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Full text of "Della vita e delle opere di Antonio Urceo detto Codro; studi e ricerche"

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DELLA VITA E DELLE OPERE 


ANTONIO URGEO 


DETTO CODRO 


STUDI E RICERCHE 


CARLO MALAGOLA 


IN BOLOGNA 
DALLA TIPOGRAFIA FAVA E GARAGNANI 


PROPRIETÀ LETTERARIA. 


—r————————————&»»»--—+——_7_——__—_-m-m-Tttm--__—_——_.1—.————=41——————————_——É——_——___—m—_—mm_m 


La maggior parte di questo lavoro fu letto in Bologna nelle 
Sedute dei 13 e 26 giugno 1875; 9 e 23 aprile e 24 dicembre 1876, 
14 e 28 gennaio e 23 dicembre 1877 della Reale Deputazione di 
Storia Patria per le Provincie di Romagna. 

Il Capitolo VIII fu letto anche nell'adunanza dei 9 ottobre 1876 
della Società Copernicana di Thorn in Prussia. 


AGLI ILLUSTRI SIGNORI 


CONTE COMMENDATORE CARLO PEPOLI 
E 
CONTE COMMENDATORE GIOVANNI GOZZADINI 
SENATORI DEL REGNO 
CHE L' ANTICO VANTO DI DOTTRINA 
CONSERVANO A BOLOGNA 
QUESTO LIBRO 
CHE RICORDA LE GLORIE 
DELLA MADRE DEGLI STUDI 


DEDICA ED OFFRE 


CON OSSEQUIO PROFONDO E GRATITUDINE AFFETTUOSA 


CARLO MALAGOLA 


INDICE 


PROEMIO . . . °°... 0.0. +. + +» + Pag. xi 


CaprtoLO I. 
Dello studio delle lettere greche e latine in Italia nel secolo XV. 


I. Culto per l’antichità. — II. Ricerca dei codici antichi 
e sommo pregio in cui si tenevano. — III Studio delle let- 
tere greche. — IV. Studio delle latine. — V. Favore accor- 
dato alle lettere dai principi d'Italia: Nicolò V, Alfonso 
d’ Aragona, Gian Galeazzo Visconti e Francesco Sforza, 
Leonello d’ Este e il Duca Borso, Giovanni II Bentivoglio, 
Gian Francesco Gonzaga, Cosimo de’ Medici. — VI. Quanto 
abbia giovato alla letteratura italiana questo grande studio 
delle opere antiche... ........... dl 


CaprroLro II 
Dell ellenismo in Bologna sino alla metà del secolo X VI. 


I. Opinione di Ambrogio Firmin-Didot sull’ ellenismo in 
Bologna. — II. Grecisti in Bologna prima del secolo XV: 
Uguccione da Pisa, Irnerio, Accursio, Alberico da Bologna, 
Buonaccorso da Bologna, San Tomaso D'Aquino, Bettina 
Sangiorgi, Pier Tomaso d'Aquitania, Pellegrino Zambeccari, 
Lapo da Castiglionchio, Giovanni e Giacomo da Cipro. — 
III Greci in Bologna nel secolo XV: Giovanni da Nasso, 
Giovanni Giusti da Candia, Lorenzo d' Attica, Giovanni e 
Demetrio greci, Teodora Crisolora, moglie di Francesco 
Filelfo, il Cardinale Bessarione, Bonamico da Lepanto. — 
IV. Professori di Greco in questo secolo nello Studio: Teo- 
doro da Candia, Giovanni Aurispa, Eleonoro de’ Lianori, 


VI MALAGOLA 


Andronico Callisto, Mario Filelfo, Gerardo da Pinerolo, Bar- 
tolomeo Minucci alias da Pratovecchio, Antonio da Cesena, 
Antonio Urceo Codro. — V. Grecisti in Bologna in questo 
secolo: Francesco Piccolpassi, Tomaso da Sarzana, Enea 
Silvio Piccolomini, Antonio Beccadelli detto 12 Panormita, 
Guarino Veronese, Nicolò Fava, Antonio Minucci da Prato- 
vecchio, Francesco Filelfo, Giovanni Lamola, Nicolò Perotti, 
Giovanni Battista Guarino, Giovanni Garzoni, Galeotto Mar- 
zio, Giacomo Antiquario, Francesco Zambeccari, Pandolfo 
Collenuccio, Francesco Dal Pozzo, detto 1/ Puteolano, Cola 
Montano, Andrea Magnani, Filippo Beroaldo seniore, Giam- 
battista Pio, Giacomo Dalla Croce, Achille Dalla Volta, Ludo- 
vico Ghisilardi, Pirro Vizzani, Ulpiano Zani, Giovanni 
Achillini, Filippo Beroaldo iuniore, Giovanni Calfurnio, 
Nicolò Copernico. — VI. Traduzioni dal greco stampate in 
Bologna nel secolo XV. — VII. Greci in Bologna nella 
prima metà del XVI secolo: Nicolò Greco. — VIII. Profes- 
sori di greco nella nostra città in questo tempo: Gioviano 
Grecolino, Paolo Bombace, Achille Bocchi, Pietro Ipsilla da 
Fgina, Giambattista Gamberini Filarete, Pietro da Val di 
Taro, Sebastiano Delio, Bartolomeo Faustini, Stefano Salu- 
tati, Ciriaco Strozzi, Pompilio Amaseo e Pirro Bocchi. — 
IX. Grecisti in Bologna in questo tempo: Costanzo Claretti 
de' Cancellieri, Chiaro Francesco de' Genuli, Francesco Ti- 
sard, Nicolò Leoniceno, Corrado Muth, Erasmo di Rotter- 
dam, Giovanni Lascaris, Filippo Fasanini, Angelo Cospi, 
Scipione Fortiguerri (Carteromaco), Frate Girolamo Capacelii 
Gadi, Romolo Amaseo, Nicolò Degli Avanzi, Giulio Caccia- 
nemici, Andrea Alciato, Bernardino Realini, Giambattista 
Campeggi, Frate Luca Macchiavelli, Ercole Bottrigari, Co- 
stanza Bocchi Malvezzi, Ippolita Paleotti. — X. Traduzioni 
dal greco stampate iu Bologna dal 1501 al 1533, — XI, 
Conclusione. . . . . 0000.0000 ++ + +. Pag. 18 


Caprroto III. 
Della famiglia e dei maestri di Antonio Urceo. 


I. Origine della famiglia di Antonio Urceo e del cogno- 
me di lui. — I. Del sopranome di Codro. — III Sua nascita; 
sua educazione letteraria in Rubiera, in Modena ed in Fer- 


DI A. URCEO CODRO 


VII 


rara. — IV. Se in quest’ ultima città ed in Reggio d'Emilia 


abbia tenuto scuola. . . . . ....... . +.Pag. 137 


Caprroco IV. 
1 Urceo in Fori. 


I. È chiamato ad insegnare lettere umane in Forlì — 
II. Diviene precettore di Sinibaldo Ordelaffi. — III. Merito 
di Codro verso l'Academia dei Filergiti. — IV. Incendio della 
sua stanza. — V. Si rinchiude cogli Ordelaffi nella Rocca 
di Forlì assediata. Sua partenza da questa città. 


CaprroLo V. 
1 Urceo in Bologna. 


I. Venuta dell'Urceo a Bologna. — II. È nominato pro- 
fessore di Grammatica, Retorica e Poetica, poscia di Let- 
tere Greche, nello Studio. — II. Déve forse abitasse in 
Bologna. — IV. É desiderato professore in altre città, — 
V. Suoi viaggi. — VI. Suo stipendio. — VII. Dei costumi 
e della salute di Codro. — ὙΠΠ. Sue superstizioni. — IX. 
Sue opinioni in fatto di religione. — X. Sua morte. — XI. 
Suo sepolcro. — XII. Suoi ritratti. οι 


Ολριτοῖο VI. 
Degli amici dell’ Urceo. 


1. Suoi amici in Modena ed in Ferrara. — II. In Forlì 
conobbe Lelio Teodoli, Santo Viriati, Alessandro Numai, 
Fausto Andrelini ed i cesenati Dario Tiberti e Nicolò Masini 
seniore. — ΠῚ. Mentre era in Bologna: Angelo Poliziano, 
Aldo Manuzio, Gian Francesco Pico della Mirandola, Deme- 
trio Mosco, Marco Antonio Coccio detto ἐΐ Sadellico, Raffaele 
Regio, Daniele Clari, Giorgio Valla, Nicolò Leoniceno, e 
Francesco dal Pozzo detto ‘51 Puteolano. — IV. Amicizia 
del nostro coi letterati bolognesi: Filippo Beroaldo seniore, 
Giovanni Garzoni, Andrea Magnani, Alessandro Sarti, To- 
maso Gambaro Sclaricino, Ludovico Ghisilardi, Antonio ed 
| Ulisse Musotti, Pompeo Foscarari, Alessandro Manzoli, 
Gaspare Mazzoli, Lorenzo Rossi, Cesare Nappi, Cornelio 
Pepoli, Gian Battista. Pio, Giacomo Della Croce, Angelo 
Michele Salimbeni, Giambattista Refrigeri, Diomede Guida- 


» 161 


» 172 


VIII MALAGOLA 


lotti e Girolamo Casio. — V. Se abbia conosciuto il famoso 
leggista Barbazza. — VI. Amicizia dell’ Urceo con letterati 
dimoranti in Bologna, ‘ma non bolognesi: Virgilio Porto 
di Modena, Nicolò Burzi di Parma ed Enrico Caiado por- 
toghese. — VII. Sua amicizia col Francia e col medico Bal- 
dassarre Masserio. — VIII. Fu protetto da Giovanni II Ben- 
tivoglio e dal figlio Anton Galeazzo, protonotario; da Mino 
Rossi, da Egano Lambertini e da Giovanni Marsigli del 
Magistrato dei Sedici; da Vertunno Zambeccari e dal Conte 
Nicolò Rangoni. . . ...... 0... . +. +. Pag. 200 


Caprtocro VII. 
Dei discepoli dell’ Urceo. 


I. Discepoli che ebbe in Ferrara. — II. In Forlì fu pre- 
cettore di Sinibaldo Ordelaffi, di Eugenio Menghi è di Fran- 
cesco Uberti cesenate. — III. In Bologna di Filippo Beroal- 
do iuniore, di Cornelio Volta, di Camillo Paleotti iuniore, 
di Bartolomeo e Pellegrino Bianchini, di Antonio Alber- 
gati, di G. B. Palmieri, di Giovanni Mauroleto Museo, di 
Giovanni de Pins e di Ferrico Carondileto. . . . . . » 286 


CaprroLo VIII. 
Della dimora di Nicolò Copernico in Bologna. 


I. Di Nicolò Copernico discepolo di Codro nella lingua 
greca. — II. Suoì studi prima di recarsi in Italia. — ΠῚ. 
Per quale probabile cagione sia venuto allo Studio di Bolo- 
gna, ove fece parte della Nazione Alemanna. — IV. Docu- 
menti inediti intorno a Nicolò Copernico in Bologna. — 
V. Se il documento trovato dal dott. Palagi possa riferirsi 
a Nicolò Copernico. — VI. In Bologna studiò il Diritto Ca- 
nonico. — VII. Non vi prese Laurea. — VIII. Quali furono 
i suoi maestri nel Diritto Canonico. — IX. Qual parte del- 
l'insegnamento legale esponesse ciascuno di questi negli anni 
nei quali il Copernico dimorò in Bologna. — X. Se avesse 
studiato il greco prima di venire in Italia. — XI. Lo ap- 
prese dall’ Urceo. — XII. Quali sutori greci fossero spie 
gati dal nostro, mentre Nicolò era in Bologna. — XIII. 
Merito dell’ Urceo verso il Copernico. — XIV. Di Domenico 
Maria Novara e della sua amicizia con Nicolò. — XV. Se 


DI A. URCEO CODRO IX 


Scipione Dal Ferro sia stato maestro del Copernico. — 
XVL Di Andrea Copernico. — XVII. Se Nicolò, mentre 
abitava in Bologna, si recasse a Frauenburgo, e quando. — 
XVII. I due fratelli Copernico vivevano in Bologna pove- 
ramente. — XIX. Ultime memorie di Nicolò Copernico in 
Bologna. — XX. Degli Alemanni che furono nella nostra 
città nel tempo in cui vi stette Nicolò Copernico. — XXI. 
Del Cardinale Nicolò da Cusa. . . . . . . .. . .Pag. 306 


Caprroto IX. 
Degli studi e delle opere di Codro. 

I. Dell’ erudizione dell' Urceo e della stima che godeva 
in Bologna. — II. Sua perizia nel greco. — III. Epigramma 
di Esiodo scoperto da Codro. — IV. Singolare fanatismo 
dell’ Urceo verso di Omero. — V. Vastità della dottrina di 
Codro. — VI. Traduzioni da Porfirio, da Aristotele e da 
Isocrate, finora sconosciute. — VII. Della perizia dell’ Urceo 
nella lingua latina: suoì scritti compresi nelle edizioni delle 
Opere. — VIII. Giudizio di Stefano Grosso e di Giuseppe 
Rossi sulle opere di Codro. — IX. Del supplemento al- 
l'Auhularia di Plauto. — X. Delle annotazioni al carme De 
Insitione di Palladio Rutilio. — XI. Di alcuni scritti di 
Codro, citati dal Tiraboschi e dal Peroni. — XII. Scritti 
latini inediti. — XIII. Opere dell’ Urceo ora perdute. — 
XIV. Delle onoranze rese a Codro in Rubiera ai 14 d'agosto 


del 1877... .0.0.0606 40 967 
APPENDICE Î. 
Capitolo di Pellegrino Zambeccari, bolognese, scrittore 
della fine del secolo XIV. . . . . . «00. + >» 423 


APPENDICE II. 
Lettera del Cardinal Bessarione colla quale raccoman- 
da Andronico Callisto a Lorenzo de' Medici. . . . . . >» 427 


APPENDICE [Π. 
Lettera di Bartolomeo da Pratovecchio a Lorenzo de' 


APPENDICE IV. 


Documenti inediti intorno a Francesco Filelfo. 430 


w 


Χ MALAGOLA 


APPENDICE V. 


Documenti e lettera di Galeotto Marzio da Narni. . . Pag. 


APPENDICE VI. 


Documento e lettere di Pandolfo Collenuccio. . . . >» 
APPENDICE VII. 

Documenti intorno a Nicolò Leoniceno. . . . . . » 
APPENDICE VIII. 

Degli stemmi della famiglia Savoldi. . . ... . . >» 
APPENDICE IX. 

Decreto di cittadinanza modenese di Cortese Urcei, 
padre di Codro. . . .....0.0.0..06. 


APPENDICE X. 
Decreto di cittadinanza modenese concessa a Giovanni 
di Bartolomeo Urcei. ‘0000. 
APPENDICE XI. 
Quando si sia estinta la famiglia di Codro. . . . . >» 
APPENDICE XII, 
Notizie storiche intorno Rubiera, patria di Antonio 
Urceo. . νων νιν νιν ες ΝΈΕΣ Ν 


APPENDICE XIII. 
Documenti intorno a Gian Battista Guarino professore 


di Retorica e Poetica nello Studio di Bologna. . . . . » 
APPENDICE XIV. 

Documenti intorno ad Antonio Urceo. . . . .. » 
. APPENDICE XV. 


Versi latini e italiani in morte di Antonio Urceo. . » 
APPENDICE XVI. 


Testamento di Codro, riportato dal Bianchini. . . . >» 
APPENDICE XVII. 
Documenti intorno Filippo Beroaldo seniore. . . . >» 


APPENDICE XVIII. 
Due lettere di Pandolfo Collenuccio a Cesare Nappi. . >» 


Appenpice XIX. | 
Documenti sul celebre leggista Andrea Barbazza, Pro- 
fessore nello Studio di Bologna. . . ....... >» 


΄ 


431 


434 


451 


452 


453 


457 


DI A. URCEO CODRO 


APPENDICE XX. 
Lettera di Filippo Beroaldo iuniore a Lorenzo de’ Me- 


XI 


dici. cea . + +. + +. . Pag. 518 
APPENDICE XL 
Documenti intorno Luca Watzelrode, zio e protettore 
di Nicolò Copernico. . ......... 0... » 519 
APPENDICE XXII. 
Documenti riguardanti i Canonici ed i sacerdoti War- 
miensi, iscritti nella Nazione Alemanna, sino al 1500. . » 524 
APPENDICE XXIII. 
Della Nazione Germanica presso lo Studio di Bologna. » 534 
APPENDICE XXIV. 
Documenti intorno a Nicolò Copernico. . . . . . > 561 
APPENDICE XXV. 
Documenti intorno a Domenico Maria Novara. . . >» 565 
APPENDICE XXVI. 
Dei Lettori di Astronomia nello Studio Bologneto dal 
1483 al 1501. . ... » 567 
APPENDICE , XXVIL 
Documenti intorno a Scipione Dal Ferro. . . . . » 574 
APPENDICE XXVIII. 
Documenti intorno Andrea Copernico fratello di Nicolò. » 577 
ApPpenpice XXIX. 
Degli scolari tedeschi in Bologna dal 1496 al 1500. . » 178 
APPENDICE XXX. 
Matricola della Nazione Alemanna dal 1490 al 1500. » 582 
APPENDICE XXXI. 
Documenti sul Cardinale Nicolò da Cusa. . . . . >» 594 
APPENDICE XXXII. 
Della festa celebrata in Rubiera in onore dell’ Urceo 
ai 14 d'agosto del 1877... . . ......... » 595 


PROEMIO 


< Clarorum virorum facia moresque 
» posterit fradere antiquilus usi- 
» latum. 
Tacito. 


Antonio Urceo fu uno scrittore, del quale molti hanno par- 
lato. Due anni appena dalla sua morte Bartolomeo Bianchini, 
bolognese e suo discepolo, dava alle stampe una Vita di lui, 
dettata latinamente sopra memorie fornitegli dal fratello dello 
stesso Codro, alle quali egli aggiunse molte notizie intorno 
la vita e i costumi del maestro (1). Questo scritto, che per 
certo è di grande autorità, fu impresso la prima volta in Bo- 
logna nel 1502, e poscia colle opere dell’ Urceo medesimo 
in Venezia nel 1506, in Parigi nel 1515, in Basilea nel 
1540, e di nuovo in Francoforte, con altre vite di uomini il- 
lustri, nel 1536. 

Nel secolo XVIII vide la luce la maggior parte delle 
biografie del nostro Autore. Nel 1716 il Padre Temistocle 


(1) È un opuscolo di sei carte in 4.9, ed ha iltitolo: « Codri 
Vita A Bartholomeo Blanchino Bononisensi Condita Ad Minum Ro- 
scium Senatorem Bon.». Si trova per lo più legato in principio od 
in fine colle edizioni delle opere di Codro, stampate in Bologna 
nel 1502. -- 


XIV MALAGOLA 


De Saint Hyacinthe stampava all’ Aya, fra le sue Memo:res 
Litteraires (1), una lunga dissertazione sulla vita e sugli scritti 
dell' Urceo, pregevole, se non per altro, per un diligente esame 
delle opere di Codro (2), la quale venne riprodotta anche nel 
1740, nella seconda edizione di questo libro. 

Il dottore Antonio Righetti, ferrarese, fu il terzo, per 
quanto τη è noto, che scrivesse la Vita dell’ Urceo, e la in- 
serì negli Annalî Letterarj d' Italia, nel III. volume, che 
usciva in Modena nel 1764 (3). Dessa è meno estesa che quella 
del Padre De Saint Hyacinthe, nè contiene cosa di qualche 
interesse, ed è seguita da una lettera dell’Ab. Zaccaria sulle 
edizioni delle opere di Codro (4). 

A questa tien dietro, in ordine di tempo, (e le è infe- - 
riore di merito) un’ altra Vita, scritta dal Conte Gian Batti- 
sta Corniani, che fa parte del suo Saggio di Storia Lette- 
raria degli Orzi Nuovi, donde traeva origine la famiglia 
degli Urcei (5). 

Ma tutte le Vite sin qui ricordate non sono, a dir vero, 
che una traduzione più o meno libera, più o meno ordinata, 
di quella che il Bianchini aveva composta nel 1502. Il primo 
ad aggiungere nuove notizie fu Girolamo Tiraboschi, il quale 
non solo volle consacrato all’ Urceo un luogo onorevole nella 
Storia della Letteratura Italiana (opera che dovrà pur sem- 
pre consultarsi dagli studiosi (6)), ma nella sua Ziblioteca 


(1) Tomo I, parte Il, da pag. 259 a 336. 

(2) Anche il Du Roure ne' suoi Analecta (Tom. I, pag. 218) ha 
preso in esame i vari scritti di Codro. 

(3) In Modena MDCCLXIV a spese di Antonio Zatta — parte 
II, articolo XXII, a pag. 667. 

(4) Ivi, a pag. 687. 

(5) Nuova Raccolta ἀ᾽ Opuscoli Scientifici e Filologici, Tomo 
Ventesimo Primo... In Venezia, MDCCLXXI. Presso Simone Oc- 
chi — Opusc. XIX. 

(6) Veggasi la 2.* edizione In Modena MDCCLXXX VII, tomo 
VI, parte III, a pag. 1108, 8. LXVIII. | 


DI A. URCEO CODRO XV 


Modenese (1) ne trattò dottamente e diffusamente, servendosi 
in massima parte delle testimonianze che di sè stesso lasciò 
Codro nei proprii versi e nelle proprie Orazioni. 

Anche nel nostro secolo fu scritta una Vita dell’ Urceo, 
latinamente, dal Padre Luigi Pungileoni, e sebbene questa 
non abbia sinora visto la luce, fu tradotta elegantemente in 
italiano, forse dal Prof. Giuseppe Ignazio Montanari, e così 
inserita nel Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti (2). 
Ma il commentario del Pungileoni è cosa, dal lato istorico, 
molto meschina, dopo ciò che di Codro aveva scritto il Tira- 
boschi. A queste Vite può aggiungersi l’ opuscolo (edito per 
cura del Municipio di Rubiera nel passato Agosto) ove è il 
discorso che io pronunziai intorno l’ Urceo allorquando la sua 
patria volle, con publico monumento attestargli la propria 
riconoscenza (3). 

Sono queste le principali e le più estese fra quante Vite 
abbiamo del nostro Autore. Moltissime altre però furono stam- 
pate, fra cui mi sembrano degne di-ricordo quelle inserite 
dal Cozzando nella Libraria Bresciana (4) e dal Marchesi 
nelle Vitae Virorum INlustrium Foroliviensium (Ὁ), e quella 


(1) /n Modena MDCCLXXXIV, Presso la Società Tipografica, 
tom. V, a pag. 391 e tom. VI a pag. 208. 

(2) Tomo LXIII, Aprile, Maggio e Giugno 1834 e 1835. Roma 
Nella Stamperia del Giornale Arcadico, Presso Antonio Boulzaler, a 
pag. 181. La traduzione ha il titolo seguente: Commentario intorno 


Antonio Urceo sopranomato Codro, tratto dal latino del Ch. P. Luigi 


Pungileoni min. conv. È sottoscritta colle iniziali: I. G. M. 

(3) Delle Onoranze tributate in Rubiera ai 14 d'agosto del 1877 
ad Antonio Urceo detto Codro. Bologna coi Tipi della Società Coo- 
perativa Azzoguidi 1877. 

(4) In Brescia, M. DC. XCIV, Per G. M. Rizzardi, Parte I, a 
pag. 44. 

(5) Foroliutj ex Typographia Pauli Syluae sesso MDCCXXVI, 
libro II, capo IV a pag. 216. 


—  __—rrrrr—r—_———_t@€>@  8—6€— perentorio 


XVI. MALAGOLA 


altresì onde il Roscoe compose una particolare Appendice 
nella sua celebre opera Vita e Ponteficato di Leone X, tra- 
dotta nella nostra lingua e stampata in Milano nel 1816 (1). 
Inoltre quasi tutti i Dizionari Biografici italiani e stranieri 
contengono cenni dell’ Urceo, i quali, sebbene nella maggior 
parte non siano condotti con sufficiente esattezza, servono 
tuttavia a rendere più conosciuto il nome di lui. Le Memoires 
pour servir a l’Historie des Hommes Illustres del Niceron (2), 
i Dizionari del Bayle (3) e del Moreri (4), la Biografia Univer- 
sale publicata a Venezia pel Missiaglia dal 1822 al 1841 (5), 
e la Nouvelle Biographie Generale, edita a Parigi dal 1857 
al 1866 dai fratelli Didot (6), contengono sul nostro Autore 
articoli piuttosto estesi. 

Se io volessi far qui ricordo delle opere ove si trova 
menzione dell’ Urceo, avrei a scrivere ben lungamente; tut- 
tavia non posso tacere di alcune, che se non contengono una 
compiuta biografia dell’ illustre Umanista, rischiarano però 
qualche parte della sua vita, ed essendo queste opere divul- 
gatissime, mantengono sempre più viva appresso i posteri la 
memoria di lui. Senza fermarmi nè sull’ Appel ἃ toutes les 
Nations de l’ Europe des jugemens d'un Ecrivain Anglois 
del Voltaire (7), nè sulle Prose Volgari e Poesie Latine e 
Greche di Angelo Poliziano, edite per cura del Ch. Prof. Isi- 


- -_—w———r————rr——r————> 


(1) Vol. IT, a pag. 303. 

(2) A Paris.... M.DCC.XXVIII, tom. IV, a pag. 332. 

(3) Dictionaire Historique et Critique... MDCCXL, tom. IV a 
pag. 701. 

(4) Le Grand Dictionatre Historique — A Paris... MDCCXLIX, 
tom. VII a pag. 332. 

(5) Vol. LIX, a pag. 286. 

(6) Tom. XLV, a pag. 796. 

(7) Appel ἃ toutes les Nations de l’ Europe des jugemens d' un 
Ecrivain Anglois; ou Manifeste au sujet des honneurs du pavillon 
entre les Theatres de Londres et de Paris (1761) a pag. 75. - 


DI A. URCEO CODRO XVII 


doro Del Lungo (I), ricorderò qui come di Codro abbiano te- 
nuto discorso non brevemente l'illustre Ambrogio Firmin 
Didot, nel suo libro Alde Manuce et l’ hellénisme a Venise (2), 
ove con molto sapere ha trattato delle relazioni fra l’ Urceo 
ed il celebre tipografo. Anche il Burckhardt nella sua opera 
divulgatissima Za Civiltà del secolo del Rinascimento in Ita- 
lia (tradotta nella nostra lingua dal Prof Valbusa (3)) ha 
in più luoghi preso ad esame la vita e le opinioni dell’ Urceo. 
Del quale più estesamente sarà discorso dal Dottor Ludovico 
Geiger di Berlino, nelle note alla terza edizione di quel libro, 
alla quale ora sta attendendo (4). Anche 1" illustre Professore 
Comm. Domenico Berti, Deputato al Parlamento, e già Mi- 
nistro della Publica Istuzione, nel volume intitolato: Coper- 
nico e le vicende del sistema Copernicano în Italia, trattò 
dell' Urceo in un particolare capitolo, nel quale, avendo mo- 
strato che si può ritenere esser questi stato maestro di Greco 
al Copernico (5), assicurò nuova ed imperitura gloria al nome 
del nostro Umanista, che vivrà d'ora innanzi congiunto a 
quelio del suo immortale discepolo. Molti e molti giornali 
italiani, tedeschi, polacchi, francesi e russi, nell’ occasione 
ch'io trovai documenti sul Copernico, parlarono eziandio del 
suo maestro di Greco, prendendo argomento dai sunti delle 


(1) Firenze, G. Barbéra, Editore. 1867. Vedi a pag. 208, 210, 
215, 219, 220, 221. 

(2) Paris. Typ. d’ Ambroise Firmin Didot. 1876. A pag. 117, 
120, 123, 154, 417. 

(3) In Firenze. G. C. Sansoni Editore, 1876. Vol. I, a pag. 184, 
301 e 333, e vol. IT a pag. 309. 

(4) Ne è già uscito il primo volume, col titolo: Der Cultur der 
Renaissance in Italien Ein Versuch von Jacob Burckhardt. Dritte 
Auslage besorgt ron Ludwig Geiger — Erster Band — Leipzig, 
Verlag von L. A. Seemann, 1877. Vedi a pag. 165, 196, 203, 346. 

(5) Roma. Tipografia G. B. Paravia e C., 1876. Cap. VIII, da 
pag. 48 a 53. 


XVIII MALAGOLA 


letture che tenni in Bologna nelle Tornate della Reale De- 
putazione di Storia Patria, egregiamente compilati dai Pro- 
fessori Comm. Giosuè Carducci e Conte Cesare Albicini (1); 
anzi alcuni di questi giornali contengono vere e proprie dis- 
sertazioni; come, ad esempio, quelle del Prof Massimiliano 
Curtze, Segretario della Società Copernicana di Thorn (2), 
del Dott. Francesco Hipler, Professore della Facoltà Teolo- 
gica in Braunsberg (3), del Dott. Maurizio Cantor, Professore 
nell’ Università di Heidelberg (4), e del Dottore Arturo 
Wolynski (5). 

Anche gli scritti di Codro porsero materia di particolare 
esame a due valenti letterati. II Conte Cav. Giuseppe Rossi, 
lodatissimo autore di carmi latini, publicò per le stampe, 


(1) R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Roma- 
gna (sunti delle Letture degli Anni Academici 1875-76 e 1876-77). 
(Bologna), Tipi Fava e Garagnani, 1875, 1876 e 1877. 

(2) 1.° Copernicus in Italien. Nella Posener Zeitung. Posen 30 
Aprile 1876, N. 301. (Tradotta nel Bullettino di Bibliografia e di 
Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche. Tom. IX, Giugno 1876, 
a pag. 315). — 2.° Copernicus in Italien nella Thorner Ostdeusche 
Zeitung. Thorn 13 Maggio 1876 N. 111. Riprodotto nella Posener 
Zeitung del 17 Maggio 1876, e tradotto in italiano nel ZBul/ettino 
citato, tom. IX, Giugno 1876 a pag. 317. — 3.° Copernicus, nella 
Thorner Zeitung di Thorn dei 21 Settembre 1876. 

(3) Kopernicus in Bologna. Nel supplemento al N. 54 del- 
l' Ermlandischen Zeitung di Braunsberg, dei 6 Maggio 1876. Tra- 
dotto nell’ Appendice del giornale bolognese la Gazzetta dell’ Emilia 
dei 21 Maggio 1876, poscia nel citato Bu//ettino, tom. IX, Giugno 
1876, a pag. 320. 

(4) Ueber die Nationalitat des Copernicus, nell’ Allgemeine Zei- 
tung d' Augusta, N. 214, del 1.° Agosto 1876. Tradotto esso pure 
nel Bullettino, tom. IX, Decembre 1876, a pag. 701. 

(5) Muzeum Kopernica w Rzimie, nel periodico polacco Kosmos, 
publicato a Lwow. Vol. I, fasc. V, a pag. 213. Settembre, 1876. 


DI A. URCEO CODRO XIX 


sulle poesie di Codro, una lettera che volle indirizzarmi (1); 
ed il Prof. Cav. Stefano Grosso, illustre per rara dottrina, 
specialmente nelle cose latine e greche, in una lunga ed 
eruditissima lettera, pure a me diretta, stampata, or non 
è molto, per la terza volta, dissertò Del Supplemento di 
Antonio Urceo Codro alla Pentolinaria di Marco Accio 
Plauto (2), mostrando il pregio singolarissimo di questo Sup- 
plemento, che fu, insieme coll’ Aulularia, imitato dal Gelli 
e dal Voltaire, e che ora, tradotto con l’ Aulularia stessa, 
è divulgato pei teatri d’ Italia. 

Il merito singolare e la singolare diffusione della mag- 
gior parte delle opere italiane e straniere fin qui ricordate, 
ove si tratta di Codro, e le molte edizioni dei vari suoi scritti 
(8 me ne son note più di ottanta (3)) bastano a far com- 
prendere come l’ Urceo abbia preso giustamente un seggio 
molto onorevole nella storia della Letteratura, 6 come ri- 
chieda ormai di venir convenientemente illustrato. Che se 
egli non avesse altro merito, basterebbe già ad assicurargli 
fama non peritura l'essere stato maestro di greco a Nicolò 
Copernico e l’ avergli probabilissimamente spiegato quelle 
lettere di Teofilatto Simocatta, onde molti dotti vogliono ri- 
cevesse il primo concetto del suo sistema immortale. 

Le Università Italiane, nelle quali si crede che il Co- 
pernico abbia studiato, publicarono dotti lavori intorno quel 
Grande; Padova cogli scritti dei Professori Montanari (4) e 


(1) Bologna 1876, Tip. Mareggiani. 

(2) Terza Edizione. — In Bologna co’ tipi Fava e Garagnani. 
1877. 

(3) Io ho raccolto notizie delle varie edizioni delle opere del- 
l'Urceo e ne ho composto una Bibliografia Critica che fra non molto 
sarà pronta per la stampa. 

(4) Nicolò Copernico ed il suo libro De Monetae Cudendae Ra- 
tione, seconda Edizione, Padova. Premiata Tipografia alla Minerva. 
1877. 


XX MALAGOLA 


Favaro (1); Roma 60] libro del Berti. Bologna soltanto, quan- 
tunque possa gloriarsi dell’ unica fra le Università italiane 
dove è incontrastabile ( pei documenti che recherò più innanzi ) 
avere il Copernico studiato, non ha finora prodotto alcun la- 
voro che illustri il tempo, sempre memorabile, in cui acco- 
glieva ospite e scolaro l’astronomo immortale. Io ho procurato 
col presente volume di far pago il voto che l'illustre Pro- 
fessore Domenico Berti ha rivolto alla nostra città, scrivendo : 
« Corre pertanto particolare obbligo all’ Università di Bo- 
logna di trarre dai suoi Archivi e di far pubbliche quante 
più può notizie sul periodo di cui discorriamo ». 

Fu pertanto mio pensiero non solamente di scrivere la 
Vita di Antonio Urceo, ma di mostrare che Bologna nel se- 
colo del Rinascimento a cui sono oggi con tanta cura rivolti 
gli studi degli Storici e dei Filosofi, non fu tale veramente 
da meritare di esser dimenticata, come è avvenuto sinora. 
Non so se io abbia raggiunto l'intento; ad ogni modo mi 
sarà lecito invocar la sentenza di Properzio 


» Quod si deficiunt vires, audacia certe 
» Laus erit; in magnis et voluntas sat est. 


(1) Nicolò Copernico e l Archivio Universitario di Padova. — 
Lettera del Prof. Antonio Favaro a D. B. Boncompagni. Roma. Tip. 
delle Scienze Matematiche e Fisiche, 187]. 


CAPITOLO I. 


Dello studio delle lettere greche e latine in Italia 
nel secolo XY. 


I. Culto per l’antichità. — Il. «Ricerca dei codici antichi e som- 
mo pregio in cui si tenevano. — III Studio delle lettere greche. — 
IV. Studio delle latine. — V. Favore accordato alle lettere dai prin- 
cipi d'Italia: Nicolò V, Alfonso d'Aragona, Gian Galeazzo Visconti 
e Francesco Sforza, Leonello d'Este e il Duca Borso, Giovanni II 
Bentivoglio, Gian Francesco Gonzaga, Cosimo de’ Medici. — VI. 
Quanto abbia giovato alla letteratura italiana questo grande studio 
delle opere antiche. 


I. Dalla morte di Giovanni Boccaccio, sino al tempo 
del magnifico Lorenzo de’ Medici, i migliori ingegni 
d’Italia, intesi unicamente a ricercare ed illustrare le 
opere degli antichi greci e latini, sdegnando l’uso della 
lingua che chiamavan volgare, non arrichirono dei loro 
scritti la nuova letteratura, che già tre sommi avean 
saputo rendere grande e vigorosa. Il secolo XV si diè 
tutto agli studi dell'umanismo, i quali furono ἀπ᾿ otti- 
ma preparazione a quelli che resero insigne fra tutti i 


2 MALAGOLA 
secoli della coltura italiana il XVI: furono cioè la causa 
per cui la letteratura italiana, raggiunta la perfezione 
degli antichi, diffuse per tutta Europa il suo maravi- 
glioso splendore. 

II. A chi lo consideri, il secolo che seguì quello di 
Dante presenta un aspetto affatto singolare. L'’ antichità, 
piuttosto che di studio, divenne allora oggetto di culto, 
e riconosciuta quasi dogma a cui si dovevano confor- 
mare i pensieri e le azioni degli uomini. Tutto era ri- 
cerca dell’ antico. I dotti viaggiavano poveri e solitari 
in traccia di opere per secoli e secoli dimenticate. L’Au- 
rispa, Guarino da Verona, il Filelfo, il Valla e molti 
altri recarono di Grecia codici antichissimi, e Ciriaco 
de’ Pizzecolli, assai meglio noto sotto il nome di Ciriaco 
Anconitano, percorse, per brama α᾽ erudirsi, la Carnia, 
l’ Etolia, l’Acaia, il Peloponneso, la Troade, l'Arabia, 
l'Etiopia e l’ India. E dovunque ei poneva piede, tutto 
ciò che trovava di antico, iscrizioni, statue, monete, 
tutto di sua mano copiava, descriveva, e per sò racco- 
glieva, e ne faceva copia δ᾽ suoi amici letterati, che 
eran moltissimi. E Poggio Bracciolini viaggiò tutta 1° I- 
talia, tutta la Francia e tutta la Germania, con zelo da 
non credersi, in traccia di libri, mentre Nicolò ‘Nicoli, 
raccolti più che ottocento codici, ne istituiva in Firenze 
una publica biblioteca (1). 

Era tanto in quel tempo il fervore del raccogliere le 
antiche opere, che si può dire giungesse all’ entusiasmo, e 
tanto si pregiavano i codici, che venivan rubati come 
già un tempo le reliquie dei santi. La smania di posse- 


——— 


(1) Giovanni Andres. Dell’ origine, progressi e stato attuale di 
ogni letteratura — Pisa presso N. Capurro - MDCCCXXIX - Tomo 
I pag. 248. 


DI A. URCEO CODRO ‘3 


——— —————&6 --- 


dere codici antichi era tale da indurre il Panormita a 
voler vendere un podere per acquistare le opere di 
Livio: « significasti mihi ex Florentia (rispondeva ad 
Alfonso Re di Napoli) exstare ibi Titi Livii opera ve- 
nalia, libris pulcherrimis, libro praelium esse CXX 
aureos; qua re Matesiatem tuam oro, ut Livium quem 
Regium librum apellare consuevimus, emas. Interim 
ego pecuniam procurabo, quam pro libri praetio tra- 
dam; sed illud a prudentia tua scire desidero, utero 
ego cum Pogius fecerit ut Villam Florentiae emeret, 
Livium vendidit, quem sua manu pulcherrime scripse- 
rat, ego ut Livium emam fundum proscribam ». 
Queste parole anco ci addimostrano a qual prezzo 
si vendessero i codici: nè farà quindi maraviglia che 
fossero lasciati per testamento come una grande ere- 
dità ai figli, nè che si vendessero con pubblico rogito: 
erano l'arredo più prezioso delle case e potevano gio- 
vare grandemente in un estremo bisogno a cui la fami- 
glia fosse condotta. Paolo Giovio, scrivendo del giure- 
consulto Giasone Del Maino, narra, che essendo quegli 
caduto in povertà per le sue dissolutezze « juris Codi- 
cem în membraniîis scriptum, magno praetio emptum, 
feneratori tradere coactus est ». E Donato Acciaioli 
fiorentino, pregato da Iacopo Piccolomini, Cardinale di 
Pavia, di comperare un manoscritto di Gioseffo Istorico, 
si scusò di farlo con queste parole: « Josephus, de quo 
scribis, cartusculus est, hoc praesertim anno, quo non 
multum abundo »; e sopra altri libri commessigli sog- 
giungeva: « de tribus Voluminibus Plutarchi, în qui- 
bus Parallela vigintiquatuor continentur, praetium 
minus ocfuaginta aureos esse non potest. Ex tractati- 
bus Senecae iam Epistolas invenimus, pro quibus 
sexdecim , vel saltem quindecim aureiì petuntur ». E 


4 MALAGOLA 


ben si doveano i codici custodire gelosamente, se Luigi 
XI, Re di Francia, (come riferisce Gabriello Naude 
nelle Addizioni alla vita di quel monarca) per ottenere 
in prestito dalla scuola della Facoltà di Medicina di 
Parigi le opere di Rbasis, medico arabo, tradotte in 
latino, dovette dare a quella, per pegno, buona parte 
de’ suoi argenti. Nel commercio dei codici medesimi non 
isdegnavano di impiegarsi gli stessi re, i quali del re- 
sto, volendo regalare alcuno, non sapevano farlo meglio 
che con antichi codici, per l'altissimo e singolar pregio 
in cui eran tenuti. Ed infatti, il dottissimo Pontefice 
Pio II per rimeritare il Filelfo, al quale in Firenze era 
stato discepolo, gli fece presente di un testo greco di 
Plutarco; e Cosimo de' Medici in pegno di pace, inviava 
un Tito Livio a quell’Alfonso di Napoli, che all’ udir 
leggere dal Panormita in Capua un capitolo delle geste 
d’Alessandro, scritte da Quinto Curzio, era risanato dalla 
febre. Così la Repubblica di Lucca, per segno di gra- 
titudine, presentava di due codici Filippo Maria Viscon- 
ti, Duca di Milano, a quella guisa che un secolo prima 
l'Imperatore Federico III, volendo gratificarsi il Reu- 
clin (riputato un dei più dotti uomini de’ suoi tempi), 
che gli era stato inviato ambasciatore dal Duca del Wur- 
temberg, lo regalò di una vecchia Bibbia in ebraico. 
Nè quest’ uso fu smesso affatto nel secolo XVI, perchè 
è noto come Clemente VII al Widmanstadio, che negli 
Orti Vaticani gli aveva fatta 1" esposizione del sistema 
Copernicano, regalasse un bel codice greco dell’ opera 
di Alessandro Afrodiseo « De sensu et sensibili ».. 

III. Questo non è luogo da ricercare le ragioni per 
cui in Italia si risvegliò tanto fervore per lo studio 
delle opere antiche. Il quale fu buona ventura che ap- 
punto_ sorgesse contro la scolastica allorquando essa, 


. DI A. URCEO CODRO 5 


una volta profonda, ma degenerata con l’andare dei 
secoli in superficiale e sofistica, cercava di invadere 
tutto il campo scientifico, ed è al Petrarca e al Boccac- 
cio che spetta il merito d'aver cercato pei primi di 
combattere l'ignoranza e la barbarie col nobile eccita- 
mento allo studio dei classici autori. 

Accrebbero grandemente il tesoro dell’ antica eru- 
dizione quei dotti greci, che, per essere Costantinopoli 
caduta sotto il ferro di Maometto, venivano esulando 
in Italia, dove portavano codici di opere greche e latine. 

Gli studi delle lettere elleniche in Italia fiorirono 
prima che altrove nella città di Firenze. Già sulla fine 
del secolo XIV a Leonzio Pilato eravi degnamente suc- 
ceduto Emanuele Crisolora, il quale fu maestro a Leo- 
nardo Bruni, a Nicolò Nicoli, ad Ambrogio Traversari, 
ad Ognibene da Lonigo, a Giacomo d'Angelo e fors’ an- 
che a Giannozzo Manetti ed a Pier Paolo Vergerio. 
Pure in Firenze insegnarono, oltre a Guarino Veronese, 
Francesco Filelfo e Giovanni Arghiropulo; a quest’ ultimo 
furono discepoli Donato Acciaioli e Alamanno Rinuccini. 
In sui primi anni della signoria di Cosimo de’ Medici 
soggiornava in quella stessa città Gemisto Pletone, ve- 
nutovi in occasione. del Concilio; a questi si aggiunga 
Marsilio Ficino, cui deve tanto la filosofia platonica. 
Quando nello scorso ottobre io ripassava nell'Archivio 
di Stato Fiorentino le numerose /ilze che contengono il 
carteggo de’ Medici avanti il principato, rimasi pieno 
di meraviglia, trovandovi ad ogni istante lettere di 
questi celebri uomini, abbondanti di notizie, oltre ogni 
credere preziose, per la storia degli studi greci in Fi- 
renze. La quale forte mi duole non abbia ancora trovato 
un uomo, come Venezia ebbe la ventura di trovarlo nel 
celebre Firmin-Didot, che imprenda a trattare questo 


6 MALAGOLA 


argomento, utilissimo per tutte le città d’Italia, per 
Firenze importantissimo e necessario. 

Anche in Napoli' gli studi ellenici salirono a gran- 
de onore, e fu per opera di Alfonso d'Aragona, alla 
corte del quale fiorirono un Lorenzo Valla, un Pier 
Candido Decembrio, un Gregorio Tifernate, un Nicolò 
Della Valle, un Bartolomeo Fazio, un Lelio Castellano: 
Venezia ebbe maestri nelle sue scuole un Crisolora, un 
Ognibene da Lonigo, un Filelfo, un Guarino Veronese, 
un Giorgio da Trebizonda e un Tifernate. Ferrara, 
Mantova ed Urbino ospitarono anch’ esse valentissimi 
grecisti: la nostra Bologna che pure in questi studi 
merita luogo onorevole, fu dimenticata sinora dagli scrit- 
tori, e perciò sarà utile che io ne tratti, con qualche 
maggiore ampiezza che non potrei nel presente, nel 
capitolo che seguirà. 

Poichè dunque l’ Italia ebbe nel secolo XV uomini 
così dotti nella lingua degli antichi Elleni, niuno vorrà 
meravigliarsi, leggendo nel proemio alla Grammatica di 
* Costantino Lascaris (1), che avrebbe recato vergogna ad 
un italiano l'ignoranza delle cose greche; ed infatti la 
lingua di Pericle più fioriva allora in Italia, che in Gre- 
cia. Francesco Barbaro e Leonardo Giustiniani, giunto 
a Venezia nel 1423 l’ Imperatore Giovanni Paleologo, 
lo salutarono con greche arringhe; e Ognibene da Lo- 
nigo, alla presenza del Cardinal Bessarione nato a Tre- 
bizonda, recitò anch’ egli in Venezia in greco un discor- 
so tale, che quel dotto porporato, preso d' ammirazione 
confessò ch'egli aveva superato ogni attica eleganza. 

“IV. Quasi tutti gli uomini dotti di questo secolo 


(1) Pubblicato dall’ Yriarte nel catalogo dei codici greci della 
Biblioteca Reale di Madrid. Vedi a pag. 184. 


% 
e 


“ 


DI A. URCEO CODRO 7 
non si tennero paghi alla conoscenza della sola lingua 
latina, ma in generale conobbero anche la greca. È 
straordinario, anzi meraviglioso, il numero degli Italiani 
che in quel tempo coltivarono gli studi dell’ antichità, 
e che ebbero fama sopra gli altri. I più celebri, seguen- 
do l'ordine del tempo in cui vissero, furono Pier Paolo 
Vergerio, Nicolò Nicoli, Leonardo Bruni, Giovanni Auri- 
spa, Gaspare Barziza, Guarino Veronese, Poggio Brac- 
ciolini, Ambrogio Traversari, Flavio Blondo, Leonarde 
Giustiniano, Ciriaco d’Ancona, della famiglia de’ Pizzecol- 
li, Antonio Losco, Antonio Beccadelli, detto il Panormita, 
Francesco Filelfo, Pier Candido Decembrio, nati tutti nel 
secolo XIV. Il seguente produsse Lapo da Castiglionchio, 
Enea Silvio Piccolomini, Lorenzo Valla, Bernardo Giusti- 
niani, Nicolò Perotto, Ognibene da Lonigo, Gioviano 
Pontano, Nicolò Leoniceno, Pomponio Leto, Giovanni 
Calfurnio, Marsilio Ficino, Marco Antanio Coccio Sabel- 
lico, Giorgio Valla, Giacomo Antiquario, Domizio Calde- 
rini, Aldo Manuzio, Fausto Andrelini, Pandolfo Colle- 
nuccio, Francesco Dal Pozzo, detto il Puteolano, Filippo ᾿ 
Beroaldo seniore, Ermolao Barbaro iuniore, Antonio Ur- 
ceo, detto Codro, Angelo Poliziano, Gian Francesco Pico 
della Mirandola e Filippo Beroaldo iuniore. 

Quanto alla lingua latina, niuno ignora che i let- 
terati dei quali ora ho fatto menzione, scrissero quasi 
tutte le opere loro in quella, poichè, ammirandone la 
grandezza, spregiarono forse come inetta alle scienze, 
o mal capace di gravità e di gentilezza, la nuova lingua, © 
detta volgare. Il Poggio nel suo libro De infelicitate 
principum giunge a deplorare che Dante non abbia 
scritto in latino il suo poema: « Cuzus (Dantis) extat 
poema praeclarum, neque, si literis constaret, ulla ex 
parte poetis superioribus postponendum ». E sin dai 


—r——_—_—_———__ ___————— ———€——€€€—€€—€m6Tyr—— τς... n ——-- 


8 MALAGOLA 


tempi del Boccaccio s’'agitò la quistione perchè Dante 
non abbia poetato in latino. Lo scrivere in questa lingua 
nitidamente era il fine a cui i letterati anelavano. In 
essa principi e signori facevano istruire ‘i-loro figliuoli, 
e basti ricordare come Galeazzo Maria Sforza, ancor 
giovanissimo, recitasse nel 1455 una lunga arringa din- 
nanzi al Gran Consiglio di Venezia, e come la sua 
sorella Ippolita, scolara di Costantino Lascaris, nel 1459, 
nel congresso di Mantova, salutasse con un forbito 
discorso il letteratissimo pontefice Pio II (1). In quel 
secolo tutte le azioni grandi, tutte le feste solenni con 
pubbliche orazioni latine si celebravano; e il latino, più 
o meno colto, era il linguaggio non solo usato per le 
scienze e per le lettere nelle Università, ma eziandio 
dalla classe degli uomini politici, e solo le allocuzioni 
militari solevan farsi in volgare, nella qual lingua nep- 
pur sempre si parlava dal pergamo. I letterati per ap-- 
prender la. storia, le leggi degli antichi e la filosofia, ed 
anco per fornirsi di maggior copia di parole e di frasi 
‘ tanto latine che greche, cercavano avidamente i codici; 
per meglio intendere la forza e l’ energia delle espres- 
sioni studiavano ogni sorta di antichi monumenti che 
potessero porger lume di utili cognizioni; onde è facile 
rendersi ragione del gusto letterario del secolo XV. 
V. Pontefici e Principi, anche nei più piccoli stati, 
raccoglievano, non perdonando a spese, le opere degli 
antichi; Nicolò V profuse ingenti somme per formare una 
" biblioteca che a lui, principe di tutta Cristianità e gran 
mecenate si convenisse. La sua corte era l'asilo degli 


(1) Iacopo Burckhardt - La civiltà del rinascimento in Italia - 
Traduzione del prof. Valbusa. Firenze - Sansoni - 1876. — Vol. I, 
pag. 311. 


DI A. URCEO CODRO 9 


uomini più dotti di quella età: ivi Poggio Fiorentino, 
Giorgio da Trebizonda, Flavio Blondo, Leonardo Bruni, 
Antonio Losco, Giannozzo Manetti, Francesco Filelfo, 
Lorenzo Valla, Candido Decembrio, Teodoro Gaza, Gio- 
vanni Aurispa ed altri preclari ingegni facevano rivi- 
vere i tempi felici di Atene e di Roma. 

Questi grandi Nicolò colmava di doni e di onori: 
a Lorenzo Valla, che gli offerse la traduzione delle isto- 
rie di Tucidide, donava di sua mano cinquecento scudi 
d'oro; a Francesco Filelfo prometteva una bella casa 
in Roma, un ricco podere e dieci mila scudi d’oro, af- 
finchè recasse in versi latini l’ Iliade e l'Odissea. E tanto 
la liberalità del Pontefice si estendeva, che udendo egli 
un giorno come in Roma vivessero alcuni buoni poeti, 
ch’ egli non conosceva, rispose non potere costoro esser 
quali si dicevano, aggiungendo: « se sono duoni, per- 
«chè non vengono a me che ricevo ancora τ mediocri? » 

Nè Alfonso V d’Aragona, Re di Napoli, era secon- 
do al Pontefice nella munificenza verso i dotti letterati. 
Egli stesso coltivava le lettere con amore grandissimo, 
e voleva che sempre gli si leggesse qualche opera di 
antico scrittore, e spesso ei ne interrompeva la lettura 
con erudite quistioni. Anzi desiderava che a questo uti- 
lissimo esercizio assistessero i giovani studiosi, esclu- 
dendo allora dalle sue stanze non solo i cortigiani, ma 
ancora i ministri. Narrasi che una volta, mentre si leg- 
gevano le istorie di Tito Livio, il Re imponesse silenzio 
ad un armonioso concerto di musicali strumenti che ivi 
presso si udiva, e che pure allorquando trovavasi fra 
lo strepito delle armi non lasciasse passar giorno in cui 
non ordinasse la lettura di qualche brano dei Commen- 
tari di Giulio Cesare. Accoglieva a grande onore gli 
uomini sapienti e largamente li donava; onde Giannozzo 


10 MALAGOLA 


Manetti, inviato a lui ambasciatore dai Fiorentini, trat- 
tenne alla sua Corte collo stipendio annuo di novecento 
scudi d'oro, dicendogli che avrebbe diviso con lui l’ ul- 
timo tozzo di pane, parole degnissime di quel sovrano 
che aveva preso per insegna un libro aperto. Da lui il 
Panormita era stato dichiarato Regio Precettore, Con- 
sigliere e Segretario di Stato, e con simili segni di 
onore accoglieva il Cardinale Bessarione, Teodoro Gaza, 
Francesco Filelfo, Nicolò da Sulmona, Gioviano Ponta- 
no e Giovanni Aurispa, onorando eziandio teologi, me- 
dici, musici e giureconsulti. E quando, dopo molte pre- 
ghiere, potè ottenere dai Veneziani un avambraccio delle 
supposte ossa di Livio, lo accolse-in Napoli con pompa 
solenne e nella stessa città, allorchè nel 1443 vi fece il 
suo celebre ingresso dopo la conquista, si mostrò al pub- 
blico vestito all antica (1). 

In Milano Gian Galeazzo Visconti, come racconta. 
Uberto Decembrio (2), si adoperò con ogni industria a 
raccogliere tutte quelle opere in cui sì i greci che i 
latini scrittori lasciarono monumento del loro sapere, 
e molte che giacevano sparse e nascoste ricoverò e di- 
spose nella sua biblioteca. Invitò per sue lettere il Fi- 
lelfo a recarsi a Milano; onde questo celebratissimo let- 
terato, parlando del modo col quale il Duca lo aveva 
ricevuto, ebbe a°dire che tanto onore e tante cortesie 
gli aveva usato, ch' era fuor di sè stesso per lo stupo- 
re. Ed anche Francesco Sforza, che succedette nel du- 
cato al Visconti, protesse grandemente il Filelfo, nè mai 
permise che si scostasse da lui, ‘è gareggiò nobilmente 
coi Medici e cogli Estensi nel dare asilo ai dotti greci 


——+— € __-_ __———»—_————_—___—___r__—_——_—_—r—————————_—_———_—————€—————m€€ 


(1) Iacopo Burckhardt. Opera citata — .Vol. I, pag. 297. 
(2) Argelati. Scriptores Mediolanenses. 


DI A. URCEO CODRO ἢ} 


che per la caduta dell’ Impero ἀ᾽ Oriente andavano po- 
veri e raminghi per le terre d' Italia. 

Come in Milano prima i Visconti, poi lo Sforza, 
protessero gli eruditi, così in Ferrara il marchese Leo 
nello d'Este, figliuolo naturale di Nicolò terzo; il quale, 
per servirmi delle parole di un sommo critico, Giosuè 
Carducci (1) « addomesticò al poema di Virgilio chi 
altro non conosceva che î romanzi d' avventura fran- 
cesi, risvegliò i suoni dell'elegia di Tibullo dove solo 
aveva sbizzarrito la tenzone provenzale, e non lungi 
dal castello ove Nicolò lo Zoppo faceva decapitare la 
moglie e il figliuolo, egli riapriva, 0 meglio apriva, 
la università di Ferrara ». 

Leonello carteggiava dottamente in latino coi sa- 
pienti d'Italia, eruditamente conversava a mensa e nei 
giardini, dissertando sopra Cesare e sopra Scipione; di- 
ceva improvviso in rime italiane, e primo recava in 
dubbio l'autenticità delle lettere fra Seneca e San Paolo. 
Oltre di questo, raccolse con avidità da umanista e con 
generosità da principe i più rari codici e ne arricchì la 
biblioteca incominciata un secolo prima da’ suoi mag- 
giori. Dal Poggio acquistò a caro prezzo due volumi 
delle epistole di San Girolamo; dal Cardinale Orsini si 
procurò le comedie di Plauto, allora scoperte in Ger- 
mania, e nel suo palazzo tenne academie letterarie, rac- 
cogliendovi il fiore dei dotti della sua città. Nè a Leo- 
nello soltanto deve Ferrara la sua gloria nelle lettere, 
ma a Guarino Veronese ancora, il quale era stato pre- 
cettore di Leonello in sul finire dell’anno 1429. E pri- 
ma che egli vi si conducesse non era in quella città, - 


(1) Delle Poesie latine edite e inedite di Ludovico Ariosto — 
Bologna presso N. Zanichelli 1876 — (2.3 edizione) pag. 23. 


12 MALAGOLA 


al dire di Lodovico Carbone, non chi conoscesse la fa- 
coltà oratoria o professasse la retorica, ma nè pur chi 
sapesse di grammatica. Ben lo conferma l' ungherese Gio- 
vanni Cisinge (che latinizzò il suo nome in quello di 
Janus Pannonius) nel panegirico (1), ch' ei scrisse di 
Guarino veronese, cantando: 


« Hoc, Guarine, tibi nuper Ferraria patto 
Fundata est, talem tua quam praesentia fecit. 
Ante rudis rerum, nunc ipsis aemula Athenis; 
Nulli nota prius, totum nunc clara per orbem; 
Incelebris quondam, magni nunc hospita mundi ». 


Anche il Duca Borso, che prima di avere la signo- 
| ria di Ferrara non ad altro parea disposto che alle armi, 
favorì molto gli studi: promosse l’ introduzione della 
stampa, e raccolse egli pure quanti codici potè, e a 
gran prezzo, dagli eredi dell’Aurispa e da Vespasiano 
Fiorentino. Nè Borso stette pago al raccogliere codici, 
ma volle che fossero adornati con lusso regale. Dagli 
atti della Compùtisteria Ducale di Ferrara sappiamo che 
nel miniarli furon impiegati artefici eccellenti, fra cui 
Gherardo Ghisilieri di Bologna, Francesco de Russi 
di Mantova e Taddeo Crivelli; e a questi due ultimi, 
per le miniature che fecero in una Bibbia, fu data la 
somma di 1375 zecchini. Ercole I, che successe a Borso 
nel Ducato, quantunque non avesse cultura di lettere, 
pure teneva in gran pregio i letterati, ed avea alla sua 
corte, oltre Matteo Maria Boiardo, Pandolfo Collenuccio, 
Tito Strozzi, Ercole suo figliuolo e Nicolò Leoniceno. 


—T———_——m6€———_y_66——m_T——z 


(1) Panegyricus praeceptori Guarino Veronensi — Bologna per 
Girolamo di Platone de’ Benedetti — 1513, alla pag. 19 non numerata. 


DI A. URCEO CODRO 13 
E se volgiamo.il pensiero alla nostra Bologna noi 
vi vediamo Giovanni lI Bentivoglio accogliere nella sua 
corte magnifica letterati, scienziati ed artisti: era il 
tempo nel quale cantava l’ Urceo: 


« Tandem pax rediit, redierunt ocia tandem 
Fi sub Bentivolis tuta fuere suis, 
Sub quibus ipse vides cunctos florere Poetas (1) ». 


Giovanni scriveva elegantemente, in latino, come fanno 
fede due lettere in quella lingua, l'una a M. A. Sabel- 
lico (2), l'altra a Cassandra Fedele (3). Per tutto quel 
secolo il nostro studio aveva accolto i più dotti uma- 
nisti che s’ avesse l’Italia, e basti ricodar qui solo i 
nomi di Giovanni Lamola iuniore, di Giovanni Garzohi 
dei due Beroaldi e di Gian Battista Pio tra i bolognesi, 
e tra i forestieri quelli di Lapo da Castiglionchio, di 
Guarino da Verona, di Francesco Filelfo di Giovanni 
Aurispa, di Tomaso Seneca, di Nicolò Volpe, di Nicolò 
Perotto, di Gian Battista Guarino, di Galeotto Marzio, 
di Cola Montano e di Antonio Urceo. 

Venendo ora a Gian Francesco Gonzaga, Marchese 
di Mantova, dirò soltanto come egli chiamasse alla sua 
corte Vittorino da Feltre perchè istruisse i suoi figli, 


(1) Antonti Codri Urcei..... Opera, quae extant, omnia..... Basi- 
leae per Henricum Petrum (1540) Veggansi: Ad Nicolaum Masinum 
Caesenatem Laudes Bononiae, a pag. 335. Quando avrò a citare 
brani delle opere di Codro mi servirò (se non farò altra avvertenza) 
di questa edizione, la quale è la meno scorretta delle quattro intito- 
late Opera, e la men difficile a trovarsi. 

(2) Lettere del Sabellico, ediz. di Venezia del 1502 per Arber- 
tino de Lisona, libro VIII. 

(3) Lettere di Cassandra Fedele, Padova 1638, per il Balzetti, 
pag. 162. 


14 MALAGOLA 


----- ———+— Ty .—6 Ty ——————+— 


assegnandogli venti scudi d’oro ogni mese; come gli 
facesse allestire una casa da abitare co’ suoi discepoli, 
dove convenivano giovani non solo d’ Italia, ma di Fran- 
cia ancora e di Germania, e persino di Grecia. E pure 
in Mantova il Marchese Gian Francesco aveva raccolto 
gran copia di codici di altissimo pregio, imitandolo nella 
protezione delle lettere, i Duchi di Savoia, del Monfer- 
rato, di Urbino, e i Manfredi, signori di Faenza, gli 
Ordelaffi di Forlì, gli Sforza di Pesaro e i Malatesta 
di Rimini. 

In Venezia Cosimo de’ Medici, mentre v° era esule, 
apriva la libreria del monastero di San Giorgio Mag- 
giore; e ritornato trionfante in Firenze, vi fondò tre 
biblioteche: una in San Francesco del Bosco in Mug- 
gello, l’altra nel monastero di San Bartolomeo a'’ piè 
del Monte Fiesole, la terza, e più magnifica, in Firenze 
nel monastero di San Marco, nella quale ripose circa 
quattrocento volumi fra greci e latini. Ed essendo poi 
questa ruinata, a cagione del terremoto, nel 1453, quat- 
‘ tro anni di poi la fece rifabricare, aggiungendovi una 
stanza, ove dispose tutti i libri greci ed alcuni eziandio 
in lingua ebraica, arabica, caldaica ed indiana, conti- 
nuando ad accrescerla sempre, infino che visse. Inoltre 
ei condusse in Firenze a precettore della lingua greca 
il dottissimo Arghiropulo, e nutrì nelle sue case Marsi- 
lio Ficino, al quale fece dono di una possessione poco 
lungi dalla sua di Careggi; quel Ficino, che aveva ten- 
tato di frammettere all’ ufficiatura ecclesiastica qualche 
sentenza di Platone! Tanto istraordinario favore de' prin- 
cipi verso gli studii, se altri volesse cercarne la cagio- 
ne, io direi doversi attribuire parte a necessità, parte 
ad astuzia e ad ambizione. Però che essendo molti di 
quelli sottentrati alle Republiche, dovevano collo splen- 


DI A. URCEO CODRO 15 


dore, che sì facilmente abbaglia le pliebi, tener lungi 
l’idea della spenta libertà, e ciò potevano fare assai 
scaltramente i Medici, i quali 81 trovavano possessori 
di sterminate richezze. 

VI. Questo grande studio delle opere antiche, aiutato 
potentemente dall’ invenzione della stampa, è il fatto 
più notabile di quel tempo, e merita di essere ben se- 
riamente studiato, poichè, giova ripeterlo, fu solo per 
esso che la letteratura italiana potè giungere nel sesto- 
decimo secolo alla perfezione. Ma i grecisti e i latinisti 
di quel tempo non hanno soltanto questo merito splen- 
didissimo, ma un altro ancora, il quale, sebbene forse 
alcun poco minore, basterebbe da sè solo a renderli già 
illustri. Perocchè « quantunque ἢ Italia (siccome scrisse 
l'illustre prof. Stefano Grosso (1)), non abbia avuto 
prima di Pietro Bembo scrittori latini di tutta purezza 
ed eleganza (non essendo irreprensibili nè il Pontano, 
πὸ il Poliziano, né lo stesso Giacomo Bracelli ante- 
posto da Paolo Giovio a tutti gli scrittori del secolo 
XV}, ebbe però filologi di gran dottrina: e le tradu- 
zioni e le illastrazioni ed altre erudite opere a cui 
posero mano, tornerebbero utili anche agli studiosi 
del secolo XIX. Ascoltiamo Francesco Ambrosoli: 
«« Furono allora in Italia (scriveva in una relazione 
letta all’ Istituto Lombardo il 9 di aprile 1865) molli 
uomini forli di volontà non men che α᾽ ingegno, è quali 
benchè mancassero di quasi tutti i sussidi, onde noi 
abbondiamo, ci lasciarono opere letterarie dove sono 
ugualmente mirabili e il coraggio dell assunto e ll ese- 
cuzione. Considerando alcuni di quegli scritti, le diffi- 


(1) Sugli studi di Francesco Ambrosoli nelle lettere greche e la- 
line — Milano - Bernardoni - 1871. Annotazione VII, pag.'61 e 62. 


.-----...--΄ὦὃᾧὃἢἣἢὲὸ»,͵ — 


16 MALAGOLA 

cultà inerenti al soggetto e la misera condizione degli 
studii in quel tempo, proviamo quel senso che ci de- 
stano certe spade, le quali noi a stento impugniamo, 
etinostri avi le maneggiavano torneando a diletio » ». 
— «« I lavori de nostri filologi nel secolo XV (così 
nelle Considerazioni sulla storia della letteratura italiana) 
furono molti e grandi....... quando furono tanto cre- 
sciuti di numero e d' importanza da poter servire di 
fondamento ad una vera scienza filologica, quale 5᾽ in- 
tende oggidi, le sorti d’Italia trovaronsi interamente 
mutate: e gli studi già si erano tanto divisi non pure 
dal viver civile e dalla nazione, ma da ogni alto ar- 
gomento, che quegli immensi apparecchi radunati e 
composti con tanta fatica e con tante spese restarono 
infruttuosi e poco men che ignorati. Però se ne gio- 
varono gli stranieri, entrati più tardi nell’ arringo 
letterario, ma progrediti poi ad un’ immensa distanza 
da quel punto dove le circostanze politiche obbligaro- 
no è nostri maggiori a rislarsi; e ormai soltanto al- 
cuni molto eruditi sanno quanto contribuì una volta 
l’Italia a quell'alto edifizio nel quale vediamo cresciuti 
gli studi filologici presso altre nazioni » ». 

Onde è omai tempo che questi uomini ai quali, per 
servirmi delle parole dell’ eruditissimo prof. Grosso (1) 
« l'Italia, anzi tutta l Europa, deve la restaurazione e 
lampliazione della classica letteratura, e di quella che 
î moderni ad esempio di Eratostene e di Atteio chia- 
mano filologia » siano da ciascuno conosciuti e onorati, 
affinchè cessi una volta la indegna noncuranza nella qua- 
le si lasciaron finora. E a noi italiani principalmente 


(1) Delle opere di Guido Ferrari - Ragionamento — Novara, 
G. Miglio - 1870 - pag. 14. 


͵ 


DI A. URCEO CODRO 17 


spetta far onore a quei dotti grecisti e latinisti del quinto 
decimo secolo che sono una gloria tutta nostra. Fra' quali 
10 stimo che sia utile il rifiorire la memoria anche di 
Antonio Urceo Codro, che fu dei solenni professori di 
belle lettere greche e latine nel secolo XV e nello 
Studio celebratissimo di Bologna. Che se altro di lui 
non ci rimanesse, basterebbe a farlo degno di venir 
ricordato con molto onore, la stima grande che sap- 
piamo averne fatto il severissimo Poliziano, il quale, 
siccome ebbe a scrivere il Perticari « essendo sempre 
parco alla lode, fece lodatissimi que’ pochi a' quali non 
la niegò (1) ». 


(1) Perticari, Opere — Venezia, Girolamo Tasso etc. 1832 - 
VoL I: Intorno la morte di Pandolfo Collenuccio - pag. 6. 
2 


18 MALAGOLA 


CAPITOLO II. 


Dell’ ellenismo in Bologna sino alla metà 
del secolo XVI. 


I. Opinione di Ambdrogio Firmin-Didot sull’ ellenismo in Bolo- 
gna. — II Grecisti in Bologna prima del secolo XV: Uguccione da 
Pisa, Irnerio, Accursio, Alberico da Bologna, Buonaccorso da Bo- 
logna, San Tomaso d'Aquino, Bettina Sangiorgi, Pier Tomaso d'A- 
quitania, Pellegrino Zambeccari, Lapo da Castiglionchio, Giovanni 
e Giacomo da Cipro. — III. Greci in Bologna nel secolo XV: Gio- 
vanni da Nasso, Giovanni Giusti da Candia, Lorenzo d’Attica, Gio- 
vanni e Demetrio greci, Teodora Crisolora, moglie di Francesco 
Filelfo, il Cardinale Bessarione, Bonamico da Lepanto. — IV. Pro- 
fessori di Greco in questo secolo nello Studio: Teodoro da Candia, 
Giovanni Aurispa, Eleonoro de’ Lianori, Andronico Callisto, Mario 
Filelfo, Gerardo da Pinerolo, Bartolomeo Minucci alias da Pratovec- 
chio, Antonio da Cesena, Antonio Urceo Codro, — V. Grecisti in 
Bologna in questo secolo: Francesco Piccolpassi, Tomaso da Sarzana, 
Enea Silvio Piccolomini, Antonio Beccadelli detto :/ Panormita, Gua- 
rino Veronese, Nicolò Fava, Antonio Minucci da Pratovecchio, Fran- 
ceseo Filelfo, Giovanni Lamola, Nicolò Perotti, Giovanni Battista 
Guarino, Giovanni Garzoni, Galeotto Marzio, Giacomo Antiquario, 
Francesco Zambeccari, Pandolfo Collenuccio, Francesco dal Pozzo, 
detto il Puteolano, Cola Montano, Andrea Magnani, Filippo Beroaldo 
seniore, Giambattista Pio, Giacomo dalla Croce, Achille Dalla Volta, 
Ludovico Ghisilardi, Pirro Vizzani, Ulpiano Zani, Giovanni Achil- 
lini, Filippo Beroaldo iuniore, Giovanni Calfurnio, Nicolò Copernico. 
— VI. Traduzioni dal greco stampate in Bologna nel secolo XV. — 
VII. Greci in Bologna nella prima metà del XVI secolo: Nicolò Greco. 
— VIII. Professori di greco nella nostra città in questo tempo: Gio- 
viano Grecolino, Paolo Bombace, Achille Bocchi, Pietro Ipsilla da 
Egina, Giambattista Gamberini Filarete, Pietro da Val di Taro, Seba- 
stiano Delio, Bartolomeo Faustini, Stefano Salutati, Ciriaco Strozzi, 
Pompilio Amaseo e Pirro Bocchi. — IX. Grecisti in Bologna in questo 
tempo: Costanzo Claretti de’ Cancellieri, Chiaro Francesco de' Genuli, 


DI A. URCEO CODRO 19 


Francesco Tisard, Nicolò Leoniceno, Corrado Muth, Erasmo di Rot- 
terdam, Giovanni Lascaris, Filippo Fasanini, Angelo Cospi, Scipione 
Fortiguerri ( Carteromaco), Frate Girolamo Capacelli Gadi, Romolo 
Amaseo, Nicolò Degli Avanzi, Giulio Caccianemici, Andrea Alciato, 
Bernardino Realini, Giambattista Sighicelli, Lodovico Pomponio Bec- 
cadelli, Giambattista Campeggi, Frate Luca Macchiavelli, Ercole Bot- 
trigari, Costanza Bocchi Malvezzi, Ippolita Paleotti. — X. Traduzioni 
dal greco stampate in Bologna dal 1501 al 1533. — XI. Conclusione. 


I. Ora che ho parlato sulle generali dello studio del 
greco e del latino in Italia nel XV secolo, non sarebbe 
fuor di proposito che, venendo particolarmente alla no- 
stra Bologna, io dicessi dello studio dell’ una e dell’ altra 
lingua in questa città, nel tempo in cui vi fu Codro. Ma 
quasi tutti i cultori della lingua del Lazio, che 8᾽ suoi 
giorni furono in Bologna, ebbero amicizia con lui, e per 
questo io mi riservo di discorrerne distesamente nel ca- 
pitolo, dove tratterò degli amici dell’ Urceo. Per contrario 
mi sembra opportuno il trattar qui dello studio delle 
lettere elleniche in Bologna, cominciando dalle prime 
memorie che ci sono rimaste e procedendo sino alla 
metà del secolo XV. 

L’illustre ellenista francese Ambrogio Firmin-Didot 
nella introduzione premessa al suo libro « Alde Manuce 
et ἢ Hellénisme a Venise (1) », riassumendo ciò che 
prima aveva detto sullo studio delle lettere greche in 
Italia, scrisse queste parole: « Aònsi qu on a pu le voir, 
plusieurs villes de ἢ Italie possédaient des chaires de 
langue et de littérature grecques avant la fin du quin- 
seme siècle: Florence, cù enseignèrent successivement 
Chrysoloras (1396-1402), Guarini (jusqu en 1415), 


(1) Paris — Typogràphie d'Ambroise Fimin-Didot - 1875 - pag. 
XLII e XLIII. 


20 MALAGOLA 


Aurispa et enfin Philelphe (1429); — Venise, où profes- 
sérent: Chrysoloras (1402-1406), Omnibono Leoniceno, 
Guarini (1415-22), Philelphe (1428-29), Georges de Tré- 
bizonde, jusq en 1450, Tiphernas (1460-1466); — Vé- 
rone, où professa Guarini (1422-1436); — Ferrare, 
qui cut pour professeurs: Aurispa (après 1433); Gua- 
rini (1436-1460); et Théodore Gaza, qui enseignait le 
grec au gymnase de cette ville (1441-1450) /voyez, sur 
ce savani, p. 2A de cet ouvrage). Les autres villes, tel- 
les que Milan, Pavie, Rome, Naples, n’ eurent de pro- 
fesseurs de grec que par intervalles, et leur histoire 
est encore à faire. Bologne, siége des études juridi- 
ques, fit un accueil plus que froid ἃ Pl établissement 
d'un cours de grec par Aurispa ». E qui ognuno 
s’ accorge come l'illustre francese divida in due classi 
le città italiane dove fiorì nel secolo XV l’ ellenismo: 
come nella prima comprenda quelle che sempre ebbero 
allora professori di greco; nella seconda le altre che 
pure ebbero di tali professori, ma non di continuo, e 
come escluda affatto Bologna sì dalle une e sì dalle al- 
tre. La quale esclusione, se io debbo liberamente dire 
la verità, è ingiusta; poichè se Bologna non fu tra le 
città ove l’ ellenismo nel secolo XV fiorì in sommo gra- 
do, i Rotuk (1) del suo Studio, che per buona ventura 


—— —————_———_-—+—_-_-————--—_-_--——21_1_1___ 


(1) I Rotul dello Studio Bolognese sono grandi fogli membra- 
nacei che si rinnovavano ogni anno, e sui quali, dopo le regole ge- 
nerali per lo Studio, si segnavano i nomi dei rettori, dei professori 
e dei ripetitori, ed il titolo della cattedra che essi occupavano. Ora si 
conservano, legati in sette grandi volumi, nell’ Archivio Notarile nel 
palazzo detto del Podestà. I Rotuli per l' Università dei Leggisti inco- 
minciano dal 1438 e giungono ai 1769; quelli per l' Università degli 
Artisti (cui appartenevano professori e studenti che non eran Leggisti) 
cominciano parimenti dal 1438, e arrivano fino al 1796. Sì dell'una 


DI A. URCRO CODRO 21 


ancor vi conservano, sono irrepugnabile argomento che 
la nostra aveva pieno diritto di venir considerata dal 
Didot fra le seconde città,- ossia fra quelle, che, se non 
di continuo, ebbero però in quel secolo quasi sempre 
publici professori di greco. 

Fu già dimostrato dall’ eruditissimo e sommamente 
benemerito Gian Girolamo Gradenigo, prima nella sua 


che dell’ altra Università dello Studio mancano i Rotuli di parecchi 
anni; trovasi però nello stesso archivio un fascio di minute cartacee 
di Rotuli, colle quali può molte volte supplirsi alla mancanza dei 
Rotuli membranacei. Se ne trovano molti nell'Archivio Arcivescovile 
di Bologna ed altri ancora, non in foglio, ma in appositi libri, nel- 
l'Archivio della R. Prefettura; questi -però sono degli ultimi tempi 
dello Studio. 

Quelli dell'Archivio Notarile variano nella grandezza tra m. 0. 67 
per m. 0. 94, e m. 0. 56, per m. 0. 77; diversi di essi sono miniati 
finamente, la maggior parte ha nel mezzo, in alto, dipinta l' effigie 
di S. Petronio, protettore della città, alla destra del quale, andando 
verso il margine sinistro di chi guarda, è lo stemma del Pontefice 
poi quello dell’Arcivescovo di Bologna; a sinistra, verso il margine 
destro, lo stemma del Legato, poi quello della città di Bologna. Vo- 
glio tuttavia notare che in alcuni gli stemmi etc. si trovano l'un 
sotto l'altro verticalmente nel mezzo del foglio, in altri nella stessa 
guisa, ma sul margine dalla parte sinistra di chi guarda; in altri 
ancora è dipinto in quel luogo un caduceo. Sotto gli stemmi orriz- 
zontalmente disposti, comincia la scrittura con un’invocazione in 
parte a lettere maiuscole, spesso di colore l'una dall’ altra diverso. 
Seguon le regole generali ricordate, poi i nomi dei professori, poi 
dei ripetitori sotto quello di ciascuna cattedra, e in capo ad essi 
stanno i nomi dei due Rettori di ciascuna Università, cioè di quello 
degli Ultramontani e dell'altro dei Citramontani. In fondo è la data, 
sotto la quale, alla destra di chi guarda, è posta la sottoscrizione ὁ 
del Notaro dei Riformatori dello Studio, o del Secretario del Senato. 

Questi Rotuli, dopo esser stati approvati dai Riformatori dello 
Studio, dovevano tenersi affissi (e molti ancor mostrano che erano 
incollati al muro) per quindici giorni nei locali dello Studio, e dopo 
erano posti nell'Archivio del Comune. 


f - 


22 MALAGOLA 


« Lettera..... intorno aghi Italiani che dal secolo XI sino 
verso la fine del secolo XIV seppero di Greco » (1), 
ed anche più a lungo nel suo « Ragionamento..... intorno 
alla Lelteratura Greco-Italiana (2) » esser falsa l’'opi- 
nione che dalla caduta dell’ Impero Romano fino al tempo 
in cui risorsero gli studi dell’antichità, le lettere greche 
abbian giaciuto in Italia affatto affatto neglette. Il Tira- 
boschi nella sua Storia della letteratura italiana ricon- 
fermò questa opinione ed aggiunse alcune notizie a quelle 
che prima d'ogni altro avea. date il Gradenigo, ed in 
più luoghi toccò non brevemente dell’ ellenismo fino ai 
suoi giorni. È tuttavia da lamentare che ancora non 
abbia l’Italia un libro dove questo argomento sia svolto 
in tutta la sua pienezza; dobbiamo però notare che 
molto difficilmente si potrebbe scrivere, finchè in ogni 
città, dove la letteratura nobilissima degli antichi greci 
ebbe cultori più o meno insigni, non se ne ricerchino 
diligentemente le notizie. 

E questa mia opinione è confermata dal fatto, che 
quando la Classe di Scienze Morali, Storiche e Filolo- 
giche della Reale Academia di Torino, con Programma 
dei 27 novembre 1871 (3), propose il premio di una me- 
daglia d'oro a chi meglio avesse trattato il tema « Espor- 
re il movimento degli studi greci in Italia dalla metà 
del secolo XV alla metà del secolo XIX, e determinare 
la particolare influenza di questi Studi così sulla Filo- 
sofia come sulla Letteratura Italiana » niun uomo di 


—— - 


(1) Stampata in Venezia, nel tomo VIII della Miscellanea di 
Varie Operette, l’anno 1743. 

(2) Brescia - per G. M. Rizzardi - 1759. 

(3) Accademia Reale delle Scienze di Torino - Classe di Scienze 
Morali, Storiche e Filologiche - Programma — Torino Stamperia 
Reale (1871). 


DI A. URCEO CODRO 23 


valore volle mettere mano a lavoro di tal fatta, ben 
comprendendo essere troppo breve il termine di un anno 
e mezzo fissato dall’ Academia (1). 

Io adunque, per quanto posso, verrò esponendo ciò 
che riguarda lo stadio della lingua greca in Bologna. 
E perchè questo argomento è affatto nuovo e difficile 
anzi che no, spero di trovare maggiore indulgenza ne' 
leggitori se, non ostante il mio buon volere, mi rendessi 
colpevole di ommissioni o di errori. 

II. Le notizie sullo studio del greco in Bologna non 
arrivano più in là del medio evo. Ben è vero che il 
padre Orlandi (2), scrivendo di Rufo Camonio, bolognése, 
che viveva in Roma al tempo dell’ imperator Domizia- 
no, ed indubitatamente era uomo di lettere, lo disse 
« Poeta greco e latino »; ma io osservo che Marziale 
unico, tra gli scrittori latini, che abbia lasciato memo- 
ria di Rufo, e che gli era amicissimo, non accennò mai 
che questi fosse poeta greco. 

Sembra che a diversi degli antichi chiosatori dello 
Studio Bolognese non fosse ignota la lingua dei greci, 
ma non è però facile affermare con sicurezza quali di 
loro ne avessero conoscenza e quanto profonda. Il Gra- 


(1) Reale Accademia delle Scienze di Torino — Classe di Scienze 
Morali, Storiche e Filologiche — Estr. dagli Atti della Reale Accade- 
mia delle Scienze di Torino, Vol. IX adunanza dei 18 gennaio 1874. 
— Relazione della Commissione incaricata di dar giudizio intorno ai 
lavori mandecritti stati presentati sopra il tema proposto a concorso 
dalla Classe di Scienze morali, storiche e filologiche di questa R. Ac- 
cademia con programma del 29 novembre 1871: (Torino): Stamperia 
Reale di G. B. Paravia e Comp. (1874) - Vedi a pag. ll. 

(2) Notizie degli scrittori Bolognesi e dell' opere loro stampate e 
manoscritte — In Bologna MDCCXIV - Per Costantino Pisarri - 
pag. 243 e 244. 


2A MALAGOLA 


denigo, poc’ anzi citato, opina che Uguccione da Pisa, 
Irnerio ed Accursio fosser periti in questa lingua, ma 
quanto al primo (che scrisse un glossario latino, cui diede 
il nome di Etymologicon) vuolsi dal Tiraboschi, e con 
ragioni fondate, che ciò che ivi s'incontra di greco sia 
tolto dal dizionario di Papia. 

Venendo ad Irnerio, il Gradenigo, sebbene non ab- 
bia dubitato che sapesse il greco, appena lo ricordò, 
non credendo (e allora il Sarti non aveva ancora pro- 
vato il contrario) che questo illustre legista fosse ita- 
liano. Ora quale è la ragione unica per cui ad Irnerio 
si potrebbe attribuire la perizia nel greco? Certamente 
il sapersi che egli fece il ristretto di moltissime Novelle 
od Autentiche di Giustiniano, scritte originalmente in 
greco e che si leggono per entro il Codice in seguito 
alle leggi che da queste Aulentiche erano in qualche 
guisa modificate. Ma ciò non basta a darci indizio sicuro 
che Irnerio conoscesse la lingua ellenica; per giungere 
a questo converrebbe prima sapere quali precisamente 
delle Autentiche sieno state compendiate da lui, e quan- 
do pure si fosse giunti a tanto, sarebbe necessario co- 
noscere quali fra esse non ancora 8᾽ suoi giorni fossero 
state tradotte, nè l'aver soddisfatto a queste due ri- 
cerche sarebbe ancora sufficiente a provare che 8 lui 
propriamente se ne debba anche la versione. 

Da ultimo neppure di Accursio, al quale la tradi- 
zione attribuisce quel motto: « Graecum est, non potest 
legi », si può esser certi aver conosciuto il greco, pa- 
rendomi che non basti a dimostrarlo la difesa che vuol 
farne Alberico Gentili, che dice, è vero, nel 3.° de’ suoi 
dialoghi: « Nam δὲ graecam linguam non calluisset 
Accurstus, nulla verba graeca proculdubio esset inter- 
pretatus, et tamen interpretatus est recte multa », ma 


DI A. URCEO CODRO 25 


che poco più innanzi solamente scrive: « ca verba Grae- 
cum est tl4bi sini ignoro: credo tamen non esse 
uspiam », e che toglie poscia da sè stesso a queste sue 
parole ogni autorità, confessando « Accursii Glossemata 
omnia non legt ». 

Io però non intendo, con questo che ho detto dei 
tre famosi glossatori, di negar. loro la conoscenza del 
greco, ma ho voluto soltanto far noto per quali ragioni 
io, contrariamente all'opinione del dottissimo Gradeni- 
go, non possa annoverarli fra i grecisti bolognesi. 

Non ignorava certamente la lingua greca Alberico 
da Bologna, che fioriva nel secolo in cui vissero i tre 
sopradetti glossatori, e che, intorno la metà del secolo 
XII, traslatò in latino gli Aforismi d' Ippocrate. Sebbene 
fosse nato in Francia, fu detto da Bologna perchè, ve- 
nuto qui a udire i professori del nostro Studio, vi fer- 
mò dimora, e forse vi insegnò publicamente, rimanen- 
dovi fino alla morte, che lo colse nel 1141. Quest’Al- 
berico non è da confondere col bolognese Alberico da 
Porta Ravegnana, glossatore, e scolaro di Bulgaro. 

Un grecista, senza dubio valente pe’ suoi giorni, 
fu Buonaccorso da Bologna, domenicano, il quale scrisse 
opere in greco ed in latino in servigio dei missionarii 
d'Oriente, e per combattere le dottrine di Fozio. Tra 
queste, una in amendue le lingue, che s' intitola « The- 
saurus verttatis fidei », fu trovata nel 1320 da Frate 
Andrea Doto, della medesima religione, nel Convento di 
Negroponte. Egli diede miglior ordine a quel libro e lo 
corredò di due lettere greco-latine, coll’una delle quali 
lo intitolò a Papa Giovanni XXII, coll’altra ai Rettori 
Veneti dell’ Isola di Candia. Dalle parole del Doto si 
apprende che Buonaccorso da Bologna, uscito di fanciul- 
lezza, si rese domenicano, unendo allo studio della filo- 


26 MALAGOLA 


sofia quello del greco, in entrambi i quali profittò in 
guisa, che, circa nel 1230, fu spedito in Oriente perchè 
s’ adoperasse colà contro lo scisma di Fozio. Da quello 
stesso libro si apprende che dimorò ora nell'isola di 
Candia, ora in quella di Negroponte, ora in Costanti- 
nopoli. Due codici di questo Thesaurus veritatis si con- 
servano in Parigi nella Nazionale Biblioteca, e pari- 
menti in Milano, nell’Ambrosiana, si trova un altro co- 
dice col tilolo: « Bonacursi de Bononia colleclio autho- 
ritatum veterum patrum de iis, in quibus a latinis dis- 
senttunt graecî » etc., ma forse esso, sotto titolo diverso, 
ron è altro che il Thesaurus veritatis sopra ricordato. 

Il Tiraboschi (1) e alcuni altri hanno creduto che 
San Tomaso d'Aquino (nato in Rocca Secca, nella dio- 
cesi d'Aquino, nel 1225 o nel 1227) sia da annoverare 
fra i dottori che insegnarono filosofia o teologia nel 
nostro Studio, onde io farò qui cenno anche di lui. Il 
Padre Bernardo de Rubeis, nella dissertazione ventesi- 
ma fra quelle stampate in Venezia, ha addotte delle 
forti ragioni a provare che l'Aquinate fosse versato nel- 
la greca letteratura, e fra queste le seguenti, che il 
Gradenigo ridusse in breve in tal modo: 

« III. Il primo fu a scoprire, e avvertito ne rese il 
pubblico, che le traslazioni latine de' Padri Greci assai 
erano sconcie e mancanti, e massimamente delle Ome- 
lie di δ. Gio. Grisostomo sopra l'Evangelio di S. Mat 
teo; perciò mano medica prestò a più luoghi, e nel- 
P opuscolo contra gli errori de’ Greci aggiustatissime 
regole propose, per rifarne le traduzioni. 


(1) Storia della Letteratura Italiana — In Modena MDLCCXC 
- Presso la Società Tipografica - in 4.9 - Tomo IV pag. 191. 


DI A. URCEO CODRO 21. 


« IV. Ricevuta dal S. P. Urbano IV commissione 
di esaminare un libro contenente vari pezzi di scrittori 
greci in latino tradotti, un compiuto libro gli trasmise 
in risposta; nel quale consapevole il rendette che più 
cose quella raccolta conteneva « quae possent materiam 
ministrare errorum et contentionis dare occasionem et 
calumniae », n0n lasciando di notare nell’ ultimo capo 
più luoghi né quali l'interprete latino, perchè del gre- 
co non aveva che eggiera lintura, in gravi sbagli era 
caduto. 

« V. Parecchi testi degli Areopagitici ci ha dati 
in latino assai più fedeli delle traduzioni, che allora 
correvano. 

« VI. Ne Commentari sopra la Sacra Scrittura 
fina critica ha adoperato nell'uso delle varianti lezioni 
greche tratte da' Padri Greci e dai Settanta. 

« VII. Megho di tutti conobbe il libro, e lo distinse 
de Caussis, estratto dall'opera di Proclo Platonico, e 
tradotto dall'Arabo, che a suo tempo, com’ egli ci av- 
visa, soltanto tin greco esisteva ». 

A tali ragioni, di per sè stesse molto valide, aggiun- 
ge il Gradenigo il seguente brano di un’ Orazione, in 
onore di questo grande filosofo, del Padre Tomaso Ta- 
vella, stampata in Genova: «..... E che direste poi se 
aggiungessi che nello imbattersi egli in qualche greca 
voce ricorre per ispiegarla al natio fonte purissimo, 
come l erudito Vossio osservò (l. I. Philosoph.] notan- 
do perfino in cotal lingua l'indole di sua costruzione, 
(2. 2. quest. 41 art. 6 în corp] la differenza de’ casi 
suoi, (Comm. ad Rom. c. 2 1. 3 prop. fin.) la potestà 
de suoi articoli? 

E per sopra più il Gradenigo riferisce le parole 
dell’Aquinate poc’ oltre il principio del libro XVI contro 


28 =. MALAGOLA 


Averroè, dove, citando alcuni testi di Aristotele, scrive: 
« quos etiam libros vidimus licet nondum translatos 
in linguam nostram » colle quali parole resta fuor 
d'ogni dubbio che l’Aquinate avesse ben più che super- 
ficiale conoscenza della lingua ellenica. Egli morì, sic- 
come è noto, ai 7 di marzo del 1274. 

Tra i Bolognesi che sepper di greco nel secolo XIV, 
nominerò prima d'altri una donna, cioè Bettina, figlia 
del celebre Giovanni d’Andrea, e moglie di Giovanni 
Sangiorgi, dottore in Diritto Canonico. Il conte Giovanni 
Fantuzzi (1) scrive che costei (addottorata forse al par 
del consorte, e che teneva talvolta nella cattedra le sue 
veci) non meno che nel latino fosse erudita nel greco. 
Giulio Cesare Croce, nelle sue stanze intitolate La glo- 
ria delle donne (2), scrive che Bettina 


«....... fu’ di Scienza ὑπ’ chiaro fonte, 
E lesse nello studio Patavino 

Un tempo, e ne portò cinta la fronte 

Di somma gloria, e in greco, et in latino 
Tanto fu esperta, e di maniere conte 
Che celebrata vien da tutti i lati, 

Come stupor de tutti i Letterati ». 


Un documento della Badia di Santo Stefano di Bo- 
logna, riferito da Don Celestino Petracchi nella storia 
di quella vetusta Basilica (3), dimostra che Giovanni 


(1) Notizie degli Scrittori Bolognesi — In Bologna MDCCLXXXI - 
Nella Stamperta di San Tomaso d'Aquino - in 4.2 - Tomo I - pag. 252. 

(2) Bologna — Benacci - 1590 - pag. 18. 

(3) Della Insigne Abbaziale Basilica di S. Stefano in Bologna. 
Libri due — In Bologna - MDCCXL VII -. 

All'esemplare di quest'opera, posseduto dalla Biblioteca del- 
l' Università di Bologna (Aula Magna A A. II, 8) trovasi unita una 


DI A. URCEO CODRO 29 


Sangiorgi era ancora nella nostra città, (contrariamente 
a ciò che asserisce il Ghirardacci) ai 23 di febbraio 1351. 


lettera autografa del Muratori al Petracchi, che stimo utile di qui 
riferire letteralmente: 


« Molto Reuerendo Padre Sig. Padrone Colendissimo 

Mi ha la gentilezza di V. P. fatto leggere le riflessioni di co- 
desto censore alla di Lei Storia. Quello che posso dirle si è, che fan- 
no pietà nulla aducendosi di riglieno contro là di Lei sentenza, che 
resta salda in tutte le sue parti. Però la consiglio di non se ne met- 
tere alcun pensiero o fastidio, e sia certa, che non occorre risposta 
alcuna a chi nè pure ha aperto gli occhì ai primi elementi della Crit- 
tica. Senza ragione è detto iui, che il Sigonio per esser Modenese 
seruì poco bene a' Bolognesi. Bologna δ᾽ tempi di Teodosio II era 
suddita dell’ Impero Romano: Ma Teodosio comandaua in Oriente, 
e Valentiniano HI anch'egli Imperadore reggera l'Italia, e l' Occi- - 
dente: Nè par verisimile, che Teodosio senza far menzione di Va- 
lentiniano facesse il preteso Priuileggio. Allorachè Bologna diede 
principio al sno Studio era città libera, benchè ui pretendessero do- 
minio in que’ tempi gl'Iimperadori Tedeschi. Però niun bisogno aueua 
di dimandare licenza ad alcuno per insegnare le leggi: Nè per tale 
scuola si formò quiui Università: ma molto dopo e a poco a poco 
andarono crescendo li publici Lettori. Torno a dire che stia quieta 
V. P. coll’ esser certa che gitarebbe una risposta contro chi non 
adopera se non parole. Cento autori moderni parlando di cose igno- 
rate dagli antichi non fanno autorità alcuna. Parlarono essi del Pri- 
uileggio supponendolo autentico: Ma dico io, diuenne esso forse 
autentico per la loro credulità? Serua la presente mia per rattificarle 
quel distinto ossequio etc. 

D. V. P. 

Modena li 3 gennaro 1748. 

Deuot.®° Servitore Obbl.° 
Lud.° Ant.° Muratori. 
Al M_ R. P. Ὁ. Celestino Petracchi 
M. C. » 


Questa lettera allude alle censure che monsignor Alessandro For- 
magliari, bolognese, mosse all'opera del Petracchi per mezzo dell’ o- 


30 MALAGOLA 


In quel tempo era certamente in Bologna anche Betti- 
na, ma essa, cinque anni di poi, morì in Padova, dove 
il marito erasi trasferito. Sopra il sepolcro che le fu 
posto nel chiostro del convento di Sant'Antonio di quella 
città leggesi ancora la seguente iscrizione: 


SEPULC. DOM. BETTIN& FIL. QVON. D. JOAN. ANDREX& 
DE BONONIA ARCHIDOCT. DECRET. 
ET VX. DOM. JOAN. DE SANCTO GEORGIO 
DE BONONIA 
DECRETORYVM DOCT. QVZ OBIIT ANNO MCCCLV 
DIE LVNÉE QVINTO OCTOBRIS 


Io penso che non sia qui da pretermettere quel 
Pier Tomaso d’Aquitania, carmelitano (uno dei fonda- 
tori del Collegio Teologico Bolognese) che dovette avere 
una certa conoscenza del greco, essendo stato eletto 
Arcivescovo e Patriarca di Costantinopoli. Egli fu un 
bell’ ornamento della facoltà filosofica della nostra Bolo- 
gna, dove fioriva circa a mezzo il secolo decimoquarto. 
Il Ghirardacci nelle sue Storie di Bologna (1) nota avere 
Pier Tomaso dettate molte opere utili, ma non dice 
quali, ed aggiunge che morì a Famagosta, nell'isola di 
Cipro, il giorno dell’ Epifania del 1366. 


puscolo « Filostene Oresteo - P. A. - Riflessioni - Sopra la Storia 
della Basilica di S. Stefano di Bologna, - Ultimamente data in luce 
în essa Città - Dal Padre D. Celestino Petracchi - Monaco Celestino - 
In Venezia MDCCXL VII - Appresso Pietro Bassaglia » etc. ]l Pri- 
vilegio del quale è parola nella lettera del Muratori, è il preteso di 
Teodosio all’ Università di Bologna. 

(1) Della Historia di Bologna..... In Bologna - Per Giovanni 
Rossi MDXCVI - Parte Il.®, Libro 24.° - pag. 278. 


DI A. URCEO CODRO 31 


Pellegrino Zambeccari, notaio, figliuolo del Dottor 
Giovanni, fu Correttore dei Notai nel 1388 e Cancelliere 
del Comune di Bologna dal 1391 al 1399. Sino da gio- 
vanetto, secondo che attesta il Fantuzzi (1), si diede allo 
studio delle lettere latine, volgari e greche, nelle quali 
ci convien credere che sentisse molto innanzi, avendo 
goduto l’ amicizia di Pier Paolo Vergerio e di Coluccio 
Salutato, dei quali si hanno alle stampe lettere dirette 
a lui. Similmente, oltre due altre al Salutato, publicate, 
alcune si trovano, ancora inedite, fra i manoscritti della 
biblioteca Mediceo-Laurenzianà, nonchè in un codice che 
nel secolo scorso apparteneva a Don Stefano Danielli, 
istoriografo del Re delle Due Sicilie. Lo Zambeccari scris- 
se altresì versi italiani, imitando il Petrarca; e alcune di 
tali sue rime, tratte dal codice Isoldiano, furon stampate 
dal Crescimbeni; ma.si rimane ancor inedito un suo ca- 
pitolo in terza rima, che darò in luce più innanzi (2), il 
quale si conserva nella biblioteca Marciana, e incomincia: 


« Vergine sacra alla qual si conduce 
Ogni nocente ad ultima mercede 


Non sappiamo quando Pellegrino abbia cessato di 
vivere, ma poichè di lui non si trova memoria nelle 
carte bolognesi dopo l’anno 1399, in cui fece testa- 
mento, è per ciò probabile che non molto dopo morisse. 

Ora dirò di Lapo da Castiglionchio (nipote del ce- 
lebre Canonista dello stesso nome) il quale, sebbene non 
sia stato ricordato dai nostri istorici, fu però, secondo il 


(1) Notizie degli scrittori Bolognesi - Vol. VIII - pag. 230, 231. 
(2) Nell’ appendice 1. 


32 MALAGOLA 


Mehus (1), professore di umane lettere nella nostra città. 
E che egli vi abbia veramente dimorato alcun tempo, 
non è da porre in dubio, poichè si conserva nella Me- 
diceo-Laurenziana un’ orazione, recitata da lui quando 
cominciò il suo corso di Eloquenza in Bologna, della 
quale il Bandini nel suo catalogo dei codici della Biblio- 
teca sopradetta (2) riporta un lungo brano. Tradusse in 
latino la Storia di Dionigi d’Alicarnasso, ed alcune vite 
di Plutarco, ed altre versioni ancora condusse a termine 
da Senofonte, da Luciano, da Teofrasto, da Demoste- 
ne, da Isocrate e da altri, le quali dal citato Bandini 
sono menzionate (3). Oltre che di Francesco Filelfo, che 
udì per qualche tempo insegnare in Firenze lettere gre- 
‘ che, fu amico di Ambrogio Camaldolese e di Francesco 
Barbaro; e dovette morire in età ancor giovane, poichè 
Ugolino Verini ne pianse la morte immatura in un di- 
.stico, riportato dal Fabricio (4): . 


« Te, Lape, mors juvenem nimis invidiosa peremit, 
Ingenti sed multa ἐμὲ monumenta supersunt ». 


È qui da far pure menzione di due greci che in 
sulla fine del secolo XIV insegnarono in Bologna publi- 
camente, e furono Giovanni da Cipro, lettore d’Astro- 
logia nel 1382, poi di Logica sino al 1385, e Giacomo, 
parimenti da Cipro, che tenne cattedra d'Astronomia nel 
1383. 


(1) Ambrosi Traversarii..... latinae epistolae..... Accedit eiusdem 
Ambrosii Vita..... - Florentiae - MDCCLXI - Vol. I, pag. CXLII. 

(2) Catalogus Codicum Latinorum Bibliothecae Mediceae Lavren- 
tianae.... Florentiae a. 1776 - Tomo II - pag. 358. 

(3) Catalogus etc. loc. cit. 

(4) Bibliotheca Latina Mediae et Infimae Aetatis..... Patavii, Ex 
Typographia Seminari - MDCCLIV - in 4.° Tomo II pag. 244. 


DI A. URCEO CODRO 33 

Altri io non conosco, oltre i mentovati, che nella 
nostra città coltivassero le lettere greche innanzi al 
secolo XV. Ma se piuttosto scarso fu allora il numero 
degli ellenisti bolognesi, assai grande fu nel secolo XV. 
Ed è naturale. Mentre gli studii del greco fiorivano per 
tutta Italia e quindi si erano diffusi per tutta 1᾿ Europa 
civile, dovea forse rimaner indietro Bologna, che fra le 
sue mura sempre accolse i più dotti umanisti? Ciò non 
avvenne, nè poteva avvenire; e se il Didot, anzi che 
lanciare a Bologna un’ accusa che non ha fondamento, 
avesse, pure superficialmente, cercate le opere dei no- 
stri eruditi, come il dovere di storico gli imponeva, 
avrebbe veduto che la nostra città non demeritò in co- 
testi studi il titolo di maestra. 

Per mostrare più chiaramente come sia erronea 
l'opinione del celebre francese, dividerò in quattro parti 
la trattazione dell’ ellenismo in Bologna nel secolo XV, 
dicendo nella prima dei greci che qui dimorarono durante 
questo tempo, nella seconda dei professori che insegna- 
rono nello Studio lettere elleniche, nella terza dei bolo- 
gnesi e insieme dei forestieri che allora vi conobbero 
il greco, e nell'ultima delle versioni da questa lingua 
che dal 1472 al 1500 furono impresse in questa città. 

III. Incominciando dai greci che abitarono allora in 
Bologna, senza tener ora discorso di quelli che ν᾽ inse- 
gnarono la loro antica lingua (dei quali avrò a parlare 
più innanzi) osserverò come un (Giovanni da Nasso, 
isola dell’ Arcipelago Greco, avesse cattedra di Infor- 
ziato in questa mater studiorum l’anno 1401-1402; 
e come un Lorenzo d' Attica nel 1424 vi insegnasse 
probabilmente le leggi, mancando il suo nome nel 
catalogo dei professori Artisti, che ci lasciò l’ Alidosi. 
Due altri greci, un Giovanni, soldato, ed un Demetrio 

3 


———————————————————_——————— _—_—_—_—_m— 


34 MALAGOLA 


furono a Bologna circa quel tempo, secondo che ci fa 
noto una lettera di Leonardo Aretino, della quale più 
innanzi avrò a riportare un brano, e con cui avverte 
Nicolò Nicoli come: « Joannes Graecus miles Bononiam 
venit ad XI. Καὶ. Martias. Secum habet Demetrium, 
non Poliorcitam..... (1) ». Sebbene questa lettera sia priva 
della data, essa però si deve ritener scritta prima del 
1426. Niuna notizia abbiamo di questi due greci, i quali 
neppure può sapersi quanto si fermassero nella nostra 
città. 

Nella quale non dee dimenticarsi aver dimorato 
Teodora Crisolora di Costantinopoli, moglie di Francesco 
Filelfo, e figliuola di Giovanni Crisolora (fratello di 
Emanuele), maestro di Greco in Costantinopoli al gran- 
de Tolentinate. Di lei, che soleva chiamare /a mia Cri- 
solorina, egli fa menzione in molti de’ suoi scritti; e in 
una lettera a Lorenzo de’ Medici (2) confessa di avere 
dalla conversazione colla moglie, assai meglio che dai 
letterati, apprese le finezze, le eleganze e le proprietà 
dell’ idioma dei greci. La Teodora fu in Bologna col 
marito, la prima volta dal 1428 al 1429; la seconda nel 
1438, e morì in Milano ai 3 di maggio del 1441 (3), e 
fu sepolta in quella città nella chiesa di S. Eustorgio, 
dove ancora se ne legge l’ epitaffio. 

Ma se questi greci dovevano pure contribuire a 
rendere meno ignota la loro lingua in Bologna, essa vi 


(1) Zeonardi Bruni Aretini Epistolarum libri VIII..... Recen- 
sente Laurentio Mehus..... Florentiae - MDCCXXXXI - Ex Typ. B. 
Paperini - Lib. ΠῚ ep. XIV - pag. 90. 

(2) Philelphi Epistolae - Edizione di Venezia del 1498 per Io- 
annem de Cereto alias Tacuinum - in fol. lib. XXXVII - pag. 259. 

(3) Philelphi Epistolae - Edizione citata - lib. V - pag. 24 verso. 


DI A. URCEO CODRO 35 


dovè avere uno straordinario incitamento dal Cardinale 
Bessarione, venuto in Italia nel 1439 e mandato nella 
nostra città nel 1450 dal Pontefice, in ufficio di Legato 
della città di Bologna, dell'Esarcato di Ravenna e Pro- 
vincia di Romagna. Intorno a lui, come disse il Mezzo- 
fanti nel suo discorso sul padre Aponte (1) « δὲ rac- 
colsero eruditissimi uomini che rinnovarono il lustro 
delle prische scuole ateniensi ». Il Bessarione potè al- 
lora, più agevolmente che mai, dare eccitamento a quegli 
studi, i quali, perchè in quel tempo era acceso in tutti 
l’amore della classica antichità, produssero in breve, per 
l’aiuto di così splendido mecenate, copiosissimi frutti. 
Tanto più che egli stesso coltivava con lungo studio e 
grande amore. la filosofia platonica, ed incoraggiava i 
cultori delle lettere greche in Italia, e dotato di opero- 
sità e dottrina singolare, tradusse opere di Senofonte, 
d' Aristotele, di Teofrasto, di Socrate e d’ altri, e rac- 
colse con tale avidità e magnificenza quanti codici potè 
avere degli antichi scrittori della sua patria, da destare 
nel Pontefice Nicolò V una gelosia, che non sempre 
potè o seppe dissimulare. 

Nella Biblioteca della R. Università di Bologna si con- 
serva un codicetto membranaceo (2), già appartenente al 
Canonico Amadesi, che contiene del Bessarione «...... ad 
Ilustrissimos Inclytosque Italiae Principes persuasio 


(1) Discorso in lode del P. Emanuele Aponte della Compagnia 
di Gesù detto în occasione del rinnovamento degli Studi P anno 
MDCCCXIX nella Pontificia Università di Bologna dall’Abate Giu- 
seppe Mezzofanti Bibliotecario e Professore di Lingua Greca e di Lin- 
que Orientali in essa Università — Bologna - Per le stampe del Sassi 
- 1820 - a pag. 23. 

(2) Capsula 198 - Opuscolo II. 


—»———6—————————_—_Y_Yy_——_—_—-._—_-—. 


360 MALAGOLA 


ex auctoritate Demosthenis »; e nella cronaca bologne- 
se inedita del Canonico Anton Francesco Grhiselli (1), la 
quale sta nella medesima Biblioteca, trovasi, dalla pagi- 
na 274.2 alla 281.* del volume XXIX, un’orazione dello 
stesso Cardinale in lode di Ludovico Bentivoglio, proffe- 
rita allorquando questi ritornò da Roma decorato da 
Papa Nicolò V dello stocco benedetto, solito a donarsi 
dai Pontefici ai Principi; orazione tenuta alla presenza 
del popolo bolognese e del Bentivoglio medesimo il dì 
28 di febbraio del 1452. Il Cardinal Bessarione venne 
in Bologna fra i 12 gennaio e il 27 febbraio del 1450, 
poichè nel volume « Bullarum, Decretorum, Partitorum, 
Mandatorum » dal 1449 al 1453 dell’Archivio del Reg- 
gimento di Bologna, ora della R. Prefettura, troviamo 
che l’ultimo decreto di Giacomo, vescovo di Perugia, 
antecessore del Bessarione nella legazione di Bologna, 
è datato dalla nostra città il dì 12 di gennaio del 1450, 
mentre il primo documento che leggiamo in nome del 
Cardinale greco ha la data dei 27 febbraio di quell’an- 


= (1) Antonio Francesco Ghiselli bolognese, figlio di Vincenzo e 
di Angiola Ghezzi, eletto Canonico di S. Petronio di Bologna ai 4 
d’ aprile del 1685, spese tutta la vita nel raccogliere e trascrivere 
antiche cronache bolognesi. Egli stesso poi distese le « Memorie an- 
tiche di Bologna, raccolte ed accresciute fino ai tempi presenti. Cioè 
dall'origine di Bologna, fino all'anno 1729 » opera În 94 volumi, e 
scrisse inoltre molte altre cose pertinenti alla storia della sua patria. 
Tutti i manoscritti di lui si conservano nella Biblioteca della R. 
Università di Bologna. — Gli fu coniata una medaglia, descritta nel 
Tomo II, tavola CLI. N. ], pag. 207, del Museo Mazzucchelliano, 
dove si vede da un lato la sua effigie con l'iscrizione: ANTONIUS 
FRANCISCUS GHISELLI NOB. BON. e dall'altro un bozzetto simbolico, 
con le armi gentilizie della famiglia Ghiselli e le parole: Ex MORTA- 
LITATE SIBI PARTA IMMORTALITATE. 


D. A. URCEO CODRO 37 


no. In questa difficile legazione egli non solo seppe con- 
ciliarsi gli animi di tutti, ma vi operò cose salutari 
assai per la nostra Bologna, sedandovi le civili discor- 
die, liberandola da interni ed esterni nemici, tanto che 
ebbe a scrivere il Platina che i Bolognesi « sicut aliquem 
non a Pontifice missum, sed de coelo delapsum, intue- 
rentur, ecundemque suum postea apud Romanos Pon- 
lifices patronum venerarenttur ». Ora vogliamo notare 
come il Cardinal Bessarione suscitasse un nobile ardore 
fra i giovani studiosi, loro promettendo e premii e altri 
segni d'onore, soccorrendo del proprio quegli studenti 
che eran oppressi dalla povertà, e mantenendo eziandio 
presso di sè alcuni giovani della sua nazione. Egli, come 
scrisse il Platina nell’ elogio che se ne ha alle stampe, 
non solo rinnovò la fabbrica dello Studio, allora rovi- 
nosa, ma le leggi e l'ordine di questo celebre istituto 
allora caduto in basso; inoltre vi chiamò lettori assai 
dotti, e gli ottenne da Nicolò V moltissimi privilegi. Nè 
contentavasi di beneficar egli i letterati, ma ad altri li 
raccomandava, come accadde di Andronico Callisto, da 
lui forse conosciuto in Bologna prima ancora che quegli 
tenesse qui cattedra di greco. Nell’Archivio di Stato di 
Firenze, nella Filza XLVI del « Carteggio dei Medici 
avanti il Principato », mi venne fatto di trovare una 
lettera, che riferirò più innanzi (1), dove questo dotto 
porporato insiste a raccomandare caldamente Andronico 
a Lorenzo de’ Medici (2). Dalla nostra città, che egli a- 
veva tanto beneficato, il Bessarione partì dopo il 21 di 


(1) Vedi l’Appendice II. 

(2) Nella stessa Filza XLVI trovai sei altre lettere del Bessa- 
rione, segnate coi numeri 32, 36, 41, 76, 143 e 172 le quali meri- 
terebbero di venire stampate. 


38 MALAGOLA 


marzo del 1455, trovando noi segnato in quel giorno 
l’ultimo dei Mandati, che col nome di lui si registra- 
rono nei libri Mandatorum (1) dell'Archivio del Reggi- 
mento. Questo celebre uomo salì, come è noto, da sem- 
plice monaco dell’ ordine di San Basilio, alle dignità di 
Arcivescovo Niceno, poi di Cardinale, di Vescovo Car- 
dinale di Tuscolano e di Patriarca di Costantinopoli. 
Anzi alla morte di Nicolò V il Conclave pensava a 
crearlo Pontefice, ma la sua elezione falli pei raggiri 
del Cardinale Allain e per la poca avvedutezza di Ni- 
colò Perotti, conclavista del Niceno. 

Il dottissimo Bessarione aveva raccolti più di 600 
codici, la maggior parte dei quali oggidi si conserva 
nella R. Biblioteca Marciana di Venezia. Morì in Raven- 
na nel 1472; di là fu il suo cadavere portato a Roma 
e deposto con somma pompa, presente il Pontefice, 
(onore non mai fino allora toccato a’ Cardinali) nel 
tempio degli Apostoli, nel sepolcro che egli, alcuni anni 
prima, sì era fatto costruire, e sopra vi fu sculta questa 
iscrizione : 


Bissarion sibi vivens posuit anno Sal. MOCCCLXVI 
Τοῦτ᾽ ἐτι Βησσαρίων ζῶν ἤνυσα σώματι σῆμα 
Πνεῦμα δὲ φευξεῖται πρὸς θεὸν αδάνατον. 


Senza dire degli studenti greci che furono in Bolo- 
gna nel secolo XV, dei quali non abbiamo notizie pre- 
cise, ricorderò qui Buonamico da Lepanto (chiamato nei 
Rotuli ora Bonamicus de Levanto, ora Bonamtcus Le- 
vantinus) che insegnò per quarant’ anni grammatica nei 
Quartieri, cioè dal 1486-87 a tutto il 1526-27, essendo 


(1) Volume XII, pag. 38 retto. 


DI A. URCEO CODRO 39 


egli stato eletto a tale cattedra con decreto, dei Sedici 
Riformatori dello Stato di Libertà di Bologna, dei 23 
dicembre 1496. Sebbene sia vissuto in Bologna più nel 
XVI che nel XV secolo, ciò non pertanto era ragione- 
vole che qui ne facessi ricordo. Con altro decreto dei 
27 ottobre 1507 il suo salario fu portato a 50 lire an- 
nue di Bolognini, e con altro dei 3 dicembre 1512 gli 
Otto di Balia « assensum praestiteruni restitutioni fa- 
ciae Magistro Bonamico de Levanto ludi litterarii ma- 
gistro de salario suo consueto librarum quinquaginta 
prout în eius supplicatione registrata continetur ». Ma 
veniamo ai professori che insegnarono il greco nel no- 
stro Studio durante il secolo XV. 

IV. I Rotuli di esso dove sono segnati tutti ἱ let- 
tori si Leggisti che Artisti, cioè medici, filosofi, mate- 
matici e retori che v'insegnarono, cominciano solo dal- 
l'anno 1438, e per questo non si può dire sicuramente 
chi fosse il primo che o in questo, o nei secoli prece- 
denti, salisse tal cattedra nella dotta Bologna. Il primo, 
di cui sia rimasto memoria appresso gli scrittori è un 
Teodoro da Candia, che avrebbe tenuta questa catte- 
dra (1) dall'anno 1425-1426 al 1429-1430. 

Giovanni Aurispa è il secondo dei Professori di 
Greco a me noti che insegnarono in questa nostra città, 


_——_ 


(1) Nello Studio di Bologna nei secoli XV e XVI fu, oltre la 
cattedra di lingua greca, anche quella di ebraica; e nel XVI soltan- 
to, quella di caldea. Infatti dai Rotul, più volte citati, si ricava che 
dal 1464-1465 al 1489-1490 insegnava Litteras Hebraicas un Vincen- 
zo da Bologna, medico. Questa lettura restò vacante dall'anno 1490- 
1491 al 1519-1520 inclusivamente; e nel 1520-1521 fu ottenuta da 
Giovanni Flamini (iscritto « Ad “tteras Hebraicas et Caldeas ») che 
la occupò fino al 1525-1526, dopo il quale anno essa rimase nuova- 
mente vacante. 


——m__—r—_——————— — ———————_————xzrzrzc —z—xmyxrrrrrr€Pr__T__——__— 


40 MALAGOLA 


prima degli anni dei quali i Rotuli ci porgono sicure 
notizie. Da una lettera di Ambrogio Camaldolese dei 25 
giugno 1424, che è fra quelle stampate dal Mehus, ap- 
prendiamo che l’Aurispa s'era allora portato a Bologna: 
« Aurispa noster, ut a cerks aucloribus didici, dimisso 
Imperatore Graeculo sese Bononiam contulit (1) »; ed 
in un altra che l’Aurispa mandò ad Ambrogio nell’ anno 
medesimo, leggiamo: « Credo equidem me huc condu- 
ctum esse, st voluero, ad legendas literas graecas (2) ». 
Questo scriveva nel 1424; e siamo indotti a ritenere, 
anche per altre parole del celebre siciliano, le quali tra 
poco riferiremo, che egli in Bologna tenesse la cattedra 
di lettere greche nell’ anno scolastico 1424-1425, poichè 
nel giugno del 1425, come appare da altre sue lettere, 
. l’Aurispa trattava per passare a leggere in Firenze nel 
prossimo settembre. E qui, poichè parliamo dell’Aurispa, 
conviene toccare della causa per cui il Didot ha lanciato 
alla nostra città l'accusa di cui sopra ho parlato, la 
quale ha tutto il suo fondamento nelle seguenti parole di 
una lettera che l’Aurispa scrisse da Bologna ad Ambrogio 
Camaldolese il 26 d'ottobre del 1424: « Sum praesenti 
anno hic conducius ad graecas litteras docendas. Invenio 
non haec solum, sed omnis humanitatis studia adeo ab 
horum anîmis aliena esse, ut hic sine fastidio non sim. 
Putant nonnulli literas graecas parvo quodam dignas 
labore. Ceterum hi cives grati, suaves et dulcissimi 
sunt. Qua caussa mea res sine lucro non erit. Nam 
praeter publicum salarium, erit emolumenti quidquam 


(1) Ambrosit Traversari..... latinae epistolae etc. vol. II, colonna 
362, Ep. IX del libro VIII. 
(2) Vol. II, colonna 1029, Ep. LIII del libro XXIV. 


DI A. URCEO CODRO 41 


aliud (1) ». Nè io nè altri vorrà per sicuro affermare 
che le lettere ed insieme le scienze corressero propizia 
ventura in Bologna quando v'era professore l’'Aurispa, 
e la cagione di ciò, piuttosto che quella da lui medesimo 
addotta, mi par da cercare nell'essere allora allora i 
Bolognesi usciti dall’impeto di feroci fazioni, poichè se 
la città era stata sottomessa dal Pontefice, le istorie ci 
attestano che gli odii civili non s' erano spenti. Non ne- 
gheremo pertanto al Didot che nella nostra città gli stu- 
di delle lettere greche, ed insieme gli altri, circa il 
1424-1425 giacessero in basso, ma non possiamo tut- 
tavia concedere che egli da questo fatto parziale giudi- 
chi dello studio delle lettere elleniche in Bologna per lo 
spazio di diversi secoli. Ora proseguiamo, chè i fatti, 
meglio che altro, mostreranno da qual parte stia la 
ragione. 

Dall'anno 1438-1439, come si è detto, incomincia- 
no i Rotauli, sulla fede dei quali possiamo affermare che 
dal 1438-1439 al 1455-1456 nessuno tenne scuola di 
lingua greca nello Studio di Bologna, e solo in quest’ ul- 
timo anno Eleonoro de’ Lianori, nobile bolognese, dotto- 
re di leggi e canonico della Cattedrale. L’anno prima 
di essere posto a tale insegnamento egli era stato let- 
tore di Filosofia Morale: in seguito sostenne vari uffici 
presso la Corte Romana, dove fu Collettore e Nunzio. 

Nel 1456-1457 insegnò lettere greche Andronico 
Callisto da Costantinopoli, detto anche da Tessalonica 
(uno dei greci che esularono al tempo della caduta del- 
I’ impero d'Oriente); il quale nel 1458-1459 tenne la 
cattedra insieme al Lianori sopra menzionato. Il Tira- 


(1) Vol. II, colonna 1030 e 1031, Ep. LV del libro XXIV. 


42 MALAGOLA 


boschi (1), parlando di Andronico, scrive che in Italia 
non si trova documento di lui prima del 1464; noi al- 
l’incqntro affermeremo esservi il Rotulo bolognese, an- 
teriore di sei anni a quella data, e che ci mostra An- 
dronico in Italia già fino dall’ ottobre del 1458. Il Vo- 
laterranno (2) loda grandemente Andronico, chiamandolo 
primo nella letteratura greca dopo di Teodoro Gaza. 

Mario Filelfo, figliuolo del celebre Francesco, inse- 
gnò publicamente il greco nella nostra città nell’ anno 
1461-1462. Per lui i Riformatori dello Stato di Libertà 
di Bologna, con partito dei 10 febbraio 1462, registrato 
nel IV volume Partitorum dell'Archivio del Reggimen- 
to (3): « Per quindecim fabas albas et unam nigram 
fecerunt exemptum ἢ. Marium Philelfum (sic) a Datio 
Molendinoruni, et mandaverunt Conductoribus Datti 
Molendinorum, ut eum macinare permittant pro quan- 
litate librarum 14 compensandarum eis în pretio dicti 
dati, et hoc pro Anno praesenti, videlicet usque ad 
sanctum Lucam proxime futurum ». Questi era nato 
in Costantinopoli da Francesco, e nel nostro Studio in- 
segnò anche Retorica e Poetica. 

Nel 1465-1466 la cattedra di greco fu occupata di 
nuovo da Andronico Callisto, al quale, mentre era in 
Bologna, scriveva il vecchio Filelfo (4) meravigliarsi 
che i Bolognesi, avendo tra loro un uomo così dotto, 
sembrassero non curarsi di apprender da lui la lingua 
degli elleni; che egli, se Andronico fosse stato per l’ ad- 


(1) Storia della letteratura italiana. Tomo VI parte II - pag. 818. 

(2) Commentariorum Urbanorum LL.XXX VIII etc. Parisiis in 
Aedibus Ascenscianis..... 1511 in fol. lib. XXI. 

(3) Pag. 189. 

(4) Epistolarum Lib. XXIV - Ep. L 


DI A. URCEO CODRO 43 


dietro in Italia, non avrebbe certo viaggiato, per ap- 
prenderla, sin nella grecia. 

Pel 1469-1470 lesse il greco un Gerardo da Pinerolo 
da solo, poi insieme con Bartolomeo Minucci, alias da 
Pratovecchio, l’anno appresso. Qui ci sia lecito far 0s- 
servare che l'essere allora nel nostro Studio deputati 
due professori ad un tempo ad insegnare lettere greche, 
ci è testimonio che lo studio di queste, non florido cer- 
tamente in Bologna quando γ᾽ erano l’Aurispa ed Andro- 
nico (41), si cominciava in questi anni a propagar larga- 
mente. Di Gerardo da Pinerolo non abbiamo alcuna no- 
tizia, quanto a Bartolomeo da Pratovecchio, egli era 
figlio del valente giureconsulto Antonio, detto da Pra- 
tovecchio dal nome della sua patria. Bartolomeo fu ban- 
dito con tutta la famiglia nel marzo del 1468 per avere 
ucciso Licanorio Gozzadini, ma poi nel 1472 insieme col 
fratello Filippo, furono graziati. Insegnò il greco nel 
nostro Studio da solo nel 1472-1473. Da una lettera di 
lui che trovai nel R. Archivio di Stato in Firenze, sap- 
piamo che nel giugno del 1476 era in Pisa: io la rife- 
rirò perchè poco dopo il 1473 si perdeva ogni traccia 
di questo professore bolognese (2). Negli anni 1477-1478, 
1478-1479 e nel 1479-1480 (non già dal 1476, come 
scrive Serafino Mazzetti (3)) professò lettere grechò nel- 


(1) Alludono senza dubio a questo le parole di Codro nel VII 
Sermone: « Postremo nonhulli rerum experientes amici, mihi affir- 
mabant, multos doctos sane viros ante me lectionem Graecam inter- 
pretari coepisse, primo maximum auditorum examen ad audiendos 
convolasse, subinde illos ab auditoribus destitutos rem turpiter reli- 
quisse >. 

(2) Vedi l'Appendice III 

(3) Repertorio di tutti i Professori antichi e moderni della fa- 
mosa Università e del celebre Istituto delle Scienze di Bologna — 
Bologna - Tip. di S. Tommaso d'Aquino - 1847 - in 8.9 pag. 26 - 
N. 175. 


44 MALAGOLA 


lo Studio Bolognese un Antonio da Cesena, e dopo di 
lui ottenne questa cattedra il nostro Antonio Urceo, che 
la occupò sino al principio del 1500. Quanta perizia egli 
avesse delle lettere greche, quali testimonianze ne abbia 
lasciato, a quali, discepoli ne fosse maestro, dirò nei 
capitoli seguenti. 

Per gli anni scolastici fra il 1438-1439 ed il 1499- 
1500, dei quali io non feci menzione, o mancano i Rotulì 
dello Studio, e non si posson altrimenti supplire (questo 
per gli anni 1442, 1445, 1446, 1449, 1450, 1451, 1457), 
o non si trova nei Rotuli segnato alcuno sotto l’ indi- 
cazione della cattedra di lettere greche. 

V. Ora è tempo che io entri a discorrere degli ita- 
liani che nacquero o abitarono in Bologna nel quattro- 
cento ed ebbero perizia nella lingua greca. 

opinione, assai probabile, del citato Fantuzzi, che 
quelli che tenner cattedra di Retorica e di Poetica nello 
Studio sapessero tutti il greco. Io però intendo parlare 
soltanto di coloro fra questi, de’ quali, non per conget- 
ture più o meno probabili, ma per sicure prove sappia- 
mo che conobber la lingua di Demostene e di Omero. 
Primo fra i grecisti bolognesi di questo tempo è da porre 
il bolognese Francesco Piccolpassi, figlio di Nicolò, di 
antica famiglia, e forse discendente di quel Rodorico Pic- 
colpassi, dottore di leggi e glossatore di decreti, che 
tenne cattedra di diritto canonico in Bologna nel 1178. 
Francesco ai 29 di maggio del 1417 sostenne l’ esame pri- 
vato /licentia) in giure canonico, essendo allora « clericus 
camerae et Canonicus bononsensis (1) », e ai 12 luglio 


(1) Così trovasi nel « Primus Liber secretus (Collegii) Iuris 
Pont. ab Anno 1377 ad Annum 1528 » nell'Archivio dell’ antico 
Reggimento di Bologna, a pag. 45 retto. 


DI A. URCEO CODRO 45 


di quello stesso anno ottenne, mediante publico esame, 
la laurea di dottore (1) e poco di poi, cioè ai 17 d'a- 
gosto, « subrogatus fuit (ossia fatto sopranumerario) în 
locum domini Pauli de Boatertis, nemine discrepante » 
nel Collegio bolognese di diritto Pontificio (2), al quale 
formalmente fu aggregato ai 28 di luglio del 1421 (3). 
Ancor giovane, dimorando in Roma, fu molto innanzi 
nella grazia di Bonifacio IX, e poscia, entrato nell’ or- 
dine ecclesiastico, fu Nunzio Pontificio a Costanza, poi 
Vescovo di Aqui nella Guascogna, di Pavia e, nel 
1433 (4), Arcivescovo di Milano. Verso i letterati mo- 
strò grande favore, ed ebbe amicizia col Filelfo, con 
Enea Silvio Piccolomini, con Leonardo Bruni; raccolse 
codici, specialmente biblici, che passarono di poi alla 
Biblioteca Ambrosiana. E che egli avesse perizia non 
Comune nel greco, è comprovato dalla lettera ad Umfre- 
do, Duca di Cloucesten, che prepose alla traduzione, 
fatta da Pier Candido Decembrio, dei libri di Platone 
De Republica, ma più ancora ci è fatto manifesto da 
un codice che già appartenne alla biblioteca dei Canonici 


_r_r————€ 


(1) Primus Liber etc., come sopra, a pag. 45 verso. 

(2) Primus Liber etc., come sopra, a pag. 45 rerso. 

(3) Primus Liber etc., come sopra, a pag. 48 verso. 

(4) Questa notizia deduco dalla seguente nota che trovo nel 
margine della pagina 40. del Primus Liber Secretus etc. ricordato 
nelle precedenti annotazioni: 

« — 1422 d. Franciscus de pizolpassis de Bononia fuit creatus 
Episcopus aquensis usque Angliam, et 1428 fuit traslatus ad Eccle- 
siam Papiensem ei 1433 fuit creatus archiepiscopus Mediolanensis ». 

Questa nota si legge di contro all’ atto della licenza del Piccol- 
passi in diritto canonico, ma vi fu scritta posteriormente all’ atto 
stesso. 


- —=— -——— —_-——È6——€——_ —————- —— e: 


46 MALAGOLA 


di San Salvatore (1), dove si contengono le « Retracta 
tiones » di S. Agostino, e i libri di S. Girolamo, di 
Gennadio e di S. Isidoro sugli uomini illustri. Al capo 
VI di quest’ultima operetta, a carte 179, dopo le parole 
di S. Isidoro « in exsilium retruserunt >» si legge: 
« FRANCISCUS MEDIOLANENSIS ARCHIEPISCOPUS De eodem 
(Johanne Chrisostomo) Franciscus piccolpassus bono- 
niensis, sanclae sedis Mediolanensis Archiepiscopus. 
haec subiecit: videlicet Edidit idem venerandissimus 
chrisostomus in Matthoei Euuangelium commentarios 
excellentissime. Hem de vera philosophia religionis li- 
bellos tres. Item ad Stagyrum abreptum a daemone 
de patientia libellos tres. Item Omelias în cuuangelia 
plurimas quarum Ego vidi triginta ». Il Piccolpassi 
morì in Milano nel 1443 secondo che rilevasi dal bra- 
no, che riferisco, degli Atti del Collegio bolognese di 
Diritto Canonico: « die XXVIII Marcij (1443). Dicta 
die convocatis doctoribus collegîi iuris canonici per 
me Antonium priorem, propter mortem d. Francischi 
de Pizzolpassis archiepiscopi mediolanensis, fuit per 
me propositum doctoribus, si eis videbatur, ut aliquis 
per mortem suam deberet supranumerarius creari.... è 

Mi gode l’animo di avere qui a parlare di due fra 
1 più grandi uomini del secolo XV che ebbero amiche- 
vole protezione da Nicolò Albergati e che salirono pel 
loro ingegno alla suprema dignità di Pontefici, cioè 
Tomaso da Sarzana ed Enea Silvio Piccolomini. Era il 


(1) Ora è posseduto dalla Biblioteca della R. Università di Bo- 
logna, nella quale, fra i codici, è segnato col numero 2772. Dal bollo 
impressovi in color rosso, si vede esser questo uno dei codici che i 
francesi trasportarono a Parigi, e che furono poi restituiti, 


DI A. URCEO *CODRO 47 


primo nell’ anno dodicesimo, quando fu mandato agli 
studi nella nostra città, dove si trattenne per sei anni; 
ma non potendo più oltre mantenervisi, perchè assai 
povero, andò a Firenze per istruirvi nelle lettere Rinal- 
do degli Albizzi e Palla Strozzi. Ercole Maria Zanotti, 
che scrisse la vita di Nicolò Albergati, narra (1) come 
Tomaso, tornato da Firenze a Bologna, essendo sempre 
in molta povertà, solesse chiedere quotidianamente in 
elemosina il vitto alla Certosa, e per ciò vi fosse cono- 
sciuto dall'Albergati, allora Priore di quel convento. Il 
quale, conosciuto l’ ingegno di Tomaso, gli pose tanto 
amore, che lo allogò presso il proprio fratello ad istruire 
i piccoli nipoti; poi lo fece ordinar sacerdote e laureare 
in Teologia ed in legge; e, divenuto Nicolò Vescovo di 
Bologna, lo provvide di un canonicato nella Cattedrale 
di questa città. Senza dubbio prima ancora di rendersi 
ecclesiastico dovè Tomaso aver dato prove luminose del 
suo sapere, avendo goduto l’ amicizia e la stima di 
Francesco Filelfo, e del Poggio, che a lui dedicò il suo . 
dialogo « De infelicitate principum ». Vespasiano Fioren- 
tino, nella vita che scrisse di questo grand’ uomo (2), la- 
sciò intorno al Sarzanese queste parole: « Aveva non solo 
notizia de’ Dottori moderni, ma di ἐμέ gli antichi, 
così Greci, come Latini; et erano pochi scrittori nella 
lingua Greca, o Latina în ogni facultà che egli non 
avesse veduto P Opere loro.... ». 

Dall’Albergati, creato Cardinale, fu chiamato a Ro- 
ma nel grado di Maggiordomo e Segretario; e dopo la 


(1) Vita del Beato Nicolò Albergati....... composta da E. M. 
Zanotti — Bologna - Corciolani ed eredi Colli - 1757 - pag. 74. 
(2) Muratori. Rerum Ztalicarum Scriptores. Vol. XXV, pag. 270. 


48 MALAGOLA 


morte del suo benefattore fu fatto Suddiacono Apostoli- 
co, Vescovo di Bologna, e nel 1447, siccome è noto, 
Pontefice. Non è a dir qui, giacchè nessuno l’ignora, 
quanto in quella suprema dignità proteggesse le lettere 
sì latine che greche, alle quali tanto vantaggio procura- 
. rono le traduzioni, fatte per suo ordine, delle Istorie di 
Diodoro Siculo, di Polibio, di Tucidide, di Erodoto, di 
Appiano Alessandrino, e della Ciropedia di Senofonte, 
dell’ Iliade, della Geografia di Strabone, delle opere di 
Platone, di Aristotele, di Tolomeo, di Teofrasto e di 
molte di Santi Padri Greci. 

Enea Silvio Piccolomini, prima di portarsi a Bolo- 
‘gna, era stato istruito nell’ Università di Siena, dove 
acquistò non commune dottrina nella lingua Ellenica. 
ΑἹ pari di Tomaso da Sarzana, fu tenuto in molto amore 
e beneficato da' Nicolò Albergati, a cui, mentre que- 
sti era Vescovo di Bologna, fu segretario insieme con 
Pietro da Noceto, molte lettere del quale sono stam- 
pate con quelle del Piccolomini (1). Non sappiamo quan- 
do precisamente Enea abbia dimorato in questa città 
madre degli studi; è però certo che vi fu dopo il 1431, 
e prima del 1443 in cui morì l’Albergati. 


(1) Veggasi l'edizione in caratteri gotici delle lettere di Enea 
Silvio Piccolomini « Impresse Lugduni per Iohannem Moylin alias 
decambray . Anno . domini. MCCCCC. XVIII. Die. XV. Aprilis .» 

A proposito di Pietro da Noceto mi sia lecito far noto come 
nel 1452 i Sedici Riformatori dello Stato di Libertà di Bologna, con 
Partito degli 8 di Dicembre di quell’anno, donassero a lui, che era 
allora Segretario del Papa, duecento bolognini in oro « eo quod 
manifeste compertum est dictum dominum Petrum optimum semper 
fuisse procuratorem et intercessorem apud Santitatem domini nostri 
pro hac. civitate Bononiae et presenti statu ». Così nel I volume 
Partitorum dell'Archivio del Reggimento, a pag. 69 retto. 


DI A. URCEO CODRO 49 


Se si potesse accertare che ad Antonio Beccadelli, 
chiamato quasi sempre il Panormita, non fosser stati 
chiusi infino da giovane i secreti della lingua greca, 
egli sarebbe senza alcun dubio da annoverare in que- 
sto capitolo, giacchè sappiamo che circa il 1420, in età 
di quasi 26 anni, per publico decreto, con l’annuo as- 
segnamento di sei once d' oro, fu mandato da Palermo 
allo Studio bolognese, perchè vi desse opera alle leggi (1). 
Diversi scrittori, tra’ quali anche il Tiraboschi, hanno 
fatto questione se egli vi si addottorasse: Lorenzo Valla, 
in una delle invettive contro il Fazio (2), disse che il 
Panormita usava darsi titolo di dottore, senza aver ri- 
cevuto la laurea, e noi siamo dolenti che la mancanza 
del primo libro degli Atti del Collegio Civile del nostro 
Studio ci tolga il modo di verificare la cosa. Quanto si 
fermasse a Bologna è ignoto; certo non oltre il 1430, 
nel quale anno il suo nome già s'incontra negli Atti 
dello Studio pavese (3); e sappiamo, dall’ Orazione « ad 
Alphonsum Siciliae regem », che egli, insieme col fratel- 
lo, ritornò in Sicilia 15 anni dopo che ne era partito: 
«.. Papia enim, Placentia, Bononia, Patavium, urbes 
literis ac fama insignes, nos ternis lustris his artibus 
disciplinisque deditos viderunt ». 

Giovanni Cisinge, ungherese, (che fu Vescovo di 
Cinque Chiese, e scolaro molt' anni di Guarino Verone- 
se), nel Panegirico, che sotto il nome di Giano Pannonio 
scrisse in lode del suo maestro, ricordando le città ove 


(1) Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte II - pag. 754. 
(2) Vedi l'« Invectiva in Bartholomeum Facium » nelle opere di 
Lorenzo Valla, stampate in Basilea nel 1540 - pag. 630. 
(3) Tiraboschi — Storia della letteratura italiana - Tomo VI, 
parte II - pag. 754. ° 
4 


50 MALAGOLA 


il celebre veronese tenne scuola, nominò fra queste 
anche la nostra Bologna: 


« Tu mare frenantes Venetos, tu Antenoris alti 
Instituis cives, tua te Verona legentem, 

Finis et Italiae stupuit sublime Tridentum. 

Nec jam fiumineum referens Florentia nomen, 
Ac Phoebo quondam nunc sacra Bononia Marti, 
Tandem mansurum placida statione recepit 
Pacis et aligeri Ferraria mater amoris (1). » 


Non è quindi da metter in dubio, sebbene non ne 
abbiano fatto motto gli storici del nostro Studio, che 
Guarino da Verona tenesse scuola in Bologna, dove 
noi crediamo col Rosmini (2) ch'egli si trovasse fra il 
1426 e il 1427, o in quel torno. Il Tiraboschi da un 
tratto di una lettera senza data, scritta a Nicolò Nicoli, 
e che è la tredicesima del terzo libro delle famigliari 
di Leonardo Aretino (3), dove il veronese è detto 2uvenss, 
argomentando che quella lettera fosse scritta in sui pri- 
mi anni del secolo XV, opina che pure in quel tempo 
egli si trovasse a Bologna, giacchè tale è il tratto or 
ricordato: « Zoannes graecus miles Bononiam venit ad 
XI cal. martias. Secum habet Demetrium non Polior- 
chitam sed non Poliorchemonem: et Guarinum vero 
nensem. Hic, ut gustare primo adventu potui, tuvenis 
est apprime eruditus et qui tibi placere non immerito 
posstt (4) ». Nell’Ambrosiana conservasi un’ altra lettera, 


(1) Panegyricus citato - Pag. 17 non numerata. 

(2) Vita e Disciplina di Guarino Veronese e de' suoi discepoli 
- Libri quattro - Brescia - Per Nicolò Bettoni - 1805 - Vol. I, p. 23. 

(3) Storia della letteratura etc. - Tomo VI, parte III - pag. 1082. 

(4) Leonardi Aretini Epistolarum familiarum etc. — Brixiae - 
MCCCCLXXI - lib III, ep. 13. 


DI A. URCEO CODRO 51 


senza data, diretta da Guarino a Giovanni Lamola, al- 
lora in Genova, in cui gli manifesta che era in sulle 
mosse per Trento, ove si sarebbe trattenuto fintanto che 
fosse per passare a Bologna. Al difetto di data nelle 
due ora citate supplisce un'altra in greco del Filelfo 
ad esso Guarino, la quale faceva parte del codice auto- 
grafo delle epistole del celebre tolentinate, custodite 
nella biblioteca Trivulziana in Milano. Fu scritta ai 19 
dicembre del 1427; e poichè è breve e dimostra come 
allora il Guarino si trovasse nella nostra città, la rife- 
risco qui per intero, come fu tradotta dall’ Abate Bia- 
monti: « Un uomo venuto da te a me mi disse e altre 
cose piene di molta benevolenza, e anche questo, che 
i Bolognesi desideravano che i0 sia appo loro, e che 
vogliono pertanto che tu cerchi di sapere la mia în- 
fenzione intorno a ciò. Senti dunque il mio pensiero. 
Se : Bolognesi vogliono ch'io dimori onoratamente fra 
loro, anch’ τὸ il vorrò, perch' egli è al tutto impossibile 
ch'io perda qui più lungo tempo ». Onde congetturò 
il Rosmini che i Bolognesi, vedendo di non poter più 
‘a lungo trattenere il veronese, che solo per fuggire la 
pestilenza aveva lasciato la sua città natale ed era im- 
paziente di tornarvi, lo avessero incaricato di procurare 
che nella dotta città nostra venisse ad insegnare il Fi- 
lelfo. E questa congettura è avvalorata dal fatto che 
circa due mesi dopo Francesco era tra i Professori del 
nostro Studio. Del quale poichè non giunsero fino a noi i 
Rotuli anteriori al 1438, non possiamo sapere se Gua- 
rino, mentre era a Bologna, ossia tra il 1426 e il 1427, 
tenesse la cattedra di lettere greche, o quella piuttosto 
di umanità. Giovanni Cisinge, nel citato Panegirico, an- 
novera, tra i discepoli del veronese, Giovanni Lamola di 
Bologna. Concorda con lui il Panormita in una lettera 


52 MALAGOLA 


al celebre Guarino: « Joanni vero Lamolae viro docto 
et emendato et vere ex Guarini ludo litterario profe- 
οἷο discipulo, gratias et ingentes habeo (1) ». Ma crede- 
remo noi che questo bolognese udisse il Guarino a Fer- 
rara, come opinò il Fantuzzi (2), o non piuttosto nella 
nostra città? Una lettera del Lamola, che si trova nel- 
l’Ambrosiana, indirizzata ad Eusebio Fagnani, milanese, 
ci mostra Giovanni a Ferrara ai 5 d’aprile 1433, nel 
qual tempo avendo egli avuto circa 33 anni, è difficile 
che fosse ancora studente, mentre invece, quando il 
Guarino insegnava nel nostro Studio, il Lamola era in 
età di circa 26 anni, ed è per questo più probabile che 
allora in Bologna, e non già tanto più tardi in Ferrara, 
gli fosse discepolo, e da lui forse privatamente appren- 
desse le lettere greche. 

Guarino Veronese fu certamente fra i più dotti el- 
lenisti de suoi giorni, ed era stato discepolo in Costan- 
tinopoli ad Emanuele Crisolora. Tradusse in latino molte 
delle vite di Plutarco che leggonsi nella edizione delle 
versioni di esse vite, pubblicate da Nicolò Ienson in Ve- 
nezia nel 1478. Pure da Plutarco tradusse i ParaMeli 
Minori, e gli opuscoli: Dell'educazion dei fanciulli, e 
Della differenza tra l adulatore e l'amico. Volse an- 
cora in latino il trattato di Luciano della Calunnia; di 
Isocrate l’orazione al Re Nicocle e l'operetta De Regno; 
di San Basilio due Omelie sopra il digiuno; e di Strabo- 
ne tutta la Geografia. Compendiò e ridusse a miglior 
ordine la grammatica greca del suo maestro Crisolora, 
impressa a Reggio d’Emilia nel 1501. 


(1) Epistolarum - libro V - Edizione di Venezia del 1553, 
(2) Notizie degli scrittori Bolognesi - Vol. V. pag. 14. 


DI A. URCEO CODRO 03 

Nicolò Fava seniore, figlio di Pietro, ebbe fama di 
buon grecista, e fu molto stimato ed amato da diversi 
dei più illustri letterati de’ suoi giorni e massime da 
Francesco Filelfo. Il quale così termina una lettera 
scritta al Fava ai 5 d'agosto del 1428, dove tratta del 
significato di alcune parole greche: «.... Nam reliqua 
tu pro singulari tua eruditione et ingenii magnitudine, 
summaque prudentia, si universum Aristotelis prohoe= 
mium diligenter considerare volueris, dilucide perspti- 
ces; inveniens enim ex multiplicibus finibus, unum 
tandem offerri finem, ad quem caeleri omnes sint re- 
ferendi (1) ». Il Fava insegnò in Bologna ora Medicina, 
dra Chirurgia ed ora Filosofia, dal 1405-1406 fino al 
1438-1439, nel quale ultimo anno, ai 14 d'agosto, mori 
e fu sepolto dietro il coro della chiesa di San Giacomo 
Maggiore di Bologna nel sarcofago che ancor vi si am- 
mira e sul quale è scolpita un’iscrizione in versi, che 
termina: 


« Heu qualis cecidit tibi docta Bononia gnatus 
Ausonia heu cecidit gloria quanta tibi! » 


Non credo che sia da passare sotto silenzio l’ illu- 
stre giureconsulto Antonio da Pratovecchio, lettore dello 
Studio. Il Fantuzzi (2) nota come in un codice, che a’ suoi 
tempi si conservava in Firenze presso Antonio Cambi, 
si leggessero nella XV epistola di Antonio queste paro- 
le: « Rebus graecis atque latinis...... în prima juventute 
mens detinebatur et animus occupabatur, nec profeci 
quantum volui ». Questa testimonianza è sufficiente per- 


(1) Epistolarum - lib. I, Ep. XXXVIII - pag. 40. 
(2) Notizie degli scrittori Bolognesi - Tomo VII, pag. 99 nota 15. 


«-- 


54 MALAGOLA 


chè questo chiaro leggista sia da me annoverato fra i 
bolognesi che coltivarono le lettere greche. 

Serafino Mazzetti, nel suo Repertorio (1), scrive ave- 
re il Fantuzzi, nell'opera sugli Scrittori Bolognesi, assicu- 
rato, sulla fede del Tiraboschi, che il Filelfo cominciò ad 
insegnare in Bologna lettere greche e retorica nel 1428. 
Ma per vero nè il Fantuzzi, nè il Tiraboschi, scrissero 
questo, nè potevano scriverlo, poichè dalle lettere del 
Filelfo appare che nel nostro Studio non insegnasse già 
il greco. Sentiamo da lui medesimo quali accoglienze 
avesse allora nella nostra città: « Veni Bononiam (scri- 
ve all’ Aurispa ai 22 di febbraio 1428)...... secundis, ut 
atunt, avibus. Eodem enim die, quo urbem sum in- 
QrESsSus, ....... tantus concursus ad me salulatum factus, 
non scholasticorum et doctorum solum, sed universae 
prope civitatis, ut nihil, neque frequentius, neque hono- 
rificentius dici queat. Postridie venit ad me, nomine 
Apostolici Legati, Ludovici Alamandi, Cardinalis Are- 
latensis, Albertus Florentinus, vetusta ac nobili natus 
Albertorum familia, Quaestor Apostolicus, praeclarus 
tureconsultus, et vir omni virtule praeditus. Is, ubi me 
perhumane et perbenigne allocutus est, hortatur, ut 
secum una ad Cardinalem eam, quippe quem diceret 
esse percupidum videndi mei. Huic ego ubi obtempe- 
rassem ad Legatumque venissem, essemque brevi apud 
eum, sed non incommoda usus oratione, tanta me is 
hilaritate, et tanta verborum honorificentia excepit, ut 
nihil, neque hilarius, nec honorificentius dici posset. 
Deinde permulta est ultro pollicitus, quae iccirco non 


f 


(1) Repertorio di tutti i Professori antichi e moderni della famo- 
sa Università e del celebre Istituto delle Scienze di Bologna — Bolo- 
gna - Tip. di S. Tomaso d'Aquino - 1847 - a pag. 127, N. 1218. 


DI A. URCEO CODRO 55 


refero, ne videar cuiquam ambitiosior. Et ne te diu- 
fus morer, ego Bononiae sum futurus praefectus an- 
nuo docendae oratoriae et moralis philosophiae mune- 
ri, cum salario aureorum quadringentorum quinqua- 
ginta, quorum tercenti solvuntur mihi ex aere publi- 
co, centum vero et quinquaginta privatim mihi Lega- 
lus ipse daturus est, fecitque tam mihi quinquaginta 
numerari, addiditque alia plura dono, ad usum, cul- 
tumque domesticum.... (1) ». Loda poi nella lettera ad 
Antonio da Capanoro (2) la città e gli abitanti di Bologna 
« οἱ laudatissimarum omnium artium studium vehe- 
mens », ripetendo questi encomi nella lettera a Gasparino 
Barziza (3). Ma non andò molto che al Filelfo il sog- 
giorno di Bologna divenne pericoloso pei sanguinosi tu- 
multi che spesso vi erano suscitati dalle fazioni civili; 
di questi uno fra i più memorabili avvenne appunto 
l'anno 1428, la notte del primo d'agosto, nella quale i 
popolani, levatisi a rumore: «....... andorno in piazza 
(così narra la cronaca inedita di Friano degli Ubaldini (4)) 
emisseno elfuocho nel pavaiono dali folixeli chon molte 
boteghe chelierano apresso spezialmente quele di no- 
dari che erano dalaschafa del formazo. et liarse assae 
scripture de dicti nodari et anchora arseno lacecha 
delemonede. et chazorno elfuogho nele boteghe ala bo- 
cha dele schudele.... ». E la mattina dopo la fazione dei 


(1) Francisci Philelphi....... Epistolae....... opera et studio Nicolai 
Stanislai Meucci. Tomus primus. Florentiae - MDCCXLIII - Lib. I. 
Epist. XXIV, pag. 24 e 25. 

(2) Fr. Philelphi..... Epistolae..... Lib. I, Ep. XXVIII, pag. 28. 

(3) Fr. Philelphi..... Epistolae - Lib. I. Ep. XXXII, pag. 33. 

(4) Si conserva nella R. Riblioteca dell’ Università di Bologna. 
Vedi il volume II, a pag. 476. 


56 MALAGOLA 


Canetoli, avversa alla Chiesa, entrata in Palazzo al 
grido di Viva il Popolo e le Arti, prese il Podestà 
ed il Legato, che per questo, ai 23 dello stesso mese, 
lasciò Bologna, sopra la quale, ai 28 settembre, il 
Papa lanciò l’interdetto. In mezzo a tali fazioni era ben 
naturale che gli studi fossero negletti; e però il Filelfo 
tra i 4 ed i 13 d'aprile del 1429 se ne partì alla 
volta di Firenze (1). Se non che nel 1436 trattava con 
Alberto Zancari per tornare al nostro Studio; ed anzi 
gli scriveva « Conditio quam mihi proponis nomi- 
ne tuae florentissimae Reipublicae, talis est, ut cam 
non modo non improben, sed probem potius et lau- 
dem (2) ». È tra le lettere di Francesco una al Senato 
e Popolo di Bologna dei 13 settembre 1438, dove li 
ringrazia dell’averlo eletto ad insegnare Oratoria e Filo- 
sofia, terminando con queste parole: « Propediem 1igiî- 
tur ad vos veniam, ea animi sententia, ul futurus 
tamdiu apud vos sim, quoad per Philippum Mariam 
Anglum, cui sponsione fidei sum obstrictus, mihi licue- 
rit (3) ». E dice quanto tempo sarebbe rimasto presso - 
i Bolognesi nella lettera che nello stesso giorno man- 
dava al Panormita: « Bononiae hoc semestri futurus 
sum, hoc est a Kal. Ianuarts, ad Καὶ. Quintiles », 
ed aggiunge: « Decreveruni autem nobis Bononienses 
in id temporis ducatos quadringentos quinquaginta , 
quod primum ante hac nemini unquam, non Bono- 
niae modo, sed neque în Ilalia cuiquam datum est (4) », 


(1) Fr. Philelphi.... Epistolae - Lib. I. Ep. LI, pag. ὅδ, ed Ep. 
LII, pag. 56. 

(2) Fr. Philelphi.... Epistolae... - Lib. II. Ep. XXVII, pag. 91. 

(3) Epistolae - Lib. II. Ep. XL, pag. 109. 

(4) Epistolae - Lib. II. Ep. XLI, pag. 109. 


» DI A. URCEO CODRO 57 


e seguita dicendo che, dopo aver passato quel semestre 
nella nostra città, si sarebbe portato a Milano. Che 
egli allora sia veramente venuto a Bologna, ci assi- 
curano altre sue lettere, fra le quali una, che scrisse 
da questa città il di 13 di febbraio del 1438 al giure- 
consulto Catone Sacchi (1), dalla quale persino ci è 
noto il giorno in cui il Filelfo giunse a Bologna: « quo 
veneram ad XVII Καὶ. Februarias », cioè ai 16 di 
gennaio. Ma anche questa volta non vi stette a lungo 
contento, sia perchè le milizie del Piccinino tenevano in 
timore continuo gli abitanti, sia perchè un amico lo ave- 
va avvertito essere in Bologna chi insidiava alla sua 
vita, posta già in pericolo in Firenze ed in Siena per le 
fortissime sue inimicizie con alcuni de’ Medici e coi loro 
partigiani. Egli però non istava colle mani alla cin- 
tola, poichè da una sua lettera, che è in un codice del- 
l'Ambrosiana, sappiamo che aveva ordinato un pugnale: 
« Sicam expecto propediem non ut sicarius utar, sed 
in sicartos ». Il Duca di Milano lo sollecitava di conti- 
nuo a portarsi appresso di lui; e per questo, fingendo, 
come sembra, che gli fosse fuggito il figlio a Piacenza, 
corse a cavallo sin là, e procedette quindi fino a Milano, 
dove già si trovava ai 7 di maggio di quell’anno (2), 
nè tornò per allora a Bologna. 

Girolamo Tiraboschi (3), e Carlo Rosmini nel secon- 
do volume della vita di Francesco Filelfo (4), asserirono 
che nel 1471, dal duca di Milano, Francesco fu indotto, 
benchè già in età di 73 anni, a ripigliare le lezioni in- 


(1) Epistolae - Lib. II. Ep. III, pag. 120. 

(2) Epistolae - lib. Il. Ep. VI, pag. 130. 

(3) Storia della Lett. ital. - Tomo VI, parte III, pag. 1038. 
(4) Milano — Mussi - 1808 - Vol. IV, pag. 204. 


--....- 


58 MALAGOLA 


torno la politica di Aristotele. Essi però tacciono affatto 
che il Filelfo in quell’anno fosse professore nel nostro 
Studio, il che si ricava dai libri Park&torum dove leg- 
giamo che ai 13 di settembre 1471 i sedici Riformatori: 
«..... per omnes fabas albas contemplatione Illustrissimi 
ducis Mediolani et pro utilitate huius Civitatis condu- 
xerunt in hoc almo Studio Bononiensi ad lecturani 
Rhetoricae poésis et philosophiae moralis famosissi- 
mum virum d. franciscum philelfum (sic) pro tempore 
unius anni et cum salario librarum quadringentarum 
bononenorum (1) ». Nel Rotulo del 1471-1472 non tro- 
vasi nessuna annotazione che indichi il Filelfo avere in- 
terotte, o intralasciate del tutto le proprie lezioni. 
Quando questo dottissimo uomo fu la prima volta 
in Bologna, diede l’ ultima mano ad una sua versione 
del ragionamento con cui Dione Grisostomo volle pro- 
vare che Troia non fu mai presa dai greci. E pure in 
Bologna aveva cominciato a tradurre la vita di Mosè, 
di cui fu autore Filone, ma non sappiamo se la condu- 
cesse a termine. Molte altre scritture di autori greci 
volse in latino: da Lisia l’ orazione funebre in lode degli 
Ateniesi e quella contro Eratostene Adultero; da Ari- 
stotele la Retorica, da Senofonte la Ciropedia, le lodi 
di Agesilao e la Republica dei Lacedemoni, impresse, 
come più innanzi vedremo, in Bologna nel 1502; da 
Plutarco le vite di Numa, di Licurgo, di Galba e di 
Ottone e gli Apoftegmi. Le lodi di Agesilao, la Repudl- 
ca dei Lacedemoni, e le vite di Licurgo e di Numa 
furono da lui dedicate a Nicolò Albergati, vescovo di 


(1) Archivio del Reggimento di Bologna - Partitorum lib. VII, 
pag. 34 verso. ° 


_———o _ _———— x 


DI A. URCEO CODRO -: 59 


Bologna. Oltre a questo è noto che egli aveva incomin- 
ciato la traduzione di Appiano Allesandrino, che lasciò 
incompleta, e che scrisse diverse lettere in greco, le 
quali ancor si conservano, parte stampate, parte inedite. 
Alcuni documenti che riguardano la cattedra del Filelfo 
in Bologna pubblicherò più innanzi (1). Ora veniamo a 
Giovanni Lamola iuniore (2). 

Anch' egli fu lettore nel nostro Studio e perito 
nel greco; nacque circa il 1400, e, secondo che lasciò 
scritto nel Panegyricus Giovanni Cisinge sotto il nome 
di Gianus Pannonius, fu uno dei migliori discepoli di 
Guarino Veronese. In Bologna ebbe amicizia strettissi- 
ma con Antonio Beccadelli, detto il Panormita, e lo 
seguì a Firenze, ed ivi accomodatosi in casa di Palla 
Strozzi, per istruirvi i suoi figli, conobbe Ambrogio 
Camaldolese, il Nicoli, il Poggio, Leonardo Bruni ed ᾿ 
altri di tali letterati. Il Panormita essendo poi in Pavia, 
poco dopo il 1434, scrisse una lettera al Lamola, esor- 
tandolo a recarsi egli pure colà ad insegnare le lettere 
greche ad un nobile signore con l’annuo stipendio di 100 
filippi (3). Se egli accettasse o no quella offerta, noi non 


(1) Vedi l'Appendice IV. 

(2) Sebbene alcuno possa credere che qui dovessi far menzione 
di Tomaso Seneca (che s'incontra nei Rotuli sotto il nome di To- 
maso da Camerino) e che fu publico lettore di Retorica in Bologna 
nel 1431, poi di Retorica e Poetica dal 1458-1459 al 1461-1462, mi 
pare che bastevole argomento per negare al Seneca la conoscenza 
del greco si possa trarre dalle due epistole di Basinio Parmense 
« ad Sigismundum Pandulphum Malatestam Arimini Dominum de 
Linguae Graecae laudibus et necessitate », e da quella del medesimo 
« ad Robertum Ariminensem » che sono state publicate da Girola- 
mo Ferri negli « Anedocta litteraria ex mss. codicibus eruta ». 

(3) Trovasi nel codice vaticano 3371, fol. 8. 


| 
| 


60° MALAGOLA 


._rr——— + 


sappiamo. Però ci basta notar questo fatto come una te- 
stimonianza della dottrina che doveva avere nel greco 
il Lamola, dataci da uno dei più valenti grecisti e lati- 
nisti di quel tempo. Fu ancora lettore di Retorica, Poe- 
tica e Grammatica dal 1438-1439 al 1448-1449, e pri- 
ma era stato Segretario ed intimo di Filippo Maria Vi- 
sconti, duca di Milano; ed ebbe commercio epistolare 
col Filelfo, secondo che dalle lettere di quest’ ultimo può 
vedersi (1). Nè è da tacere come (Guarino Veronese gli 
indirizzasse il suo giudizio sopra l'« Hermaphroditus » del 
Panormita, che sta ms. nella Biblioteca Vaticana (2), 
siccome osservò il Fantuzzi (3), il quale nota non restarci 
di lui altro che un’ orazione ed un « lider de Pudicitia », 
publicati entrambi dal Lambecio ne’ suoi « Analecta Vin 
dobonensta (4) ». 

Fu molto celebre a’ suoi tempi Nicolò Perotti, il 
quale dopo essere stato in Bologna scolaro di Nicolò 
Volpe, fu anche lettore di Retorica e Poetica negli anni 
1451-1452 e nel 1452-1453. Egli adunque si trovava 
in Bologna mentre vi era il Cardinal Bessarione, anzi 
nella disputa che questo celebre prelato ebbe contro 
Giorgio da Trebizonda, riguardo a Platone, il Perotto 
prese gran parte, difendendo il Cardinale con molti opu- 
scoli, descritti dal Morelli nel suo catalogo della Biblio- 
teca Nanniana di Venezia (5). È opinione di alcuni scrit- 


e Eee —.r.  —_ _———__———_ 


(1) Ed. citata - Libro IL 

(2) Codice 3374. 

(3) Notizie degli scrittori Bolognesi - Vol. V, pag. 17. 

(4) Tomo II - pag. 835 e 169. 

(5) Codices Manuscripti Latini Bibliothecae Nannianae. Opuscula 
inedita accedunt tisdem deprompta — Venetiis - Typis Antonii Zat- 
tae 1776. . 


DI A. URCEO CODRO 61 


tori che il Perotti traducesse in latino tutto ciò che il 
Bessarione dettava in greco, ma quanto quest' opinione 
sia fondata io non saprei dire. Mentre egli era nella 
nostra città, offrì a Nicolò V, nel 1452 o nel 1453, 
la sua traduzione dei primi tre libri di Polibio, alla qua- 
le poscia aggiunse quella di due altri; onde il Pontefice 
gli significò con due Brevi onorevoli il proprio gradi- 
mento. Questa versione fu stampata la prima volta in 
Roma da Swenheym e Pannartz nel 1473 ἐπὶ folio, e 
fa tenuta in gran credito per un secolo e mezzo presso 
gli eruditi, ma dovette ceder luogo a quella, condotta 
con maggior critica, nel 1609, dal Casaubono, che ebbe 
modo di collazionar molti codici e stabilire meglio la 
lezione dell’ originale. Il Perotto nella nostra città recò 
di greco in latino l’ « Enchiridion » di Epitetto, il Com- 
mento di Simplicio sopra la fisica di Aristotele e l’ora- 
zione di Taziano ai greci: e qui ancora, nel 1452, aven- 
do a nome dei Bolognesi complimentato l’ imperatore 
Federico III, che andava a Roma a prendere la corona 
imperiale, ne riportò l’ onore della laurea, e il grado di 
Consigliere dell'Imperatore. Tra gli incunabuli della stam- 
pa bolognese è ‘notato dall’ Orlandi (1) un opuscolo im- 
presso nel 1497 da Benedetto d' Ettore Faelli, contenente 
la traduzione di Leonardo Aretino del libro di S. Basilio 
« De liberalibus studiis et ingenuis moribus », e quel- 
la di Nicolò Perotti del libro « De invidia » del me- 
desimo santo. Questo infaticabile grecista volse pure in 
latino il « Libellus de virtutibus et vitiîs » di Aristotele, 
edito nel 1504 a Fano; il « Zusiurandum » di Ippocrate, 


(1) Dell Origine e Progresso della stampa — Bologna, 85. a. Vedi 
a pag. 115. 


62 MALAGOLA 


impresso nel 1519 a Padova, l'opuscolo « De fortuna 
romanorum » di Plutarco, versione che ancor giace ine- 
dita. Tradusse inoltre in versi latini molto eleganti un 
«Apollinis Oraculum», che tanto piacque al Filelfo (uomo 
certamente non facile a contentarsi) da fargli scrivere 
in uha lettera, citata -dallo Zeno (1), esser rimasto me- 
meravigliato che il Perotto, « graece et natum et educa- 
tum, tam apte tamque eleganter latinam linguam di- 
dicisset. Non enim intelligo », aggiungeva « fieri posse, 
ut graeco sermone aut pulcherius loquatur, aut eru- 
ditius, quam a te latine loqui edoctum sit..... » I nostri 
Rotuli dimostrano assolutamente falso quanto l’Alidosi 
scrisse di Nicolò (2), che ‘cioè abbia letto nello Studio 
anche la Medicina, e sino all'anno 1462-1463, e quello 
ancora che γ᾽ aggiunse lo Zeno, che dal 1451 al 1458 
vi insegnasse eziandio la filosofia. Fu il Perotto Arcive- 
scovo di Manfredonia, Governatore di Perugia e di tutta 
l' Umbria, per la Santa Sede e Conte del Sacro Palazzo; 
ebbe dai Pontefici onori non comuni, e venne a morte in 
una villa presso la sua patria l’anno 1480. 

Debbo nominar qui il celebre Gian Battista Guari- 
no, professore di Retorica e Poetica nello Studio negli 
anni scolastici 1455-1456 e nel 1456-1457 (3). Di lui 
avrò a dire piuttosto diffusamente nel capitolo III, dove 
parlerò dei maestri dell Urceo; ora mi basti accennare 
come della sua singolare perizia nelle lettere elleniche 
abbiamo testimonianza da Aldo’ Manuzio al quale fu mae- 


(1) Dissertazioni Vossiane - Tomo I. 
(2) Li Dottori Forestieri che in Bologna hanno letto Teologia, 
Filosofia, Medicina ed Arti liberali — In Bologna - MDC. XXIII a 


pag. 56. 
(3) Veggasi il principio del capitolo V. 


DI A. URCEO CODRO 63 


stro di greco e che gli dedicò la sua edizione di Teo- 
crito e di altri poeti greci fatta nel 1495. Anche in Fer- 
rara insegnò lettere greche, lasciando a durevole testi- 
monianza della sua dottrina le traduzioni, annoverate 
dal Fabricio (1), -di alcune orazioni di Demostene, di 
Dione Grisostomo, di San Gregorio Nazianzeno e di altri. 

Vorrei porre fra 1 grecisti bolognesi di questo tem- 
po Giovanni Garzoni, oratore e medico di molta fama 
presso i suoi contemporanei, del quale avrò anche a di- 
scorrere dove tratterò degli amici dell' Urceo. E sebbe- 
ne non ci sia rimasto monumento alcuno dal quale si 
possa arguire che veramente conoscesse la lingua elle- 
nica, pure ci convien credere che ne avesse qualche cul- 
tura, se l’ Urceo, in una lettera che gli scrisse (2), riferì 
parole e periodi greci. Nel chiostro della chiesa di S. 
Domenico di Bologna fu posta al Garzoni la seguente 
lapide sepolcrale: 


IIPOZ TON ΘΕΟΝ 
IOHAN. GARZONII 
ET HEREDVM MDVI 
TON ΓΑΡΖΟΝΩΝ. 


Tra i cultori della lingua ellenica, che abitarono nel 
XV secolo in Bologna è ora da annoverare Galeotto 
Marzio da Narni, che fu Professore di Retorica e Poe- 
tica nello Studio negli anni scolastici 1463-1464 e nel 
1465-1466, poi dal 1473 sino a tutto il 1476-1477. Tut- 
tavia in quest’ ultimo tratto di tempo mancò di far le- 
zione nel principio dell’anno scolastico 1476-1477 e per 


(1) Bibl. Med. ed Inf. Lat. - Vol. III, pag. 121. 
(2) Antonii Codri Vreei.... opera, quae esziant, omnia.... Vedi dalla 
pag. 279 alla 285. 


64 MALAGOLA 


avventura fino al luglio, secondo che apprendiamo da 
un Partito dei Sedici Riformatori dello Stato di Libertà 
di Bologna, dei 26 luglio 1477 (1), dove è scritto: « Pre- 
mo per omnes fabas albas remiserunt Magistro Ga- 
leotto de Narnia legenti tn hoc almo studio bononiensi 
opera humanitatis omnes apunciationes ei hoc anno 
factas 60 quod non venit in principio studj, prout de- 
bebat, attento quod si quid omisit posset lectionibus 
extraordinaritis suplire ». Di lui scrisse dottamente la 
vita il Marchese Cavaliere Giovanni Eroli (2), autore 
eziandio di un lavoro sopra Erasmo Gattamelata (3), il 
quale nota come nell’ invettiva, che il Marzio dettò con- 
tro il Filelfo, affermi di conoscere il greco; e certamente 
ne dovette avere non ordinaria dottrina se fu in grado, 
ancor giovinetto, di insegnarlo al Cisinge (che già no- 
minammo) mentre erano entrambi discepoli di Guarino 
Veronese, cosa che dallo stesso Cisinge nelle lettere e 
nelle poesie ci è manifestata. E s'aggiunga che il Mar- 
zio cita spesso nelle sue opere moltissimi autori greci 
di medicina, di filosofia e di storia naturale, di alcuni 
de' quali non si avevano al suo tempo le traduzioni. Fu 
uomo non solo dotto, ma prode ancora nell’ armi, e la 
sua vita fu piena di avventure, di viaggi e di pericoli; 
pare ch'egli morisse in Boemia nel 1490. Nell'Archivio 
di Stato di Firenze trovai del Marzio una lettera latina 
datata da Venezia nel 1478 « ex carcere », cui era stato 


(1) Archivio del Reggimento - Vol. VIII Partitorum, pag. 107 
retto. 
(2) Trovasi nella Miscellanea Storica Narnese — Narni, Tip. 
del Gattamelata - 1859. 

(3) Erasmo Gattamelata da Narni, suoi monumenti e sua fa- 
miglia.... Roma - Coi tipi del Salviucci - 1876. 


DI A. URCEO CODRO 65 


condannato per sei mesi a pane ed acqua dal Sant' Uf- 
fio di Venezia per alcune supposte eresie sparse nel 
sio libro « De incognitis vulgo ». In questa lettera il 
Marzio supplica Lorenzo de' Medici di intromettersi, per 
la sia liberazione, o presso il Doge o presso il Pon- 
tefice (1). 

Già dissi come il Cardinal Bessarione promovesse 
e proteggesse nella nostra città gli studi del greco. Un 
altro dotto uomo, Giacomo Antiquario, sebbene inferiore 
a lui di ricchezza e di potenza, pure fu un valido pro- 
ettore di coloro che coltivavano la lingua greca e la 
ltina. In Perugia, dove era nato, si crede fosse disce- 
polo di Demetrio Calcondila circa nel 1454; in Bologna 
fu segretario del Legato Gian Battista Savelli e già vi 
δὶ trovava nel 1471, ma quanto precisamente vi stesse 
non è facile dire, sebbene si sappia che di qui fu chia- 
mato a Milano come Segretario del Duca Galeazzo Ma- 
ria. Quanto egli proteggesse le lettere può rilevarsi dalle 
opere di Francesco Filelfo, del Valla, del Merula, e prin- 
cipalmente del Puteolano, il quale, dedicandogli i dodici 
panegirici degli antichi da sè publicati, scriveva non tro- 
varsi erudito di qualche nome in Italia che non confessi 
di essere stato dall’Antiquario onorato e favorito. Nè 
per certo alcun’ altro aveva, più che il Puteolano, ra- 
gione di scrivere tali parole, perocchè, essendo egli sin- 
golarmente caro a questo insigne perugino, era stato 
da lui grandemente beneficato, ed in Bologna special- 
mente soccorso, talchè scriveva riconoscente, nel dedi- 
cargli l’opera di Fortunaziano: « Olm cum Bononiae 
naufragium meae fortunae omnes jam passurae essent, 
subjectis humeris me ab imminenti exilio subduristi ». 


(1) Vedi l'Appendice V. 


66 MALAGOLA 


Anche a Filippo Beroaldo seniore portò molto af- 
fetto l’Antiquario, a cui dedicò nel 1500 la traduzione 
latina di una canzone del Petrarca, traduzione che si 
legge dopo le « Orationes Mullifariae » di questo celebre 
bolognese, stampate in quell’anno. L'Antiquario fu dotto 
nell’ una e nell'altra lingua, e per questo ho voluto qui 
nominarlo, ma egli, più che le proprie, adoperossi a pu- 
blicare le opere altrui, onde gli dobbiamo l’ edizione di 
alcuni trattati degli antichi grammatici latini e greci. 

Non è qui da far menzione di Francesco Zambec- 
cari, di famiglia bolognese, ma nato in Venezia, il quale 
fu uno dei più dotti ellenisti del secolo XV. Sebbene 
egli abbia scritto in una lettera al suo parente Alessan- 
dro Zambeccari: « egeruni mecum Bononienses mei, ui 
quum Firmano populo satis fecerim, graecas litteras 
docturus în patriam redeam >», e fu tra il 1472 e il 
1475, posso tuttavia affermare (come ebbi ad assicurarne 
già il Professore Riccardo Foerster dell’ Università di 
Rostok, il quale sta illustrando la vita e le opere di 
questo nostro bolognese), che egli non fu mai professore 
nello Studio, giacchè nè i Rotul, nè i Quartironi, nè 
i libri Par&torum, nè quelli Mandatorum dei nostri 
archivi contengono il nome dello Zambeccari. 

Giovanni Pico della Mirandola nel capitolo IX del 
secondo libro delle « Disputationes adversus astrologos » 
ricorda come a lui ed a Pandolfo Collenuccio porgesse 
un giorno occasione di riso in Bologna un certo mate- 
matico: « Meminit puto adhuc Pandulphus Collenutius 
meus, turis quidem consultus, sed in omnibus literis 
ingeniosissime eruditus, quantum nobis Bononiae risuni 
super ἰδία re dederit quidam mathematicus, qui nos 
ca die copiosissimos hymbres tubebat expectare, quam 
totam lucidissimus sol et'clarissimam cl serenissimar 


DI A. URCEO CODRO 67 


reddidit (1) ». Non farò qui altra menzione di Giovanni 
Pico, il quale, sebbene abbia dimorato due anni in Bolo- 
gna, dal 1477 al 1479, per istudiarvi Diritto Canonico, 
non poteva allora, per essere in età dai 14 ai 16 anni, 
conoscere il greco per guisa, da meritare di venire anno- 
verato fra gli ellenisti che nel XV secolo furono ospitati 
dalla nostra città. Dirò invece alquanto diffusamente di 
Pandolfo Collenuccio, della dimora del quale in Bologna 
non si ebbe finora altra notizia, all’ infuori delle parole, 
assai poco concludenti, che vedemmo averne lasciato 
scritte Giovanni Pico. 1, illustre pesarese tanto dotto ‘in 
ogni maniera di scienze e di lettere, nell’ età dai 28 ai 
29 anni, fu nominato Giudice al Disco dell'Aquila in 
Bologna (2) con Partito (3) dei Sedici Riformatori dello 
Stato di Libertà in data del 29 ottobre 1472. Egli però, 
sebbene eletto a quell’ ufficio (ad ottenere il quale molto 
gli valse la protezione di un certo Alessandro, che for- 


(1) « Joannis Pici.... disputationes adversus Astrologos liber pri- 
mus » etc. « Bononiae per Benedictum Hectoris. MCCCCLXXXXV» 
in fol. - Nell’ esemplare di questa edizione, posseduto dalla R. Biblio- 
teca dell'Università di Bologna e segnato A. M. F. V. 39, dopo l’ av- 
vertenza che è verso il fine: « Zohannes Picus Mirandula. veritatis 
amaioribus », sì legge la seguente nota autografa: 
< Deo optimo Maximo ac Perpetuae Virgini Gloria 
A me Coelio Calcagnino tumultuario perlectum nono Februarii 1507. hora 3. » 

(2) 11 Podestà di Bologna aveva sotto di sè quattro giudici col- 
laterali, che nelle carte bolognesi troviamo deputati: ad dischum 
Aquilae: ad dischum Montonis: ad dischum Ursi: ad dischum Male- 
ficiorum. La giurisdizione di quest'ultimo giudice si comprende fa- 
cilmente, non così avviene pei tre precedenti, i quali non m° è venuto 
fatto di scoprire se traessero il nome loro dalla diversa giurisdizione 
che esercitassero, o non piuttosto dall’ insegna che innalzassero sopra 
il banco da cui rendevano giustizia. 

(3) Vedi l’Appendice VI. Doc. 1. 


68 MALAGOLA 


se fu Alessandro da Muglio, dottore di Leggi, che, ap- 
punto nei mesi di settembre ed ottobre sopradetto, era 
degli Anziani del Comune), esercitò invece l’altro di 
Giudice al Disco dell'Orso, e fu sotto la Podestaria del 
Conte e Cavaliere Nicolò da Palude di Parma (1). Nel 
R. Archivio di Stato di Bologna in un libro membrana- 
ceo intitolato: « Sentencie Acusaciones MCCCCLXXII », 
ed in un altro, pur membranaceo, mancante delle due 
prime carte e quindi del titolo, e contenente, come il 
primo, sentenze del Giudice al Disco dell’ Orso, e che 
comincia a carte 3 con una del giudice Salvatore de’ 
Stacci da Narni in data dei 16 gennaio 1465, ho potuto 
trovare 54 sentenze, date dal Collenuccio in Bologna 
dai 7 di novembre del 1472 al 30 ottobre del 1473 (2). 


(1) Nicolò da Palude successe nella Podestaria di Bologna al 
padovano Gabriele Capo di Lista nel novembre del 1472 (Archivio 
del Reggimento, Partitorum libro VII pag. 101 verso, e Mandato- 
rum libro XVII pag. 77 verso). Con Partito del Reggimento dei 21 
ottobre 1472 gli fu concesso che potesse condurre e tenere nel pa- 
lazzo di sua residenza la propria moglie, (Partitorum libro VII pag. 
100 verso) e con Partito dei 23 aprile 1473 fu riconfermato in carica 
per un altro semestre (Partitorum libro VII pag. 162 verso e 163 retto, 
e Mandatorum lib. XVII pag. 113 retto). « In testimonium virtutum 
suarum » i Sedici Riformatori, ai ]2 di novembre del 1473, decreta- 
rono a Nicolò «da Palude il dono di uno stendardo, collo stemma del 
Comune di Bologna, del valore di 100 lire di bolognini (Partitorum 
lib. VII pag. 197 retto, e Mandatorum XVII pag. 201 verso). Due 
giorni prima al Vice Tesoriere della Camera di Bologna era stato 
ordinato pagasse al da Palude lo stipendio dei mesi di settembre ed 
ottobre del 1473 e di tre giorni del successivo novembre, per tutti 
1 quali furono date a Nicolò 945 lire di bolognini (Mandatorum lib. 
XVII pag. 201 retto). 

(2) Ecco la data delle sentenze del Collenuccio. Nel libro « Sen- 
fenciae Acusaciones MCCCCLXXII » sì trovano le seguenti: 


s 


D. A. URCEO CODRO 69 


___ 


La prima di esse incomincia con queste parole: « Nos 
Pandulfus (sic) de colemnutiis de Pesaro Iudea discho, 
εἰ officio Vrsi Magnifici et generosi Militis domini Ni- 
colai de Palude de parma honorandi Poltestatis el ca- 
pitanei populi et ciuitatis Bononiae ». Nella seconda 
delle sentenze pronunziate dal Collenuccio nella nostra 
città, in data dei 12 novembre 1472, e in tutte le se- 
guenti, Pandolfo è chiamato « Zudex discho, et officio 


Anno 1872 - Mese di novembre, giorni: 7 (a carte 353), 12 
(a c. 369), 14 (a c. 357), 14 (ac. 358), 14 (ac. 367), 14 (ac. 374), 
16 (a c. 361), 16 (a c. 363), 16 (a c. 364), 17 (a c. 373), 18 (ac 
377). 18 (a c. 379), 19 (a c. 381), 20 (a c. 383), 23 (a c. 387), 24 (a c. 
389) e « die.... novembris » (sic) (a c. 419). - Mese di dicembre, giorni: 
1 (a c. 402), 2 (a c. 399), 8 (a c. 405), 9 (a c. 404), 10 (ac. 403), 
11 (a c. 395). 11 (ac. 397), 11 (a c. 413), Il (a c. 415), 17 (ac. 
421), 17 (a c. 422), 18 (a c. 417), 19 (a c. 423), 28 (ac. 401). 

Nell’altro libro membranaceo sopra citato, mancante delle due 
prime carte e contenente sentenze del giudice al disco dell’ Orso, e 
che comincia con una di-Salvatore de' Stacci da Narni dei 16 gon- 
naio 1465, si trovano le seguenti del nostro Pandolfo: 

Mese di luglio del 1473: giorno 1 (a c. 159). - Mese di agosto: 
28 (a c. 147), 30 (a c. 145). - Mese di settembre: 1 (a c. 149), 2 
(a c. 151), 2 (a c. 153), 5 (ac. 173), 6 (ac. 171), 7 (ac. 177), 9 
(a e. 157), 10 (a c. 161), 13 (a c. 163). - Mese di ottobre: 2 (ac. 
175), 5 (a c. 187), 6 (a c. 176), 13 (a c. 179), 15 (a ce. 180), 16 
(a c. 183), 19 (a c. 185), 25 (a c. 191), 26 (a c. 189), 30 (ac. 193), 
30 (a c. 199). Non sarà certo alcuno che notando non trovarsi, nello 
spazio di tempo che è fra la fine di dicembre del 1472 e il 1° di 
laglio del 1473, sentenza del Collenuccio, pensi che questi fosse 
assente dal suo ufficio in quel tempo, e che poscia lo riprendesse. 
Poichè ciò non poteva accadere, noi siamo certi che tale lacuna è 
soltanto da attribuirsi al non avere io finora potuto rinvenire che i 
due libri sopra citati, tra l'immensa faraggine dei polverosi volumi 
e fra le membrane del nostro Archivio di Stato, pertinenti già al 
Grande Archivio degli Atti civili e criminali, i quali finora non si 
poterono ordinare. 


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70 MALAGOLA 


Vrsii et damnorum datorum >»; in alcuna ha eziandio 
il titolo di « Legum Doctor », nè qui sarà senza utilità 
il far notare che il cognome di lui ha talora la forma 
«de Colanuciis» ed il più delle volte « de Colonuciis ». 
Questo ufficio di Giudice al Disco dell'Orso nella città 
di Bologna fu sostenuto da Pandolfo prima di sostenerne 
alcuno in Pesaro, e il tempo che egli durò in questo, 
cioè dal novembre 1472 a tutto l'ottobre 1473, cor- 
risponde a quello in cui fu Podestà di Bologna Nicolò 
da Palude. Il quale, essendo stato riconfermato per altri 
sei mesi verso il fine d’ aprile del 1473, avrà egli pure, 
come ci dimostra il fatto, riconfermato per altrettanto 
tempo il Collenuccio (1) nella Giudicatura dell’ Orso, in 
cui ebbe a successore Luca Magalotti di Città di Castel- 
lo. I nostri documenti emendano forse l’ opinione del 
Cavaliere Domenico Bonamini, che nella sua dissertazione 
manoscritta sul Collenuccio (2), credette che questi fosse 
rimpatriato sino dal 1469, mentre è invece da ritenere 
che non ritornasse in Pesaro che nel principio di novem- 
bre del 1473. 

Egli però era di nuovo in Bologna ai 10 di feb- 
braio del 1490, e vi tornò (dopo essere stato Podestà 


(1) Nel tempo che questi esercitò in Bologna tale ufficio, un 
altro pesarese, Lorenzo di Benedetto Transferri, vi era Giudice Ordi- 
nario e Notaio Forense, come consta anche da un libro di Inquisi- 
zioni e Processi del 1473 (mesi di maggio, giugno e luglio), che 
conservasi nel nostro Archivio di Stato, e dove a pag. 49 verso leg- 
gesi la seguente sottoscrizione: « Eg0 Laurentius quondam Benedicti 
de Transferris ciuis Pisaurj, publicus Imperiali auctoritate notarius 
et Iudex ordinarius, ac notarius forensis inclitae Ciuitatis Bononsae 
pro anno Jam elapso..... » 

(2) Conservasi nella Oliveriana (Miscell. Ms. Cod. 458), e fu letta 
nell’Acadèmia Pesarese il 3 gennaio 1777. 


DI A. URCEO CODRO 71 
di Firenze) sulla fine di marzo del 1491, restandovi cer- 
tamente sino ai 22 del prossimo giugno e forse più ol- 
tre. E questo posso affermare sull'autorità di quattro 
lettere tutte autografe (1) del Collenuccio, che ritrovai 
nell’ Archivio di Stato di Firenze, scritte da Bologna a 
Lorenzo de’ Medici, delle quali la prima, riguarda la 
restituzione, desiderata da Giovanni II Bentivoglio, della 
dote di sua figlia Francesca, già moglie di Galeotto Man- 
fredi signore di Faenza. È noto come questa donna, 
fosse per gelosia o per altra cagione, simulando malattia, 
facesse assalire il marito nelle stanze di lei da alcuni 
sicari, nè giungendo questi all’ intento, perchè Galeotto 
disperatamente si difendeva, discesa dal letto, con un 
coltello, di sua mano lo uccidesse. Dopo di che, leva- 
tosi a tumulto il popolo, e Francesca essendosi rifug- 
gita nella Rocca col suo piccolo figliuolo Astorre, i 
Faentini fecero prigione Giovanni II Bentivoglio (che, 
sperando rendersi, per la morte del genero, signore di 
Faenza, era entrato con molti armati in quella città) e 
dichiararono che Faenza si governerebbe in nome di 
Astorre e dei Fiorentini, al Comissario dei quali, Antonio 
Boscoli, efficacemente la raccomandarono. Per intromis- 
sione di Lorenzo de’ Medici, Giovanni II e la figliuola 


(1) Chi si faccia a considerare le quattro lettere qui ricordate e 
le altre otto dell’Archivio di Mantova, che citerò più innanzi, e che 
trovansi nell’Appendice VI. di questo volume (segnate coi numeri 6 
7,8, 9, 10, 11, 12 e 13) non potrà certo dubitare che tutte queste non 
sieno del Collenuccio. Dirò inoltre che il signor prof. cav. Pietro 
Ferrato, Direttore dell'Archivio Gonzaga, al quale mandai il fac-simile 
delle sottoscrizioni delle quattro lettere che trovansiì nell'Archivio 
Fiorentino, mi attestava (con una sua ἀ᾽ ufficio, in data dei 3 aprile 
1877, N. 21) della identità di quello colle sottoscrizioni delle lettere 
del pesarese, che sono nell'Archivio Mantovano. 


72 MALAGOLA 


sua furono poi liberati; ma dalla prima lettera sopra 
citata appare che i Faentini non volessero rendere ai 
Bentivoglio la dote e le mobiglie della Francesca, onde 
Giovanni, per mezzo di Pandolfo, pregava Lorenzo, che 
era a capo dei Fiorentini, a volere indurre quelli di 
Faenza a tale restituzione, perchè, scriveva il Colle- 
nuccio, « Qui non se po' persuadere in modo niuno V. 
M. non possa in Faenza (e maxime in questo caso) 
tucto quello che la vole ». 

Questa lettera è dei 10 febbraio 1490 (1), ed in essa 
l'illustre pesarese ragguaglia Lorenzo di altre cose. 
Dopo questo tempo sappiamo che il Collenuccio fu Po- 
destà dei Fiorentini, secondo che rilevasi anche da un 
Registro dei nomi di quei Podestà, che serbasi nell’Ar- 
chivio di Stato di Firenze (2), dove troviamo scritto del 
nostro Pandolfo: « Pandulphus Collenuccius, sive de 
Nobilibus de Collenuccis de Pisauro, pro sex mensi- 
bus initiatis 22 iunit 1490, Ind. 8." (3) ». 

Nella seconda delle lettere a Lorenzo (4) (la quale 
ha la data dei 29 marzo 1491) il Collenuccio lo av- 
vertiva che Giovanni gli mandava Chiaretto de’ Cancel- 
lieri di Pistoia (5) «.... con intentione de Far l ultimo 


—— ————————&—& 


(1) Vedi l’Appendice VI, doc. 2.° 

(2) Miscellanea Strozziana. 

(3) Gli atti della Podestaria del Collenuccio δὶ conservano nel- 
l'Archivio Fiorentino di Stato in 9 filze, secondo che mi scrive il 
dotto signor cavaliere Cesare Paoli, professore di Paleografia nel R. 
Istituto di Studi Superiori a Firenze. 

(4) Vedi l’Appendice VI, doc. 3.° 

(5) Era quel « Chiaritus olim ser Raphaelis de Pistorio », stato 
già Connestabile dei fanti del Reggimento Bolognese (Archivio del 
Reggimento Partitorum vol. VII pag. 146 retto, sotto la data dei 15 
febbraio 1473). 


DI A. URCEO CODRO 73 


conalo e prova in questa materia; (sempre la restituzio- 
ne della dote e dei mobili della Francesca) e se pos- 
sono trar questa dote, mediante V. M., bene quidem, 
seno, non ne parlar più ». 

Altre notizie di ciò che accadeva a Bologna manda 
Pandolfo al Magnifico in questa seconda lettera, ed altre 
ancora nella terza (1), che ha la data dei 22 di giugno 
1491; e poichè non sappiamo per qual cagione dimoras- 
se allora a Bologna, non sarebbe forse fuor di propo- 
sito pensare che il Collenuccio vi stesse per servizio di 
Lorenzo. Nell'ultima di queste lettere, che ha pure la 
data dei 22 giugno del 1491 (2), caldamente pregava il 
de' Medici perchè lo volesse raccomandare al duca di 
Mantova per fargli ottenere la Podestaria di quella città 
«la più libera e la più fructuosa de Ialia ». E l’ebbe 
il pesarese, ma essendosi intanto accomodato alla Corte 
di Ferrara, faceva pregare da Lorenzo il Gonzaga a per- 
mettergli di tenere, per mezzo di sostituto, la pretura di 
Mantova (3). Nella quale città, poichè il suo nome non 
trovasi nelle lettere dell'’Amministrazione di Stato che si 
conservano nell'Archivio Gonzaga (4), possiamo affermare 
che Pandolfo non fu mai neppure Segretario o Consi- 
gliere di quel Marchese, come ha opinato l’Almerici, 
confondendo forse con lui il figlio Teofilo, che appare vi 


(1) Vedi l’Appendice Vl, doc. 4.° 

(2) Vedi l’Appendice VI, doc. 5.° 

(3) Vedi l'Appendice VI, doc. 6.5 

(4) Così τι assicura il signor Stefano Davari, Cancelliere di 
quell'Archivio, il quale le ha ordinate. La lettera di Lorenzo de' Me- 
dici al Marchese di Mantova e le altre di Pandolfo a Giacomo d' A- 
dria ed a Francesco ed Isabella d'Este, io le debbo alla cortesia 
del ch. sig. professore Ferrato. 


14 MALAGOLA 
fosse, piuttosto che come Consigliere, come poeta di 
Corte. Insieme alle quattro lettere, già citate, del Col- 
lenuccio a Lorenzo de’ Medici, e ad una di quest’ ultimo, 
ne publicherò in questo mio lavoro sette altre, tutte 
autografe, che l'illustre autore della Canzone alla morte 
scriveva da Ferrara negli anni 1495, 1496, 1497 e 
1498 a Giacomo d'Adria, Segretario di Francesco Gon- 
zaga, Marchese di Mantova, allo stesso Marchese e alla 
moglie di lui Isabella d' Este (1). 

Ora, dopo aver dimostrato che il Collenuccio dimorò 
in Bologna due volte, potrei recare qui molte prove 
che egli 


« Tenea d'ambo le lingue i bei secreti ». 


Senza far conto nè della lettera del celebre Marco Mu- 
suro « qua Graecas Literas se Collemnutium docuisse 
Patavii scribit », siccome notò il Papadoli (2), nè delle 
altre due dirette a Pandolfo dal Poliziano (3) (dove si 
tratta del significato di parole greche), ampia testimo- 
nianza che il nostro pesarese conoscesse non superfi- 
cialmente la lingua degli antichi elleni ci porge il libro, 
che abbiamo alle stampe, intitolato « Specchio di Esopo 
{radotto dal greco in volgare da messer Pandolfo Colle- 
nuccio da Pesaro (4); la quale versione anche si trova 
manoscritta nel codice 1228.° della Vaticana. 


(1) Vedi l'Appendice VI, doc. 7.9, 8,5, 9.9, 10.9, 11.9, 12.° e 13.° 
(2) Nicolai Comneni Papadopoli Historia Gymnasii Patavini — 
Venetiis - MDCCXXVI - Tomo II, libro I, capo IX, a pag. 30. 
(3) Angeli Politiani Opera.... Basileae — Apud Nicolaum Epi- 
scopium suniorem - MDLIII - Epistolarum lib. VII, pag. 98 e 102. 
(4) Nella citata dissertazione inedita sulle opere del Collenuccio, 
scritta dal Cav. Bonamini, troviamo notata un edizione di questa 


DI A. URCEO CODRO 75 


L'Oratio Proverbiorum di Filippo Beroaldo il vec- 
chio dimostra come in Bologna questi avesse a maestro 
il Puteolano, giacchè egli scrive: « sicut ego feci, cum 
Magistro meo Francisco Puteolano, quem honoris et 
amoris causa nomino, quem omnimodis laudibus cele- 
bro, qui literas literatas senio pene inter mortuas et 
situ squalentes ad lucem nitoremque cum primis re- 
vocavit, cui acceptum refero quidquid in me est do- 
chrimnarum (1) ». Nei Rotuli il Puteolano, sotto nome di 
« Franciscus de Parma », trovasi fra i lettori di Retorica 
e Poetica dall’anno 1467-68 fino a tutto il 1477-78. 


versione fatta in Roma nel 1526 in 4°. Nelle Schede Oliveriane della 
Biblioteca di Pesaro tre altre se ne ricordano fatte in Venezia; 
la prima « per li Niccolini da Stabbio » nel 1544 in 8.°; la seconda 
« per Giovanni Padovano » nel 1552 in 8.° piccolo, (di questa,ha 
un esemplare la Biblioteca Oliveriana) e la terza nel 1563 « per 
Comin di Trino di Monferrato » in 8.° Io non potei vedere alcuna 
di queste quattro rarissime edizioni. Nè mancherò di osservare, die- 
tro l'indizio delle citate Schede Oliveriane, come nella Biblioteca 
Volante di Giovanni Cinelli Calvoli (Edizione II, In Venezia - 
MDCCXXXIV, presso G. B. Albizzi, tomo II, pag. 261) si trovi 
notato il libro seguente « Eschenbach (Andrea Cristiano). Pandulphus 
Collenutius super Argonauticis Orphaei, et Paribus Libellis nouo 
munere ab Viro Clarissimo Andrea Christiano Eschenbach Editis 
Lamberatoris Gallicani Taxationes expendit - 1680 in 8.° ». Però 
mi è forza ripetere coll'Olivieri « Per quale ragione si faccia qui 
entrare il Collenuccio, non saprei ». La notizia di queste quattro 
edizioni dello Specchio di Esopo mi fu data dal ch. signor marchese 
cav. Ciro Antaldi, Deputato Soprintendente alla Biblioteca Oliveria- 
na, e Socio della nostra R. Deputazione di Storia Patria, al quale è 
mio debito rendere qui grazie publicamente. 

(1) Orazio Prouerbiorum condita a Philippo Beroaldo, Qua do- 
ctrina Remotior continetur. (In fine): «.... Impressa Bononiae per Be- 
nedictum Hectoris... Anno Salutis Μ΄. Vndequingentesimo....» Vedi a 
carte 50 e 51 non numerate. 


---- 


16 MALAGOLA 

Egli teneva scuola « n fertiîs »: a lui ed agli altri che 
insegnavano Retorica e Poetica era imposto dai Rotuk: 
« legat quilibet duas lecliones, videlicet unam in ora- 
toria, et aliam în poetica arte; et etiam aliam de sero; 
Et libri sint diversi (1) ». E noto che egli diede in lu- 
ce, tradotti, la Dialettica, il Computum e tre libri Rhe- 
toricorum di Fortunaziano. 

Cola Montano (nato in Gaggio, montagna del Bolo- 
gnese), che fu Graduato în Arti nel 1475, tenne la cat- 
tedra di Retorica e Poetica nel nostro Studio nell’ anno 
1476-1477, secondo che leggiamo nel Rotu/o di quel- 
l'anno scolastico. Egli però non vi dovette esser venuto 
sul principio delle scuole, perchè nel Rotulo citato il 
suo nome apparisce aggiunto dopo che il Rotu/o stesso 
era stato già scritto, essendo in carattere diverso dal 
rimanente. Ci duole che manchino i Quartironi (2) del 
1476-1477, perchè da essi, anche se a Cola non fosse 
stato assegnato stipendio, avremmo forse potuto rilevare 
quando avesse cominciate le sue lezioni, e per quanto 
tempo le avesse proseguite. È noto che quest’ uomo, la 
vita del quale non può dirsi certamente commendevole, 
sia stato discepolo in Roma di Giorgio da Trebizonda che 
vi insegnava Retorica e che lo amò come figlio, ed è 
per ciò molto probabile che Cola dovesse pure appren- 
dervi il greco; onde non ho voluto mancare di nomi- 
narlo in questo luogo. 


(1) Rotulo dell’ a. s. 1467-68 nell’Archivio Notarile di Bologna. 

(2) I Quartironi sono le note trimestrali delle distribuzioni dello 
stipendio dei professori del nostro Studio. Cominciano con uno del 
1469 e, con non poche interruzioni, proseguono, in grandi fogli car- 
tacei a due colonne, sino al 1788. Inoltre ve ne sono due libri pari- 
menti cartacei, in 4.° il primo dal 1746 al 1788, il secondo dal 1788 
al 1796. Trovansi nell'Archivio della R. Prefettura di Bologna. 


DI A. URCEO CODRO 77 


Toccherò qui anche di Andrea Magnani, detto Ma. 
gnanimo, del quale mi accadrà di parlare, trattando 
degli amici dell’ Urceo. La lingua greca gli fu un bel- 
l’ornamento; tradusse in volgare da Senofonte, e inti- 
tolò a Giovanni II Bentivoglio, il testamento di Ciro, 
del quale nella dedicatoria dice: «... da me nuovamente 
ritrouato, e tradotto a tua felice memoria ». La ver- 
sione del Magnani si legge impressa nel « Formulario 
overo Epistolario volgare.... » composto da Bartolomeo 
Miniatore, nelle due edizioni veneziane fatte l’ una dal 
Bindoni nel 1520, l’ altra dal Sessa nel 1531. Dopo la 
traduzione si legge in entrambe le edizioni questa nota: 
« Testamento overo Consiglio de Cirro Re di Persia 
sapentissimo fortunatissimo facto nel fine della sua 
vita. Traducio da Xenophonte per Andrea Magna- 
nimo (1) ». 

Uno degli uomini più celebri di Bologna nel secolo 
XV, e dotto nel greco oltre il comune, fu certamente 
Filippo Beroaldo seniore, già nominato. Seguendo la 
brevità che i limiti di questo capitolo mi impongono, 
dirò soltanto di lui quello che qui è strettamente neces- 
sario a sapersi. Sebbene Bartolomeo Bianchini abbia 
lasciato scritto nella vita di questo illustre umanista (2) 
che egli alle lettere greche « /eviore siudio operam 
dedit, et quidem adhuc puer », l’altro suo biografo e 
discepolo Giovanni Pins ne lo lodò invece infinitamente, 
come uomo che ne aveva una meravigliosa perizia, e 


(1) Nell'edizione del Sessa leggesi, Magnanimi; vi si trova 
qualche differenza dalla precedente nell' ortografia. 

(2) Premessa alla ristampa delle « Commentationes în Suetonium » 
del Beroaldo — « Venetiis pa Philippum Pincium Mantuanum » - 
1510, a pag. 138. 


78 . MALAGOLA 


lo provò, additando gli innumerevoli passi di scrittori 
greci, o corrotti dagli amanuensi, o da altri eruditi 
non bene interpretati, che il Beroaldo ridusse a sana 
lezione: e rettamente spiegò (1). Aggiungasi a questo 
l'elogio che uno degli Additori del Tritemio ne fece, 
chiamandolo: « Utriusque linguae perilissimum »; del 
resto dobbiamo lamentare che dalle molte traduzioni 
altrui di opere greche, le quali per le sue cure vennero 
in luce, non appaia che egli avesse parte alcuna nell’ in- 
terpretazione del testo. 

Discepolo del vecchio Beroaldo nello studio del gre- 
co e del latino fu Gian Battista Pio, il quale nello stesso 
anno in cui s’ era laureato, cioè nel 1494, ottenne una 
cattedra di Retorica e Poetica. Egli leggeva contempo- 
raneamente al maestro, ma, come questo, cadde nel vi- 
zio di usar frasi e parole latine tolte dai più oscuri e 
disusati autori, o formate di greche, a tal punto da 
mostrare quasi di non conoscere gli autori dell’ aurea 
latinità, e per ciò fu posto in beffe in una comedia che 
è alle stampe. Accortosi però dell’ errore, si diè tutto 
‘a studiar le opere di Cicerone, non vglendo più leggere 
che queste, intorno alle quali s' adoprò egregiamente. 
A testimonio della sua dottrina nel greco, oltre le molte 
e bene addatte citazioni di che son piene, secondo il 
costume di quel tempo, le sue opere, e oltre il volume 
edito’ nel 1505 col titolo « Annotationes linguae lati- 
nae graecaeque », è da ricordare il codice, segnato col 
numero 2851 della Biblioteca Vaticana, dove si trovano 
in carattere di lui medesimo: « Zoannis Baptistae Pii 


(1) Vedi le « Vitae summorum dignitate et eruditione Virorum >» 
Tomo I, pag. 130. 


= —  ——————— rr  —— < — 


DI A. URCEO CODRO 79 


Bononiensis Vetera Graecorum Epigrammata în lati- 
num translata ad Paulum IlI ». Insegnò in Bergamo, 
in Mantova e in Milano ancor giovare; poi’ nella Sa- 
pienza di Roma ed in Lucca, e alternativamente nella 
sua città natale. Morì all’ improvviso in Roma nell’ età 
di 84 anni. 

Anche Giacomo Dalla Croce fu Professore di Reto- 
rica e Poetica nel nostro Studio e valente nel greco. 
Stampò una sua traduzione in versi latini degli inni di 
Callimaco, ai quali pose innanzi una prefazione in cui 
non tace la propria compiacenza per essere stata questa 
sua versione approvata e lodata da Demetrio Calcondila 
e da Giovanni Crestone. Il Fantuzzi (1) fa parola di un 
opuscolo in 4.° contenente la suddetta traduzione del 
Della Croce, mancante della data, del luogo di stampa 
e del nome dello stampatore;-opuscolo che si trovava, 
e trovasi tuttavia, nella Biblioteca Ambrosiana. Nella 
nostra Comunale abbiamo un esemplare di questa tradu- 
zione impressa in Bologna da Benedetto ἀ᾽ Ettore Faelli 
nel 1509. : 

Nel Viridario di Giovanni Filoteo Achillini (2) sono 
menzionati 


«Tre greci: Paulo, il Volta e il Ghisilardo » 


dal qual verso, dove la parola greci non può altrimenti 
interpretarsi che nel senso di uomini dotti nel greco, 
abbiamo notizia di tre altri ellenisti bolognesi. Paolo 
Bombace, del quale più innanzi avrò a discorrere a 


(1) Notizie degli scrittori Bolognesi - Tomo III, pag. 235. 

(2) Viridario De Gioanne Philotheo Achillino Bolognese. (In fine) 
« In Bologna per Hieronymi di Plato Bolognese nel MD.XIII», 
a carte COXXXV verso. 


80 MALAGOLA 


lungo, è forse colui che l’Achillini chiamò col semplice 
nome di Paolo; quanto al Volta egli è certo che qui 
l’autore del Viridario alludeva ad Achille Volta, non 
a Cornelio, discepolo di Codro, che forse non conobbe 
la lingua greca. Di questo Achille scrive il Fantuzzi (1): 
« st distinse non meno co’ suoi voli e consigli legali che 
con l'erudizione greca, onde ebbe molto grido fra’ let- 
terati ». Di Ludovico Ghisilardi niun’ altra memoria, che 
fosse dotto nel greco ci rimane, fuori di questo verso, il 
quale però è confermato dall’ autorità di Romolo Ama- 
seo, che lo chiamò « /etteratissimo in Umanità (2) ». 
Intorno a Pirro Vizzani, letterato assai dotto, non 
può cader dubio, nè sull’ essere stato bolognese, nè sul- 
l'avere avuto conoscenza del greco. Dell’ una e dell’al- 
tra cosa ci sono prova le sottoscrizioni « Pyrrus Vizanus 
Bononiensis » da lui apposte ad alcune versioni che 
aveva trascritte e le note, che a queste aggiunse del 
proprio, che trattavano sì del latino e sì del greco (3). 


(1) Notizie degli scrittori Bolognesi - Vol. VII, pag. 215. 

(2) Sebbene Gabriello Simeoni nei suoi Amori e Luigi Contarini 
nell’Aggiunta al Giardino Istorico, e con essi anche il Fantuzzi ( Not. 
degli scrittori Bol. Vol. VII, pag. 341) abbiano creduta bolognese 
la celebre Alessandra Scala (amata dal Poliziano, che le indirizzò 
vari epigrammi greci, a cui essa con altrettali rispose), io non posso 
tuttavia annoverarla fra i grecisti bolognesi, non arrecando nè il 
Simeoni, πὸ il Contarini, nè il Fantuzzi alcuna prova delle loro as- 
serzioni, la quale possa in qualche modo contrapporsi alle testimo- 
nianze degli scrittori che con buon fondamento la dissero fiorenti- 
na. Anzi questi tre autori non per altro forse l’ hanno creduta di 
Bologna, che per aver saputo che nella nostra città esisteva una 
famiglia Scala, della quale fioriva nel secolo XIII il chiaro giure- 
consulto Federico, chiamato da Bartolo « Magnum Doctorem anti- 
quum Bononiensem ν. 

(3) Fantuzzi - Notizie degli scrittori Bolognesi - Vol. VII, pag. 201. 


- 


DI A. URCEO CODRO - 81 


Scrive il Fantuzzi (1) che Ulpiano Zani fu «erudito 
qualmente nelle lettere latine e greche ». Ma non aven- 
do egli lascigto nulla che ci mostri quanto conoscesse 
queste ultime, e sapendo noi che la maggior parte del 
sto tempo spese negli studi legali e nei publici uffici, è 
da sospettare che, se pure ne fu erudito, non potesse 
però averne una profonda conoscenza. 

Ben altrimenti dee dirsi di Giovanni Achillini (nato 
nell'anno 1466) che, secondo il costume di quei tempi, 
avendo assunto il sopranome di Y':/oteo, venne poi sempre 
chiamato Giovanni Filoteo. Fu versatissimo nelle let- 
ere greche e latine, eloquente oratore e poeta di molto 
nome a’ suoi giorni, ed amante della musica e delle 
antichità, delle quali teneva in sua casa una non pic- 
cola raccolta. Di lui sono qui da notare le « Collettanee 
Greche Latine e vulgari » per la morte di Serafino Aqui- 
lano, stampate da Caligola Bazaleri nel 1504, dove rac- 
colse anche componimenti in greco. 

Ornamento preclarissimo di Bologna in questo se- 
colo fa senza dubio anche Filippo Beroaldo iuniore, 
discepolo nel greco del nostro Codro, e che già a 26 
anni, dal vecchio Beroaldo, sopra ricordato, era detto: 
«graecam latinamque linguam bene callens ». Nei versi 
dei Flaminii si leggono questi di Giovanni Antonio al 
giovane Beroaldo: 

« Clari progenies colenda patris, 
Gentis praecipuum decus Latinae, 
Sermonis patri potensque Graîii, 
Clarorum specimen Virum, Philippe 


ΝΕ (2) » 
——T—_—_6m__———_—t—m 
(1) Notizie degli scrittori Bolognesi - Vol. VIII, pag. 251. 
E (2) Marci Antonti, Ioannis Antonii et Gabrielis Flaminiorum 
Orocorneliensium Carmina — Prati, Typis Raynerii Guasti - 
6 


82 MALAGOLA 


———  ———————_ ——_—_rr___——— —r _——_—_—_—_—_— 


Sebbene ci sia rimasta una sola versione dal greco 
fatta da lui, l’orazione di Isocrate a Demonico (1), essa 
è tuttavia un monumento assai onorevole del suo sa- 
pere nella lingua greca. Questo basti per ora intorno 
al giovane Beroaldo, del quale in altro luogo dovrò 
parlare più a lungo. Egli sarebbe l’ ultimo dei grecisti 
che fiorirono in Bologna nel secolo XV, se a quelli non 
fosse da aggiungere, come io penso, il celebre Giovanni 
Calfurnio e il celeberrimo Nicolò Copernico. 

Giovanni Calfurnio fu dottissimo nel greco e nel 
latino, ed a ragione chiamato dal Becichemo nella pre- 
lezione « în Plinium »: « Calphurnium illum Rhetorem, 
graece latineque tam eruditum, tam praestabilem, tam, 
ut temporibus priscis, ecacellentem, cui puer operam 
dedi neque usquam a senis lalere iuvenis discessi ». 
Sono ben note le questioni tra il Calfurnio ed il Regio, 
che cercò in ogni guisa di vituperarlo. Nelle sue « Con- 
clusiones et questiones in nonnullos errorum cuiusdam 
Calfurnii Bestiae (2) », il Regio narra del suo nemico 
questo fatto : 


MDCCCXXXI, a pag. 454. Il Flaminio mostra qui di credere il 
iuniore Beroaldo figlio del seniore. Ma che non gli fosse figlio, ma 
solo congiunto, dimostrerò nel capitolo VII. 
(1) In 4.°, senza nota di stampa. 
(2) Nell’ opuscolo che ha nel frontespizio: 
« Raphaelis Regii epistolae Plynii: qua libri naturalis histo- 
riae Tito Vespasiano dedicaniur: enarationes. 
Eiusdem de quatuor Persti locis: uno Valerii marimi: duo- 
bus Tullii de officiis: ac tribus oratoriis quistionibus disputatio. 
Eiusdem de quibusdam Quintiliani locis cum quodam 
Calfurnio dialogus. 
Eiusdem loci cuiusdam Quintiliani ac eius Ciceronis ad 
Atticum epistolae: cuius initium est: Epistolam hanc convicio 
efflagitarunt codiciliî tui: enarratio ». 


DI A. URCEO CODRO 83 


« Cum enim pater tuus et Carbonariam fecerit 
el furnorum ferri fundendi caleficiendorum curam 
semper habuerit, credebam te ei /qui te genuit, aut, 
educavit, ac ut bonis artibus institueris nullis parcens 
impensis, suumque saepe numero vel necessartis de- 
fraudans genium, omni diligentia curavit) aliquid 
gratiae referre, memoriamque ipsius artifici ἰδία no- 
minis a calefaciundis furnis declinati arrogatione ae- 
lernilali conmendare voluisse. Sed cum Calfurnium per 
ph aspiratum, ut Graecum nomen scribendum asseras, 
video te ut in reliquis, sic in hoc quoque in patrem 
marime impium semper fuisse. Is enim cum ardore 
lui videndi, quem senectuti baculum columenque sibi 
praeparatum esse putabat, Bononiam usque ubi tunc 
quoque degebas paedagogus, ex alpibus Bergomatum 
pedes ivisset, ac quum sibi magistrum Zaninum [sic 
enim antea in patria vocabaris)] indicaret, invenire 
neminem possel, tandem casu tibi obviavit; ac cum 
dextram iungere dextrae, teque et amplexari et ob- 
sculari palerna cuperet caritate, tanta impietate absle 
fuit repulsus, ut eum mnolueris agnoscere parentem, 


L'opuscolo si compone di 38 carte non numerate, compresa 
l'ultima che è bianca. A' piedi del retto della penultima carta sta 
impresso «..... rogat Gulielmus Tridenensis cognomento Anima mia: 
cuius opera hoc opusculum Venetiis fuit descriptum Principe Augu- 
stino Barbadico decimo Calendas Iunias. MCCCCLXXXX ». È in for- 
mato di 4.° 1] passo, che sopra riferisco, del Regio fa parte del- 
l'opuscolo secondo. Anche nell’ intestazione del terzo il Calfurnio è 
ugualmente onorato del titolo di Bestia. A tanto giungevano l’ira 
e la pazza superbia degli umanisti. 

Debbo le notizie di questa edizione, rara oltremodo, al chiaris- 
simo bibliofilo signor professore Andrea Tessier, uno dei Soci della 
Regia Commissione pei Testi di Lingua. 


84 MALAGOLA 


_—————< 
--- 


neque ullis blandiciis ullisve precibus, aut cuiusque sa- 
cerdotis exhortationibus adduci potueris, ut în occulto 
saltem cum ipso colloquereris. Omnem igitur spem, 
quam în te infelix pater collocarat, abiicens, domum 
tristis admodum rediit, ut cum a vicinia tota quidnam 
ageret magister Zaninus rogaretur, barbare quidem, 
sed tamen non inepte: Nescio ego, respondit, quid agat. 
Sed iam non Zaninus, sed Scalfornius nominatur, et 
quidem me bene scalforniavit, hoc est magnopere de- 
cepît. Montani namque Bergomates Scalfornias dece- 
piiones atque fallacias dicunt. Ita non minus în patrem 
quam în patriam quam impudentissime es aspernatus, 
ingratum impiumque te praestitisti ». Quantunque di- ‘ 
versi scrittori, che ci dipinsero il Calfurnio come uomo 
di buoni costumi, rendano molto sospette di falsità le 
parole del Regio, accecato dall'ira, io non mi posso 
però indurre a crederlo così poco prudente, da aver 
scritto che il Calfurnio fu a Bologna, e come precet- 
tore, se mai neppure vi fosse stato. Pertanto non esi- 
terei a porlo fra i grecisti che nel XV secolo abitarono 
nella nostra città, nella quale però dovè tener scuola 
privatamente, perchè il suo nome non si legge sui 
Rotuli del publico Studio. 

Che Nicolò Copernico abbia dimorato in Bologna 
dal 1496 al 1500 proverò in altro luogo del mio lavoro; 
qui mi basta ricordare, dovendo anche di questo tener 
discorso più innanzi, la traduzione fatta’ da lui delle 
lettere di Teofilatto Simocatta locrese, impressa già 
quattro volte, e della epistola di Lisia ad Ipparco, due 
volte stampata. Fra le moltissime note scritte dal Co- 
pernico nel margine di diversi libri già posseduti da lui, 
e che ora si custodiscono nella Biblioteca di Upsala in 
Isvezia, farò menzione soltanto delle innumerevoli anno- 


DI A. URCEO CODRO 85 
tazioni che di sua mano si veggono sopra un’ edizione 
del dizionario greco-latino del Crestone, le quali sareb- 
he utile che vedessero interamente la luce. 

VI. Per quanto dissi fin qui può ognuno persuadersi 
come anche la nostra Bologna abbia avuto nel secolo XV 
uomini di non commune dottrina nelle lettere greche; 
tuttavia credo di potere asserire (e sarei lieto se altri 
mi cogliesse in errore) che nella nostra città, la quale 
diede i natali a quel Francesco da Bologna che fece per 
Aldo i punzoni delle lettere greche, e a quel Pellegrino 
Pasquali che impresse in Venezia nel 1485 gli « Erote- 
mata » del Crisolora, il secondo dei libri greci stampati 
in Italia, non siasi messo in luce fino al secolo scorso 
alcun libro in lingua greca. Nella « Biblioteca Portatile » 
dell'Arvood, tradotta ed accresciuta dal Boni e dal Gam- 
ba (1), si trova descritto un libro con queste parole: 


« APOLLONII PERGAZI DE SECTIONE RATIONIS, & 
Frid. Commandino, Gr. et Lat. fol. Bonon. 
1566 ». 


Ma intorno a questo libro non posso altro che ripetere 
ciò che già scrissero il Boni ed il Gamba, averne cioè 
inutilmente fatto le più diligenti ricerche, ed aggiungerò 
che in nessuna delle opere bibliografiche da me consul- 
tate lo trovai indicato. 

Or chi consideri che esiste invece la versione del- 
l'opera «Conicorum» di Apollonio Pergeo, tradotta bensì 
dal Commandino e stampata appunto in Bologna e pre- 
cisamente nel 1566, sarà fortemente tratto a sospettare 


(1) Degli autori classici sacri profani greci e latini.... Parte Pri- 
ma — Venezia a spese di Antonio Astolfi M. DCC. LKXXXI, pag. 175. 


————__————————_—_—_——_——— È___—_—_—________——_—>b 


86 MALAGOLA 


che l’Arvood abbia errato nel riferire il titolo. Per 
questo non οἱ è lecito additare quella edizione « De Se- 
ctione » etc. come la prima fatta in caratteri greci a Bo- 
logna; la traduzione del libro « Conicorum » è poi affatto 
priva del testo greco. 

Neppure posso dire che lo contenga l’ edizione del- 
l’opera « De Sublimitate » di Longino, che nello stesso 
libro dell’Arvood si dice stampata « Graece et Latine », 
colla traduzione di Carlo Manolessi, nel 1664, nella 
nostra città. Se questa edizione fu così veramente ese- 
guita, essa sarebbe il primo libro greco impresso in Bo- 
logna; ma non lo posso affermare, non essendomi stato 
possibile averne precisa notizia, nè potendo prestar fede 
senz’ altro all’Arvood. Il primo libro adunque stampato 
in greco nella nostra città, che io potei osservare, è 
l'edizione del libro di Didimo Alessandrino (1) «De Tr: 
nitate », stampato in 4.° da Lelio Dalla Volpe nel 1769. 

Esso ha in principio una lettera dedicatoria del 
Mingarelli al Cardinale Flavio Chigi, poi un « De Didy- 


(1) Eccone il frontispizio: 


DIDYMI' 
ALEXANDRINI 
DE 
TRINITATE 
LIBRI TRES 
NUNC PRIMUM 
EX PASSIONEIANO CODICE 
GRAECE EDITI, 

LATINE CONVERSI AC NOTIS ILLUSTRATI 
A. Ὁ. IOANNE ALOYSIO MINGARELLIO 
BONONIAE 
TYPIS LAELII A_VUL- 
PE)(M.DCCLXIX}{ 


————_——y —  _——— — - ————————— P———_——_— -— 


DI A. URCEO CODRO 87 
mo Commentarius », dopo il quale incomincia il primo 
libro « De Trinitale », che leggesi nel testo greco nella 
colonna, sinistra, tradotto in latino nella destra. Dopo la 
fine del terzo libro trovarsi un'Appendice, seguita dai 
«Veterum de Didymo Testimonia », con che ha termine 
ll viume. Se ne conserva un esemplare nella Biblioteca 
della nostra Regia Università. 

Se però Bologna non mise in luce alcun libro gre- 
co, ch'io conosca, prima del secolo XVIII, essa tenne 
del resto un luogo molto onorevole fra le città dove nel 
secolo XV furono stampate traduzioni dal greco. Fra 
queste, rispetto al tempo, la bolognese del 1472 di Tolo- 
meo, occupa l'ottavo posto; il decimo l’altra di Diodoro 
Siculo, stampata in quel medesimo anno. Tornerà utile, 
lo credo, nominar qui brevemente, anno per anno, tutte 
le traduzioni dal, greco stampate in Bologna nel secolo 
XV, delle quali mi fu dato avere contezza, perchè 
anch’ esse ci porgono indizio dello studio che si facea 
del greco in Bologna. 

Le due prime sono quelle della Cosmografia di 
Claudio Tolomeo, e delle istorie di Diodoro Siculo, or ora 
ricordate, di ciascuna delle quali abbiamo un esemplare 
nella nostra Biblioteca Universitaria; dell’ ultima anche 
uno nella Comunale. La prima, tradotta in latino da 
Giacomo D' Angelo, riveduta da Girolamo Manfredi, da 
Pietro Boné, da Galeotto Marzio e da Cola Montano, 
ed alla quale « emtremam, emendationis manum impo- 
suit Philippus Broaldus » è assai nota ai bjbliografi, 
essendo stata illustrata da un dotto opuscolo di Barto- 
lomeo Gamba (1), col quale provò doversi ritenere stam- 


(1) Osservazioni su la edizione della Geografia di Tolomeo fatta 
in Bologna colla data del Μ΄. CCCC.LXII . esposte da Bartolomeo 
Gamba — Bassano - M.DCC. XCVI . 


88 MALAGOLA 


pata nel 1472, non nel 1462, come erroneamente si 
legge nella sottoscrizione, che è la seguente: 


« Hic finit Cosmographia Ptolemei impressa 
opera dominici de lapis ciuis Bononiensis 
ANNO . M. CCCC. LXII. 

MENSE IVNII . XXIII 
« BONONIE » 


La traduzione delle istorie di Diodoro, stampata nel- 
la nostra città pure nel 1472, è quella di Poggio Brac- 
ciolini, senza nome di stampatore, onde non sono con- 
cordi intorno ad essa i bibliografi. Per noi basta cono- 
scerne la data e il luogo di stampa, che sono espressi 
così: 


4« BONONIAE IMPRESSVM . MCCCC7Z » 


Vi è aggiunto « De situ moribus et populis germaniae » 
di Tacito. Se ne trova un esemplare nella Biblioteca del 
Comune -di Bologna. 

La terza traduzione dal greco, per ordine di tempo, 
uscita in Bologna, è quella citata dal Panzer ne' suoi 
« Annales Typographici » (1), che contiene la versione 
latina di 25 sermoni di Giovanni Crisostomo e che ter- 
mina con queste parole: 


«€ M. cccc. Lxxv. Die duodecimo Maii . Ex 


officina Baldaseris Azzoguidi civis Bononiensis, » i 


Il Graesse, nella sua opera bibliografica « Trésor de 
livres rares et précieux (2) », cita un’ edizione: « Aesopus 


(1) Annales Typographici ab artis inventae origine ad annum 
MD — Norimbergae - 1793 - 1803 - vol I, pag. 207. 
(2) Dresde - Rudolf Kuntze - 1859 - 1867 - vol. 1. 


DI A. URCEO CODRO 89 


- Fabulae - Bononiae - Ugo Rogerius 1486 în 4." », e 
la dice rarissima. Io non ne ho potuto vedere esemplare 
e per questo ne ho riportato la descrizione del Graesse. 
Non voglio lasciare di far qui menzione del rarissimo 
libro impresso nel 1488 da Ugo Ruggeri: « Aristotelis 
propositsones universales, item Averrois, Senecae, Boe- 
ti, Platonis et Apulei » in caratteri gotici, e dell'altro 
in rotondi fatta nel 1491 da Bazalerio Bazaleri: « Re- 
perbrium Dictorum: Artstotelis: Averoys:- Alorvmve 
Philosophorum », compilato da un Andrea Vittori bolo- 
gnese, che lo dedicò al suo maestro Girolamo Tostini da 
Fiorenzuola, allora professore di filosofia nel nostro stu- 
dio. Questi due libri, sebbene sembri che abbiano qual- 
che relazione colle traduzioni, non si posson però com- 
prendere fra queste, onde io li ho qui appena accennati. 

« Herodiani Historiae de imperio post Marcum 
libri octo e graeco translati Angelo Politiano inter- 
prete » è il titolo di un volume assai prezioso, che si 
conserva nella nostra biblioteca universitaria e che fu 
impresso da Platone de’ Benedetti nel 1493 /« pridie 
Kalendas septembres Bononiae »). Fu altresì quivi ri- 
stampato un mese dopo /« pridie Kalendas octobris ») 
da Bazalerio Bazaleri e intitolato ad Andrea Magnani. 
Se ne trova un esemplare nella nostra Comunale Biblio- 
teca. 

Il Panzer registra pure ne' suoi Annales (1) l’ opu- 
scolo di Dione Grisostomo « De Regno », impresso da 
Platone de’ Benedetti nell’anno 1493, tradotto da Fran- 
cesco Piccolomini, dedicato dal traduttore’ al Principe 
Massimiliano I, figlio dell'Imperatore e Re di Germania 
Federico III della casa d' Habsburgo. 


(1) Annales Typographici etc. - Vol. T, a pag. 227. 


90 MALAGOLA 


Nello stesso anno 1493 uscirono in luce nella nostra 
città le favole di Esopo, voltate in latino, con la sotto- 
scrizione: 


« Impressum Bononie per Platonem de Benedictis. 
Anno domini nostri. M.cccc. Lxxxxm. die ΧΥῚ aprilis. 
LAVS DEO » 


L’anno dopo le stesse favole uscirono in luce in italia- 
no, tradotte da Accio Zucchi da Sommacampagna, in- 
sieme con la versione latina, in un opuscolo ornato di 
molti intagli in legno, in fine del quale si legge la se- 
guente sottoscrizione : 


« (ID Qui finisse illibro chiamato Iso 
po impresso ne lalma & inclita cita 
de Bologna ne lo edificio da carta 
dela illustrissima madonna Zeneura 
sforcia de bentiuogli: per maestro 
Hercules nani sotto al diuo & illu- 
stro signore misser Giouanni benti- 
uoglio sforza di uesconti da ragona 
ne lanno del nostro signore misser 
Iesu Christo. MccccIxxxxmi.a di 
xx. de Febraro. Laus Deo. Finis ». 


Anche di questa edizione possiede un esemplare la 
Biblioteca del Comune di Bologna. La medesima tradu- 
zione, impressa già in Verona nel 1479, fu ristampata 
nello stesso anno 1493 anche in Venezia « per Manfre- 
dum de Monteferato ». 

L' Orlandi nelle « Notizie degli scrittori Bolognesi », 
discorrendo, a pag. 51, di Andrea Magnani, già men- 
zionato, nomina una versione, fatta da costui, del testa- 
mento di Ciro Re di Persia, dedicata a Giovanni II 


DI A. URCEO CODRO 91 
Bentivoglio, e l’ indica siccome impressa in Bologna nel 
1494 da Platone de’ Benedetti. Io non potei vederne 
esemplare alcuno, e perciò convien che mi limiti a farne 
questo breve ricordo. 

Una versione delle vite de' filosofi di Diogene Laer- 
zio, fatta da Benedetto Brognolo e che si trova, come 
la precedente, nella Comunale di Bologna, fu stampata 
in questa città con la sottoscrizione: 


« Impressum Bononiae per Iacobum de Ragazonibus 
Anno domini. M.ccccIxxxxv. die . xxx . Marci. » 


Benedetto d’ Ettore nel 1497 stampò in un volume 
in folio la versione di Leonardo Bruni dell’ operetta 
« De Liberalibus Studiis et ingenuis moribus » di San 
Basilio, e quella dell’ altra operetta dello stesso santo 
« De invidia », voltata in latino da Nicolò Perotti. 

Dalla stessa officina e in quello stesso anno 1497 
uscì in luce la traduzione degli opuscoli di Censorino, 
di Cebete, di Luciano, di Epitetto, di Basilio e di Plu- 
tarco da Filippo Beroaldo il vecchio, editore, offerta al 
suo discepolo Bartolomeo Bianchini. 

Noterò da ultimo che il Panzer (1) registra la se- 
guente edizione senz’ anno, ma però del secolo XV, in 
4°: « Isocratis Orationes Duae E Graeco In Latinum 
Verse Quarum Prima Reges Altera Subditos Docet », 
cioè quella dell’ amministrazione del Regno, e l’altra che 
s'intitola Nicocle, « interprete Michaele Chasserio Bo- 
snensi episcopo ». In fine si legge: « Impresso in Bo- 
logna per Joanne Antonio de benedicti ». La città di 
Bologna può adunque vantare da sola venti edizioni 


(1) Annales Typogr. Vol. IV, pag. 254 - N. 309. 


92 MALAGOLA 

di versioni dal greco nel secolo XV, quantunque il Didot 
nel suo libro (1) mostri di averne conosciute solamente 
quarantatrè stampate in quel tempo in tutta l’ Italia. 

Da ciò che si è detto, mi pare che chi riguardi 
con animo sereno le cose, abbia a convincersi come 
nel secolo XV gli studi del greco fiorissero nella no- 
stra non meno che nelle altre città d' Italia. Trattando 
io in questo lavoro di Antonio Urceo, che morì nel 
1500, potrebbe sembrare che nel presente capitolo non 
mi dovessi estendere al di là di questo tempo, tuttavia 
reputo necessario proseguire le mie ricerche sino alla 
metà del secolo XVI, perchè se in quei cinquant'anni 
fiorì grandemente l’ ellenismo nella città nostra, ciò si 
deve al molto studio del greco che notammo essersi 
fatto in Bologna nel tempo precedente. Per questo adun- 
que continuerò ancora il mio discorso sino circa all’ an- 
no 1550 e non più, essendo noto come in Italia questi 
studi cominciassero allora a decadere, anzi, scriveva il 
Giovio ne’ suoi Elogi, «..... literae non latinae modo 
cum pudore nostro, sed graecae et hebraicae in eorum 
terras (dei tedeschi) fatali commigratione transierunt ». 

Mi sia lecito notare in questo luogo, che gli studi 
del greco in Bologna dovettero anche godere il favore 
di Giovanni II Bentivoglio, che proteggeva le lettere 
le arti e le scienze in ogni maniera, e a cui erano fa- 
migliari il Puteolano, 1᾿ Urceo, il Garzoni, il vecchio 
Beroaldo, ed Andrea Magnani, dei quali tutti ho già 
tenuto parola. Non sappiamo se egli esaudisse i voti 
del nostro Codro, che in un suo leggiadro epigramma 
lo esortava ad accogliere i dotti greci che esulavano in 
Italia, portandovi tanto tesoro di antica dottrina: 


(1) Opera citata. Vedi a pag. XLII, XLIV e XLV. 


DI A. URCEO CODRO 93 


« Graecia Romanae mater iam splendida Linguae, 
Squalida nunc, aedes exulat ante tuas. 
Te precor, illustris Princeps, hanc collige: fas sit 
Huic sub Bentivola membra levare domo. 
Sic tibi, qui patriam tectis et moenibus ornas, 
Aspiret dextro laeta tonante Venus ». 


Ma seguitiamo nel modo tenuto sin qui, e cioè di- 
cendo dei greci che allora furono nella nostra città, dei 
professori che v'insegnarono lettere elleniche, dei bo- 
lognesi e forestieri che qui le coltivarono, e delle tra- 
duzioni da questa lingua che vi furon stampate. 

VII. Tre greci soltanto, per quel che m’è noto, di- 
morarono nella prima metà del XVI secolo in Bologna: 
un Nicolò, Gioviano Grecolino e Pietro da Egina. Dei due 
ultimi, che insegnarono la propria lingua nello Studio, 
dirò a loro luogo; noto ora solamente che Nicolò Greco 
(siccome è nominato nei Rotul) tenne cattedra di Logica 
nell'anno scolastico 1513-1514. Ma la nostra attenzio- 
ne si dee singolarmente fermare sopra i professori di 
greco, e sugli altri dotti che in Bologna sino alla metà 
di quel secolo splendido conobbero questa lingua. 

VII. Facendomi dai primi, noi troviamo occupata 
questa nobile cattedra ‘da Gioviano Grecolino or or men- 
zionato, che la tenne dal 1500-1501 a tutto il 1505-1506. 
Ai 12 settembre del 1500 i Sedici Riformatori unani- 
memente con loro Partito ordinarono: « quod rotuletur 
lulanus Graecolinus ad beneplacitum ad Retoricam 
et Poesim et ad lteras Graecas quas legat în Scholis 
publicis, et eas Domi doceat cum salario librarum 
Centumquinquaginta bononenorum (1) ». Con altro Par- 


(1) Archivio del Reggimento - Partitorum. Vol. XI, pag. 190 
terso. 


94 MALAGOLA 
tito dei 28 maggio 1506 Gioviano ottenne che gli fosse 
pagato intieramente lo stipendio del 1505, e nello stesso 
tempo questo gli fu accresciuto di altre cinquanta lire 
annue. 

A Gioviano Grecolino successe nella cattedra di 
greco il bolognese Paolo Bombace nel 1506, il quale 
l’anno prima era stato lettore di Retorica e Poetica. 
Egli tenne lezioni di lingua greca nello Studio e in sua 
casa, secondo che apprendiamo dai Rotuli (dove è se- 
gnato « Ad litteras Graecas quas legati in Scholis Pu- 
blicis et tllas etiam Domi Doceat »), sino al 1510 inclu- 
sivamente, nel quale anno, essendosi recato ai bagni di 
Siena per riavere la sanità, trovò al ritorno, occupata 
la sua cattedra da Pietro Ipsilla da Egina, cui era 
stata conferita, al dir del Bombace, « graeco cusdam 
non homini sed stipiti demandata ». Così egli scri- 
veva il 21 decembre del 1511 ad Erasmo di Rotterdam, 
l'amicizia del quale, come pur quella di Aldo Manuzio 
ebbe famigliarissima; anzi quest'ultimo cercava di farlo 
passare a Padova, giacchè in Bologna «nihil nisi tur- 
bulentum οἱ luctuosum videtur (1) ». Se dobbiam cre- 
dere al Valeriano (2) egli « lalinas graecasque literas 
Neapoli summa cum laude publice professus est ». È 
certo che il Bombace fu Segretario del Cardinale Lo- 
renzo Pucci; che da Clemente VII venne creato Segre- 
tario Apostolico, e che morì nel sacco di Roma, ucciso 
dai soldati del Borbone. 

Sino dal 1507-1508 fu dato compagno al Bombace, 
forse in causa della malferma salute di questi, Achille 


(1) Lettera inedita del Bombace ad Erasmo, citata dal Fantuzzi 
nell’ opera: Notizie degli scrittori Bolognesi - Vol. II, pag. 280. 
(2) De literatorum infelicitate - Lib. I, pag. 283. 


DI A. URCEO CODRO 95 


Bocchi che insegnava nei giorni festivi. L'anno 1509 
fu accresciuto ad Achille il salario, in riguardo, io cre- 
do, delle due opere di lui, l’Apologia di Plauto e la tra- 
duzione della vita di Cicerone, scritta da Plutarco, en- 
trambe a’ suoi giorni stimatissime. Ben gli portò maggior 
frutto il primo libro delle Storie di Bologna, che com- 
pose e presentò ai Senatori Bolognesi, i quali con loro 
Partito dei 23 decembre 1517 (1) gli aumentarono l’ an- 
nuo stipendio da 145 a 250 lire «..... Et hoc fecerunt 
altento quod ipse Dominus Achilles promisit prosequi 
dictos annales, sive chronticas Bononienses usque în pre- 
sentem diem, et usque dum vizerit et per totum tem- 
pus vitae suae ». Inoltre gli fecero dono di 25 ducati 
d’oro, e lo dispensarono dall’ obligo d’ intervenire cogli 
altri lettori nelle publiche scuole, sotto condizione però 
che ogni anno presentasse al Senato un libro di detta 
Storia. Intorno alla quale, nel secolo scorso, Eustachio 
Manfredi, richiesto del suo parere, scriveva ai Senatori 
Assunti dell' Istituto: « .... La lalinità della medesima mi 
pare molto tersa ed elegante e che corrisponda al per- 
fetto gusto del secolo, în cui è stata scritta.... Ma al- 
l'incontro », aggiungeva, « stimo mito debito di rife- 
rire alle Signorie VV. Il. ed Eccelse în ordine alla 
sostanza dell'Istoria che.... si narrano molti fatti anti 
chi, e connessi coll’ istoria universale de’ tempi, con tal 
minutezza di circostanze, talvolta ancora inverosimili, 
che fanno ragionevolmente sospettare che l autore le 
abbia aggiunte del suo, non potendosi imaginare qual 
sorta di documenti abbia avuti di tante particolarità, 
delle quali niente si legge negli istorici che hanno 


(1) Archivio del Reggimento - Vol. XV, Partitlorum a pag. 128 
rello. . 


—_—_—@& 


96 MALAGOLA 


scritto în que' tempi, 0 vicino a que’ tempi (1) ». Il 
Bocchi fu creato Cavaliere Aurata e Conte Palatino e, 
ancor vivente, vide coniate diverse medaglie con la pro- 
pria effigie. Oltre le opere che ho ricordato, scrisse 
cinque libri « Symbolicarum Quaestionum » (2), dove 
si leggono, sopra il simbolo centoquarantanovesimo, dieci 
versi in greco, gli unici che del Bocchi ci sieno rimasti. 

I professori di lingua greca, nominati finora, ten- 
nero lezione nei giorni festivi; non così Pietro Ipsilla 
da Egina, valentissimo ellenista, che successe, come 
accennammo, al Bombace e che insegnò dal 1510-1511 
sino al 1526-1527, mentre Achille Bocchi, il quale dal 
1507-1508 al 1510-1511 occupò la stessa cattedra, e 
in quest’ ultimo anno contemporaneamente all’ Ipsilla, 
leggeva nei dì festivi. Nel Senato di Bologna ai tre di 
ottobre del 1510 (3) «..... per viginti fabas albas et 
duas nigras obtentum fuit quod Conducatur et Rotu- 
letur D. Petrus Aegineta Graecus ad lecturam Grae- 
cam diebus continuis οἱ ordinartis », e gli fu assegnato 
il salario in duecento lire di bolognini ai 14 d'aprile 
1511 (4); ed accresciuto l’ anno appresso di altre 100 


(1) Lettere Inedite di Uomini Illustri Bolognesi publicate da Car- 
lo Malagola — Bologna - Presso Gaetano Romagnoli - 1875 - Vol. I, 
pag. 150-153. , 

(2) Achillis Bocchi Bonon. Symbolicarum Quaestionum de Vni- 
verso Genere Quas Serio Ludebat Libri Quinque....... Bononiae - In 
Aedib. Novae Academiae Bocchianae. MD.LV. in 8.5 pag. 341. Fu- 
rono ristampati nel 1574: Bononiae Apud Societatem Typographiae 
Bononiensis. 

(3) Archivio del Reggimento - Partitorum Vol. XIV, pag. 82 
recto. 

(4) Archivio del Reggimento - Partitorum Vol. XIV, pag. 98 
recto. 


DI A. URCEO CODRO 97 


€... veluti concessum sibi fuit a Reverendissimo Do- 
mino Vicelegato Archiepiscopo Avinionensi (1) ». Tut- 
tavia non pare che di fatto egli percepisse allora quello 
stipendio, perocchè i Quaranta, con loro decreto dei 7 
aprile 1525, «..... attendentes quanta assiduitate et dili- 
gentia eruditus literarum graecarum professor ἢ). Pe- 
trus graecus Aeginela tam annos XVIII vacaverit el 
adhuc vacet lecturae graecae, ad quam conductus est 
cum salario librarum Centumquinquaginta bononeno- 
rum, ct volentes cum aliquo ulteriori praemio prosequi 
meritis eius ita exigentibus, per viginti fabas albas et 
, duas nigras auxerunt eidem salarium suum hutusmo- 
di per summam librarum quinquaginta..... (2) » 

L’ Egineta insegnò da solo la lingua greca nell’ an- 
no 1510-1511 (3); e nel 1513-1514 ebbe a compagno 
Gian Battista Gamberini (4) di Lucca, detto Filarete, 
del quale nelle Collettanee raccolte dall’Achillini in morte 
dell’Aquilano si legge un componimento greco (5) che 
qui voglio riferire: 

Βαπτίστης Φιλαρέτης 
λουχένσις 

᾿Ολλυμένου ϑάνατον Σεραφίνου χλαύσετε μοῦσαι, 

Ὃσ γε ϑανὼν χατέπαυσε χοροιτυπίας χαὶ ἀοιδᾶς. 

Τοῦδε λάας χίϑαρις, σῆράς τε καὶ οὔρεα ϑέλγε, 


(1) Archivio del Reggimento - Partitorum Vol. XIV, pag. 153 
retto, in data dei 20 novembre 1512. 

(2) Archivio del Reggimento - Partitorum Vol. XVI, pag. 157 
verso. 

(3) I Rotulo del 1511-1512 non si trova. 

(4) Nei Rotuli è detto semplicemente Gian Battista Filarete da 
Lucca, ma il suo cognome trovasi in un Partito dei 29 ottobre 1509, 
registrato nel volume XIV. Partitorum, a pag. 38 verso. 

(5) Trovasi a pag. 93 retto e 93 verso. 


98 MALAGOLA 


Ἵστα καὶ ποταμούς εριδούπους καὶ φυτὰ σύρε 
Πέμπε δ᾽ ἀπὸ γλώσσης γλυχερῆς ἤδειαν ἀοιδήν, 
Θαύμαζον δ' ἄρα πάντες ἑὴν μελίγηρυν ἀοιδήν. 
Τοῖσι δ᾽ ἀχόντεσσι ἀπὸ βλεφάρων φύγεν ὕπνος. 
Τίς δὲ λυγρός δαίμων Σεραφίνου ἀπωλέτ᾽ ἀγαστόν. 
Ὅντε βροτοὶ φιλέεσχον καὶ σεοὶ οὐρανίωνες: 
Πάντες γὰρ μολπῶν ἀυλών τε γανώματι χαίρον, 
Μοῦσαι γὰρ φίλεον xat πᾶσαΐ μιν δϑεοειδῇ 

Xai πόρον οἵ μελίγηρ᾽ ἀοιδήν, αὐτὰρ Axim 
"Ὥπασεν οὗ βουλήν, φρένα καὶ νοῦν σωφροσύνην τε, 
Χάλλος δ᾽ αὖ Κυϑέρεια πόρεν, σύριγγα δ᾽ ᾿Απόλλων. 
᾿Αλλά γε μὴ σήχαις ζητῆς Σεραφίνον ἀγαστόν, 
Σώμα μὲν ἔστι γέη, τοῦ δ᾽ ἄμβροτος οὐχ ἔτι ϑυμός 
Ἐν σήκησι, Scots οαἰλλ᾽ ἀνανάτοισι μετῆεν. 

Χερσὶν ἔχων φόρμιγγα λάβεν πόλον ἀστεροέντα. 


Dal 1518-1519 sino al 1522-1523 insieme coll’ Egi- 
neta insegnò il greco Pietro da Val di Taro eletto, col 
seguente partito, ai 12 di decembre del 1517: «... Con- 
templatione R. Domini Laurentii Cardinalis de Cam- 
pegio, Concesserunt erudito Iuveni Domino Petro de Val- 
detarro, qui literas graecas profitetur, unam lecturam 
graecam ad concurrentiam Domini Petri de Aegina 
graeci; cui constituerunt libras centum bononenorum 
pro salario huiusmodi lecturae quolibet anno..... (1) ». 
L'Egineta insegnò di nuovo da solo negli anni 1522-1523 
e 1526-1527; poi nel 1527-1528 gli successe Sebastiano 
Delio Durantino che occupò quella cattedra nei due anni 
scolastici 1527-1528 e 1528-1529. Nel codice N.° 142 
della nostra Biblioteca Universitaria, nel quale si conten- 
gono lettere di Romolo Amaseo, di cui avrò a parlare più 
innanzi, l’antipenultima e la penultima (in data dei 31 
febbraio e dei 30 aprile 1538) sono dirette al Delio, e sap- 


(1) Archivio del Reggimento, Partitorum Vol. XV, pag. 125 retto. 


DI A. URCEO CODRO 99 


piamo da esse come questi fosse stato allora designato 
Vescovo di Bitonto in terra di Bari. Pel quale onore otte- 
nuto, l'Amaseo gli scrive aver preso incredibile letizia: 
« Primum quod te dilexi, quod si fortasse, quod te 
scilicet mei olim amantissimum iniquorum et impro- 
borum commentitij sermones abalienarunt, haec causa 
minus tibi probatur, illa certe non levis omnino videri 
debet, quod communibus literarum et honestissimarum 
quarumque artium studijs, quae uirique nostrum codem 
prope consilio et tudicio ab ineunte aetate coluimus 
honorem esse habitum, et tuam non literatissimi tan- 
lum, sed probissimi etiam hominis viriutem el merita 
ornata atque honestata pro ture quodam meo mihi 
videor gaudere debere.... (1) ». | 
Dopo il Delio ottenne la cattedra di greco Barto- 
lomeo Faustini, modenese, ellenista di molto nome, 
che insegnò da solo nel 1529-1530 e nel 1530-1531, 
poi con Stefano Salutati da Pescia sino al maggio del 
1533, nel qual mese, il dì 21, fu da ignoti sicari pro- 
ditoriamente ucciso. Romolo Amaseo, nell’ orazione che 
compose in lode del Faustini e di Teodoro Garisendi, 
mostrò sommo dolore per la loro morte, giacchè egli 
li aveva allevati fino dai più teneri anni con tal cura, 
da non distinguerli quasi dai proprii figliuoli. E venen- 
do a parlar del Faustini singolarmente, dopo averlo esal- 
tato con molte lodi, esce in queste parole: «..... enuncia» 
bat tum latina tum graeca tam soluto orîs sono, tam 
dulcîi et splendida voce, caque actionis venustate, ul ad 


(1) Questo codicetto cartaceo in 8.° ha nel retto della prima 
pagina il titolo seguente, in carattere del secolo scorso: « Lettere di 
Romolo Amaseo a Varii parte Latine, e parte volgari - Originale 
dell'anno 1535 all'anno 1540 ». Vedi a pag. 79 e 80 non num. 


100 MALAGOLA 


hoc scholasticum dicendi genus natum et facium omnes 
iudicareni, neque ad perfecti Interpretis laudem quid. 
quam ei, praeter prolixiorem quamdam lectionis uber- 
tatem, quam pro summo eius studio ac vigilanita ma- 
ximam aetatis progressio fuerat allatura, deesse vide 
batur ». Del Faustini anco fece menzione, fra altri sco- 
lari dell’Amaseo, il Goyneo nell’ orazione scritta in lode 
di questo celebre bolognese, dicendo: «..... in prémo 
suae juventutis flore cum omnium Bononiensium exter- 
norumque hominum admiratione et studio publice Bo- 
noniae graecas lileras professus est; quem nisi nobis 
mors iniqua et immatura praeripuisset, vidisses, ut 
arbitror, quantum eloquentia et sapientia possint Ro- 
mul Amasei discipul ». 

Stefano Salutati, dopo avere insegnato il greco due 
‘anni in compagnia del Faustini, l'insegnò da solo nel 
1533-1534, nel 1534-1535 e nel 1535-1536; e nell’anno 
1536-1537 fu sostituito dal celebre fiorentino Ciriaco 
Strozzi, filosofo peripatetico, professore nel nostro Studio 
sino a tutto il 1542-1543, dopo il quale anno passò ad 
insegnar la filosofia peripatetica a Pisa, dove poi venne 
a morte nel 1565. Tra le opere che egli lasciò, basti 
ricordare il supplemento che fece in greco e in latino 
al 9.° e 10.° libro della Poltica d’Aristotele, che fu ac- 
colto con plauso dai dotti e accrebbe grandemente la 
fama dello Strozzi, e che suole unirsi alle edizioni della 
Politica. 

Per la rinunzia dello Strozzi la lettura di greco fu 
assegnata a Pompilio Amaseo, figliuolo di Romolo e 
lettore di Retorica e Poetica, il quale la tenne dal 
1543-1544 sino all’ anno scolastico 1585-1586 inclusi- 
vamente, dal che siamo indotti a ritenere, contro quello 


DI A. URCEO CODRO 101 


che scrisse il Fantuzzi (1), esser morto Pompilio o sul 
finire del 1585 o prima dell'ottobre 1586. L’ Huezio 
nel suo libro « De Interpretatione » (2), seguito poi dal 
Baillet (3), accusa il nostro Amaseo di non aver cono- 
sciuto perfettamente la lingua greca, ma Paolo Ma- 
nuzio (4), il Giraldi (5), il Casaubono (6), Bartolomeo 
Ricci (7), Sebastiano Corrado (8) ed altri del suo secolo 
tennero contraria sentenza. L' Amaseo tradusse e fece 
stampare nel 1543 due frammenti del VI.° libro delle 
Istorie di Polibio. Inoltre si conserva nell’ Ambrosiana, 
fra altre opere inedite di lui, un « Pompilti Amasaei 
in Polybii de Macedonum Romanorumque Armatura 
Commentarius »; diversi discorsi di Polibio sopra la 
disciplina militare, dall' Amaseo tradotti in italiano; ed 
una parte dei libri II e III di un’opera che ha per ti- 
tolo: « Delle Considerazioni di Pompilio Amaseo sopra 
i Discorsi di Polibio e della Disciplina militare de’ Ro- 
mani ». Finalmente in Roma nella biblioteca Ottobo- 
niana trovasi questo manoscritto: « S. Patris Nostri 
Joannis Chrisostomi Constantinopolis Archiep. de Sa- 
cerdotio. Liber primus. Pompilius Amaseus vertit » 


(1) Notizie degli Scrittori Bolognesi - Vol. I, pag. 203. Lo dice 
morto nel 1584. 

(2) Petri Danielis Huetii de Interpretatione libri Duo — Parisiis 
1680, a p. 166. 

(3) Zugemens des Scanvans sur le principaua ouvrages des Au- 
theurs — Paris - 1685 - Tomo II, pag. 400. 

(4) Epistolarum Pauli Manutii libri XII, uno super addito — 
Ven. Apud Aldum 1580 - Lib. VII, ep. 1, pag. 359-361. 

(5) De poetis nostrorum temporum - Dial. II, pag. 413. 

(6) Presso Baillet: Iugemens des Scavans - Tomo III, N. 842, 
pag. 401. 

(7) De Imitatione - Lib. II, pag. 28. 

(8) Vita di Cicerone intitolata Quaestura. 


102 MALAGOLA 


in fine del quale si legge un « Index Graecarum di- 
clionum, quorum significatio in vertendo subtiliter per- 
petenda fuit ». 

Insieme con Pompilio nel 1543-1544 fu eletto alla 
cattedra di greco Pirro di Achille Bocchi, e la tenne, 
contemporaneamente a lui, sino al 1550-1551. Pompilio 
Amaseo dava lezioni nei giorni festivi, il Bocchi invece 
negli altri. Questo basti dei professori di greco nello 
Studio di Bologna sino alla metà del secolo XVI. 

IX. Sono senza dubio da porre fra coloro che sep- 
pero il greco i professori del nostro Studio che tennero 
la cattedra « Ad Philosophiam graecam et latinam », 
e quelli « Ad Medicinam Graecam et Latinam ». Noi 
troviamo costituito nella prima di queste Costanzo Cla- 
retti de’ Cancellieri di Pistoia, autore della traduzio- 
ne del « Philopseudes » di Luciano, impressa nella nostra 
città nel 1505, con una sottoscrizione in cui il Claretti 
è qualificato per « Artium et Medicinae dociorem in 
Bononiensi Gymnasio Philosophiam Graece Profiten- 
tem », dalle quali parole ognuno intende come da que- 
sta, e conseguentemente dall'altra delle predette catte- 
dre, le lezioni si dessero in lingua greca. Della quale 
dovè il Claretti avere più che ordinaria perizia, se nel- 
l'Atto della sua laurea, che trovasi nei libri del Collegio 
Medico-Filosofico bolognese (1) e che gli fu conferita nel 
1505, si volle notare: « Magister Constantius Claritti 
de pistorio Juvenis certe et graecis et latinis eruditis- 
simus 26. februarij doctoratus fuit In utraque censu- 
ra a collegio nostro..... » Nello stesso anno furono stam- 


(1) Trovasi nel « Libro Segreto del Collegio (di Medicina e Fi- 
losofia) dall'anno 1505 a tutto 1575 incl. », che si conserva nell’Ar- 
chivio Arcivescovile di Bologna. 


DI A. URCEO CODRO 103 


pati sette suoi sonetti nelle CoMlettanee in morte di Se- 
rafino Aquilano, raccolte da Giovanni Filoteo Achillini. 
Nella cattedra « Ad Medicinam graecam et lati- 
nam » apprendiamo dai Rotuli esser stato lettore nel 
1505-1506 il bolognese Chiaro Francesco de’ Genuli, 
alias Fontana, laureato in Filosofia e Medicina nel nostro 
Studio ai 28 di giugno 1498, e ai 13 del mese successivo 
ascritto al Collegio di quella Facoltà, nella quale ottenne 
una cattedra di Logica (che occupò sino al 1504), donde 
passò a quella di Medicina ed Anatomia. Fu anche Pro- 
fessore di Filosofia sino al 1524, nel quale anno morì il 
giorno 31 d'ottobre, e fu sepolto nella chiesa di San 
Domenico ove gli fu scolpita questa marmorea iscrizione, 
che, ora in parte consunta, leggesi in quel chiostro: 


DOCTORI ARTIVM ET MEDICINAE CLARO 
FRANCISCO GENVLO BONONIENSI GRECAM ET LATINAM LINGVAM 

FEO HACTENV8 CALLENTI QVOD VTRAMOVE 
MINERVAM CREDR MIHI PRAECOCI 
MORTE NIMIVM TORQVEAT POSTE- 

RISQVE EIVS ET SIBI LUCIA CONIVX CVM FILIIS 
VIX . ΑΝ. L. DEFVIT- PRIDIE KALENDAS NOVEMBRIS 
M D XXIV 


Francesco Tissard, nato in Amboise in Francia, stu- 
diò da prima a Parigi, e, frequentate poscia le scuole 
di diritto d’ Orleans, venne in Italia, dove apprese l’ e- 
braico ed il greco nelle Università di Ferrara e di Bolo- 
gna. Nella famosissima « Mater Studiorum » diede opera 
specialmente al Diritto Canonico ed al Civile, in entrambi 
ì quali ottenne dai nostri Collegi la laurea ai 19 di 
marzo del 1506 (1). E molto probabile che qui udisse 


(1) Questo si rileva dal volume membranaceo intitolato: « Pri- 
mus liber secretus Iuris Pont. ab Anno 1377 ad Annum 1528 » e 


104 MALAGOLA 


le lezioni di Gioviano Grecolino professore di greco; 
certamente egli fu amico o discepolo di Gian Battista 
Pio, in lode del quale, allorchè quegli nel 1505 mise 
alle stampe in Bologna le sue « Adnotationes linguae 
latinae graecaeque », scrisse il seguente epigramma 
greco, che trovasi in fine di quel volume impresso 
« die X Ianuarti »: 


Francisci Tisardi Ambacaei Galli. 


Σπουδαῖοι, ἢ αἀχριβώς ζητοῦντες γράμματα, ταῦτα 
Ζητεῖτε σπουδῇ, χερσὶν ἔχοντες del. 

Ἡ βῷλος πάρα νῦν EY, ἧς roy ὑἱμείρεν᾽ ἅπαντες, 
"Ogpa Sumonode χρυπτά περ ὄντα νοεῖν. 

Εἰσὶν ποιχίλαι, εἰσὶν χαὶ μελιγήρυες, εἰσίν 
"Occar ᾿Απόλλωνος" πέμψαμεν οὐρανόϑεν. 

Ἔγραψεν μὲν ὁ βαπτιστὴς μέγας. ᾿Αλλ’ ὄχα μείζων 
Αἰολομόρφους ποῦ τούςδ᾽ ἄρ᾽ ὕφαινε λόγους. 


Dopo aver dimorato in Bologna certamente tutto 
l’anno 1505 e parte 1506, il Tissard, tornato in patria, 


dall’ altro che s'intitola « Acta Collegij Iuris Pont. et Caes. a die 23 
Jan. 1501 ad diem 7 Iunii 1536 », i quali si trovano nell' Archivio 
dell'Antico Reggimento di Bologna. Nel primo di questi, a pag. 183 
retto, leggiamo: 

« Die martis que fuit dies XVII marcij fuit dispensatum cum 
Domino Francisco de tissardis de Anboes (sic) de francia super obstan- 
tibus generalibus et super collatione quia fuit valde parcus (sic) et obti- 
nuit, nemine discrepante, quod posset se doctorari die Iovis proxima. 

Die Iovis que fuit XVIIIImartij prefatus Dominus franciscus fuit 
ecaminatus et habuit duas reprobatorias et quinque aprobatorias, ta- 
men postea collegium dispensavit viva voce quod diceretur nemine di- 
screpante. Promotores (fuerunt) dominus Io. Campegius, qui cum Ins: 
gniuit, et dominus Ludouicus bologninus ». La Dispensatio, o Licentia, 
del Tissard per l' esame di Diritto Civile trovasi a pagina 135 non 
num. del volume sopra citato: « Acta Collegi Iuris Pont. et Caes » etc. 
La Laurea nello stesso Diritto vi è registrata a carte 136 non num. 


DI A. URCEO CODRO 105 


fu fatto professore nell’ Università di Parigi. A lui spet- 
ta il merito di aver portato in Francia l'amore alle 
lettere greche, presso che ignote sino allora colà, e 
di avere eccitato i suoi connazionali allo studio di queste, 
delle quali in un suo discorso, intitolato « Paraclesis », 
deplorò che non fosse in Parigi una scuola. Nè pago a 
ciò, volle altresì provvedere di libri greci la sua patria, 
giacchè quelli che dovevano farsi venire dall’ Italia co- 
stavano assai. Egli pertanto, coi tipi del Gourmont, man- 
dò in luce in Parigi nel 1507 il primo libro in greco 
che siasi stampato in Francia, e che ha nel frontespizio 
«In hoc volumine contenta Alphabetum graecum, re- 
gulae pronunciandi graecum, sententiae sepiem sapien- 
tum, opusculum de invidia, aurea carmina Pytagorae, 
Phocilydae poema admonitorium. Carmina sibyllae eri- 
threae de judicio christi venturo. Differentiae vocum 
succinta traditio — Operoso huic opusculo extremam 
imposuit manum Aegidius Gourmontius, integerrimus 
el felicissimus primus, Duce Franc. Tyssardo Amba- 
coco, graecarum literarum Paristis impressor, anno 
domini MCCCCCVII. Pridie Idus Augusti ». 

| La prefazione del Tissard ci fa sapere quali difficol- 
tà abbia egli dovuto superare prima di giungere a dar 
fuori questo libro, sebbene di sole 14 carte in quarto. 
Pur tuttavia egli nello stesso anno 1507 e per gli stessi 
tipi, publicava in Parigi, ornati di sue prefazioni, la 
Batraconiomachia di Omero (8 ottobre); le opere e i 
giorni di Esiodo (5 novembre) e la grammatica greca del 
Crisolora (7 dicembre). E forse pure in quell’anno, o 
almeno nel seguente, uscivano le opere di Teocrito e 
la Leandride di Museo, che non portano indicazione di 
data, stampati nell’ officina del Gourmont per cura del 
Tissard. Il quale, seguendo l'esempio di Aldo, avrebbe 


106 MALAGOLA 

certamente dotato la Francia delle opere degli autori 
greci, se la morte, poco dopo il 1508, non avesse tron- 
cato una vita così preziosa. Questo illustre francese, 
tanto benemerito delle lettere greche, dee dunque an- 
noverarsi fra gli alunni del nostro celebre Studio. 

È pure da nominare fra i grecisti del XVI secolo 
che furono in Bologna, anche il celebre Nicolò Leoni- 
ceno, che nella nostra città nell’anno 1508-1509 lesse 
Medicina e Filosofia in lingua greca nei dì festivi, sic- 
come consta da un partito del Senato dei 28 settembre 
1508 (1) e dal Rotul degli Artisti di quell’anno. Egli 
fu condotto a leggervi per un quadriennio collo stipen- 
dio di 400 lire annue (2); ma poichè troviamo segnato 
il suo nome solamente nel Rotulo dell’anno scolastico 
1508-1509 (3), possiamo credere che per quel tempo sol- 
tanto si fermasse nella nostra città. Per la fama nelle 
lettere greche è ben più noto ai nostri giorni che per 
quella nella medicina, ma godè a’ suoi tempi e dell’ una 
e dell'altra grandemente. Pertanto nel 1522 dal Giu- 
dice dei Savi di Ferrara ‘ebbe incarico di tradurre in 
latino le opere di Galeno con 400 lire annue di prov- 
visione, senonchè, essendo egli allora in età quasi de- 
crepita, non potè soddisfare al desiderio dei ferraresi. 
Abbiamo però alcuni scritti di Galeno tradotti da lui 
prima del 1522. In lingua italiana traslatò, fra le altre 
opere greche, la storia di Dione Cassio e ì dialoghi di 
Luciano che si hanno alle stampe, e la storia della 
guerra gotica di Procopio, che si ‘conserva manoscritta 
nella biblioteca Ambrosiana. 


(1) Partitorum, Vol. XXIII, pag. 129 retto. 
(2) Vedi l'Appendice VII, Doc. 1. 
(3) Vedi l’Appendice VII, Doc. 2. 


DI A. URCEO CODRO 107 


Al Leoniceno ora dobbiamo aggiungere Corrado 
Muth nato in Homburg, città dell’ Hassia, nel 1471 e 
valente assai nelle lettere latine e greche. Egli, fatti i 
primi studi, insieme con Erasmo, sotto il rinomato isti- 
tutore Alessandro Hegio a Deventer, e proseguitili nel- 
l'Università di Erfurt, dove nel 1492 fu graduato Mae- 
stro in Arti e dove pare che anche insegnasse, risoltosi a 
venire in Italia, si condusse a Bologna negli ultimi anni 
del secolo XV, e vi ottenne forse la laurea nelle leggi 
intorno il 1502. È molto probabile che nella nostra città 
coltivasse ancora gli studi letterari, egli che ne doveva 
diventare il più ardente propagatore in Allemagna. In 
Bologna ebbe intrinsichezza col vecchio Beroaldo e con 
l’Urceo (dei quali udì forse le lezioni), con altri profes- 
sori dello Studio, ed eziandio con Battista Mantovano, 
poeta latino assai facondo. Mentre era in Italia conob- 
be Pico della Mirandola ed ebbe occasione di stringere 
amicizia con alcuni di coloro i quali, sebbene non pu- 
blicamente, disapprovavano però la corruzione della chie- 
sa, come ci fa noto in una sua lettera ad un Giovanni 
Burckhard a Roma, in data « Ex Bononia Καὶ. Iunîis 
A. C. 1502 ». Morì in Gotha nel 1526. 

Ora veniamo a dire di Erasmo di Rotterdam, il 
quale, dopo di essersi laureato in Teologia nell’ Univer- 
sità di Torino ai 4 di settembre del 1506, secondo il 
documento scoperto nel giugno dello scorso anno dal 
professore Danna, dovè certamente portarsi subito a 
Bologna, ove sappiamo che si trovava quando vi fece 
il suo ingresso Giulio II, cioè agli 11 di novembre del 
1506 (1). Ik documento ricordato ci dà cagione di creder 


(1) Nel I. vol. « Liber secretus Iuris Canonici etc. » troviamo 
questa memoria a pag. 183 verso: « die XI novembris (1506) fecit în- 


108 MALAGOLA 


falso ciò che molti sin qui hanno scritto, avere cioè 
Erasmo nel nostro Studio dato opera alla filosofia; quindi 
io penso si debba ritenere piuttosto che tra noi desse 
opera al greco ed alle leggi. Posso però assicurare che 
in Bologna egli non prese alcuna laurea, poichè πὸ nei 
Libri Secret nè in quelli degli At dei Collegi Legali 
del nostro Studio, nei quali doveva notarsi il nome di 
tatti coloro che s'erano qui addottorati, trovasi quello 
di Erasmo. Quanto poi all’ avere nella nostra città colti- 
vati gli studi del greco, io lo deduco non tanto dalla 
generale opinione de’ suoi biografi, quanto dal fatto del- 
l'avere avuto grande amicizia con Paolo Bombace, pro- 
fessore di questa lingua nella nostra città, del quale ho 
poc' anzi parlato. E questo apprendiamo dalle lettere di 
lui, publicate fra quelle di Erasmo nell’ edizione « Opera 
Omnia », uscita in Leida dal 1703 al 1706. Il Fantuzzi 
nelle Notizie degli Scrittori Bolognesi (1) cita, parlando 
di Paolo Bombaci, cinque lettere di questi ad Erasmo ed 
una ad Aldo che riguardava anch’ essa il celebre rotter- 
damese, le quali a’ suoi giorni erano possedute dal pro- 
fessore Iacopo Tazzi Biancani, e che io (avendole inu- 
tilmente cercate lungo tempo) temo sieno perdute. Nella 
prima di esse, che aveva la data dei 6 aprile 1508, e 
dove erano queste parole: « Invidiae fluctibus tuus agi- 
tur Paulus.... Tuae Tragediae haud ita pridem distrahi 
coeplae fuerunt », sì rallegra che il giudicio che egli ne 


gressum în civitate sanctissimus dominus noster papa iulius 2.48 cum 
maximo triumpho..... » Egli tornò quattro anni dipoi, nella quale 
occasione così notavasi a pag. 16 recto del Libro Secreto del nostro 
Collegio di Arti e Medicina dal 1504 al 1575 (Arch. Arciv.): « Zudius 
secundus... die XXII mensis septembris anni 1510..... cum magna 
pompa et honore.... Bononiam ingressus est.... » 

(1) Tomo II, pag. 280 e 281. 


D. A. URCEO CODRO 109 


aveva dato sia confermato dai dotti. Dalle quali parole 
il Fantuzzi argomenta (cosa non saputa mai) che Erasmo 
abbia scritto tragedie, mentre è da credere, secondo me, 
che il Bombaci alludesse alle due tragedie di Euripide 
che Erasmo aveva tradotto e fatto imprimere da Aldo 
appunto nel 1507. Dalla terza di queste lettere, senza 
data, apprendiamo che Erasmo era per trasferirsi nella 
città di Siena, e da un'altra, pur senza data, che De- 
siderio trovavasi allora in Siena e che seco era Aldo; 
e il Bombace gli faceva noto che il Musuro diceva male 
de' suoi « Adagia » spargendo essere mal tradotti per 
entro ad essi i passi degli autori greci. Beato Renano 
nella lettera premessa all’ edizione delle Epistole di Era- 
smo del 1540 (1), racconta come un giorno, passando 
Erasmo per la piazza di Bologna, con una fascia bianca 
che gli pendeva dall’ omero sinistro trasversalmente, se- 
condo il costume dell’ ordine cenobitico, al quale appar- 
teneva, creduto un medico degli appestati, fu subita- 
mente assalito coì sassì e corse pericolo, se tosto non 
si fosse dato alla fuga, di perdere fors’anco la vita. 
Fu dopo tal circostanza che Erasmo scrisse a Lamberto 
Bruni, Segretario dei Brevi, per ottenere la dispensa 
dai voti, e la conseguì (2). 


(1) Magni Des. Erasmi Roterdami Vita Acceduni Epistolae Illu- 
stres — Lugd. Batavorum - Ex Officina Ioannis Maire - 1642 - 
pag. 28, 29 e 30. 

(2) Non farò qui menzione nè di Alessandro Achillini, filosofo 
celebre, nò del più celebre Pietro Pomponazzi, professori nel nostro 
Stadio, il primo dal 1484 al 1506, poi dal 1508 al 1511, il secondo 
dal 1512 al 1525. Non abbiamo alcuna prova che l’Achillini sapesse 
di greco: il Pomponazzo lo ignorava certamente, se Sperone Speroni 
nel Dialogo delle Lingue racconta che, avendo il celebre autore del 
libro Dell immortalità dell'anima confessato in Bologna a Giovanni 


110 MALAGOLA 


Sperone Speroni ne’ suoi Dialoghi (1) parla di un 
colloquio seguito in Bologna « l’ultima volta che mes- 
ser Lascari venne di Francia in Italia, stando în 
Bologna, ove volontieri abitava ». Nel 1534 il Lascaris 
tornò 1᾿ ultima volta in Italia; ma le parole dello Spe- 
roni ci mostrano che prima, e forse per non breve tem- 
po, egli abbia dimorato in Bologna, e per questo io lo 
ricorderò fra i grecisti che qui furono nella prima metà 
del secolo XVI. E fra essi gli danno diritto ad un luo- 
go principale la magnifica edizione dell’Antologia Greca 
che nel 1494 diè in luce in Firenze, dove anche publicò 
quattro tragedie di Euripide e gli Inni di Callimaco. In 
Roma stampò i poemi di Museo e di Apollonio Rodio; 
scolii all’ Iliade; le Questioni Omeriche di Porfirio ed 
altri antichi scolii sopra sette tragedie di Sofocle. Una 
parte degli epigrammi greci da lui composti si legge 
insieme colla sua traduzione in latino del libro di Poli- 
bio « De Romanorum Militia et Castrorum Metatione », 
impressa a Basilea in 8.° nel 1537. 

Filippo Fasanini, Segretario del Senato Bolognese, 
dottorato in Filosofia nel 1512, aveva un anno prima 
ottenuto una cattedra di Retorica e Poetica, pel valore 
non comune dimostrato nelle lettere greche e latine. 
Questo ancora gli procacciò amici Gian Antonio Flami- 
nio ed Achille Bocchi il quale così lo lodava nelle poesie 
latine intitolate « Lusus »: 


Lascaris di non conoscere il greco, gli fu detto da questi « ..... per 

certo la vostra dottrina sarebbe il doppio et maggiore, et migliore 

che ella non è, se Aristotele et Alessandro (Afrodiseo) fosse letto da 

voi in quella lingua nella quale Duno scrisse et l'altro l'espose ». 
(1) Zn Venetia 1596 - a pag. 120. 


DI A. URCEO CODRO 111 


«....... Idem enim Poeta es, 
Orator bonus Attice et Latine, 
Interpres bonus utriusque linguae. 
Hoc poemata docta sat fatentur, 
Quae nunc mirifico facis lepore. 
Hoc Palephatus ipse, nuper abs te 
Donatus nivea latinitate, 

Qui si vixerit, ambigat profecto, 
Romanus velit, an Pelasgus esse ». 


Le parole « Hoc Palephatus» etc. alludono all’«Opu- 
sculum Palephati scriptoris Graeci de non credendis 
fabulosis narrationibus » che il Fasanini tradusse e diò 
in luce in Bologna nel 1515. Due anni dopo nella mede- 
sima città mise alle stampe un'altra versione col titolo: 
« Hori Apollinis Niliaci Hierogliphica latsinitate dona- 
la», seguìta da una « Declaratio sacrarum Laiterarum 
ex diversis auctoribus ». Morì il Fasanino ai 4 di no- 
vembre del 1531: sino dal 1528, essendo sempre Segre- 
tario del Senato Bolognese, gli era stato concesso di 
poter leggere nel publico palazzo. | 

Anche Angelo Cospi, figlio del Senatore Tomaso, 
fu lettore di Retorica e Poetica e lasciò traduzioni da 
Diodoro Siculo, delle quali due sono alle stampe, impres- 
se a Vienna la prima volta nel 1516 in folio, poi ri- 
stampate nel 1531, nel 1548, nel 1559 e nel 1578 e 
forse anche altre volte (1). Morì in Vienna nel 1516. 

Con Angelo Cospi ebbe molta famigliarità Scipione 
Fortiguerri, rinomato ellenista, che nell’Academia Aldi- 
na (della quale era stato uno dei promotori, e ne ave- 
va redatti in greco gli Statuti) prese il nome di Carte- 


(1) Fantuzzi - Notizie degli Scrittori Bolognesi, Tomo HI, pag. 218. 


112 MALAGOLA 


romaco, grecizzando il proprio cognome. Egli abitava 
nella nostra città forse fino dal 1505, perchè nelle Col- 
lettanee, raccolte e publicate quell’ anno da Giovanni 
Filoteo Achillini in morte di Serafino Aquilano, si trova 
un suo componimento greco; v° era però senza dubio 
nel 1506, quando cioè vi dimorava Erasmo, giacchè 
questi in una lettera a Iodoco Gavero (1), datata da Basi- 
lea, dice d'aver conosciuto il Carteromaco in Bologna, 
e ne loda singolarmente la modestia e la dottrina. Il 
Fortiguerri, che era stato discepolo del Poliziano, pre- 
parò l'edizione di Demostene, publicata da Aldo; la sua 
celebre « Oratio de laudibus literarum graecarum », 
stampata molte volte, si legge anche in principio del 
« Thesaurus linguae graecae » di Enrico Estienne. 

Girolamo Capacelli Gadio fu un Minore Conven- 
tuale di San Francesco, che tenne la cattedra di Filo- 
sofia Morale e Metafisica dall’ anno 1507-1508 fino al 
1529. Egli era dotto nelle lingue ebraica, greca, latina 
e caldaica, siccome ci chiariscono alcuni versi del Casio, 
dettati in quel suo disadorno stile: 


« Hebbe l' esser Hieronimo in Strigonia, 
Et il ben esser dal Ginnasio Hebreo, 
Dal Greco, dal Latino e dal Caldeo, 


- «(Ὁ)» 


Non ci è rimasto di lui nè traduzione nè altro di greco, 
ma i versi del Casio, composti mentre il Capacelli vive- 
va, sono una prova (della quale non abbiamo cagione 
di dubitare) che egli conoscesse questa lingua. 


(1) Desideri Erasmi Opera Omnia - Lugduni Batavorum Cura 
et Impensis Petri Vandi - MDCCIII - Tomo III, colonna 788 in fol 
(2) Libro intitulato Cronica... M.D.XXV.a pag. 70 verso. 


—————- ——— ..-.- 


DI A. URCEO CODRO 1: 


Il più celebre dei grecisti bolognesi di questo secolo 
è senza dubio Romolo Amaseo, che dall'anno scolastico 
1512-1513 al 1520-1521 tenne cattedra di Retorica e 
Poetica. Nel dicembre del 1519 Romolo, per le istanze 
dei Giuristi Ultramontani, fu chiamato a Padova come 
lettore di lingua greca (1) e vi rimase dandosi tutto 
allo studio di quella, della latina, dell’ ebraica e di 
altre. Nel 1524 rimpatriò, pregato dai Bolognesi, e 
nel 1531 fu creato Segretario del Senato, proseguendo 
sempre nella lettura di Retorica e Poetica, che mutò 
con quella di Umanità nel 1538, e tenne sino al 1543, 
nel quale anno si portò a leggere nella Sapienza di Ro- 
ma (2). Di là tornò l’anno dopo, sebbene per poco, alla 
sua cattedra di Bologna, ma nel 1545 da capo si con- 
dusse a Roma, dove morì in sui primi di luglio del 1552. 
Una traduzione dal greco fatta dall’Amaseo in aureo 
latino fu impressa la prima volta in Bologna în folio nel 
1533 da Giovanni Battista Faelli, col titolo: « Xeno- 
phontis de Cyri minoris expeditione Libri VII® Romu- 
lus Amaseus Vertit », traduzione molte altre volte stam- 
pata. Alludendo a questa sua versione, in una lettera in 


=———————.—.—__—P>P—-___——_——_—_——__Òm 


(1) L’EUenismo nello Studio di Padova — Orazione inaugurale 
de’ Corsi Accademici dell’anno 1876-T7, letta nell'Aula Magna del- 
P Università il 16 novembre 1876 dal professore Ordinario di Letiere 
Greche cav. Uff. Eugenio Ferrai — Si legge nell’Annuario della R. 
Università di Padova per l'Anno Scolastico 1876-77 — Padova, Tip. 
di G. B. Randi - 1876 - Vedi a pag. 41. 

(2) Quanto l’Amasseo s'adoprasse al fine di stabilire in Roma 
con vantaggio la propria dimora sappiamo da una dotta memoria 
dell’ illustre Soprintendente degli Archivi Emiliani, prof. cav. Ama- 
dio Ronchini. Trovasi essa negli Atti e Memorie delle RR. Deputa- 
suomi di Storia Patria per le Provincie Modenesi e Parmensi nel Vol. 
VI, Fasc. III, a pag. 275. 

8 


114 MALAGOLA 

italiano della quale non conosciamo l' indirizzo, che ha la 
data dei 14 marzo 1536 e che trovasi nel Codice 142° 
della nostra R. Biblioteca Universitaria, Romolo scri- 
veva: « Intanto susitentate, ui prego, con la benevo- 
lenza et credito vostro esso Xenophonte, non dico quel 
l'Aleniese, ma questo nio meggio barbaro schiavetto 
nato în casa, quale vi sia paruto, et anco con la rac- 
comandatione uostra fate che meglio si possi uendere..... 
μὲ hauete a render certo ch'io contra mia uoglia ho 
dato fora..... il Xenophonte (1) ». L'onore della ristampa 
toccò anche all’ altra versione dal greco fatta dall'Ama- 
seo col titolo di « Pausaniae descriptio graeciae » (2). 
Mi piace ancora ricordar come Romolo nell’ orazione 
che ha per titolo: « Schola I. De ratione οἱ ordine stu- 
diorum » scriva di sè medesimo queste parole: « Cum 
ab undevicesimo anno omne meum tempus tum Patavii 
tum Bononiae in graecae latinaeque linguae auctori- 
bus explicandis consumpserim..... » 

Ora veniamo a Nicolò degli Avanzi, frate eremitano 
bolognese, di un libro del quale ci fu serbata memoria, 


(1) Questa lettera si trova a pag. 28 non num. del detto codice, 
nel quale altre se ne leggono di Romolo, alcune con a lato la versio- 
ne latina. Quella della lettera qui citata in parte, fu prodotta dallo 
Scarselli, nella vita dell''Amaseo stampata in Bologna nel 1769, 
a pag. 59. 

(2) Il Fantuzzi (Notizie degli Scrittori Bolognesi, T.I, pag. 218), 
dicendo delle opere inedite dell'Amaseo, nota come Frate Leandro 
Alberti, a pag. 489 della sua Descrizione d'Italia, scriva aver Romolo 
tradotto in latino Aristotele. Lazzaro Buonamico, parlando del nostro 
Amaseo, termina una sua lettera con queste parole: « Tu velira Xe- 
nophontem meum quamprimum ad me remittas. Aristide autern, et 
Polemone, quamdiu voles, utere, ut tuis ». Per questo il Conte Maz- 
.zuchelli sospettò, e parmi saviamente, che nel testo dell’ Alberti 
s' abbia a leggere Aristide in luogo di Aristotele. 


DI A. URCEO CODRO 115 


al dir del Fantuzzi (1), in un volumetto delle poesie del 
Casio, al quale l'autore avealo dedicato. Il suo titolo, 
che qui riproduco, per essere questo libro l’ unica prova 
che ci rimanga della perizia dell’ Avanzi nelle lettere 
greche, è il seguente: 


€ AMMONITORIO DEL OCCULTO MISTERIO HEBRAICO DA 
SUIDA LIBRO GRECO IN LATINO IN VOLGARE TRADOTTO >». 


A me non fu dato vederne esemplare. 

Che Giulio di Bernardino Caccianemici, bolognese, 
sia da annoverare fra coloro che seppero di greco, pos- 
siamo forse dedurre da un manoscritto in 8.°, in carat- 
tere rosso e nero, del principio del secolo XVI, posse- 
duto al tempo del Fantuzzi, che lo descrisse (2), dall’ il- 
lustre Luigi Palcani Caccianemici. Il detto manoscritto 
conteneva la spiegazione di molte parole e frasi greche 
e latine ed in fine era firmato: « Iulius Caccianem. L 
V. D. Fecit ». Il Fantuzzi (3) opinò che non tutto quello 
che era contenuto nel manoscritto citato fosse da attribuire 
al Caccianemici, non negando però che di lui si debba 
ritenere quella parte che sottoscrisse del proprio nome. 
Questo Giulio fu anche Cavaliere e sostenne onorevoli 
uffici; lesse Gius Canonico dal 1521 per tutto il 1550- 
1551, essendo morto ai 17 di luglio di quest’ ultimo 
anno. Fu in quel tempo in Bologna un altro Giulio 
Caccianemici, figlio di Nicolò, ma poichè non lo trovia- 
mo nominato mai col titolo di Dottore, non può esser 
confuso con quello di cui ora ho discorso. 


(1) Notizie degli Scrittori Bolognesi - Vol. I, pag. 298. 
(2) Luogo cit. Vol. III, pag. 4. 
(3) Luogo cit. 


— -- — ».....;  --...... .-. — 


116 MALAGOLA 


Una interessante Memoria intorno la dimora in Bo- 
logna del famosissimo giureconsulto Andrea Alciato fu 
inserita nell’« Archivio Giuridico » dal Cavaliere Barto- 
lomeo Podestà (1). Da questa sappiamo come il Senato 
Bolognese per mezzo di Evangelista Matugliani, mandato 
appositamente a Milano, ottenesse dall’Alciato, professore 
in Pavia, la promessa di’ venire a leggere nel nostro 
Studio con l’annuo stipendio di 1200 lire, sulle quali 
200 scudi d’oro gli vennero allora sborsate. Ma perchè 
Andrea aveva contratto questo impegno prima di scio- 
gliersi dall'altro che aveva con lo Studio Pavese, poco 
mancò che i Milanesi nol lasciasser partire, nè egli. venne 
a Bologna prima di essere stato citato per tre volte alla 
Ringhiera del nostro Palazzo del Podestà. Il giorno del 
suo arrivo non è certo; anzi dalla detta Memoria solo 
sappiamo che l’Alciato era già in Bologna ai 25 feb- 
ibraio del 1538. Se non che noi possiamo affermare che 
già molto prima egli vi si trovava, poichè abbiamo alle 
stampe l’« Oratio dum Bononiam adscitus esset et coo- 
piatus in locum Paul Parisi, ad publice profitenda 
lura Civilia frequentissimo Conventu III Nonas no- 
vembris 1537 pronuntiata », che trovasi (con altre 
due prelezioni dette a Bologna) nell'edizione delle opere 
di questo illustre giurista stampate in Basilea n foko 
nel 1582 (2). Sebbene i Milanesi cercassero incessante- 


(1) Archivio Giuridico (Bologna - Tip Fava e Garagnani) Vol. 
III, pag. 347 e 480; Vol. IV, pag. 199; Vol. XI, pag. 84. 

(2) Vedine il tomo III, colonne 1051, 1059 e 1063. Un’ altra 
prelezione, che l’Alciato recitò nel 1538 nell’ ocegsione dell’ apertura 
delle Scuole dello Studio, si trova ancora inedita nella nostra Biblio- 
teca Universitaria, dove pure si conserva autografo dell’Alciato un 
« Iuris responsum pro Philippo Bombello contra Sigismundum Mo- 
glio ». 


DI A. URCEO CODRO 117 


mente che Andrea tornasse alla sua cattedra di Pavia, 
egli si trattenne a Bologna fino al termine dell’anno 
scolastico 1540-41. Oltre che nelle leggi era assai dotto 
nella lingua greca e latina, nelle quali aveva avuto 
maestro in Milano Giano Parrasio. In Basilea nel 1829 
fa stampata in 8.° la sua traduzione: « Epigrammata 
selecta ex Anthologia, latine versa », libro ove diede 
un saggio di quanto conoscesse la lingua degli antichi 
scrittori greci, molti brani delle opere dei quali si veg- 
gono da lui riferiti nelle sue opere. 

Debbo pure nominare, fra quelli che seppero di 
greco in Bologna nella prima metà del secolo XVI, Ber- 
nardino Realini da Carpi, del quale scrisse il Tirabo- 
schi (1): « ne 34 anni che visse al secolo, negli studi 
della Poesia e della lingua Greca e di ogni genere di 
erudizione ottenne non poco nome fra î dotti ». Questi 
verso il 1550 passò a Bologna e vi attese allo studio 
della Logica e della Filosofia con animo di dedicarsi poi 
alla Medicina, se non che una giovane, da lui molto 
amata, lo consigliò a studiare le leggi. Morta questa, 
fuggendo egli da Carpi, dove aveva ferito di pugnale 
nella fronte certo Girolamo Galli, ritornò a Bologna, e 
qui ai 3 di giugno del 1556 ebbe la laurea di dottore 
nelle leggi. Recò in Latino l'Odissea di Omero e la 
comedia d’ Aristofane che s° intitola Pluto, traduzioni 
letterali e tuttora inedite, alle quali son da aggiungere 
le postille sopra tutte le opere di Platone e varie tra- 
duzioni d’ alquanti poeti greci che neppure videro ancora 
la luce. 


(1) Biblioteca Modenese. In Modena, MDCCLXX XI-MDCCLXXXVI. 
Tomo IV, pag. 3106. 


---........- 


118 MALAGOLA 


Giovanni Battista Sighicelli, discepolo nelle lettere 
latine di Romolo Amaseo, e nelle greche di Giovanni 
Genesio Sepulveda, è anch'esso da ricordare in questo 
capitolo. Non ci è rimasto alcuna traduzione dal greco 
fatta da lui, ma sappiamo però dal Fantuzzi (1) che tro- 
vandosi in Roma ed essendo conosciuta la sua perizia 
nelle lingue greca e latina, per ordine del Pontefice 
Paolo III corresse gli errori corsi nella publicazione 
delle opere di San Cipriano e per desiderio del Cardi- 
nale Antonio Caraffa emendò Arnobio con molta dili- 
genza ed erudizione, come ne fa fede il Possevino nel 
tomo I.° del suo « Apparatus Sacer », sotto la voce 
«Arnobius ». Il Sighicelli ebbe amicizia con Paolo Ma- 
nuzio; fu Vescovo di Faenza nel 1562 e da Pio III spe- 
dito al Concilio di Trento. Morì in Bologna nel 1575. 

Lodovico Beccadelli, bolognese, apprese le lettere 
greche in Padova, sotto il famoso Benedetto Lampridio. 
Fu segretario di diversi Cardinali, poi Vescovo di Ra- 
vello, Nunzio Pontificio a Venezia, Arcivescovo di Ragusa, 
poscia di Pisa; ed ebbe ad amici i più celebri uomini 
che vivessero a’ suoi giorni, tra’ quali Michelangelo, il 
Caro, il Della Casa, il Gelli, il Sadoleto, M. A. Flami- 
nio, i due Amaseo, il Panciroli, Bernardino Maffei, ed 
altri dei più illustri letterati e prelati. Raccolse una li- 
breria di autori greci, latini e italiani, e tradusse dal 
greco, secondo il Mazzuchelli (2), alcune Novelle di Giu- 
stiniano, di Giustino e di Leone. Da un « Indice dei 
Manoscritti Beccadelliani » della fine del secolo XVI, 

(1) Notizie degli Scrittori Bolognesi - Tomo VIII, pag. 4. 
(2) Così afferma sulla fede di Antonio Gigante, che scrisse una 


vita del Beccadelli, non mai stampata. Vedi « Gli Scrittori d'Italia » 
del Mazzuchelli, Vol. II, Parte II, pag. 580. 


DI A. URCEO CODRO 119 


posseduto dal ch.®° signor avv. cav. Enrico Sassoli di Bolo- 
gna, rilevo che fra essi trovavasi un quaderno ms. (1) col 
titolo: « Etimologie di Vocaboli Italiani - Spiegazione 
d alcuni Vocabuli Turchi, Greci e Gotti », ma esso 
non trovasi nella Biblioteca Nazionale di Parma, ove si 
conserva gran parte dei mss. del nostro bolognese, nè 
ho potuto sapere se ancora esista. 

Anche Giovanni Battista Campeggi, bolognese, giun- 
se a dignità ecclesiastiche cospicue e fu Vescovo di Ma- 
Jorica. Secondo il Fantuzzi (2), « applicossi fin da fan- 
ciullo con tanto calore alle lettere sagre e profane, 
greche e latine, quanio veder ne sogliamo în coloro, 
che faticando il giorno, e la notte vegliando, studiansi 
di uscire dalle estreme indigenze del loro stato, e riu- 
sci però eccellentissimo Oratore e Teologo pari ad 
ogni altro, che avesse credito e nome nella età sua ». 
Null’altro che queste parole ci restano a mostrare che 
il Campeggi. fosse dotto nel greco. 

Da Giusto Nave nel libro « De Laudibus Eloquen- 
liae », è chiamato « un altro Ortensio » il bolognese 
Luca Macchiavelli, dell'ordine dei Servi di Maria e Pro- 
vinciale nella Romagna. L’anno 1565 dal suo Generale 
Faldosio fu mandato a Firenze ad istruirvi i giovani 
nella lingua ellenica e nella latina, e noi per questo 
l'abbiamo qui voluto nominare, quantunque non siaci 
rimasto altro monumento del suo sapere nel greco. 

Ultimo per tempo, non già per merito, fra coloro 
dei quali nel presente capitolo io debbo trattare, è il 
conte e cavaliere Ercole Bottrigari, musico molto cele- 


(1) In quell’Isdice tale ms. porta il N. 31, ed è descritto a pag. 3. 
(2) Notizie degli Scrittori Bolognesi - Vol. III, pag. 36. 


120 MALAGOLA 


bre a' suoi giorni e che nacque nellà nostra città ai 24 
d'agosto del 1531. Sino dalla fanciullezza si diede allo 
studio delle lettere greche, molto probabilmente sotto 
Pompilio Amaseo, che le insegnò in Bologna dalla cat- 
tedra, siccome dicemmo, dal 1543 fino al 1586. Nè stan- 
do pago alla conoscenza di questa lingua e della latina, 
volle apprendere anco l’ ebraica, e divenne altresì ma- 
tematico di molto valore. Per tutti questi studi Tor- 
quato Tasso, il quale gli portò molto affetto, dicevagli 
come, sebbene fuori dalla patria, 


«......, ne' tuoi dolci studi 
Τ᾿ acqueti, ed ora leggi i dotti carmi 
Or misuri la terra, il cielo e l’onde (1) ». 


Tornato a Bologna da Ferrara, dove 8᾽ era tratte- 
nuto quasi undici anni, fino al 1587, per certe contro- 
versie avute coi Ghisilieri (2), e dove fu molto accetto 
al duca Alfonso II, il Bottrigari si diede a raccogliere 
un museo di libri e di strumenti musicali e di ordegni 
matematici, al quale forse (come credette il N. U. cav. 
Enrico Bottrigari in un opuscolo ricco di molte notizie 
biografiche di questo suo illustre antenato (3)) appar- 
tennero quei manoscritti musicali greci, che la biblio- 


(1) Rime - Parte III - Ferrara, Appresso Giovanni Vasalin - 1685, 
pag. 62 verso. 

(2) Cenni Storici intorno la vita del cavaliere Ercole Bottrigari 
e sul bellissimo monumento sepolcrale che dicesi eretto alla memoria 
di lui - (Vedi 1’ Opera: Racconti Storici estratti dall'Archivio crim:- 
nale di Bologna ad illustrazione della storia patria per cura di Otta- 
vio Mazzoni Toselli - Bologna - Chierici - 1866 - Tomo I, pag. 436. 

(3) Notizie Biografiche intorno agli siudi e alla vita del conte 
cavaliere Ercole Botirigari — Bologna Tip. Sassi - 1842. 


DI A. URCEO CODRO 121 


teca della nostra Università acquistò da (Giovanni Cin- 
gari. Questo nostro grecista nella « Aletelogia » (1) scrive 
di sè stesso « ha nella sua copiosa e numerosa libra- 
ria..... quante Poesie sono state fatte da Greci..... » 

Una sola delle traduzioni di Ercole dalla lingua el- 
lenica abbiamo alle stampe, edita da Alessandro Benacci 
in Bologna nel 1572, ed è il « Trattato della Descrit- 
lione della sfera celeste in piano di Cl. Tolomeo (2) ». 
Nella prefazione al suo « Desiderio », edito in Bologna 
nel 1599 (3), il Bottrigari nomina altre sue traduzioni 
dal greco: «..... anco a contemplatione dello stesso Me- 
lone (4) sono stati dal medesimo signor Bottrigaro tra- 
dutti in parlare italiano non solamente gli Armonici 
di Aristosseno e di Tolomeo (quelli ispurgando delle 


(1) Trovasi manoscritta tanto nella Biblioteca del Liceo Musi- 
cale di Bologna, quanto in quella dell’ Università. 

(2) Trattato Della Descrittione Della Sfera Celeste in 
piano di Cl. Tolomeo Alessandrino Dal Sign. Hercole 
Bottrigaro Tradotto in Parlare Italiano, .... Aggiontovi 
Ancho la Ragioneuole confirmatione d'Alcune demostrationi, et 
operationi, Et nel fine tutte l’occorrenti operationi nume- 
rali secondo il puro ei uero senso delle proprie parole dell'Autore, 
postoui non solo per intero ammaestramento di quelle: ma agiusti- 
ficatione de i numeri variati in essa Tradottione — In Bologna, per 
Alessandro Benaccio - MDLXXII. 

+ Notisi che quest'ultima parte, cioè le operazioni numerali etc., 
formano un volumetto con frontespizio a parte; ma la numerazione 
di questo seguita quella del primo. La nostra biblioteca Universi- 
taria ne possiede un esemplare sotto l'indicazione A. IV, G. X. 65, 
ὅ 66. 

(3) I? Desiderio overo de’ σοποογίἑ di varij Strumenti Musicali 
Dialogo del M. Ill. Sig. cavaliere Hercole Bottrigaro: etc, In Bologna 
Appresso Giambattista Bellagamba MDIC. 

(4) Annibale Melone fu Decano dei Musici del Reggimento di 
Bologna. 


122 MALAGOLA 


miglima'‘di errori che si leggono in una traduttione, 
latina del Gogauino (1) e con alcune brevi annotationi 
dilucidandone molte oscurità;..s.. la XIX Divisione de’ 
Problemi di Aristotele; il Sinopsis, ὁ diciam, Compen- 
dio musicale di Psello; la Musica di Plutarco, quella 
di Gaudentio e di Alipio; autori tutti che scrissero în 
lingua greca..... » Queste traduzioni egli aveva dunque 
compiute prima del 1599, dopo il quale anno altre anco- 
ra ne fece, che ci sono rimaste manoscritte (2). Trala- 


(1) La bilioteca del Liceo Musicale di Bologna possiede un pre- 
zioso esemplare, già appartenente al celebre Padre Martini, dell'edi- 
zione, fatta in Venezia dal Valgrisi nel 1562: « Aristoceni Musici 
Antiquiss. Harmonicorum seu musica libri III, Aristotelis de obiecto 
Audilus fragmentum ex Porfirii commentarijs omnia nunc primum 
latine conscripta et edita ab Ant. Gogauino Grausensi ». Questa edizio- 
ne, oltre ciò che è annunziato nel frontispizio, contiene la traduzio- 
ne di un brano del libro dello stesso Porfirio « De decem praedica- 
mentis ». In margine al detto esemplare veggonsi numerosissime 
annotazioni di mano di Ercole Bottrigari, il quale a pag. 47, nella 
carta dove è stampato: « CY. Piolemaei..... Harmonicorum...... 
libri tres nunc primum editi: Ant. Gogauino Grausensi Interprete » 
aggiunse: « et nunc demum summo studio, intensique labore ac vigi- 
tijs ab Hercule Buttrigario Eqv. S. L. A. Aur. mendis innumerabili- 
bus, quibus scatent et penitus fere deformati circumferuntur, expur- 
gati, ad legitimam formam sunt restituti ». A proposito di questa 
traduzione da Aristosseno, qui ricordata, dirò che nella stessa Bi- 
blioteca musicale trovasi un foglietto di carattere del Bottrigari, con- 
tenente la traduzione italiana di un brano del medesimo opuscolo 
di Aristosseno, sopra il quale è scritto: « Aristosseno presso a 4% del 
primo libro degli Elementi Armonici ». 

(2) La Biblioteca della nostra Università conserva, nella 1.2 
delle tre buste dei manoscritti di questo dotto bolognese, un qua- 
derno autografo, dove si contengono due versioni dal greco. La pri- 
ma compiuta da lui (come ci manifesta una nota che egli vi aggiunse) 
ai 14 di gennaio del 1606, ha il titolo: « Dell’Oggetto dell’ Udito ove. 


DI A. URCEO CODRO 123 


scio per brevità di ricordare altre opere, che hanno 
una certa analogia cogli studii del greco, composte da 
questo nostro bolognese, intorno al quale scrisse ulti- 
mamente un dotto commentario il prof. cav. Gaetano 
Gaspari (1), uomo di erudizione singolare nella storia 
della musica, allo scritto del quale, e all'altro, già ricor- 


ro Delle cose udibili Libro frammentato di Aristotele in lingua Ita- 
lana dal Sig. cavaliere Hercole Bottrigaro » (N. 326, Busta I. N. 6), 
la seconda: « Dello Spirito, Libbro di Aristotele, volgarizzato dallo 
stesso Sig. cavaliere Bottrigaro in Bologna MDVI» (N. 326, Busta I. 
N. 6). Della prima di queste due traduzioni possiede un esemplare 
autografo anche la Biblioteca del Liceo Musicale di Bologna. Essa 

‘ conserva ancora, come l’ Universitaria, « Za Epistola di Eratostene 
al Re Tolomeo per La invenzione della Fabbrica et uso dello stru- 
mento Plinto o Mesolabio del cavaliere Hercule Bottrigaro tradutta în 
Lingua Italiana e dal medesimo insiene La sposizione di alcune parti 
di quella oscure e difficili con molti Avvertimenti illustrate » (N. 326, 
Busta II. N. 9). Questa fu terminata dal Bottrigari nella sua villa 
di S. Alberto. La Biblioteca Musicale conserva un opuscolo incom- 
Pleta, di quattro sole pagine, con l'iscrizione: « Alcune parti oscure 
e difficili della epistola di Eratostene al Re Tolomeo........ con ampie 
spositioni illustrata ». Nel 1610 il Bottrigari condusse a termine la 
seguente versione: « Del Commentario di Plutarco Cher. sopra la 
creatione dell’ anina descritta da Platone nel Timeo quella parte La 
quale è pertinente alla Musica Mondana Tradutta in parlare Italia- 
πο...» (N. 326 Busta II, N. 9). Di questo possiede un esemplare 

, manoscritto tanto la Biblioteca Musicale, quanto l’ Universitaria, ma 
in quello di quest' ultima le considerazioni sono in margine. Nomi- 
nerò in fine le « Apparenze Celesti D'Euclide Megarense Matematico 
Chiarissimo. Dal cavaliere Hercole Bottrigaro tradutte in parlar' Πα» 
liano Et con somma dilingenza et Industriosa facilitade demonstra 
tiuamente dichiarate » (N. 326 Busta III, N. 9). 

(1) Dei Musicisti Bolognesi al XVI secolo e delle loro opere a 
stampa, negli Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria 
per le Provincie di Romagna Serie II, vol. II. — Imola - Tip. Ga- 
leati 1877. 


124 MALAGOLA 


dato, del dottore cav. Enrico Bottrigari rimando i lettori 
che desiderassero altre notizie biografiche di questo il- 
lustre uomo. 

Sebbene io mi sia prefisso di non parlare che degli 
ellenisti bolognesi che fiorirono innanzi la seconda metà 
del secolo XVI, io non voglio tuttavia ommettere di 
nominare, in questo luogo a cagione di onore, due don- 
ne bolognesi, dotte esse pure nella lingua dei greci, e 
che vissero poco appresso la metà del secolo decimosesto, 
cioè Costanza Bocchi Malvezzi ed Ippolita Paleotti. La 
Costanza, moglie di Gian Francesco di Giovanni Mal- 
vezzi, fu chiamata dal Negri, ne’ suoi Annali di Bologna, 
«..... uirtuosissima donna figlia del famosissimo Achille 
Bocchi Dottore, pubblico Lettore di Lettere Greche, e 
Latine in questo Studio, che l aueua educata, ed era 
versatissima dell'una e È altra lingua (1) ». L' Orlandi 
scrive che fu « Poetessa perita nelle lingue greca e 
latina; compose versi che potevano andare del pari con 
quelli di Achille suo padre (2) ». Anche il Masini (3), 
per non dire del P. Della Chiesa (4), che ripete quasi 
alla lettera le parole dell’ Orlandi, la loda come donna 
« dotata di belle lettere Latine e Greche ». Però il 
Ribera (5), parlando della dottrina di Costanza si discosta 
alquanto dal Negri, dall’ Orlandi, dal Masini e dal Chie- 
. sa, e sentenzia: « fu mediocremente dotata di belle lei- 
lere Latine Greche e Volgari ». Non sappiamo se il 
Ribera abbia letta nessuna delle poesie greche o latine 


(1) Vol. VII, sotto l'anno 1566. 

(2) Notizie degli Scrittori Bolognesi, pag. 95. 

(3) Bologna Perlustrata, Parte I, pag. 667. 

(4) Teatro delle Donne Letterate - pag. 134. 

(5) Ze glorie immortali delle Donne Illustri - pag. 286. 


DIA. URCEO CODRO 125 


della Malvezzi, a me non fu dato averne traccia e quin- 
di non mi è lecito pronunciare giudizio di questa donna, 
che sappiamo aver destato l'ammirazione de’ suoi con- 
temporanei. Il conte Fantuzzi, giovandosi di quel che 
ne disse il Negri, scrive che Costanza morì nel 1566, 
il che è falso: essa in quell’anno, il primo di luglio, 
per rogito del notaio Alessandro Porzia, revocò i pre- 
cedenti testamenti (1), e viveva ancora ai 12 di marzo 
del 1567, avendo fatto in quel giorno diverse disposi- 
zioni a titolo di legato a favore d' alcuni della propria 
famiglia (2). Il Mazzuchelli, nella sua opera degli Scrit- 
tori d’ Itala (3), ha un apposito articolo sopra questa 
nobile donna bolognese. Costanza Bocchi Malvezzi appar- 
tenne al ramo della famiglia Malvezzi che poi assunse 
anche il cognome de’ Medici, e alla quale in questo se- 
colo accrebbe ornamento un’ altra donna, Teresa Car- 
niani Malvezzi, la celebre traduttrice di Cicerone (4). 
Di Ippolita Paleotti, addottrinata anch’ essa nella 
lingua greca, Giulio Giacomo Casaubono, nell’ orazione 
funebre che le compose (5), ebbe a dire: « Tu ad man- 
suetiores Musas te referens, carmina summa nume- 
rorum ratione, et venustate ad cujuspiam ea antiquis 
Poetis aemulationem, nunc graece elocubrata modula- 


— —— _————& 


(1) Archivio di famiglia dei Conti Malvezzi de’ Medici in Bolo- 
gna - Busta I, N. 36. 

(2) Archivio di famiglia dei Conti Malvezzi de' Medici - Busta I, 
N. 46. 

(3) Vol. II, parte II, pag. 1392. 

(4) Se ne vegga il cenno necrologico, dettato dal prof. F. Rocchi, 
inserto nella Gazzetta di Bologna, N. 31, del 9 febbraio 1859, del 
qual cenno si hanno copie a parte, stampate dalla Tipografia Volpe 
e Sassi nel 1859. 

(5) Stampato in Bologua dal Rossi nel 1581. 


126 MALAGOLA 


ris ». Fu sposa di Paride Grassi, e morì nel 1581. Ben 
può affermarsi che Bettina Sangiorgi nel XIV secolo, 
Costanza Bocchi Malvezzi ed Ippolita Paleotti nel XVI, 
Laura Bassi nel XVIII, e Clotilde Tambroni nel nostro, 
mostrano che in Bologna gli studi delle lettere greche 
non furono privilegio degli uomini soltanto. 

X. Or non mi resta che parlare delle traduzioni 
dal greco stampate in Bologna nella prima metà del 
secolo XVI; fra le quali è da nominare in primo luogo 
quella da Filostrato « De vita Apollonit Tyanei », fatta 
da Alamanno Rinuccini e stampata, per cura di Filippo 
Beroaldo seniore, da Benedetto d° Ettore Faellìi nel 1501. 

L'anno dopo uscì in luce una traduzione di diverse 
operette di Luciano (volume in 8.° che serbasi nella 
Comunale) col titolo: « Opera Luciani Philosophi lu- 
culentissi;mi........ Noui:ter traducta....... », dove si hanno 
in latino gli opuscoli « De veris narrationibus, De asi- 
no, Philosophorum vitae, Scipio, Tyranus, Schaphi- 
dium, Palmurus, Charon, Diogenes, Terpsion, Her- 
cules, Virtus dea, In amorem, Timon, De calumnia, 
Laus muscae ». Porta nell’ ultima pagina la sottoscri- 
zione: « Impressum Bononiae per Alexandrum  Lap- 
pum Anno domini M.cccco mn. die vero τὸ Februarii ». 

Pure nel 1502, « Nonis Aprilis », Benedetto d' Et- 
tore Faelli publicava un opuscolo col titolo: « Orazio 
Isocratis pulcerrima (sic) în qua praecepia a iuvenibus 
observanda continentur », la quale ha nel retto della 
seconda carta e nel verso della terza una lettera dedi- 
catoria di Filippo Beroaldo il giovane a Costanzo Ben- 
tivoglio (1). 


(1) La nostra Biblioteca Universitaria ne possiede due esemplari. 


DI A. URCEO CODRO 127 


Una delle traduzioni dal greco più importanti che 
siansi impresse in Bologna nel 1502, è certamente quella 
delle opere di Senofonte: la Ciropedia voltata in latino 
da Francesco Filelfo; il libro « De venatione » da Ogni- 
bene da Lonigo; quelli « de re publica et legibus Lace- 
daemontorum » e « de Agesilai laudibus » anch'essi da 
Francesco Filelfo; per ultimo l’ « Apologia pro Socrate » 
e l’« opusculum de Tyrannide » da Leonardo Bruni 
d'Arezzo. In questo libro ἐπ folto, che si trova nella 
nostra Biblioteca Comunale, lo stampatore, non senza 
ragione, poneva la sottoscrizione che segue: 


« Haec Xenophontis opera 
Impressit diligenter & e- 
mendate Benedictus 
Hectoris Bononiensis 
Bibliopola Celeberri 
mus & Impressor ele 

gantissimus . Anno 

Salutis . M . DI. 
Calendis Maii 
Bononiae(l)». 


Nel 1505 Giovanni Antonio di Platone de’ Benedetti 
stampò la traduzione, di Francesco Bellasino, del dialo- 
go « De Parasito » di Luciano, del quale autore nello 
stesso anno Benedetto Faelli impresse la traduzione del 


“- 


(1) La nostra Biblioteca Universitaria possiede un esemplare di 
questa edizione. Esso è identico a quello della Comunale, siccome io 
potei constatare, ma nella terz’ ultima linea della sottoscrizione vi 
fu, con poca accortezza, raschiato il millesimo: M . DII. e quindi ma- 
lamente sostituito: MIIID. Questo esemplare si trova ivi contrasse- 
guato: A. V.3 B. VII. 33. 


128 MALAGOLA 


« Philopseudes, sive Apiston », voltato in latino da 
Costanzo Claretti de’ Cancellieri, di cui ho già parlato. 
La prima di queste due traduzioni di Luciano è citata 
dal Panzer (1), l’altra si trova nella nostra Comunale. 

In essa anco si conserva un esemplare dell' edizio- 
ne di Bologna del 1508 dell’« Apologia in Plautum » 
di Achille Bocchi, alla quale è aggiunta la « Vita Cice- 
ronis Avetore Plutarco Nuper Inventa οἱ diu deside- 
rata ». Lo stampatore ne fu Antonio di Platone de' Be- 
nedetti. 

Nella medesima Biblioteca vedesi un esemplare del- 
la prima traduzione degli Inni di Callimaco fatta in 
Bologna, e che devesi a Giacomo Della Croce, il quale 
fecela imprimere nel 1509 nell’ officina di Benedetto 
Faelli. 

Da questa uscì pure in luce nel 1513 la traduzione 
dell’opera « Sttus orbis » di Dionisio il Geografo, scritta 
in esametri da Rufo Avieno e che trovasi nella Comu- 
nale; poi nel 1515 la traduzione di Filippo Fasanino del- 
l'opuscolo « Palaephati scriploris Graeci.... De non 
Credendis Fabulosis narrationibus », e nel 1516 quella 
dei libri di Aristotele « Secretum Secretorum ad ale 
candrum; De Regum Regimine; De Sanitalis conser- 
valione; De phisionomia; De signis tempeslatum, ven- 
torum et aquarum; De Mineralibus »; di quello di 
Alessandro Afrodiseo de « Intellectu » e dell'altro, che 
viene attribuito ad Alessandro il Macedone: « De mira- 
bilibus Indiae ad Aristotelem », a’ quali fu aggiunta la 
traduzione del libro « De Aniîmae beatitudine », e l’ opu- 
scolo di Alessandro Achillini « De Universalibus ». 


r———————++ 


(1) Annales Typografici. Vol. VI, pag. 324, N. 40. 


DI A. URCEO CODRO 129 


Del Fasanini, già citato, abbiamo alle stampe un’al- 
tra versione, ed è quella degli opuscoli di Oro Apollo 
« Hieroglyphica... libelli duo », impressa in Bologna 
in 8.9 da Girolamo di Platone de' Benedetti nel 1516, e 
che termina: « Opusculum hoc latinitate donabat Calen- 
dis septembr. anni . ΜΌΧΥΙ. Philippus Phastaninus, ad 
communem studiosorum utilitatem, qui illud etiam in 
gynasio Bononiensi, dum lectiones suas auspicaretur, 
publice recitavit ». E posseduta dalla Biblioteca Comu- 
nale (1). 

Nell’ anno 1521 Giustiniano da Rubiera vi stampa- 
va in folto il libro, che si vede pur nella Comunale, 
« Uterque divini Platonis Alcibiades, uel de natura 
homiînis », di cui non ci è noto il traduttore. 

Due versioni d' autori greci uscirono in Bologna 
l'anno 1522: dall’ officina di Benedetto ἀ᾽ Ettore Faelli 
gli Aforismi d' Ippocrate, volti in latino dal Nicoli; da 
quella di Girolamo de’ Benedetti le traduzioni, fatte da 
Giovanni Cisinge, sotto il nome di Janus Pannonius, 
delle operette di Plutarco Cheroneo « Quibus modis ab 
inimicis tuvari possimus » e « De Negotiositate »; di 
una delle Filippiche di Demostene, e della « Fabula ea. 


——————_———__—_—o——_—_—_———xmxm 


(1) Questa traduzione dell’ operetta: « Hieroglyphica » fu stam- 
pata nel 1516, ma però non uscì in luce che nel 1517. La qual data 
vediamo nell’opuscolo del traduttore: « Dec/aratio sacrarum litera- 
rum », che segue la menzionata versione da Oro Apollo collo stesso 
registro e colla stessa segnatura, e che ha in fine questa seconda 
sottoscrizione: « /mpressum..... Anno Incarnationis Dominicae 
-MDXVII.». Questo ho voluto notare perchè si emendi l’ errore del 
Panzer, del Graesse e di altri valenti bibliografi che, avendo osser- 
vato soltanto questa seconda sottoscrizione citarono tale opuscolo 
come contenente solo la versione da Oro Apollo, assegnando poi a 
questa la data del 1517. 

9 


180 MALAGOLA 


Homero de Glauci et Diomedis armorum permutatio- 
ne ». In fine di questo libretto si trova una lettera del 
Cisinge a Galeotto Marzio. La nostra Biblioteca Comu- 
nale ha un esemplare della prima di queste edizioni del 
1522, la Universitaria uno della seconda. 

Il Panzer, più volte citato, ricorda (1) anche il libro 
seguente in 8.° « PEDACII DIOSCORIDI Anazerdei, de me- 
dicinali materia libri novem Johanne Ruellio Suessio- 
nensi interprete », in fine del quale si legge: « Bonon. 
in aedi. Cynthii Achillini, mense Juni M.D.XXVI ». 

Se fosse certo che in Bologna sia stato stampato 
il libro, del quale già ho riferito il titolo: « AMMONITO- 
RIO DEL OCCULTO MISTERIO HEBRAICO DA SUIDA LIBRO 
GRECO IN LATINO IN VOLGARE TRADOTTO », che il Fantuz- 
zi sulla testimonianza dal Casio attribuisce a Frate Ni- 
colò Degli Avanzi, e dice impresso nel 1527, esso do- 
vrebbe porsi in questo luogo. 

Nel settembre del 1529, per cura di Giacomo Carpi, 
fu messo in luce in Bologna, dall'officina di Gian Batti- 
sta Faelli, la traduzione delle opere anatomiche di Ga- 
leno col titolo: « Claudii Galeni Libri Anatomici, ni- 
mirum de motibus musculorum Libri Il. Nicolao Leo- 
niceno interprete. Anatomicarum Aggregationum Libri 
IX Demetrio Chalcond. interpr. De Arteriarum ac Ve- 
narum dissectione, Lib. I. Ant. Fortolo interpr. De 
Nervorum dissectione cod. interpr. De Hirundinibus, 
Revulsione, Cucurbitula, cutis concisione seu scarifica- 
lione Ferdinando Balamio Siculo interpr. » etc. (2). 

Un altro raro opuscolo trovasi nella nostra Univer- 


----α--- 


(1) Op. Cit. Vol. IX, pag. 414, N. 143, 
(2) Panzer - Ann. Typ. Vol. II, pag. 388 N. 149. 


DI A. URCEO CODRO 131 


sitaria (1), ed ha nel retto della prima carta questa iscri- 
zione: « Isocratis oratio admonitoria ad Demonicom, 
Stephano Pisciense interprete ad Albitium Adiolam 
Bono. Rainaldi Filium Familiarem et auditorem svom ». 
Fu impresso « Bononiae per Haeredes Hieronymi Be- 
nedicti. Anno Domini. Μ. D. XXX. Die. XXIII. Fe- 
bruarti ». 

Nella stessa Biblioteca (2) trovasi anche quest' altra 
versione °dal greco: « Isocratis Athen. Philosophi Ac 
Rhetoris Orationes Duae vna de imperandi modo altera 
de ratione parendi ad Nicoclem Cypri Regem Stephano 
Pisciense Interprete Ad Fran. Guizardinum Patritium 
Florentinum Bonon. Prole. Gubernatoremque Dignis- 
si.». Sebbene questo opuscolo non abbia indicazione al- 
cuna nè di anno, nè di stampatore, appare tuttavia ben 
chiaramente che esso fu impresso nella stessa officina, 
e forse nello stesso anno, che il precedente. 

Le due publiche biblioteche bolognesi conservano 
l'edizione ὧι folio stampata nella nostra città nel 1533 
« Pridie Nonas Martias » da Gian Battista Faelli col 
titolo: « Xenophontis de Cyri minoris expeditione La- 
bri VII & Romulus Amaseus Vertit ». 

Di Pompilio, figliuolo di Romolo Amaseo, è la ver- 
sione di due frammenti del sesto libro delle Istorie di 
Polibio, intitolata: « De diversis Rerum Publicarum for- 
ins, deque romanae praestantia », opuscolo che può 
vedersi nella biblioteca del Comune di Bologna, impresso 
nella nostra città nel 1543 da Giovanni Battista Faelli, 
in 8.° 


(1) Aula V. Tab, I. H. I. Vol. VII, N. 4. 
(2) Aula V. Tab. I, H. I. Vol. VII, N. 5. 


132 MALAGOLA 


Fatto così il novero di queste traduzioni non vo- 
gliamo dimenticare d’accennare le « Annotationes Lin 
quae latinae gracecaeque conditae per Joannem Bapti- 
stam Pium >», che da Gian Antonio de' Benedetti si 
stamparono ?n folio nella nostra città l’anno 1505. 

XI. Con questo porrò fine al presente capitolo, 
l'argomento del quale porgerebbe materia ad un grosso 
volume. Io spero tuttavia che le notizie che qui diedi 
dell’ ellenismo in ‘Bologna sino alla metà del secolo XVI 
sieno sufficienti a dimostrare, siccome io m° era propo- 
sto, che la nostra città, checchè abbia voluto dirne il 
Firmin-Didot, non restò guari inferiore in questi studi 
alle altre ἀ᾽ Italia. 

Mi sia lecito dunque, riepilogando, ricordare come 
fossero in Bologna nel periodo di tempo da me preso 
ad esame diversi greci che pur dovevano contribuire a 
render più nota la loro lingua, e fra questi mi basti 
citare la Crisolora, ed il Bessarione che tanto vi pro- 
tesse tali discipline. La cattedra di lettere greche, già 
stabilita certamente in Bologna dal 1424, sin da quando 
la teneva il celebre Aurispa, fu una delle primissime isti- 
tuite in Occidente, dopo quella che Firenze, per opera 
del Boccaccio, aveva aggiunta al suo Studio nel 1360. 

Noi vedemmo come la Bolognese fosse molte volte 
occupata non da uno, ma da due professori, e come da 
questa insegnassero, oltre l’'Aurispa, un Andronico Cal- 
listo, un Mario Filelfo, un Urceo, un Gioviano Grecolino, 
un Paolo Bombace, un Egineta, un Ciriaco Strozzi, un 
Pompilio Amaseo; come fra gli altri, che qui pure di 
questa lingua ebbero perizia, si possano ricordare un 
Enea Silvio Piccolomini, un Panormita, un Guarino da 
Verona, un Filelfo, un Perotto, un Gian Battista Gua- 
rini, un Galeotto Marzio, un Giacomo Antiquario, un 


DI A. URCEO CODRO 133 


Collenuccio, un Puteolano, un Cola Montano, i due Be- 
roaldi, un Calfurnio, un Nicolò Leoniceno, un Giovanni 
Lascaris, un Filippo Fasanini, un Scipione Carteromaco, 
un Romolo Amaseo e tanti altri, tra’ quali diversi di 
ellettissimo ingegno, come Tomaso da Sarzana e Andrea 
Alciato fra gli italiani; e fra gli stranieri due dei più 
grandi uomini d’Allemagna: Nicolò Copernico ed Erasmo 
di Rotterdam. Erano usciti dal nostro Studio quel Fran- 
cesco Tissard che portò in Francia l’amore alle lettere 
greche, sino allora presso che ignote colà, e vi stampò 
il primo libro in questa lingua; e quel Corrado Muth, 
che è riconosciuto siccome colui che sparse in Germania 
con infanticabile ardore lo zelo per le lettere elleniche 
e per le latine. 

Finalmente il numero assai considerevole di opere 
tradotte dal greco che si stamparono in Bologna sino 
al 1543, le quali giungono a quasi ottanta, ci dimostra 
come in quel tempo l’ amore alle cose greche fosse nella 
città nostra esteso notevolmente. 

L' Italia fu la prima nazione dove, dopo il risorgi- 
mento dello studio dell’ antichità, fiorirono le lettere elle- 
niche. Quanto abbia giovato ai nostri sommi cinquecen- 
tisti 1᾿ esserne dotti, può ben dimostrarlo, e valga un 
esempio per molti, quel divino ingegno di Ludovico 
Ariosto, al quale niuno vorrà negare 


« Il saper nella lingua degli Achei », 
dopo che il professore Stefano Grosso, nella lettera al 


professore Carducci (1), dimostrò diversi degli epigram- 


(1) Delle Poesie Latine edite e inedite di L. Ariosto, studi e ri- 
cerche di G. Carducci (2.* edizione). Vedi, a pag. 285, la lettera del 
Grosso: Della grecità di alcuni epigrammi latini di L. Ariosto. 


- ---------..  ...  .ς..΄. .-. .--- — e —— ——-. ------.....». ---.»Ἕ..-- —_y&&6 


134 MALAGOLA 
mi latini del grande epico essere una imitazione, altri 
una traduzione, in certe parti ben più che letterale, 
di epigrammi dell’Antologia Greca. 

Nè dee credersi che la cultura delle lettere elleniche, 
tanto estesa in Italia in sul principio del secol d'oro, 
abbia solamente giovato a coloro che le coltivarono e 
ne ebbero direttamente conoscenza; esse, insieme colle 
latine, esercitarono sopra tutta la letteratura un predo- 
minio che giovò a rendere perfette le scritture ammi- 
rate di quel secolo bene avventurato. Ma non solo alle 
lettere apportarono giovamento in Italia questi studi, 
ma altresì alla filosofia pratica e più ancora alla teo- 
rica; poichè quell’Aristotele medesimo, che durante l’ im- 
pero della barbarie fu conosciuto soltanto sotto una 
veste, per così dire, scolastica, che quantunque giovasse 
a mantenerlo vivo, però lo inceppava, quell’'Aristotele 
veramente « maestro di color che sanno », liberato dai 
vincoli della scolastica, divenne il padre della scienza 
moderna e ‘del metodo sperimentale, aprendo la via a 
Bacone ed a Galileo. 

E qui, nel finire questo capitolo mì sembra di po- 
tere francamente affermare che Bologna (alla quale non 
mancò un panegirico in lingua greca (1)) nel secolo XV 


— (1) L’accennato panegirico fu scritto in latino ed in greco da 
Giulio Cesare Guarini, bolognese, il quale, dopo essere stato laureato 
dottore in Filosofia ai 27 di gennaio del 1639 (cioè nell'anno istesso 
in cui diede in luce questo lavoro) fu Lettore di Lingua Greca nel 
nostro Studio l’anno scolastico 1640-1641. L' opuscolo del Guarini 
ha il seguente frontespizio: « FELSINA PANEGYRICUS Illustrissimo 
BONON. SENATVI Vtrag; lingua conscriptus a Iulio Caesare Guarino 
Philos. Doct. Bonon. ». Nell'ultimo foglio si legge: « BONONIAR Typis 
Clementis Ferronij. M.DC. XXXIX.... » La nostra Biblioteca Comu- 
nale ha un esemplare di questa preziosa edizione, che è in formato 


DI A. URCEO CODRO 135 


e nella prima metà del XVI, per rispetto agli studi el- 
lenici, non fu di molto inferiore alle altre città d'Italia, 
dove questi maggiormente si coltivarono, ma duole pur- 
troppo che non fossero poscia fecondi degli stessi effetti, 
il che, a mio credere, è da imputarsi alla mancanza di 
uomini di più che comune ingegno, che la nostra città 
sofferse appunto in quel secolo in cui quasi tutte le 


di 16.° e di 88 pagine, delle quali però solo la metà è occupata 
dal greco. 

È questo il secondo opuscolo, a me\noto, stampato in greco in 
Bologna; ed è singolare vedervi concetti, proprii del seicento, espres- 
si con greche parole; è curioso leggere che Bologna «.... ἐχ τοῦ 
τῶν Τιρῥηνών ἄιματος γεγονυῖα, βασιλικαῖς ἐν ταῖς τῶν γονέων 
ἀγχαλαῖς, παῖς οὖσα χόρη, ἑπτὰ δίετριψε τοὺς atwvag », che 
andò « νιχώσι γαμτδεῖσα Βοῖοις.. .» e che poscia essa: «... τῇ 
Ρώμῃ, ἧς μὲν γινομένης αὐτὴ μαιευτικὴ ἦτο, πρῶτα προσεκ. 
χυνῆσε.. 

Ho detto che questo è il secondo opuscolo stampato in carat- 
teri greci nella nostra città. Il primo ha il titolo seguente: « Com- 
ponimenti Poetici Volgari, Latini, & Greci di Diuersi SOPRA LA 5. 
IMAGINE DELLA BEATA VERGINE Dipinta da San Luca La quale si 
serba nel Monte della Guardia Presso Bologna con LA Ssva HISTO- 
Ria In dette tre lingue scritta Da Ascanio Persij — (Segue lo stesso 
titolo in latino, poi in greco) IN BOLOGNA PRESSO VITTORIO BENACCI . 
ὙΠΟ. ». Questa raccolta consta di 368 pagine in 8.° non compreso 
una incisione in rame che trovasi dopo il verso del frontespizio, 
ma la storia della imagine della B. V. di S. Luca, scritta in greco, 
non ne occupa che 67, alle quali debbon aggiungersi 14 componi- 
menti poetici ed una iscrizione nella stessa lingua. Lo stile della 
Storia in greco è abbastanza pregevole, e tiene dell’ oratorio; la la- 
tina fu ristampata in Colonia nel 1618 da Giovanni Kinch insieme 
con tre vite del Cardinale Nicolò Albergati. Questa edizione bolo- 
gnese in tre lingue è rarissima, nè si trova in alcuna delle due 
biblioteche della nostra città. Io ne posseggo un esemplare. 

Anche il Persii fu professore di greco nel nostro Studio. 


136 MALAGOLA 


altre principali d’ Italia ne abbondavano. Se allora in 
Bologna, mentre γ᾽ erano vive le tradizioni di tanto 
studio del greco, fosser vissuti quei sommi che nelle let- 
tere e in ogni maniera di scienze tanto la resero cele- 
bre nel secolo XVIII, essa non avrebbe forse avuto 
ad invidiare nel secol d' oro niuna -delle altre città. 


DI A. URCEO CODRO 137 


CAPITOLO III. 


Della famiglia e dei maestri di Antonio Ureceo. 


I. Origine della famiglia di Antonio Urceo e del cognome di 
lui. — IL Del sopranome di Codro. — III. Sua nascita; sua educa- 
zione letteraria in Rubiera, in Modena ed in Ferrara. — IV. Se 
in quest’ ultima città ed in Reggio d’Emilia abbia tenuto scuola. 


I. Dopo avere parlato ne’ due precedenti capitoli 
dello studio delle lingue greca e latina in Italia e più 
specialmente dello studio di quest'ultima in Bologna, 
verremo ora a dire dell’ illustre umanista Antonio Urceo, 
la famiglia del quale traeva l’ origine dagli Orzi Nuovi, 
paese del territorio bresciano. E noteremo anzitutto, poi- 
chè nol dissero mai i biografi del nostro, che il vero co- 
gnome della famiglia di lui fu Savoldi, giusta un docu- 
mento, che una volta trovavasi presso l’autore della 
« Minerva Bresciana » (1) Antonio Peroni, che primo 
diede tale notizia. Ben vedo che alcuno, non acquetandosi 
alla affermazione del Peroni, potrebbe obiettare che la 
famiglia Savoldi non sia altrimenti la stessa che quella 
degli Urcei. E sapendo come in Brescia esistesse fino dal 


(1) Quest’ opera si compone di molti articoli publicati prima 
separatamente, poscia raccolti in due volumi (ove le materie sono 
disposte alfabeticamente dalla lettera A alla T), ai quali fu posto 
questo frontespizio: « Biblioteca Bresciana. Opera Postuma di Vincenzo 
Peroni Patrizio Bresciano.... Brescia per Bettoni e Soci MDCCCXVI». 
Ciò che dell’ Urceo scrisse il Peroni, non trovasi nel libro stampa- 
to, ma solo nel ms., che dall'autore fu donato alla Biblioteca Quiri- 
niana di Brescia. 


138 MALAGOLA 
principio del secolo XV una famiglia Savoldi alias de 
Ursis, potrebbe sospettare che questa facilissimamente 
sia stata scambiata con quella del nostro grecista per 
la somiglianza del cognome de Ursîs con quello de Ur- 
cis, e che inoltre, essendo l’una bresciana, l’altra di 
Orzi Nuovi, nulla abbiano di comune fra loro. Ma può 
rispondersi a questo, che tanto la famiglia degli Orsi, 
o Savoldi, quanto quella degli Urcei, portavano anti- 
camente per istemma (1) l'arme del Comune di Orzi 
Nuovi, la qual cosa è indizio certissimo che sì l’ una 
che l’altra provenivano da quel paese, onde si rende 
maggiormente degna di fede la notizia del Peroni. Ben 
è vero che non si potrà provare con documento che 
fossero una stessa famiglia, essendosi perduto 1’ unico 
che era presso il citato Peroni; tuttavia non potrebbe 
alcuno ragionevolmente negarlo, se, rinvenuto quel do- 
cumento, non dimostrasse che esso non vale ad auten- 
ticare nè la provenienza nè la identità delle due fami- 
glie. Quella dei Savoldi era in Brescia fino dal 1434; 
e già dal 1438 un Savoldo Urcei, venditore di tele, 
essendo la città stretta d'assedio da Nicolò Piccinino, 
sostenne, al dir del figlio di lui Lorenzo, « onera et 
factiones eodem tempore el ab inde citra », per la qual 
cosa ottenne l'onore della cittadinanza bresciana (2). E 


°° ..... e — —1 — —- 


(1) Vedi l’ Appendice VIII. 

(2) Nei volumi degli Estm: ed in altri libri manoscritti dell'’Ar- 
chivio Comunale di Brescia troviamo menzione di alcuni della fami- 
glia Urcei, o Savoldi, che vissero innanzi il secolo XVI. Sotto il co- 
gnome di Urcei sono ricordati: 

Nel 1430: « Antonius filius Martini; Andreas garzator; Magister 
Ravanellus ingignerius; Albertinus et Domina Honophria ». Inoltre 
erano in quello stesso anno fra gli « exempti »: « Joanninus in Navi 
et Antonius » della famiglia Urcei. 


- —— ————& _—6@6€m6yT ——- _—————+—_——+—_—_ ———6 "- — — ————————>—@àh@q0_ ————€ 
— ——————  ____ 


DI A. URCEO CODRO 139 


————————-—-rree- — _—& 
———y—y——————_— . ------.-- —————é€é—€--—-——'orc)c_cc<_———nnk2òqmmÈ_———m——__—_—__ 


ciò vien confermato dal fatto del trovarsi segnati fra i 
membri del Collegio dei Medici di Brescia diversi della 
famiglia Savoldi, mentre gli « Statuta Collegii Medico- 
rum Briariae », publicati dal cavaliere Pietro da Pon- 
te (1), prescrivevano, coll’articolo 42.°, che nessuno potes- 


Nel 1434 vivevano; « Antonius quondam Martini; Johannes 
sojarius; Bertolinus scudelarius; Petrus draperius; Andreas; Berto- 
linus fornasarius; Albertinus; Pecinus scarparolus; Petrus caligarius». 

Sotto il cognome di Savoldi troviamo: 

Nel 1438 « Magister Savoldus de Urceis paterius », morto nel 
1475. 

Nel 1486 « Magister Laurentius de Savoldis », figlio di Savoldo, 
secondo che appare da una Deliberazione del Consiglio Generale Cit- 
tadino di Brescia in data del 31 dicembre 1505. Lorenzo morì prima 
del 1547. 

Dopo il secolo XV abbiamo notizia di altri Savoldi. Fra essi 
meritano di essere ricordati un « Dominus Antonius Savoldus Phi- 
sicus » (figlio di Lorenzo sopra menzionato) il quale fu dottorato 
a'22 dicembre del 1511 e che divenne professore nello Studio rino- 
matissimo di Padova. E verso il 1540 fioriva in Brescia quel Giro- 
lamo Savoldi, che studiando pittura più per diletto che. per lucro, 
si acquistò bella fama, seguendo a maniera dello splendido Tiziano. 

Oltre a questi sono da notare un Bernardino Urcei « Commili- 
ton Communis »; un Clemente « habilitatus ad potestarias minores »; 
un « Betonus Bubulens », ed un Pompeo « habilitatus ad vicariatus 
maiores ». Nel 1548 vivevano un Ser Paolo degli Urcei, ed un Ser 
Giacomo, ed anche Antonio e Girolamo figli di Luigi quondam Cri- 
stoforo e Paola, vedova di Paolo già ricordato. 

Una casa dei Savoldì era in Brescia nella Contrada di San Fran- 
cesco (ora porta il N. 1966) la quale nel 1568 fu adornata di bellis- 
simi affreschi da Lattanzio Gambara e da altri valenti pittori bre- 
sciani. . 

Queste notizie mi furono cortesemente favorite 441 chiarissimo 
archeologo e paleografo Don Antonio Lodrini di Brescia. 

(1) Opuscolo in 8.° per le nozze Gallia-Milani — Brescia - Pio 
Istituto Pavoni - 1876. Vedi a pag. 18 e 19. 


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140 MALAGOLA 


se aggregarsi al Collegio « nisi ipse et sui antecessores 
contribuerint cum magnifica civitate Brixiae ab anno 
1438 c:itra ». 

La famiglia di Antonio Urceo, quantunque molto 
antica, fu di umile condizione, perocchè il proavo di 
Codro, Antonino, il quale si recò pel primo a Rubiera, 
forse sulla fine del secolo XIV, nacque di padre vasaio, 
ed era così povero d'ogni cosa, che dovea andar tutto 
il dì limosinando per campare la vita. Questo Antonino 
ebbe un figlio per nome Bartolomeo, che passò alcun 
tempo esercitando la pesca. Narrasi di lui che, mentre 
un giorno zappava in un campo, ritrovasse entro un’ ur- 
na di terra tanta quantità di danaro, da potere con la 
metà acquistar poderi, con 1" altra intraprendere un 
traffico di droghe, e così mantenere agiatamente la pro- 
pria famiglia (1). 

Da Bartolomeo nacque Cortese, padre del nostro 
Antonio uomo grave nelle azioni e prudente ed anche 
ornato di buone lettere, e di professione notaio. Lo stesso 
Antonio, in una epistola latina al suo discepolo Eugenio 
Mengo di Forlì, si dice nato « patre etiam literato cir- 
cumspectoque in rebus, quae ad usum civilem, mori- 
bus et legibus constitutae sunt (2) ». Questi fu ascritto 
alla cittadinanza di Modena ai 4 dicembre del 1452 per 
gli Atti di quel Publico Consiglio, come appare dai libri 
dei Partiti Comunali, che si conservano nell'Archivio 
del Comune della detta città (3). " 


(1) Codri Vita a Bartolomaeo Blanchino Bononiensi condita ad 
Minum Roscium Senatorem Bononiensem - Trovasi innanzi all’ edi- 
zione delle opere di Codro fatta a Basilea nel 1540. Vedi a pag. 4 
non num. : . 

(2) Opera - pag. 276. 

(3) Vedi l’Appendice IX. 


——» 


DI A. URCEO CODRO 141 


La madre del nostro ebbe nome Gherardina, e fu 
fgliuola di Giovanni, della nobile e antica famiglia dei 
Mazzoli di Reggio nell’ Emilia che aveva le case di con- 
tro alla chiesa di Sant’ Apollinare (1). 

Ignorasi il tempo preciso della morte di Cortese; 
sappiamo del resto che, varcato già l' ottantesimo anno 
senza aver per nulla sofferto alcuno dei mali che ren- 
dono la vecchiaia penosa, passò di questa vita placida- 
mente. Gherardina era morta molto tempo innanzi al 
marito, però che Bartolomeo Bianchini, discepolo di Co- 
dro, del quale scrisse pel primo la vita, narra che ella 
soccombesse nel dare alla luce il figliuolo Pietro Anto- 
nio (2). E ci è noto pel testamento di Codro medesimo (3), 
che un’altra moglie ebbe Cortese dopo questa, di cui 
nacquero Giovanni, che fu sacerdote; Ludovico, che stu- 
diava il gius pontificio nel 1500; Amedeo; e due figlie, 
Caterina e Lucrezia. 


(1) La famiglia Mazzoli è delle più antiche di Reggio. Gherar- 
do Mazzoli Cavaliere, Conte Palatino e Giureconsulto, scrive nel pro- 
prio testamento (rogato nel 1581) provenire la sua famiglia «.... A 
Domino Leazaro Maciolo seu Maszollo..... qui 1168 Consul fuit tempore 
Libertatis, quam cum pace Constantiae sibi vendicaverat Civitas..... » 

Il Tassoni nel quarto canto della Secchia Rapita (stanza 31.*) 
ricorda fra diversi nobili reggiani, che finge aver preso parte a una 
zuffa, 


« Guglielmo della Latta, e Pier Mazzola ». 


A Bologna nel 1526, ai 5 di maggio, fu Licenziato, e ai 9 di 
quel mese laureato, in Diritto Canonico Gian Battista Mazzoli di Reg- 
gio, come sì apprende dal più volte ricordato « Primus liber Iuris 
Canonici etc. » (pag. 224 verso) del nostro Archivio dell'Antico Reg- 
gimento. 

(2) Opera. Alla pag. terza non numerata. 

(3) Opera. Alla pag. diciottesima non numerata. 


142 MALAGOLA 


Ma innanzi che si proceda più oltre, sarà utile che 
io dica alcuna cosa del cognome dell’ Urceo. Intorno al 
quale, sebbene sieno varie opinioni, mi par chiaro che 
egli non da altro derivi che dal nome della patria, onde 
la famiglia di Antonio proveniva, che in latino fu Ur- 
ceae. E questo appare più manifesto, ove si consideri 
che Urceus non solo, ma talvolta ancora Urceanus fu 
detto Codro, e che la sua famiglia da Orzi Nuovi si 
trasferi a Rubiera appunto in quei tempi, in cui molte 
famiglie assunsero i cognomi dal luogo onde traevano 
l'origine. Però sì vuole notare che la famiglia dell’ Ur- 
ceo in sulla fine del secolo XVI cambiò il suo cognome 
in quello di Cortesi, avendo alcuni della famiglia Urcei 
portato il nome di Cortese o Cortesio. Infatti nei libri 
battesimali della Parrocchia di Rubiera (che divenne 
Arcipretura in sul principio ἀ᾽ ottobre del 1679) trovai 
nominato nel 1547 un « Cortesto figlio di m. Giouanni 
cortesio de Vrci », poi nel 1556 un « m. lodovico cor- 
lesì urceo », e nell'anno appresso un « m. Bartholo- 
meo urci alias cortesi ». E in un Atto dei « Libri instru- 
mentorum .» dell'Archivio Comunale di Modena, di cui 
tra poco dovrò fare parola, si cita un « Joannes D. 
Bartholomej de Cortesiis alias Urceis ». Tornando ai 
libri battesimali di Rubiera, noi vi leggiamo notata nel 
1586 « Madonna Giovanna Urzi di cortesi », e nel 
1588 « Madonna Giovanna Martelli νοὶ Cortesi »; 
e questa è l’ultima volta che il cognome Urcei s' in- 
contra in quei libri, e dopo di questa i membri della 
famiglia del nostro sono chiamati col solo cognome di 
Cortesi. Errò pertanto il ch.®° Luigi Pungileoni (1), che 


(1) Commentario intorno Antonio Urceo soprannomato Codro, 
tratto dal latino del chimo P. Luigi Pungileoni min. conv. Trovasi 


DI A. URCEO CODRO 143 


al padre di Codro attribuisce quel cognome, in luogo 
dell'altro di Urce:, allora portato da questa famiglia, 
mentre quello di Cortesi fu da prima un soprannome, 
ll quale, come suole accadere nei piccoli paesi e nelle 
campagne, prese col tempo 1] luogo del vero cognome. 

La famiglia del nostro Urceo, prima ancora che 
cangiasse in Cortesi 1] cognome che Codro aveva reso 
illustre, rimase in Rubiera, per quanto potei conoscere, 
sino alla primavera dell’anno 1569, poichè nei libri bat- 
tesimali già citati non trovasi nominato alcuno degli 
Urcei o Cortesi dai 10 di febbraio di quell’anno sino 
ai 6 di febbraio del 1583. E senza dubio dovè in que- 
sto tempo la famiglia di Codro essersi trasferita in Mo- 
dena, giacchè ho trovato nei « Libri Instrumentorum » 
dall'anno 1570 al 1574, dell’ Archivio Comunale Mode- 
nese un documento dei 28 di marzo del 1572, pel quale 
Giovanni di Bartolomeo « de Cortestis alias de Urceis » 
di Rubiera fu dichiarato cittadino modenese (1). Dai libri 
battesimali della Parrocchia di Rubiera si rileva che 
questo Giovanni (figlio di Bartolomeo Urcei e di Gio- 
vanna Ruggerini), essendo nato ai 22 ottobre del 1559, 
non aveva ai 28 di marzo del 1572 che l'età di dodici 
annìi e cinque mesi ed era sotto la tutela del dottor 
fisico Pietro Ruggerini, il quale aveva chiesto pel suo 
pupillo il privilegio della cittadinanza modenese (2). Ma 
sul principio del 1583 Giovanni ritornò in patria ed 
ivi sposò Giovanna Martelli pur di Rubiera, dalla quale 


nel Giornale Arcadico di Scienze Lettere ed Arti - Tomo LXIII - 
Aprile, Maggio e Giugno 1835. Roma. — Vedi a pag. 161. Questa 
traduzione, è firmata colle sole iniziali I. G. M. 

(1) Vedi l’Appendice X. doc. 1.° 

(2) Vedi l’Appendice X. doc. 3.9 


144 MALAGOLA 


gli nacquero otto figli, tra cui uno di nome Bartolo- 
meo, onde discese e continuò la famiglia. Questa per 
verità dovè essere delle più cospicue di Rubiera, se, 
nell’Atto di cui ora toccai, fu decretato di Giovanni e 
de’ suoi discendenti « pro Cive et Civibus haberi, tene- 
ri, ct repulari, eo quidem jure quo qui sunt optimo...... 
et.... honoribus, privilegiis, comodis, beneficiis et im- 
munitatibus huius Civitatis, tam praesentibus quam fu- 
luris, ita frui et uti, prout germanissimo atque anti- 
quissimo cuique Civi nostro..... » E nei libri battesimali 
di Rubiera lo stesso Giovanni è chiamato ora spettabile, 
ora magnifico e i suoi discendenti, se uomini: messere e 
illustrissimo, se donne: molto illustre, donna e madon- 
na, la qual cosa solo è usata in quei libri per le per- 
sone dei nobili o di quelli che tenevano nel paese i più 
alti uffici. Ma in sulla fine del secolo scorso, o sul prin- 
cipio del nostro, dovè estinguersi la famiglia dei Cortesi, 
poichè Pietro Antonio. che col suo nome ci rammenta 
il fratello di Codro, e che aveva aggiunto al proprio il 
cognome dell’ ava paterna, che fu dei Sacchetti, ebbe 
da Caterina Ritorni, sua moglie, quattro figliuole, onde 
alla morte di esse la famiglia Cortesi naturalmente man- 
cò. Ma basti intorno alla famiglia dell’ Urceo (1). 

II. Ora, prima di venir a discorrere della vita del 
nostro autore, voglio dire del sopranome, ch’ egli ebbe, 
‘ di Codro, il quale, secondo che è narrato dal Bianchi- 
ni (2), gli venne da ciò. Dimorando il nostro autore in 
Forlì, e fu dal 1469 al 1480, incontratosi un giorno 
per caso con Pino degli Ordelaffi, Signore della città, 
avvenne che quel principe, salutandolo, gli si raccoman- 


(1) Vedi l'Appendice XI. 
(2) Codri Vita. Pagina diciasettesima non numerata. 


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ς DI A. URCEO CODRO 145 


dasse. A cui Antonio, sorridendo, rispose: « Diî doni, 
quam bene se res habeat videtis: Iuppiter Codro se 
commendat! ». Per la quale risposta tutti, da indi în 
poi, cambiatogli il nome, lo dissero Codro. Del resto, 
quantunque non si possa negar questo fatto, cui per altro 
il Bianchini pel primo ha narrato, io stimo che il sopra- 
nome di Codro possa anche essergli venuto dall'aver 
sempre condotto la vita a guisa di povero, in certa ava- 
rizia, che molti hanno voluto dir sordidezza. Della quale 
parmi quasi che egli si vantasse, e forse per questo il 
suo amico Nicolò Burzi, lodandolo nella « Bononia illu- 
strata » (1), scriveva di lui: « Antonius: qui se Codrum 
nominat ». Io ho inoltre osservato che nella maggior 
parte de' suoi scritti l’ Urceo si appella Codro; ed è ben 
noto quanto ì letterati del secolo XV fossero vaghi di 
nomi romani, vezzo ch'era già nato negli animi fino 
dai tempi di Carlo Magno. Certamente questo soprano- 
me di Codro, dato a più d’ uno, non è che un sinonimo 
di povero, derivato da quel Codro, poeta latino dei tempi 
di Domiziano, che, per essere stato di estrema povertà, 
diede origine al proverbio: « Codro pauperior (2) ». 


—  ————————__——--——1——_———___———_—— 


(1) È un rarissimo opuscolo, stampato: « Bononiae: anno salutis 
.-M. CCCC.LXXXXIIII. ex officina Platonis de Benedictis ». Vedi a 
pag. 15 non num. 

(2) Oltre al nostro Urceo, quattro altri, per quanto m'è noto, 
portarono il nome di Codro. Il primo, avendo risguardo all’ ordine 
dei tempi, fu il figlinolo di Melanto, Re degli Ateniesi, il quale 
dicesi sacrificasse sò stesso alla patria. 

Il secondo fu poeta latino; fioriva circa l’anno quarantesimo 
innanzi Cristo, e fu ricordato da Virgilio nell’ Egloga V delle Bu- 
coliche , ed in quei versi della VII: 


« Pastores, hedera crescentem ornate poetani, 
Arcades, invidia rumpantur ut ilia Codro ». 


146 MALAGOLA 


—————+—+—+—__—r—r——_—+@— 


III. Il nostro Antonio nacque in Rubiera (1), paese 
fra Modena e Reggio, a’ 14 di agosto del 1446, poco 
prima del nascer del sole. E lo affertna egli stesso in 
sulla fine del suo quarto Sermone, ove esce in queste 
parole: «...... postridie Iduum Augusti natus sum (2) »; 
ed anche nella citata lettera al Mengo, ove scriveva: 
« nalus sum ea Cortesio et Gerardina, parentibus mo- 
dicis quidem, sed ingenujs et legitimis, legitimeque co- 
ntunctis,..... Herberia, oppidulum in agro regiensi, mihi 
est patria, quae si nobilitate, vetustate, literis; arte 
militari magnis oppidis conferenda non est, at non 
cedit acris salubritate, non cedit loci amocnitate, non 
incolarum probitate (3) ». Queste parole sembrami che 
dimostrino l’ affetto dell’ Urceo verso la patria. 


—— —» 


Del terzo, poeta latino egli pure, abbiamo sopra fatto menzione. 
Visse circa l'anno novantesimo dell’ Era Cristiana, e compose un 
poema, intitolato la Teseide, che a Giovenale, sebbene mostrasse di 
averlo in pregio, parve lungo soverchiamente. Questo Codro ebbe 
per moglie Procula, nota per l' esigua statura, e diede, siccome di- 
cemmo, origine al proverbio: « Codro pauperior ». 

L'ultimo che portò il nome di Codro fu Gian Francesco Berti, 
forlivese, nato nel 1468. Ebbe a maestro il ravennate Nicolò Fer- 
retti, ed insegnò publicamente in Ravenna le lettere latine e greche 
con tanto plauso, da meritare di essere ad onore ascritto a quella 
cittadinanza. Fu carissimo a diversi principi, e specialmente all'im- 
peratore Massimiliano, che lo creò Conte Palatino e Cavaliere, e lo 
volle incoronare Poeta. Morì in Ravenna l'anno 1516, quarantesimo 
ottavo dell'età sua. Nell'Academia Ramana di Pomponio Leto assun- 
se il nome di Codro, forse in memoria del nostro Urceo, che aveva 
ripristinata quella dei Filergiti di Forlì, alla quale anche il Berti 
fu ascritto. 

(1) Vedi l'Appendice XII. 

(2) Opera. A pag. 131. 

(3) Opera. A pag. 276 


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DI A. URCEO CODRO 147 


Egli passò i primi anni della vita nella sua natale 
Rubiera, ove il padre, subito che fu ad età, lo mise 
a educare negli studi sotto privati maestri. Di poi, 
appena fuor di fanciullo, lasciata Rubiera, narrano al- 
cuni (1) ch’ ei si conducesse per pochi mesi presso il 
Tribraco in Modena, il quale, conosciuto l'ingegno di 
Antonio disposto maravigliosamente agli studi, con quel 
detto virgiliano : 


« Macte nova virtute puer, δὴ. itur ad astra » 


lo veniva esortando a darsi alle lettere, da cui avrebbe 
potuto trarre tanto onore. Che il nostro autore sia stato 
discepolo del poeta modenese, quantunque non sia ben 
certo, non è però improbabile; giacchè il Tribraco, pri- 
ma ancora che fosse eletto, con publico decreto, maestro 
di belle lettere in Modena (e questo accadde nel 1464) 
vi insegnò, forse privatamente, sino circa il 1461. Del 
luogo, ove il Tribraco dimorava, è rimasto memoria 
in un'elegia di Bartolomeo Paganelli Prignani, mode- 
nese, nella quale si volge alla sua Musa, dicendole, 
che quando sia giunta in città alla piazza, ov’ è la sta- 
tuetta della Bonissima, si diriga a levante, e quindi, 
entrando nella contrada che è a destra, poco innanzi, 
dopo circa venti passi, troverà la casa del Tribraco, il 
quale esalta con questo magnifico elogio: 


« Bis denis Tribrachi non distat passibus illine 
Sedes Castaliis pervia Numinibus. 
Alta patet; triplices illustrant limina valvae: 
Huc vastum omne. frequens itque reditque genus. 


— 


(1) « Deinde ab teneris adhuc annis, relicto patriae solo, Muti- 
nam ad Tribrachum se contulisse nonnulli affirmant.... Paucos ibi 
menses moratus.... Bianchini - Codri Vita, a pag. 5 non num. 


148 MALAGOLA 


Quam bene cum noris, sacros ingressa penates, 
Haec vati referas nomine pauca meo : 

Tribrache Gorgonei cultor studiose liquoris , 
Tribrache Pieri spesque decusque chori, 

Tam bene cui rerum causae, coelique meatus, 
Cui terrae tractus., cui patet unda maris, 

Quem veteres ullo non vincunt nomine Vates, 
Seu mater Musa est, seu sit Apollo parens, 

Cui tres Dircaei concedunt laude poetae 
Alcaeus pariter, Moconiusque senex, 

Qui facis haec priscis non cedat Vatibus aetas, 
Seu Latium, sive hos Graecia prima tulit (1) ». 


Ed anche il Tiraboschi gli dà lode di fecondo poe- 
ta (2). Certo egli fu amantissimo degli studi; anzi in 
una elegia, che lo stesso Tribraco diresse a Iacopo Mal- 
chiavelli, e che si legge in un codice, già posseduto 
dalla famiglia dei Marchesi Bevilacqua di Ferrara, si 
vanta di essere stato il primo a spargere in Modena il 
gusto della poesia e della buona letteratura, e si duole 
della condizione infelice a cui. ivi erano allora condotti 
gli studi, e del poco frutto che gli sembrava di racco- 
gliere dalle sue fatiche: _ 


« Me Mutinensis ager, Baccho gratissima tellus 

Et Cereri, haud aliis patria grata Deis, 

Me natale solum, me pars tenet aèris illa, 
Quae Lachesis vidit stamina prima meae. 

Hic ego more meo studiis demersus in ipsis 
Effugio vanos enumerare dies. 

Hic repeto Aonias semper mea carmina Musas, 
Hic me Pieridum gratia sola juvat. 


.----.Ὀ.Ἅ -.---ὕ. . 


(1) Tiraboschi - Biblioteca Modenese - Vol. V, pag. 288. 
(2) Tiraboschi - Biblioteca Modenese - Vol. V, pag. 289. 


.-...-.-..-.--.....-...--....... 6—+—_—_————————É—É—_ÉÉ_—_—_—_—— 


DI A. URCEO CODRO 149 


i — — —_————————r———r n 2 —— — 


Quas, nisi et huc veniens portassem in peciore mecum, 
Nota erat în patria Pieris ulla mea. 

Nam licet et fontes et amoenos undique montes 
Videris, in nullo vertice Phoebus adest ». 


Quindi, dopo aver detto che in Modena erano te- 
nuti in niun conto i buoni studi, prosegue: 


« Vix tamen et qui me voluere audire legentem, 
Bisseni, fateor, crede, fuere viri. 
Quod Volaterraneae gentis celeberrimus auctor 
Edidit, id breve nos nunc aperimus opus, 
Quantaque telluris merces, qui fructus, aperte 
Dicere si tentem, non sinit ipse pudor. 

Ultra Pigmaeos, ultra libet ire Britannos, 
Et si quem ulterius detur adire locum. 

Nam quo non potius quo non lidet esse sub axe, 
Quam cum tam crassa vivere gente velim! 


Impetus et nunc celeri pede carpere gressum 
Et fugere e patriae mocnibus urbis erat (1) ». 

Da Modena il Tribraco passò a Ferrara ad inse- 
gnare; v'era già nel 1461, ed ivi si strinse in ami- 
cizia con uomini illustri, e singolarmente con Tito Ve- 
spasiano Strozzi, che, invitandolo ad andar seco in villa, 
gli scriveva tali versi: 


« Tribrace, divinum quis te neget esse Poetam, 
Cum tibi tale sacro carmen ab ore fiuat? 
Namque modo ostendit tua nobis scripta Metellus, 
Quem fratri comitem rura dedere meo. 


(1) Tiraboschi - Biblioteca Modenese - Vol. V, pag. 289 e 290. 


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| 150 MALAGOLA 
Ilis quid potuit numeris ornatius esse ἢ 
Quae vis! ingenii gratia quanta tui! 
Sic ego Nasonem, sic te iucunde Properti, 
Sic quoque te video, oulte Tibulle, loqui. 
Ecce novum per te Latio decus additur, et iam 
Vate suo tollit se Mutinensis ager (1) ». 


Sembra che il Tribraco morisse prima del Duca 
Borso, e forse verso il 1471, giacchè fra le poesie di 
lui non ne è alcuna che parli della morte di questo 
principe, o di Ercole successore, come Duca di Ferrara. 
Comunque la cosa sia, il nostro Urceo, secondo che 
narra il Bianchini, avrebbe dimorato in Modena presso 
il Tribraco pochi mesi, dopo i quali si crede che da capo 
si riducesse a Rubiera. 

E già di lui molto bene si promettevano i genitori, 
laonde il padre, circa il 1464, in età di quasi dician- 
nove anni lo mandò a Ferrara, perchè usasse alla scua- 
la di Gian Battista Guarino, che vi insegnava sino dal 
1461. 

Lo Studio di Ferrara fu istituito nel 1391 da Al- 
berto II da Este, che, recatosi a Roma in quell’ anno 
con corteo magnifico, fu incontrato onorevolissimamente 
da Principi e Cardinali, ed accolto con amorevolezza da 
papa Bonifacio IX. Il quale non contento di averlo do- 
nato della Rosa d'Oro, gli diede facoltà, con sua Bolla, 
di aprire in Ferrara ὑπ᾿ Università, coi privilegi di quelle 
di Parigi e di Bologna. Ma nel 1394 i ferraresi fecer 


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(1) Veggansi le poesie di Ercole e Tito Strozzi, stampate col 
titolo: « Strotii Poetae Pater et Filius », e colla sottoscrizione: 
Venetiis in Aedibus Aldi et Andreae Asolani Soceri . MDXIII. pag. 
46 verso. 


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DI A. URCEO CODRO 151 


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istanza al Consiglio di Nicolò III, perchè togliesse lo 
Studio, non potendo essi, che già eran sopracarichi 
d'egni sorta di gravami, sopportar quello pure dei sa- 
lari de’ Lettori. Nicolò nel 1402 lo riaperse, e benchè 
narrino i cronisti ch'ei vi avesse chiamati dottori fa- 
mosi in qualsivoglia facoltà, le lettere non vi doveano 
fiorire, e neppure le scienze, se, appena giunto alla 
signoria Leonello, il Comune, nel 1442, gli mandò pre- 
gando che volesse riformare l'Università e dargli una 
stabile forma. Ed egli ben rese contenti i suoi cittadini, 
riordinando saviamente lo Studio, accrescendo il salario 
ai dottori, e cacciando da Ferrara, siccome pestifere 
bestie, quei maestri che per ignoranza non fossero stati 
capaci di riportare licenza di tenere publica scuola. A 
professare nello Studio chiamò uomini veramente famosi 
nelle lettere, fra cui è da porre in primo luogo Teodo- 
ro Gaza, che ne fu Rettore, e che, insegnando lettere 
greche, commentò l' orazione di Demostene per Ctesi- 
fonte (1). Al Gaza debbonsi aggiungere Giovanni Auri- 
spa, Demetrio Mosco e Guarino Veronese. Fra i giu- 
reconsulti furon chiamati ad insegnar in Ferrara con 
grandi premi il celebre Bartolomeo Saliceti, che lesse 
Ragion Civile e Gigliolo Cremonese che lesse la Cano- 
nica. 

L'anno prima che Codro si recasse alla scuola di 
Gian Battista Guarino (ossia l’anno 1463) fu in Italia 
una terribile pestilenza, che infierì, più che altrove, in 
Padova, in Venezia e in Ferrara, dalla quale ultima città 
molti fuggirono. Si vietarono le adunanze, si arsero le 


(1) Commentario delle cose di Ferrara et de’ Principi da Este, 
di M. Giovambattista Giralli.... Tradotto per M. Lodovico Domeni- 
chi - In Venetia - Appresso Giovanni de’ Rossi (1556?) Vedi a p. 78. 


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152 MALAGOLA 
vestimenta, le masserizie e persino le case degli infetti: 
il Duca Borso fuggì a Venezia, e lo Studio fu trasfe- 
rito a Rovigo. Lodovico Carbone, discepolo di Guarino 
Veronese e professore nello Studio, fu da principio di 
parere che l' Università di Ferrara non si avesse a tra- 
sportare altrove, ma forse cangiò poscia opinione, per- 
chè tenne egli stesso l’ orazione inaugurale in Rovigo, 
la quale si legge in un codice della Biblioteca Comu- 
nale di Ferrara, con questo titolo: « Ludovici Carbo- 
nîis Oratio in principio Studii Rodigensis ob Ferrariar 
pestem illuc translati ». Nello stesso codice trovasi 
una lunga elegia, pur del Carbone, ove egli indica l°an- 
no in cui Ferrara venne funestata da quel grande fla- 
gello, pel quale perirono circa quattordici mila persone: 


« Mille quatercentum post seragesimus annus 
Tercius, et mensis Maius erat medius; 

Dira lues hominum membris et tabida venit 
Corporibus labes pestis acerba ruens ». 


Ma, diminuita alquanto la terribile pestilenza, l’ an- 
no 1464, lo Studio fu posto nuovamente in Ferrara 
(ove anche si celebrò una solenne giostra) e d' indi 
innanzi continuò quello ad essere riputato fra 1 più 
illustri d’ Italia, massime per la fama onde era glorioso 
Gian Battista Guarino. Alla scuola di lui è a credere 
che il nostro Codro desse opera principalmente agli 
studi delle lettere latine e greche, che quegli insegna- 
va con fama di solenne maestro, talchè il Poliziano 
non dubitò di chiamarlo il più celebre professore della 
sua età. Al Guarino il Re di Navarra diè titolo di Sena- 
tore, e il Duca Borso da Este, pel quale aveva soste- 
nuto un’ ambascieria presso il Re di Francia, lo colmò 
anch’ egli di onori. ͵ 


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DI A. URCEO CODRO 153 


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Anche Tito Vespasiano Strozzi loda in più luoghi 
delle sue opere il sapere e l'ingegno di Battista Gua- 
rino, e ne rammenta l’ amicizia in quei versi: 


« Ut Baptista libens nuper tua carmina legi, 

Ubere de vena, quae tibi culta fluunt, 

His ego persperi, quod 126 non fugerat, in nos 
Ex omni studium crescere parte tuum. 

Scilicet hic animi modus est, ratioque benigni, 
Ut nulli în magno cedere amore velit. 

Hoc in Oreste suo Pylades, in Achille Patroclus, 
Eurialusque pio vidit in Irtacide. 

Se quoque Perithous nunquam non sensit amari, 
Cum sibi devinctum Thesea diligeret. 

Tu, quem iampridem studio complector amico, 
Gratus es, atque pari par in amore refers (1) ». 


Sotto la disciplina del celebratissimo Battista Gua- 
rino l' Urceo sì pose con tanto ardore agli studi, e fece 
in breve così grande profitto, che diede chiaramente a 
vedere sin da quegli anni quanta in lui fosse la poten- 
za dell' ingegno. Il Guarino dovette insegnare al nostro, 
oltre la Retorica e la Poetica, anche la lingua greca. 
Questo io penso (sebbene alcuno non ne abbia fatto 
motto) perchè non sapremmo altrimenti da chi I° Urceo 
potesse avere appreso le lettere greche, nelle quali di- 
venne così valente, ed inoltre è certo che pur dallo 
stesso Guarino imparò il greco in Ferrara Aldo Manu- 
zio, amicissimo dell’ Urceo. 

Il quale professò gratitudine singolare a quel suo 
dotto maestro, come a quello che lo aveva con parti- 


(1) Ed. cit. p. 47. 


154 MALAGOLA 

colar cura erudito nelle buone lettere, e gli aveva fatto 
comprendere le rare bellezze de’ grandi autori. E certo 
dovè il Guarino tenersi molto contento dell' Urceo e 
portargli grandissima affezione, poichè questi, nella poe- 
sia che dedicò al suo celebre maestro, gli si mostrò gra- 
tissimo che lo ‘avesse non di rado soccorso di consigli, 
e frenato così nelle passioni, seguitando a giovarlo 
negli studi anco allora che più non era alla scuola 
di lui: 


« Sed quid vis memorem? Peropto dignas 
Baptistae grates posse referre meo 
Praesentem studuit polire qui me 

Moribus et Musis, [uppiter alme, tuis; 
Absentem quoque qui docet nitere, 

Et primum cupit hac urbe tenere locum (1) ». 


Sembra che l’' Urceo, e ben a ragione, si gloriasse 
del sommo maestro, poichè nella lettera, già citata, ad 
Eugenio Mengo, scrive: « Af illud inter minima non est 
reputandum, quod mihi in celeberrima studiorum ac 
literarum urbe doceri contigit, Ferrariae scilicet, et 
ab eo institua, qui linguae latinae graecaeque decus 
et specimen uno omnium litteralissimorum ore fertur 
et praedicatur, Baptista, Guarini Veronensis filio, qui 
famam ingenii re ipsa exsuperat, et a me semper 
summa praedicatione summoque honore colendus est 
ac observandus (2) ». 

E penso che volesse rammentare il tempo da lui 
passato in Ferrara come discepolo del Guarino, quando, 


(1) Opera - pag. 320. 
(2) Opera, a pag. 276. 


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DI A. URCEO CODRO 155 


omai vecchio, scrisse quei versi che si leggono nella 
poesia « Lamentatio. Codri »: 


« .Olim, cum tuvenis fui, 
Et rocem mihi sedulae 
Claram Pierides dabant, 
Me coetus iuvenum frequene 
Certabant celeri gradu: 
Vatem risere splendidum (1) ». 


Scrive il Bianchini, che Antonio in Ferrara udì 
anche il reggiano Luca Riva, uomo assai chiaro ed 
oltre ogni dire modesto. Sotto il quale fece gli studi 
dell'eloquenza e con tanto ardore, da levarsi di gran 
lunga sopra tutti gli altri discepoli. Del resto, se 1" Ur- 
ceo fu alla scuola del Riva, egli forse vi stette poco 
tempo, giacchè nella lettera che scrisse al Mengo, dan- 
dogli, con le notizie della sua vita, qualche cenno 
de’ suoi maestri, di Luca non fa alcuna menzione. Ben 
lo nomina ne’ suoi epigrammi, chiamandolo: 


« +. + + + doctorum fama virorum 
E: recti Luca non morientis honor (2) ». 


E vuolsi notare che in quella città, sino da quando inse- 
gnava Guarino Veronese, aumentando di giorno in gior- 
no il numero degli scolari, fu d' uopo nel 1461 costruire 
una grande scuola separata dalle altre, che potesse con- 
tenere tutti gli studenti di lettere, e continuando sempre 
a crescere il numero loro, pochi anni di poi se ne dovè 
fabbricare una seconda. Per questo, come opina l'’ illu- 


e-—_———————6—————_—_—_—_—_—_—_————_—_—_—m€m6€6———_m_—————_—z __ 


(1) Opera, a pag. 386. 
(2) Opera, a pag. 384 e 385. 


“-............ 


156 MALAGOLA 


——»@PrPr——@ 


stre Carducci nel suo libro intorno le poesie latine del- 
l’Ariosto (1), l'insegnamento di Retorica e Poetica era 
dato da due professori: ed infatti nel 1456, vivendo 
ancora e insegnando Guarino Veronese, fu eletto a fare 
la stessa lezione il suo discepolo Ludovico Carbone di 
appena ventun’anno. Alla morte del Veronese fu da 
Bologna chiamato il figlio di lui Gian Battista Guarino, 
giovane sui ventiquattro, con lo stipendio di lire cinque- 
cento, che ben presto gli furon cresciute di dieci al 
mese. Al Carbone, quattro anni dalla sua morte, suc- 
cesse, nell’ insegnamento della Poetica, Luca Riva, il 
quale da diciannove anni era maestro privato di gram- 
matica nella città. Fra i discepoli del Riva sono da no- 
minare (oltre l’ Urceo) Ercole, figliuolo di Tito Vespa- 
siano Strozzi, che insieme a Battista Guarino sempre 
gli professò grande amicizia, e che lo esaltò in una ele- 
gia con molte lodi, commendandone la singolare perizia 


nella lingua latina e nella greca, e le singolari virtù 
dell’ animo: | 


« Cui magis est Latiae nitor et facundia linguae 

Cognita? Quis Grajo doctior eloquiof 

Quis iuvenum tanto moderari examine gentes 
Novit, et'ingenuis artibus imbuere? 

Tu rectum sequeris, vitium fugis, optima suades, 
Tu sanctae constans cultor amicitiae. 

Non tibi tabificus carpit praecordia livor, 
Non fe spes vana credulitate regit. 

Non animi vireis frangit dolor, improba non te '’ 
Transversum attonitis sensibus ira trahit. 

Te iuvat alterius benefacta audire, nec ulli 
Detrahis, atque bonos officiosus amas (2) ». 


(1) Op. cit. pag. 45 della II ediz. 


(2) Ed. cit. pag. 77. 


DI A. URCEO CODRO 157 


E nel libro dei Sermoni il medesimo Strozzi can- 
tava del Riva: 


« Nulritum in gremio te Calliopeae Minervae 
Bellorophontei roravit fontis ad undam. 


Quae Latii scripsere viri, memorabile quicquid 
Protulit Argolica excultum facundia, calles. 
Munere parta tibi superum, spargisque per omneis 
Doctrinae praecepta tuae rarissima genteis. 

Quam bene composuit tot in isto pectore laudes 
Cum bene vivendi, et culto sermone loquendi 

Te genius dedit exemplum admirabile mundo. 

O ego quam felix, talem sortitus amicum! (1) ».. 


Ma se Tito Strozzi non ha che lodi per Luca, resta 
però un epigramma di Girolamo Balbi, ove è rimpro- 
verato come troppo sollecito in ammassar danaro pei 


figli: 


« Ad Lucam Ripam. 
Desine divitias natis cumulare superbas; 
Divitiae parro tempore namque fiuunt. 
Non ita praecipites alterrio vortice cymbas 
Versat arenoso Scylla proterva mari; 
Non sie incertis agitantur fluctibus undae, 
Ut sors instabiles impia versat opes. 
Munera nulla valent natis maiora Parentes 
Linquere, quam laudis nomina clara suae (2) ». 


——_——————————— _—— .... ..--- -.- 


(1) Ed. cit. pag. 134. 
(2) Deliciae CC. Italorum Poetarum.... Collectore Ranutio Ghero 
(G. Grutero). Parte I, a pag. 227. 


158 MALAGOLA 


—_—-— _ __»  _ Ò»o_ _ _rrreeeao] mm __———————————_————12 


Il nostro Antonio, parlando di Luca Riva, scrisse 
nel primo sermone: « Lucas Regiensis est patria, sca 
Ferrariae nutritus et doclus, et Estensibus Principi- 
bus gratissimus, et magni iudicii vir (1) ». Le quali 
parole, a mio credere, mostrano chiaramente l' errore e 
la causa dell’ errore del Borsetti, che lo volle dir fer- 
rarese (2). 

Io penso che Codro volesse in parte alludere al 
tempo che passò in Ferrara, con quei versi, che si leg- 
gono nel libro de’ suoi epigrammi: 


« Olim ego septenos merui derincius in annos 
In castris nimium, saeve Cupido, tuis (3) ». 


e con quelle parole « ef Codrus, cum iuvenis esset, 
quosdam versiculos de rebus dulcibus composuît » (4). 

Forse nel tempo che stette in Ferrara (dal 1464 
al 1469) fu il nostro onorato della benevolenza del Duca 
Borso, che aveva in amore i letterati. E perchè in 
quella città già doveva l' Urceo esser noto per la sua 
dottrina, ed anco per essere egli coetaneo di Ercole I, 
è lecito credere fosse conosciuto da quel giovane prin- 
cipe, al quale, succeduto nel 1471 a Borso nel Ducato, 
intitolò due poesie latine, ove si rammentano gli spet- 
tacoli da Ercole dati in Ferrara, con quei versi: 


« Praccipue venere Deum nova cura Poétae 
Quos inter Codrum, si libet, adde tuum » (5). 


(1) Opera, a pag. 20. 

(2) Historia Almi Ferrariae Gymnasii... Ferrariae MDCCXXXV, 
a pag. 49. 

(3) Opera, ἃ pag. 385. 

(4) Opera, a pag. 125. 

(5) Opera, a pag. 390. 


DI A. URCEO CODRO 159 


Nè certo è difficile che il nostro Urceo, il quale 
fn da giovane mostrò più che comune ingegno, ed era 
singolarmente amato dal Guarino, famigliarissimo degli 
Estensi, godesse della benevolenza dei Principi di quella 
casa, degna che il Goethe scrivesse di lei: non pro- 
nunzia Italia nome d'uom grande, che essa non l ab- 
bia detto suo ospile (1). 

IV. Alcuni contemporanei del nostro Urceo affer- 
marono che egli tenesse scuola da principio in Ferrara, 
in età di ventidue anni, cioè nel 1468; ma ciò a noi 
non è ben certo, nè punto era certo al Bianchini (2), 
che visse al tempo di Codro e ne tramandò le memorie. 
Può del resto affermarsi che non insegnò nello Studio, 
non trovandosi il suo nome fra le note dei professori 
di quello, negli anni in cui il nostro stette in Ferrara. 
Non è però difficile che l’ Urceo in questa città inse- 
gnasse in privato, giacchè anche il suo amico Aldo Ma- 
nuzio, mentre ancora era scolare di Gian Battista Gua- 
rino, dava lezioni privatamente ad Alberto Pio e ad 
Ercole Strozzi, allora giovinetti. 

Non possiamo prestar fede a Giovanni Guasco, che 
nella storia dell’Academia di Reggio nell'Emilia (3) sup- 
pone che il nostro Antonio si fosse in quella città dato 
all'insegnamento. « Prima di accennare li lettori prin- 
cipali che insegnarono în Reggio » (ecco le parole del 
citato storico) « suppongo che qui leggesse Antonio, 
detto Codro, da Rubiera alla qual Terra..... egli diede 


(1) Goethe, Torquato Tasso - (V. Carducci, Delle Poesie edite 6 
inedite di L. Ariosto, 2 edizione, a pag. 23). 

(2) Codri Vita. Pag. 5 non num. 

(3) Storia Letteraria del Principio e Progresso dell'Academia di 
Belle Lettere in Reggio - Reggio - MDCCXI. A pag. 96. 


160 MALAGOLA 


— ....ἔ.ς-.. __&——_—____m_———m@——@mT_n ———————————_ 


gran fama con la perizia delle lettere Greche e La- 
tine, come ne fanno fede le Opere da lui lasciate tanto 
în Versi quanlo in Orazione soluta ». Questa suppo- 
sizione del Guasco non è afforzata da alcuna ragione, 
anzi dirò che negli Archivi di Reggio, secondo che m'as- 
sicura il Ch.®° signor Giovanni Livi, che li ordinò, non 
trovasi in alcun documento la più piccola menzione del 
nostro, che non solo non è ricordato come maestro dello 
Studio di Reggio nè dagli storici nè dai cronisti di quella 
città, ma neppure è notato in un volume manoscritto, 
compilato nello scorso secolo dall’Archivista Pietro Fon- 
tana, e intitolato « Repertorio di diverse memorie in- 
teressanti e curiose rilevate dai libri antichi delle Prov- 
visioni del Comune di Reggio » dove si trovano segnati, 
sotto la lettera P, i Professori di quelle Scuole. 

E certo del resto che l'Urceo in età di ventitrè 
anni lasciò Ferrara, cioè nel 1469, e forse sulla fine, 
giacchè scrisse al Mengo (1), aver dimorato in Forlì dieci 
anni, e noi, sapendo che ne partì verso la fine del 1480, 
possiamo tenere per fermo che da Ferrara, quando il 
1469 era omai giunto al suo termine, si recasse a Forli. 


Ci 


e — - —— --.-.-.- ...-.- --τ᾿ ο...... 
. 


(1) Opera, a pag. 270. 


DI A. URCEO CODRO 161 


CAPITOLO IV. 


L° Urceo in Forlì. 


I. È chiamato ad insegnare lettere umane in Forlì. — II. Divie- 
ne precettore di Sinibaldo Ordelaffi. — HI. Merito di Codro verso 
l'Academia dei Filergiti. — IV. Incendio della sua stanza. — V. Si 
rinchiude cogli Ordelaffi nella Rocca di Forlì assediata. Sua parten- 
za da questa città. 


I. Poichè abbiamo stabilito in quale anno l’ Urceo 
partisse da Ferrara, diremo ora come egli di là fosse 
chiamato ad insegnar lettere umane in Forlì, e con 
uno stipendio (secondo che scrive Codro medesimo nella 
lettera al Mengo (1)) forse maggiore di quello che mai 
si fosse dato a’ suoi predecessori, tanta era la fama che, 
ancor giovane, aveva saputo procacciarsi. Narra Sigi- 
smondo Marchesi, nel suo « Supplemento Istorico del- 
lAntica città di Forlì », che Pino Ordelaffi condusse a 
publico beneficio della gioventù forlivese « Antonio Or- 
cio huomo di molte lettere....... il qual soggetto invitò 
con premi grandi (2) ». Ed aggiunge: « Fu il sudetto 
Antonio Orcio da tutti molto ben veduto, e trattato ». 
Pare che i Forlivesi, gloriandosi di tanto ospite, per 
dargli publica ed onorevole testimonianza della grande 
estimazione in cui lo tenevano, lo ascrivessero alla loro 
cittadinanza. Questo ci è narrato da Giorgio Viviano 


— —rFF 


(1) Opera. A pag. 276 e 277. 
(2) Forlì presso Giuseppe Selva - 1678 - Lib. VIII, pag. 498 
è segg. 
lì 


162 MALAGOLA 


Marchesi (1), che annoverò il nostro Codro fra gli illu- 
stri Forlivesi; però di tal fatto niun altro scrittore ha 
lasciato ricordo, nè io oserei di affermarlo. 

II. E pure in Forlì, concorrendo molti altri, 1᾿ Ur- 
ceo fu eletto a precettore del principe Sinibaldo, figlio 
di Pino Ordelaffi, Signore della città, ed in tutto il 
tempo che tenne questo ufficio ebbe stanza nelle case 
di Pino, e vi fu magnificamente trattato. Di questa libe- 
ralità egli si loda in più luoghi delle sue opere, e fu 
assai grato a quei principi, come ricordò quando scrisse, 
nella poesia « Ad Galeatium Bentivolum »: 


€. 00000 tempore longo 
Ordelaphis placui Ducibus, natoque patrique (2) ». 


Sebbene non vi sia documento che indichi l’ anno 
in cui l’ Urceo fu eletto precettore di Sinibaldo, parmi 
tuttavia di potere congetturare che ciò avvenisse circa il 
1477. Giacchè in un'antica cronaca anonima di Forlì (3), 
si legge che Pino Ordelaffi, appunto nel 1477, faceva 
sostenere ed uccidere nella Rocca, poi gettar morto 
nel fiume, Giacomo Soardo da Bergamo, suo famiglio, 
che teneva l'ufficio di « Governatore del figliuolo Sini- 
baldo, di insegnarli buoni costumi, e ammaestrarlo ». 
Questa tristissima fine toccò al Soardo, perchè in un 


(1) Vitae Virorum Illustrium Foroliviensium — Foroloui ex Typ. 
P. Syluae - MDCCXXVI - Lib. II, cap. IV, a pag. 216 e 217. 

(2) Opera. A pag. 359. 

(3) Questa cronaca, che serbasi nella biblioteca comunale di 
Forlì, nè ha titolo, nè è numerata. Il caso del Soardo vi si legge 
sotto l’ indicazione dell'anno 1477, e fu ripetuto colle stesse parole 
nella cronaca forlivese, pure ms., di Alessandro Padovani, che si 
trova nella medesima biblioteca. 


DI A. URCEO CODRO 163 


momento, in cui sì teneva per certa la notizia della 
morte di Pino, ne aveva consigliata la moglie ad unirsi 
in seconde nozze col nipote Antonio Ordelaffi, per non 
perdere la signoria di Forlì, privandone in tal modo 
Sinibaldo, figlio naturale di Pino. È dunque a credere 
che il nostro Codro, che già, da quasi due anni, in Forlì 
godeva fama di maestro eccellente, fosse sostituito al 
precettore bergamasco, fatto uccidere da Pino. 

III. Qui è luogo da far menzione di un merito del- 
l'Urceo verso l’Academia forlivese che forse allora non 
aveva ancora quel nome, che ricevette di poi, di Aca- 
demia de' Filergiti. Questa letteraria congregazione era 
stata fondata l’anno 1370 da Giacomo Allegretti, e vi 
sì coltivava particolarmente la poesia, ma avendo dovuto 
il suo fondatore, perseguitato dal Signore della città di 
Forlì, riparare a Rimini, e poscia essendo Forlì piena 
sempre di tumulti, cagionati dalle nimicizie delle fazio- 
ni, l'Academia rimase deserta. Al nostro Codro era ser- 
bato l'onore di rimetterla in vita e di renderla pro- 
spera e fiorente, come afferma Giorgio Viviano Marchesi 
in vari luoghi della sua opera intorno l’ Academia dei 
Filergiti (1). Nei quali per verità durò viva per tradi- 
zione la memoria del ricevuto beneficio, talchè ne vol- 
lero lasciare testimonianza nel proemio delle loro Costi- 
tuzioni, impresse in Forlì da Paolo Saporetti nel 1665, 
le quali dal Marchesi sopra detto furono nel suo libro 
riportate. 

IV. Voglio ora narrare .un fatto che avvenne al 
nostro Codro in quella città, e che fu narrato dal suo 


(1) Memorie Storiche Dell'Antica, et Insigne Accademia De' Fi- 
lergiti Della Città di Forli. Vedi a pag. 48 e 49. 


164 MALAGOLA 


discepolo e biografo Bartolomeo Bianchini (1). Dimoran- 
do l’Urceo in Forlì, ed essendo precettore di Sinibaldo, 
aveva la sua stanza nel palazzo del principe, ed era 
questa adorna di suntuose pitture, ma, per essere nella 
più interna parte dell’ edificio, riceveva in sul far del 
giorno scarsissima la luce. Pertanto il nostro Antonio, 
quante volte voleva di buon mattino studiare, usava 
una lucerna di terra, lavorata, come si racconta, con 
bell’ artificio. Per caso avendola egli una mattina la- 
sciata accesa, ed essendo uscito pei proprii negozii alla 
piazza, appiccatosi il fuoco alle carte che eran presso 
alla lucerna, tutto ciò che trovavasi nella stanza in un 
momento fu dalle fiamme divorato. Onde anche un libro, 
da lui composto, intitolato Pastor, rimase involto nell’ in- 
cendio, e perì. Codro, al primo annunzio di tanta disgra- 
zia, vi accorse precipitoso, nè potendo entrar nella stan- 
za che divampava per ogni lato, proruppe in alte impre- 
cazioni, non frenandosi punto alle parole di quelli che 
pur cercavano di persuaderlo a ragione. E 


« Tanto il dolor gli fe' la mente torta » 


che forsennato uscì alla campagna e sì intanò come fe- 
roce belva in un bosco. Dove rimase con sommo affan- 
no per tutto quel giorno, e come fu giunta la notte, 
essendo ritornato alle mura, ed avendo trovata chiusa 
la porta della città, narrano che, aspettato il mattino, 
rientrasse in Forlì e si ascondesse nella casa di un le- 
gnaiuolo, ove solo e senza conforto nè di libri, nè d' al- 
tro, per sei mesi continui conducesse la vita in preda 
alla rabbia. Ma finalmente, cedendo alle preghiere di 


(1) Codri Vita, a pag. 8 e 9 non num. 


DI A. URCEO CODRO 165 


Pino Ordelaffi, ritornò alla sua stanza, che era stata 
dicevolmente restaurata. Il Padre Domenico Codagli, 
nella sua istoria di Orzi Nuovi (1), asserisce, senza 
alcun fondamento, che Codro- prese per questo fatto tale 
odio contro Forlì, che sin d'allora concepì il pensiero 
d'abbandonare quella città. | 

V. Egli è certo del resto che ivi stette Codro dieci 
anni (e ne abbiamo la testimonianza di lui medesimo (2)) 
e ne partì sulla fine del 1480, a cagione dei politici 
turbamenti che in quel tempo sconvolsero la città. Peroc- 
chè Pino Ordelaffi, tornato in patria dalla Toscana, ove 
comandava agli eserciti della Chiesa contro la Republi- 
ca di Firenze, essendo, pei molti disagi e fatiche soffer- 
ti, divenuto cagionevole assai di salute, fu in breve a 
tale estremo, che ai 10 di febbraio del 1480 morì. E 
già sino dalla prima domenica dell’ anno 1473 nella 
chiesa di San Francesco di Forlì erano state lette le 
Bolle di Sisto IV che confermavano Vicario della Chiesa 
in quella città Pino Ordelaffi, e alla morte di lui i suoi 
legittimi figliuoli; e, se di questi fosse stato privo, il 
figlio naturale Sinibaldo. Nè avendo infatti Pino avuto 
alcun figliuolo dalle tre mogli da lui condotte, rimase 
Siniballo erede nel dominio paterno, e per essere egli 
di tenera età, furono suoi tutori, come Pino aveva sta- 
bilito, il Pontefice Sisto IV e Ferdinando Re di Napoli, 
reggendo le cose dello Stato Lucrezia dei Pico della 
Mirandola, vedova di Pino. Sembra che fin da quando 
questi era agli estremi, essa con Sinibaldo si ritirasse 
nella Rocca, per difendersi contro qualunque tumulto 


(1) Storia Orceana - Brescia, 1592 - a pag. 112. 
(2) Opera, a pag. 276. 


166 MALAGOLA 


popolare che alla ‘morte del marito si potesse levare, 
come Codro conferma con quei versi: 


« Surgeret irata si forte tumultus in Urbe, 
Tutus ut a telis vulneribusque foret (1) ». 


Secondo che narrano le storie di Forlì, il giorno 
dopo la morte di Pino il Conte Antonio Pico della Mi- 
randola, fratello di Lucrezia, ch'era venuto a Forlì per 
giovarla del suo consiglio e del suo aiuto, fatto salire 
a cavallo Sinibaldo, gli fè correr la piazza, come era 
l’uso dei tempi. Nella Sala Grande del Palazzo, Sinibal- 
do ricevette da gran numero di cittadini giuramento di 
fedeltà, e dopo venti giorni, avendolo riconosciuto per 
loro Signore anche quelli che stavano nella Rocca, fu 
dal Pontefice confermato nel dominio di Forlì. Di questo 
Codro lasciò memoria nella sua poesia intitolata: « La- 
mentatio ad lectum in quo expiravit Sinibaldus Orde- 
laphus » : 


« Forlivit Princeps, natus de Principe patre 

Inter honoratos quem locat hasta Duces. 

Et successorem patris, vivente parente, 
Quartus te fecit Xystus în urbe sua. 

Post patris occasum populus clamore vocavit 
Te tuus, et Xystus contulit illud idem, 

Vigintique dies tua post incognita fata 
Dixit io Princeps arx, Sinibalde, tua (2) », 


Ai 10 di febbraio, avendo Lucrezia ed il fratello 
Antonio radunato il Consiglio della Città, furono eletti, 
col consenso del popolo, i Sedici Anziani, i quali doves- 


- 


(1) Opera. A pag. 348. 
(2) Opera. A pag. 349. 


DI A. URCEO CODRO - 167 
sero governare insieme a Lucrezia come Signori del 
Reggimento, ma per Sinibaldo. Sembra però che il Conte 
Antonio Pico volesse nel governo esser solo, onde co- 
minciassero i Forlivesi a vederlo di mal occhio, ed anzi, 
eccitati dai partigiani dei figli di Cecco Ordelaffi, legit- 
timi nipoti di Pino che allora vivevano in Faenza, fa- 
cesser tumulto in favore di quelli, ed essendone riusciti 
vincitori, venuti i figliuoli di Cecco in Forlì, ponessero 
assedio alla rocca. Anche mi pare che si possa sospettare 
aver essi qualche volta, prima della morte di Pino, 
concitato il popolo a rumore, poichè leggiamo tra i ver- 
si di Codro, questi, non degni degli altri, 


DG I I E E I I I I I ΕΞ ΕΞ 

Ordelaphi fratres tristia fata gemunt. 

Nam scio laudantur mites, et si quid ab illis 
Peccatur, populi seditione fit hoc (1) ». 


Mentre Sinibaldo (insieme con Codro) era stretto 
d'assedio nella Rocca, ivi morì ai 18 di luglio del 1480, 
e non già ai 10, come scrisse 11 Bonoli nella sua istoria 
di Forlì (2), nè ai 14, come volle il Conte Passerini (3), 
poichè troviamo nella ricordata Elegia « Lamentatio » 
etc. queste parole: 


« Iulius in culpa est, cuius bis nona benignum 
Abstulit e terris lux mihi nigra ducem. 


(1) Opera, a pag. 349. 

(2) Istorie della Città di Forlì - In Forlì - Per Ciniatti e Sa- 
poretti, 1661, a pag. 243. n 

(3) Nella continuazione dell’ opera del Litta: Famiglie Celebri Ita- 
liane - Milano 1868 - Vol. VIII. N. 119, Tavola VI. 


18. MALAGOLA 
luvit pestiferum male sana canicula fatum, 
Et culpae partem Syrius ater habet (1) ». 


In molti versi pianse Codro, e con grande affetto, 
la morte del suo discepolo Sinibaldo, nel quale avea ri- 
posta ogni più cara speranza. Pure nell’ Elegia « Lamen- 
tatio » etc., rammenta il suo giovane discepolo con que- 
sti eleganti e affettuosissimi ‘versi, che tengono del ti- 
bulliano: 


« ΝΞ οὐ κως 
Lusisti mecum, iactis hinc inde figuris, 
° Quas varias Regum picta tabella gerit. 
Hic victus, vinci gaudebam, tu quoque victus 
In praeceptorem verba iocosa dabas. 
Hei mihil cur memoro quae sunt mihi vulnera mille, 
Quae fodiunt nostrum parte ab utraque iecur? 
Amisi Regem, spem, praemia, vota, salutem: 
Amisi vitae gaudia tota meae. 
Discipulum amisi, cuius mihi gratia pura 
Talis erat, qualem non reperire datur! 
Carior argento, fulvo mihi carior auro, 
Delitiîs animi, gratia maior erat (2) ». 


Non sembra che Codro, nel tempo che stette nella 
Rocca cinta d'assedio, vi si trovasse a disagio, poichè 
scrive nell’ Elegia che intitolò: « Ad Phoedbum lamen- 
latio, cum obsideretur in arce Forlivi » : 


«..... . « Forsan credis potemus acelum, 
Vulsaque de rigido sit cibus herba solo? 


— 


(1) Opera, a pag. 347. 
(2) Opera, a pag. 346. 


DI A. URCEO CODRO 169 


—T Te —— — —-—rrr-r —_—-—————————12#%12À2À4%4%ày_@@@t6— ———— 


Non ita, nam nobis Bacchus sua vina ministrat 
Optima, dat fruges et sua dona Ceres. 

Terga suum nobis praebent carnaria plena , 
Et nobis praebet pocula munda Thetis. 

Dat Venus ipsa suas nobis Erycina palumbes, 
Nostra cohortales area pascit aves. 

Hic salis, hic Pharii servatur copia aceti, 
Hic sua bellatrix munera Pallas habet. 

Non opus est arctis stringantur corpora zonis 
Non opus est pistor lupiter arte tua. 

Nil deest, nec deerit, donec prudentia Pici 
Principis, et Princeps et caput arcis erit (1) ».. 


E nella stessa elegia Codro ci fa sapere che con 
lui era nella rocca un altro poeta: 


« Respice, Phoebe, precor, Forlivii tristia fata, 
Quis credat? Vates arx habet ista duos. 

Sed quid agunt? Miseri longa obsidione Poétae 
Cinguntur, clausos hostis iniquus habet. 

Carolus (2) hic ductor Planiensis nomine Xysti 


(1) Opera, a pag. 350 e 35]. 

(2) Per quante ricerche io abbia fatto, non m'è riuscito di sco- 
prire chi fosse quel Carlo, capitano e poeta, qui ricordato, che tro- 
vavasi nella Rocca di Forlì, mandato dal Pontefice. Il Tiraboschi 
(Biblioteca Modenese, Vol. V, pag. 207) congetturò ch’ egli fosse 
quel Carlo Dall’Armi, del quale Codro istesso in un epigramma 
(Opera, a pag. 389) loda il valore nelle armi e nella poesia: 


« Arma tibi nomen, nomen dant nobile Musae, 
Sed Musis debes, Carole docte, magis. 
Dic quare, dicam faciuni te bella timeri, 
Quod faciunt Musae, non timor est, sed amor ». 


᾿ Carlo Dall’Armi, di cui parla Codro nel riferito epigramma, fu 
della famiglia bolognese Dall’Armi, nobile ed antica, ed ebbe senza 


170 MALAGOLA 


se —— —_- 


——crc_—- 


Pontificis missus saepe per arma canît (1) ». 


Questa testimonianza di Codro che nella Rocca di, 
Forlì fosse un inviato del Pontefice, rende ‘inverosimile 
il racconto del Muratori (2), che il Conte Girolamo Ria- 
rio, nipote del Papa, avendo udito che la rocca di Forlì 
era stretta d' assedio, vi accorresse colle armi pontificie, 
ed ottenuto l'ingresso in città, dalla vedova di Pino 
avesse anche la rocca. Sembra invece assai più probabile 
che il Pontefice, dopo la morte di Sinibaldo, bramasse 
per la Sede Apostolica il dominio di Forlì, e che per 
questo Lucrezia cedesse a Francesco da Tolentino, che 
veniva in nome del Papa, la città e la fortezza, a patto 
di potere portar seco alla Mirandola tutto il tesoro di 
Pino, che si diceva giungere a ventimila scudi, e la 
suppellettile (che non si potè levar tutta, secondo che 
è memoria, con trenta carri) e tutte le scritture della 
famiglia Ordelaffi. E così il Pontefice ai 23 d'agosto 
dello stesso anno 1480 potè dare l'investitura di Forlì 
al nipote Conte Girolamo Riario. Dopo che fu tolto l’ as- 


dubio amicizia coll’ Urceo. Non sappiamo se questo Carlo Dall’Armi 
sia quello stesso Carlo Dall’Armi, notaio, cui i Sedici Riformatori 
dello Stato di Libertà di Bologna, con loro decreto dei 15 gennaio 
1490 «.... per omnes fabas albas absolverunt ...... a fideiussione per 
eum facta pro Dominico Ghello condemnato în libris centum.....» 
(Partitorum, Vol. XI, pag. 5 retto, nell'Archivio del Reggimento). 
Di Carlo Dall’Armi non fece menzione il Dolfi nella sua Cronologia 
delle famiglie nobili di Bologna. Questa famiglia sì estinse nel 1775 
nella persona di Petronio, che ebbe grado di ufficiale nelle milizie 
francesi e venne decorato della croce di cavaliere dell'Ordine di San 
Luigi, e fu Incaricato d'Affari del Re di Francia nella nostru città. 

(1) Opera, a pag. 350. 

(2) Annali d'Italia. Tomo TX, parte II, pag. 216, ediz. di Roma 
dal 1786 al 1788. 


DI A. URCEO CODRO 171 


sedio dalla rocca, Codro stette ancora alcun tempo in 
quella città, dubioso se dovesse rimanervi. Ma non 
potendo soffrir quel soggiorno, che per la morte di Pino 
e di Sinibaldo gli tornava molesto, ed anche perchè ve- 
deva ogni cosa inclinar verso il peggio, dieci mesi dalla 
morte di Pino, cioè sulla fine del 1480, egli si condusse 
a Bologna. 

Venendo alla quale, egli doveva per certo volgere 
nella mente quei medesimi pensieri, che più di tre secoli 
dopo Paolo Costa esprimeva in quei versi: 


« A stranio ciel fuggon le Muse; io piango 
La mal concetta speme, e nel futuro 
Leggo fati più iniqui; indi i civili 
Odii e della Romagna il tempestoso 
Cielo fuggendo, qui, dove d’ appresso 
Della torre maggior la Garisenda 
Θ᾽ incurva, in lieto e fido porto approdo (1) ». 


(1) Opere di Paolo Coslu - Firenze Stamperia di F. Cardinali 
M.DCCC. XXX. Tomo II, pag. 3, nel Carme « Αἰ Conte Gio. Ant. 
Roverella ». 


172 MALAGOLA 


CAPITOLO V. 
L’ Urceo in Bologna. 


I. Venuta dell'Urceo a Bologna. — II. È nominato professore 
di Grammatica, Retorica e Poetica, poscia di Lettere Greche, nello 
Studio. — III. Dove forse abitasse in Bologna. — IV. È desiderato 
professore in altre città. — V. Suoi viaggi. — VI. Suo stipendio. — 
VII. Dei costumi e della salute di Codro. — VIII. Sue superstizioni. ‘ 
— IX. Sue opinioni in fatto di religione. — X. Sua morte. — XI. 
Suo sepolcro. — XII. Suoi ritratti. 


I. Girolamo Tiraboschi, parlando, nella sua Storia 
della Letteratura Italiana, di Gian Battista Guarino, 
non fa motto che questi abbia mai insegnato nello Stu- 
dio di Bologna. Eppure i Rotul di esso, che si conser- 
vano nel nostro Archivio Notarile, ci mostrano come 
negli anni scolastici 1455-1456 è 1456-1457 egli (e già 
lo notai nel II capitolo, a pagina 62) abbia professato 
‘ nello Studio Retorica e Poetica. Mancando il Rotu/o pel 
1457-1458, non si può sapere se il Guarino sì fermas- 
se ad insegnare nella nostra città anche in quell’anno; 
tuttavia è certo che egli non vi si trovava nel seguente (1). 

Ho voluto notar questo fatto, perche io penso che 
Gian Battista, il quale già dicemmo avere per lungo 
tempo consigliato l’ Urceo, anche dopo che questi più 
non gli era discepolo, possa averlo esortato a portarsi 
a Bologna, dove egli era stato due anni, o, più pro- 
babilmente, lo abbia raccomandato ai magistrati ed ai 


(1) Vedi l'Appendice XIII. 


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DI A. URCEO CODRO * 173 
professori dello Studio, tra i quali dovea il figlio del 
Veronese contar molti amici ed estimatori. 

Quantunque dei due primi anni della dimora di 
Codro nella nostra città, non sia rimasta notizia alcuna, 
io credo di non andar lungi dal vero, congetturando che 
egli vi tenesse scuola privatamente fino al 1482, cioè 
sino a quando con publico decreto fu eletto professore 
nel celebre Studio di questa città, che meritò il sopra- 
nome di dotta e di mater studiorum e che fu vera- 
mente maestra al mondo di civile sapienza. 

II. Lo Studio Bolognese, che verso la fine del 
secolo XIV aveva cominciato a risorgere, prima ancora 
che v’insegnasse l’Urceo era stato illustrato nel secolo 
XV da quattro dei più grandi umanisti: dall’ Aurispa, 
dal Filelfo, da Guarino Veronese e dal figlio Gian Bat- 
tista, nè quindi è da maravigliare se alla fama di così 
grandi maestri accorressero discepoli di ogni nazione. 

Sinora non fu noto in quale anno l’ Urceo abbia 
cominciato ad insegnare publicamente nella nostra città; 
noi lo apprendiamo da un decreto dei Sedici Riforma- 
tori dello Stato di Libertà di Bologna, in data dei 14 
ottobre 1482, con cui elessero il nostro Codro alla cat- 
tedra di Grammatica, Retorica e Poetica nello Studio (1) 


(1) L’ antico Studio di Bologna dividevasi principalmente in 


due università: in quella dei Leggisti, ed in quella degli Artisti. 
Quest'ultima, oltre molte cattedre di Medicina, di Filosofia di Mate- 
matica etc. comprendeva, nel tempo in cuì vi insegnò Codro, le se- 
guenti, per lo Studio delle lettere: 

A) « Ad Rhetoricam et Poesim ». Occupavanla due Pro- 
fessori, l'uno dei quali insegnava « In Campana Sancti Petri », 
« cum hoc (secondo che i Rotuli prescrivono) quod in scholis publi- 
cis publice legat et etiam, ut consuevit, Grammaticam doceat ». Uno 
o due altri professori insegnavano Retorica e Poetica nello Studio 


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174 MALAGOLA = 


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per un anno, e con lo stipendio di 100 lire di bologni- 
ni (1). Egli pertanto fu iscritto nel Rotu/o dell’ anno 
scolastico 1482-1483 sotto l' indicazione della cattedra: 
« Ad Grammaticam Rhetoricam et Poestim (2) », ove 
troviamo sempre notato il nostro, fino che visse, sotto 
il nome: « Antonius de Forlivio ».. 

Nel 1485 gli fu affidato anche |’ insegnamento delle 
Lettere Greche nei giorni festivi, come rileviamo dal 


—————P———————— ____——______—————_z___ 


« De Sero » — Per tutti questi era ordinato, sempre dai Rotuli: 
« Ad Rhetoricam et Poesim legat quilibet duas lectiones, videlicet unam 
in oratoria ei aliam in poetica arte. Qui legent de mane, legant unam 
aliam de sero, et qui legent de sero, legant unam aliam de mane a 
praedictis primis duabus penitus diversam ». 

B) « Ad Grammaticam Rbhetoricam et Poesim ». Inse- 
gnavano queste materie ora uno, ora due professori, taluno « in 
tertiis », oppure « in vesperis », oppure « de sero »; e quest’ ultimo 
talora col patto: « quod publice legal et etiam grammaticam doccal 
extra Scholas Sancti Petronii in loco Scholaribus comodo ». 

C) « Ad Literas Graecas Diebus Festis » (Dal 1485-1486 
in poi). 

D) « Ad Grammaticam pro Quarteriis ». Erano uno, 0 
due ed anche sino a tre maestri per ogni quartiere della città, e 
distribuiti: « In Quarterio Ravennate; In Quarterio Sancti Petri; 
In. Quarterio Sancti Proculi; In Quarterio Sterii (sic) ». 

A ciascuno dei maestri « pro Quarteriis » era ordinato: « quod... 
instituat et doceat quattuor ex pauperibus verecundis prout ab eorum 
Procuratoribus commissum fueril ». 

E) « Ad Literas Hebraicas ». Queste venivano insegnate 
da un solo professore coll’obligo « Zia tum quod publice legat ». Per 
le notizie di questa cattedra veggasi la nota 1.3, a pag. 39. 

F) Fra le « Lecturae Universitatis », che erano dispute e ripe 
tizioni tenute da studenti, una ve n’era « RAetoricae » non sempre 
occupata. 

(1) Appendice XIV, doc. 1.° 

(2) Appendice XIV, doc. 2.° 


DI A. URCEO CODRO 175 


Rotulo dello Studio dell'anno scolastico 1485-1486 (1), 
dove pure l’ Urceo è chiamato « Antonius de Forlivio ».. 
Intorno a questa denominazione voglio notare, perchè 
non resti luogo ad alcun dubio, che Il’ Urceo stesso nella 
sua lettera al Mengo, scrive: « pro Foroliviensi potius 
appellor et cognoscor quam pro Herberiensi.... ». E 
poco dopo ricorda la cattedra di Retorica a lui confe- 
δία (2); e nel II Sermone, tenuto l'anno 1485, l' altra 
di Greco nei giorni festivi: « De lileris graecis non 
sum hodie plura dicturus; în prorimum diem festum 
hanc pariem relinquo, ubi, ut reor, animis vestris pro 
virili satisfaciam (3) ». Le quali cose pienamente 8᾽ ac- 
cordano con tutto ciò che s'è detto di Codro come pro- 
fessore nello Studio. 

III. In Bologna forse l' Urceo abitò sotto la par- 
rocchia, ora soppressa, di San Donato, in una casa che 
vi avrebbe comperata da un certo Stefano di Pietro 
Lapi. Infatti il nostro autore, in quella parte del primo 
Sermone dove cerca di provare nulla esser sicuro nel 
mondo, neppure ciò che viene rogato per Atto di notaio, 
esce in queste parole: « Caeterum mihi respondeatis, 
quaeso, st domum de Lapo emero, quis me tutum prae- 
stabit? Tabularius Cicuta nodosior. Et quomodo? His 
verbis: Stephanus Lapus, filius quondam Petri Lapi, 
eivis Bononiensis, dedit, vendidit, tradidit Codro, 
filio quondam Cortesij Urcei, praesenti, stipulanti, 
et recipienti pro se et suis heredibus, unam domum 
bene materiatam positam Bononiae in dioecesi San- 


(1) Appendice XIV, doc. 3.° 
(2) Opera, a pag. 277. 
(3) Opera, a pag. 92. 


176 MALAGOLA 


cti Donati (1) ». La probabilità che Codro abbia vera- 
mente comprata una casa in Bologna da questo Stefano 
Lapi, del quale anche ci dice il nome del padre, cioè 
Pietro, cresce di molto, se si consideri che in Bologna, in 
quegli anni in cui vi insegnava l' Urceo, viveva appunto 
uno Stefano Lapi, figlio veramente di Pietro, e pel qua- 
le (secondo che consta da un Partito, del 26 febbraio 
1485, dei Riformatori dello Stato di Libertà di Bologna), 
era stato decretato: «..... ut Stephanus Petri de Lapis 
bannitus pro homicidio per eum commisso în persona 
Bartolomei Francisci de Butrio aurificis, cancelletur 
de banno, dummodo elapsus sit sextus aut quintus an- 
nus bannj predicti (2) ». Ma, secondo che dimostrano 
altre parole di quello stesso Decreto, non gli fu tolto 
allora il Bando, perchè, non era ancor trascorso il sesto 
od il quinto anno da che il Lapi era stato bandito, il 
che era avvenuto nel 1481 (3). 

IV. Mentre l’ Urceo insegnava in Bologna, e con 
molta fama, più volte fu invitato in altre città a tener 
scuola, e con onorevolissimi stipendi. Pur tuttavia egli 
mai non si volle partire di qui, e a Nicolò Masini di 
Cesena, che lo aveva invitato a leggere colà, rispon- 
deva in un’ elegia: 


-ἙἘἙἘἘἘ -.ὕο 


(1) Opera, a pag. 7]. 

(2) Partitorum, vol. X, a carte 252 retto, nell'Archivio del Reg- 
gimento. 

(3) Questo Stefano Lapi, che probabilmente vendette all’ Urceo 
una casa, esercitava l’ arte di incisore, (e forse, come usavasi allora, 
anche quella di orefice) poichè negli « Annales Clarissimae Nacionis 
Germanorum >», che serbansi nella nostra città nell’ Archivio della 
famiglia dei Conti Malvezzi de’ Medici, trovasi questa nota: « 1499 
- Erogata pro Nacione -..... Steffano lappo, pro Sculptura Sigilli 
nacionis, XXXII bologninos ». (Vedi il citato Vol. a carte 145 retto). 


DI A. URCEO CODRO 177 


« Cur me Felsinea deducere quaeris ab urbe 
Nolentem, in patriam, docte Masine, tuam? 
An quod nequicquam de te mihi credere fas est, 
Caesenam huic optas aequiparare loco? 
An maiora tuam fortasse stipendia mentem 
Impellunt meritis contribuenda meisf 


Tristis eram, et varias agitabam pectore curas, 
Aptior haec Musis, an foret illa meis. 

Nam Caesena ferax hinc me rapiebat, et illine 
Livia, pollicitis utraque larga suis (1) ». 


Anche ricusa ]᾽ offerta di recarsi a insegnare in 
altra città, a noi ignota, in quella sua lettera al conte 
e dottore Giovanni Bozzo, ove dice: «..... vellem..... tan- 
lorum virorum, qui de me conducendo verba fecerunt, 
tolis posse satisfacere..... Reliquum est, ut tibi, claris- 
simo viro, rehquisque praestantssimis viris, qui me 
fanta benevolentia compleai, ad honorem et utilitatem 
invitare dignati estis, meritas agam gratias (2) ». 

V. Mentre aveva preso stabile dimora nella dotta 
Bologna, non mancò il nostro autore di recarsi ora nel- 
l'una, ora nell'altra città d’Italia, forse a cagione di 
diporto, o per vedervi gli amici. Nell’ estate, secondo 
sembra, del 1492 si condusse a Venezia a trovare Aldo 
Manuzio, giacchè, in una lettera dei 14 ottobre del- 
l’anno sopra detto, gli scrive: « vellem enim eaponere 
at enarrare quicquid mihi post meum a te discessum 
acciderit (3) ». Due anni αἱ poi, in compagnia di Ales- 


(1) Opera, a pag. 328 e 329. 
(2) Opera, a pag. 262. 
(3) Opera, a pag. 270. 
12 


178 MALAGOLA 

sandro Bentivoglio, di Mino Rossi e di Gian Francesco 
Aldrovandi, mandati Ambasciatori a Milano, fu anch’ egli 
in quella città, ospitato splendidamente dai Borromeiì, 
congiunti per sangue ai Bentivoglio di Bologna; e forse 
colà fece acquisto di codici greci. Senza dubio egli vi 
era ai 23 di novembre del 1494, del qual giorno è da- 
tata una lettera che abbiamo alle stampe, scritta da 
lui da Milano al suo discepolo Gian Battista Palmieri (1). 
Il Padre Codagli, il quale scrisse la Storia di Orzi 
Nuovi, afferma che 1᾿ Urceo andasse allora nella metro- 
poli lombarda come Ambasciatore di Giovanni II Benti- 
voglio (2), la qual cosa forse gli fu suggerita da quei 
versi del nostro, che cominciano il carme « Ad (Galea- 
tum Benlivolum Codrus rediens Mediolano »: 


« Iam iam Felsinei, colende Princeps, 
Legati redeunt ab urbe magna, 
Quam Mavors regit anguiger, superbi 
Ornatus tituli decore nuper (3) ». 


Che del resto egli non fosse Ambasciatore ci rende 
certi il non venir Codro nominato nel Partito con cui i 
Sedici Riformatori di Bologna elessero a quell’ incarico 
il Rossi e l'Aldrovandi, sopra ricordati. Di tale viaggio 
pare che l’ Urceo serbasse grata memoria, giacchè lo 
ricordava, cantando: 


« Italiae primam et pinguem properamus ad urbem 
Hospitio capiet quos Boromaea domus. 


(1) Opera, a pag. 262 e 263. 
‘ (2) Storia citata, a pag. lll. 
(3) Opera, a pag. 313, 


DI A. URCEO CODRO . 179 


— -———————++—+—+ *uuc.+++——_ .... 


Splendida Bentivolis et amore et sanguine iuncta 
Haec domus a magno Principe prima manet (1) ». 


Quantunque non sia ben noto l’anno, pure è certo 
ch’ ei fu anche a Roma con Vertunno Zambeccari, giac- 
chè narra egli stesso nei distici che indirizzò a questo 
suo amico bolognese: 


« Romanas vidi, duce te, Vertumne, ruinas 
Priscaque templa bonis credita coelitibus (2) ». 


VI. Sappiamo poi dal XIII Sermone come l’'Urceo 
si dolesse, e publicamente, del poco stipendio che a luì ed 
agli altri professori dello Studio era dato, poichè, allu- 
dendo a ciò, egli scrisse: « Nos quoque, sive doctores, 
sive magistri, sive poétae, debemus huic florentissimac 
Reipublicae, quae laboribus nostris congrua salaria 
retribuit, et multo magis deberemus, si plures pecu- 
nias nobis suppeditaret (3) ». Il salario gli fu sempre 
pagato regolarmente, come fanno fede i Quartironi, dei 
quali riporterò 1 brani che riguardano il nostro. Questo 
10 noto, per far osservare che male a proposito asserì 
il Tiraboschi nella Biblioteca Modenese, aver detto il 
nostro Codro nel nono Sermone (tenuto, io penso, nei 
primi mesi del 1488) ch'egli credeva di non poter pro- 
seguire nell’ insegnamento del greco, sì perchè un acuta 
febre lo aveva condotto in fin di vita, e « sì perché 
eran già due anni ch’ ei non aveva toccato un soldo 
del suo stipendio (4) ». Codro non intese già questo, chè 


—— _————->_ 


(1) Opera, a pag. 387. 
(2) Opera, a pag. 396. 
(3) Opera, a pag. 249. 
(4) Op. cit. Tomo Vj; pag. 399. 


180 MALAGOLA 
non potea dirlo, ma con le parole: « quia duobus iam 
exactis annis, quibus literas graccas interpretatus sum, 
nihil stipis, nihil mercedis mihi exolutum fuerat », vo- 
leva significare che sebbene gli fosse stato addossato 
questo nuovo insegnamento del greco, non gli era stato 
dato per ciò maggiore salario. Ed era verissimo, per- 
chè, da quando prese a leggere in Bologna, solo nella 
fine di febbraio del 1488 ottenne un aumento nel suo 
stipendio, come poco più innanzi dirò. 

Da alcuni documenti che rinvenni nell'archivio del- 
l'antico Reggimento, e che riporterò interamente fra le 
note, apprendiamo che al nostro autore fu assegnato 
nell’ ottobre del 1482 un annuo stipendio di lire 100 
di bolognini (1), il quale, sei anni di poi, gli fu accre- 
sciuto di lire 25 con un decreto dei Sedici Riforma- 
tori dello Stato di Libertà di Bologna, in data dell’ ul- 
timo di febraio del 1488 (2). E nel 1496, a'23 di no- 
vembre, fu stabilito che il salario dell’ Urceo fosse di 
lire 150 di Bolognini ogni anno (3). Più minute notizie 
dello stipendio che l’ Urceo percepì di tre mesi in tre 
mesì troviamo nei Quartironi (4) dello Studio. 

VII. Sembra che il nostro Codro peccasse alquanto 
di avarizia, e di ciò avremmo indizio nelle molte queri- 
monie che per cagione d'interesse lasciò nelle sue opere, 
e segnatamente dove si lagna che col frutto del suo in- 
gegno non abbia raggiunto di arrichire per modo almeno 
da comperarsi alcun podere, o da essere in grado, pren- 


(1) Vedi l'Appendice XIV, doc. 1.° 

(2) Vedi l’Appendice XIV, doc. 6.° 

(3) Vedi l'Appendice XIV, doc. 7.° 

(4) Vedi l’Appendice XIV, doc. 8.° — Leggansi anche i docu- 
menti 4,° e 5.° della medesima appendice, 


DI A. URCEO ΟΟΡΒΟ 181 


dendo moglie, di mantenerla. « Oh miserum Codrum » 
(esclama nel quarto Sermone) « qui quinquagenarius 
cum sit, nec feminam, nec bovem habet aratorem! (1) ».. 
Ma forse tali querele non erano sincere, e non sarebbe 
fuor di luogo sospettare provenissero, piuttosto che da 
vero bisogno, da un insaziabile desiderio di danaro, il 
che è proprio degli avari. Egli, avendo toccato il cin- 
quantesimo anno senza aver tolto moglie, e mostrando 
di averne l'animo scontento, se ne doleva con queste 
parle: « O Codrum infelicem, qui sine uxore vitam 
degitferinam! Ego, viri ornatissimi, ut de me aliquid 
in hoc mei sermonis fine dicam, eram satis egregie 
nalurae et fortunae bonis dotatus, Viguit et adhuc 
tiget ingenium, viget memoria; oculi acuti; intestina 
sana, sine vitio suni, sine morbo; artus mei validi; 
non egeo amicis, non libris, non pecuniolis; ad quin- 
quagesimum annum perveni, ad quem multi contem- 
poranei mei non pervenere. Felix essem, nisi liberi 
non deessent. O si quis parvulus aula luderet Aeneas, 
qui me tantum ore referret! cui cistam et Graecos 
possem legare libellos! Non omnino mihi desertus ino- 
psque viderer... (2) ». 

Tutta la vita del nostro Antonio fu spesa in pro' 
dei giovani; della qual cosa dee lodarsi, come quello che 
metteva somma cura nello avvivare fra’ suoi discepoli 
l'amore allo studio. Nè v'era mezzo ch' ei non ponesse 
in opera a ciò; anzi usava di divider per classi gli sco- 
lari e di stimolarli a qualche gara letteraria, e chi ne 
usciva fra essì vincitore era onorato dagli applausi dei 


-_——_—— 


(1) Opera, a pag. 125. 
(2) Opera, a pag. 129 e 130. 


182 MALAGOLA 

compagni (1). Nè tacerò per altro ch'egli talvolta 8᾽ ac- 
cendeva d'ira contro i discepoli, forse oltre i termini del 
convenevole. Ma era tanta la sua scienza, e tale la 
bontà che di solito usava con essi, che lo amavano 
con riverenza di discepoli e con affetto di figli. Del quale 
amore de'suoi scolari mostra. di compiacersi in alcuni 
luoghi delle sue opere, e singolarmente nel quarto Ser- ‘ 
mone, dove scriveva: «..... sed quid mihi filios deesse 
queror, cum plurimos în mulltis Italiae civitatibus di- 
scipulos habuerim, et hic nunc habeam, qui me paren- 
tis loco amanti, colunt et observant: qui me mortuum 
efferrent, dolerent ac plorarent? (2) ». Nè meno note- 
voli delle riferite sono le seguenti parole del primo Ser- 
mone: «.... Ego nondum sum quinquagenarius et nec 
filium, nec nepotem habeo, et iam paterculus et avus 
a tuvenibus vocor (3) ». 

Ebbe il nostro autore gracile complessione e sto- 
maco debolissimo; per la qual cosa fu assai parco nel 
vitto e semplice nell’ uso dei cibi. Sino dalla prima 
giovinezza fu ‘di fievole sanità, e durò in tale stato 
fino all'anno quarantesimo quarto dell’ età sua, com’ ei 
soleva raccontare (4). Ed il più delle volte era oppresso 
di tal debolezza di stomaco e di tutto il corpo, che dal 
nascer del sole infino al tramonto giaceva quasi esani- 
me sopra il letto; nè metteva in tutto quel tempo un 
lamento, ma, come 1] giorno era già sul mancare, ripren- 
deva vigore. Nè solo usò parsimonia nel cibo, ma anche 
in tutto che è di ornamento al corpo fu così negligente 


(1) Bianchini - Codri Vita, pag. 7 non num. 
(2) Opera, a pag. 139. 

(3) Opera, a pag. 6. 

(4) Bianchini - Codri Vita, a pag. 6 non num. 


DI A. URCEO CODRO 183 
da essere rimproverato di avarizia. Batfista Mantovano, 
in fine delle sue Selve, scrisse che Codro, mentre abi- 
tava in Bologna, solea talvolta ad un tempo, leggendo 
l'Iliade, schiumare con una mano la pentola, e girare 
con l'altra l’ arrosto: 


« Ilias în manibus, spumat manus una lebdetem, 
Una veru versat, tres agit ille viros (1) ». 


E per aggiungere alcuna cosa de’ suoi particolari 
costumi, ei fu uomo d’imaginazione oltre modo ga- 
gliarda, e tale che lo rendeva di indole fortemente sde- 
gnosa. Onde talvolta trascorse agli estremi nelle com- 
mozioni e negli affetti dell'animo. E chiaramente lo di- 
mostra il fatto dell’ incendio della sua stanza in Forlì, 
che io ho già narrato, attenendomi a ciò che ne scrisse 
Bartolomeo Bianchini. Sebbene però Codro facilmente 
s'accendesse all’ ira e forte sentisse nell’ animo le affli- 
zioni, egli per l’ordinario era nel favellare molto arguto 
e piacevole. Interrogato da alcuno perchè usasse tanto 
spesso delle facezie, soleva rispondere aver la natura 
così fatti gli uomini, che fossero arguti, urbani e nar- 
ratori faceti (2). Ed egli stesso, nel suo secondo Sermone, 
finge che i discepoli gli dicano: «... îmo et te facetiae de- 
cent, et praeler te fortasse neminem ex tis qui dicunt; 
et hoc tempus omnem animi hilaritatem permittit el 


esposcit (3) ». 


(1) Questi versi sono riferiti dal Moreri nel suo « Grand D:- 
clionnaire Historique », (Parigi, 1749) a pag. 332, 3.2 colonna, del- 
l' ultimo volume. 

(2) Bianchini - Codri Vita, a pag- 9. 

(3) Opera, a pag. 83. 


-τ-ὖῇ΄.-....-. .,.. —. .......,, -... 


184 | MALAGOLA 


Quanto ‘poi ai giudizi che soleva dare sulle opere 

altrui, se dobbiamo prestar fede al Bianchini, sarebbe 
stato troppo severo, usando dire dei grandi che fiori- 
vano a'suoi giorni, ch essi credevano di sapere (1). 
Però se noi vorremo osservare le sue opere, e special- 
mente gli epigrammi scritti da lui a commendazione di 
molti uomini ragguardevoli per dottrina, ci sarà facile 
scorgere ch’'ei non fu sì avaro nel lodare altrui come 
il suo primo biografo ci vorrebbe far credere. Derideva 
bensì la vanità di quelli, che, giunti appena a leggera 
conoscenza di lettere, s' accingono all’ arduo officio di 
giudicare, perocchè nom sanno, aggiungeva, « quam 
grave sit onus iudicandi; oportel enim ipsi succum- 
‘ bere oneri, nisi hoc munus magno ac praepotenti în 
literis viro contigerit (2) ». E scrivendo ad Aldo Manuzio, 
diceva: «..... Officium nostrum esset non superbire, sed 
alterum ab allero discere, et nos invicem amare, et 
hominem ignotum ter et quater, prius quam contem- 
nas, versare (3) ». Parole veramente degnissime di un 
sapiente. 
- Pari all'ingegno e al giudizio non ebbe da natura 
la memoria, onde dovea leggere la maggior parte delle 
sue orazioni. Ed avea pur sortito difficile pronunzia; ma 
egli seppe tuttavia coll’ arte renderla tale, da riuscir 
grato ad udirlo, simile in ciò al principe dei greci ora- 
tori. 

VIII. Non voglio tacere che quest’ uomo, dotato 
di tanta sapienza, non andò esente dalle superstizioni 


(1) Bianchini - Codri Vita, a pag. 10 non num. 
(2) Bianchiai - Codri Vita, a pag. 10 non num. 
(3) Opera, a pag. 272. 


DI A. URCEO CODRO 185 


n e ee — _— —_——— -— — 


del suo tempo, giacchè fu osservatore aitentissimo degli 
auguri, avvisando di predire il futuro. Anzi il Bianchi- 
ni (1) scrive che nessuno di quel secolo fu più supersti- 
zioso di Codro, ed aggiunge che se egli avesse dovuto 
notare tutto che di lui si diceva riguardo a ciò, forse un 
libro non gli sarebbe stato bastante. Tra le cose di tal 
genere ch' egli racconta dell’ Urceo, questa mi par da 
narrare, che se al servo sì fosse spenta la lucerna: 
guàrdati, guàrdati, retrocedi, gli gridava Codro, giac- 
chè sta per coglierti una forte disgrazia; e ciò, che al 
servo avea comandato di fare eseguiva egli stesso, cre- 
dendo così di cansare a quello il pericolo. Se al volgo 
veniva annunziato alcuna cosa maravigliosa, credeva che 
a lui od a qualche professore di lettere sovrastasse un 
gran male (2). E nel testamento, che, secondo il Bian- 
chini, scrisse tre dì innanzi la morte, ei non mancò di 
notare come fatale quell’anno (cinquantesimo quarto 
della sua vita) perchè conteneva il 9 esattamente 6 
volte. Delle. quali cose noi vogliamo chiamare in colpa 
il suo secolo, in cui da tali e maggiori superstizioni non 
erano immuni anche altri dottissimi uomini. 

IX. Il discepolo e biografo di Codro, Bartolomeo 
Bianchini, là dove parla delle credenze religiose del suo 
maestro, non può tacere (per servirmi delle sue parole) 
che questi: « Circa christianum dogma, si non re, 
saltem verbis, plerumque claudicabat (3) ». Ed infatti, 
se anche non vogliasi tener conto delle parole dette da 
lui, pieno di furore, contro la Vergine, quando in Forlì 


(1) Codri Vita, a pag. 16 non num. 
(2) Bianchini - Codri Vita, a pag. 10. 
(3) Codri Vita, a pag. 15 non num. 


-———————_—_—_—_—_—_———EÉ————————€—+—————————É—_—_—_—_ _ - -—— --—»—_ ———— _ _ _— — »  —  -r!#— 


186 MALAGOLA 


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gli si abbruciò la stanza e un opera nella quale aveva 
riposte lunghe speranze di onori e di fama, egli lasciò 
ne’ suoi scritti qualche passo, dal quale ben può vedersi 
quali fossero i suoi sentimenti in fatto di religione. 
« Nostri quoque theologi (dice, ad esempio, nel XII 
Sermone) saepe numero vacillant et de lana caprina 
| rixantur de conceplione Virginis, de Antechrislo, de 
sacramentis, de praedestinatione et de aliis quibu- 
sdam, quae potius tacenda sunt, quam praedican- 
da (1)». E se in publico discorso chiamava questioni di 
lana caprina quelle intorno ai sacramenti, interrogato 
dagli amici cosa pensasse dell’ immortalità dell’ anima, 
rispondeva non sapere ciò che di lui dopo morte sa- 
rebbe accaduto, se l’anima fosse stata per vivere, o se 
fosse morta col corpo, e ciò che gli uomini andavan 
dicendo dell’ inferno egli considerava superstizioni da 
vecchierella (2). Questi pensieri di Codro compendiò Fi- 
lippo Beroaldo iuniore in un epigramma latino che vo- 
glio qui riportare: 


« Codre, quid est infra? -Tenebrae. - Non scansio ad astra est?- 
Ulla. - Quid est Pluto? - Fabula vana hominum. - 
Cerberus est ne illic, Proserpina, Tisiphoneque? - 
Non mage quam Pluto, quamque ager Elysius. - 
Quae natura animae? Quae corporis? - Ila perinde 
Solvitur ac corpus; nec magis illa viget. 
Proinde tibi indulge dum vivis, dum licet uti 
Utere deliciis; omnia mors adimit (3) ». 


(1) Opera; a pag. 65. 
(2) Bianchini, Codri Vita, a pag. 15 non num. 
(3) Questo epigramma del Beroaldo fu così tradotto dall’Avvo- 
cato Cavaliere A. C.: 
« Codro, che v'è qui sotto? — Un buio fîtto, 


DI A. URCEO CODRO . 187 


Fu certamente per queste opinioni manifestate da 
Codro, che il Reimann, nel Catalogo della Biblioteca 
Reimanniana, lo chiamò «.... theologumn pessimum,.... 
profanum, scepticum..... (1) »; nè sapremmo ad altro 
che a soverchio zelo religioso, attribuire lo sciocco bi- 
sticcio, che Nicolò Borbone nelle sue Nugae (2) lanciò 
eontro l’ Urceo: 


« Barbatum est mentum, mens est tibi barbara, Codre, 
Barbaries barbae convenit ista tuae ». 


Del resto, comunque la pensasse Codro riguardo alla 
religione, egli però nel fatto operava onestamente; ed 
il Bianchini stesso, dove scrive che « circa christianum 
dogma .... plerumque claudicabat », non tralascia di 
notare: « non re....»; ed un altro discepolo dell’ Ur- 
ceo, Giovanni de Pins di Tolosa, che poi fu vescovo di 


Nè strada ν᾽ è che in su meni alle stelle. — 
Che cosa è Pluto? — Un fatuo 
Cicalar di novelle. — 
γ᾽ ὁ Cerbero che introna? V' è Proserpina? 
E Tisifone υ' è dal fiero viso — 
Vi son come Plutone, 
E come il Campo Eliso. — 
Dell’ anima qual'è, quale del corpo 
È la natura? — Quella a questo unita 
Come quella dissolvesi, 
Nè più di quello ha vita. 
Dunque datti buon tempo, e finchè vivi 
Soddisfa, come sai, tue dolci voglie: 
Tutte, tutte le cose 
La morte invola e scioglie ». 
(1) Catalogus Bibliothecae Reimannianae Generalis — Hildesiae 
- 1741 - a pag. 242. 
(2) Basileae - 1553, a pag. 4. 


188 MALAGOLA 


Rieux, ricordando, in una lettera al Mauroleto, il suo 
maestro, lo dice «.... hRominem.... innocentissimum (1) ». 
E pare che giunto all'estremo della vita, come ci narra 
il Bianchini, Codro volesse morire cristianamente; e nel 
suo testamento, se pure fu dettato da lui (2), dichiarò di 
aver sempre tenuto l’anima per immortale, contro la 
sentenza di Epicuro e di coloro, che, sotto nome di cri- 
stiani, nulla operano secondo le dottrine di Cristo. 


(1) Opera, a pag. 225. 

(2) Non abbiamo sufficienti indizi per affermare che il testa- 
mento aggiunto dal Bianchini alla vita di Codro sia’ veramente stato 
scritto dal nostro. Sembrando esso olografo, presenta minori indizi 
per decidere della sua autenticità, di quello che avrebbe presentato se 
apparisse rogato per Atto di notaio. Vedremo poco più innanzi che 
il medesimo Bianchini inserì nella vita dell’ Urceo un lungo discorso, 
che egli afferma essere stato tenuto dal nostro ai discepoli, poco 
prima di morire, ma che certamente fu inventato dal Bianchini, e 
al solo fine di mostrare che l'Urceo in fin di vita abbia fatto una 
ritrattazione delle sue opinioni, tutt'altro che religiose. Questo testa- 
mento, più che tale, sarebbe un’altra ritrattazione, fatta in forma 
solenne; e se noi consideriamo lo zelo del Bianchini per ciò, l' uso 
che gli scrittori ebbero fino a tutto il secolo XVI e più oltre, di 
porre in bocca ai personaggi, da loro celebrati, parlate che essi non 
tennero mai, la nostra fede sulla sincerità del testamento resterà 
scossa. δ᾽ aggiunga che, per quanto io abbia cercato negli indici del 
nostro Archivio Notarile, non potei trovare la più piccola memoria 
di alcun testamento di Codro, e neppure l’ho potuto rinvenire fra 
i molti che ora si conservano, insieme colle carte dell'Archivio dei 
Padri di S. Salvatore, nell’Archivio di Stato. 

Tali sono le ragioni che mi inducono a dubitare della since- 
rità di questo testamento. Ad ogni modo, ritenendolo pure composto 
dal Bianchini, non possono da noi credersi non vere le disposizioni 
in esso contenute, giacchè il Bianchini scriveva poco dopo la morte 
di Codro, quando quelle dovevano essere note, ed egli perciò avrebbe 
corso pericolo di venire smentito, se le avesse narrate contro verità. 


DI A. URCEO CODRO 189 

Il nostro autore, che vedemmo non avere nelle pre- 
lezioni neppure risparmiati i sacramenti, non si tenne 
in esse dal parlar francamente dell’ alto e basso clero. 
Nel sesto discorso egli non teme di dire «..... Hic de 
mendaciis Summi Pontificis, de mendaciîis Cardinalium 
Virorum, Episcoporum, Protonotariorum, Canonico 
rum, Abbatium, Monachorum et aliorum religiosorum 
dicendum esset....., sed nîmiîs longum sermonem face 
rem (1) ». E in altro luogo scherzevolmente paragona 
le mogli ai sacerdoti che sempre chiedono, e che voglio- 
no sia reso loro, e a cento e a mille doppi, ciò che pre- 
starono, nè mai sono paghi nella insaziabile cupidigia, e 
sempre tornan da capo col domandare (2). 

Molto sagacemente l' illustre comm. Domenico Ber- 
ti, nel capitolo VIII del suo libro sul Copernico, do- 
ve ci fa una viva pittura dell’ Urceo, scrive di lui: 
« Si spacciava per pirronista, deridendo a tavola col 
Signore di Forlì un tale, che credevasi di atterrarlo, 
recando contro di lui l argomento che il Cartesio, cir- 
ca cento cinquant anni dappoi, oppose esso pure agli 
scettici (3) ». Era stato donato a Pino Ordelaffi una balista 
da lanciar dardi, la quale aveva un arco parte di ferro, 
e parte di legno. Or avendo un certo veronese, da poco 
tempo dottore in Arti, ch'era ivi presente, detta, a pro- 
posito di quell’arco, una sentenza d’Aristotele, tutti ri- 


(1) Opera, a pag. 16]. 

(2) Opera, a pag. 115. 

(3) Copernico e le vicende del sistema Copernicano in Ilalia nel- 
la seconda metà del secolo XVI e nella prima del XVII - Discorso 
letto nella R. Università di Roma..... dal Professore Domenico Berti 
Deputato al Parlamento. Roma - Tip. G. B. Paravia e C. 1876. 
Cap. VII, pag. 50. 


100 MALAGOLA 


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volsero gli occhi al nostro Codro, come a quello cui 
spettava di rispondere. Ed egli, lodato che ebbe il Dot- 
tore e la sentenza del Filosofo Stagirita, disse che que- 
sti, essendo uomo, poteva avere errato, e che quella 
sentenza sembrava più vera, di quello che fosse. Allora 
il Dottore, meravigliando che Codro osasse negar fede 
ad Aristotele, gli propose la questione: « Quodcumque 
dicitur aut est, aut non est ». « Ego dubito », rispose 
Codro. E l’altro: « Tu dubitas hanc propositionem, 
crgo aliquid dubitas ». E Codro: « Ego dubito, an duli- 
tem hanc propositionem ». Allora disse il Dottore: « Tu 
dubitas an dubites, ergo aliquid dubitas ». Ma Codro 
rispose: « Ego dubito an dubitem dubitem ne », e così 
se l’altro diceva αἱ dubitare due volte, Codro diceva di ‘ 
dubitare tre, e in tal modo se ne schermiva (1). 

X. Ma veniamo finalmente a discorrere della infer- 
mità la quale condusse a morte l’ Urceo, e di cui varia- 
mente raccontasi la cagione. 

Scrisse il Bianchini che, interrogatone Codro, ri- 
spose ch'ei credeva che il suo male fosse originato dal- 
l'avere per un sol giorno preso cibo abondante contro 
l'usato (2). Lo stesso Bianchini non tace aver avuto 
valore δ᾽ quei giorni l’ opinione che, essendo quegli am- 
malato, il fratello di lui Pietro Antonio gli togliesse di 
sotto il guanciale la chiave dello scrigno ove il nostro 
teneva il danaro; laonde Codro cadesse in tale prostra- 
zione d’ animo, egli che era avarissimo, da querelarse- 
ne, con sommo dolore, per due giorni continui innanzi 
la morte (3). 


(1) Opera, a pag. 156. 
(2) Codri Vita, a pag. 15 non num. 
(3) Codri Vita, a pag. 15 non num. 


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DI A. URCEO CODRO 191 


————— ——— € -__—_r_———__ - --τ-α- —___-- --— 


Notisi ancora che il Dottore Antonio Righetti, nelle 
notizie che raccolse intorno a Codro (1), non sarebbe 
lungi dal credere che questi morisse per veleno. E attri- 
buendo un senso di equivoco alle parole, riferite dal 
Bianchini come dette da Codro: « Mygruere morbum 
coepisse, sumpio semel tantum lautiore cibo (2) », in- 
terpreta che il nostro volesse far comprendere αὐ essere 
stato avvelenato. Questa opinione del Righetti a me pare 
strana, mentre la scienza medica dimostra che a Codro, 
fortemente affetto di asma (3), debolissimo di stomaco, 
ed abituato da lungo tempo a scarsissimo cibo, l’ avere 
un sol giorno disordinato, mangiando eccessivamente, 
abbia potuto essere causa anche di morte. Non γ᾽ era 
dunque bisogno di cercare nelle parole di Codro un senso 
che veramente non hanno. 

Narra il Bianchini che il nostro Urceo, sentendosi 
prossimo al morire, volle esser portato nel convento di 
San Salvatore di Bologna, dove quei religiosi gli pro- 
digarono ogni maniera di assistenza, amministrandogli 
ancora gli estremi uffici; e che appena vide venire a 
sè il sacerdote, percuotendosi il petto in segno di pen- 
timento, ricevesse l’ eucaristia fra il pianto de' suoi affe- 
zionati discepoli e le preci di quei padri (4). 

La mente non gli durò intera sino all’ ultimo, poi- 
chè la notte che fu l’ estrema per lui, diede in delirio. 
Alla commossa fantasia si parava dinanzi uno smisu- 
rato mostro dai capelli rasi, con barba che scendeva 


(1) Vita di Codro. Trovasi negli Annali Letterari d'Italia com- 
pilati dallo Zaccaria, Tomo III, pag. 667. 

(2) Codri Vita, a pag. 15 non num. 

(3) Codri Vita, a pag. 10 non num. 

(4) Codri Vita, a pag. 11 e 15 non num. 


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102 MALAGOLA 
fino a terra, con occhi ardenti, e che agitava due faci. 
Da queste orribili sembianze forte essendo Codro spa- 
ventato, uscì, scrive il Bianchini, in queste o somi- 
glianti parole: « Chi ser fu, che în quella parte della 
notte în cui î mortali dormono altissimo sonno, ti ag- 
giri in forma di furia? Guardati da me, chè ἴο sono 
amico di Dio! Che vuoi dire? Dove vaî? (1) ». E così 
dicendo Codro balza dal letto, credendo forse di fuggir 
quel fantasma. 

- Il più volte citato biografo e discepolo dell’ illustre 
rubierese riporta un lungo discorso (2), ch’ egli afferma 
aver Codro tenuto a’ suoi discepoli innanzi al morire, 
ed al quale si dice lieto d'essere stato presente. Ma 
esso è così lungo, ordinato, ed anche ornato di fiori re- 
torici, che non può credersi pronunziato da chi era 
moribondo, e moribondo per asma. Io pertanto non ista- 
rei punto in dubio a giudicarlo opera del Bianchini, 
piuttosto che di Codro. 

Intorno all’ anno della morte di lui hanno opinioni 
discordi gli scrittori. Il Bayle (3), sulla fede di Leandro 
Alberti scrive ch' ei passasse della presente vita nel 
1516; alla quale opinione stimo superflua ogni parola 
di confutazione, ove si consideri che abbiamo edizioni 
delle opere di Codro, fatte assai prima di quell’anno, 
alle quali sono aggiunti epigrammi che ne deplorano la 
morte. L'Alberti confuse certamente il nostro autore con 
Gian-Francesco Berti da Forlì, pure sopranomato Codro, 
il quale morì appunto nel 1516 in Ravenna. Il Guasco, 


(1) Codri Vita, a pag. 16 non num. 

(2) Codri Vita, a pag. 11, 12, 13 e 14 non num. 

(3) Dictionnaire Historique et critique, ediz. quinta - Amsterdam - 
1734, Tomo V, pag. 508. 


DI A. URCEO CODRO 193 


nella storia letteraria, già ricordata, dell’Academia di 
Reggio d' Emilia (1), lo dice morto nel 1502, nel quale 
anno invece fu eseguita la prima edizione delle sue 
opere. Il Cozzando, nella sua « Libraria bresciana (2) », 
lo vuole defunto nel settantesimo anno d'età, ma senza 
alcun fondamento. Bene indicò l’anno della morte del- 
l'Urceo il suo discepolo Bartolomeo Bianchini, scrivendo 
che questa lo colse nei 54, ossia nel 1500. La quale 
testimonianza, già di per sè stessa assai valida, è con- 
fermata esattamente da altre memorie, fra cui una let- 
tera, del 1502, del francese Giovanni Pins di Tolosa a 
Giovanni Mauroleto Museo, ove si ricorda Codro come 
morto « iam pene biennio (3) ». 

Ma non l’anno soltanto, sibbene anche il giorno 
della morte di Antonio ci è indicato dai Quartironi del 
nostro Studio, che si conservano nell’ archivio della R. 
Prefettura, già del Reggimento. In quello della prima 
distribuzione dei salari dell’anno 1500, di contro al no- 
me e allo stipendio del nostro, troviamo notato: « obit! 
XI februarij} 1500 », laonde noi possiamo sicuramente 
affermare che l' Urceo morì appunto in quel giorno. Egli 
fu portato alla sepoltura sopra gli omeri de’ suoi disce- 
poli, accompagnandolo eziandio tutti gli Ordini dello Stu- 
dio, ed un eletto stuolo di amici e di ammiratori. Nar- 
rasi che il fratello di Codro, Pietro Antonio, dicesse 
nei funerali di lui un orazione, che commosse gli astanti, 
nella quale si mostrò pieno di tanto dolore, da chiedere 
a Dio che lo togliesse dal mondo (4). 


(1) Loc. cit. 
(2) Zn Brescia - 1694, a pag. 44. 


(3) Opera, a pag. 426. 
(4) Bianchini - Codri Vita, a pag. 11] non num. 


MALAGOLA 


194 


——————— L r1-c-co@o — —1————  _—+——_—_ 


XI. Il nostro Urceo, fu sepolto nella chiesa di San 
Salvatore di Bologna, e, secondo il suo desiderio (1), 
gli fu sculta, per cura del Bianchini, questa semplice 
iscrizione 


CODRUS ÉRAM 


sebbene valenti letterati gli avessero composti onore- 
voli epitafi. Duolmi che più non si vegga nella moder- . 
na chiesa di San Salvatore, innalzata in sul principio 
del Secolo XVII, la lapide sepolcrale del nostro, mentre 
altre di minore importanza, già poste nell'antica, vi 
furono collocate. 

La morte di Antonio Urceo fu sentita con dolore 
da tutti quelli che avevano in pregio il sapere di lui, 
e fu compianta in versi latini da molti, e principalmente 
da Virgilio Porto, modenese, da Giovanni Pins di Tolosa, 
da Enrico Caiado, portoghese, ed in versi italiani da 
Diomede Guidalotti di Bologna, e da Girolamo Casio (2). 

Racconta il Bianchini, che tre di innanzi la morte, 
Codro compose il suo testamento, del quale io ripor- 
terò più innanzi (3) quella parte che lo stesso Bianchini 
inserì nella vita che scrisse del suo maestro. Da questa 
appare che egli lasciò alla Biblioteca dei Canonici di 
San Salvatore di Bologna un codice greco delle opere 
di San Basilio, venuto da Costantinopoli, che ora si 
trova nella raccolta dei codici e manoscritti della R. 
Biblioteca dell’ Università di Bologna (4). 


(1) Bianchini - Codri Vita, a pag. 11 non num. 

(2) Appendice XV. 

(3) Appendice XVI. 

(4) Da un diligente inventario ms. dei Codici della soppressa Bi- 
blioteca dei Canonici di S. Salvatore di Bologna, compilato dal 


DI A. URCEO CODRO 195 


Il Tiraboschi nella sua Storia della letteratura ita- _. 
liana (1) nota come il Valeriano, nel libro « De Zitera- 
forum înfelicitate (2) », creda ravennate di ‘nascita il 
nostro Codro, e, per accrescere il numero dei letterati 
infelici, narri che fosse trucidato da una fazione nemica. 
Sì l’ una che l’altra asserzione del Valeriano è falsa, 
però non s’'accorse il Tiraboschi che quel Codro, di cui 
parla il Valeriano, non era il nostro, sibbene il forlivese 
Gian Francesco Berti, anch’ egli chiamato Codro, che, 
per aver lungo tempo insegnato lettere greche e latine 
in Ravenna, ne ottenne ad onore la cittadinanza, e vi 
morì d’ angina appunto nel 1516. 

XII. Per dire con verità delle forme del corpo del- 
l' Urceo, riferisco le parole con cui il Bianchini ci de- 


Ch.®° signor Cav. Michelangelo Gualandi, ho potuto conoscere che un 
codice greco delle opere di S. Basilio era posseduto da quella insi- 
gne biblioteca. . | 

Se essa non possedette dal 1500 in poi niun altro codice greco 
delle dette opere, noì potremmo senza esitazione affermare che que- 
sto, notato dal Cav. Gualandi, sia quel medesimo lasciato da Codro 
ai Padri di San Salvatore. Ciò del resto è probabile assai, perocchè 
esso codice, che ora è il 2288.° nella nostra biblioteca Universitaria, 
risponde agli indizi onde fu descritto nel brano del testamento, ri- 
portato dal Bianchini, dove è indicato come: « Opus quoddam San- 
cti Basilit in membrano scripium, vetus et magnum a Costantino- 
poli apportatum »; e veramente esso è membranaceo, antico e tanto 
voluminoso, che per maggiore comodità, forse in sul principio del 
nostro secolo, fu diviso in due, e così legato. Che provenga da Costan- 
tinopoli ci indicherebbe Ja maniera in cui è miniato. Al tempo della 
prima Republica Francese, insieme colle altre cose preziose, allora 
involate all’ Italia, fu portato a Parigi e posto nella Biblioteca Na- 
zionale, della quale conserva, impressi in rosso, due sigilli. Fu 
restituito nel 1815. 

(1) Tomo VI, parte III, a pag. lll. 

(2) A pag. 21. 


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196 MALAGOLA 
scrisse le sembianze del suo amico e maestro: « Corpore 
vero et statura » (egli dice) « fuit mediocri, vultu 
pallore ac macie obducto, et qui plerumque natura 
mitrabundo similis videretur, albicantibus oculis et pau- 
lo sub fronte repostis; accedebat ad haec eminentia 
nasi, capilli raritas. Gracile.... corpus ob stomachi de- 
bilitatem;.... Vultu quidem, aspectu motuque corporis 
mitis admodum erat.... Illius vero effigiem oris vultu- 
sque et lineamenta corporis mire expressit in aedibus 
Bentivolorum, amor ac delitiae nostrae Francia, spe- 
ctatae viriutis aurifex..... (1) ». Ed è grandemente a 
dolere che più non esista un tale ritratto di Codro 
fatto per mano del Francia nelle stanze di Anton Ga- 
leazzo (2), le quali furono distrutte a furia di popolo 
nel 1507, insieme con tutto il Palazzo Bentivoglio. 
Questo ritratto fu dipinto dal Francia forse in sul prin- 
cipio dell’anno 1498; poichè l' Urceo ai 15 d’ aprile di 
quell’anno, scrivendo al suo discepolo Gian Battista Pal- 
mieri, gli rendeva nota tale prova d'affetto, datagli dal 


(1) Codri Vita, a pag. 6 non num. 

(2) L'illustre signor Conte Comm. Senatore Giovanni Gozzadini 
nella dotta sua opera « Memorie per la vita di Giovanni II Benti- 
voglio (Bologna - Tip. delle Belle Arti - 1839) », discorrendo di questo 
palazzo, scrive come al sesto arco del portico, che ne formava il 
primo piano, fosse una porta, ornata di marmi, la quale metteva in 
un vestibolo che terminava in un peristilio; e come quivi intorno 
fossero le stanze d’Annibale, d' Ermete, d’Alessandro e di Anton Ga- 
leazzo. Ed aggiunge alle sue parole questo brano delle Storie di 
Bologna di Leandro Alberti (Vol. IV, pag. 163): « Era la camera 
et guarda camera di messer Antonio Galeazo Prothonotario, dupli- 
cata l'una sopra l'altra, dipinta di nobilissime instorie per mano di 
molti eccellenti pittori, et massimamente del Francia Bolognese, intor- 
no le quali erano frisi di rilievo tutti dorati, onde oltre mille ducati 
fu ispeso in tal opra ». 


DI A. URCEO CODRO 197 


Protonotario Anton Galeazzo, con le seguenti parole: 
« Illusiris et magnanimus princeps et Archidiaconus 
Reverendus Galeatius Bentivolus me in camera sua 
exprimi per Franciam fecit. Ego illi quibusdam ver- 
siculis egi gratias (1) ». E questi versi trovansi impressi 
fra le opere di Codro, e sono l’elegia « Ad Galeatium 
Bentivolum de imagine Codri », che incomincia: 


« Ditibus in thalamis, quos tu, Clarissime Princeps, 
Ornasti vivis nuper imaginibus, 
Me quoque iussisti sapientum vivere coetu 
Et meditabundo dicia notare statu (2) ». 


Filippo Beroaldo il giovane, nella lettera con cui 
dedicò al Protonotario Bentivoglio l’ edizione delle opere 
dell’ Urceo, gli ricorda: « quantopere autem Codrum 
amaveris, cum semper patuit, tum praecipue cum eius 
imaginem intra cubiculum tuum habere voluisti depi- 
clam în coetu sapientum ab aurifice nobilissimo Fran- 
cia, cive nostro: quam imaginem cum Codrus inspe- 
arisset, hoc distichon effudit: 


Si Codrus tibi notus est, viator, 
Quis Codrus magis est, an hic, an ille? (3) » 


E Virgilio Porto pure improvvisò: 


« Pallia sic steterant, venerandus imagine macra 
Sic fuit, adde iocos, denique Codrus erit (4) ». 


(1) Opera, a pag. 269. 

(2) Opera, a pag. 305. 

(3) Nell'edizione di Basilea questa lettera del Beroaldo fu posta 
in fine del volume. Il brano riferito leggesi a pag. 430. 


(4) Opera, a pag. 425. 


108 MALAGOLA 

E forse questa effigie di Codro era in quella stanza 
di Anton Galeazzo, ornata di pitture dal Francia e dal 
Costa, la quale sappiamo dalle istorie bolognesi essere 
stata distrutta ai 19 di luglio del 1507. 

Nè solo i pennelli del divino Francia effigiarono le 
sembianze di Codro; esse furono anche dipinte ad Orzi 
Nuovi, (patria, come s'è detto, degli antenati del no- 
stro) sopra un muro della casa di Ludovico Pazzi, col- 
l’ iscrizione 
CODRYS VRCEANVS. 


Ma ora la famiglia Pazzi è estinta, nè è noto in 
paese quale ne fosse la casa. i 

L'unico ritratto che ci rimanga di Codro è una 
incisione di F. Bleyswyk, la quale va innanzi al fron- 
tespizio del secondo tomo delle « Memoires Litteraires, 
Historiques et Critiques (1) » che il Padre Temistocle 
de Saint Iacynthe compose sotto il pseudonomo di « Do- 
cteur Matanasius ». Ma ἀ᾽ onde il Bleyswyk abbia po- 
tuto togliere l' effigie che gli servi di modello per con- 
durre l’ incisione noi non sappiamo; e quantunque questo 


(1) Edizione II, impressa in Aya, coi tipi del Vier nel 1740. 

Io mancherei ad un dovere, se, a proposito di questo libro, non 
porgessi qui vivissimi ringraziamenti all’ illustre bibliografo olande- 
se signor Dottor F. A. S. Campbell (Direttore della Biblioteca Reale 
di Aya ed autore del reputatissimo libro: « Annales de la Typogra- 
phie Néerlandaise au XV siécle ») il quale, richiesto da me-di alcune 
notizie che trovavansi nel secondo volume della « Matanasiana », ope- 
ra che manca alle nostre biblioteche, cortesemente inviavami lo stesso 
volume. 

Simili tratti dì fiducia cortese, i quali mostrano un sincero de- 
‘ siderio di giovar gli studi e gli studiosi, vorrebbero essere qualche 
volta imitati da molti dei Bibliotecari Italiani. 


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DI A. URCEO CODRO 199 


TP ——< — ——_—— —————É—_——__———————— —— er —_—— _— + —T — — —- -- —- — — — 


ritratto di Codro non discordi da quanto il Bianchini ci 
disse in sulle generali delle fattezze del nostro, non 
possiamo tuttavia affermare che quell’ incisione presenti 
la vera effigie dell’ Urceo. 

Nè mi par da tacere che in un’ edizione dell’Aulu- 
laria di Plauto col compimento dell’ Urceo, che fu im- 
pressa con note a Strasburgo da Giovanni Prusquam 
sul principio, come sembra, del secolo XVI, trovasi nel 
verso della prima carta una incisione in legno colle tre 
figure del commentatore, di Plauto e di Codro. Il quale 
vi è rappresentato in piedi, in atto di parlare, con ber- 
retto in capo, lunghi capelli, e toga di professore. Ma 
io credo che questa sia figura inventata, giacchè non 
risponde per nulla a ciò che del volto di Codro ci lasciò 
scritto il più volte nominato ‘Bartolomeo Bianchini. 


200 \ MALAGOLA 


CAPITOLO VI. 


Degli amici dell’ Urceo. 


I. Suoi amici in Modena ed in Ferrara. — II. In Forlì conobbe 
Lelio Teodoli, Santo Viriati, Alessandro Numai, Fausto Andrelini 
ed i cesenati Dario Tiberti e Nicolò Masini seniore. — III Mentre 
era in Bologna: Angelo Poliziano, Aldo Manuzio, Gian Francesco 
Pico della Mirandola, Demetrio Mosco, Marco Antonio Coccio detto 
il Sabellico, Raffaele Regio, Daniele Clari, Giorgio Valla, Nicolò 
Leoniceno, e Francesco dal Pozzo detto il Puteolano. — IV. Amicizia 
del nostro coi letterati bolognesi: Filippo Beroaldo seniore, Giovanni 
Garzoni, Andrea Magnani, Alessandro Sarti, Tomaso Gambaro Scla- 
ricino, Ludovico Ghisilardi, Antonio ed Ulisse Musotti, Pompeo 
Foscarari, Alessandro Manzoli, Gaspare Mazzoli, Lorenzo Rossi, 
Cesare Nappi, Cornelio Pepoli, Gian Battista Pio, Giacomo Della 
Croce, Angelo Michele Salimbeni, Giambattista Refrigeri, Diomede 
Guidalotti e Girolamo Casio. — V. Se abbia conosciuto il famoso 
leggista Barbazza. — VI. Amicizia dell’Urceo con letterati dimoranti 
in Bologna, ma non bolognesi: Virgilio Porto di Modena, Nicolò 
Burzi di Parma ed Enrico Caiado portoghese. — VII. Sua amicizia 
col Francia e col medico Baldassarre Masserio. — VIII. Fu protetto 
da Giovanni II Bentivoglio e dal figlio Anton Galeazzo, protonotario; 
da Mino Rossi, da Egano Lambertini e da Giovanni Marsigli del 
Magistrato dei Sedici; da Vertunno Zambeccari e dal Conte Nicolò 
Rangoni. 


I. Dovendo ora parlare degli amici di Codro, sarà 
utile che in primo luogo ricerchi quali persone abbiano 
stretto intrinsechezza con lui in Modena, in Ferrara ed 
in Forlì. Poscia discorrerò di quelli che il nostro conob- 
be negli anni che passò in Bologna. 

Nulla di certo sappiamo degli amici che Codro ab- 
bia avuti in Modena e in Ferrara, se pure non fu in 


DI A. URCEO CODRO 201 


Ferrara, alla scuola di Battista Guarino, che conobbe 
Aldo Manuzio e Pico della Mirandola, col primo dei 
quali fu poi, sinchè visse, stretto di grandissima affe- 
zione. Ma dell’ uno e dell’ altro dirò alquanto più innanzi. 

Fra gli epigrammi dell’ Urceo ve n’ ha uno, intito- 
lato: « De septem tuvenibus ferrariensibus (1) », dove 
loda sette giovani di Ferrara, ma i loro nomi non ci 
palesa. 

II. Neppure de’ suoi amici di Forlì fece menzione, 
tranne che di Lelio Teodoli, al quale dedicò una poesia 
latina « de Perla eius Amica formosissima », che si 
trova fra i suoi epigrammi (2). Tuttavia è da credere che 
i più dotti che fiorissero allora nella terra 


«...... che fe’ già la lunga pruova 
E di Franceschi sanguinoso mucchio (3) » 


dovessero recarsi ad onore l’ amicizia di lui. 

Il Balì Giorgio Viviano Marchesi nelle sue memo- 
- rie storiche dell’ Academia dei Filergiti di Forlì, già 
ricordate, pone il nostro Codro fra i membri di quella (4); 
onde siamo indotti a credere che egli vi conoscesse co- 
loro che, mentre la frequentava, v’ erano aggregati. 
Sono questi Stefano Nardini, che fu poi Legato ponti- 
ficio al re di Napoli e poscia ad Avignone, ed anche 
Arcivescovo di Milano e Cardinale; Sigismondo Ercola- 
ni, giureconsulto e letterato; Simone Orselli, amante 
egli pure delle lettere; Giacomo Rosighini, filosofo e 
medico; Giacomo Baldraccani, fornito di buoni studi e 


(1) Opera, a pag. 406. 
(2) Opera, a pag. 415. 
(3) Dante - Inferno, canto XXVII, verso 43 e, 44. 
(4) Op. cit., a pag. 48 e 49. Ι 


202 MALAGOLA 
versato nelle cose della politica; Tomaso Guaccimanni, 
rimatore egregio; Ludovico Paolucci, che interpretò 
molti anni il Gius Civile nello Studio di Ferrara, e Gio- 
vanni Orceoli, dotto ed eloquente oratore. 

Quasi non può pensarsi non avessero amicizia col- 
l' Urceo in quella città tre forlivesi, che allora vi vivea- 
no, amantissimi delle lettere, cioè Santo Viriati, Ales- 
sandro Numai ed il celebre Fausto Andrelini. 

Il Viriati, che godeva la grazia degli Ordelaffi, 
molto promosse l’ umana letteratura nella sua città, 
istruendovi discepoli, che poi gli accrebbero onore, e 
scrivendo eleganti versi latini, che il Marchesi, nel 174], 
potè leggere manoscritti (1). 

« Persona di gran letteratura » è chiamato, nelle 
istorie forlivesi del Bonoli, Alessandro Numai (2), che 
era Vescovo in patria nel 1470, e che poscia fu Vice- 
Legato dell’ Umbria. Da Sisto IV venne spedito Nunzio 
in Germania a Federico III imperatore, che lo onorò 
di molti privilegi. Mentre si trovava in Colonia, alla 
presenza dello stesso imperatore e di molti principi, 
baroni e prelati, approvò egli il primo, la Compagnia 
del Rosario e quietò le discordie di Federico con Carlo, 
Duca di Borgogna, e con Mattia Corvino, Re ἀ᾽ Unghe- 
ria. La morte lo sorprese nel 1485, mentre era chia- 
mato a Roma per ricevervi il Cappello Cardinalizio. 

Ma il più celebre dei forlivesi che Codro dovette 
conoscere, fu certamente Fausto Andrelini, che ancora 
abitava in Forlì quando il nostro vi insegnava, essen- 
done partito molti anni dopo di Codro. 


(1) Opera cit., a pag. dl. 
(2) Opera cit., a pag. 239. 


DI A. URCEO CODRO 203 

L° Andrelini, passato in Francia, e fermatosi in 
Parigi, trovò grazia appresso i Ministri che reggevano 
le cose dello Stato, essendo ancora minore di età Carlo 
VIII; e nel 1489 ottenne luogo di professore in quella 
Academia, dove lesse Matematica, Poetica ed Eloquen- 
za. Alla fama di lui accorrevano i discepoli sino dalle 
estreme provincie della Germania, talchè veracemente 
affermarono gli scrittori, avere la Francia grandissimo 
obligo all’Andrelini, come a colui che la incitò pel pri- 
mo a quell'amore delle umane discipline e degli ottimi 
studi, che le procacciò nome tanto glorioso al tempo di 
Luigi XII. E per vero la Francia, quando vi si recò 
questo illustre forlivese, era presso, che a digiuno sì di 
lettere, che di scienze, onde Fausto bene meritò la fa- 
migliare amicizia del Re Carlo VIII e di Anna di Bret- 
tagna, sua consorte, e di Luigi XII, della famiglia de- 
gli Orleans, che non ebbe persona più cara dell’Andre- 
lini, col quale dilettavasi di passeggiare sotto i portici 
dell’ Academia o nei reali giardini, quando voleva ri- 
crearsi delle gravi cure dello Stato. E certamente diede 
a Fausto una bella prova dell’ alta stima in cui lo tene- 
va, allorchè, alla presenza dei più ragguardevoli uomini 
della Corte, lo volle solennemente incoronare del poetico 
alloro; il quale onore aveva ottenuto un'altra volta in 
Roma, in età ancor giovanile (1). 

Forse fu durante il suo soggiorno in Forlì che il 
nostro Urceo conobbe i due cesenati Dario Tiberti e Ni- 
colò Masini. Il primo fu cavaliere e poeta, laureato da 
Guidobaldo I di Montefeltro, Duca d’ Urbino. Da una let- 


(1) Tiraboschi - Storia della Lett. Ital. Tomo VI, parte III, 
pag. 1122 e 1123. 


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204 MALAGOLA 


tera dell’ Urceo (1) apprendiamo che il Tiberti aveva 
mandato una sua operetta: « De legiltimo amore » al 
nostro Codro, pregandolo che la volesse coreggere, on- 
de egli poi nel rispondere a lui, gli rivolse parole di 
molta lode: « Accepî literas tuas (comincia Codro) cum 
mandatis a Iacobo nostro, quibus me oras, ut libellos 
tuos, qui De Legitimo Amore inscripti sunt, emendan- 
dos suscipiam: et adeo copiose, adeo eleganter ei eni- 
xe facis, ut me suppudeat a tanto viro orari, et, quod 
aegre fero supra modum, laudari. Certe splendidissi- 
me mi Eques, et Poela tersissime, nec tua dignitas 
hoc facere debuit, nec mea tenuis doctrina id mere- 
batur. Quod ita esse, luce clarius magnanimitali el 
excellentiae tuae his literis ostendissem, si Iacobus 
Caesennas noster plus temporis ad respondendum mihi 
reliquisset..... Quod ad libellos tuos spectat....., ul scri- 
bam quod sentio, et ut fieri cupis, primum mihi ope- 
ris materia, et narrationis ordo perplacuit, deinde 
ipsa facilitas, quam ego în scriptore plurimi facio et 
commendo summopere..... (2) » Del Tiberti conserva la 
Biblioteca Malatestiana diversi manoscritti inediti: una 
« Glossula interlinearis in Psalterium »; l’ opera ricor- 
data « De legitimo amore »; ed i « Carmina de Myste- 
riis Iesu Christi et Beatae Virginis », ed una « Dedica- 
lio deprecationum suarum ad Divam Helisaben Mont 
feltriam Illustrissimam Urbinatum Reginam (3) ». La 
« Kpitome Vitarum Plutarchi » del Tiberti fu stam- 


(1) Opera, a pag. 272 e 273. 

(2) Cpera, a pag. 272 e 273. 

(3) Cathalogus Codicum Manuscriptorum Malatestianae Caese- 
natis Bibliothecae ..... auctore Iosepho Maria Mucciolo - Caesenae 
MDCCLXXX, ἃ pag. 10, 12, 111, 150, 151 e 156. 


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DI A. URCEO CODRO 205 


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pata in Ferrara nel 1501 ed in Parigi nel 1547. Questo 
egregio letterato morì nell’ anno 1505 (1). 

Il nostro Urceo fu anche tenuto in gran conto da 
Nicolò Masini, che inutilmente lo invitò, siccome notam- 
mo, a lasciare Bologna per recarsi ad insegnare in Ce- 
sena con lauto stipendio. Bernardo Manzoni, nel suo 
libro « Caesenae Chronologia (2) », scrive del Masini: 
«..... floruit an. 1503 Bononiae, in qua Universitate 
prinam tenuil Medicinae Cathedram ». È falso affat- 
to che il Masini abbia professato mai nello Studio di 
Bologna, giacchè in nessuno dei Rotuli di esso tro- 
vasi il nome di lui, nè alcun altro, sotto il quale possa. 
credersi vi sia stato inscritto. Non sappiamo se debba 
credersi ciò che il citato Manzoni aggiunge intorno al 
Masini, che cioè morisse in Bologna in età di 49 anni 
e vi fosse onorevolmente sepolto nel Convento dei Frati 
Predicatori: al contrario ben ci è noto che Giorgio 
Valla gli dedicò il libro « De Praesagitura ». Questo 
Nicolò Masini non è da confondere col celebre fisico e 
matematico cesenate dello stesso nome, autore dell’ o- 
pera « De gelidi potus abusu », il quale, dopo avere 
insegnato nei principali ginnasi d' Italia, fu da Clemente 
VII creato Archiatro Pontificio. 

III. Venendo ora a dir di coloro che ebbero amicizia 
col nostro Urceo mentre questi dimorava in Bologna, 
sono ben lieto di avere ad annoverare fra essi, prima 


(1) In Bologna nel 1494 pei tipi di Benedetto d’Ettore Faelli si 
stampò in folo un'opera in tre libri « De Chiromantia » di un 
certo Antioco Tiberti, cesenate, dottore in Arti, forse parente di 
Dario Tiberti, amico del nostro. . 

(2) Pisis, Typis Amatoris Massae οἱ Laurentii de Lancis - 
MDCXLIIT, a pag. 148 e 149. 


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206 MALAGOLA 


d'ogni altro, tre dei più famosi uomini del secolo XV: 
il Poliziano, Aldo Manuzio e Pico della Mirandola. 
Angelo Poliziano, che onorò de'suoi studi non le 
italiane lettere soltanto, ma del pari le greche e le 
latine, sebbene molto altamente sentisse di sè e mal 
sopportasse che da altri fosse tocca pure una sillaba 
delle sue opere (talchè venne a contesa quasi con tutti 
i letterati del suo tempo) prima di dare alle stampe i 
suoi epigrammi greci, volle mandarne alcuni all’ Urceo, 
richiedendolo del suo giudizio con un’ epistola latina, la 
quale io voglio qui riferire, poichè è chiara testimonian- 
za della stima, in che il nostro Urceo era, di molto va- 
lente grecista, appresso del severissimo Poliziano, di cui 
niuno forse fu in quel tempo più autorevole giudice. 


« Angelus Politianus 
Antonio Urceo Codro suo 
S. D. 


Composui propemodum libellum graecorum epi- 
grammatòn, quem saepe, ui edam, familares mei me 
rogant, et pertinere dicunt (ita enîm mihi palpantur) 
non ad latinorum modo, sed omnino ad saecul glo- 
riam, si latinus homo tam diu iam dormientes exci- 
lem graecas musas. Non enim poéma reperitur ullum 
citra sexcentos annos a graecis conditum, quod pa- 
tienter legas. Sunt hodie tamen unus et aller, qui non- 
nihil dicuntur conari, quanquam adhuc non appareat. 
Ut igitur hos ipsos vel evocem, vel irritem, cogitabam 
libellum qualemcumque hunc nostrun publicare, modo 
lu non dissentias. Elenim in ea re tuum consilium sar- 
tum lectum habere placet. Aul igitur libellus hic pro- 
babitur ab iis quoque ipsis, qui componere putantur, 
atque ob id magna mihi omnino gloria tribuetur: aul 


DI A. URCEO CODRO 207 


———& 


improbabitur, et meliora ipsi fortasse scribent. Itaque 
rursus hoc ipso nomine bene audiam. Mitto interim 
quaedam tibi ex ipsis non delecta, sed fortuita: men- 
tior, imo delecta potius, siquidem illa potissimum, qui- 
bus cum veteribus graecis (nisi tamen hoc nimis impro- 
bum) certavi. Tu confer tamen, et utcumque displicue- 
ro praerepta crede, quibus poteram placcere. Lege 
vero primum, quod in Apelleam Venerem post tot 
antiquorun composui. Quam Plinius etiam noster Ana- 
dyomenen vocat, et victam graccis versibus ail, a qui- 
bus tamen sit illustrata: quae laus ad me non attinet, 
illo qui nondum tempore factus eram. 


Εἰς ᾿Αφροδίτην τὴν ᾿Αναδυομένην 

Κύπριν ᾿Απελλείας ἔργον χερὸς ὡς ἴδον, ἔσταν 
Δαρὸν θαμβαλέος, Tav ἀναδυομέναν. 

Τάς ἅτε παρθενιχᾶς are χαὶ φιλοπαίγμονος, αἰδώς 
Tav ὄψιν μίγδαν ἔλλαχεν ἡδὲ γέλως. 

Καὶ τᾷ μὲν ῥαθάμιγγας ἀἁλιβρέχτοιο χαραίνου 
Δεξιτερᾷ θλίβεν, χαὶ χελάρυξεν ἀφρὸς, 

Ἦν δ᾽ ἄρα τᾶς νοτίδος τίς ἐμοὶ φόβος: ade γε λαιᾷ 
Ἔσχεπε tav ἀβαν ταν ἔθ᾽ ὑποβρύχιον, 

Καὶ γὰρ ἕως λαγόνων ὕφαλος πέλε, xai τις ἔτι φρίξ 
Ματρὸς ἀπ᾽ ὠδίνων ὄμφαχα μαστὸν ἕλεν. 

Er τοίαν πόχ᾽ Αρης ἔχε δέσμιος, οὐχ οἰποδοῦναι 
Οὐ δ᾽ ᾿Αφαιστείας ἤθελ᾿ ἀλυχτοπέδας. 


LI 


Sed ct in armalam Venerem tamdiu post alios 
sta ‘lusi : 


Εἰς ᾿Αφροδίτην ὠπλισμένην. 
Ἐς τί caxos χρατέεις, Παφία, λόγχαν τε τινάσσεις, 
Καὶ Bupay ἐνέδυς χαὶ χόρυν αἀμφίφαλον; 
Μέμνασ᾽ ὃττ᾽ οὐ σοὶ δέδοται πολεμήξα ἔργα 
Τᾷ τρυψερᾷ, διέπεις δ᾽ ἱμερόεντα γάμον. --- 
᾿Αλλ᾽ οὐχ ἐς δᾶριν θωρήσσομαι: ὅπλα δ᾽ Ἄρηος 
Ἐνδύομ᾽, ὡς κ᾿ Ἄρης ἐχλελάθοιτο μάχας. 


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208 MALAGOLA 


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Ἔν γὰρ cpoî μώνᾳ xat τεύχεα καὶ Κύπριν εὐρων, 
Οὐ ποχ' ἐμών θαλάμων ἔσσετ᾽ απαυλόσυνος. 


In matrem quoque Lacacnam, trito Graecis ar- 
gumenlo, ad hunc modum: 


Εἰς λάκχαιναν. 
Ἐχπροφυγόντα μάχας τὸν ἑὸν παίδ' ὡς ἐνόησεν 
Σπαρτιάτις μάτηρ, φασγάνῳ ἀντίασεν, 
Καὶ χτάνε τὸν δύστανον, ὃν EYpepev ὅν τέχεν αὐτα. 
Ταῦτα δ᾽ ἐχερτόμεεν, λοξ᾽ ἐπιδερχομένα" 
Εἰ τοῖον σ᾽ ἐδόχουν, οὐχ ἄν τέχον' Eppe λακαίνας 
Ὡς παΐς, οὐχ ἐθέλων ὡς λαχεδαιμόνιος. 


Nec reveritus Iulianum principem sum, cuius 
heroicis versibus de organo musico meos elegos, el 
quidem pauciores, opposui: quos et ipsos adscribam. 


Εἰς τὸ ὄργανον. 
Xadxetov δονάχων ὁρόω στίχον: ἀλλὰ τις αὐτῷ 
Τεχνᾶται χρύβδην τὸν πολύθρουν χέλαδον : --- 
Οὗτος ὁ τοῖς πλαγχτῆρσιν εὔτροχα δάχτυλα παλμοῖς 
Δινεύων, τρομερᾶς τ᾽ αἀμφισοβών σελίδας. --- 
᾿Αλλά πολυσπερέων πόθεν οἱ τόσος ἐσμός αητών; — 
Οὐχ αθρεῖς ἀσχοὺς διχθαδίους ὄπιθεν; 


Extant etiam nobilissima duo epigramma in pue- 
rum super Hebri glacie ludentem, sicuti latinum quo- 
que non invenustius, quod Augusto tribuilur: sed cum 
graecis illis, ita quidem graece, contendimus. 


Erg παῖδα. 
Παῖς Ἕβρῳ ἐπέθρωσχε πεπηγότι τυτθὸς ἀθύρων᾽ 
Κρυστάλλου d earn μαρμαρόεν δάπεδον, 
Χ’ ὁ μὲν ὀλισθαίνων πέσεν εἰς βυθόν. ᾿Αλλ’ ἀδιάντου 
Κρατὸς ἔχερσε δέρην dotpaxdere παγετός; 
Σχῆνος ἄρ᾽ ἐνδόμυχον ῥοθίου ταχὺς ἔσπασεν ὀλκχός; 
Τῷ πυρὶ δ᾽ ἡ μήτηρ μοῦνον ἔδωχε χάρη. 


DI A. URCEO CODRO 209 


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Εἶπε δ᾽ ἐπιστενάχουσα: τί δύςμορος υἱὸν ἔτεξα: 
"Ap ὡς στειχοίοιν βρῶμα γένοιτο δυοῖν. 


Hoc autem, quod sequitur, non cum graecis iam, 
sed cum lalino commisimus. Vertimus enim vetustum 
poétae Pulicis in hermaphroditum, quod vulgus Anto- 
nio Panormitano falso adiudicat: in quo laboriosissi- 
mum fuit reddere totidem versibus, ac pene verbis, 
imo vel syllabis, candem gracililatem. Latinum Pulicis 
hoc est: 


Cum mea me genitrix gravida gestaret in alvo, 
Quid pareret fertur consuluisse deos. 
Mas est, Phoebus ait; Mars foemina; Iunoque neutrum. 
Cumque forem natus, hermaphroditus eram. 
Quacerenti letum, Iuno sic ait: occidet armis; 
Mars, cruce; Phoebus, aquis. Sors rata quaeque fuit. 
Arbor obumbrat aquas; ascendo; decidit ensis 
Quem tuleram casu, labor et ipse super. 
Pes haesit ramis, caput incidit amne. Tulique 
Foemina, vir, neutrum, flumina, tela, crucem. 


Nunc ‘audi nostrum graecum, si placet: 


Εἰς ‘Eppagpodrrov. 

Ἔγχκχυος οὖσα γυνή τέχεος, πέρι, Φοῖβον, "Apma, 
Ἥρην, τούς ἅμα τρεῖς ἐξερέεινε θεούς. 

ΓΑρσενα Φοῖβος, Ἄρης θῆλυν φάτο, χουδέτερον δὲ 
Ἥρη πανθ᾽ ὑγιώς, ἀνδρόγυνος Yap ἔφυ. 

Εἰὐἰρομένης δέ μόρον' μόρος οἱ ξίφος, ἔχραεν Ἥρη, 
Σταυρὸς Ἄρης, Φοῖβος κύματα: πάντ᾽ ἀπέβη. 

Δενδρῷ ἐφειστήκχει, πέσε δ᾽ οἱ ξίφος, αὐτὸς ἐπ᾿ αὐτῷ. 
ἬἭριπεν εἰς ποταμὸν χύμβαχος, ἐκ δὲ ποδοῖν 

ρθη ἀπ᾽ ἀχρεμόνων, Θάνε γοῦν θῆλυς τὲ χαὶ ἄρρην 
Κουδέτερον, σταυρῷ χύμασι xat ξίφεϊ. 


14 


210 MALAGOLA 

Sed nimis tibi sum fortasse molestus, itaque iam 
desinam. Prius tamen illud testabor, me non ideo 
certasse cum tam praceclaris ingentis, quae diu com- 
probavit antiquitas, praesertim in arena ipsorum, quod 
inde mihi victoriam vel sperarem, vel quaererem: sed 
quod hoc magis videbar illa cogniturus, ct quo munus 
in experiundo consequerer. Tu tamen, qualiacumque 
sint ludicra haec mea, velim diligenter explores, agni- 
lurus et în caeleris ciusdem generis, quae vel iam scri- 
psi, vel adhuc scripturio, prorsus eundem gustum. 
Vale (1) ». 

Nulla ci è rimasto scritto in greco dal nostro, ma 
questa lettera porge senza dubio una prova del merito 
singolarissimo di Codro, negli studi ellenici. 

Nè torna di minore importanza al proposito nostro 
quella con cui l’ Urceo, rispondendo al grande Poliziano, 
ragiona del pregio degli epigrammi di lui: 


« Antonius Codrus 
Angelo Politiano 
δι. P. D. 


In magnis Iulii caloribus redditac fuerunt mihi 
literae tuae, Angele doctissime, quibus non gravatus es 
ad me mittere pauca quaedam graeca ex multis quae 
composueras epigrammata cum graecis ei lalinis cer- 
tantia. Ego quibus verbis isti tam prompto ac liberali 
in me animo gralias agam, non reperto. Dedisti enim 
mihi senescenti quid comparare ei quid comparando 
discere possem. Et certe mihi visus es et Latinus vir 


(1) Angeli Politiani Operum - Tomus Primus..... Apud. Seb. 
Gryphium - Lugduni - 1550 - a pag. 142-147. 


211 


--- Ε 


DI A. URCEO CoDRO 


tersissimus, et graecus facundissimus. Quod aut scri- 
psîsti le cogitasse libellum ipsum Epigrammatum pu- 
blicare non modo non dissentirem. Quid est quod fieri 
aut cogitari a Politiano possit, in quo dissentiat Co- 
drus? Equidem non sum tam socors, nec tam mihi 
placeo, ut verbis tuis elicitus prodeam, aut tamquam 
cristatus gallus cantaturus exultem. Ego ne, paucîs 
admodum literis et mediocri ingenio dotatus, tibi viro 
in omnî doctrinae genere peritissimo consilium dabo? 
Μὴ γένοιτο, el certe miratus sum non paruni, quae le 
ratio ad hoc scribendum exhortata fuerit, nisi forte 
meus erga te singularis amor, el vitae meae plusculi 
annît commoverunt. Quod si ita est, scribam lubens 
quod sentio, ca tamen lege, ui si quid inconditum aut 
insuave hic tuas aures mordaci aceto lotas offenderit, 
non me, sed te ipsum accuses, qui tacentem ac pene 
sopitum excitaveris. 

Contuli igitur, ut russisti, epigrammata tua cum 
graeciîis, et tantum abest ut graeca vituperare velim, 
ut illa plurimum comprobem. Verum în tuis versiculis 
nescio quid plus gratiae et dulcedinis mihi esse vide- 
tur, quod magis sentiri quam monstrari potest. Prae- 
lerea non eo iînficias, versus hexametros ex paucis 
quideni, sed longioribus particulis compositos, suam 
in tempore servare autoritatem. Qualis est apud He- 
siodum: εληιάδων ατλαγενέων επιτελλομομενάων », οἱ apud 
Vergiltum: « Pastoruam Musam Damonis et Alphe- 
siboei », et alii huiusmodi plures, tam apud. graecos, 
quam apud nostros poetas. Sed versiculi sane ex plu- 
ribus dictionibus compacti scatentibus dactylis, elegan- 
tiores, roltundiores, ac leniter magis currentes, tudicio 
meo, existimandi sunt, ut « avdpa por ἔννεπε μοῦσα πολύ- 
τροπον, ὃς μάλα πολλά» Et 


--.---- —rrrrr—11——#12={  ————————}-—-———_-__-___=___-— —-—# È bt : 


212 MALAGOLA 


Si quis in hoc artem populo non novit amandi 
Me legat........ 


Et hoc praecipue in elegis seu epigrammatis appa- 
ret. In pentametris vero longas dictiones libenter au- 
dio, ut « τὴν ἀναδυομένην » et « ὡς λαχεδαιμόνιος ». Ha- 
bent enim nescio quem graeciensis consuetudinis mo- 
dum. Postremo quantum decoris ac gratiae versibus 
praebeant epitheta non tantum perpetua, sed et novae 
excogitata ei argutae sententiae, nemo non eruditus 
intelligit. In tuis versibus (ut ad te redeam] haec om- 
nia inveniunitur. Nam ipsi et partibus multis apte co- 
haerentibus et dactylis frequentibus leguntur ac scan- 
duntur, et sententiis fortasse argutioribus quam graeci 
versus concluduntur. Quanti me putas fecisse epitheton 
illud « ὄμφακα pacdv» et eponymiam illam « μόρον μόρος » 
et alia id genus multa, quae multiplicem in se habent 
doctrinam et voluptatem. Sed quibus verbis laudabo 
illam sententiam, qua in fine Vereris Anadyomenes 
‘usus es, ubi scripsisti: δὲ Mars ligatus talem habuis- 
set Venerem, noluisset unquam vinculis Vulcantis dis- 
solvi. 

Angele mi observande, non tibi blandior, sed ex 
animo loquor. In aliis quidem non es graecis inferior, 
în hoc vero etiam es, ut sentio, superior. Quare non 
et tantum hortor ut edas quae scripsisti, sed rogo et 
obtestor: ede, ede, quam celerrime ut et tu gloria, et 
literarum studiosi doctrina tua frui possint. Nam vel 
evoces, vel irrites ad scribendum eos quos nosti vel 
non, bene audies omnino, ct summopere laudaberis; 
sed tecum in hoc stadio currentibus licebit, mihi cre- 
de, potius terga tua quam pectus videre. Et δὲ nulla 
alia te ad hanc edilionem causa moverel, vel hacc te 


DI A. URCEO CODRO 213 


impellere debet, rumpantur ut ilia, non dico Codro, qui 
luus est, sed illis, quos ego sane non video, tu fortasse 
cognoscis tibi esse non amicos, ut intelligani le, quod 
iam latine fecisti, graece non minus posse et indoctis 
prodesse et doclos summopere delectare. Et si non vis 
aliis prodere, prode mihi, qui rerum tuarum, ut sum, 
sic semper ero lector sedulus ac amplificator. Sed haec 
δαί sini in his praecipue caloribus; qui nescio quo- 
modo vobiscum, certe vobiscum graviter aguni, ἐπὲι 
χεφαληὴν καὶ γούνατα σείριος ἄξει, ut scripsit Hestodus. 

Vale, et memento nos epigrammatum graecorum 
volumen inlegrum expectare. Tibi me commendo, et 
si Picus Princeps noster istic est, me ill servum esse 
insinuato. 

Bononiae quinta luce Iulii M.CCCC.XCTITI (1) ». 


Non sappiamo se il Poliziano sia mai venuto a Bo- 
logna (2) e se abbia conosciuto di persona l’ Urceo, 


f 


(I) Opera, a pag. 259, 260 e 261. 

(2) Nel 1482 esercitava l’arte del tipografo nella nostra città 
un cugino in secondo grado di Angelo Poliziano, Tomaso di Dome- 
nico di Silvestro Ciui, il quale vi stampava in quell’anno un E/uci- 
dario, che porta nel retto dell'ultima carta questa sottocrizione: 


« Siampato in nella alma et Inclita citta di Bologna per me 
Tomaso di Ser Domenico di saluestro de Cini da Mon 
te Pulciuno. In nel mille quatrocento octantadue Del me 
se di Marzo. et adi dieci di decto mese. Ad honore dello 
omnipotente dio et della gloriosa uergine Maria la qual sia 
sempre nostra buona aduocata . insecula seculorum . Amen ». 


Questo libro fu nuovamente edito in Bologna « per me Caligula 
Bazaleri stampatore . In nel Mille quatro cento nonanta due del mese 
di marzo et adi XX del dicto mese ». 

Noterò ancora che il Dottore Lattanzio Cinì da Monte Pulciano, 


214 MALAGOLA 


al quale lo avvincevano amore e stima singolari. Nella 
nostra città dal 1491 al 1492 furono impresse in quat- 
tro opuscoli le Selve dell'autore delle Stanze, nell’ offici- 
na di Platone de’ Benedetti, e pure nel 1492 fu stam- 
pata in Bologna una epistola latina diretta da Angelo a 
Bartolomeo Bolognini, che la fece porre a capo de’ suoi 
versi (1). Nel 1493, come già dissi nel capitolo II, si 
diede in luce nella città nostra la traduzione del Poliziano 
delle Istorie di Erodiano, versione dedicata ad Andrea 
Magnani, uno degli amici che quell’ illustre aveva in 
Bologna, oltre a Codro, ad Alessandro Sarti e a Barto- 
lomeo Bolognini. 

Nè meno che dal Poliziano fu il nostro Codro ama- 
to e stimato da Aldo’ Manuzio, uomo degnamente cele- 
bratissimo, e benemerito in sommo grado dei classici 
studi. Tanto l’ Urceo, quanto il grande editore veneziano, 
furono discepoli di Gian Battista Guarino, e questo può 
‘aver dato occasione alla loro amicizia, quantunque Aldo 
sia stato alla scuola del figlio del famoso veronese di- 
versi anni più tardi dell’ Urceo, che conobbe di persona 
nel 1492, quando questi fu a Venezia (2). 

Il celebre Aldo diede anch'egli prova di alta stima 
verso del nostro, dedicandogli i due volumi della rac- 


parente egli pure di Angelo, fu Uditore di Rota in Bologna nel 
1535 quando quell’ ufficio venne istituito, e fu il primo degli Uditori 
che sostennero la semestrale carica di Podestà. 

Queste notizie ho voluto riferire in aggiunta a quanto scrisse 
l'illustre Prof. Isidoro Del Lungo nella sua dotta Memoria « La pa- 
tria e gli antenati di Angelo Poliziano ». (V. l'Archivio Storico Ita- 
liano, Serie III, Tomo IX, a pag. 9). 

(1) Bononiae per Iohannem Iacobum de Fontanesiis... anno do- 
mini 1492 die 19 aprilis. 

(2) Opera, a pag. 270. 


DI A. URCEO CODRO 215 


colta di epistole greche di antichi scrittori, che uscì in 
luce pei suoi torchi nel 1499 (1). E questo fece con let- 
tera latina ‘che merita d'esser qui riferita : 


« Aldus Manutius Romanus 
Antonio Codro Urceo 
S. P. D. 


Collegimus nuper, Codre doctissime, quotquot ha- 
bere potuimus graecas epistolas, casque typis nostris 
excusas, duobus libris publicamus, praeter multas 
illas Basiliî, Gregorii, et Libanii, quas, cum primum 
fuerit facultas, imprimendas domi servamus. 

Auctores vero, quorum epistolas damus, sunt nu- 
incro circiter quinque et triginta, ut in ipsis libris 
licet videre. Has ad te, qui et latinas et graecas lite- 
ras în celeberrimo Bononiensi Gymnasio publice pro- 
fiteris, muneri mittimus, tum ut a te discipulis osten- 
dantur tuis, quo ad cultiores literas capessendas in- 
cendantur magis, tum ut apud te sint Aldi tui μνημόςξυνον 
et pignus amoris. Vale. 

Venetiis quintodecimo calendas maias M.ID. ». 


(1) Questa raccolta si compone di due volumi; l’ uno ha nel 
verso della prima carta la dedicatoria di Aldo a Codro colla data dei 
15 aprile 1499, e nel verso dell’ ultima la sottoscrizione. « Venetiis 
apud Aldum, eadem quam cactera conditione »; nell'altro volume tro- 
viamo nel retto dell’ ultima carta: « Venetiis apud Aldum mense 
Martio.M.I D.cum privilegio ut in caeteris. ». I bibliografi non si 
trovano d'accordo circa lo stabilire quale dei due volumi sia il pri- 
mo e quale il secondo; noi senza entrare in tale quistione ci conten- 
teremo di osservare che dalla lettera dell’ editore risulta evidente- 
mente che sì l'uno che l’altro volume sono dedicati all’ Urceo, e 
questo facciamo per togliere l'errore di quegli scrittori che hanno 
ritenuto solo la seconda, o solo la prima parte di questa raccolta di 
lettere greche essere intitolata al nostro rubierese. 


-- 


216 MALAGOLA 


Alcuni vollero dire che il Manuzio abbia dedicato 
all’ Urceo la raccolta delle epistole greche per calmare 
lo sdegno di lui, irritato dal soverchio prezzo a cui 
Aldo vendeva le proprie edizioni. Questo io non posso 
indurmi a credere, giacchè 1᾿ Urceo scrivendone al Pal- 
mieri (1) non si lamentò nè publicamente, nè in guisa 
che Aldo dovesse ricorrere a tale spediente per pla- 
carlo, chè anzi, ove Codro disse alcun che del prezzo 
un po’ alto del libro d’Aristotile De Animalibus, se no- 
minò Aldo, il fece con parole che mostravano fiducia in 
lui, avendo solamente scritto: « cognosco tantam esse 
in eius sotiîs avariciam ut nihil commodi ab eo spe- 
rem (2) ». Quanto poi ad Aldo, oltre che Codro non gli 
aveva dato cagione perchè avesse a cercar di placarlo, 
neppure egli lo doveva fare, giacchè il prezzo a cui ven- 
deva il V.° volume delle opere d’Aristotile, di cui parla 
Codro, era bensì alto, ma questo veniva cagionato dal- 
le spese incontrate da lui per quella edizione (3). Tal- 
chè non per altro, mi sembra, che per segno di stima 
e di amicizia, Aldo dedicò al nostro quella insigne rac- 
colta di lettere greche. 


i 


(1) Opera, da pag. 263 a 270. 

(2) Opera, a pag. 263, 

(3) Dal libro, altrove citato, dell’illustre Firmin - Didot: « Aide 
Manuce et l’Hellénisme a Venise », sappiamo che Aldo aveva nell’ e- 
dizione delle epistole greche fatto uso di molte e diverse forme di 
lettere semplici, affinchè i caratteri della stampa variassero a seconda 
di quelli dei manoscritti. Anzi se noi terremo conto dello scarso nu- 
mero degli esemplari di questa edizione, che fu quasi di metà del 
solito, dovremo persuaderci che il prezzo di essi, avuto riguardo alle 
spese, era assai tenue in confronto di quello delle altre edizioni 
aldine. (Vedi l'op. cit., a pag. 120 e 117). 


DI A. URCEO CODRO 217 


Non è difficile che alla scuola del ricordato Gian 
Battista Guarino Codro abbia conosciuto quell’ ingegno 
maraviglioso di Giovanni Pico Della Mirandola (1), che 
il nostro mandava a salutare per mezzo del Poliziano 
nella lettera che scrisse a quest' ultimo ai 5 di luglio 
del 1494 (2). Egli poi ne deplora la morte (della quale 
ebbe notizia mentre era ‘ Milano) nella lettera, dei 23 
novembre di quello stesso anno, al discepolo Gian Bat- 
tista Palmieri (3). L' illustre principe della Mirandola, 
sebbene morto in sul fiore degli anni, ben meritò di 
essere chiamato dal Machiavelli « uomo quasiché di- 
rino ». 

Il nostro Urceo nella lettera che scrisse da Bologna 
ad Aldo Manuzio ai 14 ottobre 1492 lo prega «.... ut me 
commendas Demetrio Moscho, tiro docto, M. Antonio 
Sabellico, viro eleganti ac diserto, Raphaeli Regio, 
viro emuncto, D. Danieli, viro humano et aliîs nostro- 


- — _————+—+—+—__—_/_r ———»»__ —_——- 


(1) Nella biblioteca privata della famiglia dei Conti Malvezzi 
de' Medici in Bologna ho veduto un codicetto membranaceo, legato 
in pelle, scritto in sulla fine del secolo XV, dove sono raccolte 
molte sentenze, la maggior parte di scrittorì sacri, e diversi sermoni 
fatti da un Frate Minore del convento di Bologna, tra i quali uno 
intorno Giovanni Pico, che comincia « Quella reliquia del aureo seculo 
Gioan picco mirandulano homo non solamente trilingue ma per ri- 
chezza de letere dignissimo di esser anumerato fra quelle che merita- 
no ogni invidia... » Ma in esso l’autore, anzichè lasciarci qualche 
notizia di questo grande uomo, non fa che radunar sentenze di greci 
e di latini sulla fallacia della vita umana. In fine di questo sermone 
è scritto « Franciscus peroravit » dalle quali parole si comprende 
che quel frate prese occasione dalla morte di Pico per fare una pre- 
dica sull'argomento ricordato della fallacia della vita umana. 

(2) Opera, a pag. 261. 

(3) Opera, a pag. 263. 


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218 MALAGOLA 


rum studiorum studiosis (1) ». L' Urceo dovette per 
certo conoscere questi letterati in Venezia, quando vi fu 
a trovare il Manuzio. Ed infatti il dottissimo grecista 
Demetrio Mosco, lacedemonio, dopo aver dimorato a lun- 
go in Ferrara, alla Mirandola, ed in Mantova, trovavasi 
nel 1492 in Venezia, dove ebbe molti discepoli. Scrisse 
poesie latine ed alcune orazioni, e publicò un poema in- 
torno ad Elena. 

Il nome di Antonio Coccio, chiamato Sabelli 
co, è ben noto ai cultori delle lettere, agli storici ed 
agli antiquari per la sua Storia di Venezia che gli pro- 
cacciò da quella Republica un annuo assegnamento di 
dugento zecchini. Commentò molti antichi autori, fra i 
quali Plinio il vecchio, Valerio Massimo, Livio, Orazio, 
Giustino e Floro; inoltre scrisse un opera assai volu- 
minosa, che sotto il titolo di « Rapsodiae Historiarum » 
contiene la storia generale dalla creazione del mondo 
sino all'anno 1503. 

Di Raffaele Regio piacemi riferire la memoria che 
ne lasciò Erasmo di Rotterdam, scrivendo: «.... Patavii 
neminem vidi celebrem.... praeter Raphaélem Regium, 
hominem admodum natu grandem, sed cruda viro 
viridisque senecitus. Erat tum, ut opinor, non minus 
annis LXX, et tamen nulla fuit hyems tam aspera, 
quin ille mane hora septima adiret M. Musurum grae- 
ce profitentem, qui tolo anno vix quatuor intermitte- 
bat dies quin publice profiteretur. Iuvenes hiemis ri- 
gorem ferre non poterant; illum seneni nec pudor, nec 
hiems abigebat ab auditorio (2) ». 


(1) Opera, a pag. 271 e 272. ° 
(2) Op. cit. Tomo III, pag. 788. 


DI A. URCEO CODRO 219 


Il brano della lettera dei 14 ottobre 1492, diretta 
da Codro ad Aldo, ove lo prega « ut me commendes.... 
Raphaeli Regio viro emuncto (1) », potrebbe porgere 
un'altra prova che il Regio fosse in Venezia in quel- 
l’anno, oltre il fatto, addotto a questo fine dal Tirabo- 
schi (2), che egli consegnasse allora ad Ottaviano Scotto 
1 suoi commentari alle Metamorfosi d’' Ovidio, perchè 
fossero stampati. 

Nella citata lettera al Manuzio, Codro vuole essere 
anche ricordato « D. Danieli viro humano ». Certa- 
mente egli alludeva a Daniele Clari da Parma (amicis- 
simo di Aldo che gli dedicò alcune sue edizioni) il quale 
fu professore di lettere greche e latine e di scienze a 
Ragusa, e che dovè trovarsi anch'egli in Venezia quando 
v'era il nostro. 

Dopo il brano più volte ricordato, della lettera al 
Manuzio, scrive l’ Urceo che nol prega di salutar Gior- 
gio Valla « .... quoniam îllum mihi subiratum esse cum 
hastic essem, sensi. Et certe nisi ille me quamlibet tri- 
vialem grammaticum contempsisset, nonnulla cognitu 
pulcherrima ea me accepisset (3) ». Siccome Codro scris- 
se un compimento all’ Aulularia di Plauto, che a noi 
non pervenne completa, non sarebbe senza ragione il 
pensare che a questo compimento di Codro volessero 
alludere il Valla ed il Saraceno, là dove disprezzarono 
come quisquilie, secondo che apprendiamo dal Quirini (4), 
un supplemento a quella comedia. 


(1) Opera, a pag. 271. 

(2) Storia della Lett. Ital. Tomo VII, a pag. 1080. 

(3) Opera, a pag. 272. 

(4) Specimen Variae Literaturae quae in Urbe Brixia Eiusque 
Dictione.... Florebat.... - Brixiae 1739, a pag. 47. 


n — «————————————rcccrrrrrrrr_n12n11l11nk212——————@@@—@——@@ 


220 MALAGOLA 


Di Nicolò Leoniceno ho già detto nel II capitolo, 
e quindi. basterà che in questo luogo accenni come il 
nostro illustre rubierese, sempre nella lettera al Manu- 
zio, gli scriva: « .Vellem enim exponere ac enarrare 
quicquid mihi post meum a te discessum accidit, et 
sermones quos ego et Nicolaus Leonicenus una de 
nostris studiîis habuimus (1) ». Non può asserirsi che 
tali discorsi avesse il nostro con Nicolò in Venezia od 
in Bologna (ove, come professore, fu soltanto nell’anno 
scolastico 1508-1509); ma ad ogni modo quelle parole 
dimostrano che Codro conobbe il Leoniceno. Fu questi 
uno dei primi medici e filosofi che, abbandonata la bar- 
barie della scolastica, scrivessero le opere loro in ele- 
gante latino, e fu similmente dei primi che si scostas- 
sero dal comune uso di prestar fede cecamente a tutto 
quello che gli antichi autori avevano scritto (2). 


(1) Opera, a pag. 270. 
(2) In Bologna, nel 1518, fu stampato in un rarissimo libretto, 
di cui la nostra Comunale possiede un esemplare, l'opuscolo del 
Leoniceno « De serpentibus ». Nel frontespizio, dopo il titolo in ca- 
ratteri greci: 
« Nicolai Leomiceni de Ser- 
pentibus opus singula 
re ac erxractissimum » 
leggesi il seguente distico, forse del bolognese Gian Battista Pio: 


« B. P. Bon. 
Nicoleos vere dictus. Victoria nomen 
Praebet: Aristotelem rincit et Ippocratem ». 


L’ opuscolo è diviso in due parti: la prima dedicata a Lucrezia 
Borgia, la seconda ad Alessandro Agatimero, medico veneziano. In 
fine di questa è la sottoscrizione: 


« Impressum Bononiae per Toannem Antonium 
iuniorem de Benedictis 
Anno Domini 
M.D.XVIII. Die XXV. Novembris ». 


---.΄---..--.,.... -.-.»-.»----..ὕ...» 


DI A. URCEO CODRO 221 

Di Francesco Dal Pozzo, detto il Puteolano, toccai 

pure, massime per ciò che riguarda la sua dimora in 

Bologna, nel II capitolo. Dell’ amicizia, e del pregio in 

cui l’ebbe Codro, ci è rimasto testimonio un epigram- 
ma del nostro in un distico, che è il seguente: 


« De Francisco Puteolano. 


St quisquam magno vates aequandus Homero est, 
Is, nisi Franciscus, credite, nullus erit (1) », 


E in verità egli doveva aver levato gran fama di 
poeta appresso i contemporanei, poichè costoro lo distin- 
sero col sopranome di Poetone, col quale anche era 
chiamato nelle publiche carte dei Curiali, negli Atti della 
Comunità di Parma e della Cancelleria di Milano (2). 
Lasciò diversi scritti latini in prosa, ed altri in versi 
italiani e latini, annoverati dall’Affò (3), ma sopratutto 
gli diedero nome tra i filologi de’ suoi giorni le edizioni, 
venute in luce per sua cura, delle opere di Ovidio, di 
Catullo, di Stazio, di Fortunaziano, di Dionisio d’Alicar- 
nasso, di Tacito e d'altri antichi. 

IV. Avendo già discorso dei letterati coi quali l’Ur- 
ceo fu in amicizia, ma che non abitarono in Bologna, 
o almeno non vi furono contemporaneamente a lui, pas- 
serò ora a discorrere di quelli, bolognesi o forestieri, 
che, avendo dimorato nella città nostra quando Codro 
vi insegnava, poterono avere con lui maggiore dime- 
stichezza. i 


(1) Opera, a pag. 404. 

(2) Affò - Memorie dei letterati parmigiani - Parma, 1789 - 
Vol. I, pag. 303. 

(3) Op. cit. - pag. 304-317. 


202 MALAGOLA 


Primo, fra i bolognesi del XV secolo che coltivaro- 
no gli umani studi, è Filippo Beroaldo seniore, il quale 
ancor giovane s'era acquistato tal nominanza, da essere 
eletto professore di Retorica e Poetica nello Studio in 
età di soli diciannove anni. Insegnò poscia in Parma, in 
Milano ed in Parigi, donde, nel 1477, fu richiamato alla 
sua cattedra in patria, e vi lesse dal 1479 al 1505, 
avendo alla sua scuola fino a seicento discepoli, e d’ ogni 
nazione. 

Il nostro Codro ne lodò più volte la dottrina ne' suoi 
Sermoni, anzi sappiamo dal secondo, ch’ egli soleva 
chiamarlo per antonomasia: « Commentatorem Bono- 
niensem (1) ». E per vero niun altro nome più di 
questo gli conveniva, avendo egli illustrato de’ suoi 
commenti le opere di Plinio, di Servio, di Cicerone, di 
Properzio, di Svetonio, di Columella, di Varrone, di Ca- 
tone, di Frontino, di Apuleio, di Plauto, di Aulo Gellio, 
di Giulio Cesare, di Lucano, di Giovenale e d'altri. La- 
sciò ancora molti scritti latini in prosa ed in verso, editi 
ed inediti (2). E noto che egli era stato eletto sulla fine 
del 1505 all’ alto ufficio di Segretario del Reggimento 
ma poco tempo dopo ai 17 luglio del 1506 fu colto dalla 
morte (3). Diversi documenti che riguardano questo illu- 


_ \ 


(1) Opera, a pag. 77. 

(2) Fantuzzi - Not. degli Scritt. Bol. - Vol. II, da pag. 119 a 133. 

(3) La morte del Beroaldo è così notata nella Cronaca ms. in 
tre volumi, attribuita a Fileno Dalle Tuatte, la quale conservasi 
nella Biblioteca della R. Università di Bologna; « Murj el dotissimo 
filipo broaldo chanceliero del resemento e poeta laureato adi 18 de 
Lujo fu portato ala nonciata fuora de la porta de san mamolo da li 
scholari compianto de tuta la cita e maxime del studio per essere te- 
nuto οἱ primo umanista de Italia et era in questa tera doxento sco- 
lari oltramontanj per luj e maxime todeschi.... murì de uno male non 


+ «--- 


-----ἔἝ ----.--- --- - _— —— ———P_ 


DI A. URCEO CODRO 223 
stre bolognese darò in luce più innanzi (1), anche perchè 
da essi può argomentarsi come in patria fossero pregiati 
gli studi e l'ingegno di lui. 

Contemporaneo ed amico del vecchio Beroaldo fu 
Giovanni Garzoni, dottore di Filosofia e Medico Colle- 
giato, il quale, secondo il Fantuzzi, «.... può dirsi un 
letterato ed uno scrittore universale e ben distinto fra 
gli altri del suo tempo nella città nostra, e a cui, per 
essere anche più celebre ai posteri, niente altro man- 
cò che l'essere nato în miglior secolo (2) ». Coltivò fra 
gli altri gli studi storici, fu maestro di Leandro Al- 
berti, e, quantunque fornito di molta dottrina, essendo 
incerto in cose letterarie, ricorse all’ Urceo, dicendogli in 
una lettera: « Nunquam pudebit Garzonem fateri se in 
discendis literis usum esse opera et praesidio tuo, cum 
sis liberalium disciplinarum studiis expolitus, ut me 
hac cura, hoc onere liberes, non solum oportet, verum 
etiam necesse est, tum ipse tibi immortale ac divinum 
beneficium debebo.... (3) ». E più oltre, finendo la let- 
tera: «.... Ufcumque sit, opinioni tuae acquiescam. 
Quare cum οοἵὲ paululum nacius fueris, non grava- 
beris me de sententia tua certiorem facere. Vale mel 
ac delitiae meae (4) ». ΑἹ Garzoni rispose l’ Urceo con 


chonosuto chome ano fato in tri mixi piu de 400 persone che non 
se conosce la soa malalia e chredeno sia per li leramotj che charo- 
gnano el sangue a molte persone che ancora li pare odirlj de ora 
in ora et ano quella fantasia e dichono el male del masucho benchè 
non se.... » (Così a pag. 536 verso e 537 retto del III volume). 

(1) Appendice XVII. 

(2) Not. degli Scritt. Bol. - Tomo IV, pag. 78. 

(3) Opera, a pag. 279. 

(4) Opera, a pag. 298. 


224 MALAGOLA 
una eruditissima lettera latina (1), ove discute se la voce 
Persona debba usarsi nel senso di sostanza o di quali- 
tà. Delle opere del Garzoni sono da ricordare special- 
mente l’ opuscolo « De Redus Ripanis », il commentario 
« De dignitate Urbis Bononiae », l’altro « De Rebus 
Saxoniae, Thuringiae, Libonotriae, Misniae et Lusa- 
liae, et de bellis Friderici Magni », senza contare lo 
sterminato numero delle sue opere che ancora si trova- 
no inedite (2). 

Il Garzoni lesse Medicina nel nostro Studio dal 1466 
(non dal 1468, come ha scritto il Fantuzzi (3)), e tenne 
questa cattedra con molta fama e numero straordinario 
di uditori fino al 1504. Morì in Bologna ai 28 gennaio 
del 1505, con rammarico di tutta la città e del Collegio 
di Arti e Medicina, il Priore del quale scriveva nel Libro 
Secreto di esso Collegio questa memoria: « 1505.... M." 
Iohannes de Garzonibus 28." Januarii mortuorum nu- 
merum auxît, dum urbs nostra sobterraneis ventis agi- 
tata et cives metu perculsi maximo tremore lremeruni. 
Is collegium nostrum miris laudibus εἰ honoribus, dum 
in vivis esset, semper affecit. Erat nam Garzo, citra 
contenlionem, omnium aetatis nostrae orator eminen- 
lissimus. Huic universa civitas nostra, quod eam ele- 
ganti rerum gestarum historia decoraverit, maxime 
debet. Hic medendi în yppocratica adeo polluit, ut 
humana corpora extremis labits animam tenentia eius 
ope saeptus reviviscerent. UL huius collegae nostri exe- 
quiae honorabiliores redderentur, universum collegium, 


(1) Opera, a pag. 276. 
(2) Fantuzzi - .Not. degli Scritt. Bol. - Tom. IV, pag. 84 a 100. 
(3) Not. degli Scritt. Bol. - Tomo IV, pag. 79. 


DI A. URCEO CODRO 225 


lugubri veste praecincium, per Lappum, Collegii Prae- 
conem, aaciri feci, demum tanti viri cadaver tali ja- 
ctura moesti ac lugubres ad sepulcrum associavimus, 
cuius anima quiescat (1) ». 

Anco furon congiunti di molto affetto al nostro 
Codro Andrea Magnani, detto Magnanimo, Alessandro 
Sarti e Tomaso Gambari Sclaricini. Il primo era versato 
nelle lettere greche e latine, molto riputato dal Polizia- 
no e caro a Giovanni II Bentivoglio. Di lui il Burzio nella 
sua « Bononia Illustrata » lasciò scritto: « ... Andreas 
Magnanimus apprime lileratus, civis Bononiensis hono- 
ratus, ingenio elegantissimo ac moribus suavissimis 
cumulalus, qui inter caetera eius opera rithmorum 
iuncturas syllabasque facili dictamine ad votum con- 
neckt (2) ». Ma per verità ei non ebbe l'animo bene 
disposto alla poesia, se dobbiam giudicare da tre sonetti 
che sono le uniche sue scritture che sieno giunte sino 
ai nostri giorni (3). L’ Urceo indirizzò al Magnani una 
lettera latina, ove scrisse l' elogio del padre di lui Gia- 
como Magnani, dal quale egli medesimo aveva ricevuti 
molti benefici (4). E pure diresse ad Andrea un epigram- 
ma (dove allude forse alle poesie latine di questo bolo- 
gnese), che incomincia col distico: 


(1) Nel « Libro segreto del Collegio (di Arti e Medicina) dal 
l'anno 1504 a tutto al (sic) 1575 », pag. 3, nell'Archivio Arcivesco- 
vile di Bologna, Busta 5.3, N. 3. 

(2) Op. cit. a carte 15 retto non num. 

(3) Gozzadini - Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio - 
a pag. 94 e 172. Un altro sonetto del Magnani, ancor inedito, leg- 
gesi nel codice N. 165, a pag. 36 retto, della R. Biblioteca dell’ Uni- 
versità di Bologna. 

(4) Opera, a pag. 273. 

15 


226 MALAGOLA 


« Magnanime Andrea, cuius de pectore manant 
Carmina Mopsosiis aequiparanda favis (1) », 


scritto in tempo ìn cui tutti, per paura della peste o di 
altro male contagioso, fuggivano dalla città. Il Magnani 
morì per certo prima del 1504, giacchè nel « Tyroci- 
nio delle cose vulgari » di Diomede Guidalotti, stampato 
in quell’anno, è un sonetto: « Ne la morte de m. An- 
drea Magnanimo », dove si dice che la parca 


« Fece il magnalmo Andrea di vita esangue, 
Di cui tutto Parnaso e Delfo langue 
Haver perduta sua miglior difesa (2) ». 


Tra gli amici più affezionati che 1 Urceo ebbe in 
Bologna è per certo da annoverare Alessandro Sarti, 
carissimo al Poliziano, al quale aveva resi molti servigi 
e che nella dedicatoria della sua traduzione di Erodiano, 
impressa nel 1493 in Bologna, ebbe a chiamarlo: «... lite 
ratum hominem, nostrique studiosum, tum (quod ego 
in hac re primum puto]) neutiquam in amici negotio 
dormitantem (3) ». Ed Aldo Manuzio, dedicando a Gian 
Francesco Pico le sue « Instilutiones Graecae Gram- 
matices (4) », «dà lode al Sarti come: «.... îinfegerrimo, 
vero ac optimo {μὲ aiuni] amici amico, et tui quam 
studiosissimo.... ». Di lui fa menzione anche il nostro 
Urceo nella lettera al Palmieri dei 15 aprile 1498 (5). 


(1) Opera, a pag. 309. 

(2) Questo libro ha nella sottoscrizione: « Qui Finisce il Tyro- 
cinio di Diomede Guidalotto Impresso ne Lalma et Inclyta Citta di 
Bologna per me Caligula di Bazaleri.... Ne lanno... M.D.III.Adi 
XV de Aprile ». Vedi a pag. 56 non num. 

(3) Op. cit., nel verso della prima carta. 

(4) Venetiis in aedibus Aldi... M.IM.D. 

(5) Opera, a pag. 263, 


DI A. URCEO CODRO PZA | 

Tomaso di Matteo Gambari Sclaricini fu chiaro, 
mentre visse, per l’ ornamento di molte scienze e di 
varie arti, ed ottenne il Grado Dottorale in Leggi nel 
1481, ed in Filosofia nel 1492. Professò nello Studio 
bolognese per ventisette anni il Gius Civile, cioè dal 
1481 a tutto il 1506, e come Dottore fu degli Anziani 
non meno di sei volte, e fattosi ecclesiastico diventò Ca- 
nonico di S. Petronio e Parroco di S. Michele della 
Braina. Oltre lo studio delle Leggi coltivò la poesia, 
la pittura e l’antiquaria, onde fu chiamato dal Burzio: 
« vir quidem ingeniosus, affabilis, venerandus, qui 
post turium perttiam, poésis notionem atque perfectam 
rithmorum editionem, picturae artem et numismata 
novit, quin, ct δὲ opus est, fabricat (1) ». Codro ram- 
menta affettuosamente il Gambaro, insieme col Magnani, 
nella prima Se/va del libro secondo, ove canta: 


« 0 ubi Magnanimus meus est, ubi Gambarus et quem 
Consueram dictis iam delectare facetis? (2) ». 


Ma un merito del Gambaro, che sarà sempre ricor- 
dato con riconoscenza dagli archeologi, e che fu bene 
additato dal celebre Mommsen in una dissertazione letta 
nell'adunanza dei 20 di luglio 1865 della R. Academia 
di Berlino (3), è l'avere compiuta sino dagli ultimi anni 
del secolo XV, o dai primi del seguente, una raccolta» 
di iscrizioni latine, della quale conservansi in Germania 


(1) Op. cit. a carte 13 retto non num. 

(2) Opera, a pag. 324. 

(3) Questa dissertazione fu letta, tradotta in italiano, dal Ch. 
Sig. Prof. Cav. Emilio Teza nella seduta del 28 novembre 1865 della 
R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna. Ne 
venne dato un sunto negli Atti e Memorie di essa Deputazione, 
Anno V, pag. XI, XII, XIII e XIV. 


228 MALAGOLA 


“ due esemplari manoscritti, posseduti l’' uno dalla biblio- 
teca di Stoccarda, l’altro da quella di Treviri. Il primo 
è autografo e di 197 pagine in 12.°; fu donato dall’ au- 
tore nel 1507 a Francesco Baschieri da Carpi, dal quale 
forse lo ebbe il benemerito epigrafista viennese Agosti- 
no Tyfernus, che probabilmente lo diede al Peutinger, 
il quale ne' suoi « Co/lectanea » inserì gran parte delle 
iscrizioni raccolte del nostro bolognese. 

Il codice di Treviri si compone di quattordici fogli 
in formato grandissimo, dei quali i tre primi contengo- 
no foglietti strappati dal codice di Stoccarda, ed ivi at- 
taccati. 

Di queste iscrizioni una parte, le romane, ebbe 
forse il nostro Gambaro da Pomponio Leto, altre da 
Ciriaco. « Degne di altenzione », dice il Mommsen, 
«sono quelle di Parma; una importante collezione della 
città di Roma, e quelle, poco numerose e bolognesi 
quasi tutle, che tl Gammaro cavò egli stesso dai mar- 
mi; epigrafi ricopiate in matuscolo, colle lince divise, 
e che saranno molto utili a’ compilatori del Corpus 
inscriptionum latinarum. Utilî per la prima volta; 
chè il Malvasia non se ne servì, nè altri vi posero 
mai cura, nemmeno per la raccolta apiana (1) ».. 

Sembra che il Gambaro morisse nel 1506. Il Casio 
‘così lo ricorda nella sua Cronica: 


« L'humano, et civil Gambaro Tomaso, 
Di Petronio Canonico e di Legge, 
Sì eccelso fu tra il Poetico gregge, 
Ch’ Urna gli diede il bel Monte Parnaso (2) ». 


| (1) Dal sunto citato nella nota precedente - V. a pag. XIV. 
(2) Op. cit, a pag. 31. 


DI A. URCEO CODRO 229 


Il Fantuzzi non conobbe tutto quello che del Gam- 
baro abbiamo a stampa. Questo antico bolognese primie- 
ramente mandò in luce in Bologna nel 1491 molti versi 
ad imitazione del Petrarca, in un volumetto « .... a co- 
mune spesa de Benedetto de Hector libraro et de Plato 
dî Benedetti stampatore » che ha nel frontespizio: 
€ SILVANO DE MISSER THOMASO SCLARICINO GAMMARO DO- 
CTORE IN LEZE DA BOLOGNA >». 

Di lui si trovano nelle Co/llettanee, raccolte e publi- 
cate dall’Achillini nel 1504 in morte dell’Aquilano, alcu- 
ne parole latine in memoria del defunto (1), poi una bre- 
ve lettera latina dei 20 maggio 1504 :al compilatore, 
con la risposta di questi (2), ed un sonetto del nostro 
Tomaso in morte dell’Aquilano (3). 

Nel 1510, sempre in Bologna, Benedetto d’ Ettore 
Faelli stampava l'opuscolo del Gambaro: « Oratio Fu- 
nebris: sed faceta. Epistola Asini ad Asinos. Duo Dia- 
loghi », dedicati dall’ autore al poeta Lattanzio Festo. 
Dirò per ultimo che innanzi all’ edizione dei Trionff del 
Petrarca, fatta nella città nostra da Francesco da Bo- 
logna nel 1516, si trova una lettera del Gambaro al 
lettore, senza data. 

Notisi che in tutti questi scritti Tomaso chiamasi 
sempre Claricino o Claricinus, oppure Sclaricino o 
Selaricinus, ne' quali modi pure è nominata la sua fa- 
miglia in due iscrizioni (poste nella insigne chiesa di S. 
Francesco di Bologna (4)), e così anche si appella un 


(1) Op. cit., a carte 40 verso. 

(2) Ivi, a carte 79 verso. 

(3) Ivi, a carte 79 verso. 

(4) Tali iscrizioni sono riportate nell’ opera ms. ed inedita in 5 
grandi volumi, che si trovano nella R. Biblioteca della nostra Uni- Ὁ 


230 MALAGOLA 


altro della famiglia di Tomaso, che fu Professore nel 
nostro Studio (1). Qualche volta trovasi anche il cognome 
Sclarici, ma ciò avviene assai di rado. Pure del Gam- 
baro il nostro Codro fece menzione nella lettera che 
scrisse da Milano a Gian Battista Palmieri (2). 
Ludovico di Bartolomeo Ghisilardi portò pur egli 
grande affezione al nostro Codro. Molto fu versato negli 


versità, compilati dal Montieri col titolo: « Raccolta di tutte le Me- 
morie, lapidi ed iscrizioni che si ritrovano nelle Chiese palazzi e strade 
della città di Bologna » etc. — Nel II volume a pag. 13 ed a pag. | 
si leggono le seguenti: 


DOMUS PERPETUAE DORMITIONIS . 
PETRUS SCLARICINUS GAMMARUS PRO SE 
ET SUIS POSTERIS . VIVENS POSUIT 
A.8. 1514, 


D.O0.M. 
THOMAE CLARICINO GAMMARO CANONICO 
0 0000 QUI VIXIT AN . LXXI . MENS.. 
VIII . DIES I . ET DIAMANTI UXORI 
000000 PETRUS CLARICINUS GAMMARUS 
0 00000000000 A. SALUTIS € MDXXVI . 


Quest’ ultima (quasi non occorrerebbe dirlo) è posta al nostro 
Tomaso. 

(1) Il primo di tali opuscoli è intitolato: « Oratio Claricini de 
laudibus, et Vtilitatibus Arithmeticae - Bononiae Apud Anselmum 
Giacarellum M.D.XLUVIII.-»,ed ha nel retto della seconda carta 
una lettera: « Reverendissimo et Illustrissimo D. Ioanni Morono Car- 
dinali Amplissimo, Laurentius Claricinus Gambarus S. D. ». L'altro 
opuscolo, privo di data, ha questo frontispizio: « Expositio Proemii 
Institutionum Civilium, Qua Lavrentius Claricinus Gambarus Pri 
mam ‘Reipublicae Quasi Formam Expressit. - Bononiae Apud An- 
selmum Giaccarellum et Peregrinum Bonardum Socios - ». 

(2) Opera, a pag. 263. 


DI A. URCEO CODRO 231 


studi delle lettere e molto stimato da Gian Battista Pio, il 
quale, offerendogli le sue « Plautinae Retractationes (1)», 
lo chiamava « Lytavice cultissime », e nella dedicatoria 
dei Commentari alle lettere di Cicerone magnificava in 
tal guisa il sapere di Ludovico: « Non audeo animi tui 
dotes lingua nuncupare: Deterret id gravitas tua;..... 
Tu Cato Bononiensis a cunctis diceris; a me Titus 
Atlicus: ut qui în tot ac tantis fortunae bonis, musas 
graecas latinasque numquam deserueris (2) ». Diverse 
delle poesie del Pio, che vanno sotto il titolo « Elegi- 
dia (3) » sono dedicate al Ghisilardi; e in una di esse 
gli scrive: 


« Te puerum colui puer: et cum cana senectus 
Auferet omne meo corpore robur, amem (4) ». 


Queste lodi del Pio ci rendono certi che il Ghisi- 
lardi doveva essere un uomo ben colto, ma di lui ora 
non restano che due soli versi, diretti al nostro Codro, 
al quale, avendo da lui ricevuto questo epigramma: 


« Carmina quae scribis gracili, Ludovice, Thalia 
Certe sunt prima candidiore nive (5) », 


(1) Trovansi nel libro « In Carum Lucretium poetam Commen- 
tarij a loanne Baptista Pio editi.... Bononiae in ergasterio Hieronymi 
Baptistae de Benedictis Platonici... MDXI » a carte COXVI rverso. 

(2) « M. T. Ciceronis Epistolarum ad M. Brutum liber cum com- 
mentariis Ioan. Baptistae Pi », che fu stampato unitamente al volu- 
me delle epistole ad Attico « Bononiae in aed. Io. Baptistae et Be- 
nedicti fratris de Phaellis.... M.D.XXVII in 4.°. Veggasi il verso della 
prima carta dell’ opuscolo delle epistole a Bruto. 

(3) Elegidia Ioannis Baptistae Pii Bononiensis.... Bononiae per 
lo. Antonium de Benedictis... MD.IX. 

(4) Op. cit., a pag. 62 non num. 

(5) Opera, a pag. 410. 


232 MALAGOLA 


rispondeva: 
\ 


« Non sum Virgilius, nec sum crinitus Apollo 
Ut scribam vestris carmina digna liris (1) ». 


Secondo che si rileva dai libri « Partitorum » del 
nostro Archivio del Reggimento, Ludovico fu eletto Gon- 
faloniere del Popolo ai 18 di gennaio del 1508 (2), ed ai 
13 di gennaio dell’anno appresso Officiale del Monte di 
Pietà (3), di cui poi, nel 1514, divenne Preside (4). Da 
una lapide che gli fu posta nella chiesa di San Domenico 
apprendiamo esser mancato di vita nel 1531, in età di 
cinquantasei anni (5). 

Venendo egli a morte senza discendenti, chiamò ere- 
de del suo nome e de'suoi beni Antonio Musotti, di 
nobile famiglia bolognese, pel quale 1] nostro Codro scris- 
se un epigramma, che mostra avere il Musotti coltivato 
gli studi delle lettere con non lieve profitto: 


(1) Fantuzzi - Not. degli Scritt. Bol., Vol 1V, pag. 14]. 
(2) Partitorum, Vol. XIII, a carte 89 verso. 

(3) Partitorum, Vol. XIV, a carte 6 retto. ‘ 

(4) Partitorum, Vol. XV, a carte 6 retto. 

(5) La lapide ha queste parole: 


D. 0. M. 
LUDOVICO GHISILARDO 
PATRI ADOPTIVO 
ANN . LVI VITA FUNCTO 
M DXXXI 


——— 


ANTONIUS GHISILARDUS SENATOR 


ET GENTILI CASTELLIAE PRIORI CONIUGI POSUIT 


DI A. URCEO CODRO 233 


« Ingenium Tulli, sacri vel adesse Maronis 
Temporibus nostris maxima turba negat: 
Quae tua si, Antoni, legeret nitidissime scripta, 
Hoc utrumque sibi cerneret esse loco (1) ». 


Dagli stessi libri « Parfitorum >», che più sopra 
nominammo, sappiamo che il Musotti era causidico, giac- 
chè ai 3 di decembre del 1478, dovendo egli allora re- 
carsi a Roma, furono sospese, fino al suo ritorno, tutte 
le cause patrocinate da lui (2); e lo stesso avvenne nel- 
l’aprile del 1487 quando si recò ai bagni, forse della 
Porretta, per ricuperar la salute (3). 

Di un altro Musotti fa menzione l' Urceo ne’ suoi 
epigrammi, ed è Ulisse Musotti, che da un iscrizione 
della chiesa di S. Domenico di Bologna sappiamo essere 
stato figliuolo di Antonio, e causidico anch'egli (4). A 
lui il nostro Codro scriveva in un epigramma: 


(1) Questo epigramma di Codro non trovasi nell’ edizione delle 
sue opere fatta a Basilea nel 1540. Esso leggesi nella bolognese del 
1502, al retto dell’ ultima carta. 

(2) Partitorum, Vol. X, a carte 158 retto. 

(3) Partitorum, Vol. XX, a carte 157 retto. 

(4) L’ epigrafe incomincia: 

᾿ 4}. 0. M. 
AM Musotto, ἃ Ulissi eius Filio Causidicis, cum integri- 
tate, tum in causis agendis solertia aequalium suorum nulli 
secundis ..... » 


Nel cortile della medesima chiesa di S. Domenico è quest’ altra 
iscrizione, che mi sembra di non lieve importanza per ciò che dice 
dell’ origine della famiglia Musotti: 


« Nobilis Viri D. Petri quondam D. Muxoti olim D. Petri 


e Musolini de Argelata, & suorum heredum qui obiit 
Anno . ἢ. MCCCLXXVII . die XXVII. Mensis Aprilis ». 


234 MALAGOLA 


« Tu mihi pallentes violas, Musote, dedisti 
Haec ego pro violis carmina dono tuis (1) ». 


Di Ulisse non ho trovato ricordo nelle opere degli 
scrittori bolognesi; solo sappiamo, da un Partito del 
Senato (2), che nel 1519 fu mandato a Firenze per ne- 
gozi della città. 

Due mesi prima che il Musotti, era stato medesi- 
mamente spedito a Firenze un'altro amico di Codro, 
Pompeo Foscarari (3), al quale l' Urceo (da lui spesso 
donato di versi) rispondeva con questi distici: 


« Carmina quae de te nuper mihi missa fuere, 
Visa Maroneis versibus aequa mihi, 
Ambrosiamque Deis gratam spirare supernis, 
Iupiter, o quali scripta fuere lyra! (4) ». 


Fra gli epigrammi di Codro ne troviamo uno ad 
Alessandro Manzoli: 


« δὲ cupis ornatos hedera gestare capillos, 
Assiduo Vatum scripta labore lege (5) », 


che forse gl’ indirizzò mentre Alessandro era ancor gio- 
vane, come anche appare dal nome di Alessandro con 
cui, nel titolo di quello, è chiamato. Perocchè questi, 
entrato nell’ Ordine de’ Predicatoti, cangiò il nome di 
Alessandro nell’ altro di Bartolomeo. Scrisse i trattati 


(1) Opera, a pag. 4ll. 

(2) Partitorum, Vol. XV, a carte 189 verso. 

(3) Partitorum, Vol. XV, a carte 182 retto. Decreto dei 22 agosto 
1519. 

(4) Opera, a pag. 41]. 

(5) Opera, a pag. 41]. 


DI A. URCEO CODRO 235 


« De formalitatibus », e « De definitionibus >», poi le 
« Quaestiones logicales », e molte altre opere che gli 
procacciarono fama di uomo dotto (1). Nel « Tyrocinio 
delle cose vulgari.» del Guidalotti trovasi un sonetto 
al Manzoli (2). . 

Ancora si deve qui far menzione di tre altri lette- 
rati bolognesi che Codro ebbe ad amici, e furono Ga- 
spare Mazzoli, Lorenzo Rossi e Cesare Nappi. 

Il primo di questi, secondo che afferma il Fantuzzi (3) 
sulla fede dell’Alidosi (4), non appartenne già alla fami- 
glia degli Argeli, sibbene a quella dei Mazzoli di Bologna, 
e soltanto fu detto da Argile perchè nacque in quel ca- 
stello (5). L’Alidosi scrisse eziandio che Gaspare 8᾽ ad- 
dottorò in Bologna nel 1485, e noi, quantunque invano 


(1) Fantuzzi - Not. degli Scritt. Bol., Tomo V, pag. 217. 

(2) Op. cit., a carte 39 verso. 

(3) Not. degli Scrttt. Bol., Tomo V, pag. 377. 

(4) Li Dottori Bolognesi di Teologia, Filosofia Medicina et Arti 
Liberali. Dall’ anno 1000 per tutto Marzo 1623, a pag. 94. 

(5) Che la famiglia Mazzoli sia la stessa che quella dei Manzoli 
è affermato da una lapide, posta in S. Giacomo Maggiore in Bolo- 
gna, la quale era così concepita: | 


« D. O. M. 
SACELLUM HOC 
FAMILIAE OLIM DE MAZZOLIS HODIE MANZOLIS 


MDCLXXXI >. 

Ed era viva nella famiglia Manzoli questa credenza anche nel 
1702, giacchè il Senatore Bartolomeo Manzoli fece allora un legato 
a favore della Cappella posseduta della sua famiglia nella chiesa di 
San Giacomo, perchè vi si celebrasse ogni anno, nella ricorrenza del 


giorno del martirio di San Nicolino Mazzoli appartenente alla fami- 
glia del testatore. 


236 MALAGOLA 


abbiamo praticato ricerche nell’ Archivio Arcivescovile 
di Bologna per assicurarci di questo, non negheremo 
fede all’Alidosi. Ma non possiamo a lui, nè al Fantuz- 
zi (1) nè al Mazzetti (2), che lo copiarono, perdonare di 
avere affermato contro la verità, che il Mazzoli fu Let- 
tore di Retorica e Poetica dal 1485 al 1505. I Rotul 
dello Studio rendono piena testimonianza che in quello 
Gaspare insegnò Retorica e Poetica nel solo anno sco- 
lastico 1505-1506 (3), il che è confermato dai libri 


——r- 


Il Dolfi nella Cronologia delle famiglie nobili di Bologna (pag. 
510-518) e il Montefaniì nelle notizie mss. delle Famiglie Bolognesi 
(che si conservano nella nostra Biblioteca Universitaria) ove trattano 
della famiglia Manzoli, o Mazzoli, non nominano alcuno che avesse 
il nome di Gaspare. Ma una iscrizione della chiesa di S. Domenico, 
riferita dal Montieri nella citata raccolta, (Vol. II, pag. 29) ci rende 
certi, ad onta dell’ommissione del Dolfi e del Montefani, essere stato 
in quella famiglia un Gaspare che ivi è così nominato: 


< CCCCLXVIII. Nunc est Dominici quondam Gasparis de 
Manzolio et eius ...... Filiorum . &...... >. 


Poichè dicemmo che la famiglia Mazzoli era la stessa che quella 
dei Manzoli, nulla si oppone a credere che quel Gaspare fosse l’avo, 
e Domenico il padre, del nostro scrittore. 

(1) Op. cit., Tomo V, pag. 377. 

(2) Repertorio di tutti i professori.... della.... Università.... di Bo- 
logna - pag. 207, N. 2076. 

(3) Ecco ciò che trovasi nel Rotulo dell'anno scolastico 1505-1506 
nell'Archivio Notarile di Bologna: 


« Ad Rhetoricam et Poesim 
In Campana Sancti Petri 
Gaspar de Argile . >» 


In un fascio di minute cartacee di Rotuli (che serbansi nel nostro 
Archivio Notarile) trovasi che in quello del 1505-1506 era stato no- 
tato fra i Lettori di Retorica e Poetica « In Campana Sancti Petri » 


. DI A. URCEO CODRO 2317 


« Partitorum » (1) dell'Archivio dell’ antico Reggimento 
di Bologna, dai quali anche sì apprende che il suo stipen- 
dio annuo era di sole 50 lire di Bolognini, il che, se 
già i Rotuli troppo chiaramente nol mostrassero, sareb- 
be di per sè solo indizio che il Mazzoli da poco tempo 
aveva intrapreso l'insegnamento. Del nostro Gaspare ha 
lasciato memoria l’Achillini nel suo « Viridiarto », dove 
scrisse: 
« Il Croce, il Paleoto, τὶ mio Diomede, 

L’Argele grave, il tacito Bianchino 

Ben fanno orando e poetando fede 

Ch' hanno dottrina e ingegno pellegrino (2)». 


Ed inffatti, sebbene del Mazzoli ci sia rimasto un 
solo epigramma, esso è veramente assai leggiadro, e 
scritto con buona latinità poetica; con versi di facile 
struttura e così eleganti, che l'illustre Professore Ste- 


Diomede Guidalotti, ma essendo questi morto, fu cassato il suo 
nome e sostituito con l'altro di Gaspare da Argile. 

(1) Nel volume XII Partitorum, a carto 80 verso, leggesi il se- 
guente decreto che riguarda il Mazzoli: 

« Die Vigesino octavo mensis maij MD VI. 
Congregati ele. «0... - 
Item per omnes ᾿ Fabas albas Constituerunt infrascriptis omnibus 
Rotulatis infrascripta Salaria Integra et privilegiata Incipiendo in 
prima distributione presentis anni, videlicet 


Gaspari de Argile et Angelo de Cospis, conductis et rotulatis ad 
rhetoricam et Poesim, Constituerunt libras quinquaginta pro quolibet 
eorum, videlicet . . . . . . . + + +. + Libras 50 pro quo- 
libet eorum ». 
(2) Op. cit., a carte CLKXXV verso. 


298 MALAGOLA 


fano Grosso lo giudicava degno di star coi migliori del 
secolo del Navagero e del Cotta (1). Esso è il seguente: 


« De pastore ad amicam properante. 
Mane ut erat, vili surgens de gramine pastor, 
Ibat, et impastas sic agitabat oves: 
Ignavum procede pecus; iam surgit in altum 
Phoebus, et arentes lumine spargit agros. 
Tu tamen huc illuc lentis mihi passibus erras; 
Immemor ad fiammas me properare meas. 
Aut mecum gradere, aut nullo custode relictum 
Protinus a rabidis dilaniare lupis (2) ». 


Questo epigramma mostra che il suo autore degna- 
mente meritò e l'affetto e la stima professatagli dall’ Ur- 
ceo, e dimostratagli anche in quei versi: 


« Ad Gasparem Argileum. 


Dum ver pariuriet flores et farra calores, 
Dum poma autumnus, frigora tradet hyems, 

Semper honos nomenque tuum et gloria vivet, 
Inque meo Gaspar carmine semper erit (3) ». 


. Oltre il Fantuzzi e gli altri scrittori da me nomi- 
nati, parlarono con lode del Mazzoli Filippo Beroaldo 
seniore nei Commentari ad Apuleio (4), Onorio Domenico 


- 


(1) Lettera all’A., dei 28 giugno 1877. 

(2) Delitiae CC. Italorum Poetarum.... Collectore Ranutio Ghero 
(Jano Grutero) - Francofurti - MDCVIII, a pag. 87. 

(3) Opera, a pag. 41]. 

(4) Commentarii a Philippo Beroaldo conditi in Asinum Aureum 
Luci Apulei — Bononiae... Benedicto Hectoris impressore... Anno... 
Millesimo quingentesimo... lib. X. 


DI A. URCEO CODRO 239 


Caramella (1), Ovidio Montalbani (2), ed il Mazzuchelli (3) 
ed ultimamente un suo conterraneo, il signor Massimo 
Simoni, per incitamento del quale il Municipio di Argile 
porrà una lapide alla memoria del Mazzoli (4). Questo 
elegantissimo scrittore del secolo XV morì forse tra la 
fine di maggio ed il principio di ottobre del 1506, secon- 
do che lasciano supporre il Partito dei Sedici poc’ anzi 
riferito, ed il fatto del non trovarsi più il suo nome 
nel Rotulo dell’anno scolastico 1506-1507. 

Lorenzo Rossi fu chiaro anch’ egli nelle lettere 
a’ suoi giorni, come ci mostrano le opere de’ suoi con- 
temporanei e massime del Burzio, che nella « Bononia 
illustrata » lo dice un dotto grammatico e retore, auto- 
re di versi elegantissimi sì in istile eroico e sì in ele- 
giaco (5), e che nel carme « ad V. Dominum Bartholo- 
meum Montinum » lo nomina, dopo il vecchio Beroaldo, 
con questi versi: 


« Hinc prope subsequitur, cui est facundia dictis 
Laurifer, insigni Roscius ingenio (6) ». 


(1) Museum Illustrium Poetarum, a pag. 102. 

(2) Minervalia Bononiensis... collectore Io. Ant. Bumaldo... Bo- 
noniae - Typis Heredis Victorii Benatti 1641, a pag. 77. 

(3) Scrittori d’Italia Vol. I, parte II, pag. 1035. 

(4) Di Argile e di Gaspare Mazzoli - Bologna Stabilimento Ti- 
pografico Success. Monti - 1877 - La deliberazione Consigliare con 
cui venne decretata l'apposizione della lapide a Gaspare Mazzoli fu 
presa nell’Adunanza dei 24 aprile 1877. Intorno a questa lapide veg- 
gasi il giornale bolognese 1 Nuovo Alfiere dei giorni 29 giugno e 
22 luglio 1877, sotto la rubrica Echi della Provincia. 

(5) Op. cit., a pag. 14 verso. 

(6) Questo carme è stampato coll’ opuscolo del Burzio « Musa- 
rum Nympharum ac summorum deorum epytomata », e con altri versi 
dello stesso autore, a pag. 125 retto dell'esemplare che conservasi 
nella nostra Biblioteca Comunale sotto l’ indicazione 17, N. VII, 21. 


9240 MALAGOLA 


Non è giunto fino a’ nostri giorni scritto alcuno del 
Rossi. Egli fu Lettore publico di Retorica e Poetica in 
Bologna dal 1474 a tutto il 1497, nel quale anno forse 
mancò. Ed infatti la sua morte, dovè per certo avvenire 
prima che quella di Codro, cioè prima del 1500, giacchè 
il nostro ne scrisse questo elegante epitafio, ove sono 
confermate le lodi che gli diede il Burzio: 


« Roscius hic situs est, Laurentius ille, tot annis 
Quem magno in coetu mirata Bononia vidit 
Orantem, et celso Musas Helicone vocantem. 

Ste celeri ingenio, memori sic mente valebat, 
Gratus erat patriae civis, iucundus amicis, 
Progeniemque suam multa cum laude reliquit (1) ». 


Assai fu pur lodato da Codro in un altro epigram- 
ma l’amico suo Cesare di Matteo Nappi, al quale scri- 
veva: 


« Priamides Phrygiis quantum fuit Hector in armis, 
Tantus in heroo carmine Caesar erit (2) ». 


Il Nappi ebbe a maestro nello studio delle lettere 
Mercadante Budrioli dalle Maschere; fu notaio, ami- 
cissimo e famigliare di Giovanni II Bentivoglio, che lo 
mandò per publico servigio alla Samoggia nel 1480, e 
due: anni di poi lo volle Governatore della Valle di 
Lamone e di Brisighella e poscia Ambasciatore a Fi- 
renze per chiedere il risarcimento di certi danni recati 
dai Fiorentini ai Bolognesi (3). Nel 1506, nel mese di 


(1) Opera, a pag. 384. 
(2) Opera, a pag. 410. 
(3) Fantuzzi - Not. degli Srilt. Bol. - Tomo VI, pag. 146. 


DI A. URCEO CODRO 24] 
novembre, fu inviato a Roma col Correttore dei Notai 
per rendere omaggio a Giulio II in nome della Società 
dei Notai di Bologna, e nel 1508 era degli Anziani. Ciò 
si rileva da due orazioni del Nappi che si leggono in un 
volume miscellaneo ms. della R. Biblioteca della nostra 
Università (1), che sotto il titolo: « Palladium eruditum » 
contiene per la massima parte scritti del Nappi o che 
al Nappi si riferiscono. Fra questi voglionsi notare pa- 
recchie iscrizioni romane, e talune greche, da lui copia- 
te, colla spiegazione di molte sigle che in esse 8᾽ in- 
contrano e con disegni di diversi capitelli di colonne e 
d’altre antichità. Se questa potesse dirsi una raccolta, 
precederebbe pel tempo quella del Gambaro. Nello stesso 
volume sono diversi brani di traduzioni da Plutarco e 
da Polibio (2), i quali, se veramente furon scritti dal 
Nappi, gli darebbero diritto di essere annoverato fra 
gli ellenisti bolognesi del secolo XV. Vi sono pure di- 
verse orazioni, e molte lettere, sì in italiano che in 
latino, dal Nappi indirizzate a Mino Rossi, a Giovan- 
ni II Bentivoglio, a Gian Battista Refrigerio, a Filippo 
Beroaldo Seniore, a Cola Montano, a Pandolfo Colle- 
nuccio e ad altri, e diverse del Refrigerio e del Beroal- 
do, insieme con due del Collenuccio al medesimo, le 
quali ultime non sarà discaro che si publichino con 
altre dell’ illustre Pesarese (3). In questo volume ms. 
il Nappi raccolse anche, copiandole in gran parte di 
suo carattere, diverse poesie di Mario Filelfo, di Pietro 
Marsi, del Refrigerio, del vecchio Beroaldo, di Gian 


(1) Vedi ivi a carte 222 retto e 220 verso. 
(2) Evvi pure, a carte 40 retto, una relazione del Cardinal Rute- 
no al Bessarione, tradotta dal greco in latino. 
(3) Vedi l'Appendice XVIII, Doc. I e II. 
16 


242 MALAGOLA 
| 
Battista Mantovano e d'altri molti, delle quali pochis- 
sime videro la luce. 
Merita pure che si faccia menzione tra gli amici 
di Codro di un altro bolognese, che dovette esser buon 
verseggiatore, e che ci avrebbe lasciato qualche bel 
frutto del suo ingegno se la morte non lo avesse spento 
in età ancor giovanile. È questi il conte Cornelio di Gui- 
do Pepoli, al quale il nostro scriveva in un suo epi- 
gramma: 


« Corneli, tibi dat cantanti dulcia Clio 
Basia, sed noctes dat mihi sollicitas (1) ». 


Egli fu amico anche di Gabriele Flaminio, che in 
un carme latino a lui dedicato, gli scriveva: 


« Corneli, proavim stemmate nobilis, 
Praestantis melior dotibus ingenti, 
. . non te armigerùm turba clientium 
Sectatur; melius deliciis procul 
Et luxu patrio, pectore Apollinem 
Purgato accipier, et Polyhymniam (2) ». 


Ingiustamente il Fantuzzi ommise di far menzione 
di Cornelio tra gli scrittori bolognesi, giacchè di lui 
abbiamo nelle « Collettanee » in morte di Serafino Aqui- 
lano un epigramma latino (3). Alcune notizie ho tro- 
vato in un'inedita cronaca bolognese anonima della 


(1) Opera, a pag. 410. 

(2) Marci Antonii, Iohannis Antonii et Gabrielis Flaminiorum.... 
Carmina..... Patavii - M.DCC. XLIII. Excudebat J. Comsinus - Vedi 
a pag. 475. 

(3) Op. cit., a carte 26 retto. 


e ͵΄͵΄͵᾿͵᾿᾿᾿ὄἅὕ,᾽Ν᾽᾿᾽᾽ΝΝΝΝΝΝΝΝΝΝΝΝΝ Ν ll‘ ‘LL l‘l‘1‘l1 
DI A. URCEO CODRO 243 


nostra Universitaria (1), dalla quale ci è noto, sotto la 
data dei 6 luglio 1509, che il Cardinal di Pavia, Legato 
di Bologna, andando a Milano per ossequiarvi il Re di 
Francia, condusse seco il Conte Cornelio, che poscia 
(trovandosi in Roma quando il Conte Alessandro Pepo- 
li, passando da Parma nel suo ritorno dall’ Inghilterra, 
s'era accostato ai Bentivoglio) fu’ fatto imprigionare 
insieme col Conte Ugo Pepoli, e rinchiudere in Castel 
Sant'Angelo. Tornando essi da Roma nel decembre del 
1510, furon messi a confine. Ed apprendiamo dalla stessa 
cronaca che ai 21 di maggio del 1511 essendosi il po- 
polo bolognese levato in armi, il Conte Cornelio che 
aveva condotto la sua Compagnia di soldati a Porta San 
Felice, ivi fu preso da quelli degli Ariosti. Nel 1512 
trovavasi alla battaglia di Ravenna, nella quale era 
condottiero di fanti, sotto le insegne dei Pisani, ed ivi 
restò morto in un col Conte Romeo Pepoli, come affer- 
mano la Cronaca ricordata, il Dolfi (2) ed anche il Casio 
che ne scrisse questo epitaffio: 


« per li Conti Pepoli 
Romeo e Cornelio di Pepoli Conti 
Sendo a Ravenna col papal Legato 
Nel fatto d’ arme, come volse il Fato, 
De animo invitto restaron defonti (3) ». 


Non so con qual fondamento il Montefani, nelle sue 
schede mss. delle famiglie bolognesi, affermi che Cornelio 


(1) « Cronica di Bologna nella quale particolarmente si ragiona 
dei personaggi di Casa Pepoli ». Mss. N. 585. 

(2) Op. cit., a pag. 598. 

(3) Libro intitulato Cronica... MDXXV, a carte 20 retto, 


— 


244 MALAGOLA 


nella battaglia di Ravenna rimase solamente prigioniero 
e che nel 1515, fosse capitano di Cavalli nell’ armata 
di Papa Giulio II (1). 

Anche di Gian Battista Pio e di Giacomo Della 
Croce dovette esser amico 1᾿ Urceo, giacchè tutti e tre 
furono famigliarissimi di Anton Galeazzo Bentivoglio, 
che il Della Croce ‘loda nella dedicatoria del suo libro: 
« Annotationes Priores et Posteriores (2) », e che il 
Pio ricorda pure nelle sue opere (3). Ho altrove parlato 
della dottrina dell’ uno e dell’ altro nelle lettere greche 
e degli scritti onde la dimostrarono; perciò mi resta 
a ricordare solamente fra le opere del Della Croce le 
« Annotationes Centum », dove commentò con grande 
erudizione gli autori latini della età così detta dell’ oro 
e di quella dell’ argento. 

Gian Battista Pio stampò, ornate di sue annota- 
zioni, le epistole di Cicerone ad Attico, quelle a Bruto, 
le « Metamorfosi » di Ovidio, l'« Horium » di Colu- 
mella, la « Farsalia » di Lucano, le Comedie di Plauto, 
i libri « Mythologiarum » di Fulgenzio, ed i frammenti 
di Sesto Pomponio Festo; scrisse commenti ai carmi di 
Orazio, alle istorie di Dione ed alle lettere di Sidonio 
Apollinare, e curò edizioni delle castigazioni di Cicerone 
ad Ortensio, degli Argonautici di Flacco, dell’ « Itine- 
rarium » di Claudio Rutilio Numaziano, e dell’ opera di 
Pomponio Festo: « De Romanae Urbis vetustate ». Inol- 


(1) Montefani. Famiglie Bolognesi, schede mss. nella Biblioteca 
dell’ Università di Bologna - V. la famiglia - Pepoli. 

(2) Trovasi nel « Lampas, sive faw artium liberalium », che il 
Grutero raccolse; a pag. 650, del Tomo I. 

(3) Annotationes Latinae Graecaeque.... (Bologna, 1505) cap. XII 
e CXLVII. 


DI A. URCEO CODRO 245 


tre volse in italiano lo « Strafegematicon » di Sesto 
Giulio Frontino, e stampò prelezioni ed elegie latine (1), 
mandando altresì in luce molti suoi epigrammi latini 
che veggonsi impressi innanzi alle edizioni bolognesi 
della fine del secolo XV, o dei primi anni del seguente. 

Verremo ora agli scrittori bolognesi che poetarono 
in lingua italiana, coi quali ebbe amicizia il nostro Urceo. 
‘To penso che non a torto potrei essere accusato di om- 
missione, se fra costoro non facessi ricordo di Angelo 
Michele Salimbeni e di Gian Battista Refrigeri; peroc- 
chè non è possibile pensare che questi, che stavano di 
continuo alla Corte dei Bentivoglio, non avessero rela- 
zione col nostro, che pure fu ‘di quella famigliarissimo. 

Poche notizie del Salimbeni ci sono rimaste, e solo 
possiam dire sicuramente che fioriva circa il 1477, che 
venne a morte prima del 1525 (2), e che lasciò mano- 
scritto un volume di poesie, cui diede il titolo di « Ph:- 
lomatia », forse oggi perduto. Il Fantuzzi cita altre rime 
di Angelo Michele che trovavansi in due codici già appar- 
tenenti all'abate Trombelli e poscia alla Biblioteca dei 
Canonici di San Salvatore di Bologna, ma che non per- 
vennero cogli altri di quella alla nostra biblioteca Uni- 
versitaria. Delle poesie del Salimbeni che furono stam- 
pate dà notizia il Fantuzzi (3). 

Brevemente diremo anche di Gian Battista Refri- 
gerio. Il citato Fantuzzi lo chiama: « Poeta ed elegante 
scrittore del secolo XV, in molta stima ed amicizia con 
i primi letterati che vivevano in Bologna a quel tempo, 


(1) Fantuzzi - Not. degli Scritt. Bol. - Tomo VII, pag. 38, 39 
e 40. 

(2) Fantuzzi - Op. cit., Tomo VII, pag. 288 e 290. 

(3) Op. cit., Tomo VII pag. 289 e 290. 


246 MALAGOLA 


.fra’ quali Sabbatino degli Arienti, Cesare Nappi, Gio. 
Battista Mantovano, Filippo Beroaldi ed altri... (1) ». 
Fu Cancelliere del Reggimento Bolognese e poscia Se- 
gretario di Roberto da San Severino, Governatore di 
Milano, di Francesco Gonzaga Duca di Mantova e per 
ultimo di Ludovico εἰ Moro, alla Corte del quale, secon- 
do che lascia credere un sonetto del Casio (2), forse 
morì. Ebbe titolo di Consigliere Imperiale, e certo 
a’ suoi giorni era venuto in fama di egregio verseggia- 
tore. Di lui conservansi diversi epigrammi e diverse let- 
tere nel volume « Palladium Eruditum » (3) (del quale 
feci menzione dove ho discorso di Cesare Nappi); ed 
anche nel codice 165.° della Biblioteca Universitaria si 
trovano diverse poesie italiane e latine del Refrigerio. 
Di tutto ciò nulla venne mai alle stampe, tranne 
un sonetto ad Egano Lambertini, che fu inserito dal- 
l'illustre Conte e Senatore Giovanni Gozzadini nelle sue 
« Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio (4) ». 
Ben certi dell'amicizia e della stima di Diomede 
Guidalotti verso l’ Urceo può renderci il sonetto che 
quegli dettò in morte del nostro, e che fece stampare 
nel suo « Tyrocinio delle cose vulgari (5) ». Il Guida- 
lotti fu discepolo di Gian Battista Pio; ottenne la laurea 
in Filosofia nel 1504 e in quello stesso anno lesse nel 
nostro Studio Retorica e Poetica. E falso affatto che egli 
abbia insegnata eziandio lingua greca, il che asserirono 


(1) Fantuzzi - Not. degli Scritt. Bol. Vol. VII, pag. 176. 

(2) Epitaffi... N. XCVI. ° 

(3) Vedi ivi a carte 210 verso, 235 retto, 272 retto, 274 retto, 
215 retto, 276 retto etc. 

(4) A pag. 174, nota 1. 

(5) A carte 58 retto. 


DI A. URCEO CODRO 247 


l’ Orlandi (1) ed il Quadrio (2). Degli scritti del Guida- 
lotti furono stampati il « Tyrocinio delle cose vulgari », 
già ricordato, ove pubblicò i suoi versi italiani, e che 
fu impresso in Bologna da Caligola Bazalieri nel 1504. 
Un’ altra sua raccolta di versi fu più volte stampata col 
titolo: « Pofentia d'amore » e ad essa in alcune edizioni 
fu premesso il nome di Baldassare Olimpo e fattevi non 
poche varianti (3). In latino lo stesso Bazalieri pure nel- 
l’anno 1504 mandò in luce: « Calphurnii et Nemesiani... 
carmen. Una cum Commentartis Diomedis Guidalotti ». 
Una sua Egloga « Florindo ad Alfesibeo » fu stampata 
nelle « Poesie Pastorali e Rusticali » edite a Milano 
nel 1808 (4). 

Fra gli « Elegidia » del Pio (5) troviamo un carme 
«In laudem Pastorii, operis Diomedes Guidalotti Bo- 
noniensis », da cui si apprende che questi aveva anche 
scritto l’ opera lodata dal Pio e non nota al Fantuzzi, 
che citò quell’ elegia come « in laudem Pastoris Dio- 
medis Guidalotti ». Essa ora è forse perduta. Lo stesso 
Fantuzzi scrive che Diomede morì assai giovane il 17 
d'agosto 1505, del che in parte ci porge testimonianza 
Costanzo da Fano nei suoi « Collectanea » stampati nel 
1508, ove si trova questa menzione del nostro bolo- 
gnese: « Sed et postea cum Bononiae essem, Diomedes 
Guidalotius iuvenis ingenio, doctrinaque suspiciendus..., 
cuius quoties memini non possum sine lachrymis et 


(1) Not. degli Scritt. Bol. pag. 28. 

(2) Storia e Ragione d'ogni Poesia. In Milano, MDCCXLI. 
Tom. II, lib. I, pag. 222. 

(3) Fantuzzi - Not. degli Scritt. Bol. Tom. IV, pag. 332 e 333. 

(4) A pag. 16. 

(5) Op. cit., a carte 62 verso e 63 retto non num. 


248 MALAGOLA 


gemilu meminisse quin is secum quicquid fidei, comî- 
lalis, integritatis huic aetati superarat et ipsas de- 
nique musas immatura perventus morte duxisse vi- 
deatur (1) ». 

Sebbene non sia rimasta tra le opere dell’ Urceo 
alcuna memoria dalla quale si possa dedurre ch' egli 
abbia conosciuto il Cavaliere Girolamo de’ Pandolfi, più 
noto sotto il nome di Casto (assunto forse da lui in memo- 
ria del luogo ove nacque) egli è certo però che Girolamo 
ebbe qualche relazione col nostro, pel quale mostrò tanta 
riverenza in un tetrastico che gli compose. Costui venuto 
da Casio, castello dell’ Apennino, in Bologna, esercitò 
da prima il commercio delle gioie, come accenna in un 
verso dell’ epitafio composto a sè stesso, e fattivi ingenti 
guadagni si diede alle lettere, alle quali nè per natura 
nè per istudio ebbe attitudine, onde i suoi versi ita- 
liani, dei quali pose alle stampe alcuni libretti (2), sono 


(1) Op. cit., vedi il cap. LV. 

(2) Il Fantuzzi (Tomo III da pag. 137 a 141) descrive le ope- 
rette del Casio — Egli però tralascia di notarne tre, che io ho ve- 
dute solo nella Biblioteca della famiglia dei Conti Malvezzi de’ Me- 
dici in un volume che contiene diversi opuscoli del Casio. 

Il primo di quelli non noti al Fantuzzi ha nel frontispizio al 
sommo della prima carta: « /UBILATE DEO OMNIS TERRA», 
ed al basso: 


SIT PAX IN EXERCITU TUO 
SITQUE PAX IN REGNIS TUIS. 
PER LA SANTISSIMA 
CELEBRATA 
PACE 
IL CASIO CAVALIERO 
ET LAVREATO 


Fu stampato per la pace tra Clemente VII e Carlo V, publi- 


DI A. URCEO CODRO 249. 


la più goffa cosa che si possa leggere, quantunque non 
manchino di un certo interesse per le notizie che ci 
hanno conservate, di molti uomini di quei tempi. Ciò 
non ostante non dovette il Casio esser privo di certa 
naturale destrezza, giacchè spesso di lui si yalsero i 
bolognesi, che lo mandarono oratore nel 1501 al Valen- 
tino, presso il quale doveva rimaner per un mese (1), 


cata in Bologna l’ultimo di luglio del 1529 — Εἰ un opuscolo di 4 
carte, senza numerazione nè segno di registro. 

Il secondo non ha frontespizio, ma nel retto della prima carta 
(reg. a) ha questa iscrizione al sommo: 


CAPITOLI QUATRO ET TRE S0- 
NETTI DIL CASIO CAVALIERO ET 
LAVREATO 


È di 8 carte con registro 8 -- ἃ ilii. Il terzo ha il frontispizio 
seguente: ' 
CANZONE 
IN VERA VNICA LODE 
DELLO ANGELICO VISO 
ET DOTTA MANO 
DELLA ILLUSTRA SIGNORA 
VERONICA GAMBARA 
PATRONA DI COREGGIO 
ET DI L' APOLLINEO 
CHORO 
DECIMA MYSA 
IL CASIO 
LAVBREATO CAVALIERO 
LO ANNO 
M.D.XXIX. 


È di sole quattro carte, e contiene, oltre la Canzone annunzia- 
ta, due sonetti acrostici, l’ uno a Veronica Gambara, l’altro ad Uber- 
to Gambara, vescovo di Tortona e Vicelegato di Bologna. 

(1) Partitorum, Vol. XII, a carte 6 verso. 


250 MALAGOLA 


e nell’anno seguente a Roma (1) ed a Napoli (2), per 
trattare publici negozi. Egli godeva singolarissimo fa- 
vore presso la famiglia de’ Medici e massimamente ap- 
presso i due pontefici Leone X e Clemente VII. Il 
primo aveva già emanato il Breve che aggregava il 
Casio al Senato di Bologna, ma quei Senatori si oppo- 
sero così vivamente alla sua nomina, mostrando che 
Girolamo non apparteneva a famiglia di antica nobiltà, 
che il Papa stesso dovette annullare il Breve. Clemente 
VII onorò il Casio del poetico alloro e gli concesse fa- 
coltà di usar dello stemma e del cognome della famiglia 
de’ Medici. Tanta benevolenza di questa potente famiglia 
verso costui, potrebbe forse sorprenderci, se egli stesso 
nella dedicatoria della sua Clementina non ce ne mo- 
strasse le ragioni « Circa alle cose αἱ Italia » (scrive 
a Papa Clemente) « quella si raccordarà che l anno 
M.D.I. essendo la bona memoria del M. Giuliano 
(De’ Medici) alloggiato meco, operò, che το solo pacificai 
lo essercito di S. Matre Chiesia (Capitano ei Confalo- 
niero lo Ilust. Don Cesare Borgea Duca di Valenza] 
con quello della inclita Dotta, et opulente Bologna, ben 
però col mezzo del Parentato, ch' io feci, della Illust. 
M. Iacoma Orsina col S. Hermes Bentivogho, Test- 
monti gli Magnifici Gioanne di Marsilii, et Conte 
Angelo de’ Ranuzzi Ambasciatori nostri al prefato δ. 
Duca, quali cavai dale mani del signor Vitelozo, che 
gli havea pregioni, a Villa Fontana, et unito, ch' 10 
hebbi li due Esserciti, gli condussi alle mure di Ft- 
renzi per rimetterli la V. Mag. et illustriss. esule Fa- 
miglia. Sopragionse Troces, mandato da Alessandro VI, 


(1) Partitorum, Vol. XII, a carte 23 verso. 
(2) Partitorum, Vol. XII, a carte 22 verso. 


Ν 


DI A. URCEO CODRO 251 


in diligenlia, e subito fece levare ambi doi esserciti, 
di poi andai sempre appresso al S. Duca, mandato 
dalli Mag. S. Sedici et S. Bentivogli, come appareno 
le instrutioni, et littere de lor Signorie. Ove ponendosi 
Capoa a sacco, mi trovai con V. S. alhora in minori- 
bus, et così nella regale entrata di Napoli e nel ritor- 
no mio a S. Germano, di pot del MDXIII quella an- 
chor δὲ ricordarà, come in Roma le presentai il Ca- 
pello, et che gli posi sopra τὶ Spirito santo legato în 
un pendente d' oro intagliato in Agata, pietra di Giove 
che benivolentia acquista, onde, fidus Acates, con pro- 
nosticarli che a tempo congruo nel Conclavi le fareb- 
ὅδ ottenere it Regno si come hora ὁ successo (1).... ». 
Tra gli uffici che il Casio sostenne sono da annoverare 
anche quello di Podestà di Castel Bolognese nel 1520 (2), 
di Anziano della città di Bologna nel 1521 e nel 1525, 
di Podestà di S. Giovanni in Persiceto nel 1532, e 
certo a maggiori gradi sarebbe salito se la morte non 
l'avesse colto nel 1533 (3). Lasciò nella sua « Cronica », 


(1) La Clementina del Casio, Cavaliero et Laureto Α Clemente 
VII.... Lo Anno della Felice sua Coronatione M.D.XXIII. Vedi 
a carte l verso, e 2 retto. 

(2) Partitorum, Vol. XVI, a carte 161 retto. 

(3) Ai due ritratti del Casio, ricordati dal Fantuzzi. (op. cit., 
Vol. III, pag. 136) è da aggiungere una tavola che trovasi nella 
nostra biblioteca universitaria dove ne è uno assai bello, rappresen- 
tante il Casio coronato d’ alloro, che tiene sotto la destra in una stri- 
scia di carta questi versi, iaterrotti in parte dalla pittura stessa delle 
dita, in parte guasti dal tempo: 

« Il Decimo Leon fu gran pastore 
Che mi diè il Stoccho et q.... sperone d' oro 


Clemente il capo me ornò poe... aloro 
Lei alla virtude honore >». 


di .-.........τ5.ΝΝ......-..-β.ς.ἦ.....-- .-..--ς-ς-ς-ς-.ς-ς--ς-.-- Ὸ  .-.ὕ. 


252 MALAGOLA 


un epitafio sopra 1᾿ Urceo che sarà trascritto più in- 
nanzi (1). 

V. Alcuni opinarono che il nostro Codro abbia avuto 
amicizia in Bologna col famosissimo leggista Andrea Bar- 
bazza. Io stimo, che tale opinione sia erronea; perocchè 
il Barbazza morì in Bologna nel 1479, nel quale anno 
Codro non aveva per anco preso dimora in questa città. 
E forse in tale opinione vennero quegli scrittori per 
aver veduto nelle opere dell’ Urceo un epigramma ἰῃ 
lode del Barbazza (2); ma è utile sapersi che esso fu 
impresso la prima volta innanzi ai Commenti del Bar- 
bazza medesimo al titolo « De verdorum obligationibus », 
che furon stampati in Bologna nel 1497 dal valente ti- 
pografo Giustiniano da Rubiera (3), il quale, per essere 
compaesano dell’ Urceo e forse suo amico, lo avrà richie- 
sto di scrivere quell’ epigramma. 

Avendo io trovati alcuni documenti che riguardano 
questo celebre leggista, reputo non inutile publicarli, 
riguardando persona che fu di singolare ornamento al 
nostro Studio (4). 


Porta il N. 561. 

Alludono al Casio, figurato sotto veste di pastore nel quadro di 
Giacomo Francia (dipinto pel coro della chiesa di S. Maria della 
Misericordia fuori porta Castiglione), questi versi di Enrico Caiado: 

« De Effigie Hieronymi Cassii. 
Cassius hac duplex vivit sub imagine: et ipse est; 
Da vocem, pictor, caetera vultus habet ». 
(Op. cit., II.* edizione, a pag. 182). 

(1) Vedi l'Appendice XV. 

(2) Opera, a pag. 397. 

(3) Questo volume ha in fine la seguente sottoscrizione: «.... Ymn- 
pressit bononie Iustinianus de ruberia anno salutis. M.CCCCLXXXX- 
VII octavo ydus novembres ». 

(4) Vedi l'Appendice XIX. 


DI A. URCEO CODRO 253 


VI. Virgilio Porto da Modena, che fu Lettore di 
Medicina Pratica nello Studio Bolognese dal 1506 al 
1527 (1), diede prova di molto affetto al nostro Urceo 
nelle diverse poesie che scrisse in morte di lui (2). Ho 
dubitato qualche tempo se questo modenese non fosse 
da porre tra i discepoli di Codro, piuttosto che tra gli 
amici, ma leggendo le poesie sopradette, ove non gli 
da mai il titolo di maestro, mi son dovuto convincere 
| che soltanto gli fosse amico. 

Il Porto, quantunque nato in Modena, passò la mag- 
gior parte della sua vita in Bologna, dove fu scolare del 
celebre Alessandro Achillini, che intitolò a lui nel 1504 
il suo opuscolo: « De potestate syllogismi; de subiecto 
Medicinae », onorandolo nella dedicatoria con queste 
parole: «.... Tu enim urbanitale et virtutibus et do- 
cirina.is es, quem inter caeteros nobis dilectos elegi 
apud quem aptissime reponantur; le enim semper 
cognovi nostri nominis studiosum: logicalia quidem 
alios edocebis: medicinalia vero exacte {μὲ assoles) 


(1) Il Porto sino dal 1501, essendo ancor discepolo nel nostro 
Studio, vi aveva fatte ripetizioni e dispute di Logica, come dimo- 
strano i Rotuli. 

(2) Queste poesie del Porto furon stampate la prima volta, forse 
nel 1502, in un opuscolo senza data e senza titolo, che incomin- 
cia: « VIRGILIVS PORTVS MVTINENSIS PHISICUS AUDITOR IN NOUA URCEI 
CODRI ARDITIONE HVMANIORVM STVDIORVM CANDIDATIS SALVTEM >, e che 
contiene 2 elegie e 5 altri componimenti poetici latini del Porto; 
ed una lettera e 2 poesie latine di Giovanni De Pins, dopo le quali 
è scritto: Finis. 

Di questo opuscolo io non ho veduto che un esemplare, legato 
insieme con un volume delle opere di Codro (edizione di Bologna) 
che serbasi nella nostra Biblioteca Universitaria, ed è contrasse- 
gnato: A. V. A. IL 19, 


204 MALAGOLA 
contemplaberis: ex quibus non minus gloriae, Alexan- 
dro tuo aurigante, te iam iam comparaturum existimo, 
quam hactenus ex poeticis numeris adeptus sis (1) ». 
E pure nella nostra città conseguì la laurea in Filosofia 
ai 7 dicembre del 1504, ed in Medicina ai 14 di dicem- 
bre del 1507 (2). 

I versi di questo poeta correvano a' suoi giorni per 
le mani di tutti e gli avevano procacciato buona fama 
specialmente in Bologna. Giovanni Filoteo Achillini nel 
suo « Viridiario » lo ricordava in tal modo con Panfilo 
Sassi: 


«..... il Sasso e "1 Porto 
Che delle muse son dolce diporto (3) », 


e Lilio Gregorio Giraldi nel dialogo « De Poetis suo- 
rum temporum », parlando degli improvvisatori, scri- 
veva: « Fuît et per haec tempora Virgilius Portus, 
medicus et poéta Mutinensis, cuius versus legebantur 
me adolescente... (4) ». Delle sue poesie pochissime sono 
giunte a noi: un suo sonetto, col titolo: « Virgilio Porlo 


(1) Alexandri Achillini bononiensis De potestate syllogismi, De 
Subiecto Medicine — È un rarissimo opuscolo di 6 carte ἐπ folio, del 
quale si trova un esemplare nella nostra Biblioteca Comunale — In 
fine: «.... Bononie typis Ioannis Antonij de Benedictis.... Anno 
domini 1504....». La lettera al Porto ha l’indizzo seguente: « Ale 
xcander Achilinus Virgilio porto mutinensi discipulo haud penitendo 
foelicitatem >». 

(2) Ciò risulta da una carta del principio del secolo XVI che è 
attaccata alla quarta pagina del volume cartaceo ms. « Regestum 
punctationum doctorum » dell'Archivio del Reggimento. 

(3) Op. cit., a carte CXCVI verso. 

(4) Lilij Gregorij Gyraldi.... Operum Tomus Secundus.... Lug- 
duni Batavorum. MDCXCVI, a pag. 564. 


DI A. URCEO CODRO 255 


Modenese — La Fama parla alla Morte » trovasì nelle 
« Colettanee » raccolte dall’ Achillini in morte di Sera- 
fino Aquilano (1), prezioso libretto ove sono tre altri com- 
ponimenti poetici del modenese, scritti in latino (2). Dal 
Fantuzzi (3) apprendiamo che innanzi al trattato « De 
Elementis » di Claudio Achillini, edito in Bologna nel 
1510 da G. A. de’ Benedetti, sono questi versi: 


« Virgilius Portus Mutinensis. 
Cum modo legissat titulum natura libelli 
Huius Achilleo est obvia facta seni. 
Atque ait, o nimium felix hoc pignore, Claudi, 
Quam melius dici Nicomachus poteras ». 


E un epigramma latino del Porto anco si legge in ‘ 
fine dell’ « Apologia în Plautum (4) » scritta da Achille 
Bocchi, ed un altro innanzi alle poesie di Guido Postumo 
stampate a Bologna nel 1524 (5). Il Tiraboschi ricor- 
da un panegirico inedito di questo scrittore modonese, 
« în laudes Nobilis Patricii Salustit Guidotti Dictatu- 
ram îneuntis (6) », e scrive che un epitafio del Porto 
in lode del vecchio Beroaldo fu impresso innanzi ai com- 
mentari a Svetonio di questo eruditissimo bolognese: 
ma per vero ivì non sì trova. 

Da un partito del Reggimento Bolognese dei 28 
settembre 1520 (7) apprendiamo che il Porto aveva la 


(1) Op. cit., a carte 90 verso non num. 

(2) A carte 15 verso e 17 verso. 

(3) Not. degli «Scritt. Bol. Tomo IX, a pag. 12. 

(4) Stampata in Bologna nel 1508. 

(5) Tiraboschi - Bibl. Mod. Tomo IV, pag. 227. 

(6) Bid. Mod. Tomo IV, pag. 227. 

(7) Partitorum, Vol. XVI, a carte 31 verso, nell'Archivio del 


Reggimento. 


_— n 


256 MALAGOLA 


sua casa in Bologna nella via di San Damiano e Silvestro, 
e confinante, dalla parte posteriore, con l’Aposa. Dalle 
ultime memorie che troviamo di Virgilio nei libri « Par- 
tilorum » si rileva che nel 1524, col patto che offrisse 
una candela di cera del peso di una libra alla Beata 
Vergine del Popolo, il suo stipendio annuo fu portato 
a 300 lire di bolognini (1); e due anni appresso a 400 (2). 
Il Casio nel « Supplemento alla Cronaca », da lui edito 
nel 1528, ha un sonetto, in lode del Porto, intitolato: 
« per M. Vergilio da Modena Medico et Poeta latino 
e volgare », dal quale sappiamo che mancò in Bologna: 


« Panar produsse questo altro Virgilio 
Rapillo il Rheno, ove in purgar la Vena 
Fratel fu d’ Esculapio, e de Apol figlio (3) ». 


Il giorno della sua morte può rilevarsi dalla cro- 
naca modenese di Tomasino Lancilotto dove si trova 
notato: « Vene nova come M. Virgilio da Porto da 
Modena Medico et Lettore Fisico è morto fino a’ di 16 
del presente (agosto 1527) (4) ». 

Più volte ho fatto menzione di Nicolò Burzi, che 
nella sua « Bononia Illustrata » ci lasciò, quasi direi, 
un fedele ritratto della città nostra negli ultimi anni 
del secolo XV. Egli fu amico dell’ Urceo, onde in que- 
sto luogo io debbo anche di lui dire alcuna cosa. 


_————€——_—————————__ ....-.--. 


(1) Partitorum, Vol. XV, a carte 141] retto e verso. 

(2) Partilorum, Vol. XV, a carte 189 retto — Questo decreto 
porta la data dei 28 luglio 1526. 

(3) Op. cit., a carte 69 verso. 

(4) Tiraboschi - Op. cit, Tomo IV, pag. 228. 


DI A. URCEO CODRO 257 


— ——————————.—..—+—._—+—+—+—+—+—+—+—+—+—+—+-+--__—<——_+_—__———————@m—€È6——— -------.-..-..-»... - — 


Apprendiamo dall’ Affò che il Burzi discendeva da 
una nobile famiglia di Parma, alla quale appartenne un 
Luca Burci, che nel 1448 aveva uffizio di Capitano del 
Quartiere di porta Cristina, e che fu degli otto Conser- 
vatori della Libertà (1). In Bologna Nicolò apprese la 
musica, come appare dalle parole che gli lanciò contro 
Giovanni Spataro nel libro che scrisse per difendere il 
suo maestro Bartolomeo Ramo Pareia spagnuolo; il quale, 
avendo nel suo trattato della musica (2) preso a depri- 
mere le dottrine di Guido d'Arezzo, s'era attirato contro 
le ire del Burzi, ed un libro del medesimo. Per farsi un’ 
idea della contesa basterà ricordare che lo Spataro così 
in un luogo apostrofa il nostro parmigiano: « se non fosse 
quel luo pazo capo signato de la chierica: 0 monstro 
de ignorantia, ardirei più che non ardisco, senza es- 
ser vinto da passione come tu. Non a te ma al tuo 
‘ufficio riguardo (3) ». Di tale questione fra due musici 
ha già trattato, con quella dottrina che gli è propria, 
l'illustre professore Gaspari, nè io potrei aggiungere 
parola (4). In Bologna furono stampate diverse operette 
del Burzè, in prosa ed in verso, tra le quali noterò 
la « Fax Maroniana, idest observationes eruditae in 


(1) Op. cit , Tomo III, pag. 151. 

(2) Quest'opera ha nel fine la seguente sottoscrizione: « Expl» 
cit feliciter prima pars musice egregii et famosi musici domini barto- 
lomei parea hispani dum publice musicam bononie legeret.... impressa 
vero opere et industria et capensis Magistri baltasaris de hiriberia. 
Anno domini m.cccc. lererii die 5.3 iunti. ». 

(3) Op. cit. a p. 10. 

(4) Ricerche, documenti e memorie riguardanti la storia dell’ arte 
musicale in Bologna del Prof. Gaetano Gaspari — Trovansi negli 
« Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Pro- 
vincie di Romagna » Anno VI, Bologna - 1868 -, da pag. 30235. 

17 


208 MALAGOLA 


------- -- ———_ ——r__— ————————_ -Ξ--Ξβ  -.-.-- ----- 


Virgilium (1) », la « Bononia Illustrata », impressa 
da Platone de' Benedetti nel 1494 (alla quale sono ag- 
giunte poesie latine del medesimo autore (2)) e l’ opu- 
scolo « Musarum: nympharunque: ac summorum 
Deorum epytomata (3) ». Altri scritti di lui sono ricor- 
dati dall’ Audiffredi (4), dal Panzer (5) e dall’ Affò (6). 


(1) Bononiae, 1490 in 4.° 

(2) Bononiae anno salutis. MCCCC.LXXXXIIII ex officina 
Platonis de Benedictis. Questa fu ristampata dal Meuschenio, nella 
sua raccolta: Vitae Summorum Dignitate et Eruditione Virorum. - Co- 
: burgi - Apud Io. Georgium Steinmarkium. MDCCXXXV, Tomo Il, 
a pag. 157. 

(3) La Biblioteca Comunale di Bologna possiede tre esemplari 
di questo rarissimo opuseolo. Due di essi, distinti coll’indicazione 17. 
N. VII. 20, e 17. N. VII. 21, non presentano differenza alcuna tra 
loro sino a tutto il foglio che porta il registro c. Nel primo di 
‘questi esemplari, dopo la corrispondente del registro Ciiii, è un 
altro foglio d che contiene cinque carmi latini del Burzio e la sot- 
toscrizione IMPRESSVM BONONIE, che leggesi nel verso della cor- 
rispondente ditii - Invece l’altro esemplare (17. N. VII, 21), dopo 
la corrispondente οὐδὲ, ha i fogli d ed e che sono quaderni, el'f 
duerno, ove sono stampate poesie, orazioni e una lettera del Burzi; ed 
ha in fine: « /mpressum Bononiae anno salu. MCCCCLXXXX VIII 
die XXI Ianuarii per Vincentium et fratres de Benedictis... ». 

La stessa Biblioteca Comunale serba un altro esemplare di questo 
opuscolo (17, N. VII, 19) che non contiene versi, e che dal foglio 
ὃ in avanti è identico a quello che di prosa trovasi nei due già de- 
scritti; ma che è nel primo foglio di carattere e di carta diverso 
dal primo degli altri due e che (in luogo del semplice titolo nel 
mezzo del retto della prima carta) ha il titolo al sommo di essa, 
seguito da un carme latino: « Liber ad lectorem ». 

La nostra biblioteca Universitaria possiede un esemplare di 
questo opuscolo, non seguìto da versi, ma che del resto è identico 
alla prosa dei due primi qui sopra descritti. 

(4) Specimen... Editionum Italicarum - Romae - 1796, pag. 72. 

(5) Op. cit., Vol. I, pag. 236 N. 246. 

(6) Op. cit., Tomo II, da pag. 153 alla 156. 


-—————------+F++F+.+—+ _——>>m>PP——————-+-+--—y-y— _———————__ n 


DI A. URCEO CODRO 259 


4 


. Il Burzi ebbe molta intrinsichezza οοἱ Bentivoglio, 
che spesso esalta ne’ suoi scritti; ma quando questi fu- 
ron cacciati dalla città, egli si ricondusse a Parma, dove 
ancor viveva nel 1518, insignito della dignità di Guar- 
dacoro nella Chiesa Cattedrale (1). 

A coloro che furono amici di Codro in Bologna è 
da aggiungere il portoghese Enrico Caiado, che talvolta, 
poetando, prese il nome di Ermico. Di lui poco o nulla 
sapremmo se non Οἱ fosser rimasti due rarissimi opu- 
scoli non notati dall’ Hain, nè dal Brunet, stampati in 
questa città l'uno da Giustiniano da Rubiera, forse nel 
1496 (2), l’altro da Benedetto d’ Ettore Faelli nel 1501 (3). 
Poichè non conosciamo scrittore alcuno che del Caiado 
abbia discorso, cercheremo, con l'aiuto di questi due 
opuscoli, dar qualche cenno del portoghese. Il quale a 
Bartolomeo Bianchini, che gli aveva chiesto notizie della 


(1) Affò - Op. cit. - Tomo III, pag. 153. 
(2) Non è preceduto da alcun titolo, e comincia colla lettera 
dedicatoria: 


« (ΓΤ Sacratissimo Hemanueli primo Por 
tugalliae Algarabiorumque citra et ultra 
mare in Africa regi dominoque Guinee 
servulus Henricus Caiadus ». 


In fine: 


« Impressit accurate Bononiae Iustinia 
nus de Ruberia.X.Kalendas augustas ». 


Non trovandosi in questo opuscolo alcuna data posteriore al 27 
giugno 1496, e leggendosi nella sottoscrizione quella dei 23 luglio, 
crediamo che esso sia da attribuire all'anno suddetto. L'opuscolo è 
in 8.9, di 60 pagine non numerate e in caratteri semigotici. 

(3) Volumetto di 188 pagine non num., pure in 8.°, e che ha 
nel retto della prima carta: 


200 MALAGOLA 


sua famiglia, così rispondeva in uno dei carmi che gli 
diresse : 


« Alvarus est genitor: genitrix est Anna, parentum 
Gloria nec decori est nec mihi dedecori. 
Dicere at illa tamen nullis non testibus ausim: 
Pro patria gessit fortia bella pater. 
Auspiciis ductuque suo terraque marique 
Invicta statuit mille trophea manu (1) ». 


Egli aveva un fratello Arcidiacono, per nome Ludo- 
vico, cui dedicò uno de' suoi epigrammi (2). Sappiamo 
ancora che gli fu maestro quel Cataldo Parisio, sicilia 
no, col quale ebbe tanta inimicizia Raffaele Regio; 
anzi lo stesso Caiado lo riconosce come suo primo isti- 
tutore: 


« Formasti ingenium primus, primusque per altos 
Duxisti lucos antraque Pieridum (3) ». 


Prima ancora di venir a Bologna Enrico aveva abi- 
tato in Firenze, dalla quale città egli scriveva già ai 9 


€ AEGLOGAE ET SYL 
VAR ET EPIGRAM 
MATA HERMI 
CI >» 


Nel verso dell'ultima troviamo questa sottoscrizione: 


« IMPRESSIT Bononiae Benedictus Hecto 
reus Bononiensis. VII. KI. Marti M.D.I.>» 


Di questo ho potuto vedere un esemplare solo nella Palatina di 
Modena. . 

(1) II? ediz., a pag. 183. 

(2) II.® ediz., a pag. 177. 

(3) IL. ediz., a pag. 178. 


DI A. URCEO CODRO 261 

di laglio del 1495 (1); e v'era ancora ai 5 di novembre 
di quell’ anno, giacchè porta tale data un'altra sua let- 
tera a Rodrigo De Pina, dove, dopo avergli ricordato 
non potere dimenticare i grandi benefici da lui ricevuti, 
gli diceva: « AD hinc menses quatuor aeglogam aliqua- 
rum rerum, quae Florentiae contingerunt, edidimus, 
dicavimusque Iacobo de Suosa, viro excellentissimo, 
qui diebus hijs divina miseratione pontifex Portuensis 
declaratus est; amat enim me supra quam dici possit: 
vir omni umanitate, omni prorsus virtute praeditus. 
Alia mox aegloga prodi de Lusitaniae nostrae fertili 
late, de adventu meo in Italiam, deque infortunio 
quod mihi adversa fortuna obiecit, dum în piscium 
vivario natarem.... (2) ». È probabile che in Firenze il 
Caiado conoscesse Angelo Poliziano, pel quale scrisse 
questo epigramma.: 


« Ad Angelum Politianum 


Dum sol oceanum, curru properante, revisit 
Et vehitur fessis precipitatus equis, 

Moenia quae posuit sublimia magnus Ulixes 
Auriferi et ripas conspicit ipse Tagi, 

Unde huc concessi musarum captus amore 
Hue ubi Parnasi numina cuncta vigent, 
Praemia militiae vel maxima consequar olim, 

Auspiciis ductus Pulitiane tuis (3) ». 


Nè pago a ciò, volle comporgli poi anche un epita- 
fio, che suona così: 


(1) IL® ediz., a pag. 7. 
(2) II.* ediz., a pag. 14. 
(3) 1.8 ediz., a pag. ll. 


---- «--ὄ..ὄ... -.. 


262 MALAGOLA 


« Pulitianus in hoc tumulo est, vivitque sepultus, 
Hoc facit et triplex facundia et ingenium acre: 
Dicere seu voluit, seu rerum exquirere causas (1) »: 


E forse mentre era in Firenze scrisse l' epigramma 
in lode di Giuliano de’ Medici (2), che è probabile cono-. 
scesse di persona. Di là egli si trasferì a Bologna, 
dove le sue lettere ce lo mostrano dai 13 di febbraio 
del 1496 ai 15 di maggio del 1497 (3). Nella nostra città 
il Caiado fu discepolo del vecchio Beroaldo, offerendo al 
quale la sua quarta egloga, così incominciava la lettera 
dedicatoria: « Philippo Beroaldo Bononiensi discipulus 
Henricus Caiadus. S. (4) ». 

Inoltre egli era famigliare coi Bentivoglio (cui inti- 
tolò diversi epigrammi (5)) e particolarmente coll’A rci- 
diacono Antonio Galeazzo, che aveva assistito, secondo 
che scriveva il nostro portoghese, alla lettura di una 
sua egloga, offerta poi a lui, e ne aveva fatte grandi 
lodi (6). 

Ancora conobbe nella nostra città Mino Rossi, Guido 
Pepoli, Antonio Albergati, il cavaliere Casio, Nicolò Ran- 
goni, Ludovico Bianchi, Gian Francesco Aldrovandi ed 
Angelo Ranuzzi, uomini che vi sostenevano i più alti 
uffici; conobbe pure Bartolomeo Barbazza, figlio del fa- 
moso Leggista, e fra i letterati, oltre l' Urceo, Filippo 


(1) IL® ediz., a pag. 108. 

(2) II.* ediz., a pag. 118. 

(3) IT: ediz., a pag. 19 e 72. 

(4) 1.5 ediz., a pag. 21. 

(5) 11. ediz, a pag. 99, 100, 144 εἰς. 

(6) 11. ediz., a pag. 39. Vedi anche gli epigrammi ad Anton 
Galeazzo Bentivoglio, a pag. 136, 141, 148, 158, 159 e 180. 


DI A. URCEO CODRO 263 


Beroaldo iuniore, Andrea Magnani, Costanzo Claretti 
de' Cancellieri e Bartolomeo Bianchini, ai quali tutti in- 
dirizzò carmi ed epigrammi (1). In Bologna egli certa- 
mente diede opera allo studio delle Leggi, ma il poeta 
non tacque che a malincuore, e solo per comando di 
Nonio Caiado, vi attendeva. 


« Discere me cogis, Noni, civilia iura (2) » 
gli dice in un epigramma, ed in un altro: 
« Legibus incumbo, Noni, tua iussa secutus (3) » 


nè certo avrà ricavato grande profitto da quello studio. 

Dopo aver dimorato in Bologna, per quanto ci è 
noto, forse insino all’ ultimo dell’ anno scolastico 1496- 
1497, egli dovette recarsi allo Studio di Rovigo, ove 
si trovava ai 5 di gennaio del 1500 (4), e donde passò 
a Ferrara, nella quale città 5᾽ era già stabilito ai 29 
di settembre del 1500, ed ancora vi dimorava ai 13 dì 
gennaio dell’anno seguente. Colà egli frequentò la Corte 
di Ercole d' Este, e vi conobbe Pandolfo Collenuccio, 
Antonio Tebaldeo, Celio Calcagnini, Tito ed Ercole 
Strozzi (5), al quale si professa obligato e devoto in un 
carme che termina: 


(1) 11. ediz., Vedi a pag. 136, 139, 120, 123, 105, 185, 4, 20, 
24, 187, 115, 115, 112, 113, 154, 183 e 186. 

(2) 11. ediz., a pag. 98. 

(3) II? ediz., a pag. 133. 

(4) 1. ediz., a pag. 46. 

(5) IT ediz., a pag. 149; 2, 161; 156; 147, 157; 121, 146, 147, 
160. , 


264 MALAGOLA 


———————_—_——-=s<zxt—r—+ ___—_——_—_———__ eee. LL. e SL e I 


Instar te colo numinis: tibique 

Vitam devoveo, Hercules, dearum 
Nostrarum decus unicumque lumen. 
Versus numeris hoc loco dicamus: 
Qualescumque sinunt venire curae, 
Curae, quae, duce te, procul recedent 
Linquentes animum gravi labantem 
Moerore anxietateque dolore. 

Laudes liberior tuas canendo, 

Otit te artificem mei fatebor (1) ». 


Il Caiado era forse di famiglia nobiltssima , perchè 
aveva famigliarità cogli uomini più cospicui per dignità 
che fossero in Portogallo. -Nella dedicatoria della sua 
quarta egloga a Giorgio, figlio di Giovanni II Re di 
Portogallo, gli diceva: « Accepisti (ut arbitror] antehac 
litteras, quae nostrae erga te observantiae fuerunt in- 
dices (2) »; le quali parole mostrano come ei fosse in cor- 
rispondenza epistolare con quel Principe. Anche doveva 
aver qualche relazione col re Emanuele, poichè a que- 
sti dedicò i suoi versi (3) e ne scrisse alquanti per lui. 
Dei portoghesi, cui intitolò qualche poetico componi- 
mento sono da ricordare Giacomo de Suosa, Legato del 
Re Giovanni II, Ludovico Tessira cavaliere, un Pache- 
quo, un Gomez, un Castelbranco, un De Pina ed un 
Mello (4). Ebbe anche amicizia con molti inglesi; tedeschi, 


(1) 11.8 ediz., a pag. 122. 

(2) 1. ediz., a pag. 15. 

(3) 1.3 ediz., a pag. 1, 2 6 3. Vedi anche la II? edizione, a pag. 
5, 97 e 177. 

(4) 11.5 ediz., a pag. 7, 104, 132, 151; 3, 4, 134, 144, 149, 158; 
110; 182; 178; 14; 113. 


DI A. URCEO CODRO 265 


-..--..  ——7—_—7]P27r—T -——— _-—_——_—_—_—_—T—-— 


spagnuoli e francesi, di cui lasciò memoria ne' suoi epi- 
grammi. . 

Ma altre poesie latine del nostro portoghese ci sono 
rimaste, oltre quelle che leggonsi nelle due edizioni 
bolognesi, già descritte. Perocchè troviamo un epigram- 
ma del Caiado in fine del volume dei commenti del Bar- 
bazza al titolo « de Iudicîis (1) >, un altro in fine a 
quelli sul titolo « De Foro competenti (2) »; un terzo 
parimenti in fine ai commenti al. titolo « de Probatio- 
nibus » (3), ed un quarto nell’ ultimo foglio del volume 
dei commenti al titolo « De libelli oblatione (4) » 

Inoltre nelle « Collettanee grece latine et vulgari », 
raccolte e publicate nel 1504 da Giovanni Filoteo Achil- 
lini in morte di Serafino Aquilano, troviamo un epigram- 


———— PT _  - — —P ———r — - _————_ 


(1) Bononiae per Iustinianum de Rubiera Anno . M. CCCCL- 
XXXX VI die XV Iunii - (in fol. mass.) 
« Henrici Caiadi Lusitani ad eundem (lectorem) 
Qui cupit ambages legum, atque enigmata iuris » etc. 
(2) Impressit Bononiae Iustinianus de Ruberia Anno... M CCCcc- 
XC VII (in fol. mass.) 
« Henrici Caiadi lusitani epigramma 
E:xoptate ades tandem, lucemque revisis » etc. 
(3) Impressit Bononie..... Ioannes Iacobus regiensis..... anno..... 
M.CCCCXCVII (in fol. mass.) 
« Henrici Caiadi Lusitani epig. 
Ad Lectorem 
Vir bene complevit librum, Barbatia, quando » etc. 
(4) Impressit bononiae Iustinianus de ruberia... M.CCCC.LXXXX- 
VIII (in fol. mass.) 
« Enrici Caiadi Lusitani epigramma 
Dogmata Pontificum: et romani iura Senatus » etc. 


266 MALAGOLA 


ma del nostro Caiado (1). Ho voluto ricordare anche 
questi brevi componimenti, perchè, trovandosi essi in 
edizioni bolognesi rarissime ed antichissime, difficilmente 
potevano essere conosciuti, massime dai Portoghesi. 

Ora mi piace riportare il giudizio di alcuni fra i 
più dotti contemporanei del Caiado sopra i versi di lui. 
Senza riferir qui le lodi che ne fanno Ugerio Pontre- 
molese (2) e Costanzo Claretti de’ Cancellieri (3) in due 
epigrammi che indirizzarono all'amico di Codro, dirò co- 
me Antonio Tebaldeo dettasse il seguente, che fu posto 
in principio del libro delle poesie latine del Caiado stesso, 
edite nel 1501: 


« Antonius Tebaldeus 
in laudem operis. 

Qui leget hunc, tres ille legit: leget ille Catullum; 
Sulmo, tuum vatem; Mantua clara, tuum. 
Gloria ni traheret, titulum Hermicus abdere libri 
Debuerat; dempto nomine, priscus erit (4) ». 


Nè meno onorevole pel Caiado è la lettera di Filippo 
Beroaldo seniore a Ludovico Tessira, pure stampata nel- 
l'edizione suddetta, e che contiene questo autorevolis- 
simo giudizio: » Consulis me, per Epistolam luculenter 
scriptam, quod de municipis tui ingenio poetico, quod 
de poematibus sentiam: Accipe summatim. Hermicus 


(1) Op. cit., a carte 18 verso non num. L'epigramma inco- 
mincia: 
« Hermicus Caiadus Lusitanus 
Sparge rosas quocumque velis, Seraphinus in urna est » etc. 
(2) 1.8 ediz., a pag. 59. 
(3) [.8 ediz., a pag. 59. 
(4) 11.8 ediz., a pag. 2. 


DI A. URCEO CODRO 267 


=———+— ———————_—yT — ————€& --........ 


Φ 

lusitanus în condendis poematibus ingeniosus, elegans, 
,florulentus, habet venerem, habet sale. Sunt illi verba 
latina, sententiae poeticae, versus emuncti. Concludit ex 
epigrammatistarum lege decenter et salse. Ego quidem 
antiquos scriptores suspicio, non tantum ul recentiores 
despiciam (1) ». 

Ed il giovane Beroaldo in un epigramma « ad Bar- 
tholomeum Blanchinum Condiscipulum Optimum », 
encomia anch’ egli il portoghese: 


« Blanchine, o veterum virorum imago, 
Dicam, quae mihi opinio, roganti 
De Caiadi Epigrammaton libellis. 
Et Phoebus pater, et novem sorores, 
Pallas sobria, et ebrius Lyaeus 
Debent huic homini satis, superque 
Cum sit tam pius omnium sacerdos, 
Et Phoebi furor, et poeta verus (2) ». 


Nè da questi soltanto furon lodati i versi del Caia- 
do, ma eziandio dal Collenuccio; e lo apprendiamo dal 
seguente epigramma di Enrico stesso, diretto al grande 
pesarese, ove mostra, ed a ragione, compiacersi del 
favorevole giudizio di quell’ illustre: 


« Ad Pandulphum Pesaurensem. 


Quod tantum, Pandulphe, probes epigrammata nostra, 
Gloriolam nequeo dissimulare meam. 

Ingenii pretium, fructusque uberrimus ille est: 
Laudatis aliqua ex parte placere viris. 

Haec Pandulphe mihi studiorum praemia duco 
Aeterna, interent caetera temporibus. 


(1) IT.A ediz., a pag. 4. 
(2) 1I.* ediz., a pag. 187. 


——— —— - ec — P——T ——— 


268, MALAGOLA 
Φ 
Ut lubet, expendant critici mea carmina: nil iam "Ὁ 
Censoris metuo triste supercilium. 
Non tamen idcirco surgunt mihi vertice cristae, 
Nec lusitano de grege gallus ero (1) ». 


Io faccio voti che qualche dotto portoghese prenda 
ad illustrare la vita di questo letterato, del quale poco 
dopo il principio del secolo XVI perdiamo ogni traccia, 
il che lascierebbe supporre che circa quel tempo o fosse 
mancato di vita, od avesse rimpatriato. Egli scrisse 
in morte di Codro un epitafio (2) che sarà più innanzi 
recato per intero (3). 

VII. Il nostro Urceo che era fra coloro che fre- 
quentavano famigliarmente la casa dei Bentivoglio, vi 
conobbe per certo il celebre pittore Gian Francesco Rai- 
bolini, comunemente chiamato « εἰ Francia », il quale, 
siccome ho detto altrove, ritrasse le sembianze di Codro 
nelle camere del Protonotario Anton Galeazzo Benti- 
voglio. È bello vedere quanto questo raro genio. fosse 
pregiato in Bologna da’ suoi contemporanei. Bartolomeo 
Bianchini, parlando di lui nella vita di Codro, lo nomina 
con parole di alta ammirazione: «... amor et delitiae 
nostrae Francia, spectatae virtutis aurifex, cuius unt- 
cum ingenti fastigium pariter omnes et amant et admi- 
rantur, et tamquam numen adorant, cum ob alia, 
tum in primis et quia summus nostro aevo est auri- 
ἥξω, et tamquam artis huiusce Deus, et in pictura 
nemini posthabendus, nullius etenim ante ipsum neque 


" (1) IT.® ediz., a pag. 149. 
(2) ILA ediz., a pag. 185. 
(3) Vedi l'Appendice XV. 


DI A. URCEO CODRO 269 


—— —— ———11———————_—___ - — 


pictura, nec eliam caelatura în propaltulo visitur, quae 
teneat oculos (1) ». 

Ed il Burzi, nella sua « Bononia Illustraia », ugual- 
mente esalta il Raibolini, dicendolo superiore ai più ce- 
lebrati scultori e pittori della classica Grecia: «..... cla- 
rissimus Franciscus, Francia nuncupatus, cui în scul- 
piura Phidias et Praxiteles, si viverent, palmam cede- 
rent, în pictura similiter Parrhasius Zeusis et Apolo- 
dorus, ab co in certamine superatos, profiterentur. 
Quin immo et ipse Apelles, qui omnes prius genitos 
atque futuros (teste Plinio] superavit, hoc idem non 
abnegaret. Hic profecto ingeniosus, affabilis, decorus, 
et gravitate morum exornatus (2) ». Nè in prosa sol- 
tanto loda il Francia, ma anche nel suo carme a Bar- 
tolomeo Montini, dove sono questi versi notevoli: 


« Ex multis en palma viget: tibi candida phama 
Francia, qui proprio nomine clarus eras. 

Te decus aurificum, sculptorum culmen haberis, 

Gemmarum ispector diceris inde probus (3) ». 


Nè tacerò che nel libro di Girolamo Casio, intito- 
lato Cronica, si legge questo tetrastico sul grande bo- 
lognese : 

« Franza Felsineo, Orafo e Pittore 

Tanto fu singular, che ogni sua opra 
Fra l'altre tutte ste sempre di sopra 
Onde acquistò con l’ utile l’ honore (4) ». 


-—— —— - 


(1) Codri Vita, a pag. 6 e 7 non num. 

(2) Op. cit., a carte 15 retto non num. 

(3) Vedi l'edizione dell’ opuscolo del Burzio Musarum Nympha- 
rum... epytomata (che trovasi nella nostra Comunale sotto |’ indica- 
zione 17, N. VII, 21) a pag. 145 non num. 

(4) Op. cit., a carte 46 retto. 


270 MALAGOLA 


Del Francia scrissero la vita, oltre il Vasari, Iaco- 
po Alessandro Calvi (1) e il cavaliere Gaetano Giorda- 
ni (2), alle opere dei quali rimando chi desideri mag- 
giori notizie di questo grande bolognese. 

In Bologna il nostro autore conobbe anche il me- 
dico Baldassarre Masserio, forlivese, studiosissimo delle 
scienze naturali e molto innanzi nella grazia di Giovan- 
ni II Bentivoglio. Visse non breve tempo nella nostra 
città, nello Studio della quale (dopo esser stato laureato 
in Filosofia e Medicina nel 1485) lesse Logica e Filo- 
sofia sino all'anno scolastico 1488-1489. Sembra che 
oltre gli studi filosofici coltivasse con molto amore la 
poesia latina, giacchè Antonio Visdomini nei « Sacri 
Versi Latini » lo esaltò in un epitafio con lode di poeta 
e di filosofo: 


« Pierio quo non in carmine doctior alter, 
In logica quo non doctior alter erat ». 


Anche l' Urceo scrisse in morte di lui un epitafio 
latino, dove son questi versi: 


« Quem Livi genuisse Forum gaudebat, habere 
Felsina, Masserius Balthasar hic ego sum. 


Φ Φ ὃ 8 . e . . 9 4 . Φ . .« Φ 
Florida non aetas, Sophiae non dogmata septem, 
Non pro me Phoebi munus utrumque stetit. 


(1) Memorie della vita e delle opere di Francesco Raibolini detto 
il Francia pittore bolognese scritte da Iacopo Alessandro Calci - Bo- 
logna, tipografia Lucchesini 1812. 

(2) Cenni intorno a Francesco Raibolini detto il Francia e ad 
una sua pittura in tavola etc. del signor Gaetano Giordani - ( Nel- 
l'Almanacco Statistico Bolognese, anno TX, 1838). 


DI A. URCEO CODRO . 271 


I nunc et vigila, lege, dissere, scribe, perora, 
Ut mors haec uno sorbeat atra die! (1) ». 


Dal nono Sermone di Codro apprendiamo che il 
Masserio era. suo medico, e che lo curò nella grave 
malattia che il nostro sofferse nel 1487. Dall’aver Codro 
scritto in morte di questo illustre forlivese, siam certi 
che questi morì prima dell’ Urceo, ossia prima del 1500, 
anzi non è difficile che mancasse poco dopo il 1489, non 
trovandosi più, dopo quell’anno, il suo nome nei Rotuli 
dello Studio. 

VIII. Tra gli amici di Codro sono certamente da 
porre anche coloro che lo protessero, fra i quali vuolsi 
nominare in primo luogo Giovanni II Bentivoglio. Di 
quest’ uomo, che senza titolo di Signore, pur dominò la 
sua patria, ha già trattato dottissimamente l' illustre 
signor Conte, Senatore Gozzadini (2), onde a me non 
resta che dire delle relazioni corse tra l' Urceo e Gio- 
vanni Il.. E lo farò brevemente, rammentando come il 
nostro fosse tra i letterati che frequentarono la Corte, 
che così può veramente chiamarsi, di Giovanni. L'il- 
lustre rubierese che da lui aveva ricevuti molti bene- 
fici, non di rado ne tesse altissime lodi ne’ suoi Ser- 
moni, e particolarmente nel primo, ove giunge a dire: 
«.... hac ratione Iohannes Bentivolus Princeps, divus 
est, et non tantum nobis amandus, sed etiam prae- 
sens est adorandus (3) ». A lui inoltre intitolò diverse 
poesie latine (4) ed un bel carme « De ostentatione 


(1) Opera, a pag. 388. 
(2) Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio, già citata. 


(3) Opera, a pag. 4.0 
(4) Opera, a pag. 287, 306, 381 e 388, 


272 MALAGOLA 

armorum », scritto nell’ occasione che il Bentivoglio, 
eletto Governatore Generale dell'esercito di Ludovico 
il Moro, volle far mostra delle proprie milizie nel rice- 
vere il gonfalone, mandatogli dal Duca di Milano, come 
segno del nuovo comando. Questo carme fu impresso 
in quello stesso anno 1493 (1), e poscia ristampato cin- 
que volte (2). Fortunato l° Urceo che non vide la ruina 
della famiglia Bentivoglio che tanto lo aveva benefi- 
cato, nè la fine miseranda di Giovanni, che scontò la 
pena di colpe più di altri che sue. 

Ancora debbo qui nominare fra. gli amici e protet- 
tori dell’ Urceo i figli di Giovanni II, Anton Galeazzo 
Protonotario Apostolico, Alessandro (3), Annibale (4) 
ed Ermete (5); ma è utile che mi restringa a parlar 
solo del primo, alla guisa che ho già detto del padre. 

Sembra che Anton Galeazzo fosse quello della fami- 
glia che sopra ogni altro amava il nostro, il quale anche 
a lui diresse non poche delle sue poesie latine (6), in 
una delle quali così ne magnificava la virtù: 


« Gratia tanta tibi est, animus tibi tantus et orîs 
Maiestas, ut amet qui semel haec videat. 


(I) Ad Ilu. Prin. Ioannem Bentivolum Secundum de armorum 
ostentatione Cum ab Illustrissimo Mediol. Duce Vexillo praetorio do- 
naius fuisset Antoni Vrcei Codri silva. In fine: Bononiae. MCCCC- 
LXXXXIII Luce Aprilis XVIII Haec Cudit Impressione Plato. Vedi 
anche Opera, a pag. 287. 

(2) Vedi le edizioni di Bologna, di Venezia, di Parigi e di Ba- 
silea delle opere di Codro, e le Memorie per la vita di Giovanni II 
Bentivoglio del Conte Gozzadini, da pag. 95 a 99. 

(3) Opera, a pag. 387. 

(4) Opera, a pag. 293, 381, 410, 414. 

(5) Opera, a pag. 380. 

(6) Opera, a pag. 305, 310, 313, 388 e 404. 


DI A. URCEO CODRO 273 


Orphi magna fuit Vati facundia prisco, 
Virtuti similis sed nihil illa tuae est. 

Ila feros homines traxit rabidosque leones, 
Duraque cum crudis saxa coègit aquis. 
At tua doctorum permulcet pectora Vatum, 

Cogantur celeres ut tua signa sequi (1) ». 


E sin da quando Anton Galeazzo era giovane, Codro 
ne lodava il desiderio di studio, la facondia, la pietà e 
la prudenza con queste parole: 


« Doctrinae studium, facundia, forma, vigorque 
Detinuere oculos ad tua facta meos. 


Tu pius es, clemens, affabilis, innocuusque, 
Grandis, et in parvo corpore regnat amor. 

Conciliare studes doctorum corda tirorum, 
Et servare tibi conciliata sapis (2) ». 


Altrove gli diceva: 


« Magnanime o Praesul, veterum qui clara virorum 
Facta cupis superare, tuo dum amplecteris omnes 
Virtutes animo, cur cassum voce Poétam 
Iamque senescentem rursus cantare lacessis 
Et stimulas, cogisque etiam cum subijcis illi 
Nunc hoc, nunc illud, praeclarum et carmine dignum? 
Bentivola de stirpe satus, patrisque secundum 
Lumen, et alter amor Galeatius, umbo pudoris, 
Flos iuvenum, et famae nunquam pereuntis amator. 


(1) Opera, a pag. 396 e 397. 
(2) Opera, a pag. 382 e 383. 
18 


214 MALAGOLA 


Qualiacumque sui dignatur nbscere Codri 
Carmina, et emunctis illum annumerare Poétis (1) ». 


E tanto fu l'affetto di Codro verso Galeazzo, e la 
gratitudine pei molti benefici da lui ricevuti, che soleva 
dire, come narra il Bianchini: « Nîsî Galeatius esset, 
non essem ego (2) ». Nè cessò per la morte di Codro 
‘l’amore che gli portava l’Arcidiacono e Protonotario 
Bentivoglio, il quale, come lo aveva in vita stimato 
lo volle in morte onorare, facendo sì che le opere del 
nostro, raccolte in un volume, uscissero in luce (3). 
Questo apprendiamo dalla lettera onde il giovane Be- 
roaldo gliele dedicò, scrivendogli: « .... quamdiu Codrus 
vixit, hos (sermones) tibi, cui omnia debebat, el com- 
posuit et recitavit: ac post hominis finem hanc tibi 
curam principem duxisti, efficere ne, dum Codrus mo- 
ritur, interiret. Monumenia quippe ingenit illius dili- 
gentius asservanda curasti, atque in cius memoriae 
prorogationem publicanda (4) ». Se Galeazzo non aves- 
se allora procurato che si stampassero le opere di Codro, 
esse forse non ci sarebbero state conservate, nè sareb- 
be per certo il nome dell’ illustre rubierese stato racco- 
mandato ai posteri nè onorato, come fu mercè queste. 

Fra i protettori dell’ Urceo sono anche da ricordare 
tre nobili bolognesi, cioè Mino Rossi, Egano Lamber- 
tini e Giovanni Marsili, che facevano parte del supremo 


(1) Opera, a pag. 352 e 354. 

(2) Codri Vita, a pag. 17 non num. 

(3) Questa prima edizione fu impressa: Bononiae per IJoannem 
Antonium Platonidem benedictorum bibliopolam, nec non civem Bo- 
noniensem. Sub anno domini, MCCCCCII - in fol. 

(4) Opera, a pag. 430. 


DI A. URCEO CODRO 275 


Magistrato dei Sedici Riformatori dello Stato di Libertà 
di Bologna, che da Giulio II fu portato al numero di 
quaranta, con titolo di Senato. 

Mino di Bartolomeo Rossi, che il vecchio Beroaldo 
chiamò asilo di tutti i letterati, fu veramente un gran- 
de protettore degli uomini dotti, e di Codro principal- 
mente, che nel carme indirizzato a Mino, gli si racco- 
mandava in tal modo: 


« Fraude carent Vates, ad Phoebum nostra recurrat 
Musa, placet patri non minus iste suo. 
Hic quoque maiores fertur curare Poétas, 
Tu mihi pro Phoebo, splendide Mine, veni. 
Mine veni, et nostro dic pro me pauca tonanti, 
Plus mihi quam Phoebus vox tua ferre potest; 
Vox certe tua ferre potest, et iusta labores 
Praemia suscipiant, si meruere mei (1) ». 


Il Rossi venne aggregato al Magistrato dei Sedici 
con Partito dei 6 di maggio del 1482 (2); accompagnò 
Giovanni II Bentivoglio a Loreto nel 1485 ed a Padova 
nel 1488; poi, nel 1492, insieme col Protonotario Anton 
Galeazzo e con Ludovico Da San Pietro, Dottore e Ca- 
valiere, fu ambasciatore ad Alessandro VI, nuovo pon- 
tefice (3). L’anno 1494 andò oratore al Duca di Milano 
pel Comune di Bologna, insieme con Alessandro Benti- 
voglio e con Gian Francesco Aldrovandi (4), ed ebbe 
compagno in quel viaggio, siccome altrove dicemmo, il 
nostro Codro. E con Annibale Bentivoglio stette il Rossi, 


(1) Opera, a pag. 328. 

(2) Partitorum, Vol. X, a carte 79 retto. 
(3) Partitorum, Vol. XI, a carte 59 retto. 
(4) Partitorum, Vol. XI, a carte 101 retto, 


276 MALAGOLA 


nel 1499, circa sei settimane presso il Re di Francia 
nel Milanese, per negozi della nostra città (1). Tornò a 
Milano nell’ aprile del 1500 come oratore per la Repu- 
blica Bolognese a quel Duca (2), è l’anno appresso, collo 
stesso ufficio, fu mandato in Francia a Luigi XII, im- 
piegando in quella legazione 167 giorni (3). 

In molti luoghi delle opere dell’ Urceo troviamo 
lodato il Rossi, e specialmente nel carme « In Minum 
Roscium commendatio », del quale ho già riferiti alcuni 
versi. Molto avrei a dire se volessi far menzione dei 
tanti letterati che di Mino fecero elogio, tra i quali è En- 
rico Caiado, che incomincia un suo epigramma al Rossi: 


“« Unica Pieridum sis foelix gloria Mine, 
Mine puellaris dulcis alumne Chori (4) », 


ed il Casio che in morte di lui scrisse un sonetto (5). 
Anche il Burzio nella sua « Bononia Illustrata » lo 
commenda, e con tali parole: « Superest Minus Roscius, 
vir singularis ingenit, omniumque virtutum libamine 
cumulatus, qui utique bonus, integer, facundus et libe- 
ralitate dotatus (6) ». Ma le più onorevoli fra le lodi tri- 
butate al Rossi sono quelle del vecchio Beroaldo, che 
oltre avergli dedicato un carme « De fortuna (T) » e 
l’ edizione degli scrittori di cose militari (8), così lo esal- 


(1) Partitorum, Vol. XI, a carte 179 verso. 

(2) Partitorum, Vol. XI, a carte 188 verso e 189 retto. 

(3) Partitorum, Vol. XII, a carte 7 retto e 8 retto. 

(4) Op. cit., Il2 ediz., a pag. 1368 non num. 

(5) Cronica, a carte 29 retto. 

(6) Op. cit., pag. 14 non num. 

(7) Trovasi aggiunto alle Orationes Multifariae (Bologna 1500 
per Benedetto d’ Ettore Faelli), a carte 103 retto. 

(8) Bologna, per Platone de’ Benedetti — 1496 in fol. 


DI A. URCEO CODRO ΧΕΙ 
ta nell’orazione dei Proverbi: «.... 00 vere sectam 
doctoris, nec poenitet, favorabiliter sectatus sum, el 
una mecum Decus meum Minus Roscius, quo mihi 
homo nemo amicior est, quem nobilium eruditissimum, 
eruditorum nobilissimium apellare merito consuevi: qui 
in hac politiori literatura tantum profecit, tamque 
est emunctus et tersus, ut meum esse condiscipulum, 
Symmysten, consentaneum possis agnoscere (1) » 

Il nostro Mino morì di veleno ai 4 di ottobre del 
1503, essendo Confaloniere di Giustizia, grado supremo 
nella Republica bolognese (2). 

Egano di Guidantonio Lambertini anch' egli protes- 
se grandemente il nostro autore, il quale nel 1484, 
(quando Egano fu eletto dei Sedici) gli dedicò una poe- 
sia latina dove lo loda con questi versi: 


« O bonae virtutis tudex prudensque Senatus, 
Non fuit în tanto lectio vana viro. 
Sanguine qui praestat, qui praestat viribus acris 
Ingenij, et totus qui probitate nitetP 


Et tamen hoc equitate insigni domus ipsa pioque 
Splendida splendidior, quis mihi credat? erit. 

Hanc eques eximius dextra donante, poétis 
Materiam sacris Aeganus ipse dabit. 


(1) Oratio Proverbiorum, qua doctrina remotior continetur.. 
Bononiae per Benedictum Hectoris... Anno... M. Yndeguingentesimo - - 
a carte 26 retto. 

(2) Vedi anche il vol. XII, Partitorum, a carte 35 verso. 


— —@mE«==-rrci121t&2_—2zy_(&ffror-.r-— cn--——>2 


278 MALAGOLA 


Cuncurrunt omnes celebres hinc inde Poétae 
Per fora, perque vias carmina docta fluunt. 


Qui tibi gratentur, tua quique palatia visant, 
Aegane, magna etiam non capit ipsa domus, 

Conveniunt iuvenes omnes, natique patresque 
Longaevi veniunt ore tremante senes (1) ». 


Sebbene il nostro Codro, il quale per beneficii rice- 
vuti dal Lambertini gli doveva gratitudine, ne abbia 
lodato, allorchè quegli fu assunto grado senatorio, la 
probità (2), se dobbiam giudicare dalle autentiche me- 
morie che di lui ci rimasero nei libri Parétiforum, delle 


t 

(1) Opera, ἃ pag. 339. 

(2) Nella medesima occasione anche il Refrigerio scrisse un 
sonetto, che è il seguente: « A lo illustre Cavaliero M. Ioanne Ben- 
tivoglio quando fece M. Egano Lambertino nel numero di Signori 
Sexdeci : 

« Li Patricii, la plebe, il popol tuto 
De questa patria florida e felice 
Hogi fan gaudio, festa, e ciascun dice 
Ch’ ai colto a la stason el fiore e’l frutto: 
Onde più non se sente affanno e luto, 
Ma d' amore e di gloria ogni radice, 
Poi che colui che porta la phenice 
Hai nel Senato teco reconducto. 
Felice questo giorno, o signor mio, ὦ 
‘ Nel qual hai rivestito el core e l alma 
De' tuoi Clienti cum speranza e fede. 
Tu non portasti mai più bella palma, 
Nè usasti mai più candida mercede 
Ch' hai facto questo di, nè don più pio ». 

(Dalle Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio dell’ illu- 

stre Conte Gozzadini, a pag. 174, nota I.). 


DI A. URCEO CODRO 279 


quali nessuno fè cenno, potremo facilmente persuaderci 
che Egano fosse uno di quegli uomini che giungono, come 
che macchiati di disonestà, a gradi cospicui; nella qual 
cosa gli dovette giovare e la profusione delle ricchezze 
e la validissima protezione dei Bentivoglio. Nel giugno 
del 1463, per essere venuto in Bologna da luogo infetto 
di mal contagioso, era stato relegato a Castel Bolognese 
per ordine del Reggimento sotto pena di cinquecento duca- 
ti e della privazione dell’ ufficio, cui era stato eletto, di 
Podestà di San Giovanni in Persiceto; ma egli non volle 
ubbidire (1). Lo stesso avvenne quattro anni di poi, e 
in pena della disobbedienza gli fu abbattuto dalle fon- 
damenta un molino che possedeva in un luogo detto La 
ca’ giotosa, e confiscato ciò che dentro vi si trovava (2). 
Ma v'è ben di peggio. Nel 1466 per aver fabbricata 
falsa moneta e quella posta, come suol dirsi, în circo- 
lazione, fu messo in carcere (8), e solo nel 1469 gli fu 
tolto il bando, avendo pagato 150 lire di Bolognini. Tut- 
tavia sembra che i bolognesi dimenticassero le disonestà 
del Lambertini, il quale, essendo protetto da Giovanni II 
Bentivoglio, seppe così fattamente entrare nella grazia 
dei Riformatori dello Stato di Libertà di Bologna, da 
avere in dono da essi nel 1477 un terreno del Comune 
nella contrada di San Mamolo « ex opposito hostii eccle- 
siae Sancti Antoni iuxta fratrem Nicolaum de Ponte et 
iurta viam publicam a duobus lateribus (4) ». Quantun- 
que solo nel 1484, non nel 1464, come asserì il Dolfi (5), 


(1) Partitorum, Vol. V, a carte 32 retto e 35 verso. 

(2) Partitorum, Vol. VI, a carte 91 retto e 95 retto. 

(3) Partitorum, Vol. VI, a carte 16 verso, 19 retto e 21 verso, 
(4) Partitorum, Vol. VIII, a carte 110 verso. 

(5) Op. cit., a pag. 444. 


280 MALAGOLA 


il Lambertini fosse stato creato dei Sedici (1), egli tutta- 
via aveva già vent'anni prima accompagnato a Milano 
- la sposa di Giulio Malvezzi, nipote di quel Duca; poi, 
nel 1471, insieme con Ulisse Lambertini e con venticinque 
altri gentiluomini, tornò a Milano con Giovanni II Ben- 
tivoglio, che andava a visitare il Duca Gian Galeazzo, e 
lo accompagnò ancora a Ferrara e poscia a Roma. Non 
sappiamo da chi, nè quando, fosse creato cavaliere, egli 
però ne aveva già il titolo nel 1484, nell'ottobre del 
qual anno conseguì il grado supremo di Confaloniere di 
Giustizia in patria! Ma dopo questo tempo ei nuovamente 
falsificò monete e nuovamente fu cacciato in bando; e 
richiamato da quello nel 1488, potè essere restituito 
negli uffici e negli onori che prima godeva, eccetto però 
nel Magistrato dei Sedici (2). E forse fu allora che, abban- 
donata la città di Bologna, recossi nelle parti meridionali 
d'Italia, dove fu Governatore di Sessa pel Re di Napo- 
li, poi Vicerè di Sicilia nel 1491. Ed era probabilmente 
già tornato in patria nel 1496, giacchè i suoi concitta- 
dini lo avevano eletto Podestà di Castel Bolognese pel 
primo semestre del 1497, ma nel αἱ prima di quello in 
cui dovea recarsi colà, fu sopraggiunto dalla morte, 
onde elessero in suo luogo il figlio di lui Annibale (3). 
Nella Regia Biblioteca di Modena trovasi in un codi- 
cetto un opuscolo consolatorio ad Egano Lambertini, 
scritto da Sabadino degli Arienti. 

Giovanni Marsili, amico e protettore di Codro, 
ascese anch’ egli a dignità cospicue nella sua patria. 


(1) Partitorum, Vol. X, a carte 133 retto. 
(2) Partitorum, Vol. X, a carte 321 retto. 
(3) Partitorum, Vol. XI, a carte 137 verso. 


DI A. URCEO CODRO 281 

Era stato Capitano delle Montagne Bolognesi dalla par- 
te di Casio nel 1504 (1), Castellano di Sassoleone nel- 
l'Imolese nel 1507 (2), poi di Serravalle nel 1510 (3) 
e uno dei Massari delle Arti nel 1511 (4); ‘e nel 1504 
fu mandato Ambasciatore a Giulio II (5), il quale poi 
lo volle creare Senatore dei Quaranta e donarlo del 
vessillo di Porta Saragozza. Accompagnò a Roma quel 
pontefice nel 1507, e quattro anni dopo i Bentivoglio lo 
nominarono Senatore dei Trentuno, ma in quello stesso 
anno venne a morte. 

Già dicemmo nel capitolo V come. Vertunno Zam- 
beccari conducesse a Roma il nostro Codro, e per questo 
non dimenticherò di porlo fra gli amici di lui. Nessuno 
degli scrittori di cose bolognesi ne ha fatto menzione, 
neppure il Dolfi (che discorre a lungo della famiglia 
Zambeccari (6)), e forse perchè quegli se ne visse da 
privato, lungi dalle publiche faccende. A Vertunno furono 
intitolati dall’ Urceo due latini componimenti; l'uno tratta 
del viaggio che il nostro fece a Roma con lui, l’altro 
deplora la triste condizione de’ suoi tempi (7). 

Fra gli amici e protettori che l’ Urceo ebbe in Bo- 
logna non dee dimenticarsi il Conte Nicolò Rangoni, 
figliuolo di Giovanna di Feltrino Boiardo, Signore di 
Rubiera, e di quel Guido che fu degli eccellenti con- 
dottieri degli eserciti della Republica Veneta nel secolo 


(1) Partitorum, Vol. XII, a carte 5] retto. 

(2) Partitorum, Vol. XII, a carte 44 verso e a carte 133 verso. 
(3) Partitorum, Vol. XIV, a carte 74 retto. 

(4) Parfitorum, Vol. XIV, a carte 102 retto. 

(5) Partitorum, Vol. XII, a carte 58 verso. 

(6) Op. cit., a pag. 719.. - 

7) Opera, a pag. 396 e 400. 


282 MALAGOLA 
XV. Sino dal 1440 Nicolò aveva sostenuto l’ ufficio di 
Podestà di Reggio nell’ Emilia, poscia, alla morte del 
padre, Unite le sue genti a quelle del cugino Uguccione, 
. sì pose a disputar coi parenti il possesso dei feudi della 
famiglia. E già aveva cacciati da Spilamberto i cugini 
Ugo e Vinceslao, quando il Duca Borso d'Este, repu- 
tando dannose allo Stato le discordie di così potente 
famiglia, interposta la propria autorità, fece equa- 
mente distribuire i feudi, e Nicolò ebbe quello di Spi- 
lamberto, del quale ottenne l'investitura nel 1476 dal 
Duca Ercole I (1). Tre anni di poi Giovanni II Benti- 
voglio, ricordando forse come per l’ aiuto di Guido e di 
Gherardo Rangoni, l'uno padre, l’altro zio di Nicolò, 
avesse Annibale, suo genitore, ricuperata la signoria di 
Bologna, .chiamò presso di sè Nicolò Rangoni, ed aven- 
do procurato che il Reggimento licenziasse Antonio 
Trotti d'Alessandria, Capitano delle Genti d’Arme di tut- 
to lo Stato Bolognese, fece eleggere a quell’ altissimo 
ufficio, con decreto dei 5 aprile 1476, per diciotto mesi, 
il Rangoni (2), al quale, in quell’anno medesimo, diè 
in moglie la propria figliuola di nome Bianca. Di anno 
in anno, sinchè visse, fu riconfermato in carica, secondo 
che appare dai libri Parfitorum. Fu questi uomo di 
grande esperienza ed integrità, amico e protettore degli 
uomini dotti e di Codro principalmente, che nel suo 
decimo secondo Sermone ricordò l' affabile liberalità de' 
suoi protettori con queste parole: « Inter amicos pono 
affabiles, officiosos, religiosos, quales sunt in hac urbe 


(1) Litta - Op. cit. Vol. III, Tav. VI, dove tratta della famiglia 
Rangoni. 
(2) Partitorum, Vol. VIII, a carte 167 retto 


DI A. URCEO CODRO 283 


Alexander Bentivolus et eius, frater Hermes, equites 
splendidissimi. Qualis item Nicolaus Rango, Palatinus 
Comes, et Bononiensium armatorum Dux sapientissi- 
mus, a quibus, ut ab humanissimis principibus, nemo 
unquam tristis abscedit (1) ». 

Molte altre lodi di Nicolò ci hanno lasciato nelle 
loro opere i suoi contemporanei. Il Burzio incomincia 
un carme, a lui indirizzato, con questi versi: 


« O sydus patriae tuae refulgens, 
Rangonum decus, omniumque foelix (2) ». 


Anche Enrico Caiado gli dedicò un epigramma 
latino : 


« Ad Nicolaum Rangonem. 
Qualis threicias si quando flectit in oras . 
Mars currus, strepitu per iuga summa volat, 
Aut abit a Veneris laeto complexibus ore, 
Aut minus iratus mitior arma capit, 
Est hodie visus talis Rangonibus heros 
Cum regeret frenis ora frementis equi. 
Adde pios vulgi plausus, et magna suorum 
Gaudia, felsinei laeticiamque ducis. 
Hanc Rangone potes natalem dicere lucem 
Quae tibi, quae semper candidior redeat (3) ». 


(1) Opera, a pag. 235. 
(2) Trovasi dopo la Bononia Ilustrata, nell'edizione di Platone 


de' Benedetti del 1494, a carte 32 verso e 33 retto. 
(3) II? edizione cit., a pag. 123. 


284 MALAGOLA 


Mentre in Bologna Nicolò era amato e stimato, 
qui lo colse la morte ai 29 d'ottobre del 1500 (1). Volle 
il Reggimento che il suo corpo fosse portato onorevol-' 
mente alla sepoltura, ed assegnò 200 lire di Bolognini 
per un vessillo ed altre insegne donate ai figli ed 
eredi di Nicolò, perchè ne onorassero il funerale (2). 
In quella occasione Diomede Guidalotti dettava un so- 
netto, che poi fece imprimere nel suo « Tyrocinio delle 
cose vulgari (3) », ed il Casio ugualmente deplorava la 
morte del Rangoni in uno de' soliti suoi tetrastici, dove 
lo dice: 


« Ne l’arme atroce, et poi senz’ esse umano (4) ». 


Con publico decreto dei 24 marzo del 1501 i Rifor- 
matori elessero per un anno nella medesima carica il 
figlio di Nicolò per nome Guido, colla stessa Compagnia 


(1) Nella cronaca in tre volumi, che va sotto il nome del Le- 
tuatte e che serbasi nella Biblioteca della R. Università di Bologna, 
sotto l’anno 1495 si legge la seguente memoria: 

« Medici in Bologna — Adj 16 de dexembre vene a Bologna el 
cardinale de medizi et 3uliano frotelli e rebelli de fiorenza el carde 
nale lozò in li Servi con circha vinte boche, Zuliano lozò in chaxa 
del conte nichola rangone chapitanio del chomun de Bologna con 
Trentadue boche, el quale conte nicolo steva in la cana de Malbizi 
da san sismondo, ribelli de bologna ». 

Da queste parole vedesi che i Rangoni già fino dal 1495 ave- 
vano accolto gli esuli Medici. Il Litta (Op. cit, Vol. III, Tav. VI, 
Famiglia Rangoni) nota soltanto che nel 1512 Bianca Rangoni ac 
colse il Cardinal De Medici, fuggito dalle mani dei Francesi che 
l'avevan fatto prigione nella battaglia di Ravenna. 

(2) Partitorum, Vol. XII, a carte 3 verso. 

(3) Op. cit., a carte 63 retto non num. 

(4) Vedi la Cronica cit., a pag. 17. 


DI A. URCEO CODRO 285 


di soldati, collo stesso stipendio e colle stesse condizioni 
che il padre, ma senza il titolo di Capitano (1). 

Questi furono gli amici del nostro Codro, gli uomini 
più illustri che allora vivessero in Italia e particolar- 
mente in Bologna. 


(1) Partitorum, Vol. XII, pag. Ὁ retto. 


286 MALAGOLA 


CAPITOLO VII. 


Dei discepoli dell’ Urceo. 


I. Discepoli che ebbe in Ferrara. — II. In Forlì fa precettore 
di Sinibaldo Ordelaffi, di Eugenio Menghi e di Francesco Uberti 
cesenate. — III In Bologna di Filippo Beroaldo iuniore, di Cornelio 
Volta, di Camillo Paleotti iuniore, di Bartolomeo e Pellegrino 
Bianchini, di Antonio Albergati, di G. B. Palmieri, di Giovanni 
Mauroleto Museo, di Giovanni de Pins e di Ferrico Carondileto. 


I. Volendo ora parlare dei discepoli di Codro, con- 
viene che io, seguendo l’ ordine del tempo, dica prima 
di quelli ch'egli ebbe in Ferrara, poi in Forlì, e quin- 
di in Bologna. Intorno ai primi nulla ci è noto, non 
essendo neppur certo, come accennai altra volta, che 
egli ivi tenesse scuola. 

II. Sappiamo però di tre discepoli che ebbe in For- 
lì, e furono Sinibaldo Ordelaffi, figliuolo naturale di Pi- 
no, Eugenio Menghi, e Francesco Uberti. Di Sinibaldo 
Ordelaffi, il quale morì in troppo tenera età perchè si 
potesse conoscere in lui il frutto degli insegnamenti di 
Codro, ho già parlato nel capitolo III. 

Eugenio Menghi fu sacerdote, e dovette per certo 
aver qualche valore nelle lettere, se il Marchesi, che 
lo annoverò fra gli: uomini illustri di Forlì, lo volle 
chiamare « tuvenem non modo moratum, sed literis 
egregie imbutum (1) ». E 1 Urceo in una lettera che'di- 


(1) Vitae Virorum Illustrium Foroliviensium, a pag. 216. 


DI A. URCEO CODRO 287 


resse al Menghi, e dalla quale apprendiamo che questi fu 
educato nel convento di San Salvatore di Bologna, gli 
dice: « Eugeni, vir castissime ei bene lilterale... (1) ». 
Però non ci è rimasta altra memoria, nè giunta alcuna 
opera di lui. 

A Pino Ordelaffi ed al Menghi è da ‘aggiungere 
Francesco Uberti, cesenate, che divenne oratore e poe- 
ta illustre, e meritevole di essere annoverato fra gli 
uomini più dotti che a quei giorni vivessero nella nostra 
Romagna. L’ Uberti, dopo aver dimorato in Perugia, 
in Venezia ed in Padova per approfondirsi negli studi 
delle lettere umane, li seguitava da sè in patria, allor- 
quando) secondo che lasciò scritto Nicolò Masini iuniore 
nella vita di lui, publicata dal Muccioli nel catalogo 
dei manoscritti della Malatestiana di Cesena): « audiens 
Codrum Uretum (sic), in ea facultale tum nemini se- 
cundum, Forolivii filios Pini Ordelaphi principis edo- 
cere, ad eum eo se confestim animo contulit, ut, abdi- 
cata prorsus quacumque alia contemplatione, huic uni 
lotis ingenti corporisque viribus incumberet: quod cum 
miro animi ardore, insuetaque alacritate praestitisset, 
brevi ex eo munere summam laudem non în hac tan- 
tum sed în alienis Provinciis consecutus fuit (2) ». Sap- 
piamo ancora dallo stesso Masini, che l’' Uberti, dopo 
essere stato scolaro in Forlì dell’ Urceo, si condusse a 
Bologna per udire Filippo Beroaldo seniore, e che quin- 
di, tornato in patria, si diede ad insegnarvi le lettere 
umane. Fu congiunto di molta amicizia con Mgrsilio 


(1) Opera, a pag. 278. 
(2) Muccioli - Catalogum Codicum Manuscriptorum Malatestia- 


nae Caesenatis Bibliothecue - Caesenae MDCCLXXX - Tomo I, a 
pag. 136. 


288 MALAGOLA 


Ficino, col Bertacchini, con Tito Vespasiano Strozzi, 
con Pomponio Leto, con Battista Mantovano, con Gian 
Antonio Flaminio e sopratutto con quel miracolo di eru- 
dizione che fu Cassandra Fedele, la quale, secondo il 
giudizio del Poliziano, divise il primato del vasto ed 
universale sapere col celebre Pico. Nella Biblioteca Ma- 
latestiana di Cesena, si trova una lettera di lei, diretta 
all’ Uberti, scritta ai 6 di gennaio del 1489, che inco- 
mincia con queste parole: “ 


« Cassandra Fidelis 
Francisco Uberto oratori 
ac poetae dignissimo. 
δι P. D. 


δὲ literis, Vir humanissime, tibi enarrare pos- 
sem, quantum gaudii tua carmina, non modo doctri 
nam, sed omnem antiquitatem redolentia, attuleruni, 
quo nihil eruditius, jucundius, atque gratius mihi ob- 
tligisse potuisset, iam diu meis tibi innotuisset... (1) ». 

In un codice della Biblioteca Malatestiana si legge 
un’ orazione dell’ Uberti in morte di Malatesta Novello, 
ed insieme un gran numero di poesie, in parte autogra- 
fe, e molti altri scritti di lui (2). 

Fra le sue poesie mi piace di scegliere due epi- 
grammi inediti indirizzati a Codro, dai quali si può com- 
prendere quanta parte avesse il nostro nella educazion 
letteraria di questo egregio poeta. Essi sono l' VIII ed 
il XLIX di quel codice: 


΄ 


(1) Muccioli - Op. cit. Tomo I, pag. 149. 
(2) Muccioli - Op. cit., Tomo I, pag. 143, e 4, ὅ, 6, 7, 8, 9, 
10, 11 e 12. 


DI A. URCEO CODRO 289 


« Ad Codrum Forliviensem (sic) 
Amicum Grammaticum. 
Codre, mihi Crassus fueris, sed Crassus abundans 
Ille olim, qualis scribitur Historia. 
Uberto servare fidem si pergis, amicus 
Usque sit inter nos si modo cana fides: 
Ergo tibi quod vis fieri, face. Regula Amoris 
Exigit hoc. Verae hoc pignus amicitiae ». 


Ad Codrum Forliviensem (sic) 
Amicum Grammaticum. 
Coena diserta fuit nobis tua, Codre, Magister, 
Codre tua 0 nimium coena diserta fuitl 
Haec mihi te Codrum, Codrum non esse probavit, 
Nam mihi sum Crassi visus adisse Lares. 
Vivere te nolim Codrum, quia nempe disertus 
Nosceris, et magna dignus amicitia. 
Perge igitur doctos erolvens, Codre, Poetas 
Auctoresque alios, quos bene nosse soles. 
Namque tibi magnum merito sic, Codre, parabis 
Nomen: sic natis divitiasque Pater ». 


III. È rimasta più certa memoria dei discepoli ita- 
liani e stranieri che Codro ebbe in Bologna. Sono tra i 
primi tre bolognesi che tennero cattedra nel celebrato 
Studio della loro patria, e sono Filippo Beroaldo iuniore, 
Cornelio Volta e Camillo Paleotti. 

Il giovane Beroaldo, per gratitudine al maestro e 
per desiderio di Anton Galeazzo Bentivoglio, raccolse 
le opere dell’ Urceo e le diede alle stampe nel 1502 in 
Bologna, coi tipi di Gian Antonio di Platone de’ Bene- 
detti. Intorno a questo celebre uomo mi pare utile 
ricordare che egli non era figlio di Filippo Beroaldo 
seniore; del che abbiamo prova nei Rotuli dei Lettori 
Artisti dello Studio di Bologna degli anni 1499-1500, 

19 


200 MALAGOLA 


1501-1502 e 1502-1503, dove troviamo scritto del Be- 
roaldo iuniore: « Ad RhAetoricam, Poesim οἱ Gram 
maticam de Sero: Philippus Ser Nicolai de Beroaldis ». 
Onde risulta chiaramente che egli fu figliuolo di quel 
Nicolò Beroaldo, notaio, che condusse in moglie Barto- 
lomea Formaglini, bolognese, e pel quale i Sedici Rifor- 
matori dello Stato di Libertà, in un partito dei 29 mag- 
gio del 1486, « decreverunt quod Ser Nicolaus de Be- 
roaldis, notarius, solvere debeat generali Deposttario 
Camere Bononiensis Ducatos Centum auri per totum 
praesentem mensem pro fabrica palatii residente Pote- 
statis Civitatis Bononie ob falsitates quasdam per ipsum 
Ser Nicolaum commissas în quibusdam Instrumentis 
seu Scripturis per ipsum confectis (1) ». Tuttavia se il 
giovane non fu figliuolo del vecchio Beroaldo, ei gli do- 
vette per altro esser congiunto di sangue, perocchè que- 
sti, ne’ suoi commentari ad Apuleio, scrive nel IX libro: 
« Huiusce autem castigationis in Cornelio Celso me 
submonuit, et quasi connivententem expergefecit, meus 
ille gentilis et cognominis Philippus Beroaldus minor, 
adolescentulus apprime doctus, et graecam lalinamque 
linguam bene callens.... (2) ». Ed il giovane Beroaldo, 
nell’ode sopra Tomaso Ingerami da Volterra, detto Fe- 
dro, cantava: Σ 


« Hic ubi gentilisque meus Beroaldus iniquos 
Explicat . .... 0... . (3) ». 


Nell’ anno 1498 il giovane Beroaldo conseguì la 
cattedra di Retorica nello Studio bolognese, come ap- 


(1) Partitorum, Vol. X, a carte 276 retto. 
(2) Op. cit., vedi a carte 192 verso. 
(3) Fantuzzi - Not. degli δον, Bol., Tom. II, pag. 136. 


- - 0 - iti e pron - ——f_——_— 


DI A. URCEO CODRO 291 


prendiamo dalla lettera di Codro a G. B. Palmieri, 
scritta ai 15 d'aprile del 1498: « A? Philippus Beroal- 
dus tunior..... profiteri publice incepit, qui exceptus 
est omnium plausu, în primisque mei, nam el în no- 
stro ludo sedit (1) ». Nè deve recar meraviglia che nel 
Rotulo dei Professori Artisti dell'anno 1498 non si trovi 
segnato il nome del giovane Beroaldo, poichè egli ven- 
ne eletto professore quando lo Studio già da più mesi 
era stato riaperto ed il Rotu/o riposto nell’ Archivio 
del Comune di Bologna. Nè Codro soltanto, ma anche 
l’altro suo maestro Filippo Beroaldo seniore bene augu- 
ravano di così dotto giovane sin dal principio delle 
sue lezioni, scrivendo nei commentari, già citati, ad 
Apuleio: « Video ex hac doctrinarum scintilla lucem 
maxrimam fulgentissimamque maturissime erupluram, 
et, ut ille inquit, meliorem praesto Magistro discipu- 
lum; sicut laetor factura manuum mearum, ita gau- 
deo in nobis impleri verum adagium, quod est: πολλοὶ 
paSytat χρείσσονες dtdaoxddev.... (2) ». Nè il discepolo 
venne meno alla espettazione di due così sapienti mae- 
stri, poichè egli, dopo avere insegnato in Bologna sino 
a tutto il 1502, professò Umane Lettere nell’ Archigin- 
nasio di Roma, nella quale città fu anche Segretario del 
Cardinale Giovanni de' Medici, che pontificando poi sotto 
il nome di Leone X, creò il Beroaldo, ‘per segno di 
onor sommo, Preposto dell’Academia Romana, con privi- 
legi straordinari, e poscia lo volle Custode dell'Archivio 
di Castel Sant'Angelo e della celebre Biblioteca Vatica- 
na. Le poesie latine del giovane Beroaldo sono ora 


(1) Opera, a pag. 268. 
(2) Op. cit, a carte 192 rerso. 


292 MALAGOLA 

presso che ignote, ma gli aurei commentari,- ch' egli 
compose, ai primi cinque libri degli annali di Tacito 
saranno sempre ricercati con profitto dai filologi nei 
loro studi sul grande istorico. Dirò da ultimo, ad onore 
del celebre discepolo del nostro Urceo, che Pietro Bem- 
bo l’onorò di un epitafio latino, ove pianse l’ estinto 
amico in altissimi versi: 


« Felsina te genuit, colles rapuere Quirini: 

Longum audita quibus Musa diserta tua est. 

Πα dedit rerum domino placuisse Leoni, 
Thebanos Latio dum canis ore modos. 

Unanimes raptum ante diem flevere sodales, 
Nee Decimo Sanctae non maduere genae. 

Quae pietas, Beroalde, fuit tua, credere rerum est 
Carmina nunc coeli te canere ad citharam (1) ». 


Nell’Archivio di Stato Fiorentino trovai una lettera 
in italiano del Beroaldo che voglio publicare più innanzi, 
giacchè mi sembra pregevole per una notizia che reca 
del Poliziano, e perchè può tornare gradita ai cultori 
della Storia del Diritto (2). 

Un altro discepolo di Codro fu il bolognese -Corne- 
lio Volta, del quale scriveva il nostro, mandando a lui 
alcuni versi: ᾿ 


« Cui dono lepidos novosque versus 
Quos nuper cecinit poéta Codrus? 
Corneli, tibi, qui colis Camoenas 
Musarumque choros, et antra Phoebi (3) ». 


- ———_—T —_——P———_ - -«.. -.ὄ.-..-.-. 


(1) Petri Bembi Carminum Libellus - Venetiis, MDLII, a pag. 49. 
(2) Vedi l'Appendice XX. 
(3) Opera, a pag. 409. 


————_————-—-—-—T—Pr rn —— 


— --....-.ὄ —. ——T tte  ——————— 


DI A. URCEO CODRO 293 

Il Volta, mentre visse in patria, fu Canonico della 
Metropolitana ed Arcidiacono. Aveva ottenuta la Laurea 
nelle Leggi nel 1514, ed era stato ascritto tanto al Col- 
legio di Diritto Civile che a quello di Canonico. Nel 1512 
il Senato l'aveva eletto professore del Sesto e delle Cle- 
mentine (1), che insegnò sino al 1524. In quell'anno, essendo 
Priore del Collegio di Diritto Canonico, fu chiamato a Ro- 
ma (2), dove erano noti e l'ingegno e la dottrina del nostro 
bolognese, e vi fu ben presto creato Protonotario Aposto- 
lico, poi Capellano del Pontefice. Nella quale dignità molto 
lo dovette apprezzare Clemente VII, perocchè ei ne fece 
tale estimazione, che, insieme col Cardinale Giovanni 
Salviati, lo inviò Legato al Re di Francia e all’ Impera- 
tore in Ispagna. ‘Poscia, nuovamente col Salviati, lo 
mandò alla Dieta di Cambrai, perchè, dovendosi colà 
trattare cose della più grande importanza, ed essendo 
egli di finissimo ingegno e di profonda sapienza, potesse 
dar consiglio a quel Cardinale. Nè a lui sarebbe certa- . 
mente mancato l’ onor della porpora, se la morte non 
lo avesse colto, mentre ei passava da Bologna, ai 19 
di luglio dell’anno 1529. Ne solo delle Leggi, ma anche 
delle dottrine insegnategli da Codro, doveva aver gran- 
de perizia, giacchè nel 1516 egli fu' scelto a leggere 
la Retorica e la Poetica nello Studio, in luogo di Gian 
Antonio Modesti (3), il che non fu notato nè dal Maz- 
zetti (4), nè dal Fantuzzi (5) che confessa inoltre di non 


(1) Partitorum, Vol. XIV, a carte 126 retto e 144 verso; XV, 
a carte 63 verso; XVI, a carte 131 verso e 132 retto. 

(2) Primus liber secretus iuris pontifici ab anno 1377 ad annum 
1528 - a carte 218 verso e 219 retto. (Archivio del Reggimento). 

(3) Partitorum, Vol. XV, a carte 63 verso. 

(4) Repertorio cit., a pag. 325, N. 3153. 

(5) Not. degli Scritt. Bol. Tomo VIII, a pag. 217. 


204 MALAGOLA 


conoscere alcuno scritto del Volta. Sarà quindi non-inu- 
tile che io riporti un suo epigramma, l'unico, ch'io sap- 
pia, che abbia veduto la luce, e che trovasi nelle Collet- 
tanee, più volte citate, dall'Achillini raccolte in occasione 
della morte dell'Aquilano: 


« Cornelius Volta Bononiensis. 
Qui potuit domitare feras, pontique furores 
Hic iacet, et cineres haec habet urna suos: 
Hic absunt manes, et adhuc sub iudice certant 
Theiciam cantu preteriisse lyram; 
Illa negat, placasse refert ixionos angues, 
Hi cantu cantus sistere caelicolum: 
Hoc certamen habet, lis est non parva, viator, 
Haec potuit Ditem sistere, at hi Superos (1) ». 


Ancora fu discepolo di Codro Camillo Paleotti, iu- 
niore, di nobile famiglia bolognese, stimato per grande 
prudenza nel condurre i publici negozi e per molta dot- 
trina nelle lettere. Fu unb dei trentasei figli del cele- 
bre professore di leggi Vincenzo Paleotti, cavaliere, e 
Consigliere di Enrico Re d’ Inghilterra. Sino dalla fan- 
ciullezza Camillo si mostrò molto studioso, laonde sotto 
la disciplina di Codro apprese maravigliosamente la Re- 
torica e la Poetica. Poscia, condottosi a Roma, stette 
alcun tempo nella casa dove abitavano Pietro Bembo, 
Giacomo Sadoleto e Federico Fregoso, allora giovinetti, 
i quali, insieme col nostro Camillo, vicendevolmente sl 
animavano negli studi delle lettere. Il Paleotti, ritornato 
in patria, fu scelto nel 1504 a leggere Retorica e Poe- 
tica nello Studio (2) (dove insegnò fino al 1512) e nel 


(1) Op. cit., a carte 19 retto non num. 
(2) Partitorum, Vol. XII, a carte 54 retto 


DI A. URCEO CODRO 295 


1506 all'ufficio di Cancelliere del Senato (1); nè per 
‘questo intralasciò l’ insegnamento. Scrisse molte compo- 
sizioni poetiche elegantissime, che Annibal Caro giudicò 
da pregiarsi grandemente sì per la lingua e sì pei con- 
cetti (2). Il nostro Codro indirizzò a Camillo Paleotti un 
epigramma, nel quale rammenta 1᾿ affetto onde era ria- 
mato da quel suo illustre discepolo: 


« Cui mitto, iuvenes lyrae scientes, 
Nostros endecasyllabos, salesque 
Prudens quos cecinit Thalia nuper? 
Hos dono tibi, nobilis Camille, 

Qui me plus aliis amas Poètis (3) ». 


Neppure di Camillo Paleotti conobbe il Fantuzzi 
alcuna scrittura (4); io ho invece trovato di lui due epi- 
grammi. Il primo si legge nella rarissima edizione della 
Logica di Guglielmo Okam (5), ed è il seguente: 


« Okam, squalidus, horridus, lacerque, 
Ingens o scelus! hactenus fuisti, 
Nondum Felsineae patens iuventae. 
Obductus carie, cibusque blattis 
Longo tempore sordidis relictus. 


(1) Partitorum, Vol. XIII, a carte 5 verso. 

(2) Fantuzzi - Tomo VI, a pag. 236. 

(3) Opera, a pag. 412. 

(4) Not. degli Scritt. Bol. Tomo VI, a pag. 296. 

(5) Logicorum acutissimi summa totius logicae Magistri Guiliel- 
mi de Occham ex ordine fratrum minorum tenerabilis inceptoris: 
in omnium disciplinarum genere doctoris plus quam sublilis - In fine - 
ve. Impressaque est Bononie non paruo ere Benedicti Hectoris Bono- 
niensis... die sexto Aprilis 1498. Vedi a carte 95 rerso. 


206 MALAGOLA 


Nunc splendens ades, integer, venustus, 
Formosus, tibi lora rubra et acri 
Rasus pumice surgis expolitus ; 

Te pictum minio, nec umbilicis 
Fraudatum, dialectici frequentant. 

Hoc Marcus tibi praebuit sacerdos: 
Hu:ic debes; miseratus ille solus 
Te lucem rerocavit in serenam 
Ut quondam pia Virbium Diana ». 


L'altro epigramma del Paleotti si legge nel volume, 
già ricordato, che contiene la vita di Apollonio Tianeo, 
scritto da Filostrato, stampato in Bologna nel 1501: 


« Ad Philippum Beroaldum praeceptorem 
incomparabilem. Camilli Palaeotti 
Bononiensis 
Epigramma. 


Cum tua tempus edax legeret monumenta, Philippe, 
Haec, quibus aeternum tollis in astra caput, 

Ingemuit vinci indignans, gladioque parabat 
Aut laqueo vilem deposuisse animam. 

Cui mors illachrymans gravior mea cura metusque est, 
Imperium quassat fortius ille meum: 

Nuper ab infernis remeare Philostraton antris 
Iussit, et invita morte videre diem (1). » 


Il Paleotti, per quanto è noto, morì nell’anno 1530, 
in fama di uno dei migliori letterati che avesse nel secol 
d’oro la sua patria. 

Tra i discepoli dell’ Urceo niuno gli fu per certo 
più affezionato di Bartolomeo Bianchini, bolognese, di 


---- - —- — —  - ——_— 


(1) Opera citata, a carte 93 retto. 


DI A. URCEO CODRO 297 


nobile famiglia, ornato di buone lettere, studioso delle 
‘antichità, ed amantissimo delle arti. È questi l’ autore 
della prima Vita che di Codro sia stata scritta, aven- 
dola egli dettata nel 1501. In essa lasciò notizie prezio- 
sissime, tolte (per testimonianza di lui medesimo) da 
un’ altra Vita più breve, che ebbe « vernaculo sermo- 
ne (1) » dal fratello di Codro, Pietro Antonio, e dove 
anche ci tramandò molte cose a lui note, che aveva 
udite dalla bocca del maestro, e che noi non avremmo 
potuto altrimenti sapere. Quella pregevole scrittura fu 
lodata per elegantissima da Leandro Alberti, e ristam- 
pata dall’ Egnilfo in Francoforte in un volume, insieme 
con altre vite di uomini illustri di ogni nazione. Il nostro 
Codro rammentò ne’ suoi Discorsi il Bianchini e lo enco- 
miò con queste parole: « Plurima laude in hoc decoran- 
dus est Bartholomaeus Blanchinus noster, cuius proba- 
tissimi mores atque vitae instituta valde sunt laudanda; 
omnia etenim quae iuveni cum primis desideranda 
sunt, in eo animadvertere licet;.... sequitur, imitatur, 
amati, et vere amat, poetas, philosophos, et maxime 
pictores egregios (2) ». Filippo Beroaldo il vecchio, il 
quale fu maestro anch'egli del Bianchini, nei Commen- 
tari ad Apuleio conferma le parole già riferite, scritte 
da Codro intorno a Bartolomeo: « Bartolomaeus Blan- 
chinus..... effingit, ac repraesental tuvenem ea omni 
parte laudabilem..... Diligit doctos..... contubernio pro- 
borum artificum laetatur, mawime pictorum; habet 
domi, veluti in larario, numismata ea auro el argento 


(1) Vedi la lettera a Mino Rossi, con cui il Bianchini gli dedica 
questa vita di Codro - Opera, e pag. 3 non num. 
(2) Opera, a pag. 218. 


298 MALAGOLA 


cumpluscula, quibus minulae magnorum virorum fa- 
cies expressae conspiciuntur... (1) ». Lo stesso Beroaldo 
dedicò a Bartolomeo Bianchini l'edizione di alcuni opu- 
scoli di Censorino, di Cebete, di Luciano, di Epitetto, di 
Basilio e di Plutarco già ricordata, cominciando la let- 
tera dedicatoria con queste molto onorevoli parole: 
« Pulchrum esi congerere numismata illustrium varo 
rum, pulchrius Bibliothecam librorum monumentis 
instruere, pulcherrimum vero utrumque conficere. Tu 
utroque studio deleciaris et hoc geminato honestamen- 
to conferis, quod et bibliothecam libris refertam habes, 
et cultissimum quodam quasi Lararium nitore numi 
smaton exornas..... Nec tu mutorum [ut aiunt)] magi- 
strorum lectione contentus, vivae vocis quae plenius 
alere creditur alimenta perquiris, quotidie gymnasium 
nosirum invisis, ut nos qualiacumque detonantes inau- 
dias... (2) ». 

Ed Enrico Caiado, scriveva del Bianchini in un 
epigramma: 


Integritas vitae, pulchrae praestantia formae, 
‘—Aetatis candor, nobilitas generis 
Te mihi conciliant, faciuntque ut nil magis optem 
Omnibus in rebus quam placuisse tibi (3) ». 


Ed in un carme, dopo aver lamentato che poco di 
pregevole si trovasse nei versi di molti dei poeti del 
loro tempo, gli rivolge queste parole: 


(1) Op. cit., a carte 221 verso. 
(2) Lib. cit., al verso della prima carta. 
(3) IL? edizione, a pag. 113 non num. 


DI A. URCEO CODRO 299 


« Ingeniis, Blanchine, faves tu solus in urbe 
Felsinea, solum te mala nostra moreni; 
Quae si divitibus mens omnibus esset, ubique 
Naso suum caneret carmen, ubique Maro. 
In te praesidium pictoribus atque poétis 
Ars quibus est eadem, mens quibus est eadem. 
Gloria pictorum sis, testis Francia nobis, 
Nec tu mentiri me Beroalde sinas (1) ». 


Bartolomeo fu in amicizia con molti dotti del suo 
tempo, e massime con Matteo Bosso, che in molte lettere 
parla di lui con altissima stima, e particolarmente in 
una del 1497, scritta quando Bartolomeo, allora assai 
giovane, dava già grandi speranze di sè (2). Questo 
discepolo dell’ Urceo morì certamente prima del 1528, 
avendo il Casio nella « Cronica », stampata in quel- 
l’anno, scritto in morte di lui un epitafio in versi, così 
concepito: 


« La spoglia ha qui Bartolomeo Bianchino 
Di Lettre, di Medaglie e di sculture 
Vera ebbe cognition, e di Figure, 
Gratie, e Virtù, che l'han fatto Divino (3) ». 


Nella I. R. Galeria di Berlino ammirasi un qua- 
dro del Francia, rappresentante la Beata Vergine, che 
da quel sommo pittore fu dipinta pel Bianchini, siccome 
dimostra il distico seguente, che in esso sì trova: 


__*tL__—— rr 


(1) IL.* edizione, a pag. 154 non num. Altri versi indirizzò il 
Caiado al Bianchini, e trovansi a pag. 183 e 186 della seconda 
edizione dei carmi del portoghese. 

‘ (2) Fantuzzi - Not. degli Scritt. Bol. Tomo II, a pag. 179 nota 4." 

(3) Op. cit., a carte 47 retto. 


5300 MALAGOLA 
« Bartolomei sumptu Blanchini maxima matrum 
Hic vivit manibus Francia pincta suis (1) ». 
\ 


Usò pure alla scuola di Codro un cugino di Barto- 
lomeo, e fu Pellegrino Bianchini, giovane da morte im- 
matura tolto alle lettere. Di lui così parla Bartolomeo 
nella vita di Codro, fra gli altri discepoli di quest’ il 
lustre: « ... Peregrinus Blanchinus consobrinus meus, 
iuvenis altae admodum indolis, qui, heu miseram 
inortalium conditionem! acerbissimis raptus est fatis. 
Tuam, mi consobrine, memoriam summa cum bene- 
volentia in pectore habeo, eritque aeterna dum vita sup- 
petel (2) ». Niun' altra notizia ci è rimasta di Pelle- 
grino. 

Anche furon carì all’ Urceo, tra' suoi discepoli, due 
altri bolognesi di nobile famiglia, Antonio di Ludovico 
Albergati e Gian Battista Palmieri. Al primo il Caiado 
indirizzava un epigramma di questo tenore: 


« De Antonio Albergato. 


Scrinia Thespiadum quaedam mea forte reclusit, 
Legit, et in chartis nomina multa meis: 

Blanchinum, Barbatiadas, Minum, Beroaldum, 
Rangonem, Blanchum, Bentivolum, Pepulum. 


Albergatus abest Cyrrhaei gloria collis; 
Civibus ille suis annumerandus erat. 
Fautorum e turba, si praetermiserit unum, 


Effugere ingrati non potes ipse notam. ν 


(1) Frizzoni Gustavo - Gli affreschi di Santa Cecilia in Bologna - 
Brescia - 1877. 
(2) Codri Vita, a pag. 16 non num. 


DI A. URCEO CODRO 301 


Inter tot Superos quondam mneglecta Diana, 
Ultricem Tydei misit in arva feram. 

Dixit, et intuens furibunda evanuit auras: 
Magnum, Bentivolus ni foret, ausa nefas (1) ». 


Sappiamo dal Dolfi (2) che Antonio nel 1515 rinun- 
ziò all’ Ospedale dei Bastardini le possessioni che per 
lo spazio di oltre un secolo aveva goduto la sua fami- 
glia pel mantenimento del Ponte di Reno. 

Ultimo fra i discepoli italiani di Codro nominerò 
Gian Battista Palmieri, il quale secondo che lascia cre- 
dere la lettera che gli scriveva da Milano il suo mae- 
stro ai 23 di novembre del 1494, era in amicizia con 
Anton Galeazzo Bentivoglio, con Tomaso Gambaro e 
con Andrea Magnani. 

Ora mi resta a parlare dei discepoli non italiani, 
che udirono l' Urceo in Bologna. Dei quali (sebbene cer- 
tamente dovessero essere molti) pochi a noi sono noti, 
cioè Giovanni Mauroleto Museo, -Giovanni De Pins e 
Ferrico Carondileto. 

A Giovanni Mauroleto Museo Giovanni De Pins, 
indirizzava in tal modo una lettera: « Zoannes Pi- 
nus Tholosanus iuris et eloquentiae studiosus, Ioan- 
ni Mauroleto Musaeo Turonensi Iurisconsulto et Ora- 
tori δ. P. D. ». L'aggettivo « Turonensi », che 
denota la patria di questo scolare dell’ Urceo, ha dato 
a pensare non poco, giacchè nè in Thorn (3), nè in 


(1) 1.8: edizione, a pag. 120 non num. 

(2) Op. cit.. a pag. 33. 

(3) Il ch.®° signor prof. Massimiliano Curtze, Segretario della 
Società Copernicana, mi scriveva che di questo Giovanni Mauroleto 
Museo non si ebbe mai notizia in Thorn; che in quella città nel 1507 
predicava in Santa Maria un Giovanni Museo, nativo di Vetzsdha in 


302 MALAGOLA 


Tours (1) si ebbe notizia mai di questo giureconsulto, 
e v'è chi crede ch'egli fosse nativo di Trani, che in 
latino medioevale era detta « Turenum (2) ». Di lui 
non abbiamo altra notizia. 

Ma il più celebre di questi tre fu per certo Giovanni 
de Pins nato in Tolosa, in Francia, circa il 1470, dalla 
famiglia catalana di Odone de Pins. Dopo aver visitato, 
per istruirsi, le Università di Tolosa, di Poitiers, di Pari- 
gi e di Bologna, ov'ebbe per maestro, oltre a Codro, 
il vecchio Beroaldo, ritornò alla città natale nel 1497, 
e vi prese gli ordini sacri; dopo di che, venuto nuova- 
mente a Bologna, sembra vi sì fermasse cinque anni, 
nei quali non è a dire quanto dovesse profittare della 
dottrina de’ suoi due maestri. Restituitosi di nuovo in 
Francia, fu nominato Consigliere Ecclesiastico al Parla- 
mento di Tolosa nel 1511, ed in seguito il Cancelliere 


Sassonia, il quale hel 1571 già trovavasi il Manzfeld, dove morì nel 
1576, ma il Curtze non crede che questo possa esser il Museo, cui 
indirizzò la lettera il De Pins, e che egli ritiene piuttosto di Trani. 
L'essere costui stato in Thorn, dov'è facile che fosse anche allor 
quando scriveva la lettera il De Pins, che per ciò poteva erederlo 
di quella città, l'uguaglianza del nome e di uno dei cognomi, la 
comune qualità di oratore, ed anche la lieve differenza (che potreb- 
be credersi errore in parte dello scrittore, in parte dello stampatore) 
fra il Thorunensi e il Turenensi (che così avrebbe dovuto dire se 
si fosse voluto indicare il Museo come di Trani) e il non opporsi 
per nulla le date, mi sembrano argomenti che non escludano affatto 
che il predicatore di Thorti ed il discepolo di Codro potessero essere 
una sola persona. 

(1) Lettera di quel Bibliotecario, sig. Dorange, dei 6 aprile 1876. 

(2) Veggasi l'articolo del ch.®° prof. Curtze, intorno il libro 
dell’illustre prof. comm. Berti, nel giornale: « Jenaer Literaturzeitung 
im auftrag der universitàit Iena — lena 17 febbraio 1877 N. 7, a 
pag. 106 e 107. 


DI A. URCEO CODRO 303 


Duprat volle condurlo seco in Italia, facendolo nominar 
Consigliere del Parlamento istituito in Milano da Fran- 
cesco I. L’ingegno e la destrezza, di cui diè prova il 
De Pins, gli procacciarono la benevolenza e la stima 
del Re di Francia, che a lui commise importanti negozi 
a Venezia nel 1516, e a Roma nel 1520. In ricom- 
pensa delle sue fatiche fu nominato Vescovo di Pa- 
miers nel 1520, poi di Rieux nel 1523; e d'allora in 
poi non ad altro attese che alle cose della sua Diocesi. 
Ebbe commercio epistolare con Erasmo di Rotterdam, 
col Sadoleto e con altri sapienti letterati de’ suoi tempi, 
che lodarono assai l' erudizione di lui e l'eleganza del 
suo stile, anzi Erasmo ne scrisse queste parole di lode: 
« Potest inter Tullianae dictionis competitores nume- 
rari Iohannes Pinus ». Di lui ci restano diverse ope- 
re, fra le quali sono notevoli la vita di Santa Caterina 
da Siena, che scrisse e stampò in Bologna nel 1505, 
quella di San Rocco, che stampò in Venezia nel 1516, 
nel quale anno fu da lui posto in luce nella medesima 
città un « Allobrogicae narrationis libellus ». Ebbe 
nome a' suoi giorni l’opera del De Pins « De Claris 
foeminis », da lui fatta imprimere in Parigi nel 1521, 
ma gli procurò maggior fama l' altra, edita in Tolosa, 
« De vita aulica (1) ». 

Aggiungerò che nel rarissimo opuscolo ἐπ folio 
(già descritto in una nota del capitolo precedente (2)) 


(1) Debbo la maggior parte di queste notizie al dotto bibliote- 
cario di Tours, signor Dorange, membro della Società Archeologica 
di Turenna, autore dell'opera: « Catalogue descriptif et raisonné des 
manuscrits de la Bibliotheque de Tours.. (Tours 1875)» la quale fu 
molto lodata dai giornali d’Italia, di Francia, d'Austria, d’ Inghilterra 
e d'America. 

(2) A pag. 253 III, nota 2. 


304 MALAGOLA 


e che contiene scritti in prosa ed in verso in morte di 
Codro, si legge un’ epistola e due poesie latine del De 
Pins, le quali furono poi ristampate nelle edizioni delle 
opere dell’ Urceo fatte in Venezia, in Parigi ed in Basi 
lea (1). Un’ elegia latina di questo illustre francese si 
legge nel volumetto, più volte citato: « Colectanee grece 
latine et vulgari ne la morte de È ardente Seraphiîno 
Aquilano », raccolte e mandate in luce nella nostra cit 
tà da Giovanni Filoteo Achillini nel 1504-(2). Noterò da 
ultimo che mentre il De Pins dimorava in Bologna gli 
fu dedicato l'opuscolo preziosissimo: « Alani Varenii 
Montalbani Tholosatis De Luce intelligibili Dialogus 
unus », che fu impresso due volte nella nostra città nel- 
l'anno 1503 da Gian Antonio Platonide de’ Benedetti. 

Ancora debbo qui far menzione di Ferrico Caron- 
dileto, borgognone, che molto probabilmente fu discepolo 
del nostro, ed al quale il De Pins indirizzava un ep 
gramma, che porta il titolo: « Ad nobdilem et generosum . 
virum Ferricum Carondiletum Burgundum, Iuris οἱ 
Eloquentiae candidatum... », dove sono notevoli questi 
versi che ricordano il nostro: 


« En tibi vitales felix prorupit in auras 

Codrus, Romuleis non minor auctor avis, 

Codrus et Ausoniae non infima gloria gentis, 
Qui latios Grais miscuit ore sales. 

Quo se Palladiis gratissima Felsina Musis 
Iactat, et amisso frangitur orba duce. 

Si veteris sanctique tenes documenta sacelli, 
Sique Palaemoniae vis memor esse domus, 


(1) Opera, a pag. 426, 427, 428 e 429. 
(2) Op. cit., a carte 43 verso non num. 


DI A. URCEO CODRO 305 


Suscipe et antiquum supplex venerare magistrum, 
Suscipe tu et sacris da pia thura focis. 
Aediculss quondam vixrit contentus in orbe, 
Iam sua post mortem gloria maior erit (1) ». 


Dalle lettere di Erasmo di Rotterdam, che fu amico 
di Ferrico, sappiamo che questi fu Arcidiacono di Bitonto 
in terra di Bari (2), e fratello di quel Giovanni Caron- 
dileto, Vescovo di Palermo e Cancelliere di Brabanzia, 
al quale molte lettere scrisse Erasmo come a dotto e 
venerato amico (3). 

Ora sarebbe a far menzione del più illustre dei di- 
scepoli stranieri che abbia avuto 1᾿ Urceo, cioè dell’ im- 
mortale Nicolò Copernico. Ma l'importanza del soggetto, 
l'essere appena nota la sua dimora in Bologna, e la 
gloria non peritura che a Codro è per venire dall’ essere 
stato maestro a quel singolarissimo genio, meritano che 
di lui si tratti a lungo e partitamente; il che sarà fatto 
nel capitolo che segue. 


(1) Opera, a pag. 428 e 420. 
(2) Op. cit., Tomo III, parte, I, col. 925. 
(3) Op. cit., Tomo III, parte I, col. 690, 715, 794, 932, 972 9 
1122. 
20 


306 MALAGOLA 


CAPITOLO VIII. 


Della dimora di Nicolò Copernico in Bologna. 


I. Di Nicolò Copernico discepolo di Codro nella lingua greca. — 
II. Suoi studi prima di recarsi in Italia. — IN. Per quale probabile 
cagione sia venuto allo Studio di Bologna, ove fece parte della 
Nazione Allemanna. — IV. Documenti inediti intorno a Nicolò Co- 
pernico in Bologna. — V. Se il documento trovato dal dott. Palagi 
possa riferirsi a Nicolò Copernico. — VI. In Bologna studiò il Diritto 
Canonico. — VII. Non vi prese Laurea. — VIII. Quali furono i suoi 
maestri nel Diritto Canonico. — IX. Qual parte dell' insegnamento 
legale esponesse ciascuno di questi negli anni nei quali Copernico 
dimorò in Bologna. — X. Se avesse studiato il greco prima di venire 
in Italia. — XI. Lo apprese dall’ Urceo. — XII. Quali autori greci 
fossero spiegati dal nostro, mentre Nicolò era in Bologna. — XIII. 
Merito dell’ Urceo verso il Copernico. — XIV. Di Domenico Maria 
Novara e della sua amicizia con Nicolò. — XV. Se Scipione Dal Ferro 
sia stato maestro del Copernico. — XVI. Di Andrea Copernico. — 
XVII. Se Nicolò, mentre abitava in Bologna, si recasse a Frauen- 
burgo, e quando. — XVIII. I due fratelli Copernico vivevano in Bo- 
logna poveramente. — XIX. Ultime memorie di Nicolò Copernico in 
Bologna. — XX. Degli Allemanni che furono nella nostra città nel 
tempo in cui vi stette Nicolò Copernico. — XXI. Del Cardinale 
Nicolò da Cusa. 


I. Poichè l’illustre Professore, Commendatore Dome- 
nico Berti, nel suo libro intorno il Copernico (1), mostrò 
che questi fu discepolo nelle lettere greche del nostro 
Antonio Urceo, stimo necessario (dovendo io seguitare 
a dire dei discepoli stranieri che ebbe questo celebrato 


———m 


(1) Op. cit., cap. VII, pag. dl. 


; DI A. URCEO CODRO 307 


umanista) trattare nel presente capitolo di Nicolò Coper- 
nico, e più specialmente della sua dimora in Bologna (1). 

In due periodi, secondo me, potrebbe, distinguersi 
la vita di Nicolò Copernico. Del primo, che dalla sua 
nascita giunge fino al 1506, restano pochissimi docu- 
menti e qualche memoria di osservazioni astronomiche 
fatte in Bologna od in Roma dal celebre Nicolò, e da 
lui medesimo notate nell’ opera « De Revolutionibus or- 
bium caelestium >» (2), e quindi regna per tutto questo 
periodo la massima incertezza. Il secondo stendesi dal 
detto anno 1506 fino alla morte del Copernico, e di que- 
sto non mancano gli opportuni documenti. La dimora di 
Nicolò in Bologna appartiene appunto al primo periodo, 
e per ciò non sì hanno di essa che scarsissime notizie, 
alle quali gli scrittori cercarono di supplire con diver- 
se supposizioni. Di queste io non terrò conto, giacchè 
non porgono alcun indizio sicuro, e mi varrò soltanto 
delle poche memorie certe, che finora si sono trovate. 
Inoltre, coi documenti che nell’ Archivio privato della 


(1) Veggasi l'opuscolo col titolo: Regia Deputazione di Storia 
Patria per le Provincie di Romagna. Tornata X - 9 Aprile 1876 e 
Tornata XI - 23 aprile 1876, contenente il sunto (compilato dal f. ἢ 
di Segretario Conte Cav. Prof. Cesare Albicini) del presente Capitolo, 
che fu letto nelle predette Tornate della R. Deputazione di Storia 
Patria in Bologna. (Fstratto dalla Gazzetta dell’ Emilia, A. 1876, 
num. 116 e 123, Tipografia Fava e Garagnapni). 

-(2) Spicilegium Copernicanum — Festschrift des historischen Ve- 
reins fur Ermland zum vierhundertsien Geburtstage des ermlànd:- 
schen Domherrn Nikolaus Kopernikus. — Herausgegeben von Dr. 
Franz Hipler, ord. Professor an der theologischen Fakultàt und Re- 
gens des Bisch5flich-Ermlindischen Priesterseminars zu Braunsberg. 
— Braunsberg, 1873. — Verlag von Eduard Peter — Vedi a pag. 
267 nei Regesta Copernicana. 


908 MALAGOLA 

famiglia dei Conti Malvezzi de’ Medici di Bologna (aper- 
tomi ‘per cortesia del ch.®° signor Conte, Dottor Nerio 
Malvezzi) ho potuto scuoprire intorno a Nicolò Copernico, 
al fratello Andrea ed a Luca Watzelrode, loro zio, 
cercherò di interpretare, secondo che mi parrà ragio- 
nevole, le poche memorie sicure, finora conosciute, del 
soggiorno di Nicolò Copernico nella nostra città. Aggiun- 
gerò eziandio, intorno a Domenico Maria Novara, e a 
Scipione Dal Ferro alcune considerazioni, che possono 
farsi osservando diversi documenti che li riguardano, 
e che trova) nell'Archivio dell’ antico Reggimento e nel 
Notarile di Bologna. Ma intorno a Nicolò Copernico ed 
al fratello, per quante ricerche io abbia praticate negli 
Archivi publici della nostra città, ancora sparsi e disor- 
dinati, non potei rinvenire la più piccola memoria, ed 
oso dire che alcuna veramente non ve ne sia: talchè, se 
il privato Archivio della famiglia Malvezzi de' Medici non 
ci porgesse il soccorso dei documenti citati, che sono 
i primi che del sommo astronomo si scoprano in Italia, 
Bologna, che or son pochi anni, mostrò di gloriarsi, e 
degnamente, d'avere avuto scolaro nel suo celebratis- 
simo Studio un tant’ uomo (1), non avrebbe ne’ suoi ar- 
chivi documento alcuno di lui. Ma entriamo senz'altro 
nell’ argomento. 

II. Nicolò Copernico nacque, com'è ben noto, in 
Thorn, il di 19 febbraio del 1473, da un altro Nicolò 
e da Barbara Watzelrode, sorella di Luca, vescovo del- 
la provincia di Varmia; fece i primi studi anzi tutto 


(1) Si vegga l'opuscolo: — ΧΙΧ Febbraio MODCCCLXXIII — 
Cammemorazione di Nicolò Copernico nella Regia Università di Bolo- 
gna — Bologna - Società Tipografica dei Compositori - 1873. 


DI A. URCEO CODRO 309 


nella casa paterna, secondo che affermano i suoi bio- 
grafi, di poi nella scuola parrocchiale di San Giovanni 
di Thorn. Egli è certo del resto che nel 1491 era di già 
in Cracovia, perocchè sotto il nome « Nicolaus Nicolai 
de Thuronia » vi fu inscritto, pel secondo semestre 
dello stesso anno, nella Matricola della Facoltà Filosofica 
dell' Università, essendone Rettore Mattia di Coblinia (1). 
In quella Facoltà s' insegnavano allora Metafisica, scien- 
ze matematiche e naturali e la « teorica planelarum et 
perspectiva » (2). Non è ben noto quanto tempo ivi si 
fermasse, ma pare ch'ei vi stesse fino al 1495, secon- 
do che ha congetturato l’ illustre prof. Leopoldo Prowe, 
benemerito Presidente della Società Copernicana di Thorn, 
e dotto biografo dell’ astronomo immortale (3). 

III. È provato che Nicolò, quando venne in Italia, 
non era ancor stato eletto canonico, giacchè egli succe- 
dette a Giovanni Czannow, morto ai 26 d'agosto del 
1467 (4). Tuttavia è da supporre che fin d’allora potesse 
aver speranza (massime essendo vescovo della diocesi 


(1) ’Zywot Kopernika i jego naukowe szaslugi - R3ecz csytano 
na publicaném posielzeniu c. k. Uniwersytetu Jagiellonskiego dnia 
19 lutego 1873 przez Prof. Dra Karlinskiego, Dzichana Wydz. 
Filozof. - W Krakowie,.... K. Mankowskiego - 1873, a pag. 40. 

(2) Karlinski - Opusc. cit.: "Zywot Kopernika etc. Vedi le 8 tavole 
poste in fine. 

(3) Nicolaus Copernicus auf der Universitàt zu Krakau — Tro- 
vasi nell’opuscolo: Gymnasium mit Realschule I. OrAnung zu Thorn 
— Zu der am Freitag den 2.ten October 1874 stattfindenden Offen- 
tlichen Prufung aller Gymnasial - und Real - Klassen und der 
Entlassung der Abiturienten ladet ehrerbietigst und ergebenst cin der 
Director A. Lehnerdt.... Thorn 1874 - Gedruckt in der Buchdrucke- 
rei von FJ. Buszcaynski - Vedi a pag. 17. 

(4) Hipler - Spicilegium Copernicanum - a pag. 267 N. 4. 


310 MALAGOLA 


varmiense lo zio Luca) di diventar canonico di Frauen- 
burgo, sede di quella diocesi. Le Costituzioni di quel 
Capitolo stabiliscono all'articolo LI: « .... quod quilidbet 
Canonicus de nouo intrans, Nisi in Sacra pagina Ma- 
gister vel Bacalarius formatus, Aut in Decretis vel 
in Jure Ciuili aut în medicina seu phisica Doctor aut 
Licencialus extiterit, post residenciam primi anni, 
δὲ Capitulo visum et eapediens fuerit, teneatur ad 
Triennium ad minus în aliquo studio priuilegiato în 
vna dictarum facultatum studere Sicque soli studio 
operam dare, vt îugiter et continue în ipso per memo- 
ratum triennium perseueret.... (1) ». Per questo forse 
il Copernico, quantunque non fosse ancora canonico, pro- 
babilmente concepì il proposito di recarsi a studiare in 
Italia il Diritto Pontificio. 

Quanto poi alla cagione per cui Nicolò prescelse di 
venire allo Studio di Bologna, ἃ me pare che si possa 
francamente asserire, che oltre la fama somma che que- 
sto Studio aveva levato per ogni parte del mondo, vel 
dovesse mandare lo stesso suo zio e protettore, il ve- 
scovo Luca Watzelrode, che qui aveva studiato egli 
pure Diritto Canonico dal 1470 al 1473, e qui fatto 
parte della Nazione Allemanna (come consta dai libri 
di essa che si conservano nel privato archivio Malvezzi 
de' Medici in Bologna) prima come semplice scolaro, dal 
1470 (2), poi nell’anno 1472 col grado supremo di Pro- 
curatore della Nazione (3). Oltre a ciò in questo famoso 
Studio, mentre v’era ancora studente, nell’anno scolastico 


(1) Hipler - Spice. Cop. - a pag. 261. 
(2) Vedi l' Appendice XXI, doc. 1.° e 2.° 
(3) Vedi l’Appendice XXI, doc. 3.° e 4.° 


DI A. URCEO CODRO 311 


1473-74, gli era stata concessa una « Lectura Univer- 
sitatis » del Decreto di Graziano (1), le quali « Lecturae » 
venivano per lo più assegnate a scolari poveri che avesser 
dato saggio, in una disputa, della loro dottrina; e l*ono- 
rario che per questo ricevevano (che era ordinariamente 
di 100 lire annue di Bolognini (2)) serviva a sopperire 
alle spese per la Laurea. Luca, non avendo ancor ri- 
cevuto il salario della sua Lettura quando sostenne 
l'esame dottorale, dovette costituir suo procuratore il 
dottore Antonio Da San Pietro (3), affinchè ritirasse per 
lui il danaro dovutogli dal Reggimento di Bologna; egli 
poi si obligò di pagare nello spazio di quattro mesi 
quanto doveva a’ suoi esaminatori per la Laurea, la- 
sciando in pegno ad Antonio da San Pietro una cassa 
di libri. Fu laureato in Giure Canonico nel 1473, ai 18 
di decembre (4). 

Inoltre è necessario osservare che prima di Nicolò 
Copernico, altri canonici erano venuti allo Studio delle 
Leggi in Bologna ed avevano fatto parte della Nazione 
germanica. Nel secolo XIV s'erano iscritti: nel 1374 
Arnoldo de Ragiten, e Nicolò Crutzburg, vicario per- 
petuo della chiesa varmiense; il primo di essi fu Pro- 


(1) Vedi l'Appendice XXI, doc. 5.° 

(2) La lira bolognese d' allora equivarrebbe a L. 4, e 69 cen- 
tesimi all’ incirca. 

(3) Antonio da 8, Pietro, figlio di Giovanni, fu laureato in 
ambo le Leggi ai 12 di luglio del 1428 e poscia ascritto al Collegio 
Canonico ed al Civile. Non sappiamo quando incominciasse a tener 
cattedra nello Studio Bolognese, perchè non ci restano Rotuli di esso 
anteriori al 1438. In quell'anno però già insegnava Diritto Cano- 
nico, e lo insegnò insino che visse, cioè insino ai 13 d’agosto del 
1476, in cui la morte lo colse in Bologna. 

(4) Vedi l'Appendice XXI, doc. 6.5, 7.5, 8.° 9.9 e 10.° 


312 MALAGOLA 


curatore della Nazione nel 1375, nel quale anno venne 
iscritto un altro canonico varmiense Enrico Rouer, (di 
ventato Procuratore degli Alemanni nel 1376), e nel 
1381 Vernero Dulmen, vicario anch'esso, come il Crutz- 
burg, della chiesa varmiense. Parimenti nel secolo XV 
Erasmo de Beke fu aggregato a questa Nazione nel- 
l'anno: 1412, e divenne Procuratore di essa nel 1420, 
e dottore in Diritto Pontificio nel 1422; Tomaso Moes 
fu iscritto nel 1413; il Decano Giovanni Pleeske nel 
1441, il Vicario Tomaso Boccard nel 1497. Anche i tre 
colleghi di Nicolò Copernico, i canonici Mattia Launau, 
Alberto Bischoff di Gedana e Fabiano de Lusianis si 
aggregarono alla Nazione germanica in Bologna, il pri- 
mo nel 1471, gli altri due nel 1490: e questi ultimi nel 
nostro Studio ricevettero la Laurea di Dottori in Dirit- 
to Canonico (1). Eravi dunque l'uso che i canonici della 
Diocesi di Varmia si portassero allo Studio delle Leggi 
in Bologna, e vi s’inscrivessero presso la Nazione Ale- 
manna. 

IV. Finora rimase incerto il tempo nel quale Ni- 
colò Copernico venne al nostro Studio, non essendosi 
mai scoperta memoria che lo indichi precisamente. In 
Bologna nell’Archivio di famiglia del signor Conte Com- 
mendatore Giovanni: Malvezzi De’ Medici, Senatore del 
Regno, trovai due documenti, che, interpretati coll’ aiuto 
delle antiche Costituzioni della Nazione Alemanna, ci 
porgono il modo di fissare sicuramente la data della ve- 
nuta del Copernico in Bologna. Il primo di questi docu- 
menti si trova in un volume in pergamena che contiene 


(1) Vedi l’Appendice XXII, doc. 1.9, 2.9, 3,9, 4° — 5.0, 6. — 
7, 8.9, 9.9, 10.0 — 119, 120 — 139, 14,9, 15.9, 16.9, 17.9, 180 — 
19.9, 20.° — 21.0, 22° — 23,9, 241° — 25.0, 26.9, 27.9, 280 29°, — 
30.9, 31.9, 32.9, 33.9, 34.° e 35. 


DI A. URCEO CODRO 313 


gli Atti del Collegio, o Nazione, degli Scolari Alemanni 
studenti in Leggi in Bologna dal 1265 al 1560, con note 
aggiunte fino al 1595 (1). Questo volume ha per titolo: 
€ ANNALES CLARISIMAE (810) NACIONIS GERMANORVM (2) »; 
ed ivi, al retto della carta 141.*, fra i nomi degli scolari 
che nell’anno 1496, aggregandosi a quella Nazione, le 
avevan pagato una tassa, ritroviamo il nome di Nicolò 
Copernico, a questo modo: 


« Recepta 
A domino nicolao kopperlingk de thorn 
IX grossetos (3) ». 

Si noti che l'Atto, il quale contiene questo docu- 
mento, porta la data del 18 gennaio 1497: ma di ciò 
più oltre. 

Nello stesso archivio rinvenni un altro volume, 
pur manoscritto, in pergamena, del secolo XVI, che è 
la Matricola degli scolari della Nazione Germanica in 
Bologna, e che s'intitola « MATRICVLA NOBILISS. GERM. 
COLLEGII ». Essa giunge, dal 1289, sino all’ anno 1684 e 
contiene pure una memoria di Nicolò Copernico, il nome 
del quale è segnato fra gli altri di coloro che furono 
iscritti nel 1496. Così si legge a carte 71 retto: 


(1) Mi pare che il conoscere la storia della_Nazione Alemanna 
in Bologna, della quale niuno sinora ha trattato particolarmente, sia 
qui necessario. La scriverò pertanto nella XXIII Appendice. 

. (2) Questo titolo leggesi nel retto del cartone superiore; nel 
terso dell’ inferiore, a lettere dorate, è scritto: IOHANNE SPIGEL: @®: 
ET: LvCA @: vLSTET: ©® PROCVRATORIBYVS δ: ὦκα ® AN δα ® m: D:. 
x.x.*®@. Appunto in quell’anno il volume venne legato, e così fu 
egregiamente conservato. 

(3) Vedi l’Appendice XXIV, doc.° 1.° 


314 MALAGOLA 


« ANNO Domini M.CCCC.XCVI. 
D. Nicolaus Kopperlingk de Thorn. gros- - 
setos nouem » (1). 

Riferita così quella parte dei documenti che mi tor- 
nava opportuno, riserbandomi di riportarli per intero più 
oltre, conviene ora che io faccia alcune considerazioni 
che gioveranno a spiegarli. Il primo dei due documenti, 
sinora inediti, accennati, ha nel principio, come dissi, la 
data del 18 gennaio 1497. Tuttavia non deve credersi 
per questo che Nicolò Copernico venisse soltanto allora 
in Bologna; ei vi dovette invece esser giunto sulla fine 
dell'anno precedente. Difatti il brano donde io trassi 
la breve memoria che ho riferito per prima, è una nota 
dei danari, che i Procuratori della Nazione Alemanna 
per l’anno 1496, avevano ricevuto, nel tempo in cui durò 
il loro ufficio, dagli scolari novizi, mentre a quella s’ag- 
gregavano: « A scolaribus novittis.... », come si legge in 
diversi altri luoghi di quello stesso libro manoscritto. 
Onde questa nota non è altro che il rendimento dei conti, 
fatto da quei Procuratori al cessare dalla loro carica; 
la qual nota, come tutte le altre che si trovano negli 
« Annales » della Nazione Germanica, è scritta d'un solo 
carattere e tutta αὐ un tratto, ed ha in fine la data non 
dell’anno in cui gli stessi Procuratori amministrarono 
il patrimonio della Nazione, sibbene del principio del 
seguente, dovendo essi rendere i conti quando l’' anno 
del loro ufficio era spirato. Questa usanza è più chia- 
ramente fatta manifesta dagli Statuti della medesima 


-— —— na 


(1) Vedi l'Appendice XXIV, doc. 2.° 


DI A. URCEO CODRO 315 


Nazione, redatti nel 1497, i quali, sebbene non fossero 
ancora in vigore quando Nicolò vi fu aggregato, pure 
(come ci rendon certi più ragioni, e specialmente l’ ugua- 
glianza di tutte quelle note) sancirono per questo caso 
particolare ciò che da secoli era in uso. In questi Sta- 
tuti, sotto la rubrica « De electione et officio et Pote- 
state procuratorum οἱ Iuramento per eos prestando », 
è decretato: « .... Et finito suo officio tempore consueto 
(Procuratores) resignent paramenta, libros, pecunias, 
et alia bona procuratoribus suffectis et sindicis ad hoc 
depuiatis. Et de omnibus halitis , perceptis, conseruatis, 
et quocumque distracto et expenso eisdem plenam et 
sufficientem debeant reddere rationem...... (1) ». E sotto 
la rubrica « Vf procuratores Rationem cum nomina et 
cognomina sua el tempus assumptionis ipsorum în ma- 
triculam nationis scribant » anco è stabilito che il secon- 
do Procuratore «... nomina el qualitales superuenientium 
de nouo dictam nostram nationem intrantium, et quan- 
lum quisque nouicius in ingressu nationis eisdem pro- 
curatoribus persoluerit, diligenter in librum nationis, 
quem matriculam appellant, scribat, seu scribi bonis 
caracteribus et literis procuret (2) ». Troviamo negli 
stessi Statuti altre disposizioni intorno il pagamento 
che gli scolari facevano nell'atto che v' erano aggre- 


(1) Si trovano nell'Archivio Malvezzi, in un volume membrana- 
ceo in formato di 4.°, che ha nella prima carta, aggiunto nel secolo 
XVI, il titolo seguente: « In hoc Zbro haec continentur Statuta et 
priuilegia Nationis Germanicae Bononiae Studentis ». Contiene lo Sta- 
tuto dell’ anno 1497 (il qual anno è segnato nella miniatura a carte 
2 retto), una disposizione del 1516 ed altre alquanto posteriori — Il 
brano citato qui sopra si trova a carte 7 verso. 

(2) Statuto del 1497 citato, a carte 8 verso. 


316 MALAGOLA 


gati. Così è scritto sotto la rubrica « De promouendis 
Ad dignitatem Episcopalem »: «....... attendentes quod 
pro diuinorum celebratione, funeralibus eaequijs, ce- 
reis, alijsque ornamentis ad diuinum cultum spectan- 
tibus, sumptus et impense fiunt non mediocres: pro- 
plerea etiam prisci et superiores nostri pro hutusmodi 
sumptibus- erogandis quemlibet nationis nostre schola- 
rem ad studium bononiense venientem pro qualibet 
marca reddituum propriorum în certa summa (dum 
inmatriculari uellet] danda gravarunt, pro ut in in- 
strumento de anno domini millesimo ducentesimo con- 
fecio plenius continetur et antiqua testantur slatuta, 
Nos tamen grauamen et contributionem huiusmodi, 
propriorumque reddituum obventionumque tarationem 
relarauimus, Et pro immatriculatione quid dare velit 
in cuiusque liberali arbitrio posuimus (1) ». Dai brani 
riferiti risulta dunque che i Procuratori della Nazzone 
rendevano il conto della loro amministrazione nel prin- 
cipio dell’anno che seguiva quello in cui avevan tenuto 
tale ufficio, e che gli scolari allemanni pagavano una così 
detta Marca, quando erano aggregati alla Nazione. Ora 
vedendo noi che dei danari avuti da Nicolò Copernico 
quando 8᾽ inscrisse, i Procuratori resero il conto nel 
gennaio del 1497, dobbiamo concludere che li avessero 
ricevuti nel 1496 e che quindi entro quell’anno Nicolò 
Copernico fosse già in Bologna. Se, dopo questo, ci oc- 
coressero altre prove, potremmo aggiungere che i due 
Procuratori che sottoscrissero quel rendimento di conti, 
ove son segnati i danari pagati da Nicolò, furono Pro- 
curatori appunto nell’anno 1496, e potremmo ancora 


(1) Stat. cit. del 1497, a carte 5 verso e 6 retto. 


DI A. URCEO CODRO 317 


osservare che nella « Matricula » degli scolari della Na- 
zione germanica il Copernico è iscritto appunto sotto 
l’anno 1496, non già sotto il 1497. Essendo certo adun- 
que che Nicolò era già in Bologna entro l’anno 1496, noi 
possiamo argomentare che qui cominciasse i suoi studi 
nell’anno scolastico 1496-97 e per ciò vi fosse venuto 
circa sui primi d'ottobre del 1496, quando cioè, secondo 
l'usanza, si apriva lo Studio; giacchè il di dopo San 
Luca, ossia il 19 ottobre, cominciavano a leggere i Decre- 
talisti e nel giorno appresso il resto dei professori. Dissi 
già che Nicolò Copernico succedette al canonico Giovanni 
Czannow, morto ai 26 agosto 1497. Questo è anche con- 
fermato dal fatto che sebbene negli statuti della Nazione 
Allemanna fosse comandato al secondo Procuratore di 
quella: « .... nomina οἱ qualitates superuenientium de 
novo dictam nostram nationem intrantium.... scribat », 
e sebbene tanto negli Annales, quanto nella Matricula 
di questa Nazione sempre si trovino notati insieme cogli 
altri titoli degli scolari, quelli pur di canonico, col nome 
eziandio del Capitolo al quale apparteneva l' inscritto e 
della diocesi da cui il Capitolo stesso dipendeva, pure 
Nicolò Copernico in quei libri è chiamato semplicemente 
« Dominus Nicolaus Kopperlingh de Thorn » e non è 
detto canonico. 

Dai documenti dell’ Archivio Malvezzi de’ Medici, 
come già dimostrai, è chiaro che Nicolò dovette comin- 
ciare il suo corso di studi in Bologna nell’anno scola- 
stico 1496-97, e inoltre abbiamo prova certissima che nel 
1497, nel 1499 e nel 1500 fosse pur sempre nella nostra 
città (1), talchè è indubitato che egli vi studiasse per 
tutto questo tempo e vi soggiornasse ancora nel 1500. 


(1) Hipler - Spic. Cop. - a pag.- 267. 


318 MALAGOLA 


Questo fatto (se già dal prof. Favaro (1) non fosse stato 
dimostrato quanto poco sia credibile il Papadopoli) toglie 
ogni fede all’ asserzione del Papadopoli stesso, che nella 
Storia dell’ Università Padovana afferma: « Nicolaum Co- 
pernicum Patavii Philosophiae ac Medicinae operam 
dedisse per annos quatuor, constat ex Polonorum Albis, 
ubi discipulus dicitur Nicolai Passarae a Genua, et 
Nicolai Verniae Theatini, a quo ad utriusque scien- 
hiae lauream provecium, asserunt acta collegi Med: 
corum ad an. MCDXCIX (2) ». Nè certo merita mag- 
gior credenza la gratuita asserzione del Borsetti, il qua- 
le nella sua « Historia Almi Ferrariensis Gymnasti » 
scrive che Nicolò Copernico in Ferrara fu discepolo di 
Domenico Maria Novara. 

V. Io non posso qui passare sotto silenzio che quan- 
do nell’ Università di Bologna celebravasi il quarto cen- 
tenario dalla nascita di Nicolò Copernico, il Dott. Cav. 
Alessandro Palagi, Astronomo Aggiunto di questo Osser- 
vatorio, publicò un documento che riferivasi ad un tale 
« Nicolaus de Alemania » approvato dottore in Medi- 
cina nel nostro Studio agli 8 di marzo del 1496, e dal 
Palagi creduto Nicolò Copernico (3). Se cotesto documento 
si riferisse proprio al celebre astronomo, noi dovremmo 
necessariamente credere che egli fosse venuto a Bologna 
circa nel 1490; ma i documenti dell’ Archivio Malvezzi 


= ———+——————————=—+—_——__—6—» 


(1) Nicolò Copernico e l'Archivio Universitario di Padova, lettera 
a D. B. Boncompagni — (Nel Bullettino di Bibliografia e di Storia 
delle Scienze Matematiche e Fisiche) — Tomo X - Giugno 1877 - a 
pag. 303. 

(2) Historia Gymnasii Patavini.... Venetiis, MDCCXXVI, a pag. 
195. 

(3) Vedi l’ opusc. cit.: Commemorazione di N. Copernico nella 
R. Università di Bologna - a pag. 26. 


DI A. URCEO CODRO 319 


de’ Medici di cui più sopra toccai, e dove è precisamente 
il nome di Nicolò Copernico, provano che egli sia venuto 
in Bologna soltanto alla fine del 1496. Oltre di ciò, come 
l'illustre Prof. Comm. Domenico Berti ha osservato nella 
seconda nota del suo discorso intorno al famoso astro- 
nomo (1), trovasi nello « Spicilegium Copernicanum » 
del Dottor Hipler un documento dell’anno 1501, col 
quale dal Capitolo dei canonici di Frauenburgo sì per- 
mise a Nicolò Copernico di condursi nuovamente in 
Italia, « mazxime μὲ Nicolaus medicinis studere pro- 
misit »; per le quali parole nessuno potrà credere che 
Nicolò Copernico, il quale nel 1501 veniva in Italia a 
studiar Medicina, fosse quello stesso « Nicolaus de Ale- 
mania » che cinque anni prima ne aveva ricevuto laurea 
di dottore. 

VI. Ma seguitando nel nostro argomento, diremo 
che il Copernico aveva oltre ventitrè anni allorquando 
venne allo Studio di Bologna per darvi opera al Diritto 
Canonico, come dimostrerò in appresso. Assai mi duole 
di non poter dire in qual luogo della nostra città abbia 
il Copernico ascoltato le lezioni; giacchè non ci è rimasta 
memoria del luogo dove fossero le scuole dei Leggisti. 
Per lo Studio non fuvvi, sino alla metà del secolo XVI, 
un luogo stabile; i professori davan per ordinario le 
loro lezioni nelle proprie case, od in sale o camere 
condotte appositamente in affitto, ma, come nota il Gui- 
dicini nella sua monografia sull’ Archiginnasio Bologne- 
se, poste quasi sempre nella strada di San Mamolo o 
ne’ suoi contorni (2). Antichissime erano le scuole di 


(1) Op. cit., a pag. 172. 

(2) Monografia sull’Archiginnasio di Bologna di Giuseppe di Gio. 
Battista Guidicini....... Bologna Società Tipografica dei Compositori 
- 1871 - Vedi a pag. 15 e segg. 


Li 


— 


320 MALAGOLA 


———--—-—-—_- n ..... 


San Proculo, siccome riferisce lo stesso autore, il quale 
aggiunge che per un decreto dei 22 dicembre del 1360 
fu ordinato che si rizzasse un muro alto al di là della 
casa di Rolandino Galluzzi, sotto la parrocchia di S. Ge- 
miniano, cominciando dal Ponte della Cittadella (nelle 
vicinanze dei Celestini) e continuandolo fino al Guasto 
(forse degli Andalò) e fino alla via che conduce al 
Guazzatoio (ora via del Cane), e ciò in riguardo degli 
scolari e delle scuole. In istrada San Mamolo, ai numeri 
34 e 36, vi erano scuole nel secolo XIV. Bartolomeo 
Saliceti seniore, professore di Gius Civile, con suo testa- 
mento del 2 giugno 1409 lasciò le scuole, dov’ egli leg- 
geva, al suo figlio Pietro, le quali erano sotto S. Andrea 
degli Ansaldi « iuxta viam publicam, iuxta Guazza- 
torium (via del Cane) ef alios suos confines ». Andrea 
Barbazza, che nel 1438 era già lettore, sebbene non ancor 
laureato, nei primi tempi che dimorò in Bologna aveva la 
casa e la scuola sotto la cappella di Santa Maria de’ Bul- 
gari, presso Gerardo Lambertini da un lato, le botteghe 
della fabbrica di S. Petronio, la strada e la casa dei Bul- 
gari dall'altro. La sua scuola poggiava sopra sei archi 
dell’antico portico, e noi, sapendo che il Lambertini era 
proprietario dei tre primi archi, a cominciare dalla via 
Foscherari, possiamo affermare che la casa e le scuole 
del famoso messinese, cominciassero al quarto arco e 
terminassero al nono inclusivo. Un rogito di Pietro Bru- 
ni del 26 aprile 1441 ci fa noto che allora nel Guasto 
degli Andalò vi erano scuole di Leggisti; un altro dei 
9 novembre 1459 che i fabbricieri di San Petronio con- 
vennero con diversi maestri falegnami che facesser 1] 
coperto, uguale a quello delle scuole dove leggeva il 
Barbazza, sopra sei archi di portico delle wolte delle 
botteghe vicine alla corte dei Bulgari o San Cristoforo 


DI A. URCEO CODRO 321 


del Ballatoio presso Gerardo Lambertini da un lato, 
presso altre botteghe di detta fabrica, presso la Corte 
dei Bulgari, presso la via publica etc. Nel 1480 la via 
che dicesi Libri, è chiamata Za strada per la quale δὲ 
va alle scuole dei dottori. Solo ai 2 di marzo del 1562 
si gettarono le fondamenta dell’ Archiginnasio, che ora 
s'ammira, fabricato sul disegno del celebre Terribilia. 
Questo poco che ci è dato sapere del luogo delle scuole 
dei Leggisti dello Studio di Bologna, se non offre indizi 
sufficienti a determinare ove fosse una almeno delle 
molte scuole in cui il Copernico dovette udire le diverse 
parti del Giure Canonico, è però bastante a mostrare 
probabile assai che qualcuna di quelle dovesse esser non 
lungi dal luogo dove ora sorge l’Archiginnasio. 

Aggiungerò in questo luogo, affinchè l’' ordine cro- 
nologico non sia interotto, che dopo i documenti dell'Ar- 
chivio Malvezzi de’ Medici, dei quali ho detto più sopra, 
la prima memoria che abbiamo di Nicolò Copernico in 
Bologna sta nel capitolo XXVII del IV libro della sua 
opera « De revolutionibus orbium caelestium », ove notò 
un'osservazione astronomica, fatta da lui nella nostra 
città ai 9 di marzo del 1497, che è la seguente: « Quod 
igitur parallaxes lunae sic, expositae conformes sint 
apparentiis, pluribus aliis experimentis possumus ad- 
firmare, quale est hoc, quod habuimus Bononiae 
septimo Idus Marti post occasum solis anno Christi 
MCCCCXCUVII..... (1) ». 


(1) Nicolai Copernici Thorunensis De Revolutionibus Orbium 
Caelestium Libri VI. Ex Auctoris Autographo Recudi Curavit So- 
cietas Copernicana Thorunensis - Accedit Georgii Ioachimi Rhetici De 
Libris Rervolutionum Narratio Prima - Thoruni, Sumptibus Socie- 
tatis Copernicanae. MDCCCLXXIII. In questa magnifica e pregevo- 
lissima edizione, dedicata a S. M. l' Imperatore Guglielmo, il brano 
riferito qui sopra sì legge a pag. 297. 

21 


322 MALAGOLA 


Nel preziosissimo « Spicilegium Copernicanum » 
del Dottor Francesco Hipler, già più volte citato, si tro- 
vano diverse lettere ed Atti del sommo astronomo nelle 
quali si legge: « Ego Nicolaus Coppernig Canonicus 
Warmiensis, Decretorum Doctor (1) », e nello stesso 
libro sono riportate da un Atto dei 7 aprile 1507 queste 
parole: «..... presentibus...... Fabiano de Lusianis et 
Nicolao Coppernik decretorum doctoribus (2) » e più 
oltre una lettera del canonico Giovanni Sculteto, diretta 
« Venerabili Et praestantissimo Domino Nicolao Cop- 
pernigkh decretorum doctori (3) ». Questo titolo che 
Copernico ebbe di dottore di Giure Canonico, ci assicura 
ch’ ei fu laureato in quel Diritto. Sebbene in Bologna, 
come dimostrerò in appresso, non ne abbia Copernico 
presa la Laurea, egli è certo del resto che al nostro 
famoso Studio appartiene la gloria di averlo istruito nel 
Giure Canonico. Nei citati statuti della Nazione germa- 
nica, alla quale in Bologna, si aggregò il Copernico, 
là dove parlasi delle persone che componevano la detta 
Nazione, era decretato che queste dovessero essere 
« în hac alma urbe studentes in iure canonico uel 
ciuili (4) ». E nella formola del giuramento dei Procu 
ratori, che venivano eletti fra gli scolari appartenenti a 
quella stessa Nazione, si leggono queste parole: « Eg0 
N. assumptus ad procurationis officium nationis Domi- 
norum teutonicorum scolarium studentium Bononiac 
in Iure Canonico uel ciuili, Iuro..... (5) ». E si aggiun- 
ga essere assai frequente il caso in cui si trovi negli 


(1) A pag. 274 e 275. 
(2) A pag. 269. 

(3) A pag. 334. 

(4) A carte 3 retto. 
(5) A carte 8 verso. 


DI A. URCEO CODRO 323 


« Annales » questa frase: «... congregata nacione domi- 
norum Theutonicorum In Iure Canonico et Civili Bono- 
niae studencium.... » È inoltre da osservare che nello 
stemma della Nazione Allemanna istituita in Bologna, 
era dipinto nella parte inferiore un libro aperto, con 
sopra il motto 


IVS | CVL 
TI TO 
CLE |! RES 


il qual motto è pur ripetuto a lettere dorate sul car- 
tone inferiore del volume intitolato « Matricula Nobilis 
simi Germanorum Collegîi », di cui ho tenuto più volte 
parola. E si noti ancora, se il fin qui detto non fosse 
‘  soverchio, che dei molti allemanni che studiarono e si 
laurearono in Arti o in Medicina (i nomi dei quali tro- 
viamo nei libri del Collegio dei Medici e degli Artisti 
᾿ nell'Archivio Arcivescovile di Bologna) nessuno era mem- 
bro della Nazione germanica. Da queste cose è mani- 
festo che tutti coloro che appartenevano alla detta Na- 
zione in Bologna dovevano essere studenti in legge, 
onde è indubitato che anche Nicolò Copernico, che fece 
parte di quella, dovesse nella nostra Università esser 
scolaro leggista, e più precisamente di Diritto Canonico. 

VII. Però se questo è certo, è per me del pari indu- 
bitato che in Bologna non prese Laurea. Io ho esaminati 
attentamente nell’ Archivio dell'Antico Reggimento, ora 
della R. Prefettura, i libri che s’intitolano: « Acta co? 
legij Iuris Pontificij » e non vi ho trovato nè laurea, 
nè altro, che si possa attribuire al Copernico. Inoltre 
non ho mancato di ripassare con tutta la possibile dili- 
genza nel medesimo Archivio il « Primus Liber secre- 
tus Iuris Pontificij ab anno 13T7 ad annum 1528 », 


324 MALAGOLA 


nel quale si contiene il sunto di ciascuno degli Atti di 
Laurea che trovansi registrati per esteso nei libri « Acta 
collegij Iuris Pontificij » sopra menzionati, ma neppure 
in essi ho trovata Laurea, che possa di nessuna guisa 
credersi del Copernico. Dirò ancora che negli statuti 
della Nazione Allemanna in Bologna, là dove trattano 
degli scolari germani che qui prendevano la Laurea, si 
stabilisce: «... et nomen promoti, dies, annus et men- 
sis, in matriculam nationis in sempiternam rei me- 
moriam per procuratores describantur (1) ». Benchè 
nella « Matricula Doctorum », che è unita al volume 
intitolato: « Matricula nobilissimi germanorum colle 
g7î » (2), sieno rimasti tutti i nomi di coloro d’essa Na- 
zione che si dottorarono dal 1497 al 1542, non apparisce 
tuttavia fra quelli il nome di Nicolò Copernico, talchè, 
dopo queste tre prove, possiamo con piena sicurezza affer- 
mare che della Laurea di Dottore in Diritto Canonico, 
che egli pur ebbe, non fu insignito in Bologna. Ben so 
che taluno ha scritto che se pur non si trovasse nei libri 
dello Studio bolognese la Laurea del Copernico, questo 
non escluderebbe che egli qui non si fosse potuto lau- 
reare ugualmente, giacchè, secondo questi, i Collegi bo- 
lognesi di Diritto non si davan forse pensiero di registrar 
essi le Lauree degli studenti stranieri, lasciando che lo 
facessero le Nazioni istituite in Bologna, alle quali i 
nuovi dottori erano ascritti. Per verità queste asserzioni 
non hanno alcun fondamento, giacchè esaminando i libri, 
già ricordati, degli Atti dei Collegi di Diritto Canonico e 
il Libro Segreto del Collegio dello stesso Diritto, noi vi 


(1) A carte 6 retto. 
(2) A carte 96 del vol. cit., numerata 24. 


DI A. URCEO CODRO 325 


troviamo tutti i nomi di coloro, che, quantunque ascritti 
a Nazioni straniere, presero in Bologna la Laurea in 
Diritto Pontificio, e lo stesso si osserva per quelli che si 
dottorarono in Diritto Civile. Finora non può dirsi con 
piena certezza in quale città Copernico fosse insignito 
del grado di dottore in Giure Canonico, del resto l’ a- 
more onde anche presso di noi si coltivano gli studi 
sul celebre scopritore del vero sistema dell’ universo, 
dà cagione a sperare che presto in Italia si rinvenga 
l'atto di Laurea di lui. La ragione poi onde Nicolò 
non prese in Bologna la Laurea nel Diritto Canonico 
fu certamente questa: che egli, che viveva in grande 
penuria di danaro, come più innanzi vedremo, non po- 
teva sostenere le enormi spese che avrebbe dovuto in- 
contrare per dottorarsi nella nostra città, e per ciò 
dovè recarsi altrove. Ed infatti che le spese per dotto- 
rarsi fossero enormi, e costringessero sovente gli scolari 
dello Studio bolognese a cercar altrove la Laurea, ne 
abbiamo testimonianza in un decreto, della stessa Nazio- 
ne allemanna, posteriore di non molti anni alla partenza 
del Copernico da Bologna, e che si trova fra le dispo- 
sizioni che seguono gli Statuti di quella. Tale decreto, 
dei 6 luglio 1516, scritto unitamente cogli Statuti del 
1497 è il seguente: « Statutnm de pretio pro docto- 
ratu dando. Eodem affectu quo priores publice nationis 
nostrae utilitati consulere volentes, Statuimus ne quis 
scholasticorum în album adscriptorum în hoc gymnasio 
Bononiensi, Titulis doctoratus insigniri petens, in ulro- 
que ture amplius triginta, in altero viginti ducatis 
aureis; licentiam vero acceplurus; in allero quinde- 
cim, in utroque viginti his quorum insigniendi munus 
est, elargiatur. Quippe cum illud maxime re nostra 
interesse, Ne quis inutiles sumptus faciat, intelligere- 


326 MALAGOLA 


mus, Neque îs magis honoratus qui plus expendisset, 
aul minus qui parum, videretur, deinde eius rei lu- 
crum ad paucorum commodum spectat; commitendum 
non putabamus ut quod compendio assequi liceret, in 
eo dispendium fieri sineremus . Accedebat eo quod, fe- 
re eius rei gratia, aliarum Nationum Scholasticos, 
eiusmodi titulos ambientes, alio migrare videbamus: 
ne hic quinquaginia ducatos Aureos /Hec erat in utro- 
que Iure insigniendis imperata summa) aut triginta 
(que erat în altero) profunderent: Cum aliubi minori 
sumplu, ad idem honoris fastigium accedere possent. 
Si quis tamen fuerit cuj necesse sit hic accipere Tilu- 
los, neque id minoris possit, Is ad Nationem ac Pro- 
curatores, ubi audita causa cognoscatur, referat. Qui 
contra fecerit οἱ, decem ducatorum Auri multam, Na- 
lionis fisco pendendam, irrogamus. Sancitum Anno 
post natum Christum Δ. ἢ. decimo sexto Mensis Iulij 
octava die (1) ». 

Il brano citato dimostra quali fossero, e quanto 
ingenti, le spese che dovevano sostenersi per le lauree 
nelle leggi, nel tempo che ne era studente il Copernico. 
Ed era proibito rigorosamente di condonar queste tasse; 
però era permessa in alcuni casi la promozione gratuita. 
Di tal privilegio godevano gli scolari che al tempo della 
loro Laurea fossero stati Rettori delle due Università, 
e nelle costituzioni manoscritte del collegio di Diritto 
Canonico, fatte l’ ultimo di giugno del 1460, delle quali 
a caso trovai l’ unico esemplare nell'Archivio del Reg- 
gimento, è stabilito che non si potessero dottorare gra- 
tuitamente se non quegli scolari che fossero figli o fra- 


(1) Codice citato, a carte 9 retto. 


Ste Ros τᾶ | «4... 


DI A. URCEO CODRO 327 


telli di un Cardinale. Dovevano però ogni anno insi- 
gnire del grado dottorale senza alcuna spesa, uno sco- 
laro povero, cittadino di Bologna o forastiere, che avesse 
studiato in Bologna il Diritto Canonico (1). Il De Savigny 
nella sua Storia del Diritto Romano nel Medio Evo (2) 
scrive, che agli scolari della Nazione allemanna spet- 
tava di presentare uno scolare perchè fosse laureato 
gratuitamente. Forse egli confuse questo privilegio, che 
mai non ebbero gli Allemanni, come consta dai loro 
Statuti, con l’altro, che godettero veramente, dell’ es- 
sere i nobili di quella Nazione, dispensati dal giura- 
mento ai Rettori della Università dei Leggisti. Questo 
privilegio dovette esser loro concesso da tempo anti- 
chissimo, giacchè negli Arnales di quella Nazione, che 
si trovano nell'Archivio Malvezzi de’ Medici si legge 
una copia di un Atto del 1.° di maggio 1273, dalla 
quale apprendiamo che in quel giorno Enrico di Frien- 
burg, scolaro allemanno, essendo congregata l’ Univer- 
sità degli Ultramontani in San Proculo, sorse dicendo 
che « de quodam statuto universitatis cancellatum erai, 
ut dicitur, unum verbum scilicet salvo iure Theotho- 
nicorum: quod Ius theothonicorum est quod nobiles de 
alamania non teneantur turare rectori, et peciit nomi- 
ne et vice dicte nacionis quod illum verbum reponatur 


(1) Le costituzioni qui ricordate si trovano in un quaderno di 
venti carte, di carattere della metà del secolo XV, (forse del 1469) 
che incomincia colla rubrica: « In quibus casibus Iuramentum de 
observatione presentium constitutionum non debeat impedire quominus 
tolli vel renovari possini ». 

(2) Storia del Diritto Romano nel medio evo per F. Carlo De 
Savigny (traduzione dell’ eruditissimo avv. Emmanuele Bollati) Torino, 
1854, Vol. I, a pag. 577, nota 6. 


328 MALAGOLA 


in dicto statuto, et quod Ius eorum salvum sit. In qua 
quidem congregatione reformatum fuit nullo contradi- 
cente, quod dictum verbum reponatur in dicto statu- 
to... (1) ». Tornando al nostro argomento, diremo che 
in queste enormi spese noi troviamo la ragione per cui 
Nicolò Copernico in Bologna non prese la Laurea di 
Diritto Canonico, come da molti 8᾽ è creduto finora. 

Poichè negli archivi di Padova non è da sperare 
si rinvenga la Laurea del grande astronomo (come dal 
Prof. Favaro fu dimostrato) resta solo a far voti che sie- 
no diligentemente esplorati quelli dell'Academia Romana 
dove fu il Copernico, se pure non si dovranno anche ricer- 
care gli Atti dell’antico Studio di Ferrara, ove buona 
parte degli Scolari della Nazione tedesca di Bologna so- 
leva portarsi per essere decorata del titolo dottorale; 
nella quale occasione pagavano a questa Nazione una 
piccola somma, che soleva registrarsi nella più moderna 
Matricola dei laureati della Nazione, ciascun dei quali 
era contrassegnato col titolo: « Iuris Ufriusque Doctor, 
Ferrariensis (2) »; nè vi sono notati se non laureati in 
Ferrara ed in Bologna. 

VIII. Detto ciò, veniamo a cercare quali furono i 
Dottori del nostro Studio che insegnarono al Copernico 
il Diritto Pontificio. Anzitutto dobbiamo osservare che il 
primo Lettore di Ragion Canonica, del quale sempre si 
trova nei Rotoli dello Studio registrato il nome, è il 
Rettore delle due Università dei Leggisti (3), cioè degli 


(1) Annales Clarissimae Nacionis Germanorum, a carte 2 retto. 

(2) Nel vol. cit. Matricula Nobiliss. Germ. Collegi, a carte 30 
retto, e 31 verso. 

(3) Come già abbiamo osservato in una nota del Capitolo II, 
a pag. 20 e 21, nota 1.* 


e 


DI A. URCEO CODRO 329 


Ultramontani e dei Citramontani, il quale d'ordinario nei 
giorni festivi dava lezione di Decretali, come Rettore 
degli Ultramontani, e di Digesto Nuovo, come Rettore 
dei Citramontani. Quando più anticamente presiedevano 
allo Studio Bolognese due Rettori, quello degli Ultra- 
montani soleva tener la prima di queste due cattedre, 
quello dei Citramontani la seconda; ma poi, essendosi 
quelle due dignità riunite in una sola persona, si riu- 
nirono parimenti nella stessa le due cattedre. Questo 
Rettore delle Università dei Leggisti, era eletto dagli 
scolari e teneva la suprema autorità nello Studio, così 
che a lui dovevano ubbidire gli stessi professori. ἃ Ret- 
tore sceglievasi uno scolaro, chierico (parola che non 
deve intendersi nel significato di persona ecclesiastica , 
ma di studioso, come nota il Ducange (1)), celibe, non 
appartenente ad alcun ordine religioso, dell'età di ven- 
ticinque anni, facoltoso, e che avesse studiato Legge 
almeno cinque anni. Il celebre De Savigny nella sua 
Storia del Diritto Romano, già citata, parlando dei Ret- 
tori Leggisti dello Studio di Bologna, scrive che sino 
al 1402 e al 1423 furono due, ma che nel 1514 già 
ve ne era uno solo. Se il De Savigny avesse potuto 
vedere i documenti dei nostri archivi, egli avrebbe cer- 
tamente data quella notizia con alquanto maggior pre- 
cisione, giacchè quarantun’ anni più innanzi del 1423 
cominciarono ad essere unite in una sola persona le due 
dignità di Rettore degli Scolari Leggisti Ultramontani, e 
dei Citramontani. Infatti, esaminando i Rotul del nostro 


___—_—_— 


(1) Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis conditum a Carolo 
Dufresne Domino Ducange. Parisiis Excudebant Firmin Didot Fra- 
tres - 1842 - Tomo II, pag..392. 


990 MALAGOLA 

Studio, noi troviamo sempre due Rettori dei Leggisti sino 
all’ anno scolastico 1464-65, nel quale teneva 1᾿ ufficio 
di Rettore degli Ultramontani Francesco de Roviera di 
Valenza, e dei citramontani Taddeo da Vigliarana, faen- 
tino, il quale forse fu fratello, o cugino, di quell'Andrea 
da Vigliarana, pur di Faenza, che per aver congiurato 
contro Borso da Este fu decapitato in Ferrara, insieme 
con Gian Lodovico de Pii, Signore di Carpi, ai 12 di 
agosto del 1469, e del quale ragionarono e publicarono 
versi gl’illustri Prof. Comm. Salvator Betti, il Prof. Cav. 
Filippo Mordani ed il Comm. Francesco Zambrini. 

Tutto questo che ho detto dei Rettori è comprovato 
dai Rotuli degli anni qui sopra citati. 

Ritornando al nostro argomento, dirò che dall’an- 
no 1464-65 sino al 1493-94 furono eletti pei Leggist 
talvolta due Rettori, talvolta uno solo, e tale altra 
ancora nessuno: ma dal 1493 in poi se ne elesse uno 
solo. E si noti che anche nell’ Università degli Artisti 
furono prima due, poi un solo Rettore (Rector Schola- 
rium Artistarum et Medicorum). Ora, venendo al tem- 
po in cui Nicolò Copernico fu scolare di Diritto Cano- 
nico in Bologna, troviamo che due furono i Rettori che 
lessero il Decreto di Graziano nei dì festivi nel nostro 
Studio, cioè i due allemanni Giovanni Kiker e Giovanni 
Plaunicz; il primo nell’anno scolastico 1497-98, l' altro 
nel 1499-1500. Nel 1496-97 e nel 1498-99 l’ ufficio di 
Rettore dei Leggisti, e quindi anche quello di Lettore 
di Decreto nei dì festivi fu vacante. Osserverò ancora, 
prima di lasciare di discorrere dei Rettori, che il loro 
ufficio durava un’anno, e che di essi l' Ultramontano 
era eletto il 1.° di maggio, l’altro ai 3 di quel mese. 
Il Rettore Ultramontano scieglievasi il primo anno fra 
gli scolari Francesi, Borgognoni Savoiardi; della pro- 


DI A. URCEO CODRO 331 
vincia di Berry, di Guascogna e di quella di Tours; 
nel secondo fra i Castigliani, Portoghesi, Provenzali, 
Navarresi, Arragonesi e Catalani, e nel terz’ anno fra gli 
Allemanni, Ungheresi, Polacchi, Boemi, Inglesi e Fiam- 
minghi. Quanto al Rettore Citramontano, esso nel primo 
anno doveva essere un Romano, nel secondo un Toscano, 
nel terzo un Lombardo e così da capo. Si eleggevano 
per ischede nel luogo destinato alle radunanze dell’ Uni- 
versità. Questo pei Rettori Leggisti. Le lezioni dello Stu- 
dio si davano o la mattina /de mane/, o dopo *il mezzo- 
giorno /de sero), dietro il suono della campana grossa 
di S. Petronio, che chiamavasi per ciò La Scuolara. 

Ora ci conviene esaminare i Rotuli dello Studio per 
vedere quali professori abbiano insegnato le varie parti 
del Diritto Canonico nel tempo in cui Copernico era in 
Bologna scolaro di questo Diritto (1). Cominciando dal 
Rotulo dei Leggisti, scritto ai due d'ottobre del 1496, 
e che doveva durare sino alla fine di quell'anno e nel 
successivo sino al settembre, troviamo aver letto le 
Decretali la mattina Giovanni da Sala, Domenico Ruffo . 
e Bartolomeo Bolognini. Floriano Dolfi, Lodovico da 
Sala e Antonio Maria da Sala insegnavano le Decretali 
« de sero >». Nei giorni festivi poi le spiegavano Anto- 
nio Busi, Pietro Aldrovandi, Teseo Grassi, Pandolfo 


(1) Il Prof. Hipler publitò i nomi di alcuni di essi, ma non 
completamente, né sempre correttamente, nel Beilage zu N. 54 der 
Ermilandischen Zeitung - Braunsberg - 6 maggio 1876, nella nota 1.* 
del pregevole articolo: Kopernikus zu Bologna, che fu tradotto ed 
inserito nel cit. Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze 
Matematiche e Fisiche - Tomo IX, giugno 1876 - Un'altra versione, 
senza note, sì legge nell’Appendice del N. 141] del giornale bolo- 
gnuese la Gazzetta dell’ Emilia dei 21 maggio 1876. 


————————————m —————————— 


332 MALAGOLA 

Bianchi ed Angelo Valli. Dalle lezioni delle Decretali, 
venendo a quelle del Decreto di Graziano, si trova che 
nello stesso anno leggeva il detto Decreto « în tertizs » 
Gian Battista Zabini e Giovanni Gaspare da Sala, e 
nei giorni festivi Bartolomeo Negri, Lodovico da Cal- 
cina ed Ercole Dal Bono. E alla lettura del Sesto e delle 
Clementine, nei giorni non festivi, si veggon segnati 
Pietro da Unzola (ora Anzola) ed Antonio Burgos, spa- 
gnuolo; e nei festivi Amadesio Ghisilieri, Alessandro 
Peracini, Bernardino Scardovi e Girolamo Lianori. 

Passando ora all’ anno scolastico 1497-98, dobbiamo 
notare fra questo e il precedente le seguenti differenze. 
Per la lettura del Sesto e delle Clementine, ai due pro- 
fessori che le leggevano nel 1496 sono aggiunti Giovan- 
ni Bonasoni, Giovanni da Monferrato e Bartolomeo Bar- 
bazza. 

Confrontando con quelli di questo anno i Lettori del 
seguente 1498-99, ai Lettori di Decretali « de sero » 
vediamo aggiunto Antonio Burgos; e a quelli di Decreto 
nei dì festivi Agamennone Marescotti, ed in luogo di 
Bernardino Scardovi, per la cattedra del Sesto e delle 
Clementine, Nicolò Cortesi. 

L'ultimo anno che il Copernico passò allo Studio 
di Bologna fu quello che va dal principio d’ ottobre del 
1499 al principio di settembre del 1500. In esso Flo- 
riano Dolfi e Lodovico da Sala, che già leggevano De- 
cretali « de sero », le insegnarono invece la mattina; 
e quest’ ultimo in luogo di Bartolomeo Bolognini, col 
quale commutò l’ ora della propria lezione. Floriano 
Dolfi invece fu sostituito da Bartolomeo Barbazza, figliuo- 
lo del famosissimo Andrea. Bartolomeo esponeva il Sesto 
e le Clementine nei dì non festivi, ed ebbe in quell’ an- 
no per successore nella stessa cattedra Giovanni Gozza- 


DI A. URCEO CODRO 333 


dini. Nei Rotul non si trovano in quel tempo altre 
mutazioni, e sapendo noi che queste e non altre erano 
le cattedre di Diritto Canonico, del quale fu studente 
in Bologna Nicolò Copernico, possiamo dire con sicurezza 
che questi furono ἱ suoi maestri. 

E poichè, trattandosi. di uomo come il Copernico, 
ogni cosa può tornare opportuna, non lascierò di notare 
‘che negli anni passati da lui nel nostro Studio, nessuno 
scolare Leggista fece ripetizioni o dispute in materia 
di Diritto Canonico, tranne nel 1499-1500, ultimo di sua 
dimora in Bologna, nel quale ripetè il Sesto e le Cle- 
mentine lo spagnuolo Giovanni Soto da Cartagena. 

IX. Oltre di quello che ho detto, dagli stessi Rotuli 
noi apprendiamo qual parte della materia assegnata, 
‘ precisamente spiegasse ognuno dei professori sopra men- 
zionati, in ciascuno degli anni in cui fu qui disce- 
polo Nicolò Copernico. Incominciando dalla Lettura di 
Decretali, era così stabilito pei Lettori di questa nel 
Rotulo del 1496-97: « Incipiant tertium librum, el con- 
linuent usque ad titulum de Regularibus exclusive ». 
E l’anno appresso: « Incipiant titulum de Regularibus 
in tertio, et legant usque ad finem ». E nel Rotulo del- 
l’anno 1498-99 si comandava ai Lettori di quelle: 
« Legant de Iudicijs Usque ad titulum de probationi- 
bus exclusive; e nell'anno appresso: « Legant de con- 
stitutionibus usque ad titulum de officio delegati ex- 
clusive ». Venendo ora alla cattedra di Decretali, nel- 
l’anno 1496-97 vediamo stabilito nel Rololo: « Inc: 
piant quintum librum, et continuent usque ad titulum 
rle hereticis ». E nell’anno seguente: « Incipiant titu- 
lum de hereticis in quinto el continuent usque ad finem ».. 
Nel Rotulo poi dell’ anno 1498-99 troviamo scritto: 
« Legant quartum librum », e finalmente nel 1499-1500: 


334 MALAGOLA 


« Legant de regularibus usque ad finem libri ». Pas- 
sando alla Lettura del Decreto di Graziano vediamo che 
nell’anno 1496-97 pei Lettori di quello era stabilito: 
« Incipiant a XXVI capitulo et continuent usque ad 
finem causarum saltem usque ad finem distinclionum 
«de penitentiîs ». Nell'anno di poi si prescrisse: « Inci 
piant distinctiones de consecratione, et continuent usque 
ad finem Decreti. Postea reassumant distinctiones de 
penitentijs et continuent usque ad finem septime distin- 
ctionis ». Nell'anno 1498-99 il Rofu/o imponeva ai Let- 
tori di Decreto: « Incipiant primam distinclionem et 
legant usque ad quinquagesimam inclusive ». Da ulti 
mo nell’anno 1499-1500 era stabilito: « Incipiant quin- 
quagesimam primam distinclionem, et continuent usque 
ad centesimam primam distinctionem ». 

Finalmente passando alla Lettura del Sesto e delle 
Clementine troviamo nel Rotulo del 1496-97: « qui legent 
sexium, legant a principio usque ad titulum de appel 
lationibus Inclusive; Qui non legent clementinas, inci- 
piant a principio et illas continuent ac finiant hoc anno ». 
Nel 1497-98 il Rotolo ordinava: « Qu legent Seatum 
incipiant de vita et honestate clericorum, et continuent 
usque ad finem sexti libri. Quj non legent clementinas, 
Incipiant a principio, ac illas continuent, et eas hoc 
anno finiant ». E pel 1498-99: « legant a principio 
usque ad titulun de apellationibus inclusive »; Ὃ final- 
mente nell’anno 1499-1500 era ordinato così: « Qui 
legent sextum Incipiant de vita et honestate clericorum 
et continucnit usque ad finem sexti libri. Qui non le- 
gent clementinas Incipiant a principio et cas conti 
nuent, et ipsas hoc anno finiant ». 

X. Ed ora, prima di procedere innanzi e dire co- 
me il Copernico fosse discepolo nelle lettere greche del 


DI A. URCEO CODRO 335 


nostro Antonio Urceo, sarà utile che brevemente osser- 
viamo se, prima di venire in Italia, abbia egli fatto 
alcuno studio delle lettere greche. Sebbene vi sia chi 
afferma, senza addurne però valide prove, che Nicolò 
nell' Università di Cracovia le avesse studiate, noi tut- 
tavia non lo possiamo concedere, giacchè dalle Tavole 
delle lezioni dell’ Università di Cracovia negli anni in 
cui è certo che vi fu il Copernico ( publicate nel 1873 (1)) 
si osserva che tra i numerosi lettori non ve ne era al- 
cuno che professasse lettere greche; anzi il ch.®° Prowe 
scrive che solo nel 1519 si cominciarono a professare in 
quella città (2). Per questo adunque, non essendo noto 
che altrove prima le potesse studiare, si può credere 
che quando venne a Bologna Nicolò ne fosse affatto a 
digiuno, e che il nostro Urceo pel primo gliele insegnas- 
se. Del resto quasi tutti i biografi del Copernico s' ac- 
cordano nel dire che quando venne in Italia era già 
esercitato nella scienza matematica e nell’ astronomica, 
ma non ancor molto esperto nelle discipline letterarie. 
XI. Non vi è alcun documento il quale ci assicuri 
che Nicolò in Bologna fosse discepolo dell’ Urceo nelle 
lettere greche; però alcuni fatti, presi insieme, ci danno 
buon argomento a credere che il Copernico cominciasse 
a studiare quella lingua in Bologna e per ciò sotto 1 Ur- 
ceo. È indubitato che Nicolò quando era in Padova (e ciò 
avvenne sicuramente dopo ch'egli era stato nella nostra 
città) già conosceva il greco; or non avendolo egli potuto 
imparare, come dissi, nè prima di recarsi a Cracovia, 


(1) Opusc. cit.: "Zywot Kopernika i jego naukowe zaslugi. Si 
vedano le otto tavole poste in fine dell’ opuscolo. l 

(2) Nella dissertazione già citata: Nicolaus Copernicus auf der 
Universitàt zu Krakau, a pag. 7, nota 4.2 


e ————6——————_—_——6————————— ———————& mmmy_y———___— —_w.- ————————_——_ 


336 MALAGOLA 


nè in quella città, dove sappiamo non esservene stati 
maestri quando v'era Nicolò, è naturale che abbia do- 
vuto cominciare a studiare in Bologna questa lingua così 
necessaria a' suoi studi. Nella Biblioteca di Upsala in 
Isvezia, fra i libri che già appartennero al Copernico, 
sì conserva, tutto postillato di mano del sommo astro- 
nomo, un vocabolario greco di Giovanni Crastone, stam- 
pato in Modena dal bolognese Dionisio Bertocchi nel 
1499 (1). Benchè non si possa conoscere se questo libro 
sia stato o acquistato o postillato da Nicolò mentre era 
in Bologna (il che proverebbe che qui avesse cominciato 
lo studio del greco), o più tardi (2), mi sembra però che 


——_— - — —--  — —— PT .. 


(1) Ha nel retto della prima carta « ΛΕΞΙΚΟῚΝ ΚΑΤΑ ΣΤΟΙ- 
XE'ION », e nel verso dell’ ultima: 

« Mutinae Impraessum in aedibus Dionysii Bertochi bonon. subter 
raneis . Anno humanae redemptionis . Millesimo Nonagesimo No 
no (sic). Tertiodecimo Kalen. Nouemb . Diuo Hercule estensi . Ferra- 
riae duce imperi habenas gubernante ». 

(2) Nell’ estate del corrente anno, essendosi recato ad Upsala il 
Ch.®° signor Prof. Curtze, (Vedi l’ opuscolo: Neue Copernicana aus 
Upsala. Vortrag gehalten im Copernicus - Verein fir Wissenschaft 
und Kunts zu Thorn am 4 Iuni 18T7 von Maximilian Curtze - 
Thorn, gedrucht bei C. Dombrowski) lo pregai di volere osservare le 
postille autografe del Copernico su quel dizionario, per vedere se 
fosse possibile scuoprire, almeno approssimativamente, il tempo in 
cui furono vergate, o quello in cui il libro fu da lui Fomperato. Alla 
mia domanda così rispondeva cortesemente il Prof. Curtze in una sua 
degli 11 agosto 1877: «.... Vous me demandez δ᾽ il sera possible de 
fixer le temps dans le quel Copernic a acheté le lexicon de Crestonius. 
En réponse ἃ cette question je dois vous dire qu’ il n'est pas possible 
de fixer exactement la date demandéie. Certainemeni le dictionnaire en 
question est acheté au commencement de ces études grecques, parceque 
les notices qui se trouvent de sa main sont de la plus part d'un 
manier assez puerile et montrent certainement le commencant. Le 
volume blait en sa possession avant 1509, année de l’emission de sa 


DI A. URCEO CODRO 337 


egli molto facilmente l’ abbia potuto comprare a Bologna, 
sì per la vicinanza di Modena a Bologna, che favoriva 
il commercio fra queste, e sì per essere lo stampatore 
di quel libro un bolognese che nella nostra città aveva 
avuto un'officina, dalla quale erano uscite nel 1487 
due opere # folio del medico Gian Michele Savonaro- 
la, la prima intitolata: « De aegritudinibus a capite 
ad pedes », la seconda: « Practica, Canonica de fe- 
bribus (1) ». Torna superfluo aggiungere che nel 1499, 
quando uscì in luce in Modena quell’ edizione, il Coper- 
nico si trovava in Bologna. Se egli adunque, com’ è assai 
probabile, acquistò quel libro nella nostra città, ciò si- 
gnifica che qui studiava il greco. 

Tale induzione viene avvalorata da quanto già dis- 
si, che cioè il Copernico, il quale prima non aveva po- 
tuto apprendere il greco, non dovesse in Bologna lasciarsi 
fuggire l’ occasione di impararlo, e per ciò appunto in 
questa nostra città lo avesse cominciato a studiare. E 
in Bologna, oltre che sarebbe stato difficile apprenderlo 
privatamente, era tanta la fama che Codro godeva nelle 
lettere greche, che Nicolò doveva reputarsi a grande 
ventura di avere un tant’ uomo a maestro. E si noti 
che sebbene ‘talvolta sieno stati nel nostro Studio più 
maestri di Greco, mentre vi si trovava il Copernico 
non ve n'era però altro all'infuori di Codro, talchè 
nello Studio da lui solo potè apprendere questa lingua. 


traduction des lettres de Théophilacte, parceque il a fait usage de plu- 
sieurs des notices de sa main dans cette édition. En somme il l'aura 
possédé dés les primières années du siécle XVIe, ou dés les dernières 
du XVe ». 
(1) Panzer - Annales Typografici, cit., vol. I, a pag. 218, N. 
103, 104. 
22 


338 ᾿ MALAGOLA 


Ma qui è da notare un fatto di grande importanza 
pel mio asserto. Sanno già i lettori come Aldo Manu 
zio dedicasse al nostro Urceo la raccolta di lettere gre- 
che, uscite pe’ suoi tipi nel marzo del 1499, mentre 
Nicolò studiava in Bologna; e sanno eziandio come nel- 
la dedicatoria gli scrivesse quelle parole, che qui mi 
torna acconcio ripetere: « Has (epistolas) ad fe, qui ei 
latinas et graecas literas in celeberrimo Bononiensi 
Gymnasio publice profiteris, muneri mittimus, tum 
ut a te discipulis ostendantur tuîs, quo ad cultiores 
literas capescendas incendantur magis, tum ut apud te 
sint Aldi tui μνημόσυνον et pignus amoris (1) ». Quasi 
non è da porre in dubio che l’'Urceo non seguisse il 
consiglio del sapientissimo amico, da lui tenuto in tanta 
stima, e non mostrasse ai discepoli quelle lettere (scritte 
dai più celebri uomini di Grecia), esortandoli a studiarle 
e ad esercitarvisi sopra. Ora è da sapere che il Coper- 
nico fece appunto la traduzione in latino di una parte 
di esse lettere, cioè di quelle di Teofilatto Simocatta, 
che si trovano nell’ edizione aldina, dedicata all’ Urceo. 
Questa traduzione fu poi stampata nel 1509 in Craco- 
via, e dal Copernico dedicata allo zio Luca Watzelrode, 
vescovo della Varmia. Del resto, benchè in alcuni punti 
la traduzione fatta da Nicolò si allontani alquanto dal 
testo greco della raccolta aldina, che fu curata da Mar- 
co Musuro, ciò non toglie che il Copernico avesse notizia 
di queste lettere usando alla scuola di Codro. Insomma 
io penso che Nicolò, il quale doveva sentir vivissimo 
desiderio, anzi necessità, amante com’ era degli studi 
astronomici, di conoscere, imparando la lingua greca, le 


(1) Raccolta già citata a pag. 215. 


DI A. URCEO CODRO 339 


dottrine, da lui poi citate, dei filosofi greci, non potesse 
stare in Bologna senza udire l’ Urceo, tanto celebre e 
tanto dotto, e che era l’unico, siccome dissi, che in 
questo famoso Studio professasse allora, e vedremo con 
quanta fama, le lettere greche. Per tutti questi argo- 
menti che insieme concorrono a farci credere che in 
Bologna il Copernico studiasse il greco, io ritengo che 
ne intervenisse indubitatamente alle lezioni che Codro 
teneva nel nostro Studio nei giorni festivi: egli è inol- 
tre da osservare che nulla si oppone a queste nostre 
induzioni. 

XII. Ora converrebbe cercare quali autori greci 
spiegasse 1 Urceo negli anni in cui il Copernico fu suo 
discepolo, ma questa è cosa che non sì può dire sicura- 
mente. Nelle opere di Codro si trovano quattordici suoi 
discorsi, pronunziati al cominciare di diversi anni scola- 
stici, ma di pochi fra essi, come già altrove accennam- 
mo, si può dir con certezza quando fossero proferiti, e 
questi pochi furono tutti pronunziati innanzi che Coper- 
nico venisse a Bologna; giacchè il sesto discorso fu re- 
citato da Codro nel 1494, il settimo nel 1495 e l'ottavo 
forse nel 1489. Gli altri discorsi i quali non sappiamo 
quando fossero tenuti, possono anche essere stati detti 
quando Nicolò sì trovava in Bologna scolaro dell' Urceo, 
il quale è assai probabile spiegasse nel corso di ciascun 
anno quegli autori grecì di cui aveva tenuto parola in sul 
principio delle scuole in quelle prelezioni, che si hanno ‘ 
a stampa, sotto il nome di Sermones. Di esse cinque ri- 
guardano le lettere greche, e sono la seconda, ove tratta 
di Lucano e di Omero e massime del XVIII canto del- 
l' Iliade; la terza che si aggira tutta sulle lodi di Omero; 
la quinta in onore di Aristotele e della filosofia, ove 
Codro tratta della vita dell'uno e delle vicende dell’al- 


340 . MALAGOLA 


tra; la decima che pure si svolge sulle lodi della lingua 
greca; e l'undecima dove l’° Urceo, sdegnato contro co- 
loro che dispregiano questa lingua, entra a parlare di 
Esiodo e della vita campestre. Sono degne di nota, per 
riguardo al Copernico, queste parole del VII Sermone 
di Codro: « Caeterum multi adsunt in hoc auditorio, 
qui literarum Graecarum dulcedine et utilitate iam 
capti se mihi perpetuos discipulos obtulerunt. Speroque 
plures alos cum lileris Graecis vel summis labris 
degustarunt, itidem esse facturos. Nam cum Gram 
matici, Dialectici, Rhetorici, Astrologi, Medici omne 
que ferme disciphnarum genus ex lectione Graeca se 
fructum cum voluptate capere sentient, universi ad me 
audiendum convolabunt (1). E si aggiunga che nel 1. 
Sermone il nostro parla della grandezza del sole, della 
luna, e di Lucifero, recando con singolare dottrina le 
opinioni di moltissimi greci e latini (2); nel 3.° discorso 
tocca dell’ immobilità della terra e parla poeticamente 
delle stelle (3). 

XIII. Ma torniamo a dir del Copernico, che nel gre- 
co divenne valente (4). Egli è certo che a lui dovette 


(1) Opera, a pag. 165. 

(2) Opera, a pag. 54, 55 e 56. 

(3) Opera, a pag. 99 e 100. 

(4) Non sarà fuor di luogo che io dia qui un cenno degli scritti 
greci e delle traduzioni dal greco del Copernico. 


Scritti Greci, 


I. Nota di sei linee sul primo cartone del volume della Biblio- 
teca d' Upsala in Isvezia contrassegnato in quel catalogo: 35, VIII, 
1.9, publicata nelle opere seguenti: 

1) Prowe - Mitheilungen aus Schwedischen Archiven und Bi- 
bliothechen - Berlino - 1853, pag. 12. 


DI A. URCEO CODRO 341 


giovar grandemente la conoscenza della lingua greca, 
appresa dal nostro Urceo, al quale per ciò viene un 


2) Hipler - Analecta Warmiensia - Braunsberg - 1872, a 
pag. 121 (stampata solo in parte). 

3) Prowe - Monumenta Copernicana - Berlino - 1873, pag. 
76, nota 15. 

4) Curtze - Reliquiae Copernicanae - Lipsia - 1875, pag. 2. 

II. Nota in due linee sul secondo cartone dello stesso volume, 
edita in parte nei libri che seguono: 

1. Hipler - Analecta Warmiensia, a pag. 121. 
2. Curtze - Reliquiae Copernicanae, a pag. 4. 

III. Un gran numero di note nel margine dell’ opera AEZIXON' 
XATA' ΣΤΟΙΧΕΊΩΝ di Giovanni Crastone (edizione di Modena del 
1499) stampate in piccola parte come qui appresso: 

1. Hipler - Analecta Warmiensia, a pag. 120 e 121. 
2. Curtze - Reliquiae Copernicanae, a pag. 3. 
IV. Nota di 10 linee sul cartone inferiore del volume segnato: 
V.I 1. 17, nel catalogo della Biblioteca d' Upsala. La publicarono: 
1. Hipler - Analecia Warmiensia, a pag, 123. 
2. Curtze - Reliquiae Copernicanae, a pag. 60. 
Tutte queste note si hanno autografe. 


Traduzioni dal Greco. 


I. Traduzione delle lettere di Teofilatto Simocatta. Fu stampata 
nei libri seguenti: 

I. Theophilacti scolastici Simocati epistole morales: rurales et 
amatorie interpretatione latina, In fine: Impresssum Cracouie in domo 
domini Iohannis halles (sic) Anno salutis nostre M.CCCCC.IX. 

2. Nicolai Copernici Torunensis De Revolutionibus Orbium 
Coelestium Libri Sex .... Varsaviae Typis Stanislai Strabski Anno 
MDCCCLIYV, da pag. 595 a 632 - Vi è aggiunta una traduzione 
polacca a lato della latina. 

3. Spicilegium Copernicanum, raccolto dal Dottor Francesco 
Hipler - da pag. 72 a 102. 

4. Monumenta Copernicana, del Prof. Leopoldo Prowe, da 
pag. 43 a 123, col testo greco a fronte. 


342 MALAGOLA 


gran merito. Nicolò, che aveva pratica del cielo e delle 
stelle, non potendo combinare i fenomeni, che osserva-: 
va, col sistema di Tolomeo, « sî messe a ricercar dili- 
gentemente (sono parole di Galileo) se alcuno tra gli 
antichi uomini segnalati avesse attribuito al Mondo altra 
struttura che la comunemente ricevuta da Tolomeo; e 
trovando che alcuni Pittagorici avevano în particolare 
attribuito alla Terra la conversion diurna, e altri il 
movimento annuo ancora, cominciò a rincontrar con 
queste due nuove supposizioni le apparenze e le par- 
licolarità dei moti dei pianeti, le quali tutte cose egli 
aveva prontamente alle mani; e vedendo il tuito con 
mirabil facilità corrisponder con le sue parti, abbrac 
ciò questa nuova costituzione e in essa si quietò (1) ». 
Ognun vede che le parole di Galileo attribuirebbero un 
gran merito al nostro Codro, come a quello che avreb- 
be dato al Copernico il mezzo di intendere i filosofi greci 
e di valersi delle loro dottrine. Molti sostengono quest’ o- 


II. Traduzione della lettera di Lisia ad Ipparco - Questa fu 
stampata due volte: 

1. Nell'edizione dell’opera di Copernico De Revolutionibus, im- 
pressa in Thorn nel 1873, dalla pag. 34 alla 36. 

2. Nell'opera Monumenta Copernicana del Prowe, dalla pag. 
128 alla 133. Evvi anche il testo greco a fronte. 

Il testo latino di questa traduzione trovasi autografo nel mano- 
scritto originale dell’opera De Revolutionibus che si conserva nella 
biblioteca dei Conti di Nustitz in Praga. Debbo quest’ esattissima 
nota degli scritti greci del Copernico, e delle traduzioni da quella 
lingua, al dotto Segretario della Società Copernicana di Thorn, Prof. 
Massimiliano Curtze, che me la comunicava con lettera dei 10 de- 
cembre del 1876. 

(1) Le opere di Galileo Galilei - Firenze - 1842. Vedi il Dialogo 
dei Massimi Sistemi del Mondo, tomo I, a pag. 372. 


DI A. URCEO CODRO 343 


pinione, ma l'illustre ed eruditissimo astronomo Prof. 
Comm. G. V. Schiaparelli, in una lettera che già mi 
diresse (1) ritiene che il Copernico dietro proprie riftes- 


(1) La lettera è la seguente: 


« Milano il 26 Marzo 1876. 
Egregio Signore, 


Rispondendo alla sua cortese lettera del 23 corrente, le dirò, 
che io non ho avuto occasione di far studi molto accurati sopra 
Copernico e sul filo d'idee che lo condusse definitivamente al giusto 
ordinamento del sistema del mondo. Credo però, che volendo stabi- 
lire qualche cosa al riguardo della parte che nel suo concetto fon- 
damentale possono aver avuto le letture degli scrittori antichi, non 
sì possa porre altro fondamento, che le notizie da lui medesimo in- 
tercalate in varii luoghi de’ suoi scritti. Nelle edizioni antiche del li- 
bro De Revolutsonibus si trovano citati Filolao, Iceta, Eraclide Pon- 
tico, e credo anche Ecfanto. Il sistema di Filolao e d'Iceta non era 
identico a quello di Copernico: le notizie che egli ne potè avere 
suonano cosi oscuramente, che io non penso abbia potuto da esse 
ricavare la sua idea fondamentale. La notizia relativa ad Eraclide 
Pontico non riguarda che il moto rotatorio della Terra, e non ba 
potuto somministrare a Copernico alcuna idea del moto di traslazio- 
ne. Lo stesso diciamo d'Ecfanto. 

Nella edizione secolare però del libro De Revolutionibus, recen-. 
temente pubblicata, si trovano alcune aggiunte fatte sul manoscritto 
originale: ed in queste è citato una volta di passaggio Aristarco. 
Quale delle molte notizie che noi abbiam su Aristarco sia venuta 
sotto gli occhi di Copernico, è difficile dirlo. Alcune di queste sono 
chiare, come quella data da Archimede, altre non dicono gran cosa. 

Sommando tutto, io credo che Copernico sia giunto alla sua 
idea dietro proprie riflessioni, e che abbia poi cercato negli scritti 
degli Antichi i passi che potevano conciliare a quell'idea migliore 
accoglienza fra i dotti di una età, ove antico equivaleva a dir vene- 
rabile e autorevole. Ma, ripeto, posso sbagliarmi in questa mia opi- 


944 MALAGOLA 


sioni sia giunto alla sua grande scoperta, e dei passi dei 
filosofi Pitagorici solamente si sia valso per dare auto- 
rità alle proprie dottrine. Comunque sia la cosa, nessuno 
nega che la conoscenza della lingua greca acquistata 
dall’immortale astronomo in Bologna per opera del no- 
stro Codro non gli sia tornata utilissima per corrobo- 
rare, se pur non vogliasi per ideare, quei principi che 
si levarono, fondati sulla verità della ragione, contro 
l’ autorità, per tanti secoli incontestata, del sistema 
tolomaico. A me dunque pare che venga sufficiente glo- 
ria all’ Urceo dall’ avere, in qualunque modo, avuto par- 
te in una scoperta che operò, come a ragione osserva 
l'illustre Berti, il rivolgimento più grande che sia ac- 
caduto dopo il cristianesimo; ed infatti fu il sistema Co- 
pernicano che introdusse nello studio della natura il con- 
cetto dell’ infinito, distruggendo con l'autorità ragione- 
vole della: pratica osservazione quella dispotica del do- 
gma. Non è a dire quanto onore verrà per questo in 
tutti i secoli all’ Urceo, il cui nome è congiunto a quello 
di un uomo 


« Di cui la fama ancor nel mondo dura 
E durerà quanto il moto lontana. » 


Però, e questo non voglio tacere, duolmi che quando 


nione, non avendo mai fatto uno studio regolare ed esaustivo della 
vita e degli scritti di Copernico. 
Aggradisca l’ espressione del mio sincero ossequio, e mi abbia 
per suo 
Devotissimo Servo 
SCHIAPARELLI. 


Al Ch.®° Sig. Carlo Malagola 
Bologna ». 


DI A. URCEO CODRO 345 


nella Università di Bologna si commemorava il quarto 
centenario dalla nascita di Nicolò Copernico, tra le iscri- 
zioni che ricordavano Domenico Maria Novara e Scipio- 
ne Del Ferro, non ne fosse posta una che ricordasse 
Antonio Urceo. 

XIV. Poichè ho accennato al Novara e al Dal Ferro 
voglio dir qui dell’ uno e dell’ altro alcune cose che mi 
paiono necessarie, senza però toccare di ciò che già fu 
detto della loro vita, e che non tornerebbe opportuno 
ripetere in questo luogo (1). Molti degli scrittori che par- 
larono del Copernico, hanno mostrato di credere che egli 
in Bologna fosse discepolo di Domenico Maria Novara. 
Per verità questo non può provarsi con valide ragioni. 
A me sembra invece da credere che in Bologna il Co- 
pernico, che era studente di Legge, fosse amico ed aiu- 
tatore del Novara nelle osservazioni celesti, piuttosto 
che scolaro. Giacchè sin da quando quegli era a Cracovia, 
cioè circa sei anni prima di venire a Bologna, aveva stu- 
diato l’ astronomia, che in quella Università 8᾽ insegnava 
negli ultimi anni del corso filosofico, al quale egli s'era 
inscritto nel 1491, nè è da supporre che Nicolò abbia 
intralasciato un momento lo studio dell’ astronomia. 


(1) Non posso passare sotto silenzio le eruditissime Memorie 
bibliografiche del Novara che dobbiamo all’illustre Principe D. Bal- 
dassarre Boncompagni, il quale io non saprei se più sia da ammi- 
rare per la dottrina onde coltiva le scienze, e specialmente la storia 
delle Matematiche, o per la munificenza onde le protegge. Le dette 
Memorie sono inserite nel Bullettino di Bibliografia e di Storia delle 
Scienze Matematiche e Fisiche, nel tomo IV, a pag. 140, 149 e 340. 
Anche è da ricordare l'articolo, intitolato D. M. Novara, del Cav. L. N. 
Cittadella, inserito nello Svegliarino di Ferrara dei 23 aprile 1873 
e ristampato nel Buonarroti (Serie II, Vol. XI, maggio 1876) per 
cura dello stesso Principe Boncompagni. 


346 MALAGOLA 


Ma che egli in Bologna fosse più che scolaro amico 
ed aiutatore del Novara abbiamo diverse testimonianze, 
fra le quali è da recare per prima quella che ci lasciò 
il Retico, discepolo del sommo astronomo, in una lettera 
a Giovanni Schoner. Tutto ciò che egli scrisse del suo 
celeberrimo maestro è da aversi quasi come detto dal 
Copernico istesso, giacchè il Retico non solo gli portò 
amore, più che da discepolo, da figliuolo, ma consacrò 
tutta la vita a divulgarne le dottrine, e volle viver 
con lui oltre due anni per raccogliere dalla sua bocca 
ogni proposizione che a quelle dottrine si riferisse, ed 
ebbe dal Copernico ricambio di singolarissimo affetto e 
di stima particolare. Ecco adunque le parole della lettera 
del Retico allo Schoner, ove sì ricordano i rapporti avuti 
dal Copernico con Domenico Maria Novara, delle quali 
parole convien tenere gran conto: « Cum D. Doctor meus 
Bononiae, non tam discipulus, quam adiutor et testis 
observalionum doctissimi Viri Dominici Mariae..... (1) » 
E nella Prefazione alle « Ephemerides Novae » dello 
stesso Retico si legge: « Εἴ cum in Italia animum opt- 
marum disciplinarum atque artium doctrina instru- 
aissel, otium tandem nactus, rem lotam divino inge- 
nio complexus, incredibili diligentia perfecit, omnium 
admiratione qui in his studuis versarentur. Vixerat 
cum Dominico Maria Bononiensi, cuius rationes pla- 
ne cognoverat, et observationes adiuverat (2) ». Queste 
parole confermano adunque ben chiaramente il senso che 
si deve attribuire alle altre del Retico poc'anzi citate, 


(1) Hipler - Spic. Cop., ἃ pag. 212. 
(2) Hipler - .Spic. Cop., a pag. 227. 


DI A. URCEO CODRO 347 


se pure non significano, secondo che ha pensato il Comm. 
Berti, che Copernico abitasse in Bologna nella casa di 
Domenico Maria. Novara, giacchè con difficoltà avrebbe 
potuto altrimenti passare con lui le notti nelle osserva- 
zioni astronomiche. Insomma quelle parole dimostrano 
apertamente come fra il Novara e il Copernico fossero 
vincoli di molta famigliarità. Copernico adunque, essendo 
il Novara un assiduo osservatore dei fenomeni celesti, - 
potè con lui senza dubio ritrarre grande profitto, perfe- 
zionandosi nell'uso degli strumenti e massime esercitan- 
dosi nell’ applicazione delle teorie scientifiche alla prati- 
ca, facendo cioè molte osservazioni astronomiche. 

Più sopra, ove parlai del tempo in cui Nicolò Co- 
pernico venne a Bologna, ho accennato ad una osser- 
vazione astronomica, che vi fece nel marzo de] 1497, 
la quale registrò nel ventisettesimo capitolo del quarto 
libro della sua opera « De Revolutionibus ». Questa οϑ- 
servazione, se pur non è la prima che Copernico abbia 
fatto, è certamente la prima, per riguardo al tempo, 
ch'egli abbia registrato, onde si può credère che in 
Bologna, forse sotto la guida di Domenico Maria Novara, 
cominciasse a raccogliere i materiali, di cuì poi si valse 
per ispiegare e per rafforzare i principi del suo sistema. 
Non abbiamo alcuna prova per dire che sin da quando 
si trovava in Bologna già se gli fossero presentati alla 
mente i principali concetti di quello, tuttavia sì può esser 
certi che la lunga serie di osservazioni da lui fatte nella 
nostra città gli dovesse già fin d’ allora avere mostrato 
che le dottrine tolomaiche, sino al suo tempo reputate 
vere, non reggevano al confronto delle nuove pratiche 
osservazioni. 

Domenico Maria Novara fu, pe’ suoi tempi, di non 
comune valore nell’ astronomia. Egli, siccome affermano 


948 MALAGOLA 


il Montucla (1) ed il Libri (2) nelle loro istorie delle 
Matematiche, determinò nuovamente la posizione delle 
stelle comprese nell’Almagesto di Tolomeo. Ma una pro- 
va del suo ingegno e del suo sapere è una scoperta 
ch’ ei fece, per la quale il suo nome resterà sempre ono- 
rato nella storia delle scienze, sebbene fosse’ erronea la 
conclusione che ne trasse. Ecco le parole colle quali ne 
‘ragiona l'illustre Prof. Domenico Berti; « L' asse tferre- 
stre prolungato descrive nella volta celeste un gran 
cerchio del diametro di 41 gradi nel corso di 25800 
anni. Il Novara fu primo ad osservare il movimento 
dell'asse terrestre, per cuî si compie colesto fenomeno 
il quale è una consequenza della precessione degli equi 
nozii scoperta da Ipparco. L’ asse terrestre prolungato 
incontra nell'emisfero boreale la volia celeste în un 
punto. Ora egli notò che tale punto era ai tempi di 
Tolomeo più basso ed alquanto più alto αἱ suoi; per 
cui concluse che l asse terrestre tendeva alzarsi ed 
avvicinarsi al Zenit. La conclusione, come abbiamo 
detto, è difettiva, perchè egli, non avendo potuto co- 
noscere l'arco percorso nell'intervallo di tempo, rela- 
tivamente piccolo, che si distende da Tolomeo ad esso, 
| portò la sua attenzione solamenie ai due punti estremi, 
concludendo per l innalzamento nel senso della corda, 
anzi che per un movimento in arco. É quantunque 
cotesta mutazione della posizione dell'asse terrestre, 
secondo che già avvertimmo, dipendesse dalla preces- 
sione degli equinozii, tuttavia si deve rendergli l onore 
di averla indicata, imperocchè la storia è piena di 


(1) Histoire des Mathematiques, Tomo I, pag. 549. 
(2) Histoire des Sciences Mathematiques en Italie - Paris - 1840, 
Tomo III, pag. 99. 


DI A. URCEO CODRO 349 
esempi, che dimostrano non essere cosa facile τὲ pre- 
vedere tutle le conseguenze di una scoperta (1) ». La 
quale per verità dovette parere di grande momento anche 
al Magini, che nelle sue « Tadulae secundorum mobi- 
lium coelestium », ove il Novara è chiamato « vir divino 
ingenio praeditus », riportò testualmente quella parte 
del « Pronosticon » del Novara, nel quale si conteneva 
la narrazione di questa scoperta, temendo forse che gli 
esemplari a stampa di quello, come poi è avvenuto, an- 
dassero perduti (2). Anche Giordano Bruno, in diversi 
luoghi delle sue opere, fece soggetto di esame questo 
importante trovato. 

Il Copernico, che già, come scrisse il Gassendi, 
molto si compiaceva di qugsta scoperta (rammentata 
poi anche dal Clavio, dal Pifferi e dal Keplero) nel 
manoscritto autografo dell’ opera « De Revolutionibus », 
sul quale fu condotta la magnifica edizione che se ne 
fece nel 1873, a spese del Governo Germanico, dai 
Professori Curtze e Boethke, notò di suo pugno la 
misura dell’ obliquità dell'eclittica secondo i calcoli del 
Regiomontano, del Puerbach e secondo quelli di D. M. 
Novara, cioè in gradi 23 e minuti 29 con qualche cosa 
di più (3). Da ciò resta confermato quello, di cui alcu- 
ni dubitavano, che Domenico Maria veramente abbia 
compiuto un tal lavoro, ed anco sì può argomentare 
che il Copernico, quando nella sua opera immortale 
scrisse: « Reperta est tam a nobis et aliis quibusdam 
coelancis distantia tropicorum », volesse alludere anche 


(1) Op. cit., a pag. 39 e 40. 

(2) T'abulae secundorum mobilium coelestium.. . Authore To. An- 
tonio Magino.... - Venetiis, M.D.LXXXYV, a pag. 99. 

(3) Ediz. cit., a pag. 17] e 172, nota 


350 MALAGOLA 


al Novara. Intorno al quale mi parrebbe eziandìo neces- 
sario notare una cosa, cioè il giorno in cui, di peste, 
avvenne la sua morte. Girolamo Tiraboschi (1) lasciò 
scritto che fu nel 1514, tratto in errore forse da un'i- 
scrizione, riferita dall’ Alidosi (2) in un opuscolo di cui 
avrò a dire poco più innanzi. Il Ghirardacci invece, nel- 
le sue Historie di Bologna (3), e dopo di lui quasi tutti 
gli altri, affermarono morisse ai 15 d'agosto del 1504. 
Esaminando i Quartironi dello Studio bolognese, ho tro- 
| vato, in quello della quarta distribuzione dello stipendio 
ai Lettori, la nota seguente di contro al nome e allo 
stipendio del Novara: « ob?jt die 17 augusti presentis 
annt », ma poi in quello della terza distribuzione dello 
stesso anno è scritto invece :. « οὔ) έ die vigesimo augusti 
presentis anni ». Nella cronaca bolognese, inedita, in 
un volume, che va sotto il nome di Fileno Dalle Tuatte, 
e che si conserva manoscritta nella Biblioteca dell’ Uni- 
‘ versità di Bologna, la morte del Novara è segnata ai 18 
d'agosto del 1504, con queste parole: « A dì 18 d'a- 
gosto Murj el famosissimo dotore In le arte e strologo 
M° domenego maria de Ferara el quale avea predita 
la soa morte de parichi di inanci, de età de 50 anj e 
15 di. 

Fu portato ala nonziata fuora de san mamolo 
acompagniato da tuti li Retori e studenti e molti no- 
bilj citadini co compianto de luto el studio (4) ». Noi 


(1) δέον. della Lett. Ital., Tomo VI, pag. 401. 

(2) Li Dottori Forestieri che in Bologna hanno letto Teologia, 
Filosofia, Medicina ef Arti Liberali.... In Bologna Per Nicolò Tebal- 
dini, M.DC.XXIII., a pag. 20. 

(3) Nel terzo volume delle Historie di Bologna, a pag. 379. 

(4) A carte 273 retto. 


DI A. URCEO CODRO 351 


abbiamo qui tre memorie del giorno in cui morì il 'No- 
vara, scritte appunto in quel tempo, ma che differisco- 
no l’una dall'altra nel segnarlo. Non avendo alle mani 
altro documento più certo, non possiamo con ragione 
credere all’ una piuttosto che all’ altra; del resto che 
il Novara sia morto ai 17 piuttosto che ai 18 od ai 20 
d'agosto, non è cosa di grave importanza, mentre que- 
ste memorie, oltre che del mese e dell’anno, ci rendon 
sicuri approssimativamente anche del giorno della morte 
di Domenico Maria. 

Pasquale Alidosi, nel suo opuscolo « L? Dottori Fo- 
restieri che în Bologna hanno letto Teologia, Filosofia, 
Medicina et Arti Liberali » (1), ci ha conservata l' iscri- 
zione in versi, ora perduta, che fu posta nella chiesa 
dell’Annunciata sul sepolcro di Domenico Maria, la quale 
era di questo tenore: 


« In M. Dominicum Mariam de Nouaria Ferr. Astrologum 
rarissimum 

Qui responsa dabat Coeli internuncios ore 
Veridico fati sidera sacra probans, 

Qui rariam norat lunam phocbique meatus 
Sede sub hac parua conditus ille iacet. 

Pieri) tuvenes, populus, gens, curia lugent 
Externi reges, Bentiuolea Domus. 


Marianus Zuchatus hoc sepulc. pos. 
Vix An. L obijt An. sal. M.D. XIV. (sic) cal. sept. ». 


A proposito del Novara, voglio finalmente osservare 
esser molto probabile che il Copernico abbia conosciuto 
anche gli altri astronomi che leggevano nello Studio 


(1) Opusc. cit., a pag. 19 e 20. 


352 MALAGOLA 


quando egli dimorava in Bologna, cioè Scipione da Man- 
tova, Francesco da Pavia, Giacomo Petramellara e Gia- 
como Benacci, e fosse amico di Giacomo De Mena, spa- 
gnuolo, di Paolo da Montelupone, e di Gian Francesco 
Tucci da Busseto, scolari Artisti che fecero dispute e 
ripetizioni d'Astronomia, il primo nell'anno scolastico 
1497-98, l'altro nel 1498-99, il terzo nel 1499-1500. 
Dirò da ultimo che nell'Archivio dell’antico Reggimento 
Bolognese ho rinvenuti alcuni documenti che riguarda- 
no il Novara, i quali trascriverò per esteso (1), aggiun- 
gendovi ancora quella parte dei Rotul del nostro Studio 
dal 1483 al 1501, dove è il nome del Novara e degli 
altri che publicamente insegnarono Astronomia, o che 
fecero ripetizioni e dispute di questa scienza (2). 

XV. Per quello che ho riferito, niuno certamente 
porrà in dubio che Nicolò Copernico in Bologna non do- 
vesse avere famigliarità con Domenico Maria Novara; 
ma, quanto a Scipione Dal Ferro, la cosa è ben diversa. 
Tutti gli scrittori i quali hanno detto che il Copernico in 
Bologna ebbe a maestro nelle Matematiche e nella Geo- 
metria Scipione Dal Ferro, fondarono la loro asserzione 
sopra una credenza non completa. Essi, pensando che il 
Copernico nelle scuole di Bologna abbia appreso le Ma- 
tematiche, delle quali tanto utilmente si servì poi ne’ suoì 
calcoli astronomici, e trovando che nel tempo, in cui era 
in Bologna Nicolò, le insegnava Scipione Dal Ferro, ar- 
guirono senz’ altro che egli le dovesse avere insegnate 
al Copernico. Questa induzione sarebbe stata logica, 
se, anzichè imaginato soltanto, fosse stato provato che 
questi apprese veramente le matematiche nel nostro 


n. — en 


(1) Vedi l'Appendice XXV. 
(2) Vedi l'Appendice XXVI. 


DI A. URCEO CODRO 909 

Studio, e che in esso il solo Dal Ferro in quel tempo 
lesse Aritmetica e Geometria. Ma dai Rotuli, che si con- 
servano nell’ Archivio Notarile, sappiamo che mentre il 
Copernico si trovava nella nostra città, insegnavano 
Aritmetica e Geometria, oltre il Dal Ferro, Antonio di 
Leonardo Dalla Croce, Pirro Albiroli, Benedetto Pan- 
cerasi e Girolamo Macchiavelli. Non essendovi adunque 
nè documento, πὸ memoria la quale assicuri non solo che 
il Copernico fosse studente di Matematiche in Bologna, 
ma lo fosse precisamente di Scipione Dal Ferro, non è 
punto ragionevole attribuire a lui, piuttosto che ad altri 
dei maestri, che le insegnarono in quel tempo, un merito 
così grande. Del resto il Dal Ferro aveva cominciato 
le sue lezioni di Aritmetica e di Geometria nell’anno 
stesso in cui il Copernico era venuto a Bologna (1), 
mentre Antonio Dalla Croce che insegnava queste scien- 
ze dal 1484, Pirro Albiroli che dal 1491, e Benedetto 
Pancerasi che dal 1493, potevano meglio essere cono- 
sciuti e stimati, che allora non fosse il Dal Ferro, forse 
assai giovane. 

Vorrei qui far punto intorno a questo matematico, 
ma conviene che prima io tolga un errore intorno al- 
l’ anno della sua morte, la quale si crede avvenuta nel 
1525. Dal terzo dei documenti riguardanti il Dal Ferro, 
che publico in questo volume, appare chiaramente per 
qual cagione gli scrittori abbian creduto esser morto Sci- 
pione nel 1525, invece che nel 1526; il quale errore 
ebbe origine dal non trovarsi dopo l’anno 1525 registrato 
il suo nome nei Rotuli. Ma se ivi dopo questo tempo non 
fu più notato, non accadde già perchè il Dal Ferro fosse 


(1) Vedi l'Appendice XXVII, doc. 1.5 e 2.° 
23 


954 MALAGOLA 


morto in quell’anno, sibbene perchè allora s'era condotto 
a Venezia, forse per rimanervi, ma d'onde poi ritornò 
nell’ ottobre dell’anno seguente. E ciò vien dimostrato 
da un Partito dei Riformatori dello Stato di Libertà di 
Bologna dei 29 ottobre 1526, ove è decretato: « .... quod 
restituatur in rotulo ad arithmeticam magister Scipio 
de ferro, qui per Dominos Reformatores studij în pro- 
xima reformatione omissus fuit describi, propter eius 
moram în Civilate Venetiarum, attento eius reditu ut 
Bononiae in Patria resideat et sic în ea, non autem 
Venelijs, velle inhabitare affirmavit.... (1) ». Oltre di 
questo documento del 1526, che ci prova con tutta cer- 
tezza, e contro la comune opinione, che il Dal Ferro 
non morì nel 1525, ho potuto rinvenire un altro Partito, 
in data del 16 di novembre del 1526, il quale incomincia: 
... cum per hos dies decesserit magister Scipio de 
ferro.... (2) ». Da queste parole, se non rileviamo il dì 
preciso della morte del Dal Ferro, possiamo tuttavia 
dedurre, confrontando questo con l’ altro Partito ora ci- 
tato, che il Dal Ferro passasse di questa vita fra il 29 
di ottobre e il 16 di novembre dell’anno 1526. Pur 
tuttavia non deve recar maraviglia il non trovarsi nota- 
to il suo nome nel Rotulo dell’ anno scolastico 1526-27, 
sebbene i Riformatori avessero decretato che vi fosse 
posto, ed egli sia morto solo tra il 29 d’ottobre ed il 
16 di novembre del 1526; noi dobbiamo osservare che 1] 
Rotulo di quell’ anno fu scritto ai 2 di ottobre del 1526, 
mentre solo ai 29 di quel mese i Riformatori decreta- 
rono che il nome del Dal Ferro vi fosse registrato, 


(1) Vedi l'Appendice XXVII, doc. 3.9 
(2) Vedi l’Appendice XXVII, doc. 4.9 


DI A. URCEO CODRO 355 


cioè sol quando il Rotulo più non era presso di loro, 
nè affisso nello Studio, ma invece depositato già nel- 
l'Archivio Comunale, che è quello che oggi si chiama 
Notarile. Infatti (come già osservammo (1)) i Rotuli, 
dopo esser stati approvati dai Riformatori, dovevano 
tenersi affissi per quindici giorni nello Studio, dopo di 
che si riponevano nel detto Archivio, come attestano 
le parole che si leggono in quello stesso Rotulo del 1526 
(per non servirmi di quelle di altri), ove è stabilito: 
«.... Ultimo praesens Rotulus, ut omnibus innotescat, 
et ut ab omnibus videri, legi et intelligi possit, prae- 
sentetur ac ponatur ad stationem Universitatis Arti 
starum et Medicorum, ibidem debito et consueto tem- 
pore mansurus; postea vero per Notarium ipsorum Do- 
minorum Reformailorum ponatur in Archivio publico 
Comunis Bononiae. Sub pena Notario praedicto libra- 
rum Vigintiquinque bononenorum.... ». 

Nell’Archivio del Reggimento, nei Quartironi dello 
Studio del 1525-26 e del 1526-27 troviamo il nome del 
Dal Ferro, col consueto stipendio, in ciascuna delle quat- 
tro distribuzioni trimestrali, dal che possiamo dedurre 
che anche mentre era in Venezia gli corresse sempre 
ugualmente lo stipendio (2). Ma basti di Scipione Dal 
Ferro. 

XVI. Parlando del soggiorno di Nicolò Copernico 
in Bologna non può tacersi del fratello di lui Andrea. 
I biografi dell'immortale astronomo parlano più volte 
di Andrea Copernico, scrivendo che egli fu in Bologna 
con Nicolò, ma nessuno potè dire sinora quando vi ve- 


(1) Nel capitolo Il, nella nota prima, a pag. 21. 
(2) Vedi l'Appendice XXVII, doc. 5.° 


—_——€—+———_——»——_————————__——_——___ELRÀ94 


356 MALAGOLA 

nisse, nè cosa precisamente vi facesse (1). All’ una e al 
l’altra di queste ricerche rispondono ampiamente due 
documenti dell’Archivio Malvezzi de’ Medici. Il primo sta 
nel volume già citato: « Annales Clarissimae Nacionis 
Germanoruvm (2) »; porta la data dei 24 gennaio 1499, 
ed è la nota dei danari pagati da quelli che sì inscris- 
sero nella Nazione Germanica nel 1498, fra’ quali si 
trova Andrea Copernico, ricordato con queste parole: 


« À domino andrea kopternick diocesis 
ΜΝ bologninos XXXII (3)». 


Devesi notare che nel documento, qui riferito in 
parte, non è segnato il nome della Diocesi alla quale ap- 
parteneva Andrea Copernico, che fu quella di Culm. 

La seconda memoria che abbiamo di Andrea è nel- 
l'altro volume, pur menzionato col titolo: « Matricula 
Nobilissimi Germanorum Collegi », il quale conservasi, 
come ho detto, nell'Archivio Malvezzi de’ Medici, e con- 
tiene queste parole (4): 


« ANNO DOMINI M.CCCC.XCVIII 
Dominus Andreas Kopternik . libram unam, bononenos 
duodecim (5) ». 


Senza ripeter qui le ragioni adotte già per gli altri 
due documenti citati, ove è menzione di Nicolò, dire- 


— — 


(1) Watterich. - De Lucae Watzelrode Episcopi Warmiensis in 
Nicolaum Copernicum meritis.... Regimonti - Typis Academicis Dal- 
howskianis (1856). Vedi, a pag. 29, l'Excursus de Nicolai Copernici 
fratre Andrea. 

(2) A carte 144 verso, 

(3) Vedi l'Appendice XXVIII, doc. 1.5 

(4) A carte 72 retto. 

(5) Vedi l'Appendice XXVIII, doc. 2.° 


DI A. URCEO CODRO 357 


mo come da essi rilevisi ugualmente che entro l’anno 
1498 Andrea era di già in Bologna. Ancora se ne de- 
duce che questi, avendo allora fatto parte della Nazione 
allemanna (nella quale, come dissi più sopra, non erano 
ammessi se non coloro che studiavano il Diritto) dovè 
senza alcun dubio essere qui studente di Legge, e, 
più precisamente, di Diritto Canonico. E sebbene nello 
« Spicilegium Copernicanum », raccolto con dotta cura 
dal Dottor Francesco Hipler, si trovi un documento del- 
l’anno 1501, ove sono queste parole: «.... Andreas (Co- 
pernicus) pectt fauorem studium suum incipiendj (1) », 
è però chiaro che lo studio ch’ ei desiderava di comin- 
ciare nel 1501 era quello delle lettere, come si ritrae 
dalle parole che leggonsi non molto dopo, nello stesso 
documento: «.... Et Andreas pro literis capescendis abi- 
lis videbatur ». 

Anche di lui debbo dire quello che affermai già 
di Nicolò, che cioè, quantunque in Bologna sia stato 
scolaro Leggista (e questo non è da metter in dubio) 
qui però non fu dottorato, non trovandosi il suo no- 
me in alcuno dei diversi libri dell’ Archivio del Reg- 
gimento, ove avrebbe dovuto immancabilmente essere 
registrato, se nella città nostra avesse avuto la Laurea 
in Diritto. 

XVII. Dicemmo già essere provato che Nicolò Co- 
pernico successe nel quattordicesimo canonicato del Ca- 
pitolo di Frauenburgo, a Gio. Czannow, morto ai 26 
d'agosto del 1497. Pertanto io credo, poichè questo era 
necessario, che egli, verso il finire del 1497, o sul principio 
del 1498, da Bologna si recasse a Frauenburgo ed ivi 


--΄ —————————»——_——————€k 


(1) A pag. 267. 


358 — MALAGOLA 
fermatosi per un mese, vi facesse in quello la sua Re- 
sidenza Canonicale, e, ricevuta la dispensa dalla Resi- 
denza per gli altri 11 mesi (che soleva concedersi a quei 
canonici (1)) sia tornato nella nostra città. Nello Spic:- 
legium dell’ Hipler sì legge il seguente documento dei 
7 di febbraio del 1499, tolto dall'Archivio Capitolare di 
Frauenburgo: « Anno domini 1499 in crastino doro- 
thee optata sunt Allodia infrascripta per dominos de 
Capitulo subscriptos: Dominus prepositus ... D. Caspar 
.. D. Zacharias .. D. Martinus .. ἢ. Andreas .. D. Bal 
tasar .. D. Albertus.. D. Michael .. ἢ. Nicolaus Kopper- 
nick optauit allodium domini michaelis vacans, Dominus 
Cantor Joh. Sculteti optauit allodium in Zandekow (2) ». 
Per questo documento alcuni scrittori hanno creduto 
che Nicolò Copernico nell’anno 1499 da Bologna si re- 
casse a Frauenburgo, e nel ritorno di là conducesse 
con lui a Bologna il fratello Andrea. Nè la prima, nè 
la seconda di queste supposizioni mì paiono ragionevoli, 
poichè Nicolò, senza portarsi a Frauenburgo, poteva be- 
nissimo prender possesso di quel beneficio (0 prebenda 
che voglia dirsi, trattandosi di beneficio canonicale) de- 
legando un procuratore che facesse le sue veci, come 
era permesso dalle disposizioni del Diritto Canonico nelle 
Decretali al capo XXIV «de Praebendis », ed anche nelle 
speciali Costituzioni del Capitolo di Frauenburgo, le quali 
similmente all'articolo XXIX stabilivano: « .... quod Ca- 
nonicus de Licencia domini Episcopi et consensu Capt- 
tuli Studii peregrinacionis..... causa absens....... , licet re 
sidenciam apud ecclesiam non fecerit personalem, dum- 


(1) Lettera dell’ Hipler all’A., in data del 15 settembre 1877. 
(2) A pag. 267. 


DI A. URCEO CODRO 359 


modo tamen prebendam suam pacifice per annum pos- 
sederit, pro tempore huiusmodi absencie sue Curiam 
Canonicalem et allodium aut alterum iîllorum, per pro- 
curatorem suum dumtaxat apud ecclesiam a die no- 
ticie vacacionis infra viginti dies continuos possit opta- 
re (1) ». E l'articolo XIX delle stesse Costituzioni è così 
concepito: « Item Statuimus quod nullus beneficiatus 
ecclesie Warmiensis ad percepcionem fructuum benefi- 
cit sui admillatur, nisi, absens, per proturatorem suum, 
et veniens ad residenciam, personaliler, solitum presti 
terit Juramentum (2) ». Onde è chiaro che il Copernico , 
non solo poteva optare per quel beneficio, pur rima- 
nendo nella nostra città, ma eziandio percepirne ugual- 
mente i frutti. Non si può dunque supporre che Nicolò, 
il quale, come vedremo fra poco, viveva in Bologna in 
grande scarsità di danaro, volesse avventurarsi ad un 
viaggio di più che 1750 miglia fra l'andare e il tor- 
nare, d'inverno, a traverso regioni settentrionali (il 
qual viaggio in quel secolo doveva costare una perdita 
di tempo e una somma di danaro ben considerevole) 
mentre, essendo in facoltà di delegare un’altra persona 
che facesse le sue veci, poteva, senza alcuna spesa, 
senza disagi, e senza perdere un tempo troppo prezioso 
pe suoi studi, ottenere e godere ugualmente quella pre- 
benda. 

XVIII. Poco fa ho accennato come Nicolò Coper- 
nico in Bologna vivesse in grande scarsità di danaro; 
anzi è da osservare che tanto egli, quanto il fratello, 
vi traevano la vita così poveramente, che Andrea aveva 


(1) Hipler - .Spic. Cop. “ a pag. 255.. 
(2) Hipler - Spic. Cop. - a pag. 252. 


960 MALAGOLA 


divisato di recarsi a Roma e mettersi a’ servigi di qual- 
cuno per provvedere al proprio sostentamento. È note- 
vole un brano di una lettera di Bernardo Sculteto al 
vescovo Luca Watzelrode, publicata dal Watterich, scrit- 
ta da Roma il 21 di ottobre 1499, dove si narra che i 
due fratelli Copernico vivevano in tanta scarsità di da- 
naro, che s'erano rivolti per consiglio ed aiuto al Pre- 
posto Prang (1), il quale mosso dalla loro misera con- 
dizione si era offerto mallevadore ad un banchiere, e 
da quello aveva loro ottenuto cento ducati a prestan- 
za. Ecco il brano della lettera dello Sculteto, che si 
riferisce a questo fatto, e che merita di essere ripor- 
tato: «.... Verum cum his diebus anteactis patrue- 
les (sic) Vestrae Reverendissimae paternitatis, Bono- 
niae degentes, scolarium more pecunis carerent, el 
ad dominum Georgium, et vere nudus ad nudum, con- 
volarent interpellantes praefatum (2) dominum Geor- 
gium quid consilii esset, Andreas Romae servitiis se 
dare offerebai, ut egestati mederetur: tandem ea banco 
centum ducatos sub fenore receperunt, pro quibus 
fidem dedi quarto mense solvendi, quorum unus iam 
praeterit. Ne igitur maius dampnum ipsi Nepotes, 
et nos fideiussores verecundiam patiamur, has ante- 
dictas pecunias citius quo posstt (sic) exsolvere în 
Posna aut Vratislaviae, ut Romam miltantur, non 
dedignabilur R. D. V. humiliter rogo, în quo Dignitas 


L'—————_——_ 


(1) Giorgio Prang, Preposto della chiesa di Gudstadt, nel 1499 
era stato mandato a Roma per portare nuovi documenti a Bernardo 
Sculteto, che patrocinava in quella città gli interessi del vescovo 
della Warmia. Veggasi l'opuscolo citato del Watterich, a pag. 9. 

(2) 11 Watterich ha stampato praepositum, ma nell’ autografo 
di questa lettera è veramente scritto praefatum. 


DI A. URCEO CODRO 361 


Vestra nepotibus illis rem utilem, nobis pergratam 
faciet, erga eandem Vestram Reverendissimam pater- 
nitatem sedulo compensandam (1) ». Non è noto se il 
vescovo di Warmia seguisse il consiglio del canonico 
Sculteto e pagasse quel debito dei nipoti, possiamo tut- . 
tavia affermare che esso, secondo le condizioni, dovè 
esser soddisfatto nel gennaio del 1500, nel qual tempo 
sappiamo sicuramente che i due fratelli si trovavano 
ancora in Bologna. Del resto quel debito (molto proba- 
bilmente coi denari dello zio) sarà stato pagato prima 
che Nicolò ed Andrea abbandonassero la nostra città, 
giacchè, se diversamente fosse avvenuto, ne avremmo 
trovato qualche memoria negli « Annales » della Nazio- 
ne germanica, negli Statuti della quale, sotto la rubrica 
« Vi scolares creditoribus satisfiani », che incomincia: 
« Qui negligit famam suam crudelis est....», era stabi- 
lito che gli scolari allemanni prima di lasciar Bologna 
avessero a pagare ogni loro debito. Εἰ se avveniva altri- 
menti, e dai creditori fosse stata mossa querela ai Pro- 
curatori della Nazione, questi ne avrebbero avvisato i 
parenti degli scolari, con lettere scritte a nome di tutta 
la Nazione e munite del sigillo della medesima. E se- 
guono gli stessi Statuti: « .... Demum δὲ contumaciter 
resistunt Ad superiores (post ulteriorem creditorum 
instantiam) Prefatorum es alienum non dissoluentium, 
cuiuscumque stafus sint, aut quacumque prefulgeani 
dignitate, adhortatorie littere scribantur, Vit actutum 
ad satisfationem compellantur, Ne ex noxia seu culpan- 
da negligentia unius vel paucorum dispendium pacia- 
tur et incomodum frequens copia et multitudo bono- 


——  —rTr_ *——————————————@—_»»@ 


(1) Watterich. Op. cit., a pag. 35. 


362 MALAGOLA 


rum... (1) ». Però si noti che se i due fratelli Copernico 
erano in Bologna in tali angustie, questo forse in parte 
avveniva, come sì esprime lo Sculteto, « scholarium 
more », in parte perchè Andrea, non ancora canonico, 
era forse quasi a carico, secondo ha sospettato il Wat- 
terich (2), del fratello, il quale godeva i frutti della sua 
prebenda, come si arguisce dall’ articolo X.XII delle 
Costituzioni del Capitolo di Frauenburgo, publicate dal 
Ch.®° Hipler (3). 

XIX. Ora finalmente veniamo a dire delle ultime 
due memorie che si hanno del celebre Copernico in 
Bologna. Sono due note, di mano di Nicolò, scritte so- 
pra l’ esemplare delle « Tadulae astronomicae Alphonsi 
regîs » (impresse in Venezia nel 1492) che si conserva 
nella biblioteca d’ Upsala in Isvezia. Dalla prima di que- 
ste memorie manoscritte sappiamo che Nicolò era in 
Bologna ai 9 di gennaio del 1500. Nè la seconda è di 
minore importanza della prima, giacchè ci attesta che 
Nicolò dimorava ancora nella nostra città ai 4 di marzo 
del 1500. Ecco le due memorie sopradette, come si tro- 
vano nel prezioso opuscolo: « Reliquiae Copernicanae » 
edito dall’ erudito Prof. Curtze: 


« 1500 


die nona Ianuarii hora noctis fere secunda fuit 
o- 3 h în 15.42 0 hoc modo "D bononie. 

Quarta Martii hora fere prima noctis fuit o- 3 h 
in 18.28 Ὁ fuitque tunc 2 în altitudine visa 33 et altus 


(1) Statuto citato del 1497, a carte 5 verso. 
(2) Opuse. cit., a pag. 10. 
(3) Spice. Cop. - a pag. 253. 


DI A. URCEO CODRO 363 


(sic) visa « que est in ore Y 21 gradus ὃ bononie (1) ». 


Non si può dire quando precisamente Nicolò Coper- 
nico sia partito da Bologna alla volta di Roma, tuttavia 
sapendo noi, dal suo libro « De Revolulionibus », che egli 
ai 6 di novembre del 1500, a due ore dopo la mezza- 
notte, fece in quella città un'osservazione astronomica (2), 
possiamo asserire con tutta certezza che egli dovette 
partire di qui fra il 4 di marzo ed il novembre del 1500, 
e probabilmente poco dopo la chiusura delle scuole dello 
Studio bolognese in quell'anno, la quale dovè avvenire, 
come per consueto, ai 6 di settembre, cominciando il 
giorno 7.° di quel mese, ossia la vigilia della Natività 
di Maria, le grandi ferie dello Studio. 

XX. Prima di porre termine a questo capitolo, vor- 
rei parla degli allemanni i quali si trovarono in Bologna 
quando v'era Nicolò Copernico, e che, pel vincolo della 
patria comune, poterono aver relazione od amicizia con 
lui. Ma poichè se volessi qui discorrere di tutti, troppo 
più avrei a dire che non si convenga in questa parte 
del mio lavoro, tratterò di essi distesamente in una 
delle appendici di questo (3), recando tutte le notizie 
che ne potei rinvenire negli Archivi bolognesi dell’ An- 
tico Reggimento, nel Notarile, nell’ Arcivescovile ed in 
quello privato della famiglia dei Conti Malvezzi de’ Me- 
dici. 

Parimenti in altra Appendice trascriverò dalla « Ma- 
tricula » della Nazione germanica in Bologna la Nota 


(1) Reliquiae Copernicanae - Nach den originalen in der Uni- 
versitàts-Bibliotheh 3u Upsala Herausgegeben von Maximilian Curtze 
- Leipzig, Verlag von B. G. Teubner - 1875 - a pag. 31. 

(2) Ediz. cit., a pag. 270. 

(3) Vedi l’Appendice XXIX. 


364 MALAGOLA 


degli scolari allemanni che ad essa furono aggregati dal 
1490 al 1500 (1), molti dei quali dovettero per certo 
aver amicizia col grand’ uomo, che era per acquistarsi 
gloria immortale. 

Bologna adunque può giustamente onorarsi che nel 
suo Studio Nicolò Copernico abbia appreso il Diritto 
Canonico, dato opera alle lettere greche, ed atteso con 
Domenico Maria Novara all'astronomia, e fors’ anco 
studiate le matematiche. Non mi sembra per ciò conve- 
niente che si lasci più oltre nella nostra Università, sopra 
la porta dell’ Osservatorio, quella lapide, in onor del Co- 
pernico, la quale mentre afferma recisamente ed asso 
lutamente che egli conseguì 


00000 APUD . NOS . ASTRONOMIAE . STUDIUM 
ET . MATHEMATICORUM . PLACITA ....... 


(il che è in parte mera supposizione) tace affatto della 
gloria, sicuramente provata, della nostra famosa scuola di 
Leggi, di avere avuto il Copernico tra’ suoi discepoli (2). 


(1) Vedi l’Appendice XXX. 

(2) Siami lecito di riprodurre qui un nobile epigramma latino 
dell’ illustre Prof. Comm. Amadio Ronchini, Soprintendente degli 
Archivi Emiliani, che torna ad onore di Bologna. Il ΟἿ. 30 Prof. Ron- 
chini, avuto da me in dono un esemplare dell’ opuscolo dell’ Hipler 
Sulla Nazionalità di Copernico, mi onorava del seguente epigramma: 


« DE NICOLAO COPERNICO 
AD KAROLUM MALAGOLAM. 


Qui prior immotum deprendit fulgere Solem, 
Et motu terram perpete circumagi, 

Tllius hinc jactat se se Germania matrem, 
Illinc id decoris vult sibi Sarmatia. 

Summa quidem, fateor, nullo et delebilis aevo, 
Gloria tam rarum progenuisse virumy; 


- —f Tr 


DI A. URCEO CODRO 365 


XXI. Sinora manca una storia di questo celebratis- 
simo Studio, ché si possa dire veramente degna di così 


Gloria sed (priscis retegis quod, Karole, chartis) 
Ad nostram potior pertinet Italiam : 

Sarmata namque ortu, seu sit Germanus, alumnum 
Hunc habuit certe Felsina docta suum >». 


L' illustre Principe di Galati, Cav. Giuseppe De Spuches Ruffo, 
Presidente della R. Academia di Scienzé Lettere ed Arti di Palermo, 
volle darmi segno di amicizia, recando in distici greci l’ epigram- 
ma del Prof. Ronchini: 


KAPOA&I: MAAADOAH 
ΕΙΣ NIKOAAON KONHEPNIKON 


Πρώτος 08° Ἠέλιον φαίνειν ἑστῶτα μὲν οἶδεν, 
ὨΩχύτατον δὲ Γέασ χαὶ χυχλόεντα δρόμον’ 
Ενϑεν τοιούτου Γερμανί᾽ ἀγάλλετο μήτηρ’ 
Σαυρομάτης τιμὴν ἔνϑεν ἀεξε πάτρης. 
Δεινὸν γὰρ κῦδος, πάντων ᾿αχρόαμα φρονούντων, 
Τοιοῦτον γεννᾷν ἄνδρα ϑεοπρεπέα. 
Πλεῖστα δὲ τών ϑέλτων ἐκ πρόσδεν, Κάρολε, χλεῖα 
"Av edpes, φίλην ἦχε πρὸς Αὐσονίδα. 
Γερῤρμανόν, Σαρμάτην, ἢ τὴν πατρίδα ἄλλον ἔοντα, 
Δῖον ἐπισταμένη Φέλσινα τόνδ᾽ ἔτραφε! 
, epigramma del Comm. Ronchini fu tradotto anche in ita- 
liano dal Ch.®° signor Canonico Prof. Bernardo Quattrini, che lo 
voltò in terza rima: 


€ DI NICOLÒ COPERNICO 
A CARLO MALAGOLA, 

Lui che primiero discopri che immoto 
Sta lo splendido sole, e che la terra 
Gli ruota intorno con perpetuo moto; 

Quegli che un muro ed una fossa serra 
Lungo il Danubio, cittadino il vuole; 
Per sè lo vuole la sarmazia terra. 

È somma gloria, che scurar non suole 


366 MALAGOLA 


alto soggetto, però se alcuno porrà mano a tal opera, 
farà, a mio avviso, onor grande a questo celebre istituto, 
tenendo conto degli scolari che vi furono, giacchè si può 
francamente asserire che essi non meno abbiano dato 
fama allo Studio, che i loro professori. Per molti secoli vi 
concorsero discepoli di ogni nazione, i quali, ritornando 
ai loro paesi, vi spargevano quella dottrina che avevano 
appresa in questa Madre degli studi, la quale niuno 
potrà mai dire quanto per tutto il medio evo e per più 
secoli dopo abbia contribuito all’ incivilimento di tutta 
l' Europa, e al progresso di tutte le scienze. 

In Bologna, secondo che ci attestano i libri della 
Nazione allemanna, fu scolare di Leggi nel 1437 anche 
colui che prima del Copernico aveva ideato un sistema 
astronomico, dove alla terra, creduta immobile dal sì- 
stema tolomaico, è attribuito un movimento. Quest’ uomo 
che ardì il primo passo fu il Cardinale Nicolò da Cusa, 
che pure appartenne alla Nazione allemanna (1), quel- 
l'uomo che a ragione dee chiamarsi, con nome ‘degno 
di grande onoranza, il predecessore di Nicolò Copernico 
nell’ idea del vero sistema dell’ universo. 


La bruna ala del tempo, esser nutrice 

E madre a tal che fra gli ingegni è un sole; 
Ma la gloria più bella (e tu, felice 

Lo scopri, o Carlo, nelle antiche carte) 

Al bel paese italico si addice. 
S° abbia nel suo natal la prima parte 

Il Sarmata, o il Germano, è il ver che apprese 

Alla Scuola Felsinea il fior de l’arte, 
E all’amor del saper quivi s’ accese ». 


(1) Vedi l’Appendice XXXI. 


DI A. URCEO CODRO 367 


CAPITOLO IX. 


Degli studi e delle opere di Codro. 


I. Dell' erudizione dell'Urceo e della stima che godeva in Bolo- 
gna. — IT. Sua perizia nel greco. — III. Epigramma di Esiodo scoperto 
da Codro. — IV. Singolare fanatismo dell’ Urceo verso di Omero. 
— V. Vastità della dottrina di Codro. — VI. Traduzioni da Porfirio, 
da Aristotele e da Isocrate, finora sconosciute. — VII. Della perizia 
dell’ Urceo nella lingua latina: suoi scritti compresi nelle edizioni 
delle Opere. — VIII. Giudizio di Stefano Grosso e di Giuseppe Rossi 
sulle opere di Codro. — IX. Del supplemento all'Aulularia di Plauto. 
— X. Delle annotazioni al libro De Re Rustica di Palladio Rutilio. 
— XI. Di alcuni scritti di Codro, citati dal Tiraboschi e dal Peroni. 
— XII. Scritti latini inediti. — XIII. Opere dell’ Urceo ora perdute. 
— XIV. Delle onoranze rese a Codro in Rubiera ai 14 d'agosto 
del 1877. 


I. Fra tutti coloro che nello Studio bolognese pro- 
fessarono le discipline letterarie contemporaneamente 
all' Urceo, niuno per certo, nè per erudizione, nè per 
fama poteva stargli dinanzi. Nelle opere di Codro che 
giunsero fino a noi, appare ad ogni tratto quanto ampia- 
mente fosse fornito di dottrina; ed il modo, onde egli 
la esponeva, gli attirava in così grande numero gli udi- 
tori, che il luogo appena poteva contenerli. Gli scolari 
disertavano le altre scuole per correre ad udire il nostro 
Autore, che nel secondo Sermone mostra di compiacer- 
si di questo, raccontando come anche gli studenti di filo- 
sofia, «... relicto Alexandro Achillino, Galeotto Bec- 
cadello , et Federico Gambalonga, philosophis acutis- 


368 MALAGOLA 


— —_r———————————————— P —— 


simis, ad Codrum audiendum convolarent (1) ». E gli 
uditori non solo accorrevano assiduamente alle sue lezio- 
nì, ma non pochi quasi gli si eran fatti scolari perpe- 
tui (2). E alle sue prelezioni, che sotto il titolo di « Ser- 
mones » giunsero fino a noi, intervenivano i Rettori 
dello Studio, i Magistrati Supremi della Republica ed i 
più illustri professori: egli in una parola era divenuto 
l'idolo della città. Dalla cattedra discorreva di tutto ; alle 
dottrine letterarie frammischiava i sarcasmi per 16 cose 
di religione e lubriche novelle, ch'egli raccontava nu- 
damente, senza neppure curarsi di cuoprirle di quel velo 
di apparente decenza, che mentre ron ne avrebbe fatto 
men chiaro il senso, avrebbe potuto in qualche guisa 
renderne più tollerabile la narrazione (3). Ma tale era 
l’uso del tempo. 


(1) Opera, a pag. 90. 

(2) Opera, a pag. 165. 

(3) Opera, a pag. 118, 160, 230, 234. La niuna decenza che 
si scorge in alcuni brani dei Sermoni dell’ Urceo, mi richiama alla 
memoria un aneddoto che dall’ eruditissimo Padre Mercier fu rac- 
contato al Tiraboschi, e da questi riferito nella Storia della Lette- 
ratura Italiana (Tomo VI, parte III, pag. 1111 e 1112). Nel 1760 
alla mensa del Duca De La Valière sorse un giorno contesa fra alcuni 
eruditi, se fosse stato possibile esporre decentemente in francese, e 
ip guisa da non potersene offendere le più oneste donne, qualunque 
cosa non decente di per sè stessa. Ed affermandolo il Duca, uno di 
quegli eruditi recògli il di dopo un racconto latino, al quale aveva 
posto per titolo: « Excerptum ex Sermone Sexto Urcei Codri », e 
dissegli lo traducesse, se gli era possibile, decentemente in prosa 
francese. Il Duca il promise, ed aggiunse che l’ avrebbe posto anche 
in verso, ma poi non se ne fece più motto. Non molto di poi il Vol- 
taire ebbe fra mano quel racconto, e leggendovi innanzi « ex Ser 
mone », credette non potesse essere che un Sermone d'un frate, e 
però, publicando nel 1761 un suo opuscolo col titolo: « Appel d 


DI A. URCEO CODRO 369 


La singolare dottrina, onde rifulgevano le orazioni 
dell’ Urceo, gli avevano e nella città, e fuori, acquistato 
gran nome, anzi di esse può dirsi che se in alcuna cosa 
peccavano, peccavano di erudizione soverchia, il che ri- 
trae precisamente il gusto del secolo in cui visse l' Urceo. 
Quanto egli fosse stimato in Bologna, possono anche 
testimoniarci le parole dei Beroaldi, i due più valenti 
fra i letterati bolognesi di quei giorni. I} seniore di essi, 
nei Commentari all’Asîno d’oro d'Apuleio, scriveva que- 
ste assai onorevoli parole: « Hanc nostram emendatio- 
nem plausabiliter probat Codrus, collega meus în pro- 
fessione literaria, homo impense doctus, et utriusque 
linguae callens, qui plus habet în recessu quam oslen- 
tet în fronte, qui in pensitandis tam priscorum, quam 
recentiorum libris iudicio est praecellenti praeditus: 
cui haec mea, qualiacumque sunt, probari vehementer 
gaudeo; pluris enim facio iudicium untius eruditi, quam 
sexcentorum male literalorum, contentus doctis prae- 
conibus, imperitorum rumusculos ei vituperonum lin- 
guas livoris, cote acuminatas flocci non facio (1) ». È 
Filippo Beroaldo iuniore, nel dedicare ad Ermete Benti- 


toutes les Nations de l'Europe des jugemens d'un Ecrivain Anglois: 
ou Manifeste au sujet des honneurs du pavillon entre les Theatres de 
Londres et de Paris », fece del nostro Codro un reverendo Padre 
Codret, scrivendo: « Il δ᾽ θη falloit beaucoup, que les Sermons fus- 
sent alors aussi decens, que ces pieces de Theatre. Si on veut 58᾽ en 
convaincre, on n'a qu’ ἃ lire les Sermons du Rev. P. Codret, et sur 
tout aux feuilliets 60 et 61. Edit, in 4. de Paris 1515 ». Di questo 
errore il Duca De La Valière volle rendere avvisato il Voltaire, il 
quale lo tolse, ristampando (sotto diverso titolo) quell’ opuscolo 
nell’ edizione delle sue opere fatta a Ginevra nel 1761. 

(1) Commentarii a Philippo Beroaldo conditi in Asinum Aureum 
Lucii Apulei. - Bologna, 1500. - Vedi a pag. 94. 

24 


370 MALAGOLA 


voglio le poesie latine del nostro, affermava che questi 
negli studi letterari «.... ita enziuit, ut cum quolibet non 
suae modo aetatis vati, sed etiam antiquorum conferri 
possit. Epigrammata scripsit, quibus humanos affectus, 
mores, aclionesque mire compleaus est, escecutus iu- 
cunda lepide, gravia severe, moesta flebiliter, taxanda 
mordaciter, grandia audacter, sententiosa sapienter, 
omniaque haec pari ingenio..... At vero hic noslter Co- 
drus numeros omnes eminentis poétae adeptus est.... 
Codrus certe quiddam grandius sonat, fabulatur lepide, 
narrat diligenter, metitur ad normam. Sed et în omni 
fere carminum genere summus deprehendilur. Videas 
illum heroico sublimius detonantem, lyrico suaviter 
canentem, elego et moeste et amatorie conquerentem, 
epigrammale nonnunquam lascivientem et, ne longum 
faciam, omnia propriîs et propria omnibus redden- 
tem (1) ». 

II. Venendo ora a discorrere partitamente delle varie 
opere dell’ Urceo, non tralascierò di lamentare (nè sarà 
mai a bastanza) che di lui non ci sia pervenuta alcuna 
scrittura greca. Nella quale avremmo avuto senz’ alcun 
dubio una splendida riprova di quella dottrina per cui 
da’ contemporanei fu annoverato fra i primi grecisti di 
quel secolo XV, che fece principale sua gloria la cul- 
tura, non solo delle lettere latine, ma ancor delle gre- 
che. Ad ogni modo la testimonianza che al valore di lui 
sappiamo aver reso, come altrove dicemmo, il severis- 
simo Poliziano, non lascia luogo a dubitare che 1’ Urceo 
non primeggiasse fra gli ellenisti d' allora, così dotti e 
così numerosi in Italia. 


(1) Opera, a pag. 286. 


DI A. URCEO CODRO 371 


III. Narra il Bianchini, discepolo e biografo del no- 
stro, avere il suo maestro aggiunte molte cose al vo- 
cabolario greco, allora sì difettivo, e molti errori averne 
emendati. Dal XI discorso di Codro apprendiamo ch' egli 
scoperse un epigramma di Esiodo, del quale era men- 
zione presso Varrone nel libro delle Imagini e presso 
Gellio, ma che poi s' era smarrito, e del quale egli stes- 
so ci dice: « ego autem e graecorum antiquissimis 
penetralibus, literis Thessalicis scriptum reperi, et 
repertum latinis literis et studiosis viris edidi et di- 
vulgavi (1) ». L' epigramma, riportato dall’ Urceo nello 
stesso suo discorso è il seguente in due esametri: 


« Ἡσίοδος Μούσαις 'Elixwvtor τονδ᾽ ἀνέϑηχεν 
Ὑμνῳ νιχύσας ἐν Χαλχίδι Setov ‘O'unpov (2) ». 


Questo epigramma fa parte di un opuscolo greco di 
incerto autore (il cuì titolo, tradotto in latino, sarebbe: 
Homeri et Hesiodi certamen) publicato la prima volta 
in Basilea da Enrico Stefani nel 1573, ossia dopo che 
questo distico, trovato da Codro, era stato stampato 
quattro volte nelle edizioni delle sue Opere. 

IV. Dai Sermoni dell’ Urceo scorgesi che egli ave- 
va posto molto studio ed amore nelle opere di Omero, 
talchè spesso affermava non essere quegli stato un uomo, 
sì bene uno degli Dei, il quale avea vissuto fra gli uomi- 


-_—_——————————___————— 6 ——————_—————>»€&- 


(1) Opera, a pag. 207. 

(2) Opera, a pag. 207. Nell’ edizione delle Opere dell'Urceo, im- 
pressa a Basilea, e da me sempre citata, fu erroneamente stampato 
nel primo esametro Ἑλιχώνεσσι in luogo di ᾿Ελικωνίσι. L'Urceo, 
nello stesso discorso, così tradusse letteralmente quest’ epigramma: 
« Hesiodus Musis Heliconiadibus hunc tripodem dedicavit, hymno cum 
vicisset in Chalcide divinum Homerum ». 


372 MALAGOLA 


ni, mentre scrisse quei carmi divini. Il terzo discorso 
di Codro si volge tutto sulle lodi d’ Omero: «.... inci 
piamus ostendere », dice egli ai discepoli, « sapientis- 
simum poelam Homerum divino carmine omnia, quae 
in Encyclopedia dicuntur, vel monstrasse, vel intel 
lexcisse, vel attigisse (1) ». Nello stesso discorso ei ripete 
ad ogni momento quell’ antico verso: 


« Omnia monstravit divino carmine vates », 


e finisce dicendo: « Si Homerum auditis et ediscitis, 
omneis artes, omnets scientias, omnia studia audilis 
et ediscitis, et in perenni fonte sitim aridam sedatis; 
sin minus, nihil scitis, nihil ediscitis, et in mediis un- 
dis, a Tantalo non differentes, sititis (2) ». E tanto era 
il fanatismo di Codro verso questo poeta, veramente im- 
mortale, che soleva dir spesse volte che gli Dei, piut- 
tosto che i poemi di Omero, sarebbero stati obliati. 

V. Questo studio ed amore alla lingua e alle ope- 
re del « primo pittor delle memorie antiche » incomin- 
ciò in lui da’ più teneri anni, tanto che non sapea nè 
a sè stesso, nè agli altri, persuadere di aver alcun tem- 
po ignorata la lingua degli elleni. Nè conosceva Codro 
soltanto gli autori greci, le opere dei quali apparten- 
gono alla letteratura, ma, come facilmente può vedersi 
dalle sue orazioni, gli eran famigliarissime tutte le ope- 
re, note a’ suoi giorni, che furono scritte in quella lin- 
gua, sia che trattino di medicina o di filosofia, sia di 
matematica o di astronomia. Poichè gli uomini dotti di 
quella età, davan opera ad ogni studio, e Codro pure 


- ———— 


(1) Opera, a pag. 93. 
(2) Opera, a pag. 112. 


DI A. URCEO CODRO 373 


seppe di quasi tutte le scienze ch' erano in vita al suo 
tempo, fuor delle leggi: « Codrus omnem hominis vi- 
tam, omnes artes, omnia studia, praeter leges, tama- 
vit (1) ». E termina con queste parole il suo nono discor- 
so: « Ad haec, si quid în arte medendi degustare vo- 
lueritis, depromam vobis Hippocratis Aphorismos, He- 
liodori Chirurgia, Antelli, Ruffi, Galeni artes precio- 
sissimas et etiam Oribasij Synagogas. In Mathematicis 
quoque st vos exercere voluerilis, praesto erit Euclides, 
Nicomachus, Archimedes Syracusanus, et alit plures, 
quibus lectis et auditis, omnem el animi et corporis 
philosophiam vos legisse et audivisse affirmare pote- ' 
ritis (2) ». 

VI. Non fu noto sinora che I’ Urceo abbia lasciato 
alcuna scrittura in greco, nè alcuna traduzione da quella 
lingua; e però mi gode l'animo di potere ora per la 
prima volta dar notizia di tre lavori di tal genere, 
fatti dal nostro ellenista. Essi trovansi in due codi- 
cetti cartacei ed autografi, già appartenenti alla biblio- 
teca del benemerito Canonico Gian Giacomo Amadei, 
che ora si conservano in quella della R. Università di 
Bologna, dove io li trovai. Il primo è una traduzione 
dell'operetta di Porfirio Delle cinque voci, detta anche 
Isagoge, ossia Introduzione, giacchè serve d' introdu- 
zione alle Categorie di Aristotele; ba in principio, di 
mano di Codro, queste parole: « libri 5 uocum Por- 
phirij traductio per Codrum »; la seconda è appunto 
la versione delle stesse Categorie, o Predicamenti, di 
Aristotele. Quella dell’ Isagoge occupa le dodici prime 


(1) Opera, a pag. 69. 
2) Opera, a pag. 188. 


914 MALAGOLA 


carte del codicetto cartaceo della suddetta Biblioteca, 
segnato: Aula Manuscriptorum, N. 12., l'altra le 
quattro carte seguenti, e parte del retto della diciaset- 
tesima dello stesso, ed ha innanzi una breve avvertenza 
di Codro medesimo. 

La terza di queste versioni dal greco trovasi in 
un altro codicetto della medesima biblioteca, distinto col- 
l'indicazione: Aula Manuscriptorum, N. 12.*. È prece 
duta da un proemio (ove sono brevemente raccolte le 
notizie che di Isocrate lasciarono Cicerone e Quintiliano) 
e dopo il quale leggiamo la traduzione, fatta da Codro, 
della Parenesi di Isocrate a Demonico. 

Questi tre scritti dell’ Urceo non si debbono consi 
derare propriamente come versioni, ma piuttosto come 
prime prove di traduzione, giacchè in essi il nostro 
autore non fa che rendere parola per parola in latino 
il testo greco, senza punto curarsi della sintassi propria 
della lingua di Cicerone, di Livio e di Tacito. Ad ogni 
tratto s'incontrano correzioni ed aggiunte che mostrano 
essere questi tre lavori non altro che un primo getto, 
se così è lecito chiamarli, od un esercizio preliminare 
di traduzione, e però non possiamo da essi formarci 
un giusto concetto della dottrina di Codro nel tradurre 
dal greco. 

Chi voglia avere un'idea della famigliarità che 
l' Urceo aveva colle opere degli antichi scrittori greci, 
non ha che a leggere i suoi discorsi e le lettere che 
abbiamo in istampa, da lui dirette al Poliziano, a Gian 
Battista Palmieri ed a Giovanni Garzoni. 

VII. Se fu grande nelle lettere greche la dottrina 
di Codro, uguale ne mostrò in alcuni de’ suoi scritti la- 
tini ch'egli ebbe agio di perfezionare, come, ad esempio, 
nel Supplemento all'Au/u/aria, del quale sarà più innan- 


DI A. URCEO CODRO 375 


zi discorso. E per certo egli avrebbe forse tutti i suoi 
scritti condotti ad ugual perfezione, se (come ne av- 
verte il giovane Beroaldo nella dedicatoria delle poesie 
di Codro ad Ermete Bentivoglio (1)) non l’ avesse colto 
la sventura di morire senza aver potuto dar ]' ultima 
correzione a'-suoi scritti latini. La maggior parte di 
questi trovansi riuniti nel volume che sotto diverso ti- 
tolo, e con lievi differenze, fu impresso quattro volte: in 
Bologna nel 1502, in Venezia nel 1506, in Parigi nel 
1515 ed in Basilea nel 1540. Queste raccolte degli 
scritti dell’ Urceo dividonsi in due parti: la prima con- 
tenente le prose, la seconda le poesie. 

La prima si compone di quattordici prelezioni (ivi 
chiamate Sermones) recitate dal nostro nello Studio di 
Bologna nel dar principio ai corsi di Retorica, di Poe- 
tica e di lingua greca; e di un'altro discorso da lui 
composto per un giovane, che lo recitò dinnanzi ai Ma- 
gistrati bolognesi. Lo seguono nove epistole latine eru- 
ditissime, dirette al Poliziano, ad Aldo Manuzio, a Dario 
Tiberti, ad Andrea Magnani, ad Eugenio Menghi e ad 
altri suoi amici e discepoli. 

Le Poesie, sotto il titolo di Silvae, sono divise in 
due libri che contengono molte odi, egloghe, satire ed 
epigrammi (2). 

Intorno alle opere dell’ Urceo, se io debbo franca- 
mente esporre l’ opinion mia, direi che nelle prose egli 
è ammirabile, non per la eleganza del dire (che al tutto 
gli manca) ma per la erudizione veramente prodigiosa, 


(1) Opera, a pag. 286. 

(2) Delle opere dell’ Urceo diedero un sunto il padre Temistocle 
De Saint Hyacinthe nella Memoires litteraires stampate all'Aia nel 1716, 
Tomo I, parte II, a pag. 259; e il Du Roure ne' suoi Analecta, 
Tomo I, pag. 218. 


376 MALAGOLA 


onde appare aver Codro fatto studi profondi sopra tutti 
gli autori sì greci che latini, noti a’ suoi giorni. Egli, 
mentre trascura la forma, si mostra assai sollecito delle 
cose, e fra esse preferisce alle altre quelle, che esposte 
col suo stile piacevole, potevano attrarre a lui l'am- 
mirazione dell’ uditorio. Nella qual cosa egli deve aver 
perfettamente raggiunto l'intento, giacchè ne fu lodato 
assai dai contemporanei, e, secondo racconta egli stesso, 
un poeta ragusino, per certo Daniele Clari (del quale 
ho parlato trattando degli amici dell’ Urceo) trascorse 
a tale iperbole, da volere, in un discorso, dimostrare 
che il nostro era più eloquente di Cicerone e di Demo- 
stene (1). Appunto perchè il suo merito sta nelle cose, 
io credo che i suoi Sermones, recati in italiano, non 
perderebbero alcun pregio e sarebbero forse anche letti 
piacevolmente oggigiorno, sopra tutti il primo. 

Quanto alle poesie di Codro, a me pare che egli, 
senz’ essere un vero e sommo poeta, meriti (come scrit- 
tore) maggior lode per le poesie, che non per le prose: 
e quantunque sia lontano dal pareggiare l’ eleganza del 
Poliziano e del Pontano, pure fra i vari suoi componi- 
menti poetici ne ha diversi non solo degni di lode, ma, 
in alcune parti, veramente ammirabili. 

VIII. Torna superfluo che io discorra più a lungo 
del merito delle prose e delle poesie dell’ Urceo, poichè di 
esse scrissero, e con tanta dottrina due illustri latinisti, 
il Prof. Cav. Stefano Grosso ed il Conte Cav. Giuseppe 
Rossi. Pertanto voglio riferire il giudizio sì dell'uno e 
sì dell'altro, cominciando dalle parole del Grosso, che 
così mi scriveva in una lettera dei 21 giugno 1875, già 
tre volte stampata, e ultimamente con notevoli aggiunte: 


(1) Opera, a pag. 236. 


DI A. URCEO CODRO 971] 


« Se avessi ozio e vigoria di salute, potrei allar- 
gare le mie osservazioni alle poesie tutte e alle prose 
dell'Urceo. Ella δὲ contenti che, senza venire a' parti- 
colari, τὸ le dica il mio parere in generale. Il motto 
di Lilo Giraldi « carmina illa quidem citra labem, sed, 
ut mihi quidem videtur, absque venere », ὁ scipito e 
assurdo, é una disgraziala caricatura del « magis sine 
vitiis, quam cum virtutibus ». ΜῈ meraviglio del Tira- 
boschi, che lo riferisce e l approva; e sento compas- 
sione del povero Corniani che, senza citare πὸ il Gi- 
raldi, πὸ il Tiraboschi, lo fa suo proprio, senten- 
ziando: « scrisse poesie latine di vario genere, le quali 
se sono esenti di macchie, lo sono altresì di poeti- 
che veneri ». Se debba credersi che uno ‘scrittore non 
abbia difetti né pregi, chi ha fior di senno lo giudichi. 
Certamente l' Urceo senza difetti al mio sguardo non 
è; ma nè pure « absque venere »: e dico venere 
poetica; ché di altra venere, se non nelle poesie, 
abonda anche troppo nelle orazioni. La quarta p. es. 
ove si disputa « utrum ducenda sit uxor », quanso è 
diversa dal grave e dignitoso discorso del filosofo 
Mugellano sul matrimonio! discorso che pure ebbe 
nome di animalesco da Giuseppe Baretti, 11 quale ne 
frustò furiosamente l autore; sebbene Antonio Coc- 
chi avesselo dettato per celia, e non letto nell'Aula 
Magna di uno Studio, ma in casa ad alcuni amici, 
il dî innanzi di confutarlo col fatto, togliendo una 
seconda moglie. Vero è che l Urceo nella conclusione 
approva e loda il matrimonto, e lo antepone alla vaga 
venere; ma non vaniscono perciò i concetti immo- 
rali e le imagini laide che insozzano quell orazione. 
La quale è un nulla a chi prenda a leggerla dopo la 
dodicesima, « de medio », e la sesta, « de mendaci 


378 MALAGOLA 


mortalium vita »; orazioni sporcissime, che segnano 
gli estremi limiti del cinismo, e si crederebbero com- 
poste a solazzare certe generose, abitatrici della Su- 
bura, anzichè a mantenere vivo 0 riaccendere l amor 
degli studi nella gioventù che da tutte le regioni d' Eu- 
ropa era mandata all'Archiginnasio di Bologna. So 
bene che la dodicesima fu recitata ne’ giorni prece 
denti il Carnevale: ricordo la carnevalesca conclusio- ᾿ 
ne: « vos, nisi vinum impedierit, videritis; aut, post 
Bacchanalia, vestrum mihi iudicium, si videbitur, rogo 
notum faciatis ». Ma so altresì che dovea predisporre 
gli uditori alla lezione di Quintiliano; e so che Quinti- 
liano (Instit. Orat. II, 2) scrive, che l'insegnatore « nec 
habeat vitia nec ferat:.... plurimus ei de honesto ac 
bono sit sermo »: e (I, 2): « si studiis quidem scholas pro- 
desse, moribus autem nocere constaret, potior mihi ratio 
vivendi honeste, quam vel optime dicendi, videretur ». 
Nè vedo con quali pretesti si possa allenuare la inde- 
cenza della sesta, recitata în principio dell'anno per 
eccitare i giovani allo studio di Aristotele e di Omero, 
maestri di filosofia e di poesia, non d' immorakità. Ma ἕο, 
senza avvedermene, vengo a particolareggiare; e uscito 
dagli ameni giardini della letteratura, sono entrato 
nel campo, non sempre ameno, della morale. Eccoci 
dunque di bel nuovo col Tiraboschi; il quale ci înse- 
gna che « la prosa e la poesia di esso /dell Urceo) 
è ben lungi dal poter esser proposta come esemplare 
di eleganza ». Grazie dell’ insegnamento non necessario; 
perchè noi non ignoriamo che niuno de' contemporanei 
dell Urceo ὁ esemplare di eleganza, salvo în alcune 
poesie τὶ Pontano e il Poliziano. Il primo a raggiun- 
gere la eleganza (6 a cercarla forse troppo raffinata) 
nello scrivere latino fu Pietro Bembo: il conseguirla 


DI A. URCEO CODRO 379 


in pieno secolo XV sarebbe stato miracolo /per ragioni 
non difficili a penetrarsi da chi bene é versato nella 
materia]. Tranne il supplemento alla Pentolinaria, che 
può essere proposto come esemplare di dotta e savia 
imitazione de’ sommi maestri nell'arte di scrivere, nes- 
suno degli scritti dell''Urceo vorrei meltere innanzi 
a' giovani studiosi. Ma chi voglia ricercare a fondo la 
storia del secolo XV, chi, dopo studiati 1 classici gre- 
ci e latini, voglia conoscere le vicende della classica 
erudizione in Italia, può, anzi dee (per mio avviso) leg- 
gere quanto rimane degli scritti di un uomo si bizzar- 
ro e δὲ dotto. Ché le prose e le poesie di lui, oltrechè 
sono parto di vivido ingegno, talvolta guidato da buon 
giudizio e da buon gusto e frenato dall'arte, quan- 
tunque per lo più sbrigliato, rivelano sì vasta erudi- 
zione non pure nella latina ma eziandio nella greca 
letteratura, quanto appena sembra credibile a que’ tem- 
pi. Ond' è che Angelo Poliziano e Aldo Manuzio l’ ono- 
rarono singolarmente; il primo sottoponendo alla cen- 
sura di lui î suoi greci epigrammi; il secondo intito- 
lando al suo nome una preziosa collezione di epistole 
greche; interpellandolo sulla lezione e la interpreta 
zione di versi greci (come si ritrae dalle lettere stesse 
dell'Urceo); e pregandolo di spiegargli la ragione me- 
trica delle Odi di Pindaro. E ciò vale a cerbificarne 
di merito vero e grande. Ma la oscenità superlativa 
di molti scritti dell’Urceo; la sua vera οὐ affettata 
miscredenza; la pazza superbia; (e se possiamo pre- 
star fede al Corniani] il disprezzo quasi di tutti; non 
è improbabile che abbiano mosso alcuni a detrarre 
al suo merito, e trattenuto altri dall'osare o volere 
tampoco far menzione di lui. Paolo Cortesi nel dia- 
logo « de hominibus doctis » schierò e giudicò novan- 


380 MALAGOLA 


tatrè latinisti del secolo XV: dell Urceo non registrò 
né pure îl nome. /Il Cortesi nacque nel 1465, l Un 
ceo nel 1446). Come il Cortesi, così fece Paolo Giovio 
ne suot « elogia doctorum virorum ab avorum memo- 
ria, publicatis ingenii monumentis illustrium ». (11 Gio- 
vio nacque nel 1483). Come il Giovio, così fece Giulio 
Cesare Scaligero nel libro settimo della sua Poetica, 
che è PIpercritico; /lo Scaligero nacque nel 1484; 
cioè dell’Urceo « ne verbum quidem ». E nominarono 
e lodarono mediocrissimi ed infimi. Senza continuare 
la litania sino a’ tempi nostri, aggiungerò che, nel 
secolo scorso, Giacomo Facciolati, publicando il suo 
« Commentariolum /miserabile lavoruccio] de ortu, in- 
teritu, et instauratione linguae latinae ac de eius scri- 
ptoribus ad saeculum usque XVIII », sia ignoranza ὁ 
dimenticanza, vilipendio 0 scrupolo, non registrò lUr- 
ceo: e nè pure lo registrò Giovanni Giorgio Walchio 
nella sua « Historia critica latinae linguae » (lavoro non 
ispregevole, e dedicato al Facciolati « Editio nova 
multis accessionibus auctior, Lipsiae 1729) »; benché nel 
. capo XII che è « de lectione scriptorum recentiorum 
(pag. 646) » abbia enumerati e lodati 1 latinisti che a 
lui parvero più degni, italiani, portoghesi, spagnuoli, 
francesi, inglesi, danesi, ungheresi, belgi, tedeschi; 
e agli italiani abbia consecrato tre paragrafi. E pure 
în niun secolo mancò fra gli editori e commentalori 
delle Comedie di Plauto chi riproducesse il supplemento 
dell'Urceo alla Pentolinaria (1) ». 


“ 


(1) Del supplemento di Antonio Urceo Codro alla Pentolinaria 
di Marco Accio Plauto - Lettera Critica di Stefano Grosso a Carlo 
Malagola - Bologna - Tipografia Fava e Garagnani 18T7 - Terza 
Edizione. 


_—_—r—+ 


DI A. URCEO CODRO 98] 


Così Stefano Grosso. Ed il Rossi, in una lettera dei 
5 d'aprile 1876, stampata in Bologna, scrivevami queste 
parole sulle poesie latine del nostro illustre umanista: 
«..... Queste poesie... mancano certo di quella perfezio- 
ne di gusto classico -... che sì ammira nei versi latini 
del Fracastoro, del Flaminio, del Naugerio, del Casti- 
glione, e del Cotta, e si può dire di esse, come di quelle 
dell'Ariosto, del Poliziano, del Pontano e di altri loro 
contemporanei, che sono frutto di alto ingegno, di pro- 
fondo sapere e di vasta erudizione, ma che si risentono, 
e specialmente nelle Elegie, dei difetti e del gusto del 
secolo non ancora maturo alla perfezione; per ottenere 
la quale è d’uopo di non trascurare, come si faceva 
allora, la riprensione di Orazio al carme, « quod non 
multa litura coercuit atque perfectum decies non castiga- 
vit ad unguem ». Entrando poi în qualche particolare, 
cioé a dire dei diversi generi di poesia adoperati da 
Codro, incomincierò dai carmi esametri, e în ispecie da 
quello « De ostentatione armorum ». Questo carme è 
dettato con istile Virgiliano, elegante e chiaro; belle e 
fiorite le descrizioni, poetici î concetti, e i versi bene 
orditi e legati fra loro. E τὶ somigliante è a dirsi degli 
altri carmi în egual metro. Venendo alle Odi, quella 
« De renovatione Bononiae » non è della e poetica vera- 
mente? e non ha essa il sapore e l'andatura Oraziana? 
Si potrebbe descriver meglio, e più in breve, l'origine 
di Bologna, e nello stesso tempo attribuirle maggior 
lode? 

« Thusca quae quondam fuit et colonis 
Aucta post Thuscos profugos latinis, 
Urbs vetus magnae nova nunc resurgit 
Aemula Romae (1) ». 


(1) Opera, a pag. 303. 


382 MALAGOLA 


Non dico però che questi versi siano di una squi- 
sita eleganza. Tuttavia non hanno parola non propria, 
πὸ superflua. Ho anche letto con molto piacere l ode 
« Virgilii Encomion » in cui il poeta dice di Virgilio: 


« Ingenium superantis omne, 
Sordet Catullus; cuncti, canente 
Virgilio, taceant poetae (1) ». 

Dalle quali lodi, che, con pace del Poeta Manto 
vano, 080 dire esagerate, traspira il gusto di Codro, 
ottimo quanto agli esametri, perchè prende in essi ad 
imitare Virgilio, come è ottimo quanio alle Odi, tmi- 
tando Orazio, e quanto agli Endecassillabi, imitando 
Catullo; chè bellissimo è quello diretto a Galeazzo 
Bentivoglio; ma non dico ottimo il gusto di Codro, e 
de' suoi contemporanei, quanto allo stile Elegiaco, giace 
ché în questa specie di componimento, invece di seguire 
le belle orme del dotto Catullo e del soave Tibullo, 
essi vanno troppo dietro a quelle di Ovidio, il quale 
nelle Elegie, colle idee ripetute e trite, e con quel ver- 
seggiare troppo sonoro e monotono, e colla sprezza- 
tura del dire, si rende alquanto fastidioso αἱ lettori. 
E così fatta, e cioè sul gusto di Ovidio, è pure, come 
le altre, quella Elegia di Codro « Laudes Bononiae » 
la quale però si legge abbastanza volontieri, perché 
molto bene, e minutamente vi sono descrilte le lodi di 
Bologna, qual era a que' giorni 


« Terra viris opibusque potens et munere Bacchi 
Fertilis, et Cereri terra dicata Deae (2) ». 


«---’---....... . 


(1) Opera, a pag. 316 e 318. 
(2) Opera, a pag. 331. 


DI A. URCEO CODRO 383 


Si ricordano i bagni della Porretta: 

« In Porretanis balnea facta iugis (1) >», 
si dice de' pregi e delle virtù dei cittadini, si fa men- 
zione di diverse famiglie, che ebbero la Signoria della 
Città (Pepoli, Gozzadini, Zambeccari, Bentivoglio) e 
tulle se ne raccolgono, si può dire, le lodi ne’ seguenti 
versi: 

« Dic ubi comperies, omnes circumspice terras, 

Urbem, quae tot sit condecorata bonis (2)? » 


δὲ tocca della topografia della Città, della bellez- 
za delle case, della Religione, e della temperatura 
dell'aria: 


« St speciem quaeraz, ubi tot miranda videbis 
Tecta, domus, turres, moenia, templa, vias? 


Hic primum Superi tanta pietate coluntur, 
Ut fiant hilares non aliunde magis. 


Temperiem coeli si quaeris et aéra purum, 
Nescio ubi melius, quod petis, esse queat (3) ». 

E, lo ripeto, di questo andare sono pure le altre 
Elegie di Codro; sempre belle, erudite e piene, ma 
sempre Ovidiane, e quindi da non darsi ad esempio 
a chi aspira a divenire poeta latino, e facitore di ele- 


(1) Opera, a pag. 331. 
(2) Opera, a pag. 335. 
(3) Opera, a pag. 335, 336 e 337. 


384 MALAGOLA 


gie di ottimo gusto, e che si leggano con sempre nuovo 
piacere (1).... ». 

IX. Uno dei migliori fra gli scritti dell’ Urceo, se 
pure non dee dirsi decisamente il migliore, è il supple- 
mento ch'egli compose all’ Aulularia, o Pentolinaria, 
comedia di Plauto, giunta a noi mancante delle ultime 
scene, supplite da Codro di suoi versi. Non è impro- 
babile che il nostro, sin da quando era in Ferrara di- 
scepolo di Gian Battista Guarino, il quale sappiamo 
aver fatto studi intorno le comedie plautine, che in 
parte volgarizzò (2), concepisse il pensiero di compiere 
quella mirabile comedia del Sarsinate, della quale desi- 
deravasi il fine. Egli è certo del resto che l' Urceo 
compose quel Supplemento prima del 1482, giacchè in 
tale anno venne in luce in Daventer nell’ Olanda, e fu 
quella la prima edizione, alla quale, sino ai dì nostri, 
seguirono circa altre ‘cinquanta, uscite in diverse parti 
d’ Europa. Ciò può mostrare quanto in ogni tempo ed in 
ogni paese fossero pregiati quei versi, mirabili vera- 
mente, che anche ai nostri giorni trovarono lodatori due 
uomini di grande autorità, Tomaso Vallauri e Stefano 
Grosso. Il primo in una lettera che m' inviava da Torino 
nell’ aprile del 1876, scriveva dell’ Urceo «..... è fuori 
d’ ogni dubio che fu sempre stimato dagl intelligenti 
come uno dei più dotti Latinisti dell'età sua. E il 
Supplemento all’Aulularia ha, quanto alla lingua ed 
allo stile, tutto il sapore plautino.... » La verità di 


(1) Questa lettera fu impressa in un foglietto senza frontispi- 
zio in « Bologna - 1876 Tipografia Mareggiani ». 

(2) Tiraboschi - Stor. della Lett. Ital. - Tomo VI, parte III, a 
pag. 903. 


DI A. URCEO CODRO 385 
queste parole del Nestore dei latinisti italiani era confer- 
mata dal giudizio dell’illustre Professore Stefano Grosso, 
degno veramente di sentenziare col Vallauri. Io voglio 
riferir qui un lungo tratto d’ una sua lettera, impressa 
già tre volte, nella quale con erudizione unica, per vero, 
anzi che rara, prese a discorrere del Supplemento che 
il nostro compose all’Au/ularia di Plauto: 

« Antonio Urceo Codro, umanista veramente dotto 
(rispondo senza preamboli, senza cerimonie, senza ve- 
runa di quelle frasi modeste onde suole mantellarsi la 
più raffinata superbia]; Antonio Urceo Codro nel Sup- 
plemento alla Pentolinaria di Marco Accio Plauto ha 
copia di lingua al tutto plautina, con facililà grande 
e, quasi direi, fluidezza di verso. Ella sa che il poeta 
di Sarsina abonda principalmente di vocaboli e di co- 
strutti suoi propri: e dico suoi proprii, perchè inva- 
no si cercherebbero in altri poeti latini, eccettochè in 
Terenzio, il quale ne ha di molti communi con lui; 
non già perché i0 creda che non fossero punto în uso 
presso î comici suoî contemporanei, de' quali sono pe- 
rite le opere. Questa lettera non avrebbe fine sì presto, 
se to volessi recarne tutti gli esempj. Plauto nel Per- 
siano e nel Trappola lafinizza il vocabolo μωρολόγος, 
tolto probabilmente da quel comico greco, non cono- 
sciuto da noî, che gli servì di modello in queste due 
comedie. (Noi troviamo il μωρολόγος solamente nel sesto 
della Fisiognomonica di Aristotele, e nel quarto degli 
Apotelesmatici di Manetone al v. 446). Egli dunque, 
messo da parte lo « stultiloquus », che leggiamo nel- 
l'Atto (IV, 3, 45) del Persiano: « Tace, stultiloque: ne- 
scis quid instet boni », scrive nella comedia stessa (I, 
1, 50): « Amoris vitio, non meo, nunc tibi morologus 
fio »: e nel Trappola (V, 1, 20), pigliando ardilamente 

25 


386 MALAGOLA 


il nome composto invece del semplice μῶρος: « neque ibi 
esse alium alii odio, ibi nec molestum, nec sermonibus 
morologis uti ». E 7 Urceo bene a proposito pone in 
bocca a Liconide questo vocabolo: « Grave est homini 
prudenti morologus nimis servus, qui sapere se plus volt 
hero suo ». Plauto, e Terenzio con lui, usano « com- 
pressus » per « concubitus », e sempre nel solo caso 
ablativo. Così Plauto nell'Epidico (IV, 1, 15): « quae 
meo compressu peperit filiam »; ne/ Burbero (II, 6, 17): 
«quam gravidam reliqui meo compressu »; rell'Anfitrio- 
ne (Prolog. 109): « Et gravidam fecit is eam compressu 
suo ». E Terenzio ne' Fratelli (III, 4, 29): « Virgo ex 
eo compressu gravida facta est ». Non altrimenti l Ur- 
ceo: « Ut Euclionem socerum ex luctu retraham ad 
hilaritatem, ‘et mihi conciliem filiam, ex compressu meo 
novam puerperam ». Egk è certo, quantunque il For- 
cellini dica « videtur », che Plauto costruì il verbo 
« condono, as » con l'accusativo di persona. Non solo 
nelle Bacchidi (V, 2, 24) abbiamo: « Si quam debes, te 
condono, tibi habe, nusquam abs te petam »; ma nella 
Fune (V, 3, 10, 11) /esempio evidentissimo, sfuggito 
alla diligenza del Forcellini e de’ successivi suoi edi- 
tori]: « Immo, hercle, ut scias gaudere me, mihi trio- 
bolum ob eam ne duis: condono te ». Nè diversamente 
lo costruì Terenzio; il quale, non solo nell Eunuco 
(Prolog. 17) facendolo passivo, scrisse: « habeo alia 
multa quae nunc condonabitur », ma nel Formione (V, 
7, 54) « quid vis tibi? argentum quod habes condona- 
mus te ». Lo so che Giulio Cesare Scaligero, nel pri- 
mo esempio, voleva sostituire « condonabuntur » αἱ 
« condonabitur », e che Donato, nel secondo, mulava 
di questo modo l interpunzione: « quid vis tibi? argen- 
tum quod habes? condonamus te ». Ma so altresì che 


DI A. URCEO CODRO 387 


Gerardo Vossio, nel libro « de constructione », settimo 
fra i suoi libri « de arte grammatica », insegna che il 
« condonabuntur » dello Scaligero sarebbe contro È au- 
lorità de’ migliori codici e contro le leggi della metri 
ca; e che, quand’ anche si accettasse la interpunzione 
di Donato, quel « te » non potrebbe mai riputarsi 
ablativo, ma dovrebbe necessariamente essere accusa- 
tivo. Ora T Urceo, intesa rettamente, un secolo prima 
che nascesse il Vossio, e notata la ragione di somi- 
gliante costrutto, così se ne abbella: « hac ego te aula 
auri condono ». 

Tutte quel dotto umanista avea cercate con gran- 
de amore e con lungo studio le comedie di Plauto e di 
Terenzio, oltre a' frammenti degli altri comici; e di 
tutle si era fatto succo e sangue. Anzi niuno trascurò 
de’ classici latini noti al suo secolo, e seppe trarre 
da tutti parole e frasi, che hanno colore e sapore 
plautino, benchè ne’ poeti comici non si veggano ado- 
perate. Noi non troveremmo nelle comedie che ci ri- 
mangono di Plauto la frase con cui Liconide in prin- 
cipio del Supplemento minaccia Strobilo: « quum te 
quadrupedem strinxero »; ma questa frase appartiene 
immancabilmente al linguaggio comico de’ tempi di 
Plauto; anzi, chi sottilmente guarda, è sorella ger- 
mana (dico la frase, non l'imagine] dell « hominem 
idoneum quem senecta aetate ludos facias », che leggia- 
mo nella Pentolinaria stessa (II, 2, 74, 75) e dell'« ita 
me iste habuit senex gymnasium », pure della Pento- 
linaria (III, 6, 5). Ben la troviamo identica nella Donna 
d'Andro di Terenzio (ΑΥ̓͂, 2, 23, 24, 25): « tamen cura 
adservandum vinctum; atque audin? quadrupedem con- 
stringito ». L'Urceo, avvertita questa frase comica, non 
si lasciò confondere dagli antichi scoliasti; voglio dire 


988 MALAGOLA 
da Eugrafo, ἐἰ quale rimase poco meno che, incerto 
tra due interpretazioni, come ben dimostrano le pa- 
role: « sed superior sensus est melior », né da Elio 
Donato che, indicate quattro interpretazioni, non sep 
pe qual preferire. Guidato dal solo suo ingegno lUr- 
ceo intese la ragione e il proprio valore del « qua- 
drupedem constringere » e opportunamente se ne giovò 
per dinotare « aliquem vincire ut, demisso capite et 
corpore, quadrupes esse videatur », ovvero « stringere 
uno per forma che stia in quattro gambe », come si 
legge nell'impareggiabile Terenzio di Antonio Cesari. 
Nè perciò gli è dovuta piccola lode. Ho riferite due 
frasi di Plauto, delle quali mi pare sorella germana 
questa che lUrceo tolse da Terenzio: ora farò altret- 
tanto per la imagine presentata dall Urceo ne’ versi 
del Supplemento a cui questa frase appartiene. Leg- 
giamo il Soldato Bravo di Plauto (V, 1, 1). Già Peri- 
plellomene ha gridato agli uomini suoi: « rapite subli- 
mem foras » /s' intende Pirgopolinice]: « facite inter 
terram atque caelum ut medius sit: discindite »: e, ad- 
ditando a Carione il coltello, « Vide », intima inesora- 
bilmente, « vide ut istic tibi sit acutus, Cario, culter pro- 
be ». A cui Carione risponde: « Quin iamdudum gestit 
moecho hoc abdomen adimere, ut faciam quasi puero in 
collo pendeant crepundia ». E Liconide presso l Urceo: 
« quum te quadrupedem strinxero, et herniosos testes ad 
trabem tibi divellam appenso? » L'una imagine equiva- 
le veramente all altra; se non che forse ἢ Urceo con 
meno parole è più concitato e più rapido: Plauto, 
dialogizzando e descrivendo, riesce meglio al ridicolo. 
Ma « andiam; ché la via lunga ne sospigne ». In buon 
punto mi è caduto dalla penna questo verso di Dante; 
chè ecco: « I Pegaseo gradu, et vorans viam, redi », 


DI A. URCEO CODRO 389 


ἴ Urceo fa dire da Liconide a Strobilo: e forse avea 
in mente il Coro dell'Atto II, delle Troadi di Seneca 
(392-83-84): « caeruleis Oceanus fretis quicquid vel 
veniens, vel fugiens lavat, aetas pegaseo corripiet gra- 
du ». δία chi giudicherà non Plautina la frase? Plauto, 
nella Pentolinaria siessa, mette în bocca ad Euclione 
sgridante Staftla (I, 1, 9) queste parole: « Si hodie, 
hercle, fustem cepero aut stimulum in manum, testu- 
dineum istum tibi grandibo gradum ». Ora, se τὸ vedo 
lume, « pegaseus gradus » e « testudineus gradus », 
sono due frasi d' una medesima stampa. Abbiamo 
trovato nell''Urceo « herniosos testes »: e 7 aggettivo 
« herniosus » e di Lampridio; troveremo « auro opu- 
lescere »: e il verbo è di Furio, riportato da Aulo 
Gellio; ma chi potrebbe rigettarli come vocaboli mal 
formati, o disconvenienti alla locuzione plautina? Non 
certamente chi δὲ ricordi del « radiosus sol » usato 
nello Stico (II, 2. 41) dell'« increbescere », usato nel 
Mercatante (V, 1, 9) e del « dispalescere » usato nelle 
Bacchidi (IV, 9, 123). E nessuno δὲ meravigli se i0 
affermo che ἢ Urceo non solo mostrò di avere per- 
fetto il senso del bello e del conveniente în opera 
di plautina latinità, ma del suo esemplare seppe ri- 
trarre anche 1 vizii, ὁ quelli che sembrarono vizii 
al poeta cortigiano di Mecenate e di Augusto. Per- 
corriamo la Pentolinaria, sfioriamone le gentilezze. 
« Utinam me Divi adaxint ad suspendium — Oculos, 
hercle, istos, improba, ecfodiam tibi — Continuo, her- 
cle, ego te dedam discipulam cruci — neque quidquam 
est melius mihi.... quam ex me ut unam faciam lite- 
ram longam, meum laqueo collum quando obstrinxero 
— Si, hercle, ego te non elinguandam dedero usque ab 
radicibus, impero auctorque sum ut me quoivis castran- 


990 MALAGOLA 


dum loces — Trium literarum homo.... Fur? Etiam 
fur trifurcifer — Non fur, sed trifur — Ut illunc Di 
immortales omnes, Deaeque, quantum est, perduint ». 
L’ Urceo non doveva mutar itenore, e non lo mutò; 
anzi coll’ avviarsi della comedia al suo termine seppe 
fare sfoggio di nuove e più squisite plautine lepidezze, 
che forse nè più né meglio avrebbe saputo Plauto 
stesso. Già Euclione nella scena II, dell'Atto IV, avea 
detto a Strobilo: « Iupiter te, dique perdant — Ibo in- 
tro, atque illi socienno tuo iam interstringam gulam ». 
E Liconide nel Supplemento dell Urceo, dopo di avere 
più lerribilmente minacciato: « Feram, velis nolis. Quum 
te quadrupedem strinxero, et herniosos testes ad trabem 
tibi divellam appenso? » correggendosi tosto, nè avendo 
pazienza di accingersi a quella tanto sconcia, quanto 
non facile nè breve operazione, « sed cur », grida, 
« sed cur in fauces moror huius scelesti ruere? et ani- 
mam protinus cur non compello facere iter praeposte- 
rum? » Nulla di più villano, di più plebeo, di più puz- 
zoso ad esprimere lo strangolamento; ma ἢ Urceo non 
doveva ripetere lo « interstringam gulam » di Plauto: 
e chi abbia notato pur solamente l « etiamne obturat 
inferiorem gutturem » della Pentolinaria, concederà es- 
ser Plautino l’accenno all''uscio di sotto, 6 ἐΐ viaggio, 
anzi lo sbucare dell'anima per quella parte del corpo 
che al diavolo dantesco servì di trombetta. 

Non debbo tacere che l'Urceo, senza esempio di 
classici, usò il verbo « depulvero », facendo così escla- 
mare ad Euclione: « O spes, o cor luctum depulverans 
meum! » £ aggiungo che pari licenze si trovano ezian- 
dio in molti luoghi delle sue prose: e per indicarne 
almeno una, nell'orazione XII leggiamo: « si opulen- 
tiusculi sunt ». Vero è che nel formare « opulentiu- 


DI A. URCEO CODRO 391 


sculus » da « opulentior, opulentius », non sono offese 
le ragioni della lingua: mentre abbiamo il « meliu- 
sculus » da « melior, melius », usato non solo da Plauto 
e da Terenzio, ma da Varrone e da Aulo Cornelio 
Celso (V. Forcellini]. E, quanto al « depulvero », egli 
avea cerlamente veduto il « pulvero » che Plauto usò 
in questo frammento conservatoci da A. Gellio (XVIII ,. 
12): « Exi tu, Dave, age: mundum hoc esse vestibulum 
volo. Venus ventura est nostra: non hoc pulveret ». 
Dove A. Gellio osserva: « Plautus pulveret dicit, quod 
non pulvere impleat, sed ipsum pulveris plenum sit ». 
Forse all'Urceo bastò l'esistenza del plautino « pulvero » 
per formare il composto « depulvero », e usarlo non 
solamente in significato metaforico, ma attivo. 

Se non che, a voler dire tutto il vero, non fu cosa 
rara ne latinisti del secolo XV contemporanei dell'Ur- 
ceo il derivare, îl comporre, il contare nuovi vocaboli; 
chè, molti di essi, spregiando come umile dialetto la 
volgare lingua toscana, riputavano sempre viva în Ilalia 
la lingua latina. Il Poliziano, nella prefazione a’ Me- 
necmi di Plauto, accennando a’ Francescani, scrisse: 
« cucullati, lignipedes, cincti funibus », e 11 « lignipedes » 
polizianesco non è altro che lo «sculponeati » di Varrone, 
conservato da Nonio. Marco Antonio Flaminio, in una 
lettera a Basilio Zanco, sostiene che è lecito il formare 
vocaboli nuovi, non solo per necessità, ma per orna- 
mento: difende il suo « floricomus », loda èl « silvipo- 
tens » del Navagero: ned esso è il solo fra i letterati 
del secolo XVI che abbia imitato în ciò UUrceo e il 
Poliziano: mi basti citare Geronimo Fracastoro e il 
suo « dialogizat » nel dialogo, veramente filosofico, che 
intitolò « Naugerius, sive de poetica ». Ma il Flaminio 
mutò poscia α᾽ avviso: depennò il « floricomum ver », 


392 MALAGOLA 


che più non si legge nelle sue poesie; e in una lettera 
a M. Ulisse Bassiano: « non ardirei già /scriveva) d' u- 
sar reputo in luogo di puto, se nol vedessi usato in 
questo modo da Cicerone, o da qualche altro qui sit 
bonus latinitatis auctor ». Del secolo XVII io mi 
passo; secolo di latinità viziata, benchè abbia prodotto 
Benedetto Averani, e quel miracolo di Bartolomeo Beve- 
rinî. Vengo al XVIII. Carlo d'Aquino, volendo mostra- 
re a’ dotti d' Europa che « i poeti toscani con discoperte 
novelle e copiose han reso chiaro che le fonti dell’ in- 
gegnose invenzioni non furono esauste e vote da’ poeti 
greci e latini » e che Dante « di tali ritrovamenti so- 
pra ogni altro fornito a gran dovizia si scopre », tra- 
sportò in verso latino eroico (sono sue parole] la Co- 
media del divino poeta, e la publicò nel 1728. Leggo; 
e în quella profusione di eleganze, qual non si trova 
nell'Abbate Della Piazza (« qui verbum verbo reddit 
fidus interpres »), πὸ in Giuseppe Pasquali Marinelli 
(« qui fuit lutulentus »), osservo che egli chiama « fusti- 
geros » τ diavoli del XXIII dell'Inferno; « aurifluam » 
la mano di Nicolò di Bari nel XX del Purgatorio; e 
che nel XVII della stessa cantica scrive « digna tulit 
meritis ornamina Mardochaeus »; e nel XV del Para- 
diso: « conticuere omnes suspensaque plectra tenebant 
Marticolae ». Quel principe gesuita era ricco non solo 
di eleganze, ma di erudizione; e tre lessici latini com- 
pilati da lui, un lessico militare, un lessico di agricol- 
tura, un lessico αἱ architettura, ne fanno splendida te- 
stimonianza. Onde io tengo per fermo che componen- 
do il « fustiger » ἢ « aurifluus » e il « Marticolae » /gli 
spiriti del cielo di Marte), avesse presenti alla mente 
îl « pinniger » di Lucrezio nel V « de rerum natura », 
l «armiger » di Virgilio nel IX dell’ Eneide, il « mel- 


DI A. URCEO CODRO 393 
lifluus » di Boezio nel metro 11 del VI « Consolationis », 
ἴ « undifiuus » di Draconzio (poeta anteriore a Boezio] 
nell''« Ecsaemerone », ed, oltre al « terricolae » di Apu- 
lejo nel « de Deo Socratis », ἐΐ « monticolae » di Ovidio 
nelle Trasformazioni e ? « Apenninicolae » di Virgilio 
nell'XI dell''Eneide. Così τὸ credo che il « conamen » 
di Lucrezio, nel VI, dal verbo « conor », il « gestamen » 
di Virgilio nel III dell'Eneide, dal verbo « gero », oltre 
al communissimo « certamen » da « certo », lo abbiano 
incoraggiato a trarre da « orno, as », ἐΐ nome « orna- 
men ». Ma egl non ne fa parola, contento a ciascun 
luogo di questa e simili note: « Questo è un vocabolo, 
il quale, comechè non si trovi registrato ne' vocabolari, 
io penso che latinissimo sia ed usato dagli antichi scrit- 
tori latini. Sua disavventura è stata non trovarsi ado- 
perato nell’ opere divulgate a noi rimaste di essi scrit- 
tori. Questo ed altri di simil fatta, da chi e comesi 
possino usare, ho io dimostrato nel mio Lessico militare 
alla voce Galeatia ». Melchiorre Cesarotti, posteriore 
al d'Aquino, successore e contemporaneo di latinisti 
forbili e castigatissimi, fa sua la dottrina ripudiata 
dal Flaminio, e rimessa in campo dal d'Aquino; e 
deltando prose, poesie, iscrizioni latine, si abbandona 
a licenze non perdonabili. Nella orazione « De lingua- 
rum studii origine, progressu, vicibus, pretio », recitata 
nel 1769, non bastandogli che Solino avesse formato 
« fiexibilitas » da « flexibilis », volle da « flezxilis », 
formare « flexilitas », e così annotò: « Fiexilitas; no- 
vum vocabulum; dixerit aliquis: quid si negem? exspecto 
quis in tanta Latinitatis iactura deierare ausit vocem 
hanc ab nemine Latinorum omnium, aut in scriptis, aut 
in sermone, usurpatam. Sed esto: ea certe vox analogia 
suadente procusa. Ego vero notionibus primum consulo, 


994 MALAGOLA 


tum de vocabulis consilium ago: si praesto sunt, utor 
paratis, sin minus, linguae indoli, quam lexico, lubentius 
obsequor. Obmutescant alii, per me licet, aut voculae 
notionem posthabeant ». È dello il confrontare la bal 
danza di queste parole del Cesarotti con la pacatezza 
di quelle del d'Aquino a facc. 432 del Lessico militare. 
Non uscirò del secolo XVIII, senza ricordare Dome- 
nico Lazzarini, uomo di ottimo gusto e di acre e se- 
verissimo giudizio: il quale, nella orazione seconda 
« pro optimis studiis », recitata a Padova nel 1712, 
scrisse: « nihil me velle aliud, quam suppleri aliquan- 
do apud nos carentiam magnorum hominum ». Benché 
non siano pochi nella lingua latina i sostantivi deri- 
vati da verbi în « eo »; e Gneo Nevio p. es. abbia 
« valentia, -ae » da « valeo », Plauto « pollentia, -ae » da 
« polleo », Cicerone « indigentia, -ae » da « indigeo », 
e Aurelio Agostino ne' libri « de civitate Dei » parli 
della Dea « Paventia », τὲ cui nome certamente deriva 
da « paveo », perchè era la Dea degli spauracchi; 
nondimeno il sostantivo « carentia, -ae » da « careo », 
che δὲ legge nel riferito periodo del Lazzarini, non è 
convalidato da esempj di classici. Carlo Boucheron 
[eccoci al secolo XIX] nel suo commentario « De Thoma 
Valperga Calusio » /lavoro che al Giordani parve me- 
ritamente « stupendissimo e da ogni parte perfetto: « un 
metallo prezioso tirato a specchio »] scrisse: « ut, his 
omissis, ad Calusium et ipsius versionem redeam (pag. 
XXXIII) e (pag. CII): « duplex constituit certitudinis 
genus », e nella prefazione, del rimanente bellissima, 
al Terenzio del Pomba: « quod Lipsiensis editio nudiu- 
scula videretur »: mentre non vi ha esempio di « ver- 
sio » nel significato di traduzione, né δὲ trova usato 
da classici il sostantivo « certitudo », né ἢ aggettivo 


DI A. URCEO CODRO 395 


diminutivo « nudiusculus ». Stefano Antonio Morcelli, 
che io non dubito di chiamare principe de’ latinisti, 
quegli che insegnò a dir puramente le cose cristiane 
e le moderne, usò due volte il vocabolo « coaevus », 
cioè nella epigrafe 57, e nella 81, della « Appendix 
inscriptionum novissimarum », edita în Padova. « Quem 
coaevi omnes, pietatis laude, mansuetudinis studio, filio- 
rum cura insignem noverunt », leggo nell'una; « lugent 
coaevi, amissum lugebunt et posteri », leggo nell'altra. 
Fu inganno di memoria? Fu inavvertenza? Non avea 
forse il Morcelli in pronto l «aequalis » dell''aurea 
latinità, e il « coaequalis » 6 τὶ « coaetaneus » dell'ar- 
gentea, oltre al poetico e virgiliano « aequaevus? » O 
a giustificare il « coaevus » credette valevoli gli esem- 
pu di Prudenzio da Tarragona, e di Aurelio Agosti- 
no da Tagaste? Certamente non ignorava che nel tre- 
dicesimo paragrafo della « Vatiniana » di Cicerone i mi- 
gliori codici în vece di « coaevos » danno « coquos » 
O « cocuos »; destimonii Adriano Turnebo e Dionigi 
Lambino, illustrante Nicolò Abramio, approvante Ga- 
spare Garatoni. Nè il Lazzarini, trattandosi di lingua 
non più parlata, estendeva sino a’ suoi tempi tl « licuit 
semperque licebit » del Venosino, da stimarsi lecito di 
dedurre il nome « carentia » dal verbo « careo »: 
per me è fuor d'ogni forse che in uomo così severo, 
11 «carentia » ὁ una di quelle macchie, « quas haud 
incuria fudit, ast humana parum cavit natura ». Altr:- 
menti forse il Boucheron. Egli, nella prefazione a 
Suetonio, lasciò scritto: « illud semper mihi verius visum 
est in antiquo et incorrupto romanorum sermone non 
tam verba, quam sententias spectari oportere, eumque 
veteribus esse propiorem qui plus dignitatis in scriben- 
do retineat ». Ora qual meraviglia che si credesse 


396 MALAGOLA 


lecito di poter fare dall''aggettivo « certus » εἶ nome 
astratto « certitudo? » tanto più che di somiglianti 
astratti in « udo » la lingua latina non è priva (alti 
tudo, amaritudo, celsitudo e via discorrendo). Qual me- 
raviglia che si credesse lecito di usare « versio » nel 
significato di traduzione, mentre « verto » per tradur- 
re ὁ ne latini del secolo d'Augusto? Ma, per quanto 
certe licenze, a lui δὲ nobile e sì potente scrittore, che 
tutta padroneggiava la lingua del Lazio fin qui cono- 
sciula, potessero parere minuzie da non tenerne con- 
lo, non so come credesse giustificabile il « nudiusculus », 
se ne' classici il comparativo « nudior », da cui trarre 
« nudiusculus », non esiste, ma soltanto il positivo 
« nudus ». Ché nel « De legibus » di Cicerone (I, 2) 
si dee leggere « quibus nihil potest esse iucundius »; 
non già « quibus nihil esse potest nudius », come altri 
sognò. In luogo. di contare il « nudiusculus » senza 
ragione e senza autorità, poteva il Boucheron valersi 
del « nudulus » ragionevolmente formato da « nudus » 
e autorizzato dall'imperalore Adriano in que’ celebri 
versi conservati da Elio Sparziano che ne scrisse la 
vila: « Animula vagula, blandula - Quae nunc abibis in 
loca - Pallidula, rigida, nudula ». 

Ma questa è materia da trattarsi in accurata dis- 
sertazione. Tornando alle licenze dell Urceo în opera 
di lingua, che mi hanno tratto a fare digressione 
δὲ lunga, io ne prendo maggiore meraviglia, perchè 
non ho mai dimenticata una lettera di lui a Bat- 
ἰδία Palmieri. La quale mi è buon testimonio che, 
almeno în teorica, egli fosse geloso della proprietà e 
della purezza, e ben lontano dalle opinioni che il Fla- 
minio, il d'Aquino, il Cesarotti ed altri manifestarono. 
Fatto è che, ammonito dal Palmieri di aver usato τὶ 


—_ 


DI A. URCEO CODRO 397 


verbo « insinuare » în significato forse non proprio, 
e di aver contato l aggettivo « graeciensis », risponde: 
« Si mihi scripsisses: dubitant hi viri docti de vocabulo 
+ Graeciensi an sit latinum, an insinuare recte a te 
positum sit et proprie, et alia huiusmodi, respondissem 
leviter faciendum esse quicquid vobis libuisset. Hoc te 
rogo facias in versibus quos ad te mitto; si quid est 
improprie positum, notes et mihi significes: ego, si po- 
tero, corrigam: sin minus, non utar in posterum eo 
quod notatum fuerit ». E del « Graeciensis » δὲ giust- 
fica con un esempio di Plinio. Mi passo dell''aneddoto 
risguardante ὁ dubbj mossi a lui da Ercole Croci in 
proposito del verso: « ille inhiat gemmas, atque auro 
congerit aurum », perché la leltera al Palmieri, dove 
TUrceo lo narra, merita di essere ristampata per in- 
tero. Quella lettera, meglio forse d'ogni altra, fa co- 
noscere gli studi αἱ quest uomo dottissimo, e onora 
altamente chi la scrisse non meno che la persona a 
cui è scritta. 

Quanto al « depulvero » del Supplemento, io non 
devo tacere cosa poco meno che incredibile, ma vera. 
Sì il « depulvero » dell'Urceo, în grazia del qual 
verbo ho fatta digressione sì lunga, ebbe È onore, 
non sortito da altro vocabolo di latinista moderno, 
— di essere accolto nel « Lexicon totius latinitatis » da 
Egidio Forcellini; il quale non potè corredarlo di 
altro esempto, che il « luctum depulverans meum » 
dell'Urceo, appostavi la inesatta indicazione « In sup- 
posit. Aulular. Plauti (3, 25) »; indicazione sbadata- 
menle ripetuta da' filologi che diedero ristampato e 
ampliato în Lipsia il gran Lessico l'anno 1839. Né 
con ciò intendo detrarre a’ meriti molti e grandi 
del Forcellini: so che « operi longo fas est obrepere 


ρα αν των e “- “-- 


998 MALAGOLA 

somnum »; e che in un dizionario generale di una 
lingua, sia morta, sta vivente, δὲ troverà sempre non 
solo da aggiungere, ma da mutare. L'errore però 
del « depulvero » collocato tra i vocaboli dell'antica 
latinità, e dell'indicazione: « In supposit. Aulular. 
Plauti », tanto più importa notarlo e correggero, 
in quanto che, lasciando stare un' « Aulularia » del 
secolo XII, che credesi fattura di Vitale Blesense (stam- 
pata da Federigo Osann a Darmstadt nel 1836/, esiste 
un’ « Aulularia », 0 piuttosto « Querolus », falsamente 
da alcuni attribuita a Plauto; mentre il Klinkhamer 
(1829) la vuole composta nel periodo tra Diocleziano e 
Costantino; Rodolfo Peiper, ultimo editore a me noto, 
la publicò a Lipsia nel 1875 con questo titolo: « Aulu- 
laria sive Querolus Theodosiani aevi comoedia »; e ἐϊ 
Dezetmeris opina che sia di un Assto Paulo lodato în 
Ausonio, e che lo scambio del nome dell'autore sia 
nato dalla somiglianza de’ nomi « Axius Paullus » ed 
« Accius Plautus »; notizia che devo all’ eruditissimo 
Vincenzo Devit. 11 quale, avendo rifatto con lucido 
ordine, e di molte voci, locuzioni e dichiarazioni ar- 
richito il Lessico Forcelliniano, come corresse altri 
errori, così correggerà anché il sopra notato, coghen- 
do l'opportunità dell’ Indice degli autori, sotto la voce 
« Plautus ». Lodo intanto Carlo Hermanno Weise, che 
nel suo qualunque stasi « Lexicon Plautinum », stam- 
pato a Quedlinburgo Panno 1838, non diede ricetto al 
« depulvero »; lo biasimo dell'averne escluso il « pul- 
vero » ed altri vocaboli de' frammenti plautini. 

Ma vi ha di più. Ché versi interi, e non pochi, 
del Supplemento dell'Urceo furono citati come di Plau- 
to da dotti uomini; da un filosofo, da un filologo, da 
un giureconsulto, che tutti e tre scrissero latinamente. 


DI A. URCEO CODRO 399 


Intendo parlare di Enrico Cornelio Agrippa, αἱ Fran- 
cesco Ottomanno, di Cornelio Revardo. Il primo nel 
Topera « de incertitudine et vanitate omnium scientia- 
rum et artium /Francofurti et Lipsiae, 1714) » alla pag. 
392, cap. 67 « de ceconomia privata », esposte le ra- 
gioni del proverbio « totidem domi hostes habemus quot 
Servos; de iis », soggiunge, « ita loquitur Strobilus apud 
Plautum in Aulularia: Inique domini servis utuntur suis » 
con tutta la invettiva che ne’ sequenti versi ἢ Urceo, 
non Plauto, fa scagliare da Strobilo contro î padroni 
inumani e contro i servi malvagi. Di Francesco Otto- 
manno sta nel tomo secondo delle Antichità Romane 
del Grevio, dopo î libri « de magistratibus » e « de 
senatu », τ &bro « de formulis antiquis »; nel quale 
il valente filologo, spiegando le diverse formole e ceri- 
monie de’ giuramenti presso i Romani, giunto a quella: 
« Si sciens fallo, tum me Diespiter, salva urbe arceque, 
bonis eiiciat ut ego hunc lapidem », oltre a Cicerone e 
a Festo, ricorda col nome di Aulularia di Plauto 1 
versi dell'Urceo: « Si ego te sciens fallam, ita me 6}}- 
ciat Diespiter - Bonis, salva urbe, ut ego hunc lapidem ». 
Giacomo Revardo, tra le sue opere stampate a Fran- 
coforte nel 1601, ne ha una « Variorum, sive de iuris 
ambiguitatibus »: e nel libro III. di questa, sotto 1l tr 
tolo « quibus nominibus obligatio fieri dicatur; et de 
signatoribus quaedam non vulgaria », dopo di aver ri- 
ferite le solenni parole con cui presso î Romani nel 
l'atto del prestito il creditore interrogava il debitore, 
e il debitore rispondeva, soggiunge: « idcirco tabulas 
quibus illa interrogationis et responsionis sollemnia ver- 
ba continerentur, certis verbis et certis quibusdam for- 
mulis transcribebant pararii, adiectis loco, die et con- 
sule.... » E prosegue: « Huc spectat Plauti illud in 


400 MALAGOLA . 

Aulularia: - Nostra aetas non multum fidei gerit: - Ta- 
bulae notantur; adsunt testes duodecim; - Tempus lo- 
cumque scribit actuarius: - Tamen invenitur rhetor qui 
factum neget..... - Nec quidem dubito », ripiglia il Re- 
vardo, « quin per Pararium intellexerit eum Seneca » 
{giacchè I vocabolo « pararius » sostantivo non si tro- 
va forse in altro classico latino che în Seneca] « quem 
Plautus actuarium, Scaevola librarium, et Ulpianus ta- 
bellionem appellant ». Che 11 « Pararius » di Seneca 
equivalga all « actuarius », αἱ « librarius », αἱ « tabel- 
lio », come vuole il Revardo, è poco probabile: Giusto 
Lipsio, nelle note al c. 15, del libro 111. « de Benefi- 
ciis » di Seneca, insegna che « Pararius » equivale al 
greco μεσίτης (in italiano si direbbe mediatore, sensale); 
« a parando, quia (pararii) parant utrinque animos et 
coniungunt »; e seguitando: « Alii (ut Revardus) explicant 
tabelliones, actuarios; quibus ut minus assentiar, facit 
Seneca epist. CKXX: Nolo per intercessorem mutueris. 
Sane est hic ipse pararius ». Ma, qualunque valore 
abbia questo vocabolo, sia 0 non sia sinonimo di « actua- 
rius », ὁ innegabile che ἃ versi citati dal Revardo non 
sono di Plauto ma dell’ Urceo. 

Io ho accennata la facilità grande, e quasi dissi 
fluidezza, di pressoché tutti que’ dugentoventidue versi 
che formano il supplemento; ma non perciò voglio 
entrare nelle più riposte ragioni della prosodia e della 
metrica (materia disputabilissima, e disputata forse an- 
che troppo]. Chi mai, quando non sia mentecatto, vor- 
rà far colpa all'Urceo dov' egli per avventura non δὲ 
fosse conformato a ciò che tanti secoli dopo di lui 
arzigogolarono sulla prosodia e la metrica plautina ὦ 
dotti tedeschi? Νὰ il dire arzigogolarono è beffa o esag- 
gerazione; se pure non è beffatore de' suoi, 0 esagge- 


DI A. URCEO CODRO 401 


ratore, Guglielmo Federico Studemund, tedesco non 
pur dotto, ma dottissimo, il quale în una operetia 
publicata a Berlino nel 1864 col titolo « De canticis 
plautinis » (pag. 2) scrisse: « Tantum nunc discrepant 
eorum (virorum doctorum)... opiniones, totiesque iidem 
novam de eodem loco protulerunt sententiam, ut diffi- 
cilius quidquam nequeat excogitari, quam perpensis omni- 
bus illis, quae in quoque cantico metra Plautus ipse 
posuerit, explorare ». Fra ἃ quali dotti arzigogolanti, 
Federico Lindemanno mt parve sempre il più lepido, 
per questa curiosa notizia che ci diede nella sua pre- 
fazione a' Prigioni (p. VII): « Quo... longius procedo 
in familiaritate cum Plauto contrahenda, quoque diligen- 
tius eius orationem tracto, eo manifestius intelligo, eius 
prosodiam esse liberrimam, metra vero astrictissima, 
usitatissima et maxime vulgaria ». Quanto a me, come 
in riguardo α᾽ sali, così tn riguardo α᾽ numeri di 
Plauto, non mi dipartirò mai da Orazio; il quale 
probabilmente « legitimum sonum digitis callebat et 
aure »: e prego ἃ filologi che sperano di trovare, o 
credono di aver trovate, le ragioni prosodiache e me- 
Iriche di Plauto, a voler mettersi d'accordo tra loro 
«di qua dal suon dell’angelica tromba ». Chi ama co- 
noscere quanto facile e fluido, anzi naturale e spon- 
laneo, sta îl verseggiare dell'Urceo, legga questo tratto 
del Supplemento, dove ricordandosi egli bene a proposito 
loraziano « interdum tamen et vocem Comoedia tollit, 
iratusque Chremes tumido delitigat ore », fa prorom- 
pere Sirobilo nella invettiva già mentovata contro i 
padroni inumani e contro i servi malvagi: « Tenaces 
nimium dominos nostra aetas tulit, - Quos Harpagones, 
Harpyias et Tantalos - Vocare soleo, in opibus magnis 
pauperes, - Et sitibundos in medio Oceani gurgite. - 
26 


402 MALAGOLA 


Nullae illis sunt satis divitiae, non Midae, - Non Croe- 
si; non omnis Persarum copia - Explere illorum tarta- 
ream ingluviem potest. - Inique domini servis utuntur 
suis, - Et servi inique dominis nunc parent suis: - Sic 
neutrubi fit, fieri quod iustum' foret. - Penum, popinas, 
cellas promptuarias - Occludunt mille clavibus parci 
senes, - Quae vix legitimis natis concedi volunt. - Servi 
furaces, versipelles, callidi, - Occlusa mille clavibus sibi 
reserant, - Furtimque raptant, consumunt, ligurriunt, 
- Centena nunquam furta dicturi cruce. - Sic servitutem 
servi ulciscuntur mali - Risu iocisque. Sic ergo conclu- 
do, quod - Servos fideles liberalitas facit ». Soltanto 
coloro che sono ottusi d’orecchio « e della vista della 
mente infermi » negheranno che ἢ Urceo, în questa 
folata (così mi piace chiamarla) di venti versi, non 
iscorra e risuoni « quasi torrente che alta vena pre- 
me » senza che le sue acque menino fango. 

Tant è: τὸ credo che Plauto, se tornasse a nuova 
vita, non avrebbe ad arrossire del Supplemento lavo 
ratogli dall''ingegno dell'Urceo: e questi versi, Ὁ. es. 
credo che siano quasi αὐ una medesima stampa con 
quelli onde Megadoro, vissuto lungamente celibe, si 
sfoga contro il lusso delle donne che vanno a marito. 
Veggasi della Pentolinaria la scena 5 dell'Atto II 
dal verso: « Nunc, quoquo venias », sino al « Dotatae 
mactant et malo et damno viros ». Né alcuno mit oppon- 
ga l aggettivo « sitibundus » dato a' padroni da Stro- 
bilo; perchè non lo coniò PUrceo ad arbitrio; e, quan 
tunque δὲ trovi fra gli scommunicati dal Forcellini, che 
pure accolse îl « depulvero », la indicazione aggiunta di 
« Onomasticon vetus » rende probabile che sia leggitimo 
d'origine; e, senza forse, è fratello naturale del « furi- 
bundus » di Cicerone e del « pudibundus » di Ovidio. 


DI A. URCEO CODRO 403 


Mollo meno mi si opponga til « concludo quod », che 
torna anzi a gran lode dell'Urceo; perchè Plauto lo ri- 
conoscerebbe tosto per suo; Plauto, che nell'Atto I. 1, 
37, dell’Asinaria scrisse: « Equidem scio iam filius quod 


amet meus istanc meretricem ». E qui vuolsi notare ’ 


che, a' lempi del dotto umanista, non aveva ancora 
Gerardo Vossio insegnato nella sua grammatica ciò 
che fu poi ripetuto dal Forcellini nel Lessico: che il 
« quod interdum usurpatur ad resolvendum infinitum, 
(che, ὅτι) praecipue post verba significantia opinionem, 
desiderium aut scientiam ». Così è vero che l Urceo 
seppe trasferirsi tutto in Plauto; voglio dire intrinse- 
σαν δὲ con lui, apprenderne tutti i secreti, ben più che 
quel Carlo Hermanno Weise, il quale nell’ Indice che 
intitolò « Lexicon Plautinum » non seppe collocare al 
proprio suo luogo, nè spiegare, fra i varti usi speciali 
del quod che si incontrano nelle comedie plautine, 
questo di risolvere, dopo determinati verbi, ἢ infinito. 
E pure millantasi nella prefazione: « Hoc maxime spe- 
ctavimus, ut et loci quique accurate invenirentur, et in 
difficilioribus rarioribusque quis esset significatus dictio- 
ni adiectum legeretur ». Accennate quindi le due edi 
zioni che diede di Plauto, la prima con note, la secon- 
da con solo il testo, vie più si gonfia: « ne huius em- 
ptores /della seconda} utilissimo et ad Plauti lectionem 
et ad hauriendam antiquioris latinitatis scientiam adiu- 
mento destituerentur, indicem hunc maiori editioni ad- 
nexum etiam separatim edidimus, et, quemadmodum 
revera est, Lexicon Plautinum nuncupavimus ». Avve- 
gnacchè quell Indice non sia senza pregi (fra î quau 
ho indicata la esclusione del « depulvero »), ha tante 
imperfezioni, cd è nell'insieme così arido e magro, 


i | 


404 MALAGOLA 


che era meglio porvi în fronte l’oraziano: « parturiunt 
montes », con ciò che segue. 

Stando le cose în questi termini, come osò Fede- 
rico Taubmanno nelle varie sue edizioni di Plauto 


° sfatare il Supplemento dell'Urceo? « Quia vero haec 


comoedia (Aulularia), si ulla alia, non legi solum, sed 
agi solet, nec facile applausum a spectaculo mereri pote- 
rit, si ipsa solemni illo suo Plaudite careat, patiamini, 
quaeso, pannum illum bononiensem purpurae huic 
romanae adsui, dum forte melius quid ab aliquo ve- 
strum impetretur ». Ecco la sentenza del Taubmanno. 
( Vittebergae, apud Zachariam Schurerum, pag. 118). 
Ora il Forcellini ci insegna, e innumerevoli esempii 
di classici confermano, che « pannus » dicesi « de veste 
lacera, aut interpolata, aut vili »; che « saepissime pan- 
nus dicitur de panni frusto, et praesertim de iis, quae 
adhibentur in medendo ». Dunque, il Supplemento del- 
PUrceo, giudice il Taubmanno, è una veste lacera, 
raltoppata, grossolana; è uno straccio, una pezza: € 
tra queste gentili denominazioni la scelta è lasciala 
graziosamente a ποῖ. Ma, prendiamo pure il vocabolo 
« pannus » nel senso più nobile, benchè comprovato da 
rarissimi esempi, e non troppo concordante coll « ad- 
Sul »: δία pure «textum ex quo vestes fiunt »; rimane 
a sapere tl motivo dell' antitesi del « pannum Bono 
niensem » con « purpurae romanae ». Forse, come Asi- 
nio Pollione trovò nel latino di Tito Livio « quandam 
patavinitatem », così il Taubmanno [per copia di dot 
trina, rettitudine di giudizio, squisitezza di gusto, quasi 
un altro Pollione] avrebbe trovato nel latino dell'Ur 
ceo « quandam »/se è lecito îl vocabolo/« Bononietatem »? 
E non sapeva egli che quel Supplemento tanto è tungi 
dall essere un tessuto Bolognese, che tre dotti, non 


DI A. URCEO CODRO 405 


sospetti di parzialità perché stranieri a Bologna e al 
l Italia, lo credettero porpora romana, e come di por. 
pora romana se ne fregiarono? Oh lasciamolo bestem- 
miare quel temerario; e cogliamo intanto dalla sua 
bocca una preziosa confessione; cioè che la celebrità del 
Supplemento Bolognese, o meglio Rubierese, non si era 
punto menomata, nè anche fuori d' Italia, nel secolo 
XVI, e durava nel XVII. « Erant quidem ad manum 
aliorum etiam Supplementa, nec displicebant ; in primis 
Ioachimi Camerarii, item Georgii Reimanni.... sed quia 
alterum », /cioé il Bolognese, comunque debba appel 
larsi) « libros etiam vetustos occupavit, multorumque 
animos hodieque /ecco la preziosa confessione], id, de 
consilio quorumdam, residere passus sum ». E în altra 
edizione, ricordata da Angelo Maria Quirini nello 
« Specimen variae litteraturae, quae in urbe Brixia 
eiusque ditione paulo post typographiae incunabula flo- 
rebat » (pars prima, pag. 46): « Quia ille Codrus a mul- 
tis iam annis in Quatuordecim sedit, loco eum pellere 
et excitare, novus ego Oceanus, seu apparitor forte non 
debui ». A Federico Taubmanno, il quale senza esa- 
me, e senza prove, sentenziò a guisa d’ oracolo; e non 
pago di vilipendere il più pregiato fra i lavori di uno 
scrittore illustre e benemerito, oltraggiò con villana 
tracotanza la città che fu maestra all'Europa, noi 
contraporremo il principe de’ volgarizzatori e il prin- 
cipe degli illustratori di Plauto. Nicolò Eugenio Ange- 
lio che, per intelligenza del testo, per eleganza di lin- 
qua italiana (italiana, dico, senza sgrammaticature 
plebee], rimane e rimarrà primo în ordine di merito, 
come fu primo în ordine di tempo fra coloro che pre- 
sero a tradurre tutte le comedie di Plauto, tradusse 
anche il Supplemento dell''Urceo alla Pentolinaria; e 


406 MALAGOLA 


invece un altro Supplemento, spacciato dal Meursio 
come di Plauto, sdegnò di por mano a volgarizzario, 
facendo questa dichiarazione: « Tutti questi ventotio 
versi aggiunti non mi è parso che meritassero di affa- 
licarvisi sopra: sian pure di chiunque si voglia, son 
così greiti, stentali, affettati, e în fine poco latini, che 
non δὲ posson cerlamente confondere con quei di Plau- 
to ». Tomaso Vallauri, illustratore incomparabile delle 
Comedie di Marco Accio Plauto, barbaramente detur- 
pate da F. Ritschl e da A. Fleckeisen, diede ristam- 
pato în fine dell'Aulularia il compimento dell'Urceo con 
queste notevoli parole: « Codrus Urceus plautinum colo- 
rem sollerter est imitatus ». - « E questo fia suggel 
ch’ ogni uomo sganni » -. 

In dugento ventidue versi un solo costrutto mi 
venne incontrato del quale non conosco esempi che lo 
rendano leggitimo, ed è « supra quam quod necesse 
est nobis ». Veramente Sallustio nel V. della Congiura 
di Catilina scrisse: « supra quam cuiquam credibile 
est », senza τὶ quod. Tomaso Vallauri, giudice supre- 
mo di latinità, interrogato da me, egli che tutti ha 
famighari i classici latini, e le ragioni della lingua 
latina, unico forse in Europa, pienamente conosce, 
rispose: « Io credo con voi che non si trovi esempio 
ne’ buoni tempi del supra quam quod. Sarebbe una ve- 
ra Tautologia ». 

Ma sin qui la mia lettera parla soltanto di voca- 
boli, di costrutti, di versi; e del modo tenuto dall'Urceo 
a sciogliere l'intreccio della comedia non fece motto. 
Io so bene che allo scioglimento di un nodo dramatico 
può bastare la conoscenza della natura umana e la 
pratica degli affari domestici e civili; conoscenza e pra- 
tica che în molti rimane disgiunta dalla più squisita 


DI A. URCEO CODRO 407 


letteratura. E so pure che εἰ fine a cui dovette riuscire 
Plauto è indicato chiaramente nel Prologo del Lare 
domestico, e più ancora nel secondo Argomento, che 
in molle edizioni si trova premesso alla Pentolinaria 
stessa: « Re omni inspecta compressoris servulus - Id 
surpit. Illic Euclioni rem refert - Ab eo donatur auro, 
uxore et filio ». Contuttociò il dotto umanista non vuo- 
le essere frodato della lode che gli è dovuta per essersi 
aperta una via amena e sicura di giungere alla meta 
toccata da Plauto, e avere percorsa quella via felice 
mente. E sappiano tutti che, quarantatrè anni dopo 
la morte dell Urceo, un uomo riputato dal Parini 
non solo ottimo scrittore, ma acuto filosofo, ed enco- 
miato dal Gioberti, non solo per l eleganza e ἢ atti- 
cismo, ma eziandio per la profondità del sapere, sciol- 
se con mezzi, quasi dicevo, identici a quelli che pia- 
cquero all'Urceo, un nodo dramatico pari al nodo della 
Pentolinaria. 10 parlo di G. B. Gelli e della sua Sporta; 
comedia che un savio critico vivente, Agenore Gelli, 
stima, dopo la Mandragola, la più bella comedia del 
l antico Teatro comico italiano, e che alcuni credette- 
ro composta sopra un abbozzo lasciato dal Macchia- 
velli. Che il calzajuolo fiorentino, autore della Circe 
e de' Capricci del Bottajo, illustratore di Dante, mutati 
i nomi, e trasferita la scena da Roma, o piuttosto da 
Atene, a Firenze, abbia dato in buona sostanza lAu- 
lularia del pistore sarsinate, fu già avvertito da più 
d'uno; e che nello scioglimento del nodo abbia dato il 
Supplemento dell’ Urceo, tutti possono vederlo con gli 
occhi propri. Il Franzino che, prendendo la Sporta, 
e poi restituendola, riesce a conciliare le nozze di Ala- 
manno Cavicciuli con la Fiammetta, figliuola dell a- 
varo padrone della Sporta, Ghirigoro de’ Macci; il 


408 MALAGOLA 


Franzino, dico, non è altro che lo Strobilo rubatore 
della Pentolina, che, forzato a restituirla, concorre a 
conciliare le nozze di Liconide con Fedra, figliuola 
dell'avaro padrone della Pentolina, Euclione. Non è 
possibile leggere le parole di Ghirigoro: « mi vo’ mu- 
tare al tutto di natura, chè io conosco ora che Iddio 
m' ha fatto questo, solamente perchè τὸ discacci da me 
ἢ avarizia, nella quale to son vivuto în sin qui » sen- 
zachè venga alla mente Strobilo, il quale nel Supple- 
mento dell Urceo, volto agli spettatori, grida: « Spe- 
ctatores, naturam avarus Euclio mutavit: liberalis subi-’ 
to factus est ». Vero è che Franzino per restituire la 
Sporta δὲ contenta di una semplice promessa, e nulla 
poi tiene per sé, conchiudendo pien di fiducia: « a me 
non mancherà nulla, avendo bene il mio padrone »; 
laddove Strobilo, prima di confessarsi rubatore dei 
danari, e di farne restituzione, vuole dal padrone 
esplicita promessa di essere fatto libero, ed anche dopo 
avutone giuramento solenne, diffida, e ricorda a Lico- 
nide: « Quod restat, here, memento ut liber nunc siem ». 
Ma, come il Gelli mostrò di conoscere a che possa 
giungere un fedele servitore, un domestico, ne’ tempi 
della civiltà cristiana, così ἢ Urceo ritrasse la τη δἰ 
cità e la tristizia degli schiavi ne’ tempi della civiltà 
pagana. E se il Gelli si fece imitatore sapiente del 
PUrceo non meno che di Plauto, ritraendo i costumi 
di Firenze cristiana, quantunque corrotta, l Urceo sti 
rivela degno erede dello spirito comico di Plauto, non 
solo dialogizzando con proprietà e vivezza in una lin- 
gua che più non si udiva nella bocca del popolo, ma 
trasferendosi con la mente a luoghi remoti, a tempi 
antichi, in mezzo a costumi diversi, e rivestendo l'al 
trui persona; cose tutte a che si richiede letteratura 


DI A. URCEO CODRO 409 


finissima, riposta dottrina (oggidi si direbbe filologia 
ed estetica] con versatile ingegno (1) ». 

Dopo aver riferita una così dotta dissertazione, tor- 
nerebbe superfluo aggiungere altre parole; onde ricor- 
derò ‘soltanto che il Supplemento, del quale finora si è 
tenuto discorso, fu tradotto più volte nella nostra lingua 
in un coll’Auzularia, ed ultimamente rappresentato con 
essa, sulla fine del 1876, ne' teatri di Torino, ove incon- 
trò grande favore presso quel publico intelligente, e di 
nuovo, nel febraio ἀδὶ 1877, in Bologna. 

X. Nelle rare edizioni degli scrittori di cose rusti- 
cali, impresse da Benedetto d' Ettore Faelli nella nostra 
città, mentre Codro vi dimorava, troviamo, in una nota 
che precede il carme « De Insitione » di Palladio Ru- 
tilio, quest’ avvertenza: « Hic Palladit Libellus quam- 
vis non adeo obscurus sit, ut lucis egere videatur, 
quippe quae hic versu canuntur supra prosa oratione 
eadem fere demonstrata sunt, tamen ne nudus omni- 
no exeat, neve Columellae Horto invideat, nonnulla 
ex Codri Grammatici bononiensis dictis excerpta illi 
circumfudimus..... (2) ». Ma noi non possiamo affermare 
che quelle annotazioni sieno tolte veramente dai detti 
del nostro autore, giacchè egli nel primo Sermone, 
per certo alludendo a tali commenti (gli unici di lui 
stampati. mentre viveva) lasciò scritto: « /mpressores... 


(1) Del supplemento di Antonio Urceo Codro alla Pentolinaria 
di Marco Accio Plauto - Lettera citata. 

(2) Opera Agricolationum: Columellae: Varronis Catonisque: nec 
non Palladii: Cum Annotationibus. Ὁ. Philippi Beroaldi: et commen- 
tariis quae in aliis impressionibus non extant — MDIIII. In fine: 
Impressa Bonon. Impensis Benedicti Hectoris Bononiensis. MDIIII. 
X Calen. sepiemb. Vedi a carte 298 retto. 


410 MALAGOLA 


librorum... addunt praeterea operibus clarorum aucto 
rum aliquas commentaciunculas vel Omniboni, vel 
Pomponii, vel aliqua ex dictis Codri excerpta, ut ope- 
ra fiant vendibiliora, quae Pomponii nec Omniboni 
nec unquam Codri fuere (1) ». Queste annotazioni al 
Carme di Rutilio Palladio « De Insitione » vennero 
stampate in Bologna da Benedetto d’Ettore nel 1494 e 
nel 1504; in Venezia nel 1519 da Aldo, e poscia tre 
volte in Parigi: nel 1529 dall’Ascensio, nel 1533 da 
Giovanni Petit, e da Galeotto da Prato. 

XI. Il Tiraboschi, nella Biblioteca Modenese, par- 
lando delle opere di Codro, afferma che: «... alcune 
annotazioni sugli scrittori di Agricollura se ne hanno 
in una edizione di essi intitolata Rei Rusticae scri. 
ptores M. Catonis, M. T. Varronis etc. cum Com- 
mentariis Georgii Alexandrini, Phil. Beroaldi, Pom- 
ponii Moderati et Codri grammatici — Parisiis: 
apud Galeotum a Prato 1533 (2) », ma ognuno com- 
prende come questo benemerito scrittore, sotto titolo 
. errato, accenni qui alle ricordate annotazioni al carme 
« De Insitione ». 

Nel medesimo luogo il Tiraboschi aggiunge: « Le 
poeste intitolate Martinalia et certamen acquae et vini 
leggonsi fra gli scrittori faceti, siampati in Leyden 
nel 1623 ». Lo storico della Letteratura Italiana, dal 
titolo « Martinalia » ha creduto che sotto quello fos- 
sero comprese diverse poesie di Codro, mentre invece 
nella raccolta, che s'intitola: « Scriptores Varii Arcu- 
mentorum ludricorum », di cui fu editore Godefrido 


(1) Opera, a pag. δ]. 
(2) Tomo VI, parte I, a pag. 208. 


DI A. URCRO CODRO 411 


Bassou, solamente si trova l'inno « die Divi Martini 
pronunciatus (1) », già impresso nelle quattro edizioni 
delle opere di Codro e poscia separatamente in Craco- 
via nel 1527 pei tipi del Vietor, ed in Francoforte nel 
1610. Questa poesia assai faceta è ricordata da Codro 
nel suo secondo Sermone (2), col quale forse egli la 
recitò 8᾽ suoi discepoli (3). 


(1) Opera, a pag. 415. 

(2) Opera, a pag. 83, 

(3) ll Prof. Gustavo Schwetschke di Halle in Sassonia, publi- 
cando nel 1872 una Memoria sopra il « Gaudeamus igitur », canto 
che sentesi risuonare in tedesco in tutte le solenni occasioni nelle 
Università di Germania (portatovi, com’ egli ritiene, dallo Studio di 
Bologna) riferisce il principio di un’ Ode, scritta nel 1525 pel ma- 
trimonio di Lutero, la quale da lui si crede composta ad imitazione 
del « Gaudeamus igitur ». Noi, a proposito dell' Ode di Codro pel 
giorno di S. Martino, vogliamo notare ché quella sul matrimonio 
di Lutero fu senza dubio composta più precisamente ad imitazione 
di questa del nostro autore. E valga il vero: Codro così dà principio 
al suo inno: 


« Io Io Io Io 
Gaudeamus Io Io, 
Dulces Homeriaci, 
Noster Vates hic Homerus, 
Dithirambi dux sincerus 
Pergraecatur hodie 


E questi sono evidentemente imitati a puntino nei seguenti, che 
incominciano l’ Ode pel matrimonio di Lutero: 


« Io Io Io Io 
Gaudeamus cum tubilo, 
Dulces Lutheriaci, 


412 MALAGOLA 


Ancora lasciò scritto lo stesso Tiraboschi (1) leggersi 
un epigramma del nostro Codro innanzi al libro « De re 
rustica » di Rutilio Palladio nelle edizioni di cose rusti- 
cali impresse in Venezia nel 1472 (2), ed in Reggio nel 
1482 (3). Quanto alla prima edizione, io posso assicurare 
che in essa non trovasi alcun epigramma dell’ Urceo, se- 
condo che mi vien riferito dall’ eruditissimo signor cava- 
liere Giovanni Veludo, Prefetto della R. Biblioteca Mar- 
ciana, il quale opina che il Tiraboschi, in qualche esem- 
plare di quell’ edizione, abbia veduto, scritto a penna, 
un epigramma di Codro, il che, trattandosi di antiche 
stampe, non sarebbe improbabile (4). 

Venendo all'edizione reggiana, dirò che nemmeno 
in essa troviamo versi di Codro. Solo in una ristampa 
di questa edizione «... impressa Regti impensis Dioni- 


Noster pater hic Lutherus, 
Nostrae legis dux sincerus, 
Nuptam ducit hodie 


La Memoria qui sopra citata ha questo titolo: « Gaudeamus 
Igitur. Eine Studie von Hoffmann von Fallersleben. Nebst einem 
Sendschreiben und Carmen an Denselben von Gustav Schwetschke 
- 3 weite Auflage - Halle, G. Scwetschke' scher Verlag - 1872 ». In 8.9 

(1) Biblioteca Modenese - Tomo V, a pag. 404. 

(2) Rei Rusticae Scriptores Cato, Terentius Varro, Columella οἰ 
Palladius Ritillius.... (in fine) Venetiis opera et impensa Nicolai 
Jenson Gallici. M.CCCC.LXXII Nicolao Throno Duce Venetiarum 
inclyto. 

(3) In fine di questa edizione si legge:... Impress. Regii Opera 
et impensis Bartholomei Breschi Alias) Bottoni Regensis MCCCC- 
LXXXII Nonis Ivnii. 

(4) Lettera all'A., dei 16 ottobre 1877. 


DI A. URCEO CODRO 413 


gi Bertochi, 1496 ΧΠΠ Καὶ. Octob. (1) » sta in fine un 
carme di Ugerio da Pontremoli, il qual nome, per la 
sua somiglianza con quello dell'Urceo, potrebbe essere 
stato causa dell’ erronea affermazione del Tiraboschi, o 
di chi gli abbia fornito la sopradetta notizia. 

Affinchè alcuno non creda che fra gli scritti di 
Codro che si stamparono, io abbia trascurato di notare 
una prefazione di Jui, la quale (secondo che scrisse 
Giuseppe Peroni nell’ opera, altra volta citata, « Minerva 
Bresciana (2)) », si troverebbe nel volume che s' intitola 
« Catalecta Ovidiana et alia quaedam (3) », avvertirò 
che in quella edizione (come può vedersi nei due unici 
esemplari ch'io ne conosca, esistenti l’ uno nella Biblio- 
teca dell’ Università di Gottingen, l’altro in quella di 
Volfenbuttel) non si ritrova già una prefazione dell’ Ur- 
ceo, sì bene quell’inno « die Divi Martini pronuncia- 
tus », del quale poc’ anzi ho fatto ricordo. 

XII. Le tre versioni dal greco, da me ricordate in 
questo capitolo, non sono le uniche scritture inedite 
dell’ Urceo che io abbia rinvenute, giacchè nel codice, 
della Reale Biblioteca Estense in Modena (4), nel quale si 
conserva l’ orazione funebre recitata in Ferrara da Lu- 
dovico Carbone in onore di Ludovico Casella, Referen- 
dario e Consigliere del Duca Borso, leggonsi con altre 


(1) Opera Agricolationum Columellae Varronis: Catonisque: nec- 
non Palladii: cum excriptionibus et commentariis Ὁ. Philippi Be- 
roaldi. 

(2) Vedi a pag. 137, nota 1.3 

(3) Francoforte 1610, in 8.5 - 

(4) È miscellaneo, in 4.° piccolo, in parte cartaceo, in parte mem- 
branaceo; e contrassegnato nel catalogo di quella biblioteca: MSS: 
V: C: 21. 


414 MALAGOLA 


poesie latine di vari autori, due epitafi del nostro Urceo 
in morte dello stesso Casella, i quali e perchè sono 
inediti, e perchè sinora rimasero ignoti, voglio qui tra- 
scrivere fedelmente: 


« Epitaphium Magnifici Ludovici Casellae 
Ill. m Ducis Borsii Referendarii et Consiliarii 
per Antonium Vrceum de Roberia. 


Qui fuerat secreta tegens, et pervigil unus 
Borsi oculus, patriae spesque salusque suae, 

Iam senior, magno luctu comitante, Casella 
Elatus saxum hoc en Ludovicus habet. 

Victores clarosque duces non tanta triumpho 
Quanta hunc exanimem pompa secuta fuit (1) ». 


« Alterum Epitaphium per eundem: 


Hic divina tegît parius lapis ossa Casellae 
Musarum fidei consiliique patris (2) ». 


Essi, come io penso, furono scritti da Codro quan- 
do era ancora in Ferrara. Poichè Ludovico Casella morì 
ai 16 d'aprile del 1469, cioè nell’anno medesimo in cui 
il nostro scrittore da Ferrara recossi a Forlì. Fu il Ca- 
sella discepolo di Guarino Veronese e molto amato da 
Leonello e da Borso d'Este, il quale ordinò che il di 
dopo la morte del Casella si chiudessero le scuole, ì 
tribunali e le botteghe come in tempo di calamità, e 
che tutti gli ordini dello Stato ne accompagnassero il 


(1) Codice citato, a carte 205. 
(2) Codice citato, a carte 205. 


DI A. URCEO CODRO 415 


cadavere alla chiesa di San Domenico, ove fu sepellito. 
Ed egli stesso, venuto a bella posta in Ferrara dalla 
sua villa di Consandolo, in compagnia degli altri Prin- 
cipi d’ Este, di Antonio, Signore di Correggio, e dei più 
nobili di Ferrara, seguì il funebre corteo, e fu veduto 
piangere publicamente la perdita del Ministro e del-. 
l’amico fedelissimo (1). 

XIII. Altre opere compose Codro (oltre le nomina- 
te) che oggi più non si trovano; fra le quali prima 
d'ogni altra accennerò alcuni carmi greci che il Bian- 
chini menziona là dove scrive che 1᾿ Urceo «... In fin- 
gendis pangendisque primum carminibus tam graece 
quam latine.... deditus erat (2) ». 

Il Conte Giovanni Fantuzzi, nell'opera sugli Scrittori 
Bolognesi, fra i manoscritti lasciati da Pirro Vezzani, 
ricorda: « Esametri che trattano di varie materie ed în 
fine delle quali si legge: - Codrus Grammatieus, ad 
verbum publice hace Hesiodi interpretatus ost. 
Pyrrhus Vizanus Bon. scripsit MCOCCCLXXXXIIII 
quarto Idus Ianuarii quatern. duo (3) ». Queste pa- 
role ci danno la preziosa notizia che Codro fece anche 
una traduzione ad verbum (come le tre ricordate) da 
Esiodo, la quale al tempo del Fantuzzi esisteva tutta- 
via, ma che oggi, per quante ricerche ne abbia fatte, 
a me non fu dato di rinvenire. 

Questo per le opere greche. 

Fra le latine che andarono perdute è quella, forse 
in versi, intitolata « Pastor », che già dicemmo esser 


(1) Rosmini - Vita e disciplina di Guarino Veronese, op. cit., 
vol. III, a pag. 143. 

(2) Codri Vita, a pag. 19 non num. 

(3) Notizie degli Scrittori Bolognesi, tomo VIII, pag. 202 8 III. 


416 MALAGOLA 


perita nell'incendio della stanza di Codro in Forlì, e 
che s'ignora se fosse stata condotta a compimento. 

Sappiamo ancora che il .nostro aveva composto 
un’ opera sopra le favole, che da lui medesimo è ricor- 
data più volte nel suo primo Sermone. 

Voglio qui notare che Gian Battista Corniani, nel 
suo « Saggio di Storia Letteraria della fortezza degli 
Orzi Nuovi (1) » scrive che il nostro autore « aveva pur 
meditato di comporre un libro di favole: ma U imma- 
tura sua morte troncò nel suo nascere questo dise- 
gno »; ed il Tiraboschi, parlando di quest’ opera, dice 
ch’ essa era stata condotta solamente fino al libro deci- 
moterzo (2). Sì l'uno che l’altro errarono in queste 
asserzioni, giacchè anzi tutto l' opera di Codro sulle 
favole non fu certamente « un &bro di favole », sì 
bene un libro intorno le finzioni della Mitologia, come 
si rileva dalle parole dell’ Urceo medesimo che dice in 
un luogo: «... μέ în oectavo Mythicon Codri legitur (3) >, 
e in un altro: « ut legere licet in libris quos composuit 
Codrus de fabulis (4) ». È similmente erroneo che al 
nostro fosse tronco in sul nascere il disegno di comporre 
quest’ opera e che essa fosse. stata scritta solamente fino 
al tredicesimo libro, giacchè troviamo che nel primo 
Sermone ne è ricordato il quindicesimo libro: « sed si 
videretis librum Fabularum Codri XVum, ubi de hoc 


(1) Nel vol. XXI della: Nuova Raccolta d' opuscoli scientifici € 
filologici, opuscolo XIX a pag. 201 (Raccolta del Calogerà - Nuova 
Serie ). 

(2) Biblioteca Modenese, Tomo V, a pag. 405. 

(3) Opera, a pag. 45. 

(4) Opera, a pag. 38. 


DI A. URCEO CODRO 417 
plenius, et ubi sunt nomina Nelei filiorum, non fru- 
stra laborabitis (1) ». 

Ma l’opera che, secondo il suo discepolo e biografo 
Bianchini, gli dovea procacciare maggior fama era quel- 
la che intitolavasi « Antiquitales »; poichè vi avrebbe 
scritte cose a’ suoi tempi sconosciute intorno alle greche 
e alle romane antichità. Sui libri in cui l’ Urceo soleva 
studiare: notava nei margini, secondo che gli paresse 
opportuno: « Vide Codri Antiquitates », spesso citandone 
il secondo libro ed il terzo (2). | 

Dallo stesso biografo del nostro sappiamo aver egli 
composte e recitate molte orazioni sì funebri che nun- 
ziali (3). Ad una di queste ultime forse egli accenna nella 
lettera che mandò ai 15 d'aprile del 1498 a Gian Bat- 
tista Palmieri, dove, parlando delle seconde nozze del 
Beroaldo seniore, scrisse: « Eg0 vocatus ad coenam, illi 
et affinibus gratulatus sum (4) ». S' io dovessi ricercar 
la cagione per cui nessuno degli scritti qui sopra citati 
giunse a noi, crederei di non andar lungi dal vero, 
sospettando che essi (eccettuato il « Pastor », già di- 
strutto fin da quando l’ Urceo abitava in Forlì) essendo 
stati raccolti e conservati dall’ Arcidiacono Anton Ga- 
leazzo Bentivoglio dopo la morte del nostro rubierese, 
corressero la sorte che fu comune a tutte le cose che 
si trovarono nel palazzo dei Bentivoglio, allorquando il 
popolo furiosamente e barbaramente lo distrusse. E che 
essi fossero stati raccolti con amorosa cura da Anton 
Galeazzo è dimostrato dalla lettera con cui, nel 1502, 


(1) Opera, a pag. 38. 
(2) Bianchini - Codri Vita, a pag. 14 non num. 
(3) Codri Vita, a pag. 9 non num. 


(4) Opera, a pag. 268. 


418 MALAGOLA 


Filippo Beroaldo iuniore gli dedicava le opere di Codro 
allora stampate, nella qual lettera scriveva all’Arcidia- 
cono: «... post hominis finem hanc tibi curam prin- 
cipem duxisti, efficere ne, dum Codrus moritur, inte- 
riret: monumenta quippe ingenti ilius diligentius as 
servanda curasti ». E poco più oltre: «... nisi ipse fuis- 
ses, nomen tllius cum corpore iuata sepultum fore: 
parati namque erant nonnulli qui miluinis et aquilinis 
ungulis (ut inquit Plautus) in haec opera involarent, 
seque plumis alienis insignirent; his lu occurristi prae- 
damque eripuisti ex latronum manibus (1) ». 

XIV. E qui, giunto al termine di questa prima parte 
del mio lavoro, non mancherò di rivolgere una parola 
di lode al Municipio di Rubiera, che ai 14 d'agosto del 
1877, ricorrendo il quattrocento trentunesimo anniversa- 
rio dalla nascita del nostro illustre umanista, volle, con 
quella maggior pompa che gli era possibile, render tri- 
buto di onore all’ Urceo (2), ponendogli una lapide con 
la seguente iscrizione, che io, cortesemente richiesto da 
quel Municipio, dettai: 


AD ANTONIO URCEO CODRO 
RUBIERESE 
GRECISTA E LATINISTA EMINENTE 
E NELLO STUDIO DI BOLOGNA 
MEMORABILE MAESTRO DEL COPERNICO 
LA PATRIA 
XIV AGOSTO MDCCCLXXVII 
CCCCXXXI NATALIZIO DI LUI. 


(1) Opera, a pag. 430. 

(2) Vedi l’Appendice XXXII, dove è riportata, dal giornale bo- 
lognese La Patria, la descrizione della festa celebrata nello scorso 
agosto in Rubiera in onore di Codro. 


DI A. URCEO CODRO 419 


Queste onoranze, colle quali la patria riconoscente 
attestò la propria venerazione all’ illustre da più secoli 
ricordato e lodato nelle opere degli italiani e degli stra- 
nieri, dimostrano come la sua fama si rinnovi ognora 
più bella. Mi sia lecito adunque ripetere, colle parole 
medesime con cui posi fine al discorso da me pronun- 
ziato in quella solenne occasione (1), che « se Antonio 
Urceo appartiene per la nascita a Rubiera, tutta Italia 
grandemente si pregia di lui, come di uomo che tanto 
la onorò co’ suoi studi; nè avrà confine la gloria del 
nome suo, se si pensi che esso è congiunto ad una 
delle più grandi scoperte che mai giovassero ed illumi 
nassero ἐΐ genere umano ». 


(1) Delle onoranse tributate in Rubiera ai 14 d'agosto del 1877 
ad Antonio Urceo detto Codro - Bologna - Coi tipi della Società 
Cooperativa Azzoguidi - 1877 - a pag. 27. 


APPENDICI 


APPENDICE I. 


Capitolo di Pellegrino Zambeccari, bolognese, 
scrittore della fine del secolo XIV (1). 


(Vedi a pag. 31, nota 2.2) 


« Vergene sacra, a la qual se conduce 
Omne nocente ad ultima mercede, 
Non sia, te priego, scarsa in mia toa luce; 

Ch' io certo sum che da tì pur procede 
Quella misericordia che ce tira 
Denanti al to’ figliol, che nel ciel sede. 

lo l’alma sento che forte sospira 
Per li pecca’ che sì l'àn fatta oscura, 
Che la se scola com'al fuocho cira; 

Perch’ ἃ del fuoco eterno gram paura, 
Tanto s'è volta nel mondan dilleto 
Del so’ fattor no’ facendosen cura. 

I° son un pecator che al tuo conspeto 
Sì la presento, perchè tu la lavi, 
Chè d’ one rio tu sie porto e recepto. 


(1) Nel publicare queste terzine ho stimato di dover conservare la grafia orì- 
ginale, solamente modificando la punteggiatura, e dividendo due o più parole 
riunite in una sola dall’amanuense, che, per essere veneziano, scrisse secondo il 
proprio dialetta le desinenze di molte voci di queste tersine. E quantunqne io cre- 
da potersi facilmente ridurre a corretta lezione alcune di queste, delle quali, for- 
se per colpa dello stesso amanuense, non ὁ ben chiaro il senso, non ho voluto 
tnttavia prendermi l’ arbitrio di farlo, preferendo mettere innanzi ai lettori questo 
Capitolo tale, quale si trova nel Codice Marciano, e secondo la copia che me ne 
favori il Ch. Sig. Prof. Tessier, Socio della R. Commissione pe' Testi di Lingua. 

Anche nel publicare gli altri documenti mi atterrò, meno rarissime eccezioni, 
alla originale grafia di essi. 


424 


MALAGOLA 


In la toa gracia sì streta la chiavi, 
Che no' ritorni nei passa’ delicti, 
Che stati son sì oschur, perversi e pravi, 

Chè se redur e’ li volesse in scripti 
[S]ene potrebbe fare un gran volume; 
Ma altri gli ἃ, mieio che me, descripti. 

Ingenochia' davanti al to’ gran lume 
Devotamente a te priego, Raina, 

Che de ben fare tuta l’ accostume. 

La vedi, e io la vezo, la ruina 
Ne la qual l’à "1 nemico cum suoi inghani, 
Se Ἶ no’ l’aiuta la possa divina. 

Del ciel Rettrice, tralla de gli affani, 

E sì la netta e falla sì serena, 
Che tu la chavi de'i eternal dani; 

Chè io forte temo de l’infernal pena 
Quando serà chiamà fuor d’ esto corpo, 
Ch' ai tristi desiderij pur la mena. 

Ch’ el no’ è sì pien de voluptade un porco 
Quanto ella, fatta stalla de gran vicij; 
Corendo tuta fia nel miser orcho. 

I° temo, donna, i trapassati vicij 
Ch' el meco alfin nola conducha a morte, . 
Se tu col to’ splendor no’la desvicij. 

Tu sai ch'al to' cospeto et a toa corte 
Caschun retorna che contra ’1 to' figlio 
Fatto quella temendove forte: 

E se tuoi prieghi non tra' de piglio 
Non z’ è speranza se non de l’inferno, 

Chè sola movi l'eterno consiglio; 

Ch' one altro aiuto, salvo Ἷ tuo, ch'io sperno, 
Ch' io ben cognoscho ch’° ὁ tanto perduto, 
Ch'io sum perduto, per quel ch'io discerno. 

Io le mondane cose solo ὁ amato, 

Quelle ὁ siguite sempre alla mia voia, 

E di mal far sempre mi sono armato. 
Ò le divine sempre avute [a] noia, 

Ed emi rincresuto sì ben fare, 

Che quasi de speranza[ò] l'alma spoia. 


DI A. URCEO CODRO 


Ma perchè aceti ognun di ritornare 
Devotamente a domandar perdono, 

In la to' gratia mi meto a sperare. 

Ch'un picol vermesel vezo che sono, 

E pien mi cerno di tanta nequicia 
Ch’ a le malvasità sol m’abandono; 

Et trema l’ alma de l’ aspra iusticia 
Che fa’l nostro fator, se tu nol prieghi, 
Contra de noi e di nostra malicia: 

A lui, te priego, dhe, volgi i to’ prieghi 
Ch’ avanti a tuo’ bei occhi a l’ ultim' ora 
Mi veza e dal nemigo mi deslieghi; 

Chè l'è sì forte, e aspra, e dura la pòra 
Ch' io temo e sento de lo stremo punto, 
Che l'alma inanci tempo se n'achora. 

δ᾽ ΕἾ posso stare a' tuoi piedi consunto 
E veder, donna, il to' angelico volto 
So che da lui mi farai desiunto; 

Chè veggio bene che Ἶ m'à tanto ipvolto 
Al so’ voler, contra Ἶ mio cres*ure, 

Ch’ ogne ben far da la me”.e m' ἃ tolto. 

Tu vi’, madona, mie gra». dolore, 

E Ἶ cor contrito, e’ mio gravoso pianto, 
Or mi mantien ch’ el no’ caschi in errore; 

Che di pecca’ mortali ’î temo tanto 
Che no'm’ anieghi cum le so’ losenghe, 
Chi in odio regna del to' fizo santo: 

Ch’ a la soa maestà non vale arenghe, 

Ma di peccati far la penitenza 
Che tra' di pena l’aneme ramenghe. 

O dolor mio, o grossa conscienza, 
Ch’ io stimato languo cum fe’ lupo 
E prexa del pecharne la licenza. 

Ch' el no'è panno alcun che sia sì cupo 
Quanto 1᾽ ὁ fatta, seguendo Ἶ talento, 
Ch'a luoco mesto e tristo mi volupo. 

Nè sacio anchor me vezo me consento 
Nello perseverare in voluptade, 

Ch' extinto omne altro nome te ne expeto. 


426 


MALAGOLA 


Se "1 no' m’aiuta toa benignitade, 
Verzene, che farà l’alma mia trista 
Che pregna sempre è stà de vanitade? 

E ne' tuo’ tempij sempre ὁ la toa vista 
In mortal cose onrata vaghezando, 

Tal che pensare tuta la contrista. 

Io è peccato in quelle cose amando, 

Che m° àn furato el tempo, ch'è sì charo 
A chi "l va, no' servandote, perdando. 

Oimè, che tristo son, mesto et amaro, 
Ch' io o' fallà in cinque sentimenti, 
Facendo la mixura al colmo staro. 

E è voluto aver l' intendementi 
A far che le boxle paran vero, 

Uxando nel mio dire i tradimenti. 

E no’ me vidi mai ch'io fosse intiero 
Un'ora ad adorarte a la mia vita, 

Sì me son posto a tristo e a vil pensiero. 

Che d’archo non volò sì presta sita 
Zamai, come di corsa la mia mente 
De cupideza a ben far s'è fornita. 

E più venen è assai che no’à Ἶ serpente, 
E più m'adiro che no' fa Ἶ lîone, 
Ingrato d'ogne ben e scognoscente. 

Ch'io non ὁ fata schuxa, o alchun sermone 
Col qual inanci al Re de l'universo 
Andare e’ possa, se non per prexone. 

Chè nei pecati sì me son sommerso, 

E sì me vezo l'alma inlaqueata, 
Che la soa gratia me sento aver perso. 

Fontana viva che ey nel ciel beata, 
Albergo de zaschun ch'a ti ritorna, 

O eterna gratia sempre aluminata, 

A quel to fruto che nel ciel se zorna, 
Che tanto tempo nel ventre portasti, 
Comenda l'alma trista ch'a ti torna. 

E per quel latte del qual l’ educhasti 
SÌ me governa, dhe, conduci e guarda 
Che col nemigo zamai no’ mì pasti. 


DI A. URCEO CODRO 427 


Tu sola se’ la luce in chi se confida 
Tuta mia spene e tuto mio conforto, 

Ch' one altro aiuto mia mente disfida. 

De zò ch’ ho fato gran doienza porto, 
Tanto ch' el mesto core entro se sface: 
L’ alma, madonna, quando io serò morto, 

Tuoi nel to’ seno, e qui me dona pace. 


Explicit oratio glorioxe virginis marie edita per peregrinum de 
zanbecharij de bononia Deo Gratias Amen ». 


(Dal codice Marciano, già Farsetti, N. IV, CI. 11, italiani, col- 
locato nello scaffale CII. c. 4.) 


APPENDICE Il. 


Lettera del Cardinale Bessarione 
colla quale raccomanda Andronico Callisto a Lorenzo de’ Medici. 


(Vedi a pag. 37, nota 1.°) 


« Magnifice et nobilis -uir, Amice noster Carissime: Poi che 
scrinessimo a uostra Magnificentia in fauor, et commendation de 
misser Andronico greco, hauemo inteso, et per altri, et per sue 
lettere, quanto benigna (sic) et honoreuolmente sia stato acceptato 
et tractato da uoi, La qual chosa, benchè existimiamo esser facta ἡ 
parte per uostra munificentia, parte per la excellente uirtù de mis- 
ser Andronico, niente di meno se rendiamo certi le nostre lettere 
non hauere tanto poco loco in ziò, maximamente appresso uostra 
Magnificentia, la beneuolentia de la qual uer di noi hauemo sempre 
chiaramente intesa, et factone bon capitale: Ma benchè noi inten- 
diamo la faccenda de dicto Misser Andronico per opera uostra essere 
in bono loco, et in ferma speranza, niente di manco desyderamo 
per suo et nostro contento, et etiam per uostra consolation, dedu- 
chasi a fine, quello haueti cominzato: el che speramo certamente 


--------.».«-.--... --.-- 


428 MALAGOLA 


che serrà laude a uoi, honor a cotesta Cità, utile a tutì li nostri 
studiosi, et leterati, per la singular sufficentia et doctrina de' An- 
dronico, de la qual benché per fin hora ne potiati hauer hauto in- 
formation, niente di meno hauemo per certo, che a la giornata ue 
accrescerà la opinion et intelligentia de essa: Bene ualeat Magnifi- 
centia uestra: 

Ex urbe die XXIII Augusti MCCCCLXXI » 

(Di fuori) « Magnifico, et Nobili uiro Laurentio de Medicis Flo- 
rentino, Amico nostro Carissimo 

Episcopus Sabiniensis . 

B{issarion) Cardinalis Patriarcha Costantinopolitans Nicenus » 

(Dall’Archivio di Stato di Firenze, filza XLVI, intitolata « Let- 
tere di Cardinali a Giovanni, Cosimo, Piero et Lorencio de Medici 
anno 1455 fino 14..» a carte 122). 


APPENDICE II. 


Lettera di Bartolomeo da Pratovecchio 
a Lorenzo de’ Medici. 


(Vedi a pag. 43, nota 22) 


« Magnifico atque excellentissimo viro Laurentio Medici Bartho- 


, lomeus de Pratoveteri salutem dicit. Nisi tua erga me merita tanta 


extarent, quanta non solum mihi, verum et coeteris omnibus, cognita 
sunt, nunc profecto, si quid mihi petendum esset, id a te verecundius 
peterem. Sed cum sit animi ingenui (ut Ciceronis verbis utar) ei 
te plurimum velle debere, cui multum debeas, id quod meis ratio- 
nibus conducere videretur, breviter ad te scribere non dubitavi, 
praesertim cum te benignissimum atque humanissimum et praedicent 
et sentiant omnes. Ego itaque, Laurenti, quae mihi certissima erant 
ac non parum et utilitati et dignitati nostrae, si tamen dignitas est 
appellanda, conferebant, pro incertis numquam reliquissem neque 
locum quem omni cura, cogitatione, diligentia, industria, labore ac 


- ἰὼ, 


DI A. URCEO CODRO i 429 


.denique studio paraveram, non si vestrum dignissimum collegium 
multo meliorem conditionem mihi obtulisset, dimisissem, nisi quo 
animo, qua mente, quibus non solum officiis sed et meritis non mo- 
do doctissimos viros, verum etiam mediocriter literatos a teneris an- 
nis semper complerxus esses, compertum babuissem. Quis enim non 
in Italia dico, in qua haec fama tui nominis viget ac docti viri 
tuam liberalitatem saepenumero experti sunt, quis, inquam, apud ex- 
teras nationes paulo clarior literis habetur, in quem et avum et pa- 
rentem tuum viros optimos atque clarissimos imitatus, beneficia 
non contuleris? Permulti sunt testes, quos nunc enumerare non est 
necesse, qui te summis laudibus efferunt, teque alterum Maecena- 
tem his nostris temporibus esse praedicant, ac tuum nomen immor- 
talitati commendare nituntur, quo nibil praestantius, nihil praecla- 
rius, nihil denique excellentissimo viro dignius, mea sententia, in- 
veniri aut excogitari potest. Quod sane mirum videri debet nemini, 
cum enim ipse in omni literarum genere multum profeceris, et ut 
ad prudentiam ac reliquas tuas maximas virtutes bonarum quoque 
artium disciplinam adiungeres non primis, ut ita dixerim, labris 
gustaveris, sed ex ipsis fontibus toto ore poenitus exhauseris, 608 
qui idem fecissent aut facere conati essent minime negligendos esse 
duristi. Quamobrem etsi in doctorum hominum numero me non 
esse fateor, neque enim tantum mihi tribuo neque arrogare ausim, 
huiusmodi tamen tuae erga doctos et liberalitatis et benivolentiae 
spem secutus, ut locus in sequentem annum mibi per te restituatur 
a te peto, ne simul honoris et utilitatis quae in discrimen vocantur 
iactura facienda sit, praesertim si intelligis tua maxime auctoritate 
adductus bononiensium conditionem recusasse. Hoc tibi civi prae- 
stantissimo si volueris facillimum erit: ut autem velis te etiam atque 
etiam rogo. Quod si abs te impetrabo, quamquam ne minimam qui- 
dem partem tuorum beneficiorum in referenda gratia assequi non 
potero, non enim meae facultates id patiuntur, ea tamen numquam 
oblivioni tradam. Valeat tua Dignitas. Pisis vis calendas Iunii 1476 ». 

(A tergo) « Magnifico atque excellentissimo viro Laurentio Medi- 
ci maiori honorando - Florentiae ». 


(Dall’Archivio di Stato Fiorentino: « Archivio Mediceo innanzi 
il Principato », filza XXXIII, a carte 452). 


430 MALAGOLA 


APPENDICE IV. 


Documenti inediti 
intorno a Francesco Filelfo. 


(Vedi a pag. 59, nota 1.*) 


Documento I. 

« Eodem die (XIII septembris 1471) superius in Camera R. 
domini Locumtenentis infrascripta alia partita inter prefatos domi- 
nos Sexdecim obtenta fuerunt etc. . - + ἘΣ 

‘ 
Conducta d. Item per omnes fabas albas, contemplatione Illustrissimi domini Du- 
Philoioh cis Mediolani et pro utilitate huius Ciuitatis, conduxerunt in hoc 
almo studio Bononiensi ad lecturam Rbhetorice et poesis, et philo- 
sophie moralis famosissimum virum d. Franciscum philelfum pro 
tempore unius annj et cum salario librarum quadringentaram bono 
nenorum >». 


(Dall’Archivio dell’antico Reggimento di Bologna - Volume VII. 
Partitorum, a carte 34 verso). 


Documento II. 
« Die XXVI septembris 1471. 
Congregatis Magnificis d. Sexdecim Reformatoribus status etc. 
di rancisc] in sufficienti numero in camera superiorj Reuerendi d. Locumtenen- 
i tis, in eius presentia ac de ipsius consensu et uoluntate, per omnes 
fabas albas taxauerunt d. franciscum philelfum conductum pro anno 
futuro ad legendum in studio Bononiensi disciplinas humanitatis 
libris quadringentis bononenorum cum detractionibus consuetis uide- 
licet... libras 400. 


(Dall'Archivio dell'Antico Reggimento di Bologna - Volume VII. 
Parlitorum, a carte 35 verso). 


DI A. URCEO CODRO 431 


Documento III. 
Estratto dal .Rotulo dello Studio di Bologna dell’anno scolastico 
1471-1472, in data dei 28 settembre 1471: 
Ad lecturam Rbhetoricae et poesis Legat quilibet 
duas lectiones de mane, videlicet unam in ora- 
toria et aliam in poetica arte. Et etiam unam 
aliam de sero, et libri sint diversi. 
D. Franciscus Philelphus 
M. Mattheus de Gypso 
M. Franciscus de Parma 
M. Bartholomeus de pratoueteri 
M. Lancillottus carniana 
M. Philippus de Casali ». 
(Si noti che quantunque il Filelfo fosse stato eletto anche ad 
insegnare Filosofia Morale, non è però notato il suo nome fra i 
Lettori di questa scienza ). 


( Dall'Archivio Notarile di Bologna - Rotuli dei Lettori artisti, 
dal 1438 al 1546). 


APPENDICE V. 


Documenti e lettera 
di Galeotto Marzio da Narni. 


(Vedi a pag. 65, nota 1.2). 


Documento I. 

Estratto dal Rotu/o dell’antico Studio Bolognese per l’anno 
scolastico 1476-1477, in data dei 3 di ottobre del 1476: 

Ad Rhetoricam et poesim legat quilibet duas 

lectiones videlicet unam in oratoria, et aliam în poeti- 

ca arte. Quj legent de mane: legant unam aliam 


| 432 MALAGOLA 


de sero: et qui legent de sero: legant unam aliam 
de mane a predictis penitus diuersas. 
M. Galeotus de Narni 
M. Lancilotus Carniana 
M. Mattheus de Gypso | 
M. franciscus de parma De Sero. 
Laurentius de Rubeis 
Cola Montanus » 


In campana Sancti Petri. 


(Dall'Archivio Notarile di Bologna - Rotuli dei Lettori Artisti 
dal 1438 al 1546). 


Documento II. 

Estratto dai Quartironi dell’antico Studio Bolognese per l’anno 
scolastico 1475-1476. 

« Prima distributio dominorum doctorum anni 1476 in qua 
soluuntur dominis doctoribus priuilegiatis et non priuilegiatis ad ra- 
tionem librarum undecim pro centenario, exceptis domino Andrea 
Barbaza, domino Alexandro de Imola (Tartagni) Magistro Bauerio 
de bonitis quibus soluuntur more solito et pro ratha et retenentur 
punctationes mensium nouembris et decembris 1475. 


Magister Galeotus de narnio — -— Libras 300 — Libras 33. 


Datum Bononiae die VIII aprilis MCCCCLXXVI ». 


« Secunda Distributio anni 1476, facta die XVIII Julj anni prae- 
dicti ee 
M. Galeotus de Narnio — — — — libras 300, libras 39. 


« Tertia distributio anni 1476 facta die XXV mensis octobris. 


M. Galeotus de Narnio — — — — Libras 300, libras 45. 


DI A. URCEO CODRO 433 


« Quarta distributio annj 1476 facta die XXIII mensis decem- 
bris annj praedicti ΝΎ ΕΞ 
M. Galeotus de Narnio — - - — libras 900, libras 60. 


« Quinta distributio dominorum doctoram annj 1476 facta die 
Decimo Menzsis februari) anni praesentis 1477, in qua solvitur domi- 
nis doctoribus priuilegiatis Integre totum eorum salarium, et non 
priuilegiatis ad rationem librarum uwiginti duarum pro centenario. 


M. Galeotus de Narnio — — — Libras 300, libras 123. 


(Dall’Archivio del Reggimento di Bologna - Busta I.* dei Quar- 
tironi). 


Documento III. 

« Galeottus Martius Magnifico Laurentio de Medicis salutem. 
Jam saepe scripsi ad te et vehementer dolui ex casu illius praestan- 
tissimi viri Iuliani germani tui carissimi et in libro nostro laudatis- 
simi, et infortanium quo premor, sum enim in carcere, non permisit 
aurilium a te venire, in quo omnis spes mea sita est: nunc mitto 
filium meum ad te et ut Romam proficiscatur, ut favore et consilio 
magnificentiae tuae mihi veniam ἃ pontifice impetret; satis enim poe- 
narum dedi, ut totus iam orbis novit. Supplico igitur magnificen- 
tiae tuae in hac re mihi auxilium consiliumque praestet; in tantis 
occupationibus quae te nunc undique premunt, non debet esse in 
postremis amici negotium: me autem tibi summa virtus tua devin- 
xit unde et tu mei curam geras necesse est. Nonne et in libro no- 
stro insertum est inter alia quae familia tua, toto orbe clarissima, 
operatur, pauperes, inopes, oppressos, sapientia et bonitate sua suble- 
vari: nunc igitur ostendas oportet quam doctorum hominum tu do- 
ctus geras. Poteris autem me iuvare mille modis, vel ad illustre do- 
minium Venetiaram scribendo, vel alio modo negotium tractando, 
vel ad summum pontificem, vel alios amicos: in his non est meum 
legem imponere, uno tamen verbo concludam: iuva me. Nonis maiis. 
Ex Carcere ». 


28 


Dispensa- 
tio D. Pan- 
dulphi de Pi- 
sauro in Iudi- 
cem Aquilae 
futuri D. Po- 


434 MALAGOLA 


(A tergo) « Magnifico viro Laurentio de Medicis maiori suo 
plurimum honorando ». 

(Manca la data, ma a tergo, di mano di un Segretario di Lo- 
renzo, si legge: 

« 1478. Da Vinegia a dì 17 di Maggio »). 


(Dall’Archivio di Stato Fiorentino - Archivio Mediceo innanzi 
it Principato - filza XXII, a carte 345). 


APPENDICE VI. 


Documento e lettere 
di Pandolfo Collenuccio. 


(Vedi a pag. 67, nota 3.3; a pag. 72, nota 1.8 e 4.3; a pag. 73, 
nota 1.3, 2.3 e 3.3; e a pag. 74, nota 1.2). 


Documento I. 

« Die XXVIII octobris 1472. 

Congregatis etc. in presentia Reuerendissimi Domini Legati etc. 

Et primo per omnes Fabas albas dispensarunt cum Domino 
Pandulpho de Pisauro, ut possit esse Iudex Aquilae futuri Domini 
Potestatis, non obstante aliqua prohibitione, cui derogarunt contem- 
platione Magnifici Domini Alexandri (1), qui pro eo instantissime 
rogavit ». 


(Dall'Archivio del Reggimento di Bologna, Volume VII, Parti 
torum, a carte 106 verso). 


Documento II. 

« Magnifico Lorenzo padrone e signor mio singulare. Ne l’altra 
mia lettra qui alligata ho scripto integramente tucto el parlare de 
la Signoria de messer Gioanne. Hora non me par for de proposito 
scrivere in disparte a V. M. circa li panni e dote de M.* Francescha 
quello che sua S. me dixe ch'io non dovesse scrivere. 


(1) Forse Alessandro da Muglio. 


DI A. URCEO CODRO 435 


Tacte le parole de messer Gioanne, che sono in l'altra mia 
lettra, lui le dixe con quella efficacia e con tucta quella bona cera 
ch'io ho scripto a V. M. Et in ultimo dixe: Io haveria pur voluto 
che in queste cose de mia fiola el M.c0 Lorenzo havesse facto un 
poco d'altra demostration che Ἷ non ha facto. El me vol mettere 
mi con quelli da Faenza a voler che prometta e che fazza. El sa 
ben che "1 non c’è l’honor mio. Basta ben la vergogna che me è 
che la cosa stia così. Se el me havesse facto dar la mia dote e le 
mee cose, io l’haria maritata: e sì se toleva via ogni suspecto che 
se possesse mai più haver de mi de le cose de Faenza e se levaria 
via ogni parlare e ogni mal dire che pur vol dire la rasone e la 
legge. E credo, quando queste cose se ne potesse parlare con hono- 
re, e chel se intendesse quello fasea el S. Galeotto de mia fiola 
e commo la tractava, le legge e la rason seria per lei e per mi. 
Ma lassamo andare, savemo bene commo se governano le cose tra 
li nostri pari. E s'el se deve sempre andare per puncti de legge 
quando se intende el vero de li homini da bene, e ogni homo pensi 
per si. Tutavia sia commo se voglia, el non è parso al M.co Loren- 
zo farne altro in questo caso. Io non ne voio più parlare, e non 
lo scrivete. 

Io li respondea (perchè dicea queste cose interropte) che vera- 
mente nel parlare de V. M. io cognoscea quella bona dispositione in 
questa materia che fusse possibile, e che non havevate per digna 
comparatione sua S. e Faventini. E che inter caetera V. M. me havea 
dicto de la straniezza de quelli homini, e che da loro non havevate 
altro che spesa, briga e pericolo. Et andava alleviando la cosa, e 
dimostrando al meglio ch'io sapea che ’l non era in potestà vostra. 
Et in summa, non cognosco che "l se satisfacesse. Benchè tuctavia 
(per mia fè) el me affermasse più volte, etiam con iuramento, ogni 
bono animo verso V. M., nel modo che ne l'altra mia lettra ho 
scripto. Caeterum, la IN. ΜᾺ Genevra, quale V. M. sa essere donna 
gravissima e prudente, e veramente una stella fra l'altre, volse in- 
tendere da mi tucti li discuwrsi facti con messer Gioanne, in nome 
de V. M. Li dixi tucte e proposte e risposte. Ne ebbe gran piacere, 
confortandomi a parlar spesso alla signoria de messer Gioanne, de 
V. M. e tener ben solidata la vostra intelligentia insieme ogni volta 
che Ἶ me occorresse. Dicendomi: El Messere finalmente è bono, e 
crede el ben quando el glie è dicto; et ha bon sangue, e parla lar- 
go. El se ne fa quello che l’homo vole. Et al fine anche lei me 


436 MALAGOLA 


denota che per certo haria creduto che in queste cose de la dote 
de la Francescha e del suo mobile V. M. havesse un poco sforzato 
el potere: e finchè la cosa stava così, parea quasi che V. M. desse 
sententia del torto che havesse sua figliola e occasion de parlare ecc. 
Ho voluto anche significar questo a V. M., perchè comprendo che 
per questa materia messer Gioanne habbia anchora (oltra l’affetion 
paterna) la battaglia domestica. 

Et per raccoglier tucto per quanto so e cognosco de la natura 
e modi de sua S., io tengo sia una pura verità quello che dice 
messer Gioanne del bono animo a la comune salute de le persone 
e stati nostri (commo in l’altra lettra); ma comprendo anche questo, 
che se V. M. potesse agiongere questo beneficio de questa dote e 
queste robbe, che tale amicitia non seria in Italia, e se conciliariano 
li maschii e le femine e infino a li gatti de questa casa. Non se 
porria dire el frutto ne seguiria. 

Hora, con bona gratia de V. M. voglio dir qui un poco del 
mio, con quella securità e libertà e verità che la natura mia e la 
consuetudine con vui, e la gratia ch'io ho con V. M. me permette; 
non per dar ricordo πὸ consiglio, nè per parer savio, ma per bene 
da ogni banda, chè sapete quanta obligatione e quanta speranza ho 
con V. Μ. 

Laudarla in summa che con quel modo che sa e pò V. M. el 
se contentasse tucta questa famiglia de questa dote e cose de Μ." 
Francescha. Qui non se po'persuadere in modo niuno che V. M. 
non possa in Faenza (e maxime in questo caso) tucto quello che la 
vole. Et ogn' homo se persuade et hanno per exploratissimo che la 
V. M., quando vole, sappia. E tucti dicono che seti ben savio, e che 
in tucte le cose e in le magiori de queste vui el demostrate; et che 
vui conducete in Italia ciò che volete, e che saperiste ben anche 
adaptar questa cosa piccola con quelli de’ Faenza, a chi se dà im- 
meritamente reputatione ecc. Dico così: che dove de la mente de 
questa casa e de questo stato non se possa trare che vui non aiate 
savio e potente, resta che non possano credere altro, se non che 
V. M. non voglia. Non saperei dir più oltra, se non per mi pregare 
che, se via ce fosse, V. M. compiacesse tuta questa brigata de que 
sta cosa, e presertim s’ella non vi costa o non mette in pericolo 
qualche vostro magior disegno. Che certo, fatto questo, io ci vedo 
una maravigliosa quiete ἀ᾽ animo, dico tanta, che mai la porria expri- 
mere. Nondimeno V. M. è sapientissima: sia sempre facta la voluntà 


DI A. URCEO CODRO 437 


vostra, la qual, quanto per mi, ho per summa ragione. Et loquor 
per argumentum ab experto. 

Ho facto l’ ambasciata de V. M. a M.° Stephano da Milano con 
ogni efficacia. L’ hebbe carissima ultra modo, e lui strectamente se 
ricomanda a V. M., dicendomi: scriveti a sua M. ch'io li voglio 
esser schiavo in sempiterno. 

Non è vero che Ἷ Conte Nicolò Rangone se conducesse con 
Venetiani. È pur capitano qui a modo usato; et honne el certo. Andò 
ne le terre de' Venetiani per vedere Corigliano, castello suo, che già 
quella S.ria donò al conte Guido suo padre. E fu a Venetia, et 
honorato. 

Heri, a le 19 hore, messer Gioanne e messer Hannibale e mes- 
ser Alerandro soi figlioli e M.® Lucretia sua nora andarono a Fer- 
rara a le nozze (1). Dicono seran di ritorno fra 9 dì. El Prothonotario 
suo figliolo è rimasto a casa, e va in l'offitio di Sedeci. E questa 
matina è andato acompagnato con la corte, a puncto commo el pa- 
dre. E pur bono haver figlioli grandi e darli reputatione. 

Nicoloso Poeta morì heri nocte. Dicono havea 84 anni. Ragio- 
nasi che in suo loco metteranno over Poeta suo figliolo, over messer 
Alexandro suo fratello. Altro non ho. Me ricomando de continuo a 
V. M. Bononiae, die iovis x februariì 1490, hora 22.3 

M. V. Dicatissimus Pandulphus. » 

(Di fuori): « Magnifico Laurentio de Medicis patrono et domi- 

no meo singularissimo >. 


(Dall’Archivio di Stato Fiorentino - Archivio Mediceo innanzi il 
Principato - filza XLII, a carte 65). 


Documento IIL 

« Magnifico Lorenzo patrone e signor mio singulare. Havendo 
io scripto δ᾽ dì passati una diffusa lettra per resposta de una de V. 
M. circa le cose de qua e la dote de M:* Francescha, me maravi- 
gliava de non haver resposta da V. M. Ma hora che ho inteso che 
messer Gioanne ha mandato là Chiarito da Pistoia a posta per que- 
sta cosa, non me ne maraviglio più; perchè estimo che con lui V. 
M. se risolverà in quello ch' ell’harà deliberato. Lo hanno mandato 
con intentione de far l’ultimo conato e prova in questa materia; 


(1) Di Isabella d’ Eate con Francesco Gonsaga. 


438 MALAGOLA 


e se possono trar questa dote, mediante V. M., bene quidem, se 
no, non ne parlar più, con animo de tentar qualche via più aspera 
con quelli che la tengono, per quanto io sento. Dicto Chiarito lo 
ha mandato, ch'io non ho saputo cosa alcuna. E dubito che l'ha- 
vere io dictoli troppo el vero in ogni cosa, e parlato lealmente, 
etiam con ogni modestia (secondo rimasi con V. M.) non me habbia 
facto in qualche modo suspecto. Sonno qui tante erronee opinione, 
che è una cosa stupenda, et super omnia le orecchie insuete al vero. 

É tornato da Roma un messer Angelo da Cremona che faceva 
là per messer Gioanne, e sta con la sua S.; et halli certificato che 
V. M. dà una certa provisione a quelli Malvezzi che sonno a Roma, 
in questo modo, cioè: Che havete cresciuto soldo a messer Hercule 
Bentivoglii, con questa conditione, che ne dia certa parte a coloro. 
La qual cosa è intrata nel core a messer Gioanne, e parli essere 
offeso etiam da messer Hercole, el quale ha sospecto per l' ordina- 
rio: nè se pò trar de capo che V. M. non sia quella che habbia 
facto el parentà de messer Hercole. El quale parentà, toccando an- 
chora li Sanseverineschi (quali lui teme e non ha per amico) li ge 
nera anchor magior suspicione, e persuadesi che tucto sia facto a 
sua o iniuria o damno. 

Io so che del parentà è falso; e tengo certissimo che de la pro- 
vision di Malvezzi sia falsissimo per molti respecti. Non so che dir 
ne, nè haria ardir parlarne da me, perchè non me ne dice cosa 
alcuna; et io l'ho da optimo loco et in secreto grandissimo. Che se 
pur me ne parlasse, me ingegnaria levarli queste falsità de la mente. 

Me è parso omnino significare queste cose a V. M. aciò che 
quella sappia tucto; e commo se trova ben chi dice el male a chi 
suspicando lo cerca. Non expecto resposta de questo adviso da V. 
M.: basta solo ch'ella el sappia per poterle diluere questa calunnia 
in tucti li modi che pareranno a la prudentia vostra, salvo che di 
mostrare che l’ habbiati de qua nè da mi. Me basta ben l’animo a 
mi (se me ne desseno occasione de parlare) trovar da per mi tanti 
argumenti che convinceriano questa falsità. Sì che non bisogna che 
V. M. me ne responda. Quella particula del parentà dice quel mes- 
ser Angelo che l'ha da molti digni homini in Roma, che lo sanno 
per bocca de l'orator fiorentino che è lì. 

Me ricomando de continuo a V. M., e se posso far altro finchè 
son qui per V. M., prego quella me comandi: che niuna cosa più 
grata me po' occorrere che obedirvi e far cosa che vi piaccia. 


DI A. URCEO CODRO 439 


Harò ben charo che ser Piero me significhi la ricevuta de que. 
sta ch'io sappia ch'ella sia di bon ricapito. Bononiae, 29 martii 1491. 
M. V. 
Dicatissimus Pandulphus. 
(Di fuori}; « Magnifico Laurentio de Medicis, patrono et domi- 
no meo singulari ». 


(Dall’Archivio di Stato Fiorentino, ivi, a carte 68). 


Documento IV. 

« Magnifico Lorenzo, patrone e signor mio. De le occurrentie 
de qui non accade dir molto, perchè e dal signor marchese de Man- 
tua e da messer Hannibal Bentivoglii V. M. intenderà tucto. Questo 
non voglio tacere; che tra quello che portò ser Philippo cancelliero 
qua et ultimamente la bona relation de Chiarito, papsndoli hormai 
esser securi de la benivolentia vostra. questa casa è tucta mutata, 
tucta aliegra, tucta piena de boni et honorevoli parlari. Et io tra 
li altri ne ho summamente acquistato, per haver sempre servato un 
medesimo tenore e verità e constantia. Grandissima reputatione se 
è agionta a tucte queste cose, e per tucta la terra e nel parlar co- 
mune de ogn' homo: la victoria de’ Baglioni. Perchè qui se ha per 
ogn’ homo, e la Signoria de messer Gioanni me ne ha mostrato 
lettre, che tucto el favor de’ Baglioni sia proceduto da V. M., per 
respecto del signor Paulo Ursino e Camillo Vitelli, e per la intelli- 
gentia che qui palam se dice che teneano con V. M. 

El Marchese de Mantua ha demostrato qui in casa una amore- 
volezza e domestichezza, che è parso nato tra loro: è questo parentà 
lo ha facto tanto volontiere e tanto alegramente che non δὶ porria 
mai dire. E lui medesimo, lunedì sera, partò de casa, et andò per 
el signor Gioanne suo fratello, e menollo su a la sposa, con una 
diligentia e con una efficacia incredibile. In summa, qui ogni cosa 
è letitia, Intendo (ma questo è molto secreto, quamvis io creda però 
che V. M. lo sappia) che cercano dar M.* de Faenza per donna ad 
Astor Baglione. Non ne so più oltra. 

Me sono venute a le mano circa 50 medaglie antiche: cinque 
ne ho trovato tra epse che non me pare che V. M. le habbia, e 
però ve le mando. 

ΕἸ primo è M. Apelio Severo Macrino, quello che fece amaz- 
zare Antonino Caracalla, et imperò dopo lui con Diadumeno suo 


440 MALAGOLA 


figliolo. Ha de observatione notabile quel bel roverso: et ha che 
dice OPELIVS, non OPILIVS, commo è scripto in tucti li libri. 

El secondo è quel Philippo primo Imperator christiano che im- 
però col figliolo e fu morto a Verona. El mando per quel roverso 
che non me ricordo che sia tra l’ altre vostre. 

Tre glie ne sono quale extimo siano de Alexandro Epyrhota, 
zio de Alexandro Magno, quale fu capitano de’ Tarentini in Italia, 
e debellò quelli Brutii. E però nel roverso è posto VRELTION, idest 
Brutiorum. De lui scrive Livio nel vm ab Urbe condita. Se piace- 
ranno a V. M. me serà molto grato. A quella sempre me raccoman- 
do. Bononiae, die 22 iunii 1491. 

Pandulphus servus ecc. » 

(Di fuori): « Magnifico Laurentio de Medicis, patrono et domi- 

no meo singulari. » 


( Dall’Archivio di Stato Fiorentino, ivi, a carte 70). 


Documento V. 

« Magnifico Lorenzo patrone e signor mio singulare. El me se 
offere hora una occasione de guadagnare 400 ducati honorevolmente 
e con speranza, anzi quasi certezza, de aconciar li facti mei per 
sempre, con questo principio, se la V. M., per sua natural bontà 
me vole aiutare, commo quella ha sempre facto e commo io spero. 

La podestaria de Mantua è la più libera e più fructuosa de 
Italia, e guadagnasi in uno anno 400 ducati; e chi se li porta bene, 
o ha (per sua sorte) gratia col Principe, se li raferma dui e tre 
anni. Hassi qualche difficultà in obtenerla, perchè ella è cosa molto 
domandata; e la piacevolezza de chi l’ha a concedere 1° ha promessa 
per molti anni a diversi homini. Nondimeno rompe quando li pare. 

Io son certificato dal S. Piergentil da Camerino, quale vien là, 
et ha col S. Marchese de Mantua bona gratia, che se V. M. ora 
proprio domanda al S. Marchese quella podestaria per un vostro 
intimo servitore, et in modo che sua S. intenda che V. M. desideri 
de esserne compiaciuta, che subito ve la concederà: tanta reverentia 
e respecto me dice che ha el prefato Marchese a V. M. E me lo ha 
dicto in modo che’l me pare haverla. 

El podestà che hora è a Mantua ha a stare ancora quattro 
mesi in offitio; et obtenendola V. M. per mi, dipoi questo che c'è, 
ella non porria venir più a tempo. E daria pur qualche dilatione 
al ridurne in servitù de principi temporali. 


DI A. URCEO CODRO 441 


El S. Marchese vien là. Quello ch'io sia et el bisogno mio V. 
M. lo sa. Prego e supplico V. M. che li piaccia impetrar dicta po- 
destaria per mi, di poi questo che gliè, et adoprare in modo la cosa 
ch’ ella sia certa. Io non so dir altro se non che me ricomando a 
V. M., e prego quella non me lassi: certificandovi che poche ely- 
inosine po’ far V. M. più necessarie de questa a mi, vostro perpe- 
tuo servo. 

E per questo mando a posta Philippo de Averardo lator pre- 
sente, mio dolce amico, a ciò che lo ricordi a V. M., e ne riporti 
la resolutione ad votum commo spero. 

Io mi trovo qui molto amato e ben veduto e presentato ogni 
dì da li IN. S. messer Gioanni e M* Genevra; et haria forse facto 
prova con loro S.rie per questa cosa. Ma in questo concluder de pa- 
rentà de la figliola de messer Gioanni (1) con el fratello del Marchese, 
el ha facto tanta demostratione verso messer Gioanne che non m'è 
parso oportuno farlo richiedere de questo. Et preterea el S. Pier 
gentile me ha affirmato che la via de V. M. è più certa. Sì che me 
ricomando ea corde a V. M. Bononiae, die mercurii 22 iunii 1491. 

Dicatissimus servus Pandulphus. » 

(Fuori) « Magnifico Laurentio de Medicis, patrono et domino 


meo singulari >. 
(Dall’Archivio di Stato Fiorentino, ivi, a carte 69). 


Documento VI. 

A tergo. Il].mo d.n0 meo d.v0 Francisco Marchioni Mantue etc. 

« Ill.mo S. mio. La Ex.ia V. per sua bumanità et gratia degnò 
pocho tempo fa dare la electione di cotesta pretura a Mes." Pandolfo 
da pesaro: la qual cosa me è stata di tanto contento et satisfatione 
del lanimo mio, che glene (5:0) ho quella obligatione che merita la 
grandeza di questo beneficio et lo amore intrinseco et singulare che 
porto a Mes.” Pandolfo predicto. Al presente la Ex.ia V. intenderà 
come è stato preso dallo Ill.mo S. Duca di Ferrara al seruitio suo, 
et viene a seguire che Mes. Pandolfo non potrà servire secondo la 
gratia datali dalla Ex.ia V. et non di meno qualche modo ci saria 
che in tucto non perderebbe la utilità che della pretura li succedeua 


(1) Laura, promessa nel 1491, che sposò nel 1404 Giovanni Gonzaga. 


442 MALAGOLA 


quando continui V. Ex. verso di lui in quella liberalità che ha mo- 
stro, desidero et priegho V. Ex. che per amore mio degni compia- 
cere a Mes. pandolfo che o per via di substituto, o in altro modo, 
tragha qualche fructo di cotesta pretura, la qual cosa mi sarà supra 
modum accepta et immortal.te me obligherà alla Ex. V.. Mes." Pan- 
dolfo scriuerà più a pieno il desiderio suo a quella, ne io li dirò 
altro se non che per hom io non posso riceuere da lei merito di 
più contento mio et di maggiore bisogno suo. Raccomandome alla 
Ex.ia V. Florentie die xx1y. Novem. 1491. 
Ex. V. 5.9 Laurentius de Medicis ». 

(Dì fuori): « Illustrissimo domino meo domino Francisco Mar- 

chioni Mantuae etc. ». 


(Dall’Archivio Gonzaga in Mantova, Rubrica: Ferrara E, XXXI,3). 


Documento VII. 

« Magn.°o et hon.mo fratello mio: de tutte le cose mie dome- 
stiche a le quale io pono ogni diligentia per adattarle e fare manco 
molesta la mia sorte presente: Niuna è che più me prema che la 
cura de due figliole chio ho come potete pensare: De una chiamata 
Geneura questo mio ΠῚ πὸ Duca me ne ha releuato con darla per 
donzella a la 111. MA Anna sua nora: Laltra chiamata Constantia 
desidero et ho bisogno di esserne rileuato, e vorria darla a la Ill. M.3 
Marchesana nostra; è de’ quatordese anni, e gentil figliola et amola 
singularmente : E perchè penso chel bisogni in questo la voluntà et 
assenso de la Ex.ia del S.r Marchese, confidatomi nela clementia e 
liberalità de sua S.ria ho deliberato impetrarlo da quella, prima chio 
ne parli altramente a M.* Marchesana: Et el desiderio mio seria 
chel S. Marchese scriuesse qui a Madonna, che la tolesse questa 
mia figliola, et el scriuere fosse tale, chel paresse che sua Ex.ia 
così volesse per farmi questo bene, acciochè la cosa non stesse in 
molta pratica: 

Iacomo mio, vui hauete inteso el bisogno e desiderio mio, e s0 
che me amati, et hauete naturale inclinatione al seruire e gratificare 
homeni da bene e maxime quelli ‘che si trouano in stato che merita 
soccorso : Imperò a vui solo mando Francesco lator presente mio 
fuctore, e tucta questa mia cosa la rimetto ne laffetione, prudentia, 
e dexterità uostra, con pregarui con tucto el core, che me vogliate in 
questo rilevantissimo mio bene, aiutare, ponendoui tucto quello che 


DI A. URCEO CODRO 443 


potete e sapete, chio sia compiaciuto e presto e bene, e che questo 
mio torni con lettere del S.r Marchese a Madonna, e con tucti quelli 
altri instrumenti che a vui pare necessarij a condur la cosa, con 
darmi anche instructione como in questo io me habbia a gouerna- 
re, perchè con questa Madonna io non ho domestichezza alcuna, ma 
solo vna semplice notitia, e me cognosce per famiglio e consigliero 
del S.r suo padre e non altro: Da vui non porria hauer maggior 
piacere, nè seruicio che questo, e sempre ve ne serò obligat.mo 

Et acciochè habbiate materia de proponere la cosa, io ne scriuo 
vna lettera al prefato Signor Marchese, domandandoli questa gratia 
e questo beneficio al meglio chio so: Questa lettera anchor vuj la 
darite con acompagnarla poi de quelle parole e fauori quali so sa- 
pete vsare. 

Scriuo anchora vna lettera per questo medesimo a Hieronimo 
Stanga, pregandolo che aiuti questo mio desiderio : Unaltra breue 
ne scriuo a Theophilo mio figliolo: Ambedue queste sono qui alle- 
gate con la vostra, ne ue dico che le date o non date, tucto ri- 
metto în arbitrio uostro, che sel ui pare de far senza, che le bru- 
sate , sel ue pare anche darle o a Theophilo solo la sua, fati como 
ui pare: Io le ho scripte ex abundanti, se pur bisognasse per non 
intendere io le cose de la Corte uostra : Poichè a dirue il uero, como 
fratello et in secreto, in Ieronimo io ho fede assai e credo ami me, 
perchè io amo lui, et hammi sempre facto infinite offerte; da Theo- 
philo io non hebbi mai nè piacere πὸ seruitio, e posso dire chio 
nol cognosca in questo nè sappia sel volesse, chio hauesse questo 
beneficio, o si, 0 no, per la conditione e natura sua: Non so, sel 
S* Marchese glie dicesse chio li domandasse questa gratia, qual se- 
ria el parlare e fauor de Theophilo quando io padre suo non li 
hauesse communicato la causa de vna sorella sua: Ve dico el vero 
ingenuamente, io ne sto perplexo, per cognoscere li humori soi, e 
per argumento del passato: 

Rimetto adunque il tucto in vui: Sel vi pare dar le lettere e 
communicare la cosa, fatilo, sonno scripte in bona forma e sem- 
plice de fuuore: Sel non ue pare anche, brusatile: Retenendo sem- 
pre nel secreto uostro el judicio mio verso Theophilo, perchè (como 
sapete) bisogna con lui usare altri termini, che quelli con li altri 
homeni se usano : 

Me racomando mo a vuj, e prego che questa mia cosa reputati 
nostra con obligarmi in eterno a vuj e tucti li uwostri: Se de qui 
volete cosa chio possa, comandati, chio ue seruirò di core: 


444 MALAGOLA 


E forzateui, prego, rimandarmi el messo più presto poteti, acio- 
chè prima che M.* Marchesana parta possemo expedire el tucto, È 
che se la possa menare: Ferrariae die veneris ὙΠ]. Maij 1495. 
Pandulphus Collenucius pisaurensis. utriusque doctor 
et ducalis Consiliarius. 
(Di fuori) « Magnifico Frati meo honorandissimo Iacobo de Adria 
Ilustrissimi domini Marchionis Mantuae secretario dignissimo 
Mantuae in propriis manibus » 


(Dall’ Archivio Gonzaga in Mantova, ivi). 


Documento VIII. 

« Mag.ce frater hon.me Perchè ho fede in vui. grand.ma, nè du- 
bito che de bon ricordi et aiuti me habbiate a mancare oue pos- 
siate, Ve scriuo questa expectandone da νὰ presta risposta. 

Io son per adaptare vna mia gran cosa appresso questo mio 
Il].mo S. per tuta la quiete de la uita mia e de li miei, e questo è 
per farmi vna cosa propria con molto aiuto de S. Ex.ia ma el bi- 
sogna chio me aiuti anche io: E non potendo omnino da mi, è 
forza chio me volta cue io me creda potere essere aiutato: et ho 
facto disegnio sopra alcuni miei honoreuoli e grandi amici, et inar- 
ratone (sic) alcuni che mi riusciranno: Vorrei ualerme anchora de 
la Fx.ia del S.r Marchese, se lo potesse per la magior summa: Et 
altro fundamento non ho con sua S.ia che le offerte quale altre volte 
sua S.ia me ha fato: El amor qual ha portato a Theophilo, e la 
sua naturale liberalità : ὁ la diligentia et fauor uostro : e la summa 
è questa: vorria domandarli in presto cento ducati o almeno sexan- 
ta: e vorria termino dui anni a restituirli, e me obligaria solem- 
niter per instrumento : E me seria un supremo beneficio: e credo 
che sua S.ia con vna letera se ne expediria, quando scriuesse qui 8 
Baptista da la Farina banchiero (che è tuto suo) che li voltaria 
oue io li dicesse: senza che sua S.ia ha mille modi di trouar dinari 
quando vole, non obstante le gran spese chella fa : essendo questa 
poca summa: 

Non voglio altro da vui per hora, se non che me scriueti el pa- 
rer uostro, et darmi quelli amoreuoli ricordi circa questo che vui 
saperite, e con ricordarme quello modo chio hauesse a tenere per- 
chè me ne veneria fin là per dui dì mi medesmo a domandarli: 


Appresso intendo che Theophilo hauea pur alcuni boni panni e 


DI A. URCEO CODRO 445 


certe cosette de pretio, che seriano bone per questi quattro altri soi 
fratelleti chio ho qui: 

Non vi graue darmi aduiso che è cossa, e sella seria cossa da 
ragionarne : Con molta fede vi scriuo, e son contento non ne parlate 
con altri: Me ricomando a vui, e son tuto uostro: Ferrariae X.° 
Decembre 1495 

Pandulphus pisaurensis ducalis consiliarius vester. » 

(Di fuori): « Magnifico fratri meo honorandissimo, domino Ia- 
cobo de Adria Illustrissimi Domini Marchionis Mantuae Secretario 
dignissimo 

Mantuae. » 


(Dall’ Archivio Gonzaga in Mantova, ivi). 


Documento IX. 

« Ill,mo Sr mio singulare: Ho riceuuto la Cassa quale me ha 
mandato V. Fx.ia con tute quelle veste et altre cosette che se sono 
trouate e furono del meschino Theophilo mio figliolo e uostro ue- 
rissimo seruitore: Et appresso ho inteso la benignità de V. S. in 
hauer facto portare el suo corpo a Mantua (1), et honoratolo di se- 
poltura e de titulo e de ogni altro officio de pio e magnanimo S.re: 
Vorria con la lingua e con le offerte posser tanto ringratiare V. 5. 
quanto ella merita ὃ quanto io desidero : E non possendo io più, la 
ringratio de tucto infinite volte e quanto posso con, tucto el core: 
Nè so dir altro, se non che anchor quattro figlioletti maschi mi son 
restati che sonno in mio arbitrio: e son rimasto io, tucti ne offe- 
rimo e damo a V. Ex.ia como a quella che per lo amor portato a 
Theophilo e per la sua singulare clementia e generosità de animo 
e virtù merita, che non solo noi, ma tuti li Italiani li siano serui- 
tori : Supplico V. S. che ne riceua, e sia contenta che la memoria 
del povero Theophilo refunda anchor parte del amore e de la gratia 
uostra verso li soi fratelli e mi suo padre, col comandarmi sempre 
como a qualuncha altro uostro più fidato famiglio, che mai restarò Ὁ 
ad obedire V. S., e pregar dio che vi conceda de posser tanto quanto 
vui medesmo desiderate, per ogni respecto uostro, ma maxime per 


(1) È probabile che Teofilo sia morto a Gonzaga, paese del mantovano, ove 
egli spesso dovea trovarsi colla Corte. 


446 MALAGOLA 


el ben comune de Italia: Essendo hora vui solo in chi meritamente 
tucti li occhij sono volti, in questa mala sorte de tempi: Me ri- 
commando infinite volte a V. Ex.ia. Ferrariae xxutj lan. 1496. 
E. Ill.we De V. Ser.us Pandulphus Collenucius 
pisaurensis doctor, et ducalis consiliarius. » 
(Di fuori): « IHlustrissimo Principi et Excellentissimo domino 
meo singularissimo domino Francischo de Gonzaga Marchioni Man- 
tuae etc. Copiarum omnium Serenissimi Dominij venetorum Capita- 
neo Generali. » 


(Dall' Archivio Gonzaga in Mantova, ivi). 


Documento X. 

« Magnifico Messer lacomo mio: Heri riceuuta la lettera de 
V. Mag.ia subito con bona occasione fui con lo amico a la longa: 
E brevemente lo trouai vacuo de ogni certezza : Nè cosa alcuna fa 
più de quello che sappia el vulgo: Per adviso chel ha de la morte 
de Antonio Landi, e de la captura de Io. bap.ta, quale lui estima 
habbia a terminar male, o per morte occulta, o per confine. 

Per coniettura però el non è fora de qualche suspicione, che 
quello Io. bap.ta non habbia inducto quel altro a la reuelatione de 
qualche secreto, più per curiosità di sapere de le cose, e per seruire 
meglio el S. Marchese, che per commettere mancamento alcuno 
contra el Stato: E per questo va arbitrando due cose, Prima che in 
qualche cosetta serà forse più mite el Consiglio contra Io. bap.t® 
(che non era obligato a fede publica, ma quasi per debito douea 
procurar de sapere) che non è stato con Antonio Landi obligato 
al secreto: Deinde che per questo imputatione alcuna importante 
non se habbia a dare al S. Marchese, ma solo duna semplice cu- 
riosità, commo de volunteroso de conseguire el desiderio suo, e per 
questo desideroso de intendere et explorare per ogni uia la mente 
de quello amplissimo Senato a fin suo proprio e non a damno nè 
carico del Stato: Questo è stato el suo discurso: E domandato da 
mi più oltra, sel crede che questa cosa in modo alcuno possa es- 
sere damnosa a la pratica del S. Marchese, Ne stà dubioso, solo 
per non sapere che rasone habbia mosso el consiglio a così subita 
sententia, contra quelli dui, ne particulare alcuno, tuttauia inclina 
più a questa parte, che se voluntà, o senso alcuno era de recondur 
sua Ex.ia, questa cosa non habbia ad impedire, perchè saviamente 


DI A. URCEO CODRO 447 


pensandola el consiglio, lui estima che per questo el possa inten- 
dere vno ardentissimo desiderio del S. Marchese in voler servir quella 
Ill ma S.ria, presuponendo sempre che non a damno del Stato, ma 
a suo particular commodo (como è dicto) sua Ex.ia forse se inge- 
gnasse saper de le cose più intime, et in summa in questa parte 
non sa bene commo resoluerse, como quello che è prudentissimo, 
Nè vole in modo alcuno essere o parer più sauio del suo Senato. 
Resposta a quelle lettere non ha hauuto alcuna, nè crede ha- 
uerla (commo a bocca ne dici). Porria essere che ad alcuna altra 
scripta da poi haria resposta : Se circa quelle o altro in queste ma- 
terie intenderò, che me parà poter cadere a satisfaction del S. Mar- 
chese. ne darò subito aduiso a V. Mag.ia, essendo oltre modo desi- 
deroso de far cosa grata a sua Ex.ia in tutto quello chio possa : così 
a sua S. me recomandi V. M. de la quale io son tucto: Ferrariae 
Kal. Aprilis 1498. . 
Frater vester Pandulphus. » 
(Di fuori): « Magnifico Viro Patrono meo honorandissimo do- 
mino Iacobo de Hadria Illustrissimi domini Marchionis Mantuae di- 
gnissimo secretario et Comiti Planellae. 
Mantuae. 


( Dall’ Archivio Gonzaga in Mantova, ivi). 


Documento XI. 

« Mag.co Messer Iacomo mio: Anche lo amico nostro qui stette 
in gran dubio molti di per la captura de colui, estimando non esser 
forse incurso in qualche offesa o suspicione là, per hauere per tri- 
plicate sue lettere si fauoreuolmente scripte per lo Ill.mo S. Marche- 
se: in modo che per quelle vie, che a lui sono parse de li soi là, 
si ingegnò intenderne quello che ne era: Et in summa non trouò 
se non bene, e le sue lettere esser state lecte con attentione e con 
aprobatione del collegio : E più chel fu aduisato anchora de lau- 
dientia hauea hanuto lorator uostro a puncto, e mi seppe dire la 
continentia de la copia me hauete mandato (cioe circa lo effecto de 
la resposta) prima chel ne hauesse lecto la mità: Onde e per quello 
che lui sapea, e per questa copia el è rimasto molto satisfacto : Et 
intanto inclina a questa parte che sel fosse in loco -da ciò el faria 
opere euidentissime e gagliarde, credendo et estimando certamente 
(che così dice) de far cosa utile et honoreuole a la sua rep.® cir- 


448 MALAGOLA 


cumscripta etiam ogni affectione chel porti al S.r Marchese: Cae- 
terum, lui non ha altro de nouo circa questa materia et a le sue 
lettere non è stata facta resposta alcuna, ma ue so ben dir de certo 
questo : che dapoichè el se è inteso la pratica de Messer Marchesin 
Stanga a Roma, e che la I].ma S.ia de Venetia ha deliberato man- 
dar commissario, gente darme et dinari a Pisa (como harete inte- 
80), e chel se è hauuta la certezza de la morte del Re de Franza, e 
de la election de Orliens: El ha scripto la più copiosa la più pru- 
dente e la più savia lettera a proposito del 5. Marchese, chio ve- 
desse mai: E da vn bono e uero patricio, che ami lhonore e il bene 
de la sua rep.ca: Nè negarò de esserne stato anchor io vna bona 
parte rasone per el modo che vna volta ue dirrò con più securez- 
za : Le resone allegate per lui sonno efficacissime che se piglieriano 
con mano: Perseverò pur el S.r Marchese wiuamente in la prati- 
ca, Ex quo sua δ. ha li locatore, et essi riducto fin qui a pigliar 
questo camino e per questa via : 

Dico questo, perchè chi fusse stato indivino de queste cose che 
sonno successe, molto a proposito seria stato, che, tagliata ogni 
pratica da ogni banda de Italia, el S.r Marchese se fosse ritrovato 
hora libero de pratiche con le sue gentedarme nel suo stato: Sed 
transeat, in ogni modo questa è la via sua, e se non sonno più 
che ciechi, a mio judicio ha hauere el fine desiderato : Parlo in questo 
caso forse troppo a la domestica, ma excusami lamore e la seruitù 
bona : Sel amico harà resposta alcuna a le sue lettere, o se altro 
degno de notitia surgerà al proposito, ve ne darò subito adviso: 

Sono stato un poco tardetto a respondere per la conditione de 
li di Sancti, e per voluntà e commodità del amico: 

Stia de bona voglia el S.r Marchese, chè la occasione e el tempo 
suo hora se representa più che mai, ma tante cose non se possono 
scriuere: E so che sua S.is per natural prudentia lo cognosce, e 
per le cose che vanno intorno: Me ricomando a V. M. et a sua 
Ex.it non ui graui recommandarmi sempre. 

Ferrariae die Jouis xrx.° Ap.is 1498. 

Pandulphus frater vester. » 

(Di fuori): « Magnifico Viro Patrono meo honorandissimo do- 
mino Iacobo de Hadria etc. 


(Dall’ Archivio Gonzaga in Mantova, ivi). 


DI A. URCEO CODRO 449 


Documento XII. 

« Mag.co Mesr Iacomo mio: Ho inteso questa sera, che M. 
Brancha , qual è hora podestà de Mantua, cerca essere refermato ]ì 
per vno altro anno, con tutta la sua famiglia: E Messer Francesco 
Toso podestà de Reggio, eletto per Mantua, cerca con instantia de 
essere refermato a Reggio pur per vno altro anno, e fanno questa 
cosa de accordo per beneficio l’un del altro: Et intendo che già 
ne è scripto a la Ex.ia del S.r Marchese: Quello seguirà non 80: 
Non sole el S. Marchese volere che de soi officij se faccia mer- 
cantia; pur quando la cosa succedesse, io non porria sentire la peg- 
gior novella per respecto de mio cognato e mio : Si perchè a lui ne 
resulteria damno e vergogna, et a mi carico non poco, pensando che 
niuna cosa mai potesse hauer effecto appresso el S.r Marchese a 
tante prove ne ho facto, e la mia auctorità ogni dì hauesse a parer 
piu leue appresso Sua S.ia. Prego V. M. la quale è stata capo interces- 
sore e guida a la sua eletione del vicariato, voglia prouedere a questo 
caso in quel modo che meglio li pare: E quando pure quel podestà 
si habia a refermare, almeno el vicario se muti, e mio cognato sia 
admesso, al quale fu mandata la lettera de la Electione, et halla 
acceptata e facto spesa, et ha mandato già qui la sua robba, et io lo 
expecto giouedì prorimo a cena con mi: Altramente e lui e mi se- 
ressimo vituperati : Prego V. M., charo Messer Iacomo, mettiati in 
questa cosa tucto el uostro studio, e rescriuetemi presto, perchè sel 
bisognerà me trasferirò fino lì in persona a parlare al S. Marche- 
se, prima che patire questo scorno e questo damno: Non ve potria 
più recomandar questa cosa: Me ve recomando: 

Ferrariae 15 octob.is hor. 7.3 noctis 1498. 

Frater vester Pandulphus pisaurensis ducalis consiliarius » 

(A questa lettera è aggiunta, in un foglietto staccato, la se- 
guente poscritta) : 

« La reconducta del S. Marchese con venetiani, a chi piace, e 
a chi despiace, secondo le complexione e passione de li homini, et 
è facil cosa a judicare, cue non se ode laltra parte : Io non cognosco 
el Marchese inexperto, nè poco intelligente; so che tucto ha facto 
secondo la grandezza del cor suo e dogni sua actione non posso se 
non alegrarme e congratularme: Et altro non si dice, se non che sua 
Ex.ia attenda a far virilmente e vincere, che in questo modo astrop- 
parà la bocca a tucti, et io per me non posso credere altro, se non 
chel se habbia a fare honore como quello che da el callo a questa 


29 


450 MALAGOLA 


sentera (sic) (1) de Italia: Recomandatione a sua S.ia infinite volte 
ΙΔ. Pand.us » 
(Di fuori): « Magnifico Viro Patrono meo honorandissimo do- 
mino lacobo de Hadria etc. » 


(Dall’ Archivio Gonzaga in Mantova, ivi). 


Documento XIII. 

Ill ma et Ex.ma Madonna mia: Io ho maritata a Pesaro la Ge- 
neura mia figliola, qual fu donzella de la Ill. M.a Anna de bona 
memoria, con bona gratia e volontà de lo Ill.mo S. Duca uostro 
padre, quale la veste e dalli la dote secondo usanza de la Corte 
qui, si che molto ben me contento, se bene per collocarla meglio 
e più secondo la conditione mia, io li ho promesso maior dote: La 
ho maritata là, perchè me lhanno domandata e de tucti li mei che 
stanno là e cognoscono el partito me ne è stata facta grand.ma in- 
stantia: 

El sposo se chiama Guidantonio da Saiano, et è gentilbomo 
giouane de vinti anni, de bona facoltà, solo senza madre e senza 
fratelli e sorelle, cameriero de lo Ill. S. Giohan de pesaro: E me 
scriuono li mei che è bello e costumatissimo: Dio sia laudato del 
tucto: Venirà qui questa septimana proxima che viene, con inten- 
tione de sposarla e menarsela a casa: 

E perchè io son de facoltà tenue (como sa V. S.) 6 molto gra- 
uato de famiglia, ogni aiuto che me se dia, per piccolo chel sia, me 
dà subsidio a trarmi de affanno: Cognoscendo V. S. liberalis.ma et 
hauere facta qualche demostratione de benivolentia verso lei e mi, 
mi è parso darne aduiso a V. Ex.ia, con pregarla che li piaccia de 
qualche cosa che auanzi o sia dismessa da V. S. e che più sia a 
proposito de spose (secondo el judicio e parere de V. S.) esserne li- 
berale et siutarme: La qual cosa oltra che me habbia a subleuare, 
anchora ne sarà honoreuole da ogni banda, e ne restarimo in per- 
petuo obligatissimi a V. Ex.ia. Ne ho scripto ancora al S. Marchese 
perchè sua S.ia altre volte da se medesima me dixe che quando fusse 
tempo de maritarla glie lo facesse intendere: Me ricommando sem- 
pre a V. S. Ferrariae die xv Aprilis 1499. 

ἢ] πιὸ Ὁ. V. Seruus Pandulpus de Pisauro 
doctor et ducalis consiliarius. » 


(1) Forse per siaiéra. 


DI A. URCEO CODRO 451 


(Di fuori): « Ilustrissimae et excellentissimae dominae dominae 
meae singulari, dominae Isabellae Marchioni etc. Mantuae etc. » 


( Dall’Archivio Gonzaga in Mantova, ivi). 


APPENDICE VIL 


Documenti 
intorno a Nicolò Leoniceno. 


(Vedi a pag. 106, nota 2.* e 3.3) 


Documento I. 
« Die XXVII Septembris 1508. 
Congregatie etc. . 


Conducta 


Primo per ‘Decem 1 novem | fabas albas ot unam nigram Conduxerunt Excellentia- 


i artis et 


ad Quadriennium firmum et ultra, ad beneplacitum Excellentissimum medicine Do- 


artium et Medicinae Doctorem D. M. Nicolaum Leonicenum ad le- 


ctoris. D. M. 
Nicolai Leo- 


gendum In Studio Bononiae illam seu illas Lecturas in Medicina et niceniad qua- 


in artibus, ad quam, seu quas, ipsum Deputabunt honorabiles D. Re ©" 
formatores studij, et eum in Rotu/o describi facient: pro cuius Sala- 
rio annuo Taxarunt eidem summam librarum Quadringentarum bo- 
nonenorum Integrarum et privilegiatarum sine aliqua retentione uel 
diminutione ». 


(Dell’Archivio dell’antico Reggimento di Bologna, volume XIII, 
Partitorum, a carte 139 retto). 


Documento II. 
Estratto dal Rotu/o dello Studio di Bologna dell’ anno scolasti- 
co 1508-1509, in data del 3 d'ottobre del 1508: 
Ad lecturam Medicinae ordinariae de sero 
D. M. Nicolaus Leonicenus 
D. M. Leonellus de faventia 
D. M. Hieronymus Tustinus de florentiola 


ennium. 


452 MALAGOLA 


Ad philosophiam graecam diebus festis 
D. M. Nicolaus Leonicenus ». 


(Dall’Archivio Notarile di Bologna - Rotuli dei Professori Arti- 
sti dal 1438 al 1546). 


APPENDICE VII. 
Degli stemmi della famiglia Savoldi. 
(Vedi a pag. 138, nota 1.*) 


Circa gli stemmi della famiglia Savoldi, la quale, emigrando da 

Orzi Nuovi, prese il cognome di Urcei, riferirò alcuni brani di una 
lettera dei 17 di maggio del 1875, scrittami dal Ch.,mo Signor Cava- 
liere Pietro Da Ponte, Socio del Regio Istituto Veneto, ed autore di 
un’ opera sugli stemmi delle famiglie bresciane: 
Credo opportuno di notare che lo stemma primitivo degli Urcei o 
degli Orsi non era che lo stemma del Comune di Orzi, dal quale 
essi aveano preso anche il cognome. E nel fatto varie famiglie eb- 
bero ad emigrare da quel paese dopo la prima distruzione, ed assun- 
sero cognome di Urcei per dolce ricordo della prima patria, a quanto 
riferisce il Codagli nella Storia Orceana. 

È assai probabile che quelle famiglie fossero affatto diverse 

l'una dall'altra, e, disseminate dopo in un paese o nell'altro, si 
ritenessero poi rami di una stessa famiglia, per il cognome comune 
assunto dalla comune patria. 
La descrizione dello stemma l’ ho desunta dal libro (ora rarissimo) 
del Beaziano « Za fortezza illustrata » nel quale è detto « La fa 
miglia Savoldi, alias degli Orsi, porta d’oro con laquila bicipite 
nera. Anticamente portava invece dell’ aquila un orso nero ». Non 
mi fu possibile trovare alcuna notizia sull’ epoca, nè sul motivo del 
secondo stemma; il quale ad ogni maniera dovette essere di conces- 
sione imperiale, portando l’ aquila bicipite. 


DI A. URCEO CODRO , 453 


Le mando qui uniti i disegni di due stemmi. Il primo è quello della 
famiglia degli Orsi, il secondo potrebbe forse appartenere a qualche 
ramo della stessa. È posto nella collezione degli stemmi bresciani 
fra gli incerti, e non ne conosco nemmeno gli smalti, perchè il di- 
segno fu desunto da uno scudo scolpito in pietra..... Qui avremmo 
l'orso passante invece che levato, del resto non saprei a quale altra 
famiglia bresciana si potesse affibbiare l’ orso nello stemma (1) ». 

Questo secondo, descritto dal Da Ponte, ha lo scudo spaccato: 
nella parte superiore è un orso passante; l’inferiore è divisa in sei 
pali. 


APPENDICE IX. 


Decreto di cittadinanza modenese 
di Cortese Urcei, padre di Codro. 


(Vedi a pag. 140, nota 3). 


Cui placet quod Cortesius de Vrciis, de Hirberia, Notarius, fiat 
Civis, ponat albam, et cui non, ponat Nigram. 
Albae 7. 
Nigra 1.» 


( Dalle Vacchette dei Partiti del Comune di Modena, nell'Archivio 
Comunale di quella città, sotto il giorno 4 di decembre del 1452). 

Il documento riferito è senza dubio quello stesso che il Tira- 
boschi ricordò nella sua Biblioteca Modenese (Tomo V, a pag. 392) 
parlando del padre di Antonio Urceo. Egli inoltre ci fa sapere che 
di questa Cittadinanza conservavasi δ᾽ suoi giorni un Diploma appres- 
so l’ erudito Signor Domenico Pungileoni in Correggio. 


(1) Lettera all'A., dei 17 di maggio del 1875. 


454 MALAGOLA 


APPENDICE X. 


Decreto di cittadinanza modenese 
concessa a Giovanni di Bartolomeo Urcei. 


(Vedi a pag. 143, nota 1.5 e 2.3) 


Documento I. 

« Nos Conservatores Civitatis Mutinae 

Iustum et honestum esse arbitramur nos ea, quae a predecessori. 
bus nostris legitima, et ex statutorum nostrorum dispositionibus facta 
acta et determinata sunt, non solum rata habere sed perficere etiam 
si quid restat et erecutioni demandare. Propterea cum sciamus Egre 
gium virum dominum Cortesium de Urceis de Herberia creatum fuis- 
se Civem Mutinae, pro se et filiis, Nepotibus et descendentibus suis 
in perpetuum, solemni partito interveniente, quemadmodum apparet 
in vacheta actorum Consilii anno 1452 sub die quarto mensis De- 
cembris, Nos volentes dictam creationem ratam habere, approbare et 
perficere praesertim privilegio et harum nostrarum patentium litte 
rarum Serie et tenore declaramus ordinamus, et statuimus suprascri- 
ptum Dominum Cortesium de Urceis cum filiis Nepotibus, et descen- 
dentibus in quibus nominatim et specialiter nunc est Joannes D. 
Bartholomej de Cortesiìis, sive de Urceis, civem, et cives Mutinenses 
fuisse, et esse, a die suprascripta creationis in perpetuum, et in infi- 
nitum, ac pro Cive et Civibus haberi, teneri, et reputari, eo quidem 
jure quo qui sunt optimo, atque ipse Joannes et descendentes a pre- 
dicto Cortesio ejusque filiorum Nepotum et posterorum civium ratio- 
nem in nostra Civitate ita haberi prout haberi lege liceret si eiusdem 
pater et avus in hac Urbe orti fuissent, eundemque Joannem descen- 
dentem ut supra ejus filios Nepotes, et posteros honoribus privilegiis 
commodis, beneficiis, et immunitatibus hujus Civitatis tam praesen- 
tibus quam futuris ita frui et uti, pro ut germanissimo atque δου» 
quissimo cuique Civi nostro et nostris legibus frui et uti licet, onera 
tamen etiam omuia subeundo cum reliquis civibus, quae subeunda 
contigerunt tam in Urbe quam extra et praeterea posse quaecumque 
bona in Urbe et intra ditionem et fines ejus amere, et alio quovis 


DI A. URCEO CODRO 455 


modo acquirere, et habere simulque testamento relicta possidere, 
et intestato, haereditario, aut alio quocumque jure succedere, et deni- 
que alia omnia agere, facere et experiri quae veris et originariis Mu- 
tinensibus civibus agere, experiri ex legibus nostris et statutis est 
concessum. Et hoc non obstantibus aliquibus statutis, legibus et qui- 
buscumque aliis aliter decernentibus quibus omnibus ex certa scientia 
ac sponte nostra pro hac vice derogamus, et derogatum esse volumus. 

Mandantes Magistratibus, ditioni hujus Civitatis quovis modo 
subiectis ut hanc nostram declarationem decretum atque privilegium 
Civilitatis exequantur, tueantur et defendant, nec non reliquis omni- 
bus quibus ipsi praesunt exequi, tueri ac defendere omnino preci- 
piant. 

In quorum omnium et singulorum fidem et robur Nos inhae- 
rentes partito primo obtento Anno 1452, sub die quarto decembris 
ex Consilii nostri sententia, quemadmodum apparet in libro acto- 
rum Consilii anni 1572 sub die vigesimo octavo mensis Martij, has 
nostras patentes litteras ac Civilitatis decretum et privilegium manu 
scribae nostri perscribi, et ut major ei fides adhibeatur, sigillo Rei- 
publicae nostrae majore appenso, obsignari communirique jussimus. 

Datum Mutinae ex Camera Consilioram anno M.D.LXXII, indi- 
ctione XV die vero vigesimo octavo mensis Martij. 


(Dai libri Instrumentorum dell'Archivio del Comune di Mode- 
na, 8 carte 182 verso del volume dal 1570 al 1574). 


Documento II. 

Oltre il diploma di cittadinanza già trascritto, abbiamo, pure 
nell'Archivio Comunale di Modena, il seguente Partito, in forza del 
quale fu decretato quello: 

« MDLXXII - il di vigesimo ottavo di Marzo. 

L’ ecc.te Fisico Mess. Pietro Ruggerino con una sua supplicò 
che fosse fatto privileggio di cittadinanza a favore di Giovanni dei 
Cortesi suo pupillo in vertù del partito già passato fin dall'anno 1452 
sotto li 4 di decembre sopra il creare cittadino Cortese degli Orci 
da Rubiera lui, suoi figliuoli, nepoti e descendenti in perpetuo, dal 
quale Cortese è discendente il soprascritto pupillo a n.ro 22, 

Sopra la quala instanza havendo i S.ri (Conservatori) havuto 
parlamento, vollero vedere il detto partito, il quale havendo trovato 
stare così come si narrava, et parendo loro che non facesse bisogno 


456 MALAGOLA 


d'altra determinatione, ma solamente che si eseguisse quanto era 
già stato ordinato, diedero commissione a noi Cancellieri di fare et 
distendere un privileggio di civiltà in forma solita per lo detto Cor- 
tese, suoi figliuoli nepoti et descendenti in perpetuo. 


( Dall’ Archivio del Comune di Modena, volume dei Partiti del 
l'anco 1572, a carte 50 retto). 


APPENDICE ΧΙ. 
Quando si sia estinta la famiglia di Codro. 
(Vedi a pag. 144, nota 1.3) 


Scrissi, a pag. 144, che Pietro Antonio Cortesi Urcei, avendo 
avute, dal suo matrimonio con Caterina Ritorni, quattro figliuole, 
la sua famiglia dovette mancare con esse o in sulla fine del secolo 
scorso, 0 in sul principio del nostro. E che male non mi sia apposto 
lo prova anche un epitafio, che si legge nella Chiesa Arcipretale di 
Rubiera, nell’ altare che fu dei Sacchetti, e che insieme coi beni di 
questa passò ai Cortesi Urcei. È presso la balaustrata, dal lato si- 
nistro di chi entra nel detto altare, e commemora Marianna Cortesi 
Urcei, figlia di Pietro Antonio, l’unica delle quattro sorelle che 
andasse a marito. Il titolo sepolcrale è del seguente tenore: 


D. U. T. 
SOMNO . ET . PACI 
PRAECLARAE . MARIAE . ANNAE . CORTESI 
VRCEI . SACCHETTI . IN . RIGHI 
DOMO . REGIO . LEPIDO 
VINCENTIVS . MARITVS 
OPTVMAE . CONÌVGI . PIENTISSIMAE 
SOLERTI . SVAVISSIMAE 
POSVIT 
VIXIT . ANNOS . XLIX . MENSES . VI 
DECESSIT 
SEXTO . IDVS . IVLÌ . MDCCCXI 


DI A. URCEO CODRO 457 


Le tre sorelle di Marianna Cortesi Urcei in Righi furono: 

Anna Giuseppa, nata il primo di settembre del 1740, morta di 
pochi giorni. 

Laura, nata ai 23 di luglio del 1742. Morì ai 28 di maggio 
del 1747. 

Marianna Teresa, nata ai 22 d'ottobre del 1746. 

La Marianna, in Righi, di cui ho più sopra riferita l'’iscrizio- 
ne sepolcrale, era nata, checchè dica l’epigrafe, ai 29 di ottobre 
del 1759. Le tre sorelle le premorirono. Tutto ciò ho desunto dai 
libri delle Nascite e delie Morti presso l'Arcipretura di Rubiera. 


APPENDICE XII. 


Notizie storiche intorno Rubiera 
patria di Antonio Urceo. 


( Vedi a pag. 146, nota 1.2) 


Leandro Alberti, nella sua Descrittione di tutta Italia, stampata 
nel 1550, così menziona la patria di Codro: « Rubiera, fortissimo 
Castello da i latini Herberia dimandato di cui dice Sebastiano Cor- 
rado Reggiano, huomo litterato, in una sua Epistola, che secondo alcu- 
ni fu edificato dalli Beiardi, et secondo altri dalli Rubei, o siano 
Rossi di Parma, et che fu nominato da alcuni Rubiera, come Rivie- 
ra, per esser fabricato alla riva del fiume Secchia (1), et che non 
mancano altri di dire che acquistasse tal nome dalli rubbi o siano 
Spini, per esserne quivi gran copia avanti che fosse detto castello 


(1) La Secchia dagli antichi fu chiamata Gabello, e da Plinio annoverata 
fra i nove maggiori fiumi che dall'Appenino si gettavano nel Po. Oggi essa è 
ridotta ad un torrente. Il Tassoni nella Secchia Rapita (Canto I, stanza 9) la 
ricorda, dicendo che Modena 


Secchia ha dall’Aquilon, che sì confonde 
Ne’ giri, che mutar sempre le piacque; 
Divora i liti, e ἀ' infeconde arene 
Semina i prati e le campagne amene ». 


458 MALAGOLA 


edificato (1) ». Senza entrare nel labirinto delle ricerche sull' origine 
del nome di questo paese, giacchè nol comporta la brevità di questi 
cenni, diremo che Rubiera è celebre nelle storie modenesi e reg- 
giane dei tempi di mezzo. 

Essa era anticamente un’umile borgata con chiesetta dipendente 
da San Faustino. Il più antico documento, in cui se ne trovi men- 
zione, è un Placito dell’anno 945 (tenuto in Reggio innanzi ad IÎldoi- 
no, messo di Ugo re d’Italia) col quale Rodolfo, figlio del Conte 
Unroco, e l'Avvocato di Aribaldo, Vescovo di Reggio, esposero le 
ragioni loro sopra una cappella « quae est ad honorem Sancti Fau 
stini Martiris Christi constructa in loco et fundo Erbaria...(2)». ll 
Tiraboschi cita ancora un diploma di Arrigo III del 1077, ove Ru- 
biera è nominata fra i luoghi posseduti da Ugo e da Folco, figliuoli 
del Marchese Azzo da Este; in quell’anno essa apparteneva al Con- 
tado di Modena (3). 

Non dicono gli scrittori in qual tempo sia venuta in potere 
degli Estensi; può credersi tuttavia che essi presto allora la perdes- 
sero, giacchè non si trova alcun atto di autorità esercitato dagli 
Estensi in Rubiera. 

Sembra che poco prima della Pace di Costanza il Comune di 
Reggio s’ appropriasse questa borgata, e forse in forza della giuri- 
sdizione ecclesiastica, esercitata quivi dal Vescovo di Reggio, il 
quale presiedeva anche il Comune o Republica. Gli Estensi vi ave 
vano avuti grandi possedimenti, maggiori ve ne ebbe la Chiesa, 
ma sì agli uni che all'altra sembra sottentrasse la famiglia che fu 
detta dei Boiardi, e forse o per successione o per matrimonii, 0 
per compera. Questa casa era già ricchissima di beni e di feudi 
in quei dintorni prima del 1200, poichè in alcune carte del 1180 ἱ 
Boiardi sono chiamati: « Domini di Yrberia (4) ». 

Nel 1188 Rubiera prestava giuramento di fedeltà al Comune di 
Reggio, laonde il Tiraboschi ebbe a sospettare, com’ ei si esprime, che 
solo 2’ utile dominio fosse presso questa famiglia, mentre la suprema 


(1) Descrittione di tutta Italia.... In Bologna per Anselmo Giaccarelli MDL, 
a carte 326 retto. 

(2) Tiraboschi - Dizionario Topografico Storico degli Stati Estensi - Tomo |, 
a pag. 371. 

(3) Tiraboschi - Diz. Top. Stor. - Tomo I, a pag. 373. 

(4) Tiraboschi - Diz. Top. Stor. - Tomo I, a pag. 375. 


DI A. URCEO CODRO 459 


autorità sì esercitasse dal Comune di Reggio (1). Questo per vero 
avea cagione a temere della potenza della casa Boiardi, un membro 
della quale era Console del Comune di Modena, nemico al Reggiano. 

Nel 1200 il Comune di Reggio fece fabricare il Castello di 
Rubiera, concedendo privilegi a coloro, « qui habilaverint sine frau- 
de in Castro novo designato ad Burgum Herberiae (2) », come è 
chiaro per le memorie del Taccoli. E nel 1201, avendo i Reggiani 
sconfitto i Modenesi a Formiggine, durante quella guerra che si disse 
della Secchia, ed avendone fatto prigionieri gran numero, insieme 
col Podestà loro Alberto da Lendara, fecero da questi circondare di 
mura il Castello di Rubiera, che allora fabricavano per opporlo a 
quello eretto dal Comune di Modena a Marzaglia. É noto che nel 
giugno dell’anno appresso i Modenesi, alleati con altre città, mo- 
vessero contro Rubiera, ma i loro sforzi riuscirono in vano, chè 
il castello resistette, e sarebbe durata a lungo la guerra, se, frap- 
postisi potenti mediatori, non si fosse con un arbitrato posto fine 
alle contese. Anche nel 1204 Rubiera era soggetta al Comune di 
Reggio, al quale circa duecento case in questo Comune pagavano 
una tassa (3), e parimenti la pagavano, anche nell'anno 1270: « Ca- 
samenta omnia in Castro de Herberia et ipsum castrum (4) ». Ma 
avvenne, nel 1290, che il Marchese Obizzo da Este s° impossessò 
di Reggio, e quindi, avuta la signoria di Albinea e di Reggiolo, 
ebbe pur quella di Rubiera. 

Sappiamo che nel 1315 e nel 1316 il Castello nuovamente si 
trovava soggetto al Comune di Reggio, il quale nel 1324 vi nominava 
Podestà Giberto Iacobi, ordinando, nel 1326, che il Castello fosse 
restaurato. Nel XIV secolo i Boiardi, per ottenere l'assoluto dominio 
sopra Rubiera, durante le lotte che sconvolsero a que' tempi l' Ita- 
lia, seguirono le parti della Chiesa, allora unita agli Estensi. Nar- 
rasi che nel 1329 Marsilio e Pietro de’ Rossi di Parma, colle loro 
genti unite alle reggiane, si recassero all’ assalto del paese, caccian- 
done con grande strage i soldati della Chiesa. I quali, non avendo 
potuto occupar Reggio, s' eran rivolti verso Casalgrande, ed impa- 


(1) Tiraboschi - Diz. Top. Stor. - Tomo I, a pag. 375. 

(2) Tiraboschi - Dis. Top. Stor. - Tomo I, a pag. 375. 

(3) Tiraboschi - Memorie Storiche Modenesi - In Modena - 1191 - Tomo IV, 
a pag. 38 del Cod. Dipl. 

(4) Tiraboschi - Diz. Top. Stor. - Tomo I, a pag. 376. 


400 MALAGOLA 


dronitisi di Bagno e di Rubiera, avevano incendiato Rivalta e Ca- 
vriago ed espugnato Arceto, portando le fiamme fino ai sobborghi di 
Reggio. Nel 1336, dopo che gli Estensi ebbero riacquistata Modena, 
Rubiera colla città e col territorio reggiano fu in potere di Luigi 
Gonzaga, divenuto Principe di Reggio. Obizzo da Este, che non 
aveva potuto impadronirsi di questa città, d’ onde l’aveano più 
volte cacciato le soldatesche dei Gonzaga, ai 29 d'ottobre del 1345 
fece ad un tratto assediare Rubiera da alcune schiere di Modenesi 
e di Tedeschi condotti da Guglielmo da Campo San Piero. Ma l'im- 
presa gli falil; perocchè, o fossero i fiumi gonfiati da pioggie so- 
verchie, o le acque del canale rivolte dai Rubieresi contro gli asse 
dianti, che aveano alzato intorno al Castello una forte bastla, im- 
provvisamente Modenesi e Tedeschi furono assaliti e innondati per 
modo, che, abbandonati carri, cavalli ed ogni altra cosa, dovettero 
fuggire. Contro ai Tedeschi massimamente si volse l'ira dei Rubie 
resi, e si narra che una donna, armata di forcale, riuscisse a cac- 
ciarne cinque malconci dentro il paese. 

Nell’ anno 1351 Francesco Castracane, Generale del Visconti, 
ritornando da Modena, che aveva inutilmente assediata, mise a fer 
ro e fuoco le ville del Reggiano ed il suburbio, ed ai 24 di giugno, 
tornando a Modena, ebbe per via Rubiera da Selvatico Boiardi, 
corrotto, dicesi, per grandi somme di danaro. Ai 9 di aprile 1367 
Selvatico Boiardi, che aveva fatto soggezione di Rubiera all’ Estense, 
ne ottenne da lui l'investitura. Per la qual cosa essendosi forte 
mente adirato Bernabò Visconti, venne a campo sotto le mura di 
Reggio; ne seguì una guerra con aspre venture, la quale nel 1373 
si rinnovò anche più crudelmente. E mentre essa ferveva, ai 18 di 
gennaio Selvatico Boiardi cedette, per tutto il tempo della guerra, 
ogni suo diritto sul Castello agli Estensi, che richiesero dai Rubie 
resi il giuramento di fedeltà, dato ai 15 di ottobre del 1374. 

Nella guerra poi che gli Estensi ebbero contro Ottobuono de' 
Terzi nel 1408 e nel 1409, Rubiera fu l'ordinaria dimora del mar- 
chese Nicolò III d'Este, detto /o zoppo, il quale da questo luogo 
faceva continue scorrerìe sul reggiano. Mentre durava tal guerra, 
lo Sforza da Cottignola, ai 18 di maggio del 1409, uccise per tra- 
dimento Ottobuono a Pontalto, presso Rubiera. Ma non andò molto, 
che essa tornò sotto gli Estensi, poichè ai 7 di giugno del 1423 
Feltrino Boiardo cedette a Nicolò III il dominio di Rubiera, rice 
vendone in cambio terre del Ferrarese; e più tardi altri della famr 


DI A. URCEO CODRO 461 


glia Boiardi cedettero egualmente i beni che possedevano a Rubie- 
ra. Così questo paese fu di nuovo signoria della casa d' Este; ed il 
marchese Leonello, per renderlo più sicuro, cominciò a cingerlo di 
mura, le quali avendo egli lasciate incompiute, furono poi terminate 
dal Duca Borso, che per decreto del 1° di marzo del 1454 confermò 
alla Comunità di Rubiera il privilegio, concedutole già da Leonello, 
che non fosse soggetta alla giurisdizione di alcuna città o perso- 
na, ma solo al Duca ed al Comune di Ferrara. Iacopino de’ Bian- 
chi, detto de’ Lancellotti, narra che nella notte dai 30 novembre al 
primo di decembre del 1482 «... fu messo a sachomano in Rubiera 
la caza di Zoano de la Granda, lo qual era stà chastelan mollo 
tempo în quelo logo, e la caxca del podestà lo quale era uno ferarese 
dico ....... de Mosto (1) ». 

In una lettera dei 9 d'agosto del 1505, scritta da Lucrezia 
Borgia al duca Alfonso suo consorte, nel tempo in cui essa, fug- 
gendo la peste che infieriva in Ferrara, riparò a Modena in casa 
Rangoni, apprendiamo che in quel giorno la celebre donna si 
portò a Rubiera (2), e ne visitò il castello (3), passando poscia a 
Reggio. 

Ercole I continuò a munire Rubiera, per modo che questa potò 
resistere lungo tempo, nel 1510, alle armi del Pontefice; ma nell' an- 
no 1512, essendo Reggio venuto in mano di lui, anche Rubiera gli 
fu soggetta. Nel 1514 i Conti Guido e Sigismondo Rangoni, che 
seguivano le parti del Duca, ripresero il castello, ma poscia esso 


(1) Cronaca Modenese di Iacopino de’ Bianchi detto de’ Lancellotti , la quale 
trovasi nei Monumenti di Storia Patria delle Provincie Modenesi - Serie delle 
Cronache - Parma - Pietro Fiaccadori - 1862 - Tomo I, a pag. 70 e 71. 

(2) Questa lettera si conserva nell'Archivio di Stato in Modena, nel Carteg- 
gio dei Principi Estensi. 

{3) È degno di nota come sulla fine del secolo XV e sul principio del XVI fos- 
sero in Rubiera due capitani: l'uno della rocca grande, l'altro della piccola. Nel 
1497 Rinaldo Pissolbeccari si firmava: Capitaneus Roche magne (Herberiae) et 
Locumienens Polestatis; è nel 1503 Antonio Zucchetta: Capitaneus Roche Parve 
Herberie. Dal 1503 al 1511 fu Castellano di Rubiera Bartolomeo Bianchi; nel 1512 
Sigismondo Pinzieta. 

Nell’Archivio del Comune di Reggio, sotto la classe: Milizie e Fortificazioni, 
si trovano alcuni mazzi di carte riguardanti Rubiera, coi seguenti titoli: Guar- 
nigione del forte di Rubiera 1181 - 1794 = Lettere del Comune di Rubiera - 
Risposte ed ordini al Comune di Rubiera - Rapporti del forte di Rubiera. 


462 MALAGOLA 


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ricadde in potere del Pontefice, e solo nel 1523 la riebbe Alfonso 
ἀ᾽ Este (1). 

Sulla fine dei 1529 Carlo V Imperatore, andando a Bologna 
per ricevervi la corona, passò per Rubiera, ove erano venuti ad 
incontrarlo i nobili di Modena. 

Nella Cronaca di Tomasino de' Bianchi, figlio del cronista dello 
stesso cognome, già citato, troviamo ricordo di una zuffa avvenuta 
in Rubiera: « Domeniga adi 21 aprilo (1542) Vene la nova al Sig. 
Enea Pio Governatore de Modena come in Rubera se ge fatto fatto 
d'arme fra li Marieli e li.... inimici insemo, et ge morto persone n.°... 
δ... e ditto 8.1 Governatore ge ha mandato li cavalli lezeri de Mo 
dena e certi fanti benchè non intrarano in Rubera, ma starano a 
squazare a casa de li villani, e questo perchè quello contestabelo che 
guarda ditta forteza non vole che nisuno intra denire se non uno 
burchielo, e questo si è stato fatto da sei mexi în qua per poterlo 
meglio tenere securo. Fu morto Pedro, dito Carlazo Martelo da dui 
soi inimici, li quali se butorno in le fosse de Rubera et se andorno 
con Dio (2) ». 

Un' altra notizia, che riguarda la patria di Codro ci offre la 
stessa cronaca, ove si narra come: « A dì 21 ditto (ottobre 1540) 
La Excellentia del Duca ha mandato misser Zan Francesco Pasqua 
leto a Modona, el quale è suo inzignero, el quale domanda alla ma- 
gnifica Comunità..... guastadori per cavare le fosse de Rubera ei ge 
serà fatto le spexe abondantemente de terra da portare fora delle 
fosse per uno mexo, ma se vorano mangiare e bevere el besognerà 
che se ne portano da casa, o denari da comprarne almancho in 
questo tempo abondante, ch’ el staro del frumento vale I 6 de bolo- 
gnin (3) ». 

Nel 1551 Rubiera corse grave pericolo, giacchè nella guerra 
che fu in quell’anno tra il Duca di Parma alleato col Re di Fran- 


(1) Voglio ricordare che nell'aprile del 1510 era ammalato in Rubiera il Car- 
dinale di Santa Maria in Portico, come rilevasi da due lettere del Bembo (l'una 
diretta a lui, l’altra al suo segretario Camillo Paleotti, discepolo di Codro) che 
leggonsi a pag. 73 del 3.° volume, e 46 del 5.° delle Opere del Bembo, edite in 
Milano dalla Società Tipografica dei Classici Italiani nel 1810. 

(2) Cronaca Modenese di Tomasino de' Bianchi de’ Lancellotti - Trovasi nei 
Monumenti di Storia Patria citati, Vol. III, a pag. 434. 

(3) Cronaca citata, Vol. VI, a pag. 404. 


DI A. URCEO CODRO 463 


cia contro l'imperatore, i soldati spagnuoli, inseguendo i francesi, 
che impedivano la ritirata ai pontifici, vollero sorprendere Rubiera, 
ma loro non riuscì l'impresa. 

Dopo questo tempo, sino al principio del decimo ottavo secolo, 
non accadde nel paese cosa di grande importanza. Tuttavia non 
vuolsi tacere un fatto, pel quale Rubiera fu tutta in feste ed esul- 
tanza. Però che Francesco I Duca di Modena, ritornando dalle Spa- 
gne, ove avea visitato il Re Filippo IV, fu incontrato in Rubiera 
dalla Duchessa Maria, sua consorte, dai fratelli Obizzo e Cesare, e 
dallo zio Ippolito, i quali, insieme coi nobili e col popolo, l’ accolsero 
a grande onore ai 23 di novembre del 1638. 

Mentre ferveva la guerra, detta ds Successione, il Duca Rinaldo 
I di Modena fu costretto a ritirarsi a Bologna, affidando ad una 
Consulta lo Stato. I Francesi posero presidio in Rubiera e vi ten- 
nero un quartiere d' inverno nel 1702. Quattro anni dopo il Princi- 
pe Eugenio di Savoia, spedito in soccorso di Torino, sconfitta l'ar- 
mata di Francia, prese per assedio Rubiera, atterrando a colpi di 
cannone un baluardo, e facendo prigionieri circa cinquanta francesi 
che difendevano la fortezza. Carlo Emanuele di Savoia a' 17 di maggio 
del 1745 prese possesso di Reggio, mandando soldati a presidio di 
Rubiera, essendosi il Duca Francesco III rifugiato in Venezia. Nel me- 
morabile anno 1796 le armata Francesi entrarono nel paese; al loro 
arrivo fu piantato l’Albero della Libertà, abattuti gli stemmi ducali, 
ed i gentilizi, che si vedevano scolpiti nei capitelli delle colonne 
dell’antico palazzo dei Boiardi, che servì poi ad uso di Posta. Tre 
anni dopo l’armata condotta dal Generale Macdonald, reduce da 
Napoli, giunta presso Rubiera trovò resistenza al torrente Trasinaro 
per opera di alcuni del paese, i quali, non potendo lungo tempo 
tener fronte all'avanguardia, che essi credevano una schiera di sban- 
dati o di disertori, dovettero ricoverarsi in Rubiera. Preso per ciò 
il paese dai Francesi, fu abbandonato per breve tempo al saccheg- 
gio. Nulla di notevole vi accadde durante il governo Napoleonico. 

Nel 1814 l'armata Napoletana del Re Murat, accampata alla 
Secchia, faceva estorsioni nel Comune, anzi, non paga a questo, 
incendiò l'Archivio di Rubiera, onde le Autorità Comunali fuggiro- 
no spaventate, lasciando libero il campo a devastazioni e rapine 
nell'interno del paese e nei dintorni. Il Governo Ducale fu ristabi- 
lito nel 1815; 10 anni di poi, cioè nel 1825, le case della via 
principale e le Porte del paese furono restaurate pel passaggio di 


464 MALAGOLA 


Francesco I, imperatore d'Austria. Nè vuolsi tacere che nel 1830 il 
Comune di Rubiera fu soppresso, ma poi, nel 1831, dopo i politici 
sconvolgimenti, ripristinato. Nel 1848 la patria del nostro Codro 
non volle esser da meno delle altre terre d’Italia, talchè il dì di 
Pasqua accolse con publiche feste e con dimostrazioni di gratitudi- 
ne e d’affetto fraterno l’ armata Piemontese. Ma l’anno dopo, per 
l’infausta battaglia di Novara, gli Estensi ritornarono nei loro domi- 
nii, e fatti baldi ed audaci per una vittoria non loro, oppressero il 
paese con ogni guisa di soprusi, che solo cessarono nel 1859, allor 
quando, costretto Francesco IV ad abbandonare il Ducato, Rubiera 
potè godere del nuovo libero reggimento. È da notare che in quel: 
l’anno il Generale Garibaldi, per un equivoco, corse da Modena a 
Rubiera co' suoi soldati, e visitato il forte ne consigliò la demoli 
zione, la quale anche fu ordinata dal Dittatore Farini, ma poi so 
spesa dal Ministro Generale Manfredo Fanti. Il Governo italiano si 
servì del Forte di Rubiera sino ai febbraio del 1867 come di Car 
cere Militare, ma da indi in poi nessuno più n’ebbe cura, anzi, 
venduto all’Asta dal R. Demanio ai 17 di marzo del 1873, fuin 
parte demolito. 

Sarà utile che io dia qualche cenno di alcuni uomini illustri, 
che, oltre ad Antonio Urceo, nacquero in Rubiera. Fra questi sono 
da ricordare tre della famiglia Boiardi, la quale per più secoli resse 
come signora il paese. Gherardo fioriva sulla fine del secolo decimo- 
quarto in fama di valoroso guerriero, e Pietro (figlio di Selvatico) 
fu Vescovo prima di. Modena, poi di Ferrara nel 1400. 

Fra i primi tipografi che dopo l’ invenzione della stampa eser- 
citarono quest'arte nobilissima nella città di Bologna, è da ricor- 
dare una famiglia di rubieresi; Pietro, Baldassarre e Giustiniano 
Zerbini da Rubiera. Il primo ci è noto da un unico esemplare 
dei distici di Dionisio Catone, spiegati e costruiti ad uso delle 
scuole, « Bononiae Impressum Per Me. Ὁ. Petrum. de Zerbinis de 
Ruberia. Anno Incarnationis Domini Millessimo Quadringentessimo. 
Octauo. (sic) Die Decimanona Mensis Martii ». Questa, che, per 
quanto io mi sappia, non fu citata da alcuno dei bibliografi, eccetto 
che dal Pezzana in una lettera allo Schiassi (1), è da stimare raris 


(1) Due edizioni del secolo XV descritte da A. Pezzana. Parma - Dalla stam 
peria del Gabinetto di Lettura - 1830. 


DI A. URCEO CODRO 465 


sima, oltre ogni credere, per più conti. L'essere rubierese io stampa- 
tore, e l'avere altri dello stesso paese esercitato quell’arte in Bolo- 
gna nel medesimo tempo, dà motivo di credere che fossero tutti di 
una famiglia. Il dottissimo bibliografo Pezzana assegna questa edi- 
zione alla settima decina del secolo XY, onde si dedurrebbe che 
Pietro, avendola impressa nel 1478, avesse cominciato a stampare 
in Bologna qualche anno prima di Baldassarre, molto probabilmente 
suo fratello. 

Questi era ancor giovine nel 1486, perocchè nel libro de Usu- 
ris, che stampò in Bologna in quell’anno, si legge nella sottoscri- 
zione: « impressum vero opera et impensis prudentis iuvenis Bal- 
thasaris de Hyrberia ». E poichè Baldassarre tenne sicuramente of- 
ficina dal 1481 al 1486 (secondo che è a nostra notizia) e Giusti- 
niano invece dal 1495 sino al 1532, (nel quale anno forse morì, o 
dismise di esercitar l’arte sua) potremo da questo fatto dedurre 
che Baldassarre fosse d'età maggiore di Giustiniano, il quale forse 
gli era nipote, non figlio, giacchè il padre di Giustiniano chiama- 
vasi Leonardo, come consta dalla sottoscrizione del « Liber Statuto- 
rum almi Studii Bononsensis », da lui edito nel 1515, e da quella 
della famosa opera del Pomponazzo Dell’ immortalità dell’ anima, 
che stampò l'anno dopo. 

Questo tipografo Rubierese, essendo compaesano di Codro, do- 
vette per certo aver con lui relazione di amicizia, giacchè nei com- 
mentari in titulum de verborum obligationibus di Andrea Barbazza, 
che Giustiniano mandò in luce in Bologna nel 1497, si legge un epi- 
gramma del nostro Urceo in lode del celebre leggista, autore di quei 
commentari. Sono essi în folio massimo, e per pregio tipografico 
possono, come le altre stampe del tipografo rubierese, gareggiare 
con quelle che uscirono sulla fine dello stesso secolo. 

Ho trattato alquanto più estesamente di questi tipografi per- 
chè mi è parso che l'argomento lo meritasse, e forse tornerò a 
discorrerne in apposito opuscolo. 

Voglio pur ricordare Andrea Bonazzi di Rubiera, che nell’anno 
1510 era ripetitore di Retorica nel celebre Studio di Bologna, come 
può vedersi dal Rotulo dell’anno sopra detto, nel quale si legge 
verso il fine, dove sono notate le « Leciurae Universitatis »: « Ad 
lecturam Rhetoricae — Magister Andreas Bonatius Ruberiensis ». 
Nè qui si vuole tacere di Domenico Valesino architetto rubierese, 
il quale ebbe parte, nel 1537, nei lavori della Fortezza di Modena. 

30 


466 MALAGOLA 


Mentre egli era colà, il Comune di Rubiera, volendo innalzare la 
torre della campana, che doveva servire per le solenni riunioni e 
per altri publici uffici, a lui volle affidarne l’incarico, ond’ egli, avuta 
licenza dal Duca, si ricondusse in patria, e bene meritò la fiducia 
che in lui avevano riposta i suoi concittadini. Questa torre nel 1755 
fu restaurata, ed in quell'occasione sì fece rifondere la grande cam- 
pana che or vi sì vede. E per certo dovette il Comune tenersi mol- 
to contento dell’opera del Valesino, poichè, nel 1556, volendo si al- 
zasse una torre pel Publico Orologio, a lui commise l'impresa, che 
presto fu condotta a termine. Dall' iscrizione che si legge sopra 
questa torre apprendiamo che essa fu poi restaurata nel 1760; inol 
tre ci è noto che nel 1782 ne fu rifatta la sommità. 

Sarebbe qui da parlare di Donino Manzotti, nato in Rubiera 
nel 1703, e che ebbe nome di egregio letterato; ma stando pago 
ad accennare come questi fosse due volte Principe dell'Academia 
degli Scemati, e Priore nella città di Scandiano e mandato dalla Con- 
sulta Governativa di Modena al Re di Sardegna (1), preferisco venire 
a discorrere di due musici che nacquero in Rubiera e che lasciaro- 
no opere che loro procacciarono fama. Il primo di essi per tempo, 
(secondo forse per merito) fu il padre Gian Battista Vacchelli, Mi- 
nore Conventuale, ed Organista della Comunità di Rubiera nel 1646, 
il quale visse in Modena alcun tempo, e fu ascritto ad onore Mem- 
bro dell’Academia della Morte nel Finale di Modena, sotto il nome 
di Naufragante, fra il 1646 ed il 1667. In quest’ ultimo anno era in 
Pesaro in ufficio di Maestro di Cappella. Di lui abbiamo a stampa 
tre opere soltanto, che si conservano nella ricchissima biblioteca del 
Liceo Musicale di Bologna, e che hanno per titolo: 

1.°) Motetti Concertati a Due, Tre, et a Quattro Voci. Di Gio. 
Battista Vachelli da Rubbiera. In Venetia Appresso Alessandro Vin- 
centi MDCXXXX VI, opera dedicata alla Comunità di Rubiera e di- 
visa in sei opuscoli in 4.° 

2.°) Motetti a Voce Sola di Gio. Battista Vacchelli..... Opera 
Seconda, dedicata al Principe Don Cesare d'Este. In Venetia MDC- 
LXIIII. Appresso Francesco Magni detto Gardano. Opera in 4°, e 
divisa in due parti. 


(1) Storia di Scandiano del cavaliere G. B. Venturi - Modena - Per G. Vin- 
cenzi e C.° 1822, a pag. 158. 


DI A. URCEO CODRO 467 


3.9) Sacri Concerti A 1, 2, 3 e 4 con Violini, e senza Di Gio. 
Battista Vachelli dedicati a Monsignor Claudio Marazzano Visconti, 
Vescovo di Sinigallia. /n Bologna per Giacomo Monti, 1667. Divisi 
in sei opuscoli in 4.° 

Nella prefazione della prima edizione di Mottetti qui sopra cita- 
ta trovasi una lettera di dedica del Vacchelli « Alli Molti IU.ri Sig.ri 
Patroni Oss. Li Sig. Della Communità di Rubbiera », ove egli scri- 
veva: « Vero è che hanno havuto Personaggi degni e virtuosi al pos- 
sibile, de’ quali essendo successore (per gratia loro) procurerò restino 
serviti, almeno quanto comportarà la mia poca habiltà. » Non è noto 
in quale anno il Vacchelli venisse a morte; sappiamo soltato ch' egli 
viveva ancora nel 1667. 

1, altro musico rubierese è Giuseppe Maria Venturelli nato di 
antica famiglia, dal D." Stefano e da Giulia Tordoli ai 6 di gennaio 
del 1711. Questi non solo venne in fama di eccellente organista, 
ma ben meritò dî essere annoverato fra i più dotti nell'arte del 
Contrappunto, che vivessero a’ suoi giorni. Gli fu maestro Riccardo 
Broschi, fratello del celebre Farinello, e non aveva passato ancora 
il ventiduesimo anno, quando, per una messa a quattro voci con 
istrumenti, scritta nel 1733, diede a vedere ch'egli conosceva pie- 
namevte l'arte difficilissima del comporre in musica. L'anno dì 
poi tentò di emulare la gloria del Pergolese, componendo uno Stabat 
Mater a tre voci, con istrumenti, ma quella prova non gli riuscì. 
N Duca Rinaldo di Modena aveva talmente in pregio il sapere di 
lui, che gli diede incarico di porre in musica La Passione di Gesù 
Cristo, poesia del Metastasio, che fu eseguita in Corte a quattro 
voci con istrumenti nel 1735. Nell'anno seguente compose, pel di 
natalizio della Principessa Benedetta d' Este, una serenata a tre voci 
con istrumenti, cui diede il nome di Avveramenti de’ Fati. Scris- 
se pel teatro, oltre molt'Arie, due intermezzi a tre voci, con istru- 
menti; l’ uno nel 1741 col nome di Matrimonio disgraziato, 1" altro 
nel 1755 sotto il titolo La Moglie alla Moda. Nella musica sacra ei 
fu molto versato: scrisse nel 1759 una messa ed un Credo a tre 
voci, con istrumenti, ed un’altra messa ed un altro Credo a due 
voci fece eseguire nel 1772. Due anni dopo cercò nuovamente di 
emulare il Pergolese, scrivendo un altro Stabat mater a tre voci, 
con istrumenti, ma non ebbe miglior fortuna della prima volta. Scrisse 
ancora diverse cantate, sinfonie, concerti, salmi, inni, tantum ergo, 
mottetti ed altre maniere di musica con vena inesausta. Però egli 


468 MALAGOLA 


non ebbe da natura l'anima formata al sentimento della musica, 
ma per istudio fu eruditissimo nel Contrappunto, onde lasciò bella 
fama tra coloro che coltivarono questa parte importantissima degli 
studi musicali. In Modena, fra il compianto degli amici e degli esti- 
matori questo illustre rubierese venne meno ai 31 di maggio del 
1775, in età di sessanta quattr' anni. 

Il castello di Rubiera ebbe, fino dagli antichi tempi, tristissima 
rinomanza per le sue prigioni. Sino dal 1201 i Reggiani vi ten- 
nero chiusi i Modenesi che si arresero nella guerra della Secchia, 
e in sul finire del secolo XV esso serviva da qualche tempo a pri- 
gione di Stato. Fra i prigionieri che vi stettero chiusi, i primi di 
cui resta memoria furono i fratelli di Gian Ludovico de' Pii, giu- 
stiziato in Ferrara per congiura col Cancelliere del Duca di Milano 
contro la casa d'Este: essi vennero ricondotti a Ferrara ai 7 di 
novembre del 1469. Ai 13 di giugno 1514 ri rinchiusero nelle pri- 
gioni del castello di Rubiera i fratelli conti Guido e Sigismondo 
Rangoni, i quali, gipnti ad evadere dopo ottantasette giorni di car- 
cere, ed impadronitisi della rocca e del paese, l'uno 6 l'altro die 
dero in potere del Pontefice ai 20 di giugno del 1515. Sembra che 
durante il secolo XVII il forte di Rubiera contenesse maggior nu- 
mero di prigionieri ragguardevoli. Infatti nel 1615 vi si trovava Giro- 
lamo Montecuccoli; nel 1621 un cavaliere tedesco di nome Caster- 
lubri, insieme con Pio Obizzi, sospetti entrambi di congiura contro 
il Principe Alfonso; e forse fu il poeta reggiano Pietro Pariati che 
stette nella carcere Obizza nel 1662. L'anno dopo il conte Girolamo 
Zoboli fu posto nella prigione detta il forno; e nel 1680 trovavasi 
fortemente ammalato in carcere il conte Guido Coccapani, forse 
partecipe della congiura ordita in quell’anno contro il Duca Fran 
cesco II. 

Tutti coloro che, fino a pochi anni or sono, visitarono il forte 
di Rubiera, conservano certamente ricordo della carcere detta Caran- 
dina per la fine miseranda che vi fece il Conte Ippolito Ludovico 
Carandini di Modena. Questi, essendosi invaghito di una sua don- 
zella, dopo quarantasei mesi di prigionia in vari luoghi, ai 22 d'a- 
gosto del 1681, come lasciò scritto in una Memoria (I), fu tratto in 


(1) La carcere Carandina si trovava sulla sommità del torrone del forte che 
guarda verso il paese, e dalla parte di nord ovest. Era, per quanto ricordo, non 
molto alta, vi penetrava un filo di luce a traverso parecchie grosse inferriate, 


DI A. URCEO CODRO 469 


quell’oscuro carcere, d'onde due volte riuscì a fuggire; ma sempre 
fu ripreso, quantunque la prima si fosse rifugiato in luogo, che, per 
essere sacro, godeva dell’ immunità. E pare che egli fosse abbando- 
nato affatto dalla sua famiglia. giacchè al disopra della Memoria 
accennata lasciò scritto nel muro della carcere un'ode per invitare 
la nipote Isabella a venirio a trovare, ed ivi così ricorda la propria 
madre: 
« L'amata genitrice 

Che le mie doglie allegerir potrebbe 

Con visita felice 

Irresoluta stassi; e pur dovrebbe 

Con un pronto voler por l’ ali al piede 

E volare a veder chi mai si vede (1) ». 


infisse in una piccola finestra, munita all’ esterno di una così detta cassetta. Nel 
fondo era dipinto un altare, con simboli della passione di Cristor* La Memoria a 
cui ho qui sopra accennato, fu da me copiata alcuni anni or sono; era incisa nel 
muro, insieme con molti altri ricordi di diversi infelici che avevano sofferto in 
quel carcere, e così concepita: 


« PATI VEL MORI 
A 
perpetua memoria e consolazione 
di chi per mala sorte capilerà in 
queste miserie perché quieterà le turbolenze dell'animo; menire la narrativa se- 
guente le mostrerà nella persona mia flagellata l'innocenza: pertanto addi 22 
Agosto 1681 in Venerdì per sorte avversa IPPOLITO LODOVICO CARANDINI 
ἐδ più sventurato di lutti { viventi dopo un lungo corso di quarantasei mesi di 
prigionia continua in vari luoghi solo per aver commercio con una mia donzel- 
la, castigo severo! né per tal causa mai praticato, fui all'improvviso levato dal 
camerone di Modena e di nuovo il suddetto giorno condotto in questa maledetta 
e spaventosa rocchetta senza poter (potenza del mondo!) almen sapere 0 imma- 
ginare il perchè di εἰ terribile risoluzione seguita in tempo che altendevo di corto 
il dolce riacquisto della perduta cara mia libertà, giuro sopra l’ anima mia non 
ater dato motito alla S: Di: 
I: L:C:> 

(1) Questa poesia fu scritta nel 1686, come si rileva da una strofe, ove il po- 

vero prigioniero volgeva alla nipote queste parole: 


« Ah vieni, Iride bella, 
Porta sereno al core e pace all’alma, 
Pria che da Parca fella 
Resti tronco col duol mia debil salma, 
Che da un lustro di pene ormai consunta 
Resterà in breve giro alfin defunta ». 


470 MALAGOLA 


E forse il disprezzo de’ suoi potò sì fattamente sull’ animo del 
Carandini, da indurlo a togliersi la vita; il che avvenne ai 9 di aprile 
del 1688, come ci fa noto una lettera del Podestà di Rubiera Giu- 
seppe Barozzi, che narra «si è ritrovato il cadavere del sudetto Car- 
randini disteso sul pavimento della Carcere con il petto e il rima- 
nente del Corpo disteso all'in giù e con iutta la testa assai sollevata, 
appoggiato con li gomiti al detto pavimento, avendo al collo una sal- 
vietta da tavola legata in forma di laccio corsivo e questa susseguen- 
temente aggroppata con due altre salviette, assicurate ad una lega di 
ferro che attraversa la carcere; col mezzo del quale laccio egli si è 
soffocato. Nella parete laterale sinistra e contigua all’ estinto si sono 
osservati e letti gli infrascritti versi scritti in lettere maiuscole 

Dopo della mia vita un lungo strazio, 

Non dico già che fui, ma ben che sono 
Dal mio sangue lasciato in abbandono, 
E disperato alfin ricorso al lazio ». 


Prima che terminasse il secolo XVII fu rinchiuso nella rocca 
di Rubiera un altro nobile modenese, il conte Antonio Galeazzo 
Malvasia, che ai 16 d' aprile del 1677 si trovava nella prigione detta 
del Forno, dove ancora vivera ammalato, ai 29 di novembre dello 
stesso anno. 

Il Quadrio, e dopo di lui alcunî altri scrittori, vollero afferma- 
re che l’illustre Fulvio Testi fosse tenuto prigione in Rubiera; ma 
questo non può ripetersi, dopo che il Tiraboschi nella vita che 
scrisse dell’ illustre poeta, dimostrò che mai non fu detenuto in quel- 
la rocca. 

La quale non servì di carcere solamente ad uomini, poichè di 
fronte alla prigione del Carandini eravi una grande stanza detta 
prigione delle donne, ove è molto probabile stesse la marchesa Mad- 
dalena Maria Frescobaldi di Firenze, sposa del conte Parisetti di 
Reggio. Non sappiamo la cagione della sua prigionia, e solo ci è 
noto che questa donna, che il Tiraboschi ricorda come assai colta e 
di altissimo ingegno, già trovavasi in carcere nel 1778, πὸ ancora 
ne era uscita nel maggio del 178]. 

Ma il prigioniere più illustre, che sia stato nelle carceri di 
Rubiera fu il martire Don Giuseppe Andreoli di San Possidonio. 
Questi, condannato nel capo da Francesco IV per avere desiderata 
la libertà della patria, stette qualche tempo nella prigione del Duca, 


DI A. URCEO CODRO 471 


d'onde uscì per andare 8114 morte. Innanzi al Forte, nel trivio che 
è rimpetto alla strada di Reggio, ai 17 ottobre del 1822, fu eseguita 
la iniqua condanna, ed appena il capo dall’Andreoli fu tronco per 
mano del carnefice, « crebbe a dirotto la pioggia: » (come scrisse il 
Dottor Lolli) « era mandata da Dio a lavare quel sangue di cui non 
rimase una traccia; e dopo cinque minuti il sole rifulse sulla terra, 
sull’orrida lama e su quel capo reciso, che aspetta ancora un sepol- 
cro, il poema ed un rito (1) ». 

Sebbene più non esistano in Rubiera antichi documenti, giacchè 
furono dispersi ed incendiati nel 1814 dall'esercito napoletano, è 
certo però che essa aveva i proprii statuti, che poi furono riforma- 
ti; ed è noto ancora che dopo la sua dedizione all'estense Nicolò III, 
furono addottati quelli di Ferrara, ad eccezione del primo libro, inti- 
tolato De Regimine, che fu conservato come si trovava negli antichi 
statuti rubieresi. Nella raccolta di Statuti di città italiane (una delle 
più compiute che si conosca) della privata Biblioteca del Signor 
Conte Senatore Giovanni Malvezzi de' Medici di Bologna, ho potuto 
osservare un rarissimo opuscolo, che ha per titolo: « Regolamento 
Particolare Per il Bvon Governo della Commonità di Rvbbiera - 
In Modena per gli Eredi Cassiani Stampatori Episcopali 1690 (2) ». 


(1) Ora ai è costituito in Rubiera un Comitato promotore delle onoranze al 
Martire della Libertà Italiana D. Giuseppe Andreoli. Questo Comitato, sotto la 
Presidenza dell’ illustre Sig. Comm. Senatore Atto Vannucci, si propone, mediante 
publica sottoscrizione, di porre al martire illustre nel prossimo anno, nella ricor- 
renza del giorno del suo supplizio, una durevole memoria che ne raccomandi il 
nome all' affetto ed alla riconoscenza dei posteri. 

(2) A proposito di questa Comunità voglio ricordare come nell'Archivio di 
Stato in Modena (Cancelleria Ducale - Luoghi dello Stato, I.° periodo - Rubiera -) 
in una lettera dei Savi di Rubiera al Duca Ercole, in data del 21 settembre 1490, 
si trovi l'impronta di un antico sigillo di questo Comune, di forma rotonda, che 
ha nel mezzo lo stemma di Rubiera, alquanto diverso da quello usato presente- 
mente. Intorno ha l'iscrizione: « S. COMVNITATIS HERBERIAK >». 

Questa Comunità ebbe una controversia legale nel 1695 colla famiglia Sacrati, 
dalla quale aveva ricevuto a livello, fino dal 1487, un mulino, per l’annuo cano- 
ne di 325 lire Marchesane. Quella famiglia, dopo aver per due secoli accettate 325 
lire Modenesi (perché le lire Marchesane non eran più reperibili) allarmava allora 
la pretesa di aver l'equivalente di queste al ragguaglio che si contrattava una 
volta con valuta d'oro e d'argento. La detta Comunità fu difesa coll’ opuscolo: 
Riflessioni legali dell’ Ill.mo Signor Andrea Donelli Gorernatore di Rubiera etc. 
In Reggio Per Prospero Vesrotti 1695. 


472 MALAGOLA 


Da questo opuscolo, là dove si parla dell’ ufficio dell’Archivista ap 
prendiamo che le antiche scritture rubieresi si conservavano in un 
« Armario...... posto nel palazzo del Foro Gouernatorale e nella 
stanza oue gli huomini sogliono radunarsi per trattare gli affari del 
Publico....». 

Rubiera ed il suo castello saranno sempre celebri, perchè loro 
è consacrato uno dei più belli fra gli episodi dell’immortale poema 
della Secchia Rapita. Ivi il Tassoni, nel IV canto, finge che al Pode 
stà di Modena (mentre assediava Castelfranco) giunga un messo da 
Rubiera, chiedendogli aiuto per questa terra, assalita improvvisa 
mente e presa dai Reggiani. A liberarnela son mandati Gherardo e 
Bertoldo che, piombando colle loro schiere sui Reggiani intenti a 
depredare il paese, li costringono a rinchiudersi nella rocca, ove i 
Modenesi li assediano: 


« Durò il crudele assalto in fino a nona, 
Sin che stancarsi e intiepidiron l' ire. 
Il saggio conte i suoi non abbandona; 
Ma non avea che dargli a digerire. 
Nella récca serrata avean l’annona 
I terrazzani al primo suo apparire: 

E tanti denti in sull’ entrar di botto 

Distrusser ciò che v'era e crudo e cotto. 
Cerca di qua, cerca di là, nè trova 

Cosa da farvi un minimo disegno. 

Sbadiglian tutti, e fan crocette a prova 

E l’appetito lor cresce lo sdegno. 

Fatta avean quivi una chiesetta nova 

Certi frati di quei dal piè di legno. 

Il conte al guardian chiese rimedio, 

Per liberarsi dal crudele assedio. 
Cominciò il frate a dir, che Dio adirato 

Volea il popolo Reggiano or gastigare. 

Il conte, ch'era mezzo disperato, 

Padre, dicea, non state a predicare, 

Ma cercate rimedio al nostro stato; 

Ch' è notte, e non abbiam di che cenare: 

Fateci uscir di queste mura in pace, 

E predicate poi quanto vi piace. 


DI A. URCEO CODRO 473 


Il frate uscì a trattar subito fuora, 
E ritornò con l'ultima risposta: 
Che se i Reggiani andar voleano allora, 
Lasciasser l’armi, e andassero a lor posta. 
Alcuni non volean più far dimora, 
Ma gli altri si ridean della proposta, 
E dicean che con l'armi era da uscire, 
O da pugnar con l'armì, o da morire. 
Onde forzato fu di ritornare. 
Il frate al campo; e Ἷ conte a lui converso 
Padre, dicea, vi voglio accompagnare: 
Datemi una gonnella da Converso: 
Il frate gliene fece una portare 
Ricamata di brodo azzurro e perso, 
Ch' era del cuoco; 9 conte se la pose, 
E tutto nel cappuccio si nascose. 
E rivoltato a’ suoi, disse ch'ei giva 
A procurar anch' ei sorte migliore; 
Ma sel nemico altier non s'ammolliva, 
Tentato avria di rimaner di fuore; 
E che con nuova gente ei δ᾽ offeriva 
Di tornare in soccorso in fra poch' ore, 
Pur ch'a lor desse il cor di mantenerse 
Un giorno ancor nelle fortune avverse. 
In suo luogo lasciò Guido Canossa, 
E non prese arme, fuor ch'una squarcina, 
Che nascondea quella vestaccia grossa, 
Con un giacco di maglia garzerina. 
Ritrovaron Gherardo in sulla fossa, 
Che facea fabbricar per la mattina 
Contra la porta. una sbarrata grande, 
Che chiudeva per fronte e dalle bande. 
Quando Gherardo vide il guardiano, 
Gli venne incontro; e'l frate gli dicea 
Che troppo duro al popolo Reggiano 
Il partito proposto esser parea; 
Ch' egli voleva uscir cou l'armi in mano, 
E che nel resto a lui si rimettea. 
Gherardo entrò in furor quando udì questo, 
E disse al frate: padre io vi protesto 


474 MALAGOLA 


Che vo' far nuovi patti, e το che lassi 
L'armi e l’ insegne, e quanto egli ha da guerra: 
E ch'in farsetto, e sotto un'asta passi 
All’ uscir della porta della terra. 

Così vi giuro: e non perdete i passi 
A tornar, se Ἷ partito non si serra, 
Perchè vi aggiugnerò pene più gravi, 
Come son degni i lor eccessi pravi. 

Il conte che tenea l’ orecchie intente, 
Dicendo: affè non mi ci coglierai, 
δ᾽ incominciò a scostar segretamente, 
Fin che si ritrovò lontano assai. 
Pregava il guardian molt' umilmente; 
Ma non potà spuntar Gherardo mai: 
Onde tornò dolente al suo cammino 
Senz' altra inchiesta far di fra Stoppino. 

Poichè tornò, confuso e sbigottito 
Dalla fiera risposta il guardiano, 
E narrò il tutto, e che se n'era gito 
Il conte, e già poteva esser lontano; 
Si consultò, s' era- miglior partito 
Il ritorno aspettar del capitano, 
O pur coll’ armi al ciel notturno e scuro 
Tentar ἀ᾽ uscir dell’ infelice muro. 

Tutti lodar che β᾽ aspettasse il conte; 
Ma quando poi s'andò ben calculando, 
Ch' ei non poteva aver le genti pronte 
Prima che il novo sol fosse ito in bando, 
Si torser tutti e rincrespar la fronte, 
Dicendo che volean morir pugnando: 
Onde Guido, d' uscir fatto disegno, 
Fe' stare in punto ognun coll’ armi a segno. 

Ma dalla récca diè Bertoldo avviso 
A Gherardo, ch’ usasse estrema cura; 
Che mostrava il nemico all'improvviso 
Voler coll' armi uscir di quelle mura. 
Preparossi Gherardo, e sull’ avviso 
Fe' stare i suoi soldati, e l’aria scura 
Rallumò con facelle e pece ardente, 

E le sbarre piantò subitamente. 


DI A. URCEO CODRO 


Ed ecco aprir la porta, e a un tempo stesso 
Degli affamati il grido e le percosse: 
Ma nelle sbarre urtar, ch' erano appresso, 
E Ἷ rauco suono e l’ impeto arrestosse. 
Gherardo avea per fianco en fronte messo 
Varj strumenti di tremende posse; 
E a colpi di saette e pietre e dardi 
Stese quivi i più arditi e i più gagliardi. 
Ed egli armato a piò con una mazza 
Corse alle sbarre, e a tanti diè la morte, 
Che se non ritraea la turba pazza 
Indietro il piede, e non chiudea le porte, 
Perduta quella notte era la razza. 
De' soldati da Reggio in dura sorte. 
Fu de’ primi a cader Guido Canossa 
In preda ai lucci di quell’ ampia fossa. 
Ma l’ardito Foresto urta il destriero, 
Dove vede la sbarra esser più bassa, 
E tratto disperato il brando fiero 
Contra Gherardo, il fare a un tempo e passa; 
E dovunque al passar drizza il sentiero, 
Dell’ alto suo valor vestigj lassa, 
Fin ch’in sicura parte al fine arriva, 
E i suoi d'ajuto e di speranza priva. 
L'esercito Reggian, fatto sicuro 
Che la forza adoprar gli valea poco, 
E veggendo il nemico in volto oscuro 
Scuoter la porta, e domandar del foco, 
In fretta rimandò fuora del muro 
Il guardian, ch’ebbe a fatica loco 
. D'impetrar da Gherardo alcun partito, 
Ch' era già inviperato e infellonito. 
Alfin l'ultimo ottenne, e fu giurato 
Con giunta, che chiunque all’ osteria 
Con Modanese alcun fosse alloggiato 
Di quello stuol che di Rubiera uscia, 
A trargli per onor fosse obbligato 
Scarpe o stivali, o s’altro in piedi avia; 
Indi fu aperto un picciolo sportello, 
D’ onde uscivano i vinti in giubberello. 


475 


476 MALAGOLA 


Marte, che la sembianza ancor tenea 
Di Scalandron per onorar la festa, 
Stando alla picca, ove al passar dovea 
Chinar il vinto la superba testa, 

Dava a ciascun nel trapassar che fea 
Sotto quell'asta, un scappellotto a sesta: 
Così fino all’aurora ad uno ad uno 
Andò passando il popolo digiuno. 

Poi che tutti passar, Marte disparve, 
Lasciando ognun di maraviglia muto. 
Stupiva il vincitor, che le sue larve 
Conoscer non avea prima saputo: 
Stupiva il vinto, poi che 'l sole apparve 
Cinto di luce, e che si fu avveduto 
Con onta sua, che le picchiate ladre 
A tutti fatte avean le teste quadre (1). 


—-- — ——» 


(1) Tassoni - La Secchia Rapita - Milano, Francesco Pagnoni Tip. Ed. 1860, 
Canto quarto, dalla stanza 47.8 alla 66.8 — Merita d' easer qui ricordata la Storia 
di Rubiera che il Dottor Rodolfo Romoll, morto da pochi anni, ha lasciato incom- 
piuta ed inedita. Essa è molto preziosa per copia di notizie raccolte con lungo stu- 
dio e con grande amore, e consta di non poche dissertazioni, coi seguenti titoli: 
1. Notizie Storiche generali di Rubiera, divise per secoli, fino ai di nostri — 
2. Uomini Illustri che nacquero ὁ dimorarono in Rubiera. — 3. Governo politico 
e militare di Rubiera. — 4. Amministrazione Comunale. — 5. Ordinamenti co- 
munali antichi e loro riforme — 6. Distrettuazione comunale — 7. Documenti 
sulla Comunità e sul Castello — 8. Soppressione della Prigione sotto il Palazzo 
Comunale. — 9. Rocca di Rubiera. — 10. Delle prigioni del Castello. — 11. Anti 
forte. — 12. Banco feneratizio. — 13. Monte di Pietà. — 14. Monte annonario e 
frumentario. — 15. Fiere e mercati. — 16. Ristauri delle Porte e dei Quartieri. 
— 17. Avanzi del ponte romano. — 18. Lavori stradali, — 19. Antiche iscrizio- 
né che si trovano in Rubiera. — 20. Molino e canale di Rubiera. — 2. Pest> 
lenze nel territorio di Rubiera. — 22. Antica Chiesa Parrocchiale. — 23. Chiesa 
Collegiata e Canonici di Rubiera. — 24. Confraternita della SS. Annunziata. — 
25. Reliquie di S. Concordia. — 26. Ospedale e Chiesa di 5. Maria di Co’ di 

| Ponte. -- 51. Minori Contentuali e loro chiesa. — 8. Chiesa Parrocchiale di 
Fontana. 

Da un indice di mano dello stesso dottor Romoli apprendiamo che la sus 
Storia, componevasi, oltre che delle citate, di queste altre non meno importanti 
dissertazioni: 1. Pasto di Secchia. Ponte vecchio e nuovo e pedagno sul Tresi- 
naro. — 2. Valli e canaletti di Fontana, loro origine e mutazioni avvenute. — 
3. Consorzio di San Donino e Biagio, suoi slatuti e sua soppressione. — 4. Di- 


DI A. URCEO CODRO 471 


APPENDICE XII. 


Documenti 
interno a Gian Battista Guarino 
professore di Retorica e Poetica nello Studio di Bologna. 


(Vedi a pag. 172, nota 1.) 


Estratto dal Rotxulo degli Artisti dello Studio di Bologna per 
l’anno scolastico 1455-1456: 
« Ad lecturam Rbetoricae et poesia 
DM. Nicolaus Vulpes 
DM. Baptista Guarinus 
DM. Mattheus de Gypso 
DM. Carolus de peracinis 
DM. Antonius Tridento de Parma ». 
E nel Rotulo degli Artisti pel 1456-1457: 
« Ad lecturam Rbetoricae et poesis 
d. m. Nicolaus Vulpes 
d. m. Baptista Guarinus 
d. m. Mattheus de Gypso 
d. m. Karolus de peracinis ». 
Nei libri Partitorum ed in quelli Mandatorum, che trovansi 
nell'Archivio del Reggimento, non si vede notato il nome di Gian 
Battista Guarino nè sotto I anno 1455, nè sotto il 1456. 


struzioni e trasformazioni avvenute ai giorni nostri. Speriamo che queste Memo- 
rie non siano perdate. 

Dalla Storia del Romoli ho tratto diverse notizie sulle prigioni del castello. 
Sarebbe da augurare che la famiglia dell’ autore di questa ne cedesse il mano- 
scritto al Municipio di Rubiera, perché esso lo conservasse ad utilità e decoro 
del paese, giacchè pochi altri d'Italia posseggono una Storia ricca di tante no- 
tisie. quante del proprio ha saputo trovare il dottor Rodolfo Romoli, al quale 
è da dolere sia mancato il tempo di condurre ἃ compimento quest’ opera. 


478 MALAGOLA 


APPENDICE XIV. 


Documenti 
intorno ad Antonio Urceo. 


(Vedi a pag. 174, nota 1.3 e 2.*; 175, nota 1.4; 180, nota 1, 
22, 32 e 48 (1)). 


Documento I. 
« Die XIIII octobris 1482. 
Congregatis Magnificis Dominis Sexdecim etc. 


Item pro utilitate adolescentium huius Ciuitatis qui Literis iucum- 

M. Antonij bunt, per novem fabas albas et vnam nigram conduxerunt egregium 
de Forliuio et doctum uirum magistrum Antonium de forliuio rotulandum ad 
conducti ad . . : celo . 
Grammati-  Grammaticam, Rhetoricam et poesim pro uno anno incipiendo in 
comm Rbelo principio Studij, cuius initium erit de mense presenti; Ac ei con- 
sim. stituerunt libras centum bononenorum pro eius salario, que eidem 
solui debeant ex pecuniis deputatis pro salariis eorum qui in Studio 


Bononiense legunt, videlicet — — — — — — — L. 100. 


Quibus partitis Interfuerunt infrascripti, videlicet 
D. Ioannes de Bentivolis prior Ὦ. Gozadinus de Gozadinis 


D. Galeaz Marscottus Nicolosius de poetis 

D. Carolusantonius de fantucijs Bartholomeus de Castello 
D. Bernardus de Sassuno Baptista de Malvicijs et 

D. Bonifacius de cataneis Gaspar de Bargelinis ». 


(Dall’Archivio del Reggimento, Volume X, Partitorum, a carte 
88 verso ed 89 retto e verso). 


(1) Nel publicare i documenti sull’ Urceo, non mi sono attenuto, come nelle 
altre Appendici, all’ ordine del tempo al quale si riferiscono, ma ho posto prima 
quelli che riguardano la sua elezione ed il suo insegnamento (Doc. 1.9, 11.9 e 1I1.°) 
poscia gli altri che trattano del suo stipendio (Doc. IV.°, V.9, VI.°, VII.® e VII). 


DI A. URCEO CODRO 479 


Documento II. 
Nei Rotuli degli Artisti dello Studio Bolognese negli anni in 


cui vi insegnò Codro, così troviamo scritto, sotto l'indicazione della 
cattedra di Retoria e Poetica: 

Nel Rotu/o dell’anno scolastico 1482-1483 si legge: 

« Ad Grammaticam, Rbhetoricam et Poesim 

Magister Antonius de forlivio 
Magister Benedictus de Pistorio ». 

Nei Rotuli dei due anni seguenti non si nota alcuna differenza; 
ma in quello del 1485-1486 troviamo soltanto: 

« Ad Grammaticam Rhetoricam et poesim 
Magister Antonius de Forlivio. » 

Così pure è scritt@ nei Rotuli degli anni seguenti, sino a quello 
del 1495, nel quale è notato: 

« Ad Grammaticam Rbetoricam et Poesim de Sero 
Magister Antonius de Forlivio 

Magister lacobus de Cruce. Cum hoc quod publice legat, 

et doceat extra Scholas sancti Petroni] 
in loco Scolaribus commodo ». 

Le medesime parole si leggono nei Rotuli del 1496-1497 e del 
1497-1498. In quello del 1498-1499, vediamo: 

« Ad Rbetoricam et poesim legat quilibet duas lectiones vide- 
licet unam in oratoria et aliam in poetica arte. Qui legent de mane, 
legant unam aliam de sero, Et qui legent et sero, legant unam aliam 
de mane a predictis primis duabus penitus diversam 

In campana Sancti Petri 
Magister Benedictus de Pistorio, cum hoc quod in Scholis publicis 
publice legat, et etiam, ut consuevit, Grammaticam doceat. 
In tertiis 
Philippus Beroaldus 
Magister Antonius de Forlivio ad Rhetoricam. Poesim et Gram- 
maticam. 

Magister Iacobus de cruce, cum hoc quod publice legat, et etiam 
Grammaticam doceat extra Scholas Sancti Petronii in loco 
Scolaribus commodo ». 

Finalmente nel Rotw/o dell'anno 1499-1500 sta scritto: 

« Ad Rbhetoricam, Poesim et Grammaticam in vesperis 
Magister Antonius de Forlivio. 
Magister Iacobus de Cruce cum hoc quod publice legat, et etiam 


480 MALAGOLA 


— 


Grammaticam doceat extra Scholas Sancti Petronij in loco 
Scolaribus commodo. 
Ad Rhetoricam PSesim et Grammaticam de Sero 
Philippus filius Nicolai de Beroaldis ». 


Documento III 
Così leggiamo nel Rotu/o degli Artisti dell'anno scolastico 1485- 
1486, sotto l'indicazione della Cattedra di lettere greche: 
« Ad Literas Grecas diebus festis 
Magister Antonius de forlivio ». 
Queste stesse parole troviamo ripetute sempre nei Rotuli sino 
a tutto il 1499-1500, nel quale ultimo anno sappiamo che l' Urceo 
mancò di vita agli 11] di febbraio. 


Documento IV. 
« Die XXIII Martij 1483. 

A. Nicolai Congregatis etc. . 

de Sauijs: Suprascripto partito Magistri Nicolaj de Sauija, ex x relatione Rev. ἃ 
d. Locumtenentis, Rey.mus Dominus Legatus consensit jncipiendo in 
tertia distributione facienda de anno presenti super Salariis Docto- 
rum; quilibet eorum deinceps singulis annis pro lectura sua habere 
debeat salarium prout infra notatum et in supradicto foleo descri- 
ptum est, videlicet. 


D. Stephanus de Desiderijs — — — — — —L. 100 
D. Iacobus de Blanchettisy — — — — — — »_100. 
D. Ippolitus de Marsilijs — — — — — — — » 100. 
D. Ludouicus de Gypso — — — — — — — » 100. 
D. Minus de Garisendis — — — — — — — » 100. 
D. Nicolaus de Desiderijs — -— — — — — » 100. 
D. Bernardinus Simonetta -- — — — το —>» 10. 
M. Petrus hispanus ad Chyrorgiam — — — πον 40. 
M. Ludouicus de parma ad Logiceam — — — —> 40. 
M. Antonius de peregrino ad Logicam -- — — > 40 
M. Antonius de forlivio ad Grammaticam, Rhetoricam 

et poesim — — — — — — — — -ν 100. 
M. Benedictus de pistorio ad grammaticam, Rhetoricam 

et poesim — — — — — — — — — >» l00. 
M. Blasius de Mercurijs ad grammaticam pro quarteriis » 25. 


DI A. URCEO CODRO 481 


M. Nicolaus de Albertucijs ad Arithmeticam et Geo- 
metriam — — — — — — — — — L. 25. 
M. Nestor morandus ad Medicinam de mane — — » 200.» 


(Dall’Archivio del Reggimento, Volume X. Partitorum, a carte 
102 retto e verso). 


Documento V. 

Ho già riportato il Partito pel quale Codro venne eletto profes- 
sore nello Studio di Bologna coll’ annua provvisione di 100 lire di 
bolognini. In un altro documento che esiste pure nell'Archivio del 
Reggimento, è memoria di quello stipendio assegnato al nostro 
Urceo, e trovasi in un quadernetto nella I.® busta dei Quartironi, 
che sono, come dissi, le note delle distribuzioni trimestrali degli sti- 
pendi dei professori dello Studio bolognese. Questo quaderno inco- 
mincia: 

« Doctores Taxati Jncipiendo a die primo Iunij anni 1478 usque 

ad diem vitimum Julij 1487 ». 
e vi si legge nel retto della seconda carta: 

« Die 14 octobris 1482. ΄ 

Magister Antonius de forliuio rotulatus ad Grammaticam, rhe- 
toricam, et poesim. L. 100 pro uno anno, Incipiendo in principio 
Studij, proxime futurj soluendum de pecunijs deputatis pro Salariis 
eorum qui in Studio Bononiense legunt ». 

E più sotto è scritto: 

« Quilibet infrascriptoram deinceps singulis annis habere de- 
beat pro lectura sua salarium prout infra: 


Magister Antonius de forliuio ad grammaticam rhetoricam et 
poesim — — — — — — -- —— — — — L. 100 ». 


Documento VI. 

« Die XXVIII ultimo februarii 1488. 

Congregatis Magnificis Dominis Sexdecim Reformatoribus Sta- 
tus Libertatis Ciuitatis Bononie in Aula consuete Audientie Reve- 
rendi Dominj Locumtenentis In eius presentia ac de ipsius consensu 
et voluntate inter eos infrascripts partita obtenta fuerunt etc. 


3l 


Doctorum 
taxatorum et 
aliorum in- 
frascriptorum 
Doctorum. 


Salarium 
Magistri An- 
toni) de For- 


liuio. 


482 MALAGOLA 


Primo cum nonnulli Doctores tarxati fuerint solum et dumta- 
xat pro anno preterito, per omnes fabas albas decreuerunt quod 
eorum tara ualeat et obseruetur in futurum quolibet anno modo et 
forma quibus in illa continetur, et quod tara eorum Doctorum 
qui fuerunt taxati et preuilegiati comune lecture et persone conti- 
nuet singlis annis, et obseruetur tam pro preterito, quam pro fu- 
turo tempore, etiam si mutauerint lecturas, ad quas rotulati fuerunt 
et in futnrum rotulabuntur. Et Doctoribus preuilegiatis addiderunt 
omnes infrascriptos, quibus infrascripte tare soluantur quolibet anno 
integre et priuilegiate Incipiendo in prima distributione presentis 
anni videlicet. 

Magistro Iacobo della cruce libre centum, videlicet — — L. 100. 
Magistro Hieronymo de florentiola libre centum, videlicet — » 100. 
Magistro Balthassari de forliuio libre centum, videlicet — » 100. 
Magistro Ludouico de Leonibus libre centum, videlicet — » 
Magistro Alerandro de Achillinis libre centum, videlicet — » 100. 
Magistro Hectori de Tausignano libre centum, videlicet — » 
Magistro Hieronymo de verona libre centum, videlicet  — » 
Magistro Antonio de forliuio libre centum, vigintiquinque, 

videlicet — -— — — — — — — — — > 135. 
Magistro Nicolao de ferraria libre centum, videlicet — — » 100. 

Decernentes quod omnes Rbhetorici, qui etiam deputati sunt 
ad grammaticam habere debeant Salarium suum integrum et priuì- 
legiatum ». 


(Dall’Archivio del Reggimento - Volume X. Partitorum, a carte 
318 verso e 319 retto). 


Documento VII. 

« Die XXIII nouembris 1496. 
Item per omnes fabas albas constituerunt libras Centum quinqua- 
ginta bononenorum Integras et priuilegiatas Magistro Antonio de 


forliuio, rotulato ad Rhetoricam ac poesim, et ad literas grecas, 
Incipiendo in prima distributione annj proximi futuri, videlicet L. 150. 


Quibus partitis Interfuerunt infrascripti, videlicet 
D. Ioannes de Marsilijs prior Alexius de ursis 
D. Ioannes de Bentiuolijs Albertus de castello 


DI A. URCEO CODRO 483 
D. Bonifacius de’ Cataneis Raynaldus de Ariostis 
D. Poeta de Poetis Thomas de Bentiuolijs et 
Gaspar de Bargelinis Luduuicus de Blanchis ». 


(Dall’Archivio del Reggimento - Volume XI Partitorum, a car- 
te 131 verso). 


Documento VIII. 

Nei Quartironi dello Studio, ed in alcuni fogli che li correda- 
no, troviamo più particolareggiate notizie dello stipendio percepito 
di tre mesi in tre mesì dall' Urceo: 


Quartironi dell’ anno 1483. 


« Prima distributio Dominorum doctorum annj presentis 1483 
facta die XXII presentis mensis Martij : ex qua soluitur ipsis Docto- 
ribus tam priuilegiatis, quam non priuilegiatis ad rationem librarum 
sexrdecim pro centenario, et retinentur punctationes Nouembris et 
Decembris proxime preteritorum. 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100. L. 16. » 


« Secunda Distributio dominorum doctorum facta die decimo 
Julii 1483 in qua soluitur dictis doctoribus priuilegiatis et non pri- 
uilegiatis ad Rationem Quattuordecim (librarum) pro centenario eo- 
rum tararum. 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100. L. 14. » 


« Tertia distributio.... facta die octaua octobris 1483. 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100 L. 16. » 


« Quarta et ultima distributio.... Anni 1483 facta die XXIIII 
decembris .... Jn qua Jntegre soluitur ipsis doctoribus omnibus 
Residuum suorum Salariorum Annj predicti. 


Magister Antonius de forliuio — — — +— L. 100. L. 54. » 


484 MALAGOLA 


Anno 1484. 


« Prima distributio dominorum Doctorum Annj presentis 1484, 
facta die XII presentis mensis Aprilis .... 


Magister Antonius de forliuio — — -— — L. 100.L. 13.» 


» Secunda Distributio Dominorum Doctotum facta die VII Au- 
gusti 1484.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100... 13.» 


« Tertia distributio dominorum doctorum facta die decimo sexto 
octobris 1484.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100. L. 12.» 


« Quarta et vitima distributio dominorum doctorum Annj 1484 
facta die XXII decembris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — +— L. 100. L. 62.» 


Anno 1485. 


« Prima distributio dominorum Doctorum Annj presentis 1485 
facta die XXVIII presentis Mensis Marcij.... 


Magister Antonius de forliuio — — -— — L. 100. L. 20.» 


« Secunda distributio Dominorum doctorum anni presentis 1485 
facta die quinto presentis mensis iulij .... 


Magister Antonius de forliuio — -— — -— L. 100, L. 25.3 


« Tertia Distributio Dominorum Doctorum facta die VIII octo- 


Magister Antonius de forliuio — — — -— L. 100. L. 25. ? 


DI A. URCEO CODRO 485 


« Quarta et ultima distributio Dominorum Doctorum Anni pre- 
sentis 1485 facta die (XVIII) presentis mensis decembris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100.L. 25. » 


Anno 1486. 


« Prima distributio dominorum Doctorum Annj presentis 1486 
fata (sic) die XX presentis Mensis Marcij.... 


Magister Antonius de forliuio — — -— — L. 100. L. 25.» 


« Seconda (sic) distributio dominorum Pectorazi Annj presentis 
1486 fata (sic) die XV presentis Menzis Julij .. 


Magister ‘Antonius de forliuio — — — — L. 100. L. 25. » 


« Tertia distributio dominorum Doctorum Annj presentis 1486 
fata (sic) die XV presentis Mensis octobris .... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100. L. 25. » 


« Quarta et vitima distributio Dominorum doctorum annj pre- 
sentis 1486 facta die XXIII presentis mensis decembris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100. L. 25. » 


Anno 1487. 


« Prima distributio.... Annj presentis 1487 fata (sic) die de- 
cimo .... Mensis Aprilis.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 100. L. 22. » 


« Secunda distributio.... Annj presentis 1487 fata (sic) die 
X.... Mensis Iulij.... 


Magister Antonius de forliuio — — -— — L. 100. L. 22. » 


486 MALAGOLA 


« Tertia distributio.... anni presentis facta die XV octobris 
1487.... 


Magister Antonius De forliuio — — — — L. 100. L. 22. > 


« Quarta et vitima distribucio .... annj presentis 1487 facta 
Die X.X° mensis Decembris.... 


Magister Antonius de forliuio —— — -— — L. 100. L. 8.» 


In una nota che si trova insieme coi Quartironi del 1486, e che 
s'intitola: « Tauola et computo deli Magnifici Signorj Doctori 
priuilegiati, de quanto hano hauuto fino a questo di primo de nouem- 
bre 1487 che lie corso a rasone 66 per cento segondo la lor tassa 
la quale è L. 10325 e de quanto restano hauere fino alultimo delanno 
che li corre 34 per cento », troviamo così ricordato l'Urceo fra i 
non privilegiati : 


« a Maestro Antonio dafurli — L. 66 — Resta hauere L. 12 — 


. Ed in un quadernetto di dieci facciate, che è nello stesso luo- 
go, leggesi: 
« Die octavo Augusti 1487. 


Omnes infrascripti Doctores sunt priuilegiati, et eis Jntegre solui 
et satisfieri debet prout constat in diversis partitis superius, di- 
versis diebus et annis, legitime obtentis, a die VIII Iulij 1478 usque 
ad presentem diem VIII Augusti 1487. 


Infrascripti Doctores non sunt Priuilegiati: 
Magister Antonius de forliuio L. 100. » 
Tornando ai Quartironi, leggiamo : 


Anno 1488. 


« Prima distributio.... annj presentis 1488 facta die tertio 
aprilis.... 


DI A. URCEO CODRO 487 


Magister Antonius de forliuio — — — L, 125. L. 27. 10. » 


« Seconda (sic) distributio.... Annj presentis 1488 fata (sic) 
die XV presentis Mensis Iulij .... 


Antonio de forlivio — — — — — L. 125. L. 25. » 


« Tertia distributio.... annj presentis 1488 facta die XII .... 
mensis octobris.... 


Magister Antonius de forlivio — — — — — L. 125. 27. 10. » 


« Quarta et ultima distributio.... annj presentis 1488 facta 
die XXII decembris .... 


Magister Antonius de forliujo — — — — L. 125. L. 10. » 


In una nota, che trovasi coi Quartironi del 1488, è scritto: 

« Ex quarta distributione Anni 1488 proxime preteritj facta 
sub Die XXII decembris Annj predictj, doctores omnes priuilegiatj 
qui non sunt descriptj in presenti Tabula babuerunt suum Salarium 
Integrum; ex Alijs vero priuilegiatis infrascriptis, Aliquj habuerunt li- 
bras octo pro Centenario et Aliquj habuerunt libras sex. Illj quj ha- 
buerunt libras octo nunc percipiant libre Sexdecim, et ἢ}, quj ha- 
buerunt libras sex nunc habeant libras decem et octo. Ceterum docto- 
res non priuilegiatj quj habuerint libras Sex pro Centenario, nunc 
habent Libras duodecim pro Centenario et lllj, quj nihil habue- 
runt, nunc habeant, et Ipsis solvantur libre decem et octo pro Cen- 
tenario prout Jnfra notatum est, et Cuilibet puntato Retineantur 
punctationes Infrascripte. 


D. Magister Antonius de forliujo — — — L. 125. L. 20. » 


In un quadernetto di sei pagine, colla data del 1488, troviamo 
nel retto della prima carta: 


488 MALAGOLA 


» Die XXVIII februarij 1488, 
Omnes infrascripti sunt priuilegiatj 


= Ad Grammaticam, Rbhetoricam et poesim 
Magister Antonius de forliuio — — — L. 100. > 
Nuovamente tornando ai Quartironi, abbiamo : 


Anno 1489. 
« Prima distributio.... facta die quintodecimo Martij Annj 1489... 


D. Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. 16,5.» 


« Secunda distributio .... Anni presentis 1489 facta die X 
Augusti .... 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 18. 15.» 


« Tertia distributio .... anni presentis facta die X octobris, 
presentis mensis, anni 1489.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 125. L. 25. » 


« Quarta et ultima distributio.... facta die XX Decembris.... 
anni l489.... 


Magister Antonius de forliuio — — -— — L. 125. L. 65. « 


In un'altra nota, in data dei 16 di giugno dell’anno 1489, trovo: 

« Soluantur omnibus Infrascriptis Doctoribus priuilegiatis 0- 
mnes infrascripte pecuniarum quantitates pro Residuo et Integra 
Satisfactione eorum Salariorum annj 1488 proxime preteritj. 


D. Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 16.» 


Torniamo di nuovo ai Quartironi : 
Anno 1490. 


« Prima distributio.... Annj presentis 1490 facta die X pre- 
sentis mensis Aprilis.... 


DI A. URCEO CODRO 489 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 125. L. 20. » 


« Secunda distributio .... Annj presentis 1490 facta die XXX 
Iulij .... 


Magister Antonius de forljuio — — — L. 125. L. 17. 10. » 


« Tertia distributio.... Annj presentis 1490 facta die X octo- 
bris.... 


Magister Antonius de forliunio — — — — L. 125. L. 20. » 


« rta et vitima Distributio.... facta die XXIII Decembris 
1490 .... 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 63. 15. » 


E in un'altra nota, unita ai Quartironi, è scritto: 

« In quarta et ultima Distributione Salariorum lecturarum Do- 
minorum doctorum anni 1490 proxime preteriti, facta die vigesimo 
quarto mensis decembris anni predicti Retente fuerunt Doctoribus 
priuilegiatis libre tres bononenorum pro quollibet Centenario Ex Qui- 
bus Doctoribus non priuilegiatis pro eorum salarijs Integre satisfa- 
ctum fuit. Ea propter In prorimo futuro festo paschatis resuretionis 
Domini nostri Jesu christi Omnibus Infrascriptis Doctoribus priuile- 
giatis, pro Integra solutione et Satisfatione sallariorum suorum pre- 
dieti anni 1490, Soluantur Infrascripte Quantitates pecuniarum ad 
Rationem librarum trium pro centenario que Jn suprascripta Quarta 
distributione eis, ut supra dictum est, retente fuerunt. 


Magister Antonius de forlinio — — — L. 125. L. 3. 15. » 
Nei Quartironi. abbiamo : 


Anno 1491. 


« Prima distributio.... Annj presentis 1491 facta die 29.... 
mensis Martij.... 


Magister Antonius de forliuio — — — ὦ. 125. L. 12. 10. 


Ψν 


400 MALAGOLA 


« Seconda (sic) Distributio.... Annj presentis 1491 facta die 
(XXVI) presentis mensis Iulij.... 


D. Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 13. 15. » 


« Tertia distributio.... Annj presentis 1491 facta die XXI... 
Mensis octobrj3 .... 


Magister Antonius de forliujo — — — L. 125. L. 16.5.» 


« Quarta et ultima Distribucio dominorum Doctorum anni pre- 
sentis facta Die XXIII presentis mensis decembris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 56. 5. « 


Anno 1492. 


« Prima distributio.... annj presentis 1492 facta die 18 pre 
sentis Mensis Aprilja.... . 


D. Magister Antonius de forliujo — “-- — 1. 125. L. 1δ,» 


« Seconda (sic) distributio .... facta die X Julij 1492.... 


D. Magister Antonius de forliuio — — L.125.L.17. 10.> 


« Terzia (sic) distributio. ... Annj presentis 1492 facta die X.... 
Mensis octobrjs.... 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 17. 10. » 


« Quarta et vitima Distributio.... presentis annj 1492 facta 
die XXII presentis mensis Decembris. 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 125. L.65 » 


Anno 1493. 


« Prima distributio.... annj presentis 1493 fata (sic) die 
XXVIII presentis Mensis Marcij.... 


DI A. URCEO CODRO 491 


Magister Antonius de forliujo — — — L. 125. L. 12. 10. » 


« Seconda (sic) distributio.... annj presentis 1493 facta die 
X ottobris (sic) presentis mensis.... 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 17. 10. » 


« Tertia Distributio Dominorum Doctorum annj presentis 1493 
facta Die vigesimo presentis mengjs Decembris.... Et ex hac tertia 
distributione declaratur quod hoc anno non fient nisi tres distri- 
butiones et quarta distributio non expediet. 


Magister Antonius de forliuio — - — L. 125. L. SI. 5. » 


Anno 1494. 


« Prima distributio.... annj presentis 1494 facta die XXVIII 
presentis mensis Martij.... 


Magister Antonius de forlivio — -+— — L. 125. L. 18. 15. » 


« Seconda (sic) distributio....annj 1494 facta die X° presentis 
mensis lulij.... 


Magister Antonius de forliuio — — -— — L. 125. L. 15. » 


« Tertia distributio.... annj presentis 1494 facta die X pre- 
sentis mensis octobrjs.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 125. L. 20. » 


« Quarta et vltima distributio .... annj presentis 1494 facta 
die XXIII presentis mensis Decembris.... 


Magister Antonius de forlivio — — — — L. 125, L. 70. » 
Anno 1495. 


« Prima distributio.... annj 1495 facta die decimo presentis - 
mensis Aprillis.... 


402 MALAGOLA 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 12. 10.» 


« Secunda distributio ....annj presentis 1495 facta die decimo 
presentis mensis lullij.... 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L. 13, 15.» 


« Tercia distributio.... annj presentis 1495 die XX presentis 
mensis octobris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 125. L. 15.» 


« Quarta et vitima distributio.... presentis annj facta die 
XXIII decembris 1495 .... 


Magister Antonius de forlinio — — — L. 125. L. 62. 10.» 


Anno 1496. 


« Prima Distributio .... Anni presentis 1496 facta Die primo 
presentis mensis aprilis .... 


Magister Antonius De forliuio — — — L. 125. 1. 12, 10. > 


« Secunda Distributio.... Anni presentis 1496 facta die XII 
presentis mensis Iullij .... 


Magister Antonius de forliuio — — — — Τῷ. 125, L. 16.» 


« Tertia distributio.... Anni presentis 1496 facta Die ΧΧΠΙ 
presentis Mensis Octobris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 125. L.16.5.> 


« Quarta et vitima Distributio.... anni presentis 1400 facta 
Die XXII decembrjs.... 


Magister Antonius de foriuio — — — — L. 125. L. 60.» 


DI A. URCEO CODRO 493 


Anno 1497. 


« Prima distributio .... Annj presentis 1497 facta die XVIII° 
presentis mensis Martij.... 


Magister Antonius de foriuio — — — — L. 150. L. 12. » 


« Secunda distribucio dominorum doctorum annj presentis 1497 
facta die X.... mensis lIulij.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 150. L. 15.» 


« Tertio Distribucio .... Anni presentis 1497 facta die X.... 
mensis octobris.... 


Magister Antonius De forliuio — — — — L. 150. L. 15. » 


« Quarta et vitima distributio.... annj presentis facta Die 
XXIN Decembris 1497.... 


Magister Antonius de forliuio — — — L. 150. L. 70. 10. » 


Anno 1498. 


« Prima distributio.... annj presentis 1498 facta die X pre- 
sentis mensis aprilis.... 


Magister Antonius de forliujo — — — — L. 150. L. 12. » 


« Secunda distributio .... annj presentis 1498 facta die X pre- 
sentis menzis Iolij .... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 150, L. 15. » 


« Tercia distributio .... annj presentis 1496 facta die X men- 
sis octobris.... 


Magister Antonius de forliujo — — — — L. 150. L. 15. » 


494 MALAGOLA 


Quarta distributio .... Presentis annj 1498 facta Die XX Men- 
sis decembris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L.150.L. 72,» 
Anno 1499. 


« Prima distributio....anni presentis 1499 facta Die XXVI.... 
mensis Martij.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — ἢ... 150.L. 15.» 


» Secunda distributio .... anni presentis 1499 facta die X pre- 
sentis mensis lulij.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 150. L.18.> 


Tertia distributio .... anni Presentis 1499 facta die X° mensis 
octobris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 150. L. 18.» 


« Quarta et vitima distributio.... presentis annj 1499 facta 
die XXIII mensis Decembris.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 150. L. 69.» 


Anno 1500. 


« Prima distributio.... anni presentis 1500 facta die X men- 
sis aprilis.... 


obijt die Magister Antonius de forliuio — — — — L.150. 18. » 
XI fo rua- 
rn 


« Secunda distributio .... anni presentis MCCCCC facta Die X 
mensis lulij.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 150.L 12. » 


DI A. URCEO CODRO 495 


« Tertia distributio.... annj presentis 1500 facta die X men- 
sis octobrjs.... 


Magister Antonius de forliuio — — — — L. 150. L. 15. » 


« Quarta et vitima Distributio.... presentis annj 1500 facta 
Die XXIII mensis Decembrjs.... 


Magister Antonius de forliuio — — libras 150, libras 60. » 


APPENDICE XV. 


Versi latini e italiani 
in morte di Antonio Urceo. 


(Vedi a pag. 194, nota 2.*; 252, nota 1." e 268, nota 3.2) 


In morte dell’ Urceo molti suoi amici e discepoli scrissero versi 
latini ed italiani che io voglio qui ristampare. 
Virgilio Porto compose questo distico: 


« Codrus eram: natale solum mi Herbaria: sed quae 
Me sepelit, Grajum dixit et Ausonium (1) », 


che fu così tradotto dall’ illustre Sig. Prof. Cav. Prospero Viani: 


« Il mio nome era Codro, e suol natio 
Fummi Rubiera: chi mi diò sepolcro 
Disse Graio ed Ausonio il nome mio ». 


Lo stesso Virgilio Porto dettò in quell'occasione i poetici com- 
ponimenti che seguono, dai quali può vedersi in quanta stima fosse 
tenuto il nostro Urceo presso i contemporanei. 


(1) Opera, a pag. 425. 


490 


« 


A 


MALAGOLA 


I 


Vir doctissimus undecumque Codrus, 
Codrus Romuleae decus Camoenae, 
Codrus eloquij decus Pelasgi, 

Codrus arbiter utriusque linguae, 
Orator bonus, et bonus Posta, 

Codrus archetypon facetiarum, 

Codrus archetypon severitatum, 
Codrus Felsineae dolor iuventae. 

Felix urnula, et o lapis beate 

Tam charum caput in quibus quiescit. 
Vir doctissimus ille Codrus, ille 

Vir doctissimus undecumque Codrus (1) ». 


II 


Heus tu, et si properas, Viator, heus tu, 
Paucis te volo, sic amica semper 

Laedae sydera sint tibi, aestuosum 

Si seces mare, sic δὶ in alta surgis 
Alpium iuga, montuosa eunti 

Subsidant tibi saxa, sic receptus 

Sospes in patrios tuos penates, 

Misceto oscula mille chara charis. 

Haec lubens lege, (nec nisi lubentem 
Quemquam poscimus) hocce Codrus ipse 
Saxo Antonius Urceus recondor. 

Haec ex me: ex alijs habeto plura. 

Plus de me, mihi proloqui indecorum est (2) »- 


ΠῚ. 


« Quis iacet hoc tumulo? Codrus: sed nec tamen unus 


Codrus, nam secum plectra lyraeque iacent. 


(1) Opera, a pag. 425. 
(2) Opera, a pag. 424. 


——— 


DI A. URCEO CODRO 497 


Quae nam hae tam pullo hoc habitu? Libethrides: ille 
Quis planctus Maiae est quem facit ipse puer. 

Quae ve haec quae cineri praeest? Tritonia mater 
Misit in ardentes se Sophia alma rogos. 

Quis rogus? et calami, et divina po&mata? funns, 
Elatum est humeris, Bacche et Apollo, tuis. 

Qui comites pompae? Charitesque, salesque, iocique: 
Qui census? Lychni, spongia, mensa, stylus. 

Quem haeredem dixit? famam, sed prodiga fama: 
At quanto magis est prodiga, maior adest. 

Ergo habet aeternus Codrum sopor: heu scelus, hae, heu, 
Heu quantum nobis abstulit una dies! 

Proh superum invidiam, proh Fata immitia: moeret, 
Hoc uno amisso, Graecia et Ausonia (1) ». 


IV. 


« At semel hoc placitum Fatis: sub cardine coeli 

Perpetuum nihil est: omnia, Mors, adimis. 

Vidimus intrepida modo te sublimia Regum 
Tecta, modo infirmas sollicitare domos. 

Vidimus egregia atque humili te caede madentem 
In tua captivos cogere iura Duces. 

Neu quia pulcher Hylas, neu te quia fortis Achilles 
Possit ab incepto surda movere tuo. 

Aut quoniam hic titulos, generosaque stemmata iactat, 
Aut quoniam ambigua est ille parente satus. 

Quantulacumque tuis est commoda praeda triumphis, 
Nec magne pannoso purpura grata fago. 

Quid iuvat eloquij fulmen, quid laurea prosunt 
Serta? vel ingenui tot bona rara animi? 

Ad te decrepitum contando it vulgus, at ipsa 
Festinat rapidos ante iuventa dies. 

Innuptos, nuptosque eadem citat urna petulcus 
Nec refert prior an mater, an hoedus eat. 


(1) Opera, a pag. 421 e 425. 


498 MALAGOLA 


Scilicet ut primum vitales carpimus auras, 
Praescripta est vitae linea cuique suae. 

Et semel, et cunctis, et inevitabilis una est 
Aut celeri, aut tardo fessa adeunda gradu. 

Nec tam humile est quicquam in mundi compage, vel altum, 
Quod tandem tua non devoret unca manus. 

Aspice tot populos, totque oppida celsa, tot urbes 
Deletas, et mille id genus adde alia; 

Te dominam, te ipsa omniparens Natura tremiscit, 
Te coelum, et coeli, sì quid ab orbe aliud, 

Ipsos supplantas Fortunae sola rotatus, 
Tu fatum, tu lex dura, sed aequa tamen. 

Denique quicquid habet, quicquid longa aducit aetas, 
Imperio fateor cuncta siibesse tuo. 

Fama tamen secura tui se ad sydera tollit 
Maior, et est functis altera vita viris. 

Hac duce, sublimi moriens caput exerit astro 
Codrus, et in toto plurimus orbe volat. 

Nescia namque morì est Virtus (licet improba pensum 
Intempestiva ruperis ipsa manu) 

Quisquis enim frugi est (seris licet absit in annis) 
Intempestivo tollitur ille die. 

Proh pudor, Aonidum sacros temerare Penates 
Ausaque Phoebeam commaculare domum:; 

Nec labor ille sacer Vatum, nec nomina Codri 
Sancta cruentatas continuere manus. 

Sub iuga at ille tamen tua nescius ire, perennis 
Vivit, in aeternos nomen habetque dies. 

Alta triumphali residens tremebunda cupresso 
Eia age, nocturno laeta vehare bove. 

Corpus habes Codri: quid tum? sed Codrus in ore 
Est hominum, Codri pars quota corpus erat (1) >. 


Un altro amico di Codro, il portoghese Enrico Caiado, lasciò 
nel secondo libro de' suoi epigrammi il seguente: 


- y—rTrTrTr—T—=—& 


(1) Opera, a pag. 422, 423 e 434. 


DI A. URCEO CODRO 499 


« Epitaphium Codri Urcei 


Siste viator, et haec carmina pauca lege. 
Conditus hic Codrus notus ubique iacet; 
Ilius Aonides conticuere obitu, 

Mutaque iamdudum lingua latina silet: 
Argolicique sales in patriam redeunt. 

Heu nusquam est doctas cernere Pierides: 
Interiere heu heu dulcia verba Remi: 

Non audire iocos ulterius dabitur. 

O sortem duram, o aspera fata hominum: 
Nascimur heu vix, et iam morimur miseri. 
Purpureis sacrum sparge rosis tumulum: 

Quid iuvat has lachrimas funder? vivit; abi (1) ». 


Anche Giovanni de Pins, discepolo del nostro Codro, lasciò 
due componimenti latini che piangono la morte del suo venerato 
maestro: 


I 


Ad nobilem et generosum virum Ferricum Carondeletum Bur- 
gundum, Iluris et Eloquentiae candidatum, Iohaunis Pini Tholosani 
Epigramma. 


« Ferrice, assiduis dudum exoptata diurnis 

Nocturnis precibus scripta beata lege. 

Quem tocis animis, quem tota mente solebas 
Excupere, et grato velle fovere sinu. 

En tibi vitales felix prorupit in auras 
Codrus Romuleis non minor autor avis, 

Codrus et Ausoniae non infima gloria gentis, 
Qui Latios Graijs miscuit ore sales, 

Quo se Palladijs gratissima Felsina Musis 
Iactat, et amisso frangitur orba duce. 


(1) Aeglogae et Syivae et Epigrammata Hermici (Caiadi, Bologna 1501) edi- 
zione citata; al retfo della penultima carta. 


500 MALAGOLA 


Si veteris sanctique tenes documenta sacelli, 
Sique Palaemoniae vis memor esse domus, 
Suscipe et antiquum supplex venerare magistrum, 

Suscipe tu, et sacris da pia thura focis. 
Aediculis quondam vixit contentus in orbe, 
lam sua post mortem gloria maior erit (1) ». 


II. 


« Felsineis Laribus vizi, cava tempora lauro 

Cinetus, et Ausonij gioria prima soli. 

Attica Musa mihi fuit et latialis, utramque 
Fovimus, et vario novimus ore loqui. 

Casta domus fuerat, castique thorique laresque, 
Castalia et sacrum merserat unda caput. 

Nec dives nec inops, media sed sorte beatus, 
Sollicitas sprevi mente quietus opes. 

Haud famulis gaudens, docili contentus alumno, 
Hic famulus nobis, hicque minister erat. 

Pendula laeva suos faciles concessit amictus, 
Nostraque sub lacero segmine dextra fuit. 

Spreta fuit Tyrio, quae infecta est murice vestis, 
Spretaque de Libyco gemma petitu sinu. 

Grandia contempsi, varioque superba tapete 
Atria marmoreis aemula porticibus. 

Sat fuit angustum caperet quod membra cubile, 
Quaeque daret modicas fictilis olla dapes. 

Vita brevis longos nobis nec ducta per annos 
Compensat modicos relligione dies (2) ». 


È qui da riportare anche un epigramma latino del quale 105 


conosciamo l' autore: 


« Quis tumulo tegitur? Codrus. Num Martius ille 
Pro patria certus non timidusque mori? 
Longe hic est alius. Quis nam precor? Urceus ille 
Codrus amor Phoebi, Pieridumque decus. 


(1) Opera, a pag. 428 e 429. 
(2) Opera, a pag. 429. 


DI A. URCEO CODRO 501 


Nec minor illo est, tetigere cacumina uterque 
Virtutum, ille armis fioruit, iste toga (l) ». 


Fu tradotto in italiano dal Ch.®° Signor Avv. Cav. Alessandro 
Catani nei seguenti versi: 


« Chi sta sepolto qui? - Codro. - Qual? Forse 
Quel marzio ch’ ebbe in sorte 
Per la patria incontrar fiero la morte? - 
No, tutt’altri è costui. - Chi è mai? ten prego. - 
È l’Urceo Codro, amore 
Alto di Febo e delle Muse onore. - 
Nè di quello è da meno: ambo 16 cime 
Delle virtù toccaro, 
Un nella toga, ed un nell’ armi chiaro ». 


Queste sono le Poesie latine in morte di Codro. Abbiamo anche 
alle stampe un sonetto di Diomede Guidalotto, Dottore Bolognese, 
che si legge nel suo libro: Tyrocinio de le cose vulgari. 

Lo riproduco tale quale si trova in quell’ edizione: 


« Per la morte de antonio urceo codro 


Non affrettar sì uiatore il passo 
Che il monumento qui ti resti occulto 
E che non leggi per chi il loco è culto, 
Se ben tu dei partir più aflicto e lasso. 
Copre di Antonio il corpo questo sasso, 
Nato a Rubiera, in Bologna sepulto, 
Dove quasi da sui primi anni adulto 
Restò, inuechiando, già di vita casso. 
Fu ditto Codro in più noto cognome, 
Lo andito sì de le facetie aperse 
Che emulò Plauto con dissimil Nome. 
Humil victo per se sempre sufferse; 
Frepesia e febre fur l' ultime some: 
Codro era vivo allo epitaphio offerse (2) ». 


(1) Opera, edizione citata del 1502, al resto dell’ ultima carta. 
(2) Ivi a carte 58 retto e verso non num. 


502 MALAGOLA 


E finalmente il Cav. Girolamo Casio scrisse per la morte di 
Codro l’ epigramma che segue, per verità non molto bello: 


« lì Codro da Rubiera Precettore 
Di Greco di Latino e cathedrante 
Sì eccelso fu, che Giove il gran Tonante 
Loco gli diede in Ciel, con gloria e honore (1) ». 


APPENDICE XVI. 


Testamento di Codro 
riportato dal Bianchini. 


(Vedi a pag. 194, nota 3.3). 


« Ego Antonius Vrceus, Corthesii Vrcei iam filius, vitam et sa- 
lutem ab immortali Deo spero et opto. Sed cum res humanae fra- 
giles sint et caducae, et scansilis annus qui fit ex sexto novenario 
malum mihi minetur, dum memoria et ingenio promptus sum, et 
valeo, ita de rebus meis disponi volo. In primis animum meum, 
seu animam, omnipotenti Deo commendo, per eius verba sic dicens: 
In manus tuas domine commendo spiritum meum. Quem quidem 
animum semper immortalem duxi, contra Epicurum oscitantem, et 
eos qui sub christiano nomine nihil christiani agunt. Corpus vero 
templo sancti Salvatoris ornatissimo et religiosissimo commendo et 
trado: Bibliothecae eius opus quoddam sancti Basilii in membrano 
scriptum vetus et magnum e Constantinopoli, apportatum dono libe- 
raliter et trado. Decimas vero pro animae meae salute solvendas, 
libras viginti conventui sancti Salvatoris praedicti, hoc est decem 
pro sepultura, decem pro salute animae meae. Item pro male ablatis 
volo libras decem dari et exolvi spuriis sine patre viventibus. Patri- 
monium autem meum Ioanni sacerdoti, Ludovico scholari studenti 
,in iure pontificio, et Amadeo iuveni fratribus meis, ex alia matre 
natis, parì portione distribuendum volo. Sororibus autem Catherinae, 


(1) Casio - Cronica cit., a carfe 8 terso. 


DI A. URCEO CODRO 503 


Lucretiae, ne se praeteritas putent, quinque libras cuilibet earum 
lego. Petro Antonio fratri meo uterino et germano in aliis rebus 
providebo. Cassandrae uxori fratri Petri Antonii decem libras lego. 
Et Lianorae fratris filiae centum libras nomine dotis constituo, 
quas ad haeredem meum redire omnino volo, quem infra nominabo, 
si Lianora ipsa intra tempus testandi moriretur. Omnium autem bo- 
norum meorum, sive vestes, sive libri, sive pecuniae argeniteae, 
vel aureae sint, praeterea omnium supellectilium, quae ad me spe- 
ctant, universalem haeredem relinquo, cum summa pace, benedi- 
ctione et osculo, Petrum Antonium germanum et uterinum, ut supra 
diri. Cui praecipio et mando omnia superiora legata perficiat, et 
libros graecos alienos mihi traditos reddat, et pecunias inde extra- 
ctas debitoribus solvat in animae meae sublevationem (1) ». 


APPENDICE XVII. 
Documenti intorno Filippo Beroaldo seniore. 
(Vedi a pag. 223, nota 1.3). 
Documento I. 
« Die XXVIII aprilis 1479. 


Congregatis etc. . 


Et eodem modo (constituerant) Libras centumquinquaginta Philippo Phili ippi 
Beroaldo pro anno sequenti, si rotulatus fuerit et legerit . . . Beroal 


Et pro philippo Beroaldo pro anno sequenti — — libras 150 ». 
(Dall’Archivio del Reggimento, Volume VIII, Partitorum, a carte 
171 verso). 


(1) Bianchini - Codri Vila, - Opera, a pag. 17 e 18 non num. 


ld 


Philippi 
Beroaldi Sa- 
larium Le- 
cture. 


504 MALAGOLA 


Documento II. 

« Die octavo Martii 1479. 

Congregatis ete. ./..0.0.0.0.. νιν νιν νιν. 
Item philippo Beroaldo conducendo post presentem annum et rotu- 
lando ad Rhetoricam et poesim constituerunt per novem fabas albas 
et unam nigram libras Centum quinquaginta bononenorum pro eius 
salario pro quolibet anno quo rotulabitur et leget, videlicet  L. 150. 
Simile partitum obtentum fuit coram Rev.®° Domino Legato sub 
die XXVII aprilis 1479 ut in 4110 libro partitorum apparet (1) ». 


(Dall’Archivio del Reggimento, Volume IX, Partitorum, a carte 
21 retto). 


Documento III 

« Anno Salutis M.D.V. 

Quod faustum felix ac fortunatum sit. Ego philippus beroaldus 
cepi, Dejs bene Iuvantibus, in hoc volumine Annotare atque perscri- 
bere partita Magnificorum Dominorum Sexdecim Reformatorum Sta- 
tus libertatis Civitatis bononie, obtenta et confecta sub Annis et 
mensibus infrascriptis ex eo primum tempore, quo ascitus evocatu- 
sque sum ab amplissimo Senatu consonis animis et vocibus ad of- 
ficium Secretarij capessendum. 

Subscribentur Capita rerum omnium, que in hoc volumine per 
scribentur, ut facilior expeditiorque sit inventio quum usus erit et 
opus inventis hisce rebus, quae in opere toto continebunt ». 


(1) Tornerebbe inutile riportar per intero quei brani dei Partiti del Reggi- 
mento onde abbiamo notizia degli aumenti dello stipendio, che gli vennero decre- 
tati. Furono, in breve, i seguenti: 

Partito in data degli 8 marzo 1479 - Il suo salario è portato a 200 lire (Par- 
titorum, Vol. X, a carte 74 verso). 

Partito in data dei 9 aprile 1487 - È portato a 300 lire (Partitorum, Vol. X, 
a carte 293 verso). 

Partito in data dei 5 d'aprile del 1492. È portato a 400 lire (Pertitorum, 
Vol. XI, a carte 51 verso). 

Partito in data dei 12 gennaio del 1496; lo stipendio diviene privilegiato (cioè 
esente dalle consuete ritenzioni trimestrali) a patto che per cinque anni il Be- 
roaldo non chieda aumento (Partitorum, Vol. XI, a carte 120 verso e 121 rello). 

Partito in data dei 27 ottobre 1503 - Lo stipendio del Beroaldo è portato a 
600 lire (Partitorum, Vol. XII, a carte 37 verso). 


DI A. URCEO CODRO 505 


(Dall'Archivio del Reggimento, Volume XII, Partitorum, Parte 
II, a carte 62 retto). 


Documento IV. 
« Die Iovis XVII Iulii MDV. l " 
Inter XIINJam et XVam horam Philippus Beroaldus Vir Doctis- ον μας ΠΡ’ 
simus eloquentissimusque huius amplissimi Senatus Bononiensis Se- 
cretarius, qui de supradictis omnibus Partîtis rogatus fuit die supra- 
scripta fato functus est, et requievit in Domino ». 


(Dall'Archivio del Reggimento, Volume XII, Partitorum, parte 
II, a carte 70 retto). 


APPENDICE XVIII. 


Due lettere di Pandolfo Collenuccio 
a Cesare Nappi. 


( Vedi a pag. 24], nota 3.2) 


Documento I. 

« Ser Caesar mio. Non essendo Vsata nostra Birraria Veder tal 
animali, El me paruto Vedere cose che Vengano de lultime parte 
del India: Et quantuncha armati siano et con li calci et morsi cer- 
chino Impaurirme, Pur attendendo ai ricordi uostri, Li usaro tanta 
dolceza di lacte, che spero farli tornar piaceuoli, facendoli uestir 
di rosso et lauandoli el capo con laceto, non senza laude et bene- 
dictione del paese doue son nati, et del praesentator depsi, Che in 
tucte le sue cose dimostra non hauer men gentileza danimo che 
se hauesse colui per chi ello ha el nome: E pero il rengratiarui 
reputo superfluo, hauendo uuj facto cosa non Insolita a Vostra hu- 
manità; quantuncha mia basseza poco el meriti. Non ui gravarà 
però Iezer questi pochi Versetti: poco maestreuolmente (como con 
celerità ) composti: 


506 MALAGOLA 


Rebus in augustis, Caesar, tua grata Voluntas 
Et fuit, et cancris gratior illa tuis: 

Ergo animus, vires, Pandulphus, quicquid in ipso est 
Cuncta in arbitrio sunt sita nostra tuo. 


El dono, 6} donator tanto se estima, 
Quanto sua virtù merta nel affecto: 
Se bona uoluntà precede prima 
Como per fermo tengo nel concepto: 
Adonqua altro non dica la mia rima, 
Ne uoi che da ti Venga ad altro effecto, 
Se non che dal tuo don, Caesar mio Charo 
D'amarti, et obseruarti sempre Imparo ». 


(Questa lettera si conserva nutografa a carte 273 retto, nel volu- 
me manoscritto, altre volte citato, (vedi a pag. 241 e 242), che ha il 
titolo: « Palladium Eruditum », e che si conserva nella Biblioteca 
della R. Università di Bologna, nell’ Aula dei Manoscritti, sotto il 
numero 52. Sembra che questa lettera alluda a un dono di gambe 
ri, fatta dal Nappi al Collenuccio, ed essa deve esser stata scritta 
fra il 1472 e il 1473, allorchè Pandolfo era Giudice del Podestà 
in Bologna. Nell’ autografo mancano alcune parole che, si leggeva- 
no al basso della carta, e delle quali è rimasto indizio, sebbene la 
carta che le conteneva sia stata tagliata. A carte 200 verso dello stes 
so codice si trova una copia di questa lettera, di mano del Nappi, 
ma neppure in questa leggiamo le parole che contenevansi nel brano 
della lettera autografa del Collennuccio, che fu tagliato). 


Documento II. 

« Pandulphus Collenucius pisaurensis Cesari Napeo suo S. P. 
D. - Amicitiae iniuriam facimus, Caesar, quod literarum mutuam con- 
fabulationem negligimus: me ipsum tamen prius accuso, quod dum 
rebus ipsis beneficijs in me tuis ac beneuolentiae satisfacere me 
posse confido, atque ita expectando cunctandoque verbis etiam parco, 
maius crimen admitto, quum interea neque res, neque verba ex me 
accipis. Postquam igitur culpam meam ingenue fassus sum, tu 
quoque tuam fateri ne dubita: unice enim (si melior es) offitio 
debuisti — (verbis omissis) — Diligentius posthac consuetudinem 


DI A. URCEO CODRO 507 


nostram et Iuratum illad vinculum, uel scribendo vicissim tuea- 
mur: Cuius rej comunem habebimus sponsorem Refrigerium nostrum, 
Amicissimum tuum, et qui me adeo humanitate sua et ingenii boni- 
tate deuinxit, ut nihil magis cupiam quam insignj aliquo beneficio 
hominem afficere, et virtuti suae gratiam referre. Quod si quid ad 
beneuolentiam deerat, accessit quod te mirum in modum amat, ex- 
tollit, praedicat atque ait nullum esse in ea ciuitate hominem quem 
aeque diligat: Laudat quoque ingenium tuum et ad multiplices usus 
dexteritatem ef fidem: Ait quoque quod nunc profanam orationem 
et vulgares rithmos secteris, Et plurima libero homine digna com- 
plectaris. Tametsi maritus sis, et paterfamilias, qua de re mirum 
in modum tibi gratulor atque obsecro ut me quoque studiorum tuo- 
rum participem facias: quo nihil gratius facere poteris. Interea Octa- 
uianum fratrem tibi commendo: Et pro Iure nostrae amicitiae a te 
peto, ut posthac in scribendo diligentior fias. Vale pisauri XVIII 
Martij 1479 ». 

(Dal' codice citato: Palladium Eruditum, a carte 211 verso. Ivi 
questa lettera del Collenuccio non è autografa, sì bene copiata di 
mano di Cesare Nappi, al quale sono da attribuire le parole « verbis 
omissis » riferite più sopra). 

È molto probabile che il Casio, del quale ho parlato a lungo 
nel Capitolo VI, conoscesse Pandolfo Collenuccio nel tempo che 
questi fu giudice in Bologna. Nella Cronica dello stesso Casio (1) 
si legge un tetrastico diretto a Pandolfo Collenuccio: 


« per messer Pandolpho da Pesaro. 
Guida il Fato chi vuol, qual proprio amico, 
Così tira ciascun a suo dispetto, 
Mostro ha Pandolpho da Pesar lo effetto 
Che senza fede andò da lo inimico ». 


E forse il Casio conobbe anche Teofilo Collenuccio, che già 
vedemino essere stato qualche tempo presso il Marchese di Mantova 
in ufficio di Poeta di Corte. Non può negarsi che a lui non si ri- 
ferisca quest'altro tetrastico del Cavalier Casìo: 


(1) Op. cit., a carte 31 verso. 


508 MALAGOLA 


« per M. Theophilo da Pesaro (1) 


Theophilo al Signor Marchese disse 
Gli morti notarò de l'aspra Morte; 
Come volse Fortuna, Inftusso e Sorte 
Sè stesso il primo, et non altri più scrisse (2) ». 


Voglio avvertire che nell’anno scolastico 1477-1478 Ottaviano | 
Collenuccio, poco più sopra ricordato, era scolaro in Arti nello | 
Studio di Bologna, come si apprende dal Rotulo di quell’ anno, che | 
ci mostra avere Ottaviano fatte allora dispute e ripetizioni di Logi- 
ca, essendogli stata concessa una « Lectura Universitatis » di quella 
materia. 


APPENDICE XIX. 


| Documenti 
sul celebre leggista Andrea Barbazza 
Professore nello Studio di Bolugna. 


(Vedi a pag. 252, nota 4.2) 


Documento I. 
« Anno MCCCCXXXVIII die XX Januarij. 

Taxe do- Spectabiles viri domini Reformatores status libertatis Civitatis 
ctorum, ὡς: «2° Bononie habito inter ipsos Colloquio et tractatu de utilitate provi 
tium Bono- dendi circa salaria et provisiones solvendas et dandas per deposita 
MCCCCXXX-rium denariorum solvendorum doctoribus et alijs legentibus actuali- 
VIII. ter in Almo studio Bononiensi, consideratis personis ipsorum do- 

ctorum et legentium deputatorum in ipso studio per rotolum solem- 


pniter factum pro anno presenti MCCCCXXXVIIII, Statuerunt de- 


(1) Nell’ indice della Cronica, questo tetrastico è ricordato come per: < 7'Reo- 
philo da Pesaro poeta », il quale aggiunto conferma sempre maggiormente che 
esso sia stato scritto pel figlio dell’ illustre pesarese. 

(2) Cronica cit., a carte 35 retto. 


DI A. URCEO CODRO 509 


creverunt et tassaverunt salaria infrascripta esse infrascriptis sol- 
venda modo et quantitate inferius declaratis. Et fecerunt ex autori- 
tate et balia eis et ipsoram officio attributa. Et omni meliori via, 
lure, forma et modo quibus magis et melius potuerunt, videlicet Et 
primo 

Tasse et salaria deputata et soluenda doctoribus et legentibus 
in Ture Canonico qui sunt videlicct . de 
Dominus Andreas de Cicilia scolaris in dicto Iure canonico pro le- 
ctura serti et Ciementinarum debet habere pro suo salario libras 
Quinquaginta, videlicet — — — — — — — — L. 50. » 


(Dall’Archivio del Reggimento, volume intitolato: « Reformato- 
rum Decretorum Provvisionum etc. dell’anno 1438 al 1442 », a carte 
21 retto). 


Documento II 

« Eodem die (X octobris MCCCCXXXVIII). 

dispensatus fuit cum domino Andrea de sicilia non obstante 
quod non audiverit decretum possit admitti ad examen non obstan- 
tibus constitutionibus ». 


(Dall’Archivio del Reggimento, « Primus Liber Secretus Iuris 
Pont. ab a. 1377 ad Annum 1528 », a carte 72 verso). 


Documento III. 
« Die Sabbatj decimo octobris (1439) 


° * dispensatio 
Ft in | predicta die loco et hora predictis pa existentibus congrega- domini An- 
tis collegialiter dictis collegii suprascripti doctoribus, Comparnit cilia. 
coram eis Dominus Andreas . . de Scicilia, scolaris Bononie 
studens et supplicavit ut latins in Registro; et supplicato obtinuit 
et Impetravit quod posito partito et iuxta morem sit cum eo dispen- 
satus supra eo quod non studuit per quinquennium neque audiuit de- 
cretum per annum Et quod predictis non obstantibus constitutioni- 


bus collegi) etc. » 


(Dall’ Archivio del Reggimento, volume intitolato: « Acta Coll. 
Iuris Pont. a die 17 oct. 1431 ad diem 20 iuli; 1448, A. N° 1,» 
a carte 67 retto). 


510 MALAGOLA 


Documento IV. 
« Die XIII octobris (MCCCCXXXVIIII). 
d. Andreas de sicilia Subiit priuatum examen et singularissime 
Di cAndreas se habuit et illico finito examine Recepit publicum (examen), et do- 
minus Batista de sancto petro solus ipsum presentauit et insignia 
doctoralia Sibj dedit. » 


(Dall’Archivio del Reggimento « Primus Liber Secretus Iuris 
Pont. ab. a. 1377 ad Annum 1528 », a carte 72 verso), 


Documento V. 
« Die Mercurij quartodecimo mensis octobris (1439). 
Examen di- Congregatus fuit dictum collegium more solito In cuius congre 
cti d. Andree gatione Interfuerunt Illimet doctores qui etiam fuerunt in proximo 
δα ἐκείκαΐας partito congregati. Et in dicta congregatione facta fuit Examinatio 
rum. priuata in Iure canonico de domino Andrea ....... de scicilia 
promoto seu presentato per dictum dominum Baptistam de sancto 
petro; qua examinatio expedita, dictus dominus Andreas fuit ab omni 
bus benemerito et laudabiliter approbatus et ita relatum domino Vi- 
cario Archidiaconj more solito, et fuit dominus Andreas predictus 
pro viro memorie singularis et studiosissimo iis collaudatum. Qui 
vicarius Ibidem in dicta sagrestia, Electa pro loco ydoneo, atque tam 
per doctores quam per vicarium Archidiaconj eum doctorem consti- 
tuit. Et post hoc obtinuit dictus dominus Andreas doctoratus insi- 
gnia sibj darj etc. et sic sibj data fuerunt per dictum dominum Ba- 
ptistam et deinde fuit collegialiter In signum sue singularis virtutis 
usque ad domum sue habitationis solegniter conductus ». 


(Dall’Archivio del Reggimento, volume intitolato « Acta Col. Iur. 
Pont. a die 17 oct. 1431 ad diem 20 iulij 1448 - A. N° 1,» 8 
carte 67 retto). 


Documento VI. 

« Die XXIII decembris (1439). 

D. Andreas de Scicilia, qui tempore meo recepit gradum, soluit 
pecunias debitas doctoribus collegij quas tempore assumptionis gra- 
dus non soluit propter dillationem sibi factam a collegio usque ad 


DI A. URCEO CODRO 511 


festum natiuitatis domini nostri yesu christi, et ego (1) incontinenti 
feci fieri distributio per Bidellum dictj collegij secundum quod est 
de more fieri, et pro eo fideiussat Ruffinus domini Guasparis de Ra- 
gatia, et hic fuit finis prioratus mei. laus deo ». 


(Dall’ Archivio del Reggimento, « Primus Liber Secretus Iuris 
Pont, ab a. 1377 ad Annum 1528 », a carte 73 retto). 


Documento VII. 

« In Nomine Dominj nostri Hiesu Christi Amen. Anno nativita. Tasse docto- 

tis einsdem Millesimo quadringentesimo quadragesimo Indictione ter- rum Legen- 
cia: hec Infrascripte sunt Taxe et salaria deputate doctoribus et Him 1a Stu- 
8115 In Excelleriti Studio Bononie legentibus et qui legerunt anno Riensi. 
proxime decurso, et pro eorum et eorum cuiuslibet salario sue let- 
ture (sic) Annj suprascripti, Incepti die sancti Luce proxime preteriti, 
Et ut sequetur finiendj), ab assumptis et deputatis per Magnificos 
dominos dominos Antianos Consules et verxilliferum Iusticie populi 
et Comunis Bononie, dominum Iacobum piccininum Vicecomitem, 
Bononie Locumtenens, et dominum Ceruattum de Siccis et dominos 
Vezilliferos et Massarios Artium populi et Comunis predicti, nec 
non per dominos Sexdecim Reformatores Status Libertatis dicte ci- 
uitatis: ad id ea et alia potestatem habentes: Vigore potestatis Ar- 
bitrij et bailie eis In effectu concessorum per generale consilium 
Sexcentoram populi et comunis Bononie de quibus constat publicis 
scripturis rogatis et publicatis manu ser Nicolaj Bedoris notarij et 
cancellarij Comunis Bononie. Que salaria et tasse cuilibet Infrascri- 
ptorum eximiorum doctorum et aliorum legentium per depositarium 
prelibatorum debitis temporibus et usitatis singulis singulatim et de 
per se prout Infra cum suis summis sibi signatis solui decreuerunt 
tassauerunt et statuerunt et mandauerunt pro eorum et cuiuslibet 
eorum salario tasse et labore lecturarum ‘suarum Annj proximi, supe- 
rius descripti. Et primo 

Pro Tassis Lecturarum et salariorum Iuris Canonicj 


Dominus Andreas de Sicilia libras ducentas — — — L. 200.» 
(1) Questo documento fu scritto da Bartolomeo Lambertini, dottore in ambo 


le Leggi e Priore del Collegio Bolognese di Diritto Canonico nel II.° semestre del- 
l'anno 1439. 


Distributio 
dominorum 
doctorum et 
legentium. 


vide pro sup- 
plicationibus 
et mandatis 
istorum qui- 
bus addite 
sunt summe 
in filo annj 
1442 


d. Andree 
Barbatij. 


512 MALAGOLA 


(Dall’Archivio del Reggimento, volume che s'intitola « Refor- 
mationum Decretorum Prouisionum Mandatorum » dal 1438 al 1442, 
a carte 6] retto). 


Documento VIII. 

« Ceruattus Siccus locumtenens, Sedecim Reformatores status etc. 

Mandamus tibi Virgilio de Malvitijs depositario introituum domi- 
norum doctorum et aliorum omnium quj legerunt in almo studio 
nostro Bononie annj dominj McccoxL quatenus de introitibus depo- 
sitarie predicte tam annj predictj quam presentis, des et soluas cum 
effectu infrascriptis omnibus ut infra distincte designatis de per se 
omnes et singulas infrascriptas pecuniarum summas et quantitates 
cum detractionibus consuetis et sine aspectatione alterius nostrj man- 
datj; quas pecuniarum quantitates et summas infrascriptis darj et 
soluj Volumus uti sigillatim infra segnate sunt, pro dictorum docto- 
rum et aliorum legentium lectura et labore ac salario earumdem le 
cturarum annj proxime elapsi supradictj, quas lecturas et lectura- 
rum salaria sic ut particulariter inferius signatum est presentis no- 
strj mandatj auctoritate, arbitrio et balia nostris, et ex certa no- 
stra scientia tassamus, reducimus et limitamus, non obstante qui- 
buscumque quibus omnibus pro hac tum vice derogamus; Et primo 

Pro lecturis Iuris canonicj . 


dominus Andreas de Sicilia libras ducentas bononenorum — L. 900». 

(Dall’Archivio del Reggimento, volume intitolato: « Refbrmatio- 
num Decretorum Prouisionum Mandatorum » dal 1438 al 1442, 
a carte 144 verso). 


Documento IX. 
« Bissarion Cardinalis ) Bononie 
Tusculanus etc. Legatus. 

Iustis et rationalibus causis nostram ad hoc autoritatem moven- 
tibus, Licentiam damus et concedimus per presentes famosissimo luris 
utriusque doctori d. Andree Barbatio eundi per civitatem Bononie 
et eius comitatum cum decem socijs sive famulis cuiuscumque con- 
ditionis existant, et quibusuis nominibus nuncupentur et de die et 
de nocte cum armis quibuslibet tam offensibilibus quam defensibili- 
bus, tute, libere et impune omni prorsus reali et personali molestia. 


DI A. URCEO CODRO 513 


ac Impedimento cessantibus, Statutis prouisionibus cridis ceterisque 
in contrarium quolibet facientibus non obstante. Mandantes domino 
potestati Civitatis bononie ceterisque Rectoribus et officialibus ac 
alijs quibuscumque ad quos spectat uel quovismodo spectabit in fu- 
turum, tam in Civitate bononie quam eius comitatu constitutis et 
constituendis, quatenus hanc nostram Licentiam ad nostrum benepla- 
citam duraturam obseruent ac faciant ab omnibus inuiolabiliter ob- 
servari Sub nostre Indignationis Incursu. Quam licentiam et locum 
et effectam habere volumus in et pro quotcumque socijs uel famulis, 
quos, ultra supradictos decem, secum ducere uoluerit; et que Licentia 
nunquam reuocari poesit occasione aliqua prouisionum seu cridarum 
in futurum in contrarium faciendarum: nisi de ea spetialis et expres- 
sa fiat mentio. 

Datum bononie In palatio nostre residentie die 7.° octobris 
M.CCCCLEI. 

Io. Caballinus ». 


(Dall’Archivio del Reggimento, nel Registrum Dominorum XVI, 
dal 1450 al 1454, a carte 117 rerso). 


Documento X. 
« Die XVI Augusti 1458. 
Congregatis etc. . . 


Primo obtentum fuit per XI fabas albas et duas nigras quod do- r 


mini Reformatores studij Bononie annj presentis babeant potestatem 
conducendi, et sic eis plenariam facultatem dederunt, conducendi do- 
minum Andream barbatiam de Sicilia ad lecturam iuris in dicto 
studio Bononie pro tempore beneplacito Regiminum Bononiensium, 
inchoando in anno proxime futuro 1459, cum salario librarum mille 
ducentarum bononenorum sibj singulo anno soluendarum cum hoc 
quod ultra dictas mille ducentas libras bononenorum maius salarium 
nullo unquam tempore ab dictis Regiminibus petere possit, donec 
permanebit ad seruitia Comunitatis Bononie; de qua conductione cum 
suprascripta conuentione dicti Reformatores fieri faciant publicum 
Instrumentum. Et hoc ne dictus dominus Andreas causam habeat 
discedendi a civitate Bononie; videlicet — — — —L. 1200.» 


(Dall’Archivio del Reggimento, Vol. III Partitorum, a carte 72 
verso e 73 retto). 
33 


514 MALAGOLA 


Documento XI. 
Barba ee « Die XVI aprilis 1461. 
° Congregatis etc. . . . ...... 

Item obtentum fuit per XV fabas albas et unam nigram quod Vir- 
gilius de Maluitijs rationem uwidere debeat domini Andree barbatij 
de eius salario annj presentis pro eo tempore quo legeret, incipiendo 
de mense octobris anni prorime elapsi usque in presentem mensem 
ad rationem librarum duorum milium bononenorum in anno. Cuj 
domino Andree dictus Virgilius integre soluere debeat quicquid do- 
minus andreas predictus restabit habere occasione predicta pro dicto 
tempore. Et successiue pro futuris temporibus, donec dictus d. An- 
dreas leget in Studio Bononie, dictus Virgilius teneatur omnj mense 
soluere dicto domino Andree libras centum bononenorum pro eius 
duodecima parte cuiuslibet annj, ad rationem librarum 120 bonone- 
norum pro singulo anno ». 


(Dall’Archivio del Reggimento, Volume IV Partitorum, a carte 
114 verso e 115 retto). 


Documento XII. 
« Die XVIII martij 1465. 
Congregatis ete. o... LL 0 
Confirmatio Per Duodecim fabasa albas et quatuor nigras confirmauerunt resti- 
reetitationis tutionem factam de Domino Andrea Barbatia aduersus omnia tem- 
Andrea Par. pora elapsa in accusatione facta per eum contra Antonium lacobi, 
sa cum Anto- Petrum Zaniboni, Christophorum Enrici, et Siluestrum Lamberti, 
nio ot vit ria habitatores S. Aghathae, coram D. Iudice Vrsi pro damno sibi per 
eos dato, prohut in signatura constat Reu.mi Ὁ, Legati, facta sub Die 


ultima Februarij proxime preteriti ». 


( Dall’ Archivio del Reggimento, volume V Partitorum, a carte 
178 retto e verso). 


Documento XIII. 
« Die X maij 1465. 
Congregatis οἷς. o... 


DI A. URCEO CODRO 515 


Item, ut supra, obtentum fuit quod infrascriptis Doctoribus Priuile- simile pro Do- 
giatis, uidelicet Domino Andréae Barbazza, D. Antonio de Pratoue- Cio ας suo 
teri, D. Alexandro de Imola (de Tartagnis), Magistro Bauerio (de Mera 
Bonittis) Magistro Petro de Verona, et D. Vincentio de Paliottis, 
si personaliter legent, eorum Decreta integre seruentur, ipsis actua- 
liter ac personaliter, et non per substitutum, legentibus; Et quod, 
his exceptis, reliquis doctoribus legentibus personaliter, et non per 
substitutum, eorum salaria solui debeant ad rationem solidorum pro 
libra secundum eorum taras singulo Anno faciendas per Rev.mum 
D. Legatum et dictos Dominos Sexdecim; decernentes ex nunc ut 
de caetero inchoando ut supra introitus dicti Datij Mercationum in 
nulla alia re conuerti debeant preter quam in solutionibus Docto- 


rum, ut supra, actualiter legentium in Studio Bononie ». 


( Dall’Archivio del Reggimento, volume V Partitorum, a carte 
205 verso e 206 retto). 


Documento XIV. 

« Die X februarij 1468. 

Congregatis etc. . . 
Item obtentum fuit per omnes fabas albas quod doctoribus et alijs ἃ. Andres 
legentibus in Studio Bononie soluantur pro rata secundum quod in Datore M. 
quadam distributione continetur (subscripta manu prefatj domini lo- Pe della 
cumtenentis, quod est in filo exceptarum) domino Andree barbatie, Francisci de 
magistro Bauerie, domino paulo della Volta et magistro francisco PF" 
de parma medico capitum quibus et eorum cuilibet de suis salarijs 
integre satisfierj debeat ». 


(Dall'Archivio del Reggimento, volume VI Partitorum, a carte 
112 retto). 


Documento XV. 

« Die XXIII. Maij 1475. 

Congregatis etc. . 
Item precibus d. Andree Barbatie per omnes fabas albas inter eos Exemptio pro 
obtentum fuit quod colonj et laboratores possessionum dicti d. Andree colonis domi- 


. . . et . , . ni And 
eristentium in terra Panici, comitatus Bononie, presentes et futuri Barbatij. ὧδ 


516 MALAGOLA 


grauarj et molestarj nullo modo possint pro debitis comunibus nisi 
pro rata sua et latius prout in decreto; Non obstante consuetudine 
et alijs in contrarium facientibus, et eo modo quo concessum fuit 
d. Nicolao de Sanutis ». 


(Dall'Archivio del Reggimento, volume VIII Partitorum, a carte 
26 verso). 


Documento XVI. 
« Die Quinto Martij 1478. 
Congregatis etc. . . 
D. Andreae Primo per omnes fabas albas obtentum fuit Quod Domino Andree 
Barbatie cuj Barbatie soluantur libre Ducente bononenorum propter Ius ciuile 
sunt consti- 
tute libre 200 quod legit; videlicet — — — — — — — — — L. 200 >». 
ro lectione 
uris Civilis. . . , 
(Dall’Archivio del Reggimento, volume VIII Parktorum, a carte 
133 retto). 


Documento XVII. 

« 1479. 

Murj el famosissimo dotore et chaualiero Messer Andrea Barba- 

M. Andrea za de zizilia, zitadino de Bologna, el quale lasò molte chose preciose 
barbazza. . . . 

de lui et per la soe virtu; ebe per dona la magnifica Madona mar- 
garita del Magnificg Meser Romeo de pepuli de la quale lasò tri 
figlioli mastej, zoe zoane Romeo, Maestro Bartolomeo, bennedeto; doe 
figliole, una moglie del magnifico Zoane francesco aldrouandi e una 
moglie del magnifico Meser zesaro de valentini de modena dotore 
e chavaglier ». 


( Dalla Cronaca ms. in tre volumi, attribuita a Fileno Dalle 
Tuatte, la quale si conserva nella Biblioteca della R.® Università di 
Bologna, Volume II, a carte 349 verso). 


Documento XVIII. 
« Die vigesimo Septembris 1479. 
Congregatis etc. . <a 
heredum olim Item per omnes fabas albas obtentum fuit, quod pecunie, que de- 
d nad bentur heredibus dominj Andree Barbacie, hoc anno defunti, ratione 


DI A. URCEO CODRO 517 


residuj salarij eius lecture super gabella grossa Ciuitatis Bononie, 
non soluantur hoc anno, sed illarum medietas in prima distributione 
Doctorum facienda de anno 1480, et alia medietas in prima solutio- 
ne annj 1481 soluatur. 


(Dall'Archivio del Reggimento, volume VIII Partitorum, a carte 
188 retto). 


Documento XIX. 
« Die XXII Junij 1489. 
Congregatis etc. . 

Cum filij et heredes erimij Juris utriusque Doctoris Domini Andree Filiorum Ὁ. 
Barbatie proposuerint reficere et reedificare hospicium suum ad In- bdo pro ros. 
signe capellj, positum In ciuitate Bononie apud habitationem et do- dificando ho- 

. . ΜΝ ‘ . spicio suo ad 
mum residentie officialium Bullettarum et procurationum forensium, Insigne ca- 
per omnes fabas albas obtentum fuit quod ipsi heredes prefati Ὁο- β 1} apud 
minj Andree edificare possint super introitu et super mansione re- ficialium Bul- 
sidentie predictorum officialium Bullettarum Comunis Bononie a tecto 
predicti Introitus, et mansionis antedicte superius ad eam altitudinem 
que videbitur Reu.do domino Locumtenenti, Magnifico Domino Ve- 
xillifero Insticie pro tempore, Domino Andree de Gratis, Domino 
Hieronymo de Ranutijs, Domino Bonifacio de Cataneis, et Mino de 
Rubeis coniunctim, et nullo eorum discrepante, cum ea tum lege et 
condicione quod heredes predicti teneantur relinquere Camere Bono. 
niensi totum edificium predictum quod per eos constructum fuit 
super introitu et mansione officialium predictorum, si Camera ipsa 
soluere uoluerit totam impensam, que facta fuit super ea parte, que 
comprebenditur super introitu et mansione antedictis ». 


(Dall’ Archivio del Reggimento, volume X Partitorum, a carte 
342 retto e verso). 


518 MALAGOLA 


APPENDICE XX. 


Lettera di Filippo Beroaldo iuniore 
a Lorenzo de’ Medici. 


(Vedi a pag. 292, nota 2.2) 


« Illustrissime et Excellentissime Domine, Domine obseruandis- 
sime. La Santità di Nostro Signore, essendo certificata che la bona 
memoria di Messer Angelo Politiano mentre visse corresse li soi 
testi di rasone civile da le Pandette di Iustiniano le quale cam mol- 
ta veneratione costlì si serbano, harebbe voluntà vedere detti testi 
di messer Angelo. Il che ne scriue per soi brevi a Uostra Excellen- 
tia et a quella Illustrissima Signoria. Sua Santità me ha commesso 
ne scriua anchor io a quella, et significarli come tali libri, secondo 
ha inteso, sono nel palazo de la Signoria et debbeno essere tre vo- 
lumi anci quatro cum la Istituta. Pertanto Vostra Excellentia, la 
quale solum studia in fare cosa grata a Nostro Signore, commette 
rà siano cercati detti libri et li mandarà a Sua Santità, et me haurà 
per suo seruo racomandato. Rome 29 Junii 1515. 

E. V. Excellentie 

Humillimus servitor 
Philippus Beroaldus ». 


(A tergo) « Illustrissimo et Excellentissimo Domino Laurentio 
Medici Reipublice Florentine Capitaneo Generali, Domino Obseruan- 
dissimo ». 


(Dall'Archivio di Stato di Firenze - Archivio Mediceo avanti il 
principato, filza 123, a carte 168). 


DI A. URCEO CODRO 519 


APPENDICE XXI. 


Documenti 
intorno Luca Watzelrode 
zio e protettore di Nicolò Copernico. 


(Vedi a pag. 310, nota 3.8 e 3.8 e a pag. 311, nota 1.8 e 4.) 


Documento I. 
« 1470. 

Anno a natiuitate domini M.° CCCC.°LXX.°, die vero sexta Mensis 
Ianuarij, qua erat festum Epiphanie domini, Ponteficatus Sanctissimi 
in christo patris et domini nostri domini pauli diuina prouidencia 
pape secundi anno eius Sexto, Inclita natione Nobilium ac Venerabi- 
lium Virorum dominorum theotunicorum in Vtroque Jure scolarium 
in hac regia.vrbe Bononie in ecclesia sancti fidriani (sic) extra por- 
tam sancti mamme, ut moris est, congregata, omnes dicte nacionis 
scolares concorditer nos Vlricum friesum de augusta et Liborium de 
slieuen uiros in vtroque iure scolares in suos elegerunt procuratores, 
secundum formam ac ritum statutorum nostrorum 

Recepta 

A Magistro Luca wassenrode (sic) de thorn (l) 

decem solidos >». 

(Dall’Archivio privato dei Conti Malvezzi de’ Medici in Bologna 
- Annales Clarissimae Nacionis Germanorem - a carte 114 verso). 


Documento 17. . 

« Anno Domini M.CCCC.LKX. Spectabilibus Dominis Vilrico 
Friess de Augusta. et Liborio de Schliben electis procuratoribus, in 
Catalogum cooptati sunt 


(1) Di fianco a questo nome stanno rozzamente disegnati una mitra ed un pa- 
storale, e sotto, di altro carattere, è scritto: 
« Qui postea factus est Episcopus Warmiensis. » 


520 MALAGOLA 


D. Magister Lucas Vuasserodt (sic) de Torn bononenos decem. 
(Dall’Archivio privato dei Conti Malvezzi de’ Medici in Bologna 
- Matricola nobiliss. germ. collegii - a carte 64 verso). 


Documento III. 

« 1472. 

Anno domini 1472, die sexta mensis Januarij, qua erat festum 
epifanie (sic) domini, pontificatus sanctissimi in cristo patris et domini 
domini sixti quarti, diuina prouidentia pape quarti, anno eius primo. 
Congregata inclita nacione dominorum theotonicorum in vtroque 
Jure scolarium bononie studencium in eclesia sancti fidriani (sic) extra 
portas bononie, ut moris est, elegerunt concorditer nemine discrepante 
in suos procuratores nos bussonem drakenstet de hallis de saxonia 
et lucam waczenrod de thorun de prusia, quod officium acceptaui- 
mus secundum statutorum nostre nacionis tenorem.... >» 


(Dall’Archivio privato dei Conti Malvezzi de' Medîci - Annales 
Clarissimae Nacionis Germanorom, a carte 116 retto). 


Documento IV. 

« Anno Domini M.CCCC.LXXII. 

Egregiis Dominis Bussone Drackenstett de Hallis de Saxonia 
et Luca Vuassenrode de Thorn de Prussia electis procuratoribus, 


albo ascripti sunt 
. >». 


(Dall'Archivio privato dei Conti Malvezzi de’ Medici - Matricola 
nobiliss. germ. collegit, a carte 65 retto). 


Documento V. 
Nel Rotulo del 1473-1474 si legge: 


« . Φ . . Φ . Φ . Φ . . 8 . ° e . . . “ 
Lecture Uniuersitatis 


Ad Lecturam Decreti ordinariam 
Ὦ. Andreas .... de Imola 
Ad Lecturam Decreti extraordinariam 
D. Lucas de theronia de Prusia 


DI A. URCEO CODRO 521 


Ad Lecturam Sexti et clementinarum 
D. Franciscus de husca de hispania 
Ad Lecturam digesti noui vel inforciati ordinariam 
D. Ioannes Seborch de Saxonia 
Ad lecturam digesti noui vel inforciati extraordinariam 
D, Balthassar della Latta de Parma 
Ad lecturam voluminis 
D. Iacobus..... (sic) 


Bononie Die undecimo mensis septembris MCCCCLXXIII ». 


(Dall'Archivio Notarile di Bologna - Rotul degli Artisti, volume 
primo ). 


Documento VI. 

« Die XV decembris (1473). 

Dominus lucachas (sic) quondam alterius luce de torronia dioce- 
sis Credinensis (sic) constituit me (Antonium de Sancio Petro, priorem) 
suum procuratorem ad exigendum pecunias sue lecture prout in in- 
strumento rogato per notarium nostri collegii continetur ». 


Dall’Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus Jur. Pont. 
ab Anno 1377 ad Annum 1528 - a carte 134 verso). 


Documento VII. 

« Dicto die (XV decembris a. 1473). 

Dietas dominus luchas obligauit se de soluendo infra tempus 
quatuor mensium pecunias debitas doctoribus pro examine et con- 
uentu, et deponere unam cassam librorum suorum penes ». 


(Dall'Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus Jur. 
Pont. ab Anno 1377 ad Annum 1528 - a carte 134 verso). 


Documento VIII. 

« Die XVIII decembris. 

Examinatus et conuentuatus fuit dictus dominus Lucas presen- 
tatus per dominum Bartolomeum de lambertinis et dominum Ioannem 
de sala et me (Antonium de Sancio Petro) et fuit aprobatus nemine 
discrepante, et ego dedi insignia doctoratus ». 


(Dall’Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus Jur. Pont. 
ab Anno 1377 ad Annum 1528 - a carte 134 verso). 


ALE “ὦ. 2A e —_ n n° 


—. 2 ® - re Sk — sir LL “α΄ a e. _ 


522 MALAGOLA 


Documento IX. 

« Die quintodecimo decembris 1473. 

D. Lucas quondam alterius luce de Torronia, diocesis colmensis, 
scholarus studens in Jure canonico, Sponte etc. constituit Eximium 
Juris vtriusque doctorem dominum Antonium de Sancto Petro, tunc 
. Ibidem presentem et acceptantem specialiter et expresse, Ad pro 
ipso constituente et eius nomine Exigendum, recipiendum seu con- 
sequendum ἃ depositario pecuniarum d. doctorum et aliorum legen- 
tium In studio Bononie Salarium et omnes et quascumque pecunias 
ipsi constituentj debitas pro una lectura quam ipse constituens de 
Anno.... (sic) habuit in studio Bononie, et ad faciendum et exercendum 
omnia et singula que pro dicta facienda exactione pro consequutione 
dictarum pecuniarum neccessaria fuerint, utilia vel opportuna, Cum 
potestate quietandj omnes et quoscumque Soluentes ete., in plena 
forma promittens Dictus Constituens firma et rata habere sub ipsius 
- constituentis hypotheca et obligatione bonorum 

Actum ut in proxime ᾿ 

Eiusdem millesimo etc. prefatus dominus Antonius promisit mihi 
notario infrascripto ut et tamquam predicte persone stipulantj, vice 
et nomine dictorum dominorum Collegij et doctorum, soluere eisdem 
saltem infra quattuor menses proxime futuros salarium et stipen- 
dium eisdem debitum pro examine et conuentu dicti domini luce in 
forma plenissima. 

Eisdem millesimo etc. 

Prefatus D. Lucas, Sciens et cognoscens prout ad instantiam di- 
ceti domini Antonij pro ipso domino luca fecisse et soluisse expensam 
debitam domino Archidiacono pro examine et conuentu dicti domini 
luce, et etiam promisisse mihi notario etc. stipulantj vice et nomine 
dictorum Dominorum Collegij et doctorum, promisisse infra quattuor 
menses prorime futuros salarium seu stipendium pro examine et 
conventu ipsius domini luce Jn Jure Canonico, Cuj erxaminj Idem 
dominus lucas dixit velle se subijcere die sabbatj proxime futura, 
et que expensa ascendit ad summam librarum.... (sic). 

Et ob id se dominum lucam Si et causa quo contingerit pre- 
fatum dominum Antonium non posse saltem infra quattuor menses 
proxime futuros exigere et habere dictas pecunias, tenerj et obli- 
gatum esse ad dandum et soluendum dicto domino Antonio dictam 
pecuniarum Summam, et hoc saltem in fine dictorum quattuor men- 
sium; Et pro maiori ipsius domini Antonij cautione Jdem dominus 


DI A. URCRO CODRO 523 


Lucas promisit dieto domino Antonio presenti et stipulantj depone- 
re penes ipsum dominum Antonium unam cistam plenam libris ipsius 
domini luce, sigillandam et retinendam per ipsum dominum Anto- 
nium In depositum, donec et quousque ipsi domino Antonio Jntegre 
sit solutum de dicta pecuniarum summa; Obligans Idem dominus 
Lucas se ad predicta omnia et singula in forma pleniorj camere 
apostolice etc. 

Acta fuerunt predicta Bononie in sacristia parua ecclesie cathe- 
dralis, presentibus Reverendo priore domino ludouico de ludouisijs 
archidiacono Bononie, domino Bertholomeo de lambertinis Juris utri- 
usque doctore, Christophoro quondam M. Ioannis cive Bononiensi 
bidello dicti collegij, et domino Ioanne Bernardinj de Ciuitate penne 
In Aprucio scholare studente Bononie Jn Jure canonico, qui dixerunt 
etc., testibus etc. 

Et qui dominus lacas etiam tunc Ibidem Iuravit non esse con- 
tra collegium vel singulares de collegio. 


(Dall’Archivio del Reggimento di Bologna (Sala della Gabella 
Grossa) - Acta (Collegij) iuris Pontificij a die 15 Februarij 1473 ad 
diem 13 Augusti 1498 - a carte 13 verso e 14 retto non num.). 


Documento X. 

« Die decimo octavo decembris 1473. 

Congregato dicto Collegio, In cuius congregatione Interfuerunt 
dominus Antonius de Sanctopetro prior, dominus Bartholomeus de 
lambertiris, dominus ludouicus de muzolis, dominus marcus de muzo- 
lis, dominus Ioannes de sala et dominus philippus de Sanctopetro. 

Et etiam Interfuerunt dominus ludouicus domini Bornij de Sala, 
dominus ludouicus de Sanctopetro, dominus Baldassar de mantechi- 
tis et dominus Gaspar de caldarinis, doctores deputatj loco absen- 
tium; et etiam interfuit dominus Gaspar de sala vnus ex supranu- 
merariis doctoribus dicti collegij et assistente dicto Collegio vene- 
rabili decretorum doctore domino Andromacho de milanis vicario 
Reverendi domini ludouici de ludouisiis archidiaconj Bononiensis, 
fuit in dicto collegio dominus Lucas quondam alterius luce de Tor- 
ronia, Diocesis colmensis, scholaris Juris canonici presentatus per di- 
ctos dominum Antonium de Sanctopetro, dominum Bartolomeum lam- 
bertinum et dominum Joannem de sala, Et examinatus ita et taliter 
se babuit, quod fuit approbatus nemine discrepante, et ita relatum 


Examen 
et conuentus 
domini luce 
de Turronia. 


524 MALAGOLA 
dicto domino vicario, qui eum graduauit Jn Jure canonico et οἱ] 
domino luce prefatus dominus Antonius de Sanctopetro dedit Insi- 
gnia ad laudem dej. » 


(Dall'Archivio del Reggimento - Acta (Collegij) Zuris Pontificij 
a die 15 Februarij 1473 ad diem 13 Augusti 1498 - a carte 14 verso | 
non num.). 


APPENDICE XXII. 


Documenti 
riguardanti i Canonici ed i sacerdoti Warmiensi 
iscritti nella Nazione Allemanna sino al 1500. 


(Vedi a pag. 312, nota 1.3) 


Di Arnoldo da Ragiten. 


Documento I. 
1374. 
Recepta pyo contribucionibus 
Primo a domino Arnoldo de Ragiten Canonico Ecclesie Warmiensis 
ac rectore parochialis ecclesie in Barthenstein, liceutiato in lure 
Canonico, pro augumento reddituum dicte parochie, solidos XIII » 


(Dall’Archivio Malvezzi de'Medici - Annales Clariss. Nac. Germ., 
a carte 71 retto). 


Documento II. 

« Anno Domini M.CCC.LXXIHI. .. . .... 

Dominus Arnoldus de Ragiten, Canonicus ecclesiae Vuarmiensis 
et rector Parrochialis ecclesiae in Barchenstein (sic) bononenos tre- 
decim. » 


( Dall’ Archivio Malvezzi de’ Medici - Matricula Nobiliss. Germ. 
Coll., a carte 52 verso e 53 retto). 


DI A. URCEO CODRO ‘ 525 


Documento III 

« Anno domini M.CCC.LXXV. Racio do(mini Arnoldi de Ragi- 
ten Canonici Ecclesie Warmiensis) Rectoris parochialis Ecclesie in. 
Barthenstein, licentiati in Jure Canonico, Et Iohannis de Witzenhu- 
sen Canonici Ecclesie Sancte Marie Erfordensis, Maguntinensis dioce- 
sis, procuratorum anni supradicti..... » 


(Annales, a carte 72 retto). 


Documento IV. 
« Anno Domini M.CCC.LXXV. Venerabilibus DD. Arnoldo de 


Ragiten Canonico ecclesiae Vuarmiensis et rectore ecclesiae parrochia, 
lis in Barthenstein, et Ioanne de Vuitzenhusen Canonico ecclesiae 


sanctae Mariae Erfordiensia, Moguntinensis diocesis, electis procura- 
toribus, in catalogum cooptati sunt.... » 


(Matricula, a carte 53 retto). 


Di Nicolò Crutzburg. 


Documento Y. 
1374. 
Recepta pro contribucionibus. 


Item a domino Nicolao "Crutzbarg. vicario perpetuo Ecclesie War 
miensis -- — -- — — _— — _ —. -- solidos XIIII. » 


(Arinales, a carte 71 retto). 


Documento VI. 

« Arno Domini M.CCC.LXXIIII. 

D. Nicolaus Crutzburger Vicarius Perpetuus ecclesiae Vuarmien- 
sis bononenos quattuordecim. » 


(Matricula, a carte 52 verso e 53 retto). 


526 MALAGOLA 


Di Enrico Rouer. 
Documento VII. 
᾿ « e» « °°. 
1375. 
Recepta. 
Item dominus henricus Rouer Canonicus Warmiensis et rector 
parochialis Ecclesie in Musedorf contribuit — — solidos XX.» 


(Annales, a carte 72 retto). 


Documento VIII. 
« Anno Domini M. CCC.LXXV. ΝΥΝ ΞΕ 
D. Heinricus Rouer Canonicus Vuarmiensis, et Rector ecclesiae 
in Musedorf. libram unam. » 


( Matricula, a carte 53 retto). 


Documento IX. 
« 1376. 

Anno domini M.coc.lxxvi die XXV mensis Aprilis, Congregata 
tota nacione nostra,..... elegerunt et substituerunt antiquiìs pro- 
curatoribus ..... nos henricum Rouer canonicum ecclesie Warmien- 
sis, rectorem parochialem ecclesie in Musedorf, et Iohannem Revter 
de Salzeburga .... in procuratores.... » 


(Annales, a carte 72 verso). 


Documento X. 

« Anno Domini M.CCC.LXXVI. Generoso Dominb Gotfrido de 
Hohenloch de Brunnegh Maguntinensis, Treuirensis, et Herbipolensis 
ecclesiarum canonico, et Cunrado de Linden pastore parrochialis 
ecclesiae in Bassenheim electis, et D. Henrico Rouer Canonico ec- 
clesiae Vuarimensis (sic) et Rectore ecclesiae in Musedorf, et Joanne 
Reuter de Saltzburga, rectore ecclesiae parrochialis in Castuna, sub- 
stitutis procuratoribus, ini Matriculam inscripti sunt.... » 


(Matricula, a carte 53 retto). 


————————————— 


DI A. URCEO CODRO 527 


Di Vernero Dulmen. 
Documento XI. 


« Anno Domini M.coc.lxxx1. . . n 0. 
Item a domino Wernhero dulmen de Elbingo, vicario > ecelesie 
Warmiensis XX solidos >». 


(Annales, a carte 76 verso). 


Documento XII. 
« Aono Domini M.CCC.LXXXI. . 
D. Vuernerus Dulmen de Elbingo Vicarius ecclesiae Vuarmiensis 
libram unam. » 


(Matricula, a carte 54 retto). 


Di Erasmo de Beke. 


Documento XIII. 
« 1412. 


Recepta. 
Item recepimus ab Erasmo de prussia magistro in artibus XX 
solidos. » 
(Annales, a carte 92 retto). 


Documento XIV. 
« Anno Domini M.CCCC.XII. 
D. Erasmus de Prussia magister Artium libram unam. > 


(Matricula, a carte 57 retto). 


Documento XV. 
« 1420. 

« Anno domini M.CCCC.XX. In die ephiphanie congregata na- 
cione dominorum theutunicorum In Iure Canonico et ciuili Bononie 
studencium ...... elegerunt, nemine discrepante, In procuratores 
dominum degenardum salchingum Canonicum ecclesie mossuagnensis 
et me Erasmum de beke magistrum in artibus et canonicum War- 
miensem, scolares In Iure Canonico..... » 


(Annales, a carte 95 retto). 


528 MALAGOLA 


Documento XVI. 

« Anno Domini M.CCCC.XX. Eruditis Dominis Degenardo Sal- 
ching et Erasmo de Beke magister artium et canonico Vuarmiensi 
electis procuratoribus, in Matriculam inscripti sunt.... » 


(Matricula, a carte 58 retto). 


Documento XVII. 

« Die XXV Junij (1422) d. Erasmus Johannis de Bech de Ala- 
mania, subiectus fuit priuato examinj et presentatus per d. florianum 
de sancto petro, d. Chilinum de Argile et me (Zohannem de Calda 
rinis, priorem), et habuit in punctis XII 8 II: si quis de cleri- 


cis etc. super eo: de ellectione, et fuit approbatus simpliciter, 
excepta una que fuit de gratia. » 


(Dall’ Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus Iur. 
Pont. ab Anno 1377 ad Annum 1528 - a carte 50 retto). 


Documento XVII. 

« Die XXIII augustj (1422) dominus erasmus Ioanis de bech de 
alamania acepit publicam in eclexia sancti petrj in iure canonicho 
et dominus iocanes de guaschonibus fecit sermonem archidiachonj, et 
dominus icanes (De Caldarinis) ei dedit insignia. » 


(Dall’Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus, citato, 
a carte 50 retto). 


Di Tomaso Moes. 


Documento XIX. 
ς« 1413. 


Recepta. 
Item Dominus thomas moes canonicus Warmiensis et Wratesla: 
uiensis, ac literarum apostolicarum scriptor de Slezia, II ducatos. ? 


(Annales, a carte 92 verso). 


DI A. URCEO CODRO 529 


Documento XX. 

« Anno Domini M.CCCC.XII. . . . . ἊΝ 

D. Thomas Moes canonicus Vuarmiensis ac Vratislauionsia eccle- 
siarum, et literarum Apostolicarum scriptor de Silesia, Ducatos tres. » 


(Matricula, a carte 57 retto e verso). 


Di Giacomo Pleeske. 


Documento XXI. 
« 144]. 


Recepimus a superuenientibus scolaribus. 
Domino Iacobo pleeske, decano ecclesie warmiensi, 1 filorenum 
renensem. > 

( Annales, a carte 103 verso). 


Documento XXII. 

« Anno Domini. M.CCCC.XLI. . 

D. Jacobus Pleske decanus eccleziae Vuarmiensis Florenum unum 
renensem. > ‘ 


(Matricula, a carte 6] retto). 


Di Mattia Launau. 
Documento XXIII. 


« 1471. 
Recepta. 
A domino Mathia michaele de lunaw.... » 
(Annales, a carte 115 terso). 


Documento XXIV. 
« Anno Domini M.CCCC.LXXI. 
Dominus Mathias Michael de Lunauu.... » 


(Annales, a carte 65 retto). 


34 


530 MALAGOLA 


Di Alberto Biscoff. 


Documento XXV. 
« 1490. 


Recepta. 
A domino Alberto Bijsscoff de Gedana ex prusia warmiensis ec- 
clesie Canonico vnum fiorenum Renensem. » 


(Matricula, a carte 130 verso). 


Documento XXVI. 

« Anno Domini M.CCCC.XC. 

D. Albertus Bischoff de Gedana ex Prussia, Vuarmiensis eccle: 
siae canonicus Florenum unum renensem. » 


(Matricula, a carte 69 retto). 


Documento XXVII. 
« 1490. 

Die prima Decembris dispensatum fuit cum domino Lamberto 
Alamano magistro in teologia, ut non obstante quod non repetierit, 
et audiuerit per integrum annum Decretum, possit eraminari; et 
optinuit, nemine discrepante, per fabas numero XIII. » 


(Dall'Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus Iur. Pont. 
ab Anno 1377 ad Annum 1528 - a carte 159 verso). 


Documento XXVIII. —. 

« Die 4 decembris (1490) examinatus et doctoratus fuit dominus 
lambertus alamanus et habuit in punctis qui consentit, XI, $ Il 
ete. de peculio clericorum, et fuit approbatus nemine discre 
pante et dominus Iohannes de sala ei dedit insignia nomine suorum 
et aliorum compromotorum, videlicet me priorem, D. Troilum, et 
ludouicum a calcina de piscide. » 


(Dall’Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus Iur. Pont.- 
citato, a carte 159 verso). 


DI A. URCEO CODRO 531 


Documento XXIX. 

« Nota quod ser baptista de bobus notarius Cum non possem (sic) 
Interesse in collegio, quia de numero Magnificorum d. Antianorum 
mensium Nouembris et decembris 1490, fuit rogatus de Jnfrascriptis 
actibus, videlicet dispensatione cum d. dominico ruffo, de conventu 
dicti domini dominicj, de dispensatione cum domino Lamperto An- 
dree de Diocesi Brandrabragensis, et de examine et conventu dicti 
d. Lampertj (1) ». 


(Dall’Archivio del Reggimento - Acta Iuris Pont. a die 15 Fe- 
bruarij 1473 ad diem 13 Augusti 1498 - a carte 213 retto). 


Di Fabiano de Lusianis. 


Documento XXX. 


« 1490. 

Recepta. 
A domino fabiano Lutzinghem de prusia, warmiensis diocesis  nuno Episco- 
. unum florenum Renensem pre aiusdem 
᾿ no  scilicet 


(Annales, a carte 130 verso). 1513 creatus. 


Documento XXXI. 

« Anno Domini MCCCCXOC. 

Dominus Fabianus Lutzingheim de Prussia, Vuarmiensis dioce- 
sis Florenum unum renensem. » 


(Matricula, a carte 69 retto). 
Documento XXXII. 

SS E ΕΑ ΕΕΈΕΕΕΕΕΕἘΥΕΕΕΕ ΕΞ 
Die 20 maij (1500) dispensatum est cum Domino Fabiano de 
alamania super lectura, repetitione, et quod non audierit decretum, 


(1) Questa Nota non ha data, ma è di poco posteriore agli 11 ottobre 1490. 


dispensatio 
cum d. Fa- 


532 MALAGOLA 


et super cirotecis: et ut die sabbati prorxime futura possit subire 
eramen in iure canonico, presentatus autem mihi propter D. Floria- 
num dulphum, D. Luduuvicum de Bologninis et D. Bartolomeum de 
Bologuinis et D. Amadasium de ghisilerijs de pixide. » 


( Dall'Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus ἴων. 
Pont. - citato, a carte 172 verso). 


Documento XXXIII. 

« Die vigesimo mai) 1500. 

Congregato dicto collegio In Sacristia parua etc. loco consueto 
etc. et Jn qua quidem congregatione Jnterfuerunt infrascripti docto- 
res, videlicet D. Ludouicus de Calcina prior, d. Joannes gaspar de 


biano de A- Salla suo nomine et habens vocem a domino ludouico de Salla et 


lamania. 


a domino Antonio maria de Salla, Dominus Agamenon Marscotus 
de Caluis, ἃ. florianus dulphus, d. Luduuicus bologninus ἃ. petrus 
aldrouandus, d. pandulphus de Blanchis et d. Bartholomeus de bo- 
logninis omnes doctores corporatj et etiam Jnterfuit d. Alexander 
de paltronibus, vnus ex supranumerarijs ipsius collegi) omnes re 
presentantes etc. 

Coram eis comparuit d. fabianus filius Martinj de luzianis bar- 
miensis diocesis ὅπ alamania, scolaris studens In Jure Canonico et 
suplicauit secum dispensarj quod admitj possit ad examen dicti Juris 
Canonici, non obstante quod ipse non legit nec repetijt nec audiuerit 
decretum per Integrum annum; Jtem super biretis et chirotecis etc. 
Et sic fuit dispensatum, cum omnes fabas fuerint albe. 

Dominus Amadasius de ghisilerijs fuit extractus In promotorem 
ex piside. » 


(Dall’Archivio del Reggimento - Acta Collegij Iur. Pont. et Caes. 
a die 16 Februarij 1493 ad diem 16 Ianuarij 1501 - a carte 30 verso). 


Documento XXXIV. 

Die sabbati que fuit 23 (maj 1500) doctoratus est antedictus d. 
fabianus, nemine discrepante; recepit insignia a D. Bartholomeo de 
bologninis; praedictus dominus iacobus de Boue uicarius archidia- 
conj illum doctorauit et luculenta oratione insigniuit; postea iurauit 
in forma etc. » 


DI A. URCEO CODRO 533 


(Dall’Archivio del Reggimento - Primus Liber secretus Iur. Pont. - 
citato, a carte 172 verso.) 


Documento XXXV. 
‘ « Die Sabbati XX tertio Mai) MCCCCC. 

Congregato dicto collegio Jn Sacristia parnua etc. loco consueto 
etc. et Jn qua congregatione Jnterfuerunt d. Luduuicus de Calcina colzamen ci 
prior, d. Luduuicus de Salla, d. Joannes gaspar de Salla, d. floria- fabianj de A- 
nus dulphus de gonzagha, d. hyronymus de sancto petro, d. petrus DADI: 
de aldrouandis, d. luduuicus de Bologninis, d. pandulphus de Blan- 
chis, d. Antoniusmaria de Salla, d. Bartholomeus de bologninis soluit sol. 30 
omnes doctores corporatj etc. et etiam JInterfuit d. Alexander pal- 
tronus, vnus ex supranumerarijs ete. Et assistente In ipso collegio 
Egregio legum doctore d. Jacobo a boue, vicario, et ut et tamquam 
vicario Reverendissimi In christo patris et dominj d. Antonij galea- 
tij de Bentiuolijs prothonotarij apostolici ac Bononie archidiaconj 
dignissimi, fuit in dicto collegio presentatus per prefatos ἃ. filoria- 
num dulphum, d. Ludovicum bologninum et d. Bartholomeum bolo- 
gninum eorum nominibus et meo et nomine d. Amadasij compro- 
motoris etc. suprascriptus dominus fabianus de alamania, et exami- 
natus ita et taliter, quod ab omnibus nemine discrepante fuit in Jure 
Canonico approbatus et Ita relatum ipso domino vicario fuit, qui 
ἃ. vicarius, audita Relatione, ad Laudem Jndiuvidue trinitatis et glo- 
riose Virginis matris marie, amen, ipsum dominum fabianum presen- 
tem constituit, ordinauit, prenuntiauit, declarauit, et decorauit docto- 
rem Jn Jure Canonico, et cui d. fabiano prefatus d. Bartholomeus 
Bologninus suo et aliorum suorum compromotorum nomine dedit 
Insignia, etc. et postea ipse dominus Fabianus ad delationem prefati 
ἃ, prioris ad Sacra Sancta dej euangelia, manu tactis scripturis, Ju- 
rauit non esse contra collegium prefatum uel doctores ipsius collegij, 
nisi suam uel suorum Jnjuriam prosequendo. » 


(Dall'Archivio del Reggimento - Acta Collegij Pont. et Caes. a 
die 16 Februarij 1493 ad diem 16 Ianuarij 1501 - a carte 31 retto). 


534 MALAGOLA 


APPENDICE XXIII. 


Della Nazione Germanica 
presso lo Studio di Bologna. 


(Vedi a pag. 313, nota 1.*) 


Niuno ignora per certo quanta parte abbiano avuto durante il 
Medio Evo nella civiltà dell’ Europa gli antichi Studii Generali, e 
sopra tutti quelli di Parigi e di Bologna, l'uno per la Filosofia e 
la Teologia, l’altro pel Diritto Romano. 

ΟἿΣ prenda a considerare l'indole e la costituzione di tali isti- 
tuti colle ragioni che ci potrebbero somministrare le moderne Uni- 
versità, errerebbe di gran lunga. Non furono da principio istituzioni 
fondate o mantenute da Governi, sì bene libere e, quasi direi, private 
scuole, dove convenivano tutti quelli che desiderassero di imparare. 

Per lunghissimo tempo le Università in tutta Europa furono as- 
sai rare, e giacchè allora l’ insegnamento orale era l’unico mezzo di 
apprendere, avveniva che in quelle accorresse, mosso e dalla fama 
dei docenti, e dalla volontà di istruirsi, numerosissimo stuolo di di- 
scepoli di ogni nazione. Nello Studio di Parigi, dove fiorivano Filo- 
sofia e Teologia, l'autorità era tutta presso i Lettori, e gli scolari 
potevan considerarsi come sudditi di quel piccolo stato; a Bologna 
invece tutta la vita e la potenza dell’Università risiedeva negli sco- 
lari, e le forme del Reggimento republicano, onde si reggeva il pae 
se, trasfondevansi parimenti nello Studio. Gli scolari sceglievano da 
loro stessi i proprii Magistrati, e li sceglievano fra gli studenti, ed 
a questi andavano soggetti gli stessi professori. 

L'antica Scuola di Leggi della nostra Bologna si divise per lun- 
go tempo in due Università: in quella dei Citramontani, e in quella 
degli Ultramontani, secondo la patria degli scolari: formavasi di un 
dato numero di Nazioni, ciascuna con un proprio Rettore. L’Ultra- 
montana ordinariamente si componeva di 18 Nazioni, cioè dei Fran- 
cesi, Portoghesi, Provenzali, Anglici, Borgognoni, Savoiardi, Gua- 
sconi, Alvernii, Bicturii, Torunesi, Castellani, Aragonesi, Catalani, 
Navarresi, Alemanni, Ungheresi, Polacchi, Boemi e Fiamminghi. 


DI A. URCEO CODRO 535 


Ma fra tutte queste niuna mai ebbe nè potenza πὸ privilegi 
maggiori che l'Alemanna, della quale io m'accingo a discorrere, ed 
è fra tutte l’unica di cui sieno rimasti i libri manoscritti. Essi ci 
porgono preziose notizie fino dal 1265, epoca singolarmente consi- 
derevole, e trovansi con alquante rarissime stampe della stessa Na- 
zione nell'Archivio della famiglia dei Conti Malvezzi de’ Medici in 
Bologna, entrativi per compera che ne fece nel 1825 il Conte e Ca- 
valiere Giuseppe Maria Malvezzi, grandemente benemerito per aver 
salvato da certissima distruzione questi ed altri patrii cimelii, onde 
ha arrichito l’ archivio famigliare di inestimabili tesori. 

Non εἰ è noto quando la Nazione Alemanna siasi ordinata ὁ 
costituita in Bologna. Se fosse lecito prestar fede ad uno scritto 
ch'essa diede alle stampe nel 1562 a divulgare il motivo per cui 
allora abbandonò il nostro Studio, sarebbe esistita fino dal 774, ai 
tempi di Carlo Magno: « Anni iam sunt plus minus octingenti, qui- 
bus... Natio Germanica ... in urbe Bononia floruit; ... Eius rei histo- 
riae ... fidem faciunt, quae Carolum Magnum, Longobardis profligatis, 
huius Academiae Bononiensis, a Theodosio minore ... fundatae, instau- 
ratorem fuisse testantur (1) ». Senonchè tale opinione, accettata e rife- 
rita come prova dal Mazzetti (2), non ha bisogno di essere confutata, 
ed è veramente degna di stare.in compagnia del famoso privilegio 
Teodosiano. Certamente però i primi documenti che ci restano dan- 
no a vedere come la Nazione fosse già in vita da lungo tempo; e 
sebbene non la nomini, riguardava per avventura lei pure il privilegio 
(che il De Savigny provò riferirsi a Bologna) concesso nel novembre 
del 1158 nella Dieta di Roncaglia dall’Imperatore Federico I, il 
quale in esso prendeva in ispeciale protezione gli scolari stranieri 
che per amor dello studio si esponevano a tanti pericoli, e sot- 
tostavano a così grave dispendio. Era lecito loro recarsi ovunque 
senz’ alcuna molestia; l’ offenderli era proibito sotto gravissime pene; 


(1) Scripium Verum, Ac Breve, causas continens, cur Inclyta Nalio Germa- 
nica Bononia secesserit, ex quibus prudenti Iudici facilé palebit, quam iustè, ac 
humaniter, Petrus Donatus Caesius Episcopus Narnensis, Eius Urbis Praesul, 
Cum Quibusdam ex Germanis egerit: edita (sic) totius Nationis, quae tune Bo- 
noniae fuit consensi, sicui ex nominibus propria manu ipsi originali ἃ quolibel - 
eius Collegii Germanici subscriptis, satis constai. (segue lo stemma della Nazione). 
M.D LXII. - a carte ὃ retto non num. 

(2) Memorie Storiche sopra l Università e l'Istituto delle Scienze di Bolo- 
gna.... Bologna. Tip. di S. Tommaso d'Aquino, 18410, a pag. 16. 


536 MALAGOLA 


godevano privilegio di speciali tribunali, dovendo essere giudicati 
«..... coram domino vel magistro suo, vel ipsius civitatis episcopo >: 
al convenuto spettava la scelta dell'uno o dell'altro giudice (1). 

E, per certo, lo stesso fine di proteggere gli scolari, che si 
trovavano in Bologna lontani dalla loro patria e privi d’ appoggio, 
dovette essere la causa onde le così dette Nazioni si costituirono e 
mantennero per tanti secoli presso la nostra Università: anzi questo 
è confermato dal fatto che alle cariche dello Studio solo potevano 
esser ammessi gli scolari forestieri, e non già i Bolognesi, che non 
avevano, come gli altri, particolare bisogno di essere aiutati e difesi. 

Quando nel 1226 l’imperatore Federico II, adirato contro la 
città di Bologna che partecipava nella Lega Lombarda, vietò a' suoi 
sudditi di recarsi al nostro Studio, questo debb'essere restato deser- 
to della Nazione Alemanna πὸ alcuno degli scolari tedeschi sarà 
tornato prima del 1227, in cui dall'imperatore fu revocato quel 
decreto. 

Fin qui mi sono valso di memorie che non trovansi nei libri 
della Nazione Alemanna, ma che pure hanno qualche rapporto con 
essa; d' ora innanzi, servendomi di questi, potrò dirne con qualche 
maggior sicurezza. Ma, prima di procedere a raccontarne i diversi 
fatti, credo necessario dar qualche cenno della costituzione della 
medesima; laonde parlerò anzitutto dei rapporti dell'Alemanna colle 
altre Nazioni dello Studio, poscia dell' interna sua costituzione. 

Il primo documento che ci rimanga nel volume che s' intitola 
« Annales Clarissimae Nacionis Germanorum (2) » è la copia di un 


(1) De Savigny - Op. cit., Vol. I, a pag. 553. 

(2) Degli Annales ci restano solamente tre volumi. 11 primo è in formato 
di 4.9, di 226 fogli membranacei, ai quali se ne aggiunsero 10 cartacei. Ha le- 
gatura in pelle, con ornamenti in metallo: nel resto del cartone superiore è 
scritto: «<« ANNALES: CLARISIMAE: NACIONIS: GERMANORVM: », e nel verso 
dell’ inferiore: « IOHANNE SPIGEL : ET : LVCA : VLSTET : PROCVRATORIBYS 
AN. M: Ὁ: X. X. »; dalle quali ultime parole rileviamo l’anno in cui fa legato il 
volume. Può dividersi in quattro parti. La prima, dalla carta numerata Ì retto 
alla 24 verso incl. contiene istrumenti, riguardanti la Nazione, (alcuni semplice- 
mente trascritti, altri autenticati) dal 1265 al 1355. La seconda, dalla carta 
num. 25 relto alla 218 terso incl., contiene gli originali rendiconti che, di anno in 
‘anno, fecero i Procuratori dal 1289 al 1543, pure con copie, alcune autenticate, 
di istrumenti e privilegi, e con inventari. Sonovi miniature preziosissime: ma il 
pregio delle notizie storiche, genealogiche, economiche, e d'ogni guisa che per lo 
spazio di tanti anni vi stanno raccolte, è inestimabile. Fin qui può dirsi che giun- 
gano veramente gli Amna/es. Dalla carta num. 219 retfo alia 224 verso è una 


DI A. URCEO CODRO 537 


Atto degli 11 di marzo del 1265, dal quale apprendiamo come, essen- 
do in discordia gli scolari dell' Università Ultramontana dello Studio 
Bologuese circa l’ elezione del Rettore della medesima, congregatasi 
la detta Università « more solito » nella chiesa di S. Proculo, ed 
eletti ad arbitri diversi scolari, fu stabilito che anno per anno un 
dato numero di Nazioni nominasse Elettori che dovessero scegliere 
il Rettore dell' Università fra gli scolari di quella Nazione da cui in 
quell’ anno doveva prescegliersi; e tale prerogativa toccava alla Na- 
zione Alemanna ogni quinquennio (1). Di un altro privilegio, ch' es- 
sa godeva da tempo antichissimo, è memoria negli Annales, là dove 
stà scritto che nel 1273, il dì primo di maggio, essendo pure in San 
Proculo congregata 1᾿ Università degli Ultramontani, sorse Enrico di 
Frienburg, scolaro tedesco, e a nome della Nazione Teutonica pro- 
testò essere stato tolto da un certo statuto di quell’ Università il pri- 
vilegio, goduto da lungo tempo, « quod nobiles de alamania non 


terza parte, che troverebbe meglio suo luogo fra le Matricole, essendo appunto 
costituita di una copia, incominciata appena, della Matricula dei Dottori e Licen- 
ziati, che pagarono una tassa alla Nazione Germanica; di una Matricula, forse 
originale, degli scolari, dall'anno 1543 al 1557, e di una terta, in copia, di Dot- 
tori, dal 1543 al 1560. Finalmente l’ultima parte di questo volume contiene le: 
« Notae Additae Anno MDCCLXXXIII, et collectae a Domino Comite, et Aequite 
Jacobo Marullo Regio-Caesareo Vice-Protectore in Supplementum Annalium In- 
ciytae, et Clarissimae Nationis Germanicae Bononiae Studentis in hoc Primo 
Libro deficentium, ant registrari ommissorum ab anno 1543 usque ad annum 
1595 fn quo prosequuntur Acfa, quae eziant registrata in Libro Secundo ». 
Queste note occupano le carte da 226 retto a 235 verso. 

I secondo volume, che a noi resta, degli Annales, è cartaceo, in 4.9, le- 
gato alla Bodoniam. di carte num. 230, ed incomincia colla data dei 23 di- 
cembre 1595 e giunge sino al 1.° di gennaio 1619. Dopo che fu legato vi si scrisse 
al verso della 1.8 carta non num.: « Anmales Inclyiae et Clarissimae Nationîs 
Germanicae Bononiae. Liber secundus », ma è veramente il terso, giacché non 
possiamo credere che i Procuratori tralasciassero di segnare le memorie della 
Nazione dal 1543 al 1595, nè del resto mancarono le occasioni di perdere quello ed al- 
tri volumi. Ed infatti non troviamo il libro degli Annales, il quarto, che doveva 
contenere i fatti dal 1619 al 1640; e solo abbiamo il quinto, che da quell’anno 
giunge al penultimo giorno del 1674. Consta di 245 carte num. ed ha legatura in 
pelle, con sopra un' iscrizione in lettere dorate, del 1640. È preceduto da una 
pittura , dal titolo « Annales Jnciytae ei Clarissimae Nationis Germanicae Bo- 
noniae. Liber quartus ». I due ultimi volumi descritti contengono i verbali, per 
chiamarli con nome moderno, delle adunanze, tanto publiche quanto private, tenute 
dalla Nazione tutta, o da' suoi Ufficiali. Dopo il 1674 non abbiamo altri Annales. 

Annales, Vol. I, a carte l retto e verso. 


538 MALAGOLA 


teneantur iurare rectori » (Universitatis Ultramontanorum), il che 
inchiudeva che fossero esenti dalla giurisdizione del Rettore stesso; 
e questo diritto, goduto anche dalla Nazione Tedesca di Padova, fu 
loro riconosciuto (1). 

Per togliere le cagioni delle frequenti discordie che nascevano 
fra le Nazioni in causa dell’aggregarsi gli scolari, l’ Università Ul 
tramontana (e nello stesso tempo la Citramontana) stabiliva nei 1306 
che per l'iscrizione dei medesimi si avesse riguardo al luogo di 
nascita, non al loro domicilio (2). 

Venendo ora a discorrere dell'interno ordinamento della Nazio- 
ne Germanica di Bologna, niente potrebbe giovarci meglio che i 
suoi statuti. Ma il primo di essi che ci rimase è del 1497; però 
da alcune disposizioni anteriori a questo tempo, delle quali ci rima- 
se memoria, facilmente sì scorge che la Nazione prima del 1497 non 
era costituita, nella sostanza, molto diversamente da quello che ce 
la mostrano gli statuti dell'anno suddetto. 

Nel 1289 v'erano già da qualche tempo statuti, anzi più d'uno, 
giacchè in quell’anno un Procuratore, rendendo conto dei danari del- 
la Nazione percepiti e spesi, ricordava la prescrizione fatta « prin- 
cipali nacionis statuto (3) ». Apprendiamo che nel 1343 si spendeva- 
no 9 soldi « ad scribendum.... nova statuta (4) », e, tre altri appresso, 
10 soldi « pro corretione statutorum (5) », e dodici, nel 1348, «... pro 
pergamena ad nova statuta conscribenda...», e pagavano « Rudolfo 
statuta ingrossanti VI solidos (8) ». Parimenti nel 1367 si spende- 
vano 18 soldi in pergamene, « et novis statutis scribendis (7) »; ed 
altri « statuta nova » sono ancora ricordati nel 1396 (8). Eppure, di 
tanti statuti, non ci sono rimasti che pochi ricordì delle disposizioni 
in essi contenute. Ne rileviamo anzitutto che nella seconda metà del 
secolo XIV la Nazione si formava solamente di scolari Leggisti te- 
deschi. Non è però da meravigliare che essa ne’ suoi Atti più antichi 


———— + o ">" o—r—r-r— r,r_—_-- e 


(1) Annales, Vol. I, a carte 2 relto. 

(ἢ Annales, Vol. I, a carte 3 verso. 

(3) Annales, Vol. I, a carte 25 retto. 
(4) Annales. Vol. I, a carte 46 verso. 
(5) Annales, Vol. I, a carte 49 retto. 
(6) Annales, Vol. I, a carte 50 rerso. 
(7) Annales, Vol. I, a ca:to 62 verso. 
(8) Annales, Vol. I, a carte 85 verso. 


DI A. URCEO CODRO 539 


si nominasse « Natio scholarium Theutonicorum >, senza l’indica- 
zione che fossero solamente Leggisti, poichè sino al 1316 gli stu- 
denti di Medicina e di Arti Liberali, quantunque il tentassero più 
volte, non poterono mai costituire una loro propria Università, ma 
furono costretti a far parte di quella dei Leggisti; laonde solamente 
dopo il 1316 la Nazione Tedesca non avrà più accolto che studenti 
di Leggi. 

Già nel 1289 gli Statuti prescriverano da molti anni aì Procu- 
ratori di notare in apposito libro i nomi di quelli che si fossero 
iscritti, quanto ciascuno di questi avesse pagato, e come le rendite 
della Nazione venissero erogate, e tale rendimento di conti si fece 
in presenza della Nazione radunata nella domenica dopo l’ Epifania 
sino al 1343, e dopo nel giorno dell’ Epifania stessa (1). I Procu- 
ratori venivano nominati con elezione a doppio grado: gli scolari 
sceglievano quattro Elettori, che, insieme coi due Procuratori che 
scadevano, eleggevano i nuovi (2). Durava il loro ufficio per un 
anno. Nel 1292, ai 10 di febbraio fo stabilito che la Nazione facesse 
celebrare una messa ogni domenica nella chiesa di S. Fridiano, fuori 
di Porta S. Mamolo, e vi dovevano intervenire tutti gli scolari te- 
deschi. Questi, a richiesta dei Procuratori, eran tenuti anche a difen- 
derli: nell’iscriversi alla Nazione pagavano ciascuno un Grosso di 
Bologna per ogni Marca che annualmente spendessero per mante- 
nersi; e ciò doveva farsi entro 15 giorni dal giuramento prestato; 
trascorso il qual termine la tassa si raddoppiava (3). 

Apprendiamo ancora che nel 1322 gli scolari della Nazione Ale- 
manna che partissero da Bologna defraudando i loro creditori, fos- 
sero privati di tutte le prerogative non solo presso la Nazione Tede- 
sca di Bologna, ma anche presso quella di Padova, fino a tanto che 
non avessero soddisfatto il debito loro (4). Era pure ordinato che 
ogui festa si facessero gozzoviglie, ma poichè questo, avvenendo trop- 
po di frequente, apportava danno all’ erario, fu concordato, nel 1343, 
che ciò non avvenisse più di tre volte l'anno, ossia nei giorni della 
Pasqua, dell’ Ascensione, e del Natale (5). 


(1) Annales. Vol. I, a carte B resto. 

(2) Annales, Vol. I. Vedi specialmente a carte 18 verso. 
(3) Annales, Vol. I, a carte 2 retto e verso. 

(4) Annales, Vol. I, a carte 398 resto. 

(5) Annales, Vol. 1, a carte 13 verso. 


540 MALAGOLA 


Venendo finalmente allo Statuto del 1497 (1), esso stabiliva quali 
persone dovessero far parte della Nazione: «... statuimus et ordina 
mus quod ex teutonicorum natione, idest omnes qui natiuam alema- 
nicam habent linguam, licet alibi domicilium, cuiuscumque status 
μοὶ condicionis enistant, etiam si forent Spectabiles, clarissimi uel illu- 
stres, in hac alma urbe studentes in ture canonico uel ciuili , censean- 
tur et esse intelligantur collegium theutonice nationis, quod, ut est 
consuetum, theutonicorum natio appellatur (2) ». Ma poichò fino αὖ 
antiquo si erano ricevuti anche i Boemi, i Moravi, i Lìtuani e i 
Danesi, si continuò anche allora ad accogliergli, riserbandosi la 
Nazione facoltà di aggregarsi tutti quei nobili ed illustri uomini, di 
qualunque luogo fossero nativi, che cuoprissero altissime cariche; 
ma questi non godevano di alcun diritto. 

Gli scolari Leggisti Alemanni erano iscritti alla Nazione me- 
diante giuramento di curarne l'onore e il vantaggio, di dar opera 
che altri vi si aggregassero, e di osservar fedelmente gli Statuti. A 
sostenere le spese sopperiva la tassa che i tedeschi pagavano nel- 
l' iscriversi, la quale, mentre prima esigevasi in proporzione dei red- 
diti degli scolari, fu dallo Statuto del 1497 raccomaudata soltanto 
alla loro liberalità. Gli iscritti, tanto se prendevano la Laurea, quan- 
to se erano promossi a dignità vescovile, pagavano un'altra tassa 
alla Nazione Germanica. Questa veniva rappresentata ed amministra- 
ta da due Procuratori, che dovevano essere di età maggiore di 20 
anni, e che venivano eletti anno per anno, a maggioranza di voti, 
nel dì dell' Epifania, ed il loro ufficio era di amministrare le cose 


(1) Lo statuto originale del 1497, che pur conservasi nell'Archivio Malvessi 
de' Medici, è un bel libro in formato di 4.9, e consta di 12 carte. Sul retto del 
cartone superiore è scritto a lettere dorate: « STATVTA GERMANICAE NACIO- 
NIS », e nel verso dell’inferiore: « ADAMO VERLIESER ET GEORGIO ZOLNER 
PROCVRATORIBVS », onde ci si rivela che data dal 1530 (in cui questi due 
furono Procuratori) la bella legatura di questo codice. E deve per certo essere 
dello stesso tempo l'iscrizione che troviamo nel reio della prima carta: « IN 
HOC LIBRO HAEC CONTINENTVR Statuta et priuilegia Nationis Germanicae 
Bononiae Studentis »; sotto le quali parole sta dipinto lo stemma della Nazione 
Tedesca con l'aquila imperiale, sostenuto dalla Giustizia e dalla Fortezza. Sonvi 
pregevoli miniature che rappresentano scolari tedeschi in atto di giurare ed altre. 
Lo Statuto del 1497 giunge sino a carte 9 refto; le rimanenti sono occupate da 
disposizioni posteriori. Nel volume della Matricula, che descriverò più innanzi, si 
trova una copia di questo codice, in carattere del secolo XVI. 

(2) Statuto del 1497, a carte 3 reito, 


DI A. URCEO CODRO 541 


delia Nazione; costudire, osservare e farne osservare gli Statuti, le 
une e gli altri consegnare ai loro successori, dopo avere per iscritto 
o per Atto di notaio reso il conto della propria gestione. Designavano 
da loro stessi alla Nazione i successori, ma a questa spettava l' ap- 
provarli, o rifiutarli. Appena eletti, nominavano due Sindaci con 
incarico di rivedere i conti presentati dagli altri due, che allora era 
no scaduti 

E se, durante il tempo del loro ufficio, uno dei Procuratori 
rinunziava, od era deposto, si nominava in sua vece, fino al com- 
pimento dell'anno, un Procuratore Sostituto. Dovevano i Procura- 
tori tener nota diligente di tutti i danarì che ricevevano dagli stu- 
denti, scrivendo il nome cognome e le qualità di questi, e quanto 
avesse pagato ciascuno; e similmente redigere il conto delle spese 
fatte per la Nazione. Nello Statuto del 1497 troviamo pure menzio- 
ne di quattro Seniori ai quali il Procuratore poteva presentare le 
proprie dimissioni; e quantunque non si faccia di essi altro ricordo, 
da memorie posteriori rileviamo che erano Consiglieri dei Procura- 
tori, e forse, mutate attribuzioni, non rappresentavano che l'’ isti- 
tuto dei quattro antichi Elettori, che più sopra ricordammo. V'era 
anche un bidello il quale, allorchè ne fosse d'uopo, convocava la 
Nazione. 

In certe feste determinate tutti gli scolari tedeschi, dovevano, 
sotto pena di un Bolognino, convenire nella chiesa di S. Fridiano 
fuori la porta S. Mamolo, per assistere alla celebrazione delle messe, 
eccettuato solo quel tedesco che fosse Rettore degli Ultramontani, 
meno però nei giorni della Pasqua, del Natale e dell’ Epifania, nella 
quale tutta la Nazione radunavasi ad una solenne colazione. 

Lo stesso Rettore, a differenza di tutti gli altri scolari, non aveva 
obligo di intervenire alle convocazioni fatte dai Procuratori. I nobi- 
li, quantunque non fossero soggetti alla Giurisdizione del medesi- 
mo, erano però costretti dagli Statuti della Nazione ad intervenire 
alle adunanze della Università. Due volte all'anno si leggevano gli 
Statuti; essi avevano disposizioni speciali per sopir le discordie fra 
gli studenti e per tutelare gli interessi dei creditori dei tedeschi. Gii 
infermi si visitavano dai Procuratori, i morti si accompagnavano 
al sepolcro da tutta la Nazione, che del proprio ne celebrava le ese- 
quie. Allo Statuto del 1497 si aggiunsero diverse disposizioni. Una 
del 1516 provvedeva a diminuire le spese, che gli scolari doveva- 
no fare per dottorarsi, le quali eran causa che spesso andassero 


542 MALAGOLA 


altrove a ricever la Laurea; e si trovano, aggiunte negli anni se- 
guenti, disposizioni che abolivano il convito solito a farsi nel di 
dell' Epifania; che dichiaravano escluso dalla Nazione chi, entro due 
mesi dalla sua venuta in Bologna, avendo le condizioni richieste, 
non le si fosse aggregato; e che ordinavano δὶ istituisse un libro 
per dipingervi gli stemmi delle persone che avessero bene meritato 
della Nazione, e di quelle ancora che volessero a tal fine pagare 
un Coronato; in seguito si permise che vi ponessero i loro stemmi 
anche i Procuratori (1). 

È in fine una disposizione sulla precedenza da darsi a questi 
ufficiali tanto nelle processioni e nelle adunanze, quanto nel nomi- 
narli nelle scritture. 

Nell'Archivio Malvezzi de’ Medici in fine di un libro che s'in- 
titola « Matricula Nobilissimi Germanorum Collegii », stanno uniti, 
manoscritti, diversi Statuti, e copie di Statuti e di privilegi della 
Nazione (2). Ivi si trova uno Statuto parziale (approvato nell’ anno 


(1) Nell'Archivio Malvezzi ci è rimasto un libro di tali stemmi. Ha nel retto 
del cartone superiore le seguenti parole: « LIBER ARMORVM GER: NAT: APVD 
BONON: » e nel verso del cartone inferiore: « ANNO MDXCIX » Nel retto della 
prima carta, insieme colle armi gentilizie della Nazione e dei Consiglieri, entro 
un contorno dipinto sulla guisa dei raffalleschi, ei trova scritto: « Consiliartie 
IJoanne Erstachio A Toll, et Iacobo Zandit, A Merle. » Poscia viene una prefazione 
degli stessi Consiglieri, in data del 1. d'ottobre del 1599, ove dichiarano che, ee- 
sendosi perduti i precedenti Libri Armorum, ricordati spesso negli Atti, essi isti 
tuivano allora questo. Contiene stemmi di Consiglieri e di Laureati della Nazione, 
dal 1599 al 1627, dipinti con ammirabile maestria. 

Il volume è in formato di 4.9, e si compone di 121 carte, non tutte ornate di 
stemmi. 

(2) Questo volume porta nel retto del cartone superiore Îl titolo seguente: 
« MATRICVLA NOBILISS. GERM. COLLEGII », e nel verso dell’ inferiore: 
« IVSTICIAE CVLTORES — TEODORO SCHILTEL ET ALBERTO EISENHVT 
PROCVRATORIBYVS: » dal che apparisce che esso cominciò a scriversi nel 1549. 
Dopo una prefazione, sì trovano Matricole dei Cardinali, dei Prelati, dei Dottori 
e finalmente degli scolari, dal 1289 sino al 1562, senza interruzione, poscia i no- 
mi degli scolari iscritti nel 1684. Seguono sei carte di Matricole di dottori e di 
scolari che partendo da Bologna regalarono la Nazione di qualche moneta dal 
1497 al 1596. Insieme con queste dovrebbero stare le simili Matricole che menszio- 
nai nella nota ove descrissi il primo volume degli Annales. Stanno in fine, come 
dissi, statuti, e copie di privilegi e di statuti, fra i quali, quelli tuttora inediti, 
deecriverò man mano che mi si darà oocasione di menzionarii. 

Nelle Note, già ricordate, del Conte Maraullo, (a carte 233 verso) si nomina 
un terzo libro di Matricole, cominciato nel 1579; e negli Statuti stampati nel 1733, 
è ricordato (a pag. 15) un « Librum Matriculae e argento copiose laminatum ». 


DI A. URCEO GODRO 543 


1574) che consta di due capitoli; il primo: « De Novikiis et tjs qui 
in album Germanicae Nationis recipi possint aut non possint »; il 
secondo « De Magistratibus legendis decernendisque honoribus; Et 
primo de Procuratorum eligendorum modo (1) ». Il primo stabiliva 
che si accogliessero nella Nazione Germanica tutti quelli che eran 
soggetti all’ Impero, proponeva altresì di ammettere i Belga, i Polac- 
chi, gli Ungheresi, gli Svedesi, i Norvegi, gli Anglici, gli Scozzesi e 
tutti quelli le cui Nazioni non fossero rappresentate da particolari 
Consiglieri nell' Università Ultramontana; e si accogliessero, purchè 
ne fosse fatta richiesta. Ma questa disposizione aggiunta fu can- 
cellata. Proponevasi inoltre di accettare anche gli studenti Tedeschi 
di Medicina di Filosofia e di Belle Lettere, ma furono rifiutati, 
quantunque non molto di poi l’ingiusta esclusione fosse tolta; giac- 
chè nel 1601 troviamo nel libro Armorum lo stemma di un cano- 
nico Brauch, laureato in Teologia, al quale altri ne seguono di 
medici e di filosofi dal 1603 in poi. Aveva pure diritto di essere 
amesso chiunque parlasse speditamente la lingua tedesca e insieme 
la latina, sebbene non avesse potuto, in riguardo alla propria Nazio- 
ne, esservi accolto: eragli però negato l’ adito alle magistrature. Or- 
dinavano gli stessi Statuti fossero pure iscritti tutti quei Tedeschi 
che si fermassero più di un mese nella nostra città: ed eran questi 
tenuti semplicemente ad una tassa in favore della Biblioteca, che qui 
per la prima volta è ricordata (2). 

Non è meno importante per noi il capitolo sui Magistrati, che, 
oltre 1 due Procuratori, detti altresì Consiglieri, erano un Sindaco, 
un Questore dell’ Erario, o Prefetto del Fisco, ed un Bibliotecario. Vi 
aveva pur sempre il Bidello. I magistrati, oltre alcuni altri requisiti, 
dovevano parlare speditamente la lingua latina, mediocremente l’ita- 
liana, non dipendere da persona, avere età maggiore di 20 anni, sta- 


(1) Trovasi nel citato volume « Matricula » etc. da carte 135 resto a 146 verso. 
Ha il titolo: < Germanicae Nafionis in Vrbe Bononia Iurisprudentiae Operam 
navantibus KHbri 11, Legum el Institutorum aller, alter vero Inmunitatum et Pri- 
vilegiorum a Gregorio XIII et Maximiliano II Imp. Romanorum Approbalorum 
anno 1574». Ma la copia delle Immunità a dei Privilegi non vi è più unita. Dopo 
il titolo riferito si leggono due dedicatorie. 

(2) Già nel 1640 troviamo ricordata negli Annales, col titolo di Archivio della 
Nazione, la raccolta degli Atti, documenti ed Istrumenti della medesima. Ne fu re- 
datto un indice nel 1641. 


544 MALAGOLA 


tura non piccola, esser nobili o dottori, abbastanza provvisti di dana- 
ro, ed avere abitato almeno un anno in Italia. Sebbene in queste 
disposizioni del 1574 non sia fatto ricordo del Protettore della Na- 
zione, diremo che questo ufficio era già in quel tempo istituito, e 
per lo più veniva affidato ad un Senatore Bolognese, che lo teneva 
per un anno. Nel 1606 era Vice Protettore un Dott. Ghisilieri, e 
nel 1783 il Conte e Cavaliere Giacomo Marullo. 

Al citato statuto segue, in ordine di tempo, uno che abbia- 
mo a stampa, il quale, sebbene sia privo di data, è senza dubio 
del 1610, portando in fronte il nome dei due tedeschi che furono 
Procuratori in quell'anno (1). In esso non si trovano più esclusi gli 
scolari Artisti; i Procuratori sì eleggevano non più il giorno del- 
l' Epifanìa, sì bene in fine d'aprile: dovevano convocar tutta la Na- 
zione ogni tre mesi, cioè nel primo giorno di maggio, di agosto, 
di novembre e di febbraio. 

Al Sindaco era data così grande autorità, che poteva, tanto in 
publico, quanto in privato, ammonir tutti i Membri della Nazione, 
compresi ì Procuratori, e trarli in giudizio dinnanzi alla Nazione 
stessa. Egli teneva un libro, ove registrava le multe e le pene ; il suo 
ufficio durava tre mesi. Sottoscriveva le Matricole, assisteva i Procu- 
ratori nel trattare gli affari e talvolta anche nella compilazione de- 
gli Atti e delle lettere. 

Il Questore dell’ Erario durava anch'egli in carica solo tre me- 
si, in capo ai quali presentava ai Procuratori il conto della sua am- 
ministrazione; notava i debitori e li incitava al pagamento. 

Un altro ufficiale, il Bibliotecario, aveva cura della Biblioteca 
della Nazione, in cui non potevano entrare che i Membri di essa; 
questi avevano facoltà di asportare un determinato numero di libri 
alla volta, scrivendo il loro nome in apposito registro. In un libro 
segnava i doni fatti alla biblioteca, in un altro descriveva tutti i 
volumi che teneva in custodia; egli pure restava in ufficio tre mesi. 


n 


(1) Leges seu Statuta Inciytae Nationis Germanicae Bononiae Studentis. (se- 
gue lo stemma della Nazione) Bononiae. Apud Haeredis (sic) Bartholomaei Ce- 
chij. M.DC.XXIX. Superiorum permissu. — Opuscolo in 8. di 28 pagine. Alla 
23.» leggiamo : Slatuta Ex concordi Omnium Membrorum Approbatione.... fa- 
cta.... die 3 Januartj. Anno. M.DCO.XX.VIIII. 

Di questo statuto conservasi tanto l'originale quanto una copia stampata, 
nell’ Archivio Malvezzi de' Medici 


DI A. URCEO CODRO 545 


Finalmente il Bidello (che doveva presentarsi ogni mattina a 
sentir gli ordini dei Procuratori) visitava tutti i giorni gli alberghi 
per sapere se vi fosser giunti dei tedeschi ; se ve n'erano prendeva 
notizia della loro condizione: se erano illustri ne riferiva tosto ai 
Procuratori, perchè si recassero a visitarli, altrimenti portava loro 
egli stesso il libro della Matricola perchè vi s’inscrivessero. Da- 
gli Annales (1) apprendiamo che nel 1616 v'era da tre anni un Vi- 
cebidello, che portava le lettere δἱ tedeschi. 

Allo Statuto del 1600 ne è aggiunto un altro del 1629, ove è sta- 
bilito che i Procuratori, per solito chiamati Consiglieri, non possano, 
come per lo innanzi, dare a prestito danari della Nazione agli scolari 
senza un fideiussore, πὸ a questi permettere di partire dalla città senza 
aver lasciato un pegno equivalente al loro debito. Inoltre decretavano 
che chi asportasse libri dalla biblioteca pagasse una tassa. Potevano 
prendere a casa fino a 15 libri in una volta, ed anche più, con licen- 
za dei Consiglieri, e tenerli fino un anno, con che si veniva a la- 
sciare una certa libertà agli studiosi, ai quali spesso tornano inco- 
modi certi limiti di tempo e di numero, che usano oggidì. Ai 12 di 
maggio di ogni anno tutti i libri dovevano restituirsi alla Bibliote- 
ca, affinchè, se fosse stato necessario, si riparassero, e se ne re- 
digesse un completo inventario, ed ai 20 dello stesso mese potevano 
di nuovo esser richiesti in prestito; disposizione questa posta in vi- 
gore ai nostri giorni col Regolamento 13 marzo 1876 pei prestiti 
dei libri nelle Biblioteche Governative. Alla Biblioteca della Nazione 
era assegnata l’annua dote di otto Ducatoni. 

Nel 1661, nell'adunanza dei 17 novembre si decretò di accogliere 
anche gli artisti tedeschi, ma come servi, e senza diritto di vo- 
to (2). L’anno dopo la stessa Nazione, convocata in San Domenico 
nei giornì 10 di maggio e 9 d'agosto, approvò altre disposizioni, 
che abbiamo a stampa (3) e delle quali si conserva l'originale in 


(1) Annales, vol. III; a carte 188 retto. 

(2) Annales , vol. V, a carte 180 retto. 

(3) Delibata Ex Legibus, Statutis, Consuetudimibus, et Privilegijs Inclytae 
Nationis Germanicae Apuà Bononiam Studentis IV. Id. Mar. et V. Id. Aug. 
M.DC.LXII. Promulgala, Procuratoribus ei Consiliariis DD. Isidoro Gvidotti- 
no , et Bartolomaeo Hagg. Officialibus Ioanne Francisco Guella Syndico. Mar- 
co Hainzell Quaestore. Francisco Guidotto I. V. D. Biblioth. Praef. — Bono- 
siae, Typis Io. Baptistae Ferronij. Superiorum permissu. L'unica copia, ch'io 
conosca, di questo rarissimo opuscolo in 8.° di 4 carte non num. è nella Biblio- 
teca Comunale di Bologna. 

35 


PP + 


546 MALAGOLA 


sei carte unite alla ricordata Matricola della Nazione (1). La tassa 
per essere ammessi venne ivi fissata in sette lire e mezzo di Bo- 
logna per gli scolari nobili, otto e mezzo per quelli che avevano 
alte cariche; pei più illustri ancora si faceva appello alla loro ge- 
nerosità. I Procuratori venivano proposti dagli altri Magistrati della 
Nazione; quello dei due che ottenesse maggior numero di voti, era 
il Primo Consigliere. Vi troviamo anche il Notaio della Nazione, eletto 
per un anno, dopo cui poteva esser riconfermato, ed aveva stipen- 
dio fisso, con qualche incerto. 

Il Bidello doveva conoscere tanto la lingua tedesca quanto l'italia. 
na; riceveva 8 lire ogni tre mesi, e 5 in principio d'anno, e una 
quota sulle tasse d' immatricolazione. 

Due volte ancora furono stampati gli statuti della Nazione Ger- 
manica, cioè nel 1733 (2) e nel 1750(3). Nel primo di questi vediamo 
finalmente accolti anche i Polacchìi, i Fiamminghi, i Borgognoni, gli 
Alsaziani, gli Scozzesi e gli Anglici e troviamo pure ammessi gli 
studenti di Teologia, di Medicina, di Filosofia e di Matematica. 


L'ufficio del Sindaco, del Questore dell’ Erario e del Bibliotecario, di 


trimestrale era divenuto annuo; il Notaio aveva preso il titolo di 
Cancelliere Segretario. 

Lo statuto del 1750 non ha col precedente altra differenza 
che il cambiamento del titolo del Questore dell'Erario in quello 
di Tesoriere, e termina, come l’altro del 1733, con una tabella 
delle spese per le Lauree nelle diverse Facoltà. 

Da un raro opuscolo che trovasi pure nell’ Archivio Malvezzi 
de’ Medici, e che fu stampato in Bologna nel 1741 col titolo: « Syl- 
labus Illustrissimorum DD. Officialiun Pro tto Anno Domini 174]. 
Inclytae Nationis Germanicae Apud Bononiam Studentis Sub coele- 


(1) Ivi, da carte 147 retto a 152 verso. 

(2) Inclyiae Nationis Germanicae Apud Bononiam Studentis Leges, Et Sta- 
tuta Hinc indè aucta, et correcia denuò producta. (Segue lo stemma della Na- 
zione). — Bononiae. M. DCC. XXXIII. Ex Typographia Clementis Mariae 
Sassi Successoris Benatti. Superiorum permissu. Sta nell'Archivio Malvezzi, ed 
è in 8.9, di 2 pagine. 

(3) Inclytae Nationis Germanicae apud Bononiam Siudentis Leges, et Sta- 
tuta Hinc indè aucta, et correcta denuò producia (Stemma della Nazione). — 
Bononiae. M.DCC.L. Ex Typographia Clementis Marfae Sassi Successoris Be- 
natti. Superiorum permissu. Anche di questo Statuto conserva un esemplare l’Ar- 
chivio Malvezzi. È in formato di 8.9 e di 28 pagine. 


DI A. URCEO CODRO 547 


sti ope S. Leopoldi Austriae Principis (1) », vediamo che gli uffi- 
ciali erano : Protettore, Comprotettore, Vice Protettore, Primo Con- 
sigliere, Secondo Consigliere, Sindaco, e Consultore ; un Promotore 
In Utroque Jure, uno in Arti e in Medicina, uno in Teologia; Bi- 
bliotecario, Causidico , Procausidico, Tesoriere, Cancelliere-Segreta- 
mio, Procancelliere e finalmente Internuncio , ossia Bidello. 

Questo valga a dare un'idea della Nazione Alemanna,uno dei 
più insportanti istituti del nostro Studio, ed unico fra i tanti del suo 
genere che erano in Bologna, del quale si sieno salvati (per quanto 
è a mia notizia) i libri manoscritti e le stampe, gli uni e le altre 
conservati nell’insigne Archivio dei Conti Malvezzi de’ Medici. Fu 
talvolta detta latinamente Collegium; ma essa non ha nulla di co- 
mune coi diversi collegi fondati nella città nostra nei secoli scorsi 
pei giovani delle varie nazioni, che venivano agli studi in Bolo- 
gua, quale il Collegio Maggiore di San Clemente ed il Vives per 
gli Spagnuoli, il Jacobs pei Fiammighi, e l’Illirico-Ungarico pei no- 
bili Ungheresi e pei canonici di Zagabria. Anche lo Studio di Pa- 
dova aveva la Nazione Alemanna, costituita non dissirnilmente dalla 
nostra, che vedemmo, e vedremo in seguito’, aver colla padovana re- 
ciproci rapporti di fratellanza. 

Ora, coll’aiuto dei libri della Nazione, prenderò a narrarne i 
fatti principali. 

Gli Annales, come vedemmo, incominciano dal 1265. L'anno 
prima era stato Procuratore un Ludovico da Magonza e Cunone da 
Sant’ Hemerino, ai quali successero Marquardo da Swinkulle della 
provincia d'Holsazia, ed Enrico de Salhunstain, Pincerna Maggiore 
d’Augusta ; in quell’anno si aggregarono alla Nazione ventisette te- 
deschi, il che dimostra quanto già fino d'allora fosse florida. 

In principio del secolo XIV, cioè nell’anno 1301, troviamo su- 
bito memoria di discordie fra Alemanni e Polacchi, per le quali i 
primi ricorsero al patrocinio del celebre Giovanni D'Andrea; ma 
fu in quello stesso anno fatta la pace (2). 

Un'altra discordia coi Polacchi ebbe la Nazione nel 1306, anzi 
dalle spese che vediamo segnate negli Annales «.... pro refectione 


(1) In fine: Bononiae, Typis Clementis Mariae Sassi, Successoris Benatii. 
Superiorum permissu. 
(2) Annales, vol. I., a carte 29 retto. 


548 MALAGOLA 


.. candelarum que in rumore rumpebantur » e « pro sacco în quo 
‘ portabantur res nacionis in discordia » e dal disegno di una spada, 
che è fatto dicontro queste parole, possiamo avere un'idea della 
qualità della discordia; a cui pose termine l’Istrumento ricordato 
negli stessi libri (1). E forse questa era avvenuta per causa di qual- 
che scolare che l'una si fosse aggregato, e l’altra pretendesse per 
Sè; ed infatti in quello stesso anno l' Università degli Ultramonta- 
ni, a togliere le discordie che di frequente avvenivano per tale mo- 
tivo fra le Nazioni, stabiliva, e già lo vedemmo, le norme da se- 
guirsi per tali iscrizioni. È noto come, pure in quell'anno, il Cardi- 
nale Orsini, cacciato di Bologna, decretasse da Imola, ai 2] di giu- 
gno, la chiusura dello Studio, minacciando di scomunica chiunque 
vi si recasse; e fu per questa cagione che nel 1307 e nel 1308, 
essendo chiuso lo Studio, anche la Nazione rimase deserta (2). 

Nuova lite ebbe essa nel 1310 con un certo Ungherese, il quale 
« versucis et dolis » aveva ottenuto l'ufficio di Rettore degli Ultra- 
montani, aiutato dai Borgognoni, dai Polacchi, dai Boemi, e dai 
Guasconi, ma l’Auditore ed il Vicario del Podestà, innanzi ai quali 
Giovanni d'Andrea perorò la causa della Nazione Tedesca, posero 
fine alle contese (3). 

Anche nel 1316 lo Stadio fu vacante, ma certamente per breve 
tempo. Cosa di ben maggior conseguenza avvenne nel 1321, allor 
quando gli scolari (offesi pel supplizio di un Giacomo da Valenza, 
loro compagno, che aveva rapita una giovane bolognese) abbando- 
nata in massa la città, e recatisi in gran parte ad Imola (dove la 
Nazione, per invito del Rettore Ultramontano, due volte mandò 
suoi delegati (4)) passarono, insieme coi Lettori, allo Studio di Siena. 
Colà, accolti a gran festa, rimasero fino al 1324 (5). E pure a Siena 
si saranno allora trasferiti gli scolari della Nazione Allemanna, giac- 
chè nessuno fu iscritto nel 1321; però vediamo che già nel 1322 
gli studenti alemanni avevan fatto ritorno. 


(1) Annales, vol. I, a carte Sl retto. 

(2) Annales, vol. I, a carte 31 retto. 

(3) Annales, vol. I, a carte 31 verso. 

(4) Annales, vol. I, a carte 37 resio. 

(5) Alcuni documenti che concernono la venuta in Siena nell’anno 1321 dei 
Lettori e degli scolari dello Studio Bolognese, pubblicati e illustrati da Luciano 
Banchi. (Estratto dal Giornale Storico degli Archivi Toscani, Anno V, 1861) a 
pag. 8. 


DI A. URCEO CODRO 549 


Ma non erano queste soltanto Ie cause per cui allora chiu- 
devasi ad ogni tanto lo Studio. Terribili pestilenze affliggevano a 
quando a quando le città, empiendole di desolazione, di terro- 
re e di morti. Da tale flagello, così eloquentemente descritto da 
Giovanni Boccaccio, fu, come Firenze, miseramente costernata la 
città nostra nel 1438, laonde quasi tutti gli studenti, ed anche i te- 
deschi, se ne tornarono alle case loro. Il dì del Corpus Domini ra- 
dunavansi nella chiesa di S. Fridiano gli scolari alemanni che an- 
cor si trovavano in Bologna, quindici in tutto ; consegnavano le 
cose della Nazione a quattro che rimasero, e partivano. La ria- 
pertura delle scuole verso il principio di novembre ricondusse a 
Bologna qualche scolare della Nazione , però essendo pochissimi, que- 
sti differirono fino al giorno dell’ Ascensione l’eleggere i Procura- 
tori, ma radunatisi quel dì in S. Domenico, e non essendo che 
dieci, elessero un solo Procuratore (1). Vediamo di nuovo che dal 
1361 al 1365 nessuno fu ascritto alla Nazione, perchè la peste e le 
discordie intestine travagliavano Bologna (2). La peste cominciò ad 
affligere di nuovo la città nostra sul principio di giugno del 1373, 
laonde, chiuso lo Studio, quasi tutti i tedeschi fuggirono alle case 
loro j; ai 12 di ottobre, tornati alcuni di essi, elessero i nuovi Uffi- 
ciali (3). A talì turbazioni seguivano le politiche; queste fecero so- 
spendere lo Studio nel 1367; la peste nel 1466, con danno della 
Nazione Tedesca, che ne perdette Asbrando Werf di Leida, uno dei 
Procuratori. Troviamo notizia, sotto il 1475, dell'esclusione di un tale 
Enrico da Villa Maggiore, Fiammingo. E risale forse a quell’anno l’e- 
sclusione dei Fiamminghi daila Nazione Tedesca, decretata coi due 
istramenti che un inventario del 1543 descrive colle parole : «.... duo 
Instrumenta causas reddentia quamobrem Flandrenses a dicta natione 
sint esclusi (4) >». 

Prima che finisse il secolo XV accadde un fatto di qualche mo- 
mento per la Nazione, ed utile a sapersi anche per la storia della 
nostra città. 

Nel 1491 un tal Giorgio De Newdech, austriaco, eletto Rettore 
degli Ultramontani , non volle sottomettersi all'uso, introdotto da più 


(1) Annales, vol. I, a carte. 52 reito 6 verso. 
(2) Annales, vol. I, a carte -59 verso. 
(3) Annales, vol. I, a carte 60 verso. 
(4) Annales, vol. I, a carte 218 retto. 


δ50 ᾿ MALAGOLA 


anni da alcuni de’ suoi predecessori, sudditi del Duca di Milano, di 
lasciare la precedenza sì nelle adunanze che negli incontri al Legato 
che quel Duca teneva in Bologna. Anzi il De Newdech voleva che il 
Reggimento riconoscesse nel Rettore tale diritto, ma indugiando quello 
per riguardo a Giovanni II Bentivoglio, Signore di Bologna, ch'era 
Generale dello Sforza, la Nazione Tedesca mandò a quest’ ultimo 
suoi Messi, i quali ottennero da lui, con lettera molto onorifica del 
27 giugno 1491, che il Legato dovesse desistere dalla pretesa (1). 
Ma accadde che prima che tornassero i Messi della Nazione, il te- 
desco eletto Rettore, uscendo dai Vespri da S. Domenico, s’incon- 
trasse col Legato del Duca di Milano, il quale, non avendo voluto 
cedergli il passo, fu colle armi e coi pugni scostato dal muro. Su- 
bito si sparge per la città la notizia di quella zuffa; si suona a 
stormo, si chiudono le Porte, ed il Legato, per mezzo del Benti- 
voglio , ottiene che il Rettore sia cacciato da Bologna. Questi fra 
grandi dimostrazioni d'affetto dei Professori e dei condiscepoli è 
costretto a partire, ma giunto a Casalecchio è trattenuto presso Lu- 
dovico e Girolamo da San Pietro, suoi amicissimi. Frattanto gli 
scolari, radunati in S. Domenico, giurano di abbandonare le scuole, 
se il Rettore non vien richiamato : a questa minaccia il Reggimento 
cede, ed il Newdek, richiamato, è accolto con istraordinaria esultanza 
alla porta di Saragozza da Professori, da Magnati, dagli scolari 
tutti, con trombe, tamburi, e corteggio di 450 cavalli e folla im- 
mensa di popolo; e fu d'allora in poi trattato dal Reggimento con 
insolita deferenza (2). 

Io credo che mai gli scolari tedeschi godessero in Bologna tanto 
favore quanto nell'ultimo decennio del secolo XV e nel primo 
del XVI: e dico gli scolari tedeschi in genere, non solo ì Leggisti, 
ascritti alla nostra Nazione. Vivevano in quel tempo in Bologna 
Filippo Beroaldo seniore, umanista dottissimo e professore allora 
celebre, che aveva quasi 200 scolari tedeschi , dei quali alcuni abi- 
tavano in sua casa; ed è singolare vedere come questo illustre bolo- 
gnese dedicasse ai suoi discepoli della Germania quasi tutte le sue 
opere, imitato in ciò da Giovanni Garzoni e da Gian Battista Pio, 


(1) Annales, vol. I, a carte 135 retio. 
(2) Annales, vol. I, da carte 134 verso a 1396 verso. 


DI A. URCEO CODRO 551 


professori essi pure di Lettere Latine (1). Chi osservi le edizioni bolo- 
guesi di quei tempi trova di sovente epigrammi e poesie in lode di 
scolari tedeschi, e valga per tutte la seconda edizione delle poesie di 
Enrico Caiado, portoghese, che in quei giorni viveva nella nostra città. 
Lo Studio era frequentato allora da ciò che di più eletto, sia per 
nobiltà d’ingegno, sia per nobiltà di natali, avesse la Germania; 
Nicolò Copernico vi studiava le Leggi, passando le notti con Dome- 
nico Maria Novara nell’osservazione dei fenomeni celesti. Nell’ ulti- 
mo decennio del secolo XV e nel primo del XVI quasi 500 scolari 
Leggisti alemanni furono ascritti alla Nazione tedesca in Bologna, e 
se a questi si aggiungano gli altri dell’ Università degli. Artisti, ci 
potremo fare un'idea del numero loro. Onde il citato Beroaldo, nel 
carme « ad Germaniam >», cantava: 


€ . . - ° 0.000.000. 0. 0» 
O Germania gloriosa, salve! 


(1) Nel 1604, nel primo giorno di gennaio, fu offerto alla Nazione Alemanna 
l'opuscolo seguente : « Armonia Ecclesiasticorum Concertuum Ociavii Vernitti Bo- 
non .... » (segue lo stemma della Nazione, sostenuto da putti) < Venefiis, apud Ia- 
cobum Vincentium. MDCIIII ». Quest’ operetta ὁ divisa in quattro parti, e dalla 
dedicatoria apprendiamo che l’autore la intitolava ai tedeschi anche « οὗ dele- 
ciationem » (com'egli dice loro) « quam vos praefatae Nationis Illustrissimi Do- 
mini capere ossendistis ex his cantionibus meis ». Però dal INI volume degli An- 
nales (a carte 108 verso) sotto la data dell'ultimo di decembre del 1603, ap- 
pare, che essendosi radunati gli Ufficiali per deliberare se doveva Accettarsi la 
dedica di queste canzoni : « Moleste se ferre dicebant quidam, natione inscia, 
dedicatas esse.... Quoniam vero Cantiones iam typis impressae erant ei pre- 
dictus Octavius DD. Consiliariis per Pedellum (Bidelilum) Nations significari cu- 
raverai se postridie eas offerre velle, conclusum est accipiendas esse a Con- 
siliariis, Nalionis nomine, et Octavio indicandum Nalioni gratam eam in se be- 
nevolentiam, et nonnulio honorario studium et laborem cjus, quod ille aequi bo- 
nique consulat, remuneraturam. Sequenti ilaque die, qui erat primus Anni 
1604, Cantiones dicte oblate et recepte sunt a DD. Consiliariis. 

Quest’operetta del Vernizzi si trova nella Biblioteca del nostro Liceo Musi- 
cale, ove pur si conserva un esemplare (cortesemente mostratomi dal Ch. Prof. 
Gaspari) del libro: La vita et Metamorfoseo d' Ovidio .... (a Lione per Gio- 
vanni di Tornes .... 1559), che già appartenne al musico bolognese Annibale 
Melloni. Sono inserite in esso molte memorie e stemmi di scolari tedeschi, i 
quali partendo da Bologna dal 1566 al 1594 li lasciarono a quell’illustre mu- 
sico , con parole di molto affetto, come ad amico e maestro. 

Sappiamo dagli Annales (Vol. III, a carte 185 ret0) che nel febbraio del 1613 
un Converso di San Domenico dedicò alla Nazione Tedesca una vita di S. Gia- 
como d’ Ulma , forse non mai stampata. 


552 MALAGOLA 


Abs te turba venit scholasticorum 
Hoc qui gymnasium excolunt, optimant 
Jam doctum et latialiter sonantes 

Tris nuper quoque regulos Badenses 
Lautos, magnificos, probos, dedisti 
Inter quos lacobus enitescit 

Lingua, dexteritate, comitate, 

Cultu, mundiciis, nitore, victu; 
Clarus, munificus, potens, disertus ; 
Splendorque et columen scholasticorum 
At Germania praepotens alumnos 

Ad nos consimiles subinde mitte (1) ». 


Non è da meravigliare se fra gli studenti tedeschi e quelli delle 
altre Nazioni nascessero spesso litigi: nel 1505 cogli Ungheresi, nel 
1507 cogli Inglesi, nel 1513 coi Siculi e nel 1517 coi Lombardi. 
Nonpertanto la Nazione seguitava in florido stato, anzi Filippo 
Obermayr, eletto Rettore degli Ultramontani nel 1519, fece in quel- 
l'occasione affiggere per tutta la città dei cartelli, ove in lettere do- 
rate si leggevano degli evviva alla Germania (2). 

A turbare per qualche anno tanta prosperità venne, nel 1527 
e nel 1528, la peste: onde, fuggiti gli scolari, non rimasero che i dne 
Procuratori ed uno studente nel 1527 e nel 1529. Ma tornarono ben 
numerosi nel 1530; e la venuta di Carlo V in Bologna procurò loro 
l'approvazione degli antichi privilegi e l'aggiunta di nuovi, poichè 
quel monarca, con suo diploma del 25 febbraio del 1530, conside- 
rando quanto di ornamento e di utilità procacciasse all'Impero tutto 
la Nazione Germanica da più secoli costituita in Bologna, confer- 
mava ai Procuratori della medesima il privilegio della giurisdizione 
sopra tutti i suoi Membri, ordinando che se gli estranei avessero 
voluto chiamarli in giudizio, nol potessero, se non dinanzi agli 
stessi Procuratori. Inoltre dispensava dal giuramento al Rettore de- 


(1) Philippi Beroaldi de felicitate Opusculum. In fine: Impressum Bononia 
a Benedicio Hecioris.... Anno Salutis Millesimo undequingeniesimo.... In 
questo opuscolo la citata poesia si legge nel reito e nel verso dell'ultima carta. 
Fu ristampata nel 1500 nell'altro opuscolo dello stesso Beroaldo : Orationes Mul- 
lifariae a carte 126 verso e 127 retto, non num. 

(ἢ Annales, vol. I, a carte 163 retto , in margine. 


DI A. URCEO CODRO 553 


gli Ultramontani ed agli altri Ufficiali dell'Università tutti quelli 
che fossero ascritti alla Nazione Alemanna, e riserbava ai Procu- 
ratori, così in publico, come in privato, il posto dopo i Rettori 
dell’ Università, i Vescovi, i Principi ed i Protonotari Apostolici, il 
che da lungo tempo era in uso. E per giunta, dopo avere appro- 
vati gli statuti della Nazione, la dichiarava posta sotto la protezione 
del Sacro Romano Impero ; ornava del titolo di Conti Palatini i Pro- 
curatori durante il loro uficio, con privilegio di portar armi sinchè 
fossero rimasti in Bologna, di creare Notai e Giudici Ordinari, e 
di leggitimare bastardi. Anche l'originale di questo diploma, che fu 
stampato più volte, si conserva nell’ Archivio dei Conti Malvezzi 
de' Medici (1). Questi privilegi vennero approvati e confermati da 
Clemente VII nello stesso anno, da Paolo III nel 1544, e da Giu- 
lio II nel 1552. 

Non voglio qui tacere una notizia che riguarda la Nazione, e 


(1) Questo e gli altri privilegi della Nazione Germapnica si possono leggere 
nei seguenti opuscoli che conservansi pure nell’ Archivio Malvezzi de' Medici: 

‘« Privilegia A. Sacrat. Imperat. Et SS. Romanorum Pontificibus Nationi 
Germanicae in Bonon. Gymnas. indulta. — Bononiae, apud Haeredes Io. Ros- 
δύ. 1599. Curiae Archiep. et S. Inquisilt. concessu ». Op. in 8.° di pag. 24. 

« Privilegia A Sacratissimis Imperatoribus Et SS. Romanorum Pontificibus 
Germanicae Nationi Bononiae Studenti Indulta. — Bononiae. M.DC.LXXIII. Ex 
Typographia Ferroniana.... ». Opuscolo in 8.0 di pag. 32, del quale si fecero stam- 
pare 400 copie; che furon pagate in tutto 33 lire, come si rileva dal V. vol. de- 
gli Annales (a carte 233 retto). Si distribuiva a tutti quelli che s’iscrivevano nella 
Nazione. 

« Inelylae Germanicae Nationis In Alma Bononiensi Universitate Privilegia 
A’ Sacratissimis Romanorum Imperatoribus, Et A' Sanctissimis Pontificibus In- 
dulia , aucta, vel confirmata, Denuò Producia. — Bononiae, ex Typographia 
Clementis Mariae Sassi Successoris Benatii 1727. ...». Op. in 8.9 di 32 pagine. 

« Inciytae Germanicae Nationis In Alma Bononiensi Universitate Privilegia 
A’ Sacratissimis Romanorum Imperatoribus , Et A’ Sanctissimis Pontificibus, 
Indullta, aucta, vel confirmata, Denuo Producta. — Bononiae, ex Typogra- 
phia Clementis Mariae Sassi Successoris Benatii 1741....». Vi è aggiunto, a 
pag. 38, la: Transactio Innita diebus 28. Novembris, et prima decembris 1696. 
Super Praecedentià Sessionis et Convocationis imposierim servanda inter DD. 
Procuralores ac reliquos Nationales Germanos, et inter Dominos Praesides 
Aliosque Consiliarios Universitatis Juristarum, Die 18. Decembris 1606. confir- 
mata Ab Eminentissimo et Recerendissimo Domino D. Card. Marcello Duratio 
Bononiae de Latere Legato , Coram Quo Controversia Pendebat. 

Questo opuscolo, in cui la numerazione dei Privilegi sèguita anche in que- 
sta Transazione, è di pag. 44, in 8.9 


554 MALAGOLA 


che dal suo Vice Protettore, il Conte e Cavaliere Giacomo Maraullo 
è ricordata siccome tolta da una lettera dei 12 giugno del 1558 
del Rettore e Senato d'Ingolstadt, diretta ai Procuratori della Na- 
zione Alemanna in Bologna, perchè procacciassero la libertà a certì 
mercanti tedeschi che erano stati imprigionati. I Procuratori scris- 
sero subito al Senato di Bologna (l), il quale, sollecito dell’ utile 
grande che veniva alla città dal commercio di questi tedeschi, che 
non solamente la tenevano fornita di merci, ma procuravano la ven- 
dita in Germania di un’ingente quantità di drappi fabricati nella 
città nostra, aveva già raccomandato prima, e seguitava a raccoman- 
dare di poi la cosa a diversi potenti personaggi, con lettere delle 
quali abbiamo le minute nel VI volume Literarum del Senato. Non 
sappiamo se poi ottenesse la liberazione. 

Di queste ingerenze, quasi direi diplomatiche, esercitate dalla 
Nazione , troveremo esempio anche più innanzi. 

Dobbiamo registrare sotto l’anno 1560 il Breve di Pio IV, nel 
quale, oltre al venir confermati i privilegi sanciti dal diploma di 
Carlo V, ed approvati da diversi pontefici, si metteva la Nazione 
sotto la protezione della Sede Apostolica, le si dava facoltà di rifare 
o modificare i propri statuti, e si concedeva a’ suoi Procuratori di 
presentare al Collegio Legale dello Studio Bolognese uno scolaro 
povero , perchè fosse laureato senza alcuna spesa (2). 

Mentre però in Bologna e fuori la Nazione Tedesca era onorata 
e pregiata, accadde un fatto che è di grande interesse per la sua 
storia. Nel 1562 uno dei Procuratori, dovendo recarsi a Roma, con- 
vitò i tedeschi ad una cena la sera prima del giorno in cui doveva 
partire. Dalla qual cena uscendo due di essi, fra cui il Procuratore, 
s’abbatterono, appena fuori della porta di casa, nei birri, 1 quali ir- 
ritati perchè un certo tedesco aveva poco innanzi ferito un italiano, 
accerchiati quei due, li disarmarono e li fecero prigioni, quantunque 
allegassero i privilegi della loro Nazione. I compagni, tratti al ru- 
more, escono fuori; uno di loro, credendo assaliti i tedeschi da 
sicari, cacciatosi furiosamente fra ì birri, ne costringe alcuni alla 
fuga, ma poichè gli altri birri cominciarono ad adoperare le armi 
da fuoco, i tedeschi dovettero ritirarsi in casa. La seguente mattina, 
mentre essi pensavano di porger querela al Legato per la violazione 


(1) Annales , vol. I, a carte 230 verso. 
(2) Incl. Germ. Nat.... Privilegia, opusc. cit. del 1747, a pag. 13. 


DI A. URCEÒ CODRO 555 


dei loro privilegi, il Bargello, seguito da una moltitudine di birri, si 
porta alla casa ove erano quei tedeschi e li invita a seguirlo al palazzo 
del Legato, insieme coi loro servi. Quelli lo seguono, ma giunti in 
Palazzo sono posti in carcere, e tosto sei nobili della Nazione tede- 
sca, alcuni dei quali neppure erano stati presenti al tumulto della 
sera antecedente, furono condannati al supplizio della corda, quan- 
tunque due soltanto, per l’ intercessione del Senato e del Rettore 
Ultramontano, la subissero, denudati in publico. La Nazione tutta 
arse di sdegno per tal fatto, e presentate querele all'Imperatore, e , 
consegnate tutte le cose proprie ai padri della Carità, abbandonò la 
città nostra, portandosi a Padova, dove nel 1562 divulgava l’opu- 
scolo col titolo: « Scriptum verum ac breve.... », che più sopra 
abbiamo citato. E da Padova ai 19 di marzo dello stessò anno la 
Nazione mandava a Bologna al Senatore Ulisse Gozzadini una lettera, 
ove, dopo aver detto che essa non avrebbe potuto dimenticar mai i be- 
nefici ch'egli le aveva prodigati, e dopo aver ricordata l' ingiuria gra- 
vissima ricevuta « già pochi giorni fà » dal Legato, pregava il Senatore 
Gozzadini a volere, insieme col dottore Ludovico Bovio, aver cura del 
podere che essa possedeva presso la nostra città (1). Passarono tredici 
anni senza che la Nazione pensasse a tornare, e Bologna, che ne sen- 
tiva non lieve danno, cercava modo di riaverla. Anzi già fino dal 1569 i 
Collegi di Ragione Canonica e Civile avevano fatto presentare un Me- 
moriale all’ Imperatore, pregandolo a volersi interessare pel ritorno 
della Nazione Germanica allo Studio di Bologna, che « ha riputato 
sempre per favore veramente singolare di esser onorato dalla nobi- 
lissima Natione Germanica, la quale per nobiltà et valore suo ha 
tenuto et tiene il primo luogo in esso (2) ». E, come provano le me- 
morie, già ricordate, del Marullo, la Nazione ritornava nel 1573; 
laonde il Senato Bolognese, con suo partito degli 8 d’aprile del 
1575, per mostrarsi grato del desideratissimo ritorno, giungeva per- 
fino a decretare che agli scolari della Nazione Alemanna «... frui 
liceat omnibus beneficiis, commodis, immunitatibus ac privilegiis quae 
ipsis Senatoribus Bononiensibus a quocumque, aut quoquo modo, 
concessa reperiuniur »; e Papa Gregorio XIII con sua Bolla degli 8 


(1) Questa lettera trovasi nell'Archivio di famiglia dell’ Illustre Sig. Conte 
Comm. Senatore Giovanni Gozzadini, per cortesia del quale potei vederla. 

(2) Leitere delli Sacri Collegi di Ragione Canonica e Civile a Diversi Prin- 
cipi e Signori dall’ anno 1529 23 dicembre — a carte 14 verso e segg. 


556 MALAGOLA 


di marzo del 1576 non solo approvava questo decreto, ma ricono- 
sceva e confermava alla Nazione tutti i privilegi che fino allora le 
erano stati concessi, aggiungendo che i Collegi Legali dovessero lau- 
reare gratuitamente quanti scolari poveri della Nazione Tedesca fos- 
sero presentati loro dai Procuratori (1). 

Troviamo segnato nei libri della Nazione verso la fine del se. 
colo XVI il lunghissimo racconto d'un fatto che turbò pel corso di 
qualche anno la quiete dei tedeschi. Nel 1595 un tal Daniele Grenzing 
di Feldbirchen, Primo Consigliere della Nazione, aiutato da Gian 
Giacomo Wacher, suo compagno, aveva assalito proditoriamente sulla 
publica piazza, un tal Michele Chumerlin (lasciandolo quasi morto), 
e di poi era fuggito colle cose della Nazione, fra cuì contavasi la 
egregia somma di 400 coronati d’oro. Fatto citare dal Vicelegato, 
fu, in contumacia, condannato al Bando. Frattato il Wacher, uomo 
rotto ad ogni specie di libidine, si portò a Roma, ove in breve dette 
fondo a parte del danaro della Nazione appropriatosi dal Grenzing, 
e poscia, come se niente avesse commesso, ritornò a Bologna per 
ricever la Laurea. Ma poichè la Nazione aveva ottenuto dal Legato il 
permesso di cacciarlo a forza dalla città, il Wacher, temendo di ciò, 
si fece attendere invano dai Collegi Legali. Nè si contenta; manda 
alla Nazione un libello, nel quale in ogni guisa la vitupera; questa 
vuole da prima impedirgli la Laurea; poi, intromessosi un Dottore, si 
disponeva a permettergliela, a patto però che il Wacher le restituisse 
il tolto, e disdicesse le ingiurie. Ma questi, d'accordo coi Collegi, 
una mattina prestissimo ottiene la Laurea, e la celebra con un se- 
condo libello -più riboccante d' insulti, che manda alla Nazione; e si 
fa vedere in città armato e in compagnia d'armati. Poscia, mutando 
a un tratto tenore, perchè i tedeschi lo perseguitavano, mandò una 
supplice scrittura alla Nazione: ma questa non prestando fede al- 
l'improvviso cambiamento, molto più sapendolo consigliato dall'uti- 
lità, e conoscendo per prova l'indole del Wacher, non fece altra 
risposta, che la minaccia di cacciar dal suo seno chi solo ardisse 
di nominarlo. Quegli parte, ma nel 1598 ritorna in Bologna con 
uno zio che era Ambasciatore Cesareo alla Corte di Roma, e appena 


(1) < Decretum Senaitus Bononiensis, In Quo Privilegia , Et Immunitates 
Germanicae Nationi, Bononiense Gymnasium adeunti conceduntur, δ. D. N. 
Gregoriî XIII. Pont. Max. auctoritate confirmatum. — Bononiae, Apud Ioan- 
nem Rossium. MDLXXVI ». Op. di 4 carte in 8. Trovasi nell'Archivio Mal- 
vezzi de’ Medici. 


DI A. URCEO CODRO 557 


giunto invia alla Nazione tedesca un’ arrogantissima lettera, richie 
dendo, o meglio comandando, di essere dichiarato innocente, e tac- 
ciando d' infame chi ardisse negare la sua onestà! La Nazione si 
raduna, e tosto publicamente lo dichiara infame, e lo caccia da sè 
come « putridum membrum ». Finalmente nel 1599, non potendo essa 
più a lungo negare all'Ambasciatore Cesareo quello che al nipote 
non avrebbe mai concesso, lo ammise al perdono (1). 

Mentre dal 1595 al 1599 accadevano questi fatti, la Nazione 
ottenne nel 1596 privilegi sopra i Polacchi, suoi eterni nemiciì, 
circa la presentazione dei Consiglieri all’ Università Ultramontana; 
le discordie si rinnovarono, ma gli Alemanni riuscirono finalmente 
vincitori. Essi, per dar segno a Bologna della loro gratitudine per 
la cortese e lunga ospitalità, si adoprarono nel 1596 presso il Go- 
verno Tirolese perchè lasciasse passare senza alcun Dazio il frumento 
che i Bolognesi volevano comperare in Baviera, perchè il nostro ter- 
ritorio ne soffriva allora penuria; e la grazia fu ottenuta (2). Negli 
Annales è pure una supplica presentata dalla Nazione a Clemente VIII 
in Bologna nel 1598, dove questa scrive che « essendo stata alcuni 
anni sono poco numerosa, non si valeva de’ priuilegi;... hora perchè 
è molto accresciuta e ogni giorno più cresce, desidera valersene (3) ». 
E Clemente li confermò, concedendo fosser validi in tutto lo Stato 
Ecclesiastico (4), il che fu di nuovo approvato da Paolo V con sua 
Bolla dei 15 settembre 1605 (5). Ebbero ancora gli Alemanni una 
questione cogli Spagnuoli circa le prerogative nelle publiche dispute, 
e la decisione fu affidata alla sorte, che favorì gli Spagnuoli. 

Da un raro opuscolo (6), conservato anch' esso nell'Archivio Mal- 
vezzi, e contenente alcuni sonetti dedicati alla Nazione da Camillo 
dei Conti di Panico, maestro di lingua italiana a quegli scolari te- 
deschi (7), sappiamo che ai 22 di luglio del 1612 la Nazione Ale- 


(1) Annales, Vol. III, da carte 1 retto a carte 60 retto. 

(2) Anmales, Vol. HI, a carte 14 retto. 

(3) Annales, Vol. III, a carte 40 retto. 

(4) Incl. Nat. Germ... Privilegia, opusc. cit. del 1747, a pag. 25. 

(5) Incl. Nat. Germ... Privilegia, opusc. cit. del 1747, a pag. 27. 

(δ) Versi nelle... allegrezze Et corso di... Pailio... Istituite ἀαὶ ΤΏ... Natione 
Germanica Per la... Elettione di Mattias Primo... Imperaiore... - In Bologna 
Per {1 Cochi... 1612 - op. in 8.9, di 8 pag. 

(7) Non tornerà per certo superfiuo dire qualche parola sui maestri nominati 
dalla Nazione. Essa ne aveva uno di lingua italiana anche nel 1615. Nel 1640 e 
nel 1641 ne eleggeva un altro di ginnastica, nel 1662 uno di lingua francese: 


558 MALAGOLA 


manna solennizzò con corsa di Pallio, e con altri publici spettacoli 
l'elezione di Mattia I al trono imperiale; e gli Annales (1) ci atte- 
stano ancora che la sera, sulla Piazza di S. Domenico si spararono 
trecento razzi. Avvertirò pure come nel 1605 fossero da Papa Urbano 
VIII riconfermati e dichiarati validi anche nell'antico Ducato di Fer- 
rara i privilegi della Nazione (2), e che da Innocenzo X essa fu posta 
sotto la protezione del Governatore, dell'Arcivescovo di Bologna e 
del suo Vicario (3), la qual cosa rinnovò anche Clemente XII nel 
1737 (4). 

Solevano gli scolari iscritti, ricrearsi in un prato fuori della Por 
ta di S. Mamolo, ma poichè con l’andar del tempo s'era introdotto 
l'abuso che con essi vi si recassero anche italiani con donne di mal 
affare, i Consiglieri e gli Ufficiali, nel 1661, con Monitorio dei 24 
aprile, affisso all'ingresso di quel luogo, comminarono pene a chi 
ardisse di entrarvi senza essere della Nazione. 

Nell’ adunanza tenuta ai 26 di novembre e nel 1.5 di decembre 
del 1696 dalla Università del Giuristi del nostro antico Studio si 
concordò, fra altre cose, che i Procuratori della Nazione Tedesca 
fossero nelle convocazioni chiamati immediatamente dopo il Priore. 
e che sedessero a destra ed a sinistra di lui. Tutto ciò fu approvato 
. in quello stesso anno dal Cardinale Durazzo. 

Già vedemmo come la Nazione Germanica potesse presentare ai 
Collegi di Diritto gli scolari poveri tedeschi, perchè venisser laureati 
gratuitamente. Uguale concessione le fece il Collegio Teologico con 
suo decreto publicato anche per le stampe nel 174] (5). 


però era lecito agli studenti tedeschi servirsi di altri, giacché sembra che questi 
venissero privatamente pagati dai singoli scolari. Inoltre in una nota dell'an- 
no 1668, delle < Persone delle quali εἰ serve necessariamente et in comune.... la 
nazione » troviamo tre dottori di Teologia, altrettanti di Leggi, di Medicina (fra 
i quali Ovidio Montalbani, istorico di fama non invidiabile) e di Teologia; ed an- 
che maestri di lingua italiana, di francese, di spagnuola, di scherma, di ballo, 
di equitazione e di liuto. Vengono appresso un Notaro, nno Scrittore, un Com- 
putista, un Chirurgo, un Barbiere, un Pittore, un Sarto ed un Calzolaio; e tutti 
questi erano nominati di anno in anno. 

(1) Annales, Vol. INI, a carte 179 verso e 180 retto. 

(2) Inci. Nat. Germ... Privilegia, opusc. cit. del 1747, a pag. 20. 

(3) Inci. Nat. Germ... Privilegia, opusc. cit. del 1747, a pag. 60. 

(4) Incl. Nat. Germ... Privilegia, opusc. cit. del 1747, a pag. 31. 

(5) Exemplum Diplomatis Collegii ὃ. T. Bononiensis Favore Inciytae Nato 
nis Germanicae Apud Bononiam Studentis Sub Coelesti Protectione 5. Leopoldi 
Austriae Principis Super Magisterio in eddem Faculiale quot annis Uni pauperi 


DI A. URCEO CODRO 559 


L'ultima memoria che abbiamo della Nazione è una lettera, 
che trovasi nel nostro Archivio del Reggimento, scritta nel 1785 
dal Cardinale Herzan al Legato di Bologna, per pregarlo a voler 
proteggere il diritto, goduto sino allora dal Procuratore, o Priore 
degli Alemanni, di sedere in luogo distinto accanto al Rettore nel 
Teatro Anatomico, il qual diritto veniva allora contrastato. 

Col Piano Generale di Pubblica Istruzione, decretato dal Gover- 
no della Republica Cisalpina, e che porta la data dei 24 di luglio 
dell’anno 1798, furono soppresse le Nazioni costituite da tanti secoli 
presso la nostra Università (1). 


Scholari eiusdem Nationis gratis conferendo, Editi die 3. Junii A.C. AE. 1741 - 
(In fine): Bononiae, Typis Clementis Mariae Sassi Successoris Benalti - Opuscolo 
in 8.9, di pag. 12, nell'Archivio Malvezzi. 

(1) Non tornerà inutile dir qualche parola delle rendite e delle spese della 
Nazione, del suo sepolcro, del suo stemma e de' suoi vessilli. Le rendite furono 
antichissimamente costituite solo dai danari che le pagavano i suoi Membri, tanto 
per tasse, quanto per pene; e in seguito anche da diverse eredità che essa face, 
e per le quali ebbe case e fondi; uno di questi, ove i tedeschi radunavansi nei 
di festivi era VaZlescura, fuori della Porta di 5. Mamolo, oggi villa del Ch. Signor 
Comm. Francesco Zambrini. Le entrate servivano principalmente alle spese per 
fanzioni sacre e pei banchetti, che nelle diverse solennità la Nazione faceva cele- 
brare o celebrava. Una parte serviva a pagare il Notaio ed il bidello, con un 
altra si dispensavano elemosine. 

Gli Alemanni avevano la loro sepoltura nella chiesa di S. Domenico, nel 
chiostro della quale, presso moltissime altre lapidi di scolari tedeschi (che ricor- 
derò più precisamente nell'Appendice XXIX) ancora si vede quella che porta i 
seguenti versi di Filippo Beroaldo seniore (Annales, Vol. I, a carte 150 retto): 


« SISTER. GRADUM ., SPECTA . MONUMENTUM . HOC. QUARSO . VIATOR . 
QUOD . Pia . QUOD ., CULTRIX . LEGUM . GERMANA . IUYVENTUS. 
CONDIDIT . UT . GENTI . PATRAT . CHOMUNEB . BBPULCRUM . 
UT ., GERMANORUM . MANEB . POST . FATA . QUIBSCANT . 
BACRA . PARENTALI . CUPIENTES . ANNUA . RITU. 
M.DI». 


Lo stemma della Nasione Tedesca di Bologna portava la Corona Imperiale: 
aveva lo scudo spaccato,.contenente nella parte superiore l’ aquila bicipite coro- 
nata in campo d'oro, e nell'inferiore un libro aperto, in campo rosso, colle paro- 
le: IVSTICLE CVLTORES. 

Ci è rimasta anche l'impronta di due sigilli della Nazione in un libro, che 
già le appartenne, di Statuti Criminali di Bologna (stampati nel 1491) che ora si 
conserva nella Biblioteca del nostro Comune, sotto l’ indicazione 17: N: VI: 11. 

Negli Annales, sotto l'anno 1510 ho trovato per la prima volta menzione di 
un vessillo della Nazione: tre di seta (uno rosso, uno nero ed uno giallo) colle 


560 MALAGOLA 


Il numero di coloro che furono ascritti in Bologna alla Nazione 
Germanica, è infinito; e di essi ci rimasero memorie preziosissime 
nei libri dell'Archivio Malvezzi de’ Medici (1}; dove, dal 1265 in poi 
troviamo, segnati un Papa ed un Re: Adriano VI e Giovanni Casì- 
miro d’ Ungheria; Principi imperiali e reali, Arciduchi e Duchi 
d'Austria, Duchi di Sassonia, di Brunswich, e di Baviera, Marchesi 
di Baden e nobili delle più chiare famiglie tedesche. 

I più celebri uomini della Germania nelle scienze o nelle let- 
tere sono qui ricordati: Nicolò da Cusa, Corrado Celtes, Nicolò Co- 
pernico, Cornelio Agrippa e cento e cento altri dei più illustri sco- 
lari del nostro Studio hanno lasciato in questi libri notizie, finora 
ignote, della loro vita; nè io (augurando che presto questi volumi 
veggano la luce) potrei consigliar cosa che tornasse a maggior 
vantaggio della storia della Germania e a maggior lustro dello Stu- 
dio di Bologna, una delle più belle glorie d'Italia. Nè questi sono 
semplici voti; perocchè da qualche anno sto raccogliendo notizie 
per trattare più ampiamente non solo della Nazione Germanica, sin 
qui presso che ignorata, ma dei tedeschi in genere, che furon stu- 
denti nella nostra città. E queste notizie, ordinate in una o più 


_——————+€  ————————_—————————_——___————___—oÒù 


insegne dell’ Impero e della corporazione sono descritti nell'inventario, già ricor 
dato, del 1543. 

In Bologna fra la Strada Maggiore e la Via S. Stefano è un viottolo chiuso 
detto Allemagna, la quale denominazione, secondo il Zanti (Nomi et Cognomi di 
tutte le Strade, Contrade et Borghi di Bologna - Bologna (1583) - a pag. 37 
non num.) gli sarebbe venuta « da un Alemano che quivi leneva a camera locan 
da genti di quella Natione. » Anche nell’ opuscolo anonimo, impresso nella città 
nostra l'anno 1843, col titolo: < Origine della denominazione delle DA strade che 
compongono la città di Bologna », leggiamo che quel vicolo Alemagna fu così chia- 
mato « perchè a capo di detto vicolo nel 1430 eravi una locanda per È scolari 
della Nazione Alemana. » In capo ad esso veggonsi, dalla parte destra di chi 
entra dalla Via S. Stefano, avanzi di costruzioni del secolo XV, e più innanzi altri 
importantissimi della metà del XIII. Fuori di porta Maggiore esiste una Parroc- 
chia col titolo di 8. Maria degli Alemanni, il qual nome « trae probabilmente la 
sua origine da un Ospizio che esisteva fn questo distretto per albergare esclusi 
vamente {i Pellegrini di Nazione Allemanna che si recavano a Roma », come tro- 
viamo a pag. 87 del I vol. dell'opera « Le chiese Parrocchiali della Diocesi di 
Bologna - Bologna - 1844. 

(1) Per cortese dono del Signor Ragioniere Pietro Spagnoli, erudito collet- 
tore di oggetti antichi, la preziosa raccolta degli scritti della Nazione Aleman- 
na, che si conserva nell'Archivio Malvezzi de’ Medici, δ᾽ è accresciuta in questi 
giorni di due copie di Atti che riguardano la medesima. 


DI A. URCEO CODRO 561 


Memorie, potranno servire ad illustrare i libri della Nazione Tede- 
sca, che avrei in animo di dare alla luce, se un editore ne assu- 
messe l'impresa, giacchè la nobile famiglia dei Conti Malvezzi de’ 
Medici, (che reputa gli Archivi privati essere patrimonio, come i 
publici, degli studiosi). me ne ha cortesemente e benevolmente con- 
cesso licenza (1). 


APPENDICE XXIV. 


Documenti 
intorno a Nicolò Copernico. 


(Vedi a pag. 313, nota 3.%, e a pag. 314, nota 1.3). 


Documento I. 
« 1496. 

Racio dominorum Fridericj Schonleben Herridinensis ac noui- 
monasteri) herbipolensis ecclesiaram Canonici, et Gerardj Sugerode 
de dauaentria traiectensis diocesis. 

Anno domini 1496, Sexto die mensis Januarij Conuocata et le- 
gittime congregata nacione theutonicorum in utroque Jure bononie 
studentium, Jn ede diui fridiani extra portam S mamme, Concorditer 
electi fuerunt in eiusdem nacionis prefectos seu procuratores domi- 
nus fridericus scoenleben herridinensis ac nouimonasterij herbipolen- 
sis ecclesiarum Canonicus, et dominus Johannes beghe de Cleuen 
coloniensis diocesis, Cui abeunti substitutus fuit dominus Gerardus 
sugerode de dauaentria, traiectensis diocesis, Qui, iuramento iuxta for- 
mam statutorum prestito, onus procuracionis assumpserunt. 

Recepta. 

A predecessoribus nostris libras XVI, bolonenos XV, et quatuor 

aureos renenses. 


(1) Non posso finire questa Appendice senza una parola di vivo ringrazia- 
mento alla famiglia dei Conti Malvezzi de’ Medici per la squisita gentilezza con 
cui m' ha aperto il suo archivio, ed in ispecie al Conte Dottor Nerio, Socio della 
R. Deputazione di Storia Patria, che colla sua dottrina mi ha validamente coadiu- 
vato nelle ricerche. 


36 


562 MALAGOLA 


Item ex Bancho felixinorum quinque libras, quas henricus de 
filixinis, guidonis filius ac bidellus quondam pnacionis nostre, annuo 
soluendas nacioni legauit in testamento Cuius clausula superius in LX 
carta Inserta est. 

A Reuerendo patre domino Cristoffero olim abbate in weyen- 
steuen ordinis S. Benedicti frisingensis diocesis 

vnum aureum renensem. 

A nobilj uiro domino Erhardo truchsses de wetzhausen artium 
magistro, ecclesie Eijstetensis Canonico —vnum florenum renensem. 

A domino Johanne sawerman Canonico wratislauiensi ac plebano 
in hirtzperck eiusdem diocesis vnum filorenum renensem. 

A domino Sebastiano de windeck argentinensis diocesis 

XVI bolonenos. 

A domino Johanne hochberg spirensis diocesis —XVI bolonenos. 

A magistro henrico eck de Culmbach bambergensis diocesis 

medium Florenum renensem. 

A domino Johanne Schnapeck de schenkirchn XX bolonenos. 

A domino Jacobo de lansperg argentinensis diocesis 

XXXIII bolonenos. 


A domino nicolao kopperlingk de thorn TX grossetos. 
Expirauit A domino paulo van buren Caminensis ecclesie beate marie 
1, ἢ FuArli nirginis uicario XVI bolonenos. 
A domino adolfo (sic) de osnaburgis eiusdem diocesis 
“ XVI bolonenos. 
A magistro henrico geilsdorfer de Curia, Bambergensis diocesis 
XXIII bolonenos. 
A domino sebastiano stublinger de Culmpach, bambergensis dio- 
cesis XVI bolonenos. 
A domino nicolao fladenstein de Culmpach, bambergensis dio- 
cesis XVI bolonenos. 
A domino nicolao conradj de dacia Canonico lundensi 
XII grossetos. 
A domino Conrado winckelman Canonico S. mauricij extra 
muros hildesemenses XX bolonenos. 
A domino Johanne trennbegk de purckfrid Ratisponnensis dio- 
cesis XX bolonenos. 
A domino wolfango Beyerl de kuzpuhel salzburgensis diocesis 
VII grossetos. 


A domino Johanne rinnel ex schwatz diocesis Brixmensis 


DI A. URCEO CODRO 5623 


quinque grossetos. 

A domino Caspare part ex monaco, diocesis frisingensis 
XVI bolonenos. 
A domino alberto longo gdanensi (sic) de prussia medium flore- 
num renensem, qui tunc valuit XXIII] bolonenos, 

Summa totalis omnium receptorum facit 
LV libras, X bolonenos et V quatrinos. 
— Érogata pro nacione — _ 

Jtem Jn die purificacionis beate marie uirginis pro doplerijs ante 
altare et quatuor Candelis supra altare Reliquisque cereis inter Scola- 
sticos ac eorumdem Seruitores, ut mos est, distributis, libras XI 


Item pro ramis palmarum grossetos I. 
Item domino priorj libras duas. 
Item thome bidello pro mappa altaris XXX bolonenos. 
Item eidem dum egrotabat X bolonenos. 


Item in die assumpcionis pro candelis quatuor supra altare 


. X bolonenos. 
Item priorj nacionis in exequijs domini Jacobj goldbeck cami- 


nensis diecesis V bolonenos. 
Item gerulo qui libros portauerat dum scolares novicios inscri- 
beremus XV quatrinos. 
Item Sebastiano nestler tabellario nacionis iurato, pro armis seu rioribus 
Insignijs nacionis, que defert, faciendis XXX bolonenos. pred Reri fo. 
Item domino paulo polono in die epiphanie pro offertorio cit _ valoris 


trium flore- 
2 bolonenos, norumrenen- 


Item pro XVI libris Zuchari V libras, "UM 
Item pro VIII bochalibus vini creticj sen malvasie 28 bolonenos. 
Item pro lignis ad ignem VII bolonenos, 
Item pro ciathis vitreis VI bolonenos. 
Item pro baculo depicto 3 grossetos. 
Item fackinis et bolettis XV quatrinos. 


Summa: 25 libras, X bolonenos, 4 quatrinos. 


Facto itaque calculo administracionis nostre Jn presentia Ve- 
nerabilium dominorum Johannis polner transiluani et Canonici wra- 
tislauiensis, Nicolai dich de offenburg, Theodrici de schulmberg. 
ottonis schacken ad hoc specialiter deputatorum, Remasimus ultra 
summam erogatam debitores nacioni in XXX libris, quas in prefato- 


0604 MALAGOLA 


rum Sindicorum conspectu renunciauimus, tradidimus et assignauimus 
nostris successoribus ad manus eorum proprias die XVII Januarij 
1497 ». 


( Dall’ Archivio Malvezzi de’ Medici in Bologna - Ammnales Cla- 
rissimae Nacionis Germanorum, a carte 14l retto e verso). 


Documento II. 

« Anno Domini M. CCCC. XCVI. Reuerendis Dominis Friderico 
schénleben, Hirridinensis ac noui Monasterìj Herbipolensis ecclesia- 
rum canonico, et Joanne Beghe de Cleuen, coloniensis diocesis, electis, 
et Gerardo sugerode de Dauantria substituto procuratoribus, in Al- 
bum relati sunt: 

Reuerendus D. Chistophorus olim Abbas in Vueyensteuen, Ordi- 
nis 5. Benedicti, Frisingensis diocesis, Aureum unum Renensem. 

N. Ὁ. Erardus Truchses de Vuetzhausen Artium magister, ec- 
clesiae Eystetensis canonicus, Florenum unum. 

Dominus Joannes Saurman canonicus Vratislaniensis ac pleba- 
nus in Hirtzperg eiusdem diocesis Florenum unum renensem. 

Dominus Sebastianus de Vuindeck Argentinensis diocesis bono- 
nenos sexdecim. 

Dominus Joannes Hochberg, Spirensis diocesis, bononenos sex- 
decim. 

Dominus Magister Heinricus Eck de Culmbach, Bambergensis 
diocesis , Florenum medium renensem. 

Dominus Joannes Schanapech de Schenkirchem libram unam. 

Dominus Jacobus de Lansperg , Argentinensis diocesis, libram 
unam, bononenos tredecim. 

Dominus Nicolaus Kopperlingk de Thorn grossetos nouem. 

Dominus Paulus Von Buren, Caminensis diocesis, bononenos sex- 
decim. 

Dominus Adolphus de Osnaburgis eiusdem diocesis, bononenos 
sexdecim. 

Dominus Heinricus Geildorfer de Curia, Bambergensis diocesis, 
libram unam, bononenos quattuor. 

Dominus Sebastianus Stublinger de Culmpach, Bambergensis 
diocesis, bononenos sexdecim. 

Dominus Nicolaus Fladenstein de Culmpach, Bambergensis dio- 
cesis, bononenos sexdecim. 


DI A. URCEO CODRO 565 


Dominus Nicolaus Conradi de Dacia Canonicus Lundensis gros- 
setos duodecim. 

Dominus Cunradus Vuinchelman Canonicus S. Mauritij) extra 
muros Hildesheimenses libram unam. 

Dominus Ioannes Trennbech de Purckfrid, Ratisponnensis dio- 
cesis, libram unam. 

Dominus Vuolfgangus (sic) Bryerl de Kitzpuhel, Saltzburgensis 
diocesis, grossetos septem. 

Dominus Joannes Rumel ex Schuuatz, diocesis Brixiensis, gros- 
setos quinque. 

Dominus Caspar Part ex Monaco, Frisingensis diocesis, bonone- 
nos serdecim. . 

Dominus Albertus Longus de Prussia Florenum medium re- 
nensem. 


(Dall’ Archivio Malvezzi de’ Medici in Bologna. - Matricula No- 
biliss. Germ. Collegiî, a carte 70 verso e 71 retto). 


APPENDICE XXV. 


Documenti 
intorno a Domenico Maria Novara. 


(Vedi a pag. 352, nota 1.°) 
Documento I. 

« Die XVI Junii 1484. 

Congregatis Magnificis Dominis Sexdecim Reformatoribus etc. 
Item per omnes fabas albas omnibus infrasctiptis Doctoribus et alijs 
rotulatis pro eorum lecturis constituerunt infrascripta salaria, que 
salaria sua soluentur alijs Doctoribus non priuilegiatis, uidelicet . 
M.° Dominico Marie....... (sic) Ad astronomiam, libras quinquaginta 

L. 50. » 


etoru 
. quorumdara 
sine priuilegio et pro rata eis soluj debeant eo modo et forma quibus Salaria. 


566 MALAGOLA 


(Dall’' Archivio del Reggimento - Vol. X Partitorum, a carte 
135 retto). 


Documento II. 
« Die XXIII. Decembris 1486. 
Magnifici Domini sexdecim, qui his proximis sex mensibus ua- 
carunt, hodie sedere coeperunt. 
Eodem die XXIII. Decembris 1486. 
Congregatis etc. . 
Magistri Do- Item magistro Dominico Marie de Ferraria, qui habere consueuit 
minici de fer- libras Quinquaginta bononenorum per ejus lecturam, Per omnes fa- 
Para. bas albas constituerunt libras centum bononenorum, quas In futa- 
rum habere debeat non priuilegiatas, pro salario predicte eius lectu- 
re, incipiendo In prima solutione fucta de anno presenti, videlicet 
L. 100. 


Magistri Do- Item per omnes fabas albas remiserunt Magistro Dominico marie de 


minici Marie ferraria Astronorno omnes punctationes contra eum factas ». 
remissio pun- 
ctationum. (Dall’ Archivio dell'antico Reggimento - Vol. X Partitorum, 
a carte 283 retto). 
Documento III. 
« Die XXIII. Decembris 1488. 
Magnifici Dominj Sexrdecim, quj his sex mensibus proxime pre- 
teritis vacarunt, hoc die sedere Inceperunt. 
Die XXIII Decembris 1488. 
Congregatis οἷο... . 0 τῳ νὸν νιν κεν 
Magistri Do- Item per omnes fabas albas constituerunt Magistro Dominico Marie 


minici Marie de Ferraria, Astronomo, libras Centum bononenorum Integras et pri- 
de ferraria. ilegiatas pro Salario eius lecturae, Incipiendo in prima distributione 
facienda de anno 1489 videlicet — — — — — — L. 100. » 


(Dall’ Archivio dell’antico Reggimento - Vol. X Partitorum, 
a carte 331 retto). 


DI A. URCEO CODRO 567 


Documento IV. 
« Die Quarto Decembris 1498. 
Congregatis etc. . . . 


Magistro Dominico ‘Marie de Ferraria libras Ducentas bononenorum 
Jntegras et priuilegiatas pro Salario eius lecture quolibet anno, Jn- Magistri Do. 
cipiendo in prima distributione futura videlicet — — L. 200-0-0 ». de Ferraria. 


(Dall'Archivio dell’antico Reggimento di Bologna - Volume XI 
Partitorum, a carte 165 retto e 166 verso). 


Documento Υ͂. 
« Die XII. Martij 1502. 


Congregatis etc. . . . 
Item per omnes fabas albas addiderunt libras Centum ‘salario Ma- tri Do- 
gistri Dominici Marie de Ferraria, Astrologi, quod erat librarum minici Marie 
Ducentarum, que omnes sint integre et priuilegiate, Incipiendo in 9° Ferraria. 
prima distributione presentis aunj videlicet — -— —L. 100.» 


(Dall’ Archivio dell'antico Reggimento - Vol. XI Partitorum, 
a carte 15 retto e verso). 


APPENDICE XXVI. 


Dei Lettori di Astronomia nello Studio Bolognese 
dal 1483 al 1501. 


(Vedi a pag. 352, nota 3.3). 


Sebbene una parte dei brani dei Rotuli, che riproduco qui ap- 
presso, sia già stata stampata, io confido tuttavia che ora compaia 
per la prima volta scevra di errori. 

Nel Rotulo dell’ anno scolastico 1483-1484 leggiamo: 

« Ad lecturam Astronomie de mane diebus continuis et ordi- 
narijs, et fiat Judicium et Tacuinum 

D. M. Dominicus maria. » 


568 MALAGOLA 


1484-1485. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs Et 


fiat Judicium et Tacuinum 
Ὁ. M. Dominicus Maria. » 


1485-1486. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs et 
fiat Jvdicium ac Tachuinum 
D. M. Dominicus Maria 
D. ΜΝ. Ferdinandus de villalobos cordubensis. » 


1486-1487. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs et 
fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Heronymus de Manfredis (1) 
D. M. Dominicus maria 
D. M. Ferdinandus de Villalobos Cordubensis. » 


1487-1488. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs et 
fiat Judicium ac Tacuinum 
D. M. Hieronymus de Manfredis 
D. M. Dominicus Maria 
D. M. Ferdinandus de Villalobos cordubensis. » 
1488. 1489. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs, et 
fiat Judicium ac Tacuinum 
D. M. Hieronymus de Manfredis 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria. » 


(1) Nella Biblioteca della R. Università di Bologna (A: V:KK: VIII: 29.ì:) si 
trova un Pronostico del Maafredi per l'anno 1479. È un opuscolo imperfetto in 
formato di 4.9, del quale restano solo quattro foglietti; nell’ ultimo di essi ὁ 
scritto: « Per mi hieronimo di manfredi doctore dele arte et medicina nel studio 
famoso de bologna madre di studi 1479 al laude de lomnipotente dio. Amen. » 
Questa edizione non è citata dal Fantuzzi nelle Notizie degli Scrittori Bolognesi; 
il Panzer e l’ Hain ricordano ὑπ᾿ edizione latina di questo Pronostico, non la de- 
scritta, in italiano. Nel X° volume Partiforum, a carte 260 verso, nell'Archivio del 
Reggimento di Bologna, è un documento che riguarda il Manfredi. 


DI A. URCEO CODRO 569 


1489-1490. 
« Ad lecturam Astronomie de mane diebus continuis et ordina- 
rijs, et fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Hieronymus de Manfredis 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria. » 


1490-1491. 
« Ad lecturam Astronomie de mane diebus continuis et ordi- 
narijs, et fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Hieronymus de Manfredis 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria. » 


1491-1492. 
« Ad lecturam Astronomie de mane diebus continuis ac ordi- 
narijs, et fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Hieronymus de Manfredis 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria. » 


1492-1493. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs, Et 
fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Hieronymus de Manfredis 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria. » 


1493-1494. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs, et 
fiat Judicium et Tacuinam 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria 
D. M. Scipio de Mantua 
D. M. Franciscus de papia. » 


1494-1495. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs, et 
fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria 
D. M. Scipio de Mantua (1) 
D. M. Franciscus de Papia. » 


(1) Nell’Archivio del Reggimento nel volume XI Partitorum, a carte 118 verso 
è un decreto che concerne Scipione da Mantova. 


570 MALAGOLA 


1495-1496. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs et 
fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria 
D. M. Scipio de Mantua 
D. M. Franciscus de papia. » 


1496-1497. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs et 
fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria 
D. M. Scipio de Mantua 
D. M. Franciscus de Papia 
D. M. Jacobus de Petramelara (1). » 


1497-1498. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs et 
fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria 
D. M. Scipio de Mantua 
D. M. Iacobus Petramelara. » 


Lecture Vniversitatis 
Ad Lecturam Astronomie 
M. lacobus de Mena hispanus 


(1) ΠῚ Fantuzzi nell'opera: « Notizie degli Scrittori Bolognesi », ricorda alcu- 
ni opuscoli a stampa, di Giacomo Petramellara. Sono però da aggiungere tre 
altri: il primo si conserva nella Biblioteca della R. Università (A: V: KK: VII: 
29 a pag. 89) ed incomincia : « Allo fllustrissimo εἰ mio Magnanimo Signore Missere 
Haniballo secondo Bentiuoglio: εἰς. Juditio del anno 1500 facto da Maestro Jacobo 
da pietra mellara.... » in fine: « Datum bononie die 18 Januarij. 1500... » Nella 
stessa biblioteca (A: V: KK: VIII: 29 a pag. 133) si trova anche del Petramel- 
lara un «... Zudicio... sopra ἴα dispositione dell'anno M.CCCCC.5. », in formato 
di 4.0 come il precedente. Il terzo di questi opuscoli è in 8.9, di quattro sole carte, 
ed incomincia: « Pronostico de maestro Iacomo da Pielramellara... sopra lanno 
.1524. delle cose in esso accaderanno... » In fine: « Dato in Bologna a di. 10. de 
Decembre 1523.... » e trovasi nella nostra Biblioteca Comunale, sotto l' indicazio- 
ne: 17: O: VI: 5.3. 

Documenti sul Petramellara si leggono nel volume XI Pariitorien, a carte 


DI A. URCEO CODRO 571 


1498-1499. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs, 
Et fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria 
D. M. Jacobus de Petramelara 
Lecture Vniversitatis 
Ad iecturam Astronomie 
M. Paulus de Montelupono. » 
1499-1500. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs et 
fiat Judiciam et Tacuinum 


D. M. Dominicus Maria de Ferraria 
D. M. Jacobus de Petramelara 


Lecturae Vniversitatis 
Ad Lecturam Astronomie 
M. Joannesfranciscus de Tutijs de Buxeto (1) ». 
1500-1501. 

Il Rotulo del 1500-1501 non si trova. Però possiamo facilmente 
supplirlo colla Minuta di esso, che pur si conserva nell'Archivio 
Notarile di Bologna, e dove leggiamo: 

« Ad Astronomiam de mane diebus Continuis et ordinarijs et 
fiat Judicium et Tacuinum 

D. M. Dominicus Maria de ferraria 


D. M. Jacobus de petra melaria 
D. M. Jacobus De Benatijs (2) ». 


158 verso, e 168 verso; nel XII, a carte 3 verso; nel XIII, a carte 67 retto, 137 
verso e 161 verso; nel XIV, a carte 85 retto; e nel XVI, a carte 64 verso e 143 
retto. 

(1) Gian Francesco Tucci fece stampare in Bologna nel 1499 {Die V Iunti) coi 
tipi di Giustiniano da Rubiera un opuscolo in 4.° col titolo: « Zo. Francisci de 
Tucciis ex Busseto, Artium οἱ Medicinae Scholaris, Intventio Asironomiae. » 

(2) Nel XII volume Partitorum, a carte 8 verso, e nel XV, a carte 112 verso, 
si leggono due documenti intorno Giacomo Benacci. 


572 MALAGOLA 


1501-1502. 
« Ad Astronomiam de mane diebus continuis et ordinarijs et 
fiat Judicium et Tacuinum 
D. M. Dominicus Maria de Ferraria 
D. M. Jacobus de Petramelaria 
D. M. Jacobus de Benacijs 


Lecture Vniversitatis 
Ad Lecturam Astronomie 
ΜΟῚ Dominicus Lucanus de Sarzana. » 


(Dall’Archivio Notarile - Rotuli dei Professori Artisti - 1438-1546). 


Tornerà utile presentar qui ai lettori due brani dello Statuto 
dell’ Università degli Artisti dell’anno 1404, che riguardano la cat- 
tedra d'Astrologia, e che erano per certo in vigore anche negli anni 
ai quali si riferiscono i Rotoli in parte riportati qui sopra. 

Il citato statuto, che trovasi in un volume membranaceo in 
formato di 4.° nella Biblioteca della R. Università di Bologna, sotto 
il N. 1394, incomincia: « Incipiunt Statuta noua Vniversitatis scolarium 
Scientie Medicine et Artium generalis studij Ciuitatis Bononie..... 
facta die XV mensis decembris Millesimi quadringentesimi quarti.... » 
ed ha aggiunte, fatte posteriormente. A pag. 59 e 60 sta scritto: 

« Quod doctor electus ad salarium in Astrologia det iudicia 
gratis Et etiam teneatur disputare. Rubrica LX.® 

Item statuerunt et ordinauerunt et firmauerunt quod doctor ele 
ctus vel eligendus per dictam Vniversitatem ad salarium ad legen- 
dum in astrologia, teneatur iudicia dare gratis scolaribus dicte Vni- 
versitatis infra vnum mensem postquam fuerint postulata, et etiam 
singulariter iudicium anni inscriptis ponere ad stationem generalium 
Bidellorum, et etiam teneatur legere secundum puncta ea seruando 
solum diebus festiuis et uaccationum, Pena pro qualibet vice, in 
quolibet dictorum casuum, viginti solidorum bononiensium. 

Item quod doctor electus ad salarium astrologie teneatur et de- 
beat quolibet anno disputare duas questiones in astrologia, et eas 
determinare infra octo dies a die dicte disputationis; et etiam tenea- 
tur disputare de quolibet in astrologia semel ad minus, et dictum 
quolibet determinare vt supra, Et dictas questiones, et dictum quoli- 


DI A. URCEO CODRO 573 


bet infrascriptis ad stationem ponere, et dare de bona littera et in 
bonis chartis membranis non abrasis, ad formam modi maioris, infra 
quindecim dies post determinationes, Et dicte questiones continue 
stent in statione ut de eis copia habeatur. » 

Ed a pag. 70 e 71 leggiamo: 

« De lectura et ordine librorum legendorum - Rubrica LXXVIII. 
In astrologia in primo anno primo legantur algorismi de minutis 
et integris. Quibus lectis, legatur primus goumetrie euclidis cum com- 
mento campani. Quo lecto, legantur tabule alfonsi (sic) cum canoni- 
bus. Quibus lectis, legatur theorica planetarum. 

In secundo anno primo legatur tractatus de spera. Quo lecto, 
legatur secundus geumetrie euclidis. Quo lecto, legantur canones su- 
per tabulis de linerijs. Quibus lectis, legatur tractatus astralabij 
meschale. 

In tertio anno primo legatur alkabicius. Quo lecto, legatur Cen- 
tiloquium ptolomej cum commento haly. Quo lecto, legatur tertius 
geumetrie. Quo lecto, legatur tractatus quadrantis. 

In quarto anno primo legatur quadripartitus totus, quo lecto, 
legatur liber de Vrina non Visa. Quo lecto, legatur dictio tertia al- 
magestj. Dictis annis completis, et completis dictis libris in dicto 
termino, fiat circulus et redeatur ad lecturam primj anni, postea ad 
lectaram secundi anni. Et sic per ordinem. » 

Questa seconda disposizione sulla cattedra di Astronomia fu 
publicata già a pag. 181 del libro « Delle Costituzioni, Discipline e 
Riforme dell'Antico Studio Bolognese, Memoria del Professore Lucia- 
no Scarabelli Commessa dal Ministero di Pubblica Istruzione e per 
sue spese stampata - Piacenza Tipografia di A. Del Maino - 1876 », 
ma con alcuni errori. É di errori, massimamente paleografici, abon- 
dano, a dir vero i documenti dati alla luce in quel libro; e chi os- 
servi principalmente quella parte dei Rotuli, che dal Prof. Scarabel. 
li fu stampata, trova, ad esempio, in quello dei Leggisti del 1488, 
un « Florianus de Dulfolis » e un « Vulpinus de Zanis » in luogo di 
« Florianus de Dulfis » ὁ di « Ulpianus de Zanis ». È noto come 
Domenico Maria Novara, tanto celebre per la sua amicizia col Coper- 
nico, sia descritto nei Rotuli sotto il nome di « Dominicus Maria de 
Ferraria »; ma chi potrà riconoscerlo sotto quello di « Dominicus 
Mario (sic) de Feronia » (come erroneamente lesse lo Scarabelli) nel 
Rotulo degli Artisti del 1488-1489? Nel quale neppure mancano un 


574 MALAGOLA 


« Nicolaus de Savinis », un « Harionus de Cerealis » cd un « Hiero- 
nymus Custinus » in cambio di « Nicolaus de Savijs », di « Floria- 
nus de cereolis » e di « Hieronymus Tustinus », come è scritto nei 
Rotul. Ma la meraviglia deì lettori passerà ogni limite, quando sap- 
piano che un brano del Rotulo del 1497 fu così trascritto e publi- 
cato dal Prof. Scarabelli: « AG gramaticam storicam » (deve 
leggersi: « Ad Grammaticam, Rhetoricam etc. ») « et poesim de sero: 
M. Antonius de Forlivio - M. Jacobus de Cruce cum hoc quod pu- 
Ulice legat et etiam gramaticam ducent » (sic, per doceat) « extra 
scholas sancti Petronii in loco scholaribus comodo. » Ho creduto mio 
dovere rilevare alcuni degli errori onde è pieno il libro del Prof. 
Scarabelli, affinchè gli studiosi, fidandosi di quello, non ne rimanes- 
sero ingannati; ed anche perchè, trovando nel mio libro trascritti 
così diversamente da quello dello Scarabelli, i nomi dei Professori 
del nostro Studio, non credessero ch'io avessi errato nell’ interpre- 
tare i Rotuli, facilissimi a leggersi da chi non ignori i più elemen- 
tari principi della Paleografia. Questo e non altro è il fine delle 
mie parole. 


APPENDICE XXVII. 


Documenti 
intorno a Scipione Dal Ferro. 


(Vedi a pag. 353, nota 1.%; 354, nota 1.8 e 2.2, e 355, nota 2.5) 


Documento I. 

Nel Rotulo del 1496-1497, scritto ai 2 d'ottobre del 1496, tro- 
viamo così ricordato per la prima volta Scipione Dal Ferro, cogli 
altri Lettori di Aritmetica e Geometria: 

Ad Arithmeticam et Geometriam. 
M. Antonius Leonardì de Cruce 
M. Pyrrhus de Albirolis 
M. Benedictus de Panzarasijs 
M. Scipio de Ferro 
M. Hieronymus de Malchiauellis. » 


(Dall’Archivio Notarile di Bologna - Rotuli degli Artisti - Vol. 1.) 


DI A. URCEO CODRO 575 


Documento II. 

« Die XXIHI Decembris 1496. 

Magnifici Dominj sexdecim, qui his sex mensibus proxime pre- 
teritis vacarunt, hodie sedere ceperunt. 

Eodem Die XXIII. Decembris 1496. 

Congregatia οἷο. ΝΞ 


Item per omnes fabas albas constituerant Scipioni Floriani Gerij Scipionis a 
a Ferro rotulato ad Arithmeticam et Geometriam libras vigintiquin- Feto Foto 
que bononenorum pro eius salario quolibet anno Jntegras et priuile- thmeticam. 


giatas, videlicet. — — — — — — — — — L. 25. » 


( Dall’Archivio del Reggimento - vol. XI Partitorum - a carte 
132 verso e 136 retto). 


Documento III 

« Die ueneris XXIX octobris MDXXVI. 

Congregatis Magnificis Dominis XL Reformatoribus status Liber- 
tatis ciuitatis Bononiae in camera Reu.mì Domini Vicelegati, in eius 
presentia ac de ipsius consensu et uoluntate, inter eos infrascripta 
partita posita et obtenta fuerunt et 

Primo etc. . 
Item per XXII fabas albas et duas nigras obtentum fuit quod resti- —n.stitatio 
tuatur in rotulo ad arithmeticam magister Scipio de ferro, qui per ad rotulum 
Dominos Reformatores studij in proxima reformatione omissus fuit moda de Seb 
describi, propter eius moram in Civitate Venetiarum, attento eius Fei "UO 
reditu ut Bononiae in Patria resideat et sic in ea non autem Vene- 
tijs, velle inbabitare affirmavit; cui currat salarium suum. » 


(Dall’Archivio del Reggimento - Vol. XVI Partitorum, a carte 
195 verso). 


Documento IV. 

« Die veneris XVI nouembris MDXXVI. 

Congregatis etc. . . * 

Item cum per hos dies decesserit magister Scipio de ferro, cuius 
obitu uacat salarium, quod ei pro lectura arithmeticae et geometriae 
constitutum erat, librarum Centum, per quindecim fabas albas et 


576 MALAGOLA 


Augumen- Quinque nigras accreuerunt de dicta summa Salario magistri Joan- 
Sonanis ema: nis marie de Cambijs arithmeticj et geometrae, ad eandem lecturam 


rino de Cam- conducti et rotulati, quod est librarum Centum, libras septuaginta 
tici propter quinque bononenorum, Jnchoando in prima distributione salarioram 
ΣΥΝ doctorum anni proxime futuri. 
ferro. 
(Dall’Archivio del Reggimento - Partitorum Vol. XVI, a carte 
197 verso). 


Documento YV. 
Nei Quartironi dell'anno scolastico 1525-1526 (che si conser- 
vano nell’ Archivio del Reggimento) troviamo le seguenti note sullo 
stipendio percepito allora dal Dal Ferro. 
« Prima distributio D. Doctoram Annj presentis 1525 facta die 
VIII mensis aprilis e O 
M. Scipio de ferro — — — Libras 150 — Libras 37,10. 


. » 


« Secunda Distributio D. doctorum Anni presentis 1525 fata (sic) 
die 27 mensis Julij. ee 
M. Scipio de ferro — — — Libras 150 — Libras 37,10. 


. » 


« Tertia distributio D. doctorum Annj presentis 1525 fata (sic) 
die III mensis octobris ΝΕ ΞΕ 
M. Scipio de ferro — — — Libras 150 — Libras 37,10. 


« Quarta et ultima distributio D. doctoram fon presentis 1525 
facta die 19 mensis decembris. 

M. Selpio de ferro — — — Libras 150 — - Libras 37, 10. 

E nei Quartironi dell’anno 1526-1527 è scritto: 

« Prima distributio D. doctoram Anni presentis 1526 fata (sic) 
die 27 mensis Julij. ἮΝ 

Μ. Seipio de ferro — — — — ‘Libras 100 — - Libres ΕἸ 


DI A. URCEO CODRO 5717 


« Secunda distributio D. doctoram Annj presentis 1526 facta 
die 27 mensis Julij. ὌΝ 
M. Scipio de ferro — — - — Libras 100 — - Libras 2. 


« Tertia distributio D. doctorum Annj praesentis 1526 facta die 
29 mensis octobris. . . . ‘a . 
M. Scipio de ferro — — — — Libras 100 — - Libras 5. 


« Quarta οἱ vitima distributio D. doctorum Annj prosentia 1526 
facta die 22 mensis decembris. 

M. Scipio de ferro — — — — ‘Libras 100 — Libras 25, 

Dello stipendio di Scipione dal Ferro abbiamo altre notizie a 
carte 33 reito del XII volume Partitorum dell’ Archivio del Reggi- 


mento; nel XIII, a carte 68 verso e 69 retto; nel XIV, a carte 8 verso, 
9 retto, e 60 retto; e nel XV, a carte 19 retto e verso. 


APPENDICE XXVIII. 


Documenti intorno Andrea Copernico 
fratello di Nicolò. 


(Vedi a pag. 356 nota 3.2 e 52) 


Documento I. 
« 1498. 

Anno domini 1498, Jndictione prima, sexta die mensis Januarij, 
Pontificatus sanctissimi in cristo patris et domini nostri domini Al- 
lexandri pape sexti, Illustrissimo ac serenissimo domino Maximiliano 
monarchiam sacratissimi imperij Romani gubernante, Inclita nacione 
dominorum scholasticorum Theotonicorum Jn vtroque Jure bononie 
studencium, Jn ecclesia sancti fridiani extra portam Sancti mamme, 
ut de consuetudine fieri solet, Convocata et congregata rite, eligerunt 


37 


578 MALAGOLA 


legittime Jn eiusdem nacionis prefectos seu procuratores  Nobìles 
viros dominum Jodocum de aufses, canonicum bambergensem, et do- 
minum bussonem de aluensleue hauelburgensis diocesis, qui, Juxta 
statutorum formam prestito Juramento, onus procuracionis in se 
susceperunt. 

Recepta 
A domino andrea kopternick diocesis.... (sic) — bolonenos XXXII. 


(Dall’Archivio Malvezzi de' Medici - Annales Clariss. Nac. Germ.- 
a carte 144 retto e verso). 


Documento II. i 

« Anno Domini M.CCCC.XCVIII. Nobilibus Dominis Jodoco de 
Aufsess, canonico ecclesiae Bambergensis, et Bussone de Aluenaleue, 
Hauelburgensis diocesis, electis procuratoribus, albo ascripti sunt: 


Dominus Andreas Kopternick libram unam, bononenos duodecim. » 
(Dall’Archivio Malvezzi de’ Medici - Matricula Nobiliss. Germ. 
Collegi - a carte 71 verso e 72 retto). 


APPENDICE XXIX. 


Degli scolari tedeschi in Bologna 
dal 1496 al 1500. 


(Vedi a pag. 363, nota 3.*) 


I nomi degli studenti tedeschi, i quali in Bologna diedero opera 
alle Leggi dal 1496 a tutto il 1500, posson vedersi nell’ Appendice 
XXX. ove stanno fra quelli di coloro che si aggregarono alla 
Nazione Germanica nell’ ultimo decennio del secolo XV. Altre noti- 
zie di quegli studenti si trovano nei Rotuli dello Studio; altre ancora, 
sulle Lauree dei medesimi, nella Matricula Doctorum (aggiunta alla 
ricordata Matricola della Nazione Tedesca in Bologna) e nel primo 


DI A. URCEO CODRO 579 


Libro Segreto del Collegio di Diritto Canonico e nei volumi degli 
Atti dell'uno e dell'altro Collegio. 

Degli scolari Artisti germanici, laureati in quel tempo dal Col- 
legio di Arti e di Medicina, solamente ci offre notizie il primo libro 
segreto del detto Collegio, dal 1481 al 1500, il quale si conserva nel- 
l'Archivio Arcivescovile di Bologna. Di altri scolari Artisti ho tro- 
vato menzione in alcune antichissime e rarissime edizioni bolognesi. 
Sono queste le fonti onde ho principalmente ricavate le notizie che 
espongo nella presente Appendice. 

Il primo scolaro tedesco di cui troviamo ricordo nel 1496 è un 
tal Melchiorre de Alamania (forse Melchiorre Osman di Lygnitz, 
chierico della diocesi di Vratislavia, aggregato alla Nazione tedesca 
nel 1492) che fu laureato ir Bologna in quell'anno nel Diritto Cano- 
nico, il dì 13 del febbraio. Agli 8 di marzo dello stesso anno veniva 
approvato in Medicina quel Nicolaus de Alemania che il Professore 
Palagi credette, come altrove ho esposto (1), Nicolò Copernico. In 
Diritto Canonico fu dottorato pure del 1496 un Giovanni Boyken, 
ai 16 di giugno; ed ai 23 di quello stesso mese Giovanni Egher 
Canonico di S. Giorgio di Colonia; ed ai 14 di settembre Pietro 
Swab di Magonza. Questi due ultimi si iscrissero nella Nazione Ger- 
mapica, il primo nel 1490, il secondo nel 1493. 

Nell'anno 1497, agli Il di marzo, fu approvato a pieni voti in 
Arti e in Medicina un Andrea de A/emania; e similmente a pieni 
voti in Medicina un tale Pietro de Alemania, fra i 4 d’aprile ei 
22 di settembre. E ai 10 d'aprile veniva nella stessa guisa licenziato 
in Giure Canonico Enrico di Schonow di Lauffanburg. della diocesi 
di Basilea, Maestro in Arti e Sindaco delle due Università dello Stu- 
dio, aggregato alla Nazione Tedesca nel 1492. Egli però non prese 
la Laurea che nel 1503, il dì primo di febbraio, ed in quella occa- 
sione donò 24 bolognini alla Nazione Tedesca. Le apparteneva fino 
dal 1483 anche Nicolò Diech di Offenberg, il quale, ai 27 di giugno 
del 1497 aveva ottenuto licenza di presentarsi all’ esame di Diritto 
Civile. Sembra che poi non lo sostenesse in Bologna; però egli fu 
certamente insignito del titolo dottorale in quello stesso anno, come 
prova la Matricula Doctorum della Nazione Germanica, alla quale 
contribuì allora un mezzo Fiorino Renense. Per la medesima causa 


(1) Vedi a pag. 318 e 319. 


580 MALAGOLA 


le donava nello stesso anno un mezzo Ducato Federico Schoenleben, 
già Procuratore nel 1496, allorquando ebbe la ventura di iscrivervi 
Nicolò Copernico. Lo Schoenleben era Canonico della Collegiata del 
Nuovo Monastero di Erbipoli, ora Wurzburg, in Baviera, ed aveva 
ottenuto a pieni voti la Laurea in Diritto Pontificio ai 20 di decem- 
bre del 1497. 

L'anno appresso, ai 19 di febbraio, fu dottorato nello stesso 
Diritto Giovanni Zach, Canonico della chiesa di Praga, già Dottore 
in Arti, e Decano della chiesa Leitineriense. E pur in Diritto Canonico 
laureavasi a pieni voti δἱ 28 d' aprile del 1498 quel Giovanni Kiker, 
nobile tedesco, che l’anno prima, essendo Rettore delle due Univer- 
sità, vi aveva letto Decretali e Digesto Nuovo nei giorni festivi. Egli 
apparteneva alla Nazione Germanica dal 1497, e quando prese la 
Laurea, sebbene per essere Rettore non avesse obligo di pagare al- 
cuna tassa al Collegio, volle pur nondimeno donargli unam schato- 
lam plenam confectionibus. In Arti e in Medicina ricevette le inse- 
gne di Maestro da Nicolò Savi, ai 24 di maggio, un certo Gregorio 
de Alemania, di cui non ho potuto scoprire il cognome. Iodoco 
Ouffes, della diocesi di Bamberga, Membro della Nazione Germani- 
ca sin dal 1492, ottenne la Laurea ai 25 di settembre del 1498 in 
Diritto Canonico, e due giorni dopo in Civile. Nell’ opuscolo di Filip- 
po Beroaldo seniore, edito nel 1498, che ha in fronte «... Lidellus 
quo Septem Sapientium Sententiae Discutiuntur », troviamo ricordo di 
un altro scolaro Artista Tedesco, ed è Giovanni Vartimberg, del quale, 
dal maestro, che gli dedicava quel libretto, ricordavansi « mirus stw- 
diorum amor, genuina probitas, hilarîs comitas, mores defecati »; al 
che s' aggiungeva la nobiltà della famiglia « quae arcto cognationis 
ποῦς copulatur cum illustrissimis principibus Rosensibus. >» 

Venendo al 1499, troviamo che in quello furono approvati in 
Medicina a pieni voti due tedeschi, entrambi di nome Giovanni, 
l'uno agli 11 di maggio, l'altro ai 2 di settembre. Nello stesso me- 
se, il giorno 28, il Collegio Canonico laureò Erardo Truchses, già 
maestro in Arti e Canonico della chiesa Erestiense, il quale da tre 
anni faceva parte della Nazione Alemanna. In quello stesso anno 
era scolaro del vecchio Beroaldo nella nostra città il boemo Cristo- 
foro Vaitmill (ascritto allora alla Nazione Tedesca), al quale 1" illu- 
stre bolognese intitolava l' Oratio Proverbiorum, uscita appunto nel 
1499. Nella prefazione, ove leggiamo le lodi del Vaitmill, e del pa- 
dre suo, mandato spesso Oratore Regio presso diverse Corti, si fa 


DI A. URCEO CODRO 581 


menzione di altri scolari boemi, e sono: « U/dricus Rosensis, inter 
inclytos Boemiae proceres famigeratus; cuius nomini Annotationes 
noncupatim dedicavi: Ioannes vero Vartimbergensis, omni praeconio 
bonitatis ornatus, instar gemmae radiantis in costu scholastico refulget , 
ad quem opusculum de Septem Sapientibus composui. Fuit indidem 
et Martinus crunnoviensis, quo nil candidius, cuius nomen liber ora- 
tionum mearum... gestai inscriptum >». 

Dai Rotuli dell’ Università dei Leggisti apprendiamo che Gio- 
vanni Plaunicz, aggregato alla Nazione Germanica nel 41498, fu eletto 
Rettore dei Leggisti Ultramontani e Citramontani nell’anno scola- 
stico 1499-1500, e che vi lesse Digesto Nuovo e Decretali ne' giorni 
festivi. L'ultimo dei tedeschi i quali furono laureati in Bologna 
nel tempo in cui vi dimorava Nicolò Copernico, è un Cristoforo de 
Alamania, che ai 18 di febbraio del 1500 ricevette le insegne in 
Medicina da Ludovico de' Leoni. Un altro opuscolo del Beroaldo ci 
ha conservato memoria di un terzo suo discepolo, pure Boemo, che 
studiava in Bologna nell’anno 1500, ed è quei Martino, di cognome 
Crunnow, al quale son le dedicate Orationes Multifariae, edite pei 
tipi di Benedetto d’Ettore Faelli nei 1500. Al dire del Beroaldo 
medesimo, « suavissimi ... mores, Ingenti specimen, naturae docilitas, 
et aviditas inexausta discendi, spondent talem te futurum, ut... possis 
tecum cum cultu nitoreque italicorum genuino opulentiam quoque 
litterarum in Boemiam reportare (1). 

Questi sin qui ricordati, insieme ai quasi centocinquanta Leg- 
gisti aggregati alla Nazione Germanica dal 1496 al 1500 (i nomi dei 
quali si leggono, come dissi, nella seguente Appendice) sono quelli 
fra i molti che studiarono in Bologna contemporaneamente al Coper- 
nico, di cui io ho potuto ritrovare notizia (2), e che da lui facilmente 
furono conosciuti. 


(1) Op. cit., a carte 1 verso non num. 

(2) A proposito degli scolari tedeschi ricorderò in questo luogo come nel Chio- 
stro della Chiesa di S. Domenico di Bologna si trovino molte lapidi che ci addi 
tano il sepolcro di molti di essi, morti in Bologna mentre vi erano studenti. Que- 
ste lapidi, seguendo l'ordine con cui si presentano a chi dalla Chiesa entri 
nel chiostro, ci ricordano Federico Fuchs, Libero Barone in Taufenburg e in 
S. Valentino, Consigliere della Nasione Alemanna, morto nel 1628; Francesco 
Suliman, scrittore e giureconsulto, sepolto nel 1526; Cristoforo Hacer, morto 
nel 1535; Giovanni Volos, dottore di Leggi e precettore di Giorgio Limpurg che fu 
vescovo Bambergense, e che gli fece porre l'iscrizione nel secolo XVI; Daniele 


582 MALAGOLA 


APPENDICE XXX. 


Matricola della Nazione Alemanna 
dal 1490 al 1500. 


(Vedi a pag. 364, nota 1.3) 


Trascrivo qui dal volume, che δ᾽ intitola « Matricula Nobilissimi 
Germanorum Collegii », dell'Archivio Malvezzi de’ Medici ciò che vi 
si trova dall'anno 1490 a tutto il 1500: 


Anno Domini M.CCCC.XC. Egregijs DD. Alberto Vechelt de 
Braunsuueig, et Vuilhelmo Luninck, beatae Mariae ad Gradus Colo- 
niensis atque Nideckensis ecclesiarum canonico, electis procuratori- 
bus, in album relati sunt: 

D. Vitus de Zelting pro se et D. Vuenceslao Hoayder praece- 
ptore suo, et Ioanne Hoayde ministro suo, Ducatum unum. 

D. Georgius Perskircher Florenum unum renensem. 

D. Albertus Bischoff de Gedana ex Prussia, Vuarmiensis eccle- 
siae canonicus, Florenum unum renensem. 

D. Fabianus Lutzingheim de Prussia, Vuarmiensis diocesis, Flo- 
renum unum renensem. 

D. Gesuuinus Keteler libram unam, bononenos decem. 

D. Ioannes de Schleynitz canonicus Misniensis grossetos octo. 

D. Hieronymus, magister suus, bononenos tredecim. 

D. Vuolfangus de Schleynitz canonicus Misniensis, grossetos 
decem. 


—_——@ 


Angelo Danciscan, morto nel 1684; Giovanni Brand, Hildensemense, morto nel 
secolo XVI; Adamo Federico Kernio di Zellevreit, Aquiburgense, defunto nel 1007; 
Enrico Paphof di Galliar della diocesi di Culm, morto nel 1477; Giorgio Sacs di 
Spira morto nel 1518, Giorgio Spigel, morto nel 1468; Vinceslao Burchardt di 
Olmutz, morto nel 1517; Girolamo Boragine di Lubecca, studente di Fisica, morto 
nel 1535; Nicolò Schrende di Monaco, morto nel 1471; Alessandro di Pellendocf, 
scolaro di Leggi, morto, nel 1494; Volfango Orteagel, morto nel 1562 e per ultimo 
Timoteo Picht, nativo della Pomerania, al quale fu posta l’iscrisione pure nel 
secolo XVI. 


DI A. URCEO CODRO 583 


D. Christophorus Kuppener, magister suus, grossetos sex. 

D. Pangratius Lemberger grossetos decem. 

D. Stephanus Falck canonicus monasteriensis grossetos sex. 

D. Leonardus Suimenberger grossetos decem. 

D. Friderius Sh&nleben, Canonicus noui monasterij Herbipo- 
lensis, grossetos decem. 

D. Joannes Kuchenmaister de Gomberg grossetos ser. 

D. Joannes Scepeler de Renis, magister suus, grossetos sex. 

D. Joannes Roesgen Duysberch de Colonia bononenos quindecim. 

D. Jacobus Vuismari de Eklens, canonicus Aquensis, grossetos 
octo. 

D. Cunradus de Ecklens grossetos sex. 

D. Joannes Heger, canonicus S. Georgij coloniensis, grossetos octo. 

D. Nicolaus Hugen de Hamburg grossos octo. 

D. Heinricus Bukauu clericus Caminensis diocesis, bononenos 
duodecim. 

D. Jacobus Ruggenbuch praesbiter caminensis diocesis bonone- 
nos duodecim. 

D. Heinricus Engelhart de Thurego, constantiensis diocesis gros- 
setos octo. 

* D. Joannes Fridinger de Vualtzhut bononenos sexdecim. 

D. Ludouicus de Langhen, Artium doctor, Monasteriensis diocesis 
grossetos octo. . 

D. Sigismundus Kruetzner de Prussia bononenos decem. 

D. Renerus Emonis de Frisia bononenos decem. 

D. Cornelius Petri de Leydis bononenos quinque. 


Anno Domini M.CCCC.XCI. Nobilibus Dominis Theodorico de 
Vuertem et Thoma de Lapide, Canonico ecclesiae Herbipolensis, ele- 
ctis procuratoribus, in Nationem relati sunt: 

Iustrissimus Dominus D. Fridericus Filius bellicosissimi Alberti 
Principis Saxoniae Florenos duos. 

Magnificus Legistarum rector D. Gaspar Stregauu de Vratislauia 
Legum doctor, cam per annos tres maxima cum laude praefatum 
magistratum administrauerit, ea de causa a nobis merito laudatur; 
qui dedit libram unam, bononenum unum. 

N. D. Joannes Cropatz Decanus, ac canonicus Ecclesiae S. Joan- 
nis Vratislauiensis, libras duas bononenos sex. 

D. Erasmus Thopler Vtriusque Iuris doctor, ac Patritius Norn- 
bergensis. 


584 MALAGOLA 


D. Martinus Mares de Cruomicuia Bohaemus, bononenos quin- 
decim. 

D. Erasmus Arnheim Brandenburgensis diocesis libram unam, 
bononenos tres. 

N. Ὁ. Joannes Schlaberndorfîf Brandeburgensis diocesis libram 
unam, bononenos tres. 

N. D. Fridericus de Almesloben Halberstatensis diocesis libram 
unam bononenos tres. 

N. D. Joannes Thuom Brandenburgensis diocesis libram unam, 
bononenos tres. 

D. Heinricus Voght Monasteriensis, libram unam, bononenos tres. 

D. Laurentius de Comerse bononenos tredecim. 

D. Nicolaus de Rammin, Ciericus Caminensis diocesis, bononenos 
quattuordecim. 

D. Jacobus Goltbeck Caminensis diocesis bononenos quindecim. 

N. D. Vuilhelmus de Vuartzdorf, canonicus Patauiensis, libram 
unam bononenos ser. 

D. Simon Rodis Magdaburgensis diocesis, bononenos quindecim. 

D. Joannes Kobolt de Vima bononenos sexdecim. 

D. Joannes Silbernberger Basiliensis diocesis bononenos tredecim. 

D. Andreas Begher Magdaburgensis diocesis libram unam bono- 
nenos tres. 

D. Bartholomeus Elers Canonicus Lubicensis libram unam. 

D. Vdalricus Malchoue bononenos decem et nouem. 

Ὁ. Theso Hunige de gruoningen Tragatensis diocesis libram 
unam bononenos duos. 

D. Joannes Begkedeuen Coloniensis diocesis ΤῊΝ unam. 

D. Simon de Vuissengall Tragatensis diocesis bononenos tredecim. 

D. Heinricus Chartzuuiller, diocesis Leodicensis, bononenos un- 
decim. 

D. Theodoricus Sterscheim, Traiectensis diocesis, bononenos 
quattuordecim. 

D. Joannes Schilt, Suerinensis diocesis, bononenos quindecim. 

D. Theodoricus de Traiecto bononenos tredecim. 

D. Balthasar Ribegest de Thuondorf Moguntinensis diocesis, 
bononenos sex. 

D. Gerbardus Sugerode de Dauantriu Traiectensis diocesis bono- 
nenos tredecim. 


DI A. URCEO CODRO 585 


Anno Domini M.CCCC.XCII. Generoso Domino Christophoro Ba- 
rone de Vuolckenstein, Brixiensis et Patauiensis ecclesiaram Canoni. 
co, ac ecclesiae curatae in Eppen pastore dignissimo, et Nobili Chri- 
stophoro Cuppener, Artium et Juris Utriusque Doctore, Ecclesiae Cul- 
mensis canonico et dignissimi Collegi) Vniversitatis Liptzensis Colle- 
giato, electis procuratoribus, albo ascripti sunt: 

D. Magister Georgius Smed Nissensis, clericus Vratislauiensia 
diocesis, grossetos octo. 

D. Joannes Schonhofer Nissensis, clericus Vratislauiensis diocesis, 
grossetos octo. 

D. Joannes Salomonis de Groatia Jurium doctor, clericus Olma- 
tiensis, Ducatum unum. 

D. Joannes de Esthe de Agaria Quinque Ecclesiarum Canonicus 
pro se et D. Joanne, capeliano suo, Ducatum unum Vagaricum. 

D. Jodocus de Aufses Canonicus Bambergensis Florenum Medium 
renensem. 

D. Magister Gaspar Breyol grossetos ser. 

D. Magister Seyfridus Vtisberger de Ertfordia Florenum medium 
renensem. 

- D. Philippus de Endingen Artium doctor Argentinensis diocesis, 
grossetos decem. 

D. Heinricus Schonauu Artium doctor Florenum medium re- 
nensem. 

D. Magister Georgius Pach Florenum medium. 

D. Thomas Vuol Junior, Sanctorum Thomae et Petri Junioris 
Argentinensis ecclesiarum canonicus Florenum medium Renensem. 

D. Theodoricus Schulenberg Canonicus Stetinensis, Florenum 
medium renensem. 

D. Busso de Aluensleue Florenum medium. 

D. Otto Schacken Grossetos sex. 

D. Petrus Schadelkauu grossetos sex. 

D. Gaspar Lebe de Vratislauia grossetos octo. 

Ὁ. Melchior Hosman de Lygnitz, clericus Vratislauiensis diocesis, 


grossetos octo. 
D. Hermannus Suderman Canonicus Susatiensis Coloniensis dio- 


cesis, grosastos ser. 

D. Christophorus Muller de Buchen grossetos sex. 

D. Leonardus Beeck, pastor in Prumern, Coloniensis diocesis, 
grossetos sex. 


586 MALAGOLA 


D. Heinricus de Monte Leonis de Treueri, grossetos ser. 


Anno domini M.CCCC.XCIII. Honorabilibus DD. Joanne Fridin- 
ger de Vualtzhuet, et Nicolao Hughe, ecclesiae beatae Virginis Ham- 
burgensis canonico, electis procuratoribus, in numerum relati sunt: 

D. Petrus Suuap canonicus ecclesiae Sancti Stephani Mogunti- 
nensis, grossetos octo. 

D. Vdalricus Seger de Munchsperg grossetos septem. 

D. Joannes Marolf de Fridburg grossetos quinque. 

D. Heinricus Sumer grossetos sex. 

D. Karolus Von de Thann, Eystetensis et Herbipolensis eccle- 
siarum canonicus, grossetos decem. 

D. Thedoricus Vuintzieuen grossetos octo. 

D. Vuilkelmus Roet, piebanus in Heusteten, grossetos sex. 

D. Amandus Vuolf S. Petri Junioris Argentinensis, et S. Andreae 
Vuormaciensis ecclesiarum Canonicus, Florenum medium renensem. 

D. Nicolaus Dick de Offenburg Florenum medium renensem. 


Anno Domini M.CCCC.XCTIII. Nobilibus. DD. Joanne Schlabern- 
dorf de Peuten, et Matthia Khuen de Belasio electis procuratoribus 
in Catalogum cooptati sunt: 

D. Alexander Mornauer Frigsinensis diocesis grossetos octo. 

N. D. Arnoldus de Reduuitz, Canonicus Eystetensis ecclesiae, 
Bambergensis diocesis, grossetos sex. 

N. D. Albertus Vinsterloch plebanus in Oppido Kutzing Herbi- 
polensis diocesis, grossetos decem. 

D. Joannes Kelner de Vnderturing Florenum medium. 

D. Jacobus Erle de Vnderturing Florenum medium. 

D. Antonius Lauffer Moguntinensis diocesis, Grossetos sex. 

N. Ὁ. Georgius de Emershouen Canonicus Eltiacensis, libram 
unam, bononenum unum. 

Ὁ. Hilprandus Drorff Durenensis in Ducatu Juliacensi, Colonien- 
sis diocesis, grossetos octo. 

D. Engelbertus Schiacheck canonicus in Daventria Traiectensis 
diocesis grossetos octo. 

N. Ὁ. Ludolphus de Thunen, ecclesiae maioris Lubicensis cano- 
nicus, grossetos decem. 

N. Ὁ. Joannes Vualch Moguntinensis diocesis grossetos sex. 

D. Leonardus Gerlach grossetos ser. 


DI A. ὕβοξο CODRO 587 


N. D. Vuentzelaus Vuitzung de Neuenschonberg, Pragensis dio- 
cesis, florenum medium renensem. 

D. Eucharius de Haydingsuelt, Herbipolensis diocesis, Florenum 
medium renensem. 

D. Heinricus Indolf de Gelano Vulatiframensis (sic, per Vurati- 
slauiensis) diocesis, grossetos octo. 

D. Gisbertus Kettler, maioris ecclesiae Monasteriensis Canonicus, 
grossetos sex. 


Anno Domini M.CCCC.XCV. Venerabilibus DD. Petro Suuap 
Ecclesiae S. Stephani Moguntinensis canonico, et Joanne Hegher 
ecclesiae 8. Georgij Coloniensis decano et Canonico, electis procura- 
toribus, in Matriculam inscripti sunt: 

D. Ludouicus de Holtzhusen ex Francfordia, Grossetos septem. 

D. Antonius Furstenberg Pastor Vuesaliae inferioris, bononenos 
sexdecim. 

D. Hermannus Bussius de Vuestualia, grossetos sex. 

D. Joachim Coller Caminensis diocesis, grossetos quattuor. 

D. Gaspar de Steynach grossetos sex. 

D. Nicolaus Vuormser ex Argentina grossetos septem. 

D. Simon Vuolfangus Puchler ex Ymbst, et D. Sigismundus Ra- 
mung de Vienna, D. Augustinus Herdek ex Ymbst, et D. Christo- 
phorus Kesseler ex Ymbst, libras duas bononenos septem. 

D. Heinricus Layer Clericus Monasteriensis diocesis, bononenos 
decem. 

D. Joannes Hornsbach Reguli praebendarius Ecclesiae Mogun- 
tinae, libram unam. 

D. Joannes Menchen grossetos octo. 

D. Joannes Brandes de Hildensheim et D. Otto Vuinchelman de 
Hilden, Florenum unum renensem. 

D. Heinricus de Castro Mariae, plebanus ibidem, pro se et Fa- 
mulo suo D. Luca Bosbart de Tartlouu, Argoniensis Diocesis, gros- 
setos Viginti sex. 

D. Rupertus de Reydt praepositus Kronenburgensis Coloniensis 
diocesis, libram unam, bononenos duodecim. 

D. Joannes Kunouuitz Comes Morauus, pro se et familia sub- 
scripta, scilicet: D. Joanne Polner de Castro Schess Transiluano, 
Cantore ecclesiae S. Crucis Vratislauiensis, D. Joanne Forderer Ale- 
manno, D. Balthassare Saurmam Vratislauiensi, D. Innocentio Tar- 


588 MALAGOLA 


stedel, D. Joanne Arnesti Brunen, D. Martino Romer ex-Zuuickauia’ 
D. Vincentio Magistri Transiluano, Florenos quattuor renenses. 

D. Antonius Horstmariae clericus Monasteriensis. 

D. Vuolfangus Cunrater Menmingensis, grossetos ser. 


(Torna inutile riportar qui i nomi degli iscritti nel 1496, giac- 
chè il brano relativo della Matricula si legge per intero’ nell’Appen- 
dice XXIV, documento 2.°). 


Anno Domini M.CCCCXCVII. Venerabilibus DD. Euchario Sta- 
mitz de Heydingsfelt, Herbipolensis diocesis clerico, et Hilbrando 
Droeffer Pastore Durensi, coloniensis diocesis, electis, et Antonio 
Vuorstenberg et Theoderico Vuitzkebenen substitutis procuratoribus, 
in Nationem recepti sunt: 

Nobilis D. Joannes de Kytscher Vtriusque univerzitatis Rector, 
Florenum unum renensem. 

N. Ὁ. Heinricus Starchedel Fiorenum unum Renensem. 

N. D. Christophorus de Beuuluuitz. 

D. Leonardus de Egck libram unam, bononenos quattuor. 

N. D. Vuolfangus Bocklin Canonicus S. Petri et Michaelis Ar- 
gentinensis, bononenos sexdecim. 

D. Joannes Redechin Vicarius ecclesiae S. Stephani Halbersta- 
tensis, libram unam, bononenos quinque. 

D. Joannes Trapp ex Vienna bononenos sexdecim. 

D. Joannes de Rota de Grymnis, Domini Joannis de Cuneuuitz 
familiaris, bononenos sexdecim. 

D. Joannes Schickepren ecclesiae Cathedralis Ratzeburgensis ca- 
nonicus, bononenos serdecim. 

D. Joachim Busso Caminensis diocesis, bononenos sexdecim. 

D. Theodoricus Golmers de Dauentria, Traiectensis diocesis. bo- 
nonenos sexdecim. 

D. Reinerus de Velen Canonicus Monazsteriensis, libram unam, 
bononenos quattuor. 

D. Theodoricus Gressermundt libram unam. 

D. Hermannus Furstenberg bononenos sexdecim. 

D. Thomas Boccardi Vicarius perpetuus ecclesiae Collegiatae in 
Gudstadt Vuarinensis (sic, per Vuarmsensis) diocesis, libram unam. 

D. Joannes de Vuartenberg, Dominus in Tetschun, Littemericen- 
sis et Budissensis praepositus, Ducatum unum. 


DI A. URCEO CODRO 589 


N. Ὁ. Marquardus Vomstein canonicus Augustensis Florenum 
medium renensem. 

N. D. Albertus de Rochberg de Hocbenrochberg, Canonicus Au- 
gustensis ecclesize, Ducatum medium. 

N. D. Bernardus de Vualtkirch canonicus Augustensis, Ducatum 
medium, 

D. Vuolfangus Deusth, Artium magister Pragensis, diocesis Bri- 
xiensis, bononenos sexdecim. 

D. Jodocus Brubelis de Zierch, bononenos tredecim. 

D. Petrus Kirsher bononenos duodecim. 

D. Joannes Junge Augustensis diocesis bononenos sexdecim. 

N. D. Christophorus de Stadion Constantiensis diocesis, bono- 
nenos quindecim. 

N. D. Gaspar de Hirnheim bononenos sexdecim. 

D. Hermanus Rhem Hildenensis diocesis, bononenos sexdecim. 

D. Gaspar Franck Augustensis diocesis, bononenos sexdecim. 

D. Joannes Holthusen Hildenensis diocesis, bononenos sexdecim. 


Anno Domini M.CCCC.XCVIII. Nobilibus DD. Jodoco de Aufsess, 
canonico ecclesia Bambergensis, et Bussone de Aluensleue, Hauel- 
burgensis diocesis electis procuratoribus, albo ascripti sunt: 

Dominus Andreas Crantal canonicus Arngau diocesis Herbipo- 
lensis libram unam. 

D. Gelmarus Dauentrensis, diocesis Traiectensis bononenos duo- 
decim. 

D. Paulus Gotz Brandenburgensis diocesis bononenos sexdecim. 

D. Eggerdus Krantz canonicus beatae Marie Hauerstatensis li- 
bram unam bononenos quattuor. 

D. Hermannus Langenbecke. Bremensis diocesis, libram unam, 
bononenbs quattuor. 

N. D. Albertus de Ratzenhusen in Stein, diocesis Argentinensis, 
bononenos sexdecim. 

N. Ὁ. Busso de Bertensleue diocesis Haluerstatensis libram unam 
bononenos tredecim. 

D. Magnus Scollenberg, Iuris licentiatus, canonicus Frisingensis, 
libram unam, bononenos quattuor. 

N. D. Joannes Rechburger de Klygeuo, canonicus ‘in Vuerd, 
Dominus Balthasar Mercklin, canonicus S. Simonis Treveri, et Domi- 
nus Magister Joannes Gung Herbeltzheim, libram unam, bononenos 
tredecim. 


590 MALAGOLA 


N. Ὁ. Georgius de Vuedberg praepositus Osiliensis in Jflandia, 
libram unam, bononenos quattuor. 

N. D. Hermannus, Bambergensis dioceeis, bononenos sexdecim. 

N. D. Gotshalkus de Aneuelde, Thesaurarius, et canonicus ec- 
clesiae slenicensis, libram unam, bononenos tredecim. 

N. Ὁ. Erasmus Putkummer Archidiaconus Pirtzensis in ecclesia 
Caminensi, libram unam, bononenos tres. 

N. D. Theodoricus de Thungen canonicus apud S. Bernardum 
extra muros Herbipoli, libram unam, bononenos duodecim. 

N. D. Ernfridus de Selenigk canonicus Herbipolensis libram 
unam bononenos quattuor. 

D. Georgius Mosth Lipsensis plebanus in Schantz, Misnensis dio- 
cesis, bononenos decem. 

D. Joannes Vuolf, Argentinensis diocesis, bononenos sexdecim. 

N. D. Laurentius de Stain canonicus in Vuisenstaig, bononenos 
sexdecim. 

N. D. Vdalricus Sack de Geilstorff Naumbergensis diocesis li- 
bram unam, bononenos quattuor. 

D. Georgius Vuitzenhusen de Gottingen Moguntinensis diocesis 
libram unam, bononenos quattuor. 

D. Bernardus Vuurmser Argentinensis diocesis, libram unam, bo- 
nonenos tredecim. 

D. Christophorus Schuuebel Nornbergensis, Bambergensis dio- 
cesis, libram unam, bononenos quattuor. 

D. Vuilhelmus Richenbach de Friburga, Constantinensis diocesis, 
libram unam, bononenos quattuor. 

D. Sebastianus Holting, Patauiensis diocesis, libram unam, bono- 
nenos duodecim. — 

N. Ὁ. Theodoricus de Theuuiss, Misnensis diocesis, , libram 
unam bononenos quattuor. 

Magnificus ac Nobilis Dominus Joannes Plauunitz de Vuissen- 

burg, diocesis Nurburgensis, Florenum unum Renensem. 

N. D. Georgius de Trautenberg in Reuth, diocesis Ratisponen- 
sis, libram unam, bononenos quattuor. 

N. D. Nicolaus de Feylisch diocesis Bambergensis, libram unam, 
bononenos quattuor. 

D. Philippus Vuinkedauu, diocesis Spirensis, libram unam, bo- 
nonenos quinque. 

D. Andreas Kopternick libram unam, bononenos duodecim. 


DI A. URCEO CODRO 591 


Anno Domini M.CCCC.XCIX. Nobilibus DD. Theodorico de Schu- 
lenburg, Canonico Stetinensi, et Marquardo de Stain, Canonico Augu- 
stensi, electis procuratoribus, in Numerum relati sunt: 

Dominus Christophorus, Baro Bohaemus de Vueitmil, praeposi- 
tus Vuissegradiensis, Ducatum unum Vngaricum. 

D. Heinricus Seidlitz Vratislauiensis diocesis, Florenum medium 
renensem. 

D. Hieronymus Schutz Bambergensis diocesis, Florenum medium 
renensem. 

D. Joannes de Oldenssen Bremensis diocesis, Florenum medium 
renensem. 

D. Paulus Lang de Augusta, canonicus S. Andreae, diocesis 
Frisingensis, Florenum medium. 

D. Marcus Harder canonicus S. Mauritij Augustensis, Florenum 
medium renensem. 

D. Jochirmus Nesseyn Caminensis diocesis, Florenum medium re- 
nensem. 

D. Valentinus Sunthusen diocesis Moguntinensis, Florenum me- 
dium renensem. 

D. Dettleuus Langenbeck, Bremensis diocesis, Florenum medium 
renensem. 

N. D. Sebastianus de Rotenhan de Reutuuemstorff Herbipolensis 
diocesis, Florenum medium. 

D. Joannes Ottra, Moguntinensis diocesis, Florenum medium. 

D. Philippus Alefelt Moguntinensis diocesis Florenum medium. 

D. Georgius Gross de Krockau canonicus Augustensis cum fa- 
mulo, Florenum unum renensem. 

D. Joannes Messelbecke diocesis ratisponensis, Florenum medium 
Renensem. 

D. Georgius Pesler Patritius Noricus bambergensis diocesis Flo- 
renum medium renensem. 

D. Vdalricus Scorer diocesis Constantiensis, Florenum medium 
renensem. 

Ὁ. Michael Sconenbeke Caminensis diocesis bononenos decem. 

D. Andreas de Zutphania Traiectensis diocesis, Vnam quartam. 

D. Joannes de Somersfeldt Misnensis diocesis bononenos decem. 

D. Joannes Blanckhenfeldt, Brandenburgensis diocesis, Ducatum 
medium. 

N. D. Joannes Spar Brandenburgensis diocesis libram unam, 
bononenos quinque. 


592 MALAGOLA 


D. Vinandus Arnhem diocesis Traiectensis bononenos sexdecim. 


Anno Domini. M.D. Nobilibus Dominis Gotschalcko de Aneueldt 
ex Holsatia, Thesaurario Slenicensi, ac eiusdem et Roschildensis 
Ecclesiarum canonico, et Gaspare de Hirnheim electis, ac Georgio de 
Trautenberg ex Reudt Substituto procuratoribus, in Catalogum coo- 
ptati sunt: 

Iustrissimus Princeps Dominus D. Joannes Junior Saxonias 
Angariae et Vuestfaliae Dux etc. pro se ac Familiaribus suis, sci- 
licet Nobilibus DD. Bernhardo Opperhusen, Joanne de Mynmingrade 
ac Andrea Lochouuen, Ducatos duos largos. 

DD. Sigismundus, Ludouicus et Georgius Fratrea Comites de 
Hohenlot, et Egregius D. Thomas ex Kerstem eorum praeceptor, Juris 
Pontificij doctor, Florenos duos renenses. 

D. Philippus Baro in Lympurg, Sacri Romani Imperij Pincerna 
Haereditarius, pro se et familiari suo D. Vito Pfeyfelman Herbipo- 
lensis, Florenum unum renensem. 

N. D. Sebastianus de Kunsperg Ducatum medium. 

D. Ambrosius Yphofer de Jnspruck grossetos octo. 

N. D. Joannes Mulbeck Noricus, pro se et D. Joanne Poplim 
de Nova ciuitate Florenum unum renensem. 

D. Leonardus Heldt Patritius Nornbergensis grossetos octo. 

D. Pontianus de Bosconissn, clericus Traiectensis diocesis, bono- 
nenos sexrdecim. 

D. Symon Geyr Suueinfordiensis Florenum medium. 

D. Joannes Bangartner de Kopfstein, pro se et praeceptore suo 
D. Jacobo Peichelstand, Ducatum unum Vngaricum. 

D. Gaspar Mergenauu ecclesiae Collegiatae S. Sepulchri Domini 
in Lignitz Scholasticus, et ecclesiae beatae marie Virginis ibidem 
plebanus, Ducatum medium. 

N. D. Thomas Thruchses spirensis et S. Burchardì extra muros 
Herbipolenses ecclesiarum canonicus libram unam bononenos sex. 

D. Joannes Reichel ex Vratislauia bononenos decem et octo. 

D. Dietherus Vuenck, ecclesiae S. Victoris Moguntinensis cano- 
nicus, libram unam bononenos septem. 

D. Lucas plebanus in Heltuuin grossetos decem. 

Ὁ. Sigismundus Altman de Stchimdmuel bononenos sexdecim. 

N. D. Erasmus Vuanduuel, clericus caminensis diocesis, Florenum 
medium renensem. 


DI A. URCEO CODRO 593 


D. Vuolfgangus (sic) Ketuuick de Leiptzick Mersburgensis dio- 
cesis Florenum medium renensem. 

N. D. Theodoricus de Dunchelaghe clericus Osnaburgensis dio- 
cesis Florenum medium renensem. 

N. D. Joannes de Vuolstuff de Bornstoff Misnensis diocesis Flo- 
renum medium renensem. 

D. Antonius Potzsner de Reiterscan Frisingensis diocesis Duca- 
tum medium. 

D. Heinricus Bromsse Lubicensis Ducatum medium. 

D. Joannes Boltzhem de Sasbach canonicus Argentinensis Flo- 
renum medium. 

D. Georgius Schutz de ytingertal artium magister Florenum 
medium. 

D. Nicolaus de Rucking de Francfordia Florenum medium re- 
nensem. 

N. D. Theobaldus de Borunbach artium magister Florenum me- 
dium renensem. 

D. Joannes Laze de Keschtum grossetos decem. 

N. D. Heinricus Vuerther de Northusen Ducatum medium. 

N. D. Cunradus de Steinburg in Liechtenberg et Bodenburg, 
Castris Hildesheimensis diocesis, Florenum medium renensem. 

D. Petrus Auerenck Dauantriensis, Traiectensis diocesis, bono- 
nenos sexdecim. 

D. Bernardus Konigk de Nortingen et D. Michael Huber Augu- 
stensis diocesis. 


(Dall’Archivio Malvezzi de’ Medici in Bologna - Matricula Nobi- 
liss. Germ. Collegii - da carte 69 retto a 72 verso. 


594 MALAGOLA 


APPENDICE XXXI. 


Documenti 
sul Cardinale Nicolò da Cusa. 


(Vedi a pag. 366 nota 1.2) 


Documento I. 
« M CCCC XXX VII. 

Ipso die Epiphanie domini dominus henricus leubing etc. fuit as- 
sumptus in procuratorem nostre Nacionis, Et Ego Nicolaus Salfelt 
pro tunc Substitutus Magistri Ruperti etc. sibi in Comprocuratorem 
confirmatus; Et assignate nobis fuerunt Res et pecunie nacionis re- 
MAaADNEnNtes o... La 
Item dominus Nicolaus de cusa clericus treuerensis diocesis dedit 
solidos INIT bononenorum . . . .ὄ .« - τῳ +0 + 3. 


(Dall’Archivio Malvezzi de' Medici in Bologna - Annales Clariss. 
Nat. Germanor. - a carte 101 retto e verso). 


Documento 17. 

« Auno Domini M.CCCC.XXXVII. Reuerendis Dominis Heinrìco 
Leubing, praeposito Neumburgensi etc. et Nicolao salfeldt, electis, 
et Gotschalco Vppinberg substituto procuratoribus, albo ascripti sunt: 
Dominus Nicolaus de Cusa, Treuerensis diocesis, bononenos tres. 


(Dall'Archivio Malvezzi de’ Medici - Matricula Nobiliss. Germanor. 
Collegij - a carte 60 retto). 


Documento III. 

« Reverendissimus et Illustrissimus Princeps Dominus Nicolaus 
de Cussa, Treuerensis Diocesis, et Sacro sanctae Romanae Ecclesiae 
Tituli Sancti Petri ad Vincula Praesbiter Cardinalis, Episcopus Bri- 
xinensis, Vir in Diuinis Scripturis eruditissimus, et Theologoram 
suo tempore facile princeps, luris peritissimus, ac in humanis literis 


DI A. URCEO CODRO 595 


egregie doctus, Philosophus, Rhetor, ac Mathematicus celeberrimus, 
Trium linguarum, Haebraicae, Graecae et Latinae peritus, Qui in 
Germaniam Legatus missus, multa pro reformatione Ecclesiae fecit, 
et praeclara Volumina scripsit; de quibus infra, ubi de Doctis Viris, 
dicetur. x 

Anno M. CCCC. XXXVII. » 


(Dalla Matricola dei Cardinali della Nazione Alemanna in Bolo- 
gua, nel volume dell'Archivio Malvezzi: Matricula Nobiliss. Germa- 
norum Collegij - a carte 9 retto). 


APPENDICE XXXII. 


Della festa 
celebrata in Rubiera in onere dell’ Urcco 
ai 14 d’agosto del 1877. 


(Vedi a pag. 418, nota 2.2) 


Se lo spazio l'avesse consentito, volontieri avrei riprodotto qui 
l'opuscolo « Delle Onoranze tributate in Rubiera ai 14 d’ agosto del 
1877 ad Antonio Urceo detto Codro (1) », dove sono i discorsi pro- 
nunziati in quell'occasione; ma i lettori potranno avere un’ idea di 
questa festa dallo scritto seguente, tolto dal giornale bolognefe Za 
Patria (Giovedì 16 agosto 1877, Anno IV, N. 226): 


« ONORANZE 
AD ANTONIO URCEO CODRO 
PROFESSORE NELL'ANTICO STUDIO BOLOGNESE. 


Fino dalla seduta del 20 settembre 1876 il Consiglio Comunale 
di Rubiera, patria di Antonio Urceo, deliberava (dietro proposta del 
Signor Dottor Pietro Barbieri) che si apponesse in luogo pubblico 
una lapide che ne ricordasse ai posteri i meriti insigni. 


—_ ____—_———y—__—__—r————r——_——< - — ——»—» 


(1) Bologna coi tipi della Società Cooperativa Azzoguidi - 1871 -. 


596 MALAGOLA 


—— 


Oggi 14 agosto, ricorrendo il natalizio di questo illustre uomo, 
il Municipio della sua patria ha voluto, secondo le proprie forze, 
dargli testimonianza della sua venerazione. Infatti alle 9 antimeri- 
diane, nella sala del Consiglio (dove si vedevano i ritratti dell'Urceo 
e del Copernico) nel palazzo Comunale, coll’ intervento della Musica 
del paese, è cominciata la festa con un discorso del facente funzione 
di Sindaco, Ingegnere Corradini, il quale ha manifestato con nobili 
parole, giustamente accolte da applausi, i sentimenti di gratitudine 
del paese che rappresenta, verso il dotto uomo che tanto lo ha 
illustrato co' suoi studi e con la sua fama. Quindi prese la parola 
il Signor Carlo Malagola (che ha sotto stampa un grosso volume 
sulla vita dell’ Urceo) ed ha recitato un discorso, dove, ricordando 
il suo affetto al paese, per amore del quale prese a scrivere dell'Ur- 
ceo, parlò degli uomini illustri di Rubiera, della vita di Codro, 
de' suoi amici, de' suoi discepoli e della fama dello Studio di Bolo- 
gna, fermandosi specialmente a trattare delle relazioni che furono 
tra l'Urceo, maestro, ed il Copernico discepolo, dimostrando che il 
primo ebbe parte, sebbene indirettamente, nella grande scoperta del 
secondo. 

Il discorso fu molto applaudito, e pure furono applaudite le 
parole che il Consigliere Comunale Avvocato Luigi Romoli rivolse ai 
rubieresi, dove, ringraziando a nome del Consiglio il Signor Mala- 
gola d'aver tratto dall’ oblio il nome dell’ Urceo, e ricordando come 
il Malagola stesso fino dal 1874 incitasse i rubieresi ad onorare la 
memoria e dar luogo conveniente alle ossa dimenticate di Giuseppe 
Andreoli, decapitato innanzi al forte di Rubiera ai 18 d’ottobre 
del 1822, ricordava oppurtunamente ai proprii compaesani il dovere, 
che loro incombe, di porre una memoria anche ad onore di quel 
martire dell'indipendenza d'Italia, del quale dal Romoli stesso e 
dal Dottor Marastoni si sono ritrovate le ossa, or fanno pochi mesi. 

Il Professore Campanini, a nome della Deputazione Reggiana di 
Storia Patria, sorgeva a ringraziare il Municipio di Rubiera ed il 
Signor Malagola, l'uno per gli onori, l’altro per gli studi onde 
hanno voluto meglio diffondere la fama di Codro; dopo di che le 
Autorità ed il pubblico discesero sotto il portico del palazzo Comu- 
nale, ov' era stata collocata la lapide in marmo, egregiamente ador- 
nata in oro, che contiene l'iscrizione per l' Urceo, dettata dal Signor 
Carlo Malagola, lodata dall' illustre Senatore Atto Vannucci come 
semplice, chiara e nobile, e che noi vogliamo presentare ai nostri 
lettori: 


DI A. URCEO CODRO 597 


AD ANTONIO URCEO CODRO 
RUBIERESE 
GRECISTA E LATINISTA EMINENTE 
E NELLO STUDIO. DI BOLOGNA 
MEMORABILE MAESTRO DEL COPERNICO 
LA PATRIA 
XIV AGOSTO MDOCCLIXVII 
CCOCXXXI NATALIZIO DI LUI. 


Il Signor facente funzione di Sindaco, tolto che ebbe il velo 
che la copriva, leggeva il verbale dell’inaugurazione, firmato da lui, 
dall'Assessore Bertuzzi e dai Consiglieri Comunali Ingegnere Prampo- 
lini, Avvocato Romoli, Avvocato Diegoli, Dottor Cepelli ed altri, 
dal Signor Carlo Malagola, Socio della Regia Deputazione di Storia 
Patria per le Romagne e della I. R. Accademia Copernicana di Thorn, 
dai Signori Prof. Riccardi, Socio della R. Deputazione dì Storia Patria 
per le provincie Modenesi e Parmensi, e da quelli della Sotto-Sezione 
Reggiana Dottore Giuseppe Turri, Giovanni Livi, Prof. Naborre 
Campanini e Prof. Giuseppe Ferrari, dal Vice-Pretore e dalle altre 
Autorità invitate. Dava comunicazione di aver spedito un telegram- 
ma all’illustre Rettore dell’ Università di Bologna, teatro della gloria 
dell’ Urceo, ed un altro all'Accademia Copernicana, che può consi- 
derarsi come il centro degli studii sopra il grande astronomo. 

Questa rispondeva: 

« Al Sindaco della città Rubiera (Italia). 

Cives Municipii Nobilissimi Rubiera, saecularia Antonii Urcei 
popularis viri doctissimi celebrantes, pio gratoque animo consalutat 
Societas Copernicana Thorunensis ». 

E l’ Università di Bologna con quest’ altro onorevole telegramma: 

« Municipio Rubiera. 

Università Bologna festante commemorazione natalizia Antonio 
Urceo, suo luminare, ringrazia e saluta. 

Rettore CALORI ». 

Fu una festa spontanea e molto bene ordinata, e lascierà nel- 
l'animo degli intervenuti cara memoria dell’ uomo che si è voluto 
onorare; e per certo non sì poteva desiderare di più da un Comune 
di piccolo paese qual è Rubiera, che già volle dare il nome di Co- 
dro ad una delle sue vie. » 


A pag. 


CORREZIONI ED AGGIUNTE 


. 7, linea 10: Giustiniano, leggi: Giustiniani. 
. 7, linea 18: Giacomo Antiquario, aggiungi: Gian Battista 


Guarino. 


. 9, linea 18: Alfonso V, leggi: Alfonso I. 
. 80, 4nea 3: Volta, leggi: Dalla Volta. 
. 13I, Zinea 17: il precedente, aggiungi: Stefano Pisciense è 


il Salutati, di cui già parlammo. 


. 160, Zinea 11 e 12: Pietro Fontana, leggi: Prospero Fonta- 


nesi. 


. 288, linea 14: Gian Francesco Raibolini, leggi: Francesco 


Raibolini. 


. 327, linea 12: Università dei Leggisti, leggi: Università de- 


gli Ultramontani. 


. 363, linea 15: parla, leggi: parlare. 
. 367, linea 11: al libro De Re Rustica, leggi: al Carme DE 


INSITIONE. 
464, linea 22: tre della famiglia, /eggi: due della famiglia. 


La correzione degli altri errori tipografici, che per avventura 
fossero sfuggiti, si lascia al discreto giudizio dei lettori.