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Full text of "Della cultura degli orti e giardini trattato"

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DELLA CULTURA 


DEGLI 


ORTI E GIARDINI 


TRAFNVILATO 
DI 


GIOVANVETTORIO 


SODERINI 


ORA PER LA PRIMA VOLTA PUBBLICATO 


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IN FIRENZE 1814. 


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L'EDITORE 


Il favorevole accoglimento che gli ÀAma- 
tori dell’ Arte Agraria, e della Lingua 
nostra hanno fatto a quella parte dell’ O- 
pera di Giovanvettorio Soderini da noi 
pubblicata 1’ anno 1811., la quale pre» 
cede il Trattato anteriormente edito della 
Coltivazione delle Viti, e forma con 
esso il Volume primo del Manoscritto 
autografo, ci ha indotti a dar ora alla 
luce l’ altro sulle Piante ortensi che vien 
di seguito, non senza fiducia d’ incon 
trare egual gradimento, sì per le belle 
nozioni e pe lumi, che tratto tratto sparsi 
e disseminati vi si ritrovano, utilissimi 
ai Geoponici, come ancora per la copia 
che vi si ammira di esatte descrizioni di 
varj oggetti della Natura e dell’ Arte, 
spiegati con semplice insieme, e forbita 
naturalezza di dettatura, e con voci af- 
fatto proprie e Toscane, atte a riempiere 
largamente in questa parte il manchevole 


IV 
del Vocabolario della Lingua. Si aggiun- 
ge a tal pregio il vedervisi tramischiate 
alcune particolarità concernenti la vita 
. dello Scrittore medesimo , di cui sono 
sì scarse le notizie che sene hanno, con 
‘ rincrescimento di chi aa siffatte biogra- 
. fiche indagini, sempremai profittevoli e 
© perchè elleno accrescono la serie dei 
Veri tra loro generalmente connessi, e 
| perchè giovano le più volte a far cono- 
scere il valor di chi scrive, ed il grado 
di fede che meritano le sne dottrine. 
E in realtà da quello ch’ ei dice all’ Ar- 
ticolo Piz0x intendiamo che il nostro 
Soderini avea fatto un viaggio in Inghil- 
terra; e per l'osservazione riferitane in 
proposito di far parola del Bulbo, e de’ 
Rosa), venghiamo parimente a sapere che 
esso visitò pur la Pollonia, esaminando 
costantemente e notando 1 fatti e le pra- 
tiche, riconosciute giovevoli al migliora- 
mento e progresso dell’ Asricoltura, in- 
torno a cui disegnava di compilare quan- 
do che fosse universali istruzioni. Si 
raccoglie poi da ciò che I Autore. scorie 
ve del Papavero. spumeo, qualmente 
l’intiero sistema della coltivazione erasi 
da lui primieramente appreso dalla let- 
“tura delle Opere degli Antichi, e poscia 
de quel più che loro aggiunsero di me- 


“ 
glio provato gli Sperimentatori moderni, 
e nominatamente il Mattiolo , celebre Vol- 
garizzatore dei Libri di Dioscoride so- 
pra la Materia Medica, ed il Ruellio 
valente Botanico Francese, de’ quali ap- 
parisce al sommo studioso ; e quasi per- 
petuo seguace. La scienza però che ne 
trasse, era frutto eziandio delle molte e- 
sperienze, che colla sagacità richiesta ad 
ogni investigatore delle operazioni della - 
Natura andava del continuo tentando, e 
riprovando da per se stesso nel Giardino 
urbano della Casa gentilizia rispondente 
in sull’ Arno, e nel Semplicista della su- 
burbana Villa sua propria (*) come re- 
sulta da quanto si legge all’Articolo della 
Colutèa, e del Papavero. STO 

Del resto non deesi tralasciar di far 
noto, che essendo il Codice originale 
anche in questa parte mancante dell’ ul- 
tima correzione, conforme avvertirono 1 
Giunti, e noi pure nell’ Avviso pre- 
messo alla Parte prima, ci è stato ne- 
cessario adoperare l’istessa cura nell’ e- 
mendarne i patenti difetti che abbiam 
cercato di togliere con quella medesima 
accuratezza , che usammo dapprima, one 
de le mutazioni ed i supplimenti che sl 
facevano, fossero 1 più consentanei al 
tenor dell’ Autore, e riducessero al mane 


Vi 
co possibile l’ arbitrio del correggere in 
quei luoghi, ove la cattiva qualità della 
carta ha col trasudamento confuse le fi- 
sure delle lettere, o la natura dell’in- 
chiostro avendole corrose, ne ha del 
tutto l’ impronta abolita. Nè ci siamo 
tampoco arditi di resecare se non che le 
porzioni identicamente ripetute, le quali 
sarebbono a buona ragione state tolte 
dall’ Autore stesso se fosse mai tornato a 
rivedere il getto primiero , e non pun- 
to ritocco d’ un lungo Lavoro, che amò 
meglio di lasciare all’ altrui diligenza rac- 
comandato. — Per rendere in ultimo 
di una maggiore utilità a’ leggitori la 
nostra qualunque siasi fatica abbiamo sti» 
mato bene di ridurre in serie alfabetica 
rigorosa i Nomi tutti delle Piante dal 
Soderini descritte, aggiugnendo a, cia- 
scuno dei Nomi Volgari il corrisponden- 
te Greco, e Latino, e (ciò che più im- 
porta ) quello , col quale vien distinta. 
ogni Pianta nel Sistema specialmente di 
Linneo, a cui son debitori i Botanici 
degli accertati caratteri di tanti e sì di- 
versi Vegetabili, involti per I° addietro 
nell'oscurità, e soggetti non poco ad e- 
quivoco. Per la quale indicazione ci 
siam prevalsi della gentilezza del nostro 
dotto Amico il D. Ottaviano Targioni 


VII 
Cl. Professor di Botanica , e d’ Agricol- 
tura, e Direttore dell'Orto Agrario Spe- 
rimentale della Società economica de’ 
Georgofili, al quale rendiam con pia- 
cere questa pubblica attestazione di gra- 
titudine . 


Li 


(*) Ne” Libri dell’ antico Ufizio delle 
Decime si trova registrato, qual- 
mente Giovanvettorio di Tommaso 
di Messer Giovanvettorio Soderini 
possedeva fuor di Porta alla Croce 
una Casa signorile, o Villa con 
Giardino, la qual fu descritta nel 
1594. in conto di Pier Tommaso suo 
Figlio, da cui nel 1613. venne tra- 
‘sferita per vendita in proprietà dei 
Marchesi Borbon del Monte, che 
ne sono anche oggidì i possessori; 
siccome il Palazzo d' abitazione in 
Citta che aveva in Via del Palagio 
a dirimpetto di quel de’ Salviati , 
adesso Borghesi, passò dipoi ne’. 
Baroncini, e ultimamente in uno 
della Famiglia Gondi . 


DELLA CULTURA 


DEGLI 


ORTI E GIARDINI. 


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Da 1 Giardino, oltre all’ avere nella meno 
utile e più occupata parte il salvatico, conte- 
nere in se tre partimenti; il verziere peri frut- 
tiferi arbori, che sotto abbiano lo spazio netto 
pulito e spazzato, con erbosa prateria verde, ove 
altrove non si lavori che sotto ed attorno gli ar- 
bori; un quadro grande, o in altra forma per 
gli erbagg] da orto; ed un altro un po’ minore 
per l’ erbette da insalata, al quale ne sia ag- 
giuoto un altro più piccolo d’ erbette da fiori 
dette Coronarie, distinto in var) componimenti 
pieni di var) fiori, assegnandone a ciascheduno 
una sorte, che così acconciamente campesgerà. 
Tra tutti questi siti si elegga un luogo che par- 
tecipi il più che si può del caldo è del freddo 
temperatamente con buon fondo e grasso terre- 
no, per i frutici o sterpi, ed erbe medicinaii, 
le quali levate dai lor luoghi natii con il lor 
pane di terra, e con esso traspiantate nel dome-. 
stico vivano per il più, avvertendo di porle nei 
luoghi, che sien più conformi di ombra, e di 
sito alla qualità dell’ essere loro ; e così gover- 
nardole secondo che bramano alla foresta dove, 
nate sono, Altre vogliono essere attese col la- 
voro , ed altre non si curano d'esser punto 
trassiuate, ma di starsl inculte mantenendosi a 
quel modo, e così secondando la lor natura, una 

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gran parte d'esse vi si alleveranno. E perchè 
non senza grandissima felicità di paese e terreno 
si potrà ottenere di aver insieme il verziere e 
l’ orto in un medesimo lato, si potrà cercare 
d’ aver questo separato in que’luoghi che sono 
destinati solo per orti, i quali sogliono essere 
è appresso la villa, o dentro nella città, o fuo- 
ra d’ essa non troppo lontani, insieme o di per 
se, come vi si possono ordinare; staranno bene, 
se lo comporti ii sito, presso la casa, ed anche 
nei luoghi di per se dove ne siano degli altri, e 
si potranno custodire purchè vi sia il sito, ei 
terreno, è l luogo, e qualità di aere opportuno, 
Se sia posto. vicino alla villa, sia in lato che 
l’aie non vi soggiacciano affinchè per la battitu- 
ta i venti non vì portino la polvere le paglie e 
la loppa, ma sì bene gli soprastiano i letami, 
sì che 1 sugo del grasso del lor fracidume coli 
in quella terra, che quantunque grassa, sempre 
s° allegra di nuovo grassume perchè rinnovando- 
visi ogni due o tre mesi, anzi ogni mese nuove 
semente e piantette d° erbe trasposte, ha sempre 
bisogno di nuovo cibo, e d° essere aiutato col 
grasso che continuamente si rinfreschi. Soprat- 
tutto fa di bisogno aver l'orto chiuso e serrato 
in maniera che le bestie e gli uomini non ab- 
biano a poter danneggiarlo, così con istrappare 
col morso di quelle, come col toccare, trame- 
nare, e brancicare di questi, e massimamente 
delle donne menstruate, ritardandosi crescere 
di tutti gii erbaggj e l’acquistare , per il toe- 
camento o passeggiarvi. E del fortificarlo attor- 
no son varie le maniere s altri col loto stempe- 
rato e ben battuto fin grossi mattoni con le 
forme, e gli murano; altri fra tavole alte e 
grandi cacciata questa terra liquida fanno tutte 
le mura di terra, che si possono incalcinare; 
altrì con loto annestando i sassi insieme, fanno 


- 


3 
un muro a secco che ,abbia dalla parte di fuore 
una gran fossa che s° empia d’acqua copiosa- 
mente, sendo di natura da rattenerla ; perchè re- 
stando asciutte e vuote le fosse , si leva e sottrae 
l’amore all’ orto , siccome si campi, i dirupati bo» 
tri levano il nutrimento ai granie biade semina- 
tevi; sicchè volendo circondar l’ orto con fossi 
grandi, principisi lo spazio di esso lontan venti 
braccia, e dai campi della condizione detta 
trenta 0 quaranta . Altri vi fanno muri impia- 
strati di loto, coperti sopra di strame o di mi- 
rice; altri fan loro attorno un palancate d’ as- 
serelle di castagni appuntati confitti alle traver- 
se e fermi a forti e grossi pali. 

La diritta è far una buona e fonda fossa 
intorno al circuito dell’ orto al tempo buono, 
‘e presi dei prunì bianchi, e de’ roghi scapez- 
zati piantarli nel margine della fossa in modo 
che le si cavin fuore dalla cima un mezzo piè del 
terreno, tenendole nette con isbarbarvi dentro, 
e d’ attorno ogui erba, e massimamente nella 
prima estate cavandole tutte e fuor di quelle 
traendo gli sterpi e tutto quel che vi sia nato, 
che porta via il nutrimento che vien loro. La 
terra così ben netta loro d°intorno, e ben la- 
vorata da ogni banda, si ricuopra di bnono 
strame, col quale e la rugiada della notte si cali 
alle radici, e alla sferza del caldo esse spine 
e roghi piantativi si difendano; l’anno appresso» 
vi si mettano degli appoggj e delle traverse fit- 
te ai pali, ai quali le verghe delle spine ed i 
roghi sì leghino; e d'anno in anno alzandogli 
si faccian d’ ordine in ordine salire a quell’altez- 
za di siepe che si voglia. Tutto quello che avan- 
za si pieghi nel piano destro e sinistro della 
siepe, sì che si rimbocchi a difficultar maggior- 
mente il transito, e a così fatto termine condot- 
ta. si. dee ogni anno rilegare, e dovunque ella 


sia rada, massimamente da basso, riempiere co- 
ricando le messe di traverso, e sarà tanto folta 
che non vi trapasserà pur un uccello, nè traspi- 
rerà alla vista; e così fatta siepe non l’ estirpe- 
rà nè anco il fuoco, anzi abbruciata , più fonda 
rinascerà . Si dee ancora ogni anno attendere a 
potar le messe superflue, e le puute che escano 
dell’ ordine rintuzzare. 

Poste le spine come di sopra ed attaccate, 
s' intacchino al calcio quattro ‘dita da terra con 
ferro tagliente, e piegati e ricoperti i rami si 
propaggineranno; ed ancora fra -le due terre dato 
loro un taglio , quello rimetterà, e da quel mez- 
zo rotto, scosceso e piegato a terra per lun 
ghezza , rimetterà nuove messe, le quali a giusta 
graudezza cresciute si ritagliano , e ripiegano al 
modo medesimo, tanto che il primo o secondo 
anno così seguendo, si vada facendo folta . Que- 
sta riuscirà più forte, ma non sì pulita come l’al- 
tra, e massimamente se si faccia di foghi piega- 
ti in arco di mano in maro a terra ed ancora 
la punta. E non avendo piante vive si semi 
nino i semi, e sendo fitti s intreccino ilsieme, 
che faranno similmente fondissima siepe. 

E come di tutte le ville, o d’ogni sorta 
giardini l’ anima è l’acqua, così degli orti è la 
vita e°’l mantenimento. Eleggasi adunque per 
l’ orto un luogo dove non abbia principalmente 
@ mancar l’acqua; e se non vi sia un rio che 
naturaimente corra, o fonte che del terreno 0 
di sasso surga, o ramo di fiume che vi sì possa 
derivare, facciasi un pozzo cavandosi nel mese 
di settembre, quando il sole otterrà l° ultima 
parte della Vergine, innanzi ali’ equinozio au. 
tunuale, che allora si esperimentano bene le 
forze delle fonti quando manca la terra de l'umo- 
re della piozgia; e se non si possa questo, fac- 
ciasi nella piu alta parte un gran truogolo che 


5 
racceglia l’ acque del verno, o murato o nella 
stessa terra rilevata, e se questo ancora manchi, 
guardisi di elegger terreno di buon fondo, e che 
sia simile a se stesso da imo a sommo, e. di- 
vegliasi a dentro due o tre puntate, e così 
manterrà fresche le radici la estate, facendo !a 
terra lavorata ben sotto, come le cantine che 
d'inverno son calde, e di estate fredde. E dove 
sia modo d’ adacquare, basterà affondar quanto 
va giù col vanghile la vanga, mandandola giù 
diritta e pigliando la terra sottile, perchè si 
faccia più trita; e questo è da osservare dove la 
natura non aggiovi gli orti con l’acqua, e mas- 
simamente se siano in costa o spiaggia, sebben 
l’ orto desidera la pianura. — Appresso l’acqua 
de’ fiumi per adacquare è buona quella delle 
fonti, poi quella di pozzo, e delle artificiali 
quella di citerna della piovana ripiena, ed ac- 
canto a questa quella delle fosse che viene dal 
cielo. Plinio crede che le freddissime aggiovin 
le cose, ed a bere sien le più suavi; meo utili 
son quelle degli stagni che portano assai semen- 
te d’ erbe. Assaissimo aiutano l’erbe le pioggie, 
e con esse si ammazzano le bestiolelte, scrive 
il medesimo. Ed a certe convengono |)’ acque 
salate, come al Rafano, Bietola, Ruta, Cunela, 
e Radici, alle quali tutte la salata è particolar 
medicina, e le fa più saporite e feconde;.e a 
tutto il resto dan giovamento le acque dolci di 
buon sapore, e buone ; siccome nuocono le fan- 
gose, le putride, e di cattivo odore, ond° è 
che la piovana sia la migliore annaffiando tein- 
peratamecte per lavar l'erba dalla polvere, ed 
ammazzare i vermini, e sempre giova che elia 
non venga che troppo scaldi, 0 con furia ruvi- 
nosa, che imbelietti 1’ erbe; e porti via il terre- 
no. lmperciò di estate è più giovevole che in 
a:lro tempo annaffiare di notte, nè mai sulia 


6 | 

sferza del caldo, o la mattina avanti il levar 
del sole, ola sera quando va sotto. Ma il Bas- 
si!ico s° appartiene adacquarlo a mezzodì . E tut- 
to quello che è seminato, si tiene che dia fuo- 
ri presto, adacquandolo con acqua ca da avanti 
al sole. Gon Teofrasto conviene Plinio che la 
fredda facendo meglio l’ effetto di rinfrescare 
giovi più all’erbe, purchè la non sia agghiac- 
_ ciata, e quando si adacqua lascisi la terra che 
sia bene inzuppata e sazia d’arqua, e nei luoghi 
che hanno più ombra s’ adoperi acqua stata al 
. sole, e tiepida. — Si semini contro a tempo 
erbe per farle nascer presto, e si adacquino una 
volta più dopo mezzogiorno. Quelle dei fiumi 
generano erba assai, e men di queste quella 
delle fonti, e poi ancora manco di questa quel. 
la del pozzo. E quaiunque ella sia, è bene far- 
la passare per un lato dove ella s’ incorpori con 
polvere di strade o letame trito; e dipoi farla 
audare all’ erba, e massimamente quella che 
uscisse da nevi o fonti gelate; che così si con- 
tempera ed in uo tempo annafhierà l’ erbe per il 
bisogno , ingrassando il terreno. Nell’ annaffiare 
facciasi dare ì’ acqua che s'alzi o con padelledi 
rame con manico lungo di legno, o altri innaf- 
fiato); e quando l’erbe son piccole facciasi dar 
cascando in su finocch] o sermenti secchi, 0 
frascovi, 0 vimini. che vi sien posti sopra, che 
ciò difende dall’ esorbitante calore , e giova as- 
sai a fir nascere, ed a tenere il terreno fermo . 
Nou si dee adacquare pianta alcuna essendo in 
fiore, perchè l’acqua percotendo nella sua hoe- 
cia la guasta, e scalda, e se con acqua fatta 
tiepida al fuoco s’° adacqueranno le semente che 
vorrai far nascere all'inverno, daran fuore più 
presto, ancorchè sien di natura da nascer tardi. 
E quelle di tosta nascita ancora tanto più si sol- 
leciteranno , ma. cid non s ha a usare nè agli 


arbori nati, nè a fargli nascere, perchè s° in- 
fermano ed il lor frutto è più cattivo. 

Dove sono arbori fruttiferi, sotto non vi 
hanno a essere erbagg] sempre, e dove sono er- 
baggj, non v° hanno a essere i frutti, e così 
l’ erbe da insalata, e da cuocere, comei frutici 
ed erbe medicinali, le quali deono essere di per 
se spartite dalle altre , senz’ uggia 0 occupazio- 
ne d° altro. Ma perchè più acconciamente si po- 
tranno in varj luoghi della villa accomodare in 
siti atti, ed in terreni buoni per loro, si potrà 
distintamente in diverse parti ordinarle facendo- 
ne due divisioni, delle quali una contenga il 
giardino, o verziere degli arborì fruttiferi, ed 
il salvatico, e l’altra abbia l’orto che serva a 
tutte le sorte frutici medicinali, odorifere e ca- 
ronarie, e da cuocere e mangiar crude per l’in- 
salate, ponendo e tutte nei luoghi e nei siti 
ch’elle desiderano; e così quelle che aman più 
l’acqua stieno ai rit, e nell’ acqua istessa, come 
la ninfia ed i triboli, e la sala ed i giunchi; e 
1 rosa], e i giglia piè d’essa o dove ella passi. 
E così tutte convien seminarle in quei lati che 
di lor natura amano, e dice Varrone, ch'e’ gio- 
va coltivare gli orti vicini alle città. Ma dovun= 
que sì sieno, il sito loro vorrebbe essere una 
dolcemente piegata pianura, ove piavameunte 
corresse l’ acqua viva per diversi spaz]j. Dice lo 
stesso Varrone che la felice disposizione dell’orto 
consiste nell’ esser posta in un piano a'quauto in- 
chinato, e ch’e’ vi possa correr l' acqua per tut= 
ti i pavimenti degli spazj divisi; ed ancera starà 
bene nel fondo delle vallate aperte, ed alla ra- 
dice al piè de’ bassi de’ motti verso mezzegiur= 
no, e nei dorsi de’ collì e coste che non sieno op- 
pressate o sotto alti monti che ie adombrino o 
seffoghino. È temendo il troppo caldo, um'do, 
freddo e secco, staranno bene nei luoghi tempe- 


8 

rati, ma aperti e liberi da tutte le ombre, per- 
chè negli ombrosi non saran d’alcuna utilità , e 
l' erbe fuor del cavolo e maceroni non vi pro- 
fitteranno; imperciò nei freddi facciasi 1’ orto 
verso oriente, ovvero al lato di mezzodì; nei 
caldi al contrario, e nei temperati, mezzanamen- 
te partecipi dell’uno e dell’altro. — Ne? siti 
piani, con il lavoro che vi si fa (che ha da es- 
ser tuttavia con la vanga lavorato ben trito e 
fondo ) s' agguagli di modo il terreno che vi re- 
sti solo tanto pendìo all'acqua ch’ella possa muo- 
versi senza correre per i solchi ad annaffiar l’aie 
che la rattengano un poco, acciò non scoli così 
presto; ed in tutti i siti si riducano l’aie (la- 
voraudosi il più che sì può ) a questo modo, per- 
chè correndo troppo forte l’ acqua porta via il 
terreno . 

Desiderasi ove s° ha a far l° orto una qualità 
di terreno che di sua natura non sia nè troppo 
grasso, nè magro al tutto nè troppo, ma grasso 
e resoluto che genera erbe sottili; perchè così 
fatta condizione di terra è facile a lavorare, esi 
stritola bene trassinandola , e col letame che se 
le dia, si può far grassa assai per il bisogno dell’er- 
be. La spessa e grassa di sua natura è difhcile 
al lavoro, e vuol più fatica ; ma di vero questa 
viene largamente ricompensata da lei coli°abbon- 
danza del frutto; e secondo Columella ie zolle 
grasse che si risolvano in polvere, che facciano as- 
sai gra migna, e che producano dell’ ebbio , e 
siano un po’ umide, si tengono per le atte all’orto. 
La terra troppo secca come la troppo umida non 
è a proposito degliorti. — Quella che da per se 
faccia degli olmi, dei meli, e de’ susini, e della 
farraggine è buona; cattiva è dove si crea il gal- 
bano o l’ elleboro bianco, el’ tasso. Vuole il 
giardino tepidità d’ aere e di terra, e benigni- 
tà di, cielo, perchè nella terra troppo fredda 


. ; 9 
niente vale la clemenza del cielo; e per contro 


se sia la terra troppo adusta, poco giuverà. Dai 
cattivi venti sieno ancora difesi gli orti, e mas- 
simamente dagli aridi ed ardenti che abbruciano 
l’erbe e le guastano, come le troppo gran bri- 
nate e nebbie. E per questa cagione non starà 
meglio in altro sito che in sfogato e dilatato da 
ogni banda; e sebben richiede terra mezzana- 
mente soluta, ed umida piuttosto che secca, bra- 
ma il terreno contuttociò grassissimo , e però abbi 
( come sì disse di sopra ) nella più alta parte il 
colato del letame e del grassume . Puossi peraltro 
conservare gli orti nei luoghi aridi, come dice 
Columella, ma con poco utile, cavando o van- 
gando all’ ingiù tre o quattro puntate con la van- 
ga. Meglio sarebbe se si potesse trovar terra di 
sua natura dolce e delicata, e che si sfarini la- 
vorandola e smaltisca l’acqua, sì che piovuto 
che sia resti asciutta, agevolmente si lavori pe- 
netrandovi facili i ferri, e faccia zolle tenaci, 
ma spolverizzi e sia netta da ogni sasso e pietra 
minuta o grossa, e non si trovando così natural- 
mente, sia con l’artifizio ingrassata; il che si 
farà dandole a gni sementata d° erbe sempre 
nuovo grasso di letame della miglior sorte, come 
l’umano digestilo e mescolato con pagliaccia, e 
colombina e di tutte le stalle che sia bene 
smaltito . 

Il muio fatto con calcina sarà più sicuro. 
per gli orti con le pergole di vite attorno che 
s'alzino con i legni fitti all’ insù, e sieno pianta- 
te le viti dalla banda del muro , perchè altramente 
‘ilgrasso, e l’acqua danneggerebbe le radici. Gc- 
cupa il muro poco luogo, e le siepi molto; e 
le fusse consumando del buono, se v° è qualche 
cantonata sghemba o avanzume di terreno che 
nor riquadri, si può empiere di canne, braman- 
do il canneto terreno di grassezza e bontà ugua- 

p) 


IO | 
le a quello degli orti. I quadri poi sieno scom- 
partiti dai loro viottoli che gli dividano tirati 
tutti a sesta, ed abbiano di quae di là in su i 
loro orli per lunghezza , (e così gli altri andari più. 
piccoli intraverso ) spallierette di timo dilevante , 
d’isopo , di nepitella, puleggio, persa, sermol- 
lino, origano, rosmarino, spigo, salvia minuta, 
viole, ed abrotano , e pincri d° Inghilterra e si 
mili; le quali tutte erbe occuperanno solo lo’ 
spazio delle vie, senza pigliar punto del terreno 
dell’ orto, facendo i solchi che servano a man- 
dar l’acqua ove bisogni di° la dall’ erbe delle 
spalliere. Siano gli spazj dell’ aie, dove si hanno 
a seminare o strapiantar l’erbe dell’ orto, col suolo 
intorno a loro un po'larghetto, ed essi non più 
larghi, che aprendo uno quanto può le gambe 
possa da° solchi arrivar sopra a zappettare, e cavar 
via radendole col marretto tagliente tutte l° erbe 
cattive che nascono, tenendo la schiena arcata 
senza calpestare il seminato. Così ogni piccola 
viuzza e sentiero che si partisca per i quadri, abbia 
larghezza a proporzione di essi, e di quà e di la le 
spallettine di odoriferi fiori; le aie poi o porche, 
o come si dice in Toscana 1’ aiudle, ed in Lom- 
bardia resole che sono nei quadri distinte dai 
viottoli o piccoli sentieri, hanno a essere un pò 
più strette e lunghe per trasporvi }° erbe, cioè 
lunghe dodici piedi, e larghe sei, e così medesì- 
mamente divise per poterle con facilità e senza 
guastate far nette; ediloro margini, e arginetti, 
donde si possano adacquare , sarà assai ne’ luoghi 
umidi inaizargli due piedi, e nei secchi e più 
asciutti, uno fra |’ aiudle; se l’acqua sia solita 
traboccare, o allapare gli spazj che contengono 
l’aiudle, denno essere dagli orli più alte di loro , 
perchè più facilmente vi facci 1’ entrata all’ acqua 
che vi si avvia, e poi che abbi satolle l’ assetate 
erbe, la possi alle altre travoltare. Alcuni usano 


ti 

senza allargare il tratto, annaffiar due aiudle pet 
volta trattenendo l’acqua per i lor solchi, e a 
ogni tante braccia facendo una buchetta larga in 
tondo concavaa discrezione, e gettando l’ acqua 
sopra di loro alta ed in quantità , e come ne han 
succiato il bisogno sì tramuta l’acqua, é si passa 
all’altre contigue. | 

Deesi rasente i muri o macchie volte a mez- 
zogioruo innalzare il terreno a scarpa per far pro- 
de lunghe quanto è il muro, o la macchia, e lar- 
ghe quindici a venti piedi con buon pendìo per 
piantare le lattughe.e bietole per l’ invernata, e 
dipoi per l’ estate i finocch], facendoloro argine 
del terreno della proda medesima che gli rincalzi, 
e seminando in quei mezzi o fagiuoli 0 poponi; 
Ma bisogna concimare a doppio per il pendìo; e 
se saranno con un muretto da piè che rattenga 
la terra, si potrà (avendo da capo fatti certi oc- 
chi di pietra ) piantarvi de’ capperi, i quali ancora 
posti nel fin della proda sopra esso muro faranno 


«bene, ma non vogliono esser lavorati d’attorno, 


E perchè nell'autunno, e nella primavera princi- 
palmente si seminano, e si traspongono l’ erbe 
negli orti, è cosa convenevole di dividere le sue 
parti, e quelle lavorare nella primavera che si vo- 
gliono seminare nell’ autunno ; e il lavoro ha da 
esser tuttavia fatto con la vanga. — Adunque il 
terreno che sia destinato per seminarsi e pian-. 
tarsi a orto all’ autunno, si lavori al mese di 
Maggio, e quelle che sia serbato a seminarsi e 


piantarsi a primavera, si lavori a Ottobre e No- 


vembre; e l’uno e l’altro si lasci così smosso ri- 
posare sin’ al suo tempo, perchè cou i freddi e 
brinate si ricuoca e stagioni, e per i caldi si 
prepari a buona digestione , e a ricever con per- 
fezione i seminati, e il postime, avendo per le 
contrarie ragioni tanto il caldo quanto il freddo, 
valor di cuocer la terra, e fermentata risolverla,di- 


ta 

sfar le zollee ammazzar l’erbe triste annichilandone 
isemi. E se ciò non basti, quandoarriva il tem- 
po del seminare, quattro o cinque dì innanzi 
minutamente ricercandole e leggermente rilavo- 
rando s° hanno a cavar 1’ erbe e lelor bacche, e 
passata la bruma ai 23 di Gennaio vi si cacci il 
letame in rilavorando il terreno, e marreggian- 
dolo sotto. Dipoi seminate l’aiuòle s° hanno a 
raggiungere e coprire con secchi cespuglj, aven- 
do prima con i maglj o marra lunga ribattuto il 
terreno, e le nasciture erbe calcate in modo, che 
non le serri poi il caldo; e così quattro o cinque 
dì invanzi si faccia a quella parte che s'ha a 
sementare nell’autunno, ai quindici di Settembre 
e primo d’ Ottobre, e le si dia il letame se si può 
avere umano ed asinino che mena poche erbe, 
Nei luoghi freddi si semini nell’ autunno più pre- 
sto, e nel verno più tardi, ma nei temperati si 
seminino mese per mese, o due mesi una volta, 
quelle semente che per tutto l’ anno si voglion 
rinnovare per tuttavia averne; che perciò è giu- 
dicata la fatica degli orti maggiore del lavorar 
l'altre terre, rivoltandosi ilterreno loro almeno 
sei volte l’anno. 

Perchè dell’erbe alcune sono che servono a 
mangiarsi o cotte o crude, ed -altre per il piacer 
delia vista, altre per l’odore, ed altre per l’uso 
medicinale; -ed alcune d’ inverno, alcune d’ esta- 
te, la prima sementa sarà di Marzo, Aprile, e 
Maggio, nel qual tempo possiam seminare il cavo- 
lo, la radice, i navoni, la bietola, la lattuga , 
la romice, la senapa, il curiandolo, il prezze» 
molo, gli anici, e il nasturzio. La seconda se- 
menta è doppo il solstizio dell’ estate da mezzo 
Settembre in là, eotrando Ottobre, nel qual 
mese si pianta il porro, l’appio, ilcitiso e l’at- . 
teplice; e la terza per l’estate si comincia in 
alcuni luoghi di Maggio, nella quale si pungono 


13 
il cocomero, la zucca, la bietola, il bassilico, 
la porcellana, la satureia e molte altre cose. 
Quelle che tu vorrai che non facciano il seme; 
si seminino doppo il solstizio , e certe sì semini- 
no in due tempi nell’ autunno e nella primavera, 
ed alcune più spesso, come la lattuga, il cavo- 
lo, le radici, la ruchetta ; il nasturzio, corian- 
doli , cerefillo, e gii anici intorno a Marzo ed 
a Settembre si seminano, ed alcune vengono 
d’ ogni tempo, potendosene seminare in tutte le 
stagioni dell’anno, e non ch'altro d’ ogni mese, 
e mese per mese che hanno di mano in mano a 
servire negli altri. Rinnovasi la sementa di al- 
cune piante in sul medesimo terreno ; alcune ne 
sono che vengono dal seme, alcune dalla radice, 
altre col capo, altre con l’ una e con l’altro, al- 
tre colla radice e col seme, altre con la corteccia, 
altre con la. cartilagine; sonvene a!cune con 
la carne, ed alcune con le tuniche carnose; cer- 
te con la marza e con il ramo, come la ruta, l’ori- 
gano, il timo; ed il bassilico, il quale tagliano 
come sia pervenuto all’altezza di ur palmo, e?’ ri- 
mette; certe con la radice e col seme, come le 
cipolle, l’aglio, ed i bulbi, e tutte quelle che 
hanno capo. Ma per quanto tutti i semi dell’ erbe 
facciano, nella ruta la regola fallisce, perchè sep- 
pur nasce, tardissimamente viene innanzi, e im- 
perciò si pianta a rami. — Di quelle che nasco- 
no con la radice, la barba è diunturna e frati- 
cosa, perocchè dalle sue barbe muove e mette, 
e spesse volte in più si spartisce come i bulbi. 
I gentaj, e ie squille si pongono, ed alcune con 
il capo come l’appio, e la bietola, perchè al. 
largano le radici, dalle quali sorgono le foglie ed 
i gambi, i quali tagliati, quasi la maggior par- 
te rimettono , eccetto quelli che hanno il gambo 
fuori da banda. Il rafino e la rapa (cavate le 
foglie coperte nella terra ) crescono e bastano 


14 

all'estate tenute nelle canvine. Il frutto di al- 
cune è in terra. e d’altre fuore, e d’ alcuna 
neil’uno e nell’ altro luogo. Aleune si aggiac- 
ciono in terra come il cocomero e la zucca, ed 
il popone, 1 cetriuoli, e l’ angurie ; ma le zuc- 
che in' pergola fan maggiori e grandissime ‘:maa- 
«date sopra gli arbori; altre per innalzarsi ban 
bisogno d'appoggio, come il convolvolo, la. 
balsamina, i piselli, e dei fagiuoli alcune sorte,. 
ed il iuppolo e°l salice. — Di certe i più fre- 
schi semi più presto si generano, come è nel 
porro, cocomero e zucca. Per il che alcuni il 
seme del cocomero nel latte, o nell’ aceto,. 0 
nell'acqua con quello delle zucche van ma- 
cerando, facendolo così dar più presto fuore ;; 
così l’appio, la bietola, il nasturcio , l’origano, 
la currela, e il coriandro. Particolare e proprio si 
è quello che si dice della bietoia, cheinun anno 
la non si generi tutta, ma qualche cosa. che le. 
manchi nel primo, nel secondo si conduce. a 
fare un poca più, ed a fine nel :terzo. Per ]a 
copia di seme importa assai l’ essere il terreno 
bene a solatìo. 

Nell’ ordine de’ semi ci è questo da osser- 
. vare, che non sieno senza succhio, mescolati, a 
adulterini. Per la somiglianza in certi il seme 
vecchio ha tanta forza che muta la natura. Per 
esempio del seme del cavolo invecchiato nasce 
la rapa, e di questa il cavolo. Ancora si rac- 
colgono i semi d’ alcune quando più. presto 
quando più tardi. Il tempo a proposito è a pri- 
mavera nella nascita della Canicola, e nell’ au- 
tunno. Nè avviene ciò per tutto, ma secondo i 
inogti; la bietola, la lattuga, il bassilico, la 
ruchetta , e il navone nascon presto; la ruchet- 
ta in tre dì, la lattuga in quattro, la bietola 
l’estate in sei, l’ inverno in dieci o dodici, il cu- 
riandolo passa venti, se sia il suo seme vecchio; 


15 
se nuova, ricusa di nascere se non sì acciacchi 
o stravolga; la currela e l’ origano doppo i venti 
saltan fuori.  Difficultosissimamente esce della 
terra l° appio in quaranta dì; se prestissimo , in 
trenta. E° perciò da avvertire che importa assai 
se sopravvenisse sereno, o tempo rabbuffato o 
cattivo , perchè più presto dan fuori coll’ aiuto 
del cielo, come avviene ne’ luoghi tiepidi e so- 
latii. Alcune piante una volta sola in tutto l’anno 
partoriscono , alcune più spesso, ed in due an- 
ni come l’appio e’l porro. Il senzio e simili 
seminati una volta si mantengono più anni, 
come la terra che ogni anno si risemina. Presso 
il gambo impongono il porro, il genzio, le ci- 
polie, e l'aglio, e tutte quelle che dai lati 
creano 1 figliuoli, e queste tutte desiderano as- 
sal letame e l’acqua. 

Nel gettare in terra i semi dell’ erbe è come 
negli arbori da tener couto della ragione della 
Luna, seminandoli e piantandoli quando la cre- 
sce. Molti credono che sia. bene far l'uno e 
l’altro dal quarto dì della luna al decimotta- 
vo, altri dalla terza giornata della luna, alcuni 
dalla decima alla vigesima. Come si sia, tutto 
si dee fare quando la luna è sopra terra. È 
perchè deil’ erbe che si mangiano è di bisogno 
tutto l’ anno, sendo elleno un contivuato condi- 
mento per il meglio vivere, conviene seminarne 
ogni mese per averne tutto l’anno. E sebbene 
nei luoghi freddi, come nell’ Alpi, solo si può, 
attendere all’ erbe ne’ mezzi tempi, tuttavia quel- 
le che resistono al freddo e poi al caldo ron pe- 
riscono, vi si potranno avere, come i cavoli, i 
porri, gli agl), radicchj e simili; è quelle anco 
che amano la stagione tempetata (coprendole 
l’ invernata ) come la lattuga, le bietole, prez- 
zemolo, e maceroni, e massimamente a solatìo 
in prode ove possano quando si scuopre avere il 


16 | 
riverbero del sole ; aggiungendovi letame e pa- 

giia di sopra in quantità .. Nei luoghi temperati 
il seminare che si avrebbe a fare di primavera , 
vien meglio fatto al Novembre, o nel principio 
di Dicembre, che di Febbraio o Marzo ancor- 
chè i semi non nascano prima di tali mesi. È 
la ragione è che s'averanno l’erbe più a tempo 
nella stagione ch’ elle si ricercano, ed iporri e 
le cipolle si potranno più presto trapiantare, e 
tutte quelle che s° banno a trapiantare si possono 
seminare tra quelle che restano sul terreno, e 
queste si posson diradare e lasciarvele per ordi- 
ne, che faranno come le trapiantate, e massima- 
mente nei tempi dell'estate la lattuga. Si pos- 
sono ancora seminare mescolatamente più sorte 
d’ erbe di quelle che s’° hanno a trapiantare, fra 
quelle che non s' hanno a muovere d°’ia sul ter- 
reno dove elie son seminate; perchè quando le 
vi saranno tutte nate, si leveranno quelle, e vi 
si lasceranno queste, come i porri, le cipolle, 
gli.aglj, le carote, le pastinache, le bietole, i 
radicchj; e questi perchè dieno la foglia e si 
lascino fsr le barbe, e con essi le pastinache 
e le carote, ed i prezzemoli sì posson seminare 
in su i divelti che le fanno grosse e lunghe 
standovi almeno l’ anno. 

Le cattive erbe che tuttavia mena il terre- 
no, tosto cresciute le buone, si levino o sbar- 
bando, o con tagliente marretto; e le trapian- 
tate si ‘sarchino più d’ una volta, e rincalzando- 
le si dia lòro nuovo letame fradicio . In trapian-. 
tando avvertiscasi ( fatto il foro con buon pidio ) 
di non aggrovigliolare le barbe, ma giù dirit- 
te mandarie, spuntandole sempre, perchè piglian 
più forza a rimettere, e basta un sol dito svet- 
tarle. Aggravisi col pidlo ben la terra addosso 
sì che si faccia toccare per tutto, e sieno rincal- 
zate da ogni banda, e subito ch’ elle sieno tra- 


1 

sapiantate , a tempo asciutto s° annaffino. e i 
sì trapiantano nel secco l'estate, annaffisi prima 
il terreno assai, e smaltita l'acqua si brapiant n 
quì, ed al gran caldi si ricuopraco con vimini 
gruticc], o paglia. E se perqua:che impravvista, 
o repentina pioggia si fosse la pelle della terra o 
crosta sollevata , o si stringesse e serrasse loro 
intorno a farle A toroisi destramente con 
i più piccoli marretti a sarchiare per istaccarla, 
acciò non dia loro noia 

I semi dell’ erbe non passino un anno, esi 
eleggano quelli più stagionati, più di peso, e 
più granati. Tutti i semi dell’ erbe seminati in 
dì umidiccio, nasceranno meglio, che nei secco 
asciutto e freddo, perchè questo ritarda, quello 
incìba a nascere. Nel terreno che a sorte fosse 
salso, seminisi all'autunno, perchè l’ inverno 
contempera quella salsedine. Gioverà mescolarvi 
la sabbia di fiume e della terra buona. I semi 
posti nei luoghi umidi tralignano piuttosto che 
nei secchi, e perciò è bene mutargli la seconda 
volta che ion sien peggiorati. I semi che con 
benigne aere sì piantano , sono al germinare più 
atti, e seminati in luoghi tiepidi ed esposti al 
sole più tosto nascono. I semi più freschi gene- 
rano per tempo nel porro, e nel getio, nel co- 
comero, e nella zucca ; 1] vecchi più tosto nell’ap- 
pio, nella bietola, nel nasturzio, nell’ origa- 
no, e nel curiandolo . I posti in luogo caldo 
fanno i fusti e intalliscono più per tempo, fan- 
no il seme più presto, ina non è tanto buono, 
Al’erbe di qualsivoglia ragione s’ innaffierà 
il seme, perchè non talliscano così tosto , e per 
mantenerle più verdi, si scavi intorno al pedale 
quando saran cresciute ; e ciò si faccia spesso 
riempiendo pur di terra cotta. Dell’ erbe per 
medicina si colgono i fiori avanti che si mutin 
di colore e caschino. I semi si raccolgono poi 

artta 


18 
che sia finito il termine della lor maturezza, 
secca e consumata che sia in loro la crudezza e 
l’ acquerosità , e le loro barhe s' hanno a cava- 
re quando sono le lor foglie cadute, ed a quelle 
ch’ elle non cascano , quando si vede che non 
crescon più. I fiori quando son bene aperti e 
ch’ e’ finiscono e cascano, e l’ erbe istesse, quan- 
do son venute alla lor perfezione, si colgono 
in giorni buoni e sereni a luna scema;e i fiori 
ed i semi si deono serbare in lati asciutti 
secchi ed oscuri sopra tavole. Nei vasi di Bòlo 
Armeno, e dell’ Elba ben cotti, e di Schiavonìa 
non solo questi benissimo sì conserveranno, ma 
tutte le cose da mangiare, e frutte, ed altro co- 
perto con coperch] del medesimo bolo che turino 
e suggellino ben serrati che non isfiatino. Le 
barbe loro si conservano nell'arena umida, le 
secche in lati asciutti sospese da terra legate a 
stanghe in palco e stanze ben chiuse al bujo. 
Ma i semi de porri e delle cipolle si conservano 
meglio che in altro lato , neile lor proprie cover» 
te; VV erbe d'importanza s' adacquino coll’ acqua 
tiepida, 0 con acqua attinta d'uno o due dì) 
addietro . 

Quanto più si lavora e rilavora la terra degl’or- 
ti, tanto più si megliora e raffinisce, aggiu- 
gnendole sempre del grassume , che è quello che 
nutrica | erbe, e dà forza al terreno. Se l’ orto 
covi o stia serrato il terreno che patisca troppo 
d’ umido, si corregga e si emendicon fogne fat- 
te sotto, 0 col tramutare il terreno in alto che 
abbia il suo scolo, 0 far nel più basso un gran 
pozzo smaltitoio , © cavarne con artifizio l’acqua, 
e tenerlo poi asciutto. Appresso alle sopraddet- 
te cose nou si razzoli mai. — Solevauo gli An- 


tichi fare i pergolati.negli orti mandandovi so-. 


pra delle viti; ed a:cuni amano agli orti le stra- 
de coperte dagli arbori sopraddetti. Ma meglio 


®» 


I 
è lasciare 1 viali liberi, e che niuna aia ida 
sia suggetta a uggia, sebbene vi si comportino 
i peschi e gli albercocchi , e in su le prode, e 
nei canti i fichi, ma questi tuttavia usufrut= 
tano il terreno, e con la loro ombra nuocono 
agli erbagg). 

Deesi da una parte del Giardino che paia 
più appropriata, o vero in un procinto di esso, 
che sia separato con muro, o con gran fossa ed 
argine, piantare il Salvatico d’arbori da ragia, 
come pini, abeti, larici, nassi, cipressi, gine- 
pri, pini salvatichi, e storaci; o da perse tutto 
di lòti e sicomòri. Bisogna considerare il lor sito, 
aere, e terra naturale, e quivi con l’arte ed 
industria imitar la Natura dando loro quello che 
si sà ch'egli appetiscono, e così andare per le 
piante in quei lati dove sian piccole, e cavarle 
con il loro pane, edalla luna d° Ottobre in luogo 
conforme al lor paese porle in buoni lavoridi di- 
velto ben sotto, ma non poi tanto addentro, e 
con riguardarle dal bestiame. Nè visi potino al- 
tro chel pino el nasso, aiutando questi a salire 
all'insù, e volendo seminarli, procaccisi d’ essi 
. di tutte le sorte semente buone, e stagionate, 
e pongansi in buche ripiene di buon terriccio 0 
in luogo grasso di buona terra spenta, adacquan- 
doli perchè crescano e vengan presto; e nati che 
sono sì vadano diradando, e trasponendoli così 
piccoli nel luogo dove hanno a stare. E avendo 
a trasportarli, il secondo anno si può fare in 
ordine quincunce ombrosa e folta la selva , e fitti 
come si desideri, o con spazio erboso da passeggia- 
re; e seminandovi palèo vi starà bene , come pur il 
cipresso che vi si ponga, che sebbene è tenuta 
pianta lugubre o funèbre, è bella, nè vuolesser 
tocca maida piede per esser maturata a crescere 
con tuttii suoi rami. E° ben vero che avendo la 
punta biforcata, s'ha a tagliare il ramo più de- 


20 
bole perchè venga innanzi l’altra più gagliarda, 
e tanto sì può fare agli Abeti e alla Zampira. 
Il Pino, e gli Olmi con le lor barbe danneggia- 
no le muraglie ; petciò piantinsi nel mezzo. Ed 
ancorchè si pongano simili piante intorno alle 
case e pianticelle grandi e spaziose nei mezzi e 
rasente 1 muricciuòli; si possono metter fra gli 
altri a far bosco, il quale sarà più bello variato, 
che d’una cosa sola. Ed abbiasia mente d’ usare 
ogni diligenza possibile, perchè sono piante 
fastidiose ad allevare, e bisogna porle a ragio- 
ne, e vezzeggiarle un pezzo, che così cresce- 
ranno e viveranno . Queste selve fatte cou 1° ar- 
tifizio vorrebbero esser grandi e capaci di circui- 
to per potervi con piacere far esercizio, ed an- 
dare attorno, e perchè così vi nidificheranno uc- 
celli di varia ragione, e dentro nel procinto del 
muro visi potranao nutricare diverse sorte d’ani- 
mali, e tener anco de’ coniglj, Ma bisogna pen- 
‘sare che vi sia o fonte o rio che corra, o fiu- 
me vicino che.si possa derivare, facendovene an- 
dare un ramo, © sivvero come a Toledo che 
muova con ruote l’ acqua a farvela andar dentro 
abbondantemente con trombe aperte, o con altro 
artifizio. 

Dalla cultura degl: Orti chiaramente si può 
comprendere per i piccoli loro spaz]j, che di gran 
frutto sono, e come più rende un campo pic- 
colo ben lavorato, che non fa un grande negii- 
geotemente trattato. Imperciò, conviene molto 
bene osservare il terreno che s'ha fra mano, e 
sebbene gli orti ricercano umidità e freschezza, i 
non per “questo vogliono esser situati in luoghi 
ch'e’ restivo affiigati dall’acque, e se pur il 
campo sia basso, e quivi esse troppo lo predo- 
mivino, e gli soprastieno, e gli convenga far 
Orti, è di necessità asciugarlo con l’arte, e 
operare che dal troppo umido -non rimanga of- 


21 
feso : il che si procurerà con alzar la terra da 
un lato, perchè scoli dall'altro, e con il colmar- 
lo nel mezzo, abbia il calo dalle due bande in 
una fossa che riceva l’acque, e le sgorghi in 
qualunque parte, ove essendo più basse camminiu 
via. Ed è il vero tempodi accomodarciò ( sem- 
prechè occorra o la prima volta, o più d'una 
rifarlo) a primavera ed all'autunno ; ed a que- 
sto medesimo tempo è bene ancora terrazzare i 
campi che altri voglia disporre alla sementa , © 
acconciare e preparare per orti, perchè si me- 
gliorano di terreno e si mantengon sani. Impe rciò 
quei cavezzali, o caccini (il cui terreno si deve 
condurre nei campi alla primavera) si arno di 
Ottobre o Novembre, affinchè la terra bolla in- 
sieme, e si scaldi; e che ogni corteccia e qua l’al- 
tra erba vi fosse marcisca, riducendo la lor ter- 
ra in due gambine, o vaneggie sole, perchè le 
assai piogge del verno possano scorrer fuore , 0 
vero in una sola quando il terreno fosse areno- 
so», o d'altra sorta che non patisca umore rom- 
pendoli bene, e sottilmente a Marzo seguevte e 
dispensando la lor terra nel mezzo de’ campi che 
patiscano d° acqua, e facendogii piani a modo 
di prato con un poco di pendìo. Quelli dipoi 
che nell'autunno aranno bisogno di tal’ opera, 
sì rompano al mudo detto in Febbraio o Marzo 
precedente , lasciandoli così sin’ al Novembre se- 
guente, edallora riarandogli, e portandu la ter- 
Ta per i campi con l’ordine detto. Così questi 
per il caldo dell’ estate, quelli per il freddo 
dell'inverno sì ricuoceranno fermentandosi in 
modo che spolverizzeranno . L° arare grossamen- 
te i cavezzali, e portar via subito il terreno, 
non giova molto , che non è stagionato, e se 
pure cccorra portarlo dentro subito, arisi minu- 
tamente nè mai quando sia zuppa la terra, e si 
rifaccia questo ogni tre o quattro anni. Nei 


. 22 

campi umidi e succhiosi facciasi il eolmo alto 
nel mezzo per liberargli dal troppo umore . Ed 
essendo tuttavia asciutti e sabbionosi, non oc- 
corre fossi, ma sì bene spesso rifondergli uguale 
mente di buon terreno ; e la terra che si ha a 
portar sopra ì campi, dei fossi, o d'altri luoghi 
cavata, si lasci prima a stagionare cinque , o sei 
mesi, poi si porti sopra i campi, se sia viscosa 
tenace e forte e grossa. Ma se sia sabbionosa e 
risolub le, dolce, leggiera ed asciutta, e che si 
sfarici doppo breve tempo, vi sì potrà condur- 
re. Così riducendo, e sanificando i campi si po- 
tranno oltre alle semente ordinarie destinare a 
orti; ma se si incontrerà terreno, che bagnan- 
done una zolla leggermente con acqua, e pro- 
vaudo con mano se è tenace, 0 vi s'attenga e 
resti come pece attaccata alle dita, e gettata in 
terra non si sparga risolvendosi in minutissime 
parti, sarà manifesto segno di grassezza. — E° bene 
ordinare il letamaio dell’ orto ove scolino l’ac-» 
que , e vi stagnino, e quivi inviare tutte le brut- 
ture a marcirsi, e stagionarsi, e sia in lato 
ascoso il più che si può al sole ed ai venti, o 
si cuopra con tavole, o doppio paglione perchè 
si mantengano succhiose , e per essere il miglio» 
re e più caldu letame di tutti gli altri quello 
de'colombi e galline, si potrà dare a tutte quell’er- 
be che più rodono e consumano, come cavoli, e 
lattughe, sparto rado più e meno secondo che 
sia vecchio o nuovo. L’ umano è molto caldo, 
e con questo s'ha a mescolar paglia, ed altri 
letami digestiti , e solo darlo schietto ai cappuc- 
c), alle iattughe, alle carote, pastinache, e ra- 
dici per averli sfoggiati, ed a tutte l° erbe che 
barbano addentro, come prezzemolo, e radic- 
chj, e carote fiamminghe. Quello di pecore e 
capre vale a tutte l’ erbe minute, come bietole, 
spinaci, prezzemolo seminato fitto, ed insala- 


lo) 
23 
tuzze. Di buoi vacche cavalli e mule non vale 
agli orti più che tanto; buono è peri prati, e 
massimamente questi due. E° tenuto per gli orti 
lodevolissimo, come si disse, quello degli asivi 
perchè non genera erbe, e pessimo quel di porcu; 
ma tutti ben mescolati insieme , e imputriditi di 
pari gioveranno ai campi e agli orti; eda que- 
sti tenendo sempre a mente di ridarne a ogni 
sementa, perchè 1’ erbe succiano assai tutte dal 
terreno, e conviene, tuttavia che elle si risemi- 
nano, riletamarle. Perciò non sì può assegnar 
tempo determinato agli orti come ai campi da 
sementa , nei quali si dà dirittamente a Settem- 
bre ed a Maggio. Diasi agli orti stagionato e 
digerito bene, perchè il erudo non gioverà 
tanto, e bisogna fuggire di sciorinarlo ai gran 
soli e caldi, perchè questo nel cava la virtù, e 
più tosto ai tempi nuvolosi e coperti, ed a luna 
crescente , siccome a questa s° hanno a gettare in 
terra tutte le semente degli orti. Ma. se sia il 
terreno grassissimo, si può anco alla stema, e 
massimamente seminando un po più tardi; e se 
il terreno sarà umido, seminisi ne: far della luna, 
e quattro dì intornv. E perche l’erbe vengon 
copiose e con gran rigoglio, ancora per esse si 
dee avere in uso 1° osservazione della !una , per- 
ciocchè come il sole ha tutte le virtù elementa- 
ri, così la luna per virtù sua è padrona della ge- 
nerazione del fare e diminuire; peril che dan vita 
a tutto, ed essendo il sole caldo e fuoco, e ia 
luna umida, si fa tra loro un perfettissimo tem- 
peramento : il che osservando si fa il maggior 
benefizio che si possa fare alle piante ed all’ erbe, 
avendo massimamente la luna facoltà di genera- 
re, e far crescere dal principio. del suo cresci- 
mento sino al plenilunio, e di diminuire e sce- 
mare dali’ opposizione sin alla sua congiunzione. 
E così com’ ella cresce di lume datole dal sole, 


9 


somigliantemente s° augumenta d’umidità ap.pre- 
sa dall’ acqua e dalla terra, e quando comincia 
a scemare manca insieme il caldo e l’ umido, 
sicchè nel suo tondo ell’è umida più d’ ogni al- 
tro tempo. Ciò propriamente si richiede alle fave 
e massimamente alle grosse che si seminan ne- 
gli orti, facendo lor bene sempre l’ umido. Ma 
nella congiunzione o poco innanzi è priva d’umi- 
do, e secca più che mai, e questo giova alle 
veccie, e allora è anco ben semivarle per gras- 
sume de’ campi, e degli orti. Alle biade ed ai 
grani fa bene quando cresce in seminando, e di- 
chiara manifestissimamente il suo giovare che fa 
alle piaute ed erbe con l’ esser ella nell’ estate 
caldissima nella sua congiunzione, e di verno 
gelatissima. E per il contrario nell’ estate quan- 
do è colma le notti son fredde, e nell'inverno 
tiepide , il che tutto le rinfranca ed aggiova. 
Restano i giardini, o orti pensili, o che 
fosse Semiramide la prima che ne facesse, o Ciro 
Re di Persia. Si fanno per oraamento de’ Palaz- 
zi; e Cesare Augusto piantò cipressi che crebbe. 
ro in notabile altezza sopra la muraglia del suo 
Mausoleo, come oggi a Roma si veggono pian- 
tare sopra le stalle del Palazzo di S. Marco dove 
sono vigne ed arbori sopra le volte delle mura- 
glie, tutte cose pensili. Servono ancora a ricrea- 
zione delle più belle stanze per il godimento 
della veduta della .verdura, comecchè il più dei- 
le, volte si fan venire o in su i cortili dove 
s° affacciano l’occhiate di tutte le  fioestre, 
o da una banda, o a rincontro delle stan- 
ze del primo piano, o della sala senz’ alzare i 
piedi per arrivarvi, e poter quasi di camera 
corre l’insalata, e di notte col lume della lu. 
gerna, e avere le frutte a ore strane. Ancora 
sopra le loggie dai lati ripieni di buoù terreno 
si posson fare spalliere d’agrumi, e nel mezzo 


25 
ordinare l’ orto pensile ripieno di frutti, viti ed 
erbe a suo modo con forte muraglia, e sotto i 
suoi scoli, e non ch'altro sopra i tetti istessi 
delie case si possono ordinare orti o giardini 
pensili accomodati sopra doppie e furti travi fab- 
bricandovi sopra con vespa] battuti che tengan 
l’acqua, e su questi per modo ch’ elia possa 
scolare mettendo il terreno, e con esso quantità di 
vasi di grandezza più che ordinaria, o orticini 
di terra cotta ripieni di terriccio buono e pian- 
tati di che si vuole. A quel medesimo fine gli 
antichi nobili e potenti ne fabbricarono noa pure 
in terraferma, ma in mare altresì (che è gran 
cosa a dire ) ne fecero, come ne fa fede la Nave 
di Hierone Siracusano, che era quattro volte 
maggiore della Septireme di Pirro , sopra la qua» 
le fu fatto un Giardino ripieno di vitie frutti, 
ed erbe, fondato iu su grossissimi e gagliardis- 
simi legnami. Ed un Re d° Inghilterra fe tauto 
grande una Nave, che vi si potè giocare con 
racchette alla palla. — Queste così fatte colti- 
vazioni pensili si deono fare a piacimento e se 
condo il potere, che fa di bisogno sia grande, 
perchè vogliono buone volte, grosse doppie e 
di buon lavoro con gagliarde spalle di muri 
giossissimi, e con catene di ferro se bisogni a 
traverso, e grandi sfiatato) e sgorgatoj d'acque; 
e le volte sieno a mezzo cerchio perchè sien 
più stabili e forti, e sieno abili a regger peso 
maggiore. E vi si dee portar sopra la terra ma- 
cera e buona, più alta e foudata che si possa, 
ed ai tempi caldi mediante l’acqua mantenervi 
umore; e così si faccia ai vasi che vi si ten- 
gano, rinnovando spesso la terra ai piedi delle 
viti o frutti con tenerli gastigati col potare, e 
gli uni e gli altri annaffiando semprechè bisogni. 
È volendo abitar sotto converrà far tanto più 
grossa la muraglia, sì che non possa in modo al=- 


h 


6 s 

cuno penetrar l’ umido, non che l° acquache vi 
si adoperi. - Esporrò quì adesso a maggior 
chiarezza per ordine alfabetico i nomi e la qua. 
lità di diverse piante. ù 

L’Abrotano agguaglia di color cenereccio 
l’assenzio, nel resto ha la foglia che va somi- 
gliando la manifattura di quelle del cipresso @ 
sabino. Nasce così in piano come in monte; 
questo si tiene per femmina, l’altro per ma- 
schio; questo con più rametti, quello d’ un fu-. 
sto solo, e quasi il cipresso degli Orti; l’uno 
e l’altro posto sott’il guanciale incita a Venere, 
e fra i panni lani gli difende dalle tigniuole 
S appicca e si semina come l’ assenzio, ma me» 
glio vien di rametti che a seminarlo , nascendo 
il suo seme molto adagio, e qualche volta fal- 
lendo. L’ uno e l’altro si fa d’Aprile, e si può 
di Novembre trasporre , sebben teme il gran fred» 
du, e il troppo caldo. Ama luoghi non molto 
occupati dal sole , e piuttosto 1’ uggia , nonostan- 
te che sia caldo; tiene la foglia perpetuamente, 
e fiorisce l’estate col frassino; fa spalliere basse 
e minute acconcissimamente quando ‘è piantato 
fitto e fondo, che sarà quattro o sei dita dali’una 
all'altra pianta; la femmina fa più belli fiori, e 
luccicano come l’ oro. È l’ Abrotano erba medi- 
cante, ed appassito e scaldato in su le teglie di 
terra cotta, giova ponendolo nel luogo affetto 
da interna doglia. Fa così nel terren magro come 
nel grasso, e sopra’ il tufo istesso sene ritrova. 
Per le spallierette conviene talora ripiantarlo 
quando ne vien meno qualche pianticella , e bi- 
sogna tosarle di primavera riordinarle e rasset- 
tarle . | 

L' Acetosa, detta oxalida, nasce da per se 
nei campi lavorati domestichi la primave:a, € 
doppo l’ estate che sia segato il gianu; fa 
cespuglio di più cesti iusieme, e si attacca e 


\ 


9 
mantiensi trapiantata in buon terreno . Roccolo 
si ancora il suo seme profittando di quel delle 
aiudle degli orti all’ Aprile. N°è della piccola 
minuta, e della grande; è erba ottima per l’in- 
salate. 

L° Agretto è il Nasturzio con foglie piccole 
e intagliate, cresce di gambo alto ua braccio, 
fa il fior bianco, e il seme rosso ascuro. Tro 
vasene del nero e del bianco ; seminasi di pri- 
mavera, ed è buono nelle mescolanze dell’ in- 
salate . . 

I° Adraena di campo ha le foglie simili al 
Semprevivo , un poco più rotonde , più piccole, 
e men lunghe, e va per terra; solo quando vnol 
far la sementa distende i rametti in alto ,iquali 
secchi all’ uggia, e cacciati in pezzetti ed in 
poca quantità nelle civaie che nun son cottois, 
le intenerisce e fa cuocere. Le sue foglie son 
buone per l’insalate, e i gambi conditi nell’ace- 
to si mangiano . Slega i denti, e si semina a 
primavera; ne è ancora della minuta, e l’unae 
l’altra è prodotta naturalmente dalla terra da 
per se negli stessi orti, prati, campi, vigue, È 
la medesima Porcellana. 

L’ Aizdon, detto il Semprevivo, è di tre 
spezie. Il maggiore ha le foglie più lunghe, il 
minore l’ha aovate ; 1° uno e l’ altro nasce, e mas- 
simamente il minore tra le macìe nelle muraglie, 
fra i sassi, nelle corone delle mura, e nei se- 
polcri ove non batte il sole, e su peritetti; e 
si nutrisce ancora nei vasi trapiantato con la 
pianta in terra. Ilterzo èl° arborescente che sta 
attaccato in terra e cresce in alto, massimamea» 
te sostentato da qualche telaio di legname, e va 
su rampicando; serve per ispallierette; e questo 
a ramo, o spiccato dal corpo vecchio di prima- 
vera s'attacca; gli altri due con un poco di lor 
pane di terra ai piedi, ed ancora con la radice 


Cd 
28.0 

sola s° attaccano dove altri vuole, e tanto più 
quello che ha foglie larghe , grosse, ed ammuc- 
chiate in foggia di un carciofo; vive sugli spi- 
goli de’ muri, e sulle gronde de’ tetti senz’aiuto 
alcuno . | 

L'Agliada è un’ erba che ha le foglie simili a 
quelle dell’ amaranto, fa cesto piccolo d°esse, 
che al sapore ed all’ odore sanno d'aglio; è buo- 
na nell’ insalata da per se ed in mescolanza; fa 
seme e si semina di primavera; trovasene e s°usa 
assai nelle coltivazioni degli orti di Bologna. 

L° Aglio fu grandemente lodato da Galeno 
medico per rimedio evidente ai veleni, ed all’in- 
fezione dell’aere, ed egli ne scrisse in partico» 
lare ; a tal che siccome egli sortisce la prima let- 
tera, merita ancora fra gli erbaggj dell’ orto il 
primo luogo, e massimamente ch’ egli è eccellen= 
te anco per cavare i vermini che tanto infestano 
i putti piccoli, e talvolta i grandi, e cibo forte 
e gagliardo giovevole ai marinari, e D' appari- 
scono di due sorte, bianchi e castagniuòli un 
po rossiccj, e 1° Ulpico cresce più che 1’ ordi- 
nario, e chiamanlo talora 1’ Affricano, Potrìa 
essere che egli fosse quello che oggi si chiama 
d° India, molto più grosso degli altri, e di più 
dolce e delicato sapore, e che meno puzza man- 
giandosi, e manco sa d’aglio in bocca. Ha que- 
sto aglio d'India una proprietà stravagante, la 
quale è questa, che un anno fa una cipolla sola, 
o bulbo, e l’altro fa spicchj come gli aglj or- 
dinarj e così và seguendo alternativamente ; è se 
quando fa gli spicch) si trasponga in terra tutto 
losieme , ciascheduno spicchio genererà un aglio 
d’un capo solo senza spicchj, e poi piantando 
quell’ aglio tutto intiero farà i suoi spicchj. Ri- 
cerca l'uno e l’altro una coltivazione medesima, 
e sebbene in ambedue si può al tempo suo rac- 
cogliere il seme, e seminarlo, tuttavia è più si- 


2 
curo il piantarli a spicchj. Desiderano tutti ich 
reno grasso, dolce e piacevole a lavorarsi ben 
trito e sospeso, e più di color bianco, e cavato 
e smosso ben sotto, e senza letame; perciocchè 
questo gl’ incuoce o riscalda rendendogli atti a 
marcirsi, e bastan meno. Vengono ben più gros- 
si se s'adacquino, e meglio nei terreni non 
adoperati, ma nuovi dove per qualche tempo 
addietro non sia stata seminata, nè piantata 
cosa alcuna. Volendo valersi del seme si se- 
mini di Febbraio o Marzo secondo i luoghi, e 
nati d° un mese si trapiantino, ma meglio è, 
(come si è detto) trasporre gli spicch]. Se il pae= 
se sarà dita o la terra asciutta e secca, piaa- 
tinsi°al principio di Novembre, ed in sito vol- 
to al sole; ma dove risiede la neve, ed è fred- 
do, e ghiaccio, e il terreno basso ombroso ed 
umido , è meglio a mezzo Settembre , o al prin- 
cipio d’ Ottobre , e prima ancora, se a questo 
tempo non possa ivi la neve, el ghiaccio im- 
pedirlo . Hannosi a mettere gli spicchj ad un per 
uno lontani un sommesso l’un dali’ altro nel fon- 
do del solco, ricoprendogli con tre o quattro dita 
di. terra e non più, e quando han dato fuori con 
tre foglie, appianisi l’arginetto del solco, e si 
pareggi il terreno , edindi si sarchi spesso, sen- 
doche acquisteranno in grossezza quanto più sian 
frequentemente sarchiati; e quando sono alquan- 
to cresciuti fuor del terreno, l’ attorcerli e rivol- 
tarli a terra innanzi che facciano il gambo , gli 
farà ingrossar sotto, nè sen’ andranno in foglie: 
volendo farlo capocchiuto come dà fuore, pesti- 
visi il terreno, ed il succhio audrà negli spicch]. 
Di Gennaio son men furti, e dicesi che se si 
caccin sotterra, o sene cavino quando la luna è 
sotterra, o nei suo intermestruo, sapranno men 
d’aglio, e scemeranno il sito , it quale sì manda 
via mangiando doppo una fava cruda, E si ad- 


30 
dolciranno ponendogli in terra con le bucce ed 
ossi avanzati dell’ olive. Ancora il mangiar dop- 
po una radica di bietola arrostita leverà dall’ali 
to il loro fetore. Fra la paglia, ed al fumo del 
cammino si conservan bene, e tuffati prima nell’ac- 
qua salata; l’ appio crudo mangiato anco doppo 
ammorza il puzzo loro . La calamita strofinata col 
sugo dell’aglio perde la forza di tirare il ferro, 
siccome il tirar la paglia vieta l'olio all’ambra 
che sia unta, o vero ugnendo la paglia. Fa. 
l’ aglio il seme, e scrivono che cocendoloin mo- 
do che non possa nascere, e gettato per terra 
dove bezzicano uccelli, se questi lo mangino 
stupidisconsi e sbalordiscono , in modo che si pi- 
glieranno con mano ; e le pecore che mangiano 
foglie d° aglio faranno latte che saprà del suo sito, 
quale non lascerà fattone cacio. I talli dell’aglio 
cotti lessi, e poi fritti in padella, © conditi a 
modo d’ insalata non sono disgustevoli . E° tem- 
po di cavar della terra i capi degli aglj quan- 
do son le lor foglie di fuori secche. L°aglio, e 
le cipolle e la squilla per la soprabbondanza 
del?’ umore che hanno, mettono da per loro an- 
corchè riposte in casa fuor di terra quando sia il 
tempo loro di germogliare . L’aglio mangiato ver- 
de rende minor sito. E° opinione d’alcuni che 
avendosi mangiato prima l’ aglio, non nuocano le 
cose velenose che si mangino , e che nemmeno 
sia per far danno il morso delle serpi. Laglio 
cotto col grasso vecchio giova molto alla tosse, 
nuoce alla vista ed abbacìna gli occhi, e beuto 
pesto nel vin pretto mescolativi coriandoli ac- 
ciaccati stimola al coito. Provoca l’ aglio gran» 
demente l’ orina, risveglia mangiato col sale l’ap- 
petito addormentato, ma soprattutto questo cibo 
o cotto 0 crudo, ma più crudo che cotto cone 
viene e si confà ai marinari, ed a chi naviga. 
L° Assenzio che vien di Ponto, è ditutti il 


3r 

iù valoroso, ed appresso il marino, ed accanto 
il salvatico, come tutti più del domestico amari, 
Era quello in pregio appresso i Romani nelle Fe- 
ste dette Latine; ed al vincitore che aveva supe- 
rando l’altra quadriga combattuto io esse si dava’) 
sugo dell’ assenzio a bere in confermazione della 
sanità , siccome il vino fatto con questo confe- 
risce al medesimo, come anco gli Antichi ac- 
costumavano darlo a mangiare ai piccoli fanciul- 
li in un ficosecco . Correbora lo stomaco, e per- 
ciò sene assetta da ber col vino. E volendo pi- 
gliarlo a digiuno asciutto, si dee rinvolger nei 
sale. Mangiandolo condito con aceto ripara 
a’ funghi che si sien presi velenosi. Secco all’ug- 
gia proibisce le tignole dai panni lani. L° in 
chiostro da scrivere temperato col suo sugo © 
cocitura salva il foglio e lo scritto dai topi. 
Piantasi l’ assenzio in ogni terreno quantunque 
magrissimo a rametti rattorti, e traspiantando 
le sue pianticelle nate da per loro a piè de? ce- 
sti grandi; e si può anco seminare il suo seme 
quando è secco bene, e come sia alto una spane 
na traspiantarlo, e por fitto dove si vo- 
glia fare spallierette basse rasente i vialetti de- 
gli orti, © giardini segreti, e tosato e pareg- 
giato colle forbici comparirà bene. L° assenzio 
abbrustolato con teglia calda, e posto al luogo 
affetto leva le doglie interne. 

L° Appio è quella pianta d’erba che dai vol. 
gari sì chiama Selino, e dai più idioti Sedano. 
Ama terra grassa, fondata ed umida, acquitri- 
nosa ben lavorata e divelta. Seminasi pell’aiòle 
degli orti all’Aprile, e d' Ottobre per trapian- 
tarlu come abbia cinque foglie, loitano l'un ce- 
sto daii° altro un braccio; si dee porre nella buca 
ove si pianta, molto letame macero; e battuto 
prima il suo seme nel mortaio, o pesto con i 
piedi dopo esser nato, o calcato con una maz- 


32 
zeranga di salcio nascerà più crespo. L° estate 
conviene adacquarlo e farà bene intorno alie fon- 
ti. Allargheranno le foglie se quando si semina 
sì metterà insieme in un cencio bagnato, quanto 
piglisi con tre dita de’ suoi semi. Fa nei luoghi 
freddi come nei caldi, purchè segli dia l’ acqua 
conguagliatamente. E posti due o tre de’ suoi, 
semi in un cacherello di capra o di pecora ver- 
ranno innanzi più allegramente. I semi vecchi 
dell’ appio nascono più presto che non i freschi 
dell’anno. Grandissimi verranno se si faccia loro 
una fossetta accanto piena di paglia, avendo bene 
scalzata la sua barba. I talli dell’appio si con- 
servano con la conditura di due parti d’aceto, e 
l’altra di salamoia. I pesci che sieno malati in un 
vivaio, gettando lor dell’ appio trito si recriano 
e riuvigoriscono. Deesi proibire )° appio alle ba- 
lie, perchè rasciuga il latte, e riscalda troppo 
il fanciullo. Dà buon fiato a chi lo mangia. Pian: 
tisi nel fondo del solco, e dipoi quando è cre- 
sciuto un palmo , si vada pareggiando il solco, e 
ali’ inverno si leghi il cespuglio con giunco, € 
fasciato di paglia, o senza, ammontandogli la ter- 
ra attorno, si ricuopra fino all’ ultima cima; an- 
cora s' imbianca posto fra due tegoli, ammontatasi 
la terra intorno, e come sia fatto bianco, o cotto 
o crudo si mangi,così le foglie come il suo teneru- 
me e barba , condito come gli Asparagi. Piantasi 
anche svelto con le sue radici appresso le fonti, 0 
luoghi umidi, dandogli del letame; fa ancora 
ne iuoghi freddi, e ne’ caldi e negli asciutti e 
secchi 3 e quando si faccia grande la buca col 
piòlo, ingrosserà la barba. Fa parecchie -volte 
il seme, e seminato una volta sola basta per un 
pezzo. Le sue mésse avanti che dian fuore il se- 
me, ed induriscano , sono di così buon gusto come 
le fogiie. Usavano gli Antichi ( scrive Plutarco ) 
di coronare i sepolcri d° appio ; a tal che si di- 


33 
ceva in proverbio quando uno era disperato dui 
Medici, il malato aver bis.guo dell’ appio . Leg- 
gesi appresso Omero, Achille aver mescolato 
l’ appio con lo strame ai cavalli ammalati, e 
molto a proposito , perchè quando 1 cavalli per 
istare in ozio hanno mele ai piedi, niun rimedio è 
migliore che 1’ appio, lavandoli cella sua coci- 
tura tiepida. L’'appio mangiato e dopoed avan- 
ti pasto, dà buon fiato; © per questo l’usavano 
anticamente nei lupanari le meretrici. Come si 
sia, accresce grazia e sapore all’insalate ; ed in 
Genova, dove s' amano varie e delicatissime , vo- 
lendone sempre ia tavola per ravvivare l’appeti» 
to e rinvigorire il gusto, è apprezzatissimo. Fan- 
nosi grandi e belli se avendo loro scalzata la 
barba vi metterai della paglia. Si trova dell’ap- 
pio femmina e maschio; questo ha le foglie più 
piccole e men barba, e quello ha le foglie più 
dure e crespe, ha più grosso piè, e sapore più 
pungente, ed è più caldo. Trovasi dell’ appio 
chiamato Romano, il quale ha la foglia moito 
larga , dolce, e gustevole più d’ ogni altro; sene 
ritrova in quelle spaziose campague rasente l’ac- 
que stagnanti nelle vallate che visono.Spezie d’ap- 
pio è il prezzemolo , e così ancora il prezzemolo 
Macedonico . 

L° Apocino è un frutice con fusto senza ner- 
bo, che da se stesso non si sostiene, rependo 
per terra o aggraticciandosi a che trova; le sue 
foglie sono somiglianti a quelle dell’ellera sbian= 
cate e più fievoli ; s’attorce e s° avviticchia e da 
se stesso a terra s’ aggomitola ; fa buon ripieno 
nelle macchie attaccandosi con esse; ammazza 
mangiato da loro i cani le golpe e le pantere, 
dato in pani mescolato col lardo ; 8° attacca a’ ra- 
mi di modo, che facendone più parti in pezzuòli 
d° un mezzo braccio l uno, e con piòlo ficcan- 
dogli in ogni terreno non troppo nè anco lavora- 


34 

to, getta le barbe e viene innanzi. Puossi rasens= 
te a muro piantare a fare spalliere. Fa seme, 
ma nasce con difficoltà ; meglio è piantarlo stac- 
eato dal vecchio, strappandone le piante da pie- 
de. Fa certi fiori paunocchiuti belli a vedere, ma 
all’ odore cattivi. Ancora la pianta posta scenata 
fa bel vedere per la varietà. 

L’° Amaranto vince tutti gli altri fiori di bel- 
lezza, manifattura, e vivido colore ; chiamanlo i 
Franzesi Passavelluto, comecchè sia di più bell’o- 
pera e più colorito del purpureo di quello che. si 
dice Chermisi. Fu per constituzione di Alessandro 
ornata di esso la sepoltura d° Achille, e così se- 
guirono molt’ altri. Sementasi a primavera in ter- 
reno grasso, trito e crivellato , e perchè hai semi 
mioutissimi mescolasi quando si semina coll’ are- 
na spargendola con esso sopra l’ aiòle degli orti. 
Nati si diradino sì che sia mezzo braccio dall’uno 
all’altro. Sarchinsi spesso e s° annaffino secondo 
ehe vada il secco. Dà il suo fiore d’agosto, e 
d'agosto riserrato basta alì’ Autunno. Per bel- 
lezza, e vaghezza non è fior che lo superi, a tal 
che merita di perse d’ esser piantato nei testi, I 
fiori che egli fi al fin d’agosto, si posson se- 
guire a corre per tutto ottobre, nel qual tempo 
ha caro che si spesseggi a corlo, facendosi di 
man’in mano più bello, e rinascendo coi nuovi 
fiori più fitto e fondo. La sementa degli Alessan- 
drini e la migliore, ed i fiorì di questi si secca- 
no all’ uggia, e con un poco di vapore di forno 
tiepido, rivoltandogli spesso; così si mantengono 
nel lor celore , il quale ravvivano posti nel vin 
bianco, o vero in acqua E?’ fiore che non mar- 
cisce, ma non ha nè odore, nè sapore. Piantato 
e nutricato con carezze ne vasi dura un poco più 
verso il freddo, e rende eterno suo essere. Chia- 
masi volgarmente sciamito , o fior di velluto ; sec- 
co, sene fioriscon le tavole, e sene adornano sopra 
la coperta 1candidi letti. 


35 

L’ Aniso fa la pianta che cresce a foggia del 
finocchio , facendo il gambo e le ciocche a un 
modo, e quando è piccolo somiglia nella foglia il 
prezzemolo Macedonico , la quale è di sapor buo- 
no, e odorato gusto, e nelle mescolanze fa gra- 
ziosa varietà e gustevole. Desidera terra buona e 
divelta, e grassa con letame, e d° essere adac» 
quato. Seminasi in questa a primavera, e di 
Febbraio ancora, e Marzo, ricoprendolo poco; 
le sue prime foglie sono più larghe dell’ altre 
che seguono poi, le quali divengono tanto più 
minori, quanto più s' innalza il fusto, ed ii seme 
nel sapore è quasi uguale a quel di finocchio, un 
poco più cocente, e piccante, e delce. In Sorìa, 
ed in Egitto fa in quantità abbondante, come 
alcune terre fanno gran finocchio da noi. Cavasi 
della sua sementa un olio molto salutare allo sto- 
maco, e per rimedio di molti mali. Portandone 
in mano , dice Pittagora, che non l° aggiungerà 
il mal caduco, e perciò esser da seminarne assai, 
Grandissima è la sua virtù per rompere le ventu- 
sità, o vestito di zucchero, o ingnudo. Ghia- 
masi Aniso, Aneto, e Anice. 

L° Angurie sono di spezie e sapore de’ cetrio= 
li, lunghe come zucche, e sottili e torte com’esse, 
di color gialliccio pendente in bianco. Seminansi 
come i cetrioli, e si procurano come le zucche, 
ed al tempo suo in terreno grasso, adacquandole 
spesso. Hanno gran sugo, ma frigido, ed in insa- 
lata son buone. 

Gli Asparagi salvatichi, detti in latino cor= 
rudae, si possono traspiantare tolti alla foresta 
«con il lor pane di terra, senza offesa alcuna del- 
le radici conservate tutte intere nei Iuogh: dove 
sì piantano i domestichi; ma non per questo di- 
ventano troppo più grossi, se già non sl trasce- 
gliessero nei boschi della più Delia stagiore, 
E° ben tenuto che abbiano più sapore, ed arco» 


36 i 
ra più virtù nelle loro operazioni de’ domestichi, 
ma il migliore è sementarne della razza più ap- 
prezzata, o trapiantargli nati di un anno, o ve- 
ramente diradandogli lasciargli stare dove semi. 
nati si sono, sendo da molti giudicato beu fatto 
a non gli muovere dalla lor natìa sedia. Quan 
do son troppo spessi, scopransi le radici al prin» 
cipio d° Ottobre , e cavaticon diligenza, e più 
terra attaccata che si può, si traspiantino quelli 
che ne avanzano per necessità ; gli altri quivi la- 
sciati stare si custodiscano. E questo si dee fare 
ogni cinque o sei anni, sì per diradargli (che 
ne hanno di bisogno ogni tanto tempo ) come per 
levar via le guaste radici, e le fradice , e nettar 
quelle che vi rimangono, le quali s° hanno a co- 
prire l’ una per l’altra con un monticelletto di 
letame marcito, per ugual porzione con terra 
crivellata, ponendola bene intorno alle radici, 0 
così seguendo di mettervela crivellata fin al pari 
com’ era prima. E questa è la vera perchè ven- 
gano grossi senza altramente ritrapiantargli. A 
quelli che si ritrapiantano: sì dee fare il mede- 
simo, ed in ritrapiantandogli non spartir mai 
gli occhi delle radici, ma lasciargli stare insieme 
come sone, ed.ingegnarsi di ritrapiantar sempre 
di quelli che sono fitti d’occhi, e che n° hanno 
assai. Ora scelto che tu averai il seme ben fat- 
to e maturo di buona razza dei domestichi (ai 
quali si dava anticamente in Italia la. palma a 
Ravenna, oggiin tutta la Lombardia sene fanno 
grandi imprese, ed a Verona, a Parma, a Mi- 
lano quelli della Gagouola sono celebratissimi 
per grossezza e bontà ) eleggi lato di terreno 
grassissimo in piano o vallata, o’ piè di collina 
di sito di paese scoperto, ben fondato, e leta- 
minato, ben facile a lavorare, netto spugnoso e 
disciolto, divelto sotto un braccio, minutissima- 
mente tritando la terra, e preso del seme quan- 


3 
to puoi strignerne con tre diti, ( cavato dala 
rosse coccolette ) nel fondo di ciascheduna fossa 
del divelto ripieno un palmo, avendolo ancora 
prima macerato nel letame, lo metterai nei luoghi 
secchi ed asciutti; negli umidi, avendo più che 
mezza la fossa ripiena, lo porrai verso la cima 
e ciò si faccia intorno a mezzo febbraio, rico- 
prendolo tre o quattro diti con terra tutta trita 
letaminata e grassa. Ancora puoi divisi un mez- 
zo piè dall’ uno all’ altro porvi due o tre semi 
insieme come legati ed uniti sinche in quaranta 
dì in circa irrigandosi le radici di compagnia, 
ed avvolgendosi con più lor capelli crescano in- 
sieme come in un corpo. Allora il primo aspa- 
rago che vedi nascere il primo anno, rompilo fra 
le due terre, affinchè non abbia ad aver deboli 
radici, e sotto rimangano gli occhi ai ringa- 
gliarditi; i quali si mantengano per due anui 
rumpeudo tuttavia senza lasciarlo venire innanzi 
l’asparago che vi nasce sopra in questi due anni 
senza far frutto, nutricandoli con letame, e sca- 
pezzandoli spesso, e levando con mano, per te- 
nerli sotto, ogni sua mossa; gli altri anni non 
hai a corre l’asparago altramente , disveglien- 
dolo dal fondo della radice ove egli viene, af- 
finchè apra gli occhi della sua germinazione; 
perocchè non facendo così, i muzziconi sotto che 
restano all’ asparago spezzato, martoriano gli oc 
chi delle loro radiche , e quasi gli acciecano non 
lasciando dar fuore l° asparago. Resterà quella 
pianta , della quaie tu vuoi pigliare il seme, e 
dipoi presolo, appicca il fuoco a tutti, e fa ab- 
bruciare fin rasente terra ogni lor foglia, ramo, 
e fusto; ed allora vicino al verno cuoprigli tut» 
ti di buon letame e cenere. Si piavutano ancora 
cavandogli con diligenza con le lor barbe senza 
romperne alcuna io luogo appartato di buon la- 
voro, governandogli come di sopra è detto; e 


38 
dopo ventiquattro mesi si trasportino in sul di- 
velto che sia a solatìo, ben letaminato grasso, 
e bene acconcio. Fannovisi de’ solchi discosti 
l’un dali’ altro, o vero buche d’ un braccio e non 
più fonde, ove ricoperte leggermente le piante 
possan germinare con. più agevolezza. Alla pri- 
mavera avanti che comincino a spuntare, vi si 
zappi d:stramente la terra, e marreggi senza 
rompergli, guastargli o ca'!pestargli, e lo aspa- 
rago poi nato si svéglia d’in sul ceppo (come 
s'è detto ) sì che non venga fuore tutto ; e così 
seguiterai di coglierli col coltello rasente terra. 
I più belli e grossi sì lascino fare il seme, ed 
amandogli bianchi sì rinchiudano in cannelli di 
canna, e volendogli più belli e che imbianchi» 
no più presto cacciagli in un bocciòlo di piombo. 
Colti poi, ed abbruciati che sieno, si possono 
anco coprire con pacciame e pagliaccia per il 
freddo e dar loro un pugnello di colombina per 
uno un po’ discosto dal gambo fra le due terre. 
Poi di marzo alla primavera sì satollino di leta- 
me e si scuoprano aprendo loro le barbe e fru- 
gandole fra l’una e i° altra con un piòlo. Anco- 
ra io sul divelto. si possono semplicemente in 
barbatelle seminare mettendo nelle. quattro 
dita di ripieno della buca quattro o cinque semi 
per sementa ; e per il primo anno nettagli bene 
dall’ erbe, e poicustodiscigli come s' è detto, pi- 
gliando corna di castrone non castrato, e minuz- 
zandole o ponendole nel fondo della fossa spar- 
samente , e ricoprendo, e aunaffiando spesso. Scri» 
vono alcuni che corrompendosi dall’ umidezza 
della terra ne nasceranno asparagi; ed ancora 
Didimo accerta che ponendo sotto terra le inte- 
re corna di quelli acciaccate, frante e peste be- 
ne, ne sorgeranno asparagi senz’ altra sementa . 
Quando avrai colti gli asparagi ( volendone tut- 
to l’anno) apri le lor barbe, e con un paletto 


3 
di gentil legno comè è l’ alberoo il salcio, or 
nandole attorno che sono al sommo del cespu- 
glio, e nettatele e rifrugatele bene, ricuoprile 
con terra concotta s e sendo in lato che sia bene 
a solatìo, e ben letaminato con letame marcio o 
colombina disfatta, ne daranno qualche volta, 
siccome di sua natura in molti lati buoni per il 
tepore del settembre ed ottobre rifigliano . L'aspa- 
rago avendo grand’ umore in se come le canne, 
non desidera che secco, e ricusa d’ essere innaf- 
fiato. Contuttociò usando di dar loro con discre- 
zione un poco d’acqua nell’ Autunno, si farane 
no più teneri e doppj come fan da per se senz’al- 
tro nel terreno che sia grasso ed un poco umi- 
diccio ; ed il meglio sarà piantargli di fossa in 
fossa fatta in sul divelto d° un braccio, o braccio 
e mezzo, e di mano in mano che gli vasparagi 
vi si piantano, distendendo bene e non intrican- 
do insieme le lor barbe, e senza premere e mal. 
menare gli occhi riempiendo l’una fossa con l’al- 
tra, nè la colmando affatto, ma un palmo meno 
e dipoi in capo all’ anno conguagliandola al pari. 
Cavate con diligenza le piante, conviea porle in 
sul fondo della fossa che sia prima ripiena di ter- 
ra ben lavorata, sapendo che quanto più a fondo 
sì mettono, tanto più sono poi gli asparagi gros- 
sì, e con maggior copia d' occhi da farne 1n ab- 
bondauza. E prima che si mettan giù, sarà ben 
fatto cacciare in sul fondo de!la fossa assai corna 
d'animali, e sopra quelle ricoperte di terreno, 
o fra quelle piantare gli asparagi, i quali sen- 
tiranno da Joro giovamento nelle radici maute- 
nute fresche , ed aiutate a dar fuore più gagliar- 
damente tenendole asciutte e sospese dali’ acqua 
piovana, che fermandosi loro addosso infradiciauo. 
All’ ottobre carchinsi di letame ben marcio, ei 
putendosi avere, di segatura di corna da coltel- 
lina), e raschiatura diesse, e vinaccia con i suo 


ho 
‘acini in quantità. Dipoi al seguente febbraio 0 
‘marzo poni nella fossa un’ altra parte di terra cri- 
vellata sin quasi al sommo, e poi all’ottebre 
riempi il terzo del vano che vi resta, della det- 
ta segatura mescolata con terra netta, ed all’al- 
tro fbbraio gettavi tutta quella terra che sarà 
rimasta in sull’ orlo deila fossa, netta, o crivel- 
lata similmente con vaglio di fil di rame, onde 
gii asparagi possano dar sù sélli sòlli. Molti 
tengono che noù si debbano tagliare ed abbrucia- 
re prima del terzo anno, € così corgli non pri- 
ma che passato maggio, perchè tanto più sì fan 
deboli quanto più spesso si tagliano. E quando 
gli tagli, caccinsi come sì è detto di sopra ben 
sotterra in sul suo ceppo, e seguitisi poi di cu- 
stodirgli al Febbraio, col marreggiare fra loro 
l’erbe quattro diti sotto, nettandogli e metten- 
dovi del letame marcito . Ma a voler di certo due 
volte l’anno asparagi all’ ottobre ed al marzo, 
(benchè al marzo e all'aprile è cosa ordinaria 
nei luoghi temperati ) di subito alle Galende d° ot- 
tobre vi si faccia appiccar fuoco, aggiungendo 
fra gli Asparagi della loppa e della paglia iu 
quantità, acciocchè il fuoco duri più, e la terra 
‘senta tanto più il caldo , e dipei facciasi nettare 
‘e zappettaie per tutto, ed a primavera con un 
ferramento a due punte si stuzzichi la terra per- 
chè più agevolmente aggiovileradicia farsi più 
grosse , ed in quel tempo non piovendo, non sa- 
ra che bene dar loro deli’ acqua, che così germi- 
ueranno e daran fuore al sicuro ; ed ancora gli 
farai esser più grussi se quando saran fuore quat- 
tro dita, tu posi loro in capo il bocciòlo di can- 
na o piombo che si ficchi interra due diti, non 
lo rimovendo o toccando sinchè si ‘pensi sian 
fatti. Così pure diventeranno bianchi candidi di 
più bella vista, ma saranno meno saporiti che a 
lasciargli scoperti che sien verdi. Alcuna volta 


kI 

si trova asparagi di natura d° allungarsi più del 

bocciòlo e |’ alzano da terra; perciò è bene far, 
i bocciòli lunghi colla misura del maggiore aspa- 
rago che s' abbia nell’asparageto . Gli asparazi 
s'hanno a maogiare innanzi pasto, e deono es- 
ser cacciati nell’ acqua bollente, e dopo scolati 
e infarinati si traggano nella padella . 

L° Attrenlice si ficca in terra con una sola 
radice calante al basso piena di barbicole che si 
dilatano nel terreno; per tutta la primavera, e 
sin all’ autunno si può seminare, e di Dicem- 
‘ bre ancora in terra ben coltivata, e letamineta, 
ancorchè grassa di sua natura sia. Desidera d’ese 
sere largamente annaffiata ; cuoprasi il suo seme 
tostochè sia gettato in terra, cavando spesso dal- 
le radici quell’ erbe che vi nascono per dentro. 
Non gode di esser trasposto , tuttavia crescerà as- 
sai meglio semisandolo rado ; il salvatico e il do- 
mestico è tutt’ uno. Deesi tagliare continuamea- 
te, perchè non resta di rimettere. Non rifiuta 
alcun terreno, e per tutto alla fine viene alle- 
gramente. Non si semina negli orti di Toscana 
come in Lombardia copiosamente il marzo e nel 
principio d’aprile. Usasi a far torte mescolan- 
dolo con cacio, burro, ed uova; non è erba 
che più presto nasca e più tosto cresca negli 
orti, perchè in quindici dì si semina, o venti, 
nasce e si mangia; produce le foglie di fattezze 
larghe appresso al fusto, ed appuntate in cima 
a modo di saetta , grasse e piene d° umore, e di 
colore più presto giallo che verde. Il fusto, il 
quale il più delle volte rosseggia, cresce per tre 
ramicelli all’ altezza di tre o quattro gomiti, su 
per il quale nasce il seme con certi follicoli 
schiacciati simili a quelli del Nasturzio, ma di 
forma affatto maggiore. Dura buono per tatto 
maggio, ed è vana opinione e credenza che sia 
lo spiaacio ; io tengo che sia queli’ erba chia- 

6 


42 

mata bietone. Cuocesi continuamente senz'acqua 
nella padella, perchè ne fa da se assai,e si ri 
‘volta con la mestola spesso ; cotto, sene fa pal- 
le che sì strizzano forte, e poi si rifriggono nel 
butirro o sell’ olio; vi si aggiugne agresto o ace- 
to secondo i gusti, o si mangia a quel modo. 
Il Romano è di maggior foglia e dolce. 

1° Avena, detta Bromos, è vizio del grano, 
ed in essa degenera l'orzo; nè della salvafica 
e della domestica; la domestica è di granello. 
maggiore, l’ altra è minuta e. pelosetta . Gli an- 
tichi della domestica fecero pane, e massimamen- 
te in Germania, dice Plinio. È buona verde e sec- 
ca per i caval!i, ed altre bestie; le nuoce il ven- 
to e la nebbia in sul fivrire. E° buon cibo ‘per 
i cavalli 1’ estate, perchè gli rinfresca dentro; e 
dà loro nutrimento buono. Non ‘affatica troppo 
le terre, a tal che si può convenientemente se- 
minare nelle terre stracche per farle riposare e 
seminarvi poi a tempo grano. Desidera contut- 
tociò terreno grasso, e basta due volte ararlo.. 
Nel magro ancora e debole viene, sebbene in 
questi la non profitta tanto a moltiplicare. La 
farina nell’ aceto disfatta manda via i nei. Bril- 
lano alcuni l’avena, e brillata la cuocono con il 
brodo delle carni grasse, e fa buon gusto. Se la 
vena ricade , si può far pascere alle pecore come 
il grano. Credesi che segata che sia le giovi la 
pioggia, a farla ingrossare ; però lascisi in terra 
sparsa otto o dieci dì. Seminasi d’ ottobre e no- 
vembre, e di febbraio, e se sieuo terre umide 
e fredde, di marzo, nè mai nel verno, essendo 
curante come l’ orzo. | 

Jia Baciglia, Finocchio marino, Erba Corda 
detta da Columella, si semina tardìa, percioc- 
chè ella non si condisce se non quando è la ven- 
demmia , e più tardi. Nasce nei luoghi maritti- 
mi da per se, e volentieri tra le fessure delle 


3 

‘pietre scoscese della marina , e nei scogl) A, nei 
margini di fiumi grandi ove a fatica si può coni 
piedi e mano arrivare. Si fa nascer di seme a 
marzo in terra arenosa, e seminandola nei cati- 
ni, in capo a due ‘mesi nata sì trapianta in 
quella, ed anche tra le murirciole e luoghi sas- 
sosi, e per l’ istesse mura s aggrappa come i cap- 
peri. E piccola e cavata cun diligenza colle sue 
barbe, si traspone nel domestico presso i muri 
‘8 secco 0 fatti a calcina, 0 accanto a massi gran- 
di spogliati di terreno, ed ancora in aidle o pro- 
de che stiano pendenti verso il sole, ed aride, 
annoiando d’ essere adacquata ; e si condisce co- 
me i capperi nell’ aceto in vasi invetriati, ed an- 
cora nella salamoja con i gambi di finocchio, e 
nell’ agresto che sia salato bene . Trapiantata dal. 
la marina s' addomestica, e diventa più morbi- 
da facilmente; e quella che da questa nasce, 
tanto più mollifica il ventre, e giova a provocar 
l’orina. Si mantiene insalata come i capperi in- 
salati, con un suolo di essa ed uno di sale. Posta 
in un vaso di terra invetriato e secca ali’ uggia 
mantiene ed ha buon sapore nell’ aceto; fresca e 
verde aggiugue sapore all’ insalata . 

Il Bassilico, detto Ocimo dai Greci, è di tre 
fatte; uno che produce le fronde larghe, lunghe, 
e grosse, maggiori di quelle degli sciamiti, so- 
migilianti a quelle degli aranci, e de’ cedri, 
onde si chiama per l’odore Bassilico cedrato ; 
l’altro le produce assai minori di questo, ma 
maggiori dell’ altro de.la terza spezie che si chia- 
ma gentile, che cresce all’ altezza d’ un piede a 
mezzo; e posto con sue ba:be in una guastado 
d’acqua senza terra vi si conserva gran tempo 
vivendo fresco e crescendo, e facendovi i suoi 
rami el cespo in foggia di pino; dove l’altro 
s allarga con i rami nè così si rotonda. Non vuo- 
le il bassilico esser tocco cou ferro, e strappato 


44 
con le mani rinasce felicemente. Dà fuori in tre 
dì, e se spesse volte si risemini del suo seme, 
degenereraà in sermoliino e con maggiore odore, 
‘e farà fiori diversi, ma non sarà sermollino na- 
turale, ma che segli rassomiglia; e sendo semen- 
tato in luoghi caldi farà questo effetto più facil- 
mente; e seminato ch’ e’ sia, calcandosi con un - 
curro, 0 ben calpestandosi, darà fuori più pre- > 
sto e più lieto. Vuole essere adacquato con acqua ‘ 
calda , o sivvero all’ ora di mezzogiotno, che ab- - 
batte. tutte le altre erbe per il secco. E' gran 
cosa del bassilico, che }° ambra riscaldata con un 
panno che suol tirare ogni minima pagliuzza, 
assicurasi che il bassilico mon tira. Nè però è 
vero che ammaccato tra due pietre e sfracellato 
generi scorpioni, anzi vale contro al loro morso. 
Seminasi convenientemente dal principio di mag- 
gio a mezzo giugro in terra grassa e trita, ed 
in luoghi temperati, calcandogli e strignendo 
lor bene la terra addosso, perchè lasciandoglie- 
la sospesa e sollevata, facilmente il suo seme 
si guasta e eorrompe. Sono alcuni che dicono 
ch'e’ si :può seminare nell’ Autunno, e vogliono 
che seminandosi così verso il verno, sl sparg@ 
dell’ aceto sopra la sua sementa perchè dicono 
che più agevolmente nasce se infuso nell’ ace- 
to si spruzzi colle gocciole d’ esso. E semi 
nandole al tempo debito ordinariamente na- 
scerà prestissimo, adacquandolo con 1° acqua bol- 
lita, e seminando due semi insieme. Si trapian- 
ta di Maggio alto di quattro diti con piòlo, 
spuntandogli la maestra, e si dirada seminato, sì 
che sia un piede dall’un piede all’ altro. E° ben 
trasporlo su 1° argine dell’aie in capo ai solchi 
perchè goda tavto più adacquandosi della passata 
di quivi. D° Alessandria ne viene con foglie lare 
ghissime, serve nell’insalate di mescolame e dà 
loio buon sipore, e odore, essendo quest’ erba 


. 49 
odorosissima. E° in uso per la salsa e la di ec- 
cellente accompagnato e pesto con le punte de? ro- 
ghi. Ha di proprio il bassilico rompere il vento, 
mollificar lo stomaco, provocar l’orina, e fare 
alle donne venir copioso latte. 

La Buglossa, così detta perchè la sua foglia 
è maniata come la lingua del bue, nasce da per 
se per lo più nei piani, e neiterreni sabbionosi, 
ed ancora fa nei movti in terreni simili; ed in 
ambedue questi lati sene ritrova della salvatica 
e della domestica; quelia ha le foglie più scabro- 
se e pungenti, ed il fiore dipiù sottigliezza e 
minore; questa ha le foglie più morbide e deli- 
cate, ed il fiore di color più vivo con azzurro me- 
glio fatto e più gentile. Sì luna che l’altra ha 
la foglia somigliante alla lingua bovina: cosa che 
non ha la borraggine, che ha le foglie nel mezzo 
più larghe e di tutta forma da quelle della Bu- 
glossa differenti . Cogliesi la domestica di luglio 
se si trapianta negli orti do buon terreno, e rac- 
cogliendo il suo seme sen’ entra in razza semen- 
tandola di primavera. Seminasi un po’ rada, e 
sì trapianta così, perchè possa far cesto, ed apri- 
re i rami, e far fiori, i quali fanno insalata 
delicatissima, massimamente conditi con olio 
fresco di mandorle dolci; allegrano il cuore co- 
me quelli della borraggine; e gli uni e gli al» 
, Bri acconci incomposta con zucchero son lenigi- 

vi, e confortano lo stomaco. Niun fiore è dal» 
tr° erba che sì agevolmente sì colga, poi hè a 
fatica tocco con la mano esce dalla sua guaina. 
Alcuni d’ogni tempo che la ritrovano nata aila 
campagna, A agOe piccola, la trapiantano 
adacquandola negli orti. 

La Borraggine o Borrana (come volgarmene 
te si dice) è un'erba molto salutare , o sia ella 
mangiata cotta o cruda; conferisce allo s'oma- 
co, ed è lenitiva, e così sono i suoi fiori, e mase 


simamente conditi con olio di mandorle dolciì in 
insalata, e con zucchero in composta tanto più . 
Fa il suo fiore azzurro, e di quella sene ritro- 
va pure che lo fa bianco; e dicono alcuni, que- 
sta esser nuova razza, altri tengono che sia una 
sconciatura naturale causata dal difetto del nu- 
trimento, siccome avvenne di un piè di givestra 
ritrovata presso all’ Alpi che aveva i fiori can- 
didi, la qual trapiantata con gran giubbilo di chi 
la trovò, subito nel domestico ritorno a fare i 
fiori gialli, come è suo proprio e suo solito. La 
Borrana nasce da per se ordinariamente negli 
orti domestichi, ed anco per icampi, e talora, 
alla foresta ed alla campagna. Purcogliesi il suo 
seme, e si semina come l’ altre erbe nell’aidle 
degli orti a primavera, e piccola si trapianta 
l'estate, ed al fin del verno, e cosìsi fa durare 
in tutti i tempi. Ma il meglio è traspiantarla 
d’ottobre avanti che faccia il tallo da seme. Che 
se vada asciutto, s' adacqui, e d’ inveruo (amau- 
do i suoi fiori ) si cuopra con paglione nei lati a 
solatìo . 

Il Belvedere, o erba che eresce per far 
verdura (di piccolissimo seme, a guisa di 
cipresso fronzuta di rametti da terra sin’ alla 
cima con foglie sottili e lunghe e frondose come 
di gelsomino ) si semina di marzo e d’aprile 
nelle corti e cortili, ed in testi grandi in lati 
uggiosi dove poco o di rado batta il sole. Ama 
terra grassa e sostanziosa. Fa bene nei conven. 
ti delle pietre come il Bassilico e la Nicoziana, 
e quelle lo mantengono fresco e crescer lo fan- 
no a maravigiia, nè serve ad altro che a dar 
di se bella e graziosa vista, accompagnando con 
i fatti il nome ch'egli ha. Accostumasi assai 
quest erba in Terra di Roma, e per questo efe 
fetto la tengono ia somma estimazione. 

. L’ Erba, detta Buona, o Santa, desidera 


di esser piantata a solatìo in luogo umidiccio e 
grasso, 0 che si possa adacquare . E perchè Ja 
sua sementa viea tardi, è meglio piantarla di 
primavera con le sue barbe o cesti spartiti, che 
coperte sotterra, figliano come i Rosa]. Strapiau- 
tandola, si mettano le barbe bene spartite, per- 
chè avviluppate si putrefanno come letame mar- 
cio. Il terreno sia lavorato ben sotto, andatudo 
esse con le barbe benadentro. S' appicca eziau= 
dio torcendo i suoi rametti che abbiano un poco 
del vecchio , innaffiando bene di marzo e d’apri- 
le, e per tutta l'estate se vada secco . Dura po- 
sta in un luogo per tre anni, e dipoi si deono 
svegliere le sue radici, e ritrapiantare in terre- 
no ben lavorato, grasso, e copertato di letame 
marcito, di gennaio e febbraio. Si sdegna que- 
sta pianta d' esser tocca col ferro, e perciò mi- 
nuzzisi per l’insalate con mano; sene trova del» 
la salvatica che è simile alla domestica, e posta 
negli orti diventa come questa. 

Del Bietone n° è del salvatico e del dome- 
stico, del verde e del rosso, e l'uno e l’altro 
nasce da per se nel domestico lavorato e semina- 
to negli orti tra gli altri ortagg). Raccogliesi il 
seme del Gomestico quando è fatto, di settem- 
bre, e si semina a Primavera. Amano terren gras- 
so e massimamente i rossi, ma i verdi riescono 
più delicati. Vugliono esser cotti come gli spi- 
naci, ed aggiuntovi sopra ( quando son cotti e 
caldi scolati e conditi con l’ olio) buon formag- 
gio grattugiato, ed agresto, si fan più appete- 
voli, e di un gusto piccante in agretto grazio- 
so. Chi brama in essi le foglie larghe gli semi- 
ni radi sarchiandogli spesso. Sen lenitivi e grati 
allo stomaco, e più d’ogai aitra erba di facilis- 
sima. digestione . 

La Bietola è opinione che nasca in ventisei 
dì seminata quando il granato comincia a fiori- 


48 
re, e d’inverno in quaranta; e come ella abbia 
cinque foglie si può traspiantare. L° estate dee 
innaffiarsi nelle aidle degli orti piani, e l’inver- 
no dee essere traspiantata nelle prode a solatìo, 
nocendole il freddo. Traspiantandosi sele impia- 
stri la barba di litame marcin, o bovina, e si 
metta in terreno ben grasso e letamato. S° allarga 
il sùo cesto poneudovi sopra una lastra e Jascian- 
dovela stare . Ne’ paesi temperati si mantiene per 
tutte le stagioni dell’anno, e per ogni tempo può 
seminarsi, ma nei lunghi freddi diventa migliore. 
Vuole star lontana dalle cipolle, ricevendo of- 
fesa da loro. Ama d'essere spesso sarchiata e 
netta dall’erbe, e dall’un cesto all’altro due 
terzi di braccio. Il suo seme basta un anno, ed 
è migliore quello che il nuovo. Sia il terreno la- 
vorato ben sotto perchè possa ingrossar le radici, 
così la bianca come la nera, sendo ambedue buo- 
nea mangiarle cotte e condite come |° insalata 
ordinaria. Quella di Genova e di Napoli che fa le 
costole più grosse, e si cuoce col cavolo , è miglio- 
re. Scrivono che le foglie del cavolo nella botte 
di vino lo guastano, e che postovi quelle della 
bietola torna ad esser buono, e che ie bianche 
solveno il ventre, e le nere l’astringono. La 
radice dell’ una e dell’ altra secca in forno o al 
sole polverizzata,, e messa nel vino, subito l’ina» 
cetisce, e cotta sotto la brace e mangiata leva 
in tutto il sito cattivo dell’aglio. La cocitura 
delle bietole , così delle foglie come delle radici, 
lavandosi la testa, leva via le léndini, e la for- 
fora, ed il lor succhio manda via il dolore antico 
dei capo, e le vertigini, e provoca l’orina. E° più 
astersiva e digestiva la bianca che Ja nera, che 
ha {come s'e detto) dell’astringeote, e più 
nelle barbe che altrove . La bietola bianca cotta 
e mangiata con aglio crudo vale ai vermi del 
corpo , ed è in tntto, e per tutto erba utilissi- 


49 


ma e comoda per le torte e raviòli minuti, è 
er dar colore alle frittate, e sapore più grato, 
infondendo negli uovi sbattuti il suo succhio, 
E° venuta di Germania una terza spezie di Bie- 
tole, la quale ha le foglie rossicce e similmente 
la barba, la quale ingrossa oltre misura , e s'al- 
lunga sotto il terreno un braccio e più, e taglia- 
ta somiglia le carote rosse; convien rinnovare 
ognianno il seme, il quale si pone iu terra gras- 
sa di buon fondo, e letamata bene. IDivégliesi 
così fatto terreno un braccio e mezzo sotto tri- 
tandolo e minuzzandolo bene, dipoi di braccio 
in braccio si fa un gran féro con un palo di le- 
gno sodo o ferro in giù un braccio, e’l pertu- 
so si riempie di terriccio disfatto nero, e nel 
mezzo si pongono tre grani del suo seme, lon- 
tani un dito l’ uno dall’ altro, e dei nati sene 
lascia venire innanzi un solo, sarchiando ed adac- 
quando se occorra, e nettando l’altr’ erbe, e 
ciò si fa all’aprile, e cotta e condita come le 
carote fa un’ insalata eccellentissima , e tanto più, 
cotta in una pentola riboccata con fuscelli sullo 
spazio. del forno. 
Il Bulbo degli orti domestico dalle Calende 
di novembre sin a febbraio di terreno trito e ben 
lavorato dove si semina, si pianta nelle aidle 
fattivi 1 solchi, rincalzandogli e riempiendogli 
acconciamente, e mettendo a ciascheduno una la- 
struccia 0 coccio sotto acciò si faccian le radici 
maggiori perchè col seme parte ne nasce ll pri- 
mo anno, e parte il secondo. Ama terra grassa 
letamata. Del Bulbo scrive così il Mattiolo : Non 
manca chi crede che le nostre scalogne volgari, 
o veramente cipolle fissili, le quali noi in To- 
scana chiamiamo cipolle maligie, fossero i bulbi 
degli anti.hi; ma si conosce l’error di costoro 
per quello che scrive Teofrasto, il quale e delle 
scalogne e delle cipolle fissili scrisse fra le spezie 


7 


5ò 

delle cipolle e non tra le spezie de’ bulbi. Scris- 
se de’ bulbi Galeno, e sopra questo scrisse : che 
tanto i bulbi che si mangiano nei cibi, quanto 
quelli che mangiati eecitano il vòmito, fossero no» 
tissimi agli antichi, si può agevolmente conosce- 
re per non iscrivere Dioscoride come essi si fosser 
fatti; il che dimostra che ciascheduno gli cono- 
scesse. Ma ciò non interviene a noi, perciocchè 
per esserne perso l’uso del mangiargli ne sono di 
tal sorta incogniti che veruto finora ho potuto 
ritrovare che veramente me gli dimostri. Finquì 
il Mattiolo. Io per contra cavalcando per laPol- 
lonia vi ritrovai universale il bulbo commestibi- 
le, il quale è un poco minore d’ unaglio ordinario 
che non fa spicchj , rossetto di fuori, aguzzo ver- 
so le foglie simili a quelle delle cipollette sal- 
vatiche che fanno peri campi( dette cipollini ) di 
sapore eccellente, e si mangia cotto e erudo in 
iosalata. E questo crederò che sia il bulbo degli 
antichi, quel commestibile. Il vomitorio è per 
certo d’ altra fatta, ma questo eccita | appetito 
di Venere fortificando il coito, siccome quello 
degli antichi, i quali per questa cagione wolen= 
tieri sene satollavano, come testifica Marziale 
in questi due versi citati da lui in questo af- 
fare : 


Cum sit anus coniux, cum sint tibi mortua membra, 
Nil altud bulbis quam satur esse potes. 
Ed Ovidio fa menzione del fitto loro: 
Daunius an Libycis Bulbus tibi missus aboris, 
An veniat Megaris, noxius omnis erit. 


. Fa un seme nero somigliante delle nostre ci- 
polle. Dilettasi di lnoghi umidicc} ed acquidri- 
posi, e quivi da per se prodotto dalla natura 
alle volte si ritrova. E così di quivi traspiantato 
nel domestico degli vrtì alligna bene ; e serve per 


31 
insalata delicatissima, non mescolandolo con al- 
cuna altra erba. Usando in quel paese quasi d’ogni 
tempo , seminasi al fin di primavera (quando 

«son mancate le nevi, e resta il terreno scoperto ) 

» alla foggia che si seminano i nostri cipollini un 
poco radetti, volendo lasciargli stare a dove si 
seminano; e volendo trasporgli si seminan fitti, 
quiodi si diradino e si traspongano . 

Il Bonlando trovo essere ua arbore di gran- 
dezza e vaghezza assai bello a vedere, che pian- 
tato in un vaso comodo pieno di terra grassa e 
letame affinchè per questo nutrimento potesse me- - 
glio mantenere gl’innesti, aveva tre rami, nell’uno 
de’ quali era innestata una vite, che faceva l’uva 
senza vinacciuòli, di più colori, medicinale, di 
buon sapore, e lassativa del corpo; il secondo 
annestato di pesco, e nocepesco, che produceva 
questo frutto senza noccioli, e se alcuno ven’era 
con essi, era dolce come di mandorle ; il terzo 
faceva le ciriege senza nocciolo agre e dolci; fa- 
ceva ancora certi pomi come dorati con le scorze 
di color d’oro vestiti di fronde. Ifintti suoi 
erano d’una grandezza stupenda , e che nell’in- 
vernata venivan più dolci e odoriferi; fruttificava 
fuor del tempo debito di tutti gli altri frutti, 
é gli conservava dando frutto d’ogni tempo e 
ritenendo sopra di se i fiori, ora avendone de- 
gli allegati, ora de’ tardi, ora in essere, e da 
fare, ed ora maturi. 

La Busnaga è un’ erba simile di fusto al finoc- 
chio con foglie simili alla cicuta che fa una cioce 
ca cou molti gambetti e fiori in cima, che son 
buoni a nettarsi i denti, secondo il proverbio 
Spagnolo, allusivo a siffatta operazione : o bu- 
snaga , o oro, 0 nada: Busnaga,yor, y nada. 
Fa ne’ campi sterili ed anco in quelli di pianure 
che partecipano d° umidità . 

La Balsamina è una pianta simile a una pic- 


52 

colissima vite e di foglie e d’attaccature di no- 
delletti; produce assai e lunghi sarmenti, con i 
‘quali si va ella avvolsendo ed avviticcchiando a 
ciò ch’ ella trova, o pergola o sermenti o gra- 
ticc] o altri telaj fattile sotto, e. s° ingegna di° 
ricoprire ed empire ogni cosa arrampandosi con 
i suoi viticc] simili ancor essi a quelli delle viti 
ordinarie, e rivestirà ancora frutici o arboscello 
che le sia al piede; e se sia seccoda poter pa- 
droneggiarlo meglio, lo rianda tutto e Io ricuo- 
‘pre. Il suo fiore è somigliante a quello dei coco-. 
meri di color pallidiccio, dal quale cascato si ge- 
nera il frutto simile di figura a una Goloquinti 
da ronchiosa, avendo sopra di se certe bolle pon- 
tate ruvide sopra la scorza rilevate a modo di spi- 
ne. E° questo frutto, avanti che si maturi, ver- 
de; maturo, è rosso. Apresi e crepa in più pezzi 
da se cascandone il seme che è simile a quello 
delle Angurie. La Balsamina non nasce che se- 
minata in Italia, e si sementa all’aprile nei testi 
o muriccie di terriccio buono, ricoprendola poco 
di terra di sopra. Desidera d° essere con discri= 
zione adacquata ; usasi seminarla a piè del verno. 
Del suo frutto si spreme olio ottimo per le ferite, 
e vale aidolori del parto , ed all’ emorroide mi- 
rabilmente . 

Ii Calamo è spezie di canna, ma così sotti- 
le piccolo, e sodo, che serve per penne da scri= 
vere, e massimamente greco. Il Bolognese in 
Italia è il più furte e sodo, che nasce nelle ripe 
del Reno, ma ordinariamente dà fuori nei laghi, 
paotani, paduli, e luoghi acquidrinosi; i sodi e 
duri che han poco véto, servono per tirare con 
gli archi: traspiantandone nei truogoli grandi 
d’acqua stagnante vi si alligoeranno , e talvolta 
da per se stessi vi nasceranno. Fanno nei campi 
um?di certi «aleggioli che sono minutissimé can 
nuzze che nascono a cespuglj, le quaii fanno gra- 


53 

vi danni alla terra, e non son buone a cosa che 
sia, e conviene estirparle e sradicarle. 1] Cala- 
mo odorato nasce in India, e nella Giudea in 
«luogo proprio, e rende l’ aere odorifero nelle val- 
late del Monte Libano dette Giulie. lu Sorìa 
nasce senza odore, nè l’ uno, nè l’altro s'alligna 
in questi paesi, e nemmeno ( dice il Mattiolo) 
col suo trasporlo. Un altra sorta di calami sativi 
che son certe cannuccie nasce nei laghi, e luo- 
ghi paludosi buona a far graticc] per tenervi su 
i bachi della seta. Gli altri ancora si possono 
adoperare al medesimo, ed altri usi di casa, se 
non ch'altro per abbruciare , 

La Canna vien descritta di cinque sorte di 
Dioscoride , tuttochè Plinio scriva trovarsene ven- 
ti in ventinove; ma quelle di che preteado trat- 
tar io peri servigj dell’ Agricoltura, sono di due; 
grosse e sottili, e queste sono le canne comuni 
ed ordinarie, le quali si fanno grosse ne’ terre- 
ni buoni che s° addicono loro, € nei cattivi di- 
vengono sottili; ed ancora negli uni e negli al- 
tri piantate. Stauno ben poste nel fondo dell’aie. 
da piè d’esse nel più umido e fresco lato che vi 
sia, e nel più grasso ed acquidrinoso, che que- 
sto desiderano . Perciò si dilettano delle vallate 
delle colline buone, e delle pianure grasse a piè 
delle coste e monti, non si curando nè anco 
troppo del sole. Ed hanno tanta conformita ed 
amicizia con gli asparagi massimamente salvati- 
chi, che semìinati nei canneti maravigliosamente 
vi allignano. Per contra scrive Piinio esser la 
felce e le canne in tanto mortale inimicizia che 
se legando appresso a vomere (quando sì ricom- 
pone i canneti ) de’ pezzi di canne, vi si distrug- 
ge finalmente le felci. Scrivono alcuni che le 
canne in India vi siano di tanto stupenda gran- 
dezza, che tagliate da nodello a snodello, col 
cannone di esse si fa una barchetta capace di 


54 
tener dentro a barcheggiare, e pescare tre per- 
sone. E ne’ nostri paesi sene sono veduti organi 
assai grandi. Amala canna il terreno un poco 
più dilavato e non schietta arena, anzi del tut- 
to umido e non secco, in lato pendente, 0 a più. 
de’ monti. E si pianta coni suoi occhi spiccatì l'un 
dall’ altro interi, e posti lontani tra loro due pie- 
di o due e mezzo, ed.ancora posti a giacere nel 
fondo del solco sopra i divelti a dentro d’ un 
braccio e mezzo con gli occhi, sì che la canna 
tocchi al fine de’ suoi cannelli, e coperta tutta 
non troppo sotto quattro diti ed anche più, ec- 
cettochè la cima che si ha a lasciar fuori , per- 
chè altramente marcirebbe. Metterà di quivi tan- 
te canne, ma più avvenenti, e si pianta ancora 
a pezzi tagliati di tre occhi l'uno, si che i due 
vadan sotto terra, e il terzo stia rasente il terre- 
no un poco a traverso, mettendol però di sopra 
che la brinata non lo danneggi. Rifassi il canne- 
to dappresso di se medesimo, sbarbicando il vec- 
chio ed in altro nuovo terreno ripiantandolo, per- 
chè quel tagiiarlo diradarlo sbarbarlo e strap» 
parlo quando son lunghe le canne è un lavoro 
fatto al buio, non apparendo in. terra quello che 
sia da levare o da lasciare. Che se però s ha a 
fare cotesta opera è bene che sia fatta avanti che 
levino le canne, perchè scoprendo e veggendo 
sarà indizio il di fuori di che s' abbia a levare 
di dentro. Il tempo di piantare le canne e di ri- 
trapiantarle € avanti che gii occhi comincino a 
muovere, che suol essere avanti alle Calende di 
marzo. Crescono sino alla bruma, e finiscono 
come cominciano a esser dure, ed allora che è 
a mezzo dicembre, verso gennaio s' hanno a ta- 
gliare fra terra con ferro affilato, destramente 
senza offendere le parti che. vi rimangono , che 
così sì aiuteranno a rimettere, Governansi le 
caune da prima per i primi tre. anni, zappan- 


55 
dole un poco più spesso, e tenendole ben nette 
dall’ erbe, è allora è da zappare il canneto 
quando sì zappan vigne. Desiderano grasso le- 
tame ben marcito, o cenere; e quando sono i 
canneti fatti e cresciuti a dovere, e sonò la se- 
conda o terza volta zappati o vangati, non sarà 
male seminarvi la prima volta almeno vena o per 
raccolta secca , o segar fresca. Le canne fan 
meglio nel terreno resoluto che nel denso, nel fre- 
sco che nel secco, nelle valli che ne’ pendii, 
nelle valli de’ piani e a’ confini di esse e de’ campi, 
e nelli sproni anzichè nel mezzo di loro e all’a- 
perto. Crescon bene per i vènti e giovan loro. 
Deono piantarsi a luna crescente, e tagliarsi alla 
scema. Son buone a palar le viti, più secche che 
verdi. Tagliato il canneto, l’appiccarvi fuoco ed 
aggiugnervi del pacciame, e delia robaccia as- 
sai, e facendo abbruciar tutto, è cosa molto 
utile. L'acqua della cocitura delle barbe delle 
canne (ogni dì lavando la coda ai cavalli che 
l’avesser corta ) fa crescer loro le setole a ma- 
raviglia, e similmente la barba e capelli deli’ uo> 
mo, frequentando di bagnarsi con essa. Scrivono 
che le serpi una sol volta percosse con la canna 
si sbalordiscono , e la seconda e la terza percos- 
sa le fa ritornare in se e le conferma. 

La Cannaméie è quella che fi lo zucchero, 
il quale gli antichi raccoglievano da questa me- 
desima Cannaméie, della quale oggi sì fa il noe 
stro zucchero, e non si tagilando ogni anno co- 
me si fa ora, venivano a esser più pregne di 
queli’ umore, il qual soprabbondando in loro, da 
per se stesse lo stillavano fuori, e le genti da 
quelle lo ragunavano ; e non è lo zucchero degli 
antichi di razza di manna, come moltì credono, 
ma veramente come gomma che stillava da quel. 
le istesse medesime canne, che come ho detto 
Gannaméle s’addomandano, Adunque è da cre- 


56 

dere che non avessero la regola artificiale di 
spremerlo da quelle, ma si servissero di quel po- 
co, comecchè essendone assai minor quantità , 
era più in pregio. S'è trovato dipoi il modo di 
farlo che è questo: Tagliansi le canneméle in 
pezzi minuti lunghi un dito, e spremuto il liquo- 
te che v'è dentro, cacciandole in gabbie forti 
sotto il torchio che serri gagliardo, si cuoce quel 
liquore, qual poi posto in certe piramidi di le- 
guo tessute a rovescio ( quando son piene) si fa . 
congelare ponendovi sopra due diti di ghiaia, e 
ricotto di nuovo si fa lo zucchero di due cotte 
e di tre; e rafinato tauto più al fuoco, si fa il 
candito, e di quello di tre si fa lo zucchero 
rosato, ponendovi per ogni oncia di rose rosse 
quattro di zucchero. Sono Je Canneméle simili 
ai sagginali ed ogni anno tagliate in pezzi di un 
palmo si seccano in terra grassa ben lavorata con 
l’aratro, e si rinnuovano. Sono coltivate comu- 
nemente in Sicilia, in Candia, in Cipri, in Cala- 
bria, Puglia, San Domingo, in India. Ama- 
no luogo caldo, e traspiantate ai solatii vivon 
qualche tempo, difese dal freddo . v 

La Canapa ancor essa si semina acconcia- 
mente nel fondo degli orti, nel più grasso d’essi, 
e nei bassi dei campi dove secoli il grassume del- 
le terre, a piè delle buone colline, ove abbon- 
di umidità e grassezza, sebbene ancora in pog- 
gio , e nei lati magri alcuai usano di seminarla, 
ma fa più minuta e sottile, men grande e con 
‘manco profitto. Il suo seme primamente nacque 
nel salvatico , di dove cavato s° addomesticò . 
N° è della femmina e del maschio; questo fa 
senza fiore, ha il seme olioso, e di var] colori; 
la femmina fa il fiore bianco ed in quantità, e 
produce assai seme , il quale e dell’ una e dell’al- 
tro opera nelle galline il contrario di quello che 
ne scrive Dioscoride. Imperciocchè negli uomi- 


57 
ni spegne e rovina la virtù del generare, ed iu 


quelle ( dato loro a beccare ) aumenta il generare 
dell’ uova, sendochè quelle galline che sene sa- 
ziano l'inverno, ne fanno abbondantissimamente . 
E la decozione di canape che sia fatta con la 


debita espressione, gettata in terra ove sieno 


lombrichi terrestri nei buchi loro, subito gli fa 
uscir fuora, e così gli cavano i pescatori per 
porre in cima agli ami. Mangiato dall’ uomo si 
digerisce male, è contrario allo stomaco ed alla 
testa, risolve le ventosità e disecca. Sono al- 
cuni che doppo pasto l’ usano ‘mangiare abbru- 
stolato e pesto per poter più avidamente bere; 
scalda fortemente e rasciuga, onde si genera dal 
suo mangiarlo la sete. Il seme della canapa quau» 
do si vuol cavar fuori stia primamente coperto 
con strame e pietre, o altri pesi per seio otto dì. 
Dipoi levando questo aggravio si ponga sotto 
qualche stuoia o panno lano, e battuto legger- 
mente alquanto, o serollato cascherà facilmen- 
te. La canapa salvatica nasce nelle selve da per 
se, facendo le bacchette in foggia del Maivalischio 
un poco più nere , più aspre e minori, dell’ al- 
tezza di un cubito spogliate di foglie. Fa 
i fiori un poco rossiccj, e 1 seme e la radice 
è simile al malvalischio. Il succhio cavato di que- 
sta, come della domestica ammazza i vermi che 
fossero dentro all'orecchio, e ciò che dentro vi 
fosse entrato manda di fuori, e tanta forza ha 
questo succhio che infuso nell’ acqua la fa rap- 
pigliare, e però sovviene alla sorcorrenza delle 
bestie. S°iustilla ancora ai dolori degli orecchj 
un poco scaldato . La canapa salvatica posta in 
macero, ed assettata come si fa la domestica, fa 
ancora essa saldissime funi. La domestica ( come 
s'è detto) amala terra» grassa e letamata bene, 
ed ancora in lato che si possa bene adacquare, o 
terreni che sieno per lor natura umidi ;-ed in tut- 
8 


” 


58 
ti i paesi sì dee osservare di porre quella sola» 
mente che si sappia per ordinario ch’ella vi fa 
bene. La cavape e propria in Italia della Lombar- 
dia, e del Bolognese, dove sene trae grandissimo 
provento ; 3 fa bene ancora nei lati freddi, e nelle 
stesse Aipi più che nei caldi. In quei si semina 
di febbraio, in questi da mezzo marzo in là, e 
sin’ a mezzo aprile. Desidera il luogo dove ella 
si semina d°’ esser divelto‘sotto a due puntate di 
vanga ed essere continuato ed avvezzo a seminar- 
visi canapa, amando ella tuttavia d’esser semen- 
tata l’una volta dove l’altra, perciocchè in que- 
sta maniera ne produrrà sempre più e migliore; 
ma quando si getta giù il suo seme acconcio sì, 
che sia un piede in quadro dall'uno all’ altro, 
convien dar letame marcio in quantità , ed il ter- 
reno in lavorandosi vuol’ essere minuzzato e tri- 
to. E volendo farne impresa grande, sì può rom- 
pere con i buoi quel luogo dove s ° ha a semina» 
te, che sia a proposito innanzi al verno, e pas- 
sato gennaio s'intraversi, e con l’erpice si spiani 


diligentemente , e poi all’ ultimo di marzo a luna. 


crescente, avendovi messo di molto litame stagio- 


nate , si dirizzi le tre volte minuto, ed accanto . 


si semini, gittando la sementa non troppo fonda 
sul terreno che sia, fuor di modo grasso, e rico- 
prendo bene, perchè nascera fonda, e cresciu- 
ta ch’ella sia, è di molta fortezza per funi, cana- 
pi, e tele grosse. Ma volendola per panni lini 


di più delicatezza (benchè non sostengano d’ es- 


ser molto spesso imbucatati; facendo “il bucato 
ai panni quello che le medicine ai corpi umani, 
li quali. esse purgano, ma gl’invecchiano; e così 
quelle s imbiancano, ma si consumano ) sI se- 
mini io terra leggiera, e non così grassa, fitto , 
fondo e spesso. 

La Cetronella, o Citraggine è un’ erba mol- 
to odorata che nasce da per se alla campagna 


Mt SO 


8 
ne’ ciglioni delle fosse, e per le selve, basa di 
te la domestica, e la salvatica, la quale ha Di: 
foglia somigliantissima di fazione s ma ruvida, 

di cattivissimo odore. Quella è amata dalle “pa 
chie, e ne traggono méle delicatissimo , e perciò 
è bene piantarne intorno alle lor cassette, massi- 
mamente perchè la si mantiene tutta l' inverna- 
ta fresca e verde ne’ luoghi tiepidi e temperati i 
Ama grasso il terreno, e sebben fa seme è me- 
«glio con la sua piatta ‘di terra cavata in sù la 
vanga metterla negli orti domestichi a solatiò , 
tenendola ben netta dall’ altre erbe. E per ovvia- 


re a questo piantisi fonda sì, che l’una pianta ___ 


tocchi quasi l'altra, e colgasi a foglia per fo- 
glia, o si scapezzino le sue cime, perchè queste 
e quelle di corto rimetreranno . S° addomanda da al- 
cuni Melissa, ed il suo odore è simile a quel- 
lo del cedro. Deesene far procaccio sì per aggiu- 
gner grazia all’iosalate di mescolanza, sì an- 
cora per potere strofinare con essa le cassette 
delle pecchie, perchè le vi stieno volentieri, e 
non si spergano, amando elle -volentieri quest’ er- 
ba. E Palladio dice che strofinandosi la mano 
col succhio d’essa, la si può francamente intro- 
dur dentro fra loro a cercare dei fuchi che le 
danneggiano. E° pianta ocorifera e delicata, € 
l'odore d° essa si sente più, cogliendo l’ ultima 
cima. Ha mirabilissima proprietà di rallegrare il 
cuore, confacendosi molto alla sua qualità. “ 

Lia Cicerbita è di due fatte, domestica e 
salvatica; questa ka le foglie più aguzze, e che 
pungono, e più grosse e ruvide; quella l’ ha più 
delicate € geutili, e non punto pungenti; 3 ha mol- 
to latte, e tenera si mangia nell’insalate cone 
dita da per se, e mescolata con l’altre erbe, 
E poi aucora medicinale, provocando l’orina, € 
correggendo il puzzore del fiato a chi ne patie 
sce; mangiandola. La radice della cicerbita e le 


60 


foglie vagliono assai contro ai morsi dello scor- 


pione, rinfrescano non meno che la lattuga, e co- o 


me questa generan sangue non molto buono, I 
suoi grumoli teneri conditi con zucchero in con- 
serva son molto grati al gusto, e nelle febbri ar- 


denti, come quelli della lattuga, estinguon la se- 


te. Fa seme, ma è meglio assai sbarbarla con 
la sua barba intera e traspiantarla nel basso de' 
solchi degli orti al settembre ed ottobre, e quan- 
do ella sia cresciuta e multiplicata di foglie, ti- 
ratole addosso l’ argine del solco, si procurerà 
(ricoperta con quello ) di farla bianca, più dol- 
ce, e più tenera, il che si farà ancora nel me- 
desimo tempo, o più tardi, sbarbandola e riponen- 
«dola in cantina, scapezzata dalle sue foglie, rico- 
perta nell'arena, e piantatavi dentro; farà an- 
cora l’ istesso effetto sotterrandola nella loppa di 
grano che alquanto marcisca , e sotto if letame più 
presto. Ma nelle cantine asciutte diventerà più 
bella siccome fa il radicchio. 

Il Gece è di natura d’ ammazzare tutte 1° er- 
be cattive che gli’ nascon d’ attorno, e fuor di 
tutti gli altri legumi quando sia il suo granello 


guasto 0 Curno non vi si ingenera dentro al- 


cuuo animale, siccome nel pisello ed altri. Ab- 
brucia assai il terreno come il lino, e sebben 
fa in tutta la terra magra, non disama la grassa, 
ma in questa darà sempre più fiori che frutti; 
squali egli è solito mantenere un pezzo, e tosto 


lasciatigli ingenera presto il frutto, e presto lo 


condue a perfezione . Deonsi tutte le sorte di 
cecì il dì innanzi che sì semivino tener nell’ ac- 
qua. I ceci riposti nei grana) non fanno farfal- 
liui, nè generano animale di sorta alcuna che gli 
possa offendere; nettati spesso, e scossi dalla 
polvere durano iu lato asciutto, tempo assai . Sono 
.i cecì graudemente geverativi della umana geni- 
tura, per il che per essere molto ventosi stimo- 


fs 9 e I 


GL 
lan l’appetito venereo; e per quello e per que- 
sto è cusa utile darne a mangiare assai agli stal- 
loni il giorno innanzi, o la mattina innanzi il 
giorno che abbiano a ire alla monta. A!cuni 
gli danno loro la sera dinanzi, ed hanno opinio- 
ne che macinati in polvere, o agciaccati nel 
mosttaio con pestello di ferro faccian più operar 
zione. Il brodo de ceci, massimamente de? rossi 
la mattina a digiuno è molto sano, € giova agli 
attempati, provoca loro |’ orina, giovando assai 
a chi patisce di renella. I ceci rifritti nella pa- 
della perdono la forza dell’ enfiagione, ma di- 
ventano più duri a digerirsi, generando nutri- 
mento più grosso, ed assai più ristrigneudo . I 
ceci si mangiano freschi e teneri, ma sono più 
enfiativi; la cocitura delle sue foglie vieta tutti 
i mali che posson venire ai piedi, lavandoseli con 
essa. Niun granello di altro legume è più a 
proposito, o meglio si può ne’ rottorj accomoda- 
re. Ridotti i ceci in farina bene stacciata con 
aggiungervi t6rli d’ uova stemperati con butirro, 
o olio, fan torta gustevole. E° una sorta di ceci 
detti Arietini, perchè hanno similitudine con la 
testa de montovi, «he si posson seminare tutto 
il mese di marzo, mentre sta per piovere, o che 
vada il tempo umidiccio, in lato grassissimo, an- 
corachè questo offenda ed immagrisca. Questo 
cece arietino crederei io che fosse di quelli che i 
volgari chiamano galletti, i quali fanno un gu- 
scio molto grande, e quello riempiono con un 
gran cece solo, ma più grosso, e sfoggiato degli 
altri; ma il sapore è della medesima qualità che 
tutti. Nulladimeno i rossi ed i neri s° hanno più 
saporiti che non i biavchi. Ora tutte le sorte di ce- 
ci s' hanno a trascerre per la sementa, ed e bene 
 seminargli di maggio, o alla fine d° aprile; che 
basta che l’acqua non gli dilgvi quando soo gran- 
di. Deonsi scerre per seminare ceci grossi, ben 


62 
fatti e sani; sia il luogo asciutto , alto, penden- 
te, e libero da ogni umore, sì che la pioggia 
non vi si fermi, amando eglino il secco el’ as- 
ciutto, ed andando pioggie non multiplican mol 
to. Deonsi seminar radi un palmo e più dall’ un 
piede all’ altro, e quanto sarà il terreno più a 
dentro, faranno. miglior pruova. E se andasse as- 
ciutto al nascere, si possono adacquare, e ‘così 
da piccoli, bastando che sieno in fiori. Seminansi 


col piuolo in giù quattro dita, 0 a solca, foa-. 


diil medesimo. Non si sarchino, ma si nettino 
dali’ erbe quando è la terra asciutta , € rincalzin» 
sì anchs di terra con porla al lor cesto avanti 
che comincino a fiorire. S' hanno a corre ben 
stagionati e secchi nei fin di luna scema, e si. 
conservano lungo, tempo senza offesa di punzecchj, 
( de quali soli tra legumi non patiscono ) in lato 
asciutto, nei coppi che abbiano fenuto olio, 
9 strofinati di morchia quelli che s° hanno a maa- 
giares deesi tenere in riposo la terra dove sì 
son fatti 1 ceci, per un anno; e volendo risemi» 
narvegli s' aiuti col letame. Le donne mestrua- 
te gli "fanno svanire quando sono in fiore; e se- 
minati fra gli altri iegumi gli difendon da’ pun- 
zecch) ed altri bachi. Sono dei ceci bianchi, ne- 
ri, e rossi; questi son più sani dei neri, e di 
questi i piccoli detti Averni giovano a romper la 
pietra, beuto il lor brodo , Sono ancora i ceci det- 
ti galletti, che ne fanno un solo per baccello. 
Cotto] si fanno tutti i ceci con la cenerata , con 
i gambi secchi di porcellana, e con la gruma di 
botte. Mangiati a mezzo pasto sono più utili che 
da prima. Sono ancora i detti ceci in India. 
Provocan Il’ orina, e la loro infusione ( cioè di- 
sfatti con il lor brodo) beuta che sia, fa ri- 
sentire la venere, ed aumenta lo sperma. 


La Ciceschia si semina ne ‘luoghi. caldi di. 


novembre .e di geonaio, nei temperati di feb- 


sd ae 


63 
braio e marzo, nei freddi più tardi. Si può se- 
minare in terra soda come la fava, dipol arare 
. ed assolcare. Brama il medesimo terreno che il 
cece, e d° esser sarchiata; ma nel terreno la- 
vorato prima che sia riandato due volte con l° a- 
ratro, fa meglio. Deesi seminare in gi: nata che 
non sia fredda perchè può malvolentieri patirlo; 
perciò nei lati freddi farà meglio seminarla quan- 
do i morì gonfiano al fin dì marzo, o principio 
d° aprile a luna cresceute. La farina di questa 
è buona a far pane, massimamente mescolata con 
quella di miglio e fave. Usasi in cibo come i 
piselli, e perchè ella resta offesa dai vermicelli 
della fava, è bene cavarla a luna vecchia con 
farla ben seccare. Fa bene in lati asciutti di 
terre leggiere in costa di mooti, sì che l’ acqua 
non possa noiarla. E mescolata prima per quat- 
tro dì con letame secco di buoi, e poi seminata 
profitterà meglio. Deonsi le cicerchie riseccar 
bene al sole, poi raffreddate riporle nei grana], 
ma si conservano più tempo assai ridotte in fa- 
rina. Bastano ancora assai serrate nei vasi dove 
sia stato dell’olio. E buon cibo per gli anima» 
li, ed ir torte non riescon male; intere son du- 
re a digerire, cotte son come i ceci o piselli; 
e sendo poco cotte, cocendole con un vetro den- 
tro alla pentola, inteneriranno. E° opinione che 
le cicerchie mangiate generino le traveggole, 
che tanto è a dire come veder lun due. 

La Gicerbita, così la bianca come la nera, 
e rossigna si traspianta dalle vigne, e campi la- 
vorati dove ella naturalmente nasce ( cavando- 
la con la sua barba, la quale si spunta con le 
dita ) nei luoghi grassi degli orti alla primavera, 
€ per tutta l’ estate innaffiandola d’ugni mese 
nell’ainole ben lavorate, ed anco raccolto il suo 
seme vi si semina all’aprile, e nata si dirada 
perchè la si possa più agevolmente sarchiare ; 


6h 

cresciuta in cesti grandi si lega come l’ Endivia 
e si stravolge in terra a giacere, ricoprendola 
con altra terra, e così si fa bianca e più tenera. 
Ancora piantata nel terreno posto nelle cantine, 
o all’ uggia nelle stanze terrene del primo pia- 
no, copertata di arena senza legarla s'imbianca . 
€ serve per ottima insalata nell’ invernata, nel 
qual tempo, temendo ella il freddo, alla cam- 
pagna non sene trova, e negli orti se non si 
ben cuopre, non campa. Ancora sbarbata e 
con la pura rena ricoperta s' imbianca nei luo- 
ghi umidi, ed imbiancata diventa assai più de- 
licata, e di gusto migliore, massimamente con- 
dita in insalata con buono aceto e olio fresco di 
mandorle dolci. Ha virtù di rinfrescare, e si cre- 
de che il suo succhio sovvenga per rimedio a 
chi avesse bevuto il sangue del toro. Cresce il 
latte alle donne, siccome ella è piena di lat- 
tificcio . Questa” è quell’ erba detta dai Latini 
Sonchus . 

La Coloquintida, o (come si domanda) il 
Cocomero salvatico o la zucca, ha lefoglie in- 
tagliuzzate e fa i poponi come zucchette roton- 
de, aguzze verso l'attaccamento del gambo, di 
colore per un pezzo da prima verde, poi matu- 
re che siano, pendente in giallo scuro, e sode 
e dure come di legno. La sua natura è d’an- 
dar terragnola come °l cocomero con i suoi vi- 
ticcj e nodelli nel gambo, ma non è per questo 
che guidata sopra le pergole di canna, o di te- 
laio di legname non visi distenda e vi si condu- 
ca volentieri sopra, facendo bella presenza e ve- 
dere . Seminasi quando le zucche e al modo loro, 
«e rende com’ esse il sno seme, E° amarissima più 
assai dell’assenzio, e tagligndo altre cose col 
coltello che abbia tagliata la coloquintida , l’ina- 
marisce di modo, che non sì pesson mangiare; 
è solutiva medicinale. 


65 

Il Cocomero salvatico nasce per tutto, e di 
seme, e traspiantato nell’o:to, quasiche da per 
se n’alligna. Dà fuori ordinariamente nei terre- 
ni sabbionosi, e credesi utile per erba medicina- 
le, ed il suo decotto spremutone prova al vec- 
chio e vale alla doglia de’ denti. E° amari-simo 
e dentro ha poco di succhio , e staccata l’erba 
dal gambo e strappata, schizza l’acquoso liquore 
che ha dentro. Scrive Teofrasto che 1° Elizio 
(che così ancora si chiama ) mantiene la sua 
virtù nelle operazioni medicinali oltre a dugento 
anni, 

La Colutèa, scrive Teofrasto esser propria pian- 
ta di Lipari, dipoi s'è dilatata, ed oltre che 
in Francia, s° è veduta in Italia in molti luoghi. I 
Mauritani la chiaman Sene, e dicono esserne del- 
la salvatica, e della domestica . Quella di Lipa- 
ri ch'è questa , è un albero piuttosto grande che 
piccolo. Io in queste nostre parti ne ho avuta, 
ma non è mai cresciuta a tropp alta grandezza. 
Produce il frutto in baccelli gonfj pieni dentro 
del seme e non d'altro, come lenticchie. Man- 
giato dalle pecore le ingrassa mirabilmente. Se- 
minasi il seme ove sia buono il terreno ingras- 
sato con il letame, e spezialmente di pecora mar- 
cio. Il tempo di seminarlo è nell’ andar sotto. 
I° Arturo nell’autunno, facendo prima stare in 
macero il seme nell’acqua, tantochè cominci a 
pugoere, dar fuori, e germinare ; le foglie sono 
somiglianti a quelle del Fien Greco. I primi tre 
anni fa un sol gambo, il quale mette fuori i ra» 
mi e diventa albero grazioso a vedere per la va- 
rietà . E° poi un’altra pianta menzionata da Teo- 
frasto, da questa differente assai, vista dal Mat- 
tiolo in Valle Anania, la Colanèa così detta, ma ; 
non rassembra quella. La Colutéa è pianta di va- 
lore e virtù nelle medicine . Vale all’ invecchia» 


9 


66 
to-dolor del capo, allarogna, ed almalc adu 
co, ed a tutto questo la sua cocitura . 

I Carciofi ordinariamente fanno il lor frutto 
spinoso, e tuttavia ne sono di quelli che nasco- 
no senza lo e ciò deriva dal seminarli., 
perciocchè pigliando il seme del carciofo e spun 
tandolo avanti che sia seminato nasce senz esse; 
e così avviene quando nel seminarlo . s° isconde 
nelle radici della lattuga, e da questò facilmen- 
te è proceduta poi la razza de’ carciofi senza spi- 
ne. Desiderano i carciofi la terra grassa e di 
gran fondo, benissimo letaminata e netta e la- 
vorata, e ritrovata con diligenza sotto almeno 
un braccio, e piuttosto piano che monte, o colle 
piegato, o fine di valle esposto al sole, come 
quelli che partoreudo grati frutti e cesto e foglie 
haono di bisogno di cavare gran nutrimento. E 
perciò, come io dico, convien bene a dentro la- 
vorar la terra, e ben sotto tritaria, dando loro 
assai cenere per suo grassume , e del letame mar- 
cio. E° di mestiero ( volendo entrare in razza per 
via del lor seme dei più grussìi ) trascerre la se- 
menta, fatta, buona e stagionata , e quelle pian- 
te che si riserbano a questo effetto bisogna li- 
berarle da tuttii rimettiticcj da piè, e coprire 
. con ua coccio il carciofo da seme, perchè non 
v' entri l’acqua a marcirlo . Questo seme poi te- 
nuto tre o quattro dì in olio, latte, nardo, o 
acqua rosa, si ponga ad asciugare , e stiasi al- 
trettanto nellatte e nel méle perc hè ciò gli fic- 
cia do:ci, e quell'altro infonda in essi l odore. 
Ed ancora perchè sia senza spine (non avendo 
di quella razza ) tagliata uva barba di lattuga, e 
Sp rtita in pezzuoli, e cacciato in ognuno di 
questi un seme dentro , si otterrà l’istesso . Sia= 
nv posti parecchi semi insieme perchè facciano 
un. bel cespuglio, e più grossi earciofi Né più 
sotto si caccino che tre, dita , e caricandogli o0n 


67 
terra non si, vada più giù dei primi nodelli, 
adacquandogli se sia, secco , e piccoli si purghino 
da!l’erbe. Seminansi al marzo a luna crescente 
lontani lun dall’ altro due braccia in sul divel- 
to, facendo certe buchetteà dove hanno a ire i 
‘semi, ripiene di vinaccia dove si ritrova. Così si 
seminino lasciandovegli stare senza strapiantargii, 
ma è meglio strappando quei rimettiticej ch'è fan- 
no da piè giovini con più barbe si può, fatta la 
buca in sul divelto sì fonda che solo mezzi si 
sotterrino avendovi messo în fondo e d’ attorno 
dimolta cenere e letame marcio e buono, ma 
soprattutto si rifà della cenere; ed in questo 
cenerone, è ben porveli. insieme con terra cot- 
ta. Sene può ancora mettere due o tre per buca 
&irando innanzi poi la più vegnente, ma meglio 
è (strappate belle piante ) porne e vezzeggiarne 
una sola, e ciò si pud fare e dee a ottobre o 
novembre , e a questo tempo è di più profitto, 
perchè talora governandole bene, daranno il 
frutto avanti l’anno, che di primavera saranno 
stentate, e non ne daranno prima che in capo a 
un anno..Si deono dipoi sarchiare spesso e tener 
nette dall’erbe e doppo il primo anno, ed an- 
cora il primo all’ ottobre si deono vangare attor- 
no e dar loro della cenere e del letame marcio 
e fradicio, e levar.loro tutte quelle messe e la- 
sciare a ciascheduna pianta un fusto solo, quel- 
lo di mezzo più principale, tagliando la punta 
Nuutinale, e impiastrandolo di bovina . Godesi nei. 
uoghi temperati nè recusa i freddi, ed ancora 
fa ne caldi, ma in questi per conservargli con- 
viene ai maggiori con foglie coprire il suo seme, 
che non secchi avanti tempo. Si dee levare 
molto prima tutte le messe de’ suoi figiiuoli per- 
chè tutto il rigoglio vada nel mezzo al corp 
principale, Il seme si manifesta esser fatto quan- 

do si stacca fuor di quella peluia azzurra che fa 


68 
e casca da per se. Si conservano (durando bene 
a profittare con questo governo la prima volta 
dove son posti o semicati) per cinque o seiinfino 
in sette anni. Dipoi conviene svecchiargli affat- 
to, ripiantando le piante giovani in nuovo lato; 


e volendo in quel medesimo, andar più sotto col - 


terreno un braccio più divelto; e sappiasi che 
finito che hanno l’anno le piante di fare il frut- 
to, si deono tagliar tutte rasente terra perchè le 
radici non gettiuo il vigore nel fusto vano, ma 
lo rattengano in loro a nuovo frutto. Faranno i 
carciofi dolci se stia prima che si semini il suo 
seme in macero tre o quattro dì nel latte, mu- 
tandolo ogni dì, che non inforzi. I topi son 
molto ghiotti delle barbe de’ carciofi, e scavano 
sotto terra a trovarle divorandole. La lana in- 
volta alle loro radici vieta i loro assalti; tanto 
fa lo sterco di porco posto alle lor barbe, e la ce- 
nere fatta di legname di fico. Le talpe ancora 
fan danno grande alie basbe de’ carciofi, pascen- 
dosene ove v’ arrivano e gli guastano; a questo 
sì ripara col piantargli nel sodo terreno e duro 
non lavorato attorno, che così fatto non posson 
di facile bucarlo. Arîicora vi si tengono de’gatti 
a rinconsarli ed ammazzarli. Altri hanno delle 
donnole che son use a questo effetto addomesti- 
cate. Alcuniturano i loro pertusi con terra ros- 
sa, intrisa col sugo del cocomero salvatico. Alcu- 
ni fanno buchi assai maggiori accanto ai loro, a 


causa che impauriti e sbalorditi dai raggj del. 


sole si cansino altrove, e molti ne tendon lacci 
con setole di cavallo. Hanno i Greci con molte 
lodi celebrato il carciofo, ed alcuni Scrittori tra 
essi affermano esserne quantità intorno ai monti 
del Mare Atlanico, e presso a Berenice d’Affrica 
essere copia grande, ed appresso ai campi detti 
‘Carasmici, ed accanto ali'Indo fiume . Sono icar- 
ciofi ventosi, e per questo si dice che stimolano 


o 


6 
la venere. Ritornano l’appetito cotti e conditi 
con olio, sale, e aceto, e fritti con olio o gras- 
so nella padella. Seccansi al sole i lor duri, e 
tagliati in fette rinvengon nell’ acqua cocendosi, 
E volendo avere de’ carciofi tutto l’anno, non 
s'ha a tenere altra regola nel trasporgli che l’or- 
dinaria, e lavorargli due volte l’anno per l° au- 
tunno e avanti la primawera, con dar loro sem- 
pre assai cenere e del letame ben marcio al pie- 
di. Ma bisogna a ogni luna crescente traspiaa- 
targli di nuovo e prendere di quelle messe più 
grosse, che si conosce che se elle fossero timaste 
nel suo ceppo, n’averebbero quivi da per loro 
fatti quell’anno, e di questa maniera averai car- 
ciofi mese per mese, ma vogliono esser trasposti 
in lato che sia a solatìo e. piuttosto in proda che 
piano, o nel pendìo al sole delle vallate 0 col- 
line, o piè di monte. Gonviene anco nell’esta- 
te adacquargli lontano dal gambo, e nel mezzo 
dell’inverno dar loro al piede della colombina 
piuttosto cruda che macera o disfatta, cavata 


di sodo dalle colombaie; e faranno arcor buon. 


frutto col pecorile, e col rinchiudere con le fo- 
glie medesithe la vetta, e il carciofo legandoli 
bene, e con la pagiia ricoprendoli la notte, e 
Su per il terreno spargendo ia quantità del cone 
cime fresco non spento o marcio, che gli tenga 
caldi, e dipoi il giorno scoprendogli al sole; e 


talora la mattina a certi tempi crudi adacquan-# 


dogli con acqua tiepida, e «iò s'intende per i 
paesi freddi, che così si costuma peravergii in 
Fraucia. Ancora tagliando e sciorinando le pian- 
te quando ne voglion fare al tempo loro, gli dif- 
feriranuno*a fare ad altra stagione, che sarà fuor 
dei lor tempo. Ed ancora levando via i carcio- 
fetti che dan fuori da principio, e massimamen- 
te quelli di ‘verso il mezzo tutti, non ne lascian- 
do alcuno, giova assai ali carciofetti , siccome 


vo 
agli sparagia)!’ attaccarvi fuoco, finito che hanno 
di fare tutti i lor frutti, aggiugnendovi paglia 
e pacciame. A Genova dove è il. paese appro- 
priato, e ne fanno procaccio ed in altri. luoghi 
simili ne hanno tutto 1’ anno con il buon gover- 
no del lavorargli e concimargli. bene, e par 
quasi che quelle piante sieno avvezze ed acco- 
stumate a render continuo frutto quivi, che al. 
trove traspiantate non così bene fruttifichereb- 
‘booo- Faranno ben meglio che gii altri; però 
tutti con la sopraddetta cura ne produrrano in 
tempo e fuor d’otta. E° da sapere che nel Ge- 
novese e massimamente vicino alla città per 
quelli contorni (siccome per tutto sono |’ uve lu- 
gliole, e l’ uve lugliole agostine ) hanno de’ car- 
ciofi primaticc], che naturalmente dan fuori pri- 
ma degli altri; questi hanno la foglia sbiancata 
e maggiore dell’ altre, e transpiatando di que- 
sti in altro paese con. la coltivazione sopraddet» 
ta, ne faranno dei primaticcj come a loro. sono 
de’ carciofi tre sorte; alcuni bianchi verdognoli 
non molto grandi, piani in cima; altri sono come 
pine rotonde rosseggiantì, e questi son men du- 
ri, delicati più assai e migliori, e senza spine. 
Un'altra terza sorte n° è simile a questi con spi- 
ne, più saporiti di tutti. I carciofi, capovolti 
fermi a un paletto, ricoperti con terra asciutta 
ammontinata intorno diventan bianchi, in venti- 
«cinque dì e più teneri. Più del suo ordinario 
ingrosseranno i carciofi, se quando son mezzi 
fatti storcerai il lor gambo che penda. verso ter- 
ra legato con un salcio, perciocchè tutto quell’ 
umore che lo fa crescere anderà in esso. | 
11 Coriandolo fa in:tutti i terreni, ma nei 
grassi meglio e più grosso, ma non così di su» 
stanza utile come seminato fra i solchi del fru- 
mento, nei quali viene senza perder virtù per i 
letami. Ama più presto l’ aere caldo che freddo, 


Mis: 
ed il temperato a solatìo perfetto iagthatvolsioa 
te. Desidera contuttociò il terreno bene accon- 
cio e lavorato, piuttosto grasso che mediocre, es- 
sendo massimamente di sua natura contumace a 
nascere; e volendo seminarlo per avere ie sue 
granella, seminisi di primavera, e, per mangiar- 
lo verde, di febbraio, marzo, aprile, e maggio, 
ed ancora in tutto l’anno eccettochè nell’ inver= 
No; e nasce più presto di vecchia sementa che 
di nuova. Seminasi nelle aiuole degli orti van- 
gate minutamente, tenuta la sua sementa in ma- 
cero per tre o quattro dì nell’ acqua. Ma se si 
semini di sementa nuova prima che secchi af- 
fatto, mascerà in ogni modo più presto che se 
egli si semini di sementa vecchia tenuta in mol» 
le. Si può seminare ancora con gli altri ortag- 
g], meglio sempre a solatìo che al fitto merig- 
gio. Segli dice il letame di pecora o di capra 
più d’ogmi altro. Cuopronsi i coriandoli di zuc- 
chero per confetti, rompono le ventosità del ven- 
tre mangiati doppo pasto, e rendono buono odo- 
re e fanno buon fiato masticati in bocca ; e ver- 
di le sue fogiie nelle mescolanze d° insalata non 
fanno male. ì 

Il Gumino o Comino domestico ( perchè del 
salvatico nelle nostre parti non sene vede ) pro- 
duce le frondi quasi simili al finocchio, e fa un 
solo fusto; dal quale pascono diversi ramuscelli; 
fiorisce in ombrella come il finocchio, nella qua» 
le si matura abbondantissimo il seme; ha la fa- 
dice bianca quasi arida nella superficie della 
terra. Ama i luoghi putrescibili e caldi. E° ab- 
bandante nelle maremme di Siena, ed in Terra 
di Roma. Seminasi al fin di marzo e d'aprile 
in terreno grasso ben letamato , e luogo caldo 
in. sommo al terreno, a fatica reggendovi, e 
cresce in alto. La pioggia che venga tostochè è 
seminato, gli nuoce assai; nato, segli-hanno a 


79 

estirpare l’erbe d° attorno, e così mantenuto, 
il suo seme come il grano si raccoglie un poco 
più tardi; setbasied è buono ad allettare ì co- 
lombi. Rompe anch’ esso il vento, ma offende 
il gusto, sendo di spiacevol sapore . 

Il Cisto nasce di seme da per se nei luoghi 
più aspri e sassosi dell’ Appennino, e similmente 
1’ Ippocisto. Trovasi del Cisto il maschio e la 
femmina. A questa è il fior bianco fatto in fog- 
gia di piccola rosa, , onde è che alcuni Rosa Ca- 
nina la chiamano; è pianta maninconica, la qua- 
le non si stende iupliò in alto, e nemmeno fa 
troppi rami, ma per variare si può cercar d’a 
verla, ed il miglior modo è dove ella si trova 
trasportarla nel domestico, cavata con il suo pa- 
ne con l’ intere radici. 

Il GCreneoro che ha le foglie come il Ei 
presso o Sabina, che fa nei luoghi marittimi, 
trasportato nel domestico con la sua pianta di 
terra e radice, vi viene e fa bel vedere per 
istar sempre verde come il Cisto Nasce in ter- 
ra a Port Ercole, e si dee trasporre aggiran- 
dolo con molta arena. 

La Colocasia, detta Fava Egizia, fa intorno 
al Nilo con ampissime foglie, delle quali intes- 
sono quelle genti vasi da bervi dentro 1’ acqua 
gel Nilo che è ottima più di tutte 1’ altre acque 
che sieno per bere, e mangiano la sua radice e 
cotta e cruda. Fa il fiore grande a doppio di 
quello del papavero, di rosato colore. Trapian- 
tasi Ja colocasia con le barbe impiastrate di 
fango intriso con paglia minuzzata ed in luogo 
a solatào ; e si dee ( volendo mantenerla ne’ no- 
stri paesi ) coprir da vicino alla foggia de’ li- 
moni e cedrati ed adacquarla bene con acqua 
tiepida, e la state tuttavia brama d°’ essere in- 
naffiata, godendo del sole. 

Il Gretano, cioè il Riccio marino, è erba 


3 


che si trova nei luoghi marittimi, e cavato di 
quelli con diligenza si mantiene nel domestico 
per far varietà fra le altre erbe , ed è medicina- 
le come la Celidonia ch’ è bell’erba e sene tro- 
va di due fatte, una Indiana e l’altra ordina- 
ria di paesi che insiememente si rassomigliano, 
e facilmente, posta nel salvatico, vien comoda» 
mente e s' attacca. 

I Capperi nascono da per loro in molte pro- 
vincie come qua la gramigna ne’ terreni sodi al- 
la campagna per tutto, e particolarmente in ogni 
parte d° Egitto. Ma sono di quelli larghi tenu- 
ti dai medici più sani purchè sieno tutti man- 
giati avanti all’altre vivande per il primo cibo; 
così mandan via, e sbarazzano la flemma ragu- 
nata nel ventre, giovano alla milza, e ritornano 
l’appetito pel fastidio che si sia avuto del cibo; 
e le foglie di qualunque cappero peste e soprap- 
poste a qualsisia membro scottato, mutandole 
spesso; levano il dolore del fuoco, e lo guarisco- 
no .I Capperi in Italia ( di dovunque egli si 
sieno venuti, o che della razza essendo di quel- 
li, quì abbiano tralignato ) sono più minuti e vi 
fanno amari, e quantunque lasciati crescere, per- 
chè la costuma è di porgli in conserva piccoli- 
ni, addolcendogli prima molti con l’ acqua chia- 
ra, dipoi addolciti cacciandogli ricoperti nell’ a- 
ceto, e molti in esso facendogli dolci, e fatti, 
mutandolo lero, e lasciandovegli star dentro, 
nel crescere quà mai non si fan grandialla mi- 
sura di quelli. Ben si possono lasciare ingrossa- 
re un poco più chi gli vuol maggiori; ed essen- 
do più maturi, riesciranno sempre più teoeri. 
Grescono agevolmente nelle pietre e rottami 
de’ muri, fra la calcina d’essi nei lor couventi 
vengono innanzi; amano terreno anco sodo che 
non si coltivi, e che non vi sia altra pianta o 
uggia, bramando sempre il sole che gli annoi; 

10 


nè fs lavori loro attorno, che si perdono e vene 
gon meno trassinando loro appresso il terreno, e. 
tutte lerbe uccidono che accanto lor nascono. 
Imperciò bramano di star sequestrati da tutte. l’al. 
tre erbe e piante, e stare interamente da. per 
loro; amano il sito a solatìo , in questo multipli» 
cando senza comparazione assai più che nell’ om- 
brìo. Dilettansi di terreno sottile asciutto, e dei 
sabbionoso e sassoso , siccome da per loro nasco- 
no in luoghi desertì e sassosi; e sebbene fanno 
ancora in luoghi di terreno grasso purchè sia 
in sito caldo, rendono men frutto, come neila- 
ti fuori del sole, benchè v’ allignino e vengano 
innanzi. E volendogli in luogo piano, scoperto 
e largo, facciasi un muro a calcina alto da ter- 
ra un braccio e mezzo, e lontano da questo un 
braccio un altro muro alla medesima altezza, ed 
accanto un altro simile, ma altrettanto distante: 
poi seguendo a farne un altro discosto un brac- 
cio come quel primo, e così si seguiti quest’or- 
dine in largo ed m lungo quanto si voglia fa- 
re il cappereto; riempiasi poi fra l’ uno e l’al. 
tro muro di terra sottile mescolata con arena, ed 
in quello spazio più stretto che è dall’ uno all’al- 
tro nel mezzo del terrapieno si piantino i cap» 
peri per lo lungo lontan l'uno dall’ altro un 
braccio e mezzo, e lo spazio che segue più lar- 
go fra l’altro muro appresso, sì lasci a dilatare 
i rami del cappero riempiendone di terra ordi- 
naria e così si vada seguitando quanto si voglia. 
Fanno bene ancora nel terreno arenoso alla vi- 
sta della marina, ed ai muri volti a quella, ed 
in grotte, in balze, in luoghi scoscesi difficili 
aspri deserti di tufo, di créta, d' argilla, e di 
qua'sisia più trista, e ritrosa terra, purchè sia 
secca astiutta senz’ umore, e meglio sempre in 
lato sollevato che a terra. E se pursi vorranno 
a terra, acconcinsi a pendìo in prode sollevate 


i 
Puna dall’ altra in guisa d’ una scala di siae 
ni che saglia e scenda, o vero si facciano (se sia 
il luogo piano ) certe gole a uso di bocche stret- 
te di pozzo di giro un braccio e mezzo, grosse 
un palmo e mezzo, murate con calcina, e ri» 
piene di terra inescolata con arena o sabbia, 0 
a secco di pietre grosse alte un braccio e mez» 
zo d’esse, si piantino i capperi che-da ogni ban- 
da allargandosi possano prendere in terra, 0 ve- 
ro nei muri fatti nell’un modo o nell’ altro che 
abbian dietro assai terreno, e fatti a posta per 
questo, presso alla cima dei quali si lasci certe 
buche tonde di diametro d’ un palmo, alle quali 
si ritiri il terreno bene in cima che di dietro 
unisca con l’altro; ed in su giiorli sì seminino 
o piantino i capperi, che anderanno a ritrova- 
re il sodo del terrene, siccome trapassando per 
i fessi de° muri con le radici penetrano a cercar 
nutrimento di dove lor basti e non ch° altro da- 
1° istessi calcinacc]: perocchè si vede che talo- 
ta le formiche , o gli uccelli avendo portato un 
seme di cappero nelle crepacciole de’ muri ai- 
tissimi, vi nasce, vì alligna e fa prova. Nei 
cortili larghi aerosi aperti lastricati in terra 
piana fra l'una pietra, e l’altra fiano buon 
profitto; nei terreni asciutti e secchi si posso- 
no ancora seminare che si reggono da per se, 
come io dissi delle viti che stanno iu piè sen- 
za pali: e fatto un poco di gambo si manterran= 
no poi sodi gagliardi e forti. Ancora si possono 
far fare certi vasi a uso di doccioni tondi, di 
diametro d’ un palmo, grossi due diti, e con un 
piede di qualche fatta che li tenga ritti; questi 
s° hanno a dispensare lontavi | uno dall’ altro 
quattro o sei braccia per le viottoie larghe dei 
giardini dalla banda sola di fuori che sia più 
al'sole esposta; e s’ hanno a riempir mezzi di 
‘arena mescolata insieme, ed in bocca si piantino 


6 
i superi 1 quali doppo non molto tempo cot 
la lor fittagnola anderanno a trovare il sodo del 
viottolo, e quivi afferrati e su per il vaso bar- 
bicando spargeranno i lor rami penzoloni e fa- 
anno bel vedere, dando in questo lato ancora 
\osrenicnte frutto. Deono esser volti a tutti i 
versi del cielo eccettochè a tramontana, ed a 
mezzogiorno è la lor pòsta naturale, e s° appic- 
cano meglio nel terreno non punto lavorato che 
nello smosso. Verdeggianoi capperi sino all’an- 
dar sotto delle Pleiadi, fioriscono l’ estate e di 
primavera, e si seccano al punto dell’ equinozio, 
e nell’ andar sotto di quelle perdon le foglie e 
si seccano i loro rami. E da queste lor boccie 
di cappero passate a far seme, quando.sono a- 
perte stagionate e mature, si dee raccogliere il 
seme, eleggendolo dalle più rigogliose, grosse e 
gravdi che si veggan fra loro, e così da pian- 
te simili, e tosto colte così spaccate s° hanno a 
tenere per due dì al sole ; poi spicciolati i semi si 
sesbino al tempo di seminargli, che è comodo 
nei luoghi temperati al marzo, aprile, e maggio, 
e nei terreni caldi e nei freddi, a primavera, e 
deono seminarsi nei vasi con buon terriccio me= 
scolato con arena, e di sopra seminato che sia 
( non ricoprendo il seme sotto più d'un dito) 
si dee stendere un altro dito di arena per cagio- 
ne delle formiche, e perchè innaffiando, l’ acqua 
non scuopra e smuova il seme ed affichè egli 
dia fuori più presto, conviene averlo teouto pri- 
ma nell’olio in molle per una notte sola, e si 
spruzzi ogni dì due volte mattina e sera con un 
granatino minuto dell’ acqua, tanto che si vegga 
per bene inzuppato. E subito ch e’ son nati, e 
messa la prima foglia (e perciò vogliono esse- 
re seminati un p»co radetti un dito dali’ uno 
all’altro ) tevendo in maso un coltello largo 
in punta, ed avendo procacciati de’ pignattini 


piccoli, 0 altri vasetti pieni di buon talia 7 
ve gli trasporterai dentro, annaffiandoli poi é 
procurandogli secondo il bisogno. Questi così posti. 
d’ottobre sì possono tra piantare nellebuche de’ mu- 
ri (quali hanno a essere innanzi a calcina che fat- 
tia secco) rompendoglio non gli rompendo come 
si vuole, perchè come si vede che aprono e sforza- 
no i muri, similmente spezzeranno quelli che la 
forza delle barbe loro. E dovunque si alloghino 
con questi pignatti, si sotterrino setto tutti nel 
terreno tanto, che venga la pianta sopr’ essi due 
dita ricoperta, adacquandovi poi tanto , che s'at- 
tacehino e piglin piede. Esendo in terren cru- 
do, levinsi l’ erbe d’attorno da principio; che 
poi fatti grandi, da per loro stessi le spegne- 
ranno, usufruttuando e *spoppando pur assai i 
capperi il terreno. E quest’ ordine si tenga tan- 
to ai capperi ordinar] che sono senza spine, quan- 
to agli spinosi che hanno pungenti pruni, e so- 
no di razza da farne più di queli. Ancora s’han- 
no all’ ottobre nei luoghi caldi, nei freddi al 
marzo, pigliando quando si putano dal lor ceppo 
delle più belle messe con del vecchio, e pian- 
tandole con aggravar loro attorno bene il ter- 
riccio nelle buche de’ muri, o altrove, rincalzane 
dogli tanto che entrin due diti solo fuor della 
terra, scapezzando quel vettone e lasciando due 
occhi o uno; ed in quel medesimo lato puoi por- 
re ancora del seme, adacquando (come s° è det- 
to ) tanto che nasca e che sia la pianta ferma, 
e lasciando venire innanzi( facendo prova) l’uno 
o l’altro qual si vuole; e nen volendo la briga 
dell’adacquare, quando tu poni questi rampolli 
metti rasente a loro o vero a una parte di essio 
al calcio un corno di castrone pos:o col vuoto 
all'insù, sì che piovendo s° empia. d° acqua che 
lo manterrà fresco, ed anche di quando in quan» 
do ( non piovendo ) empiendolo. Ecci un altro 


78 
modo più bello di tutti, e questo si è: d° aprile 
quando cominciano a mettere piglia uno scar- 
pello, e stacca dal ceppo di quelle messe tene- 
re che sien lunghe quattro diti, nuovo con vec» 
chio, e trasponi con diligenza nelle ‘buche, o 
dove vuoi, ricoprendo il vecchio tutto , e della 
messa due dita e un'poco più; attaccherassi be- 
ne e darà frutto presto, ma bisogna il primo an- 
no adacquargli tutta l’estate, e a modo; che 
non infradicino per la troppa acqua, e ch'e’ non 
patiscano di sete; avvertendo che dalle buche 
con l annaffiare non scoli via il terriccio, e se 
è possibile, sarà bene e sicuro adacquargli di 
dietro con uno schizzatoio piccolo , o'vero aven- 
do fatto all’ aere un pertuso che ritrovi fra °] terre- 
no la buca per dove è il fondo della pianta. E quan- 
do vuoi piantare Je messe vecchie, siano di quelle 
dell’anno passato staccate come si disse , con uh 
pezzetto della ceppaia; e fattele passare per un cor> 
no ancor di bue tagliato dal mezzo ‘insu, sicchè 
la parte più larga venga di fuori alla bocca del- 
la buca piena di terra in che tu la vuoi pianta- 
te; e l'altra parte dello stretto che sbocchi a pet» 
ta dalla punta, caccia in terra e chiudi dentro, 
poi annaffia spesso per il corno, e s’attaccheran» 
no. Ma quelle messe tenere prima che mettano 
dalle bande altre messe, son buone a mangiar 
cotte come gli asparagi. I piccoli capperi s'han= 
no a corre spiccandogli con le dita, e accon- 
ciandogli in conserva prima che gettin fuora il 
fiore, ponendogli in acqua ben salata calda pri- 
ma in molle, perchè quivi viene a perdersì il 
mal sapore, e tanto vi s hanno a tenere mutan- 
dola , che si senta |’ abbian lasciato , e doppo che 
sono asciutti s° hanno a porre in un bariletto di 
legno, mettendo un suolo di sale, ed un suolo 
di capperi, e riporgli inlato mezzano, e quando 
gli vuoi usare laviusi due o tre volte con acqua 


tiepida, o vero senza scaldarla ve gli iti 
stare un dì fermi, perchè vada via quel tanto 
sale, o veramente darai loro un bollore per fargli 
intenerire; e poi medesimamente mettigli in ac- 
qua: fredda, o lavagli con l'aceto, condendogli 
poi con questo e con olio, o con olio solo, ed 
agio di limone come più piace. Ma meglio di 
tutto è cogliere i capperi piccoli di quindici dì 
innanzi ch'e’ si conosca che non farebbono an- 
cora il fiore, e di man’ir mano in un vaso di 
terra cotta invetriato pieno d’ aceto furte met- 
tergli che stieno sempre sotto ali’ aceto come 
’ ulive sotto la salamoia ; e quando ti pare che 
rappresentino lo schietto sapore dell’ aceto, e che 
il lor cattivo sia passato nell’ aceto medesimo 
(che si vedrà gustandolo ), ponglia conservare in 
un altro vaso di terra invetriaro, e tutto ben pie- 
no di nuovo aceto buono, e serra bene che que- 
sta è l’importanza, e ch'e’ vi stieno sotto rico- 
perti aggravati in cima con una lastretta; e così 
si possono acconciare delle lor messe tenere, e 
qualche foglia. Ancora si possono assettare di 
Questa istessa maniera nell’agresto , mutandole 
con dell’ aceto due volte ed insalandole bene, e 
così l'aceto la seconda volta, perchè si conservan 
meglio; e questi si mangian poi conditi sola» 
mente con l'olio, ed a quell’altra foggia sarà 
bene corgli un poco più grossi e viciui a fare 
il fiore. 1 capperi si potano in diverse maniere : 
chi taglia rasente la buca e manda a terra tutto ?| 
Ceppo, e chi ha opinione di lasciargli stare, che ‘| 
seccagginoso si perda da per se, e metta da per 
se poi a suo modo in sul vivo che vi rimarrà. 
Mala vera è potargli a luna crescente 1’ anno di 
marzo, o alfindi febbraio secondo i sitie paesi. 
E nei luoghi un po’ più caldi, o in siti bene a 
calore, di ottobre, o novembre, e lasciar loro 
in sul ceppo comealle viti un occhio o due con 


80 


pennato che. tagli bene, o con tanaglie di ferro; 
€ quando ha del seccagginoso levarlo via anno 
per anno, e così gentilmente andargli rinnovan- 
do; e se poi si voglia tagliare i lor rampolli 
rasente il ceppo, si dee fare con uno scarpello ta» 
gliente che abbia una tòrta come una zappa, e 
con un martello di legno percotendo la costola, e 
levando via affatto senza punto guastare la cep- 
paia. Il fine del cappero è simile a quel dell’ oli- 
va, il quale condito consale e olio è d’ ottimo 
sapore, e serve per l’ inverno per insalata. I cap- 
peri un po maturi sì cacciano in un paniere, 
ed il paniere in un paiuolo d’ acqua chiara che 
bolla, e poi scolata, s'insalano con un suolo di 
Capperi, e un di sale. 

Le Carote si seminan di maggio, e giugno 
sin’ a tutto agosto per poterne avere poi di tutti 
i mesi nell’ invernata ; e di marzo e settembre 
a luna nuova nell’ aiudie degli orti di terreno 
grasso e grosso sustauzioso e divelto sotto a due 
puntate di vanga, un poco radette, ed in su i 
divelti delle viti, ma rade, e queste e il prezze- 
molo fanno loro il men danno. Adacquansi ne- 
gli orti continuameote per l° estate durando il 
caldo ; desiderano sotto mescolato con la terra ove 
ell’ hanno a essere, letame ben marcito e d’ essere 
qualche volta sarchiate ; e se talora in avendole 
seminate fossero riuscite troppo fonde o fitte, si 
deono diradare a debita misura , che sotto possano 
ingrossare e far buona barba; la quale faranno 
tanto più grossa, quanto siano annaffiate con ac- 
que correnti di fiumi, e riusciranno più cottoie, e 
più tenere. Si possono nei paesi o caldi, 0 fred- 
di, o temperati seminare di novembre, dicem- 
bre e febbraio, e nasceranno alla primavera e 
sotto si staranno a terra sin a quel tempo; al no- 
vembre poi che viene, dicembre, e gennaio sa- 
ranno ingrossate il bisogno, e si caveranno. Le ca- 


81 
rote , levate via le foglie, si mantengon sotto la 
sabbia, e nelle cantine, così le bianche come le 
rosse. Cuoconsi nel forno con una pentola rim- 
boccata tagliate in pezzi, e si condiscono in in- 
salata e con sapa. 

La Gicoria è erba che fa alla foresta della 
campagna, nè altro è a detta del Mattiolo che 
l’ endivia salvatica. Puossi far venire negli orti 
raccogliendo il suo seme, e seminandolo di pri- 
mavera nell’ aidle di quelli in sul vangato alla 
foggia dell’altre erbe ordinarie come lattuga e si- 
mili. Ha il fiore differente dal radicchio, ed è 
più salvatica erba assai, tanto che quello si pone 
per domestico, e questa nò . N° è abbondanza nel- 
la campagna di Roma, ed ha la foglia assai più 
larga che non il radicchio, quale pongon per 
maschio alcuni, e quella per la femmina de] ra» 
dicchio; e l’ uno e l’altra ha proprietà di rinfre» 
‘scare. La cicoria dura più al freddo, benchè am- 
bedue coperti con diligenza e nelle prode si man- 
tengono tutto l'inverno. 

La Cuscùta è una pianta, che senza avere 
‘in terra fondamento di barba alcuna, sollevata 
da quella vive sopra l’altre piante, come fa il 
vischio. Nasce adunque e sale sopr’ esse, e sono 
ì suoi rossi gambicini simili ai Viticcj sottilissimi 
delle viti, ma di gran lunghezza, con i qualis’av- 
viticchia così strettamente all’ erbe che spesso le 
strangola e tira a terra. Nou fa fronda alcuna, 
ma bene il fior bianco ed acinoso seme. Nasce 
frequente sopra il lino, sopra le ginestre , sopra 
l’ eufragia, e sopra altri frutici bassi; e volendo 
averne a sua posta, conviene trasporre insieme la. 
pianta dove sopra lasi ritrova, perchè appassita 
l'inverno, di primavera ed estate rinasce. Que - 
«sta. è quell’ erba che siccome ha natura di vivere 
sopra l'altre, staccata dal suo uatìo, e posta 

11 


ai }: fe @ 


82 N “i 
(come sì disse) sopra l’ uve, fa far loro quella stu» 
penda e maravigliosa barba. | ’ 

Il Cocomero desidera terra grassa, umida di 
buon fondo, ben concimata, nè meno ama quella 
che sia un poco renistia, se vi sia del letame fra- 
dicio mesticato . Dee essere lavorato con la van- 
ga a due puntate, ed in iuogo dove possa il sole 
assai scoperto, e non punto occupato da ombra 
di vicini arbori. Si seminano di marzo e d’aprile, 
e quando il suo seme si raccoglie, si dee tenere 
fra le foglie delle rose conservato secco fino a 
questo tempo. Verrà ancora ben mantenuto nel- 
le zucche vòte in luogo asciutto avanti si com- 
metta alla terra; e quando si vuol porre giù, 
sia sempre con la punta in terra, e tengasi pri- 
ma per quattro dì a macerare nel latte mutato 
di giorno in giorno per dargli odore, ed anco 
nell’ olio Sabino ( dice Palladio) ugnendo can esso 
il suo seme, e strofinandolo con l’ erba Calice, 
nascerà senza sementa. Alcuni lo tengono a 
imacerare per tre dì nell’acqua melata. Serrato 
il fiore del cocomero col capo del suo viticcio 
in una canna forata bene in tutti i nodi, o di 
due parti, bene scavandola e rilegata insieme, e 
sfessa con diligenza, andrà il cocomero crescen- 
dovi dentro lungo oltremodo . Come si sia, le sue 
formelle sì facciano lontane l’ una dall’ altra due 
braccia e mezzo, o tre, ed in ciascheduna di 
esse si caccino ì semi due © tre. per posta per 
lasciarne poi venire innanzi uno, e lontani l’un 
dall'altro un dito, e ricoperti quattro ditì con 
terriccio buono .' Facciasi la buca e lascisi dall’orlo 
del terreno un mezzo palmo bassa, ponendoli in 
su quel fondo, dipoi cresciuti sopra la terra due 
diti, si rincalzino al pari con terra cotta e buo- 
na, o vero polvere delle strade; e se occorra per 
il secco adacquargli , facciasi in modo che l’ ac- 
qua non tocchi più oltre che la radice del cesto , 


83 

e non le sue messe che faccia lor. danno. Ma 
volendo ancora nell’ asciutto non gli avere ad 
adacquare facciasi un solco in sul divelto, fondo 
due palmi in su quel lavoro di febbraio, ed in 
su quel cupo pongasi della paglia, e doppo nel mese 
di marzo pongasi sopra de!l’altra paglia mesti- 
cata con terreno e levata ben marcita , e quiyi 
si metta la sementa, e nata ( mentre ch'ella cre- 
sce ) di man in mano si riempia e conguagili la 
fossetta. Pigliano i cocomeri freschezza .e go- 
donsi dell’ erba che nasca loro attorno; imperciò 
non fa loro di mestiere sarchiargli o zappargli, 
avendo o facendo in modo che. in sul cocome-, 
ro s abbiano de’ roghi o ferule in luogo a sola- 
tìo in terreno ben concimato . Taglinsi al marzo 
o aprile fra le due terre, e. si può anche doppo 
equinozio autunnale, e serrata la testa della 
tagliatura con una punta di legno sodo, come sco- 
pa o corniolo aguzza, e mettendo fra la midolla 
del letame marcio e quivi il seme del cocomero, 
e procurandogli appena nati, faranno frutto. I 
cocomeri sospesi in aere con corde in luogo asciut- 
to si conservan lungamente sani, i quali potran- 
no ‘anco durare ai gran freddi, ricoprendogli ai 
maggiori rigori. 

Desiderano le Cipolle come gli Aglj bianco 
terreno, rosso, leggieri e non forte, renischio 
grasso di sua natura, ed anche ingrassato con ar 
tifizio di letame, lavorato bene sotto e che, biso- 
gnando , agevolmente si possa adacquare. Amano 
ancora la terra grossa e sustanziosa di buon fun- 
do, feconda e lavorata, leggiera sì che tenga d’a- 
rena. Nella terra fredda e forte non cresce o iu- 
grossa molto; ma chi ne voglia far grande im- 
presa, ed abbia la terra a proposito, dee rom» 
perla, e lasciare che ella s' inumidisca , e poi ben 
concimarle di febbraio ed ordinata ed appianata 
in ala (tirando l Austro o 1 Euro) porvele, e 


84 
cresciuté dipoi grosse s'hanno a traspiantare un 
po’ più rade sei diti l’ una dall’altra del mese 
d° aprile o maggio, adacquandole . Quelle che si 
seminano di seme, vengon più grosse, ma fan- 
no poco seme, e volendone assai, porransi delle 
cipolle vecchie quando cominciano a metter tallo, 
tanto delle porraie che si veggon tallite , che per 
tallirsi, e così alla primavera, e conciansi anco= 
ra di settembre e di ottobre, e di novembre, e 
per averne dipoi ancor molte seminansi (come 
s'è detto) di febbraio, e così le bianche come 
le rosse si seminano altresì d’ agosto, e si tra- 
piantano sino alla Pasqua sempre rade perchè così 
diventano più grosse assai. E dove si trapian- 
tano sia lavorato prima bene e bagnato il terre- 
no acciocchè sia più trito, e così si faccia 
in tal caso dove elle si seminano, sazian- 
do bene quel terreno d’ acqua, ed il giorno poi 
seguente essendo chiaro e buono , si trapienteran- 
no saggiamente sempre a luna scema, perchè a 
luna crescente per il troppo forte umore aqueo 
che si solleva loro conforme all’ umido della luna 
che va crescendo troppo dannoso, anch’ esse non 
possono intenerire , e perciò è bene tutto quello 
che si fa alle Cipolle in sementarle , trapiantar- 
le, o strapparle o corle, farlo a luna scema; così 
ancora scoperte che sono alquanto, cresceranno in 
levar loro delle foglie di sopra perchè ingrossan 
più dipoi; e finalmente quando piccolette si tra- 
piantano, si strappi lor le foglie di sopra, esi 
tolga loro delle barbe di sotto, e si calpestino e 
ammacchino in sul terreno dove son sotto, per 
farle crescere ed ingrossare, sempre a luna cre- 
scente , sebbene la cipolla più di tutte 1° altre erbe 
non seute i danni della luna . Le rosse sono sem- 
pre secoado alcuni più forti che le bianche . Nè 
sì caccino traspiantandole troppo sotterra perchè 
alte si creano, e da queste divelte sopra pezzo 


85 
d’asse è da pigliare le radici, che rimangon 
sotto, se lungo rimanesse il corpo Sn Si 
strapiantino acconciamente in tempo nuvoloso al 
tardi , e non succedendo la pioggia e piantate 
s° adacquano,} ed in traspiantandole, e levan- 
do loro tutte le barbicole ed ogni lor capel- 
latura faranno ilor capi maggiori, avendo pri- 
ma tenuta la terra a sciorre e rasciugare per ven- 
ti dì dov’ elle s° hanno a piantare. È se spo- 
gliate della lor prima coverta si metteranno giù 
delle più belle e grosse, si deono sceglier tonde 
le quali han da essere state sotterrate all'agosto 
per il seguente anno. Equando saranno in esse- 
re che 1 gambo non possa reggersi e mantener- 
sì, appogginvsi destramente a una canna legan- 
dole sin al tempo che sia il loro seme maturo, 
che è quando sia ben nero. Non beccano gli uc- 
celli il loro seme; imperciò si potrà far di meno 
di coprirlo. Alle trapiantate sì può porre iu fon- 
do nel mezzo a’ solchi una lastra 0 coccio sutto 
il ceppo delle barbe, e diventeranno più grosse, 
ed anco negli orti faranno rotonde , più delicate, 
più crasse, di più dolce odore, le bianche più del- 
le. rosse ; imperciò le trattiene ed in crescendo 
troppo (siccome fa più o meno cottoie le carote) 
gioverà l’adacquarle assai e le farà forti: il che 
dee farsi verso la sera o di notte, e si denno 
corre doppo mezzogiorno quando il terreno è 
asciutto , e (come si disse) a luna scema di giu- 
gno o luglio e agosto , secche bene , prima o poi 
sian seminate. E si serrino in luogo oscuro , ed 
asciutte mettenadovele a luna scema, che ala cre- 
scente son più vizze. Non germoglieranno da per 
loro in alcun tempo se con una paletta affocata 
s'aggravino di sopra il tallo stropiccisudole, e nem- 
meno talliranno se subito colte sarà dato loro un 
tuffo nell’ acqua che sia calda per un puco , e poi 
asciutte riposte in luogo secco. Ma tengansi per 


86 

quattro -dì al sole ‘colte’ che sieno, dipoi ripon» 
gansi in palco stese su per tavole, e non am- 
montate, e se si vedranno tallire mettansi a bole 
lir nell'acqua, e doppo nell’ arena , che si con- 
serveranno tutto l’ inverno ed anche la state. E 
non si toccando l’una l’altra nella paglia dell’orzo, 
basteranno assai; ancora appiccate al palco ba= 
steranno pure «Sono alcuna razza di cipolle che 
non talliscono, è di queste s° ha da cercare d’en- 
trar in seme, o ben cipollini. Non rifuzgono 
alcuna sorta d°aere d° acquitrini. — Le cipolle 
cotte. nel forno o sotto la brace eccitano la Ve- 
nere, provocan l’orina, ed inducono voglia di 
dormire. Gonciate in acqua che le copra da due 
bande , e scolato tutto 1° umore portano neli” ac- 
. qua cruda la loro amarezza, e si fan più dolci. 
Non mangiavano in Egitto i Pelusi le cipolle; 
perchè le non obbedivano alla luna, quale essi 
hanno in venerazione, perciucchè tutte 1’ altre 
erbe seguono il suo crescere e scemare., queste 
fanno tutto al contrario d’essa . Scrive Solone che 
se ciaschedun dì si mangeranno cipolle, si man- 
terrà 1’ uvmo sano. E° osservato che le cipolle of- 
fuscano la vista e ottenebrano l'intelletto. Le 
pannocchie col seme sì conservano dieci anni at- 

taccate iu lato asciutto . | 
Il Cavolo fu avuto in grandissima: venera- 
zione dagli antichi Greci comecchè gli Ioni co- 
stumassero di giurare nel suv nome, siccome Ze- 
none per il cappero e Socrate per il cane. Scris- 
sero delle sue lodi con gravità Crisippo e Pit- 
tagora, e tra i Latini M. Varrone e Catone gran- 
dissimamente lo commendarono. Sonvene di mol- 
te sorte, e gli antichi avevano in pregio il Sa- 
ellico di cresposissima foglia , ed il Lacutorio; 
quale voglion dire che sia il Cappuccio. Oggi 
si apprezzano sopra tutti gli altri ancora i Gap- 
pucc], i quali in Italia ed io Germania per l0 


8 
più assodando una foglia sopral’altra, era 
in grosso pallone, diventano bianchi ; ed in Fian- 
dra di questa sorta ne fa de’ pagonazzi. Oggi- 
giorno si trovano i Cavoli-rape, i quali nel gam- 
bo sopra terra ingrossano a uso di rapa, e so- 
pr’ essa hanno le foglie simili a’ cavoli bianchi. 
Di questi non è menzione alcuna appo gli an. 
tichi, come nè de’ cavoli costoluti, i quali nel 
mezzo delle foglie hanno una costola di smisu- 
rata grossezza, e n° hanno molte che si ristrin» 
gono insieme l’ una addosso all’ altra. come il 
Gappuccio, ma restan rade . Medesimamente 
de’ Gavoli-fiori non è memoria appo gli antichi . 
Questi hanno le foglie sbiancate, e dentro un 
fiore sodo ammassato insieme con certi gambi 
gentili e teneri che gli reggono , ed è gentilis- 
simo. a mangiare. Di miglior gusto di tutti gl’al- 
tri sono i Cavoli Romani da molti detti Frunte- 
sì, che si serrano le foglie in lungo. Sono gl’in- 
tagliuzzati di foglie, ed a tutti la brinata ac- 
cresce grazia e sapore; e così fannoi freddi che 
gli rinteneriscono. Ristringonsi tutte le sorte a 
due, bianchi e neri; di questi i più crespi e gl’ in- 
tagliuzzati sono i migliori; di quelli i Fiori 
principalmente, ed i Cappucc], i quali credono 
altri che gli antichi addomandassero  intretia- 
ni, e gli coltivavan in questo modo: Seminati 
all’ ordinario nell’ aiudle degli orti di novembre, 
e di ii per averne in varie stagioni e 
nati di tre foglie gli traspiantavano in terreno 
grasso divelto ; e secoudochè le lor foglie s° in- 


tralciavano da per se cascando a terra o li fug. 
givano, gli rincalzavano di nuova terra attorno, 
lasciando scoperta solo la cima, che così ingros- 
sava, e diventava racchiusa e soda d' ogni tem- 
po. E sono quelli che i Tedeschi tengono in 
tanta reputazione, e nella Baviera, e Sas. 
sonia sene trovan piene tante campagne, ove 


88 


coiti maturi e fatti gl’ insalano nelle botti com- 
ponendo un suol di sale, ed uno di cavoli cap- 
puccj; e poi tenuti in molle în acqua calda, con 
carne, o con burro conditi gli mangiano per tut» 
to l’inveruo , e gli chiamano Ruder-Crauter. 
Seminansi in primavera a piena luna di marzo, 
perchè stiau duelune in terra, e di maggio si tra- 
spiantano un braccio l’un dall’altro ‘in terreno 
grasso prima vaugato a due puntate, e sempre 
rincalzandoli in rotondo che le foglie stieno vi- 
cine a terra; e così si farà sino a due volte. 
E lo star sotto le nevi gli fa più teneri, come 
per coutrario la carne troppo frolla, edi pesci 
che morti patiscono, ritornano fra la neve nel 
solito lor valore. Per essere il Gavolo di cre- 
dito in tutte le provincie, e massimamente. in 
Regno di Napoli, detta foglia è ricercata per 
le povere genti, e per le ricche ai tempi suoi, 
«che sono in tutti quelli mesi, nei quali non. si 
ritrova le bianche, e sene Ei maggior consumo 
che di qualsivoglia altra erba. Merita il pregio 
dell’opera di attendere con diligenza alla natu- 
ra della sua coltivazione . E primamente si dee 
sapere che ogni sorta e qualità di cavolo ama il 
paese freddo, accrescendosegli in questo vigore , 
fortezza e grazia. Vengono ancora ne luoghi 
temperati assai bene; nei caldi un po’ meno, ed 
in questi solo il Fiore oltremodo ben vi prova. 
Ma in generale quella regione è buona per tut- 
ti i cavoli che è fredda e piovosa. É così come 
poi alla fine egli vien bene in ogni aere ( per- 
ciocchè la Natura di quelle cose che ci son più 
di bisogno è stata più larga a concederle in tut- 
ti.i modi ) fa anche in ogni terreno; e sebben 
nei cattivi divien talora svanito e scriato, come 
nella cretosa, nell’ arenosa, nella sabbionosa, e nel. 
la magra, benchè annoi le sabbionacie e le scri- 
Ye) alcug, tuttavia con l’aiuto del letame, e col 


89 
sarchiarlo spesso, e rincalzare vi divien ragio- 
nevole; ma la terra che egli ama di sua catu- 
fa è ia giassa sustanziosa, di buon fondo, e 
b»n riposata e senza sassi, ed in questa sene può 
piantare sugli orli de’ solchi dove sia semina- 
to il grano, doppo che sieno couguagliate le por- 
che. Nella mezzana pure aiutato dal concime 
fa buona prova. Si possono ancora i cavoli tra- 
piantare e seminare in ogni tempo deil’ anno, 
ma chilo fa d’aprile, tutto l’ anno vive; e dope 
po i tredici d’ aprile acconciamente si pianta il 
cavol nero crespo, ed il Romano, e Franzese, 
e massimamente nei paesi piovosi e freddi, e ne- 
gli altri adacquaudo . E si traspiantano quelli 
che sono stati seminati di marzo e al fin di 
febbraio , si sfogliano poi sotto e si scalzano di 
man in mano, avendogli piantati nel basso del 
solco lontani un braccio l’ un dall’ altro, special- 
mente i nostrali cappuccj, e gli altri un po’ me- 
no. Ed in capo all'anno si scapezzano e pri- 
ma servendosi del grumolo con tutte le foglie; 
e discimato rimettera dalle bande assai rametti 
che si chiaman broccoli e si cucinano come gli 
asparagi avanti dien fuori il fiore per fare il 
seme. Trapiantasi il cavolo secondo molti quan- 
do ha sei foglie, spuntatagli la radice principa- 
le, e impiastrandola di letame stemperato, e rav- 
volgendola in tre manciate d’ aliga; questo fa 
che il cavolo mantiene cocendosi il vivace ver- 
de suo colore senza salnitro. Alcuni lo traspian- 
tano nei luoghi più caldi, o più a solatìo in 
Galen di marzo, ma la più parte d’esso sene 
va in cima con sottil gambo. Si possono anco 
tutte le sorte di cavoli seminare e trapiaotare 
tutto ’1 resto dell’ anno, purchè la terra non sia 
agghiacciata, o così secca e dura che noo si 
possa lavorare. Quelli che sì seminano di feb- 
braio, di marzo, d’apriie, di maggio e di di- 

12 


90 
cembre, sì odono tutta 1’ estate e tutto ’1 verno, 
nel quale son fatti frolli dalle brine e dal freddo; 
e se i loro tronconi non si divelgono produco- 
no i semi a primavera, i quali si raccolgono 
quando son fatti, secchi e maturi; ma se si 
leveranno loro i ramoscelli de’ semi più volte quan- 
do rimettono sì che vada via tutta la materia 
del seme, sì domano e dipoi producono vigoro- 
se foglie. Ne sono ancora d’una sorta che nen 
vale lor questa cura; tanto son pronti a mandar 
fuora il sere. Alcuni altri non sono di questa 
natura così solleciti a fiorire, ai quali vale la 
regola detta . E quelli che si seminano a mez» 
zo agosto sin’ al primo di settembre, e che poi 
si trapiantano all’ ultimo d° ottobre “quando sa- 
ranno alquanto cresciuti, si faranno grandi e 
buoni per il tempo che vengon seminati, ed an- 
cora doppo, € non producon seme,e non temo- 
no di freddo, nè di brinata, ghiaccio, o neve; 
ma se si semineranno innanzi a detto tempo fa- 
ranoo i semi la Quadragesima, e non ne faran- 
no le lor messe tenere avanti al fiore, buone a 
mangiare. E seminandogli doppo detto tempo 
saranno teneri al freddo, e converra con letame 
crudo coprirgli e difendergli che non si perda- 
no; e tuttociò s'intende dei cavoli crespi verdi, 0 
neri, buoni con l’olio, i quali si posson pianta» 
re, perchè siano buoni per il verno, di giugno 
luglio ed agosto, annaffiandogii assai, e ponen- 
dogli un poco più radi ne’ solchi per poter 

meglio lavorargli al piede, e si deono traspian- 
tare quando sono in sui crescere e lor più ga- 
gliardo aumento. Desiderano questi cavoli d’ es- 
ser piantati in sul vangato, o piuttosto divelto 
un braccio, e similmente si posson piantare fra 
i cavoli grandi di prima quelli che hanno a ser- 
vire per il tempo quadragesimale ; e volendone 
in questi tempi medesimi dell’ altre sorte sì pos- 


; 91 
sono seminar prima e trapiantargli come i detti. 


Il cavolo piantato presso ali’ origino , ed ai ci- 
clavio, diventa secco perchè tuttavia l’ uno e 
l’altro vien meno. Gode il cavolo alle radici 
assai del salnitro, e delia cenere, e con questo 
aiuto sen’ è viste piante che hanno cresciuto 
all'altezza di tre e quattro braccia , di grossezza 
uguale al polso. Nelle vigne ove sien piantati 
cavoli assai, il vino diventa più dissipito per 
la inimicizia, che è tra loro. Onde è che il ca- 
vol crudo mangiato innanzi a che si voglia bon- 
dato bere, resiste all’ ubriachezza. Si possono 
ancora seminare rei Inoghi caldi al fio di mar- 
zo, ma presto per il caldo sene vanno in cene» 
re; sarchiati spesso e letaminati si fan più bel- 
li e fermi. Deonsi prima seminar fondi nelle 
piccole aiuole di buon terriccio degli orti, e 
dipoi sbarbati trapiantarli, lasciandovi ancora. 
quivi dei diradati a modo. I Cappuccj che so- 
pra tutte le altre sorte amano il terreno lavo- 
rato a due puutate di vanga se non divelto, 
s hanno a seminare in queste aiuole di febbra- 
10 per trasporgli a primavera, affin d’ averne con 
l’aiuto dell’ acqua a fargli chiusi d’estate, sic- 
come in quel tempo a Genova sene veggono, 
ed in altre parti; che l’ acqua al sole con quel 
caldo che gli strigne gli fa serrare ed assoda, 
come l’ invernata il freddo; e per questo si se- 
minano al fine del mese d’ agosto, e di settem- 
bre si trapiantino per avergli fatti al principio 
dell’inverno. Ed in somma gi può avvantaggia» 
re il seminargli ed il trasporgii innanzi o dop- 
po, secondochè si vogliono avere o prima 0 poi 
maturi e fatti. Imperciò è bene seminarne d° 0- 
gni fatta e trapiantarne per tutti i tempi per 
averne tutto l’anno. E ponendogli in proda vol. 
ta a mezzogiorno, si faran più presto, ed a 
tramontana indugeranno, e massimamente ove 


92 
‘possa Questo vento, @ così faranno tutti gli al. 
tri; e a tutti si deono fare i buchi col piolo 
nel foudo del solco, piantandovegli dentro, per 
poter poi rincalzargli con il suo orlo y ed in pars 
te mettere del letame marcio loro attorno :il che 
si dee fare finito l anuaffiare, e passato il caldo; 
nel quale vogliono esser bene adacquati di not- 
te, massimamente i piccoli: i grandi riparano il 
caldo. E se si adacquino con acqua salsa, son 
più saporiti e più teneri siccome i piantati in 
terreno salso ove fanno benissimo. Ed il me- 
desimo fauno seminati in terra vicino alla ma= 
rina; e se si getta loro sopra le foglie o nelle 
barbe quattro o cinque volte , verran grandi-più 
presto, ed in perfezione, e più saporiti. Gli 
fa anco più saporiti e giova loro assai il salni- 
tro con fargli stare più verdi e teneri. Pesta- 
si il salnitro quando son piccoli, e si cerne e 
getta loro addosso leggermente. Ancora si sfà 
il salnitro in acqua e si spruzza sopra di loro 
con una scopa, e ciò ammazza i bruchi ed i 
farfallini, impiastrando ancora loro le radici con 
letame di bue, odi vacca, o d’asino, che per 
i cavoli è veramente il migliore; tantopiù se 
vi aggiugnerai avvolgendola intorno dell’ aliga 
due o tre pugni. Così manterranno il colore, 
e coceranno più agevolmente; nè faranno bru- 
chi o pidocchi se si seminerà fra loro qualche 
veccia o lupini. Ancora gli ammazza ja polvere 
dello sterco secco di pecora o colombina mesco= 
lato con cenere di fico, o d° ulivo gettata lor 
sopra, e la decozione delle foglie dell’ ulivo , e 
del sambuco, o profumo di zolfo, o di abbrucia- 
ture di corna di cervo 0 di capra; ed andan- 
do innanzi si levino loro le foglie inferme, e 
perchè si creano più nei luoghi aprichi ed umi- 
di che dove sia vento o aere, è ubbìa il credere, 
( come alcuni scrivono ) che sì trova per esper 


3 


rienza che a zappargli tre venerdì alla ala Tuî 
doppo l’ altro, proveranno mirabilmente, facen- 
dolo da principio. In luoghi caldi ed umidi si 
piantino i cavoli di foglia liscia, e dove possa 
il vento, e sia il lato scoperto, i crespie neri. 
Dei Cappuccj non escono i talli come degli al- 
tri; e perchè nei rampolli quelli sono i miglio- 
ri che serrano ed assodano bene e doppo non 
s'aprono, di questi tali s° ha ad eleggere il se» 
me. E quando incominciano a chiudere non si 
tocchino mai con le mani, massimamente nel 
lor mezzo; che s' impedisce loro il seme, e stan 
più aperti e si guastano. È quando averanno 
fatta la palla soda, taglisi in croce sina mez- 
zo perchè con più facilità dia fuoriil tallo a fa- 
re il seme. E di tutte le punte che si raccolgo- 
no de’ cavoli, quella è la migliore che si piglia 
dalla messa più bassa verso iltronco, e perciò 
è bene spuntargli da capo, perchè quì, e non 
altrove si costrigono a generarlo, e basta avver- 
tire di non romper loro le principali. Il seme 
di qualunque cavolo doppo dieci anni seminato 
( scrivono ) produce rape. Deesi adunque semina- 
re del fresco e stagionato, maturo d’ un anno, 
e tuttavia a luna nuova, perchè nasceranno 
meglio sebben più tosto talliranno a far semen- 
ta. E la cura, e ’l governo istesso che si è 
detto doversi dare al cappuccio, dee usarsi ai 
cavoli costoluti e rapi, romani, e torzuti, i 
quali tutti con quelli che sono di gran foglie e 
bassi ( per fargli presto bianchi e teneri ) si 
possono legare e :ammontar loro la terra addos- 
so come ai cardoni, ovver fatta loro una buca 
appresso, farveli sdrucciolar dentro, e ricoprirgli 
di terra senza sbarbargli affatto, ed ancora la- 
sciare un po’ la puata scoperta per lato perchè 
non infradici. Amano questa sorta cavoli più cer- 
te vallate di costa che i piani, o vero certe col- 


4 | 
line rilevate, grasse, e polpute. Ed ancora fau 
bene in terreno grasso, gagliardo e forte pur- 
chè sia addomesticato con il letame. E così 
fatto bramano il sito i Cavol- fiori, i quali 
annebbiano agevolmente , ed assai volte pere 
dono la pipita; e perciò avendo a essere nei 
piani, conviene allogargli ne’ lu:ghi aperti. 
E perchè illoro seme tral:igna., e nei nostri pae- 
sì non si conduce buono, ficendo il fiore nel 
cuor del verno, che poi quantunque coperto non 
si può salvare a maturarsi dopp' il freddo, con- 
viene ogoi anno procacciare di quel d° Alessan- 
dria che è il mig ivre, e il luogo vero di dove 
vennero prima, e che non imbastardisce come il 
nostro. Ma per aver buon seme di Cavoli cappuc- 
Cc] conviene l’ invernata cavar del campo con una 
gran piota quel cavolo che si ha a serbare per 
seme, e postolo in cantîna intrattenerlo siù a pri- 
mavera ed a quella piantarlo nel terreno a tar 
seme ; altrimenti ancora questo come i fiori con- 
vien rinnovarlo di Genova, che è lor paese na- 
tìo, e migliore. Seminisi di questo nell’ aie di 
buon terriccio al principio di maggio ed un poco 
prima, o secondo i mesi che si desideri avergli, 
o prima o poi nel giugno; benchè non si acco- 
moderanno tutti a dare il frutto del fiore sodo 
èîutto in un tempo. Aiutinsi a nascere con l’ada- 
cquare, e sebbene in tutti gli altri si dee osser- 
vare la regola di trapiantargli interno a mezzo 
giugno in terreno della qualità detta, vangato a 
due puntate, e fattovi dentro un solco discosto 
lun dall'altro un braecio e mezzo fondi una 
puntata in su quel piano, dando lor buon leta- 
me fradicio, gli trapianterai adacquandogli con- 
îinuamente, e secondo che crescono tirerai loro 
a terra di quel terreno delle prode , e pareggia- 
îo che sarà (durando ad adacquare sin a setrem- 
bre ) vi farai un solchetto solo per poter anco- 


5 
ra seguir d’ adacquare pareggiando, e consi 
gliando il resto del terreno sin a sommo. E l°a- 
dacquare è lor necessario massimamente in quei 
gran caldi. Dipoi passato ottobre, a novembre 
e decembre, se 1 freddi lor nocessero, convien 
coprirgii con capannelli di paglia scoprendoli 
ai tempi buoni, e ricoprendoli ai cattivi; ma il 
vantaggio è traspiantarli ai solatii ed in faccia 
del sole. Faranno nel tempo il fiore, il quale è 
maturo quavdo è con le foglie aperte affatto , ed 
esso sodo, dipoi declina e s’infradicia, o am- 
mucidisce. Colti, come i cappuccj sì conservano 
in cantina nell’ arena, e non paia fatica che me- 
ritì il pregio dell’opera; che è eccellentissimo , 
o sia cotto ordinariamente come l’ altro cavolo, 
o lessato e poi scolato e spremuto dall’ acqua, 
fritto in padella e dato in tavola con agro di li- 
mone e pepe, o con burro, o con la carne. E 
volendone avere avanti al verno, seminali e tra- 
piantali innanzi quel tanto che tu disegni di vo» 
lere avergli. E’ delle viti tanto inimico ilcavo- 
lo, che esse avendolo accosto , lo rifuggono come 
sì torce ancora a contrario il cavolo; ed ogni poco 
di vino che si metta nella pentola che ha a cuo- 
cere il cavolo, lo difficulta di maniera acio, che 
lo fa anco discolorire; e quell’ erba con la quale 
sì fa scostare la vite, si fa seccar con’ origano. 
€ pan porcino piautatole accanto. Il cavolo è tan- 
to umoroso che non pur viceve in se altri innesti 
di bietela, lattuga, e simili, ma ancora de’frut- 
ti. Ferma il cavolo la crapula, e ne rende la ra-. 
gione Aristotele ne’ Problemi. Proibisce 1 im- 
briacarsi 1’ aver innanzi mangiato del cavolo 
cotto; altri preparandosi a ben bere, mangian 
prima delle mandorle, o del cavol crudo ; ed al- 
cuni beono prima due bicchieri d° olio, poi beo- 
no a ricorsoio, tutto scolando peri vasi dell’ori- 
na dilatati e tenuti larghi da quello. La foglia 


96 i 
del cavolo mangiata astrigne il ventre, ed il bro- 
do d'essa lo solve e mollifica. Il cavolo nano 
rosso chiamato da i Latini Orobanche abbrac- 
ciando l’ Ervo, ammazza. H cavolo salvatico” 
per il più nasce alla marina, nei dirupati delle 
grette di quella, edè un poco più bianco del do- 
mestico , pelosetto e non senza amarezza, la qua- 
le lascia un poco, traspiantato nel domestico; e 
molto in uso alîe medicine, e sovviene prepara- 
to a più malori. Scrivono, icavoli d° Egitto es: 
ser tutti di sapore amaro; imperciò il cavolfio- 
re che di là viene, ed è ottimo per tutto, fallisce 
la regola. I 

Il Cardo è di due sorte, salvatico e dome- 
stico; quello nasce tuttavia minore, l’altro è 
sempre più grande e di fusto e di foglie tanto te- 
ifaci, sode e concave, che piovendo rattengon 
’ acqua per un pezzo, e g'i uccellettì nei gran cal- 
di, avvisati di ciò , si riparan da questi beendo 
a spegoversi la sete con essa; siccome i vermi- 
celletti e bacolini che nascon dentro ai véòti delle 
lor pinne portati attaccati al collo liberano i 
quartanarj, e desiderano piuttosto terra risoluta 
che dura, agevole che forte, grassa che magra, 
netta e senza sassi; umida piuttosto e paludosa, 
che secca ed asciutta. Così fatto terreno rotto 
‘prima avanti al verno, traversato ed erpicato al 
febbraio, letamato bene al marzo, e. riarato e 
riappianato con l’ érpice si semina al fine d’esso, 
© al privcipio d° aprile, e isuoi semi piuttosto 
radi, che foudi. Ricuopresi bene rastrellato con 
i rastrelli di ferro, ma meglio di questo è ( spar- 
so il letame sul campo sodo) vangario innanzi 
al verno; ed a qual’ora sì voglia seminare, far- 
lo al modo sopraddetto. Al principio di maggio 
si dee mondare , e sfogliare il suo fusto , e di giu- 
gno e di luglio vi s° ha a sarchiare, edintorno 
al fin di settembre, o principio d° ottobre si ca- 


ci 
‘vano con la vanga, e svettati tutti si ripianta- 


no in terreno preparato come di sopra . E meglio 
è che se non divelto, sia a due puntate lavora- 
to con la vanga. Piantansi con i piòli, lontan 
lun dall’ altro un mezzo braccio pillando bene 
attorno alla radice la terra nel pertuso , che sia 
stivata tutta. Deonsi poi zappare asciutti quan- 
do hanno messo. E tuttavia gioverà loro il sar 
chiargli di marzo, aprile e maggio , purchè non 
abbian cominciato a mandar fuori il cardo; il 
quale ( fatto ) si cava tagliando i più grossi e qua- 
dri per dar sosta di venire innanzia quelli che 
vi rimangono. E perchè nel lor fiorire comincia 
a fiorir la mazza d’ognicesto, e di man’in mano 
sinchè è fiorita tutta, come son caduti i fiorì, 
appresso un dito al picciuolo sì taglia lungo 
un dito quel gambo la mattina o la sera, di 
quando in quando che sian fatti, e fattine maz- 
zi legati s° appiccan separati in luogo dove 
non abbian vento, nè umido, nè sole ; 0 vera- 
mente si distendono quivi al coperto non più alti 
d'un palmo; dipoi si fa scelta secondochè son 
buoni a cardare più in un lavoro che in un al- 
tro, piccoli, mezzani, o grandi. E° bene (aven- 
dogli seminati un po’ radi della miglior sorta ) 
non far altro che teuergli netti, e raccor quelli 
che fioriscono il primo avno, e lasciar gli altri 
restati indietro più piccoli peril secondo;e ri- 
durgli in mazzi legati attaccati pendenti sopra 
pertiche in luogo asciutto. Alcuni gli serbano fic- 
cando il picciuolo nei graticc]j, sì che il cardo 
non si strofivi a guastarsi le spine acute che ha. 
Il seme si raccoglie scotendosi in aere verso ter- 
ta, e sì dee serbare il seme dei maggiori e più bel 
li, Fannosene grandi imprese sul Bolognese, e 
con gran profitto di chi le fa. Addomandasi per 
altro nome Dipsaco, e Verga del Pastore . 

La Cracca 0 piccola Veccia si ‘gaia quando 

I 


8 
le riice appostando di farlo avanti la piog- 
gia ed esce fuori a primavera; dove i colom- 
bi la gustano una volta, non sene parton mai. 

Il Centone ammazza il Cece, cheammazza 
tutte 1’ erbe che gli sono appresso; ed il cece 
ammazza anco se medesimo, e 1 Triolo. Chia- 
masi Alsinia, ed Orecchia di tono. 

I Cetriuoli ordinarj si producono di due fat- 
te, bianchi e verdi, ma tutti imbiancano ua poco 
la punta. I verdi quando imbiancano la cima, 
sono nel loro essere più tenero, che è quando 
sono in migliore stato per mangiarsi; e quando 
sono ancora più piccoli e tenerotti, si conserva- 
no di appetitoso sapore, posti nell’aceto salato, 
e nell’agresto similmente insalato. Quando sono 
poi induriti e fatti gialli, son buoni per sementa, 
e quelli che per ciò s° hanno a serbare, sienoi più 
vicini nati al suo gambo principale, ed allora sa- 
ranno da corre per seme quando sia o appassito af- 
fatto, o cominciato a seccare tutto il pedale. 
Apronsi per diritto con un coltello; cavisene l’ac- 
qua che han dentro, e lavinsi con acqua pura; 
dipoi st asciughino con un panno lino, e data loro 
un'occhiata di sole si ripongano sparsi su per 
tavole in lato asciutto sin’ a che sia tempo di se- 
minargli, che è passati i freddi, al principio d’ a- 
prile; e volendone de’ più tardii, semininsi più 
serotini. Seminansi in fondo o in su l’argine 0 
costa di un lungo solco ricoprendoli poco, lonta- 
ni l’un dall'altro un braccio in terra grassa 
nell’ aiuole delie cipolle, o lattuga che s° hanno 
a levare di maggio, e per illargo sidia uno spa- 
zio di cinque braccia fra )° un selco e l’altro af- 
finchè si possan distendere per l’ aiuole di quà e 
di là, e s'armi il solco sopra di canne perchè 
possa sotto correr l’acqua e passare per annaf- 
fiargli: il che vuo! esser fatto più tosto due vol- 
te il dì che una. Ingomberan essi quel luogo, le- 


vate le robe d’ortaggj che vi sono; nati, si di- 
radano lasciandone per dirittura un fijo lontani 
quanto si è detto. E vicino ai lor gambi si ri» 
tira quel solco dove si seminarono diritto, copren- 
dolo ( come dicemmo ) con le canne. Amano d'es- 
sere adacquati, come il grasso e°’| concime, e 
senza questo aiuto ( non andaudo tempo piovoso ) 
divengono amari e di tristo sapore. Ma diveglien- 
do il terreno a due puntate, e concimandolo bene, 
si potrà divider lo spazio che sia da una buca 
all’ altra due braccia, e seminargli a quel modo 
in sul basso della buca, e dipoi cresciuti che so- 
no, lasciando una pianta per buca e rincalzan- 
doli poco a poco, tantochè si agguagli il terre- 
no. Fanao gagliarde messe, imperciò conviene 
spesso svettar con li diti tutte le lor cime. Al. 
legano assai frutti, i quali tutti s' hanno a la» 
sciar venire innanzi. Amano paesi caldi, ed in 
questi, seminati in diversì tempi, sene avrà per- 
sino all’autunno ; fanno ancora nei mezzani taa- 
to freddi quanto temperati; s' apprezzano i più te- 
neri ed i più- piccoli nell’insalate. Ancora si 
mangian crudi così con sale, e cotti conla carne. 
Ma in tutti i modi acconcio, è cattivo cibo, fri- 
gido, umoroso, è di niuo nutrimento appresso. 
, La Camomilla è erba che fa pericampi na- 
scendovi da per se, e fa un fior giallo, in mezzo 
di fogliuzze bianche , e quivi dentro crea il suo 
seme, il quale raccolto con diligenza si può se- 
minare all'aprile; n'è della grossa e della minu- 
ta; la minuta è più costumata alle medicine , ed 
ai clisteri, nei quali è di grandissimo uso. 

I) Dragone, o Dragoncello che in Toscana si 
chiama Targone , è erba oltre a modo delicatissima 
per l'insalata di mescolanza, e per le salse; si 
traspianta di piante prendendo i rami che a terra 
crescono coa le radici; somiglia il lino di quan- 
do è nato di quattro o sel dita. Non fa nè fiore 


100 

nè seme alcuno, ed il verno al gran freddo e pri- 
ma resta secco sopra la terra; resta solo viva la 
barba, la quale si cuopre con letame nuovo po- 
stovi sopra a grossezza di un palmo, che ben lo 
turi e serri tutto, a primavera poi siscuopre, e 
di subito si zappetta, e si levan via tutte l’altre 
erbe natevi; perchè rimetta come fa di nuovo, si 
strappa sopra terra, o rasente, e rimette sempre 
più fresco e piùtenero . Ne sono di due fatte, l’or- 
dinario che ha la foglia distesa e lunga, ed il 
Lombardo che 1’ ha un poco più corta ed inta- 
gliuzzata , e più si distende schiacciato a cresce- 
resu per il terreno. Fassi nascere il Dragone 
con arte di questa maniera: Piglia la cipolla 
squilla, e tagliata a diritto pertraverso e secca, 
avendovi dentro fatti certi piccoli fori con le mol- 
leite, metti fra le sue doppie scorze del seme di lino 
a granello per granello fitti quaniì ve ne cape 
con la punta scempia all'insù. Dipoi seminali in 
buono e grasso terreno facendo che vi sia sopra 
per quattro diti e non più; e se va asciutto, aq- 
paffia, che ne nascerà Dragone, sebben molti 
han provato e non è riuscito loro. Ancora nel 
tafano, e nelle cipolle ordinarie si può avere 
questa speranza; ma poichè l’ umana prudenza 
consiste, nelle «ose che sono incerte e dubbiose 
in saper giocare al sicuro, il migliore è cercar 
d’ avere della più buona sorta Dragoni che si pos- 
sa ritrovare, e traspiantarne di questi di febbraio 
all’ ultimo nei luoghi caldi, c al fine di marzo ne 
temperati, e nei più freddi d’ aprile ; dove coper- 
to ai tempi cou il letame crudo camperà , e vuol 
esser piautato nei luoghi grassi a mezzodì, ed 
ogni rametto spiccato dal suo ceppo s'appirca. 
E° erba che grandemente scalda, o ravviva il 
gusto. A quelle lor novelle messe tenere si dà un 
bollore nell’acqua calda tutto a un tratto , poi si 
scola, e si pongon ricoperte nell’aceto con sale 
iu vaso invetriato. 


101 

Le Carote hanno la radice al gusto giocondis- 
sima, quando è cotta e condita in foggia dell’er- 
ba con sale e aceto, o vero con sapa nel tegame 
conun intriso di carote medesime cotte, e con 
olio pure ed aceto, o siano delle rosse, o del co- 
lore del bossolo, che d’ambe queste due sorte 
ne sono. Seminansi d° aprile e di maggio secon- 
do i luoghi, e che altri ne voglia o primaticcie 0 
tardive; comecchè anco di giugno e di luglio, per 
averle più nel cuor del verno con l’aiuto dell’ac- 
qua in terreno grassissimo e lavorato a due punta- 
te ben concimato, e lavorarido con minuzzare sot- 
tilmente la terra perchè faccia le radici morbide 
delicate, e non ronchiose. E adacquandole con 
acqua di fiume saranno più cottoie. Nate folte 
s hanno a diradare, e zapparle sì, che impedisca 
1l far le lor foglie, le quali ancora con mano de- 
cimandosi faranno le barbs più grosse, e quelle 
che son fatte al novembre e dicembre, si cava- 
no, e si conservano in cantina ricoperte con l’a- 
rena o sabbia in lato caldo, coprendo loro anco 
il germoglio di sopra. 
i Le Dradette si seminan fra le fave, ed altri 
legumi, e finno tanto seme che sene cava gran 
quantità d'olio: sarchiansi e proccuransi com’esse. 

L° Elleboro bianco è differente dal nero per la, 
radice, avendola questo nera, e quello bianca; 
da fuora nel primo principio di primavera, ed 
allora con la sua piota e pau di terra cavato con 
diligenza si pianta ed alligna nel domestico. 

L' Ella nun si semina perchè non fa seme. 
Piantasi la sua corona di marzo e del mese d'ot- 
tobre in terra grassa divelta bene sotto, minuta 
e trita; sene ritrova di due sorte, domestica e 
salvatica. 

I° Epitimo è avvoltimento, o volucchio , @ 
Cuscuta che si ‘voglia dire del Timo; così la 
chiama Dioscoride perchè la s’ avvolge attorno 


102 
a' rami del timo prossimo, e legasi sì attor- 
no che ne piglia nutrimento dalle radici, 
e fiorisce come lui, pigliando la sua virtà, e più, 
talvolta; così fa all’isopo, e alla salvia; fa bel 
vedere, ed è molto utile nelle medicine. 

L° Erba Massima, è detta Fior di S. Marco , 
Erba del Sole, e Tazza regia. Venne trasportato 
il suo seme dall’ Indie di Mezzogiorno; merite- 
rebbe d’ essere annoverata fra le piante grandi, 
se ella ciaschedun anno non venisse meno; tan- 
to s' inalza , ingrossa, e cresce. Somiglia di na- 
scita la pianta piccola di zucca, dipoi pigliando 
forza comincia a fare il fusto, prima liscio, poi 
ronchioso e scabroso per l° attaccatura delle fo- 
glie, le quali somigliano quelle delle zucche, ma 
più nervose e tenaci, e con il gambo più lun- 
go, ma più sottile, il quale mondo, e cotto a 
uso degli asparagi non è al gusto disaggradevo- 
le. Il suo fusto ingrossa quanto il polso d’ un 
braccio ‘ordinario, crescendo talora all’ altezza 
d’ una picca, ed în cima fa una boccia grande 
che è di diametro più d’ un sommesso, più e 
meno secondo la terra dove è. Questa matura 
s'apre e dilata, avendo dentro a modo d°’ un ve- 
spaio i semi che sono mondi come fagiuoli ao- 
vati di color bigerognolo, dentro con un tene- 
iume , chè moudandone quantità sene fa grato 
sàvore, e del calcio di quella boccia monda se- 
ne Ya pezzi, che cotti nell’ acqua si mangiano 
conditi come i carciofi cotti, ed ancora si frig- 
gono, e non sono insoavi. Seminasi di marzo, 
o al principio d' aprile in fosse fonde un braccio 
e mezzo, e mezzo ripieno che sia quel letto ti- 
randogli della terra addosso per ripareggiare a 
poco a poco perchè fa poca barba, e potta ri- 
sico di capolevarsi dai venti. Ancora in buche 
e in su divelti si può fare il medesimo. Il suo 
fiore ‘è giallo, volto sempre. al sole; ama l’adac- 
quarsì . 


408 

Le Fave passano nel genere dei legumi, e 
sono di due sorte, minute e grosse; queste tut- 
te biancheggiano e son larghe schiacciate; dl. 
le minute rotonde ne sono di tre colori, nere, 
rosse, e bianche; le rosse ancora sono qualche 
volta delle grosse, come quelle che vengono di 
Napoli, d° Alessandria un poco più piccole, sem- 
pre più dure dell’ altre e manco cocitoie . Desi- 
derano qualsisia d’ esse paese temperato, seb- 
bene anco vengano nei caldi e nei freddi, ma in 
questi riescono più malagevoli a cuocersi; edin 
qualunque luogo le si seminino, amano terra 
grassa e sustanziosa, facendo in questa la scor- 
za sottile, e grosso il granello, e tenero , e tan» 
to più se sien le terre nuove; nelle terre debo- 
li o magre, o marciscono, o imbastardiscono. 
Gosì nei monti, e luoghi alti fanno mal:; de- 
siderano d° esser o in piani aperti, o in valli 
sfogate e non chiuse; godonsi nei campi anzi 
che nò umidi. E se occorre seminarle in non 
troppo gagliardo terreno, si dia loro letame mar-. 
cito assai; non si seminano in lati cccupati dall’om- 
bre, che le danneggiano come le nebbie. Icam- 
pi non più seminati, rotti di nuovo, ed i lem- 
bi che si chiamino i boschi o campiccj disf.tti, 
con l’abbruciarli e sredirli, Je rendon miezliori, 
e tutte le terre bonficano ed ingrassano . E vo- 
lendo sementarle per ingrassare il terreno sot- 
terrandole (ilche s° addomanda sovescio , ) si se- 
minin subito segato nella prima aratura. Nel ter- 
reno che sia denso non vengon, che bene. Se- 
minansi le fave nei luoghi caldi e temperati di 
dicembre, nei freddi di gennaio e di febbraio, 
ed al fine di questo si seminino quelle che son 
dette marzuole; come il grano si fanno ia tre 
mesi, ed ancora le grosse. Si seminano ancora 
di marzo in terra molto grassa e ben letamata. 
Nei paesi freddi alcuni le seminano avanti al 


104 
verno, e sia in luogo bene a solatìo, o dove si 
semicano le grosse in prode, o pendici, o val- 
late volte al sole. E le grosse vi si seminino di 
primavera per averle primaticcie da mangiar 
verdi, e volendone far grande impresa, farai 
che nel campo dove l’ hai destinate, sia ai suoi 
tempi tre volte arata la terra, e appianata con 
l’erpice; dipoi vi farai certi solchi fondi un pal- 
mo diritti, e lontani l’ un dall’ altro un braccio, 
e nel fondo di essi lontane I’ una dall’ altra cin- 
que dita getterai le fave, ricuprendo e ripareg- 
giando il terreno, andando per quelli spazj che 
restano fra l’ uno e l'altro solco a zapparle e 
marreggiarle: il che si dee fare quando sia al- 
ta quattro dita, e quanto più si farà, daranno 
più frutto, e saranno più belle. E deesi fare in 
giorno asciutto, avvertendo a non le ferire . Pos- 
sonsi anco in questa maniera seminar le minute; 
ma meglio sarà che si vanghi il terreno, e per 
le grosse ancora piantandovele con il piuolo 
lontane 1° una dall’ altra un palmo, e tutte aven- 
dole tenute in macero per un giorno nell’ acqua 
alletamata, che ciò le fortificherà in sul terre- 
no, e tesute nel salnitro, o morchia d'olio, fa- 
ran più frutto, sì cuoceran meglio, e si difen- 
deranuno dai vermini. Macerate per tre giorni 
nell’orina vecchia ed acqua faran gran prova. 
Sono le fave di natura di dar su dal terreno an- 
cora. hè fossero sotterrate d’ un braccio e più; 
imperciò molti usano gettarle in sal sodo, e poi 
vaugare, E mo!ti usano seminare alla Romana, 
pigliando un puguello di dodici, 0 quattordici 
fave, e tutte cacciate in una buca ricoprirle 
intte a un tratto sotto un palmo ; così faran buon 
Cesto , e si difenderauno meglio dai venti, € meglio 
fruttificheranno. L'importanza e gettare in terra 
tutte quelle che si seminano nella quartadecima , 
crescendo ancora il lume; e se rimangano scoperte, 


105 
non noceraà loro la rugiada. Così si raccolgono 
poi quando la luna è sotto innanzi giorno sca- 
za sbarbare nel fin della luna vecchia; dipoi to- 
stamente riscaldate nell’ aie e battute rinfresca- 
te avanti che piglino aumento si ripongano per 
salvarle dai fonchj. La sementa si dee trascer- 
re da quelle che son nate prima, e di quei bac- 
celli che sono stati i primi a apparire. Questa 
diligenza si potrà usare nelle grosse che sì man- 
gian verdi, e si conserveranno ancora bene nei 
lor baccelli secchi. Bramano |° acqua grandemen- 
te quando sono in fiore, e perciò è bene semen- 
tarle di buon’ora, che non vadano al fiore, ma 
nei campi dove elle hanno a giovare per far 
grasso senza sotlerrarsi, vi sian più tardi. Fio- 
risce quaranta dì e cresce insieme, nè si tocchi 
in quei primi quindici del suo fiorire. Deesi 
romper subito la terra ove sono state le fave, 
e più espediente sarà se nel segarle di mao in 
mano ( spazzato il Jato ) la lavorerai, cacciando 
pur sotto i suoi fruscoli e fronde prima che si 
secchino affatto. Non si cuocano in acqua salsa 
O marina perchè vi diventeranno più dure, 
ma tenute prima in acqua salnitrificata si faran- 
no preste e tenere a cuocere, Cotte, ed infrane 
te in tegame, e condite con olio sotto e sopra, 
aggiungendovi greco e stemperandole con un 
terzo di mandorle peste, si contempera assai la 
lor malizia, e si fanno men paurosi e più mo- 
derati sogni; per conto delle quali due cose e 
perchè addormentavano i sentimenti, i Pittagorie 
cil’avevano sbandite dai lor seguaci. Fanno an- 
cora diventare sterili le galiine che s° allevano 
in casa, mangiandone spesse volte. Ritrovandosi 
nel lor fiore colori lugubri, per questo an- 
cora i Pittagorici le vietarono, ed Amfiarao le 
proibì perchè elle allucinavano la fantasia ne° so- 
gni, peri quali non si poteva poi scorger le fu- 

16 


106 
ture cose, interrompendo esse la quiete e ripo- 
so della mente, e fu Orfeo della medesima opi- 
nione. Tenevano i Magi che l’ anime de’ morti 
risedessero in esse, e che però s° appresentasser 
ne’ mortorj; ed ancora oggi doppo le commemo- 
razioni fatte dei morti in Chiesa si costuma di 
mangiare a casa le fave, siccome far gli squitti- 
n) con esse de’ Magistrati.I Greci affermano che 
i semi delle fave macerate e nel sangue di capro, 
€ poi seminate sì liberino dall’ erbe nocenti, So- 
no state addomandate Isole Fabarie alcune del 
Mare Oceano a tramontana, perchè quivi elle 
nascono da per loro, e così in qualche altra parte 
come in Mauritania le salvatiche, ma durissi- 
me. Mescolasi la farina delle fave con. quella 
del grano a far pane ponendovene un terzo, e 
fa altrui forte e gagliardo; sono i suoi baccel- 
li e foglie gratissime a tutte le bestie, verdi e 
non mature nutriscono manco. i’ acqua delle 
five stillate fa morbide e delicate le carni, la- 
vandosi con essa la faccia. Nuocon manco, aven- 
do lor mutata la prima acqua quando le si cuo- 
cono; ma Varrone lasciò scritto, che le fave 
mangiate giovavano alla voce. La fava infranta 
cotta con l'aglio giova alle tossi invecchiate. 
Le verdi offendono assai più lo stomaco, e crea- 
no assai ventosità. Ingrassano le fave i corpi, 
aumentando la carne, usandole di continuo. Si 
conservan le fave e gli altri legumi in tutti quei 
vasi dove sia stato dell’ olio, ed ancora spruz- 
zate d’ acqua salmastra. Scrivono che scavati i 
cacherelli delle capre e inchiudendovi dentro i 
semi delle fave, dipoi seminandole, e sendo 
grosse, sì rinvoltino fra essi, e faranno gran- 
dissima prova come così accuncj tutti gli altri 
legumi. Scrivono alcuvi, che le fave non hanno 
caro d’ esser marreggiate , perchè le vincon l’er- 
be; siccome seminate intorno agli allori, dan» 


- 


107 
neggiargli, e condurgli vicini a seccarsi. Non 
rifuggono la terra un poco umida, e di sito 
salso, sebben gli altri legumi si godono nel sec- 
co. S'è trovata una fava di cento baccelli, seri- 
ve Palladio. Se le fave si sbarbiuo a luna sce- 
ma, o che ella venga innanzi fuora, e siano scas- 
se e rinfrescate e tosto riposte , non sogiiono es- 
sere offese dai gorgoglioni, e se nell’ istesso luogo 
si seminino ogni anno, ne restan salve. 

Il Fagiuolo si dee allogare in terren grasso 
ben lavorato, e tanto il Manua'e quanto il Tur- 
chesco, e | Indiano; è grosso quanto una casta- 
gna con i gusc] durissimi; mon nasce ne’ nostri 
paesi, come d’ un altra sorta oltremodo grande, 
che viene d’° Armenia. Ne sono degli Schiavoni 
e di Soria brizzolati, che quasi tutti nascono, ma 
non son buoni a mangiare, e son per bellezza. 
Buoni sono i Romani grossi senza negro, che ai 
minuti accresce bontà, e diventano cocendosi 
maggiori, con la punta del coltello levandolo 
loro, e sì può ancora più agevolmente far que- 
sto quando son verdi. Souo così acconc]cotti , 
manco ventosi e nocivi. Sono anco de’ rossi fo- 
restieri, de’ gialli, edi diversi colori, che s'usa= 
no per verzura e coprir pergole, di seminar ne- 
gli orti, salendo ed avviticchiandosi comei lup» 
poli e vitalbe. I fagioli teneri cotti e conditi co- 
me gli asparagi provocau l’ orina; vengono an- 
cora in terra magra arata bene ed erpica- 
ta, sarchiando spesso e nettando dall’ erbe. 
Possonsi seminare subito segato il grano, ced 
arandole bene, sulle medesime terre, e fra l’un 
filo di panico e miglio, cioè in quello spazio che 
è dall'uno all'altro, ma dove è stato il grano, 
abbruciandovisi le stoppie, faranno prova miglio- 
re, sarchiandoli cresciuti che sieno, e nettan- 
doli dall’erbe ; e dipoi raccolti i fagiuoli, visi 
può seminare ogni biada di spiga. E volendo 


108 

farne imprese a modo, rompasi il terreno libe- 
ro a marzo, 0 dinovembre, ritagliandolo all’apri= 
le sin al fin di maggio, rinnovandolo e letaman- 
dolo. Si semininvo e ricuopransi con Y aratro; 
e tenuti prima per un dì solo nell’ acqua sarane 
no più facili a nascere, e sì potrà coglierne 
de’ freschi più d’una volta. Igambi de’ fagiuo- 
li non si deono lasciar seccare in sul terreno, 
perchè ne patisce il campo. Imperciò seghinsi 
verdi, e spargansi così per il terreno; e solleci- 
tacdosi quivi di seminare il grano, gliaggiove- 
ranno assai sotterrati verdi. Sia arato profonda- 
mente il campo dove i fagiuoli si seminano , mas- 
sime il grasso succoso ed umido perchè |’ acqua 
non covi; e seminandosi nei solchi goderanno 

pei nati d° essere dal terreno rincalzati. Semininsi - 
nel secondo quarto della luna crescente di mag- 
gio, e sia il terreno asciutto e non punto umi- 
do; nei luoghi sabbionosi e leggieri che ngn te- 
mono pioggia, si faccia il lavoro più largo an- 
cora e. poco profondo perchè rattenga assai ac- 
qua, e pareggiato si semini. Zappisi come egli è 
fuor di terra quattro diti in tempo asciutto rom- 
pendo ogni zolla, e cavando ora l’ erba con ma- 
no, ora rinfrescando lor bene la terra al piede; e se 
gliela rincalzerai bene avanti al fiorire , sarà loro 
di grand’ utile, Patisce peril troppo secco, e per 
il troppo umido , a tal che vuol esser seminato, 
lavorato, e coltivato al modo detto. Ne sono, 
come s'è detto, di più colori, che servono per 
bellezza e verzura, innalberando su per le pergole, 
e coprendole contro ai raggj del sole. Vanno an- 
cora alti quelli di Nizza, detti anco Romane- 
schi, che non hanno alcun nero naturale, ma 
sono scipiti più degli altri, siccome più di tutti 
son saporiti quelli miautissimi. E quelli convie- 
ne aiutare con le frasche, perchè possano su sa» 
lirvi. Si seminano ancora in alcun luogo caldo di 

settembre e novembre , massime i forestieri. 


ro 

Il Farro è di quella spezie frumento shot 
siste grandemente el freddo , e di che già ue vis- 
sero i Romani trecento anni. Sen’è detto altrove 
abbastanza. 

Il Formentone è quella spezie di grano che 
si connumera fra le biade, così detto nel Tren- 
tino, e nel Friuli Saracino; ha rosso il fusto, 
e tutti i bestiami lo mangiano volentieri. Gusto- 
discesi e sì semina come il grano. 

Il Frumento che universalmente e per tutto 
s° addomanda Grano, è stato descritto con tutto 
l’ordine di suo coltivameuto e natura; aggiun- 
gerassi, che volendo fare un pane bianco e can- 
dido come uma neve , piglisi il frumento buono 
pesante, sodo e-netto il più che sia possibile, 
e vaglisi scotendolo con diligenza, e spolveran- 
dolo col vaglio minutamente, dipoi pongasi in 
una conca piena d’acqua chiara, sì che vi stia ri- 
coperto deatro dall’ acqua per quattro dita, e vi 
si lasci stare in molle per due ore, dandoglivi 
dentro qualche frugata cun le. mani perchè resti 
del tutto pulito , e sviluppato dalla polvere; quin- 
di cavisi, e si ponga in lenzuoli disteso al sole; 
più appresso si mandi a macinare, e sene faccia 
pane dimenando la pasta con la gramola, o forte 
con le pugna, e si cuoca stagionatamente, e sarà 
ottimo. Abbruciasi la paglia del grano, e quella 
cenere che rimane, oltre a che netta i piatti 
d’ argento, e stagno mirabilmente, aggiunta alla 
soda del vetro, l’ accresce ed aumenta . 

La Farraggine delle mondature del Farro si 
semina fonda al tempo medesimo che i farro, e 
così fassi di quella dell’ orzo intorno all’ equino- 
zio autunnale ; si dà a mangiar tutto alle bee 
stie in erba verde, e. sì può seminar mescolato 
coi le veccie per raccorlo, e servirsene secco 
come l’aitro, 


La Felice ha la femmina e il maschio ; e que- 


110 
sto ha le frondi che procedono da un sol picciuo- 
lo, e la radice lunga nera e grossa; la femmina 
ha un sol fusto, e non è nè ramuscolosa nè fol- 
ta, ma più breve e più tenera Ha più dense 
foglie, ed è incavata verso le radici; ingrassansi 
i porcîì delle radici di ambedue , nascono per tut- 
to, e specialmente in luoghi frigidi. Gredesi che 
la Natura Je generasse più per fare sterilità che 
altro ; e che sia vero, neiterreni dove elle na- 
scono , fa poc altro di buono , sendo elleno sicu- 
ro segnale della magrezza di quello. Servono le 
sue foglie a far tre<cia nelle buche dove si tiene 
il grano, sebbene è migliore l’istessa paglia del 
frumento che lo tien più sano, e fi* durare con 
pericolo minore de’ pinzacchj, e massimamente 
nel tufo ove sono assai più proclivi a generarsi 
che non quivi, onde è che come si disse, le bu- 
che murate attorno intonacate ed imbiancate 
mantengon meglio il grano, e con manco peri- 
colo de sinistri che sogliono loro col tempo av- 
venire. Imperciò lo sciorinarlo ai tempi buoni, 
nettarlo, spolverarlo , ed assolarlo lo fa andare 
in là più d’ogni altra cosa. Le felici traspian- 
tatene con il lor pane, tuttochè non faccian seme, 
scavate sotto con tutte le radici e suo pane di 
terra, pigliando delle manco attempate e poste fitte 
a fondo nel domestico s'attaccheranno;e nate poi, e 
ristrette bene insieme posson servire per ispallie- 
rette, evi rinasceranno ognianno Ed è tanto poten- 
te a rinascere e rigenerarsi, che io hoin casa una 
statua di Piutone e Proserpiua di metallo , di ma- 
no di Peri, piena di terra, conceputa tutta e pre- 
gna di questo seme, che ogni anno le rinasce 
nel pertuso che nel fonderla ie fu in testa lascia- 
to da prima quando la fir colata. La felice ta- 
gliata non ha succhio alcuno, muorsi in capo a 
due anni se non le si lascian metter le foglie; 
e questo efficacissimamente avviene quando i rami 


ili 
che vengon su sì sfracellino con una bacchetta, 
che allora per quel poco umore che le cala in giù 
nelle radici, l’ancide. Le sue radici sono in mol- 
to uso della medicina, e son buone quando ell’ha 
tre anni, nè prima nè poi. Felci ottime son quel- 
le che sono in Macedonia ove nascono fra i massi. 
Giova assai la decottura bevuta delle sue radici, 
aquelli che hanno la milza ingrossata ; cavasi an- 
date sotto le Virgilie, e di luglio e d’ agosto sec- 
cansi le sue radici al sole, ed i porci le mangian 
volentieri, e di questo cibo diventano grassi, e 
date a mangiare alle donne le fan diventare ste- 
vili. E° inimica la félce alle canne, l’una am- 
mazzando l’altra; ed i Greci scrivono che ta- 
gliate con la canna non rimettono mai per alcun 
tempo. 

I Fioravanti vogliono terreno ben arato,. 
letamato e ordinato, e mescolando il lor seme 
coll’ arena perchè meglio si compartisca , gelta- 
sì in terra e si sparge più conguagliato di 
febbraio e di marzo, e ricoperto beve coll’érpi- 
ce o rastrello, poichè è nato sì sarchia. Racco- 
gliesi poi di notte, o la mattina per la rugiada, 
siccome si fa all’ orzo perchè non caschi a terra, 


spicciolandosi facilmente . Più appresso si batte e 


poi si vaglia, e si netta con lo staccio, e sol- 
lecitamente si affretta di farne olio, che quan- 
to più tosto si mette al torchio con 1° acqua che 
vi va, più sene spreme e più n’ esce, e serve 
per empierne la lucerna, peri pauni, e sapone. 

._ ll Finocchio apparisce di due spezie, cioè 
deli’ ordinario verde, e del rosso. Quello è più 
comune, el’ uno el’ altro si semina, e vien bane 
in luogo ap:tìco, ed un pochetto sassoso; semi- 
nasi di febbraio nelle parti esposte al sole. Il 
salvatico, perchè quelle due surte sono del do- 
mestico , si semina ne’ juogi caldi di febbraio 
all’ ultimo, e nei più freddi di marzo al fine, 


TI2 
e d’aprile, e nei più caldi di novembre e di- 
cembre in terra sempre asciutta nell’ aiuole de- 
gii orti. Ama piuttosto terreno leggiero ed are- 
noso che grasso affatto e facile a lavorare, seb- 
bene nel grasso vien bellissimo quello che è di 
bonissima razza, come quello di Toscana e massi- 
mamente in Francia, ove si semina nelle prode 
degli orti, o nei piani di essi, dove fa grossis- 
simo e teriero e morbido, o veramente nell’ aiuo- 
le fitto e fondo, per trapiantarlo quivi lontana 
}una pianta dall’ altra tre palmi, quando egli 
sia alto un sommesso. E° di più sostanza quello 
che si semina nel domestico leggiero aperto, 
e che tenga d° arena. Seminasi ancora di prima- 
vera, ma perchè di un grano nasce debole, ed 
anco di due, si dee seminare le ciocchette 
intere senza spicciolarle, a otto, o dieci grani 
insieme nell’ aie bene acconce dove abbia a 
stare, facendo certe buche ripiene di buon ter- . 
riccio Ja dov” egli si semina; sbarbato della mi- 
.sura che s° è detto, si può traspiantare nei lati 
deve sono le cipolle da levarsi in quei mezzi fra 
l une e i° altre, o sivvero dove sia seminata, e 
venuta innanzi la lattuga, della quale il terre» 
no abbia presto a rimanere spogliato. E quan- 
do si semina, o pone fra esse, sieno due terzi 
di braccio fra l’ una pianta e l’altra, ed altret- 
tanto fra loro per poter andare a lavorare fra 
esse, e rimandar loro la terra addosso, poichè si 
gode e gli giova assai il far sì, dall’ una e dall’al- 
tra banda che egli rimanga in su lo spigolo. 
Ancora si farà più dolce e tenero il suo seme, 
avendolo tenuto per due dì a macerar nel latte, 
o vero inacqua melata, e il simile avverra met- 
tendo i suoi semi in un ficosecco tagliuzzato . 
Di sementa nuova nasce migliore che di vecchia. 
Uegliesi nell’ autunno quando si veggono bene 
ingiallite le ciocche e sodi i suoi granelli, e 


113 


si conserva legato a mazzi, appiccato al palco 
inluogo asciutto ; e tagliando la sua pianta, ( frut- 
tificato che ha ) fra le due terre , e coprendosi be- 
ne con letame di bue, germoglia di nuovo a pri- 
mavera più dolce; ma meglio rimetterà il sal. 
vatico così acconcio, il quale se si traspianti 
ove quello è, diventa meno forte, ed è sempre 
di più virtù; e le sue messe tenere si mangia- 
no in minestra condite come il cavolo; e dell’ uno 
e dell’ altro ricoprendo con terreno le messe, di- 
ventan bianche, e più tenere. Delle ciocche di 
finocchio, così domestico come salvatico , sene 
fanno più conserve così in méle come in zuc- 
chero, e quando è secco, spicciolato s° adopra 
per condimento di quasi tutte le vivande, e le 
schiacciate 6 pane fatto con esso» serve a rom- 
pere il vento, siccome l’ uno e l’altro mangia- 
to semplicemente . Le sue ciocchette e messe ver- 
di son buone in insalata. E tagliando i gambia 
terra ne’ solatii, e luoghi riposti dai venti, sar- 
chiandoli spesso, faranno pullulare qualche cioc- 
chetta di finocchio nel mezzo dell’inverno ai 
freddi maggiori. Credesi che ’i finocchio della 
sementa invecchiata esca fuore più presto, il più 
tardi in cinquanta dì, il più presto in quaran- 
ta nascendo più malagevole d° ogni altro seme. 
Seminato si calchi con i piedi; seminato una vol- 
ta dura più anni tagliandolo rasente la terra, 
come s'è detto; ma meglio è seminarlo di nuo- 
vo ciaschedun anno. Allegrasi dell’acqua, ma 
questa lo fa men saporito. Nobilitarono , scrive 
Plinio, il finocchio gli Spartani, spogliandosi del. 
la vecchiezza col gustarlo, e rifacendosi la vista 
già offuscata, acutissima; dal che si conosceva 
dagli uomini esser esso per gli occhi valoroso ri- 
medio. Il finocchio che fa in Spagna è molto ef- 
ficace, e più di tutti gli altri assai laudato. In 
qualueque modo preso il finocchio in bevanda 
SIR 15 


14 


aumenta il seme genitale dell’uomo, e giova sì» 
milmeute ai morsi di tutti gli animali velenosi, 
ed al polmone ed al fegato confortando queste 
parti. Le sue barbe cotte nel vino fanno gran 
giovamento agl’idropici. Provoca ancora valida- 
mente i menstrui alle donne. Cola il finocchio 
intaccato nel gambo in Spagna una certa gome 
ma che è simile a lagrime, la quale si racco- 
glie, e questa è più profittevole agli occhi che 
qualsivoglia altra cosa. La decozione delle fo- 
glie del finocchio conferisce assai alle reni, ed 
eccita la voglia dell’ orinare. Le ciocche del fi- 
nocchio si condiscono nell’ aceto insalato, e si 
acconciano in modo che stando sempre sotto, 
mantiensi il loro color naturale, e duran assai. 

Il Fien Greco fa il fusto assai sottile, ma la 
. fronde somigliante a quella del trifoglio, che 
per pastura delle bestie si semina di settembre, 
e vorrebbe terren nuovo arato minuto con picco- 
lo aratro, fatto fabbricare così a posta per 
Guesto , interrandolo bene, e ricoprendolo poi 
Quando sia gettato in terra col marretto ; perchè 
restando il suo seme affogato, e sotto terra più 
di quattro diti, o non nasce, o vien male, co- 
me fa nella terra sottile, e nella grassa. Vuole 
temperatura di terra come d°’aere, e vien bene 
ancora riseminato sopra la terra cruda e sottile. 
Desidera d’esser sarchiato una volta sola come 
egli abbia fermo il piede. E volendo raccoglie- 
re la sementa, si dee sementare di gennaio 
all’ultimo, o in Calen di fbbraio ; per pasco- 
lare, più fondo, per quello più rado. È vo- 
lendolo in terra lavorata, si faccia come s° è det- 
to con aratro piccolo, ricopreudolo con i mar- 
retti. Per pastura si semina di settembre; perla 
sementa, di febbraio come dicemmo; ui gennaio 
per ricorlo . Fiorisce di giugno e d. luglio, ed 
insieme col fiore fa i baccelli; e °l1 seme si rac- 


115 
coglie d’ agosto; mangiasi come i lupini con ‘ace- 
to, e puro; altri vi aggiungono 1° ciio. La fava 
che nasce presso alla radice del Fien greco, di- 
venta vana o sì muore; contuttociò ella gli na- 
sce volentieri appresso. 

I Funghi sono di varie ragioni, ed i Bole- 
ti nascono di questa maniera: primamente la ter 
ra créa una pallottola, ed esso boléto generato 
vien dentro a quella pallottola come nell'uovo Pal- 
bume e ’ltorlo. Nè è meu buonad? esso la cor- 
teccia che lo ricuopre quando egli è giovine. 
Rompesi quella corteccia quando dà fuore da 
prima, dipoi crescendo col gambo, si consuma 
con esso; e di rado si generan doppj con un 
gambo solo. La prima sua origine procede da 
terra fangosa, e da un succhio inacidito da ter- 
ra fradicia, e da radice d’arbore di ghianda, 
Da principio è come una spugna arrendevole, 
poi fa un corpo com una cartapscora; accanto 
esce fuora il parto: così nasce il boléto . I Por- 
cini, i Gromatici; 1 Îl'urcini, e Y Orcelle, le 
Cardatelle, i Prataiuoli, le Ditole, i Lingnatti, 
gli Alberini, i Sambuchini, e Prugniuoli na- 
scono per la proprietà del terreno. nato atto a 
generargli. Cattivi son tutti quelli che nasco- 
no appresso a pannucc) fradici, o letame, o pi- 
scio d’animali, o arbore fradicio imputridito, 0 
in lucghi putridi, o dove qualche velenoso ani- 
male reca loro veleno, o qualche arbore, che ciò 
genera in lui, come gli Ulivi, e "1 Tasso, ed in 
somma tutti quelli che nella lor parte della buc- 
cia di sopra hanno una umidità viscosa cerrotta, 
e che premuta con la mano, subito muta ili co- 
loré ch’ ell’ ha, edi lì a poco marcisce con tri- 
sto odure. Così sono gli uovoli che hanno certe 
bolle bianche punteggiate sopra la pelle del lo- 
ro uovolo, cioè dellor cappello quando s° allar» 
ga, che per altro son buoni, e massimamente 


116 
cotti in su la brace ardente, con olio dentrovi 


e sale, e fritti con aglj nella padella, ovviando 
( come dicesi ) al danno l’ aglio mangiato col fun- 
go, siccome le pere salvatiche mangiate doppo; 
e buoni sono ancora tuttii funghi freschi delica- 
ti. Inabili a nuocere sono quei che nascono negli 
Olmi, nelle Picee, e nel Larice, che fa l’ Aga- 
rico; i neri lividi e rigidi sono il contrario; com- 
mevdatissimi sono i Prugooli, dei quali si può 
far d’averne nel Giardino, trasportando in luogo 
solatio quel medesimo terreno grosso un palmo , 
€ per quel verso istesso ponendolo che egli sta- 
va nella selva, non mutando soprattutto la co- 
perta di sopra, e spiccando le piote, e ricom- 
mettendole insieme alla grossezza di un palmo. 
X perchè talora fanno anche nei Prati, di 
quivi si levino un poco più grosse e grandi. Si 
conservano questi interi nell’ olio per tutto 1° an- 
no, e si seccano ancora forandogli con un ago, 
e infilzandogli'in un filo tenuti al: sole ; anco- 
ra sì possono insalare, avendo lor dato prima un 
lesso, poi scolati, e posti in salamoia; e così 
queili come questi quando si voglion mavgiare, 
si rinvengano nell’ acqua, e freschi sono ottimi, 
cocendogli con la lor lavatura dell’acqua che 
gli pulisce, la quale si fa passare per un panno 
lino mivuto, e colata, vi si cuocon dentro po- 
nendovi un terzo d’olio; è nel tegame come i 
tartufi, e fritti nella padella; e così ancora so- 
no ottimi cotti quella sorta di loro che Femi- 
gliole s'addomandavo. Del Pioppo nero tagliato 
a terra, e bagnato da fermento stemperato con 
acqua nascono funghi, dagli antichi domandati 
Egiriti. Trova in monte un campo pieno di na- 
til calami, scope, o sterpi, ed appiccavi f:oco 
quando piove, che vi nasceranno da per se mol- 
ti funghi. E se così allora noa vi nascano, 
con un lenzuolo pieno di acqua di sopra vi si 


117 


faccia spruzzare dalla banda di fuore a uso di 
pioggia, e vi risorgeranno. Ma miglior funghi 
son quelli, che doppo l’acqua di state produce 
il sole accanto scoperto dopo il solstizio, on- 
de detto è: di giugno nasce il fungo. I na- 
ti dal fico a esso simili non son cattivi, come 
di tutti gli arbori di gomma , di faggio, rove- 
re, cerro, cipresso, rovo, cardo ed albero, 
che alla buccia del fico s' assomigliano, e certi 
uniuosi che nascono attaccati alla buccia del cer- 
ro atterrato . Nascono dalla pietra Licuria detta 
Licia, spezzata , e cavatane una parte, rinasce 
l’altra, durando tutto l’anno, e la parte del 
gambo che vi rimane appiccata, si riduce in pie- 
tra ; così la pietra cresce e fa funghi di continuo. 
Nel paese di Ancona sono di questa fatta pie- 
tre, che generan funghi da per loro. Anco del- 
la corteccia minuzzata dell’ uno, e dell’ altro 
Pioppo nero e bianco, di letame imbrattata, 
nasceranno funghi per assai durando a generarsi 
non cattivi. Nasce a piè de’ pedali de’ castagni 
un fungo detto Grifone , di natura untuosa, che 
sì cuoce prima ben lesso, poi svolato ed asciut- 
to bene, e infarinato sì frigge nella padella, 
saporito, e bueno; così dal calcio degli A!beri 
detti Alberelli, ed a’ piedi de’ sambuchi detti 
Sambuchini, di tutti i migliori; i più mortali 
sono i verdi, ipagonazzi ed i neri: ilche si co- 
nosce spezzandogli, ma molte volte non nuocono 
1 funghi per esser velenosi (dice Dioscoride ) 
ma per mangiarsene troppi, sendo tutti cibo tan- 
lo appetitoso, perciocchè per esser tanto visco- 
sì e grassi, e massimamente i Torini, che so- 
migliano i Pretaioli, oppilano il transito agli 
spiriti arteriali, e di questa maniera talora sof- 
focano. Le Vescie che hanno forma di tartufo, 
e nascono nei prati, nelle macchie, e negli sco- 
perti de’ boschi, sono di tutte l’altre spezie di 


118 


funghi manco pericolose , e così le Galigarie, e 
quei che si chiamano Pisciacani, più saporiti 
di tutti gli altri, come le Luccicherie che na- 
scono ne’ cerri tagliati. e quercie. Gredesi che 
tutti i funghi terragnoli che nascono con il gam- 
bo attornovi un cerchio a uso d’anello d° una 
materia più frale di loro, non sieno nocivi; ine 
tendendosi ciò de’ funghi grandi. Ed appresso 
son buonii Porcini, dei quali sene ritrovò uno 
nelle montagne di Genova che s’accostò a trentu- 
na libbra di peso . Si son ritrovati certi lastroni di 
pietra nel Regno di Napoli, i quali quando si sut- 
terrano e ricuoprono alquanto di terreno, gettan- 
dovisi sopra accanto dell’acqua tiepida, produ- 
ceno i funghi in termine di quattro dì. Queste 
si tengono a Roma e a Napoli nelle cantine, e 
si serbano con diligenza per questo effetto. Non 
banno - radice ( scrive Teofrasto ) i Funghi, e 
che intorno agli orli del Mar rosso quando sa- 
pravvenga gran copia d’ acque in certo luogo d’es- 
so, dan fuora funghi, che tocchi dal sole in 
pietre si trasmutano. 1 porcini hanno il vanto 
de’ funghi grandi detti dai Latini Swuolli, che son 
quelli che venivano secchi a Roma portati di Bi- 
tinia, e li seccavano infilzati pendenti al sole con 
un filo o giunco. Insalansi i veri porcini prima 
lessati nell'acqua, poi stesi a scolare in su tavo- 
le si compongono. un suolo di sale ed un suolo 
d'essi in vaso invetriato; alcuni gli cacciano nel 
mecesimo vaso ricoperti di salamoia; ma interi e 
sani come gl’ uovoli si mantengono come quando 
son colti, sotterrati affatto nell’olio, ed ancora 
tutti gli altri affogati nei coppi d’ olio vi durano. 
Sono ancora certi funghi che fanno 1° esca,.i qua- 
li in pezzi partiti si cuocono nel ranno e posti a 
asciugare sì batton forte con bastoni, e si riduco- 
no stopposi, che vi s° attacca dentro il fuoco 
dalle faville della pietra focaia battuta col fucile, 


Ti 

e sene ritrova della fatta dalla Natura in ag 
fanghi, che massimamepte nascono dai cerri. Al. 
cuni altri sopra i medesimi cerri che hanno den- 
tro certi crespi voti secchi fuor di modo ed asciut- 
ti, sì ritrovano altissimi (strofinandosi con essi 
il capo ) a levarne il sudiciume. Nascono talora 
1 funghi dal filato avvolto ai fusi cascati in ter- 
ra, iquali son buoni. I nocevoli saranno quelli 
che mentre son posti a fueco e bollono, diventau 
sempre più duri; meno nocevoli si faranno tutti 
quelli che si coceranno con mescolarvi un po’ dio 
salnitro, seppur si vedrà che si cuocano. Più si- 
curi si faranno, cotti con la carne nel suo Dro- 
do, o con spicchj} di pera. Giova assai,. man- 
giati che sono i funghi, soprammangiare delle 
pere , e le noci ancora doppo i funghimangiate 
moderano, come ai pesci ia flemma , la malizia 
loro. Scrive Didimo che i funghi piacciono allo 
stomaco, muovono il ventre, nutriscono il corno, 
ma con fatica si smaltiscono; son ventosi, e tali 
son quelli (dice ) dell’ Isola di Scio. Se si cono- 
sca per l’ affanno d'aver mangiato funghi veleno- 
si, sarà buon rimedio mesticare insieme acqua 
melata, salnitro ed aceto, e berla, sì che conil 
vomito si mandin fuora; € perciò è bene prepa- 
rargli incocendo cou aceto, acqua melata, méle, 
e sale; così si ovviera al pericolo che non am- 
mazzino. Sono ancora i fuoghi in qualche paste 
buoni a qualche medicamento come alle piaghe 
lorde, ed all’ escrescenza della carne nel sesso, 
diminuendula, e con il tempo consumandola; son 
buoni ancora a raffreuare iì flusso del ventre, © 
usansi come il piombo ai medicamenti degli oc- 
chi. Rimedia ancora al veleno de’ funghi la co- 
citura della satureia boli.ta con dell’erigano, e 
lo sterco di gallina disfattu con aceto , e beuto. 
In tuttii modi nutriscogno, ma invincibili per 
natura, escono dal secesso Inìteri come si man- 
giano, 


120 i 
La Fravola (erba che fa le fravole ) si disten- 
de ed allarga sopra la terra senza far gambo ; con 
molti ramicelli lanuginosi che spartiscunsi dalla 
sua radice, de quali altri s° ineoronano di bianco 
fiore, ed altri s'adornano di tre foglie serrate 
in circuito e piene di vene, ed altri portano il 
frutto simile a more grossette , al gusto ed 
all’ oedere suavissime. Sono le fravole fugaci e 
corruttibili come le more .. E° buon cibo a chi pa- 
tisce della milza , lievanla sete, giovano allo sro- 
“maco, massime che sia pieno di bile , cioè colle- 
rico, e sono molto aggradevoli l’ estate per rin- 
frescare , e tanto più piacciono, quanto più con 
molto zucchero sien mescolate. Aleuni le man- 
giano volentieri attuffate nel vino, non imancan- 
do per questo di non vi porre anco del zucche- 
ro. Dannosi a mangiare col pepe bianco a’ so- 
spiziosi. Il Jor vino medica l’.ulcere calide del- 
la faccia, purifica gli occhi quando vi si mette 
dentro, e spegnevi l’infiammagione e disecca i 
cossi del viso. E° la fravola di tre foglie e non 
di cinque, e non di fiore di color di loto, ma 
biauco , siccome del frutto istesso vi sono due 
sorte, la rossa e la bianca; benchè la bianea. 
credono molti che coll’attendere a coltivarla, 
vezzeggiarla, letamar!a, lavorarla, e ben custo- 
dirla, così diventi. Come si sia, nascono da per 
loro nei luoghi dell’ Alpe , e molto volentieri nei 
luoghi occupati dall’ombra, siccome elle sì go- 
don dell’uggia d’altrui. Traspiantate nel dome- 
stico dei giardini sì dilettano d’ esser messe nei 
luoghi a solatìo e della coltivazione, col mezzo 
della quale vengon più belle piante, e rendon 
frutto maggiore, e più in copia. Amano terreno 
oltremodo grasso e fanno ancora bene lungo le 
strade e salite delle selve, e negli scoperti ed in 
certi bassi, e diquivi trasportate del mese d’otto- 
bre con ilJor pane della sua natìa terra, quanta 


N 


121 
più si possa a dentro levandole, s°alleficano 
nell’ orto anche nella parte più ombrosa e senza 
sole, dove fan men frutto, ed in quella di mez- 
zogiorno più abbondante. Trapiantate bastano 
quattro, 0 cinque anni, poi convien far loro 
mutar terreno, e ritrapiautarle; e diquesta ma- 
niera talora nei luoghi buoni ne fan due volte, 
a primavera, e nell’autununo; e massimamente 
ogni anno, o ogni due anni diradandole , sì che 
luna pianta non possa soffocar l° altra. Ancora 
il sarchiarle è loro utile, e v’è chi dando loro al 
piede della colombina stritolata, tien per fermo 
che giovi loro a farle fruttificare, e generarle 
più grosse. Ne sono ( come s° è detto ) delle bian- 
che e delle rosse; e queste inquelle stimano al- 
cuni che elle si trasmutino, adacquandole con il 
latte, o vero macerando il lor seme in esso per 
qualche giorno; perciocchè quando elle son ma- 
ture, strofinandole a una corda di giunchi con 
le mani, s' attacca il seme, e al tempo di pri- 
mavera, come si fa delle more, si semina. Ma 
perchè la sementa è più delicata, ed il granello 
ehe ha a nascere più delicato e sottile, convien 
seminarlo poco sotto, e ricoprirlo con terra crivel- 
lata, e che quella dove egli si semina, -sia tri- 
tata e minuzzata bene e stritolata. Nate, si 
tengan nette dalle triste erbe, e si sarchino 
senz’ altra cura, e non rimanendo ove sono sta- 
te sementate, si traspiantino come s' è detto. Le 
fragole che mangiame l’° estate, quando le desi- 
deriamo d’inverno, comecchè le son bianche in- 
nanzì che sien maturate, mettausi con le foglie 
dentro a cannonidi canna, e dipoi si ricuopran 
bene con paglione di letame grasso, seppellen- 
dovele dentro. Se si desidera che nonostante il 
freddo le si faccian rosse, cavato il cannello ai 
tempi dolchi, operisi che le percuota 1l sole. Sono 
le Fravole un frutto più che onorato, e mal vo» 

10 


122 

lentieri si trova la via a conservarle alquanto di 
tempo ; nulladimeno essendo in paese che si pos- 
sa soggrottare il tufo, ed entrar sotto bene, che 
non pur la cantina che.vi si fa (la quale senz’al- 
tro si regge da perse, bastando scavare e votare) 
getti fresco, ma freddo ghiacciato, vi si conser- 
veranno per qualche giorno ; ma le ciriegie, le 
susine , e le persiche più d'un mese, ed ancora 
due, intere e sane vi basteranno. Vi ha chi sec- 
ca le fragole al sole, e poi rinvenute nel vino, 
e ben ricoperte di zucchero le mangia ; cuoconsi 
ancora col giulebbo destramente e col vino; dassi 
anco loro un bollore, poi con la pasta ben 
tirata, da porsi in forno, sene fantorte. Le Na- 
poletane son grossissime . 

La Ferula nasce nei luoghi caldi di la dal 
mare, perciò è in Sicilia ed in Spagna per tutte le 
campagne copiosa, sendo di due fatte, una ter- 
ragnola e sparge i rami; l’altra s’ innalza e li 
tien più raccolti; ha le foglie simili al finoc- 
chio, ma di filo più grosso, e quella che sine 
nalza col fusto, dura un anno, e poi comin- 
cia a rigenerare, quando l’ altre piante , nel prin- 
cipio della primavera. Ha una sola, e pro- 
fonda radice. Sono le ferule ( scrisse Plinio) 
agli asini gratissimo cibo, ma a tutti gli altri 
giumenti mortifero veleno; e toccandosi con la 
ferula quei pesci che si chiaman Murene, subito 
muoiono. Crescono le ferule in una delle Isole 
Fortunate in tanta grandezza, che vi diventano 
alberi. Il lor midollo è costrittivo , e porge aiuto 
a chi sputa sangue. Cavano i pastori dalle fe. 
rule quasi nel lor primo nascimento un certo te- 
nerume di dentro simile a un torlo d’ uovo duro, 
il qual cotto sotto la biace o cenere calda, ben 
involto in carta bagnata, come susa ai rocchj 
della salciccia, o in pezze line immollate, e man= 
giato con pepe e sale, diventa gratissimo cibo, € 


123 
convenevole assai (scrive il Mattiolo) per for- 
tificare i venerei appetiti. Le ferule nere hanno 
un succhio amarissimo, le bianche più dolce, e 
che quasi è da poter bere. I lor talli ancora si 
mangiano conditi con salamoia, e méle ove si 
‘conservano assai. Le ferule cavate dal suo luogo 
natìo e trasportate col suo pane di terra si tra- 
spongono nei lati domestichi , ed il loro seme si 
semina come il finocchio a primavera. Fanno , 
buona baldoria, e conservano acceso il fuoco; sec- 
che bene, dan bastoni leggieri più che altro. 

Il Fioraliso suol nascere ne’ campi del grano, 
e ne sogliono essere di due ragioni, azzurro, e 
bianco. Allievansi nei testi, e con riguardo del 
freddo si conservano all’ invernata ; ne sono dei 
rossi, e de’ bianchi sbiancati. 

Il Fiorrancio, così largo come stretto, si se- 
miua di marzo nell’ aidle degli orti per servirsi 
delle foglie e de’ fiori alle mescolanze delle in- 
salate, nelle quali le sue foglie tenere ne accre- 
scono piacevol gusto; sene ritrova di quella sor- 
te, che fa il fior doppio, e maggior dell’ altro. 

. Il Gelsomino è grato alle pecchie, così il 
giallo come il ceruleo e il bianco, ma più di tut- 
ti il più bianco di maggior fiore, e più odoro- 
so di Catalogna, trasportato in Italia di Spagna 
da non molto tempo in qua; siccome l° altro vol. 
gare ordinario non è gran tempo ehe fu quà da 
stranieri paesi nelle nostre parti condotto, che 
resiste al freddo, e mantiene la foglia per tutto 
l’anno come quello di Gatalogna. Ma questo 
non comporta il freddu, e convien nutrirlo nei 
vasi, e tenendolo se l’ aere è rigoroso in casa e nelle 
cantine e stalle si preserva più sicuramente , seb- 
bene in quaiche luogo tiepido regge ancor fuo- 
ri allo scoperto per gentilissima, ed odorata spal- 
liera; ma bisogna al gelo fasciarla e turarla be- 
ne ancora con panni lanì grossi a furza di stoie 


124 


e paglia, ricevendo da quello tale offesa, che si 
secca affatto. Desidera terreno grasso come gli 
altri, e s' attacca con propagginare i suoi rami 
fatti passare per un pezzo dì zucca pieno di ter= 
ra, turato di sotto, tantochè solo ne possa uscir 
fuori la cima del gambo del gelsomino, annaf- 
fiandovi quando vada il tempo molto asciutto; 
e quando v’ ha create le barbe dentro ( rotta la 
zucca )si trapianta dove altri vuole. Puossì an- 
cora accomodare un vaso di terra, e far per es- 
so pieno di terriccio trapassare un: giovine ramo 
vegnente e principale del gelsominovecchio, e di- 
poi tagliato setto, lasciarvelo star dentro etra- 
sportarlo altrove. Ma meglio è a volere estrar- 
ne in razza, trasporre in un vaso grande di ter» 
ra cotta ( perchè quanto più grande sia il vaso, 
più bella e maggiore vi sì farà la pianta, e più 
vi si manterrà ) una pianta fresca e rugiadosa di 
gelsomino ordinario, il quale ha per natura di 
far come i roghi, che dove toccan terra con i 
rami, generano le barbe, e quivi lasciata cre- 
scere ed assodar bene, conviene innestarvi sù di 
quelli di Gatalogna, i quali s° innestano a oc- 
chio e a marze ; l’occhio si stacca come all’ae 
rancio dai rami lisci avanti che dia ben fuori, 
d’ aprile e maggio; la marza si stacca dal gel 
somino vecchio da quei rami che nou abbiano 
spuntato tuora i rametti, ma che sieo per man- 
dargli fuori, che si conosce benissimo, toglien- 
do di quelli che non han punto messo, e sian 
dell’anno passato. Fendesi il grosso del Gelso- 
mino nel gambo in lato più liscio, e la marza 
s°augna come d’arbore, e si compone a ‘sesto 
buccia con buccia, e legno con legno, metten- 
dovi una marza sola che abbia due occhi soli 
da dar fuora; legasi stretta con canapa, e siri- 
cuopre il taglio cen cera rossa senz'altro; e 
questa operazione si fa di marzo, e di questa 


‘maniera vieti più gagliardo cile non a occhio; 
il quale medesimamente s' impunta nel più liscio 
‘e s' avvertisce a non premer la buccia perchè 
l’ha molto sottile. Ed a farne una spalliera 
medesimamente si trapiantano de’ nostrali, e so- 
pra questi a marza 0 a occhio s'’ innestano i Ca- 
taloguesi, i quali hanno il fiore più odorato, ed 
accozzatone in quantità si spreme al torchiet- 
to e sene cava olio, con il quale sì conciano i 
coiami gentili per render gratissimo odore, co- 
me anco riscaldandogli in Golletti o guanti (che 
gli uni e gli altri si addomandano di Fiori) 
sen’ empie un fiasco senza veste sì che vi sie- 
no seppelliti dentro, e si tura bene il fiasco 
con pece, che non vi possa penetrar dentro 
umore alcuno; e così si fa ai fiori d’aran- 
cio, e di limone, e si mette sotto il monte del 
letame a lasciarvelo stare venti o trenta dì; di- 
poi sturato il fiasco, e postogli un panno sotti- 
le alla bocca, si scola quel liquore, che è in 
questo modo fatto più di tutti gli altri odorato 
e buono; e questo e il vero olio de? fiori de’ gel- 
somini, così de’ nostri, come di quelli di Cata- 
logna. Etutti si seccano all’ uggia, e si pongono 
fra i panni così lini, come lani per fare acquistar lo- 
ro odore. — I Gelsomini del fior giallo hanno più 
dell’arborescente degli altri, avendo il gambo più 
grosso e più gagliardo, ed assai più legnoso degli 
altri, ed irami più sparsi e sparpagliati. Non 
accettano sopra di loro alcun’altro insito di 
Gelsomini, nè tampoco dei loro istessi, ed il 
lor fiore non rende quasi odore; amansi per la 
varietà, e sitrapiantano con la barba, sveglien- 
do di quelli che mettono ai piedi. I naturali 
vanno alto crescendo , e distendendosi quasi quan- 
to l’ ellera, ritrovando sotto appoggio che gli 
guidi. Fanno bella spalliera, la quale tanto riu- 
scirà più bella, quanto saranno posti più folti 


126 | 
rasente i muri, e quanto più s’intrecceranno i 


rami l’un coll’ altro; sono obbedientissimi alle 
forbici, e si dà loro che forma altri vuole . Con- 
Vien potargli ogn’ anno a primavera, e dira- 
dare i rametti, levando via tutto il seccume . 
Ma quelli di Catalogna conviea potargli a uso 
delle viti scapezzando i rami nel tronco, ed in 
su la corona, e secondochè sia rigogliosa la pian- 
ta lasciar loro più o meno occhi; tagliando i 
rametti vicin’ al ceppo a quattro diti e non la- 
sciando per gelsomino più di tre o quattro capi 
rasente quello; e questo gioco bisogna lor fa- 
re ogni anno , affinchè nov imboschiscano, ma fac- 
ciano i fiori - più belli, odorati e maggiori, i 
quali fanno sempre gli ultimi, cominciando nei 
luoghi tiepidi di giugno, nei freddi un poco più 
oltre, e duran poi poco. 

Il Ghiaggiuolo , o Giglio azzurro detto ce- 
leste , chiamato Iride, è di due spezie, dome- 
stico e salvatico + ma si tiene che il domestico 
sia dal salvatico proceduto, sebben questo nei 
luoghi propr) suoi nat) ( che è negli aspri mon- 
ti e coste asciutte ove da per se nasce ) vi vie- 
ne un poco di pianta minore, e più scriata,. 
Nel casalingo acquista il domestico e cresce. 
Deonsi le più fresche piante e gentili cavare 
dai luoghi di dove e’ fanno naturalmente, e pian- 
targli negli avanzi de’ viali delle possessioni do- 
mestiche, e su per certi argini di fosse in sul 
sodo, rivcalzandogli e ricoprendogli bene nella 
buca sotterra poco, fatta in sul duro. Ancora 
è da sapere che il ghiaggiuolo ha le barbe fatte 
a nodi come le canne, ineguali piene di gobbi, 
che nelle loro estremità sono appuutati per gli 
occhi che vi son fatti dalla Natura per rinnova- 
re le loro piante, e questi staccati da quello si 
Piantano di marzo per tutto aprile come i gi- 
gli; e sene cava aucora a questo tempo, deci- 


12 
mando lore ben la radice, ma in modo che i 
si guasti o offenda il proprio ceppo; ma sì ster- 
pano tutte all’ intorno, strappandole con mano 
e con ferro tagliente; e queste prima monde so0t- 
tilmente della lor buccia, e tagliate in lunghe 
fette sottili si pongono un poco in macero nella 
liscìàa, e dipoi si seccano all’ uggia rivoltandole 
in su le tavole spesso; e secche s'infilzano in 
un filo, chel’ una tocchi l’altra, e si pongono 
tra i panni livi, e lani per dare a questi odore 
ed a quelli, e di più difendergli dalle tignole . 
Fassi gran procaccio delle barbe di ghiaggiuolo 
per le tinte, per le quali s' adopera secco, ed as- 
ciutto pure ‘all’uggia disteso su per i tavolati, 
ma prima diligente e sottilmente sl mondano, 
Conviene a questo effetto farne grand’ imprese , 
piantandone per tutte le strade rasente gli orti, 
e riempiendone tutti gli scampoli della posses- 
«sione, dove al tempo ch'e’ fioriscono, fanno an- 
cora bel vedere, e massimamente mesticando i 
bianchi con gli azzurri; perchè ancora di quelli 
‘sene ritrova, e le barbe tanto dell'uno quanto 
dell'altro son buone per tignere, e per quest’ 
effetto si cavano al fine della primavera, avver- 
tendo di cavare le radici attorno alla radice 
principale, senza toccare 0 offender punto quel- 
la; che così si manterrà la pianta per cinque 
o sei anni, dando moltiplicazione di barbe ogni 
anno. Ma in capo a quel tempo bisogna rinno- 
vare tutta la pianta, e rifarne postime, € si può 
mutandole luogo, ed anche in quel medesimo 
lato, rilavorando bene il terreno, il quale per 
lo più, come tutte quasi l’ erbe, amano grasso, 
sebbene vengano anco nel magro, e nci poggj 
erti, ed in que’ luoghi quasi dove non sia per 
fare, e non fara altro. Piantati, che sono, non 
ricercano cultura alcuna, solochè si tengano 
netti dall? erbe che gli possono soffocare. Le pian- 


128 

te dei loro occhi sieno fresche e giovani, e si 
piantino a settembre, o veramente a primavera, 
11 ghiaggiuolo ha il suo gambo diritto che s'al- 
za al più un piede e mezzo, e da tutti i suoi 
pedali nella cima fa i fiori compartiti di pari 
i uno dall’ altro , nella vetta de’ suoi rametti coi 
loro piccioli, risplendenti e luccicanti, di va- 
ria sorta di colori mesticati alla foggia dell'Ar- 
co Celeste, e come quest’ arco, che è un imma- 
gine d’un mal rappresentato sole, avendo rice- 
vuta una concava nuvola fa falsa vista di var] 
colori, e cerulee, verdi, bigie, e purpuree li- 
neazioni guida e distende; così il Ghiaggiuolo 
con l’incavato fondo del suo fiore in una certa 
diversa maniera va ombreggiando 1° Arcobaleno, 
nè più nè meno come una gocciola d’ acqua ri- 
percossa dai ragg) del sole, con la splendente 
riflessione dell’ aere, una certa rozza immagine 
deli° Arco celeste fa riverberare nel muro vicino 
gettandogli-ora in quà, ora in lù. Gosì le boc- 
cie di quel fiore nella lor concavità col va» 
rio scorso delle linee che vi sono di più colori, 
dà di se una certa sembianza dell’ Arcobaleno, 
Ingannansi coloro che nel. circuito di tutto il 
fiore vanno ricercando così fatta varietà, per- 
chè gli orli delle foglie rivolte han sempre il 
colore d’ azzurro tinto in purpureo. Il decotto 
delle barbe del ghiaggiuolo rimediano ai difet- 
ti delle diarree per di sotto, e sovvengono con 
l’aceto ai dolori del capo, mesticandovi dell’ac- 
qua rosata. 

. I Garofani sono salvatichi e domestichi; quel- 
ll piccolissimi e di poche foglie, nè senza odore. 
Nascono alla campagna, anzi ia luoghi disabita- 
t1, ed inculti , in monti aspri, e fra le ginestre, 
tignamiche e roghi, traspiantati nel domestico , 
cavati con il lor pane intero, e postia solatìo in 
terra bmona allignano. Ma non per questo diven» 


129 
tano migliori, o più belli. I domestichi sono di 
tre fitte; di quelli che fanno le viole oltremodo 
grandi, tra i quali sono i Pisani per proprietà 
di quel paese, di dove in aitra parte trasposti, 
ed ancora trasportati cou i medesimi vasi loro, 
poco tempo durano in quella bontà e bellezza 
a tal chè convien dire che la dia l’ aere e'l pae- 
se. Sonovi dei mezzani, e de’ piccoli sparuti, 
e questi ne fanno in copia. I colori più accetti 
sono de’ rossi morati; sonovi de’ bianchi, de’ros- 
sì, e di quelli che sono brizzolati , odoratissimi, 
e che rappresentando quelli d° India, è opinione 
d’alcuni che così fatto odore sia loro stato dato 
dall’ arte, avendo cacciato loro di quelli alla ra- 
dice, o con avergli innestati con buchi fattivi a 
posta, e medesimamente con piantargli, ripian- 
targli, e intraspiantargli più d’ una volta, e che 
con far loro assai carezze sieno cresciuti , ed ab- 
biano acquistata varietà di colori, e la grandez- 
za e la forma delle foglie . Certa cosa è che alcu- 
na di queste piante un anno ha fatto garofani 
bianchi, ed un altro rossi, e l’aitro poi brizzo- 
lati; e di questi ancora sen’ è fatta una spezie 
da per se, come diversificava il colore nell’istes- 
so suo natural color rosso, quando più purpura- 
to, quando più rosso acceso, e quando un poco 
smorto e pendente in nericcio, più aperti e grane 
di, e più doppi e copiosi di foglie degli altri, 
quali sono i Pisani, i quali tengon la palma, e 
portano il vanto di. questo fiore, che desidera ol. 
tremodo terreni grassissimi ed alletamati in luogo 
tiepido, e a solatìo ; nei quali alia campagna a 
fatica campano l’invernata, coperti con letame 
fresco al piede, e turati con tavole dai lati, e 
capanna di sopra, in modo che ai tempi tristi 
sia per tutto chiuso bene, ed ai buoni ed al sole 
s° apra e s' alzi con facilità Ma meglio assaì e 
più sicuri si conservano in luoghi di terrazzi a 


17 


130 
mezzogiorno in vasi di terra cotta portatili, e 
quanto saran maggiori, più vigorosa verrà la pian- 
ta che vi sia dentro, purchè sian pieni di terric- 
cio buono, ed assai letame e grasso, seminando 
in cima qualche granello d’ orzo, quale al primo 
nodeggiare si svéglie , riseminandovene dell’ al- 
tro, e così tuttavia seguendo a fare dar loro fre- 
scura e giovamento . I vasi, come ’1 Soi volta la 
dove stanno , si riportino dove egli batte; ed 
a° cattivi tempi e d’inverno si tengano nelle stan- 
ze di casa, e massimamente nelle cantine, e stal- 
le, e dove si faccia di continuo il fuoco, perchè 
così governandogli ne faranno ancora a inverno, 
massimamente spuntando di primavera dove si 
vede che voglian gonfiare Je sue boccie, ed a- 
dacquinsi degli otto dì un tratto, e con acqua 
tiepida e vin bianco. Si possono far nascer di 
seme che è quella boccetta soda ch° egli hanno 
di dentro alle foglie del fiore , le quali vi stanno 
sù attaccate, ed è fatto maturo quando quelle 
si staccano agevolmente, crivellando la terra mi- 
nutissimamente in quei vasi, e seminandovelo 
dentro di modo che a fatica sia ricoperto, di 
inaggio cavandolo alsereno, e tenendolo al sole 
mentrechè è poco alto, o che s° abbassa, spruz» 
zando sopra dell’acqua leggermente, tantochè 
si mantenga fresco. Poi nati si traspiantano un 
per vaso alti mezzo palmo. Ma più sicuro e faci- 
le è nel principio dell’antunno al fin di settem- 
bre , o al cominciamento d° ottobre spartire al lor 
calcio de’ talli, ed atto:ti ed arroncigliati con de- 
strezza fare un periuso nel mezzo del vaso ripie- 
no di terriccio buono, gettandovi dentre sette 0 
otto granelli d’ orzo, poi ficcarvi il tallo che vada 
in giù un sommesso, e sia con le mani stivata ben 
intorno, o ben calcata la terra e (se vada 
asciutto ) adacquarlo; di questa maniera si man- 
teugono quatiro, o cinque anni. Poi invecchia 


131 
la pianta, a tal chè conviene tuttavia rinnovare 
gli; e si mantiene con zapparla spesso d’ intor- 
no, e rinfrescarle la terra al®piede, concimnan- 
dolo di letame macero di colombina ben disfatta, 
e con questa cura e vezzi custodeadolo, e talora 
ritrapiantandolo muterà colori, ed una pianta 
medesima sola farà delle rosse , nere, e bianche. 
Le foglie de’ garofani cavati della lor guaina e 
posti in un vaso di vetro turato al sole, rivol- 
tandovegli dentro tanto ch°elle si secchino, con 
servano l’odore per compartirlo a tutte quelle 
cose, fra le quali s’ ioframmetteranno, e massi- 
me in su l’aceto. Ma le foglie stillate di questo 
fiore non ritengono cosa che sia del lor natural 
sito odorato ; ben quest’ acqua bevuta con il Jat- 
te aumenta le forze di Venere. Racchiudendo 
le boccie de’ garofani in un bucciòlo di canna, 
lo ritarderà all’ aprire, e conservandole in un 
bucciòlo stretto che ve le sigilli appunto, le 
conserverà ad aprirsi in più largo, ponen» 
dole di mezzo verno. E nei medesimi boc- 
cidli di canna pieni d’acqua, postivi dentro i 
garofani, si manterranno per trasportargli con 
essi nei paesi più lontani. Deesene fare impre- 
sa nelle prode degli orti che sien bene a pendìo 
a prendere il Sole, e vi si posson le piante 
disporre im piana terra lontane un braccio e mez- 
zo l’ una dall’ altra, lavorandole e proccurandele, 
come s'è detto di quelle che sono allogate nei 
vasi; ma bisogna con tavolato di sopra, o coper- 
ta grossa di covoni di paglia raddoppiati l’ un 
sopra |’ altro difenderle dal freddo, accomodan- 
do la coperta in modo, che nel tempo dell’ in- 
verno aprendo dalla parte dinanzi possan den- 
tro ricevere il sole: il che verrà meglio neite- 
sti e nelle loggie. 

La Ginestra produce i rami d° erba, e per 
questo tanto atti a legare; i fiori in vetta d’essi, 


139 
gialli allegri, schiacciati, ed il seme in certi 
baccelletti simili alle lenti. Tanto sono i fiori 
cari alle api, che®e godono avendogli d° intor- 
no, e strofinando con la ginestra trita pesta l’en- 
trate delle api, le rattiene dentro volentieri 
che non sì fuggano. Stanno ben piantate attorno 
alle vigne per aver vicine e più comade le lor 
legature, legando elleno così gentilmente, che 
non offendono quello che da esse è legato. E 
perchè le vogliono esser piantate nel divelto, ed 
amano il terreno che non sia grasso , che è quello 


che tutte le sorte delle viti fastidiscono, stando 


volentieri in terra magra, e quasi per altro ste- 
rile ; e lo comporta asciutto e secco fuor di modo. 
Seminansi col suo seme, raccolto fatto a settem- 
bre, e sì semini in terrenotrito, minuto, poco 
ricoperto. Cresciuto d’un ‘anno si traspianti 
all’ottobre, dipoi si taglia terra ogni anno e si 
‘poti a tronconi. E di questa maniera darà con- 
tinue vinciglie. Trapiautansi ancora svelte con 
le barbe dai Inoghi alpestri ove le fanno, con 
molta della lor terra al piede, e piante giovani, 
trasponendole in buone fosse, buche, o divelto. 
Ne sono di più sorte, ma la liscia e morbida 
ordinaria per legare, e fare assai fiori è la me- 
glio , ed i suoi fiori stillati rischiarano e man- 
tengono morbide le carni. Fu ritrovata (ho in- 
teso ) una Ginestra nell’ Alpi, di fior bianco, la 
quale il Signor di quel paese fe con diligen- 
za trasporre nel giardino suo, ove tornò su- 
bito a farlo giallo. Seminansi ancora le gine- 


stre comodamente in Calen di marzo, e prima. 


che abbian finiti due anni, si trapiantano tanto 
vicino ]° un piede all’ altro , che cresciuta sì toc- 
chi, dilettandosi questa pianta d° essere insieme, 
ed accosto il più si può. Si possono ancora va- 


riare 1 colori con fiori che li sterpi producono, 


come la rosa e il gelsomino; e perchè il fiore 


LOSS i cn li 


37 133 
della Ginestra è il più giallo, se vorremo asso- 
migliarlo alla rosa ed al gelsomino (non si po- 
tendo accompagnare per via di marza, o d'in- 
fogliamento, cioè a occhio ) pianteremo la rosa 
accanto alla ginestra, e la traspianteremo con 
quella terra, con la quale ha fitto le radici, av- 
vegnachè si allignano meglio, e più sicure van- 
no innanzi nel seno della madre che in quello 
della matrigna. Ancora con una Trivella Frao- 
zese si può bucare la pianta, con innestarvi il 
rosaio vicino, fatto passare per quel pertuso, 
e rammarginato si taglia rasente, e farà l'effet- 
to di prendere il suo colore la rosa; e di questo 
modo (scrivono ) è stato fatt’ essere il Gelso- 
mino giallo. Più appresso non è mancato chi 
m' afferma, aver veduta in Milano una pianta di 
ginestra, insitatovi sopra a marza un gelsomi- 
no, e potersi fare ancora a occhio, tanto de’ na- 
turali, quanto de’ Catalognesi. Scrive Plinio, 
l Asia produr ginestre che macerate per dieci 
dì nell’ acqua e dipoi gramolate, scotolate e filate 
servono a far reti molto durabili nell'acqua per 
prendere i pesci; e delle naturali macerate ed 
acconcie così, si posson far tele grosse buone 
per sacca. Certa cosa è che io ho veduto un 
drappo come taffetta grossetto, fitto d’un’erba 
d’ India, che tessuta senz’ altro la conduce. 

1l Giglio è di quattro sorte ; il primo col 
fior bianco fiorisce di primavera ; il secondo un 
po più tardi quando il Narcisso; il terzo di 
estate, il quarto alle prime acque che vengono 
nell’ autunno. Trovansi de’ gig!j rossi differeuti 
dai porporini, che sono quelli che hanno i calici 
erbacei , gli altri come i bianchi, ed i porporini 
sl, creano coll’ arte ancora. Si pigliano dieci, 0 
dodici capi di giglj legati insieme quando han- 
no sfiorito, e s'appiccano al fumo; e quivi gettan 
fuora la radice, e cipollette, e quando s° avvi- 


134. 
cina il tempo del porgli che ha da esser di feb- 
braio o di marzo, prima si pongano in macero 
nella feccia del vino nero, tantochè contraggano 
quel colore avvinato, d'onde nasceranno i fiori 
porporini; accanto a questo si piantano, siccome 
tutti s' hanno a piantare, in terra grassa di feb- 
braio; e tutti s° hanno a piantar con le loro ci- 
poile staccate dai vecchj giglj; che perchè fac- 
ciano i fiori in variato tempo, parte se ne han- 
n0 a piantare in un solco fondo un sommesso, 
altri di otto, altri di dodici, ed altri di quindi- 
ci; così firauno i fiori in varj giorni l’un dopo 
l’altro. E tanto si può fare con tale esperienza 
a molti altri fiori, distinguendo le sorte, e ri- 
coprendo bene i solchi con terra minuta e trita 
bene. A questo tempo di febbraio i vecchjche 
son piantati, s hanno a sarchiare, ma con tan- 
ta diligenza che non si offendano gliocchi delle 
cipollette che son lor nuove attorno, e massima- 
meute ai bianchi, che talora ne nitricano in un 
ceppo cinquanta. I fiori del giglio sì coglieran- 
no in sul gambo, serrandogli in un vaso ben 
chiuso con pece sotto e sopra impiastrando che 
nou vi penetri aere nè acqua, quando han cre- 
sciuta ia boccia, e sian per aprirla: il che fat- 
io, li porrai subito al sole , o staccati col gambo 
e posti nell’ acqua. Tura le corteccie delle cipol- 
le ponendo del cinabrese, e così piantandole fa- 
rai il giglio rosso. Ma conviene avvertire nel 
mettervi del cinabrese assai, che non si offenda 
punto la cipolla; ed è cosa di miracolo che così 
tignendosi di qualche colore, quello che nasce lo 
Tappresenti. Si raccoglierà nel mese di luglio la 
sua cipolla che comincerà a seccarsi, Affinchè i 
giglj sian sempre in quella medesima stagione, 
nella quale tu gli hai nascosti e colti, farai così: 
quando eg'i hanno le bocce chiuse e gonfie, 
innanzi che le aprano , spiccagli, e coprigli con. 


155 
le canne ben suggellate insieme che non sfiatino, 
nascondigli, o serbagli così aprendoli poi quan- 
do vuoi servirtené. Ancora farai fare un vaso di 
quercia, il quale empirai di fiori avanti ch° e? sie- 
no aperti in luogo dove spesso possano avere (sic- 
come si dilettano) il sole. Fa che il vaso stia ben 
copeîto che non possa spirare, imperciò fa d’im- 
peciarlo perchè non vi possa penetrare nè anche 
l’acqua, e mettilo al fondo di un pozzo, o cister- 
na, o vero sotto un fiume d’ acqua corrente per- 
chè non si putrefacciano, che quivi si conserve- 
ranno verdi; e quando vuoi che fioriscano ficca 
il piede del fiore in una mela, o pur bagnalo 
con aceto mostrandolo al sole. I giglj bianchi si 
seminano in tutti 1 modi chesi seminan le rose, 
ed oltre a ciò nascono seminando le lacrime che 
ne distillano, come |’ Ippuselino . Ritrovansi ane 
cora giglj purpurei con due gambe, o radice più 
carnosa, e di maggior capo, ma sola, e chia- 
mansi Narcissi. E° stato ancora ritrovato il modo 
d’ insitargli ( dice: il Mattiuolo ) per maravi- 
glioso ingegno degli uomini; ma conviene usar 
maggior diligenza che a’ geisomini insitandogli 
al medesimo modo ed a marza, ed a occhio 
dell’ altre sorte di giglj che si ritrovano . E° gra- 
ve odore quello del fior del giglio, ed offende 
assai la testa; contuttociò l'olio che si cava d’es- 
so, digerisce e mollifica senza mordicare , e però 
è convenientissimo alla durezza della matrice, e 
le radici del giglio, e le fiondi trite per se sole 
disseccano , astergono, e digeriscono moderata- 
mente; e le sue barbe spolverizzate , e beute col 
vino vagliono contro ai morsi de’ serpenti, e 
contro al veleno de’ funghi; e cotte con grasso, 
e con olio, € poste sopra lo scottatu fanno ri- 
mettere 1 peli, e giovano eziandio poste sopra i 
nervi offesi. — Il Giglio delle Gonvali, detto 
Lfemito, nasce nei luoghi ombrosi delle selve. 


136 

Trapiantasi col suo pane ove non batta il sole , 
e sia buono il terrei0; in questi lati vive, fiori- 
sce, rende buono odore, ed è bello a vedere . 

Tl Grogo o Grotrogo è di due fatte, salvati- 
co, e domestico, e questo è quello che si chia- 
ma Zafferano, del quale ne è del salvatico an- 
cora. Il grogo nasce di seme, e si semina in 
luoghi grassi di primavera, e fa beve intorno ai 
divelti fatti di nuovo, senza danno delle viti che 
poste vi sono; e rasente i poponaj sugli orli di 
essi, ed in su i ciglioni delle fosse che sono dai 
lati de’ seminati. Raccogliesi il suo fiore di maa 
in mano che si vede esser fatto e colorito, che 
è quando da per se comincia a cadere. Ponsi ia 
luogo asciutto, e Sparso su tavole per asciugarlo ; 
dipoi disumidito si conserva, e fa offizio su le 
vivande in cambio di zafferano , postovene sopra 
in quantità più del doppio. I 

Il Guado domestico somiglia nelle fron- 
de la piantaggine un po più grossa; il salvati. 
co ha le foglie somiglianti a quelle della latta- 
ga. Scrive Giulio Cesare che i Brettoni si ti- 
gnevano i corpi con quest’ erba per apparir più 
tremendi e paurosi ai loro nemici. Vuole la ter- 
ra quale il grano, ma spoppa fortemente il ter- 
reno, e lo smagrisce; ma di sua natura lama 
risoluta, grassa, e ben divelta piuttosto con la 
zappa o vanga che con l’aratro. Roncasi nato 
di poco, e più d’ una volta con diligenza, si 
sementa d'aprile, e per osservazione del vol- 
go come la canapa nella Settimana Santa. Al 
quinto solco che tanto è a dire alla quinta a- 
ratura della terra grossa rivoltandola, gettano 
il seme ricoprendo!o modestamente. Quando 
sarà cresciuto un quarto di braecio non si la- 
scia fiorire, ma con un ferro fatto per questo, 
lo ritagliano rasente la vetta della radice in som- 
mo alla terra; lavasi, e si porta alla mola; ed 


13 

al rimasto nel campo sin alla terza e quarta a 
ta segli fa quest’ atto, dipoi si lascia a seme, 
Quest’ erba verde si caccia sotto le ruote trusa- 
tili, che sono le macine da pestare, per cavar- 
ne il succhio, e la schiuma che ella fà ; dipoi 
sene fanno palle o pastelli raggrovigliandogli in- 
sieme, e si pongono sopra tavole a seccare. 
Fassene grande impresa per i tiatori di panni, 
sendochè quest’ erba gli riduce atti a prender 
dipoi ogni colore. Ma si dee osservare in que- 
sto Ja regola del lino, che dove non sene spe- 
ri, e non profitti assai, non è da farne incet- 
ta. Vuole i luoghi larghi aperti, e pieni d° ae- 
re senza intoppo d' arbori, e fuor di tutte l’om- 
bre; e non avendo terra che sia ben grassa, 
non è da impacciarsene, perchè il letame mace- 
ro postovi ancora copiosissimamente non gli ba- 
sterebbe. E° di gran guadagno, e dove si cono- 
sca ch’ e’ sia per venir bene, non è da tra- 
scurarlo . 

Il Gichero, detto Aro, nasce abbondantis- 
simamente nel contado di Gorizia, ed in Italia 
per tutto, e massime in Toscana ne’ campi, nel- 
le vigne, nelle fosse, rasente le macchie, e nelle 
maremme di Siena. Trapiautato vive per tutto 
e fa il suo frutto pieno di coccole rosse in sur 
un fusto cipressato , ed è tenuto cibo per le ser- 
pi. Gavansi le sue-radici l'estate, e monde, 
e tenute bene in molle, dipoi rasciutte all’ ae- 
re si pestano nel mortaio di pietra, e si spre- 
mono dentro a un pauno lino con le mani 
forzate, 0 a strettoio piccolo , e il sugo che 
n° esce, mescolato con acqua e senza, si pone 
in un vaso al sole, cala if fondo e si rappiglia 
insieme e resta nel fondo del vaso come una cu- 
faccia » Questo spessamente è bianchissimo, e ser- 
ve per amido ai panni liu) sottili. E° vero che 
li consuma e rode, ma è EEA fuor di modo, 

et 


158 
vantaggiando in queste tutti gli altri amidi. 
Questa mestura oltre a rendere come nevii pan 
ni lini, e le rense, e bissi, fa alle donne la 
carne lucida, e splendente. e bianca, e pulita 
fuor di mode. La radice dell’ Aro si mangia co- 
me le rape monda, e cotta, e gettata via la pri- 
ma cocitura, e subito ribollita in altr’ acqua. 
Il Giunco, se sia nell’ orto alcun luogo sta- 
gnante o fossa che rattenga l’acqua, a cagione 
di legar l’ erbe o altro visi potrà piantare, ca- 
vando la sua capassa intera o mezza con tutte 
le barbe e terra motosa dei luoghi pantanosi ed 
umidi dove naturalmente nasce ; e tanto fa- 
rà nel domestico nascendo da per se senz’al- 
tra cura nei luoghi dove l’ acqua stia ferma, é 
tanto si appiccherà il rotondo grosso come il 
sottile, e il triangolare. Ne è d’ una sorta che 
fa il seme e d’ un’altra che è sterile; quello del 
seme lo genera rotondo e nero, e questo fa il 
gambo più grosso degli altri, il cui midollo è 
‘buone a fur ripieno ai mazzocchj, e mutando- 
lo spesso, è buono altresì quanto i crini de’ ca» 
valli a riempire i cuscinetti da cavalcare. Do- 
vunque nascono da per se i giunchi, si tiene 
che abbia ad esser sotto copia d'acqua. I sol. 
dati d’ Alessandro Magno che navigaron nell’In- 
die, affermarone di aver veduti de’ Giunchi di 
pietra, ma piuttosto è da credere petrificati, 
dacchè scrivono che chi li vedde non li potè 
discernere dai veri giunchi, dei quali si fanno 
canapi buoni a star sell’acqua più che la ca- 
napa, ed a questo sun buoni i minutissimi € 
sottilissimi, ì quali fanao nei luoghi pantanosi 
di Spagna. 1l seme del giunco abbrustolato e spol- 
verizzato e beuto ferma il flusso,e così fanno i giua- 
chi fritti. — Il Giuuco odorato (che così volgare 
ed ordinariamente s' addomanda ) ha le foglie ta- 
glienti simili a quelle delGhiaggiuolo, ma tre quar- 


13 
ti men iarghe; s'alligna in ogni terreno Lsba E 
umido non sia; viene di paese straniero, comec= | 
chè in Arabia nasca tanto frequente che del 
suo fiore sene pascano infiniti cammelli oltre» 
modo di quelli appetitosi; produce giunchi lar- 
ghi a coltelli; e sono co!orati come molti cre- 
dono. E° buono all’ uso di medicina, movendo 
l’orina, e rompe il vento. Convien piantarlo 
sbarbato con tutte le sue barbe e semi, Affer- 
mano molti, quello che ha le foglie taglienti 
essere il calamo, ed il giunco odorato essere la 
giunchiglia di Spagna che fa fiore bello e di 
buon odore. Trovansi di questi fiori di marzo 
e d'aprile; la sua pianta è alta da terra poco 
più d° un braccio, e fa certe verghe come giun- 
chi nostrali, di grossezza simili, e di color ver- 
de. Fiorisce in cima del suo giunco, ed ogni 
suo fiore ha sei foglie gialle piccole, e nel 
mezzo delle dette foglie vi sì vede un cer- 
chietto giallo piccolo intero con quattro campa- 
nelle per entro piccole, e giallicce; il gambo 
del fiore è giallo chiaro , e nel fine ove egli si 
lega al fiore, fa un bottone verde. Questo fio- 
re colto si mantiene molti dì posto in fresco 
nell’ acqua, ove si dee avere avvertenza che tut: 
ti i fiori che gli nascono di marzo, o di tem- 
po freddo l’ invernata, si mauteugono colti più 
tempo che non fanno l’estale; e ciò può servire 
per regola generale. Pongonsi le piante di det= 
to Fiore in vasi che sien grandi, o in orticini 
ben lavorati, in buon terreno, gentile concima- 
to del mese di settembre ottobre e novembre. 
Pongoasi ancora detti cipollini che provano me= 
glio ponendegli quattro diti a fondo in terreno 
trito, ben mesticato di letame. Chi vuol questi 
cipoliini gli convieu seminargli del mese di mar- 
zo e d'aprile in vasi grandi ripieni di buon 
terriccio , e se vada la stagione asciutta e sec- 


140 
ca i , e sì seminano come 1 cavoli 
e le radici, tenendogli ( nati che sono) netti 
dall’ erbe cattive. Questi poi in capo a due aa- 
ni si possono traspiantare dove più piaccia aver- 
ne, pochi o assai. 

L’ Hemaro, è un frutice dell’ altez- 
za del citiso, e molti tengono che sia il ci- 
tiso salvatico, somigliandolo alquanto nella fo- 
glia, la quale ha più rada come i rami, e di co- 
lore più verde. Ne nasce quasi in ogni bosco 
sotto i cerri e quercie; serve al pascer delle 
| capre e pecore, ed ancora sene ciba il grosso 
bestiame. Trapiantasi con il suo pane di terra. 
— L’Hemerocalle è di foglia e gambo somi- 
gliante al giglio ordinario di color d° erba come 
il porro. Fa tre fiori, e sin in quattro ( per 
ciascheduna boccia uno ) fatti a modo di quello 
del gigiio, ma minori assai € per di dentro 
con tanto artifizio della Natura, che non si ve- 
de altro fiore , che a rappresentarlo con l’arti- 
fizio bisognasse maggiore ingegne. Non dura 
molto il suo fiore, che ha un suavissimo odore, 
ed aprendosi si va mutando in color molto pal- 
lido. Trovasi nelle aperture delle campagne, e 
vien da cipolla, e si pianta di settembre, o alla 
primavera in terreno grasso ben lavorato. 

L'Halimo è semigliante. al Ramno, senza. 
spine, ele foglie sue sono simili a quelle dell’ uli- 
vo, un poco più larghe; nasce nelle siepi, e 
verso quelle delle maremme suol. essere assai 
frequeute; la sna foglia cotta come l'altre er- 
be, è buona a mangiare. N° è del salvatico, e 
quello che è un poco più domestico, svegliesi 
colle radici dai luoghi alpestri e montuosi dove 
egii fa, e con molta terra ai piedi si traspian» 
ta nei domestico. 

L' Hiacinto nasce ordinariamente nei campi 
per tutte le coutrade tra le biade, con frondi e 


144 


sadici cipolline con gambo alto una spanna, sot- 
tile, liscio e verde di colore. Fiorisce alla fi- 
ne di marzo e nel principio d’ aprile, quando fio- 
riscono le viole primaticce. Produce la chioma 
da mezzo il fusto in sù tutta piena di porporeg- 
gianti fiori, che nel maturarsi s' inchinano a ter- 
ra, e duranvi suso assai tempo avantichè disfio- 
riscano. In Toscana si chiamano Cipolle canine, 
«0 salvatiche; 1 Latini le domandano Vaccinie. 
Trovansene ancora di quelli che fanno il fiore 
bianco, fatto alla medesima foggia di quelli che 
lo fanno azzurro . Piantasi di febbraio con le ci- 
polle in terra grassa, e si tien netto dall’er- 
be. Vive con la radice, persa che abbia la fo- 
glia; e cavata si mantiene la sua cipolla tanto 
che sia tempo di piantarla da settembre altem- 
po di primavera. 

L’ Hisopo si pone intorno all’ equinozio del- 
‘la primavera spiccando i fuscelli dal suo ceppo, 
e scoscendendogli che abbiano del vecchio, e 
facendoli spaccare fra le due terre in luogo a 
selatìo. Nè si cura di terreno grasso o magro; 
sì sementa ancora di seme un poco doppo, rico- 
prendolo poco; dipoi trasponendo le piantet- 
te piccole là dove ha da stare, sta bene in 
su gli argini de’ viali di quà e di là posti a di- 
rittura delle strade; e tenuto ripareggiato con 
le forbici, fa spallierette nobili. Serve |° Hisopo 
alle lavande de’ piedi, e delle gambe, a confor- 
tar le medesime, ed è buono in molti condimen- 
ti della cucina, ed appiccato una volta si fa vi- 
vace, nè teme in alcun lato l’ ingiuria dell’ in- 
verno . 

I° Hibisco, detto Altèa, Malvalischio, pro- 
priamente Malva salvatica, fa nei luoghi umidi 
nascendovi da per se, come nelle valli ombrose 
de’ monti. E° moltoa proposito a guarire i gui- 
daleschi de’ cavalli pestata, e postavi sopra, im» 


142 
piastrata . Trapiantata con tutta la sua radica s'a?- 
tacca nel domestico; e nasce ancorà di sementa 
seminata di primavera. Piantasi all’ ottobre, e 
così la sementa si traspone di questo medesimo. 
tempo. 

L’Tuschiamo, o Dente di cavallo, o Cavalli. 
no, è tutt'uno. Nasce il più delle volte per 
tutti i campi, pratelli, e luoghi domestichi, e 
_ciglioni delle fosse; le maniere de’suoi semi son 
tre, bianco, nero, e rosso, e tutto seminato sen- 
za molta cura € diligenza nasce è viene innanzi, 
ed è il seme di più valore che altro che abbia. 
Tiene in se virtù di far dormire. 

1° Indivia, detta Scariola, o Ascariola, 
è una specie di cicoria, e si può come la lat- 
tuga, ed il radicchio seminar tutto l’ anno, per- 
chè verde, tenera ( a Genova e nel Genove- 
se senza imbiancarla ) siccome grande, fatta, e 
imbiancata si mangia in insalata, e cotta con la 
carne. Seminasi per questo nell’ aiole degli orti, 
di giugno, luglio, agosto, e di settembre, ed 
hassi poi nel fine dell’ autunno, principio d'in- 
verno, mezzo e fine. Ma quella che ha a ser» 
vire al fin dell’inverno, si può semivar d° ot- 
tobre come il radicchio ne’ luoghi aprìchi, ed 
in quel modo la si potrà sotterrare di mese in 
mese per averla in variato tempo, e che non 
manchi, con aver agio d’imbiaocarla, e così 
servirsene. Cresciuta in quelle aiole all’ altezza 
di mezza spanna, diradandola quivi, e lascian- 
dovela a sesto, il rimanente si trapianta in aiuo- 
le assolcate diritte nella costola de’ solchi a 
mezzo, e s' aiuta con l’adacquare, che senza 
questo si può mal condurre. Finito il caldo si fi- 
nisce di conguagliare il terreno, ed interamen- 
te si riocalza. Divenuta poi grande affatto, © 
spianato il cesto, e le foglie lunghe raccolte € 
ristrette insieme, ‘sì legano in mezzo, e fatto un 


143 
solco rasente le barbe sì che con poca pg 
tracollino 1 cesti mezzo palmo o più, vi si ca- 
lan dentro con mano legati anco se bisogni in 
cima, e si ricoprono col terreno che scavandolo 
dà fatto l’altro solco; e così si seguita di man 
in mano, lasciandovegli ricoperti tutti di ter- 
ra tantochè sieno bianchi, e tanto si fa a quelli 
che si sono lasciati in su l’aie diradati prima- 
mente quando vi si seminorno. S'imbianca an- 
cora senza legare, cacciatovi sopra dell’ arena 
tanto che ella resti ricoperta. Ama non solo 
grassissima terra, ma che sia grandemente leta» 
mata; la troppa acqua l’infradicia quando è sot- 
terra, per il che conviene avvertire d’ averla ben 
legata stretta, perchè l’acqua non possa pene- 
trare al mezzo del suo grumolo; e similmente 
porla affatto a giacere, ma in modo che ia sua 
radice non si sbarbi affatto. Resiste al freddo 
non solo, ma al ghiaccio, e nel gelo si fa mi- 
gliore, e rintenerisce. Quando è piccola da tra- 
spiantare, taglisi le foglie a mezzo, e sele spua- 
ti la radice, che farà maggior prova, attaccan- 
dosi meglio. E desiderando d’averla imbiancata 
presto , si ponga a imbiancare legata, come s°è 
detto, ma sbarbata affatto sotto il letame crudo. 
Ancora quando pur ell’è legata, sele ponga sopra 
una pentola, o altro vaso capovolto , sì che la 
radice succi ed attragga il nutrimento : di questa 
maniera piglierà bianchezza e tenerezza grandis- 
sima, e se così si ripongano i radicch], lasceran- 
no l’amaro. Ancora si farà bianca questa come 
il radicchio, se prima per quattro dì avanti sa- 
rà stata sparsa l’aia d’arena ed annaffiata. Se 
ne trova della tagliuzzata, crespa, ricciuta che 
è buona cotta; l’altra è bianca e verde. E? rin- 
frescativa I° Endivia assai. 

La Lattuga è principalmente di tre sorte 
fuor della salvatica che è di due; la Cappima 


— ng 

che ammazza gettata sopra l’acqua i pesci di 
mare, ed un’altra detta Esopon, che nasce alla 
campagna; una che ha il torso molto grosso, e 
le foglie strettissime e corte, che s’ allarga as- 
sal con esse, ed un’altra che fa il cesto roton- 
do come il Cavol cappuccio, e perciò detta cap- 
puccina , chiudendosi ed assodandosi come quel- 
lo; è la terza di Spagna che ha le foglie grandi, 
e lunghe, aperte e sparse, che dilatandosi ed 
allungandosi crescono assai. Ne è ancora d’una 
sorta, che fi le foglie cresposissime ed intagliuz- 
zate, molto raccolte, con le costole assai più 
gresse dell’ altre. Ed una sorta ne è che a tutte 
le sue foglie ha una parte che tira in rossigno 
con il cesto assai chiuso, sodo e serrato, la qua- 
le si semina di febbraio, come un’ altra sorta 
che ne è con le foglie incartocciate minute, 
bianche alquanto più d’ ogni altra, che sisemi- 
‘na di marzo. Ne è di Cipri, che ha la foglia teneris- 
sima pendente di bianco in rossigno, che sta bene 
seminata d° aprile. E quelle che sono più tenere e 
delci, sono le più delicate e migliori a mangiare, 
e che convien seminarle doppo l’inverno,come quel- 
la di Spagna che ha la foglia lunga e larga, tesa in 
foggia d’indivia e dicesto verde che tira in ne- 
ro, e le foglie son molto rosse e molto crespe; 
le quali ancora acconciamente sì seminano l’au- 
tunno per servirsene all’ inverno. Tengono in 
l'oscana la palma le Pratesi tenere, di serrate , 
e gran coste, e sene semina e trapianta d’ ogni 
mese per averne tutto l’anno, e l'estate l’adac- 
quano cen l’acqua di fiume corrente, che dà loro 
tutta quella grazia. Gli antichi ebbero in pregio 
la ceciliana, la betica, e la laconica, la cipriot- 
ta, e ia cappadoca , e di cicilia, e soprattutto 
la greca, che tutte conviene che siano di sorta . 
uguile, e simili alle nostre. Assettinsi adunque 
' aie ben lavorate di terra minuta e grassa, for- 


145 
nita di letame Baiditia di colombi, o di sterco 
umano. digestito, all’ aere, skemperato con l’ ac- 
qua, e, mesticato con letame disfitto di paglia 
stata sotto a’ cavalli. E volendo seminarla per tra- 
piantare d’inverno, seminisì al fin d' agosto, o 
al principio di settembre ; e cresciuta di cinque, 
o sei foglie, bagnando prima il terreno bene, e. 
lasciato poi suzzare, quando va, gran seccore, si 
sbarbino., e spuotata la cima. della barba s° im- 
piastri 1] rimanente di letame di vacca, pecora, 
o capra distemperato e col piòlo in costa de’sol- 
chi diritti si trapiantano nelle prode degli orti 

poste a solatìo, ovvero in argioetti fatti a posta 

nei piano, volti al sole, lun doppo l’altro alti. 
da, terra un mezzo braccio, ponendola nella loro. 
schiena; e lune e l’altre si cuopranodi paglio- 

ne.alle. prime briuate. E° buono a ciò ancora il 
letame crudo di cavallo, daado loro questo me- 
desimo marcio.al piede,, e non si scuopra prima 
che quando, si. couosce una seguenza di giorni 
tiepidi assolati, ed allora si sarchiano; soprag- 

giugnendo. il freddo, al medesimo modosi ricuo- 
piano, e sieno sempre piantate in terreno grasso, 
umido, letamato bene. Con questo aiuto di dili- 
genza. verrauno.i innanzi icesti grandi e belli di. 
mezzo inverno $ e, più larga si farà se vi si pone 

ga rara, 0 quando comincia a fare il grumolo, 
leggermente decimandolo, vi si porrà sopra una, 
lastra, una zolla, o un coccio. Per avera ser- 
virsene l’ estate seminisi di primavera in quelle 

aie, dipoi sì trapianti per tutto dove possa age: 

volmente adacquarsi, che altro non vuole, e. 
questo ogni dì, e pongasi più rada di fol 

dell’ inverno quattro diti, perchè si possa senza 

offesa sarchiare , e ben lavorare intorno al gam- 

bo, che è cagione. che ella non balliaca a file la 

sementa, la quale se pur mostrerà di voler fare, 
avvertiscasi da piccola se sia disposta a ciò, e_ 


19 


146 
frapiantisi di nuovo quella istessa: che ciò le ie- 
vera quella messa, facendola stare indietro. E 
volendo averne in più mesi dell’ estate, in questa 
maniera conviene averne preparate da seminare 
e trapiantare in più tempi, e così d’ inverno, 
cioè seminarne e trapiantarne di mese in mese: 
S'ovvierà ancora al suo tallire se quando è pic- 
cola sele ponga una lastra nel mezzo che l'ag- 
gravi, e s'allargherà, come 5° è detto, facendo. 
più ampio il cesto. Ancora si può fiaccare ben 
basso il tallo, e porre nel mezzo del cesto una 
pietretta che calchi arrivando a quella rottura; e 
ciù opererà meglio nelle bianche e tenere che 
nell’altre, pigliando o anici, o finocchio, o al- 
tro seme di gagliardo odore, e diliseutemente spar- 
tendolo, e congiungendovi dentro il seme della 
lattuga, e poi a un per uno impiastraadogli col 
letame di capra in modo che resti in mezzo il 
seme così acconcio, ed adacquando poi destra- 
mente seminata che così sia, perchè non sì sfac- 
cia e non segli lievi 1 edore, sinchè sia nato e 
cresciuto d a trapiantarsi: il che si farà quando 
avrà cinque, o sei foglie come l'altre, e rap- 
presenterà l’ istesso odore. Ancora sbarbando la 
lattuga un po’ grandicella, e levate le foglie più 
basse, e quivi vicino nel ‘gambo fra terra fo- 
rando, e mettendo dî tutti quelli semi oderife- 
ri, eccettochè del’ rafano, dipoi impiastrando 
bene la ferita con letame marcio si pianti , e si 
couseguirà îl medesimo. Ancora saprà di cedro 
mettendole attorno del suo seme, quando la. sì 
semina. Restera piana a terra, nè farà il tallo, 
anzi poi si chiudera, e si- farà soda rotondando- 
sì, se trasposta che ella ‘sia alta quattro diti, 

scalzera bene attorno la radice, e si Hieipibte 
li cerchio di fresca bovina, e * fattole da ogni 
banda ua arginato che rattenga l’ acqua, sene sa- 
Ziera. Più tenere e più biauche si faranno se di 


147 
quaiche dì innauzi che elle si abbiano a cogliere, 


si legheranno le foglie, o senza legarle , si ter- 
ranno di fresca arena ricoperte. Diligentemeute 
con un aguzzo ferretto votando un cacherello di 
capra 0 pecora intiero, e non punto manomes- 
so (e si può fare con la lesina) e commettea- 
dovi dentro un granello di bassilico, di rucchet- 
ta, di nasturzio, d’ appio, di prezzemolo, e di 
radice, l’appio e queste ponteranno nella barba, 
uscendo fuore in somu0 con l'altre la lattuga, e 
rattenendo ciascheduna il suo sapore e la foggia. 
Altri pongono insieme scavati tre o quattro ca- 
cherelli di capra 0 pecora, entrovi i sopraddetti 
semi, e tutti cacciati in un pannolino sottile de- 
bole, con questo gli seminano , seguendo poi d’ac- 
carezzargli . Alcuni altri sbarbano la lattuga gran 
dicella, e strappate le foglie rasente la radice, 
e fatti certi pertusi dentro a essa da ognibanda 
delle strappature, vi ficcano dentro que’ semi, 
eccetto l’appio, e ia radice, facendo questi bu- 
chi con la cima d’ un punteruolo, e impiastran- 
dovi bene attorno del letam= fradicio. Così ri- 
piantata, sì che venga ricoperta sin alle foglie 
lasciatele, farà il medesimo effetto più facilmen- 
te. Se talora avendo piantate le lattughe s' indu- 
riranno per defetto del luogo, trapiantinsi di 
quivi ( allorche ciò si conosce ) in altra parte, 
e diventeranno tenere e candide agevolmente, 
legando dentro alle foglie di mezzo dell’ arena 
fresca di fiume, Aristosseno Gireneo le lattughe 
nate nel suv orto annaffiava la sera con vin me- 
lato, tantochè elle bene i’ inzuppassero, per ven- 
der poi la mattina le schiacciate di quelle foglie 
dolci, affermando che la terra prodotte le avea. 
La lattuga di Spagoa che ha quelle fogiie lun- 
she, si fasciadi paglia quaudo è cresc)uta quan- 
to ha a crescere, e poisi legae si ricuopre coa 
la terra; e così si fa bianca, come ancora rico- 


148 - 

prendola d’atèna schietta senz’ altrò . Ed ogni 
sorta di lattuga adacquata con il latte, diventa 
morbida tenéra e bianca. Ha virtù la lattuga di 
grasdemente refrigerare, imperciò è convenien- 
tissimo cibo lestite: ma continuamente usata 
ammortisce la materia; e 1’ appetito di Venere . 
Per il che Fubolo ( scrive il Ruellio ) acremen- 
te sgridava la sua moglie, perchè aveva poste 
delle lattughe in tavola. Il torso della Jattuga 
apporta molto nutrimento, giovano le foglie allo 
stomaco , e muovono il ventre, massimamente con- 
dite con aceto, ed olio di mandorle dolci. Le 
lattughe tenere levan la tiausea dello stomaco, ge- 
nerano appetito, e conciliano il sonno. Facevan 
gli antichi della lattuga questa conditura:i torsi 
di essa mondi e netti da imo a sommo, tanto 
quanto tengon le foglie, insalavano in un vaso 
ponendo l’ un fe l’altro, ed inframmetten- 
dovi il sale , elasgiandovelo stare per un dì e per 
utia notte lalitoche mandasser fuora la salamoia ; 
dipoi levata questa , gli disteadevano su i gra- 
ticc] di givestra, vitalbi, salice, vimini, 0 giun» 
chi, tanto che asciùugassero; dipoi fatti certi 
mazzesti ue riempievano un vaso invetriato, fra 
essi ponendo assai anici secchi, e finocchio, Di- 
poi fatta via salamoia di due terzi d’aceto, ed 
un terzo d’acqua e sale, ve ne versavano den- 
tro tanto , che stesser sotto tutti ricoperti, con 
aggiungervi una salsa di finocchio pesto, e so- 
prattutto con fare che il liquore stesse a galla 
per tutto ia bocca del vaso, nettando i vasi di 
fuore, e pulendoglicon una spugua. Columella 
lisegua che si faccia con essi uva mestura di} por- 

ri; e ruta, iutrapponendovi fagiuoli verdi , i qua- 
li conviene prima aver tenutiin macero in ‘buona 
salamoia; pel asciutti con i torsi de.la lattuga 
coin posti iu vaso iovetriato conservargli . Condi- 
scési alicora là lattuga con l'olio, colgreco, è 


VIGPRPR ORI PN o PRA 149... 
con l’ aceto. Galeno da giovine patendo assai di 
collere gialle sulla.bocca dello stomaco , per re- 
primere quel fastidio del ritornare in su’ man- 
giava della lattuga, dipoi invecchiato man- 
giavala volentieri per dormire, e per questo 
effetto la mangiava la sera, e ne sentì gran giò: 
vamento, e fu del mangiar lattuga tanto vago, 
che mentre potè la mangiò cruda, e dipoi sem- 
pre cotta. E questa nutrisce più copiosamente, 
sparsovi sopra dello zucchero in quantità. Af- 
fermano che se alcuno sendo digiuno gusti lat- 
tuga assai, non abbia poi ( beendo superfiua- 
inente ) a sentire ubriachezza. La lattuga dalla 
copia del lattificcio, di che ella abbonda, gene- 
ra molto latte alle balie. Giovano le lattughe 
assai a coloro che hanno lo stomaco caldo; così 
per conttario. Nei paesi freddi, ove non è como- 
dità di poter seminarne di mese in mese per 
averne tutto l’anno, si partiscono i cesti in 
quattro parti, e levatene le foglie da piè più 
fiacche, si cacciano in vasi invefriati dentro alla 
salamoia ; dipoi quando si vuol mangiare, con 
acqua calda si manda viala salamoia, e rasciut- 
ti si condiscono al solito in insalata. I torsi 
della lattuga conditi con assai zucchero candito, 
fauno una conditura salutare, e massimamente 
a levar via la sete. | Li 

. La. Liquirizia (Regolizia, -Glicirizza, 0 
Radice dolce, così chiamata dalla sua barba di sa- 
por do'ce smaccato ) ha le foglie simili al Lenti- 
sco, 0 iù su quel garbo, ma più sottili e larghe. 
Cresce alto un braccio e mezzo sia ia due . Na- 
sce abbondantemente in Puglia per tutta la schie- 
na del Monte Gargano. Ottima è quella di Pon- 
to e di Gilicia. E° buono cor la sua barbì nell’an- 
dar sotto le Vergilie. La barba della liquirizia 
ristucca assai, ed è di quelle cose che con poco 
mangiarne mandan via la fime e la sete, onde 


190 

gli Sciti si contentano di satollarsi d' essa per die- 
ci o dodici dì, anzi ne vivono di coatinuo. Na- 
sce intorno alla Palude Meotide frequentemente ; 
ma gli Sciti più che di liquirizia, menan la vita 
di cacio fatto di latte di cavalle, detto Ippica ; 
onde scrivono che Zoroastro visse con mangiar 
solamente cacio ne’ dese:ti vent’ anni, così 
acconcio che non invietava; come Sesostri di lat- 
te solo e non d'altro visse tutto il tempo della 
sua vita. E° la liquirizia ottima alla tossa, e del 
tutto idonea ad allargare il petto. Desidera ter- 
ra ben disciolta, e vien meglio ancora nella sab- 
bia, ove ella fa molte radici, e da quelle rin- 
genera le sue piante, le quali con esse cavate si 
traspongono all'ottobre, e la pianta cresciuta si 
piega a terra, e dalle barbe ch’ella fa, ricoper- 
ta quì, eccita nuovo pollone. Cavansi le barbe 
ch’eli’ha attorno alla madornale, e questa sola 
la mantien viva, ricreandone sempre attorno a se 
quantità. Puossi piantare per ispa'liera non mol- 
to alta, e convien porla fonda e fuor di questo 
ben intrecciaria insieme; couservasi in luogo 
fresco ed asciutto colta di settembre . 

1l Ligustro cresce nelle spine con le foglie 
simili alla mortella femmina, o all’ ulivo, ma 
alquanto più larghe. Manda prima fuora il fior 
bianco e di buon odore e bello , dipoi le cocco- 
ie prima verdi, e poich’elle son maturate, nere. 
Essendo caduto il fiore, del quale si fa ottima 
tintura nera, si può convenevolmente traspian- 
‘tare, ma desidera luoghi caldissimi come in Gi- 
pri, in Egitto, ed Ascalona. Bisogna aver del 
suo seme stagionato, e nascerà come il cipresso. 

Il Levistico, detto Ligustico, e Rovistico, 
nasce salvatico nelle Alpi o luoghi salvatichi ed 
alti, e per le folte macchie ed alla campagna. 
Ha in quei luoghi alpestri del salvatico ; traspo- 
sto nei luoghi domestichi diviene più gentil pian- 


151 
ta, e più amorevole. Ama terreno grasso, seb- 
ben per tutto s' appicca ; e il suo seme semina- 
to con diligenza al fin di marzo e d° aprile, na- 
sce e viene innanzi traspiantato grandicello; ma 
meglio è cavarlo con le barbe, e prender di es- 
so dove si trova fatto a cespuglio, o veramen- 
te tutto il cespuglio insieme, e metterlo dove 
ha a stare, che è nelle Ragnaie, o per farne sie- 
p); le quali riduconsi a sesto, obbedendo alle 
forbici, e serran bene insieme. Fa fiore bianco 
odorato; e stillato, n° esce similmente acqua con. 
odore. -- Il Levistico di Levante ha la foglia mag- 
giore, ed è più liscia la sua buccia, e cresce più 
alto. Fa i fiori molto primaticcj, e grandi, fioc- 
cuti, di color bianco in pagonazzo, che dura- 
no pochissmo, come anco in su l’ arbore. Non 
fa buon seme, perchè svanisce; e si trapianta 
spiccando delle messe che fa senza numero dal. 
le sue radici, 

Il Luppolo ( Base marina, Lupo, Salictario ) 
nasce ancor esso fra le spine e siepi, e sopra 
quelle si fortifica ed aggroviglia. Si pianta a 
magliuoli come la vite, d'autunno; e se il fred- 
do o ghiaccio dia impedimento, di marzo Isar- 
menti si tagliano dalle radici mal trattate in 
terra, e si cacciano in terren grasso con buon 
letame quasi in monticelli argia:ti, e così ripo- 
ste si lasciano nel verno nei lati freddi, Di pri - 
mavera segli scalza la terra sopra cou la mar- 
retta, non col marrone, e segli ammonta attor- 
ho, nettandola dall’ erbe inutili, e dagli stérpi 
che potessino offeaderlo. ID’ intorno a mag- 
gio si ficcano i pali, a cui s° avvolge tutta 
la messa che egli. fa sopra; il fiore s' ha a 
tagliare d’ agosto al fine, o di settembre al 
principio. Si colgono i suoi fiori per temperare 
la cervogia. Fatta questa prima ricolta, .ilup- 
poli si tagliano fra le dué terre, e si lascian 


/ 


152 
fg la terra un: po” ricoperti, coltivaudogli come. 

è detto. Ancora le sue cime tenere e messe, 
sì o da principio della” primavera, , poi si 
condisceno a serbar nell” aceto , éd anco colte 
e cotte come gli asparagi sono buone ‘ed in mi- 
nestra, ed in furte.. Giova a provocar l’oripa ,' 
6, mollifica le. rene , e beuta' nel siere leva le" 
femme. nocentissime ‘dello stomaco. Nella doglia. 
del, capo, che s° assida nel mezzo di esso, vi sì 
strofina il suo ‘succhiîo, o în pezza lina entro cac- 
ciato si lega, e lo mitiga. S° addomanda Ji up 
polo in alcun luogo Pollone. 

La Lente tra i legumi è molto commenda- 
bile, comecchè lessata prima con la polenta , , © 
impiastrata dove premun le gétte, sia in gratt- 
de aiuto 'e diminuzione di dolore. È per man- 
giare quella è ottima che agevolmente si cuoce, 
benchè il produrre i lesumi” assai colto] il più 
delle volte procede dal terreno e paese, La lei 
te poco cotta solve il vento, e mavgiata, da se- 
ra concilia il | s0an0, e fa sognare assal; sl dice, 
cotta col porco, e da per sè con olio, e “con 
erbette, massimamente odòrifere', come siepitel- 
la e menta tritatavi dentio . Sono le lenti di 
due sorte in Egitto, una ché è rotonda e nera) 
l’altra ordibaria come la nostra. Tieasi. ché 
quelle lente sieino ottime che succiano assai acqua; | 
e tali diventeranno e grandi e grosse, se prima. 
che si seminino siano state in molle nel làser-" 
pizio, 0 vero macerate con l’ acqua tiepida , ‘di 
sfattovi dentro del salnitro per da dì. Aocora 
meglioreranno, e più tosto saran da. cuocersi n° 
e maggiori nascerauno se innanzi che le_si semi. 
nino saran state sotterta per un poco nel litame. 
di bue, o vero in esso rinvolte si semineranno ;. 
siccome i ceci dentro al lor guscio non macera- 
ti nell’ acqua, ‘meglio nasceranno e' maggiori; e 
più presto. Verranno & far frutto seminandogli 


153 
insieme, ed il salnitro gli fa cotto]; siccome 
macerando nel méle o nel latte tutti i semi fa- 
ranno i lor frutti più dolci. Dove si semina le 
lente, sia vagliato: il terreno, massimamente di- 
lettandosi esse di non spessa terra. che si am» 
massi nel campo ; deono esser seminate a luna 
crescente in luogo di terra risoluta e gras- 
sa; ed in quella maniera s' assicureranno dal- 
le lumache; nei luoghi assai freddi, di feb- 
braio; nei gelati, di marzo e d° aprile; nei 
caldi più per tempo, a mezz’ ottobre, o di 
novembre. Vengon bene anco in terreno leggie» 
ro e minuto, come nel grasso e secco sotto cie- 
lo che non molto piova. Sono ancora due tempi 
buoni a seminarle; uno presto a mezza sementa, 
l’altro più tardi, di febbraio. Deesi arare mi» 
nutamente , e tritar bene la terra con l’erpice, 
avvertendo sempre di gettar giù il seme che la 
terra sia asciutta e del tutto disumorata. Fiori» 
scono di luglio, ed in fiore molte volte han 
troppo rigoglio, e per il troppo umore si gua= 
stano; e perciò avantiche elle si seminino, è 
ben tenerle nel letame secco d’ogni sorta, e ben 
ricoperte lasciarnele stare per quattro, o cinque 
dì, e da quello tolte via, subito seminarle. Rac- 
colgonsi a luna vecchia, chè cosî meglio basta- 
no, e si conservano da’ punteruoli. Cavate ch’el- 
le sono dei lor guscj, mettonsi nell’ acqua, get- 
tando da banda e dispensando ai polli quelle 
che stanno a galla, e l altre che andranno al 
fondo :( come sode e buone, nè punto vane ) si 
ripongano per serbare, seccate bene prima al 
sole, e spargeadovi delle radici di Silvio, det- 
to Assa fetida, peste e macerate con aceto. 
Doppo d° averle stropicciate di nuovo risecche 
bene al sole e raffreddate, saranno meglio rassi- 
curate nel granaio essendo assai, e le poche si 
ripongano nei vasi dove sieno stati i salumi, 0 

20 


154 
nei céppi dell'olio, coprendogli e serrandogli 
«bene col gesso. Si conservano anco fra la cene- 
re. Amano d° esser sarchiate . 

Le Lenticchie son tutt’ una con le Lenti, 
ma queste sono di razza più minuta; si semina- 
no di novembre, e di giugno si raccolgono4 a- 
mano d’ esser seminate dalla vigesimaquinta lu- 
na alla trigesima. Così in terreno sottile e di- 
sciolto , come in grasso ed in secco faran bene 
perciocche dall’ umore e troppo crescere si gua- 
stano nel fiorire. La Satureia cotta con le len- 
tiechie le rende più appetitose e saporite, mas- 
simamente mescolandola nel loro intriso fatto di 
lenti cotte sfracellate e passate per stamigna, 
accanto rifriggendovi l’ altre cotte lesse nel te- 
game. Hanno le Gentildonne Romane una pro- 
prietà di accouciare unicamente queste lentic- 
chie che chiamano Romanesche, facendovi so- 
pra un rifritto di saporite odorifere erbette tri- 
tate bene e poi mesticate con esse, e mescolan- 
dovi anco dentro anici pestati e puleggio mi- 
nuzzato bene; e ciò le fa diventare manco gon- 
fianti, e ventose; con la sapa sono malsane, 
cone con tutte le carni insalate. Le bietole tri- 
te ed il prezzemolo con le lenti cotte si dico- 
no accovciamente . Scortecciate, si megliorano 
di condizione più sana, e cotte con la carne 
grassa sono d’ogn’ altro modo più appetitevoli, 
chè questo elle desiderano quaato l'olio buo- 
no; éssi tentato di fare il pane con la farina 
di lente, ma indarno; chè scanicano, nè si ten- 
gono insieme. 

Il Lupino è il primo legume a seminarsi, 
l’ultimo a raccogliersi, e siccome il cappero de-. 
sidera la negligenza del lavoratore, facendo an- 
co in sul nudo terreno , e cacciato ben sotto es-. 
ce fuori, facendo in ogni modo le radici in som- 
mo del terreno medesimo , nè disprezzandone al- 


i 155 
cuna sorta, se- non del cretoso, umoroso, e fan- 
goso, bramando di sua natura la terra debole, 
leggiera, e rossa. Quelli che si seminano per 
ingrassare, sì seminan d'agosto nei campi e nel- 
la vigna doppo |’ iuvernata , quivi con l’aratro, 
e quì con le marre ricoprendogli. S° arrovescia- 
no d'aprile o maggio quando son cresciuti a 
conveniente grandezza; e nei luoghi sabbionosi 
quando hanno il secondo fiore, e dove è la 
terra rossa si deono mandar sotto. Nelle vi. 
goe magre e disfatte fanno meglio che il leta- 
me, il quale nuoce al piè delle viti, e dan- 
dune una giomella de’ cotti con acqua, ed ac- 
canto una al calcio quando si zappa, giovamen- 
to grandissimo darà loro. Ed ancora quandole 
viti sì scoprono e si piantano dentro in quella 
buca , pongavisene un pugno. Si seminano dop- 
po la raccolta in sul sodo, e ne’ faùli arati due 
volte intorno al principio di primavera, e poi 
del mese di ottobre si tagliano con le marre 
insino a terra, e si stendono per i solchi rico- 
prendogli, sopra i quali (seminato il frumento) 
si rivolge la-terra sozzopra col vomero, e così 
di nuovo vi riviene ottimo grano, e vi si può 
riseminare acconciamente ancora l’ altr® anno, ed 
anco la segale se sia il terren buono. Si posso- 
no fuor di questo seminare ilupini tra °l miglio 
nella sua seconda sarchiagione , iquali colti pri- 
ma procureranno buon grano, purchè vi si se- 
mini più fondo dell’ ordinario. Ma per raccoglier- 
ne il seme si spargano i lupini non troppo fon. 
di a luna crescente d'ottobre e di novembre 
dopo l’equinozio, cogliendo tempo avanti le 
pioggie, e di tanto che possa esser gagliardo in- 
nanzi al freddo; chè trovandosi tenero gli no- 
cerebbe. Ed avanti ch'e mandin fuora il fiore 
che fiorisee tre volte, di maggio, di giugno, 
ed in ultimo di luglio, vi sì caccino i buoi, che 


156 

pasceranno tutte 1° altr® erbe, non toccando quel 
lo. Doppo ciaschedun fiore produce i baccelli; 
le bestie non mangiano i lupini verdi, ed i gam- 
bali secchi attagliano lor fuor di modo, sicco- 
me il pane agli uomini fatto di lupini gli nu- 
trisce e fa campare; ed in Spagna sono popoli 
interi che di quel solo vivono. Addolciscono i 
lapini con l’ acqua:, poi rasciutti al sole gli ma- 
ciano e fanno della farina il pane, rifacendolo 
spesso; altri vi mescolano farina d’ orzo e di 
grano. Volendo sarchiargli, conviene intorno a 
questo tempo a terreno asciutto, e destramente 
perchè non hanno che una radice, e quella in 
pelle. E sebbene il sarchiargli non è loro. neces- 
sario più che tanto, tuttavia il farlo quando sie- 
no in terreno non troppo buono, non nocerà lo- 
ro, anzi diventeranno assai più belli. Sono mol- 
ti che tengono per opinione ch’ e’ faccian me- 
glio ne” luoghi caldi, che ne’ freddi, e semina- 
ti ne’ terreni fiacchi e leggieri, deboli ed are- 
nosi, che nei gagliardi; contuttociò seminando- 
gli di marzo pur a luna crescente in terreni 
bene ordinati ed anche letamati ( perchè ognu- 
no alla fine gode e si allegra del bene ) pro- 
veranno senza pari. Avvertiscasi tuttavia di 
lesgiermente ricoprirgli. Si raccolgono di giu- 
gno o di luglio, e dobbiam mietergli quando 
sia piovuto, 0 l’aere umido, la sera o la mat- 
tina avanti al sole. E quando si battono, siano 
ben secchi i baccelli, chè più facilmente usci» 
ranno schizzando fuori di essi battendogli bene, 
e minuzzando i lor gambali con i coreggiati; e 

similmente si ripongano in lati asciutti -ove pe- 
metri il fumo; con cenere ed acqua calda si 
fanno di più piacevol sapore, e:con l’acqua cal- 
da sola presto s’indolciscono, e con Ja fredda, 
mutandola spesso tantochè sene sazino. I lupi- 
ni fatti dolci e mangiati con pepe e ruta, mon= 


LI 


157 


dificano il fegato, e purifican la milza, edama- 
ri vagliono contro agli aspidi. Gotti cou la ra- 
dice del Camaleonte inedican la scabbia alle 
pecore, così lavandole come dando loro di 
quell’ acqua a bere. Di tutto quel che si man- 
gia da’ viventi secco, ha meno peso, e più uti- 
lità. 

Il Lupinello nasce da per se in tristissima 
terra, siccome nel mattaione , sabbia , e creta, 
fitto per tutto lo produce il terreno; va terra= 
gnolo, e somiglia alla foglia il domestico , sen- 
do questo il salvatico. E° buono strame per le 
bestie ; fiorisce presto di fior bianco in rosso 
affatto. Cogliesi segando quando è in fiore e ser- 
ve acconcio in pagliaio alle bestie grosse, e 
minute. 

Il Lino , dice Plinio gentilissimamente, è un’er= 
ba che in quattro o cinque tì si trasporta da 
Gades a Ostia, ci veste, cicalza, ci ammanta, 
e fa dormire. Aracne fu la prima ritrovatrice 
dell’ uso suo. Il lino seminato iotristisce tutte le 
terre, ancora danneggiando le grassissime e fon- 
date. E così fatte le richiede, che siano alquan= 
‘to fresche ed umide, e massimamente se in tali 
siano state prima seminate delle rape, e appres- 
so ben letamato. Alcuni lo giudicano star bene 
in terreno arato una volta sola , e seminato spes- 
sissimo per farlo più sottile e fino. Mala diritta 
è farlo sul vaugato, ed in terreno grasso e buo- 
no. Ne sono di due sorte, vernio, e staterec> 
ci10 3 il vernino si semina innanzi l'inverno, neil’au- 
tunno innanzi at grano per la vendemmia di set» 
tembre; ne’ paesì caldi, dal principio di settem- 
bre sio a gennaio, e d’ottobre e dicembre; nei 
temperati, di febbraio sin’ al fin di marzo; nei 
freddi il vernio di marzo e nel principio d’ apri- 
le, e lo statereccio, detto stio, nel fin d’aprile 
sin a mezzo maggio, ove si possa adacquare, è 


158 
sì speri la pioggia, e nei freddiancor più tardi . 
Il vernio non farà male in terre non molto gras- 
se, e non molto letamate, e purchè siano leg- 
gieri, essendo grasse. Riesce male nelle terre 
mojito pastose; amerebbe di sua natura la terra 
arenosa, grossa e terrosa. Ama luoghi caldi dove 
geli poco, e dove a’ bisogni si possa adacquare ; lo 
stiè non desidera luogo asciutto, ma terre grosse 
e umide, e bene stabbiate, e rivolte con letame 
macero, e cenerein abbondanza, e quello sia di 
capre o pecore. E si seminerà acconciamente in 
terre temperate , e in più fredde d'aprile. Ad 
ambedue conviene ben lavorare il terreno con ara- 
re ben a fondo il primo soîco , l’altro mezzana- 
mente, ed il terzo manco, minuzzando, tritando, 
erpicando con diligenza, e si sparga fondo in ore 
fresche, ricoprendolo poco. È prima si può tene- 
re anco in molle nell’ acqua, nel secondo quar- 
to della luna crescente, chè così darà fuori me- 
glio. Sia il seme d’ un anno, nè mai passi due, 
chè per essere umidiecio si corrompe presto. Sia 
tenuto ben netto dall’ erbe, c quando è piccolo , 
sarchiato; e più d’ una volta ritocco col marretto, 
e massimamente ove s' adacqui, perchè più erbe 
assai vi si generano. Dove convenga adacquarlo, 
sarà assai una volta la mattina, ed una la sera 
in una settimana, satollandolo lungamente. Nè 
si segua più, quando egli comincia a mutare il 
colore, e perchè stia più saldo e più sodo, e me- 
glio regga al gramolarlo, convien corlo, ed an- 
che porlo in macero nell’ acqua dolce, corrente 
poco, o stagnante. A luna scema è da sveglierlo 
quando è maturo, ed è maturo quando è giallo 
il filo, e grossa la boecetta che tien la sementa 
e gonfia bene, la quale affinchè si faccia tanto 
più, svelto e fattene le manne, legate strette, si 
dee aperte voltar le radici al sole dove non sia 
l’acqua, e questo molto gioverà con tenerlo di- 


159 


teso dalla rugiada. Stato così due giorni, si scuo- 
tano le manne in sur una tavola di legno, e s° a- 
sciughi; altri cavano il seme carminando il lino 
col pettine di ferro, e con esso cavan le boccie; 
chè poi poste al sole, ne casca il seme. Dipoi 
sì riponga in luogo asciutto. E se si pon- 
ga in maceto in acqua che non corra, si farà più 
presto che nella corrente. Stia ben sotto l’acqua 
aggravato da pietre, ed in tre dì si stagionerà 
nella stagnante, e nella corrente in cinque o sei, 
‘osservando che mentre che egli sta nell'acqua, 
non tocchi mai di due lune perchè si sfracelle- 
rebbe nel gramolarlo. Si conosce che è fatto, 
quando le sue membrane o fili s’ allargano assai, 
Gavato dell’ acqua si pouga su per gli arbori @ 
siepi ad asciugar bene al solatìo, o in sul terre- 
no asciutto . Ripongasi poi in luogo ove non sia 
punta umidità, ma quando si dà a gramolare, 
sia tenuto prima un poco all’ umido perchè regga 
meglio; e si pesti col maglio della stoppa, la qua- 
le si divide col pettine a diversi e più grossi usi. 
Dalla stoppa ancora si scerne con i medesimi 
pettini di ferro il capecchio , buono a tesser fila» 
to, tele da sacchi, e coperte grosse , eda scale 
dare il forno come la scaglia della prima cortec- 
cia che gramolando ‘casca a terra del lino; il 
quale gramolato e ben pettinato si dà a filare alle 
donne , benchè già ancora gli uomini nonaveva- 
no il filare per disdicevole, o cosa non convenien- 
te. I Cadurci, i Ruteni, i Biturigi, ed i Caleti 
banno bonissimi lini, e perle coltrici e materas- 
se ottimo è quello de’ Cadurci. In Francia è ot- 
timo, e di saldezza e sodezza passa tutti gli al- 
tri quello di Olanda; il Parigino è eccellente, ed 
il Trecacino avanza di morbidezza ; ma in Italia 
ne porta il vanto quello di Napoli, di Pozzuolo , 
ed il Viterbese, e di fuori l’Alessandrinò . È sta- 
ta, scrive il Ruellio, ritrovata una sorta di lino 


160 
che non abbracia al fuoco, e chiamanlo vivo, e 
già ne’ fuochi de’ conviti si son veduti vasi che 
si nettano arsa la lor lordura e più assai risplen- 
denti col fuoco, che non si potrebbero con l’ac- 
qua. Nasce ne diserti dell’ India abbruciati dal 
sole, dove non cascan pioggie , fra i serpenti cru» 
deli, dove s'avvezza a vivere ardendo , raro a ri- 
trovarsi, e difficile a esser tessuto per la cortez- 
za. Il suo color rosso risplende al fuoco; quando 
è ritrovato, pareggia il pregio delle più rare per- 
le. Questo lino ha il principato in tutto il mondo, 
prossimo al bissino, che è reputatissimo nelle de- 
lizie delle donne interno a Eli, generato in Acaia 
e barattato già uno scropole a quattro denari come 
loro. Pausania scrive non nascere il bisso in 
‘altra parte che in Elide di Grecia di tanta sot- 
tigliezza che non cede al bisso di Giudea, seb- 
ben rosseggia manco di questo. Di quel bisso 
son pieni i Libri delle Lettere Sacre. Scrivono il 
bisso essere una sorta di lino appresso gl’ Indiani; 
ed appresso gli Egiz) da un frutice cavasi la lana, 
colla quale si tessono vesti, dai panni lini sola- 
mente di grossezza differenti. Produce quel frutice 
un frutto simile alle noci, mirabile e celebrato 
per le divisioni che ha, che quando s’ apre per 
la. maturezza , nella crosta interiore mostra una 
lanugine che si fila, della quale ordiscono la tra- 
ma cacciando sotto lo stame che egli ha di lino . 
Già fece menzione d’ un’ erba in India, deila qua- 
le si tesse un drappo come taffettà. Ora del mede- 
simo lino si cava la stoppa, della quale si fila l’ac- 
cia, la quale quanto è più filata sottile, fa le tele 
più fini e di pregio maggiore. E volendo il lino 
sottilissimo e finissimo s si dee seminare in ferre- 
no magro, fittissimo. E le tele fatte di questo 
più ialaishetgino all’ aere, all’acqua, ed alla 
rugiada, e similmente il filo; ed ancora nel ter- 
reno grasso quanto più sarà seminato fondo, di- 


161 
verrà più fine, e manco sarà occupato dall’ erbe, 
le quali anco quando lo noiano, conviene sveglie- 
re a filo a filo; e se sarà prima da piccolo. sarchia- 
to, sarà tantopiù utile. Illino che sarà in mace- 
ro nell’ acqua corrente, farà più biancoil filo, e 
tanto più, quanto meno starà ammontato nell’ ac- 
qua l'un mazzo sopra l’altro, perciocchè nelle 
pile o trogoli d° acqua tenendolo a macerare, sarà 
più nero. Ridotto poi ch° egli sia con la rocca a 
filo, si dee fare un fortissimo ranno di cenere di 
cerro per porvi dentro le matasse dell’ accia con 
esso a bollire, facendovi sopra della medesima 
cenere il ceneraccio che la ricuopra , quivi sopra 
gettando la liscla bollita, e facendola uscir per di 
So: e quattro o sei volte rimettendola da capo; 

e poi cavate il secondo dì le matasse, scosse bene 
e sbattute si pongano in un’ altra conca ‘piena 
di ranno un po’ più dolce, fatto di cenere di 
sarmenti o di altro. legname leggieri, che sia 
chiaro e ben netto. E ciò si dee fare un dì sì, 
e uno nò per quindici dì, e così inzuppate si 
faccia un altro bucato, e nel metterlo nella con- 
ca da ciò, vi sì tagli di man’ in mano del sapo- 
ne a suolo a suolo, bollasi appresso, cioè getti- 
visi sopra la liscìa” bollita, ed il dì seguente 
scuotasi ad una ad una ogni matassa d’ accia, c 
si distendano sopra asse ben nette al sole; e il dì 
e la sera si ritornino pell istessa liscìa chiara, 
minuzzandovi sopra dell’ altro sapone, e facendo 
quest” o:dine di giorno in giorno, babbo lac 
cie sien diventate bianche quanto bisogna a ref 
candidissimi che si desiderano per i lavori sotti- 
li, sfila, rezzati, ed altro d'importanza; e si 
segua di metter le matasse sopra le tavole, sco- 
tendo prima sempre dall’ acqua siu al fine, come 
di far loro la bucata egni notte. E volendo far 
grande impresa di linî, e che profitti bene, co- 
minciando primamente a spargere del mese di 

21 


162 

marzo del trifoglio tra le biade, e segata poila 
stoppia trifogliata avanti mezzo luglio, ed il fieno 
al. fin d'agosto, letamando il prato avanti Na- 
tale, e poco doppo, e segatolo tre volte dal mag- 
gio seguente sin al settembre, arerailo doppo 
mezzo novembre affinchè sia cotto dal gelo, non 
facendo troppo dentro andar l’ aratro, percioc- 
chè il proprio del lino è venir bello ove sieno 
spesse le radici del trifoglio, che si ritrovano 
in quella parte rivoltata sozzopra dali’aratro, che 
viene a esser molto spugnosa , onde con facilità 
molto vi si allargano dentro le sue tenerissime 
barbe ; e vi si semini negli ultimi dì di febbraio, 
o nei primi di marzo piuttosto fondo che altra-_ 
mente, sarchiandolo poi e nettandolo dall’ erbe 
come gli altri, e facendo le porche ove sisemi- 
na larghe con i solchi dai lati cupi e profondi 
come i magolati del grano, con i suoi pendii 
che l’ acqua ne esca, e non vi stia ammortita 
punto, o vi resti dentro. Ed è buon seme e ne 
fa in copia ilLin Galavrese, e per tele e lavori 
grossi non ha pari, e così sottile quello di Poz- 
zuolo è eccellente accanto quel di Viterbo, e 
quello di Parigi è-eccelientissimo ed è raro per 
moltiplicare e profitta. Ed in somma si dee os- 
servare di cambiar tuttavia il seme dei luoghi. 
Fassi olio del suo seme, spremendolo al torchio 
ed è buono ai panni, a ardere, ai legnami ed 
ancora ai pittori . 

, Il Loglio nasce naturalmente da per se 
nel principio dell’ inverno tra °l1 grano, e tra 
l'orzo; e facendone pane (macinato che insie- 
me sia ) fa grandissimo danno all'uomo, facen- 
dolo diventare stupido, attonito , e come ubria- 
co, incitandolo a un gravissimo sonno. lm- 
perciò quando si sarchia il grano, si dee diligen- 
tissimamente estirpare, c se non si può tutto sver- 
re se nonquando è battuto, col vassoio di legno 


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163 
stendendovelo bene, si dee tutto con le dita tra- 


scerre, tanto nel grano quanto nell’ orzo; fa- 
cendo ancorale bestie sonnacchiose ed addormen- 


tate. Suol nascere il loglio tra’! grano, e tra 


l'orzo, massimamente quando il terreno è troppo 
umido , € quando va piovoso troppo l'inverno. 
Alcuni tengono opinione che talora nasca dal 
lino; imperciò il grano dell’ Egitto , e del Ponto 
manca del loglio; ed in Sicilia. quello che nasce 
nel paese di Girgento riarde il grano, egli leva 
il suo nutrimento ;} ed ancora Lena e disecca 
quella porzione di terra ov’egli nasce; è peste 
della terra e delle biade: contuttociò cotto con 
vino e con sterco d'asino, e conseme di lino, 
e fattone impiastro dissolve le posteme, e le 
serofole; e cotto con la corteccia delle radici, e 
posto sulle ferite già putrefatte, le mondifica e 
sana. Inoltre perturba mangiato mescolo tra la 
farina del grano grandemente il cerebro e la 
testa. 
La Lentaggine è una pianta ché s'alza da 
terra quanto il Levistico 0 poco più, di foglia 
sempre verde, e men appuntata di quella dell’a]- 
loro e più folta, e come il lentischio; tuttavia 
ha o fiore o coccole fatte o acerbe, facendolo in 
ciocche com°il finocchio , di color luccicante in 
argento torbido, bigerognolo. Non ha pari per 
fare spalliere basse, mezzane, ed alte, e per 
fare strade coperte nei giardini che non vi possa 
penetrare il sole; similmente riempie bene i fan- 
tocc) negli uccellari de’ tordi, o sia ella pianta- 
ta in essi per farli sola, ponendovene fitte tre o 
quattro piante insieme, 0 pur mesticate con lec- 
cio, 0 lecciastrella, o corbezolo ; in tutti i modi 
fa buono acconcio, e bella sempre perpetua ver- 
dura. E conveniente ancora nelle raguaie a farvi 
le strade coperte, ed alla rinfusa piantata fra 


l’altre piante, e dalle bande per far siepe agli 


164 

uccelli. Ed a questo è ancora buona intorno agli 
uccellari tenendole basse e folte. Nasce nelle mac- 
chie fulte da perse, e nei monti aspri e sassosi, 
e soprattutto }’ Isolotto dell’ Arno n° è tutto pie- 
no. E maturo il suo seme quando si stacca dal 
gambo agevolmente e casca a terra, ed allora si 
dee raccogliere ponendolo all’ uggia , e spesso ri- 
voltandolo al fin di settembre, e di ottobre, o 
novembre, ed anco di marzo si può seminare in 
terreno trito minuto e grasso per trapiantarlo 
nato di lì a un anno. Nasce da per se con age- 
volezza, e seminata, con stento ed appena in tre 
mesi dà fuore. Imperciò è meglio cavarla con tut- 
te le barbe piccola di un braccio alta un po’ gran- 
detta col suo pane d’ottobre a luna crescente. Ob- 
bedisce alle forbici che ie danno ogni forma, e fa 
belle chiuse a’ pratelli . 

La Malva è di due ragioni, salvatica e do- 
mestica; ambedue volgono le foglie col sole o co- 
perto o scoperto, e come l’ altre erbe col fiore lo 
seguono. I Fisici ne dan la causa alla detra- 
zione dell’ umore, perciocchè par cosa ragio- 
nevole. che’! sole gli faccia piegare a se quan- 
do è grandemeute in calore. La Malva arbore- 
scente , scrive il Mattiuolo che la procede dall’ar- 
te, tirandola innauzi dalla malva ordinaria. A1- 
tri tengono che questa sia una spezie di per se, 
buona (secco il suo fusto) a far bastoni leggie- 
ri per appoggiarvisi su. Scrive Plinio che la cre- 
sca in Arabia in albero in sette mesi. Si legge 
d’ ua’ altra Malva arborea che fa in Mauritania 
appresso Lixo, Castello dove si dice esser già sta- 
ti gli Orti Esperidi, d’altezza di venti piedi, e di 
grossezza più dell’ abbracciatura d’un uomo. E 
di questa. medesima grandezza dicesi parimente 
ritrovarsi del Canape. Se alcuno si diletti di se- 
minare della domestica, facciasi di ottobre ; di- 
lettasi di lato grasso ed umido concimato. Tra- 


169 
piantasi come sia di quattro o cinque foglie, che 
così tenera s° appicca meglio; la grande diventa 
passa . Ritiene più natural sapore, © miglio. 
re non trapiantandosi, e nata in sul suo letto a 
lasciarvela stare. Mettesi nel mezzo del suo cesto 
quando è piccola una zolla, o una lastra che 
‘l’aggravi perchè non faccia tallo ; e questo quan- 
do è tenero, cotto come gli asparagi e condito si 
mangia , nè è insuave, ed è lubrico , e muove. Di- 
lettasi d° esser sarchiata spesso, ma conviene. 
avvertire di non ismuevere la barba maestra. In 
trapiantandole, facendo loro un nodo, resteran 
basse. I fiori della malva mangiati in insalata 
non sono insipidi ed hanno del lenitivo. Ingras- 
sano la terra le malve più di quello che ella è. 
La malva domestica quantunque ella si trasan- 
di, nè punto si procuri, non mai degenera nel- 
la salvatica, la quale è striata, minuta, e di 
più piccola foglia. Usavano gli antichi la te- 
nera malva nell’ insalate. Provocano cotte l’ori- 
na, e giovano a coloro che patiscono della pie- 
tra. S ha a porre la malva rada, che così farà più 
bel cesto, e sarà più vegnente e vigorosa. Ma- 
lagevole s1 sterpa dove sia una volta abbarbicata. 
— I Malvooi che fanno i fiori ora biavchi, ora 
incarnati, ed ora varj e brizzolati, sono d’ un’ al- 
tra spezie. Crescono sopra 1’ altezza d° ua uomo, 
e ad ogni rodo dan fuora un fiore, f.tto ia fog- 
gia del fior delle campanelle. Questi seminati 
di maczo, si trapiantano d’un mese, e nei divel- 
ti fan buona prova negli orti. 

__ Il Malvalischio, detto Altèa, ancor esso è spe- 
zie di malva, di foglia un poco grossa, più pal- 
lida, e scolorita, e s’elèva da terra e fa fusto . 
nascendo nei iati dove senta nmidità La radi- 
ce dii questa è perfettissima a tutti gl’ irapiastri 
che sì fanno per diversi malori a’ cavalli ; sec- 
casi all’uggia, riavenendo al mollore. 


166 

La Mercorella ha il maschio e la femmina: 
questa ha le foglie bianche, quello l’ha nere; 
nasce nelle campagne e luoghi coltivati , e qual- 
che volta è frequente nelle vigne, dove quando 
si vede è di necessità estirparla, dando ella 
cattivissimo sapore, ed odore di se stessa tristo 
al vino. È cosa di miracolo quello che serive 
il Mattiuolo , che si dice che il maschio gene- 
ri maschio, e la femmina femmina. È erba a 
molto uso medicinale . 

La Mandragora chiamata da Pittagora An- 
tropomorphos, cioè di forma d’ uomo, ha il 
maschio e la femmina; questa è nera con le 
foglie di lattuga, ma più strette, che si disten- 
dono a terra, pelose e col frutto di grandezza 
della nespola, di color bigio sbiancato, di for- 
ma di sorba, di sapor vinoso, dentro la quale è 
un seme simile a quello del pero, con gran 
radici intrigate carnose e polpute, dentro bian- 
che e di fuora nere. Il mastio è bianeo, di 
foglia somigliante alla bietola Siciliana, deli- 
cata e bianca, il doppio maggiore della fem- 
mina e più larga, e così più somigliante il tuor- 
lo dell’ uovo, di grave odore, ma però non ine 
grato, e le barbe bianche, le quali bollite con 
avorio per lo spazio di sei ore, di medo l’in- 
teneriscono ( facendolo arrendevole e trattabile } 
che segli può dare qual forma altri si voglia. 
Nasce da per se la Mandragora nei monti e nel. 
le alpi, e massimamente nel monte Gargano di 
Puglia chiamato di Sant’ Angelo. Molti miraco- 
li racconta d’ essa il Mattiolo, se però son da 
credere. Inducono i pomi delle Mandragore gra- 
vezza alla testa ancora con l’odorargli, sebbe- 
ne in alcuni paesi sia chi gli mangia veggen- 
doli così belli e non lo sapendo; perchè per il 
troppo odore grave ammutoliscono , e sorbendo- 
ne largamente si muoiono. Si fa un vino della 


167 
corteccia cruda della radice mettendo tre once 
sole di questo liquore in un vaso di vin dolce; 
e si dà a bere a coloro, ai quali si dee segare 
o dar fuoco a qualche membro, perchè si ad- 
dormenti i sensi a non sentire 1 dolori. Il seme 
della mandragora purga la genitalità naturale 
delle donne ; il sugo posto al luogo manda fuo- 
ri i menstrui ed i parti morti. Alcuni ancora 
affermano che °!seme si ricerca per le cose ama- 
torie. È cosa favolosa ( scrive il Mattiuolo , ) a 
credere che le mandragere abbiano le radici di 
forma umana, come crede il volgo ignoraute, 
e le semplici donnicciòle, e che non si possan 
cavare - di terra se non con pericolo, e che am- 
mazzino chi lecava, e che s'impecino gli orec- 
chj a fuggire il grido. 

Il Maro si ha d’ India e fa un cesto come 
il Timo odorato, ha la foglia piccola, e pare 
spezie di Persa con la foglia un poco sbiancata. 
Piantasi nel testi, ove nasce ancora di seme; 
convien ritirarlo nei tempi freddi in lato caldo, 
e sendo piantato a solatìo alla campagna, d’in- 
verno per conservarlo cuoprasi in ogni modo, 
scoprendolo a’ buon tempi e solatit. Vuol’ esse- 
te l'estate destramente adacquato. Piantausi an- 
cora i suoi rametti, e s’ attaccano. 

Le Melenzane vengono di sementa d°In- 
dia, e sono da alcuni chiamate Pomi d’oro; 
sono queste schiacciate come le melerose, e 
fatte a spicchj, di color prima verde, e come 
son mature in alcune piante, prima rosse come 
sangue, ed in altre di color dell’ oro. Si man- 
giano cotte, come i tartufi. I suoi semì si con- 
servano sin’ al tempo del seminarli nei suoi frutti 
ed a marzo sì mandano in terra leggermente ri- 
coperti, e di cinque o sei foglie cresciute si tra- 
piantano lontane l’ una dall’altra un braccio e 
mezze negli orticini, o in aiuole di grasso ter- 


168 

reno ben letamato. Vuol’ esser subito traspo- 
sta, adacquata di continuo. Aggravasi questa 
pianta talora e di frutti e di frondosi rami che 
convien ficcarvi attorno delle cannuccie che la 
sostengano in piedi; quando i suoi frutti son 
verdi si colgono per mangiare e mondata la 
lor corteccia tagliati in girelli si cuocono come 
i tartufi, ed ancora fritti nella padella son gu 
stevoli . 

La Menta salvatica è troppo sappiente ed. 
acuta, la domestica è delicata e gentile; quel- 
la nasce alla campagna, ‘questa (così la stretta 
come la larga ) si procura negli orti. Seminasi a 
marzo, e piccola si trapianta nell’ aiuole ben 
grasse e letamate; fa bene così nei luoghi apri- 
chi, come negli umidi. Tondesi al freddo, e 
coperta bene con letame fresco nei luoghi cal- 
di si salva con la foglia o almeno la radice per 
pullulare, a primavera scoprendola dal letame, 
e zappettandola e dando nuovo sugo disfatto e 
marcio'seriza toccarla mai con ferro, ma con la ma- 
no decimandola, chè quello le fa gran danno. Tra- 
piantasi ogni suo rametto spiccato dal cesto con 
un poco di radice, e fa pruova ancora a sola- 
sìo, in terreno non grasso, non letamato, adac- 
quata l’estate. In terra dolce presso alle fanti se 
«ti venga meno la razza della menta, raccolgasi 
dai campi sodi la menta salvatica , e si ponga 
con la punta volta in giù; così s ammanserà, 
e lasciata quella ruvidezza salvatica, piantata 
di rametto spiccato dal cesto. Deesi alla men- 
ta ogni due o tre annî mutar terreno e pianta- 
ta una volta dura assai. L’ estate sta verde il 
verno 0 sì secca del tutto, o diviene gialliccia. 
Aristotile ricerca perchè venisse in proverbio, 
che non sia da piantare nè da mangiar menta in 
tempo di guerra, e risolve che è perchè la in- 
frigida e debilita icorpi consumando il seme ge- 


| 169 
nitale, ove consiste la fortezza e la gagliardìa . 
— Il Mentastro, e la Menta salvatica è tuttu 
na; e la Menta Romana èdi tutte la migliore. 

Il Marrobbio si trova per tutto, e soppor» 
ta ogni terreno. k erba di grave odore, e ri- 
stucchevole; trito col sale, e posto sopra il mor» 
so del cane arrabbiato ha gran virtù, e con mé- 
le mescolato netta le piaghe puzzolenti. 

Il Matricale ha l’odore della Gamomilla, 
nasce per ogni luogo, e fa attorno alle siepi. 
Si semina di marzo e le sue foglie si posson 
mettere fra "1 mescuglio delle insalate amare, 
quando da prima son tenere e fresche. 

La Maria Santa , o Erba Santamaria, viene 
di seme, e s' attaccano i suol rametti staccati 
dal ceppo. Ha cedore aromatico, e ancor essa 
condisce l’insalate dell’ erbe amare; ama terren 
grasso, e acqua. 0 

I Melloni sono le Angurie di razza di ci- 
triuoli, un poco più lunghi e viocidi, di forma 
torta, sottili dal cominciamento, e nel finire 
grossi e rotondi . Seminansi nel tempo de’ cetri- 
uoli, e bramano d° essere adacquati nn po’ meno. 

La Maggiorana, o vero Persa fa bene nei 
vasi, e posta negli orticini a mezzogiorno; se- 
minasi di marzo con tre o quattro granelli di 
seme insieme, lontani l°’ un dall'altro un mezzo 
piede. Trapiantasi di maggio quando comincia 
a esser grafide, come il bassilico; viene innan- 
zi a ramelle spiccate dal cesto con un poco di 
barba, è si vezzeggia con buon terriccio, e dei- 
tro ai luoghi caldi si ritira per il gran freddo, 
al quale talora alla campaga fa resistenza. E si 
può farne impresa per dar via del suo seme 
per abbonar la cervogia a’ Tedeschi, e per por- 
re in su le lor vivande, oltre alle nostre salse 
e saporetti in che s' adopera, nei quali condi- 
menti ogni poca serve. Fa bene in terreni die 

22 


* 


170 i 
sciolti, delicati gentili e senza pietre, ed in 
tutte le terre dove vien bene il lino. Convien 
rompere il campo innanzi al verno, e da mez- 
zo gennaio in là ritagliarlo letamato prima be- 
nissimo di letame vecchio marcito, ed allora se- 
minarvi il seme della maggiorana spargendolo 
mesticato con l’arena, perchè venga uguale e 
fondo quanto fa di bisogno ai "'suci cesti non 
troppo grandi, al marzo ben rastrellando perchè 
incorpori, e con il rastrello ricoprendola. An- 
cora sarà meglio aver vangato di novembre il 
terreno a mezzo ‘1 mese, ordinandolo come s° è 
detto, e seminare . E chi crivellasse questo ter- 
reno vangato per un palmo gettando il seme fra 
questo, potrebbe asnettare più belle piante, e 
maggior ricolta di seme, per essere quest’ erba 
gentile, ed amare il terreno ben trito e minu- 
tato. Nata si può conguagliare, e levando do- 
ve una pianta e dove un’ altra, far sì che sia un 
palmo dall’ una all'altra; a questo tempo si sar- 
chia, e si tien netta dall’erbe triste; dipoi al 
lug] io, oal giugno, o all'agosto di man’ in ma- 
no che la si vegga rimettere. Quando esce il 
seme tagliala, e sbattasi sopra i lenzuoli, stac- 
ciandolo poi perchè rimanga netto, e prima sec- 
ca bene, vagliala con minutissimo crivello ; co- 
sì pulita e purificata servira al Tedesco cina 
chiunque voglia servirsene. È di mestiero ogni 
anno riseminarla, ma piantata " vasi di ter- 
riccio buono fa gran cespuglio, i I quale con le 
forbici si può formare a che foggia si vuole, o 


di animale, o di aguglia, o palla, o altra figu- 


ra, che tutte piglia, essendo alle forbici obbe- 
dientissima, con le quali si tiene a sesto, e pa- 
reggiata da ogni banda. 

Il Miglio Indiano è stato portato in Italia 
da certo tempo in quà. È nero di colore, gros» 
so di granello, e di gambo simile alle canne. 


i 171 
lu portato anticamente a tempo di Nerone al- 


tra volta in Italia, cresce all’altezza di sette 
iedi con grandissime pannocchie che chiamano 
Thi , fertilissimo più d'ogni altra sorta di bia- 
da, profittando di un sol granello sin’a tre 
mezzette; dee seminarsi di marzo nei lati umi- 
di. Oggigiorno i Franzesi lo seminano negli or- 
ti per bellezza, e fa il granello quasi alla gran- 
dezza di un pisello, di color nero e con un 
gambo a nodi come la canna, d’altezzadi cin- 
que insin’in sei piedi. Così scrive il Ruellio, 
e per altro nome addomandarsi Miglio Saracino, 
che si è veduto ed avuto nato con le pannoc- 
chie nere, ma il granello simile ‘al nostrale pur 
nero. — Il Miglio nostrale a tutti gli usi passa 
innanzi al Panico, ed è migliore, e la sua fa- 
rina mesticata e cotta col latte fa un grazioso e 
gustevol cibo a mangiare, massimamente aggiun-0 
tovi zucchero e spezierie, riducendolo in foggia. 
di torta nella teglia di terra, o tegame, chè 
questo più del rame fa le vivande migliori e 
più saporite. Cuocesi ancora la farina del mi- 
glio col grasso del porco, e con l’olio, e si 
mangia per grata dai contadini. Ma il miglio 
brillato cotto col brodo della carne, e fattone 
torta col lardo ed ancora con olio, è cibo mol- 
to buono ed appetitoso, arrogendovi sopra ca- 
cio Parmigiano grattugiato e pepe.. ll modo 
di brillarlo è questo: s’ incava un legno roton- 
do di bossolo, o sorbo che sia di diametro un 
terzo, e la buca un quarto, in giù un braccio e 
mezzo . Fassi a questa buca un pestello bistondo 
in cima, e con un manico da poter maneggiar- 
lo a due mani che suggelli appunto per il per- 
tuso, gettasi a meaate il miglio in fondo del 
legno voto, e col pestone si percuote per di- 
ritto con più forza che sì può, e tanto sì dura 
a ripercuoterlo di quà e di là per tuttii ver- 


172 
si che resti mondo della ‘sua spoglia, la quale 
cavata fuora col miglio ignudo sì spula soffian- 
dovi'sopra, e così netto e pulito senz'altro si 
cuoce nei brodi, e si adopera nelle vivande. 
Fassi inoltre pane della farina di miglio, ma 
vuol’ esser mangiato caldo, chè così è di mi- 
glior sapore assai che freddo; nutrica leggier- 
mente, imperò costumano i contadini mangiar- 
ne io gran quantità. Il miglio ferma il flusso 
del ventre, mandà via i bachi, ed a questo è 
bene prima abbrustolarlo, e posto in un sac- 


‘chetto caldo porlo al lato dove fanno dolore, 


e con questo medesimo si sovviene al duolo 
de’ nervi. Il miglio facilmente si riscalda e cor- 
rompe se non sia ben secco; ma secco bene e 
messo in lato asciutto ben stagionato può basta- 


re sin io cent'anni, e massimamente nelle bu- 


che sane e bene acconcie. Di questa sua così 
gran durabilità par che ne dia indizio chiaro, 
che seminandolo di febbraio, 0 marzo, indugia 
a mascere più di sessanta dì, conservandosi in- 
corrotto ed illeso dentro al terreno, il quale 
resta sempre affaticato , debilitato, edimmagrito 
da questa sementa, se grandemente non gli sì 
dia del letame; e per questa cagione non è ben 
fatto seminarlo tra arbori che abbian vite sopra 
di loro, o fra altri frutti domestichi. Si dee dun- 
que piuttosto sementare nelle largure delle cam- 
pagne aperte, e spaziosi piani, ne’ quali deside- 
ra terra grassa e ben lavorata. Si gode nella fan- 
gosa e nell’umida, facendo bene nei letti che 
hanvo lasciati le piene de’ fiumi. Viene ancora 
nella leggiera, e disciolta, e nella sabbionosa se 
vi sia modi adacquarla spesso. Teme il secco, 
e rifugge il cretoso; disama i monti, ed annoia 
i colli; nei fondi delle vallate fa bene, purchè non 
siano intufete ed ombrose. Commendano che si 
semini prima anco in terren freddoso, acquoso ed 


173 
umido, e poi nel caldo; ma se sia motoso, e che 
vi si fermi l’acqua, non vi può far bene, come 
nel secco e magro, ed in tutti desidera d’essere 
qualche volta adacquato 0 che vi piova | Imper- 
ciò si dee sempre seminare in giorno eupesto di 
nugoli, umido, e da piovere, più che in sereno 
e chiaro. Nè si semini avanti alla primavera, 
perchè si gode. dei caldi; seminato adunque di 
primavera farà bene perchè brama l’ umido. Im- 
perciò bisogna osservare la qualità de’ paesi: nei 
caldi più presto, nei freddi ‘più tardi, e vien be» 
ne anche seminato di maggio, di giugno, é lu- 
glio, come d' aprile, e quanto più si coglie il 
tempo ch'egli possa aver qualche rugiada d’ago- 
sto, che lo fa granire, risponderà meglio; ma 
dove è il freddo per tempo, sempre meglio è 
seminarlo senz’ altro di maggio. Il seme che 
s'ha a eleggere da seminare , dee essere di quel- 
lo che tuttavia apparisce verderognolo , o del mi- 
gliore che si ritrovi nel paese, perchè n°è del 
nuovo, dello spargolo, e del maturo in oro; sia 
ben secco, ben fatto, stagionato , e non vano. 
Ed il terreno in che si semina dee prima molto 
bene essere stato arato tre volte, ed erpicato , e 
letamato. E se si faccia questo lavoro in prato 
rotto di nuovo , 0 terreno boschericcio disfatto di 
fresco, vi proverà bene; siccome anco nei luoghi 
grassi, per 1 ciglioni de’ solchi, così a mezzo 
o nel fondo di essi, e tra le fave, quando 
sien rade in tempo che levate queste, si possa 
sarchiare e rincalzare ( che questo desidera) e 
tra 1 fagioli, e tra le viti che sieno piantate 
rade, ed egli rarissimo. Ma molti tengono i h°e? fac- 
cia danno tra le viti, e tra gli arbori Hi 
rl. Ma qualunque volta egli sabbia a semisare, 
è bene per un dì e per vena notte porlo in molle 
nell’ acqua dove sia scolato il letame, o in ac- 
qua stata al sole a intepidire, o al fuoco, 


174 

stemperatovi dentro letame grasso marcio, dando 
a’ polli tutto quel che resta a nuoto; e per un’ ora 
innanzi che si semini spargasi per qualche log- 
gia in luogo polveroso dove.non batta il sole, e 
quivi rivoltandolo con la granata 0 altro spesso, 
si procuri che s asciughi sì che si spiccino l’un 
dall’altro granello. Più appresso si semina a tut- 
ta via rado nell’ ore della mattina avanti al sole, 
o la sera, o di notte, coprendolo prima bene 
con l’assolcare- che fa l’ aratro, e poi erpican- 
dolo, e con V erpice rivolto appianandolo, o con 
quello di vimini ben pareggiando ed agguaglian- 
do il terreno, e calcandoglielo addosso, e po- 
nendo ancora qualche peso sopra l’ erpice di vi- 
mini, perchè aggravatogli, e condensatogli ben 
sopra il terreno, men patisce dal sole. “Ed è 
beve allora la mattina seguente per la rugiada 
ribattergli il terreno addosso con la marra lunga 
e ritornando a far questo più d’ una volta si ca- 
gionerà che faccia prima buone radici che metta 
fuori le foglie; delle quali avendone cacciate pur 
una sola 5 dual tantochè sli discerna dall’ altre 
erbe, si dee zappare intorno senza offeuder]o nel 
muover la zappa, e rinfrescar la terra da ogui 
banda ; e poi nella seconda sarchiatura di lì a 
venticinque o trenta dì ricalcarlo, e ciò fatto, 
quanto più spesso si rifarà, ed anco nel terreno 
che non sia umido, ma secco, si condurranno ra- 
gionevolmente, massime ai tempi del lor bisogno 
lt. degli otto dì l'uno, sapendo che quan- 
do nasce ed è in fiore patisce dall’acqua, e dalle 
nebbie, e freddo. E tanto più quello del miglio 

nano, che è il più buono di tutti gli altri, dan- 
do il moltiplico maggiore, € difendendosi meglio 
dai venti, e cattivi temporali per essere a terra 
basso. H se in seminando o questo o l’ altro rie- 
sca troppo fitto e fondo, in sarchiandolo si dira- 
di a dovere, e massimameate che d’esser sarchia- 


175 
to e lavorato intorno spesso più d’ ognialtra cosa 
desidera. Ma tutto si ricuopra e s’ assetti avan- 
ti chel sole pigli potere e gli dia addosso, e 
nel secondo quarto della luna erescente si faccia 
questa operazione. Il rincalzarlo zappando quella 
seconda volta dee esser fatto avanti che egli fac- 
‘cia il fiore, e si rincalzi bene, chè ciò giova a 
farlo star sù in piedi ed a maturarlo meglio. Inol- 
tre tagliato via il grano s’ abbruciano le stoppie 
nei terreni grassi e buoni; e sparsavi la cenere 
sara minutamente due volte, e s’ erpica il cam- 
po, e s'agguaglia la terra con ]’ erpice rimboc- 
cato, non vilasciando alcun solco che i maestra- 
li perchè l’acqua piovana vi covi; dipoi si semi- 
na ristrignendo bene il terreno con l’ erpice di vi- 
mini carico di sassi, sarchiasi poi all’ ordinario, e 
sì rincalza come l’altro, e risponde bene. Ma 
è necessario questi campi o Jetamargli bene, o siv- 
vero lasciargli in riposo. Il miglio si matura dop- 
po che ha fatto il fiore in quaranta dì; imperciò 
non sì dee credere a Teofrasto che scrive: il mi- 
glio seminasi l’ estate, e mietesiin quaranta dì: 
perchè in manco di due mesi passati non fa. Il 
miglio sì matura quando biancheggia tutto , ed è 
maturo quando resta di biancheggiare. Nè si la- 
scia maturare in su la pianta perchè cascherebbe 
in terra, ma ssi taglia di due o tre dì innanzi, ed 
ammassato insieme si pone a stagionare , nè si ri- 
pone che ben secco e raffrescato. Nel miglio si 
conserva bene tutte le frutte, e massimamente i 
poponi verpiticcj, e le zucche marine. Niuna bia- 
da, o frumento cotto rigonfia e cresce più del mi- 
glio. Alle passere che gli fan danno niente con- 
trasta più che assai spaventacch], e levar via tut- 
te le macchie e boschetti vicini, e lor ricoveri; 
e questo le spaventa e fa star più lontane assai 
più che 1° Erba incognita di Plinio, e la Botte 
de' Greci ; le sue paglie e pannocchie son buone 


176 
al buoi, e del suo frutto in Etiopia molti popoli 
vivono lungamente, 

La Mortella domestica tanto bianca quanto 
nera, e similmente la salvatica, come quella che 
è per tutta la riviera del mar Tirreno, nelle ma- 
remme di Siena, nelle riviere di Genova, di Roma, 
e di tutto il Regno di Napoli, abbondantemente 
si produce dalla Natura. Cresce la domestica ad 
assai giusta altezza con i suoi rami sarmentosi 
ed arrendevoli , di corteccia rossigna , e le frondi 
lunghette grosseite ed acute somiglianti di quel- 
le de’ pomi granati, più nere nella nera, e nella 
bianca più candide. Il fiore in tutte le sorte è 
bianco ed odorifero , e l’acqua che sene trae per 
lambicco è in uso ai profumieri , ma passa d’édo- 
re tutte l’ altre quella d° Egitto odoratissima. Del- 
la Mortella n° è della stretta e della larga di fo- 
glie, e della mezzana. Questa è quella che si 
trova ordinariamente nei luoghi sopraddetti, e 
nei boschi salvatica con foglie più rade di tut- 
te l’ una dall’ altra. La stretta è quella che si 
chiama di Spagna o T'arentina nera, la quale ha 
le foglie minutissime e spesse. Un’altra sorto 
n° è propria della provincia di Catalogna e da que- 
sta detta, che ha le foglie larghissime e fonde, 
i frutti più grossi dell’ altre, come il fiore mag- 
giore; e la pianta siccome quella stretta di Spa- 
gna diventa arbore assai grande, più bella, più 
vaga, e più odorifera di tutte l'altre. Amano 
tutte le sorti di Mortella aere temperato , 0 cal- 
do, e nei freddi bisogna l’invernata coprirle bene 
mantenendole ne’ vasi, che si possano traspor- 
tarle al coperto. A quella di Spagna minuta con 
le forbici sele dà che forma altri vuole, d° ani- 
mali, navi, galere, vasi, aguglie, palle, qua- 
dri fortificazioni, torri, case, e palazzi, avendo 
prima formate con filo di ferro tutte queste cose, 
e facendo poi seguire, e ricoprire dai ramicelli 


I 
questo modello. E quella Catalognese IE: 


tutte l'altre comporta il freddo . Ogni mortella 
desidera il terreno leggiero, ed arenoso; vien 
bene ancora in buona terra e che sia grassa pur- 
chè non sia segosa, ma grassa leggiera e ben 
stabbiata, ela grassa in che si pone non vuol’es- 
ser troppo umida o che patisca di gemitìo d’ac- 
que stagnanti. Scrivono che si può fare che la 
mortella faccia i suoi frutti senza quei fiocini 
dentro, zappando intorno alla pianta in cerchio 
ed adacquandola spesso con 1’ acqua tepida nell’in= 
verno; e Teofrasto dice che a caso fu ritrovato 
questo, avvengachè nascendo una pianta di mor» 
tella abbandonata appresso a un bagno faceva i 
frutti senza fiocini e da questa pigliavano i semi 
e gli seminavano, .e così in Atene cominciò a ese 
. sere di tal sorta mortella, e questo istesso dice 
che accade della mela, vernina. Scrivono i Greci 
essere annestata la mortella ed il salcio, e ri- 
cevere in se i pomi granati, ed averne così di 
se prodotti. Fassi olio delle coccole di mortella, 
ed anco mescolandovi acqua e bollendola e schiue 
mandola, fa un grato vino. Desidera la mortel» 
la d’ essere adacquata con l’orina dell’uomo, e 
con quella di pecora. S° inseta la mortella bianca 
alla nera, e così per contrario. Insetasi nel ne- 
spolo , e nel melo, e farà più bel cespuglio con 
foglie più verdeggianti dandole per compagnia i 
r0sa]. Le coccole della mortella si seminano ne’sol- 
chetti dell’ aidle degli orti dai tredici di feb- 
braio, avendo peste bene le coccole, e poi 
strofinatele a una resta e sotterrate . Nate 
che elle sieno di tre mesi, si possono traspor- 
re convenientemente. 5° attacca di rami e di 
paletto in una fossa di tre piedi fonda, e 
stendendovi il ramo o il palo a giacere di 
grossezza d° un dito, ed aguzzando in punta, 
con avvertenza di non guastar la buccia. (DI 
23 


178 

quella di Spagna s° attacca in terreno ben la- 
vorato pigliando di piante piccolette i rami 
di mezzo ed attorcendogli nel calcio, e sotter- 
randoli in terra trita ben lavorata, e calcandoli 
ben attorno ricoperti sin alla vetta di due diti 
più dì innanzi che la vogli muovere , ed a que- 
sto tempo eleggerai delle vermène di un anno 
e non meno, e meglio sarà storcerne quanto 
sene ficchi in terra (che basta sia un palmo) 
in fossetta ben lavorata sotto in terren divelto 
e psi ripiena. Volendo fare spalliere, |’ una por- 
rai dall’ altra lontana un terzo di- braccio rin- 
calzando con terra cotta, aggravando e serran- 
do loro bene addosso il terreno, dipoi ugual- 
mente le taglierai due dita sopra terra, e se 
vada troppo asciutto s' adacquerà. Tengasi sem- 
re netta dall’ erbe e sarchisi e zappisi molte 
volte, e bramando queste spalliere poco alte, 
d'un braccio in circa, ogni cinque anni le ta- 
glierai fra le due terre, e rimetteranno più fit- 
te, fonde e folte, avendo la. mortella questa na- 
tura che quanto più è tagliata, più spessa ri- 
mette, e rimesse ch’ elle sieno le riordinerai 
ripareggiandole, conguagliandole, e tenendole ri- 
strette bene insieme. E desiderandole alte all’al- 
tezza d’un uomo, le custodirai col segolo ven- 
ti o trent'anni. Dipoi bisogna di nuovo e ' da 
capo ripiantarle perchè in tanto tempo ingros- 
sano tanto dal gambo, che rimangono vote di 
rami. Ancora sì può spiccare un piantone di 
mortella, o scoscendere un ramo grosso e “pian- 
tarlo per il diritto della sua grandezza, ma in 
terra grassa alletamata bene, divelta a dentro, 
e sin a tanto- che la metta in rami sarà bene 
tenerle ammassata la terra attorno, e s° attac- 
cherà. Godesi Ja mortella d’' esser piantata tra 
gli ulivi, e lor giova, e com’ essi sì piantaa 
verbène tagliato un ramo di cinque o sel anni, 


1 
scapezzato di sotto e di sopra, lungo un a 
posto a traverso a giacere in tina fossetta fatta 
sopra il divelto . Deesi poi appiccato scavargli 
la .terra attorno, e riporvene della cotta , e sac- 
chiare spesso. Ancora si può ammassare ed am- 
montare della terra stritolata di terriccio buono 
attorno a un cesto di mortella, sì che le sole 
cime rimangano scoperte, del mese. di novembre; 
e l’altro novembre che hanno fatte le barbe, 
quelli rami radicati, trapiantar si possono an- 
cora col volgere i rami del cesto che sono dalla 
banda di fuori in terra e sotterrargli per la ci- 
ma, e lasciar loro far la barba, poi staccati 
dalla madre trapiantargli, e di questo modo le 
piantette capo-volte s’ attaccano; ed ancora si 
possono i rametti del cesto piegati a terra  pro- 
pagginare cavando lor fuora la cima, e fatta 
che hanno la barba staccati dal cesto piantarli. 
Godesi questa pianta d’ esser tenuta uguale e 
d’ esser tagliata pari l’una con l’altra, ed an- 
cora d’ esser potata assai spesso. E che sia ve* 
ro, quanto più ne cavi da un cesto, tanto più 
si fa bella e meglio rimette, siccome tagliata an- 
cora ( comes è detto ) da piedi, è attissima al- 
le spalliere. Raccogliesi il suo seme di dicem- 
bre, ed acciaccato, e strofinato alle - corde 
de’ giunchi si caccia di quel medesimo tempo 
in alette ben lavorate sotto in solchetti poco 
fondi, e si ricuopre con terra trita, e come si 
disse delle pianticelle attaccate ai cesti, si pro- 
cura. Gavansi ancora de’ monti le mortelle con 
le loro ceppaie vestite del lor pane di terra pi- 
gliandole giovinette, e si traspongono nel do- 
mestico lavorato e divelto bene e s°allignano. 
Domanda Aristotile perchè i fiori delle mortel- 
le, non condite le foglie, piuttosto delle condi- 
te e riserbate nell’ aliga caschino, e risponde 
perchè i frutti fatta la decozione diventan fiac- 


180 
chi e cascano: la qnal decozione nei conditi e 
riposti non sì può fare e così il vapore dell’ ali- 
ga proibisce che non si muti l’ umore del frutto, 
perchè le foglie già seccate si risolvono: il che 
fa } aliga, che bruciando vien salsa, e però dis- 
seccativa, e per questa causa non accade il me- 
desimo alle foglie attaccate all’ arbore che alle 
condite. Le buschette di mortella ed 1 rametti 
di fico. conserverai legati insieme in fascetti e 
cacciati nella morchia sì ch’ella avanzi di so- 
pra, e quelle che tu vi cacci siano un poco a- 
cerbe, ed il vaso dove tu le metti, turato be- 
ne infardando la bocca con argilla battuta o 16- 
to disfatto. La salsa di mortelia si fa così: In 
prima si coglie le coccole di mortella , e come 
più sarà gran quantità, sarà meglio; poi così 


asciutte diasi loro il fuoco pianpiano, ed avan- 


ti come sia cominciato a scaldare. aggiungerai 
un poco di mésto cotto affinchè non s° abbronzi 
e si vada scaldando adagio adagio rimesticando- 
le; e girando e sbattendo con una mestola di 
legno per fin che tutte sian disfatte e cotte be- 
ne. Più appresso si passa per stamigna, e per 
questa colata vi si mette dentro a discrezione 
gengiovo e caunella, e garofani a bastanza, e 
si conserva in vaso invetriato per adoprarla 
all’intinto della carne tuttaviachè occorra. Si 
colgono ancora le coccole maturissime ed ac- 
ciaccate con pestello di legno nel mortaio pur 
di legno si spremono con tutta la possa dentro 
allo strettoio, ed il sugo che n’esce senz'altro 
ponendovene il quinto s' infonda fra la mostar- 
da, e le dà sapore, ed odore, e gusto buono. 
Ed il vino con le coccole di mortella si fa bol- 
lendole col méle purgato, e mesticato poi con 
vin buono a discrezione. Ancora sene fanno 
pastelli levatone i semi, passando questa mate- 
ria per istaccio, e si pongon nel mosto che 


i E e nin rta 


181 
bolla acconciandogli in modo che l’uno non 
tocchi l’altro, e bollito vi sene rimette, si 
schiuma e si chiarisce e ripone per usarlo con- 
tro ai vermini e flusso. Molti tenute le cocco- 
le di mortella o nere o bianche due ore nell’om- 
bra ed un po’ riseccandole stringon di modo, che. 
per quanto si può sene rimangano intere; ed 
allora per un panno lino fitto passano quello 
che è stretto, e quel succo quagliato e rappre- 
so ripongono nei vasi invetriati, non vi mesco- 
lando altro, e turandogli bene, e così si. man- 
tiene; è buono all’ uso medicinale detto, e me- 
glio di salvatica che domestica. L° acqua di fior 
di mortella stillata a bagnomaria è ottima al 
flusso. Una bacchetta di mortella aiuta chi cam- 
mina a piè, portata in mano. Giulio Polluce 
scrive che ai Principi si solevano porre innan- 
zi le tavole di mortella. Seccansi le sue coc- 
cole e si cacciano nella sapa, e nell’ acqua 
melata a farne bevanda; e spremute strettamen- 
te, fanno olio, scrive Catone. Le foglie di mor- 
tella siccome quelle di lentischio sono di gran- 
dissimo uso a’ Coiaj per: conciar le cuoia; e 
quelle foglie che han servito a’ coiami avendo 
succhiato del grassume d’ essi, nono più buone 
alla concia, ingrassano la terra. E per aver 
tutta la foglia dell’una, e dell'altra si tagliano 
le piante da piè, e questi gambi e rami si di- 
stendono sopra pertiche di salcio, castagno, o 
altro, fassi lento fuoco sotto; e cascano; si rac- 
colgono e vagliano dagli stéccoli, e nette s° a- 
doperano. 

La Medica, detta Falfala amara, e Fien di 
Borgogna, comecchè in Francia vasca da per se 
in molti luoghi, nonè molto differente dal tri- 
foglio, oude in alcuni luoghi si addomanda tri- 
foglio maggiore, o gran trifoglio. È erba utilis- 
sima per pastura di tutti gli animali e secca e 


133 
fresca ; ed il suo seme, il qual fa certi baccellet- 
ti dentro come piccole lenticchie, è ottimo a 
darlo a beccare a° polli che fa far loro dell’uova, 
e gl’ ingrassa assai; fa ancora bene al campo la» 
sciandolo grasso ove ella è stata. Ai cavalli, e 
asini, e muli disfatti di magrezza non è cibo per 
rifargli che sia più utile. Venne già dall’Indie, 
sallignò in Portogallo e in Ispagna, dipoi in 
Alemagna, in Italia ed in Francia; ne fa men- 
zione Plinio e dice essere stata addotta da’ Re in 
Italia, dove quando sortisce luogo a modo suo, 
come in Lombardia, ove sono terreni fondati e 
grassi di spaziose campagne, si sega sel e otto 
volte, e sementato una volta in un luogo vi dura 
trenta o quarant’ anni. Corrisponde di somiglian- 
za al trifoglio nel gambo ed di nodi, e tutto 
quello che vien sù nel gambo si rizza nelle fo- 
glie. I baccelletti sono in foggia di cornettini ia- 
torti e con una piegatura addentellata che dà in 
fuori certe piccole punte, nelle quali è un seme 
solo di piccolezza d’ uno di quelli di Nicoziana 
o tabacco che è il ininutissimo che tra tutte 
l’ erbe si ritrovi, ed-il più di copia e numeroso. 
Desidera terreno donde sieno state cavate tutte 
le pietre, benissimo alletamato e di fondamento , 
e sustanzioso, ben lavorato con Varatro sin alla 
quarta volta e bene sterpatone tutte l’erbe e 
barbe intere; avvertisci che la non sì semina in 
luogo di terra troppo secca, o varia, o tempe- 
rata. Plinio la vuol sugosa secca, e che si pos- 
sa adacquare. Columella vuole chel campo in 
che la s° ha a seminare si rompa a ottobree sì 
lasci inquocere tutto l’ inverno, poi a febbraio. 
sl riari, e cavalene le pietre con diligenza si 
marreggi, e intorno a marzo ben rilavorato ed 
appiaoato, come negli orti vi s' hanno a fare 
certe aie larghe dieci piedi, e lunghe cinquan- 
ta, sì che si possano adacquare e sarchiare te- 


183 
nendo i piè ne’ solchi senza pestare arrivando sit 
al mezzo, e dall’altro solco all’ altro mezzo, 
cacciandovi prima letame vecchio age così 
acconcie si conservano sin’ a aprile, e al fine 
d° esso mese si semina in modo, che ciaschedun 
bicchiere d’ esso seme occupi un luogo largo cin- 
que ‘piedi e lungo undici, e subito sparso con 
rastrello di legno fitto si ricuopra perchè °1 sole 
mon l’abbruci. Dipoi nati i semi e cresciuti un 
quarto di braccio, non è lecito prima toccarla 
col ferro, ma con un rastrello di legno e con le 
mani nettarla perchè sele levin dinanzi l’altre 
erbe che la degenererebbero . La prima rico!ta 
e tagliatura si faccia un po tardi, perchè del suo 
seme in terra ne ricaschi e smorzi }° erbe fra essa ; 
se faccian presto, si dauno alle bestie. Ghi se 
n° intende dice che si dee mescolare il suo seme 
con l’avena, perchè opera di far metter sotto 
le barbe. Seminasi d° aprile, e più tardi di mag- 
gio nei lati più freddi, altramente le fa danno 
la brinata, e le nuoce ‘più che al frumento. Uosì 
coltivata si segherà nei lati buoni sei volte, o. 
almeno cinque. Sei volte fiorisce e qualche vol. 
ta quattro ed allora non si seghi; segata che sia 
spesse volte, è bene adacquarla, e quando ha 
fatto il frutto sarchiarla di nuovo, così durerà 
buona una dozzina d’anni intera Eerba sana alle 
bestie ammalate, che in tutti i gradi sene può dar 
loro, porgevdone da principio lor poca per vol- 
ta, perche 1 nuovo cibo ron le danveggi, perchè 
fa ehufiare e gonfiare, e crea sangue assai, Scrive 
Columella che un jugero fa le spese a tre cavalli 
in un anno. In alcuni luoghi scaturiscon fuori 
da per loro quest’ erbe nei prati, o per la na- 
tura del terreno, o per la condizione del cielo 
nate. Alcune ancora possono esser vestig] delle 
già in antico tempo nate, o che molti aoni il 
seme che casca rigermini con continua fertilità, 


ci 


184 
e cono l’erboso cespuglio rinasca. nelle pra- 
terie ; e niente pare che proibisca (come non fa 
a infinite erbe ) che tal pianta non possa nascere 
.a sua posta, se già per avventura essendo, pere- 
grina e da un altro Mondo recata non desideri 
d’ esser seminata; e seminata una volta a mano, 
e da’ venti, e formiche, ed. uccelli trasportata 
rinasce e viene innanzi in varj lueghi. Dai se- 
gatori de’ fieni, e con.la falce fienaia ella me- 
glio si sega quando comincia a fiorire; nè è 
per questo da dire ch° ella non sia matura per- 
chè più utilmente si acconcia in manne secca» 
ta ed ammontata. Quelle che sono state sino a 
tre mesi si conservano con gran frutto de’ be- 
stiami, perchè i cecchi ottimamente sene pasco- 
lano, e tutte le bestie ingrassano, come si è 
detto, con questo cibo, nè con altro meglio s'al- 
legrano. Ha la f'alfala la radice che va assai 
in profondo, imperciò è bene laterra ov’ ella ha 
da stare lavorarla con una puntata di vanga ed 
una zappata, e si cominci all’ agosto a romper- 
la e si rilavori all’ ottubre, dicembre, e febbra- 
io. Così si vanghi a buon’ otta perchè l’erbe 
siano ben mortificate dal caldo, e dal freddo; 
e da mezzo aprile si cuopra il terreno “con le- 
tame vecchio disfatto che s'incorpori bene mar- 
reggiaudolovi. Pareggisi appresso e spianisi sen= 
za solchi, o se pure vi si fanno, siano lontanis- 
simi l’un dall’ altro tanto quanto basti a cavar 
? erba di quà e di là senza ammaccar ie pian- 
te. Dipoi a mezzo aprile a luna crescente vi 
sì sparga questa sementa mesticata con. panico 
piuttosto fonda che altramente, e senza perder 
tempo, perchè ella si risecca molto dal sole, si 
ricuopra come s’ è detto con rastrello di legno, 
perchè è nemica di quel di ferro, massimamen- 
te fitto di deuti. Il Panico l’ aiuta a nascere, 
dandole vigore, e nella prima segatura va via, 


LO O  t — - 


fui (ite Amt ded 


185 
Nafa, e conosciuto fra essa il panìco, si netta 
con le mani da tutte l’altre erbe cattive te- 
nendo i piedi nei solchi per non calpestarla, 
e se vada la stagione asciutta è di mestieri adac- 
quarla all’ ottobre, e poi all’ aprile, ma destra- 
mente; e non volendo averla ad annaffiare ser- 
virà per questo aver dato prima assai letame 
fradicio al terreno in che ella si semini, ed ae 
verlo bene a dentro lavorato perchè si manten- 
ga séffice morbido e fresco senz’ altr’ acqua; la- 
scisi andar la sementa del primo anno per esse- 
re l'erba troppo fievole, e nell’altro, ed in se- 
guito si tagli la prima fiata; dipoi la seconda si 
lasci fare il seme , il quale si matura nel caldo 
di maggio giugno e luglio, nè richiede manco 
di tempo, ed oltre a questa ricolta per seme, 
farai ancora di quella che rimane due tagliate . 
Ma-conviene che i baccelletti, raccogliendosi 
l altre foglie, siano talmente secchi che nello 
spezzarli vi sì veggano ben maturi, che è quan- 
do son divennti di color giallo. È perchè I° er- 
be medesime ne producono qualche volta dell’ al« 
tre nuove per tardar tanto a segar le prime, 
le quali facilmente si piegano e talora calano 
a terra, bisogna usar diligenza in tagliarle con un 
rasojo che rada, un poco torto nella banda del 
taglio, quelle cime che hanno i baccelletti ; 3 que- 
sti pongansi di mano in mano ne” sacchi per vo- 
targli subito in su l’aia che sia ben pulita e 
spazzata facendovegli prima stest ben seccare, 
e poi battere; accanto levato via quella pagliuz- 
za vagliarla con il crivello fitto, ritornando a 
battere i baccelletti restati interi come prima; 
sì staccia più appresso ]’ uscito dal vaglio, e si 
serba all’ asciutto insieme con i cornicelli rotti, 
1 quali di per se si gittan sopra all'altra se- 
menta ricoprendogli bene. Tagliasila prima vol- 
ta ogn’ anno intorno agli otto dì della luna, 


24 


186 

ed ‘ancora ogni trenta dì nei lati dov’ ella s'af- 
fa. Ma tagliata non si lasci a mucchj più d'un 
dì perchè riscalda, e così sì faccia. al trifoglio ; 
altramente fa morire tutta quell’ altra che si ritro- 
va sotto sinchè ella non rimette. Per questa 
cagione vi si lasci sparsa bene, o si metta a 
seccare altrove; e la segatura non si lasci pa- 
scere, che viea danneggiata dal fiato e dai denti 
delie bestie”. Seccata, è più utile che farne pa- 
gliaio rassettarla sotto i portici in lati asciutti, 
e dove l’umido non sia, nè penetri l’acqua. 
È stato osservato sopra |’ Erba Medica che sar- 
chiandola col marretto di ferro, iu breve tempo 
vien manco nei prati dove per altro fresca e 
vegnente la sì ritrova, Nè Erba Medica ancora 
invano s addomanda, perciocchè della sua se- 
menta stretta al torchio nei sacchetti di tela 
forte e fitta, sene cava un olio, sebbene in po- 
ca quantità ( di assai copia che vi sene ponga 
dentro d° essa) il quale è ottimo ed efficacissi- 
mo ai tremolanti de’ nervi, ed a tutti i parali- 

tici ugnendo caldo. 
Le Melensane in altro nome chiamansi Po- 
mi d’ amore per la bellezza e bontà loro. È 
pianta venuta dall’ Indie, ha il fior bianco, le 
foglie simili a quelle del fico, ma minori; fa i 
viticc] come la vite ed accanto il frutto di 
grandezza di mele appiole rotondo, di color pri- 
ma verde che dipoi ìimbianca, ed allora mon» 
do e nettato in felte si cuoce come i tartufi . 
Si conservano così tagliate nella salamoia ed an- 
cora si friggono nella padella come i funghi ;e 
col pepe e sale conditi si mangiano, e quantun- 
que duri a digerire non ingrati al gusto. Si rac- 
coglie il seme, del quale son piene dentro come 
i cocomeri, procurandosi e seminandosi nelle aiuo- 
le degli orti alla foggia loro, ed anco per bel- 


lezza nei vasi quando un tal pomo è rosso smac» 
cato tenero . 


18 

Il Maro è pianta simile alla Persa, gi sl 
pianta nel medesimo modo, ha il fiore simile a 
quello dell’ origano , e le foglie sono in sul gam- 
bo simili a quelle di maiorana o persa, un po- 
co. più sbiancate, e più odorate e più acute di 
quella. Non nasce in Italia, ma vien di Can- 
dia, nè cresce tanto quanto la Persa. 

Le Margherite, chiamate Belliles, fanno 
ordinariamente nei prati, ove sene ritrovano 
delle bianche brizzolate, e delle rosse, doppie 
e scempie, tutte senz’ odore. Svelte de’ prati con 
la lor piota si trapiantano negli orti, ed anco- 
ra-si raccoglie il loro seme, e si semina nell’a- 
iuole del mese di marzo, come la lattuga. Le 
sue. foglie tenere non sono ingrate nelle insala- 
te che si fanno di mescolanza, ed anco scévere . 

La Madreselva ( caprifoglio, petrolimeno ) 
non è per certo il ligustro; che quello ha la 
foglia d’ ulivo, questa d’ellera o cappero pen- 
dente in rossigno; quello da per se si regge, 
e fa rami, questa o rutica per terra 0 s’ attac- 
ca ai pruni, o altre piante vicine, e nelle sie. 
pi sorge aggavignandosi sopra di loro, e s° at- 
tacca con i suoi sermenti vincidi ed arrendevo- 
li come quelli delle viti, questa ha il fiore a uso 
di quello della fava, ma triplicato, di odore 
grave non ingrato; quell’ altro sa di museo. Fa. 
la madreselva bella verdura, ma perde la foglia 
el fiore molto presto , che per quel tempo che du- 
ra è bello ed aggradevole; e si può con essa per 
i giardini fare strade coperte assai ben alte, per- 
chè la si distende sopra le guide quanto altri 
vuole. Fortifica ancora e tien collegate le mac- 
chie, ed a questi usi bisogna piantarla fonda, 
e massimamente chi volesse farne spalliere da 
reggersi sugli asserelli. Gavasi dei boschi e mac- 
chie fra. sterpi dov’ ella nasce frequente, di 
pianta giovine con tutte le sue radici, e sitra- 


188 

spianta nel domestico in buon terreno grasso, 
( non rifuggendo l’umido) d’ottobre e marzo. Si 
può far nascere ancora di seme, osservando di rac- 
corlo con diligenza quando egli è maturo, e semi- 
nandolo come i SRI: d’ aprile. Si spartiscono 
ancora i suoi cespugl), e sene fanno più piante 
da porre. Si stillano i suoi fiori, e fanno acqua 
odorata, ma non quanto essi quando son freschi. 

Il Macerone si tiene che sia il vero Smir- 
nio degli Antichi, detto Olusatro, e molto te- 
nuto in pregio dai Siciliani, i quali usano in 
cibo la sua barba assai, che è di corteccia nera 
e dentro candida come neve, la quale essi ra- 
schiano con un coltello tagliente facendone bri- 
cioli; poi la spremono con mano stringendo for- 
te, e cavando quell’ acqua che n’esce, la con- 
‘ discono in insalata. Ancora si cuecono queste 
barbe, e tagliate in pezzetti di girelli nel me- 
desimo modo (aggiungendovi pepe) in insalata 
si mangiano. Nel tempo della primavera man- 
da fuora certi germoglj o tenerumi, i quali si 
mangiano come i carciofi ed i cardoni con pe- 
pe e sale, e quelle foglie fresche in insalata 
sono ottime scevere, e mescolate con altre er- 
be come più piace. Fanno bene i Maceroni 
seminati appo 1 muri rovinati fra calcinacc) e 
pietre avendovi fatto divelto, e seminandovegli 
doppo l’ equinozio dell’autunno . Godon dell’om- 
bra e fanno in tutti i lati, amando pur la ter- 
ra grassa, e ben sotto lavorata ; e seminato una 
volta, lasciando fare il seme ad aleune piante, 
non occorre più seminarlo, che da se lunga- 
mente rinasce e si mantiene. È frequente ne° mon- 
ti manco arenosi. Quelli che si seminano a mar- 
zo fauno le radici buone per l'inverno che vie- 
ne. Sono più saporiti di monte e fra i sassi, 
che non in piano. Provocano l’ orina le sue 
foglie come la radice, la quale si può conservar 


189 
cruda posta dentro alla salamoia. Il Ruellio rac- 


conta d’un condimento loro antico, ma è mi- 
gliore fresco. 

I Mughetti sono odoratissimi, nascono di 
cipollette, e con la cipolletta piccola fanno ce- 
sto insieme più fili di lor piante, ed il lor fio- 
re èin guisa di piccolissime campanelline. Trovan- 
sene di più sorte, e tuttì con le barbe attacca- 
tavi la lor cipolletta . Si piantano del mese di 
febbraio, nelle ainole degli orti accosto l’ uno 
all’altro che si tocchino e piantati una volta si 
mantengono un pezzo senza ritrapiantargli. Vo- 
gliono esser tenuti netti dall’altre erbe, e sar- 
chiati . 

Il Musco Greco è pianta di scali odore 
nel suo fiore, che è vago ed artifizioso a vedere, 
e molto gentile. Si trapianta ancor esso avanti la 
primavera con la sua cipolla in terren grasso, nei 
testi, e se vada asciutto gode qualche volta d’es- 
sere adacquato; non vuol esser posto troppo a 
dentro . 

Il Meo è un'erba che fa le foglie simili a 
quelle dell’ acero o della vite, ma più appunta- 
te e con due taglj in mezzo, ‘fa certi semi come 
fagiuoli e fa il fusto a nodi e rami similmente 
con 1 cannelli come la canna, dentro pieno di 
materia come il finocchio; è chi n° ha fatta gran- 
de impresa in Italia per cavar olio del suo seme 
spremendolo al torchio; e prima sotto la macine 
da olive; ed è olio buono a ardere e peri pau- 

. Seminasi all’ ottobre in terra grassa in-campi 
piuttosto vangati che arati e letamati bene. Ma 
perchè in effetto di gran quantita di lor semi non 
si cava molt’olio, non è da impacciarsene che 
per averne qualche pianta per variare e per bel- 
lezza. 

La Nepitella, detta Calaminta, non sola- 
mente all'odore sì rassembra al puleggio , ma nel- 


190 

le doglie e nel fusti; n’è di tre sorte, una si- 
mile al bassilico di fior rossigno ed ama nascer nei 
monti, detta Galmento montano, di foglie simi- 
li al mentastro, un poco sbiancate con rami qua- 
drangolari. N°è assai nella Valle Anania e nelle 
montagne di Gorizia; 1° altra ha le foglie più 
minute, ed un’altra più larghe, meno odorata 
e di sapore men sappiente, e manco acuta di tut- 
te. Nascono tutte nei luoghi magri lungo i ci- 
glioni, nelle strade, nei sodi degli argiai dei 
campi, nelle selve e nei boschi frequentemente 
e di tutti i luoghi célta con la sua piota come 
sì trova si traspone nel domestico, che non sia 
di grasso terreno , e si alligna e sì mantiene as- 
sai verde per l'inverno. Ed ancora si può con di- 
ligenza raccorre il suo seme e seminarlo; vale 
nei condimenti delle salse, saporetti, e mine- 
stre, e soprattutto si dice con il radicchio trita 
la sua foglia. Ela nepitella incisiva per esser ca- 
lida sottile e alquanto amara; provoca valorosa- 
mente i mestrui tanto bevuta quanto applicata , 
ed è ottimo rimedio ai lebbrosi. Posta sopra la 
morsicatura delle serpi vale assai, ed anco bevuto 
il suo decotto , il quale è buono pure a provocar 
l’orina. Gol suo fumo e col suo sito si scaccia 
via le serpi; a’ dolori del capo temperata con ace- 
to o pur disfatta giova fasciando la testa . È tanto 
amico l’odor della nepitella ai gatti, che subi- 
to ritrovatala sele soffregano e volentieri ne fan 
letto e sene pascono . Il fior solo colto , e condi- 
to per insalata è ottimo cibo ed appetitoso. 

Il Nasturzio è un’ erbetta che produce mi- 
nute foglie intagliuzzate, ed il gambo sottile alto 
un piè e mezzo; n’è del nero, e del bianco, e 
l'uno e l’altro nasce il quinto giorno. Il Nastur- 
zio Milesioè grandemente lodato appresso quel- 
lo di Babilonia. I Persiani per cibo l’ apprezza- 
no oltremodo, mangiandolo così fresco col pane, 


191 
e cavandone utilita ( accanto allo spender rina) 
di non sputare e non aver molto a soffiarsi il naso, 
ed ance non molto a orinare. È la natura del 
nasturzio al tutto simile a quella della senapa 
e della ruchetta. Ha proprietà di rattenere i ca- 
pelli che stanno per cadere, lavandosi il capo con 
la sua decozione. Il nasturzio non teme il fred= 
do, e dà fuori così nel verno bene, come l’ esta- 
te. Nasce ancora in mezzo al verno, ma meglio 
è che lo trovi nato a solatìo. Seminasi di seme 
all'aprile, e di pianta si traspone, e s' attacca 
sbarbato con la radice. Fa il seme simile a quel- 
lo della senapa, ed il suo sapore è veemente e 
mordace, e l’ odore acuto penetrativo che fa 
stranutare . Si può seminare il nasturzio tutto 
l’anno, ma meglio è di gennaio, febbraio, e 
marzo, e di settembre in terreno agevole e gras- 
so. — Il Nasturzio d'India è poco tempo che 
fu di quivi trasportato in Italia. È pianta nuova 
non più stata veduta nelle nostre parti ; s va repen- 
do per terra, nè s'elèva alto che con qualche 
sostentacolo, ‘ha Je foglie piccole schiacciate in 
foggia di quelle dei capperi, fa parecchi rami 
in sul suo ceppo, e fra le foglie certi fioretti 
gialli piccoli; i suoi gambi son vincidi come Ja 
porcellana ed arrendevoli, ed hanno fra se stessi 
certi nodelli contrassegnati ; il color delle foglie 
è verde sbiancato o cenerognolo, fa il seme da ul- 
timo quando vuol seccarsi che è verso il fred. 
do ed è come una veccia: il qual si racco- 
glie con diligenza, e si conserva al marzo, al 
principio del qual mese (avendo preparato del 
terriccio, mesticatovi con terra pecorino disfatto ) 
sl stritola bene insieme, e fatto séllo , con le dita 
fattovi un pertuso fondo quanto alza una noc- 
ciuòla , vi si getta dentro quel seme e si ricuo- 
pre, ponendovene quanti veve va, lontani quattro 
diti l’uno dall’ altro. Aiutasi nascere in quaran» 


192 

ta dì con l’ annaffiare, e cresciuto un sommesso 
con la terra che glitien ricoperte le barbe si tra- 
spone nell’ aidle degl’ orti che siano volte a so- 
latìo , e nelle prode , con ordine da poter qualche 
volta adacquarlo. È pianta vaga, e si può lasciat 
giacere e sollevar da terra con le guide come al- 
tri vuole, o lasciarla acconcia in vasi; la foglia 
è commestibile buono da per se sola, e con me- 
scolanze in insalata. 

Il Narcisso tre volte fiorendo dimostra i tre 
tempi di seminarlo; cresce tre quarti alto di pie- 
de con foglie simili al porro, ma più sottili e 
minori; iltorso è erboso liscio, più alto di tre 
quarti d’ un piede e concavo . Il fiore è bianco 
e nel mezzo giallo, ed in alcani luoghi rende 
aspetto porporino , ed usasi nelle ghirlande; la 
radice è in foggia di cipolla, e questa si pianta 
al fin di febbraio, o a mezzo marzo, edil suo 
seme che è lungo e nero, in terreno grasso e buo- 
no. Cresce il narcisso adagio, e perciò non fio- 
risce se non dopo l’Arturo nell’ equinozio dell’au- 
tunno, e di primavera. Gascando il seme del nar- 
cisso rinasce da per se stesso; sì pone o si se- 
mina nell’aiòle degli orti, e sitien netto dall’al- 
tre erbe mettendolo fitto che quasi si tocchi l’una 
pianta dall’ altra. Fu Narcisso un bellissimo gio- 
vine che innamorato di se medesimo fu trasfor- 
mato in questo fiore, così chiamato dal suo no- 
me. I Tespiensi contendono che ciò avvenisse 
in Beozia mostrando la fonte Donaca, dove il 
giovine specchiandosi non sapeva distinguere da 
se medesimo la sua ombra. L° odore del narcisso 
è molte grave, e offende il capo. Del suo fiore 
si fa unolio per mollificar le durezze, e per ri- 
scaldar le cose infrigidite ed agghiacciate. La 
radice è così diseccativa ch° ella salda )’ ulcere 
grandi, e parimente le ferite profonde perfin ai 
uervi maestri. Così si trova scritto in Galeno. 


193 

La Nepe, o Nepa è una pianta che doh, 
tinuamente rattieve lì verde , e al freddo è più 
vigorosa e verdeggiante; la qual non ha foglia di 
sorte alcuna, ma iv quello scambio spine strette 
acute, e pungenti stecchi che si toccano lun 
dall’ altro stretti e serrati. Ha una radice sola, e 
con quella ancora corta sì ficca in terra doppo 
l’ equinozio dell’autunno . Fiorisce la nepa di fior 
giallo assai minore di quello della ginestra, e 
quanto la ginestra s° alza. Ha il gambo similmen- 
te pungente formato di steccolini aguzzi ed ap- 
puntati. T'raspiantasi d’ ottobre col suo pane di 
terra, e quanto più piccola sì cava, meglio s°at- 
tacca in ogni terreno, e per far siepe ( piantata 
fonda ) non ha pari e per l'utile e per la bel» 
lezza ; nasce nei boschi sotto le piante grandi, e 
nei monti non coltivati. 

Della Noce Metella scrive il Mattiuolo così: 
Oltre alle moscade abbiamo ancora dagli Arabi le 
Noci vomiche e le metelle, quantunque gli Spe. 
ziali, e parimente la maggior parte de’ Medici 
tengano ingannandosi che le vere noci vomiche 
sieno le vere metelle , e così per contra. Percioc- 
chè vomiche chiamano quelle che son piatte, e 
quasi pelosette, con le quali s'ammazzano i cani, 
e metelle chiaman quelle che sono da ogni banda 
‘alquanto rilevate, coa alcuni nodi a modo d’oc- 
chietti attorno attorno per l’ ambito loro. Cono- 
scesi questo loro errore manifestamente per Sera- 
pione, il quale d’ autorità d’Abram descrive es- 
ser la noce vomica di colore tra ’1 glauco e°l bian 
co, un poco maggiore della nocciuola tutta pie- 
na di nodi; il che vediamo non essere manifesta- 
mente in quelle che chiamano metelle, che non 
corrispondono alle metelle vere in alcun modo, 
descritte: da Serapione così dicendo: Il noce me- 
tello è simile al noce vomico, ed il suo frutto so- 
migliante a quello della mandragora, la cui cor- 

25 


194 

teccia è pelosa, ed il suo sapore aggradevole, ed 
untuoso , il che vediamo in quelle che addoman- 
diamo vomiche, perchè queste hanno la corteccia 
pelosa, sono untuose , e di assai dilettevol sapo- 
re al gusto, e nelle facultà loro ( non dico nelle 
faltezze come ingannandosi credono alcuni 
che abbia inteso Serapione ) sono simili ai frutti 
della Mandragora, conciossiachè , come dice Se- 
rapione, son frigide in quarto grado, è man- 
giate al peso di due dramme ammazzano, ed ini 
meno quantità imbriacano . Il quale effetto si vede 
causarsi nei cani, e talora negli uomini, a cui 
sono state date quelle che wogliono siano le vo- 
miche. Imperocchè scrivendo Serapione delle vir- 
tù delle vomiche, non disse che fossero velenose, 
ma che mangiate al peso di due dramme con sale, 
o beute col decotto dell’ aneto, con facilità 
provocano il vomito. Per il che diremo, che quel- 
le che sono alquanto rilevate, e che hanno i nodi 
ovver occhj sopra di loro, sieno le vere vomiche, 
e che le piatte ed irsute untuose, occiditrici de’ca- 
ni sieno le vere metelle. Finquì il Mattiuolo. 
Come si sia, e l’una e l’altra nascono diseme, 
o ben fanno ia grasso terreno, e perse si rise- 
minano a primavera, È vaga, e bella pianta a 
vedersi, e si dee essere studiosi d’ averne. 

I Navoni sono la Rapa maschia ; subito nati e. 
usciti di terra ingrossano per in fuori. Perciò 
conviene che sia arato parecchie volte il terreno 
dove si seminano, affinchè diventi agevole e 
trito. E perchè da esso cavano e succiano assai, 
bisogna che sia ben concimato ed ingrassato; 
siccome ancora grasso di natura lo desiderano , 
ed asciutto , e leggiero anzichè umido e duro, e 
tanto innanzi letamato , che vi sia dal terreno 
smaltito ed incorporato, perchè ’| fresco.0 vecchio 
secco che li tocchi gli fa diventare spugnosi e 
fungosi. Ed ilsito dee essere piuttosto di vallata 


199 
che piano, o altro; se non piano, dolio 
no, e che al bisogno si possa innaffiare, comec- 
chè si nutrisca in esso come delle nebbie e brina- 
te in tre mesi. Amano il freddo e vengon bene 
nei luoghi sabbionosi, arenosi, e ghiarosi. La 
proprietà del luogo ne fa mutare il seme, percioc- 
chè per due anni seminata la rapain diverso ter- 
reno da quello che ella desidera, si trasmuta in 
navone, e così questo per contra 11 rapa. Plinio 
scrive aver visto un Navone di quaranta libbre. 
Non gli noceranno nè i bruchi, nè Je culici se 
si maceri prima il suo seme col sugo del Sempre- 
vivo maggiore per una notte. Scrive ciò Columel- 
la di prova. Verranno più grossi e più grandi 
assal i navoni, se si vangherà loro il terreno. 
Deono seminarsi nei luoghi che si possano ada- 
cquare, e dove sieno state le biade l’anno me- 
desimo dal solstizio al fin di giugno, e per tutto 
luglio, e d’agosto, edal principio di settembre, 
non lo riétoprendo molto. Mescolasi il seme con 
l arena, perchè così gettandolo in terra sien radi, 
e nati ancora si diradano, ed un poco cresciuti si 
sarchiano d'agosto, nei luoghi freddi rincalzan- 
dogli bene. E per avergli sfoggiati e paffuti si 
semini ne’ dì primo o quarto della luna crescente. 
Se sl semineranno i navoni di marzo, saranno 
buoni al solstizio, e di luglio; si posson semi- 
nare d’ agosto ne’ Inoghi freddi, e molte volte 
levata la segala e l’orzo al terreno al finir dell’in- 
verno si sementa, e si crede che peril suo fred- 
do diventino assai più dolci, e più teneri, e per 
questo tutto °l crescimento volgersi sotto alla 
barba , e non alle foglie, siccome avviene agli 
arbori, i quali l’ inverno attendono ad aumenta- 
re le radici sotto terra, e poi nella primavera, 
estate , e altri tempi dell’anno, al di fuori fo- 
glie, e dentro le medesime barbe. Sementansi i 
navoni ancora di primavera nelle calde ed umide 


"(o ) 00000 
regioni. Più lieti si faranno e più rigogliosi se 
avendo tritato della paglia , sì semineran con quel- 
la mescolatamente. Scrivono i Greci ch° egli è 
bene chel seme sia gettato in terra da uomo 
ignudo che preghi che abbondantemente nascano 
per se e per i vicini: cosa ch'io reputo che 
tanto profitti quanto quel documento loro nel po- 
tar le vigne, che è che il potatore d°’esse in 
potando sempre tenga una ghirlanda d° ellera in 
testa per aver copiose l’ uve e buon vino. Si deono 
corre i navoni avanti che talliscano , e netti dalla 
terra si mondano sottilmente, accanto sì taglia» 
no sin’al mezzo di quà e di là per tutto, e cac- 
ciato del sale in quelle tacche senza avergli stac- 
cati dai tagl) ( minuto che penetri ) si compongo- 
no in un vaso di terra invetriato, mettendovi 
sopra di nuovo sale, e lasciandovegli star tanto 
che scolino ; dopo tre dì s° assaggiano se hanno 
preso il sale nel mezzo, e parendo salati assai sì 
scola del brodo che han fatto, e sendo‘poco vi si 
ricaccia della salamoia soda e dura, dipoi caccia- 
ti per ordine inun cesto di vimini si carican con 
una tavola piena di grosse e pesanti pietre, e si 
lasciano a spremere e adasciugarsi per un dì, e 
per una notte ; dipoi si ripongono in un vaso di 
terra cotta invetriata, o di vetro, e visi mette 
aceto e senapa che li ricuopra. Ancora si con- 
servano in cantina nell’ arena sotterrati in luogo 
fresco, ma non umido; ed in questo mettono cer- 
ti talli bianchi, i quali conditi con olio ed aceto, 
così si mangiano. Godonsi i navoni del freddo, 
ed in questi si converte il rape, e seminato e ri- 
seminato più volte ritorna a se medesimo . Con- 
divano gli antichi le rape ed i navoni a quella 
foggia; oggigiorno non s° usa più. Sono 1 navo- 
nì a mangiare ventosi, imperciò cocendosi con 
la carne vi si aggiunga anici o finocchio. Scri- 
vono alcuni ritrovarsi rape salvatiche in Schiavo» 


107 


nìa . Sono più dicevoli allo stomaco i navoni, che 
non irapi, o le rape, e più grati al gusto come 
più dolci e delicati di loro. I Navoni Corintj 
erano in pregio appo gli antichi, e crescono di 
sopra fuur della terra più che sotto. I Romani 
apprezzavano gli Amiternini ed ancora i Norci- 
‘ni. Vagliono in comune i navoni il medesime 
che le rape. 

L° Orzo fa bene negli ortali dove sia il ter- 
reno asciutto e non umido perchè non rica- 
schi, € perciò nel grasso e secco, e nell’ assai 
gracile perfetto e ben lavorato; e così la trop- 
pa acqua, e massime in fiore come al frumento 
gli fa gran danno. Somigliantemente nel terre- 
no fangoso otroppo umido degenera , e imbastar- 
disce quasichè in loglio, o si muore, e perciò 
farà sempre meglio in terra di mezzana grassez- 
za purchè sia asciutta, e massimamente perchè 
è infestato più che °l grano da’ punteroli e dall’ac- 
que, ed in quella meglio sene difenderà , e di 
quella sorte che si domanda Etiocrito n°è sicu- 
ro affatto perchè nasce piegato. Il Franzese, o 
distico è una sorte d’ orzo di grandezza notabi- 
le, a tal che mesticato col grano fa buon pane 
per la famiglia; seminasi in lati grassissimi e 
freddi intorno al marzo, ma meglio risponde se 
non andando crudo il verno si semini di genna- 
io. L°esastico che ha sei ordini di filze di granel- 
li nella spiga, detto Orzo mondo ( che quasi 
da se gli casca il granello senza reste ) è ot- 
tima sorte d'orzo. All’orzo sono var] e diver- 
si i granelli; alcuno ’ ha maggiore più lungo 
e più rado; alcuno biancheggia, alcuno pende 
in rossiccio più pien di farina, e più forte del 
bianco. Ancora uno ha due soli versi di spighe, 
ed uno tre, quattro, o cinque al più, al qua- 
le la spiga è molto vicina alle foglie di gros- 
sezza ed ampiezza maggiore. L'erzo d° India 


198 

mette i rami sul suo diritto fusto. Seminasi l’or. 
zo doppo l’ equinozio autunnale a solchi spartiti 
nell’ uno.sì è nell'altro nò in terreno grasso, 
ma nel gracile più per tempo, Il marzuolo si 
semirîa per tutto ’1 mese di marzo, e nel mese 
d’ aprile, e sarà fatto di luglio ; ma di tutto que- 
sto che di: primavera si semina ( massimamente 
nel principio ) sarà manco il ricolto, e più tar- 
do. Desidera il terreno ben letamato e lavorato, 
massimamente nel non grasso di sna natura, e 
piuttosto vaogato che arato. Imperciò farà bene 
sempre ne’ Magolati, e se il terreno dove sia 
seminato non è gagliardo, perchè sfrutta assai 
ed immagrisce. Si letami subito o si lascì ripo- 
sare un anno. Vuole esser sarchiato e netto, 
e procurato alla maniera del grano e similmen- 
te atteso; e quando sarà pressochè maturo si 
raccolga con prestezza, e la mattina per l’ au- 
rora, chè casca dalle spighe per esser mal ve- 
stito di coperte. Tagliati i covoni sì lasciano 
giacere alquanto nel campo, che così si crede 
n’ingrossi dentro il granello e si stagioni. Con- 
ducesi dipoi all’ aia, si trita e batte, e si netta 
come il grano. L° orzo da ch'egli ha fiorito in 
quaranta dì si fa da mietere, e quello che si 
tiene in serbo per farne orzate ai malati( le 
quali si fanno del più candido, cotto, e passa= 
to per stamigna con zucchero ) vuol’ esser del 
più sodo e netto bene. Si conserva bene in va- 
sì nuovi di terra cotta invetriati, dentro alla sua 
Joppa o pula. L'altro rinfrescato che sia, si può 
riporre nelle buche da tenere il grano. Erano 
appo gli atichi i Gladiatori ordeacei che si ci- 
Bavano d° orzo. 

._ L'Origano è di due sorte, bianco e nero; 
il nero non fa semepnta, il bianco minuta. Così 
è del salvatico, e domestico che si ritrova; que- 
sto ha le foglie minori di quello, e nasce ne- 


vio, i Log 

gli orti, e vale nei condimenti delle salse, ed 
altri intingoli, e nell’ insalate le sue foglie in 
scambio di nepitella , e fra il radicchio trito si 
dice bene, come il suo fiore spicciolato sopra 
l’ acciughe accrescendo lor grazia e sapore, po- 
nendovene in quantità. Gogliesi 1° origano men- 
tre ha i fiori finiti d’ aprire, e s’ appicca all’ug- 
gia, e quì si lascia seccare, e secco si sfarina 
sopra i pesci salati, olive, e funghi, e fava 
infranta cotta. Nasce come la nepitella in ari- 
dissimi luoghi asciutti e secchi, sopra mura- 
glie disfatte, calcinaccj, e rovine d’edifizj e 
ne’ più alpestri luoghi. Esce fuor della terra 
piuttosto del seme vecchio che del nuovo, ma 
non innanzi ai trenta dì. Mette adagio, ed i 
suoi rami staccati dal fusto s° appiccano in terra 
lavorata minuta, grassa o alletamata, secca, ed 
asciutta, ed in tale si semina. Diviene ancora 
migliore che nei luoghi grassi, negli aspri e 
sassosi; tuttavia ama «d’essere.fomentato con il 
concime nei terreni deboli e leggieri, e quivi 
innaffiandosi qualche volta farà meglio. Si se- 
mina di settembre e d’ ottobre di seme dei lati 
più aspri, di dove si traspone col suo pane. 
Sta bene attorno alle cassette delle pecchie; 
macerato il suo seme nel latte, lo farà meno 
acuto, e più piacevole. L° Eracleotico, e 1’ Oni- 
te non nasce in Italia, e quello che viene di 
Candia fa il fiere bianco, e questo crede il 
Mattiuolo che sia il vero Origano salvatico. 
Gome si sia, il seme dell’ origano è buono a 
far ingravidar le donne. ; 

I° Osciamoide è una pianta di nuovo dell’ In- 
dia trasportata ne’ nostri paesi, che fa per lo 
più un fusto solo, sottile e voto che non s'al. 
za più di due terzi di braccio, e fa le foglie 
su per il gambo scompartite con tal ordine che 
luna non si riscontra su per esso con l’altra, 


200 

ed in cima del suo pedale, che con le foglie 
diminuisce in foggia di piramide, fa il suo fio- 
re, il quale è incrociato da cinque pezzi, oc- 
chinto in mezzo, di notabilissima bellezza sì per 
la fazione, come per il colore scarlatto chermi- 
‘ sino del più vivace che si possa mai ritrovare, 
piccoletto quanto un garofano in giro, ed i 
pezzi della croce che egli fa in quinto sono equi- 
distanti di lunghezza e di larghezza con la sua 
boccia sotto che gli tiene in sesto come ai ga- 
rofani fa la sua le sue foglioline. Le foglie 
dell’ osciamoide sono : somiglianti a quelle del. 
gelsomino nostrale, un poco più nerbute, enon 
tanto fiacche e sottili e deboli, Il fiore con- 
iuttociò non ha sito alcuno d’ odore che vaglia, 
ma tutto si pregia per la bellezza sua. Il suo 
seme è piccolo e nero, seminasi nel mese di 
marzo nei testi, e quì si mantiene e va innanzi 
bene ; ed in terra ancora seminato nell’ ainole de- 
gli orti profitta comodamente, ma bisogna ai 
tempi asciutti e secchi adacquarlo destramente . 
Vuole esser piantato rado l’ un dall’ altro ua 
palmo e mezzo, perciecchè qualche volta dal 
calcio de’ suoi pedali egli mette, e dà fuora 
più d’un gambo, a tal che una pianta fa diver- 
si fiori. Ama il terreno grasso, o che sia con- 
cimato bene. . 

Il Pastricciano è erba simile nelle foglie 
alle carote, e si può quasi chiamare la Garota 
salvatica; nasce ne’ campi lavorati da per se, ed 
ancora se’ sodi, e più in questi chein quelli. 
Puossi lasciar fare il seme alla campagna, e 
poi al marzo in terren buono seminarlo nel 
domestico per servirsi delle sue barbe in in» 
tingoli, come di quelle del prezzemolo, e sono 
di buon sapore. . 

Il Petonciano ha la foglia non troppo disu- 
guale a quella del fico quanto alla fazione, ma 


201 
minore assai. Fa il suo fusto sodo alto da ter- 
ra due terzi di braccio, ed il suo frutto da 
prima verde, poi paonazzo; ed una sola pianta 
ne fa tre o quattro sin’ in cinque. Sene trova 
de’ bianchi, i quaii sono ancora così candidi 
quando son maturi. Mangiansi conditi come i 
funghi con olio, sale e pepe, e tagliati in fet- 
te e fritti nella padella; e con la carne lessi 
s'approvano, come spartiti e cotti nella teglia 
in forno con buon ripieno di cacio, uova, erbe, 
e pane. Si seminano, e coltivano, ed assettano 
come i poponi, edi cocomeri, se non che deono 
esser trapiantati quando son grandicelli in sugli 
arginuzzi de’ solchi, o trogoletti dove corra l’ac- 
qua, perchè con questa si nùtricano ed aumen- 
tano non pur le piante, ma i frutti loro anco- 
ra. Non è memoria del Petonciano appresso gli 
Autori antichi, nè da loro n° appare alcuna de» 
scriziene, a tal che convien dire che siccome 
sono state molte erbe che ora non conosciamo, 
o che più non si trovano, così ci sia incogni- 
to il riscontro de’ nomi, come del Bulbo. 

I Pomi d’oro sono pianta di seme venuta 
dall’ Indie; fa le foglie simili alle Melenzane 
venute similmente di quel paese, e fanno gran 
cespuglio di rami, e fra le foglie un frutto si. 
mile al loro, ma è a spicchij, e molto schiac- 
ciato , ed alquanto più grande. Non è buono 
a mangiare, ma solo si può cercarne d° avere 
per bellezza; seminansi di marzo nell’ aiuole de- 
gli orti, e dove si possano adacquare in terren 
grasso . 

Il Pepe erbaceo d'India è di due sorte; 
una fa lunghi i baccelli, aguzzi nel fine, e dal 
loro attaccagnolo assai più grossi , lunghi quaa- 
to il dito indice; da prima è verde, poi quan. 
do è maturo diventa rosso; l’altro fa certe cac- 
cole come giuggiole rotonde della medesima ma- 

26 


262 

niera, prima verdi, poi rosse quando son mature; 
l’ une e l'altre colte quando son fatte ( che è 
quando agevolmente sì staccano dalla guaina che 
le tiene attaccate ) si mettono così fresche in 
una schiacciata di pan crudo, e con essa incor- 
porate, e, dentro nascose, si mette quella schiac- 
ciata la forno a biscottare, dipoi si pesta tutto 
col pestello di legne nel mortaio, e fattone pol- 
vere s' adopra come il pepe nero ( che è una 
pianta dell’ India simile alle nostre vitalbe ) su 
tutte le vivande, ed è pepe più risentito e pun- 
gente, ed efficace dell’ altro. Fa il seme den- 
tro a quelle boccie, e si semina di marzo in 
buona terra nell’ aiuole degli orti, e ne’ vasi 
adacquando qualche volta. Ha le foglie simili 
al Solano, e s° alza due terzi di braccio. 

La Pimpinella, o Selbastella che altri si 
voglia dire, ha le foglie interno al torso , che non 
s' alza molto da terra, e questo fa quando vuol 
fare il seme, sempre a due a due, e divise una con 
l’altra. Nasce fra i sassi, ne’ luoghi alpestri, e 
ne’ campi sodi più di magro terreno che di gras- 
so. Si porta la pianta intera nei luoghi dome- 
stici, ne’ quali sì semina di marzo , spargendo il 
suo seme raccolto alla campagna, nelle aidle de- 
gli orti, dove si mantiene col riseminarla ogn’an- 
no; seminasi ancora d’aprile adacquandola, e 
d’ettobre si trasporta dai Inoghi foresti con la 
sua piota. N°è della stretta e della larga, € 
d’ ambedue si raccoglie il seme, e fa in ogni sor- 
ta di terreno; serve alla mesticanza dell’ insalate, 
e dà bella verdura ed allegria sparsa nelle tazze 
sopra il vino, causando frescura , e più appetitoso 
.l'‘bere.. 

Il Puleggio secco mette il dì medesimo della 
bruma ; e similmente attaccato al solaio rinverdi- 
sce quivi, e dà fuori il medesimo giorno della 
bruma, ed ancora nel dì del solstizio. Aristotele 


203 
cerca la cagione, e la dè perchè J’alimento ch'egli 
ha crudo non potevdo digerirsi altramente per il 
freddo, dia fuori il giorno del solstizio , che è il 
maggior caldo, coceudosi allora. Rifiorisce an- 
co nei rami spiccato dalla madre, edallora è il 
tempo di piantarlo, e piantato o semiuato all’apri» 
le in terren buono, basta un pezzo . N’è del mon- 
tano e dell’ aquatico che ha la foglia di sermol- 
lino più lunga con fior giallo detto salvatico. 

Il Prezzemolo Macedonico ha la fog ia assai 
più larga e più soda del nostrale, ed al gusto è 
ancora più saporito dell’ altro ; nasce in Macedo- 
nia, ed esce di certe grotte scoscese e fra le cre- 
pature delle pietre; e fu di quivi portato in Ales- 
sandria ( poichè Alessandrino ancora viene addo- 
mandato ) e d’indi in Italia. Questa sorta di prez- 
zemolo largo desidera luogo acquidrinoso, o che 
Copiosamente si possa adacquare, accostandosi 
egli assai alla spezie dell’ appio. Domandasi per 
altro nome Estreatico; nasce di seme seminandolo 
a primavera nell’ aidle degli orti, ove si possa 
adacquare, e traspiantato anco d’un piè grandi- 
cello col piòlo , vien bene in terra grassa, — Il 
Prezzemolo ordinario è tenuto da molti che sia 
1’ Appio domestico. Ama terreno sustanzioso, gras- 
so, stabbiato con letame inarcio, e che non sia il 
luoge troppo umido . Seminasi avendo prima te- 
nuto per un dì ed una notte il suo seme in macero 
nell’ acqua di letame grasso, nell’ aidle degli orti 
lavorati triti e minuti, per insalate ed altri con- 
dimenti, comecchè cotto col castrato si dica nel 
‘suo brodo più che altra cosa, pigliaudo le sue fo- 
glie, e minuzzandovele ben dentro, le quali rico- 
perte per il verno campano 1 geli per rimettere a 
primavera. Di dicembre, gennaio, febbraio, e 
marzo, ed ancora tutto l’ anno nei luoghi tempe- 
rati si può seminare, e fatto l’equinozio di pri- 
mavera, massimamente avendo un poco prima pes 


204 
stati i suoi semiin una pila, © fra l’altr’erbe, 
o da perse. Vuol’ esser per primo seminato fitto, 
e adacquato bene. Del vecchio seme più solleci- 
tamente si crede che esca fuori, e prestissimo in 
quaranta dì, nascendo ( più di tutti gli altri semi 
difficilissimo ) in cinquanta. Seminato, vuol’esser 
calpestato con i piedi; basta un pezzo, seminato 
una volta. Vuol’ esser posto rado ; rifassi dell’ac- 
qua datagli spesso. L’irtelletto umano ha avuto 
ardire di specular prima le cose naturali; fatta poi 
l’arte industriosa per via dell’ esperienza, non 
sgomentandosi di manifestare le più interne cose 
prende ardire non solo d’ accelerare gli effetti, 
ma ancora le basta )’ animo di produrre il prezze- 
mole, che fra tutte l’ erbe è tardissimo a nascere. 
Ma conviene esser sollecito e diligente operatore, 
perchè ogni piccolo errore che si faccia ( come 
nel far 1° oro agli Alchinisti che sene valgono per 
iscusa ) è gettata via tutta 1’ opera interamente , 
Abbiasi adunque il seme d’ un anno, e nello spun- 
tar dell’ estate mettilo nell’aceto , lasciavelo sta- 
re un poco in un luogo tiepido, e dipoi mesco- 
lato con terra sottile e cenere fatta di favùli. Do- 
pochè l’ avrai sbruffata con acqua arzente parec- 
chie volte, cuoprila con un panno affinchè 1 va- 
pore non svanisca via, e così dopo poco spazio di 
tempo, e depo poche ore dissipata la terra, leva 
via il panno bagnato, e si slungherà il gambo, 
e darà a chi vede gran maraviglia. Volendo il 
prezzemolo per servirsi delle barbe per intingoli, 
e cotte semplicemente con acqua, e condite con 
olio, e sapa rifritte prima in un pignatto, si dee 
divegliere il terreno, e quivi seminato rado la- 
sciarlo stare, o veramente seminarlo nel!’ aiòle 
degli orti all’ ordinario e cresciuto alquanto tra- 
piantarlo a primavera lontano 1’ un gambo dall al- 
tro quattro dita nel divelto, senza punto storcet- 
gli o troncargli le barbe; e perchè quando egli 


205 

è piccolo, il primo anno not suol tallire, 0 se 
tallisce, tallisce poco, si dee tagliare in su la 
corona e metterà il tallo non prima che il se- 
condo anno, facendo nuova e fresca foglia, e più 
lunga e più grossa la barba; e la sementa del se- 
condo anno farà meglio , lasciandolo poi per tal’ef. 
fetto al suo tempo tallire e fare il seme. Ama 
il prezzemolo l’ ombrìa, e’! luogo umido, e se 
non si sbarba (attendendo a corre le foglie) dura 
assai. Le sue radici son buone cotte con la carne 
l'inverno a rinfrescare il fegato , e le foglie in in- 
salata di mescolanza, ed anco servira (quando 
son tenere e fresche nate di poco ) per salsa fatta 
col prezzemolo e con l’aceto , come savore con l’a- 
gresto a rinfrescar d’ estate. La sua sementa basta 
cinque anni buona. Il prezzemolo di Macedonia 
è il più lodato di tutti, e fa dell’altro maggiore 
operazione. Muove potentemente l’orina, e il 
mestruo, e manda via l’enfiagione dello stoma- 
co e del budello Colon, e beuto il suo decotto 
vale alle doglie del fianco, e delle reni, a° bachi 
e a’ dolori della vescica. 

Il Palinuro è uo pruno ch° ha le spine contra- 
rie, e s' attacca di pianta; sene fanno le fratte 
Romane. 

La Periploca, o Erba del Signore ( così detta 
perchè ’1 Gran Signore de’ Turchi l’ ama molto, 
e l’ usa ne’ suoi Giardini ) è denominata dall’av- 
volgersi con questo nome Greco che vuol dire av- 
viticchiarsi, perciocchè fa le messe de’ rami che 
s° avvincigliano ed aggroviglivlano in lor mede- 
simi, o perterra, o come pussono, se non rikro- 
vano a dove attaccarsi, e come l’ apocino, ha 
grandissima copia di lattificcio sotto la sua cortec- 
cia, sgorgandolo fuori da ogni taglio per piccolo 
ch'egli si sia. Hale foglie in sul’ andare del gel- 
somiao ordinario. Piantasi in terreno che sia gras- 
so, o letamato bene, a pezzio grossio sottili, 


‘200 

purchè abbia di sotto da quella parte che si cac- 
Cia in terra e di sopra un nodo, che voglia .met- 
tere, con gli occhj gonfj che ingrossino i bottoni 
all’ ottobre, o veramente si sbarbano dal suo pe- 
dale certe pianticelle ch° ella vi mette , e con un 
poco di radice si pianta , ovver tirato a terra uno 
de’ suoi rami vi sicorica, e lascia star tanto che 
barbichi, dipvi si cava e pone. Il suo seme che 
nasce in certi baccelletti a uso di cornicini rac- 
colto di quivi fatto, sì semina a marzo con l’av- 
vedimento dei capperi, e cresciuto d’ un anno si 
traspianta all'ottobre. Piantasi la Periploca fitta 
per far le strade coperte , e vestire il pedale d’un 
arbore grosso, e sene posson fare spalliere, e 
con la guida sotto si può loro dare che forma al- 
tri si voglia, perchè s' aggavigna a tutto quello 
ch° ella trova atto a sostenerla, e reggere sopra 
di se. È pianta che cresce presto, ma per il 
freddo perde la foglia. 

La Porcellana , chiamata in Greco Andrachne 
ha le foglie pendenti in rotondo, grosse polpu- 
te verdi sbiancate sopra rami e fusto rossigno . 
N’ è della minore, e della maggiore, domestica 
questa, quella salvatica che ha le foglie minori, 
ed è più minuta di quella, e più terragnola. 
Quella si semina al fin di marzo, cal principio 
d'aprile nell’aidle degli orti come la lattuga in 
terreno trito e minuzzato bene, ed alletamato, 
perchè spolpa ed usufrutta la terra assai. Tra- 
piantasi ancora in terreno grasso, e che s’adacqui, 
a luna crescente, perchè venga presto e piena di 
succhio ; ed adacquandola farà il cesto maggiore, 
e le foglie più larghe, piene d’ umore come il 
Semprevivo. Trovasi ancora dell’aquatica, che 
ha le foglie più sottili, e più larghe, ed il suo 
fiore è largo, giallo e rotondo; cresce e s°' au- 
meota più dell’ altra. Cogliesi la porcellana con 
i suoi gambi, lavasi bene e netta, e lasciasi 


20 
seccare un poco al sole tantochè ella ia . 
Accanto inzuppata nell’agresto si acconcia in un 
vaso invetriato di terra cotta a suolo a suolo, met- 
tendo fra l’uno e l’altro del finocchio salvatico, 
e del sale tantochè s’ empia, e si cuopre col pe- 
sto del finocchio verde e sale, tantochè 1° erbe 
stien giù sotto; e vi si caccia una salamoia fatta 
d’aceto e d’agresto, empiendonela tanto, che so- 
pravanzi; e si caccia a riporre in una credenza 
d’ un luogo asciutto opposto al sole affinchè la 
non immucidisca, e di quivi cavandone s’avver- 
tisce che stia sempre a fondo, & ricoperta. 
Dipoi lavata col vino si mangia condita con l°o- 
lio. Ancora senza le foglie si trascelgonoi suoi 
gambi, e si pongono a seccare al sole, e sec- 
chi stesi sur una tavola si conservano in luogo 
asciutto, e quando si cuocono le civaie ( per- 
chè siano tenere e pastose allorchè si mettono a 
fuoco ) si pone nella pignatta un pezzetto di 
questa Porcellana a discrizione a cuocere con 
esse, e ciò le farà frolle, e tenere come pasta, 
quanto la gruma di botte, e la cenerata, e °l 
ranno. Vale ancora la Porcellana fresca ( sic- 
come questi gambali così ridotti masticandoli ) 
all’ allegazione dei denti, e gli proscioglie quan- 
to °l sale, il pan molle, il cacio fresco e sec- 
co. Ricercano alcuni perchè ed in. che modo 
ell’abbia questa facoltà di slegare i denti, e fi. 
nalmente si risolve, che come la Galamita d° at- 
tirare il ferro, così questa abbia tal proprietà , 
sendo occulta la cagione ( come ia molte al- 
tre cose ) del perchè. La porcellana infrigida, 
e però rallenta gli appetiti di Venere. Le pia» 
ghe della bocca, e l’ enfiagione delle gengìe 
masticata suol sanare; ed i denti che si dime» 
nano, masticandola similmente rafferma ed as- 
soda. Scrivono i Greci che tenendo sotto la 
lingua una foglia di porcellana leverà la sete; 
leva ancora mangiata i sogni delle cose veneree. 


208 

Il Pinox è un’erba, che ho veduta nel)’ Isola 
d’ Ingilterra, che è quivi così nominata, di fo- 
glia fitta e spessa, di natura della gramigna 
che s' aggrappa e strascina per terra; fa il suo 
seme, il quale sì semina quì di marzo, e là di 
maggio; puo servire per ispallierette ne’ viali, 
o viottole. Non perde la foglia, nè si secca, 
seminata una volta. Ama terren grasso e fon- 
dato, e sustanzioso da orti. 

Lia Pastinaca salvatica, e la domestica cotte 
lesse e scolate dall'acqua, e bene spremute ac- 
conciamente, dipoi infarinate e fritte nella pa- 
della si mangiano d’inverno . Seminausi radette, 
in terreno dell’ orto divelto, perchè la strettezza 
non levi loro il crescimento, nelle aiuole dell’or- 
to, e nei campi scassati, di maggio, di giugno 
ed ancora d’ agosto adacquandole ai bisogni; 
poi anco d’ ottobre, di novembre, e dicembre, 
e di febbraio pure e di settembre, secondochè 
si faccia pensiero del tempo d’aversi a servire 
deile barbe, le quali perchè possano dilatarsi 
ea ingrossare, si deono ( seminate ch’ elle sie- 
no nell’aiuole degli orti ) un poco cresciute tra- 
spiantare nei terreni grassi divelti un braccio e 
mezzo, ed alletamati, discosto 1’ une dall’ altre 
due terzi di braccio’ perchè le piglino forza, 
e si deono bene accarezzare con levar loro 1’ er. 
ba d’ attorno, e con adacquarle almeno due vole 
te la settimana nel primo principio; che dipoi 
avendo barbato bene a dentro non hauno di bi. 
sogno. Si sbarbano sempre avanti ch’ elle tal- 
liscano, ed il seme che s'ha a raccorne per 
riseminare sia di quelle che hanno il midollo 
sottile. ed il cespuglio che da fuori piccolo. 
La radice della pastinaca traspiantata grossa un 
dito, si fa più grossa e più lunga d’un braccio. 
La radice della domestica nutrisce meno assai 
che non il rapo; la salvatica agreste ovvero 


20 
erratica, che fa nei luoghi acquidrinosi, o abi 
late umide, non si dee mangiare che cotta be- 
ne, disfatta e sfarinata. Scrivono che iu Min- 
ritania vengono alte nel gambo di dodici cubi- 
ti, e grosse quattro palmi. La pastinaca muvuve 
il corpo, ed è ventosa; manda fuor l’orina, 
incita a Venere, aggrava le concezioni. Racco- 
gliendo il seme della pastinaca salvatica, e se- 
minandolo nel terren coltivato, creerà Je bar- 
be d°eficacia assai maggiore, e più profittevo- 
li, e di miglior gusto e sapore, che non le do- 
mestiche. Scalzando e soffregando i denti con 
le radici della pastinaca, si libereranno dal do- 
lore. Sarà ancora di valur maggiure a tutto la 
pastinaca salvatica , che sia nata nei luoghi sas- 
sost; e di questa si dee raccogliere il seme per 
piantar nel domestico. Le pastinache o salva- 
tiche o domestiche cotte in pezzuoli e scolate 
dall’ acqua, avendone cavato il duro che hanno 
in mezzo, si rivolgono nella farina distemperata 
con l’acqua, e si friggono nella padella per 
cibo appetitoso. 

Il Papavero è di più sorte ; il salvatico ha il 
capo piatto e schiacciato, e’) seme nero; unal- 
tro salvatico n° e che è più lungo dell'altro, e 
fa più lunghi i suoi capi. Veggonsi per le cam- 
pagne i papaveri salvatichi del mese di maggio, 
detti dai contadini Resolacc], di fior rosso, ed 
in tanta copia talora che paiono panni scarlatti 
distesi, e sono in uso ai contadini questi fiori 
secchi e triti in polvere per il mal di punta. 
Di questi non si tiene alcun conto per seminar- 
li perchè nascono da per loro per ogni campo, 
e per gli orti fra l'altre erbe si generano 
nell’ aiuole. Sono de° Papaveri domestichi che si 
seminano , tre spezie ancora: il bianco, delqua- 
le si mangiava appresso gli antichi. il seme ab- 
brustolato con méle alla fine del pasto, e questo 

27 


210 

usano i villani di spargere sopra alla corteccia 
del loro pane prima bagnata con uova sbattute ; 
l’ altro fa il seme nero, dal cui capo quando 
s° intacca esce un liquore come latte; il terzo 
è il detto di sopra. Del seme bianco in Lom- 
bardia, e nelle montagne di Trento si fanno 
alcune vivande dette Paverate, delle quali man- 
giano sinchè sene satollino, nè perciò più dor- 
mono; come nella Stiria, e nell’ Austria Supe- 
riore, dove non usano altr” olio nelle vivande 
che quello che spremono dal seme de’ papaveri, 
dei quali per questa ragione fanno grandi im- 
prese, e quando è fatto il seme lo spremono al 
torchio, e n'esce olio così buono a mangiare 
come ad ardere. L’ oppio poi si cava dal latte 
che distilla dai capi de’ papaveri, e dai neri si 
genera il sonno. Quando gonfia nell’ora del dì 
sereno, cioè quando la rugiada in esso rimane 
asciutta, si taglia sotto °1capo, e sotto il ca- 
lice, nè in altra sorta di papaveri si mozza 
la testa. Il succhio che n°esce si raccoglie con 
la lana, o veramente con l’ugna del dito gros- 
so se è poco, comealle lattughe , ed il giorno 
che viene doppochè più s°è suzzato, allargan- 
dolo si condensa, e ristrigne insieme, ed in co- 
faccette piccole si mette a seccare all'ombra. 
Questa mistura Oppio s° addomanda, il quale 
per non sentire i dolori del segare un membro 
si dà a termine perchè dato fuor di misura ad- 
dormenta in perpetuo tutti i sensi ed ammazza; 
come alcuni non potendo sopportare alcuna ma- 
lattia s' hanno con una buona partita di questo 
procacciata la morte. Per cattare il sonno si 
trita il seme del papavero e s'intride in pa- 
stelli con latte, e questi sì pigliano dopochè 
uno si sia cibato ; ed impastati con olio rosato, 
fasciando il capo, giovano al suo dolore, e con 
questo anco si cura. il duolo dell’ orecchie ,; 6 


211 
alle gotte si distende sopr’ il luogo affetto con 
il medesimo olio rosato e gruogo. La prova 
dell’ oppio se è vero, sì fa nell’ acqua per- 
chè una nebbia vi nuota, e posto al sol 
dell’ estate suda sì, che si risolve e disfà come 
quando era fresco; il finto si rappiglia in certe 
bolle. Si conserva aggiungendovi seme di Giusqui- 
amo o fave; suole falsarsi in Alessandia. L'op- 
pio buono è il denso e grave, l'amaro e che 
si disfà in acqua agevolmente. S° approva in es» 
so la pulitezza e ’l candore; la crosta e roccia 
si biasima. Approvasi ancor quello che fa ua 
be] lume accesane la lucerna, e che spenta fi- 
nalmente ne sappia. Si falsifica col Glaucio e 
col latte della lattuga salvatica; e questo ape 
parisce sempre un poco gialliccio come il gruo» 
go. Puossi ancora raccorre l’ oppio in quest’ al- 
tra maniera: Tostochè le rugiade sieno rasciu- 
gate , si dee segnare con un coltello ( con te- 
ner sospesa la mano leggermente ) il capo del 
papavero, affinchè °l frego non passi dentro; ac- 
canto s1 tagliano i calici decussati in cima del- 
la pelle, dimodochè la lacrima che gocciola, 
l’ugna grossa che si metta sotto, in tritoli la 
metta insieme; dipoi si spartisca quivi dopo nou 
molto affinchè quella che è colata dalla ferita, 
sì ritrovi rappresa insieme e rassodata; l’altro 
dì si riviene a fare il medesimo. Queste lacri- 
me tritate in una pila vecchia, e spartite in 
girellettì si ripongono. Quando s’ intacca il game 
bo, deesi partir di quivi, perchè le vesti di co- 
loro che son per raccoglierlo non si strofinino 
al latte. Alcuni altri pestano le foglie e le gua- 
ine del papavero, e dipei spremono tutto al tor- 
chio, e poi rimenandolo nel mortaio, lo ridu- 
cono in pastelli, e questa sorta di succhio si 
chiama Meconio, che è di manco valore assai, 
e men potente dell’ oppio. Il seme del papave- 


212 
ro domestico mangiato semplicemente ha natura 
di raffrescare; imperciò induce al sonno, ma se 
più del dovere altri sene cibi, addormenta i 
sensi, e difficilmente sì digerisce , nè dà al cor- 
po nutrizione che vaglia. Il Papavero detto ce- 
ratites, cioè cornuto , produce il fusto alto una 
spanna, ele foglie simili a quelle del Verbasco 
nero, ma però manco nere; ha la barba corta, 
e poco profonda in terra; fa suoi semi dentro a 
certi baccelietti come cornicciuoli ritorti; rac- 
cogliesi al tempo della mietitura; ha le sue fo- 
glie bianche sottili e pelose , il decotto ed il 
succhio delle quali leva °l bagliore dagli occhj 
delle pecore lavandoli con esso, ed ai difetti del 
fegato umano giova la decozione delle sue ra» 
dici ridotta bollendo al calo della metà, per 
aver virtù latente astersiva, ed incisiva. Ghia» 
masi ancora da alcuni Paralio per nascere ab- 
bondantemente intorno al mare, ed anco fa nei 
lati sassosì verso Port’ Ercole ed Orbetello, e 
nel Monte Argentario n° è copia grande, come 
sul territorio di Grosseto. Il Papavero spumeo 
o Eraclèo è bianco e spugnoso di piccola pian- 
ta, ed ha il seme che purga la flemma; chiama- 
si anco Aphrodes; ha la radice bianca e nella 
superficie della terra. Questo papavero spumeo 
attesta il Mattiuolo di non aver veduto in Ita- 
lia, tuttochè io n° ho avuta una pianta nel mio 
Semplicista alla Porta alla Croce di Fiorenza, 
che corrisponde con le fattezze in tutto alla de- 
scrizione sopraddeita. Un'altra sorta ne mette 
il Ruellio, chiamata Tithymalus, ma com’ al- 
tri è quel paralio di leggier foglia, capo bian- 
co di grandezza di fava, Racceogliesi quando 
l’ uva è in fiore, e si secca all’uggia, ed è anco 
questo medicinale. — Il Papavero Indiano è 
‘stato addotto di quel paese da poco tempo in 
qua , ed è una sementa che prova nel nostro 


213 
come là; è piauta che si stende in alto due 
braccia, e due e mezzo col suo gambo che ha 
in cima il fiore; hale foglie simili ai papave- 
ri ordinarj, e così simile la foglia del suo cespu- 
glio, delquale mette più d’un gambo a fare in 
vetta il fiore, quale ha dentro piccolissimo capo 
quanto ed in sull’ andare che s’ abbia il salvatico; 
ed esso fiore è doppio di foglie e pannocchiuto 
fuor di modo, che s' apre iu rotondo quanto un 
più che mezzano carciofo; ha le foglie del fiore 
di variati colori, alcune ne sono bianche e candi- 
de come la neve, altre azzurre, ed altre hanno il 
fiore brizzolato di varj colori. Soprattutto sene 
trovano de’ rossi scarlattini, e de' pagonazzi, e 
per questo sono da essere apprezzati. Questi 
bramano di esser seminati innanzi a tutti gli 
altri, nè desiderano d° essere strapiantati; a- 
mano di stare dove sono stati seminati la 
prima volta, e cresciuti d'un poco vogliono es- 
ser marreggiati, e se vada secco annafhiati, volti 
al sole ed in luogo caldo. Il lor fiore colto basta 
poco, ed è senz’ odore come i Rovistichi di Le- 
vante. Amano di stare insieme accosto l’ uno 
all’altro con lo spazio d’ un braccio, perchè la lor 
pianta ragionevolmente s° allarga, e si distende; 
sono i primi a fare i lor fiori, e s' hanno per hel- 
lezza. Ora tutte le razze de’ papaveri domestichi, 
e gl’ Indiani ed i nostrali bramano, e fanno bene 
in luoghi caldi e secchi, ma che siano di terra 
grassa ben lavorata; e meglio proveranno nei cam- 
pidove sia stato allumato ed attaccato fuoco a fra- 
scole , e sermenti. Seminansi i papaveri di settem- 
bre nei luoghi caldi, nei freddi a primavera. Deon- 
sì seminare in terreno lavorato sotto una vangata, 
ed una zappata, o una vangata e mezzo, e se in 
seminandoli riescon fitti e fondi, diradiusi, chè 
fanno rami, ed hanno bisoguo di spazio ; e se il 
caldo gii stringa s’ adacquino , Il lorseme è ma- 


214 

turo quando si stacca dentro sbattendolo daitra- 
mezzi che lo dividono cartilaginosi, e si conserva 
benissimo dentro al suo guscio senza cavarnelo; 
appiccandogli peri gambi al solaio in luogo asciut+ 
to. Dipoicavato al tempo del seminarlo che s° è 
detto, si mescola in seminandulo con arena, chè 
nascerà rado il bisogno. Nati, tengansi netti dal- 
le cattive erbe, e volendo far olio del suo seme 
non s indugi cavatane la sementa a porla sotto il 
torchio. Quest olio si conserva benissimo in vasi 
che siano invetriati, ed in lato asciutto; e se sia 
spremuto di seme cavato di fresco, cioè subito 
spremuto avanti che riscaldi, sarà gustevole a 
mangiare ° 

I) Panico affatica il terreno, e lo smagrisce 
più del miglio. Fa bene nei paesi che sono caldi 
e secchi, ed ama terra leggiera e sciolta, nè ri. 
getta la ghiarosa, sabbionosa, ed arenosa pur- 
chè vi sia l’aere umido, e quella fresca; teme la 
pura secca ed argillosa letamata , nè gli dà noia 
l’asciutta. Fa ancora dove non s' adacqua pur- 
chè sia terra ben trita, e ben concimata ed 
acconcia di lavoro come il miglio. La sua semen- 
ta può essere la di febbraio, marzo, e mezzo 
aprile, nè mai avanti l’invernata; di maggio si 
ha a seminare nei luoghi freddi ed umidi, nei cal- 
di più oltre tagliato il grano e l’orzo in ‘quel 
luogo medesimo, subito ben lavorato e letamato 
di letame marcio. È quì si potrà seminare così 
rado come fitto, ma meglio è rado e non fendo. 
Le biade che si seminaa d° estate bramano piut- 
tosto luoghi che si possano adacquare, che non. 
l’acque. Ma il panico e il miglio non vorrebbe 
acqua quando esce fuor con le foglie, e dipoi noca. 
Puossi ancora seminare fra i legumi negli orlicc] 
de’ solchi, e nel piano d’essi, e nei frumenti; 
e levati i legumi, si sarchi e sia quando comin- 
cerà a fare i nodi, ed allorasi netti diligente- 


I 


215 
mente dall’ erbe perchè non 1° affoghino. Se sor- 
tirà il panico terreno e paese a modo suo, in qua» 
ranta dì sarà da mietere; e quando e’si avvan- 
taggi, colgasi con mano, e di due dì innanzi 
si lasci finir di farsi ammontato ne’ mazzi, e le- 
gato sospeso alto al sole. Seccato, si ripone con le 
sue spighe, fra le quali basta assai in lato asciut- 
to, come ancora mondo da quelle è durabilissimo, 
nè si può nettare acconciamente che non sia ben 
secco. Trovasi del panico che’! suo granello è 
rossigno , altro in cui è nero e bianco, ed alcu- 
no che l’ha negreggiante di color di loto. Se si 
riponga il panico dove i venti non penetrino, è 
atto a bastar cent’ anni come il miglio, che è qua» 
si immarcescibile, e l’uno e l’altro benissimo 
conserva le frutte che vi si ripongono dentro. Il 
panico è simile al miglio, e nelle facultà sue è 
di poco nutrimento, e disseccativo. Ristagna al- 
quanto ancor esso i flussi del corpo, come fa il 
miglio, ed applicato di fuori disecca, e rinfrea 
sca ; perciò è atto ( riscaldato e posto ne’ sacchet- 
ti, ed appoggiato al luogo affetto )a levare i do- 
lori, e così ancor dello stomaco, e del petto. Il 
panico brillato mondo, e scortecciato bene, ed 
impastato con latte fa poltiglia nou ingrata al 
gusto, come cotto così brillato con brodo di carne 
grassa 0 lardo ed anco con olio. Si adopera as- 
sai per pane in Guascogna, e la gente di Ponto 
anch’ essa n° è vaga, e ne vive : È ottimo per bec- 
care, e ingrassar i colombi e l’ oche, e massime 
cotto e più macinato, ed intrisa lor la farina 
con acqua calda, ma tutti gli uccelli di canto 
beccano volentieri, e nutrisconsi del panico. 

11 Pisello è di due sorte , uno che sale in alto, 
e l’altro che va terragnolo; quello ha di bisogno 
di sostenimento di legci, e fraschette per appog- 
giarsi, quest’ altro che è minore si tiene da per 
se a terra, e quì fruttifica. L'uno e l’altro è 


216 
buono a mangiare anco dertro a’ gusc) quando 
soi teneri, così lessi, come fritti nella padella, 
e sgranati teneri, cotti con olio puroe sale, con- 
diti ca'di, son cibo delicatissimo e gustevolissimo 
al palato, sebbene non dà buon bere. Il pane 
che è ottimo foudamento per gustare il vino, si 
può mangiare asciutto quando avendo mangiati 
piselli, si voglia bere. Secchi ancora, si mangiano 
cotti simiimente conditi, e fatti passare in stac- 
cio, si fa una pisellata alla Pollacca , cocendovi 
dentro del porro, o salato o fresco, molto aggra- 
devole. Per temere il pisello grandemente il fred- 
do è da seminarlo nei luoghi a caldìo ; ed in que- 
sti seminati per tempv ne produrranno ancora 
d’inverno come i baccelli. Si mette in terra mos- 
sa di primavera, un tratto di nuovo poi lasciata 
riposare fin all’ altr’ anno; e meglio sara io cam- 
po grasso, una volta lavorato e rivolto, o in quelli 
che si semina un anno sì e l’altro nò. Gesì de- 
siderano tutti i legumi d° essere in terra agevole 
e disciolta che sia in luogo caldo e tiepido, non 
privo d’ umidità che non patisca il freddo. Co- 
lumella vuole che al pisello si concimi bene il 
campo se subito si segua a lavorarlo con l° ara- 
tro, e quelche la falce abbia lasciato prima che 
si riari, il vomere lo ritagli e ricuopra, e questo 
anco serve peristerco e letame. Si fa gran ma- 
raviglia il Ruellio, che Dioscoride non faccia 
menzione alcuna de?’ piselli, i quali afferma che 
muovon l’orina, e rendono altrui senza sonno; 
son ventosi, ma levato lorla corteccia si rettifi- 
cano. Non rifiutano la terra grossa umida e leg- 
giera, ben lavorata e ben vangata a dentro, e 
letamata, ove spesso piova o s° adacqui. Nei luo- 
ghi più austeri non si può seminare che a prima- 
vera, all'aprile, o nell'ultimo di marzo, e nei 
luoghi caldi al settembre per avergii primaticc], 
ed anco all'ottobre, e se sia a solatìo e bene ac- 


217 
carezzato fù i suoi frutti di mezz? inverno, Co- 


prendogli a certi stridori, e con letame marcio 
posto loro attorno, zappandogli e rincalzandogli, 
ma che sia lato ove non possa vento. E negli al- 
tri luoghi accomoda loro il seminargli quanto più 
tardi si faccia dall’ equinozio autunnale in là, e 
corrisponderanno meglio. Deonsi seminar lontani 
un piede l’un dall’ altro col pidlo, o ne’ solchi 
fatti da poterveli ricoprire quattro diti e non più; 
e massimamente quelli che vanno retti in su le fra- 
sche di quercia, di albero, o di. potature di do- 
mestichi frutti. Gli altri die vanno a terra, si 
seminano più fondi cioè a pugnelli come si disse 
delle fave all’ usanza Romanesca ; ma quelli che 
averanno aiuto dureranno più assai, e manco si 
pertuseranno da'punteruoli, o da’ tonchj. E quan- 
do pure n’avessero, posti quando son secchi so- 
pra lento fuoco, tutti cascheranno în un paniere 
di vimini, e uscitiche ne sieno ripongansi a con- 
servarsi in solaio asciutto , avvertendo che sieno 
secchi prima affatto , perchè così fanno men ver- 
mi, o si pertusano meno. Si deono cogliere nel 
fin dello sminuir della luna, e si deono semina- 
re nel crescer di essa. I gambi de’ piselli arati sot- 
to freschi ingrassano il campo; mangiansi le cime 
de’ piselli verdi, condite crude solamente con olio 
sale e aceto, ma cotte come le cime delle zucche 
(cavatine i viticc]j) saranno migliori. Si libere- 
ranno dai bachi che gli forano, messi în un panie- 
re e dato loro un tuffo in acqua bollita e poi po- 
sti a rasciugare al sole, o veramente posti sopr’ al 
fumo in una paniera di vimini rada e scoperta di 
sopra, verranno fuora, ed agevolmente si cave- 
ranno. Tutti i piselli, veccie , cicerchie e mochi 
e lenti e ceci ed insomma ogni generazione di 
legumi vogliono esser seminati a luna scema a 
cagione del troppo gran rigoglio ch'e’ prendono 
sopra la terra, altramente ricascheranno, e dise- 
28 


218 

gualmente fioriranno; e tutti gli altri semi di 
biade, e frumento a luna crescente. — Il Pisel- 
lo verde è una sementa di piselli differenti da- 
gli altri, che tuttavia dentro e fuori de’ suoi gu- 
sc] sta verde, e cotto ancora mantiene il color 
verde; e sono sempre più delicati e teneri che non 
son gli altri; e questa razza è molto frequente 
in Toscana, ed ancor fuori in Danzica sene fa 
grande impresa, e di là procacciando il seme farà 
quì assai miglior prova. Desiderano soprattutto 
terra grassa, e d’esser piantati radi. Nel rima- 
nente amano la coltivazione medesima degli altri. 

Il Porro indugia a nascere ben venti dì, e più 
secondo il freddo; e volendo un porro che sia gros- 
so e sfoggiato come un grandissimo appio, scavisi 
uncacherello di capra conun ferruzzo a proposito 
e vi si caccin dentro cinque o sette semi di por- 
ro, e riturisi quel pertuso con la medesima ma- 
teria di sterco caprino, e si ponga in un buon 
terreno lavorato ben sotto, ma ricoperto pocu, e 
mascerà un porro di smisurata grandezza, e gros- 
sezza, iucorporandosi insieme tutti quei semi nati 
inun corpo d'una pianta sola. E non saperrà di 
porri colui che ne abbia mangiati, se prima averà 
mangiato due o tre bocconi di comino. Alcuni 
scrivono che nasce in diciotto dì, e di due mesi 
sì può traspiavtare. D’un anno, si contenta solo 
d’ essere sfogliato, e rità foglie maggiori; di 
due anni fa il gambo lungo dentro veto con mol 
ti fiori in cima aggorvitolzti in una palla roton- 
Ga, e quivi fa il suo seme. Vogliono i porri la 
serra grassa, e sustanziosa, ma agevole e leggie- 
ra, e vengon bene nell’ arenosa e grassa, e tut- 
ta ben concimata di letame grasso marcio, lavora» 
ta minutamente, e ben trita, e piuttosto che 
arata, vangata. Si seminano i porri nei paesi cal- 
di di dicembre e di gennaio, e trapiautando di 
poi i porrini di marzo, e d° aprile per usarli 


21 
l’anno che ha a venir dipoi; ond’ è che cli 
tolani si lamentano del porro dicendo, che niun 
altro erbaggio sta più in sulterreno a occuparlo 
di lui, Nelle fredde regioni al fin di marzo, e di 
febbraio è ben seminarli per trapiantarli all’ u)- 
timo di maggio, e di giugno, per servirsene il 
verno che segue dipoi; nei luoghi temperati, di 
gennaio, febbraio, e marzo, e trapiantarli al fin 
d’ aprile, o al principio di maggio per l’anno a 
venire. Seminansi ancora in principio d’agosto, 
e di settembre per chi li volesse avere alla ve- 
gnente primavera; ma nonsaranno così buoni co- 
me quelli seminati di febbraio o di marzo. Si tra- 
piantano di dicembre, il che s' ha a fare nei luo- 
ghi temperati. Nelseminarli s° ha a osservare che 
sia sempre aluna crescente, come nel traspiantar- 
li; ed in questo si cuoprano prima bene l’ aiuole 
di letame marcio, e si adacqui bene il terreno 
per sollecitargli a nascere, e quivi diradando» 
gli a modo, si possono lasciare stare ( nati che 
seno ) accomodaudogli larghi l’ uno dall’ altro 
un palmo, ed amando che ingrossino, si tirino 
per la cima tanto che si sentano con mano solle- 
vate le radici dal lor fondamento, ma non sbar- 
bargli affatto; così darassi loro occasione d’ in- 
grossar più e crescere a riempire quel luogo ca- 
vernoso e voto; e ciò si dee fare mentre ancora 
di lor natura non crescon sotto. E volendo tra- 
piantargli nel terreno ben vangato e ben leta- 
mato, vi farai i solchi distendendovi i porri di 
due mesi giovini senza aver tagliato lor punto 
le radici, solo spuntaudole (lontani l'uno dall’al- 
tro sei diti) e tosate le foglie, ed avendo po- 
sto sotto nelfondo una lastretta dove risegga, e 
posi affinchè non potendo forare in giù, si disten- 
da in largo ed ingrossi. E con la terra che tu 
caverai del secondo solco riempierai il primo, così 
seguendo sin all’ ultimo , e nella prima gettata di 


220 
terra aggravala ben lor sopra alle barbe dirizzan- 
do il fusto mentre riempi affatto . E volendo tra- 
piantarvegli con un gran piòlo, mozza lor tutte le 
barbe, poi ficcagli nel pertuso ristrignendo lor 
bene la terra attorno col medesimo piòlo. E tut- 
ti passate tre settimane si sarchino nettando gli 
da tutte l’ erbe nate fra essi. Sitraspiantano an- 
cora con doppio profitto fra le cipolle che sien 
già quasi grosse, e levate poi le cipolle affatto, 
si sarchino e rincalzino, e vi faran bene. E per- 
chè i porri si seminano e si traspiantano in due 
modi, hanno dagli antichi sortiti due nomi , il sa- 
tivo, e il capitato. Seminasi quello spesso e fitto 
su l’aie per tagliargli le foglie ed i germugl), 
il che si mangia in varjcondimenti di carne, ed 
altro. Capitato s'addomanda quello lasciato per tal. 
effetto nell’aiuole ove è stato seminato, che in capo 
a due mesi dalla sua nascita si può cominciar a se- 
gare, ma ogni volta ch'e’ si taglia convien ricrearlo 
con l’acqua, e rinvigorirlo con il letame, e sarchiar- 
lo spesso tenendolo netto dall’erbe. Altri hanno opi- 
nioneche il sativo regga meglio traspiantato dal suo 
natìo letto in luogo ben lavorato, rado l’un dall’al- 
tro quattro diti, e fermo e bene appiccato, e non 
prima sì tagli, seguendo pur tuttaviachè ciò si 
faccia a rinfrescarlo con il letame, e adacquarlo 
e sarchiarlo. Etrapiantando il porro giovine, ta- 
gliandogli prima quelle sue piccole barbette, e to- 
saido molto bene tutte le cime dei suoi capelli, 
ponendo sotto a ciascheduno di essi un pezzodi te- 
goletta o di coccio rotto , e rincalzardogli bene 
la terra attorno, e tagliandogli appresso ogni vol- 
ta che ne rimetta le foglie siutantochè non cre- 
sca più, nontoccando però dove mette il tallo , e 
gettando tuttaviachè si tagliano fra essi delNe- 
tame marcito; e ciò ancor più quando segli toc- 
chino più le foglie che la prima volta che egli 
sì trapianta per servirsi del capo e non delle fo- 


291 
glie , le quali per questo tratto solo segli hanno 
a tagliar tutte rasente a dove è la messa sua 
principale; e quanto più si trapianterà è Opi- 
nione che più ingrossi, e si faccia capocchiuto, 
il quale si coltiva sarchiandolo spesse volte, e 
tuttaviachè si sarchia dandogli del grassume, 
nè vi si fa differenza nel coltivarlo dal sativo, 
se non che questo si dee adacquare, letamare, 
e sarchiare a tutt’ ora che segli taglia la chio- 
ma; al capitato quando è ben fermo in terra 
perchè ingrossi ancora più, si dee ( avendogli 
fitto sotto il marretto ) sollevarlo un poco de- 
stramente tirandolo con le mani, smovendolo dal 
luogo suo, e facendogli far lato sotto, perchè pos- 
sa riempiere quel. voto col crescere. ‘Ancora le- 
gando parecchi semi di porro in un cencio bian= 
co sottile, e cacciandolo sotterra nel lavorato 
tre diti, farà corpo per un porro che deggia es- 
ser grandemente capocchiuto, ed anco mettendo- 
gli fra le barbe quando si-trapianta o mattone 
pesto , o polvere che si cava spazzando gli am- 
matlonati, impiastrandogliela alle barbe con 
‘acqua di colatura di letame. Ordinariamente i 
tempi di trapiantare i piccoli ne’ suoi so!chi son 
due, avvertendo che non stia il gambo a gia- 
cere , chè così non profitterebbero. ll tempo pri- 
mo è di maggio e di giuguo in terra ben ba- 
gnata, prima fatto il dì dinanzi il foro dove ha 
da ire, e poi il dì che si pianta, la mattina, e 
piantarlo la sera, e di subito dargli dell’ altra 
acqua piantato che eg!i sia. Il secondo è di 
settembre e di ottebre, e quanto più spesso si 
sarchieranno , e si darà iero nuovo letame vec- 
chio, più capacciuti diventeranno; come ancora 
scalzandoli spesso sin iù sul capo, e quivi sen- 
za altramente muoverli, o scrollarli, con un fu- 
scello o canna appuntati fatto un foro gioverà 
ficcarvi un seme di rapa o di cocomero ogni 


222 

volta che si scalzino. Ancora quando si Mutti 
tano si dee mescolare assai con la terra dell’a 

rena che lor tocchi il capo ed .i capelli; e di 
più pigliando quanto seme tu possi con tre diti, 
impiastrato di Jetame ed incolto in una carta 
lo seminerai, e ne nascerà un porro capacciutis- 
simo. Ancora ingrosseranno assai, e saranno ap- 
provatissimi i porri, se quando gli averai semi- 
nati in sul’ aie, tu le calpesterai | per tre 0 quat- 
tro dì coni piedia dilungo straccurandogli, poi 
il quinto dì gli annaffierai ed accarezzerai. S° ac- 
costuma per avergli grossi in alcun paese, come 
nella Lunigiana, e verso Genova , fare il foro ai 
porretti assai ben grande, ed in quel foro senza 
altramente riempierlo sine dentro diritti, e 
lasciargli così stare. Coaliscono con la terra, 
e si sforzano di riempire il pertuso coll’ ingros» 
sare. Per raccogliere il seme si deono lasciar 
venire innanzi i più belli, e quando è fatto ap- 
piccandogli in mazzi in luogo asciutto vi dure- 
rà buono per tre anni. Fu grato il Porro alla 
Dea Latona, onde fu fatta legge in Delfo che 
chi gliene portasse uno che fosse. oltremodo 
smisurato, avesse in guadagno la parte del Sa- 
cerdote di lei; gliene fu portato uno grossissi- 
mo quanto una grossa Rapa, e di questo essen- 
dosi cibata (trovandosi ristucca, ed avendo per- 
so il gusto ) con esso riebbe l’ appetito , essen- 
do ella impregnata da Apolline. Così scrive A- 
taneo. Tutti i porri si stendono in terra scalza- 
ti sin'in sul capo nel tempo dell’ inverno, e po- 
sti a giacere si ricoprono di terreno, lasciando 
fuori la sola cima delle foglie, e s' imbiancano 
e così imbiancati si mangiano o crudi o cotti; 
sotto ia brace, e nel forno; conditi poi con 
olio sale ed aceto sono eccellenti, ed ancora 
cotti lessi, poi spremuta l’acqua, usavano gli 
antichi condirgli con méle, e giovano assai a ri- 


223 
schiarar la voce e farla più del solito canora, 
allargando, il petto e facendo giovamento alla 
tosse ed al polmone. E per questo rispetto scri- 
ve Aristotile che le pernici volentieri sene ciba» 
no, e manco maraviglia dee parere che Nero- 
ne quando dava opera a cantare ne dovesse man- 
giare abbondantemente, ma con l'olio. Il por- 
ro trito ed appiastrato su i morsi delle serpi, 
scrive Sozione essere insinuante , e presto rime- 
dio. Credesi che i porri nutriscano quanto le 
carni, massime cotti sì che s° asciughino. Arro- 
stiti ed abbrustolati si mangiano subito con- 
tro al veleno de’ funghi cattivi, cotti con 
l’acqua due volte mutata fermano ?] flusso del 
ventre riscaldano "1 corpo, assottigliano i grose 
si umori, e digeriscono i lenti, Scrive ’l Mat- 
tiolo che si deono seminare i porri, e poi 
quando si trapiantano tagliar loro le frondi, e 
le barbe, e por loro sotto una lastra, e che co 
sì slargheranno, e faran più grossa la testa. — 
Il Porro salvatico, detto Ampolopraso, nasce 
per le vigne e per i campi, serbasi nell’ aceto 
per tutto l’ anno, ed è molto medicinale a più 
usi, e vale assai a provocar l’orina.. 

I Poponi ( dei quali alcuna sorta è che pi» 
gliando la ‘forma dei pomi s' addemandano Me- 
lopoponi ) a voler avergli convien ricercarne buo- 
na razza di sementa, la quale dee esser trascel- 
ta di quelli che hanno la scorza grossa, o sia- 
no eglino Gornetani, Dommaschini, o Turches- 
chi, Cotognoli, o Zatte Padovane, o Cetronel- 
li, che tutti questi sono i nomi loro. E volen- 
do averli odorati convien tenere il seme per 
qualche settimana fra le rose odorate secche 
all’uggia; e questo odore grandemente piglierà 
la sementa di quelli che s° addomandano Zucche- 
rini, e soprattutto quelli ‘che nascono con le 
granella monde in corpo senza guscio alcuno ; 


224 
e questi ancora meglio degli altri ( tenuto il 
seme fra l’ambra, musco, o zibetto ) piglieran- 
o il loro odore. Oltre a doversi eleggere la 
sementa di quelli che hanno la scorza dura, si 
dee cercare ch’ ella sia di color naturale verde, 
perchè questi resisteranno più al sole, nè si gua- 
sferanno così presto . Ma se sieno de’ vernerecc], 
dei quali una sorta n° è che hanno la scorza 
gialla, ed un’altra che l'han bianca, si dee 
procacciare in ogni modo di quelli che l’ab- 
bian soda o dura, perchè questi tali basteranno 
più ai freddi del verno, ed in sul terreno mag- 
gior vigore acquisteranno, e saranno di meglio 
sapore. Secondo poi la bontà del terreno che s'af- 
facci» minore o maggiore, e se sian di sorta 
di buccia delicata, come quelli che si chiama- 
no dommaschini , e così ancora d’ ogni altra sor- 
ta, si pigli la sementa dei più fatti, e che sia- 
no più accosti al gambo principale. Il seme sia 
ben granito, e tutto di quello che posto nell’ac- 
qua vada a fondo, e sia del più nuovo che si 
possa avere che non passi l’anno, e sì scelga 
quello che sia dal mezzo popone indietro, e pri- 
ma nato, se già non sia di quella razza che 
vengon tardi, e di questi si scelgano quelli che 
sieno ultimamente nati e si bagnino o lavino 
per serbarli per seme, perchè si conserverà 
all’ asciutto, sparso e disteso fra le sue marci- 
daglie, o sivvero spartito da esse con la mano 
posto all’ ug ggia sparpagliato sopra tavolette di 
legno secco in lato asciutto. E prima gentile e 
destramente si asciughi con un panno lino . So- 
no, come s'è detto, di più sorte Poponi, ma 
sì ristringono a due dalla polpa di dentro dif- 
ferenziati, perchè di fuori le buccie sono d° in- 
finiti colori. Adunque o hanno la polpa bianca 
o rossa, e sebbene tutti sono più saporiti nel 
secco ca asciutto terreno, i di bianca polpa 


225 
in terreno che sia grasso ed umido pèggiorano 
fuor di modo, nè sono così buoni, e più fallaci 
de’ rossi che meglio vi si comportano; siccome 
ancor quelli che si addomandano Zatte, i quali 
maturi quando da se si spiccano sul gambo, si 
conservano così per un mese e più buoni per il 
priacipio dell’ inverno. I Dommaschini brama- 
no fresco terreno e grasso; i Cornetani asciutto 
e sano, e le Cetronelle vengon bene nei più gras- 
si fondati e sustanziosi ed umidi, e non meno che 
quelli di Genova e Ghioggia sogliono esser tut- 
ti d’ una buccia ed’unsapore, come si dice in 
proverbio , e grossi al pari l’uno dell’ altro. I Tur- 
cheschi desiderano la medesima qualità di terra 
di quelli. Deesì essere studioso del seme de’Cor- 
netani e de Turcheschi, e dei Cotognoli come 
delle altre razze, che tutte riescono quà sapori- 
te e buone; e massimamente che così fatti semi 
non sono punto fallaci, come anco riescono i 
cocomeri, che di là, e di Alessandria venuti 
sono. I poponi gialli di scorza che colti avrai, 
inzafferanati bene, e tenuti al sole per quattro 0 
sei dì, dipoi riposti sotto 1 monti dell’orzo, 
grano, miglio, o panico bastano buona parte 
dell’ invernata; desiderano terra grassa e fonda- 
ta più di tutti gli altri perchè vengan grossi, 
ma perchè durino assai, asciutta e leggiera. Il 
sito de’ poponi dee esser del tutto scoperto, e 
non punto occupato da uggia, eche sia disbri- 
gato da arbori e macchie, e la terra netta da 
ogni banda di tutte l’erbe, minutamente lavo- 
rata sotto a dentro una vangata e mezzo, 0 
una vangata ed una zappata. 5° affanno ai poponi 
le valli opposte al sole, Ricercano per questo 
luogo pendente ed a scancìo verso mezzodì, e 
massimamente se sia un paese ove soglia piovere 
spesso, © vi sia troppo umido il terreno . Non ri- 
fiutano i luoghi grassi e fondati del piano, ma se 


29 


226 
sieno troppo umidi, facciansi l’aie da piantarveli 


nel mezzo assettandoie rilevate a comignolo ; ino 


quello spigolo che sarà il più rialto luogo di lore, e 
diquà e di lè siane i solchi con la vanga fatti, as- 
sal cupi, che sbocchino in fosse maestrali da sgor- 
gar 1’ acque e scolarle tostochè sia piovuto. Brama- 
noì poponi paesi e luoghi caldi anzichè freddi, 
ed in questi si scelga sito concavo a solatìo, e che 
sia soprattutto difeso dalla Tramontana . Desidera. 
no tutte le sorte per lo più terreno grasso per 
natura e sustanzioso sugoso e non umido, Fan- 
no ancora e buoni e saporiti negli arenosi, e 
nei terreni nuovi e ben riposati, e nei prati 
grassi disfatti, vangati a due puntate, purchè 
sieno ben netii dalle radici dell’erbe. Non ama- 
no terra che sia letamata di fresco, ma di tem- 
po assai innanzi incorporata e smaltita, che ab- 
bia levato quel tanfo di cattivo fetore, che da- 
rìa loro il sapor cattivo. Nè sia il letame che 
si dà loro di animali grossi, come buoi, vac- 
che, asini, cavalli e muli, ma di pecore, ca- 
pre e colombi, o polli; ma meglio è che im- 
pacciarsi con letame, nel principio dell’ inver- 
nata abbruciare in sul Juogo del Poponaio, pa- 
glie, stérpi, legnami o sterco vecchio o secco, 
e di tutto fatta cenere spargervela, e di subito 
vangare con questa materia a una puntata e 
mezzo almeno Îla terra, rimesticando bene, e ri- 
veltolando il tutto con questa: O veramente in 
sul terreno lavorato, dentro alle buche de? po- 
poni dare a ciascheduna pianta nella buca im 
seminandoli una giumella di lupini cotti; e si 
pongano sotto a dove hanno a barbicare le gra- 
nella, ie quali lascerai prima che tu le semini, 
per tre dì a macerare nel latte, poi asciugate 
e secche le porrai, e saranno i poponi più 
soavi, e odorati se subito cavate le granella 
del popone ed asciutte bene , tu le ponerai nella 


29/7 
banca tra °l musco, o ambra, o rose secche 


dommaschine, o altro buon adones e volendogli 
ben dolci ici; il suo seme per quattro dì in 
acquaròsa, stemperatovi dentro del zucchero, o 
in acqua melata disfattovi dentro del musco, 0 
in vin melato, o in zucchero disfatto in acqua 
lanfa di fiori di limone. Ma così fatti artifiz] 
si facciano in terreni asciutti anzichè in terre 
morbide e grasse, le quali lavorate come s° è 
detto, e piuttosto a due vangate che altro, si 
pareggino e si facciano bene spianate minute 
con l' érpice, e poi con i rastrelli assolcate, 0 
volendo fare spazj di piazze grandi si dìa loro 
gran colmo a comignolo, e buono scolo; faccian- 
si appresso certe buchette con una zappa o vane 
ga, fonde un palmo ed altrettanto larghe, e 
si riempiano di terra cotta, e sotto quella lupi- 
ni cotti, e piantinvisi accanto grato (0) ciuque 
granelli di seme con la punta volta in sù lon- 
tani l’uno dall’altro tre dili. Ricuopransi poi 
leggermente sì che vi rimanga più di quattro 
diti di voto di buca, la quale nella prima sar- 
chiatura si riempia di terra cotta rincalzando 
bene una sola pianta Ja più vegoente che si ha 
a lasciare, o siano le buche l’una dall'altra 
lontane due braccia o due e mezzo con ordine 
quincunce, chè ancora in questo darà bella vi- 
sta e tornerà bene. Seminansi i poponi di mar- 
z0, d'aprile, e di maggio, più tardio più pet 
tempo secondo la qualità del paese, e posizione 
del cielo. E chi gli volesse aver più per tem- 
po maturi seminigli più a buon’ otta in una ce- 
sta 0 vaso pieno “li terriccio , e facciasi come si 
disse dei cocomeri. Ancora si possono porre i 
semi nella scopertura del monte del letame , e 
come sì veggano aprire, e cominciar a germa= 
gliare, convien porgii nelle buche dove hanno 
a stare in quei vasi, 0 sul poponaiò in sul 


228 
basso della buca per. poter . poi diradargli cre- 
sciuti che sieno, e lasciarvene un solo .il.. più. 
bello, e riucalzarlo al pari. Desiderano d’ es- 
ser tenuti molto netti e liberi da ogn’ erba 
sintantochè nascano, e dipoi s' hanno a sarchia- 
re e zappare, e sollevar lor bene la terra at- 
torno alle radici senza toccarla pianta , o smuo- 
verla. Si deono anco quando son cresciuti e 
fatti grandi che hanno il fiore, spuntare , e sem- 
prechè rimettano ne’ rami divettargli. I poponi 
s' hanno a cogliere la mattina al levar del sole, 
e si conosce se son maturi, quando dal picciuo- 
lo fan segno di spiccarsi; e si possono conser- 
vare colti così quattro o cinque dì per mandar-. 
gli lontano, cogliendogli senza ferro che fa lor 
danno, non tanto fatti; e quando più o meno 
son fatti si manifesta dal più o manco inteneri- 
mento del fiore con le dita aggravandolo alla 
buccia che resta senza peluia, e all’odore fiu- 
tando il fiore. Affermano Aristotile, e Teofra- 
sto che i cespuglj così de’ cocomeri come de? po- 
poni si conserveranno per l’anno seguente, se 
dopochè gli averanno tutti maturati, e saran 
stati colti 1 suoi frutti, si scapezzerà in tondo 
rasente alla radice coprendo con terra buona 
per difesa del ghiaccio dell’ inverno seguente; 
ma conviene ch°ella sia terra molto sana ed as- 
ciutta di sua natura, e da non inzuppar l’umi- 
do. Di questa maniera acconcj gettano poi a 
tempo nuovo nuove messe a far nuovi poponi, 
maturandogli più presto degli altri. Alcuni seri- 
vono che per mezzo dell’infusione avverrà dei 
poponi e dei cocomeri quel tanto ch'io dissi 
del prezzemolo a produrlo ; e propongono che il 
lor seme si metterà l' estate quando esso è fre- 
sco dentro al sangue ( siccome quello che pre- 
parato con la jerapigra e beulto può anco se- 
condo loro riugiovinire una persona che sia ole 


22 
tre di tempo ) e che lascivisi stare per una a 
timana, poi sì pigli il seme come si cava del 
sangue, e facciansi le buche in terra che sia 
fertile e ben lavorata, ma avvertiscasi di non 
gli piantar rivolti, e mettendovi sopra un piz- 
zicotto di calcina viva non nuocerà. Dipoi se- 
minato che sia, si bagni con acqua calda, e 
vedrai uscir fuori il gambo; cuopresi con pan- 
no affinchè non svanisca il colore, e lo ve- 
drai andare storcendosi se non vi metti qualche 
cosa che vi si possa appoggiare ed attenere; 
ed acconciandolo in questa maniera crescerà in 
grandezza mostruosa con le sue foglie, gambi, 
e frutti. È ben vero che come cosa forzata e 
violenta presto muore, perciocchè tutte quelle 
piante che producono così innanzi al tempo il 
frutto loro , sono più deboli, non potendo lungo 
tempo sofferire quell’ impeto e quella forza di fu- 
ria fatta loro dall’ arte . Farannosi ancora questi, 
ed i cocomeri, e le zucche,e molti altri frutti 
tardii e serotini in questo modo. Noi sappiamo che 
tutte le frutte temono le cose fredde , onde avviene 
che l’ estate si semina col letame, e così fanno resi- 
stenza al freddo. A!tramente ancora possono du- 
| rare le cose assai: semina quello che tu vuoi appres- 
so al pozzo, e quelle frutte che vengono al suo 
tempo favvele calare, e cuoprile di sopra, e fa che 
il sole ed i venti non le dissecchino . Giovano loro 
In modo i vapori che escono dall’ acqua, che tem- 
po assai manterranno quel color verde immatu- 
10; 0 veramente mettile in luoghi alletamati ed 
a solatìo ove vuoi seminare, se hanno dei révi 
o delle ferule, dopo l’equinozio dell’ autunno 
tagliale terra terra e scavale, poi con uno 
stecco dentro fra ’l midollo, ficcatovi delletame 
marcio, e quivi messo dentro il seme de’? cocome- 
tl é poponl ne vedremo nascere i frutti, i quali 
1 freddo non varrà ad offendergli, — I poponi 


230, 

un po schiacciati sono i melopoponi, o vero che 
hanno la buccia più gentile come i dommaschi- 
ni, 0 i vernereccj gialli, o vero quelli così det- 
ti che rassembrano le ci Come si sia, il seme 
di tutti tenuto per poche ore nell’ aceto diver- 
rà atto a più presto nascere, ponendolo anco in 
su la terra scriva senza porlo sul terriccio, 0 le- 
tane, 0 in vasi. I poponi mangiati con zucche» 
ro o cannella assai sì rettificano con miglior sapo- 
re di virtù refrigerativa , sendo i poponi frigi» 
di ed assai umidi, ed hanno una certa facoltà 
astersiva, e perciò provocan l’ orina, e piuttosto 
sene vanno a basso che non fanno le zucche. 
Generano i poponi nel corpo molti cattivi umo: 
ri, e, massimamente quando non si digeriscon be- 
ne. E opinione d’ alcuni che inducano il vomito: 
se non si.mangian sopra cibì di nutrimento buo- 
no, e perchè molto agevolmente si corrompono 
in su lo stomaco, sono da esser mangiati prima 
di tutte l° altre cose siccome tutti i cibi liquidi 
e corruttibili, importando molto alla sanità il 
saper disporre con ordine i cibi in corpo; e que- 
sto ha da essere col mangiar di man'in mano 
primamente le cose più liquide, e che agevol- 
mente sono da cerrompersi, e poì l'altre più 
dure, e sebbene il nostro stomaco è assomiglia- 
to a una pentola che sia al fuoco e bolla di con- 
tinuo, nella quale tutto quello che vi si mette 
dentro si cuoce , tuttavia quella regola è più eli- 
gibile e migliore. I poponi hanno a odio |’ olio 
a maraviglia, e ponendoglielo vicino in vaso, lo 
rifuggono. La carne del popone secca al sole, 
cotta ne ° brodi e fritta è buona vivanda. 

Il Pugnitopo è pianta .che ha le foglie spia- 
nate. piccole, pungenti in cima come quelle 
dell’ agrifoglio , ed ha le barbe a occhj come gli 
asparagi e come le canne, e da quelli occhi 


germoglia fuori a fare il fusto; ha il seme cheè. 


234 
dentro a una pallottola rossa che nasce attacca- 
ta nel mezzo d' alcuna delle sue foglie, la quale 
tuttavia vi nasce sola, ed è ben matura quando 
è ben rossa e tenera, e che strizzandola con le 
dita, n° esce fuora asciutto senza punto rima- 
nervi attaccata della sua carne il suo seme; il 
quale si semina con la cura e governo della di- 
ligenza degli asparagi in terriccio buono, o in 
un vaso; e nati e cresciuti di tre mesi si tra- 
piantano (avendogli seminati un poco radetti per 
cagione delle loro radici intrigate ) di novembre 
o di marzo. Ma la più diritta è col suv pane 
{avendogli cavati ) piantargli in una buca fatta 
in sul sodo, o in sul lavorato, chè nell’ uno e 
nell’ altro luogo s’ attacca e fa prova. Nascone 
ordinariamente i pugnitopi per le macchie rasen- 
te le strade, e per tutte’l folto de’ boschi. 
Deonsi trascerre le piante che sien giovinette, 
e piantarsi con tutta la lor ceppaia insieme. Son 
buoni per ispalliere terragnole ponendogli fondi, 
Fanno buona siepe impenetrabile , e tagliati in 
mazzi, ed opposti ai topi nei luoghi, ove possan 
passare, con le lor punture gli offendono, e proi- 
biscono. 

Il Quamocritto è una pianta stata trasporta» 
ta in sementa dall’ Indie da poco tempo inquà. 
Fa il fuste sottilissimo, e gremito di foglioline 
piccole e sottili, che rassembrano quelle dei ger- 
moglj dell’ asparago quando fa il seme, un po- 
co più piccolo. Fra queste foglie fa certi fio- 
rellini a campanelle rosse in chermisi, dentro 
ai quali genera il suo seme simile a una vecciuo- 
la quadra di color tanè. La natura di questa 
pianta è di camminare all’ insù con una guida, 
la quale basta che sia un filo sottile, avvolgen 
dovisi ed avvolticchiandosegli attorno mirabil- 
mente, e ad un’ altezza notabile di molte brac- 
cia, dando tanta bella vista di se per il natu- 


232 

ral vivo verde che ha, che nulla pianta è più 
graziosa e più piena d’arte di questa. Disama 
il freddo, nè basta più punto di tutta l’ estate, 
e nel principio di essa, cioè al fine della pri- 
mavera si semina in terreno crivellato che sia 
mesticato con un terzo di pecorile disfatto con 
esso, e poi rasciutto e vagliato insieme, posto 
in un vaso, o orticino volto al sole. Preparata 
di questa maniera la terra, si piglia questo se- 
me in mano, e con un dito si caccia sotto quan- 
to è per traverso l’ ugna del dito grosso, e si 
frequenta d’ innaffiare con una granatina tanto- 
chè nasca; e nato di un mese, levato con la 
terra e tutte sue barbe si traspone nel più bel 
lato del giardino che s’ abbia rasente il muro, 
o libero raccomandato a un filo di spago. Altri, 
voto un cacherello di capra, lo sotterrano e 
fan nascere. 

La Robiglia (ervum ) è molto pronta che 
‘î s attacchi l’ Orobanche, cioè il Vilucchio che 
I uccide strangolandola con lo strignerla e ser- 
rarla per tutto ’1 gambo; imperciò è di mestie- 
ro trovarle terreno che sele affaccia, che sarà 
in luogo magro e asciutto ove non sia punto 
d’ umidità , chè in questo sente più noia, ove 
cresce talora tanto in rigoglio che tutta sene 
va in aumento senza frutto. Teme manco il 
freddo che non il pisello, e perciò seminata un 
poco innanzi a questo darà i suoi frutti prima- 
ticcj, ma non saranno mai di quella bontà e sa- 
pore del pisello, essendo sempre la robiglia più 
dura di sua natura, e più soda e renitente a 
cuocersi. Ma perchè seminandola venti, o venti- 
cinque dì avanti al pisello nascerà felice senza 
temere il freddo, è da tenerne conto, spaccian- 
dosi poi essa a pari de’ piselli che dopo essa ven- 
£000; e non essendo coltoia così fresca come è , 
sele faccia una cenerata leggiera mutando l’acqua 


233 
della prima cottura, o vero sele ponga fra essa 
quando si mette a fuoco due o tre pezzetti di 
gambi di porcellana, o vero un pezzo di gruma 
di botte, chè così si cocerà comodamente , e sarà 
frolla così secca come fresca. Si può seminare 
neli’ autunno , ed alla fine di gennaio, e per tut- 
to febbraio, purchè sia avanti Calen di marzo, 
nei luoghi temperati; nei freddi un poco più tar. 
di, benchè seminata di marzo il più delle volte 
nuoce ai buoi facendo loro intronare il capo, e 
così fa danno alle pecore, pazzìiandole. Nel ter- 
ren grasso non fa bene ed ingrassa i campi. La 
robiglia patisce de’ tonchj , al che si rimedia co- 
me ai piselli. Nel rimanente la basta assaissimo 
tempo , e il suo fiore è gratissimo alle api. 

La Robbia, che i Lombardi Rozza addoman- 
dano, ama terren sano e buono, non troppo for- 
te nè leggiero, lavorato con la vanga anzichè 
cor l’aratro, e piuttosto di sopra là dove si get- 
ta il seme, ben crivellato, dividendo il terreno 
in aie, edalprincipio di marzo gettandolo giù 
fitto come la canapa, e riconrendolo bene con 
l’erpice e col rastrello, perchè s° incorpori e coa- 
lisca; nè occorre altro che tenerla netta dall’er- 
be sin’ a settembre che si tagliano tutti i rami 
prodotti per raccogliere la sementa , e poi si cuo- 
prono tutte le radici da piede a piede con due 
dita di terra cavata de’ solchi maestrali, affin- 
chè non l'offenda il gelo, e più ingrossino le 
sue barbe, dalle quali scoperte l’anno seguente 
al marzo (ritrassinandole con destrezza ) rina- 
sceranno nuovi rami, che alsettembre si taglia- 
no di auovo; e siano coperte di novembre come 
s' è detto, e così si segua tanto che si cavi le 
radici da ridursi in Rozza, e Pergolino. Sono 
alcuni che avendo tagliato il primo anno i rami 
raccolgono la sementa , e coperte le radici avan- 
ti mezzo novembre, e fatto il EARRTI poi l’an- 

O) 


234, 

no seguente intorno al tagliare i rami, e coglier 
la sementa, cavano le barbe, le quali essendo 
gatte seccano al sole, e ancora nei forni grandi, 
e questa si domanda Rozza buona, e non Per- 
folin fino. Ma i più cavano non solo per cinque 
o sei anni con quell’ ordine di coprire, il seme ed 
i rami, ma per otto e dieci e dodici, avendo espe- 
rimentato che quanto più s' indugia di cavar le 
radici, tanto più sì raccoglie del pergolino anno 
per auno,, ed anco sempre più fine che in altra 
maniera. Ora raccolte che tu hai l’ ultimo anno 
le semente , che le vuoi cavare al settembre, si 
cavino con le vanghe tutte quelle che vi si ri- 
trovano, le quali seccate al sole, nette dalla 
terra si portano ogni volta: che pare ne’ forni 
caldi e puliti, e ben secche e macinate, si va- 
glia minuto la polvere buona e più fine dei guscj, 
e macinati che siano un’altra volta, si mescola 
questa polvere con la macinata grossamente della 
radice di diciotto mesi, e questa si chiama Roz- 
za terzanina, e tutta l’altra pergolino; la quale 
è tanto più bella e tanto più fina, quanto più 
sarauno state sotterrate le radici. Ed a questa 
pianta rende di rimbuono l’un anno per l’ al- 
tro la terra più che a frumento, il quale semi- 
nato in questa terra di dove s’° è cavata la ruzza, 
per due o tre anni vi fa molto acconciamente, 
potendosi dire che sia riposato quel terreno, non 
facendo altro le radici che i rami della sementa 
che si raccoglie d’ anno ìn anno, ed ingrassan- 
do per la cascata delle lor foglie. Poi alla pri- 
mavera volendo riseminar la rozza, simuti cam- 
po- — La Robbia salvatica , o Rozza chesi vo- 
glia dire, si cava de’ boschi stuzzicaodo il ter- 
reno dove si vede esserne, e sene fa l’istesso 
concio perle tinte; e le sue foglie per esser ru- 
vide son buone a pulire e. tener netti i piatti 
di stagno. 


- P Cal 


235 

Il Rusco non si semina, perchè egli non fa 
sementa d° alcun valore, e per far d’ averne in 
copia si propaggina rivolgendolo sotto terra di 
piede in piede, ed alla primavera seguente si cava, 
e si pianta l’uno appresso al)’ altro di ramo con le 
barbe un braccio per lungo e per traverso affin- 
chè si possano bea lavorare d’attorno, e rincal- 
zare ammontando loro la terra addosso per il fred- 
do, scoprendogli poi a primavera ; nè si tocca al- 
tramente fin’ all’ agosto, al qual tempo nel prin- 
cipio sì troncano tutti i rami ben bassi, eccetto 
quello che vorrai propagginare, e secondochè si 
tagliano, si legano in tanti mazzi d’ una bran- 
cata, e condotti all’ aia, e minuzzatine quant'è 
l’ altezza d'un dito, si distendono così tagliuzza- 
ti al sole, rivoltandoli con i rastrelli ogni dì sin- 
chè siano ben seccati. Dipoi si portano nei sac- 
chi per quando gli vuoi vendere a conservarsi 
nei grana], 0 luoghi di palco asciutto e neito; 
e perchè fa così nei mediocri come nei buoni ter- 
reni, e nei leggieri, si può piantare nei più de- 
boli campi della villa, che per altro rendereb- 
bono a fatica, o non molto a legumi o adaltro. 
‘E. perchè conviene con le viti e non con gli al- 
tri arbori, vi si possono ordinare i filari di que- 
ste, e lasciarvi star quelli. Godesi contuttociò, 
che gli sia letamato il terreno, e di quando in 
quando datogliene ; e più d° altro sì rifà il Rusco 
della polvere che si raccoglie per le strade. 

Il Ramno è detto da alcuni paliurus , da al- 
tri leucantha, che inferisce spina bianca. Dio- 
scoride ne pone tre spezie; la prima e terza, sic- 
come attesta il Mattiuolo, è abbondantissima in 
tutta la Toscana, ove si chiamano ambedue vole 
garmente Marruche . Nascono propriamente per le 
siepi, e massime il primo, ilquale adoperano le 
donne a seccare al sole i fichi, infilzandogli nel- 
le sue lunghe spine mentre son freschi. Produce 


9,36 
questo Ramno le spine simili all’acuta Spina, e le 
fronde simili a quelle dell’ olivo tonde e grasset- 
te. Il terzo che è il nero o fosco cresce ( sic- 
come dice Dioscoride ) circa all’ altezza di cin- 
que gomiti, ha le spine più deboli, e produce il 
frutto follicolare sottile e ritondo simile a un fu- 
saidlo , di quelli che adoperano le donne a filare. 
Quello della seconda spezie è più bianco degli 
altri, edin alcun luogo di Toscana s addomanda 
Ceceprete. Tutte le sorte del ramno sitrapian- 
tano con le radici da dove nascono, strappando 
dal suo cespuglio certe frascole che in terra han 
create le barbe. Appiccausi ancora a rami ta- 
gliandone pezzetti, e ficcandogli nella terra ben 
lavorata sopra gli argini delle fosse per far siepe. 
Questi si piantano di primavera a mezzo marzo, 
e prima se sien paesi caldi, avanti cominci a met- 
tere, chè suol farlo avanti assai talora, se è 
dolcore, e molto per tempo. Gon le barbe si tra- 
pianta d° ottobre, e novembre ed anco a marzo. 
1l ramno disecca e digerisce e sana l’ erisipele, 
o resipole. Delle pungenti spine di queste Mar- 
ruche fu fatta la corona di N.$S. e delle cime 
si fa salsa. 
Il Régo, quanto è di schiatta più grossa e 
crescente, tanto più intreccia le siepi, e le for- 
tifica a tarle impenetrabili; il che avviene in 
quanto più grasso terreno egli sia piantato, che 
è di quella sorte ch’ egli desidera, dandone 
manifesto indizio quando vi nasce da per se. Sene 
trova di più razze; alcuno ne è che cresce in 
alto ed ingrossa, avendo il gambo tutto pieno 
di certe spinette corte rattorte sode che penetra= 
no, siccome sì ritrovano nelle sue barbe talora 


certi spugnetti di durezza di pietra». Avviluppa= 


si presto, e s’attortigiia agli arbori, ed a ciò 
che egli trova. Alcun altro ne è che si rutica 
per terra, sottile piccolo $ ma similmente pun» 


23 
gente, ed ambedue arrivando con la punta in A 
ra. nel piegarsi o distendersi rigeneran quivi 
nuova radice e ripullulano nuova pianta; e così va 
seguendo il secondo ed il terzo, non avendo iu- 
toppo che glielo proibisca , e di quì veramente 
si può dire che si sla imparato a far le propag- 
gini delle viti, e di molte altre piante, che di- 
stendendosi per la terra vanno mettendo nuove 
radici come loro. Fa ] uno e l’altro certe mòre 
che mature si mangiano quantunque di poco nu- 
trimento, e di sdolcinato e sciocco sapore elle 
sieno. Queste more mature, che è quando si stac- 
cano dalla madre da per luro, o con poca fati- 
ca, si seminano come si disse de’ Mori a far fol- 
ta siepe nel mese di marzo , e novembre ne’pae- 
si temperati. Piantansi ancora svelti con le ra- 
dici di novembre, e per tutto ’1 verno sin’ a tut= 
to marzo, e le cime tenere di questi mesco!ate 
con l’altre erbe, e con esse peste nel mortaio 
fanno una salsa eccellente. Le corteccie del régo 
fanno gagliarda legatura alle gravate, e sene 
possono intessere forti céste e graticc]j; ed esse 
tengono forte insieme le bugnoje da tever il gra-. 
no ed altre robe. Ancora le vétte de’ réghi stil- 
late a bagnomarìa giovano agli occh) rossi in- 
fiammati. Ritrovansi nei monti di tuttoil distret- 
to di Trento alcuni réghi che portano le mére 
rosse, senza noccioli, chiamate dai paesani Am- 
pomole, simili alle fravole, veramente nell’ esta- 
te al gusto molto aggradevoli. Piacciono agli orsi, 
e però nel tempo ch’elle si maturano, che è da 
mezza l’estate in là, agevolmente vi son giuuti 
dai cacciatori. In Toscana si addomandano A po» 
ni, e le lor mòre strizzate, ed anco intere le- 
gate in un mazzetto si fanno pendìo dal cocchiu- 
me nel Raspato , al quale quell’ agretto che han» 
no da grazioso sapore, e si possono aucora por- 
vi spicciolate fra i granelli dell’ uve, e la quan 


2 


238 

tità per un barile di Raspato sarà assai una dop- 
pia menata, e parimente alla medesima propor- 
zione. Questo rògo per nascer nei monti credeno 
alcuni ch’ egli sia il vero Ré6z0 Idèo, ma non con- 
suona, dice il Mattiuolo, poichè 1° Idèo è così 
detto perchè fa nel solo monte d’ Ida; contutto- 
‘ ciò alcuni affermano altrove ritrovarsene. 

La Romice è di più sorte. Alcuna ha le 
foglie più larghe e lunghe, alcuna più strette 
e corte; ma talora questa differenza nasce dai 
terreni dove le fanno, e dalla qualità del pae- 
se dov” elle nascono. Ne nascon d’ una piccola 
spezie dette Bietoni, alcuni rossigni, ed altri 
verdi, che s’ attribuiscono alla sorte delle Ro- 
mici, ed alcuni tengono che questi sieno di raz- 
za di Bietole, ed hanno il sapore un poco agret- 
to, e si cuocono a foggia di spinaci, ed in mi- 
pestra, non essendo nell’ una maniera, e nell’al- 
tra disgustevoli. Tutte le sorte delle romici so- 
no salvatiche, nè per cultura che lor si faccia 
s° addomesticano; benchè è dismesso seminarle 
negli orti, chè vi nascono da per loro come 
alla campagna. È ancora una sorta di romici 
che fa intorno all’ acque; la razza di queste ha 
le foglie men saporite dell’ altre, le quali cotte 
lesse si mangiano da’ contadini in minestra, e 
sene fanno anco le térte che sono aggradevoli 
per il piccante sapore che hanno. Han le ro- 
mici secondo Galeno la virtù moderatamente dige- 
stiva. — I Ramoracc} sono della medesima fazione, 
ma più grandi, e ne sono dei domestichi che 


sì seminano, e nell’aiuole degli orti vengon be-. 


ne. — Il Reobarbaro reale ha le foglie simili alle 
Romici, ed ha la radice assai più grossa, e le 
sue foglie servono al medesimo che le delle 
Romiei. | 

La Ruta salvatica nasce, si nutrica e cresce 
e mantiene sott' il fico, ed insetandosele tra la 


# 


23 
corteccia con copertura di loto rasente self È 
diverrà d’odor più soave e meno acuta e più 
lieta, fresca, e rigogliosa ch’ altrove seminata 
e piantata; perchè il suo seme nasce per tre 
dì prima macerato nell’ acqua, e poco ricoperto 
in terra grassa, e trita, volta a solatìo. Le sue 
piante s’ assettano di ramo attorto e staccato dal 
tronco con un poco del vecchio. Ama luogo 
volto a mezzogiorno, e vien bene in ogni ter- 
reno che umido non sia, e nel letamato uon fa 
bene, chè l’ odia. Nei lati secchi ancora sì ve- 
de sorgere da per se, e solamente si diletta d’es- 
ser fomentata con la cenere, della quale oltre- 
modo ella si nutrisce. E cavati 1 suoi semi del- 
le sue invoglie a uno per uno, se non sono sco 
perti e netti, sparsi per la campagna, si semi. 
.nano nell’ aie di settembre e d’ottobre, e di 
marzo si traspiantano dove Datta bene il sole in 
luogo asciutto e magro, sebbene ancora ama 
e nun rifugge il grasso, ed allora sele dee por- 
re dimolta cenere attorno, e durando spesse a 
sarchiare sinchè sia gagliarda. E' quantunque si 
trovi in alcuni scritto che ella non nasce di se- 
me, è falso, perchè non ch’altro da quello che 
sotto casca nasce felicemente; e così che ella 
si secchi sbarbata e tenuta scoperta all’aere, 
perchè non patisce, e traspiantata Ss’ appicca. 
Piantasi a marzo di ramo uu poco storto o con 
Ae radici, ma non dee esser tocca con le mani 
che coperte, perchè in altra maniera ella si 
scorteccia, e s'impiaga; e se per ignoranza, e 
per inavvertenza elia si tocchi con la mano ignu- 
da, e che si vegga patire, ed esserlela buccia 
ronchiosa o enfiata, ungavisi con l’ olio e sane- 
rassi. Basta la pianta tempo assai, se a sorte 
non sia tocca da donna ch’ abbia i suoi mestrui, 
che la faccia seccare. Fa bene fra i pezzami 
di mattoni, e fra i calcinaccj, e nei luoghi al- 


240 


tl, di dove ogni umore, e acqua siscoli. E se 


la porrai nell'orto, verrà più bella, adacquata 
con l’acqua salsa marina, o fatta salata con ar- 
te. La pianta nata da seme involto nelle sue 
coperte e chiuso, mascerà più lietamente, e più 
rigogliosa, ed il suo rametto spiccato, e pas- 
sato per mezzo d'una fava bucata, verrà me- 
glio innanzi, e la nutricherà come a ficcarla 
nel bulbo e sotterrarla. E° sciocchezza d° alcuni 
il dire che le bestemmie e le maledicenze det- 
tele in ponendola, la faranno diventare assai 
più rigogliosa e vegnente del solito suo, e 
massimamente in terra di mattoni disfatti e mar- 
citi ove fa bene; come pure che il bassilico an- 
cora e ‘1comino bestemmiato e maladetto ven- 
ga meglio ; e che la stessa ruta rubata o tolta 


di soppiatto faccia più profitto. E si per esser. 
più bella non desidera la Ruta d° essere scava- 


ta per isbarbarsi, ma strappata. Gode dell’ om- 
brìa del fico, e si spaventa, teme, e patisce 
assai per l’ andarvi attorno donna disonesta ed 
impura. Non vorrebbe mai esser tocca con fer- 
ro, e con mano ancora paventa . Si fa delle spal- 
lierette basse che riescon bene , ed anco in un 
vaso di terra cotta fa bel cesto. I pittori e 
scultori mangiano la ruta per assottigliar bene 
la vista. 

Le Radici vogliono ia terra sustanziosa, e 
grassa di sua natura, ed anco ben letaminata 
di letame marcio bene incorporato, ed agevole 
a lavorare, e lavorata bene in dentro nei luo- 
ghi Austrini. Seminansi acconciamente d’ agosto 
per l'inverno, e di marzo per l’ estate . Ma per- 
chè elle vengon presto, e tosto vannosene, nei 
luoghi temperati si posson seminare d'ogni me- 
se per averne tutto l’ anno come della lattuga. 
Credesi che sieno radici femmine quelle che 
hanno le foglie più dell’altre larghe, più de- 


| a 241 
licate e più allegre nel verde, e la barba loro che 
sì mangia è meno forte. Ne sono d’una razza 
che hanno la foglia somigliante a quella della 
ruchetta, ed il suo cesto si ficca e si schiaccia 
ben serrato e folto in terra, e ha la barba più 
forte assai di tutte 1’ altre, come le Radici ne- 
re, e bianche, le quali fanno corpo sotto terra 
come la rapa, ma non tanto grosso; di queste 
convien mutare il seme ogni anno , procacciando- 
lo di quel paese dove naturalmente elle fanno, 
come di Genova, Napoli, e Roma. Sono delle 
radici ordinarie due sorte di semente, una sta» 
tereccia, e l’altra d’ inverno, che l’ une non 
fanno bene scambiate nel tempo dell’ altre ; im- 
perciò si deono seminare ai tempi loro. La se- 
menta delle radici statereccie Sanesi passa tutte 
l’ altre di bontà, luoghezza, e tenerezza e bian- 
chezza. Desiderano queste il terreno renischio 
facile e ben fondato, volto al sole, ed aprico. 
Altri dicono che le radici annoiano il letame, 
e solo amano la paglia. Gome si sia, bramano 
il terreno vangato a dentro, e per questo è be- 
ne dare una zappata, e una vangata. Quan 
do le radici han preso un certo aumento, biso- 
sna ammontar loro la terra intorno perchè se 
elle sopraccresceranno al terreno, quella par- 
te che ne resterà fuori, sarà dura e fungosa. 
Per questa cagione sono da esser seminate ra. 
de per poter attenderle di quella maniera. E 
ancora una sorta di radici scarlattine di colore 
tanto vermiglio, che rassembrano il chermisiy 
quanto al rimanente sono della fazione dell’ al- 
tre. Plinio scrive averne viste in Alemagna al- 
la grandezza di un bambino in fasce. Seminan- 
si come s'è detto, due volte l’anno; per ser- 
virsene a primavera, di febbraio e marzo a lu- 
na scema perchè non sene vadano in rigoglio 
di foglie; e vorrieno esser into lontane l’u- 
1 


242 De 
na dall’ altra quattro diti per la causa di poter 
rincalzarle, e nate sarchiarle, e nettarle bene 
dalle cattive erbe, e d’agosto per averle più 
presto, e questa sementa è meglio nei luoghi 
freddi. Quelle che si seminano dal solstizio in 
la, siccome tutte 1’ altre erbe, non fanno seme . 
Il lor solito è nascere in tre o cinque giorni. 
Nei luoghi caldi Austrini, e nei tempi sereni 
più tosto fanno il gambo e il seme. Le foglie 
s' hanno a calcare e pestare perchè la barba 
cresca loro, altrimenti sene vanno in foglie, in 
queste mandando il suo augumento, e non nel 
le barbe, le quali si disfanno, scrive Ersa. 
E quanto più le radici hanno le foglie delica- 
te e leggiere, tanto sarà più gentile e tenera 
la sua barba. Il freddo ancora le aiuta inte- 
nerìr la radicee avendole ricoperte col terreno, 
nel seguente anno scoperte rigermineranno, per- 
chè così acconcie posson crescere, e durare fin 
all’estate. Fanno le radici la lor sementa nei 
baccelletti tondi in guisa di cornetto, i quali 
col sale son buoni a mangiare, e conditi triti 
in insalata. Sarà più dolce la lor barba avendo- 
ne macerato il seme prima che sì semini, nella 
sapa, 0 nell’uve secche pestate; ed adacquan- 
dole con )’ acqua salata si leverà lor l’ amarez- 
za; le addolcisce ancora il freddo come la rapa, 
e per questo posson servire essendo cotte. Le radici 
da principio impediscono la digestione, siccome a 
digiuno eccitano il vomito, ma però mangiate dopo 
pasto aiutano a digerire facendo per la loro gra- 


vezza avrallare il cibo nello stomaco 3 sono ven-° 


tose e dure a digerire. Puossi al fine dell’ estate 
tagliar Joro le foglie, e ricoprirle di terra per 
iscoprirle ad ogni tempo che altri voglia ser- 
virsene, ma diventerà così talora la barba le- 
gnosa. Il letame le fa spugnose e bruciolenti. 
Le robiglie si deono seminare fra loro perchè 


2/3 
non facciano farfallini come talora sogliono ge» 
nerare. Si fanno tenere e saporite dove è neb- 
bia e umidità, e per questo divengono eccel- 
leuti nelle rive dei fiumi, e intorno a dove è 
loto, ed in quei luoghi dove i fiumi han lascia» 
ta la belletta d’ inverno , e in tutti i terreni a- 
renosi, e in ogni sorta d’ arena che abbia un 
poco di sostanza. Quantunque fossero Je radici 
oltre a modo forti, si mitigheranno e s° addolci» 
ranno avendole tenute per un dì ed una notte 
in acqua melata, o veramente nel latte, o con 
sugo dell’ uve passerine di Corinto ‘ Quelle che 
si seminan verso l’ inverno, si seminano nelle 
prode degli orti volte a solatìo, e siano da prin- 
cipio ricoperte, e difese dal letame crudo, sen- 
do sparso lor sopra, e tenutovi tanto che sieno 
fatte grandicelle. Se non riescono seminate ra- 
de, quando son nate si diradino , e ben sotto si 
getti il seme. Se farai un buco in terra con 
piuolo grosso, ed in quello ripieno di terriccio 
porrai all’ autunno un seme di radice rinvolto 
in terra disfatta con letame ben marcio, coprene 
dolo bene con paglia e terra si conserverà dal 
freddo, e la radice durerà grossa quanto sia la 
forina del f6ro fatto col piuolo. Quelle che tu 
vuoi serbare per seme, dei traspiantarle, e sas 
ran migliori all'autunno. La miglior sementa 
di tutte è di quel seme che si semina alla. pri- 
mavera. Neon si deono setninar le radici at 
torno alle viti, perchè son loro nemiche, sfrut- 
tando troppo e consumando il terreno. — I Ras 
vanelli sono spezie di quelle Radici nere che 
si disse di sopra, ma non gonfiano sotto come 
le Rape; come quelle sono sottili, e lunghi co- 
me l’ altre, e così questi come quelle mutan sa: 
pere secondo la qualità de’ terreni, ed in mon= 
te sempre sono più forti l une e l’ altre che non 
in piano; e così nei terreni aspri che non nei 


244 

gentili3 ne’ terreni sassosi fanno torti, ma più 
saporosi. —. I Ramoraccj sono propriamente le 
Radici salvatiche, che sene vanno in foglie ben 
serrate ed appiastrate in terra senza far molto 
grano barba, ma questeson più saporite e. più 
pungenti, e forti delle. domestiche. Seminanle 
alcuni negli orti per ammansarle, ma poco rie- 
sce. Nascono vicino alle strade, o nei campi 
sodi, o che sieno di fresco lavorati. Sono fre- 
quentissime nelle campagne e largure di Sici- 
lia. — Le Ravestine sono le Radici salvatiche 
naturali che ancor esse hanno le foglie fiite in 
terra schiacciate e regolari, e si trovano sparse 
per i campi; sono più acute di sapore, e più 


piccole dell’ altre, e seminate nel domestico ac- 


quistano morbidezza diventando più dolci e gen- 
tili. 

Il Rafano Tedesco ba le foglie grandi come 
le Romici, un poco più delicate , più sottili e 
più appuntate. Vuol terreno divelto, e si pian- 
ta di primavera ed all’ottobre; e piantasi di 
questa maniera : Pigliasi la testa del rafano con le 
sue messe, e ciascheduna messa si taglia per di- 
ritto con il rafano, ed è assai che vi siano due 
o tre diti con esse di rafano; così spartito 10 cin- 
que o sei parti ogni capo di rafano ciaschedun, 
pezzetto si ricuopre con la terra tanto, che ap- 


parisca una menoma vetta d’ esso, la quale di 


sopra forma le foglie, e di sotto la radice in- 
tera, e di questa maniera si vien perpetuando la 
razza sua, È il rafanodi putentissimo acuto pun- 
gente e piccante sapore, che mordica la lingua, 
e sralda a meraviglia il palato, e lo stomaro . 
Questa radice grattugiata mivuta si cuoce nei bro- 
di, edà grazioso sapore, ed in qua ui. que modo 
cotta con la carne sele affa, e cruda mangiata 
dopo pasto con sale aiuta !a digestione. Questo 
rafano tagliato in pezzi e piantato ancora senza il 


249 
verde o messa della sua corona dà fuori del tere 
reno a far nuova pianta, e rimette, ma meglio 
è tagliarlo con una parte della sua ceppaia. Il 
rimanente della sua radice è quello che s° adope- 
ra agli usi che occorrono , perciocchè il suo sugo 
fà ancor buona senza senapa ]’ acconciatura del- 
la mostarda, e seccata la radice all’ ombra, e 
poi grattugiata minuta si mescola con la carne 
grossa e dè buon gusto. 

Il Raperonzoio, o Rapa selvaggia è erba 
di foglia stretta e nuda, aguzza in punta, ed ha 
i piccioli fusti con più cantoni. Il fiore è azzur- 
ro simile a quello dell’ erba liquida, e ne prudu- 
ce in maggior numero. Fa una radicetta sotto 
terra piccola, e le foglie e questa di per se ed 
in compagnia d’ altre erbe fanno un insalata sa- 
porita , e delicatissima; e così le foglie intere co- 
me le minuzzate hanno gratissimo sapore condite 
similmente con olio aceto e sale. Scuopronsi lun- 
go iciglioni delle strade maestre , e de tragetti, 
e viali, e nelle grotte de’ campi, ed intornoagli 
argini delle lor fosse, e duran da primavera a 
tutta l'estate. Traspiantasi nel domestico con la 
sua piòta, e campa governato e procurato con 
diligenza come |’ altr’ erbe degli oirtì agli altri 
anni. Ancora si può osservare quando si conosce 
fiorito il suo seme, e quaudo è se:co si tiene 
per fatto , e può seminarsi come il seme del prez- 
zemolo nell’ aidle degli orti, e manter:assi nato 
il medesimo tempo ; poi perse le fogiie, gli ver- 
ra sotto la radice per risorgere a primavera co- 
me fa quando è nato alla foresta, che si perde 
di fuori, e sotto vive con le radici per a tem- 
po nuovo. | | 
© Le Rape Bergamasche sono come i Navoni 
lunghe, e grosse e diritte, rosseggianti per lo 
più dal capo, massimamente quando da quella 
parte o rimangono scoperte, o son cresciute se- 


216 
pra il terreno. Rosseggiano ancora sotto terra al- 
cune sorte di esse, ma per Jo più son bianche 
lattate. Desiderano terra fondata sottile e divel= 
ta ben sotto, cioè lavorata a due puntate di vane 
ga, ed ancora nelterreno che sia di natura gras- 
so, ma non letamato (che questo le fa fungose ) 
vengono bevissimo. Nella terra ove sg averà a« 
seminar le Rape Bergamasche, avendo seminato 
prima lupini nel tempo di primavera, e poi a 
lugiio ( nel qual tempo è ben seminarie, giusta 
ia sentenza del proverbio: chi vuole il buon ra- 
puglio lo semini di luglio ) vangande lor sotto 
faranno bovissima pruova, siccome nei terreni 
renischj saranno più saporite. Queste sorte di 
fape si accostumano per tutta }a Lombardia ove 
so:0 in pregio più di tutte I’ altre, avendo opi- 
nione che queste sieno di grandissimo nutrimen- 
to, ed oltre a modo aumentative del seme ge= 
nitale per far poi razza d’ uomini di gran faftez- 
ze, e di più che ordinaria statura. Seno ottime con 
la carne, e per insalata nel forno. La rapa si 
tieue che sia femmina quella che sotto terra si 
dilata e distende in larghezza, più delicata, più 
gentile e più piana, e maschio quella ehe sì fa 
ampia in retondo. Diviene lì una dell’altra spe- 
zie per il mode del seminarle, perciocchè fitte 
e fonde, e nella terra che sia aspra cattiva e dif- 
ficile diventan maschj. ll seme delle rape è te- 
nuto migliore, quanto più egli sia minuto e sot- 
tile; e seminato neî luoghitiepidi tallisce presto, 
nei freddi si conserva, e diventa più dolce di sa- 
pore, e migliore e maggiore ; che così fanno 
tutte le semente che fan gran radici, e che per- 
don la foglia 1° inverno. Desideran terra grassa 
e sustanziosa ed umida, della sorte di quella che 
è amata dal panico , e dal miglio, e dove venga 
assai nebbia e brinata- Vogliono campagua aperta, 
o vallata che nen abbia occupazione di altr 


247 
arbori 0 ombre. Si dee tenere il seme in mol- 
le per un dì ed una notte in acqua melata, © 
in latte perchè riescan poi le rape più sapo- 
rite, più dolci e migliori; e sì difenderanno, 
nè saranno rése dai bruchi, che sogliono mol» 
te volte assaltare le lor tenere foglie, se quan 
do s' hanno a seminare si mescoleranno in semi- 
nandole con la fuliggine, o veramente se si sa- 
rà tenuto il seme per un dì e per una notte a 
macerare nel succhio del Semprevivo maggiore. 
Durano le rape nel suo terreno, e poi colte ap- 
passite, sin a un’altra raccolta, e bastano as- 
sal riposte in cantina. Chi le semina di estate, 
guardi che per cagion del secco i bruchi o fare 
fallini non divorino le lor novelle e fresche mes» 
se; la qual cosa sì fuggirà se la polvere, o fi» 
liggine che si ritrova nelle stanze e nel cammi» 
no si raccoglierà , e dipoi un dì innanzi che si 
abbia a seminare si stemperi con l’acqua, e 
quivi per una notte intera sì tenga il seme a 
inzuppare in quell'acqua, esi semineranno |’ al- 
tro giorno a modo. Scrivono erroneamente gli 
antichi che a voler ch’elle vengano perfette be+ 
ne, è di mestiero che chi le semina stia ignudo 
a seminarle, pregando che belle riescano per 
se e peri vicini. Affermano i Greci che il se- 
me delle rape seminato, che abbia tre anni, 
creerà cavoli, e così questi per contrario . Se- 
minanle alcuni innanzi Calen di marzo in terra 
buona, che sia cinque volte con l’aritro riauda- 
ta, per servirsene nell’ estate. Si dee gettare il 
seme in terra fra la paglia trita perchè vengan 
più belle. Seminansi di primavera nei luoghi 
caldi ed umidi, nei freddi di maggio, ed ua 
poco innanzi dove sia comudo di poter adacqua- 
re, 0 che siavo terreni umidi, ed anco ii que- 
sti nel solstizio, o un poco innanzi 0 poeo do- 
po ; e nei luoghi assai freddi, dove sia temen- 


2/8 
za che la seminata dell’ autunno si perda per il 
freddo del verno vicino, si cnoprono con paglia 
e strame assai, disteso sopra canne. Così si di- 
fendono ancor tenere dalle brinate, che fatte 
adulte non le temono, anzi diventan più dolci 
e tenere nei gran freddi. Di luglio però con- 


viene aver la terra preparata, ed al primo rab- 


bruscare dell’ aere quando sì conosce che sia inu- 
midito il cielo, s' hanno a seminare , ricopren- 
do il seme a modo col rastrello o marra, anzi 
che nò. poco messo sotto. E si può attendere 
la stagion comoda sin alli dieci, 0 quindici d’a- 
gosto a luna crescente in terreno benissimo la. 
verato minuto, e concimato di letame marcio, 
avendo ben tritato tutto con l’erpice; seminan- 
sì rade, e se riescono troppo fonde, si diradi- 
no, ed in questo modo renderanno più frutto, 
e vi si potrà dipoi sementare il frumento, per- 
chè preparano il terreno levitandolo e ficendolo 
soffice rimanere, ingrassandolo assai, massima- 
mente se dopo ch’ elle son cresciute, e fatte 
grosse sari ben con esse quella terra, perchè 
si marciscano a farla grassa. Quest’ usanza è di 
Lombardia, e può fare e farà bene per tutto. 
Se si ficcia un gran pertuso con una grossa stan- 
ga quanto vada ingiù la terra lavorata, poi si 
riempia di buon terriccio, e vi si getti la se- 
menta delle rape due o tre granelli ( lasciandovene 
poi un solo ) diventeranno le rape grossissime in- 
grossando dai fianchi. Si può anco gettare il seme 
delle rape tra i solchi del panico e del miglio per- 
chè levato quello visi accomodano acconciamente. 
Dopochè sia battuto il grano raccogliendo quel- 
le paglie trite dell’aia e spargendoie sopra le 
rape, farà lor bene ad aiutarle ingrossare, ed il 
parar Joro il caldo del sole. Le rape, delle quali 
si desidera di serbare il seme, che hanno a es- 
sere le più badiali e paffute, s’ hanno del mese 


249 
d’ ottobre a levare con tutta la terra che haano 


d’ attorno, e trasporre in buoni inoghi, e ben Ja- 
vorati sotto, avendo lor prima levate tutte le fo- 
glie, e produrranno ottima sementa la vesnente. 
estate. Igino si pensa che doppo la battitura 
giacendo ancora le paglie nell’aia, seminando 
fra le paglie le rape in sul suolo duro abbiano a 
far maggior capi, non comportando il terreno 
sodo che vada a fondo la sua radice, ecosì at- 
tenda a ingrossare il capo. Scrive Golumella 
d'aver provato ciò e non gli essere riescito, ed 
esser assai meglio ricoprire il seme nel ben la- 
vorato e buon terreno, mel quale afferma Plinio 
averne vedute di quaranta libbre, ed il Mattioio 
di trenta nella valle Anania, e scrive in Savoia 
esserne di più di cento libbre; ma queste così 
grosse riescono stoppose e spugnose dentro il più 
delle volte, a tal che più salde sono , e tutte uni- 
te dentro sole quelle di ragionevol peso , sin’ in 
sette o otto libbre , ed anco quelle che di men peso 
sieno , riusciranno migliori. È cosa certa che del. 
le schiacciate e delle più rotonde, come ancora 
de Navoni lunghi, le più piccole sono le più sa- 
porose, e grate. Le rape sono di tre colori: al- 
cune rosse, e per lo più la parte sola che so- 
pra terra resta e cresce, e l’altra che va sotto 
bianca; alcune sotto e sopra son tutte bianche, 
ed alcune per tutto di color giallo, e queste sono 
le più delicate e gentili, e v'è a Genova ed a 
Napoli ottimo seme, ma non diventano mai così 
grosse come l’altre che son bianche, il seme 
delle quali è migliore quello che si cava dei luo- 
ghi di vallate o di piè de’ monti vicino all’Alpi, 
nel mezzo delle quali fanno talora grossissime. 
Le rape si conservano o sotterrate in luogo asciut- 
to, o ammontate con la sua terra; le minori si 
mavtengon meglio lavate e nette bene fra la re- 
na ricoperte affatto. Ancora durano insino all'al- 


32 


250 

tre con la lor terra attorno, e poi appassite, e 
domate con ]° acrimonia della senapa massima- 
mente disfatta in aceto, e con la conditura ac- 
concie che si disse de’ ravoni. Le rape mangiate 
non lasciano ( ancorachè in poca quantità ) sen- 
tir la fame; e le lor foglie affettate con esse, ed 
intrise con la crusca ingrassano mirabilmente, e 
presto i buoi, vacche, e vitelli. Cotte sotto la 
brace, e nel forno , e dipoi tagliate monde in 
pezzi minuti, e condite con olio sale e aceto son 
grato cibo. Ancor grattugiate, e spremutane 
con mano l’acqua che fanno, e cotte con me- 
scolarvi cacio ed uova, o veramente con lar- 
do, son buon mangiare, come .cotte nel lardo 
solo, tagliate in pezzi come le cipolle, e cotte 
nel brodo della carne lesse, similmente s° abbo- 
niscono ; ed anco si mangiano cotte con sale, ma 
migliori sono ben cotte, e cotte ben due volte 
nell’acqua, ed in tutti i modi generano umori 
grossi. Sono ventose e nuocono allo stomaco 
qualche volta, dando dentro certe fitte, e pun- 
ture. Conservansi per tutto 1° anno nella sempli- 
ce salamoia, aggiuntovi aceto. Le salvatiche, 
scrive Possidonio che frequentemente nascono in 
Dalmazia. Quando si voglian mangiar crude, a 
detta di Galeno si dee mangiar la parte che si tro- 
va sopra la terra scoperta di fuori, che è più te» 
nera e delicata, ed al dente più trattabile ; i° al- 
tra di sotto 1 contrario. Le rape arrostite e pe- 
ste con sugna, ed appiastrate al luogo affetto da 
dolor di giunture, sono di gran giovamento, 
come peste con sale a tutti i malori de’ piedi. 
Democrito sbandì le rape, prima perchè creano 
grossi umori, e perchè danneggiano fuor di modo 
il fegato magagnato. Il seme loro beuto vale con- 
tro alle serpi, e mangiato aumenta lo sperma. 
Scrivono alcuni, che le rape riscaldano nel se- 
condo grado , ed umettano nel primo. 


251 

Il Ripo sativo, o Rapaccio che s° abbia a 
dire, è spezie, e da rapa deriva, così salvati» 
co come domestico , la cui radice va lunga e di- 
riltta all’ingiù come quella del rafano, con la 
foglia ruvida e scabrosa com'’all’ altre sorte , ma 
con il gambo che mette assai rami a cannelli, e 
la cima piena del suo frutto. La sua barba è inu- 
tile, ma solo si semina per raccogiier la semen- 
ta, della quale si cava dell’ olio per servigio 
della cucina de’ poveri, ed alle lucerne, massi- 
mamente in Germania, la quale peri gran fred- 
di che vi sono manca d'olio, edin quella vece 
siserve di quello, edi contadini ne fanno grand'in- 
cetta, e ne traggono grande utilità. Nei paesi 
caldi non s' accostuma questa sementa, perchè vi 
fanno gli ulivi, e sene servono solo per dar da 
beccare agli ucceili di canto. Seminasi nel fine 
d'agosto, o al principio di settembre, ed ancora 
di marzo si semina tra 1 semi dell’ estale, ma 
«non con tanto profitto. Ama terren grosso, 0 
grasso, o letamato, ben lavorato , e tre volte 
ritocco con l’aratro. Seminasi radissimo, e per 
esser seme minutissimo, non si gelta giù a piena 
mano, ma con tre diti soli. Fiorisce di marzo, o 
prima secondo la temperatura del cielo. Ha il 
fiore di color di léto, e di suavissimo odore, alle 
pecchie grato, e come è sfiorito , allora è ma- 
turo; fa il seme in baccelletti, e s° alza due go- 
miti, ed uno staio di seme ne fa cento. Fra le 
prime mietiture è quella del seme rapaccio; e per- 
chè quando i baccelletti cominciano a ingialli- 
re, è segno d'esser maturo , tosto è da mietere 
perchè agevolmente uscendo, a terra casca. E 
fa bene porvi sotto un lenzuolo, scotendovel so* 
pra; portasi nel granaio con esso, perchè sopra 
i carri non caschi giù; e perchè la pioggia gli 
nuoce , convieo prevenirla. Il Gran- faggino fa 
bene dove sia stato il rapaccio . 


252 

Il Rosmarino , spezie di Libanoto, nasce 
naturalmente in terre calde o. temperate, e se 
elle sieno oltremodo fredde, convien porlo in sito 
ch’ egli stia a solatìo, e riparato dai venti. V? è 
ancora chi fa attorno alla pianta una capanna 
di scope impiastrate di stegco cavallino, e così 
lo difende dal freddo; altri per assicurarsene 
più , lo piantano in vasi, che d° inverno metto- 


no al coperto, ed in lato chiuso, cavandogli. 


poi fuori di primavera, e avvertendo che non dia 
loto addosso il sole di marzo, a poco a poco 
scoprendolo all’ aere, e ponendolo prima all’ om- 
brìa che al sole aperto; ma di sua natura fugge 
i luoghi ombrosi, eccettochè dove egli fa a sel- 
ve, come per tutto°l1 paese di Narbona. Vien 
bene in terreni leggeri sterili e secchi, nel tufo 
istesso s’ attacca, e nei muri fattia secco, ed al- 
ligna in quelli di calcina, e, soprattutto nelle 
coste e rive del mare volle al sole, onde è Ru- 
smarino detto. Contuttociò viene in tutti i ter- 
reni, purchè non siano nè troppo umidi, nè fan- 
gosi. Il tempo del piantarlo è i ciaque dì iu- 
naozi ch'e’ si conosce che è per mettere. Deon- 


sì scegliere ramucelli piccoli, o punte lunghe 


un mezzo braccio delle più fresche che abbia la 
pianta grande, giovine e non vecchiereccia, € 
sia quando ha de’ fiori, sendo opinione che pian» 
tandolo con i fiori, sempre sia per farne, ed essendo 
senza, non ne faccia pei più, benchè ne è dello 
sterile, e del fruttuoso. Fiorisce due volte l’anno, 
di primavera , e d autunno. Nel sommo de’rami 
fa certe bocciette piene di seme bianco e roton- 


do, il quale masticandosi cuoce la lingua. Evvi 


un'altra spezie in ogni cosa simile a questo } che 
produce il seme largo che non pugce nel gustarlo. 
Quello ha la radice bianca d’odor d’inceaso, 
questo ha la barba di fuori nera, e dentro 
bianca. Ma quella specie comecchè ella sla si- 


253 
mile alle predette, non produce nè frutto nè 
fiori, nè seme, e nasce per lo più in luoghi sas- 
sosi ed aspri. I fiori son tenuti cordiali, 
massimamente conditi con zucchero in conserva ; 
ed ancora colti netti e in insalata mangiati gio- 
vano, e confortan lo stomaco, rendendo al fiato 
buon odore ; contuttociò lo Strada, medico de’no- 
stri tempì di grande esperienza e nome usava di 
dire, che mangiati in insalata generavan la renel- 
la, e la pietra, e che erano io tutto contrarie a 
questo malore le foglie dei Ramerino colte con 
diligenza senza il Jegno, e peste nel mortaio in 

buona quantità minutamente, e fatte bollire nell°o- 
 liosì che vi galleggino ; ed intrisone e rimenatone 
bene la pasta, sene fa pane che è molto guste- 
vole, ed ha valore di riscaldar lo stomaco man- 
giato innanzi, e solo bevendovi sopra Greco. Al- 
tri abbrùstolano le foglie fra due teglie roven- 
ti, o nel forno caldo, dipoi le pestauo, e con 
olio fan pane. Le cime tenere cotte fra i cecì 
accrescono lor grazia, come nel marinare i pesci; 
e quasi si dicono a tutte le civaie , ed alla fava 
infranta. Nell’ àrista, ed in tutte le cose ar- 
rosto che grasse sieno, ed in insalata le sue ci- 
mette tenere ed in poca quautità mescolate con 
1 tenerumi del cedro non fanno male. Si può 
ancora del mese d° ottobre porre il Ramerino, 
ed al fin di marzo, avendo ben vangato, e tri» 
tato il terreno dove ha a stare con ramicelli e 
piante delle più fresche, giovini, e piccole at- 
torte dal mezzo in giù, e tanto mettendo sotto 
col piuolo ( che sia di legno sodo come scopa 0 
di ferro voto) stringerdogli con esso bene la 
terra attorno, che apparisca fuor solamente due 
O tre diti della cima. Si possuno ancora tra- 
piantare i cesti interi del salvatico con le bar- 
be all’ ottobre, e se vada seccore, adacquarlo 
tanto che s’ appigli. Ancora cogliendosi la se- 


254 

menta del rosmarino di quella sorta che fa quan- 
do è matura, prima che sia di giugno o un po’ 
prima, ed asciutta al sole, si semini nell' aiuole 
minutatavi bene la terra, e crivellata, e nasce- 
rà, coll’aiuto dell’ annaffiare per esser poi tra- 
spiantato a ottobre o navembre, e si dee se- 
minarue assai, perchè faccia de’ fori alle pec- 
chie con egual profitto del fior de’ Susini, e ciò 
si può fare di settembre e di primavera, Fa di 
bisogno scaizar bene la terra attorno a questa 
pianta quando è piccola, nè si cura di letame; 
contuttociò il marciv postole al piede sarà ca- 
gione di farla crescere assai; ma meglio è dar- 
le intorno al calcio del terreno grasso, e su- 
stanzioso. Il ramerino è ottimo per le spalliere, 
ma convien rinnovarle e ripiantarle ogni cinque 
o sette anni secondo i terreni. E obbedientis- 
simo alle forbici, e segli può dare, come alla 
mortella di Spagna , quella forma che altri vuo- 
le, e mantenerla con lo studio. ed artifizio 
delle medesime forbici. E volendo le piante per 
lasciar crescere, si pongano in sul divelto lonta- 
ne luna dall’altra tre braccia, e non si toc- 
chino con ferro perchè sene sdegnano. La pian- 
ta del ramerino in dieci 0 dodici anni invecchia, 
e convien rinnovarla; il suo legno secco rende 
la fiamma del fuoco chiara, e di se stesso buon 
odore. 

Il Rovaiotto ( Besi s’addomanda a Vine- 
gia ) nei paesi caldi si semiva nell’ aie ben 
lavorate e tritate minute sotto e sopra con la 
vanga, anzichè con la zappa, del mese d’ otto- 
bre e di novembre; di gennaio e di febbraio 
nei paesi temp: rati, e di febbraio, e di marzo 
nei freddi, in luozo aperto, e che non venga 
da alcuna parte occupato dall’ombra. E di pri- 
mavera tuttavia si semina acconciamente in ter. 
reno agevole a lavorare e molto sciolto a so, 


255 
latìo. Genera de’ vermi in se medesimo, e ne 
patisce ; imperciò si ha a seminare a luna cre- 
scente perchè nasca a scema, ed in luogo di 
terreno asciutto. Si pianta ancora cominciando 
a mezzo febbraio, e poi ogni quindici dì per 
averne di mese in mese del verde; si secca al 
sole per conservarsi e mangiarsi nel dì quadra» 
gesimali, che è cibo delicato e buono. 

Il Radicchio vien meglio traspiantato che 
dal suo seme, tanto il salvatico che si trova 
alla campagna, e nelle grotte e ciglioni de’ cam- 
pi, quanto il domestico. Seminasi in terra mol- 
to sciolta ed umida grassa e putrida, profonda- 
mente lavorata e sotto minuzzata bene e strito- 
lata perchè non faccia la barba ronchiosa, ma li- 
scia e delicata; e così acconcia la terra, segli 
destinano le sue aiuole, e di febbraio e di mar- 
zO Vi sì getta il suo seme piuttosto in sito pia- 
no che in pendente o monte, perchè uon ri- 
mangano le radici dalla terra abbandonate o ignu- 
de. E perchè sopporta ilverno agevolmente, nei 
paesi freddi si può seminare nell’ autunno io la- 
to a solatìo. E se talora lo strigne il freddo, 
sì può coprire con paglia o sagginali, e da quel- 
lo si difenderà. Trapiantasi in terreno vangato 
a due puntate quando è di quattro foglie, lon- 
tana l'una dall’altra pianta quattro diti, per 
servirsi delle barbe che cotte e condite con olio 
ed agro di limone ed anco aceto, sono molto gu- 
stevoli ed appetitose, massimamente cavando il 
duro ch’elle si ritrovano dentro. Concimando di 
letame fradicio, faran Je radici più dolci, e più 
belle le foglie , le quali ancor esse trite mivu- 
ie con aceto, ove sia stato dentro dell’ aglio 
pesto ( ponendovi qualche foglia di nipitella ) 
si fan gratissime aggiuntovi l’olio in insalata. 
Il radicchio che ha a servire per il verno si se- 
mina di settembre e d'ottobre, e si traspune 


256 
nel principio di novembre, e crescicto di foglie 
si legano, e segli pone in capo uva pentola ro- 
vesciata a farlo bianco, ed alcuni legatogli 
le foglie le ricuoprono di terra, e lasciano 
star tauto che imbianchino; così avverrà se 
tagliate a corona le radici per cuocere, la- 
sciando due o tre diti soli della barba con 
le sue foglie, si sotterrerà tutto nella ter- 
ra o paglia, o si coprirà d’arena, e saranno le 
foglie dolci e delicate, come sbarbandolo affat- 
to; e ponendolo in cantina piantato nell’arena, 
e ricoperto di sopra, avendogli prima tagliate 
tutte le foglie, le rimetterà quivi senz'altro tut- 
te bianche lattite delicate e sottili; e ritagliato 
in quel lato di nuovo , e da capo ricoperto, f1- 
rà il medesimo, e le radici saranno similmen- 
te. bianche, e rasciugheranno la lor cortec- 
cia, e si deono ( volendo mangiarle ) porre a fuo: 
co con l’acqua fredda. Se le porrai in terreno 
che si stritoli e si sfarini sin’ in fondo, diven- 
teranno morbide e pastose, come si veggono es- 
sere in Genova; ed ancora farà bene il procacciar 
di quel seme. E perchè il radicchio non talli- 
sca, quando si pensa che sia vicino a poter far- 
lo, segli pougasopra una pietra, 0 coccio, o la- 
stra, che lo terrà a segno, e lo fara allargare. 
Si vede ancora che imbiancano di lor natura vei 
campi arencsi dove nascono da per loro, e nel- 
le costiere e monti lavorati con |’ aratro, se re- 
stano in qualche maniera così mezzi dal terreno 
ricoperti, e talora scoprendo la sola cima, chè 
così si ritrovano le sue foglie del tutto imbian- 
cate. Sono i radicchj di due maniere; di foglia 
stretta e di foglia più larga, e più lunga, e di 
questa fatta è quello che addomandano Radicchio 
Romano, men'attoa imbiancare, e di barba as- 
sai minuta; altri lo dicono Ascaruola, ma Asca- 
ruola molti chiamano 1’ Invidia, Le messe del 


25 
radicchio sono dette dai Romani mazzocchj; pio” 
ria domandano essi il radicchio, la quale è di 
due sorte, domestica. e salvatica; questa ha le 
foglie più strette, quella più larghe; le messe 
d’ ambedue son buone cotte e crude, e condite 
a usanza d’insalata son grate al gusto, e crude 
tutte minute; e così tenere avanti che faccia- 
no il fiore con le sue foglie, poste in un vaso 
di terra cotta invetriato s' insalano, e di lì a tre 
dì con quella salamoia che han resa si lavano, 
e spremute sì distendono in su’ graticcj tanto- 
chè suzzino, e messo sotto nel fondo del vaso 
degli anici secchi, e del finocchio simile, vi 
sì pongon sopra i mazzetti del radicchio, e nel 
brodo ch° egli averà accettato si cacci due parti 
d’ aceto, ed una di salamoia, aggravandoli con 
una lastra acciocchè quelle messe stien sempre 
ricoperte. Vi sì mette assa! finocchio acciaccato 
secco, ed asciugandosi quell’ intinto vi si rimet- 
ta di nuovo perchè non ne restassino in secco. 
Dipoi conditi con olio ed agro di limone, sco- 
latane ben la salamoia, s' adoperano, e mangia- 
no ai bisogni. Del radicchio comporta meglio 
il verno quello che ha la foglia stretta, e che 
sì coglie per i campi, che non quel domestico 
che ‘si semina negli orti; e l'uno e l’altro la- 
sciato dove sia coperto di sabbia o ghiaia s' im- 
bianca più che non queil’ altra sopraddetta ma- 
nifattura, e massimamente gettandovi sopra di 
quand’ in quando dell’ acqua, non piovendo. E 
quando si pianta è bene imbrattar la sua barba 
con bovina macera. Il radicchio che di giugno 
si semina, fa il seme buono, ed ancora di lu- 
glio, dipoi non fa più seme, ed il seme sene 
cava tenendo in molle quattro o cinque dì i 
gambi che |’ hanno; poi rasciutto battendolo n’e- 
sce, e si conserva al bisogno di seminare, Avea- 


do il radicchio mandate fuori le foglie, segli 
33 


258 
legano leggermente, avendole ristrette iu giro, 
ed in vaso di terra cotta si ripongono, che tut- 
tavia gli stia attaccato, col quale piglino nutri- 
mento dalla radice. Di questa maniera acqui- 
stano una candidezza, e teneritudine grande, e 
si spoglian della maggior parte dell’ amarezza. 
I fiori del radicchio colti con diligenza e senza 
ii bottone in che son commessi, e netti bene, 
che non vi resti invoglia di sua veste, da. per. 
loro fanno un’insalata molto gustevole, ed han- 
no virtù lenitiva, e molto allo stomaco aggra- 
devo!e — Il Radicchio che s’ addomanda Roma- 
no è quello che ha le foglie più larghe e più 
lunghe di tutti gli altri, e non punto addentel- 
late, ed a mangiare è il più dolce di tutti, ed 
il più tenero al dente. Questo come gli altri 
per averne d’ogni tempo, siccome si fa della 
lattuga e delle radici, nei luoghi tiepidi sì può 
d’ ogni mese seminare, e se accaggia qualche 
nodo di vento ritroso, o di freddo straordina» 
rio, si può e dee ricoprir con la paglia, ovve- 
ro quando è nato di quattro foglie, si traspian- 
ta discosto l’una piaota da!l’altra quattro diti, 
covertando la terra in quei mezzi di letame cru- 
do di cavallo, mesticato con men paglia che 
sia possibile. Legasi questo e sotterrasi come 
l’ invidia, e diventa bianco; benchè nou aven- 
do in se amarezza si può mangiar verde. Tut- 
to il radicchio tagliato rasente terra. quando. è 
cresciuto ed ancortenero rimette più d’ una vol- 
ta, massimimente l’ estate, annaffiandolo ab- 
bondantissimameute. 

Il Rosaio, cioè il frutice che fa le rose, la-= 
sciò scritto Filestrato in una certa sua Episto- 
la, ch'egli era dedicato all’ Amore, perchè co- 
me l’istesso Cupido rinigiovanisce, così la rosa 
fresca per la giovinezza riluce, e morbida e de- 
licata apparisce come lui; lun e l’altra con 3 


25 
crini innorati s inchioma, e se 8° h1 a far a 
parazione dell’altre sue parti , i Rosaj in cambio 
di saette hanno le spine, e per facelle portan 
le cime gialle; con le foglie oltr’ a questo quasi 
alati in quella vece si veggono. Nè la Rosa nè 
Cupido non conoscono tempo alcuno; e così 
per certo l’amore è nemico alla fugace forma 
e bellezza, non altramente che le Rose che 
danno fuori. Quelli che per Roma già andavano 
vendendo le rose, affrettavano il passo, deno- 
tandoci che non è da confidarsi al vigore, ed 
alla forma con il testimonio di quella prestezza; 
perciocchè elle fuggono presto e-1rrevocabilmen- 
te, e quel venderle correndo ci dimostra con gran 
documento d’ ammonizione, che la bellezza age- 
volissimamente sene va via, come tutte quel- 
le cose che fuordi modo belle fioriscono, prestis- 
simamente marcie diventano. Sono le rose di va- 
tie sorte, oltre a quelle che nascono di spine e 
rovi chiamate da’ Greci canine, e molte altre di 
non meno odore, ma quelle di ottimo, o sono: 
incarnate che ne hanno un poco meno , 0 son ros- 
se bene e purpuree alquanto minori, ma di gran» 
dissimo edore, come le dommaschine che son 
bianche scempie e doppie, ma queste n' hanno 
meno, ed ambe sono le più di tutte piccole, le 
quali si possono ancor dire Rose moscade per- 
chè sanno di musco. Le rosse scarlattine, che 
anch’ esse da Damasco s’ addomandano, che han- 
no i Rosa} bassi, sono pur di due sorte , doppie 
e scempie, e le doppie fanno a Napoli. Oltre a 
questo sono i Rosaj bianchi di molte spezie, e 
delle odorate è delle non odorate, come le ceuto- 
foglie bianche; e n'è una sorta che non ha odo- 
re, nè fa bene che ne’ luoghi umidi, nè mai pos- 
sano dentro e fuor della lor boccia cinque foglie, 
come !e salvatiche, delle quali ne sono assai sor- 
te e di quelle che escono da’ rosa} terragnoli e 


260 | 
da’ grandi ‘che: s° inalzano sopra la terra a far 
fortissime siepi, l’une e l’altre odoratissime. Ne 
sono delle salvatiche che non hanno odore, e sono 
le ‘sbiaucate candide, e di rosaj deboli più di 
| tutti gli altri. Delle salvatiche ch? hanno buon 
odore, n0n va troppo in alto il rosaio, e la rosa 
è di coler bianco, ia qualche. parte di foglia in= 
carnabticcia, e pendente in rossigno, ed ha le 
foglie che si soprappongono. T'rapiantato questo 
rosaio nel domestico vien bene, ma convien tra- 
piantarlo da piccolo cavato con la sua barba con 
diligenza, e le rose si mantengono odoratissi me. 
Fanno alla foresca nelle poscondule delle macchie 
e de' boschi, e su per i ciglioni delle strage 
aperte che sono per il salvatico. Tutta questa 
sorta di salvatiche che si trovano con odore, 
cacciate le foglie con quella gialluria che han 
dentro, spicciolate nei fiaschi pieni d'aceto bian- 
co, lo fanno fortissimo (turandoli bene e tenen- 
doli al sole) ed ancora mettendone quantità 
‘nell’ aceto che si ritrova nelle botti, o nei vasi 
invetriati di terra cotta, purchè siano tenuti nei 
soppalchi alti dove batta spesso il sole; operan- 
do sempre meglio nell’ aceto bianco che non nel 
nero. I Rosa] di Damasco così i doppj come gli 
scemp], durano a far rose tutta l° estate e dav- 
vantaggio, e le fanno a ciocche, quando matu- 
randone una, e quando un’altra, e talora s°ac- 
cozzano a maturarsi tutte insieme. Commenda 
Plinio le Milesie, comecchè elle fossero d° un: 
accesissimo celore; l’ Alabandiche di bianche: 
foglie, le nota per meno pregevoli. Sono le rose 
damaschine, o demmaschine, sì le scempie come 
le doppie , tutte bianche , differenziate tra loro. 
per la moltitudine delle foglie, dall’ asprezza, 
morbidezza, e colore, ed odore; le scempie son 
più odorate assai che non le doppie. Scrive Pli- 
Bio che l’indizio dell’odore vien conosciuto dal- 


26r 

la ruvidezza del: rosaio. Sono pallidette quelle 
che si chiamano incarnate, dette da alenni pro- 
vinciali, le quali piantate una volta :si dilatano 
e germogliando dalie radici fuor di modo, e ri- 
pullulando tuttavia abbondantemente dalle barbe 
di sotto, abbracciano tutto. il paese che hanno 
d’intorno, eda fatica quando si voglia si posso - 

no spegnere. Di quelle «di Damasco ne sono al« 
cune: di cinque foglie, le doppie. ne banno più 
di: tre volte altrettante, e quelle scempie distil- 
late fauno l° acqua più odorifera di tutte l'altre. 

Ne sono delle bianche domandate di cento foglie 
più dell’ altre grandi, come di queste han tante 
più foglie piene, e senza. odore; le quali stil- 
late con: le ordinarie. accrescono ja quantità 
dell’acqua, ma riesce meno odorata assai; im- 
perciò è bene non le. mescolare. Ne sono delle. 
bianche, le quali non hanno tante foglie, e ren- 
dono odore, ma grave che offende il capo; le 
salvatiche tutte rendono odore ; le rosse, !’ incar- 
nate, e le bianche sono le nina comuni. Le rosse 
sono le più eccellenti, ed accanto l’ incarnate; di 
men pregio ditutte sono le bianche, non però le 
damaschine , che fra queste. non s° intendono; le 
quali sono le più solutive di tutte l’ altre, e le 
più odorifere, e che fan di rose copia maggiore. 
Fanno il pedale grosso con diversi rami sopra în 
foggia d° arbore, che da perse si sostiene; segli 
dà che forma altri si voglia, colla guida sotto, 
facendola di legname forte atto a poter reggere, 
che mettono a piè de’ polloni, ma è meglio levare 
li via, se già per multiplicarele piante non si 
propagginino sotterrandoli due terzi di braccio, 
cavando lor fuori la punta, ed in capo a due anni 
tagliando. sotto, e traspiantandoli. Le rose ine 
carnate son le. prime che cominciano, ele prime 
a finire. Le purpuree che hanno le piante più 
piccole d’ogni altra sorta, vengolio appresso a 


262 
queste, e dopo queste le dommaschine , che per- 
ciò duran più dell’altre per l'autunno. Le sal- 
vatiche che tengon più la rosa e chiusa ed aper- 
ta, e bastan più a fiorire di niuna domestica, 
non passando ciuque foglie per lo più; sono le 
più odorifete, e migliori, e delle domestiche le 
più tardìe, che non passano le dodici foglie. Le 
rose tutte quanto hanno le foglie maggiori tan- 
to è il loro odor minore, stando tuttavia la 
lor virtù constipata, e ristretta. I semi delle rose 
non son quei fiorellini che sono 11 mezzo di loro 
di color giallo d° oro, ma fanno certe boccette 
sode in foggia di pere rotonde pregne della lor 
sementa dentro , le quali dopo la vendemmia si 
posso cogliere per mature, che sono quando elle 
son di color fosco e belio, ed asciugati quei semi 
al sole, si deono a luna crescente seminare a 
marzo nelle aidle degli orti bene stabbiate, e 
ricoprirsi con poca terra crivellata per traspian- 
tar all’ ottobre dove si vogliano, adacquandovi 
secondo il bisogno, e cavandone tutte l’erbe. 
I rosa) comportano ogni qualità d’aere e nei 
freddissimi supplisce la Natura a farlì sollecita 
mente crescere, come in Pollonia, ove seminati 
€ piantati subito distrutte le nevi al fin d° apri» 
le, s’affrettano a venire innanzi, e come i car- 
ciofi sì veggono anmentare dì per dì, ed alzarsi 
quasi ogni giorno mezzo dito o più per condursi 
avaoti i ghiacc] e le nevi ad aver fatto questi 
le rose, e quelli i carciofi. Ed io mi vi son tro- 
vato a porre un segno ficcando a pari del rosaio 
una cauna iu terra, e guardando la mattina ,. 
aver veduto sopravanzare il rosaio la misura di 
supra detta, e così i carciofi di seme in meno 
di due mesi fare il fiore. Tuttavia nelle regioni 
calde o temperate profittano più che in altre, 
come nel terreno caldo ed umido fanno miglior 
prova, e son più continui. Fan bene ancor 


263 
con terra che sia mescolata con sassi, e massi» 
mamente ove ne sian cavati di fresco, e che vi 
rimanga della terra mescolata . Ma propriamente 
amano un terreno rozzo che non sia più stato la- 
vorato, e che non vi sia stata altra cosa pian- 
tata, non grasso, nè argilloso, nè troppo umi- 
do; si contentano de’ terreni crudi, ma non 
aspri, disamando i troppo grassi, nei quali fan 
pochissime rose, come nei troppo umidi acqui- 
drinosi. Il sito in tutti i luoghi sia vòlto a mez- 
zogiorno, e se sia ben difeso dai venti, e bene 
a caldìo, daran frutto di nuovo nell’ autuano, 
e talora ne faranno continuamente ancor d’ in- 
verno, come a Genova, e a Napoli, dovesi ri- 
trovano de’ rosa] porporati che fan le rose di fo- 
glie doppie. Vogliono il terreno ben lavorato, 
e bene a dentro una vangata e mezzo, ed ancora 
a due puntate sarà loro assai più utile. Il rosaio 
nasce della spina più naturale, e più vero che 
non del suo frutice, veneodo ancora nel régo. 
Germoglia primamente chiuso dentro ad una cor- 
teccia piena di graneili, la quale ingrossando in 
dieci dì spiga ed alzandosi s’° apre nel mezzo del 
calice, abbracciaodo certi punti di color di loto. 
Deve il terreno esser lavorato trito minuto, senza 
mettervi alcuna sorta diletame. Piantansi d'ot- 
tobre, novembre, e dicembre nella terra che 
sia calda e fresca; ma se sia terra umida, oche 
sì possa adacquare, di gennaio, febbraio, e mar- 
zo, e nella fredda ancora avaoti Galen di mar- 
zo, o a marzo. Faranno anco bene nella terra 
che sia moderatamente grassa ed umida ben so- 
stanziosa, e nella leggiera e magra purchè non 
sia creta. Alcuni intrecciano insieme i rosa} a 
corona per cavarne più odore, come anco si 
deon potare, e col tagliarli fra le due terre 
faranno più crespe le rose , che per altro sarau- 
no più scempie di foglie. Piglinsi le radici dei, 


264 
rosa] quando : cominciano a spuntar fuori tenere, 
e questo nelle contrade calde si può far di no- 
vembre, nelle fredde di febbraio e marzo, e tut- 
taviachè elle si veggono apparir fuor della ter- 
ra, taglinsi a pezzi di quà e di là, e queste 
messe abbiano due o tre occhj, e fatto ‘un sol- 
coin sul’ aiuole ben lavorato sotto con un poco 
di letame marcito, ed adacquando se bisogna vi 
si pongan dentro un palmo sotto, tantochè avan» 
zino della messa tre diti o quattro fuora, e:ri- 
eoperti con terra trita si pareggi ‘il terreno, Le- 
nendolo tuttavia netto dall’erbe, e zappettan- 
dovi qualche volta, ed in capo a due anni ca- 
vati con diligenza si traspongano ‘a dove han- 
no avstare, potandosi ogni anno e levando:loro. 
il vecchiume e il secchereccio da dosso; e.da 
piede i gambi vecchj tagliando rasente terra e 
rinnovando loro. le messe, ed abbruciandoli quan- 
to gli asparagi, più giovamento ne sentiranno. 
Quelli che si traspiantano più tardi, cioè almar- 
zo, faranno delle rose in quell’anno, siccome 
quelli. che avendoli staccati dal loro cesto pian- 
terai subito dove hanno a rimagere , con. pian- 
ticelle giovani dell’ anno dinanzi radicate. Vo- 
lendo ampliare il rosaio, quindici dì innanzi 
ch’ e’ voglia mettere, o vero d’ottobre e novem- 
bre tirinsi a terra le più rigogliose messe del 
cesto, e fatta una fossa fonda un terzo di brac- 
cio ben lavorata innanzi sotto, e poi ripiena, 
vi si distendan dentro; cavando sol fuori la 
cima di tutti 1 rami, e dipoi con terra cotta 
ripareggiando, e ricoprendo s'averà di quivi a 
due anni tante piante quanti sien rami, o. ri» 
mettiticc]} ricoricati; ed in questo modo mede- 
simo «staccandoli dal loro cesto con le lor radi- 
ci, come di sopra si disse, gli puoi piantare do- 
ve hanno a stare ed è meglio piautarli a muc- 
chj, cioè dieci o dodici piaote. insieme, lonta: 


265 
ne mezzo braccio l’ una dall’ altra, ed i mucchj 


discosto quattro braccia, 0 poco meno, tanto- 
chè altri si possa raggirar loro d° attorno. E 
sì attaccheranno pure a rami, staccandoli con 
un poco del vecchio e giovini d’ un anno ad- 
dietro, e lunghi un terzo di braccio, attorti nel 
calcio, 0 sfessi e fittovi una pietra, e senz’ al- 
tro in terren fresco, o che si possa adacquare. 
Ma sia con le radici, o senza il ramo del rosa- 
io che si pianta, stendasi sempre per il lungo 
della fossa a giacere, cavando fuori la punta un 
palmo, che così benissimo s' attaccherà. E se 
il ramo che si corica abbia parecchj rametti, 
cavisi fuora ciascheduno di essi, perchè a un 
per uno tutti faranno una pianta sicura, ta- 
gliando poi fra l’una e l’altra sotto il ramo, 
fatte che vi abbia di nuovo le barbe, e perchè 
le faccia più agevolmente è di mestieri quando 
si mette sotto calcargli con i piedi ben la terra 
attorno asciutta, e se si può cotta dal sole, chè 
«così vi farà miglior prova, e gettera fuori radi- 
| ci migliori, ed il tempo di coricarli è di mezzo 
inverno in verso la primavera. I rosa] rossi sa- 
rà assai sotterrarli la metà .di quello che son 
lunghe le piante, e per esser corte non impor- 
ta stenderli per le fosse quando sì piantano. Se 
si distenderanno i Rosa] bianchi da Damasco 
scempj, o dopp]j, o di ogni altra sorta quando 
son lunghi per il fondo della fossa , calcando lor 
bene la terra attorno, e lasciando solamente fuo- 
ri la cima, abbarbicheranno sotto meglio, e più 
assai dureranno. E se si pianteranno cavati con 
le radici sotterrati tutti e posti diritti eccetto 
la punta che ha da esser tutta del nuovo, tutto 
il vecchio cacciando sotto in una fossa lunga e 
cupa, getteranno fuora un bello e fitto cespuglio 
in forma circolare rotonda; e sendo da Damasco, 
per esser molto obbedienti al pennato, potrassi 


34 


266 
loro dare ( creandola da piccola) che forma .si 
voglia, come si disse, d’animale, o altro vaso 
come più piaccia, e posti nei vasi si manterran» 
no bene governandoli come gli aranc], adacquan- 
doli qualche volta. E di questa sorta amano il 
terreno grasso ed umido, e d’essere adacquati, 
assai, massimamente posti al sole, contuttochè 
eglino vadan comportando più l’uggia degli al- 
tri. Ma tutte le sorte de’ Rosa] allo scoperto ed 
al ciel libero fanno meglio alla largura della 
campagna, e non occupata da arbore, alcuno. 
Quantunque d’ ogni sorta domestichi si possan 
fare spalliere e tirarli in alto (eccettuati iros- - 
si, che ordinariamente non s’ alzano da terra 
due braccia ) le macchie degl’ incarnati , mesco- 
landovi de’ salvatichi si posson fare acconciamen- 
te, ed intricandogli insieme si faranno impene- 
trabili, e oltre a questo saranno utili per il 
frutto che dalle rose viene e si faranno folte e 
gagliarde, scalzandogli spesso, e rinnovando lor 
la terra ai piedi, e ponendovi assai terra cotta, 
e vadasi sotto con la zappa più che non si fa 
agli ortagg) e biade, e meno che alle viti; e 
facciasi questa operazione a quelli delle siepi 
( come a tutti ) di gennaio, e febbraio. IRo- 
sa) rossi scailattini, o porporati non hanno bi- 
sogno di essere adacquati, perchè questo farìa 
lor danno , sendo causa che svaporerebbe 1’ odo- 
re, e tavto più, avendone manco che gli altri, 
i quali ( e massimamente i bianchi ) amano 
l’acqua, e quando si scalzano sia posto loro at- 
torno del letame fradicio. Bramano più degli ale 
tri d’ essere castrugiati. Mescolisi il letamecon 
terra trita o cotta, ma megliv farà Joro la pu- 
ra cenere. I rossi scarlattini fau tanto bene con 
lavorarli spesso attorno, quanto con attaccarvi 
fuoco ed abbruciarli essendo vecchj; ed intan- 
to si zappino due volte l’anno, e sia ‘di feb- 


267 
braio e di ottobre, ed ogoi cinque anni s' ar- 
dano di novembre e dicembre. Volendo o di 
questi o d’ altri far munizione di piante, taglia 
dai rosa] i suoi occhj che mettono, con quattro 
diti o poco più del loro rametto di quà e di là, 
e mettilo a giacere nel solco che sia ben la. 
vorato sotto a uso di propaggine, ed aitagli 
con letame marcio e adacqua, ed in capo a un 
anno e non prima trapiantaglia dove hanno a sta- 
re, lontani 1)’ un dall’ altro un piede, governan- 
dogli da quivi in là come di sopra. In luoghi 
secchi saranno sempre le rose più odorate, che 
negli altri, ed al sole più che all’ombrìo, e 
piantando fra essi vicinissimi a loro gli agij, 
renderanno maggiore, e più acuto odore. Ed è 
chi scrive che piantandogliene assai attorno , ne 
faranno un mese più della metà dell’anno, e se 
s'infonderà sopr’ essi sugo di foglie d’ olivo, odi 
sambuco non si seccheranno loro le foglie. Per 
cosa certa spessicheranno di farne, e più a buon’o= 
ra ne faranno in questa maniera: farai una 
fossetta in giù lontana dal suo gambo due pal- 
mi, e con acqua calda gli annaffierai due vol- 
te il di, ed amando di aver rose d’ogni mese, 
(avendo il sito tiepido accomodato ) ne traspian- 
terai d’ogni mese in terra ben lavorata e le- 
tamata di letame fradicio, adacquandoli a’ bi- 
sogni, e vezzeggiandoli assai come si disse 
de° carciofi. Annaffiando ancora semplicemente i 
rosa] con acqua ordinaria, scrive Didimo. che 
daran delle rose di gennaio; e Zoroastro affer- 
ma che non dorranno in quell’anno gli occhja 
colui, che segli abbia strofinati leggermente 
con tre boccie delle rose avanti ch° elle s’ apra» 
no, senza staccarle dal rosaio. E peraver cia- 
que colori di rose in un gambo solo, scrivono 
che bisegna far così : in quel tempo che le boc- 
cie cominciano a gonfiare forerai con una trivel= * 


268 i 
la il gambo dalla banda di sotto, e farai pas- 
sare in quel ramo del rosaio bucato un panno. 
tinto con la cottura del  verzino per quel per-. 
tuso, e nel medesimo un altro ramo o gambo 
bucato v°infonderai del color verde, ed in un 
altro del giallo, e così acconcia d’ altro colore 
gli aitri; e fatto questo, cioè avendo ben pieni 
‘dei colori tutti e cinque i pertusi, metterai lor 
d'attorno fasciando per tutto bovina, o ferra 
grassa, e chiudendo ovuaque lascerai così sta- 
re. Se tu vorrai. aver le rose più temporali, 
scalza bene il rosaio attorno , e dàgli della co- 
lombina in lato umido, e ch’elia pon tocchi il 
gambo, riempiendo con terra cotta, ed annaffian- 
dolo due volte il dì pur come si disse con 
acqua calda. I rosa}; ( avendo impiastrate le lo-, 
ro radici col sangue di qualsisia animale, e con 
il medesimo sangue adacquandoli poichè sieno 
stati posti ) così faran le rose d’inverno, mas- 
simamente se di primavera leggermente si leghi- 
no i suoi rami stretti perchè non mandin fuo» 
ra l'umore conceputo. Desiderando di aver quel- 
le rose, che per le tante foglie si chiaman cen- 
‘ tofoglie ( per altro. che sien odorate ) inueste-- 
raile in un Rosaio moscadello, cioè da Dama- 
sco, di cui le rose son tanto odorifere e soavi, 
rinnovando spesso l’ innèsto sopra l° innesto stes- 
so. Quella rugiada che risedendo in su le ro- 
se vi si trova stare attaccata, raccolta con una 
pulita penna, e strofinatosi leggermente agli oc- 
chj scerpellini intorno alle palpebre, rimedia a 
quella cispa. Manterrassi Ja vita e il vigore a 
quelle rose, che s° affonderanno di maniera nel- 
la morchia, che questa resti tuttavia di sopra, 
ed esse con le boccie sotterratevi. Altri perchè 
elle buondato si couservino, mentre che l’orze. 
è iu erba, sbarb.tolo con le sue radici, voglio- 
no che si metta dentro a vaso di terra cotta 


26 
non-impeciato, e quivi si ponga la rosa ari 
ti che aprendosi nella boccia ella s° allarghi . Al- 
cuni altri stendono sopra l’ammattonato la bia- 
da verde dell’orzo, e quivi l’ istesse rose nascono. 
Sono chi fresche le conservano, così facendo 
che reggano ( avendovi fatto un fesso in una 
canna giovine ) il gambo con la boccia gonfia» 
ta, leggermente con carta, o giunco restringene 
do quella fessura, sì che l’aere vi possa traspi- 
rare. Ancora piantando una canna vicino al ro- 
sa10 che stia diritta, ed al pari della rosa fen- 
dendola , la caccerai dentro con la boccia non per 
anco aperta, rannestando insieme quella fessura 
senz offender Ja rosa, o suo gambo, e fa- 
cendola combaciare, sì che piovendo non vi 
possa penetrar. )’ acqua, ed a quel tempo che 
tu vogli aver le rose taglia la canna, e le 
troverai ben conservate, e tutte fresche man= 
tenute. Alcuni le cacciano in una pignatta roz- 
za ben turata per tutto , ed allo scoperto lasciatele 
attaccate al rosaio, e così si conservano. Scrive 
Didimo, che continuamente s’° averauno rose, se 
di continuo mese per mese piantinsi rosa], le- 
tamandoli con marcito concime, cacciando la 
boccia della rosa in un cannello di cauna, e sot- 
terrandolo acconcio in modo che non vi penetri 
l’acqua, e così salverai la -rosa per aprirla a tua 
posta. Quando la rosa comincia ad aprirsi in fo- 
glie , facendole sotto un profumo di zolfo, tosto 
diventerà bianca. Insetando l’ occhio del rosaio 
nel melo, darà le rose sue. quando sien mature 
le mele; e così farà nel mandorlo, scrivono i. 
Greci. Alcuni affermano che i rosaj si possono in- 
nestare nei Granati, ma certa cosa è che s'in- 
setano i rosa) nei pruni simili che fau rose, ed 
in quella sorta di rosaj salvatichi della razza dei 
biauchi, e s' insetano a bocciudlo; così questi 
come tutti gli altri dell’ una sorte nell’ altra, Sì 


27 0 
possono anco aver le rose primaticcie con questa, 
operazione, e molte altre sorte di fiori : Scegli 
il fiore qual vuoi, perchè quello che s° affà a 
uno conviene a tutti, come sarìa a direla rosa, 
ed anticipato il tempo circa al fin d’ottobre, 
pianta un rosaio in terra crivellata bagnata e 
mesticata con letame tantochè sia tenera, in un 
vaso di terra cotta grande e capace, e datogli il 
giorno due volte dell’acqua calda, e quando sia 
vento 0 pioggia fallo portare in casa al coperto 
in lato che non venga offeso, non lo lasciando 
mai la notte al sereno; cessate poi le brinate, 
ed i freddi, all’aere temperato mettilo al sole ;, 
quando è poi di primavera che le rose voglian 
cominciare, annaffia ogni.dì con acqua un po’ più 
calda, perchè ella gode di produr tardi di pro-, 
pria natura ; così farà tutto innanzi tutti. Un° al. 
tra sorta_di rose s'inserisce di razza pallida, e 
spinosa, che ha i gambi lunghissimi, ed ha cin- 
que foglie; ed un’altra sorta n° è, che ha rac- 
colti insieme i pannicoli delle fogiie, la quale: 
mon s' apre se non sforzata con mano, e simile 
a quella che le nasce sopra di larghissime foglie. 
Serive Didimo che le rose faranno il fior doppio, 
e di questa fatta più rose, se tu metterai insie- 
me in un fascetto tre o quattro semi dei granelli 
de’ rosa], e così gli sotterrerai a far nascere. Le 
rose di Damasco che uscirono già da Pesto, ger- 
mugliano dne volte l’anno, e faranno ancor esse 
come le rose scarlattine, 0 rose a ciocche non pur. 
l’aceto, ma il zucchero rosato eccellente; ma a 
questo sono più atte le scarlattiue di cinque fo- 
glie , siccome secche non per anco apérte a fare 
odoriferi cucivetti, arrogendo fra esse muschio, 
o zibetto, o ambra, e cucendo fitto il guancia- 
le perchè non svapori; e l’aceto eccellente fan- 
no le salvatiche, così quelle dei rosaietti piccoli, 
come le grandi, tutte rose di cinque foglie, e 


271 
vi sì pone dentro il fior giallo, e tutte lo fo- 
glie, tenendo il vaso che va procurato dentro, 
al sole tanto, che sia oltremodo forte, e dipoi ri- 
ponendolo in luogo asciutto volto a mezzodì , te- 
nendo sempre ben turato. Queste salvatiche 
fanno pur l’acqua rosa più d’odore piena che 
tutte l’ altre. Le rose fresche rendono più odore 
delle secche, e più lontano che d’appresso; le 
secche per contrario: e quanto più in giorno 
chiaro e sereno si coglieranno, getteranno più 
odore, e più cogliendole nelle giornate calde che 
nelle fredde, e tuttavia tre ore avanti mezzogior- 
no. La rosa suol essere l’ultimo fiore a fiorire 
di primavera, e con la regola detta sarà de’pri- 
mi. Oltre a ciò è da sapere, e porre in consi- 
derazione, che la germogliazione de’ fiori quan- 
to è più l’invernata piacevole, è sempre più 
presta, e massimamente quando segue appresso 
una primavera che non sia con stridori di gelo 
o neve, e (come dice Teofrasto ) secondochè la 
virtù di generare, e 1’ umor freddo s’ aduna ine 
sieme alcuna volta da per se stesso, altre volte per 
cagione di quell’ umore raccelto , e conceputo ine 
nanzi al tempo e rimastovi prima nel tenor dell'in» 
verno passato. Le rose colte nel tempo ed ora 
che s' è detto s' ammontano insieme in lato a- 
sciutto, e così l’una sopra l’ altra sì lasciano 
star a riscaldare per quattro, o cinque ore, di- 
poi si spicciolano con mano premendole poco , 
tantochè la foglia si stacchi, e piuttosto senza 
forza caschi quasi che da per se, e si pongono 
in luogo alto ed asciutto ove.non batta sole stese 
in su tavole, perchè in su’ pannilini, che tira- 
no ed attraggono a se, perdono d° odore, che 
più ratterranno racchiuse in vaso di vetro ser 
rato bene. Galieno Imperadore faceva di prima- 
vera i letti di rose, e dentro per sentir odore, 
e frescura vi si addormentava. Le rose seccate 


Bird 
all'uggia, col rivoltarle spesso sopra le tavole, 
€ poi ristrette insieme in sacchetti ben stivati 
rattengono l’ edore. Dalle rose quanto più fre- 
sche si distillano nelle campane di piombo, tan- 
tu maggior quantità d’ acqua si cava, avverten- 
do che non sian guazzose. Piantando rosa) in 
terreno divelto grasso, prenderanno tale aumento 
e cresceranno di modo che potran fare anch'essi 
oltre a forti siepi, come si disse, strade coper- 
te, mettendovegli fitti perchè reudan più quan- 
tità di rose, e riparino più acconciamente il sole. 
Stanno i rosa] benissimo, piantati attorno alle 


cassette delle pecchie, che fanno utilissimo la- 


voro. Faranno sempre grandissima prova se egli- 
no sieno piantati alla luna crescente di ottobre, 
cavati con diligenza con le lor barbe non pun- 
to offese, e piante giovini; e facendo lor vezzi 
come s'è detto, faranno il medesimo atino delle 
rose. E non accade adacquarli, nè aver loro 
altra cura per quell’ anno, ponendoli di questo 
tempo. E sebbene s' è detto ogoi cinque anni, 
meglio è ogni tre anni tagliarli fra le due terre, 
o abbruciarli per tenerli giovini, e rinnovarli; 
e si dee per averne più utile fare il taglio, 0 
l’abbruciamento mezzo per anno. Averannosi 
da’ rosa] le rose d’ inverno nei luoghi tiepidi sce- 
mando loro le punte e messe delle boccie tosto- 
chè appaiono di primavera. L'olio rosato fu in 
pregio, e menzionato da Omero; e le rose scem- 
pie da Damasco, e le scarlattine messe nell’olio 
comune dentro a vasi ben chiusi lo fanno otti- 
mo. Scrivono i Greci che i rosa] faranno le rose 
verdi, se piantandogli a piè d’ un lauro giovine 
di gambo liscio e pulito, e scapezzando l’ uno 
e l’altro si farà passare per il pedale del lanro 
bucato per il mezzo ed impiastrato d’ intorno il 


pertuso di bovina, e quando sia beu rintasato e 


vammarginato taglisi rasente, affinchè movendo 


273 
nel lauro la verde virtù sua, si spanda a far la 
rosa del colore medesimo; come ancora si procu- 
reranno con l’ arte di variati colori oltre al 
modo di sopra detto, e cosìi fiori di sambo sodo, 
Fendasi il gambo del fiore o rosajo vicino alla 
radice, e parimente tutti i suoi rami vicini al 
tronco, empiendogli tutti di colore a tuo pia- 
cimento , e volendo vi congiugnerai del verde- 
rame, indaco, azzurro, 0 lapislazuli, e gial- 
lo di zafferano; ma questo s’avvertisca , pri- 
ma di farne polvere, e soprattutto guardisi di 
non vi mettere orpimento , o cose simili perchè 
sì seccherebbe la pianta, e dipoidàgli del leta- 
me fradicio, e lega bene intorno alle fessure ri- 
congiungendo il taglio coi giunchi; così pro- 
mettono i Greci che nascerà il fiore di quel 
colore che averai dentro le fessure impiastrato ; 
e dipiù che avviene il medesimo piantando i ro- 
sa] o fiori appartatamente in un vaso di terra 
cotta pieno di terreno crivellato, e due volte il 
giorno innaffiando con acqua colorita di quel co- 
lore il quale tu vuoi, ed ascondendolo la notte dai 
freddi e dal sereno, e sendo il sole tiepido e 
temperato mettendolo allo scoperto , e lasciando- 
lo star quivi; l’acqua vuol esser ben colorita, 
e così non nuocerà. Volendo color rosso fa con le 
more delle siepi non mature, seccate all’ uggia, 
e salvate a questo effetto, ed amando giallo fa 
con queste medesime, ma che non sien mature; 
così negli altri, ed averai il fiore di quel colo. 
re che saprai desiderare. E bramando di più co» 
lori, facciasi l’acqua mesticata di colori diversi; 
e in diversi tempi adacquando la pianta secondo 
il bisogno, € quanto più ciò farai, sarà il fiore 
o rosa più colorita. Questo medesimo a lor detta 
si può fare nei frutti, ed a questo bisogna ta- 
gliare diversi occhj di piante, e quelli spartire 
‘con diligenza per il mezzo, ed innestargli in qual, 


% 
è 


274 
che scorza fendendola per il mezzo, ed accomo= 
dandovi un impiastro, il quale abbi preparato 
convenevole a quell’ innesto. A conservar le rose 
ed i giglj, e molti altri fiori, convien così fare: 
si colgono non nel tempo che son fatti aperti e 
ben fioritî, ma quando cominciano ad apparir 
dentro alla boccia le foglie; affondisi accanto al 
‘taglio dentro la pece disfatta, poi mettasi in un 
cannello di canna, e bene impegolata la parte 
che resta del cannello aperta, esi sotterri inluo- 
go a solatìo perchè non si bagni. Delle foglie 
delle rose colte fresche si fa:col zucchero distrut- 
to una conserva molto solutiva, ma convien cuo- 
cervi dentro le foglie a lentissimo fuoco, e co- 
stiparle poi nel vaso ben serrate insieme, rin- 
fondendo sopra dell’ altro zucchero liquido. Il 
fiore di dentro gialliccio che si trova nelle rose, 
giova secco e spruzzato alle piaghe delle gen- 
gìe. Scrive il Mattiolo che mangiandosi venti 0 
venticinque foglie di rose dommaschine adigiu-" 
no, solvono comodamente il corpo, e senza mo- 
lestia. alcuna. Il succo delle rose è aperitivo 
astersivo e solutivo , e perciò solve ila collera, 
e mondifica il sangue da quella, e vale al tra- 
bocco del fiele. Lambiccansi le rose in var mo- 
di, ma quello che si fa in bagnomarìa è il più 
approvato e ‘migliore. Gogliendo le foglie delle 
rose fresche e con la guazza sopra, e condite.in 
insalata, muovono il ventre, ma con dolore ;.e 
quelli stoppioni che son dentro ai ballerani, mes- 
si nell’ aceto alla rinfusa, l’inforzano. 

La Ruchetta par che sia nata per istimo- 
lare, poichè ( come dice it Mattiolo ) ella scalda 
manifestissimamente; credesi che mangiata sceve» 
ra aumenti lo sperma. Il seme beuto giova al morso 
del toporagno; mangiata sola esala agevolmente 
alla testa, e Ja fa dolere; si rettifica col man- 
giarla insieme con le foglie della. lattuga.condis 


275 
ta ininsalata. I Greci l’addomandarono da 
quasichè ella sia grata cotta nei brodi della car- 
he. Sono alcuni che usano il suo seme per con- 
dir le vivande; e perchè più lungamente si con- 
servi, mesticato: e rimenato con aceto e latte, di- 
sfacendolo insieme , si ripone assetto in pastelli. 
Scrive il Ruellio che induce una .certa durezza. 
contro al senso, e che perciò giova a chi abbia 
a toccar delle busse. La ruchetta nasce in Spa- 
gna frequentemente alla campagna, e del suo 
seme si servon là in cambio della senapa. La 
ruchetta è contraria alla lattuga che è frigida, 
questa non punto; e sebben talora si perdan le 
sue foglie d’ inverno , rinasce a primavera tenera 
e fresca. Trovasene della salvatica , la quale na- 
sce volentieri nelle rovine delle muraglie tra’ sas- 
si e calcinaccj, e nei campi magri e grotte 
secche ed asciutte, e talora negli orti da per se. 
La domestica si semina nelle aidle degli orti co 
me la lattuga, e tagliata rimette. Ne sono di 
due sorte, della stretta, e della larga; questa 
è men saporita , e la salvatica è più efficace, e 
massimamente «a provocar l’orina. È opinione 
che tutte le sorte delle ruchette generin cat- 
tivo sangue; seminansi a primavera, e all’au- 
tunno. pasta 

Il Sosolo o Riso si semina nell'acqua, ed è 
specie di frumento in vista come il loglio, fa- 
cendo dentro nell'acqua il gambo, e fuori la 
spiga come quello. Di due sorte ne pone il Ruel- 
lio, una che ha i granelli un po’ rossigni, e 1° al- 
{tra bianca, e l'uno e l’altro si rende facile a 
cuocersi brillato eome la spelda, cavandone la 
prima scorza. Della farina del bianco si fa il 
bianco mangiare, vivanda delicatissima, e di 
‘ pregio in questo modo: Mettesi a bollire in. un 
‘vaso di rame pulito e netto dentro, posto in 
‘mezzo di una stanza, e fatto bollire con ac- 


276 
cesi carboni quella farina, entrovi zucchero e. 
latte, e polpe di cappone tolte fredde, e sfi- 
late con diligenza; e con un bastone ritondo 
d° acero, o altro legno pulito sì gira intorno 
rimestando di continuo quella mestura, tantochè 
sì veggia rassodata insieme, e ridotta come ve- 
tro liquefatto; s'acconcia ne’piatti, e sì mangia 
calda o fredda come più piace, e si prepara in 
torte con le sfoglie di pasta sottosopra nella te- 
glia, aggiungendovi lardo, o butirro da tutte 
le bande. Convien porvi assai zucchero, e latte 
a discrezione, ma la polpa del cappone sfilata 
basta ogni poca; così la farina del. riso ha da 
essere moderatamente e tutto sia secondo la quane 
tità che sene voglia fare, purchè il zucchero e 
fiore avanzi il tutto in misura. Cuocesi intero 
nei brodi,i quali quanto più sien grassi, lo fa- 
ranno migliore. Fassene ancor frittelle nell’ olio 
con la padella, disfatto a cuocer con l’ acqua, 
siccome scrive il Ruellio, ma trovo per tutto non 
esser così , che gl’Italiani fanno l’orzata col riso, 
la quale tutto il resto degli uomini fanno con 
l'orzo; e certamente poichè così si chiama, è 
da credere, che’) più dritto sia. farla con l’orzo, 
ma così nell’una come nell’ altra convien mette- 
re zucchero assai. Fassi pure col riso il latte di 
mandorle , pigliando di queste una parte, e due 
di riso, e facendo mescolare e bollir insieme con 
zucchero l'una e l’altro cotti nell’acqua. An» 
cora sl cuoce il riso nella teglia con cacio ed uova 
disfatte, ed impastato insieme distesovi dentro 
con sfoglia e senza. E molte altre vivande si fan- 
no con .il riso, il quale anco si prepara coo il 
latte perchè riunisca il sangue, ed aumenti la 
genitura. In molte parti dell’ India non si vive 
che di riso e di maiz in cambio di frumento; ed 
Il Ormus, ove è per costume di quella gente sor- 
bir la vivanda senza masticare; a sorsi da un Ca 


2 
tino preparato per ciò, non bevono 0 ssa 
che riso, avendovelo disfatto dentro cotto con 
zucchero, ed a sorsi (invitandosi l’un 1° altro ) 
con una canna vota lo succiano. Ha il riso al. 
quanto del costrittivo, e perciò ristrigne il cure 
po mediocremente. Dicono che gl’ Indiani cava- 
no spremendolo con torchj l’ olio del riso, sic- 
come si fa del sesamo, e questo è migliore. Lo 
seminano là nelle paludi, e nei luoghi ove ri- 
siede l’acqua, ma di dove si possa a certi tempi 
cavare, e da quella via rimettervela. I terreni 
grassi, seminandovi dentro il riso, desiderano man- 
co acqua chei magri e deboli, bastando in quelli 
tener ricoperto con due diti d’acqua, ed in questi 
un quarto di braccio e un terzo, e convien circon- 
darlicon argini attorno che la rattengano , e che 
la terra sia sotto uguale, ma in modo però, che 
sene possa cavar l’acqua ognivoltachè si voglia. 
S° ara il campo avanti il gelo, e poi si rifende 
al fin di gennaio, e si semina al principio d’ a- 
prile, mettendo di seme uno staio per staioro , 
avendolo prima tenuto in molle un giorno inte- 
ro; altri lo mettono in un sacco, e affondato il 
sacco nell’ acqua ve lo lasciano star tanto comin- 
ci non solo a gonfiare, ma mettere, e così poi 
seminato nasce più presto, avvertendo che se non 
sia sito da poter allagare tutto lo spazio di cam- 
po, si facciano certe porche con arginetti attor- 
no che di qua e di là per lo lungo sostengano 
l’acqua ugualmente : il che si conosce, niuna 
cosa mostrando più il piano pari che l’ acqua 
istessa, la quale stia acconcia di modo, o fer- 
ma, o che si muova lentamente, ch'ella si pos- 
sa cavare, perchè quando s' immo:ibida troppo il 
riso bisogna levarla, e non ritornarla primachè 
sì vegga che il sole 1° abbia mortificato; e come 
si vede ch'egli è per far la spiga (sapendo anco 


2783 

che allora fiorisce, e produce in un tempo il gra 
nello ) subito si raddoppia l’acqua per assicurare 
lo, annebbiandosi quando non è dall’ acqua dife- 
so. Per tre anni continui si può in quei campi 
seguir di seminare il medesimo riso, e poi grano 
per altri tre anni, che migliòdra il campo. Molti 
avendo ben lavorato prima ‘il campo vi fanno 
venir l’acqua alta mezzo braccio, e d° aprile so- 
pra quella geltano il seme del riso; in capo a 
quindici dì levan l’ acqua e nettan l’ erba venuta 
fra "1 riso nato, accanto ve la ritornano sin’a 
ricolta, e quando è maturo (che si conosce che 
esce ed è sodo ) in un legno incavato rotondo 
lo brillano, e mondano dalla spoglia, e questo 
non nasce. Macinasi con miglio e segala, e sene 
fa pan ragionevole, ed anco solo, ma facendolo 
ogni due dì. Il riso in luogo asciutto basta lun» 
go tempo. . o 

Il Sesamo (che volgarmente si chiama Giug- 
giolena ) l’annovera, chi tra i frumenti, e chi 
fra’ legumi. Quello che si sementa d’ estate, vie- 
ne in quaranta dì in fiore, ed è ]a sua semeata 
di giugno e luglio, in Pantelia, e Gilicia d° a- 
gosto ; in Italia nelle regioni umide si può se- 
minare di giugno. In Levante molti mangiano 
il sesamo brillato, mastucca presto; nuoce l’ac- 
qua, se piove tostochè egli sia stato seminato. 
Mentre che è verde, non lo tocca animal che 
sia; mon è sementa che immagrisca più il ter- 
reno di questa, comecchè ella sia di più sodo 
fusto e più copiosa radice del miglio. Non a- 
veudo da seminarlo in terreno umido come egli 
desidera, bisogna a certi tempi adacquarlo. 
Nell’ acqua calda macerato, si cavi fuori; stro- 
picciato poi insieme sì sì faccia notar neli’ acqua 
fredda, che le paglie vadano a galla; dipoi si 
spanda sopra un lenzuolo al sole: il che se non 


2 

si farà presto, diventa di sporco. colore, a 
marcendosi. Desidera terra grassa che sia séf- 
fice. Fa bene nelle grasse arene, e soprattut» 
to nel terren posticcio, e tutto ben arato 
e trito. Venne trasportato dall’ Indie ( scrive 
Plinio ) e cotto nell’acqua si prepara in cibo. 
Del seme del sesamo si strizza. l'olio con la 
forza del torchio, ed è più buono a ardere 
che a mangiare . Il sesamo o suo olio , in qua- 
lunque modo cibatosene, guasta lo stomaco, nel 
quale mal si digerisce, e genera grosso nutri- 
mento, i 

La Senapa, il Coriandro , la Ruchetta, 1’Oci- 
mo, e la Bietoia ove son seminati una sol vol» 
ta, continuano per molti anni d° esservi tuttavia. 
Della senapa sene ritrova di tre spezie; una che 
produce le foglie sottili, 1° altra come fronde di 
rape, e la terza che le produce simili a quelle 
della ruchetta. Quella che è più piccola, minu- 
ta di pianta e di seme, è la salvatica. Quella 
che ha le fronde come le rape, sebben minori 
e più ruvide, e che cresce in alto con molti ra- 
mi, è l’ordinaria che si semina; la terza si se- 
mina parimente, e produce il seme bianco, il 
quale :chiamano Ruchetta, molto meno acuto di 
tutti gli altri. Quella messa nel mosto che non 
abbia ancora bollito, lo mantiene così dolce as- 
sai giorni, e però l’adoperan coloro che por. 
tano i mosti dolci del Trentino per venderli ai 
Tedeschi in Alemagna . Sementasi la senapa 
nell'autunno per averla fatta di primavera. Suol 
comparir fuori seminata il quinto dì, nè desi- 
dera altra coltivazione, se non che datole del 
letame marcio assai, si zappi d’intorno. Ma la 
sua pianta trasponendola nell'inverno , farà mag- 
giore e niù bella cima la primavera. Ama la 
terra che sia bene arata, e se far si possa, ter: 
reno che sia posticcio, sebbene nasce in ogni 


280 
lato, e senza alcuna cura germoglia per tutto. 
Si gode e fomenta con la polvere sottile, per- 
ciò è bene sarchiarla , perchè circondata da quel- 
la dia fuor più allegra. Nè manco gode dell’u- 
mido, o dell’acqua; ma quella che tu hai in 
animo d’avere a servirtene per seme, non la 
muovere del suo luogo natìo, e quella che si 
prepara per maogiare si farà più robusta, aven- 
dola fatta trapiantare. Il seme della senapa di- 
seccato e rasciutto dall’ antichità , diventa disu- 
tile per l’uno,e per l’altro affare. Se schiac- 
ciato coi denti apparisca dentro verde, sarà se- 
gno di fresco e nuovo; se bianco, di vecchio 
e stantìo. Le cime della senapa cotte nella pa-. 
della lascian quell’ acrimonia, e servon per vi- 
vanda; si cuocono ancora le foglie come dell’al- 
tre erbe. Le pecchie sono de’ suoi fiori appeti- 
tosissime. Il seme della senapa poi va variando 
nelle sorti sue; in una rosseggia, nell’altra è 
tutto bianco, e questo fa la mostarda bianca, 
e quello nera. É un proverbio usitato appo gli 
oltramontani che dice: Tu sei più astuto della 
senapa, comecchè questa con la sua caldezza 
penetrativa conferisca al piangere, manifestamea- 
te facendo apparire le lacrime. l'engono in ma- 
cero per una notte il suo seme maturo, dipoi 
aggiuntovi dell’aceto e spremuto con le mani, 
lo pestano in una pila di pietra, e così fanno uu 
condimento acutissimo per intingervi la carne; 
altri per la vendemmia avendo bagnato il seme 
della senapa nel mosto lo pestano, e così sal- 
vandolo in vasi invetriati di terra cotta, rima- 
ne spogliato d’ una gran parte di quella sua acu- 
ta forza. Ed avendo lo stomaco fastidito da’ci- 
bi, questa gli ritorna °! gusto e l’ appetito. Nè . 
è cosa che più velocemente assaglia la testa, e 
più presto penetri al cervello provocando gli star- 
nuti di subito. Gli antichi il seme della. se- 


281 
sapa ben purgato e netto, e ben vagliato lava= 
vano con l’acqua fresca, e come vi fosse stato 
in molle per due ore, avendolo diligentemente 
spremuto con le mani, lo cacciavano in un mor- 
taio pulitissimo, e con i pestelli pestato tutto 
quell’ intridimento, lo ritenevan in mezzo alla 
pila , e ristretto insieme con la mano, ed aggra- 
vato (messivi sotto certi pochi carboni accesi ) 
lo rarificavano, e v’infondevano dell’ acqua sal- 
nitrata per fare andar via la sua pallidezza, ed 
amaritudine, e dirizzato il mortaio perchè tut- 
to 1 umore s’ intenerisse e disfacesse , v’ aggiun- 
gevano aceto bianco forte, e ripestato insieme 
e rimescolato col pestello, lo riponevano, aven- 
do prima tutto con diligenza colato. Ma colo- 
ro che per uso de’ conviti la preparavano, quane 
do avevan voto il mortaio della senapa, entro 
vi pestavano pinocch) de’ più freschi ed amido; 
. versatovi dell’aceto tutto insieme con diligenza. 
Di questa sorte senapa mon solo si servivano 
per la tintura, ma ancora per bellezza, perchè 
se ella sia fatta con curiosità, diventerà di bian- 
chezza straordinaria. Nell’invernata si può ado- 
| perar così per intingervi dentro la carne. Ma 
la mostarda ordinaria sì contempera con la se- 
napa a discrezione, disficendola prima con 1’ a- 
ceto, e poi trasmettendovela dentro; e vuole 
stare un dì e uha notte in molle nell’ aceto fore 
te, e più appresso pestata bene nel mortaio, e fat. 
ta liquida col pestello, si v’ infonde dentro la 
senapa intrisa con l’ aceto, e con essa stropic- 
ciandosi le mani forte, poi lavandosi con acqua, 
le rende morbide e pulitissime ; quando dolgono 
i denti, la senapa masticata leva il dolore. Quel- 
la dell’ Egitto, e d° Assiria è la più potente di 
tutte 1’ altre. Fa la senapa bene intorno ai fos- 
si umidi delle città che son poste nelle pianure; 
serve anco a fare una poltiglia dia marina, 


282 | 
o vero d° acqua insalata a conservar dentro l’uve 
lungo tempo, che poi si lavano. 

Il Sesaro si gode de’ luoghi freddi; ha per 
la lunghezza un midollo sodo che stiacciando» 
lo. segli cava, e fa lasciar gran parte della 
sua amarezza, la quale temperata con acqua me- 
lata la fa diventar graziosa. Del sesaro si mao- 
gia solamente la barba; somiglia la domestica 
pastinaca , e così fritto come lesso è buono in 
cibo. Gli antichi ne facevano un condimento in 
questa maniera: cavavan fuori la sua radice, dili- 
gentemente la nettavano stropicciandola, e stro- 
finandola assai dalla terra che vi era attaccata, 
e messala nell’aceto e nel sale, dopo trenta dì 
la cavavano, e sbucciatane la corteccia la getta- 
van via; e tagliata in pezzetti la cacciavano in 
un vaso invetriato , o di vetro, e dopo un me- 
se presa dell’uva secca, e delle cipolle simil- 
mente secche con del farro abbrustolato, e un 
poco di méle, tutto tritavano insieme e pesta- 
vano, ed essendo ben pestate vi mescolavano due 
parti di sapa ed una d’aceto, e di questa ma: 
niera l’ inzipillavano nel vaso, coprendolo be- 
ne con una pelle in bocca, e quando volevan 
servirsene, cavavan fuori quello che volevano di 
quelle barbette così acconcie, e con un poco d’os- 
simele ed olio )’ usavano in cibo. Trovasene del 
domestico e del salvatico; quello si semina di 
febbraio, marzo, aprile, agosto, settembre e ot- 
tobre, come la lattuga, dipoi sì dirada . Tiberio 
Imperadore vago di questo cibo, ne faceva ogni 
anno venir di Germania. Provoca l’orina. 

La Satureia, detta ancora Timbra, e San- 
toreggia, è domestica e salvatica. Siccome ]° is- 
sopo, si gode di grasso terreno, ama luoghi col- 
tivati, sebben fa anche in luoghi aspri ed in- 
«culti 3 perciò vien bene altresì nei terreni sot- 
tili. E simile al Timo, un poco minore e più 


MN, 


583 
tenera: La domestica è più piccola della salva- 
tica, e per aver più acuto sapore s’accetta nei 
Cibi; porta la spiga piena di fiori di color d’er- 
ba verde. Piace il suo fiore alle pecchie, per- 
ciò si dee averne intorno alle lor cassette. Se- 
minasi la satureia al mese di febbraio nell’ aiuòd- 
le degli orti, e mescolata in spagna col seme 
della Cepina, che dicono essere gli scalogni, vien 
più allegramente, e si fa migliore. Nasce in su 
la satureia una certa erba rossiccia, come tante 
volte s° è veduto in fior d° origano , simile alla 
cùscuta che viene in sù quello senza prima toc- 
car terra. Fatta intorno alle strade degli orti, 
sene può allevare spallierette basse. Scrivono es- 
. serne una terza sorte poco differente da queste 
due, domestica e salvatica. Tengono alcuni che 
sia spezie di Timbra istessa. Columella par che 
l’accetti per la Cuaila, ed allega ch’ ella ten- 
da al sapore della Timbra, e se sia trapiantata 
vien meglio, e si può spartire come sia nata 
di tre mesi. 

Gli Scalogni sono stati addotti da Ascalona, 
Castello della Gindea, d’ onde egli hanno rica» 
vato il nome. Tengono diversa natura e con- 
dizione dagli aglj, perciocchè producendo uno 
spicchio d’ aglio più spicchJ fa nascere sopra la 
terra un cesto di fuglie lunghe e larghe; e ben- 
chè un capo di scalogno faccia più spicchj e 
sfessi l’ un dall’ altro, non coperti tutti insieme 
come quelli dell’ aglio, fa nascer sopra terra una 
foglielta per capo, e non un cesto di più foglie 
insieme, ma di per se che dura per più mesi. 
Sono le scalogne sfesse 1’ una dall’ altra, e steri. 
Ji da quella parte che ha le radici, non ingros- 
sando punto. Impercidò dal lor ceppo spiccando 
l’uno dall’ altro, e ponendogli in solchi diritti 
fatti con la marra nell’aiuòle degli orti di grasso 
terreno, e concimato bene di letame marcito 


284 


perchè il crudo ed indigesto gli fa svanire, sì” 


piantano discosti  quattro-diti 1’ uno dall’ altro, 
con tanta terra sopra che appena gli tenga ri- 
coperti, sarchiandoli quando hanno messe le nuo- 
ve foglie, e tenendoli «netti dall’ erbe cattive, 
così governandoli sinchè sien fatti: il che si co- 
nosce quando hanno le foglie secche che si mar- 
ciscono. Nei luoghi caldi si pongono al marzo 
quando cominciano a mettere da per loro, os- 
servando la luna; nei freddi, di settembre e 
d° ottobre, ed anco di febbraio e marzo. Golti 
e secchi al sole si conservano coperti con un 
po’ d’ arena asciutta, in lato non-umido , ed ap- 
piccati all’ ultimo solaio basteranno sino agli al- 
tri. Son buonicrudi minuzzati in insalata ; e sen- 
za minuzzarli, conditì con olio ed aceto; ma cot- 
ti nell'acqua bollente, poi spremuti fra due ta- 
glieri, infarinati e fritti nella padella con buon 
olio, sono ottimi al gusto, e non punto nocivi 
allo stomaco, e così sene può mangiar senza 
danno buona quantità. Sono ancor buoni, cotti 
lessi col brodo della carne, e massimamente con 
quella di castrato. Somigliano gli scalogni le ci- 


poile maligie , le quali s° hanno a seminare, e non 


a porre, ma sibben traspiantare a primavera co- 
me le panaie; perciocchè se elle si pongano sen 
za seminare, perdono il gambo e il seme, o sva- 
niscono, e gli scalogni posti si distendono in 
gambo ed a seme. Nei terreni sottili e leggierì 
sono più delicati e gentili. Se tu metterai gli 
spicchj dell’ aglio in una cipolla forata, piantane 
dola sopra terra sì che le barbe sole la tocchi- 
no, non la ricoprendo altramente, nasceranno 
scalogni. Leva il sito degli aglj, cipolie, e sca- 
logni il mangiar dopo del succhio della ruta. Le 
Scalogne piccole dette da Columella Cepine de- 
siderano il terreno più spesso vangato , che spes- 
so rivoltato con l’aratro. Vanghisi adunque il 


pren 


285 

terreno dopo Galen di novembre affinchè dai 
| freddi e geli del verno si fermenti e ricuoca; 
arisi dipoi; e si rilavori di lì a quaranta dì la 
terza_volta , poi si rivanighi appianandolo , e ri- 
ducendolo in aiudle, levando via tutte le radi. 
che , e nettando bene da tutte l'erbe triste. Se- 
minasi poi in Calendi febbraio in dì sereno, me- 
scolandolo col seme della satureia per averla in- 
sieme. La Cepina si sarchi spesso , nè meno di 
quattro volte . Se vorrai raccorre il seme degli sca- 
logni, pianta ne’ solchi dei campi scalogni più 
grandi, lontani quattro diti l’un dall’ altro, e to- 
stochè cominciano a verdeggiare, per tre volte 
gli zapperai, e fatto il gambo, con canne ap» 
poggiati gli assicurerai dai. venti perchè non 
gli rompano, o faccian cascare ilseme, quale si 
dee raccogliere quando è maturo, che è quando 
sì spicciola agevolmente , ed è nero; ma meglio 
è assai senza questa marifattura conservargli 
come s'è detto di sopra, e porre i loro capi, 
perchè gli scalogni buoni non conducono il seme, 
e sopravvenendo la primavera riscaldano, diven- 
tano voti, abbruciaticc], e non son buoni. 

Lo Scarsapepe, o peverello o pilatro, tutto è 
buono sulle minestre e salse, come tutte sorte 
d’erbe che trasportate dal salvatico si conservan 
nel domestico. 

La Sclarèa si semina di dicembre, gennaio, 
febbraio, marzo ed aprile in terreno grasso; si 
taglia rasente terra, e si rinnuova nell’autunno ; 
seminasi nelle aiuòdle degli orti, e basta nettarla 
dali’ erbe. 

Il Solano è di più sorte secondochè scrive 
Mattiolo, ma la più vaga pianta d’ esso è quel- 
la che fa certe coccole rosse, le quali somiglia» 
no al colore quelie del pugnitopo, ma son più 
ritonde, ed alquanto più grosse. Seminasiin ter- 
reno grasso, e seminato una volta sì mantiene 


286 


assai, perchè tagliato rasente la terra rimette 
nuovo fusto, e fa rami. Questo è meno perico- 
loso di quello che ha le coccole nere, cheè ve- 
lenoso, e quelle coccole del rosso muovono il 
corpo con dolori da sbonzolare; ed il solano bel- 
la donna è un’ altra spezie, e tutto si semina e 
campa contro ai freddi. 

La Stella ( erba ) nasce per il più nei prati 
delle montagne, e lungo la riva della marina 
dove si abbatte a essere con la rena mescolato 
terreno, e molte volte nella scriva arena. Nasce 
il maggio, e fiorisce il giugno, e pertutto lu- 
glio ha fatto il suo seme maturo, il quale si 
raccoglie e si semina ogni mese da chi ne vuole 
aver sempre della fresca, e di estate si può adac- 
quare, 0 aiutarla nascere, e farla più rugiado- 
sa e tenera, e di questa qualità fa gustevol va- 
riazione nel mescuglio dell’insalate. Gavata con 
le sue radici di dovunque ella fa, si può tra- 
spiantare spuntandole un po’ la maestra, e si al- 
lignerà acconciamente . | 

La Spina di cane, detta Cynobatos, è un fruti- 
ce spinoso, che manda fuora gran rami; chia- 
masi anco Révo di cane. Ha le foglie più larghe 
che la mortella, ed il fiore simile, ma minore 
e senz’ odore; produce certi ballerini rossì e lun- 
ghi in foggia di noccioli d’ oliva, entrovii semi 
con lana attaccati. Trapiantasi all’ ottobre di 
radici per far folte siepi, e seminato di marzo 
nasce. Trovasi in Franeia, scrive il Ruellio, uno 
sterpo, che cresce in arbore assai grandetto con 
foglia rotonda intagliuzzata nell’orlo; irami sono 
spinosi come la bianca spina, le coccole roton- 
de e rosse in foggia di mirto, ma assai mag- 
giori, al gusto soavi, e poste nel vino gli ac- 
crescon sapor buono. La pianta di questa sorta 
che non fa baccelli ed ha gli spini torti al con- 
trario l’un dell’altro. su per il fusto, e fa in 


237 
cambio di baccelletti certi semi sodi nel mezzo, 
che hanno intorno una foglietta o cartilagine 
sottile in forma di cappello da Vescovi, si chia- 
ma Paliuro, e fa la più forte siepe che sia, ed 
è quello di che si fan le fratte Romanesche. Il 
suo seme nasce difficilmente. Trovasene per i 
monti, e di quivi traspiantato giovine conla sua 
radice s° attacca in ogni terra e luogo. 

La Spina-acuta, detta oxyacantha,e per al. 
tro nome Berberi, è un arboscello di vista di 
pero salvatico nelle foglie, ma non cresce mai 
tanto; ha le spine sottili, e pungentissime su per 
il gambo, e per i rami, e le sue foglie sono in- 
torno intorno prunose. Produce un frutto somi- 
gliante a quello della mortella, un po’ maggio- 


retto e rosso , facile a rompersi. Hanno i ber- 


beri le barbe per entro gialle, che mandan fuo- 
ri assai figlioli, e perciò fanno folta siepe, ed 
i suoi frutti maturi spremuti al torchio fanno 
un vino che può servire in iscambio di quello 


de pomi-egranati. Germoglia nell’ entrar di pri- 


mavera, e nell’andar sotto delle Vergilie rende 
il frutto. Ne sono quantità nel monte Olimpo, 
e nei luoghi aspri delle selve sene ritrovano, di 
dove cavati con le lor barbe salve s° attaccano 
nel domestico, ed ancora i suoi semi gettati in 
terra, nascono. Le coccole de’ berberi si con- 
discono col zucchero, e sene fa composta buo» 
na per chi ha abbandonato il gusto per la feb- 
bre; e vale a estinguer la sete. Si possono an- 
cora condir col mele. I berberi che metton da 
piede ; si possono propagginare a far siepe più 
folta; ed i suoi rami intrecciandogli insieme fra 
loro stessi la faranno impenetrabile, e più anco- 
ra piantando i berberi fitti che si tocchino l’ un 
l’altro, vivendo volentieri insieme. Il Mattio- 
lo gli contrassegna in tutto e per tutto al Cre- 
spino. 


288 
° La Spina Topiazia ( acantha) piglia ogni. 
forma; fa buona siepe, ed è obbediente alla for- 
bice . i etna ; pr de 
Lo Spin-cervino, somiglia di foglia, di gam- 
bo e di scorza i Susini. Piantasi di seme che 
nasce dalle coccole che egli fa, le quali hanno 
virtù valorosa di muovere il corpo, mangiate sem- 
plicemente, ed acconce col nocciolo e senza, in 
composta di zucchero; e quello è che si semina 
in terreno trito e grasso con la cura de’ semi 
del pero, ed adacquandolo se faccia di bisogno, 
e nasce felicemente, e nato d’un anno, si tra- 
spianta dove ha da stare. Trovasi questa pianta 
(la qual cresce alta quanto la razza de°Susini 
Amoscini ) nelle selve fonde, e nei boschi pie- 
ni di sterpi e pruni; e di quivi trapiantata con 
le sue radici s° attacca bene; tenuta bassa è buo- 
na per siepi, avendo certi stecchi alquanto ra- 
detti, su per i rami tra le foglie, i quali pun- 
gono. I frutti suoi sono simili a quelli della mor- 
tella, ma neri di fuori, e dentro verdi, usati 
dai Pittori per tal colore; fannosi del suo legno 
archi fortissimi, e lavorato a tornio piglia lu- 
stro, e comparisce bene. 
La Spina-fagiana è un frutice che nasce 
ancor esso nelle selve fra gii sterpi più folti, e 
nei luoghi dove ella fa non cresce molto. Fala 
foglia simile a quella del Gran-bianco, e molti 
han creduto che sia la Spina-fagiana questo mede- 
simo; altri tengono che questa sia differente 
nella buccia, e che la Spina-fagiana non crei 
quelle coccole rosse. Come si sia, la Spina-fagiana 
riceve volentieri in se l'innesto de’ Nespoli, e 
ie nespole vi maturan sù come le mollesi; tra- 
spònsi con le barbe. 
La Squilla o Scilla è di due fatte, il ma- 
schio, e la femmina; questa ha la foglia pen- 
dente in negro, e quello 1’ ha biancheggiante, ed 


28 
ambedue simili a quelle del giglio. Una er 
spezie è grata ne’ cibi, e tenera da mavgiare, 
più piccola degli agl) ordinarj, e questa crede 
Nonio che sia quella cipolletta, della quale si 
servono per insalata ]° inverno i Pollacchi, e man- 
giandola cruda condita d’ olio, sale ed aceto, è 
molto gustosa e dilettevole, la quale-fa un seme 
nero accantonato come le nostre cipolle. Nasce 
in Pollonia da per se per la pianura che vi è 
ed ancora seminata moltiplica . E la scilla vi- 
vace per il grande interno umore che ha di sua 
natura, ond’ è che attaccata al palco mette, e 
vi si mantiene un pezzo. Ha paracchie scorze 
come la cipolla, e sene ritrovano delle grosse 
come il capo umano. Le scille in terren gras- 
so e ben lavorato sotto, pigliando delle cipol- 
lette che nascono intorno a lei, e piantate, si 
sotterrano loro le foglie che calano a terra, e co- 
sì tirano a se tutto l’umore, e crescon presto- 
In Sicilia ed in molti altri luoghi crescono da 
per se siccome nascono; nei luoghi marittimi di 
Spagna ne fa una sorta che ha la foglia gros. 
sa ed umorosa come l’ Aloe epatico. Perdonola 
foglia nei luoghi freddi il verno, eda primave- 
ra la rimettono. Germogliano più prestamente 
alcune cose poste dentro al corpo della scilla, 
e Teofrasto afferma che le scille poste attorno 
alle piante de’ fichi, faranno il lor frutto ma- 
turare più presto, e meno sarà dai vermini of- 
- feso. In somma ciò che sarà cacciato per entro 
la scilla, più agevolmente ‘germoglierà, e più 
tosto verrà innanzi a crescere. Conserva la scil. 
la 1 frutti che altri desidera che bastino , e mas- 
simamente i Granati, avendo loro cavato il pic- 
ciòlo . Il fiore della scilla che dà fuora con cer- 
ti spigoli, osservando che non marcisca così 
presto , dà segno di gran ricolta di grano e biade. 


Q, 
o ea 


Agor: 

Cuocesi la scilla con il mele per mangiare, mas- 
simamente perchè faccia digerire, ed in questo 
modo purga gl’ interiori; Sono ottime le scille a 
far fortissimo aceto. Levasi a quelle che sieno 
bianchissime ogni corteccia seccagginosa sin’in 
sul vivo, e quello che avanza si sospende appic- 
cato a un filo discosto l’ un dall’ altro un pal- 
mo in lato che sta asciutto e caldo; dipoi fattine 
pezzi si affondano (secchi ch’egli sieno ) in un 
vaso pie d’ aceto, sì che non tocchino il vaso 
da banda alcuna, con filo accomodando tutto, ed 
il vaso da quella via si chiude con gesso, e sì 
pone al sole, così tenendovelo sinchè pigli il 
gole di tutto il giorno per quarantasette dì, ap- 
presso a' quali si piglia il vaso, sene cava la 
scilla, e si tramuta l’aceto che sarà fortissimo 
e medicinale, buono allo stomaco, e al dolor 
de’ fianchi, pigliandone ogni ‘due dì per bocca 
poco per volta. Questo aceto scillitico fa anco- 
ra la vista più chiara e più acuta, e fa venire 
appetito di essere accoppiate alle cavalle. Inna- 
sprisce il suo sugo ogni taglio su la carne, e fa 
frizzar dove tocca. La scilla nel primo tempo 
manda fuora di mezzo un fusto che spiega tre 
boccie; quando la prima s° apre , è tempo della 
priiua aratura, quando la seconda dà fuori. è se- 
gno della seconda, e quando la terza della ter- 
za, ed ultima aratura. 

La Spina bianca fa un fiore con che si può 
rappigliare il latte ed assodare il cacio. Gresce 
con molte spine poco meno di qualsivoglia pian- 
ta di carciofo maggiore, anzi nei terreni buo- 
ni e grassi, quanto essa, e più. Il suo fiore è pa- 
gonazzo, simile a quel del carciofo, ma minore, 
ed il suo seme a quel del cardone si rassomiglia, 
come le foglie che ha pungenti ed il fior suo è quel- 
lo che si disfa nel siere, che con poca quantità 
mescolato con il latte lo rappiglia, ond’è che 


291 
con un sol nome Presame s° addomanda. Nasce 
talora nei boschi, e sparsamente per i campi; 
piantasi, e si assetta come i carciofi, ma pianta- 
to una volta non segli fa altro, servendo solo 
a quello. — La Spina-bianca ( frutice ) cresce 
in arbore come un susino, avendo la corteccia 
similmente delicata e morbida, come la foglia 
simile a quella del pioppo, ma minore. Nasce 
da per se per tutti i boschi e selve, fa certe 
coccole rosse, le quali hanno dentro i loro semi 
che seminati di marzo nell’ aie degli orti nasco- 
no lietamente per traspiantarsi d’ un anno, € 
cavati con le loro radici s’ attaccano sui divelti 
per insetarsi su’ peri, nespoli, peri-cotogni e me- 
li. Fa siepe eccellente piantato fitto ed è obbe- 
diente al taglio per mantenersi pareggiato lun- 
gamente. Traspiantasi all’ ottobre. Il suo fiore 
gettato nell'acqua di mare ha forza corrompen- 
dosi di ammazzare i pesci marini. Le sue spine 
son sode ed acutissime. i 

La Sassefrica è detta ancora Barba di bec- 
co, siecome suona il suo vocabolo greco trago- 
pògon; ha la foglia somigliantissima di quella 
del zafferano alquanto più larghetta. Sene tro- 
va della domestica, e della salvatica. Questa 
nasce di sna natura, nei luoghi aspri e foreste 
e traspiantata nel domestico s° ammansa; la do- 
mestica si semina nelle aiuole degli orti divelte 
a due puntate, l’un anno per l’altro, di mar- 
zo e d’ aprile, per servirsi delle sue barbe, all’ in- 
vernata che viene, le quali cotte nell’ acqua 
e spremute, tagliate in girelle si mangian con- 
dite calde con olio sale ed aceto. Ancora ta- 
gliate in pezzi e poste ia una pentola rimboc- 
cata, con fuscelli a traverso nel vano accomo: 
dati sì che elle non escano, si mettono nel 
forno caldo quando ’l pane, e quand’ esso si ca- 
vano; e tagliate similmente in girelle si condi- 


292 
scono in insalata, E tanto sì fa alle bietole rose 
se, ed alle carote, le quali tutte radiche in que- 
sta maniera acquistano al gusto sapore, e deli- 
catezza maggiore. La sassefrica provoca l’ori- 
na valorosamente, e perciò giova a quelli che 
patiscono di renel! a, se Wi pietra. Vuole esser 
seminata rada, e se si caldo dell’ estate la strin- 
ga, adacquata. Ama grassissimo terreno, ed ol. 
tre a questo ben letamato di marcio letame. Il 
seme è fatto quando vuol cadere. 

Il Sisembrio degenera iti menta per indili- 
genza del coutivario, ed è propriamente la Men- 
ta Romana; e la negligenza nasce dal non aver- 
gli la debita cura del cavargli fuor le radici; 
imperocchè avendone egli molte e creandone as- 
sai, la virtù la bontà e I’ odore sene scende in 
quelle, e resta la pianta svanita, e perdendo 
la forma con parte del suo naturale odore, si 
convertisce in menta. Alcuni altri scrivono che 
straccurata e lasciata stare, si trasmuta in ne- 
pitella. Seminasi di seme all'aprile, e con i 
rametti in terra fitti, e troncati ancora s° appic- 
ca; e seminala di seme, in manco di tre anni 
non sarà buona; ma se alcuno dal capo della 
radice scevererà una gemma, la qual molti chia- 
mano Occhio, nel medesimo anno sarà egli buo- 
no. Godesi di terra buona, che sia posta a so- 
latìo, e di sito che sia ugualmente risguarda- 
to dal sole, netto dagli arbori, venendo me- 
glio al cielo scoperto e non occupato . Sì nutrie 
sce sotto la terra, e quivi cresce ; ha natura 
di riscaldare, e ferma il vomito, e manda via 
il singhiozzo, ed i bachi. Seminato o posto una 
volta sola basta tempo assai. — Il Sisembrio 
aquatico, volgarmente s’' addomanda Crescione; 
nasce da per se, nell’ acque stagnanti e nelle 
lacune, e mette neli’ acqua rami, i quali con 
certe capellature bianche di nodo in node van- 


293 
no collegandosi insieme, e quasi di pato 
sono le sue barbe , le quali tirando umore dall’ ac- 
que sì van nutricando, e pigliando augumento 
Mangiasi condito con olio sale ed aceto in in- 
salata, ed ancora cotto, acconcio nel medesimo 
modo, ed in tutte le maniere provoca l’orina. 
È dolce di sapore, e gustevole ed appetitoso; 
sbarbato dall’ acque natìe-e posto nell’ altre, s'at- 
tacca e viene innanzi. 

La Spellicciosa, detta cardoncello, ed inla- 
tino sanicio, ha i suoi fusti rossigni, le foglie 
lunghe intagliuzzate alla foggia della ruchetta, 
minori e più aspre, produce i fiori gialli, che 
dipoi diventan canuti pelosi che sene volano 
all’aere. Nasce per tutto di primavera, e sin 
sopra le muraglie vecchie; piantasi con la sua 
piota, ed alligna nel domestico; le foglie s° a- 
doprano in mescolanze. 

La Stache somiglia il Marrobbio, cresce con 
assai verghe quadrangolari, tntte procedenti da 
una sola radice, più pelose, più bianche, e più 
lunghe. Produce i fieri che nel bianco rosseg- 
giano, ed il seme per divisati tramezzi appresso 
alle foglie su per ì fusti, come fa proprio il mar- 
robbio . Si può mescolare nelle insalate amare, 
che con questo sapore ha dell’acoto. Trapian- 
tasì con la piota; fa sconciare , e tira a terra le 
secondine . | 

La Spuria o Spezie (erba l'odesca che s’ alza 
un mezzo braccio, spandendosi in molti rami ) 
fa un fiore bianco senza foglie, e va maturan- 
dosi in certe boccette tonde a modo di quel del 
lino. Il seme è minntissimo come quel delie rape; 
né si fa d'altra pastura in Alemagna latte più 
soave, nè butirro raccolto migliore, a talche il 
suo seme v°è in pregio quanto quel dell’ orzo, « 
delle biade. Il suo strame passa la bontà del fie- 
Ro, e nutre il bestiame più d’ ogni escremento 


D, 

della Cervisia. Il seme nutrisce soprattutto d’ ine 
verno i colombi, e tutti i domestichi uccelli. 
Seminasi in luoghi sabbionosi e di terra agevole 
tutta l'estate, e d’autunno per avere il seme 
di primavera quando si semina la vena, e di 
ricolta per pasturare ; godonne le pecchie, ed i. 
buoi, ed i cavalli, ed ognialtra sorta di bestia- 
me ; più se è fresca, ma benancor secca. 

La Salvia salvatica nasce in magri ed aspri 
terreni e fra le pietre; e la domestica parimen- 
te ( purchè non sia piantata in terreni paludosi, 
gessosi e cretosi, benchè siano magri e pieni di 
sassi ) vien florida e sempre vi sì mantiene come 
nelle buone terre e nelle grasse , purchè sia in 
siti aperti, e non ombrosi nè umidi; sebbene 
ama talora d° essere adacquata, e massimamente 
piantandosi a rametti, facendo da quei bel ce- 
spuglio, e si pianta come il rosmarino attorcen» 
do un poco il piè del ramo quanto s° asconde in 
terra, la quale ama che gli sia ben calcata at- 
torno. Si staccano aucora i suoi rami colle bar- 
be, e bene a dentro in terreno smosso si tra- 
spongono. Desidera la salvia di sua natura ter- 
reno asciutto. Della domestica ne sono due sor- 
te; una che ha gran foglie lunghe un po? ra- 
dette; un’altra che le ha piccole minute e cor- 
te, chiamata Salvia minuta, che ha le foglie 
più fitte e serrate l’ una coll’ altra ; e questa è 
alquanto più odorante, e di più sostanza; im-- 
perciò è più atta e migliore cotta fra i tordi, 
e soprala fava infranta; e così semplicemente ri- 
fritta nell'olio, siccome le frittelle di questa son 
migliori, ed il vino fatto con questa è più ef- 
ficace e potente. Agrippa chiamò Ja Salvia Erba 
sacra, la quale mangiano le donne gravide quan- 
do patiscono i flussi dell’ umidità della matrice, 
imperocchè ella ritiene la creatura, e fortifica 
lo spirito vitale. La Salvia, si semina di semen- 


-” 


295 
ta, laquale essa porta in quel fiore che par Pia 
panelle, in aiuole ben disposte di lavoro senza le- 
tame, di gennaio, febbraio, marzo, e di set- 
tembre, ed anco di ottobre e novembre, rico- 
prendola poco e con terreno crivellato , nettan 
do poi dall’erbe, e da un anno ina là traspian- 
tandola dove ha da stare nei medesimi mesi, nei 
quali in luoghi più freddi si pianta a rami in 
solchi ben lavorati mezzi ripieni, pareggiando: 
gli come appiccata ella sia, e togliendo de’ suoi 
rami che abbiano un poco del vecchio dell’anno 
passato, e torcendo loro quanto ne va sotto dal 
terreno ricoperto. Ama che le sia lavorato attor- 
no, e smossole il terreno al piede una volta l’aa- 
no d'inverno, e quando la si scalza, d’ esser 
rincalzata colla cenere della liscìa avanzata al 
bucato. Quando cammina la salvia all’invecchiar- 
si, taglisi del mese di febbraio fra le due terre, 
che in poca d’otta rinnoverà più tenera, più fre- 
sca, più bella e più forte di prima. Sele tagli- 
no continuamente tutti i seccumi che si scuo- 
prono per conservarla sempre più verde e vigo- 
rosa. Piantata fonda fa belle spallierette, non la 
lasciando più che tanto alzare, perchè elia ri- 
cuopra il gambo che non resti spogliato di fo- 
glie, delle quali per esser folta la minuta più 
assai, le fa più graziose e belle a vedersi. L° ac- 
qua ( cottavi dentro la salvia e massimamente la 
liscìa ) fa buona lavanda ai piedi indolenziti, ed 
anco giova ai nervi, come cotta nel vino e cru- 
da ai denti. 

La Saggina, detta da alcuni Sérgo, da al- 
trì Melega, si trova esser di cinque sorte, tutte 
diverse e differenziate. L° ordinaria è la rossa, 
e la bianca lattata che s° usa di seminare 5 un°al- 
tra detta Sagginella, quale ha il seme più minu- 
to, si semina sempre innanzi all’ altra più folta 
e più fitta per pasto de’ buoi, che dà loroforza 


296 

e vigore per arare, siccome i Sagginali triti dati. 
loro in cibo. Una sorte n° è tutta nera come car- 
bone, e un’allra da fare scopette, che fa la pan- 
nocchia a rametti sodi, ed il seme ha come l’oî- 
dinaria. Sta bene tra’l terreno temperato, umi- 
do, e secco, ma piuttosto umido e fondato; de- 
sidera terra grassa , e piuttosto sciolta, cretosa 
e leggiera. Ama le pianure de’ campi aperti, non 
punto intufati, nè uggiosi; si allegra ancora di 
luoghi paludosi ed acquidrinosi, e di quelli che 
di nuovo si riducono a cultura,, come boschi, 
prati e simili, che sieno sustanziosi, e di buon 
nervo, e massime quando vi si vuol seminar fru- 
‘mento dopochè vi si sia prima seminata la sag- 
gina, la quale si può anco seminar per i solchi 
«del frumento, e ceci, o altri legumi che di cor- 
to poichè v'è quella seminata s° abbiano a mie- 
tere : il che fatto, essa si dee subito sarchiare, 
e ben rincalzare. Deesi seminar rada mezzo brac- 
cio dall’un piede all’ altro , letaminando bene, e . 
tuttavia in terreno riposato debitamente , ed in- 
grassato a sufficienza, chè così fara bene e con più 
frutto; e si tenga prima che si semini in mace- 
so in acqua letaminata per un dì, e per una 
notte, come si disse del miglio, gettavdo via 
quella che va a galla. Alcunila seminano fra | 
miglio e panico, ecosì vien più rada ,-e profitta 
ineglio. Ne’ paesi temperati si dee seminare alla 
fine di marzo, o nel principio d’ aprile; nei pae- 
si caldi più presto, e ne’ freddi più tardi. E quel- 
la premice minuta che ha a servir per cibarei 
buoi, si dee seminar più fonda, e innanzi all’al- 
tra un mese, per segarla di man’in mano ver- 
de, e darla loro, e deesi serbarne una parte per 
eouservare il seme all'anno avvenire, Semiuisi 
ogni sorta di saggina a luna crescente, e perchè 
Guando è piccola in erba patisce assai, e teme 
il freddo e le brinate, spargasi il sno seme dopo 


297 
la venuta delle Rondini, e rina 
Mori, fermi segnali del passato freddo nei luo» 
ghi freddi 3 e com'ella è nata, ancorchè sia pic- 
cola si sarchi intorno al fine d’ aprile , 0al prin- 
cipio di maggio; edallora si scalza intorno al 
gambo perchè meglio metta, e bene poi con ter- 
ra cotta si rincalza; e la seconda volta di giu- 
gno si razzoli di nuovo e si zappetti ammon- 
tandole bene la terra addosso perchè si difenda 
dal caldo e dal sole. Raccogliesi d° agosto e di 
settembre , tagliando il gambo rasente terra, e 
poi le pannocchie, legandole a manne e ponen- 
dole a seccare sopra i pedali stese non montica- 
te, e rade e ben secche si battono con i co- 
reggiati; e quando la saggina l’è ben secca ed 
asciutta si ripone in lato che non patisca d’ u- 
mido, spianata in terra, e non ammontata, ed 
in luogo aperto, e sventolato perchè non riscal- 
di. I gambi della saggina, oltre a cibarsene 
i buoi, son buoni a far chiudende per difesa 
de’ venti, e a coprire spalliere d’ aranci. La sag- 
gina macinata fa pane zotico e ruvido, ma se- 
ne vive, benchè non vuol’ esser tenuto troppo 
fatto. È buon cibo per i porci, e per i colom- 
bi, e cotta bollita in acqua, per i polli; cotta 
similmente ingrassa l’ oche, e si può per neces- 
sità dare ai cavalli ed ai muli. Smagrisce il ter- 
reno, e perciò dee letaminarsi e ben rilavorar 
quello dove è stata . 

Lo Spigo-nardo, e quello che si domanda 
Lavanda, son differenti. Questa ha le foglie più 
‘morbide e delicate, nè si stendono i suvi rami 
frascoluti, ed il suo fiore è più corto. Tiensi 
aduuque, che questa sia la femmina , e quello il 
maschio, il quale produce le foglie più grosse, 
più robuste e più larghe, ed ancor più bian- 
cheggianti. Dalle cime de’ ramuscelli nascono in 
ambedue i fiori spiccati di color purpurev con 

38 


298 i i 
lungo picciolo , quadrati e sottili; ma nella fem- 
mina sono più coleriti, e più aperti, d° odor 
molto grato, ina bene acuto. Fassi d° ambedue 
i fiori a lambicco un olio acutissimo penetrati- 
vo, che untatane la bocca dello stomaco lo scal- 
da fuor di modo. Trovasi anc@r del salvatico , 
che in tutto e per tutto il doméstico rassomiglia, 
e ne son pieni i monti delle contrade di Nar- 
bona. Il fiore dello spigo spruzzato con la guaz- 
za de ceci scossagli sopra diventa rosso ver- 
miglio. Il fiore d’ambe le specie , secco all’ ug- 
gia in luogo caldo, rattiene l'odore e si sparge 
fra i panvilini, i quali tenendo ie casse serra- 
te sen’ impregnano ed è molto confortativo, sic- 
come la lavanda fatta con spigo, ramerino, e 
salvia bolliti tutti e tre nell’ acqua fa bene ai 
piedi a sdolenzirli e disenfiarli, se 1’ enfiagione 
venisse dall'aver patito freddo. Ama lo spigo 
luoghi domestici ed asciutti, e fa ancora ne” sas- 
sosi e secchi. Piantasi al marzo nei luoghi più 
freddi, e di novembre nei più caldi, spiccando 
dal suo cesto i rametti che sono dalle bande, ed 
attorcendogli come si disse della salvia. Non 
vuo)” esser giammai adacquato. Sene fa spallie- 
rette basse sugli orli de’ viali, e sì piantano fit- 
ti, e cresciuti a quell’ altezza che si desidera, si 
formano con le forbici uguali, e così con esse 
sì mantengono, ma è di mestiero ripiantare ogni 
cinque o sei anni. 

La Spelda se si semini brillata , cioè pesta» 
ta come si fa al riso, è opivione che passì in 
gravo, ma non prima che finito il terz° anno. 
Convien brillarla in legno incavato, e col pe- 
stello di legno, perchè nella pietra s° ammacche- 
rebbe. Non è sorta a'cuva di biada che più af- 
fatichi la terra e l’immagrisca della spelda . La 
brillano con la rena, ed a questo modo ancora 
difficilmente ammaccano le sue coverte che dop-. 


2 
pie sono, € questo st fa con mettervi la SI 
dell'una, e la metà dell’ altra, dipoi sene spare 
ge sopra la quarta parte di gesso, e quand’ ella 
si è attaccata insieme, si cerne con lo staccio 
della farina; quella che in esso rimane si addo- 
manda trascelta ed è grandissima, e dì nuuvo quel 
la che passa si cerne con uno stacc:0 più fitto, e 
sì chiama seconda, Si stacci poi nuovamente quel- 
la che in simil modo rimane nel terzo staccio 
fittissimo , per il quale passau solamente 1° arene. 
Dioscoride la pone di due sorte, uva che ha il 
granello puro e semplice, l° altra che l’ha dope 
pio involto tra due coperte; ha valor mezzano tra 
il frumento e l’orzo, e tantu cede al grano in 
cibo, quanto ell’è preferita all’orzo nel farne 
pane; il quale e Jeggiero e bianchissimo, ma dif- 
ficile a digerire, e nuoce allo stomaco. E me- 
scolato un quarto di farina di fave, e tre quarti 
di quella di spelda, fara pane ragionevole. Nei 
paesi freddi, perchè ella riceve da quelli men dan- 
no di tutte l’ altre biade, sene vive, ed il suo 
pane dà sufficiente nutrimento, e mantiene il 
corpo lubrico . E buona biada peri cavalli all’ in- 
verno . Desidera la spelda terra alquanto umidic- 
cia grassa e sustanziosa; seminasi nel modo me- 
desimo che ’l frumento, e nell’ istesso si procura 
di settembre e d° ottobre . Fiorisce di giugno, e 
si fa matura di luglio. Colla spelda s’ ingrassano 
gli ortolani, e si conserva in lato asciutto quane 
to si faccia qualsisia altra biada. 

La Scandella nasce volentieri, e vien bene 
nelle manegge di terre che sentan d’ umido in 
luoghi aperti ed alti. Il terreno ancora che è 
denso e cretoso, utilmente s° affà alla scan- 
della, come i terreni dolcì e sottili agevoli a 
lavorare, ma assai meglio in campi grassi e ben 
coltivati, ed i siti dove il sole riscaldi lunga- 
“mente. Si semina a luna crescente, avendo ac» 


360 
concio il campo di quella maniera che si fa per 
il frumento, del quale dicesi la scandella esser 
vizio, e di più bianchezza, ma di men peso, e 
venir meglio nei climi umidiccj, e si aggiunge 
non esser da curarsi molto della segala, percioc- 
chè affermano d’ aver conosciuto, che quella spe- 
zie frumento seminato in terreno pantanoso con- 
vertesi dopo ne’ seminati in scandella. Plinio per 
contra scrive, la scandella esser le delizie del gra- 
no. Di là dall’ Alpe nelle campagne degli Al- 
lobrogi, e d° Overnia solamente si mantiene in suo 
essere; nelle altre parti quì circonvicine fra i due 
anni trapassa in grano; ed il rimedio è di rin 
novare il suo pesantissimo seme traendol di fuori, 


La scandella non matura mai tutta a untempo,. 


nè altra biada è che patisca per esser segata di- 
lazion minore, per la sua tenerezza cascando i 
granelli a terra quando è matura; ma mentre 
che è in paglia porta meno pericolo dell’ altre 
semente da’ temporali, perchè è sempre diritta e 
non mai piegata la spiga, e perchè non la può of- 
fendere nè attaccarvisi la rugiada, e massima- 
mente ancora perchè non fa reste non può crea- 
re, o esser guasta da nocenti animaletti. E ben 
vero che la Laconica genera le reste. Seminasi 
alquanto avanti al grano. La scandella sola fa il 
pane più bianco che non il grano per esser più 
bianca, e più farina rende macinata secca; e 
quella che sarà bagnata con acqua salsa di mare, 
o salata, furà più bianco il pane, ma rende più 
crusca. Accostumasi mescolare la sua farina con 
quella dell’ altre biade, e con quella del grano 
è più eligibile. Ù 

La Segala non sdegna la terra sciolta e sab- 
bionosa, ma meglio produce nel campo grasso ed 
aperto , ed appetisce |’ aere di quella fatta che il 
fiumento , sostenendo il più freddo come vell'AL- 
pi, dove si tagliano tutti i rami degli arbori di 


Byron IN pars 
po 2 ere | 


di 301 
maggio e di giugno, e poichè sieno ben secchi 
s'abbruciano, e del mese d’agosto si zappano i 
campi, e la cenere da lor cavata vi sì sparge a 
seminar la segala; lasciansi poi riposare sei o set- 
te anni, eda quì inlàsi fa lo stesso. E dove non 
son boschi si scotenna l’ erba, e s’ abbrucia, e la- 
vorata, vi si semina ogni otto anni. Fiorisce in 
otto dì intorno al fin d’aprile, e nel principio 
di maggio, nei luoghi temperati, ed allora non 
bisogna trassinarla ; matura avanti al frumento, 
siccome avanti esso ella si semina; cascato il fio- 
re si fa in quaranta dì. E chi la semina in com- 
pagnia del farro e del frumento per farsene 
insiememente pane, ma meglio profitta di per se 
perchè le più volte matura prima . La farina che 
fa, mescolata con quella dell’ altre biade la fa 
tener insieme, ed il pane che sene cava è mi- 
gliore. Sono alcuni che la segan primatiecia men- 
trechè ancor ella sia in fiore, e seccata al so- 
le quando si vendemmia mettono nel tino un 
suolo di quella, ed un suolo di uve, e quel 
vino che premendo sene cava due volte, l’ una 
doppo l’altra, lo rimettono iu sul tino a ripi- 
giare, dipoi s' imbotta e dà sapore al vino, ed 
odor molto buono; e di questa maniera gli osti 
oltramontani, molte volte falsificano il vino. In 
molti luoghi il grano, scrive l’ Eresbacchio, si 
converte in segala ed in scandella, se si semi- 
ni in luogo magro e debole, e per contra la se- 
gala in frumento se si semini in campo grasso, 
e sostanzioso , e cita Celso affermante che ciò 
avviene in assai paesi. Seminasi al fin di settem- 
bre, o al principio d’ ottobre in terra buona; 
nella sabbionosa ancora di febbraio, e questa 
s°addomanda segala statereccia. In lato asciutto 
basta assai. 

La Tifa cereale è di razza non troppo dif- 
ferente dalla scandella, di una sola spiga. Il suo 


302 
granello ha assai coperte di folta barba; in tre 
anni durata a seminare, brillandola diventa gra» 
no, e più presto d'ogni altra spezie degenera 
sendo da luogo a luogo mutata, e tralignata 
ritorna a esser frumento. Il suo granello è leg- 
gerissimo ed ingrossa dopochè e sfiorito : il che 
si fa in quaranta dì. Non desidera terra grassa 
nè lieta, ma debole e sottile. Seminasi in terra 
lavorata come e quaudo la scandella; fa pane 
neio, brutto e cattivo. — La Tifa ordinaria è 
detta erba-sala o mazza-sorda perchè entrata 
negli orecch] altrui assordisce. Sene può far col. 
trici e materasse, ma conviene spesso ribatter- 
le e rifarle. Delle sue foglie si fan le sporte, 
e le veste ai fiaschi, e corde per iatreccia- 
re. Nasce da per se ne’ paduli, ed in ogoi 
acqua stagnante, di dove trasportata con la sua 
piota vien beve nei peliaghi d’acqua ferma. 

Il Turchesco ( frumento ) teme danno dall’ac» 
qua seminato che e; la sua erba e paglia piace 
e fa bene a tutte le bestie; la sua farina è 
bianchissima, e si può dire che per le carestie 
faccia buon pane. Quando il suo granello è ma- 
turo, cavato de’ suoi invoglj, è simile aila sag- 
gina, e sene ingrassa ogni bestiame, e lo man- 
gia con appetito; i suoi granelli, alcuni son 
di color rosso, altri di bianco. Seminasi al tem- 
pu, al modo, e nella terra che l’altro. Altri 
lo chiaman Grano d° India. 

I Tartufi son tenuti un vizio della terra la 
quale gli genera dentro alla superficie di se stes- 
sa della materia di se medesima , raccogliendosi e 
condensandosi; e questo si vede certo nelle co- 
se che nascono, e nun si posson seminare. Na» 
scono nell’ autunno quando spesso piove , e spesso 
tuona; sono teneri la primavera. In alcuni luo- 
ghi nascono e vengon trasportati dai fiumi, co- 
me nel paese di Mitilene, dove si tiene che non 


308 
nascano che per l’inondazioni de’ fumi, iquali 
gli trasportano da Tiara, luogo ove nascono co- 
piosissimamente. KRitrovansene in Toscana quasi 
per tutto, e per il più come in Lombardia bianchi 
dentro, econla scorza ruvida, e d’ un? altra sor- 
te brinata chiazzata di bianco. N'è nella valle 
Anania de’ piccoli poco al gusto aggradevoli, e 
scipiti; laudati sono gli Affricani, e da noi quel- 
li dì Norcia, ed ovunque nascono fan crepar la 
terra, e non apparisce fessura alcuna, circon- 
dati da ogni banda dalla terra senz’ essere con 
cosa alcuna attaccati ad essa. Par che sia con- 
stante che la grassezza della terra s° aggomitoli 
in quella escrescenza: il che si fa per questo ma- 
nifesto, perchè spesse volte s° intrìcano dentro 
con pezzetti di pietra o di ferro che vi si ritro» 
va, ed a Laerzio Licinio Romano avvenne che 
mangiando un Tartufo crudo con avidità , gl’ in- 
clinò i denti dinanzi per esservi dentro una pie- 
tretta. Non si mantengono ove nascono sotto 
terra puouto più d’un anno, e piuttosto meno; 
nè mai due, come scrivono alcuni. Talora fen- 
dono di sopra un poco la terra, e si scuopro- 
no. Nascono alcuna volta in luoghi secchi ed 
arenosi, e tslora nelle coste è vallate delle as- 
prissime montagne, e sotto a dove è alta la ne- 
Ve, e sotto stérpi e terra piena di fruscoli, e 
qualche volta in luoghi più domestichi ed uma» 
ni terreni. D° inverno son più duri. Un°erba 
che sopr’ essi nasce, detta Nidiosella, da. indi- 
zio ch’ e’son sotto a quattro diti. Rende il luogo 
anzichenò odore , siccome quelle piante, sopra le 
quali si fonda 1° Arcobaleno, restano per alquanto 
spazio rendendo grato sito odorato. Alcuni sene 
ritrovano profondati quasi un braccio, ed altri 
come s’ è detto rompono la terra in cima. Ne 
fanno in Grecia assai, ma in Italia quelli di Nore 
cia sono tenuti eccellentissimi come più sa- 


304 
poriti e d’odore più grato degli altri. In quel 
le montagne di Norcia sene ritrovano alcu- 
na volta de’ grossi quanto una pera - cotogna, 
ma i mezzani o piccoli son tenuti di miglior 
sapore. Contuttociò a tempo di Leon Decimo 
ne fu trovato uno in quel paese, e portatogli 
che pesò ventiquattro libbre, e riuscì al gu- 
sto gratissimo. Hanno quei Norcini avvezzo i 
porchetti, che perciò tengono a quel sito, ai 
quali condotti da loro sciolti, o legati in quei 
lati dove fanno, lascian fiutare la terra, e quan- 
do gli odorano cominciano a grufolare, ed es 
si allutta con un marretto scavano quivi ol. 
tre, e gli trovano, stimando gran pregio quel- 
le porchette a questa tale iodustria assuefatte. 
€ chi afferma che trasportata la terra che fa i 
tartufi, volta al medesimo stato del cielo, e ca- 
vata sotto un braccio in altro paese più assomi- 
gliato che si può a quello di dove ella si le- 
va, genererà tartufi se. non così grandi e. così 
buoni come nel natìo suolo, almeno poco man- 
co, e ciò affermano quelli che non dai tuoni 
eredono generarsi i tartufi. È chi racconta, to- 
nando, o per altra furza dell’ aere entro pene- 
trandovi il sole, far la terra certe. fessure, e 
guardando per quelle crepature conietturarsi 
quivi esser creati i tartufi; per la qual cosa 
molti credono che non si possa chiarire che i 
tuoni sien causa della generazione de?’ tartufi, 
non altramente che se alcun si pensi, che le 
chiocciolette sien create da qualche acqua che 
piova, piuttostochè generarsi da qualche umo- 
re fra le pietre e muricciòli. Agemaco Greco 
eredeva che fosse miracolo, che però non pas- 
sasse i termini del poterlo credere; e veramen- 
te considerando che molti prodig) delle saette. 
e de’ tuoni hanno incognite e cieche cagio- 
ni e difficilissime a potersi sapere, e delle. 


305 
quali niuno al tutto può 1° origin conoscere, 
mi mossi con riso a dire: Il bulbo non per la 
sua sottigliezza può rimuover da se le saette, 
ma per miracolo che fa discordare, e disunire 
e contrariare fra loro due segrete virtù, come il 
fico, e il lauro non son tocchi dalle saette, nè 
queste abbruciano mai le rene al Vitel-marino 
o, alla Jena, colle cui pelli sogliono i marinari 
circondar l’ estremità delle vele perchè non re- 
stino offese. I contadini tengono che l’acque 
( risplendendo i baleni con esse) nutriscano le 
biade; ed al tutto hanno opinione che sia da 
stolti maravigliarsi di così fatte cose, massima- 
mente vedendo in quei tali effetti 1° acqua ( co» 
sa molle e delicata ) con aspro scoppiettamento 
talora accendere c gittare il fuoco in più parti e 
produrre i baleni. Il che al certo di fatto non può in 
alcun modo far capaci colla persuasione, come pu- 
re che una guastada piena d’acqua volta alla spe- 
ra del sole ecciti sotto la fiamma del fuoco, at- 
taccanadolo a quello che posto vi sia, sebbene 
dicono che il reflesso con l’ unione de’ razzi del 
sole che quivi s° accozzano, di questo sia la 
cagione; ma Plutarco per gl’intimi penetrali 
della Filosofia ricercando le cause ( avendo Agie- 
maco datogli sulla destra mano) dice che rom- 
pendo e spezzando e fracassando i tuoni i ba- 
leni e le saette con forza, l’acqua essere fera- 
ce e feconda, nè si può di presente ciò più e- 
videntemente conoscere, dandone la causa all’ab- 
bruciamento ed eccitamento di fiamma che fac- 
cia il fuoco; perciocchè il puro fuoco velocissi: 
mo si muove con rovina, illuminando il baleno, 
e mentre incrudiscono le tempeste , contrariando 
e rivoltando con furore il vento, doma il freddo 
e cavane fuora l'umore, a tal che viene adap- 
portare alle cose che germogliano una certa soa- 
vità, colla quale più presto ingrossino, e pi- 


39 


306 o 
glino augumeato, sendochè la proprietà delle 
temperature , e la differenza de’ succhj vien con- 
ferita a bastanza da quelle cose che queste tali 
fanno uscir fuori ; non altrimenti che le rugiade 
somministrano assai più dolce il pascolo e più 
.scave, grondando sopra l’erbe e foglie delle 
piante ed arbori, e come si disse deli’ arco-ba- 
leno che immoscada le piante ove esso pon so- 
pra il suo cominciamento, seminandovi il dolce 
alito del cielo; ond’ è che molto più è verisimi- 
le, che coll’ acqua celestiale, i tuoni, le saette 
e l’impeto de’ venti, e col caldo cacciatisi in- 
teramente nelle viscere della terra raccolgano in 
se il terreno, e certi rotondi e circolari racco- 
glimenti, e ascessi fungosi commuovansi e man- 
dinsì fuora come nei corpi umani il soverchio 
calore e ’l sangue alcuna volta va creando le 
gangole strumose, ed i fignoli, e gli enfiamen- 
ti. Sicchè i tartufi conviene che non si creino 
senz’ il calore e senza l’acqua che a fargli con- 
corrano, e piglin dalla terra paziente e muta- 
ta quell’ incremento d° insieme ammassarsi in quel- 
la forma. La terra adunque impregnata col fer- 
mento dell’ acqua che vien dal cielo, si raggro- 
viglia insieme, e con l’aiuto del calore riscal- 
data si congela in quei tartufi. Scrisse Deifilo , 
che i tartufi sien duri a digerire, ma che facciano 
util nutrimento , e scarichino ed alleggeriscano 
il ventre. L° erba che nasce sopra i tartufi, la 
qual trovata dà segno che sotto e’ vi sieno, Pan- 
filo la chiama Idrosillia. Dice ’l Ruellio contut- 
tocidò che i tartufi generano umori grossi e me- 
lancolici, nè per altro è creduto che incitino la 
Venere che per la loro ventosità , e per accom- 
pagnar nel lor condimento il pepe. Grudi mon- 
dati si mangiano con sale, e similmente mondi 
con diligenza ( ed è chi ben lava con acqua 
calda le mondature , e cotte con olio le marigia ) 


307 

si tagliano in fette piccole, e si fan bollire con 
olio nel tegame, mettendovi pepe assai. Ancos 
ra sì cuocon sotto la brace, e dipoi si monda- 
no, e si mangiano con il sale a quel modo. Cuo- 
consi pure in minestra con acqua, olio e sale, 
e sene fanno torte e pasticcj soavissimi, ed è 
cibo appetitoso, e da ravvivare e rinvigorire 
il gusto. 

Del Timo n'è di due specie, il nostrale e 
quel di Levante che è assai più fitto e fondo 
di foglie, ed è d’acutezza e d’ odor maggiore, 
e di sapore al gusto più pungitivo e sappiente. 
Dai fiori del timo raccolgono le api vantaggia- 
tissimo méle, e diquì predicono quelli che han- 
no la cura delle api la carestia e la dovizia del 
méle , percioechè se il timo.presto sfiorisce (il 
che per le continue pioggie gli suole spesso ac- 
cadere ) il méle non succede in copia abbondan- 
te. Il seme della satureia e dell’ origano chiara- 
mente apparisce , ma quel del timo, per essere 
in un certo modo incorporato co’ suoi fiori, non 
Ci sì dimostra apertamente , e per questo si se- 
mina in marzo con 1 fiori, e così nasce. Il mi- 
glior timo d° Italia è quel di Puglia, ed è ec- 
cellente quel di Candia. Ne è abbondante il 
contado di Gorizia, e quivi sopra quello nasce 
il vero Epitimo. Quel timo che è nero non è 
accettato tra i buoni, perchè corrompe la com- 
plessione, e genera collera; |’ eletto è quello del 
fior purpureo, ma di più valore è quello che lo 
fa bianco. Non ama luogo grasso nè letamato, 
ma sibbene aprìco. Vien bene dai rametti sco- 
scesi sino a terra dal cespuglio della pianta, 
avendogli attorti da piede, e disponendogli col 
piolo in solchettì piccoli di terreno ben lavora- 
to, e trito. I cestì del timo secco fatto con i 
suoi fiori, e posto in macero nell’ acqua per un 
dì, € poi ricoperte con la terra, daranno un timo 


308 


fresco e rigoglioso. Gli nuoce l’acqua, e gode 
del secco ed asciutto in terreno magro. È buo- 
no a fare spalliere basse, ed è obbediente alle 
forbici per tutti i lavori. Adoprasi pesto nelle 
salse ponendone poco, come nei cibi che si bra- 
mano acuti. 

Il Trifoglio è di tre snezie; .il maggiore che 
ha le foglie edi fusti più grandi di tutti gli al- 
tri; il minore che produce le foglie aguzze; un 
terzo n’è il più minuto di tutti questi, e sì può 
chiamare il salvatico. Scrisse d° una spezie d'acu- 
to Scribonio Largo, così dicendo : nasce il trifo- 
glio aguzzo copiosissimamente in Sicilia, e non 
lho mai veduto in Italia se nen nel porto di 
Luni, quando con Claudio Cesare andavàmo in 
Brettagna, dove assaissimo n° era per il circuito 
di quei monti. Il Mattiolo ne pone d’un°altra 
spezie in Italia con forma nelle frondi di More, 
detto da molti acetoso, e da alcuni pancucolo . 
Il trifoglio che nasce in Italia ne’ prati è di tre 
spezie. anch’ esso; il primo fa le frondi rotonde 
e grandi, il secondo lunghette , ed il terzo pur 
rotonde, ma piccole: sono variati anco nel fiore, 
perchè è bianco, rosso, e giallo. Predice il tri- 
foglio de’ prati la tempesta, scrive Plinio, per- 
chè tutto s° arruffa. Ha esso le frondi si- 
mili all’ arbore Lòto, e ciascheduna sua méssa 
conforme al nome ha sempre tre foglie : quando 
egli è tenerello rende odore di ruta. Il fiore. pur- 
pureo ha il seme largo, ed in alcuna parte di se 
peloso, e dall’ altro suo termine è cornuto ; ha 
la barba lunga ben soda, e fortemente fitta in 
terra. Fa menzione del trifoglio Simontalo , il 
quale dice far nei luoghi pietrosi, ed è più degli 
altri di valore, e stimato. Il sugo del trifoglio 
infuso per un corno nella gola delle pecore 0 ca- 
pre’ moersicate dalle vipere presentane loro il ra1- 
medio. Danno per precetto alcuni che si deggia 


30 
tuttavia cogliere con la sinistra mano: Fu na 
vato primieramente nell'Isola di Corsica e di qui» 
vi trasportato alle Cicladi, e in Grecia con gran 
guadagno del cacio, profittando egli benissimo 
a tutti i bestiami di latte, e dato ai cavalli per 
istrame è di grandissimo nutrimento. Non teme 
nè venti nè tempesta nè neve nè ghiaccj nè 
pioggia, ma andando asciutto ha di bisogno d’es: 
sere adacquato, e tosto nato si dee sarchiare, e 
doppo tre anni tagliare e darlo alle bestie, avendolo 
in terra adentro ben lavorata seminato fitto col se- 
me del cavolo per poi cavarlo di lì, e trasportarlo 
in simil terra, ponendolo lontano un piede e mez- 
zo l’un cesto dall’ altro; così scrisse Varrone. 
Oggigiorno si costuma seminarlo di marzo nelle 
biade, e vien forse meglio seminato dal fin d’ago- 
sto sin ai dieci di settembre o quindici in terre- 
no seminato di segala ed erpicato , perciocchè 
gittando allora quella sementa nella polvere, ed 
erpicandola a deotro almeno due volte oltre all’er- 
picature fatte alla segala, s' incorpora talmente 
in quella terra, che ve ne resta poca che non 
8° appigli. Ma seminandola di marzo; non solo non 
può nascere così bene, come fa nel detto termi- 
ne per esser gettata sopra la terra dura, ma 
muore anco tutta quella che rimane sopra le fo- 
glie della biada , oltre a che così è più cresciu- 
ta a tutto novembre, che non è quella a prima- 
vera quando si tagliano le biade. Non teme nè 
anco le pioggie, nè altro sinistro, perchè bene 
abbarbicata, e segandola doppo che sieno se- 
gate quelle biade, non pur si fara una stoppia 
ben trifogliata , ma produrrà due segate dì fieno. 
Quanto a cernere il seme, è meglio quello col 
guscio che lo spogliato, perchè quello 1’ aiuta & 
nascere, nè sene perde; e migliore ancora è il 
seme che si raccoglie del monte , che non quello 
del guscio , o il netto, perchè occupa più 


s10 

terreno con men seme; e questa sementa, sicco=« 
me la Medica, tuttavia desidera d’ esser semen- 
tata fonda. Si può seminare ancora al findi set- 
tembre, e al principio d° ottobre sopra il frumen- 
to; ma o sopra questo o sopra altro, o sia di 
che tempo si voglia che si semini il trifoglio, 
usisi diligenza che non rimanga scoperto, per- 
chè allora il freddo lo diserterebbe, come al 
marzo il caldo, e il secco ; imperciò vuol terre- 
no temperato fra’! caldo e’l freddo, umido e 
Secco, e però in campo rotto avanti al verno, 
bene erpicato, e rastrellato, minutamente lavo- 
rato e letamato. Si seminerà ancora da per se 
senza mescuglio convenientissimamente di marzo, 
avendolo posto in molle come il miglio nel secon- 
do quarto della luna crescente. Si semina pure 
a questo tempo sopra le biade stando per piove- 
te, o veramente gettando il seme in terra da 
mezzogiorno in là verso il tardi, e col rastrello 
facendo bene unirlo e incorporare al terreno 
perchè tanto più presto nasca ; e così anco tras- 
sinato il terreno gioverà al grano. Si dee poi 
nato sarchiare con diligenza, e tener tutto netto 
da tutte l’ erbe nocenti che vi nascessero. Si ras- 
setta e ripone come l’altro fieno, del quale più 
‘giova e nutre le bestie, nè si dee lasciare star 
( segato che sia ) ammontato in sul terreno, per- 
chè riscalda diventando cattivo. 

ll Titimalo è di sette maniere, ma il più 
bello e da vedere è il Ciparissio, che rappre- 
senta la similitudine dell’ arcipresso , essendo ar- 
borescente, ed alzandosi da terra con rami e 
fusto assai valoroso più di due Draccia ; l’altro 
cresce sopra la terra alquanto, ma non è così 
vago , nè così bello a vedere. Il suo seme rac- 
colto d’ estate, o d'autunno seminasi di marzo 
in terreno grasso e ben fondato , dove anco all’ot- 
tobre si può trasporre, cavato con buona piota . 


LI 


STI 

Tre o quattro coccole di questa pianta spremute 
e cacciate in un ficosecco e mangiate muovono 
il corpo. Scrivendo col suo succhio in su la 
carne viva, ogni concettu si spiega e legge con 
gettarvi sopra della polvere di cenere vagliata, 
esprimendosi acconciamente le parole; ed il suo 
latte fresco avendone unti al sole i peli gli cava 
fuori, e quelli che rinascono fa esser gialliccj e 
graciliz finalmente facendoli gli altri e spelan- 
doli gli consuma e manda via. Il suo latte mede- 
simamente cacciato nei fori dei denti, e ratte- 
nutovi con turami con cera perchè non offenda la 
gola e il palato, leva il dolore che vi fosse. 
Quest’ erba pestata , e gettata in fascetti nell’ac- 
qua che stia ferma, o che corra lentamente, am- 
mazza i pesci non meno di quel che faccia il 
Guaraguasto, detto Barba Iovis. 

Il Terracrepolo è un’erba che nasce alla 
campagna nelle grotte , e nei ciglioni delle fos- 
se. Raccogliesi il suo seme di estate e si semina, 
nelle aidle degli orti come l’altr'erbe; ed è 
buona a mescolare nell’ insalate, e tagliate le fo- 
glie rimette, ma è più saporito lo svelto alla 
foresta . 

Dei Tiiboli ne son di due sorte, e n°’ è 
pieno il Mondo , che è la nostra carcere. Ilter- 
restre è di due fatte, uno ha le fronde simili 
ai ceci, e l’altro le produce spinose; ambedue 
sono copiosi di sermenti. Nasce quello delle 
fronde spinose più tardi, e sì suol ritrovare ap- 
presso alle siepi delle valli. Il frutice della pri- 
ma è simile al sesamo , ma quello del più tardi- 
vo è tondo e nero e serrato ne’ baccelli, ed una 
terza specie sene ritrova, e dice averne visto 
il Mattiolo, che ha le foglie in sull’andar del- 
la porcellana; l’altro è l’ aquatico, del quile 
sene ritrova assai in molti fiumi, e massima men» 
te nei laghi stagnanti, e questo non solameute 


3193 


nasce nell'acqua dolce, ma ancor nella salsa; 
come son quelli chiamati marini che .si vedono 
in più. luoghi e fanno intorno alle lagune di. 
Vinegia , e sogliono i pellegrini farne filze di 
gran corone. Hanno dentro certo tenerume dol- 
ce al gusto, che si mangia crudo e cotto sotto 
la cenere calda nel tribolo stesso triangolare. 
Il suo sapore è simile a quello delle castagne . 
L° aquatico cavato dell’ acque ‘ferme ove fa, 
quando ha poco tempo s’alligna ne’ truogoli 
dell’ acqua che si muova, racconciandovelo den- 
tro di quella medesima maniera che si trova sta» 
re nel suo natìo luogo; tutte le sorte proibisco- 
no il geoerarsi dell’ infiammazioni, ed il calor 
de flussi. Gonvien cavarli dell’ acqua natìa di 
primavera e gli altri terrestri ancora di questo 
istesso tempo si possono traspiantare. 

L° Uva spiva si trova e salvatica, e dome- 
stica; è questa di due sorte, una che cresce me- 
no, e fa il granello dell’ uva rossigno, e i’ altra 
che si alza un poco più, è più piena di pun gen» 
ti spine, e crea l'uva prima verde, poi verdero- 
gniola soda, ed in ultimo matura, lividiccia e te- 
nera. La domestica , siccome la salvatica, è bua- 
na per le macchie de’ giardini, e per le spalliere 
de’ viali degli orti. Ama terreno asciutto e foa- 
dato, e vien bene nei luoghi grassi, ma fa mi- 
ner frutto, e non saporito, € più grosso che nei: 
lati magri, doveancora fa bene e s' alligna, pur- 
chè sia qualche volta ititorno lavorata e zappa- 
ta e rincalzata bene. Non si pota l’uva-spina, 
e solamente sele levan d’ attorno i seccumi, e 
dopo dieci, o dodici anni si torna a ripiantarla, 
strappando dal suo cesto i polloni giovini, o mes- 
se con'le barbe. L° uva sua matura si mangia, a 
quel modo; i’ acerba fa l’ufizio d’ agresto così 
nei brodi come nelle salse, e chi ne ragunas- 
se quantità farebbe un agresto grazioso, s1ec0- 


318 
me della matura buon vino. La vera uva-spi- 
na ha le foglie simili alle azzeruole; s° attacca 
ancora senza barba, spiccando con la pianta 
un poco del vecchio, ed i suoi acini seminati 
con la diligenza de’ cipressi nascono, e dopo 
un anno si trapiantano. Piantasi di novembre 
acconciamente, ed isuoi rami giovini scapezza- 
ti ed atlorti, di primavera piantati 5° afferma- 
no. Giova nelle minestre data nelle febbri acu- 
te; piace assai alle donne che son gravide . 

L° Urtica, ovvero Ortica è di due sorte; 
la più domestica, e la men salvatica. La femmi- 
na è d'un po’ minor piavta, ma ambedue pun- 
gono, e subito levano in su la carne le cocciuo- 
le: il rimedio è strofinar forte ed ugnere con olio 
d’ ulive il luogo affetto. Quella che è alquanto 
biancheggiante è ia più eligibile, e le sue ci- 
mette cotte e condite in insalata non son di- 
sgustevoli.. Nasce da per se nella primavera in 
su fe rovine delle muraglie, ed in terra umida, 
non rifuggendo l'ombra, e volentieri viene in 
terre grasse e sustanziose. La radice dell’ osti. 
ca cotta fra le caroi dure le fa frollare, e il 
lavarsi i piedi colla cottura delle foglie e delle 
barbe in acqua è un amuleto contro al freddo 
de’ piedi patito quando si cavalca per i diaccj 
e nevi, a riconfortarli la sera. L° ortica mora è 
di foglie manse, e non punto pungenti, e sono 
più grandi dell’ altra, ed il fusto più tenero co- 
me loro; l’une e l'altre fan seme € possopo se- 
miparsi comè 1° altr” erbe . 

Il Verbasco è di due sorte, una di foglia 
bianca, l’altra di nera, ed il bianco di nuovo 
si distingue in maschio ed in femmina. Questa 
ha le foglie somiglianti del cavolo, il maschio 
uo poco più lunghette, e biancheggianti. Ri- 
trovasi il verbasco salvatico, che ha le foglie 
simili a quelle della salvia, ed è arborescente, 


Ad 


SI4 


e cresce con rami, e fa certi fiori gialli pan». 


nocchiuti, iquali sfioriti lasciano certi fori co- 
me quelli de’ fiali delle pecchie, e delle vespe; 
l’uno e l’altro verbasco si traspianta: dai luoghi 
ove sì trova nel domestico, ed alligna. L’ erba 
fresca della femmina pesta con due pietre vive, 
e messa nell’ inchiodature de’ cavalli le sana. 
Dicono, scrive il Ruellio, che i fichi ravvolti 
nelle foglie di quella che è femmina nonsi pu- 
trefanno. Tutti i verbaschi hanno l’istessa vir- 
tà sì l’un che l’altro. 

La Vinca o Pervinca è un’ erba, la qua» 
ie mantiene la foglia perpetuamente, facendo 


certi fiori azznrri in guisa di piccole campanel- 


lette, sì stende con un fusto sottile per terra, 
e vi si coricano 1 suoi rametti rincalzati rin- 
novando le radiche come fanno i roghi. Ha 
le foglie simili a quelle degli olivi, un poco più 
grandette e più nere . La migliore e più bella Vin- 
ca-Pervinca che si .ritrovi è quella che si fa 
addurre di Spagna, la quale s'inalza, ed e più 
folta e fitta di foglie della nostrale, la qual na- 
sce ne’ boschi, e di quivi si traspianta d’ autun» 
no nel domestico a fare spalliere terragnole, o 
veramente verdura in terra piana, e può anco 
vestire le ingraticolate non troppo alte. 

Il Visco è simile alla Cùscuta, che nasce 
così com° ella sopra Îa ginestra, e sopra il lino 
senza punto teccar terra, avvicinandosi ed av- 
viluppandosi al suo fusto; così questo vive attac- 
candosi ai rami degli arbori, crescendovi in for» 
ma rotonda con rametti di foglia com'° il bosso- 
lo, e coccolette piccole senza fiori. Grande è il 
vischio per lato di un piè e mezzo edè lento, 
sempre verde, di grave odore se non sia nel 
leccio e nella quercia , su cui lo rende buono. 
Nasce adunque sopra questi due, e sopra i cer- 
ri, ed ia su’ castagni, terebinti, pini ed abeti, 


Too 


315 
ed ancora ne’ meli e perì salvatichi e domesti- 
chi, e sui sorbi reputato inutile, e nella mag- 
gior parte delle regioni si trova che nasce in 
su questi e non altri, e massimamente nelle Ma- 
remme Sanesi. Pasconsi di vischio, cioè de’ suoi 
acini le tordele ed i tordi, dal cui sterco pieno 
ancora di semi che resta attaccato sopra gli ar- 
bori dove albergano e si riparano, nasce la 
pianta che lo produce; e perciò diceva Plauto 
che i tordi sì cacan la morte. Nasce anche dal- 
lo sterco de colombi salvatichi che similmente 
selo mangiano , ed è scritto . non nascer pri» 
ma che sia digestito, e passato per il ven 
tre e secesso di questi uccelli. Quello che na- 
sce nei pini, e negli abeti e ne’ mandorli 
(che n° è assai nella Valle Anania) è reputato 
di poco valore come s'è detto di quello de’ pe- 
ri e meli, perdendo virtù nel batterlo ed accon- 
ciarlo. Imperciò quello che si cava dai castagni, 
cerri e quercie è il più robusto e di più ner- 
vo, e di tutti gli altri migliore, e riesce di 
color d’oro. Il visco si fa de’ suoi acini acerbi, 
cioè verdi, e non ancor bianchi, iquali si rac- 
colgono nel tempo della ricolta, si seccano, e 
secchi sì pestano in mortaio di pietra , e messi 
nell’ acqua si lasciano putrefare , il che avviene 
in dodici dì; e questo solo nell’ infradiciarsi re- 
ca utilità. Accanto a questo di nuovo cacciati 
nell’ acqua, e di nuovo ammaccati col pestone 
inteneriscono con la materia di dentro, avendo 
lasciata la corteceia di fuori; sì rimestica ap- 
| presso a ciò nel mortaio, e con l'olio rimestie 
cato si conserva agli usi. Alcuni gli acini pe= 
stati cuocon nell'acqua tantochè stiano a galla; 
alcuni trassinando gli acini fra i denti gli spo- 
gliano della corteccia sputandola. Se nondimee 
no sieno gran pioggie nella battitura del fru- 
mento e biade, quelli acini crescono per l’ ac- 


116 
qua e nel visco istesso si marciscono. Ottimo è 
quel visco che non ha buccia, e che è legge- 
rissimo. Certi hanno opinione che quel visco 
sia più efficace che è cavato via senza ferro al- 
la prima luna nuova. Fassi ancora vischio 
delle corteccie delle radici dell’ agrifoglio , e 
delle barbe di viburno, o lantana, e di quel- 
le. dell’ hibisco, cioè altèa, o malvavischio. 
Pigliansi le scorze delle radici di questi e si 
seppelliscono sotto terra in luoghi umidi tra lor 
frondi medesime rinvoltate, e quivi si lasciano 
putrefare alquanto tempo; appresso marcite sì ca- 
vano e pestano in una pila di pietra con pesto- 
ne di sorbo tantochè diventano una paniccia vi- 
scosa che s° attacca ; lavansi per ultimo in acqua 
corrente dalle sue immondizie. Si maneggia il 
vischio con l’olio d° uliva o di noce, e con que- 
sto s' impasta e si stira e prepara per impia- 
strar sopra rametti o altro per invescare gli uc- 
celli. Nè è cosa alcuna che più s'attacchi, e 
tenga ferme l’ ali degli uccelli, 1 Sacerdoti Drui- 
di non avevano gia in venerazione cosa aicuna 
come venuta dal Cielo più del vischio, ed all'ar- 
bore del vischio, che n° era pieno, massimamen- 
te se fosse quercia, sacrificavan fiori, ed altre 
cerimonie facevano. Si conserva il vischio in va- 
si di terra invetriata, o in bigonce di legno, 
aggiungendovi olio d’ olive o noci, col quale 
sempre si distende. Fassi anco il vischio in Si- 
ria del Sebaste, che il Ruellio tiene esser la. 
Mixa de° Greci, ed in onore di Augusto dice 
essersi così chiamato . È un arboscello piccolo 
di. corteccia bianca, verde di rami, di foglia 
rotonda e grande. Fa nei rami i frutti dolci 
pieni di candido liquore entro a dei noccioli co- 
me d'oliva, e questo sì chiama vischio di Da- 
masco, che è quello che si vende in molti luo- 


a . 


ghi d° Italia; ma è migliore e più tenace il po» 


Sup 
strale. Trovasi ancora da poter fare il vischio 
dalle corteccie di alcuni altri frutici, che si co- 
nosce aver in loro del viscoso e del glutinoso . 
È il visco medicinale, mollificando e poi dis- 
seccando gli umori; e mescolata la pania con 
ragia e cera manda via le strume. La pania 
più eligibile è quella che è più leggiera, di 
fuori gialla, e dentro di color di porro; pania 
vecchia di due anni non è tenace come d’ uno, 

Il Viburno produce i rami della grossezza 
d° un dito alti due braccia. Ha le foglie simili 
a quelle degli olmi, ma biancheggianti e più 
pelose, le quali per pari e distante tra esse ver- 
sano su per li rami a due a due, e d’intorno 
sono sottilmente dentate. Fa i fiori bianchi a 
modo d’ ombrella, dalla quale procedono gli aci. 
ni; e de’ frutti schiacciati in un mazzo moltipli- 
cati ed accozzati insieme di gran scorza, minori 
delle coccole dell’agrifoglio. Da principio ca- 
vansi verdi, nel processo rossi; e quando son 
maturi, neri morati, e le barbe viscosissime, 
ed hanno i semi dentro a quelle coccole, i qua- 
li con difficoltà nascono; perciò è meglio tra- 
sporre la pianta di dove sia, a novembre. 

La Vetriòla ( per altro nome Paretaria, per- 
chè nasce volentieri nelle macìe, ed anco in ter- 
ra rasente quelle ) è così chiamata perchè strofi- 
nando con essa e con acqua i vetri si fanno pu- 
litissimi, come colle fanfalucole della paglia ab- 
bruciata e acqua calda i piatti d’argento e d’oro, 
e come colle foglie de’ fichi si fanno netti tutti 
i vetri, ai quali veramente più di tutt'altro è 
essa appropriata. — La Vetriola de’ Ruisti si 
ritrova per tutto rasente le muraglie abbattute. 

Le Viole. mammole sono indizio della pri- 
mavera; fassi delle secche polvere odorifera, e si 
dà in sacchetti al vino per dargli grato odore . 
Le Vivuole ordinarie venendo la: rino sono 


318 


le prime a fiorire, annunziandola esse tra tutti. 


1 fiori; ed essendo tepor d’aere nell’ autunno e 
verso l’ inverno, ne fanno ancora in quel tempo 
abbondantemente; siccome avviene talora di ri- 
fruttificare in quella stagione ai susini, e di fio- 
rire ai mandorli, che dipoi sopravvenendo il fred- 
do s° banno a rifare. Ora delle vivuole di tutte 
le sorte che non perdan mai la foglia, e faccia- 
. no continuamente, o il più delie volte il fiore, 
chi brama averne copia, faccia arginuzzi volti 
al sole in grasso terreno, rimuginato colla vanga 
minutamente, ben letamato di concime putrefat- 
to e marcito; e fattivi fossetti fondi un piede, 
ponga piante d’un anno innanzi al principio di 
marzo. Seminasi il seme delle vivòle a questi 
tempi, oppure innanzi, e. a novembre ne luoghi 
temperati, in vasi pieni di terriccio buono come 
l’ altre erbe, com’anco si coltivano sarchiando- 
le a’ tempi; cogliendole e tosandole, e levando 
loro tutti i seccumi; e quando son fatte vecchie 
cacciandole in terra ben sotto a rifar nuove bar- 
be, si rinnuovano. Tra tutte le sorte ( perchè 
oltre alle bianche ne sono delle oscure color di 
loto, delle purpuree, pagonazze, ed altre briz- 
zolate ) le cerulee dice Mattiolo non ritrovarsi : 
Le candide sono di tutte le altre più durabili; 
la purpurea, o rossa dura ne’ luoghi a caldìo a 
fiorir tutto l’anno. Vengou bene di pianta le 
vivòle gialle doppie Indiane, dette per altro 
nome Garofani Indiani; e queste che son mag- 
giori delle nostre e più doppie e fogliute, ma di 
cattivissimo ed incomportabile odore , si trovan 
venute d° India, e al fin di marzo si seminano 
ne’ testi, o in terreno grasso € letamato , adac- 
quandole ai bisogni, e quando sì sarchiano rin- 
calzandole da piedi, che farà loro utile. Le 
vidle-mammole desiderano terren fresco, e luogo 
grasso , siccome si vede che ne’ boschi sorgono 


fa rage 
o iii ti nti n nce — ra 


319 
trà #1 grassume dove son marcite le frasche, o 
sivvero dove nelle vallate è calato tutto il conci- 
me di sopra. Trovansene delle doppie, e delle 
scempie, e tutte si piantano a piote cavate del 
lor luogo natìo, trasponendole rasente 1’ una 
all’ altra fitte insieme. - 

La Vite-nera (in Toscana Tamno, vocabolo 
tolto dai Latini che chiamavano la sua Uva, 
Tamina ) fa i suoi germoglj alla primavera, quan- 
do novellamente spuntano dalla terra , simili nel- 
la lor fattezza agli asparagi, e si mangiano cotti 
al modo medesimo, e nell’istesso tempo, ma non 
così gustevoli. Enno per tutta Toscana, e nel 
Contado di Gorizia abbondantemente ; nè è da 
maravigliarsi, dice il Mattiolo, che quella che 
descrive Dioscoride discordi dalla nostra nel co- 
lor dell’ uva, sendo quella nera, e la nostra ros- 
sa, quandochè anco il solano ordinario , che si 
semina negli orti, in alcun lato fa le coccole 
rosse, ed in altri nere. Traspiantasi la Brionia 
(che così ancora si chiama ) dai luoghi dov'ella 
fa, cavata con tutte le sue radici, e si pone nei 
luoghi domestichi dove bene allefica. Le sue coc- 
cole s° adoperano dai conciatori dei coiami per 
porli in concia. 

« —La Vitalba è di natura d’ attaccarsi a tutto 
quello ch’ ella trova che la sostenga ; ancora per 
i muri, purchè vi sieno chiodi, o piuoli chela 
reggano, si va appiccando, e condotta all’ ug- 
gia sotto le loggie a rivestirle e circondarle in- 
torno a tutte le loro rivolte, si guida a diritto 
ed a traverso per tutto , e vicresce, e vifa ver. 
dura piacevole altempo suo, camminando quane 
to dura la scorta di chi la sostiene, e d’ anno 
in anno mettendo sempre all’ innanzi vi si au- 
menta ed acquista senza sole. Le sue messe tene- 
re cotte e condite come gli asparagi, o in mi- 
pestra minuzzate muovono il ventre, e provocan 


320 
’ orina. Ha lavitalba i sermenti come la vite, 
ed i suoi gambi simili a quella. Da per se stessa 
ancora cresce , e si regge facendo macchia fol- 
ta nel calare a terra. Sta bene piantata nelle 
ragnaie, e si pigliano dai boschi le piante pic- 
cole di novembre , e s° allignano trasposte in ogai 
terreno da certi fiori bianchi d’ ua odore smac- 
cato di niun valore. Le radici di vitalba sec- 
cate all'ombra, e cacciate nelle botti dell’aceto 
lo fanno diventar fortissimo ; legansi queste bar- 


be con un filo, e secondo la quantità dell’ace-. 


to si vi legano o poche, è assai, facendole pen- 
dere dal cocchinme sì ch’ elle non Socchino il 
fondo, e come l’aceto abbia presa quella fortez- 
za che si desidera, si levan via. Si ritrova. un’al- 


tra sorta di vitalba, che fa i suoi rametti più. 


grossi € più rotondi e maggiori, che non cresce 
nè s’ attacca tanto, quanto questa; e medesi- 
mamente fa i fiori bianchi d° un poco più odo- 
re, e questa anco si traspone al modo mede- 
simo. 

La Veccia in qualunque modo seminata gio- 
va al campo, nel quale ella si semina, e massi- 
mamente se l’ aratro quando è verde seguiti aran- 
do a troncarla e sotterrarla , e meglio è con la 
vanga; e quando si sega, quello che la falce ha 


lasciato indietro; innanzichè secchi convien 


sotterrare, e mandar sotto con esso vomere, 0 
con la vanga, perchè se le radici sue tagliato il 
verde si secchino, torranno tutto il succhio al 
terreno, e porteranno via tutta la forza: il che 
a tutti i legumi accade, dei quali par che la 
terra ne goda. La veccia ama i luoghi di sito 
freddo anzichè caldi, amando ancora terreno 
secco e asciutto, nè curandosi de’ grassi e sostaa- 
ziosi, ne’ quali ricasca dando poco. frutto; non 
teme nè anco l'ombra. Seminata nei verzieri fa 
danno ai fsutti, e alle viti. Si contenta d'esser 


le 
age 
w” 


a 


321 
seminata sulla rottura d’una volta sola, ed ans 


cora viene in sul terren sodo e duro, e così fa 
per tutto. Il meglio è levato il grano d’un cam- 
po romperlo arandolo bene, e seminarvi il miglio 
a giugno verso il fine, e cavarne questo frutto, 
e di novembre coprirlo ben di letame, e con l’ara- 
tro ben sotto rivoltarlo , e cotto dal freddo al 
gennaio riararlo ed erpicarlo, e di nuovo al fin 
del mese seminarlo di veccia e vena per metà, 
ed a mezzo maggio seccar questa pastura segalala 
e riporla: chè nulla è che ingrassi più i cavalli 
che questa sola, e con l’ avena mescolata anche 
meglio; ed allora riarato il campo visi potrà se- 
minar fagiuoli, o miglio, e ciò si dee fare ai 
campi gagliardi., sustanziosi e grassi di propria 
natura, nè perderanno punto per ciò, anzi ac- 
quisteranno. Si può ancora (dove non si abbia 
la mira ad altroche a raccor le veccie, e che 
siano ben granite ) lasciare in questi così fat- 
ti campi che faccia il seme, e seminarlo d° ot- 
tobre, perciocchè di marzo o febbraio è me- 
glio sementarlo per la pastura al fine dell’ uno, 
o principio dell’ altro, nè si semina avanti la 
quinta o vigesima luna , perchè le lumache non 
l’ aunoino. Per pascolo si sega intorno al solsti- 
zio, nè si dee dar nè fresca nè secca al bestia- 
me pregno, perchè rispetto a com ell’è ventosa 
potria dargli dolori e fatica. Fugge la veccia 
d’esser tocca dalla rugiada, imperciò seminisi 
verso il mezzodì quando il sole, 0°] vento ab- 
bia rasciugato ogni umore; e tanto del suo seme 
si spanda in terra, quanto sene possa ricoprire. . 
avanti all’ andar sotto il sole, perchè la rugia- 
da della notte non la raggiunga a far marcire. 
Se doppo che sia segato il grano si seminerà la 
veccia (aratovi subito ) fonda e fitta assai, a, 
settembre rivoltata la terra con J’aratro, le ra- 
dici delle veccie co’ rametti e foglie faran gras 
41 


329 

gume per seminarvisi dopo. Così è buono alle 
bestie il vecciule, che segate le veccie in sul 
terreno rimane. Vogliono alcuni che i vecciuli 
sì serbino interi con i lor baccelletti pieni, af- 
fiuchè elle così riposte caschino alla pastura del- 
le bestie. Le veccie con le fave ed orzo si soglion 
seminare insieme a far mistura per miglior pane, 
perchè da per se sole lo fan cattivo, e miste 
col grano, comportabile. Il' pane delle veccie 
conferma ed assoda lo stomaco, creando grosso e 
tristo succhio molto atto di lì a non molto tem- 
po a generare in copia grande l’atrabile. 

Il Vilucchio è una pianta che s' avvolge vo- 
lentieri a tutto quel ch’ ella trova vicino a se, e 
non trovando serpe per terra, o s° attacca alle 
contigue erbe; fa certi fiori azzurri in guisa di 
campanelle piccole, e sene ritrova di quello 
che le fa del medesimo colore, e delle bianche 
assai grandi, e questo ancora s’ avvolge a ogni. 
guida che gli sia data. Seminasi di seme in ter- 
ra grasso a primavera appoggiandolo a legni. 

Lo Xilon, che alcuni chiaman Gossipio , è 
un’erba piccola in foggia di frutice, grande 
quant’ un fagiuolo, portante lana, ed ha la fo- 
glia della palma. Produce un fusto simile alla 
noce con la barba che nella parte di fuori fa 
una delicatissima lanugine e candidissima , della 
quale si fa il cotone o la bambagia. Fa una 
noce che quando s° apre dà fuor quella lava bian- 
ca, la quale si stacca con un istrumento fitto a 
ciò, che la va intorno tagliando sin in sul seme, 
che è nero picco:o sedo com’ osso dentro a quel- 
la, grande quauto un vinacciuolo. Semioasi in 
terra asciutta sustanziosa e buona, lavorata bene 
con i bui tre volte. In paese caldo, si semina 
di novembre, ed in non tanto caldo, di marzo. 
Raccogliesi il settembre, e l’agosto, ed asciuf= 
ta e secca bene si dà a tagliare all’ instrumen= 


3:3 
to. Fassene corde, materasse, ed altri vestiti, e 
le camicie tessute di questo e di lino tengon cal- 
do. Nell’ Indie sono arbori che producono il co» 
tone . 

Lo Zafferano fiorisce ogni anno, e sta vere 
de nel verno, e l'autunno si raccoglie, facen 
do il fiore somigliante a quel del giglio. Del 
domestico il più odorato s’ approva; n° è copia 
in Italia verso l’ Aquila; e fuori nell’ Arciducato 
d’ Austria intorno a Vienna, e per molte parti 
di Germania, ed in Toscana in quei di Siena, 
ed altrove ne fa dell’ elettissimo , e tutto ha gran» 
de spaccio agli oltramontani che l’usano assai, 
In Galavria fi con assai profitto. A cimentare s’egli 
è sincero, si mette in sula mano, ed è tale sei 
crepi come le fragole; il lavato e molliccio ce- 
de. Vuol’ essere di color d° oro odoratissimo e 
fresco un po’ biancheggiante nel viticcio, e che 
ha i fili corti, i quali s' hanno a corre quan= 
do si mostra in mezzo aperto lieto con le fo- 
glie il fiore, nel mezzo del quale si pigliano , 
e per tre dì o quattro si seccano al sole perchè 
bastino, o a lento fuoco rivoltandogli,e sì ripon- 
gono in vaso di legno dentro a carta turato be- 
ne. In Goricio di Cilicia è eccellente, in Sici- 
lia buono. Viene lo zafferano bellissimo intorno 
alle fonti e alle vie quandochè s° allegra d’es- 
ser calpestato, ed ammaccato, e retto con i 
piedi, e stando per perire, meglio poi viene. 
Fa il fiore innanzi alla foglia. Si falsifica col 
gruogo, sapa, e piombaggine, colla schiuma 
dell’ argento perchè pesi più; ma si comprende 
dalle polveri che ne scorrono, e dalla sapa che 
ne sa. Fa certe cipollette che si colgono nel 
mese d'aprile, o di maggio quando son matu- 
re, e colte si lasciano ammontate per otto dì af- 
finchè si macerino, e poi si mundano dalle loro 
invoglie, e si seccano in lato €aldo easciutto, 


324 

ed anco al sole purchè si‘cuocano. La loro ma-' 
turità sl conosce quando fuor della terra ha qua- 
sichè secche le foglie, e si conservano sopra s0- 
laio, 0 graticcio sospeso da terra sin all’ agosto, 
e di questo mese a tutto settembre si piantano 
iu terra vangata, posta bene a solatìo, noo trop- 
po magra, nè troppo grassa, sebben fa, nelle 
lesgiere e sottili, ed in magro, e sempre in 
monte o costa, e se si piantiin piano, facciansi 
le prode a posta per ciò, -e sì pongano lontane 
le cipollette l’una dall'altra un palmo, e sotto 
terra quattro diti e non più con le loro radici 
in solchi fattivi diritti, e vi si lascino per due 
o tre anni, tuttavia di maggio, giugno e lu» 
glio zappandovi la terra di sopra nella cortec- 
cia due diti sotto perchè non si offendano le 
cipollette. Tengasi di continuo netto dall’ erbe, 
e al fin d’agosto è settembre si radano con una, 
marra ftaglieute. Si raccolgono dei fili de lor 
fiori aperti mattina e sera d'ottobre, e meglio 
è corgli con le foglie, e poi scergli seccati che 
sieno al sole, perchè così meglio il zafferrano 
vi si conserva e si cava, e lasciate quelle ci- 
pollette così si cuoprono al principio di novem- 
bre di vinaccia o graspi, e si cavano al marzo 
da che averan prodotti i fiori per tre anni e 
non più, e di aprile mutando luogo si ripiauti- 
no. Brama terra cretosa o mezzana, e verrà sem 
pre bene ove si sieno cavate le cipolle ordina- 
rie. Ama più lo scoperto che |’ ombrìo, ma all’ug- 
gia ancora fa. Itupi terragaoli lo danneggiano 
assal sotto, al che vale turare i lor buchi con 
morchia, e tender lor trappole. Deonsi acco- 
modare in medo cell’ aiuole degli orti i solchi 
per lo zafferano, che l’acqua non nuoca ai bul- 
bi, che lor nuocerebbe assai. I terreni sterili e 
magri tutti si fan buoni per zafferano, le cui fo» 
glie in iusalata per variare son’ di quando 19 
quando buone, vi 


i 
LE 


Sa e SN SI PESI pe 


325 

Le Zucche sono di più maniere, ma tutte 
si ristringono a due; lunghe o rotonde. Tra 
queste sene ritrovano delle schiacciate, delle 
fatte in foggia di rosoni, o berlingozzi; col col- 
lo, e senza ; di gran collo, e piccolo ; grosse nel 
mezzo, altre sottili. Le schiacciate interamente 
che sono della buccia delle Innghe, s asciuga- 
no mature ch° elle siero al sole, e secche bene 
s'armano con cigne, e legate sopra le spalle so- 
stengono altrui nell’ acqua a imparar a notare. 
Di questa medesima sorta, e che hanno il collo, 
sì seccano medesimamente, ed impeciate dentro 
conservano il vino, e l’olio molto bene; e sene 
son vedute di tal grandezza, che tengono den- 
tro di loro una notabil quantità d’esso, comec- 
chè una ne sia a Ceuli di Toscana, che riceve 
dentro a se tre barili d’olio, stupenda a vedersi 
e grossa nel corpo e per tutto fuor di modo. 
Queste tutte sono della razza delle bianche lun- 
ghe, delle quali alcune sono corpacciute, ed 
altre s' allungano sin in tre braccia e più, mas- 
sime aiuta:dole prima con l’annaffiare, e dipoi 
con tener continuamente sotto di loro una con- 
ca piena d° acqua lontana sempre tre o quattro 
ditì; che si sforzeran d°’arrivarla cel crescere 
verso quella. Hanno le lunghe non tutte color 
bianco quando son fatte, ma ne sono delle ver- 
di, e delle chiazzate; ed il seme di quelle di 
Spagna, che da capo hanno una capassa roton- 
da, chè di grossezza avanza il lor largo, è il 
migliore; ed accanto quello di Genova, dove 
usano avanti che sien mature affatto, tagliarle 
all’intorno in striscie sottilissime come nastri, e 
seccarle al sole, e farne gomitoli e matasse, poi 
nell’ acqua rinvenute cuocerle con la carne, o frig- 
gerle nella padella, o in minestra come il cavolo. 
Ancora accostumano di queste zucche pigliar le 
vette; e cavatine i viticc} cuocerle nell’ acqua 
bollita , e dipoi spremute (ben cotte che sieno ) 


326 
fra due tazlieri, condirie con olio sale ed aceto 
in insalata. Le zucche lunghe tenere monde della 
lor prima sottile scorza, e tagliate in girelli, 
e tenute sotto due taglieri (calcato quel di so- 
pra da un gran mortaio, 0 altro peso) a scolare 
quell’ acqua che han dentro, infarinate fritte in 
padella sun molto aggradevoli al gusto, e lascia» 
no così molta di quella umidità . Nondimeno per 
la sua aquea natural qualità si deono mangiar on 
l’origano, imperciocchè tutte quelle cose ehe 
sono di cotal natura, si deono mischiare con 
cose acute salse ed austere, volendosi ch' elle sien 
manco nocive, e che più sieno aggradevoli al 
gusto. Ancora cotte semplicemente nel forno cal- 
do, messe in su lo spazzo quando si mette il 
pane , così intere le zucche lunghe tenere, sco- 
leranno quella loro umidità, e diventate vizze, 
e cotte bene , condite similmente con olio sale 
ed aceto saran buone. Si possono anco tagliare 
In pezzi, e cacciate in una pentola rimboccata, 
rette da fuscelii, cuocer nel forno. Son buone 
a coudirsi in composta di-zucchero e. di méle, 
avendone cavato quel bambagioso tenerume che 
hanno dentro, e la scorza di fuori. Le zucche 
sebben si dividano in terragnole , e che vadan vo- 
leotieri in pergola, è cosa certa che tutte le 
sorte mandandole in alto faranno maggior prova 
che. non.in terra, e massimamente le lunghe, 
che più di tutte si distenderanno. Ed a voler che 
facciano in sul terreno una gran prova, e crear le 
zucche maggiori e più lunghe, conviene nella 
pianura dove elle si mettono (perchè questa ama- 
no senza comparazione più che il poggio ) fare 
una fossa cupa due braccia, e riempierla di ter- 
riccio sin a mezzo, 0 di terra buona mesticata 
con letame marcito, ed in su quel piano metter 
le zucche, le quali s° averan fatte nascere con 
avere scoperto il primo suojo del monte del le- 
tame; e quivi portato un po’ di buon terriccio, 


32 
seminativi i semi, presto per il gran caldo! di 
sotto verranno fuori; ed anco ponendo il terric- 
cio fuori, posto sopra il letame cavato di fresco 
della stalla, che sfumi e ribolla, seminarvele 
sopra 3 e quando nate saranno e cresciute di quine 
dici dì e non più, levate colla loro piotetta, si 
traspongano in quella terra della mezza fossa, e di 
mano in mano ch’ elle crescano rincalzarie tanto, 
che si conduca la fossa a sommo, e pareggiata 
sele faccia un solco per annaffiarlein ognì modo 
estate; accanto vi si faccia la pergola di le» 
gname e canna, e sopra visi guidino; ed anco» 
ra cresciuto il gambo due braccia , si corichin 
queste due braccia sì che cavin fuora la vetta, 
e questa si mandi sulla pergola, che sarà con 
maggior rigoglio Îa messa; e s' hanno a spun- 
tar nelle vette due o tre volte perchè il vi- 
gore ritornando nel fusto costringa le zucche 
ad essere di maggior grandezza e lunghezza; e 
così la mattina come la sera, e innanzi giorno s'a» 
dacquino, e tengasi lor sotto il vaso d’acqua pie» 
no, che si disse ; e se fosse d° olio ritornerebbe 
indietro, e si rintuzzerebbe la zucca. Tutte le 
zucche rotonde e corpacciute di scorza tenera 
compaiono di natura terragnole per produrre i 
loro frutti grossissimi; nondimeno mandate in per 
gola non perderanno di grossezza, nè di gran- 
dezza, avendo molto letame al piede ed al nasce 
re acqua assai, ed il terreno bene scassato, po- 
ste a mezzo il terren della fossa ripiena di buon 
‘terriccio, e poi di man in mano che si veggon 
crescere, rincalzate. L’Indiane verdi, gialle , e 
brizzolate, e nere crescono in questa maniera ol- 
tre misura, avendo perciò terreno grasso sotto da 
dilatarsi. Il simile faano le zucche che s'addoman- 
dano marive, le quali tra Je tende sono ver. mente 
della razza migliore, e quando son mature (che è 
quando hanno la scorza soda , e che i lor gambi si 
seccano ) bastano ragionevolmente all’ inverno e 


td 


328 — 
cotte colla carne, 0 in altro modo, sono di miglior. 
gusto di tutte. Delle Indiane ne sono delle pri- 
maticcie per essere state seminate a buon’ ora: 
il che avverra ‘anche alle lunghe, che ven 
gon presto , .se queste pure si seminino a 
buon’ otta, e si difendano dalle brinate, e dai 
freddi col ben ceprirle; e meglio ancora s° elle 
sien iseminate nei vasi ripieni di buon terriccio, 
ed a’ tempi buoni cavate fuori al sole, ed ai cat- 
givi riposte dentro coperte. Sono di vantaggiosa 
sorte le Zucche Alessandrine della razza delle 
bianche e grandi, ma nei cibi le più lunghe e 
sottili son le più grate quando non hanno ancor 
fatto il seme, e che sou tenere, e saggiandole 
al dente che non sieno amare ; ed affinchè na- 
scano. tali si dee traseerre dal collo della zueca il 
seme per averle mezzane di mezzo, e grosse 
nel fine. Quelle s' hanno a porre colla punta 
all’iusù per mantenerle scarze e sottili, queste 
all’ingiù; e tutte desiderano terreno di sua na» 
tura grasso e sustanzioso, di fondamento, e ben 
letamato di marcio concime, e la terra sia non 
meno che a due puntate di vanga lavorata. Il sito 
a tutte è buono di valle umida scoperta, o di pia- 
no, e comodo a potersi innaffiare, benchè le non 
adacquate saranno sempre più saporite, sebben 
verranno meno più presto, nè dureranno tanto 
a farne. E dove non sia comdo di poter adac- 
quare convien disvegliere il terreno un braccio e 
mezzo sotto, e farvi dentro le buche due terzi 
di braccio fonde , e nel cupo in terriccio buono 
piantar le zucche, e dipoi secondochè elle van 
crescendo agguagliar loro attorno il terreno tan. 
tochè la buca si pareggi, e dipoi lasciarle sta- 
re, solo come si disse seapezzate le cime per 
rintuzzar la forza indietro a generare più frutti. 
Ma avvertiscasi bene che non vi si accostino don- 
ne, massimamente menstruate , perchè toccando- 
le impediscono loro il crescere, e tanto nuoce 


329 
ciò, che lo sguardo menstruato fa maggior cat- 
tivo effetto. Quelle che si serbano per cavarne il 
seme vogliono esser delle prime seminate, nè sil 
hanno da spiccar dalla pianta più presto che nel 
prineipio dell’ inverno perchè sieno più ammassic- 
ciate e dure. Tengansi dipoi colte al sole, o al 
fumo a stagionarsi sinchè sien benissimo secche, 
altramente si putrefà loro il seme in corpo. Ama- 
no le zucche maravigliosamente 1’ acqua. Nasco- 
no senza seme dentro, se prima di porlo iu terra, 
si tiene nell’ olio di sesamo per tre o quattro dì a 
macerare. Il seme delle zucche dà fuora dopo il 
settimo o ottavo dì. Gresce la zucca in quella 
forma ch’ è forzata di crescere, perciocchè cac- 
ciata, tostochè ella dimette il fiore, in un vaso 
di terra che sia lungo e sottile, s' allunga ed as» 
sottiglia alla maniera di quello; e cacciandola in 
un cavo di una maschera, e riserrandovela lo 
riempie in tutti i voti, e rappresenta tutta la 
figura che dentro vi sia. Scrivono i Greci, che 
nè la zucca, nè il cocomero non faranno seme se 
primieramente secondochè si fa alle viti si cacci 
sotto terra il suo ramo che ha a crear la zucca, di 
modo che cavi fuor d° essa la vetta sola, e che 
di nuovo crescendo sele ammonti la terra attorno; 
ma è da ingegnarsi che quelle propaggini (la- 
sciata solamente fuori la cima) si stendano per il 
mezzo ; e sì governate cresceranno senza fare i 
semi ch’ ell’ hanno per ordinario dentro. Levando 
alle zucche i suoi viticej, produrranno i frutti 
loro più soliecitamente; ancora se di fresco le 
zucchettine che dan fuora, con i suoi viticc] 
‘caccerai in una canna, alla quale prima abbi 
forati tuttii nodi, quivi dentro cresceranno quan» 
to sia lunga la canna, avvertendo di levare i 
nodi scavando quanto ella sia di grossezza. Tut- 
te le zucche come i cocomeri si fan più grosse 
mettendo in terra la puuta del seme all’ingiù. 
Se le zucche giovinette siano mangiate da lom- 


42 


sie | 
brichi, o altri nocenti animali sì pongano lore 
accanto rami d’origano o di cunila, percioc- 
chè quelli che di già vi sono attaccati gli am- 
mazzano, e quelli che stanno per nascervi non 
lascian venire innanzi. Dureranno le zucche lun= 
ghe fresche, s’elle si facciano ricoprire in un 
vaso invetriato e ben turato in bocca, ripieno 
di pura feccia di vin bianco . Ancora sotterrate 
ed acconcie che luna l’altra non tocchi nella 
salamoia , si manterranno salve. Gran tempo si 
conserverà loro la vita el vigore, se sopra vasi 
pieni dentro d’aceto s° accomodino di maniera che 
in nessun modo tocchin l’aceto che per quattro 
dita, ma conviene impeciare in bocca questi 
vasi che a tutto si risolve che servano, e fin- 
chè lo spirito dell’ aceto non dia fuora. Gosì fre» 
sche s' averanno tutta l’invernata spartite in pez- 
zi. Quando son verdi si cacciano in acqua bol- 
lita, dipoi cavate dopochè elle sieno state una 
notte intera a rinfrescarsi in una forte e gagliar- 
da salamoia, riposte e coperte gran tempo si con- 
servano. La zucca diqualunque sorta è di nutri- 
mento leggiero ed acquoso, ed è frigida e umi- 
da nel secondo grado, e mangiata cruda è insua- 
vissima al gusto, cattivissima allo stomaco, e del 
tutto indigestibile. Correggesi la sua malizia co- 
cendola spartita in fette sottili in una teglia con 
agresto e olio, e sopra cacio grattugiato, posta 
nel forno tantochè diseccata sia cotta bene. Dà 
al corpo umido e frigido nutrimento , il quale è 
poco, ma agevolmente passa e si digestisce. Le 
zucchettine piccole cel collo Innghetto e corpo 
rotondo sono della sorte medesima delle bianche; 
si coltivano al modo medesimo, e vanno in per- 
gola con produrne numero grande; fannosene. 
vasetti accomodati a tenervi dentro la sapa, ed 
il vino, e così in queste come nell’ altre, mas- 
sime impeciate, o incerate dentro , si conservaa 
bene . 
FINE 


i 


IND 


ICEK 


e Botanici Linneani corrispondenti . 


331 


Delle Piante in questo Volume descritte, coll’ aggiunta de’ Nomi Greci, Latini, 


DEL SODERINI 
26 Abrotano 
26 Acetosa 
27 Adraena 
2$ Agliada 
28 Aglio 
27 Agretto, o Nasturzio 
27 Aizdon, o Semprevivo 


34 Anaranto 

35 Anguria 

35 Aniso 

31 Appio, o Sedano 

33 Apocino 

35 Asparago 

Assenzio pontico 

41 Attreplice 

42 Avena 

Baciglia o Finocc. mar. 
51 Balsamina 

Bassilico 

Belvedere 

47 Bietola 

47 Bietone 

51 Bonlando 

45 Borraggins , 0 Borrana 
Buon’erba , 0 Erba-buo- 
na, o santa. 

Buglossa 

Buibo oCipolla maligia 
51 Basnaga 

52 Calamo 

Camomilla 

) Canapa 

Canna 

55 Cannaméle 

73 Cappero 

Carciofo 

96 Cardo 

Carota 

Cavolo 

Cece 

98 Centone 

Cetriolo 

58 Cetronella o Cetraggine 
Cicerbita 

62 Cicerchia 

81 Cicoria 

83 Cipolla 

72 Cisto maschio 

82 Cocomero domestico 
72 Colocasia 


N O 


LATI NI 

Abrotanum 

Acetosa 

Poriulaca 

Thlaspi 

Allium 

Nasiurtiunt 

Sedum majus , et Semper- 
vivum majus 

Amaranthus 

Anisum 

Apium palustre 

Apocynum 

Asparagus 

Absinthiun ponticum 

Atriplex 

Avena 

Crithmum 

Qeimum 

Beta 

Atriplex 

(a) ° o O e 


Borago 


® . ° . 

Buglossum 
. ni . (] 

Gingidium , 
Arundo scriptoria 
Chamaemelum 
Cannabis 
Arundo 
Seccharum 
Capparis 
Cynara . Cardunculus 
Labrum Veneris 
Datcus 
Brassica 
Cicer 
Alsine 
Cucumis 
UYelissa 
Sonchus laevis 
Cicercula 
Cichorium 
Caepa . ; 
Cistus mas 
Anguria 
Faba aegyptia 


[a 


64 65 Coloquintida o Coco-|Colocinthis 


mero salvatico 


MI 


GRECI 


{ APporovoy 


Ofaris 
Avdpayyvi 
rasi 
ITIpxgt0y 
Kapdamoy 
Acito peya 


Apapav8og 
Avicoy 
ExcogeMivoy 
A rroxyvov 
Arrap®Y96 
Ativbioy 
Atpa@atis 
BeopoG 

K pidpzoy 


Dotizoy 


Teurdor | ) I 
Arpapatts 


Buy\wrgoy 


Argovoa 


liyyil CI) 


Kapaiynroy 
Kayvafis 

Karnapuos 

Day apoy  Knpos 
Kenmapis 

ETxoXitos 

Artaxos 

Aasxoc 

Kpagfn 

Epef6t8os 

AxguvA 

DTixns npaspoc 
Mer197091NX2Y 
Zovgos 

AaSvpos Theophr. 
Zepis  Keyopioy . ITexpis 


Kpoptgavoy . ° 
Kisos 

Zixva 

Kuyapos aryuntios 
KoroxuyBis 


Artemisia Abrotanuni 
Rumex Acetosa 

Portulaca oleracea, sylvetrie 
Thlaspi alliaceum 

Allinm sativum 

Lepidium sativum 
Sempervivum tectorura 


BOTANICI 


Celosia castrensis 
Cucumis flexuosus ? 
Pimpinella Anisum 
Apium graveolens 
Cynanchum erectum 
Asparagus officinalis 
Artemisia pontica 
Atriplex hortensis 
Avena sativa 
Crithmum maritimuta 
Momordica Balsamina 
Ocimum Basilicum 
Chenopodium Scoparia 
Beta vulgaris 
Atriplex. hortensis 


| Borago officinalis 


Auchusa italica. Persoon 
Allinmn Caepa oblonga? 
Daucus Visnaga 
Arundo epige]os ? 
Matricaria Chamomilla 
Cannabis sativa 

Arundo Donax 
Saccharum officinarum 
Capparis spinosa 

Cynara Scolymus 195) 
Dipsacus fullonum 
Daucus Carota 

Brassica oleracea 

Cicer arietinum 

Alsine media 

Cucumis sativus 
Melissa officinalis 
Sonchus oleraceus laevis 
Lathyrus sativus 
Cichorium inthybus 
Allium Caepa 

Cistus incanus 

Cucurbita citrulius 
Arum Colocasia 
Cucumis Colocinthis 


È vulgaris. Persoon 


_—_———_—_—_—_—P———_————_—_—_—_———_———————T—r—_c<=<=rrcm02rk]tt_—__—————__—_—mt 
(a) Von è questa una specie di pianta, ma una specie d’innesto di più piante, che si fa mettendo 
tre 0 più piante forzatamente dentro il vuoto di un osso di zampa di Bove, e sotterrando le 
dette piante in modo, che resti fuori l’ osso , e così le piante si uniscono per l'innesto di ap- 
prossimazione , e macerato l’ osso appariscono di un sol tronco, che produca più specie di frutti . 


d$2 


DEL: SODERINI 

65 Colutèa .. 
70 279 Coriandolo 

72 Creneoro 

97 Cracca o piccola Veccia 
71 Cumino, o Comino 
81 Cuscuta 

301 Dradetta 

99 Dragone o Dragoncello 
101 Ella 

101 Elleboro bianco 

101 307 Epitimo 

102 Erba-massima , 0 Fio - 
di S. Marco 

107 Fagiuolo 

109 Farraggine 

109 Farro 


103 Fava 


109 Felice o Felce 
122 Ferula 

114 Fien-greco 
31: Finocchio 
123 Fioraliso 

123 Fiorrancio 
111 Fioravanti 
109 Formentone 
120 Fragola 

109 Frumento 


115 Fungo 

128 Garofano dom. o Viola 
123 Gelsomino 

126 Ghiaggiuolo o Giaggiolo! 
137 Gichero 
133 Giglio 
131 Ginestra 
138 Giunco 
136 Grogo , o Zafferano 
136 Guado 

140 Halimo 

140 Hemaro 

340 Hemerocalle 

140 Hiacinto , o Giacinto 
141 H.bisco, o Altèa Ù 
141 Hissopo, o Iscno 

142 Indivia, o Scariola 
142 Iusquiamo o Giusquiamo 
143 Lattuga 

163 Lentaggine 

152 Lente 


154 Leuticchia | 


150 Levistico 
150 Ligustro 
157 Lino 
149 Liquirizia 
162 Loglio 
157 Lupinello 


Tor rr__01rrr 1’  rPPrrPré °°° °rei[PL-i:.---iìîi 


(a) Won si può determinare qual pianta sia questa ; forse è l’ Enula campana ? È 
(b) Von si possono bene determinare le specie dei Funghi, i quali nomina il Soderini, e soltanto 


soro certi i seguenti. 


Porcini 

D'tole A 

Ovolo con punti sul cappello 
Fungo della Pietra lincuria 
Fungo d’ Esca 


N 


LATINI 
Colylea 
Coriandrum 
Cneorum 
Craéca 
Cuminum 
Cuscuta 


Dracunculus 
(a) : 1 È : 
Helleborus altus 
Epithymum 

Corona solis 


Phaseolus 
. . . . 
Farrum. Triticum odoreunm 


Faba major ) 


Faba minor 


Filix 
Ferula 
Foenum graecum 
Foeniculum 
Cyanus 
Caltha . Luteola Virg. 
Phagopyrum 
Fraga . l'ragaria 
Triticum 
Fungus 
Iris 
Aruni 

Lilium 
Genista 
Crocus 
Glastuei 


Lilium Sylvestre 


\Hyacinthus 


Hibiscus 


{Hyssopus 
!Endivia . Intybum 


Hyosciamus 
Lactuca 


. . . ° 
Lens 


Ligustrum ? 
Ligustrum 
Linum 
Dulcis radix 
Lolium 


Boletus edulis Pers. 
Clavaria coralloides Pers. 
Amanita muscaria Pers. 
Boletus tuberaster Pers. 
Bvietus fometarius Pers. 


«M I 

| GRECI 
KoXvria è Mia 
Kepioy. Kopiavoy 
Kynspov vi 
Kupror j ; j 
Opofayyn. Ocaporeovra 
EMA eBopos DEE i 
EmiBupoy 
pa 
Leva 
Onupa . Cesa 


Kuagzsos eA\nyios 


TIrepis 

Nap9nxos. NapPnxuas 
Bouxepas 

MapaS3pov 

Myixoy npandeta 


®payovMi graec. 6arb. 
TIupos wetpaops/4evos è 

HAL TPIAMOS è 
Muxas (b) 
Ipis 
Apey peya 
Keivoy 
Eraprioy 
Kynaos 
Ioaris_ 
Anipros 
HpepogaXAis 
Berfos eScodigzos » YauyBos 
ANSala 
Y c5wtos 
Ecpis ereuTh Sepopuxd os 
| Yocxvages 
(or 


. . e 


Ì 
iGaxos 


KuXaspey 

A tyoy 

Tauxupita 

ia pa 6 


. . e Li 


| Pratajoli 

i Prugnuoli 
Agarico 
Vescia 
Uovolo 


{Camelina sativa'? +. 


Theophr. 


| Boletus purgans Pers. 


e BOTANICI 
Colutea arborescens... 
Ccriandrum sativam 0 
Daphne Cneorum . ..' 
Vicia craccast. ic. 
Cuminum Ciminum 
Cuscuta enropaea 


Artemisia Dracunculus 
Veratrum albom 0 
Cuscuta Epithymum ‘ 
Helianthus annuus ‘| 
Phaseolus vulgaris. 
Triticum monococùm 
Triticum Spelta | |. 
Vicia Faba perni 
Vicia Faba minor #. 
Aspidium-Filix steel co. 
Ferula communis 0/0 Li 
Trigonella Foenum.grtaecum | 
Anethum Foeniculuai: 
Centaurea Cyanus. © > 
Calendula ofiieinalis! > 
Brassica Napus 2 i 23 
Polygonuer i'hagopyfum . 
Fragariavescarecinio fi su 
Triticum sativum-. . 0 


Enc. 


fi > oqgei Bn 
Dianthus Caryophyllus.. 
Jasminum officinale. 
Iris florentina, et germanica | 
Arum maculatum.. 
Lilium candidum: ‘. 
Spartium junceum » ‘ 
Scirpus lacustris . 
Carthamus tinctorius 
‘satis tinctoria 
Atriplex halimus 
Coronilla ewerus 
Lilium bu!biferum 
Hyacinthus comosus 
Althaea officinalis 
Hyssopus officinalis 
Cichorium endivia i 
Hyosciamus albus; et mg 
Lactuca sativa 1 
Viburnum Tinus i e 
Ervum Lens i 
Ervum Lens minor 
Ligustrum valgare 
Ligustrum vulgare 


|Linum usitatissimum 


G'ycirrhiza glabra . 
Loiium temulentum 
Hedysarum coronanium , 


Agaricus campestris Pers. | 
Agaricus Prunulus Pers. | 


Eycoperdon pretense Pers, 
Amanita caesarea Pers. 


: 
i 


333 


N O M I 
DEL SOBERINI LATINI GRECI BOTANICI 
154 Lupino Lupinus Oeppos Lupinus albus 
15: Luppolo Lupulus | , - Ù . Humulus: Lupulus 
188 Macerene Olusatrum Ixrocehiyoy Smyrnium Olusatrum 
187 Madreselva Caprifolium KuogavSepcoy xi9IiQUANeva | Lonicera Caprifolium 
AixXapvos ETEPp—% 
169 Maggiorana , o Persa 4 P 4 È A papexos Oryganum Majorana 
164 Malva domestica — ——|Malva Marayn Malva rotundifolia 
165 Malvalischio o Hibisco . LIETI A et a cangnni. 
165 Malvone . . : SER Althaea rosea Pers, 
166 Mandragora: Mandrageora Maydpayopa At:opa Mandragora 
187 Margherita Bellis i i È Ù Belhs-parennis 
167 187 Maro. Marum Mapoy Teucrium Marum 
169 Marrobbio Marrubium TIpaoior Marrubium vulgare 
169 Matricale. Mairicaria TTapdeytoy Matricaria Parthenicum 
181 Medica x A L Mudixn Medicago sativa 
167 186 Melenzana, o Me- ; * } È Solanum insanum 
lensana È È EUSPHE Zrpunvos Solanum lycopersicon ) (a) 
169 Mellone . Melo 6 a ) ; i ; Cucumis flexuosus 
163 Menta domestica Mentha MuwSos » Hdveopoy uprEpov Mentha viridis 
. 169 Mentastro ; } è È ; { a Mentba rotundifolia 
189-Meo. Ricinus ? Kporov. Kit Ricinus communis 
166 Mercorelia Mercurialis AmoLwsis Mercurialis annua 
170 Miglio nostrale Milium Mera Panicum miliaceum 
176 Morteila Myrtus Mupann Myrtus communis 
189 Mughetto Lilium convallium E i 7 k Convallaria majalis 
189 Musco greco Bulbus vomitorius Matt. È x ; } Hyacinthus Muscari 
192 Narcisso o Narciso |/Varcissus Napysrsos Narcissus poeticus 
190 Nastarzio Nasturtium. Lepidium Aeridioy Lepidium sativum 
194 Navone Napus i L E A Brassica Napus 
193 Nepe o Nepa Genista spinosa È 4 E . Ulex europaeus 
189 Nepitella Nepeta TIoXuxyiz4oY Melissa Nepeta 
193 Noce-metella Nux metella Iamopeves Datura Metel 
198. Origano Origanum Opiyavov Griganum vulgare 
197 Orzo Hordeum K psba Hordeum vulgare 
199 Osciamoide. Ocymoides TloSoc Lychnis calcedonica 
205 Paliuro Paliurus IleAispos Zizyphus Paliurus 
214 Panico Panicum Keyypoy Panicum italicum 
209 Papavero Glaucium Myxey xepariris |, Glaucium luteum. Pers! 
208 Pastinaca Pastinaca Zicapev Pastinaca sativa 
200 Pastricciano Daucus $ylvestris EraquAwos aypios [Daucus Carota sylvestris 
20: Pepe erbaceo d'India  |Piperitis , Siliguastrum x : £ Capsicum annuum > 
209 Periploca o erba del sig. . È Lisa ) > ; ì Periploca graeca 
200 Petonciano ; A À s ) Hi 3 E Solanum insanum, fructa 
a purpureo 
202 Pimpineila o Selbastrel-| Sanguisorba { i È P |Poterium' sanguisorba 
la, e Selvastrella price Ì 
208 Pinox A L < È . È i 4 {b) i 
2:5 Pisello Pisunr EpeBwSes Pisam sativuo 
223 Popone Melo Zixvos 7:m7wy Cucumis melo 
206 Porcellana Portulaca Aydpayva Portulaca oleracea 
218 Porro Porrum IIpasoy Allium Porrum 
203 Prezzemolo | PetroselinumMMacedonicum F E t é Bubon Macedonicum 
230 Pugsnitopo (uiscus ; Mupowy aypia \Ruscus aculeatus 
202 Puieggio | Pulegium T'AnNX0y {Mentha Pulegium 
231 Quamocritto | 7 : ì : . 3 . . ipomaea Quamoclit 
240 Radice | taphanus Pagparie Raphanus sativus 
255 Radicchio Cichorium Inthybus Key apioy Cichorium Intbybus 
244 Rafano tedesco Raphanus rusticanus Pa@avis uypia Cochlearia Armoracia 
235 Ramno Paliurus i IHaXtspos, {Zizyphus Paliurus 
245 Rapa bergamasca Rapa ToyyuM iBrassica Rapa 
245 Raperonzolo Rapunewlus Epivos [Campanula Rapunculas 
25: Rapo Napus AR e ; , Brassìca napus sylvestris 
233 Robbia Rubia \EpiSpodavos iBubia tinctorum 


n 


(a) Queste due piante assai diverse, sono confuse del Soderini . 


\b) Won si sa a qual pianta corrisponda questo nome , come neppur gli altri, a’ guali nen 
alcun termine corrispondente . 


è appo sto 


DEL SODERINI | 


252 Robiglia 
2356 Rozo 

258 Rémice 
255 Roszio 
254 Rovajotto 
274 Ruchetta 
235 Rusco 
233 Ruta 

295 Saggina 
204 Salvia 
241 Sassefrica . 


252 Satureia 

283 Scalogno 

- 299 Scandella 

286 Scilla 

283 Sciarèa o Gallitrico 
285 Scarsapepe 

Zoo Segala 

279 Senapa 

278 Sesamo , 0 Giuggiolena 
282 Sesaro 

292 Sisembrio 

285 Solano 

275 Sosolo o Riso 

298 Spelda 

203 Spellicciosa 0 Cardon- 
297 Spigo-nardo (cello 
287 Spina-acuta 

290 Spina-bianca 

286 Spina di Cane . 

288 Spina-fagiana 

288 Spina topiazia 

288 Spin cervino 

263 Spuria o spezie 

288 Squilla o scilla 

293 Stache 

286 Stella (erba) 

d3o2 Tartufo 


311 
3o1 


Terracrepolo 
Tifa 


307 Timo 

dio Titimalo ciparissio 
Sit Tribolo 

308 Trifoglio 

302 Turchesco ( frrmento ) 
315 Urtica ovvero Ortica 
312 Uva-spina 

320 Veccia 

318 Verbasco 

317 Vetriola > 
317 Viburno 

322 Vilucchio 

314 Vinca, o Pervînca 
317 Viola mammola 

314 Visco 

3:19 Vitalba 

319 Vite-nera 


322 Xilon, o Gossipio 
o Cotone 

323 Zafferano 

325 Zucca po) 


N 


| LATINI 


Ervum . 


TAunbus 
|Rumex 


Rosa 

© è î » 
Eruca 

. 1] . 


Ruta 


{Sorghum 
Selovia 


Barbula hirci 


Salureia 
Ascalonia 


Sila 


Horminun 


Secale 
Sinapis 
Sesamuni 
Sisarum 


Solanum 


Oryza 
Senecio 


Berberis, 
o & o. 
. o 


Rhamnus 


Stachys 
Coronopus 


Tuber 


Thymus 
Cyparissias 
Melilothws 


3 
Urtica 
Grossularia 
Vicia 
Verbascum 
Parietaria 
Viburnum 

® .° . 
Pervinca 

Viola martia 

|Viscuni 


{Clematis 


Tamus?® Bryonia 


|Gossypium 


Crocus 
Cucurbita 


td 
è s © o 


Mc Ava 
- GRECI 

OpoBos 

Buros 

OfuraraSoy 

Podoy 
Eufwpoy i i 
TInyayvov i ; ; 
EreLirpaxoo $ ; 
PAYOTGY OY 
| QuuBpa 
Txopodoy atgaXeyioy 
Kpiradiciga 
Tx 
a Opgatvoy 
Ovitis opem 
Tipn 
Naru 
Znoapey 
ErapoBoryey 
I STPINoIoe FRI I 
Optra e » 
feta Lesa 
Hpiyspey 
Kaxros | . C] ° 


Pupe i È 

e ® pet > Ò si 

4 Ret, 
Zrayxus . * 
Kopwvorss dla. 
Yovoy xepauvioy j. xpeyioy ; 

yipavetov P 
. . . 
. . . . 


EpmixAos, Quvpos 
Tidvparos avrapionias 
MeaMiXwros 


Axarupa T; ay urea 


Aquxn 
QNopos IN e1& 
Exgwa 
° ° . . a 
Kanmaris 
Io Loy peday 
Ila 
| AaxQvosides 
Apmernos aypra ., Apamehos 
data 
K poxos 


{Hex aquifolum 


{Solanum nigrum 


4 5 ai fe . h e 
: {Stachys arvensis ? 


-{'Fuber cibariuma Persi 


\Euphorbia Ciparissias 
. |Melilothus officinalis 


BOTANICI 
Lathyrus sativust? 
Rubus fruticosus 
Rumex acutus 

. . r% 


. . 
Brassica Eruca 


Ruta graveolens 
Holicus sorghum i 
Salvia officinalis uu 
Tregopogon pratense , et 4 
porrifoliuam Di 
Satureia vulgaris 
Allium ascalonicum 
Hordeum distichum 
Scilla maritima 
Salvia Sclarea 
Origanum Opites 
Secale cereale 
Sinapis migra 
Sesamum orientale 
Sium Sisarum 2 
Mentha Pulegiun 


Oryza sativa 
Triticum Monococcum 
Senecio vulgaris 
Lavendula dentata Pi, 
Berberis vulgaris Pi 
Cynara cardanculus 


Rhamnus Catarticus 
Spergula arvensis ? 


Plantago Coronopus 14 


Scorzonera picroides po 
Triticam Spelta spica + 
oblonga gracili e 
Thymus vulgaris “i 
Pers. 

Trifolium pratense pa 
Lea mays | 


Urtica urens , et dioica 
Ribes uva crispa 
Vicia sativa 
Verbascum Thapsus 
Parietaria officinalis 
Viburnum Lantana 
Convolvulus arvensis 
Vinca major 
Viola odorata 
Viscum album 
Ciematis vitalba 0 
Biyonia alba ? Tamus com= 
munis ! ha © 
Gossypium herbaceum , 
Gossypium arboream | 
Crocus sativus e? 
Cucurbita lagenaria SA 


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P. 


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Y, È 


Deacidified using the Bookkeeper process. 
Neutralizing agent: Magnesium Oxide 
Treatment Date: September 2012 


Preservation Technologies 


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