sole; addio tutte Pidee trivial! e ripe-
tute dalPantico Parnaso. La sera non & agli occhi di Dante che il
momento delle triste e tenere rimembranze; Pora in cui il senti
mento del cuore umano, distratto dai romori del giorno, ripiglia
i suoi diritti e si abbandona alle patetiche impressioni della
tristezza,
Era gib Vora che volge il disio
d naviganti, e intenerisce il cuore
lo dl ch'han detto ai dolci amid addio,
e che lo nuovo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontanof
che paia '/ giorno pianger che si muore.1
II fiume Po non & piii quei mostro virgiliano,
. . . gemina auratus taurino cornua vultu
Eridanus.2
x. Purg., vin, 1-6. 2. Georg., iv, 371-2 («Eridano dalle coma derate sul
volto taurino »).
000 FRANCESCO TORTI
Ma Francesca da Rimini ve n'offre un'idea piu toccante e
piti vera:
Siede la terra, dove natafui,
sulla marina dove il Po discende
per aver pace cd* seguaci sui.1
Vuol egli dipingere in un altro luogo la serenitk d'un bcl mattino
di primavera; d'un mattino limpido, puro e degno, per cosl dire,
della prima innocenza del mondo ? Ascoltiamolo :
Temp' era del principle del mattino;
e il sol montava in su con quelle stelle
ch'eran con lui quando Vamor divino
mosse da prima quelle cose belle?
Che immagine piena di semplicitik insieme e di grandezza!
<cll sole)) dice il poeta « montava accompagnato » non gik dalle
stelle piii grandi o dalle piti belle del cielo, ma «da quelle stelle
ch'eran con lui » ne' primi momenti della creazionc. Non si scorge
qui riunita la grazia e la delicatezza di Gesner3 alia sublimity di
Milton?
Scorrete la Divina Commedia\ voi incontrerete ad ogni pagina
de' passi somiglianti supcrbamente scritti, che vi contrassegnano
un'anima viva, energica, profonda, originale e creatrice. Dante
non deve ad alcuno ne* le sue bellezze, n6 i suoi difetti, e questo
& ci6 che gli assegna un posto speciale non solo nel nostro Par-
naso, ma fra tutti i poeti dopo Omero. Le sue immortali bellezze
non periranno giammai; esse brillano tutfora d'una luce divina,
malgrado la ruggine gotica da cui sono coperte. Invano una falsa
delicatezza di gusto calcola freddamente il maggior numero de'
versi cattivi sopra i buoni. Dante e grande malgrado i suoi cattivi
versi e le sue negligenze; s'egli non ne avesse in gran numero,
bisognerebbe preferirlo a tutti i poeti. Nessuno ha preteso incen-
sare i difetti e le macchie di questo scrittore; ma cosl ruvido e
irregolare com'&, egli & il creatore della poesia italiana; egli & il
padre de' poeti; egli & il poeta de' grand'uomini; egli ha formato
1'Ariosto, Minzoni, Monti e in gran parte il sublime AlfierL Ma
che dico il « padre de' poeti »? Michelangelo, il gran Michelangelo,
x. Inf., v, 97-9. 2. Inf., i, 37-40. 3. la grazia . . . Gesner: in questo giu-
dizio sul Gessner si avvcrtc Toco della valutaasionc del Bertola.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO
il genio piu originale che abbia illustrate le belle arti del disegno,
egli stesso e un allievo della sua scuola. La lettura di Dante era
per esso ci6 che era per Apelle e Fidia la lettura di Omero.
CAPITOLO VII
DeirAriosto. Feconditd originale del suo genio paragondbile
ad Omero. Sua gran cognizione del cuore umano. Difetti
dell\( Orlando » facilmente riparabili*
Quando ho detto che Fepica romanzesca e un nuovo genere
create da' moderni, capace d'interessare il cuore e sublimare lo
spirito, io aveva in vista principalmente il celebre Furioso di Ludo-
vico Ariosto. Questo genio fervido, immaginoso, sublime ha ve-
duto in tutta 1'estensione la brillante fecondita del genere ch'egli
trattava; egli ne ha rilevato le bellezze, ne ha create delle nuove,
ne ha mascherati e ne ha resi amabili anche i difetti. Non vi voleva
meno che Tinesausto ed animato pennello di Ludovico per presen-
tare al lettore de* quadri chimerici e nondimeno interessanti; del-
Favventure inverosimili e che tuttavia impegnano ; un mondo tutto
nuovo e fantastico, per cui nondimeno noi ci scordiamo dolcemen-
te di quello che abbiamo sotto gli occhi. II Furioso ha portato
1'epica romanzesca al piu alto grado di perfezione di cui poteva
esser capace. Se questo poema non e il piu grande, il piu sublime
di tutti, la colpa non & delPautore, ma del genere medesimo e della
natura, se oso dirlo, la quale non soffre la perfezione in un ordine
di cose che manca della base essenziale del verosimile. Frattanto
questa inimitabile e magnifica produzione ha dilatato press o gli
esteri la gloria del Parnaso italiano; e mentre gli oscuri versi di
Dante e Petrarca stancavano ancora le superstiziose penne de'
comentatori nazionali, il poema dell'Ariosto passava rapidamente
di clima in clima, e ricevea, per cosl dire, una nuova vita dalle
diverse traduzioni che ne hanno fatto le piu colte lingue d'Europa.
Nessun poeta ha avuto il talento di descrivere piu vivamente le
cose e gli awenimenti; nessuno ha meglio veduto la natura ne*
suoi piu variati e moltiplici aspetti. Questa benefica madre lo
avea arricchito d'una fantasia vasta, feconda e capace di abbrac-
ciarla nella sua immensitk. Egli ha tutto veduto coll'occhio del
I. Dal Prospetto del Parnaso italiano, ed. cit, I, pp. 144-79-
890 FRANCESCO TORTI
genio; egli ha descritto una prodigiosa quantiti di fenomeni fisici
e morali, i di cui original! non si sono giammai presentati alia
sua vista. Si e detto che Omero non sarebbe stato il pittore della
natura, se non avesse viaggiato la metk della sua vita. Ci6 potdi
esser vero; ma Fautore del Furioso, che in linea di colorito merita
almeno di esser paragonato ad Omero, non e stato viaggiatore
e ci somministra un grand'esempio di quanto e capace 1'immagi-
nazione concentrata in se stessa.
L'Ariosto nacque in Reggio d'una famiglia strettamente attinente
ai sovrani di Ferrara. II duca Alfonso d'Este che aveva degli inte-
ressi da discutere con il papa Giulio II voile inviarlo in Roma,
in qualitk d'ambasciatore per trattarvi un accomodamento, e que-
sto fu il prii lungo viaggio di Ludovico. I preliminari di questa
negoziazione furono per riuscirgli fatali; egli non sapeva quanto
bisognava guardarsi dalla diplomatica di Giulio II. Questo papa,
che faceva allora la guerra al concilio di Pisa, alia Toscana e alia
Francia, credette di poterla fare piu facilmente ad un ambasciatore
poeta; in conseguenza furono dati degli ordini segreti perche" Lu
dovico fosse gettato nel Tevere. L'aneddoto e incontrastabile, e
Pex-gesuita Tiraboschi lo riporta fedelmente nella sua storia della
letteratura italiana.1 Fuggito da Roma egli si ricondusse a Ferrara
nella corte de' suol mecenati, ma ci6 non fu che per incontrarvi
nuove umiliazioni e nuovi disgusti.
Egli si occupava da lungo tempo nella formazione del suo Or*
lando furioso. Dopo dieci anni di travaglio ne diede ai pubblico
la prima parte, e dedic6 1'opera al cardinale Ippolito d'Este, che
veniva lodato prodigiosamente in molti luoghi del libro. Questo
e il primo poema, io credo, ricevuto con disprezzo dallo stcsso me-
cenate cui venne offerto, e che nondimeno gli e debitore deirim-
mortalita. II cardinale dopo averne ascoltato sorridendo alcuni can-
ti, si rivolse al poeta, e gli disse con quell'aria di superiore intelli-
genza cosl familiare ai grandi: — Come mai siete riuscito a metter
insieme tante buffonerie? — La posterity Tha ben vendicato da
questo motto oltraggioso.
i. Bisogna distinguere, ed io lo protesto, in Giulio II il capo visibile della
Chiesa dal principc temporal^ ; ed in questo solo ultimo ruppotto io mi so
no permcssso di rilevare un tratto violento del suo carattere, che volea levar
la vita ad uno de' pih grandi pocti della terra, ed all' Italia uno de' primi
monument! della sua letteratura, T, (Nota aggiunta nella n edizione.)
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 89!
L* Ariosto si Iasci6 sedurre dal gusto e dai pregiudizi del suo
tempo, che riguardavano Tantica cavalleria come Pistituzione piu
sublime dell'onore e dell'eroismo. Egli forse si persuase che i suoi
contemporanei non avrebbero saputo gustare un'altra specie di
sublime, e quindi non si dette la pena di ricercarla. Con queste idee
nello spirito egli precipit6 la scelta del soggetto e svilupp6 quel
vasto piano di poema che noi leggiamo in quarantasei canti. Gli
Italiani per una specie di voto unanime gli hanno consacrato il
titolo d' Omero ferrarese; e sebbene Vlliade e V Orlando non abbia-
no niente di comune fra loro, nondimeno questa espressione del
giudizio nazionale racchiude a mio parere un gran senso. Si &
voluto forse dire con ci6 che Tanime di questi due poeti hanno,
se i lecito dirlo, un contorno medesimo, una stessa fisonomia; si e
voluto forse dire che F Ariosto nelle circostanze e nel secolo d'O-
mero avrebbe prodotto YIliadet come Omero avrebbe scritto Or
lando, se fosse vissuto ne' tempi e nelle circostanze deU'Ariosto.
Ma in tutto il resto questi due figli gemelli delle Muse non hanno
piu fra loro alcuna rassomiglianza ; ed i loro poemi differiscono tanto
Puno dall'altro quanto era diverso il secolo delP Omero greco da
quello del ferrarese.
Omero ha dipinto gli uomini e gli dei delle prime eta; Ariosto
ha dipinto gli eroi dell'onore e delPamore. Omero aveva per guida
la semplicit& originate delle antiche tradizioni; P Ariosto ha do-
vuto servire alPidee, alPopinioni, al costume del suo tempo. Omero
ha descritto le guerre e gli interessi delle popolazioni nascenti;
P Ariosto ha dipinto Pawenture del secolo di Carlo Magno ed il
costume del sistema feudale. Le passioni dey personaggi d' Omero
erano semplici, unisone e vigorosamente sentite; le passioni ed i
caratteri espressi dalP Ariosto erano il risultato di mille combina-
zioni politiche e morali, di sentimenti fattizi e di costumi bizzarri.
Nell'J/zVftfe la gloria della nazione anima i Greci; nel Furioso il
punto d'onore £ Pelemento de7 cavalieri. Le divinita e le macchine
religiose occupano una gran parte del poema greco : Minerva e Giu-
none, Venere e Apollo precipitano o sospendono i combattimenti,
affrettano o ritardano i decreti del fato. L'onore e Pamore sono i
veri numi che danno il movimento alia gran mole deU'Ariosto, ed
un'occhiata, una parola d' Angelica, di Bradamante e di Doralice
armano i regni contro i regni e mettono in sconvolgimento la
meta della terra.
892 FRANCESCO TORTI
Piii si rawicinano insieme i vari tratti caratteristici dc' due poe-
mi, piu si resta convinti che i loro autori dovevano per necessita
allontanarsi fra loro nella esecuzione e nel disegno. Infatti quale
enorme distanza non dovra separate due epiche azioni, in una
delle quali le donne non agiscono punto, mentre nell'altra esse ban-
no la piu attiva ed essenziale influenza? Nel poema greco Elena
ed Andromaca, uniche donne che vi compariscono, non si mo-
strano che due o tre volte, e non interessano giammai; laddove nel
poema italiano Angelica, Olimpia, Doralice, Bradamante, Fior-
diligi, Isabella, Marfisa, ec. empiono tre quarti del poema, sono
intimamente legate coll'mteresse generale, e contribuiscono al-
rinviluppo come allo scioglimento delFazione. L'Omero ferrarese
vide assai bene il nuovo e vasto campo che gli apriva davanti il suo
soggetto indipendentemente da qualunque imitazione degli anti-
chi; e mentre egli travagliava ad eseguirlo, si proponeva tanto
poco di somigliare ad Omero, quanto un secolo dopo il gran Cor-
neille scrivendo il Cid pensava di essere I'imitatore di Sofocle e
di Euripide.
Lo stesso colpo d'occhio del genio gli fece vedere che il nuovo
genere da lui maneggiato non gli permetteva di assoggettarsi alle
regole ordinarie delParte, e specialmente alle tre unita di tempo,
di luogo e di azione. Lo spirito di cavalleria non mai disgiunto
da quello dell'indipendenza trascinava i cavalieri da un'impresa
alPaltra e li rendeva incapaci di restare lungamente sotto gli stessi
ordini e gli stessi stendardi. Inoltre il cavaliere e Teroe erano ri-
putati tanto piu grandi e magnanimi, quanto piu agivano soli ed
isolati nell'intraprendere e terminare le strepitose avventure. La
subordinazione era una virtu sconosciuta, e il punto d'onore dava
spesso al cavaliere il funesto diritto di sfidare alParme lo stesso
sovrano. Un poema dunque che doveva presentare il quadro del-
Pentusiasmo, dell'impetuosita, della follia cavalleresca, come avreb-
be potuto conservare quella scrupolosa unita d'azione e quella rc-
golarita d'andamento, ch'e il pregio ordinario degli altri poemi?
L'epopea dell'Ariosto doveva essere in conseguenza viva, disordi-
nata e bizzarra, come il caratterc degli eroi di cui ha celebrate
le imprese.
Ma all'incontro quali e quanta bellezze nuove, grandi e luminose
non risultavano da questa pretesa violazione di regole? Come il
poeta seguendo il corso impetuoso di tante passioru diverse mol-
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 893
tiplica mirabilmente le situazioni e gli awenimenti, e risveglia ad
ogni istante Finteresse! Come non sembra ch'egli passeggi, per
cosi dire, sopra tutti i climi della terra, e il mondo ch'egli abbraccia
nella sua idea non s'ingrandisca e si estenda sotto la sua penna?
La grande scena dell'azione del poema si agita intorno alle mura
di Parigi. Un re africano del nono secolo, guidato da un senti-
mento brutale di vendetta, aduna un immenso esercito d'Arabi
e di Mori, e si rovescia colFimpeto della rabbia suirimpero occi-
dentale di Carlo Magno, ch'egli pensa distruggere. L'imperatore
cristiano oppone a questo diluvio di barbari tutto ci6 che il valore,
la costanza ed il coraggio hanno di piu grande e di piu eroico. I
cavalieri delle due nazioni, divisi di religione e d'interesse, ven-
gono a cercare in questa celebre contesa le piu estreme occasion!
da segnalare la loro gloria e la loro bravura. Ma Famore, Famici-
zia, la gelosia, il punto d'onore, il partito, mille passioni different!
attraversano ad ogni passo Foggetto primario di questi movimenti,
e snervano e dividono Funanimita di tanti sforzi riuniti. Orlando,
Rinaldo, Bradamante, Astolfo da una parte, Ruggiero, Rodomonte,
Mandricardo, Marfisa, Gradasso dalFaltra, hanno ciascuno de-
gPimpegni personal! che li dividono, e degl'interessi troppo cari
al loro cuore. Quindi il pericolo d'un'amante, la perdita d'un amico,
la riparazione d'un torto, il riacquisto d'un cavallo, d'un elmo,
d'una spada, e talvolta anche meno di questo, 6 bastante a de-
viare i cavalieri dall'oggetto primario e a trasportarli in dieci di
verse parti del mondo. Noi siamo obbligati a seguirli in Francia, in
Italia, in Alemagna, in Inghilterra, in Spagna, nella Siria, in Egitto,
nella Nubia, nelF Indie, e perfino al mondo della Luna. La novita
e la varieta de' quadri e delle situazioni si succedono senza inter-
ruzione ed impegnano ad ogni momento Fattenzione e la curiosita
del lettore. Ma in mezzo a questo tumulto, a questo fracasso, a
questo disordine apparente d'intrighi e di movimenti, un filo na-
scosto e impercettibile lega insieme ed unisce le diverse parti
della gran macchina, e le rapporta ad un centro comune. Talvolta
voi crederete di perder di vista un personaggio, che, trascinato da
un oggetto straniero, sembra esser fuori della sfera del movimento
generale. AlFimprowiso la scena & cangiata: un incidente, un
colpo inaspettato lo rimbalza nel vortice piu vivo delFazione, e
si riconosce ch'egli non apparteneva tanto da vicino all'interesse
primario, quanto allorch.6 sembrava esserne piucch6 mai allonta-
§94 FRANCESCO TORTI
nato. II talento delPintreccio e della combinazione & per veritk
portentoso neirAriosto. II suo genio fecondo e creatore, quasi
Hbrato al di sopra dell'universo, sembra presiederc a tutti i moti
come a tutte Ic passion! degli uomini, e nella sua vasta immagina-
zione animando ed abbracciando un immenso circolo di cose, egli
guida, per cosl dire, la natura per mano, e potrcbbe dirsi di lui ci6
che un antico scrisse in altro proposito :
Mundum mente gerens, similique imagine for mans.1
Tale & il genio creatore e macchinoso deU'Ariosto. Ma se egli
4 gran poeta inventore, egli non 6 meno gran poeta pittore. L'ir-
landese sig. Sherlock, che si sforza d'abbassarne quanto piti pu6
la riputazione, paragona lo stile deirAriosto al colorito dell'Al-
bano;a ma egli s'inganna. II suo pennello ha spesse volte, 6 vero, la
freschezza, il ridente, il morbido di questo pittore; ma esso ha
anche spesso la forza e 1'energia di Michelangelo, il chiaro-scuro
e 1'evidenza del Correggio. Tutta 1'Europa ha reso giustizia alia
mirabil feconditk e varied del suo stile poetico,3
Tremd Parigi e torbidossi Senna
a Valta voce, a quelV orribil grido;
rimbombd il suon fin a la selva Ardenna
si, che lasciar tutte k fiere il nido;
udiron VAlpi e il monte di Gebenna,
di Blaia e d'Arli e di Roano il lido,
Rodano e Senna; udi Garonna e il Reno;
si strmsero le madri i figli al seno*
*
Gia potreste sentir come nmbombe
Valto rumor nelle propinque ville
d'urli e di corni e rusticane trombe,
e piu spesso che d* altro il suon di squille;
e con spuntoni e archi e spiedi e frombe
veder dai monti sdrucciolarne milte>
e altrettanti andar da basso ad alto,
per fare al pazxo un villanesco assalto.
i. Cfr. Boeasio, De cons, Phil., m, metr. ix, v. 8, e Dante, Com,, m, n, 17
(«Portando il mondo nelia sua mente, e formandolo a aomiglianza di
qucsta imrnagme))). z.Albano: il pittore Francesco Albani (1578-1660),
celebratissimo nel Scttecento. 3. A questo punto, nella i edizione, era in-
senta una nota (poi soppressa nella n) in cui veniva citato un giudizio
elogiativo sull'Ariosto, in verita piuttosto generico, del Linguet 4 Orl
fur., xxvn, loi, ^
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 895
Qual venir suol nel salsa lito Vonda
mossa da I'Austro, ch'a principle scherza,
che maggior de la prima e la seconda,
e con piii forza poi segue la terza;
e ogni volta piu Vumore abbonda,
e ne V arena piu stende la sferza:
tal contra Orlando Vempia turba cresce,
che giu da baize scende e di valli esce.1
Ecco sono agli oltraggi, al grido, alVire,
al trar de' brandi, al crudel suon dey ferri.
Come vento che prima appena spire,
poi comincia a crollar frassini e cerri,
et indi oscura polve in cielo aggiret
indi gli alberi svelga e case atterri,
sommerga in mare, e porti ria tempesta,
che il gregge sparse uccida alia foresta.
De' due pagani senza part in terra
gli audacissimi cor, le forze estreme
partonscono colpi ed una guerra
conveniente a si feroce seme.
Del grande e orribil suon trema la terra
quando le spade son percosse insieme;
gittano Varme insin al del scintille,
ansi lampade accese a mille a mille.2
Rimase a dietro il lido e la meschina
Olimpia, che dormi senza destarse
finche Vaurora la gelata brina
dalle dorate rote in terra sparse,
e s'udir le alcioni alia marina
delVantico infortunio lamentarse.
N6 desta ni dormendo, ella la mano
per Bireno abbracciar stese, ma invano . . ,
E corre al mar, graffiandosi le gote,
presaga e certa omai di suafortuna:
si straccia i crini, e il petto si percote,
e va guardando (che splendea la luna)
se veder cosa fuor che il lido puote,
n6, fuor che il lido, vede cosa alcuna;
Bireno chiama, e al nome di Bireno
rispondean gli antri che pietd n'avieno.
i. Orl. fur., xxiv, 8-9. 2. Or/, fur., xxiv, 99-100.
FRANCESCO TORTI
Quivi surgea ml lido estremo un sasso,
ch'aveano Vonde col picchiar frequents
cavo e ridutto a guisa d'arco al basso;
e stava sopra il mar curvo e pendents,
Olimpia in cima vi sail a gran passo
(cost lafacea Vanimo possente),
e di lontano le gonfiate vele
vide fuggir del suo signer crudele:
vide lontano, o le parve vedere,
che Varia chiara ancor non era molto;
tutta tremante si lascid cadere
piii bianca e piu che neve fredda in volto.
Ma poichd di levarsi ebbe poteret
al camin delle navi il grido volto,
chiamd, quanto potea chiamar piu forte,
piu volte il nome del crudel consorte.1
Ma affrettiamoci a rilevare in Ludovico un altro pregio non
meno prezioso e stimabile, c forse piii essenziale di quelli che
abbiamo finora osscrvato; pregio, che lo rendc in questa parte
superiore agli epici antichi, e gli assegna un luogo ben distinto
fra tutti i poeti moderni, lo parlo deirinteresse ch'cgli ha saputo
spargere nelle diverse parti del suo poema; interesse vivo, ani-
mato, figlio del genio e non delParte, risultato felice di una pro-
fonda cognizione del cuore umano, e tanto piu mirabile in esso,
quanto che egli & stato il primo fra i moderni che n'abbia scoperto
ed attivato le potenti risorse.
L/Ariosto interessa e per Tarte che possiede nel preparare e
sviluppare un intreccio, e molto piii per la scelta delle passioni che
muovono il cuore e prestano i materiali alPintreccio medesimo.
I Greci ed i Romani hanno conosciuto le passioni e ne hanno af-
ferrati i tratti piii decisi e piti marcati; ma essi si sono troppo
arrestati ai primi movimenti delPanima ed alle prime impressioni
del sentimento senza curarsi di penetrare nella vasta e indefinita
complicazione degli affetti; in tal guisa hanno essi piuttosto di-
pinto ed espresso 1'uomo della natura, che Tuomo inoltrato nelle
diverse posizioni della societa. Achille ^ collcrico e vendicativo;
egli si abbandona alFimpeto di queste passioni con una specie di
sensualit^ barbara; lo slancio della sua anima non i bilanciato da
alcun ostacolo, n6 dalla parte delle cose n<§ da quella del proprio
i /Or/, fur., x, 20, 22-4,
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 897
cuore. Questo carattere & senza dubbio fiero e terribile; ma e egli
ugualmente interessante ? Fedra, Medea, Elena, Didone sono i
caratteri piii appassionati che ci restano deirantico Parnaso : Di
done specialmente, il capo d'opera del genere sentimentale fra
tutte le produzioni della Grecia e di Roma. Ma la sorte di questa
disgraziata regina non ci tocca in Virgilio se non in quanto e
atroce la catastrofe che la termina. Togliete a Didone la disperata
maniera con la quale essa da fine a' suoi dolori, e tutto il resto
diviene pressoche" indifferente. La sua passione per Enea non 6
che un capriccio artificioso di Venere; essa ama per decreto degli
dei e del destino; il furore e Pindecenza accompagnano ogni suo
movimento. Sembra che il poeta latino si compiaccia di degradare
il cuore di questa eroina per fare la corte ai Romani, disonorando
in essa la culla delFimpero cartaginese; ma qualunque sia stato
il suo disegno, e certo che Tinteresse ne sofTre considerabilmente.
Nessuno potrk sinceramente attaccarsi alia sorte di una donna che
ha perdute le virtu del suo sesso; che dopo la sua prima segreta
unione con Enea,
. . .fama
e rispetto d'onor piu non Vaffrena . . .
. . . a cui poscia non calse
n£ della dignita, n6 dell'onore,
n6 della segretezza;1
di una donna per rilevare gli eccessi della quale si adoprano i
colori del piu cupo e disordinato furore:
. . . quale ai notturni
gridi di Citeron tiade, allora
che il triennal di Bacco si rinnova,
net suo moto maggior si scaglia e freme,
e scapigliata e fiera attraversando
e mugolando al monte si conduce:
tale era Didoz . . .;
di una donna finalmente, di cui gli ultimi respiri non sono che
orribili e furiose imprecazioni contro lo scusabile oggetto della
sua rabbia e del suo fatale attaccamento :
i. [Eneide\t Traduzione del Caro, [iv, 129-30, 259-61], T. z. Traduzione
di A. Caro, iv, 449-55.
898 FRANCESCO TORTI
ma caggia anzi il suo giorno, e nelV arena
giaccia insepolto . . .
. . . Anzi alcun sorga
dalVosse mie, che di mia morte prenda
alta vendetta, e la dardania gente
colle fiamme e col ferro assalga e spegna
ora, in future e sempre1 . . *
I moderni hanno conosciuta una strada piii sicura e piii delicata
per giungere al cuore e consegnarlo alle vive emozioni del senti-
mento. Lo spettacolo degli esseri penanti perseguitati dai rigori
del destino o della vendetta degli dei e senza dubbio commovente;
e tale era infatti il genere sentimentale conosciuto dagli antichi.
Ma esiste un altro genere di patetico piu toccante, pHi universale,
piti energico e piu sublime. Questo non consiste n<£ nei colpi
torbidi e personali delle celesti vendette, n<§ nei furori scandalosi
d'un cuore awilito. La virtiti sensibile in preda alia passione o in
contrasto con essa, ecco lo spettacolo interessante che agisce so-
pra tutti i cuori, perch6 tutti portiamo dentro di noi il germe di
quel sentimento d'elevazione che ci attacca vivamente a tutto ci6
che trasporta e mette Tuomo alle prese con se medesimo. II quadro
di questa lotta toccante, che richiama tutto il nostro interesse e
lo ritiene in un'ansiosa sospensione, e suscettibile di mille nuovi
e variati aspetti. Talvolta esso consiste nei contrasto violento e
nelle opposte sensazioni di un'anima tormentata da cento passio-
ni different*, la quale riagendo sopra se medesima comprime tutte
le molle della sensibilita, e fa risultarne quel torbido cupo e lace-
rante da cui ci sentiamo si vivamente penetrati. Talvolta voi lo
vedrete nello sforzo grandioso di un cuore fortemente colpito dai
sentimenti della gloria e dell'onore, che sacrifica le sue pito dolci
inclinazioni al dovere e la passione alia virtti. Talvolta esso2 si
sviluppa nei combattimento sublime ed animato de* grandi inte-
ressi e delle grandi passioni, che urtandosi e rispingendosi a vi-
cenda agiscono neiranima dello spettatore con pari energia, e
formano di diverse, opposte e profonde sensazioni un luminoso
tcatro di virtti, d'umanita, di grandezza. Tale ^ il fonte del nobile e
vivo patetico dove hanno attinto i moderni, e di cui e pieno il
teatro, Tepopea, il romanzo: fonte inesausto, perch£ innumerabili,
i. Traduzione di A. Caro, iv, 951-2, 958-62. 2. esso: tanto la I edkione
che la u hanno « cssa » ; ma il contesto richicdc la lezionc da noi adottata.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 899
immense, indefinite sono le forme e gli aspetti sotto i quali si
combinano e si sviluppano le affezioni del cuore umano; fonte
vasto e profondo, perch6 niente piu arriva a scuoterci e ad in-
fiammarci quanto il forte e vivo movimento delle opposte passioni,
quanto il grido acuto del sentimento in preda alPurto di se mede-
simo, e quanto Televata grandezza de' caratteri sublimi, che im-
molando se stessi alFordine e alia virtu formano la felicita de'
nostri simili e divengono la scuola del genere umano.
L'Ariosto ha conosciuto il primo la natura e le varie gradazioni
di questo nuovo patetico interessante, e ne ha sparso in tutto il
poema i piu felici e commoventi risultati. Voi vedete la dolce e sen-
sibile Olimpia gia pronta a dare la liberta, il regno e la vita per sal-
vare dalle mani del tiranno il suo diletto Bireno; ma se essa e
in preda alle lagrime, se essa e lacerata dal piu fiero dolore, ci6
non e gi& in vista delPorribile sacrificio di se medesima: essa si
affanna unicamente perche" teme che la sua morte non basti ad
assicurare la salvezza del caro amante. Olimpia non solo ama Bi
reno piu di se stessa, ma vede nel sacrificio della sua vita qualche
cosa di piu insopportabile della morte medesima. Noi non pos-
siamo ascoltarne i gemiti e le querele senza sentirci straziare dal
suo stesso dolore.
Se dunque da far altro non mi resta
n& si trova al suo scampo altro riparo
che per lui por questa mia vita, questa
mia vita per lui por mi sard caro.
Ma sola una paura mi molest a,
che non saprd far patto cosi chiaro,
che m'assicuri che non sia il tiranno>
poich'avuta m'avra, per fare inganno.
lo dubito che poi che m*avra in gdbbia
e fatto avra di me tutti gli strasii;
ni Bireno per questo a lasciar abbiat
si ch'esser per me sciolto mi ringrazi:
come spergiuro, e pien di tanta rabbia,
che di me sola uccider non si sasti;
e quel che avra di me, ni piu n6 meno
faccia di poi del misero Bireno.
Pregato ho alcun guerrier, che meco sia
quando io mi daro in mano al re di Frisa;
ma mi prometta, e la sua fi mi dia
9°0 FRANCESCO TORTI
che questo cambio sard, fatto in guisa
ck'a un tempo io data, e liber ato sia
Bireno; si che quando io sard uccisa,
morrd contenta, poi che la mia morte
avra data la vita al mio consorte, ec.1
II fedele e troppo sensibile Ariodante vuol darsi una morte cli-
sperata piuttosto che soprawivere alia creduta infedelti della aua
donna. Ma quando egli sa che il fallo di Ginevra e sul punto di
esser severamente punito, quando e certo che 1'infamia e la morte
pcndono sopra il capo della sua bella, quando egli vedc che nes-
sun cavaliere si presenta per farsi campione del suo onore c della
sua vita, allora Feccesso dciramore si converte nel pi& generoso
eroismo. Egli si lancia sconosciuto nel campo di battaglia, e vuol
sostenere in faccia al mondo e contro il di lui proprio fratello che
Ginevra & la piu onesta come & la piu bella di tuttc le donne. 0
vinto o vincitore ch'egli sia, la sua eroica passione gli fa vedere
in tutti i casi un compenso sicuro nella dolce soddisfaxionc di
salvar Tonorc di Ginevra o di morire sotto i suoi occhi,
Ahi lasso, io non potrei (seco dicea)
sentir per mia cagion perir costei.
Troppo mia morte f dm acerba e na
se innanzi a me morir vedessi lei.
Ella & pur la mia donna e la mia dea,
questa e la luce pur degli occhi miei:
convien che a dritto e a torto per suo scampo
pigli rimpresa, e resti morto in campo.
So ch'io m'appiglio al torto; e al torto sia;
e ne morrd, ne questo mi sconforta;
se non cttio so che per la morte mia
si bella donna ha da restar poi morta.
Un sol con/orto nel morir mi fia>
che, se il suo Polinesso amor le portat
chiaramente veder avra potuto
ch$ non s'e mosso ancor per darle aiuto,
E me, che tanto espressamente ha offeso
vedra per lei salvare a morir giunto.
Di mio fratello insmne, il quale acceso
tanto foco ha, vendicherommi a un punto:
ch'io Io faro doler, poichd compreso
i, Ort. fur,> ixf 51-2 c 54.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO
il fine avra del suo crudele assunto.
Creduto vendicar avra il germane,
e gli avra dato morte di sua mano.1
Bradamante, Isabella, Fiordaligi, Ruggiero, Orlando, Zerbino
e cento altri personaggi, tutti sono posti dal poeta ne' piu delicati
e penosi cimenti in cui possa trovarsi la sensibilita di un carattere
virtuoso e penetrato dal dovere, dall'amore, dairamicizia, dalla
riconoscenza e da tante affezioni diverse. Ma e ben difficile, io
credo, il ritrovare in tutti i poeti antichi e moderni un tratto
piu sublime, piu commovente, piu originale, piu pieno di forza,
d'interesse e di grandezza quanto la gara generosa di Leone e
Ruggiero, che occupa i tre ultimi canti del poema. Quale idea
grandiosa insieme e toccante! Ruggiero deve tutto alia magnani-
mitk di Leone, da cui ha ricevuto la liberta e la vita. Leone do-
manda a Ruggiero, senza saperlo, piu ancora di quanto esso gli
ha dato, giacch6 non si tratta niente meno che di cedergli la sua
Bradamante, e di piu deve conquistarla egli stesso per fame un
dono al rivale. La grandezza d'animo di Ruggiero soffre questa
volta uno di quegli urti orribili, a cui resiste appena la piu robu-
sta ed agguerrita virtu: ma Leone e il suo benefattore, il suo
amico ; egli non sa quanto ci6 che domanda possa costare a Rug
giero : questa stessa considerazione rende piu forte Tobbligo della
riconoscenza, e Ruggiero promette. Che s'immagini adesso 1'an-
goscia, Taffanno di questo eroe, il suo concentrate dolore, la sua
cupa disperazione, le smanie di Bradamante, la rabbia degli amici
di Ruggiero, Fimpazienza di Leone, Tagitazione, il tumulto, il
fermento, in cui tanti opposti interessi devono gettare la popolosa
corte di Carlo Magno, e pressoch6 i due imperi d'Oriente e d'Oc-
cidentc. Ma che dico immaginare! Bisogna leggere, bisogna ve-
dere nelPoriginale medesimo Farte, il fuoco, Tinteresse, la no-
bilt& con cui il poeta presenta, accalora e sviluppa questo grande
e sublime contrasto. L& voi vedrete TAriosto. II riportarne alcuni
tratti tolti qua e Ik dall'originale sarebbe lo stesso che sottrarre
una piccola scintilla dal fuoco ardente d'una fornace.
Abbiamo osservato fin qui 1' Orlando furioso dalla parte del bello
e del mirabile, conviene adesso osservarlo da quella delle sue mac-
chic e delle sue imperfezioni. Io non ho parlato de' difetti di Dante,
i. Orl fur., vi, 10-2.
902 FRANCESCO TORTI
perche* la loro stessa bizzarria e grossolanitk sono un avvertimento
abbastanza forte per togliere a chiunque la tentazione di cadervi
e di riprodurli. Ma i difetti deirAriosto sono seducenti c pericolosi;
il genio e il fuoco dell'autore ha saputo coprirli d'una luce abba-
gliante che pu6 fare illusione. lo non rispondcrd direttamente alle
critiche del sig. Sherlock, che riduce tutto il merito dell'Ariosto al
brio d'uno stile ameno e descrittivo.1 Questo signore ha la bontk
di negar tutto al nostro poeta, la feconditk dell'invenzione, la va-
rieti-i de' caratteri, la pittura del costume e delle passioni, la cogni-
zione del cuore umano, il calore delPinteresse, tutte in somma
quelle meravigliose ed eminenti virtti, poetiche che abbiamo ana-
lizzate finora, e di cui abbiamo riportato le prove e gli esempi.
Ma che si dovrebbe rispondere ad un cieco il quale volesse impu-
gnare Fesistenza de* colori, o ad un sordo che negasse quella de*
suoni e della musical
Tratteniamoci piuttosto sopra i veri e reali difetti dell'Omero fer-
rarese. II primo di tutti, a mio credere, e quello che il suo genere
di poema non e suscettibile d'imitazione. Le leggi, gli usi e le
massime dell'antica cavallcria non potevano brillare in un poema
che per una sola volta e ne' tempi piii prossimi alia di lei origins;
esse non offrono alcun soggetto d'istruzione e di moraliti per de*
secoli posteriori, le cui leggi e costumi non hanno niente di comu-
ne con quelle, I cavalieri erranti che scorrono tutta la terra senza
beni e senza danaro, le piii amabili donzelle armate in sella e
nientemeno brave de' cavalieri, le magie, le fate, i giardini e i
palazzi incantati formano un mondo certamente vago e mirabile
quando si giunga a crederne la possibility e 1'esistenza; ma che
mai divengono queste pompose e frivole chimere agli occhi della
ragione dopo tante rivoluzioni nella maniera di pensare, nella col-
tura, nella filosofia, nel sistema d'Europa? LIKade e 1' Orlando
sono due poemi senza dubbio meravigliosi; ma la loro bellezza e
di un bello ipotetico, vale a dire che poste per vere o verosimili
le opinioni morali e teurgiche3 del loro tempo niente i piii degno
di sorpresa e d'ammirazione quanto i loro poemi. La supposi-
zione non e difficile allorch<5 per un trasporto di fantasia c'immede-*
simiamo collo spirito dej loro autori, e ci collochiamo in quel pe-
riodo di tempo in cui essi vissero, pensarono e scrissero. Ma
i, Consiglio ad un giovane poeta, del signer Sherlock, [ed. cit.], pag, 8, 36 e
43 (T.). 2. t&urgiche: qui vale « teologiche », religiose.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 903
quale accoglienza meriterebbe oggi un poeta epico, il quale ve-
nisse a presentarci un altro figlio di Teti tutto fatato nella pelle e
vestito di un'armatura fabbricata da Vulcano, che mettesse in
scerxa una folia d'eroi cucinieri e cocchieri, tutti apparentati stret-
tamentc cogli dei, e questi dei medesimi battersi e azzuffarsi non
meno fra essi che cogli uomini per i piu frivoli oggetti, prender
partito per una cattiva causa e chiamare in aiuto delle loro pas-
sioni le meteore, i sogni, i prodigi e persino la frode, la perfidia
e la menzogna? Tutte queste stravaganze del senso comune figu-
rerebbero assai male in un poema epico moderno. Ma che dico
in un poema epico moderno ? L'immortale Cesarotti, quel filosofo
della letteratura, quel legislatore del gusto, non ha creduto neppur
di poter presentar con successo all7 Italia una traduzione dell'Iliade
greca che risponda esattamente alPoriginale; egli ha dovuto prima
rifonderla e ritoccarla : non & piu Vira d'Achille, ma la morte di Ettore
che canta Omero per la sua bocca. «Che i pedanti, i fanatici» egli
dice (cchiamino pure questo mio lavoro un innesto temerario, un
accozzamento bizzarro di vecchio e di nuovo, un componimento
eteroclito, una produzione doppiamente bastarda, un'opera inde-
finibile; io sar6 pago se il pubblico non prevenuto leggera con di-
letto la Morte d' Ettore, e credera che non faccia torto alPonore
della poesia italiana. »*
Questa prima imperfezione dell* Orlando grande per se stessa,
sebbene piu relativa che assoluta, piu imputabile ai tempi del
poeta che al poeta medesimo, viene accompagnata da tre altri di-
fetti, a mio credere, importantissimi, tutti propri delPautore, e
che egli poteva facilmente evitare. II primo di essi & la soverchia
moltitudine dej personaggi che si mostrano nel poema e divi-
dono Pattenzione del lettore senza accrescerne Pinteresse. Dopo
che Pautore aveva disegnati e vigorosamente coloriti i caratteri
di Rodomonte, Mandricardo, Ruggiero, Orlando, Rinaldo, Mar-
fisa, Bradamante, Zerbino, Gradasso, perch6 sopraccaricare questa
superba tela colle inutili e languide figure di Sacripante, Sanso-
netto, Guidone, Grifone, Aquilante, Ferrau, ec., che non hanno
alcuna relazione n6 fra loro n6 colla massa delPazione principale?
La liberazione della Francia dalParmi dej Mori poteva facil
mente eseguirsi dopo tante prodigiose battaglie date dagli eroi fran-
i . Vlliade o la Morte di Ettore, poema omerico ridotto in verso italiano dal-
I' abate Mekhior Cesarotti, « Awertimento preliminare », torn. I, pag. 40 (T.).
904 FRANCESCO TORTI
cesi senza Tinutile e tarda presenza di tre o quattro cavalicri che
il poeta fa venire espressamente a Parigi dal piu lontano Oriente.
La profusione e la varietk de' caratteri e de' personaggi e senza
dubbio una delle maggiori prove del talento epico; TAriosto la
vince in questa parte sopra Omero medesimo; ma questo stesso
pregio diviene un difetto, allorch6 il gusto e la riflessione non
giunge a temperarne Feccesso.
Come PAriosto ha fatta una pompa inutile di un troppo gran
numero di personaggi, cosl ha moltiplicato indoverosamente una
troppa quantit^ di piccole azioni isolate, che turbano ed imbaraz-
zano il corso della piu grande. Per verit& questo gran genio dovea
sentirsi piu che oppresso dalPimmensa ed intricata carricra che
si era aperta d'innanzi, accumulando 1'una sopra Faltra le avven-
ture di tanti eroi ed eroine che formano il nodo e Pinteresse pri-
mario del poema senza aver bisogno d'aggiungervi quella folia
di novelle e di piccoli episodi affatto stranieri al tempo e al luogo
delFazione. II lettore dovr& dunque interessarsi con tanto calore
dietro Forme e gli avvenimenti della bella Angelica, delFamabile
Bradamante, della tenera Isabella, del gencroso Ruggiero, del
grande Orlando, del terribile Rodomonte per vedersi poi tutto in un
tratto arrestato dalle oscure ed esotiche avventure d'un Gioconclo,
d'un Adonio, d'una Fiordispina, d'una Lucina, d'una Lidia, ec,
i quali si mostrano una volta nel poema e spariscono quindi per
sempre ? Ci6 non e piu rendersi superiore ai ceppi ed alle regole
per colpire il vero genio delFepica romanzesca, ma e piuttosto un
abuso di fantasia, una intemperanza d'immaginazione, che soffoca
il gusto ed insulta il buon senso.
II terzo difetto, imputabile anch'esso al solo autore, e Fardita
violazione della morale, e Paver mancato di rispetto, in pifx luoghi
delFopera, al pudore ed alia decenza, I costumi d'Europa non
permettono che un libro di questa specie sia messo fra le mani
della gioventu che si vuolc educare. Che apprenderanno le fan-
ciulle nella lettura di un poema che degrada e awilisce le donne
agli occhi di loro stesse, che si burla della loro principale virtu,
e le rende lo scherno del piu vile e ributtante libertinaggio ? II
poeta non solo seduce, inebbria il cuore colla voluttuosa pittura del
piacere e della mollezza, ma esso giunge talvolta a corromperlo
colla massima del mal costume e con lo scherzo delPimpudenza.
Cosl un gran poema in luogo di essere la scuola della morale e
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 905
Tistituzione piu sublime delle virtu civili e sociali, diviene infe-
licemente un libro pericoloso e sospetto ; un'opera riguardata giu-
stamente dagli istitutori con diffidenza e da lontano, ed esclusa
con gelosia dalle biblioteche destinate a formare il cuore e lo spi-
rito de' giovani allievi.
II poema deirAriosto e un prodotto sublime dell'arte, ma simile
alia Venere de' Medici ha bisogno di qualche velo per essere
esposto con sicurezza agli occhi del pubblico. Ma quale sara mai
questo velo? Quali saranno le parti ch'esso dovra far travedere
o nascondere?
Lo stile non ha bisogno d'esser toccato. Vago, semplice, pit-
toresco, energico, grazioso, esso prende tutte le forme e tutti gli
aspetti della natura che dipinge : la sua stessa apparente negligenza
& un tratto di piu che lo rawicina al suo grande originale. Ma la
natura che ha dipinto Ludovico non & la natura d'Omero e molto
meno quella d'Ossian.1 Essa non e neppure la natura raffinata,
reprcssa e mascherata de' nostri costumi e delle nostre maniere;
essa 6 unicamentc la natura del secolo dej paladini e delle awen-
ture cavalleresche, e questa natura e appunto quella che brilla in
tutto il suo lume ne' versi e nello stile deirAriosto. Come il sog-
getto ch'egli canta & di una specie unica e singolare, cosl la poesia
deirAriosto £ tutta propria del suo soggetto. Quell'amabile fran-
chezza, quel tuono di famigliarita, quella dolce ineguaglianza di
i. lo non intendo con ci6 di dividere in generi e specie la natura, che e
una sola ed individual. La natura nel suo fondo e sempre la stessa ed inva-
riabile, ma le sue modification! sono soggette ad un flusso perpetuo di
cangiamenti, L'uomo morale e il risultato di mille combinazioni, che nella
variazione delle circostanze, del clima, dell'educazione, del governo, delle
opinioni morali e religiose gli fanno prendere un aspetto non solo diffe-
rente, ma talvolta contradditorio. II prolungare ai genitori la vita fino
al piii lungo termine e un atto di virtti per un europeo; gli Irocchesi
stimano un atto di dovere e di umanita lo strangolare i loro padri quando
sono arrivati alia decrepitezza. Tutti i popoli dell'antichita hanno creduto
conforme alia natura il ridurre in ischiavitu i prigionieri fatti in guerra:
rnoltissime popolazioni d' Africa e d} America trovano naturalissimo d^ar-
rostire i loro prigionieri e mangiarli: i moderni Europei pensano esser piu
conveniente alia ragione e alia natura il cambiarli o rilasciarli sulla parola.
Qual enorme difTerenza in un solo articolo di morale political Non era
forse la natura, che parlava egualmente al Greco, all* Americano ed allo
Spagnuolo? Ora tali sono le differenze che rendono si diversi un popolo
dall'altro popolo, un secolo dall'altro secolo; e dairinsieme di tali dif
ferenze risultano que' quadn energici e variati che ci presentano i poeti,
e che formano, per cosi dire, una natura poetica a parte (T.).
906 FRANCESCO TORTI
stile che regna si spesso nel poema, e che sarebbe un difetto per
ogni altro, & un pregio caratteristico ed una vera bellezza per lui.
Qual & quel poeta che osasse imitare le grazie sempre facili e na-
turali, e nondimeno eleganti ed animate, di questa maniera di
scrivere ?
Orlando^ che gran tempo innamorato
fu della bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti ed immortal trofei,
in Ponente con essa era tomato
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e di Lamagna
re Carlo era attendato alia campagna;
per fare al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia
d*aver condotto Vun d* Africa quante
genti eran atte a portar spada e lancia;
V altro d'aver spinta la Spagna innante
a destruction del bel regno di Francia;
e cost Orlando arrivd quivi appunto,
ma tosto si penti d'esservi giunto;
che gli fu tolta la sua donna pot;
ecco il giudizio uman come spesso erra!
Quella, che dagli esperi ai lidi eoi
avea difesa con si lunga guerra,
or tolta gli e fra tanti amid suoi,
senza spada adoprar, nella sua terra.
11 savio imperator ch'estinguer vuolse
un grave incendio, fu che glie la tolse, ec. x
Ma quello, che non ha luogo riguardo allo stile, pu6 facilmente
praticarsi sopra alcune parti del poema. lo non pretendo che si
tolgano tutte le novelle inserite senza bisogno, tutti i racconti
slegati e indipendenti dal resto dell'opera; ma che si sopprimano
senza riguardo quelli squarci di libertinaggio e di dissolutezza, che
insultano il pudore e compromettono i costumi. Un senato lettera-
rio si occupi di questa salutare riforma, fissi i Hmiti delPoperazione
e proweda che il poema non ne risenta alcuna perdita e non ne
risulti alcun vuoto che guasti la tessitura e Punione del resto.
L'intrapresa non & difficile, e di tutti i poemi del mondo V Orlando
& precisamente quello che si presterebbe meglio di ogni altro
i. Orl fur., i, 5-7.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 907
a questa felice rigenerazione. Nella riforma di cui si tratta il poema
conserverebbe tutte le sue bellezze; la mole delPopra rimarrebbe
quasi la stessa, ma esso acquisterebbe di piii il pregio essenziale di
diventare un libro classico, utile, diffuse e letto nella societa piu
di quello che in oggi non k evitato o nascosto; una sorgente in-
somma di gusto, d'istruzione e di piacere per ogni classe, per
ogni et& ed ogni sesso.
TOMO II
CAPITOLO II
[Lo stile del Seicento.]1
... II vizio piu marcato e piu insopportabile che disonora
lo stile del Seicento e senza dubbio Fabuso delle metafore e
la loro iperbolica deduzione dagli oggetti i piu disparati e piu
lontani. La frequenza di queste figure ardite, invece di rendere i
loro versi piu animati e pieni di quella energia che tanto ci tra-
sporta nelle poesie orientali, essa non fa all'opposto che indebo-
lirne Tespressione e raffreddarne il sentimento. Qual & mai la ra-
gione d'un effetto si contradittorio, che sembra pure riconoscere
la medesima origine ? Se noi esaminiamo distaccatamente e a san-
gue freddo le metafore e le figure delle poesie nordiche e orientali,
esse non ci compariranno meno urtanti e meno iperboliche di
quelle del piti risentito seicentista. « lo sono il fiore del campo e il
giglio delle valli,» si legge nel Cantico dey cantici «il tuo nome &
un olio dolcissimo ...»;« il mio diletto & un fascetto di mirra . . . » ;
« egli & un grappolo delle viti di Cipro . . . »; da mia sposa e un orto
rinchiuso ed impenetrabile . . .», «il di lui capo & un oro purissi-
mo . . . »; «il tuo ombellico k una tazza tornita . . . »; «il tuo ventre
e un mucchio di frumento . . . », ec.2 I salmi e le profezie sono
pieni di somiglianti metafore egualmente forti, egualmente biz
zarre, e la loro intrattabile arditezza forma bene spesso il piu
1. Dal Prospetto del Parnaso italiano, ed. cit, n, pp. 69-74. 2. Cfr. Cant.,
2, x: «Ego flos campi et lilium convallium»; i, 2: « Oleum effusum nomen
tuum»; i, 12: ((Fasciculus myrrhae dilectus meus mihi»; i, 13: «Botrus
Cypri dilectus meus»; 4, 12: «Hortus conclusus, soror mea, sponsa, / hor-
tus conclusus, fons signatus»; 5, n: «Caput eius aurum optimum »; 7, 2:
« Umbilicus tuus crater tornatilis . . . / venter tuus sicut acervus tritici ».
9° FRANCESCO TORTI
grande imbarazzo degli espositori della Scrittura. Ma che diremo
de* poemi di Ossian, di quel poeta che riunisce 1'ultimo grado
delPenergia al piu dolce patetico deiranima, e le cui espressioni
non sono pertanto che un tessuto continuo d'iperboli c di traslati,
i quali presi isolatamente e distaccati da tutto il resto moverebbcro
lo sdegno nel piu freddo e tranquillo lettore? Voi leggcrete nei
suoi versi «la schiatta dell'acciaro » per significare una nazione
armigera; «le tempeste deHJacciaro» per dire le battaglie; «il cam-
po del sole» per un terreno illuminate dal sole; «le case frondeg-
giantiw per gli alberi del bosco; wciglio di notte» per ciglio torbido;
«solingo raggio della notte» per denotare una bella che ama la
solitudine della notte; finalmente «la figlia della neve intese, e
Iasci6 la sala del suo segreto sospiro . . . ; amabilita la cingeva come
luce, i suoi passi erano simili alia musica de' canti»/ Ognuno
vede che tali espressioni metaforiche, oltre la loro urtantc eccessi-
vitk, non hanno neppure il pregio della chiarezza, e per ci6 solo
le metafore di Marini e Achillini meriterebbero forse la preferenza.
Ma qual & la ragione, io lo ripcto, per cui noi sperimentiamo alia
lettura un effetto del tutto contrario? Perch6 le poesie dci seicen-
tisti ributtano il gusto e il buon senso, mentre quelle de' poeti
orientali2 ci seducono con tanta forza e vengono riguardate nel
loro genere come capi delPopera di stile ?
La ragione di questa differenza e semplice, e derivata senza sfor-
20 dalla natura e dal carattere delle due specie di poesie. Le me
tafore de' seicentisti non hanno mai per oggetto Pespressione del
sentimento o Penergia delPimmaginazione : esse non cercano che
di brillare alPingcgno e di sorprenderc lo spirito. Se Ciro di Pers
dice nel principio d'un sonetto, che gli occhi della sua donna sono
«due stelle luminosc e ardentb, non i gi£ questa un'espressione
che gli venga strappata dalPimpeto della passione, ma e la base di
una fredda allegoria che il poeta vi fabbrica sopra con aggiungere
che quelle due stelle
gli empir gli occhi di lumc, e il sen d'ardorc,3
i. Voi, ..canti: le immagini che il Torti cita ricorrono pih volte nei
poemi di Ossian. 2. orientals : e anche, s'intende, nordici. 3. Analizza
i primi due versi del primo dei sonetti amorosi di Ciro di Pera, clfie suo-
nano esattamente: « Mentre due stelle luminose ardenti / m'empier gli
occhi di lume, il sen d'ardore» (cfr. Poesie, Venezia, Poletti, 1689, par-
te i, p. 3),
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 909
Se lo stesso poeta dice della sua donna vestita a bruno, che
tra nubi oscure il mio bel sole & awolto,
egli non crederk di avere detto abbastanza, se non raffina an-
cora il concetto, e non aggiunge, sottilizzando, che il suo bel sole,
awolto tra le nubi oscure,
minaccia agli occhi altrui pioggia di pianti.1
Ora volendo qui il poeta far pompa unicamente d'ingegno e d'a-
cutezza di spirito, egli c'invita a combatterlo colle sue stesse ar-
mi, ed una logica migliore ci porrk in grado di vedere che il suo
concetto & falso, ed i suoi colori male assortiti.
Ma non & gik cosi delle metafore e de' colori della poesia orien-
tale. Esse hanno un altro carattere e riconoscono un'origine ben
diversa. Esse provengono quasi sempre da un cuore bollente e da
una fantasia esaltata dalla forza della passione e daU'entusiasmo.
Se nelFimpeto, nel calore e nella rapiditk di uno stile energico
ed animato noi incontriamo talvolta delle figure gigantesche e de'
colori smodati, non perci6 noi risentiamo n6 sorpresa n<§ raffred-
damcnto; seguendo il trasporto che ci trascina, noi pensiamo,
noi sentiamo col poeta, che ci ha penetrati del suo fuoco e del suo
rapimento; tutto allora ci sembra verisimile, e per dir meglio na-
turale; e trattandosi di sentirrxento e di energia d'anima, chi oserk
fissarne i limiti e misurarne Festensione? Tutto al piu noi potrenv
mo esitare per qualche momento sulla scelta piu o meno felice
dell'esprcssione, ma nonpotrernmo giammai dimostrarne a noi stes-
si Tesagerazionc o la falsitk. Quindi malgrado ci6 che pu6 esservi
di smodato, di bizzarro e di oscuro nello stile orientale, noi conti-
nueremo sempre a commoverci, a sublimarci con Ossian, con
Giob, con Isaia, come all'incontro, malgrado il lustro, il belletto
e la pretensione de' seicentisti, la loro lettura non potrk neces-
sariamente che inaridire il cuore ed impiccolire lo spirito . . .
i, I due versi citati sono i primi del sonetto intitolato Veste negra (cfr.
Poesie, ed. cit., parte n, p. 4).
910 FRANCESCO TORTI
TOMO III
CAPITOLO II
[Moltire e Goldoni.]1
. . . lo so che i partigiani di Moli&re soffrono mal volentie-
ri in Goldoni un compagno o un rivale alia sua gloria. Essi ri-
guardano il comico francese come il padre della commedia mo-
derna, e Goldoni, essi dicono, non esisterebbe, se Moli&re non
Pavesse preceduto. Coloro che pensano in tal guisa (ed & la mag-
gior parte degli oltramontani) non conoscono sicuramente abba-
stanza Tautore italiano. Noi ci proponiamo in questo capitolo
di far vedere che Goldoni e Moli&re non hanno nulla di comune
fra essi; che i loro piani, i loro caratteri, il loro ridicolo dif-
feriscono essenzialmente ; e che in conseguenza le loro bellezze
ed i loro difetti non possono essere i mcdesimi. Da tali osserva-
zioni che io svolger6 rapidamente, non sara mia la colpa se ne
risultera questa conseguenza importante, cio& che la commedia
di Goldoni, considerata ne' suoi rapporti essenziali, & la comme
dia la piii universale e la piti appropriata d'ogni altra ai costumi
ed al genio delle nazioni moderne nell'epoca del secolo deci-
mottavo.
Moli&re trov6 la commedia francese in preda al falso gu
sto spagnuolo, che si compiaceva con preferenza dell'avventure
romanzesche e degli intrecci estremamente complicate Prima di
lui v'erano stati degli autori in Francia, che avevano dati de
gli esempi di qualche buona commedia di carattere, ed era cele-
bre al suo tempo in questo genere il Mentitore del gran Cor-
neille. Moliire ridusse in principio di gusto ci6 che gli altri
non avevano fatto che presentire confusarnente, e si ebbe allo-
ra in Francia la vera commedia di carattere. Ma MoK&re non
trov6 ne' costumi del suo tempo quella finezza di caratteri, quel-
i, Dal Prospetto del Parnaso italiano, ed. cit., n, pp. 105-13. II confronto
fra il Molifere e il Goldoni fe tema assai comune nella critica goldoniana
setteccntesca. Ma non ^ improbabile che il Torti prenda in particolare lo
spunto da alcune osservazioni contenute nella lettera del Cesarotti al van
Goens, scritta probabilmente ncl mar20 1768, e riportata in questo vo
lume a p. 492.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 9!!
la facilit^ di maniere, quella mescolanza di ridicolo e di de-
cenza, quel contrasto della vanitk e della politezza, quell'ur-
to del pregiudizio colla ragione, che e il risultato del raffinamento
della societk, dei progress! della coltura, i quali vanno del pari
colla decadenza de' costumi. I Francesi allora sortivano dal tu-
multo delle fazioni e dalla guerra della Fronda: in conseguenza
gli uomini conservavano ancora nel loro carattere piu di forza che
di mollezza, piu di vigore che di facilitk. Da ci6 noi vediamo che
Moliere per rallegrare i suoi uditori e obbligato di presentar loro
de' tratti di un ridicolo vivo e caricato che confina coll'eccesso ;
i suoi caratteri in generale hanno piu singolarit& che naturalezza;
il suo avaro e un avaro d'un'avarizia folle e fuori del verisimile;1
il suo ippocrita e ippocrita fino all'affettazione e alia nausea;2
il suo misantropo e un composto ideale di stravaganza e di ru-
videzza, un ente di ragione, un originale unico e senza modello
nella societk e nella natura. Collo stesso pennello sempre calcato
egli ha dipinto i suoi medici, le sue letterate, i suoi gelosi, ec.
Questi quadri esagerati potevano colpire la immaginazione viva
e impetuosa d'un popolo non ancora ammorbidito dal rafEnamento
dei costumi; ma a proporzione che la societa ha fatto nuovi pro-
gressi, le generazioni seguenti cominciarono a gustarli di meno,
ed infine i Francesi hanno dovuto confessare piu tardi che il loro
Moliere non conosceva abbastanza il tono della buona compagnia.3
Goldoni alFincontro venne in un secolo che non gli permet-
teva di caricare i suoi quadri, esagerando i vizi e i difetti. II Mi-
santropOj I5 Avaro e la Scuola delle donne, come li ha tratteggiati
il comico francese, sarebbero stati mal ricevuti dal pubblico di
una citt& cosl gaia, cosl voluttuosa, e di una societk cosi facile e
i. L'avaro di Moliere, accorgendosi che gli e stato rubato il tesoro che
avcva nascosto, nella smania della disperazione afferra se stesso per un
braccio, e grida: « Rends moi mon argent, coquin . . . ah, c'est moi»
[Vavare} atto IV, scena vn], T. 2. TartufTo al primo comparire sulla
scena dice ai suo servitore : « Laurent, serrez ma haire avec ma discipline »
[Tartuffe, atto m, scena n], T. 3. Linguet, Annales, t, n. II filosofo ge-
nevrino nella sua celebre lettera sopra i teatri si esprime cosi in proposito
di Moliere e di Corneille: «. . . Le gout g6n6ral ayant change" depuis ces
deux auteurs, si leurs chefs d'oeuvres 6toient encore k paroitre, tom-
beroient-ils infailliblement aujourd'hui. Les connoisseurs ont beau les
admirer toujours; si le public les admire encore, c'est plus par honte de
s'en dedire, que par un vrai sentiment de leurs beaut£s » (T.)- Cfr. Rousseau,
Lettre a d'Alembert (1758), in Oeuvres, i, Paris, Hachette, 1905, p. 189.
912 FRANCESCO TORTI
cosl amena, come Venezia alia meta del secolo passato. Gli uo-
mini non potevano piti dipingersi con tratti troppo forti; con-
veniva impiegare un pennello piu fino e piili delicato. I caratteri
del comico nobile si erano moltiplicati in ragione do' progress!
della politezza e della coltura, giacch6 £ un errore il credere che il
raffinamento de' costumi impoverisca il mondo d'originali e re-
stringa il numero e la varietk delle copie. II perfezionamento della
societa tende necessariamente alFeguaglianza de' diritti, o almeno
a far prevalere Topinione che la protegge : ma appunto questo ri-
spetto simulato o sentito pel dritti di tutti pone Tamor proprio di
ciascuno nel piti forte imbarazzo, che lo agita, lo punge, lo tor-
menta, e fa che si manifest! in tutte quelle piccole ed inquiete
affezioni dell'anima, che noi chiamiamo vanita, presunzione, al~
terigia, egoismo, invidia, maldicenza, avidita, leggerezza, falsa ami-
cizia, falso onore, ec. In questo caos indefinibile di contradizioni e
di debolezze del cuore umano & appunto dove Goldoni ha attinto
quelFinesausta e variata moltiplicitik di caratteri, di cui egli ha
arricchito il suo teatro, e che ha felicemente esposto in centocin-
quanta commedie. Le sue idee si fecondavano e si estendevano in
ragione degPimmensi materiali che Pocchio solo del genio gli
faceva osservare sulla scena del mondo.1 Egli non ha cercato come
Moli&re di concentrare il ridicolo in un solo personaggio; ma
riunendo in una sola commedia piti original e piii figure, ch'egli
mette in opposizione, ne ha fatto sortire un comico pito completo,
pifi vario, piu interessante, piu utile. Voi vedrete per csempio,
nella sua Locandiera, il cavalier di Ripafratta, che si burla impru-
dentemente la mattina delPascendente delle donne sopra gli uo-
mini, protestando di disprezzarle tutte; ebbene, eccolo la sera
divenuto la vittima del capriccio della locandiera e lo scherno di
tutta la compagnia. l/albagia ridicola del marchese di Forlirn-
popoli 6 ridotta a dover confessare di aver rubata una boccetta
d'oro a questa stessa locandiera, ch'egli dice d'amare, per compa-
i, « I due libri sulli quali ho qui meditato e di cui non mi pcntird mai d'cs-
sermi scrvito, furono il mondo cd il teatro. II primo mi mostra tanti e
poi tanti caratteri di persone ... II secondo poi, mentrc io lo vo maneg-
giando, mi fa conoscere con quali colori si debban mppresentare sulle
scene i caratteri, le passioni, gli avvenimenti, che ncl libro del mondo si
leggono, come si debbano ombreggiarli », ec. Prefassionc dcll'autore al-
1'edizione delle sue commedie fatta in Bologna nel 1753 (T.)« 2. origina-
li: caratteri.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 913
rire generoso con un'avventuriera che egli non conosce. La lo-
candiera medesima e vicina a soccombere sotto la macchina dei
suoi propri artifici per aver troppo abusato dei doni del suo sesso.
E tutti questi tratti maestri in una sola commedia! Ma qual sem-
plicita di mezzi, qual unita di piano, qual verita di caratteri! Nulla
di caricato negli originali di Goldoni, nulla di forzato nelle sue
figure e ne* suoi ritratti: ma nulla ancora di piu comico e di piu
grazioso quanto 1'interesse delle sue scene, la situazione dei suoi
personaggi e il risultato delle sue composizioni.
Questo stesso genio d'osservazione universale ha fatto si che
il di lui teatro resti popolato, per cosi dire, di una prodigiosa
quantita di soggetti nuovi e tutti originali, di cui nessun altro
aveva calcolato prima di lui la fecondita e 1'effetto. Mentre il pen-
nello di Moliere ritornava cosi spesso sopra i medici, i gelosi e
gli ipocondriaci, Goldoni ha trasportato sulla scena comica tutte
le condizioni del genere umano, egli ha dipinto la natura e il mon-
do morale sotto tutti gli aspetti in cui essi si mostrano nella vita
sociale. Chi ha rivelato piu di lui e meglio di lui I'infedelta, gPin-
trighi, 1'avarizia dei servitori, dei fattori, dei subalterni? Chi ha
dipinto piu di lui e meglio di lui la vanita, i pregiudizi, la dissipa-
zione dej nobili, dei ricchi e delle persone di rango? Chi ha pe-
netrato piu a dentro ne' secreti delle famiglie, nei disordini del
lusso, nelle cabale degli uomini di mondo, nello spirito e nelle
massime della mercatura? Chi ha sviluppato con piu di verita e
di finezza tutti gli umori, le contradizioni e le debolezze delle
passioni e dei capricci del cuore umano?
Egli ha portato 1'abbondanza e la varieta dei caratteri fino al
lusso ed alia profusione. Quali tinte e quali gradazioni diver
se non ha egli dato talvolta ad un carattere stesso che sembra-
va non ammettere che una sola forma ? Egli ha dipinto, per esem-
pio, Fuomo prodigo e dissipatore; ma egli lo ha rappresenta-
to sotto una moltitudine di tratti che differiscono caratteristica-
mente gli uni dagli altri. Voi distinguerete nelle sue commedie il
prodigo per vanita dal prodigo per inclinazione ; il prodigo per
dissolutezza dal prodigo per liberalita; il prodigo per emulazione
dal prodigo per balordaggine, ec. Qual differenza fra la ccbuona
moglie », e la « moglie saggia », fra il « padre di famiglia » e il « padre
prudente», fra il « cavalier di spirito » e il « cavalier di buon gusto »,
fra r«apatista» e l'«egoista», ec.!
58
9*4 FRANCESCO TORTI
CAPITOLO IV
[Uarte del Parini.]1
. . . Un'arte infinita suppliva in Parini alia natura; c disce-
polo attaccatissimo d'Orazio egli riuniva alia profonda medita-
zione de' classici antichi la piu severa ed ostinata correzione del
suo stile e della sua dizione.
Lo spirito di Parini in questo poema era almeno animato
da un sentimento utilc, morale e tendente al bene della patria
e dell'umanitk. Lo spettacolo di questi esseri inutili, vani, ozio-
si ed effemminati, di quelle vittime illustri della noia e della mol-
lezza, tanto moltiplicati nel secolo passato e conosciuti in Italia
sotto il nome di «cavalieri serventi)), lo spettacolo, io dico, di
questi esseri perniciosi e antisociali, risultato infelice della debolez-
za e delle cattive leggi djun governo, irrit6 giustamcntc la nobile
indegnazione ed il retto buon senso del poeta insubre. Egli voile
rendersi interessante al pubblico, e forse ad essi medesimi, colla
pittura de* loro vizi, o piuttosto della loro vera miseria. Parini
prende allora in mano la pcnna, e ponendosi al fianco di uno di
questi giovani eroi lo persiegue passo passo in tutto il corso
della sua giornata, e va dettagliando a lui stesso le frivole e mi-
serabili occupazioni che formano il circolo penoso della sua esi-
stenza giornaliera.
Tale 6 il soggetto intorno al quale si & occupato Pautore deile
quattro parti del Giorno^ divisc in quattro diverse dimension!,
che compongono un poema di circa quattro mila versi. In quanto
all'esecuzione del soggetto medesimo, esecuzione che forma il prez-
zo principale delFopera, ci6 merita un esamc particolare, che sar&
Poggetto di questo capitolo.
L'autore del Mattino credette che i raffinamenti del lusso, 1'im-
pero della moda e il trionfo delia mollezza, presentati in un punto
di vista che ricevessero il suo lume dal colorito degli oggetti me
desimi i quali ne formano 1'immcnso materiale, potcssero for-
nire un tema fecondo e un campo spazioso ai tratti vivaci di un
pennello ammaestrato nella scuola di quella specie di gusto, ch'era
giJi in possesso di prevalere in Italia all'epoca in cui egli si prepari
i, Dal Prospetto del Parnaso italiano, ed. cit., in, pp. 182-^01.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 915
a scrivere. Frugoni aveva cantato sulla lira d'Orazio gli ortaggi,
la cioccolata, i piccoli cani, le nozze, le convalescenze, le febbri,
le lauree dottorali, ec.; perche, avra detto Parini, non sarebbero
suscettibili dello stesso elegante contorno le follie della moda,
gli studi della toletta, le bizzarie del lusso, i cocchi, i cibi, le
mense, i giuochi, le occupazioni insomma del mondo galante?
Tutta volta non sarebbe possibile die Parini si fosse ingan-
nato in questa parte della teoria del gusto e nelle sue pratiche
conseguenze? Senza dubbio i generi del bello nelle arti possono
esser nuovi e variabili airinfinito; io ne convengo: ma ciascuno
di questi generi ha il suo carattere particolare che lo distingue
da tutti gli altri, e non permette che si confondano insieme. I piu
fmitimi non sono per6 meno distinti e separabili fra loro, ed occu-
pando ciascuno una linea speciale contrassegnata dalla natura e
dalla ragione, niuno potrebbe sforzare questi limiti senza cadere
nella confusione e nel disordine. Frugoni ed Orazio hanno trat-
tato nelle loro odi i piu piccoli, i piu frivoli oggetti mediante il
delirio1 del momento e la liberta della lirica: ma queste odi cosl
varie nel loro argomento e nel loro metro erano contenute entro
i confini di una certa brevitk prescritta dal genere stesso, senza la
quale avrebbe generato in chi legge la sazieta e la stanchezza. Ora
il trasportare nel genere narrative e didascalico la sublimita, il
brillante, il giro licenzioso dell'ode lirica, ci6 non e piu creare un
nuovo genere di poesia, ma confondere e imbastardire quelli che
g& si conoscono ; ci6 sarebbe un violentare il genio caratteristico e
quasi opposto di due componimenti di specie diversa; ci6 sarebbe
in somma ridurre il poema ad una filza d'odi liriche cucite insie
me, ovvero dare alFode lirica Pordine, la prolissit& e la mole del
poema.
II Mattino, colle tre parti che lo sieguono, 6 un poema del
genere narrativo e didascalico. II soggetto del poema & la vita
orgogliosamente molle degli eroi della moda. L'ironia che vi re-
gna ed i pretesi precetti del costume galante, che vi sono detta-
gliati, ne formano Tinteresse. Gli apologhi e le favolette, che
ha saputo introdurvi il poeta, ne somministrano gli episodi ed il
maraviglioso. Finalmente il contrasto che risulta fra i doveri so-
ciali deiruomo e Tozio fastoso di una classe di persone che si
fanno un gioco di sovvertirne le leggi, il colpo d'occhio di questo
i. delirio: entusiasmo.
9*6 FRANCESCO TORTI
strano contraposto delFordine civile tiene luogo nel poema dclla
parte della morale e del costume. II Mattino non 6 puramente
una satira, come taluni pretendono. Bisogna distinguere Foggetto
d'una produzione dal genere ch'essa occupa nella classe dell'opere
di letteratura. II Don Chisdotte di Cervantes & una satira grazio-
sissima delFantica cavalleria; ma questo libro non cessa di appar-
tenere alia classe dei romanzi, ed ogni uomo di buon senso lo
riguarda come tale. II Telemaco di F£n£lon & una eccellente istru-
sdone di morale e di politica; ma questo libro & un vero poema,
ed ha tutte le qualitk essenziali per questo genere di compo-
nimenti.
Sarebbe dunque ben difficile Paccordare insieme il tuono gra-
duato e narrative di un poema qualunque colle frequent! escur-
sioni1 liriche chc si permette Tautore del Mattino. Dopo la ra~
gionevole esposizione, ch'egli fa del suo soggetto in questi versi:
Giovin signore, o a te scenda per lung®
di magnanimi lombi ordine il sangue
purissimo, celeste; o in te del sangue
emendino il dffetto i compri onori
e le adunate in terra o in mar ricchesze
dal genitor frugale in pochi lustri,
me precettor d'amabil rito ascolta.
Come ingannar questi noiosi e lend
giorni di vita, cut si lungo tedio
e fastidio insqffribile accompagna>
or io t'insegner6. Quali al mattinot
quai dopo il messto dlt quali la sera
esser debban tue cure apprenderai,
se in mezzo agli o%i tuoi osio ti resta
pur df tender gli orecchi c£ versi mieiz . . .
dopo un principio cosl modesto e tranquillo, come potranno
sembrarci natural! ed analoghe le miniature brillanti, Timmagi-
ni liriche, le perifrasi studiate, chc si succedono ncl corso del
poema senza interruzione ? Come non riconosceremo, per esempio,
un lusso troppo raffinato di colori nella descrizione del mattino ?
Sorge il mattino in compagnia deWalba
innanzi al sol, che di poi grande appare
sulVestremo oriszonte a render lieti
i. escunioni: digression!. 2. II mattino, 1-15,
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 917
gli animali, le piante, i campi e Vonde.
Allora it buon villan sorge dal caro
lettOj cui la fedel sposa e i minor i
suoi figlioletti intiepidir la notte;
poi, sul capo recando i sacri arnesi,
che prima ritrovar Cerere e Pale,
va col bue lento innanzi, al campo, e scuote
lungo il picciol sentier dai curvi rami
il rugiadoso umor che, quasi gemma,
i nascenti del sol raggi rifrange.
Allora sorge il fabro, e la sonante
officina riapre, ec.1
Tante minute particolarizzazioni, tante lucide pennellate, ch'e-
gli da ad un solo e medesimo oggetto, «il letto intiepidito dalla
fedele sposa », «i sacri arnesi ritrovati da Cerere e Pale», «il bue
lento, che va innanzi)), «le gemme rugiadose che rifrangono i
raggi nascenti del sole», tutto questo non & piu uno squarcio di
poemetto, ma un'ambiziosa strofa lirica inserita nel componi-
mento per solo desiderio d'abbellire e sorprendere. Orazio me
desimo, malgrado i suoi dritti di poeta lirico, ,& piu riservato
nella pittura inversa, sebbene analoga, ch'egli fa della sera rusti-
cale nelPode 6, lib. 3 :
proles, sabellis docta ligonibus
versare glebas, et severae
matris ad arbitrium recisos
portare fustes, sol ubi montium
mutaret umbras et iuga demeret
bobus fatigatis, amicum
tempus agens abeunte curru,2
E le similitudini di Parini non sono esse altrettanti slanci di
fantasia ditirambica, che scorre sopra gli oggetti piu lontani ed
i piu disparati dalPidea principale? Se il giovane eroe viene rap-
presentato che scorre in carrozza le strade della citta in tempo
di notte col lume delle fiaccole, ecco che il poeta fa venire in
campo Plutone, il suo carro e le Furie :
i. II mattino, 33-47. 2. Carm., in, vi, 38-44 (« prole esperta nel rivolta-
re le zolle con le zappe sabine, e nel trasportare i tronchi recisi sotto
la direzione della severa madre, ogni volta che il sole allungava le ombre
dei monti e toglieva i gioghi ai buoi affaticati, portando con Pallontanarsi
del suo carro il tempo gradito della notte »).
918 FRANCESCO TORTI
. . . e> stance al fine,
in aureo cocchio, col fragor di calde
precipitose rote e il calpestio
de* volanti corsier, lunge agitasti
il queto aere notturno, e le tenebre
con fiaccole superbe intorno apristi;
siccome allor che il siculo terreno
dalVuno alValtro mar nmbombar feo
Pluto col carro, a cui splendeano innanxi
le tede delle Furie anguicrinitc.1
Se il cuoco francese prepara il pranzo dei suoi padroni ben
tosto Acbille, Patroclo e Automedonte vengono ad illustrare la
cucina del cuoco francese:
Forse con tanta maestade in fronte,
presso a le navi, ond'Ilio arse e cadeo,
per gli ospiti famosi il grande Achille
disegnava la cena; e seco intanto
le vivande cocean su lentifochi
Patroclo fido e il guidator di carri
Automedonte2' . . .
Se il marito della dama rende conto agli amici della disgustosa
rottura sopravvenuta fra essa ed il suo cavaliere, il paragone e
preso fra i piu reconditi aneddoti della favola e della mitologia:
Tal sulle scene, ove agitar solea
Vombre tinte di sangue Argo piangente,
squalhdo messo al palpitante coro
narrava come furiando Edipo
al talamo corresse incestuoso;
come le porte rovescionne, e come
al subito spettacoto ristette,
quando vicina del nefando letto
vide in un corpo solo e sposa e madre
pender strosxata; e del fatal uncino
le mani armossi; e colle proprie mani
a $4 le care luci della testa
colle man proprie, misero! strappossi,^
N6 si dica che Tampolloso di queste comparazioni vi e posto
unicamente per rilevare il ridicolo de' frivoli oggetti cui esse si
rapportano. II ridicolo ha sempre bisogno di una ccrta artificiosa
i. Ilmattino, 67-76. 2. Ilmezzogiorno, 214-20. 3, Ilmezxogiorno, 808-20,
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 919
insinuazione che ne prepari 1'effetto; e Pimmagine accessoria che
lo risveglia non dee mai primeggiare sulPidea dominante, e can-
cellarne I'impressione. AlFopposto le comparazioni di Parini sono
tanti quadri ritoccati e fi.ni.ti, che ci sorprendono considerate iso-
latamente, e fanno che si perda di vista il primo oggetto delPautore.
Questo poema e seminato di una quantita di similitudini etero-
genee, che nulPaltro annunciano fuorch.6 la smania di esser pro-
digo in ornamenti. Qual rapporto, per esempio, fra la dama ob-
bligata a rendere i suoi doveri coniugali al marito, ed una sem-
plice villanella, che si spaventa alia vista d'un serpe ? lo ne lascio
giudici i mariti medesimi
. . . Oh come spesso
la dama delicata invoca il Sonno
che al talamo presieda, e seco invece
trova Imeneo! E stupida rimane
quasi al meriggio stanca villanella
che tra Verbe innocenti adagia il fianco
queta e sicura; e d'improvviso vede
un serpe; e balza in piedi inorridita;
e le rigide man stende> e ritragge
il gomito, e Vanelito sospende;
e immota e muta e colle labbra aperte
obliquamente il guarda!1 . . .
Nulla per6 prova meglio Pincompetenza delPescursioni liri-
che cui si abbandona Tauter del Mattinoy quanto i frequenti ri-
torni ch'egli e costretto a fare d'onde e partito per riprender
Pordine della sua narrativa. Dopo le piu elaborate descrizioni,
dopo i piu sontuosi tratti di stile noi siamo obbligati a sopportare
troppo spesso la ripetizione di quelle fredde riprese, di quelle
prosaiche transazioni, che smentiscono in un tratto il tuono for-
zato di tutto il resto. Quindi noi incontriamo passo passo :
Cosl tornasti alia magion; ma quivi , . .
Gi& i valletti gentili udir lo sqmllo . . .
Ma gi& il ben pettinato entrar di nuovo . . .
Ma non attenda gi£ ctialtri Vannunci . . ,
Ma gi& vegg'io che Voziose lane . . ,
Gia la dama gentil, de' cui bei lacci . . .
Assai pensasti a te medesmo. Or volgi . , ,
Cosi giova sperar. Tu volgi intanto . , .
i. II mezxogiorno, 416-27.
920 FRANCESCO TORT!
Or dunque £ tempo che il piu fido servo . . .
Or dunque ammaestrato a quali e quanti , . .
Ma gili tre volte & quattro il mio signore . . .
Ma sc la sposa altrui cam al signore . . ,
Jo breve a te parlai: ma non pertanto . . ,
Or, signor, a te riedo : ah non fia colpa . . .
Or tu adunque, o signer y tu che sei il primo , . .
Ci6 ti basti per or, ma Voriolo . . .
Or vanne, o mio signor, e il pranzo allegro1 , , .
Questi versi ed altri molti per necessity triviali, e che servono
come di cemento e di attacco ai lavori isolati di un pennello troppo
invaghito di se medesimo e de' fiori che sparge nel suo cammino,
questi versi, io dico, formano essi soli la condanna del nuovo
genere, e ci convincono sempre piti che un soggetto di qualche
estensione, il quale somministra materia a quattro mila versi, non
pu6 essere trattato senza inconveniente come una lirica canzone.
L/arte della poesia, io lo ripeto, ha i suoi principii posati dalla
natura medesima; e questi principii non possono esser tiranneg-
giati, senza che i prodotti dell'arte non risentano i tristi effetti
della loro contravenzione.2
La smania di atteggiar sempre le cose con vivaciti, e di dare
a tutti gli oggetti una vernice elegante, ha obbligato Parini a
rivestire i suoi versi delle immagini dell'antica mitologia, e ad im-
prontare da essa Pidee, le forme, il linguaggio, il costume, Inebria-
to del gusto d'Orazio e dej classici latini, egli ha voluto traspor-
tare nei suoi versi i loro dei, le loro favole, la loro teologia, le
loro opinioni, le loro frasi, il loro colorito, Leggendo il suo pocma
bisogna dubitare con ragione che egli ha voluto veramente par-
lare ai figli della moderna Italia ovvero ai cittadini delPantica Roma.
Questo strano anacronismo d'idee e di costumi viene portato dal-
Pautore ad un eccesso troppo inoltrato perch6 esso non sappia
soverchiamente di scuola c di pedanteria. Scrivendo in tal guisa,
come poteva egli lusingarsi d' essere inteso e gustato da coloro
medcsimi ch'erano il primo oggetto della sua satira? Non i essa
una affettazione troppo ridicola quella di non potere scrivere un
verso che non sia spruzzato d'erudizione greca o latina ? Chi inten-
i.ll mattino, 77, 101, 125, 169, 244, 404, ^75, 395, 410, 455, 475, 499,
512, 566, 772, 1026, 1054. Nel penultimo esernpio il Parini dice «gia»
invece di ma, 2* contraventions: trasgrcssione.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 921
dera qualche volta ci6 che il poeta vuol dire ? Per esprimere che il
giovane eroe non deve essere sveglio se non a giorno inoltrato,
Parini dice:
Dritto & percto che a te gli stanchi sensi
non sciolga da* papaveri tenaci
Morfeo prima che gia grande il giorno
tenti di penetrar fra gli spiragli
delle dorate imposte1 . . .
In altro luogo uno de' servi del giovane cavaliere & mandate al
palazzo della dama per sapere
. . . se d'immagin liete
le fu Morfeo cortese.2
Altrove, parlando del ritorno dell'eroe dai viaggi di Francia e
d'Inghilterra, il poeta dice a lui medesimo:
Gia /'are a Vener sacre e al giocatore
Mercurio nelle Gallie e in Albione
devotamente hai visitate^ . . .
Altrove egli dirk:
O beati tra gli altri, o cari al cielo
viventi, a cui con miglior man Titano
formd gli organi illustri!* . . .
In altro luogo:
. . . ma alle grand* aline,
di troppo agevol ben schife, Cillenio
il comodo presenti, a cui le ndglia
pregio acquistano e I'oro5 . . .
In altro luogo ancora:
Male a Giuno ed a Pallade-Minerva
e a Cinzia e a Citerea mischiarvi osate
voi pettorute Naiadi e Napee,
I. II mattino, 90-4. 2. // mattino, 413-4. 3. // mattino, 16-8. 4. // mez-
zogiorno> 298-300. 5. // mezzogiorno, 686-9.
922 FRANCESCO TORTI
vane di picciol fonte e d' umil selva;
che agli Egipani vostri in guardia diede
Giove dall'alto1 . . .
Ma ci6 non & tutto. Per rendere piu complctamente miste-
rioso questo linguaggio, o piuttosto questo gergo scolastico, I'au-
tore del Mattino ha tentato di snaturare il nostro idioma c d'im-
prontarlo delle forme e delle maniere della lingua latina, traspor-
tandone i vocaboli o imitandoli forzatamente dall'idioma dcirantico
Lazio. Quindi egli si far& scrupolosamentc una legge di scrivcre
ogni volta antiquo per antico, vulgo per volgo> leve per lieve, bona
per buona, obietto per oggetto, subbietto per soggetto, ec. Egli diri
piu che gli sark possibile Enotria, Esperia, Ausonia invece $ltdia\
egli incastrerk nei suoi versi, come altrettante gemme preziose, i
latinismi adipe, testudo, ignavo, fedo, immane> lene, ebete, formosot
innocno, labendo, late, dapiy truculento, inane, ec. Qual mania pue
rile di avere I'aria latina anche rxel suono materialc delle parole!
Non & questo un raddoppiare la pena del lettore per non essere
inteso in uno stile abbastanza rigido, intralciato e tormentato ogni
momento dalla severitk di una lima implacabile? Non & questo
un soffocare piu che mai la facilita, la dolcezza, rinsinuarfone
dello stile e la vera ispirazione della natura, che sole possono ren
dere raccomandabili le produzioni poetiche e collocarle al di sopra
delle rivoluzioni del tempo e del gusto?
Le belle descrizioni sono di qualche merito in poesia; ma
quando esse si allontanano dal fondo principale, quando esse
fanno perder di vista quello scarso interessc che pu6 dare il sog-
getto o il sentimento che vi domina, queste descrizioni dovreb-
bero allora esser soppresse, e la loro stessa bellezza diverrebbe un
difetto di piu. £ d'uopo ch*io citi spesso degli esempi per giusti-
ficare al lettore le mie opinioni, ed io non ho trascurato di farlo in
tutto questo capitolo. Osservate dunque il poema in questione,
e vedretc Teroe della moda, che siede gravemente alia toletta;
. . . Or egli, avvolto in lino
candido, siede. Avanti a lui lo specchio
altero sembra di raccdr net seno
Vimmagin diva, e stassi agli occhi suoi
i. // vespro, 4.21-6.
PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO 923
sever o esplorator delta tua mano,
o di bel crin volubile architetto.1
Tutto questo e bello e giudizioso. Ma perch6 indebolire Tirritante
impressione di questo quadro ironico con delle immaginette de
licate, con delle pitturine accessorie che amenizzano il quadro e
rapiscono per preferenza tutta Pattenzione del lettore ? Perch6 ag-
giungere al tratto superiore i seguenti versi?
Mille d'intorno a lui volano odori,
che alle varie manteche ama rapire
I'auretta dolce, intorno ai vasi ungendo
le leggerissime all di far j alia.
Tu chiedi in prima a lui qual piu gli aggrada
sparger sul crin, se il gelsomino, o il biondo
fior d'arancio piuttosto, o la giunchiglia,
o Vambra preziosa agli am nostri.2
Se qualche intimo conoscitore del vero bello poetico volesse
applicare a questa e ad altre simili vaghezze di pennello la impor-
tantissima osservazione d'Orazio, avrebbe egli torto?
. . . ungues
exprimet, et molles imitabitur aere capillos>
infelix operis summa, quia ponere totum
nesciefi , . .
L'ironia satirica, che forma il piccante del componimento, e so-
vente troppo debole e troppo nascosta per esser sentita, o si per-
de e svanisce fra il vortice delle frasi e delle immagini accessorie,
chiamatevi unicamente dal poeta per abbellire e sedurre. Inoltre
Tironia, che consiste in un senso mordace tutto contrario alle
parole che lo fanno sentire, ristucca e confonde il lettore, quando
il suo uso e soverchiamente prolungato ; e ciascuno sente nel caso
nostro che dopo la metk del poema le sue punture perdono sempre
piii della loro grazia e della loro vivezza; cosicch6, quando sia-
mo pervenuti alia Notte, il poema riesce d'una freddezza quasi
insoffribile. Da ci6 accade che talvolta non comprendiamo se
i.// mattino, 485-90. z.Ilmattino, 491-8. ^.Ars poet., 32-5 (« render^
bene nel bronzo i particolari delle ungbie e del morbidi capelli, ma sara
poi sempre un disgrazxato neirinsieme dell'opera, poich6 non sapra pla-
smare il tutto »).
9H FRANCESCO TORTI
Tautore parli col sentimento di questa figura o con quello ciclla
verita. Si ha un bel dire che Pintenzione secreta delFautore 6 di
burlarsi del suo eroe. I luminosi vantaggi della nascita e della
ricchezza vi sono espressi talvolta con un linguaggio cos! magni-
fico che ognuno sarebbe tentato di cambiare la propria sorte con
quella del personaggio deriso. Tale 6 forse il sentimento che si
risveglia nel nostro spirito alia lettura del tratto segucnte:
Ma degli augelli e delle fere il giorno
e de* pesci sguammosi e delle piante
e delVumana plebe al suo fin corre.
Gia da* maggiori colli e dalVeccelse
rocche il sol manda gli ultimi saluti
all1 Italia fuggente; e par che brami
rivederti, o signor, prima che VAlpe
o VAppennino o il mar curvo ti celi
agli occhi moi. Altro finor -non vide
che di falcate mietitore i fianchi
sulle campagne tue piegati e lassi,
e sulle armate mura or braccia, or spalh
car che diferro, e su l*aeree capre
degli edifisti tuoi man scabre e arsicce,
e villan poluerosi innanzi ai carri
gravi del tuo ricolto, e su i canali
e su i fertili laghi irsuti petti
di remigante che le alterne merci
a* tuoi comodi guida ed al tuo lusso;
tutti ignobili aspettL Or colui vegga
che da tutti servito a nullo serve,1
Quest'ultimo verso semplicemente sarebbe stato forse proprio
ad eccitare Tinvidia nel petto di Cesare e d'Alessandro; non sara
dunque scusabile un semplice particolarea che legge, se ne riscnte
la stessa impressione ? . . .
1. 11 ve$pro> 1-3 e 8-25. 2, particolare: uomo private.
FRANCESCO SAVERIO SALFI
NOTA INTRODUTTIVA
Nella formazione politica e culturale del Salfi non & senza im-
portanza il fatto che egli sia nato (il i° gennaio 1759) e abbia
ricevuto la sua prima educazione, a Cosenza, in una citta, cio6,
dove le idee illuministiche avevano trovato un terreno partico-
larmente favorevole nella locale, e piu generalmente calabrese,
tradizione di pensiero, costituitasi col Telesio, col Campanella,
con Antonio Serra, col Gravina, e mantenuta viva da un piccolo ma
attivo gruppo comprendente Pietro Clausi, filosofo e matematico
formatosi alia scuola del Genovesi, Giuseppe Spiriti, nipote di
Salvatore, autore di opuscoli antipapali, Domenico Bisceglia, che
verrii giustiziato a Napoli nel 1799, Nicola Zupo e altri « libertini ».
Per quanto awiato fin dall'infanzia alia carriera ecclesiastica, il
giovane Salfi entra ben presto in relazione con questo gruppo:
discepolo del Clausi e amico dello Spiriti, del Bisceglia, dello
Zupo, egli ne condivide apertamente le idee, suscitandosi cosl
rostilitk degli ambienti conservatori di Cosenza. Questa ostilitk
non impedisce la sua consacrazione a sacerdote (awenuta, a quan
to pare, verso il 1782), ma certo contribuisce, insieme al naturale
desiderio di uscire dalla provincia, alia sua decisione di recarsi a
Napoli, dove si stabilised nel 1785.
Nei fecondi contatti con la piu vivace e avanzata cultura con-
temporanea napoletana - sappiamo che egli conobbe personal-
mente il Filangieri, il Pagano, la Pimentel, il Serio, il Palmieri -
Tiniziale orientamento illuministico del Salfi si consolida e si ma-
tura. La sua partecipazione ai temi piu dibattuti negli ambienti
illuministici napoletani & documentata anzitutto da un gruppo di
opere che si riferiscono alia polemica contro le pretese del papato
sul regno di Napoli e in genere contro il temporalismo ecclesia-
stico : tali sono non soltanto VAllocuzione del cardinale N. N. al
papa, e le Riflessioni sulla corte romana, pubblicate intorno al 1788
e che ebbero risonanza anche fuori d' Italia, ma pure alcune trage-
die come il Corradino (1790) e le inedite Giovanna I, Lo spettro di
Tecmessa e Rnzia, nonch£ i melodrammi Idomeneo (i792) e Saul
(1794). Piu interessanti tuttavia appaiono altri scritti, in cui il
Salfi affronta, sempre con mentalita illuministica ma anche con
una sensibilitk realistica che nelTambiente napoletano trova ri-
FRANCESCO SAVERIO SALFI
scontro forse solo in un Palmieri o in un Galanti, alcuni concrcti
problem! sociali e amministrativi tipicamente meridionali, II piu
noto di tali scritti 6 il Saggio di fenomeni antropologid relativi al
trgmuotOy gi& elaborate a Cosenza subito dopo il famoso tcrremoto
del 1783, ma pubblicato a Napoli solo nel 1787. Dell'argomento
si erano occupati, fra gli altri, il gi& ricordato Nicola Zupo e Ma
rio Pagano, ma mentre il primo si era fermato ad analizzare le
cause fisiche del fenomeno naturale, e il secondo, pur volgendo
Tattenzione agli effetti psicologici del terremoto, aveva veduto in
essi soprattutto la conferma del principio vichiano che le reli
gion! nascono dal timore, la conferma cioe di una generate te-
si filosofica; il Salfi invece si propone esplicitamente un fine so-
ciale: la lotta contro Tignoranaa e la superstizione delle plebi
meridionali, terrorizxate dalle interpretation!, interessatamcnte for-
nite dal clero, di un tipico flagello locale. Al medesimo scopo di
studiare e risolvere problemi specifici della vita sociale del Mexzo-
giorno rispondono altresl la Memoria su lo spedak di Cosenza
(1788), fondata su dati statistic! e contenente propoatc di precise
riforme; e il Brieve saggio sul metodo normal? (1789), che k un
piano di riorganizzazione, basata su principii sensistici, del metodi
delPinsegnamento medio nel regno di Napoli,
Tutti quest! scritti testimoniano ancora la fiducia dell'autore
nel riformismo illuminato dei principi, e, nel caso particolare, di
Ferdinando e Carolina. Ma anche il Salfi, come la maggior parte
degli intellettuali illuministici napoletani, si orienta clecisamente,
dopo la Rivoluxione francese e la conseguente involu^ione rea-
zionaria dei sovrani, verso il giacobinismo ; passa a far parte della
Societ^ Patriottica; e fra i ricercati dalla polizia; e infine b costret-
to a salvarsi con la fuga e a riparare prima a Genova e poi nella
Lombardia occupata dai Frances!. Quest! anni lornbardi costitui-
scono per il Salfi una esperienza fonclamentale, attraverso la quale le
sue idee politiche si chiariscono definitivamente secondo un in-
dirizzo al quale si manterranno in seguito sostanzialmente fcdeli.
Come il Croce ha veduto per primo e come piu recent! ricerche
hanno confermato e precisato, e proprio nel gruppo dei giacobini
di formaxione illuministica e massonica raccoltisi nella Cisalpina
da ogni parte d* Italia, e in particolare per merito degli esuli napo-
letani, che Tidea deirunit^i italiana comincia a perdere la sua fisio-
nomia di sogno letterario per diventarc un concrete programma
NOTA INTRODUTTIVA 929
politico in senso risorgimentale, per essere inteso cioe, se non
proprio in consapevole rapporto con Pidea romantica di «na-
zione», come il mezzo piu opportuno per garantire e sviluppare
la liberta costituzionale e Pindipendenza degli Italiani. Anche se
il Croce e la successiva storiografia politica non hanno partico-
larmente fermato Tattenzione su di lui, non sembra dubbio che il
Salfi sia stato fin dall'inizio uno dei piu fervidi e convinti pa-
triotti unitari. ccPopoli d'ltalia, » egli scrive per esempio nel 1796
sul « Termometro politico », il giornale da lui fondato insieme col
Salvador, col Porro, col Custodi, con PAbbamonti, «non limitate
i vostri voti ai miserabili confini fra i quali vi ha rinchiuso il
partaggio di pochi tiranni. I confini degli stati non ponno e non
debbono essere prescritti dal capriccio degli uomini ma dalle leggi
imprescrittibili della natura, che ha circondati i corpi politici come
i confini del mare ... La Francia vuole e dee volere una repubblica
itala capace di sostenere i propri che i comuni interessi. Oseranno i
Lombardi, i Bolognesi, gli Italiani medesimi opporsi allo stabili-
mento di essa ? E perch6 trascureranno ancora di prestarvisi e di af-
frettare Pepoca desiderata?)) A queste idee appunto si ispirano an-
che gli altri articoli da lui pubblicati nel triennio cisalpino sia sul
ricordato « Termometro politico)), sia sul « Giornale dei patrioti
italiani», a cui pure collabor6 insieme col Galdi, col Pistoia, col
Lauberg, col Vitaliani ; ma egli dovette svolgere anche una notevole
attivita clandestina, se il suo nome figura assai spesso, nei rapporti
della polizia milanese, tra quelli dei piu accesi oppositori giaco-
bini alia politica del Direttorio (« temp6rament tres ardent » e de-
finito in uno di questi rapporti). Non diversamente a Napo-
li, dove egli si affretta ad accorrere nel 1799 e dove e nominate
segretario del governo provvisorio e poi presidente della Sala Pa-
triottica, 6 fra color o che cercano di tutelare Pautonomia della
nuova repubblica dalPinvadenza dei Francesi, come dimostrano
ad esempio e la sua proposta che non vi fossero « altri guerrieri
che i nazionali, n6 altri difensori del popolo che il popolo stesso», e
i suoi sforzi per organizzare una efficiente coscrizione militare dei
patriotti. Ne il suo atteggiamento muta quando, costretto a fug-
gire di nuovo da Napoli, ritorna a Milano e si trova di fronte alia
nuova situazione creata dallo stabilimento della repubblica e poi
del regno d' Italia.
Non e privo di significato che egli non ricopra nei nuovi go-
59
930 FRANCESCO SAVERIO SALFI
verni cariche pubbliche, ma che invece preferisca dedicarsi al-
rinsegnamento, prima nel Liceo di Brera, come profcssore di lo-
gica e metafisica (1800), di storia (1807) c di storia e diplomasda
(1809), e poi, dopo il 1809, di «diritto pubblico e commercialc nei
rapporti dello stato con gli stati esteri» in una specie di scuola di
perfezionamento, dove ebbe allievi, fra gli altri, Tommaso Grossi e
Federico Confalonieri, che ancora nello Spielberg, a detta del Ma-
roncelli, ricordava con venerazione il suo antico maestro. Non per
questo egli rinuncia all'attivitk politica, ma essa si svolge, come
e pita di prima, in forma clandestina, in seno ciofe alia Masso-
neria, a cui era iscritto fin dagli anni cosentini e dove era giunto
al grado di membro del Grande Oriente Italiano. Sul carattere
di questa attivitk non possono naturalmente fornire molta luce
le sue pubblicazioni massoniche « ufficiali », come il poemetto Iramo
(1810) e Topuscolo DelVutilitti delta F.\ Massoneria (i8n), che
insiste genericamente sui compiti e sugli scopi dell'associazione,
limitandosi a ricordare l'ostilit& del massoni per un governo « che
si proponesse Fignoranza, la miseria e la nullitk dei popoli». Ma
che il Salfi anche in questo campo tenesse fede alle proprie idee,
sembra chiaramente documentato da quanto egli stesso affermeri
piu tardi (nelPopuscolo Ultalie au dix-neuvi&me stick) a proposito
delle logge massoniche italiane, nelle quali - egli ricorder& - «les
partisans du despotisme ne purent jamais d^naturer celui d'in-
d£pendance, que les bons citoyens s'6tudiaient & rdpandre partout
oil s^tendait leur influence)), e «se nourrissaient chaque jour le
d6sir et Tespoir de la reunion des 6tats d' Italic et d*une constitution
approprtee k ses besoins et & ses Iumi6res ». Apertamente animata
da quest! spiriti antitirannici e indipendentistici & del resto la sua
fervida azione in quel campo del teatro che egli gi& nel periodo
napoletano prerivolurionario aveva coltivato con passione, quale
mezzo per combattere la superstizione e i pregiudizi, ma che ora gli
appare alfierianamente lo strumento piti adatto per risvegliare la
coscienza unitaria e repubblicana degli Italiani. «I1 teatro » egH
scrive nel «Termometro politico)) fin dal 1796 «non era stato
finora adoperato per un oggetto cosl grande qual & la libertk
di una nazione. Esso era degenerate dalla sua origine. La ti-
rannia e la superstizione lo avevano ancora imprigionato e av-
vilito. Egli & tempo che ripigli i suoi diritti, che si vendichi de'
suoi torti, che concorra alia tranquilla rivoluzione della Lorn-
NOTA INTRODUTTIVA 931
bardia. lo non conosco un mezzo piii adatto per svilupparla, per
eseguirla, per confermarla». Con questo spirito non soltanto si
occupa - a Brescia prima del 1799 e poi a Milano nel 1800 -
della organizzazione di un ccteatro patriottico », ma compone egli
stesso alcune tragedie (La congiura pisoniana, 1797; la Virginia bre-
sciana e / trenta tiranni d'Atene, 1798; il Pausania, 1800) e melo-
drammi (la Clitennestra e / Plateesi, 1801), dove, in forme alfie-
riane, appaiono infiammati accenni alia secolare servitu italiana
e ai pericoli del presente dispotismo francese: come, per fare un
solo esempio, in questi versi della Virginia bresciana: ccFu gia Flta-
lia donna / di sue provincie: ormai del Greco preda / o deirUnno
o del Goto, imbelle e stanca / di piu regnar, di servir gode, e al
primo / stranier che il voglia s'abbandona».
Un innato equilibrio (e non come in altri patriotti un latente
conservatorismo o il pensiero del tornaconto personale) lo porta
tuttavia a riconoscere che, malgrado tutto, i Frances! assicuravano
all' Italia, come piu tardi scriverk, una «espece d'inde*pendance »,
che la nazione non aveva prima d'allora conosciuta. E quando nel
1814 il Murat, da lui conosciuto fin dal tempo della Cisalpina, gli
propone di tornare a Napoli per assumere la cattedra di storia
e di cronologia alPUniversitk, ma soprattutto per stabilire col suo
aiuto un collegamento con i patrioti lombardi, il Salfi accoglie
Tinvito a rimanere accanto al re (per quanto, come sembra, poco
fiducioso neU'esito deirimpresa) durante lo sfortunato tentativo
conclusosi con la sconfitta di Tolentino. Dopo la quale, per la
terza ed ultima volta, abbandona Napoli, e, scelta la via deU'esilio,
si reca a Parigi, dove rimane fino alia morte, awenuta il 2 settem-
bre del 1832.
Anche in questi sedici anni di esilio parigino il Salfi, malgrado
Tet& ormai avanzata, continua ad interessarsi di politica, sempre
ispirandosi, con una coerenza e una dirittura che gli erano rico-
nosciute dai fuorusciti di ogni tendenza, ai suoi ideali; sia quando
fonda col Mirri, col Linati, col Porro Lambertenghi la cosiddetta
« Societk delPemancipazione nazionale»; sia quando propone nell'o-
puscolo Vltalie au dix-neuvikme si&cle (1821) il progetto di una
confederazione degli stati italiani, intesa come un mezzo per as-
sicurare all' Italia una forma concreta di libertk; sia infine quando
nel 1831 prende parte attiva alle trattative tra i fuorusciti italiani
e il La Fayette, e redige col Buonarroti il proclama che termina con
93^ FRANCESCO SAVERIO SALFI
il famoso augurio : « cadano i tiranni, s'infrangano le corone e sulle
mine loro sorga la Repubblica italiana una e indivisible dalle Alpi
al mare».
La conoscenza dell'attivitk politica del Salfi dopo il 1796, illu-
ministica ancora nei suoi principii ma gik risorgimentale nei suoi fi-
ni concreti, se interessa direttamente la storiografia politica di
questo memento cosl delicato e complesso, costituisce altresi la pre-
messa indispensabile per intendere e valutare la contemporanea
attivitk dello scrittore nei campo culturale, e in particolare in
quello della critica letteraria, dove egli ha lasciato le sue opere piii
notevoli. Ancora nei 1827, cinque anni prima della morte, scriven-
do da Parigi al nipote Ferdinando ScagHone, mentre dichiara
apertamente la sua diffidenza per il pensiero e il gusto romantico
« che tenta sconvolgere le pratiche e le teoriche tutte de' classic! »,
protesta la fedeltk sua e dei «migliori» e «pi{i savi» alia «dottrina
di Condillac e di Cabams», al classicismo, al sistema baconiano,
insomma alia «antica scuola di Locke e di Despr6aux». K invero
questa fedeltk 6 chiaramente confermata dalle pagine rimasteci di
lui su questioni teoriche di storiografia, di giurisprudenza e di
•estetica. Tali sono le due prolusioni Dett'uso delVistoria massime
nelle cose pubbliche (1803) e Delfinfluenxa della storia (1815), ncllc
quali si cerca di difendere Fattiviti storiografica dalle accuse di
Melchiorre Delfico e di altri, ma fondandosi pifc sul concetto sen-
sistico di esperienza che sui concetti vichiani che pure vi sono ri-
chiamati, e non senza cedere, specie nell'ultima prolusione, alia
vecchia sfiducia razionalistica verso una scienza capace d'offrire
solo uno (cspettacolo funesto» di vizi, di errori, di pregiudizi.
N6 mancano forti residui razionalistici nei Corso di diritto pubblico
(1809-1813), dove i adottata la distinzione vichiana in diritti di
propriety libertk e sicurtk, ma il concetto basilare i ancora quello
del diritto di natura. Infine nei saggio Delia declamations (co*
minciato a Brescia, ma rielaborato forse a Parigi), che contiene
le sue piu impegnative considerazioni di teoria estetica, Tautore, pur
tra reminiscenze sensistiche e lessinghiane, rimane sostanzialmen-
te ancorato al concetto intellettualistico dell'artc come «perfe-
2ionamento» della natura attraverso un proccsso di imitazione e
di selezione.
Questo concetto si ritrova anche nelle opere critiche e storio-
grafiche, ivi comprese quelle composte a Parigi, insieme ad altri
NOTA INTRODUTTIVA 933
canoni pure tipicamente settecenteschi, quali il principio della fun-
zione razionalmente educativa della letteratura e la conseguente
estensione della nozione stessa di letteratura alle piu varie attivit£
cultural! ; il concetto della storia letteraria e culturale come in-
dagine del progress!, o dei regressi, della «ragione» e del «buon
gusto »; 1'applicazione, spinta fino ad uno scrupolo (per dirla col
Croce) (cburocratico)), delle classificazioni dei generi letterari; il
gusto sostanzialmente classicistico e comunque poco sensibile a
forme d'arte primitive o popolari o realisticamente « nazionali »
come quelle prodotte o rivalutate da preromantici e romantici.
Vero e anche, per6, che nell'opera storiografica e critica del Salfi,
rispetto a quelle dei precedenti scrittori del Settecento, si sente cir-
colare uno spirito nuovo, quello stesso nazionalismo «giacobino»
che distingue la sua azione politica, e che qui, trasformandosi in
canone critico e storiografico, penetra nei vecchi schemi e almeno in
parte 11 scuote e li rawiva: uno spirito nuovo che riempie di
una fervida ansia di rinnovamento patriottico sia il principio del-
Farte come perfezionamento della natura sia quello della funzione
educativa di essa; che impiega il concetto di progresso come un
mezzo per seguire lo sviluppo delFidea di indipendenza e unitk
e in genere della serieta morale e del libero vigore inventivo nella
storia letteraria italiana; che accetta i generi letterari anche per
ch^ essi consentono di seguire e documentare ordinatamente que-
sto sviluppo, il quale interessa il critico, in definitiva, piu che le
singole personality poetiche; che infine vede nella fedeltk al clas-
sicismo non tanto la difesa di un primato accademico italiano
(come e per i classicisti conservator! dal Tiraboschi al Vannetti al
Napoli Signorelli, dal Napione al Borsa), quanto Poperante richia-
mo ad una tradizione gloriosa che ha unito nel passato ed e ancora
capace di unire nel presente tutti gli Italian!.
Questo orientamento comincia a manifestarsi gia negli articoli
che fin dal tempo della Cisalpina il Salfi scriveva come critico
teatrale nel «Termometro politico)), e nei quali, come si e vi-
sto, il concetto illuministico di un teatro inteso quale strumento
di educazione popolare si anima di un contenuto schiettamente
unitario e indipendentistico. Ma esso appare in forma consape-
vole e sistematica solo negli scritti critic! e storiografici compost!
a Parigi dopo il 1816. A questa maturazione contribuisce senza
dubbio, e va anzi posto in forte rilievo, il fecondo contatto con gli
934 FRANCESCO SAVERIO SALFI
ideologi parigini, che col Salfi collaboravano alia Biographie univer-
selle t alia « Revue encyclop6dique », come il Guizot, il Fauriel
e soprattutto il Sismondi, il quale proprio in quegli anni veniva
pubblicando o rielaborando le sue opere maggiori, fondate sul
concetto della storiografia come indagine dello sviluppo dello spi-
rito di liberty e su quello della letteratura come « espressione della
societik », e dedicate proprio alia storia politica e letteraria d' Italia.
Ma per quanto Pinfluenza del Sismondi vada calcolata nel valu-
tare Foriginalrti del Salfi, rimane merito (e naturalmente anche
Hmite) di questo 1'avere, in virtu della sua particolare esperienza
politica, spostato sistematicamente, e comunque piti. nettamente,
I'attenzione sulFautonomo vigore « patriottico » delle epoche e delle
opere letterarie italiane, offrendo cosl ai futuri critici e storiografi
romantici una base di cui non & forse stata ancora adeguatamente
riconosciuta Timportanza.
II primo scritto dove appare esplicitamente questo punto di
vista & il lungo articolo, pubblicato in quattro puntate nella « Revue
encyclop6dique » e intitolato Du g&nie des Italians et de Vital actual
da leur literature (1819). L/autore vi afferma, ad un certo punto,
che egli spera di poter dimostrare un giorno che la « revolution des
esprits, qui fit tant de progr&s dans une grande partie de 1'Europe,
avait commenc^ depuis long-temps en Italie, oti elle aurait eu le
m£me succes, peut etre un plus grand encore, si les Italians eus-
sent eu moins d'obstacles £ vaincre, ou s'ils se fussent trouv6s
dans des circonstances plus favorables ». Ma proprio a questo
intento risponde g& il sommario schizzo che egli qui traccia della
nostra letteratura, tenendo presente la linea disegnata dal Si
smondi nella Literature du midi de V Europe^ ma apportandovl al-
cune significative correzioni, intese appunto a mostrare la presen-
za dello spirito di libertk politica e comunque intellettuale anchc
nei secoli piti oscuri della storia letteraria italiana, sia che egli sot-
tolinei nel Cinquecento i meriti dei filosofi e degli scienziati «qui
avaient entrepris les premiers de tracer 1'histoire de la nature,
ccux qui cr6&rent la physique exp6rimentale et la v6ritable m^thode
de raisonnen>; sia che osservi che la stessa corruzione del gusto
nel Seicento, attribuita dal Sismondi alia decadenza morale e po
litica, « ne fut pas sans de grands efforts de I'esprit, dont une na
tion tr&s civilis^e 6tait seule capable)) e fu comunque bilanciata
dal pensiero di un Galileo, di un Campanella, di un Cardano, di
NOTA INTRODUTTIVA 935
un Bruno, di un Gravina, per merito dei quali pu6 ben dirsi che
«ce furent les Italiens, qui aussitot qu'ils perdirent Find6pendance
politique, donnerent les premiers a FEurope Texemple de Finde*-
pendance philosophique»; sia che infine, confutando implicita-
mente ancora il Sismondi che aveva definite il risveglio spirituale
italiano nel Settecento «inatteso» e dovuto alPesempio straniero,
descriva tale risveglio proprio quale sviluppo dei germi autonomi
posti dal Cinquecento e dal Seicento.
Piu esplicitamente suirautonomia e la progressiva maturazione
del risveglio culturale italiano dalla fine del Cinquecento agli inizi
delPOttocento il Salfi insiste in alcune pagine del gia citato opuscolo
V Italic au dix-neuvieme siecle, sottolineando particolarmente il rin-
novamento operato nel campo giuridico ed economico dal Gra
vina, dal Genovesi, dal Filangieri, dal Beccaria, dal Verri, in quel-
lo religioso dai giansenisti italiani, nelle discussioni linguistiche
dal Cesarotti e dai puristi, nella poesia dalPAlfieri, dal Casti,
dal Pindemonte, dal Foscolo, grazie ai quali ales Muses italiennes
ont appris de nouveau & parler le langage de la liberte* et de la
morales. Ma le idee affacciate in questi due lavori preliminari
hanno uno sviluppo assai piu sistematico e impegnativo nella
continuazione dt\V Histoire litter air e d'ltalie del Ginguen6 e nel
Re'sumt de Vhistoire de la littlrature italienne. Nella prefazione al x
volume delYHistoire, che e il primo redatto interamente dal Salfi,
Fautore dichiara di essersi voluto conformare «a la methode etk
Pesprit de son pr£d6cesseur ». Ma se per molti aspetti - quali Fin-
tellettualismo estetico, la fedeltk ai generi letterari e gli altri criteri
che abbiamo sopra elencati - il Salfi si richiama in effetto e al
Ginguen6 e ai precedenti storiografi settecenteschi ; lo spirito nuovo
del continuatore si awerte subito fin dalle aggiunte da lui appor-
tate ai volumi VII, vni e IX delPopera del critico francese (pubbli-
cati nel 1819, a cura appunto del Salfi), come il paragrafo dedicato
a Telesio, la cui «scoperta» in verita risale a Bacone ma che il
critico cosentino pone alPinizio della tradizione italiana di libero
pensiero, e quelli sugli scrittori politici del tardo Cinquecento e
del primo Seicento, dei quali viene sottolineata la serieta morale
e Pimportanza nella storia del pensiero politico europeo. Piu si
gnificative ancora 6 lo sguardo retrospettivo che alia fine del vo
lume x (pubblicato nel 1823) il Salfi rivolge a tutta la letteratura del
Cinquecento. In accordo col Sismondi e in polemica col Ti-
936 FRANCESCO SAVERIO SALFI
raboschi e gli altri storiografi classicisti egli riconosce la futility
di tanta parte della letteratura cinquecentesca, e ne attribuisce la
colpa alia situazione politica e in particolare alFInquisizione, ma
al tempo stesso, riprendendo e precisando le idee accennate nel-
Farticolo Du gdnie des Italiens et de Vdtat actuel de Uur literature,
si volge a cogliere con una simpatia piu fervida del Sismondi tutti
quegli aspetti chc possono documentare in qualche modo la pre-
senza di un libero, e non accadcmico, vigore morale e intellet-
tuale: la diffusione capillare della cultura, favorita proprio dalla
mancanza di una capitale; i « progress! » effettuati in tutti i generi
letterari; il sentimento nazionale che almeno in parte giustifica
Fimitazione dei classici ; e soprattutto il coraggio di alcuni storici,
nei quali « Frequence parle quelquefois son ancien langage»; e
la «saine philosophies, la spregiudicata ribellione alFautoritk co-
stituita e al conformismo, che egli ritrova non solo nei filosofi e
negli scienziati, ma persino, con patriottica esagerazione, negli
scrittori burleschi e satirici.
I quattro volumi che seguono (xi-xiv, pubblicati postumi nei
1834-1835) si sogliono lodare, dal Croce in poi, soprattutto per
Fampiezza delle letture dirette e Faccuratezza della informazione.
Ma bisogna anche dire che qucste stesse qualitk non nascono,
come invece per esempio in un Tiraboschi, da un puro scrupolo
di erudita esattezza e completezza, bensl dalla precisa e consape-
vole volontk di procedere con impegno sistematico a quella re-
visione dei giudizi vecchi e nuovi sul piti famigerato secolo della
nostra letteratura, della quale aveva awertito la necessitk fin dal-
Farticolo Dugdnie des Italiens. «Nous montrerons» egli dice pro
prio alFinizio della sua trattazionc, dopo aver accennato al Tira
boschi, che si era meravigliato della decadenza culturale e let-
teraria in un secolo cosi pacifico, e al Sismondi, che tale deca-
denza aveva ricondotto alFoppressione politica e religiosa, « le g6nie
des Italiens luttant encore contre le dcspotisme de leurs oppres-
seurs, et s'acqu<§rant, par cettc lutte m6me, de nouveaux titres de
gloire, s'il est vrai que dans les circonstances les plus diplorables,
Fltalie ne cessa jamais de faire preuve de vigueur et d'originalit^,
malgr6 la corruption qui mcna$ait de toute part et le goftt et la
morale publique». Questo vigore c questa originaliti sono testi-
moniate, a giudizio del Salfi, soprattutto dai filosofi e dagli scien
ziati : e se questo aspetto del Seicento era stato g& sottolineato dalla
NOTA INTRODUTTIVA 937
storiografia settecentesca e dallo stesso Tiraboschi, & tuttavia me-
rito del critico cosentino non soltanto Pessersi ampiamente sof-
fermato su di esso (anche se poi nella stampa gli editori soppres-
sero, forse per timore della censura, parecchie pagine dei capitoli
sull'argomento), ma anche e soprattutto Paver insistito, sia pure
con qualche polemica esagerazione, sullo spirito di spregiudicata
indipendenza critica di quei filosofi e di quegli scienziati, e Paver
in tal modo aperto la strada alia posteriore storiografia romantica
e, almeno indirettamente, allo stesso capitolo desanctisiano su
La nuova scienza. Al centro del movimento filosofico e scienti-
fico del Seicento il Salfi pone naturalmente Galileo, esplicita-
mente presentato - forse per la prima volta con tanta evidenza —
come Feroe massimo della tensione secentesca verso la liberta di
pensiero; e insieme con Galileo gli scienziati della sua scuola.
Ma con paziente fervore va in cerca di ogni minima traccia di
questa tensione anche negli altri campi della cultura, nelFarcheo-
logia, nella geografia, nella filologia e soprattutto negli studi di
retorica e di poetica, ai quali dedica un lungo capitolo ispirato dalla
precisa intenzione di «relever, plus qu'on ne Fa fait jusqu'ici,
cette partie de Fhistoire d' Italic, parce que la plupart, pr6occu-
pe"s de la corruption qui dominait Fltalie a cette 6poque, n'ont
pas rendu assez de justice a ceux qui avaient eu le m6rite et le
courage d'opposer au torrent leurs pr6ceptes et leur exemple».
In altri campi, per esempio in quello degli studi storici, Fautore
non pu6 non riconoscere e deplorare che nel complesso gli scrit-
tori sembrano aver «oubli6 tout sentiment de gloire nationale»:
ma non rinuncia per questo a porre in rilievo qualche tempera-
mento piti risentito, come, appunto tra gli storiografi, il Leti, il
Davila, il Bentivoglio, attribuendo loro, per giustificare la loro
scelta di argomenti stranieri, la volonta di evitare « Paffligeante
n£cessit6 de peindre 1'humiliation de leur pays».
In coerenza con lo spirito animatore delF opera, anche se discu-
tibile in se stessa (e in effetto discussa dal Croce), & anche la spie-
gazione che il Salfi propone della « corruzione » letteraria del ma-
rinismo : che a suo giudizio ha origine non tanto nelFambizione di
superare in qualche modo la « perfezione » cinquecentesca e nel-
Tinflusso del cattivo gusto spagnolo (come aveva pensato il Ti
raboschi) e neppure nella decadenza morale prodotta dall'op-
pressione politica e religiosa (secondo la teoria del Sismondi), bensl
FRANCESCO SAVERIO SALFI
in una specie di distorsione di quello stesso spirito di «liberta»
che si era manifestato positivamente nei filosofi e negli scienziati,
e che nel campo letterario, pur partendo dal lodevole proposito
di rcagire alia ((imitation servile » dei classici, aveva finlto per
precipitare nella ((licence la plus insens6e». In concrete) il Salfi,
quando si fa ad esaminare le opere letterarie sia dei marinisti che
degli antimarinisti, si lascia trascinare dal suo generoso proposito
di rivalutare anche questo aspetto del Seicento a giudm eccessi-
vamente e spesso ingenuamente positivi sulla seriet& morale e pa-
triottica e sul valore artistico di quegli scrittori, che gi& vent'anni
prima il Torti, pur valendosi di criteri ancora settecenteschi, aveva
saputo ridurre alia loro vera statura. Accade cosl, per esem-
pio, che egli affermi che, ad eccezione delPAriosto, nessuno fu
piti « naturellement po£te» del Marino; che prenda sul serio la
gravity di tono e i rari accenni patriottici del Filicaia, del Guidi,
del Testi, del Chiabrera; che attribuisca al Tassoni il merito di
aver fatto assumere alia poesia eroicomica « sa forme veritable », di
averla cio& trasformata in «un genre de satire noble et instructive,
qui k 1'aide de la plaisanterie poursuit les vices et les pr£jug6s»;
e che lo stesso merito riconosca anche ai satiric! dal Rosa al Villani,
dal Nomi al Soldani al Sergardi. Anche se poi & proprio a questa
fervida caritk patria che si deve lo scrupolo con cut il Salfi si
impegna in letture dirette e in particolareggiate analisi di tutta
una serie di opere, specialmente di scrittori meridionali, in gran
parte dimenticate e poco note, apprestando cosi, se non altro,
un complesso di materiali utili agli storici futuri,
Lo spirito e il metodo che guidano la continuation del Gin-
guen£ rimangono sostanzialmente immutati nel R6swn4 de Vhistoire
de la literature italienne. Non costituisce infatti una vera differenza
il fatto che qui Tautore si limiti «aux objets qui appartiennent i
la literature proprement dite », poich6 questa limitazione non na-
sce da una nuova consapevolexza deirautonomia della lettcratura,
ma da una necessitk editoriale, dall'esigenza, come 1'autore stesso
dichiara, di ((combiner la bri£vet6 avec Putilit6». E neppure si pud
considerare una novit^ Tespedientc di far cominciare le varie epo-
che dal settantacinquesimo anno di ogni secolo: periodkmione
forse piti aderente alia realti di quella tradizionale, ma in fondo
(come ha osservato il Getto) non meno meccanica. Ci6 che distin
gue il Rdsumd dalla continuazione del Ginguen6 6 piuttosto il fatto
NOTA INTRODUTTIVA 939
che in esso, anche per la natura stessa del lavoro, piu rapido e
sintetico, si rivela piu vivo e piu accentuate* il proposito di ritro-
vare e seguire la presenza e i progressi dello spirito di liberta
nelle varie epoche della letteratura italiana. A questo fatto si deve
se, piii ancora che nella continuazione del Ginguen6, compaiono
nel Rdsumd interpretazioni e valutazioni tendenziose, come quando
Tautore dichiara che una delle cause principali della formazione di
Una comune lingua italiana fu il bisogno che gli Italiani sen-
tirono «de se communiquer leurs moyens, pour la defense com
mune de leur ind6pendance et de leur liberte" »; o loda il Trissi-
no per aver scelto nel suo poema epico un soggetto nazionale
con Tintenzione di risvegliare nei suoi conterranei il sentimento
patriottico di cui era animato; o attribuisce al Berni il proposito
di satireggiare i vizi e i pregiudizi del suo tempo; o presenta
Gasparo Gozzi come un awersario delFInquisizione veneta; o
per contro biasima TAriosto per non aver fatto «aucune mention
des calamit6s nationales dont il fut t6moin».
D'altra parte e proprio questa piu accentuata ispirazione pa-
triottica che conferisce al Rdsumd, anche quando vi sono ripresi
giudizi della critica precedente, freschezza e organicita. Ad idee
gia esposte dal Torti nel suo Prospetto del Parnaso italiano si richia-
mano, se non m'inganno, le pagine su Dante; ma bisogna poi
riconoscere che in esse il concetto dell'ispirazione « civile » della
Commedia si riempie di una piu fervida persuasione, e trova
altresl conferma nell'analisi delle opere minori dantesche, che il
Torti aveva del tutto trascurato. Cosl pure, se nel capitolo dedi-
cato al Petrarca sono messi a profitto quasi certamente, questa
volta, spunti foscoliani, rimane comunque assai notevole la di-
fesa che il Salfi fa - in polemica con il Sismondi e forse con il
Torti - della profonda serieta sentimentale del poeta, non solo
nelle poesie politiche ma anche in quelle amorose, nelle quali,
egli afferma, il Petrarca « parle au coeur, lors mSme qu'il ne semble
s'adresser qu'a F esprit ». Meno impegnativi i giudizi sul Boccaccio
e sugli scrittori del Quattrocento, in cui il Salfi si limita a ripetere,
anche se con piti accentuate compiacimento nazionalistico, e po-
nendo in rilievo personalita come Vittorino da Feltre e il Savona
rola, gli elogi illuministici ai meriti delPUmanesimo italiano nella
lotta contro la barbarie e la superstizione medioevale; mentre nei
capitoli dedicati al Cinquecento e al Seicento Pautore riprende o
94° FRANCESCO SAVERIO SALFI
anticipa con plti sintetica evidenza e con qualche notevole ag-
giunta (per esempio sul Machiavelli, foscolianamente intcrpretato)
le idee piu diffusamente esposte nei volumi della continuazione
del Ginguen6. Ma le pagine piu interessanti del R&umtf sono senza
dubbio quelle intorno alia letteratura settecentesca, della quale il
Salfi, grazie alia sua particolare mentalita insieme di illuminista
e di patriotta, sa intendere con simpatia e dimostrare 1'importanza
nella formaziohe di una moderna coscienza nazionale italiana.
Guidato appunto da tale simpatia egli & forse il primo a compren-
dere nel loro pieno valore i meriti dei critici arcadici, i quali
«au lieu d'exposer et de commenter les regies des anciens, comme
Favaient fait leurs devanciers, . . . se sont occup6s d'en chercher
la raison et d'en relever les principes » ; il significato della « crise
Htt6raire», cio& delle discussioni estetiche e HnguisStiche della se-
conda met& del Settecento, attraverso le quali «on a chereh<£ dc
mieux determiner les droits de la langue et de la pens6e»; la fun-
zione delle riviste che tutte «servirent non seulement & r6pandre
les principes d'une critique plus libre et plus raisonn6e, mais
aussi a donner a la langue une force plus exp^ditive et plus propre
a la communication des id6es». Tra i grandi scrittori del Set
tecento alquanto sacrificato rimane il Parini, ridotto a rappresen-
tante, sia pure degnissimo, del genere didascalico ; e neppure han-
no particolare rilievo i giudizi sul Metastasio e sul Goldoni, che
il Salfi si preoccupa soprattutto di difendere, riprendendo argo-
menti non nuovi nella critica settecentesca, dalle accuse di scarsa
sensibility morale e simili. Stimolato dalle importanti pagine della
sismondiana Literature du midi de VEurope, ma ricco di personal!
ed acute osservazioni i invece il capitolo sulFAlfieri, per la cui
comprensione il Salfi poteva giovarsi pifr direttamente della propria
esperienza umana e artistica. In questo caso infatti i proprio
tale esperienza, con la sua caratteristica mescolanza di intel-
lettualismo illuministico e di religioso fervore patriottico, che gli
permette di intendere e valutare positivamente, riportandole ad
una profonda esigenza di superumana idealizzazionc, quelli che al
Sismondi, allo Schlegel e ai romantici sembravano difetti, la man-
canza di riferimenti ai costumi e ai tempi, la monotonia dei carat-
teri, la linearit^ della trama, la rigidezza dello stile : « aussitdt qu*il
les avait rencontr6s tels qu'il les d<§sirait, » egli osserva a proposito
dei personaggi alfieriani «il les transportait dans un monde id6al
NOTA INTRODUTTIVA 94!
ou ils prenaient une forme plus imposante et parfaite . . . Son
objet principal est d'elever le caractere et les passions des person-
nages qu'il met en oeuvre, et, pour ainsi dire, de les placer au
dessus du niveau de 1'espece humaine, ou plutot de la g6neration
actuelle ». N£ d'altra parte questa difesa della idealizzazione poetica
alfieriana gli impedisce di riconoscere, estendendo sia pure un po'
indiscriminatamente il giudizio sismondiano su Saul, la complessita
psicologica di questi personaggi, da Filippo (caussi inquiet que
cruel» ad Egisto «toujours meditant sa vengeance et que les
dangers et les obstacles rendent encore plus perseverant dans son
projet», a Clitennestra duttant contre les int£rets de son fils et
ceux de son adultere complice », agli stessi caratteri eroici e virtuosi,
i quali «quelles que soient leur condition ou leur vertu . . ., ne
cessent jamais de souffrir». Analogamente, mentre giustifica, ri-
chiamandosi alia ispirazione particolare deirAlfieri, la scarsa me-
lodicita del suo verso, non manca di osservare come il poeta, to-
gliendo al ritmo « cette melodic en apparence si 6clatante et deve-
nue trop commune, . . . lui donna une variet6 inepuisable de sons,
d'h6mistiches, de cadences et d'enjambements, qu'on n'avait
employes, depuis Dante jusqu'a lui, que quelquefois et par hasard».
Ma se il Salfi in uno sforzo di congeniale simpatia riesce ad apprez-
zare neirAlfieri anche questi aspetti, i limiti della sua mentalita
e del suo gusto si fanno di nuovo sentire nei giudizi sui ro-
mantici, dei quali, malgrado tutta la buona volonta, non gli e
possibile comprendere e giustificare n6 la lotta indiscriminata con-
tro le « regole », anche quelle collaudate dalla ragione e deirespe-
rienza, n£ Tostinata aderenza alia «realta» e alia «storia», che gli
sembra tradire lo scopo, a suo giudizio fondamentale per ogni
artista, di offrire modelli ideali a edificazione dei lettori e degli
spettatori, n6 in particolare la preferenza per argomenti tratti da
quel Medioevo che certo, egU ammetteva, ha piu rapporto con i
nostri costumi, le nostre opinioni, i nostri bisogni, ma che non
pu6 offrire, quanto Tepoca classica, «des 6v6nements et des ca-
ract&res propres a relever une race d6g6ner6e». E se, nella sua
onesta, non pu6 non riconoscere che i veri patriotti sono proprio
i romantici, tuttavia il suo cuore di unitario rimane turbato di
fronte alle polemiche da essi sollevate, nel timore che esse fmiscano
per «nuire aux progres de la Iitt6rature italienne, et, ce qui est
pis enfore, confirmer cet esprit de division municipale qui peut
942 FRANCESCO SAVERIO SALFI
utile k tout autres qu'aux Italiens », e lo porta a concludere il
con Pesortazione «& sacrifier ces contradictions dcs clas-
siques et des romantiques aux int£r£ts d'une 6colc plus utile ct
vraiment nationalc ».
Questi giudizi sulla contemporanea Ictteratura italiana, espo-
sti nel R£$um£ in forma generica, senza alludere a singoli scrittori,
trovano una particolareggiata esemplificazione, oltre chc in alcuni
studi minori - come il Saggio storico critico della commedia italiana
(1829), prcrnesso ad una edizione delle commedie del Nota, e la
Introduzione ad una scelta delle commedie del Giraud -, negli arti-
coli e nelle recensioni che il Salfi veniva regolarmente pubblicando
nella « Revue encyclop6dique ». Tra questi articoli e recensioni,
che erano attesi e letti con interesse anche in Italia, dove la « Re
vue)) era molto diffusa, i piu notevoli, sia perch6 meglio servono
a documentare le idee del Salfi sia per impcgno critico, sono forse
la Notice sur Ugo Foscolo (1827) e le lunghe recensioni del Car-
magnola (1820) e dei Promesn sposi (1828). Nel necrologio fosco-
liano 6 riconosciuta la grandezza del poeta e del critico, ma mentre
le lodi insistono soprattutto sui suoi meriti patriottici e sul suo
gusto sanamente classico, si avverte chiara in queste pagine la
diffidenza delPonesto giacobino verso ((Textrime mobilit6» della
personality foscoliana e in particolare verso la scarsa coerenza
fra i principi «stoici» professati e i disordini della vita privata.
Nella recensione al Carmagnola 1'entusiasmo per Tispirasdone « na-
zionale » della tragedia trattiene il critico dalPinsistere troppo sul-
Fallontanamento del Manzoni dai sani principii del teatro classico.
Ma dei Promessi sposi il Salfi fa, sia pure in termini moderati,
una vera stroncatura, nella quale il giacobino nazionalista, che
deplora la scelta di uno sfondo storico cosl avvilente e pi& ancora
Tidealizzazione dei «bons capucins» del Seicento, si allea con il
classicista che biasima Peccessiva aderenza alia storia, la mancanza
di unitk d'azione e Paccoglimento di protagonisti «si vulgaires».
Stroncatura senza dubbio ingiusta, ma che, oltre a provare an
cora una volta la coerenza del Salfi con i suoi principii, ha non
trascurabile importanza nella storia della critica manzoniana, in
quanto & forse il primo documento autorevole, come ha ricono-
sciuto il Croce, di « quelPantimanzonismo fra classicistico e liber-
tario », che si prolungherl per tutto POttocento fino al Settembrini
e al Carducci.
NOTA INTRODUTTIVA 943
Un elenco complete delle opere edite e inedite del Salfi, nonch6 degli
articoli e delle recension! pubblicate nella « Revue Encyclop£dique » dal
1819 al 1832, si trova nella monografia, citata piu avanti, di C. NARDI,
pp. xn-xx. Qui ci limitiamo a ricordare le piu important!: Saggio difenomeni
antropologici relativi al tremuoto, ovvero riflessioni sopra alcune oppinioni
pregiudizievoh alia pubblica e privata felicita, fatte per occasione dei tremuoti
avvenuti nella Calabria Vanno 1783 e seguenti, Napoli, per Vincenzo Flauto
a spese di Michele Stasi, 1787; DelVuso delVistoria massime nelle cose
pubbliche, Milano, Nobile, 1803; Dell'utilita delta F.'. Massoneria, dai tipi
del G/. O.'. d' Italia, 5811 (1811); Dell 'influenza della storia, discorso re-
citato ilxsfebbraio 1815, Napoli, Nobile, 1815 ; La storia dei Greci, discorso,
Paris, Chauson, 1817; Ultalie au dix-neuvieme siecle ou de la n&cessite'
d'accorder le pouvoir avec la liberty Paris, Dufart, 1821 ; Saggio storico cri-
tico sulla commedia italiana, Milano 1829; Della declamazione, preceduta
da un cenno biografico su Tautore e pubblicata per cura di A. Salfi,
Napoli, D' Alfonso, 1878. SulYHtstoire e sul Resume si vedano i cappelli
alle pagine qui riprodotte.
Fra gli studi sulla personalita politica e letteraria del Salfi hanno valore
quasi esclusivamente documentario : A. M. RENZI, Viepolitique et litter air e
de F. Salfi, Paris, Fayolle, 1834; L. M. GRECO, Vita letteraria ossia analisi
delle opere di F. S. Salfi, Cosenza, Migliaccio, 1839; e il cenno biografico
premesso da A. Salfi all'edizione postuma citata del trattato Delia de-
clamazione, II primo lavoro critico e quello di B. ZUMBINI, Breve cenno
sulla vita e sidle opere di F. S. Salfi, in « Atti della R. Accademia di Archeo-
logia, Lettere e Belle Arti» di Napoli, xvm (1896). Per esortazione dello
Zumbini fu composta la monografia di C. NARDI, La vita e le opere di
F. S. Salfi, Genova, Libreria Editrice Moderna, 1925, assai pregevole per
ricchezza di notizie sulla biografia e sugli scritti del Salfi, e tuttora punto
di partenza obbligato per ogni studio suHJuomo e sullo scrittore. Fra le
recensioni del volume del Nardi hanno importanza quelle di G. NATALI,
nel « Giorn. stor. d. lett. it. », LXXXVIII (1926), pp. 146-50 (poi in Cultura e
poesia nelVeta napoleonica, Torino, S.T.E.N., 1930); e di B. CROCE, in
«La Critica», xxin (1925), pp. 308-9 (poi in Conversazioni critiche, ill,
Bari, Laterza, 1928, pp. 328-30). Tra gli studi complessivi piu recenti
merita particolare attenzione la voce di M. FUBINI nella Enciclopedia ita-
liana (1936). Piii specialmente sul Salfi storico della letteratura si vedano
(oltre 1'affrettato giudizio di G. A. BORGESE nella Storia della critica ro-
mantica in Italia, Milano, Mondadori, I9492, pp. 306-7) B. CROCE, La
storia della letteratura italiana nel secolo XVII di F. S. Salfi, in Nuovi
saggi sulla letteratura del Seicento, Bari, Laterza, 1931, pp. i-io; e G.
GETTO, Storia delle storie letterarie, Milano, Bompiani, 1942, pp. 211-6.
Sul suo pensiero filosofico e giuridico e politico : G. GENTILE, Dal Genove-
si al Galluppi, Milano 1930, pp. 89-90, e F. BATTAGLIA, V opera filosofico-
giuridica di F. S. Salfi, in « Rivista internazionale di filosofia del diritto », VII
(1927), pp. 194-9 ; B. BARILLARI, // pensiero politico di F. S. Salfi, Torre del
944 FRANCESCO SAVERIO SALFI
Greco, Palomba, 1959. Per comprendere esattamente la posissione politica
del Salfi, la conoscenza della quale & essenziale per la valutasdone della
sua opera di scrittore, vanno tenuti presenti, sebbene non si occupino in
particolare di lui, B. CROCE, La rivoluzione napoletana del 1799, Ban, La-
terza, 1926; e, tra i recenti studi sui «giacobini» italiani, almeno il volume
di G. VACCARINO, / patriot i « anarchistes » el" idea ddVunitd italiana (1796-
J799), Torino, Einaudi, 1955 ; e di D. CANTIMQHI la Nota finale alPedizione
da lui curata dei Giacobini italiani, Bari, Laterza, 1956; e il sagjjfio Illumi-
nisti e giacobini nel volume La cultura illwninistica in Itdiat a cura di
M. Fubini, Torino, Edizioni Radio Italiana, 1957, pp. 266-77.
DALLA CONTINUAZIONE
DELL' « HISTOIRE LITTERAIRE D'ITALIE»
DEL GINGUENE
TOME X
CHAPITRE XLIII
Resume' de I' histoire littdraire du seizieme siede. Instruction uni-
versellement re'pandue chez les Italiens. Son peu de soliditd.
Esprit limitation dam presque tons les genres. Traits d'origina-
lite' dans quelques-uns. Les Italiens plus habiles dans les vers que
dans la prose. Caractere de Ugeretd et de servilitd dans la plupart
de leurs ouvrages; et ses causes politiques et religieuses. Dtfaut
d'e'loquence et de philosophie. Quelques ouvrages dans lesquels
elles se rdfugient. fitendue non ordinaire d* esprit des Italiens.
Leur influence litUraire sur toute VEurope?
Nous voici parvenus & la fin de 1'histoire Iitt6raire de ce grand
si&cle; histoire dont les bornes semblaient reculer a mesure que
nous avancions. En parcourant un espace si riche en productions
de tout genre, nous n'avons pu que les consid6rer isol£ment et
les analyser en detail. Maintenant qu'il nous soit permis de nous
arrSter quelques instans pour jeter un dernier regard sur cet
Uno dei letterati francesi die contribuirono a rendere meno difficili al
Salfi i primi anni del suo soggiorno parigino fu Pierre-Louis Ginguene,
da lui probabilmente gia conosciuto in Italia. Al Ginguene il Salfi dovette
in particolare Tinvito a collaborare alia Biographie universelle, pubblicata
dall'editore Michaud; e proprio questi, dopo la morte del Ginguen6 (awe-
nuta nel 1817), pens6 di affidare all'esule italiano anche il pid impegnativo
incarico di continuare I* Histoire litter air e d* Italic > lasciata in tronco dopo
il vi volume dal critico francese. Compito del Salfi fu anzitutto quello di
rivedere e riordinare il materiale che il Ginguen6 aveva preparato per altri
tre volumi. Ma in realt^i il Salfi non si Iimit6 ad una revisione e ad un
riordinamento puri e semplici, bensl, come sappiamo dal Fauriel (cfr.
« Revue encyclop6dique », n, 1819, pp. 311-^6), vi inserl parecchie aggiunte
proprie, la cui riunione avrebbe formato un grosso volume: nel tomo vii
i profili dei petrarchisti e il lungo paragrafo sul Telesio; e nel tomo vm
la terza sezione del capitolo sugh scrittori politici (Giannotti, Paruta e
Botero), la parte relativa alia storia letteraria, e infine 1'intero capitolo sui
i. Dall' Histoire litUraire d'ltalie, ed. cit., x, pp. 439-66.
60
94-6 FRANCESCO SAVERIO SALFI
imposant tableau, dont Pensemble m£rite dc fixer encore notre
attention, et qui ne peut manquer de nous offrir quelques points
plus dominans ou quelques circonstances plus remarquables, qui
nous mettront k m£me de recueillir des r6sultats g<§n£raux qu'une
analyse particuli&re nc nous permettait pas de saisir. Peut-etre
m£me arrivera-t-il que des objets qui, vus en detail et de prte,
nous ont frapp6s de quelque 6tonnement, consid£r6s en perspec
tive et en masse, produiront sur nous une tout autre impression.
Cest done sous ce rapport que nous allons envisager ce si&cle,
et en determiner le caract&re et Timportance.
Le premier objet qui fixe notre attention est, sans contredit,
le nombre prodigieux des savans qui ont illustr6 ce sitele, et la
vari6t6 surprenante des ouvrages qu'ils ont produits, L'instruction
6tait si g6n6ralement r^pandue dans r Italic, qu'elle pourrait, sous
ce rapport, rivaliser de gloire avec toutes les nations les plus
£clair£es qui Font pr6c£d£e ou suivie dans la m£me carri£re. Rome
antique, la Gr&ce elle-m€me, ne paraissent pas nous offrir le
m£me spectacle. Rome, malgr6 T6tendue et Finfluence de son
empire, lorsque les lettres parvinrent au plus haut point de d6ve-
novellisti. Dope la pubblicazione di questi due tomi e del IX (Paris,
Michaud, 1819), il Salfi stese interamente un altro tomo, il x (Paris, Dufart,
1823), nel quale complet6 la trattazione del secolo XVI, aggiungendo in
appendice un lungo elogio del Ginguene". Quindi si accinse alacremente
a compiere i tomi relativi al Seicento, tanto che nel 1826, in una nota
apposta alia prefazione del Re'sume' de Vhistoire de la literature italimne,
afFermava di attendere gia alia stesura del quarto ed ultimo tomo. Non
sappiamo quando poi il lavoro sia stato effettivamente terminato. Certo
e che il Salfi, o per ragioni di salute o per altre cause, non and6 oltre il
Seicento; anzi quest'ultima parte, comprendente quattro tomi, dall'xi al
xiv, fu pubblicata soltanto dopo la sua morte, dal Michaud, fra il 1834 e il
1835. Purtroppo Teditore, mosso probabilmente da preoccupazioni di
carattere politico, apport6 all'opera alcuni gravi tagli, sopprimcndo due
capitoli fra i piu importanti, il vi (Mttaphysigue, morale, jurisprudence,
politique, dconomie politique) e il x (Histoire eccUsiastique et litt&aire), e
accorciandone notevolmente altri due, il iv (MaMmatiques pures et mixtes)
e il v (Physique, histoire naturelte, botanique, chimie, %oonomiet anatomic,
chirurgie, nusdecine). Ma questa edizione doveva subire una nuova disav-
vcntura, quando nel 1835, a causa di un incendio, la maggior parte delle
copie and6 distrutta. La rarit^i dei pochi esemplari salvatisi contribul
certo in gran parte alia scarsa influenza delPopera del Salfi nella critica
successiva, fino a che il Croce non ebbe occasione di valersene e di richia-
mare su di essa 1'attenzione degli studiosi, soprattutto con 1'articolo La
storia della letteratura nel secolo XVH di P. S. Salfi, citato nella bibliogra-
fia. II testo dei passi qui riprodotti si attiene a quello delle edmoni Dufart
e Michaud sopra ricordate, Le note del Salfi sono seguite dalla sigla S.
HISTOIRE LITT^RAIRE D'lTALIE 947
loppement, concentrait dans ses murs presque toute sa lumi&re;
a peine quelque faible reflet en jaillissait dans un petit nombre de
ses provinces. Elle attirait meme chez elle, des autres villes, tous
les talens, jaloux de b tiller sur un plus grand theatre. Les Pline,
les Lucain, les S6neque, les Cic6ron meme, les Virgile, les Horace,
les Salluste, les Tite-Live ne laissaient a leur pays que la gloire
sterile de les avoir vus naitre; et Tinfluence imm6diate de leur
esprit allait se confondre a Rome avec celle de tous les autres.
Pareil ph6nomene s'6tait fait a peu pres remarquer dans la Grece
lorsqu'Athenes, apres avoir attir6 des environs et surtout de
PAsie-Mineure, de la Grande-Grece et de la Sicile ce qu'elles
poss6daient de plus distingu6, prit son essor et s'61eva au-dessus
des autres r£publiques, devenues ou ses sujettes ou ses alliees.
Tout l'e"clat des lettres et des arts de la Grece se trouva presque
concentr6 dans PAttique. Lors meme qu'on chercha a les cultiver
ailleurs, ils ne brillerent que d'une lumiere plus ou moins faible
et de peu de dur£e. On peut faire la meme observation sur le
siecle de Louis XIV, et sur tous ceux dont les nations les plus
6clairees ont £ se glorifier. Cest la capitale qui a toujours absorb^
les tr£sors de T esprit comme ceux de Pindustrie de la nation
entiere.
Dans Tltalie du seizieme siecle, ce n'est plus Rome seule qui
brille et profite de toute sa lumiere. Non seulement les villes
principals , mais aussi les moins remarquables semblent lui dis-
puter son 6clat; elles sont comme autant de foyers d'oii partent
et se r6pandent les sciences et les arts. Florence, Ferrare, Urbin,
Bologne, Naples, Salerne, Venise, Padoue, Milan, Turin, Pavie,
G£nes, Mantoue, Sabionette,1 toutes avaient re9u la m£me im
pulsion, et suivaient leur tendance commune. De la ce nombre
prodigieux d'6coles, d'universites, d'imprimeries, de biblioth^ques
et surtout d'acad6mies, qui, lors m^me qu' elles nous ont paru
de peu d'importance, et quelquefois ridicules, tant par leur
denomination que par leur objet, prouvent du moins ce penchant,
ce besoin g£ne~ral qu'avaient les Italiens de s'instruire et de s^-
clairer.2
i. Sabionette: Sabbioneta, cittadina della pianura mantovana, fu residen-
za di un ramo dei Gonzaga, e conobbe un periodo di splendore artistico
specialmente sotto il principe Vespasiano (i53i-i59*)- 2. Dans Vltalie . . .
fedairer : & probabile che con queste considerazioni il Salfi voglia rispon-
94$ FRANCESCO SAVERIO SALFI
Cette ardeur pour Tinstruction qui, partout ailleurs, s*cst vue
restreinte dans une classe pour ainsi dire privilege et s6par6e de
toutes les autres, n'e"tait 6trangere ii aucune chez les Italiens de
ce siecle. La littdrature semblait se confondre avcc la civilisation
nationale. Des cours elle se r6pandait dans les rangs inftrieurs des
citoyens, et jusque dans la dcrniere classe du peuple. Nous avons
vu presque tous les princes et les gouverncmens d* Italic la regarder
comme un attribut ou une marque distinctive de leur grandeur.
Us y cherchaient meme un moyen de couvrir aux yeux de leurs
sujets et des etrangers leurs chagrins ou leur faiblesse. Ih croyaient
se d6dornmager de leurs pertes ou de leur de*pendance par Piclat
des beaux-arts et des lettres, et en imposcr par le savoir de leurs
favoris. Ainsi leurs cours ne paraissaient £tre que des acad6mies,
et leurs courtisans que des hommes de lettres ou des savans
distingue"s. Les Dialogues1 du comte Castiglionc sont la peinture
la plus fidele des cours de ce siecle en Italic, Le caractere et la
publicity des f£tes, des spectacles, des monumens et de la plupart
des ouvrages alimentaient le besoin de ^instruction, et bientdt
elle devint Inoccupation g6ne"rale. La quantit6 extraordinaire de
certains livres, de poemes romanesques, d'histoires, de contes, et
surtout de ces podsics lyriques que nous avons souvent d6pr6ci6ea,
et les nombreuses Editions que Ton en r6p6tait tous les jours, nous
sont une preuvc que la lecture 6tait un besoin du plus grand
nombre. Le Roland de 1'Ariosto, la Jirusalm du Tasso, VArcadie
de Sannazaro, VAminta ct le Pastor fido 6taient le dilasscmcnt
ordinaire de tous les artisans, Cest aussi depuis cette 6poque
que les lazzaronis de Naples ont toujours pris un si grand plaisir
k entendre la lecture du Tasso et de TAriosto, et que les bateliers de
Venise en r6citent les stances les plus belles en se promenant le
soir sur la mer. Bandello nous assure quelquc part qu'il trouvait ses
Contes mtoe entre les mains des filles de chambre* NOUB avons
souvent, dans le cours de cette histoire, signal^ des artistes et des
derc polcmicamentc a coloro cht% come TAlgurotti e il Bettinclli, avevano
indicate una dcllcs cause principali della dccadcnza culturale italiana nclla
mancanxu di una capitale chc costituisse un fecondo centro animatore
dclla nassione. Si noti comunque che per il Salfi il fraxionamcnto culturale
in Italia £ positive in quanto prova della diflfusione capillare dclla cultura
stessa, c non - come solo pid tardi, in piu maturo clixna »toricistico, si
riconosccra - quale teatimonianza di una ricca varicta di tradmoni. x , //
cortegiano (S.).
HISTOIRE LITT^RAIRE D'lTALIE 949
artisans parmi les savans et les litterateurs. Rappelons-nous les
Labacco, les Sangallo, les Caracci1 et surtout le Cellini qui
n'etait qu'un orfevre, et Giambattista Gelli qui, devenu Tun des
plus grands litterateurs de son temps, n'avait 6t6 qu'un bonnetier.
Pierio Valeriano2 lui-m£me fit ses premieres 6tudes etant aux gages
d'un maitre en qualit6 de valet de chambre. Mais ce qui prouve
encore plus ce que nous venons d'avancer, est le recueil de vers
publi6 a Mantoue, et dont les auteurs ne furent que des tailleurs,
des cordonniers et des forgerons.3
Qu'on ne s'attende pas n£anmoins a trouver toujours, parmi
ce grand nombre d* auteurs et de livres, cette profondeur et cette
solidit6 qu'on chercherait en vain dans leurs ouvrages, et qui
seules devraient constituer leur m6rite. On risque meme de revenir
de sa premiere surprise a mesure qu'on veut les approfondir et
les juger s6par6ment. On apercoit bientot les traces de cet esprit
d'imitation qui semble ne produire rien de nouveau, et qui nous
fait regarder comme vide et st£rile ce meme si&cle dont Pabondance
nous avait d'abord etonnes. Sous ce rapport, le si&cle de L6on X
ne parait qu'un renouvellement, une continuation du si&cle
d'Auguste, comme ce dernier 1'avait 6t6 de ceux d'Alexandre ou
de Pericles. Mais, si les anciens Romains ne purent se dispenser
d'imiter les Grecs et d'introduire, pour ainsi dire, chez eux ces
Strangers, comment les Italiens auraient-ils pu se soustraire a
Timitation des Romains, quand ils avaient sous leurs yeux les
tr6sors qu'ils en avaient h£rit6s? Comment pouvaient-ils ne pas
apercevoir et appr£cier ce spectacle 6clatant que leurs ancetres leur
avaient pr6par6 ? Ils ne durent pas admirer long-temps ces modeles
i. Antonio dall'Abacco, o da Labacco, architetto (nato nel 1495), scrisse un
Libro appartenente all* architettura\ dei Carracci Agostino, a detta del Tira-
boschi (che e certo la fonte del Salfi), si distinse ugualmente nella poesia
(la tradizione gli attribuisce il sonetto a Nicol6 dell' Abate, riportato an-
qhe dal Lanzi, in questo volume), nella filosofia e nella matematica; di
Antonio e Giuliano da Sangallo non si conoscono (a parte Tabbozzo ine-
dito di un commento a Vitruvio) opere culturali, ma « codici » di disegni,
pure ricordati dal Tiraboschi, e che probabilmente trassero in inganno
il Saljfi. 2. Pierio Valeriano (1477-1558), umanista e autore, fraTaltro, di
un trattato sulla lingua italiana di orientamento trissiniano, fu in gio-
ventu costretto dalla poverta a servire presso alcuni patrizi veneziani,
come egli stesso narra in una sua elegia. 3. Voyez ci-dessus, t. ix, p. 248
(S.)« La raccolta a cui allude il Salfi fu pubblicata a Mantova nel 1612 da
Eugenio Cagnani.
95° FRANCESCO SAVERIO SALFI
classiques du beau sans les ch6rir et les regarder comme unc
proprie"te" nationale. Bientdt il devint d'un intc"ret ginfiral de les
6tudier, de les traduire et de les imiter.
C'est pour cela qu'& la renaissance des lettres, et encore long-
temps apres, la plupart des savans italic ns ne furent que des
latinistes. Nous avons d6jk vu que, meme au seixieme siecle,
nombre de litterateurs trouvaient une sorte de scandale & 6crire
des ouvrages s<§rieux dans Fidiome italien. L'Amaseo se flatta
d'exciter le zele d'un pape et d'un empereur, pour proscrire et
poursuivre comme des he'te'rodoxes ceux qui 6crivaient dans la
langue vulgaire.1 Mais ce qui e* tonne encore plus c'est cette foule
de poetes latins que nous avons rencontre's au milieu de tant de
poetes italiens. Us semblaient disputer aux autres leur gloire. On
ne peut se figurer tant d'efforts et tant de peine, pour e*crire et
penser dans une langue morte, sans leur supposer une espece
d'attachement religieux pour elle. Ceux m£mes qui oserent for
mer ou restaurer leur nouvel idiome, ne le regardant que comme
une production immediate ou plutdt comme une metamorphose
de la langue latine, s'efforcerent toujours de r£gler sa marche sur
celle de sa mere. Ce ne fut pas seuiement le Boccace qui Tobligea
de prendre les formes cice*roniennes, mais le Bembo, le Sannazaro
lui-me'me et tous leurs partisans n'oserent jamais s'6carter beaucoup
de leur premier modele. Us croyaient £tre d'autant plus italiens,
qu'ils s'efForgaient davantage de paraitre latins en toivant leur
propre langue.
Ce premier genre d'imitation s'6tendit bient6t i toutes les for
mes anciennes et classiques que les Grecs et les Latins avaient
consacr^es au moyen de leurs chefs-d'oeuvre. Ceux m&mes qui
avaient re9U de la nature assez de talent et de g6nie pour se frayer
de nouvelles routes et cr&r & leur tour des modeles de perfection,
n'eurent point assez de courage pour abandonner entiirement les
anciens. Le Dante qui, le premier, avait 6t6 anim6 par un intdr£t
tout nouveau et tout national,4 le Dante Iui-m6me, dans son long
x. UAmaseo . . . vulgaire: Romolo Amasco (1489-1552), umanista »udine8ef
nel 1529 tenne in San Petronio a Bologna, dinanzi a Carlo V e a Clcmente
VII, due solcnni orassioni contro la lingua volgarc e gli scrittori che la im-
piegavano in luogo della latina. 2. qui . . . national: qucsto concetto, che
risale, come si ^ visto, al Torti (cfr. in qucsto volume, pp. 872 sgg.), sarli
ripreso e piti ampiamente svolto dal Salfi nei capitoli dedicati a Dante del
de Vhistoire de la literature italicnne.
HISTOIRE LITT&RAIRE D'lTALIE 951
voyage, prit Virgile pour guide, et le sixi^me livre de Mfintide
pour module de son vaste plan. Petrarca qui, a Texemple des
Proven9aux, ne voulait qu'amuser Laure et des lecteurs galans
comme lui, se regardait comme d'autant moins digne de Tap-
probation des savans qu'il s'etait plus eloign6 des Latins. Je ne
parle point de Boccaccio qui, du moins, sous le rapport de l'61o-
cution, du nombre et de Pharmonie, ne fut qu'un imitateur trop
recherch6 de Cic6ron. On voit, d'apr&s cela, qu'en g£n6ral les
Italiens du seizi&me si^cle ne firent qu'imiter les anciens, ou meme
les modernes qui avaient 6t<§ plus heureux dans leur imitation.
Nous ne formons pas de conjectures sur ce qui serait proba-
blement arriv6, si cet esprit d'imitation n'avait pas pr£occup6 les
Italiens, si des circonstances diff6rentes les avaient enti&rement
s<§par£s des anciens, enfin s'ils avaient 6t<§ contraints de se frayer
de nouvelles routes, ou m6me de suivre les anciennes sans y
trouver les traces de ceux qui les avaient devanc£s. Nous n'exa-
minons pas non plus si les r6sultats de cette esp&ce d'ind6pendance
sauvage qui ne tire aucun parti de P experience du passe, nous
auraient d£dommag6s du long tatonnement et des fre"quens
6garemens auxquels cet 6tat djinexp6rience nous aurait pendant
long-temps exposes. II nous suffit de rappeler les faits tels qu'ils
sont, pour qu'il demeure incontestable que T esprit d'imitation,
au seizi&me si^cle, s'6tait tellement empar6 de la plupart des
Italiens que souvent leurs ouvrages n*6taient qu'une r6p6tition,
un pillage de ce qui appartenait a d'autres qui avaient de meme
pil!6 leurs devanciers. Francesco Doni, dans sa Biblioth&que* ac-
cusait tous ses contemporains de cette tache commune, dont il
n'£tait pas lui-meme exempt. En effet, souvent ils paraissent
d6guis6s en Grecs ou en Latins, dont le masque plus ou moins
transparent les fait sans peine reconnaitre. Ils n'6taient pas assez
bien instruits de la legislation et des institutions des anciens.
Presque toutes les tragedies de ce si&cle, qui certes n'£taient qu'une
imitation des trag6dies grecques, prouvent que leurs auteurs n'a-
vaient point saisi le veritable esprit de leurs modules. Ne pourrait-
on pas soup9onner la meme chose du Dante Iui-m6me, lorsqu'il
semble imiter ce que Virgile avait indiqu6 de certaines pratiques
des anciens myst^res ? En g6n6ral, on n'imita les anciens que dans
I. dans sa Biblioth&que: ciofc nella Libraria (1558).
952 FRANCESCO SAVERIO SALFI
les objets les plus lagers ou les formes les plus superficiclles; et
lors m£me qu'on croyait s'occuper des mati&res les plus importan-
tes, telles que la morale et la politique, il s'en fallait dc beaucoup
que ces imitateurs eussent saisi Tesprit de leurs modules. Us em-
pruntaient les phrases de Platon ou d'Aristote, mais non pas leur
force de raisonnement ou leurs m6thodes.
Gardons-nous cependant de confondrc dans cette foule d'6cri-
vains ceux qui, m£me en imitant les anciens sous quelqucs rap
ports, les ont surpasses sous beaucoup d'autres, Combien de genres
classiques n'ont-ils pas 6t<§ d6velopp6s ou am<§lior6$ dans ce $i&cle ?
Combien d'autres ne pourrait-on pas regarder comme line nou-
velle creation? La langue vulgaire elle-m£me, d'apr&s rexcmple de
Dante, ne devint que 1'organe de la pens<§e sous la plume de
Machiavelli. Castiglione, le Segni, Paruta, TAmmirato, le Tasso
et tant d'autres ont rendu £ leur langue sa v6ritable destination.
Dans la longue revue que nous avons pass^e de tous les genres
Htt6raires qui brill^rent au seizi&me si^cle, nous n'avons jamais
cess6 de remarquer le point oti les anciens les avaient Iaiss6s, ct
celui ou les modernes les ont fait arriver* Rappelons maintenant
ceux oti les Italiens ont montr6 le plus d'originalit6.
Le genre lyrique auquel la foule dcs imitateurs s'attacha le plus,
apr&s s'£tre enrichi des formes latines et grecques, peut se glorifier
de plusieurs pofetes qui chant^rent de nouveaux sujets,ou essay^rent
des tours et des plans tout difKrens de ceux de Petrarca, tels que
le Tarsia, le Casa, Guidiccioni, Tansillo, Costanzo, etc.
Si le Sannazaro, en renouvelant le genre bucolique, ne fit de
Thtecrite et de Virgile que ce que tant d'autres ont fait de lui-
m£me, dans tous on trouve plus de naturel que dans pas un des
Strangers qui ont suivi la m£me carri&re. Souvent m6me ils ont
trouv6 des formes et des sujets que les anciens n'avaient pas
imagin6s, comme en ont fait preuve le Rota, le Baldi* et les in-
venteurs de la po^sie appel^e par les Florentins « rusticate ».a
L'Ariosto imita Horace dans ses satires, mais il ne le surpassa
i. Bernardino Rota (1508-1575) & assai lodato dal Salfi (cfr. Histoire
littdraire drltaliet cd. cit., x, pp. 138-42) per le sue Edoghe « pcacatorie »,
nelle quali «aucun po^ttk n'a mieux retract les occupations ct les moeurs
dcs pficheurs ct des marinicrs »; ancora piii grandi elogi cgli fa di Bernardi
no Baldi (1553-1617), per averc egli osato, nelle sue Bcfaghe miste, « crier
des sujets, dcs tableaux, dea caract^res que les autrea n'avaient point
essaye"s, ou qu'ils avaient ^ peine essayed (cfr, op, cit, x, pp. 145*58).
HISTOIRE LITT^RAIRE D'lTALIE 953
pas, comme dans ce genre le poete latin avail fait des Grecs; toute-
fois la satire burlesque du Berni et de tant d'autres qui en sui-
virent Fexemple, n'a point de modele chez les anciens. Elle peut
£tre regarded comme appartenant en propre aux Italiens; et, parmi
ceux qui s'y sont exerc6s, on compte les e"crivains les plus s6rieux,
tels que Machiavelli, le Casa, le Varchi, et Galilei lui-meme.1
Qui aurait os6 se promettre de donner a la po6sie didactique le
degre" de perfection que Virgile avait atteint dans ses GJorgiques?
Ce serait pourtant ne pas connaitre la nature de ce genre et Tint6-
r£t qui en fait le charme, que de ne pas appr6cier les Abeilles de
Rucellai, et V Agriculture de TAlamanni. Remarquons bien que,
dans cette sorte de poemes, lorsque le style est vraiment poe"tique
ou pittoresque, qualit6 la plus importante et la plus difficile a
atteindre, leur originalite* r6sulte principalement de la nouveaute*
du sujet. Or, la Pottique du Muzio,2 la Nourrice3 de Tansillo, la
Chasse de Valvasone, la Nautique du Baldi, etc., 6taient sans con-
tredit des sujets nouveaux pour les Italiens.
Leur originality se manifeste encore mieux dans T6pope*e. Les
poemes romanesques semblent avoir 6t6 entierement inconnus aux
anciens. D'apres le Roland furieux de 1'Ariosto, qui suivit et
surpassa le Roland amoureux de Boiardo, on ne doute plus de
rint6r£t et de la nouveaute" de ce genre. On lui reconnait meme
un plan, non moins difficile a imaginer qu'a saisir, au milieu de
cette apparente irrdgularite" qui ajoute a Tint6ret du poeme. Ce
qui le rend encore plus original, c'est le monde nouveau que le
poete nous pr6sente, monde bien plus 6tendu et bien plus vari6
que celui qu'Homere et Virgile avaient jadis parcouru. Sous ce
rapport, on regarde TAriosto comme le poete par excellence.
On crut meme qu'il ne restait rien de mieux a faire que de Timiter.
C'est pour cela que le seizieme siecle compte presque soixante
poemes romanesques.
On ne cessa pas non plus d'imiter les formes 6piques de Virgile
i. on compte . . . lui-mSme: del Machiavelli restano in effetto alcuni canti
carnascialeschi, del Casa cinque capitoli burleschi, del Varchi pure capitoli
e canti carnascialeschi, mentre Galileo scrisse solo un capitolo Contro il
portar la toga. 2. la Po&ique du Muzio: i tre libri DeWarte poetica di
Girolamo Muzio, pubblicati nel 1551 e ispirati alia poetica oraziana; il
Salfi li ricorda anche per suggestione, probabilmente, delle lodi ad essi
tributate da Apostolo Zeno, in una nota alia Biblioteca delV eloquenza ita-
liana del Fontanini, Venezia, Pasquali, I, i753> P- ^29. 3- to Nourrice:
la Balia,
954 FRANCESCO SAVERIO SALFI
et d'Hom&re. Le Trissino cut le talent de choisir un sujet national ;x
mais si son Italie d$liw£e des Goths, et memo V Avar chide de
TAlamanni, ne furent qu'une servile imitation cle VHiade, elles
pr<§par£rent le g£nie du Tasso, qui bientot 6clipsa tous ses eon-
temporains. II d6buta par son Renaud et finit par nous donncr
sa Jerusalem d4livr£e> qui, malgr6 ses imperfections souvcnt cxag6-
r6es et plus souvent consacr6es, a m6rit6 d'etre plac6e apr&s VIHade
et l'$n&de. II est incontestable que, si elle leur cicle & quclques
6gards, elle les 6gale et les surpasse meme k son tour, sous plusieurs
rapports.
Le po&rne h6roi-comique n'est en quelque sorte qu'une exa-
gyration du po&me romanesque. Nous n'avons des Grecs que la
Batrachomyomachie, attribute & Homfere, et quelques titres qui,
peut-£tre, appartenaient & des po^mes de ee genre ; mais tout cela
ne peut 6ter Phonneur de Poriginalit6 au Morgante dc Luigi Pulci
et & VOrlandino de Merlin Coccaio.* Si cependant la Gtgtmtea et
la Nanea3 ont fait regarder ce genre comme essentiellement
mauvais, les pofetes qui en ont su tirer meilleur parti dans les
si&cles suivans, le feront mieux appr6cier,
Malheureusement la po£sie dramatique n*eut pas le succ&s
qu*obtinrent les genres dont nous venons de parler. Les po&tes
qui entreprirent cette carriire, ct sans doute ils furent en grand
nombre, 6chou^rent presque tous. Ceux m£mes qui ont tant
bril!6 dans d'autres genres, paraissent autant de novices dans
celui-ci, malgr6 sa grande affinit^ avec ceux qu'ils ont si heureu-
sement trails. C'est Ik qu'ils ne sont, pour la plupart, que des
imitateurs ennuyeux des Grecs et des Latins, Quoique la So~
phonisbe du Trissino ait eu plus de SUCG&S que son Italie d4liwfe\
quoique Ton distingue, dans la foule, quelque piice de Giraldi
Cintio, le Torrismond du Tasso, et surtout YOrazia de 1'Aretino,
il s'en faut bien que Ton puisse accorder aux Italians du sem&me
si^cle quelque originalit6 dans le genre tragique,
i. Le Trissino . , . national: un elogio piti ampio del Trissino come poeta
epicp^wnassionale » si legge ncl Rlsumt, d& Vhistoin d$ la literature itdimne*t
merit! in, tal senso aveva riconosciuto al Trissino anche il Sismondi nella
Literature du midi de I'JKurope, n, Paris 1813, p. 96. 2, 11 pregiudido
classicistico impcdisce al Salfi di citaro del Folcngo il Baldus invece che
I'insignificante Orlandino. 3. La Gigantea e la Nanea sono due poemetti
composti verso la met& del sccolo XVI da Girolamo Amclonghi, detto
il Gobbo da Pisa, e che narrano burlescamente la gucrra tra i Giganti da
un lato e gli Dei e Nani dall'altro.
HISTOIRE LITliRAIRE D'lTALIE 955
Ils r6ussirent mieux dans le genre comique. Bien qu'ils eussent
pris pour modules les com6dies des Latins, qui eux-memes n'a-
vaient fait qu'imiter les Grecs, ils parvinrent quelquefois & les
6galer. La Calandria de Bibbiena, la Mandragora de Machiavelli,
quelques pieces de 1'Ariosto, de I'Aretino, du Cecchi, prouvent
assez que si les Italiens ne connaissaient pas encore tout Tart
du theatre, ils ne manquaient pas non plus de P esprit d'Aristo-
phane et de Plaute. Lors m£me qu'ils imitent ces deux modules,
ils savent donner a leurs pieces les couleurs de leur si&cle et de
leur pays; et sans citer plusieurs de leurs caract&res nationaux
qu'ils mirent sur la sc&ne, nous nous bornons a rappeler le role
du p. Timoteo,1 qui d&s lors pr61uda, en quelque sorte, a celui de
Tartufe.
Malgr6 les imperfections de leurs trag6dies et de leurs com6-
dies, les Italiens laisserent quelques traces d'originalit6 dans la
carri&re dramatique par leurs pastorales, et surtout par leurs
m61odrames. Quoique les premieres ne soient qu'un developpe-
ment de l'6glogue, qui, depuis I'Orphfa de Poliziano, et surtout la
Cecaricf d'Epicuro et Les deux pelerins3 de Tansillo, prit de plus
en plus une forme nouvelle et caract6ristique, YAminta du Tasso
donna a ce nouveaux genre un plus grand int£ret, que le Pastor
fido de Guarini accrut encore, malgr6 ses d6fauts. La critique
s6v&re de Gravina a fait regarder ce dernier drame comme un
genre monstrueux, mais s6duisant.4 Toutefois on ne peut se dis
penser de consid6rer ces deux pastorales comme des chefs-d'oeu
vre d'invention.
La repr6sentation de ces deux pieces et d'autres semblables,
la musique madrigalesque qui souvent en accompagnait les choeurs
et m£me quelques scenes, concoururent a cette r6volution qui
changea ou plut6t crea la musique et un nouveau monde th6atral
i.p, Timoteo: il frate della Mandragola. Un confronto fra il personaggio
machiavelliano e Tartufo, a vantaggio del prime, & nel Saggio storico critico
della commedia italiana del Salfi. 2. Cecaria: favola pastorale-allegorica
dell'umanista abruzzese Antonio Epicuro (1475-1555), che il Salfi stesso
definisce altrove «une espece de pastorale, et m£me comme le premier
essai de ce genre qui ait paru au commencement du seizieme siecle » (cfr.
Histoire litter air e d'ltalie, ed. cit,, x, p. 160). 3. / due pellegrini, composti
dal Tansillo intorno al 1528, sono anch'essi una favola pastorale-allegorica,
condotta sul modello della Cecaria di Epicuro. 4. La critique . . . sldui-
sant: il giudizio sostanzialmente negative del Gravina sul Pastor fido si
legge nel trattato Delia ragion poetica, lib. n, cap. xxm (cfr. Opere scelte,
Milano 1819, pp. 226-7).
956 FRANCESCO SAVERIO SALFI
dans Tltalie et dans toute PEurope. Le type du m&o-drame fut
d'abord con$u par le comte Bardi et par lacopo Corsi/ et bientot
r6alis6 par le po£te Rinuccini et par les compositeurs Peri et
Caccini. La Daphnd, VEuridice et YAriane* ouvrirent une nouvelle
source de plaisirs aux amateurs de la po&sie et de la m61odic
dramatiques.
Nous avons consid6r£ comme un genre de po£sie en prose
ces contes ou nouvelles, qui chez les Italiens ticnnent lieu de
petits romans. Quel que soit le m6rite des fabliaux Grangers avant
ce si&cle, les Italiens ont tellement rnani6 et perfection^ ce genre,
qu'on peut bien leur d^ccrner Thonneur de 1'invention. II est
vrai cependant que cette sorte de composition semble d'abord de
peu d'importance ; mais si Ton remarque 1'usage qu'en ont fait
souvent les conteurs, et surtout le p. Bandello, on sentira que, si
on 1'avait destinde plut6t & corriger les moeurs et lea pr6jug£s
qu'i former le style et £ s'exercer dans un certain genre d'61ocu-
tion, on en aurait tir6 et plus de gloire et plus de profit.
Nous ne parlons pas de ces autres genres ingfinieux ou btearres,
pr6sent<§s sous la forme tant6t de lettres, tantdt de dialogues ou
de discours, dont tout le m6rite ne consiste le plus souvent qu'en
Un exercice de rh6torique. La prose italienne semble Stre rcst6e fort
au-dessous de la po6sie. Soit influence du climat ou concours de
quelques circonstances accidentelles, les Italiens donnirent plus
d'importance et d^clat aux genres po6tiques qu'St ceux de la prose;
dans la po^sie m^me ils sacrifi&rent ordinairement la raison &
Pimagination, Tutilit^ ^ 1'agrtment. LJ<§l^gance de la diction et les
charmes du style semblent souvent avoir 6t6 pr6f6r6s Ji Tint6r6t
de la pens^e et £ la v6rit6 du sentiment, Les sujets mfimes les plus
importans, les doctrines les plus s6v&res ne se montrent parfois
que fard£s de couleurs 6trangires. Ce luxe de style et de coloris,
cet excfes d'imagination qui domine dans la plupart des productions
litt^raires du seiziime si<kle, mtoe les plus graves par leur sujet, a
fait accuser les auteurs italiens d^un certain esprit de I£g&ret6,
que souvent on ne peut pas contester, mais dont nous croyons
devoir rendre raison, afin de les justifier en quelque sorte,
i. lacopo Com, studioso e dilettante di musica, fu uno del component!
della Camerata de' Bardi. 2. La Dafne, che fu rappresentata nel 1595
con le musichc del Peri, del Caccini e del Corsi, fe ancora una vera e
propria favola pastorale; mentre VEuridice (1600), musicata dal Peri, e
VArianna (1608), musicata dal Monteverdi, sono gi& regolari libretti d'opera.
HISTOIRE LITT&RAIRE D'lTALIE 957
On ne peut se dispenser d'attribuer une partie de la gloire
littdraire de ce siecle a la protection des princes qui gouvernaient
1'Italie. C'est aussi a leur influence que sont dus la plupart des
ses d6fauts, et surtout celui que nous venons d'indiquer. Ces
M^cenes, en prot6geant les lettres et les arts et ceux qui les cul-
tivaient, ne pouvaient les faire servir a leur v6ritable int6ret. Les
M£dicis leur donnerent une tout autre direction que celle qu'ils
avaient re$ue sous les auspices de la liberte; il fallut que tout se
pliat insensiblement aux desseins des petits dues de Florence et
de L6on X. Les Sforce firent de meme a Milan; et tous les autres
princes de Tltalie suivirent k peu pres le meme exemple. Ainsi
les lettres, les arts, les 6coles, les academies, les savans se trou-
vferent tous anime"s et dirig6s par T esprit de ces princes et de
leurs courtisans. L'influence de Pericles, celle meme d'Auguste,
d'Alexandre ne purent pas enti&rement comprimer cette force de
pens6e que T6tat pr6c6dent des choses avait communiquee aux
Grecs et aux Remains. Les circonstances memes avaient encore
de quoi m6nager en eux quelque sentiment de leur dignite ou
de leur pouvoir. La magnificence apparente de la cour de Louis
XIV cachait en quelque sorte la faiblesse r6elle de la nation; et
Corneille se flattait de retracer les h6ros de Pancienne Rome, en
leur donnant souvent le ton des courtisans de son temps. Les
Anglais ont eu le meme avantage, aux 6poques les plus florissantes
de leur Iitt6rature. Mais quelle influence pouvait exercer l'6tat
des princes de T Italic et de ses provinces sur Pesprit des peuples
et des savans de leur temps ? Us s'effor9aient en vain de couvrir
leur faiblesse par T6clat des lettres et des beaux-arts. Exposes aux
menaces et aux pr6tentions de voisins plus puissans, et toujours
incertains sur leur sort, ils sentaient le besoin des petites intrigues,
de Thypocrisie, de la m6fiance, et par cons6quent de tous les
plaisirs qui assoupissent T^me et Tengourdissent au lieu de la
d61asser.
C'est la, je pense, sinon 1'unique, du moins la principale cause
de cette po<§sie 16gere, de cette foule de sonnets et de madrigaux qui
nous retracent le langage galant et futile des courtisans, et dont
1'esprit s'introduisit dans les genres de Iitt6rature, meme les plus
s6rieux. Chaque production semblait dict£e par une espece de
convenance qui excluait tout sentiment; Famour meme n'etait
qu'un objet d'amusement et d'imagination; la dame qu'aimait le
9$8 FRANCESCO SAVERIO SALFI
poite, n*£tait souvent qu'imaginaire. Voil& pourquoi la foulc des
ferivalns prfiKra dans ce si&cle plut6t la mani&re dc Boccaccio et de
Petrarca que cclle du Dante. L'une £tait plus proprc que Tautrc
aux moeurs et au caract&re du temps. Quand m£me on voudrait
attribuer cette direction au Bembo, il n'cn serait pas moins vrai
qu'il suivait lui~m£me celle de son si^cle. filev6 dans unc famille
patricienne de Venise, devenu un des plus z616s suppdts de la cour
d'Urbin, secretaire de L6on X, nomm£ cardinal par Paul III,
ses Merits ne pouvaient qu'Stre empreints de sa maniire de penser;
et le m£me esprit devait se communiquer i ceux qui les prenaient
pour module,
XJne nouvelle combinaison de circonstances politiques et reli-
gieuses, encore plus d6favorables, joignit & cet esprit de I6g&ret£
une esp&ce de servilit£ encore plus contraire aux int&r£ts de toute
Iitt6rature. L'inquisition eccl^siastique, surtout vers la seconde
moiti6 de ce si£cle, se r^unit i Tinquisition politique. Sous la
triste influence de ces deux ressorts du despotisme, la philosophic
dut se taire ou se cacher. Les tMologiens remains, s'apercevant
de plus en plus de leurs pertes et voulant les r6parer ou se venger,
devenaient d'autant plus intol<§rans qu'ils avaient ^t6» sous le
gouvernement de L6on X, indulgens ou plut6t indolens, Les
Merits de Machiavelli, accueillis par Clement VII, ^ qui Tauteur
les avait d<§di6s, furent solennellement proscrits et d6fendus vers
1560, On avait d£j& ferm6 les jardins acad&miques des Rucellai, ou
Machiavelli avait con9u et dict6 ses Discours sur Tite-Lwe.1
L'acad^mie platonicienne de Marsilio Ficino fut proscrite par les
mtoes M^dicis qui 1'avaient prot6g6e,a et qui lui substitu&rent
dans la suite des acad6mies insignifiantes et p<§dantesques. Nous
avons souvent d<§plor6 le sort des victimes sacrifi6es par le Saint-
Office. La persecution et la mort de tant de savans devaient
restreindre de plus en plus la pens6e> et faire craindre aux terivains
de s'exposer au m6me danger.
i. Les jardins . . , Tite~Live: i cosiddetti Ortl Oricdlari, dove si riunivaun
circolp repubblicancggiante formate da Cosimino Rucellai, Luigi Amman-
nati, i Diacceto, i Buondclmonti, c dove il Machiavelli soleva leggere le
paginc dei suoi DiscorsL Tali riunioni ceasarono nel 1522, dope la rcpressio-
ne della congiura contro il cardinalc C^iulio de' Medici, nella quale furono
implicati alcuni dei suddctti. a, L* academic . . .protifgjt; il Halfi, aulla
scorta del Tiraboschi, vede il circolo dei Rucellai come una continuassione
deil'Accademia ficiniana.
HISTOIRE LITTERAIRE D'lTALIE 959
On ne pent douter que ce ne soit principalement & cette cause
qu'il faut attribuer tant d'6tudes et d'ecrits de peu d'importance,
ou meme contraires aux v6rite"s les plus utiles. Les productions
litte"raires, remarquables par la nouveaute* ou la hardiesse des
id6es, devaient etre les plus dangereuses pour leurs auteurs, et par
consequent les plus rares. Dans la plupart des ouvrages dont ce
siecle abonde, on cherche en vain la veritable eloquence, a la-
quelle souvent on trouve substitute une rh6torique oiseuse et
pu6rile. Parmi la foule de tant de grammairiens, de philologues,
d'erudits, d'antiquaires on ne rencontre pas un orateur digne de
fixer Pattention. La religion seule aurait pu en former, et donner
& T Italic son Bossuet et son Massillon; mais, au commencement
du siecle, la corruption du clerg6 ne s'accordait pas trop avec les
maximes de la morale 6vangelique, et, vers la seconde moiti6 du
m£me siecle, la cour de Rome craignait tout esprit de r6forme. La
seule persecution du p. Occhino,1 dont Tonction avait touch6
le coeur du Bembo lui-m£me, aurait suffi pour d6tourner d'une
carriere si dangereuse tous ceux qui auraient 6t6 tenths de s'y
hasarder.
Nous venons de signaler les obstacles qui s'opposaient au
progr&s d'un certain genre d'6crits et a la v6ritable Eloquence;
mais ils ne purent pas toujours arreter les elans du g6nie, qui
souvent osait braver les dangers dont il 6tait menac6. L'61oquence
mSme, qui craignait de se montrer ouvertement dans la chaire
et en public, cherchait, pour ainsi dire, un refuge parmi les his-
toriens, et meme parmi quelques 6crivains qui ne s'occupaient
pas sp6cialement de ce talent. Cest surtout dans les ouvrages
historiques que Feloquence parle quelquefois son ancien langage.
Les Latins avaient, dans ce genre, surpass6 les Grecs, leurs mode-
les. Si les Italiens, en imitant les uns et les autres, n'ont pas obtenu
le m£me succes, du moins ils n'ont point encore 6t6 eclipses par
les Strangers. Depuis Machiavelli et Guicciardini jusqu'a Paruta
et a 1'Ammirato, on est surpris de trouver dans les historiens tant
d'int<§ret et d'61ocution, soit qu'ils discutent la v6rit6 des faits,
soit qu'ils les exposent avec assez de franchise et d'impartialit6.
En les lisant, on a peine k croire que la plupart d'entre eux 6cri-
i. persecution. . . Occhino: Bernardino Ochino (1487-1564), predicatore
e riformatore senese, fu costretto a fuggire dall' Italia nel 1542, e a pere-
grinare per vari paesi d'Europa.
90 FRANCESCO SAVERIO SALFI
vaient sous la surveillance de gouvernemens ombrageux. Dans le
Tasso et dans PAriosto on trouve 6galement des traits dont P6-
nergie prouve, du moins, ce dont les Italiens auraient 6te* ca-
pables dans des eirconstances moins d6favorables.
Tout ce qui s'opposait k Pexercice de la vfiritablc eloquence
devait presenter encore plus (T obstacles aux progres de la saine
philosophic, Devait-on la chercher parrni ces scolastiques qui
paraient de son nom un jargon emphatique et inintelligible qui ne
prouvait autre chose que leur verbosit6 et leur ignorance ? Quel-
quefois cependant elle osa se montrer sous le masque de la licence
et du badinage. On peut reconnaitre plusieurs de ses traits dans
la plupart des contes et des satires, et surtout dans un genre
particulier d*6crits qui ne semblent dict£s que par un esprit de
bizarrerie. Des maximes les plus s6veres, des opinions les plus
hardies, passaient ainsi impundment sous la sauvegarde de la
plaisanterie. C'est sous ce point de vue qu'il faut considc'rer plu
sieurs ouvrages, aujourd'hui de peu d'int6r6t, tels que la plupart
de ceux du Doni, du Landi,1 du Gelli, de Firenxuola, de PAretino,
etc. Souvent ces auteurs ont 6t6 plus loin qu'on ne le pense;
et, tout en convenant qu'ils ne sont pas dignes d'etre compar6s
& Lucien ou & Voltaire, on doit reconnaitre du moins qu'ils ont
prouv6 qu'un certain genre d'id£es n'6tait pas 6tranger aux Italiens
du seizieme siecle.
II y cut aussi une classe d^crivains qui ne craignirent pas de
dire ouvertement, et dans un langage seVieux, ce que d'autres
avaient couvert du voile de la plaisanterie. Malgr6 les dangers
qui les environnaient, ils attaquerent les erreurs et les pr£jug6s,
ouvrirent de nouvelles routes au milieu des te"n&bres dc la acolasti-
que, et os^rent pressentir et annoncer plusieures v6rit6s. Souvent
on perd de vue ces philosophes dans la foule de tant de poetes,
de Htt6rateurs, de savans; mais ils m^ritent d^autant plus de
fixer notre attention qu'ils ont suivi Fimpulsion, non des circon-
stances, mais celle de leur propre g6nie. Les efforts et les aper9us
de Patrm, de Telesio, de Cardano, les m&hodea de Bruno et
d'Aeonzio,a et plus encore les 6crits et les d6couvertes de tant de
i, Landi: allude certamentc ad Orttmsio Lando (1512-1553), autore di
una Sferza di scrittori antichi K moderni e di altre opere di "gusto satirico e
bizsenrro, z. Giacomo Aconstio o Aconcio (vissuto nclla prima meta del
secolo XVI), uno dei fuoru«citi italiani adcrcnti alia Riforma, compose
HISTOIRE LITTERAIRE D'lTALIE 961
physicians , font preuve de tout ce que la philosophic doit aux
essais de ce siecle. Les noms et les ouvrages de G. B. Porta,
d'Aldrovandi, de Falloppio, de Gaurico, de Maurolico, de Fra-
castoro, de Sarpi et surtout de Vinci, de Lilio et de Marchi1
nous donnent le droit de conclure que le seizieme siecle etait
bien digne de pr£ceder celui du grand Galilei.
On peut remarquer une autre qualit6 qui semble toute propre
aux Italiens, c'est F extension de leur esprit, capable d'embrasser,
chez le meme individu, plusieurs genres d'6tudes les plus difKrens.
Les anciens, tant que la sphere des connaissances humaines ne
fut pas assez 6tendue, ni ses parties assez multipliers et assez de-
tail!6es, pouvaient et devaient meme la parcourir tout entiere. Us
Staient tous en quelque sorte encyclop6distes. Socrate, Platon,
X6nophon appartenaient a cette 6poque. Ce furent Aristote et
The"ophraste qui augmenterent le nombre des connaissances replies,
et firent sentir la n£cessit6 de les diviser et de se borner a l'6tude
de quelqu'une de ces divisions. Depuis ce temps on a signale"
parmi les anciens un Varron, un Plutarque, un Cic6ron, un Pline;
et de nos jours .on ne compte qu'un Bacon et un Leibnitz qui
puissent rivaliser, sous ce rapport, avec Aristote.
Je ne dis pas qu'on trouve, au seizieme siecle, des esprits tels que
Leibnitz et Bacon; mais il semble incontestable que plusieurs
italiens jouissaient d'une semblable disposition, a une 6poque oil
le nombre et l^tendue des connaissances n'6taient pas aussi
restreints qu'on le pense. Souvent on rencontre des auteurs qui
excellaient dans plusieurs genres de litt£rature tout difTe"rens. Nous
avons vu TAriosto traiter avec le meme succes T6pop6e, le genre
lyrique, la com6die et la satire, et le Tasso, apres nous avoir
6tonne~s dans presque tous les genres de po6sie, nous instruire par
ses ouvrages en prose sur les matieres les plus difficiles de critique
anche il trattato, importante nella storia della filosofia, De methodo, hoc
est de recta investigandarum artium ac scientiarum ratione (1558), che anti-
cipa per qualche aspetto Cartesio. i. Giambattista della Porta (1535-
1615), ingegno vivace ed enciclopedico, autore di trattati di magia, di
astrologia, di ottica, e anche di commedie; Ulisse Aldrovandi (i522-i6o5)>
zoologo, botanico e archeologo; Gabriele Falloppio (1523-1562), natura-
lista e anatomico; Luca Gaurico (1476-1558), matematico e astronomo;
Francesco Maurolico (1494-1575), anch'egh noto soprattutto come mate
matico e astronomo; Luigi Lilio (1510-1576), ispiratore della correzione
gregoriana del calendario; Francesco de Marchi ( 1504-1 5 77), ingegnere
militare e teorico di arte fortificatoria.
61
962 FRANCESCO SAVERIO SALFI
litteraire et de philosophic. Quel est le genre, soit en vers soit en
prose, que n'aient pas aborde le Muzio et le Baldi? Je ne parle
pas du Sigonio, du Baronio1 et de tant d'autres qui se font re-
mar quer ou par le nombre et la variete de leurs connaissances,
ou par le vaste plan de leurs ouvrages; ils n'ont jamais depasse
le cercle d'un certain genre d'idees qu'ils avaient embrasse. Mais
combien d'autres ne pourrais-je pas citer qui ont professe des
sciences et des arts, dont le sujet et la nature sont si differens qu'ils
supposent autant de facultes intellectuelles et une etendue dj esprit
proportionnee dans celui qui les a cultives! Patrizi porte ses
recherches dans la philosophic de Platon, dans F eloquence, dans
la poesie, dans la musique, dans Phistoire; il compose meme des
vers, et invente des metres;2 et partout il montre quelque origina-
lite. Si Fracastoro n'etait pas celebre par sa Syphilis, il le serait sans
doute par ses connaissances en medecine, en astronomic, en
geographic, en litterature. Nous avons reconnu une fecondite pa-
reille dans Bernardino Baldi, considere tantot comme prosateur,
tantot comme poete. II passe avec la meme facilite des mathemati-
ques au gerre historique, de celui-ci a la poesie; et il brille plus
ou moins dans la plupart de ces genres. On remarque la meme
disposition dans la plupart des artistes. Nous avons admire a cet
6gard Michelangelo et le Cellini. Mais tous, malgre leur superio-
rite, sont restes au-dessous du Vinci, dont le genie, sous ce rapport,
n'a point eu d'egal.
II me reste encore a parler d'une circonstance particuliere qui
caracterise le siecle que nous venons d'apprecier, c'est Tinfluence
immediate et tres active qu'il a exercee sur toute TEurope civilisee.
La lumiere qui etait generalement repandue dans T Italic, en fran-
chit bientot les limites. Si les sciences, les lettres et les arts pas-
serent d*Athenes a Alexandrie et a Rome, et de la jusqu'a nous, ce
ne fut point par 1'empire que le siecle de Pericles et celui d'Augus-
te exercerent sur leurs contemporains, ce fut plutot par 1'emploi
que la posterite sut faire de leurs monumens, de leurs manuscrits,
de leur histoire. Nous avons aussi remarque que tout Teclat
i. Carlo Sigonio (1520-1584) e Cesare Baronio (1538-1607) sono i due
maggiori rappresentanti della stonografia erudita cinquecentesca. 2. in-
vente des metres: allude al verso di tredici sillabe, costituito da un sette-
nario tronco e da uno piano, con cui Francesco Patrizi tento, nel poemetto
giovanile Eridano (1558), di rendere il ritmo dell'esametro latino.
HISTOIRE LITTERAIRE D'lTALIE 963
litteraire des temps d' Auguste et de Pericles etait concentre presque
dans les seules villes de Rome et d'Athenes. Mais 1'Italie, des
qu'elle se vit assez eclairee, repandit ses lumieres dans tout le
reste de PEurope, et obligea en quelque sorte les autres nations a
1'imiter et a lui disputer sa gloire. Quoique plusieures circonstances
politiques et religieuses aient eu part a cette revolution extraordi
naire et presque generate, il n'est pas moins vrai que c'est a 1'Italie
qu'appartient le merite d'avoir donne ce premier mouvement;
car soit qu'elle fut envahie et partagee par des etrangers, ou qu'au
sein meme de sa dependance politique elle dominat encore par
1'influence religieuse qu'elle a toujours conservee, elle a prodigue
ses connaissances et ses arts a ses conquerans, en echange des
torts qu'elle en avait re$us. La France, 1'Espagne, 1'Allemagne,
la Pologne, 1'Angleterre profiterent souvent des litterateurs, des
historiens, des artistes que leur envoya FItalie. Si Montaigne,
Erasme et de Thou1 lui reprochent quelquefois des pratiques et
des opinions particulieres qu'ils desapprouvent, ils ne manquent
pas de lui temoigner leur admiration et leur reconnaissance pour
tout ce qui concerne la litterature et les arts. Copernic lui-meme
nja jamais oublie qu'il avait etudie dans cette peninsule, ou il
avait probablement puise les elements de ce systeme pythagoricien,
qu'on pourrait mieux appeler italique et par son origine et par
son developpement.
Nous verrons dans 1'histoire des siecles suivans comment les
autres nations ont acquitte les dettes de la reconnaissance envers
Tltalie, qui, a son tour, n'a pas cesse de profiter de leurs progres
ulterieurs. On doit meme esperer que, grace au commerce des
lumieres entre les nations les plus eclairees, cette patrie des arts,
connaissant de plus en plus les richesses et les defauts du si^cle
de Leon X, et sentant ce qu'elle peut et doit faire encore par ce
qu'elle a deja produit, preparera un autre siecle encore plus ecla-
tant et plus utile et par ses lumieres et par ses vertus.
i. Jacques Auguste de Thou (1553-1581), autore di Historiae sui temporis,
pensate come prosecuzione di quelle del Giovio, ma impostate sul modello
giiicciardiiiiano.
FRANCESCO SAVERIO SALFI
TOME XI
CHAPITRE I
\Situassione politico, deWItalia ncl Set cento.]1
L'ltalie, au commencement du XVIIe slide, se trouvait dans
la m£me situation politique ou 1'avait laiss£e le siicle pr£e£-
dent. Elle n'6tait plus le theatre de ces guerres g6n6rales qui,
apr6s 1'avoir long-temps d6so!6e, avaient fini par soumettre une
partie de ses provinces au joug de T^tranger, en faisant craindrc
aux autres le meme sort. Si quelques guerres 6clat&rent encore,
elles s^tendirent peu au-dela des limites d'une province, furent
de courte dur6e, et il n'en r£sulta aucun changement remarquable
dans les 6tats de la p6ninstilc. Quelles qu'en fussent les causes et
les suites, leur caract&re n'6tait plus national: ce n'dtaient que
des Strangers qui se disputaient le terrain, et qui obligeaient les
Italiens eux-memes k servir la cause de lours ennemis. On vit ce-
pendant quelques uns cles petits princes d' Italic prenclre les armes
pour leurs propres int£r£ts. Les Barberins de Rome firent la
guerre aux Farn^ses de Parme; la nSpublique de C56nes mena^a
d'attaquer le due dc Savoie et celle de Lucques le due de Mod&nc ;a
mais ces menaces et ces guerres ne servirent qu'a mettre en 6vi-
dence la faiblcsse de ces puissances bMigdrantes et k fairc rire k
leurs dipens. La cour de Savoie et la r6publique de Venise aurcnt,
seules, conserver quelques restes de leur dignitd; tous les autres
6tats d'ltalie, en se bornant a une existence pr6caire, soit qu*ils
restassent neutres, soit qu'ils se couvrissent dc la protection de
l'£tranger, ne faisaient qu'assurer, de plus en plus, leur d&pcndancc.
Cette espice de contagion ultramontaine, agissant plus ou moins
directement sur les diverses provinces et principaut^s d* Italic, fit
succ6der aux calamit^s d'une guerre active les maux plus graves
encore d'une oppression toujours croissante, Et comme cette op-
i. DiilVHistoire littgraire d] 'Itatte, ed. cit,, xi, pp. 1-4, a, Les Barberins . , .
Modhie: allude alia cosiddctta gucrra di Castro fra i Fnrnese e Urbano
VIII (1641-1642); ai contrast! fra Geneva c il Piemontc per il posseaso
prima cli Monaco c del fcudo di Zuccarello (1604- 1622), poi di Oneglia
<i672-i673); e a quelli tra Modcna c Lucca, soprattutto verso il principio
•del sccolo, per il dominio della Gurfagnana.
HISTOIRE LITT£RAIRE D'ITALIE 965
pression se fortifiait a la faveur (Tune paix utile aux oppresseurs,
on Ta regarded comme favorable aux peuples memes qu'elle
accablait; et Tiraboschi semble s'£tonner que les lettres et les arts
n'aient pas profit^ de cette 6trange sorte de tranquillite*.1 D'autres,
avec des intentions plus nobles et un esprit plus philosophique,
ont pens6 que cet £tat de servitude et de lethargic avait du 6touffer
entierement le g6nie intellectuel et moral, que la liberte" seule peut
nourrir et d6velopper. Si Ton en croit M. Sismondi, (d'ltalie
6puis6e ne produisit plus, pendant cent cinquante ans, que de
froids et mise* rabies copistes, ou des esprits faux et pr6tentieux».a
Mais si, d'un cote*, Tiraboschi semble n' avoir pas assez reconnu
V influence funeste que le despotisme int6rieur et ext6rieur exer9a
sur P Italic pendant le XVII6 si&cle, nous craignons de Tautre que
M. Sismondi n'en ait exage're' les effets. Nous suivrons done les
faits historiques plutot que les systemes de ces deux ecrivains,
si recommandables a tant d'autres 6gards : nous 6tablirons d'abord
quelle a dti etre la veritable influence des gouvernemens sur les
sciences, les lettres et les beaux-arts en Italic, pendant ce si&cle;
et nous verrons ensuite jusqu'a quel point ils en ont retard6 ou
arrete* les progres. Nous montrerons le g6nie des Italiens luttant
contre le despotisme de leurs oppresseurs, et s'acqu6rant, par cette
lutte m£me, de nouveaux titres de gloire, s'il est vrai que, dans les
cir Constances les plus d6plorables, P Italic ne cessa de faire preuve
de vigueur et d>originalit6, malgr6 la corruption qui menagait de
toute part et le gout et la morale publique . . .
CHAPITRE III
[Stato degli studi filosofid alia nascita di Galileo.}2
. . . Avant d'entrer dans Texamen des diverses branches des
connaissances humaines qui ont £t6 cultiv6es et ont fleuri pen
dant le XVI Ie stecle, et de signaler les savans qui ont le plus
contribue" a les propager en Italic, nous croyons convenable de
commencer par la philosophic experimental, comme determinant
en quelque sorte le caractere dominant de ce si&cle, et particuli&re-
ment de Tltalie. Ceux a qui, depuis la renaissance des lettres, on
i . Storia della letteratura italiana, t. vm, [Modena 1793], au commencement
et dans la suite (S.)- 2. Literature du midi de V Europe, [ed. cit.], t. n,
p. 243 (S.)- 3- Dzll'Histoire litUraire d'ltalie, ed. cit., xi, pp. 157-60.
FRANCESCO SAVERIO SALFI
avait accord^ le titre de philosophes jusqu'k cette 6poque, ne
s'6taient ordinaircment occup^s que de renvcrscr unc idolc pour
lui en substituer une autre. On combattait tantot pour Aristote,
tant6t pour Platon, et Ton <§voquait mcme les ombres de Z6non,
de D&mocrite. II semblait que la philosophic ne pouvait plus faire
un pas sans suivrc les traces des maitres de 1'antiquitci, qui en
6taient toujours regard<Ss comme les chefs. Ceux mcmes qui osaient
s'en ^carter s*6garaient tout k coup. Bernardin Tclesio tut sans
doute un des philosophes les plus hardis et les plus entreprenans
du XVIe si&cle; mais, tout en secouant le joug des anciens, et
surtout celui d'Aristote, il ne put b&tir son nouveau syst&mc sans
s'appuyer sur les principes de Parm^nicle.1
Telesio laissa au XVIP si£cle deux grands partisans de son
6cole, Alexandre Tassoni, de Mocl&ne, et le p. Thomas Campa-
nella,2 de Calabre. Auteurs Tun et 1'autre de divers ouvrages, ils
ne cherchferent qu'ik discr^diter Pautorit6 des anciens, et principale-
ment cclle d' Aristote; mais ils ne substitutrent & la doctrine du
philosophe grec que celle de Telesio, qui n'avait fait que r<$tablir,
avec quelques modifications, le syst&me de Parm6nide, et mfime
confarmer, sur plus d'un point, les d^fauts dea aristotilicicns. Ils
avaient beau proclamer qu'il ne fallait consulter que la nature et
ne suivre que ses lois: ils ne savaient ni entendre ni interpreter
ses oracles, et ils ne lui faisaient que r6p6ter les r£ve$ de leur
imagination. On ne peut cependant leur refuser le mdritc de nous
avoir accoutum6s ^ m^priser rautorit6 des tyrans de la raison,
et & sentir de plus en plus le besoin de penser librement ou, pour
mieux dire, de raisonner. Mais il s'en fallut de beaucoup que Ton
profitftt avec succis dc cette Ubcrt6 de penser: c'6tait chose plus
difficile alors qu'on ne Fimaginait Ce premier essai d'ind^pendance
ne servit qu'^ multiplier les systimcs et les opinions, et ce ne fut
que vers la fin du XVIe siiclc et au commencement du XVHe,
que Ton vit naitre cette philosophic nouvelle ou plutot v6ritable
i, Bernardin Telesio . . , Parmfaide: riassumc i concetti principal! del pa-
raKrafo sul Tclcaio redatto dal Stilfi stesso e da lui inserito ncl tomo vn
dclla Uistoire littfraire d'ltalie del Gingucn6. 2. Telesio , , . Cwnpanella:
Tclcsio 6 citato nei Pensieri diversi del Tassoni con lodt* piti volte, ma
piuttosto gcncricamcnte, per il suo antiaristotelismo ; piii precise invece le
derivation i dal Telesio del Campanclia, la cui filosofia muove dal naturali-
smo cosmolotfico del coscntino, e che del Telesio fccc un'apologia nella
giovanilc Philosophia sensibus demonstrata.
HISTOIRE LITT£RAIRE D'ITALIE 967
qui nous apprit a connaitre la nature et a interpreter ses lois. Nous
la verrons s'avancer a travers les obstacles qu'on lui opposait de
tous cote's; s'emparer successivement de toutes les ecoles et pre*pa-
rer la gloire et les destin6es des siecles a venir.
Cette grande revolution fut Pouvrage d'un seul homme, et
cet homme fut Galilee. II tra9a le premier a Tltalie, a son siecle,
a 1' esprit humain cette nouvelle direction qui nous a rendus si
sup6rieurs aux anciens, et qui joignit a Pel6gance dont la litte'rature
italienne brillait dans le XVIe siecle cette r6alit6 et cette importance
qu'elle a de plus en plus acquises dans la suite. Depuis la restaura-
tion des lettres, on ne s'6tait g6n6ralement occup6 qu'a peindre
les beaut6s superficielles de la nature, et Ton se bornait a deviner
tout le reste. Galilee, par ses pr6ceptes et ses experiences, nous
apprit a d6couvrir les ressorts les plus secrets de la nature, et
nous expliqua les lois 6ternelles qu'elle suit constamment dans sa
marche. Ainsi, remplasant les chimeres par ce qui est r6el et v6ri-
table, il releva les sciences et forma des eleves capables de les per-
fectionner encore. Cette perfection devait en meme temps exercer
sa puissante influence sur la litte'rature elle-meme; car le beau
et le vrai ne peuvent r^sulter, dans les arts d'imitation, que de la
connaissance de la nature et de F observation de ses lois. Galil6e
lui-mSme en fournit la preuve; il appliqua a la critique Iitt6raire
le m&ne esprit qui avait r6g6n6r6 la philosophic, et r6ussit ainsi
a donner aux lettres et aux arts la meme direction qu'aux Etudes
philosophiques. Sous ces deux points de vue, on peut regarder
la vie de Galilee comme Thistoire abr6gee des lettres de son siecle; et
tout ce que nous dirons de la plupart des savans qui, de son temps
ou apres lui, ont suivi ses doctrines, ne sera en quelque sorte
qu'un ddveloppement des m6thodes et des principes de ce c61ebre
philosophe . . .
CHAPITRE IV
[Galileo e Bacone.]1
. . . Nous avons indiqu6 bien sommairement tout ce qu'en-
treprit ce grand homme2 pour la restauration, ou plutot pour la
creation des sciences exactes et de la vraie philosophic. II s'eleva
i. DalPHtrtoir* littiraire d'ltalie, ed. cit., XI, pp. 252-4. 2. ce grand homme;
Galileo.
FRANCESCO SAVERIO SALFI
bien plus haut que ne le fit Bacon & la mcme 6poque. Celui-ci
ne faisait qu'indiqucr de loin la route qu'il fallait suivre, tandis
quo Galilee avan^a d'un pas ferme ct rapide dans la voic de la
r£g<$n6ration. L/un ne porta pas ses regards plus loin que la sphere
de ses sens, et ne fit que des conjectures, quelquefois erron6es,
sur tout le reste; tandis que Fautre, arm6 de ses propres moyens,
franchit Pespace, et p<5n6tra oil personne n'avait encore os6 s'61ever ;
aussi n'avan9a-t-il rien qui ne f&t le rdsultat evident de ses obser
vations et de ses calculs. Si Bacon legate en genie, Galilee eut
sur lui Tavantage de la geometric, taut-k-fait etrangfere au philoso-
phe anglais; et, port6 sur les ailes de cette science sublime, son
vol le laissa bien loin derri&re lui. II eut encore sur son 6mule un
autre avantage qui contribua plus efficacement encore aux progrfes
de la philosophic. Bacon, quelle que soit 1'importance de ses obser
vations, de ses apenpus et de ses maximes, ne sut pas les ciebarrasser
de ces formuies metaphysiques, de ce langage mystique en usage
de son temps, et qui le rendit inintelligible & ses contemporains
auxquels il etait d6j& si sup6rieur. II demeura ik peu pr&s inconnu &
ses compatriotes et aux Strangers, m£4me jusques vers la moi-
ti6 du dernier siicle, c'est-k-dire lorsque la philosophic avait d<Sj&
fait de grands progr6s> sans avoir eu besoin de son influence*
Galilee, au contraire, sc fit bientot connaitre et g<§n6ralement
admirer, soit par la singularity dc ses d6couvertes et l^vidence de
ses demonstrations, soit par r616gance et la simplicity de son style,
II communiquait et r^pandait ses doctrines aussi heureusement
qu*il les avait cogues. II pr6f6ra le premier le langage national;
et s'il fit traduire quelques-uns de ses 6crits en latin, ce fut pour
les rendre aussi utiles aux Grangers qu'aux Italiens.
On a dit cependant que Galil6e, n'ayant jamais fond6 aucun
systfeme, ne fut pas assez appr6ci6 par ses contemporains, ni
m6me long-temps apr^s par ses successeurs.x Ainsi, ce qui consti-
tuait son plus grand m6rite, aurait le plus nui & sa reputation. II
ne fut pas chef d'Scole, comme Descartes, dit Tiraboachi,* mais
il fut le fondateur de la philosophic moderne. II faudrait plutfit dire
qu'il ne laissa point de secte parce qu'une secte est Toeuvre d'une
opinion et non de la v6rit6, qui fut Tunique objet de ses vues et
de ses recherches. D'ailleurs, il n'est pas vrai qu'il n'ait fond6
1. Andres, Saggio della filosofia dd Galileo, [Mantova 1775], page 12 (S,).
2, [Storia della tetteratura italiana, vm» Modena 1793!, page 189 (S.).
HISTOIRE LITT£RAIRE D'ITALIE 969
aucune £cole, comme plusieurs 6crivains Font avanc6; celle qu'll
fonda fut meme tr&s-puissante et dura fort long- temps. On peut
meme dire qu'elle fut universelle, puisque ses dogmes reposaient
sur la nature meme dont ils r6velaient les lois . . .
TOME XIV
CHAPITRE XVII
[Cause presumibili della corruziom del gusto
in Italia nel XVII secolo.]1
La partie de Thistoire que nous venons de parcourir nous a
montr6 1'etat et les progres des difKrens genres de connaissances
cultiv6s, avec plus ou moins de succes, en Italie pendant le XVII6
si&cle. II nous reste a examiner maintenant les progr^s ou la
decadence de la po6sie et de T61oquence a cette meme 6poque.
Prises dans le sens le plus gen6ral, c'est-a-dire pour la mani&re
d'envisager et de pr6senter nos ide"es sous Taspect le plus conve-
nable a leur nature et a leur destination, P61oquence et la po6sie
ne sont que le r6sultat de Fimagination qui invente ou cohort, et
du gout qui execute et corrige. Supposant leur veritable genie dans
la reunion si rare de ces deux qualit£s, c'est ce genie que nous
chercherons dans toutes les productions Ktt6raires qui sont de
leur ressort. Ainsi nous les appr6cierons sp6cialement en ce qui
concerne I'int6ret de la pens6e, la beaut6 des images, la noblesse
et le coloris du style.
Mais avant d'aller plus loin, il est indispensable de jeter un
coup d'oeii sur cette masse 6norme d'ouvrages qui sont la honte
de T&oquence et de la po<§sie dans ce si&cle, non pour les tirer de
Toubli dans lequel ils doivent rester plong6s, mais pour mieux
determiner le caract^re et les causes de leur corruption; et pour
profiter de la triste experience de ceux qui nous ont pr6c6d6s.
Nous avons observ<§ ailleurs, en parlant de la critique litt&raire,
que reioquence et la po6sie prirent dans ce siecle une marche toute
contraire a celle qu'elles avaient suivie dans le siecle pr6c6dent,2
i. Dall'ffirtoiVfi UtUraire d* Italic, ed. cit., xiv, pp. 2-12. 2. Nous avons . . .
prudent: cfr. Histoire litUraire d'ltahe, xm, p. 421 : «La throne fut done
aussi corrompue que la pratique; et aux regies sures ou moins hazardeuses
qu'avait £tabli I'exp6rience des sifecles, on substitua des regies arbitraires
FRANCESCO SAVERIO SALFI
Autant on avalt pr£f6r6 dans celui-ci le simple, le naturel, Pel£gant,
autant on affectionna dans celui-li cc qui <§tait le plus artificicl,
le plus bizarre et le moins correct. Cette d6pravation de Pesprit 6tant
devenue en pen de temps presque g£n6rale, PItalie se vit inond6e
de subtilit6s capricieuses, de penstes sophistiques, de figures ct
de m6taphores outr6es et grotesques, qui rendirent le style enti&re-
ment faux, boursouffl6, ridicule. S'il est 6tonnant que des hommes
si long-temps accoutum6s au goftt le plus s6v£re aient pu tlescendre
i ce degr6 de corruption; il Test encore plus que cette revolution
se soit faite avec la plus grande rapidit6; mais eet 6tonnement
cessera lorsqu'on aura connu les causes qui Font produite*
Tiraboschi a savamment et longuement traiti* ce sujet, en s'at-
tachant principalement a r6futer les id6es de Pabb6 Dubos,1 et la
plupart des Italiens ont adopt6 son opinion. Nous ne suivrons pas
son syst^me: nous indiquerons rapidement les causes principalcs
qu'on a d£sign6es jusqu'ici, et nous tUcherons de signaler celle
qui semble avoir <§t6 la plus dominante.
Les causes physiques et purement locales ont dft sans doute
disposer les Italiens, surtout ceux du Midi, a cet exe£s de viva-
cit6, de finesse et d'emphase, regard6 comme Teffet d'une ima
gination facile & s'exalter.* Cette opinion parait encore plus fond6e,
si Ton observe que cette maladic dc Fesprit a doming constamment
les Africains et les Espagnols, et plus souvent les Napolitains que
les habitans de PItalie septentrionale. On a m6me remarqud que
ces d6fauts, port6s dans le XVII6 si&cle jusqu'k Pexecs, n*avaient
et bizarres. Alors Tart ne so contcnta plus d'imitor la nature; il voulut lui
donner une forme nouvclle, ct & force de la farder et de la cMguitser on
finit par la rendre m£connaissublc. Aussi la rh^torique et la poitique
devinrent-elles, pour les ouvrages dc gout, ce que ia schol&stique avait
&tt pour 1'exercice de la raison», Tuttavia nel seguito di queato capitolo
(xvi) il Salfi riconosce nei critici del Scicento, e in particoUrc ncl Pioretti,
nelFAverani, nel Pellegrini, nel Pollavicmo e nel Gravina k progrcssiva
presenza di un notevoie spirito di indipendcnssa critica. i. SJtoria delta
letter atur a italiana, t* li, [Modena I787]> Dissertassione preliminary (H.), In
qucsta dissertazione, intitolata SuWorigine dd dec&dimenta ddh scienze^ il
Tiraboschi apicga la corruxionc del gusto nel Seicento richiamandosi alia
Icggc gencrale che « quando uno sia giunto a qucl segno in cui propria-
mentc connisto il bcllo, chi voglia ancora avanzarsi piii oltrc, verra a n«
cadcr ne' difctti i quali cran comuni a coloro che non vi erano ancora giun-
ti», e in particolarc adducendo lu dannosa influenza del cattivo guato
spagnolo. 2. Les causes . . ,tl $*ex<er\ allude ulPopinionc del Duhos, espo-
sta nelle Rfjlexiom critiques sur la podsie et la peinture (1719), parte n, s<5-
zionc xn e seguenti.
HISTOIRE LITTERAIRE D'lTALIE 971
pas meme 6pargn6 les 6crivains que Tltalie regarde comme classi-
ques, tels que Petrarca et tous les auteurs qu'on appelle trecentistes.
Mais tout en reconnaissant jusqu'a un certain point cette in
fluence physique, nous demanderons: pourquoi elle n'a pas agi
de m£me et sur tous les ecrivains de la peninsule? Du temps
d'Auguste, de Dante et de L6on X, n'6tait-ce pas le meme cli-
mat, le meme sol et le meme air que du temps de Marini, d'A-
chillini et autres? Comment cette maladie end6mique a-t-elle
6pargn6 Horace et Virgile, Dante et Petrarca, TAriosto et tant
de p&rarquistes qui, tout st6riles qu'ils sont, ne manquent jamais
ni d'616gance ni de naturel? D'ailleurs la meme corruption qui
attaqua les Italiens nj a-t-elle pas aussi envahi T6tranger? La
France et les nations du Nord, dont le climat est si different de
celui de 1'Italie, n'ont-elles pas subi ces memes revers? Nous
pensons que ces observations nous obligent a chercher d'autres
causes des Evolutions du gout dans la meme contr6e et a des
6poques si diflterentes.
Les causes morales et politiques r6sident dans la nature du
gouvernement, de la religion dominante, et dans le caractere des
peuples ainsi modifies. Nous avons examine", au commencement
de la troisi&me partie,1 quelle a 6t6 Tinfluence que les gouverne-
ments de V Italic ont g6n6ralement exerc6e sur leurs sujets pendant
le XVI Ie si&cle. Courbe's sous le double joug du despotisme poli-
tique et religieux, et ne pouvant de"ployer toute la Iibert6 n6cessaire
pour donner Tessor a leur g6nie, il semble que les Italiens, surveil!6s
et menaces de tous cot6s, auraient du n6gliger surtout les Etudes
et les travaux litt^raires qui les eussent expos6s k la double in
quisition du gouvernement, et se livrer de preference a un etat
d'inertie et de stupidit6 qujon n'a pas manqu6 de leur attribuer.
Cependant, malgr6 la duret6 de leur oppression, ils n'ont jamais
cess6, comme nous 1' avons souvent remarqu6 dans le cours de
cette histoire, de cultiver les sciences et les lettres, 6pouvantail
d'un pareil gouvernement, et de produire des ouvrages qui, s'ils
n^taient pas r6dig6s d'apres les vrais principes du gout, ne T6taient
pas non plus dans Tint&ret de leurs oppresseurs. Mais quelque
efficace qu'on suppose d'ailleurs cette r6action des Italiens,
il n'est pas moins vrai que 1'action contraire du gouvernement
i . Nous avons , . . partie : nel capitolo I del tomo xi, del quale abbiamo
riprodotto Tinizio alle pp. 964-5 di questo volume.
FRANCESCO SAVERIO SALFI
devait de plus en plus arr£ter dans leur source ces sentiments
nobles et g<§n6reux dont se nourrit la v6ritable Eloquence, et
habituer les esprits & un genre d'hypocrisie qui d6nature ou dciguise
tout ce qui est vrai et beau, et lui substitue ce qui est i'ouvrage
de la recherche et de Fart. Voila seulement sous quel rapport Pin-
quisition tyrannique de la pens6e a du plus ou moins contribuer
a cette corruption du gout qui atteignit PItalie au XVIIe siecle. Mais
en lui accordant cette influence, nous rencontrons de nouvelles
difficulte*s, puisque Fltalie sc trouvait presque dans les m£mes
circonstances politiques et religieuses, lorsqu'elle entreprit et
poursuivit la r6forme de son gout. L'influence eecl&uastique
avait-elle chang6 lorsque, vers la fin du m£me si&cle et au com
mencement du si&cle suivant, on vit s'op6rer une Evolution si
funeste aux marinistes? M. Sismondi vient d'avaneer que ce
r&gne du mauvais gout a dure* jusqu'au temps ou M6tastase parvint
a la maturit6 de son talent.1 Nous ne lui contestons pas la v6rit6
du fait; nous demanderons seulement si la situation politique de
P Italic avait d&s lors 6prouv6 un changemcnt capable cPop^rer
une pareille r6forme.
En consid6rant de plus pr6s les faits et les circonstances qui ont
pr6c6d£ et accompagn6 cette 6poque de la literature italienne,
nous croyons en d<§couvrir sinon la cause unique, du moins le
motif principal. Les p6trarquistes, qui avaient afflu6 au XVP
sitele, firent un tel abus des formules de leur chef, qu*ils sem-
blaient plutot le contrefaire que Timiter. On n'abusa pas moins
du style de Boccaccio; presque tous les prosateurs de ce temps se
bornaient k compiler les phrases et les constructions de cet 6crivain,
croyant donner autant de noblesse et d'importance & leurs cliscours,
qu'ils donnaient de longueur et d'inversion a leurs p6riodes, Cette
manie de beaucoup parler sans rien dire fut le vice dominant de
presque tout le XVIe siiclc. Laurent de M6dicis, Polimno et
Sannazaro s'6taient propos6 de rdtablir T616gancc de Petrarca et de
Boccaccio, que leur si&cle avait entitlement ndgligte; mais bient6t
Bcmbo et ses partisans poussirent cette sorte (limitation k un tel
excte que Tabus finit par rendre ridicules les p6trarquistcs et les
boccaccistes, et presque Petrarca et Boccaccio eux-m&nes.
Nous avons d<§ja signa!6 dans la foule plusieurs 6crivains qui,
m6me pendant ce XVIC siecle, se moquaient de cette imitation
i. Literature du midi [de I* Europe, ed, cit,], t n, p, 244 (S.).
HISTOIRE LITTERAIRE D'lTALIE 973
p£dantesque et insignifiante, et eurent le courage de la repro-
cher a leurs contemporains. II faut maintenant remarquer que
ce fut a la meme epoque que se developpa cet esprit de liberte"
qui, tendant de plus en plus a secouer le joug des aristoteli-
ciens, parvint, dans le siecle suivant, a s'emparer de presque
toutes les 6coles et les acad6mies d' Italic. Nous devons en quelque
sorte a Bernardin Telesio cette double revolution, philosophique
et Htt6raire ; car pendant qu'il empruntait a Parm6nide quelques
el^mens pour enseigner un nouveau systeme de physique a ses
compatriotes, il leur proposait Lucrece comme le mo dele de style
le plus digne d'etre imit£ par son originalit6. Lui-meme en donna
Texemple;1 et sans doute Lucrece 6tait r6crivain le plus ori
ginal de tous les classiques latins; et, sous ce rapport, le plus
oppos6 a la maniere des p6trarquistes du XVIe siecle. L'Acad6-
mie Cosentine2 adopta la premiere les principes et la methode
de Telesio, son concitoyen; et bientot Alex. Tassoni s'effor-
$a d'accr6diter la doctrine de ce litterateur philosophe.3 Nous
Favons de"ja vu faire & la fois la guerre aux aristoteliciens et aux
pctrarquistes, et a encourager plusieurs 6crivains a suivre sa ban-
niere. Cependant on avait commence", dans la seconde moiti6
du XVIe siecle, a s'6carter tant soit peu de la route des petrar-
quistes, et a se rapprocher de celle des Grecs et des Latins,
jusqu'alors regard6e comme inaccessible. Costanzo, Tansillo, Tas-
so, Guarini avaient ouvert cette nouvelle carriere, et nous la
verrons parcourue avec plus de hardiesse par Chiabrera, Testi et
beaucoup d'autres qui ont le plus illustr6 le XVIP siecle.
Mais Ton vit bientot succ6der a une imitation servile la licence
la plus insens6e. On ne cherchait plus que le nouveau: pour la
plupart, la nouveauti seule tenait lieu du beau, du vrai, du rai-
sonnable. A force de tout reformer, il semblait qu'on voulut
changer la maniere de sentir et de penser, et substituer a la nature
r6elle une nature toute difT6rente, 6close des r£ves bizarres de ces
nouveaux visionnaires. Une circonstance favorable, comme toutes
i. Voy[ez] son po&me latin dans le recueil pour le Castriota, rapport6 par
Salvator Spirit! dans les Memorie degli scrittori cosentini, p. 92 (S.)- Sul
Telesio cfr. anche il giudizio del Salfi a p. 966 e la nota 2. 2. L'Aca-
ddmie Cosentine: TAccademia Cosentina o dei Costanti, cominciata da
Giano Parrasio, e stabilmente fondata da Bernardino Telesio e da Sertorio
Quattromani. 3. bientdt . . . philosophe: cfr. quanto dice il Salfi in propo-
sito qui a p. 966 e la nota 2.
974 FRANCESCO SAVF.RIQ SALFI
cclles qui d'ordinaire annonccnt et accompagnent les revolutions
littiraircs, la superiority dc talent de J. B, Marini donna bientot
plus de vogue & cottc nouvelle direction de I'esprit des Italicns,
ainsi que Pavaient fait Gorgias et d'autres sophistes chess les Grecs,
Lucain et S6neque chess les Latins. Cette espece cle contagion
atteignait ceux qui possidaient le plus d'esprit et de connaissances.
Plusieurs mfime, qui avaient appris & raisonncr Hbrcmcnt &
P6cole de Telesio et de Galileo, sc crurcnt obliged par leur syst^me
k suivre la nouvelle route, tels que Cesarini, Ciampolit et tant
d'autres, moins versus dans la literature que dans la philosophic,
Telles sont, & ce qu'il nous semble, les circonstances Iitt6raires
qui amenerent cette funeste revolution vers le commencement
du XVIP siecle. II n'est pas moins vrai qu'ellcs acquirent encore
plus de force par le concours des circonstances politiques. La
nouvelle maniere que Marini avait r6pandue en Italie, et que du
Bartas* avait introduce en France, dominait particulierement en
Espagne, oil de grands poetes, tels que Gongora et Lope de Vega,
1'avaient rendue nationale. II itait done nature! que les Espagnols,
maitres d'une grande partie de Tltalie, pr6f6rassent et missent en
credit le go(it et les ouvrages de leur nation; et que d*un autre
c6t6 les Italians, qui ambitionnaient 1'approbation et les faveurs
du gouvernement, s^empressassent d'imiter et de contrefaire ce
qui flattait le plus Torgueil et le plaisir de leurs protecteurs,
Se croyant obliges pour r^ussir de se montrer gongoristes, ils
devinrent encore plus outre*s que Marini Iui-m6me; et se regardant
comme libres et originaux, ils furent imitateurs plus serviles des
espagnols, que les p6trarquistes du XVP sii:cle ne Tavaient et6
de Petrarca; car ils eurent & la fois les vices de limitation, comme
les p6trarquistes, et les difauts de leur propre fcole,
On dirait parfois que, fatigui de sa longue route, le laborieux
Tiraboachi d^daigne d^observer un pays contre lequel il est trop
privenu. Nous ne cesserons de condamner comme lui, et avec
plus de rigueur encore, tout ce qui tient & la mani&re des mari-
nistes; mais nous n*en mettrons que plus de soin & faire appri-
i, Virginio C&sarini (1595-1624) e Giovanni Ciampoli (1590*1643), amici
di Galileo cd accademici dei Lincei, non sono da tutti annoverati fra i
marinisti. In particolare le poesie del prime sono ispiratc a seven intendi-
menti morali. 2, Guillaume du Bartas (1544-1590), note soprattutto co
me autorc del poema La sepmatntt ou la creation du mottde (1578), una delle
fonti delle Sette giornats del mondo cr$ato del Tasso.
HISTOIRE LITT^RAIRE D'lTALIE 975
cier les 6crivains que Texemple n'a pas entrants, et que leur ge*nie
et leur gout s6parent de la foule de leurs contemporains. Peut-£tre
meme trouverons-nous qu'ils ne sont pas en aussi petit nombre
qu'on le croit; tel qu'il est, il suffit pour prouver que le g6nie
des Italiens n'£tait pas 6teint, et que la Htt6rature et les beaux-arts,
de meme que les sciences et la philosophic, ne cessaient de faire
des progres.
C'est sous ce point de vue que nous tlcherons de presenter
1'histoire de ce qui regarde Feloquence et la po6sie de ce siecle.
Ainsi, signalant les productions Iitt6raires qui prouvent ce que
nous venons d'indiquer, nous ferons ressortir en meme temps
cet esprit de liberte" et d'innovation qui s'empare de T6poque, et
qui fut mieux dirig6 dans la suivante . . .
DAL «Rfi8UMfi DE L'HISTOIRE DE LA
LITTftRATURE 1TALIKNNE»
SECONDK PKRIODE (OEPUIS 1275 JUriQU'KK 1375)
Petrarca: caracthe de son amour et de ses
ses canstoni; son patriotisms*
Quoique Petrarca ait imit6 quelques uns de ses devanciers, c'est
lui qui porta le genre lyrique & une hauteur telle qu'aucun autrc
ne Pa encore d6pass6e. La literature en g6n<kal lui a les plus
Come il Sain" stesso dichiara nella profazione dell* opera, egli ai era pro-
posto di comporre un riassunto dclla Histoire littlraire d*Itatit del Gingue-
nd, non appena avesse terminate) la eontinuazione di talc opera. Tuttuvia
per alcune « circonstanees imprivues », probabilmente per ncccnsita eco-
nomichc, egli fu costrotto ad anticipare refTettuaxione del lavoro con i
due tometti del Rd$um£ de t'histoire de la literature italitnnet I^iris, Jauet>
1826. Contrariamentc alia continua/Jone falVHistoirt littfaaire <V Italic del
Gin#ucnc*, quest'opera pid breve ehbe notevole fortuna, Kcconsito piut-
tosto aeidamente dall'Acerbi nclla « Biblioteca italiana» (XLV, anno xn,
1827, pp, 42-7), fu invece nel compleaso benevolmente giudieato nella
«Antologia» (xi.in, 1831, pp. xx6«B) dal giovane Tommaseo, il quak%
pur facendo alcune riserve (per csempio sull'eccessivo rilievo dato all* in
fluenza provcn7*ale; sull'afTcnnassionc «che il genio di Dante sia vcra-
mente urn salto nella scala graduata dtiH'incivilimento e che moltissimo
non debba al suo secolo»; che la lingua del suo poema «aia nutrita di
tutti i dialetti italiani »)> ne veniva pero indicando « parecchie osservazioni
e verc c belle ». Importante e significativa anche Pammiraxione del Ma^ini^
il quale daU'esilio, nel 1834, faceva ricercare il R4$um$ tra i auoi libri a
Geneva. Una prima traduxione italiana dcU*opera fu compiuta nel 1828
dalPavvocato Gioacchino Benini di Prato, e pubblicata (dopo un tentative)
di atamparla presso Pcditore Giachetti di Firenxe, fallito per Pintervento
della censura toscana, che aveva apportato alPopera tagli c sostitu^ioni
tali da renderla irriconoscibile) a Lugano, presso Ruggia, nel 1831, col
titolo Ristretto della storia ddla Utteratura italiana^ traduxione poi ripro-
dotta senza varianioni, ma col titolo Manuals ecc., a IVIilano, Silvestri,
1834, Una seconda traduzione ad opera del Gouveau fu pubblicata col
titolo di Compendia ecc.» a Torino, Pomba, 1833. Altre edixioni auccessive*
che per6 riproducono sempre queste due tradussioni, sono clencate nel
volume citato del Nardi, a p. xut. II Rfaum$ ebbc in tal modo notevole
dilTusione in Italia, e il Croce ricorda (cfr. « La Critica», xxin, 1925, pp,
308-9) che proprio su una copia del Ristretto, gu\ studiata da suo padre,
«appre&i per la prima volta a conoaccre la truma della storia della lette-
ratura italiana e i nomi dei poeti e Ictterati italiani, maggiori e minori e
anche minimi". I passi qui riprodotti si attengono al testo francese del
RfoumS, Punico approvato dal Salfi. Le sue note sono seguite dalla sigla S.
I. Dal Rhum4 de Vhistoire de la literature italienne, ed, cit., i, pp. 61-78.
DE LA LITERATURE ITALIENNE 977
grandes obligations, mais c'est de ses vers lyriques qu'elle s'honore
le plus. II avait <§te eleve" dans 1'exil par les memes circonstances
que le Dante; mais il ne fut pas aussi malheureux que lui. II
6tudia a Montpellier et a Bologne; il voyagea dans 1'Italie, dans
la France, dans les Pays-Bas, dans 1'Allemagne, partout accueil-
li, estime", consulte". II con£ut un tel amour pour les lettres et
pour les anciens, qu'il d6pr£cia toute autre occupation et ses
contemporains. De la cette noble ardeur a chercher partout d'an-
ciens manuscrits, ces monumens precieux qui restaient ensevelis
dans la poussiere des biblioth&ques, et qu'on regrettait comme
perdus; et si ce fut un avantage pour la Iitt6rature moderne,
comme nous n'en doutons pas, c'est a Petrarca que nous le devons
principalement.
Malgre" la s6v6rite" de ses 6tudes, ce fut de la poesie qu'il s'oc-
cupa le plus. II composa d'abord des 6glogues et des epitres en
vers latins. Voulant probablement 6clipser, ou du moins partager
la gloire 6pique de Dante, il entreprit d'6crire en latin son po&ne
intitu!6 UAfrique, dont le h6ros est Scipion, qu'il regardait comme
le plus grand homme de I'antiquit6. Malheur a sa renommee et
a la po6sie italienne s'il se fut born6 a ces compositions latines!
Quoique son po&me £pique lui eiit valu Thonneur d'etre couronne
au Capitole & Rome, la post6rite" ne lui aurait pas decern£ la palme
sur tous les po^tes lyriques qui lui ont succed6, s'il n' avait chante
que dans la langue de Virgile et d' Horace. Heureusement il vit
et connut k Avignon cette Laure qu'il a rendue si c616bre, et
qui lui fit sentir le besoin de I'int6resser par ses vers italiens.
Elle n'avait alors que vingt ans ; a en croire son amant, ses qualit6s
6taient angeliques. Depuis ce temps elle devint sa dame, ou plutot
sa divinit6; il lui consacra tous ses vers, ses voeux, et vingt annexes
de souffrance.
Bien que Petrarca fut ecc!6siastique et tant soit peu courtisan,
il ne se laissa pas d6moraliser par la cour d' Avignon; peut-£tre
aussi sa bien-aime*e le rendit-elle plus rigide ou plus r£serv6.
Quelle que flit sa veritable maniere de sentir, Laure ne repoussa
jamais son amant, et sut nourrir et diriger en meme temps sa
passion, en l'e"purant de tout ce qu'elle pouvait avoir de profane
ou de vulgaire. Ainsi 1'amour de Petrarca prit un caractere si
noble et si 61ev6, qu'aucun de ses devanciers n'avait encore connu
ni imagin6 un sentiment semblable. Les Grecs et les Latins
FRANCESCO SAVERIO SALFI
n'avaient consider^ dans leurs amours quc le plaisir materiel et
la beaute" ext£rieure qui le fait naitre et le satisfait; lors memo
qu'ils chantcnt leurs me"saventures et leurs peines, leurs vers
6rotiques n'expriment quc Pahsence ou la perte d'un bicn mat6-
rlel, que des accidens sinistrcs ou ties amans plus fortunes qu'eux
leur avaient enleve\ Petrarca aime d'une tout autre maniere; il
contemple, il adore 1'objct de son amour. On dirait que ses vers
sont des hymncs adress6s & un £tre $upe*rieur, qu'ii eraint d'of-
fenser m£me quand il le celebre.*
Au milieu de tant d'exaltation et de tant de puret6, il reste k
son amour assez d'espe"rance et de crainte pour nous inte>es$er
& ses vicissitudes et £ ses souffrances, Bien qu'elevie dans une
sphere sup6rieure, sa passion violente 6prouve toujours cos agita
tions p6nibles qui nous font partaker ses soupirs et ses larmes.
Soit que la douleur Taccable, ou qu'il soit frapp6 d'admiration ou
enivr6 de plaisir, il parle au eoeur, lors n\6rne qu'il semble ne
s'adresser qu^ Tesprit, Malgr6 ce caractere dominant qui anime
ses vers, des critiques assess froids pour ne pas le sentir, se plaisent
parfois & remarquer quelques pens<§es un peu alambiqu6es, ou
quelques jeux antitiMtiques de mots que les Provcmc/aux avaient
d6jk accr6dit6s, plutdt que de jouir du charme de sa poisie et des
quality's de son §me. Pour nous, nous n'y voyons, axi contraire,
que 1'histoire fiddle des affections les plus pures et les plus tou-
chantes.
Sous ce rapport, les Rime de Petrarca prisentent une sorte
de poeme suivi, dont FAmour est le he*ro8 principal, qui exerce
sa toute-puissance sur le coeur et Timagination du po^te: Laure
elle-mfime ne fait que servir aux desseins de TAmour. Cependant,
malgr6 toutes ses souffrances, Petrarca, aussi g6n6reux qu*opprim<§,
ne cesse d'exalter non seulement ies 6clatantes qualit&i que tout
le monde reconnaissait k sa bien-aim6e, mais aussi cellea, plus
pr^cieuses encore, que le vulgaire ignorait. « Dans quelle partie du
ciel,»* se demande-t-il dans un de ses plus beaux sonnets «dans
i. Les Orecs . . . le c^bre: questo confronto fra 1'amorc tcrreno dei Grcci
c dci Lutini c quello « celestes del Potrarca risale probabilmente al Foscolo,
di cui il Halfi conosceva, oltre i celebri versi dei fiefiolcri (« Amore nude in
Grccia c nudo in Roma / rcnd6 nel grembo a Venere celeste »)» anche i
*SV^/ $ul Petrarca, come si rilcva dalla Notice sttr Ugo Foscolo> riprodotta
in qucsto volume a pp. 1009-1015, 2.«In qual partc del cicio, in quale
idea", etc, (S.). C'fr. Rime> cux, di cui sono tradotti piti avanti i vv. x-4
c 9-11,
DE LA LITERATURE ITALIENNE 979
quelle id6e 6tait le module dont la nature tira ce beau visage, ou
elle voulut montrer ici-bas ce qu'elle peut dans les regions c£-
lestes? II cherche en vain» dit-il «une image de la beaute* divine,
celui qui n'a jamais vu ses yeux et leurs tendres et doux mou-
vements ».
En parcourant tous ces vers qu'il lui consacre, on croirait que,
non content de Padorer lui-meme, il s'empresse de la faire aimer
et respecter par les autres a qui il reproche souvent leur indifference
ou leur injustice. II la retrace sous tous les aspects qui puissent
exciter le plus leur attention, et toujours pleine de charmes et de
graces. On la voit tant6t humble et modeste, ou tout 6mue de
piti6; tantot orgueilleuse, fiere, et presque impitoyable et cruelle.
« C'est ici qu'elle chanta si doucement, la qu'elle s'assit, ici qu'elle
retint ses pas . . . »* En parcourant ces tableaux si charmans, qui
pourrait ne pas d6sirer d'aimer un etre qui ait quelque ressem-
blance avec ce modele de perfection? C'est ainsi que Petrarca
justifie et sa passion et les hommages qu'il rend a 1'objet de son
culte; c'est 1& le plus grand effet qu'il pouvait produire comme
poete lyrique.
Tandis que Petrarca nous int6resse a sa Laure, il ne cesse
jamais de nous int6resser a la fois a son coeur, a lui-meme ; autant
Tune est aimable et parfaite, autant 1'autre est attachant et sen
sible. II re"pand dans ses vers la tristesse et la douceur de son
ame. II soupire toujours pour sa bien-aim6e, et partout il r£ve a
elle; qu'il se promene solitaire et pensif au milieu des champs les
plus ddserts2 pour cacher Fardeur qui le consume, il ne peut
jamais obtenir que 1' Amour s*61oigne de lui et ne Toblige pas de
s'en plaindre. II cherche a le fuir, et il le poursuit jusqu'a la som
bre for£t des Ardennes. Cest la qu'au milieu de mille dangers
il va chantant celle que le ciel meme ne pourrait s6parer de lui;
il croit P entendre en entendant les rameaux et les ze"phirs et
les feuillages et les oiseaux se plaindre, et les eaux fuir en mur-
murant sur Fherbe verdoyante.3 Et pourquoi regarder comme
Strange qu'une imagination si reveuse et si passionn6e trouve dans
le nom et le sort du laurier quelques rapports entre Laure et
i. «Sennuccio, io vo' che sappi in qual maniera», etc. (S.)- Cfr. Rime,
CXII, di cui sono tradotti i w. 9-10. 2. «Solo e pensoso i piti deserti
campi», etc, (S.)« Cfr. Rime, xxxv. 3. «Per mezzo i boschi inospiti e
selvaggi», etc. (S.). Cfr. Rime, CLXXVI.
980 FRANCESCO SAVERIO SALFI
Daphn6? Pourquoi ne pas s'int6resser au laurier qu'il plante sur
les bords d'un ruisscau, et k la pri&rc qu'il adresse k Apollon de
d&fendre cet arbrisseau qu'il aime autant quo lui-mcmc, et k ce
ruisscau qu'il visite si souvent et qui lui semble pleurer avec
lui? II s'6crie mernc, en revoyant sa plante ch6rie: «Puisse ce
beau laurier croitre toujours sur ce frais rivage et putsse celui qui
Fa plant6 £crire de tendres et nobles pens6es sous ce doux ombrage
et au murmure de ces eaux!))1 II faudrait n ' avoir jamais aim£ pour
ne pas appr6cier la v£rit6 de ces images et dc ces sentimens.
Dans les Rime de Petrarca on trouve des ballades, des sixtines,
surtout des sonnets et des can$oni\ mais c'est dans les derni&res
qu'il s'est le plus signal6, elles pr6sentent le vrai modMc de Pode
italienne. Le po6te s'61£ve souvent aussi haut qu'Horace et Pindare;
mais il temp£re toujours ses 61ans les plus sublimes par ce ton
£16giaque de douleur et de m61ancolic qui Paccompagne partout,
II entreprend de c61£brer dans une des ses canzoni* les ondcs
claires et fraiches oil Laure avait plong6 ses mcmbres cl£licats, et
il desire que, si P Amour doit fermer et 6teindre ses yeux dans
les larmes, son corps malheureux soit du moins enseveli pr&s
d'ellcs. « II esp^re meme que cette beaut6 douce et cruclle revicn-
dra peut-6tre visiter ce s6jour, et que ne voyant plus de lui qu'un
peu de terre jet£e entre les rochers, inspirfe par P Amour elle
soupirera si doucement qu'elle obtiendra son pardon. »3 II n'oublie
cepcndant pas les doux souvenirs de ce lieu ou il avait tant de fois
contemp!6 sa beaut6 celeste. II se rappelle ces beaux momcns,
(dorsque tombait de ces rameaux, ^ Pombre desquels elle 6tait
assise, unc pluie de ficurs qui descendait sur son sein. Couvertc
de cet amoureux nuage, elle se montrait humble au milieu de
tant de gloire. De ces fleurs qui volaicnt de tous cot6s, il y en
avait qui, en voltigeant 16girement dans les airs, semblaient dire:
"Ici rigne P Amour*')). Petrarca s'est surpass^ lui m6me dans
les trois canzoni qu*on nomine «les trois soeurs»,4 parce qu'elles
i, «Non Tesin, Po, Varo> Arno, Adige c Tebro», etc. (8,). Cfr, Rime,
CXLVIII, di cui sono tradotti i vv. 12-4. a. « Chiare, fresche e dolci acque »,
etc. (S.). Cfr. Rime> cxxvi, di cui sono tradotti piti avanti, alquanto libera-
mcnte, i vv. 27-37 e 40-52. 3. son pardon: qui il Salfi semhra tradurre in
modo errato. II Petrarca immagina chc Laura aospirando ottenga per lui
il pcrdono dal Cielo : « in guiaa che sospiri / si dolccmcnte che merc^
m'impetre, c faccia forza al cielo», ecc. 4. «Poich6 la vita & breve », etc,
(8,), Cfr. Rime, LXXI, che c la prima delle tre can^oni sugli occhi di Laura.
II testo petrarchesco ha «Perch6», ecc.
DE LA LITTERATURE ITALIENNE 981
se suivent en traitant du m£me sujet. II les consacre aux yeux de
Laure, et c'est la que, s'£levant sur les ailes de FAmour au-dessus
de toute pens6e vulgaire, il revele des mysteres qu'il avait terms
long-temps caches dans son coeur; et sans doute aucun poete
ne les avait imagines avant lui. Ses pense"es, ses images, ses transi
tions, tout est neuf, original, impreVu.
Petrarca a pleure la mort de Laure aussi long-temps qu'il F avait
c616br£e, et ses vers funebres sont plus touchans encore. II d6peint
d'abord Fagitation de son coeur et F<§garement de son esprit, dans
le premier sonnet1 qu'il a redig6 d'apres une canzone de Dante,*
et ou il rappelle sans aucun ordre, et en suivant la passion qui
Fentrame, tout ce qu'il vient de perdre. II de"peint encore mieux
son coeur dans cette canzone3 ou il s'adresse a F Amour, et lui de-
mande s'il doit survivre a la beaut6 qu'il a perdue. C'est la qu'apres
s'etre <§cri6 que cette perte est <§galement cruelle pour FAmour
et pour lui, «il reproche a ce monde ingrat qu'elle a laisse" dans le
veuvage, et qui devrait se plaindre avec lui, son indifference exces
sive . . . Ta gloire est d6chue» lui dit-il «et tu ne le vois pas; et
moi, qui sans elle ne puis aimer ni la vie ni moi-meme, je Fappelle
en pleurant: c'est tout ce qui me reste de tant d'esperancesU
Mais FAmour, devenu plus humain qu'il ne F6tait, lui defend de
la suivre, et lui conseille de m&riter de la rejoindre la ou elle*
est vivante & jamais, et de rendre son nom encore plus c61£bre
par ses chants. Le poete suit son conseil ou plutot ses ordres,
et jamais il ne d£ploya un plus vif 6clat que lorsque, sa pens6e
F61evant jusqu'aux spheres celestes, ou est parvenue celle qu'il
cherche et qu'il ne trouve plus sur la terre, il lui semble qu'elle
le prend par la main, et que peu s'en faut qu'au son de ses douces
et chastes paroles il ne reste dans les cieux.4
Ces courtes observations sont plus que suffisantes pour montrer
Foriginalit6 de Petrarca. On a cru cependant la rabaisser en exa-
g£rant le peu d'emprunts qu'il a faits & ses pr6d6cesseurs. Nul
1. «0im£ il bel viso! oim& il soave sguardob etc. (S.). Cfr. Rime, CCLXVII.
2. une canzone de Dante: penso che alluda alia canzone Li occhi dolenti
della Vita nuova, xxxi, ma in realta tra questa (o altra canzone dantesca)
e il sonetto petrarchesco non esistono relazioni precise. 3. «Che debb'io
far? che mi consigli, Amore? » etc. (S.)- Cfr. Rime, CCLXVIII, di cui traduce
piti avanti, in parte riassumendo, i w. 20-32. 4. « Levommi il mio pen-
siero in parte, ov'era)), etc. (S.). Cfr. Rime, cccn.
9o2 FRANCESCO SAVERIO SALFI
doute qu'ainsi que Dante, Cino de Pistoia,. ct peut-etrc aussi
Buonaccorso de Montemagno, il a quelquefois imit6 les Arabes
et les troubadours. Le premier sonnet de ce dernier a beaucoup
de ressemblance avec celui de Petrarca, ou il point la journ6e
memorable dans laquelle le soleil s'6clipsa & la mort du Christ,
et ou I' Amour le surprit tout occup6 de ce grand souvenir.1 II
emprunta meme Tid6e d'un sonnet de Cino, et en fit le sujet
d'une canzone, ou il cite P Amour devant le tribunal de la Raison,
et ou tous les deux plaident leur cause.3 Les italiens avaient
fait ces observations long-temps avant quelques Strangers.3 Biles
prouvent seulement que Petrarca a imit<§ quelquefois, comrne
tous les grands g6nies, et il faut en accorder d'autant plus d'at-
tention aux ide"es qu'il n'a puisnes que dans son Ime.
On lui a reproch6 avec plus de raison ce earactere de douceur
extreme et presque de mollesse qu'il a communique* & sa langue
et & ses vers, et qui a, pours ainsi dire, d61ay6 ce ton de vigueur
•et de v6h6mence que Dante lui avait donn6. En eifet, la langue
italienne qui, dans les vers de ce dernier n'est que la langue
•de la vertu et de la raison, ne semble dans les vers de Petrarca
>que cellc de Tamour. Mais cette difference n'est que Pcffet du
sujet qu'a trait6 ce poete, et qui lui a inspir6 cette douceur ct
•cctte 616gance que la po£sie italienne n'avait pas encore avant
lui, et dont ses successeurs ont quelquefois abus6. Disons plutot
que Petrarca, ayant le premier ennobli la condition de 1'amour,
a imprim6 le m6me earactere a son style et & ses vers 6roti-
ques.
II a fait preuve d'un style plus s6vere et plus grave dans quel
ques unes de ses compositions ou la nature du sujet lui en imposait
le devoir. Quoiqu'il aimat passionn6ment sa Laure, il n'aimait
pas moins Tltalie et son ind6pendance ; et bien que moins fier et
moins acerbe que Dante, il n*6pargna pas les tyrans et surtout
les papes qui causaient les malheurs de son pays : s'il en m6nagea
parfois quelques uns, il le fit toujours dans Tintention de les cor-
riger et de les require k la raison, et il y r6ussit quelquefois, Plu-
i.Le premier . , .souvenir: in realtfc h il sonctto pctrarcheaco (Rime, in)
cho £ la fontc di qucllo di Buonaccorso. 2. 11 emprunta . , . cause: ai tratta
dclla canxonc « Quando il soave mio fido conforto » (Rimet cccux), il cui
dise#no, secondo gli antichi commentatori, sarcbbc state suggerito dal
sonctto Mills dubbi in un dlt un tempo attribuito a Cino, 3, Voyez
Crcscimbcni, Muratori, etc. (S.).
DE LA LITERATURE ITALIENNE 983
sieurs de ses trait6s latins, et particulierement ses 6glogues, prouvent
ce que nous avan9ons.1 D'ailleurs nous poss6dons aussi des vers
italiens qui confirment cette assertion. Entendons-le dans cette
canzone2 qu'il adressa peut-etre a Etienne Colonna3 qui venait
d'&re nomm6 senateur de Rome. Nouveau Caton, il d6clame
contre les moeurs corrompues des Italiens; il leur reproche surtout
leur oisive et lache indifference, tandis que des Strangers sacca-
geaient leur pays; il leur rappelle les noms des Fabricius, des
Scipions, des Brutus; il espere meme que son jeune he'ros reveillera
bientdt ses compatriotes de leur honteuse 16thargie. Dans une
* autre piece,4 il s'adresse a 1'Italie elle-meme, et c'est une des plus
belles production de la lyre italienne. II jette un regard de piti6
sur ces petits princes qui, apres s'etre partag6 ce beau pays, se
faisaient en furieux la guerre Tun a 1'autre. Jamais on n'employa de
raisons plus fortes pour persuader a ses concitoyens d'aimer leur
patrie. «Et que font ici» leur dit-il «toutes ces armes Strange-
res? ... Malheureux! vous cherchez dans un coeur v6nal r amour
et la fidelit6! ... Si nous n'arretons pas de nos propres mains
ce torrent de barbares, descendu pour d6vaster nos douces cam-
pagnes, qui pourra nous en garantir?»s II espe"rait surtout que
pour peu que les princes se montrassent sensibles aux larmes
d'un peuple opprim6, il se releverait et triompherait bientot de
ses ennemis; car il croyait que F antique valeur n'6tait pas encore
6teinte dans les coeurs italiens; et c'est dans ce but qu'il encoura-
geait Cola Rienzi, tribun du peuple romain, qui avait entrepris de
r£tablir a Rome la liberte", mais qui ne sut pas la soutenir.
Petrarca parait avoir imit6 la maniere de Dante dans quelques
uns de ses sonnets qu'il a lance's contre la cour de Rome. Dans
i . Plusieurs . . . avanfons : poich6 il Petrarca non scrisse trattati latini espli-
citamente rivolti a criticare i papi corrotti, penso che il Salfi alluda alle
epistole Sine nomine ; delle ecloghe comprese nel Bucolicum carmen solo la
VI e la vn trattano della corruzione papale. 2. « Spirto gentil, che quelle
membra reggi», etc. (S.)- Cfr. Rime, LIIL 3, qu'il adressa. . . Colonna:
I'identificazione del destinatario della canzone con Stefano Colonna, no-
minato senatore di Roma ncl 1335, generalmente accolta nel Settecento,
era stata accettata anche dal Ginguen6, a cui il Salfi si attiene. 4. « Italia
mia, bench6 '1 parlar sia indarno», etc. (S.)« Cfr. Rime, cxxvm, di cui sono
tradotti piii avanti i vv. 20, 25 e 28-32. 5. Si nous , . . garantir? il Salfi
traduce in modo errato il testo petrarchesco che suona cosl: «0 diluvio
raccolto / di che deserti strani / per inondar i nostri dolci campi! / Se da
le proprie mani / questo n'avene, or chi fia che ne scampi ?»
984 FRANCESCO SAVERIO SALFI
Tun,1 il dit: «Que la flamme du ciel tombe sur les tresses de ta
chevelure, me'chante qui t'es 61cv6e, aux d6pens d'autrui, de la vie
frugale dcs premiers hommes jusqu'^ la richesse et & la grandeur! »
Dans un autre,2 il predit sa chute prochaine et le retour du stecle
d'or et des moeurs antiques. II delate encore avec plus cle violence
dans le troisieme,3 en 1'appelant source de maux, 6cole d'erreur
et temple de rher6sie. «Courtisane effrcmteV.)) lui dit-il «oii as-tu
place* ton esp6rancc? dans tes adultcres et dans tes richesses
immenses et mal acquises. » II faut que Petrarca ait 6t6 fort scan
dalise* pour se permettre de telles apostrophes qui sont si pen
conformes & son caractere doux et tolerant: Dante lui-m£me n'a
jamais e*te* si loin. Cependant, quoi qu'il en soit de ses vers satiriques
et de ses vers amoureux, les traits patriotiques que nous venons
de remarquer dans les poesies de Petrarca, doivent faire regrctter
que sa muse ne soit pas revenue plus souvent sur do pareils
sujets d'un int6ret plus grave et plus gc'ne'ral
P$RIOI)E (DEPUIS 1675 JUSQU'KN 1775)
Revolution litter air e, Arcadie romaine; objet et sort de cette
acadtimie. Gravina et Crescimbm. Progrts ultdrieurs de la tangue
vulgaire et de la critique. Divers trait fa dans
ces deux genres*
Cette derniere plriode commence par une revolution qui ren-
verse T6cole marinesquc, et donne ^ la litterature italienne un
caractere tout different De toutes les provinces de Pltalie la
Toscane <5tait cello qui s'6tait le moim ressentie de la corruption
Iitt6raire qui les avait g6n6ralement envahies. Probablement Tesprit
de la bonne philosophic, qui s'itait propag6 parmi les Toscans
par Galileo et par ses 616ves, en lour d6voilant les lois cle la nature
physique et en les habituant de plus en plus & reconnaitre les
3t» «Fiammu da! ciel au le tue trcccc piova», etc. (8,). Cfr, Rime, cxxxvi,
di cui sono trudotti i vv, 1-3, z, « L'avara Babilonia ha colmo il sacco»,
etc. (S,). Cfr. Rime, cxxxvn. 3. «Fontana di dolore, alberffo d'ira», etc,
(S.). Cfr, Rime, cxxxvn i, di cui sono tradotti i vv. 11-3. 4. Dal RfaurrU
d# Vhistoire de la literature italiennc, ed. cit, n, pp. 46-65.
R£SUMJ§ DE LA LITERATURE ITALIENNE 985
caract&res de la r6alit6, ne put se mettre d'accord avec une po6tique
dont les principes e~taient errones, et qui menait a Fabsurde.1
Quelle que soit enfin la cause de cet avantage, il est certain que
la corruption du gout qui dominait presque toutes les academies
d'ltalie, ne pen6tra dans aucune de celles de Florence. La plupart
des poetes toscans, s'ils n'eurent pas assez d'originalite, furent
du moins les plus corrects et les plus reguliers. II y eut m£me
des 6crivains qui oserent attaquer ouvertement les extravagances
des marinistes. Les trois academies de Florence, surnomm6es
Florentine, de la Crusca et des Apatistes, se tenant religieusement
attachees a Fautorite" de Dante et de Petrarca, rejeterent les inno
vations de la nouvelle 6cole.
Rome eut cependant m6rit£ de faire la guerre aux marinistes,
et de secouer le joug sous lequel elle g£missait, ainsi que les autres
villes de FItalie. Ses academies, et principalement celle des Hu-
moristes,55 se faisaient gloire d'obeir aux lois de Marini et de ses
partisans; et c'est la meme que s'ourdit la conspiration la plus
puissante contre leur domination. Mais Rome ne fut que le foyer,
que le champ de bataille ou <§clata cette Evolution; car ceux
qui y eurent le plus de part n'6taient pas remains ; ils apparte-
naient, au contraire, aux diverses provinces de FItalie. Ce furent
done les Italiens, et non les Romains, qui la con9urent et Fexe-
cut&rent. Rome y ajouta Finfluence que Fautorit6 de son nom
exer£ait sur tout le reste de la p6ninsule.
Un grand nombre d'italiens les plus distingues dans les divers
genres de la literature se trouvaient dans cette capitale. Plusieurs
d'entre eux, indign£s contre F6cole dominante, form^rent le des-
sein de la d6troner. Ils cherch&rent a tirer parti surtout d'une
circonstance extraordinaire: ils s'appuyfarent de la protection de
Christine, reine dc Su&de, qui s'6tait 6tablie a Rome k cause de la
pr6f6rence qu^elle venait d'accorder a la religion catholique. El
le seconda la nouvelle rSforme en prot6geant plusieurs de ceux
I. Probablement . . . absurde: cfr. su Galileo e sulk sua influenza sulla
cultura anche letteraria il passo ddl'Histoire litUraire d'ltalie riportato
in questo volume a pp. 967 sgg. 2. celle des Humoristes : FAccademia degli
Umoristi, fondata verso il 1600 dal patrizio romano Paolo Mancini, alia
quale erano ascritti quasi tutti i piu illustri letterati contemporanei ;
sulForientamento marinistico di essa non esiste che una generica testimo-
nianza del Redi, riportata dal Tiraboschi nella Storia della letteratura
italiana.
9 FRANCESCO SAVERIO SALFI
qui Pavaient entreprise, tels que Guidi, Menzini, Filicaia, dont
nous avons d6ja fait mention, et d'autres dont nous parlerons
bientdt Us fond&rent 1'Arcadie en 1690; mais ceux qui contri-
bu&rent le plus a cot 6ve"nement, qui devint en quelque sortc
national, furent Jean- Vincent Gravina, de Calabre, et Jean-Mantis
Crescimbeni, de Macerate.
Ce fut un malheur que ces deux litterateurs, qui y avaient le
plus coop6r6, se brouillassent ensemble ; il fut encore plus malheu-
reux que Crescimbeni pr£valftt sur 1'autre, qui certes valait plus que
lui et par la nature de ses connaissances et par la s6v£rit6 de son
goftt. Crescimbeni resta le chef des Arcades, et par consequent
le promoteur principal de la r6forme, quoique Gravina et ses 61eves
n'eussent pas cess6 d'y contribuer. Bientot 1'Arcadie s'empara de
toutes les provinces de Pltalie. Partout on fonda des colonies
organisers d'apris son exemple, et qui prechaient son culte
et ses lois. En peu de temps tous les litterateurs italiens ap-
partinrent a Pacad6mie des Arcades et suivirent la meme im
pulsion.
Ces acad&miciens non seulement ta"cherent d'6purer la lit-
teVature italienne de la corruption marinesque, mais ils os^rent en
m£me temps ne pas se remettre cntiirement sur la route des p6-
trarquistes, bien que les essais malheureux de la plupart de ceux
qui Tavaient abandonn6e dUs^sent encore plus Taccr6diter. S'^tant
impost Tobligation d'imiter les moeurs, les coutumes et les occu
pations des anciens Arcadiens, ils se trouvtrent engages a intro-
duire des formes, sinon nouvelles, du moins peu communes. On
prit pour modeles Thtocrite, Virgilc et Sannazaro. On n'entendait
plus que des bergers et des po&tes bucoliques; et Tltalie se vit
bientdt inond6e d'6glogues, d'idylles, d'anacrdontiqucs et de son
nets pastoraux. Crescimbeni lui-mtaie, voulant peut-6tre dimi-
nuer la foule monotone et ennuyeuse des sonn<§tistes, proposa les
sonnets de Costanzo* comme les plus dignes d^tre imit^s. 11 ne
cessa jamais d'encourager les Arcades et par ses prdceptes et par
son exemple ; mais il n'avait pas asses; de talent pour donner plus
de goftt et plus d'originalit6 a cette r6forme littfiraire, ni pour en
pr6vcnir ou en empficher les abus. On pourrait m&ne lui reprocher
i. I sonetti del pctrarchista cinquecentesco Angelo di Costanxo (xsoy-isoi)
erano convsidcrati dal Crescimbeni e dagli Arcadi romani come modelli
nella poesia amorosa, in quanto «uni» di concetto e «gravi» di forma.
DE LA LITERATURE ITALIENNE 987
d'avoir <§t6 dirige" par les j<§suites, qui certainement ne laiss^rent pas
<§chapper Foccasion de r6pandre, par son organe, leur gout et leurs
maximes; ce que n'aurait jamais permis Gravina, qui avait de
bonne heure essaye de d6masquer, dans son Hydre mystique* ces
corrupteurs de T616gance et de la morale.
Ce qu'il faut le plus deplorer, c'est que cette institution d6-
g6nera en cet esprit d'imitation qui Fa rendue aussi insignifiante
dans la suite, qu'elle avait £t6 utile dans son commencement.
La foule des talens m6diocres, voulant et ne pouvant briller comme
leurs pr<§d6cesseurs, ne firent que r6p£ter ou exag£rer ce qu'ils
avaient admire" le plus. II leur arriva ce qui 6tait arriv6, au milieu
du XVIe si&cle, aux bembistes; car Bembo n'ayant fait que ra-
mener ses contemporains a I'el6gance et a la correction de Pe-
trarca et de Boccaccio, il serait injuste de lui imputer la nullit6
dcs p6trarquistes dont il fut suivi. OA doit de meme savoir gr6
aux premiers Arcades d'avoir d6tourn6 leurs contemporains de
l'6cole marinesque, soit en proposant des modeles de style plus
corrects, soit en accr£ditant des formes moins usite"es. II ne faut
done pas confondre ces r6formateurs bienfaisans, qui m6ritent
notre reconnaissance, avec la multitude de ceux qui, tout en
suivant leurs traces, n'ont fait que se rendre de plus en plus
ridicules par la servilit6 de leur imitation, ou plutot par la m£dio-
crit6 de leur esprit.
Malgre" les abus que nous avons indiqu6s, le premier mouve-
ment communique ^ toutes les parties de la Iitt6rature ne cessa
pas de produire les plus grands resultats. Tandis que les uns
s'exer9aient dans la pratique de Tart, les autres cherchaient a
mieux determiner les principes qui devaient la diriger. Ceux meme
qui s'occupaient de cultiver la langue italienne, continu&rent leurs
travaux avec plus d'activite". Les observations qu'on avait faites
sur le Vocdbulaire de la Crusca multipli&rent les efforts et les
recherches des acad6miciens de Florence; et ce grand dictionnaire
reparut encore plus riche et moins imparfait qu'il ne Favait 6t6.2
Malgr6 ses ameliorations, il trouva un nouvel adversaire dans J6ro-
l. Hydre mystique-. I' Hydra mystica, sive de corrupts, morali doctrina, pub-
blicata nel 1691, & un clialogo satirico fra la Casistica e 1'Eresia, alleate per
la distruzione della fede cristiana. 2. ce grand . . . ete: fra il 1729 e il 1738
fu pubblicata la quarta cdizione del Vocabolario della Crusca, a cui colla-
borarono il Salvini, il Bottari, il Biscioni e TAverani.
FRANCESCO SAVERIO SALFI
me Gigli de Sienne, qui, appuy£ de I'autoritS des 6crits cle sainte
Catherine, entreprit de soutenir la preference du dialecte siennois.1
Quoiqu'il portit dans ces discussions plus d'aigrcur quo de
critique, il ajouta un nouvcl int6ret & ce genre tie rechcrchcs
philologiques. II publia aussi une petite Grammaire pour aecnkliter
ses innovations.2 Mais les j6suites, scs cnnemis, a'opposirent h
ses rfformes, et la Grammaire de Saivator Corticelli3 tint la pre-
mtere place dans ce genre; die la conserve encore, sinon par sa
m£thode et par sa precision, du moins par I'exactitude de ses
regies et par la correction de son style. Jerome Rosasco fit jouer
& cet ecrivain un role principal dans ses Dialogues sur la langue
toscane* C'est 14 qu'on examine pourquoi 1' Italic n'a pas encore
un Cic6ron parmi ses orateurs; et Pauteur ose attribuer ce d6faut
£ cette servitude qu'il appelle juste et 16gitirne. Cet ouvrage serait
encore plus utile si de telles recherches etaient plus fr6quentes.
Nous pourrions citer plusieurs autres ficrivains dans ce genre;
Pun d'cux, qui mirite de ne pas £tre oublid, est Dominique-Marie
Manni, autcur des Lefons de langue toscane*
D'autres se rendirent plus utiles en appliquant aux matiirea du
goat une critique plus 6clair6e; Jean- Vincent Gravina, tout attach^
qu'iUtait aux Grecs, fut un de ceux qui portirent la lumi^re de
la raison dans les objets les plus importans de la poftique et de
P61oquence. Sa Raison podtique et son Trait f de la tragidie* peuvent
atre encore lus avec beaucoup de profit. Le pirc Thomas Ccva,
po&te et philosophe 4 la fois, voulant apprdcier les cliverses pro
ductions de Lemene, apprit 4 mieux philosopher sur la po6sie,7
Crescimbeni lui-m€me publia, pour Pavantage de ses Arcades, un
. . , siennois: allude al Vocabolarw catmniano pubblicato ncl
171? da Girolamo Gigli (1660-1722), note anchc per lc sue commcdie.
2. tt pubha . . , innovations: lc ^o/« per la toscana favella, pubblicate a
Koma nel i^r. 3. Le Regole e ossmastioni ddla lingua toscana, di Sal-
vatore Corticelh j (1690-1758). stainpate ncl 1745. 4, J sctte dialoghi Delia
hngua toscana di Girolamo Rosasco (1722-1795), pubblicati a Torino nel
J777« ,5- l-e Leuiom di lingua toscana, stampate a Fircnsse nel 17^7 da
Domenico Manni (1690-1788), noto anche come studioso c imitatore del
Boccaccio. 6. 11 trattato Delta tragedia, stampato a Napoli nel 1715,
7; voulant >. . potne: allude alle Memorie di atcum virth del siwor ctmte
^rancesco <h Lemene con alcune rfflessloni m le me p<*»et pubblicate nei
1700, clove d fra 1 altro la famosa affermazionc («ii attribuita al Bettinclli)
che «la poesia si pu6 quasi chiamare un sogno chc si fa in present della
R&SUM& DE LA LITTERATURE ITALIENNE 989
Trait^ sur la beaute* de la poesie italienne.1 Le marquis Orsi,2 en
s'occupant de combattre ce que venait de publier le pere Bouhours
centre les po&tes italiens, donna a ses compatriotes occasion de
mieux se connaitre eux-memes ainsi que les etrangers. La biblio-
theque de I Eloquence italienne et VAmintas defendu de monsignor
Fontanini,3 les divers ecrits d'Apostolo Zeno et du marquis Maffei,
la Parfaite poesie de Muratori lui-meme, sont d'une grande utilite
pour ceux qui aiment k cultiver la literature italienne. II serait
superflu de citer les auteurs les plus estim6s qui se sont appliques
aux divers objets de la critique Iitt6raire; disons plutot qu'au lieu
d'exposer et de commenter les regies des anciens, comme Tavaient
fait leurs devanciers, ils se sont plus particuli&rement occup6s d'en
chercher la raison et d'en relever les principes.
ii
Influence de la litter ature franfaise. Puristes et ndologues. Esprit
philosophique dans la theorie et dans Vusage de la langue.
Baretti, Beccaria, Bettinelli, Cesarotti, etc.4
On ne peut nier Pinfluence que la Iitt6rature fran9aise, apr&s
les progr^s qu'elle venait de faire, exer^a sur 1'Europe civilisee
et principalement sur 1' Italic. C'est en g6n6ral le plus grand avan-
tage que la perfectibility de Tesp^ce humaine puisse tirer de la
communication r£ciproque des nations, que cette reciprocity con-
tinuelle d'aides et de lumiferes. Aussi ne faut-il pas regarder comme
une chose extraordinaire, ou meme honteuse, que les Italiens,
apr&s avoir servi d'exemple et de guides aux autres nations, aient
& leur tour profit6 de 1'exemple des Frangais ainsi que de celui
des autres peuples. Malgr6 les disputes qui s'engag&rent, au com
mencement du XVIII6 siicle, entre les Fran^ais et les Italiens
pour soutenir leur m6rite comparatif, malgr6 leurs efforts pour
1. I dialoghi Delle bellezze delta volgar poesia, pubblicati a Roma nel 1713.
2. II marchese Giuseppe Orsi (1652-1733), iniziatore, con le sue Conside-
razioni sopra « La maniera di ben pensare» (i7°3)> della famosa polemica
che prende nome appunto da lui e dal Bouhours. 3. La Biblioteca delVelo-
quenxa italiana di Giusto Fontanini (1666-1736), pubblicata a Ronia nel
1726 come terza parte di un' opera su VEloquenza italiana, fu poi ristam-
pata nel 1753 dallo Zeno con aggiunte e correzioni: mentre VAminta di
T. Tasso difeso e illustrato fu stampato a Roma nel 1700. 4. Dal Resume
de Vhistoire de la litUrature italienne, ed. cit., II, pp. 56-65.
99° FRANCESCO SAVERIO SALFI
exag6rer de part et d'autre leurs qualites et leurs imperfections,
les Italians, tout en voulant combattre leurs adversaires, ne purent
en meme temps se dispenser de les apprecier et de les imiter,
surtout dans les genres ou leur pretendue superiorite paraissait
plus douteuse.
Ce qui fixa encore davantage F attention des Italiens, et qui les
poussa meme a une imitation vicieuse, ce furent plutot les ouvra-
ges philosophiques que les oeuvres litteraires qui sortaient de la
France.1 Surpris avec raison de la simplicite et de la precision
de ce style didactique qu'ils trouvaient si rarement dans leurs
ouvrages, et entraines en meme temps par un genre d'idees qui
paraissaient plus utiles ou plus piquantes, ils s'attacherent spe-
cialement a ce nouveau genre de livres. Ils se familiariserent telle-
ment avec leur lecture, que les uns contracterent par habitude, et
a leur insu, la maniere fran9aise, et d'autres chercherent meme
a 1' imiter, croyant donner par ce moyen un plus grand inter et a
leurs ouvrages. Ainsi on finit par alterer et denaturer sa propre
langue, et par introduire un style neologique et plus ou moins
barbare, qui caracterise les productions litteraires d'une certaine
epoque. Les mots, les phrases, la tournure, tout etait francise.
II se forma de la deux partis; Pun tenait pour la purete de
Fancienne langue des trecentistes, ou du moins de celle qu'on
employa au XVIe siecle; Fautre sentait le besoin et Favantage
d'une plus grande precision et d'une elocution plus rapide et plus
nerveuse, qu'on cherchait en vain dans la plupart des ecrivains du
XIVe siecle et surtout du XVIe. Les homines de ce second parti
semblaient pr6valoir par la force de leurs raisonnemens et la
solidite de leurs connaissances, d'autant que ceux de Fautre, a
la correction pres, n'offraient aucune de ces qualites. Ils se donne-
rent par derision le nom de puristes et de neologues\ ils se repro-
chaient les uns 1'ignorance de leur propre langue, les autres le
vide d'idees; ils avaient chacun tort et raison. Malheureusement
ils ne purent s'entendre et se concilier, en combinant la rapidite
et le naturel des uns avec la correction et la purete des autres;
chacun, par une sorte de vengeance, se jetait dans 1'extreme.
Enfin cette division alia si loin qu'on vit souvent des philosophies
i. Ce qui fixa . . . France: la polemica contro i danni del « filosofismo » di
imitazione francese nella lingua letteraria italiana risale, come si e detto a
proposito del Borsa e del Galeani Napione, al Bettinelli.
RESUME DE LA LITTERATURE ITALIENNE 99!
mepriser la litterature, et des litterateurs a leur tour mepriser la
philosophic.
Nous avons tache de caract6riser cette crise litteraire qui,
pendant une partie du dernier siecle, a exerce une grande in
fluence sur la litterature italienne. Nous devons en meme temps
remarquer que si quelques ecrivains de Tun et de 1'autre parti
pecherent par exces et dans la theorie, et plus encore dans la
pratique, Ton doit a ce genre de discussion une sorte d'ouvrages
ou Ton a cherche a mieux determiner les droits de la langue et de
la pensee. Plusieurs critiques se sont du moins 6tudi6s a les rap-
procher de plus en plus 1'une et 1'autre, et si Ton n'a pas cesse
de reprocher a leurs ouvrages quelque imperfection dans la pra
tique, ils nous en ont bien d6dommages par Pimportance de
leurs principes et de leurs theories.
Joseph Baretti, qui avait long-temps voyage et connu de pres
la France et sp6cialement 1'Angleterre, entreprit de combattre
quelques prejuges de sa nation, et parfois meme quelques doctrines
qui meritaient plus d'egards. II attaqua ses compatriotes surtout
pour ne pas savoir employer un style didactique, propre a exprimer
les idees necessaires, sans les etouifer dans un amas de phrases
insignifiantes et d'ornemens superflus. Ce n'est pas ainsi, s'ecriait-il
souvent, qu'ecrivent les nations les plus eclairees; les ecrivains
etrangers ne s'occupent que d'exprimer le plus clairement leur
pens6e, et ne perdent pas un temps precieux pour ne rien dire
ou pour ennuyer les lecteurs. Baretti donnait lui-meme Texemple
d'un style spirituel et concis; mais tout en fouettant la foule
des grammairiens et des pedans, il y confondit quelquefois des
ecrivains respectables.1
Cesar Beccaria, qu'on c61ebre surtout a cause des grands servi
ces qu'il a rendus a la • legislation criminelle, voulut encore etre
utile a la litterature, et entreprit d'exposer la theorie philosophique
du style.2 II avait bien compris que la perfection du style doit
consister a communiquer le plus grand nombre d'idees avec le
moins de moyens possible. II ne le regardait que comme un
instrument de la pensee: tant que Tun ne sert pas fidelement a
Tautre ou qu'il pretend la maitriser, il ne remplit pas sa destina
tion. Mais pr£occupe de Timportance de ses recherches, il ne
i. Voyez son journal «Le fouet litteraire » (S.)- 2- entreprit . . . style: nelle
Ricerche sulla natura dello stile (1770).
992 FRANCESCO SAVERIO SALFI
soigne pas beaucoup sa diction; et peu d'elegance d'une part, et
trop d'elevation de 1'autre, ont empeche d'apprecier son ouvrage.
On vit dans ce temps un jesuite, Xavier Bettinelli, se jeter
dans la meme carriere. II etait plus lance dans la litterature ita-
lienne que Beccaria; il maniait la langue encore mieux que lui;
il voulut meme se montrer philosophic et prit Voltaire pour son
modele, ce qui n'etait pas sa vocation. II traita un grand nombre
de sujets; il est souvent superficiel, comme son modele; sans avoir
son esprit, il y apporte neanmoins cet esprit d'examen et de liberte
qui devait etre d'autant plus utile aux Italiens qu'il etait autorise
par un jesuite. D'apres les principes de Tassoni, il attaqua ce
nombre d'imitateurs qui, exagerant toujours les beautes des autres,
ne produisent rien par eux-memes; il n'epargne pas meme leurs
modeles, et specialement Dante.1 Convaincu que la perfection des
beaux-arts n'est que Pouvrage de I'enthousiasme, il rejetait tout
ce qui pouvait le gener ou le refroidir.2 Gaspard Gozzi, un des
meilleurs ecrivains de son temps, entreprit Papologie de Dante;3
il organisa meme une troupe d'academiciens, qu'il nomma les
Granelleschi, pour la defense de ce poete. D 'autres attaquerent
les diverses opinions de Bettinelli, qui n'etaient pas assez con-
formes a leurs prejuges ou a leurs habitudes. Ainsi, ce jesuite se
trouva long-temps expose aux coups de ses adversaires; mais
1'exemple de sa liberte ne cessa pas d'etre utile et a ses adversaires
et a ses partisans.
Celui qui plus que tout autre litterateur italien a tache de relever
la philosophic de la litterature, est sans doute Melchiorre Cesa-
rotti. Connaissant Tesprit des anciens classiques, et surtout des
Grecs, ainsi que les besoins de ses contemporains, il sacrifia quel-
quefois Tun aux autres, mais on ne pourrait lui contester, sans
injustice et sans ingratitude, les avantages qu'il a faits a la litterature
italienne, surtout en ce qui concerne la critique litteraire, la
grammaire et la langue. Son Essai sur la philosophic des Ian-
gues honore 1'auteur et 1'Italie qui Font produit. II a exc6de
quelquefois les bornes admises, j'en conviens; mais ses defauts
meme, qu'on a souvent exageres et qu'on peut facilement eviter,
ne diminuent pas rimportance de la plupart de ses ouvrages philo-
i. D'apres. .. Dante: aUude alle Lettere virgiliane (1756). 2. Convain
cu... refroidir: nel trattato DelV entusiasmo delle belle arti (1769). 3. entre
prit . . . Dante: nella Difesa di Dante (1758).
RESUME DE LA LITTERATURE ITALIENNE 993
logiques. Le style meme, malgre quelques neologismes, brille d'une
telle vivacite et de tant de clarte, qu'il se fait lire toujours avec
beaucoup d'interet. Et qui voudrait relire, apres les ecrits de
Cesarotti, les ouvrages de Patrizi, de Mazzoni, de Castelvetro,
de Tassoni et de Salviati,1 quoique plus purs et plus corrects
que lui?
Les critiques et les philologues italiens les plus eclaires ont plus
ou moms suivi la doctrine de Cesarotti, sans manquer d'en si
gnaler et d'en eviter les abus. Joseph Parini, plus severe que
lui en fait de style, appliqua la meme analyse aux principes des
belles-lettres et des beaux-arts.2 Le p. Soave donna aussi a la gram-
maire italienne une forme plus analogue a la grammaire generate
des langues et a la m6thode de Locke.3 En passant sous si
lence plusieurs autres ecrivains subalternes, nous ne pouvons pas
oublier Fra^ois d'Alberti, auteur du Dictionnaire universel, cri
tique, encyclopedique* dont le titre seul annonce la hardiesse de
son entreprise, comme P execution en prouve 1'utilite. II y rectifia
et determina le sens de beaucoup d'anciens mots qu'on n'avait pas
encore assez bien expliques, et il y joignit un grand nombre de
nouveaux plus ou moins utiles ou necessaires, qui manquaient au
vocabulaire de la Crusca. Nous ne nous empressons pas d'aug-
menter la liste des auteurs qui s'adonnerent a ce genre de cri
tique litteraire et philosophique. Comme elle s'empara de la
plupart des productions de cette periode, nous nous reservons
a faire encore mention de quelques uns de ceux qui ont figure
avec avantage sous d'autres rapports.
i. Patrizi . . . Salviati: tutti autori pid volte citati e discussi dal Cesarotti
nelle opere riprodotte in questo volume, e per i quali si rimanda alle note
relative. 2. Joseph Parini . . . beaux-arts : allude al trattato postumo De'
principii generali delle belle letter e applicati alle belle arti, che per6 si ispira
piuttosto ad un classicismo sensistico che ai principii del Cesarotti.
3. Le p. Soave . . . Locke: allude alia Grammatica ragionata della lingua
itahana (1770). 4. II Dizionario universale critico-encidopedico della lingua
itahana, dell' abate nizzardo Francesco Alberti di Villanova, fu stampato
a Lucca tra il 1797 e il 1805, e si distingue soprattutto per le larghe regi-
strazioni della nomenclatura delle arti e dei mestieri.
63
994 FRANCESCO SAVERIO SALFI
Alfieri. Idee qu'il se forma du thddtre. Son systeme et son but.
Un m$me principe domine son plan, ses caracteres, son style et
sa versification. Influence de ses tragedies.1
Victor Alfieri paraissait ne pour toute autre occupation que
pour la literature et la poesie dramatique. Un caprice lui fit
esquisser a Tage de vingt-sept ans,2 et sans aucune prdparation,
je ne sais quel drame qu'il nomma la Cleopdtre. Ce premier essai,
dont bientot il rougit lui-meme, lui fit sentir a la fois le plaisir
de la gloire litteraire, sa propre nullite et le besoin d'acquerir Pins-
truction qui lui manquait. Quoiqu'il se fut consacre si tard a
1'etude, il y porta tant de perseverance et destination, que ce
qu'il devint dans la suite parut plutot Fouvrage de 1'etude que du
genie. Heureusement il avait re$u de la nature un instinct de
fierte et d'independance qui lui faisait hair toute espece de servi
tude et de despotisme ; et cet instinct se developpant en lui a mesure
qu'il appreciait 1'etat politique et litteraire de 1'Italie, eut la plus
grande influence sur le genre de ses etudes et de ses travaux.
Nous avons de loin en loin indique les imperfections de la
litterature italienne. Alfieri ne tarda pas a les connaitre et meme
a les exagerer. II se declara principalement centre cet exces de
mollesse et de langueur qui s'etait communique a toutes les
branches de cette litterature, et specialement a la poesie dramati
que. Lors meme qu'il reconnaissait dans quelques pieces les traces
de Tart ou du talent de 1'auteur, il ne s'indignait que davantage
contre Tabus qu'il en faisait. Celui qui a cet egard merita le plus sa
colere, fut Metastase. II le regardait comme Instrument princi
pal de la corruption du theatre et de Fltalie; il se mit en opposition
manifeste avec lui, ou plutot avec le gout de son siecle et de sa
nation; et il con9ut un systeme dramatique tout-a-fait contraire
a celui de Metastase et de Topera.
Le systeme du theatre grec n'etait plus applicable au theatre
moderne. Le theatre fra^ais s'etait r6forme d'apres Tesprit et les
manieres de la cour de Louis XIV. Dans le theatre anglais et
1. Dal Resume de Vhistoire de la litterature italienne, ed. cit., n, pp. 141-59
2. a Vdge de vingt-sept ans: la Cleopatra fu rappresentata il 16 gennaio
1775, quando TAlfien aveva esattamente ventisei anni.
RESUME DE LA LITTERATURE ITALIENNE 995
dans Pespagnol on n'apercevait que des traits de genie jetes comme
au hasard, sans plan, sans accord et sans but. En general, on
retra£ait certains caracteres, on remuait certaines passions, mais
plutot pour surprendre et amuser le public au moyen du spectacle,
que pour Pameliorer et lui faire sentir le besoin d'un etat plus
parfait et plus digne de Thomme. Ne se laissant pas entrainer
par Fexemple et Pautorite de ses contemporains, Alfieri aper9ut
leurs defauts au milieu de leurs qualites, et il se proposa de rendre
a la tragedie cette dignite que lui avaient donnee les Grecs, et de
la consacrer aux inter ets de son siecle et de son pays. II esperait,
par ce moyen, secouer et reveiller un peuple assoupi et dege-
n6re, et lui redonner en quelque sorte le caractere qu'il avait
perdu. C'est dans cet esprit qu'il composa principalement la
Virginie, la Conjuration des Pazxi, le Timoleon, les deux Bru
tus, VAgis et meme tous ses autres ouvrages, ou il vise toujours,
soit directement soit indirectement, au grand but qu'il s'etait
propose.
II a pris ses sujets dans 1'histoire ancienne et meme dans celle
du moyen age, non pour nous faire connaitre ce qu'y cherchent
1'antiquaire et le savant, mais pour y trouver des personnages et
des 6venemens qui pussent le mieux remplir ses intentions. Aus-
sitot qu'il les avait rencontres tels qu'il les desirait, il les transportait
dans un monde ideal ou ils prenaient une forme plus imposante et
plus parfaite. On voit, par exemple, cette sorte de transformation
ou plutot d'eleVation dans tous les personnages de la Sophonisbe,
quoique Tauteur n'ait pas neglige de respecter leur caractere histo-
rique et fondamental. II n'altere point les circonstances principales
et solennelles que Thistoire a consacrees, et qui sont generale-
ment connues; mais il ecarte, il deprecie meme tous les autres
accidens historiques et minutieux qui n'auraient pas assez con-
tribu6 a Feifet qu'il veut produire, ou auraient meme detourn6
Tattention de ce dont il veut uniquement nous occuper. II ne
se perd jamais dans la description savante et pedantesque de ce
qu'on nomme les couleurs locales et du temps, comme cet ar
tiste qui s'occupait plutot des cheveux de sa statue que des
traits de sa physionomie et de son caractere. II indique a peine
ce genre de circonstances qui interessent moins le poete que
Thistorien, ou a peine les emploie-t-il tant qu'elles sont ne-
cessaires au developpement de Faction, comme il Ta fait sur-
99^ FRANCESCO SAVERIO SALFI
tout dans la Virginia et dans le Saul. Son objet principal est
d'elever la caractere et les passions des personnages qu'il met
en oeuvre, et pour ainsi dire de les placer au-dessus du niveau
de 1'espece humaine, ou plutot de la generation actuelle. Et ou
pourrait-on trouver le modele de son Antigone, de Raimond,1 de
Timoleon, des Brutus? L'auteur enfin s'etait lui-meme apercu
qu'il avait ecrit pour un peuple a venir tout autre que celui au
milieu duquel il vivait.
On accuse pourtant Alfieri d'avoir presente la nature non
telle qu'elle est, mais telle qu'il la desirait ou qu'il 1'imaginait.2
Mais si Ton fait tant d'efforts pour ameliorer 1'espece humaine,
pourquoi ne serait-il pas permis au poete d'imaginer cet etat de
perfection a venir ou possible, apres lequel tout homme devrait
aspirer? La seule chose qu'on peut avec raison reprocher a Alfieri,
c'est d'avoir mele un peu trop de sa trempe dans la refonte de
ces etres qu'il a voulu nous represented II parait quelquefois leur
inspirer sa propre pensee plutot que de relever la leur, ce qui sem-
ble jeter une teinte un peu uniforme, surtout dans certains per
sonnages. Mais comme il s'agit d'un sentiment noble et genereux,
tel que la haine la plus juste de la tyrannic et le mepris le plus
profond de la servitude, on peut lui pardonner volontiers cette
sorte d'imperfection.
Ce qui est, selon nous, moins tolerable, c'est d'avoir presente
les tyrans et tous les sc61erats sous une forme trop hideuse et
trop detestable. II ne s'aper9ut pas, ou que tres tard, que cette
espece d'exageration, en nous frappant d'indignation et d'horreur,
nous indispose en meme temps contre le reste de la piece qui nous
offre un objet si rebutant; car on ne peut s'int6resser long-temps
a la vue de ces etres dont Faspect nous repousse et nous refroidit.
Cependant on rencontre aussi, dans les tragedies d' Alfieri, des ty
rans et des sc£lerats dont le caractere est non moins original que
d'un grand effet. Tels sont, sans doute, ce Philippe II, aussi
inquiet que cruel ; figiste,3 toujours meditant sa vengeance, et que
i. Raimond: Raimondo, il personaggio a cui e affidato il ruolo di eroe
della liberta nella Congiura dei Pazzi. 2. On accuse . . . Vimaginait : accuse
di questo tipo aveva formulate, fra gli altri, Giovanni Carmignani nella
sua Dissertazione accademica sulle tragedie di V. Alfieri (1806). 3. Bgiste:
Egisto, personaggio dell'Agamennone e deirOr^^, cosi come Chtennestra,
ricordata subito dopo.
RESUME DE LA LITTERATURE ITALIENNE 997
les dangers et les obstacles rendent encore plus perseverant dans
son projet; Clytemnestre, luttant entre les interets de son fils et
ceux de son adultere complice ; et ce Saul, dont il a fait une victime
de sa propre jalousie et de ses remords, et qui dans Pacces de sa
fureur ne cesse pas de meriter notre compassion.
Ce type de perfection ideale pourrait aussi nuire aux per-
sonnages dont les malheurs et les vertus sont destines a nous
interesser a leur sort. En les sublimant trop, on risque sans doute
d'affaiblir tout rapport entre eux et nous, et de tarir ainsi Puni-
que source de la terreur et de la compassion, qui doivent etre les
ressorts dominans de Peffet tragique.1 II est vrai qu'aucun poete
n'a eleve le caractere de ses personnages autant que Pa fait Alfieri;
mais, quelque e!6vation qu'il leur ait donnee, il n'a jamais d£truit
le fond de la nature humaine. Quelles que soient leur condition ou
leur vertu, ils ne cessent jamais de souffrir; ils souffrent meme
davantage lorsqu'ils sont obliges de cacher ou de reprimer leurs
souffrances. Ces souffrances memes sont encore plus cuisantes
lorsqu'elles accablent des etres entoures de P eclat du pouvoir et de
la fortune. En effet, qui pourrait retenir ses larmes a la vue d'lsa-
belle,2 dj Antigone, d'Octavie et de Sophonisbe? En ecoutant P6-
rez, le seul ami de Carlos, parmi une foule de courtisans, ou
Icilius,3 Timoleon, Raimond, Brutus, qui tous sacrifient aux in
terets de leur patrie leurs aifections privees les plus tendres,
qui pourrait rester indifferent, et ne pas partager leur patrio-
tisme et leurs sentimens ? II faut etre vraiment preoccupe de Pes-
prit de partialite le plus ridicule pour ne pas admirer et aimer
a la fois les personnages vertueux des tragedies d' Alfieri.
Apres avoir determin6 Paction et les caracteres qui doivent
la deVelopper, le poete, visant a son but, la depouille de tous les
ornemens accessoires et 6pisodiques qu'il regardait comme super-
flus et defavorables a Pimpression principale qu'il voulait produire.
Ainsi la construction de ses trag6dies est la plus simple et la plus
suivie ; c'est Paction meme qui se presente dans ses epoques progres
sives, les plus eclatantes et absolument necessaires a son developpe-
i. la terreur . . . tragique: secondo la teoria esposta nella Poetica di Ari-
stotele, e accolta ancora da quasi tutta la speculazione estetica settecen-
tesca. 2. Isabelle: Isabella, personaggio del Filippo, come Perez e Carlo,
nominati nel periodo seguente. 3. Icilius: Icilio, personaggio della Vir
ginia.
998 FRANCESCO SAVERIO SALFI
ment. II trouve tant d'importance dans Tevenement principal, dans
les caracteres et plus encore dans les motifs qui le preparent et le
font eclater, qu'il ne cherche pas d'autres ressorts pour exciter et
soutenir ^attention des spectateurs. Les coups de sc&ne, les sur
prises, les reconnaissances et d'autres moyens pareils, dont les
autres poetes font tant d'etalage dans leurs tragedies, Alfieri ne
les admet point dans les siennes, s'ils ne sont pas commandes
par la nature meme du sujet, ainsi que dans YOreste et dans la
Merope. II proscrit meme toutes personnes subalternes et tout con
fident, qui ne peuvent ni ne doivent prendre aucune part aux
interets graves ou mysterieux des personnages principaux.
En considerant ce systeme dramatique en abstrait, il paraxt
d'abord trop sec et trop mesquin; et il Test en effet pour ceux
qui ne savent pas tirer du fond meme du sujet tout ce qu'il
faut pour interesser les lecteurs. Sophocle n'eut besoin, dans
son Philoctete, que d'un ecueil et de trois personnages, savoir:
Philoctete, Neoptoleme et Ulysse, pour achever une de ses tra
gedies les plus remarquables. Alfieri trouvait de meme dans la
simplicite de ses sujets une telle richesse et une telle variete
d'elemens, que la matiere ne lui manqua jamais. Sous ce rap
port, son TimoUan, tragedie qui n'a pas plus de quatre person
nages, peut etre regarde comme un chef d'oeuvre. Ce qui prouve
encore plus Feloquence inepuisable de ce po&te, c'est que dans
le cours de chacune de ses pieces on ne rencontre pas la plus
16g6re repetition; et cependant elles ont beaucoup plus d'etendue
que les tragedies des autres tragiques, si Ton compare tout ce
qu'il fait dire au petit nombre de ses personnages avec ce que
les autres font dire aux seuls personnages principaux de leurs
tragedies. II puise dans le fond de leur caractere tout ce qui
lui est necessaire pour le developpement de sa piece. A Fexem-
ple de Tacite et de Machiavelli, il penetre dans les detours les
plus secrets du coeur humain avec une sagacite qu'aucun po&te
tragique n'avait portee si loin. On peut se convaincre ais&nent de
cette verite, en comparant le Philippe, Ffigiste et la Clytemnestre
d* Alfieri avec les memes personnages que les autres tragiques ont
mis sur la sc£ne en traitant les memes sujets.
Malgre la richesse de pensees et de sentimens qu'on admire
dans les tragedies d'Alfieri, son dialogue est des plus rapides et des
plus serres : les interlocuteurs ne disent que ce qui est necessaire ;
RESUME DE LA LITTERATURE ITALIENNE 999
ils font meme sentir plus qu'ils ne disent. On s'etudiait auparavant
a contrefaire ces traits vibres qui se pressent Tun 1'autre dans
quelques scenes des tragedies grecques, et dont Seneque a si sou-
vent abuse. Alfieri les aper9ut d'abord dans les pieces attribu6es a
ce poete latin, et sentit aussitot le parti qujil en pourrait tirer: il
semble les employer ordinairement sans effort. Quoique souvent
profonds et inattendus, il les fait ressortir avec tant d'a-propos
qu'ils semblent dictes par la nature et non recherches par Tart.
On a tant loue le «C'est mob1 de Med6e, et le « Qu'il mouriit»2
du vieil Horace, de Corneille; mais combien de ces traits, aussi
simples qu'energiques, ne sont-ils pas prodigues dans les tra
gedies d' Alfieri? On n'y trouve pas de ces reparties oiseuses
et de ces tirades rh6toriques qui suppleent ailleurs a la sterilite
de la pensee; tout est si lie, si pressant, si actif qu'il ne laisse
point apercevoir le vide d' action qu'on rencontre quelquefois,
comme dans la Conjuration des Pazzi. L/action ne commence
dans cette piece qu'au troisieme acte; mais qui voudrait se passer
des deux actes precedens, surtout des scenes ou Raimond fait eclater
sa haine contre la tyrannic des Medicis, tandis que son vieux
pere, non moins ennemi des tyrans que lui, conseille la prudence
et la circonspection ?
Dirige par le meme esprit, Alfieri ne put tolerer ce style et
cette versification ou trop laches, ou trop lyriques, et plus ou
moins effemines, qui deparaient les tragedies precedentes. Tout
admirateur qu'il 6tait de Petrarca, il croyait qu'il avait tant soit
peu depouille sa propre langue de la force que Dante lui avait
imprimee. II entreprit de former son style sur celui de ce grand
poete, qui lui semblait le plus dramatique de tous, et qui nous
fait encore verser des larmes sur les malheurs de Francoise de
Rimini, du comte Ugolin, de Mainfroi et de tant d'autres. Au
reste, il ne faut pas croire que le style d' Alfieri soit entierement
d6pouille de toutes sortes d'ornemens poetiques ; il s'est permis ceux
qu'il jugeait les plus propres a son genre. Que Ton compare les
i. «C'est moi»: nella scena v del I atto della Medee la protagonista, alia
domanda di N6rine: «Dans un si grand revers que vous reste-t-il ? »,
risponde: «Moi. / Moi, dis-je, et c'est assez». 2. « Qu'il mourut*: cosi
risponde il vecchio Horace, nella scena vi dell* atto in delYHorace, allu-
dendo al figlio che egli ritiene vilmente fuggito di fronte ai Curiazi. Sia
questa frase che la precedente si trovano spesso citate nella critica sette-
centesca come esernpi di « sublime ».
1000 FRANCESCO SAVERIO SALFI
trois premiers vers qu'Isabelle prononce dans la premiere scene
de Philippe, avec les trois ou quatre qui les suivent, et, si Ton
est capable de saisir les nuances du style poetique, on apprendra
tout d'abord quel est Tart et le talent de 1'ecrivain dans cette
partie si delicate et si difficile.1 Quels tableaux pittoresques ne
nous offrent pas la plupart de ses pieces ? Et sans parler du Saul,
qui est si riche en ce genre de beautes, nous en trouvons souvent
de semblables dans ses premieres tragedies, ou le systeme de
Pauteur etait encore plus austere: tels sont le recit qu' Antigone
fait a Argie de la mort de Jocaste, sa mere, et de 1'etat deplorable
d'Oedipe, son pere;2 la description de Tombre d' Agamemnon qui
poursuit Clytemnestre, et des jeux olympiques, dans Y Oreste >3 et
les fantomes qui agitent Oreste, dans cette m£me tragedie, a la
vue du tombeau de son pere;4 etc.
Ce qu'Alfieri travailla et soigna le plus, fut sa versification.
II voulut s'en former une qui fut plus propre a faire d6clamer
que chanter. II parvint a creer un rhythme grave et s6vere et
en m£me temps imitatif et passionne, capable de rendre et d'ex-
primer les nuances les plus delicates de la passion et du sen
timent. Ses premiers essais furent une espece de scandale pour
ceux dont Poreille etait accoutumee aux vers coulans et vo-
luptueux de Metastase. Alfieri, qui ne se laissa jamais detour-
ner de son entreprise par les vains cris des critiques, ni par les
difficult6s qu'il eprouvait lui-meme, persista dans son projet, rea-
i. «Desio, timor, dubbio ed iniqua speme, / fuor del mio petto omai.
Consorte infida / io di Filippo, di Filippo il figlio / oso amar, io ? . . . Ma
chi '1 vede, e non 1'ama? / Ardito umano cor, nobil fierezza, / sublime inge-
gno, e in awenenti spoglie / bellissim'alrna . . . Ah! perch£ tal ti fero / natura
e '1 cielo?», etc. (S.). Cfr. Filippo, atto I, scena I, 1-8. 2. «Compier 1'or-
rendo fratricidio appena / vede Giocasta, ahi misera!, non piange, / ne*
rimbombar fa di lamenti Paure: / dolore immense le tronca ogni voce»,
etc.; «... Oh se tu visto / Io avessi! Edippo misero!», etc. (S.). Cfr.
Antigone, atto I, scena in, 133-5 e 162-3. 3. «Dal punto in poi quel san-
guinoso spettro / e giorno e notte orribilmente sempre / su gli occhi stam-
mi. Ov'io pur mova, il veggo / di sanguinosa striscia atro sentiero / prece-
dendo segnarmi : a mensa, in trono / mi siede a lato », etc. ; « Feroce troppo,
impaziente, incauto, / or della voce minacciosa incalza, / or del flagel, che
sanguinoso ruota, / si forte batte i destrier suoi mal domi, / ch'oltre la rneta
volano», etc. (S.). Cfr. Oreste, atto I, scena n, 73-8; e atto IV, scena n,
59-63. 4. « . . . Io '1 vidi, / si, con questi occhi io '1 vidi. Ergea la testa /
dal negro avello : il rabbuffato crine / dal viso si togliea con mani scarne »,
etc. (S.). Cfr. Oreste, atto 11, scena n, 244-7.
RESUME DE LA LITTERATURE ITALIENNE IOOI
lisa le type qu'il avail 0011911 du rhythme tragique, et obligea les
Italians a le reconnaitre et 1'apprecier. II n'a pas cette melodie qui,
par Pexces de sa facilite, devient souvent monotone et finit par
nous fatiguer; mais en lui otant cette melodie en apparence si
eclatante et devenue trop commune, Alfieri lui donna une variete
inepuisable de sons, d' hemistiches, de cadences et d'enjambemens
qu'on n'avait employes, depuis Dante jusqu'a lui, que quelque-
fois ou par hasard. Malgre la richesse de ces elemens metriques et
tout expressifs, qu'il a mis en usage avec tant d'art, quelques etran-
gers se sont plu a apprendre aux Italiens que cette versification est
faite pour dechirer les oreilles.1 Tout en respectant la d61icatesse
des oreilles de ces etrangers, nous aimons mieux encore respecter
le gout de Parini, de Cesarotti, de Calsabigi2 et de tous les ita-
liens qui ont re$u une impression toute differente des vers d* Al
fieri.
Nous n'avons fait jusqu'ici qu'indiquer les qualit6s selon nous
les plus remarquables des tragedies de ce poete; nous ne pre-
tendons cependant pas soutenir qu'il n'ait point quelquefois excede
les bornes et abuse de ses principes et de sa methode. II eut assez
de superiorite et de franchise pour avouer lui-meme plusieurs
de ses defauts et en corriger quelques uns. Nous avouons toutefois
qu'il lui en reste encore, et qu'on les a meme outres; car il est
plus facile d'imiter ses defauts que ses qualites.
Les tragedies d' Alfieri ont exerce plus qu'on ne le pense une
grande influence sur Tesprit des Italiens et de leur litterature. II
a contribue plus que tout autre ecrivain a Feducation de cette
generation nouvelle qui 6tait Fobjet de ses soins. Elle se forme et
se developpe d'apres ses maximes. Alfieri lui-meme a eu le temps
de sjassurer, avant que de mourir, de 1'impression gen6rale et
toujours croissante qu'il venait de faire sur ses compatriotes. Qa a
6te sans doute la recompense la plus honorable qu'il ait pu esperer
de son entreprise, comme c'est pour nous la preuve la plus in
contestable de 1'interet qu'offrent ses productions. Ceux memes
i. [A. W.] Schlegel, Cours de litterature dramatique, Ie9on rx (S.)- 2. In
realta i giudizi del Parini (nel sonetto Tanta gia di coturni e nelFode II do-
no\ del Cesarotti (nella lettera all' Alfieri del 25 marzo 1785 intorno all'Oi-
tavia, al Timoleone e alia Merope, nelle Opere, xxxvi, Firenze, Molina, Land!
e C., 1811, pp. 286-331; e in quella al Carmignani, riportata in questo
volume a pp. 557-8), e del Calzabigi (nella nota lettera all'autore) sono tut-
t'altro che privi di riserve sulla durezza della versificazione alfieriana.
1002 FRANCESCO SAVERIO SALFI
qui s'etaient d'abord declares centre sa methode, ont fini par s'en
approcher de plus en plus.1
SEPTlfeME PERIODE (EPOQUE ACTUELLE)
Epilogue des periodes precedentes. Esprit
et tendance de la periode actuelle.2
Le tableau que nous venons d'esquisser de la litterature ita-
lienne, depuis son origine jusqu'a nos jours, est sans doute le
plus rapide et peut-etre le moins inexact, au egard aux etroites
limites entre lesquelles il a fallu le renfermer. Quel qu'il soit,
nous Tavons vue cette litterature si riche, et qui a tant brill<§
pendant plusieurs siecles, incertaine dans son obscure et longue
enfance, et ne deployant dans sa premiere periode qu'a peine
quelques germes de ce qu'elle devait produire dans la suite. C'est
Dante qui, dans la periode suivante, semble la creer tout a coup,
et dormer a la langue et a la poesie un caractere de force et de
concision que Petrarca et surtout Boccaccio ont plutot attenue que
suivi. Concue d'abord et presque elevee au sein de la liberte, on
voit la litterature italienne se diriger de plus en plus vers la mol-
lesse et la complaisance, et, pendant la troisieme periode, me-
nacee d'envahissement par la litterature latine, qui semble renaitre
en Italic et regagner son ancien empire. Ce sont surtout les Me-
dicis qui donnent a la quatrieme periode un nouvel essor; culti-
vant les lettres et favorisant ceux qui les cultivaient avec eux, ils
relevent la litterature nationale, qui, tout en marchant sur les tra
ces des anciens, se prete de plus en plus au plaisir et au pouvoir
de ses protecteurs. De la cette mice d^crivains plutot elegans
que solides, et qui, au lieu d'elever Tame, ne font que flatter
Timagination. Cette sorte d'elegance et de correction degenere peu
a peu en un luxe d'esprit, en un style faux et ampoule qui, ac-
credite par Marini, domina le Parnasse italien pendant la cin-
quieme periode. On voulait s'affranchir du joug d'une imitation
i. Ceux m&nes . . .plus: allude ad Alessandro Pepoli e a Giovanni Pinde-
monte, di cui passa a parlare subito dopo. 2. Dal Resum6 de Vhistoire de la
litterature tialienne, ed. cit., u, pp. 185-97.
RESUME DE LA LITTERATURE ITALIENNE 1003
servile, et Ton tomba dans une espece d'anarchie litteraire. Ce
desordre fait enfin sentir la necessite de concilier le mieux possi
ble une sage liberte avec une imitation plus ou moins libre. La
sixieme periode debute en renversant Tecole marinesque; et don-
nant lieu a plusieures reformes ou tentatives en divers genres de
litterature, elle se fait remarquer principalement dans Tart dra-
matique, grace a Metastase, Goldoni et Victor Alfieri.
En parcourant cette derniere periode, nous n'avons pas si-
gnale quelques uns de ses ecrivains qui, ayant contribue a sa
gloire, ne cessent pas encore d'illustrer la periode actuelle. Nous
avons juge plus convenable de ne pas faire mention des auteurs
vivans. Comme ils n'ont pas acheve leur carriere litteraire, nous
laissons a ceux qui s'occuperont apres nous de la revue de cette
periode, la tache importante de leur rendre une justice plus com
plete et moins suspecte de partialit6 qu'il ne nous serait permis
de Tesperer de nous-memes. Nous chercherons neanmoins a don-
ner quelque idee de Tetat et de la direction de la litterature italienne
dans cette epoque et a montrer par quelles opinions et par quels
efforts elle manifeste 1'esprit qui Tanime dans ce moment, et
par quels differens moyens on vise au m£me but.
Sans rappeler les causes et les evenemens qui ont pousse Pes-
prit humain vers Fetat ou il se trouve aujourd'hui, il est incon
testable que les objets et les idees dont il est occupe, lui font
eprouver des besoins et des sentimens tout nouveaux, qui Tobli-
gent a chercher de nouveaux moyens pour les satisfaire. De la
cette espece d'inquietude qui agite et tourmente les hommes de
nos jours. Ne trouvant au milieu d'eux que de vieux ressorts
presque uses et peu propres a seconder leurs vues, ils se montrent
mecontens de tout ce qui est ancien, et ne soupirent quj apres tout
ce qui leur parait neuf. Ce mouvement general se manifeste sur-
tout dans le domaine des lettres et des arts, dans lequel il ne
rencontre ou ne craint pas autant de perils et d'obstacles que
dans celui des sciences morales et politiques. Par la meme raison,
il se fait encore plus sentir dans 1' Italic, ou la defense absolue de
traiter aussi completement ces dernieres sciences qu'on le fait
chez d'autres nations, oblige les Italiens de se dedommager en
quelque sorte par un tout autre genre de discussions et de travaux
litteraires, dans lequel ils peuvent au moins s'exercer impune-
ment. C'est pour cela que 1* Italic a ete toujours inondee de cette
1004 FRANCESCO SAVERIO SALFI
foule d'antiquaires, de rheteurs, de grammairiens et de glossateurs
qui, toujours prets a se combattre, se montraient d'autant plus
insolens les uns envers les autres, qu'ils etaient humbles et vils
envers leurs protecteurs. Les disputes scandaleuses qui parta-
gerent les savans du XVe siecle et les litterateurs du XVIe, prouvent
assez que c'etait un moyen de distraction ou de gloire pour des
esprits qui n'en avaient point d'autre qui put les occuper utile-
ment et leur dormer un eclat durable. Us servaient en meme
temps, comme les anciens gladiateurs, de spectacle a leurs despotes,
tandis qu'un nombre plus grand encore de versificateurs et de
poetes les bergaient de leurs flatteries. Bien que les Italiens de nos
jours eprouvent a cet egard le meme besoin que leurs predecesseurs,
ils rougissent de ce genre d* adulations et de debats acrimonieux
e~galement fletrissans, et lors meme qu'ils renouvellent les memes
recherches et les memes discussions, ils ne songent plus a se faire
remarquer que par la maniere de les envisager et par la nature des
principes dont ils font usage. Leur litterature est devenue plus
utile et plus grave. Ces discussions memes, qui paraissaient jadis
si steriles, ont quelque chose de plus reel et de plus important;
en un mot, tout annonce le besoin qu'ils eprouvent d'une amelio
ration generale, et les efforts qu'ils font pour en obtenir au moins
quelque partie.
Nous pourrions confirmer ce que nous venons d'avancer, en
citant divers ouvrages qu'on a publics depuis quelques annees
en Italie, et qui, s'ils n'ont pas egale ceux qui les ont precedes
dans la meme carriere, prouvent des intentions plus nobles et un
interet plus general et plus releve. La plupart des poetes dedai-
gnent de celebrer des sujets et des personnages qui les avaient
pendant si long-temps avilis ; et malheur a ces rimeurs miserables
qui ne cessent pas de faire trafic de leurs vers! ils sont generale-
ment meprises. Depuis Alfieri, aucun poete tragique ne s'est
montre au theatre que pour mettre en evidence des evenemens
et des v6rites qui nous font mieux connaitre la condition de Fhom-
me, des peuples et de leurs gouvernans. La comedie, d'apres
Texemple de Goldoni, nous fait aussi apprecier les diverses clas
ses de la societe;1 et les dernieres productions de ce genre, soit
graves soit plaisantes, ne font plus sentir le besoin d'en revenir
i. La comedie . . . societe: ritengo che alluda in particolare alle commedie
del Giraud e del Nota, da lui lodate nel Saggio storico critico della commedia
RESUME DE LA LITERATURE ITALIENNE 1005
a citer les com6dies ou farces de Gozzi, d'Avelloni, de Gualzetti
ou de Federici.1 On admire de nouveaux cantiques ou le coloris
de Dante et le ton des prophetes ont donne une forme antique et
surprenante aux evenemens les plus recens et les plus connus.2
Divers poemes epiques ont paru en meme temps; et bien qu'ils
soient loin d'atteindre la majeste du style de Tasso et la perfection
de son plan, leurs auteurs font preuve souvent d'un meilleur
esprit.
La po6sie lyrique, ne trouvant pas ici-bas des heros dignes de
ses chants, les a cherches, loin de nous, dans le ciel, et a ce!6bre
les vertus qui les ont produits; elle s'est enrichie de quelques
odes et de quelques hymnes qui honorent la patrie et la religion
qui les ont inspires.3 Nous pourrions citer aussi des epitres et des
sermons qui renferment la morale la plus pure ou la satire la
plus spirituelle. On ne peut plus reprocher aux muses italiennes
leur peu de sensibilite; elles se plaisent depuis quelque temps a
visiter les sepulcres de leurs enfants, et nous engagent a verser des
larmes et des fleurs sur les cendres de Pami qui n'est plus, ou du
citoyen qu'on a injustement oublie. Un esprit encore plus philo-
sophique s'est empare de ce genre de poesie proprement instructive,
ou Ton desirait plus d'exactitude et plus d'importance. Les con-
italiana (1829), nella prefazione (1829) alle commedie scelte del Giraud,
e altrove. i . Delle Fiabe di Carlo Gozzi il Salfi da un giudizio assai severo
in altre pagine del Resume (n, pp. 126-9), dove, pur riconoscendo all'au-
tore « les qualites de son style et de son esprit », definisce le Fiabe « pieces
les plus romanesques et les plus absurdes»; e « melange de scenes tantot
ecrites et tantot improvisees, le genre comique et le tragique, le plus
bouifon et le plus serieux, les metamorphoses et les prodiges de toutes
sortes». Francesco Antonio Avelloni (1756-1837) e Camillo Federici (1749-
1802) furono i piu applauditi autori teatrali degli ultimi decenni del Sette-
cento ; mentre Giacomo Antonio Gualzetti si ricorda per una trilogia dram-
matica tratta dal Conte di Commingio del d'Arnaud. 2. On admire . . . con-
nus: allude certamente al Monti, per il quale il Salfi, malgrado ne disap-
provasse alcuni atteggiamenti politici, nutrl sempre ammirazione e rispet-
to. Gia nell'articolo citato Du genie des Italians aveva scritto, per esempio,
a proposito della Bassvilliana: « sans adopter certains principes que 1'auteur
a cm devoir professer dans son poeme, on ne saurait s^mpecher d'y re-
connaitre beaucoup d*6clat dans les images, de noblesse dans les pensees,
d'inter£t dans les recits, d'harmonie dans les vers, de precision dans le
style : qualites suffisantes a dormer a cet ouvrage une reputation durable »
(cfr. « Revue encyclopedique », iv, 1819, p. 159). 3. La poesie . . . inspi
res : penso che alluda alle liriche del Monti e forse anche agli Inni sacri
e al Cinque maggio del Manzoni.
IO06 FRANCESCO SAVERIO SALFI
tes, les fables, les poesies les plus legeres, qui ne semblaient
destinees qu'a un, simple amusement, ou m^me a la licence, cher-
chent maintenant a reveiller et a nourrir des maximes et des
sentimens plus utiles ou plus convenables. Dans les traductions
meme qu'on vient de refaire des classiques grecs ou latins, on
a reussi a faire sentir encore mieux qu'on ne Tavait fait jusqu'ici
Timportance de ces traits et de ces souvenirs pleins de sens et
de vie; et en nous familiarisant de plus en plus avec Homere,
Sophocle et Pindare, on apprend davantage qu'il n'y a point de poe-
sie veritable, si elle n'est animee d'aucun int£ret national. On n'a
pas manque" en meme temps de profiter des nouvelles richesses
des etrangers; et divers chefs-d'oeuvre des litteratures fran9aise,
anglaise et allemande ont ete successivement traduits et natu-
ralis6s.
La prose, ainsi que les divers genres poetiques, s'est fait aussi
distinguer en divers genres. L'histoire, soit civile soit litteraire,
lors meme qu'elle s'est presentee sous une forme ou trop simple
ou trop ornee, n'a point hesite a nous exposer des faits et des
verites qu'on n'avait pas encore si franchement deceits, et a cher-
cher les principes et les causes des evenemens, ainsi que leurs
re"sultats les plus importans. Quelques ouvrages qui se font remar-
quer dans la foule des ecrits de ce genre, suffisent pour prouver
que c'est 1'occasion et non Peloquence qui manque aux Italiens.
Comme Tanalyse a rendu la synthese encore plus precise et plus
claire, le style didactique a ajoute aux sciences un coloris plus
propre et plus attrayant; il s'est depouille d'une partie de ces orne-
mens superflus dont il se montrait auparavant surcharge, et a
pris des couleurs plus simples et en meme temps plus distinctes.
De meme que la litterature se prete aux progres de la philoso
phic, celle-ci s'enrichit a son tour de ses lumieres et de ses
m6thodes.
Ce qui prouve encore davantage ce que nous venons d'enoncer,
c'est cette guerre obstin6e qu'on fait depuis quelques annees
aux partisans de 1'Academie de la Crusca. Bien qu'ordinaire dans
1' Italic des la naissance de cette academic jusqu'a Cesarotti, bi-
en qu'animee de cette chaleur qui se mele toujours a ce genre
de debats, elle se distingue aujourd'hui par 1'esprit de moderation
qui dirige la plupart des combattans, et par les nouveaux avan-
tages qu'en tirent la langue et la litterature italienne. Nous pouvons
RESUME DE LA LITTERATURE ITALIENNE
ici rendre justice a Jules Perticari,1 a ce litterateur r6publicain,
qui aurait sans doute ajoute a "la culture et a la gloire litteraire
de son pays, si une mort precoce ne nous Feut enleve: c'est
lui qui, forme d'apres les principes de Cesarotti,2 et plus reserve
que lui en fait de correction, a communique une direction nou-
velle aux recherches sur Forigines et la propriete de la langue ita-
lienne, ainsi que sur le caract&re et le merite des ecrivains qui
ont le plus contribue a sa perfection. II a legue son esprit a ses
nombreux eleves, qui, conduits par un chef digne d'eux,3 parais-
sent soutenir plutot les droits de la nation que ceux du langage.
Us semblent combattre contre cet esprit de municipalite litteraire
qui a tant contribue a nourrir en meme temps ces divisions poli-
tiques, causes 6ternelles de la faiblesse et de la honte de FItalie.
Us veulent etre au moins libres et independans dans Fexercice
de leurs talens et de leur litterature: ils dedaignent et abhorrent
tout despotisme litteraire; en un mot, ils ne veulent reconnaitre
d'autre autorite que celle de la raison.
Qu'on ne prenne pas ces leg&res indications pour des assertions
vagues et exager6es ; elles sont Fexpression la plus fidele de plusieurs
ouvrages qui ne sont point inconnus aux etrangers qui cultivent
la litterature des Italiens. Partout on y aper^oit les traces de cet
esprit philosophique et de cet interet national qui caracterisent et
distinguent leur Iitt6rature actuelle de celle de leurs devanciers.
Mais ce qui merite particuli&rement notre attention, c'est cette
6cole nouvelle,4 originaire de FEspagne et de TAngleterre, qui,
s'etant sp6cialement emparee de FAllemagne, fait tous ses efforts
pour envahir tout le reste de 1'Europe civilisee. Elle semble imposer
d'autant plus qu'elle affecte les vues et les principes les plus analo
gues aux besoins et a Fesprit du siecle. On avait deja bien souvent
declam6 contre Fabus ou Fexces de limitation des anciens, et
i. II rilievo in cui e posto il Perticari si spiega, oltre che per coincidenze
di gusto letterario, anche col fatto che il Salfi lo aveva personalmente co-
nosciuto, e in particolare si era trovato con lui e con Gugliehno Pepe a
Senigallia, in una sosta del suo viaggio verso Napoli nel luglio del 1814
(cfr. C. NARDI, La vita e le opere di F. S. Salfi, cit., p. 71)- Del Pertican
il Salfi scrisse anche il necrologio per la « Revue encyclop&iique », xi
(i8zi), p. 409. 2,.form& . . . Cesarotti'. in verita non si pu6 affermare che
le teorie linguistiche del Perticari siano uno sviluppo diretto di quelle del
Cesarotti; Funico punto di contatto e la comune battaglia contro la tiran-
nia della Crusca. 3. un chef digne d'eux: allude forse al Monti stesso,
soprawissuto al genero. 4. cette ecole nouvelle: la scuola romantica.
I008 FRANCESCO SAVERIO SALFI
Ton avait commence par renverser ces idoles de la republique
des lettres, pour delivrer de leur joug leurs admirateurs aveugles
et superstitieux. On a vu, a Fepoque ou Telesio, Campanella,
Bruno, Sarpi et Galileo attaquaient Pautorite d'Aristote en phi-
losophie, Muzio, Castelvetro, Tassoni1 et tant d'autres 1'atta-
quer de meme en litterature, et cela bien avant Perrault et con
sorts.2 Nous avons observe ailleurs que Marini et ses partisans ne
tenaient qu'a leurs maximes. II faut avouer cependant qu'aucun
de ces critiques n'a renouvele cette sorte de guerre ou de revolu
tion litteraire avec autant de hardiesse et de suite que les roman-
tiques de nos jours.
i. A Girolamo Muzio critico e dedicate nel Resume* uno spazio relativamente
ampio (i, pp. 269-70); mentre le opere critiche del Castelvetro e del Tassoni
vi sono appena ricordate (i, p. 346, e n, p. 37). Ma per quest'ultimo il
Salfi pensava forse alia piu ampia trattazione fattane nella continuazione
dell'Histoire del Ginguen£ (xm, pp. 464-5; e xiv, pp. 114-21). 2. Perrault
et consorts: allude alia aquerelle des anciens et des modernes», provocata
appunto dal Perrault (cfr. la nota i a p. 81).
DALLA « REVUE ENCYCLOPEDIQUE»
i
Notice sur Ugo Foscolo.1
La litterature italienne vient de perdre un de ses principaux
ornemens. M. Ugo Foscolo est mort a Londres, le n septem-
bre2 dernier, d'une hydropisie qui le tourmentait depuis pres de
deux ans, et que paraissent avoir augmentee sa maniere de vivre
et ses travaux litteraires. Foscolo etait ne a Zante, vers Fan-
nee I773.3 Dou6 d'une imagination ardente et d'un esprit inde-
pendant, il ne put se contenter de la sphere etroite et obscure
de sa patrie et des iles loniennes dont elle depend. Impatient
d'etendre ses connaissances, il se rendit a Venise. Apres avoir
quelque terns erre, sans dessein et sans but, sur les bords de
FAdriatique et dans quelques villes d'ltalie, il s'arreta a Padoue et
suivit un cours de Cesarotti. Ce professeur celebre avait le talent
de communiquer a ses eleves une v6ritable passion pour une lit
terature a la fois fond6e sur le gout des anciens, affranchie de
prejugds et d'entraves, et propre a satisfaire aux besoins des mo-
La « Revue encyclop6dique » fu fondata nel 1819 da Marc-Antoine Jullien,
vecchio babuvista venuto in Italia nel periodo cisalpino come capitano ag-
giunto del generale Lahoz, e autore, fra 1'altro, di un opuscolo intitolato
Quelques conseils aux patriotes cisalpins e contenente la proposta di costi-
tuire un comitato segreto per diffbndere tra gli Italian! «le patriotisme et
les lumieres » (cfr. J. GODECHOT, Les franpais et I'unite italienne sous le
directoire, in « Revue Internationale d'histoire politique et constitutionnelle »,
Paris 1952; et G. VACCARINO, Ipatrioti « anarchist es » ecc., cit., pp. 58-61 e
113-24). A far parte della redazione il Jullien chiam6 subito, oltre il
Sismondi, lo Chasles e il Boissonade, anche il Salfi, che quasi certamente
conosceva fin dai tempi della Cisalpina, e a lui affid6 in particolare il
compito di occuparsi degli argomenti che riguardassero V Italia. La col-
laborazione del Salfi continud assidua fino, si pu6 dire, alia morte, co
me fa fede Telenco (pubblicato da C. NARDI, La vita e le opere di F. S.
Salfi, cit., pp. xiv-xx) degli articoli e delle recensioni recanti la sua firma;
anche se non manc6 fra lui e Jullien qualche screzio, dovuto a question!
di compenso, e piti ancora all'irritazione del collaboratore italiano per la
revisione linguistica e per le modifiche a cui i suoi scritti venivano sotto-
posti. Per gli articoli qui riportati riproduciamo naturalmente il testo della
« Revue encyclopedique ». Le note del Salfi sono seguite dalla sigla S.
i. Dalla « Revue encyclop6dique », xxxvi (1827), pp. 3O-5- 2* JJ septem-
bre: piu esattamente, la sera del 10 settembre. 3. 1773 : probabilmente er-
rore di stampa per 1778.
64
1010 FRANCESCO SAVERIO SALFI
dernes.1 Le jeune Foscolo profita de ses Ie9ons; et, devenu admi-
rateur enthousiaste des 6crivains classiques, grecs, latins et italiens,
il se Ian9a dans la carriere.
En 1795, la plupart des jeunes italiens, d'apres les conseils
de Genovesi, de Filangieri, de Parini, de Verri, etc., affliges
de T6tat d'avilissement oil Fltalie etait depuis si long-terns
plongee, concpurent, sous les auspices des Fran£ais, Pesperance de
s'elever a des plus nobles destinees. Ugo Foscolo fut de ce nombre.
II se fit d'abord remarquer par quelques discours improvises2
que les circonstances lui inspirerent; et sa muse, qui avait com
mence a chanter 1'amour, consacra ses vers a la liberte.3 Depuis
cette 6poque, ces deux passions s'allierent tellement dans son
imagination, qu'elles formerent le trait dominant de son caractere
jusqu'a la fin de ses jours. Une troisieme passion, 1'amour de la
gloire, fut si vive en lui qu'il chercha et saisit avec avidite toutes
les occasions de briller; ce fut pour y parvenir qu'il se montra
tour a tour poete, orateur, professeur, et qu'il afFecta quelquefois le
ton du plus severe stoicisme, apres avoir sacrifie au plaisir et a la
mode et avoir vecu en veritable e"picurien. Mais, dans ces situations
diverses, il sut toujours se faire distinguer par son esprit et par
roriginalite de ses idees. Quelques personnes, peu bienveillantes
pour lui, ont attribu6 a cette extreme mobilite F absence de ca
ractere Iitt6raire que Ton reproche a ses diverses productions:
plus justes ou plus indulgens, nous preferons Pattribuer aux elans
d'une brillante imagination, et nous nous bornerons a faire remar
quer cette chaleur de sentiment et de style qui anime sa prose et
ses vers, et qui lui assigne un rang distingue parmi les litterateurs
dont s'honore PItalie.
Foscolo avait debut6 a Venise, comme auteur dramatique, par
sa tragedie de Thyeste. Elle re9ut de grands eloges des com^diens
italiens qui, a dire vrai, ne sont pas des juges tres comp6tens en
ce genre. Mais il eut le merite de se declarer admirateur des Grecs,
et d'imiter Alfieri dans un terns ou la plupart des Iitt6rateurs
i. Ce professeur . . . modernes: questo giudizio e piti ampiamente svolto
nel Resume de Vhistoire de la litte'rature italienne, n, pp. 63-4 (in questo
volume a pp. 992-3). 2. quelques discours improvises: allude alle appas-
sionate orazioni pronunciate dal Foscolo nel 1797 in qualita di membro
della Societa della pubblica istmzione e della Municipalita di Venezia.
3. consacra . . . liberte: allude al sonetto A Venezia (1706), al Tieste e alle
odi A Napoleone liber atore e Ai novelli repubblicani (1797).
REVUE ENCYCLOPEDIQUE IOII
italiens depreciaient encore la maniere et le style de ce poete.
Foscolo montra un jugement plus sur que ses panegyristes enthou-
siastes: il reconnut lui-meme les imperfections de sa tragedie; et,
sans rejeter le systeme qu'il avait adopte, il se proposa de tirer
un parti plus convenable de ses etudes dans ses autres ouvrages.
L'impression que fit sur lui la lecture de Werther, lui inspira
1'idee d'ecrire les Lettres, aujourd'hui si connues, de lacopo Ortis.
II s'est peint, sous ce nom, tel qu'il 6tait, ou tel qu'il voulait
s'offrir, dans la position d'un amant desespere. Bien qu'on re-
connaisse, dans le fond du sujet, une imitation peut-etre servile
de Goethe, les traits de feu par lesquels il caracterise son heros,
et plus encore ses allusions aux ev6nemens dont sa patrie etait
le theatre, et les souvenirs et les opinions de quelques-uns de
ses contemporains, dignes de vivre dans la posterite, font lire
son roman avec un vif interet. Ce genre de litterature etait peu goute
chez les Italiens. Ugo Foscolo a ete Fun des premiers qui aient
songe a 1'introduire. Les litterateurs routiniers voulurent en vain
decrier cet ouvrage, qui fit bientot les delices de toutes les classes
de la societe, et particulierement des femmes. Ainsi, Foscolo a
contribue a r6pandre les sentimens les plus patriotiques, en les ac-
compagnant des images les plus attrayantes. La plus remar-
quee de ses productions fut le Discours qu'il pronon9a au congres
de Lyon, en iSoi.1 Soit qu'il fut frappe de Timportance de Tev6-
nement qui donnait lieu a cette solennite, soit qu'il eprouvat le
besoin de satisfaire sa passion dominante,2 le jeune orateur deploya
une 61oquence dont on n' avait pas d'exemple depuis long-terns.
Elle parut aux Italiens aussi extraordinaire que l'6tait chez eux
la fondation d'une republique, aux louanges de laquelle ce discours
etait consacre. Enflamm6 d'ardeur, comme tant d'autres, a 1'aspect
de cette republique naissante, Foscolo choisit le role de Phocion;3
et tra9ant un tableau admirable des evenemens qui avaient preced6,
des vues qui s'y rattachaient et qui en avaient change la direction,
et dont 1'influence le faisait d6sesp6rer du salut de sa patrie, il osa
proposer les seuls rem^des qui, suivant lui, pouvaient assurer sa
i. le Discours . . . 1801: allude zll'Orazione a Bonaparte pel Congresso di
Lione, che per6 non fu pronunciata dal Foscolo ai comizi di Lione, tenuti
nel dicembre 1801 e gennaio 1802, ma solo pubblicata nel 1802. 2. sa
passion dominante: 1'amore della gloria. 3. le role de Phocion: cioe di cri-
tico della nuova repubblica democratica, come lo era stato Focione di
quella ateniese.
1012 FRANCESCO SAVERIO SALFI
prosperite. II n'epargna pas meme Bonaparte, qui feignit, ainsi que
ses courtisans, d'applaudir a la hardiesse de cet elan patriotique.
Deja celebre comme poete, comme romancier et comme ora-
teur, Foscolo voulut acquerir encore la reputation d'erudit. II
traduisit en italien le petit poeme de Callimaque, sur La che-
velure de Berenice, que Catulle avait mis en latin. II y ajouta
un long commentaire; et il plaisantait avec ses amis de ses ci
tations nombreuses d'auteurs anciens et modernes qu'il n* avait
pas eu le terns de lire ni de consulter. On blama cette mystifi
cation, qui ne trompa personne, et qui n'eut pas ete honorable
pour lui, s'il eut pretendu se faire un titre veritable d'un savoir
qui n'etait pas le sien.
Nomme professeur de belles-lettres a PUniversite de Pa-
vie, il succeda au celebre Monti dont il s'etait declar6 Papo-
logiste et Tami, a Tepoque ou Ton poursuivait Fauteur de Basville.
II d6buta par un Discours sur Vorigme et les regies fondamentales de
la litter ature.1 II s'empara des theories de Locke et de Condillac,
et traita des sciences litteraires en philosophe. Le sujet ne com-
portait pas le genre d'eloquence dont il avait donne des preuves
aux cornices de Lyon.
Les Muses continuaient a Tinspirer; et dans ses loisirs il chan-
tait ses amours ou les malheurs de sa patrie. II entreprit alors
un ouvrage plus important, une traduction de Vlliade en vers
sdoltL M. Monti s'occupait en meme terns d'un semblable tra
vail: Foscolo, qui etait Tami de ce poete, voulut se montrer son
emule. Us publi^rent ensemble leur premier chant, comme un
essai de leurs forces. Le public applaudit aux deux athletes; on
admira, dans Tun, cette noblesse de style et cette harmonie de
rhythme qui sont propres a lJ6popee; on distingua, dans 1'autre,
une force et une concision qui le rapprochaient peut-etre plus de
son modele.
Au milieu de sa carriere Iitt6raire, Foscolo nourrissait la pensee
de suivre celle des armes. II s'attacha, pendant quelque tems,
au general Thuillier,2 dont il partageait les sentimens patriotiques,
i. II titolo esatto della prolusione pavese e: DelVorigine e delVufficio della
letteratura. 2. g&niral Thuillier: il generate Pietro Teulie (1769-1807),
alle cui dipendenze fa il Foscolo come impiegato dell'Ufficio di compila-
zione del codice militare italiano, e poi nel corpo di spedizione italiano
in Francia, di cui il Teulie" fu nominato comandante nel 1805.
REVUE ENCYCLOPEDIQUE 1013
et il se rendit a Calais, en i8o5,J pour prendre part a I5 expedition
que Bonaparte pre*parait contre TAngleterre. La tete remplie d'idees
militaires, il revint en Italic, et publia a Milan, en 1808, la belle
6dition des ouvrages classiques du prince Raimond Montecuccoli,
remarquable par les corrections qu'il y fit, et par les considerations
importantes sur Tadministration militaire dont il Penrichit. On
trouva surprenant que Torateur des cornices de Lyon eut d£di6
son ouvrage au general Caffarelli,2 alors ministre de la guerre dans
le royaume d'ltalie. M. Grassi3 a donne, depuis, en 1821, a Turin,
une nouvelle edition plus complete et plus soign6e des oeuvres
de Montecuccoli.
Foscolo travailla encore pour le th6&tre, et fit jouer a Milan sa
nouvelle trag£die d'Ajax. II s'etait brouille avec Monti: des 6cri-
vains, qu'il n'avait pas menages, saisirent une occasion de se ven-
ger. Us ne se contenterent pas de dire que les caract&res de cette
tragedie, Agamemnon, Ajax, Calchas, etc. etaient tous caiques sur
le meme modele, et que ce modele 6tait Foscolo lui-meme; ils
allerent jusqu'a denoncer ses opinions, comme directement hostiles
contre le gouvernement. Ils signalerent, avec une servilit£ scan-
daleuse, quelques traits qui faisaient allusion a Bonaparte, au pape
et a d'autres personnages eminens. Ce qui faisait le merite de la pie
ce causa la disgrace de Tauteur, qui chercha un refuge dans la
patrie du Dante et de Machiavel. II se Ian9a, une troisi&me fois,
dans la carriere tragique, et donna sa Ricciarda, qu'on representa
sur quelques theatres d'ltalie, et qu'on a imprimee a Londres.
II prit ce sujet dans Thistoire des Lombards, et resta fidele au sys-
teme qu'il avait adopte*; son style et quelques scenes ne man-
quent pas de chaleur; mais k conduite et P ensemble sont 6vi-
demment defectueux.
Foscolo redevint militaire, a Tepoque du mouvement ephe-
mere que produisirent a Milan la chute de Napoleon et les prin-
cipes proclam6s par la Sainte- Alliance. Le royaume d'ltalie osa
se flatter, un moment, de Tespoir que son independance se-
1. en 1805: veramente il Foscolo si rec6 in Francia nel giugno 1804.
2. On trouva . . . Caffarelli: in realta il Foscolo dedic6 il suo lavoro al
Caffarelli non tanto per fare omaggio al governo, quanto per mostrare
gratitudine al ministro che, pur serbandogli lo stipendio, lo aveva dispen-
sato da incarichi militari. 3. Giuseppe Grassi (1779-1831), letterato to-
rinese, amico del Foscolo e del Monti, e noto soprattutto per lavori
lessicali.
1014 FRANCESCO SAVERIO SALFI
rait recomme et garantie. Foscolo, devenu Tun des aides-de
camp du general Pino,1 harangua la garde nationale de Milan;
ses opinions et ses esperances, hautement manifestees,2 compro-
mirent sa surete, et il fut oblige de quitter sa patrie et d'aller
s'etablir en Angleterre; c'est a Londres qu'il a passe les dernieres
annees de sa vie.
II avait deja traduit en italien le Voyage sentimental de Sterne,
qu'il publia sous le nom de Didimo Chierico. Cette belle traduction
fit connaitre plus generalement Pouvrage de Sterne aux Italiens,
et inspira aux litterateurs anglais des sentimens de reconnaissance
et d'affection pour 1'illustre exile, qui fut desormais plus honore
sur les bords de la Tamise, qu'il ne 1'avait ete dans son propre pays.
Son talent encourage brilla d'un plus vif eclat. II mit au jour
plusieures productions nouvelles, et donna un certain nombre
<T articles remarquables aux journaux d' Angleterre, ou il s'eleva
specialement contre cet esprit de servilite et de superstition qui
•domine dans les feuilles publiques de Tltalie;3 il fit aussi quelques
•cours de litterature italienne, que la purete de son gout et les theo
ries les plus saines firent suivre par beaucoup d'hommes distin-
gues. II condamnait egalement la sterile impuissance des imitateurs
serviles et la licence audacieuse des novateurs.4 Lui-meme, en
imitant les grands modeles classiques, a su interesser ses contem-
porains par la profondeur de ses pensees et par la v6rite de ses
sentimens. Parmi les Merits qu'il a publics a Londres, et qui sont
dignes d'etre remarques, on compte les Essais sur Petrarque, ou il
cherche a relever cette delicatesse de sentiment et de style que
des barbares seuls refusent d'apprecier; une savante Introduction
aux Nouvelles de Boccace,5 dont il montre 1'esprit et le merite,
et un travail encore plus important sur la Divine Come'die du
Dante,6 dont il n'a public que le premier volume. C'est dans ce
i. II generale Domenico Pino (1767-1826) teneva allora la reggenza muni-
cipale di Milano. II Foscolo era gia stato suo aiutante durante la campagna
di Marengo. 2. hautement manifestees: in particolare nell3 'Indirizzo pre-
sentato il 30 apnle 1815 al generale Macfarlane a nome della guardia civica
di Milano. 3. il s'eleva . . . de Vltalie: allude all'articolo sulla « Letteratura
italiana periodica ». 4. 77 condamnait . . . novateurs : allude in particolare agli
articoli Della nuova scuola drammatica italiana e Sullo stato attuale delta
letteratura italiana (comparso sotto il nome di John Cam Hobhouse, ma
redatto su appunti foscoliani). 5. une savante . . . Boccace: il Discorso sto-
rico sul testo del «Decamerone». 6. un travail. . . Dante: il Discorso sul te-
sto della ^Divina Commedia*.
REVUE ENCYCLOPEDIQUE IOI5
nouveau commentaire qu'il a entrepris de presenter le Dante
plutot comme apotre d'une religion nouvelle ou reformee, que
comme poete. Nous n'osons decider si Pintention de Pauteur
etait de se moquer de ses lecteurs ou de la folie des commenta-
teurs. Quelle qu'ait ete sa veritable opinion, il a repandu dans
son ouvrage assez de lumieres et 1'a seme de traits assez piquans
pour le rendre agreable et interessant.
On possede diverses poesies de Foscolo, telles que VAlcee*
les Graces, quelques odes et plusieurs sonnets. On estime sur-
tout sa piece intitulee Sepolcri, dans laquelle il lutte de talent
avec Hippolyte Pindemonte, qui a traite a peu pres le meme
sujet. On trouve dans les vers de Foscolo du pathetique et de
Pelevation. Get homme celebre eut a se reprocher quelques des-
ordres dans sa vie privee; mais ses talens et ses malheurs sont
des titres suffisans pour qu'on les pardonne a sa memoir e. La
post6rite le classera parmi les hommes les plus distingues de
Pltalie.
II
[Su «/ promessi sposi».]2
Le besoin de romans etait vivement eprouve depuis quel-
que terns dans la litterature italienne; mais les ecrivains qui
remarquaient ce vide dans une litterature d'ailleurs si riche sous
d'autres rapports, se bornaienta en rechercher les causes, sans rem-
plir la lacune qu'ils avaient signalee. On a dit souvent: la nation
italienne manquerait-elle de ces organes privile*gies qui constituent
le talent du romancier? ou plutot, a-t-elle dedaigne un genre
qu'elle regardait comme tres-mediocre, et auquel elle en a sub-
stitue d'autres bien plus nobles, plus ingenieux, plus agreables?
Ce serait meconnaitre le genie et le jugement des Italiens; mais,
sans les flatter, nous exposerons franchement notre opinion.
La litterature, chez les Italiens, a ete, plus que chez les autres
peuples, la profession d'une classe particuliere qui ne se donnait
i. VAlcee: VInno alia nave delle Muse, frammento di un poema abbozzato
su «Alceo, o la storia della letteratura in Italia dalla rovina dell'impero
d'Oriente ai di nostri». 2. Dalla « Revue encyclopedique », xxxvm (1828),
pp. 376-89. L'articolo fii pubblicato in occasione della prima traduzione
francese del romanzo (Paris, Baudry et Fayolle, 1827).
I0l6 FRANCESCO SAVERIO SALFI
aucune peine pour la faire sortir de ses limites.1 Les hommes de
lettres regardaient les autres hommes comme des profanes, et
avec une sorte d'indifference. L'histoire, la com6die, les contes,
tout ce qui etait plus specialement destine a Pamusement, prenait
ordinairement un langage et des formes qui annonsaient que tout
etait fait par des savans et pour des savans. Le peuple leur demeu-
rait etranger; il n'existait pas pour les ecrivains, comme ceux-ci
n'existaient pas pour lui. On s'est enfin affranchi de cet ancien
prejuge, de cette coutume barbare qui pendant si long-terns a
retarde les progres de rinstruction et de la civilisation. Les Iitt6-
rateurs italiens sentent, comme les litterateurs etrangers qui les
ont devances, le devoir qui leur est impose de se communiquer
a toutes les classes de la societe; ils se reprochent d'avoir neglige"
la partie la plus importante de leur ministere, celle d'eclairer les
peuples et de les rendre meilleurs. Malgre les obstacles que leur
opposent les fauteurs de Pignorance et de la servitude, ils s'ef-
forcent de reparer cette omission par tous les moyens possibles;
ils veulent done, ils demandent des romans.
Ce besoin generalement senti a contribue au succes extraor
dinaire que vient d'obtenir le roman de M. Manzoni. Aux trans
ports qu'ont manifestos les Italiens a Papparition de cet ouvrage,
si long-terns attendu, on aurait cru voir les Juifs se pressant
a la source que Moi'se fit jaillir sous sa verge miraculeuse. Si Ton
ne connaissait pas d'ailleurs les talens et les qualit6s de M. Man
zoni, on pourrait soupconner que tout ce qu'ont pense et proclam6
plusieurs italiens n'est que Feffet de Fenthousiasme ou du fana-
tisme. Mais Fenthousiasme et le fanatisme pourraient-ils aller si
loin, sans Faction d'un merite reel qui les eut excites ? D'un autre
cot6, les etrangers ont aussi contribue, quoiqu'avec plus de me-
sure, a la celebrite de ce roman; et cela prouve assez qu'elle njest
pas generalement due, comme on Ta dit, a F esprit de systeme
ou de secte. Nous aimons a reconnaitre le m6rite reel de cette
nouvelle production; et sans en faire un objet d'idolatrie litteraire,
comme Font fait quelques admirateurs passionnes, nous imiterons
ceux qui ont tache d'apprecier le roman, en donnant a Tauteur
i. La litter ature . . . limites: la deplorazione del distacco esistente in Italia
fra i letterati e il popolo e motive che ricorre altre volte nell'opera critica
del Salfi, per esempio neirarticolo Du genie des Italiens, citato nella Nota
introduttiva.
REVUE ENCYCLOPEDIQUE I0iy
de justes 61oges, qui n'excluent point une critique impartiale et
meme severe.
Le sujet du roman est tire d'une histoire, pen connue, du cha-
noine Joseph Ripamonti,1 et redig6e dans le style pretentieux et
ridicule du Secento (XVIIe siecle). Mais son importance a paru telle
aux yeux de M. Manzoni, qu'il a jug6 utile de la refaire et de la
reproduire apres deux siecles, sous une forme plus ingenieuse et
plus agr6able. II ne parait pas n6cessaire d'en donner ici un extrait
trop etendu; mais on doit indiquer au moins les parties principales
qui constituent le fonds de cette histoire, et qui seront Tobjet
particulier de nos observations.
La scene de Faction est a Milan et dans ses environs, vers
le commencement du XVIP siecle. Renzo Tramaglino, jeune
ouvrier en soie, et Lucia Mondella, jeune villageoise, ont tout
dispose pour se marier. Un de ces petits seigneurs, si nombreux
a cette epoque en Italie, et qui regardaient les gens du peuple
comme des etres destines a leurs plaisirs, con9ut le projet d'empe-
cher ce mariage et de ravir Lucia a son amant. Deux satellites de ce
seigneur, nomme don Rodrigo, apres avoir menace de mort le cur6
don Abbondio, s'il ose b6nir 1'union des deux jeunes amans,
s'appretent, d'apres les ordres de leur maitre, a enlever Lucia;3
le bon cure, qui veut conserver sa vie, se refuse aux desirs de
Renzo, et allegue divers pretextes pour differer la benediction
nuptiale. Cependant un saint capucin, le pere Cristoforo, ayant en
vain cherche a d6tourner don Rodrigo de son odieux projet,
derobe les deux fianc6s a sa poursuite, et les recommande, Lucia
aux capucins de Monza, et Renzo a ceux de Milan.
Renzo arrive dans cette ville au moment d'une 6meute po-
pulaire, occasionnee par la famine; il s'associe aux passions de
la multitude soulevee; il est surpris par les sbires, s'echappe et
va se r6fugier dans un petit village du Bergamasque. Lucia trouve
un asile dans un couvent de Monza, aupr&s d'une grande dame,
devenue religieuse. Malheureusement cette religieuse etait une
i. Le sujet. . .Ripamonti: il Salfi prende sul serio la nota finzioneidel
Manzoni, e identifica addirittura ranonimo secentista con Giuseppe Ri
pamonti, cronista milanese del Seicento, che il Manzoni cita spesso nelle
sue note. 2. Deux satellites . . . Lucia: qui il Salfi fa confusione fra i due
bravi inviati a spaventare don Abbondio e la spedizione comandata dal
Griso in casa di Lucia.
I0l8 FRANCESCO SAVERIO SALFI
de ces victimes qu'une situation violente et forcee irrite et deprave.
Bientot elle s'entend avec un seigneur non moins sc616rat que
puissant pour la livrer entre les mains de don Rodrigo. L'histoire
a tu le nom de ce grand personnage ; il y parait sous celui de P A-
nonyme (Innominate). Des que cet illustre brigand voit la mal-
heureuse Lucia, trainee dans son chateau, son attitude, ses prieres,
ses larmes excitent un sentiment inconnu dans son coeur; et la
grace divine fait aussitot de ce scelerat un penitent, un defenseur
de sa victime. II court se jeter entre les bras de 1'archeveque
Fre*d6ric Borromee, qui, faisant la visite de son diocese, se trou-
vait dans les environs. Ce saint archeveque vient au secours de
cette ame egar6e, reproche a don Abbondio d'avoir manque a
son devoir, et s'occupe en meme terns du sort des deux fiances.
Lucia est conduite a Milan sous la protection d'une dame bien-
faisante, et Ton cherche Renzo qui se tient toujours cache pres de
Bergame.
Cependant, la peste, introduite dans la Lombardie par quel-
ques bandes allemandes, eclate a Milan; ce qui fournit a F arche
veque Borromee 1'occasion de deployer ses vertus evangeliques.
Renzo est atteint par la contagion, et guerit bientot. II cherche sa
Lucia et, apres divers incidens, il la trouve en proie a la meme
maladie dans ce vaste lazaret de Milan, ou la mort et la pitie
se disputaient Is empire. C'est la qu'il voit succomber don Rodrigo
et le pere Cristoforo, le premier dans les angoisses du desespoir,
et Tautre content de sacrifier sa vie au salut de ses semblables.
Celui-ci, avant de mourir, a eu le terns de degager Lucia du voeu
imprudent de virginit6 que lui avait arrache Timminence du dan
ger auquel elle voulait 6chapper. Les fianc6s se presentent enfin
devant leur cure qui, ne voyant plus d'obstacles, berut et consacre
leur union.
Voila a peu pres tout le plan de ce roman; il est si simple que
Tart semble n'avoir rien ajoute au fonds de Fhistoire. Mais on
lui a trouve des qualit6s si eminentes qu'on Ta regarde comme un
modele de perfection en ce genre.1 Ne pouvant les faire apprecier
i. Mais . . .genre: allude probabilmente al Giordani, che aveva definite
«stupendo, divino» il romanzo come cclibro del popolo» (cfr. Opere, Mi-
lano 1854-1865, vi, p. 15): giudizio su cui il Salfi ironizzava in una lettera
a Giuseppe Poggi, ritrovata e citata dal Nardi (cfr. La vita e le opere di
F. S. Salfi, cit., pp. 243-4).
REVUE ENCYCLOPEDIQUE
toutes, nous nous bornerons a Fexamen de quelques-unes qui se
rapportent plus specialement a Fimportance generate de F ouvrage
et au merite particulier de sa construction.
L'auteur, en nous presentant son roman, s'efforce d'abord de
nous persuader qu'il ne presente qu'une histoire. II debute par
un fragment du manuscrit de Ripamonti, et fait ainsi mieux
sentir la necessite d'en reformer le style, afm d'en rendre la lecture
supportable a ses contemporains. II n'hesite pas a dire que, le
style excepte, tout le reste n'appartient qu'a son historien; et
c'est pour cela qu'il a donne a son travail le titre ft Histoire mila-
naise du XVII6 siecle. Nous aurions pardonne a tout autre qu'a
M. Manzoni cette denomination qui ne peut convenir a la nature
de son ouvrage. Et comment, lui qui a manifeste tant de respect
pour Fhistoire,1 ne s'est-il pas apercu qu'il la profanait, en ap-
pelant ainsi son roman ? Mais ne disputons pas sur les mots : est-ce
un roman ou une histoire qu'il a voulu nous donner? ou bien
n'y a-t-il plus de difference entre ces deux genres, qu'on avait
regardes jusqu'ici, a la forme pres, comme £tant d'une nature
tout-a-fait opposee? Lors meme que la partie historique domine
sur la partie romanesque, comment le lecteur pourrait-il dis-
cerner Tune de Fautre, et s'assurer ou Tune finit et ou F autre
commence? N'est-ce pas Fexposer a prendre le vrai pour le faux,
et a considerer Fhistoire comme un roman ? Bien que nous soyons
d'ailleurs convaincus que Fhistoire, en general, tient du roman
plus qu'on ne pense, nous n' aurions jamais imagine que M.
Manzoni, qui Fa signalee cornme la source des verites les plus
importantes, ait pu regarder comme indifferent de donner le nom
d'histoire a son ouvrage.
L' observation que nous venons de faire suppose que Fou-
vrage dont nous parlons, malgre son titre, n'est reellement qu'un
roman. Mais, comme ce genre avait send pendant si long-terns a
corrompre le coeur et Fesprit des lecteurs, M. Manzoni, voulant
lui donner une toute autre destination, y a cherche un moyen
de rendre Fhistoire plus utile et plus agreable. Le roman, dans
son systeme, lui est tout-a-fait subordonn6; c'est elle qui domine
partout; le peu meme que Fauteur a imagine tient tellement du
i . lui . . . histoire : allude, qui e piu avanti, alle idee esposte dal Manzoni
nelle lettere A M. Chauvet e Sul romanticismo, e in genere allo scrupolo
di documentazione storica mostrato nel Carmagnola e
1020 FRANCESCO SAVERIO SALFI
caractere des lieux et des terns aux quels il se rapporte, qu'on
pourrait le regarder comme plus ou moins historique. Jusqu'ici,
ce ne serait que la theorie de sir Walter Scott; mais le romancier
italien, plus severe encore que le romancier ecossais, au lieu de
faire servir Phistoire au roman a consacre et meme sacrifie le roman
a Thistoire. Selon sa methode, M. Manzoni a retrace un tableau
historique de la Lombardie, vers Pepoque de 1630. C'est de la
qu'il croit tirer des Ie9ons tres utiles pour ses compatriotes et ses
contemporains; c'est done de ce genre de faits et d'idees que doit
resulter Pinteret le plus general de son roman.
II nous pr6sente la conduite de ces petits seigneurs qui, mai-
tris6s et avilis par des seigneurs plus puissans, cherchaient a s'en
dedommager sur le peuple qu'ils opprimaient a leur tour. Ren-
fermes dans leurs vieux chateaux, et ne reconnaissant d'autre loi
que la force ou le privilege, ils cornmandaient a une foule d'as-
sassins, leurs satellites favoris, qui se tenaient toujours prets a
satisfaire leurs plaisirs ou leurs vengeances. Nous ne considerons
pas ici les avantages que les beaux-arts peuvent tirer de ces
afHigeans souvenirs. Mais, comme les progres de la philosophic
et de la civilisation ont fait entierement disparaitre, dans PItalie,
cette race d'etres malfaisans, nous pensons que de tels souvenirs
seront plutot curieux et, si Ton veut, agreables qu'utiles a la
g£neration actuelle; car les lecteurs n'ayant plus a corriger de
tels vices ni a craindre de tels dangers, Teffet de ces tableaux ne
peut etre, a cet egard, que tres mediocre et presque nul. Mais
Tauteur fait, avec plus de succes, ressortir de cette sorte d'oppres-
sion qui n'existe plus, un genre de vertus chr6tiennes qui se font
toujours respecter, telles que la charite, la bienfaisance, le pardon
des injures, le repentir des fautes, et principalement la resignation,
etc. II cherche les exemples les plus edifians, surtout parmi les
ecclesiastiques et les religieux; c'est dans cette classe qu'il nous
fait admirer 1'archeveque Borromee, le pere Cristoforo et les
capucins, qui paraissent les heros du roman; partout ailleurs on
ne voit que des bassesses, des vices, des crimes, ou tout au plus
quelques traits d'innocence villageoise et grossiere. Lors meme
que la grace prepare et acheve la conversion de quelque p6cheur,
le principal merite en est du aux hommes d'eglise.
Nous respectons la purete des sentimens de M. Manzoni;
mais nous remarquons qu'en nous donnant, d'un cot6, 1'idee la
REVUE ENCYCLOPEDIQUE IO2I
plus rebutante et malheureusement la plus vraie de cette epo-
que, il semble, de Fautre, vouloir nous insinuer pour ces saints
personnages 1' opinion la plus favorable. Cette intention pieuse
devient d'autant plus frappante que PItalie, depuis quelque terns,
sulvant la tendance du siecle, se montrait degoutee de ces insti
tutions monastiques dont les pratiques aussi austeres que steriles
et plus encore les imperfections, devenues presque generates,
avaient fait oublier leur merite. II a done cherche a reparer le
tort qu'on leur faisait; et certes, sous ce rapport, on ne saurait si
gnaler, depuis bien des annees, un apologiste plus zele et plus
61oquent des institutions monacales que M. Manzoni.
Mais parlons franchement. Est-ce de moines que PItalie a le
plus besoin pour prosperer de nos jours ? Faut-il la faire soupirer
apres ces bons capucins du XVIIe siecle pour satisfaire aux be
soms du XIXe ? Voulant nous donner une idee de cette malheureuse
epoque de PItalie, n'aurait-il pas du plutot y chercher des cir-
constances historiques, non moins dignes d'attention et bien plus
appropriees a P£tat actuel de ses habitans? Nous pensons, au
contraire, que Phistoire de ce terns aurait pu lui fournir des evene-
mens, des personnages, des caract&res d'un plus grand int£ret,
et dont on aurait tire des Ie9ons encore plus instructives. Quand,
dans son roman, ces brigands hideux viennent si souvent me
fatiguer, et qu'il ne m'offre d'autre antidote pour en temperer
Timpression fslcheuse que ces capucins qui en sont le contraste,
je ne puis m'emp§cher de me dire: pourquoi un ecrivain si ha
bile qui a su tant profiter d'un sujet, sous quelques rapports, si
peu favorable et si mesquin, n'a-t-il pas porte son attention sur
Tinterdit de Venise?1 N'y aurait-il point trouv6 des brigands, des
moines, des personnages de tout rang, et tous d'une plus haute
importance, tels que fra Paolo et fra Fulgenzio, le senateur Mo-
lino et le patricien Sagredo,2 meme les j^suites et les capucins?
II y aurait aussi rencontre ce respectable Galilee que la plupart
i. V inter dit de Venise: 1' inter detto scagliato da Paolo V nel 1606 contro
Venezia, che si era rifiutata di consegnare al tribunale ecclesiastico due
preti colpevoli di delitti comuni. A questa lotta fra Venezia e il papa il
Salfi da particolare rilievo neWHistoire litter air e d' Italic (cfr. xi, pp. 28-31).
'Z.Paolo Sarpi; Fulgenzio Micanzio (1570-1664), scolaro e collaboratore
del Sarpi; Domenico Molino (1573-1635), che avrebbe aiutato il Sarpi
in alcuni suoi studi; Gianfrancesco Sagredo (1571-1620), scolaro ed amico
di Galileo.
1022 FRANCESCO SAVERIO SALFI
des moines de ce terns, particulierement les j6suites, persecutaient
et proscrivaient, parce qu'il leur avait demontre les plus grands
phenomenes de Funivers. La peste avait encore envahi la Toscane;
et le grand-due Ferdinand II, sans etre eveque, faisait a Florence
ce que Farcheveque Borromee faisait a Milan. On aurait meme
trouve, dans le royaume de Naples, ce pere dominicain, Thomas
Campanella, qui avait ose etablir une r6publique au milieu des
montagnes de la Calabre.1 II etait aussi entoure et suivi de barons,
d'eveques, de moines et de bandits. Quel parti le genie de M.
Manzoni n'aurait-il point tire de F aspect romantique de cette
partie de la peninsule, ainsi que des caracteres, des opinions et
des moeurs de ses habitans ? II me semble, ou je me trompe fort,
que de tels ev6nemens auraient presente plus de singularity et
plus d'importance.
Mais puisqu'on aime a retracer les circonstances historiques de
certains siecles, que chaque romancier emprunte de Fhistoire le
sujet qui lui plait le mieux, nous respectons sa liberte. Nous
pretendons seulement que, des qu'il a choisi un sujet et le genre
sous les formes duquel il veut le pr6senter, il ne peut plus se
dispenser de suivre les lois que lui impose la nature du sujet et
du genre qu'il a choisis.
Nous avons deja remarque que Fhistoire est la base du roman
de M. Manzoni. C'est la, dit-il, qu'il a emprunt6 les caracteres
du pere Cristoforo, de la dame religieuse,2 du grand seigneur
Anonyme et de Farcheveque Borromee, ainsi que la descente des
troupes allemandes, la disette et Femeute populaire de Milan,
et specialement la peste qui ravagea la Lombardie pendant cette
funeste epoque. II a ensuite combine ensemble tous ces evenemens
sans les alterer et sans en changer Fordre. La fable qu'il a imaginee
ne lui sert qu'a faire paraitre ces personnages Fun apres Fautre,
et a decrire ces evenemens tels que Fhistoire nous les avait transmis.
C'est en cela precisement que M. Manzoni differe de Walter Scott.
Celui-ci emprunte a Fhistoire ses materiaux pour composer sa
fable; le romancier italien invente la fable pour la faire servir
uniquement a Fhistoire. On trouve sans doute dans la methode
de ce dernier une nouvelle preuve de son originalit6; nous crai-
i. qui avait ose . . . Calabre: allude alia congiura religiosa e politica contro
il governo spagnolo, che il Campanella capeggi6 in Calabria, e che fu
scoperta nel 1599. 2. la dame religieuse: la monaca di Monza.
REVUE ENCYCLOPEDIQUE
gnons n£anmoins que, tout occupe de 1'interet de 1'histoire, il
n'ait trop neglige celui du roman; car quelque forme que Ton
veuille lui donner, quelque but qu'on se propose d'atteindre, il
ne cessera pas d'etre un ouvrage de Tart, et comme tel il sera
toujours subordonne a des lois qui emanent de sa nature, et qu'on
ne peut negliger impunement.
Ces lois imposent 1'obligation d'employer les moyens les mieux
appropries a 1'objet qu'on a en vue, et les plus efficaces pour
exciter et soutenir 1'interet des lecteurs. De la resulte la necessite
de donner a 1' attention un point central de tendance sur lequel elle
puisse se porter, et un espace, un nombre d'objets a parcourir,
qu'elle puisse embrasser sans effort. Qu'on nous permette de
rappeler ici un principe si necessaire, d'ou dependent presque tous
les elemens des beaux-arts, et que des novateurs inconsideres af-
fectent de meconnaitre. C'est d'apres ce principe qu'on est oblige
d'observer dans toute composition 1'accord, la proportion, la
dependance des parties, 1'ensemble du tout, enfin ce qui con-
stitue son essence; car, en s'ecartant de ces lois, au lieu de com
poser on ne ferait que decomposer. On a beau alleguer les raisons
les plus specieuses, la variete in6puisable de la nature, le con-
traste saillant de ses phenomenes, 1'importance de tout ce qui
est vrai et reel, ces raisonnemens pourront seduire quelques esprits
superficiels et faire quelques adeptes; mais, dans la pratique, le
lecteur s'ennuiera toujours de cette multitude d'objets heterogenes
qui, au lieu de concentrer 1'attention, la dispersent et la fatiguent.
Tel est, selon nous, le vice dominant de la plupart des productions
romantiques de nos jours. Nous 1'avions deja aper$u dans les
deux tragedies de M. Manzoni, Carmagnole et Adelguis, malgr6
les beautes qu'on y trouve;1 mais il nous blesse plus encore
dans son roman. Nous indiquerons quelques-unes des incohe
rences qui nous paraissent les plus frappantes.
Des que Renzo et Lucia ont echapp6 aux poursuites de don Ro-
drigo, ils se separent. Le premier arrive a Milan, et, comme s'il n'y
etait venu que pour figurer parmi les revokes, il s'associe a leurs
i Nous Vavions . . . trouve: nella sua recensione al Carmagnola (pubblicata
nella « Revue encyclop^dique », vi, 1820, pp. 344-So) il Salfi, pur lodando
il Manzoni per la sua « morale patriotique et pure» e per aver trasportato
«sur la scene les fastes de 1* Italic)), lo aveva cortesemente nchiamato ad
una piu stretta osservanza deUe regole tradizionali del teatro classico.
1024 FRANCESCO SAVERIO SALFI
actes. Fatigue, il entre dans une auberge ; la il s'enivre, et ses propos
imprudens le signalent aux agens de la police. Saisi par des sbires,
il reussit a s'echapper de leurs mains, et a trouver un asyle dans la
province de Bergame. L'auteur emploie une grande partie d'un
volume pour retracer les menaces, les precedes et les discours
d'une populace effrenee. II nous occupe de personnages si vul-
gaires qu'il n'est pas possible de les tolerer long-terns. Lors meme
ques ses longues digressions pourraient nous attacher par un me--
rite d'un autre genre dont elles ne sont point depourvues, elles
auraient toujours Finconvenient de nous ecarter de Fobjet prin
cipal, et de lasser la patience du lecteur.
On peut f aire la meme remarque sur ce qui concerne la dame reli-
gieuse que Lucia rencontre, pour son malheur, dans la ville de Mon-
za. L'histoire de ce nouveau personnage est si etendue, si complete,
si interessante, qu'elle se trouve comme isolee et ne peut appartenir
a T ensemble de Fouvrage. Lors meme que Fauteur aurait reussi
a rendre ce personnage plus utile au developpement de Faction
generale, Fimportance du recit episodique qu'il introduit dans le
roman aurait toujours pour effet d'eclipser les autres incidens.
Nous laissons au gout des lecteurs a decider si F episode du sei
gneur Anonyme, plus frappant encore par sa singularit6, ne merite
pas la meme critique. Mais comment excuser le passage des troupes
allemandes, aussi inutiles au roman qu' elles etaient necessaires
pour la prise de Mantoue? Nous sentons que cet 6pisode amene
un tableau tres remarquable des ravages causes par les troupes
etrangeres qui traversent la malheureuse Italic; et pour Faction
du roman il contribue a motiver Fintroduction de la peste dans
la Lombardie: ce qui ne nous parait pas le justifier suffisamment.
Que dirons-nous maintenant de la description de la peste
qui forme la partie principale et la plus detaillee du roman?
C'est au milieu de cet affreux spectacle que reparaissent enfin
Farcheveque Borromee, le pere Cristoforo, Renzo, Lucia, don Ro-
drigo. Quelque parti que Fauteur ait su tirer de cet evenement
historique, la description en est trop minutieuse et trop monotone.
Qu'on dise tant qu'on voudra que ce recit est historique, qu'il
est vrai, naturel . . . En le considerant sous le rapport de Fart,
nous soutiendrons qu'on ne pourra se plaire a la longue a ce
genre de spectacle. II peut bien etre le sujet d'une meditation,
mais non celui d'un roman.
REVUE ENCYCLOPEDIQUE 1025
Ce qui rend cette histoire plus repoussante encore, c'est Pin-
tervention des fossoyeurs que Fauteur fait agir et parler trop
longuement. Shakespeare s'etait permis de nous presenter pour
quelques instants ces dignes personnages s'entretenant entre eux.
D'apres son exemple, M. Manzoni est alle bien avant: il nous
apprend leurs occupations, leurs friponneries, leurs bassesses. Ces
details, quelles que soient les beautes qui s'y melent, sont trop
hideux. Sans doute une de ces beautes est la scene ou Ton voit
une mere deso!6e, qui, apres avoir livre le corps d'une de ses
filles aux fossoyeurs, va soigner Pautre et mourir avec elle pour
etre ensevelies ensemble.1 Cette scene, vraiment touchante, et qui
prouve ce que peut Fauteur, lorsque Tart avoue ses inspirations,
nous fait eprouver davantage Phorreur de ce qui la precede et de
ce qui la suit.
On pourrait regarder les digressions, les hors d'oeuvre nom-
breux qui deparent F ensemble de Fouvrage, comme autant d'e-
preuves qu'il faut subir pour rejoindre Fobjet principal. Enfin,
on arrive tout fatigue a la reunion tant d6siree de Renzo et de
Lucia; on assiste a la benediction de leur mariage pour lequel
la Providence a deroule de si grands evenemens. Mais on est desa-
greablement surpris, lorsqu'il faut suivre encore les deux jeunes
maries, qui, mecontens de F aspect terrible et des tristes souvenirs
de leurs pays natal, cherchent tantot dans un village, tantot dans
Fautre, un sejour plus convenable pour jouir de leur amour et de
leur union. N'est-ce pas une nouvelle digression d' autant plus
choquante que tout Finteret du roman n'existe plus, et qu'elle
n'en a guere par elle-meme ?
Qu'il nous soit encore permis d'observer que cette sorte d'in-
coherence qu'on aper9oit dans les parties principales de ce roman,
devient plus sensible par le peu de proportion qu'ont entre eux
la plupart des personnages et des 6venemens. Nous ne voulons
pas neanmoins nous en laisser imposer par ces regies pedantesques
de proportion et de symetrie qui ont domine si long- terns, et
dont le resultat etait souvent une monotonie fatigante; mais un
tableau qui nous repr6sente si pres les uns des autres des objets,
des personnages, des caracteres si differens par leur rang, leur
importance et leur conduite, ne saurait nous plaire, surtout lorsque
i. la scene . . . ensemble: 1' episodic della madre di Cecilia, nel cap. xxxrv
del romanzo.
6s
1026 FRANCESCO SAVERIO SALFI
Tart n'a rien 6pargn6 pour que chacun d'eux nous interesse £gale-
ment. II faut leur donner cette espece d'harmonie qu'on cherche
dans 1' assortment des couleurs et des sons. Rapprochez 1'archeve-
que Borrom.ee, le seigneur Anonyrne, la dame religieuse, le pere Cri-
stoforo de Renzo, de don Abbondio, de Lucia, de Perpetua, sa
servante, des fossoyeurs, des assassins, leur ensemble presente
je ne sais quoi de choquant. En voyant ces grands personnages
au milieu de ces etres si vulgaires et si bas, et qui aspirent a
jouer un role aussi important, ne semblerait-il pas voir autant
de geans au milieu de nains ? Les dissonances dont on a quelque-
fois profite pour faire mieux sentir les charmes de 1'harmonie ne
sont que des traits passagers qui disparaissent aussitot qu'ils ont
servi a relever P impression dominante qu'on voulait produire.
Mais, qu'arriverait-il si une piece de symphonic n'etait composee
que de dissonances?
D'apres ces observations, il nous semble qu'il faut regarder le
roman de M. Manzoni comme une suite de petits romans, dont
chacun est d'autant plus detache de 1'autre qu'il est parfait dans
son genre. On dira que c'etait 1'intention de Tauteur, et nous dirons
aussi qu'il aurait eu un plus grand succes s'il avait suivi une
methode plus reguliere. Ne lit- on pas avec plaisir les contes de
Boccace et de La Fontaine, ceux meme du pere Bandello, quoique
Tun de leurs contes ne depende jamais de Tautre, et qu'ils soient
d'un genre different? On parcourt de meme une simple chronique
ou les evenemens se trouvent ordinairement lies par des noeuds
peu apparens. Enfln, toute sorte de recueils peut nous interesser;
mais dans un long roman, dans une composition ing6nieuse,
dans un ouvrage quelconque de 1'art, nous cherchons un autre
interet que celui du melange des contes et de Thistoire: c'est ce
que nous attendions et attendrons toujours du talent de M.
Manzoni; car, tant qu'on ne changera pas la nature des hommes
et des choses qui a attache le plaisir plutot a certains objets et a
certaines combinaisons qu'a d'autres, nous nous attacherons tou
jours de preference a ces objets et a ces combinaisons.
Mais M. Manzoni parait si preoccupe des avantages de sa
theorie, qu'il semble avoir pris a tache de se livrer a des digressions
encore plus etranges, que Ton pourrait appeler didactiques et
savantes. Tel personnage parait a peine, que Tauteur ne perd pas
F occasion d'en inserer la biographie dans son roman. II entre
REVUE ENCYCLOPEIDIQUE I02J
souvent dans des discussions critiques qui ne sont nl n6cessaires
ni utiles. A peine le roman est-il commence, qu'il s'arrete pour
prouver, par de longs documens historiques, P existence de ces
braves qui, sous divers noms, comme de bulli dans Brescia, de
bandits dans les etats de 1'figlise et de Naples, etc., etaient aussi
generalement cormus dans PItalie que les moines. Meme di
gression sur les mesures employ6es pour arreter la disette, sur
les recherches des causes de Pinvasion de la peste, etc. Si Ton
ne savait d'ailleurs que le livre a 6t6 imprime sous les yeux de
Fauteur, ne soup£onnerait-on pas que ces commentaires, bien
qu'instructifs, ont ete glisses dans le texte par Fimperitie et la
negligence de Fediteur?
On pourrait trouver aussi ce caractere d'incoh.6rence dans plu-
sieurs details, dans quelques dialogues, dans quelques descriptions
et dans le style lui-meme. L'auteur, en general, peche par re-
dondance, ce qui P expose a une sorte de superflu qui est aussi
une digression a nos yeux. Lors meme qu'on souffre ce long
interrogatoire ou Farcheveque Borrom6e demande compte au cure
don Abbondio de Fexercice de son ministere, qui pourrait enten
dre sans etre fatigue ces longs et frequens entretiens de gens
incultes et grossiers? Ce n'est pas la le verbiage qu'on reproche
a la plupart des auteurs italiens; le style de M. Manzoni n'est
jamais vide: il est approprie aux personnes et aux circonstances ;
il dit toujours quelque chose; mais son esprit est si fecond qu'il
se laisse aller sans effort, et donne d'autant plus dans ce genre
d'abondance qu'il a adopte le style descriptif, ce style meme qui
exposa a un pareil danger Ovide parmi les anciens, Marini, le
pere Ceva1 et d'autres italiens parmi les modernes.
Nous avons franchement expos6 notre maniere de penser sur
le roman de M. Manzoni. Les qualites de cet estimable ecrivain
n'ont pas besoin de ce genre de menagemens qui ne conviennent
qu'a des auteurs mediocres. Nous avons signale surtout une espece
d'imperfections qui semblent appartenir moins a lui qu'au systeme
i. le pere Ceva: al Puer Jesus, alia Philosophia novo-antigua e alle altre
opere latine del padre Tommaso Ceva (1648-1737) il Salfi dedica parec-
chie pagine della sua continuazione dell'Histoire litteraire d'ltatie del
Ginguene (xiv, pp. 206-7 e 257-73), polemizzando a volte con le sue idee,
ma dando nel complesso giudizio positive sulle sue capacita di scrittore.
Piu ancora egli lo rispetta quale critico, come dimostra il giudizio del
Re'sume, riportato anche in questo volume a p. 988.
1028 FRANCESCO SAVERIO SALFI
bizarre qu'il a suivi. Nous rendrons en meme terns homrnage
a ses connaissances et a ses talens. Nous avons apprecie la con
ception de ces beaux caracteres, ces situations pathetiques, spe-
cialement lorsque Tauteur ne se fait point de scrupule de s'aban-
donner a toute 1'energie de la passion, ces traits saillans, ces
comparaisons neuves, surtout lorsqu'elles ne sont pas trop inge-
nieuses ni trop recherchees, ces monologues sombres et pro-
fonds, ces tableaux si pleins de mouvement et de vie. Aucune
de ces beautes ne nous est echappee; mais ces beautes memes
nous font regretter que M. Manzoni n'ait pas suivi un systeme
plus severe et plus regulier que Pexperience et la raison ont con-
sacre, malgre les efforts qu'on fait pour le rejeter. Qu'il meprise
quelques pretentions de rhetoriciens routiniers, nous serons d'accord
avec lui ; mais qu'il ne se laisse pas aller non plus jusqu'a Texces
contraire, malgre les eloges de ceux qui celebrent plutot leur secte
que ses talens. Voila du moins notre opinion; telle qu'elle est,
elle ne diminuera jamais Testime que ses qualites intellectuelles
et morales nous ont depuis long- terns inspiree.
FRANCESCO MILIZIA
NOTA INTRODUTTIVA
Nato nel 1725 ad Oria, «piccola citta di terra d'0tranto» - come
egli stesso racconta in alcune Notizie sulla propria vita, pubblicate
postume -, discendente «unico della piu nobile e ricca famiglia
di quella bicocca», Francesco Milizia manifesto fin dalla prima gio-
vinezza una indole risentita e indipendente. Inviato a nove anni
presso uno zio medico stabilito a Padova, dopo aver studiato qui
«assai male le belle lettere», a sedici anni, irritato dai rimproveri
dello zio e spinto dal suo temperamento awenturoso, fuggi di casa
e prese a girovagare per T Italia settentrionale, sostando per qual-
che tempo a Bobbio, a Pavia e a Milano. Dal padre, venuto a ri-
prenderlo, ottenne di fermarsi a Napoli, dove pote studiare «un
poco di logica e metafisica sotto il celebre abate Genovesi e la
fisica e la geometria sotto il p. Orlandi», e dove ebbe a condi-
scepolo, fra gli altri, Ferdinando Galiani e strinse amicizia col
fratello di lui, Bernardo. Ma anche da Napoli voile andarsene «per
voglia di vedere il mondo e in particolare la Francia»; non giunse
per6 che a Livorno, dove fu costretto ad arrestarsi per mancaixza di
danaro. Ripatriato ad Oria, si ritiro dapprima in una casa di cam-
pagna «per studiare le scienze»; poi, sposatosi, si trasferi a Galli-
poli «con qualche applicazione ai libri, ma piu all'allegria»; finche,
strappato al padre « un piu comodo assegnamento », pass6 a Roma,
e qui si stabili definitivamente nel 1761 per rimanervi, salvo qual
che gita a Napoli per affari o per diporto, fino alia morte, awe-
nuta nel marzo del 1798. La sua posizione nelPambiente poli
tico e religioso di Roma e documentata abbastanza chiaramente
dalle sue lettere airarchitetto Tommaso Temanza e soprattut-
to al conte Francesco di Sangiovanni, al quale egli apriva piu vo-
lentieri il suo intimo pensiero. Colpiscono in queste lettere Pa-
sprezza e la ferocia addirittura dei suoi giudizi non solo sui gesuiti,
dei quali egli si augura e poi saluta con gioia la soppressione, ma
anche su papi e cardinal! e in genere su quasi tutti i principal!
personaggi della vita romana contemporanea; nella quale - egli
scriveva per esempio al di Sangiovanni - «regna universalmente
il nulla : nulla per6 gravido di gran conseguenze, le quali se non sa-
ranno strepitose, saranno infallibilmente fatali a questo paese che
se ne va precipitosamente alPingiu». Ma per quanto sprezzanti e
1032 FRANCESCO MILIZIA
pessimistic! possano apparire tali giudizi, non direi che essi ri-
flettano veramente, come qualche studioso ha pensato, «una an-
siosa aspettazione giacobina», una « inquietudine non preroman-
tica, ma rivoluzionaria», quanto piuttosto da un lato lo sdegno di
un ((franco divolgatore della filosofia del secolo XVIII » (Ugoni),
esasperato dallo spettacolo di corruzione e di oscurantismo offerto
dalla Roma contemporanea, e dalPaltro Festro di un polemista di
razza, in fondo non dispiaciuto di tante occasioni offerte alia sua
caustica ferocia. « Desidererei ...» egli scrive per esempio al di
Sangiovanni «che Roma fosse fertile di awenimenti strepitosi,
come lo e di coroncine e di medaglie, per cosi avere il piacere
di trattenermi secolei con la immaginativa qualche ora d'ogni set-
timana». Non risulta in ogni modo che, per quanto non nasconda
le sue simpatie verso Fantica liberta repubblicana, egli sia stato
dawero in relazione con i futuri giacobini romani: tali non erano
certamente ne monsignor Bottari, malgrado le sue tenderize gian-
senistiche, ne il d'Azara, ministro del re di Spagna a Roma, ne
il Mengs, ne il Bianconi, le persone cioe che, attraverso le lettere,
vediamo a lui legate da piu cordiali rapporti di amicizia. Anche
alia presenza del suo nome in una lista - compilata probabilmente
da Ennio Quirino Visconti e consegnata a Giuseppe Bonaparte -
di « patriotti » romani favorevoli ai Francesi, non e forse il caso di
attribuire eccessiva importanza. Quale che fosse il suo atteggia-
mento prima della venuta dei Francesi, e certo che il Milizia non
appro v6 i successivi awenimenti e non prese parte attiva al
ia instaurazione della Repubblica Romana; lo testimonia una let-
tera, citata dalla Fontanesi, a Lorenzo Lami Adami in data 2
marzo 1798, in cui, mescolando sarcasmo e aperta deplorazione,
scrive: «La metamorfosi di Roma e seguita con tutta tranquil-
lita . . .; qualche centinaio di morti e feriti: un altro centinaio ar-
restato dal popolo barbaro, e fucilati alia piazza del Popolo ven-
tidue . . . Roma e tranquilla, e la Repubblica Romana fra i suoi
municipalisti conta ora F ex-abate Casaro e Fesemplare Solari. Non
gia Milizia. Egli si gode beato del suo niente, e vive col divino
Platone, perche si piange di qua e si ride di la».
La natura ancora essenzialmente illuministica della mentalita del
Milizia si manifesta comunque in modo diretto ed esplicito nelle
sue opere. Pu6 essere indicativa in tal senso anche la sua passione
per le scienze naturali ed esatte, documentata dagli studi giovanili
JM01A IJNTRODIU 1JLVA JLUJ^
di cui si e fatto cenno, ma anche e soprattutto da un gnippo di
lavori compiuti in eta matura: lavori di medicina (il trattatello, in
parte tradotto dalla « Encyclopedic », Del salasso, Roma, Casaletti,
1770 ; e un ampio Dizionario di medicina domestica, rimasto inedito) ;
di matematica (Elementi di matematiche pure, Roma, Casaletti,
1771); di astronomia (La storia deW astronomia di M. Bailly, ridotta
in compendia, Bassano, Remondini, 1791); una traduzione della
Introduzione alia storia e alia geografia fisica di Spagna di Gu-
glielmo Bowles (Parma, Stamperia Reale, 1783); e infine un opu-
scolo sulla Economia pubUica (Roma, Petitti, anno vi della Liberta,
I della Romana [1798]), condotto secondo i principii della scuola
fisiocratica. Ma, quel die piu importa, al pensiero e al gusto del-
1'Illuminismo si ispira, almeno nei suoi aspetti centrali, quelTat-
tivita di teorico, di critico e di storiografo delle arti figurative,
alia quale si dedico con maggiore impegno, e che qui soprattutto
ci interessa.
Gli stretti rapporti del Milizia con 1'estetica e con la critica
illuministica sono stati gia accennati dal Ragghianti e dalla Ga-
brielli, ma non sara inutile soffermarsi a dimostrarli in modo piu
puntuale. Punto di partenza per il Milizia, come per la maggior
parte dei critici illuministi, e il concetto che le arti, e in particolare
le arti figurative, debbano essere guidate dai principii e dalle regole
di una «sana filosofia»: «£ il filosofo (nome sempre odioso) che
porta la face della ragione nell'oscurita de' principii e delle re
gole; a lui appartiene la legislazione ; Tesecuzione e dell'artista.
Meschino artista, se non e filosofo: e piu meschino se, non essen-
dolo, non vuole dal filosofo lasciarsi ne pur guidare» (Principii di
architettura civile, I, pp. 377-8). Questa impostazione preliminare,
tipicamente razionalistica, si colora spesso di forti tinte empiristi-
che, sia nelle pagine teoriche dei Principii) in cui ad esempio si af-
ferma, riecheggiando una famosa massima dello Hume, che «il
Bello non e una qualita delle cose», ma «esiste meramente nel-
rintelletto di chi le contempla» (i, p. 354); sia soprattutto nel-
Foperetta DelVarte di vedere nelle belle arti del disegno secondo iprinci-
pii di Suher e di Mengs, dove, a parte il titolo stesso (probabilmente
esemplato su una frase del Reynolds), sono frequenti dichiarazioni
che insistono sulHdea che «bisogna . . . per acquistar gusto aver
veduto iriolto e comparato molto» (p. 53). In ogni caso, dedotti che
siano dalla ragione o dall'esperienza, esistono, secondo il Milizia,
1034 FRANCESCO MILIZIA
alcuni principii validi per Farte di ogni tempo e luogo: e questi
principii sono, come egli ripete spessissimo, la simmetria, che e «un
piacevole rapporto fra le parti e il tutto», Yeuritmia, che nasce
dalla combinazione della varieta con Funita, e infine la convenienza
o decoro, che risulta da « un giusto uso della simmetria e della eurit-
mia» in relazione con il contenuto e il fine dell' opera. Compito
delFartista sara quindi applicare questi canoni quando «imita)> la
natura, trascegliendone e combinandone insieme le parti piu belle
fino ad ottenere quel (ctutto perfetto» che e il «Bello ideale». La
presenza in se stessa di queste formule non basta tuttavia a ca-
ratterizzare la posizione del Milizia: esse infatti assumono (come
non sempre e stato awertito) diverso contenuto nei diversi critici
ed estetici del Seicento e del Settecento ; e se in alcuni di essi, dal
Bellori al Crousaz all' Andre al Batteux, si riferiscono alFideale
di un classicismo ragionevole e decoroso, in altri, a cominciare
dal Winckelmann, si vengono riempiendo di un nuovo spirito,
tra misticamente platonizzante e sottilmente sensuale, del va-
gheggiamento irrazionale di un mondo remoto e incomparabil-
mente sereno, che si identifica poi con Farte greca. Orbene nel-
le opere del Milizia, che fra Faltro ebbe familiarita col Mengs
e aiuto il d'Azara a curarne Fedizione postuma delle opere, ap-
paiono in efFetto, ed e giusto metterli in evidenza, non pochi at-
teggiamenti e giudizi particolari caratteristici del neoclassicismo
winckelmanniano : Finsistenza frequente sui temi della «sempli-
cita» e della «calma grandezza», sul rapporto fra arte e liberta
politica ; la dichiarata preferenza per Farte greca ; 1'antipatia, oltre che
per i barocchi, anche per Michelangelo ; non poche interpretazioni e
valutazioni di monumenti antichi. Rimane tuttavia in complesso
nel lettore la netta impressione che a comprendere e ad assimilare
profondamente, nella sua eifettiva originalita, il nuovo classicismo
il Milizia non arrivi veramente mai, e che comunque per questa
parte resti piu lontano dal Winckelmann di altri critici figurativi
italiani come FAlgarotti e il Rezzonico. Leggendo i saggi sulla pit-
tura e sulParchitettura del primo ci si pu6 imbattere, per esempio,
in una pagina dove viene nettamente distinto Fufficio del natura-
lista e dello storico, che ritraggono gli oggetti <ccon quei difetti e
con quelle imperfezioni, a cui vanno soggetti i particolari e gFin-
dividui», da quello del «pittore idealista, che e il vero pittore», e
che «imita non ritrae, vale a dire finge con la fantasia e rappre-
NOTA INTRODUTTIVA 1035
senta gli obbietti quali esser dovrebbono con quella perfezione
che conviene all'universale e alParchetipo»; procedimento tanto
piu necessario airarchitettura, la quale «dee levarsi in alto col-
rintelletto e derivare un sistema d'imitazione dalle idee delle cose
piu universal! e piu lontane dalla vista delPuomo)); o in un'altra
pagina, ancora piu notevole, nella quale e espresso il rimpianto
per i vantaggi « che aveano gli antichi pittori sopra quelli del tempo
presente», in quanto avevano a disposizione una storia «feconda
de* piu gloriosi e belli awenimenti)) e una mitologia che aaccre-
sceva il piu delle volte il sublime e il patetico di quelli », e rendeva
ccsensibili e quasi visibili ... da per tutto le loro deita» (Opere,
m, Venezia, Palese, 1791, pp. 143, 25 e 144-5). II Milizia invece,
quando accenna a temi analoghi, sembra inclinare esplicitamente
e quasi polemicamente verso posizioni ora piu realistiche ora piu
razionalistiche. A proposito del «Bello ideale» egli non soltanto
cita piu volte il verso del Pope « Tis Nature all, but Nature metho
dised » (che anche T Algarotti ricorda), ma per esempio sente il biso-
gno di precisare: «[il "Bello ideale"] si suol chiamare anche "imi-
tare la bella natura" ; e questa frase e piu chiara, perche in questa
scelta niente e d'ideale, ma tutto e preso dalla natura, a un di
presso come il fromento e come tanti grani e frutti e fiori ed
erbe, che non si veggono piu naturalmente come ci sono presentati
dalla industria, la quale pero dalla natura li ha ricavati tutti»
(DelVarte di vedere, p. 22); e per quanto riguarda Tarchitettura,
mentre riconosce che ad essa, diversamente dalle altre arti, «man-
ca in verita il modello formato dalla Natura », aggiunge per6, rifa-
cendosi a Vitruvio, che essa «ne ha un altro formato dagli uomini»,
la «rozza capanna» preistorica (Principii di architettura civile, I,
p. 26). E se egli identifica con il Winckelmann, il Mengs e 1'Alga-
rotti la bellezza con 1'arte greca, non perde occasione di polemizzare
contro i pericoli della troppo entusiastica adorazione non solo de-
gli antichi in genere, ma dei Greci stessi: «La grata riverenza,
che si deve alia memoria ed alle cose de' nostri antenati, non deve
trasportarci, e ci trasporta sovente, in un eccesso d'ammirazione
per tuttocio che e antico. Prima di ammirarlo, si esamini, ed esa-
minato bene che sia, si cessera forse di ammirarlo. Se ne dubiti
per tanto, se ne sospetti senza un cieco irragionevole rispetto per
Tantichita, e poi se si ha coraggio, si vada ad incensare Omero,
Platone, Aristofane, Fidia, Virgilio, Vitruvio, Petrarca, Dante, Boc-
1036 FRANCESCO MILIZIA
caccio, Leon Battista Alberti, e tanti altri cadaver! » (Principii di
architettura civile, I, pp. 35-6; e si veda anche DelVarte di vedere,
p. 102). Del resto nei suoi giudizi sui monumenti antichi, piut-
tosto che per la grazia serenamente divina idoleggiata dal Winckel-
mann nelle opere greche, 11 Milizia si mostra veramente commosso
di fronte alia quadrata, robusta ed espressiva maesta delle statue
e degli edifici romani, di fronte alia « testa veramente di carattere »
di Marco Aurelio, e alia «vivezza delljespressione)) del suo cavallo;
alia «forza, ricchezza, intelligenza, grandiosita» del Pantheon; alia
«gran massa imponente» del Colosseo; alia «ruinagrandiosa» delle
Terme di Caracalla; ai «pochi ma enormi massi» che formavano
la struttura degli scomparsi ponti della via Appia. Negli stessi
giudizi sulle statue greche, in cui pure si awertono precisi echi
winckelmanniani, si nota pero non raramente la tendenza ad ac-
centuarne la componente drammatica, il movimento, 1'azione, e
a trascurarne e ad attenuarne invece le possibilita di suggestione
ideale, sovrumana, come si pu6 vedere confrontando, ad esempio>
le pagine del critico tedesco sulYErcole Farnese, snlY Apollo e sul-
YAntinoo di Belvedere, sulla Venere Capitolina con quelle corrispon-
denti del Milizia nelYArte di vedere. E non e forse solo un caso
se proprio egli, che tanto spesso si richiama al Mengs, e magari al
Sulzer, non cita mai, se ho ben visto, il nome del Winckelmann.
In questa sua tendenza verso Tarte « espressiva » e (ccaratteri-
stica» (anche teoricamente affermata, come nelYArte di vedere alia
p. 38, dove si dichiara che «Pespressione e Tarticolo piu importante
delle belle arti») il Milizia giunge talora addirittura ad atteggia-
menti che si potrebbero definire preromantici. Non si dovra forse
attribuire troppa importanza a certe concession! all'irregolarita,
come quando egli raccomanda: «Si abbandoni di quando in quan-
do Peuritmia, e si dia anche nel bizzarro e nel singolare. Si mischi
graziosamente il morbido col duro, il delicato col forte, il nobile
col rustico», aggiungendo per6 subito dopo: «ma non [ci] si al-
lontani mai dal vero e dal naturale » ; o quando si sofferma a descri-
vere la naturalezza, la mescolanza di grazia e di (corrore», di
ameno e di lugubre, dei giardini cinesi e inglesi, precisando per6
che «il disordine che vi regna e 1'efFetto dell'arte la meglio or-
dinata» (Principii di architettura civile, n, pp. 57 e 195); e in so-
stanza non oltrepassando i limiti del concetto algarottiano che
«il maggior pregio della disposizione sta in quel disordine che
NOTA INTRODUTTIVA 1037
mostri essere nato dal caso, ma e in sostanza il phi studiato effetto
deirarte» (Opere, ed. cit., in, p. 166). Piu notevole, invece, relati-
vamente al tempo, 1'ammirazione che egli manifesta, fin dalla prima
edizione delle Vite d£ piii celebri architetti d'ogni nazione e di ogni
tempo (1768), per Tarchitettura gotica: una ammirazione certo non
priva di riserve, e in parte razionalisticamente rivolta alia sempli-
cita e solidita delle strutture, ma in parte dovuta ad una effettiva
sensibilita per il fascino particolare di quelParte : « Si entri in una
chiesa gotica, rimmaginativa rimane subito colpita dalla estensio-
ne, dall'altezza, dall'arditezza della gran navata, libera, senza im-
pacci. Si e forzato a restare per alcuni momenti sorpreso dal tutto
insieme maestoso. Si esamini in dettaglio, e gli assurdi scappano
senza numero. Si rientri nel mezzo della navata, e si rimane di
nuovo incantato per tanta grandiosita » (Prindpii di architettura
civile, n, p. 427).
Dal neoclassicismo winckelmanniano il Milizia rimane tuttavia
distinto, ancor piu che per questi spunti preromantici, per la sua
convinzione, infinite volte replicata, che Parte debba avere un fine
«utile»; debba cioe contribuire al miglioramento morale e civile e al
benessere delPumanita, a quella «pubblica felicita» che a lui, come
alPAlgarotti e a tutti gli altri illuministi, stava soprattutto a cuore.
Questo contribute egli sembra talora, nelYArte di vedere, in-
tendere, alia maniera del Sulzer (e del Bertola), come una con-
seguenza interna del «diletto» artistico che depura e nobilita
la cc sensibilita » («Puomo formato dalle belle arti e d'una sen
sibilita depurata, per cui diviene d'una probita attiva, cioe un
benefattore illuminato », p. 44) ; ma in realta in lui, come general-
mente in tutta Pestetica e la critica illuministica e in particolare
nei saggi citati delFAlgarotti, prevale il concetto che la moralita
delParte consista proprio nella presenza di un vero e proprio « con-
tenuto» morale; e senza cercare altrove, nella stessa opera, qualche
pagina piu avanti, si legge per esempio che i (ccaratteri piu inte-
ressanti sono quelli degli uomini nelle loro azioni morali», e che
la ccscultura, dopo la storia, e il deposito delle virtu e dej vizi», e
quindi (csceglie o deve scegliere soggetti interessanti, e li esprime
bene per riempier un cuor sensibile d'ammirazione per la vera
grandezza, d'amore pel bene, d'abborrimento pel male» (pp. 46-7).
Cosi gli sembra specialmente ammirevole la statua di Marco
Aurelio, in quanto rappresenta «un uomo tutto ardore per Ta-
1038 FRANCESCO MILIZIA
dempimento dej suoi doveri, dei doveri d'un sovrano che ha il
peso gravissimo, il peso immenso di fare la felicita del suo popolo »,
e conclude esclamando : «Ah perche le belle arti non s'impiegano
sempre per soggetti si consolantib; mentre per contro non puo
tenersi dal rimproverare al pur lodatissimo Raffaello la mancanza
di precisi intenti educativi : « Sieno pure bellissime tutte le opere
di Raffaello : che cosa ci dicono di buono ? Niente. Dunque vadano
in uno zibaldone di varie bellezze da poter servire per qualche
buon argomento» (DelVarte di vedere, pp. 16-7 e 85). Ma e so-
prattutto nel campo delFarchitettura, non a caso 1'arte preferita
dal Milizia, che si accentua il suo utilitarismo. L'architettura e
infatti per lui (come per il Blondel e anche per il Sulzer, i cui
scritti, per questa parte rigorosamente illuministici, egli poteva
leggere tradotti nell' Encyclopedia), tra tutte le arti, (da piu interes-
sante per la conservazione, per la comodita e per le delizie e per
la grandezza del genere umano», poiche, egli specifica, essa e
« i. Come la base e la regolatrice di tutte le altre arti. 2. Ella for
ma il legame della societa civile. 3. Produce ed aumenta il com-
mercio. 4. Impiega le pubbliche e le private ricchezze in bene-
ficio e in decoro dello stato, de' proprietari e de' posteri. 5. Di-
fende la vita, i beni, la liberta de' cittadini» (Principii di architet-
tura civile, i, p. vn). E se egli si distingue dai piu radicali funzio-
nalisti, come il Lodoli, in quanto, seguendo TAlgarotti e attraverso
quella che il Ragghianti ha chiamato la «metafisica del legno»,
reintroduce Fesigenza di <c abbellire » ; tende pero a subordinare,
anche piu nettamente delF Algarotti, il criterio della bellezza a quel-
lo delFutilita o comodita: « Questa seconda parte dell'architettura
civile» precisa all'inizio del secondo volume dei Principii di archi-
tettura civile, dedicate appunto alia comodita, « e della piu grande
estensione, poiche abbraccia ogni sorte di edificio; e di tanta im-
portanza, quanto e la comodita del genere umano, per cui si co-
struiscono le fabbriche; e ben lungi di opporsi alia loro bellezza,
la fa maggiormente spiccare; anzi ne costituisce la base. L- co
modita di un edificio e come la bonta morale di un uomo, la quale
forma il massiccio, e da risalto alia sua bellezza e ad ogni suo
ornamento esteriore. La comodita e la regolatrice della simme-
tria, o sia delle proporzioni, che danno tanto diletto allo sguardo.
Qui e dove Tarchitetto pu6 manifestare un ingegno creatore con
combinazioni sempre nuove e sempre ugualmente giuste, e pu6
NOTA INTRODUTTIVA 1039
renders! benemerito della umanita» (pp. 9-10). E in coerenza con
queste convinzioni, dedica, nel terzo volume dei Principii> un in-
tero capitolo a tracciare «un sensato sistema di educazione pub-
blica» per gli architetti, sottolineando come tale educazione possa
realizzarsi solo nel quadro di una buona « legislazione » generate,
a sua volta fondata sulla «sana filosofia)).
Come e caratteristico della mentalita illuministica questo uti-
litarismo civile, cosi rientrano pienamente in quella mentalita,
senza diventare sintomi di una inquietudine rivoluzionaria, sia il
tono polemico, sia lo stile brusco, realistico e bizzarro con cui il
Milizia sostiene le sue idee estetiche ed espone i suoi giudizi. Tutti
sanno ormai che proprio Fintonazione polemica e uno degli aspetti
fondamentali che distinguono la critica illuministica da quella ar-
cadica, e che tale intonazione si ritrova, naturalmente con accenti
e forme diverse, tanto nelle pagine di un Bettinelli come di un
Baretti, di un Cesarotti come di un Napoli Signorelli; e se in
alcuni giudizi del Milizia si pu6 notare una piu esasperata asprez-
za e una ferocia piu duramente sarcastica, questi atteggiamenti
saranno da attribuire, come nei giudizi di carattere politico, e alia
piu viva reazione che poteva suscitare un ambiente particolar-
mente refrattario come quello romano alle ragioni del «buon
senso » e del « buon gusto », e al temperamento diciamo pure « don-
chisciottesco » dell'uomo, al piacere di pronunciare delle boutades
destinate a sbalordire il lettore: come, per citare qualcuna delle
piu famose, quelle sul Mose («se ne sta a sedere senza mostrar
voglia di niente. La testa, recisole quel barbone ch'e piu barbone
di quello di Rauber, e una testa di satiro con capelli di porco, e
piccola riguardo al tutto. Tutto com'e, e un mastino orribile, vesti-
to come un fornaro, mal situato, ozioso» (DelVarte di vedere, p. 3),
e sulla tribuna del Bernini (a quel delirio di que' quattro mostri
di colonne torse spirali, infrascate di bisbeticherie, che sostengono
un baldacchino per imbarazzare la grandiosa crociera della chie-
sa», Roma, delle belle arti del disegno, edizione 1823, p. 177). Dove
si vede anche come i neologismi e le originalita dello stile del Mili
zia, se appaiono meno letterari'di quelli per esempio del Baretti,
non siano certo meno consapevoli e compiaciuti nella loro spesso
gratuita, per usare una parola cara allo scrittore, «strambalatezza».
In conclusione, pur mettendo nel dovuto rilievo gli aspetti sia
neoclassici che preromantici, direi che il carattere e il merito
1040 FRANCESCO MILIZIA
fondamentale del Milizia vada indicate nell'avere, piu sistematica-
mente e con piu efficace vigore polemico di ogni altro, almeno in
Italia, applicato i principii deirilluminismo nel campo delle arti
figurative. In particolare, dal punto di vista teorico e critico, le
opere in tal senso piu notevoli vanno considerate le Vite de9 piii
celebri architetti d* ogni nazione e d'ogni tempo (pubblicate nel 1768,
e ristampate nel 1781 con molte modifiche e aggiunte e col titolo
Memorie degli architetti antichi e moderni), che sono una serie di
biografie inquadrate in una linea storiografica, ispirata al proposito,
tipicamente illuministico, di «far conoscere Porigine, i progressi e
le vicende» deirarchitettura; e i Principii di architettura civile
(1781), ampio trattato generale di carattere teorico-tecnico, che
costitui per molto tempo un diffuso manuale scolastico. In queste
due opere, e particolarmente nella prima, si possono cogliere anche
le pagine critiche piu acute ed equilibrate del Milizia: un acume
e un equilibrio che si riflettono anche nei giudizi sugli artisti piu
lontani dal gusto dell'autore, come Michelangelo, il Bernini e il
Borromini, caratterizzati, malgrado la valutazione negativa, con
notazioni tuttora valide e stimolanti.
L'opuscolo Dell'arte di vedere nelle belle arti del disegno secondo
i principii di Sulzer e di Mengs (1781) e invece senza dubbio lo
scritto migliore per 1'efficacia polemica (anche se oggi appare esa-
gerata la definizione del Cicognara: ccterribile opuscolo che rove-
scio il sistema di scrivere e di pensare in materie d'arti») e per vi-
vacita letteraria, specie nelle analisi critiche, spesso sbalestrate e in-
giuste, ma sempre gustose o almeno divertenti. E un giudizio non
dissimile si pu6 dare deH'altra operetta Roma, delle belle arti del
disegno (1787), in cui vengono passate in rassegna per ordine cro-
nologico, dalla Cloaca massima alia Sagristia vattcana, cioe «dal-
Tottimo al pessimo », le principali opere architettoniche esistenti
in Roma.
Meno interessanti e originali, anche se utili a confermare I'o-
rientamento illuministico del Milizia, sono infine il trattatello Del
teatro (1771), che almeno per la parte letteraria e musicale e una
dichiarata contaminazione di idee del Muratori, delFAlgarotti, del
Batteux e del d'Alembert; e il Dizionario delle belle arti del disegno
(1797) «estratto in gran parte », come e detto nel sottotitolo, « dalla
Enciclopedia metodicav del Panckouke, anche se spesso rawivato
dai commenti estrosamente polemici dell'autore.
FRANCESCO MILIZIA 1041
Le principal! op ere del Milizia sono state ri cordate nel corso della Nota
introduttiva che precede. Precisiamo qui che la prima edizione del trattato
Del teatro (Roma, Casaletti, 1771) fu imrnediatamente fatta ritirare dalla
censura; 1'autore ripubblico 1'opera, dopo aver mutato o soppresso i
luoghi incriminati, a Venezia, Pasquali, 1773 : edizione riprodotta integral-
mente, col solo rnutamento del titolo in Trattato completo, formale e mate-
riale del teatro, pure a Venezia, Pasquali, 1794. Dell'opera Roma, delle
belle arti del disegno fu pubblicata (a Bassano, Remondini, 1787 ; e ivi ristam-
pata nel 1823) solo la prima parte, relativa all'architettura civile: altre
tre parti riguardanti la scultura e la pittura furono solo progettate ma non
composte dal Milizia, sdegnato che la censura romana avesse proscritto
la prima parte. Notizie bibliografiche sulle Memorie degli architetti an-
tichi e moderni, sui Principii di architettura civile e sull'Arte di vedere nelle
belle arti del disegno si troveranno nei cappelli alle pagine di queste
opere riportate nel presente volume. Dopo la morte dell'autore furono
pubblicate le Notizie di F. Milizia scritte da lui medesimo, Bassano, Re
mondini, 1804, a cura di B. Gamba, che vi aggiunse un utile Catalogo
delle opere dello scrittore; e due raccolte di lettere: Lettere di F. Milizia
a T. Temanza, pubblicate per la prima volta nelle nozze Muzani-Di Caldo-
gno, Venezia, Alvisopoli, 1823; Lettere di F. Milizia al conte F. di San-
giovanni, stampate contemporaneamente a Bruxelles, Tarlier, 1827, e a
Parigi, Renouard, 1827. Sempre dopo la morte dell'autore uscirono una
Scelta di operetta, a cura di B. Gamba, Venezia, Alvisopoli, 1826 (che ri-
produce, oltre le Notizie e il Catalogo delle opere a cura del Gamba,
le vite del Brunelleschi, del Fontana e del Bernini, VArte di vedere senza
le Rifiessioni, i capitoh Del Bello e Del gusto dei Principii, e diciannove
lettere, fra cui una inedita allo Zulian sul monumento di papa Ganganelli
eretto dal Canova); e le Opere complete di F. Milizia risguardanti le belle
arti, Bologna, Stamperia Cardinal! e Frulli, 1826-1828, in nove tomi (il I
contenente VArte di vedere, il Trattato completo, formale e materiale del
teatro e Roma', il n e il in, il Dizionario delle belle arti del disegno', il iv
e il v, le Memorie degli architetti', il vi, vii e vm, i Principii di architettura
civile ; il IX, il Saggio di architettura civile e le lettere) : edizione da adoperare
con cautela poiche di alcune opere sono riprodotte edizioni non definitive
o corrette da altri dopo la morte del Milizia.
Tra gli studi complessivi sul Milizia vanno ricordati L. CICOGNARA,
Memoria intorno alVindole e agli scritti di F. Milizia e progetto di pubblicare
alcune sue prezwse lettere inedite, in « Atti della Societa italiana», il (1808),
pp. 440 sgg. (interpretazione del Milizia in senso neoclassico) ; C. UGONI,
Della letteratura italiana della seconda meta del secolo XVIII, in, Milano,
Bettoni, 1822, pp. 153-74 (saggio assai informato ed equilibrate) ; G. NATALI,
Un enciclopedista classicista, in « Rivista dj Italia », ottobre 1915, poi ristampa-
to col titolo // « Don Chisciotte del Bello ideale », in Idee, costumi, uommi del
Settecento, Torino, S.T.E.N., ig262; e dello stesso II Settecento, cit., I,
pp. 436-8, 481-2, 500-3; G. FONTANESI, F. Milizia scrittore e studioso
66
1042 ' NOTA INTRODUTTIVA
d'arte, Bologna, Stabilimenti poligrafici riuniti, 1932 (monografia di scarso
valore, ma non priva di notizie utili).
In particolare, sulla vita: L. HUETTER, La soppressione della compagnia
del gesuiti nelle letter e romane del Milizia, in «Roma», vi (1928), fasc. n.
Sul Milizia critico d'arte: L. VENTURI, II gusto dei primitivi, Bologna, Za-
nichelli, 1926, pp. 122-4; C. CALCATERRA, // Parnaso in rivolta, Milano,
Mondadori, 1940, pp. 283-96 e passim (sul Milizia teorico del «Bello idea-
lew) ;M. L. GENGARO, Critica d'arte, Brescia, Morcelliana, 1948, pp. 185-7
(sulla modernita del concetto miliziano del «saper vedere»); F. ULIVI,
F. Milizia scrittore, in Galleria di scrittori d'arte, Firenze, Sansoni, 1953,
pp. 207-44 (sottolinea 1'aspetto rivoluzionario, «giacobino», del Milizia);
L. HUETTER, F, Milizia tra puntigli e pettegolezzi, in « Capitoliura », xxi
(1946), pp. 37-41 ; G. L. LUZZATTO, Attualita ed expressions onginale del
Milizia, in « Commentari », luglio-settembre 1956, pp. 169-79. Importanti
per i rapporti con 1'Algarotti e la critica illuministica gli accenni di C. L.
RAGGHIANTI, V ' architettura « in funzione » e F. Algarotti, in Commenti di
critica d'arte, Bari, Laterza, 1946, pp. 284-93; e di A. M. GABRIELLI,
UAlgarotti e la critica d'arte in Italia nel Settecento, in « Critica d'arte»,
III (1938), pp. 155-69, e iv (1939), pp. 24-31. SuileMemorie degli architetti
si veda : L. HUETTER, F. Milizia e le « Vit e degli architetti » (contribute alia
storia della censura pontificia), in «L'Urbe», IV (marzo 1939), pp. 19-32.
Sul Milizia economista: G. CARANO-DONVITO, F. Milizia quale econo-
mista, in Economisti di Puglia, Firenze, La Nuova Italia, 1956, pp. 257-65.
DALLE «MEMORIE DEGLI ARCHITETTI
ANTICHI E MODERNI»
\Giudizio su Michelangelo.]*
!Si e veduto nel Bonarroti un fenomeno singolare; unuomo triple.
La favolosa antichita ha riunito diversi Ercoll per formate un gran-
d'Ercole. Del solo Michelangelo si posson fare tre grandi artisti;
uno scultore, un pittore, un architetto, e ciascun eccellente. Que-
sta triplice eccellenza finora e unica. Lungi pero di profonder a
Michelangelo gli attributi d'impareggiabile, di perfetto, di divino,
come tanti han fatto, si deve riguardare come uomo, cioe soggetto ad
errori. Riguardo alia statuaria ed alia pittura esaminera i suoi pregi
La prima edizione di questa opera fu pubblicata col titolo Vite de' piu ce-
lebri architetti d'ogm nazione e d'ogni tempo, precedute da un Saggio sopra
V architettura, a Roma, nella stamperia di Paolo Giunchi Komarek, 1768,
in volume unico, nel quale, oltre il Saggio sopra V architettura che serve da
introduzione, e aggiunta in fine una Appendice sopra il meccanismo delle volte.
Una traduzione dell' opera usci poco dopo a Parjgi, nel 1771, a cura di
Jean-Claude Pingeron, che vi apport6 anche alcune correzioni e aggiunte.
Di tali correzioni e aggiunte tenne conto il Milizia quando si accinse ad
una nuova edizione della sua opera, che egli chiam6 «terza» (considerando
come una seconda edizione la traduzione francese) e che fu stampata a
Parma, presso la Stamperia Reale, nel 1781, in due volumi, col titolo Me-
morie degli architetti antichi e moderni, titolo consigliato (come 1' autore
stesso afferma nella Prefazione) da un « soggetto ragguardevole in ogni sorta
di letteratura, e particolarmente nelle amenita delle belle arti [probabil-
mente il d'Azara, a cui questa terza edizione e dedicata] il quale ha cre-
duto che quelle Vite non sieno vite, ma piuttosto notizie o memorie». A
parte il cambiamento del titolo, leMemorie rispetto alle Vite presentano altri
mutamenti: il Saggio sopra V architettura e sostituito da una piii sintetica
Prefazione, che e poi un « abbozzo », secondo quanto dice il Milizia stesso,
dei Principii di architettura civile, non ancora pubblicati ma gia compiuti;
V Appendice sopra il meccanismo delle volte e eliminata ; e le vite dei vari ar
chitetti sono aumentate di numero e spesso ampliate e rielaborate. Una
« quarta edizione, accresciuta e corretta dallo stesso autore », apparve infine
a Bassano, presso Remondini, nel 1785, nella quale, rispetto alia terza,
compaiono due nuove vite, di Francesco Maria Preti e di Giovanni Miazzi,
che il Gamba nella sua notizia bibliografica citata afferma composte da altro
autore. Questa quarta edizione fu poi riprodotta, con Taggiunta di nuove
vite, dovute a diversi autori, nei tomi iv e v delle Opere complete. Fuori d'l-
talia Top era fu tradotta, oltre che in francese dal Pingeron, anche in in-
glese dal Cresy (London 1826). I passi qui riportati sono tratti dalla quarta
edizione bassanese, che e 1'ultima approvata dalT autore; ma abbiamo tenute
presenti anche la prima e la terza.
i. Dalle Memorie degli architetti antichi e moderni, ed. cit., I, pp. 220-2.
1044 FRANCESCO MILIZIA
ed i suoi difetti chi trattera di quelle arti. Qui si giudichera soltanto
della sua intelligenza nelTarchitettura.
Nella chiesa di San Pietro si conosce la grandezza architettonica
di Michelangelo. Rigettato con ragione il disegno del Sangallo, egli
ne form6 la pianta in una proporzionatissima e vaga croce greca, ter-
minata circolarmente alle tre estremita, e dalla parte davanti in linea
retta, con ampie ale a fianco alia gran nave. Un solo grandiosissimo
ordine corintio di pilastri per tutto Tinterno e per tutto Pesteriore
decora si gran tempio. L'ordine della facciata doveva essere lo stes-
so, e della medesima altezza che quello di dentro. Questa facciata
veniva ornata di otto pilastroni con tre porte tramezzo, e quattro
gran nicchie. GPinterpilastri delle porte eran piu larghi che quelli
delle nicchie. A ciascun pilastro rispondeva verso la piazza una
colonna; cosicche si veniva a formar un portico con sette interco-
lonni di fronte. Chi sa se quegrintercolonni di varia larghezza
avrebbero prodotto buon effetto? I tre intercolonni di mezzo ve-
nivan ad esser raddoppiati; onde il portico riusciva doppio nel
mezzo, e questo avanti-portico aveva in cima un frontespizio. £
da dubitarsi anche del felice successo di questo avanti-portichetto
sporgente in fuori. La gran cupola veniva ad aver come per basa-
mento tutta la chiesa, su cui essa spiccava tutta mirabilmente, cor-
teggiata dalle altre quattro minori. Tutto questo pensiero e grande,
nobile, maestoso, bello, e fa conoscere il talento sublime del Bo-
narroti; siccome eccita indegnazione in vederlo da altri cosi di-
sgraziatamente deformato.
Veniamo al dettaglio di quel che ha fatto Michelangelo in San
Pietro. Gia si e toccato il difetto delle imposte degli archi eccedenti
in proiezione i pilastri. I risalti nel cornicione, gli ornamenti delle
finestre e delle nicchie e le volte delle nicchie superiori, che son
sopra al collarino de' pilastri, non sono certamente lodevoli. E come
posson soffrirsi que* terribili frontespizi spezzati a que' finestroni
della crociera, mentre ogni frontespizio cola entro e inutile ? L'at-
tico, che circonda esteriormente il tempio, e troppo alto, di cattiva
forma le finestre, e pessimi i loro ornati. fe questo attico un pezzo si
evidentemente sregolato, che gli awocati di Michelangelo negano
esser suo. Nol sia. fi superbo il tamburo della cupola, e buona la
figura di essa cupola, mirabile n'e il meccanismo; ma la lanterna
con quej candelieri non e cosa molto piacevole; e perci6 gli awo
cati, come se fossero attualmente salariati da Michelangelo per
MEMORIE DEGLI ARCHITETTI ANTICHI E MODERNI 1045
difenderlo a dritto ed a rovescio, sostengono die nemmen questo
pezzo sia di suo disegno. II basamento esteriore a questo grand'e-
difizio1 e d'una meravigliosa bellezza; ma que' tanti angoli con
que' pilastri, che scappan fuori Fun sotto Faltro, non sono certa-
mente soffribili.
La chiesa di San Pietro e la sagrestia di San Lorenzo di Firenze
sono state le piu belle opere del Bonarroti; e queste e tutte Faltre di-
mostran in lui un gran genio d'invenzione, gran sagacita nella dispo-
sizione e sommo awedimento nel meccanismo. Ma negli ornati ei
si prese delle gran licenze; usci spesso di sotto alle buone regole,
e mostro un certo che di bizzarro e fiero, ch'e stato il suo predo-
minante carattere nella pittura. Egli diceva che poco o niente s'in-
tendeva d'architettura: poteva esser questa una di quelle solite
espressioni che detta la modestia. £ certo per6 che non fu Farchi-
tettura la sua principal professione : egli merita nondimeno tra gli
architetti un rango distinto; e s'egli avesse penetrato a scoprir
Forigine e Fessenza della architettura, non avrebbe inciampato in
tanti capricci ed errori. Le sue licenze hanno fatto scala al liber-
tinaggio del Borromini e alle scuole moderne. Quel suo famoso
detto, che abisogna aver le seste negli occhi», e stato preso alia
rovescia, e ha fatto molti architetti nemici capitali della fatica.
Non pu6 aver «le seste negli occhi» chi non le ha avute lungo
tempo in mano misurando, confrontando le opere migliori, per
formarsi buon gusto e per produrre cose pregevoli.
[Giudizio sul Palladia, .]*
L'inclinazione del Palladio e stata tutta per le cose antiche. Egli
apprese fin la tattica antica, e Fapprese cosi bene che, trovandosi un
giorno alia presenza d'alcuni gentiluomini pratici delle cose di guer-
ra, fece fare a certi galeotti3 e guastatori tutti que' movimenti ed
esercizi militari che solevan fare gli antichi Romani, senza com-
metter disordine o confusione. Su Fesempio degli antichi edinzi il
Palladio am6 molto di far le sue fabbriche di mattoni, dicendo che
le fabbriche antiche di pietra cotta si veggono piu intiere che quelle
di pietra viva. 6 infatti fuor di dubbio che gli edifizi di mattoni
i. edifizio: la cupola. 2. Dalle Memorie degli architetti antichi e moderni,
ed. cit., n, pp. 45-8. 3. galeotti'. marinai.
1046 FRANCESCO MILIZIA
cotti sono di maggior durata, perche essendo i mattoni molto porosi
si attraggon la calce, si collegan perfettamente fra loro, e forman un
sol masso; laddove gli angusti pori delle pietre vive impediscono
questa unione. Sono in. oltre i mattoni piu leggieri, ne soggetti ad
esser calcinati negli incendi.
Per quel che riguarda la comodita delle fabbriche palladiane un
bello spirito ha detto che il piu bello abitare e in una casa francese
situata incontro ad una del Palladio. Con ragione: non gia che il
Palladio avesse disposti i comodi interiori senza discernimento ;
egli anzi vi us6 molta awedutezza, ma dovette, come tutti i piu
celebri architetti, disporre le cose secondo i costumi e le maniere
del suo tempo. L'architettura in quel che riguarda la comodita
varia secondo la varia maniera di vivere. Egli distribui i comodi
secondo il gusto del suo tempo : non poteva certamente indovinare
il gusto de' suoi poster!; e se ne fosse stato indovino, avrebbe
disgustato i suoi contemporanei.
£ rispetto la bellezza delFarchitettura che il Palladio merita d'es-
ser attentamente riguardato. Avendo egli sempre avanti gli occhi la
nobile maniera degli antichi, si form6 un carattere semplice e mae
stoso. Egli non affett6 mai ne1 piedistalli gli sfondati1 o rilievi: di
rado tagli6 gli architravi, e fece ricorrere i sopraornati2 dritti e senza
risalti : le porte, le finestre, le nicchie semplici, ed i frontespizi giam-
mai rotti. Conserve agli ordini i loro precisi caratteri: non caric6
soverchiamente di membra le cornici, ne sbiec6 senza ragione di
meccanismo le cantonate.3 Grand' accuratezza nelle sagome de'
corniciami.4 Vari6 le modulazioni5 degli ordini conforme i vari
generi degli edifizi e vari6 anche le interne proporzioni delle stanze,
delle sale, de' tempii, facendo uso delle medie proporzionali aritme-
tica, geometrica ed armonica. Nella tanta varieta delle proporzioni
che si trovan nelle reliquie degli antichi edifizi, egli seppe trasce-
glier Tottime. I suoi profili sono contraposti e facili: ogni cosa
nelle sue fabbriche e legata, e vi si trova il grandioso, F elegante, il
serio. Fece uso di tutti cinque gli ordini6 secondo le occorrenze;
i. sfondati: vani, incavi. 2. sopraornati'. le parti superior! degli ordini
architettonici, composte dall' architrave, dal fregio e dalla cornice. 3. can
tonate : gli angoli esterni degli edifici. 4. corniciami'. cornici di ogni ge-
nere. 5. modulazioni: i moduli, che servono di base per la struttura dei vari
ordini architettonici. 6. tutti cinque gli ordini: cioe il dorico, lo ionico, il
corinzio, il composito e il toscano.
MEMORIE DEGLI ARCHITETTI ANTICHI E MODERNI 1047
ma del ionico pare che fosse piu vago, e fedele seguace di Vitruvio1
vi uso sempre il capitello a due facce. Al capitello corintio egli
ristrinse le foglie verso il tamburo ; il che fa comparir questo suo
capitello un po' pesante. Alle finestre del primo piano in luogo di
frontespizi pose talvolta tre mani di pietre quadrilunghe,3 che van-
no via via diminuendo verso la cima; il che fa un beireffetto.
Tutte le cupole ch'ei fece, sono emisferiche.
Nelle sue fabbriche si veggono molte scorrezioni. Tutte quelle
che son contrarie ai principii di Palladio stesso, e manifesto che
sono nate dall'esecuzione; poichd ad alcune egli non pote assistere,
ed altre furon compite dopo la sua morte. Vi sono altri piccoli errori,
de' quali non si deve tener conto.
Non ego paucis
offendar maculis quas out incuria fudit
aut humana parum cavit natural
Ma vi son de' difetti d'un altro genere. Non si dipingono gli uo-
mini quando si dipingono senza difetti: togliere al vero merito
alcune macchie leggiere e un fargli torto. In Palladio si e ammirato
quasi sempre Puomo illustre; ma qualche volta anche Tuomo.4
Egli non giunse a veder chiara Forigine della sua professione:
ebbe qualche barlume della essenza del bello architettonico, co-
nobbe alcuni abusi, ma non pervenne a trarne tutte le giuste con-
seguenze da profugare ogni abuso. Egli studi6 piu ad imitar 1'an-
tico che ad esaminare se Tantico era esente da' vizi. Se egli avesse
ben filosofato, non avrebbe fatto uso (almen si frequente) di pie-
destalli sotto le colonne; non avrebbe posto colonne di diversa al-
tezza sopra uno stesso piano ; avrebbe risparmiato tanti frontespizi
alle finestre ed alle porte, ne sul pendio di quelli avrebbe sdraiate
le statue. In alcuni edifizi le cornici di mezzo son soppresse, in
altri son lasciati i cornicioni intieri, e talvolta rotti da pilastri o da
colonne; alcune camere senza cornici, ed altre con cornici. Tutto
cio dimostra I'architetto che va a tastone. Nulladimeno e Palladio
i. Vitruvio: dopo questa parola sia 1'edizione 1781 che quella 1785 hanno i
due punti; li elimino seguendo Tedizione 1768. 2. quadrilunghe: quadran-
golari e di forma piu lunga che larga. 3. Orazio, Ars poet., 351-3 («non
star6 a criticare poche macchie o prodotte dall' incuria o da cui poco riusci
a guardarsi 1'umana natura»). 4. ma . . . I'uomoi cioe senza tener conto dei
suoi inevitabili difetti o addirittura scambiandoli per virtu.
1048 FRANCESCO MILIZIA
il Raffaello dell'architettura; e con ragione merita sopra ogni altro
d'essere studiato. Egli fece molti e molti edifizi; ma non ebbe mai la
sorte di fame alcuno di quelli magnificamente grandiosi; sorte rara
ch'ebbero i Michelangeli ed i Bernini. La sua maestosa e corretta
semplicita avrebbe trionfato. Di Palladio si pu6 dire con Plinio :
«Beatos puto, quibus datum est aut facere scribenda, aut scribere
legenda: beatissimos vero quibus utrumque)).1 Dunque tre e quat-
tro volte beatissimo il nostro Palladio, il quale disse e fece cose
da essere non solo scritte e dette, ma degne ancora da essere vedute
con diletto da chiunque ha occhi; e non solo vedute, ma studiate
e imitate in perpetuo. Vicenza e grata al suo benefattore, e forse e
Tunica citta che abbia cura del suo Palladio. Ella e attualmente in-
tenta alia sontuosa opera di quattro volumi in foglio, in cui Otta-
vio Bertotti Scamozzi raccoglie tutti i disegni delle fabbriche di
Palladio;3 opera che fa onore a Palladio, a Vicenza, alPItalia.
[Giudizio sul Borromini.]3
Era egli di temperamento sano e robusto, d'aspetto non brutto,
benche un poj torbido e bronzino, di capello nero, alto, pieno e
nerboruto. Fu d'illibati costumi, pieno di gratitudine e disinteres-
sato, come deve essere un professore delle arti liberali, non do-
mandando mai prezzo delle sue fatiche, ed abborrendo d'unirsi co'
capomastri. Egli ebbe si gran gelosia dej suoi disegni, che per ti-
more che altri non se ne spacciassero per inventori, li fece prima
di morire bruciar tutti. Fece bene. Non voile mai far disegni in
concorrenza d'altri, dicendo che i suoi da per loro stessi si avevan
da meritar 1'applauso; ne voile altri allievi che suo nipote, il quale
dopo avuta la pingue eredita del zio diede un calcio aU'architettura.
II Borromini e stato uno de' primi uomini del suo secolo per 1'ele-
vatezza del suo ingegno, ed uno degli ultimi per 1'uso ridicolo che ne
ha fatto. In architettura egli e stato come un Seneca nello stile let-
i. Epist., vi, xvi, 3 (« Stimo felici quegli uomini a cui fu concesso o di com-
piere azioni degne di essere ricordate per iscntto, o di scrivere cose degne
di essere lette ; ma felicissimi quelli a cui fu concesso 1'uno e 1'altro privi-
legio »). Dopo quibus il Milizia salta le parole « deorum munere »). 2. opera...
Palladio: cioe Le fabbriche e i disegni raccolti ed illustrati da O. Bertotti
Scamozzi, di cui i primi tre tomi furono stampati a Vicenza nel 1776-
1778, il quarto nel 1786. 3. Dalle Memorie degli architetti antichi e moderni,
ed. cit., n, pp. 1 6 1-2.
MEMORIE DEGLI ARCHITETTI ANTICHI E MODERNI 1049
terario ed un Marini in poesia. Da principio, quando copiava, fa-
ceva bene: allorche poi si pose a far da se, spinto da uno sfrenato
amor di gloria in sorpassar il Bernini, diede, per cosi dire, in eresie.
Ei si prefisse di rendersi eccellente colla no vita. Non cap! Fessenza
delFarcbitettura. Quindi scappo fuori quel suo modo ondulato ed
a zig zag; quella sua gran voglia d'ornare tanto lontana dalla sem-
plicita, ch'e la base della bellezza; e diede libero campo alia sua
fantasia d'usare cartocci,1 colonne annicchiate, frontoni rotti, e
qualunque altra stravaganza. Si scuopre pero anche nelle sue mag-
giori strambalatezze un certo non so che di grande, di armonioso,
di scelto, che fa conoscere il suo sublime talento. Or se quel ge-
nio avesse penetrato nel midollo deH'architettura; se si avesse dato
ad emendarne gli abusi non veduti da tanti perspicaci valentuomini
accecati dalFabitudine ; se fosse andato in cerca delle vere propor-
zioni ancora ignote secondo i diversi caratteri degli edifizi, ed a
migliorare i membri degli ordini, che sono migliorabili, allora
avrebbe scoperte novita profittevoli ai posteri, ed avrebbe sorpassa-
to tutti i piu cospicui suoi antecessori, non che il Bernini. Egli
sbaglio strada, e fu causa che il volgo degli architetti, sorpresi dal
falso brillante, ha seguita la sua maniera, tanto piu goffamente
quanto sono stati a lui inferiori di genio. Ed ecco nata la delirante
setta borrominesca. E come mai attaccarsi al peggio ? II Borromini
osservo tutte esattamente le regole di disgustar gli occhi: fu un
matto compito in quella parte deirarchitettura che riguarda la bel
lezza: e siccome questa e piu sensibile delFaltre due parti, chi
lo condanna in questa lo condanna anco in quelle, cioe nella como-
dita e nella solidita delle sue fabbriche, dove egli e stato savio e
mgegnosissimo. Quando un err ore e a canto ad una verita, o si di-
scredita questa, o si accredita quello al favore di questa vicinanza.
£ una specie di contagio. Tanto e difHcile il discernere il bene e il
male in uno stesso soggetto. Ma per disgrazia si siegue il male e
si fugge il bene.
i. cartocci', motivi ornamentali rigonfi propri dello stile barocco.
DAI ccPRINCIPII DI ARCHITETTURA CIVILE):
Storia dell' architettura civile.
JTinche gli uomini si contentarono di ricovrarsi entro le grot-
te o sotto gli alberi, non ebbero bisogno d'architettura, come
niun bisogno ebbero d'agricoltura, finche le ghiande, i frutti sel-
vatici ed altri prodotti spontanei, che si paravano loro davanti,
serviron loro di cibo. Ma crescendo il numero degli uomini, e
formate le piccole societa, ecco in campo Tarchitettura. Ma che
architettura ? Tuguri e capanne composte di tronchi e di rami d3 al
beri furon le prime produzioni delParte. Fino al principio dell'era
volgare si conserv6 in Atene, madre delle scienze e delle belle arti,
Alia composizione di questo trattato il Milizia si accinse probabilmente
subito dopo la pubblicazione delle Vite dey piu celebri architetti d'ogni na-
zione e d'ogni tempo (1768); e in ogni caso prima del 24 giugno 1769, data
di una lettera a Tommaso Temanza, nella quale Tautore comunicava al-
ramico di averne iniziata la stesura. II lavoro dovette procedere spedita-
mente, se inun'altra lettera, pure al Temanza, del 30 marzo 1771, il Milizia
dichiarava che il trattato era gia pronto per la stamp a. Ancora dopo dieci
anni, tuttavia, nella Prefazione alle Memorie degli architetti antichi e moderni
(1781), Tautore accennava al suo trattato come ad opera ancora inedita:
« lo ho cercato di fidarmi de' lumi sparsi ne* piti meritevoli autori di archi
tettura, e, confrontandoli cogli edifizi antichi e moderni, ho raccolto tutto
in un trattato sotto il titolo Principii di architettura civile . . . Quest' op era si
stampa o si stampera a Geneva ». Di questa stampa genovese come gia ef-
fettuata si parla nell'awiso editoriale A chi legge, che precede la seconda
edizione dell'Arte di vedere nelle belle arti del disegno, pubblicata appunto a
Genova, presso la stamperia CafTarelli, nel 1786. Ma gia il Gamba nella
sua notizia sugli scritti del Milizia dichiarava di non aver mai visto alcun
esemplare di questa stampa, ed anzi mostrava di dubitare della sua effettiva
esistenza. Anche le ricerche da me fatte sono rimaste senza risultato. S em-
bra perci6 di dover ritenere che la prima edizione dei Principii di architettura
civile sia quella pubblicata a Finale, nella stamperia di lacopo de' Rossi,
con la data 1781, in tre tomi, contenenti rispettivamente le tre parti in cui
Top era e divisa, e che sono intitolate: Della bellezza, Delia comoditd, Della
solidita. Una seconda edizione, con qualche modifica ed aggmnta, fu poi
pubblicata a Bassano, presso Remondini, nel 1785, essa pure in tre tomi.
Dopo la morte del Milizia 1'opera fu ristampata a Bassano, Remondini,
1804, « edizione riveduta, emendata ed accresciuta di figure disegnate ed
incise in Roma da Gio. Battista Cipriani sanese ». Questa edizione fu ancora
riprodotta a Bassano, Remondini, 1813 e 1823; poi a Milano, Ferrario,
1832; e di nuovo a Milano, Maiocchi, 1847 e 1853. Inoltre una traduzione
tedesca delP opera fu pubblicata a Lipsia, 1784-1786. Per le pagine qui ri-
prodotte abbiamo seguito la seconda edizione bassanese del 1785 (tomo I,
pp. 3-19) che e Pultima approvata dall'autore; ma abbiamo tenuto presente
anche la prima del 1781.
PRINCIPII DI ARCHITETTURA CIVILE 1051
PAreopago colPantico tetto di stoppie. E nel tempo stesso nella
superba Roma si mirava ancora sulla sacra rocca del Campidoglio
il real palagio di Romolo consistente in una capannuccia coperta di
vile strame. Di questo gusto sono per sopra due terzi della nostra
Terra le abitazioni di coloro che noi con tanto ingiusto disprezzo
denominiamo selvaggi. E nelle piu colte contrade europee, qual e
Farchitettura degli abituri de' nostri villani, tanto benemeriti, e
tanto da noi vilipesi e strapazzati ? Dagli antri dunque e dalle spe-
lonche e uscita Farchitettura civile, e dalle capanne pian pia
no si e elevata, ed e giunta al tempio di Diana in Efeso, al Va-
ticano. Vile origine! E quale origine e nobile?
DalFEgitto, come dal cavallo di Troia, si fanno uscire tut-
te le scienze e le arti; come se i popoli dell' Asia, i Caldei, gPIn-
diani, i Cinesi non abbiano vantata un'antichita, a petto di cui
quella degli Egizi, per quanto stupenda, non era che fanciullesca.
Se FEgitto ha avuto Tebe, Menfi, Piramidi e Laberinti; FAsia
avea gia prima Ninive e Babilonia con tanti strepitosi monumenti.
Se i Greci andavano in Egitto per istruirsi, viaggiavano ancora
colla stessa mira per PAsia, e giungevano fino alFIndia. Ma co-
munque si fosse, e certo che vi e voluto gran tempo, affinche lo
spirito inventore, combinando il diletto col bisogno, percorresse
10 spazio che dalla capanna si frappone sterminato ad un palazzo
d'ordine corintio. E piu tempo ancora vi e voluto, acciocche un
ragionamento giusto depurasse si bella invenzione da* disordini
e dalle irregolarita d'una immaginativa licenziosa.
Gli Egiziani abbozzaron Farchitettura pesantemente, e sorpre-
sero per la grandezza delle masse: ma le loro forme furono sen-
za grazia. I Greci alPincontro disegnarono con eleganza, brilla-
rono per la purita de* contorni, ed inventaron le piu belle forme.
11 gusto era giunto ben vicino alia perfezione in tempo di Pe-
ricle, cio& quattro secoli e mezzo prima dell'era volgare: si man-
tenne vegeto sotto Alessandro Macedone, e si estese in alcune
contrade delFAsia, e fino anche in Egitto. I Romani verso gli
ultimi tempi della Repubblica adottarono Parchitettura greca, Fe-
seguirono con forza e con maesta, e sotto Augusto Pimitazione
giunse quasi a pareggiar Poriginale.
Si trovano pertanto nei piu bei monumenti di quel tempo fa-
moso molte prove che Parte non era ancora stata sufficientemente
sottomessa alPimpero della ragione e del gusto.
1052 FRANCESCO MILIZIA
GFinventori hanno troppe difficolta da sormontare per non incor-
rere in errori e in difetti. Le Industrie e le scoperte si arrestano spes-
so, quando il progresso dovrebbe essere piu facile. Che cosa piu fa
cile della stampa dopo le monete P1 E gPinventori prendono il buono
ed il cattivo del modello, senza dubitare che abbia bisogno di ret-
tificazione, credono anzi che tutto sia giustificato dall'autorita e
dalPesempio, Ecco perche i Greci, ed i Romani non ci hanno tra-
smessa un'architettura senza macchie. Dopo di loro sarebbe bi-
sognato che nuovi progressi producenti un ragionamento pm giu-
sto avessero rischiarati i lor difetti, introdotta la critica nelPosser-
vazione delle loro opere, ed impedito che la loro celebrita non desse
luogo all'errore di usurpar il credito delle regole.
Awenne tutto il contrario. I successori di Vitruvio ebbero
la sorte di tutti grimitatori, i quali restano per lo piu al di sotto
del loro modello. Ben lungi di marciare avanti alia perfezione,
fecero gran cammino indietro; e siccome la decadenza e sem-
pre piu rapida del progresso, 1'architettura si vede degenerata
molto sotto Costantino, fondatore in Roma delle basiliche del Sal-
vatore2 e di San Pietro, non si riconobbe quasi piu sotto Giusti-
niano, che nella sua S. Sofia in Costantinopoli pretese di far mi-
rabilia, divenne interamente barbara ne' secoli susseguenti, allor-
che Timpero romano fu rovesciato da? barbari.
Ecco aHJarchitettura greco-romana succedere un'altra pesante,
sproporzionata, oscura, chiamata comunemente gotica,3 come se
i Goti ne fossero stati gl'introduttori. Niente di piu falso. I Goti,
i Vandali ed altre nazioni, che invasero T Italia, non fecero cam-
biar faccia alle cose nostre piu di quello che abbian fatto alia Cina
i Tartari, che piu volte Phanno conquistata. Uno sciame di bar
bari, che soggioghi una nazione colta, si sottomette ordinaria-
mente ai costumi di quella: perche, deposte le armi, vengono in
campo le arti della pace, e dalla lor dolcezza e preso il vincitore,
che vuole pur godere della vittoria. In fatti Teodorico re de' Goti
e degPItaliani, lasciata ogni selvatichezza nella sua patria, supero
molti dej migliori imperadori romani nella gloria, nella fortezza,
i. dopo le monete'. dopo I'invenzione delle monete. 2. del Salvatore:
cosi era anticamente chiamata la basilica di San Giovanni in Laterano.
3. chiamata comunemente gotica: il Milizia, con questo nome, allude qui
all'architettura dell'alto Medioevo in genere, e m particolare alia romanica.
AH'architettura che noi chiamiamo « gotica » dara piii avanti il nome di
gotica moderna.
PRINCIPII DI ARCHITETTURA CIVILE 1053
nel buon governo e nella civilta de* costumi; ed in Ravenna, in
Pavia, in Verona fece edificar palazzi, terme, acquedotti, anfitea-
tri su quel gusto che allor correva in Italia. Pure e prevalsa 1'opi-
nione, che ogni cosa brutta e deforme sia derivata da5 Goti, e gotica
ancora vien chiamata. I barbari non avevano architettura ne buona
ne cattiva. Si rovescia sopra i barbari il corrompimento del gusto
di tutte le belle arti in Italia, come se gPItaliani non avessero
da per loro stessi tanto ingegno da corromperle. La nostra su-
perbia attribuisce a coloro quella mostruosa architettura, la quale
e nata da noi altri stessi amanti della varieta per capriccio. Ve-
nuti i barbari, si conserv6 in Italia Puso romano, per quello che
spetta alia solidita ed alia costruzione dej muri, come anche alle
proporzioni totali : ma rispetto alia bellezza architettonica, il buon
gusto si era gia perduto prima delPinvasione, e gli architetti ita-
liani, dipartitisi gia dalle belle forme dej Greci, si eran dati ad
imitar le fantasie di quelle pitture grottesche,1 tanto da Vitruvio
riprovate,2 e tanto da noi riverite perche antiche. Sotto i Longo-
bardi si ando di male in peggio, e sotto i Franchi e gli Alemanni
s'imbarberi ogni cosa, a segno che sotto Carlo Magno non si faceva
piu scelta di forme, non esattezza di proporzioni, ne purita d'orna-
menti. Tutto era imbastardito e corrotto.
Tre secoli dopo, cioe tra il X e XI secolo, si fece uno sfor-
zo generale per uscir da quello stato d'ignoranza e di goffezza,
ma con cattivo successo. Fino allora s'era praticata un'architettura
mastina3 e greve: si balz6 tutto in un tratto all'altra estremita
opposta. Apparvero fabbriche leggierissime della piu sorprendente
sveltezza e d'un ardire straordinario. Tutto era artistamente tra-
sforato a giorno, e le mura a merletti ed a filograna: tutto sembrava
eccessivamente debole, e tutto era d'una solidita incomprensibile,4
come si vede nelle cattedrali di Parigi, di Reims, di Chartres, ed in
i. grottesche: con questo termine si indicavano le bizzarre decorazioni pa-
rietali scoperte in Roma nelle rovine della Domus aurea neroniana (chia-
mate popolarmente «grotte»). 2. da Vitruvio riprovate: cfr. De arch., vii,
v,3 : « pinguntur tectoriis monstra potius quam ex rebus finitis imagines
certaew («si affigurano sulle pareti di preferenza immagini mostruose an-
zi che immagini reali desunte dalle cose concretamente esistenti »). ^masti
na: pesante e grossolana. 4. Apparvero . . . incomprensibile: questo notevo
le giudizio sull' architettura gotica sara piu ampiamente svolto, in questa
stessa opera, nella parte n, cap. xvn, § v e vi (ed. cit., n, pp. 424-32). Esi
veda anche la Conclusione delle Memorie degli architetti antichi e moderni.
1054 FRANCESCO MILIZIA
altri edifici, specialmente oltramontani. Questa specie d'architet-
tura vien detta gotica moderna, e ordinariamente s'intende di que
sta, quando si nomina architettura gotica.
Sopraggiunti nello stesso tempo gli Arabi, o sieno Saraceni,
ed i Mori, a maltrattar PItalia, la Francia e soprattutto la Spa-
gna, quella nuova gotica architettura fu infrascata di tanta pro-
fusione d'ornati rabeschi1 e moreschi, che, se fanno Pammira-
zione degl'ignoranti, disgustano altrettanto gPintendenti. I pa-
lazzi degli sceriffi di Marocco, e quelli di Granata, di Siviglia,
di Toledo sono di questa tempra. Questa fantastica architettura
supponeva un totale obblio degli ordini grechi: era un sistema tutto
diverse, un carattere tutto all'opposto: la sola fantasia dell'archi-
tetto determinava le forme, le proporzioni e gli ornamenti. Per
far meglio degli altri, bastava superarli in arditezza, e scapricciare
di piu.
Oltre questi mostri d'architettura, ve ne fu un'altra chiamata
greca moderna, introdotta dagli ultimi Greci nej secoli XIII e XIV,
i quali fecero un misto del buon uso antico e delParabesco, come
si pu6 vedere nella chiesa di S. Marco in Venezia, ed in altri edi
fici d} Italia, nej quali le colonne ed i membri si accostano al-
quanto alle buone proporzioni antiche.
Fino al secolo XV la ragione umana resto immersa in un pro-
fondo letargo. Era gia tempo che, dopo una buona dozzina di se
coli di si umiliante sonnolenza, le menti umane finalmente si
destassero. Un intreccio di varie circostanze, la decadenza del
barbaro sistema feudale, il progresso del commercio, Pinvenzio-
ne della carta da scrivere e finalmente della stampa, fecero ri-
sorgere in Italia insieme colle scienze e colle belle arti la buona
architettura antica. Le ruine, specialmente di Roma, ne avevano
felicemente conservate le tracce. Si esaminarono, se ne penetrarono
i rapporti, si trovo quel sistema preferibile ad ogni altro.
Questa scoperta coincise col progetto di rifabbricar la ba
silica di S. Pietro in Vaticano, onde i Bramanti, i Peruzzi, i San-
galli, i Michelangeli, i Vignola impiegaron tutta la forza del loro
ingegno per uguagliar nella costruzione di questo edificio le me-
raviglie delPantichita. II loro esempio eccito Pemulazione, ed il lo
ro successo fece legge. II secolo di Cosmo de' Medici,3 di Leon X
i. rabeschi: arabeschi; qui la parola e usata nel suo valore originario di ag-
gettivo. 2. Cosmo de' Medici ; Cosimo I, granduca di Toscana ( 1 5 1 9- 1 5 74) .
PRINCIPII DI ARCHITETTURA CIVILE 1055
fu brillante al pan di quello di Alessandro e di Augusto. Roma
da sotto le sue mine rialzo il suo antico genio, e scuotendo la polvere
mostro di nuovo la sua testa rispettabile, e Tltalia diede un codice
d'architettura all'altre nazioni d'Europa, come lo diede in tutte le
belle arti. Questa regione si vide feconda di artisti, come una volta
di eroi, senza aver ne Messico ne Indie.
La rivoluzione fu ben pronta, malgrado i pregiudizi e gli osta-
coli da sormontarsi. Tanto la vera bellezza ha d'impero sopra
i nostri sensi. La buona architettura si stabili poi in Francia,
per farvi brillare il secolo di Luigi XIV. Eresse alcune mo-
li nella Spagna: si e vendicata nella Germania de' suoi pretesi
torti: e scorsa fino a Pietroburg, convertendo i marassi1 e le bo-
scaglie in sontuosi edifizi e in delizie: ha adornata la Svezia, la
Danimarca, le Fiandre, ed ha fissato il piede nelTInghilterra in
compagnia della ragione, dell'opulenza, della gloria: ed a guisa del
mare che, se perde da una parte, acquista altrove, ella ha acquistato
al Nort piu che non ha perduto nelTAsia, nell'Egitto, nella Gre-
cia, ove da tanti secoli le scienze e le arti sono perite senza appa-
renza, nemmen remota, di risorsa.2 Le arti e le scienze fanno il giro
del mondo. Allignano da per tutto, anche nel dispotismo, come si
e veduto nel dispotismo romano, e come si vede ancora in piu con-
trade.
Ma ristaurandosi cosi la bella architettura, ci han voluto due
secoli di tentativi e di sforzi prima di giungere a rimettersi in quel
punto in cui ella fioriva nel tempo di Augusto. Rimane adesso di
far quello che doveva farsi allora dopo Vitruvio, cioe depurarla de'
suoi difetti, e portarla s'e possibile alia perfezione. Ma siamo noi
in questo felice caso ? Sembra di si, non ostante il grido universale
contro la pratica dell'arte attualmente in decadenza. Si potrebbe
pero proporre se sia maggior la distanza dalla ignoranza intera di
un'arte alia sua scoperta, o dalla sua scoperta alia sua ultima
perfezione. Problema difficile da risolversi con esattezza. La sco
perta e quasi sempre Feffetto d*un azzardo felice combinato co'
talenti piu perspicaci. L'ultimo punto di perfezione, cui una sco
perta possa giungere, ci e quasi sempre ignoto. II progresso e il
miglioramento dipendono anche dalF azzardo, e da una serie di
teste sublimi, che succedano agrinventori, che valutino le inven-
i. marassi: paludi (dal francese marais). 2. risorsa: risorgimento.
1056 FRANCESCO MILIZIA
zioni per quello che realmente sono, e che senza stupefarsi aH'am-
mirazione ed all'imitazione, sappiano veder sempre piii lungi, ma
sempre giusto, e meglio. Cosa ben difficile. L'Egitto, la Cina fan-
no vedere che il miglioramento e piu distante dall'invenzione,
che questa dalla ignoranza. Si dia un'occhiata a tutte le scienze
ed a tutte le arti incominciando dalPagricoltura, e si vedra pal-
pabile questa verita. L5 architettura sembra nella stessa condizione.
« Facile est inventis addere. v1
Nella meta di questo nostro secolo si e fatto un cangiamen-
to ben rimarchevole nelle nostre idee, ed e incontrastabil tra noi
il progresso di quella sana filosofia, la quale non consiste che nel-
Papplicazione della ragione ai differenti oggetti, su' quali ella pu6
esercitarsi. Ond'e che questo secolo vien per eccellenza chia-
mato il « secolo della filosofia ». Lo spirito filosofico, contro cui
taluni si sono scagliati, come distruttore del buon gusto, si estende
a tutto. Una filosofia mezzana allontana dal vero, ma una filosofia
ben intesa vi conduce. Tuttocio che appartiene non solo alia no-
stra maniera di concepire, ma anche alia nostra maniera di sentire,
e il vero dominio della filosofia. Come mai dunque il vero spirito
filosofico pu6 opporsi al buon gusto ? Egli ne & anzi il piu fermo
appoggio, perche egli consiste a rimontare ai veri principii, a rico-
noscere che ogni arte ha la sua natura propria, ogni cosa il suo
parti colar colorito ed il suo carattere ; in una parola a non confon-
dere i limiti di ciascun genere. Questo spirito filosofico, nelPab-
bracciar le belle arti, ha abbracciata con ispecialita I5 architettura,
la quale ne ha ritratto notabil vantaggio, almeno in teorica, per la
filosofica maniera come ella e stata trattata da Fr6zier in quella
sua bella dissertazione,2 dalPAlgarotti nel suo sensato Saggio sopra
T architettura3 da Logier4 in quelle sue sagaci osservazioni, da
i. «E facile perfezionare le invenzioni. » 2. Allude alia Dissertation sur les
ordres de V architecture, pubblicata in appendice al trattato La theone el la
pratique de la coupe des pier res et des bois pour la construction des voutes etc.,
Strasbourg 1737-1739 (poi ristampata con aggiunte, Paris 1754-1769) di
Ame"dee- Fra^ois Frezier (1682-1775). 3. USaggio sopra V architettura del-
PAlgarotti, pubblicato per la prima volta a Pisa nel 1753, e successivamente
ristampato nelle varie edizioni complessive delle Opere. Intorno alPin-
fluenza esercitata dal saggio algarottiano sul pensiero e sul gusto del Mili-
ziacfr. A. M. GABRIELLI, UAlgarotti e la critica d'arte inltaha nelSettecento,
citato nella bibhografia, e la nostra Nota introduttiva. 4. Logier : Marc-
Antoine Laugier (1713-1769), autore di un Essai sur I 'architecture , Paris
I753-I755j tradotto in varie lingue e assai conosciuto nell'Europa sette-
PRINCIPII DI ARCHITETTURA CIVILE 1057
Cordomoy,1 e da parecchi altri. E maggiore pu6 sperarsi il suo
progresso, se si continuera a sottoporre le opere anche migliori
de1 nostri artisti ad un giudizio severe, a riprender ogni difet-
to, a rilevarne i pregi, ad esiger ch'eglino rendano ragione del-
le forme, delle proporzioni, degli ornamenti, a spianar le diffi-
colta della teorica, e ad unire le riflessioni airesperienza.
Svaniranno cosi i duri lament! sopra la decadenza deHJarchi-
tettura. Ne, se ora v'e qualche abbondanza di cattivi architetti,
e questo un indizio che Parte tenda alia sua ruina. Qual secolo
piu florido di quello di Augusto ? E pure Vitruvio si scatena fu-
riosamente contro quei suoi contemporanei. Gli stessi lamenti fe-
cero i Greci nei loro piu bei tempi, e Platone ha lasciato scritto
che un buon architetto era una rarita in Grecia. Questi sono la
menti d'ogni tempo, d'ogni luogo, e sopra qualunque soggetto:
Fuomo e querulo. E quando mai e dove i profess ori di qualun
que genere sono stati tutti eccellenti nelle loro rispettive profes-
sioni? II numero de' buoni per lo piu non e mai il maggiore.
E se P Italia ora non sa vantare dej Vignola, de' Palladi, de' Bernini,
Tillazione che sia senza valenti architetti, non e giusta. Ne men
Flnghilterra ha ora un Newton, un Locke, un Pope, un Jones,2
e pure ella e adesso florida piu che mai in ogni genere scientifico
e di arti. Non v'e bisogno che ogni eta spicchi ugualmente feconda
d'alcuni ingegni straordinariamente sublimi e risplendenti. Anzi
il non comparire in una nazione alcun valent'uomo sopra gli altri
di gran lunga eminente, puo esser talvolta effetto di una coltura
universalmente estesa; come in un bosco ben formato non si vede
alcun albero sorpassar troppo gli altri, perche quasi tutti sono ben
cresciuti, e presso a poco di egual grandezza. Chi sa che questo non
sia Tattuale stato degli architetti italiani ?
II male e che un secolo di luce suole esser seguito da un altro
di tenebre, come il giorno dalla notte. Ma non siamo ancora, per
centesca, e che e una esposizione divulgativa dei concetti esposti nel Nou-
veau traite del Cordemoy (citato nella nota seguente), non senza echi delle
idee dell' abate Lodoli, conoscmto dal Laugier durante un soggiorno a
Venezia. i. Cordomoy: Louis-Girard de Cordemoy (1651-1722) pubblic6
un Nouveau traite de toute V architecture, ou Vart de bastir etc., Paris 1706
e 1714, la prima opera di teoria architettonica sistematicamente ispirata
ai principii del classicismo razionalistico. 2. Inigo Jones (1573-1652), ini-
ziatore in Inghilterra di un'architettura ispirata al classicismo italiano, e
specialmente al Palladio.
67
1058' FRANCESCO MILIZIA
cosi dire, die air alba di questo secolo di filosofia, ne il periodo
di questa specie di secoli e di una durata calcolabile. II secolo aureo
dell'architettura, delle belle arti e delle scienze dur6 in Grecia per
una buona dozzina di secoli. A quello e succeduto cola il f erreo oscuro
secolo della durata finora di 1300 anni, e chi sa fin a quanto vorra
durare? In molte regioni dell' Asia, dell' Africa, dell* America ed in
alcuni contorni anche dell'Europa non ha fatto mai giorno. La
barbarie dura secoli, e sembra il nostro elemento. In Europa sono
ormai trecento anni che si sono ristabilite le belle arti e le scienze.
Sembra che le cose morali, come le fisiche, sieno soggette a ma-
lattie, a sonni, a interruzioni ; mali tutti che producono sovente
del bene, depurano, rettificano il cattivo umore che si era for-
mato. Fu un gran male certamente la barbarie che soffri TEuropa
nella feccia di tanti secoli, ma senza quella malattia non sarebbero
le arti e le scienze risorte si vigorose, ne sarebbe questo secolo,
che abbiam la sorte di godere, si illuminato, se fossero stati gli
altri piu risplendenti. Dopo quella barbarie il progresso v'& stato
continuamente maggiore: seguita tuttavia ad esser sempre piu
grande; e merce la stampa, le accademie e lo spirito filosofico
sembra che la continuazione voglia esser sempre piu-prospera e
per venire alia perfezione: almeno non v'e apparenza da temerne
un rovescio. Rimane solo che 1' Italia deponga quel resto d'alba-
gia proveniente dalla rimembranza di essere stata un tempo la
legislatrice degli altri popoli in ogni cosa. Ma si ricordi ch'el-
la e stata anche barbara, e che dalla Grecia ha ricevuti i primi
rudimenti. Impari ora, n6 le importi donde. Le nazioni sono a vi-
cenda maestre e discepole. Per chi pensa non v'e ne francese ne
inglese: chi c'istruisce, & nostro compatriotta: e tutti gli artisti
debbono trattarsi da fratelli. Questo abbozzo di storia si vedra svi-
luppato gradatamente nelle Vite degli architetti* le opere dej quali
sono espressamente descritte per far conoscere rorigine, i pro-
gressi, le vicende delFarte.
Si e lodata Tarchitettura greco-romana, e si e lodata come
la sola fregiata di bellezza: ma in che consiste il bello di questa
architettura ? quali son le regole ed i principii che si hanno da
osservare, affinche un edifizio piaccia, sia aggradevole alia vista,
in una parola sia bello ?
i. nelle Vite degli architetti: il Milizia cita la sua opera con il titolo della
prima edizione.
PRINCIPII DI ARCHITETTURA CIVILE 1059
Gia si e veduto che Parchitettura greco-romana dopo essere
stata tenuta per bella per alquanti secoli, perdette la riputa-
zione della sua bellezza, allorche fu sgambettata dalla gotica. La
bella fu indi la gotica, lo fu universalmente, lo fu per quasi died
secoli, e lo fu in Grecia, in Italia, in Roma, a dispetto di tanti
antichi monumenti stimati prima bellissimi. Or se la bella vecchia
e risorta con abbatter la sua rivale, sembra questo un giuoco del-
Faltalena, o un giro di mode, delle quali si puo bensi dire quale
sia la meno incomoda, ma non quale la piu bella. Qual differenza
di architettura tra gli antichi Greci e quej Maomettani che lor son
succeduti nello stesso paese? Chi ha il buon gusto, i Cinesi, i
settentrionali, grindiani, noi, o i nostri antecessori? Una tal que-
stione sara forse della stessa natura che quella della differente
foggia dei nostri abiti ? Ognun conviene della necessita di coprirsi
e di difendersi dalle ingiurie dell' aria, ma non gia della grazia
deirabbigliamento, la quale dipende dall'assuefazione di veder gli
oggetti inviluppati in una certa maniera, e cio che non e conforme
alia moda e insopportabilmente ridicolo. Guai se Parchitettura di-
pendesse dalla moda: sarebbe soggetta a continue vicende, e la
bella sarebbe sol la corrente.
Guai ancora se ella dipendesse dalla convenzione degli archi-
tetti. Costoro han succhiati dalPinfanzia i principii dei loro mae
stri, gli hanno adottati su la loro riputazione, e gli han venerati
come precetti infallibili, giusti o falsi che si fossero. Eglino sono in
oltre soggetti, o per necessita o per debolezza, a deferire1 ai capricci
di chi fa fabbricare. Addio percio alia ragione, e pecorescamente
si avrebbe da stimare su la lor parola.
Di piu, quale architetto avremmo noi da seguire? Vitruvio,
il venerando legislatore Vitruvio, il quale si deve riguardare co
me PAtlante di tutta Pantichita,2 perche e Punico scrittore d'ar-
chitettura rimastoci di tutti gli antichi, benche a suo tempo in
Roma solo fossero piu di 700 architetti, e tra' Latini fossero fioriti
Fufizio, Terenzio Varrone, Rufo, Epafrodio,3 e tra' Greci Aga-
i. deferire: essere deferent!. 2. VAtlante di tutta V antickitai in quanto so-
stiene da solo il peso e la responsabilita della teoria architettordca degli an
tichi. 3. Fuficio e Terenzio Varrone (il testo ha « Terenzio, Vartone»)
sono ricordati da Vitruvio (De arch., vn, 14) come autori di trattati di ar
chitettura. Rufo ed Epafrodito sono citati nel codice Arceriano fra i « gro-
matici ».
io6o
FRANCESCO MILIZIA
tario, Democrito, Teofraste,1 tutti spariti. Vitruvio non da un'idea
distinta della differenza degli ordini: sembra che ei li voglia sta-
bilire nella proporzione delle colonne, e frattanto egli li vuol di-
stinguere senza cambiar le misure; contraddizione manifesta. II
suo gusto non era il phi squisito, poiche le sue misure son diverse da
quelle che si osservano nei piii seri monumenti delFantichita da tutti
tenuti per eccellenti. Quindi lo Scamozzi2 scrisse: «Non doversi
a Vitruvio una cieca deferenza, come si puo comprender dagli
ordini e dalle altre parti, ch'egli descrisse nelle sue opere, le quali
mancano di proporzione e di bellezza, se colle antiche saranno pa-
ragonate; e perci6 la maggior parte di esse non sono state ne
lodate ne poste in uso dagli architetti intendenti ». Pare certo che
Vitruvio non abbia riguardate le proporzioni degli ordini come
una regola costante, poiche egli cambia per i teatri quelle propor
zioni da lui prescritte per li tempii. Egli permette che si metta or-
dine sopra ordine senza sopprimer la cornice del primo, benche
egli stesso ne conoscesse Tassurdo. La sua base ionica fa pieta,
come quel suo plinto rotondo nella base toscana, e come quella
falsa regola di ottica, che in un portico le colonne agli angoli, e
tutte quelle che sono dalPuna alFaltra parte a filo delle medesime,
•debbansi fare a piombo dalla parte di dentro, e restremate dalla
parte di fuori.
Se a Vitruvio dunque non si deve prestar tutta la fede, chi sceglie-
remo nella folia di tanti architetti dottori che sono venuti dopo di lui ?
Alberti, Serlio, Palladio, Scamozzi, Vignola, Bullan, de TOrme3
e tanti altri son tutti rispettabili, ma tutti fra loro molto discrepanti,
1. Agatarco e Democrito sono nominati da Vitruvio (De Arch., vn, 1 1) come
teorici di scenografia; Teofrasto invece come idrologo (De arch.> vm, 27).
2. L'architetto vicentino Vincenzo Scamozzi (1552-1616) scrisse un ampio
trattato in due tomi dal titolo DelVidea delV architettura universale, Venezia
1615, che rappresenta Tultima espressione della teoria architettonica del
Rinascimento, e che ebbe grandissima difTusione e influenza in Italia e in
Europa. Non vi ho ritrovato il passo citato dal Milizia; probabilmente que-
sto riassume con parole sue un giudizio su Vitruvio che si legge nel tomo I,
p. 27, dell'edizione citata. 3. Leon Battista Alberti e ricordato per il trat
tato De re aedificatoria (1485); Sebastiano Serlio (nato nel 1475) per le
Regole generali di architettura, in sette libri, pubblicati fra il 1537 e il
*575 (di un ottavo libro and6 perduto il manoscritto) ; il Palladio per I
quattro libri delV architettura (1570); lo Scamozzi per 1'opera citata nella
nota precedente; il Vignola per le Regole delh cinque ordini deW architettura
(1562); Jean Bullant per la Regie generale d* architecture de cinq manieres de
colonnes, Paris 1664 e 1668; Philibert de L'Orme (1510 circa - 1570) per Le
PRINCIPII DI ARCHITETTURA CIVILE Io6l
non solo nella varieta del profili, ma anche nel rapporto de' dia-
metri delle colonne alia loro altezza ed a quella de' lor cornicioni.
Ciascuno di questi valent'uomini ha i suoi partigiani, niuno e ge-
neralmente seguito, tutti hanno i loro particolari difetti. Quale
dunque dovra seguitarsi?
Se 1'autorita degli architetti e di un polso leggiero, di piu debol
forza vorranno riuscire gli esempi de' monument! piu celebri, i
quali non possono valere piu che i professori die li hanno fatti,
con quel di meno, che si perde sempre dalla teorica alia pratica.
In fatti i monumenti piu rinomati dell'antichita son pieni di difetti,
e di difetti talvolta maiuscoli contro il buon senso : oltreche la dif-
ferenza de' lor profili e delle proporzioni, e considerable in tutti.
II mausoleo presso S. Remis1 in Provenza, opera del bel secolo di
Augusto, ha colonne ridicolamente corte. L'arco di Costantino
ha piedestalli d'un' altezza smisurata, ed il tempio di Scisi,2 rife-
rito e disegnato dal Palladio, ne ha degl'isolati contro ogni buon
gusto. I modiglioni3 non sono a piombo sul mezzo delle colonne
nell'arco di Traiano, nel Panteon ed in tanti altri stimatissimi edi-
fizi, come nol sono ne meno i triglifi nel tempio della Pieta,4 ed
altrove. II teatro di Marcello e le Terme Diocleziane hanno la cor
nice dorica, ornata di dentelli, contro il divieto formale di Vitruvio.
Nell'arco di Tito sono dentelli e modiglioni a dispetto di Vitruvio.
Ed il Panteon non ha al di dentro inutili frontespizi ed archi supini
taglianti que' pilastri dell'attico, i quali posano in falso? Se gli
esempi dei monumenti antichi autorizzassero, ogni difetto reste-
rebbe autorizzato.
II celebre M. Roland Freart de Chambray, s nel suo ytil trattato
Parallele de I* architecture antique avec la moderne, non ha altra
regola di giudicare sopra la bellezza dell'architettura, che i monu-
premier tome de I' architecture, Paris 1567, e le Nouvelles inventions pour bien
bastir, Paris 1561. i.Il mausoleo presso S. Remis: allude alia tomba dei
Giulii a Saint-Remy, oggi artribuita a data di poco anteriore all' era volgare.
2. U tempio di Scisi: cioe il tempio di Minerva (ora Santa Maria della Mi
nerva) di Assisi, illustrate dal Palladio nei Quattro libri dell'architettura (cfr.
Tedizione di Venezia, Carampello, 1616, pp. 103-5). 3. modiglioni: le men-
sole sottoposte ai gocciolatoi. 4. tempio della Pietd: non so a quale tempio
alluda il Milizia; i due templi di questo nome di cui si ha notizia, sono di-
strutti da molti secoli. 5. Roland Freart de Chambray (morto nel 1676),
noto anche come traduttore del Trattato della pittura di Leonardo e dei
Quattro libri delV architettura del Palladio. II Parallels de V architecture antique
avec la moderne, che e ricordato dal Milizia, fu pubblicato a Parigi nel 1650.
Io6z FRANCESCO MILIZIA
menti antichi e Vitruvio. Ma se gli si fosse domandato perche si ha
da stare a Vitruvio ed agli antichi edifizi, chi sa che cosa egli
avrebbe risposto. E che pu6 rispondere di ragionevole chi non ad
duce che autorita ed esempi in vece di ragioni?
Si domanda perche Tarchitettura greco-romana e bella, rela-
tivamente alle altre, in che consiste questo suo bello, e quali ne
son le regole per conoscerlo e per eseguirlo. Rispondere con esem
pi e con autorita, e un non rispondere, e per conseguenza e un
lasciar 1'arte in una mobilita perpetua, ed esporla a continui rove-
sci: e nell'eseguirla il prendersi per guida F autorita e gli esempi
e un costituirsi cieco, per farsi condurre da guide ugualmente cie-
che e fallaci, che non ci guidino, ma ci disperdano in errori. V'e
bisogno di principii certi e costanti, dedotti dalla natura stessa
della cosa, da' quali principii la ragione tragga le giuste conseguenze
per tutto quello che si deve o non fare nell'architettura. Allora
si avra una scorta fida e sicura, che ci conduce francamente
alia desiderata meta. Per ritrovarla andiamola a cercare nella ori-
gine delFarchitettura, e particolarmente de' suoi ordini.
DA «DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE
ARTI DEL DISEGNO SECONDO I PRINCIPII
DI SULZER E DI MENGS»
I
SCULTURA*
Ercole?
ccPerche un Ercole Farnese e non due?
Sono pur due, e simili come due uova. Anzi quello che io veggo
alia mia destra, e piu bello. L'altro che riscuote tutti gli encomi,
e cieco, e pieno di montagnole per tutta la vita. »3 Sentenza di
chi credeva saper vedere, decideva con tuono, ed era creduto.
La prima edizione di questa opera fu pubblicata a Venezia, presso Pasquali,
nel 1781, inun volumetto intitolato DelVarte di vedere nelle belle arti del dise-
gno secondo iprincipii diSulzer e diMengs, e distinto in quattro parti, intitolate
rispettivamente Scultura (tRiflessioni relative), Pittura, Architettura&Incisio-
ne. Una seconda edizione apparve a Genova, presso la stamp eria Caffarelli,
nel 1786, edizione «da!Tautore accresciuta e corretta», e in particolare cor-
redata da alcune nuove note, fra le quali una alquanto lunga apposta^alla
fine della seconda parte (Pittura) e contenente una serie di rapidi giudizi sui
i . Da DelVarte di vedere nelle belle arti del disegno secondo iprincipii di Sulzer e
di Mengs, ed. cit., pp. 1-20. 2. In Roma. In Roma sono tutte le opere qui
mentovate (M.). Le due statue rappresentanti Ercole, delle quali si parla
nel passo che segue, sono rispettivamente YErcole Farnese e un altro Ercole
assai simile a questo che si trovava allora accanto al primo nel cprtile del
palazzo Farnese; ora ambedue le statue sono nel Museo Nazionale di
Napoli. Nel suo giudizio sull'Ercole Farnese il Milizia tiene senza dubbio
presente quello del Winckelmann (nella Stona dell'arte presso gli antichi,
in Opere, in, traduzione italiana, Prato, Giachetti, 1832, pp. 589-9°)* clie
riporto affinch6 si possano fare gli opportuni confronti: « In questa statua
egli [Ercole] e rappresentato quieto e fermo, ma nel mezzo delle sue fatiche,
con vene gonfie e con forti muscoli, che mostrano un'elasticita non ordi-
naria; onde ci pare di vederlo riscaldato ed ansante riposarsi dopo Pim-
presa delTorto delle Esperidi, il cui porno tiene ancor nella mano. Glicone
in quest'opera non fu men poeta che Apollonio, e sollevossi sopra le forme
delTumana natura ne' muscoli disposti a foggia di collinette che da presso
succedonsi: ivi si propose d'esprimere Telaterio^ delle fibre, e nstringen-
dole mostrarle tese a guisa d'un arco. Tali riflessioni devono farsi nelresa-
minare quest'Ercole, ed allora non si prendera per un'ampoUosita lo spirito
poetico dello scultore, n6 la forza ideale per un'arditezza eccessiva». E ctr;
anche il breve giudizio del Mengs neUe Riflessioni sopra i tre gran pitton
Raffaello, il Correggio e Tiziano e sopra gli antichi, in Opere, I, a cura di C. Fea,
Milano, Silvestri, 1836, p. 326. 3- Non saprei a chi si possa attnbuire
tale giudizio.
1064 FRANCESCO MILIZIA
UErcole, il grznd'Ercole Farnese, esprime la maggior robu-
stezza che possa acquistarsi da un uomo che siasi continuamente
esercitato nelle piu laboriose imprese, per le quali sia divenuto
forte e agile. Mirato e rimirato d'ogni banda comparisce sempre
quell'Ercole gagliardo che abbia fatte molte delle principali sue
imprese.
I muscoli sono di forma convessa e rotonda, e denotano la
vera carne; le entrate1 sono piane, ed esprimono la nervosita e la
forza. Le vene al pari de' muscoli sono gonfie, per mostrare la
straordinaria elasticita. Nelle gambe per6 i muscoli sono si duri
e secchi che paiono non carne ma corde. Ma quelle gambe non
sono le sue. Le sue proporzioni, meno allungate che in un uomo
svelto, caratterizzano la sua consistenza. Quel collo gross o e corto,
e per cosi dire taurino, mostra la gagliardia; e la testa, che sembra
piuttosto piccola, palesa la sveltezza. Tutto il resto e in rapporti
convenienti.
Quell'altro e un masso informe a confronto di questo. In que-
sto celebrato Ercole e inciso « Glicone »,2 che si e preso pel nome
dello scultore, e forse non sara stato famoso altro Glicone che
Fatleta di Orazio:
. . . invicti membra Glyconis.3
E forse niuno dei nostri facchini o granatieri o ladroni (Ercole
sara stato un misto di tali ingredienti) avra i membri si viva-
piu illustri pittori italiani e stranieri del Cinquecento e del Seicento. Ripro-
ducono invece la prima edizione sia le ristampe veneziane (Pasquali, 1792
e 1798; Alvisopoli, 1823), sia quella contenuta nel volume i delle Opere
complete. L'operetta e stata recentemente ripubblicata da G. Natali (Pi-
stoia-Roma, TarifE, 1944, con una introduzione, che riproduce Particolo
citato Un encidopedista classicist^ e una nota bibliografica, ma senza com-
mento). Fuori d' Italia VArte di vedere fu tradotta in tedesco da Chr. Fr.
Prange (Halle 1785); in francese dal generale Pommereuil (Paris, Bernard,
a. VI [1798], rifusa con Paltra operetta Roma, delle belle arti del disegno);
in spagnolo da Cean Bermudez (Madrid 1827) e dal De Marcho (Barce
lona 1830). Per le pagine qui riprodotte ci siamo attenuti alP edizione ge-
novese del 1786, che e 1'ultima approvata dall'autore, tenendo presente
anche la prima del 1781. Le note del Milizia sono seguite dalla sigla M.
i . le entrate : gli attacchi dei muscoli. 2. Glicone, secondo gli studiosi moder-
ni, e proprio il nome deH'autore, un copista atemese che Iavor6 a Roma
verso la fine del I secolo a. C., e che in questa statua avrebbe riprodotto
un originale in bronzo di Lisippo. 3. Epist., i, i, 30 («le membra dell'in-
vitto Glicone»).
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLS ARTI 1065
mente risentiti come questo marmo. Ma niuno de' nostri nerboruti
si diverte ad accoppar lioni, a distrugger mostri, ne fa le forze
d'Ercole. Bisognerebbe veder de' Patagoni, qualora esistessero in
gigantesco, vederne molti e de* piu belli, per vedere qualche cosa
d'erculeo.
Ma che cosa fa il nostro Ercole ? Pare che mediti con tre pomi
alia destra rivolta al tergo. Forse saranno tre pomi delle Esperidi,
o qualche altro suo arnese per noi ugualmente insignificante. Sa-
rebbe stato veramente piu espressivo, almeno per noi, in qualcuna
delle sue piu interessanti azioni. Ora come sta, non fa niente:
riposa.
Per riposare riposa con maggior comodo e piu inettamente il
Mose.1
Capo d' opera di Michelangelo : se ne sta a sedere senza mostrar
vogHa di niente. La testa, recisole quel barbone ch'e piu barbone
di quello di Rauber,2 e una testa di satiro con capelli di porco e
piccola riguardo al tutto. Tutto com'e, e un mastino3 orribile,
vestito come un fornaro, mal situato, ozioso.
Si caratterizza cosi un legislatore che parla da tu a tu con
messer Domeneddio ? Si decanta per un modello ammirabile del-
Panatomia esterna. Me ne rallegro, e tanto piu che si vuole ad
imitazione del
Torso di Belvedere.4
Scuola degli artisti che vogliano imparare a vedere il vero bello
della natura umana. Qui riunisconsi i pregi delle piu belle scul-
i. In S. Pietro in Vincoli (M.)- 2. Rauber: probabilmente qualche per-
sonaggio carattenstico della Roma contemporanea. 3. mastino: individuo
grossolano. 4. Torso di Belvedere: opera firmata da Apollonio di Nestore
ateniese, che Iavor6 a Roma verso la fine della Repubblica. Questa statua
(che si trova tuttora nei Musei Vaticani) fu molto ammirata in passato, e
anche dal Winckelmann, di cui riporto parzialmente il giudizio nella Storia
delVarte presso gli antichi: « In questa si mutilata statua . . . coloro che pe-
netrar sanno i segreti dell'arte, scorgono tuttora un chiaro raggio delTan-
tica bellezza. L'artista ha effigiata in quest'Ercole la piu sublime idea d'un
corpo sollevatosi sovra la natura, e d'un uomo nell'eta perfetta inalzatosi
al grado di quella privazion de' bisogni, che e propria degli dei . . . Ivi
ammirar deve Fartefice nei contorm del corpo la morbidezza delle forme,
1066 ' FRANCESCO MILIZIA
ture antiche. La varieta dell'andamento ondeggiato d'ogni mem-
bro e si perfetta ch'e quasi impercettibile. Che morbidezza di for
me! Passano dolcemente da una all'altra, si sollevano, s'incavano
. e Tuna nell'altra insensibilmente si perdono. Le ossa paiono rico-
perte d'una cute sugosa, i muscoli sono carnosi, ma senza grassez-
za, e la carne e la piii bella carne. Non vi appariscono vene grandi;
e perci6, se questo e un detrimento di Ercole, sara non d'un
Ercole ancora uomo, che faccia il grazioso con lole, ma d'un Ercole
fatto Dio, in cui sieno sparite certe grossolanita umane. E Mi
chelangelo e stato a questa scuola? Non basta andare alle mi-
gliori scuole. Disgrazia che questo torso non sia che un torso.
Sia pur mirabile quanto si voglia nella combinazione delle parti
piu belle, scelte da' corpi piu belli, per formare un tronco espri-
mente la piu nobile e maestosa virilita, tutto ci6 non e che un
mezzo per esprimer 1'azione: 1'azione e lo scopo dell'arte. Chi
vuol vedere un'azione delle piu vive, vegga il
Gladiator e Capitolino.1
Mortalmente ferito sta per morirsene, ma da suo pari: i gla-
diatori aveano da saper morire con grazia. Colla destra si sforza
rialzarsi; la vendetta gli da questa forza; e la vendetta, 1'angoscia,
Tagonia sono insieme espresse nel viso, e fin ne* capelli rizzati, ac-
ciocche tutti i membri mostrino la fatica de' combattimenti sof-
ferti; i piedi paiono incalliti, e tutta 1'azion e 1'istante della morte.
La corporatura e ben intesa; ma nel petto lo sterno e le clavicole
mostrano non so che d'innaturale. Tutto collima all'espressione
d'un bel giovane che, esercitato nella ginnastica, ha combattuto;
il dolce loro passaggio da una alPaltra, e i tratti quasi moventisi, che con un
molle ondeggiamento si sollevano e si abbassano, e 1'un nell'altro insensi
bilmente si perdono . . . Le ossa sembrano d'una pingue cute ricoperte,
carnosi sono i muscoli, ma senza una superflua pinguedine; e la carnosita
e si bene equilibrata che 1'eguale non trovasi in nessun'altra figura» (cfr.
Opere, ed. cit., in, pp. 585-7; e cfr. anche la piu ampia Descrizione del torso
diBelvedere,mOperet ed. cit., vi, 1831, pp. 519-25; e il giudizio del Mengs
nelle Riflessiom ecc., in Opere, ed. cit., I, pp. 327-8). i. II Gladiator e Capi
tolino o, come oggi si suole chiamare secondo una piu esatta interpretazione
(gia intuita dal Winckelmann), il Galata morente, e una replica romana di
un originale greco della prima scuola di Pergamo ; si trova tuttora nel Museo
Capitolino di Roma.
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI 1067
e ferito, e par certamente che muora. Ma e veramente un gladia-
tore ? Quella corda al collo e quel corno a canto ne fanno dubitare.
Gladiator e Borghese*
Ecco una figura consimile, ma in azione opposta. Qui non si
ha voglia di morire: e tutta forza viva per combattere. Che co-
raggio in quel sembiante! Coraggio vero, senza timore e senza
temerita: vuol vincere, e si para i colpi. Quanto robusto, altret-
tanto snello. Vi si vede la morbidezza della carne e la fluidita
del sangue. I muscoli in azione sono alterati, e quelli in riposo
corti e rotondi: Tanatomia v'e tutta al naturale e senza stento.
Questo importa, e non che Agasias ne sia stato 1'autore. I Greci,
che non aveano gladiatori, potevano effigiare gladiatori ? E quando ?
Apollo di Belvedere?
Un idolo egizio starebbe a maraviglia accanto a questa sta-
tua. Ma bisogna vederla, e non leggerla. Chi la legge TielVEncy-
doped. , art. Grecs, impara che «questo Apollo scocca una freccia
i . II Gladiator e Borghese, oggi al Louvre, e ritenuto una copia eseguita da
Agasia Efesio, figlio di Dositeo, verso la fine del secolo II. 2. IS Apollo
di Belvedere, tuttora nei Musei Vaticani, e replica di un originale greco del
IV secolo a. C., probabilmente di Leocare. II Winckelmann gli dedico
nella Storia delVarte presso gli antichi alcune ispirate pagine, di cui ripor-
tiamo qualche passo piu utile per un confronto col giudizio del Milizia:
« La statua dell' Apollo di Belvedere e la piu sublime fra tutte le opere an-
tiche, che fino a noi si sono conservate, Direbbesi che Tartista ha qui for-
mata una statua purarnente ideale, prendendo dalla materia quel solo che
era necessario per esprimere il suo intento e renderlo visibile ... II com-
plesso delle sue forme sollevasi sovra 1'umana natura, e il suo atteggiamento
mostra la grandezza divina che lo investe. Una primavera eterna, qua! regna
ne* beati Elisi, spande sulle virili forme d'un'etd. perfetta i tratti della piace-
vole gioventu, e sembra che una tenera morbidezza scherzi sull'altera strut-
tura delle sue membra. Vola, o tu che ami i monument! deirarte, vola col
tuo spirito fino alia regione delle bellezze incorporee, e diventa un creatore
d'una natura celeste per riempire Talma tua colTidea d'un bello sovrumano,
poiche in quella figura nulla v*e di mortale, nessun indizio si scorge dei bi-
sogni deH'umanita . . . Egli ha inseguito il serpente Pitone, contro di cui ha
per la prima volta piegato Parco^e col possente suo passo lo ha raggiunto e
trafitto. Ben consapevole di sua possanza porta il sublime suo sguardo quasi
airinfinito, ben al di la della sua vittoria» (cfr. Opere, ed. cit., in, pp. 757^9;
e si veda anche il giudizio del Mengs nelle Riflessioni ecc., in Operet ed. cit.,
I, pp. 324-5)*
1068 FRANCESCO MILIZIA
al serpente Pitone con tutta la tranquillita, mostrando solo un poco
di collera nelle narici alquanto sollevate, e sollevato anche un
tantino il labro inferiore nel mezzo per caratterizzare lo schifo
d'Apollo verso il serpente, contro di cui imbrandisce il dardo sen-
za impiegare la meta della forza per maggior disprezzo verso il
rettile nemico)).1 Cosi leggendo si imparano errori fino in un libro
destinato principalmente per le verita. L' Apollo di Belvedere, ba-
sta vederlo, ha gia scaricato Parco, ha fatto il colpo, ed e in atto
d'andarsene. Se poi non 1'ha avuta contro alcun serpente, che im-
porta? L'attitudine e mirabile. Che sveltezza di mossa! Che leg-
giadria! Appena tocca terra. Piu mirabili sono le forme de' suoi
membri, tutte in grande dalla testa fino alia punta de* piedi; le for
me convesse mostrano la forza, le uniformi la soave nobilta, e il
loro serpeggiamento la delicatezza. Non vene, non tendini, non
musculature forti vi appariscono, come negli Ercoli e ne' gladia-
tori. Questo e un nume, in effigie umana bensi, e come altrimenti ?
ma in una effigie la piu bella e piu depurata d'imperfezioni umane.
La testa e d'una grazia che rapisce, le gambe lunghette e ben pro-
prie d'una deita. «Ah peccato, che io non sia un gentile per ado-
rarlo » esclamo in mia presenza un buon cristiano incantato a tanta
bellezza.
Pure si vuole di marmo di Carrara, la cui cava fu scoperta quasi
al tempo di Plinio, e la statua fu trovata un paio di secoli fa a Net-
tuno,2 dove probabilmente non saranno state le sculture piu clas-
siche della Grecia. Un ginocchio e alquanto rivolto in dentro, ma
per difetto di noi altri modern! nel riunire i pezzi.
Grande osservatore fu chi osservo che il collo non & nel mezzo
del busto. Gli amatori, i conoscitori, e forse anche qualche artista,
ne sanno il perche, noto anche al custode del museo. Eccolo. II
marmo difettoso scheggib di molto nel lavorarsi a destra; ma sic-
come la statua riusciva bene, lo scultore compens6 quel difetto
con altrettanto eccesso a sinistra. E viva. Io non so come stia la
testa di tali signori che sanno cosi ben vedere. So che ogni testa
i. II passo tradotto dal Milizia si trova precisamente nel paragrafo His-
toire des arts chez les Grecs, firmato con la sigla V. A. L. : Fautore at-
tribuisce Fosservazione al Winckelmann, il quale invece (come si e visto
nella nota precedente) interpreta Fatteggiamento di Apollo allo stesso
modo del Milizia. 2. a Nettuno : piti. probabilmente, in una villa romana
a Grottaferrata.
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI 1069
prowista di senso comune porta il suo collo di qua e di la come
le aggrada, e lo situa come in Apollo, e come in tante altre statue
di consimili mosse.
II corpo di quest' Apollo sembra non cosi finite come la testa,
e sembra privo di quella morbidezza che si vede con tanto piacere
nel cosi detto
Antinoo di Belvedere.1
Mirabile veramente per la sua pastosita, ma non di proporzioni
si eleganti, ne in un'azione si viva. La testa e d'una ridente giovi-
nezza; sguardo dolce, occhio innocente, bocca tranquilla, gote
pienotte, mento soavemente rialzato e tondeggiato, fronte tendente
alTapoteosi, petto elevato, spalle, fianchi, cosce a maraviglia: tutto
in quiete. Le gambe per6 non corrispondono al resto del corpo.
Antinoo di Campidoglio?
£ piu espressivo, in ciascuna sua parte e in tutti i suoi contorni
spiega mollezza, particolarmente nella testa ricercata d'un gio-
vane destinato al piacere. Anche la mossa e le proporzioni sono
i. L3 * Antinoo, o secondo Tinterpretazione moderna I3 Hermes y di Belvedere
e replica di una statua di Prassitele, e si trova tuttora nei Musei Vaticani.
Riferisco il giudizio del Winckelmann nella Storia delVartepresso gli antichi:
« Regna nel volto . . . un'altera maesta, ma qui le grazie d'una ridente giovi-
nezza e le belta degli anni floridi accoppiate stanno ad un'amabile inno-
cenza e ad uno sguardo dolce, senza mostrare alcuno di quegli aifetti che
turbar potrebbono la beH'armonia delle parti e la pura tranquillita d'ammo,
che lo scultore ha qui voluto esprimere. Scorgesi difatti in tutta la figura
una tal quiete e quella interna compiacenza di se stesso, che 1'uomo gode,
quando raccoglie i sensi e da ogni oggetto esterno li richiama. L' occhio e
dolcemente arcuato, come nella dea d'amore,ma, senza mostrarne i desideri,
non esprime che innocenza. La bocca nel piccolo giro de' suoi contorni
grandiosamente disegnati spira emozioni, ma sembra che non senta. Danno
un nobile compimento al volto le gote nutrite con una piacevole pienezza, e
il mento che dolcemente si rialza e si ritonda. La fronte per6 annunzia
qualche cosa di piu che un giovanetto : essa sollevandosi alquanto come la
fronte d'Ercole, sembra gia preconizzare 1'eroe. Fortemente elevato n'e il
petto, e d'una maravigliosa bellezza ne sono le spalle, i fianchi e le cosce;
ma le gambe non hanno la bella forma che richiede il restante del corpo »
(cfr. Opere, ed. cit., in, pp. 848-9). 2. L' Antinoo di Campidoglio, replica
di una statua bronzea del V secolo a. C., si trova tuttora nel Museo Capi-
tolino.
1070 FRANCESCO MILIZIA
d'un effeminato. Gambe, braccia, mani sono false, cioe ristauri
moderni.
Cristo di Michelangelo.1
fe egli un Cristo, o un manigoldo che impugna fieramente la
croce per fame chi sa che? Piu cruda e la sua notomia. Pure e
lodato da tanti e tanti che credono saper vedere, e stimano divino
il Buonarroti.
In questo Cristo, nel Mose, e in tutte le opere scolpite e di-
pinte, Michelangelo fa pompa si grande della sua scienza anato-
mica, che pare aver lavorato unicamente per Tanatomia : per disgra-
zia egli non 1'ha ne bene intesa, ne bene applicata. Le sue giunture
sono poco svelte, le carni piene e di forme rotonde, i muscoli tutti
uguali e nella figura e nella mole, onde resta occultato il movimento
delle immagini. Niun muscolo in riposo ; difetto enorme. Tendini
uguali, contorni aspramente serpeggianti, onde escono e non tro-
vano la strada per rientrare. Qual disegno dunque, e quali grazie ?
Come quelli eruditi che ammucchiano tutta la loro erudizione senza
discernimento, e sanno tutto fuorche eleganza e finezza.
Michelangelo prese un pezzo pel fine : studio molto 1'anatomia,
e fece bene; prese Panatomia per 1'ultimo scopo dell'arte, e fece
male, e peggio per non saperne far uso. Riusci (chieggo umilmente
perdono a tutti i suoi idolatri), riusci aspro, duro, stravagante, ca-
ricato, piccolo, grossolano, e quello che e piu osservabile, amma-
nierato, in quanto che tutte le sue figure hanno costantemente una
stessa maniera e lo stesso carattere, cosi che vedutane una si sono
viste tutte.
S. Andrea del Fiammingo:2'
Benche troppo colossale, ha proporzioni convenienti ad un rozzo
pescatore. Ma la gamba sinistra pare che non leghi bene col femure,
ne questo colle ossa delle isole.3 II panneggiamento e facile e gran-
dioso. L'espressione e propria d'un rassegnato a soffrire, ma con
qualche affettatezza.
i. Entro la chiesa della Minerva (M.). L'opera fu compiuta da Michelangelo
nel 1521. 2. In S. Pietro (M.). II Fiammingo e lo scultore Fran9ois du
Quesnoy, su cui cfr. la nota yap. 836. 3. delle isole: penso che il Milizia
voglia dire « dell'ischio ».
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI
Venere di Campidoglio.1
£ men celebrata, e lo merita forse piu della Venere de' Me
dici. E dove si vede meglio riunita la vera bellezza del sesso
bello ? Bellezza viva e attraente per le sue grazie. Viso lascivetto :
le belle non possono avere altro viso. Palpebra inferiore piu ele-
vata per maggior vezzo; occhi poco aperti per tenerezza e per
languore; proporzioni delicate, contorni soavi, carni morbide, ar-
ticoli2 dolci: armonia in tutte le parti, nel tutto e neH'azione:
azione di sorpresa, semplice, e naturale a tutte le donne che so-
prafatte nude portan subito le mani dove Tuomo trova le sue piu
squisite delizie.
Vi si vede il bello fino ne' piedi, che non danno segno d'aver
sofferto alcuna fatica nemmen peso; ma quel naso moderno fa
rabbia.
S. Bibiana?
Senza nobilta e senza bellezza di forme, e mal vestita. Fin il
manto e cinto di una larga fascia: e qual donna si cinge il manti-
glione, e qual uomo il tabarro ? Si sforza d'esprimere, e non espri-
me niente. Pure si ha questa per una delle migliori opere ber-
ninesche.
Flora Farnesiana.4
Quel grazioso veleggiamento lascia trasparire le forme e i de-
lineamenti della figura leggiadra bench6 gigantesca. Ma questo
bello non e quasi che un tronco muliebre, con testa, con braccia
e con gambe non sue; e perci6 si e trasmutata in Flora, quando
che ha potuto essere piuttosto una musa del ballo.5
i. La Venere di Campidoglio, tuttora nel Museo Capitolino, e probabilmente
unj opera alessandrina derivata dalla Venere di Cnido di Prassitele. 2. or-
ticoli: articolazioni. 3. Nella chiesa dello stesso nome (M,). £ opera della
gioventu del Bernini (1624-1626). L*osservazione sul manto risale al
Winckelmann (cfr. Storia deWarte presso gli antichit in Opere, ed. cit, II,
1 830, p. 772). 4. La Flora Farnesiana, opera romana del II-III secolo dopo
Cristo, si trova oggi nel Museo Nazionale di Napoli. 5. quando . . . ballo:
questa interpretazione risale al Winckelmann (cfr. Storia deW arte presso gli
antichi, ed. cit., II, p. 408). Piu probabilmente la statua era in origine la
replica di una Afrodite prassitelica o ellenistica.
1072 FRANCESCO MILIZIA
Flora Capitolina.1
Questa ha veramente una testa da Flora, cioe da primavera.
£ in una bella semplicita d'azione. II suo panneggiamento non e
di tela fina, ma di panno che fa tuttavia conoscere Tandare del-
Pignudo, coperto si, ma non occultato. A questo panneggiamento
ha qualche analogia quello di Zenone Capitolino*
Santa Susanna.3
Ha della venusta nel tutto insieme. II viso e di bella forma,
ma con qualche pienezza nella parte superiore delle guance. La
situazione della gamba sinistra risente qualche stento. La drappe-
ria e una delle meglio intese tra le opere moderne, ma inferiore di
molto alle predette antiche, Questo lavoro e piuttosto un'apparen-
za che una sostanza di gusto antico. L'espressione e una dolcezza
di santa comprensibile da' santi.
Ermafrodito*
Quel maraviglioso che si e creduto tal volta vedere nelPamabile
natura e non si e mai visto, la riunione del sesso forte e del sesso
bello in un solo individuo, si mira in questa elegante effigie, ma
non vi si trova perfettamente. Sembra che sogni diletto. Ma sem-
bra ancora che la sua morbidezza venga ofTesa dalla aggiunta ber-
ninesca5 di quel materazzo trapunto si risentitamente, che non
di piume, nemmen di lana, ma par ripieno di sassi.
i. La Flora Capitolina^ tuttora nel Museo Capitolmo, e replica di opera
ellenistica. 2. La statua di Zenone (o di altro filosofo) si trova tuttora
nel Museo Capitolino, ed e opera ellenistica del III secolo. 3. Del Fiam-
mingo nella chiesa della Madonna di Loreto (M.)« Su questa statua cfr.
anche il gmdizio del Bertola, qui a p. 836, e la nota relativa. 4. In villa
Borghese (M.)« La statua, ora al Louvre, e forse copia di un originale dello
scultore greco Policle (III-II secolo a. C,). 5. berninesca: il materasso su
cui giace V Ermafrodito Borghese, fu effettivamente aggiunto dal Bernini.
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI 1073
Santa Cecilia.1
Giace meglio dell' Ermafrodito questa gentile scultura, benche"
insignificante.
Laocoonte.2
Un vecchio forte convulse dal veleno de' serpi che lo awi-
ticchiano e lo mordono. Lo spasimo gli scorre da per tutto fino
ai piedi. Non e questo ancor tutto il suo dolore. Ei risente anche
quello de' due ragazzi, che gli sono chiaramente figli, i quali gli
chieggono aita: ei fa grandi e inutili sforzi per soccorrerli, e piu
si crucia. Dominano nella sua figura le linee convesse che s'in-
contrano colle rette e colle concave per mostrare Palterazione, la
quale viene maggiormente espressa dalle forme angolari, si nel-
Pentrate che nelle uscite,3 affine di rendere piu visibili i nervi e i
tendini fortemente stirati. Nella sua tragrande angoscia ei conserva
pero tal dignita e nel viso e nel corpo e nel portamento, che, per
quanto sia tormentato, nulla ha di deforme, onde sembra un uo-
mo d'alta condizione che sappia soffrire. Pare che cerchi di con-
centrare intorno al suo cuore tutta la forza della mente contro i
tormenti che gli gonfiano i muscoli e gli stirano terribilmente i
nervi. II petto appena si solleva, il ventre e compresso, i fianchi
sono incavati: tutto esprime lo stringimento, la soffocazione, 1'ec-
cesso del dolore e della magnanimita. II dolore dej figliuoli e anche
i. Di Stefano Maderno in S. Cecilia (M.). Stefano Maderno (1576-1636),
scultore milanese, esegul 1'opera intorno al 1600. 2. II gruppo del Lao
coonte, eseguito verso la meta del I secolo a. C. dai tre artisti rodii Age-
sandro, Pohdoro e Atenodoro, si trova tuttora nei Musei Vaticani. Rife-
risco parziaknente il giudizio del Winckelrnann nella Storia delVarte presso
gliantichi: « Veggiamo nel Laocoonte la natura nel suo maggior patimento:
vi scorgiamo Fimmagine di un uomo che cerca di unire tutta la forza
dello spirito contro i tormenti ... II petto sollevasi a stento e per Pimpe-
dita respirazione e per lo sforzo che egli fa di trattenere 1'espressione della
sensazione dolorosa, e di tutti concentrare e chiudere in se stesso i suoi tor
menti . . . Sembra egli frattanto sentir meno il proprio tormento che quello
dei figli . . . Un'aria lamentevole ha il suo volto, ma non gi£ d'uomo che
gridi ed esclami . . . Poiche 1'artista non poteva abbellir la natura, s'£ stu-
diato di maggiormente sviluppame gli affetti, e tutte mostrame le forze:
in quella parte eziandio, in cui pose la sede del dolore, la piu gran bellezza
vi ha fatto risaltare» (cfr. Opere, ed. cit., in, pp. 475-6; e si veda anche il
breve giudizio del Mengs nelle Riflessioni ecc., in Opere, ed. cit., i, pp. 325-
6). 3. si nelle entrate che nelle uscite'. nei punti in cui le forme entrano o
escono dal complesso della figura.
68
1074 FRANCESCO MILIZIA
vivamente espresso, ma in un altro genere : e un dolore meramente
fisico, e proprio della loro rispettiva eta.
L'idiota il piii stupido deve sentire Penergia di tanta espressione.
Ma piu la sente 1'erudito, che vi vede il Laocoonte di Virgilio,1
il real fratello d'Anchise, il sacerdote d' Apollo e di Nettuno. Vir
gilio lo fa urlare, anzi muggire come un toro immolate a morte.2
Ma la nostra statua non ispalanca la bocca : par che sospiri profon-
damente. Dunque lo scultore e stato piu filosofo del poeta, e pare
come diretto da Socrate, che maneggi6 anche lo scalpello, e seppe
si ben soffrire. Gran dose di filosofia 6 certamente necessaria per
esprimere con tanta dignita un si orribil tormento. Qui 6 esterior-
mente grande; ma a guisa del mare, che dagli uragani piu vee-
menti non e agitato che nella superficie, e internamente & in calma.3
Un personaggio reale e sacerdotale ha da saper sopportare i mag-
giori strazi. Perci6 la sua azione e in riposo, ma in un riposo che
non degenera ne in indifferenza, ne in letargo. Se egli si contor-
cesse tutto, s'imbrutisse, smaniasse, muggisse, 1'azione sarebbe
naturale si, ma triviale, e non nella bella natura. Eccola al su
blime. E chi non vorrebbe saper sopportare come questo Laocoon
te ? Sublime & tutto quello che c'inalza sopra noi stessi, e ci da un
vigore che prima non ci sentivamo.
Ma come un personaggio di si eminente qualita tutto ignudo?
Peccatiglio di convenienza largamente compensato dalPenergia
deir espressione, la quale non poteva verarnente effettuarsi vestito,
quand* anche vestito fosse piu sottilmente della Flora.
I putti non sono i piu belli ne tra gli antichi ne tra i moderni,
fra quali sono leggiadri quelli del Fiammingo nelle chiese del-
rAnima e di Campo Santo.4 Nel nostro gruppo il putto maggiore
ha la gamba destra visibilmente piu lunga della sinistra. Pure e
i. il Laocoonte di Virgilio : la descrizione del supplizio di Laocoonte occupa
i w. 199-233 del II libro dell'Eneide. 2. Virgilio . . . morte: cfr. Aen., n,
222-4 : a clamores sunul horrendos ad sidera tollit : / qualis mugitus, fugit
cum saucius aram / taurus et incertam excussit cervice securim (« insieme
alza alle stelle orrende grida: simili al muggito di un toro, quando gia fe-
rito fuggi dall'ara e scosse dal collo la scure debolmente vibrata»). 3. a
guisa . . . calma : il Milizia si ispira evidentemente, ma rovesciandone curio-
samente i termini, al famoso paragone del Winckelmann fra la bellezza
giovanile e la « superficie del mare, che veduto in qualche distanza tranquillo
sembra e terso come uno specchio, sebbene in fatti sia sempre in moto, e
volga incessantemente le sue onde » (cfr. Storia delVarte presso gli antichi, in
Opere, ed. cit., n, p. 270). 4. quelli . . . Campo Santo: sui putti della chiesa
dell'Anima cfr. anche il giudizio del Bertola, qui a p. 836, e la nota relativa;
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI 1075
questo un capo d'opera della scultura antica. Plinio non si stanca
di lodarlo.1 Ma Plinio piu d'ogni altra cosa vi loda i serpenti da
lui chiamati «dragoni». Non si puo prelodar Taccessorio senza far
torto al principale; e chi loda di questo tenore, pare che non sap-
pia vedere.
Plinio fa questo gruppo d'un sol pezzo, ed e di cinque, bensi
di marmo pario. Plinio nomina Agesandro per uno degli scultori di
questa grand'opera, e niuno sa trovare Agesandro fra' celebri ar-
tisti antichi.
Questo egregio lavoro e lasciato di scarpello, senza pulimento,
come la Venere Medicea. Dunque possono essere entrambi o copie,
o opere de' tempi non piu belli della Grecia; essendo ben verosi-
mile che gli eccellenti greci del miglior tempo finissero i loro
lavori.
Pietd di Michelangelo.2
E il piu decantato gruppo fra le opere moderne; e con ragione;
e un gruppo di prodigi di Michelangelo divino. Cristo morto di
33 anni disteso lungo su le ginocchia della sua madre, che appena
ne mostra 18 al di lei visino, alle manine, ai piedini: le di lei spalle
pero e la vita sono da lavandaia. Ella sostiene tutto quel corpo con
tale disinvoltura, che non si sa vedere dove sia la pietL Grande
imbroglio di panneggiamento trattato in piccolo. L'anatomia e al
suo solito molta, e Tespressione 6 un zero. La maggior singolarita
e che un braccio della Madonna e disossato.
Apollo e Dafne.3
Non e questo P Apollo di Belvedere che ammazza serpenti. Do-
vrebbe percic- essere piu bello e piu grazioso, per Tazione piu
viva e piu piccante che gli manca: e gli manca ogni bellezza di
gli altri sono effigiati nel sepolcro di Johann Hase, scolpito dal du
Quesnoy (1634) nella chiesa di Santa Maria in Campo Santo in Roma,
i. Plinio.. , lodarlo: cfr. Nat. hist., xxxvi, v, 37: « opus omnibus et picturae
et statuariae artis praeferendum. Ex uno lapide emn ac liberos draconum-
que mirabiles nexus de consilii sententia fecere summi artifices » (« opera
da anteporsi a quale altra si voglia e di pittura e di statuaria. D'un sol bloc-;
co di marmo i sommi artisti con inspirazione unitaria e comune trassero e
Laocoonte e i figli e il viluppo mirabile dei serpenti »). 2. In S. Pietro
(M.)- L'opera fu eseguita da Michelangelo nel 1498-1499. 3. In villa Bor-
ghese (M.). II gruppo fu compiuto dal Bernini intorno al 1621-1622.
1076 FRANCESCO MILIZIA
forme, che fu interamente ignota al Bernini.1 Ha in compenso una
finezza d'esecuzione nel marmo.
Toro Farnese.2
Anche questo marmo e ben lavorato. Ma chi non si lascia se-
durre dalla grandezza, ne dalla moltiplicita delle figure, ne dal-
Tartifizio della mano, in gran parte moderna, stimera poco un'o-
pera di un'espressione confusa ed enigmatica, almeno per noi altri.
Che cosa dunque diverranno tanti gruppi antichi, e tanti mausolei
moderni ?
Marco Aurelio.
Chi e quelFuomo colassu nel Campidoglio, che sta a cavallo,
non da cavallerizzo, ma con maestosa semplicita, e stende
la destra, non per spaccare benedizioni, ma per annunciare be-
neficenze insigni ? — Egli e il mio Marco Aurelio che da la pace
al popolo romano — risponde ilaremente la Filosofia. — Mira
quella testa veramente di carattere: ella e d'un uomo tutto ardore
per Fadempimento de* suoi doveri, de' doveri d'un sovrano che
ha il peso gravissimo, il peso immense di fare la felicita del suo
popolo. Fino al manto facilmente disposto esprime maesta. Ah
perche le belle arti non s'impiegano sempre in soggetti si con-
solanti! — £ la Filosofia che cosi ragiona.
Ma il popolo, antifilosofico per institute, non guarda Marco
Aurelio, s'incanta al cavallo, encomia il cavallo, ha per animato il
cavallo (e sa benissimo che cosa 6 anima), e vuole che il cavallo
marci. Chi e amico di bestie trova questa bestia in una mossa con-
traria al meccanismo,3 credendo che quel movimento non possa
durare che un istante. Appunto quell'istante, preteso difetto, fa
tutta la vivezza delPespressione. Ma la testa del cavallo invece
d'esser montonina e bovina. E tale deve essere, e tale e ne' cavalli
i. ogni bellezza . . . Bernini: cfr. il giudizio del Winckelmann : «uomo di
gran talento ed ingegno, ma cui la grazia mai non si mostr6 neppure
in sogno » (nello scritto Della grazia nei monumenti dell'arte, in Opere, ed.
cit., vi, p. 515). 2. II Toro Farnese, che si trova ora nel Museo Na-
zionale di Napoli, e una replica ronaana (II-III secolo d. C.) di un'opera
di Apollomo e Taunsco di Tralles che rappresentava il supplizio di Dirce.
3. al meccanismo: al movimento naturale del cavallo.
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI 1077
arabi, i piu nobili cavalli del mondo. Ma quelle crespe al collo
e alle anche sono troppo affettatamente circolari: la bestia e troppo
corta, e panciuta, e gropputa . . . Ma per dir questo, caro M. Fal
conet,1 non erano necessari due volumi, senza de' quali ognun sa
ch'ella e un'opera del tempo di Marco Aurelio, e non di Pericle>
non di Alessandro. Dunque saranno piu ben intesi i cavalli di
Monte Cavallo, opere di Fidia e di Prassitele.2 Moltissimo meno,
benche abbiano delle parti non dispregevoli : i celebri nomi appo-
sti non impongono. Sia quel che si voglia del cavallo di Marco
Aurelio, esso e il piu espressivo di quanti finora sieno usciti dalle
scuderie degli scultori antichi e moderni a noi noti, eccettuando
pero quello di M. Falconet,3 che ci e ignoto. E che c'importa de'
cavalli ?
Endimione.4
£ forse il miglior bassorilievo rimastoci dell'antico, per la gra-
dazione de' piani e delle lontananze. L'uomo sta bene sdraiato
colla sua lancia e par veramente che dorma: il cane in giusta di-
stanza e in bello scorcio abbaia alia luna, la situazione alpestre e
ben ideata. Al confronto di questo e si meschino il bassorilievo
d'Andromeda e Perseo, ch'e nello stesso Campidoglio, quanto e
egregio quello dipinto da Mengs.5
i. fitienne Maurice Falconet (1716-1791), scultore e critico francese, colla-
boratore della Encyclopedic per le arti figurative. II Milizia allude alle sue
Observations sur la statue de Marc-Aurele et sur d'autres objets relatifs aux
beaux arts, Amsterdam 1771 : osservazioni gia discusse dal Mengs in una
lettera al Falconet stesso (cfr. Opere, ed, cit., II, pp. 228-41), che il Milizia
ha certo presente. 2. i cavalli . . . Prassitele: allude al gruppo cosiddetto
dei Dioscuri, che si trova in piazza del Quirinale, e che fu a lungo attri-
buito a Fidia e a Prassitele, i cui nomi compaiono incisi sulle basi: in realt&
si tratta probabilmente di una replica romana di un originale greco del
VI-V secolo a. C. 3. quello di M. Falconet: allude al monumento equestre
di Pietro il Grande, eseguito appunto dal Falconet a Pietroburgo. 4. En-
dimione: il bassorilievo rappresentante la Luna e Endimione, replica romana
di un originale ellenistico, cosi come quello contemporaneo di Andromeda
e Perseo, nominate piu sotto, si trovano tuttora nel Museo Capitolino.
5. quello dipinto da Mengs: 1'opera non figura tra quelle elencate dal d'Aza-
ra nel catalogo premesso alle Opere (edizione citata).
1078 FRANCESCO MILIZIA
S. Leone.1
II fiero Attila alia testa cTun esercito di barbari marcia al flagello
di Roma, si arresta, si sbigottisce alia presenza del santissimo pa
pa, devoto, placido, inerme, e insieme tutto il suo seguito eccle-
siastico : ma gli volano per Taria i due apostoli Pietro e Paolo ben
armati e piii furibondi di Attila stesso, che si dava a credere il
dio Marte: e questi sono quelli che fanno il colpo, lo confondono,
lo spaventano, lo fugano (Roma per6 gli pag6 tribute) . II lavoro e
buono: ha unita, distribuzione, prospettiva, e ciascuna immagine
a suo luogo. I panneggiamenti pero sono troppo caricati, le forme
non bene scelte, e a quelli apostoli potrebbe Attila rinfacciare:
«Tantaene animis caelestibus irae!»2
In fatti gli stessi apostoli nello stesso soggetto trattato prima
da Raifaello,3 sono alquanto piii savi nelle loro minacce, e conser-
vano meglio il loro contegno, quantunque spieghino nell'aria masse
enormi di corporature. II papa, che qui non e piu S. Leone, ma
Leon X, sfoggia tutto il suo fasto montando una chinea airultima
moda papale, col corteggio di porporati eminentissimi, di monsi-
gnori, del crocifero, di palafrenieri, fra' quali e anche Pietro Pe-
rugino. Qui tutto e quiete. DalPaltra parte e Attila tutto agitato:
tutto agitato e il suo esercito, e piu convulsi i tenenti generali, i
marescialli, gli aiutanti, scompigliati tutti fra loro e co' loro de-
strieri. Anche Paria cospira alia loro confusione, non per pioggia,
ne per grandine, che sarebbe caduta in acconcio, purche avesse ri-
sparmiata la corte pontificia, ma per impeto di vento che manda
a sbaraglio le bandiere. II disegno e ben inteso, ma non nella
scelta delle forme. La scena e in campagna aperta tra alberi, colli-
ne, edifici, fiumi e monti in confuso: il cielo e risplendente : le
masse ben contrastate di bianco, di rosso, di paonazzo, di mezze
tinte . . .
Ma questo, ognun lo sa, e lavoro di pennello ; e prima di veder
quadri giova dalle osservazioni finora fatte dedurre alquante ri-
i. In S. Pietro (M.). Allude alia Cacdata di Attila, bassorilievo compiuto
da Alessandro Algardi (su cui cfr. la nota i a p. 836) nel 1650. 2. Virgilio,
Aen., I, ii («ire cosi violente in animi celesti»). 3. nello stesso . . . Raf-
faello: allude alPaffresco dipinto da Raffaello nella stanza di Eliodoro verso
il 1512-1514.
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI 1079
Session!, come element! dell'arte di vedere le produzioni delle
belle arti.
in
ARCHITETTURA*
Panteon.
Quel portico tutto che affumicato da' secoli, roso negli ornati e
spogliato superiormente d'ogni sua sontuosita, slarga il cuore. 6 la
semplicita stessa: alquante colonne e un frontispizio formaao la gran
mole. La vista vi si spazia con diletto nella giustezza dei rapporti e
nelle comodita del passeggio cui e destinato. Maestoso portico! e piu
maestoso, se le colonne fossero senza plinti e colle basi piu sempli-
ci. Forza, ricchezza, intelligenza, grandiosita, tutto il bello vi e
riunito. Portici Vatican!, Laterani, Liberiani, Sestoriani* e quanti
altri siete in Roma nelle basiliche e nelle non basiliche, perche" non
siete si grandiosi e si belli, malgrado tanti sforzi di ricchezza e
d'artifizio? Lo sforzo non e forza, la profusione non e ricchezza,
quando loro non presiede Tintelligenza, la quale ha da fare spic-
care la facilita; e in architettura, si replichi pure,3 tutto ha da na-
scere dal necessario, e sempre con naturalezza e senza stento.
Qui le colonne, benche realmente delle piu gigantesche, compa-
riscono d'una giusta grandezza. Le enormi del Vaticano sono sem
pre enormemente colossal!. Nel Panteon elle sono come debbono
essere sempre tutte le colonne, in vera funzione : prova a levarne
una sola, subito e tutto ruina. Levale tutte da quasi tutti gli edifici
modern!, e non leverai che superfluita e imbarazzi, senza che la
fabbrica soffra altro che in qualche superfluita stravagante. Parlo
delle colonne isolate. Le addossate, le annicchiate, le conficcate,
i. Da DeWarte di vedere nelle belle arti del disegno secondo i principii di Sul-
zer e di Mengs, ed. cit., pp. 102-9. Tralascio alcune riflessioni general! sul-
T architettura, che precedono le analisi qui riprodotte. 2. Portici Vaticam
sono quelh di San Pietro in Vaticano e della sua piazza, opera del Maderno
(1607-1614) e del Bernini (1656-1657); Laterani, di San Giovanni in Late-
rano, opera di Domenico Fontana (1586) e Alessandro Galilei (i736);
Liberiani, di Santa Maria Maggiore (fondata secondo la tradizione da papa
Liberio), opera del Fuga (1741-1743); Sestoriani, di Santa Croce in Geru-
salemme (detta anche « basilica Sessoriana» dal vicino palazzo Sessoriano),
opera di Domenico Gregorini e Pietro Passalacqua (1743); 3- f replichi
pure: la massima infatti e una di quelle su cui il Milizia insiste piu spesso,
come si e detto nella Nota introduttiva.
Io8o FRANCESCO MILIZIA
le sepolte e i pilastri sono come gli del d'Epicuro,1 L'architettura
moderna avra in Roma quasi died mila colonne di tale fatta. Che
abuso di ricchezza!
Se ad esso portico invece di discendere, e in vece d'essere sepol-
to come ora e, si ascendesse e fosse in elevazione, bello e isolato
com' era qual altro spicco non farebbe? alia maesta unirebbe
Teleganza.
Ma questo portico non e che Taccessorio di un tempio rotondo.
£ aggiunto, e Faggiunta non lega bene col corpo principale. Ad
un corpo rotondo fa bene quelPaccessorio quadrangolare ? Non e
qui il caso della varieta piacevole. Pare che interrompa, o tagli,
o che faccia desiderare la continuazione intorno. L'unita richie-
derebbe che anco il portico andasse circolarmente. Ecco la il tem-
pietto di Bramante:2 ha unita, varieta, simmetria, euritmia, ele-
ganza; avrebbe anche maesta, se fosse il Panteon\ ha i suoi nei:
sappili vedere.
Neirinterno del Panteon ammira la grandiosita del tutto e di
quelle colonne distribute con tanto senno. Ma se alzi gli occhi,
vedrai una cuba3 si magnifica, che t'impiccolisce subito quelle co
lonne poco fa si grandi. Questa sproporzione nasce probabilmente
da un preteso abbellimento moderno, per cui si sono cancellati
nelPattico que' pilastri, i quali, benche posanti in falso, doveano
per6 togliere questa odiosita. Odiosi sono anche que' due arconi
d'ingresso e di faccia, i quali oltre al comparire bruttamente supini,
come accade a tutti gli archi nelle forme circolari, qui di piii ta-
gliano Pattico. Senza que' tabernacoli con quelle colonnette so-
stenenti inutili frontespizi, pare che Paia4 starebbe meglio. Ma
chi ha recato piu guasto a questo edificio; la soldatesca barbara
e il tempo, o gli architetti romaneschi ?
Colosseo.
Uniformita in ogni piano, e varieta nel tutto: semplicita, buon
legame, buone proporzioni. Le colonne non vi fanno tutto lo spicco,
perche vi fanno poca funzione; e assai meno ve ne fanno que7
magri pilastri che ripetono la stessa decorazione che e loro imme-
i. sono . . . Epicuro: in quanto non servono a nulla. 2. il tempietto di
Bramante: nella chiesa di S.Pietro in Montorio (1503). 3. cuba: cupola.
4. aia: spazio interne.
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI Io8l
diatamente di sotto. Gran massa imponente! Piu lo sarebbe, se
non fosse che a tre ordini ; e piii ancora se a due.
S. Paolo.1
Ammiravi Peffetto veramente ammirabile de* grandiosi peri-
stili, e passa avanti.
Cancelleria.2
Mole grande, ben ripartita, e mal decorata di pilastri secchi e inu-
tili: grandioso e anche il cortile per le colonne isolate, e barbara-
mente archeggiate.
Farnese.3
Massa terribile in buoni rapporti e senza grazia. Gli ornamenti
delle finestre non sono bene scelti, ne ben disposti, e troppo orna-
to e il cornicione. Bello e il vestibolo per le colonne isolate: troppo
massicci nel cortile e troppo soffocati gli ordini, che si possono
radere impunemente. Dunque con tutti i suoi ornati il Farnese e
inferiore alia Cancelleria.
Campidoglio.4
Tutti e tre insieme questi palazzini colle loro pertinenze di piaz
za, di sculture, di balaustri, di cordonate, di fontane e di colle Capi-
tolino, formano non so che di gaio. Ne' laterali manca Punita: co
lonne ioniche e pilastri corintii inutili in dissonanza; finestre mal
decorate. Dunque peggio del Farnese.
i. S. Paolo fuori le mura: il Milizia si riferisce all'antica basilica, eretta nel
IV secolo, e che fu poi distrutta da un incendio nel 1823. 2. Cancelleria:
attribuita tradizionalmente al Bramante, mentre il Vasari ne indica come
autore Antonio Montecavallo. II Milizia nelle sue Memorie degli architetti
antichi e moderni accoglie 1'attribuzione al Bramante (ed. cit., I, p. 140).
3. II palazzo Farnese^ la cui facciata fino al cornicione e di Antonio da San-
gallo il Giovane, mentre il cornicione, la finestra sul portone, le due fac-
ciate laterali, il terzo piano del primo cortile e il secondo cortile sono di
Michelangelo, e il resto di Giacomo della Porta. 4. La piazza del Cam-
pidoglio, eseguita su progetto di Michelangelo.
I082 FRANCESCO MILIZIA
S. Pietro.
Ecco la reverenda fabbrica la piu grande e la piu ricca dell'uni-
verso. Che ingegno slanciar nell'aria il Panteon, e fame una cupola
con cupolino, con cupolette e cupolucce! Tutto ci6 e stupendo. E
stupendo e tutto Testeriore mastino1 e tagliato in tante parti; e piu
stupenda la pianta di difficile comprensione con navette* che hanno
un meschino rapporto colla navata; stupendi gli ordini insignifi
cant! in quelli enormi massicci, e stupendissimi gli altri ornati triti
e profusi senza discrezione. Dunque S. Paolo e piu architettonico
di S. Pietro. Dunque a tempo di Costantino, allora quando Tar-
chitettura era spenta, se ne sapeva di piu che nel secolo della tanto
trombeggiata risurrezione di tutto il bello e di tutto il buono
sotto i Giuli e i Leoni per mezzo di quel Michelagnolo triplice-
mente divino.
Immensa e la piazza; e frattanto dov'e il punto di vista per la
facciata, che sia in armonia con tutta la cupola? II colonnato di essa
piazza e forse il miglior pezzo delParchitettura moderna, in grazia
delle colonne, che vi fanno da colonne.
S. Andrea della Valle.3
Facciata grande e ricca. Dunque bella, seguita a dire Tintelligen-
tissimo volgo. Dunque una ricca mummia sara bella. Pure ognun
vede che un brutto oggetto, quanto piu s'ingrandisce e si arric-
chisce, piu s'imbrutta. Qual e il punto di veduta per godere la cu
pola campeggiare su la facciata ? Perche essa facciata e a due piani,
se Tintemo e uno ? £ dunque una facciata menzognera; non e sola.
Peggio con que' tanti imbrogli di pilastri, di piedestalli, di colonne,
tutte inconcludentemente. II peggio strapazzo e di frontispizi e
di cornici con tanti tagli, frastagli, angoli e risalti. La stessa insi-
gnificanza e controsignificanza de' pretesi ornamenti e nell'interno,
dove in fondo e quelPinutil cupolone, che dovrebbe essere nel
mezzo. Dunque di mal in peggio.
i. mastino: grossolano e pesante. 2. navette: navate minori. 3. S. An
drea della Valle: iniziata da Paolo Olivieri nel 1591, continuata da Gio
vanni Francesco Grimaldi, e compiuta, su disegno del Maderno, nel 1650.
DELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI 1083
Sagristia Vaticana.1
Sia pure questa la piu sontuosa sagristia de' preteriti, de' pre
sent! e de' tempi futuri; ma ella e anche la fabbrica la piu inarchi-
tettonica. Qui non si richiede arte di vedere; chiunque ha occhi
la definisce subito per un capo d' opera di spropositi. Dunque peg-
gio che mai.
Dunque di peggio in peggio anche in architettura, in cui da un
secolo e mezzo in qua si veggono da per tutto messe in opera le
stesse stravaganze coll'aggiunta di ondolazioni, d'incassature, di
proietti,2 d'aggetti sopra proietti, entro incavi di misti Iinee3^e di
acutangoli. Chiudi gli occhi a tanti inarchitertonici mostri, niuno
per difetto, ma tutti per eccesso e per disposizione e configurazioni
di parti. Se fossero cose meramente insignificanti, male, valerebbero
un niente, il controsignificante e meno del niente, cioe un male
positive in ragione della sua controsignificanza.
Questa rassegna delle cose piu rimarchevoli di Roma fa^malin-
conia.4 Eppure Roma si decanta la reggia delle belle arti. Lo e
per confronto, o per pregiudizio?
Se gli artisti fossero obbligati a fare descrizioni ragionate delle
loro opere, o farebbero opere ragionevoli, o non farebbero ne Tune
ne 1'altre. A Tebe chi faceva un cattivo quadro era punito: bisogna
che quelli stupidi tebani sapessero vedere assai bene; ne avranno
premiato un architetto che vi avesse fatta una fabbrica insensata da
svergognare in perpetuo una nazione intera. Impareremo a vedere
anche noi, e godremo, godremo piu di quello che taluno puo im-
maginarsi; poiche le belle arti ben intese, ben regolate e ben di-
rette hanno una grande influenza al bene del popolo, dipendendo
tutto dallo stesso unico principio, dalla ragione ben coltivata: ella
fa il buon governo, illumina colle buone scienze, istruisce e di-
letta colle belle arti, fa la felicita pubblica e privata.
i. Sagristia Vaticana: costruita da Carlo Marchionni (1776-1784). a. pro-
*
girare del tomio es
ha veruno, non e ne gotica ne cinese, e molto meno greca; e
cui gli artisti si scapricciano (M.)-
GIUSEPPE SPALLETTI
NOTA INTRODUTTIVA
AlPincirca nella stessa epoca del Milizia e in un ambiente cul-
turale non diverse visse a Roma Pautore del Saggio sopra la bel-
lezza, Giuseppe SpallettL Non si conoscono le date precise della
sua nascita e della sua morte, ma certo egli doveva aver passato la
prima giovinezza nel 1758, quando mori suo zio Andrea Francesco
Mariani di Viterbo, die lo aveva avuto coadiutore nel suo ufEcio di
scrittore di lingua greca alia Biblioteca Vaticana; ed era ancora
vivo nel 1793, quando il Monti, in una nota alia Bassvilliana, lo
annoveravatraipiuaccaniti detrattori del suo poemetto e gli affib-
biava Fappellativo di abrutto autore del Bello». La sua familiarita
col principe Luigi Gonzaga, di idee democratiche e poi massone,
e la sua presenza fra i sostenitori di Gorilla Olimpica, insie-
me col Pizzi, con PAmaduzzi e con altri awersari dei gesuiti,
sembrerebbero qualificarlo come uomo di idee liberali, almeno re-
lativamente alPambiente romano ; anche se ci rimane di lui un'epi-
stola latina in versi contro la Rivoluzione francese. Dei suoi in-
teressi nel campo filosofico non rimane altro documento che il
Saggio sopra la bellezza. Dimostra invece la sua passione ed anche
(nonostante gli aspri giudizi del Monti nella nota ricordata) la sua
preparazione scientifica come archeologo e filologo Paltra operetta
che di lui ci e pervenuta, la Dichiarazione di una tavola ospitale
trovata in Roma sopra il monte Aventino (Roma, Stamperia Salo-
moniana, 1777); e un'ulteriore conferma in questo senso puo es-
sere offerta dalle notizie, fornite dal Lucchesini, intorno ad una
sua edizione di Anacreonte condotta su un codice del secolo X,
e ad una altra edizione, almeno da lui progettata, dtll'Antologia
palatina.
Fu probabilmente proprio questa passione per Pantico, e in
particolare la sua competenza di grecista, a favorire la sua amicizia
col Mengs, a richiesta del quale egli stese, come e detto esplicita-
mente alPinizio delPoperetta, il Saggio sopra la belhzza, che,
compiuto nella «solitudine di Grottaf errata » prima del 14 luglio
1764, fa stampato a Roma nel 1765. L'opuscolo suscit6 subito
un certo interesse. Lo stesso Mengs appose una serie di postille
(edite dal Fea nel 1836) ad un esemplare del Saggio. Alcune af-
fermazioni in esso contenute furono discusse dal d'Azara nelle sue
1088 GIUSEPPE SPALLETTI
Osservazioni intorno alle Riflessioni sulla bellezza e sul gusto delta
pittura del Mengs; da Bernardo Galiani, Pamico del Milizia, in
una inedita dissertazione Del Bello ; da Andrea Spagni nel tratta-
to De bono, malo et pulchro ; e infine ne fece menzione, citandone la
defmizione con cui si apre il paragrafo n, il Sulzer, nella Allgemeine
Theorie der schonen Kiinste. A questa menzione del Sulzer si de-
ve il ricordo dell' opera dello Spalletti in alcune storie e trattati
di estetica dell'Ottocento, soprattutto stranieri, come quelli dello
Zimmermann, dello Schasler, del Tolstoi. Ma un efettivo inte-
resse intorno al Saggio sopra la bellezza e al suo autore si accese
solo verso i primi anni del Novecento per merito del Croce: il
quale, nel ripercorrere la storia della filosofia dell'arte alia luce
della sua prima estetica, ritenne di poter indicare il concetto fon-
damentale, e piu nuovo, dell'operetta nella identificazione della
bellezza col « caratteristico », una identificazione che il Croce stesso
giudicava «alquanto vaga e priva di vero fondamento filosofico»,
ma che in ogni caso andava, a suo giudizio, posta nel dovuto rilievo
come una consapevole reazione alia «idea mistica della bellezza »
del Mengs e del Winckelmann e come primo affiorare, in pieno
Settecento, di una idea estetica tipicamente romantica. A questa
interpretazione non mossero obiezioni sostanziali i due studios!
che dopo il Croce si occuparono espressamente del Saggio, il Na-
tali e il Preti. Seri dubbi su di essa sono stati invece sollevati re-
centemente dal Caracciolo. Egli ritiene anzitutto che il « caratteri
stico)) di cui parla lo Spalletti non si possa riferire alia bellezza
naturale, bensi soltanto alia bellezza artificiale. Ma anche entro
questi limiti gli sembra difficile sostenere che Fautore intenda vera-
mente il Bello (come vuole il Croce) quale rappresentazione del-
rindividuale concrete. A suo giudizio, il pensiero dello Spalletti
sulPargomento sarebbe ancora aggrovigliato e confuso; e se in
qualche punto esso pu6 sembrare effettivamente orientato nel sen-
so indicate dal Croce, dalla lettura complessiva del Saggio si avreb-
be Timpressione che per Pautore Poggetto della rappresentazione
artistica oscilli « dalPindividuale concrete, bello o brutto che sia,
airindividuale scelto sulla base della bellezza, al tipicamente bello,
formato secondo la favola di Zeusi». E tale interpretazione, sempre
a giudizio del Caracciolo, sarebbe confermata dalle postille del
Mengs, nelle quali si sollevano obiezioni su altre affermazioni del
Saggio, mentre non si discute quella presunta identificazione del
NOTA INTRODUTTIVA 1089
Bello col caratteristico, die avrebbe dovuto soprattutto suscitare
la reazione polemica del ccpittore filosofo».
In effetto, se si considera Toperetta dal solo punto di vista
del caratteristico, mi sembra che i dubbi del Caracciolo siano
fondati. Ma direi anche che, rileggendo spregiudicatamente il
breve trattato, sorga un altro e piu generale dubbio: quel pro-
blema e dawero centrale nelle intenzioni delPautore e nell'effet-
tivo svolgersi del ragionamento ? Quale sia Taspetto del Saggio a
cui soprattutto tiene, lo Spalletti precisa piu volte nel corso del
lavoro, ma in modo particolarmente esplicito nel paragrafo conclu
sive (XLII) : « Lusingomi aver io per il primo dall'amor proprio de-
dotto la bellezza, avendo dimostrato che in null' altro consiste se
non se nell'associazione di piacevoli idee». Certo, in senso gene-
rale, non si pu6 affermare che questa deduzione della bellezza
dairamor proprio sia una assoluta no vita, poiche essa (come gik
notavano lo Schasler e il Tolstoi) compare nell'estetica empiristica
inglese e in particolare nel Burke. Ma se e possibile e probabile
che lo Spalletti abbia preso lo spunto direttamente o indiretta-
mente dal pensiero empiristico inglese, resta comunque originale
Timpiego che egli fa del concetto deiramor proprio. E anzitutto da
rilevare (con il Croce) che, se anche per lui il Bello e soddisfaci-
mento deiramor proprio e quindi piacere, tale piacere non ha nulla
di egoistico o di utilitaristico, bensi e, come e precisato esplicita-
mente (§ xix), « piacere intellettuale». Ma 1'autore non si ferma
qui: egli sottopone ad ulteriore analisi questo piacere intellettuale,
mostrando come esso si articoli in due momenti idealmente di-
stinti ma in effetto compresenti nella mente di chi giudica e gusta
1'opera d'arte, e che a loro volta corrispondono alle due fasi,
pure idealmente distinte e compresenti, della creazione artistica:
a I grandi autori, stabilita con precisione la caratteristica di ci6 che
rappresentare vogliono, si studiano che questa desti immediata-
mente nella fantasia dej riguardanti 1'idea della medesima cosa:
lo che eseguito, sono gia sicuri della bellezza della propria opera:
la quale accio vie piu d'impressione piacevole susciti, la coadiu-
vano con la varieta, che airunita obbedisca, con Pordine, colla
simmetria, etc. Ed in questa guisa prende la tela pitturata un'aria
singolare, la quale senza tradire la verita spesse volte la supera;
e questo fare caratterizza la sublimita del talento delTautore, e noi
rimanghiamo soprafatti, perche in que' pochi tratti scorgiamo la
69
logo GIUSEPPE SPALLETTI
realta di quella cosa che rappresentar si e voluta, dotata di quelle
modificazioni di cui piacque alFautore dotarla ...»(§ xxxiv). Que-
sto passo mi sembra fondamentale per comprendere nel giusto
senso la natura del trattatello, e in particolare quella che al Carac-
ciolo e sembrata una « oscillazione » fra caratteristico e Bello ideale.
Alia luce di esso, infatti, e di altri passi ancora che, sia pure in mo-
do meno chiaro, ne anticipano o ne riprendono i concetti (§ xn,
xix, xxxvui, XL, XLI), viene a chiarirsi come lo Spalletti intenda
la rappresentazione della caratteristica di un oggetto e la sua idealiz-
zazione appunto come due momenti di un unico processo artistico
che, dopo essersi svolto nella mente delFartista, si ripete in quella
del lettore o spettatore sollecitandone piacevolmente Famor pro-
prio: il momento della constatazione delFaderenza veritiera del-
Fopera d'arte al « prototipo », alFoggetto da rappresentare, consta
tazione che gia di per se stessa produce un primo piacere estetico,
appagando immediatamente e facilmente Fanima nella sua esi-
genza di «verita» (§ in, xn-xv); e il momento in cui lo spettatore
o lettore, sicuro ormai della (cverita» della rappresentazione, si
compiace di osservare come Fartista abbia elaborate tale rappre
sentazione conformandola a quei canoni di varieta nelFunita, di
ordine, di simmetria, ecc., che costituiscono la «norma» univer-
sale e immutabile della bellezza (§ v-xi): osservazione che con-
sente alFanima un ulteriore e piu raffinato godimento, conducen-
dola, attraverso una cccontinua serie di taciti sillogismi », ad av-
vertire il «sentimento della propria perfezione» (§ xvi-xix), ma
che, e bene ripeterlo, non sarebbe possibile senza la preliminare
sicurezza della specifica verita della rappresentazione.
II Saggio non si configura dunque come una difesa del carat
teristico in polemica con Festetica metafisica o mistica del Winck-
elmann o del Mengs (secondo Finterpretazione crociana), ma
neppure, malgrado la scarsa chiarezza delFesposizione, si riduce
ad una aggrovigliata e confusa oscillazione fra i due concetti.
Esso puo essere invece ragionevolmente interpretato come un ten-
tativo di dialettizzare in un processo unico, partendo dalF«amor
proprio», Faspetto « particolare », soggettivo e sensibile della crea-
zione artistica e del piacere da essa suscitato con il loro aspetto
universale e ideale. Che proprio questa sia la preoccupazione fon
damentale dell'autore mi sembra confermato anche dalla lunga
discussione intorno al problema della bellezza assoluta e relativa
NOTA INTRODUTTIVA I0gi
( § xx-xxxm), una discussione infine risolta con Passerire per via
empiristica 1'assolutezza del Bello, ma in cui pure (come ha no-
tato il Preti) s'intrawede (specialmente nel § xxiv) la possibilita
di una piu originale e profonda soluzione, che intenda il Bello
assoluto come « forma » e il Bello relative come variabile «conte-
nuto» di questa forma.
Cosi interpretato il Saggio, se perde il suo valore di sorprendente
anticipazione romantica, acquista per6 un non trascurabile inte-
resse quale risposta non priva di originalita ad una delle piu dibat-
tute question! della estetica del tar do Illuminismo. Piu partico-
larmente direi che esso valga come una teorizzazione di quell5 o-
rientarnento di gusto che si nota appunto in questa epoca nella
critica letteraria e artistica italiana - ad esempio, per limitarci alia
seconda, nel Milizia e anche nel Lanzi -, e che, pur accogliendo la
suggestione del neoclassicismo winckelmanniano e mengsiano e
specialmente 1'aspirazione ad una arte serenamente impersonate,
non vuole o non sa pero rinunciare a quei caratteri di concreto
interesse umano, di sensibile evidenza, e magari di equilibrata ve-
rosimiglianza, che erano cari al classicismo illuministico.
Proprio a combattere questo compromesso, a riaffermare la na-
tura universale, metafisica, «insignificante» del Bello, mi sembra
che siano rivolte le postille del Mengs : il quale, se e vero che non
polemizza contro il « caratteristico », tende tuttavia a ribattere tutte
le proposizioni dello Spalletti che insistono sugli aspetti «parti-
colari », soggettivi o sensibili, dell'atto o del piacere estetico, come
quando afferma che aPamor proprio non pu6 mai essere origine
della bellezza, che e una qualita inerente airoggetto bello e non
qualita di chi Pammira» (postille 3 e n); o che la «varieta» non e
un elemento essenziale della bellezza, ma piuttosto «un impedi-
mento », mentre essenziali sono invece la semplicita e Punita (po
stille 6, 7, 8, 9); che il « disaggradevole » non pu6 essere degno
del nome di bello (postilla 13); e che infine e da escludere del tutto
la possibilita di una bellezza relativa (postille 14 e 15).
II Saggio sopra la bellezza fu pubblicato a Roma, dalla tipografia di
Francesco Bizzarrini Komarek, nel 1765, senza il nome delTautore, che
per6 figura manoscritto in alcuni esemplari di questa edizione; e rattribu-
zione risulta confermata da una esplicita dichiarazione di F. M. Renazzi
(Storia dell* Universitd di Roma, Roma 1806, iv, p. 351). Successivamente
1092 GIUSEPPE SPALLETTI
il Saggio fu ripubblicato due volte: a cura di G. Natali, Firenze, Olschki,
1933; e a cura di G. Preti, Milano, Minuziano, 1954. In questa nostra
ristampa parziale ci siamo attenuti, naturalmente, alia edizione romana
del 1765.
Le postille di A. R. MENGS al Saggio si leggono nelle Opere pubblicate dal
cavaliere G. N. d'Azara, corrette ed aumentate dalV avvocato Carlo Fea,
Milano, Silvestri, 1836, I, pp. 236-42. I cenni di A. C. SULZER sono nella
Allgemeine Theorie der schonen Kiinste, Leipzig, Wiedmann, 1792-1794,
IV> PP* 312-3; B. CROCK si e occupato due volte del Saggio: nell' Estetica,
Bari, Laterza, I9468, pp. 299-300; e nei Problemi di estetica, Bari, Laterza,
I9494, pp. 394-400; G. NATALI nella Nota finale alia sua edizione citata,
utile soprattutto per le notizie biografiche e bibliografiche, e che ripro-
duce sostanzialmente il saggio gia pubblicato col titolo // « brutto autore del
Bello^ in «Giorn. stor. d. lett. it. », LXXXVI (1925), pp. 397-400, e poi nel
volume Idee, costumi, uomini del Settecento, Torino, S.T.E.N., I9262;
G. PRETI nella Introduzione alia sua edizione pure citata ; A. CARACCIOLO
in una recensione di questa edizione pubblicata in « Giornale di metafisi-
ca», in (1948), pp. 264-8, e ristampata nel volume Scritti di estetica, Bre
scia, Vannini, 1949. Si vedano inoltre i cenni equilibrati di G. DE RUG-
GIERO, Storia della filosofia, P. iv; La filosofia moderna, ill, Da Vico a
Kant, Bari, Laterza, 1952*, pp. 102-3; e di R. WELLEK, Storia della critica
moderna. DalV Illuminismo al Romanticismo (traduzione italiana di A. Lorn-
bardo), Bologna, Societa editrice «I1 Mulino», 1958, p. 149.
DAL «SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA»
ii
Idea deU'opera.1
Jrrima pero che incominciate a ponderate cio che la buona vo-
lonta di servirvi nella solitudine di Grotta Ferrata mi suggeri-
sce, vi priego vogliate riflettere non avere inteso io far qui un
compito trattato intorno la bellezza, non solo per iscansare la
fatica, la quale grave anzi che no riuscita sarebbemi, ma per
non oltrepassare i limit! della vostra domanda, Dovrete ancora
prendere in buona parte la negligenza dello stile di cui espres-
samente usai per la dolce memoria, che viva mi rimane, della cor-
tese umanita vostra. Ne sorpreso rimarrete se non osservate un
certo studiato metodo; ma un'analisi semplicissima di quelle no-
zioni che condur possono a sviluppare la complicatissima idea
della bellezza alia vostra ingenua2 arte specialmente spettante.
Da queste, bene intese ch'elleno sieno, nascer vedrete la defini-
zione di quello3 mi richiedeste. Giovami ultimamente awertirvi,
nominarsi da me in questo scritto spesse volte Pamor proprio,
per il quale niente altro intender voglio se non se quell' assor-
timento d'idee piacevoli o utili, che il proprio interesse a ca-
daun uomo ha formato, il quale poi passato in abito si erige giu-
dice di tutto ci6 che airanima si presenta, non potendosi a que-
sta offerire oggetto veruno il quale non abbia qualche rapporto
o col nostro stato, o colle nostre passioni, o colle nostre opinioni.
Esatto giudice poi sara Pamor proprio di que' spiriti ben nati, i
quali, amici del vero, animati da un nobile ardire, seaza esser
punto caparbi, conservano la loro anima in una certa sospensione,
la quale dia sempre Tadito alia verita, e mai cessi di depurare le
antiche idee da ogni qualunque siasi pregiudizio.
i. Nel § i Tautore, rivolgendosi al Mengs, ricorda come da lui gli sia ve-
nuta Tesortazione a scrivere il presente saggio. 2. ingenua: nobile. Al
lude alia pittura, Tarte esercitata dal Mengs. 3. quello: quello che.
1094 GIUSEPPE SPALLETTI
III
Definizione della bellezza.
Per accommodarmi alia costumanza che praticasi, incomincer6
questo mio ragionamento colla definizione della bellezza; la qua
le a mio awiso e quella modificazione inerente alPoggetto os-
servato, che con infallibile caratteristica, quale il medesimo ap-
parir deve allo intelletto che compiacesi in riguardarlo, tale glie-
lo presenta.1 Faro costare,2che il diletto della bellezza occasionato
ha la sua radice nelPamor proprio,3 il quale in una tal qual maniera
padre di quella proclivita, che per la bellezza abbiamo, possiamo
chiamare; essendo che Panima sdegna essere prodiga di encomi
verso quegli oggetti che il menomo incommode recar le posso-
no. Tutto ci6 ch'ella a primo aspetto non percepisce adequa-
tamente, anzi che encomiarlo, lo vitupera. Perche Pamor proprio
e certo di andar meno al di sotto pronunziandolo brutto, E sicco-
me la idea di Bello e presa dalPassociazione di quelPidee che
favorevoli e parziali alle grate sensazioni nostre giudichiamo, per-
ci6 non sara possibile che Panima s'induca a dare il titolo di
bello a quella cosa che per difetto di propria caratteristica o d'i-
gnoranza4 pone in qualche dubbio il di lei amor proprio. Que
sto egli e il fonte del timore che abbiamo di non ingannarci,
e cresce in proporzione della dubbiezza in cui Panima e situata
per mancanza della caratteristica sopraenunciata. Ne a voi stra-
na apparisca la novita che vi reco intorno la origine della bel
lezza, perche, se a fondo esaminerete la inesauribile passione
i. la quale. . .presenta: e la definizione che verra citata dal Sulzer nel-
VAllgemeine Theorie der schonen Kiinste (vedi la bibliografia), e che di qui
passera nelle varie storie dell'estetica. II Mengs postillando questa defini
zione osserva: « e troppo ristretta, riguardando solamente gli oggetti visibili.
Dunque tratta al piu delle cose belle, non della bellezza » (cfr. postilla 2,
in Opere, ed. cit., I, p. 237). 2. costare: constare. 3. il diletto . . . proprio:
a questa affermazione si nferisce certamente la postilla 3 del Mengs : « Sa-
rebbe necessario distinguere il Bello dal piacevole, mentre ancor questo
_ quel che io chiamo giudii,AV XV,MI»LVU «
noi medesimi, e che e inseparable in noi» (cfr. Opere, ed. cit., I, p. 237).
4. d'ignoranza: cosl ha 1'edizione 1765: probabilmente nella stampa e sal-
tata qualche parola. In ogni caso si dovra intendere: per 1'ignoranza in cui
Tanima si trova rispetto alia cosa.
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA 1095
dell'amor proprio, la troverete prima motrice di tutte le azioni
che riguardano non solamente la macchina, ma ancora lo spirito.
Dalle quali cose chiaramente addivenir vedrete che quanto piu
Partefice avra abilita d'interessare questa passione con sicurezza,
in modo che scorga chiaramente ci6 che da lui si e voluto esprimere,
tanto piu pregevole dovra essere stimato.1
XI
Gli uomini han formato una norma di "bellezza.
Senza per ora molto diffondermi nelle altre cause produttrici
la bellezza, conviene che vi awerta della non mai abbastanza
conosciuta forza delPamor proprio.3 Questo, che in ogni nostra
azione vuole in qualunque siasi modo entrare, si e tanto con noi
addimesticato, che senza stare alFerta non ci accorgiamo esser
egli il primo agente in quasi tutti i nostri giudizi; ma facile ol-
tre modo si rende, a chi all'analisi delle operazioni deli'anima e
mediocremente accostumato, il veder qual posto in ogni una di
esse egli occupi. Voi, che colla vostra penetrativa assottigliata mai
sempre in serie meditazioni siete oltre modo pratico delle medesi-
me, non arete punto difficolta di meco convenire in questa opi-
nione, e con agevolezza il comprenderete. Ora gli uomini, o questi
siano dotti o idioti, riflettendo cadauno a suo modo sopra la varie-
ta, la semplicita, Pordine e sopra i van rapporti di queste qualita,
per proprio comodo cercano ridurre queste medesime idee ad una
idea comune, la quale serva loro di sesto o di norma; ed addattando
questa agli oggetti individui, ove veggono la medesima loro con-
venire, da questa convenienza n'esperimentano piacere, si perche
i. Tralascio i § iv-x, nei quali lo Spalletti, dopo aver accennato come Tarte,
sotto la spinta delTamor proprio, sia nata e si sia sviluppata verso forme
sempre piu rafEnate e complesse, chiarisce che il corpo umano e la fonte
di tutte le norme della bellezza, le quali consistono nella varieta, nelTunita,
nell'ordine (simmetria e armonia) e nella semplicita. 2. conviene . . . pro
prio : a questa affermazione, e al ragionamento che segue, deve riferirsi la
postilla ii del Mengs: «l'amor proprio solamente pu6 entrare nelle cose
relative ad un uomo o ad un altro in particolare; ma 1'idea della bellezza
nasce in noi quando crediamo che la cosa che noi ammiriamo sia tale che
tutti gli uomini debbano convenire a lodarla; poiche non nasce dal sem-
plice piacere che ci da, ma dalla conoscenza della perfezione dell*oggetto
da noi creduto mezzo convincente per essere da tutti lodato » (cfr. Opere,
ed. cit., I, p. 239).
1096 GIUSEPPE SPALLETTI
la norma che a quest! si accomoda, e oggetto di piacere, si perche
per mezzo di questa accrescono le loro cognizioni, si perche sem-
bra loro che ci6 che per via di questa bello dicono, sia loro merc6
ammesso nella classe del Bello ; e questo piacere e tanto, che tutti
gli altri supera, perche loro sembra essere tutto lor proprio, sicco-
me quello che non dipende immediatamente da' sensi, ma e parto
della lor mente, che, per 1'associazione di quelle idee piacevoli
di sopra riferite, ha formato il sesto che alia cosa, che bella di-
chiara, addatta.
XII
Questa norma in sostanza poco variabile.1
E siccome questa norma ha per base la varieta, 1'ordine, la
semplicita, e queste la macchina del nostro corpo ed i pretti
prodotti della natura, le quali cose tutte essendo eternamente co-
stanti, di poche sostanziali differenze sara la medesima suscettibile,
in maniera che, allora quando un artefice forma una cosa, la quale
abbia seco una infallibile caratteristica come nel prototipo si os-
serva, bella quella data cosa senza esitare dichiariamo, e per bella
in realta, da tutti coloro che intendenti in questo genere si repu-
tano, viene apprezzata, senza molto interessarci se ci6 che si
esprime dalPartefice sia una cosa piacevole o disaggradevole,2 per
che Tanima non e allora occupata se non se alia considerazione
della industria dello artefice, il quale ha saputo cosi profondamente
i . Questa . . . variabile : a questo paragrafo risponde la postilla 1 2 del Mengs :
«Non e altrimenti vero che la norma della bellezza sia poco variabile;
mentre sono infiniti i caratteri, anche limitandomi alia sola figura umana;
e piu ancora i modi con cui li rappresentiamo sotto diversa vista, in di
verse passioni ed accident!)) (cfr. Opere, ed. cit., i, p. 239). Questa postilla e
stata ricordata dal Caracciolo (neirarticolo citato) a provare come il Mengs
stesso nell'anunissione del caratteristico vada piu oltre dello Spalletti. A me
sembra piuttosto che il « pittore filosofo » intenda soprattutto mostrare Tas-
surdita di una derivazione della norma della bellezza, che e per lui « asso-
luta» (cfr. Opere, ed. cit., i, p. 240), daH'«amor proprio » che e di neces-
sita, a suo giudizio, individuale e particolare. 2. senza . . . disaggradevole :
cfr. la postilla 13 del Mengs: «la bellezza disaggradevole appartiene al-
1' opera, e non al soggetto : ed e quasi abuso il chiamare bella una tal opera,
non essendo, a parer mio, degno del nome di bello se non che il nobile e il
grato, quando ci viene presentato ai sensi sotto 1'aspetto piu semplice, e
conseguentemente piu chiaro al nostro intelletto» (cfr. Opere , ed. cit.,
I, P- 239).
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA IOQ7
studiar la natura, che, penetrate ove questa ha riposte quelle date
qualita esterne, colle quali le cose si distinguono le une dalle altre
senza confonderle ne pur con le simili, francamente pote esser
sicuro che lo spettatore della propria opera avrebbe veramente da
se medesimo per la forza della caratteristica espressavi penetrato
quello1 egli aveva in animo mentre P opera formava; la quale per
scopo aveva un oggetto che a se medesimo piacevole sembrava, ed
il quale, espresso che fosse stato colla sua infallibile caratteristica,
la norma, che a questo gli uornini erano usi addattare, tale lo
avrebbe infallantemente ritrovato.
XIII
Caratteristica, e suo vantaggio.
La caratteristica, per la quale una cosa differisce daU'altra in
maniera che non possiamo ne pur per una simile ingannarci, e
quella la quale ci fa formare le varie idee de* varii oggetti che
nella natura osserviamo, dalle quali i vari nomi furono necessa-
riamente originati, e per mezzo di questi aumentate le lingue e
dilatati i confini della erudizione; onde e che colui a cui piu og
getti sono noti, piu erudito & stimato, e colui che in un medesimo
oggetto piu difference e piu rapporti con un terzo conosce, piu ar-
guto e perspicace sara con lodi dichiarato, e quello che la vera genui-
na caratteristica di una data cosa sapra rappresentare, per abi-
lissimo osservatore della natura sara senza fallo reputato in qualun-
que occasione ci6 accada, e sara in facolta del medesimo Peccitare
negli animi di chi piu lui piace que' medesimi affetti che la na
tura produr saprebbe, perche sono al medesimo, per modo di
esprimermi, noti que' tasti i quali, toccati che siano, infallante
mente rendono quel dato tono, per ottenere il quale sa che la
natura abbisogna del mesto e dell' allegro, ed egli caratterizza in
maniera la malinconia e Pallegrezza, che sicuro e del successo.
i. quello: quello che.
1098 GIUSEPPE SPALLETTI
XIV
Di questo medesimo si sono serviti i poeti e gli oratori.
E questo e Punico mezzo per cui1 i diligent! artefici delle pro
se e delli versi allora quando han voluto eccitare ne' loro uditori
il pianto o le risa, Tallegrezza o la tristezza, Pamore o Podio, etc.,
essersi serviti si fa assai manifesto a chi airanalisi delle loro com-
posizioni con purgato occhio pu6 attendere. Ne difficil troppo
riescirebbe il recarne esempi nelle tragedie e nelle orazioni di ec-
cellenti autori, se la materia propostami lo richiedesse, e se agli
idioti indrizzassi io il mio ragionamento. Gli epiloghi delli discorsi
di Cicerone possono in questo genere servire per prova esuberan-
te della mia asserzione. Chiunque alia lettura di questi attende,
e nella mente dell' orator e si interna, non pu6 fare a meno di non
sentire in se medesimo commozione, e confessar conviene aver
Tullio il maggior suo merito in questa parte del discorso.
XV
Perche le cose tetre e melanconiche d piacciono.
Se si vorra poi osservare perche noi in simili casi con tanto
piacere assistiamo a chi di pianto ci e cagione, oltre al dire che la
nostra fantasia, allorche incomincia alPessere dalla recita agitata,
si dispone facilmente a qualsivoglia impressione; oltre il considerare
ch'ella a cagion dell?amor proprio riflette la possibilita di que'
medesimi accidenti in se stessa, e si fa per questa ragione inchi-
nevole alia compassione verso gli afflitti, alPira, alPodio, alia ven
detta verso PafHigente;2 oltre le varie altre ragioni che da altri
su di ci6 si adducono, si ha a mio awiso per potissima3 a reputare
la caratteristica infallibile che Foratore ha saputo addurre delFam-
bizione, delTavarizia, della crudelta, etc. di colui contra il quale
studiasi commovere il popolo, e Favere saputo animar la medesima
con de* tratti vivi, collocando ogni qualunque servibile circostanza
al suo lume, ed accompagnando la esposizione di si fatte cose
i. per cui: si dovra intendere «di cul»; il Natali corregge senz'altro per in
«di». 2. il considerare. , . Vaffligente: concetto caratteristico della cosid-
detta « estetica della simpatia », elaborata dal pensiero empinstico inglese,
e in particolare dal Burke. 3. potissima: preferibile fra tutte.
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA 1099
con la forza della espressione e rarmoniosa cadenza de' numeri
oratorii. £ troppo naturale che gli uomini, ogni volta che si av-
vegghino della cmdelta di Licaone,1 Fodino, della cortese umani-
ta di Tito, lo amino; consiste dunque Farte del dicitore a dare
tale caratteristica alle azioni delFuno e delFaltro, che in questo
la cortesia, in quello la inumanita apparisca: quando a ci6 e.giunto,
e sicuro delFeffetto. L'anima di chi ascolta agitata dalle idee degli
oggetti che il dicitore le rappresenta, e le passioni che gia destate
sono tutte in attenzione di quello,2 Famor proprio determinera,3
trovandosi da questo la verita della quale unicamente va in traccia,
non solamente per lo interesse che puo avere per lo accusato, ma
per la tema che Farte del dicitore non inganni se medesimo e se
ne beffi, accorgendosi di essere al sicuro di que' mali per i quali la
fantasia palpitava, gode4 di avere accresciuto le proprie cognizioni,
le quali in simili casi potranno a lei servire di scudo per guardarsi
in si fatte ricorrenze; e Fanima si lusinga esser forsi ella la prima
che ha saputo internarsi nella mente di chi diceva, e penetrare
piu addentro quello5 ha voluto Foratore esprimere: onde, bandito
ogni timore, e non ricordandosi troppo della tristezza in cui per
qualche momento si trovo situata, sicura, per la caratteristica
che ha discoperta, di non poter essere delusa, discaccia ogni pen-
siero malinconico, e cosi trionfa il piacere, che, come dal fin qui
detto si ricava, ha per vera sorgente la caratteristica che la verita
discopre. Onde e che, s'io riguardo una tavola ove maravigliosa-
mente rappresentato sia Favoltoio che rode le viscere a Prometeo :
questo spettacolo eccitera in me primieramente il piacere che na-
scer deve dalla caratteristica esprimente Prometeo e Favoltoio, il
quale tanto piu si aumentera, quanto meglio sara espresso sul vol-
to del paziente il dolore, quanto piu acconcia sara la di lui giacitura,
quanto piu al vivo espresso sara il di lui petto dagli artigli e dal
rostro della bestia squarciato, quanto piu ingorda apparira Favidita
della medesima di satollarsi delle viscere del meschino; ma questi
tali oggetti non potendo fare di manco d'introdurre dentro di me
delle idee di amarezza, quanto piu queste si aumentano, tanto piu
i. Licaone: mitico re dell' Arcadia, che mandava a morte tutti gli stranieri
che passavano nel suo regno: per punizione fu trasformato da Giove in
lupo. 2. tutte in attenzione di quello: essendo tutte attente al dicitore.
3. 1J amor proprio determinera: 1'anima suscitera, porra in azione 1'amor pro
prio. 4. gode: il soggetto e ancora I'anima. 5. quello: quello che.
IIOO GIUSEPPE SPALLETTI
la tavola mi piace; non perche diletto riceva Panima dalla tristezza,
ma perche si awede che senza questo lo spettacolo sarebbe lontano
dalla verita, e si compiace che somiglianti effetti in se si produ-
cano, perche per parto della verita li riconosce : ed essendole vietato
di trasportarsi sul Caucaso, e la contemplare il figliuolo di Giapeto
tra gli orrori de' scogli, gode che se le presenti una occasione la
quale le dia idea di una cosa cosi lontana, e senza il menomo suo
incomodo si compiace contemplare qui quello che in si lontani
paesi sensazione a questa similissima le recherebbe. Ed ecco per-
ch6 noi prendiamo piacere delle cose tetre e melanconiche, ed
ecco che piu che altrove qui Pamor proprio trionfa.
XVI
Una serie continua di taciti sillogismi
e la guida delVanima.
Piacquemi sempre mai quella frase di cui usa Wolfio1 per
spiegare i diversi stati deiranima: crede egli che una continua
serie di taciti sillogismi sia la guida della medesima. A misura
dunque che le cognizioni si aumentano, ed a proporzione dello
ingegno che serve per addattar quelle alia combinazione, alia se-
parazione, alia somiglianza, etc., cresce il numero de' sillogi
smi, e cresce per conseguenza necessaria la cognizione di quel-
Poggetto su cui cadono i sillogismi. E se e vero che, piu que
sto nurnero cresce, piu Panima ragiona, e piu ch'ella ragiona,
piu gode, perche piu sente la propria forza, e piu vedesi al di
sopra degli altri, ne verra in conseguenza che nella proposta tavola
di Prometeo io, che sono inteso di tutto il fatto di questo misera-
bile, maggior numero di sillogismi tesser6 di Tizio, il quale non sa
altro che Pavoltoio mangia il fegato a Prometeo per comando di
Giove. Onde e che Tizio s'immaginera forsi che Prometeo sia col-
pevole, e che meritamente soffra, che sia sul punto di spirare, e di
finire cosi il tormento in cui e situato, che la bestia satolla sen voli
altrove, e per queste cause non potra egli esperimentare che pochi
i. Wolfio: la frase, se ho ben visto, non si trova nelle opere del Wolf;
ma per il concetto cfr. la Psicologia empirica, § 465 e 482-3 (ed. Veronae,
Ramazzini, 1736, pp. 220 e 227-8). II concetto del Wolf richiama a sua
volta, come ha notato il Croce, il GTjXXoy^ea&ai di Aristotele, Poet., IV,
1448 b, 16.
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA IIOI
gradi di compassione, non avra principio di gratitudine, ignorando
che per cagion nostra Prometeo e martorizzato ; non avra odio
contro il Fato, che gli ha fabbricati i ceppi e le manette adaman
tine, contra Vulcano, che ha avuto la crudelta di porlo in si doloro-
sa situazione, contra Giove medesimo, che lo ha condannato per
mera gelosia. Dal che s'induce che io, facendo a questo modo un
numero maggiore di sillogismi, verr6 a ragionare piu di Tizio, il
quale per difetto d'idee non pu6 in si fatta maniera argomentare,
e piu di esso mi compiacer6 dell'abilita dell'artefice, che nella ta-
vola ha leggiadramente accennato queste circostanze compas-
sionevoli.
XVII
La bellezza somministra aWanima campo di ragionare^
e per conseguenza di sentir piacere.
Quando poi Fanima e, o crede essere nella situazione che le
conviene o si persuade convenirle, cioe conosce qualche sua per-
fezione, o vera o apparente ch'ella sia, la quale altro non e che il
sentimento alia natura nostra piu confacente, il ragionare cioe,
non pu6 non godere. Ed ecco finalmente scoperta la vera origine
del piacere che in noi desta la bellezza: soirirninistrando questa
all'anima somiglianze, ordine, proporzioni, armonie, varieta, som-
ministrale un campo spazioso ove fabbricar possa una innume-
rabile serie di sillogismi, e a questo modo ragionando si compia-
cera di se medesima, e di quell' oggetto che le da motivo di com-
piacenza, e del sentimento della propria perfezione.
XVIII
// corpo umano I la piii bella delle produzioni a noi note.
Da questa teoria si deduce che la quotidiana esperienza e le
frequentissime osservazioni che abbiamo campo di fare sopra il
corpo umano, raffinandone le idee e moltiplicandone i sillogismi,
han fatto agevolmente scorger le convenienze di tutte le parti agli
usi a* quali sono dirette, 1'ordine, la simmetria, i rapporti, le pro
porzioni che queste fra di loro hanno; e da cio e stato originato
il considerare il corpo umano come la piu bella delle produzioni
a noi note, perche dalla considerazione di questo piu che di qua-
1102 GIUSEPPE SPALLETTI
lunque altro oggetto Panima maggior piacere esperimenta. Im-
perocche appena incominciano a sbocciare nella nostr'anima le
idee, che1 noi ancor fanciulli ci prendiamo grandissima cura di
analizzarle, di rapportarle, di combinarle; ed appena aHJanima si
rappresenta un oggetto, che questa per la forza dell'amor proprio si
affatica a formarne giudicio. A misura poi che in questa le idee
si aumentano, si aumenta ancora lo stimolo di ordinare le mede
sime, di separarle, di unirle, di distinguere Tanalogia che han le
une con le altre; onde e che minutamente ne osserviamo le con-
venienze per poterne pm sicuramente giudicare, e piu pienamente
esperimentare diletto. Trovandoci poi attorniati per ogni dove da
oggetti in cui le idee di ordine, di simmetria, di proporzione sono
ripetute per cosi dire airinfinito, e non potendo fare un passo
senza incontrarci in qualche produzione la quale, considerata che
sia, risveglia immediatamente in noi le medesime, e sapendo che
queste sono state tenute in alta stima da* nostri maggiori, rimi-
rando che le opere meravigliosamente da quelli formate con le
medesime in tutto2 concordano, ed i marmi e le carte ed i muri ci
fan sicura testimonianza che il pens are degli antichi artefici e di
coloro a' quali le opere de' medesimi avevano a piacere, non era
punto differente dalle nozioni poco sopra accennate, in maniera
che in ogni instante, da tutte le parti, tutto ci6 che accade in noi,
tutto cio che accade fuori di noi, tutto cio che sappiamo sossistere
gia sono molti secoli, tutto cio che la industria, la riflessione, le
scoperte de' contemporanei han saputo dalla natura ottenere, in
ruente altro consiste che nell'inculcarci le idee delFordine, della
convenienza, della simmetria, etc., abbiamo con sicurezza con-
chiuso : dunque Puomo e la piu bella opera che nella natura appa-
risca. Perche siccome la idea di bellezza e origine di piacere, e
quella allora piu fa di se stessa luminosa pompa quando piu le
sopraccennate qualita di ordine, etc. si manif estano ; trovando noi
che neHJuomo piu che altrove le medesime signoreggiono, Puomo
bellissimo dichiariamo; e dalla forma della di lui macchina ordi-
nata, proporzionata, etc. come la scorgiamo, prendiamo motivo
di creare colla nostra immaginativa delle opere le quali, awegna-
ch6 in nulla a quelle sembrino somigliarsi, conservando per6 la
medesima simmetria e le medesime proporzioni, belle le repu-
i . che : ecco che. II Natali invece sopprime questa parola. 2. tutto : cosi cor-
reggo, seguendo il Natali, « tutte », che compare nelTedizione 1765.
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA 1103
tiamo; e per belle si hanno a considerate, perche la norma che alia
umana macchina si adatta, convenir de'1 anche alle produzioni
dell'arte.
XIX
// piacere originate dalla bellezza e piacere intellettuale.
E chi a dentro piu penetra, dalle cose fin qui dette deriva che il
piacere in noi cagionato dal Bello e piacere intellettuale, onde la
bellezza conosciuta e propriamente necessaria cagione di piacere.
In modo che niente mi meraviglierb io, se una tavola bellissima
in se" per le proprieta sopra enunciate non eccitera in alcuni pia
cere, perche questi, non avendo cognizione veruna del prototipo
in quella espresso, o non avendo un adequate assortimento di
quelle idee che teste dicemmo essere i fonti della bellezza, non
possono essere guidati a gustarne le perfezioni; che se a questi
sara il medesimo additato, o quelle sviluppate, la tavola potra loro
servire di mezzo a formare taciti sillogismi, a ragionare, a godere,
e, rimossa rammirazione che la loro anima inefficacemente occu-
pava, le passioni incominceranno ad agire, e seguiranno quegli
effetti che di sopra dichiarammo.2
xxxiv
La verita oggetto della bellezza.
Le cose fin qui esposte spero atte siano a persuadere che la
verita in genere, acconciatamente resa dalTartefice, e 1'oggetto del-
la bellezza in genere. Quando Tamma trova quelle caratteristiche
i . de' : deve. 2. Tralascio i § xx-xxxm, nei quali Tautore esamina la « tanto
agitata questione della bellezza assoluta e relativa», questione che egli cerca
di risolvere dimostrando (forse sulla scorta dello Hume) come la maggior
parte degli uomini sia in realta d'accordo sui canoni essenziali della bellezza,
in quanto fondati sul corpo umano. Si pone egli stesso 1'obiezione che i
Cinesi o degli ipotetici abitatori di Giove, diversamente conformatidanoi,
possano avere un diverse Bello assoluto, ugualmente legittimo, e sembra
per un momento incHnare (come ha osservato il Preti) ad una soluzione
che ammetta 1'unicita « formale » del concetto di bellezza nella variabilita
del suo « contenuto ». Ma poi ritorna a fondare la norma del Bello assoluto
sulTautorita del maggior numero ; indicando poi e analizzando partitamente,
come sorgenti dei falsi giudizi, la somiglianza, la prevenzione, Peducazione,
il gusto dominante, 1'amor proprio, il capriccio.
1104 GIUSEPPE SPALLETTI
le quali a cio che rappresentar si pretende, intieramente conven-
gono, bella quell'opera reputa. Anzi nelle medesime opere di na-
tura, s'ella riguarda un uomo benissimo proporzionato con un bel-
lissimo volto di donna, il quale dubbiosa la rende se uomo o don
na il soggetto in cui trovasi deve dichiarare,1 brutto anzi che no
quell'uomo reputa, per deficienza della caratteristica della verita.
E quello2 si dice del Bello naturale, molto piu ha luogo nel Bello
artificiale. La verita poi essendo unica ed invariabile per tutti quelli
che discoprire la possono, si modifica diversamente a seconda delle
disposizioni che nello spirito di chi la vuole rappresentare si
scontrano, in quella guisa appunto che Pacqua rende que' colori
de' corpi che sottoposti le vengono. I grandi autori, stabilita con
precisione la vera caratteristica di cio che rappresentare vogliono, si
studiano che questa desti immediatamente nella fantasia de' ri-
guardanti 1'idea della medesima cosa: lo che eseguito, sono gia
sicuri della bellezza della propria opera; la quale accio vie piu
d'impressione piacevole susciti, la coadiuvano con la varieta, che
all'unita obbedisca, con 1'ordine, colla simmetria, etc. Ed in questa
guisa prende la tela pitturata un'aria singolare, la quale senza tra-
dire la verita spesse volte la supera; e questo fare caratterizza la
sublimita del talento dell'autore, e noi rimanghiamo soprafatti, per-
ch6 in que' pochi tratti scorgiamo la realta di quella cosa che rap
presentar si e voluta, dotata di quelle modificazioni di cui piacque
all'autore dotarla, onde, a seconda de' soggetti, ed il giusto modo
di pensare si ammira, e la proprieta della giacitura, ed il giudicioso
partimento delle figure, e la naturalezza de' colori, e la diversita
delle passioni che diversamente affette render devono le figure
componenti quel quadro, talche da queste3 si scorgono nelPautore
idee luminose di uno spirito facile e profondo, di una immagina-
tiva ridente, di un ingegno elevato nel rappresentare le cose che
niente hanno di comune, abbenche tutte siano naturali.
a i. un uomo . . . dichiarare: come ha notato il Caracciolo (articolo citato),
questo esempio e gia nelle Riflessioni sulla bellezza e sul gusto delta pittura
del Mengs, pubblicate in tedesco nel 1765 (e cfr. Opere, ed. cit, i, p. 100).
2. quello: quello che. 3. queste: modificazioni.
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA IIO5
XXXV
// pittore eccellente deve mostrare di quanta perfezione
e suscettibile la natura.
Deve dunque il pittore eccellente procurare non solo di ren-
dere quella verita che nella natura si osserva, ma ancora quella
che nella natura senza lei contradire e possibile, superare, cioe,
quello che dalla medesima volgarmente si fa, ed adequar quello
che miracolo e stupore della natura si appella. Questo e quanto
dimostrare per mezzo dell'arte tutta quella perfezione di bellezza
che la natura suol dimostrare appena fra mille. Perche difEcilissima
cosa in pratica si e conosciuta il trovare un corpo talmente bello,
che non manchi in alcuna delle sue parti : onde abbiamo che Zeusi,
avendo a dipingere Elena nel tempio de* Crotoniati, voile veder
nude cinque fanciulle, le piu belle che cola fossero, e togliendo
quella parte bella da una, che all'altra mancava, ridusse la sua
Elena a tanta perfezione, che ancor ne resta viva la fama.1 E quivi
ha molta parte il gusto naturale, di cui qui appresso ragionaremo.
xxxvi
// colorito.
Avendo considerato fin ad ora quello che propriamente co-
stituisce la bellezza, ragion vuole che si osservino ancora gli acci-
denti che accrescono o diminuiscono il pregio della medesima.
E qui prima di tutti ci si fa innanzi il colore, da cui dipende
moltissimo il risalto di un corpo bello ; perche, quantunque la ca-
ratteristica che mi rappresenta una verginella che va a marito,
debba in se medesima contenere la verita del colorito come quella
delle forme, pure, siccome si pu6 sul maggiore o minor colorito
impunemente variare, quando tutti i casi possibili non ecceda, per
questo si ha ad avere moltissima circospezione intorno la proprieta
del medesimo, Timpasto del quale dipende dal gusto naturale,
non potendosi dare certe regole su quelle cose che ancor variate
i . Zeusi . . . fama : questo celebre esempio, infinite volte ripetuto dagli
estetici intellettualistici di ogni tempo, e anche dal Winckelmann (cfr.
Opere, II, traduzione italiana, Prato, Giachetti, 1830, p. 289), risale a Ci
cerone, De inv.t n, 1-2.
70
GIUSEPPE SPALLETTI
belle ci compariscono ; non essendovi ancor stato alcuno die ri-
trovate abbi difettose le maniere de' coloriti di Raffaello, di Ti-
ziano, del grazioso Correggio, abbenche queste differentissime tra
di loro apparischino.
XXXVII
La grazia.
Si ha con somma cautela a disporre ciascheduna figura e par-
te di essa; si ha a procurare di rappresentare giovani svelti e
gagliardi, perche Tagilita e la robustezza indicano il corpo lontano
dagli artigli della morte e presto ad eseguire quello1 abbisognar
puo; qualita, che ci conciliano immediatamente Famore, e le con-
trarie a queste suscitano immediatamente Paversione, potendo di
malavoglia soffrire in nostra compagnia uno, dal quale niun bene-
ficio sperar possiamo, se bisogno si presentasse. E consister que
ste qualita gia grandi autori osservarono nej piegamenti e ne' tor-
cimenti e nella mescolanza di questi ; i quali, se saranno accompa-
gnati da un certo trasparente,2 che indica la conformita a' moti
interiori cagionati dagli affetti dell'anima, aggraziati compariranno ;
la quale prerogativa di quanta importanza sia, chi e fortunato pos-
sessore del gusto naturale, tanto facilmente lo intende, quanto dif-
ficilmente spiegar si potrebbe. I rozzi ancora esperimentano gli
effetti della grazia, restando spesso incantati dalla forza della me-
desima, ancorche questa si trovi su de' volti di lineamenti poco
vantaggiosi, lusingandosi lo spettatore di leggere nella persona ag-
graziata con maggior facilita i nascosi sensi delFanimo : onde con
ragion invalse il proverbio: aval piu la grazia, che la bellezza».
Awertimento grandissimo per i maestri della pittura, i quali non
si ponghino in capo di dover troppe lodi riscuotere, perche rap-
presentato hanno in una tela una bella figura, se animata non Pa-
vranno con la grazia. E torto alcuno loro non farsi, apparisce dal
la quotidiana esperienza che le conversazioni ci somministrano ;
se in queste Calliroe bellissima ritroviamo, ma di grazia non cu-
rante, e Cleopatra3 di mediocre bellezza ornata, ma ripiena di
veneri, di grazie e di lepori, Cleopatra veggiamo costantemente
far le delizie della compagnia, perche sembraci che quello splen-
i. quello: quello che. z. trasparente: efficacia allusiva. 3. Calliroe e Cleo
patra : sono qui nomi fittizi di donne qualunque.
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA
dore che ci lusinghiamo vedere dalPinterno trasparire, con tanto
sodisfacimento del nostro cuore ci s'insinua nelPanima, che forzati
siamo a volger la il nostro desio.
XXXVIII
La venusta.
L'elegante accompagnamento di un'aria nobile e libera in tutte
le nostre funzioni venusta e chiamata, e questa e il compimento
della bellezza. Prerogativa, cui avaro il Ciel raro destina,1 esigendo
questa oltre Pintero magistero delParte il conoscere a fondo il ca-
rattere di ciaschedun di coloro che espressi esser devono, i pensa-
menti, il coraggio, il timore, le passioni tutte, ed in quali situa-
zioni ed in quali gradi queste si trovassero nelle circostanze che su
la tela si dipingono, e questa cognizione poi deve essere regolata
dal buon gusto dell'artefice. In questo luogo dire qualche cosa
potrebbesi della leggiadria, la quale consiste nelle mosse aggra-
ziate della persona e delle sue parti : della dignita, che nelPaspetto
pieno di vera nobilta, di riverenza ed ammirazione2 si ripone, della
vaghezza, dell'aria e di altre qualita si fatte, le quali poi poco o nulla
differiscono dalle di sopra indicate, ed alle quali da alcuni le me-
desime denominazioni si danno. Ma perche il vostro perspicace
talento sa ben da se medesimo comprenderle, io mi sparmier6 la
fatica di piu a lungo parlarne, e solamente aggiunger6 ancor due
parole intorno il Grande.
xxxix
J7 Grande.
Per non lasciar sotto silenzio un'antica osservazione, si ha a sa-
pere che la grandezza e stata dalla maggior parte dej Greci consi-
derata come uno de' caratteri della bellezza. Imperocch6, se un
corpo fosse stato benissimo formato, e non fosse stato grande, non
lo chiamava «bello» colui che con proprieta di termini parlava, ma
^ocpfev, «elegante, proporzionato, grazioso».
i. cui . . . destina: adattamento del verso del Petrarca, Rime, ccxm, i : « Gra-
zie ch'a pochi il Ciel largo destina ». 2. di riverenza ed ammirazione: di
caratteri che suscitano nverenza e ammirazione.
II08 GIUSEPPE SPALLETTI
E vediamo presso i medesimi che la grandezza sempre e una delle
maggiori prerogative della persona di cui si parla. Xenofonte nel
3° della Ciropedia: «Altri inalzavano con lodi la di lui sapienza,
altri la tolleranza, altri la soavita de' costumi, altri in fine la digni-
ta e la grandezza w.1 E Lucrezio, de' greci studiosissimo imitatore,
nel 4°: «Magna atque inmanis xocTa7cAs£i<; plenaque honore».2 E
Ovidio medesimo di Romolo: «Pulcher et humano maior».3 Ed e
confacente alia materia osservare la forza della parola greca: « XOCT<X-
TrXe^i^ ecm <p6$o<; ix (JLsyaXv^ 9avTa<7£a£ »,4 «timore concepito da
un certo aspetto venerabile, che si e presentato alia fantasia ». Fidia
fece la statua di Giove OHmpio in Pisa tanto grande, che il tempio
non Pavrebbe contenuta, se Tavesse formata in piedi; sapeva egli
quanta maesta e autorita a se concilia la grandezza, onde per de-
gnamente esprimere TO orspacypioc5 di un tanto iddio, abborrendo
le comunali forme, uso delle grandi. II Grande dunque ha diritto
di piacere alia nostra immaginazione, sia che il desiderio abituale
e impaziente della felicita, che ci fa desiderare tutte le perfezioni,
come modi per accrescere le medesime ci rende grati tutti gli
oggetti grandi, la contemplazione de' quali sembra attribuire piii
d'estensione alia forza della nostra anima, piu di elevazione alle
nostre idee ; o sia che per se stessi i grandi oggetti facciano sopra i
nostri sensi una impressione piu forte, piu continua, piu grata;
sia in fine qualunque altra causa, noi proviamo che la vista soffre
nelle fauci di una montagna, nel recinto di un alto muro, e gode per
il contrario scorrere un vasto piano, stendendosi su la superficie
de' mari, e perdendosi in un orizzonte indeterminato. Sembrami
ormai tempo di recare in mezzo poche cose che al buon gusto
appartengono, essendo esso a mio credere Tanima non solamente
della pittura, ma di tutte le arti liberali, niuna affatto eccettuandone.
i. Traduce liberamente il passo seguente della Ciropedia, in, i, 41 : IXeyov
TOU K6pou 6 [JL£V Tie T?)v aocpfacv, 6 §£ TTJV xccpTSpiocv, 6 Sk. TTJV 7upa6T7]Ta, 6
Si TI^ *cxi T& xcxXXoe xal T6 (jiye&oe. 2- -D^ rerum nat., iv, 1163 («una
[donna] grande ed enorme [diventa agli occhi delFinnamorato] un prodigio
e piena di maesta »). Ma Tespressione lucreziana ha valore ironico. 3. Fast.,
n» 5^3 («bello e piu grande di un uomo normale»). 4. La definizione e
tratta dalle Expositiones grammaticali (cfr. Thesaurus linguae graecae, s.
v.). 5.T& alpaca: r aspetto venerando.
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA 1109
XL
II buon gusto e la voce delVamor proprio,
il quale e il giudice della bellezza.
Se la natura si manifestasse agli uomini nella possibile di lei
perfezione in cadauno de' subietti che nel mondo aspettabile1 si
veggono, la semplice caratteristica di quelli farebbe tutto il diffi
cile delFarte. Ma siccome a chi diligentemente la osserva, sem-
bra prendersi piacere di far trasparire tra mezzo mille mediocri
tratti delle sue appariscenze uno o piu che infinitamente mag-
gior piacere ci reca degli altri tutti; pare che a questo modo abbia
voluto scuotere la nostra pigrizia sollecitandola con il piacere che
nelle di lei ricerche I'anima tutto di trova, acci6 si aifatichi di
scegliere que' tratti che ne' di lei prodotti piu lummosi appariscono.
La giudiziosa scelta di questi e appunto quella in cui a seconda delle
circostanze consiste il gusto, il quale allora sara perfetto, quando
distinguer sapra il buono ed il cattivo, Teccellente ed il mediocre,
e i limiti di ciascheduna di queste proprieta saranno talmente a lui
noti, che non vi sara pericolo che li confonda. Gli uomini avendo
con la propria industria inventato le belle arti che sodisfacessero
ad una specie di bisogno che i medesimi si accorgevano avere di
piacere; la somiglianza che queste colla natura aver dovevano,
esige un giudice, il quale approvasse le loro fatiche, allora quando
queste facessero su di noi la medesima impressione che fa la natura
istessa, e questo fu chiamato gusto. E siccome la fecondita del-
rimmaginazione degli uomini per mezzo di combinazioni, di rap-
porti, di attrazioni, pu6 creare degli enti piu perfetti, almeno in
apparenza, di quelli2 veggiamo comunemente dalla natura pro
dotti; quindi nacque che il gusto si stabili nelle arti per inalzarle
e perfezionarle, senza toglierle dalla naturalezza, ed a questo modo
e awenuto che alcune volte si trova il gusto piu fino, piu delicato
e piu perfetto nell'arte, di quello3 sia nella medesima natura. Chi
si sarebbe mai ideato che pochi tratti, i quali segnavano in una
parete il contorno delFombra di un corpo umano, avessero a po-
ter essere i semi donde sbocciasse un quadro di Apelle? E pure
cosi e: uomini dotati di un felice talento a poco a poco hanno
coltivato que' tratti, ne han scelto i principali, e con questi sonosi
i. aspettabile'. visibile. 2. quelli: quelli che. 3. quello; quello che.
IIIO GIUSEPPE SPALLETTI
forzati formare la caratteristica di ci6 che volevano esprimere. Ta-
lenti poi piu penetranti con maggiori fatiche ban corretto le al-
trui mancanze, ed han cercato approssimarsi quanto piu loro &
stato possibile alia naturalezza degli oggetti, e quando a que-
sta meta son giunti, il gusto, che e la voce dell'amor proprio,
il quale procura assiduamente il maggior piacere possibile, vi
si e costituito giudice, ed ha esatto dagli artefici la perfezione nelle
opere, acciocche il nostro cuore sia piu soavemente solleticato dalle
idee di oggetti di una certa perfezione, che da quelli i quali tutto
di e costumato vedere. II gusto sembra interessato per il piacere
del cuore. Le sensibilita di cui alcuno sara stato dalla natura ar-
ricchito, potra essere la misura del medesimo; e la societa, in cui
alcuno vive, sara delPistesso proporzionata cultura.
XLI
Bellezza che muove.
E qui giova distinguere la bellezza che appaga Tocchio per le
proporzioni convenienti, per la naturalezza de' colori, per la ca
ratteristica esprimente Poggetto che Pautore ha inteso rappresen-
tare, dalla bellezza che muove il cuore; questo non e punto tocco
se non se dalle relazioni che gli oggetti espressi possono aver seco
lui. Si puo concepire la natura perfetta, come Platone ha concepita
la sua repubblica, Cicerone il suo oratore, il Castiglioni il suo cor-
tigiano. Or se un pittore rappresentasse un giovane come 1' Apollo
di Belvedere, o ancor piu bello senza difetto veruno, o una donzella
come la sopra lodata Elena di Zeusi, il cuore nostro sarebbe ne-
cessariamente interessato per le peregrine forme di bellezza che
sentirebbe tutte adunate in una tela, la quale tanto piacere reche-
rebbegli, quanto tutte queste belle qualita ognuna da s6 sarebbero
state atte recare.1 Imperocche questa Elena al primo colpo di oc-
chio ci mostra certi tratti che sono naturalissimi ed insieme capaci
di fare impressione, i quali abbiamo piacere vederli messi in opera
dalPautore; ne osserviamo poi degH altri, a* quali mai fatto ave-
vamo riflessione, e questi ci piacciono ancora, perche naturali li
riconosciamo, e per essere a questo modo egli stato piu diligente
indagatore della natura di quello2 siamo stati noi, gli concepiamo
i. recare: a recare. 2. quello: quello che.
SAGGIO SOPRA LA BELLEZZA IIII
maggiore stima. Se poi con maggiore esattezza consideriamo que-
sta opera, vi scorgeremo que' tratti i quali ne pur possibili cre-
devamo, e forzandoci la bellezza delP opera a confessarli per na-
turali, non pu6 fare a meno il cuore di non riempirsi di stima per
Zeusi, il quale di nuove cognizioni lo ha arricchito, e lo ha ren-
duto piu cauto nell'osservazione degli altri oggetti, i quali a que-
sto modo possono aumentare le proprie cognizioni; e non sentirsi
nel medesimo momento trasportato a desiderare una cosa tanto
peregrina, che di tanto piacere lo colma, e di cui tanto potrebbe
insuperbire.
XLII
Conclusions deW opera.
Chiunque a' principii teste dichiarati avra prestato attenzione,
con agevolezza dalH medesimi ritrarra aver io proposto per fon-
damento della bellezza la verita, la quale deve esser renduta dalla
caratteristica, che ha a modificare il soggetto ch'esprimer si vuole,
nella quale Tamor proprio compiacesi, perch6 e sicuro dell'ingan-
no.1 Lusingomi aver io per il primo dalFamor proprio dedotto la
bellezza, avendo dimostrato che in null'altro consiste se non se
nelFassoclazione di piacevoli idee. Ho fatto vedere che noi abbiamo
avuto sempre mai innanzi gli occhi Pumana macchina, come I'o-
pera piu bella, sopra la quale formato abbiamo la norma della
bellezza. Ho esaminato la questione della bellezza assoluta e re-
lativa, e mi sono dichiarato piu tosto per la prima. Ho detto alcune
cose intorno le idee della bellezza de' Cinesi, le quali non solo non
si hanno a rimproverare, ma egualmente che noi meritano encomi
nella di loro arte e diligenza. Dopo poi aver fatto vedere in che
consiste la bellezza, dond'ella nasce, perche a noi piace, discendo
a mostrare le ragioni per le quali il volgo reputa belle le cose che
tali non sono ; ed indicandone i motivi passo al magisterio delFec-
cellente pittore, al quale sopra ogni altra cosa raccomando il buon
gusto, come quello che le qualita piu alia dipintura opportune in
se stesso ordinariamente contiene.
Voi, che nella vostra ingenua arte eccellentissimo siete reputato,
piu di ogni altro giudice potete vedere quanto io con questi miei
i . delVinganno : di non ingannarsi.
III2 GIUSEPPE SPALLETTI
scritti abbia dato nel segno. Spero che questa mia cieca obbe-
dienza aj vostri venerati comandamenti prestata, mi rendera degno
della vostra grazia pregiabilissima, la quale desiderando, prego
dal Cielo ogni prosperita a' vostri bene ordinati desiderii.
Di Grotta Ferrata, li 14 luglio 1764.
LUIGI LANZI
NOTA INTRODUTTIVA
11 paragone tra il Lanzi e il Tiraboschi, sollecitato dal Lanzi stesso
nella Prefazione della sua opera maggiore, ripreso damolti studiosi
e finalmente consacrato dal Croce, pu6 ancora servire da utile
awio per la valutazione dell'autore della Storia pittorica della
Italia. Che per molti aspetti della sua personalita e della sua opera
egli debba essere accostato aU'erudito bergamasco, non mi pare
che si possa mettere in dubbio. Anzitutto per il suo temperamento
di uomo, come avrebbe detto il Foscolo, «tardo» e «freddo», quasi
esclusivamente dedito agli studi, alieno dalPimpegnarsi, malgrado
la sua appartenenza alPordine gesuitico, in attivita politico-reli
giose, e poco amante della polemica anche nello stesso campo scien-
tifico. Nato a Treia, cittadina in provincia di Macerata, il 24
giugno 1732, da famiglia benestante, fu mandato ancora fan-
ciullo nel collegio dei gesuiti di Fermo, dove cominci6 a studiare
e ad amare i classici greci e latini. Vesti Tabito deirordine nel
1749, a Roma; e qui, completata la sua istruzione sotto la guida
del padre Raimondo Cunich, grecista e latinista famoso, e del
padre Ruggero Giuseppe Boscovich, matematico e filosofo ma do-
tato anche di interessi letterari ed archeologici, e quindi compiuti
i necessari studi di teologia e professati i voti solenni, fu scelto a
sostituire il Cunich neirinsegnamento delle lettere greche e latine.
Durante gli anni trascorsi a Roma non e improbabile che abbia
conosciuto il Winckelmann, il Mengs, il Milizia, il Bottari e altri
studiosi di antiquaria e di arti figurative; ma Tunica relazione si-
gnificativa di cui parlino i biografi 6 la sua amicizia con Angelo
Fabroni, allora canonico di Santa Maria in Trastevere: amicizia
che, data Pawersione del prelato toscano per i gesuiti, pu6 anche
valere come documento della mancanza di faziosita e della rela-
tiva apertura mentale del Lanzi. Al Fabroni appunto egli dovette
nel 1775 la chiamata a Firenze da parte del granduca Pietro Leo-
poldo, il quale lo nomin6 aiutante antiquario della Galleria degli
Uffizi. Che questo incarico apparisse al Lanzi una sistemazione
ideale, non meno di quanto lo fosse Pufficio di bibliotecario del-
PEstense per il Tiraboschi, e provato non solo dal fatto che egli
non cerc6 mai di mutarlo con altro piu onorevole o economicamen-
te piu vantaggioso, ma anche e piu dalla circostanza che le sue
ni6
LUIGI LANZI
opere maggiori, dalla guida della galleria fiorentina (1782) al Saggio
di lingua etrusca (1789), alle Notizie preliminari circa la scoltura
degli antichi (1789), alia Storia pittorica della Italia (1795-1809),
prendono tutte, si pu6 dire, 1'awio dalla sua attivita di conservatore
e ordinatore delle opere d'arte e dei monumenti di quella galleria.
Solo la necessita di raccogliere materiale di prima mano per le tre
ultime opere lo indusse a compiere alcuni lunghi viaggi fuori di
Firenze: nel 1777-1778 e nel 1783-1784 in Toscana e a Roma per
esplorare personalmente i monumenti etruschi; e nel 1793-1794 at-
traverso la Romagna, 1'Emilia, il Veneto, il Friuli, il Piemonte,
la Lombardia e la Liguria per osservare coi propri occhi le opere
dei pittori di cui doveva trattare nella Storia pittorica. A Bassano,
dove si era recato a curare la stampa della prima parte di questa
opera, lo colse nel 1795 1'invasione francese. Non potendo o non
volendo tornare in Toscana rimase nel Veneto, ospite di conventi
e di amici e comunque disinteressandosi completamente di poli-
tica e invece dedicandosi, appena gli era possibile, ai suoi studi,
fino al 1 80 1, quando, essendosi ormai riassestata la situazione in
Italia, si port6 di nuovo a Firenze. Qui riprese con lena, malgrado
le non buone condizioni di salute, il lavoro per I'ultima edizione
della Storia pittorica, che ebbe la soddisfazione di vedere stampata
nel 1809 (con un Avvertimento finale che inneggiava al « nuovo Ales-
sandro, nel cui cospetto ammutolisce la terra »), pochi mesi prima
della morte, awenuta il 30 marzo 1810.
Ma, a parte le analogic biografiche, sono proprio alcuni carat-
teri dell'opera del Lanzi che inducono a pensare al Tiraboschi.
Si e recentemente insistito su certe osservazioni e massime che si
colgono nelle pagine lanziane, specie nel Saggio di lingua etrusca e
nella Storia pittorica, e si e voluto scorgervi gli indizi di un inte-
resse morale e di un gusto stilistico « protoromantici », e in parti-
colare preludenti a quelli della prosa manzoniana. Ora, che nel
valutare questa prosa vada calcolata Teredita morale e stilistica
del Settecento in genere, e ormai un concetto pacifico; ma mi sem-
bra, con tutta la simpatia per il buon gesuita marchigiano, che si
farebbe un torto troppo grosso al Manzoni coll'accostargli proprio
il Lanzi; le cui «moralita» non oltrepassano, in genere, come quel-
le di un Tiraboschi, i confini di un onesto e conformistico buon
senso, colorandosi se mai di qualche tocco di ecclesiastica malizia,
ed animandosi solo quando insistono sulla cautela e sullo scrupolo
NOTA INTRODUTTIVA
indispensabili alia ricerca scientifica; cosi come il suo stile, per
quanto piu sapientemente articolato nella sintassi e piu vario nel
lessico, si propone in definitiva lo scopo, che e anche quello del
Tiraboschi, di una funzionale chiarezza e precisione: «un anda-
mento giusto in definire, accorto in distinguere, sagace in riferire
gli effetti alle vere lor cause, adatto al fine per cui si scrive» (Storia
pittorica della Italia, n, p. 114). Ne mi sembra che mutino ma
anzi confermino questo giudizio i suoi Opuscoli spiritual!, docu-
menti senza dubbio di sincera pieta religiosa, ma insomma nelle
idee, nella struttura e anche nello stile, semplice e decoroso ma
grigio e monotono, difficilmente distinguibili dalla corrente lette-
ratura devota del Settecento.
Ancora al Tiraboschi si pensa di fronte a certi atteggiamenti
del Lanzi, che si potrebbero chiamare « nazionalistici », e su cui pure
qualche studioso ha creduto di insistere. Si tratta infatti di un na-
zionalismo tutto accademico, privo di concrete contenuto politico,
e che si risolve nella volonta di illustrare e difendere il primato
culturale e artistico italiano: sia che egli sostenga nel Saggio di
lingua etrusca la parentela di questa lingua col greco e soprattutto
con il latino e gli altri antichi dialetti italici, sia che nella Storia
pittorica della Italia indichi come primo oggetto dell'opera il pro-
posito di «fornire una storia alia Italia, che interessa la sua gloria »,
una storia cioe di «quel ramo)>, la pittura, «in cui ella non ha
rivali».
Senza dubbio piu accentuati che nel Tiraboschi sono in lui gli
interessi «filosofici», ma non tanto che per questo aspetto egli se
ne distingua nettamente. L'oscillazione fra razionalismo ed em-
pirismo, caratteristica della critica illuministica europea e special-
mente italiana, non ha in lui nulla di problematic, ma si risolve in
una pacifica e si direbbe inconsapevole alternanza delle due posi-
zioni: come accade, ad esempio, nella Prefazione della Storia pitto
rica, dove Tautore dichiara che «il progresso delle arti dipende
sempre da certe massime adottate universalmente dal secolo; se-
condo le quali opera il professore e giudica il pubblico)), e pone
quale secondo scopo della sua opera 1'intento di ccrender comum e
accreditare le migliori massime)); ma, a distanza di poche pagme,
afTerma di volersi attenere al « giudizio del pubblico, ch'e il mae
stro piu autorevole che abbia chiunque scrive)> e alle valutaziom
che ((immediatamente vengono da' professori . . ., poiche d'ordma-
IIl8 LUIGI LANZI
rio chi meglio fa meglio giudica» (Storia pittorica della Italia, I,
pp. xxi, vii e xxxi). I principii generali della dottrina del «Bello
ideale», simmetria, armonia, semplicita e simili, sono piu volte
espressamente richiamati nelle Notizie sulla scultura antica e nella
Storia pittorica\ e piu particolarmente al Mengs (come e detto
nelle Notizie, p. xxxvn) egli attinge lo schema del «corso» delle
belle arti, del loro svolgimento cioe dal «rozzo» al «naturale e
minuto)), al ccBello ideale», ottenuto «con fare scelta del meglio,
ritenendo un po' di secchezza», al « perfetto », che consiste nel
«figurare ogni parte con verita e con ischiettezza, con carattere,
con armonia)), quindi al « facile », contraddistinto da una «disin-
volta negligenzaw, e infine, per reazione, al «diligente» privo di
originalita. Ma, come e stato del resto gia osservato (Finzi), questi
criteri appaiono piuttosto passivamente accettati che personal-
mente rimeditati. E quel che e piu, tale passivita teorica si riflette
sul piano del gusto: dove senza dubbio prevale un orientamento
tra classicistico e neoclassico, documentato sia dalFimportanza che
egli da al disegno, alia costruzione equilibrata del quadro, alia sem
plicita, alia convenienza, e via dicendo, sia in particolare dalla pre-
ferenza per 1'arte greca e rinascimentale, per Raffaello, per il Cor-
reggio, per i Carracci, e per contro dalle riserve sui primitivi e i
quattrocenteschi, sui manieristi e naturalisti; ma non tanto che
quell' orientamento e in genere il momento valutativo divengano
(come per esempio nel Milizia) il centro vivo delPattenzione del
critico.
In realta il punto su cui veramente si concentra questa atten-
zione e un altro: e quell'accertamento e ordinamento delle « ve
rita di fatto», che e anche lo scopo primo, come a suo luogo si e
indicato, del Tiraboschi. Ma bisogna chiarire subito che proprio
in tale aspetto, nel quale sta il suo legame piu evidente con lo
studioso bergamasco, risiede anche la piu profonda differenza del
Lanzi rispetto al suo amico e confratello : poiche quella stessa vo-
lonta di precisazione e di classificazione delle verita positive, che
nel primo si arresta in genere nelFambito dei dati filologici e anti-
quari esterni, si trasforma nel secondo in un impegno strenuo di
caratterizzazione obiettiva del fatto artistico, alia quale la ricerca
filologica ed antiquaria viene in defmitiva funzionalmente su-
bordinata.
Su questa esigenza caratterizzante del Lanzi ha insistito per pri-
NOTA INTRODUTTIVA IIIQ
mo, come e noto, il Kallab, e poi, sulle orme di lui, lo Schlosser
ed altri; ma, nelPentusiasmo della rivalutazione, essi sono tra-
scorsi troppo oltre, fino a presentare lo studioso marchigiano co
me un anticipatore, in opposizione al Winckelmann, della critica
storicistica e individualizzante del Romanticismo. Di fronte a in-
terpretazioni di questo tipo, rimane validissimo un acuto e poco
noto giudizio deirUgoni: «Placido per indole e freddo osservatore
come egli era, poteva discernere le menome gradazioni nelle ma-
niere de* pittori, le quali sfuggono all'anima che esalta nella con-
templazione del sublime; e per6 accuratamente descrisse i diversi
caratteri degli artisti : ma fu anche meno atto a ricevere e a trasfon-
dere quelle forti impressioni, delle quali il secolo e avidissimo ; e a
mostrare quella correlazione che & tra il bello delle arti e i bisogni
del cuore. La storia delle arti che singolarmente informansi dalla
natura de' tempi, per quanto vi si usi diligenza neirinvestigarne
le origini e nel seguirne i procedimenti e le vicende, ove si scriva
senza mai risalire alle cagioni morali di queste mutazioni, n6 si
cerchi qual potere vi ebbero il carattere, i costumi, la religione e la
politica, non potra se non debolmente giovare airarte, gradire a*
contemporanei, e mirare al massimo scopo a cui debb'esser volta
ogni opera, il perfezionamento della civilta». Manca in effetto al
Lanzi, non che il concetto romantico dell'arte come espressione
integrate di una potente individuality umana, la fervida sensibilita
(che e propria, per quanto limitata alia Grecia, di un Winckelmann)
ai rapporti fra T espressione artistica di un popolo e i suoi inconfon-
dibili caratteri spirituali, e persino Pattenzione illuministica (cosi
viva ad esempio in un Milizia) al contenuto civile delle opere
figurative. Egli rimane ancora fermo ad una considerazione arca-
dica delFarte come attivita squisitamente tecnico-ornamentale, de-
stinata a fornire un nobile e placido diletto, e su cui un impegno
umano troppo risentito non potrebbe esercitare che un'innuenza
disturbatrice : « Questa belParte, » egli dice a proposito della man-
canza di una vera e propria scuola di pittura nel guerriero Piemonte
(cfiglia di una fantasia quieta, tranquilla, contemplatrice delle im-
magini piu gioconde, teme non pur lo strepito, ma il sospetto del-
Tarmi)) (Storia pittorica della Italia, v, p. 357). In coerenza con
questo punto di vista, egli non sente il bisogno di mettere in re-
lazione i caratteri delle varie scuole pittoriche e il loro svolgimento
attraverso i secoli con la storia civile e culturale dell' Italia e delle
1120 LUIGI LANZI
sue regioni, o lo stile dei singoli pittori con la loro personalita mo
rale. Ne costituiscono vere prove in contrario, anche se e giusto
non dimenticarle, certe notazioni per esempio sul rapporto tra il
magistero dei fiorentini nel disegno e la loro « indole nazionale esatta
e minuta»; tra lo ((Special talento per rinvenzione», il gusto di
animare «con vive e nuove fantasie le istorie . . ., riempiendole di
allegoric, e formandone spiritosi e ben intrecciati poemi» e «Tin-
gegno . . . svegliato e fervido » del popolo senese ; tra Pinclinazione
dei napoletani a quegli studi che « abbisognano di una fervida
immaginazione e di un certo fuoco animatore » e « 1'estro, la fantasia,
la franchezza, ... la velocita» che distinguono le opere dei pittori
di quella regione; tra il « temperamento tutto placidezza» di Matteo
Rosselli e la « correzione », la « imitazione del naturale », un « certo
accordo e quiete nel tutto » che si ritrovano nei suoi quadri; tra il
« naturale torbido e tetro » del Caravaggio e la sua tendenza a « rap-
presentare gli oggetti con pochissima luce, caricando fieramente
gli scuri» (Storia pittorica della Italia, I, pp. 118 e 301; n, p. 300;
I, p. 241 ; n, p. 161): tutte notazioni che, oltre all'essere nel com-
plesso scarse, si limitano, come si vede, a richiamare soltanto al-
cuni statici dati psicologici, e comunque si esauriscono nella pri-
ma e generale formulazione. Non si pu6 d'altro lato considerare
come documento di una particolare sensibilita per Taspetto indivi-
duale, nella accezione romantica, della creazione artistica, il rilievo
che il Lanzi da agli artisti capiscuola, a Leonardo, a Michelangelo,
a Raffaello, al Correggio, al Tiziano, ai Carracci e simili: poich6
costoro sono grandi per lui appunto e solo in quanto capiscuola,
cioe maestri in senso tecnico, i quali hanno portato alia maggior
perfezione possibile una certa «maniera». Del resto non bisogna
dimenticare che se gli «attori principali delParte» vengono da lui
«collocati nel maggior lume», non per questo egli ritiene giusto
trascurare i <(mediocri»; anzi dichiara recisamente di non amrnet-
tere « la rigida massima del Bellori che in belle arti, come in poe-
sia, non si tollera mediocrita», poiche (e la giustificazione si accor-
da squisitamente con il suo concetto arcadico delParte) «non ognu-
no pu6 avere o nelle case o nei tempii del suo paese i buoni pittori;
e al culto e alPornamento soddisfan pure i non eccellenti» (Storia
pittorica della Italia, I, p. xvi).
Vero e che Tesigenza caratterizzante del Lanzi nasce non da una
coscienza romantica o preromantica, ma si innesta su uno dei prin-
NOTA INTRODUTTIVA H2I
cipali filoni della critica figurativa settecentesca : su quell' orienta-
mento, cioe, che e merito del Ragghianti aver individuato e che,
nato nelFambiente delPeclettismo carraccesco, o, se si vuole, in
quello dei suoi ammiratori secenteschi dal Malvasia al Bellori, si
viene maturando sotto 1'impulso delPempirismo e del sensismo
appunto nel Settecento, col Richardson, il d'Argenville, TAlgarot-
ti, il Mengs, fino ad influenzare, almeno in parte, lo stesso Winck-
elmann: un orientamento in cui e implicita la tendenza a stu-
diare e ad intendere il piu fedelmente possibile nei loro aspetti
caratteristici non le personalita, ma gli « stili », le «maniere» dei
grandi maestri del Rinascimento. E il merito del Lanzi sta nell'aver
reso esplicita e generalizzata, proprio in virtu del suo temperamento
« freddo » e della sua preparazione filologico-antiquaria, questa ten
denza, tramutandola in un precise canone critico e storiografico,
applicato con puntuale sistematicita.
Tracce di questa critica «stilistica» affiorano gia tra le indagini
e le discussioni filologico-antiquarie della guida della galleria fio-
rentina, del Saggio di lingua etrusca e delle prime operette archeo-
logiche del Lanzi. Ma essa diventa metodo consapevole solo nelle
Notizie preliminari circa la scoltura degli antichi: nelle quali, mentre
1'autore accoglie dal Winckelmann e dal Mengs sia la teoria ge-
nerale (come si e detto) del «corso» delle belle arti sia la distin-
zione degli stili egiziano, etrusco, greco e romano e in linea di
massima le suddivisioni dei vari stili in «epoche», manifesta al
tempo stesso quel senso del concreto e del caratteristico che gli e
proprio, come quando, ad esempio, osserva che «una cosa e stil
etrusco, e una diversa cosa sono le opere degli artefici etruschi.
Simile distinzione usiamo nella pittura moderna. Franco e veneto,
ma il suo disegno e fiorentino. Feti e romano, ma il suo stile e
lombardo» (p. vi).
II metodo del Lanzi si manifesta per6 in modo di gran lunga
piu originate e fecondo di risultati nella Storia pittorica della Italia,
in perfetta coerenza col proposito, espresso come «terzo oggetto»
deir opera nella Prefazione (p. xxn), di «agevolare la cognizione
delle maniere pittoriche». All'eclettismo secentesco e settecen-
tesco risale, come e noto e come il Lanzi stesso e il primo a rico-
noscere, la classificazione della pittura italiana in «scuole». Se non
si vuole considerare autentico il famoso sonetto attribuito un tem
po (e 1'attribuzione fu non a caso consacrata proprio dal Lanzi)
1122 LUIGI LANZI
ad Agostino Carracci, si sa, per testimonianza del Bellori, che
gia intorno al 1630 in una conversazione fra il Domenichino e
monsignor Agucchi vengono distinte quattro scuole, la romana con
a capo Raffaello e Michelangelo, la veneziana culminata nel Ti-
ziano, la lombarda dominata dal Correggio, e la toscana raccolta
intorno a Leonardo e ad Andrea del Sarto ; distinzione sostanzial-
mente accolta dal Richardson e dal d'Argenville (che aggiungono
rispettivamente la scuola bolognese e quelle napoletana e geno-
vese), nonche poi dalFAlgarotti, dal Mengs e dagli altri critici
figurativi del secolo. Ma quello che in tutti costoro e o semplice ac-
cenno schematico o un interesse sempre piii o meno fortemente
subordinato a valutazioni di gusto, diventa nel Lanzi scopo fon-
damentale e sistematicamente perseguito ; piii sistematicamente di
quanto avesse fatto nel campo dell'arte antica il Winckelmann, do
minate com'era dal mito della bellezza greca; anche se, non biso-
gna dimenticarlo, e proprio il Winckelmann che fornisce al Lanzi,
per esplicita dichiarazione di questo, il piu autorevole modello
metodico di una storia divisa per scuole stilistiche. Con quanta
(csagace esattezza» (per riprendere una definizione dello Stendhal)
il Lanzi rielabori il modulo storiografico offertogli dai suoi prede-
cessori, e documentato non tanto dal numero (quattordici) a cui sal-
gono le scuole distinte ed esaminate, quanto dal modo con cui la
classification e giustificata e condotta. Si e detto (dal Segre e da
altri) che tale classificazione pecca di astrattezza, in quanto forte
mente influenzata da criteri geografico-politici. La verita e che
tali criteri, o piuttosto, come egli dice, la considerazione delle « citta
capitali», se hanno il loro peso, sono poi sempre subordinati a ra-
gioni stilistiche, secondo la sua esplicita dichiarazione di voler trac-
ciare da storia delle scuole pittoriche, non degli statb (v, p. 538).
E mentre tratta separatamente della scuola modenese e di quella
parmigiana, poiche gli sembra che alia « diversita de' dominii » cor-
risponda una « diversita di gusto », « parendogli . . . che nella prima
prevalesse la imitazione di Raffaello, nella seconda quella del Co-
reggio» (iv, p. 60); e piu generalmente preferisce parlare di « scuole
lombarde)), invece che di « scuola lombarda », essendo «troppo . . .
diversi per ridurgli ad un gusto e ad un'epoca istessa que' fondatori,
Leonardo, Giulio, i Campi, il Coreggio» (iv, p. 2); non ritiene di
poter attribuire al Piemonte una vera e propria scuola pittorica
unitaria, e in particolare considera i vercellesi e i novaresi nella
NOTA INTRODUTTIVA 1123
scuola milanese, « a cui, quantunque non fossero appartenuti per
dominio, si dovrebbon ridurre per educazione, o per domicilio,
o per vicinanza» (v, p. 538); e se nella scuola «romana» pone anche
urnbri e marchigiani (certo questa volta in omaggio al dominio
pontificio, ma anche per la ragione, da mi ricordata non del tutto
a torto, che costoro « furono per la maggior parte educati in Roma
o da maestri almeno di la venuti »), ne distacca pero i bolognesi, i fer-
raresi e i romagnoli (n, p. 4), e ne nota infine la fusione, sotto Tin-
fiuenza di Pietro da Cortona, con la scuola fiorentina. Ancor meglio
il suo senso del particolare concrete si rivela nella consapevole cau-
tela con cui precede nel raggruppare e nell'analizzare i vari pit-
tori airinterno delle singole scuole. « NelPascrivere i soggetti a
questa o a quell'altra scuola » egli afferma nella Prefazione «ho
avuto riguardo, piu che alia lor patria, a certe altre circostanze;
quali sono la educazione, lo stile e specialmente il domicilio e
Pistruzione degli allievi; circostanze peraltro, che talora si trovano
cosi temperate e miste, che piu citta possono contendere per un
pittore, come in altri tempi si facea per Omero» (i, pp. xxxvm-
xxxix ; e cfr. anche v, p. 6). Attentissimo egli e in particolare al
complesso gioco di rapporti e filiazioni stilistiche non solo fra il
caposcuola e i suoi allievi ma anche fra artisti di scuole diverse,
e quindi alle variazioni di « maniera » che derivano da questi rap
porti e filiazioni o dalla evoluzione interna del singolo pittore.
«Spesso si tituba» egli dice nella Prefazione « paragonando un
autore seco medesimo : quando sembra che uno stile non convenga
o alia solita maniera o al gran nome del professore. Per tali dub-
biezze comunemente io noto il maestro di ciascheduno ; giacch6 da
principio ognun seguita le tracce della sua scorta; noto inoltre la
maniera che si formo, e che mantenne costantemente, o muto in
altra: noto talora Peta che visse, e il maggiore o minore impegno
con cui dipinse : onde non corrasi a condannare di falsita una pit-
tura che pot6 esser fatta in eta avanzata, o esser condotta con negli-
genza. Chi e, per atto di esempio, che possa ricevere per legittime
tutte le opere di Guido, s'egli non sappia che Guido or segui i
Caracci, ora Calvart, or Caravaggio, or se stesso, ne ugualmente
somigli6 se stesso, quando fino a tre quadri compie in un giorno ?
Chi pu6 sospettare che il Giordano sia un pittor solo, quando
sappia ch'egli aspira a trasformarsi ora in uno degli antichi, ora
in altro?» (i, pp. xxm-xxiv). L'applicazione integrale di questo
1134 LUIGI LANZI
sistema lo conduce, e vero, fino a trattare di uno stesso artista,
per esempio di Leonardo, separatamente e successivamente in
scuole diverse; o a trascurare, per porre in evidenza le filiazioni
stilistiche, la visione sincronica di un'epoca; ma gli consente an-
che di ricostruire con puntuale aderenza, e in modo in gran parte
tuttora valido, lo svolgimento delle varie scuole e, quando gli e
possibile, delle «maniere» dei singoli pittori, ad esempio, per ci-
tare i due casi forse piu notevoli, di Raffaello e del Correggio, o
di Antonello, del quale sottolinea 1'educazione fiamminga, o del
Caravaggio, che segue dalla sua prima educazione giorgionesca
alia conquista del suo stile piu personale.
Quanto al « contenuto » delle sue caratterizzazioni di scuole e
di pittori, il Lanzi si vale, come egli stesso ammette e indica quasi
ogni volta, di tutta una serie di fonti che vanno dalle Vite del
Vasari alle opere generali e particolari del Lomazzo, del Bellori,
del Baldinucci, del Malvasia, dell'Algarotti, del Mengs, alle sen-
sibili guide venete del Boschini, dello Zanetti, del Verci, ai giudizi
dei grandi maestri, giuntigli attraverso la tradizione scritta e orale.
Questo aspetto della Storia pittorica va certo tenuto presente, per
•evitare (come e awenuto specialmente per i capitoli relativi alia
scuola veneta, fondati in gran parte sullo Zanetti e sul Verci) di
attribuire integralmente al Lanzi giudizi che in realta egli riprende
<3a altri. Sarebbe tuttavia altrettanto ingiusto definirlo un passivo
ripetitore. Va ricordato anzitutto che ampie sezioni della Storia
pittorica^ come quelle intorno alle scuole milanese e piemontese
e in genere i capitoli relativi alle vicende delle varie scuole nel Set-
tecento, sono lavoro personale del critico. Ma un suo intervento
originale non manca neppure la dove egli si richiama ad altri : un in
tervento che consiste non tanto nelPopporre una propria posi-
zione di gusto a quella delle sue fonti, quanto invece nella stessa
elastica apertura ad ogni suggerimento utile ad una obiettiva ca-
ratterizzazione stilistica, e piu ancora nella poco appariscente ma
importante opera, per cosi dire, di scelta, di depurazione e combina-
zione a cui egli sottopone i giudizi altrui, cavandone e impiegan-
done Telemento caratterizzante e invece trascurandone e attenuan-
done Pelemento valutativo, dipendente dal gusto personale dei
singoli critici. Tale e, ad esempio, il suo atteggiamento verso il
Baldinucci, che tiene spesso presente nelle pagine dedicate alia
scuola fiorentina, ma discutendone apertamente, e valendosi di
NOTA INTRODUTTIVA
precisi dati di fatto, la teoria deH'origine fiorentina della ccbella
pittura)); verso il Malvasia, da cui toglie molte analisi relative
alia scuola bolognese, ma del quale non condivide, in molti giu-
dizi particolari, 1'eccessivo <czelo patriottico » ; verso il Bellori, che
segue, fra 1'altro, nel descrivere lo stile del Caravaggio, ma smor-
zandone certe piu aspre riserve. Del Vasari stesso, che pure am-
mira e difende dalle censure del Malvasia, non accetta ne 1'idea
che il numero dei pittori fosse del tutto spento allorche comparve
Cimabue, ne" la valutazione a suo giudizio eccessiva di Michelan
gelo; cosi come sa mantenersi indipendente anche dai due cri-
tici che pure venera di piu, 1'Algarotti e il Mengs, volgendosi con
attenzione assai piu equanime sia verso i primitivi sia verso i ma-
nieristi e i barocchi, dal Rosso fiorentino a Pietro da Cortona.
Pretendere poi dal Lanzi sia nei confronti di costoro, come in
genere dei pittori di cui tratta, una piu viva e profonda simpatia
umana e artistica, significherebbe non rendersi conto che appunto
nella « freddezza » del suo temperamento e del suo gusto, nella sua
tranquilla, obbiettiva ed esclusiva attenzione allo « stile », e il suo
limite ma anche la sua virtu, e, direi, I'origine della suggestione
che la sua opera maggiore, dopo la esperienza romantica, pu6 eser-
citare su un lettore contemporaneo.
Manca un esauriente studio bibliografico sul Lanzi, anche se molte
notizie si possono trarre dai volumi di O. Boni e di U. Segre e soprattutto
dal saggio del Natali, citati piu avanti. Rimandando per la Storia pittorica
della Italia al cappello premesso alle pagine qui riprodotte, ci limite-
remo a qualche notizia sulle altre opere piu importanti. La descnzione
della Galleria di Firenze comparve nel 1782, contemporaneamente nel
((Giornale dei letteratis di Pisa, tomo XLVII, e in volume col titolo La
R. Galleria di Firenze accresciuta e riordinata, Firenze, Moucke. Le No
tizie prehminari circa la scoltura degli antichi furono per la prima volta
pubblicate in inglese (A preliminary Account on the Ancients and their
various Styles, Rome, Giunchi, 1785); poi ristampate in italiano, in appen-
dice al terzo tomo del Saggio di lingua etrusca, nel 1789; e infine a Fiesole,
Poligrafia Fiesolana, 1824 (questa edizione contiene un elenco, a cura di
F. Inghirami, degli scritti editi del Lanzi). II Saggio di lingua etrusca e di
altre antiche d* Italia per servire alia storia de' popoli, delle lingue e delle
bell'arti fu stampato a Roma, presso la stamp eria Pagliarini, nel 1789,
in tre tomi, e npubblicato a Firenze, Tofani, 1824-1825 pure in tre tomi.
Gli scritti di argomento religioso furono raccolti negli Opuscoli spiritually
Roma, Stamperia delFAccademia di Religione Cattolica a S. Marcello al
1126 LUIGI LANZI
Corso, 1809 (ristampati a Napoli, nel 1824); le iscrizioni e i carmi latini
negli Inscriptionum et carminum libri tres, Florentiae, Corti, 1817; le tra-
duzioni da Teocrito e da Catullo, insieme a due dissertazioni antiquarie
(Ragionamento sulVara di Alcesti e Illustrazione di due colonne quadrilatere
della R. Galleria di Firenze) e alle iscrizioni, nei due tomi delle Opere
postume, Firenze, Carli, 1817. Fra le altre dissertazioni di argomento an-
tiquario ricordiamo quelle Sopra urfurnetta toscanica e difesa del Saggio
di lingua etrusca, Venezia 1799 (in risposta agh attacchi mossi al Saggio
dal Coltellini); e De' vast antichi dipinti volgarmente chiamati etruschi,
Firenze, Fantosini, 1806. Carteggi inediti del Lanzi si conservano nella
Biblioteca Comunale di Macerata (cfr. G. NATALI, Nel primo centenario
della morte del Lanzi, in «Atti e memorie della R. Deputazione di storia
patria per le Marche», N. S., VI, 1909).
Relativamente numerosi sono gli studi critici intorno al Lanzi. Tra
essi citiamo solo quelli che abbiano efTettivamente qualche valore. Opere
complessive : O. BONI, Elogio dell' abate L. Lanzi, Firenze, Carli, 1814,
ristampato in testa alle Opere postume citate (elogio accademico, rna ricco
di notizie); C. UGONI, Della letter atur a italiana della seconda meta del secolo
XVIII, m, Brescia, Bettoni, 1822, pp. 378-425 (profilo, per molti aspetti,
tuttora valido); G. M. ZANNONI, Elogio di L. Lanzi, premesso all'edizione
della Storia pittorica della Italia nei Classici Italiani (1824); U. SEGRE,
L. Lanzi e le sue opere, Assisi, Tipografia Metastasio, 1904 (su cui cfr. la
recensione di B. CROCE, in « La Critica », in, 1905, pp. 155-7 J e quella, molto
importante, di W. KALLAB, in « Kunstgeschichtliche Anzeigen», n, 1905);
G. NATALI, II Varrone del secolo XVIII, in Idee, costumi, uomini del Sette-
centOj Torino, S.T.E.N., I9262, pp. 362-86 (con ricca bibliografia, che
Integra quella del Segre), e II Settecento, cit., I, pp. 438-43 e 482; B.
CROCE, Storia della storiografia italiana del secolo decimonono, Bari, Laterza,
i93o2, i, pp. 279-81 ; F. ULIVT, Laprosa del Lanzi, nel volume Galleria di
scrittori d'arte, Firenze, Sansoni, 1953, pp. 245-73. In particolare, sul
Saggio di lingua etrusca si veda B. NOGARA, L. Lanzi e Vopera sua, Roma
1910. Sulla Storia pittorica: E. FINZI, La « Storia pittorica d' Italia* di L.
Lanzi, in «La Nuova Italia », in (1932), pp. 299-305, 348-54, 384-90
(studio attento ed equilibrato) ; J. ScHLOSSER-MAGNlNO, La letteratura
artistica, traduzione italiana di F. Rossi, Firenze, La Nuova Italia, 1935,
pp. 423, 440-1 e 451; S. BOTTARI, Studi sulla storiografia artistica del
secolo XIX, in «Civilta moderna», x (1938), pp. 40-58 (il «biografismo
stilistico » del Lanzi rappresenterebbe un momento intermedio fra il bio-
grafismo prammatico del Rinascimento e la critica romantica della perso-
nalita creatrice); L. VENTURI, Storia della critica d'arte, Roma-Firenze-
Milano, Edizioni U, 1945, pp. 228-9; C. CORDIE, Tra ifogli di un vecchio
Lanzi (con pagine e annotazioni inedite di Stendhal), in «Acme», v (1952),
pp. 177-254 (sui rapporti Lanzi- Stendhal si veda anche P. ARBELET,
« Lhistoire de la peinture en Italie » et les plagiats de Stendhal, Paris, Cham
pion, 1919); N. IVANOFF, I paragoni delV abate Lanzi, in « Atti delPIstituto
veneto di Scienze, Lettere e Arti», cxn (1954), pp. 107-15; G. PACCHIONI,
II Lanzi e le scuole pittoriche, nel volume miscellaneo Scritti di storia delVar-
te in onore di L. Venturi, Roma, De Luca, 1956, n, pp. 267-72. Non
NOTA INTRODUTTIVA
tratta particolarmente del Lanzi, ma deve essere tenuto presente per com-
prenderne storicamente la posizione cntica 1'articolo di C. L. RAGGHIANTI,
/ Carracci e la critica d'arte neTeta barocca, in «La Critica», xxxi (1923)*
pp. 65-74, 223-33, 382-94. Sul Lanzi letterato: G. BIADEGO, Alcune postille
di U. Foscolo alia traduzione di Catullo del Lanzi, in «I1 Bibliofilo», IV
(1886), n. 6; G. NATALI, // Lanzi dantista, nel volume Idee, costumi, uo-
mini del Settecento, cit., pp. 387-90.
DALLA
« STORIA PITTORICA BELLA ITALIA »
Pref axiom?
La storia generale della pittura manca air Italia. - Quando le storie
particolari sono giunte a un numero che non si posson tutte rac-
corre ne leggere facilmente, allora e che si desta nel pubblico il
desiderio di uno scrittore che le riunisca e le ordini, e dia loro
Nella Prefazione alia Storia pittonca della Italia 1'autore ricorda come
ad essa « ben piu volte a voce e per lettera » lo avesse animate il Tiraboschi,
« quasi a un seguito della sua opera » (qui a p. 1140). E forse non e solo una
coincidenza se proprio nel 1782, nelPanno cioe in cui fu stampato Tultimo
volume della Storia della letteratura itahanay il Lanzi si pose a racco-
gliere il materiale per la sua opera, come e documentato dai suoi Repertorii
di antichitd e di pittura (dieci quadernetti manoscritti, tuttora conservati
nell'Archivio della Galleria degli Uffizi), nei quali appunto dopo il 1782
cominciano a comparire le annotazioni sulla pittura itahana che il Lanzi
vemva scrivendo sia durante la lettura delle opere critiche ed erudite sul-
I'argomento, sia nei suoi viaggi attraverso T Italia centrale e settentrionale.
Questo accurato lavoro preparatorio dur6 a lungo. Solo dopo dieci anni
pote essere pubblicata una prima edizione delP opera, col titolo Storia pit
tonca della Italia tnferiore, o sia delle scuole fiorentina, senese, romana, napo-
letana, compendiata e ridotta a metodo per agevolare d dilettanti la cognizione
de' professon e de' loro stih, Firenze 1792; mentre una seconda e piu com-
pleta edizione, col titolo Storia pittonca della Italia dal risorgimento delle
belle arti fin presso alia fine del XVIII secolo, fu stampata a Bassano, Re-
mondini, 1795-1796. Queste due edizioni furono accolte con grande favore
(fra gli altri anche il Bettinelh scrisse alPautore una lettera di entusiastica
approvazione), ma anche, specialmente da parte degli specialist!, con pro-
poste di correziom e di aggiunte. Tale favore e tali proposte spinsero il
Lanzi a preparare una terza edizione, la cui compilazione occup6 gli ultimi
anni della sua vita: grazie soprattutto all'aiuto di Giovanni de' Lazara,
padovano, essa pot6 essere pubblicata prima della morte dell'autore, con
lo stesso titolo della seconda, a Bassano, presso Remondini, nel 1809, in
sei tomi: il I contenente la scuola fiorentma e la senese, il H la romana e
la napoletana, il in la veneziana, il iv le scuole lombarde (mantovana, mo-
denese, parmigiana, cremonese e milanese), il v la bolognese, la ferrarese
e quelle di Genova e del Piemonte; il vi esclusivamente dedicate agli indici,
che sono tre: VIndice de'professori nominati neW opera, aggiunte V epochs della
lor vita e i libri onde son tratte\ VIndice de' libri di storia e di critica citati
per V opera; e VIndice delle cose notabili. Questa edizione definitiva fu poi
riprodotta da numerose ristampe, che attestano la fortuna delP opera du
rante tutta la prima meta dell' Ottocento : a Pisa, Capurro, 1815-1817; a
Bassano, Remondini, 1818; a Firenze, Marchim, 1822, con note del padre
i. Dalla Storia pittorica della Italia ecc., I, pp. i-xxxix.
1130 LUIGI LANZI
aspetto e forma di storia generate; non gia riferendo minutamente
quanto in esse trova, ma scegliendo da ciascuna ci6 che possa inte-
ressare maggiormente e istruire : cosi awiene d'ordinario che a' se-
coli delle lunghe istorie succeda poi il secolo de' compendi. Se que-
sta brama ha dominato in altra eta, e stata quasi ed e il carattere del-
la nostra. Noi ci troviamo per una parte in tempi favorevolissimi alia
coltura dello spirito: dilatati i confini delle scienze oltre quanto
poteano sperare, non che vedere, i nostri antichi, non cerchiamo se
non metodi che agevolino la via a possederle, se non tutte (ch'e im-
possibile), molte almeno a sufficienza. Dall'altra parte i secoli che
ci precedono dopo risorte le lettere, occupati piu nelle parole che
nelle cose,1 e ammiratori di certi oggetti che a gran parte de' leg-
gitori ora sembran piccioli, han prodotte istorie, delle quali non
meno si desidera la unione perche separate, che 1'accorciamento
perche prolisse.
Notizie gia edite per comporla e prolissita con cui son distese. -
Che se ci6 e vero in altri rami d'istoria, in quello della pittura
e verissimo. La storia pittorica ha i suoi materiali gia pronti nel
le tante vite che de' pittori di ogni scuola si son divolgate di tem
po in tempo; ed oltre a ci6 ha de' supplementi a tali vite negli
Abbecedari, nelle Lettere pittoriche, nelle Guide di piu citta, nej
Cataloghi di piu quadrerie2 ed in altri opuscoli pubblicati in Italia
or su di un artefice, or su di un altro. Ma queste notizie, oltre Pes-
ser divise, non son tutte utili alia maggior parte de' leggitori. Chi
forma idea della pittura italiana scorrendo cert'istorici de' secoli
gia decorsi, e alcuni anche del nostro, pieni d'invettive e di apolo-
gie per innalzare i lor professori sopra ogni scuola; e solid a col-
mar di elogi quasi ugualmente il maestro del primo seggio e quello
P. De Angelis; a Milano, Biblioteca scelta di opere moderne, 1823; a Mi-
lano, Tipografia de' Classici Italian!, 1824-1825; a Milano, Bettoni, 1831;
a Venezia, Milesi, 1837-1839, con annotazioni di diversi autori. La Storia
pittorica fu inoltre tradotta in francese da M.me Diend6, Paris 1824; in
inglese dal Roscoe, London 1828 e 1847; e dall'Evans, London 1845;
in tedesco dal Quandt, Leipzig 1830-1833. Per le pagine qui nprodotte si
e seguito il testo della terza e definitiva edizione del 1809, tenendo present!
anche la prima e la seconda. Le note del Lanzi sono seguite dalla sigla L.
I. occupati . . . cose: cfr. per questo giudizio sulla storiografia presettecen-
tesca quello del Bettinelli nel Risorgimento d'ltaha, e qui riportato a p. 672,
nota 2. 2. quadrerie: raccolte di quadri.
STORIA PITTORICA BELLA ITALIA 113!
del terzo e del quarto P1 Quanto pochi si curano di sapere cio che
de* pittori troviam descritto con tante parole nel Vasari, nel Pascoli,
nel Baldinucci;2 le lor bale, i loro amori, le loro stravaganze, i lor
privati interessi ? Chi diviene piu dotto leggendo le gelosie degli ar-
tefici di Firenze, le risse di quei di Roma, le vociferazioni di quei
di Bologna ? Chi pub gradire i testamenti riferiti a parola fino al ro-
gito del notaio, come farebbesi in una scrittura legale, o la descri-
zione della statura e dej lineamenti della faccia,3 come appena
fecero gli antichi in Alessandro o in Augusto ? Ne io invidio certe di
queste particolarita a' primi lumi delParte: in un Raffaello, in un
Caracci par che anche le picciole cose prendan grandezza dal sogget-
to : ma in tanti altri, qual figura fa il piccolo, ove anche il grande par
mediocre? Svetonio non tratta in ugual maniera le vite de' suoi
Cesari e quelle de' suoi gramatici; i primi gli fa ben conoscere al
leggitore; i secondi gli addita e tace.
Ma perche i geni degli uomini son diversi, e alcuni pur cercano
curiosamente, come ne' fatti presenti, cosi ne' passati lamaggior di-
stinzione ; e perche questo pu6 esser utile talora a chi volesse disten-
dere una storia piena veramente e perfetta di tutta Titaliana pittura;
abbiasi anzi grazia a chi scrisse vite si copiose; e inganni con esse
il tempo chi ne abbonda. Si abbia per6 anche riguardo e si provegga
a quella piu degna porzione de' leggitori, che nella storia pittorica
i . V. 1' Algarotti, Saggio sopra la pittura, nel capitolo della Critica necessaria
al pittore (L.)- Cfr. Algarotti, Opere, m, Venezia, Palese, 1791, p. 215:
« Non per affetto verso la propria scuola, n6 per amore verso la patria [il
pittore] si venga creando idolo niuno nella mente; ma addottrinato dalla
scienza, secondo la norma infallibile del vero, ponga ciascun pittore in quei
luogo che piu se gli conviene, faccia ragione del suo stile e della sua ma-
mera». 2. Lione Pascoli (1674-1744), autore delle Vite dey pittori, scultori
e architetti moderni (1730-1736) e delle Vite de' pittori, scultori e architetti
perugini (1732); e Filippo Baldinucci (1624-1696), le cui Notizie dei pro-
fessori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), condotte con metodo va-
sariano, costituiscono il primo tentative di una storia universale dell'arte
figurativa in Europa. 3. Di questo vizio, che i Greci chiamano acribia,
e ripreso il Pascoli; presso il quale si trova notato qual pittore avesse il
naso « proporzionato », e quale lo avesse «corto» o «lungo»; che il tale
1'ebbe «aquilino», il tale «alquanto schiacciato », il tale «affilato, con ba-
sette». Di altri scrive m generate che <cne alto ne grosso era di statura, ne
bello ne brutto di faccia »: e a chi saria caduto in pensiero di domandar-
gliene ? II solo utile che pu6 trarsene e smentir I'impostura di qualche fal-
satore, che spacciasse per ritratto di un pittore una immagine di altro
individuo : ma a tal pencolo meglio si prowede co' rami (L.).
1132 LUIGI LANZI
non si cura di studiar Tuomo, vuole studiare il pittore; anzi non
tanto vi cerca il pittore, che isolate e solitario non lo istruisce;
quanto il talento, il metodo, le invenzioni, lo stile, la varieta, il
merito, il grado di molti pittori, onde risulti la storia di tutta
1'arte.
Eccitamenti a compilare una storia pittorica, e come render la utile. -
A quest' oggetto, veruno, che io sappia, non ha finora volta la pen-
na; quantunque ogni cosa par che il consigli; il trasporto de' princi-
pi per le belle arti ; la intelligenza di esse distesa a ogni genere di
persone; il costume di viaggiare reso su Tesempio de' grandi sovrani
piu comune a* privati; il trafEco delle pitture divenuto un ramo di
commercio importante alia Italia ; il genio filosofico della eta nostra,
che in ogni studio abborrisce superfluita, e richiede sistema. Usciro-
no, & vero, in Francia le vite de' pittori piu celebri delle nostre scuo-
le scritte da Mr. d' Argenville1 d'una maniera molto sugosa e istrut-
tiva; e segui appresso qualche altra epitome, ove solamente si parla
del loro stile.2 Ma dissimulando le alterazioni fatte quivi a5 nomi
nostrali, e trapassando sotto silenzio i bravi italiani omessi in quelle
opere, che pur considerano i mediocri d'altri paesi; niuno di tai libri
(e molto meno i tanti altri disposti per alfabeto) da il sistema della
istoria pittorica: niuno di essi espone que' quadri, per cosi dire,
ove a colpo d'occhio si vede tutto il seguito delle cose; gli attori
principali dell'arte collocati nel maggior lume; gli altri secondo il
merito degradati piu o meno e adombrati o lasciati nello sbatti-
mento.3 Molto meno vi si trovano quell'epoche e que' cangiamenti
dell'arte, che sopra ogni cosa cerca un lettor pensatore: perciocch6
quindi apprende ci6 che ha contribuito al risorgimento o alia de-
i. Uscirono . . . d' Argenville: allude all'Abrege de la vie des plus fameux
pemtres (Paris 1745-1752, ripubblicato con aggiunte nel 1762) di Antoine-
Joseph Dezallier d' Argenville (1680-1765). 2. Nel «Magazzino Enciclo-
pedico » di Parigi (an. vm, torn, iv, pag. 63) e annunziata e commendata
un' opera in due tomi edita in lingua tedesca in Gottmga (il primo tomo nel
1798, il secondo nel 1801) dal ch. sig. Flonllo, il cui titolo inseriamo nel
secondo indice. £ anche questa una storia della pittura su 1'andare della
presente; nell'ordine delle scuole vi e qualche vanazione (L.). Domenico
Fiorillo (1748-1821), tedesco oriundo itahano e amico di A. W. Schlegel,
autore di una Geschichte der zeichnenden Kunste von ihrer Wiederauflebung
bis auf die neuesten Zeiten, in cinque tomi, pubblicati fra il 1798 e il 1808.
3. sbattvnento: e termine tecnico dei pittori, e mdica Fombra proiettata da
un oggetto sul piano di appoggio o sugli oggetti vicini.
STORIA PITTORICA BELLA ITALIA 1133
cadenza; ed e anco aiutato cosi a conservare nella memoria la serie
e Pordine de' racconti. E veramente la storia pittorica e simile alia
letteraria, alia civile, alia sacra. ElPancora ha bisogno di certe faci
di volta in volta; di una qualche distinzione di luoghi, di tempi,
di awenimenti, che ne divisi Pepoche e ne circoscriva i successi;
tolto via quest'ordine, ella degenera, come le altre, in una con-
fusione di nomi piii conducente a gravar la memoria, che ad illu-
strare Pintendimento.
Oggetti di quest* opera, e suaprima edizione ampliata or a e compiu-
ta. - Sowenire a questa parte finora negletta della storia d' Italia,
contribuire alPavanzamento delParte, agevolare lo studio delle ma-
mere pittoriche, furono i tre oggetti che io mi prefissi quando po-
si mano a distender P opera, mio benevolo lettore, che vi presento.
E la mia idea fu gia di unire in due tomi compendiata la storia di
tutte le nostre scuole; imitando da Plinio la divisione della Italia,
il quale poco variamente distinse i paesi nostri superiori dagli infe-
riori.1 Nel primo tomo io pensai di comprendere le scuole della Italia
inferiore; giacch6 in essa le rinascenti arti ebbono piu presto matu-
rita; e nel secondo le scuole della Italia superiore, la cui grandezza
apparve piu tardi. La prima parte dell' opera vide luce in Firenze nel
1792. Ma il lavoro della seconda parte si dovette allora differire ad
altro tempo ; e gli anni che poi ci son corsi han date alia mia salute
si gravi scosse, che a fatica, ne senza Paiuto di piu copisti e cor-
rettori di stampe, ho potuto ultimarla.2 Da questa dilazione per6 mi
e venuto un vantaggio ; ed e stato il poter conoscere il giudizio del
pubblico, ch'e il maestro piu autorevole che abbia chiunque scrive;3
e a norma di esso preparar la nuova edizione.4 Da molte bande ho
i. da Plinio . . . inferiori: cfr. Nat. hist., in, v, 38. 2. Si ultim6 nel 1796,
ed ora si riproduce tutta Topera ritocca e accresciuta in piu luoghi.
Molte chiese, gallerie, pitture si trovan qui nominate che oggidi non esi-
stono; ma ci6 non osta alia verita, giacche il titolo delPopera si limita al
predetto anno. A crescere questa edizione han contribuito vari amici; e
specialmente il sig. cav. Giovanni de' Lazara gentiluomo padovano, che a
gran dovizia di libri editi e di mss. congiugne una impareggiabile genti-
lezza in fame copia ad altnii. A' meriti antecedent! verso quest'opera ha in
fine aggiunto anche quello di rivederne e di emendarne la ristampa ; favore
che da niun altro poteva io ricevere piu volentieri che da lui versatissimo
nella storia delle belle arti (L.)« 3- H giudizio . . . scrive: questo concetto
risale al Dubos (cfr. la nota a p. 864). 4. « Ut enim pictores, et qui signa
faciunt, et vero etiam poetae suum quisque opus a vulgo considerari vult,
1134 LUIGI LANZI
saputo che per piu appagarlo conveniva crescere all'opera e nomi e
notizie; siccome ho fatto senza uscir dalla idea di una storia com-
pendiosa. Ne perci6 la edizione fiorentina rimarra inutile; anzi
sara da molti preferita alia bassanese ; cioe da quegli che, vivendo
nella Italia inferiore, gradiranno di veder descritti in un libro
portatile i piu degni artefici di essa, senza curar molto cose lon-
tane.
Piano delly opera come ideato da altri. - A nuova opera adunque, e
cosi ampliata dopo la prima, io premetto prefazione nuova al-
meno in gran parte. II piano di essa non e mio del tutto, n6
tutto e d'altri. Fu progetto del Richardson,1 che qualche istorico
riunisse le notizie sparse qua e la su le arti, e specialmente su la
pittura; notandone gli avanzamenti e le decadenze che accaddero in
ogni eta; ne Iasci6 di fame uno schizzo, che arriva fino al Giordano.3
Lo stesso fece piu di proposito il cav. Mengs3 in una sua lettera,
ove ha giudiziosamente segnati tutti i periodi dell'arte, e ha messi
quasi i fondamenti di una storia piu vasta. Attenendoci a questi
esempi si dovean insieme considerare tutti i primi luminari di qual-
sivoglia scuola, e trascorrere di paese in paese secondoch6 la pittura
acquist6 per essi qualche nuova perfezione, o per Tabuso de' loro
esempi sofTri qualche scapito. Questa idea facilmente si pu6 eseguire
ove le cose si prendano cosi in grande, come Plinio le vide e addi-
tolle aj posteri: ma non e ugualmente adatta a tessere una storia pie-
ut si quid reprehensum sit a pluribus id corrigatur . . ., sic aliorum iudicio
permulta nobis et facienda et non facienda, et mutanda et corrigenda sunt
[« Come infatti i pittori e gli scultori e in verita anche i poeti vogliono
tutti che la propria opera venga gmdicata dal pubblico, affinch£ ci6 che da
parecchi e stato ripreso, venga corretto . . ., cosi secondo il giudizio degli
altri noi dobbiamo fare e non fare, mutare e correggere moltissime cose »],
Cic., II De offic., num. 41 [esattamente, De off., I, XL, 147], L. I, Trait,
della pittura, torn. II, p. 166 [esattamente, 163 sgg.], L. - Jonathan Richardson
(1665-1745), pittore inglese, scrisse tre op ere teonche e cntiche intitolate
Essay on the Theory of Painting (1715), An Essay on the whole Art of Criticism
in Relation to Painting e An Account of the Statues and Bas-reliefs, Drawings
and Pictures in Italy, France, ecc. (1722): opere assai conosciute in Europa
soprattutto nella traduzione francese intitolata Traite de la peinture et de la
sculpture, divise en trois tomes, Amsterdam, Uytwerf, 1728, e alia quale
il Lanzi stesso si rifensce. 2. Luca Giordano. 3. Opere [pubblicate dal
cav. Giuseppe Nicola d'Azara, Bassano, Remondini, 1783], torn, n, p. 108
(L.). La lettera a cui allude il Lanzi e quella intitolata Ad un amico, sopra
il principio, progresso e decadenza delle arti del disegno.
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA H35
na come T Italia la desidera. Oltre le maniere dej capiscuola ne sorse-
ro in lei infinite altre temperate di questa e di quella, e talvolta mi-
ste a tanto di originalita, che non e facile ridurle ad una o ad un'al-
tra schiera. Oltreche i pittori stessi han molte volte seguito in di-
versi tempi o in diverse opere stile si vario, che se ieri apparten-
nero a' seguaci di Tiziano, oggi meglio stanno fra quegli di Raffaello
o del Coreggio. Non si puo quindi imitare i naturalisti, che, distinte
per atto di esempio le piante in piu o in meno classi, secondo i va-
ri sistemi di Tournefort1 o di Linneo, a ciascuna classe facilmente
riducono qualsisia pianta che vegeti in ogni luogo, aggiugnendo a
ciascun nome note precise, caratteristiche e permanenti. Conviene,
a fare una piena istoria di pittura, trovar modo da allogarvi ogni
stile per vario che sia da tutti gli altri; ne a cio ho saputo eleggere
miglior partito che tessere separatamente la storia di ogni scuola.
Ne ho preso esempio da Winckelmann, ottimo artefice della storia
antica del disegno,2 che tante scuole partitamente descrive quante
furono nazioni che le produssero. Ne altramente veggo aver fatto
nella sua storia de' popoli Mr. Rollin;3 che per tal via in non
molti volumi ha chiusi con lucido ordine tanti e si vari nomi ed
awenimenti.
Piano formato per ques? opera e su qual esempio. - II piano che
adotto in ogni luogo, e simile a quel che si formo il ch. sig. An
tonio Maria Zanetti4 nella Pittura veneziana, opera sommamente
i. Joseph Pitton de Tournefort (1656-1703), botanico francese, creatore di
una classificazione delle piante basata sulla forma della corolla. 2. ottimo . . .
disegno: allude alia Geschichte der Kunst des Altertums (1764)* tradotta in
italiano da Carlo Fea col titolo Storia delle arti del disegno presso gli antichi
(Roma 1783-1784), nella quale sono distintamente e successivamente esa-
minate le varie civilta artistiche dell'antichita. 3. Charles Rollin (1661-
1741), letterato francese di orientamento giansenistico, autore di una
Histoire ancienne (1730-1732) e di una Histoire romaine (1738), condotte con
cnteri pedagogico-morali. 4- Letterato veneto, esperto anche nella pra-
tica del disegno e della pittura. Non dee confondersi con Antonio Maria
Zanetti, incisore eccellente, che rinnov6 1'arte d'intagliare in legno a
piu colori trovata da Ugo da Carpi, e di poi perduta. Scrisse ancor questi
utilmente per le belle arti; e se ne leggono Varie lettere nel tomo II delle
Letter e pittoriche [o sia raccolta di lettere su la pittura, scultura edarchitettura,
Roma 1754-1773, in sette tomi, a cura di G.Bottan]. Si soscrive « Antonio
Maria Zanetti q. Erasmo » ; ma questo e un errore dell'editore ; e dee leggersi
« q. Girolamo » ; a differenza del primo, che nominavasi « del q. Alessandro ».
L'equivoco fu notato dall'esatto sig. Vianelli nel Diario della Camera,
1136 LUIGI LANZI
istruttiva in suo genere ed ordinata. Ci6 ch'egli fa nella sua scuola,
io Timito in tutte le altre d'ltalia: ometto per6 i pittori viventi,
ne" dej passati conto ogni quadro, cosa che distrae dal seguito della
storia, e non pu6 chiudersi in cosi pochi volumi: mi contento di
lodarne alcuni migliori. Di ogni scuola do nel principio il caratte-
re generale. Distinguo di poi in ciascuna tre o quattro o piii epoche,
quanti sono i cangiamenti del gusto ch'ella and6 facendo ; non altra-
mente che nella storia civile da' cangiamenti del governo o da altri
memorabili eventi si traggon Fepoche. Certi pittori di gran nome,
che con una quasi legislazione nuova diedero alFarte altro tuono,
stanno a capo di ogni periodo; e il loro stile si descrive distesamen-
te; giacche dal lor esempio dipende il gusto dominante e caratte-
ristico di quel tempo. A' migliori maestri si annettono i loro allievi
e la propagazione di quella scuola: e senza ripetere il carattere ge
nerale di ogni professore1 si riferisce quel piu o meno che ciascuno
ha preso o cangiato o aggiunto alia maniera del caposcuola; o se
non altro di passaggio e con poche parole se ne fa menzione. Que-
sto metodo benche incapace di una esatta cronologia, nondimeno
per la concatenazione delle idee 6 assai piu comodo a una storia di
arte, che quello degli abbecedari, che troppo distraggono le noti-
zie de' luoghi e de' tempi;2 o quello degli annali, i quali costringono
talora a far menzione di uno scolare prima del maestro perch6 gli
e premorto; o quello delle vite, le quali necessitano lo scrittore a
ripetere assai volte le stesse cose, lodando il discepolo per quello
stile onde si loda il maestro; e osservando in ogni particolare ci6
che & generale carattere della sua eta.
Pittura inferiors e artifizi diversi che soggiacciono alia pittura. -
Per maggiore distinzione ho comunemente separati da' compositori
d'istorie gli artefici della inferiore pittura,3 siccome sono i ritrat-
tisti, i paesanti, i pittori degli animali, de' fiori, delle frutta,
a pag. 49 (L.)- L'opera dello Zanetti (1706-1778), critico attento e sensibile,
e esattamente intitolata Della pittura e delle opere pubbliche de' veneziani
maestri, Venezia 1771 (ripubbhcata con aggiunte nel 1792). i. profes
sore: artista. 2. distraggono . . . tempi: in quanto dispongono gli artisti
per ordme alfabetico. 3. inferiore pittura: il Lanzi accoglie, come del resto
in genere gli altri critici figurativi del Settecento, la vecchia distinzione
intellettuahstica fra arte « superiore », di argomento stonco e allegorico, e
arte « inferiore », i cui argomenti sono specificati subito dopo.
STORIA PITTORICA BELLA ITALIA 1137
delle marine, delle prospettive, delle bambocciate,1 e se vi e altro
che meriti luogo in questa classe. Ho pur considerati certi altri arti-
fizi che, quantunque sian diversi dalla pittura, o per la materia in
cui si eseguiscono, o per la maniera con cui si conducono ; pure in
qualche modo si possono ad essa ridurre : per figura2 la stampa, la
tarsia, il musaico, il ricamo; delle quali cose e di altre simili il Va-
sari, il Lomazzo3 e gli altri che hanno scritto di belle arti, fecero
pur menzione. E menzione ne fo io similmente ; contento d'indicare
in ognuna di queste arti ci6 che mi e paruto piu degno da risapersi.
Nel resto elle potrebbon esser soggetto d'istorie a parte; e alcuna
di esse ha i suoi propri storici gia da vari anni, particolarmente
la stampa.
Non doversi excluder e dalla storia i mediocrL - Col metodo espres
so finora io non dispero di dovere appagare i miei leggitori;
avendone si chiari esempi. Piu e da temere che io non dispiaccia
nella scelta degli artefici; il cui numero, qualunque via si tenga,
ad altri dee parere soverchiamente ristretto, ad altri soverchiamente
ampliato. La critica non cadra cosi facilmente ne sopra i piu ec-
cellenti, che io spero di avere considerati ; n£ sopra i piu deboli, che
io spero di avere omessi; toltine alcuni, i quali per larelazione che
hanno con gli eccellenti mette qualche volta bene di nominargli.4
Adunque la querela o del mio dire o del mio tacere cadra sopra
quel ceto di mezzo, che non compone, dir6 cosi, ne il senato, ne
Tordine equestre, ne il piu basso popolo de' pittori; compone il
grado de' mediocri. Una gran parte delle liti aggirasi intorno a'
confini ; e quasi una lite di confini e questa di cui scriviamo. Spesso
di un pittore si pu6 controvertere s'egli piu awicmisi a' buoni o a'
cattivi; e per conseguenza se deggia in una storia d'arte o non
deggia aver luogo. In tali dubbi, che scrivendo mi son sorti non
poche volte, ho maggiormente inclinato al partito piu mite che al
i. bambocciate: con questo termine (derivato da « Bamboccio », soprannome
del pittore Pieter van Laer, che oper6 in Roma nella prima meta del Sei-
cento) si designa un genere di pittura volto a rappresentare scene di strada,
di taverna, di mercato, di zingari e simili. 2. per figura: per esempio.
3. Sul Lomazzo cfr. la nota 2 a p. 833. 4. Un dilettante che non sappia
esservi stati piu Vecelli e Bassani e Caracci che dipinsero, non avra mai
piena notizia di queste famiglie pittoriche ; n6 sapra ben ragionare su certi
quadri, che arrestano il volgo, solamente perchd con tutta venta vantano
un nome grande (L.)-
1138 LUIGI LANZI
piu severe, specialmente in coloro che son gia in possesso della
storia, essendo nominati con qualche onore dagli scrittori. Mi e
paruto di dover seguire il genio del pubblico, che rare volte ci ac-
cusa di aver fatta menzione de' mediocri; spesso di averne tenuto
silenzio. I libri di pittura son pieni di querele verso 1'Orlandi e il
Guarienti1 perche abbian taciuto questo o quell'altro. Spesso anche
contro di loro si garrisce in chiesa, quando la Guida di una citta ad-
dita una tavola di altare di un cittadino che negli abbecedari sia pre-
termesso. Ripetono tali questioni2 gl'illustratori delle gallerie a ogni
quadro soscritto'da qualche artefice non mentovato in verun libro.
Lo stesso fanno i dilettanti delle stampe, quando a pie di esse leggo-
no il nome di un inventore, di cui tace la storia. Cosi, se avessero a
raccorsi i voti del pubblico, molti piu sarebbono coloro che mi con-
siglierebbono a una certa pienezza, che gli altri a' quali piacesse
molto rigore e molta scelta. Quasi poi tutti i pittori e i dilettanti di
ogni citta mi animerebbono a nominare quanti piu potessi dej me
diocri loro municipal! : perciocche la scelta di cui parliamo e molto
simile alia giustizia; che lodasi finche si esercita in casa d'altri, ma
ognuno quando picchia al suo uscio la disgradisce. Quindi uno
scrittore che de' ugualmente servire ad ogm citta, non pu6 esser
molto severo verso i mediocri di veruna. Si aggiunge a cio la ra-
gione. Perciocch6 tacere il mediocre e industria di buon oratore,
non uffizio di buon istorico. Cicerone istesso nel libro De claris
oratoribus3 diede luogo a' dicitori di men talento ; e su questo esem-
pio osservo che la storia letteraria di ogni nazione non considera
solamente i suoi classici scrittori e quegli che loro si awicinarono ;
a£giugne anche notizie, almeno brevi e concise, degli autori di
minor fama. Anche nella Iliade, ch'e una storia de' tempi eroici,
pochi sono i sommi duci, molti i buoni soldati, moltissimi i men
valorosi, che il poeta non nomina se non di fuga. E nel caso nostro
e anche piu necessario inserire a* buoni ed agli ottimi i mediocri.
Questi in molti libri son descritti con termini cosi vaghi, e talora
cosi alterati, che a formar giudizio del grado loro convien introdur-
gli presso i miglior pittori quasi come attori di terze parti. N6 per-
ci6 mi son messo in gran pena di ricercargli per minuto; special-
i. Antonio Pellegrino Orlandi, autore di un Abecedario pittorico, Bologna
1702, ristampato con correziom e nuove notizie da Pietro Guarienti, a
Venezia nel 1753. 2. questioni: lamenti. 3. De claris oratonbus: il
Brutus.
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1139
mente ove trattisi di frescanti, e generalmente di artefici che alle
quadrerie non son noti oggimai per lavori superstiti, o ad esse fan
pieno piu che decoro. Cosi anche nel numero ho mantenuto alia
mia istoria il carattere di compendiosa. Che se qualche lettore,
adottando la rigida massima del Bellori, che in belle arti, come in
poesia, non si tollera mediocrita;1 il margine fara verso lui ci6 che
in una piazza folta di popolo fanno i nomenclatori : esso gii addi-
tera dove stiano i capi delle scuole e i pittori piu degni: a loro si
awicini, con loro si fermi, e dagli altri rivolga il guardo come
uomo,
. . . cut altra cura stringa e morda,
che quella di colui che gli e davante.
(Dante.)2
Col metodo detto si soddisfd ai tre oggetti dell 'opera, i. Si prov-
vede alia storia d* Italia. - Descritto il metodo, torno ai tre oggetti
che mi proposi da principio; il primo dei quali era fornire una
storia alia Italia, che interessa la sua gloria. Questo bel tratto di
paese ha gia, merc6 del cav. Tiraboschi, la storia delle sue lettere;
ma desidera ancora quella delle sue arti. lo ne tesso, o se cib par
troppo, ne agevolo quel ramo in cui ella non ha rivali. In certi
generi e di letteratura e di belle arti o siamo uguagliati da esteri,
o ne siam vinti, o ci si disputa almeno la corona e la palma. In pit-
tura pare oggimai per consenso di tutte le genti che gFingegni ita-
i. V. la prefazione alle Vite [p. 5]. Non ammetto questo principio. Orazio
10 com6 per la sola poesia, perche e una facolta che perisce se non diletta;
per contrario 1'architettura anche non dilettando ha grande utile, prepa-
randoci ove abitare; la pittura e la scultura, conservandoci le sembianze
degli uomini e de' fatti illustn. £ anche da awertire che Orazio sconsiglia
dal produrre mediocri poesie, perche non hanno spaccio (« non concessere
columnae» [«non lo concessero le edicole dei Hbrai», cfr. Ars poet., 373]):
non e cosi delle mediocri pitture. Ognuno in qualunque paese pu6 leggere
11 Petrarca, il Tasso, 1'Ariosto; e se mai non lesse un poeta mediocre,,
scrivera meglio di chi gli abbia letti tutti: ma non ognuno puo avere o nelle
case o nej tempii del suo paese i buoni pittori; e al culto e airornamento
soddisfan pure i non eccellenti : cosi anche questi ed hanno e fanno qualche
utile (L.). Giovanni Pietro Bellori (1615-1696), autore di important! opere
teoriche e critiche, ispirate ad un classicismo antibarocco e platonizzante
che prelude al neoclassicismo winckelmanniano : Vite dey pittori, scultori e
architetti moderni, Roma 1672 (n edizione, Roma 1728, da cui cita il Lanzi) ;
Vita del cav. Carlo Maratta, Roma 1732; Descrizione delle immagini dipinte
da Raffaello d'UrUno nel Palazzo Vaticano, Roma 1695 (n edizione,
Roma 1751). 2. Inf., ix, 102-3.
1140 LUIGI LANZI
Hani abbiano preso il posto; e che gli estranei tanto sian piu in
istima, quanto piu si awicinano a' nostri. Era dunque decoroso
alia Italia recare in un sol luogo ci6 che della sua pittura era sparse
in moltissimi volumi, e dare a queste cose quella che da Orazio fu
detta «series et junctura», senza la quale non pu6 essere n<§ dirsi
storia.1 Al che fare non tacer6 che ben piu volte a voce e per lettere
mi anim6 il predetto autor della Storia della italiana letteratura,
quasi a un seguito della sua opera. Desider6 in oltre che si aggiu-
gnesser notizie aneddote alle gia divolgate; e alle scorrette, che ri-
siedono negli abbecedari massimamente, si sostituissero altre di
miglior nota.
L'uno e Paltro si e fatto. II lettore trovera qui varie scuole da
niun altro descritte; ed una intera, cioe la ferrarese, tratta da' mss.
del Baruffaldi e del Crespi ;2 e in altre non di rado leggera nomi e no
tizie di artefici, che adunai or da mss. antichi,3 or dalla tradizione,
or dal carteggio de' dotti amici, or dalle soscrizioni delle vecchie
pitture : se queste son mobili da gabinetti, non e inutile ampliar la
cognizione de' loro autori. Vi trovera in oltre non poche nuove os-
servazioni su le origini della pittura e su la propagazione di essa
per tutta Italia, soggetto antico di dispute e di litigi; e a tratto a
tratto nuove riflessioni sul maestro di questo o di quel pittore;
ch'e la parte della storia la piu favolosa. Spesso i nostri buoni an
tichi assegnarono per maestro a certuni Raffaello o Coreggio o
i, «Series iuncturaque pollet» [«importa 1'ordinata disposizione e la con-
giunzione»], Herat., De art. poet., v. 242. Abbiamo preso questo emistichio
per motto di tutta 1' opera; poich6 qualunque ella siasi nel rimanente, qual-
che comrnendazione riceve dalTordine e dal legamento che abbiam dato
a tante notizie qua e la sparse, onde tesserne una istoria (L.)- 2. Le Vite
de' pittori e scultori ferraresi, composte dall'erudito ferrarese Girolamo
Baruffaldi (1675-1755) fra il 1697 e il 1722, furono in seguito pubblicate a
Ferrara nel 1844; il pittore Luigi Crespi (1709-1779) e noto come autore
di Vite de' pittori bolognesi non descritte nella « Felsina pittrice » (Roma 1769),
continuazione delF opera del Malvasia; ma Topera manoscritta a cui allude
il Lanzi e intitolata (come risulta dal terzo indice) Note e aggiunte alle « Vite »
del Baruffaldi. 3. In quest'ultima edizione molto ha contribuito al miglio-
ramento dell3 opera il sig. principe Fihppo Ercolani, che avendo comprati
dagli eredi del sig. Marcello Oretti 52 tomi di mss. che quell' indefesso
amatore studiando, viaggiando, osservando molto avea compilati su i pro-
fessori delle belle arti e la loro eta e i lor lavori, se n'e potuto far uso in al-
cune note del sig. cav. Lazara, che si e compiaciuto prender cura di questa
edizione. Alia gentilezza e al trasporto che questi due signori hanno per la
pittura dovra anche il pubblico molte notizie inedite finora o men bene
divolgate (L.).
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1141
altro grand'uomo, senz'altro fondamento che di uno stile con-
forme ; quasi come la credula gentilita favoleggi6 che un eroe fosse
figliuolo di Ercole perche prode, un altro di Mercurio perche in-
gegnoso, un altro di Nettuno perche venuto a capo di lunghe navi-
gazioni. E questi scambi facilmente si emendano quando van con-
giunti con qualche inawertenza degli scrittori; v. gr.1 quando non
awertirono che la eta del discepolo non si affa a quella del preteso
istruttore. Talora per6 non son facili ad emendarsi; e allora massi-
mamente quando il pittore, la cui nobilta nelTarte dipende tutta
dalla nobilta del maestro, si spacci6 in paesi esteri scolare di que-
sto o di quel valentuomo che conobbe appena di vista; cosa che
leggiamo di Agostino Tassi,2 e che udimmo a* di nostri di certi
«sedicenti discepoli di Mengs»; a* quali raccontasi appena ch'egli
dicesse una volta: «Sig. N. N., io vi saluto».
Per ultimo trovera qui il lettore alcune men owie notizie su la
nomenclatura, su la patria, su la eta degli artefici. £ querela comune
che gli abbecedari finora editi manchino di nomi che interessano>
e di esattezza. Io scuso molto i compilatori di queste opere; avendo
sperimentato quanto facilmente si erri in nomi raccolti spesso dalla
bocca del volgo, o anche da scrittori che gli enunziarono diversa-
mente; ma e giusto che a si fatte sviste si rimedi una volta. Or Tin-
dice di quest' opera presentera quasi un nuovo abbecedario pitto-
rico piu copioso certamente e forse meno scorretto degli altri; quan-
tunque capace di essere migliorato molto, specialmente colFaiuto
degli archivi e de' mss.3
2. Si giova alVarte. - II second' oggetto ch'ebbi in mira fu in
quanto potessi giovare all'arte. 6 antico dettato che ad ogni arte
gli esempi maggiormente giovino che i precetti; ma cio della pit-
tura si verifica piu espressamente. Chiunque ne scriva istoria su la
norma de' dotti antichi dee non sol narrarne i successi,4 ma de'
successi indagare le occulte origini. Or le cagioni onde la pittura si
e avanzata, owero e tornata indietro, si troveranno qui in ogni
scuola; ed essendo sempre le stesse, insegneranno col fatto cio che
voglia farsi e schivarsi a promoverne 1'avanzamento. Tali notizie
i.v.gr.: verbigrazia. 2. Agostino Tassi: pittore perugino (1566-1642).
3. Tralascio una lunga nota del Lanzi, in cui egli accenna ad errori com-
messi dal Vasari, dall'Orlandi, dal Guarienti, dal Crespi e da altri studiosi.
4. successi: awenimenti.
1142 LUIGI LANZI
non riguardano i soli artefici, ma gli altri ancora. Osservo nella
scuola romana, alia seconda epoca, che il progresso delle arti di-
pende sempre da certe massime adottate universalmente dal seco-
lo;1 secondo le quali opera il professore* e giudica il pubblico. A
render comuni e ad accreditare le miglior massime assai e con-
ducente una storia generale che le suggelli. Cosi e gli artefici in
operare, e gli altri in approvare o in dirigere avranno principii non
incerti, non controversi, non dedotti dal gusto di una o di un'altra
scuola; ma certi e sicuri e fondati su la esperienza costante di tanti
luoghi e di tanti secoli. Aggiungasi che in si varia istoria si trove-
ranno esempi moltiplici, e da adattarsi a' diversi ingegni degli
studenti, che talora solo per questo non si avanzano, ch'essi non
premono il sentiero per cui natura gli avea fatti. Fin qui degli
esempi. Che se altri desidera anche precetti, gli avra in ogni scuola,
non gia da me; ma si da coloro che meglio scrissero in pittura,
e che io in proposito di questo e di quel maestro ho raccolti;
come diro in altro luogo.3
3. Si agevola la cognizione degli stili pittorici. - II terz'oggetto
che mi proposi, fu agevolare la cognizione delle maniere pittoriche.
E veramente Fartefice o il dilettante, che ha letto in poco le ma
niere di ogni eta e di ogni scuola, abbattendosi a una pittura, piu
agevolmente la ridurra se non ad un certo autore, almeno ad un cer-
to gusto ; siccome fan gli antiquari, qualor assegnano una scrittura
ad un dato secolo, riguardatane la carta e il carattere; o come i cri-
tici, qualora considerato il fraseggiare di un anonimo congetturano
del tempo e del luogo in cui visse. Con tal lume si precede poi alia
ricerca de* pittori che in quella scuola e in quell' epoca son vivuti; e
continuandosi a far diligenze su le stampe, su i disegni, su di altre
reliquie di quella eta, si vien talora in cognizione del vero autore.
La maggior parte de' dubbi su le pitture non si raggira se non cir-
i. osservo . . . secolo: cfr. Storia pittorica della Italia ecc., ed. cit., II, pp.
41-2: « Quanto a me io son cTawiso che i secoli sian formati sempre da certe
massime ricevute universalmente e da' professori e da' dilettanti, le quali
incontrandosi in qualche tempo ad essere le piu vere e le piu giuste, for-
mano a quella eta alquanti straordinari professori, e moltissimi de' buoni :
varian le massime, com'e forza per la umana instabilita; ed ecco variato il
secolo ». 2. professore: artista. 3. in altro luogo: nel penultimo paragrafo,
intitolato Giudizi de* pittori onde tratti e come trascelti (qui a p. 1146).
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1143
ca agli autori fra loro simili: questi io riunisco in un luogo solo, no-
tando pure in die Puno differisca dall'altro. Spesso si tituba pa-
ragonando un autore seco medesimo ; quando sembra che uno stile
non convenga o alia solita maniera o al gran nome di un professore.
Per tali dubbiezze comunemente io noto il maestro di ciascheduno ;
giacche da principio ognun seguita le tracce della sua scorta: noto
inoltre la maniera che si form6, e che mantenne costantemente, o
mut6 in altra: noto talora Peta che visse, e il maggiore o minore im~
pegno con cui dipinse; onde non corrasi a condannare di falsita una
pittura che pote esser fatta in eta avanzata, o esser condotta con
negligenza. Chi e per atto di esempio che possa ricevere per legit-
time tutte le opere di Guido1 s'egli non sappia che Guido or segui
i Caracci, ora Calvart,2 or Caravaggio, or se stesso, ne ugualmente
somiglio se stesso, quando fino a tre quadri compie in un giorno ?
Chi pu6 sospettare che Giordano sia un pittor solo, quando non
sappia ch'egli aspira a trasformarsi ora in uno degli antichi, ora in
altro ? E questi son troppo noti : ma quanti altri sono i men noti, e
tuttavia non indegni che si additino per non cadere in errore ? Or
essi qui si potran conoscere, ove di tanti professor! e di tanti stili
si da contezza.
Regole per discerner le copie dagli originali. - Io so che la cogni-
zion erudita di vari stili non e Fultimo termine a cui mirano i
viaggi e le premure di un curioso; e di conoscer le mani d'ogni
pittore almeno piu celebre, e di discernere gli originali dalle copie.
Felice me, se io potessi prometter tanto! Anzi felici que' medesimi
che la vita consumano in tale studio, se vi fosser regole brevi, uni-
versali, sicure, per decidere sempre con verita! Molto deferiscono3
alcuni alia storia. Ma quante volte interviene che si citi un istorico
a favor di un quadro di una chiesa o di una famiglia, che venduto
da1 maggiori e sostituita in sua vece una buona copia, si e tor-
nato poi a credere un originale! Alcuni altri molto si regolano
con la dignita de* luoghi, e stentano a dubitare che quanto ve-
desi in gallerie scelte e sovrane non sia veramente di coloro a*
quali gli ascrivono le descrizioni e i catalogi delle medesime. Ma
i. Guido Reni. 2. Denijs Calvaert (1540-1619), pittore fiammingo, che
Iavor6 molto in Italia, e specialmente a Bologna, dove fond6 una scuola in
cui ebbe allievi, oltre il Reni, anche il Domenichino e 1'Albani. 3, Molto
deferiscono: attribuiscono molta importanza.
1144 LUIGI LANZI
qui ancora pub errarsi: poiche alcuni non pur privati ma principi,
non potendo acquistare coH'oro certe pitture di antichi, si conten-
tarono or delle repliche degli scolari piu conformi a que' maestri ;
or anche delle copie fatte da* professori che i medesimi principi
spedivano qua e la a quest ' oggetto ; come Ridolfo II, per addurne
un esempio solo, oper6 con Giuseppe Enzo copista egregio (Bo-
schini, pag. 62; e Orlandi, § Gioseffo Ains di Berna).1 Non bastan
dunque le prove estrmseche senza la intelligenza delle maniere.
Ma Facquistar tale intelligenza e frutto solo di lungo uso e di
meditazioni profonde su lo stile d'ogni maestro; ed ecco in qual
maniera passo a passo vi si perviene.3
Si dee per conoscere un autore aver notizia del suo disegno ; al
che aiutano i suoi schizzi, le sue tavole, o le incisioni almeno di esse,
purche sian esatte. Un gran conoscitore di stampe ha fatto piu della
meta del cammino per essere conoscitor di pitture : chi mira a que-
sto scopo, negli studi notturni rivolga stampe, rivolgale ne' diurni.3
Cosi I'occhio va abituandosi a quel modo di contornare o di scortar
le figure, di arieggiar le teste, di gettare e piegar le vesti; a quelle
mosse, a quella maniera di pensare, di disporre, di contrapporre
ch'e familiare all'autore: cosi arriva a conoscere quella quasi fami-
glia di giovani, di putti, di vecchi, di donne, d'uomini, che ogni
pittore ha adottata per sua, e Pha prodotta ordinariamente in
iscena ne' suoi dipinti. Ne in questo genere pu6 mai vedersi a ba~
stanza : cosi minute e poco men che insensibili son talora le diffe-
renze che discernono un imitatore v. gr. di Michelangiolo da un
altro imitatore; avendo ammendue studiato su lo stesso cartone e
su le medesime statue; e per cosi dire imparato a scrivere su lo
stesso esemplare.
Piu di originalita suoi trovarsi nel colorito, parte della pittura,
che ognun si forma per certo proprio sentimento piuttosto che per
magistero altrui. II dilettante non giugne mai a fame pratica, che
non abbia vedute molte opere di uno stesso, e notato seco qual ge
nere di colori ami egli fra tutti ; come gli comparta, come gli awi-
i. Joseph Heinz (1564-1609), italianizzato in Ains o Enzo, pittore di corte
delPimperatore Rodolfo II. 2. V. Mr. Richardson, Traiti de la peinture,
[ed. cit], torn, n, p. LViir. Mr. d'Argenville, Abregede la vie des plus fameux
peintres, [ed. cit], torn, i, p. LXV (L.). 3. negli studi ... diurni: adatta
Orazio, Ars poet.y 268-9: « Vos exemplaria graeca / nocturna versate manu,
versate diurna».
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1145
cini, come gli ammorzi; quali sian le sue tinte locali; quale il tuono
generale con die armonizza i colori. Questo quantunque sia chiaro
e come d'argento in Guido e nej suoi, dorato in Tiziano e ne' tizia-
neschi, e cosi degli altri; ha nondimeno tante modificazioni di
verse, quanti sono gli artefici. Lo stesso dite delle mezze tinte e
de' chiariscuri, ove ognuno tiene un suo metodo.
Tali cose, per6, die si awertono ancora in distanza, non bastano
sempre per pronunciar francamente che tale opera sia del Vinci,
per figura, non del Luini, che in tutto il seguita; o che quell'altra
sia original del Barocci, non copia esatta del Vanni.1 1 periti awici-
nansi allora al quadro, per farvi sopra quelle diligenze che si co-
stumano nelle giudicature, quando trattasi della ricognizione di un
carattere. La natura per sicurezza della societa civile da a ciascuno
nello scrivere un girar di penna, che difficilmente pu6 contraffarsi
o confondersi del tutto con altro scritto. Una mano awezza a
moversi in una data maniera, tien sempre quella: scrivendo in
vecchiaia divien piu lenta, piu trascurata, piu pesante; ma non can-
gia affatto carattere. Cosi e in dipingere. Ogni pittore non si di-
scerne solo da questo, che in uno si nota un pennello pieno, in al
tro un pennello secco ; il far di questo e a tinte unite, di quello e a
tocco; e chi posa il colore in un modo, e chi in altro ;* ma in ci6
medesimo che a tanti e comune, ciascuno ha di proprio un an-
damento di mano, un giro di pennello, un segnar di linee piu o men
curve, piu o meno franche, piu o meno studiate, ch'e proprio suo :
onde i veramente periti dopo assai anni di esperienza, considerata
ogni cosa, conoscono e in certo modo sentono che qui scrisse il tale
o il tal altro. N6 essi temono di un copista benche eccellente. Egli
i. Francesco Vanni (1565-1609), pittore senese, del quale il Lanzi stesso
dice : « si ferm6 nel gentile e florido del Barocci, in cui riusci egregiamente »
(cfr. Stona pittorica della Italia ecc., ed. cit., I, p. 361). 2. « Alcuni po-
sarono il color vergine senza confonder Puno con P altro ; cosa che ben si ri-
conosce nel secolo di Tiziano: altri lo han maneggiato tutto al contrario,
come il Coreggio: il quale pos6 le sue maravigliose tinte in modo che,
senza conoscervi lo stento, le fece appanre fatte con Palito, morbide, sfu-
mate, senza crudezza di dintorni, e con tale rilievo, che per cosi dire arriva
al naturale. II Palma vecchio e Lorenzo Lotto hanno posato il color fresco
e finite Topere loro quanto Gio. Bellini; ma 1'hanno accresciute e caricate di
dintorni e di morbidezza in sul gusto di Tiziano e di Giorgione. Altri, come
il Tintoretto, nel posare il colore cosi vergine come gli antidetti han pro-
ceduto con un ardire tanto grande che ha del prodigioso, etc. », Baldinucci,
Lettere pittor., [ed. cit], t. n, lett. 126 (L.).
1146 LUIGI LANZI
terra dietro Toriginale per qualche tempo, ma non sempre; dara
delle pennellate franche, ma comunemente timide, servili e sten-
tate; non potra nascondere a lungo andare la sua liberta che gli fa
mescolare la propria maniera coll'altrui in quelle cose specialmente
che men si curano; com'e lo stil de' capelli, il campo o Pindietro.1
Veggasi una lettera del Baldinucci, ch'e la 126 fra le Pittorichez
del tomo n, ed un'altra del Crespi, ch'e la 162 del tomo IV. Giovano
talora certe awertenze su la tela e su le terre: onde alcuni usano
ancora di far Panalisi chimica de' colori per saperne il vero. Ogni
diligenza e lodevole quando si tratta di un punto cosi geloso,
com'e accertare le mani de' grandi autori. Da queste diligenze di-
pende il non pagar dieci quello che appena merita due ; il non col-
locare nelle raccolte piu scelte ci6 che ad esse non e di onore; il
dare a' curiosi notizie che fanno scienza, non pregiudizi che fanno
errore; come spesso awiene. N£ e maraviglia. £ piu raro trovare
un vero conoscitore, che un pittor buono. fi questa un'abilita a
parte ; vi si arriva con altri studi ; vi si cammina con altre osserva-
zioni: il poter farle e di pochi; di pochissimi il farle con frutto:
ne io son fra loro. Non pretendo adunque, torno a ripetere, di formar
con quest5 opera un conoscitor di pitture in ogni sua parte; aiuto
solamente a divenir tale con piu facilita e piu prestezza. La storia
pittorica e quella che fa la base di un conoscitore; io procuro di
unirgliela perche abbisogni di meno libri; di abbreviargliela si che
vi spenda men tempo ; e di ordinargliela in guisa che in ogni occor-
renza Tabbia piu sviluppata e piu pronta.
Giudizi dey pittori onde tratti e come trascelti. - Resta per ulti
mo che io dia conto in certo modo di me medesimo, e dej giudizi
che io porto d'ogni pittore, non essendo un di loro. E veramente se i
professori di quest Jarte avesser tanto o di esercizio o di ozio a
scrivere, quanto hanno d'intelligenza, ogni altro scrittore dovria
loro cedere il campo. La proprieta dej vocaboli, Tabilita degli ar-
tefici locali, la scelta degli esempi son cose ordinariamente piu co-
gnite ad un pittor mediocre, che a un dilettante versato. Ma poiche*
occupati i dipintori a colorire le tele non hanno o sapere o agio
i. In pittura il campo e lo spazio su cui sono distribuite e spiccano le fi
gure; Vindietro, la zona dove sono le figure di secondo piano. 2. Le pit-
toriche: cioe le Letters pittoriche ecc., citate alia nota 4 di p. 1135.
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1147
bastevole a vergar le carte, conviene che a questo uffrzio sottentrino
altri, assistiti pero da loro.1
Per questo scambievole soccorso che il pittore ha dato aHJuomo
di lettere, e Puomo di lettere al pittore, la storia dell'arte si e avan-
zata molto ; e del merito di ogni miglior maestro si e scritto in guisa
che un istorico pu6 trattarne oggimai convenevolmente. I giudizi
che io piu ne rispetto son quegli che immediatamente vengono da'
professori. Pochi ne leggiamo di Raffaello, di Tiziano, di Poussin,
di altri sommi maestri : questi mi paiono preziosi e degnissimi che se
ne faccia conserva; perche d'ordinario chi meglio fa meglio giudica.
II Vasari, il Lomazzo, il Passeri, il Ridolfi, il Boschini, lo Zanotti,
il Crespi2 meritano forse esame in alcuni luoghi, ove lo spirito del
partito pote sorprendergli ; ma finalmente essi avean un diritto
piu speciale d'insegnarci, perche erano del mestiere. II Bellori, il
Baldinucci, il conte Malvasia, il conte Tassi3 e simili tengono in
questa classe un inferior rango; e tuttavia non mancano di autorita,
perche quantunque dilettanti raccolsero i giudizi dej professori e
del pubblico. E tanto basti per ora degl'istorici in generale: di
I. Convien ricordarsi che « de pictore, sculptore, fusore iudicare nisi artifex
non potest » [« del pittore, dello scultore in marmo e in bronzo non pu6 giu-
dicare se non un artefice »], Plin. Junior, I, epist. io, [4], ma intender ci6 sana-
mente; cioe di alcune ultime finezze dell'arte, a cui non giugne 1'occhio di
un dilettante per quanto si supponga erudito. Nel resto se una figura abbia
belle o cattive fattezze, colorito naturale o falso, armonia, espressione, se il
gusto sia veneto o romano o cose simili, abbiam noi bisogno sempre che un
pittore ce lo susurri all'orecchio ? E dove ci e veramente bisogno del giudizio
di un artefice, e noi letto o udito lo riferiamo ; avra meno autorita nel nostro
scritto che nella sua bocca ? (L.). 2- Sul Lomazzo e sul Crespi cfr. la nota 2 a
p. 833 e la nota zap. 1140; a Giovan Battista Passeri (1610-1679), pittore,
si devono le Vite de1 pittori, scultori e architetti che hanno lavorato in Roma,
morti dal 1641 al 1673 (pubblicate postume da G. L. Bianconi, con note
di G. Bottari, a Roma, Zempel, 1772; e recentemente edite sull'autografo
da J. Hess, Wien u. Leipzig 1934); a Carlo Ridolfi (1594-1658), pittore,
Le meraviglie delVarte o vero Le vite degli illustn pittori veneti e dello Stato
(Venezia 1648); a Marco Boschini (1613-1678), pittore e incisore, la sin-
golare e vivace Carta del navegar pitoresco (Venezia 1660) e le Ricche mi
ner e delta pittura veneziana (Venezia 1664 e 1674), che e la prima vera
guida artistica di Venezia; a Giampietro Zanotti (1674-1755), pittore e xilo-
grafo, la Stona delV Accademia Clementina di Bologna (Bologna 1739)-
3. Sul Bellori e sul Baldmucci cfr. la nota i a p. 1139 e la nota 2 a p. 1131 ;
Carlo Cesare Malvasia (1616-1693), scrisse la Felsina pi ttrice, vite de' pittori
bolognesi (Bologna 1678), polemica esaltazione del Carracci, e altre opere
sulFarte bolognese; Francesco Maria Tassi (1716-1782) le Vite de' pittori,
scultori e architetti bergamaschi (Bergamo 179?)-
1148 LUIGI LANZI
ciascun di essi in particolare tornera il discorso nelle scuole che
ci ban descritte.
Nel dar giudizio di ciascheduno ho scelto il partito che tenne
Baillet1 quando in molti tomi diede la storia delle opere che si chia-
man di spirito; ove non tanto propone il suo sentimento quanto
Taltrui. Ho dunque raccolti i pareri degPintendenti che si hanno
presso gli storici, i quali storici non ho creduto di citare ogni volta
per non crescere mole al libro;2 ne di considerargli quando mi
han recato sospetto di scrivere passionatamente. In oltre ho fatto
uso di alcuni critici applauditi; siccome sono il Borghini, il Fresnoy,
il Richardson, il Bottari, PAlgarotti, il Lazzarini, il Mengs3 ed
altri che scrissero dei nostri dipintori piuttosto giudizi che vite.
Ho fatta stima ancor de' viventi; e a tal effetto ho consultati vari
professori dj Italia; ho sottoposto a' lor occhi il mio scritto; ho
segulto il consiglio loro; specialmente ove trattasi di disegno e di
altre parti della pittura, delle quali la giudicatura e il sindacato
risiede presso i soli artefici. Ho udito anche moltissimi dej dilet
tanti, che in certi punti non veggon meno de' professori; anzi da'
professori medesimi sono consultati utilmente; v. gr. nel decoro
delle storie, nella proprieta delPinventare e deiresprimere, nella
i. Adrien Baillet (1649-1705), erudito francese, autore dell'opera Juge-
ments des savants sur les principaux ouvrages des auteurs (1685-1686), a
cui allude il Lanzi. 2. L/abbondare in citazioni, e il riferir de' libri men
owi ogni minuta particolarita, e usanza di questi ultimi tempi, a cui mi sono
conformato, pare a me, quanto basta nel secondo indice. Ma in una storia
fatta specialmente per istruire e per piacere a chi si diletta di belle arti,
mi e paruto di non interrompere spesso il filo del racconto con la testi-
monianza di questo o di qucllo. I libri onde traggo le notizie di ogni pittore
sono indicati neir opera e nel primo indice: inculcargh continuamente a'
lettori saria cosa che piacerebbe a un di loro, ma dispiacerebbe a cento
altri (L.). 3. Sul Richardson cfr. la nota i a p. 1134; RafTaele Borghini
(1541-1588) e qui ricordato per // riposo (Firenze 1584), dialogo di orien-
tamento vasariano su question! di teoria e cntica figurativa; Charles-Al-
phonse du Fresnoy per il trattato De artegraphica (Paris 1667, ripubblicato
da Roger de Piles nel 1673); Giovanni Bottari (1689-1775) per i Dialoghi
sopra le ire arti del disegno (Lucca 1754), in cui sono interlocutori il Bellori
e il pittore Maratta; Francesco Algarotti per il Saggio sopra la pittura
(Bologna 1762) e alcune Letter e pure intorno alia pittura; Giovanni Andrea
Lazzarini (1710-1801) per la Dissertazione sopra Varte della pittura (Pesaro
1753), che TAlgarotti tenne presente nel Saggio citato; il Mengs, oltre che
per la lettera Ad un amico gia ricordata, per le Riflessioni sopra i tre gran
pittoriRaffaello, il Correggio e Tiziano e sopra gli antichi (pubblicate per la
prima volta dal d'Azara nelle Opere , Parma 1780).
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1149
imitazione dell'antico, nella verita del colore. Ne ho lasciato di
considerare io medesimo una gran parte delle produzioni migliori
delle scuole italiane, e d'informarmi nelle citta del rango che ivi
tengono presso gl'intendenti i loro pittori non tanto noti; persuaso
che ivi di ognuno si forma miglior giudizio, ove piu opere se ne
veggono e ove piu spesso che altrove e da' cittadini e dagli esteri
se ne favella. Cosi anche ho potuto prowedere alia fama di non
pochi artefici; i quali giacevan dimenticati, perche lo scrittor della
loro scuola o non si era abbattuto a vedergli; o avendone sol veduto
qualche debole produzione o giovanil tentative in una citta, nulla
seppe delle opere altrove fatte con piu metodo e in eta compiuta.
Malgrado tali diligenze, io non ardisco, o lettore, di commendarvi
quest* opera come cosa a cui molto non possa aggiugnersi. Non e
mai awenuto alle storie che han tanti oggetti di nascer perfette:
elle si perfezionano a poco a poco : chi e primo in esse di tempo,
resta in fine ultimo di autorita; e il suo maggior merito e aver data
occasione col suo esempio ad opere piu compiute. Or quanto meno
pu6 sperarsi perfezione in un compendio di tutte ? Mold nomi di
artefici e di scrittori buoni vi troverete ; ma pu6 ammetterne degli
altri omessi per mancanza non mai di stima, sempre di tempo o di
modo da considerargli. Vi leggerete molti giudizi, ma possono en-
trarvene degli altri. Non vi e autore, di cui tutti pensino a un modo.
Baillet nominate, non 6 gran tempo, lo fa vedere de' letterati; e chi
credesse pregio dell' opera, potria molto piu farlo conoscere de'
pittori. Ognuno ha i suoi principii: il Bonarruoti proverbio come
goffo Pietro Perugino ed il Francia, lumi delParte : Guido, se credia-
mo agl'istorici, dispiaceva al Cortona, il Caravaggio allo Zucchero,1
il Guercino a Guido; e quello che piu sorprende, Domenichino al
maggior numero de' pittori che vivevano in Roma quando egli vi
fece i miglior lavori.2 Se que' professori avessero scritto de' loro
emoli, o gli avrian vituperati, o ne avrian detto men bene che non
i . Zucchero : il pittore Federigo Zuccaro (i 542-1 602). 2. Pietro da Cortona
raccont6 al Falconieri che, quando fu esposto il celebre quadro di S. Gi-
rolamo della Carita, « ne fu detto tanto male da tutti i pittori (che allora ne
vivevano molti de' grandi), ch'egli per accreditarsi, essendo venuto di
poco a Roma, ne diceva male anch'egli ». Cosl attesta il Falconieri medesimo
(Lett, pittor., [ed. cit.], torn, n, lett. 17) e continua dicendo: «La tribuna
di S. Andrea della Valle (di Domenichino) e ella delle belle cose che sian
qua a fresco ? e pure si tratt6 di metterci i muratori co' martelli e buttarla
giu, quando egli la scoperse. E quando egli passava per quella chiesa si
1150 LUIGI LANZI
ne dicono i neutrali; ed ecco come un dilettante spessissime volte
dara nel segno meglio che un artefice, perch6 il primo siegue il
pubblico disappassionato, il secondo si lascia scorgere dalla invi-
dia o dalla prevenzione. Si fatti dispareri durano tuttavia sopra
mold artefici, che secondo i vari gusti, non altramente che i cibi,
piacciono ad uno, spiacciono a un altro. Trovare un mezzo che sia
esente del tutto dalla riprensione di questo o di quel partito e
tanto possibile quanto accordare i pareri degli uomini, che si mol-
tiplicano a proporzione delle teste. In questa discordanza ho cre-
duto bene lasciar da banda le cose piu controverse; seguir nelle
altre il parer dei piu ; permettere a ognuno di tenere opinioni anche
singolari;1 ma non frodare il lettore, per quanto ho potuto, del suo
desiderio ; ch'e sapere le piu autorevoli e le piu comuni. Cosi credo
io che abbian fatto sempre gli antichi quando scrissero de' professo-
ri di quelle arti delle quali essi non erano che dilettanti: n6 pu6
nascere altronde che Tullio, PHnio, Quintiliano parlino degli arte
fici greci comunemente d'una stessa maniera: la lor voce era una
perche una era quella del pubblico. So che non e facile accertarla
sempre ne' piu moderni; ma non e si difficile circa gli altri, suj
quali si e scritto tanto. So inoltre che tal voce sempre non e la piu
fermava co' suoi scolari a guardarla ; e stringendosi nelle spalle diceva loro :
"Non mi par poi d'essermi portato si male"» (L.). i. Le piii singolari e
piu nuove circa i nostri pittori si posson vedere ne' tre tomi di Mr. Cochin,
confutato in alcune Guide di citta (come nella padovana e nella parmense)
e convinto assai spesse volte di errori di fatto. 6 anche npreso circa le cose
di Bologna dal canon. Crespi (Lett, pitt., [ed. cit.], torn, vn) e su quelle di
Genova dal cav. Ratti nelle Vite de* professori di quella citta; ove comin-
ciando dalla prefazione si notano in Cochin gravissime inawertenze. Si
aggiugne ivi che quell'opera fu disapprovata da Watellet, e in oltre da
Clerisseau, e da altri virtuosi franzesi allora viventi ; n6 credo saria piaciuta
al Fihbien, al de Piles, e a simili maestri della miglior critica. Anche 1' Italia
in questi ultimi tempi ha prodotto un libro che in piu cose di belle arti mira
a rovesciare le antiche idee. II suo titolo e : Arte di vedere secondo i principii
di Sulzer e di Mengs. L/autore, chiamato in certi fogli periodici di Roma
il «Diogene de' nostri tempi)), ha avuto Fonore di varie confutazioni (v.
la Letter a in difesa del cav. Ratti, a pag. 1 1). Autori di opinioni stravaganti
par che ambiscano tal gloria, affinche* il mondo parh di loro; ma i letterati,
se non deono tacere afFatto, non deon esser troppo solleciti di compartir-
nela. « Opmionum commenta delet dies » [« il tempo distrugge le opinioni
fittizie », Cicerone, Denat. deor., n, n, 5], L. - Charles-Nicolas Cochin (1715-
1790), celebre acquafortista, e autore di un Voyage en Italie, ou Recueil
de notes sur les ouvrages d 'architecture, de peinture et de sculpture que Von
voit dans les principals miles d'ltalie (Paris 1759). L'autore delVArte di
vedere secondo i principii di Sulzer e di Mengs e naturalmente il Milizia.
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA
vera: giacche «spesso awien che pieghi / I'opinion corrente in peg-
gior parte)).1 Ma ci6 in. fatto di belle arti rade volte accade;2 n6
fa forza contro un istorico che protesta di riferire le opinion!
piu comuni senza entrare odiosamente a discutere se sian le piu
vere.
Divisione deW opera. - Divido 1'opera in sei tomi; e incomincio
col primo e secondo da quella parte d' Italia, che, merce del Vinci,
di Michelangiolo e di Raffaello, fu la prima a splendere e ad aver
carattere deciso in pittura: questi sono i principi delle due scuole,
fiorentina e romana; alle quali annetto per vicinanza le altre due,
di Siena e di Napoli. Poco appresso cominciarono a celebrarsi in
Italia Giorgione e Tiziano e il Coreggio ; i quali tanto vantaggiarono
il colorito quanto i primi il disegno : e di questi luminari della Italia
superiore tratto nelli tomi terzo e quarto ; giacche la quantita degli
artefici e le tante aggiunte di questa nuova edizione mi hanno con-
sigliato a formar due volumi. Succede la scuola bolognese, che voile
in se riunire il meglio delle altre tutte: da essa comincia il quinto
volume, e vi e aggiunta per la vicinanza Ferrara e Talta e la bassa
Romagna. Siegue la scuola genovese, che piu tardi acquisto la sua
celebrita; e il Piemonte, che senz'avere successione di scuola si
antica come altri stati, ha per6 altri meriti considerabili per esser
compresa nella storia della pittura. Cosi le cinque scuole piu illustri
si succedono secondo i loro natali; come nelPantica pittura tro-
viam segnate prima Tasiatica e la ellenica; e questa divisa dipoi in
attica e sicionia; alle quali succede in fine la romana.3 II tomo sesto
ed ultimo contiene i vari indici indispensabili a render 1' opera di
maggior uso e di migliore profitto. NelPascrivere i soggetti a que
sta o a quell'altra scuola ho avuto riguardo, piu che alia lor patria,
a certe altre circostanze; quali sono la educazione, lo stile, e spe-
i. Non saprei dire a chi appartengano questi due versi. 2. Dello stesso
Apelle si legge in Plinio: «vulgum diligentiorem iudicem quam se prae-
f erens » [« tnostrando di ritenere il pubbhco giudice piu attento di se stesso »,
Nat. hist., xxxv, x, 84]. Veggasi Carlo Dati nelle Vite de' pittori antichi,
[Firenze 1667], a pag. 99, ove prova con autorita e con esempi che il giu-
dizio delle arti che imitano la natura, non e ristretto a* soli penti. Veggasi
anche il Giunio, Depictura veterum [Amsterdam 1637], lib. I, cap. 5 (L.).
3. V. mons. Agucchi in un frammento presso il Bellori nelle Vite de' pit-
tori, scultori e architetti moderni, [ed. cit.], a pag. 190 (L.).
1152 LUIGI LANZI
cialmente il domicilio e la istruzione degli allievi; circostanze pe-
raltro che talora si trovano cosi temperate e miste, che piu citta
possono contendere per un pittore, come in altri tempi si facea per
Omero. N6 in tali questioni io pretendo di entrar giudice; essendo
il mio lavoro unicamente diretto a conoscere le vicende che la pit-
tura ebbe in questo o in quel luogo, e gli artefici che v'influirono ;
non a decider liti odiose e aliene dal mio scopo.
I
Giovanni Cimabue.1
Gio. Cimabue nato di nobil lignaggio2 fu architetto e pittore.
Che fosse scolar di Giunta3 si e congetturato a* di nostri per
questa sola ragione, che i greci ne sapean meno che gl'italiani.
Converrebbe prima provare che lo scolare e il maestro convivessero
in un luogo istesso: il che dopo le osservazioni addotte alia pag. io
mal pu6 supporsi.4 Seguendo la luce della storia, egli apprese Parte
da que' greci, che furono chiamati in Firenze; e secondo il Vasari
dipinsero in S. Maria Novella. Erra per6 facendogli operare nella
cappella de' Gondi fabbricata insieme con la chiesa tutta un secolo
appresso; e dovea dire in altra cappella sotto la chiesa, ove a quelle
greche pitture fu dato di bianco, e sostituitene delle altre da un
pittor trecentista.5 Non son molti anni che caduta una parte del
nuovo intonaco, ricomparvero alcune figure di que' greci, cose
rozzissime. Cimabue par che gli seguisse ne* suoi prim'anni; e
i . Dalla Storia pittorica della Italia ecc., ed. cit. , r, pp. 1 5-8. 2. V. il Baldi-
nucci, [Notizie ecc., cit.], t. I, pag. 17 della edizione fiorent. del 1767, ove
dicesi che i Cimabuoi eran anche detti Gualtien (L.). 3. Giunta Pisano.
4. V. nondimeno il Baldinucci, nella Vegha, [Firenze, Matini, 1690], pag.
87 (L.). A p. io il Lanzi espone le ragiom per cui ritiene che quando Cimabue
venne a Pisa, Giunta fosse lontano da quella citt£ o gia morto. 5. Leggesi
nella Prefazione [di G. della Valle, su cui cfr. la nota 3 a p. 1154] alia
edizione senese [1791-1794] delle Vite del Vasari, a pag. 17: «A Giunta e
agli altri pisam, siccome capi di scuola, fu data la prima e principale di-
rezione di pingere la Basilica francescana; e della loro scuola erano o
allievi o dipendenti Cimabue e Giotto, che vi fecero varie opere impor
tant! ». Giunta fu direttore de' suoi aiuti finch6 vi stette ; e vi sia stato an
che dopo il 1236: ma come supporlo in Assisi finche Cimabue (che nacque
nel 1240, e and6 in Assisi intorno al 1265) potesse da lui essere istruito,
e aiutarlo, e succedergli ? E quanto piu ripugna tal supposizione in Giotto,
che fu invitato ad Assisi « molti anni dopo»? (Vasari), L.
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1153
forse allora dipinse il S. Francesco e le picciole istorie che lo cir-
condano alia chiesa di S. Croce.1 Ma quella tavola, comunque
ascrivasi a Cimabue, e, se io non erro, d'incerto autore ; o almeno
non ha la maniera ne il colore delle opere di Cimabue anche gio-
vanili. Tal e la S. Cecilia, con gli atti del suo martirio, che dalla
chiesa della Santa pass6 a quella di S. Stefano;3 pittura molto
migliore del S. Francesco.
Comunque siasi, Giovanni su Fesempio di altr'italiani del suo
secolo vinse la greca educazione, la quale pare che fosse di an-
darsi Tun Faltro imitando, senz'aggiugner mai nulla alia pratica dej
maestri. Consulto la natura; corresse in parte il rettilineo del dise-
gno; anim6 le teste, piego i panni, colloco le figure molto piu
artificiosamente de' greci. Non era il suo talento per cose gentili:
le sue Madonne non han bellezza; i suoi angeli in un medesimo
quadro son tutti della stessa forma. Fiero come il secolo in cui vi-
veva, riusci egregiamente nelle teste degli uomini di carattere, e
specialmente de' vecchi; imprimendo loro un non so che di forte
e di sublime, che i moderni han potuto portare poco piu oltre.
Vasto e macchinoso nelle idee diede esempi di grand' istorie, e
Fespresse in grandi proporzioni. Le due Madonne in grandi tavole,
che ne ha Firenze, Tuna presso i domenicani, con alcuni busti di
santi nel grado; 1'altra in S. Trinita, con quej sembianti di pro-
feti si grandiosi,3 non danno idea del suo stile come le pitture
a fresco nella chiesa superiore di Assisi, ove comparisce ammire-
vole per que' tempi. In quelle sue istorie del Vecchio e Nuovo
Testamento, che ci rimangono (perciocche non poche ne ha scan-
cellate o almen guaste il tempo) egli apparisce un rozzo Ennio,
che fin dall'abbozzare Fepica in Roma da lumi d'ingegno da non
dispiacere a un Virgilio. Piu anche e dal Vasari ammirato, e me-
ritamente, nelle pitture della volta. Si mantengono tuttavia in
buon grado; e quantunque in alcune figure di G. C. e di N. D.4
specialmente rimanga assai di greca maniera; tuttavia in altre
i. II S. Francesco . . . S. Croce: 1'opera e tuttora in S. Croce a Firenze,
ma oggi e attribuita ad un seguace di Bonaventura Berlinghieri. 2. S.
Cecilia . . . S. Stefano: anche quest'opera non e piu assegnata a Cimabue,
ma al cosiddetto Maestro di S. Cecilia, seguace della maniera primitiva di
Giotto. Si trova ora agli Uffizi. 3. Le due Madonne . . . grandiosi: la pri-
ma di queste due opere e tuttora in Santa Maria Novella, ma 1'attribuzione
a Cimabue e oggi discussa; la seconda si trova nella Galleria degli Uffizi.
4. di G. C. e di N. D. : di Gesu Cristo e di Nostra Donna.
73
IIS4 LUIGI LANZI
di evangelist! e di dottori die assisi in cattedra istruiscono i re-
ligiosi delPordine francescano, vi £ non so qual novita d'imma-
ginare e di disporre, che da altri non pare attinta. Vigoroso & il
colorito; colossali per la gran distanza e non1 mal conservate le
proporzioni : in somma par che ivi la pittura cominci a osare ci6
che prima osava appena il musaico. Tutti questi son pure pro
gress! dello spirito umano da non raccorsi2 in una storia; e son
meriti da non dissimularsi nel pittor fiorentino, quando vuol pa-
ragonarsi co' pisani e co' sanesi. Ne io veggo come, dopo Tautorita
del Vasari, che Topra della volta assegn6 a Cimabue, e dopo la
tradizione di cinque secoli che glie la conferma, il p. m. della Valle3
abbia potuto ascriver a Giotto, pittor tanto piu gentile. Ha voluto
pure anteporre a Cimabue questo o quelPaltro pittore della stessa
eta, perch6 facesser gli occhi men torvi, o i nasi meglio profilati;
picciole cose a parer mio per degradar Cimabue dal posto che
gode nelle storie degl'imparziali.4 Ha scritto inoltre ch'egli alia
scuola fiorentina co* suoi esempi «non fece ne ben n6 male» (Pref.
al Vasari), cosa dura ad udirsi da chi ha letti tanti scrittori della cit-
ta e si antichi che lo celebrano ; ed ha veduto ci6 che avean fatto i
pittor fiorentini prima di lui, e di quanto esso gli superasse.
i. distanza e non: queste parole figurano in corsivo nell'edizione 1809 (le
edizioni precedenti non portano questo passo): probabilmente a sotto-
lineare la difesa di Cimabue contro i denigratori, come il della Valle
nominato piu avanti. 2. non raccorsi: cosl ha il testo dell'edizione 1809
(neppure questo passo figura nelle edizioni precedenti) ; ma il senso richie-
de che si elimini il non. 3. Guglielmo della Valle, autore di Letter e sanesi
(1782-1786), raccolta di notizie erudite sull'arte senese, pubblic6 con
propne annotazioni 1'edizione senese del Vasari (1791-1794). II giudizio
ncordato dal Lanzi e in una nota apposta alia Vita di Cimabue di questa
edizione. 4. Alle testimomanze che v'erano favorevoli a Cimabue se n'&
aggiunta una di non poco peso dal ms. reso pubblico, son pochi anm,
dal sig. ab. Morelli \Notizia d'opere di disegno nella prima meta del secolo
XVI esistenti in Padova, ecc. scritta da un anonimo di quel tempo, Bassano
1800; T anonimo e il veneziano Marcantonio Michiel]. Leggesi quivi che
Cimabue dipinse in Padova nella chiesa del Carmine, che poi bruci6 : ma
che salvata dall'incendio una sua testa di S. Giovanni, e posta in un
quadro di legno, in casa di Alessandro Capella si conservava. Un pittore
che non avesse « fatto n6 ben n£ male alia scuola fiorentina e alia pittura »,
saria stato chiamato a Padova? Si sarian tenute le sue reliquie in tanto
pregio ? Potea essere si stimato in una eta cosi distante dal Vasari ; alle cui
arti vorrebbe ascriversi la riputazione di Cimabue? Veggansi altre prove
di questa riputazione nella difesa del Vasari in questo I libro all'epoca
terza, e sempre piu si disvogli chi scrive istorie, o le chiosa, dallo spirito
di sistema e di partito (L.).
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1155
II
Michelangiolo da Caravaggio*
Michelangiolo Amerighi, o Morigi, da Caravaggio e memora-
bile in quest' epoca, in quanto richiamo la pittura dalla maniera
alia verita, cosi nelle forme che ritraeva sempre dal naturale, co
me nel colorito che, dato quasi bando a* cinabri e agli azzurri,,
compose di poche ma vere tinte alia giorgionesca. Quindi Anni-
bale2 diceva in sua lode che costui macinava carne; e il Guer-
cino e Guido assai I'ammirarono e profittarono de' suoi esempi.
Incamminato nell'arte in Milano, e di la ito in Venezia per istu-
diare in Giorgione, tenne da principio quel moderato ombrare che
appreso avea da quel sommo artefice; del quale stile restano alcune
opere del Caravaggio, che sono le sue piii pregiate. Di poi, scorto
dal suo naturale torbido e tetro, diedesi a rappresentare gli og-
getti con pochissima luce, caricando fieramente gli scuri. Sembra
che le figure abitino in un carcere illuminato da scarso lume e
preso da alto. Cosi i fondi son sempre tetri, e gli attori posano in
un sol piano, ne v'e quasi degradazione ne' suoi dipinti: e nondi-
meno essi incantano pel grand' effetto che risulta da quel contrasto
di luce e d'ombra. Non e da cercare in lui correzione di disegno,
ne elezione di bellezza. Egli ridevasi delle altrui specolazioni per
nobilitare un'aria di volto, o per rintracciare un bel panneggiato,
o per imitare una statua greca: il suo bello era qualunque vero.
Esiste in palazzo Spada una sua S. Anna3 intenta a' femminili la-
vori con Nostra Signora a lato: Tuna e Faltra e delle fattezze piu
volgari, e vestono alia romanesca; ritratti sicuramente di una don
na e di una fanciulla, le prime che gli si offersero agli occhL Cosi
egli usava il piu delle volte: anzi pareva si compiacesse maggior-
mente ove assai trovava di caricato ; armature rugginose, vasi rotti,
fogge di abiti antiquate, forme di corpi alterate e guaste. Quindi
alcune sue tavole furon poi tolte da* sacri altari, ed una in parti-
colare alia Scala che rappresentava il Transito di M. V.,4 e vi era
un cadavero stranamente enfiato.
i. Dalla Stona pittorica delta Italia ecc., ed. cit., n, pp. 161-3. 2. An-
nibale Carracci. 3. S. Anna: di questo quadro non si ha altra notizia.
4. Transito di M. V.\ la Morte della Vergine (1605-1606), gia in Santa
Maria della Scala in Roma, ora al Louvre.
1156 LUIGI LANZI
Poche tavole ne ha Roma, e fra esse la S. M. di Loreto a S.
Agostino;1 ma Tottima & il Deposto di Croce2 alia Vallicella, che
ivi al ridente di Barocci e al soave di Guido, che sono in altri
altari, fa un contrapposto maraviglioso. Per lo piu servi alle qua-
drerie; nel suo arrive in Roma dipingendo fiori e frutti; poi tele
bislunghe di mezze figure; usanza frequentata dopo i suoi tempi.
Quivi espresse istorie or sacre or profane, e specialmente i costumi
del basso volgo; ubbriachezze, astrologie, compre di commesti-
bili. Si ammira in casa Borghese la Cena di Emmaus,2 il S. Ba-
stiano* in Campidoglio, nella quadreria Panfili la storia di Agar
con Ismaele moribondo,5 e il quadro della Fruttaiuola6 naturalissi-
mo nella figura e negli accessori. Piu ancora prevalse in rappresen-
tare risse, omicidi, tradimenti notturni ; per le quali arti egli stesso,
che non ne fu alieno, ebbe travagliosa la vita, e infame la storia.
Parti di Roma per ormcidio, e stette in Napoli qualche tempo : di
la passo in Malta, ove, dopo avere avuta croce dal G. Maestro per
la eccellenza nel dipingere, dimostrata nel bel quadro della Decol-
lazione di S. Giovanni,7 che vedesi neHJoratorio della chiesa con-
ventuale, prese briga con un cavaliere e fu stretto in carcere. Fug-
gitone con pericolo della vita e stato alquanto in Sicilia, voile tor-
nare a Roma; ma non oltrepass6 Porto Ercole, ove di febbre ma-
ligna mori nel i6o9.8
in
Bernardin Lovino?
Rimane a scrivere del piu celebre imitatore del Vinci, Ber
nardin Lovino, com'egli scrive, o Luini, come dicesi comune-
i. a S. Agostino : in Roma; 1'opera, del 1603 circa, e chiamata anche Ma
donna dei pellegrini. 2. Deposto di Croce: la Sepoltura di Cnsto (1601-
1604), ora nella Galleria Vaticana. 3. Cena di Emmaus: quadro eseguito
nel 1594, ora nella National Gallery di Londra. 4. S. Bastiano: non si
ha notizia di questo quadro; il Bellori ricorda (cfr. Le vite de' pittori,
scultori e architetti moderniy ed. cit., p. 128) un S. Sebastiano «portato
in Parigi». 5, la storia , , , moribondo: neppure di questo quadro si ha
notizia, a meno che il Lanzi non lo scambi con // riposo in Egitto, che si
trova tuttora nella Galleria Doria Pamphili. 6. Fruttaiuola: si tratta pro-
babilmente del Ragazzo con canestra di frutta, databile intorno al 1589,
ed ora nella Galleria Borghese, o di una replica perduta di questo quadro.
7. Decollasiione di S. Giovanni: compiuta nel 1608, ed ora nella cattedrale
di La Valletta. 8. nel z6op: esattamente nel 1610. 9. Dalla Storia pit-
torica della Italia ecc., ed. cit., iv, pp. 202-7.
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1157
mente, native di Luino nel Lago Maggiore. II Resta1 asserisce
che non venne in Milano se non dopo la partenza del Vinci, e
die imparo dallo Scotto.2 L'autor della Guida,3 a p. 120, lo an-
novera fra gli scolari di Lionardo; e per la eta, se io non erro,
poteva esserlo. Perciocche, se Gaudenzio nato nel 1484 fu « discepo-
lo dello Scotto e insieme del Lovino», come si ha dal Lomazzo a
pag. 421 del suo Trattato,4 ne siegue che Bernardino fosse gia
pittore circa al 1500 quando il Vinci Iasci6 Milano. Ed e intorno
a questo tempo che il Vasari colloca Bernardino da Lupino,5 che
a Sarono6 dipinse tanto delicatamente lo Sposalizio e altre storie
di Maria Vergine, ove dovea dir da Luino: e mi spiace che un
annotator del Vasari abbia voluto cangiare Lupino in Lanino,7
che fu scolare di Gaudenzio. Conferma le mie congetture su la
eta di Bernardino il ritratto ch'egli a se fece in Sarono nella Disputa
di Gesu fanciullo, ove si rappresento gia vecchio: e correva allora
Tanno di N. S. 1525, come ivi leggesi.
Pot6 dunque il Luini aver luogo fra gli scolari del Vinci; e
1'ebbe certamente nella sua accademia. Vi sono altri di quella scuo-
la, che gli andarono innanzi nella finezza del pennello, o nella
grazia del chiaroscuro; nel qual genere il Lomazzo loda Cesare
da Sesto, e dice che il Luini fece le ombre piu grossamente.8
Contuttoci6 nel totale di un pittore niuno si appressb al Vinci piu
che Bernardino; disegnando, colorendo, componendo assaissime
volte tanto conformemente al suo caposcuola, che fuor di Milano
molti suoi quadri passan per Vinci. Tal e il sentimento de' veri
intelligenti, riferito e approvato dall'autor della Nuova Guida, ch'e
sicuramente uno del loro numero. Nel qual proposito addita egli
due quadri dell'Ambrosiana; la Maddalena e il S. Giovanni? che
I. II padre Sebastiano Resta, autore di una Galleriaportatile, manoscritta,
a cui il Lanzi si riferisce. 2. Stefano Scotto: pittore milanese vissuto nella
seconda met£ del secolo XV; il Lanzi poco prima (iv, p. 184) lo definisce
«maestro di Gaudenzio Ferrari, assai celebrato dal Lomazzo neirarte di
far rabeschi». 3. L'autor della Gutda: Carlo Bianconi (1732-1802), autore
della Nuova guida di Milano per gli amanti delle belle arti e delle sacre e
profane antichitd milanesi (Milano 1787). 4. II Trattato delVarte della
pittura (Milano, Ponzio, 1584). Sul Lomazzo cfr. la nota 2 a p. 833.
5. Cfr. Vite ecc., a cura di C. L. Ragghianti, n, Milano, Rizzoli, 1942,
p. 252. 6. a Sarono: a Saronno, nel santuario della Madonna dei Mira-
coli. 7. Lanino: il pittore Bernardino Lanini da Vercelli (i5i2-non oltre
il 1583). 8. il Lomazzo . . .grossamente: cfr. Trattato delVarte della pit
tura, ed. cit., p. 237. 9. la Maddalena e il S. Giovanni: airAmbrosiana
1158 LUIGI LANZI
carezza il suo pecorino ; che i forestieri appena si persuadono poter
essere d'altrui che di Lionardo. Di uguale merito, o quasi, ho ve-
dute altre sue pitture in piii quadrerie di Milano nominate da me
piu volte.
Convien per6 aggiugnere ci6 che in proposito di Cesar da Se-
sto notai poc'anzi;1 ch'egli ha pure in certe sue opere gran somi-
glianza con lo stile rafTaellesco ; come in una Madonna presso S.
A. il Principe di Keweniller,2 e in qualche altra, che so essere
stata comprata per cosa di Raffaello. Di qui 6 nato, cred'io, il
parere di alcuni, ch'egli fosse in Roma: ci6 che Tab. Bianconi me-
ritamente richiama in dubbio alia pag. 391, e pende anzi alia parte
del no. Ne io mi terr6 al si senz'averne prove di fatto ; parendomi
debole Targomento che si deduce dalla somiglianza della maniera.
Trattai di proposito questo punto nel terzo capitolo scrivendo del
Coreggio;3 e se mi parve piu verisimile che quella divina indole
tanto ampliasse e aggraziasse il suo stile senz'aver veduto in Roma
Michelangiolo ne Raffaello ; non discredo ora che la medesima cosa
intervenisse al Luini. La natura e il libro ugualmente esposto ad
ogni pittore; il gusto e quello che insegna a scegliere; Tesercizio
passo passo conduce alia esecuzione della scelta. II gusto di Lio
nardo era tanto conforme a quel di Raffaello nel delicato, nel gra-
zioso, nelTespressivo degli affetti, che, s'egli non si fosse distratto
in molti altri studi ed avesse scemato qualche grado alia finitezza
per aggiungerne qualche altro alia facilita, airamenita e alia pie-
nezza dej contorni ; lo stile di Lionardo spontaneamente si sarebbe
ito ad incontrare con quel di Raffaello, con cui ha in alcune teste
specialmente gran vicinanza. Cio credo accaduto in Bernardino, il
quale avea fatto suo il gusto del Vinci, e viveva in un secolo che
correa gia verso una maggiore scioltezza e pastosita. Cominci6
anch'egli da uno stile men pieno e pendente al secco ; qual vedesi
si conserva tuttora il S. Giovannino ; il primo quadro e assai probabilmente
la Santa Maria Maddalena, gia nella chiesa di Santa Marta, e ora nella
Pinacoteca di Brera. i. poc'anzi: cfr. iv, p. 195. 2. Madonna . . .
Keweniller: sulla base di questa sola notizia e difficile identificare tale
Madonna fra le moltissime dipinte dal Luini. 3. Trattai . . . Coreggio:
nel tomo iv, p. 72, dove, dopo aver discusso la questione delle influenze
romane sul Correggio, conclude: «Spesso i sommi uomini, senza Funo
saper dell'altro, han calcate le stesse orme, "et quadam ingenii divinitate",
come Tullio si esprime, "in eadem vestigia incurrerunt" ».
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1159
apertamente nella sua Pietd1 alia Passione; poi a grado a grado
venne rimodernandolo. Quel quadretto medesimo della Ubbria-
chezza di Noe, che per una delle sue opere piii singolari si mostra
a S. Barnaba,2 ha una precisione di disegno, un taglio di vesti,
un andamento di pieghe, che sente residue di Quattrocento. Phi
se ne allontana nelle Istorie di S. Croce3 fatte circa al 1520, al-
cuna delle quali ripete a Sarono cinque anni appresso ove par
vincere se medesimo. Queste ultime sono le opere che piii somi-
glino il fare di Raffaello: ritengono per6 la minuzia nelle trine,
la doratura nei nimbi, il trito negli ornamenti de' tempii, quasi
come nel Mantegna e ne' coetanei; usanze lasciate da Raffaello
quando giunse al migliore stile.
lo credo pertanto che quest'uomo deggia il suo stile non tanto
a Roma, dalla quale pote aver qualche stampa e copia degli arte-
fici che vi eran fioriti; quanto alPaccademia del Vinci, delle cui
massime lo veggo imbevuto singolarmente; e sopra tutto al proprio
genio grande nel suo genere, e da paragonarsi con pochi. Dico nel
suo genere; e intendo il soave, il vago, il pietoso, il sensibile. In
quelle storie di N. Donna a Sarono ella e rappresentata in sem-
bianze che confinano con la bellezza, con la dignita, con la mode-
stia che le da Raffaello, benche non sian desse. Paion sempre at-
temperarsi alia storia dipinta, o che la S. Vergine si appresenti allo
sposalizio; o che oda con maraviglia le profezie di Simeone; o che
accolga penetrata dal gran mistero i Magi deU'Oriente; o che fra
il dolore e la gioia interroghi il divin Figlio nel tempio perch6 1'ab-
bia cosi lasciata. Le altre figure ancora han bellezza conveniente al
carattere, teste che paion vivere, guardature e mosse che paion chie-
dervi risposte, varieta d'idee, di panni, di affetti tutti presi dal vero ;
uno stile in cui tutto par naturale, nulla studiato; che guadagna
al primo vederlo, che impegna a osservarlo parte per parte, che fa
pena a distaccarsene, questo e lo stile del Luini in quel tempio.
Poco diverso e nelle altre pitture, che condusse con piu impegno
e in eta piu matura in Milano; ne intendo come il Vasari possa
i. Pietd: il Compianto di Cristo, nella chiesa di Santa Maria della Pas
sione a Milano, eseguito non oltre il 1510. 2. quadretto . . . S. Barnaba:
attualmente si trova nella Pinacoteca di Brera. 3. Istorie di S. Croce:
nella predella del gia ricordato Compianto di Cristo, in Santa Maria della
Passione, a Milano. La datazione di quest e Storie e oggi arretrata a non
dopo il 1510 (cfr. A. OTTINO DELLA CHIESA, B. Luini, Novara, De Ago-
stini, 1956, p. no).
Il6o LUIGI LANZI
scusarsi ove dice che tutte le sue opere son ragionevoli]1 quando
ve ne ha tante che fanno inarcar le ciglia. Veggasi il suo Gesii
flagellato a S. Giorgio,2 e dicasi da qual pennello sia stato dipinto
il Redentore con volto piu amabile, piu umile, piu pietoso : e veg-
gansi presso i sigg. Litta e in altre case patrizie i suoi quadri
da stanza piu studiati; e dicamisi quanti altri allora potessero a
par di lui. Nel resto non sembra essere stato il Luini punto lento,
almeno in lavori a fresco. La Coronazione di spine > che si vede
entro il Collegio del S. Sepolcro,3 opera di molte figure, pagatagli
115 lire, gli cost6 38 giornate oltre le undici che vi spese un suo
giovane. Di tali aiuti si valse anche nel coro di Sarono, nel Moni-
stero Maggiore a Milano, in piu chiese del Lago Maggiore, e in
altri luoghi dove dipinse; e a questi par da ascrivere ci6 che vi ha
di men buono.
IV
[Origine e metodo della scuola carraccesca.]4
II nuovo stile comincia da Lodovico. - Scriver la storia de' Caracci
e de' lor seguaci e quasi scriver la storia pittorica di tutta Italia
da due secoli in qua. Noi ne abbiamo scorsa nej precedent! libri
pressoche ogni scuola; e ove prima ove poi abbiam trovati o i
Caracci stessi, o i loro allievi, o almeno i lor posteri in atto di
rovesciare le antiche massime, e d'introdurne delle nuove; fino a
non parer dipintore chi o per una o per altra relazione non si po-
tesse dir caraccesco. Or come e grato a* viaggiatori, dopo aver
hingamente camminato lungo un fiume reale, 1'ascendere in piu
alto luogo, e vederne le scaturigini; cosi, spero, sara caro a* let-
tori di conoscere ora i principii onde questo nuovo stile comparve
al mondo, e giunse in non molto tempo a riempiere e a dominare
ogni scuola. La maggior maraviglia che mi paia scoprirvi, e ch'es-
so ebbe incominciamento da Lodovico Caracci, giovane che ne'
primi anni parve di tardo ingegno, e acconcio a macinare colori
i. Cfr. Vite ecc., ed. cit., in, 1943, p. 200. 2. a S. Giorgio: il quadro,
eseguito nel 1516, si trova tuttora nella chiesa di San Giorgio al Palazzo
in Milano. 3. Collegio del S. Sepolcro: attualmente incorporate nell'Am-
brosiana di Milano. L'atTresco fu eseguito nel 1521-1522. 4. Dalla Storia
pittorica della Italia ecc., ed. cit., v, pp. 72-80.
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA Il6l
piuttosto che a temperarli e a trattarli. II Fontana,1 suo maestro
in Bologna, e il Tintoretto, direttore de' suoi studi in Venezia,
10 consigliavano, come inetto alia pittura, a cangiar mestiere: i con-
discepoli dileggiandolo come tardo d'ingegno non con altro nome
che con quello di hue lo additavan fra loro : tutto cospirava a disani-
marlo ; egli solo si faceva coraggio ; e dalle opposizioni prendea mo-
tivo non di sgomentarsi, ma di riscuotersi. Era quella sua tardanza
non effetto di corto ingegno, ma di penetrazione profonda: temea
Tideale come uno scoglio, ove tanti de' suoi contemporanei avean
rotto;2 cercava in tutto la natura; di ogni linea chiedea ragione a
se stesso ; credeva essere le parti di un giovane non voler far se non
bene, finche il far bene passi in abito, e Pabito aiuti a far presto.
Suoi studi e viaggi. - Adunque fermo nel suo proposito, come
in Bologna avea studiato i migliori nazionali,3 cosi in Venezia si
affis6 in Tiziano e nel Tintoretto: pass6 quindi in Firenze, e vi
miglioro il gusto su le pitture di Andrea4 e su gl'insegnamenti del
Passignano.5 Era a que' giorni la scuola de' fiorentini in quella
crisi che nella sua quarta epoca fu descritta. Nulla potea piu gio-
vare al giovine Lodovico, che udir quivi tenzonare i partigiani
del vecchio stile co' seguaci del nuovo; ne altrove meglio che
in quel contrasto potea conoscere le vie della decadenza della pit
tura, e del suo risorgimento. Questi sicuramente furono per lui
aiuti grandissimi, quantunque non osservati finora, a tentare la
riforma della pittura e a promoverla felicemente. I fiorentini mi
gliori, per emendare la languidezza de' lor maestri, eransi volti
agli esemplari del Coreggio e de' suoi seguaci; e la loro massima,
credo io, guid6 Lodovico da Firenze a Parma, ove a quel capo-
scuola e al Parmigianino, dice il suo istorico,6 tutto allora si de-
dic6. Tornato in Bologna, ancorch6 vi fosse ben accolto e tenuto
in grado di buon pittore, conobbe nondimeno che un uomo solo,
riservato specialmente e cauto com'egli era, mal potea combattere
i. II pittore Prospero Fontana (1512-1597), che il Lanzi definisce (v,
p. 48) « principal cagione della . . . decadenza » della pittura bolognese nel
periodo precarraccesco. 2. rotto: naufragato, fallito. 3. nazionali'. qui
vale « corregionali ». 4. Andrea del Sarto. 5. II pittore Domenico Cre-
sti da Passignano (1560-1638), che il Lanzi pone insieme col Cigoli fra i
restauratori della pittura fiorentina (cfr. i, pp. 234-5). 6. il suo istorico'.
11 Malvasia (su cui cfr. la nota 3 a p. 1147), da cui il Lanzi attinge la mag-
gior parte delle notizie sui Carracci e la loro scuola.
Il62 LUIGI LANZI
contro un'intera scuola; se, come il Cigoli1 avea fatto in Firenze,
cosi egli in Bologna non si formava un partito fra la gioventu.
Rivolge alia pittura i cugini. - Lo cercd prima che altrove fra*
suoi. Paolo suo fratello coltivava la pittura, ma era assai povero
di consiglio e (Tingegno, ne buono ad altro che ad eseguir ragione-
volmente le invenzioni altrui : di questo non fece caso ; ma sibbene
di due cugini. Avea uno zio paterno per nome Antonio, sarto di
professione, che due figli educava in casa, Agostino ed Annibale;
indoli cosi adatte al disegno, che Lodovico gia vecchio solea dire,
non avere avuto in tanti anni di magistero pure uno scolare che
gli uguagliasse. Attendeva il primo alia orificeria, che sempre fu
il seminario degli ottimi incisori in rame ; il secondo era discepolo
insieme e aiuto del padre nella sua sartoria. Bench£ fratelli avean
natura e costumi cosi diversi, che Tuno era insofferente dell'altro,
e poco meno che inimico. Agostino colto in letteratura vedevasi
del continue coi dotti, ne vi era scienza ove non mettesse lingua;
egli filosofo, egli geometra, egli poeta; manieroso nel tratto, arguto
ne' motti, alieno da* modi del basso volgo. Annibale oltre il saper
leggere e scrivere non affettava altre lettere; una certa ingenita
rozzezza inclinavalo alia taciturnita; e awenendogli di dover par-
lare, era portato al disprezzo, allo scherno, alia rissa.
Come grindirizzasse alVarte. - Incamminati, per consiglio di Lo
dovico, alParte pittorica, si trovarono anche quivi opposti d'inge-
gno. II primo timido e ricercato, lento a risolvere, difficile a con-
tentarsi, non vedeva malagevolezza che non 1'affrontasse e non si
provasse a superarla: 1'altro, all'uso di una gran parte degli arti-
giani, spedito faticatore, insofferente d'indugi e specolazioni, cer-
cava ogni ripiego onde sfuggire 1'aspro dell'arte, batter la via piu
facile, far molto in poco tempo. S'eglino fosser capitati in altre
mani, Agostino saria divenuto un nuovo Samacchini, Annibale un
nuovo Passerotti;2 n6 la pittura per loro avria dato un passo. Ma
1. Lodovico Cardi da Cigoli (1559-1613), che, secondo il Lanzi, «fu il
primo che destasse la nazione [fiorentina] a piu nobile stile » (i, p. 229).
2. I pittori bolognesi Orazio Samacchini (1577-1622) e Bartolomeo Pas
serotti (1530-1592), che il Lanzi pone nel periodo della decadenza precar-
raccesca, notando nel primo una « soverchia diligenza » e nel secondo una
tendenza «al facile e al franco » (v, pp. 52 e 54).
STORIA PITTORICA BELLA ITALIA 1163
Faccorto cugino, che gli reggeva, vide clovers' imitar Isocrate, che,
insegnando ad Eforo e a Teopompo, solea dire che con uno di essi
adoperava lo sprone, coll'altro il freno.1 Con simil veduta conse-
gn6 egli Agostino al Fontana veloce e facile maestro; e ritenne
Annibale nel suo studio, ove le opere meglio si maturavano. Cosi
anche ottenne di tenergli divisi finche la eta emendasse a poco a
poco quella nimista che vedeva in loro ; e la convertisse in concor-
dia, quando dati a una stessa professione mettessero insieme i
lor capitali; e 1'uno traesse aiuto dall'altro. Corsi pochi anni eb-
begli sufficientemente concordi, e nel 1580 gli tenne a Parma e in
Venezia; di che in quelle scuole scrissi cio che ora non dee no-
vamente inculcarsi al lettore. In quelPassenza Agostino aduno no-
tizie per la sua varia dottrina; crebbe nel disegno; e come prima di
partir di Bologna, sotto Domenico Tibaldi2 si era avanzato molto
nella incisione; cosi in Venezia col Cort3 si avanzo tanto, che
questi divenutone geloso il cacci6 dallo studio, ma invano. Ago
stino era gia riputato il Marco Antonio4 del suo tempo. Annibale
poi, ch'era Puomo d'un solo affare, non ad altro attese in Parma
e poscia in Venezia che a dipingere, e profittare delle opere e
della conversazione de' grandi uomini, dej quali era folta a que*
dl la veneta scuola. Fu allora o poco appresso che fece copie bel-
lissime del Coreggio, di Tiziano, di Paolo;5 e sul loro gusto la-
vor6 quadretti. Ne vidi alcuni presso il sig. march. Girolamo Du-
razzo in Genova, di stili diversi e graziosissimi.
Contrasts che sostennero e superarono. - Tornati in patria grandi
artefici, ebbono lungamente a lottare con la fortuna. I primi loro
lavori, ch'erano certe favole di Giasone in un fregio di casa Favi,6
comech6 fatti con 1'assistenza di Lodovico, furono da' vecchi pit-
tori con insopportabil fasto vituperati come mancanti di accura-
tezza e di eleganza. Dava peso alia censura il credito di que' mae-
i. Isocrate. . .freno: cfr. Cicerone, Brut., LVI, 204: «Isocratem in acer-
rimo ingenio Theopompi et lenissimo Ephori dixisse traditum est alteri
se calcaria adhibere, alteri frenos». 2. Domenico Tibaldi (1541-1583), ar-
chitetto, incisore e pittore bolognese. 3. Cornells Cort (1533-1578), pit-
tore e incisore olandese, dopo essere stato a Venezia, si stabili a Roma.
4. il Marco Antonio: allude a Marco Antonio Raimondi (1480-1530), in
cisore bolognese, specializzato nel riprodurre i quadn di RafTaello. 5. Pao
lo Veronese. 6. certe . . . casa Favi: gli affreschi nel palazzo Fava in
Bologna (1583-1584)-
1164 LUIGI LANZI
stri vivuti in Roma, ornati di poesie e di diplomi, riguardati dal
guasto secolo come sostegni dell'arte. Ad essi facean eco i disce-
poli, e a quest! il volgo ; e le tante mormorazioni di un volgo, che
favella con quel brio con cui si declama altrove o si disputa, fe-
rivan le orecchie de' Caracci, gli confondevano, gli awilivano.
fe fama che Lodovico e Agostino fosser nel punto di cedere al
ia corrente, e di rivolgersi al vecchio stile; e che Annibale gli
sconsigliasse, persuadendo loro di opporre alle voci le opere; anzi
alle opere de' vecchi, snervate e lontane dal vero, altre opere con-
dotte con robustezza e con verita. II consiglio fu eseguito, e valse
finalmente alia rivoluzione dello stile che meditavasi: ma ad age-
volarla e ad accelerarla convenne trarre al partito loro gli studenti
della pittura, ch'erano le speranze di un nuovo secolo e migliore.
Aprono urfAccademia. - Ci6 ottennero i Caracci aprendo nella lor
casa un'accademia di pittura, che chiamarono degrincamminati,
fornendola di gessi e di disegni e di stampe quanto eran quelle de'
loro emoli ; introducendovi scuola di nudo, di prospettiva, di noto-
mia e di quanto richiede 1'arte ; e guidandola con un accorgimento e
con un'amorevolezza da popolarla in poco tempo. Contribui a riem-
pierla Pindole furiosa di Dionisio Calvart,1 che per lievissime man-
canze percoteva e feriva i discepoli; cagione per cui Guido, TAlba-
no, Domenichino si trasferirono allo studio de' Caracci. Vennevi
anco dalla scuola del Fontana il Panico;2 e d'ogni banda ci concor-
sero altri de' miglior giovani, che trassero dietro a s6 la turba degli
studiosi. Si chiusero in fine le altre accademie; ogni scuola si mut6
in solitudine; ogni nome die luogo al nome de' Caracci; ad essi le
commission! migliori, ad essi il maggior grido. Umiliati i loro ri-
vali mutaron linguaggio; e specialmente quando fu aperta la gran
sala Magnani, miracol dell'arte caraccesca. Fu allora che protest6
il Cesi3 ch'egli diverrebbe seguace di quella nuova maniera; e che
il Fontana si dolse di essere troppo incanutito per seguitarla: il
solo Calvart con 1'usata burbanza biasim6 il lavoro, e fu 1'ultimo
fra tutti a ricredersi, o almeno a tacere.
i. Dionisio Calvart: cfr. la nota 2 a p. 1143. 2. Anton Maria Panico,
pittore bolognese, vissuto fra la fine del XVI secolo e il principle del
XVII. 3. Bartolomeo Cesi (1556-1629), che il Lanzi defmisce «uno de'
capiscuola che appianarono a* caracceschi la via del buon metodo » (v, p. 57).
STORIA PITTORICA DELLA ITALIA 1165
Metodo delV accademia. - £ qui luogo da riferire gli esercizi e le
massime di un'accademia che, oltre il formare si grandi allievi,
perfezion6 i lor maestri; essendo verissimo che la via piii compen-
diosa per molto apprendere e quella dell'insegnare. Erano i tre
fratelli congiuntissimi in ammaestrare senza venalita e senza invi-
dia; ma le parti piu laboriose del magistero sostenevale Agostino.
Avea disteso un breve trattato di prospettiva e di architettura;
e questo esponea nella scuola. Spiegava la ragiorxe degli ossi e de'
muscoli, disegnandoli coi nomi loro; aiutato in ci6 dal Lanzoni
anatomico, che celatamente dava loro anche de' cadaveri per le
opportune sezioni. Poneva in campo ragionamenti or d'istorie or
di favole; e spiegavale, e ne facea far disegni, ch'esposti in certe
giornate si sottomettevano al giudizio de' periti, perche decidesse-
ro del maggior loro o del minor merito; siccome appare da una
polizza scritta al Cesi ch'era un de' giudici. A' coronati bastava il
premio della gloria: i poeti si raunavano a celebrarli; e misto ad
essi Agostino con la cetra e col canto applaudiva ai progress! de'
suoi allievi. Erano anche i giovani addestrati alia vera critica: si
vedevan le opere altrui, e notavasi ci6 che v'era degno di lode o di
riprensione : si esponevan le opere proprie, e se ne censurava que-
sta o quella parte; e chi con buone ragioni non difendeva il suo
operato, di presente lo scancellava. Ciascuno era libero a tener quel
la via che piu gli piaceva; anzi era incamminato ciascuno per quello
stile a cui la natura il guidava; ragione per cui tante maniere origi-
nali pullularono da un medesimo studio: ogni stile per6 dovea
avere per base la ragione, la natura, 1'imitazione. Ne' piu gravi
dubbi ricorrevasi a Lodovico; agli esercizi giornalieri del disegno
attendean i cugini, giovani assidui, industriosi, nimici dell'ozio.
Le stesse ricreazioni degli accademici erano aiuto dell'arte: di-
segnar paesini dal vero, formare qualche caricatura furono le usate
industrie di Annibale e de' suoi accademici, quando attendevano
a sollevarsi.1
i . Awerto che trasferitisi in Roma i due minon Caracci, quivi pure con-
tinuarono ad esercitare i loro sColari con lo stesso metodo. II Passeri
nella vita di Guido dice che vi concorrevano letterati e proponevano
qualche istoria da disegnare, non senza premi a quei che meglio la ese-
guivano; e ch' essendo stato una volta preferito a tutti Domenichino,
ch'era de' piu giovani, Guido ne concepl vivissima emulazione. Aggiugne
ristorico che nelPAccademia Romana si adott6 di poi lo stesso metodo,
e che il card. Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, interveniva
n66
LUIGI LANZI
Come e con quale scelta imitassero. - La massima di unire insieme
la osservazione della natura, e la imitazione di tutti i miglior mae
stri, riferita gia nel primo ingresso di questo libro,1 era il fonda-
mento della scuola de5 Caracci; ancorche la modificassero secondo
i talenti, come abbiam detto. Avrian voluto recare insieme quanto
nelle altre scuole vedean di meglio ; e in ci6 tennero essi due vie.
La prima e simile a que' poeti che in separate canzoni si propon-
gono diversi esemplari; e in una per figura ritraggono dal Petrarca,
in altra dal Chiabrera, in altra dal Frugoni. La seconda e simile
a quegli che, padroneggiando i tre stili, gli temperano insieme e
ne formano quasi un metallo corintio composto di vari altri. Non
altramente i Caracci usarono in certe lor composizioni di pre-
sentare in diverse figure diversi stili. Cosi Lodovico nella Predica-
zione di San Gio. Batista a' Certosini2 (ove il Crespi3 riscontra
specialmente Paol Veronese) ha espressi gli uditori del santo in
guisa che un perito gli distingueva con questi nomi, il raffaellesco,
il tizianesco, I'emolo del Tintoretto. Cosi Annibale, che per qual-
che tempo non mirava se non il Coreggio, adottata in fine la mas
sima di Lodovico, dipinse la tavola celebre per S. Giorgio;4 ove
nella gran Vergine imit6 Paolo, nel divino Infante e nel S. Gio-
vannino si propose il Coreggio, in S. Gio. Evangelista fece veder
Tiziano, nella graziosissima S. Caterina il Parmigianino. Ma co-
munemente essi tennero la seconda via; e molti phi esempi potrian
addursi d'imitazioni meno aperte, piu disinvolte, piu miste, e mo-
dificate in maniera che ne risultasse un tutto originalissimo. E il
bizzarro Agostino, emulando gli antichi legislatori che il corpo
delle lor leggi chiudevano in pochi versi, compose quel sonetto,5
alia elezione del primo, e di sua moneta premiava lui e gli altri che gli
si erano appressati fino al quarto: oltreche al primo ordinava un quadro
del soggetto stesso di cui era stato il disegno. Qual segreto e questo per
promovere le belle arti! (L.). i. riferita . \ . hbro : cfr. v, p. 3: «La
somma della loro [dei Carracci] dottrina fu che il pittore dividesse, per
cosi dire, i suoi sguardi fra la natura e 1'arte; e or questa or quella vi-
cendevolmente riguardasse; e secondo il natio talento e la propria sua
disposizione da questa e da quella scegliesse il meglio ». 2. a3 Certosini'
°fiera> esegmta nel 1592, gia a San Girolamo della Certosa, si trova ora
nella Pinacoteca di Bologna. 3. Crespi: cfr. la nota 2 a p. 1140. 4. la ta
vola . . S. Giorgio: il quadro, dipinto nel 1593, e ora nella Pinacoteca
di Bologna. 5. Questo celebre sonetto fu pubblicato per la prima volta
dal Malvasia, come opera di Agostino Carracci. Ma tale attribuzione
accolta anche dal Lanzi, e stata recentemente rnessa in dubbio dallo
bcnlosser, dal Longhi e da altri (cfr. sulla questione D. MAHON, / Carracci
STORIA PITTORICA BELLA ITALIA Il6y
pittoresco veramente piu che poetico; die, avendo per oggetto
1'elogio di Niccolino Abati,1 spiega nonpertanto la massima della
sua scuola di c6rre il piu bel fior di ogni stile. Eccolo quale il
Malvasia ce lo ha tramandato nella vita del Primaticcio :2
Chi farsi un buon pittor brama e desia
il disegno di Roma dbbia alia mono,
la mossa colVombrar veneziano,
e il degno colorir di Lombardia;
di Michelangiol la terribil via,
il vero natural di Tiziano,
di Coreggio lo stil puro e sovrano,
e di un Raffael la vera simmetria;
del Tibaldi il decor o e il fondamento,
del dotto Primaticcio Vinventare,
e un po* di grazia del Parmigianino :
ma senza tanti studi e tanto stento
si ponga solo Vopre ad imitare
che qui lasciocci il nostro Niccolino.
e la teoria artistica, nel volume miscellaneo La mostra dei Carraccit Bolo
gna, Edizioni Alfa, 1956, pp. 49-59). i. Niccolino Abati o dell' Abate
(1513-1571 circa), pittore manierista assai ammirato anche dalTAlgarotti,
2. Francesco Primaticcio (1505-1570), raffinato pittore manierista, Iavor6
soprattutto in Francia.
NOTA AI TESTI
.Le indicazioni relative alia storia e alia scelta dei testi delle opere
comprese in questo volume si trovano nei cappelli introduttivi alle
singole opere.
Nella riproduzione dei testi mi sono attenuto ai principii generali
gia in uso nella collana, ammodernando cioe la punteggiatura (ma con
molta cautela nelle traduzioni ossianiche del Cesarotti, dove 1'inter-
punzione assume una maggiore responsabilita artistica) e la grafia (ri-
duzione delle maiuscole e risoluzione dello j" in i o ii, ecc.). Nelle cita-
zioni inserite nei testi ho naturalmente mantenuto la lezione seguita
dagli autori, segnalando in nota soltanto le variazioni o le omissioni
piu notevoli. Per la correzione degli errori di stampa mi sono valso,
quando esistevano, delle edizioni precedent! a quella definitiva. In
ogni caso ho sempre indicate nelle note a pie di pagina tutti gli inter-
venti sul testo che non fossero gli ammodernamenti sopra ricordati
della punteggiatura e della grafia o eliminazioni di indiscutibili refusi.
Anche per quanto riguarda il commento mi sono attenuto ai cri-
teri generali gia in uso nella collana. In particolare, nei cappello di
ogni opera riprodotta ho accennato anche alle eventual! traduzioni
nelle lingue straniere, e fornito qualche notizia sulle circostanze in
cui T opera stessa fu composta e sulle accoglienze da essa ricevute
presso i contemporanei. Nelle altre note a pie di pagina ho poi fra
Taltro sempre cercato di indicare, quando mi e stato possibile, le
fonti italiane e straniere, la cui conoscenza sembra particolarmente
utile per Tinterpretazione di opere, come quelle comprese nei pre-
sente volume, nate in un ambiente caratterizzato da una continua e
vivacissima « circolazione delle idee ».
INDICE
INTRODUZIONE XI
BIBLIOGRAFIA XIX
MELCHIORRE CESAROTTI
Nota introduttiva 3
RAGIONAMENTO SOPRA IL DILETTO BELLA TRAGEDIA 2?
RAGIONAMENTO SOPRA L'ORIGINE E I PROGRESSI DEL-
L'ARTE POETICA 54
DALLE ((POESIE DI OSSIAN ANTICO POETA CELTICO »
Discorso premesso alia seconda edizione di Padova del 1772 87
FINGAL • POEMA EPICO
Introduzione 99
Canto I ioo
Canto ii 125
Canto in 142
Canto iv 1 60
Canto v 176
Canto vi 190
Osservazioni
Canto I 203
Canto ii 210
Canto in 213
Canto iv 218
Canto v 221
Canto vi 223
CARTONE 227
I CANTI DI SELMA 247
LA NOTTE 261
1172 INDICE
ELEGIA DI TOMMASO GRAY SOPRA UN CIMITERO DI CAM-
PAGNA 270
RIFLESSIONI SOPRA I DOVERI ACCADEMICI 276
RAGIONAMENTO PRELIMINARE AL CORSO RAGIONATO DI
LETTERATURA GRECA 287
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE APPLICATO AL-
LA LINGUA ITALIANA. CON VARIE NOTE, DUE RISCHIA-
RAMENTI E UNA LETTERA
Awertimento 304
PARTE I. Si confutano alcuni pregiudizi che regnano intorno le
lingue 306
PARTE ii. Dei principii che debbono guidar la ragione nel giudicar
della lingua scntta, nel perfezionarla e nel fame il miglior uso 318
PARTE in. Delle regole che possono dirigere uno scrittor giudizioso
nel far uso delle varie parti della lingua 356
PARTE iv. Della lingua italiana e dei modi d'ampliarla e perfezio
narla 399
Awertimento degli editori 426
Rischiaramenti apologetici
I. Sopra alcune teorie preliminari 434
II. Sul francesismo 447
Lettera dell'Ab. Cesarotti al Sig. Conte Gian-Francesco Galeani
Napione 457
SAGGIO SULLA FILOSOFIA DEL GUSTO ALL' ARCADIA DI
ROMA 469
DALLE LETTERE
I. A Giuseppe Toaldo [Notizie letterane da Venezia], Venezia,
15 dicembre 1760 483
ii. Al Macpherson [Ossian] 486
in. A Giuseppe Antonio Taruffi [Confidenze sentimentali] 489
iv. A Michele van Goens [Giudizi sul Metastasio, sul Goldom e
su Ossian] 492
INDICE 1173
v. A Michele van Goens [Poeti tedeschi e poeti primitivi] 499
vr. A Saverio Mattel [Traduzioni della Bibbia e di scrittori greci],
Padova, n giugno 1778 502
vii. A Clementine Vannetti [Sulle epistole del Vannetti al Monti] 505
VIII. A Clementine Vannetti [« Arricchire 1'erario della nostra lin
gua »], Padova 506
IX. A Clementino Vannetti [« Appropriarsi felicemente le bellezze
straniere»], Padova 510
x. A Giambattista Giovio [Qualita e doveri del buon critico], Pa
dova, 27 luglio 1782 513
XI. A Giuseppe Antonio Taruffi [Breve giudizio suirAlfieri] 514
XII. A Ferdinando Galiani [Su Omero ed Orazio], 20 agosto 515
XIII. A Costantino Zacco [Prime impression! di fronte alia Rivolu-
zione francese], Noventa, 12 agosto 517
xiv. Alia contessa d' Albany [Sul « Panegirico » dell'Alfieri] 518
xv. A Giambattista Corniani [II Bello morale], Padova, n dicem-
bre 1790 519
xvi. A Costantino Zacco [Altre impressioni sulla Rivoluzione
francese] 521
xvn. A Giuseppe Olivi [Per un corso di buone letture], Padova,
1792 523
xvni. A Giuseppe Walker [Sull'autenticita dei poemi ossianici] 524
xix. A Enrichetta Treves [La memoria degli amici defunti] 526
xx. A Vittorio Alfieri [Presentazione di Isabella Teotochi] 527
xxi. A Ugo Foscolo 529
xxii. A Tommaso Olivi [La sistemazione di Selvaggiano], 23 no-
vembre 1796 529
xxiii. A Costantino Zacco [Inquietudine perlasituazionepolitica],
Padova, 1796 531
xxiv. A Tommaso Olivi [La nuova democrazia], Padova, 15 de-
cembre 1797 532
xxv. A Monsieur . . . [Sulle proprie traduzioni ossianiche e ome-
riche] 533
xxvi. A Francesca Morelli [Le consolazioni deiramicizia e della
natura] 535
XXVII. A Francesca Morelli [Autoritratto morale] 537
xxviii. A Francesca Morelli [Descrizione di Bassano], Selvaggiano 539
xxix. A Francesco Rizzo e Giustina Renier [Elogio del Necker] 541
xxx. A Giuseppe Barbieri [Giudizio sullo «Iacopo Ortis»], 3 de-
cembre 543
xxxi. A Giustina Renier Michiel [Giudizi sul Foscolo e suirAl
fieri], Padova, 20 dicembre 1803 545
xxxii. A Vincenzo Monti [La caricatura del ritratto di Omero],
Padova, 16 marzo 1805 54$
xxxni. A Giustina Renier Michiel [Elogio della Stael] 549
xxxiv. A madama de Stael [Elogio del Necker] 55 *
XXXV. A Giovanni Rosini [La traduzione di Giovenale] 553
1174 INDICE
xxxvi. A Francesco Rizzo [La dolcezza delle lacrime] 554
xxxvu. A Giustina Renier Michiel [Giudizi sulla Stael e notizie
del Foscolo], Selvaggiano, 20 giugno 1806 555
xxxvin. A Giovanni Carmignani [Giudizio suH'Alneri], Padova,
25 novembre 1806 557
GIROLAMO TIRABOSCHI
Nota introduttiva 561
DALLA (CSTORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA))
Prefazione alia prima edizione 573
PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Nota introduttiva 589
DALLA ((STORIA CRITICA DE> TEATRI ANTICHI E MO-
DERNI »
[L] In quali cose si rassomigli ogni teatro 601
[n. L'« Ippohto » d'Euripide e la «Fedra» di Racine] 606
[in. L'«Anfitrione» di Plauto e quello di Moliere] 608
[iv. Analisi della « Medea » di Seneca] 610
[v. Giudizi sul Racine] 617
DALLE (CVICENDE DELLA COLTURA NELLE DUE SICILIE))
I. Prime memorie delle nostre popolazioni e del grado di coltura
che vi pote" regnare 622
II. [Discussioni col Bettinelh] 626
in. [Italianita della poesia petrarchesca] 630
iv. [L'amore della liberta, primario movimento della natura
umana] 637
DA ((DELLE MIGLIORI TRAGEDIE GRECHE E FRANCES!))
[Classici e classicist!] 641
INDICE 1175
GIAN FRANCESCO GALEANI NAPIONE
Nota introduttiva 647
DA ((DELL'USO E DEI PREGI DELLA LINGUA ITALIANA))
LIBRO I • CAPO I
[Introduzione] 659
§ i. La lingua e uno dei piu forti vincoli che stringa alia patria 66 1
CAPO II
§ 2. [Scrittore originale e solo chi scrive la propria lingua] 664
CAPO III
§ i . Diverso concetto, in cui son tenute in Piemonte la lingua ita-
liana e la francese; conseguenze che ne derivano 666
LIBRO II • CAPO II
§ i. Opinione dell' abate Cesarotti into'rno ai diversi pregi delle
lingue 668
§ 4. Costruzione della lingua italiana: si difende da una taccia da-
tale dalP abate di Condillac 671
LIBRO III • CAPO II
[Introduzione] 679
§ i. Coltura ed eleganza necessaria a tutti; necessita di arricchir
la lingua di op ere elementari e di letteratura galante 680
§ 2. Dialetti italiani e lingua universale tratta da essi 68 1
DAL ((DISCORSO INTORNO ALLA STORIA DEL PIEMONTE))
§ ix. Opposizioni contro al disegno di una storia del Piemonte 687
§ x. Riflessioni intorno alle Opposizioni sopraccennate 690
MATTEO BORSA
Nota introduttiva 695
DA (d VIZI Pit COMUNI E OSSERVABILI DEL CORRENTE
GUSTO ITALIANO IN BELLE LETTERE))
[Introduzione] 7°7
Parte prima
PRIMO vizio. Neologismo straniero 7I3
SECONDO vizio. Filosofismo enciclopedico 729
1176 INDICE
CLEMENTINO VANNETTI
Nota introduttiva 747
DAI (CDIALOGHD)
DIALOGO v. La scuola del buon gusto nella bottega del caffe 759
DALLE « LETTERE »
I. A Melchiorre Cesarotti [Sul Thomas e sui poeti tedeschi], Ro-
veredo, 17 giugno 1780 767
n. A Melchiorre Cesarotti [I poeti tedeschi e il «genio» della lin
gua italiana], Roveredo, 30 agosto 1780 769
ill. A Melchiorre Cesarotti [Come arricchire la lingua letteraria
italiana], Roveredo, 23 settembre 1780 772
iv. Ad Antonio Cesari [La «professione di fede» linguistica del
Vannetti], Roveredo, 2 giugno 1787 778
AURELIO DE> GIORGI BERTOLA
Nota introduttiva 785
DALLE (( OSSERVAZIONI SOPRA METASTASIO » 797
DAL (CSAGGIO SOPRA LA FAVOLA»
Ingenuita della favola 802
SAGGIO SOPRA LA GRAZIA NELLE LETTERE ED ARTI 814
FRANCESCO TORTI
Nota introduttiva 843
DAL (( PROSPETTO DEL PARNASO ITALIANO »
TOMO I
Al lettore 859
CAPITOLO PRIMO. Introduzione 862
CAPITOLO ii. Di Dante Alighieri. Disgraziate vicende della sua
INDICE 1177
vita. Suo poema della «Divina Commedia». Originalita e pregi
caratteristici che lo distinguono &72
CAPITOLO vn. DelPAriosto. Fecondita originate del suo genlo pa-
ragonabile ad Omero. Sua gran cognizione del cuore umano. Di-
fetti dell'« Orlando » facilmente riparabili 889
TOMO II
CAPITOLO ii. [Lo stile del Seicento] 9°7
TOMO III
CAPITOLO n. [Moliere e Goldoni] 9IQ
CAPITOLO iv. [L'arte del Parini] 9*4
FRANCESCO SAVERIO SALFI
Nota introduttiva 9^7
DALLA CONTINUAZIONE DELL'cc HISTOIRE LITTERAIRE
D'ITALIE» DEL GINGUENE
TOME X
CHAPITRE XLIII. Resum6 de 1'histoire litteraire du seizieme siecle.
Instruction universellement repandue chez les Italiens. Son peu
de solidite. Esprit d'imitation dans presque tons les genres. Traits
d'onginalit6 dans quelques-uns. Les Italiens plus habiles dans les
vers que dans la prose. Caractere de Iegeret6 et de servilite dans la
plupart de leurs ouvrages ; et ses causes politiques et religieuses.
Deiaut d'61oquence et de philosophic. Quelques ouvrages dans
lesquels elles se r6fugient. fitendue non ordinaire d' esprit des
Italiens. Leur influence litteraire sur toute 1'Europe 945
TOME XI
CHAPITRE I. [Situazione politica dell' Italia nel Seicento] 964
CHAPITRE in. [Stato degli studi nlosofici alia nascita di Galileo] 965
CHAPITRE iv. [Galileo e Bacone] 9^7
TOME XIV
CHAPITRE xvii. [Cause presumibili della corruzione del gusto in
Italia nel XVII secolo] 9°9
DAL « RESUME DE L'HISTOIRE DE LA LITTERATURE ITA-
LIENNE »
SECONDE P£RIODE (DEPUIS 1275 JUSQU'EN 1375)
v. Petrarca: caractere de son amour et de ses vers; ses canzoni;
son patriotisme 97°
SIXIEME PERIODE (DEPUIS 1675 JUSQU'EN 1775)
I. Revolution litteraire. Arcadie romaine; objet et sort de cette
1178 INDICE
academic. Gravina et Crescimbeni. Progres ult6rieurs de la lan-
gue vulgaire et de la critique. Divers trait6s dans ces deux genres 984
n. Influence de la literature frangaise. Puristes et ne"ologues.
Esprit philosophique dans la the"orie et dans T usage de la langue.
Baretti, Beccaria, Bettinelli, Cesarotti, etc. 9^9
X. Alfieri. Id6e qu'il se forma du theatre. Son systeme et son but.
Un m£me principe domine son plan, ses caracteres, son style et sa
versification. Influence de ses tragedies 994
SEPTIEME PERIODE (EPOQUE ACTUELLE)
I. Epilogue des p6riodes pr6c6dentes. Esprit et tendance de la
p6riode actuelle 1002
DALLA ((REVUE ENCYCLOP&DIQUE »
I. Notice sur Ugo Foscolo 1009
n. [Su «I promessi sposi»] 1015
FRANCESCO MILIZIA
Nota introduttiva 1031
DALLE « MEMORIE DEGLI ARCHITETTI ANTICHI E MODERNI »
[Giudizio su Michelangelo] 1043
[Giudizio sul Palladio] 1045
[Giudizio sul Borromini] 1048
DAI ((PRINCIPII DI ARCHITETTURA CIVILE))
Storia dell'architettura civile 1050
DA (CDELL'ARTE DI VEDERE NELLE BELLE ARTI DEL DI-
SEGNO SECONDO I PRINCIPII DI SULZER E DI MENGS
I. SCULTURA
Ercole 1063
Mose 1065
Torso di Belvedere 1065
Gladiatore Capitolino 1066
Gladiatore Borghese 1067
Apollo di Belvedere 1067
Antinoo di Belvedere 1069
Antinoo di Carnpidoglio 1069
Cristo di Michelangelo 1070
S. Andrea del Fiammingo 1070
Venere di Carnpidoglio 1071
INDICE 1179
S. Bibiana IQJI
Flora Farnesiana 1071
Flora Capitolina 1072
Santa Susanna 1072,
Ermafrodito 1072,
Santa Cecilia I0y3
Laocoonte 1073
Pieta di Michelangelo
Apollo e Dafne
Toro Farnese 1076
Marco Aurelio 10*76
Endimione 1077
S. Leone lojS
III. ARCHITETTURA
Panteon 1079
Colosseo 1080
S. Paolo I08i
Cancelleria 1081
Farnese 1081
Campidoglio 1081
S. Pietro 1082
S. Andrea della Valle 1082
Sagristia Vaticana 1083
GIUSEPPE SPALLETTI
Nota introduttiva 1087
DAL KSAGGIO SOPRA LA BELLEZZA»
II. Idea dell7 opera 1093
in. Definizione della bellezza 1094
xi. Gli uomini han formato una norma di bellezza 1095
xn. Questa norma in sostanza poco variabile 1096
xiil. Caratteristica, e suo vantaggio 1097
xiv. Di questo medesimo si sono serviti i poeti e gli oratori 1098
xv. Perch6 le cose tetre e melanconiche ci piacciono 1098
XVI. Una serie continua di taciti sillogismi e la guida dell'anima noo
xvii. La bellezza somministra all'anima campo di ragionare, e per
conseguenza di sentir piacere nor
xviii. II corpo umano e la pito, bella delle produzioni a noi note nor
xix. II piacere originate dalla bellezza e piacere intellettuale 1103
xxxiv. La venta oggetto della bellezza 1103
xxxv. II pittore eccellente deve mostrare di quanta perfezione e
suscettibile la natura 1105
Il8o INDICE
xxxvi. II colorito IIOS
xxxvii. La grazia IIQ6
xxxvni. La venust& II07
XXXIX. II Grande *IO7
XL. II buon gusto e la voce deH'amor proprio, il quale e il giu-
dice della bellezza "09
XLI. Bellezza che muove IIXO
XLII. Conclusione dell'opera III]C
LUIGI LANZI
Nota introduttiva * 1 1 5
DALLA « STORIA PITTORICA DELLA ITALIA))
Prefazione 1129
I. Giovanni Cimabue i*52
il. Michelangiolo da Caravaggio i*55
in. Bernardin Lovmo 1156
IV. [Origine e metodo della scuola carraccesca] 1 160
NOTA AI TESTI 1169
IMPRESSO NEL MESE DI SETTEMBRE MCMLX
DALLA STAMPERIA VALDONEGA
DI VERONA
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