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DELL' IDIOMA
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■ I
DELLA LETTERATURA GENOVESE
STUDIO
DA UN VOCABOLARIO STIHOLOGICO «ENOYESE
DI ,
CARLO* EANDAOOIÓ . ' •
D^UH^TO'ii. PARLAMENTO
ROMA
' f PORZANI E C. TIPOGRAFI DKL SENATO, EDITORI
1894
DELL' IDIOMA
E
DELLA LETTERATURA GENOVESE
STUDIO
SEGUITO
DA UN VOCABOLARIO ETIMOLOGICO GENOVESE
131
CARLO RANDAOOIO
DEPUTATO AL PARLAMENTO
• . . . ;
ROMA
FORZANI E C. TIPOGRAFI DEL SENATO, EDITORI
1894
♦ .
é
i- - :; y
PEEFAZIONE
Scorrendo io, per certi studi, i più riputati libri di glot-
tologia, trovai che mentre vi erano, alle occorrenze, citate
voci di quasi tutti i principali dialetti italiani, mai o quasi
mai vi si citavano quelle del genovese : per esempio, Littré,
nel suo celebre Dizionario della lingua francese, non cita
voci genovesi che due o tre volte, ed il principe dei glot-
tologi italiani, l'Ascoli, nelle Trascrizioni premesse ai voi. I
àeW Archivio glottologico (1873), non parla mai del genovese.
« In effetto, dice egli altrove {Arch,, voi. II), il dialetto ge-
« novese, e le varietà liguri in generale, non ebbero insino
« ad ora a rallegrarsi di studi molto accurati » e avrebbe
potuto dire che non erano stati studiati affatto. Poco e male
ne scrissero il Fernow (1806-1808) ed il Fuchs (1840) citati
da esso Ascoli: fino l'illustre Diez, parlando assai breve-
mente del genovese, mostrò di non conoscerlo, al punto di
paragonarlo, egli autore della Grammatica delle lingue
romanze, con l' italiano, e non direttamente col latino. Vero
è aver egli soggiunto che « ad un sicuro giudizio scientifico
« si apre la via solo colui che si sforza infaticabilmente
4c di possedere V intero materiale della lingua fino nei suoi
« dialetti ».
— VI —
Non si deve però esser severi coi glottologi se mal co-
nobbero il genovese idioma, di cui soltanto nel 1851 l'Oli-
vieri compilò un Dizionario tutt' altro che compiuto, e che
possiede una letteratura, rara e presso che ignota, la quale
poi, per l'ortografia usatavi e per la lingua in parte mutata,
difficilmente intendono i Genovesi stessi. Di che, l'Ascoli su
lodato confessa d'aver « creduto per lungo tempo che i ca-
« ratteri settentrionali del genovese non fosser tali e tanti
« da farlo decisamente assegnare alla serie dei dialetti gallo-
« italici >. Ricredutosi infine, egli scrisse neìV Archivio glot-
tologico (voi. II) un articolo intitolato Del posto che spetta
al lignine 7iel sistema dei dialetti italiani, in cui conclude
che « tutto ciò che è veramente caratteristico dei dialetti
« gallo-italici ricorre anche nel genovese ». Verità della
quale io, genovese, che conosco anche il piemontese, e so-
pratutto il francese, non avevo mai dubitato.
Fu principalmente questo lavoro dell'Ascoli, pregevo-
lissimo come ogni altro lavoro suo, che m'indusse a studiare
a mia volta la lingua genovese, a me, oso dirlo, perfetta-
mente nota, essendo io vecchio abbastanza per aver parlato
il genovese di cinquanta anni or sono, da cui si scosta, ogni
dì più, il genovese odierno, e poiché conobbi, per circostanze
particolari, il genovese popolare che è il solo genuino, e il
genovese marinaresco.
Adunque al fine di raccoghere materiali per i glotto-
logi, ed anco a quello di fare meglio conoscere ai miei con-
cittadini il linguaggio che parlano, di cui non fanno essi
medesimi la stima che merita, io mi misi a comporre un
Vocabolario etimologico del genovese puro : ma presto vidi
la difficoltà dell'impresa. Che allo studio d'una lingua^ e
specialmente a quello dell'etimologia sua, si dovesse pro-
cedere di pari passo con lo studio della storia del popolo
che la su detta lingua parlò, ben io sapeva : « la nostra
— VII —
« lingua è anche la nostra storia y> , lo disse Grimm : però
credevo di poter disbrigarmene senza troppa fatica, non
preparato punto a trovare che ad alcune gravi domande
suggerite dallo studio dell'idioma dei Genovesi mal rispon-
desse la loro storia antica. Di qui la necessità per me di
un altro studio, lo storico, sulle origini dei Liguri, sull'af-
finità loro con altri popoli, sul linguaggio loro antichissimo,
e su le successive mutazioni di esso, fino a che si ridusse
in quello moderno: di maniera che il disegnato mio Voca-
bolario etimologico ha finito per trovarsi alla coda di un
lungo studio storico su l'etnologia, la lingua e la letteratura
del popolo genovese.
Questo libro feci e lo pubblico, abbreviato e mutilato
più che potei, senza pretensioni di sorta, come un semplice
studio, invocando l'attenzione dei dotti principalmente sui
problemi storici che, per via della linguistica, ne vengon fuori.
Quanto al metodo cui mi sono nella parte glottologica,
che è la più importante, attenuto, basta di aprire il hbro
per avvedersi che non è il metodo scientifico. Dirò aperto,
a questo proposito, che poco io so di tecnologia linguistica,
ma che pure cercai, scrivendo, di scordarmi eziandio di quel
poco : ciò perchè volli essere inteso da tutti, e non dai soli
pochissimi iniziati all'intelligenza di quella nuova algebra
che costituisce la tecnologia su lodata.
Riguardo al Vocabolario etimologico, cui premisi alcuni
cenni brevissimi sulla Grammatica genovese, mi son con-
dotto cosi: ad ogni voce genovese, dichiarata prima in ita-
Hano, posi a riscontro la voce corrispondente, o affine, se
vi era, del piemontese, del lombardo ^ e del provenzale, e
pur quella del francese e dello spagnuolo, ogni volta che
' Dei dialetti emiliani tacqui perchè non li conosco, e poco mi fido dei
Vocabolari.
— vili —
%
mi parve opportuno: studio collettivo che, fatto meglio di
quel che io feci, penso avrebbe a riuscire assai utile.
Nella ricerca delle etimologie, anzi in tutta l'opera mia,
non mi peritai, appunto perchè non sono uno scienziato, di
esporre liberamente le mie idee: se sbagliate, le corregge-
ranno i dotti, ed io l'avrò caro-
Mi parve poi conveniente d'inserir nel Vocabolario l'eti-
mologia delle voci marinaresche più considerabili, poco o
punto note ai glottologi.
Avverto in ultimo che tralasciai l'etimologia delle voci
che il genovese puro ha comuni con l'italiano, qualche caso
particolare eccettuato: queste etimologie troveranno i lettori
(se ne avrò) nel Vocabolario etimologico italiano di Fran-
cesco Zambaldi; immensi toedii et temporis opus, il quale
avrebbe dovuto procacciare all'autore assai maggior fama
di quella che gli fruttò. Tralasciai pure le etimologie delle
voci che il genovese ha comuni col francese, le quali i lettori
troveranno nel già citato Dizionario di Littré.
PARTE PRIMA.
15
CAPO I.
Dell'orione dei Lig-uri. — Elemento iberico-basco, celtico, grermanico, greco,
nell'idioma ligure-genovese. — Come i Liguri-genovesi parlarono il la-
tino. -^ Carattere dell'idioma ligure-genovese.
« Nulla di più incerto - scriveva il Micali ^ - della razza
« cui appartenevano le numerose tribù di Liguri che si trova-
le vano già, in tempi antichissimi, diramate con proprio nome
< dal Rodano insino alla Tirrenia ».
« I Liguri - disse il Niebuhr ^ - son uno di quei popoli dei
« quali la nostra scienza storica, troppo poco estesa, giunge
« solo alla decadenza . . . tutto ciò che noi sappiamo dei Liguri
ji < è che non erano né Iberi, né Celti » .
In effetto, nessun monumento ligure esiste: delle cinque
parole, credute appartenenti all'antico idioma dei Liguri, tre:
bodincus, nome del Po; padus, pino; sai iu ne a, lavanda,
si seppe poi che erano galliche; delle altre due, a sia signi-
ficante avena, e sigynes (la quale secondo Erodoto^ dino-
tava « appo i Liguri là sopra Marsiglia » i mercanti) rimase
incerta Torigine.
Ad altri invece pareva chiara l'affinità di stirpe tra i Li-
guri e gli Iberi antichissimi < Liguri transalpini - scrisse il
« Serra '^ - fu il nome generico di quanti giunsero di là dal
' Storia degli antichi popoli italiani y cap. XVIII.
■ Storia romana, voi. I.
» IstoHCy lib. V, 9.
* Storia dell'antica Liguria e di Genova, lib. I, cap. I.
■
1
— 2 —
« Varo e dall'Alpi. I medesimi varcarono ancora i Pirenei dove
« questi monti, simili all'Alpi, più degradano e quasi toccano
« il mare. Se alcuno ne dubitasse, osservi la facilità del pas-
« saggio, la somiglianza dei costumi e la corrispondenza mara-
« vigliosa fra Genova, Cervara, Tortona, Piacenza, Valenza,
« Alba, Asti, Albenga, Tuledana, Andora, terre della Liguria,
« e Genua Ursanorum, oggi Ossuna, Cervara, Tortosa, Placen-
4f eia, Valenza, Alba, Asta, Albeninga, Toledo, Andura, nel-
<c Tantica Iberia. Se cotante analogie non bastano, abbiamo le
« seguenti autorità: Eratostene, antico e dotto geografo, che
^< appella penisola ligustica la Spagna; Stefano Bizantino e
« Snida i quali ascrivono a popoli liguri la fondazione di Li-
« gustina, città sopra il fiume Beti, e Plutarco il quale distingue
« i Liguri abitanti separatamente lungo le marine d'Italia, da
« coloro che abitavano a rincontro dell'Africa unitamente coi
« Galli meridionali e con gli Iberi >.
A questi e ad altri consimili argomenti storici diede base
più solida Guglielmo di Humboldt. ^ Sostenne egli che appli-
cando le cognizioni che si possedevano degli antichi idiomi di
Europa, alla ricerca e alla spiegazione dei nomi antichi dei
popoli, delle città, delle regioni, insomma dei nomi g^^ografici
di un continente, si giungerebbe a determinare con sufficiente
esattezza i luoghi abitati dai popoli i quali parlarono i su detti
idiomi, e studiati egli stesso gli antichi nomi geografici della
Spagna e di altre regioni abitate dagli Iberi, mostrò come si «^
dividessero in due serie distinte, appartenente ognuna a una
lingua diversa aflatto dall'altra, iberica la prima, identica al
linguaggio basco moderno, celtica la seconda. Ricercò altresì
l'illustre filologo se di cotesto linguaggio iberico non vi fos-
sero traccio anche nei nomi geografici dell' Italia, e ne trovò
parecchie.
Attenendosi a cotesti principii alcuni scrittori ^ argomen-
* Ricerche sui primi abitanti delia Spagnn per mezzo del liìignagg io ba-
sco, 1821.
* Mi ristriiiffo a citare Fauriel, Dante et les orìgines de la la;ìgue et
de la Uttrratnre itaìienne, Paris, Durand, 1854. Hovelacqujo però (la Irngni-
stiffHP, Paris, C. Reiuwald et C, 1876; dice esser * possiblo <iue les prosomp-
* tions do Humboldt aiont été justes, possible, peut-fìtre mOmo vraiseinblabl»^,
^ que les ancions habitiints do Tiberio aien* parlò une lang-ue allieve au basque:
«mais que cela soit prouvé nous no Tadmottons iK)int> (S 1'»)-
5r
— 3 —
tarono: essere stati i Liguri un popolo che neirantichità più
remota occupò simultaneamente gran parte della Gallia meri-
dionale, dell'Italia e della Spagna, e che lo stesso popolo può
esser chiamato iberico almeno per la ragione che parlò V idioma
iberico, il qual si crede rappresentato dalla lingua basca mo-
derna. ^ In effetto, si trovarono altre tracce di basco nei nomi
geografici ispani e liguri, e si riconobbe che il nome stesso
di Liguri, ricondotto dalla forma latina alla sua forma origi-
nale, è composto di due parole basche: ligor o iligoral
singolare, ligorrac o iligorracal plurale, le quali valgono:
li ili, popolazione, gor, altura: onde ligure vorrebbe dire:
montanaro. ^
Né dall'odierno idioma ligure-genovese sarebbero intera-
mente sparite le vestigio del basco: ecco alcune parole, etimo-
logicamente basche, che il genovese ha comuni con lo spa-
gnuolo. 3
Basco puro
Spagnuolo bascuense Genovese
Italiano
Adobo
Adubbu
Concia
Antzua
Anchoa
Anciùa
Acciuga
Bizarra
Bizarro
Bizaru
Bizzarro
Oasaca
Casacca
Casacca
Chocar
Ciocà
Render suono
Chusma
Citixima
Ciurma
Embarazo
Imbarassu
Imbarazzo
Ermita
Ermittu
Solitario, deserto
£scuoncia(vaso alla
Escancia
Sganzla
Scaffale
mano)
Escoba
Scubba
Scopa
Garaitoa (parte su-
Garita
Garitta
Casotto per senti-
periore, estrema)
nella
Garapìna
Carapigna
Sorbetti era
Garzon
Garsun
Garzone
Gambelji (mangi a-
Gamella
Gamella
Catino di legno
toja)
Guirlanda
Guirnalda
Ghirlanda
Ghirlanda
Largar
Larga
V. m. sciogliere ,
sfrenare
Latas, lattea
Latas
Latte
V. m. tavole
' G. DwiGHT WiTNKY, La Otta e Io sviluppo del linguaggio, cap XII.
* Però questa etimologria fu impugnata da H. D'Abbois de Jubainville
nella sua ragg-uardevole opera Les premiere hahitaìits de V Europe (Paris, 1889)^
voi. I. Sostenne egli che il vero nome dei Liguri era Ligusi, avendo i Latini
sostituita la .V con la /• nel nominativo plurale, dicendo però Ligus al nomi-
nativo e al vocativo singolare, o Ligusticus all'aggettivo.
* Le trassi dal Diccionario triliìigue del Castel! anOy Bascuense, y Latin ,
su autor el padre Manuel de Labkamexdi, San Sebastiano, 1745.
— 4 —
Basco puro Spagnuolo bascuense Genovese
Italiano
Marchar, mar-
cila
Mazamorra
Mochar
Mocho
Mozo
Muchacho
Murua (eminenza, Morrò
mucchio)
Muturra (bocca
sporgente con
grosse labbra)
Quinofia
Motza (pelato)
Zapata
Zapataìn
Marcia, marcia II camminare dei
soldati
V. m. tritumi di
biscotto
Mozzare, smocco-
lare
Mozzato, moccolaia
Mozzo
Garzone di bordo
Muso
Massamuru
Amucà
Mucca
Mussu
Muciacciu
Muru
Mutria
Mutria
Nifio
Ninnu
Fanciullo
Quinon
Ghignun
Sorte avversa, ri
pugnanza
Rato, raton
Rattu
Topo
Resaca
Resacca
V. m. risacca
Tapar
Velacho
Tapà
Velacciu
Turare
V. m. Velaccio
Zapato
Savatta
Ciabatta
Zapatero
Savattin
Ciabattino
Certo che queste voci genovesi, comuni quasi tutte al pro-
venzale e al francese, ^ non dimostrano affatto che i Liguri ab-
biano un tempo parlato V idioma iberico-basco : né miglior prova
danno i nomi dei pochissimi monti, paesi e fiumi della Liguria
e del Piemonte che potrebbero credersi appartenenti a quel-
l'idioma. Vi è, per esempio, un torrente che mette foce nella
Polcevera e chiamasi Dori a: sonovi le due Dorè e si ha il
nome di Do ira dato a Torino ai rigagnoli che correvano in
mezzo alle vie; vengon essi dal basco duria, corso d'acqua,
o dal celtico dur, dwr, acqua? Ad ogni modo, le voci su ri-
ferite costituiscono un fatto del quale è utile tener conto, come
pur giova considerare alcune analogie singolari tra l' idioma
genovese e il guascone, * e la conformità di qualche nóme geo-
grafico in Liguria e in Guascogna, per esempio quello di Uscio,
paese sopra Rocco, il quale piuttosto che dal gallico latiniz-
zato in Ocellum, parrebbe derivato dagli Auscii, popolo dei-
Tanti ca Vasconia la cui capitale era Ausch, oggi Auch.
* L'italiano no ammise poche e tardi: così la voce addobbo nel soiiso
di concia, condimento, non entrò nell'italiano che per mezzo dello spaèrnuolo:
il primo esempio recatone dalla Crusca è del Salvini.
* Vedasi a pag. 102.
— 5 —
Furono adunque i Liguri gente iberica, o almeno a lei
molto affini? I moderni storici lo ammettono tutti: ^ ma i più
recenti studi antropologici ^ vennero ad infirmare cotesta forte
sintesi cui giunte erano storia e linguistica, avvicinando invece
i Liguri ai Celti. Quanto a me che, grazie al cielo, non ho da
scrivere la storia dei Liguri, mi ristringerò a dire che, eccet-
tuate le poche voci su ripoi*tate, il numero delle quali po-
trebbe forse venire alquanto accresciuto da un più accurato
studio del basco, i Liguri tutti dimenticarono questa che vuoisi
fosse la loro lingua nativa, e ne parlarofio un*altra assai dif-
ferente.
Come avvenne cotesta trasformazione ? Come si spiega che
nell'idioma ligure-genovese (il solo che forma oggetto di questo
mio studio) si trovino numerose e profonde tracce di lingua
celtica e, cosa assai più notevole, di lingua germanica? Fatto
sta che una bucina parte dei nomi dei monti, dei fiumi, dei tor-
renti defla Liguria son celtici, nomi che poi si estesero ai paesi
stabiliti su quei monti o in riva a quei fiumi, ed alle famiglie
che quei paesi abitarono. 11 nome stesso di Genova, secondo
Paolo Diacono, longobardo, è celtico, cioè genu, che vale:
adito, uscio 3.
Questo fatto avea già notato nel 1806, discorrendo assai
dottamente della celebre tavola di bronzo trovata in Polcevera
* Citerò il più recente, che è tra i più illustri, il Duruy, il quale nella
sua Histoire des Romains (Paris, 1885) dice che i Liguri « paraissent avoir
« été un rameau d'un autre peuple ónigmatique, les Basques des Pyrénées ».
In questi ultimi tempi, il D'Arbois de Jubainville, iieiropera g-ià citata, negò
che i Liguri appartenessero alla famiglia iberico-basca, affermandone l'origine
ariana, e Alfredo ^L^.ury nella sua Note sur les Ligures, pubblicata nei
Comptes rendus de V Académie des inscriptions et helles lettresde Vannée 1877,
sostenne, se non la comunità d'origine, una grande affinità di stirpe e di lingua
tra Liguri e Celti. Rispose ad entrambi, con una dissertazione di molto pre-
gio, intitolata: Le stirpi ihero-liguri (pubblicata nelle J/rworié» delia R. Acca-
demia delle scienze di Torino^ 1881, voi. XXXJII), il prof. Luigi Schiappa-
relli, sostenendo invece che i Liguri «il popolo storico più antico d'Italia»
appartenevano alla famiglia delle genti iberiche, rappresentate ancora dai
Baschi.
* Si possono vedere riassunti nella recentissima opera di Giovanni Lau-
monier, intitolata: La vationalité frati^aise,\o\. II, Les 5bww<?.9 (Paris, Cha-
muel, 1892).
* D'Arbois de Jubainville (Revue archéologique, novembre 187.5) lo trae
invece dal gallico gena va che vai: bocca, e che probabilmente ha origine
identica al genu.
— 6 —
nel 1506, Girolamo Serra ^ che riconobbe celtici, fra gli altri
in essa indicati, i nomi di Mannicelo, Yindupale, Gomberanea,
Tuledonem, Veturii, Veituriis, Langenses: ma, che io sappia,
ninno dopo di lui si occupò in queste ricerche che tanto avreb-
bero giovato alla storia.
Solamente nel 1873 quel valente filologo che fu Giovanni
Flechia pubblicò negli Atti dell* Accademia delle scienze di
Torino (voi. XXVII) una dissertazione su alcune forme di nomi
locali nell'Italia superiore, in cui applicandosi piuttosto allo
studio dei suffissi ch% a quello dei temi, non considerò che le
terminanti in ago, asco, ate, engo, le quali, eccetto le se-
conde, poco interessano la Liguria. ^
Quanto a quello che Costantino Nigra ^ chiamò ^ substrato
celtico » degli idiomi genovese e piemontese, mi riferisco al
Vocabola^no etimologico posto in fine di questo libro, ma non
tralascerò di far osservare come le voci celtiche ancora vive
nel genovese appartengalo tutte al linguaggio elementare:
araon = a reu ' lesen = lezen-a
brig = briccu ^ marm-mear = marmelin, marmelà
bren = brenna mota = motta
brug = braga nas = nassa
caban = cabanna reatha := regatta
dru = drùu rask = rasca
gabb = giabba sgaireach = asgaià
jomagan = magun sgiath = sgheuà
toc = tocca, ecc.
Come vennero, ripeterò, all'idioma genovese le voci cel-
tiche?
* Memorie dell'Accademia Imperiale delle scienze e belle arti in Genora,
voi. II.
* Dichiarò celtiche le terminanti in ago (Cadela(?o, Ubaga, Zig'nagoi,
non celtiche, ma appartenenti alla lingfua dei Liguri anticlii, quelle in asco
(Buggiascu, Burzunasca, Cravascu) che sono una quarantina circa in Liguria,
però ammettendo su questa forma l'influenza del suffisso germanico isch:
giudizio in cui non posso convenir io, che stimo celtiche le terminazioni in
ascu, cioè in asc (vicino). Le terminanti in ate spettano in proprio alla
Lombardia, quelle in engo, certamente germaniche, non sono mai nomi di
luoghi, ma di persone, in Liguria (Brunengo, Samengo, Veruengo). Quanto
ad Albenga, si sa che è da Àlbingaunum.
* Canti popolari del Piemonte, Torino, 1888.
* Giovi di rammentare che in genovese Vu finale dopo consonante, non
accentato, non ha altro ufficio che quello di smorzare il suono delle voci
tronche, abborrite dal genovese come sarà detto a suo luogo.
— 7 — *
La storia degli antichi Liguri, ancorché rifatta in questi
ultimi tempi col nuovo lu^me dell'etnologia e della glottologia, *
non risponde, né risponder potrebbe, a tale quesito con sicu-
rezza, ma lascia credere come assai verisimile; P non esser
certo se i Liguri, razza distinta indo-europea, siano stati per
sangue affini agli Iberi, oppure ai Celti; ^ 2** che essi furono,
in un tempo antichiisimo, a contatto con gli Iberi; 3^ che poi,
spinti dai Celti, partirono dalle montagne le cui falde sono ba-,
gnate dalla Ouadiana, e si stabilirono su la costa che dalla foce
del piccolo fiume Ter in Ispagna corre sino a quella dell'Arno, ^
abbracciando così in una zona semi-circolare il golfo che fu da
loro chiamato ligustico; 4"^ che a mano a mano moltiplicatisi,
si estesero nella Gallia, ad occidente del Reno, fino alle Cé-
vennes, ad oriente fino airisère, alle Alpi ed al Varo. Cosi
i Liguri si trovarono in diversi punti a contatto coi Galli, e
qua si unirono ad essi formando un popolo solo, là, serbando
il proprio carattere, vissero in buona armonia con loro.
In effetto, Aristotele denominò CJelto-liguri gli abitanti
della regione compresa tra V Isère, il Varo, e le Alpi marittime.
Ora, io porto opinione che quelta qualificazione di Celto-liguri
convenga a tutti i Liguri-genovesi, i quali credo che parlato
abbiano, ab antico, un linguaggio . celtico più o meno puro,
misto con qualche elemento iberico.
Scrisse Strabene ^ « delle Alpi, che sono monti altissimi
4 formanti una linea curva, la parte rilevata si volge verso
« le pianure dei Celti e il monte Cemmeno (les Cévennes), quella
< concava verso la Liguria e l'Italia. Contengono quei monti
« assai gente gallica, eccettuati i Liguri: questi, ancorché siano
« di (fiversa nazione, vivono però tutti alla stessa maniera dei
^ Galli, e abitano quella parte delle Alpi contigua agli Appen-
< nini, dei quali anzi posseggono una parte >►.
• Consultare particolarmente, oltre alle opere che ho grià nominate e
che ancora nominerò, la Histoiredes Gaulois par Amédéb Thierry, Paris, lft77.
• Celti e Gralli erano, per i Romani, sinonimi ; in realtà, i Celti costitui-
vano una delle confederazioni della g^ento g-allica.
• È probabile che in un'epoca posteriore essi fondassero alla foce dol-
l'Arno una stazione denominata * Ligurnus (portus) ». Il Giustiniani ne' suoi
Annali scrisse sempre : « Ligorno », e i marinai genovesi dicono anche oggi
invece di Livorno, Ligurnu o Ligurna, o gli Inglesi Leghorn.
'* Geografia, lib. IL
— 8 —
Adunque i Liguri, secondo Strabone che scriveva, come si
sa, al tempo d'Augusto, non eran Galli, ma vivevano allo stesso
modo dei Galli: comuni i costumi e gli abiti, probabilmente la
lingua. Ora, se le due stirpi si fossero trovate a contatto su
confini molto estesi, se avessero avuto tra loro un commercio
attivo e costante, s'intenderebbe una certa conformità del modo
di vivere, anco una certa conformità di linguaggio, ma lo stesso
. Strabone ^ ci lasciò questa descrizione dei Liguri « il littorale
« da Monaco air Etruria è continuo e senza porti, salvo qual-
« che ancoraggio : gli sovrastano grandi e scoscese rupi le quali
« lasciano tra esse e il mare un angusto passaggio. Quivi abi-
« tano i Liguri che a stento vivon di pecore, di latte e d'una
« bevanda fatta con orzo. . . Sonovi selve che producono grandi
« alberi bucai a fabbricar navi, buonissimi a far tavole : questo
« legname portano al mercato di Genova, e così bestiami, pelli
« e miele, traendo poi da Genova olio e vino d' Italia, avendo
^ essi vino poco e che sa di pece. Di là (cioè dalle montagne)
1
«vengono pure i cavalli e i muli detti «ginni», le tuniche e
« i saj (saga) liguri, ecc. ».
Dunque la conformità dei costumi tra Liguri e Galli, con-
finanti per una breve ed alpestre frontiera, senza relazioni com-
merciali reciproche, aveva origine antica. Quanto alla confor-
mità della lingua, Strabone stesso ne fornisce una prova:
sonovi due parole, riputate latine, caliga « calceamentum mi-
litare » e sagum «tunica, vestimentum militare», le quali
vivono ancora nel genovese idioma con la forma e a e g à cal-
zolaio, e saaghetta vestito da cacciatore: orbene, la prima
probabilmente, la seconda sicuramente, son voci galliche.
Conforme alla mia è su questo argomento l'opinione di quel
valente filologo francese che ho già nominato, Alfredo Maury, ^
il quale aflferma che « les Ligures eux-mèmes, qui formaient
« sans doute d'abord une race distincie, subirent si compiete-
le ment Y influence des envahisseurs Celtes, que au plus haut
« que nous puissions remonter dans leur histoire nous ne voyons
« que des tribus celtisées » e poco poi ripete che « si la race
« ligure n'est pas de source celtique, avait au moins regu de
* Geografia, lib. IV.
" Journal des savatits, 1811, Mémoire sur V archeologie celtique et gauloise.
— 9 —
^ très-bonne heure une forte infusion de sang celte, et adepto
<^ un idiome celtique au fond » .
Citerò ancora, intorno all'origine dei Liguri, l'opinione di
un altro dotto francese, Ernesto Desjardins : ^ « Nous en sommes
« réduits, en Tétat actuel de la science sur ce point, à ne rien
« avancer, sinon que la langue parlée par les Ligures n'avait
« aucun rapport avec celle des Ibères, et qu'elle avait au con-
« traire la plus grande affinité avec la langue des Gaulois. Est-
« ce à dire que les Ligures fussent Gaulois et formassent comrae
« une première immigration de la grande nation qui a occupé
« la majeure partie de notre pays ? Les textes classiques qui
« distinguent soigneusement ces premiers venus des tribus cel-
« tiques qui les ont suivis, nous interdisent de le faire, mais
« nous croyons pouvoir dire sans témérité que les Ligures re-
« présentent un des rameaux de la grande race aryenne ou
« indo-européenne, et que leur langue se rattache, comme les
« idiomes celtiques (sans que nous ayons, jusqu'à ce jour, les
« éléraents nécessaires qui nous permettent de Ten distinguer)
« à la mème famille linguistique ».
Infine io non saprei trattenermi dal citare un passo di Plu-
tarco, nella Vita di Mario^ la cui importanza storica non parmi
essere stata abbastanza considerata dai moderni scrittori. Si sa
che dal 1300 al 1400 in circa a. C. un'orda numerosissima di
Celti, col nome guerresco di Ambra (valorosi, nobili) mutato
poi dai Romani in quello di Ambre, o Umber, piombò sui
Siculi dimoranti nella Valle del Po, e cacciatili, vi si stabili essa
stessa, rimanendo a contatto coi Liguri stanziati sull'Appen-
nino: si sa che poi, vinti dagli Etruschi, gli Ambroni si riti-
rarono nella Gallia e nell'Elvezia, e che alcuni si rifugiarono
nelle valli delle Alpi, in mezzo alle genti Liguri.
A questa razza medesima appartenevano quelli Ambroni,
i quali l'anno 652 si unirono coi Cimbri e coi Teutoni per in-
vader l'Italia. Agli Ambroni ed ai Teutoni toccò in sorte di
tentare il passo «per le terre dei Liguri, lungo la marina».
Si oppose ad essi Mario con un esercito in cui era un corpo di
Liguri, e si venne alle mani alle Aquae Sextiae (Aix). « Ca-
* Oéographie historique et amministrative de la Oaule romaine, par Eu-
NBST Desjardins, de T Insti tut, Paris, Hachette, 18*78-1892.
t
— IO —
< larono rovinosamente gli Ambroni, non confusi ne con furia
« e voci disarticolate, ma movendo l'armi a tempo e marciando
< tutti insieme alla cadenza, replicavano spesso il lor proprio
« nome, dicendo Ambroni, Ambroni, o per chiamarsi Tun Taltro
^ per impaurire i nemici con lo scoprirsi prima. I primi Ita-
< liani che si mossero contro essi furono i Liguri, i quali sen-
< tito e ben compreso il grido, risposero ancor essi col mede-
« Simo perchè dicono questo essere il vero cognome generale
« della lor nazione*. ^
Suppone il Thierry ^ che questi Liguri ausiliari discendes-
sero dagli Ambroni rifugiatisi, come di sopra dissi, nelle valli
delle Alpi, ma è strana supposizione, e del tutto gratuita. La-
sciando da parte il fatto che nel parlar di Liguri gli storici di
Roma, latini o greci, intendono sempre di parlare degli abitanti
della Liguria propriamente detta, giova considerare che Mario
(sempre secondo Plutarco) « sentendo esser già i nemici vicini,
<c varcate prestissimamente le Alpi, si accampò alle sponde del
<f Rodano ». Or la più breve via per andarvi era sicuramente
TEmilia, costruita da poco tempo, la quale per vie più antiche
metteva alle Alpi marittime. ^ Mario adunque traversò la Li-
guria che, pacificata da molto tempo con Roma, avea l'obbligo
di somministrare ai romani eserciti un corpo di soldati, « socii
in bellis » cioè distinti dagli altri corpi, e il console che ben
sapeva essere i Liguri « durum in armis genus »,* ne avrà di
certo menati seco quanti più avrà potuto. Sulle Alpi era an-
dato, ad opporsi ai Cimbri, l'altro console Catulo. A me dunque
par chiaro che i Liguri di Mario i quali, a detta di Plutarco
(da cui non viene attribuita al caso altra importanza che quella
di una curiosità storica) gridarono alla battaglia delle Aquae
Sextiae amhra! amhra! erano Liguri principalmente Genovesi.
Onde, mutata la parola ombriens con quella di ligures,
dirò col Duruy: ^ « dans la melée, on avait entendu retentir
« des deux cotés: ambra, ambra! C'ótaient les Ambrons qui
<^ jetaient leurs noms dans les airs, et les Ombriens d* Italie,
* Plutarco, Vita di C. Mario, traduzione di Marcello Adriani.
' Op. cit., lib. V, cap. I.
^ Porti, e vie strate dell'antica Liguria, per E. Celesia, Genova, lHC:i.
* Livio, XXVII.
' Op. cit., voi. II.
— li-
te auxiliaires de Rome, qui y rópondaient par leur vieux cri de
« guerre celtique. Les deux peuples frères se retrouvaient en
« face l'un de i'autre, après une séparation de dix siècles >.
Assai più difficile è di sapere come si trovino nel geno-
vese le voci germaniche. Delle geografiche citerò quelle ter-
minate in orhu (germ. horn, corno) Cogornu, Gattornu,
Liciornu, Pizzornu, Spòtornu, ecc.^ e in ardu (sassone
heard, arduo, difficile) Picard u, Pizzardu, Capenardu, ecc.,
tutti nomi di monti, estesi poi, come già dissi, a paesi e famiglie:
né accennerò ad altri nomi che potrebbero esser germanici come
celtici, ad esempio Braccu, Garbu, Brega, ecc.
Altri nomi topografici germanici non sono antichi in Li-
guria, ad esempio quello di Garibaldu, villaggio nella valle della
Graveglia ( circondario di Chiavari ). Narra la storia che,
nel 671, Garibaldo figlio di Grimoaldo re dei Longobardi fu cac-
ciato dal trono da Pertanto : un'antica lapide ^ trovata nel 1250
nel castello della Busseta (forse dal monte Bussea) dice così:
GARIBALDO GRIMOALDI REGIS FILIO
A. PEBTARITO AVUNCULO PAPIAE TRONO EXPULSO
AB ABiPERTA MATBE
GARIBALDI PRIMI BAVARIAE DUCIS ABNEPTB
IN HAC ARCE BUXETAE RECONDITO
ANNO S^'» 673
SOLO SUIStìITE NOMINE RELICTO
JOANNES ABNEPOS
800'
MONUMENTUM POSUIT.
I Garibaldi, signori e vassalli, cresciuti di numero in quella
pacifica valle, si difi'usero poi sino a Genova, dove due fami-
glie Garibaldo furono ascritte alla nobiltà. Di questa gente è
uscito l'eroico duce dei Mille, che, per fermo, giustificò il pro-
prio nome : gar bald, arma audace.
Quanto alle voci germaniche che si trovano nel linguaggio
comune genovese, mi riferisco, come già per le celtiche, al vo-
cabolario etimologico, facendo però notare che, al par di queste.
^ Anche il cog'nome Adorno è germanico.
* Io non la vidi, ma so no afferma rautenticità.
' Questa e la precedente data male si leg-fi^ono.
— 12 —
le germaniche, tutte elementari, appartengono certamente al
linguaggio primamente parlato, in un tempo antichissimo, dai
Liguri-genovesi : ^
baga = bèga lùge = luggia
balla = balla modor, moder = moè
bisa = bixa mutt = muttu
bloch = bloccu nustern = anastu
brikan = bricca foeder = poè
bruck = brocca rappe = rappu
briisa = bruii rana = randezà
bùch = beùggiu schoss = scòsu
butzen = buzzu shocken = ciocà
frima = grimia schiappe = sleppa
alon = ala spitze = pissa
hlaepen = lippa sticca = stiggiu
klippe = ciappa strunzen = strunzu
kummer = giimà stunde = stundaju
lappian = lapà stnipf =^ strufugià
lucke = locià wathan = agueità, ecc.
Queste voci, parecchie delle quali appartengono anche al
lombardo, poche al piemontese, una o due soltanto all' italiano,
resistettero alla lunga e potente influenza del latino, e vivono
oggi di vita fortissima. Come vennero al ligure-genovese? Cer-
tamente non come vennero alla lingua italiana, in assai mag-
gior numero, quelle voci germaniche che or le son proprie,
cioè (per la massima parte) dalla convivenza degli Italiani con
i loro signori germanici. Scrive a questo proposito l'Ascoli : ^
«la comunanza degli elementi germanici (nell'italiano) riesce
« aflfatto inconcepibile se non le si trova una ragione storica
« la quale si connetta, o addirittura s' identifichi, con quella
« dell'estendersi della parola latina al di là dei confini del-
« l'Italia, e sia perciò anteriore alle invasioni germaniche. Ora
« una tal ragione storica, bastevole e congrua per ogni lato, io
« la vedo, molto semplicemente, nel legionario di Roma o sotto le
« insegne o fatto colono, la vedo, in altri termini, nel linguaggio
* Sono poi relativamente molti i cognomi germanici tra i Liguri-
genovesi in ispecie nella riviera di ponente, Arnaldi (herren-hold favorito
dei signori), Ànsaldi (hansz-alt vecchio compagno), ecc. È verosimile che
provengano da famiglie o da genti d'arme, condotte dai nobili tedeschi i
quali acquistarono feudi in Liguria, come i Grimaldi, i Fieschi, ecc. Altri co«
gnomi terminati in aldi vengono dalla qualità dell'ufficio esercitato dai tito-
lari sotto l'impero dei Codici longobardi: così Gastaldi che ò gast-aldii
tenitore di albergo, Montaldi che è mundu-aldii, tenitore di mundio, ecc.
• Archivio glottologico, voi. II, pag. 412.
— 13 —
« " castrense " al quale relemento germanico delle truppe ausi-
« liari e le " guardie " teutoniche, dovevano aver dato una gran
« parte delle trecento voci tedesche che si trovan comuni alle
« diverse favelle neo-latine ». A me duole di non poter con-
correre nell'avviso dell'illustre filologo, il quale parmi che
abbia attribuito al linguaggio castrense un'influenza eccessiva,
dimenticando i due secoli di domìnio longobardo su mezza
Italia. Io non dirò che fu primo Augusto ad instituire una
guardia germanica, la quale però stava a Roma, e non ne
usciva che per seguire l'imperatore; neper fermo il linguaggio
parlato da quei soldati poteva entrare nel volgare latino più
di quello che il linguaggio parlato dai reggimenti svizzeri a
Napoli e a Roma sia entrato nel napolitano e nel romanesco.
Quanto poi agli « ausiliari » incorporati nelle legioni, nes-
suna delle quali era stanziata in Italia, non consta che vi si
ammettessero i barbari, i quali se costretti o allettati a com-
battere per r impero, combattevano separati. ^
Chiederò invece : se le voci germaniche avessero quell' ori-
gine che loro attribuisce 1' Ascoli, come accade che le voci su
riportate non le hanno i Romani, i Toscani, i Veneti, ma solo
i popoli Gallo-italici, e in maggior quantità e molto più pure
i Liguri-genovesi, chiusi nelle loro montagne, che non ebbero
né colonie, né guarnigioni romane sul loro territorio, né mai
contatto (che la storia ricordi) con genti germaniche, eccetto
che per due brevi e rovinose invasioni di Franchi e di Lon-
gobardi ?
Come accade che le poche voci germaniche che il geno-
vese ha comuni con l' italiano, ^ le pronunzi in modo assai più
conforme all'originale, indizio sicuro che non le ebbe dall' ita-
liano ? Vedasi :
Germanico Italiano Genovese
Binden, binda Bendare, benda Binda, binda
Hazjan Aizzare Assia
PÓSI, bdsi Bugia Boxia
Schopf Ciuffo Suffu
Skinko Stinco Schincu
Warten Guardare Vardà
* V. Mauquabdt, DeìVordinawento militare presso i Romani, Parigi, 1891
* Ha però comuni lo voci militari gi3rmanicbe: gruerra, spada, sciabola,
stocco, lancia, alabarda, sprono, sella, staffa, bandiera, ecc.
— 14 —
Sono domande alle quali non so rispondere: pensai bensì
alla possibilità che i Celti, mischiatisi coi Liguri, parlassero un
linguaggio più o meno germanico, come opinava Leibnitz fin
dal 1686, e come opinano anche oggi alcuni filologi: alla
possibilità che i Kimri o Cimbri, di stirpe sicuramente germa-
nica, i quali dal 587 al 521 si stabilirono sulla riva destra del
Po, confinando a mezzodì coir Appennino ligure, siansi pur me-
scolati coi Liguri-genovesi, ^ ma ho poi finito per rimettere la
questione in chi ne sa più di me, che è facile di trovarne.
Torno alla storia. Circa all'anno 600 avanti Cristo appro-
darono i Focosi alla costa dei Segobrigi, tribù gallica vivente
in mezzo alle genti liguri, e vi fondarono Massalia * (Marsiglia)
introducendo tra i barbari liguri e galli l'arte nautica, il com-
mercio, la coltivazione dell'olivo e della vite. Due secoli a un
circa dopo, i Focosi fondarono altre città sulla costa, tra le
quali Nizza, contrastando ora più ora meno coi Celto-liguri.
Dei Liguri-genovesi, che pur dovevano essere soli a conser-
vare fino ai di nostri il nome della loro stirpe, nulla si sa di
particolare insino a che non entrarono in guerra con Roma:
è però assai probabile che abitatori di alte montagne, coperte
di fitte selve, specialmente di abeti, vivessero di caccia e di
pastorizia, moltiplicandosi in quella quiete. La marina non po-
teva allettare quei rozzi montanari, tanto più che le loro spiaggie
erano allora molto più strette che oggi non siano; la civiltà
venne ad essi, come ai Celto-liguri di Provenza, come a tutti
gli Italiani, dai Greci. uno stuolo di quei Focosi che avean
fondata Massalia, o un'altra loro compagnia venuta di Levante,
s'impadronì del bellissimo golfo cui perla forma arcuata pose
il nome di Selene (luna) mutato poi dai Latini in quello di
Luni: in riva a questo fondò le stazioni di Lerice e di Porto
Venere i cui nomi rammentano anche oggi il culto di Venere
Ericina. Dalla forma del suo perimetro chiamò Palmaria V isola
che è a ponente del golfo, e Tini, per la piccolezza loro, i due
* Nel Jing-ua^^io parlato nei tredici Comuui veronesi, che si vogliono
abitati da discendenti dei Cimbri, si trova se hoaz per grembo, spitz per
punta, tampf per tanfo, ecc.
* Anche in Lig-iiria vi sono due Marsigrlie. L'etimolog^ia di Massalia vuoisi
che sia Mas-salia, c^sa dei salii; io però voglio far notare clie il nome stesso
era anticamente ])orttit'» da un tiume di Creta (Tolomeo) og^i chiamato
Meg-àlo-potamo.
— 15 —
isolotti che le stanno a lato. Di là si diffusero per le Riviere
or genovesi; a loro devono fondazione e nome: Sori, forse Sestri,
e Ricina (poi Ricinum, oggi Recco), Polupece tra il capo di Noli
e quel delle Méire (oggi Mele) ed Epanterii (oggi Andora).
Anche a Genova è verisimile che si stabilissero. < Caignan -
« scrisse il Serra ^ - dicon oggi i Genovesi, parchi di consonanti,
<( ma nelle antiche scritture queirestrema punta di Genova
« vien detta Calignano, ov'è notabilissimo il g frapposto, che
« è proprio della greca favella avanti la lettera n. E vera-
« mente quel luogo è bello ad abitare. Di sotto giace una valle,
« e sta dirimpetto un poggio folto di case, ove si dice di chi
«vi ha stanza: egli abita sopra la Coeulloa: e Koilas, in
«greco, significa: valle >. Ed io aggiungerò che greco nome
ha la ripida via la quale mette al piano di S. Andrea, via del
Prione, che è Prion, sega, cosi detta o dalle forme del monte,
dai taglienti ciottoli che copri van la via: greco nome ha
probabilmente la salita di Sant'Anna, che è Bach ernia, o
Blakerna.
In cotesto occupazioni i Focosi devono, di necessità, aver
proceduto d'accordo coi Liguri troppo più potenti di loro : questi
avranno di buon grado accolti que' marinari i quali insegna-
vano a coltivare la terra e poi aprivano la via del mare : e le
due genti in breve si affratellarono.
Della mistura di un elemento greco al ligure-genovese
fanno fode i nomi, di evidente origine greca, di parecchi ca-
sati liguri, p. e., i Partenopeo, i Cybo, i Parodi numerosissimi,
i Bixio, i Gregori, i Grillo, i Macari, i Medoni, gli Schiaffino, i
Molfino (che giustamente il volgo chiama Morfine), gli Ori-
gene, ecc. Ne fanno egualmente fede le voci greche che ancora
vivono nel genovese idioma, delle quali alcune posson bensì es-
sergli venute, in progresso di tempo, dal commercio coi Greci,
specialmente di Costantinopoli, ma le più, e tutte quante le
marinaresche, si appalesano per la natura loro di antichissima
origine; eccone un saggio :2
* Op. cit., annot. al lib. I.
* Delle voci sej^nato con asterisco trattasi nel Vocaholarw etimologico.
Superfluo dire che i Lig-uri navi^rono assai prima dei Romani, onde non
possono avere tolte da loro le voci marinaresche: queste si rassomiprliano nel
latino e nel g-onovose perchè i Romani le tolsero per la massima parte dai
Greci.
— 16 —
Greco
Genovese
Akakia
Gazi a
Amygdala
Amandua
Ana-tetaméne (stesa
su)
Antenna
Ankyra
w
Àncua
Artytikà
Articiocca
Bans
Barca
Basilicós
Baxaicó
Broma (esca)
Briimezzu
Charax
Carassa
Chara
Caa
Cathedra (sedia a braccìuolì)
Carèga
Choros
Coin
Embatés *
Imbattu *
Eretmós
Remmu
Hormizein
Ormezà
Honnós
Ormezzu
Kaleó ♦
Chèga
Kàlos
Cau
Eànnabis
Caneva
Kàrion (noce)
Caen-a
Eatàdoupa
Catubba
Kistos
Custu
Kithàra
Chitàra, gen. ant
cittara
Komma (cordicella)
Cumandu
Kóphinos (vaso)
Cuffin
Kyphós (piegato, curvo)
Cuppu
Leichein (leccare)
Leccaja
Makurie o makar
Magar a
Malacia *
Macaja *
Mataxa *
Assa*
Oiacs, oiacos
Ogiàxu
Patos
Pàtan
Phalós (splendente)
Falò
Rhyncos (rostro)
Runca
Salpi X
Sarpà *
Sélinon
Sellau
Skalmós
Scarni u
Skàphe
Schiffu
Skaphos
Scaffu
Skizein ( dividere ) ,
schiza
Scià, scia
(scheggia)
Stémonichon
Stamanèa
Strophós
Streuppu
Suntréco (concorro)
Sintraco, cintraco
Syllabé(coi ri prensione
di suoni)
Nu siila
Teloneion
Teloniu
Xystos (squadra)
Sesta
Xeima (inverno)
Zemì (da-u freidu)
Ziziphon
Zizzoa
Italiano
Acacia, gaggia
Mandorla
Antenna
Àncora
Carciofo
Barca
Basilico
Esca pei pesci
Palo da viti
Cera (volto)
Sedia
Coro, corina (vento)
Vento estivo, rego-
lare
Remo
Ormeggiare
Catena
Incanto pubblico
Cavo (y. w.)
Canapa
Carena
Gran cassa
Cesto, cespo
Strumento simile
alla lira
Comando (V. ra.)
Corbello
Tegolo
Leccornia
Magari
Aria umida
Matassa
Aggiaccio (mano-
vella del timone)
Fango
Falò
Gancio
Salpare
Sedano
Scalmo
Schifo
Scafo
Sciare, scia
Stam enaie
Stroppolo
Banditore pubblico
Star zitto
Telonio
Modello, forma
Morirsi di freddo
Giuggiola
Fu, con grande probabilità, dopo questa fusione loro coi
Greci, che i Liguri-genovesi divennero marinari, e come dicono
— 17 —
antichi scrittori, trafficarono arditamente nel Mediterraneo con
piccoli legni, non tralasciando, a buone occasioni, di pirateg-
giare, com'era allora costume universale: ma progredirono pre-
stamente, si che comparvero tra gli ausiliari d'Enea coir ingente
nave Ceniaurum, cantata da Virgilio. ^ L'altra parte ed assai
maggiore dei Liguri-genovesi, restò montanara: il ceto dei
mercanti nasceva a Genova, emporio, politicamente quasi neu-
trale, di tutti i Liguri e di molti stranieri.
I Liguri-genovesi, l'anno 237 a. C, entrarono in guerra
con Roma : già erano, per ragion di commercio, amici dei Car-
taginesi, ne divennero allora alleati, e insieme ai Galli così
cisalpini che transalpini, altri loro amici costanti, formavano
ancora il terzo dell'esercito di Annibale alla battaglia di Zama.
Si può supporre che quella lunga consuetudine dei Liguri-ge-
novesi coi Cartaginesi abbia introdotte nel linguaggio dei primi
alcune voci ebraico-fenicie che ancor vi si trovano, e delle
quali riparlerò nel Vocabolario etimologico.
La resistenza dei Liguri-genovesi ai Romani durò più di
un secolo, poi, sottomessi, furono ben trattati dai vincitori. Il
latino diventò, coH'andar del tempo, l'idioma dei Genovesi : non
il latino aureo, s'intende, ma neppure quel volgare latino, sermo
pleheiuSy rusticitas, che fu parlato in Italia, nei Grigioni, in Pro-
venza, in Francia, in Ispagna, sul basso Danubio. Noto è infatti
come potente mezzo di diffusione del volgare latino nelle Pro-
vincie siano stati gli eserciti e le colonie romane: or questo
mezzo, e in particolare il secondo, il più efficace, alla Liguria-
genovese mancò, poiché nessuna colonia vi fu mai stabilita, e
le legioni romane se ne allontanarono non appena pacificata: il
latino adunque vi si diffuse per altre vie, certo più lentamente,
ma men corrotto.
Certamente i Liguri-genovesi improntarono il proprio ca-
rattere nel latino da loro parlato : « Ces Italiens - scrisse Littré - -
« ces Espagnols, ces Gaulois, conduits par le concours des
< circonstances a parler tous le latin, le parlaient chacun avec
* Non eg-o te, Ligurum ductor fortissime bello
Transierim Cinyre, et paucis comitato Cupavo, ecc.
Notevole che i nomi dei capitani dei Liguri sono greci. Si sa per altro
che questo passo di Virgilio è oscurissimo.
* Complément de la préface au Dictionnaire de la langue francaise.
2
— 18 —
« un mode d*articulation et d'euphonie qui leur était propre . . .
« Ces grandes localités qu'on norame Italie, Espagne, Provence,
< France, mirent leur empreinte sur la langue, comme la mirent
< les localités plus petites qu'on nomme provinces. Et la diver-
ge site eut sa règie qui ne lui permit pas los écarts. Cette règie
< est dans la situation géographique qui implique des différences
4f essentielles et caractéristiques entre les populations ».
Al che il valente filologo avrebbe potuto aggiungere che
questa regola era altresì nella natura dei popoli, perocché,
abbiavi, a detta di Humboldt, identità assoluta tra l'anima di
un popolo e la sua lingua.
Brevità, precisione: questo fu sempre ed è il carattere del
genovese idioma, avverso alle consonanti di difficil pronunzia,
avverso ai sinonimi generatori di confusione: ^ l'idioma di un
popolo lavoratore in terra ed in mare, che non aveva tempo
da perdere; quale il popolo, tale la lingua.
Cosi i Genovesi aggiustarono il latino come ad essi occor-
reva, conformandone probabilmente i suoni al linguaggio che
già parlavano, e conservando le voci antiche ogni volta che
non avevano esatta corrispondenza nel nuovo linguaggio, o al-
lorché le voci latine corrispondenti erano di pronunzia lunga
e difficile: cosi serbarono scòsu e pissa perchè trovarono
ostici gremium e vertex. Non vi ha però idioma italiano,
il toscano eccettuato, che conservato abbia più tenacemente del
genovese l'impronta del latino. Tralasciando le molte voci di
origine latina che, con varie modificazioni di forma, il geno-
vese ha comuni col toscano, produco qui un elenco di parole
latine tuttora vive nel genovese, una parte delle quali il toscano
non ha, un'altra parte alterò molto più che il genovese non
abbia fatto. ^
Latino GoDovese lUiliano
Abrupte • Abrèttiu * Precipitosamente, alla spen-
sierata, a iosa
Administrare • Amenestrà * Ministrare *
' In effetto, nel genovese puro non ve no Rono. Sonovi invoce, ed è
strano, parecchie omonimie : gèo, che vai grhiaia e bietola, ma che vai mnre
e male, pin che vai pino epieno, seja che vai sera e cera, se neh o vai seno
e sereno, ecc.
* Delle voci segrnate con asterisco trattasi nel Vocahoìario etimologico.
— 19 -
Latino
Genovese
Italiano
Albus*
Arbu
Bianco, candido
Alveus (conca)
Argiu
Abbeveratoio
Amma, poi Hamma
Àmua
Boccale, misura da
vino
Anas
Ànnia
Anitra
Arbutum •
Armun *
Corbezzolo
Armoracia
Armoasa
Ramolaccio
Axungia
Sunxa
Sugna
Baculus
Baccu
Bastone
Bajulus (facchino) •
Baèlu
Baule
Barbitium
Barbixu
BafPò e basetta
Basiare e basium
Baxà e baxu
Baciare e bacio
Baubari
Bajà
Abbaiare
Blattea
Bratta
Fango, mota
Bambagia
Bombyx
Bambàxiu
Brutum (animai)
Briitù
Porcone, vile
Bacca
Bucca
Bocca
Butjrrus
Butiru
Burro
Buxus
Biisciu
Bosso
Caligarius (da caliga, calzatura
Caegà
Calzolaio
militare)
Cascus (antiquus)
Cascu *
Legnoso, spongioso
Cernere
Cerne
Scegliere
Ciccum *
Cicca*
Cicca
Cicendela*
Sexendò *
^ Lumino da notte
f Lucciola
Ciconia *
Cigheùgna *
Mazza cavallo
Circumcirca
Circumcirca
Presso a poco
Cito * (avv.)
Fitu«»
Presto
Coactio ♦ (ratto di raccogliere)
Coassu *
I capelli delle don-
ne raccolti in un
mazzo
Concinnitas* (verborum)
Coccina •
Cadenza nel parlare
Conficere
Cunfèze
Fare, preparare
Corbis, corba
Corba
Cesta (volg corba)
Caulis, cauliculus
Cóu
Cavolo
Crates
Gre
Graticcio
Crenae * (asprezze, tacche)
Cren-a •
Tacca, intaccatura
Crepa (arcaismo)
Crava
Capra
Crusta
Crusta
Crosta
Crux
Cruxe
Croce
Cucullus (cappuccio, cartoccio)
Ciigollu *
Sorta di chiocciola
Cucuma (vaso per far bollire
Cucuma
Bricco (V. araba)
liquidi)
Cucumis (sativus)
Chigheumau
Cetriolo
Cultellus
Cutellu
Coltello
Cuniculus
Cuniggiu
Cubelettu •
Fogna, chiavica
Cupellum •
Pasticcino
Currere
Cure
Correre
Curri cui US
Ciirlu
Ruota
Cutica
Cuìga
Cotenna
* Dicesi delle frutta, rape, ecc. disseccate cosi da non esser più buone
a mangiarsi.
* Ed anche cucuìlu, pasta che friggendo si gonfia.
— 20 —
Latino
(ìenovese
Italiano
Demorari
Demoà, Demoàse *
Fermare, ritardare,
trastullare
Deruere (demo, is, ui)
Derùa (derùu, i)
Gettar giù, rovinare
Destruere
Destrùe
Distruggere
Desuper
Desurve
Di sopra
Dictum
Ditu
Detto
Dux
Duxe
Duce
Effodere
Desfunduà
Scavare
Eia
Elìsus
Eja, via!
Su via, orsù
Lisu
Rotto, logoro
Esse
Ese
Essere
Examen
Examme
Esame
Exemplum
Exempiu
Esempio
Exhibere
Exibì
Esibire
Exilium
Exiliu
Esilio
Eximere
Eximme
Esimere
Existere
Existe
Esistere
Exitus
Exitu
Esito
Exosus
Exosu
Esoso
Facula
Facula
Cero
Farcire
Farcì ^
Infarcire
Fasciola
Fascieua
Fascia per bambino
Fatuus
Fattu
Insipido , poco o
niente salato
Ferus
Feu
Fiero, cattivissimo
Ficatum *
Fighètu *
Fegato
Filiolus
Figgieù
Ragazzo
Floccus (ciocca di lana)
Fipccu
Nappa
Foramen (buco)
Foamme (de Tagug-
gia)
Cruna dell'ago
Fornax
Furnaxe
Fornace
Forsan
Foscia
Forse
Fragescere
Frazà
Sciupare, cagionare
diminuzione di
quantità
Fractio, fragium
Frazzu
Diminuzione, calo
Fraus
Frauxu
Frode, contrabban-
do
Sbriciolare
Friare *
Freguggià
Friatus *
Freguggia ♦
Briciola
Fricare *
Friggià *
Fregare
Frivolus •
Frillu*
Cartaccia
Fucatus *
Fùcau *
Furbo
Fulgur
Fùrgau
Razzo
Fuscina
Fuscina
Fiocina
Gabata
Xatta
Scodella
Galbanum, * inum
Gianu *
Giallo
Gallinarius
Gallina
Pollaio
Genu, genuculunx
Zenuggiu
Ginocchio
Gemiscere
Zemì
Gemere
Gibba
Gibba
Gobba
GÌ area
Gèa
Ghiaia
Glis
Gì
Ghiro
Guttus ♦
Gottu ♦
Bicchiere
Habitaculum
Bittacula (V. m
Chiesuola ( della
bussola)
.^..^^^màé
21 —
Lalino
Genovese
Incipere *
InsH
Implere Impì
Infans Fante (V. pop.
coni.)
Inferre (portar dentro, sopra) Infeì (e veje)
Inflare Inscià
Inserere Insei
Insuecatus ^ Insiigòu
Intra * Intra *
Intrare Intra
Inversus Inversa
Labellum (piccol vaso usato Lavellu
nei bagni)
Lacertum (pesce)
Lamenta (arcaismo)
Laxare, laxatum
Lex
Li gare
Ligamen
Lili um
Lixivia
Lucauica ^
Lux
Maceria
Mantile, mantilium*
Mcrgum *
Messoria (agg, da mei o^ mie-
tere)
Mi scere, remiscere
Molitura (da molere)
Morus celsa^
Nare (no, nas)
Nassa •
Natio, onis
Necare (neco, necas)
Nescius
Nigredo, nigror
Nux
Occiput *
Orbus
Ordeum
Palatium
Pass US
Patronus •
Pax
Laxertu
Lamenta ( V. pop. e
coni.)
Lasca, lascu
Lezze
Ligà
Ligamme
Liviu
Lescìa
Luganega .
Liixe
Maxèa
Mandillu •
Magrun*
Messuia
Mescifi, remescià
Mòtiia
Seraa
Nuà, neuu
Nassa *
Nascìun (figgeìì da)
Nega
Nesciu
Negrù
Nuxe
Cuplissu *
Orbu
Òrdiu (pop. e coni.)
Palassiu
Passu
Patrun •
Paxe
Italiano
Principiare, metter
mano
Empire
Fanciullo
Inferir le vele *
Gonfiare
Innestare
Inamidato
Tra
Entrare
Rovescio, epersim,
stravolto, scon-
volto
Acquaio
Sgombro
Lamento
Allentare, allentato
Legge
Legare
Legaccio
Giglio
Ranno
Salsiccia
Luce
Muro a secco po-
sticcio
Fazzoletto
Palombaro
Falce
Muovere, rimestare
Molenda
Gelso
Nuotare
Nassa
Bambino testé nato
Affogare, annegarsi
Scimunito
Lividore
Noce
Nuca, occipite
Cieco, volg. orbo
Orzo
Palazzo
Appassito
Padrone
Pace
* Ma di origine indubbiamente gen.
* Intra mi, intra de mi, dicono latinamente i popolani ed i contadini.
* Cioè: del paese dei Lucani, etim. però incerta.
^ Cioè: alta, in opposizione al moro basso.
— 22 —
Latino
Genovese
Italiano
Pecuinus(da pecu
, bestiame)
Peguin-a*
Pecten
Pètene
Pettine
Padiculus
Peigullu
Picciuolo dei frutti,
foglie, ecc.
Pellex
Pellon-a
Donna di cattiva
condotta
Persica e persie um
Pertusus (pp, di p
(malum)
Persega e persegu
Pesca e pesco
ertundo)
PertUsu
Buco, pertugio
Pes
Pò ^
Piede
Phaseolus
Faxpu
Fagiolo
Pilare •
Pillu • (nella fr. fa
pillu)
Pia
Pipire, pipilare
Pigolare
Pix
Peixe
Pece
Plaga
Ciazza
Spiaggia
Tavola piana
Planca
Plancia
Plecta
Getta
Piega
Pruina *
Spruin, spruina '
Pioggerella, piovig-
ginare
Puppis
•
Puppa
Poppa
Pupum, pupam*
Pupun, a •
Bambino e bam-
bina, fan toccino e
bambola
Putatio
Puassa
Potagione
Puteus
Pussu
Pozzo
Quactum
Quaccìu
Quatto
Quondam
Cundan *
Fu
Ramenta *
Riimenta *
Spazzatura
Rasis
Raxa
Ragia
Recte, directe *
Direttu '
Veramente, diritta-
mente
Reditus
Reditu
Rendita
Remedium
Remediu
Rimedio
Remulcum
Remurcu
Rimorchio
Ren, renes
Ren
Reni
Renasci
Renasce
Rinascere
Retejaculum
Resaggiu
Giacchio
Reversus
Reversu
Rovescio
Rixa
Riscia
Rissa
Ros
Rozà
Rugiada
Saburra, sabura
Sàura
Zavorra
Sagittare
Saguggià
Pungere
Sagum*
Sàghetta *
Veste da cacciatori
Sappa
Safinum (vaso per
sale)
Sappa
Salin
Zappa
Saliera
Salix
Saxu
Salice
Sarcire
Sarci
Rimandare
Saxum
Sasciu
Sasso
Scalperò •
Sgarbelà *
Scalfire
Scamnum *
Scagnu •
Banco, studio
Sciolus ♦
Sciollu •
Saputello, sciocche-
rello
' Nella frase a peguin-a che vale: alla peggio.
** Agg. di persona morta che occorra di nominare.
•■nxì*
— 23 —
Latino
Scortulum, scortillum *
Semel *
Seraceum (da serum, siero del
latte)
Serra
Serrago
Serrare
Sevum
Sibilare e sibilum
Soccus, socculus
Somnus, somnium
SpoDgia
Spuere (spuo, spuis)
Striga
Strigi lis (striglia)
Stuppa
Sulpnur
Super
Theca, gr. lat. (tlieca fabarum)
Tomacina *
Tonsoria (ferramenta)
Ululare
linde ♦
Ustrinà *
Valvae
Verax
Verruina *
Viduus, a.
Vox
Zinzilulare, zilurare
Oenovese
Itali ano
Scorlùssua *
Sgualdrinella
Semme *
Una volta
Sàsu
Ricotta
Séra •
Sega
Serrèua
Segatura
Sera
Segare
Sevu
Sego
Sciguà e Scigùu
Fischiare e fisci
Seùccau
Zoccolo
Seùnnu »
Sonno e sogno
Spunzia
Spugna
Spùà
Sputare
Stria
Strega
Striggià
Strigliare
Stuppa
Stoppa
Zolfo
Surfu
Surve
Sopra
Teiga
Baccello, guscio
Tumaxella *
Braciola avvolta
Tesùie
Forbici
Liiri
Urlare
Unde*
Dove
Strina ♦
Abbronzare
Arve
Imposte
Veaxu, viaxu
Vero, genuino
Verin-a
Succhiello
Vidùu, a
Vedovo, a
Vuxe
Voce
Sia (s aspra)
Zurlare
Mi ingegnerò adesso ad esporre, con le particolarità che
richiede Tiraportanza dell'argomento, come l'antico ligure-ge-
novese siasi trasformato, passando per il latino, nel genovese
odierno. E come tale trasformazione avvenne con notevole
conformità a quella del celtico o gallico nel moderno fran-
cese, accennerò ad un tempo, però di volo, al modo di trasfor-
mazione dell'uno e dell'altro idioma.
Nessun dubbio che, imparando a parlar latino, il ligure-
genovese abbia seguita la stessa legge cui obbediscono, nella
formazione loro, tutte le lingue romanze, formazione che si basò
sulla persistenza dell'accento tonico. Là dov'era l'accento la-
tino, ivi trovansì gli accenti italiano, francese, genovese. Tale
* Etim. incerta.
' V. già comuniì^iina nel geo. oggi rimasta in alcune frasi, de semmo
in gentu, somelannu, ecc.
* L'idioma genovese non distingue sonno da sogno.
— 24 —
è il principio, cui si aggiunsero poi leggi accessorie, ma senza
indebolirlo.
Adottando dunque il latino, ^ cominciò il genovese a tron-
care il re ri finale, e la m, la r, la s, finali, a tutti i verbi
ed a tutti i nomi, dicendo:
ama = amare abusu = abusus
amia = admirari amù = amor
ma = mare assensiu == absinthium, ecc.
se pure non adoperò una doppia apocope, come di per dice re,
fa per face re. Questa nel genovese è regola senza eccezione.^
Lo stesso avvenne, quanto al re o ri finale dei verbi, negli idiomi
piemontese, lombardo e provenzale; il francese invece si con-
tentò di troncare Ve finale, non accentata, di tutti i verbi e di
tutti i nomi, scrivendola ma non pronunziandola (dire, fai re,
5 me) e di troncar, pure nella sola pronunzia, la r finale dei
verbi terminati in er (aider, aimer): conservando la stessa r
finale (in ciò fedele più dell'italiano al latino) a moltissime voci:
amour ■=. amor ardeur = arder auteur = auctor
Né il genovese arrestò la sua falce:
1° Quasi tutte le terminazioni latine in -atum, -atus,
-etum dei participi passati dei verbi e di alcuni nomi, mutò
le più in -aw, poche in -eu: divenuto poi Veu per assimilazione
di vocali, ow, e in qualche parte della Liguria, ao; rimase però
eu nell'estrema Riviera di levante;
amatus = amoù desperatus r= despeoù
basiatus = baxou acetum — axoù
2® Le terminazioni in -iturrij -itus, mutò in -m:
expeditum = spedi u finitus = finiu
digitus =. diu unitus = unìu
* n paragone fra il latino ed il genovese è fatto con la lingua latina
scritta, la quale il Cantù cr3do « diversa in parte da quella corrente fra la
colta società, e affatto diversa dalla plebea ». Però il lettore ricordi clie i
Latini anche colti, elidevano spesso la w e la ^ finali, molte voci contraevano,
e talune poi pronunziavano diversamente da noi. Così pare che, almeno in
alcuni luoghi, la sillaba qut pronunziassero chi, e il e davanti alle vocali <?, t
pronunziassero s alla francese e alla genovese (V. Cantù, Sforia degli Itaì-iarti,
App. I al lib. I, e Storia della letteratura latina).
• Salvo la voce scignor, della quale parlerò poi.
— 25 -
3° Tutte le voci terminate in -tas fini in -tè (ditt. fé)
tenendo così una via di mezzo tra l'italiano che le terminò in
-tó e il francese che le finì, salvo poche eccezioni, in -tè.
aestas ^= stè civitas = citte
bonitas = buntè veritas =: veitè
4° Le terminazioni in -actum, -acitiSy fini in -actu,
come l'italiano in -alio, eccettuato factum che disse fé tu,
accostandosi al francese fait. Riguardo alle terminazioni in
--anurriy Hinus, Hxnis (manus, sanum, canis, panis), il ge-
novese conservò al singolare la sillaba accentata seguita dalla n,
ma nel plurale si avvicinò al francese dicendo moen, sen,
chen, poen.
Le terminazioni in -Wwm, -raW, mutò in ~ju:
armarium = armaju contrarius = contraju, ecc.
5° Quasi tutte le voci latine terminate in -or il genovese
finì in -w:
amor = amw dolor = dw
color = cw error = errw
eccezioni: cor che fece che'u e senior che fece scignor.
6® Il -gere terminativo degli infiniti di alcuni verbi
voltò, generalmente, in -ze:
adj ungere = azunze regere = reze
eligere = elèze stringere = strenze
fingere = finze tingere = tenze
frangere = franze ungere = unze, ecc.
ma talora adoperò due z:
dirigere = dirizze fpigere = frizze
suoni straordinariamente aspri nel genovese, ripetuti in queste
altre voci:
aerugo, inis = ruzze incus, udis = anchizze
exeoctus = scutizzu legem = lezze.
Non proseguirò l'esame delle terminazioni : chiaro è che
in queste il genovese si attenne, salvo alcune eccezioni, a una
regola: elidere le consonanti che seguivano alla sillaba accen-
tata, serbando le vocali; cosi per addurre ancor qualche
— 26 —
esempio, a glarea (ghiaia) tolse la / e la r, e ne fece gèa.
Né gV importò che la parola restasse priva affatto di conso-
nanti: troncò ad ala la 2, e ne fece àa, ad habebam i due
6 e la m e ne fece aja.
A regole quasi fisse il genovese si attenne poi nei seguenti
casi :
1** Il e nelle forniole iniziali ce, ci mutò in 5, come il
francese :
cedrus =z ceddru cibus = cibbu
cena =: cen-a cicada izz cigàa
centum =z centu ciconia =. cighcùgna
cera =: ceja cinis =: cenie
Né l'antitesi s'arrestò davanti alla sillaba dittongata cce,
poiché il genovese voltò caelum in gè, caepa in gioula,
caerimonia in geimonia. Tuttavia non rinunziò del tutto, a
differenza del francese, alla pronunzia latina e italiana ce, cty
ma fu in quei soli casi nei quali il genovese dovea pronun-
ziare una doppia consonante iniziale di parola latina: plectere
(piegare) cegà, clarus, cèu, e si vedrà più sotto che codesta
pronunzia era di regola. Le altre voci nelle quali viene prò '
nunziato il ce, ci, celebra, censura, centro, cess^, cir-
conda, circostanza, ecc. non sono del genovese ma dell'ita-
liano, venute al primo da poco tempo. Che se nel genovese
havvi la parola celeste (azzurro) pronunziata come la latina
caolestis, questo prova che celeste non è voce antica nel
genovese, il quale come il francese, il provenzale, il piemon-
tese, chiamava ab antico bleu l'azzurro del cielo.
Nelle formole interne il e davanti alle vocali e, i, voltò
talvolta in x:
dicit = dixe lucet = luxe
lucere == lux! piacere = piaxei
tacere = taxeì, ecc.
tal'altra segui a mutarlo in s:
farcire =z farcì vincere = vinse vincis = vinsi.
Quando poi, nella stessa voce latina, trovavasi ripetuto il ce, cij
come in cicerbita, cicer (cicercius), il genovese li pro-
nunziò differentemente, dicendo scixerbua, seixau.
-27 -
Uà rimase immutata, salvo poche eccezioni che, trattan-
dosi della vocale fondamentale, sono notevoli:
acqua =: egua
aurum = 6ù
avis = oxellu
fabula = fóa
fagus = fó
frater = frè
gaudere := gode
latus = I6u
laudare = lodft
magistrum := meistni
X*».- A
maturare = meuja
maurus = moù
nare, natare = neùa, niià
pauci ^ pochi
radix = reixe
rana = réna
rarus = rèu
tabula = toa
taurus = toù
vacuus = veùu
Di cotesto alterazioni le più furono cagionate dal pronun-
ziare che il genovese fece (e altresì Titaliano) o, il latino au:
già si sa che i Latini stessi usavano di mutare Vau in o, di-
cendo, per esempio, orum per àurum: onde il dire: godere,
lodare, moro, pochi, toro, per gaudere, laudare, maurus,
pauci, taurus, non fu innovazione toscana o ligure. Il ge-
novese inoltre, elidendo le consonanti, trovò in altre parole il
suono au e ne fece o:
fabula ~ fóa
fagus = fó
latus = lóu
tabula = tóa
però talvolta eu: meìijà, rèu, veìiu, da maturare,
rarus, vacuus.
Eguale origine hanno le alterazioni di avis (dim. avicella)
in oxellu e di nare (rad. greca nau) in neùA.
Quanto al frè il genovese si trovò d'accordo col fran-
cese fy^ère, ma riguardo al pater, mater, non si accordò
con alcun idioma neo-latino dicendo poè, moè: singoiar fatto
di cui parlerò nel Vocabolario etimologico,
2** Ij' e accentato il genovese convertì ora in ei:
habere zir. aveì
tela rz: teja
talora in i:
temo = timun
altre volte lasciò qual era:
velum •=! vcja
veritas ^ vcitè
tenere == tegni
sebum = sevu
semen =: semensa
sepia
vena
sepia
ven-a
verus = veu
— 28 —
La confusione stessa regnò nel francese che disse: toile,
voile, avoir, vérité, tenir, veine, vraie, ecc.
3° L'o accentato mutò ora in u:
bonus = bun locare = alltigà
Columbus =. cumbu mori := mui
ora in eu:
coquere = cheùxe locus m leùgu
focus, focolare,per est. = feùgu mola = meùa
rosa = reùsa
talora lasciò qual era:
nobilis = nobile rodo rn rodo
Infine, qualche altra volta, in parole identiche, mutò Vo
in eu, come doleoizideùe, e in u, come dolor=:dù.
Neppur quando Vo si trovava in parole formate con una
sillaba accentata il genovese lo pronunziò sempre allo stesso
modo, dicendo: beìi per bos, cheu per cor, ma sciù per
flos, su per sol.
Degno di nota è che mentre in tutte le lingue neo-latine,
la francese e la provenzale comprese, la radicale di rosa è
ro, nel genovese, piemontese, lombardo e in qualcuno dei dia-
letti emiliani, è reù.
4° Lo j, premesso alle vocali, mutò quasi sempre in z,
seguendo la pronunzia popolare latina, divenuta quasi generale
a cominciare dal secolo vi dell'era nostra: * mentre il fran-
cese lo mutò in je:
jam = za juncus iz: ziincu
jocari = ztigà jurare = ziià
jocum =: zeugu juvenis = zuvenu
5° La formola iniziale si di tutte le voci latine mutò
invariabilmente in scU dicendo:
scicaju = sicarius scigillu = sigillum
sciguà zn sibilare sciflaba = syllaba
seimila = sibylla scinfonia = symphonia
' Riguardo a questa e ad altre asserzioni consimili, vedasi la Grant-
maire de la langtte latine par J. M. Guarda et J. Wierzkvskj, Paris, I8ì6.
— 29 —
E quando poi gli Italiani, dal sic, che era in latino rispo-
sta affermativa, fecero il loro si, ì Genovesi dissero, con evi-
dente metatesi, sci: pronunzia che li distinse da tutti gli altri
abitanti
Del bel paese ih, ove il si suona.
Pure in sci il genovese voltò il 50 di s o rb ere e di sortir i
dicendo sciurbi e sciurtì, e il se di senior dicendo sci-
gnur : unica parola che nel genovese finisca con r e con conso-
nante diversa dalla n, forse perchè non volle confonderla con
la voce Segnù, con la quale intende esclusivamente Iddio,
forse anche per un'ironica imitazione del linguaggio aristocra-
tico; il genovese infatti dice abitualmente sciù per signore.
Il si od latino, anche in mezzo alle parole, mutò, pur
quasi sempre, in sci:
passio = pasciun lixivia = lascia
compassio = compasciun fluxio in friisciun
qualche volta però lo mutò in xi:
confusio =: cunfuxiun visio = vixun
6** La formola iniziale latina fla, fle, ecc., mutò in sci:
fiamma = sciamma fioare = sciuscià
flatus ==: sciòu fiorerà zn sciùì
fiumen = sciumme
flagellum disse fragellum come altri italiani, probabil-
mente dalla radice di esso che è flagrum: ed allorché in pro-
gresso di tempo, gli abbisognò di dire: flessibile, flussione, disse
frescibile, frùsciun.
V Pia, pie, ecc. cambiò in ci:
plaga = daga e ciazza plorare = cianze
pianta m cianta pluere = cieiìve
planus = cian piuma = ciiimma
eccezioni: piacere e plenus che fecero piaxe e pin.
8° Anche da mutò in ci:
clamare =: ciamà claror = cèu
claudere r= ciode clavis =z ciave
claustrum = ciostru
- 30 —
Riparlerò di coteste mutazioni delle forinole iniziali si, xi,
/la, pia, eia, ecc., nelle quali il genovese si staccò dal franceise
quanto dair italiano ed in parte anche dagli altri idiomi gallo-
italici.
9*^ L'iniziale lat. gè mutò in ze, come il francese ìnje:
gelare = zeà
gelu = zéu
Genua = Zena
gener = zèneu
gena = zenuggiu
anche quando trovavasi in mezzo alle parole, come i n g e n i u m=
inzegnu, eccezioni:
gemellus == gemellu genium = genia gentem zn gente
Si noti poi che mentre restò immutata la pronunzia latino-
italiana del gi nelle voci rgibbazugibba, gig a s:=g i g a n t e,
si convertì in ze e in zi nella voce: gingiva=:zenzìa. Così
il suono dell'm latino ora è en, alla francese, com^ appunto
in zenzia, ed in cinctura zz centùa, stringere=:
strenze, tingere = tenze, ecc. or si mantiene in come
in fingerezizfinze, pingere=:dipinze, ecc.
A queste e ad altre minori modificazioni del latino per
parte del genovese devonsi contrapporre esempi di fedeltà.
1° Il genovese conservò in tutte le voci Vu latina che
il toscano cambiò spessissimo in o, esempi:
Latino
Altus
Bassus
Oalidus
Digitus
Emundare
Fuscus
Gulosus
Ingenium
Laqueus
Murmurare
Nux
Oculus
Puteus
Ruptus
Subtus
Turdus
Vulpes
Vero è che il genovese mutò talvolta in u Vo latina, per
esempio in tutte le finali in or, ma non perciò può dirsi di
Genovese
Italiano
Atu
Alto
Bassu
Basso
Cadu
Caldo
Diu
Dito
Mundà
Mondare
Fuscu
Fosco
Gulusu
Goloso
Inzegnu
Ingegno
Lassù
Laccio
Murmua
Mormorare
Nuxe
Noce
cùggiu
Occhio
Pussu
Pozzo
Rutta
Rotto
Satta
Sotto
Tarda
Tordo
Vurpe
Volpe
— 31 —
esso quello che Pesto asserì degli Etruschi che « litteram u
« prò efFerebant > perocché serbò Vo latina, con retta pro-
nunzia, in molte voci.
2"^ Conservò il re prefisso a molti verbi e nomi latini,
dal toscano voltato in ri, esempi (oltre a quelli citati nel-
Telenco delle voci latine):
Latiuo
Recordari
Reducere
Refugere
Religare
Remediare
Remiscere
Remordere
Renovare
Requoquere
Resolvere
Respondere
Retmgere
Revivere
Recoctus
Respectus
Conservò pure in più casi, come il francese, il prefisso
latino de, dal toscano tradotto in di:
Genovese
Italiano
Regordàse
Ricordarsi
Redùe
Ridurre
Refiigiàse
Religà
Remedìà
Rifugiarsi
Rilegare
Rimediare
Remescia
Rimescolare
Remorde
Rimordere
Renovà
Rinnovare
Rechcùxe
Ricuocere
Resorve
Risolvere
Responde
Retenze
Revive
Rispondere
Ritingere
Rivivere
Rech(Mittu
Ricotto
Respettu
Rispetto
Latino
Defendere
Dependere
Desperare
Despoliare
Destruere
Devotio
Genovese
Defende
Depende
Despeà
Despiiggià
Destriie
Devuziun
Italiano
Difendere
Dipendere ,
Disperare
Dispogliare
Distruggere
Divozione
3** Conservò la x finale latina, ^ ma pronunziandola /e alla
francese equivalente a xe genovese, eccezione sex =: sei, dove
che in latino ha il suono di cs: di più, nemico com*è delle
voci tronche, il genovese le aggiunse un e:
dux = dtixe
crux = cruxe
nux = nuxe
In mezzo alle parole la pronunziò ora xe, come:
exemplum =: exempiu exilium = exiliu exosus =: exosu
ora sci, come:
buxus = biisciu flexilis = frescibile
* Int^ìndo sempre parlar delle voci cho il genovese adottò ; por esempio,
di quelle lìnite in x, non adottò nutrix, arx, falx, nex, ecc.
— 32 -
4** Dissi il genovese avverso alle voci tronche: sono in
fatti assai poche, rispetto agli altri idiomi (eccettuato sempre
il toscano) quelle che vi si trovano, e si possono dividere in due
categorie: la prima comprende tutti quei nomi che nel latino
hanno il genitivo in onis:
actio = azìun leo = liun
benedictio = benediziun melo = mejun
carbo = carbun natio = nasci un
damnatio = dannaziun passio = pasciun
electio =z eleziun ratio = raxun
functio = fuQziun salvatio = sarvaziun
informati = informaziun tentatio = tentaziun
Visio = vixun
eccezione, forse unica, latro, onis, che il genovese disse
1 a d d r u .
La seconda categoria formata venne da voci che in latino
erano variamente composte, ma che nel genovese obbedirono
tutte alla stessa regola: finirono in n, come quelle della cate-
goria prima. Alcune di esse vennero da voci latine la cui ul-
tima sillaba era niSy num, nuSy esempi:
bonus =: bun granum = gran
canis :=■ can manus = man
finis = fin terrenum := terren
che pure terminavano in iu7tz, esempi:
citrium = getrun jejunium =: zaziin
eccezione: ben, pronunzia identica a quella di Piccardia.
Le altre poche voci finite in w, vennero, assai più tardi,
dal basso latino o da lingue straniere, e queste ultime il ge-
novese, seguendo suo costume, conservò tali e quali: cutun,
giasemin, latun, meschin, ecc.
Talune in fine non sono che accrescitivi o diminutivi di
altre voci: boxardun, capeliin.
Perchè il genovese, di voci tronche ebbe soltanto quelle
che finivano in n? La ragione, data T indole del genovese
idioma, trovasi nelle seguenti parole dello Helmholtz: « le let-
« tere M e N rassomigliano a vocali nella loro formazione, pe-
« rocche non cagionano alcun romore nel canale della bocca:
« questo è chiuso e la voce sfugge per mezzo del naso. La bocca
< forma solo una cavità risonante che modifica il suono. Se
— 33 —
« porgiamo attenzione da un luogo basso a gente che parli as-
« sieme passeggiando sopra un'altura, le nasali m e n sì odono
« più lungamente ».
5° Il genovese conservò tali e quali, salvo leggiere alte-
razioni in alcuna di esse, tutte le voci latine che adottò, ter-
minate in a:
ala == aa nausea = nausea
bestia = bestia oliva =: ulva
capra = crava palma = parma
familia = famiggia rosa = reùsa
gallina == gallin-a simia = sclmia
idea = idea terra =: téra
lana = lan-a ungula = ungia
musca := musca vita ^z vitta
6° Integre serbò pure le parole latine ogni qual volta
la soppressione delle sillabe dopo quella accentata lo avrebbe
condotto a finir la parola in tronco con consonante diversa
dalla n, onde disse:
arbu ^ atu bassu grande
grossa neigru russu verde
sacrificando la brevità aireufonia, ed in questo si separò (cosa
notevolissima) dagli idiomi a lui affini, piemontese, lombardo,
provenzale, francese, i quali tutti pronunziarono tronche quelle
parole.
7. Seguendo il costume antico, non raddoppiò quasi mai
le consonanti, invece di terra pronunziando ter a come, teste
Varrone, era scritto nei libri augurali.
Quanto ai verbi, mi riferisco ai cenni, che seguono, sulla
grammatica genovese, in cui si vedrà com'essa, pure serbando
meglio del toscano parecchie forme latine, és e, fui se, senimu,
sun, ecc., procedette in questa parte della grammatica, quasi
interamente d'accordo con lui: ciò che non vuol dire che il
genovese siasi conformato al toscano, con cui nacque bensì ad un
tempo, ma visse poi di vita propria, svolgendosi in modo affatto
distinto. Io per altro non farò qui uno studio comparativo tra
l'idioma toscano ed il genovese, sotto l'aspetto della comune
origine loro dal latino: solo dirò che ambo si attennero al prin-
* Più comunemente disse g i a h e u , voce, che al pari deir italiana bianco,
vien dal tedesco.
3
— 34 -
cipio (di cui parlai di sopra) della persistenza deiraccento to-
nico latino, ma con notabili 4ifferenze di applicazione: l'accento,
per esempio, è sul di dì di ce re, sul fa di face re; il toscano
soppresse la sillaba intermedia, il genovese tagliò la seconda
e la terza, come il piemontese e il lombardo, accostandosi tutti
tre al francese che tradusse bensì il dicere in dire e il
facere in fai re, ma in sostanza sacrificò nella pronunzia,
com'è suo costume, tutto quanto faceva seguito alla sillaba ac-
centata, esprimendo ognun dei due verbi con una sola sillaba.
Lo stesso dicasi di molti nomi: lupus divenne lupo in
toscano, ma 1 ù in genovese, 1 o u p (il p non si pronunzia) in
francese, mulus divenne mulo in toscano, ma mù in geno-
vese, mul in francese. Però il toscano, conservando il re fi-
nale degli infiniti dei verbi, anzi aggiungendolo a quelli che
ne mancavano : e s s e , velie, posse, nasci, mori, e man-
tenendo moltissime altre terminazioni latine, tolta la s, fece la
sua fortuna : non solamente perchè serbò forma armoniosa ed
elegante, ma perchè restò in grado di assimilarsi, nella lingua
letteraria, molti vocaboli e modi del latino classico, divenendo
quello che fu chiamato da Byron that soft basiard latin, che
però doveva essere il principale autore dell'unità politica del-
l' Italia.
Non parlerò nemmeno di leggi fonetiche le quali abbiano
regolato il passaggio dall'antichissimo idioma dei Liguri al la-
tino: quella che governò cotesto passaggio fu, già lo dissi, la
legge della necessità. Ai Liguri-genovesi, montanari e marinari,
occorreva un linguaggio breve, semplice, preciso, sopratutto di
facile pronunzia: Yassueium malo ligurem ^ avea bisogno del
fiato per lavorare. Tal era, probabilmente, l'antico loro lin-
guaggio: tal divenne, in bocca loro, il latino. Si noti, prima
di tutto, che di questo i Liguri adottarono forse una terza parte ;
il genovese è lingua povera appunto perchè esser volle pre-
cisa. Così il latino aveva agore, efficere, facere, ge-
rere, operari, ecc.: il genovese pigliò solo il facere,
il quale bastava a tutti i bisogni suoi, e pigliò solo la parte
sostanziale dell'infinito dicendo fa, corrispondente alla ra-
dice del verbo latino che è dha. Il latino aveva di cere,
* Vma, Oeorg.y II.
— 35 —
fabulari, fari, loqui, ecc., aveva comedere, edere,
mandere, manducare, ecc.: il genovese si appropriò il
dicere e il mandere, dicendo: di, radice die^ e mangia,
tema mand.
lo so bene che cosi fecero, a un circa, gli altri dialetti,
come so che dalla lingua parlata dal popolo di Firenze, di
Siena, dei monti pistoiesi, alla lingua scritta dal Guicciardini,
corre un gran tratto; ma nessun dialetto italiano può stare a
petto del genovese per semplicità, per precisione e per dolcezza
di pronunzia.
Quest'ultima asserzione mia ^ farà probabilmente arricciare
il naso a coloro (e non son pochi in Italia) che qualificarono
sempre per aspro il linguaggio genovese. Che sia poco intelli-
gibile agli altri Italiani, per la pronunzia sua che è pretta fran-
cese, lo ammetto; ma come sarebbe aspro un linguaggio in cui
le vocali predominano tanto alle consonanti che, sotto questo
aspetto, nessuna lingua indo-europea, salvo la greca, può stare
a fronte alla genovese? In cui frasi intere, non che intere pa-
role, sono formate di sole vocali? Ecco un esempio: a e aja
e ae? che tradotto parola per parola significa: essa le aveva
le ali? Che, nella pronunzia popolare, ha non poche parole alle
quali, dopo la consonante iniziale, seguono tre a senza altra
lettera in mezzo, caàa (calarla), saàa (salarla), v a àa (vararla)?
Il MùUer^ cita il greco éioeis (riverano), ma il genovese
lauèiu (laboratorio) gli è di poco inferiore. Né, se le conso-
nanti furon dette a ragione « le ossa del linguaggio » il ge-
novese, il quale le adopera così parcamente, riusci molle e
snervato: esso alle consonanti suppli con gli accenti sulle vo-
cali: tutti i verbi genovesi (con eccezioni che non arrivano a
venti) 3 finiscono in a e in i fortemente accentati, le moltissime
termioazioni in ou e in iu hanno accentata la penultima vo-
cale e Vu che la segue ha suono tenuissimo, accentati sempre
sono i dittonghi, tanto frequenti, ae, eu. Che se taluno dicesse,
* Assai prima di me lo asserì il Cavalli, del quale riporterò più sotto
un sonetto.
' Scienza del linguaggio y lett. III.
' Batte, cazze, cerne, credde, ese, frizze, leze, ecc. e si noti
puijp che la forma di alcuni di questi verbi ò affatto moderna, per esempio,
credde^ veddo, erano dagfli antichi pronunziati crei', voi, e cosi anche
ogg'i li pronunzilo i contadini.
— 36 —
in contrario, la pronunzia dello xe genovese = je francese,
difficilissima agli altri Italiani, non esser tra le più dolci,
risponderei che non mi sembra più dolce la z aspra dei Fio-
rentini.
Ma di ciò basti: cerchiamo invece di stabilire il tempo in
cui i Liguri-genovesi parlarono, a modo loro, il latino.
Son così pochi gli scrittori nazionali e stranieri che abbian
trattato dell' idioma genovese, che vo' trascrivere qui ciò che
ne dice Fauriel nell'opera già citata: « Les destinées de la
« langue des Liguriens sont beaucoup plus obscures que celles
< du gallo-celtique. L'histoire ne dit rien, absoluraent rieri, de
« relatif à Tintroduction du latin parmi les tribus liguriennes.
« Une seule chose peut étre avancée comme certaine à cet
< égard: c'est qu'avant la fin do la domination romainO: ces
« tribus avaient adopté l'usage du latin dans les villes et dans
« les localités populeuses et très fréquentées. Quant à cotte
« aride et sauvage partie de TApennin où les historiens nous
< représentent les Liguriens comme menant une vie peu diffé-
« rente de celle des bétes fauves auxquolles ils avaient à dis-
« puter leurs demeures, il n'était pas aussi aisó, à beaucoup
« près, d'y introduire Tusage du latin. On concoit à peine, poui*
« des hommes si sauvages. si indépendants et tellenient isolès,
« la nécessité ou la possibilité de changer d'idiome. Quant k
< moi, je ne puis m'empècher de me figurer que, sous les der-
« niers Romains, il y avait encore des Liguriens montagnards
<c qui parlaient leur ancienne langue, c'est à diro, comme Je
« Tai exposé ailleurs , une langue affiliée do très-piès au
< basque. ^ Enfin, pour préciser un peu plus ma pensée à cet
« égard, je regarde le ligurien comme Tun des anciens idio-
te mes, qui, longuement eu lutto avec le latin, ne disparurent
« pas totalement devant lui, lui survécurent dans quelquo
« repli de vallèe, sur quelque cime de montagne inconnue aux
^ Romains, et ne cédèrent la place qu'à un idiome ueo-latin.
^ Mais c'est là un pojnt assez curieux auqu/^1 je ne suis point
^ encore en mesure de toucher, et sur lequel jo ne veux point
« anticiper ».
Vi è del vero, ma non tutto è vero, in questo passo del
* TaTè l'opinione di Fauriol. • *
'■■J^-*-/.^
■srii.:Jcje5^r_i£3l
:«LBTf.
— 37 —
dotto francese. Certamente, la trasformazione dell'antica lingua
dei Liguri nel volgare latino fu opera dei secoli : lo fu per la
trasformazione di tutte le lingue, dovette esserlo tanto più ri-
spetto all'idioma di una gente tenace come la ligure. Nelle città
però e specialmente a Genova, stata sempre, dopo la prima re-
sistenza, fedele a Roma, il latino deve essersi di£fuso assai di
buon'ora: l'anno 582 un ligure genovese, Publio Elio, era creato
console a Roma: indizio certo che i cittadini liguri conoscevano
bene il latino. In campagna e in montagna, le cose andarono
diversamente: il modo d'impararlo mancava: l'obbligo stesso
della milizia cui, non appena ammessi tra i confederati romani,
furono i Liguri assoggettati, non deve avere giovato molto alla
diffusione della lingua del Lazio tra i contadini ed i monta-
nari, perchè i Liguri costituivano negli eserciti della repubblica,
come già dissi, un corpo distinto ut socioruìn in bellis. Ma
se gli agricoltori delle poche pianure e delle molte colline li-
guri tardarono ad imparare il volgare latino, gli furono poi
fedeli nella pronunzia di parecchie voci, meglio dei cittadini.
Anche più avranno tardato, naturalmente, gli abitatori delle
montagne, boscaiuoli, pastori, cacciatori, ma alla fine, più o meno
male, l'impararono essi pure. Né regge l'asserzione di Fauriel
che, anco sotto la dominazione romana, essi vivessero come
bestie feroci: già al tempo d'Augusto (teste Strabene) se i mon-
tanari liguri erano poveri, facevano però un attivo commercio
con Genova.
Sonovi anche oggidì, come suppose Fauriel, montanari che
parlino l'antichissimo idioma dei Liguri? Certamente no: si co-
noscerebbero: ma non si potrebbe escludere che parole, anco
molte, di quell'idioma, corrotte o no, sian rimaste tra loro; in
effetto, ne hanno di strane assai, ma nessuno le ha mai rac-
colte. Chi oggi le raccogliesse farebbe opera buona. Quanto
alle voci del contado genovese, alcune ne accolsero i dizio-
nari dell'Olivieri e del Casaccia: di più altre ebbi io stesso da
un gentile amico, un elenco: sono in parte idiotismi, ma pa-
recchie potrebbero avere antichissime origini; reco ad esempio
le frasi: and a téTìccu, cascare in terra; òze in quinta,
camminare in fretta; mena e acQhe a scheue, menar le
vacche al pascolo ; piglia na renincà, inciaijipare ; fA fistè, «
dar retta ; cuntà de se r fanello, raccontar cose da ridere ;
— 38 —
cieue a dernu,^ piovere a dirotto ; rùgri e patatte, sca-
varle; nurama che, solamente che; a bottu, a cottimo;
a male di, appena appena, ecc. e i verbi:
acajà =1 affastellare
abestentà = aspettare
aviscà r= accendere
bamburdi = tener a bada
bricculà =: scapezzare
cassonezà =: mescere
stiiza = nettare
incinà = inchiodare
neghittà m soffocare
reventà i= stentare
sbeùsà = bucare
schittà =: scivolare
sprelenguà = ammaliare
e 1 nomi:
agreccu = audacia
aziiggiu = assillo
becca (nuxe) = malescia
brasca = gran fame
briaca = nulla
craie = viticci
descuerniusu = disprezzatore
garba (testa) = testa vuota
giùe = pinzette
gheufuin = castagne aride
gurin ■=. vimini
ummì :
In altre voci si sente il latino:
maga = mucchi di sassi
neccia = elezione
orbain = lolla
piccaliun = seccante
peuzzu = poggio
rolla = corteccia verde della noce
ruspa =: cercar tra Terba e le foglie
sbrinsua = briciola
schezzi = piatti
tabia = pianticella
tartagna = fuscello ritorto
perticnini
ammu (habemus) z=: emmu inguannu(in huc anno = quest'anno
ante = T innanzi odi = audire
asceghi (assequor) =: seguire pai (pasci, pavi) = pascere
fascia = campicello promè (prò me) ~ dirimpetto
scerba (exherbare) = estirpar Terbe
I contadini, a differenza dei cittadini, serbarono, come i
Francesi, il pronome latino illi: i dixan, i fan. Più, in al-
cuni paesi di montagna, mantennero la l latina alle voci nelle
quali era stata dai cittadini mutata in g:
cunsegli (consilium) = cunseggi mugliò (mulier) = muggè
flllieù (filiolus) =: fìggieù pilliòu (pilatum) = piggiòu
* Stimo opportuno di fermarmi su questa parola. I jrlottologi dicono
OBCurissima Tetimologia deiravvorbio italiano indarno, sol citando lo slavo
darmo, darom, che vale : gratis, ma che è lontanissimo anche per la pro-
venienza. 11 vocabolario del Tramater, del quale i glottolopri italiani par che
ignorino resistenza, trae indarno dal tedesco antiquato andarn, che non
potei verificare. Or eccoti la voce antica genovese dernu in cui parmi chiara
la radice celtica der, fiume. So non che nelle Antiche riJhe getiaresi delle
quali parlerò poi, trovasi enderno e inderno per indarno. Più, derno è
voce marinaresca pure antica: alzar la bandiera in derno, è alzarla non
spiegata, ma raccolta, con un piccolo svolazzo di coda, ed è segno di lutto,
di pericolo, domanda di soccorso. Il francese dice en berne. Lo Jal {Gìo.r
xaire nautique) ne ignora l'etimologia, però cita il basso bretone: bern.
— 39 —
È poi quasi generale nelle montagne liguri Taferesi del
V iniziale:
acca =: vacca in = vin
entu = ventu ^ , ostru =z vostro
eùgliu z= voglio
Rispetto al modo con cui fu parlato dai Genovesi il la-
tino, aggiungerò al già detto potersi credere che il genovese
odierno sia, quanto alle terminazioni dei verbi e di molti nomi
latini, differente poco da quello parlato sotto l'impero romano.
Sembrami assai probabile che i Genovesi abbiano, fin dal
principio, eliminata la r e la ^ finali di tutte quante le voci
latine da loro adottate, troncato il re finale dei verbi e variate
in au e in eu le terminazioni dei participi passati dei verbi,
e quelle dei nomi -atum, -atus, -ilum, -iius, ecc., come disopra
dissi. Era molto difficile che i Liguri accettassero coteste pro-
nunzie: ma più difficile che, una volta imparate, le abbando-
nassero. E, mentre è certo che dal volgare latino fu eliminata
la s finale, crederei pure che l'apocope del re sia stata pro-
pria di quello stesso volgare parlato in tutta l'Italia: in efi'etto,
quasi tutti i dialetti italiani odierni troncano il re, pochi tron-
carono solamente Ve, serbando la r: unico il toscano pronunziò
interamei\te i verbi latini. Ed è notevole che tra i dialetti
complici nell'apocope trovisi il romanesco, il più diretto discen-
dente del volgare latino. ^
Scrive Cantù * che « la lingua nostra è quella che sempre
,« si è parlata in Italia modificata dal corso di tanti secoli e
« da tante vicende . . . nessun salto intervenne fra il parlar la-
«tino e l'italiano»; asserzione forse troppo assoluta, ma in
fondo vera.
* Notevole l'affinità di molte voci romanesche con le genovesi, comin-
ciando dal comune verbo and, annà, andare.
' Storia della letteratura italiana, cap. I.
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CAPO II.
1/ idioma genoveBe nei se<M)li xi-xni: g-iudizio di Dante 8u di esso. — Ele-
mento arabo. — Rime e prose antiche g-enovesi. — Poesie del Foglietta,
del Clgr^la Gaserò e di altri. — Linprua ed ortografia che usarono. —
Poesie del Cavalli — di altri — del De Franchi — L'idioma g-enovese
alla fine del secolo xviii — Poesie del Piaggio e d'altri moderni. — Di-
zionari. — Voci genovesi antiche.
Cadde l'impero romano: stirpi germaniche signoreggia-
rono r Italia; surse, o per meglio dire, si manifestò nella ri-
nascente letteratura il volgare italiano dall'Alpi a Sicilia.
Qualfu il linguaggio parlato in Liguria nei secoli xi e xii?
Io non conosco altro documento che una poesia di Rambaldo
de Vagueiras, trovatore provenzale del secolo xii, tenzone in
forma di dialogo tra lui e una dama genovese, la quale gli
risponde:
Jular, voi no se corteso
Che me charcheai de cho
Che niente non farò
Anche fosse vos a peso
Vostr'amia non sarò
Certa jà ve schernirò
Provensal mal agurado
Tale noja ve darò
Sozo, mozo, escalvado
Né jà voi non amaro
Ch'ec un bello mano
Che voi no se, ben lo so
Ande via, frar, en tempo megliorado.
È genovese questo? Evidentemente il buon trovatore, che
di genovese sapeva poco, mise in bocca alla dama un miscuglio
di volgare italiano, di genovese e probabilmente di catalano:
se pure le parole da lui usate non siano state alterate dai
copisti provenzali. ^
* Cosi pensa Faijriel, op. cit., voi. 1.
— 42 —
Vengo adunque senz'altro al secolo xiii in cui per la
prima volta compaiono monumenti del moderno idioma li-
gure.
Per verità sono cattivi monumenti di lingua, poesie: giacché,
come in Sicilia, come in Provenza, era nata in Liguria l'arte
di scrivere nel proprio dialetto, d'elevarlo all'onore del verso.
I Genovesi, già assai còlti a quel tempo, avevano prima poe-
tato, come dice il Bembo, provenzalmente, e tra loro venuti
erano in fama Lanfranco Cigala, Bonifacio Calvo, quel Fol-
chetto che « a Marsiglia il nome ha dato ed a Genova tolto >
e più altri. ^ Poetarono poi nel proprio idioma che non crede-
vano, e non era infatti, inferiore ad alcun altro italiano. Disse
Dante « il volgare illustre, cardinale, aulico e cortigiano in
« Italia, è quello il quale è di tutte le città italiane e non
« pare che sia di ninna ».
Noto è, infatti, il conto in cui Dante tenne il volgar ge-
novese. Nel suo libro: De vulgari eloquio^^ nscontvaìi avendo
in Italia quattordici dialetti principali, giudicò foss^ero da gittar
via il romano, il marchegiano, lo spoletino, il milanese, il ber-
gamasco e i loro vicini, il friulano, l'istriano ed il sardo, perchè
« brutti ed inornati parlari ». Riprese poscia il volgare plebeo
di Sicilia e di Puglia, e nel capo XIII trattò degli idiomi to-
scano e genovese, vituperando il primo e dicendo del secondo
< se alcuno poi pensasse che quello che noi affermiamo dei
« Toscani non sia da affirmare dei Genovesi, questo solo costui
« consideri: che se i Genovesi, per dimenticanza, perdessero
« il Zy lettera, bisognerebbe loro ovver essere totalmente muti,
« ovver trovare una nuova locuzione; perciò che il ^ è la
« maggior parte del loro parlare: la qual lettera non si può, se
< non con molta asperità, profferire ». ^
* Alcuni di loro poetarono pure nel volgare illustre, tra i quali Prinzi-
valle Pepcivale Doria che intorno al 1240 scrisse la canzone Amor mi ha
priso riportata nella Raccolta del 7/'?/ccA?, e rimasta ignota allo Spotorno.
* Traduzione del Trissino.
* Evidentemente il divino Poeta dove avere confuso la pronunzia dello x
genovese con quella della z, perocché poche sono lo parole genovesi nello
quali entri quest'ultima lettera, che viene poi pronunziata, in generale, meno
aspramente che in Toscana. Quanto alla pronunzia della ^r, comune a Ge-
novesi e a Francesi, è in effetto difficilissima per gli altri popoli italiani, com-
presi i GaUo-italici.
— 43 —
Non seguiterò Dante nel suo esame degli altri dialetti:
basti che « crivellati », come egli dice, i volgari d* Italia, non
abbia giudicato che il genovese fosse tra quelli da « gettar via»,
ma si di quelli che « nel crivello sono rimasi » per farne com-
parazione: né poco onore per il genovese idioma è l'averlo
Dante accompagnato con quel di Toscana, ancorché troppo se-
veramente da lui giudicato, e Taverne innestate nella Divina
Commedia parecchie frasi e parole, ^ come :
per schiera
» appresso
rasente
tre
»
»
guatare
strupo
a pniovo
a randa a randa
trei
montar dì chiappa in » montar di pietra
chiappa
co »
di butto »
dismento »
gen. agueità (Inf., i, 24)
» streììppu (/n/!, vii, 12)
apreùvu (Inf., xii, 93)
a randa (inf, xiv, 12)
treì (Infy xxi)
»
»
»
in pietra
capo
di botto
dimentico
»
caribo
barba
trono
» garbo, modo
» ZIO
» tuono
ciappa (Inf., xxiv, 33)
co (Purg., Ili, 128)
» buttu {Purg., xvii, 40)
» desmentegu(Pwr^.,xxi,
135)
gen. ani. garibbu {Purg ,
XXXI, 132)
gen. barba {Par., xix, 137)
» trun {Par.y xxi, 12)
Si andava intanto insinuando nel genovese idioma un nuovo
elemento, in piccola proporzione, é vero, ma pur notabile, l'a-
rabo. Già, dall'anno 860 a un circa, aveano gli Arabi messo
piede sulle spiaggie liguri, afforzandosi poi in Frassineto, tra
Monaco e Nizza: ed i Genovesi, impotenti a resistere ad essi e
ai Normanni ad un tempo, eransi ritirali sulle montagne: stato
di cose che durò quasi un secolo. Consta però che i Genovesi
rinvigoritisi, presero a frequentare, mentre ancora durava l'oc-
cupazione di Frassineto per parte dei Saraceni, i porti arabi
d'Africa e di Sicilia e ad esercitarvi un attivo commercio: ot-
tennero poi l'appalto delle gabelle della Sicilia: ebbero insomma
continue relazioni con gli Arabi, anche con quelli che impa-
* II Ferrazzi {Mamiale dantesco) ignora che Dante trasse parole dal
dialetto genovese: vero è che alcune deUo parole stesse il genovese ha co-
muni col provenzale, come trei (del resto, latino treis) e trun, ma non
segue da ciò che Danto abbia tolto voci piuttosto dal provenzale che dal
genovese che egli ben conosceva. Si sa infatti che soggiornò lungamente
nella Lunigiana presso i Malaspina, e che vi scrisse probabilmente una parte
del divino poema: poi traversò Liguria e Provenza per andare a Parigi: ma
da più passi del suo poema consta la cognizione che egli avea della prima.
— 44 —
dreniti eransi della Spagna, interrotte per poco dalla guerra,
ma riprese poi subito, grazie alla naturale inclinazione, cosi
dei Genovesi come degli Arabi, al traffico. Frutto di cotesto
relazioni e di quelle che poscia strinsero i Genovesi con Arabi
e Turchi in Levante, fu l'introduzione nel genovese idioma,
in cui tuttodì vivono, delle voci arabe, le quali io scrivo nel
seguente elenco, riservandomi a parlare di alcune altre nel
Vocabolario etimologico, e avvertendo che nell'elenco stesso ho
comprese talune voci arabe che il genovese ha comuni con
l'italiano, perchè credo assai verisimile che a quest'ultimo sian
venute dal primo, il quale infatti ne serbò molto più esatta la
pronunzia originale.
Arabo*
Agìb (maraviglioso)
Al-qasr (il castello)*
Al-qutn (il cotone)
Bazar (mercato)
Damdjana (fiasco di vetro)
Dàr-as-sinà à (casa di arti, di fabbrica)
Farda (mezzo carico di bestia da soma)
Fondoq (magazzino di merci, it. fondaco)
Galabà
Giarrah (vaso di terra)
Gilfat (calafato)
Pammàl (facchino)
Hadcìsci pi. hascìscin
Imsci (va via!)
làsmin (gelsomino)
In scià llàh fse Dio vuole) *
Kantar (ponte) *
Keif (star bene)
Rizba (menzogna)
Kuskus, kuskusù (pasta di farina)
Limun (limone)
Mahzin (iL magazzino)
Mamluk
Meqramà (asciugatoio di lana con ornati)
Mindil* (fazzoletto)
Mizar (velo, mantello)*
Qaiq (barca, v. turca)
Qérat (carato)
Qirmiz (cremisi)
Qitràn (catrame)
Rais (capo)
Raqàma ^ricamare)
Genovese
Agibbu
Cassau *
Cutun
Bazajottu (mercante giro-
vago)
Damixan-a
Darsena (arsenale marit-
timo)
Fardu (balla di prodotti
orientali)
Fundegu
Calabà (schiamazzo)
Giara (coppo)
Càfattu
Camallu
Assascin
Imisci
Giasemin
Scialla ! »
Cantal *
A chiffu
Gazibba
Scucusù
Limun
Mazanghin
Mamaluccu
Macramè
Mandillu *
Meizau *
Caìciu
Carattu
Cremixi
Catran
Raixu *
Recamu
Delle voci segnate con asterisco, trattasi nel Vocabolario etimologica
. r.-.". "Z. — -
— 45 —
Arabo
Sàsija
Sàràb (sciarab, bevanda)
Scìubbak, sciabaka
Sifr (zero)
Silah (arma) •
Tarh
Tassa (nappo, tazza)
Zafàran' (zafferano)
Zabib (uva passa)
Zubb (pudend. viri)
Genovese
Scisela (berretto di lana
rossa)
Sciopu
Sciabeccu« sciabega (nome
di bastimento e di rete)
Giffra
Salacca* (sciabola)
Tàa
Tassa
Safran
Zebibbu
Zubbu
Vengo alla fine del secolo xiii e al principio del xiv, tempo
cui appartiene un codice di poesie genovesi, scritto su perga-
mena di carattere antico, trovato e reso noto nel 1821 da Matteo
Molfino in Genova: manca d'alcune pagine sul principio, nel
mezzo, ed alla fine : Feti rilevasi dalla data d'alcuni componi-
menti, e varia dal 1270 al 1320. Lo Spotorno conobbe questo
codice e ne parlò n^lla sua Storia letteraria della Liguria
(voi. I) attribuendolo giustamente ad iin monaco del convento
di s. Andrea di Sestri: una parte ne fu pubblicata nel 1840
dal prof. Bonaini, coadiuvato da C. L. Bixio, neW Archivio sto-
rico italiano (voi. IV). Venne poi pubblicato per intero nel-
V Archivio glottologico italiano (voi. II e X) la prima parte con
commenti ed illustrazioni del dottor Lagomaggiore, tutta l'opera
con « annotazioni sistematiche » del compianto Flechia. Stimo
utile di riportare qui e di commentare a mia volta una parte
della canzone XLIX che descrive, con molta esattezza storica,
la battaglia di Curzola :
Nostro armirajo * con so stol -
Soa ihusma ^ examinando
Ben previsto comò e quando
A la per fin se trasse for
Candelando ■* soe gente
* Si hanno testi gponovesi antichissimi elio dicono armiralio, pronun-
zia volprare tuttora viva, e conformo all'etimo logia nraba. L'autore della can-
zone dice armirajo perchè, come vedremo, non è di Genova.
* Stuolo di g'alee dicevasi allora come og"*?i dicesi squadra.
' Probabile errore, invece di chusma identico allo spag-nuolo I Ge-
novesi dissero e dicono ciUxima.
* Il Parodi propone d'interpretare il candelando col francese antico
cadeller, catalano capdellar, che valevano: condurre, g-uidare, ed è eti-
— 46 —
Per farli tuti invigorì
Chi de combate e firir *
Mostram tuti cor ardente.
Che bela vista era lantor *
De segnoi) corniti, e noshé '
Soversagente * con ugé ^
Tuti ordenai a so lavor
Cum barestrei tuti acesmai *
Com bon quareli passaor
Chi pertusam e mandor»: ^
De Tarte son troppo afinai.
Non era li diversitae
Ma eran tuti de cor un
Per far honor de so comun
Ni temevan quantitae.
In Portovener se congregam
Porto grande per reposo
Contra ogni fortuna pioso ^
Li unsem ^ e s'apareiam
De li partim, zem a Mesina
•
mologicamente accettabile: però leggendo, come altri lesse, caudelando, si
avrebbe il verbo provenzale caudeja che vai: riscaldare, e meglio conviene
al senso.
Leggasi firf (ferire) anche per la rima.
* Lantor, alantor, lanti), lantora dicovasi allora, nella Riviera di
ponente: a Genova e nel circondario alianti! come ancora oggidì. Flechia
fa venir queste voci dal latino intu(8) illa hora; meglio Zambaldi: ad
illam horam che è V italiano : allora.
' È il fr. nochor, il cat. notcher, notzel, che del resto erano il
latino nauclerus.
^ « Soubresalans o saillans de la nave, et leur office c'estoit de levèr et
« avaler le voile, ployer et ostendre et d'atremper la pogo et les XXIIII cordes
« qui soustenoyent lo mast ... et brievoment de socoure a tous les officiers de
« la nave ». Godefroi, Dicti07inaire de Vnncienne ìangne francai se et de tous
ses dialectes du ix au xy siede, Paris, 1892 (alla voce).
* Ugé: ben interpreta Flechia : voghe, cioè vogatori (vogherii, Du-
cange) io aggiungerò che il testo è mono errato di (luel che paia, perchè
anche oggi il volgo marinaresco genovese dice ougù per vogare.
* Flechia, citando Diez, traduce: pronti, apparecchiati: ma è precisa-
mente il verbo fr. antico acesmer, prov. azesmar, die oltre al senso di
ornare, apparare, ha quello di: ordinare in battaglia. Il Bos {Glossaire de la
langue d'ote) li trae giustamente dal greco schisma, separazione, divisione,
e per estens. taglio, onde lacci sma di Dante (/w/*. xxviii) tolto sicuramente
dal provenzale.
^ In men d'ora, subito.
•* Pioso, in genovese antico : pietoso, non chiuso, come vorrebbe il
Flechia.
" Ungere, cioè spalmare le navi.
— 47 —
Li refrescham e se fornim
Per tener le stra marina
Or entram con gran vigor
En De i sperando aver triumpho
Queli zerchando inter lo gorfo
Chi menazavam zercha * lor.
Si che da Otranto se partim
Quela bia ^ compagnia
Per passar in Sihavonia
D'Avosto a vinti nove di.
Ma gram fortuna se comise
De terribil mal < e vento
E quelo comovimento
Parti 5 lo stol in monte ^ guise
Tanto fo quelo destolbe ^
Che no poen inseme stai ^
Per saver che dever far
Ni portentim ^ ni conseje
Si che lantor per consejar
Da cossi greve remorin
Caschaun io tem so camin
Pu segnando che gi par.
Ma perezando ** in tar travajo
È in condicion si ree
Con vinti nostre garee
Proise terra 1 armirajo
A un porto, De vojante,
Chi Antiboro e anomao
* Dò, nel francese e genovese antico, valeva Dio, come Deu nel pro-
venzale: fedeltà al latino.
* Voce del gen. antico: è il cerca spagnaolo.
* B i a , con l'accento su Ta, valeva nel genov, ant, beatii, ma non conviene
al senso: forse ha ragiono il Bonaini leggendo brà per brava.
* Errore materiale: leggasi mar.
* Parti, divise.
^ Monte per molte: g-enoveso antico.
^ Dal provenzale destorbier, destourbé, disturbare.
* Errore materiale: leggasi: star.
® Flechia interpetra : portantini ; ma non avrebbe senso ; trattasi al certo
di un errore del copista.
" Si)agnuolo cascun, latino quisque unus.
" Bonaini interpretò: peggiorando; ma se fosse il genov. pezuando il
poeta avrebbelo convertito in pez orando. Flechia crede si tratti d'un verbo
marinaresco e cita il dantesco « non è pilofrgio da piccola barca » ; però pileggio
vuol dire: un tratto di mare, e corrisponde, secondo me, al moderno: parag-
gio. Parmi probabile che il perezando venpra dallo spagnuolo perecer,
perire, sentire un estremo bisogno.
— 48 —
Chi ingolfando da 1 un lao
De ver la faza de levante
E quamvisde che in quelo porto
Avesem so scampamento
Che fosse de 1 atro armamento *
N era arrivao cinquanta oto
Ma quelo iomo anti note
Revezem messo de novo
Che for dexe miia provo *
Chi se eonzunsen 1 endeman
Anti che fosse, disnar coito
£n soma fon setanta octo ^
Chi d engolfa no s astalan *
Con grande ardimento andavam
Guastando per quela rivera
Quanto d enemixi g era
Segondo che eli trovovam
quanta gente, arnese, terra
Casse e vile ^ e possession
missem tute a destrution
eh e tar usanza de guerra,
e quante bele contrae
ysore e porti de marinai
li nostri an miso in ruyna
chi mai no eram travaiae!
ma ben ve digo en veritae
tropo me parem eser osi
guastando li loghi piosi,
come stali de sposae. '^
gran deseno ' fen a lo sposo
aijto duxe de Venexia
chi in mar i atri dexprexia
tochar logo si ascoso,
ben savei che chi meiiaza
* Qui non corro il senso: il copista saltò un verso che doveva rimare
con: porto.
' Flechia interpetra: vicino, dal latino prope: o tal <^, in effetto, il senso;
ma questo provo non fu mai genovese.
* Errore materiale: dove dir oito, genovese antico, anche per la rima.
* Che non s'astong-ono dall'entrare nel golfo: così bisogna interpetrare
col Flechia, ma in realtà il verbo g'onovose asta Uà non obbe mai, né può
avere, il sig^nitìcato d'astonersi.
* Case e ville.
* Stranissimo parag-one.
' Bene interiiotra il Flechia desenor, disonore. L'epiteto di sposo i^
dato ironicamente al dogo di Venezia porche sposavasi ogni anno al mare
Adriatico.
— 49 _
andar a atri «ichar lo dbso
quanto dor g e poi romaao
quaDdo aotrì lo so gi strada.
lo Dostro hoste andar apresso;
a quela vsora zem drìto
a chi Scurzola & dito
e li fem un tal processo
che un borgo pim e grasso
miirao merlao tuta en tomo
che n ausa era e men d un iorno '
com bozon ' missem a basso
e tuto 1 atro casamento
stalo e maxon de quello Ioga
fon cremae e misse a fogo
ruina e disipatnento.
ma li bor^esi chi so sto)
a lor venir previsto aveam
. le cosse lor ])Orta n aveam
li rafacham ' n avem gran dolor:
a chi tanto lo cor arde
de stre^r 1 atrui fardelo
chi an le man faite a rastelo ;
(le tar grife Db ne guarde!
•poi tegnando en queio logo
leo consejo 1 armirajo
per cerne so a vantalo
sua si grande e forte aogo
li nostri semper sospezosi
de i enemixi che li vin
venir com cor pim de venim
é de soperbia raiosì
alor, alor, con vigoria,
e cascbauu sa arma e cria:
De n Bje e santa erose,
ma per zo che note era
provo lo sol de stramontar
pensam lo stormo indugiar.
' In meno d im g'ionio.
' Cioè: atterrammo, mettemmo a basso (le mura merlate del borgo) con
bolzotiE - strumento antico militare da romper muraiflie » (Crusca).
* Kafracam, à detto non per istrazio dei Veneziani, come crede Fle-
chia, bensì degli stessi predoni ^^novesì che nulla trovarono nel borgo. Del
resto la voce raffacan, che il lìonaini dice ancor viva nei paesi posti sul-
l'Adriatico, non è genovese, ma vien probabilmente dal provenzale rafegà
c!ie vai: frugare, metter sossopra.
— 50 —
e se missem tuti ìn^chera
enter V isora e terra ferma
da tuti cavi ormezai
en tor lor afernelae '
caschaun so faito acesma
tegnando proa contra vento
en ver 1 oste veniciana
entre maistro e tramontanna
armai con grande ardimento,
ma de le galee sexe '
partie per la fortuna
no aiando nova alcuna
penser an comò se dexe.
niente me star semper atenti
e confortosi tuto en torno
tardi g e sea iorno
ni stan miga sonorenti.
quela note i enemixi
mandam messi che previssem
che Zenoeisi no fuzissem
che i aveam per conquìdi,
ma lì penssavam grande error
che in fuga se fussem tuti metui,
che de si lonzi eram vegnui
per cerchali a casa lor.
e vegnando lo dì setem
de setembro fom avisai
a De e a santi acomandai
ferando insemel combatem.
lo di de domenega era
passa prima en 1 ora bona
stormezam fin provo nona
con bataia forte e fera.
quanti for per le peccae
entre cossi grevo tremor
varenti omi morti e mendor
e in mar gente stravachae!
tante era Tarme de la tempesta ^
e de barestre lance e pree *
* Deve leggersi, anche per la rima, afe melai. Il Bonaini crede che
questa voce significhi, nientemeno, che serrar le vele! Avvidesi dell'errore il
Flechia che giustamente traduce a fé me lai con affrenellati, da affrenel-
laro « mettere il frenello al remo ».
* Sedici.
' Correggere: de Tarme la tempesta.
* Pietre.
— Si-
on mar e su per le^alee
restar guerra senza vesta ^
quanti prod orni se engannavam
chi duramenti conbatando
moriam e non savean quando
che li quareli * pertusavam !
corno e lajro * subitam
per strepa tosto la vita
lo quarelo e la saita
chi perdom alcun no fan !
ma ben e ver che da primer
fo de li nostri morti alquanti
ma tuti corno zaganti
fon combateo sobrer *
si gran frase fo per certo
de scue ^ d arme e de gente
morti e negai encontenente
tuto lo mar n era coverto,
corno De vosse a la per fin
far honor de tanta guerra
fo lor stanta * per terra
e lor convegne star sovim ^
or che gran rota fo lauto *
quando li venician prediti
se vim si morti e desconfiti
e zenoeisi venzeorl
chi oitanta e quatro tenem
garee de nozante e sexe
avuo an zo che gè dexe
che si gran dano sostentem
de morti e d encarzcrai
che de pu greve desconfita
no se trove razon scrita
che de galee fosse mai
' Inintelligibile. «
* Francese antico qua relè.
* Il Flechia traduce lairo con ladro: ma non conviene al senso; parmi
più conveniente laor, lavoro.
* Superiore: dal provenzale antico sobrier, sobrer.
» Scudi.
* Leggasi stantà, stendardo dei Veneziani.
^ Supini.
* Leggasi lantor, per la rima.
— 52 —
Domando un' altra volta': è genovese questo ? E rispondo
senza esitare : genovese di Genova e della sua provincia, no
certamente. Lo Spotorno se ne avvide subito, e scrisse che « il
« poeta anonimo era nativo della Riviera di ponente, non so-
< lamente perchè il suo linguaggio esprime a meraviglia il mo-
« derno idioma della diocesi d'Albenga, ma sì ancora perchè loda
< questa città e vi andò col vicario di quella Riviera, ecc. ». In
eflfetto, era impossibile che un genovese non si accorgesse dalle
terminazioni in ao, dall' aferesi del e e del g innanzi all' i
(iapa, ciappa, ihera, eòa, iorno, giorno) dalle molte parole
tronche, dalla quantità delle voci provenzali, che le Antiche rime
genovesi evsLTìo scritte nel dialetto parlato, con lievi differenze da
paese a paese, da Alassio a Ventimiglia, e, saltando Montone, anche
a Monaco: dialetto in cui è probabile una qualche influenza del-
l' idioma degli antichi Liguri Ingauni ed Interaelii. Era pure
impossibile di non accorgersi che se nelle dette Ri7ne si trovan
molte parole di quel dialetto ed alcune anche di puro geno-
vese antico e moderno, altre invece non appartenevano ne
all'uno né all'altro, bensì al volgare illustre, quello che divenne
poi 1* italiano. E per verità non vi è poeta genovese (e lo ve-
dremo in seguito) che per nobilitare i propri versi, o per neces-
sità di rima, non abbia usato, alle occorrenze, parole e modi
italiani. È notabile poi nelle Antiche ri7ne che gli articoli vi
si trovano adoperati con estrema parsimonia : il monaco poeta
scrive alla latina, e quando adopera articoli sono i provenzali
(la, li, ecc.) e non i genovesi (a, e, i, u).
Ricapitolando, dirò delle Antiche ri7ne che esse sono un
monumento pregevole dell' antico linguaggio ligure-genovese,
per le voci che ne hanno serbato, ma che male ricordano lo
idioma parlato nel secolo xiv da Savona fin quasi alla Spezia.
^ Fonte migliore, non però pura, del su detto idioma tra la
fine del secolo xiv e il principio del xv, sono le Prose genovesi
contenute in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Pa-
rigi, e pubblicate da A. Ive neW Archivio glottologico italiano
già citato, voi. Vili. Ne trascriverò i primi periodi : « La iustixia
« si he una dele quatro vertue cardenae, la quar si he virtue
« chi rende a caschaun qo (ciò) che he so, unde la persona che
< ha questa vertue si rende a li soi maoy (maggiori) honor et
« reverencia et a li soi menoi dotrina et amaistramento. A li
■<^l
— 53 —
^ amixi amor et alegrega et a li eneraixi paxe et paciencia.
« Queste sun parole de san bernardo. Et chi questa vertue
« bavera si ne reportera nove fruiti. ^ Lo prumè * si be per-
« dunanza de le soe peccae ^ unde e^egiel (Ezechiele) dixe cbe
« se lo pecaor ** farà guixio ^ (giudizio) et iustixia derita de si
« raesmo * cbe de s'adementagara tute le soe pecae ; lo segundo
« fruito si he, segondo che dixe san zoane evangelista, che per
« la iustixia che fa lo pecaor de si mesmo quelo chi per lo
« pecao era flior de lo demonio si sera "^ per la iustixia faito et
« apelao flior de De ; lo tergo fruito si he segundo che dixe . . .
« che in lo di de la morte le richeze de lo pecaò no lo poram
« liberar de la morte de V inferno, ma la iustixia si ne lo li-
« berara >.
Anche coteste prose sono opera di un monaco, probabil-
mente del convento della B. V. di Castello, e per due terzi e
più (notò r Ive) sono la riproduzione fedele di una Vita di
san Giovanni Battista che suol mandarsi tra le Vite dei Santi
Padri volgarizzate dal Cavalca. E dunque una traduzione dal
toscano in genovese e naturalmente in genovese non popolare :
tuttavia, neir insieme suo, genovese è. Vi sono voci spagnuole
delle quali alcune durarono lungamente nel genovese, altre
invece ad esso ripugnano: per esempio mesmo, spagnuolo
mismo, fu detto per più secoli dalle persone colte, invece
del popolare ma antichissimo mèximu;^ invece si mesmo, spa-
gnuolo si mismo, è antigenovese in cui dicesi le per sé. Ma
come esaminare analiticamente un linguaggio, sopra un testo
che, nelle poche righe da me trascritte, reca una volta vertue,
un'altra virtue, una volta pecaor, un'altra pecaò?
Nò della lingua genovese parlata sembrano monumenti più
certi le scritture uffiziali che ci rimangono dei secoli xiv e xv
composte in quella lingua, poiché se è vero che i magistrati
• Provenzale fruit.
• Provenzale g'uascone: prò urne, primo.
• Notisi il femmÌDÌle: Dante:
l'Agnel di Dio che le peccata leva.
• Provenzale peccador, spagrnuolo e catalano pecador.
■ Spagrn nolo juicio.
• Id. si mismo, se stesso.
' Francese sera.
^ Latino met-ipsiim, metipsimus.
— 54 —
della Repubblica di Genova usavano, come quei di Venezia, di
scrivere nel patrio idioma, vero è pure che procuravano di
nobilitarlo con voci e frasi latine e toscane. ^
Dal principio del secolo xv mi convien venire alla metà
del XVI. in cui trovo Paolo Foglietta, nobile genovese, il quale
dettò in yera lingua genovese di Genova i primi versi che siano
degni del nome di poesie. Ne reco alcune, traducendone due,
come meglio mi venne fatto, in versi italiani, a fin di renderle
intelligibili ai non Genovesi : tanto più che, per ragioni storiche,
ho stimato di dover conservare V ortografia con cui furono
stampate. *
SONETTO.
Quando de scuoggio in scuoggio va Maitinna
Accoggiando patelle, gritte e zin
L' egua deven crestallo puro e fin
E de sarà ven dece ra mariana.
E r aregha e V arena e 1' herbettinna
Deven d' oro, smerado, e de rubin,
E ri pessi d'arinto brillarin,
E Nettun sen^a in testa se ghe inchinna.
E ro so per no cuoexera s'asconde,
Ma ne fa lumme incangio ro so viso :
Ro vento treppa intre so trezze bionde.
Ma no treppo za mi, perchè m'aviso
Che se a se ve si bella dentre i onde
Che a no ame sarvo li, corno Narciso.
Versione.
Quando di scoglio in scoglio Mariettina
Va raccogliendo qualche nicchiolino,
.L'acqua divien cristallo puro e fino,
Dolce divien di salsa la marina.
E l'aliga, l'arena e Terbettina
Divengon d'oro, smeraldo e rubino,
Mandano i pesci splendore argentino,
E Nettuno si scopre e a lei s'inchina.
* Pubblicò due di coteste scritture 1' Olivieri, nella Prefazione al suo
Dizionario genovese-italiano.
* Nella Raccolta di Rime diverse in lingua genovese, edita tre volte, in
Pavia nel 1583 e 1595, e in Torino nel 1C12.
— 55 —
Il sole per non arderla s'asconde
Ma ci illumina invece il suo bel viso :
Il vento scherza fra sue treccie bionde.
Ma non scherzo già io, perchè m'avviso
Che s\ bella vedendosi neironde
Più non ami che sé, come Narciso.
È questo uno dei pochi componimenti in cui Foglietta cantò
d'amore : la maggior parte hanno fine patriottico, ed in essi il
verso e la lingua secondano a meravìglia il nobil animo del
poeta.
SONETTO.
Dond'è rhonò dri nostri antighi e groria?
Chi han sott^ e sovra terra e mh, buttao,
Perchè han ro vero honò tutti apprexao
Quanto noi Toro, pompe e vanagroria?
Cosa de' dì messe Paganin Doria
Chi era fragello de paghen chiamao?
Cosa de' di messe Giaxo Axerao
E i atri antighi degni de memoria?
Che paraxi da Re chi fa ne ven,
Puoe da un nostro vassallo e da corse
Batte ne ven perchè garìe no hemo.
Ch'oura da Duchi tutti sta vdggiemo,
Ma quelli che ro mondo trema fen
A Zena stavan da citten prive,
Senza paraxi ornè.
Ma se ben vivi in gran paraxi stemo
In stretta fossa morti a^ogi eremo,
Ni chiù ninte saremo.
Donca comò i antighi femo noi
Se morti e vivi haveì "voggiemo honoì :
Che son monto meggioì
Per fané honò ri legni dre garie
Ch' a repoise de cangi e pompe e prie.
Versione.
De' nostri antichi ov'è Toner, la gloria,
Che han sottosopra terra e mar gettato,
Perchè hanno il vero onor tutti apprezzato
Quanto noi Tor, la pompa e vanagloria?
Che deve dir mcsser Pagano Doria
Che flagel de' pagani era chiamato?
Che ser Biagio Assereto e Tonorato
Stuol degli antich^degni di memoria?
— 56 —
I quai ci vedon reggie fabbricare
Per farsi poi da corsi e da pirati,
Perchè privi di navi, soperchiare?
Da duchi or vogliam tutti esser trattati
Ma quei che il mondo fecero tremare
In Genova si stavan da privati,
Senza palagi ornati.
Pur se in grandi palagi vivi stiamo,
Morti, in piccola fossa alloggeremo
E più nulla saremo.
Dunque come gli antichi or noi facciamo
Se vivi e morti aver vogliamo onori :
Che sono assai migliori
Per onorarci, le galere e Tarmi
Che il pascersi di cambi e pompe e marmi.
Un altro sonetto che, almeno in parte, potrebbe essere
anche oggi scritto a uso dei Genovesi, e che perciò non occorre
tradurre :
Da (^ittaen no vestimmo ma da conti
Ch'emo cangióu ra toga in pompa e galle
E tutti a ra virtù demmo ré spalle
E a core derrè ai vizi semo pronti.
Ni andà ciù se degnemo su ri ponti
A regeive dre lanne e spaccia balle
Che a noi conven pù fa, che in questa valle
Semo nasciui circonda, dai monti.
Ni vive da Baroin poemo dMntrà
Che ne conven per /orza ese mercanti
Zena moere nostra abandonà.
Ro scosà ne conven tegnì davanti
E a ra butega in fin ne conven sta,
score ri Ponenti e ri Levanti.
Fu il Foglietta grandemente stimato dai concittadini suoi
che lo chiamarono il « poeta genovese» : uno d'essi però, il giu-
rista Spinola, gli indirizzò un sonetto in genovese idioma, in
cui dicevagli che assai maggior gloria procacciato avrebbe a
sé ed alla patria se poetato avesse in toscano. Gli rispose il
Foglietta con un altro sonetto, di cui trascrivo una parte :
A mi me basta che per versi té
Ro poeta zeneixe son chiamaou
Mi son zeneixe e Zenai^o sempre amaou
— 57 —
Però parlo zeneixe, in lengua me,
No in lengua d'atri corno i insprité,
Ni d'atro che dro me vaggo fasciaou.
E se Tuscan parlasse (sìi dighe)
Nobile no parreiva mi Fogetta
Como son steti e son tutti ri me.
Ebbe subito imitatori, primo tra i quali Barnaba Cigala
Gaserò, nobile genovese egli pure « che stampò nel materno
< linguaggio un discorso politico e alcune rime, tra le quali
« è famosa una canzone di metro petrarchesco, piena di cosi
< vive e leggiadre immagini, condotta con tale artifizio, limata
« con tanto d'attenzione, che io non saprei degnamente lodarla ».^
Ecco la canzone, da me poi voltata alla meglio in italiano:
Quando un fresco, soave, doce vento
A ra saxon chiù bella, a ra megió,
Trepà intre fogie sento
E pà cho spire amò,
Me ven in mente quella
No donna za, ma stella.
Quando ro venti xó ghe sta a trepà
Dentri cavelli e ghe ri fa mescià.
Quarche vetta che sento i oxelletti
Como sareiva a di ri rosignó
Canta su i erboretti
Ri vaghi versi so,
L'accorto raxonà
E ro genti parla
Me ven de quella ingrata dentro co,
Ch'é atro che senti ro rosignó
Quando mi vego quarche prao sciorio
Gianco, giano, incarnato e porcelletta,
Coverto e ben vestio
De verde e fresca herbetta.
In cangio d'alegrame
Chiù sento apassioname
D'una sciò strannia chi no ha proprie fogio,
Ma re cangia secondo re so vogie.
Quando mi vego quarche bosco grande
D'ormori, de supressi, erexi e pin,
Co i erbori dre giande
Re sorbe e i ermorin,
» Spotorno, op. cit., voi. IV.
— 58 —
A ro me co me pà
De poeìro asomegià:
Che ro me co' un bosco si s'è feto
Tante re frecchìe son che amò gh'a treto
E quando vego quarche egua corrente
Luxì comò un crestallo puro e fin
Che chi ghe pone mente
In fondo ve ra gera,
E dentro sì ghe brilla
Ro pescio con Tanghilla,
A ro so mormora piaxeive e lento
Che amò no fa giustizia me lamento.
Quando ro ma é grosso, e scorrosaou
Contra ri scoggi ri maroxi o batte,
E de longo é alteraou
Fin che con lo o combatte.
Così se rè astrià
Quella Nerona pà,
E mi ri scoggi fermi e pazienti
A ri torti, a i ingiurie, a ri tormenti.
Quando mi penso che ra Tramontana
E' ghia de chi va pe ra marina,
E sempre ra Diana
Inanzi dì camina,
me soven lantora
Che in strannia forma ogn'hora
Una atra stella, ma chiù asse luxente.
Ghia corno a vò ra me vita dolente.
Quando ro mondo è scuro e tenebroso,
E ro ce s'arve e se ve fora insf
Un lampo luminoso
Che i ere fk luxi,
E ro gran lumme so
L'ogio aspeità no pò,
Me pà ro lampo chi fa strangosciame
Se a quella Tigre piaxe d'aguardame.
Quando in tempo seren Peclipse fa
Con maravegia aguarda ognun la sii
Ni ro gran lumme za
Ven comò prima chiù;
Cosi quella crudera
Se a crove ra so chiera
Con un chiumaso o velo delicaou
A pà ro gran pianeta ineclipsaou.
Quando si bello e così vago apà
L'erco celeste de coroi listaou
Quello coasso pà
— 59 —
Chi m'ha ro co ligaou,
E se ro so compà
De nuvere acerchiaou
me p& veira lé descavegià
Con ro capello ch^a se sta a scìugà.
Quando ro s6 ra seira se ne va
E ro giorno con seigo se ne porta,
Notte asse presto fa
E ogni coro s'amorta,
Se ro me so va in ca
Como Ve dentra porta
Tutta ra terra, nonché ra contrà,
Un^afTorozo Limbo sì me pò,
Quando a ra sté vego ra Luna in ere
Chi pà ch^a no se move, e fa camin,
E de coro son i ere
D'azuro oltramarin,
In co me ven quelFuna
Chiù bella asse dra Luna
Se depoi cena a se ne sta assetta
In villa a ro barcon de caminÀ.
Quando a ra notte un spazio pa ro ce
Tutto depento e recamaou de stelle
Me pà de ver derré
Vei quelle tresse belle:
Che ri frexetti so
Re sciof, ri pointeró,
Stelle devennen dro sidereo coro
Como han tocaou quelli cavelli d'oro.
E quando vego pò ro so levaou
Chi sciuga ra rozà ch'è in su Therbetta,
Ro ce netto e spassaou
Senza una nuveretta,
Ra chiera vei me pa
De quella dexirà
Chi esce de casa insemme con so moere,
E fa luxì ro ma, ra terra, e i ere.
In concruxon, quando mi vego o sento
Fiume, erco, eclipse, oxelli, bosco, praou,
So, Luna, stelle, vento,
E lampi e ma astriaou,
Ro polo e Toriente,
Ro mezzodì e ponente,
E ogni atra cosa bella in terra e in ce,
Me pà che Thagie dentro i ogi lé.
Ma se vego lé mesma, che me péti
Cosa é de mi quando ra vego lé!
— 60 -
N'ho chiù che dexirà,
E d'esse me pà in ce,
Si me sento cangia
E trasformarne in le,
Onde me tocco a vei se mi son mi,
pu quarch'atro chi m'aspete li.
versi me cho za bagnaou de chiento
E pò co ri sospiri v'ho sciugaou
Quanto martello sento,
E s'ho ro co infrecchiaou,
Ognun chi ve veirà
Da voi rintenderà,
Però ve n'anderei davanti a quella
Figgia d'ogni atra chiù crudele e bella
Si ghe direi : che se ben n'ho speranza
D'otegni moé da le nissun favo,
E in pari soe d'usanza
E ma inchietaou Tamó,
Mi pù Fhonoro e Tamo
E sempre moé la bramo :
Che virtuoso e santo é ro me fin
E ro ben che ghe vogio si é dro fin.
Versione.
Quando un fresco, soave e dolce vento
Alla stagion più bella, alla migliore.
Scherzar tra i rami sento
Che par che spiri amore,
Mi viene in mente quella
Non donna già, ma stella.
Allorché il venticello va a scherzare
Ne' suoi capelli e li fa sventolare.
Se alcuna volta ascolto gli augelletti
E l'usignuol tra essi il più canoro
Cantar su gli alberetti
I vaghi versi loro.
L'accorto ragionare
Ed il gentil parlare.
Ben più gradito all'alma innamorata.
Tosto in mente mi vien di quell'ingrata.
Allorché vedo un bel prato fiorito
Di gigli, margherite, e violette.
Coperto e ben vestito
Di verdi e fresche erbette.
In vece d'allegrarmi
Più sento appassionarmi
— 61 —
Per uno strano fior che ha proprie foglie,
Ma le cambia secondo le sue voglie.
Se di veder m'accade un bosco grande
Pien d'olmi, di cipressi, elici e pini
D'alberi delle ghiande
Sorbi e corbezzolini.
Al mio core mi pare
Poterlo assomigliare:
Che un bosco invero il core mio s'è fatto.
Tante le freccie son che Amor gli ha tratto.
E quando vedo qualche acqua corrente
Come cristallo lucere serena,
Che chi le pone mente
Scorge al fondo la rena,
E che in seno le brilla
Il pesce con l'anguilla,*
Ne odo il mormorio soave e lento
E che Amor non è giusto io mi lamento.
Allorché grosso è il mare, e scorrucciato
Contro gli scogli co' marosi batte.
Ed è sempre adirato
Finché con lor combatte,
Tal è nell'ira fiera
Quella Nerona altera.
Ed io, come gli scogli pazienti,
Soflro i torti, le ingiurie ed i tormenti.
Penso talora che la Tramontana
É guida di chi va per la marina.
Che sempre la Diana
Innanzi al dì cammina,
E mi ricordo allora
Che in strana forma ognora
Un'altra stella, ma più assai lucente.
Come vuol, guida mia vita dolente.
Allorché il mondo è scuro e tenebroso
E s'aprono le nubi e ne vien fuora
Un lampo luminoso
Che par novella aurora
Si che al bagliore strano
Non regge rocchio umano,
Sembrami il lampo che fa trangosciarmi
Se a quella tigre piace di guardarmi.
Quando in tempo seren l'eclisse fa
E ognun con maraviglia guarda in su
Ed il gran lume già
In ciel non vede più,
Tal la mia donna fiera
— 62 —
Se si copre la ciera
Con un ventaglio o velo delicato
Il gran pianeta par quando è eclissato.
Quando s\ bello e così vago appare
L'arco celeste tutto screziato
Quella treccia mi pare
Che il mio core ha legato,
E se il sole compare
Di nubi circondato
10 vedo lei che attende scapigliata
Che le fresche aure l'abbiano asciugata.
Quando il sole alla sera se ne va
Ed il giorno con seco se ne porta,
Notte assai presto fa
E ogni color s'ammorta:
Se il mio sole va in ca'
Com'è dentro alla porta,
Tutta la strada, anzi tutta la terra.
Una tenebra cupa allor rinserra.
Quando d'estate vedo in ciel la luna
Che par che non si mova, e fa cammino
Lungo la vòlta bruna
D'azzurro oltremarino.
Mi rammento quell'una
Più bella della luna.
Se dopo cena sta solinga e muta
Della sua villa sul veron seduta.
Quando uno specchio par di nott« il cielo
Tutto dipinto di fulgenti stelle,
Sembrami senza velo
Veder le trecce belle
Di cui gli spilli, i fiori, .
I nastri a bei colori,
Divenuer stelle del sidereo coro
Poi che toccare que' capelli d'oro.
E quando poi vedo il sole levato
Che la rugiada asciuga su Terbetta,
E il cielo screnato
Senza una nuvoletta,
11 vago aspetto io miro
Di lei ch'è mio sospiro
Ch'esce di casa con la madre, e pare.
Illuminar l'aria, la terra, il mare.
In somma, allorché vedo, allorché sento
Fiume, arco, eclisse, uccelli, bjsco, prato,
Sol, luna, stelle, vento,
E lampi e mare irato.
— 63 —
Il polo e roriente,
Il mezzodì e il ponente,
Quaggiù in terra e lassù nel firmamento
Sempre lei, solo lei, io vedo e sento.
Ma se lei stessa vedo, oh che mi pare!
Che avvien di me quando lei stessa miro!
Non ho più che bramare,
D'essere in ciel deliro,
Sì mi sento mutare
Ed in lei trasformare:
Talché dubbioso infin delFesser mio,
Mi tocco per saper se io son io.
versi miei che già bagnai di pianto
E poi con li sospiri v'ho asciugato,
Qual provo acerbo schianto
E se il core ho spezzato
Ognun che vi vedrà
Da voi l'intenderà:
Però ne andrete voi dinanzi a quella
Donna d'ogni altra più crudele e bella,
Per dirle che sebben non ho speranza
D'ottener mai da lei nessun favore,
E 30 che per usanza
Dalle sue pari è mal accetto amore.
Pur io l'onoro e l'amo
E sempre mai la bramo,
E che il mio fine è virtuoso e santo
Ed il ben che le voglio è tanto, tanto.
Merita la canzone del Cigala il caldo elogio fattone dallo
Spotorno? Certo che le similitudini son ripetute troppo, che
alcune sono un po' strane ed altre sentono l'infesto spirito del
seicento: ma la canzone va giudicata, più che dalla sostanza,
dalla forma sua genovese, che è elegantissima. Dimostrò il
Cigala che l'idioma genovese era atto ad esprimere in forma
veramente poetica nobili e delicati sensi: né alla sua squisitezza
di forma (che pur si trova nell'altra poesia di lui Resto dliaveive
visto àbarlugaou inserita nella Raccolta del 1612) pervennero
il Foglietta stesso e il Cavalli. Vero è ch^ il genovese del Cigala
non è, ne poteva essere, il genovese popolare: pure egli usò po-
chissime parole toscane, come: spire amò, vaghi versi, ecc.,
ed anche di queste potuto avrebbe, volendolo, far a meno. ^
* Del resto cosa naturale in lui che avea, nella sua gioventù, poetato
lodevolmente anche in toscano.
— 64 —
Non molto dopo il Foglietta e il Cigala, poetarono in ge-
novese Cristoforo Zabata, ^ Lorenzo Questa, Benedetto Schenone
ed altri, * ma poco felicemente.
Tentò più nobile arringo Vincenzo Dartona, che non con-
tento di avere scritto alcune poesie genovesi non ispregevoli,
osò voltare nel patrio idioma il primo canto deìVOt^lando Fu-
rioso:^ voltare, s'intende, a modo suo, vale a dire con larga
parafrasi e riducendolo spesso quasi in bernesco, e basterà ci-
tare una sola ottava, quella che traduce Tariostesca notissima :
« gran bontà dei cavalieri antiqui ».
che gran caritè de i homi antighi
Che lonzi mille migia eran nassui
E dri corpi che deto da inemighi
S'havean zu tra de lo, pesti e battui
Aura ne van corno dui cari amighi
O dui frati, o dui previ, o dui battui,
Tanto ch'arrivan con ro cavalletto
Come a di su ra croxe de Canetto.
Pure il Dartona potuto avrebbe tenere altro modo, e para-
frasando evitare almeno le scurrilità che son vere profanazioni,
e lo provano alcune sue ottave tra le quali queste :
peni-amento che ti sé ben quanto,
Dixeiva, truamente ti m'ammazzi
Che donie fa puoe che son steto tanto
Perch' atri teiso m' ha ben cento lazzi ?
D'un sguardo a maresperme mi me vanto
Quarch'atro n'ha tutti ri so sorazzi
Se a mi no me ne ven frutto, né sciò,
Perché ho a pati per le tanto dorò?
Una ruexa «emeggia ra donzella
Chi sea dentr'un giardin su ra so ramma
Che mentre a sta cosi fresca e novella
Ni garson ni fantesca ra deramma,
L'aora con ra roxa ra menten bella
E fan s\ che caschun V ha cara e bramma,
E tutte re personne innamorè
D' haveila in sen patissan gran couè.
* Una delle sue poesie porta la data del 15 ottobre 1587.
' Alcune loro rime trovansi nella Raccolta g-ià citata.
3 Trovasi nella Raccolta del 1612.
1^ .^^ « ai. ak-KvJ
— 65 —
Ma di questa versione del Partona riparlerò tra poco.
Giuliano Rossi, da Sestri Ponente, scrisse, sotto il pseu-
donimo di Todaro Conchetta, molte poesie ^ in un genovese che
sente un po' la Riviera, tra la fine del secolo xvi e il prin-
cipio del XVII. ^ Facilità ed armonia di verso, ma non altro :
del resto egli si giudicò da se stesso, forse troppo severamente,
col seguente sonetto:
Me dechiero, son schietto, e si no adullo :
Mi no scrivo toscan per no savei
Ne che tampoco sé pueta ve crei
Che n'intendo Virgilio ni Catullo.
Ma scrivo a ra zeneize per trastullo
E ben spesso per raggia come veì
Fazzo in un' bora dui sonetti e treì
E n' ho in trei meisi impio quasi un baullo.
Che mi ri buetto là cosi de ti està,
E così a vista d'oeggio te ri taggio.
Che n ho cervello andà per fleste in chiesta.
Questo ve diggo ben che no rettaggio :
Dro resto so che no haveran requesta,
Ma non ne paghereiva un spigo d'aggio.
Intorno al tempo medesimo indicato disopra, poetò in ge-
novese Leonardo Levante, alcune rime del quale furono pubbli-
cate, e Antoniotto Sauli e Giovanni da Varese, le cui opere
restarono inedite, secondo che nota il Soprani ^ che le vide in
biblioteche private.
A questo punto parmi opportuno di considerare alquanto la
lingua usata nelle loro poesie dal Foglietta, dal Cìgala e dagli
altri che mentovai. Giova premettere che la stampa che ne fu
fatta nel 1583, 1595 e 1612, è cosi piena d'errori, in ispecie
^'ultima, che ne rende l'esame molto difficile.
Incertissima l'ortografia : pure il Cristoforo Zabata, del
quale parlai disopra, pubblicando nel 1595 in Pavia, « senza
alcuna saputa dell'autore > le poesie del Foglietta, cosi scriveva
nella dedica del libro al patrizio Agostino Durazzo : « tra quelle
< lingue che ricevono in loro qualche iraperfettione per la quale
^ Ne furono stampate parecchie nella Raccolta del 1612: le altre tro-
vansì manoscritte nella biblioteca dell'Università di Genova
* Una delle sue poesie porta la data del 13 agosto 1611.
' Oli scrittori liguri di Raffaele Soprani.
5
— 66 —
« non può rhuorao esprimere interamente il suo concetto, mi
« pare che si debba con molta ragione la Genovese annoverare,
« essendo essa talmente diflScile nella pronuntia, per manca-
le mento di alquante lettere all' intelligenza di quella noces-
te sarie, ^ che gli stessi cittadini non possono, senza molta con-
« sideratione, leggerla compiutamente. Ma se di ciò poco debito
« a Carmenta dobbiamo bavere, tanto maggiormente havemo
< d'essere ubligati al signor Paolo Foglietta il quale con la sua
<c propria industria ha ridotto in tal maniera facile questa fa-
« velia che Thuomo ne può debita sodisfattione bavere, come
« dai versi suoi chiaramente si vede, ecc. ».
Fu dunque il Foglietta che riformò l'ortografia genovese
COSI da rendere intelligibile la scrittura della patria favella.
Ma, sia che egli fosse ancora incerto del modo di scrivere i
dittonghi eu ed ou, sia che (fatto più verosimile) neir edi-
zione da lui non curata, siano occorsi, anco nella riproduzione
di que' dittonghi, errori di stampa, noi vediamo, nelle sole due
poesie del Foglietta su riportate, il dittongo eu scritto ora uo
(scuoggio), ora uoe ^ (cuo exera) e il dittongo ou scritto ao
(buttao, apprexao, ecc.). Altrove però trovasi scritto aou
(chiamaou, amaou, ecc.) che tanto più s'avvicina alla retta
pronunzia di questo dittongo. Il Cigala poi, nella sua canzone,
scrive V eu semplicemente ò (ventixó, rosignó, ecc ), però
V ou scrive sempre aou (scorrosaou, altera ou, ecc.).
Il dittongo eu apparisce scritto correttamente, per la prima
volta, nella Gerusalemme tradotta in genovese, di cui parlerò
in breve: ma Voti vi è scritto ancora aou (araortaou, ba-
gnaou, ecc.).
E dovuta però al Foglietta la diffusione, se non l'intro-
duzione, dell'uso di scrivere chiù per ciù, chiento per
cièiìtu, chiaga perciaga, ecc., modo venuto dall' influenza
della lingua spagnuola allora assai nota a Genova, influenza
che vedesi chiaramente in altre parole usate dagli scrittori
* Non è che mancassero le lettere, è che non si sapevano adoperare : de
resto, l'ortogrratta della lingrua francese non si trovava allora in mig-liori con-
dizioni.
* Anche il francese {antico rappresentava il suono pu non con eu, ma
con ne: bues = bcEufs, puet = peut, ues = (eufs, ecc. « Rien de plus
vag-ue - scrive il Rivet - de plus indt^terminé, que la prononciation de u, eu,
Of ou, au moyen-Sg'e, et encore au xv siècle ».
- 67 —
genovesi fino al secolo xviii, corno per come, agno per anno,
meigo e seigo per meco e seco, ecc., oltre alle molte voci
che il genovese ebbe ed ha tuttavia comuni con lo spagnuolo,
delle quali dirò in appresso.
Quanto alla lingua, il Foglietta e gli altri dicono ancora
De per Dio, strè per strado, tenti per tanti, ^ monto per
molto, e più altre parole delle quali produrrò più sotto un
elenco : sentono, più vivamente che oggi non senta il genovese
idioma, l'affinità col francese, dicendo :
Genovese
Accogiando
Afforozo
Aggiando
Cianzando
Coraado
Deliverà
De pento
Dexirà
Donea
Ere
Maraggia
Mignottore
Moé
Pointo
Francese
Italiano
Accueillant
Aecogliendo
Afaros (frane
. ant.)
Spaventoso
Ayant
Pleurant
Avendo
Piangendo
Courant
Correndo
Délivrée
Liberata
Dépeint
Dipinto
Désirée
Desiderata
Donc
Dunque
Air
Aria
Maraude
Ruberia
Mi^nardise
Moine
Mais (frane.
ant.)
Più
Point
Punto
e posponendo sempre i pronomi al verbo, nelle frasi interro-
gative: direivo, fareivo, seivo, vorei vo, aveio, faeo,
peutto, veutto, ciamelo, ecc.
Nessuno studio, almeno insino alla metà del secolo xvn,
di avvicinarsi al toscano, che tuttavia, per mezzo degli scrittori,
cominciava ad esercitare qualche influenza sul parlar geno-
vese: di che arrabbiava il Foglietta, cantando:
Ri eostumi e re lengue hemo cangie
Puoe (pèu) ehe re toghe chiù n'usemo ehie
Che galere dighemo a re garie
E fradelli dighemo ai nostri fré.
E scarpe ancon dighemo a ri cazé
E insalatinna a V insisamme assie :
Si che un vegio zeneize come mie
Questi tuschen no intende azeneizè.
* Vivo ancora tra i montanari.
E più feroce il Rossi:
Vui che di vengo a viegno, e lioggi a ancuoe,
Ch'oggi ve viegna un cancaro intro cuoe!
Aspieterei da puoe
Che ve deggian stima ri forestié
Se vai ve de dra zappa su ri pie:
Prove in nome de Die
A beive intri Bezagni e intre Ponseivere
E lasse un poco andà TArno e ro Tei vere.
I quali versi ho citati perchè possono servire per la storia
d' Italia.
Ma, per quanto abborrissero dal toscano, i poeti genovesi
che pur erano uomini còlti, e studiato avevano sopra libri to-
scani, non potevano qualche volta, per necessità di verso o di
rima, fare a meno di qualche voce toscana : il Foglietta stesso
ne ammette alcune: il Dartona acconcia alla genovese assai voci
e modi toscani : solo il Rossi se ne guarda come dalla peste.
Tratterò adesso della famosa « parlata con Ven*e > propria
dei nobili e dei letterati genovesi, i quali amavano di distin-
guersi dalla plebe eziandio nel linguaggio : ondo questa omet-
tendo sempre la consonante intermedia, essi la pronunziavano :
dicendo parolla invece di paola, ora invece di aoa, ecc.;
più, mentre la plebe diceva a, e, /, w, per Za, le, li e il essi
pronunziavano questi articoli con la r, dicendo : ra, re, n, ro.
Quale Torigine di questo modo di favellare e di scrivere?
Io trovai che anche oggidì i Guasconi dicono ra per la (art.)
pi. ras per le, elidendo il ra innanzi alle voci cominciate
con a: r' audou, l'odore ; quando poi ra è preceduto da una
preposizione, sopprimono la r, e la diviene suflSsso: en a: nella,
alla, su la; en a porto, alla porta; en as bilos, nelle città;
per OS parets, sulle mura : e n a, en as, per as , sono usate
per: nella, nelle, per le. Ho trovato inoltre che in più luoghi
del Piemonte (Astigiano, Mondovi, Monferrato) dicesi ancora:
ra per la, ro per lo. Sarebbe quivi, come in Guascogna, e
come fu anticamente a Genova, retaggio iberico? Giova però
notare che nelle scritture genovesi fino al secolo xv trovansi
usati gli articoli provenzali e francesi la, le, li, lo: solo nella
nota lettera dell'ammiraglio Assereto è adoperato l'articolo lo
e ro indifferentemente.
— 69 —
E poi noto come e quando fini la pronunzia con Verve : fu
la Rivoluzione francese che la portò via.
Altre difi'erenze vi erano tra il linguaggio aristocratico ed
il plebeo: per esempio la pronunzia della doppia n, come mat-
tina, piccina, che i nobili pronunziavano mattin-na,
piccin-na, con una pausa brevissima tra le due n, e i plebei
matin-a, piccin-a, elidendo una delle due n, e facendo una
breve pausa prima di pronunziar Va finale.
Ora, dopo d'aver ricordato Giovanni Battista Monti da Spezia,
morto nel 1615, che dettò in toscano ed in genovese, poesie
nelle quali, a detta del Giustiniani, ^ si mostrò « concettoso,
arguto e gratioso > ma che io non potei conoscere, verrò, senza
più, al massimo dei poeti liguri, a colui che fu detto il Petrarca
genovese, Giovanni Giacomo Cavalli (che veramente si chiamava
Cavallo) il quale scrisse dal 1600 al 1650 molte poesie che fu-
rono pubblicate col titolo di Qittara^ Zeneize: divulgate subito
per tutta la Liguria e ristampate più volte, queste poesie, per
la maggior parte di argomento amoroso, sono cosi belle che è
deplorevole per la fama del Cavalli che non le abbia scritte
in lingua italiana. Vero è che sarebbero state necessarie tutte
le grazie del parlar fiorentino per vestir cosi bene, come le vesti
il genovese, i concetti originali e naturalissimi del Cavalli. Fa-
cilità di verso e di rima metastasiana, V espressione degli af-
fetti sempre vera e gentile, nessuna ricercatezza, sino a tenersi
pressoché interamente mondo dai vizi della letteratura del suo
secolo, 3 ecco i pregi che fecero del Cavalli uno dei migliori
poeti italiani. Di lui cosi scrisse il Chiabrcra : « se la favella è
« opera propria dell'uomo, il Cavalli con onorare V idioma geno-
«vese ha fatto onore alla sua patria in cosa onde gli abitatori
« delle nostre Riviere non rimanevano senza vergogna adoperan-
« dola malamente. Per certo, il ciò fare è stata nuova e strana
« vaghezza, ma la Liguria produce uomini trovatori, e trovatori
«di cose non immaginate e appena credute da altri». Dalle
* Oli scrittori liguri descritti dall'ab. Michkle Giustinlvni, Roma, Ti
nassi, 16G1.
' Intendasi, non chitarra, ma cetera, cetra.
* Non vi cadde che rare volte, per esempio là dove dice:
Quando ammorta ro s<) ra so oandeira
Sotta ro moccalumme do ponente.
' — 70 —
quali ultime parole appare come il valente lirico savonese non
conosceva il Foglietta, il Cigala e gli altri che prima del Ca-
valli poetato avevano in genovese.
11 celebre P. Cova, non genovese, soleva dire piacergli tanto
la canzone del Cavalli Ballin ambasciou di pescoei (della quale
recherò un saggio) che l'anteponeva al panegirico di Plinio a
Traiano, e il dottissimo P. Lagomarsini, professore di rettorica
a Firenze, in una sua orazione nell'apertura degli studi nM 1736,
stampata più volte, cosi favellò del Cavalli : « Quis sermo magis
« quam Ligurum Etruscis quidem auribus inconditus atqueabso-
« nus habetur ? Eum tamen Paulus Folieta vario scriptorum ge-
*< nere mirifice exornavit. Cavallus vero, ex eadem gente, homo
« ingenii felicissimi, atque ad omnia, quod de Catone dictura
•< adcepimus, versatilis, ad eam pulchritudinem ac venustatem
« patriam linguam suis scriptis evexit, ut illa (fidenter dicana)
< possit, tali scriptore freta, cum quavis ex elegantissimis de di-
« gnitate certare ».
In patria, lo dissi già, il Cavalli fu lodatissimo : si hanno
sonetti de' migliori poeti genovesi a lui coetanei che lo levano
a cielo ; un di loro, Luca Assarino, così finiva un sonetto de-
dicato ad esso Cavalli :
In concruxion, mi ve ra diggo scetta
Ognun ten che Ballin agge venguo
Ro Levante, ro Monti, e ro Foggetta.
Ma il modesto Cavalli gli rispose con altro sonetto termi-
nato cosi :
Per cortexia, spranghemera chi scetta :
Dunque poei ere ch'agge Ballin venguo
Ni manco per pensiero ro Foggetta?
Il Cavalli fu il solo dei poeti genovesi non dimenticato
da' concittadini suoi : della Qiltara zeneize si fecero più edi-
zioni (ne conosco cinque) ma in tutte è incerta ed oscura l'or-
tografia : solo in quella del 1823, un « dilettante genovese », forse
il Pagano, la corresse secondo le regole ortografiche da lui me-
desimo stabilite, poco diverse da quelle oggi in uso. Con tutto
ciò la QiUara zeneize è libro raro e pochissimi la conoscono:
ond' io stimo di fare cosa grata ai lettori riportando qui alcune
— 71 —
delle più belle poesie del Cavalli, scelte in modo che diano
saggio dello stile da lui usato secondo i vari argomenti, alcune
delle quali io m' ingegnai di voltare alla meglio in versi ita-
liani, conservando più che fosse possibile, oltre al metro, le
rime e le parole stesse del testo : e ciò per uso dei non geno-
vesi. Ecco per primo un sonetto in cui il poeta intima alla sua
bella d'amarlo, sotto pena di peccato mortale :
Anima msB voi fae cointo che cante,
Ve mettei ra pietas sotto ri psB :
Me resorvo a fii ci era da brocche *
Gomme vo! fae oregge da mercante.
Diggo in voxe caerissima e lampante
Che cangae verso per amor de De,
Che se no voi sei persa a parei me,
Minetta : no ve paere stravagante.
Comme voreivo in somma che p'iaxe
Una tanta superbia a ro Segnò
Se ro Segnò re mesmo è tutto paxe?
Minetta, temperae tanto rigò:
No veì quanto ro ^é se compi axe
Quando re creature s' han amò ?
Versione.
Voi fate conto, anima mia, chMo cante
La pietà vi mettete sotto i pie :
Io farò r insolente, dappoiché
Voi fate sempre orecchi da mercante.
Dirò con voce chiara e ben sonante :
Mutate modi alfin verso di me,
Se no, siete perduta per mia fé,
Minetta, né vi paia stravagante.
O non vedete voi quanto dispiace
Tanta superbia a Dio nostro Signore
Che è tutto bontade e tutto pace?
Via, Minetta, un po' meno di rigore :
Vedete quanto il cielo si compiace
Quando le creature si hanno amore.
' Faccia tosta ; « brocche » dal francese « boucliers », mascheroni lavo-
rati il rilievo su grli antichi scudi.
— 72 —
Vien seconda la canzone: Alla lucciola che, con qualche
variante, pur si presta alla traduzione:
Cserabella
Luxemetta
Lanternetta
Stella piccena * ma bella
Chi te ghia ? «
Fantasia
De passa cosi TumO?
ciù tosto ro tò amò?
Quello raggio
De 1 umetto
Così netto
Mìo lumme da viaggio?
giojello
Per anello?
.^la pria da ligà?
iElo feùgo, pu ro pA?-
Se Tè ff^go,
Bordellin-na,
no strin-na?
Comme fasto a trova leùgo?
Ti verezzi, ^
Ti gallezzi,
Ti te poaeri d'esse in ce
Con r inferno de derré.
Bella sorte!
Bia* tie!
Così mie!
Mi, che amò me da ra morte
Mi, che un forno
Neùtte e giorno
In mas vitta ho da pati.
Ni ne spero mai d'use!
Figatella,
Ferma, aspissa ^
A ra tò ra mai faxella
Perchè a luxe
Ma a no bruxe
A ra crua chi ha tanta sae
Do me ma, e no ro crae ^'
* Piccola.
« Guida.
* Veleggi.
* Beata.
^ Accendi.
« Crede.
— 73 —
Versione.
Luccioletta
Lucernetta
Lanternina
Bella stella piccolina
Chi t'invia?
Fantasia
Di passare il mal umore,
O piuttosto egli è Tarnore?
Che quel raggio
Di lumino,
Così fino
Fosse lume da viaggio?
gioiello
Per anello ?
O è gemma da legare?
Proprio è fuoco, oppur lo pare?
S'egli è fuoco
Furbncchiotta
Non ti scotta?
Come fai a trovar loco?
Tu veleggi,
Tu galleggi,
Ed in ciel beata se*
Con r inferno dietro a te.
Bella sorte!
Te felice!
Dir così di me non lice
Cui amor conduce a morte,
Che in un forno
Notte e giorno
Pone atroci ho da patir,
Nò da esso spero uscir.
Bricconcolla
Deh m'attèndi
Ed accendi
Alla tua la mia facella
Perchè splenda
E non incenda
Quella donna a me fatai
Che gioisce del mio mal.
Ed ecco qui la più bella delle canzoni del Cavalli, che non
mi perito a chiamar degna d'Anacreonte, ma che a me fu im-
— 74 —
possibile di voltare in versi italiani senza alterare profonda-
mente la perfetta e graziosissima forma dell'originale :
Rossigneu che a son de centif
De lamenti,
Ti pertuzi ra boscaggia,
Che gran raggia
Che gran spin-na
Te pertuza e t'assassin-na?
yfilo amò che per bonombra *
Forsi all'ombra
Se trattegne sotto Tara *
Ra to cara?
O martello
Ch'a te dagghe d'atro oxello?
Se rè questo ro to sdegno,
Semmo a segno,
No te manca compagnia:
Giroxia,
Comme tie,
M'assassin-na mi assie.
Femmo dunque a ra foresta
Do ma festa:
Tra ri treppi d'este ramme
Ognun ciamme
Ra so Bella,
Ra battezzo per rebella.
E se a caxo a no responde.
Se a s'asconde,
Oarreghemone ri panni
Con maranni:
Se a se meùve,
Ti ni mi no se descreùve.
E se missa all'acgimento
Quarche cento
Ghe notassimo o sospiro,
Femmo un tiro:
Demmo un crio,
Con pagara d'un addio ^
' Bonomia.
« Ala.
* Facciamone una: mandiamo un grido e poi piantiamola dicendole
addio.
— 75 —
Ancora due madrigaletti del Cavalli, dei quali il primo non
lio potuto tradurre, il secondo tradussi alla meno peggio:
I.
Quando pe ro boschetto
Sciù ro cara * de Fora
Ra me bella Lichin-na se demora,
S'allegra ogni erboretto,
Ro busco per non ponzeghe ri pè
S'arrosa e glie fa netto ro sente,
Re scioì za passe, e rente a fa ra barba,
Fan festa e se cren tutte ch'a sse Tarba:
Che lumme è questo ? dixan tra de 16,
Torna foscia ro so?
IL
Ra me bella Maxinna
Quando por passatempo a me martella
Dixe che m'assumeggio a una patella:
Mi che ra veggo rie cosi sott'oùggio
E ti, respondo, a un schtMÌggio,
Ma da lo troppo desferensiae :
Noi dezunii e 16 sempre accoste.
Versione.
La mia bella Masina
Quando per passatempo mi martella
Dice che rassomiglio a una patella:
Io che pungerla voglio
Rispondo: e tu a uno scoglio:
Ma quanto differenti da lor siamo !
Sempre essi uniti, e noi divisi stiamo.
Una volta sola il Cavalli, lasciato il suo stile solito e i
suoi metri favoriti, volle comporre una canzone alla Petrar-
chesca con forma conveniente all'argomento nobile e grave: la
incoronazione del doge Centurione. E intitolata Ballin (l'eroe
delle rime marinaresche del Cavalli) ambasdoù di pescoeì
(ambasciator dei pescatori) ne recherò le prime due strofe:
Da questi scoùggi e care ^ ciù vexinne
Onde spesso re aegue contrafaete
In campagna de Isete
Poffiran ciappe de spegio cristallinne,
' Calare.
* Cale.
— 76 —
Ond'aorn apointo p&
Àddormio comme in letto in ma ro ma,
Se non se tanto o quanto ra so paxe
Desturba languozetto
Quarche maroxelletto
Chi pà che in-namoroù Terbetta baxe,
Tiroù da tanta luxe
Serenissimo Duxe
Che aora de ni^vo spande ra cittae
Vegno e m'inchin-no a tanta maestà.
Chi me sae ve ro dixe per menùo
Quest'abito, esto pescio, esto cestin:
Ro me nomme è Ballin
Pescoù per quarche famma conosciùo,
Ballin matto atretanto
Da fuscina o da rae, comme do canto,
Ro fin perchè a ri pé ve vegno a cazze
E' a fave donativo
D'esto pescio ancon vivo,
A nomme di pescoei de nostre ciazze:
O ci il tosto per segno
De tributo e per pegno
Do nostro bon affetto, a presentave
Con questo don dri nostri coù ra ciave.
Si saranno avveduti i lettori come il Cavalli, al par dei
predecessori suoi sul parnaso genovese, talvolta toscaneggi : pure
anch'egli l'aveva a morte col toscano che veniva a poco a poco
a corrompere la dolce lingua genovese, e cantò :
Qento poajra de ben tutti azzovae
No doggeran ra lengua a un foreste
Chi digghe in bon zeneize Bertomó.
Amò, me coìì, bioìì, parolle tie.
Questa è particola feiigitae,
A ri zeneixi dieta da ro Ce
•à
D'avei parolle in bocca con Tamé,
De proferire tutte insuccarre.
Ma ri Tuschen, meschin, chi son marotti,
E che ro ce da bocca han bell'amaro
Ne han noi per mezelengue e per barl)otti.
Vorrae che me dixessan se un : frce caro,
Senza staghe a messcià tanti ciarbotti
Va per cento fratelli e sta do paro.
— 77 —
Versione.
Cento paia di buoi tutte aggiogate
Non farebbero si che un forestier
Dica in buon genovese : Bertomé,
Amò, ine ceìi, e simili parlate.
Questa è particolar felicitate
Che ai Genovesi ha conceduto il ciel
D'aver parole in bocca con il miei
E profferirle tutte inzuccherate.
Ma i Toscani che sono un po' malati,
Poveretti, e il palato han molto amaro,
Tengono noi per balbi e scilinguati.
Vorrei che mi dicesser se un: frce caro.
Lasciando star le chiacchiere e gli ornati,
Non vai cento fratelli e sta del paro.
Non tacque, dopo il Cavalli, la musa genovese: nulla però
produsse di ricordevole tra la seconda metà del secolo xvii e
i primi anni del xviii. Il Neri, ne' suoi Sludi bibliogra/lci e
ie^^eran* ^ riporta una lettera del P. Angelico Aprosio da Venti-
miglia, letterato che scrisse verso la metà del secolo xvii, la quale
tratta d*un gareggiamento d'alcuni poeti in vari linguaggi d' I-
talia, e riproduce tra gli altri due sonetti genovesi, uno di
Giovanni Battista Morello, Taltro di Antonio Ricciardi. Trascrivo
qui il primo, perchè notevole per la forma poetica, e per la
ben velata malizia, ed anche come documento della lingua geno-
vese del tempo in cui fu dettato :
Mi so che perso havei, Chicchetta, * un guante
E un zoveno si so che Tha trovou,
E per segno Té gianco e taggiuccou
Queiró che Tha trovou vostro galante.
Come fa s'usa de re cose sante
Dentr'a stacca ro ten sempre fasciou
Perchè o dixe che amò Tha consacrou
Con ra virtù dra vostra man galante.
Vuoi ^ che hora Fatro despareggio havei
Perchè o ri posse insemme apparegià
Se havei niente d'amò ghe ro darei,
* Genova. 1890.
» Ciccbotta: continua l'ortografia alla spagnuola.
» Voi.
— 78 —
Se no quello che o Tha ve farei da :
Che se corteixi e boin galanti sei
Ve deveì Tun con Tatro accomoda.
Che un solo poco va *
Ni vuoi ni le dro so se puoe servi,
Ma insemme sì, no se se ra capi.
Ma me porrei si dì
E respondeme in veì da figgia accorta
Che vuoi caxo no fé de pelle morta,
E che poco ve importa
Perde ri guanti pìi che no perdei
Ra muffirà ^ da inverno con ro pei.
La lettera delTAprosio ricorda poi come poeti in vernacolo
genovese: Giustiniani, Borzone, Baldani, Bogliano, Schiaffino,
Levanto, Zoagli, e lo stesso Chiabrera, quest'ultimo, al certo,
per errore: gli altri tutti, eccetto il Levanto, a me ignoti. Ri-
porta infine la lettera tre sonetti in dialetto di Ventimiglia di
Gio. Girolamo Lanteri, non considerabili sotto Taspetto poetico,
né sotto il filologico.
Vengo a Stefano De Franchi, patrizio genovese, il quale
fiorì nella metà del secolo xviii, e scrisse poesie pubblicate col
nome di Chilarrin Zeneize. Procurò d'imitare il Cavalli, qualche
volta non infelicemente: ne adduco in prova il seguente sonetto:
Con ra fronte de roeuze e giasemin
Sciù ro so carro Falba sparegava:
Quando vi Maxinetta int- ro giardin
Che re so tregge bionde a s'accongava.
Me fei avanti e viddi che un stiggin
Con ra eòa delFoeuggio a me guardava,
Amò m'aggeize in sen ro soifranin,
E ra mee libertae ghe restò scoiava.
Ligao a ra cadena le me ten
E me strapagga senza caritae,
Sae giorno o noeutte, nuvero o seren.
Amò, te ro domando per piaetae:
ti fa che sta stria me voeugge ben,
ti tornarne a mette in libertae.
Miglior prova fece il De Franchi nelle canzonette popolari,
tra cui notevoli sono la Lezzendia del famoso combattimento
della nave genovese san Francesco di Paola, capitan Castellini,
« Vale.
* Oggi m uff uà, manicotto.
— 79 —
con cinque sciabecchi e una fregata algerini, ^ Taltra Lezzendia
per il ritorno del mortaio da Portoria alla batteria della Cava
in Carignano, infine: Ri sciaratii che sente Madonna Paris-
soeua scià ra cia^Qa de Pontexello.
Con queste canzonette, iniziò il De Franchi quel genere di
poesia popolare, quasi sempre narrativa, che fu imitata poi dal
Piaggio e da altri moderni, persino nel metro.
Però Topera cui è meglio raccomandata la fama del De
Franchi sono le sue Commedie trasportai da ro franQeise
in lengua zeneize, ^ ma non «trasportate » bensì imitate le più
da quelle del Molière, due da quelle del Regnard, altre da
quelle d'altri francesi. Tramutata la scena dalla Francia a Ge-
nova, accomodata l'azione ai costumi genovesi, adoperati tutti
i modi del parlar famigliare, e talvolta anche dal contadinesco,
il De Franchi ci lasciò con le sue commedie, oltre che un la-
voro pregevolissimo per naturalezza e per brio, il miglior mo-
numento dell'idioma genovese del xviii secolo, il quale (tolta la
pronunzia con Verre) non diversifica dal moderno se non per al-
cune voci pronunzie uscite d'uso, come: depento per dipinto,
f euzza per manèa, fu zzi per scappa, gove per gode, ecc.
Lo stesso De Franchi collaborò con altri ^ alla versione in
lingua genovese della Gerusalemme liberata. ^
Dissi già in qual maniera il Dartona voltato aveva in ge-
novese il primo canto deìV Orlando Furioso: eppur trattavasi
dello stile facile, chiaro, spesso famigliare, dell'Ariosto, dove
che tutti sanno come Torquato sia il poeta della grazia artifi-
ziata, della forma plastica inalterabile; voltar la Gerusalemme
nella povera lingua ligure era, più che diffìcile, impresa teme
raria, divisata, prima d'ogni altro, dallo storico Francesco Maria
* Essendo il De Franchi amico personale del Castellini, come consta da
un sonetto che il poeta indirizzò al capitano, questa « leg^g^enda » ha da es-
sere considerata qual narrazione autentica di quel memorabile combattimento.
Io quando scrissi la mia Storia delle marine militari italiane (Roma, For-
zani e C, 1886) non conosceva la canzonetta del De Franchi, onde non ho
potuto narrare il fatto con le particolarità che essa reca.
* Non conosco la prima edizione divenuta rarissima: mi valgo della
ristampa fattane in Genova dal Pendola nel 1830.
* Ra Gerusalemme deliverà dro sigìior Torquato Tasso traduta da diversi
in lengua zeneize, Genova, Tarilo, 1755.
'* Tradussero: quattro canti il De Franchi, dieci Ambrogio Conti, due
Graetano Gallino, due Paolo Toso, uno Giacomo Guidi, uno G. A Gastaldi.
— 80 —
Viceti ^ il quale lasciò tradotte le prime ventuna ottave del
canto settimo. E ben lo sentirono il De Franchi e i colleghi
suoi, premettendo alla traduzione il seguente sonetto :
Zeneixi, voi che sei leze e pensa
Lezeì chi approeuvo e di vostro pareì,
E se iucontrae sgarroin a treì a treì
Faeghe róso e lasciaeri cammina.
Quando penso a quest^oeuvera stampa
Tremmo tutto e me ven gianco ro pei:
Ma si atre traduzioin se passo a veì
Me commendo ciù tosto a consola.
Ro Dottò, Pantalon, Xanni e Coviello
Ro Tasso han sbarattaoù tutti in buffon,
E son staeti piaxùi da questue quello:
Aoura se a di bon' ombre è bello e ben
Ro Capor& Zeneize Darseniello
starà a vei chi passa a ro barcon?
Ecco dunque la scusa dei traduttori genovesi: che altri
italiani, voltando in lor dialetto il Tasso, l'avevano trasmutato
in buffone ed erano, nondimeno, piaciuti; ond*essi facendo al-
trettanto, speravano eguale accoglienza. La verità è che il De
Franchi e i colleghi suoi, disperando che il genovese serbar
potesse la grave e splendida forma deiroriginale, vollero dare
alla versione loro, non il carattere bernesco, ma una forma
schiettamente popolare, adoperando frasi e proverbi eziandio
del linguaggio plebeo, ed anco là dove sarebbesi agevolmente
potuto farne di meno: valga un esempio. Nell'episodio di Olindo
e Sofronia, Toitava 34*
Altre fiamme, altri nodi Amor promise
e la 35*
Ed oh mia morte avventurosa appieno
sono tradotte, seriamente e bene, così:
Atre sciamme ha promisso amò furfante.
Atre aoura n' appareggia ingrata sciorte :
Quello ha vossuo che sàe ro to galante,
E questa voeu sposane con ra morte.
Za che tant'è voeuggio essite costante
De l'urtimo confin fin sciù re porte,
Me despiaxe de ti: ma consolaoù
Morirò, perchè moeuro a ro to laoù.
* Scrisse nella seconda metà del secolo xvii.
— 81 —
Oh morte, oh morte tutta affortunài
Oh fortunaB msB pefie e me doroii
Se ottegnirò che in questa gran giornà
Bocca a bocca morimmo tutti doi,
E stando za lì lì noi per spira
Ti in mi, mi in ti lascemmo i nostri amo! I
Ro garcon così disse: ma ra figgia
In sto mcBuo ^ ro discorso a ghe repiggia :
Ed eccoti, nella versione della 36*^ ottava
Amico, altri pensieri, altri lamenti
traducibile quasi con le stesse parole, venir fuori un proverbio
scurrile:
Questi son venti da scinga berrette (!)
Cantemmo, amigo, un pò sciù un atro ton.
De pecchse ghe n'avemmo dre corbette
Demandcmone in tempo ro perdon.
Messe Domenedè sempre promette
In Tatro mondo ra consolazioni
Guarda che bello ce, che bello so.
Ne ciamman lasciù a gove un vero amò.
Non farò altre citazioni: havvi bensì qua e là qualche ot-
tava che bene rende il concetto dell'originale e con forma con-
veniente, in particolare nel canto 19° tradotto dal Guidi, ma
il lavoro nel suo insieme, ancorché giudicato « bellissimo ^ dal
Serassi, citato dallo Spoto rno, ^ non merita altra qualificazione
che quella datagli dagli autori medesimi nel proemio all'edi-
zione del 1755: una «bizzarria» letteraria.
Ripigliando ora il filo della storia dirò che dopo il De
Franchi e i compagni suoi nessuno più poetò in genovese che
lasciato abbia memoria di se: i tempi si facevano grossi e la
gente pensava a ben altro che a far sonetti amorosi: 1*89 in-
stava, poi venne il 1797 in cui si cantava per le strade di
Genova
Genovesi all'armi, all'armi!
Già Siam stanchi di pazienza:
Non vogliamo più Eccellenza,
Non vogliam Serenità.
Viva, viva Libertà.
* Modo.
2 Op. cit., voi. V, pag. 80.
6
— 82 —
Stabilivasi nel detto anno la repubblica Ligure, sotto la
protezione della Francese: poi nel 1805 Genova domandava e
otteneva d'essere incorporata nell'impero francese. Già era stata,
per volontà propria, sottoposta ai re di Francia dal 1396 al 1409,
poi dal 1458 al 1461, e dal 1495 (con brevi intervalli) al 1528:
divenne mezza francese dal 1797 al 1805, interamente francese
dal 1805 al 1814. In questo ultimo periodo, francese essendo
la lingua uffiziale, tutti i Liguri atti alle armi militando negli
eserciti e nelle armate francesi, l'idioma genovese, già tanto
affine al francese, viepiù s' infrancesò : intere frasi francesi pas-
sarono tali quali nel genovese e vi rimasero, per esempio:
aux trousses = ae trosse
, Gomme il faut = comifò
faire une belle jambe = fi un-a bella gamba
sans facon = sanfassun
m
francesi divennero tutte le voci militari e una parte anco delle
marinaresche e di quelle del commercio.
Unita Genova nel 1815 al regno di Sardegna, lo studio
della lingua italiana vi fu ripreso, mai disgiunto, s'intende, da
quello del latino: l'idea della fratellanza e dell'unità italica,
surta, per la prima volta con pratico intendimento, al cader
dell'impero napoleonico, incitava i giovani ad imparar la lingua
toscana, futura lingua comune della penisola, e appunto in Ge-
nova nasceva il maggiore apostolo dell' unità italiana, Mazzini.
Superfluo dire che a quello studio non si davano, salvo rare
eccezioni, che i giovani borghesi: l'aristocrazia coltivava a pre-
ferenza il francese, come Taristocrazia piemontese, e quasi per
protesta contro il nuovo Governo, affettava di parlare il geno-
vese antico. Per la plebe poi e per i contadini il toscano con-
tinuava ad essere intelligibile poco più dell'arabo.
Del resto il linguaggio genovese durava vigorosissimo:
l'istruzione religiosa l'adoperava, come tuttora fa, tanto per la
dottrina cristiana de' fanciulli, quanto per il catechismo degli
adulti. « Anche dinanzi ai tribunali ed ai magistrati nostrali
« arringavasi nel dialetto genovese. Tale uso fu conservato,
« almeno in qualche tribunale, fino alla metà del 1805. ^ Io
« rammento ancora la grata maraviglia che provai nell'udire
* Fu conservato anche più lungamente dinanzi ai tribunali inferiori.
— 83 —
« un'arringa detta, e probabilmente all'improvviso, da uno dei
« più eloquenti avvocati genovesi che siano stati, da quello che
« risplendè di poi per ogni maniera di pregi nel più importante
« ed elevato consesso di un grande impero . . . Non solo era
* chiaro ed espressivo il suo dire, ma quello che è più arduo
« di assai ne' dialetti, egli rendeva il nostro nobile ed acco-
« modato ad ogni più rilevato concetto » . ^
Ne tardò a ridestarsi la musa genovese. Corse primo l'ar-
ringo il P. Luigi Serra, che in italiano avea scritto feroci sa-
tire contro gli uomini politici della rivoluzione genovese: lo
tentò con tre Lunarj, ma infelicemente. Gli succedette Mar-
tino Piaggio con una raccolta di favolette, di argomento sempre
morale, e di stile popolare, le quali piacquero molto, e con un
Lunario intitolato « del signor Regina > che cominciato nel 1815
egli continuò a pubblicare fino al 1843. In questi lunari il Piag-
gio faceva, in versi quasi sempre ottonari, utili « riviste » della
città, descrivea viaggi di piacere, narrava novellette con molta
naturalezza e con brio non comune. Il Casaccia ^ l'antepone a
tutti i poeti genovesi eccettuati Foglietta e Cavalli : ma il Piaggio
non fu vero poeta, bensì un verseggiatore facile e piacevole.
Egli poi abusò troppo dei modi italiani dei verbi, che nel parlar
comune non si usano mai, scrivendo;
fen (fecero) = han fètu
firn (furono) = son stèti
lasciò (lasciò) = u Tha lascioù
taxé (tacque) = u Tha taxiiu
trovon (trovarono) = han trovou
vigne e vegni (venne) = u Tè vegniiu
Leggasi la seguente favoletta:
* Unn-a cerva scappando da-i chen
A s* ascose de sotto a un angioù
Ghe passon ben vixin, no a vedden.
Le a sta cuccia, tegnindose o scioù,
Ma imposcibile a veddila Tea
Pee gren ff^gge che favan spallea.
* Vincenzo Serra, Del dialetto genovese, nel 2" voi. deUa Descrizione
di Genova, (Ferrando, 1846).
■ Cenni biografici di Martino Piaggio^ premessi aUa Raccolta delle sue
poesie, Genova.
— 84 —
Quando fun lunxi assae ghe passò
Tanta fufiPa, a se misse a guasta
Tutta a vigna e scoverta a restò;
I caccioei che sentiri remescià
E veddendoa da lunxi ghe tiòn
Unn-a botta de sccieììppo^e a piggiòn.
Quando mai i Genovesi dissero passòn, vedden, fùn,
passò, misse, sentin, tiòn, piggion? Io so bene che questa
del passato perfetto dei verbi è una delle difficoltà della poesia
genovese, però i buoni poeti genovesi seppero superarla senza
ricorrere ad alterazioni della lingua.
Morto il Piaggio, stimabile anche più come uomo che corno
poeta, i Lunarj del signor Regina furono continuati sino al di
d'oggi da imitatori spesso felici.
Del nativo idioma avea per fermo un grande concetto un
altro genovese, L. M. Pedevilla, poiché non si peritò di usarlo
in un poema epico, La Colombiade ^ In venti canti, in ottava
rima, narrò, né sempre esattamente, la vita di Colombo, inse-
)'endovi un po' di soprannaturale, cioè la lotta degli angeli
protettori di Colombo contro i demoni rappresentati dagli idoli
adorati dagli Indiani, che non vorrebbero, naturalmente, il suc-
cesso dell'impresa del genovese: e cominciò il primo canto così :
Alza vorrievo un monumento in rimma
A-o primmo Eroe che meritasse in taera
De filantropo sommo d vanto e a stimma
Fra quanti son famosi in paxe e in gueera.
Mostrando un mondo non scoverto primma
Che paixi innumerabili o rinsaera,
Ghe i Europei tanto inrichiva poi
De frae, d'idee, d'industrie e de tesoi.
Muse che in tanti lepidi suggetti
No m'éi scarse d'aggiutto e de favo
Dandome vive immagini e concetti
Spiranti amò dò giusto e patrio amò,
E ne-ò scrive 6 ciù vivo di dialetti
«0 bello stile eh' 6 m'ha facto onò »,
In questo ciù difficile travaggio
Noéuva forza inspireme, estro e coraggio.
' Genova, Sordo-muti, 1870.
— 85 —
Che se a vostra virtù tanto a m'asciste
Che a m'anime Tinzegno e o sentimento
Dove ò prexo d'un' opera ò consciste,
Avià forse Colombo un monumento
Ch'ò posse a-6 gio di secoli resciste,
E a un remescio de cose turbolento,
Ciù che 6 bronzo, che ò marmo, e che ò ciù bello
Travaggio de compasso e de scòpello.
La modestia non era, evidentemente, la virtù principale
del Pedevilla: ma Topera di lui non corrispose a gran pezza
all'audace proposito. Qualche bel verso: rott?.va, in generale,
ben maneggiata: ma il lavoro è prosaico spesso, freddo sempre:
neppur l'istante solenne della scoperta della terra d'America
inspirò all'autore un accento veramente poetico! E poi, è pro-
prio in genovese che poetò il Pedevilla? Come non vide egli
che molto meglio era scrivere addirittura in italiano, piuttosto
che in un genovese più che mezzo italiano?
Nello stile medesimo del Pedevilla dettò alcune poesie,
non indegne di considerazione, Antonio Pescetto.
Ultimi a far vibrare la cetra genovese furono G. B. Vigo
Nicola Bacigalupo. Pubblicò il primo nel 1890, col titolo di
Fili d'erba, alcune poesie genovesi e italiane, e una traduzione
«libera» dei primi sette canti àeW Inferno di Dante.
Eccone le due prime terzine:
A-a meita3 do cammin da nostra vitta
Me son trovòu fra tanti lummi a-o scùo
Che de pensaghe a pausa se m'aggritta.
Me paiva imbriaego sens' avei bevùo
E mentre me sforzava d'arvi i cùggi
Dormiva sempre ciù d'un seùnno duo.
Di questa profanazione sarebbe da domandare severo conto
all'autore se non si sapesse ch'egli era un buon popolano in-
vaso dal demone dell'armonia.
Il Bacigalupo poi pubblicò nel 1891 un libro con questo
titolo: Prose rimce scrite per uso domestico, titolo che si può
forse accettare per il Montecatini e so aegue e i so contorni,
guidda pratica do bagnante, ma che respingo i^ecisamente per
altri lavori del Bacigalupo e specialmente per il Loritto, o 6
pappagallo de móneghe, poemetto in sesta rima. L'argomento è
i
— 86 —
tratto dal Vey^t Veri di Gresset, però io non dubito di affer-
mare che il poeta genovese lo trattò meglio del francese, al
quale sovrasta per naturalezza, per brio, per somma facilità
di verso e di rima. Il Bacigalupo scrisse in genovese moderno,
ma r italiano usò più parcamente che gli fu possibile, adope-
rando invece profusamente, benché talora con libertà soverchia,
le grazie, le arguzie e le piacevolezze del parlar genovese. E
concludo ripetendo che il Loritto e parecchi altri lavori del
Bacigalupo non sono « prose rimate », com'egli troppo mode-
stamente le intitolò, ma poesie vere, se vero è che poeta sia
il Remi.
Chiuderò questi cenni sulla letteratura genovese parlando
brevemente dei vocabolari genovesi-italiani. Ricoido appena
El Vocabolista ecclesiastico ricolto ci ordinato dal povero sa-
cerdote de Christo frate Jo/ianne Bernardo, savonese, man-
dato fuori nel 1489 in Milano, e che il Celesia cita, adducen-
done alcune voci genovesi, ma italianizzate nelle terminazioni,
e vengo al Dizionario genovese-italiaìio che Giuseppe Olivieri
pubblicò nel 1841, intendendo principalmente « ali* istruzione
« dei giovanetti che attendono allo studio della lingua italiana ».
Egli volle, prima di tutto, riformare l'ortografia genovese
allora in uso, 1** scrivendo u invece di o, ogni volta che la
pronunzia genovese era effettivamente quella dell'u, e per non
confondere Yu genovese o francese con l'italiano, le sovrappose
due puntini (per esempio cùxi, cucire) invece dell'accento cir-
conflesso; 2"^ scrivendo il dittongo cu con ortografia francese,
cioè senza il suddetto accento; 3^ togliendo l'uso, non antico,
di disgiungere alcune sillabe per mezzo d'una lineetta d'unione,
per esempio m a r s e i n-n a o ni a r s e i n n-a, s e h e n n-a, modo
contrario all'indole della lingua italiana: gli parve invece più
acconcio l'uso àeWh, la quale rappresentasse ora l'aspirazione,
ed ora, per cosi dire, lo strascico della pronunzia genovese;
onde scrisse m a r s e i n h a, s e h e n h a ; 4" in ogni parola in
cui la e italiana ha la pronunzia della s, ponendo questa me-
desima consonante piuttosto che la e caudata (q) onde scrisse
bassi e non ba(;i, serin e non cerin.
Nei miei Cenni su la groìmuatica genovese ho già data
all'Olivieri piena ragione riguardo al modo di scrivere Yu geno-
vese: or dirò che egli, anche scrivendo Yea senza accento, non
— 87 —
avea torto : però è innegabile che, per chi ignora il francese, un
segno sovrapposto a cotesto dittongo indica che si tratta d^una pro-
nunzia speciale, onde giova di conservargli Taccento circonflesso.
Quanto alla terza proposta deirOlivieri, essa, invece di
schiarire, oscurava, introducendo la lettera h del tutto estranea
all'alfabeto genovese: ciò però non significa che sia corretto
lo scrivere, come si scrive, raarscinn-a, schenn-a. Nella
pronunzia genovese non esiste la doppia n, che sarebbe afiatto
contraria all'indole dell'idioma, esiste invece nella pronunzia
della sillaba finale na una pausa brevissima tra il suono della
n e quello dell'a, cadendo l'accento tonico su la prima di que-
ste due lettere, onde pronunziasi, per esempio, campan-a,
tan-a, Rosin-a, ed è una stranezza di scrivere queste voci
con due n, che in italiano non hanno, e che punto si sentono
yiella pronunzia.
• Infine, la quarta proposta dell'Olivieri, ancorché corrisponda
alla verità della pronunzia, non è ammissibile: la e caudata
compie nel genovese l'uftlcio stesso che nel francese, evita con-
fusioni: scrivendo, per esempio, sé invece di ce, sei a invece
di (;e ia, si confonderebbero se con cielo, sera con cera. Inoltre
la e caudata serve a riavvicinare molte parole alla forma la-
tina e italiana, come genie cenere, gè n -a cena, ecc.
Quanto al merito del dizionario dell'Olivieri, egli stesso
rispose anticipatamente a coloro che lo trovassero « mancante
< di moltissime voci » di aver inteso « di dare come un espe-
« rimento di dizionario da compiersi e perfezionarsi, non già
^ un dizionario compiuto e perfetto ». Nondimeno assai nume-
rosa fu la raccolta di voci genovesi fatta dall'Olivieri, comprese
non poche voci contadinesche: generalmente esatta la corri-
spondenza italiana: ampie le spiegazioni, in parecchie delle
quali scorgesi quel buon letterato che fu l'autore. Chi poi
consideri la difficoltà di un primo lessico dialettale, dirà con
me esser l'Olivieri assai benemerito dei concittadini suoi, come
lo fu dei glottologi italiani e stranieri, i quali scrissero (un
poco imprudentemente) del genovese idioma, con la sola scorta
del vocabolario di lui.
Lavoro di maggior mole fu il Dizionario genovese-italiano,
compilato intorno al 1874 da Giovanni Casaccia, poi ristampato
nel 1876, accresciuto del doppio e quasi tutto rifatto. L'autore
— 88 -
dichiarò che per Tortografia si attenne « a quella adottata dal
« compianto nostro poeta Piaggio, siccome la più semplice, la
« più chiara, la più corretta, facendo però in essa alcune pic-
^ cole variazioni atte a facilitare la pronunzia del nostro dia-
« letto, come si vedrà negli avvertimenti grammaticali premessi
<c all'opera », e a proposito di questa dichiarazione io mi rife-
risco alle osservazioni già fatte. Noterò poi come il Casaccia
abbia comprese nel Dizionario genovese moltissime voci prette
italiane, che si usano oggi e s' intendono dai Genovesi còlti,
appunto perchè l'invasione dell'italiano, temuta dal Foglietta
e dal Cavalli, è avvenuta e sempre più si dilata, ma ciò non
toglie che quelle voci non abbiano appartenuto mai al geno-
vese idioma, e che non gli appartengano neppur oggi. Cito le
sole voci registrate dal Casaccia al principio della lettera A:
abbattimento, abbellimento, abbigliamento, abboccamento, abito^
abitudine, acciacco, accompagnamento, accordo, ecc. Con queste^
metodo, la maggior parte del vocabolario italiano passar po-
trebbe nel genovese, togliendo solamente il re ai verbi, e facendo
finire in ou le terminazioni in ato, in ito, e via di seguito.
Cosi l'autore ha, con savio intendimento, registrato « le
« frasi, i modi figurati, i motti, le sentenze, i proverbi, gli
« sbeffamenti, i dettati popolari >, ma non si è ristretto ai soli
originali genovesi, bensì notò modi e proverbi afiatto italiani,
traducendoli in genovese. L'autore inoltre registrò i termini
tecnici e volgari delle scienze, arti e mestieri, e fece opera
utilissima: questa però gli riuscì troppo imperfetta riguardo
all'arte tanto importante per i Genovesi, la nautica: non co-
nobbe infatti che l'antiquato dizionario di marina dello Stratico.
Sfuggirono invece al Casaccia molte voci vere genovesi,
e, cosa strana, anche molti avverbi, per esempio :
ancon, ancon d'asse, attornio (d'), ca (qua), desparte (in)
donde, dove, là, mai, meno, troppo, unde, ecc.
altri registrò male, per esempio:
fin per fin- a (fin- a li) sotto per de sutta
seguo » de segùu spesso > de spessu
Delle voci plebee e contadinesche, che non sono barbarismi
o idiotismi, ma conservano per la massima parte il linguaggio
genovese parlato sino alla fine del secolo xviii, il linguaggio
^
— 89 —
del Foglietta, del Cavalli, del De Franchi, pochissime registrò,
nemmeno quel dunca che si sentiva tuttodì suonare all'orec-
chio e che se oggi è voce plebea, appartenne per lungo tempo
all'aristocrazia : senza aggiungere che, filologicamente, il dunca,
se, come sembra certo, viene dal latino tunc (Diez) o da ad
h u n e (Muratori) sarebbe voce più pura, come il francese d o ne
e lo spagnuolo doncas, dell'italiano dunque che, per verità,
fu anticamente pronunziato duncheedunqua.
Nel dizionario del Casaccia vi ha impertanto del superfluo,
e manca una parte del necessario, ma guardando all'insieme
dell'opera, all'ampia e faticosa raccolta fattavi delle voci tec-
niche genovesi, alle molte frasi, ai molti proverbi e motti ge-
novesi che vi si trovano registrati, giusto è dire che è un buono
ed utile dizionario che l'autore potrà con facilità migliorare.
Onorevole ricordo merita pure il Vocabola^^io doìnesiico
genovese italiano, pubblicato in Genova nel 1857 da Angelo
Paganini, diligente ed esatta raccolta delle voci d'uso dome-
stico, in cui segui l'ortografia dell'Olivieri. Particolarmente
utile V Appendice zoologica.
Parlerò in ultimo dell'opuscolo intitolato Delf antichissimo
idioma dei Liguìn, pubblicato nel 1863^ da Emanuele Celesia,
valente letterato e delle patrie antichità studiosissimo. Chiamò
egli osco-montani i Liguri: disapprovò la qualificazione di gallo-
italici data ai dialetti lombardi^ piemontesi, ed emiliani, soste-
nendo che l'idioma ligure informò tutti i volgari dell'Alta Italia,
dei quali ei propugnò l'unità filologica, e cosi di seguito arrivò
ad afi'ermare: che è etrusca la pronunzia della w genovese, e
che i suoni dell'^^j e dell'^w, con infiniti altri, passarono nei
secoli XV e xvi dal ligure idioma al francese.
Egli stesso senti « l'arditezza e la novità delle sue con-
« clusioni >, che non è necessario di confutare. Al Celesia,
nella elaborata opera sua, fecero difetto il metodo e l'erudi-
zione affatto speciale che abbisognava : gli va data però ampia
lode per aver trattato, egli primo, l'arduo soggetto e raccolta
copia d'utili materiali.
Qui mi sembra opportuno di produrre un elenco di quelle
voci le quali usate dal secolo xrv sino alla fine del xviii, e
* Genova, tip. dei Sordo-muti.
— 90 —
adoperate dal Foglietta, dal Cicala, dal Cavalli e dagli altri
poeti che ho mentovati, sono oggi uscite d'uso nel parlar ge-
novese; notando quelle che ancora vivono nel linguaggio dei
contadini e della plebe cittadinesca, e notando pure l'affinità
delle voci stesse con l'italiano o con altre lingue:
Voci ffeiiovesi
antictu! '
Significato
italiano
Abbrascoù* (vive nelling. Avido, ingordo
contacL e pop, ma poco
usato)
Accaynou
Adavmà, adavinello
Aere
Aeuritd
Accoventàse
Affoeitura
Aiforozo
AfiVeccià
Accanito
Indovinare
Aria
Olezzare
Accontarsi
Affatturare
Spaventoso
Frecciare
Anno
Agno
Aguardd (gen. mod. a v arda) Guardare
A] lama (vive nel liny. pop. In alto mare
e mar.)
Allegrase, allejjransa Rallegrarsi, alle-
grezza
Alò • (viva nel ling. cent.) Prima, avanti
Allumerà *
Amarego, amareura
Amarelaede, marelsede '
Amarespaerme, marespa»r-
me ^
Ambasciòu
Amia
Numerare
amarezza
A mala pena
Id.
Ambasciatore
Zia
.xfiiDita
ad altre lingue
proc. abramà, abrasa-
ma?
prov. acagnà
/>•. ani. adaviner, sp.
adivinar
faf. aer, /r. air
forse dal lai haurire,
intefio come perei -
pere, sentire
/>• ant. aeointer
fr. ant. afaiturer
fr, ant. afaros
ambo voci d'origine
gennanica
sp. a fio
sp. aguardar
fr. h la mer, sp. a la
mar
fr. ant. alegrance, sp.
alegrarse
rad. lai. lumen
lat. amaror, sp. amar-
gor
fr. ant. ambasséor
lai. amita
' Delle voci segnato con asterisco, trattasi nel VcH'ahoìan'o etimologico.
* Abbrascou vion da b r a s e a voce viva noi contado col senso di
^Tan fame, di etim. oscura: forso dal colt. braic, bocca.
* Forse connesso con l'it. allumare, gen. alliìmà, trasl. da lumi, in
sijrnif. (rocchi, elio vale: ndocchiare.
Allumerò re stelle a im-na, a un-na
canta il Cavalli.
* Non par dubbio che a m a r <ì si debba leggere : a male, tanto più che
la voce vìve nel linguaggio contad. con la forma malaerdi o malaedi
che ha lo stesso significato: ma liede e spaerme che voglion dire?
E si noti clic lo stesso Cavalli, il quale usa più volte l'amarelajde,
ramarespffirmo, dice talora anche: amarapen-na. Forse, Tama-
respìvrme, ò connesso al fr. ant. a p a r m e e s ni e s , che significava : subito,
immantinente.
— 91 —
Voci genovesi Significato Affinità
antiche italiano ad altre lingue
Aora Ora sp, ahora
Apointà * {vive in alcune Allacciare fr. ani. apointier
parti del cont.)
Apointo (id.) Appunto fr, & poìnt
Appelleura {gen, mod. pel- Fischietto prov, pioulel
leùia)
Apreùo * Appresso, dopo
Arinto Argento it. ant, ariento
Arra, innarrase* Errare
Ascramanase* Scalmanarsi rad lai, calere
A sciorte A caso rad. lai, sortem
Ascoxi • {gen. mod, scòxt) Svergognare
Aspissà 2 Accendere aff. al lombardo pizza,*
accendere
AssequsBrà * Mettere alle strette
Assi Anche fr, aussi
Astissase Stizzire dal lat, titio, tizzo
Astriou Irato, stizzito forse dal lat. stridere
Attrecoi * Ogni sorta d'orna- forse dal lat, attrectare
mento donnesco
Bardascieùa {gen. mod. bar- Ragazzo forse dalV arabo bar-
dascia) dag, schiavo
Bescavesso * ) Lento, rilassato, in
Beschisso * i cattivo stato
Bigarra Colori mal assortiti fr. bigarrer, prov, bi-
garra
Bioù, bià Beato, a fr, ant biau
Boa Stolto, ignorante forse connesso al lat.
bos
Bonombre ^
Brondoro Brontolìo forse dal gr. brontàn,
tuonare
* Forme antiche, comuni a più altre parole genovesi, cointil, cointo,
pointa, zointa, ecc. I glottologi dicono che, di regola, Vo innanzi ad n
assumo Vi,
* Poro gli antichi le dettero ([ualche volta il significato di: dolersi,
maravigliarsi.
^ Ambo dal lat. p i x , i e i s , poiché, usavasi anticamente di accendere il
fuoco per mezzo di fuscelletti colla punta intinta di pece.
^ La voce attrezzi, usata in questo senso, non ò troppo strana, perocché
in italiano sig-nitica pure: arredi.
■ Talvolta sembra significare bontà, gentilezza:
Tutto bonombre sei, tutto dottrin-na
tal altra scherzo:
Aelo amò che per bonombre
infine, giuoco fanciullesco
Onde in forme villan-ne
Fan re ombre ombre e bonombre int' re fontan-ue
Cavalli.
Par che siavi lo spagnuolo buono hombre, ma non si presta a tutti
i significati del genovese.
— 92
Voci genovi
osi
Significato
Affinità
antiche
italiano
ad altre lingue
Bruxente (viva
nel
ling.
Bruciante
prov. bruza
cont)
Calamia
Calamita
g)\ kalamos
Calla
Tacere
sp. callar
Caschun
Ciascuno
sp. cascun
Cazza
Cacciare
sp. cazar
Cerneggià
Chittà
Scegliere
lat cernere
Lasciare
fr. quitter
Citten
Cittadini
fr. citoyen
Cocossa
Cu cu zza, scherz.
testa
lat. cucurbita
Cognosse
Conoscere
lat. cognoscere
Comafaego (gen.
moQ
l cu-
Pettegolezzo
lat. cum e mater
mèzu)
Comeigo
Con me
sp. comigo
Como
Come
sp. comò
CoQseigo
Con se
sp. consigo
Corpa {viva nel ling.
pop.
Colpa
e coni.)
Corpo {id.)
Colpo
Crei (eressi, cr^i,
ecc.
) (id.)
Credere
fr. ant. creire, sp. crear
Dappcu e dappeù
che
(viva
Dopo, dopo che
fr. depuis peu
nel ling. pleò.
e cont)
DaDcùscia
Denscio
Poscia
lat, postea
Chiaro, netto
Degolà
Scannare
fr. ant. degoler, sp. de-
collar
Dei (demo, ecc.)
Dovere
prov deure
Deliverà
Liberare
fr. délivrer
Deiientoivivanelling cont)
Dipinto
fr. dépeint
Derammà
Sciupare
sp. derramar
Derré (viva nel ling. pop. e
Ultimo
fr. ant. derrer
cont.)
Desbaratto
Disordine, disfatta
sp d esbarato
Descattà
Disfare j
aff. alVit. scattare, rad.
Descatto
Differenza i
lat. ex-captare
Desgòeugnoù
Disgustato
sp. desganado
Despeccà
Spezzare
Sforzo, lavoro
fr dépécer
Desquérno
sp. descuerno
Destrascià
Straziare
rad lat. trahere
Dexirà e dexiro
Desiderare e desi-
derio
prov. desirà e dezir,
fr. désirer e désir
Dexiransa
Desiderio
prov. desiransa
Dighe, dighemmo
Dite, diciamo
Donca
Dunque
jip. doncas, fr. donc
Eri
Jeri
lat. beri
Escio
Esco
lat exeo
Eubbrigà (viva
nel
ling.
Obbligare
cont.)
Facceura
Fattura
fr. facons
Faccoin
Fattezze
id;
Fse
Fé, fede
Fante (viva nel ling.
delle
Ragazzo
lat. infans, sp. infante,
Riviere)
fr. enfant
— 93 —
Voci genovesi
Significato
Affinità
auliche
italiano
ad altre lingue
Feù (mva nel modo odier^
Fuori
fr. ant. feur
no: feu de li)
Feùzza
Foggia
etim. incerta
Figon
Trattore
sp. figon
Foento {viva nel Ung, cont.)
Ragazzo
Malora
alterazione di fante
Foriero
prov. forfori
Foreure
Pelliccia
fr. fourrure
Frappa
Ciarpame
prov. frapas
Fren - na
Frenesia
greco phrénes
Frolloro
Cosa di poco niun
valore
prov. foulloro
Fuzze e fuzzi
Fuggire
lai. fugere, prov. fugi
Garlezzà
Gorgheggiare
Guidare e guida
prov. gazalhà
Ghia e ghia
fr. ant. guier, sp, guiar
e guia
Giainin • {viva nel
Ung.
Meschino
prov. gilha
cont)
4
Giasmo
Biasimo
sp. ant. blasmo, prov.
blasme
Gove goe
Godere
celt. god
Grou
Grado
lai. gradus
Guappo
Bravo, bello
sp. guapo
Gué
Guai
lat. vae
Impozo
Posto, stabilito
Incasce
Increscere
forse prov. s'inchaure
Insl, insci
Uscire
lai. exire
Insisamme
Insalata
lai. incisus
Intafurà
Metter dentro
fr. fourrer?
InvÒ^*
Voto
Invoù
Invocazione
InvrisBgo
Ubbriaco
fr ivre
Lantóa {viva nel Ung.
pop.
Allora
lat. illa bora
e cont.)
Largo
Lontano
sp. largo
Lero
Ladro
prov. lairo
U*
Giglio
fr. lys
Liverà
Finire
it. ant. liverare, aff al
fr. livrer: tutti dal
lat. liberare
Loù {vive nel Ung. pop. e
Lato
lat. latus
cont.)
Lucca
Lotta
prov. e sp. lucha
Ma'"
Maggiore
apoc. lat. major
id. male
M%
Mali
Msesmo
Medesimo
sp. mismo
MSBÙO
Modo, mó
apoc. lat. modus
Maraggia (audà aa)
Rubacchiare
prov. niarauda, fr. ma-
raude
Mareito
Maledetto
Megió
Migliore
lat. melior
Memeuria
Memoria
Mie, tie {vive nel Ung
.pop.
Io, tu
aff. al lai. me, te
e cont.)
Moaé
Più
fr. ant. mais, sp. mas
M0C50
Mozzo
basco mocho
Voci genovesi
antiche
Monto *
Nasecca
Niggio
Odi (viva nel ling. cont.)
Oxe {id.)
Pareizo
Parpaggieùa
Pego (ése a)
Perigo
Perro
Picceno
Pittaggia
Posero (gen. mod, piiii)
Pon
Porcelletta *
Porrò
Povertoso
Preximoù
Pricà
Promé
Pubrico (viva nel ling. pop.
e cont.)
Puessa
Puradera
— 94 —
Signiflcato
italiano
Molto
Chi ha naso grosso,
adunco
Nibbio
Udire
Voce
Paradiso
Farfalla »
Con r acqua alla
gola
Pericolo
Cane
Piccolo
Mangiare (il)
Paio, sembro
Possono
Farfal Ietta e colore
speciale
Potrò
Povero
D'alto prezzo
Predicare e pregare
Primiero
Pubblico
Poiché
Affinità
ad altre lingue
lai. nasica
lat. milvius
apoc. lat. audire
lat. vox
sp. paraiso
prov. parpalohlo
forse connesso al lat.
pelagus
sp, ant peligro
sp. perro
prov. pichoun
prov, pità
fr. parais
prov. pou
fr, pourrai
sp. pobreton
aff. al prov. prex, sp.
prez, rad. com. lat,
pretium
fr, precher e prier^ lat,
precare
prov, prumè
sp. pues
forse connesso a prov
pourrado , profìtto ,
guadagno
Quenti
Quanti
Quinta * (viva
nel
ling.
Fretta
cont.)
Raxoneive
Ragionevole
Reghaero
Regalo
Rente *
Vicino
Re posero
Riparo
Requeri
Richiedere
fr. requérir
Saxon
Stagione
sp. sazon, fr, saison
Sholìse (viva nel
pop.i
3àulu)
Satollarsi
fr. saouler
Scatiggion
Scampolo
fr. échantillon
Scciattà (dell'alba)
Rompere, detto del
•
sp. esclatar
Sciaretta •
giuruo
Bravaccio
fr. éclater
Sciverto
Ripiego
rad. lat. inversio
* Forma gallo-it. che ha probabilmente origine dal lat mons, montis,
nel senso di gran quantità.
* Porcellana fu detta in portoghese, poi anche in italiano, la conchiglia
di Venere; quindi per somiglianza con lo smalto di questa, passò ad indi,
care in spagnuolo t^l in genovese un colore bianco-azzurrognolo, dal quale
i Genovesi antichi pare denominassero una farfalla.
— 95 —
Voci genovesi
antiche
Semme (voce viva)
Seze
Soda
Son-ne?*
Soriggia '
Sparegà
Spoincià
Stra, strse
significato
italiano
Una volta
Cespugli
Soldato
Son io?
Sole cocente
Comparire
Spingere
Strada, e
Strangé (vivanel ling, conL) Straniero
Stratteizo
Stravannià
Suppri
Tenti (viva nel ling. coni.)
Tra (p. e. tra bun tempu)
Trattuga (viva nel ling. pop.
e cont)
Veì (veggo, vegghemmo,
vC, viref, ecc.)
Veiria
Vencuo
Votto
Zarbatan-na (parlar con la)
Zó^
ZeumosB
Zó
Zovà
Zovo
Zuinta (viva nel ling. cont.)
Disteso
Affinità
ad altre lingue
lat, semel
forse off. al prov. se-
jazous
fr. soldat
lai. sum ne?
forse dal UU, ex-parere
rad. lai. pangere
apoc. lai. strata
prov. estrangier, $p. e-
strangero
rad. lai. stratus, op-
pure extra tensum
Vaneggiare
fr. extravaguer, lat.
extra e vagari
Supplire
Tanti
Trarre, menare
sp. traer
Tartaruga
lat. med. tartuca, prov.
e sp. tortuga
Vedere
fr. ani. veir, sp. ver
Veglia
fr veiller, cat. veillar
Vinto
fr. vaincu
Volto, diretto
Cerbottana
arabo zabatàna
Andò
off. all' it. gire
Oramai
fr. desormais
Ciò
prov. zo, zou
Giovare
lat. juvare
Giogo
lat. jugum
Giunta
fr. jointe
' Son-ne in cascia o pii son-ne feù de mie?
Cavalli.
* Nel latino arcaico il nome del solo è s u r y a .
CAPO IIL
L' idioma genovese odierno : affinità con la lingua spagnuola — provenzale —
firancese antica e moderna. — Conclusione.
Prenderò adesso a ricercare l'affinità tra il genovese e le
lingue neo-latine, le quali, come si sa, sono sette : portoghese,
spagnuola, francese, provenzale, italiana, ladina e rumena. La-
scio stare queste due ultime come le più lontane dal genovese,
ne tratterò della portoghese per la stretta sua parentela con
la spagnuola, e neppure delle relazioni tra V italiano ed il ge-
novese, che già furono in questo libro ampiamente dimostrate.
Verrò dunque senza più alla lingua spagnuola, che se nella
fonologia e nel materiale suo lessicale, in cui s' incontrano voci
arabe, gotiche, greche, s'allontana assai dal latino, gli si serba
però notevolmente fedele nella formazione delle parole. Nota
è r analogia della lingua spagnuola con V italiana : noto che
moltissime voci e non poche frasi sono le stesse in ambo le
lingue, ma di questa analogia non tratterò io, né di quella, anco
maggiore, che, tolta la diversità di pronunzia, lo spagnuolo ha
col genovese. Bensì dirò di parecchie voci che oggi ancora ap-
partengono cosi allo spagnuolo che al genovese, e non appar-
tengono air italiano, eccetto alcune che questo scrive e pro-
nunzia diversamente. No produco un elenco :
Voci spagnuole •
Acocharse
Adonde e donde
Afufa, afufarse *
Agotar
Aguaitar
Anora
Amarrar *
Amigo
Amolar
Arraigar, arraigarse
Arrancar
Voci genovesi •
Acucciàse
Dunde
Fuffa •
Agutà (V. tn.)
Agueità
Aoa
Amara * (V. m.)
Amiga
Amua
Arreixà, arreixàse
Arancà
SigniAcato italiano.
Accosciarsi, accovacciarsi
Dove
Paura
Aggottare
Guatare, spiare
Ora
Amarrare, Allacciare
Amico
Arrotare
Abbarbicare, abbarbicarsi
Strappare, sradicare
DeUe voci sognate con asterisco trattasi nel Vocabolario etimologico.
7
— 98 —
Voci spagnuole
Arrebatar
Arri zar
Arrollar
Arrugar
Asentarse
Atesar, tesar
Atracar *
Avenar
Babazorro
Bacalo
Balandran
Balanza
Banasta
Barbotar
Besugo (pesce)
Bigardo
Bocha e bochar
Bollo
Voci genovesi
Ariibatà
Arissà
Arollà
Ariiga
Asettase
Ates&, tesa (V. m.)
Atracà {V. m.) *
Avena e avenàse
Babazun
Baccu
Balandran
Bansa
Banastra
Barbuta
Beziigu
Bagardu
Boccia e boccia
Bulla (de ciccolata)
Borracha
Buraccia
Borri co
Buriccu
Bracear
BrassezH
Brega
Breiga
Cabo
Cau
Cadena
Caden-a
Cagon
Cagun
Caladda
Calada
Caldera
Ciidea
Cara
Caa
Caracol
Cagollu
Chachara, chacharear, Ciociara, ciaciarà,
chacharon ciaciarun
Chalan * Ciallan
Chalota
Chata (barca)
Chato ladd.)
Chico
Chocar
Choque
Chubasco
Chucheria
Chusma
Ciguéna
Costi parse
Defender
Desandar
Desapuntar
Scialotta
Ciatta
Ciattu
Cittu
Ciocà
Cioccu
Ciiivascu
Fucikra
Ciiisma, ciiixima
gigheùgna
ustipàse
Defeisu fése]
Desandià
Despuntà
Significato italiano
Rotolarsi, correre a pre-
cipizio
Rizzare e acciuffare
Avvolgere, fare un rotolo
Aggrinzare, increspare
Sedersi
Tesare, tendere
Afferrare
Crepolare: l'uscita dei li-
quidi per una crepatura
Uomo materiale e goffo
Bastone
Veste ampia e lunga
Bilancia
Cestone
Balbettare
Occhione
Cattivo soggetto
Boccia (palla di legno) e
truccare
Boglio (che è pure spa-
gnuolo esattamente pro-
nunziato)
Fiasca
Asino
Agitar le braccia: è pure
un modo di nuoto
Briga, noja, molestia
Capo, cavo
Catena
Pusillanime, poltrone
Calata
Caldaja
Cera, sembiante
Garagoo, chiocciola
Chiacchiera, chiacchiera-
re, chiacchierone
Dicesi per vezzo a un
bel fanciullo
Scalogno
Chiatta, piatta
Piatto
Piccino
Render suono
Suono
Acquazzone con vento
Bagattella, bazzecola
Ciurma
Cicogna
Infreddare
Proibire» esser proibito
Traviare
Slacciare
* In spagnuolo diecsi di mercante abile ad attirare, a persuadere i com-
pratori, quasi sinonimo di lusinghiero.
— 99 —
Voci spagnuole
Voci genovesi
Significato italiano
DesapuntelaF
Despuntelà
Levare i puntelli
Desasesado
Desauggiaddu
Scervellato, scioperone
Descalcafiar
Descarcagnà
Scalcagnare
Desdicha
Desdiccia
Disdetta
Desembarcar
Desbarcà
Sbarcare
Desencadenar
Descadenà
Scatenare
Desgarrar e desgarro
Sguarà e sguaru
Stracciare e straccio
Destetar
Destettà
Spoppare
Dicha
Diccia
Fortuna
Docena
Duzen-a
Dozzina
Embarcadero
Imbarcadero
Punto d'imbarco
Embate *
Imbattu •
Vento estivo
Embebecido ♦
Imbessiu *
Lento, tardo, stupidito
Encima
Incimma
Sopra
Enganchar
Ingancià
Agganciare e imbrogliare
Escabeche
Scabecciu
Sorta di salamoja
Escano
Scagnu
Scanno
Escopeta
Scciupetta
Fucile da caccia
Espejuelos *
Spegetti •
Occhiali
Estrafalario *
Strafalaju *
Detto di vesta, vale sciu-
pata: detto di persona,
vale stravagante
Falta
Farta
Mancanza
Fandango (cauto e bai-
Feo
Fandango *
Feu
Fiero
Fideos
Fide ^
Vermicelli
Frisuelos
Friscieu
Frittelle
Frotar
Fretta
Fregare
Fruta, fruto
Fnita, frutu
Frutta, frutto
Fulano *
Fulanu '
Un tale, qualcuno
Ragazzo di età inferiore
Infante
Foentu
ai 7 anni
Izar *
Isa*
Issare, alzare
Jaco
Giaccu e giacché
Giacchetta (ma non cor-
risponde esattamente)
Jugar
Ziiga
Giuocare
Lastima
Lastima
Lamentanza, gemito
Laton
Latun
Ottone
Legia
Lescia
Lisciva, ranno
Lengua
Lengua
Lingua
Liga
Ligammc
Legaccio da calze
Ligar
Lila (flore)
Ligà
Legare
Lilla
Siringa
Llevar
Alevà (V. m.)
Imbarcar gente da terra
Loro 3
Loru 3
Pappagallo
Lucir
Liixì
Lucere, splendere
Mampara
Mampà
Paravento e paralume
* L'usano i Genovesi come sinonimo di ballo nella frase ironica mettisc,
trovàse in t' iin bellu fandangu, cioè mettersi, trovarsi in un grave
impiccio.
* La parola è araba, fuliin: ma è verisimile sia venuta ai Genovesi dagli
Spagnuoli.
* Forse da loro, giallo dorato.
— 100 —
Voci ftpagnuole
Voci genovesi
Si^iflcato italiano
Mandil *
Mandillu •
Fazzoletto, tovaglia
Mantecado {da man-
Mantecatu
Sorbetto
teca, pomata)
Marrazo
Marassu
Coltella
Menudo
Menila
Gracile, delicato
Mirador
Ami ad ù
Belvedere, specola
Mirar
Mia e ami&
Guardare (non mirare)
Morrò
Muru
Muso
Mozo
Mussu (garzone di
bordo)
Mozzo
Muchacho
Muciacciu
Ragazzo che sulle navi
serve gli uffiziali
Muger (nel senso di
Muggè
Moglie
moglie)
Nalga
Nega
Natica
Navegar
Navegà
Navigare
Nescio
Nesciu
Sciocco
Nevar e nieve
Nevà e neive
Nevicare e neve
Nino
Ninnu (vezzeggia-
tivo)
Fanciullo
Pachon
Paci un
Pastricciano
Pac borra
Paciornia e paciùra
Flemma
Palacio
Pai assi u
Palazzo
Panza e panzada
Pausa e pausa
Pancia e spanciata
Papel ♦
Pape *
Carta
Paramentar ( ornare ,
Pameutk
Tappezziere
apparare)
Pata
Patta
Zampa d'animale
Pateta (zoppo) *
Patetta (scarpe in) •
Pecilgar e pellizcar *
Spelinsigà *
Pizzicare
Piafar
Piafa
Far la ciambella( T.di cav,)
Piar
Pia
Pigolare
Pitanza
Pitausa
Pietanza
Puntapiè *
Puntapè *
Inciampo
Rafaga
Rafega
Raffica
Raiz
Raixe e reixe
Radice
Rancho
Ranciu
Rancio (ma è voce spa-
gnuola)
Rascar
Rasccià
Raschiare
Regatona *
Regatun-a *
Rivendugliola
Remolino
Remoiu
Remolino
Resalte, sobresalto
Resiitu
Scossa, rimescolamento
Retajar
Retagià
Ritagliare
Reverso
Reversu
Rovescio
Rodear
Rondezà
Aggirarsi intorno a chec-.
cnessia
Sed
Sé
Sete •
Sencillo *
Senciu, zenziggiu *
Semplice, non doppio j
Seso •
Sèximu *
Cervello, giudizio /
Tamafio (grandezza,
Tàmpssu e atamas-
Grosso, tozzo, mal fatto |
grossezza)
soìì
j
Techar, techo (coprire
Teciàse, tecciu *
i
una casa - tetto)
J
Temprano
Tempùiu
Primaticcio J
Tijeras
Tesùie
Cesoje, forbici M
Traidor
Traitù
Traditore a
>■
- 101 —
Voci spaglinole
Voci genovesi
Significato italiano
Transportin
Tronar
Tumbar ^ •
Ver ,
Verdadero
Strapuntin
Trunà
Tumbà
Vei
Vertadeu
Materassino
Tuonare
Tombolare
Vedere
Verace, sincero
Un breve commento a queste voci. Prima di tutto, non
sembra dubbia Tantichità loro così nel genovese come nello
spagnuolo : mostrai disopra che altre voci spagnuole apparten-
nero, dal secolo XIV al xviii, al genovese: aguardar, callar,
comigo, consigo, ecc., ma quelle erano importazione tem-
poranea, né probabilmente entrarono mai nel linguaggio popo-
lare, onde caddero : al contrario, le voci testé indicate sono
tuttavia vivissime nel genovese. Quanto alle marinaresche
agotar, amarrar, a rri zar, atesar, atracar, non ne
é dubbia l'origine genovese : gli Spagnuoli medesimi ammettono
che i Genovesi furono loro maestri dell'arte nautica. Di altre
voci, delle quali è chiara la* comune origine dal latino, giova
notare l'identità delle alterazioni : latino a mi cu s, spagnuolo
amigo, genovese aniigu; catena izrcadena =:caden-a;
ferus =: feo =: feu; lingua = lengua =: lengua, ecc.
Ma ben poco si può argomentare da cotesto e da altre ana-
logie.
Passo alla lingua provenzale, la quale intendo sia quella
oggidì parlata nella Francia meridionale, che comprende i dia-
letti dell'alta e bassa Linguadoca, della Provenza, della Gua-
scogna, del Béarn, del Quercy, del Rouergue, del Limousin, del
Delfinato, ecc., e produco, senz'altro, un elenco di voci proven-
zali identiche, o strettamente afBni, a voci genovesi :
Voci provenzali
Àbacha (guasc.)
Abandouna,aban-
doun •
Abasta
Abate (guasc.)
Abausa
Abima
Abouca
Voci genovesi •
Significato italiano
Abascià (V. pop. e Abbassare
coni)
Abandunà,abandun* Abbandonare, abbandono
Abastà (V. pop.
coni.)
Abktte
Imbosà
Abima
Abuccà
e Bastare
Abbattere
Capovolgere
Guastare, deprimere
prov. vuotare, versare
gen. assaporare
• Delle voci seg'nate con asterisco trattasi uel Vocabolario etimologico.
— 102 —
Voci provenzali
Voci genovesi
Significato italiano
Abounassa *
Abunassà •
Abbonacciare
Abounda
Abundà
Abbondare
Abourda
Aburdà
Abbofdare ^
Aboussa
Abossà
Abbozzare ^
A braca *
Abracà (V. m.)
Abranca
Abrancè
Abbrancare
Abrassa
Abrassà
Abbracciare
Abriva *
Abrivà *
Abbrivare
Abroutun
Brottu
Brocco, pollone
Acasa (s')
Acasàse
Accasarsi
Accoubla
Acubbià
Accoppiare
Achapa
Aciappà
Acchiappare
Aeima
Cima
Cimare
Acquassa (s')
tà li squaccin (detto
delle galline)
Acumudà
Acoumouda
Accomodare
Acoumpagna
Acumpagnà
Accompagnare
Acourda
Acurdà
Accordare
Acousta
Acustà
Accostare
Acoustuma
Acustùmà
Accostumare
Adoub
Adubbu
Addobbo
Adouci
Aducì
Addolcire
Adresso
Adressa
Indirizzo
Adrissa
Adrissà
Addrizzare
Afama
Afamà
Affamare
Afana
Afanà
Affannare
Afatiga
Afatigà
Affaticare
Afecioun
Afeci un
Affezione
Afourtuna
Afurtunoù
Fortunato
Aganta
Aguantà
Agguantare
Agneu
Agneu (Riv. di lev.)
Agnello
Agouta
Aguttà
Aggottare
Agrou
Agrù
Agrezza, asprezza
Agroupa
Agruppà
Aggruppare
Aiguo, aigua
Egua
Alargà
Acqua
Alarga
Allargare
Alesti
Alestì
Allestire
Alounga
Alunna
Aluga
Allungare
Aluga
Riporre
Amaina *
Amainà * ( V. m.)
Ammainare
Amalìcia
Ainalicia
Ammaliziare
Amaluc *
Maloccu •
Batuffolo
Amaluga (senso diver-
Ainalocà *
Abbatuffolare
so dal gen.) *
Amansi
Amansi
Ammansare
Amassà
Amassà
Ammazzare
Amerma *
Amermè *
Diminuire
Auiigo
Amigu
Amico
Amou {guasc)
Amù*
Amore
Amoula *
Amuà*
Arrotare
Amouleto ♦
Amuletta ♦
Arrotino
Amoura *
Amurà *
Far battere la faccia con-
tro il muro, la terra
Amousta {guasc.)
Amustà *
Ammostare
Ampoulla
Ampulla
Ampolla (bolla d'acqua o
di sapone)
- 103 —
Voci provenzali
Voci genovesi
Significato italiano
Ana *
Anà *^
Andare
Ancuèi *
Ancheù *
Oggi
Angoissa •
Anguscià •
Angosciare
Animau
Anima
Animale
Apassiouna
Apasciunà
Appassionare
Apountela
Apuntelà
Appuntellare
Aproufità
Apruflttà
Approfittare
Aquipage
Acupaggiu ( V. pop )
Equipaggio
Far luogo
Arasso (faire) *
Ròsu • (f&) .
Arma
Arme
Armare
Arranca
Arancà
Arrancare
Arrasouna
Araxonà
Cercar di persuadere
Arrecata * (guasc.)
Dà recattu •
Mettere in ordine
Arrecoumanda
Arecumandft
Raccomandare
Arrecourda
Aregurdà
Ricordare
Arrenga
Arangià
Accomodare
Arresta
Arestà
Arrestare
Arreu •
Reu*
Arriè
Arrié (v. dei carret-
tieri)
Indietro
Arrigoula * (guasc. nel
Arriguà *
Scorrere
senso di scorrere)
Arounsa •
Arunsà *
Spingere, strascinare
Artichau
Articiocca
Carciofo
Asarda, asardous
Azardà
Azzardare
Ase, aze *
Aze *
Asino
Asenet
Azenettu
Asinelio
Assasouna
Assaxunà
Stagionare
Assegura
Assegna
Assicurare
Asseta, e s'asseta
Asseta e assetàse
Sedere e sedersi
Assetoun (d') (Cev.)
In settun
A sedere sul letto
Assousta *
Assustà •
Ricoverare
Astou
Astù
Falco
Assuca (senso aff. al
Assùcà
Acciuffare
gen.)
Ataca
Atacà
Attaccare
Atìssa
Atissà
Attizzare
Atrapa
Atrapà
Truffare
Atrouba
Atruvà
Trovare
Avei, ave
Aveì
Avere
Averti
Averti
Avvertire
Avesina
Avexinà
Avvicinare
Avia
Avià
Avviare
Avisa
Avisà
Avvisare
Bachalan
Becellan
Chiaccherone, baggeo
Bagage, bagagi
Baga^giu
Bagaglio
Bagna
Bagni
Bagnare
Baisa
Baxà
Baciare
Balet (guasc.)
Baletta
Piccolino, bellino, detto
per vezzo a fanciullo
Balla
Balla
Ballare
Banastro
Banastra
Cestone
Barban *
Barban •
Bau, befana
Barbouta
Barbuta
Balbettare
Barlugo, berlugo *
Berliigu •
Luce confusa, incerta
Barqueja
Barchezà
Barcheggiare
— 104 —
Voci provenzali
Bassaca, bassacado *
Bastouna
Beca
Begudo • (osteria)
Benigna, belugueja *
Benèisì, benèzi *
Berbezino (ragazzino)
Bescuech, bescueit
Besoun, besoun^
Besugo (scempiaggi-
ne-pesce)
Beure, bey re
Biffa
Bisca *
Biso, bisa * (vento fred-
do e secco)
Bissac
Blasina, blesina e bla-
sin •
Blu, bleu
Boudego
Boudissou (mascalzo-
ne) (Cevennes)
Boudissouno (donna
piccola e grassa)(*d.)
Boun
Bourdiffo, bourdigou *
Bo arri do *
Boustica *
Bozo/ boza
Brama *
Brassalet
Brasseja
Brau
Braza
Bregand
Bren*
Brignoun *
Brigoulo, berigoulo
Bromes
Brujou, bruzou
Broto, brot
Bruc, brugo *
Bruino *
Bruta
Brutau (brutale)
Brutige
Bruzà
Bruzi *
Bufa *
Bugada, bugado •
Bugadièiro *
Burla
Buscalhu
Voci genovesi
Bàsiga, basigli *
Bastunà
Becà
Begtidà *
Abarliiga •
Beneixì
Berbexin (uccelletto,
figlioletto)
Beschoùttu
Bezeùgnu
Bezijgu (scimunito-
pesce)
Beuie, beie (ling.pop.
e coni.)
Bifm
Bisca *
Bixa* (venticello)
Bissacca
Bèxinà e bèxin*
Bleù
Biidegu
Bòdissun \
Bodissun-a i
Bun
Burdigottu •
Buridda *
Busticà ^
B«MÌza, beììzima
Brami *
Brassalettu
Brassezà
Brau
Braxa
Bregante
Brennu *
BrignuD
Briguelu
Briimezzu
Briixù
Brottu
Brugu '
Sprùin *
Bruta
Briittu
Briitixe
Briixà
Briizi •
Bufa •
Bugà*
Biig.'iixe *
Biirlà
Bùscaggie
Significato italiano
Dondolare, don4olo
Bastonare
Beccare
Gozzovigliare
Abbarbagliare
Benedire
Biscotto
Bisogno
Bere
Cancellare
Bisaccia
Piovigginare e acqueru-
giola
Azzurro
Chi ha gran ventre
Grassi, dappoco
Buono
Bugigattolo
Pesce in guazzetto
Stuzzicare
Bovina
Muggire
Braccialetto
Agitar le braccia
Bravo
Brace
Brigante
Cruscone
Pruna
Vermiciattolo
Esca pei pesci
Bruciore
Brocco, pollone
Erica scoparia
Spruzzolo
Bruttare
Porco, vile
Sporcizia
Bruciare
Mujrgire
Buffare
Bucato
Lavaudaja
Burlare
Bruciaglia
— 105 —
Voci provenzali
Buta
Caban •
Gabano, cabana *
Cadel, cadeliou *
Cadena, cadeneto
Caga, cagadou
Cagò-nieu, cago-nis
Camina
Canos •
Canta
Cantabruno •
Capoun
Carboun
Carbouney
Carga
Carratier
Carroussa
Cau
Chautk (s'en)
Chicholo (ba^tella)
Chichiou (gndo degli
uccelli)
Chot (uccello)
Clap (ciottolo, rottame)
Couble
Coumensa
Coumpati
Counai
Couasenti
Counsigna
Coutel
Cru
Darrieu * (avv.)
De -bada •
Defendut
De-dela
Desliga
Derouca
Desavia
Descadena
Descapela
Descarga
Descausso
Desen, dezeu
Desfa
Desfaissa
Despart (a)
Despassa
Despreza
Desrena
Dessa, dessa e de la *
Dessubre
Destapa
Desturba
Voci genovesi
Butà
Caban •
Cabanna *
A cadellu *
Caden-a, cadenetta
Caga, cagadù
Caga in niu
Camina
Cannie •
Canta
Cantabrùn-a *
Capun
Carbun
Carbuné
Caregà
Carato
Carussa
Cou
Sciatàse
Ciciollu (budello)
Ciu, barbacì'u
Ciò
Ciappi
Cubbia
Cumensà
Cumpatì
Cundi
Cunsentì (nel senso
di cedere)
Cunscignà
Cutellu
Criiu
A reu • (avv,)
De badda *
Defeisu
De delà
Desligà
Deriià
Desavià
Descadena
Descapellà
Descaregà
Descàsu
D»*xen
Desm
Desfascià
Desparte (in)
Despassà
Desprèxà
Derenà
De ca, de ca e de ìk
De surve
Destapà
Destùrbà
Significato italiano
Buttare
Gabbano
Capanna
Catena, catenella
Cacare, cacatojo
L'ultimo nato d'una fa-
miglia
Camminare
Fiori del vino
Cantare
Tromba da vino
Cappone
Carbone
Carbonado
Caricare
Carrettiere
Carrozzare
Cavolo
Turbarsi, alterarsi
Chiù
Cocci, rottami
Coppia
Cominciare
Compatire
Condire
Consentire
Consegnare
Coltello
Crudo
In generale
Gratis
Proibito
Dall'altra parte
Slogare
' Precipitare
Sviare, disusare
Scatenare
Scappellare
Scaricare
Scalzo
Decimo
Disfare
Sfasciare
Disparte (in)
Sfilare
Disprezzare
Dilombare
Di qua, dalle due parti
Di sopra
Sturare
Disturbare
Voci provenzali
Destriga
Di-segur (guasc.)
Durmi, drumi (id.)
Dous
D0US8OU
Drouga
Dru
Emberluga *
Embuteja
Embriega
Encapouta (s')
Encarougna (s')
Endegua ^
Engueita, gueita •
Errou
Esclap
Esciapa (Cev.)
Esclapaire
Esclatar
Escraca
Escura
Estivadou
Fa
Fabrica
Fanfaroun
Farsi
Fau
Fen
Fet
Fidèu
Figo
Fin
Fouet e fouetta
Fogassa
Fougau
Founniga
Fourtou
Fraire
Fraudo
Frebe
Freid
Freta
Fuma
Futo (fuga)
G arso un *
Gavaffno *
Gimbla * (torcere, pie-
gare)
Gipo, gipou
Gobelet *
Graflgna
— 106 —
Voci genovesi
Destrigà
De segiiu
Durmì, drumi (V.
cont.)
Duce
Diicìi
Drugà
Driiu
Imbarliigà *
Imbuttiggià
Imbriegà
Incaputàse
Jncarugnise
Aguertà*^
Errù ^
Scciappa
Scciappà
Scciappoù
Sciata
Scracà
Stivadù
Fa
Fabricà
Fanfarun
Farcì
Fò •
Fen
Fètu
Fide
Figu
Fin
Fuettu e fuettà
Fugassa
Fuguà
Furmiguà
Furtù
Frè, e frerc nel gen,
Frauxu
Freve
Freidu
Fretta
Filma
Futtu via!
Garsun ♦
Cavagna *
Gimbrà *
Gippa, gipponetto
Cubelettu *
Granfignà
significato italiano
Strigare
Di sicuro
Dormire
Dolce
Dolciume
Correre, far correre
Grosso
Abbarbagliare
Imbottigliare
Ubbriacare
Ammantellarsi
Incarognire
Far capolino
Errore
Scheggia
Fender legna
jlia-legna
Far ciìi^sso
Sornaccliiare
Pulire stol^iglie
Stivatore
Fare
Fabbricare
Millantatore
Infarcire
Faggio
Fieno
Fatto
Vermicelli
Fico
Astuto
Scudiscio e scudiscj*^^
Focaccia
Focolare
Formicolare
Fortore
Fratello
Frodo
Febbre
Freddo
Fregare
Fumare
Scappa vial
Garzone
Canestra
Accomodare, convenir]
Giubbone, corpetto
Pasticcino
Graffiare
* In provenzale T invelenirsi d'una piaga, in genovese lo stesso significato,
ma più propriamente lo slogarsi delle giunture delle mani e dei i)iedi.
IKJi
Voci provenzali
Voci genovesi
Significato italiano
Gran
Gran •
Grano
Grata
Gratta
Grattare
Gnimicel, grumiceu
Riimescellu
Gomitolo
Gue\no
Guen-a
Guaina
Guignoun
Ghignun
Avversione, dispetto
I (pronome : io, egli, a
I (proti, contad.) essi
lui, ecc.)
Impedì
Impedì
Impedire
Intriga
Intriga
Intrigare
3apa
Giapà
Gracchiare, cicalare
Juga
Zugà
Giocare
Lansa
Lansa
Lancia
Lapa*
Lapà»
Lambire
Laura
Lauà
Lavorare
Leca
Lecà
Leccare
Lengua
Lengua
Lingua
Leitugue
Leituga
Lattuga
Leva
Leva
Levare
Liga
Ligà
Legare
Limoun
Limun
Limone
Leinciéu
Lenseù
Lenzuolo
Lioun
Liun
Leone
Luzl
Liixì
Lucere
Man
Man
Mano
Manca
Manca
Mancare
Manda
Manda
Mandare
Marca
Marca
Marcare
Marci
Marci
Marcire
Marin
Mann
Marino
Massacan *
Massacan *
Muratore
Matin
Matin
Mattino
Mau-de- maire
Ma de moè
Isterismo
Mazel
Maxellu
Macello
Marma, amerma*
Amermà *
Diminuire
Meis
Meise
Mese
Mestey
Meste
Mestiere
Mi
Mi
Me
Mino
Minnu
Gatto (vezzeg.)
Moto, monto
Mottu
Zolla, zollo
Mouc
Muccu
Lucignolo
Mouélo
Moula
Midolla
Mounda
Mundà
Mondare
Mour, mourre
Muru
Muso
Nache, naxe
Nasce
Nascere
Navega
Navegà
Navigare
Nei
Neie
Neve
Nesci
Nesciu
Nesci
Neteja
Netezà
Pulire
Neva
Nevà
Nevicare
N\
Ni
Né
Niu
Niu
Nido
Non
Nù
No
Nouze, noze
Nuxe
Noce
Orb
Orbu
Cieco
Oudou,audou {guasc]
1 Audù, odù
Odore
Pan
Pan
Pane
— 108 —
Voci provensali
Pa^a
Paia (dolce, pacìfico ,
parlando d'un ani-
male)
Paisan
Paisanetto
Pauferre
Panisso
Pansa
Pape*
Parla
Parmoun
Parpelha
Parti
Passa
Pastissa
Patèlos (natiche) •
Patroun
Pè, ped
Pé
Pechin, Pichin
Pecoul
* Peneca
Pensa
Perdouna
Pertouca
Pesa
Pesca
Pessiga
Peta
Pè, peii, poti (guasc.
béuìti.)
Pica
Pichoun, pichouno
Picosso, picoussin
Pignou
Pia (albero)
Pitansa
Poumpoun
Putz
Preison
Prepara
Presenta
Presega
Presta
Quita
Ra (ari.) (guasc.)
Ralegrà
Ramadan ^
Rangrougnou
Ransou
Rapugo
Raspa
Rastela
Rato penado
Razouna
Voci genovesi
Paga
Paxe
Paisan
Paisanettu
Paaferu
Panissa
Pausa
Pape»
Parla
Purmun
Parpelà
Partì
Passa
Pastissa
Patèlu •
Patrun
Pè
Peu
Piccin
Peigullu
Penezà
Pensa
Perdunà
PertucH
Pesa
Pesca
PessigÀ
Petà
Pò, peu, pou
Pica
Picceno (gen. ant j
Picossu, picossin
Pigneù
Pin
Pitansa
Pumpun
Pussu
Prexun
Prepara
Presenta
Persega
Preste
Chità
Ra (gen. ant.)
Rallegra
Ramadan *
Rangugnun
Rànsiu
Rapussu
Raspa
Rastela
Rattu penugu
Raxuna
Significato italiano
Pagare
Contadino
Contadinello
Pie di porco
Polenta di farina di ceci
Pancia
Carta
Parlare
Polmone
Batter le palpebre
Partire
Passare
Impasticciare
Pezza per bambini
Padrone
Piede
Pietro
Piccino
Picciuolo
Penare
Pensare
Perdonare
Spettare, riguardare
Pesare
Pescare
Pizzicare
Morire
Per, per lo
Picchiare
Piccolo
Scure, piccozzino
Pignolo
Pino
Pietanza
Nappa
Pozzo
Prigione
Preparare
Presentare
Pesca
Prestare
Lasciare
La
Rallegrare
Fracasso
Brontolone
Rancido
Raspo
Raspare
Rastrellare
Pipistrello
Ragionare
^ i\jìf —
Voci provenzali
Voci genovesi
Sijrnificato italiano
Recata e recate
Dà recattu, e recattu
Metter a sesto, ordine
Recoumanda
Recumandà
Raccomandare
Recoumandacioun
Recumandasiun
Raccomandazione
Recourda
Regurdà
Ricordare
Rede
Redenu
Rigido
Rifare
Refa
Refà
Re^augna
Rangugnà
Brontolare
Rei, raitz
Reixe
Radice
Relent
Relentu
Puzzo di rinchiuso
Rema
Rema
Remare
Remounda
Remundà
Rimondare
Ren
Ren
Reni
Repesca
Repescà
Ripescare
Repìc
Repiccu
Ripicchio
Rescos (a, de)
Rescusu (a, de)
Di soppiatto
Rescoundun
Rescusun
Cosa nascosta; premesso
il de, vale: nascosta-
mente
Ressaut
Ressatu
Scossa, sussulto
Resta
Resta
Restare
Rat
Rè
Rete
Retapa
Retapa
Riturare
Retouca
Retuca
Ritoccare
Reverso
Reversu
Rovescio
Revesti
Revesti
Rivestire
Rial, rian*
Rian*
Rivo
Ribouta, riboto
Ribotà, ribotta
Gozzovigliare, gozzoviglia
Rigou
Rigù
Rigore
Ritou
Rettù
Rettore
Rol
Rollu
Rotolo
Rosai
Ruzà
Rugiada
Roumanis
Rumanin
Rosmarino
Rounfla
Runfa
Russare
RouDfìe
Runfu
Il russare
RouDza *
Arrunsà •
Spingere
Rounzo *
Runsa •
Do ri va
Rousso
Russu
Rosso
Rousiga
Ruzigià
Rosicchiare
Roussou
Russù
Rossore
Rousti
Rustì
Arrostire
Rout
Ruttu
Rotto
Rouve^ rouvei
Ruve ^
Rovere
Rouveirol, rouveirou ^
Ruveien
Rusca
Riisca
Polvere di concia
Sau
Sa
Sale
San
San
Sano
Sapa
Sapà
Zappare
Sarmoeiri
Sarmuia
SHlainoja
Saut, sdutet
Satu, sàtettu
Salto, salterello
Sazi
Sèxì
Stagj^ire
Stagione
Sazoun
Saxun (gen. ani.)
Se (pron.)
Se
Si
Seguou
Segnù
Signore
Segound
Segundu
Secondo
* Piccol bosco di querce : onde il nome di Rivarolo, paese presso Genova.
— 110
Voci provenzali
Voci genovesi
Significato italiano
Semena
Semena
Seminare
Sen
Sen
Seno
Senou
Se nù
Se no
Serra
Serra
Chiudere e segare
Serro
Séra
Sega
Servitou
Servitù
Servitore
Seu
Seu
Sego
Set, sey
Sé
Sete
Soufri
Suffrì
Soffrire
Soun
Sun
Suono
Soul
Sulu
Solo
Sousto (a la) *
Sustu (a) •
Al coperto
Souto
Suttu
Sotto
Sua
Sila
Sudare
Suffouca
Suffucà
Soffocare
Superiou
Sussa
Superiore
Sussa
Succiare
Tacheto
Stacchetta *
Bulletta
Tacouna
Tacunà
Rattoppare
Tapa
Tapà
Tappare
Tapero, tapeno
Tastoun (de)
Tapanu
Cappero
Tastun (a)
Tastoni (a)
Taulasso
Tavolassu
Tavolato
Te (pron.)
Te
Ti
Teisse
Tesce
Tessere
Tempourlu (per)
Tempuju (a, per)
Di buon'ora
Xeni
Tegni
Tenere
Terren
Terren
Terreno
Terrino
Terin-a
Zuppiera
Tetino
Tettin
Mammella
Teu (agg.)
Teù
Tuo
Tian
Tian
Tegame
Touca
Tucà
Toccare
Torse
Torce
Torcere
Toumba
Tumbà
Cascare
Toun
Tun
Tono
Tourmenta, trumenta
Turmentà, trumenta
(corUcui.)
Tormentare
Tourna
Tuma
Di nuovo, da capo
Tourtéiróu *
Turtajeù ♦
Imbuto
Toussi
Tusci
Tossire
Traidou
Treitii
Traditore
Tran-tran *
Tran-tran *
Corso ordinario delle fac-
cende, consuetudini, ecc
Trepa ♦
Trepà •
Ruzzare
Tron
Trun
Tuono
U (Del/in., art il, la)
U (gen., art. il, lo)
Usa
Usa
Usare
Vaisselier
Vascellèa
Piattaja
Vanta
Vanta
Vantare
Vapou
Vapù
Vapore
Vautres
Vuiatri
Voi altri
Veire, Vei
Vei
Ieri
Veirier •
Ve»
Stovigliaio
Verni ssa
Vernixà
Verniciare
Vertader
Vertadeu
Verace
— Ili —
Voci
provenzali
Voci genovesi
Significato italiano
Vezin
Vexin
Vicino
Vezinat
Vexinatu
Vicinato
Vin
Vin
Vino
Vilan
Villan
Villano
Vira
Virò
Virare
Voua
Vena
Vuotare
Vouga
Viigà
Vogare
Zoun-zoun *
Zunziiru *
Questo elenco di vocaboli, che non volli allungare, dimo-
stra principalmente un fatto : che Provenzali e Genovesi parla-
rono quasi allo stesso modo il volgare latino : rammenta poi,
con parecchie analogie singolari tra Tuno e l'altro idioma, in
ispecie tra il genovese e i dialetti guasconi, V antica e lunga
convivenza dei Liguri con gli Iberi nella regione posta tra il
Rodano e i Pirenei, perciò chiamata dagli antichi geografi Ibero-
Liguria.
Ma pochissime delle voci germaniche e celtiche proprie del
genovese si trovano nel provenzale, ed anco le pochissime sono
probabile importazione genovese o francese.
« Le provengal - scrisse Littró ^ - ne laisse plus aux mots
« leur ampleur primitive : il les resserre, il diminue la variété
« de leurs désinences. C'est le latin de ce còté-ci des monts,
« car c'est toujours du latin, et le fond est aussi intact que de
€ l'autre coté, mais la forme en a été notablement modifiée. Le
« latin n'a pu supporter un si lointain déplacement sans prendre
« un autre air qui le rendrait étranger dans sa vieille patrie
* s'il y reparaissait, il n'a pu changer de climat sans éprouver
<( ce qu'éprouvent tous ceux qui en changent, c'est-à-dire une
«mutation dans sa constitution. Mais le séjour où les événements
« l'avaient conduit, quelque différent qu'il fùt du séjour origi-
ne naire, était adossé à ces montagnes dont l'autre versant voyait
<( se dérouler les campagnes italiques, et ne s'avangait pas à
« perte de vue dans les profondeurs de l'occident gaulois. Aussi
« la langue d'oc, malgré ses dissemblances, a-t-elle encore un
<c certain aspect latin qui ne jure ni avec l'italien, ni avec l'espa-
« gnol : la teinte latine est moins marquée sans doute, mais n'est
* V. scherzevole dinotante il suono del violone, violoncello, ecc.
* Histoire de la langue fran^aiscy Paris, Cidier, 1813, voi. II.
— 112 —
« aucunement effagée. Le voisinage se fait sentir avec toute sa
< puissance : cette Gaule Narbonnaise, cette « Province » par
« excellence, devenue la Provence, se distinguait à peine, au
* dire de Pline, de l'Italie elle méme: Tassimilation était grande:
« mais le lien avec Rome une fois rompa, une physionomie spó-
« ciale s'empreignit dans ces contrées : elles ne furent plus
« autant italiennes, elles furent davantage gauloises, mais gau-
^ loises intermediai res. On remarquera, ce qu'il n'est pas su-
« perflu de noter, que les patois de cette région inclinent aux
« Alpes vers Titalien, aux Pyrénées vers Tespagnol, comme le
« veut la règie des rapports et de la gradation ».
Citai questo passo dell' illustre scienziato, un poco per ap-
plaudire me stesso dell'opera mia : perocché se a Littré fossero
stati noti il piemontese, e in ispecie il genovese, non avrebbe
scritto del provenzale quello che scrisse, ma confermato ciò che
detto avea poco prima, che cioè : « il est constate que les
4c teintes des langues se succédent sans éprouver ni saut, ni
4c brusque interruption » .
Se non che una grave differenza esiste tra il genovese ed
il provenzale: Vaccent francese che, perfetto nel primo, manca
al secondo.
« Cette inaptitude - dice Agostino Thierry ^ - à prendre
« Taccent franQais, si opiniàtre chez nos compatriotes du midi,
« ne pourrait-elle pas servir à marqucr la limite commune de
<c deux races d'hommes anciennement distinctes ? >
Manca in effetto al provenzale il dittongo eu, dicendo esso
biou, bov, bou per bo3uf francese, beu genovese; cor per
ccBur francese, cheu genovese: fioc, foc, fuec per feu
francese, feugu genovese; logo, luec per lieu francese,
leugu genovese, ecc., come gli manca la pronunzia dello j fran-
cese zz: X genovese, davanti a vocale, salvo, in qualche pro-
vincia, a mutarla in dze o tse, come i Piemontesi.
Questa circostanza mi conduce a trattare delle relazioni
tra l'idioma genovese e il francese. Premetto una dichiarazione:
che io parlo del genovese popolare, e occorrendo, anche del
contadinesco, perchè molto più puri, rispetto airaiitichità, del
linguaggio cittadinesco : e mi piace, a questo proposito, di ci-
' Lefti'es sur Vhistoìre de Francey Paris, Fumé et C, 1859.
hL.
— 113 —
tare ancora Littré : ^ « Platon, poéte s'il en fut, Platon qui
4c n'aimait pas le peuple, Tappelle son " maitre de langue ". Je
*< penso, avec L. Courier, que le langage populaire renferme une
< foule de locutions précieuses marquées au coin du vrai genie
« de la langue, et qu'on ne saurait trop étudier ... Le peuple
< est le conservateur suprème de la langue, ou du moins c'est
« chez lui qu*il se perd le moins de la tradition antique, e est
« chez lui que le travati de décomposition se fait le plus len-
« tement sentir. D'où vient cotte faculté qu'a le peuple de con-
* server plus fidèlement et plus sùrement les forraes de la
« langue? De son grand nombre: plus le nombre est considé-
4c rable plus il y a de chances pour que rien ne soit oublié ou
< perdu, tandis que dans le langage des classes de ceux qui
« ócrivent, Tapport total est bien moindre, et par conséquent
« les pertes bien plus fréquentes ».
Prendendo adunque a discorrere delle relazioni che cor-
rono tra la lingua francese e la genovese, lascerò stare i tempi anti-
chissimi, mettendo da parte il celtico, di cui forse rimane traccia
più considerabile nel genovese e nel comasco che nel francese : ^
questo, eccettuate le quattrocento incirca voci germaniche en-
tratevi al tempo delle invasioni barbariche, e non molte altre
di provenienza diversa, è latino, come latino è il genovese, tolta
una quantità, anco minore, di voci celtiche, germaniche e se-
mitiche, accresciuta però dalle voci germaniche che ha comuni
con l'italiano. Ma riguardo al genovese convien prima notare
quanto segue:
Quattro suoni distinguono nettamente la genovese dalla
pronunzia latina e dalla toscana, quelli cioè:
V della vocale u, che in genovese è sovente stretto o
turbato, come l'hanno i Francesi ;
2° della consonante x, davanti a vocale, che in geno-
vese ha r identico suono della / francese, ^ diverso per conse-
guenza da quello della x latina, composta delle lettere e e s;
» Op. cit, voi. II.
* Non vo' lasciur di dire che la notevole corrispondenza che si osserva
frequentemente tra voci dello linj^ue celtiche odierne con quelle antichissime
rimaste nel genovese e nel comasco, proverebbe che le dette hngue sono an-
cora abbastanza conformi alla ling-ua celtica antica.
* Dice Littré che è lo tot fenicio.
— 114 —
3^ dei dittonghi eu ed ou.
Un altro suono distingue la genovese dalla pronunzia to-
scana (parlo soltanto degli elementi del linguaggio) ed è quello
del dittongo ce: questo il genovese ha comune col latino (ce,
come in ae g e r, a3 1 as, aflSne al greco ai) e lo pronunzia come in
e tè, me, nel modo stesso con cui dovevano pronunziarlo i La-
tini, cioè come un' e molto aperta e prolungata, pronunzia di
cui restò traccia nel romanesco odierno in cui pronunziasi, per
esempio, Caesar, Cesare, con un* e quasi duplicata.
La pronunzia dell'in turbato e quella del dittongo eUy il
genovese ha comune col piemontese, col lombardo e con la
lingua francese; il dittongo ou è assolutamente genovese: la
X j è comune al genovese e al francese : si sente in poche
parole lombarde, in nessuna piemontese; ^ il dittongo ce è co-
mune al genovese e al francese in cui prende forma e suono
di una e aperta /'frè genovese si pronunzia come il francese
frère), si sente pure in alcune parole piemontesi e lombarde.
Quanto al dittongo ou, esso si è formato, quasi di certo,
dall'alterazione delle voci latine terminate in -atum, ecc., che
già dissi di sopra avere il genovese finite in -au prima, in -ou
dopo: e ne è prova il fatto che nessun altro idioma ligure ha
Vou, e che nella stessa Liguria cotesto dittongo è limitato al
centro di essa ; le terminazioni in -ou, mutandosi in -ao in
buona parte della Rivi<u-a di ponente, ed in -eu neirestreraa
parte di quella di levante.
Un quinto suono ha il genovese, che non hanno il latino,
il toscano, e lo stesso lombardo: quello della n, che l'Ascoli
chidimai faucale. Nelle voci latine terminate in -ana, -erta, -ina,
'Ona, -una, accettate dal genovese, la n dell'ultima sillaba fu,
quasi per legge organica , attratta dalla precedente vocale
* Il Gavuzzi, autore di un recente ed assai preg'evole Vocabolario pie~
moììfesp'ifaliano (Torino, Roux, 1891) dice nel trattatollo di ortografia pre-
messogli che la z piemontese ha il suono del gè, gi, francesi innanzi alle
vocali e ed /, e cita: piemontese zi g-ó, francese gigot, zibiè = gibler, eco*
Aggiunge che la z piemontese ha il suono dell'y francese ^innanzi a tutte
le vocali, e cita: piemontese zalòn = francese jalon: non si poteva dare
prova migliore dell'impossibilità in cui sono, naturalmente, i Piemontesi
di pronunziare il francese gf*, gi innanzi delle vocali e, i e lo j francese
innanzi a tutte le vocali. Né più facile è per essi la pronunzia del eh fran-
cese innanzi alle vocali, e dello se italiano innanzi all'^ ed all'i.
— 115 —
accentata, e staccata dalle finali a singolare, od e plurale, le
quali furono pronunziate sole, ma con suono muto, che meglio
sarebbe detto smorzato:
arena = aen-a, aen-e fortuna r= furtun-a, furtun-e
bona = bun-a, bun-e lana = lan-a, lan-e
spina = spin-a, spin-e
Questo carattere fonetico è comune al piemontese e al francese:
arène fortune
bonne laine
épine
nelle quali voci Ve muta finale non si fa sentire di più della
finale a genovese e piemontese, dato il suono, naturalmente
più aperto, dell'a medesima, ed è suono che, unito a quelli
deir^, deirw, e delle x o j, rivela leggi del linguaggio li-
gure preesistente al latino, le quali il latino stesso non valse a
sopprimere.
In efl*etto, i tre ultimi suoni trovansi in molte voci geno-
vesi non derivate dal latino, e per quello della n faucale basti
citare s e h e n - a zz schiena, che Diez trae dall'alto antico te-
desco skina, voce conservata tal quale nel piemontese.
Perchè poi manchi ai Piemontesi il suono dello j ò ìp, e
quello dello se, ed ai Lombardi il suono della n faucale, non
è qui il luogo di ricercare.
Or pigliando le mosse dal tempo in cui gli idiomi celtici,
francese e genovese, si trasformarono in uno speciale latino
volgare, ricorderò d'aver già fatto notare la conformità o la
diversità del modo seguito nella trasformazione stessa dal ge-
novese a confronto del francese: gioverà tuttavia di riassu-
mere quelle note. Francese e genovese trovaronsi d'accordo
a pronunziare se, si, i Latini e ce =: ccelum, ce :::=: cena,
ci rm ci 711 s. Ho già accennato alla possibilità di un' identica pro-
nunzia latina, però ristretta a talune provincie, come la Gallia
e r Iberia : in effetto, il principal fondamento di questa sup-
posizione di pronunzia è il noto passo di Ausonio, relativo a
Venere
Nata salo, suscepta solo, patre edita caelo
in cui verrebbe meno il bisticcio se non si leggesse salo, solo,
selo. Però Ausonio era gallo, onde si può arguire che la pro-
nunzia del ce z=z se fosse gallica, e quindi ligure, e più prò-
— 116 —
priamente ligure-genovese, perocché il piemontese stesso e il
lombardo dicono: eie 1, ceresa, cent, cert, ciment, ecc.,
che il genovese pronunzia si, se.
Dirò poi donde vengono al genovese le poche parole in
cui sono il cCy ci, all'italiana.
D'accordo pure, salvo una lieve differenza, si trovarono
genovese e francese nel pronunziare il ^r e lo j latini davanti
alle vocali e, i.
lai.
gelu
/•/•.
gel
geii.
zeu
»
genu
»
jjenou
>
zenuggiu
»
jociim
»
jeu
»
zeùgu
>
juvenis
»
jeune
»
zuvenu
II genovese, come il francese, finì in tronco tutte le ter-
minazioni latine in -ium, -nis, -num, -nus, -onis:
lat. jejunium />•. jeun gen, zazun
» finis » fin > fin
» manum y> maiu » man
» bonus » bon » bun
» carbonis » charbou » carbun
e pur come il francese serbò il de e il re prefisso a molti
verbi e nomi latini:
lat. defendere fr. défendre gen, defende
» destruere » détruire > destrue
» devotio » dévotion » devuziun
» reducere » réduire > redùe
» remordere » remordre » remorde
> respondere » répondre » respunde
Come il francese, e a differenza delT italiano, il genovese
serbò Vu latina, specialmente in molte formule iniziali:
lat. bueca fr. bouche gen. bucca
» bullire y> bouillir » bug^ì
» cultellus » couteau » cutellu
» currere » courir » curi
» dulcis » doux » duce
» furca » fourche » furca
Nel corpo delle parole latine, il francese soppresse gene-
ralmente una consonante ed avvicinò le vocali:
lat. rotundus = reond (rond)
» maturus = meiir (mùr)
e cosi fece il genovese: riundu, meuiu.
La l preceduta da un* a o da un* e sparì nelle due lingue:
lat. alter fr. autre gen. atru
» calidus » chaud » cadu
• — 1 17 —
Né mancano, tra i due idiomi, analogie puramente gram-
maticali. Francese e genovese serbarono, in molti casi, i pro-
nomi latini qui, se, te, che T italiano mutò in che, si, ti, esempio:
francese « Thomme qui n'a point de but se perJ *, genovese
4c Tommu chi nu a un fin, u se perde », italiano « l'uomo che
non ha uno scopo si perde » - francese « je te prie », genovese
« mi te pregu », italiano « io ti prego ». Così il francese di-
cendo 4c je lui donnai » non distingue se ad uomo o donna, e
Io stesso fa il genovese dicendo: «gh'ho dètu ».
E non vale la pena di tener conto di altre minori ana-
logie.
Notevole singolarità del genovese è Tabborrimento della /
unita in principio di parola ad altra consonante: nessuna voce
veramente genovese comincia con da, fla, pia, e, i; quelle che
trovansi nei dizionari sono di recente provenienza italiana o
straniera. Il genovese è in ciò distinto dal francese, che con-
servò le su dette forme latine più fedelmente dell'italiano, e
da ciò vennero per la necessità linguistica, già indicata, le poche
radici genovesi in ce: ceu, ceive; in ci: cian, clave, e in
gi: gi. gè a.
Proseguirò esaminando, brevissimamente, le successive
trasformazioni del francese, tutte le lingue essendo, secondo
Bossuet, soggette alla « legge del cambiamento » che è a sua
volta soggetto a condizioni regolari. E gioverà, ad ogni buon
fine, premettere che nel secolo xiii Brunetto Latini scriveva
in francese il suo Tesoro, Rusticiano da Pisa, i suoi romanzi,
e (per tacer d'altri) Martino da Canale la sua Storia di Ve-
nezia, perchè, diceva egli, « langue francaise court parmi le
« monde, et est plus delitable à lire et à ouir que nulle anitre ».
L'analogia col genovese doveva allora essere notevolissima,
specialmente del francese di Piccardia e di Normandia che,
com'è noto, forma, con quello deirile-de-France, il tipo della
lingua d'oil. Per esempio, il piccardo cambiava e cambia tut-
tora il eh francese in k, dicendo uncat, unkemin, une
kose (genovese gattu, cami n, cose), il normando invece di
ai, che distingueva il francese Ile-de-France, roi, roine, es-
'^roit, pois, il lisoit, que je soie, ecc., diceva e dice ei:
rei, reine, estreit, pois, il lis eit, que j e sei e, (ge-
novese re, regin-a, streitu, peisu, u lezeiva, che mi
— 118 — •
scie, ecc ), e aveir,cheit, creire, freid, saveit, veeir, ecc.
(genovese a veì, e bèi tu, crei, freidu, saveì, veì, ecc.).
In verità, leggendo (anche come feci io, di volo) le antiche
scritture francesi, si rimane maravigliati trovandovi moltissime
voci e modi che il francese moderno abbandonò quasi tutti, ma
che sono vivissime nel genovese, per esempio awardevet
(avardéve) per: gardez-vous, sou viegne-vou s (suve-
gnive, ve suvegne), per: souvenez-vous, bel filleul *
(bellu figgeu), ecc., e mi per: moi; ti per: toi; sòe (ge-
novese so) per: sa; to, tos, toe (genovese to), per: ton, ta;
dui' per: deux, ecc. e tutti gli articoli genovesi o, u^ (le,
ce, cela) as, ai, (au aux) dou, du (du): persino quel Die
(Dieu) che dura fortissimo nell^esclamazione genovese « per
Die! ».
Del resto, ecco un elenco di voci del francese antico con
le corrispondenti genovesi. ^
Francese antico
Aastir (irritare)
Àbaubit *
Abaundun *
Aberge
Abriver, esbriver
Acater *
Acointer (s')
Acoucher (s')
Genovese antico
Astrià
Accoventàse
Genovese moderno*
Abotìu
Abandun
Abergu
Asbnd,, abrià
Acatà
Acucci&se
* C'est tu metsnir, bel fllleul?
* Qui virent e u uiren (esempio del Godefroi). Altro esempio, tratto
dalla Legende sur le pape Grégoire le Grandy 1200-1210:
Aprés eu vini al lit corant
U eie vit o son enfant
Ses cheviauz trait, e brait, e crie
che voltato in g-enovese antico suonerebbe:
Péu a ne vegui au lettu curando
Unde a vi u séu fante
A se tra i cavelli e a bragrgia e a cria
' Le trassi da quel vero monumento linguistico che è il Dictionnaire
de r ancienne langue frangaise et de tous ses dialecteSy du ix au xv siede,
par Fréderic Godefroi, Paris, E. Bouillon, giunto nel 1892 alla lettera T.
Però tenni presente anche il pregevole Glossai re de la langue d*OU (xi-xiv
siècles) par le docteur A. Bos, Paris, J. Maisonneuve, 1891.
Non misi nell'elenco le voci marinaresche» perocché quelle relative alla
marina medioevalo vennero al francese dal genovese (come ammettono g'ii
stessi Francesi) e sono perciò identiche.
^ Che comprendo molte parole usate anche in antico.
Delle voci segnate con asterisco trattasi nel Vocabolario etimologico.
» ■"
- 119 -
Francese antico
Genovese antico
Genovese moderno
Acroissance
Cresciansa
Adaviner, adeviner
Adavinà
Adormir (s')
Adurmtse
Adoub
Adubbu
Afiaiter, afeitier * (afait, tannerie)
Afità (conciar pelli)
A faro s
Aforozo
Agarder, awarder, varder*
Aguardà
Avardà, vardà *
Agrum
Agru
A^uaitier, agaiter*
Agueità*
Aigue, aegue, egua, augue
Ègua
Aisu
Axóu
Alaschier, alasquier
Allascà
Alegier
Alegeì
Alegrance
Allegransa
Allecliier *
Alleccà •
Alourder
Alluà ♦
Amasser
Amasse
Ambasseor, ambaxeur
Ambascióu
Amelie (arme, anima) *
Armella •
Amenestrer
Amenestrà *
Amermer *
Amermà *
Amirer, mirer (regarder en ge-
Amia, mia '
neral)
Amole
Amua
Amolier *
Amuà
Amotelé *
Amottóu *
Ancoi, ancui *
Ancheù *
Ane, anne
Annia *
Aner*
Anà*
Angoisser, angousce*
Anguscià, angu-
* scia*
Anichier
Aniccià
Aor, aour
Aora
Alia
Aparmain, apermeesmes (aTin-
Amarespaerme ?
stant, sur le cbamp)
(a mala pena)
Apenser (s'), apanser
Apensàse .
Apoindre
Apunde
Apointer
Apointà
Apresenter
Apreuf, aprof*
^
Apresentàse
Apreùu •
Aragier
A ragià
Araisuner
Araxunà
Arrasteler
Arras tela
Aréer, areì'er ♦ (régler, ordonner)
Arélà ♦
Aseter
Asseta
Aspe (aspic)
Aspèu
Assi
Assi
Asci
Assidi er *
Ascidià *
Astu* (astucieux)
Astu*
Ataster
Atastà
Ateser *
Atesà *
Atruver
Atruvà
Avanter (s')
Avantàse
Aveir
Aveì
Avete, dim. ef ève (abeille)
Ava
Avoyé (étre)
Avióu (ése)
PrancMO aatico OenovaM antico
Axillier, asxillier • (rava^r, de-
Axillfl?
vaster)
Baallier *
Biigià-
Badea (en) • (pour rien)
De badda •
Baoastre *
Banastra
Begude ftaverae)*
Begudà*
Befve
Belesse
Beleaaa
Belia, belliu (bélier)
Mentala (lai.)
Belugue •
Barlftgu •
Beneìcoii
Beneiasiun (da be-
ueixl)
Beaaive (bisaieul)
Besavu
BesoguB, besoigaier
Bes^gnu , bes^-
Beatietta
Beatete
BezJIler, beail <
Beziggiu •
Biau Biòu, bÌH
Boéle, boislée (boyau, entraillea)
Bele
Boisìe
BoKia
Baacbaille ibois taillis)
Bftacagge
Bouter,buter(heurter,renver3er,
BiitA-
pousser)
Brace
BrasBe
Braeeier {mouvoir les bras)
BraasBzù
Brenna "
Carout-'e* 'cnrrefoun
Caruggi» •
CciDte (oeinturei
CflDta
Cenis
Òenie
Cose, seze (pois chiche)
Seixau
Cerquier, ceriti er
Chaer
Oazse
Chaére, chaiére '
Caréga *
Chaueatel (petit gateaii)
Caneatrellu
Cliappin '
Scappin (de caset-
ta)»
Chapuser, chapugear*
CiapusBtt •
Chevelos, chevelu
Cavell u
Ctioij •
Ciò • (chiù)
Cibole, ciboule (oignon)
Ciller (foiietter), cillance (action
de)
Cince, since' (haillon, guénille)
Cioula
écilla(da,piggia.a)
Cinsa "
Cincele, sincelle ' (couain)
Sinsfta •
Cittiun Cittaen
Coue
Cua
Compensge
Curapanégu
Couppette
Cupetta
Coure, corre (courìr)
Cure
Coutel
Cutellu
Creirc Crei
Crenne (entaille)
Cren -a
Criour
Criu
Cruc (crochet)
Croccu
Croton (grotte, cacliot)
Crotun
N
—
- 121 -
Francese antico
Genovese antico
Genovese moderno
Quinte, coite (se coitier, correre.
Cuinta (ave!, anà in)
affrettarsi)
Cun (avec)
Cun (con)
Cimelli
Die
Cymeaulx
De, Diex, Die (Dieu)
De
Defeis
Defeisu
De^oler (égorger)
Degolà
Deie, diu, die
Diu, die
Demore, demuere
Demùa
Derer, derrer
Deré
Deschaus
Descasu
Descrovir
Descruv!
Desirance
Dexiransa
Desligier
Desligà
Despareil, desparegiè
Despaegiu
Despers
Despersu
Despit
Despétu
Desrener
Desrenà
Destorber
Desturbà
Desur
Desurve
Dirruer
Derriià
Disnal, disnée
Disnà
Dui ^
Dui (due)
Duleir
Dui
Embocer *
Tmbosà "
Ensourdir
Insurdi
Esbaissier
Asbascia
Escalvasier • (rompre, écraser)
Scavissà *
Escrachier
Scraccà
Esffailler * (éparpiller, en norm,
déchirer)
Asgaià •
Espousaiges
Spusagge
Espu (crachat)
Spuu
Estai, astai* (pieu, poteau)
Astallà •
Esternu
Stranuu
Estreit
Streitu
Estrie
Stria
Eulx (yeux)
eùggi
Facole
Facula
Faé, fée
Foé^
Fazeol
Faxou
Fenir
Peni
Feur
Feùa
Ferir
Firi
Fei
Filleul
Figgeù
Forceur, forcur
Forceliiu
Fourquefière
Furcafera
Freire
Frè
Freschume
Frescumme, refres
cumme
Fresel, fresiau
Frexettu
Freter
Fretà
Genoillous (a)
Zenuggiun (a)
Ohier, guier
Ghia
Gipon, gipe
Gipun, gippa
Gourpil, ourpil
Gurpe, urpe
— 122 —
Francese antico Genovese antico
Genovese moderno
Guaagnier
Guagnà
Grime *
Grimia •
Hanap *
Gnappa *
Igal
Iguale
Ja
Za
Joene
Zuenu, zuene
Kalade * (sorte de féte)
Caladda ♦
Labourer
Lauà
Landon *
L-'ndun^
Legne» leigne (bois h bruler)
Le ne
Lezeigne •
Lezfc-i-e *
Lilie
Liviu
Loscher, lochier* (secouer, bran-
Locià •
ler)
Luciabel *
Ceabella *
Luisir
Luxi
Malfiable
Mafiaddu
Mandil * (petit manteau)
Mandillu *
Meisme, meésme
Mèximu
Meìtez
Meitè
Menestre
Menestra
Mermel •
Marmellu*
Mescle
Mesciiia
Meurer
Meùià
Mie, milhe
Miga
Maincier, mincier (couper en pe-
Menissà
ti ts morceaux)
! dolete (petite moule)
Moietta
Mollier Mugl é
Muggè
Mourre * (museau des animaux)
Muru*
Muse, musette
Mlisa
Mussier, musse ^
Feminal (UU.)
Naiche, naige
Nèghe
Naie, nau (non)
Na, nae
Nascion
Nasciun ^
Netefier, netisseure
Netezà, netezenia
Nissun
Niscitin
Ni
Ni (né)
Nive, nivele
Neive
Non, neu (nage)
Neuu
Oisel
Oxellu
Om, omme
Òmmu
Orbet (obscur)
Orbettu {h V)
Orfaverie, orfavril
Fravegu
Pansé
Pansa
Parais Paraiso
Pareli e
Parolla
Parpaillole (monnaie)
Parpageùa
Passi un
Pascìun
Pastisser
Pastissà
Paute
Patan, pauta
Pecchez, pechiez
Pechè
Peige
Peixe
* In vetere gallico idiomate est locus obtectus, arcanus, iter angustum,
forsitan derivatimi a verbo gallico musser, abscondere: etym. ab a. v. germa-
nico mùzeii; a sanscritico mush, abscondere.
— 123 —
Francese antico
Genovese antico
Peluc • (balle du blé)
Pelukier (buqueter, picoter)
Pertus, pertusu, pertusier
Pescion (poisson)
Pesteler
Petir
Pie
Picun
Poeir
Poedté
Poumel
Poure (pauvre)
Pourpe
Prée* (prairie)
Prou, pru
Prouvere
Raine (grenouille)
Raiz, rarix
Raìsun
Rastel
Rateler* (bavarder)
Rebulet ♦
Recapte *
Recorder
Recoeuller
Refin (laine très-fine)
Refu
Relent (humide, mou)
Remuaige
Rescons (cachette)
Respondre
Ressi on
Rif et raf
Rigol
Robe, reube ( habillement de
femme)
Rober (voler)
Roette
Rumer (ruminer)
Saiette (flèche)
Sali (sale)
Sèas (tamis), sèacier (tamiser)
Segond
Segurté
Semprcs
Seps (ceps)
Sodai Soda
Sue
Tamboisser *
Tassel Tascellu
Tavelle *
Tezoire
Traitor
Transmuer
Treper *
Uzance
Veir Veì
Genovese moderno
Peluccu *
Feluca
Pertusu, pertiisà
Pesciu
Pestelà
Peti
Piccu
Piccun
Poeì
Poistè
Pumellu
Póu (póu diau)
Purpu
Pré^
Pru
Preve
Réna
Raixe, reixe
Raxun
Rastellu
Ratelà^ ^
Rebuieu, revezeiì '
Recattu •
Regurdà
Recheùgge
Refin
Refiiu
Relentu
Remesciu
Rescusu
Responde
Ressiun
Riffe e raffe
Riguelu
Rooa
Arobà
Ruetta
Riimà
Saìetta
Saù
Seassu. seassà
Segunau
Segurtè
Sempre
Seppu
Siicca
Tambiiscià '
Tavella
Tesuie
Traitù
Strani uà
Trepà •
iizansa
— 124 —
A questo elenco, tutt'altro che compiuto, di vocaboli del-
Tantico francese, è opportuno di far seguire una nota di quelle
voci che il francese moderno ha comuni col genovese pure mo-
derno o che ad esso son molto affini : omettendo quelle che dal
francese passarono, oltre che al genovese, a molti altri idiomi,
come: toilette, soirée, pardon, rendez-vous, buf-
fet, calembour, ecc.
Voci francesi 1
Abimer
Abrégé
Accortise
Acheter
Adoucir
Adresse
Alléclier *
Allez e allons
Alliés
Alumer (ant. regarder
fixement)
Amande
Anchois
Appfiter
Arbouse
Auge, augct
Arracher •
Arranger *
Artichaut
Assaisonné •
Assez
Attraper
Audacieux
Aussi
Avaler
Bàiller •
Balle e ballon
Bandeau
Barbiche
Battoir
Barboter
Berceau
Bégueule, beguinage
BOBUf
Beurró (poi re)
Biais
Biffer
Voci genovesi
Abimà
Abrexé
Accortixe
Acatà
Aducì
Adressu
Alleccà •
Alle e al]un
Alliè
Alumà
Amàndoa
Anciùa
Apituà
Armun
Argiu, argettù
Arranca ♦
Arangià *
Articiocca
Assaxunoù
Asse
Atrapà
Odaciusu
Asci
Avalà
Bàn^ia •
Bàlia e ballun
Bando •
Barbi xi
Battoezu
Barbotà
Bersò
Beghin-a beghinixi-
mu
Bèu
Bure (pei) *
Sbiascm
Sbifta
Voci italiane
Avvilire, rovinare
Compendio
Accortezza
Comperare
Addolcire
Indirizzo
Allettare, adescare
Su, orsù, via
Alleati
Adocchiare
Mandorla
Acciuga
Allettare, adescare
Corbezzola
Truogolo, truogoletto
Svellere, sradicare
Accomodare, mettere in
ordine
Carciofo
Stagionato, maturo
Assai, abbastanza
Ingannare, truffare
Sfacciato, temerario
Anche, pure
Ingojare
Sbadigliare
Palla e pallone
Cuffia da notte
Baffi e basette
Mestolo da lavandaje
Balbettare
Capanna, volta coperta
(li verzura nei giardini
Bacchettona , bacchetto-
neria
Bue
Pera butirra
Sbieco, obliquo
Cancellare, annullare
* Dello voci seg-nate con asterisco trattasi nel Vocabolario etimologico.
* 11 genovese ha perù conservato il senso antico del francese a s B.a i -
s n n e r scostandosi dal moderno.
— 125 -
Voci francesi
Voci genovesi
Voci italiaue
Bijou
Bilie
Bixù
Gioiello
Palla d' avorio per giuo-
Biglia
care al bigliardo
Bis
Bixu
Grigio.
Bise
Bixa
V. m. vento non molto
fresco, T. fam, filo d'aria
Bisquer
Bisca
Borbottare dispettosa-
mente
Bivaquer
Bivacà
Serenare
Blaguer, blague, bla-
Blagà2^ blaga, bla-
gheùr
Millantarsi, millanteria,
gueur
millantatore.
Bleu
Bleù
Azzurro, turchino
Bloc»
Bloccu •
Blonde
Blonda
Merletto di seta
Blouse
Blusa
Camiciotto
Boite
Bueta
Recipiente per tabacco
Zuccnerino e scatola per
Bonbon e bonbon ni ère
Bumbun e bumbunèa
dolci
Bonnet
Bunettu
Berretto di panno
Border
Borda
Orlare con gallone ,
trina, ecc.
Bouge*
Beùggiu
Buco
Boucles
Boccoli
Ricci
Bourgeois
Burxoà
Borghese
Boudoir
Budoar
Gabinetto da signora
Bras, brasses
Brassu, brasse
Braccio, braccia
Brave
Brau, bravu
Buono, onesto
Brise
Brixa
Brezza
Brodequins
Brocchin
Stivaletti
Brout
Brottu
Brocco, pollone
Brouet
Bruvettu
Cordiale
Bruine, bruiner *
Spruin, spruinA '
Spruzzolo, piovigginare
Brun
Brun
Bruno
Brusquembille
Biscambiggia
Briscola
Ca, deca
Ca, deca
Qua, di qua
Óabane
Óabanna
Capanna
Cabaret
Cabarè
Vas-sojo
Cabas *
Scarbassa *
Cestone, gerla
Cabriolet (fauteuil)
Cabriolè
Sedia a bracciuoli
Cambuse e cambusier*
Cambiisa e cambiisé
(V. m)
Dispensa e dispensiere
Cancan
Cancan
Chiasso, scandalo
Canot
Canottu
Lancia
Capeliue
Capellin-a
Cappellino da signora
Capot
Capottu
Cappotto {voce d'uso)
Centime
Centi mmu
Centesimo
Chagriner
Sagrinà, sagrinàse
Accorarsi
Chaniier
Ciarnè (V. m.)
Tina con acqua da bere
sulla coperta delle navi
Charnière
Ciarnèa
Cerniera
Chemiuée
Sciamine
Luminello (del fucile)
Chicane
Scicanata
Furberia, inganno
Choc * e choquer *
Cioccu e cioccji *
Suono e render suono
Chòmer ♦
Ciomà •
Oziare
Chuchoter
Ciccioà
Bisbigliare
Cible
Sibbla
Bersaglio
— 126 —
Voci francesi
Citron • (limone)
CoBur
Collet
Commode
Gomme il faut
Complot e comploter
Compotier
Comptoir
Confectionner
Confire
Confiture
Congé
Console
Coque
Cotolette
Cotiser (se)
Couchette
Coulisse
Courir
Cracher
Creux de la main
Crier e cri
Crochet
Croquant
Croùton
Crù
Dame-jeanne
De (art)
Débarrasser
Découvrir
Décrocher
Décrotteur
Défendre, défendu
Dógoiser
Degagé r, degagé
Dégourdir, dégourdi
Délabrer, dolabre
Voci genovesi
e com-
Cetrun *
ChiMÌ
Colletta
Comò
Comifò
Complotta
plottà
Compostèa
Contòar
Confeziona
Cunféze
Cunfitiia
Cungè
ConsoF
Cocca *
Cuteletta
Cotizase
Cuccetta
Culissa
Curi
Scraca
Creuzu da man
Cria e Criu
Curcettu
Crocante
Crutun
Criiu
Damixan-a
De (art)
Desbarassa
Descruvi
Scruccià
Decretteùr
Difeisu e nel contado
defeisu
Desgosciàse
Desgaggià e desgag-
ginou
Degurdi, degurdiu
Delabré
Déloger {ant. desloger) Deslogiu
Démanger e déman- Smangia e sman-
geaison giaxun
Démàter Desmatà (V. m)
Démordre Demorde
Depuis peu Dappeìi (in qualche
caso)
Dernier Deré
Derrière Deré
Deshabillé *Desabiglié
Voci italiane
Arancia
Cuore
Collaretto, bavero
Cassettone, canterano
Come si conviene
Congiura, trama, e con-
giurare, tramare
Ciotola da guazzi
Banco
Fare, fabbricare
Confettare, crogiolare
Confetto
Congedo
Mensola
Guscio dell'uovo
Costoletta '
Contribuire, dare la prò
pria quota
Letticciuolo di bordo
Scanalatura
Correre
Sornacchiare
Concavo della mano
Gridare e grido
Gangherello
Croccante {voce d* uso)
Prigione militare
Crudo
Damigiana (voce poco u-
sala)
Di (art.)
Sbarazzare
Scoprire
Sgrillettare (armi da
fuoco)
Lustra scarpe
Proibito
Ciarlare, spiattellare
Sciogliere, e svelto, spi-
gliato
Svegliare, riscuotere, in-
telligente, astuto
Male in assetto, in cat-
tivo stato
Chi non sta a casa, chi
va girando
Prudere e prudore
Disalberare
Desistere, cessare
Dopo poco
Ultimo
Dietro
Abito negletto portato in
casa dalle signore
— 127 -
Voci francesi
Voci genovesi
Voci italiane
Dessus ^
Desciù *
Di sopra
Détail
Dettaglia
Particolarità, vendere al
minuto
Détaper
Destapà
Sturare, stappare
Difficulté, difficile
Difficulté, difficile
Difficoltà, difficile
Donc
Donca (V. pop. e
contad.)
Dunque
Doux, douce
Duce
Dolce
Douze
Duzze
Dodici
Draps
Drappi
Panni
Dm*
Druu *
Grosso, contrario a sottile
Du (art.)
Du (art.)
Del
Écurer * {ani. escurer)
Scuà*
Pulire, strofinare, special-
mente stoviglie
Echalote
Scialotta
Scalogno
Echantillons
Sciantigliuin
Pizzi, fedine
Embarcadère
Imbarcadero
Luogo d'imbarco e sbarco
nei porti
Enceinte
Incenta
Circuito chiuso in qual-
siasi modo
Entrailles
Ventraggi
Interiora
Entrebàiller
Imbagià
Socchiudere
Epicier •
Spezia *
Speziale e droghiere
Escamoter , escamot-
Scarno ttà e scamot-
Fare sparire, giocolatore
teur
teur
Escopette (V. ani.)
Scciùpetta
Fucile da caccia
Étagère
Etaxó
Scaffale
Denicher
Desnià
Snidare
Facon
Fassun
Maniera
Faction e factionnaire
Faziun e faziune
Lo stare in sentinella, e
il soldato che vi sta
Fade
Fattu
Sciocco, insipido
Fainéant
Feneàn
Scioperone
Fée
Foé
Fata
Fièvre
Frove
Febbre
Fil
Fi-
Filo
Filets
Filetti
Schienali
Filoselle
Fi osella
Filaticcio di seta
Filou
Filun
Volpone, scaltro
Flacon
Flacon
Boccetta
Fou, fau (fouteau)
F6
Faggio
Foiiet
Fuettu
Frustino
Fouine
Fuin
Faina
Fumèe
Fiimme
Fumo
Framboise
Framboase
Lamponi
Frère
Frè
Fratello
Fricandeau
Fricandò
Sorta di stufato
Frise
Frixu
Fregio
Froisser, froissò *
Fruscia, fruscioù •
Nojare, inquietare
Frotter
Fretà
Fregare, strofinare
Galopin
Galopin
Ragazzo mandato a far
commissioni
Garerote
Garerotta
Bettolaccia
* Usato dai Genovesi, come dai Francesi, nello frasi étre au dessus,
avolr, prendre le dessus.
— 128 —
Voci francesi
Voci genovesi
Vo(;i italiane
Gazeuse
Gazeus'
Acqua gasosa
Gèmir
Zemi
Gemere
Gendarme
Xandarme
Guardia di polizia
Géner e gène
Gena e gèna
Incomodo, soggezione e
incomodare, mettere in
soggezione
Gigot
Gilet
Gigottu
Gilè
Cosciotto di castrato
Ck)rpetto
Giace (s. f.)
Glassa, {s. f.)
Ghiaccio
Griffe •
Grinfia *
Artiglio, zampa
Far Te boccucce, i visacei
Grimace
Grimassa (fa e)
Gobelet •
Cubellettu, gubel-
lettu ♦
Pasticcino
Gogò*
Gòghin •
Luogo in cui uno si trova
bene
Strisce di cuojo che an-
Gourmette
Grumette
nodate sotto il mento
tengono ferma la coper-
tura del capo
Guéridon
Ghirindun
Tavolino da notte
Guides
Guidde
Redini
Guidon
Ghidun
Gagliardetto, banderuola
Ceffo, grinta
Guigner
Ghigna
Guignon *
Ghignnn *
Ripugnanza e mala sorte
Ingambe
Jabot
tlse in gambe
Sentirsi forte
Xabò
Gala, guarnizione di ca-
micia
Jambon
Xambun
Presciutto
Jalons
Xaloin
Bastoni da livello
Japper *
Giapà '
Parlare molto, e legger-
mente
Jaque, jaquette
Giacché, giacchetta
Giacca, giubbetto
Jatte
Xatta
Scodella
Jeudi
Zeùggia
Giovedì
Laisse (des chiens de
Lascia
Levriere
chasse qui vont en
laisse)
Lait
Lète
Latte
Laitière
Leitèa
Lattaja
Laiton
Latun
Ottone
Laitue
Lei tuga
Lattuga
Lambris
Lambrin
Fregio dalla parte infe-
riore dei muri
Lessive
Lescia
Ranno
Lòvre
Lerfu, lerfe
Labbro
Li erre
Lélloa
Edera
Lievre
Levre
Lepre
Linceul
LensrHì
Lenzuolo
Locher
Locià
Tentennare per i solidi,
guazzare per i liquidi
Loup
Lù
Lupo
Lumière
Liimèa
Lucerna
' È propriamente l'abbajaro dei cani, perù si usa fìg. per « crialler, dirti
d'une facon bruyante *.
— 129 —
Voci francesi
Voci genovesi
Malheur
Maleur
Maman
Marna
Manant
Manente
Marin
Maren
Marmelade
Marmelata
Marmi te
Marmitta
Méfiant
Màfiaddu
Menu
Meniiu
Meuuaille
Meule
Menuaggia
Meùa
Miche, Michette
Mìcca, micchetta
Moelle
Móula
•Moiré
Moaré
Motte
Mottu
Monture
MòtUa
Moustache
Mustasci
Mousser
Mussa
Negligé
Neglixé
Neveu
Nevu
Nicher (se)
Anicciàse
Nièce
Nessa
Ni
Ni
Nu
Niiu
CEuf
eùvu
Officieux
Officieù
(Kuvre
eùvia
Onze
iinze
Oreiller
Oégé
Orfévre
Fravegu
Ouate
Uéta
Ouie, (5. f.)
Udia e nel coni, Uia
{s. f.)
Pacotille *
Paccotiggia
Pays, paysan, ecc.
Palmier
Paise, paisan
Parme
Papier
Pape
Papillotes
Papigliotte
Passementier
Passamanté
Patte
Patta
Pendant
Pandan
Pendants d'oreilles
Pendin
Pendeloque
Pendaloccu
Pensée
Pansé
Pepinière
Pepinèa
Perruquier
Periicchè
9
Voci italiane
Male
Mamma
Colui che coltiva il po-
dere altrui, e divide i
frutti col padrone, mez-
zadro
Marinaro
Cotognata
Pentolona
Diffidente
Minuto
Moneta minuta
Mola
Pane alla francese
Midolla
Marezzato (panno
drappo)
Zolla, pezzo di checches-
sia spiccato dalla sua
massa
Molenda
Baffi, mustacchi
Spumeggiare
Aoito negletto, da camera
Nipote (masch.)
Mettersi in un cantuccio,
come entro un nicchio
Nipote (femm.)
Né, non
Nudo
Uovo
Cerino che accendono in
chiesa i ragazzi nel dì
dei morti
Opera
Undici
Guanciale
Orefice
Ovatta
Udito, sentimento, da
suono
Paccotiglia (i?oce delVuso)
Paese, paesano
Palmizio
Carta
Diavoletti (ricci avvolto-
lati in cartucce)
Passamantajo
Zampa
Riscontro, corrispondenza
di parti
Orecchini
Pendolo, ciondolo
Viola del pensiero
Semenzajo
Parrucchiere
— 130 —
Voci francesi
Peter
Pétiller
Piaffer
Piqué
Pirouette
Pitance
Piacer
Plafond
Planche
Plaque
Poéle
Pompe e pomper
Pompon
Ponceau
Pouf (faire un)
Poupon e pouponne
Pourlécher (se)
Prepose
Presse papier
Puree
Quatorze
Qui
Quincaille e quincail-
lier
Quinzaine
Quinze
Quitter, quittes
Ra^oùt
Raide, roide
Raison
Rance
Ratatouille
Rave
Rebut
Refin
Refus
Relent
Remarquer
Remplacer
Repentir (s. m)
Ressac
Rets (pr. ré)
Revers e reverser
Ribote, ribotter, ribo-
teur
Robe
Róder
Rogner
Roud
Ronfler
Voci genovesi
Petà
Peti
Piaflrai
Picchè
Piruetta
Pitansa
Piassà
Plafon
Plancia
Placca
Poéla
Pumpa e pumpà
Pumpun
Ponsò
Puffu (fi un)
Pupun e pupun-a
Perlecc&se
Prepusó
Pres papié
Purè
Quatorze
Chi
Chincaggia e chin-
caggè
Chinzen-a
Chinze
Chità, chitti
Ragò
Redenu e réudu nel
contado
Raxun
Ranciu
Ratatuia
Rava
Rebiittu e rebù
Refin
Refiiu
Reientu
Remarcà
Rimpiassà
Repentiu (s. m.)
Resacca
Rè
Reversu, reversft
Ribotta, ribotta, ri-
botteur
Roba
Rondezà
Ruggià
Riundu
Runfà
Voci italiane
Prqp. scoppiare, fig. mo-
rire, ma è modo basso
Crepitare, scoppiettare
Scalpitare
Basino, trapunto
Giravolta
Pietanza
Collocare
SofB4;to
Tavola e incisione su ra-
me, legno, ecc.
Piastra
Padella
Tromba d' incendio e
trombare
Nappa
Rosso vivissimo
Far un debito
Bambino e fluitoccino
Leccarsi : fig. compiacersi
Gabelliere
Calcafogli
Vivanda di legami di-
sfatti
Quattordici
Che
Chincaglie e chincagliere
Quindicina
Quindici
Lasciare e far quitanza
Stracotto
Rigido, inflessibile
Ragione
Rancido
Rimasugli mangerecci
Rapa
Scarto, rifiuto
Lana sopraffine
Rifiuto
Notare, osservare
Sostituire
Pentimento
Risacca (T. mar.)
Rete
Rovescio e rovesciare
Gozzoviglia, gozzovigliare
Il vestito donnesco
Aggirarsi intorno a chec-
chessia
Rodere
Tondo, rotondo
Russare
^
— 131 —
Voci fìrancesi
Voci genovesi
Voci italiane
Rosee
Rosa
Rugiada
Rouleau
Ruló
Ruotolo
Saisir
Sex!
Sequestrare
Saoul
Saulu
Satollo
Sas, sasser
Sìasu, sìassà
Staccio, stacciare
Savate
Savatta
Ciabatta
Saveur
Savù
Sapore
Savon
Savun
Sapone
Se (pron)
Se (pron.)
Si (pron.)
Second (pr. se-gond)
Segundu
Secondo
Seize
Sezze
Sedici
Soeur
SeÙ
Sorella
Son
So
Suo
Sortir
Sciurti
Uscire, andar fuori
Soubresaut, soubre-
Resatu, resat&
Scossa, sussulto, riscuo-
sauter
tersi, sussultare
Sucer
SÙSS&
Succhiare
Suer, sueur
Siift, sùù
Sudare, sudore
Tabouret
Taburé
Piccolo sedile
Terrine
Terin-a
Zuppiera
Terraille
Teraggia
Vasellame di terra
Tetin, teton
Tetin
Mammella
Timbrer
Timbra
Bollare
Tire-bouchon
Tirabiisciun
Cavatappi
Tornate ♦
Tumata •
Pomodoro
Tomber
Tumbà
Tombolare , cascare col
capo airmgiù
Ton
To
Tuo
Toupet
Tupé
Ciocca di capelli, accon-
ciatura
Tout de bon
Di, fa, da bun
Dire far sul serio
Trantran *
Trantran •
Modo ordinario di con-
durre taluni af&ri, e
anche di vivere
Travail, travailler
Travaggiu , tràvag-
già
Lavoro, lavorare
Treize
Trezze
Tredici
Trinquer
Trinca
Bere ingordamente, trin-
care
Trogne *
Trugnu, trugnellot-
tu *
Tròsse *
Grasso, paffuto
Trousse ^
¥
Truffe
Triffolo
Tartufo
Venin
Venin
Veleno
Viande *
Vianda *
Pasta casalinga
Vis-à-vis
Visavì
Rimpetto, in faccia
Vrille, vriller *
Verin-a, verinà •
Succhiello, succhiellare
Vaisselier
Vascelèa
Piattaja
Vediamo adesso che costrutto s'abbia a cavare dagli elenchi
di voci su riferiti, e da tutto quanto son venuto esponendo in-
^ Nella frase « aùx trousses », che vale : « à la poursuite », usata in ge-
novese con lo stesso significato: « sta ae trosse d'un », « levàse un dae trosse ».
i
— 132 —
torno alle relazioni fra gli idiomi genovese e francese. Su-
perfluo dire che l'uno e Taltro essendo figli del volgare latino
e comune avendo, quasi in tutte le parti, la grammatica, coteste
relazioni non possono dar luogo ad alcuna grave questione lin-
guistica. Certamente, tra il francese antico e il genovese antico e
moderno, l'affinità fu ed è più stretta: che se il primo, e non il
secondo, avea conservato due dei sei casi latini, l'affinità stessa
era, malgrado ciò, dimostrata specialmente dalla comunanza
degli articoli e dei pronomi. In ogni caso, anticamente come
oggidì, la grammatica francese era ed è più conforme alla ge-
novese che all' italiana. « La francese -r scrisse il Giordani -
4c è lingua sorella e nemica dell'italiana: sorella nell'origine
< e somiglianza dei vocaboli, nemica nel giro delle frasi e dei
«costrutti». Al contrario, chi prenda in mano le prime Me-
morie della storia di Francia, Geoffroy de Ville Hardouin^
il Sire di Joinville, ecc., non avrà che a tradurre quasi parola
per parola il testo francese per avere un genovese perfetto. Le
stesse antichissime poesie francesi si prestano alla traduzione,
pressoché letterale, in genovese. Citai già un breve passo della
Legende sur le pape Grégoire le Grand: riapro a caso il libro,
e trovo il seguente passo del romanzo o Chanson de geste di
Girart de Rossillon, appartenente al secolo xii o xiii (la moglie
di Girart gli chiede « estes haitiés?)» ^
Nenil, dit-il, ma suer, je suis trop maltraités,
Je suis ung pou navrés, - mas de ce ne me chant;
Jamais jour n'aurai joie, face froit face chaut;
Je croi de mon gran deul par tout le mont parie on.
Je me suis combatus au felon roi Charlon,
J'ai perdu mes amis, j'ai perda toute terre,
Quar^ presque tuit mi hom m'ont fallii en ma guerre.
Mon bon neveu Guibert hai bui veti occire;
Jamais de si grant deul uè puis que me consire.
Mon bon neveu Fourcon, moi voyant, Fon a pris :
Que voulés que vous die? Li rois en a le pris.
Ma passiamo a più grave argomento. Lessi in un libro di
filologia, non rammento più quale, che la comunanza tra due
lingue dell'a privativa greca, prova l'affinità loro assai meglio
* Da hait, saluto, bene: voce germanica.
'Da navror, forare, ferire, voce grermanica.
* Dal latino quare.
.~k
— las-
che la comunanza di cento parole : e Renan disse che la gram-
matica è quella che costituisce l' individualità d' una lingua.
Questo è vero, come vero è che « la formation du frangais
« n'est point quelque chose d' isole qui se soit produit en degà
« de la Loire et qui n'ait rien d'analogue et de congènere dans
« les autres parties latines, membres disjoints du grand em-
« pire. Un travail tout semblable s*est opere au delà de la Loire,
« d'où le provengal, au delà des Alpes, d'où Titalien, au delà
« des Pyrénées, d'où Tespagnol. Ce qui frappe, c*est la gran-
de deur mème du phénomène philologique que Térudit doit
« étudier. Surcet espace immense tout concorde: il suffit d*ef-
< facer cette sorte de pellicule légère qui, soit comme forme
« des mots, soit comme désinence, dissimulo les similitudes^
« et aussitót on apergoit à nu la trame, qui est la mème. Plus
« on s*approche de Torigine, plus la ressemblance croìt, jusqu'à
« ce qu'on atteigne le tronc latin, dont chacune de ces vastes
« branches est sortie. Ce n'est pas seulement le vocabulaire,
« et, si je puis dire, la provision des mots, qui est commuue
« de part et d'autre ; mais les artifices de la nouvelle gram-
« maire, qui a surgi des ruines de l'ancienne, ont été simul-
« tanément inventés par des populations qui élaboraient un
« mérae fonds sous des conditions analogues de culture. La
« conjugation prend un caractère uniforme; les temps latins
< qui se perdent, se perdent pour les quatre langues ; les temps
« romans qui se créent et qui enrichissent le paradigme, se
<f créent pour toutes les quatre. Toutes prennent Tarticle;
« toutes laissent le neutre disparaìtre ; toutes suppléent aux
« désinences de Tadverbe latin par une mème composition;
< toutes adoptent à peu près les mémes mots germains; toutes
« s'accordent pour détourner semblablement de leur signifì-
<< cation originelle un certain nombre de termos latins
« Les langues romanes ont pour fond le latin. Le celtique
« dans les Gaules, 1* ibère dans TEspagne, n'ont laissé que des
« faibles traces parmi les populations qui les parlaient avant
« la conquéte romaine. Cette conquète fut si profonde, le poids
« de rimmense empire assimila tellement les peuples de TEs-
« pagne et de la Gaule, ils se laissèrent tellement captiver
« et absorber, que leur propre idiome leur devint étranger.
« L*influence germanique s'est fait sentir beaucoup davantage;
— 134 —
« et, de fait, les circons^ances avaient grandement changé,
4( l'empire bien loin d'avoir une force de cohésion et d'absorption,
« tombait en dissolution: la langue latine eut le méme sort,
4c et elle s'ouvrit à bon nombre de mots allemands. Voilà les
« trois sources, très-inégales, d'où proviennent les langues ro-
« manes ». ^
Tutto ciò, lo ripeto, è vero : io però non posso a meno di
considerare un fatto cui, per quanto mi consta, non fu attri-
buita dai glottologi quell'importanza che a me sembra che
abbia. Sono nell'alfabeto spagnuolo, come in quello francese
e nei dialetti ad esso affini, taluni suoni particolari, veri carat-
teri fonetici, che li distinguono dalle altre lingue neo-latine:
nello spagnuolo il suono dello jota (;) e quello (che chiamerò
balbuziente) del e innanzi alle vocali e, i: nel francese, il
suono dell'w, del dittongo euy e dello j innanzi alle vocali.
Qual'è l'origine di questi suoni nelle due lingue? Non lo ri-
cercherò io, ma chiederò : la comunanza dell'n, deWeu, e dello j
{xe genovese) tra il francese ed il genovese non potrebbe es-
sere prova novella dell'antica affinità loro? A me parrebbe di
si: tanto più che per parte del genovese non si tratta di sem-
plice imitazione dei detti suoni francesi, o, per dir meglio, gal-
lici: che anzi, proporzione fatta tra i due idiomi in ragione
della ricchezza loro tanto diversa, il suono dell'w e deWeu ab-
bonda più nel genovese che nel francese: in non poche voci
nelle quali quest'ultimo adopera VoUy Veu, o altre lettere, il
genovese usa l'w.
arsila = ardeur nùà =i nager
batuggia = patrouille piia = poussière
biJtega = boutique ruzze =z rouille
ciixi m coudre sciuscià = souffler
fissua = fente siina m sonner
llimassa = limacon tiittu =: tout
miiggiu =: amas iinze = onze, ecc.
E cotesto suono dell'io (che l'Ascoli chiama franco-ladino)
così naturale al genovese che l'usò pure nelle voci acqui-
ate dall'italiano: udienza, ùmanitè, ùmile, ùmù, ùnicu,
usa, iispià, tùbu, tùguiu, tùraù, ecc. Se questo avesse sa-
è
state
*LlTTRÉ, Op. Cit, voi. I.
- 135 —
puto il Pasquier ^ non avrebbe scritto nel secolo xvi che
< toutes les nations de V Europe inclinent en ceste opinion
< qu'il n'y a que notre Franco ou l'on prononce Vu comme
< nous faisons ». Lo stesso accade délVeu.
cheùgu = cuisinier deue = douloir (se)
cheùscia = cuisse meùju :=: mùr
cheùxe =z cuire reùsa = rose,* ecc.
Anche lo xe genovese è indipendente dallo j francese e
basti citare per tutte la voce xoà che in francese significa gioja,
e in genovese volare. ^
Or a me sembra chiaro che questi suoni singolari vennero
dalla lingua parlata dai Liguri-genovesi prima che essi aves-
*sero imparata la lingua latina: che resistettero all'influenza
di essa, da cui quei suoni erano radicalmente alieni, in ispecie
il suono dell w, difficilissimo per gl'Italiani tutti, eccettuati i
Genovesi, i Piemontesi e i Lombardi: che vivono, oggi ancora,
di vita fortissima, nonostante la sempre crescente influenza del-
l'italiano; che essi infine somministrano una delle prove più
valide che i Liguri-genovesi parlarono, un tempo, una lingua
affine alla langue d'ozi, e specialmente al piccardo e al nor-
mando, i quali poscia cedettero, com'è noto, al dialetto del-
l'Ile-de-France, divenuto lingua francese. Senza dubbio la lingua
d'oil non si parlava allo stesso modo al di là e al di qua delle
Alpi, e tra le più notevoli diflFerenze fonetiche, devesi anno-
verare lo 5CZ pronunziato frequentemente dai Genovesi invece
del si italiano, francese, piemontese e lombardo, pronunzia che
fa pensare all'ebraico scibboleth, ^
Come poi i Liguri-genovesi, separati dai veri Francesi da
una parte dai popoli piemontesi che non hanno, come già dissi,
il suono dello ; innanzi a vocale, dall'altra dai provenzali che
non hanno lo stesso suono, né quello iélVeu, abbiano conser-
vato puro e vivissimo l'un suono e l'altro, è tal fenomeno che
* Leftres, tom. 1.
* Vero è che il francese antico diceva: eoe, queusse (bourg.), cheuze
(Saint.), meur, re uso fboiirfir.).
* Vedi Vocnb, etim.y alla voce.
* IGalaaditi, sconfitti gli Efraimiti, obblif^avano i prig^ionieri a dire:
scibboleth, quod interpretatur spica : ma gli Efraimiti non potendo pponun-
ziare lo sci dicevano: sibboleth, ed erano uccisi. {Bibbia, Giud. XII).
— 136 —
la ragion geografica e la tenacia ligure non bastano a spie-
gare. A questo punto, io stimo opportuno di ripetere le parole
di un dotto francese che ho più volte citato. ^
« Il n'y a point de race frangaise, mais bien plusieurs
« races parlant le frangais; point de race italienne, mais bien
« plusieurs races parlant Titalien; point de race allemande,
« mais bien plusieurs races parlant Tallemand ».
Quanto a me, dico, che sarei lieto se il mio povero libro
aggiungesse qualche argomento alla tesi scientifica della fra-
tellanza dei popoli Indo-europei, ed in particolare dei popoli i
quali parlano gli idiomi neo-latini.
^ H0VELA.CQUE, Op. Cit.
PARTE SECONDA
CENNI SU LA GRAMMATICA GENOVESE
Non esistendo alcuna grammatica genovese,^ pensai di scri-
vere questi cenni brevissimi su di essa, che gioveranno a faci-
litare, specialmente ai non Genovesi, l'intelligenza di alcune
parti dell'opera mia.
§ 1. Ortografia.
1° Le lettere dell'alfabeto genovese sono ventiquattro,
due di più dell'alfabeto italiano, cioè il e caudato (q) e la ^r :
è necessario il primo per conservare la forma loro originale
alle parole nelle quali è usato (^eddru, ginq uè), la seconda
occorre per indicare un suono perfettamente identico allo je
francese.
2° L'idioma genovese ha tre dittonghi particolari, eUj
oUy ed ae. Il primo è identico aìVeu francese, che ai glotto-
logi italiani piace di chiamare o turbato. Uou è dittongo esclu-
sivamente genovese, avuto probabilmente dal vecchio latino
(loumen, jous) cou (cavolo), mou (moro). Conformandomi
all'uso, che in questo caso è giustificato dalla necessità di far
intendere a Genovesi e non Genovesi che trattasi di dittonghi,
ho sovrapposto aìVeu ed all'ow l'accento circonflesso, non su
Vo solamente, come oggi si usa, ma esteso cosi che abbracci
ambo le lettere, come del resto usavano i vecchi scrittori ge-
novesi. Il terzo dittongo, ce, ha il suono, forse alquanto più
aperto, àeWè francese: ère, fièvre, zèle: è l'antico dittongo
latino ai, divenuto ce al tempo dei Gracchi, quindi cambiatosi
*n Casa-CCIa ha premesse al suo Dizionario genovese-italiano alcune
osservazioni intorno aU* orto grafia genovese.
^
— 138 —
in un'e molto aperta: * si sente ancora nella pronunzia roma-
nesca di Cesare (Caesar) e di altre voci, che corrisponde per-
fettamente al suono dell'a? genovese. Le parole genovesi nelle
quali oggi trovasi questo dittongo non sono molte : alcune ven-
gono da vocaboli in cui Va e Ve non entravano affatto : cosi
eoa? (voglia) che viene dal latino comedo re, faeru (ferro)
da ferrum, sae (sete) da sitis, faen-a da farina, ecc. Non
occorre dunque nell'ortografia genovese T uso del dittongo ce,
bastando Taccento grave suiré a indicare il suono aperto, ed
io cosi feci. Che se pur si volesse manifestare come Ve genovese
abbia suono un pochino più aperto dell' é francese, si potrebbe
munirla d'un segno speciale, però non parmi necessario di tener
conto di cotali lievissime differenze fonetiche. L' innovazione
da me proposta ha inoltre il vantaggio di non obbligare a frap-
porre un' i (che non si pronunzia) fra il e iniziale e l'ae, come
oggi avviene scrivendo cìjbu (chiaro), ciaetu (pettegolezzo),
giaea (ghiaia) ed altre, ciò che aumenta la confusione.
3° Io scrissi sempre u allorché il genovese pronunzia
ic: ommu, e non ommò, bellu e non bello, butte e non
bótte, russu e non rósso: l'ortografia in uso volle forse, scri-
vendo ó e avvertendo che si pronunzia u, avvicinare la forma
del genovese all'italiana, e renderlo più intelligibile; ma le
lingue son quello che sono, e, per altro, Vu genovese è quasi
sempre Vu latino che il toscano mutò, moltissime volte, in o.
« Nel nostro dialetto - scrisse il Celesia* - come nell'umbro
<c antico, nel siculo e nel sardo, predomina Vu indeclinabile
^ sopra l'o, e l'abbondanza di questa vocale sanscritica è, a
« nostro avviso, indizio gravissimo dell'antichità di questo lin-
« guaggio, e quindi a stolta opera poneva le mani chi ai di
« nostri fea prova di scambiarla con l'o nella scrittura del
< patrio vernacolo ».
L\c genovese, identico al gallo-italico e al gallico, che or
si distingue con l'accento circonflesso (v) riputai conveniente
distinguere col trema (il) per conformarmi all'uso scientifico,
4° Nelle parole terminate con la sillaba na, la n s'ap-
' CoussEN, Sulla pronunzia^ il vocalismo e Vaccentatura della lingua
latina, Leipzig", 1868.
^ BelVantichisstmo idioma dei Liguri^ per Emanuele Celesia, Genova,
1863.
— 139 —
poggia alla vocale che la precede, e la vocale che segue si
pronunzia interamente staccata, ma con suono smorzato ; oggi,
dovendo scrivere: campana, Rosina, tana, si scrive: cam-
pann-a, Rosinn-a, tann-a; evidentemente, una delle due n
è di troppo, ed io scrissi: campan-a, Rosin-a, tan-a.
5** Ho conservato l'accento circonflesso che ora si mette
su la vocale ultima degli infiniti dei verbi: abarlùgà, abucà,
ardì, arvì, ma mi scostai dall'uso mettendo l'accento grave,
anziché il circonflesso, su la vocale ultima dei sostantivi
anima, ardì, arvi: lo che era pur necessario a distinguerli
dagli infiniti dei verbi di forma identica.
6° Si costuma oggi, scrivendo in genovese, di raddoppiare
le consonanti in moltissime voci, imitando le corrispondenti
forme italiane, ma si tradisce la vera pronunzia genovese, e
spesse volte anche l'etimologia, scrivendo:
abbaen per abaen
abbandunà » abaudunà
abbarluga » abarliigà
abbassa » abassà, ecc.
Lessicografi e scrittori piemontesi, lombardi e provenzali,
non caddero in questo errore, ma si attennero alla pronunzia.
Quanto alla lingua francese, Littró * dice che « Thabitude com-
« mune dans les anciens textes de ne pas écrire les consonnes
« doublées qui ne se prononcent pas, et de mettre arester,
«doner, apeler, mèrito rait d'ètre transportée dans notre or-
tographe ». E per conto mio la trasportai nell'ortografia ge-
novese, fuorché nelle poche volte in cui la pronunzia fa
realmente sentire un raddoppiamento di consonanti, sempre
però meno forte che nell' italiano.
Qui hanno fine le modificazioni da me recate alla detta
ortografia, anco perchè la natura dell'opera mia rendevale ne-
cessarie : in tutto il resto mi attenni all'ortografia vigente, an-
corché imperfetta.
L' idioma genovese ha pur dei trittonghi : a n d i e i v u
(andrei), amieivu (amerei), pueiva ;poteva); dei quadriton-
ghi: rattajéu (trappola), scursajeù (scorciatoia), turtajeù
(imbuto); infine qualche quinquetongo (?) come: lauéiu (labo-
ratorio), élìjou (oliato).
* LlTTBÉ, op. cit.
— 140 —
• § II. Del Nome.
1^ Del genere. — Quanto al nome, la grammatica geno-
vese segue le stesse regole dell' italiana, con le seguenti ecce-
zioni. Rispetto al genere dei sostantivi: siccome il genovese
confonde, alla latina, il genere dell'albero e quello del frutto,
cosi i nomi dei frutti sono maschili, anziché femminili come
in italiano: armun (corbezzola), briccocalu (albicocca),
brignun (pruna), ^etrun (arancia), mei (mela), pei (pera).
S'accosta più all'italiano il volgo dicendo: meja, peja.
Formano eccezione il ciliegio ed il gelso che in genovese son
femminili come alberi e come frutti, gexa, sersa.
Quanto al conoscere il genere dei nomi dalla terminazione,
sono maschili quelli terminati in -i ed in -w, con le eccezioni
stesse della grammatica italiana,^ e in -an, -en, -in. I terminati
in -nu sono or maschili, come armun, bun, getrun, or
femminili come cansun, comuniun, questi un. Sono fem-
minili i nomi terminati in -a ed in -e, con alcune eccezioni per
quest'ultima vocale, come calige, prève (prete).
Alcuni nomi finiti in -a, con l'accento o senza, sono
femminili mentrechè in italiano sono maschili, così artà (al-
tare), sa (sale), glassa (ghiaccio).
I nomi terminati in -^ aperta (dittongo ce) son or ma-
schili, come de (dadi), frè (fratello), pò è (pa'dre); or femmi-
nili, come eoe (voglia), moè (madre), rè (rete).
Quelli finiti in -é sono maschili, eccetto muggé (moglie).
Sono infine maschili i nomi terminati in -eu ed in -ou:
eccezione, seu (sorella).
2"* Dei numeri, — I nomi finiti in -a, di genere fem-
minile, hanno il plurale in -e, come in italiano : i terminati
in -e e in -u lo hanno in -e, con alcune eccezioni: diu (dito)
che fa die, carcagnu (calcagno) che fa carcagne, ossu
che fa osse, ecc.
I terminati in -é, -é ed -eu sono invariabili: frè, pò è,
moè, arfè, barbe, pé (piedi), agheù (pesce), beù (bue),
* Più, queUa di sciù, fiore, che è femminile.
— 141 —
clieù (cuore), nel che vedesi la corrispondenza con la gram-
matica francese, salvo che questa distingue i detti nomi al
plurale con la $ finale (che però non si pronunzia) e con
diverso articolo, dove che la genovese li distingue con l'arti-
colo solo.
I nomi terminati in -an hanno il plurale in -en, come i
corrispondenti francesi: can, plurale chen (cani), man, plu-
rale raoen (mani), pan, plurale poen (pani).
I terminati in -en sono invariabili : ben (bene), f en (fieno),
sen (seno).
Pure invariabili sono i terminati in -in: armellin,
brunzin (cannella), caputi n (cappuccino).
I terminati in -un hanno il plurale in -uin: armun,
armuin; bun,buin; caxun, caxuin.
I terminati in -d hanno il plurale in -è (a?): ag uggia,
aguggiè (agugliate), bacca, bacche (bastonate), canà,
cane (canali).
Le altre regole conformi, in quanto applicabili, alla gram-
matica italiana.
3" Dei nomi alterati. — I diminutivi genovesi non fini-
scono mai negli italiani: -atto, -elio, -ino, -ozzo, -ognolOy
-uolo, -uzzo, ma sempre in -ettu, -ottUy e -m: lepratto =: 1 e-
V r o 1 1 u , campanello = campanin, lumicino =: 1 ù m i n ,
amarognolo =: amètu, cagnuolo = cagnettu, occhiuzzo =
euggettu .
§ III. Dell'Articolo.
Due sono gli articoli del genovese e composti di sole vo-
cali, u, a, che hanno al plurale e, i. Uu corrisponde all'ita-
liano il, lo. Va al la. Ve al le, Vi all'/, gli. Un terzo articolo
genovese sarebbe il lo, la italiano, ma non si usa che al sin-
golare, e sempre apostrofato dinanzi ai nomi che cominciano
per la stessa vocale, come l'ònù (l'onore), l'amicissia: a
queste stesse parola non si premettono in genovese i plurali
italiani gli, le, bensì i genovesi e, i: i onuì, e amicissie;
né tali articoli mutano innanzi a parola che cominci con
la stessa vocale, perchè dicesi: i imb roggi (gli imbrogli),
e erbe.
— 142 —
Eccone la declinazione :
Genovese
Singolare.
Italiano
Nom. u, a, V
Gen. de, du, da
Dat. au, aa
Acc. u, a
Abl. dau, daa
Plurale.
il, lo, la
del, dello, della
allò, alla
il, lo, la
dal, dallo, dalla
Nom. i, e
Gen. de
Dat. ai, ae
Acc. i, e
Abl. dai, dae
i, gli, le
deUi, delle
ai, agli, alle
i, ^li, le
dai, dagli, dalle
Come gli altri idiomi gallo-italici (e parmi anche il vene-
ziano), il genovese ripete Tarticolo a, u {il, lo, la) nella mede-
sima proposizione, cioè: a lezzo a dixe (la legge dice), u giu-
dice u giudica (il giudice giudica).
Invece Ve e 17, plurali, non si ripetono: e lezzi dixan,
i giud ìqì giudican.
§ IV. Del Pronome.
I pronomi sostantivi, in genovese, sono: miy ti, tó, qicesiUy
quellu, chi, cAi ^^ ^^p^^e (chicchessia), atru, vale a dire che non
si trovano nel genovese i pronomi italiani : egli, sé, esso, co-
testo, quegli, costui, cptesiui, colui, cui, chiunque, checchessia,
altrui, ciò.
U idioma genovese, come il lombardo, il piemontese ^ ed il
veneziano, manca del pronome primitivo io, nel cui luogo sur-
rogò il mi: mi pensu, mi sentu, io penso, io sento: ha
invece il plurale dell' io, il noi (nui), ma i Genovesi usano di
rado sola questa parola, amando d' accompagnarla, come gli
Spagnuoli, col pronome altri: nui atri dimmu, nui atri
femmu (noi diciamo, noi facciamo).
* n piemontese non usa l' i, io, che per pleonasmo : mi i fass, io faccio :
che 80 dicesi, per esempio, i mangio, nel quale caso i sarebbe io, dicesi
pure i mangiuma, in cui 1* i diventa noi, e i mange, in cui vale wn.
— 143 —
Ecco la declinazione dei pronomi mz, ti :
Singolare Plurale
MI
IO
Nom,
mi
io
nui
noi
Oen.
de mi
di me
de nuì (atri)
dì noi
Bai.
a mi
a me
a nuì (atri)
a noi
Acc.
mi
me
nuì
noi
Yoc.
^manca)
aa mi
^manca)
aa me
(manca)
(manca)
Abl.
da nuì (atri)
da noi
TI
TU
Nom.
ti
tu
vuì
voi
Gen,
de ti
di te
de vuì
di voi
Dot,
a ti
a te
a vuì
a voi
Acc.
ti
tu
vuì
voi
Abl.
da ti
da te
da vuì
da voi
La voce italiana mi si muta nel genovese in me (mi di-
cono, me dixan), la ti in te (ti fanno, te fan), la si in se (si
crede, se e r ed de), idi ce, ci in ne (ce le danno, né dan; ci
ruberanno, n'arobian).
Son regolate come in italiano le voci me, te, ve, se, ante-
poste a lo, la, gli, o alla particella ne, e come in italiano è,
generalmente, stabilito il posto che gli affissi debbon tener nel
discorso, salvo che il genovese non dice mai : credesi, offromi,
ma : si crede, mi oflFro.
Riguardo alle altre regole dei pronomi sostantivi genovesi,
essendo esse molto variabili, troppo più converrebbe scriverne
che io possa e voglia: accennerò solamente di volo: V che il
genovese, interrogando, unisce sempre il pronome al verbo
cose ti fé? (che fai?), unde ti ve? (dove vai?) e spesso lo
pospone: cose f ètu?(che fai tu ?), unde ve tu? (dove vai tu?),
cos'euttu ? (che vuoi tu ?) ; 2** che il genovese non dice fommi,
stassi, amotti, bensì dice: fatte (fatti in qua, in là), fallu,
falla, vanni (vanne); che me, te, sé, con la preposizione da,
si usano in generale come in italiano: da me non venni, da
minusunvegnùu; molte malattie guariscono da per sé,
tante^ maotie guariscian da lù. E con la preposizione
per : io per me non intendo di portarla, mi per mi nu a
portu de segùu; 3' dirò infine che il relativo italiano che
mai significa, in genovese, cosa: il: che dici? italiano, è tradotto
^ n grenovese non ha la voce molto, invece dice: tantu o asso (assai).
— 144 —
dal genovese in: cose ti dixi? e che cosa (poi che mi accadde
di scrivere questa parola) nelle frasi interrogative si usa sempre
in plurale: cose fé? (cosa fate?), cose Tè stètu? (cosa è
stato ?)
Menzione particolare merita il genovese pronome Zé (egli,
lui, sé, esso). È neutro ed invariabile, così nel singolare le, come
nel plurale lù. Eccone la declinazione:
Genovese Italiano Genovese Italiano
Singolare Plurale
Nom. le egli ed ella lù eglino ed elle
Gen. de Io di lui, di lei de lù di loro
Dot. a le a lui, a lei a lù a loro
Acc. le lui, lei lù loro
Abl. da lè da lui, da lei da lù da loro
Il lè genovese equivale anche all' italiano sé: di sé, geno-
vese de lè: a sé, genovese a lè; da sé, genovese da lè: ma ap-
punto per r indeterminatezza sua, il lè genovese vuol essere, in
molti casi, accompagnato col pronome medesimo air uso fran-
cese : così dicesi in italiano : amante di sé, sicuro di sé, ma in
genovese bisogna aggiungere: mèximu (stesso), perchè di-
cendo soltanto lè, non si saprebbe se si tratti di lui, o d'altri ;
per esempio l'italiano dice: non ama che sé: se il genovese
dicesse: u nu veubenatru che ale, resterebbe incerto se
ami solo se stesso, o una terza persona. Superfluo notare che il
lè genovese corrisponde al lombardo lù, al francese lui : for-
matosi il primo da illae, i secondi da illum /tic, latini.
Vi ha poi un caso in cui il fó genovese, come il lù lombardo
e Vela veneziano muta di forma. * Parlando a terza persona, cui
voglia dare del lei, il genovese non dice: le dico, le faccio, ma
ghe diggu, ghe fassu; così nel dativo non dice: gli ho W-
sposto, gli ho mostrato, ma gh' ho rispostu, gh' ho mu-
s tròu.
Il genovese ha il ^^/le in altro caso: ghe sun stètu, ghe
sun turnòu col significato cosi di vi (avverbio locale) vi sono
stato, vi son tornato, come col significato di pronome personale :
sono stato a lui, son tornalo a lui. In conclusione, il ghe geno-
vese, lombardo e veneziano equivalgono agli italiani gli, le, lui,
* Il piemontese ha la forma tj.
*'' ^* jfl
lei, loro, vi, ci. Si formarono forse dal tama pronoraÌDale gha,
onde gli italiani : qui, qtia, ci.
Ancora un'osservazione riguardo ai pronomi. 11 genovese,
come il piemontese e il lombardo, raddoppia, nella coningazione
di tutti i verbi, i pronomi ti e le:
egli è
tu aarai
egli sarà
ti ti «>
le u l'è
ti ti saio
16 u SUA
più frappone al le raddoppiato, per temperare l'assonanza, l'ar-
ticolo uoa: le a l'ha ditu (essa ha detto). Non li raddoppia
però neir imperativo futuro, o «quando trattisi di un'affermazione
assoluta : ti è un galantommu (tu sei un galantuomo), u l'è
bravu (egli è buono).
i V. Del Verro.
La coniugazione dei verbi genovesi è latina, quindi ita-
liana: so non che al genovese manca in tutti i tempi il modo
perfetto latino di tutti i verbi: fui, habui, veni, vidi, vici, ecc.,
che r italiano conservò : fui, ebbi, venni, vidi, vinsi, ecc. 11 ge-
novese ne fece un modo solo col passato prossimo italiano: sono
stato, ho avuto, mi sun stètu, mi ho aviiu.
Ecco la coniugazione dei verbi genovesi i'se {essere, la-
tino esse) e avei [fioere, latino habere) comparata a lìuella
dei due verbi italiani corrinpondonti.
Essere-
Indicativ
Presunta.
Plur. Nili semmu
lù sun.
— 146 —
Sing. Mi èa
ti ti ei
le u rèa.
Plu7\ Nui éimu
vui èi
lù èan.
Imperfetto.
Io era
tu eri
colui era.
Noi eravamo
voi eravate
coloro erano.
Passato Hmoto.
(Manca al genovese).
Io fui, tu fosti, ecc.
Sing. Mi saio
ti ti saie
le u saia.
Pliir, Nui saiému
vui saiéì
lù saìan.
Futuro imperfetto.
Io sarò
tu sarai
colui sarà.
Noi saremo
voi sarete
coloro saranno.
Passato prossima).
Sing. Mi sun stètu
ti ti e stètu
le u r è stètu.
Plur. Nui semmu stèti
vui sei stèti
lìi sun stèti.
Io sono stato
tu sei stato
colui è stato.
Noi siamo stati
voi siete stati
coloro sono stati.
Trapassato indeterminato.
Sing. Mi èa stètu
ti ti èi stètu
le u Tèa stètu.
Plur. Nui èimu stèti
vui èi stèti
lù ean stèti.
Io era stato
tu eri stato
colui è stato.
Noi eravamo stati
voi eravate stati
coloro erano stati.
Trapassato detetminato italiano.
(Manca al genovese). Io fui stato, ecc.
Futuro perfetto.
Sing. Mi saio stètu
ti ti saie stètu
le u saia stètu.
Plur. Nui saiému stèti
vuì saiéì stèti
lù saian stèti.
Io sarò stato ,
tu sarai stato
colui sarà stato.
Noi saremo stati
voi sarete stati
coloro saranno stati.
s
• ••
» _
k '
— 147 —
Sing. 2*^ Ti seggi
le u seg^e.
Plur. Nui seggimu
vui seggè
lù seggian.
Imperativo.
Presente.
Sii sia tu
sia colui.
Siamo noi
siate voi
siano coloro.
Futuro perfetto.
Sing 2* Ti seggi stètu ti
u segge stètu le.
Plur. Seggimu stèti nui
seggè stèti vuì
seggi an stèti lù.
Sii sia statu tu
sia stato colui.
Siamo stati noi
siate stati voi
siano stati coloro.
Condizionale.
Presente.
Sing. Mi saiéiva, o sai va, o sé
ti ti saiésci, sèsci
le u saiéiva, o sai va.
Plur. Nu'i saiéscimu, o sèscimu
vui saiésci, sèsci
lù saiévan, o saivan.
Io sarei
tu saresti
colui sarebbe.
Noi saremmo
voi sareste
coloro sarebbero.
Passato.
Identico al presente, aggiun-
gendo stètu.
Io sarei stato, tu saresti stato,
colui sarebbe stato, ecc.
Sing. Mi segge
ti ti seggi
le u segge.
Plur. Nui seggimu
vui segge
lù seggian.
Congiuntivo.
Presente.
Io sia
tu sii
colui sia.
Noi siamo
voi siate
coloro siano.
Passato imperfetto.
Sing. Mi fuise
ti ti fuisci
le u fuise.
Plur. Nuì fuiscimu o fuscimu
vùi fuisci
lù fuisan.
Io fossi
tu fossi
colui fosse.
Noi fossimo
voi foste
coloro fossero.
' In cui è notevole la conformità al latino fuissetn, fuisses, ecc.
— 148 —
Passato perfetto e trapassato.
(Conformi ai corrispondenti italiani).
Infinito
Presente : ese
Passalo: ése stètu
Futuro: duvet ése
Participio passato : stètu
Gerundio : essendu *
essere
essere stato
dover essere
stato
essendo
Avere.
Indicativo.
Presente,
Sing. Mi ho
ti ti he
le u rha.
Phir. Nui emmu
vui hei
lìi han.
Io ho
tu hai
colui ha.
Noi abbiamo
voi avete
coloro hanno.
Imperfetto,
Sing. Mi aja, o aveiva
ti ti ali, aveivi
le u 1 aja, aveiva.
Plur. Nui aivimu, o aveivimu
vui aji, aveivi
lù ajan, o aveivan.
Io aveva
tu avevi
colui aveva.
Noi avevamo
voi avevate
coloro avevano.
Pas.sato rimoto.
(Manca al genovese)
Ebbi, avesti, ebbe, avemmo,
aveste ebbero.
Sing. Mi aviò
ti ti aviò
le u Tavik.
Plur, Nui aviemu
vui aviei
lù avian.
Futuro imperfetto.
Io avrò
tu avrai
colui avrà.
Noi avremo
voi avrete
coloro avranno.
' Ma usato solo nella lingua nobile; il genovese invece di essendo
dico: stando.
— 149 —
PasseUo prossimo.
Sing, Mi ho aviiu
ti ti he aviiu
le u rha aviiu.
Plur, Nui emmu aviiu
vui he\ aviiu
lù han aviiu.
Io ho avuto
tu hai avuto
colui ha avuto.
Noi abbiamo avuto
voi avete avuto
coloro hanno avuto.
Trapassato detei^minato.
(Manca al genovese) Io ebbi avuto, ecc.
Futuro perfetto.
Sing, Mi aviò aviiu
ti t'aviè avuu
le u Tavià aviiu.
Plur. Nuì aviemu aviiu
vu\ aviei avl^u
lù avian aviiu.
Io avrò avuto
tu avrai avuto
colui avrà avuto
Noi avremo avuto
voi avrete avuto
coloro avranno avuto.
Trapassato indeterminato.
i
Sing. Mi aveiva aviiu
ti ti aveivi avuu
le u Taveiva aviiu.
Plur. Nuì aveivimu aviiu
vui aveivi aviiu
lù aveivan aviiu.
Sing. 2* Aggi ti
agge le.
Plur. Aggimu nui
aggè vui
aggian lù.
Imperativo
Presente.
Futuro perfetto.
Sing. 2^" Aggi avuu ti
agge avuu le.
Plur. Aggimu avuu nuì
aggè aviia vuì
aggian avuu lù.
Io aveva avuto
tu avevi avuto
colui aveva avuto.
Noi avevamo avuto
voi avevate avuto
coloro avevano avuto.
Abbi tu
abbia colui.
Abbiamo noi
abbiate voi
abbiano coloro.
Abbi avuto tu
abbia avuto colui.
Abbiamo avuto noi
abbiate avuto voi
abbiano avuto coloro.
Condizionale.
Presente.
Sing. Mi aviè. o avieiva
ti ti aviesci.
le u Taviè, o avieva.
Plur. Nuì aviéscimu
vuì aviesci
lù aviéivan.
Io avrei
tu avresti
colui avrebbe.
Noi avremmo
voi avreste
coloro avrebbero.
— 150 —
Passato.
Identico al presente, aggiun-
gendo aviiu.
Io avrei avuto, tu avresti
avuto, ecc.
Congiuntivo.
Presente.
^ing. Mi agge
ti ti aggi
le u Tagge.
Plur. Nuì aggimu
vui aggi
lù aggian.
Io abbia
tu abbi, o dbbia
colui abbia.
Noi abbiamo
voi abbiate
coloro abbiano.
Passato imperfetto.
Sing. Mi avesse, o èse
ti ti avesci, o esci
le u l'avesse, o èse
Plur. Nui ftvescimu, o èscimu
vu\ avesci, o esci
lù avessan, o essan.
Io avessi
tu avessi
colui avesse.
Noi avessimo
voi aveste
coloro avessero.
Passato perfetto e trapassato.
(Conformi ai corrispondenti italiani).
Infinito.
Presente: avei, e ai
Passato: avei aviiu
Futuro: duvei avei.
avere
aver avuto
dover avere
.*
Participio presente
(Manca al genovese) avente.
Passato : aviiu
Gerundio presente : avendo *
» passato : avendo aviiu *
avuto
avendo
avendo avuto.
Quanto agli altri verbi, venutigli dal latino, il genovese
or si attenne alla ferma loro originale, come in bibere, can-
tare, dormire, or si condusse, nelle flessioni, come il fran-
cese :
La^. mori Frane, mourir Gen. muì
mi meùu, ti ti meni, le u meùe
nuì muimmu, vuì muì, lù meuan.
Usasi solo nella lingua nobile.
— 151 —
Lai. posse Frane, pouvoir Gen. puei
mi posso, * ti ti peu, le u peù
nui puemmu, vui puei, lù peùan.
Lai. velie Frane, vouloir Gen. vueì
mi veùggiu, ti ti veù, le u veìì
nui vuemmu, vuì vuoeì, lù veùan.
Vi sono poi verbi nei quali appare di continuo la lotta
tra le forme latino-italiane, e quelle francesi: per esempio:
Lai. facere Frane, faire Gen. fa
mi fassu, ti ti fé, le u fa
nuì femmu, rui fé, lù fan
mi faa, * fava, * faceiva *
ti ti faii, favi, falcivi
le u faa, fava, faceiva
nui fàmu, favimù, faceivimu
vuì faii, favi, faceivi
lù faan, favan, feceivan
mi fesse, o faxesse, ti ti fesci, o f&xesci, lù fessan, o faxessan
nui fescimu, o faxescimu, vuì fesci, o faxesci, lù fessan, o faxessan
mi ho fètu {frane, fait, eome stètu = été, ani. esté), ecc.
§ VI. Della Preposizìone.
Nelle preposizioni genovesi, assai minori di numero delle
italiane, va notata la particolarità dell' m, il quale anziché
mutarsi in ne, nel (che non esiste nel genovese) dinanzi al-
l'articolo, come in italiano, si unisce alle sillabe la, te, ti, tu:
lo trovai nella scala Tho truvoìì in ta scaa
lo tengo nelle mani Tbo in te moen
vi son fiori nei prati gh'è de sciai in ti proei
buttalo in un angolo caccilu in t'un cantu.
E modo conforme al piemontese an-t-l (an-tla stanssia)
e al lombardo in del, in de la, in di: e tutti sono conformi
all'uso dell'antica lingua italiana, che pift» diceva in nel, in del,
come tuttavia dice il volgo romano e toscano.
' Questa forma, contraria aUa pronunzia genovese, è cittadinesca; in
montagna dicesi polisci u, nella Riviera di ponente posciu.
* Forma popolare e contadinesca.
^ Forma cittadinesca.
* Forma elegante.
PARTE TERZA
VOCABOLARIO ETIMOLOGICO GENOVESE
Abaclncoa, it. sbalordito, specialmente per percossa nella testa,
per un colpo di sole; v. entrata recentemente nell'uso italiano con
la forma acciocchire, ma antica nel gen. cui venne probabilmente
dalla rad. stessa di cioccu (V. alla voce), cioè dal germ. shock, per-
cosso.
Abandon, it. abbandono; etim. lat. med. abandum « res arbitrio
cujusque exposita, in bannum missa, proscripta » (Ducange), * onde il
significato del lasciar solo, senza aiuto. La stessa origine germ. del
bannum ha la frase marinaresca « in bandu » significante il mollare
del tutto un cavo, il non trattenerlo più.
« Abbreviature:
aat.
antico alto tedesco.
af!.
a/ffne, affinità.
ant.
antico. '
ar.
arabo.
avv.
avverbio.
b. bres.
bergamasco - bresciano.
b. lat.
ba.iw latino.
cat.
catalano.
celt.
celtico {che comprende il
basso bretone, il bretone,
ilaaelico e il cambrio).
confronta.
cfr.
civ.
civile.
com.
comasco.
dim.
diminutivo.
ebr.
ebraico.
esci.
esci US ivo, e.^cl usivamen (e.
est.
per estensione.
etim.
etimologia.
fig.
figurativamente.
fr.
francese.
fr. ant.
francese antico.
gall-it.
gallo-italico.
gen.
genovese.
germ.
germanico {che comprende
il medio tedesco e il tede-
sco moderno).
got.
gotico.
gr.
greco.
gr.-lat. greco-latino.
id. identico.
ingl. inglese.
it. italiano.
lat. latino.
lat. med. latino medievale.
lomb. lombardo.
oland. olandese.
p. e. per esempio.
p. p. participio passato.
piom. pietnontese.
prob. probabile, probabilmente.
prop. propriamente.
prov. provenzale.
rad. radice.
rem. romanesco.
sig-nif. significato.
sim. similitudine.
sm. sostantivo maschile.
sost. sostantivo.
sp. spagnuolo.
ted. tedesco.
tose. toscano.
trasl. traslato.
V. vedi.
V. voce.
vb. verbo.
V. m. voce marinaresca.
= eguale.
Glossa riunì mediie et in fi ni (p latinifatis, Parigi, 1842.
— 154 —
Abarlag^à e Imbarlùgà, it. abbagliare, onde Barlàgnn (andà
in), it. barcollare, id. a prov. beluga, fr. ant belugue; etira, bar,
equivalente al prefisso peggiorativo latino bis (it. bar-lume, lat. bis-
lumen, cattivo lume) e litga, da lat. lucere, e più direttamente dal
romanzo lugor.
Aberft, it. afferrare, Aber&ie, azzuffarsi, onde la frase : « fa
abèra », prendere con violenza la roba altrui, accerchiando prima il
luogo in cui trovasi; etim. prob. dal celt. bar, ramo, asta, da cui it.
barrare, impedire il passo, che fig. corrisponde alla detta frase gen.
Aberùfà, it. arruffare, dicesi specialmente dei capelli, della
barba, ecc.; etim. dalFaat. biroufan, tirare i capelli.
Abl^aelft, it. ripiegar tela, carta e simili su se stesse a moMi
piccolo rotolo, onde Blg^eln e Brig^eln, rotolino, e Beblgn, ghiri-
goro, svolazzo; etim. got. biugan, curvare, torcere, germ. mod. biegeti,
ripiegare.
Abosaft, it. abbozzare, ma in gen. è voce specialmente marina-
resca, e vale : far una legatura provvisoria, con pezzi di corda chiamati
bosse, a fine di assicurare un attrezzo o manovra. Ancorché abbia un
esempio del Falconi ' (1612) e la N. Crusca registri bozza per enfiato,
enfiatura, par verisimile che abossd e bossa sian venute al gen. e per
esso airit. dal fr. bosser e bosse, voci per altro di etim. germ. come
le it. bozza e abbozzare.
Abòtin, it. intontito. Il Caix e il Parodi ^ la traggono da un lat.
fittizio <( ex pavitire » non ammissibile; è v. identica al piem. ababià
ed al fr. ant. abaubit, attonito, stupito; etim. comune prob. celt. aibaubi
di ugual senso. Vuoisi tuttavia rammentare che V it. antico aveva
abbotire, per darsi in boto o voto (« ad, in, botum, votum »), onde il
gen. abòtiu potrebbe anche significare il rimanere immobile come un
voto, senso spiegato dall'esempio del Tramater:
In cotal atto pajo un di coloro
Che a San Giobbe abbotiscono di cera
e del Cavalli:
. . . pofero li spuóu
L*invó de coro&l dent'ro muróu.
' (Sonetto XXXII).
Abracà, v. m. che vale: tirare a forza di braccia un cavo per
accorciarlo o coglierlo, id. a prov. abracà, fr. abraquer; etim. lat.
a bracìiiis.
Abrettln, avv. che in it. vale: precipitosamente, alla spensierata;
per trasl. abrettiu significa anche: a iosa, in abbondanza; non pre>
standosi, per il diverso senso, il lat« abreptus (p. p. d^abripio) convien
ricorrere alFavv. abrupte « non existimans abrupte agendum », Just. II.
* Breve istruzione appartenente al capitano dei vasselli quadri, Fi-
renze, 1612.
' Caix, Etimologìe italiane; Parodi, Saggio di etimologie genovesi, nel
Giornale ligustico, 1885, che però comprende soltanto 43 vocL
— 155 —
Abonasaft e Abnnaaaàae, it. abbonacciare, arsi, onde Bonaasa,
bonaccia, v. m. gen., comune al prov., che il Caro trasportò tal quale
neir it. voltando il virgiliano « motos componere fluctos » (En. I) in
« abbonazzar quest'onde ». Fu il Monti che propose la registrazione di
questo verbo nel Vocabolario della Crusca con la forma : abbonacciare.
Aoatà, it. comperare, id. a piem. caté (il lomb. ha calla per co-
gliere), fr. acheter (il prov. acaptar significa : dare in enfiteusi). Etim.
Diez da un lat. fittizio ad-captare, ma il lat. captare (pigliare, cer-
care) è Tetim. del tose, accattare, che vai mendicare. Anche Littré ri-
getta Tetim. del Diez e propone quella dal b. lat. accapitare che trae
da at2 e da caput, prendere in enfiteusi, a un canone fisso, e, dice egli,
anche comprare: ma come ammettere che il fr. acheter, gen. acatà,
cioè Tatto del comprare, venga da ae2 e da caput? I Latini per com-
perare dicevano emere (mercari significava mercanteggiare), dicevano
anche comparare, però nel senso di provvedere, procacciare. Del primo
verbo non si trova traccia negli idiomi neo- latini : il comparare divenne
per est. Tit. comperare^ lo sp. comprar. Però la plebe romana dovette
ab antico pronunziarlo, come lo pronunzia anche oggi, erompa, e cosi
il lomb. erompa, il prov. croumpà. Come mai non vi è indizio di
questo verbo nel fr, nel gen. e nel piem.? (Conpré, in piem., è mo-
derno). Anche il Flechia sta per Tetim. del Diez, ad-captare, ma,
lasciando da parte l'alterazione del senso del captare, come si spiega
che Genovesi e Provenzali, confinanti, parlanti una lingua tanto con-
forme, e in continuo commercio tra loro, chiamino diversamente Tatto
dell'acquistar con danaro? Com'è avvenuto che mentre gli abitanti
delTalta Italia e di quella centrale dicevano comperare, i Liguri da
una, i Napolitani e i Siciliani' dall'altra estremità, dissero adcaptare?
Adaxn, it. adagio, hff. a piem. e lomb. adasi. Per la v. it. agio
furono proposte molte etim. ma niuna accettevole; perchè non consi-
derare la celt. adhaiSy ozio, stabilita dal Monti,* e viva nella pronunzia
gallo-italica? Però il gen. adaxu che trova riscontro nell'altra v. de*
zaxu, disagio, potrebbe avere altra origine, comune a quella dell' it
agio e suoi derivati; forse il germ. be-hagen, proposto dal Frisch.
Adas:gri&9 it. addoppiare, v. specialmente marinaresca, entrata
nel linguaggio nautico it. con la forma: addugliare, e vale: cogliere
a doppio un capo affinchè non si arruffi, né prenda spazio soverchio.
Etim. lat. duplus.
Afità, it. conciare, e dicesi delle pelli, onde Afitaja, concia, id-
a piem. afaitè, lomb. affaità, fr. ant. afaiter, afeiter, da afait (tan-
nene)', dal lat. med. affaitare « seu conficere pelles »; etim. prob. lat.
afficere, affectum, nel senso di acconciare. « Afficere vultum medica-
mine », tingere il volto di belletto, disse Ovidio.
Affna, it. ragno, onde Tàgnk, ragncUelo ; etim. gr. aracne, lat.
aranea, « tela araneae ».
* I primi dicono accattari, i secondi accattare.
• Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como^ Milano, 1845.
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Agn^eppiae, it. aUrappirey non potersi muovere per freddo o per
malattia : aflT. a piem. agrapé, fr. se gripper; etim. comune got. greipan,
prendere; però cfr. anche gr. grypós, becco curvo.
Agrrlttàae, it. ìHtorcersi su se stesso ; sim. presa dal granchio, in
gen. grilla, allorché raccoglie sotto il corpo le gambe.
Agruantà, it. agguantare, v. comune e m. Etim. oscura: i glottologi
dicono che deriva da guanto, v. germ., ma par difficile che con simile
etim. sia entrata nel linguaggio marinaresco in cui significa « tener
forte checchessia » e « resistere, specialmente al cattivo tempo ». Lo
sp. ha aguante per: forza, costanza^ coraggio, resistenza, e anche:
pazienza, rassegnazione.
Agrueltà, in gen. vale: guardar di soppiatto da un fesso o spi-
raglio, che i Toscani dicono, con v. ted., usolare; il vb. it. guadare,
che pur si vuole avere Dante tolto dal gen., male risponde al senso
àeWagueild. Nel lat. med. agaitu e aguayt significavano insidie, e
aguaitare, insidiare. In prov. gailar, in fr. ant. aguailier^ aguUer,
mod. guetter, in sp. aguailar^ significano : spiare, osservare a fine di sor-
prendere ed anche di nuocere; senso quest'ultimo che Fegual voce gen.
non ha. Il piem. dice vaitè^ il com. vaidà, conservando cosi più di
tutti la forma della parola originale che per consenso generale è
Taat. toathàn, vegliare, far la guardia.
Agrug^lotta, it. agiigliotto, v. m., ferramento a guisa di ganghero,
chiodato alla ruota di poppa, e particolarmente quella spina che entra
nelle femminelle del timone; gen. è la voce e Topera, poiché furono
Gio. Zerbi e suo figlio, da Genova, gF inventori «delle aguglie dei ti-
moni delle navi e galee ». i
Ala, it. alare, v. m. che vai : tirare^ onde Alag^grin, la tratta di
checchessia facendo forza su un canapo a livello, id. a fr. haler. Il
Guglielmotti,^ esimio scrittore di cose nautiche, ma etimologo spesso
infelice, la trasse dalla v. militare: far ala; invece alare venne al gen.
come a più altre lingue, dalFaat. hdlon o dalFant. scandinavo hala^ i
quali valgono appunto tirare, voce che i marinari italiani accolsero
subito, essendo troppo generica ed equivoca Tit. tirare.
Allocca, it. adescare, fig. allettare^ onde Lecca, cosa ghiotta
che alletta, Leoohòan, ghiottOfls^eed^VL, leccornìa; v. comune, eccet^
tuato il verbo, a piem., lomb. e prov.; etim. più prob. Taat. lecchòn^
voluto da Diaz, che il gr. leikein, sostenuto da Zambaldi » Quanto al
verbo, il gen. alleccd è id. al fr. allécher, che Littré trae dal lat. ad-
lectare (il quale egli fa venire da allicere, mentre viene da lectum),
ma è troppo chiara in fr. ed in gen. la provenienza da leccare (le»
cher)y onde la ragione del verbo.
AUùa, it. allora, ambo da lat. « ad illam horam » ; Allantùa,
come dicono popolani e contadini, verrebbe da « illa intus bora » se-
* AcciNKLLi, Compendio dfiììe storie di Genoca, tom. I, pag. 107.
• VocahoJtìrio marino e Miìitare, Roma, 1889.
Vocahoìnrio etimologico itnliaììo, Città di Castello, 1889.
— 157 —
condo Picchia, ma è formazione troppo difficile, per l'appunto nel lin-
guaggio volgare.
Alò. Nelle Antiche rime genovesi, mentovate nella parte prima,
questa voce è più volte usata col significato di: subilo, immediata-
mente; onde il Picchia, nello Annotazioni alle stesse rime, la trasse
da latino ilUco. Ma è fuor di dubbio che nel gen. di Genova e sua pro-
vincia, alò, voce antichissima e sempre viva tra i contadini, non si-
gnificò mai né significa altro che : prima, avanti, ammettendo anche
Tavv. più: ciù allò, più avanti, più presto. Nel primo caso, piuttosto
che venire da illieo, che mal si presta, alò potrebb'esserc il fr. alors;
nelFaltro caso Fetim. è oscura: forse potrebbesi riferire al Faat. uo/e^a,
ora mattutina, o all'antico nordico otta, le tre prime ore del giorno,
con formazione eguale a quella dclF it. allotta.
Alnsrlòn. Male P Olivieri (Dizionario), interpretando uggioso,
stucco, bene il Casaccia (Dizionario) traducendo: quasi addormentato ;
viene infatti da lat. loliaceus, di loglio, seme che, mangiato, induce
gravezza alla testa.
Amaca, it. ammaccare, da macco, schiacciamento, onde Amao-
oatùa, ammaccatura, e la frase a macchettu, che vai persone o cose
strette, stipate ; questa voce manca al piem. e al lomb. ma se ne trova
la rad. nel prov. e nello sp. Etim. ebr. makkah, battere, ammessa anche
dalla N. Crusca.
Amainà, it. ammainare, v. m. intorno a cui stranamente alma-
naccarono i glottologi, cominciando dal Diez per finire col Picchia;
il Guglielmutti ben dice che significa : « tirar giù », « far venir giù
checchessia », antenne, alberctti, vele e bandiera. Quanto alFetim. ci la
trova nel lat. med. minare, condurre, ma non è che una parte dello
ammainare, il quale parrebbe composto così : « ad marem minare >,
se pur non è il genovese pretto : a maen-a, alla marina, senza neces-
sità di verbo. La v. gen. divenne in prov. ameinà, in fr. ant. ameiner,
mod. amene r, in sp. a^nainar, essendo quasi superfluo di rammentare
che i Genovesi furono maestri d'ogni cosa nautica a Francesi e a Spa-
gnuoli e che il linguaggio della marina medioevale di questi popoli è
pressoché interamente genovese.
Amalooà, it. avvolgere scompigliatamente panni, vesti, carta, ecc.,
onde Maloocn, batuffolo; etim. potrebb'esserc lat. nude locare, ma
allugd. Cfr. però il prov, aìnaluc, anche, groppa de' buoi e dei somari
con ossa prominenti, onde amalugd, sciancare, rompere; inoltre ama-
laguro, impressione rimasta su un corpo che fu abbatufTolato. *
Amarra, it. amarrare, v. m., id. a fr. amarre r, sp. amarrar,
legar l' àncora por le sue marre, legare un cavo alle marre dell'ancora;
etim. Diez dall'ar. marra, legare; Littré dall'oland. maaren, amar-
rare; é invece il gr.-lat. marra, specialmente nel senso d'uncino:
« intendasi il garbo nelle àncore, la maggiore o minore stortura nelle
* Gran brutta voce, d'origine tedesca. I Romani dicono ciancicare, prob.
da cencio, v. elio la N. Crusca registra con altro significato.
— 158 —
« loro marre * (Crescentio *); « marre sono i rampini delle àncore »
(Pantera 2).
Amaaoà, it. ammascare, v. m. Dicesi di nave che riceva sulla
guancia una brusca e violenta risvolta. Guglielmotti chiama amtna-
Hcare e masca voci marinaresche: se avesse conosciuto l'idioma ge-
novese (e nocque al pregevole suo Vocabolario di non averlo egli co-
nosciuto), sarebbesi avveduto che masca^ in gen. vuol dice guancia, e
che dinota la parte della nave corrispondente alle grue delle àncore :
onde etim. di ammascare è il gen. masca (V. alla voce).
Amò, it. miele, anche il piem. dice amel; perchè la protesi? e
si noti che il gen. l'estese anche a fiele, dicendo arfè^ dove che il piem.
disse a/eZ, ma anche fel,
Ameneatrà, in gen. significa esci. : cavar la minestra dalla zup-
piera e metterla nelle scodelle, oppure: levarla dalla scodella e met-
terla in un piatto perchè si raffreddi ; in questo senso è v. esci, gen.,
poiché il fr. ant. aìnenestrer^ e T it. ministrare non hanno, pratica-
mente, tale significato. Etim. lat. adminislrare : « mei in secunda
mensa administratur » (Varr.).
Amermà, it. diminuire, scemare, onde marmala, muover le dita,
marmelin (diu) dito mignolo ; quesf ultima voce è comune a piem.
e lomb., id. a prov. meìiTià, amermà^ fr. ant. ameì-mer, m^ertne, sp.
niermar; etim. celt. marm, piccolo, mat^m.-mear, dito mignolo.
Amia e Mia corrispondono al guardare e non al mirare it. ed
esattamente al fr. ant. amirer e allo sp. mirar; etim. lat. miran nel
.s-enso di guardare semplicemente.
Amuà, it. arrotare, onde Amnletta, arrotino, id. a piem. mx)lé^
molet, molèta, lomb. tnolà, moietta, fr. ant. amollier, prov. amrOulà^
amoulet, sp. amolar, amoldador; etira. lat. mola, ad molam {nieùa).
Amurà, it. investire, dar in secco; v. m. che vale in gen. dà du
muru, battere il muso.
Anft, it. andare, id. a com. anà e nà, b. bres. nà, rom. annà, prov.
anà, cat. anar, fr. ant. aner; pare esistesse anco nelPit. ant. un vb.
aaare. Quanto alFetira. non si conosce né àeWandare, né delTanà; la
questione è ampiamente trattata da Littré alla v. aZZer; però non regge
la soluzione adnare, essendo assurdo T immaginare che gii uomini ab-
biano prima imparato a nuotare che a camminare In sanscrito dicesi
han e hand per andare; non ne deriverebbe Vana?
Anaatà, it. fiutare, onde Anaatn, fiuto, detto particolarmente
dei cani, id. a piem. anast; etim. germ. nustern, narice.
Anohen, it. oggi, id. a piem. ancheàj, lomb. inchéu, prov. a«-
cuei, com. ancoi; quest'ultima forma imitata tre volte da Dante: etim.
prob. lat. hanc hodie.
* Ndìif/ra medi terranea, 1607.
' Armata ììavaìp, 1614.
— 159 —
Anohlzze, it. incudine; etim. lat. iticus, udis; V in prefisso di-
venne an in tutte le lingue, compresa T italiana, che anticamente di-
ceva ancudine.
Ansrion, it. pergola ; il Parodi da lat. ambulaiorium, che mal si
presta; etim. più regolare sarebbe da lat. angulum, angellum, i quali
valgono anche: ritiro, luogo nascosto^ senso che conviene altresì a
pergola, e che riscontrasi pure nel fr. ant. anglée.
Angruaola, it. nausea, onde Ansraaoi&, nauseare^ infastidire, e
Ans^naclùan, molesto, fastidioso : id. a fr. ant. angousce, angoissier,
prov. angoissà, tormentare» affliggere; etim. lat angustiare e angustia,
in quanto vengono da angere, stringere, soffocare, molestare.
Antiohén, it. nausea, onde Antiohenà, nauseare; etim. chiara
per chi ricordi che Genovesi, Piemontesi e Francesi dicono fig. cuore
per stomaco (figura che del resto è anche italiana ed ha origine sto-
rica), onde anticheìid equivale a stomacare e antichéù a contro-sto-
maco; fr. mal, soulèvement de coeur, piem. scheur, fé scheur.
Apajà, vale in it. aver tempo, agio, v. id. a piem. apairè, lomb.
apairar ; etim. comune celt. vair, ora, tempo. Però nel gen. cittadi-
nesco è V. uscita d'uso, rimasta viva soltanto nel contado.
Aprenn e nella lingua civ. Apprénvu, it. dietro, dopo, id. a piem.
apreu, apreuv, lomb. apreuv, apreuf prov, aprop, fr. ant aprof: però
piem. e lomb. lo usa in signif. di presso, accanto, e non in quello di
dietro, come Fusa il genovese e Fuso Dante, nella v. a pruovo, che è
prob. egli togliesse appunto dal gen. Etim. comune: lat. ad prope.
Apnllft e Apnllón, it. bagnare, bagnato da capo a piedi; v. an-
tichissima, certamente analoga a ìt polla, vena d'acqua, di etim. oscura,
forse da celt. poli, stagno. Cfr. gr. polla crené, fonte copioso.
• Apnnde, ìt. piantare, affondare; etim. oscura: forse da ìslì. pondus,
eris, peso, gravità.
Aranoft, it. svellere ; etim. germ. rank, contorcimento, vb. renken;
conformemente alla v. d'origine, non ha in genovese che il significato
di svellere storcendo : arrancare una pianta, un dente, un chiodo. Con
lo stesso significato passò nel linguaggio marinaresco, dicendosi « voga
arrancata », quella in cui i vogatori fanno molta forza sui remi, quasi
a svellere, a strappare gli scalmi ai quali sono attaccati. Si sa che in
it. arrancare (che ha la stessa etim. germ. del gen.) significa il cam-
minare in fretta degli zoppi o sciancati; passò poi nell'uso tose, anche
col significato di svellere, e la registrò il Fanfani, ma è manifesta im-
portazione ligure. Arancà non hanno il prov., il piem. e il lomb., bensì
lo sp. arrancar.
Arang^a, it. accomodare, ordinare, onde Arang^amentn, id. a
piem. arangè, lomb. rangià, prov. arrengà, fr. ant. arrangier, mod.
arranger, tutti dalFaat. hring, circolo, celt. (kimri) rhenge, onde il
rang germ., ingl., fr. Altri cita il germ. raidjan, ordinare.
Arelà, vale in it. avvolgere checchessia a forma di gomitolo, di
matassa, onde Bela, matassa; vale anche rocchio, fetta di cosa che
— 160 —
tiri al cilindrico, 4c réla de pesciu » ; etim. oscara : forse da lat. rotula,
osso rotondo, onde it. arrotolare,
Arembft, it. appoggiare, accostare, onde ArembaSTSTia* arac-
duolo, Aremba, appoggio, sostegno materiale e morale, e Arem-
basoffia, raccostarsi a una nave per impadronirsene a forza. Nulla di
comune con Fit. arrembare, relativo a cavalli e ad uomini inabili al
lavoro. Guglielmotti trae arrembaggio dalle retribate, palchi o castelli
a prora delle galere, e le rembaie stesse trae da rimburchio, rimbalzo,
alienissimi. Zam baldi deriva arrembaggio dal gr. rhembazéin, sviare,
fare smarrire, di signif. troppo lontano; ambo ignorarono esservi nel
gen. il vb. aremba, nel piem. arambè, nel prov. arrambà, coi su
detti derivati nel gen., tutte voci del linguaggio comune ed antiche:
TAzais * trae Yarram.bd da ar e da rambà^ addossarsi ad un muro, ma
non è un'etimologia; questa potrebbe essere dal gr. rhémbein, torcere
in giro, citato dal Zambaldi per Tit. arrembare^ cui poco conviene;
anche il Tramater trae renibate dal gr. rhembo, io volgo in giro, perchè
quei palchi giravano intorno alla prora. Il rhémbein sarebbe rimasto
nel gen. e nel prov., da quest'ultimo comunicato al piem., e nel lin-
guaggio nautico l'avrebbe introdotto il gen. Tuttavia, giovi di rammen-
tare che le rembate o arrembate, prima d'essere palchi o castelli, erano
semplici ripari o parapetti circolari, fatti di travi, corde, tele, ecc. per
proteggere i combattenti ; ^ ora il sassone ha le v. ryman^ ing. vemble.
muovere e rimuovere, rhf/mpelle, ingl. Hmple, che, come nome, val-
gono: doppio^ come verbo: avviluppare.
Arenaenise non ha che fare con it. aggrinzarsi e aggricciarsi^
come pensa il Parodi, né vi entra la grinza germ.; sembra che vi entri
invece il lat. renes, reni, e infatti arensenise significa: ristringersi in
se ste.sso, piegarsi sulle proprie reni per freddo o per contrazione mu-
scolare.
Arente, D*arente, it. da vicino, presso, onde Arentiae, avvici-
narsi, v. comune a piem. e lomb. ; etim. prob. lat. adhaerenteniy essere
stare attaccato, aderente.
Arida, it. arridare, v. m. che vale : dar tutta la conveniente ten-
sione alle manovre dormienti. Guglielmotti la trae dal lat. rigidire,
e doveva dir rigidare, far duro, inflessibile; ma le etimologie latine
(e questa sarebbe giustissima) ndn si possono ammettere nel linguaggio
nautico che per le voci antiche, e arridare antico non è. Conviene
adunque attenersi alTetim. da fr. rider, che vale lo stesso, e che, se-
condo Littré, vien dall'aat. ga-ridan e dal germ. riden, girare, torcere.
Ariffuà e Ariffuelà. Il Parodi da lat. rota, 7*0^1/^, madri dell' it.
arrotolare : vi si scorge invece la rad. gr. rhy^ scorrere, onde lat. rivus;
i Genovesi infatti dicono di un liquido versato che « u s'arigùa », che
* Dictionnnire des iiìiornes Romans ihi midi de la Franc€y eie. MontpeU
lier, 1S77.
* Vedasi: Jal, Glossaire nautique, Paris, Firmin Didot, 1848, alla v. Ar-
rombata.
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« u fa un riguelu » (rivulus). Anche il fr. ant. aveva ngol nello stesso
senso, e il prov. (guascone) ha arrigoulà nel senso di scorrere; quello
di arrotolare venne evidentemente alVariguà per similitudine.
Arlmà, it. arrimare; v. m. che vale: aofgiustare il carico d'una
nave: prov. arrimà, fr. arrimer ; etim. dal germ. raum, spazio, stiva
della nave.
Armella, it. seme dei frutti, v. comune, con lievi differenze di
forma, a tutti i dialetti gall.-it ; il prov. ha arma, armo, col signif. di
anima, come avevano Tit. e il fr. antichi (quest'ultimo aveva anche
amelle) ; etim. prob. più che da lat. anima, animula, che mal si presta,
Tantico celt. amhra, animo. L'etim. da lat. alma, di cui Porcellini, non
è verosimile.
Arman, it. corbezzolo, una delle parecchie voci celtiche entrate
nel latino, in cui prese la forma aròutus (e arbutum per il gen.). La
rad. celt. ar si trova infatti nel fr. arbouse, prov. arbousso, piem. ar-
mlin, emiliano arbuso : forse, alterata, trovasi pure neìValbatro, detto
in alcune parti della Toscana; quindi sparisce. A Roma il corbezzolo'
è detto cerasa marina, e cosi nelle Marche e neirUmbria, onde i Te
deschi trassero la loro meer kirsche. È poi strana in bocca ai Toscani
la V. corbezzolo, certamente tedesca. Zambaldi la trae da hiirbiss (lat.
cucurbita), zucca, ma è inverosimile che sia stato dato questo nome
al corbezzolo. Verrebbe dunque da kirsch bùschel, grappolo di ciriegie,
per sim., o da kirsch buschchen, arbusto di ciriegio; ma come mai?
La N. Crusca suppone che corbezzolo possa essere corruzione conta-
dinesca del lat. arbutus, supposizione inammissibile.
Aroaà e Amnaà. Due verbi di distinto significato, i quali nelPuso
si confondono spesso : il primo vahj rimuovere , far luogo , e ne
deriva &oaa, nella frase «fa rosu », far largo; il secondo vale: spin-
gere, urtare violentemente ^ a fine di portar via qualche cosa, e ne viene
&anaan, spintone. Il prov. ha arassà, far fare largo, roiinzà, spignere,
arasso, grido equivalente a : « largo 1 » e rounzado, salto, slancio ; lo
sp. ha arrojar, che vale: lanciare, spignere, e ronzar, far leva. Gen. e
sp. hanno la frase marinaresca « andà (ir) de ronza », e il prov. « ana
h la rounzo », le quali si applicano a un bastimento che, caduto sotto-
vento, va di continuo in deriva. Etim. oscura: quella proposta dal Pa-
rodi da lat. rapere, non è ammissibile ; forse va cercata nelle lingue
germ. nelle quali trovasi p. e. runzity col signif. di cavallo cattivo.
Arri&, e nella lingua civ. Arriva, it. arrivare; etim. lat. med.
adnpare, arripare. Registrai la voce per far notare che nel linguaggio
nautico gen. a riva significa sopra, in alto, come Varriba sp , e che
arrid significa pure: mandar giù dall'alto, abbassare checchessia.
Ara, it. errore, sbaglio; v. ant., con le varianti arror e arro»
sempre viva nel volgo e vivissima nel contado, adoperata però esclu-
sivamente nella frase: « fa aru », far errore, sbagliare; ne venne il
vb. Ara, Innarà, usato ancor dal De Franchi, ma disusato oggidì.
Etim. oscura: il fr. ant. aveva erroi, lo sp. ha yerro, errore, che certo
vengono da lat. error, onde non può venire il gen. aru. Lo stesso
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— 162 —
sp. ha aro, grosso anello di ferro piantato in terra, per cui nel giuoco
deir« argolla», gen. «trucca », devesifar passare una palla dì legno;
che « fu aru "^ sia venuto dal toccare Fanello con la palla e quindi
fallire il colpo? Anche la forma « in-arà » ai presterebbe a questo si-
gnificato. Ma è una semplice domanda.
Arftbatà, Arftbatàse, it. rotolare, rotolarsi, onde Bftbattim
(andd a) andare, correre a precipizio, cascare, id. a piem. ruàaiè, aff.
a sp. arrebatar, arreàatado. È anche aif. nel senso di: « darsi gran
moto, adoperarsi molto > a it. arrabattarsi, la cui etim. è incerta,
potendo essere dal gr. arabdttein, fare strepito, o dalPaat. arapeilon,
mod. arbeiten, lavorare. Nel primo signif. Tetim. potrebbe essere da
lat. rupa.
Ariixentà, it. sciacquare, onde Arrftzenteaia, Hsdaquatura, e
&iizentà, secchio di rame per attinger acqua, id. a b. bres. resetUà,
aff. a prov arrousa, arrosar, arrousadou, a fr. arroser, arrosoir^ a sp.
rodar, rociadura, a catal. ruxar. Littré vi scorge la rad. lat. ras, ru-
giada, proveniente dal sanscrito rarsha, pioggia; TAzais trova Petim.
nel lat. adrorare, irrorare, spruzzare leggermente. Nella v. gen. alla
rad. ros (gen. ri'zà) è unito un vb. che forse è jactare.
Arzilla. A significare che un pesce è freschissimo ed ha ottimo
sapore, i Gen. dicono che « sa d'arziliu ». Questo arziliu si forma nelle
acque limpide e di continuo mosse di un mare con fondo di scogli e
sassi mondi da muschio e da fango, e consiste nelle piccole erbe co-
ralline nate a contatto delle ramificazioni del coralletto bianco, tra cui
vive una quantit?i di animaletti, con nicchio e senza, dei quali (ed anco
delle erbo coralline, a detta dei pescatori) si nutriscono i pesci. Havvi
affìnitìi tra il gen. arziliu^ e V it. arzillo, che significa vivace, vigo-
roso? Zambaldi dice che arzillo ò forse connesso al germ. harz, re-
sina, etim. non ammissibile pel gen. Si noti poi che arziliu è voce an-
tichissima nel gen., moderna nel tose, al quale è verisimile sia venuta,
l)or via di Livorno, dal ligure. Probabilmente Varziliu, come arsella,
i'MÌ ò affine (di etim. ignota) hanno la stessa origine del lat. arx,
arcis, che però non si conosce.
Aabrià, it. lanciare^ avventare^ onde Asbria, slancio: ne vien la
frase: « piggià Tasbriu vv, prendere la rincorsa. Voce comune e ant. nel
gen . id. a fr. ant. esbrioer, abriver, a prov. abrivà e abrivado, che
l'Azais trae da à e dal romanzo abriu, impeto, ma che più probabil-
mente, data la forma gen., vien dal celt briosg, moto vivace, onde
it brio. Dal gen. e dal prov. passò nel linguaggio marinaresco it., ec-
cettuato il veneziano, con la forma abbrivare, che significa: imprimere
alla barca la maggiore velocità possibile, e abbnvOy significante: la
spinta data alla barca, la velocità da essa acquisita. Cadono quindi le
otim proposte dal Guglielmotti: « ab ripa solvere» e da Zambaldi
« a bri pare ».
Asoidin, sono le ascidie (lat. ascidia, gr. ascidion), molluschi co-
muni in Mediterraneo che vivono aggruppati su gli scogli, le piante e
le conchiglie, e vi restano immobili tutto il tempo della loro vita; il
— 163 —
gen., con giusta similitudine, chiamò ascidiu e asciata chi gli recava
continuamente noia e molestia, e ne fece il vb. ascidid, noiare, mole-
stare, id. al fr. ant. asidier.
Aisr^Jà, 8s^à e AiSH^eJà, it. sciupare^ sprecare y id. a piem.
sgairè, sgìieirè, com. sgairày aff. a fr. ant. esgailler; etim. celt. scai»
reap, prodigalità, sgaireach, scialacquatore.
Aipertu, it. accorto^ scaltro^ onde Aipertize, accortezza^ scal-
trezza, È singolare che Vexpertus lat. copiato da tutte le lingue neo-
latine nel senso di pento^ abbia perduto nel gen. cotesto significato
per assumere quello di accorto, scaltro- Esperto, in gen., dicesi praticu,
capage.
Asaa, it. matassa, id. al gr. nuUaxa, filo, corda; i Genovesi ab-
bandonarono r ignota rad. mat, dicendo semplicemente assa.
Asiià, it. aizzare, id. a fr. ant. aacier. Secondo Zambaldi, aiZ'
zare verrebbe dalFaat. Mza, calore; ma, specialmente per il gen. e il
fr., è più probabile il germ. hazjan, eccitare, punzecchiare. Cfr. celt.
hìsa, eccitare.
AiaalsriMe, « star al sole per goderne il calore », V it. ha soleg-
giare, ma non in questo senso che latinamente è: « ad solem jacere».
Aiiaat&se, it. ricoverarsi, onde la frase : « mettìse a Tassustu »,
mettersi al coperto : id. al prov. « se sousta )> e « se mettre à la sousto »
e al piem. « a la susta ». E aff. airit. sostare, e sosta, ma è molto più
fedele, per signif., al lat. substare, da cui tutti provengono. La Crusca,
e gli altri vocabolari, hanno sosta, per: una delle funi delle navi, e
sostaro, per: colui che ne ha cura; è un idiotismo, in vece di osta,
nota manovra, come ben rilevò il Guglielmotti.
Aitala, it. domare, cotUenere; etim. incerta: non da ^^a^?o, come
altri vuole, bensì: o da stalla (lat. o germ. voce, qui non importa di
esaminare), e asfald in questo caso verrebbe dal condurre a forza alla
stalla una bestia vagante e recalcitrante, onde il senso fìg. del domare:
oppure dal fr. ant. astai, estai, palo, cui facevasi legare un colpevole,
un ribelle, per batterlo.
AitresTOy it. lastrico, selciato di pietre piane, onde Aatreg^à, la-
stricare; etim. senza risalire con Zambaldi alla greca, vi è lat. stratus,
via strafa.
Aatranon, it. croccayite : dicesi delle campane e dei vasi che, es-
sendo fessi, mandano un suono falso; v. aff. alla piom.: strun, stì^ni»
ambo forse da tnoi, tuono.
Astù. Il modo con cui questa v. è sempre usata in gen., cioè:
« voi siete, egli ò un heìVastù », detto a persona accorta, maliziosa, lo
fa venire da lat. astur, astore, falcone per la caccia, che pure in it. si-
gnifica uom furbo; la v. del resto ò id. a fr. ant. astit, astuto, da lat.
astiis, furberia.
Atracà, it. attraccare, v. m. che vale: far accostare una nave o
barca alla terra o ad altra nave; la definizione del Guglielmotti è er-
rata. Voce comune a prov., fr. e sp.; etim.: neerlandese ^r^AA^n; ma po-
trebbe pur essere lat. attrahere, attractum.
— 164 —
Avaà, it. varare f v. m. che vale: lanciare o condurre una nave,
dal cantiere su cui fu costruita o riparata, nel mare, o in un lago, o
fiume; ne vengono in gen. Avàn, varo. Fatto del varare, e la frase:
« piggià Tavàu », usata anche a proposito d'una massa qualunque che,
posta su un declivio, si muove per discenderne: v. comune al fr. ant.
varer, ed allo sp. varar. Etim. Zambaldi da lat. vara, palco fatto di
pali, cavalletto, di senso lontanissimo, tanto più che i Latini, per varare
dicevano « navim deducere, moli ri, trahere v>. Lo Jal la dichiara ignota,
parendogli che la v. varare, appartenente ai soli idiomi del bacino del
Mediterraneo, non possa derivare dalFanglo-sassoue toarad, toarod,
riva, sponda. Il Tramater, seguito da altri vocabolari, la trae dalFar.
va"ada, condusse, mise, avvicinò, onde varid, che scende nelPacqua;
ma come ammettere questa etim. quando è certo che i Liguri naviga-
rono (almeno in Mediterraneo) molti secoli prima degli Arabi? Pre-
messo che la V. it. varare è, per ragioni storiche sicurissime, d'origine
genovese, e che la sua forma primitiva è appunto la gen. avaà, pare
assai verosimile che essa venga dal celt. aio, acqua, avan, aven, fiume,
dal gotico ahva, acqua; voci conservate nelFit. ant. evo, acqua, nel
fr. ant. ève, aive, eave, ecc., acqua, nel com. mod. avas, sorgiva di
acqua. Il fr. ant. che aveva avuto varer dal gen. col signif di varare
(che poi abbandonò per dire lancer), teneva la voce propria varer, si-
gnificante: passare un fiume a guado. Con questa occasione, gioverà
di corregger Terrore dei vocabolari italiani i quali, tra i significati del
varare, mettono quello di: accostare il naviglio a terra, citando i se-
guenti versi del Ciriflb Calvaneo :
Venne la notte, onde di nuovo afferra
Il porto, e i venti lo servon leggieri:
Varò la barca, e il Pover mise a terra
Con quei cavalli e con tutti gli arcieri.
Or non vi ha marinaro che non intenda subito come trattisi della barca
battello che stava dentro alla nave, e che fu varato, cioè calato in
acqua, per mettere a terra i passeggeri.
Avardàae, Vaxdàae, it. guardarsi, prender guardia, id. a piem.
vardè, lomb. vardà, prov. agarar, fr. ant. awarder, varder; come it
guardare, ma di esso più puro, vien dalFaat. toarten (guardati ! in gen.
varie l).
Avià, non ha in gen. il significato di avviare it., mettere sulla via,
bensì quello di avvezzare, assuefare, accostumare, verbi tutti che
non appartengono al gen. ; viene, come it. avviare, da lat advehere,
trasportare, condurre : avioù =: advectum, assuefatto alla via, e per est
a qualsivoglia altra cosa.
Avlat&, V. m. comune a prov. e sp., e che significa : acoprir da
lungi una terra, una nave; etim. lat. visere.
Avnxà, it. dar la voce, mettere in fama, aflT. a prov. avougà; etim.
per est. dal lat. advocare.
— 165 —
AxlUn, it. allegria smoderata che induce a correre, a saltare,
onde vb. Axillà ; etim. più prob. lat. asUus, assillo, noto insetto che
punge specialmente i buoi, onde it. assillarey smaniare per la puntura
dell'assillo. Dice il Pulci:
Quauti ne puuge, par ch'abbian Tassillo.
Il fr. ant. aveva axillier, per: ravager, dévaster.
Aze, it. asina; etim. lat. asellus, ma la forma gen. di questa voce
è antichissima: celt. azen, germ. esel, prov. aze, cat. ase, piem. aso,
lomb. asen, ecc.
B&ngella, it. bilancella; etim. lat. lancem; nome dei navicelli a
vela latina che pescano appaiati, colla rete a strascico, tenuta in bi-
lancia tra le due parti, onde il nome, che manca alla N. Crusca. Nel
Mezzogiorno d' Italia lo stesso navicello è chiamato paranza, paranr
zella, e la stessa pesca è detta a paranza, voce napolitana, da lat.
par, coppia. Registrata bilancella perchè manca al vocabolario di Zam-
baldi, e paranza perchè egli ne dice ignota Tetim.
B&bolla, it. lucciolato, bacherozzolo lucente ; etim. ignota: quella
dal gr. bolide^ meteora luminosa, essendo inverosimile.
Baoan, v. usata nella frase : «. boscu de bacan », parlando di luogo
in cui facciasi strepito grande; etim. lat. bacchanal^ luogo dove adu-
navansi le baccanti. Bacan poi significa in gen. capo, sia della casa,
il padre, sia della bottega o deirofficina, il principale; in questo senso
Petim. è oscura, ancorché la voce apparisca composta da altre due
conosciute: celt. 6a, buono, e persiano khan^ capo; ma Tunione di due
voci d'origine cosi diversa nel gen. bacan, non è ammissibile. Si pos-
sono fare altre ipotesi : khan era il titolo dei capi delle tribù dei Tar-
tari, hhakan quello del capo di tutti; sono note le relazioni dei Ge-
novesi coi Tartari: che di khakan abbian fatto bacan? che pure
abbiano accoppiata la v. turca baba^ padre, apocopata in &a, col khan^
capo?
Baoloùla, leggera percossa a mano aperta sul capo; v. onoma-
topeica, come it. pacca cui è affine.
Baolooon, it. zerbinotto^ giovane galante; etim. oscura: il prov
ha bachacoun, per uom da nulla, buffone, il com. bacioch per bimbo.
Il Caix dice bacciocco composto di baccello e sciocco, signif che ri-
pugnano tutti (salvo forse il com.) a quello del gen. bacioccu, in cui
è chiara V idea del suono, del chiasso. (V. cioccu).
Baooffl, it. uomo sempliciotto, inesperto; etim. dal volgare lat.
baceolus. Scrive Svetonio d'Augusto: « ponit prò stulto, baceolum »
LXXXVII.
Badda, usato esci, nella frase de badda^ vale: gratuitamente, per
nulla; etim. lat. med. bada « praestatio publica - dice Ducange -
annuus census ex frumento et aliis >, a germ. bete, beete, « eadem no-
tione, quia hae praestationes olim blande et per rogationes et suasiones
exigebantur ». Questa voce di badda penetrò anche nel tose, leggen-
— 166 —
dosi nella Tavola ritonda^ testo di lingua del secolo xiv : ^ « gik non
« vogliamo noi vostra vittuaglia di badda, anzi vi vogliamo donare dello
« nostro argento al vostro piacere ». Il Polidori, che illustrò da par suo
questo testo, dice : « se non è errore in voce che " di bando ^ o fors'anche
4c " di bazza " (che però sarebbe men proprio) vorrà certamente signifi-
« care : a ufo, per nulla. La Crusca, col Magliab., legge ^^ di bando "^ la
« cui natura però, secondo la storia, non è di esprimere '* aggiudicato
« per bando '^ ma imposto per pubblico comandamento. E siccome le
€ cose in tal modo comandate si avevano senza pagar mercede, cosi
« di bando venne a ricevere la significazione che sopra si disse » ecc.
Tutte cose le quali la Crusca ed il Polidori non avrebbero dette cono-
scendo che la voce di badda è viva e fresca nel gen., col preciso si-
gnificato datole dal Ducange. Invece, la voce stessa mutò significato nel
prov. in cui de bado e de bada vogliono dire, secondo i luoghi, suàitOj
invano, ancorché, anche. Nel fr. ant. en bades significava invimo.
Ba^^g^ia, it. rospo, id. a piem. babi, lomb. babbi, afT. a fr. ant.
bà, boi; etim : il lat. ha babà, babbius, significante: sciocco, senso che
lo allontana dalle tre voci gall.-it. cui converrebbe per la forma; eccetto
che la goffa figura e la pochissima intelligenza del rospo non gli abbia
procurato il nome suddetto; più prob. Tetim. dal celt. bag, ventre,
bagagh, corpulento, v. conservate nei dialetti comaschi.
B&sri&9 che si pronunzia quasi come Baag^i^ it. sbadigliare^ onde
B&gla, sbadiglio, Ballala, sbadigliamento, e ImbSglà, socchiudere
usci finestre: id. a piem. bc^è, bajada, ambage, socchiudere, fr. ant.
baailler, mod. bàiller, entrebdiller, socchiudere. Etim. incerta: «òa-
digliare, in lat., dicevasi oscitari, os diducere; ninna traccia dì esso
nelle lingue e nei dialetti neo-latini, caso non raro. Il prov. ha òa-
daillar. lo sp. bostezar, il celt. ha bada, badalein, stupore, essere
stupito, conveniente airit. ed al prov. non al fr., piem. e gen. Diez
congetturò si trattasse d'una sillaba onomatopeica, ba, col suffisso
'ilare. Il sanscrito ha bhuj, dividere, che esprimerebbe Tatto di aprir
la bocca per sbadigliare; questa forma e questo signif. di aprire, quindi
dividere, trovasi nel baier del dialetto del Berry, e questa origine hanno
prob. il fr. bdiller, piem. bc^è, gen. bdgid, provata dalle voci di signi-
ficato opposto entrebdiller, ambage, imbdgid.
Bagnn, it blatta^ afi". al romanesco bagarozzo, di uguale signif.;
etim. oscura: fr. e sp. imitarono, come Fit., il lat. blatta, il prov. ha
babaroto e baragogno, bestia nera, che si accosterebbe al gen. La
formazione lat. bacius, bacus, dal gr. bombyx, onde it. bacherozzo,
non conviene per il diverso significato.
Baioa, it. violacciocco (cheirantus cheiri), pianta orientale di anti-
chissima introduzione nell'Europa occidentale; etim. oscura: forse dal
germ. veilchen, viola.
* Pubblicata nella Coi Irz ione di opere inedite o rare dei primi tre secoli
della lingua, per cura della R. Commissione pe' testi di lingua nelle Provincie
dell'Emilia (Bologna, Romagnoli, 18G4).
— 167 —
Baleuitm, it balaustro^ onde Baleuitrà, balaustrata. Registrata
questa v. perchè mentre in tutta Italia è termine d^architettura, in Li-
guria è di uso popolare : vien dal gr. bàlaiistiony che sembra d'origine
aramea, ed indica il fiore del melagrano salvatico, ad imitazione del
quale si facevano gli ornati dei parapetti. (Zambaldi).
Balla, it. palla; etim. celt. ball, ed aat. balla,
Baaaitra, it. cestone^ id. a prov. baruistra, sp. banasta; etim. lat.
benna, v. gallica significante: cesta e anche un veicolo di vimini su
due mote.
Baaoa, it. panca; etim. comune germ. banche poi bank : il gen. però,
oltre alla solita maggior fedeltà alla v. originale, ha parecchi dei de*
rivati da essa : banker beiter = bancà^ legnaiolo, falegname, che in gen.
non ha sinonimi: bank-haUer= bancàotUy cambiavalute, che prese in
Genova questo significato soltanto dopo che i banchieri moderni non
tennero più bottega, allo scopo principale di barattar monete. Che poi
questa v. sia nel gen. antichissima è provato dalla v. contadinesca
bancascrenna^ panca a spalliera (it. ciscranna) formata con altra v.
deiraat scranna (ted. mod. schranne, onde it. scrcmna).
Bandéta, it. ventaglio ; letteralmente, significa bando^ola, nome
che ricorda l'antichissima forma orientale dei ventagli, conservata
anche oggidì per quelli di poco prezzo ; vennero poi dalla China i ven-
tagli a stecche imperniate all'estremità e coperti di seta lavorata, poi
di carta dipinta, atti ad essere aperti e richiusi; furono chiamati in
Francia éventail, onde Tit. ventagli, ì Genovesi si tennero la loro
bandéta^ v. d'origine germ. come bandiera
Bara, it. grande carro; v. com. al lomb. Etim. sanscrito bharami^
io porto, barena, portatore; però il Rosai opina ci sia venuta dal gr.
baris, nave, che del resto ha la stessa origine. Jiara, in celt, chiama-
vasi il pane e questa voce unita a quella di bin (vino in prov. ed in
altri idiomi) dura nel cognome Barabin, corrispondente al fr. bara-
gouin, in celtico (basso bretone) pane e vino.
Barba, it. zio, comune a più dialetti italiani; etim. lat. med. 6ar-
banusy che valeva lo stesso.
Barban e Bazara, it. bau e befana, voci per impaurire i bimbi
cattivi. Barban è id. a piem. barabau, prov. barban^ orco, bestia nera;
etim. prob. dalla gran barba. Bazara poi non potrebbe essere, come
it. befana, corruzione di epifania; è v. esci. gen. di etim oscura Cfr.
celt. baobh, cattiva donna, basco, bass, grasso, ecc.
Barohi, it. fontana, afT. a prov. barquiu, bacino, truogolo; etim.
lat. barca, prob. per la forma dei recipienti dell'acqua.
Baronn, it. balcone, che in it. significa: finestra aperta fino al
pavimento, con ringhiera. Il gen. invece chiama balcone qualsivoglia
finestra, anzi non ha questa voce, che pure è latina. Ciò proverebbe
* Dialetti, costumi e tradizioni delle prooincie di Berganw e di Brescia,
Brescia, Id'ìO.
— 168 —
Tantichità della parola balcone nel gen. e darebbe ragione a chi le
assegna provenienza orientale.
Bàslsra, it. dondolo, onde Bàslg&, dondolare, giuoco fanciullesco
diverso dall'altalena; si volle connetterlo al gr. ballizein, saltellare,
ma ne è troppo lontano; è invece id. a prov. (Cevennes) bassacd, che
vale: scuotere, sbalzellare, e bassacado, scosso, sbalzellio; etim. bassac^
che in romanzo significa bisacca (gr. sakkòs), onde bassacà vale scuo-
tere come in un sacco. Resta il cognome, assai diffuso in Liguria, di
Basigalv (Bacigalupo) cui mal s'addice cotesta etim.; il prov. ne som-
ministra un'altra: ablasigà, blasigà, accoppare, ammazzare; onde: am-
mazza-lupi, nome ben conveniente agli antichi Liguri.
Battusn, it. ragazzaccio ozioso e vagabondo, id. al fr. baiteur
de pavés.
Bazan-a, it. fava; in Toscana si dissero baggiane certe fave
grosse; etim. lat. bajanus, a, perchè tali fave erano coltivate nelle vi-
cinanze di Baja.
Bazanottn, it bazzotto, fra sodo e tenero, detto specialmente di
uovo, id. a piem. bassot; etim. comune prob. germ. besotten, bollito.
Bédln, it. carato, il seme della carruba, prob. è voce infantile,
con la rad. bé, agnello.
Bèg^a, it. bega, briga, litigio; v. moderna nellMt., ma antica nel
gen. Zambaldi ne dice ignota Tetim. pur citando Taat. bàga, contesa,
che molto prob. è la vera.
Begrftd&, it. gozzovigliare, onde Begrftdda, gozzoviglia, dal lat.
med. beguta e begudo, osteria, ospizio. Il prov. ha begudo, qual nome
d'alberghi posti lungo le strade, nei quali i viaggiatori si soffermano
a bere, e TAzais ne trae Tetim. dal vb. beare, bere, che mal si presta;
trattasi prob. di v. germ.
Bellna, it. donnola ; etim. celt. (kim>'t) bete, o aat bilih.
Berlendun, it. berleffe, sberleffe, taglio o sfregio ' (ma in gen.
colpo) sul viso, aff. a fr. balafre; etim. oscura in tutte le lingue:
forse dairaat. leffur, labbro, col prefisso ber,
Bemlss&, it. spiccicare, onde Bemlssn, poltiglia; etim. prob.
lat. nitor, appoggiarsi fortemente, e sm. nixus, atto dell'appoggiarsi,
più il prefisso ber.
Berodn, it. sanguinaccio, in qualche luogo biroldo; etim. prob.
lat. bi-rotulus, doppio rotolo.
Bertnell, it. rimessiticci del cavolo; etim. oscura: sembra un
diminutivo del gen. brottu, germoglio. (V. alla voce).
Besassa, dicesi a donna grassa e sudicia, id. a lomb. besascia,
besas, fr. besace; etim., il Monti i cita Far. vesach, sudiciume, ma è
inverosimile; prob. per sim., da lat. bisaccium, a, doppio sacco.
Beitettu, chiamano i Genovesi chi prese il latte della madre dopo
il parto d'un secondo figlio; da bistettare, e il volgo gli attribuisce
qualità di iettatore.
* Vocabolario già citato.
— 169 —
Bettùa, it. bettola; etìm. oscura, secondo Zambaldi : sembrerebbe
prob. quella germ. da batteUade, casa di pezzenti. Il celt. ha buthy per
trabacca.
Ben, it gorUy canale, id. a piem. bial, fr. ant. bieu, mod. biez;
etim. celt. bèz, bior, o aat betti, sassone bed.
HeuggìxLy it. bucOy id. a piem. beucc, lomb. boggin, boggion, com.
beugg, beuggia; etim. germ. bnch, bauch, cavo, pancia.
Benisal, it. pruni, frutici spinosi per far siepi, onde Hezìggiu^
detto dai Genovesi a chi si renda grandemente importuno : voce aff. a
lomb. besiàf pungere, e a fr. ant. biso, biza, animale che punge, bezi,
pollone selvatico, onde besil, besillier, tormento, tormentare; etim. co-
mune germ. bizen, pungere, e beizen, esser pungente, mordace.
Beoxima, it. fimo di bestia bovina, id. a piem. busa, com. boascia,
prov. bozazo, boza, fr. bouse; etim., il Monti dal celt. beìizel, buachair,
Bexin&, it. piovigginare, onde Béxln, acquerugiola, id. al prov.
blasinà, blesinà, blasin, blesin L'Azais da lat. pruina, però questa è
Tetim. del prov. bruinà e del gen. spìniinà. Il Parodi da bava, bavi-
cinare, ma è una stranezza, né la frase : « bava di vento » (che è pro-
pria deirit. e non del solo gen.) si può mai riferire all'acqua, bensì
all'alito, al soflRo insufficiente a far uscire un po' di bava o schiuma
dalla bocca degli animali. Veggasi il Fanfani, alla v. Bava, Il germ.
bespritzen forse si presterebbe, se fosse antico. In conclusione: etim.
ignota.
Biava, it. biada, avena, v. comune a piem. e lomb. ; etim. Diez da
lat. ablaia, sottintendendo messis, inammissibile; certa invece Tetim.
proposta da Grimm, celt. blawd, farina, tanto più che biava, nel lat.
med. biava, fu già il nome di tutti i cereali.
Blbin, it. gallo d^ India, tacchino ; etim. ignota tanto pel gen. che
per r it.
Bissila, palla d'avorio per giuoco al bigliardo, id. a prov. bilho,
fr. bilie, sp. bilia; l^tim. germ. proposta da Diez non regge, perchè il
giuoco del bigliardo se non fu inventato in Francia, certo vi fu eser-
citato da tempo antico e di ìò. diffuso per tutta T Europa, ond'è da
seguitare Littré il quale crede ad una viziosa assimilazione di bilie a
boule. I Toscani male chiamano bilie le buche del bigliardo.
Binda, it. benda, onde Bind&, bendare; v. comune a piem. e
lomb., più affini che Tit. airoriginale aat. binden, legare.
Bisca, luogo dove si tiene giuoco pubblico, onde peggiorativo:
Bisoassa, BisoaMÒ, biscazziere, e vb. Biso&, dolersi per danno avuto
o bene non conseguito: id. a piem. bische, a prov. bisca, fr. bisquer;
etim. lat. med. biscatia, giuoco d'azzardo (Ducange).
Bisoaesn, it. 7'otto, e dicesi specialmente di quella parte della
moneta che avanza da una intera; etim. lat. bis e caesum, tagliato,
rotto.
BisoSohin-a (&), vale in gen. alla peggio, malamente; etim-
incerta: forse da bis-coquina, lat. med coquinus, onde fr. coquin, vale
— 170 —
a dire cosa due volte cattiva; forse id. a fr. ant. àeschochier, tirar
male (òes male, cochier incocciare la corda della balestra) : e conside-
rato che Tarte del balestriere fu antica e generale in Liguria, questa
è prob. la vera etim. di biscóchin-a
Bixa, in gen. debole venticello, in prov. invece biso, bisa, e in
fr. bise, è vento secco di N. o N.-N. E., lo sp. non ha questa voce. È
credibile che sia avvenuta una confusione fra essa e Tit. brezza, gen.
brixa, fr. brise, sp. brisa, ingl. breese, voci che in it., gen , fr. e ingl.
indicano un vento leggero, dove che in sp. brisa dinota il vento di
N. E., nel prov. manca; etim. aat. bisa o pùa, o celt. biz.
Blocca, pezzo grande di checchessia, masso di marmo, ecc., onde
la frase: < fa iin bloccu », vendere o comprare a corpo ; id. al piem., al
prov. e al fr. aloe, ma, in questo senso, non al lomb. ; etim. dall'aat.
blochy dal celt. bloc o biute.
Bea, it. cassa cToìtneggio, è v. m. antichissima del gen., imitata
da' Francesi, Spagnuoli e pur dagli Inglesi. Littré e Guglielmotti (che
la chiama boga) la traggono dal lat. bqjae, bQjat^m, che erano, se-
condo Feste : « vincula ferrea vel lignea » ; ma, premesso che Fuso
delle catene per le àncore è affatto moderno, bisogna chiedere: usa-
vano i Greci e i Romani le boe? Non consta, ed è poco probabile:
Littré dice che esse furono chiamate così perchè « son pezzi di legno
galleggianti, ma fissati ad una fune», però nessun marinaro avrebbe
mai dato lo stesso nome alla boa ed al cavo cui essa stava attaccata.
Trovasi nel lat. la voce boa e bova per indicare un « vaso vinario
lungo, turgido ed ampio * (Porcellini) e forse questa è Tetim. della
boa, tanto più che essa non fu. per secoli, che una botte od un cara-
tello, ben chiusi, e tale è, qualche volta, anche oggi. Il fatto poi che
il nome di boa durò sempre immutato nel solo gen. induce a credere
che si tratti d'una invenzione ligure.
Borda, per metonimia, nave^ barca; ne derivano nel linguaggio
marinaresco una quantitli di voci e di modi che fcon accade riportare
qui; etim dall'aat. borty orlo, sponda della nave, e baurd, bord, tavola,
che è pure celt. Voce non antica nel gen., con^ non lo è nell'it. e nel
fr.;. tuttavia nel seicento dicevasi già bordare, bordeggiare, ecc.; dif-
fusa probabilmente in Mediterraneo da Olandesi e da Inglesi, ed ac-
colta, perchè opportunissima, da tutti i marinari neo-latini. Sembra
però che Tetim. celt. si ritrovi ab antico nella voce gen. burdaUu, bor-
dato, tela di cotone a righe sottili di due colori, delle quali i Genovesi
furono i primi fabbricanti in Italia, e sarebbe dal kimri burdd, tavola
di pino, naturalmente rigata.
Boria, it bernoccolo : il piem , il lomb. e in particolare il b. bres.
e il com. hanno più voci aiBni a quella gen. nel senso generale di cosa
tonda, di rotolare; il Rosa trae b. bres. boria dall'ant. b. ted. bohar.
Bdxla, it bugia, piem. busta, lomb. bosla, prov. bauzìa, fr. ant.
boisie; etim. comune prob. dall'aat. pósi, basi, vano, cattivo, mod.
base; più direttamente da bosa, inganno.
— 171 —
BragrbO) V. gr. poi gali, passata nel lat. con la forma: bracae,
bracarum: id. a piem. braje, prov. bragos; brache dicon anche i To-
scani, ma familiarmente e quasi in ischerzo, dove che il gen. non ha
né rit. calzoni, né il veneziano pantaloni.
Bras^&, ora v. pop. e contad. ma antica e genuina invece della
V. civile sbragià, it gridar forte: id. a piem. sbraia^se, lomb. sbragià,
com. bragia, prov. brailar, fr. brailler; etim. comune celt. braic, bocca.
Bram&, il muggir forte degli animali bovini, id. a piem brame,
prov. bramar, fr. bramer, sp. bramar; etim. comune aat. breman.
Brenna, it. cmscone, id. a piem. e com. bren, prov. bren, fr. ant.
bren, bran, b. lat. brennium; etim. celt. bran, bren, breun.
Bricca, it. niente, id. a it. brida, briciola, lomb. bricch, com.
bìHca, prov. brico, fr. bris; tutti dal gotico bnkan, ted. mod. brechen,
rompere; la v. gen. indica dunque un frammento così piccolo da equi-
valere a niente.
Bricca, it. monte erto, Hpido, fatto a cono, id. a piem. e com.
brich; etim. dal celt. brig, cima, vetta.
Brichetta, it. fiammifero ; così furono chiamati in Liguria e in
Piemonte i primi fiammiferi fosforici venuti di Francia, dove bnquet
dinota il piccolo pezzo d'acciaio con cui traesi il fuoco dalla pietra
focaia.
Bricocàla, it. albicocco, a; etim. la prugna delFArmenia fu
detta dai Romani praecóqua, praecoca, in paragone della pesca sua
vicina che matura più tardi; praecóqua fu storpiato nell'arabo ai-
barquq, che passò nello sp. albaricoque, prov. e fr. abricot, it. albi-
cocco. Così Zambaldi, ma per verità praecóqua era, in latino, il nome
generico di tutti i frutti precoci, né consta che nel latino scritto sia
stata mai designata con esso, in particolare, Talbicocca; che però, nel
parlar volgare, tal nome avesse dimostrano il gen. bncocalu, il sardo
pincoccu (ambo dal nome dell'albero), e più di tutti il romanesco
bricocola.
Brisrnan, it. prugna, id. a prov. brig nolo e (Cevennes) bngnoù;
etim. prob. da Brignolles, città di Provenza, gran produttrice di prugne
secche. Per sira. di forma e talvolta pur di colore, i Genovesi chiù-
mano brignun il gelone.
Brisraa, it. bolla^ vescichetta sulla pelle; etim. oscura: forse dal
celt. breg, rottura, forse dal prov. bngue^ pezzettino, minuzzolo, dim.
brigouleto, gen. brigueta; in questo caso da anglo-sass. brice.
Brocca, significa in gen. uno o più fiori spiccati dalla pianta col
loro gambo, o con un ramicello: v. aff. a it. e lomb. brocca^ fr. ant.
bì^c; etim. dall'aat. bì'uck, fiammingo brok, ramo spezzato, pollone.
Brotta, it. brocco, germoglio, id. a prov. brot, brout, fr. brout,
sp. brote; etim. dall'aat. 6ro^, pollone, sass. brustian, germogliare.
Briigti, it. erica, sufi^rutice per fare scope, v. comune a piem., lomb-
e prov.; etim. dal celt. brwg, bruh,
Brftmma, insetto di mare che fora le carene non foderate di rame
V. m. gen. e prov. broumo, passata nel ling. nautico it.; bruma è anche
— 172 —
Terba che si attacca alle carene, ma è chiamata così da una specie di
brume che vi si annidano (dette in gen. tettinotti) e servon d'esca per
pescare. Bruma, in tutte le lingue, eccettuata Fit. in cui signilìca in-
verno, vale: nebbia, tempo piovoso; bituma, insetto, non può dunque
venire che dal gr. broma, cibo, esca, onde il gen. brumezzu, esca per
i pesci.
Brii80&, it. brniscare, v. m. che vale: abbrustolir la carena d'una
nave con fascine di brugo accese, per poterla poi pulire, ecc.; etim-
oscura, forse, per sim. la stessa delPit. bìniscare (che però significa:
rimondare un albero), cioè Taat. burste, brusta, pettine. É notevole
che anche nel romanesco bruscare vale abbrustolire.
BriizI, it. il muggire delle bestie bovine, onde Briizza, muggito,
id. a piem. brogè, l'it. ha brusio per rumore prodotto da chiacchiere
che la N Crusca dice aff. a fr. bì'uit; Tetim. della v. gen. è dalPaat.
brasa, muggire.
Bnèu, it. baglio, v. m., uno dei grossi travi squadrati che legano
per traverso i fianchi della nave e reggono il ponte: id. a fr. bau, sp.
bao; etim. Jal e Littré dal germ. balken, trave; nel basso bretone il
baglio è chiamato bau.
Bufftlu. Il Parodi dice che è precisamente la stessa cosa che Tit
paffuto, ma non è: buffuu non significa «molto grasso e rigoglioso»
come it. paffuto, bensì che « soffia gonfiando le gote *. Non si adopera
infatti che nefla frase « russu buffiiu » la quale indica o gran fatica
gran collera; è insomma il fr. bouffi, da bouffer, it. buffare, voci
che giustamente Diez chiama onomatopeiche.
Bùs^à, it. bucato, onde Biigàixe, lavandaia, id. a piem. bugà^
lomb. bugada, com. bugada e bugadà, prov. bugada e bugadieiro, sp.
bugada; etim Muratori dal germ. bauchen, lavare. Zambaldi e Azaì's
pensano che bucato sia il p. p. di bucare, perchè il ranno si fa passare
per un panno foracchiato: ma bucare è voce ignota a tutti i dialetti
italici; nel lat. med. (Ducange) havvi bugada, ranno, come v. iberica,
bugaderius, attinente a ranno, e bugadieyra, lavandaia; queste due
ultime voci come celtiche. Il Monti dice che buga^da deriva dal celt.
bugà, premere colle mani; anche la N. Crusca dubita che bucato venga
dal celt. bog, bagnare. Quanto alla v. gen. bilgàixe, essa o rivela af-
finità coirant. teutonico buychsel, bucato (citato pure dal Monti), od
è un'assimilazione del celt. o del germ. a una forma lat. bugatrix.
Bùgratta, it. bambola, id. a piem. buàta. Il Parodi pensa che
venir possa da lat. pupa col p scaduto ad; in questo caso bisogne-
rebbe ammettere anche lo scadimento del secondo p in ^, e sarebbe
troppo. Per il fr. poupée, Littré propose una forma fittizia: pupata,
che può stare, ma il gen. bùgatta si allontana soverchiamente da pupct.
Forse in bùgatta, buàta, trovasi la rad. gr.-lat. bu, bua, voce infantile
per chieder da bere; e Nonio Marcello' scrive che le balie chiamavano
« cibum ac potionem buas >.
* De prop. sermonum.
— 173 —
BiUggSn, it. bugliolo, v. m. gen. che indica una piccola secchia
di legno ed anche di cuoio, con manico circolare, usitatissima a bordo;
etim. Zambaldi da it. bugno, alveare, troppo lontano; è prob. invece
lat. doliolum, botticina, mutato il d in 6, come quando il gr. dis dà
il lat. bis.
Bulaooa, it. calderotto, afT. a fr. boi; etim. comune prob. dal
celt. boi, bolla, coppa.
Bnlitlsrai it. solletico, onde Balitig&, solleticare, lat. titillus,
titillare. Non una lingua neo- latina imitò questa, pur così bella, voce:
il prov. ha catilha, il fr. chatouiller, lo sp. Iiacer casquillas, il piem.
gatii e gatiè. Inutile riferire ciò che scrissero i glottologi per trovare
Tetim. deir it. solletico che resta oscura come quella del gen. bulitigu.
Boll&se, it. fare un tuffo, ma in gen. indica ciò che i Francesi
dicono « piquer une téte v>, gettarsi nell'acqua con la testa avanti, e
rovesciarsi poi su se stessi; il solo prov. (Carcassonne) ha una voce
consimile, boulingà, con quest'ultimo significato. Etim. oscura: lat.
bulla, nel senso di cosa tonda, è inverosimile; forse dalla capata che
batte chi si tuffa, si può arguire che vi sia nella v. bullàse la germ.
bulle, bue, grossa testa.
Bulleziimme, it. maretta; etim. oscura: sembra aff. a fr. bouil-
laison, fermentazione.
Bulla, it. giovanotto galante, audace, ed anche bravaccio, onde
vb. Bullez&, sfoggiare, braveggiare, e Bollata, bravata, v. com a
piem. e lomb. ; etim. più che dal germ. buhle, drudo (proposta dai
glottologi per un preteso it. buio), dal sassone bulluca, onde ingl. bui-
lock, torello, e bully, bravo, sgherro. Nota: il gen. ha bullibè, col si-
gnificato di babbeo; Tingi, ha bull-bee, insetto, e bull-head, ghiozzo
e uomo sciocco.
Bumbòa, it. iattanza, ostentazione, onde « fa bumbèa », millan-
tarsi: aff. a prov. bobansa, fr. bombance, in cui però Tantico signifi-
cato si mutò in quello di: gozzovigliare; etim. prob. da lat. bombus,
nel senso di millanteria, o bombicus, in quello di fastoso (Diez).
Bunòs^a, it. buonavoglia, chi volontariamente serviva al remo
sulle galere per mercede; v. che dura nel gen. col significato di: ma-
riuolo, furfante; ègia nel gen. ant. era: voglia, e nel contado è voce
ancor viva.
Burdi8r&, it. frugare, frugacchiare, onde Bnrdlgottn, piccolo
stanzino, bugigattolo; il lat. med. avea borda, dal sassone bord, casa,
tugurio, da cui vennero bordigala, bordigalum, recinto di canne in
mare o fiume per prendere e serbar vivo il pesce, che pur si trova nel
prov. bourdigo, bourdigou; indi il significato delle due voci gen.
3nridda, vivanda di pesce, specialmente di stoccafisso, ridotto
in minuzzoli, id. a prov. bourrido; di etim. oscura in ambedue gli
idiomi: forse da fr. bourrer, battere (4c bourrer de coups >), ma la que-
stione è complicata dalla frase, comune al gen. ed al prov., € cure
buridda > e 4c courre bourrido >, le quali valgono : correre un pericolo,
— 174 —
toccar busse, e di esse non havvi altra spiegazione possibile che quella
dì bolina, « correre la bolina » (anticamente purHna in it., boryne in
fr. , sorta di cavo di manovra), castigo marinaresco, or non più usato,
che consisteva nel far passare il condannato tra due file di marinai,
ognun dei quali gli dava sul dorso nudo un colpo di trincila.
B1iao&, sgrossar legni con Fascia o altro strumento, onde Bfl-
Eoa, minuzzolo di legno e Bftaoae^gla, scheggia^ truciolo^ id. a piem.
busca e buscaje, aif. a fr. ant. boscage, prov. bousealho; etim. got.
busch, bosco, b. lat buscus, o celt. buscha, legname.
Biiaoin, it. bosso, bossolo, onde Bftaoina, portantina, BflflOl-
ueta, salvadanaio, Bùaoinlaja, pasticciere, Bùaoinlottn, busso-
lotto; etim. lat buxiis, bosso. Quanto a Buaoettn, che in gen. vale
vecchietto, il b. lat. aveva busxis nel senso di pinguis, obesus.
Basaellu, it bozzello, carrucola di marina, onde Bnasellài box»
zellaio, id. a fr. ant. bocel, boissel, scatoletta; etim. gr. pyxida, da
pyxos, bosso (i bozzelli essendo fatti di bosso) mediante la forma bu-
xida dim.
Bustio&j it. stuzzicare, muoversi, nella frase « tucca e busticca »
indica chi non può star fermo, un frugolo; nell'altra « fa satà a bustica»
vale: irritare; id. a piem. bustichè, prov. bousticà. Etim. incerta: più
prob. dal lat. med. bovis stiga, stimolo per i bovi (rad. stig, pungere)
dal germ. stechen, di senso aff. al busticà.
B1it&, it. buttare, onde Botta, colpo, id. a piem. butè, lomb. buUà,
fr. ant. bouter: ha in gen. vari significati, ma il principale è quello
stesso del fr. : urtare, spingere, cacciare ; etim. comune germ. buize^
cosa ammaccata, da bòzen, urtare.
Battu, it. balzoy Hmbalzo, onde Battez&, balzare, risaltare: è
una delle voci le quali dicesi avere Dante tolte dal gen. usandola nella
frase « di botto », cioè « di colpo >, <( in un subito ». Etim. la atessa
deir it. botta, percossa, cioè il germ. bòzen, urtare.
B1izano&, dicesi, per eufemismo id. a quello del tose, buscherare,
nel senso di conciar male, cagionar danno, per non pronunziare la
parola originale che; è turpe. Questa la N. Crusca trae da bugio, Zam-
baldi da bulgaro, fr. bougre, ma bugg ... è v. moderna nel tose, ve-
nutagli dal gen. e dal veneziano che la portarono di Turchia dove buz
è lat. feminal e coire.
Buzzu, it. acerbo, inimojturo, e dicesi delle frutta, id. a piem.
beus; etim. prob. germ , forse da butzen, torsolo, o da bòs, cattivo.
Cabanna, it. capanna, onde Caban, gabbano; voci comuni al
prov.. fr,sp. ed ai dialetti gall.-it. con lievissime alterazioni di forma;
etim. dal celt. caban, da cab, baracca. Quanto a caban, fr. cab€M,
Littró lo trae dall'arabo aba, Zambaldi ne dice ignota Petim.; parrebbe
invece che sia la stessa di capanna, fr. cabane: il gabbano, mantello
per il cattivo tempo, avendo significato di protezione, ricovero, come
la capanna.
Cabirda, compagnia di gente disposta a mal fare; etim oscura,
forse dalFebr. fenicio cabbir, potente.
- 175 —
Oaoaliia, ìt. coccola^ cioè il frutto del cipresso, ginepro, ecc.;
etim. dal gr. kohkos, kohkalos.
Oadellu, usato esclusivamente nella frase: «mette a testa a ca-
dellu )>, che significa: fare, o far mettere, giudizio. Il Parodi scorge nel
cadellu il fr. ant. cadeler di cui già si parlò nelle note alle Antiche
rime genovesi e vorrebbe quindi attribuirgli il senso di : mettere sotto
un capo, una guida; ma questo senso è alieno cosi dalla forma che
dalla sostanza della frase gen. Pensando al lat. cadus, dim. ccuìellus,
caratello, barile, e considerando la forma del barile gen. da vino e da
olio, e al modo con cui facchini e contadini usano di portarlo sul capo
e sul collo, si potrebbe credere che il « metter testa a cadellu » abbia
significato in origine : tornare al lavoro, obbligare al lavoro. Altrimenti
convien ricorrere al prov. che ha cadeliou col significato di testa matta,
d'uomo violento e furioso, e cadel, cagnolino, e per estens. ragazzo ed
anche giovinotto che ha modi ed inclinazioni da ragazzo: voci che
TAzais tolse da lat. catulus, (3erto vi è affinità tra la v. gen. e la prov.,
però la frase gen. non si presta al signif. della v. prov. anco suppo-
nendo che sia stata alterata da una forma primitiva « mette testa au
cadellu », poiché cadellu per cagnolino è voce anti genovese.
0&fatt&, it. calafatare, onde Cafattu, calafato; è forse Tunica
voce che sia comune a tutte le -lingue marinaresche indo-europee, la
russa eccettuata; etim. incerta. Littré e la N. Crusca, dalPar. qalafa,
che vale appunto calafatare; Zam baldi, citata Topinione delFEngel-
mann che la trae da lat. calefactare, intensivo di calefacere, profe-
risce la derivazione dalPar. galla f, saldare a fuoco; ma è impossibile
che i marinari del Mediterraneo abbiano dato un nome arabo alFanti-
chissima arte del calafato: è il contrario che certamente avvenne: gli
Arabi tolsero, probabilmente dal genovese, il su detto qalafà come
Taltra v. gilfat, calafato. Lo Jal ed il Guglielmotti derivano il calafa-
tare dal lat. calefacerj, scaldare, che non si presta alla flessione nelle
forme neo-latine: rimane il calefactare ; ma come un'operazione ac-
cessoria alle quattro che costituiscono il calafatamc (ristoppatura,
chiusura dei commenti, impeciamento, spalmatura) avrebbe denomi-
nata r intera arte del calafato? Greci e Romani non par che avessero
un nome speciale per tale arte, assai semplice ai tempi loro, e com-
presa probabilmente in quella del mastro d'ascia; ma è possibile che
essi chiamassero calefactor l'operaio incaricato di far bollire il sego e
la pece per ungerne le tavole, e questo nomo sarebbe rimasto nel
medio evo all'operaio, con estensione all'opera.
Cafasol, in gen. vai negro; Tetini. che il Casaccia mal trae da
Gaffa, città, è prob. da Cafusi, nome di un popolo che abitava il Bra-
sile. Esso Casaccia registra pure Caffun, col signif. di negro; a me
non accadde mai d'udirlo ; caffon, in napolitano, cafuni, in siciliano,
ambo voci di greca origine, significano: villano, zotico.
Oaga in nlu, significa in gen. il figlio ultimo nato d'una famiglia,
id. al prov. cago^nis.
— 176 —
Cajoma, it. caliorna, ven. caloma, \. m. grosso paranco. Il
Guglielmotti lo vuol chiamare candelizza, affermando che caliorna è
detto < a servizio dei Francesi ». Questi dicono invece, per bocca di
Littré, che la loro caliome è un'alterazione delFit. carnale. Infatti,
caliorna non è che la corruzione della v. quaniale, grosso paranco,
chiamato qua)*nara nel '500, camara nel '600, ecc.
Caladda, significa in it. strepito, chiasso, onde « fa da caladda >
vale: gridare, far chiasso. Non è, come fu detto, v. orientale: Telim.
però è oscura, il fr. ant. aveva kalade, per « sorte de fète >
Dedans le chasteau retourna
Cu Ton faisait feste et kalade.
Lefranc.
Il prov. ha caladà, calado, selciare, selce; il Tramater registra la
V. calade, traendola dal gr. kalos, bello, e odo, canto; etim. che per
il fr. ed il gen. non sarebbe da rigettarsi.
Calanoa, dim. di cala, piccol seno di mare, v. m. gen., id. a prov.
calanco, fr. càlangue ; etim. la stessa di calare, cala, calata, voci
venute tutte dal gr. chalan, cui più s'accosta il gen. calanca.
Calau, it. castellina di noci, noto giuoco fanciullesco, aff. a prov.
cocal, noce; etim. prob. dal gr. hohkalos,
Caléujn, dicono i Genovesi (però con senso gradevole) della pasta
da minestra quando è poco cotta; il Parodi da lat. callus, callo, e
avrebbe dovuto dir da callosus, perchè callus non poteva dare caXleUju,
Come però sarebbe venuta in' mente ai Genovesi la poco pulita simi-
litudine della pasta da mangiare coi calli? E se calléuju significasse
calloso, come accade che i Genovesi non l'adoperino mai in tal senso
che sarebbe il suo proprio ? L'etim. probabile di questa voce è celt. ant.
calut, mod. caled, fermo, duro.
CalfLm&, it. calumare, v., m. che vale: calare un cavo, filandolo
a poco a poco, onde Calùmu, lunghezza di esso cavo uscita da bordo;
è V. gen. comunicata al linguaggio marinaresco it., ma a nessun altro,
e accolta dalla N. Crusca perchè usata dall'Ariosto: essa Crusca ne
travede l'afììnità d'origine a calare, ma poi dubita che venir possa dal
gr. celetisma, il quale ha senso assolutamente estraneo al caluìnare.
Guglielmotti propone un « calare ad humum », che oltre ad essere
modo terraiolo, è affatto arbitrario; è prob. che l'etim. di calumare
sia dal gr. chalan, combinato con altra voce, forse chalasma, allen-
tamento.
Cambusa, it. dispensa di bordo, onde Oambiisé, dispensiere,
id. a prov. cambuso, fr. cambuse; etim. comune olandese kaòuis, cu-
cina di bordo.
Camna, it. tarlo, tarma, onde Cama&, tarlare, Oamnon, but*
terato dal vajuolo, comune a piem. e lomb.; etim. incerta: forse dal
celt. cam, curvato, che indicherebbe la tortuosa via dei tarli, forse (ed
è più verisimile) dal gr. hdmuo, lavorar faticosamente.
— 177 —
Cannle, it. fioHy muffa del vino, id. a prov. canos; etim. lat. ca-
nu9, cano, bianco: il fr. ant. aveva chanes, chaines, col signif. di ca-
pelli bianchi, conservato nel piem. cane.
Cantày it. cantaro, noto strumento per pesare; etim. da ar. al-
hantar, che significa: il ponte ; ed ecco perchè : allorché trattasi di pe-
sare robe assai gravi o di gran mole, esse vengono appese con ganci
a una stanga i cui capi poggiano sulla spalladi due uomini; al soste-
gno è attaccato il cantaro con un contrappeso, chiamato romano. Si
ha così la similitudine con un ponte da cui pende il peso e lo stru-
mento che lo misura. È credibile che questo modo di pesare, che forse
dicevasi « fare il ponte » sia stato usato dagli Arabi e imitato dai Ge-
novesi.
Cantabnm-a, it. sifone, tromba da vino, id. a piem. cantab^^na,
prov. cantabruno ; ambo in origine consistenti in una cannuccia con
cui aspiravasi il vino da un barile, chiamata in fr. cìialumeau, da lat.
calamìÀs: però cotesta etim. non conviene a cantabrun-a che prob. è
da lat. cantarus, poi nel lat. med. cantabrum, vaso da vino : etim. con-
servata da it. càntaro, fiasco, barilotto, e da sp. càntara o cantaro,
secchio, misura per il vino.
Càntia, it. cassetta : la gen. càntia fu in origine una cassa che
si teneva in un canto perchè recasse meno ingombro; etim. da canto,
angolo, forse celt. cani, ricinto, cerchio, forse gr. kamptós, curvare,
inflettere.
Capàro, it. caparra; etim. gr. arrhabon (derivato dal fenicio),
somma pagata anticipatamente sul prezzo convenuto, da perdersi se
non si mantiene il contratto. Varrhabon fu poi combinato col lat. cape,
cape arrham: il gen. però conservò Yo della v. originale.
Capetta, chiamano i Genovesi chi vuol vestire secondo la moda e
far lo zerbino, ma non ne ha che scarsissimi mezzi : i Fiorentini lo dicon
frustino: odasi il Foglietta:
E capi>6tte si curte ognun se fa
Che ben re chiappe nu se pou cruvi:
Però semu chiame tutti cappotte.
Capitanin, it. capitano; da lat. med. capUaneus che, sincopato,
formò il cognome: Cattaneo.
Carabuttin, v. m.. it graticolato di legno a serrette, che serve
ad usi diversi su navi e barche, id. a fr. caillebotis; etim. ignota.
Caraplsrna, it. sorbettiera ; etim. dal basco garapina, in cui vale :
stato d'un liquido che si congela.
CaròSTa, it. sedia, fr. ant. caire, chaieire ; etim. più prob. dal gr.
kat'hédra, sedia a spalliera. Cfr. ar. hursl, pi. haràsì, sedia.
CarasTfiriu, it vico, viuzza: parrebbe aff. a lomb. ant. caì^òbio,
che Zambaldi trae da quadnivio, quadrivio, ma tal non è il senso delle
due voci gall.-it. nelle quali scorgesi Vetim. carrulus, piccolo carro.
Anche il fr. ant. aveva carouge col signif di «promenade près d'un
village ».
12
— 178 —
Casan-a, it. monte di pietà. Alcuni pensano, tra gli altri il Casac-
cia (Diz.) che ccuiun-a denwì da una parola turca, la quale scrivono cha-
sana e spiegano: luogo dove il Sultano tiene il suo tesoro. In ogni caso,
deriverebbe dall'arabo hizàìia che vale: tesoreria. Ma era egli possibile
che i Genovesi andassero a cercare una parola araba per dare il nome
al loro monte di pietk? E Faltro significato del gen. casan-a, assai
più comune, di avventore, cliente, come si accorderebbe col casan-a,
tesoreria? La verità ò checasana è v. del lat. med., significante « mensa
argentana » cioè banca, cassa (V. Ducange, alla v.) Erano i Lombardi
e gli Ebrei che nel medio evo esercitavano l'industria del prestar da-
naro su pegno, e il loro banco si chiamava casana, onde in Francia
dicevansi casenters. Questa voce poi deriva da casa, che in origine
era un tugurio fatto di pali, rami e canne, e casan-a venne a signifi-
care: chi frequentava la casa, e per estensione, la bottega: in questo
senso il gen. casan-a ha qualche affinità col fr. chaland, sp. cfialan.
Cassa, it. ramajiiolo, mestola, dim. Cassetta, m^stoUna: in qual-
che luogo d'Italia chiamasi cazza, come in Liguria, un vaso di ferro
con manico per attinger acqua dalla secchia; ne derivarono al gen. cas-
saraea, mestola bucherata e cassarolla, cazzaruola, fr. casserole, id.
a piem cassici, lomb. cazzùu. Etim. comune dalPaat. chezi, mod. kes-
sei, bacino.
Cassau, it cassero, o castello a poppa e a prua delle navi; etim.
ar. al-qagr, corrotto dallo sp. in alcazar; in effetto però è la parola
lat castrum mal pronunziata dai Numidi e conservatasi tra gli Alrabi.
Catorbia, erroneamente gattoròia, che vale: prigione; etim. prob.
(la gr. katd (in. sotto) e orbo, sotterraneo, luogo bujo (Zambaldì).
Cavagna e Cavala, it. canestra e canestro, di forma diversa,
v. comune a piem. e lomb. ; etim. da lat. cavus, cava, cavo, concavo :
Poi riede, e la speranza riugavagna. i
Cavò, chiamaronsi volgarmente a Genova, fino a questi ultimi
tempi, le guardie municipali ; la voce cave non avea singolare, ciò che
avvalora V idea che essa venga dal lat. cavete, grido mandato dai ri-
venduglioli nelle piazze e vie, non appena scorte le guardie (incaricate
specialmente dMmpedire indebite occupazioni di suolo pubblico) per
avvisare i compagni. Cave non può venire, come altri pensa, dal turco
kavas (ar. hdssat) perchè questa voce non indica guardia municipale
di polizia, ma persona addetta a un servizio particolare.
Cèabella, it. lucciola, letteralmente significa: chiara-bella; non
pare corruzione del lat. cicendela, lucciola, perchè il gen. ha ben reso
questa voce con Taltra sexendé, luminello per lampade notturne : prob.
è v. originale, afil al lucìabel del fr. ant che valeva: lucifero,
9etrim, it arancio -a. Come i Francesi e i Tedeschi sono i soli
che chiamino citron, durone, il limone (salvo una qualità di sapore
più agro che i Francesi chiamano pure limon), così i Genovesi sono i soli
» Dante, In/., XXIV.
— 179 —
che chiamino felrun ramacio. Il mondo romano non coDosceva che i
cedrati, citntm, fr. pitron, gen. (;etrun. Furono gli Arabi che introdus-
!sero ìq lapagoa, e pare itnche in Sicilia, l'amocio, clie però era l'aran-
cio forte: chiamitvasi in arabo nài-anj, ai chiamò in »p. naraiija; era però
assai raro, e noto biotto il nome di pomum citrin'im. I Genovesi, che
sembra lo eoltivassero assai per tempo ii S. Remo, continuarono a chia-
marlo ^etrun, forse allora chiamando seddru il cedrato. Venuto poi, al
tempo delle Crociate, il limone, ì Genovesi che lo coltivarono subito e
con grande successo, specialmente nella Riviera di iwnentc, ne adot-
tarono il nome arabo, lasciando quello di getrun all'arancio forte, cui
per la tenacia loro, non mutarono nome allorché i Portoghesi introdus-
sero in Kiiropa l'arancio dolce. Al contrario, Francesi e Tedeschi adot-
tarono per l'arancio il nome ambo orange estendeudo quel di eilron
anche al limone come succedaneo dfl cedrato.
Cèto, it. lUe,pialoc per e^t. peltegolesio, impU-eio,hì n ap^pleilo,
a.tf. a prov. piatala, fr. plaider; etim. lat. plavitum, che dal signifi-
cato di sentenza, passò a quello di lite da giudicarsi. In effetto, a Ge-
nova la giustìzia era ammini?itrata da Consoli cosi detti << dei placiti».
Olieoliexi, it schiuma:! zare, propr. il gridar delle galline quando
hanno fatto l'uovo: meglio però la v. gen. perfettamente onomatopeica.
Cliègra, e anticamente Cileg^a, it. oendila all' incanto; etim. gr.
kaleiì, cliiamo, perchè la vendita è fatta « voce praeconis », chiamando
gli aittanti ad oiTerire di piii.
OUg^la, it. chiglia, v. m , primo e principal pezr.o die serve di
base all'ossatura della nave. Il Guglielmotti crede sia stato denominato
chiglia perchè va dritto da poppa a prua come un ago e dice che gli
antichi lo chiamavano achiglia, aghiglia ed agnglia : però gli antichi
chiamavano colomba la chiglia e cos'i la cliiama il Pantera nel suo Vo-
cabolai-io nautico (1614) e cos'i la chiamano, anche oggidì, i Veneziani:
chiglia è voce venuta dall'aat. kiol (l'Aza'is: kegìl) a (viveudo essa an-
cora nell' islandese) dal celt. kial, kiólr; etim. eomuue a prov. quUho,
fr. quitte, sp. quilla.
Clappa, it. laslra di pietra, e piti propriamente d'ardesia, detta
in Liguria laoagna dalle antiche e ricche cave del monto 3. Giacomo
presso Lavagna; ne vennero: aciapà, acchiappare, ciapà, lavoratore
d'ardesie, ciappa, mercato dei pesci (perchè ì banchi ne son guarniti
di ardesie), ciapnjéù, pescivendolo, ciapassèu, rottame d'ardesia, cia-
pella, mattone sottile, ciapeletla, pastiglia sottile e piatta, ciapellà,
scorrer la cavallina, ciapeltu, donnaccia, ciappi, cocci, ciajipua, schiac-
cia, ciaptixsrì. lavorar male, ciapu.tsata, lavoraccio, ciapimiu, artefice
inetto, infine, il vb. scciappà, spaccare, fendere. E v. comune a tutti ì
dialetti gall.-it , afi' al fr. ant. chapwer, chapiigear * couper du boia eu
menus éclats », ■ travailler sans aucun gout », fr. mod. clapier, conigliera,
e prob. anche vb, c/iapoler; id. a prov. clap, pietra, esclap, scheggia.
esclaiià, fender legna, clapax, mucchi di pietre, clapassfià, camminar
per luoghi pietrosi, ecc. Manca alto sp. Nel b. lat. si disae clapeì-ius per
muccliio di sassi, e clapa per trappola da selvaggiume: il genovese Caf-
— 180 —
faro Tusò per « clapa olei » mercato dell'olio. Chiappa scrisse Dante in
bignif di roccia sporgente, ma tal v. non entrò nel toscano che per indi-
care Tatto del chiappare: vi entrarono più tardi, forse per influenza ligure,
le V. acchiappare, chiappare, per pigliar dMmproTriso con destrezza
o con inganno « voce d'uso, più che altro, famigliare > dice la N. Crusca
che la trae da lat. capere o captare. Trattasi invece di v. celt., viva
ancora nell' i:$landese klaupp, roccia, germ. klippe, scoglio, scheggia,
come opinano Littré, T Azais, ed altri. L'etim. proposta da Diez dal kimrì *
clap, massa, sembra troppo discosta per signif. Quanto al vb. scciappd,
resta incerto se siasi formato con la rad. scid, spaccare, e ciappa, o se,
come indicherebbe il suono sibilante, venga dal germ. schleipen, fendere,
spaccare. (V. scceUu). Riguardo al vb. aciappà, acchiappare, ed al nome
ciappua, sono v. che si spiegano, da se stesse: gli antichi Liguri, co-
stretti a vivere principalmente di cacciagione, tendevano insidie agli
animali con quella trappola antichissima che i Toscani chiamano schiac-
cia e i Gen. ciappua, appunto perchè la pietra posta in bilico era una
pcHante ciappa.
Otooa, it. volgare cicca, mozzicone di sigaro buttato via dai fu-
matori : in gen. e pi6m. piccola quantità di tabacco messa in bocca per
masticarla, usanza americana; ne derivarono i vb. gen. cica, piem. ciche,
lomb. cicca, prov. chica, fr. chiquer, che tutti valgono fig. : masticar
male una cosa, adattarvisi male, con qualche stizza; etim. comune lat.
ciccum, piccolissima cosa, onde eziandio lo sp. chico.
Clooa, nella frase esclus. gen. « dà o piggià a cieca » che vai: dare
toccar busse, ed anche rabbuffi; etim. oscura: cicca, in gen. ha il
signif. espresso nell'arti colo precedente, e inoltre quello di chicchera^
dallo sp. xicara, che in origine serviva solo per bere la cioccolata: fosse
detto ironico come «cpiggià u lacciun?»
Olfatti, è in gen. voce di sprezzo; etìm.dhtMrcoiehudi, ebreo, ri-
dotto però dai turchi stessi a cifud, signiUcante: che ha negato la
verità.
9isrheasra&9 it. mazzacavallo, antichissimo strumento rurale per
attinger acqua dai pozzi, sempre d'uso generale in Liguria; etim. lat.
ciconia, per sim. al movimento del collo e del becco della cicogna.
Gilln, it. fanciulli7io, piccino, onde BeoiU&se, gongolare, giuòi-
lare, come i fanciulli; etim. oscura: il gr. ha chillos, asino, il lat. cilo
ha significato anche più alieno: quanto al vb. il latino antiq. ha cillo,
ciliare per muovere, agitare. Lo sp. ha chillar, suono acuto, e chillon,
strillone.
91mma, it. cima, punta, sommità, ma in gen. vale anche: estre^
mila, .sponda, onde 9^1^^»^ cimosa; etim. gr. kyma, cosa gonfia
lat. cyma, broccolo, tulio: la prima trovasi nel gen. ^immapin-a, pan-
cetta di vitello agnello ripiena d'uova, erbe e altri ingredienti, la se-
conda etim. nel gen. gimnia de con, cesto di cavolo tenerello.
Glnoi&se, it. gongolare, gioire; etim. oscura: forse aff. al prov.
se chinchd, che vale: ornarsi, acconciarsi con ricercatezza.
— 181 —
^insa? brano cascante di reste rotta, id. a fr. ant. cinse, alieno da
it. cencio che si trae da lat. centonem; etim. oscura: forse da lat. in-
cisas, cose tagliate, onde pure it. cincischiare.
CI00&, it. render suono, e dicesi di vasi vuoti, monete, ecc., quando
sono percossi : onde Cioooii, suono, Giocata, battimano, id. a fr. elio-
quer, choc; etim. dal basco chocar e cheque, 0, secondo Littré, da
choque, souche, id. a it ciocco ceppo d'albero, onde, secondo lui, 4c le
« choc est le heurt contre une choque ou souche». Ma ben a ragione
Zambaldi disse di confrontare Tingi, to shock, che Johnson* trae dal
germ. shocken, urtare, percuotere.
Cidm&, it. oziare, poltrire, id. a fr. chOmer; etim. comune, prob.
celt. choum, fermarsi (il piem. ha doma per riposo delle vacche) Cfr.
gr. koimao, dormire.
Ciota, zampa d'animale con unghie, propriamente quella del
gatto, onde Clotà, colpo di zampa; piem. piota, ed anche it. piota voce
d'uso per: pianta del piede. Zambaldi, pur citando lat. plautus, plotus,
detto dagli Umbri a chi avea piedi piatti, dichiara oscura IVtim. di
piofa^ ma la flessione delpZ. latino nel ci gen. toglie ogni dubbio.
Citta, it. ragazzino, e dicesi anco a Siena e nella montagna pisto-
iese : in gen. significa pure centesimo di lira: id. a piem. pct7; etim.
Diez da una rad pit, cofea aguzza, stretta, onde it rtìì. petite, fr. petit:
ma il gen. ha questa stessa rad. in più altre voci, e la serbò integra:
come Pavrebbe mutata in ci per la voce che esaminiamo? Prob è im-
portazione piem.
Ciacca, it, ubriacatura, onde Ciacca, briaco, id. a piem. e lomb.;
etim. incerta, forse germ. schenken, versar liquori, come it. cioncare,
forse prov. chucd, succhiare, bere deliziosamente, da chucho, succo della
vigna, vino ; nella v. prov. avrebbesi Tetim. lat. succus (uvae),
Cianassa, it. pialla, dim. Clonetta, pialletto, onde vb. Ciana,
piallare. Il Parodi foggia un verbo latino plaunare e ne trae duna,
ma andiamo « piano ». Plana e piantila significano veramente in latino
pialla e pialletto? È assai dubbio: non vi ha che un esempio di Arno-
bio, recato dal Forcellini, che male prova in favor della plana: «simu-
lacra terebrarum excavata vertigine, runcinarum laevigata de planis >.
Il nome della pialla, delTistrumento che faceva ufficio di pialla, cioè
una piccola ascia bene affilata, ^ era presso i Romani rundna, e così
la chiamano, mai plana o planula, Varrone, Plinio, Tertulliano e altri.
Par dunque verisimile che il ciund gen. sia il runcinare lat. e la ctw-
nassa sia la rundna.
Ciùsa, it. gora, id. a fr. écluse; etim. lat. med. exclusa, aqua
exclusa.
Ccà, it. corata; etim. lat. cor, che nel gen. si un\ prob. al celt. óa,
fegato, viscere.
* A Dictionary of the English language, hy Samuel Johnson, London, 1827.
* Oggi ancora i maestri d'ascia navali Bpianano e levigano con cotesta
ascia il legno tiinto bene quanto con la pialla.
— 182 — .
Ooassn, chiamano i Genovesi i capelli della donna raccolti in un
mazzo; etim. prob. lat. coactio, Tatto di raccogliere.
Oòooina, it pront^n^ea/occ^n^o, suono speciale delle parole; etim.
prob. lat. concinnitas (verborum),
Ooè, it. voglia, desiderio; apocopato, come sp. corner, da lat. co-
medere, mangiare.
OOmentn, it. comerUo, v. m. per dinotar T intervallo che è tra ta-
vola e tavola dei bastimenti, in cui si devono metter le stoppe per cala-
fatarli : manca, come tante altre voci marinaresche, alla N. Crusca, e sì
che l'usarono il Pantera e il Falconi; etim.: il lat. commiUere, unire,
congiungere, male prestasi per la forma : il gen. ha pure cómerUa, ter-
mine dei legnaioli, col signif. di riunire le parti separate dei materiali
in modo che combacino perfettamente, onde comentu nel senso di com-
mettitura, calettatura; queste voci, e per est. la marinaresca còmerUu,
potrebbero venir da lat. commentare, che ha pure il signif. d'impri-
mere, segnare.
OOpressn, albero che esce obliquamente dalla prua della nave
sporgendone fuori quasi tutto; in it. bompresso, che come fr. beaupré,
è corruzione delPingl. botvsprit, o dell'olandese bueg spriet: però la
V. gen. che ha resistito air influenza del francese, viene prob. da lat.
cupressus, forse perchè il detto albero facevtsi anticamente di questo
legno.
Oomabiiggria, it oHgano; etim. germ. hoìm, corno, e bùch, cavo,
pancia: corno di bove in cui si conservavano i fiori secchi delPorigano.
Nel bergamasco vi è un picco denominato Comabusa, perchè cavernoso.
Oren-a, it. tacca, intaccatura, onde Oren&, intaccare, e Crena-
tfla, fenditura: per sim. i montanari liguri chiamano cren-e, le creste
dei monti ; v. aff. a piem. cran, lomb. crenna, prov. cren, fr. cran, fr.
ant. crenne (onde creneau, creneler, ecc.); etim. incerta: il lat. ha
crenae nel senso d'asprezze, tacche: ma considerato il testo di Plinio
(l'unico che questa voce usi) dice Littré che convien pure considerare
il germ. harm, krinnen, intaccatura, e poteva eziandio citare il celt.
cran.
Oreppn, Oreppnn, it. schianto, scoppio, id. a piem. crep; etim.
comune lat. crepitus.
Oreusa, it. via traversa, via di campagna, aff. al fr. creux, che
Diez suppone derivato da lat. corrosus, dove che Littré, per ragioni
etimologiche, vorrebbe trarlo da lat. oypta, onde venne il prov. erosa
e crota. Però Tetim. del Diez calza benissimo al gen. creusa, via sca-
vata sui monti o nelle valli dalle acque o dagli uomini.
Oriooa, una delle serrature dell'uscio: v. comune al piem; prob.
dal germ. drucker, o klinte, saliscendi, toppa a colpo.
Crocea, it. gancio, significa anche un bossolo di cuojo, fermato
alla vita, in cui si fa entrare il calcio della croce o dello stendardo
nelle processioni : ne vengono curcettu, gangherello, scruccin, grilletto,
e scruccià, sgrillettare, far scoccare lo scatto di un'arma da fuoco:
— 183 —
jd. a piem. croch, crocei, fr. eroe, crochet; etim. dal germ. hrohr,
krog, dal celt. crog.
Orfiv&, dicesi del cadere spontaneo dei fiori, delle foglie, dei ca-
pelli, id. a piem. eroe, lomb. eroda; etim. incerta: il Cherubini * dice
che è V. d'origine romanzo-svizzera, eurdar, cadere: il Monti la crede
celtica, crion, decadere.
Oubeletta, it. pasticcino dolce, così chiamato dalla forma del
vasettino in cui vien cotto; etim. lat. cupellum, vasettino.
Oi|OOliettu, it. filugello, baco da seta, aff. a prov. coucou, coucon,
fr, cocon, tessute/ filamentoso in cui s'avvolge il baco; etim. comune
lat. concha, conchiglia, guscio.
Cunfòu e Ounfòu, it. eonfalone, oggi stendardo da processioni •
religiose, ma anticamente bandiera di battaglia; etim. comune Taat.
gundfano {fano, drappo, gundja, battaglia) onde il detto genovese « pig-
gi& u cunfòu > mettersi alla testa d'una compagnia.
CuntflSBU, it. farsetto femminile. Il Parodi da lat. comere, p. p.
comptus, da cui forma un com,ptuceus: sen^nchè comere vai propria-
mente: ornare la testa, acconciare i capelli, e se è vero che vale pure,
in generale, adornarsi, mal conviene, anche in questo caso, al cuntussu
che è un vestito ordinario, non un ornamento : ma chi sa che, antica-
mente, tal non fosse il cuntussu? Certo che, esclusa Tetim. proposta
dal Parodi, si dovrebbe conchiuder che è ignota.
OupfiBBu, it. nuca, occipite, id. a piem. cupiss; etim. lat. oceiput,
oceipitium. I Genovesi conservarono anche il proverbio latino « habere
oculos in occipitio » « ave! i eùggi in tu cupiissu ».
Cnrzettn, piccola lasagna tonda su cui viene impresso un fregio:
V. connessa all'altra Curzeu, crogiuolo per fonder metalli ; etim. prob.
d'ambo le v. Taat. chrose, arrosto. (I curzetti oggi si mangiano lessi,
al sugo di carne e formaggio : ma è verisimile che anticamente si man-
giassero semplicemente arrostiti, a mò dei brigidini o cicalini toscani).
Demu&, Demu&se, it. trastullare, trastullarsi: fig. tenere a bada,
onde Demùa, trastullo, Demuòlo, baloccone, aif. a fr. ant. demore, de-
muere; etim. prob. lat. demorari, nel senso d'indugiare, trattenersi,
fermare.
Depui ha in gen. due significati: 1° davanti «ii me sta depui»
egli mi sta davanti; 2® dopo < depuì disnà » dopo pranzo. È voce id.
nella forma a prov. depueis, fr. depuis, ma dai Gen. usata diversamente.
Desmiiu, it. bruno, lutto; etim. lat. transmutatio, il mutar abito,
vestendo il bruno
Dezeiiteg& (e non desentegà, secondo la retta pronunzia), it. estir-
pare, cacciar via da un luogo. L'Olivieri (Dizionario) lo trasse da lat.
exenterare, che vale: sventrare e fig. vuotare. Al Parodi questa etim
non garba perchè, egli dice, exentero non avrebbe dato in gen. altro
riflesso che sdenterà o scianterà, ma non è esatto. Anzitutto, si dee
notare che bIY exenterare il gen. com'è suo costume, prefisse il de. Si
* Vocabolario Milanese-italiano, Milano, 1839.
— 184 —
noti poi che la x latina si muta, nel gen., ora in xe, ora in tei, ma
talvolta in z: lex = lezze. Quanto alle terminazioni dei verbi latini in
rare esse, nella flessione genovese, obbediscono generalmente alla re-
gola per cui, troncato il re finale, si elide pure la r della sillaba pre-
cedente: jurare = zuà, laborare = lauà: ma vi sono eccezioni ad ambo
le regole, ed eccone una conforme a quelle del dezentegd: lat. appa-
rare =: gen. apaegià. Sta bene adunque Tetim dell'Olivieri. Il Parodi
poi attribuì lo stesso signif. del dezentegd ai vb. gen desverUegà e
desventd, ì quali, ce me lo sp. desventar, valgono in it. sventile.
Direttu, avv. comunissimo fra i popolani ed i contadini genovesi
che vale: veramente, dirittamente; etim. lat. directe, de recto, che era
pur comunissimo nel parlar famigliare degli antichi plebei romani.
Drtia, it. molletta; etim. celt. druz, grasso.
Drfiu, it. grosso, contrario di sottile, id. a prov. dru, drud, aff.
a fr. dm; etim. celt dru, molto, drud, vigoroso.
Dnggiu, boccale contenente due amolc, misura gen. antica del
vino : id. a piem. dui, duja (onde Giandvja, Giovanni dal boccale), fr.
ant. duie (eruche) ; etim. comune dal gr. dochè, recipiente, misura per
i liquidi.
ErUa, in gen. significa: uggia, avversione, in altri dialetti vale
invece: ubbìa, superstizione, malaugurio, e si trae dal lat. hariolus,
indovino.
FasBon, it. modo, maniera, id. a prov. faissoun, fr fagon; etim.
comune lat. factionem, poter di fare.
Faulu, grosso granciiio di color rosso; etim. dalPaat. falò, falwer,
fulvo, dal gr. falos, splendente.
Festeoou, it. pistacchio. I Genovesi che per lungo tempo furono
quasi soli a provvederne V Europa traendolo dalla Siria, gli conserva-
rono il suo nome arabo fosstoc, rimasto anche nel siciliano fastuca.
Fiarsue, it. filaccica, filaccia; la v. gen. non potendo, come le
it., venire da lat. filum, deriverà prob. da lat. fibras, o nel senso di
frange, o in quello di barbe minute delle radici.
Fidò, it. vermicelli, onde Fideà, vermicellaio : v. originale gen.
come gen. è prob. Tinvenzione di questa sorta di paste; etim. gr.-lat.
fides^ corde della cetra. E a proposito di cotesta etim. derivata dalla
similitudine, perchè non dir fidelini invece di vermicelli e di capellini,
detti pure così per similitudine, ma nauseante?
Fighòtn, it. fegato; etim. prob. dal med. lat. ficaium, che, sot-
tinteso jecur, indicò il fegato d'oca ingrassata con fichi.
Fileoohe (f&), it. far cilecca; etim. oscura dell'una e delPaltra
voce. La N Crusca da lat. illicium, allettamento, che mal conviene
alla V. gen.; Zambaldi da germ. schielauge, guercio, dubitando però
egli stesso della giustezza di tale etim.
Fitn, it. presto; etim., forse per antitesi, da lat. cito, che vai Jo
stesso; etim. che potrebbe esser comune al fr. vite, ora assai dubbia.
Il celt. /?c, movimento, è troppo lontano.
— 185 —
Fraveg^n, it. orefice , aflT. a fr. orfèvre, ant. orfaver; etim. comune
lat. auri faber.
Fresraggi&, it. sbiHciólare, onde Fregrug^g^a, briciola; etim.
lat. friare, « friari in micas » e fricUum.
Frezettu, it. nastro di seta, id. a fr. ant. fresel, fresiau; etim.
prob. dal lat. med. fresimn, frig^ium, venuto da un vb. lat. phrigiare,
poiché da Plinio è usato il p. p. phrigiatus, ricamato, dalle « phrygiae
vestes » dei Romani.
Fm80i&, it. noiare, infastidire, onde Frusciata, noia, fastidio,
e Fmsoin, noioso, fastidioso: aff. a fr. froisser che, secondo Littré,
viene da lat. frustum, brano, briciola, dal quale il lat. med. fece un
frustrare, mettere in pezzi; però tale etim., gik poco verisimile pel fr.,
lo è ancor meno pel gen.; Taltra etim. da lat. fressus, da f rendere,
frangere, mal si presta. L' ing. ha to frush, rompere o anche opprimere,
più conveniente al gen.; ma Johnson lo trae dal fr. froisser: Vìi.
fruscio, sfrusciare, remore, stormir di frasche, è di senso troppo di-
verso, e del resto non se ne conosce Tetim. Che il gen. fruscia venga
dal ted. frosch, rana, froshlaich, fregolo di rane?
Fii, it. remore, specialmente del tuono, dell' esplosione di mine,
artiglierie, ecc.; etim. oscura, forse da gr. fulg, metatesi ^ìphlog, onde
lat. falgur.
Fuoau, persona astuta e frodolenta; etim. lat. fucatus, che signi-
fica: finto, simulato.
Fuoiàra, it. bagattella, cosa da nulla, aff. per signif. a piem. fo-
lairà, etim. prob. sp. chuchena, cianfrusaglia.
Fuffa, it. grande paura, id. a piem. fifa, fofa, b. bres. fufa, aff.
a sp. afufa, fuga, afufar, scappare : v. che il Dizionario dell'Acca-
demia spagnuola dice germ.; il Rosa, invece, trae fufa dal gr. feugo,
per contrazione fuo, fuggo; altri dal gr. fobos, paura.
Furlanoia, pezzetto d'ottone ridotto a guisa di moneta, per uso
di giuoco: per sim. moneta falsa; etim. oscura, però ò chiara la rad.
lat. fur, ladro.
Fumi per Fini, it. finire, dicono i popolani ed i contadini geno-
vesi: non è idiotismo, come si crede, è il vb. che nel gen. come nel
piem. fumi, nel prov. furmir, fornir, e in alcuni dialetti fr. fornir,
foì'ni, precedette il lat. finire, col senso di compiere, terminare, e dato
il cambiamento della m in n, ammesso da Diez, deriva dalFaat. ft*umjan,
terminare. Popolani e contadini dicono anche fent, invece di fini, e
così disse, sino al secolo xiv, il fr. per ripugnanza ai due i accentati
nella stessa parola.
Ffistu, it. piccola botte : in questo senso è v. ignota air it. ed agli
altri idiomi neo -latini, salvo il fr. che ha fut, ant. fust, con lo stesso
significato, del gen ; etim. comune prob. lat. fistula, nel senso di tubo.
Futta, it. stizza, id. a piem. fot, lomb. fotta, b. bres. ftUa, che
il Rosa trae da germ. tauth, impeto; ma è più verisimile sian tutte
voci provenienti da una nota e sconcia parola francese, d'origine latina.
— 186 —
Ffitu, it. pallido, allibito; etim. oscura, forse da fr. ant ftUé, bat-
tuto, da fuster, battere, « mettre à Taifùt >. Cfr. normando futè, detto
d'un corpo che perda la lucentezza, o per alitarvi sopra, o per sudicio.
Oabbian, vale in it stolido, babbeo, v. comune a piem. e lomb. ;
etim. comune germ. galaubjan, credenzone.
Oaèlu, Ohòlu, it. ghenglio di noce, e per est spicchio d'arancio
e altri frutti, id. a b. bres. guel, gaum, aff. al vallone ant. gaill, fr.
nord, gaille, che valgono: noce; etim. lat. galga, noce, e direttamente
il galbulus di Varrone. pallottola contenente il seme dei frutti.
Gaffa, it. gaffa, spuntone adoperato dai marinari nelle lancie da
guerra. Guglielmotti la vuol chiamare alighiero, e a Venezia e nel-
r Istria vien detto anghiere, ma dei marinari italiani i più lo chiamano
gaffa, come gaffe i francesi, gafa spagnuoli e portoghesi, gaff gli in-
glesi Secondo lo Jal * verrebbe dalPolandese gaffel, pertica armata di
ferro biforcato; ma Brunetto Latini, fin dal secolo xiii, scriveva nel
Pataffio: « aggaffala, che elFè buona gemmiera »; onde vedesi che vi
era nelFit. un vb. aggaffare, significante: afferrare, strappar di mano.
In effetto Fetim. della v. gaffa è celt gaf, gicaf, adunco, uncinato.
Oa^giardu, it. gagliardo, comune a tutte le lingue neo-latine;
etim. prob. celt. galach, coraggio.
Oagrgioà, nella frase gen.: «piggia un-a gaggioà» equivalente
al tose. « pigliar per il ganascino », noto atto amorevole; etim. prob.
fr. gage, « gage d'amour ».
Oàibu, it. garbo, onde Agaibà, aggarbare, Desgraiboo, sgar-
bato; etim. incerta. LaN Crusca accenna alFar. galib, modello, forma,
e alTaat. garaioi o ganci, ornamento; la prima etim. converrebbe al
gen. in cui gaibu è anco v. m. significante: acconciatura dei contorni
e delle linee del corpo di una nave, onde « dà u gaibu » vai : disegnare,
modellare.
Oaitellu, it gavitello, v. m., galleggiante cui sta attaccata la
grippia e che segna la posizione dell' àncora; v. gen. trascritta tal quale
nel Consolato del mare che dice: gaiatello. Lo Statuto di GazaHa lo
chiama: « gavium ferri ». Accettabile Tetim. proposta dal Guglielmotti
che dice gavium derivato da lat. gavia, gabbiano, per la sim. affatto
marinaresca del gavitello con queiruccello acquatico che si posa leg-
germente e si ciondola sulla superficie del mare.
Gaietta, it. biscotto di forma schiacciata; etim. fr. gaiette: nel
fr. antico gal indicava una pietra, onde il mod. galet, ghiaia ; gaiette
fu detto per sim. a un sasso schiacciato.
Gamella, it. gamella, catino di legno in cui mangiano marinari
e soldati; etim, secondo i glottologi, da lat. camelia: questo però era
un vaso ricurvo di legno per uso di alcuni sacrifizi; conviene pur ram-
mentare il basco gambela, e notare che la v. gamella non è italiana
ma venne a noi come ai Francesi dagli Spagnuoli.
* Glossai re na ut igne, Parigi, 1848.
H
— 187 —
OarbOxn, ìt. cavolo cappuccio, è v. atrettunente aff. all'altra ften.
Qarbfig^a, it garbuglio, che significa; ravviluppamento; v. comune,
con lievi alterazioni, a tutte le lingue neo-lutine (fr. ant. garburge),
ma di etim. ignota ìn tutte. Si sa cbe il cavolo cappuccio (firatsica ole-
iacea capitata) ha le foglie avvolte l'una sull'altra cosi strettamente
da formare una soda palla; nulla diiuque di più ingarbugliato, ma
garbuxu onde viene? Il Monti, per il com. garbói, propone il celt.
carbhvaic, tumulto (meglio garbhuaic), clie mal si presta, fuorché per
la radice.
Oardettn, ìt. ragazxelto. Si sa che Diez volle trarre il fr. gars,
yargon, garzone, dal milanese garzéù, ganuolo (gen. car-éii), cuore
del cavolo, e flg. cosa tenera, non sviluppata; etim. che Littré non
accettò, scorgendo invece nel gai-QOn origine celtica. Anche la Is". Crusca
è di questo parere. Ma donde viene il gardettu gen.? Non da garsun,
perchè questo ha gib il dim. suo in garsunetlu, e poi la forma non si
presterebbe. Verrebbe dunque da gr. ktìrdos, lat. carduus, gen. gardu,
e almeno iu questo caso Die/ non avrehbi^ torto.
Oarltta, it. casotto per sentinella, ìd, a prov. garilo, fr. guérile,
sp giiarida; etim. dal got. vaijan, difendere. Qui pure è dn ricordare,
il basco garailoa, che vale: parte superiore, estrema, e ben dinota la
torrkella con feritoie posta sui luoghi alti delle fortezze.
Oasxa^ it. cappio, nodo, dim. Oftsietta, che significa pure: oc-
chiello. Gaisa è anco v. m. gen. che vale: corda ripresa ordinatamente
con nodo di bolina': mal perù la gassetta indicherebbe l'occhiello, per-
tugio delle vesti in cui entra il bottone, se non si riflettesse che co-
testa maniera di abbottonare, in ispecie taluno vestì, è recente, e che
anticamente usavansi all'uopo, laccetti, cordoncini, ecc. Il piem. ha
ganssa, il prov. ganso, il fr. ganse, cordoncino per allacciare il bot><
tone, ed anche occhiello, fatto col cordoncino medesimo. Il fr. ant. di-
ceva: ganx, e « gancher Ics draps », Littré dice ignota l'etim, di questa
voce. Ù, possibile che sia venuta ai Liguri, per via dei Fenici e Car-
taginesi, dall'ebr. qaseiar, legare.
Oatta, it. bruco dalla verzura, per sìm. la ciniglia, piem. gaia,
lomb. gaiinna, gala, fr. chenUle; etim. Diez da lat. canicula, perchè,
dice egli, somiglia a te^jtu di cane; invece, i Gallo-italici la trovarono
somigliante a testa di gatto, come pure i Normandi che la chiamano :
« chatte pelouse >; etim, gr, katto, gatto domestico, o celt. cai, che
vale lo stesso,
Oànsa, it. bigoncia; etim, lat med. gauxlarius * tigna super quae
dolia collocantur» (Ducange),
Qia, it, ghiaia e bietola. Strano è che il geuT cos'i avverso ai si-
nonimi, abbia dato Io stesso nome alla ghiaia (rena) e alla bietola
(erba). Quanto all'etim. la gèa, ghiaia, ù da lat. glarea, se pur non è
gr. gè, terra; quella di gèa, bietola, non potendo venir da lat. bela, è
ignota. Da gèa si formò girava, barbabietola, afi'. a fr. betteraoe.
Ohlffaui, it. sorte avversa negli affari e nel giuoco, ripugnanza,
talora stizza, dispetto: id, a piem. e lomb. ghignon, prov. e fr. gai-
— 188 —
gnon, sp. quihon; etim dal basco quihona, che propriamente significa
buona sorte.
Oiabba (&), vale in gen.: a ufo, senza spesa, e si usa quasi sempre
col vb. mangiare; etim. prob., la stessa delPit. gabbare, ingannare,
giuntare, che viene dal nordico o celt. gabb.
Oiamlii&, it. stentare, faticare, specialmente camminando, onde
Oiamln, stento : v. contad. ; etim. prob. dall'aat. gilan, giìjan, afifret-
tarsi; se pur non convenga meglio ricorrere al sans. gam, andare.
Oiandunà, it. girandolare, onde Oiandun (and& in) andare a
zonzo; etim. incerta, ma più che dal gr. gyros (onde gen. già, giù) da
cui si vuol trarre it. girandolare e gironzare, par che venga dal got
ganga, germ. gehen, andar girando.
Gianu, it. giallo, piem. giaon, lomb. giald, prov. e fr. jaune;
etim. lat. galbinus, galbanus, da galbus o gelbeus, biondo, color dei-
Foro ; quest'ultima voce toglie la difiBcoltà, cui accennò il Parodi, della
impossibilità che il g gutturale gen. si muti in palatino. Del resto.
il gen. stesso mutò in xatta il lat. gabala.
Oia80i&, it. masticare, aif. però a it. biasciare, biascicare; etim,
comune gr. blaisós, lat. blaesus, chi mal pronunzia qualche conso-
nante.
Oimbr&, « a nu me gimbra » dicono i Genovesi di cosa che loro
non garbi ; etim. fig. da prov. gimblà, torcere, piegare.
Oimiohia, dicono i Genovesi di cosa maravigliosa : non può venire
d&\B,t. gemma, uè ha, che io sappia, rad in altra lingua; però i Musul-
mani ed anche i rabbini ebrei chiamano gimi certi esseri che suppon-
gono di natura intermedia tra Tangelo e l'uomo.
Gippa, it. giubbone, abito contadinesco, onde Oipponetta, cor^
petto, panciotto, aff. a prov. gipo, gipou; etim. nr.jubbet, veste (pellic-
cia) portata sotto altro abito. Il fr. gilet, gen. gilè, par che vengano
da un Gilles che primo avrebbe fatti i panciotti della forma moderna.
Giarda, it. morchia', feccia deirolio, e anche, ma poco in uso,
fanghiglia; etim. prob. da sp. gordo, a, grasso, unto.
Giusoellu, it. brodetto; v. disusata, che giustamente il Parodi
trae da lat. ius, sugo.
Gnèra, it. trullo } ^ • i.
^ .^ . J V. onomatopeiche.
Gnag^nue, it. moine ] '^
Gnappa (pigg^& a) vai ricevere un regalo a fine di corruzione:
nel dialetto comasco gnap significa scodella, in quel di Val Camonica
lo stesso, più vi ha il vb. gnapd, mangiare ; etim. comune dall'aat. hnap,
vaso per bere, germ. nap, piatto, onde it. nappo.
Gniffirà, vale: mostrare svogliatezza, ripugnanza; afi: a tose, fri-
gnare, significante piagnucolare, che Diez trae da germ. flennen, rag-
grinzar la bocca.
Gòghin, indica in gen. un luogo, una posizione in cui uno si trova
bene: v. id.alle fr. a gogò, gogne, goguettes ; etim. comune celt. gag,
abbondanza.
--*.
"S
Chime, ìt ganghe e gangole (scrofole) -, etim. comune gr. gongyle,
rapa rotonda.
Oottn, it. bicchiere, che è v. germ. ; etim. lat. guttus; queato ve-
rameate era un vaso di collo stretto per raccogliere il vino gocciolante
dalla botte: gotta però in Liguria è nome generico ed esclusivo del
bicchiere, grande o piccolo. Dicono pure gotto i Toscani, ma intendono
un bicchiere piii grande degli ordinari.
flramma, it. gramo, ma in it. è voce del linguaggio nobile, dove
che in gen.è voce pop. e contad.; etim. comune dal germ. jJ-dm, pena,
affanno.
Chrebaun, ital, rozio, zotico : il veneiiano chiama grebani i
greppi, i dirupi; etim. incerta: o da celt. breghen, breg, greppi e dì-
rupi, o dall'aat. hléy, roccia sporgente in mare; etim., secondo Zam-
baldi, dell' it. greppo. S'intende facilmente che il geo. abbia detto rozzo
l'abitatore dei greppi.
OremlnlTt, it. gremito ; etim. oscura, perchè, se è dubbio che it.
gremire venga da lat. gremium, è assai più dubbio che ne derivi il
greminiu gcn.
Oréàppla, it greppia, mangiatoia, pìem. e lomb. gntpia, prov.
grepia (Cev. grupio), fr. erèche: tutti dall'aat. krippa o krippea, o
dall'ani, sassone ci-ibbia; come cosi distinta la flessione genovese? Si
sa che il nome lat. della mangiatoia degli animali era praesepe, ma
non restò in alcuno dei dialetti italiani, per il significato che acquistò
tra i Cristiani; il tose, in parte e i dialetti dell'alta Italia (che forse
l'avevana ab antico) adottarono il nome germanico: il romanesco ed i
dialetti meridionali dissero: mangialora.
GrUb, it. grifo, muso del porco : i Genovesi lo dìcon, per ì^chemo,
del viso umano; etim. dall'aat, grifon, pigliare, addentare, onde grif,
zanna, artiglio, da cui it. gnnfe, gen. grinfie, corrottamente grinte.
Cblfl^ia, it, lucertola; etim,: il Parodi vorrebbe trarla da lat. lan-
guria, ramarro, onde gen. laghéìt, ma non è ammissibile. Grigua è
prob. V. onomatopeica.
Orimla, it, segrenna, persona magra, sparuta; l'etim. di quest'ul-
timn da una v. persi ano -ture a onde venne ìt sigri/io, pelle, è già poco
verosimile, pel gen. grìmia non è affatto accettabile. Prob. grimia
viene dall'aat, grimo, spettro, da cui derivano pure fr. grimaces, gen.
griitiasse, boccacce, vi sacci.
Orlnta (plggl& in), significa in gen,: prendere in uggia; in questo
caso t'etìm. sarebbe dall'aiit. grim, rabbia, stizza, o dal kimri grinta,
che vai lo stesso. Perù significa pure ceffo, come in piem., in lomb.
od anche in to.sc, die deve averlo avuto dai gall,-ìt, ; Zambaldi lo trae
dall'aat. già citato, grim, il Rosa da gr. grintin, il Monti da celt.
greann. Cfr. anche germ. grinzen, ghignare.
Qrttta, it. granchio : nel lat. med. fu detto grilla; etim. oscura,
forse dall'aat. hrebiz, granchio, o dal germ, yreifen, pigliare, ad-
dentare.
— 190 —
Orlxella, it. graticola, graticolato, ecc.; è anco v. m., griselle
delle sartie : aff. a prov. grazilho, e più a fr. grille; etim. comune lat.
craticula
Ouen-a, corrisponde airit. guaina solamente nel senso d''una
special cucitura. I glottologi traggono guaina^ vagina, da lat. vacare^
etim. troppo forzata; il celt. ha guein che ben conviene al gen.
Guigsriu, collare di cuoio per i cani: nel fr. ant. guiche, guige,
era striscia di cuoio per allacciare zoccoli, ecc., e tal è ancora nell'it.
guiggia; etim. comune certamente germ., forse Taat. tointinc,
Gùm&, it. sgobbare, affaticarsi molto, v. pop. e contad. , id. a
piem. game; etim prob. germ. kummer, pena, cura, vb. kùnimeì'n,
curarsi, affannarsi. Cfr. il siriaco gomal, cammello.
Gàmena, it. gomena; etim oscura: i più dall'ar. al-gomm.al,
ma è inammissibile che i marini italiani abbiano tolto dagli À.rabi il
nome del più grosso canapo di bordo; il Picchia da lat. ligare fa li-
gumina, solite formazioni arbitrarie, tanto meno accettabili che la go-
mena avea nome proprio in lat. ed in gr.
Ourpe, e nel ling. civile Vurpe, it. volpe. La forma pop. e cent,
gen. è id. a quella del fr. ant. gourpil, goulpil, che poi si mutò in re-
nard, nome d'uomo; etim. lat. vulpes. Il fr. ant. aveva anche ow^pil,
e il gen. contad. ha urpe, nota influenza celtica comune ai due idiomi.
OusBu, it. gozzo, barchetta dì forma e di nome certamente d''ori-
gine genovese. Il Guglielmotti, che il gen. non conosceva, trasse il
nome di gozzo dallo stomaco degli uccelli, vera stranezza. Zambaldi
propone Tit. guscio, conveniente alla forma del gussugen, somigliante
a quella d'un guscio di noce, ma ne dice ignota Tetim.; questa è prob.
il celt. guesk, guscio.
Imbattu, V. m. significante vento estivo, periodico in alcuni mari :
id. a sp. embat3 ; eiìm.. gv.embatés, con lo stesso significato. Imbattu
divenne poi nel gen. sinonimo di riflesso, specialmente del sole.
Imbessiu e Abessiu, it. intorpidito, lento, tardo, id. a piem. b'ssi,
amp'ssì, a sp. embebecido; etim. prob.- lat. imbecillus.
Imbo8&, capovolgere, e dicesi specialmente di vaso: aff. a prov.
(Delf.) emboussou, botte, barile, sp. e^nboza, fondo di botte disuguale;
il fr. ant. aveva embocer, per: « relever en bosse », e bosso, germ.
butze, cosa ottusa, è prob. Fetim. del gen. imbósd, dalla forma del
vaso capovolto.
Imbrig^n&sene, it. in fischiarsene, non curarsi di checchessia, id.
a ^ìem. anbrigyiesse ; etim. oscura: il lat. med. ha ambra che Ducange
defluisce « devorator, consumptor, patrimoniorum decoctor, luxuriosus,
profusus »; però male si presta alla risoluzione in igna, igne dei due
dialetti.
Inandi&, bel verbo, comune a piem. anandiè, con vari significati:
avviare uno ad un'arte, mettere in ordine, preparare un lavoro, prender le
mosse, ecc.; etim. andare? Ripugna così al prefisso in, come ai riflessi
ià, iè nei due idiomi, né ben conviene al senso; vi fosse la rad. germ.
hand, in hand, mano, in mano?
- 191 -
Inoall&se, vb. usato sempre negativamente « nii ìncallàse », pe-
ritarsi, non osare: id a pìeiDL.ancalèse, osare, ancaliira, ardimento; ne
sono traccie anche in altri dialetti: il prov. ha encald per: impigliarsi
nel fango, nella sabbia, ecc.; lo sp. ha encallar, v. m. investire, onde
it. incagliare. Etim.: il Flechia volle trarre il gen. incallàse da callo,
far il callo, cioè abituarsi, dicendo che con l'abitudine vien Pardire,
onde incallàse, ma è una stranezza indegna del valente glottologo.
Etim. prob. d" incallàse è lat. callis, via stretta e montuosa: incallàse
significherebbe incamminarsi, nù incallàse, non volersi mettere per
una via aspra e pericolosa : in effetto, il modo primo ed usuale di questo
verbo è « nu m'incallu >, cioè, non m'avvio, non mi ci metto. Vi sa-
rebbe anche il lat. calere, trovarsi imbarazzato, però male si presta
alla costruzione delle voci romanze su riferite, mentre che il callis
conviene a tutte.
Iiioaooi&, V. m. che il Pantera scrisse incocchiare, e che vale:
mettere un gancio di ferro nella coccia di un cappio di canapo, e anche
attaccare stabilmente un cavo dovecchessia; il contrario è 8oaooi&,
scocciare. Dal linguaggio marinaresco passarono nel comune: Inouo-
oi&se, incocciarsi, col signif. di ostinarsi (poiché un cavo incocciato
non si lascia staccare se non sia scocciato), scocciare, con quello di
dar noia. Etim. prob. greca : forse da kónche, nicchio marino, lat concha,
nel senso di concavità.
Ingri&rm&se, it. acconciarsi, assettarsi, ed anche, per est., infagot-
tarsi» Il Caix: attribuisce a questa v. il senso d'ingannare, e la trae da
fr. charmer, ma è invece affine, se non identica, a fr. se gendarmer,
nel senso che un giorno ebbe la v. gendarme, uomo d'armi : < c'est un
beau gendarme », dicevasi di chi avca belle armi, bel cavallo e aspetto
guerriero.
Ingriuiib&Be, it. incurvarsi nella larghezza, e dicesi dei legnami,
onde Insrumbatfta, piega, curvatura^ id. a piem gotnbè: il lat. med.
aveva gumba per gobba; etim. incerta, forse dal gr. hampé, piegatura,
ma più prob. dal celt. komb curvare, e cuma, comba, curvatura : tro-
vandosi questa rad. in molti nomi di luoghi nell'alta Italia e in Francia.
Insà, it. incignare, intaccare per la prima volta cosa commesti-
bile, ne viene Ins&la, romperla, cominciare una zuffa: id. al com.
ninzà, per cui Monti cita il celt neag, che non si presta affatto. Etim.
oscura : converrebbe, per il preciso senso conforme, il lat. incipere, prin-
cipiare (il famoso « che Tinse? » di Balilla: «incipiam ne?») ma non
si presta al cambiamento delFe in a; fosse caelare, intagliare, col pre-
fisso in ì Vero è che Diez trasse lo sp. sobajar da lat. subigere.
Intima, it. guscio del materasso e del guanciale, v. comune al
lomb. e al venez.; etim prob. lat. linteamen, lenzuolo, tela che copriva
uno strato di lana.
Iiiverdllg^&, it. accalappiare, tirar uno, con lusinghe, al proprio
volere; etim. da ap. verdugado, onde fr. vertugadin, g\i&Tdmfs,nte: nota
foggia d'abito donnesco ampio e rigonfio; ond'è chiaro il significato del
gen inverdilgà.
— 192 —
Iiivexeiid&, it. confondere, tur bare, disordinare, onde
con gli stessi significati, più quello deiragitazione confusa d'una quan-
tità di persone, e Invezendan, imbroglione, faccendone, chi opera
sconsigliatamente: ha qualche affinità con lo sp. enved^arse, aggrovi-
gliolarsi, arruffarsi la lana o i capelli; nelle Antiche rime genovesi è
usato avexendar, avexendarse e avexendao, etivexendao, invexendao,
nel senso di lavorare, adoperarsi, occupato, affaccendato. Il Flechia penilo
all'it viceìida per faccenda; ma vicenda è v. del tutto estranea al gen.,
e nel senso di faccenda ripugna al significato del gen. invexendu, certa-
mente alterato nella Riviera di ponente, cui apparteneva Fautore delle
Rime. Etim. ignota.
I8&, it. alzare; Vìi. ha pure issare come v. m., e così prov. hissd,
fr. hisser, sp. izar. Guglielmotti dice che issare ò v. ant. it^ composta
da «in sii », quasi insuare, o, come disse Dante: insusare (^Par. XVII;.
Fatto sta che issare è, ab antico, voce del linguaggio comune ligure,
prov. e fr., passata poi, come breve ed energica, nel linguaggio marina-
resco; Tetim. ne è incerta: il celt. ha hisa, eccitare, e isa, fare uno
aforzo, voci conservate, come molte.altre celtiche, nel dialetto comasco,
e forse il significato di alzare venne air issare dal grido di comando e di
incoraggiamento: issa!, mandato anche oggi dovunque si lavori ad
alzar gravi pesi; vi è poi Tant. scandinavo che dice hisa, onde germ.
hissen, ma parrebbe più prob. che ai Liguri issare sia venuto dai celt.
Notevole, come sempre, la fedeltà del gen. alla voce originale, che
serbò vivissima nel linguaggio comune quanto nel marinaresco, non
conoscendo esso Tit. alzare, ed usando soltanto in certi casi il lat.
erigere, contratto in erze.
Iiabla, it. fame, miseria, v. pop. e cont.: « a Té labia», la è fame;
etim lat arcaico labia, « vel labra », nel senso di bocca asciutta.
Laooiun, dicono i Genovesi « che pigliò il lacciun », chi, fatta una
cosa con speranza di bene, invece ne ottenga male; etim. oscura: Tit.
lacciuolo, inganno, insidia, ripugna al senso dell'unica e non antica
frase in cui i Genovesi usano la v. lacciun, la quale forse deriva dal-
l' ingl. luncheon, merenda, refezione.
La^héu. it. ramarro, id. a piem. laieul, lomb. ghezz, e lingoeuri;
etim. incerta, o lat. languHa, lucertola verde, o celt. lagairt, ramarro.
Lalla, it. zia, v. esclusiv. gen.; etim. oscura: loia, in gr., v. con
cui le balie addormentavano i fanciulli, onde il lat. lattare, lallum,
dormire dei fanciulli: in sanscrito làlanà,làlànam, hÌRndìzìe, carezze;
anche in turco e in persiano lala è v. esprimente affetto rispettoso.
In tedesco lallen, parlare.
Lambardan, it. uomo alto e poco intelligente; etim. germ.
langbdrthe, longobardo.
Iiandon, it. zimbello, ludibrio : « mette au landun », mettere in
beffe, a ludibrio; etim. fr. ant. laudon, bastoncello, «qui canibus ad
collum appenditur ne excurrant » (Ducange), i quali perciò fornivano
ampia materia di ri.so.
— 193 —
Lap&, it. lambire, il modo di bere dei cani, gatti, ecc., in gen.
;. bere, id. a piem. lapè, lomb. litppd, prov. lapd, fr. lapper ; etim.
dal gr. lapto, o dal germ. lappian, lappen, proposto da Littré e da altri.
Laugla, it. broda, broscia , id. a fr. lavage ; etim. lat. lavatura.
Lellua, come il fr. lierre, è un errore prodotto dall'aggiunta del-
Tarticolo « le ierre », « la ellua », alterazione del lat. hedera, simile a
quella dell' it. ellera.
laèpegVL, it. untume, viscidume, onde Lepes^sn, unto, viscido,
j aff. a prov. lipous ; etim. incerta, o dal tardo lat. alipem, grasso ani-
male che verrebbe dal sanscrito lipa, ungere con grasso, o, come
adipem, da lat. lebes, lebetis, paiuolo, laveggio.
Lerftì, it. labbro, v. pop. e cont., onde lerfà, labbrata, lerfun,
ceffatone: v. anche civile; etim. aat. leffur, labbro.
Iiezen-a, it. pilastro incassaio, contracolonna, il gr.-lat. para-
stata, id. a piem. lesena, lomb. lésenna, fr. ant. lezeigne (v. che il
Godefroi non comprese); etim. incerta: il Monti da lat. lacinia, pezzo,
striscia, che mal si presta: il celt. ha lesen, orlo, striscia, che pare
conveniente ; e a chi trovasse strano che ad un disegno architettonico,
venuto di Grecia con nome proprio, sia stato dato nelle due Gallio e
in Liguria un nome celtico, si può rispondere facendo notare la diflBcoltà
della V. gr.-lat , e la facilità della celt. E forse le v. del fr. mod. lisière
e lizéré provengono esse pure da lesen anziché da liste, come credesi
oggi-
Liamme, it. letame, da lat laetamen, cos\ detto <( quod facit
laetas segetes )>, però dubito che dalla stessa voce vengano il gen.
liamme, piem. liam, lomb. liatnm, quando si ha il celt. Ha, stalla.
Lig^gla, it. greppo, balza, e non frana o ripa, come reca TOlivieri;
etim. oscura: nel lat. med. di covasi lignadum, lignaricia, lo « jus li-
gnum excidendi in nemoribus » (Ducange). Distrutto il bosco, come
avvenne nella massima parte dei monti liguri, sarebbe rimasto il nome
del luogo.
Iiippa, noto giuoco fanciullesco, v. quasi esclusivamente gen.;
Tetim. sarebbe direttamente dalF ingl. to leap, balzare, saltare, tanto più
che gU Inglesi hanno un giuoco consimile, chiamato leap^frog, però
è certo che il giuoco della lippa esisteva tra i Liguri prima assai che
essi avessero relazione con gli Inglesi : conviene adunque ricorrere alla
fonte comune, e trovar Tetim. di lippa nelFant. sassone hlaepan, saltare.
Iiisu, detto di pane mal lievitato, e anche di vesti quasi logore ;
etim. lat. elidere, elisus, che però se conviene al secondo dei suddetti
significati, male s'addice al primo, per cui potrebbesi ricorrere a la^sum,
oifeso.
Lobbia, it. arcuccio su la cuna dei bambini, e tenda di poppa in
piccola barca; etim. lat. med. laubia, venuto dall'aat. lauba, laubja,
da cui pure deriva it. loggia.
lK>ooi&, it. tentennare, agitare, scuotere^ onde Barloooià e Lam-
broooi&, agitare un liquido entro un vaso: id. a piem. locè, fr. ant.
13
— 194 —
lochier, mod. locher (nel ling. dello Hainaut: harlocher)-, etim. comune
germ. luche, scosso, tentennante.
iMùtta,, it. loffa, vento che esce di dietro senza remore; le etim.
proposte dal Caix e da Zambaldi non paiono accettabili: questa v.
viene prob. dal germ. lauf, corso, lauffen, scorrere, scolare, lasciar
cadere.
IifiiTST^^ i^- frottola, bugìa; etim. germ. lug, frode, bugìa: il lat.
ha alogia ma nel senso di sciocchezza, sproposito.
Iifighòn, it. lucherino, uccelletto di penne verdi e gialle; etim., %
secondo Zambaldi, da lat. ligurinus, perchè, dice egli, i lucherini ab- *
bendavano nei monti liguri, mentre che non vi abbondano più d^altre
specie, e non vi si trovano che di passaggio; è verisimile Fetim. dal celt.
lugeìfii, brillare.
Lfigglu, it. peluia delle castagne, tramezzo degli spicchi di
noce, ecc.; etim. oscura, forse da gr. lòpos, guscio.
Iiuisa, erba, è quella che i Toscani chiamano erba cedrina, ma
cui fu conservato dai Genovesi il nome originale aloysia cUriodora,
venutole dalla dedica fattane da chi la portò dal Chili a Maria Luisa
regina di Spagna.
Iitlroiii, it. losco, strambo, aflT. a prov. lusc, fr. louche, prove-
nienti da lat. luscus; ma si può ammettere che il gen. lùrciu, come
il prov. (di Toulouse) lugre, siano derivati da lusctis ? V Azai's inclina
a crederlo, però lice di dubitare che Tetim. di lùrciu sia nordica o germ.
Cfr. svedese lura, sassone lerz.
Iifiu, it. ululato, aif. a I1611, urlo, onde Lftà, ululare, urlare,
Allu&, stordire con urli grida, Alinoli, stordito: aff. a fr. ant.
alourder; etim. lat. ululare, da ulula, gufo.
LavesTU, it. cupo, tetro, detto specialmente di bosco, aff. al prov.
ubagous, lubac, il dorso della montagna esposto a tramontana; etim.
r Azaì's da lat. opacus, ma è poco verisimile ; il Celesia *■ dice che le
foreste di Dolceacqua, di Abeglio, e di Pigna, chiamansi ancora ubago,
per la cui etim. fa ipotesi inammissibili : la voce parrebbe basca.
Kaoaja, nel linguaggio comune gen. significa: aria umida che
ammollisce, illanguidisce. La Crusca registrò, come marinaresca, la v.
maccheì^, definendola : « calma di mare spianato e smaccatissimo
quando il cielo è nuvoloso ». La Crusca copiò il Redi, che a sua volta
copiò il cap. Pantera, ^ solo aggiungendo la parola « smaccatissimo ».
su la quale il Guglielmotti ricamò poi Tetim. di maccheria, facendola
venire da macca, a macco, « calmena sino alla nausea ». Farmi invece
prob. che la voce pretta gen. macera, venga dal gr. malak, maUMa,
mollezza, languore, come ne venne il lat. mcUacia, col significato così
di calma di mare, come di mollezza e languore, « non est tranquillitas,
malacia est », scrisse Seneca. Se marinari italiani, oltre a quelli geno-
vesi, usarono la v. maccheria, col solo significato di bonaccia, come
* Op. cit., pag. 58.
* L'Armata navale già citata.
consta dal Pantera, la restrizione ni spiega focilmente, riflettendo che
il tompo umido implica assenza di vento, quindi calma di mare. Da
macaia venne la y. gen. maccu, significante: denso, spesso, detto di
ÌDchiostro tinta non scorrevole.
Madnnava, it. avola, nonna; v. composta di madonna e di ava,
che si conservò come quella di messiamt, messer avo, nella sua form»
medioevale. Nel contado, l'avo è chiamata messe, meus senex, mio
lEag;aj^a, it. magag-na, che vai difetto, guasto: in gea. ne viene il
vb. Kagr&gnftBe che vale ammalarci, e specialmente infreddarsi; il
piem, non ha questa v., il lomb. contad. ha maga, per difetto, i! com.
■magagnàa, per guasto, bacato, i! prov. magagna, maganhar, con gli
stessi signif. del gen., il fr. ant. aveva mahaignier, mahaigne (più altre
forme) nel senso di maltrattare, mutilare. I glottologi dicono ignota
l'etim. di magagna, salvo Die?, che congottiira un composto gcrm.
troppo lontano; il Monti invece cita il celt. mac'hanna; il Tramater
puro il cclt. mahaigna, con lo stesso signif. del fr. ant., più il celt.
mahaign, malelieio: verisimile assai l'etim. celt. vista anche la con-
ce rdnnza del geu. e del comasco.
Uagnàra -a, it. bravaccio ; etim. oscura : nel lat. med. magnerius
era un famiglio che aveva naturalmente te abitudini del suo tempo.
Uu monte ia Liguria è chiamato Magnerri.
Ka^nln, it. coniHacaldaie ; etim. lat. med. magninus, con eguale
significato.
Xagmn, it. marangone, oggi palombaro (da ìat, palumbarius,
sparviero che db la caccia ai palombi); etim. lat mergum, uccello che
sì tuffa per prendere i pesci.
Magm^T il^- accoramento, crepacuore, onde AmagnnAse, acco-
rarsi, comune a piem. e lorab., il guascone ha magoulent per soffe-
rente; etim. cclt jvmagan, con lo stesso aignitlcato. Cfr. aat mago,
mod. magen, stomaco.
Blanamui, Amanaman, v. che in gen. indicano un pericolo te-
muto; il piem. ha maraman, manaman, mariman, or col signif. di:
risico, or con quello di: a poco a poco, a mano a mano; il lomb. ha
munoman, manaman con quest'ultimo significato, più quello di : quasi;
per le v. gen. e piem. nel primo senso l'etim. è oacurissima. Cfr. arabo
aman, sicurezza, ripetuto, celt. mar, diHlcoltà, sanscrito mariman,
morte.
HuiAlIln, it. fazzoletto. Questa v. gen. ha, come molte altro, una
storia: in origine, fu il lat. montile, manliUum, tovagliolo (senso con-
servato nel piem. mantil), i Greci di Costanticopuli ne fecero matUi-
iion, con lo stesso ijignif., gli Arabi sopravvenuti la mutarono in mindU,
fazzoletto, i Genovesi, infine, in tnandillu. Ma potrebbe anche essere,
e forse è più verisimile, che i Genovesi, conservatori delle voci latine,
avessero tradotto ab antico il mantUium nel loro mandiUu, alteran-
done alquanto il senso, e che poi essi portato abbiano ai Greci bizan-
— 196 —
tini la merce così denominata, merce della quale erano i principali
fabbricanti in Italia.
Kandraooin, it. màndracchio, v. m. che dinota una piccola parte
e la più riparata d'un porto; etim. da gr. mdndra, recinto, stalla per
bestiame. A spiegare però il senso nautico di màndracchio, giovi sog-
giungere che mandra viene dal caldaico medar o mudar, significante
abitacolo, recinto in genere.
Kanteoatn, it. sorbetto di pasta finissima; da sp. manteca, burro,
pomata.
KaOttia e nel linguaggio civile Marottia, it malattia, onde Ka-
rottn, malato; Tetim. non potrebbe essere, come quella proposta per Tit.
malatOy da lat. m^le aptus, Vo aperto della v. gen. oppone una difficoltà
insormontabile. Anche il dialetto di Como ha marò per malato, e quel
di Corsica marodi; però quest'ultimo può averlo avuto dal gen. Per lo
sp. malroto, dissipato, Diez aveva proposto Tetim. di male ruptus,
rovinato, che, con qualche sforzo, sarebbe forse applicabile al marottu,
marò. Ma Tosservazione di Littré (v. Maraud) che il comasco ed il
còrso hanno marò e marodi (e poteva aggiungere il gen. marottu,
se Tavesse conosciutole che nel fr. ani maraud significava: un po-
vero diavolo, induce a considerare la possibile affinità di coteste voci.
L'etim. del fr. maraud, onde maraude (« aller à la») è ignota; il gen.
aveva esso pure, da tempo antico, marraggia (andd a), saccheggio;
sarebbevi in queste voci la rad. mxir, distruggere? Tuttavia cotesta
rad. non converrebbe al marottu. * Quanto a mariolu, camiciuola, di
cui si parla in seguito, se si può, come sembrerebbe, accostare a ma-
raud, indicherebbe Tunica copertura del busto d'un pover uomo.
Kappa, in lat. significava tovagliolo, onde l' it. mappa, carta to-
pografica; V. di etim. ignota; in gen. poi non significa che bandella,
noto arnese di ferro per le imposte, onde Kappetta, feìtnaglio; in
questo senso ha pur mapa il piem., ma poco usata. Quintiliano dice
che mappa venne al lat. dal fenicio.
Maren, it. marinaro, id. a fr. marin. In gen. è maren chiunque
eserciti la professione marinaresca, anche l'ammiraglio; è maina il
marinaro semplice, non graduato; etim. lat. 7narinus.
Kariolu, vale in gen. camiciuola di lana o cotone. Come mai potè
assumere questo significato una voce che in it. manuolo, in fr. mor^
raud, in sp. marrullero, indica un truff'atore, un imbroglione? La
probabile spiegazione si troverà nella v. Maòttia.
Karsoin-a, abito da società e da ballo : piem. e lomb. m^trsinna;
etim. ignota: il Monti dal germ. mannshleid, abito da uomo, che non
conviene.
* Leggesi nei Monumenti storici rivelati dalVanalisi delle,parole, deirU-
lustre Pietro Marzolo, che « il tedesco marode è il risultato della forma
della parola maraudy fr., e del significato della parola malade, pure fr. Si usa
nel linguaggio militare austriaco nel senso di: ammalato. {Nota posta du-
rante la stampa).
"^«
— 197 —
Maranslnl, chiamano i Genovesi certi dolci che i cialdonai ven-
dono ai ragazzi; etim. da marrone, castagna grossa, essendo probabile
che, anticamente, cotesti dolci non fossero che castagne unte di miele.
Masoa, it. gota, guancia, onde Mascà, schiaffo; etim. prob. lat.
mascilla; trovasi spesso usato nel fr. ant. masselle e maiselle per
gota, e anche il dim. maisseletes, gen. maschette:
De lis, de rosea qir ils mellerent,
Les maisseletes coalourerent
(Roman d'Athis).
MascarBun, it. mascalzone, che vale: masnadiere, cialtrone ed
anche semplicemente uom cattivo : quest'ultimo è il solo signif. della
V. gen. comunissima; id. a piem. mascarson, mentre che il lomb. ma-
scarpon vale uom deforme. Etim. Zambaldi da mascalcia, con cui nulla
ha da fare; probabilmente vien da lat. m^scafyio, onis, che da in-
giuria particolare e di sconcio significato passò ad ingiuria di senso
generico. Altre voci lombarde giustificano tale etim.
Mascezà, it. stazzonare, « mascezàse un-a cosa », fig. godersela;
etim. oscura, forse dalPebr. masciasc, palpare.
Massacan, it. mtiratore, v. esclusivamente gen. : però anche il
siciliano ha mazzacani per sasso, ciottolo, e m^azzacanata, per suolo
assodato con ciottoli e ghiaia, e il prov. ha m^assacan, col significato
di rottami di pietre; etim. prob. l'arabo mascan (i) il quale risponde
perfettamente alPit. abituro^ e, in senso piii generale, a luogo di ri-
poso. Ma come venne ai Genovesi? Certo essi avevano case prima di
entrare in relazione con gli Arabi, e gli operai che le fabbricavano do-
vevano avere un nome particolare; pure, massacan non ha sinonimo
in gen. : nessuna traccia del lat. structor o d'altra voce derivante da
murus. Avrebbe mascan radice fenicia? In questo caso il vocabolo
sarebbe stato tolto dai Liguri ai Cartaginesi, dai quali avrebbero im-
parato l'arte del muratore, ciò che è molto probabile, considerando il
tempo in cui Liguri e Cartaginesi si trovarono insieme, e la diversa
civiltà loro. 2 E forse la stessa origine potrebbe avere il fr. m^igon, la
etim. del quale è oscurissima.
MasBamuru, tritumi, Hmusugli di biscotto, quasi sempre guasto,
raccolto dal fondo dei depositi sulle navi: v. comune, con lievi diffe-
renze, a tutte le marine del Mediterraneo; etim. basco mazamorra
di cui Larramendi dice essere stato il pasto che davasi ai galeotti,
denominato così da az-amorra, significante: erba rabbiosa, poiché
mangiar potevano il mazzamuro solamente que' galeotti i quali arrab-
biavano p^r la famet
* Amari, Archivio storico italiano^ tomo IV, pag. 71.
* In una delle iscrizioni gerogUflche del tempio di Medinet-Habù sono
mentovati, tra i popoli vinti dal Faraone, i Mushahen, popoli della Libia o
Numidi. Veggansi Les études sur Vantiquité historique, d*après les sources
égyptiennes, di F. Chabas, Paris, 1813.
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KasBoin, it. maschio; qui parrebbe evidente Tetim. da lat. ma-
sculus, ma come spiegare il suono esplosivo in questa voce, unica tra
le parecchie venute dal latino con lo se davanti alle vocali, p. es. co-
scuSj le quali voci il gen. pronunzia correttamente ? Come non pensare
al germ. mensch? (V. la v. Sccettu).
KaBBnoon, it. corizza, infreddatura di testa; etim. ignota, mal
prestandosi lat. succus. Il com. ha mazùca per testa.
MaBtrùBBft, it. imbrogliare, confondere, e anche brancicare^
onde MaBtrftBSu, imbroglio, e BEastr&BBiin, imbroglione, affi a piem.
mastrojè, mastrogn; etim. prob. lat. e sconcia.
BEataflan, it. mataffioìie, v. m.: funicella a treccia principalmente
a uso di fare i terzaruoli; etim. oscura: Guglielmotti da fune matta {l)
forse viene da lat. m^ta, stuoia intrecciata di grosso canape, giunco o
palma, che serviva per giaciglio, e, assottigliata, anche per vela delle
antiche barche, e filum (gen. fiun) per avvolgerla o scemarne la su-
perficie.
Màama, vale in gen.: fatto straordinario compiuto a caso; etim.
oscura, forse da Mahom, Maometto; il fr. ant. aveva Mahomerìe
Makomie, per significare tutto ciò che si apparteneva air islamismo.
BKazens^, in gen. vale uomo attempato, vicino alla vecchiaia ; etim.
oscura, forse per sim. dal germ. mahzeit, tempo della mietitura, della
falciatura.
Melzau, specie di mantiglia di tela forte di cotone o di lino a
fondo bianco, stampato a rami giallognoli, foglie verdi e fiori rossi che
portavano le popolane e le contadine genovesi (oggidì ne è scemato
Tuso) la quale copre il capo, le spalle e la vita, e le cui falde passano
sulla piegatura delle braccia, e riunite pendono sul davanti fin sulle
ginocchia; etim. da ar. mizar, velo, mantello. Questa voce entrò nel
livornese per mezzo del gen. poi anche nel fiorentino, con la forma
misere, sotto cui la registra il Fanfani, ma al di d'oggi non indica
più che un semplice velo portato in testa.
Mela, e nel parlar^civile Merella, it. fragola, v. esci. gen. afi^. al
b. bres. che ha mutole, tratta dal Rosa dal germ. mai, maggio, il quale
poco conviene al m^ole, e meno al melu. Sarebbevi il gr. mélon, ma
il senso che ha di frutto in generale, può estendersi sino alla fragola?
È poi possibile che i Liguri abbiano atteso i Greci per denominare
quel frutto che cresceva spontaneo sui loro monti? E come i Greci
non gli avrebbero dato Ib stesso nome che essi davano aUa fragola,
cioè chomaron?
Men-a, it. mena, nel senso di qualità, condiiione, stat(^; v. poco
usata nel tose, in cui però è antichissima come nel gen. che continua
ad usarla: non T hanno piem. e lomb. né le altre lingue neo-latine;
etim. non da lat. minare che ha tutt'altro signif. ma dal celt. meni,
mine, specie, sorta.
Messela, it. mescolare, che si trae da lat. miscere per mezzo di
un immaginario ynisculare ; etim. del gen. è il sass. miscetn^ germ.
— 199 —
mischen. Da lat. miacere viene invece il vb. gen. mescid^ muovere.
(V. la V. Sccettu).
Mloellà, it. buffetto; etim. lat. micare che fig. vale: giuocar con
le dita, « micare trìbus digitis ».
Mlg^agnettn, it. amorino; è il reseda odoroso venuto a Genova
dalla Francia col suo nome di mignonnette.
MUia, dicono i Genovesi volendo dir : ottimo ; etim. prob. ar. bis-
millah, che vale: benissimo.
Minna, dim. Minin, nome vezzeggiativo del gatto; etim. prob.
germ. e celt. min^ amore.
MinoUn, significa in it. colui che somministra e porta la zavorra
alle navi ; etim. incerta, la più prob. è gr. mna, lat. mina, antica unità
di peso, ancora usata in Liguria, min-a; ma potrebbe eziandio venire
da m,einn, cava e altre simili voci celtiche, il minollu estraendo i ma-
teriali per la zavorra dalle cave di pietra.
fliiscin, vale in gen. : senza danari, v. esci. gen. ; etim. oscura, il
lat. misellus male prestandosi. Cfr. ebr. misched.
Mobba, significa in gen. combriccola e per est. trama, inganno :
è V. id. airingl. mob. significante folla, popolaccio, canaglia; etim. ignota
in ambedue gli idiomi, non potendo venir da lat. mobilis, come dice
qualche filologo inglese; forse è voce semitica.
Moò (o stretto, ma non mué, e cosi Poò, e non puè\ it. madre,
piem. mare, lomb. m>ader, prov. mxiire, fr. m>ère, tutti dal sanscrito
matri, rad. m,a (fare, fabbricare): il gen. se ne scostò, dicendo moè,
come il persiano mxìdar, il sassone modor, il gotico e lo scandinavo
m^er, Toland. moeder, Tingi, mother. Lo stesso avvenne riguardo
al padre, che il gen. chiama poé, il sassone foeder, Altrd radici go-
tiche e sassoni sono nel gen., però ninna ha, per certo, V importanza di
queste due.
Moòln, e nel parlar civile Morella, it. tnorello, di color tendente
al nero, ma in gen. indica color pavonazzo, e giustamente, perchè in
lat. morulus significava anche livido « pugnis totam faciam ut sit mo-
rula » (Plauto). Del resto anche nel celt. mor è nero.
MoUà, it. mollare, ammesso dalla Crusca per: finare, restare,
allentare: v. del ling. comune gen., piem. e lomb. col significato di
allentare, rilassare, passata poi per mezzo del gen. nel ling. marin.
it. in cui vale: sciogliere, levar volta, disfare un nodo; etim. lat. mollis.
Cf. anche gr. malak.
Morbin, it. orgoglio, contegno altero? nella frase « leva u morbin
a un », cavare il ruzzo a uno, fargli abbassar l'orgoglio, aff. a lomb.
morbin, fr. morgue, di cui Littré dice ignota Tetim. Il com. ha morbin
nello stesso senso del gen. e il Monti lo trae dal celt mor, grande.
Motta, it. zolla, qualsivoglia polvere ammassata dalla umidità o
da forte pressione fatta in pezzi, onde Amottoa, ridotto in zolle, in
pezzi: id. a piem. mota, lomb. motta, prov. moto, fr. motte, fr. ant.
amatele; etim. celt. mota, monte.
— 200 —
Maocia, in gen. significa: i capelli delle donne raccolti come in
un mazzo sulla sommità del capo e tenuti insieme con vari mezzi, che
i Toscani chiaman mazzocchio. Il piem. e il lomb. hanno mucc, nel
senso di mucchio; il gen. chiama mùggiu il mucchio, e mucciu il
mazzocchio, tutti dal celt. muc, moch, mucchio.
Macon (da Iftmiiie), it. smoccolatura, onde Amaooà, smocco-
lare, Maooalftimiie, smoccolatoio, e fig. Amaooà, azzittirsi per ti-
more, e muccu, zitto, confuso; etim. basco mochar, desmochar, tron-
care, mutilare, e desmocho, la cosa troncata. Il lat. m,ucus^ etim.
corrente per it. moccolo, smoccolare, non indicherebbe Fazione del
troncamento del moccolo.
Mùihia, it. manicotto per signora; etim. lat. med. muffla, muf-
folae, « chirothecae pellitae et hibemae » (Ducange), fr. ant. moufle,
germ. ed ing. muffy manicotto.
Mag^g^n&, borbottio, e Mas^gnnn, brontolone : il com. ha mogndy
parlar sottovoce, borbottare, mignolar, brontolare; il Monti cita il lat.
mussitare che non si presta; il celt. ha m^vha, borbottare, e mugach,
parlar nel naso, il lat. med. mugulare. In sostanza però il mu è voce
imitativa del parlar piano : « ww facere », « nec mu facere » dicevano
i Latini.
Man, it. mattone, id. a piem. moun; etim. le due v. gall.-it. non
possono venire, come l'italiana, dal germ. matte, proposto da Diez:
prob. vengono da lat. mactum, duro, compatto.
Mara, it. mxyra, noto giuoco che si fa con le dita di una mano:
in nessuna parte d'Italia è comune come in Liguria; poco usato in
Francia dov] è chiamato mourre, e in Ispagna in cui vien detto morra
calva: prov. mourro, piem. e lomb. mora. Etim. : Menage da lat. wit-
catura, micare digitis; Littré trova che morra (tal credeva che fosse
il nome it. del giuoco) è troppo lontana da micatura ; se egli avesse
conosciuto il nome genovese forse avrebbe modificato il suo giudizio.
Vuoisi però considerare anche il celt. meur, dito.
Mnrn, it. muso, che taluni glottologi derivano da lat. m,orsus,
propriamente la bocca, poi la parte anteriore della testa dei mammiferi
e per disprezzo il volto umano : se così fosse, Tetim. converrebbe anche
al gen. muru, ma è inverisimile per Tuna e per Taltra forma. Il piem.
ha mouro, il fr. ant. aveva mor, mxmrre, per muso, con altri signi-
ficati, lo sp. ha mxìrra per cranio, il catalano morrOy il prov. marre e
m^ourre per muso ed anche per cima di monte rotonda, V ingl. mwr per
muso : tutte voci che Diez 1;rae dal basco murua, eminenza, mucchio.
Mnsoardin, it. zerbinotto; etim. fr. muscadin, petit-maitre, cosi
detto dall'odor di muschio. Muscardin in gen. è anche il polpo mu-
schiato.
Mnsclamme, it. mosciame, filetto di tonno salato e tenuto in
soppressa; etim. ar. mosammed, cosa dura, e più prob. per la pronunzia
gen. mescmun, che manda odore. Prodotto e nome diflPusi dai Geno-
vesi.
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MuBcia, it. ben pasciuto, benestante, onde Musetto, agiatezza,
MuBcezft, grandeggiare ; etim. oscura: forse da lat. muceo, contrarre
la muffa, mucidìÀS, muffato, nel senso fig. di abbondanza, noncuranza;
senso che pure trovasi nelP it. muffa, detto per superbia, albagia.
MuBBa, it. mozzo, ragazzo di bastimento, v. m. comune a tutte
le marine del Mediterraneo ; etim. basco motza, che vuol dire pelato,
dall'avere i capelli corti. Dim. di motza, o mocho, è sp. muchacho,
gen. mucciacciu, sinonimo di mozzo.
Matta, it. spuntato, troncato, « gattu muttu », gatto senza coda;
il fr. ant. aveva mout con lo stesso senso: « chevre moutte qui n'a
pas de Comes », il piem ha tnouc, mout, per monco, il prov. m,out,
per mutilato. Etim. potrebbe essere da lat. mutilus, ma sembra più
verosimile quella dal germ. mutt, spuntato.
Na, per no, dicono i popolani e i contadini liguri, come altri ita-
liani (p. e. i Comaschi), è voce celtica, ma venuta a tutti dal sanscrito
na. La forza della tradizione è tale che, per affermare una negativa, i
Genovesi dicono: «ve diggo de nù e de nà», cioè: vi dico no in due
lingue, nelFantica e nella nuova.
Napla, it. nasone, v. comune al piem.; etim gr. napos, naso. Da
napos venne il soprannome di Napoleone (naso di leone), antichissimo
in Italia.
ITaBsa, it. nassa, cestella a rete per pescare, v. comune al piem.»
bresc. e com.; etim. Zambaldi da un composto gr. nau-7ndche, dimen-
ticando il lat. nassa, nacca, derivato forse dal celt. nas, laccio.
Natta, it. sughero, id. a piem. nata; nel lat. med. naita, altera-
zione del lat. matta, era una stuoia fatta di giunchi, a uso di giaciglio,
o coprir pavimenti, ecc. e con questo signif. dura nel fr. naite ; da matta
vennero it. materasso, a, fr. maielas, ecc., che i glottologi vogliono
trarre da una voce araba significante: copertura dei somari. Fu poi la
natta fabbricata di canne spaccate e intrecciate, appresso di scorze di
alberi, specialmente di sughero, e usata su le navi a fasciare interna-
mente i depositi del biscotto, delle vele e altri, ed anche la stiva, per
guarentirli dall'umidità. Pare che gen. e piem. abbiano dato al sughero
il nome della manifattura in cui l'adoperavano. Etim. di matta-natta,
forse ebraica, forse celtica.
Neg^a, it. cialda, onde JXegik, cialdonaio ; nel cont. gen. négia
significa nebbia, negiassu, nebbione ; etim. lat nebula, nebla, spiegata
per il primo significato da Ducange : « ea quae in ferramento caracte-
rato de conspersione farinae tenuissime fiunt et ab hominibus Romana e
linguae, Nebulae, a nostratibus appellantur Oblatae » (piem. ubid,
ubidì).
Netezft, it nettare; etim. lat. med. nectesare, fr. nettoyer.
Nlooi, nella frase: « tià i nicci », tirar piano i capelli per ischerzo;
v. aff. a fr.niche, nique, < faire la nique k quelqu'an » che Littré trae
da germ. nicken, far un segno con la testa; al gen. però converrebbe
meglio lo scand. nykke, malizia, cattiveria.
— 202 —
Ninna, it. fanciullo, y. vezzeggiativa, id. a sp. nino, fanciullo,
onde ninà, cullare, e fig. tentennare; etim. comune ebraico nin, figlio.
IfissA, it. ammaccare, cagionar contusioni con lividi, onde nissu,
contuso, livido, e per sim. detto del frutto troppo maturo, in toscano :
ammezzito; v. id. a piem. niss, lomb. nizz, comasco niz ; etim. Diez
da lat. mritis, tenero, molle, detto anche dei frutti, da cui forma un
miiius, formazione troppo forzata; e poi donde viene il vb. nissà? Vi
sarebbe il lat. nixus, Tatto delFappoggiarsi, lo sforzo, ma è difficile di
convertirlo in verbo: rimane il celt. nycha, languire, nych, languore,
onde il com. nisc, afato, malazzato.
Ofeftgg^in, it. alloro, I Genovesi danno questo nome anche alFagri-
foglio che è Tallero spinoso ; infatti òfeuggiu è composto da 6, con-
trazione, veramente genovese, di laurus (come où da aurum) e da
folium, foglia.
Orsa, it. orza. Parlo di questa v. m. per metter fine, se sarà pos-
sibile, agli almanacchi dei glottologi, cominciando da quello del Diez
che vuol connettere Yorza alTolandese lurts, sassone lurz, sinistro;
Yorza è bensì « la corda che si lega al capo delTantenna d'una nave »,
ma non « da mano sinistra >, come definì il Buti, e dietro lui la Crusca
e i lessici tutti. Cito Guglielmotti che quando parla da marinaro non
ha chi lo agguagli: « Orza è quel canapo che, attaccato come braccio
al carro delTantenna, serve per uso di tirare il detto carro, e con esso
l'antenna e la vela, dal lato di sopravvento. Il termine è antico, proprio
dei bastimenti latini, ricevuto anche dai quadri, e derivato da forza,
elisa la /*-, nelTafa affannosa dei marinai. » (Questa volta il valente
frate ha ragione anche come etimologo). E concludo col Falconi che
« orza è andare contro il vento che soffia ». Così che Forza può esser
legata a destra, o a sinistra, secondo il vento.
Osca, it. calettare, onde Osca, calettatura, v. dei legnaiuoli gen.
significante : unir pezzi di legno in modo che combacino perfettamente ;
etim. lat. osculari, baciare.
Paciugo, it. imbroglio, garbuglio, e anche imbratto, onde Pa-
ciugo, imbrogliare, ecc. e Paciùg^nn, imbroglione : v. aff. a piem.
paciochè, pacinch, lomb. paciugh, spaciugà; etim. oscura: nel gen.
chiamavansi paggixi, certi fantocci grossolani, empiti di paglia, raffi-
guranti uomini donne, che si appendevano come voti nelle chiese,
due dei quali sussistono ancora in quella di N. S. Coronata presso Ge-
nova, e son detti paciugu e paciuga. Ne parla il Cavalli in un sonetto
già citato. Data la forma paggìu, Tetim. del paciugu, paciugd sarebbe
da paggia, paglia. Zambaldi trae pacchiuco, impacciucare (forme dia-
lettali) da gr. pachys, grosso, e dal b. lat. pacho, porco ingrassato.
Paootigrsri&j id* ^ fr. pacotille, che Tebbe prob. dal gen. Piccola
quantità di merci che ciascun marinaro avea diritto di portar seco
senza pagare nolo ; etim. b. lat. paccus, derivato da una radice comune
al celt. ed al germ.
Pagrgrinà, it. puerpera; etim. lat. palea, paglia, v. id. a lat. med.
pajola, ed al tose, impagliata: donna, dice il Redi, che per aver par-
— 203 —
torito da poco tempo sta ancora nel letto. E si ricordi che « antiqui»
enim torus e stramentis erat » (Plinio, 8, 48).
Pai, it. pascere, per est. digerire, v. contad.; etim. lat. pascere,
venutagli dalla radice sanscrita pà, nutrire.
Panò, V. usata dai Genovesi per indicare onestamente il deretano, e
viene dal fr. panier, sottana (jupon) guarnita di balene che sosteneva
la veste delle donne nel secolo xviii.
Papò, it. carta, id. a piem. pape, lomb. palpèe, prov. pape, fr.
papier, sp. papel, e provenendo dal gr. papyros, lat. papyrus, è v. le-
gittima più deir it. carta, che nel lat. charta significava scrittura, do-
cumento, diploma.
Patatuocu, it. zoticone, balordo, id. a piem. patatoch, prov. pa-
tarrut, fr. pataud, sp. patan, tutti dinotanti persona con grandi piedi
(patta), malfatta, rozza.
Patetta (scarpe in), dicono i Genovesi quando le scarpe non son
tirate su di dietro, onde chi le porta cammina quasi zoppicando:
aff. allo sp. pateta, che vale zoppo; etim. prob. da pata, gen. patta,
piede zampa di animali.
Patrun, e non padrun (padrone), bene dicono gli operai ed i con-
tadini gen., poiché patrun è il lat. patronus, dal rapporto fra patroni
e clienti passato a significare signore, riguardo al servo.
Patta, it. zampa d'alcuni animali, id. a fr. patte, sp. pata, che
Littré trae da una rad.jpa^, la quale trovasi nel germ.pa^ò^c/i^n^ zampa,
e che poteva trarre addirittura dal celt. pat, mano. Patta, in gen., vale
anche: colpo dato in terra cascando, « picca na (una) patta », modo
comunissimo, e si capisce che vien pure da patta, mano, poiché chi
cslde protende le mani (dette scherzosamente patte in gen. e in fr.) per
riparare il capo. Questo prova (sia detto in passando) che il gen. non
ebbe patta dal fr. e dallo sp., ma direttamente dalla fonte comune.
Pattò, it. mercante di panni; etim. da fr. ant. pattier, che era il
nome del mercante di cenci per far carta.
Peoclàse, it. bazzicarsi^ bisticciarsi, v. afi^. a it. pecchia» ape;
etim. lat. apicula, apecula.
Pelandrnn, it. scioperone, vagabondo, onde Pelandrnnà, vagar
bondare, id. a piem plandron e plandronè, aff. a prov pelhandro, pe-
lliandron, cencio, persona cenciosa; etim. oscura: TAzaìs da prov. peif/io,
cencio, e questo da ìiitpellem, ma non conviene alla forma né al senso
della parola gen., piem. e dello stesso prov. Peland)'un forse viene da
lat. pellere, scacciare, e da gr.-lat. andron, la parte della casa riser-
vata agli uomini, significando cosi : cacciato di casa.
Pelaoou, ìt peluzzo, ma in gen. significa propriamente: pezzet-
tino di sfilaccico, di penero: ne viene vb. Pelucà, it. pilticcaì'e ; id. h
piem. plucCy prov. peloc, peloco; il fr. ant. aveva peluc « ce qui reste
du blé après quMl a été vanne », e pelukier, per becquéter, picoter.
Etim. lat. pilus.
Pessigru, it. mordicamento, pizzicore, ed ^nche la puntura delle
api, vespe, ecc , onde Pe««lgft, punzecchiare ; il ]^iem. pessiè, pession,
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lomb. pizzigd^ e prov. pessigà, pessuc^ evidentemente affini alla v. gcn.,
significano però pizzicottare e pizzicotto ; ma delPetim. si rìparleiii alk
V. Spelinsigd.
Pessottu, velo bianco leggerissimo che le donne liguri portavano,
e alcune portano ancora, sul capo, e che scendeva loro sulle spalle, e
davanti sino al ginocchio; etim. prob. celt. pess, pezzo. Però la v. ri-
mane oscura riguardo al nome. Certo il pessoUu è un pezzo di mus-
.solina, ma, per quanto piccolo, non è un pezzetto ; e poi, per indicare
un pezzo di checchessia di mezzana grandezza, non dicesi in gen.pes-
sottUy come non dicesi in it. pezzotto. Probabilmente, cotesto nome si
riferisce al tempo in cui nel gen. eravi una voce simile alla piccarda
ptioty borgognona petiò^ vive ancora nel piem. pciot^ piccoletto, per in-
dicare il più piccolo dei veli femminili. Del resto il pessottu^ nella formi
che conservò fino al dì d'oggi, fu adottato dalle Genovesi nel 1407, anno
in cui S. Vincenzo Ferreri, predicando in Genova, esortava le donne a
seguire il precetto dell'Apostolo, andando sempre alla chiesa col velo
sul capo. '
Fessa, it. pezzo, parte di cosa solida; in gen. vale inoltre nietUe,
nessuno : « hai soldi? » il gen. risponde: « nu glie n'ho pessu ». Etim.
oscura in tutte le lingue. Diez dal gr. peza, piede, il quale anche col
significato d'estremità, di orlo, non si presta al significato del pezzo;
e poi, come delFetim. greca di una voce come pezzo, non sarebbevi
traccia nel latino? Ciò non ostante a Zambaldi sembra probabile che
dal peza sieno venute le voci del lat. med. petia, petium, le quali in-
vece appaiono latinizzazioni barbare di parole volgari. È credibile, in
conclusione, che V it. pezzo, fr. pièce, sp. pedazo, pieza, voci affatto
estranee al latino, vivessero in tutto l'Impero romano, mentre che il
latino stesso diceva ft^ustum, rimasto solo nel toscano elegante; hanno
dunque origine antica: furono proposte le voci semitiche jpesaTi/i, spez-
zare, pissah, particella ; le celtiche pess, pez, pios, pezzo ; per il gen.
è certamente più verosimile la celt. pess.
Pestùmma, in gen. è propriamente v. vezzeggiativa, con cui le
madri chiamano l'ultimo loro bambino, e corrisponde al lat. postumus,
ultimo; per est. è pure à^iìo pestùmmu, un pocolino, un briciolo di
checchessia.
Peteléa, femmina vile e ciarliera: non è prop. Tit. pettegola^ che
Zambaldi trae da lat. petere, e direttamente da una forma supposta
peticulus ; ha qualche analogia col prov. petego, petelego ; non impro-
babile l'etim. germ. bettelei, mendicare.
Pevò, \t. cipolla, ventriglio dei polli, \à.9i ^\em.prè,\omb.perdée,
prov. périer, tutti da lat. petra, eccetto il gen., la cui forma si riferi-
rebbe a peivie, pepe.
Plcagrgria, it. nastro di tela, onde Pioagretta, asciugamano, così
detta perchè guarnita di un anello fatto col detto nastro, che serve ad
* Semeiua, Storia ecclesiastica di Oeìwoa, Torino, 1838.
V
N
— 205 —
appenderla; etim. oscura: forse, come quella delPit. appiccare (attac-
care, appendere), dal celt. pie, punta.
PiooBsa, it. scure, id. a prov. pigassOy picosso, che, in origine,
oltre al ferro tagliente da una parte, dovevano avere dall'altra una
punta; infatti Tetim. loro è la stessa sovra citata, celt. pie, punta.
Pilla, nella frase: « fa pillu » che vale: far nulla, non riuscire in
qualche impresa; il prov. ha faire pilJio, far presa, il fr. faire pille,
termine di giuoco; etim. comune lat.pi7are, pigliare, rubare. Il gen. fd
pillu potrebbe essere alterazione del senso delle dette due frasi, ma è
più prob. venga dal lat. pilus, pelo, che trasl. dicevasi dai Latini per
cosa di niun momento; « ego ne pilo quidem minus te amabo », scrisse
Cicerone.
Fissa, it. punta, l'estremità di cosa acuta, onde Fissa, angolo
dei panni, fazzoletti, ecc., e Fissetta, merletto d' invenzione genovese
così chiamato perchè terminato per ogni verso con pizzi o punte: id.
a ìomb. pizz, piz; etim. germ spitze, punta.
Pitft, it. beccare, il pigliare il cibo col becco che fanno gli uc-
celli e i polli, onde Pitta, cibo in genere, Fitette, macchiettine,
butteri sul viso: id. a prov. pità, dalFagenais pit, colpo di becco;
etim. celt. pid, punta, o peth, poco.
Pivetta, it. ragazzo, id. a lomb pivell, romanesco pivetto, ve-
nuto forse da prov. pivello, brocca, germoglio degli alberi; etim. oscura,
lat. pueUus, putillus, mal si prestano.
Poe, li. padre. V. Moè.
Prò, chiamano i contadini i prati sui monti « prè rabite », hanno
però, come i cittadini, la v. pròu per indicare un prato qualunque. Uno
dei sestieri di Genova ha nome Prè, e l'assurda leggenda che venisse
à9i prede (perchè in quei luoghi, anticamente fuori della città, i Ge-
novesi dividessero le prede) fu sbugiardata già dallo Spotorno. * Il fr.
ant. aveva prèe per prateria, il mod. ha prè per prato, che Littré, non
avendo di meglio, trae da lat. pratum, ma non è ammissibile. Da
prcUum viene sicuramente il gen. pròu, però è chiaro che prima di
imitare quella forma lat. i Genovesi dicevano prèy come ancor dicono
i contadini; anzi, secondo Tuso, Tantica pronunzia si fa sentire nel
pi. di pròu che è proèi. Onde il prè ? I Provenzali dicono prè la parte
che ciascuno ha diritto di prendere in una cosa : « ai près moun prè »,
ho presa la mia parte; forse il prè indicava prati divisi in parecchie
porzioni.
Prebag^g^ion, minestra con molti erbaggi, che si fanno bollire
avanti del riso o pasta; etim. lat. prae^ e bullio, bollire, con forma-
zione id. a quella del fr. bouillon. Buglione usò il Giusti per mistura
di cose.
* Art. Genova Gavoro pregevolissimo e poco noto di quel dotto uomo)
nel Dizionario geografico^torico-statistico degli Stati del re di Sardegna, di
G. CASA.US, Torino, 1840.
— 206 —
Presolnseua, it. IcUte rappreso, acidulo. Diez avendo tratto pro-
sciutto da un per^eoosucCìis, il Parodi vorrebbe trarne anche prescin-
sena; però, presso i Romani, come presso i Greci, il prosciutto aveva
il suo nome che era: petasOy onis, onde non occorreva ricercar nel lat.
Tetim. del nome toscano, che si spiega da sé. Genovesi, Piemontesi e
Lombardi dicono xambon, giambon, come i Francesi, da gamba, gam-
bona. Quanto a prescinseua, perchè non vedervi la frase lat. : < jy^essa
in sola» la quale indica il modo di formazione di questo latticinio?
Pùa, it. polveì-io, polvere; il gen. ha pure la v. puvie, ma è mo-
derna, indicando solo la polvere pirica e qualche altra particolare, come
quelle di corallo, di marmo, ecc. La stessa distinzione che è tra il fr.
poussière e poudre. L' it. ha pula che nel signif. corrisponde ai lat.
apluda, loppa, guscio del grano rimasto in terra nel batterlo, o, come
altri vuole, al lat. stipula, paglia» ma che se ne scosta per la forma.
Che dire del gen. pùa che se ne allontana per la forma e più per il
significato ?
Paia, it. paura, fr. peur, che i glottologi traggono da lat. pavoreni :
questa però era v. del lat. nobile, quasi poetica; nel linguaggio co-
mune, per dir paura, dicevasi metus, rimasto nello sp. miedo. E poi
si sa che tutti i nomi latini finiti in or come amor, color, dolor, ecc.
danno ore in italiano; perchè mai pavor avrebbe fatta eccezione?
E perchè sarebbe passato dal genere maschile al femminile, altra ec-
cezione strana nell* italiano? Lasciando che a cotesto domande risponda
chi può, per me dico che almeno il gen. puia non può venire dal lat-
pavor.
Quinta Oainta, it. fretta, premura, v. contad. id. al fr. ant
cuinte, coite, vb. coitier {se), correre, affrettare; etim. oscura, forse ha
relazione col vb. sp. quintar, di cui la v. seg., forse si riferisce per
associazione d^ idee al « quintum milliare », una delle pietre indicanti
le miglia percorse.
Quintft, it. correr 7*ischio, pericolare, v. popol. e contad.; etim. sp.
quintar, che significa: estrarre a sorte di cinque uno e, in generale,
estrarrc a sorte coloro che devono andar soldati.
Raooa, sinonimo in gen. di niente : « nu ghò racca », non vi è
nulla; aff. a prov. racalho, fr. racaille, feccia del popolo, marmaglia,
voci indicanti pure ogni cosa senza valore, per le quali Littré e PAzalis
propongono Tetim. dal siro-caldaico raca (che trovasi nel Vangelo di
S. Matteo) col significato di sciocco, imbecille; ma è possibile una
etim. simile, tanto più che il senso della parola ebraica, adottata tal
quale dal genovese, sarebbe assai gravemente alterato? Il gr. ha rakos,
abito lacero, cencio, il lat. ha recula, coserella, robicciuola, V ingl. rag,
straccio, che Johnson trae da un vb. sassone significante lacerare;
è prob. che dall'una o dall'altra di queste voci derivino la gen. racca^
e le prov. e fr. su riferite.
Raooola, it. bagattella, inezia, v. comune al piem.; etim. id. a
quella di racca.
— 207 —
RafatagTflrl? ^^- rimasugli di cose senza valore, id. a prov. i^afa^
talho; etim. oscura, forse lat. refracta^ cose rotte, spezzate, forse germ.
raffeìi, portar via.
Raixu, it. furbo^avaro\ etim. prob. dalFar. rd «5, capo, capitano
di nave barbaresca.
Ramadan, it. frastuono^ baccano^ y. esci. gen. salvo il prov. che
ha pure ramadan^ ma lo dice soltanto del romore che fanno i gatti
in amore; etim. dall'ar. ramhdan, che vien da rhamana^ avere mise-
ricordia. Ramadan chiamano i Musulmani il nono mese del loro anno,
in cui sono obbligati, durante il giorno, a un digiuno rigorosissimo;
allorché un colpo di cannone annunzia il tramonto del sole, si leva
un grido generale di contentezza tra i cittadini, perocché, allora pos-
sono mangiare e fumare, e alla quiete succede un frastuono, cui fa
dai Genovesi dato il nome del ramadan, che ne è la cagione. Anche
il piem. ed il com. han rabadan, con lo stesso signif che il Monti trae
dal celt. rabalacK romore; ma è manifesta importazione, lievemente
alterata, dal genovese.
Bandezà, it. randeggiare, v. m., id. a dantesca a randa, che vale:
rasentare la costa, onde Randa, nota vela aurica; etim. germ. rand^
margine.
Ranghi, it. zoppo, onde Rang^hezft, zopfpicare, id. a it. famigliare
ranco, rancheggiare, a prov. rane, ranquejà, sp. rencOy ranquear;
etim. germ. rank, contorcimento.
Rang^elu, it. raspollo, grappolìno rimasto dopo la vendemmia,
V. contad., in prov. rapugoun, rapugueto; etim. oscura: il Parodi, dal
germ. rank, di cui sopra, però il nome non conviene alla cosa ; il lat.
racemus è precisamente il gen. ranguelu^ ma etimologicamente si
presta male.
Rang^ognà, it. brontolare, talora col signif. di rampognare, onde
Rang^g^a, brontolio, Rangrognon, brontolone : il b. bres. ha rogna,
brontolare, il prov. rangrougnou, brontolone, e rancura (se), ran-
curar, dolersi, inquietarsi, brontolare; etim. comune prob. lat. rancor,
rancore.
Rappa, it. grinza, ruga, onde Arapft, aggrinzare, v. esci, gen.,
salvo che il bresciano ha rapai per grinzoso ; etim. prob. per sim. da
gr. rapis, verga.
Rappa, it. grappo, dim. grappolo, id. a piem. i-apa, fr. rape (però,
grappolo senza acini, in gen. rapùssu)-, etim. germ. rappe, grappolo.
Rassoift, it. raschiare, che si vuol trarre da lat. rastrum, ra-
strello, forma fittizia rasclare; etim. del gen. incerta, il germ. rascheln,
sfrondare, sfrascare, essendo di signif discosto; rimane il sassone ra*
don, rastrellare, ma non so se convenga per la pronunzia. (V. la v. Scettu).
Ratelft, it. altercare, onde Rateila, alterco, id. a piem. ratte,
ratèla, a lomb. rateila, rateila, b. bres. raterà, com. raJtelà : il fr. ant.
aveva rateler nel senso di bavarder < il quacquette trop, il rateile
trop, pour ung sage homme» (Godefroi); etim. forse dair olandese
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ratelen, onde ingl. to raUle, fare strepito, parlar presto, ma più prob-
è V. celt., vivendo anche oggi nel bretone il vb. rendaelà, questionare Per
il b. bres. rcUerà, il Rosa cita il gr. racterios, schiamazzo, e il ted. rath,
parlamento.
Satin penftsr^, it. pipistrello, aflf. a piem. ratavoloira, prov. retto-
penado; etim. lat. med. rattus (dal germ. ratte) e pennaius, pennuto,
alato. Singolare il disaccordo su questo nome (lat. vespertilio) di tutti
gli idiomi neo-latini.
Saazn, di cesi di persona irritabile, di mal umore, afT. a prov.
raujoìis, a fr. rageur; etim. comune lat. rabiosus.
Savaoòa, it. cavolrapa; etim. lat. med. ravacaulus.
Savattu, it. ciatpame, roba vile, onde RavatA, rovistare, fru-
gare: V. in Italia esci, gen., ma id. a prov. ravatidage, ravaiidd, con
qualche affinità al fr. ravauder; etim. oscura, forse da un lat. sup-
posto, revisUare, forse dal gr. hrabàtos, lat. grabatus, lettuccio, onde
it. carabattola, cosa di poco valore.
Ravlen, it. ravioli, nota minestra che si dice, senza alcun fon-
damento, inventata da un cuoco genovese; il piem. ha ravióle, il lomb.
ravieù, il prov. raviolo, ma son più o meno diversi dai genovesi ; etim.
oscura, chi dal formaggio raviggiuolo che prima mettevasi su cotesta
vivanda, chi da lat. med. raviolae, sorta di vivanda delicata. Zambaldi
accenna alForigine germ. della v. citando Tingi, to ravel; questo, ve-
nuto dairoland. ravelen, si presterebbe, non nel senso di storcere at-
tribuitogli dal detto glottologo, ma in quello d^ involgere, avviluppare.
Ma prob. ha ragione il Monti {Vocabolario), il quale notando che i
ravioli a Poschiavo hanno, per ripieno, foglie di rapa, pensa sia questa
la vera e naturale etim. della voce. « È da credersi », soggiunge egli,
« che quest'uso fosse anche altrove, al buon tempo antico >.
Bebelà, it. strascinare, onde Bebellnn, straccione, Rebelòa,
vetturacda, id. a piem. rablè; etim. prob. fìg. da lat. 7'ebellare, detto
dei vinti che ricominciano a guerreggiare ; « rebellio », scrive un antico
autore, « idest repulsio, vel resistenza ».
Rebaiea, it. farinaiolo e Bevezea, it. crusca ; la prima v. è id.
al lat. med. rebuletum (V. Ducange, alla v.) e al fr. ant. rebulet, « fa-
rine dont on a oté la fleur »; la seconda v. è pure registrata dal Du-
cange con la forma: revezolium, che dall'esempio da lui addotto par-
rebbe avere lo stesso significato di crusca; è verisimile che il gen.
abbia lasciato, forse per ironia, Fantico nome di rebuletum al fari-
naiolo, e dato quello di revezeù alla crusca. Etim. Ducange pensa
giustamente che rebulet sia dim. del fr. rebut, di origine germ. come
it. buttare.
Reoanlssa, it. regolizia, ambo alterazioni del gr. glyhkyrrhiza,
radice dolce.
Beoattn, it. ricapito, ma in gen. dà recattu significa porre in
assetto, in ordine una cosa, ed anche racconciar checchessia: id. a prov.
recata e recate, bearnese recapte; etim. lat. caput.
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Beoùveu, it. ristoro, refngerio, onde Reoavòà, ristorare, con'
fortare; etim. lat recuperare^ nel senso di riacquistare cosa perduta
per es., il benessere, la tranquillità.
Befìresoftmme, it. lezzo di stoviglie mal lavate, aff. a fr. ant.
freschume^ prov. frescura; v. composta del prefisso re. il cui primo
significato è: indietro, e frescumme^ freschezza, onde vale: non più
fresco.
Resratta, it. regaia, onde Resratft, gareggiare di velocità tra
barche, v. m. gen. e veneziana, aff. a sp. regatonear ; etim. dai glotto-
logi« salvo qualche proposta inammissibile, detta ignota. Questo perchè
non seppero che in qualche luogo del bresciano è la v. regà^ col signif.
di lavorare attivamente, regalo^ faccendiere, regata, gara viva, voci
che il Rosa trae da germ. ìnngen, contendere con la forza. Però la vera
etim. venne data dal Monti il quale trovata nel dialetto di Poschiavo
la V. regata, la stimò celtica, citando T irlandese reaih, correre, reatha,
corsa, e il gallese rheii, andar veloce.
Regratun-a, it. trecca, rivendugliola di frutta e di ortaggi, aff". a
it. rigattiere, prov. regatier, fr. regrattier, sp. regaion, tutti signifi-
canti : chi compra air ingrosso e rivende al minuto cose di poco prezzo,
e venuti tutti da lat. med. regratarii. Tra le moltissime etim. pro-
poste per questa v. ninna è soddisfacente. Avrebbe essa rad. comune
con la precedente v. regata? Non parrebbe improbabile, tanto più che
la V. regrattani venne principalmente, se non esclusivamente, dagli
antichi Statuti scozzesi e inglesi (V. Ducange). Anco lo sp. regaion
ha sua base nel vb. regatear che vale: altercare, contender del prezzo
di cosa in vendita.
Relsraa, it. barbatella, propaggine ; etim., il Parodi, da lat. ra-
dicula.
Rèlzesra, it. risico, onde Arreike^à, arrischiare, piem. rizigh,
lomb. ris'c, fr. risque, sp. Hesgo; etim. Diez da risco, pure spagnuolo,
scoglio, roccia, ma è poco verisimile: il com. ha Hsci, riscià, rischiare,
che il Monti trae dal celt. riskvz, sdrucciolevole, mAa, sdrucciolare; se
si consideri che anche Tingi, ha risk, il quale dicesi proveniente dal
celt. rìsql, si troverà accettabile Tetim. celtica.
Relenta, significa in gen. puzzo di rinchiuso, quel cattivo odore
particolare che mandano gli alimenti, oppure i luoghi chiusi da lungo
tempo, id. a prov. r eleni, cat. rellent, fr. relent; etim. lat. redolentem
(« graviter redolens », che rende assai cattivo odore). Littré preferì il
lat. lentus, viscoso, tenace, ma ignorava che la forma gen. era iden-
tica alla prov., ciò che dà causa vinta all'etim. da redolentem,
ReBoa, it. lisca, nome gen. delle spine dei pesci, v. com. a piem.
e lomb.; non può venir da lat. ateista che dinotava la spiga del grano,
come ne venne Tit. resta che significa per sim. la spina dei pesce;
etim. prob. celt. esgara, lisca.
ReBouBon (de), RaBouBiin (a) e D'aresousu, valgono in it.
di nascosto e son voci id. alle prov. rescoundun, rescoundous, a rescos,
14
— 210 —
de rescos; TafiBnità tra i due idiomi si manifesta perfln'liel nome del noto
giuoco infantile che i Toscani chiamano : « fare a rimpiattino », i Ro-
mani: «a nascondarelle», i Genovesi: «fià a scundilù», e i Proven-
zali: « faire escoundiò, rescoundalhò » ; etim. lat. abscondere,
Ròa, V. usata in molte frasi gen.: «a rèu», che vale: in generale,
senza distinzione, « fa rèu », far comparita, « vegn! a rèu », detto del-
l'acqua, piovere a dirotto, « ese da rèu », detto di fanciullo, esser vi-
vace, molesto; insomma significa: quantità, generalità. Il Parodi si
ingegna, ma senza frutto, a trarla dal lat. retro. Rèu è v. antichis-
sima: in celt. araon vale: in generale, insieme, in prov. (guascone)
arreu^ e (biterr.) darreu valgono: in modo continuo, senza nulla la-
sciare di ciò che si raccoglie; tutte corrispondono al primo e proba-
bilmente unico significato del gen. « a rèu », onde poi si formarono le
altre frasi su riportate.
Ria e Rian, it. fossatello, ruscello; etim. celt. recUh, correre ria
rad. è. per altro, il sanscrito ri, scolare, onde il nome, in tutte le lingue
indo-europee, dell'acqua corrente.
Riffe e Raffe (o de - o de), valgono : ottenere con frode o con
violenza; etim. germ. raffen, arrafiare, riffen, strappare.
Rig^a, it linea, fila, onde Rig^hinasrsriA, linea di persone o di
cose, Arig^ft, rigare; etim. dalFaat. ri^a, linea, fila, delle quali voci
la prima manca nel gen., la seconda non vi ha tutti i significati del-
l' italiano.
Risseu, it. ciottolo, onde Rissuft, sassaia, Risseà è pure il nome
del riccio o porco spino, che ha il dorso coperto da fitti aculei, al
quale i Genovesi paragonarono gli acuti ciottoli ond'era selciata quasi
tutta la loro città; etim. lat. encitis (riccio).
Rondezft, it. aggirarsi cautamente attorno ad un luogo, o ad una
persona, aff. a prov. rondejà, fr. róder; etim. fr. ronde, ispezione mi-
litare, venuto da lat. rotunda.
Rflmenta, it. spazzatura, onde Rumenta, spazzaturaio^ Rft-
mentòa, cassetta per la spazzatura; etim. lat. ramenta, rametUum,
che propr. significavano : raschiatura, trucioli, particelle staccate da
checchessia, signif. esteso dai Liguri a tutta la spazzatura; v. com.
al piem. con qualche traccia nel lomb., adoperata dal Giustiniani (Ann,,
lib. II). E nei secoli xiii e xiv gli spazzaturai giravano per la città,
gridando : « ege de la rumenta ? » (egere, in lat., vuol dire : aver bisogno;
gli spazzaturai risparmiavano il vb. ritirare). Ciò si apprende dalle
Rime genovesi, n. LXXI, che giova trascrivere, con qualche corre-
zione per renderle intelligibili:
D'aotre gente odo assae
Chi luto dì van per cittae
Asenai son la maop parte
Chi se norigan de soa arte
La malia e tuto ìorno
Con soa testa ruzenenta
Sempre criando: ege de la rumentaf
à^
— 211 —
RameBcelln, it. gomitolo di fìlo o lana*, il lat. ha glomus, già-
tnicellus per gomitolo, onde il piem. grumissel che, come il gen., mutò
la l in r, conservando però il g della formola iniziale che il gen. invece
troncò.
Busca, it. corteccia di rovere o cerro per concia, e anche la lolla
del grano, id.a piem. e lomb. n/òca, prov. rusc, rusco; etim, celt. rush,
rusg, che vale lo stesso.
RuBtf, it. arrostire, onde Rosta, arrosto, Rustia, arrostito;
etim. deir it. e del gen. o dall'aat. rostjan, o dal celt. rùist, rhostio.
Ruzig^à, it. rosicchiare, che Zambaldi trae da un lat. supposto
rasiculare ; più conveniente il gr. rusiazo, dal quale il Rosa fa venire
il b. bres. rosià,
Sacanó, borsa, tasca elegante che le signore portavano appesa al
braccio; etim. fr. sac-à-noix, così detta scherzosamente perchè un
tempo coteste borse erano molto grandi.
S&g^hetta, it. veste da cacciatori; è il gallico, poi latino, sagum:
« dimidiasque nates gallica palla tegit » (Marziale, lib. I).
Salacca, chiamano i Genovesi ed anco i Toscani la sciabola, e
credono di chiamarla cosi per ischerzo; ma è voce che i Genovesi im-
pararono dagli Arabi nella lingua dei quali silà*h significa : arma.
Sanf ernia, strumentino d'acciaio fatto a guisa d'arpa che si suona
applicandolo tra le labbra, id. a piem. e lomb sanforgna, in Toscana
chiamato: scacciapensieri; etim. oscura, forse dal gr. symphonia, con-
sonanza, forse sconcia.
Sarpft, it. salpare, levar Fàncora, id. a prov. serpa, fr. B.nì, sarper,
sp. zarpar ; anche Tit. ant. diceva sarpare^ come ben dicono anche
oggi i Genovesi, poiché l'etim. di questa v. è gr. salpix^ trombetta
(con cui si dava il segnale della partenza), connesso col vb. harpàzein^
lo strappare (P àncora dal fondo).
Savatta, it. ciabatta^ onde Savattin, ciabattino; etim. basco ZO'
pata, scarpa, zapatain^ calzolaio. Ofr. ar. sapaia^ calzare.
Sbrinsu, it. tose, sbricio: ambo valgono: lacero, rappezzato; il
gen, è id. al com. sbnss, poverissimo ; etim. comune o dairaat. bristan,
onde fr. briser, o dal celt. bris, spezzare.
Sbrus^giu (s aspra), it. moccio, v. esci. gen. ; etim. oscura ma prob
germ. Cfr. sassone snote, moccio, germ. schnupfen, raffreddore, catarro.
Scag^nu, significa in gen. banco dei mercanti ed anche studio,
scrittoio, onde Soag^nettò, stipettaio; etim. lat. scam.num, panca,
scanno fatto a somiglianza di gradino; mobili che bastavano ai mer-
canti antichi per aprire bottega.
Soamuròu, detto di piatto o bicchiere, vale guasto attorno al-
l'orlo, aff. a piem. scarnate, it. scam^zzare ; di etim. oscura, però la
V. gen. potrebbe venire da lat. med. scarnare, vb. che valeva: levar la
squama.
Bcaparun, it. scampolo, v. com. al piem. (il prov. ha escapoulon,
id. alla V. it.) ; etim. prob. delle v. piem. e gen. da lat. med. scapularium,
— 212 —
che era un « palliolum, monachorum vestis propria cum labori et operi
inaistabant, loco cucullae, ut quae brevior esset, et minus ampia » ecc.
(Ducange), insomma, un pezzo di panno atto a piccole manifatture.
Scapili (de casetta), it. pedule e anche scappino^ ma pochissimo
usato ; V. comune al piem. non al lomb., pur lo sp. ha scapin e il fr.
ant. aveva chappin, nello stesso senso :
Aller sans chausses et chappins
VlLLON.
Scarbassa, in gen. significa esclusivamente una doppia cesta
fermata sul basto dei somari ; è aff. a piem. cabassa, fr. cabas, gerla,
in cui Littré ed altri ravvisano la rad. celt. cab^ capanna, che a me
non par verisimile: nella v. gen. vi è la rad. celt. scar^ separare, prob.
unita al germ. bast, corteccia, buccia (di che è appunto formata la
scarbassa) che si crede con fondamento sia Tetim. delPit. basto.
ScarpentA, vale : graffiare, scannigliare, v. id. a piem. scarpentèy
a fr. charpentery prov. caì^ignà, carpenày aff. a lomb. scarpa; etim.
oscura, forse da lat. carpentarius^ legnaiuolo che fa e racconcia carri,
da caìjtenlum^ carro.
8cavlM&, it. scavezzare, ma in gen. propriamente significa : rom-
pere in schegge, onde scaven-a, scheggia, e fig. scavissu che dicesi di
ragazzo discolo, sfrenato, id. a piem. scaviss^ fr. ant. escalvasier, lat.
med. scavizare, per non risalire a lat. capitiiim. In passato, scauissuy
significò assai di peggio; trovasi infatti nelle leggi della Repubblica
genovese del 1576 che ^ nullum est hominum genus quod in repu-
blica ... sit adeo abominabile quam gladiatores et sicarii quos vulgus
bravos seu scavezzos appellat ».
Socettu, it. schietto. Sotto questa, tratterò di tutte le voci gen.
nelle quali si fa sentire il suono, che chiamerò esplosivo, scc, davanti
alle vocali e, t, cosi al principio come nel corpo della parola. È Punico
suono aspro che si trovi nel gen., più aspro che non sia nel piem. e
nel lomb. i quali hanno lo stesso suono, e lo indicano staccando la s
dal e, e interponendo un'apostrofe fra le due consonanti: s'ciapè (piem.),
s'cenna, s" ceppa (lomb.), ortografia cui parmi preferibile la gen. scc^
scciappà. È, nei tre idiomi, suono che manifesta origine germanica;
infatti :
Sooetta, it. schietto; etim. comune germ. schlechty schlicht,
SoolanoA, it. strappare, squarciare ; etim. comune òA\„shleizan,
ScolappA, it. spaccare, onde Soolappou, spaccalegnay e Scoiap-
pin, cattivo artefice ; etim. dell' it. il germ. spachen^ per quella del
gen. vedi la v. Ciappa.
8oclatt&, it. schiattare ; etim. comune aat. skleitàn.
Scolava, it. schiavo; etim. comune germ. sklave.
Sedai, vb. che significa in it. schiude re^ venir fuori con qualche
sforzo, e dicesi specialmente del pulcino che esce dall'uovo ; etim.
oscura, la pronunzia esclude il lat. ex -ire, Cfr. germ. scheiden, sepa-
rare, disunire.
— 213 —
Soolftmma, ìt schiuma; etim. comune aàt. scum, mod. schaum,
SoolfippA, ìt. scoppiare, per la cui etim. è citata la v. stloppus,
forse scloppus^ usata dal solo Persio per dinotare il suono di un colpo
sulla guancia; v. creduta onomatopeica, che difficilmente avrebbe dato
il nome allo schioppo, allo scoppio, ecc. Intanto il vb. scciuppd è an-
tichissimo nel gen. e senza sinonimi ; per il suono e per la forma venir
potrebbe dal germ. schiappe, colpo strepitoso.
8oent&, it. dileguarsi, sparire a un tratto, v. esci, gen.; etim.
oscura, tanto più per la frase « andà cumme u scentu », correre velo-
cissimamente. Il Flechia si chiede se non provenga da un fittizio lat.
exemplarey ma è troppo alieno dal significato della v. gen. Non resta
che il germ. in cui però non trovasi che il tedesco moderno fliehen,
sfuggire, scansare (con la solita mutazione del fli in sce).
Scerpa, it. serpe, come alcuni vorrebbero chiamare il sedile sul
dinanzi di carrozze, sorretto da ferri torti a guisa di serpe, ma è sim.
inammissibile; la v. gen. come la piem. seìpa (id. salvo la diversità
di pronunzia) e la lomb. scerpa, indicano la provenienza dal germ.
scherbey saccoccia, cosi detta dalla forma antica dei sedili dei cocchieri,
che i Todcani chiaman cassette.
Soheug^g^ia, it. siero, id. a lomb. scoccia, com. scoéucia; etim.
incerta, forse da lat. ex-coctits, forse dal germ. schotte, siero.
Soheave, it. riscuotere^ il quale è dai glottologi tratto da lat.
excutere, che mal si presta al significato d'esiger danaro. Scheuve nel
gen. rustico, ha pure il senso di pascolare, « porta a scheùve e pégoe »,
menar gli agnelli a pasturare. Schéùve, infine, è connesso alla v. scotto
che in gen., accoppiato ai verbi essere o tenere, vale: stare o tenere a
dozzina, ricevendo o dando alloggio e vitto. L'etim. di queste voci è
germ. e celtica: sassone scott, tedesco schoss, celt. sgot, contribuzione:
longobardo schuldaiss, esattore, ecc. Quanto al signif. del pasturare si
presta il lat. med. scotte, scottum^ cui da Ducange è attribuito anche
il senso di censo, di parte, onde l'idea del diritto o delPuso di pascolo.
Sohiff, it. svigtiarsela, scapolale, e anticamente schippire; etim.
Zambaldi da germ. slipfen, mod. schldpfen, scivolar via, sguizzare,
che poco bene si prestano. I Genovesi però dicono anche schifi (come
i piem. schefì) per ritagliare in qualche parte un vestito, onde schi-
fltùa, scollo, e in questo caso Tetim. è da germ. schief, a sghembo,
schiefe, bieco, obliquità, forse più dello slipfen convenienti anche al
primo significato del vb. schifi,
Sohillente, it. limpido, chiaro, detto di cielo: sereno; etim. prob.
got. ski/a, onde ingl. skj/, firmamento, cielo.
Sohlnoa, ìt. stinco, onde SohinoA, stinccUa, percossa nello stinco;
il lomb. ha schinca per osso della gamba; etim. comune alFit., Taat.
skinko, canna, però con questa etim. resta oscura la frase gen. « fìi i
schincamuri » far muso, tenere il broncio.
SohlBsA, it. calcare, premere, id. in questo senso a piem. schissè,
lomb. schiscià; Tit. schizzare, lo scappar fuori dei liquidi compressi,
— 214 —
non è per certo che Teffetto della compressione, lo schissà dei dialetti
gallo-it., però Tetim. dell'uno e delFaltro, certamente germ., è oscura. '
SohlttA, it. balzare, saltare, onde Sohlttn, balzo, salto, v. escL
gen. salvo qualche traccia di essa nel b. bres. e nel com.; per sim. di
effetto, vale anrhe scattare, nel senso dello scatto di molle o cose si-
mili, ma è lontana dalFetim. di questa v. it. che Zambaldi, coi soliti
procedimenti, trae da un latino supposto ex -captare; maggiore ana-
logia avrebbe con it. schizzare, cui Io stesso Zambaldi assegna etim.
germ. Sembrerebbe che il gen. schUtà provenisse dall'aat. skiuhany
mod. skiuven, aver paura, got. shy, schivare, sfuggire, connesso al celt.
skats, ingl. skit, lesto, agile; dal significato di schivare venne il germ.
schijte, schitte, cacherello. Tingi, skittish, schifo, e il gen. schittu, sterco
d'uccelli. Confortano questa opinione il b. bres. che ha sqiiìtacc, paura
eccessiva, squiton, pauroso, e schita, sterco d'uccelli; voce quest'ul-
tima comune al com.
80I&, it. sciare, v. m , onde Soia, sciare, è propriamente Tarre-
stare la barca tenendo le pale dei remi attraversate nell'acqua: si scìa
nello stesso modo a dritta o a sinistra per far voltare la barca dal-
l'una dall'altra parte; sciare per vogare a ritroso facendo retrocedere
la barca, « andare alla scìa » o « far la scìa » son modi usati, ma impropri.
Scia poi dinota la traccia solco lasciato nelFacqua dalla nave o barca
nel corso; sciare, verbo, è dunque l'azione, scia, sost. è un segno del-
l'azione. Ambedue sono voci comuni a tutti i marinai italiani che però
dicevano e dicono ziare e zìa (Crescentio), siare e sia (Pantera),
siar e sia (Veneziano). La retta pronunzia scia appartiene al solo
gen. da cui venne al tose. Il fr. ha scier, v. m., ma non sciaj il verbo
gli venne sicuramente dal gen. ma, non potendo serbare il suono se
per non confondersi con altro vb. fr. di suono eguale, però di senso
molto diverso, fu pronunziata siè; così si confuse con un vb. pree-
sistente nel fr. seer, sier, che valeva: segare, da sde, sega. Onde Littré>
come Zambaldi, traggono scier e sciare dal lat. secare. Premesso che
per ragioni storiche, una voce marinaresca così elementare non poteva
venir dal latino agli idiomi italici, e stabilito che questi voltarono tutti
(eccettuato il piem. che disse ressiè) il secare lat. in segare, non
sembra dubbio che l'origine di sciare, come d'ogni altra voce marina-
resca elementare, vada cercata nel linguaggio dei primi popoli navi-
gatori. L'ebr. avendo sarat, tagliare, il vb. sciare, il quale altro non
significa che tagliare, tagliar Tacqua con la pala del remo, potrebbe
derivar dal fenicio. Essendo tuttavia più probabile che al gen. sia ve-
nuto dal greco, il quale, a sua volta, l'avrebbe avuto dal fenicio, o dal
sanscrito {shid per skid, fendere) non resta che a ricercarla in questa,
lingua. Il Guglielmotti trasse scìa da gr. shià, convenientissimo per
la forma, non per il senso che è quello di: ombra; vi è bensì un de-
rivato da questa v. gr. che vale linea, disegno, e potrebbe quindi di-
notare segno, traccia, ma. convien ripeterlo, sciare vuol dir tagliare-
Bisogna dunque ricorrere al vb. schizein, dividere, onde lat. scinderey
e schiza, scheggia.
— 215 —
SolaoA, it. schiacciare, onde Solaoadda (d& un-a), picchiare,
percuotere, v. comune al napolitano; etim. prob. deirit. schiacciare^
Taat. klahjan, rompere, ma la v. gen non può venire che da una forma
ant. del moderno ted, flachen^ appianare, flach, schiacciato (mutato il
fi in sci secondo la regola) oppure da schlagen, battere. Cfr. anche
ebr. fenicio sciahhaq^ battere.
Solaoohetrà, vino che appena pigiata Tuva si trae ; etim. sciacca
(pigia) e tra (trai).
Solagagnoa, it. ìnalaticcio, ha qualche aff. con prov. sagagnà,
sagougnà; forse è alterazione del lat. ex-auguraius, sciagurato.
Soiall&se, it. rallegrarsi, gongolare, onde Solalla, grido d'al-
legrezza; V. aff. airit. scialare, fare sfoggio d'abiti, di pranzi, ecc.
che i glottologi voglion trarre da lat. exhalare, troppo lontano; etim.
certamente araba, ciò che è provato anche dal siciliano sciallari, id. al
gen., forse in scià llhà, frase di contentezza che letteralmente signi-
fica : se Dio vuole I II d'Ambra, i per il napolitano scialare, cita invece
il vb. arabo scialach.
Solampradda, it stravizzo, gozzoviglia; etim. ignota.
Soiarbella, it. ciabatta, onde SoiarbelA, girellare, aff. a lomb.
sciarbattera, sciarbattola, ciana, trecca; etim. non potendo essere la
stessa di savatta, rimane ignota. Cfr. germ. schuhabsatz, tacco, cal-
cagno.
Solare, onde Solardla, it. crepolare, crepolato, detto del legno,
battelli, botti, ecc. che nel disseccare si fendono; etim. lat. exardescere,
accendersi, infiammarsi.
Solarr&se, ìt. , scosciarsi , onde Solarrou, chi ha le gambe
troppo larghe. L'it. ha sciarra, rissa, e sciarrare^ dividere, mettere in
rotta, ecc. Diez dalPaat. zerron, squarciare; Zambaldi accenna a que-
st^opinione e a quella del Pasqualino che trae scianca dalFar scharr.
Il Parodi combatte Diez e vuol che sciar rare derivi da un lat enar-
rare, che non esiste, forse exarare, ma che non ha né può avere il
senso attribuitogli dal Parodi. Il siciliano ha sciar nari, far rissa, e
sciarra, rissa, voci che il Mortillaro2 dichiara arabe. L'etim. più prob.,
almeno quanto alForigine della v. gen , è sempre quella del Diez, con-
siderato anche Tingi, to share, dividere, separare, che Johnson trae da
un vb. sassone con eguale significato.
Solata, it. far chiasso, metter sossopra, e fig. aver grido e fama,
onde Solata, chiasso, schiamazzo, v. esclus. gen. Il Parodi la trae
da lat. exhalare, lontanissimo; è invece aff. a prov. esclat, esclatd,
fr. éclat, éclater, provenienti tutti dalFaat. skleizan o skleitàn, rom-
pere, cui pure si riferisce il piem. s*ciat, scoppio. « On comprend (dice
Littré) comment le sens de se rompre en éclats a passe, par une mé-
taphore, aussi bien au sens de bruyant qu'au sens de brillant, le son
» Vocabolario napolitano-toscano, Napoli, 1873.
• Archivio storico siciliano, 1881.
- 216 —
qui se fait entendre, la lumière qui brille, étant comma un éclat qui
va frapper les oreilles et les yeux >.
BeìgìiiL, it. zufolare, fischiare, onde Bcigio, fischio, e 8oi|^fi<^
specie di piffero pastorale, piem. subiè, lomb. ziffolà, prov. siblà,
suòla, ecc., fr. si/per, sp. siblar; etim. secondo Littré, per le forme in
b, da lat. sibilare, per quelle in f, da lat. si filare ; il gen. aTrìi la
stessa origine con forma in g? Cfr. germ. zischen, fischiare.
Solile, nella frase : « dà, o piggià e scille » che vai : dare o pren-
dere busse, id. a fr. ant. ciller (fouelier); etim. prob. celt. scille, panra.
Solooou, non ha in gen. il significato it. di scipito e di stolto,
bensì di morbido, soffice; il lat. supplex, anche ridotto a sufflex, già
è cattiva etim. dell' it. 50/^Céf, e sarebbe inammissibile pel gen. «eioccu.
L'ing. ha soft, softish, dolce, morbido, per cui sono proposte diverse
etim. celt. e germ., nelle quali è da ricercare Tetim. della v. it. e gen.
SoloUu, altra v. di forma identica ad una parola italiana, ma di
senso diverso: sciolo in it. vai saputello, saccentino; sciollu in gen.
vai scimunito; forse sono una sola voce da lat. sciolus, potendo am-
mettersi Talterazione di senso nella gen.; forse questa viene dal celt.
eiseolach, ignorante.
Solorbettu, it. sorbetto; etim. comune ar. sciurb, sciurab^ id. a
quella del gen. sciópu, it. sciroppo, e sciarappu, v. volgare per vino.
8o68a, it. grembo, onde 8o6sà, grembiule^ id. a lomb. scoss e
scossaa; il piem. ha scoss per davanzale, ^co^^aZ per grembiule ; etim.
comune germ. schooss, schos, grembo, e schdrze, grembiule, celt. sguirt.
Soozi, it. svergognare, beffare, v. esclus. gen.; di etim. oscura,
non affine, né per la forma, né pel significato, alFit. scorgere^ che si
vuol derivato da lat. regere; che venga dal germ. schuldahiss, com-
missari dei Longobardi i quali esigevano le multe e i tributi, e che
naturalmente saranno stati accolti dal popolo con grida e fischi? Dice
il Rosa che una giurisdizione di questi commissari presso Este chia-
masi ancora Scódosia. Cfr. anche ted. schuldig, colpevole, debitore.
SorloohI, it. svilupparsi, crescere di persona, « u nu péu schricchi »
dicono i Genovesi di fanciullo gracile, o di pianta stremenzita che cre-
scono a stento; etim. certamente germ. Cfr scrikken, saltare, schriUchen,
piccolo passo.
SorlgnA, it schernire, v disusata; è afi". alle it. scngno, scrignuto,
gobba, gobbo; etim. comune lat. scnnium, forziere. Cfr. però anche
aat. ském, vb. skémón, etim. deìV it, schetmo, schernire, onde pure il
piem. schergnie, beifi».
Sorlplllti, it. scerpellini, scet^ellati, detto degli occhi con le pal-
pebre arrovcisciate. Zambaldi trae le voci it. da cispa, di etim. ignota;
il Parodi dice che « senza dubbio > scripiliti vien da lat. excerpere, ma
questo vb. ha tutt' altro senso, e lo scerpare it., che ne deriva etimo-
logicamente, vale divellere, schiantare. Il lat. ha scHblita, scribilita,
ciambella rotonda a spicchi, voce conservata tal quale dal popolo gen.
applicandola alla farinata (faina). La stessa v. latina (prob. dalla gr.
streblein, torcere) somministrò l'aggettivo scherzevole gen scripiliti.
— 217 —
Sorlpizl, it. grilli, ghiHbizzi; come quest^ultima, potrebbe esser
Y. onomatopeica dal gr. gryllos, cioè fig. dai salti che fa quest'insetto.
8ofi& e Sff&à, it. pulire strofinando, specialmente metalli e sto-
viglie, id. a piem. sgùrèy lomb. sgurà, fr. écurer, prov. e sp. escurar;
è V. celt. (sgu7', sguraim, scour\ germ., scandinava; nondimeno Diez
la vuol trarre dal lat. curare, da cui egli forma un ex- curare, non
riflettendo: 1" che in tal caso, anco l'italiano avrebbe cotesta voce, la
quale invece gli è affatto estranea ; 2° che la voce medesima, in tutti
gli idiomi neo-latini, indica Fazione particolare di pulire strofinando,
azione che mal sarebbe indicata dalla generica voce: curare.
Soubba, it. scopa, per lo più di erica (brugu) usata specialmente
dai marinari, onde 8oab&, scopare; etim. basco escoba, celt. sguaò,
scuab.
Soaffia, it. cuffia. Zambaldi ne dice ignota Tetim.; T Amari ^ scrisse
che kufia, hefia e keffieh, che si pronunzia in questi modi diversi, è
un fazzoletto quadro che gli Arabi legansi intorno al capo con doppi
giri di una funicella di pelo, e che scende al collo e alle spalle, e ag-
giunse che gli Arabi devono aver portato cotesto nome in Italia.
Sotig^g^ift, it scivolare, id. a piom. sghiè, Zambaldi è propenso a
credere che scivolare derivi dalPaat. sliofan, mod. schWpfen, sguisciare.
Anche Flechia lo suppone d'origine germ., come lo è di certo la v. gen.
BQXLtì%%u,\t. puzzo e sapor di rifritto; etim. prob. lat. ea?-coc^wm,
onde it. scottare.
Soatun - a, it. vacca giovine che non ha ancora portato : scottona
trovasi in un documento lat. della Liguria del 1526; etim. prob. germ.
ma oscura: servissero le scotone nel medio evo a pagar qualche censo,
scot in sassone?
Seqaòa usano i Genovesi nella fr. : « mette a-u sequèu », che vale :
mettere alle strette; i Genovesi antichi dicevano assequerà; etim. lat.
sequester, che era la persona cui affìdavasi il deposito di cosa conte-
stata, perchè la consegnasse a chi avesse vinto la lite. La v. gen. se-
quèu passò poi nel linguaggio marinaresco, con la forma it. sequaro,
per indicare il mezzo con cui si tien saldo un cavo ed anche l'estre-
mità dì esso.
Sexendò chiamano i Genovesi il lumino da notte, per sim. dal lat.
cicendela, lucciola.
Sòxima, it senno, giudizio, v. aff. allo sp. seso, cervello, con lo
stesso signif. del gen. L' Accademia spagnuola cita il lat. cerebrum,
che non si presta all'etim. ; al genovese converrebbe un pò* più il lat.
sensum, dove nel se di sèximu non si facesse sentire apertissimo il dit-
tongo ce.
Stanzia, it. scansia; etim : Zambaldi la crede d'origine germ.;
più prob. la provenienza dal basco escuoncia, vaso o coppa alla mano,
onde sp. escancia.
* Storia dei Musulmani di Cicilia, voi. I, pag. 31.
— 218 —
SgrarbelA, it. scalfire leggermente, onde Sgarbeléuia, scalfittura^
id. a -pìevii, sgarblè, lomb. sgarbelà^ sp. escarapelar; etim.: il Parodi
suppose un lat. ex^carpere^ non pensando al lat. scalpere, onde scal-
prum, scalpellus (lancetta, coltellino), che converrebbe meglio:
Oli occhi con le branclie si scappella
Dante (Inr. XXIX).
Cfr. però celt. sgar, separare, e ingl garble.
Sghlndft, it. sfuggire, sottrarsi, ma prop. è il contrario di 01iind&,
far la matassa sul guindolo (Ghlndaa)*, etim. comune aat. windan^
avvolgere, torcere. Ghinda e sghindd passarono pioi nel linguaggio ma-
rinaresco col signif. di tirar su, o giù, alberi, bandiere, un fardello qua-
lunque ; dallo sparire che fa l'oggetto sghindato, venne il senso fìg. di
sfuggire, sottrarsi.
Sgrezza, it. greggio e grezzo^ dei quali Zambaldi dice ignota la
etim.; la v. gen. è id. alla lomb. sgresg^ com. sgresCj tutte probabil-
mente dal celt. sgrabach, rozzo.
SepoLarA, it. squarciare, lacerare, onde Sgpaàra, squarciOy lace-
razione, com. e b. bres. hanno sguarà, sgarlà, con signif. aff.: lo sp.
ha desgarrar, desgarro, con signif identico. Zambaldi trae it. squar^
dare da un lat. supposto exquartiare, rompere stracciando o fendendo,
ma sembra più verosimile la provenienza dal celt. sgar.
81ft, it. zirlare, onde Sia, zirlo ; etim. lat. zinzilulare, abbreviato
in zilulare : il grido acuto e tronco che mandano il tordo ed altri uc-
celli.
SillA (na), non dir sillaba, non fiatare; etim. gr. syllabé, com-
prensione di suoni.
Sinsàa, it. zanzara, piem. e lomb. adottarono la v. it. che ì glot-
tologi dicono onomatopeica: tal però non potrebbe essere la v. gen.
in cui le due s hanno suono dolce. Il fr. chiama cousin la zanzara, che
Littré vuol derivare da un lat. ipotetico culicinus, dim. di culex, ma
il fr. ant. la chiamava cincele, sincelle, evidentemente aflP. alla sinsda
gen. Leggesi nella Bible de Guiart (sec. xiii) : « fu la tierce plaie d'E-
gypte de cinceles, ce sunt petites mouschetes ki ne reposent ne ne
laissent reposer les gens >.
Sleppa, V. pop. corrispondente alla it. schiaffo, comune a piem. e
lomb.; etim. germ. schiappe, percossa. Nel gen. sleppa non si sente,
come neppure nelP ingl. slap, il suono esplosivo della voce originale;
vero è però che il suono stesso fu convertito in quello di una z aspra,
poiché, volendo imitar la pronunzia gen. di questa voce, bisognerebbe
scrivere zleppa. Nel gen. vi è pure la v. scciaffu, ma vi fu importata,
da tempo non antico, dal toscano, e solamente nel linguaggio civile;
il gen. puro dice mascd. Si sa per altro che anche Tit schiaffo si trae
dal tedesco schiappe, supponendo una forma schlapfe.
SmeasTSria, it. acquitrino; etim. oscura, forse da lat. exmovere,
exmx)tam {aquam? terram?).
— 219 —
Sotta (o largo) ìndica in gen. una forma dello sterco, specialmente
di quello degli animali bovini ; v. esclus. genovese di etim. ignota. Giovi
di ricordare che anche Tetim. del fr. sot^ soUe, sp. zote, anglo-sassone
sot, ecc. (stupido) è ignota.
Spattar&se e Impattar&se, porsi a sedere con tutta comodità,
senza riguardo ad altri; probabilmente è alterazione dello sp. espar*
rancarse, allargar troppo le gambe.
Spesrassà, it. scarabocchiare, scrivere o dipingere male, onde
Speg^assa, scarabocchio, e Spes^assin, cattivo pittore (spegassin
vale anche verniciatore, non in senso di spregio), v. comune a piem. e
lomb ; etim. oscura: il Picchia, che mal conobbe il significato di spe-
gassa, la trasse da lat. pix, picis; qualche affinità par che abbia con
it. appiastncciare, che vai anche : dipinger male, impiastrar fogli, e
che viene dal gr. plas^na; nel celt. trovasi spairte achd, lordura.
Spegettl, it. occhiali; etim. lat. spedo, sinc. di specito, guardare,
mirare, aflT. a sp. espejuelos, che T Accademia spagnuola trae da conspi'
cilla, vedette, osservato rj.
SpellnsigA, ìi. pizzicottare, onde BpMnui^iWDi^ pizzicotto, in gen.,
come fu detto già alla v. Pessigu, sono atti distinti dal pizzicare, di-
stinzione che non si trova negli altri idiomi neo-latini. L'etim. deUMt.
pizzicare e pizzicottare, prov. pessigà, fr. pincer, sp. pizcar, e pelliZ'
car, è da Diez creduta germ.: oland. pitsen, ted. pfetzen; altri citano
anche il bavarese pfitzen; ma nel gen. spelinsigà, come nello sp. peU
lizcar, par così chiara la presenza della v. lat. pellis da supporre, con
qualche ragione, T unione di questa voce con Tal tra lat. vellicare, che
è proprio ir pizzicare. Cosi, quanto al gen., rimarrebbe prob. Fetim.
germ. per il pessigà (preferendo alle sovra citate quelle da spitze, punta)
e Tetim. lat. per lo spelinsigà. Il celt. ha spitheagaich,
Spemnslu, it. asciutto, macilente, estenuato; etim. da sperone,
nome dato ad una malattia delle piante cereali, e in particolare della
segala, che le intristisce.
Spldda, it. spiedo; ambo dal germ. spid, lardatoio.
Spippùa, it. mingherlino, sottile; etim. prob. dal sassone-ingl.
spindle, fuso, (spindle-legged, che ha gambe di fuso).
Sprulnft, it. spiazzare e piovigginare, onde Spruin, spruzzolo
e pioggia minutissima; kS. a it. sprazzare, spruzzare, derivati da
germ. spratzen, sprutzen: ma il gen. spruin potrebbe esser venuto da
lat. pruina, propriamente rugiada congelata, voce accolta dall' it. an-
tico, quindi mutata in brina. Conforta quest'opinione il prov. che ha
bruino, pì^inay sost., e bruinà vb., col signif. di pioggerella minutis-
sima e fredda, e il fr. che ha bigine e bruiner con lo stesso signifi-
cato. Il celt. bru, pioggia, è troppo generico, salvochè la forma gen.
non ne costituisca un diminutivo: il germ. prod, vapore d'acqua, è
troppo lontano.
Spunolft, it. spingere, onde Spunoliin, spintone, afi: a prov. poussà,
pulsar, fr. pousser; etim. comune lat. pulsare.
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Spnrtlnr^ùa chiamasi in gen. qualsivoglia apertura artiflziale
negli abiti, principalmente quella che dà adito alle tasche; etim. lat.
spofiula, sportularius.
Squòn, it squadro, legno segato per la lunghezza delKalbero, di
cui risegandolo si fan tavoloni; etim. lat. med. squaratus, alterazione
di quadrai US,
Staooa, it tasca la cui origine è oscurìssima; il gen. dice stacca
a buona ragione, poiché nel celt. islandese trovasi stack (gardur) re-
cinto in cui sono conservati mucchi di grano e di fieno, e Tingi, ha
stack per mucchio, cumulo, e to stach, per ammucchiare, ammassare.
Staoohetta, it. bulletta, chiodetto, id. a lomb. stacchetta, il b. bres.
dice iach per chiodo, come il gallese ^oc. Tingi. /acA, il hretone t-ocher,
il germ. stackel: la stessa origine ha la v. it. tacco, così detto perchè
guemito di stacchette; etim. celt. tach, chiodo, tacaid, chiodetto.
Stazza, it. stazza, v. m. ufficiale; è lo strumento con cui si mi-
sura la capacità d'una nave o di un vaso qualunque e per est. indica la
capacità stessa: ne vengono vb. stazd, stazzare, e stazadù, stazzature.
E V. d origine gen. comunicata al tose, che Talterò in staggia: non ha
che fare, come vorrebbe Zambaldi, con le it. stazzare o stabbiare, e
stazzo f derivate da lat. statio; etim. prob. lat. sextanus, nota misura
antica, onde pur it. staio, staia.
Stlsrsriu? it. secco, di persona asciutta ; etim. sassone sticca, onde
ingl. stick, bastone, stecco.
StoooA, it. troncare, rompere in due pezzi un corpo duro, acciaio,
legno, vetro, onde Stoooà, stoccata, Stooohòsu, rompevole, Stooon
nella frase mar. « tià un stoccu » che vale: tirare un bordo: tutte voci
esclusivamente gen. derivate piuttosto che dal germ. stecken^ pungere,
onde stock, bastone e it. stocco, dal kymri toc, pezzo di checchessia,
onde gen. toccu, e it. tocco Del resto la parola bastone che in altri
idiomi celtici è detto stochd e stoc, ha in sé Tidea di cosa spezzata.
Identica origine ha stocchefisce, stoccafisso, che viene dalT olandese
stockevish (ingl. stockfish), pesce di legno (ceppo).
Straoaft, it. straccare, onde Straooùa, stracco, v. mar. antichis-
sime, la prima delle quali indica una nave che, perduto Tequipaggio
da esso abbandonata, va a fermarsi dove il mare la mena; la seconda,
tutto ciò che é menato dal mare alla riva, o trovato in alto mare. « Altre
< galere - scrisse il Villani - ruppero o straccarono in diverse parti »
(X, 103). Etim. Guglielmotti da it. straccare, stancare grandemente:
egli però ignorava che T it. straccare non é che la traduzione delTaat
streccan, che vale: stendere, abbattere, senso che corrisponde assai
meglio a quello delle due v. In gen. però straci^d è once voce del lin-
guaggio comune e vale: capitare a caso in un luogo: più, i Genovesi
antichi dicevano stratteizu per disteso.
Strafalaja, detto di vestito vale in it. sciupalo e per est. detto
di persona vale malaticcio. Venne al gen. come al piem. {strafalari, in
cui però ebbe il signif. di babbeo, pedante) dallo sp. estrùfalario, che
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vale: uom mal vestito ed anche stravagante. Etim. oscura, pare che
siaavi le v. lat. extra e fallare,
StrasTi^A, it. dissipare, sciupare, bìdtar qua e Id^ onde Straggln,
sciupio, e Strag^giun, dissipatore, id. al com. stragià, stragion; etim.
prob. lat. strages, « stragem facere >.
Stralablft, it. delirare, vaneggiare; etim. lat. extra e labias, man-
dar fuori delle labbra parole vane, irragionevoli: aff. a fr. extravaguer.
Stralatft, it. dissipare, sciupare, onde Stralattim, dissipatore,
V. comune al lomb. che sembra aff. a it. starnazzare, spaimazzare ;
etim. oscura: forse da lat. stemere, stendere, spargere.
Straléuggla, it. strambo; etim. lat. extra, o meglio trans, bocu^
lum, occhio fuori di sesto.
Straman, it. fuor di mano; etim. lat. extra e manum,
Strambaelun (and& in), it. barcollare, traballare, id. a piem.
stranbalè; nei dialetti lomb. strambala, strambalada, strambada,
hanno significato di strampoleria; etim. incerta: o dai trampoli (germ.
trampeln, calcare) « stare in trampoli > che vale : esser mal fermo : o
quella stessa delFit. traballare.
Stramesoi fparl& a), it. parlare fuor di proposito, a casaccio;
etim. oscura: forse da lat. extrem^eatus, uscita, Fatto d'uscir fuori.
StramuA, it. sgomberare, mutar casa, onde Stramùa, sgombero;
etim. lat. transmutare, non prestandosi transmovere, proposto dal
Parodi.
Straplooa, it. tracollo, sbilancio; in questa v. esclusivamente gen.
sembrano uniti il lat. extra, fuori, o trans, al di là, e il celt. pie, nel
senso di: a piombo, a picco.
Strapunta, it. materasso, onde Strapniitò, materassaio^ v. esclus.
gen.; etim. lat. med. straponta, strapontinus : ildim. passò nel fr. strO'
pontin, col signi f. di sedile imbottito per le carrozze, e nello sp. tror-
sportin, piccolo materasso di lana fine : prob. da lat. trans e punctam.,
cucita da parte a parto.
Strassft, it. stracciare, onde Strassa, cencio, straccio, e Stras-
■un, straccione, id. a piem. strasse, lomb. straseià, prov. estras, estrasso,
sp. estrazar ed estrazo; etim. oscura: Zambaldi da lat. abstrahere,
onde distractio, difiBcilmente ammissibile anche per la v. it., tanto più
che il lat. ha il suo verbo e il suo nome per dire: stracciare e straC"
do. Il celt. ha strac, streachail, per stracciare.
Strazettu, it. scorciatoja, tragetto, in gen. propriamente un sen-
tieruccio alpestre che scorcia la via; etim. dovrebbe essere lat. extra
e tramitem, fuori strada, ma è, per alterazione del senso, da trajectum
che in latino indica Tatto del trapassare, non il sentiero.
Streùppu, it. stormo, moltitudine d'uomini o d'animali, id. a piem.
strop, trupy lomb. tropp, ma com. strup, prov. troupeu, troupel, fr.
troupeau, sp. tropa; etim. lat. med. troppus, con eguale significato,
proveniente dalle leggi germaniche. Diez pensa che possa essere il lat.
turba, alteratosi nelle bocche germaniche in trupa, troppus. Ma si sa
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che r illustro maestro vedeva il latino da per tutto. Ilfìitto cheilpiem^
il gen. e il com. dicono streuppu, sirop, stnip, fa pensare invece id
un'origine celt. di questa v., naturalmente antichissima, e che nonpotea
venire ai tre popoli da un latino corrotto dai Tedeschi. Nel celt moderno
trovasi trevd, trend, branco, armento, che mal convengono. Sirv^ usò
Dante per truppa, schiera :
K«'' la vi.'iidella lU'ì siiperÌK) stniiu»
//»/•. VII.
togliendolo certamente dal genovese, parola intorno a cui farnetica-
rono i commentatori, i più dei quali vogliono clic invece di strupo
truppa, si legga stnipo, stupro, perchè, dicono, non par che regg»
« far la vendetta d^ma moltitudine ». il « vindicare seditionem > di
Cicerone ?
Strexia, it. arsiccio, disseccato, detto dei cereali, v. contad. Il
Parodi da lat. transitns, che. scrive egli copiando Littré, significò in
primo luogo: passato, morto. Ma transire, in lat., non significa che
passare: il senso di passare all'altra vita, cioè morire, è tutto crìstiaDO,
e in questo senso Littré dice che il fr. transir. transi^ vien da transita..
L'etim. di strexìu è, per alterazione, da lat. extritus^ stremenzito, cai
fu dal sole impedita la maturazione.
Strlnft, it. abbronzare^ abbnistiare ; etim. lat. ustHna (da usium
uro) luogo in cui s'abbruciavano i cadaveri.
8tnifag^&, it. sgualcire^ spiegazzare^ onde Stmfag^ii, gat'bU'
gito, cosa mal fatta, e Strafaggiun, chi nulla fa bene: id. a piem.
strafognè, lomb. strafoiày strofignà : in qualche punto del com. sti'oft
cencio; etim. comune germ. stnqjf, cosa strappata, aat. stroufen, onde
it. strofinare, strofinaccio, ecc.
Strunsa, significa in gen. torso di cavolo, e solamente per sim.
indica Tit. stronzo, piem. stronss, lomb, stronz ; onde vedesi che il gen-
solo si è, come sempre, conservato fedele air etim. della v. originale
che è Taat strimzan, tagliare, mod. strunzen, strunzel.
Stundaiu, it. uomo lunatico, cervel balzano : il b. bresc ha sionda,
«aver la stonda» per essere di mal umore; etim. comune germ. stunde,
ora: onde il signif. di stuìidaiu, che ha cervello il quale patisce alte-
razioni da un'ora all'altra.
Sabaoft, e non AsubaoA che è idiotismo, it. metter sotto, supe-
rare. Diez trae Io sp. sobajar da lat. subigere, ma sobajar significa:
maneggiar rozzamente, sciupare a forza di toccare, e il subigere^ tra
i suoi parecchi significati, questo non ha: converrebbe invece al su-
baca gen. quanto al significato, ma, come nota giustamente il Parodi, non
quanto alla forma. E cosi ha ragione esso Parodi dicendo che ^bacà
può venire da un lat. volgare sub-aquare, per tuff'are nell'acqua; >tim.
dimostrata da esempi di antichi scrittori gen. Il trapasso da quel ^^^
primitivo al moderno di metter sotto, superare, è naturalissimo. \
Buffa, it. ciuffo; etim. comune: germ. schopf.
— 223 —
TasTS^ia, it. carrucola, id. a piem. tajola, lomb. taja; etim. prob.
celt. tilleadh, giro. I Genovesi introdussero la v. taglia nel linguaggio
mar. it.
Tàmassa, dicesi in gen. uom tozzo, mal fatto, e per sim. gaglioffo^
Tanardu dicesi per tanghero^ zoticone : v. aif. nei due significati alle
lomb. tananariy tandocca, tandan, tanascion^ tanasciott, ed alle com. ta-
maco, faìianach, tangan; etim. comune celt. tamhassach, tamfiasg,
tanaidhe, di senso id. alle v. genovesi.
TambùsoiA, it. tambussare, ma in gen. vale : tempestare, metter
sossopra; etim. oscura, prob. dal lat. med. tabussare, « strepitum fa-
cere crebris ictibus aliquid percutiendo » (Ducange), onde il fr. ant.
tabustory tabust, rissa, taflPeruglio. Zambaldi registra tambussare col
signif. della Crusca: dar busse; il Caix ne fa una combinazione di
tamburare -bussare; Diez lo raccosta a trambusto.
Tanabéu!&a, it. bugigattolo, id. a lomb. tanabus, b. bresc. tam-
bus; etim. prob. gr. tambos, nascondiglio.
Tànoaa, it. scorpione. Cosa singolare, i Genovesi chiamano scur-
piun la tarantola (lat. stellio) e tancua lo scorpione. Etim. ignota.
Tannn, piccolo fornellino portatile; etim. prob. oland. tannen,
ingl. tati, abbrustiare.
TapA, it. turare, ed anche tappare, onde Tappa, turacciolo, tappo,
prov. tapà o tap, fr. ant. taper: v. ignote, in questo senso, al fr. mod.,
al piem., e lomb., salvo il com. che ha tap.; etim. Zambaldi dal
basso tedesco tap, turare, riempire, ma è più prob. sia venuta alFit.
(in cui è V. non antica) dallo sp. tapar. Quanto al fr. ant , al gen. ed
al prov. Tetim. è dal basco tapar, o come vuole TAzais, dal celt. tappe.
Tàpanl, it. cappen, id. a prov. tapero, tapeno^ piem. tàpaH, cat.
taparo, notevole alterazione della forma gr.-lat. càppariSy cui s'atten-
nero gli altri Italiani e i Francesi. Gli Spagnuoli dicono alcaparra dal-
l'arabo al'habar.
Tavella, it. nottola, id. a lomb. tavella^ afi;'. a sp. taravilla; etim.
incerta, le due voci gall.-it. se non vengono dalla sp , di etim. ignota,
potrebbero derivare da lat, tabella^ tavoletta.
Teol&se, vb. significante: star tranquillo e contento, afi*. a lomb.
tecCy tetto, com. teccià, far il tetto, riparare il bestiame, prov. teg^ sp.
techo, tetto, e tediar., porre il tetto a una casa, onde la v. gen. signi-
ficò primamente star al riparo, al sicuro; etim. celt. teach, tetto, casa.
Telonia, it. telonio., dicesi per ischerzo il banco, lo studio, Toc-
cupazione quotidiana; essendo v. più viva nel gen. che neirit., giova
dire che vien dal gr. telonewìi, banco dei gabellieri; nel lat. med.
chiamavasi teloneum un <k tributum de mercibus marinis circa littus
acceptum » (Ducange), sicché il gen. « andà au teloniu > significò in
origine: ire a pagar il dazio.
Ténppla, ò un ingraticolato a foggia di volta su cui si mandano
le viti, id. a piem. e lomb. topia; etim. comune lat. topia^ luogo co-
perto con trabacche di fronde.
A
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Tlbba, per: gran voce, dicono i soli Genovesi; etim. lat. tiòia^
piffero, piva,
TI00M&, it. quistionar di parole^ aff. a prov. ticoutejà; etim. co-
mune oscura, forse dalFoland. tikhen, ingl. to ticK la vibrazione re-
golare di un orologio o di una campana, onde, per imitazione di suono
(tick) la botta e risposta dei litiganti.
Torflln (ése anda &), vale : essere ozioso, disoccupato, ma pro-
priamente è V. m. e dicesi dei battelli disormeggiati e lasciati in ab-
bandono; etim. prob. lat. torquere (onde torsio), torcere, voltare, pie-
gare, bene applicato al galleggiante lasciato in balìa delle acque;
PtalegethoD torquet sonantia saxa.
Kn., VI.
Traooasn^ottn, it. tarchicUello, v. comune apiem. e lomb.; etim.
oscura. Zambaldi trae it. tarchiato dal gr. tàrichos che mal si presta
al signif. cosi della v. italiana che delle tre galL-it. Il celt. ha tmr-
ginn, che vale appunto : tarchiato, e tì'vachan^ persona grassa e pan-
ciuta.
Trantran, v. dinotante il corso ordinario della vita, degli affari, ecc.;
etim. fr. tran-tran, che viene dall'olandese tranten, trantelen, andare
qua e Ik.
Trappa, it. bacchetta, verga, v. esci, gen.; etim. oscura, forse dal-
Faat. trapo, trapp, trappola, per le verghe rami ond'era formata:
infatti Littré trae da troppe il fr. trappette, bacchetta a uso dei telai
TremeléQja, it frastuono, fracasso; etim. oscura, di senso aff. a
fr. tremblement, nella frase famigliare: « il est venu avec tout le trem-
blement » ed altre.
TrepA, it. rxizzare, folleggiare, onde Treppn, ruzzo; v. ignote
al piem. e al lomb., ma comune al prov. trepa, trepado, e al fr. antico
treper (onde il mod. trépigner):
Saillir, treper et flajoler
Chanter, corner, lirer, muser
Fastoralet.
Etim. comune celt. tHpa, tripio (ingl. to tnp). Il lat. ha trepere per
girare, volgere.
TrSug^g^iu, it. vasca per lavare, trogolo è vaso in cui mangiano
i maiali, bevono altri animali; etim. comune Taat. trog, ted. mod.
trog, ingl. trough, vaso grande per vari usi.
TrillA, it. trillare, da trillo, gorgheggio, v. che i glottologi dicono
onomatopeica; è però bene si sappia che in gen. tìillà è v. antichis-
sima e sempre viva per significare il tremolar brillando, specialmente
dei pesci nell'acqua, oppure il tremolio di due occhi lucenti, cagionato
da commozione delPanimo ; inoltre chiamasi in gen. trillo la tremolina
dei prati (« briza media >) che trema e si agita al più lieve sofBo. Il
signif. musicale del trillare è secondario nel gen. e non popolare; etim.
got. dnlla, traila, scossa, tremito, vibrazione, onde V ingl. to trilla che
— 225 —
però in questo senso è v. antiquata (Johnson). Il gr. ha tryllos per
mormorio, susurro.
Trinca, it. trincare; etim. germ. trinken^ bere; ma trinca è pure
V. m. che significa: legare strettamente, fortemente. Diez, alla v. trin-
chetto, pensò che cotesta vela essendo triangolare, conveniva ricorrere
allo sp. tnnca, triade, ma tnnchetto vien da trincare, perchè il vento si
stringe alla prua, e trincare donde viene? Il Guglielmotti da lat. stnn-
gere (con legame trino), ma non è un'etimologia. Forse questa è dalFaat.
hring, mod. ring {die ring\ cerchio. Il gen., piem. e lomb. hanno pure
la V. tHnca nella frase: «nuovo di trinca», che vai: nuovo affatto, e
il com. ha inoltre tnnca per gala. Nel primo senso è v. id. a it. trin-
ciare, jìvovJr enea, guasc. tnncà, sp. trinchar, tutti significanti: tagliare,
onde « nuovo di trinca » indicherebbe un oggetto appena tagliato dalla
pezza. Etim. da lat. truncare, però incerta. Nel secondo senso, trinca
è aff. airingl. trim, tricking, ornamento, 'di etim. oscura.
Troffla, it. gnocco, v. esci. gen. ; considerata la qualità della vi-
vanda, Tetim. è gr. trophe, alimento.
Tragnu, it. grasso, paffuto, id. a fr. trogne, che significa: « vi-
sage enluminé par Thabitude du vin et de la benne chère » così Littré,
che poi ne cerca invano Tetim. supponendola però celt. o germ. Il piem.
ha trognOy il prov. trougno, per visaccio.
Tran, it. tuono, id. a piem., lomb. e prov., aff. a fr. tonnerre, sp.
truonOy anche il toscano ant. dicova trono; etim. comune lat. tonitru,
il celi, ha torran, toran,
Tnoon, it. sugo, intinto di stracotto o altra vivanda, v. esci. gen.
(salvo il veneziano che ha tochio per intinto) derivata dsj vb. Tnoà,
toccare, nel senso d' intingere il pane nel detto sugo, come usano fare
i Genovesi, e sarebbe il lat. tangere nel senso di gustare, se a tale
signif. si prestasse la forma di questa v. Diez e gli altri glottologi
traggono Tit. toccare, fr. toucher, ecc. dalPaat. zuchòn, mod. zucken,
che poco meglio si prestano. L*ingl. \i%to touch, toccare, che Johnson
dice certamente venuto dal got. tekan, di uguale signif.; etim. sfug*
gita a Diez, e che prob. è la vera.
Tamata, it. pomodoro, id. a piem. tomatica, lomb. tomatesa, fr.
tornate; etim. sp. tomaie, dal nome originale messicano tornati.
Tamazella, sottil fetta di carne avvolta su di sé, con entro un
ripieno; etim. lat. tomacina, salsicciotto, camangiare fatto di pezzet-
tini di carne.
TonezftBe, it. toneggiarsi, azione di tirar innanzi la nave me-
diante un cavo detto Ttmezzu, it. toneggio; etim. comune gr. tónos,
fune tesa.
Tnrtajén, it. imbuto, id. al bresciano tortaról^ al prov. tourteirou ;
etim. prob. lat. tortum, tortttosum, dalla forma dell'utensile adoperato
dagli antiche
natta, it. ovatta, id. a fr. ouate, che Diez volle trarre da lat.
otmm, Littré dal fr. ant. oue, ouette, oca; ma che il Rosa ben trae dal
15
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gr. oa^ ocUis, pelle di pecora, poiché Tuso del cotone essendo relativa-
mente moderno, le antiche ovatte facevansi, per necessità, di lana.
Uifa (a), it. a ufo, gratis. Zambaldi ne dice ignota Tetim. dopo
d'aver citato quelle proposte da Minucci, da Diez, e da altri; il Tra-
mater va fino a citare Teb. efes che vale: gratis^ e Far. tufeily chi
mangia senza spesa, onde sp. a ufo. Forse l'origine delFit. a ufo è
molto più semplice. Anticamente, allorché i Comuni volevano promuo-
vere la costruzione di case, offrivano gratuitamente le aree su cui
piantavano pali con Tiscriziono: A . U . F. « ad usum fabricae ». *
Umbrlssalla, it. umbilico^ aff. a piem. anbuA^ a fr. ant. ambiHl^
mod. nombril; etim. lat. mnòiUcKSj con la solita mutazione delle l in r,
ma la risoluzione in alla della v. gen. ò oscurissima.
linde, avv. it. dove; ctira. lat. unde, dove, «bere, unde bis? >
(Plauto). E fu detto sempre dai Genovesi:
Ballili elio faetu? Unde te ixìrdi tue?
Cavalli.
Vasoellòa, it. (fiorentino) piattaia: havvi chi usa, scrivendo, acan^
reria, che è v. tod. ; il gen. rascellèa, come fr. vaisselier^ vien da lat.
yff,v, dim. vascellum, vaso e vasetto, derivati da vescor, mangiare, onde
bene potrebbesi dire italianamente: vasclliera.
Ve, it. stovigliaio ; etim. par sincopato da fr. ant. vairiet\ mod.
verrierj prov. veìrier, tutti da lat. vitrearius; in gen. significa: mer-
cante di stoviglie e di vetrami, però chi vende e mette in opera vetri
per finestre e per mobili, è detto vedrai vetraio. È singolare che in
Liguria, dove antica e fiorente era Parte del vasaio, e dove, presso
Genova, è un paese chiamato ancora Feggin (« ad figlinas >) non siasi
conservato, salvo che in un cognome, la v. figuluSy fabbricante di vasi
di creta.
Verln-a, it. mcchiello, onde i verbi VerlnA, VerugiA, e Verug^-
g^lu, succhiello; etim. lat. vernina, strumento per forare, proposto da
Zambaldi, preferibile certamente all'antica etim. veru^ spiedo.
Verzella, così chiamasi in gen. il coreggiato per batter le biade
su Taia ; il Celesia la stimò v. aff". alle berze di Dante
Oh come facea lor levar le berze
Alle prime percosse
infatti, berza significando (dal germ. die terse) tallone, il gen. verzella
indicherebbe uno strumento che fa alzar le gambe, fuggire. Più natu-
rale sarebbe Tetim. da lat. virgula^ piccola verga, ma riguardo all'una
ed air altra etim. dovasi notare che il diminutivo in eZZa ripugna al gen.
Vezu, bastone del pollaio su cui vanno a dormire le galline; etim.
prob. lat. vectiSy bastone rotondo; vi sarebbe anche l'arabo veda, ba-
stoncello.
* Questo io lessi sicuramente in un libro, ma non rammento quale.
— 227 —
Vianda, son dette in gen. tutte le paste per minestra fatte in casa;
etim. lat. med. vivanda, che dinotava tutti i cibi eccetto il pane.
Anche il fr. viande nel suo primo e generico senso, non significa carne,
ma vivanda.
Vag^&, ma più esattamente Veag^&, e nell'uso antico e costante
del volgo marinaresco ligure eag&, it. vogare : id. a prov. vougà^ fr.
voguer^ sp. bogar, Etim. incerta, Littré ed altri dalPaat. vagùn^ alte-
rato in wogón, muoversi ; Zambaldi ammette Torigine germ. e lo trova
connesso a tcoge^ onda, wogen, ondeggiare; però il basco ha boga nel
senso d'andare, camminare, onde lo sp. bogar, infine il celt. (gali ) ha
uigh col significato di viaggio, forma che, conservata nella voce vol-
gare gen. sovra citata e nella voce vgé per vogatori, delle Antiche rime
genovesi (V. a pag. 46), renderebbe forse più verisimile Tetim. celtica.
Zo&, e non Za&, it. volare^ onde Zenn, volo^ e Zoatt&, svo-
lazzare^ voce onde il gen. va distinto da tutti gli idiomi neo-latini
(per i non Genovesi, giovi dire che si pronunzia come il fr.joie, gioia).
K strettamente affine all'altro vb gen. sghéud, lo spiccare il volo che
fanno gli uccelli, onde sghéttit, un breve volo, p. e. quello delle galline.
Parrebbero voci onomatopeiche, in ispecie la seconda; tali però potreb-
bero essere solamente in un linguaggio primitivo, come nel sanscrito,
ma questo non corrisponde. Verrìi dunque dal celt. sgia/h, ala, sgiathach,
alato, in particolare lo sgliéna, certo più antico dello ivoà, adottato
come di più facil pronunzia.
Z&nelin, dicon per vezzo i Genovesi a bambino non ancor divez-
zato; etim. aat. zainày cesto, onde it. zana^ che vale culla; la stessa
origine ha zdnelUi^ baco che rode internamente lo frutta, perchè tro-
vasi nella sua zana.
Zembn, it. gobba e vom gobbo, v. esci, gen.; etim. oscura, forse
dal lat. med. zembla, cioè embla {< z addito euphoniae causa », dice
Ducange) nome doi somari; embla poi, dal gr.-lat. embola, carico; in
sostanza i poveri gobbi sarebbero stati dai nostri antichi assimilati ai
muli ed agli asini con la soma sul dorso.
Zemin, it. sorta di salsa per il pesce, zimino; etim. oscura, forse
dalFar. semin, fatto con burro.
^Zenziggìu, it. asciutto, meschino, afl: allo sp sencillo; etim. prob.
lat simplex.
Zerbn, it. prato, erba, pezzo di terra erbosa, onde Zerbin, stoino
fatto di trecce di sparto, aff^. a piem. gerb, a lomb. zerb, gerby che
però valgono: terreno incolto, sterile; il piem. ha gerba, il fr. gerbe,
il prov. garba, jarbo, tutti significanti i covoni, i fasci di grano se-
gato, voci queste ultime che i glottologi francesi traggono dall'aat.
garba, di senso identico. Ducange ha gerba per herba, luogo erboso,
gerbum, « ager graminosus ot pascuus >.
Zimma, it. favilla, v. esci, gen.; etim. oscura, il gr. zyme, fer-
mento, non conviene: il celt. ha scim, luce, il sassone scimo, splen-
dore, vb. sciman, splendere; il ted. mod. schimmer, scintillamento,
— 228 —
sfavillamento. Ma come sarebbesi mutato in un^aspra z il suono se
così naturale al genovese? Forse zimma è voce onomatopeica come
germ. bUtz^ cimbrico glitz^ lampo.
Zin, it. riccio di mare^ v. esci. gen. ; etim. oscura, gr. lat. echinos^
its, non si prestano ; forse dal germ. zinhe, punta, dente, o sinhen, ingl.
sink (anglo-sass. sinccm)^ andare al fondo, e si sa che il riccio sta ap-
punto attaccato al fondo.
Zin-a, it. estremità, sponda, ed anche capruggme, onde Ztnajén,
strumento da bottai: v. aff. a ìtzingone, mozzicone di ramo; etim. da
germ. zinke, punta.
ZinzanA, it. gingillare , perdere il tempo, onde Ziazannle, lun-
gherie, indugi, non ha che fare con it. zinzinare che vai centellare,
bere a zinzini, parrebbe invece aff. al com. ginginà, vagheggiare, e
ginginn, vagheggino; etim. prob. celt. geanail, donnaiuolo, gean^ donna,
in cui potrebbe forse trovarsi la spiegazione, finora ignota, della voce
italiana zerbino, zerbinotto. Non è però da tacersi Tebr. zinzem, ronzare.
Zntta, sedimento, fondaccio lasciato dai liquidi; i Siciliani chia-
mano zotta una piccola quantità d'acqua stagnante : essi, come i Geno-
vesi, tolsero questa voce dall'arabo in cui sautt (h') vale appunto : un
po' d'acqua stagnante (Amari già citato).
INDICE
DELLE VOCI REGISTRATE NEL VOCABOLARIO ETIMOLOGICO
E DI ALTRE COMPRESE IN PARTICOLARI ELENCHI
NELLA PARTE PRIMA DELL'OPERA
Abaciuccoù pag. 153
Àbandun »
Abarlugà 154
Aberà »
Aberiifà »
Abessìu 190
Abiguelà 154
Abimà 124
Abossà 154
Abotìu »
Abracà »
Abrèttiu »
Abrexè 124
Abunass& 155
Acatà »
Accortixe 124
Acucci&se 97
Adaxu 155
Adressu 124
Adubbu 3
Aduggià 155
Afità »
Afitaia >
Agaibà 186
Agibbu 44
Agnu 155
Agreppìse. . . ' 156
Agrittàse »
Aguantà »
Agueità »
Aguggiottu »
Ala »
Alleccà >
Alevà 99
Alle 124
Alò pag. 157
Allùa 156
Alluà 194
Allun 124
Alluoù 194
Alugi6ù 157
Aliimà 124
Amaca 157
Amainà »
Amalocà »
Amàndoa 16
Amarra 157
Amasc& 158
Amè »
Amenestrà »
Amermà »
Amia, mi& »
Amiadìi 100
Amottoù 199
Àmua 19
Amuà 158
Amucà 200
Amuletta 158
Amurà »
Anà »
Anastà »
Anastu y>
Ancheu »
Anchizze 159
Anciùa 3
Àncua 16
ÀDgioù 159
Anguscià »
Anguscìa »
Anicciàse 119
— 230 —
Ànnia pag. 19
Antenna 16
Anticheùà 159
Anticheu »
Apajh, »
Apì'tuà 124
Apr»MÌu, apreuvu 159
Apullà »
Apunde »
Arancà »
Arangià »
Arapfi 207
Arbu 19
Areizegà 209
Arelà 159
Arembà 160
Arembaggia »
Arembaggiu »
Arembu »
Arensenìse »
Arente »
Arescusu 209
Arfè 158
Argiu 19
Argettu »
Arida 160
Arigil 210
Ariguà 160
Arimà 161
Armella 161
Armoasa 19
Armun 161
Arosà »
Arrià »
Articiocca 16
Àru 161
Arubattà 162
Arunsà 161
Ariixentà 162
Arve 23
Arzìliu 162
Asbrià »
Asbrìu »
Asci 124
Ascidià 162
Ascidiu »
Asgaià 163
Aspertixe »
Aspertu »
Assa 163
ABsascìn 44
Assaxunoù 124
Asse pag. 124
Assia 163
Assuigid^e >
Assust&se »
Astallà »
Astregà »
Àstregu »
Astrunoù >
Astù >
Atamassoù 223
Atracà 163
Atrapà 124
Ava, avaà 164
Avalà 124
Avardàse 164
Avià. aviou »
^xVlaCa •••••••• ^
Avuxà »
Axillà 165
Axillu »
Aze »
Bansella, balansella . . . .165
Babazun 98
Bàbollu 165
Baccan »
Bacca 19
Bacicula 165
Bacioccu »
Bacogi »
Badda (de) >
Bagardu 98
Baggiu 166
Bàgià »
Bàgiaia »
Bagiu »
Bagun >
Bkicu »
Baja 19
Balandran 98
Baletta 103
Balèustru 167
Balla »
Banastra >
Banca »
Banca »
Bancàotu »
Bandeta »
Bando 124
Bandu (in) 153
Bara 167
— 231 —
Barba pag. 167
Barban »
Barbixi 19
Barbotà 124
Barca 16
Barchì 167
Barcun »
Barlocià 193
Barliigun 154
Basigtt 168
Basigu »
Battoezu 124
Battusu 168
Bàulu 19
Baxà »
Baxaicò 16
Baxu 19
Bazaiottu 44
Bazan-a 168
Bazanottu »
Bazara 167
Becellan 103
Bèdin 168
Bèga »
Beghin 124
Begiiddà, begiidda . . . .168
Bel li Q (francese) 120
Bellua 168
Berbexin 104
Berlendun 168
Bernissii »
Bernissu »
Berodu »
Bersò 124
Bertuèli 168
Besassa »
Bestettu »
Bettua 169
Bèli »
Bouggiu »
Beùssai »
Beùxima »
Béxin »
Bexinà . »
Beziggiu »
Beziigu 98
Biava 169
Bibin ^
Bifm 124
Biglia 169
Biguelu 154
Binda 169
Binda pag. 169
Bisca >
Bisca »
Biscambiggia 125
Biscassè, biscassa .... 169
Biscochin-a »
Bitacula 20
Bixa 170
Bixu 125
Bixù »
Bizaru 3
Blaga 125
Blagà, blagheùr »
Bleìì »
Blocca 170
Blonda 125
Blusa >
Boa 170
Boccoli 125
Bodissun 104
Borda 170
Borda »
Boria >
Bòxìa >
Braghe 171
Bragia »
Brama »
Brassezà 98
Bratta 19
Brava 125
Brenna 171
Bricca >
Bricca »
Brichettu »
Bricòcala »
Brignan »
Briglia »
Brixa 170
Brocca 171
Brocchin 125
Brotta 171
Briiga »
Brilmezza »
Briìmma »
Brasca 172
BrUtixe 104
Bruta 19
Bruvettu 125
Bruzi 172
Bucca 19
Budoar 125
Bùeta »
— 23^ —
Buèu pag. 172
BuflFiiu »
Biigaìxe »
Biigatta »
Buggeu 178
Bulaccu »
Bulitigà »
Bulitigu »
Bullase »
Bullozumme »
Biillata »
Bullezà »
BuUibè >
Bulla 98
Bullu 173
Bumbèa »
Bumbun, bumbunèa. . . . 125
Bunassa 155
Bunégia 173
Bunettu .125
Buraccia 98
Burdattu 170
Burdigà 173
Burdigottu »
Bure 124
Buriccu 98
Buridda 173
Burxok 125
Blisca 174
Biiscà »
Biiscaggia »
Buscettu »
Biisciu »
Busciua »
Busciueta »
Biisciulaìu »
Biisciulottu »
Bussellu »
Busticà »
Butiru 19
Butà 174
Buttezà »
Buttu »
Buzancà »
Buzzu >!>
Caa 16
Caban 174
Cabanna »
Cabarè 125
Cabirda pag. 174
Cabriolè 125
Cacallua • . . .175
Cadellu (a) >
Caegk 19
Caen-a 16
Càfattà, càfattu 175
Cafuscì »
Caga in n\u »
Càgollu . 19
Caiciu 44
Caìorna 176
Calabà 44
Caladda 176
Calanca »
Callau »
Calleùiu »
Caluma »
Camallu 44
Cambusa 176
Camuà) camuoù »
Càmua »
Cancan 125
Canestrellu 120
Caneva 16
Cknnie 177
Canta »
Cantabruna »
Càntia »
Capàro >
Capetta >
Capitanniu >
Carabutin »
Carapigna »
Carassa 16
Carattu 44
Carèga 177
Caruggiu »
Casacca 3
Casan-a 178
Cascu 19
Cassa 178
Cassarèa »
Cassarolla »
Cassau »
Catorbia »
Catran 44
Catubba 16
Cavagna 17S
Cave »
Cèabella >
Qetrun »
— 233 —
Getta pag. 22
Cètu 179
Checchez& »
Chèga »
Chiffu (a) 44
Chiggia 179
Chigheùmau 19
Chitàra 16
Chittà 120
Ciaciarà ........ 98
Giàcciara »
Giallan »
Ciapà 179
Giappa »
Ciappaieù 179
Giappasseù »
Ciappella »
Giappelletta »
Ciappetà >
Giappettu >
Ciappi >
Giappua >
Ciapiissà »
Gìapussata >
Giarnè 125
Giazza 22
fibbia 125
Gicà 180
Gicca »
Giccioà 125
Gicciollu 105
Gifutti 180
^igheùgna »
Gillu »
Cimma »
Gimussa >^
Ginciàse »
^insa 181
Gioca, cioccata »
Gioccu »
Giomà »
Ciota »
Giotà »
Gittu »
Giucca »
Giuccu »
Giunà »
Giunassa »
Giunettu >
Giiisa »
Giuvascu 98
GiUxima »
Goà pag. 181
Goassu 182
Gocca 126
Gòccina 182
Goè »
Goin 16
Gòmentu 182
Gomò 126
Gompostòa >
Gonsol »
Gontoar »
Gòpressu 182
Gornabiiggia »
Gotizftse 126
Gòu 19
Grava »
Gremixi 44
Gren-a 182
Grenà, crenatiia »
Greppu, crepun »
Greùsa 182
Gricca 182
Groccu »
Grotun 126
Gniva 183
Gruxe 19
Gubelettu 183
Guchettu »
Gucullu 19
Gucuma »
Guftìn 16
Guiga 19
Gulissa 126
Gumandu 16
Gunfèze 19
Cunfòu 183
Gungò 126
Cuniggiu 19
Guntiìssu 183
Guppu 16
Gupiissu 183
Gurcettu 126
Giirlu 19
Gurzettu 183
Gurzeu »
Gustipase 98
Gustu 16
Damixan-a 44
Darsena »
Degurdl, iu 126
— 234 —
Delabrè pag.
Demorde
Demufi
Demùaf elu
Depui
Dare
Deriià
Desabigliè
Desauggìaddu
Descasu
Desciii
Desdiccia
Desfunduà
Desgaggià^
Desgagginoù
Desgaiboù
Desgosci&se
Deslògiu
Desmilu
Desnià
Desrenà
Deca
Destrùe
Desurve
Dettaglia
Dezentegà
Diccia
Diretta
Disnà
Dita
DoDca
Drappi
Driia
Draga
Drtiu
Duggia
Daxe
126
183
»
»
1-26
20
126
99
121
127
99
20
126
»
186
126
»
183
ri"/
121
125
20
»
127
183
99
184
121
20
127
»
184
106
184
20
Ègaa 102
Eja 20
Erlìa 184
Ermitta 3
Erze 192
Ese 20
Etaxè 127
Examme 20
Exempia »
Eximme »
Exosu »
Fàcala 20
Falò 16
Fandango pag.
Fanfarun
Fante
Farda
Farci
Farta
Fascieiìa
Fassan
Fatta
Fàula
Faziun
Fazianè
Fenèan
Pastecca
Feù, feùa
Fiarsaa
Fide
Fideà
Figgi^
Fighètu
Filecche (fa)
Filetti
Filan
Fiocca
Fita
Fiasella
Fò
Foamme
Foè
Framboas
Fraaxa
Fravega
Frazà
Frazza
Frè
Fregaggia
Freguggià
Fretà
Frexatta
Friggià
Frilla
Frisceù
Frixa
Fruscia
Frusciata
Fruscin
Fu
Fùcaa
Fuciàra
Fuentu
Fuetta
Fuffa
99
106
21
44
20
99
20
184
20
184
127
>
>
184
121
184
»
»
121
184
»
127
»
20
184
127
»
20
127
»
20
185
20
»
127
185
»
121
185
20
»
99
127
185
»
»
»
99
127
185
— 235 —
Fuin pag. 127
Fulanu 99
Fumme 127
Fundegu 44
Furcafèra 121
Fùrgau 20
Furlancia 185
Furnaxe 20
Fumi 185
Fascina 20
Fustu , 185
i/^iiLxa •••••••••)^
Futu 186
Futtu 106
Gabbiai! 186
Gàelu, Ghèlu »
Gaffa »
Gaggiardu »
Gdggiok »
Gkibii >
Gaitellu »
Gaietta »
Gallina 20
Gamella 186
Garbuggiu 187
Garblixii »
Gardettu »
Gargotta 127
Garitta 187
Garsun >
Gassa »
Gassetta »
Gatta »
Gkusu »
Gazia 16
Gòa 187
Gena 128
Gena »
Gèrava 187
Ghigna 128
Ghignun 187
Ghinda 218
Ghirindun 128
Gì 20
Giabba (a) 188
Giamin »
Giaminà »
Giandun »
Giandunà 188
Gianu »
Giappà pag. 128
Giara 44
Giascià 188
Giasemin 44
Giassa 128
Gibba 20
Giffra 45
Gigottu 128
Gimbra 188
Gimichia »
Gippa »
Gipunettu »
Giarda »
Giuscellu >
Gnagnue »
Gnappa »
Gnèra »
Gniffrà >
Goghin »
Gome 189
Gotta >
Grammu »
Grebanu »
Greminìu >>
Greùppia >
Griffa »
Grinfie >
Grigua »
Grimasse 128
Grimia 189
Grinta »
Gritta »
Grixella 190
Grumette 128
Guen-a 190
Guidde 128
Guiggia 190
Giimà »
Giimena »
Gurpe, arpe >
Gassa »
Iguale 122
Imbagià 166
Imbarlugà 154
Imbatta 190
Imbessìa »
Imbosà »
Imbrign&se »
Imìsei 44
Impi 21
— 236 —
Inandià pag. 190
Incalldse 191
Incenta 127
Incuccift 191
Indegna 106
Infe! 21
Ingiarmàse 191
Ingumbàse »
Ingiimbatua »
Insft »
Inscìà 21
Insei »
Insùgì^ »
Intima 191
Intra 21
Intra »
Inverdiigà 191
Inversa 21
Invexendà 192
Invexendu »
Isa »
Labia »
Lacciun »
Laghen »
Lalla »
Lambardan y>
Lambrin 128
Lambrocià 193
Landun 192
Lapà 193
Larga 3
Lasca 21
Lascia 128
Lasca 21
Lastima 99
Latte 3
Làagia 193
Lavella 21
Laxerta »
Leccaja 16
Lèllaa 193
Lèpega »
Lepegùsa »
Lerfà »
Lerfa »
Lerfun »
Lesela 21
Lezen-a 193
Lezze 21
Liamme 193
Ligà 21
Ligamme pag. 21
Liggìa 193
Liman 44
Lippa 19S
Lisa »
Livia 21
Lobbia 193
Locci& »
Loffa 194
Lora 99
Lòa 194
Ltià »
Lùgànega 21
Ltiggia 1S4
Liighèn »
Liiggiu »
Luisa (erba) »
Liirciu »
Liiu »
Luvega >
Ltixe 21
Macaja 194
Macca »
Macramè 44
Madunava 195
Magagpia »
Magagnàse »
Magara 16
Magnerà 195
Magnin »
Magran »
Magun »
Malocca 157
Mampà 99
Manaman, amanaman . . .195
Mandillu »
Mandracciu 196
Manente 129
Mantecata 196
Maottia »
Mappa »
Marcia 4
Maren 196
Mariolu »
Marmelata 129
Marmitta »
Maretta 196
Marscin-a »
Marunsini 197
Masca »
Mascà »
Mascarsan 197
— 237 —
•
MascezÉr pag.
Massciu
Massacan
Massamuru
Massuccu
Mastriissà
Mastriissu
Matafiun
Màuma
Mazanghin
Mazengu
Meìzau
Melu, merellu
Men-a
Meoissà
Mescià
Messcià
Messiavu
Messina
Micca, michetta
Micellà
Mignugnettu
Miha
Minnu
Minollu
Misciu
Mobba
Moè
Moèlii, morella
Molla
Morbin
Mottu
Mòtua
Muccalùmme
Mucciaccìu
Mucciu
Mucca
Muifua
Magagna
Magagna, un
Man
Mura
Mura
Muscardin
Muscezà
Muscìamme
Musciu
Mussier, musse (francese)
Muds&
Mussu
Mutria
Muttu
197
198
197
»
198
»
44
»
»
122
199
198
195
21
129
199
»
»
199
»
129
200
201
200
»
201
200
201
122
129
201
4
201
Na pag. 201
Napia »
Nasciun 21
Nassa 201
Natta »
Nega 100
Nega 21
Negia 201
Negià )►
Neglixè 129
Negrù 21
Nesciu »
Nessa 129
Netezà 201
Neùu 21
Nevu 129
Nicci 201
Ninna 202
Nissà >
Nissu »
Nuà, neùà 21
Nuxe »
Odaciusu 124
Ofeùggiu 202
Ofici.Mi 129
Ogiaxu 16
Orbu 21
òrdiu »
Ormezà 16
Ormezzu »
Orsa 202
Osca »
Paaféru 108
Paciòrnia 100
Paciuga 202
Paciiigu >
Pacciun 100
Paciura »
Pacotiggia 202
Paggiaft »
Pai 203
Palassiu 21
Pamentà 100
Pandan 129
Pane. 203
Pansé 129
Pape 203
Papigliotte 129
— 238 —
Paranza pag. 1^)5
ParpaggìMia 1*2*2
Passamantè 129
Passu 21
Pàtan 16
Patatuccu 203
Patèlu 108
Patetta 203
Patrun >
Patta >
Patte >
Paxe 21
Ve 22
Pecciàse 203
Peffuin-a 22
Peigullii >
Peixe >
Pelandrun 203
Pelandrunà »
Pellim-a 22
Peluccu 203
Pendaloccu 129
Pendin >
Pffj)inèa >
Perleccàse 130
Porsegu 22
Portiisu »
Pessigft 203
Pessigu >
Pessottu 204
Pessu >
Pestelà 123
Pestiimmu 204
Petelòa »
Peteiie 22
Peti 130
Pevò 204
Pia 22
Piassà 130
Picaggia 204
Picagetta »
Picchè 130
Picossu 205
Pillu »
Piruetta 130
Pissa 205
Pissettu »
Pissii »
VìtÙL »
Pitette »
Pittu >
^ivettu *
Placca pag. 130
Plafon »
Plancia 22
Poe 199
Poela 130
Ponsò >
Prè 205
Prebuggiun »
Prepusé 130
Prescinsoùa 206
Preve 123
Pua 206
Piiassa 22
Puffu 130
Paia 206
Puistè 123
Puraellu »
Piimpa, pump& 130
Piimpun »
Piintapè 100
Pappa 22
Pupun, a »
Purè 130
Piissu 22
Puvie 206
Quacciii 22
Quinta 206
Quinta »
Racca 206
Haccola »
Rafataggi 207
Raixu >
Ramadan »
Randa »
Randezà >
Ranghezà »
Rangu >
Ranguèlu >
Rangugnà »
Rangugnu »
Rancia 130
Rappa 207
Rappu »
Rapussa >
Rasscià »
Ratatùia 130
Ratelà 207
Rateila »
— 239 —
Rattu pag.
Rattu peniigu
Raiìzu
Ravacoù
Ravatà
Ravattu
Ravieu
Raxa
Rè
Rebelà . . .
Rebelèa . .
Rebigii . . .
Rebù . . .
Rebui»'^ . .
Recama . .
Re(^anÌ8su . .
Recattu . .
Recuveà . .
Recùveìì . .
Ró«ienu . .
Reditu . . .
Retin . . .
Refroscumme
Reiratà . . .
Regatta . .
Rcgatun-a
Reìgiia . . .
R«4zegu . .
Rèia. . . .
Rolentu . .
Remèdiu . .
Romescià . .
Remmu . .
Rcraiircu . .
Rf»n . . . .
Ronaace . .
Ro ponti u . .
Rosacea . .
Resaggiu . ,
Rosata . . .
ResJitu . . .
Resca . . .
Rescusun . .
Rèu . . . .
Roversu . .
Revezoìì . .
Rian . . . .
Ribotta. . .
Rille e raffe .
Riga. . . .
Righinaggia .
Rissciì . . .
208
»
22
130
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»
154
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44
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>>
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»
209
210
22
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210
130
210
>
Rissuà pag. 210
Rondczà »
Ròsu 161
Rostu . : 211
Rozà 22
Rubattun 162
Ruggià 130
Rulò 131
Rumenta 210
Rumenta »
Riimentèa »
Rumescellu 211
Runca 16
Runfà 130
Runsa, runsun 161
Riisca 211
Rusti »
Ruvei»uì 109
Riixentìi 162
RuxentJ^ia >►
Ruzigifi 211
Sacanó 211
Safran 45
SJighetta 211
Sagrina 125
Sagugià 22
Saietta 123
Salacca 211
Sanfornia »
Sappa 22
Sarei *
Sarpa 211
Sasciu 22
Sàura >
Savatta 211
Savattin . »
Siisu 23
Sbiàsciu 124
Sbiffà >
Sbrinsu 211
Sbruggiu »
Scabecciu 99
Seagnettè 211
Scagnu *
Seamotà 127
Scamott*'^r »
Scamurou 211
Seaparun »
Scapin 212
Scarbassa >
— 240 —
Scarpentà ...... pag. 212
Scavìssà »
Scavissu >
Sccettu »
Scciaffu 218
Scciancà 212
Scciappà »
Scciappìn ;>
Scciappou »
Scciavu »
Scciui »
Scciiimma 213
Scciuppfi »
Scentà >
Scentu »
Scerpa y>
Scheiìggia »
Scheììve >
Schifi »
Schifitùa >
Schiìlente »
Schincà y.
Schincamuri »
Schincu »
Schi^^sà »
Schittà 214
Schitta »
Schittu »
Scìa >
Scià »
Sciabeccu 45
Scikbega »
Sciàcà 215
Sciacadda »
Sciacchetrà »
Sciagagnoù >
Scialotta . 98
Sciallàse 215
Scialla »
Sciamine 125
Sciampradda 215
Sciantigliuin 127
Sciarappu 216
Sciarbelà 215
Sciarbella »
Sciardi, iu »
Sciarràse »
Sciarroù »
Sciata »
Sciatu »
Scicanata 125
Scìgua 216
Scigua pag. 216
Scigùu >
Scille >
Sciocca »
Sciollu »
Sciòpu »
Scisela 45
Sciurbettu 216
Scòsà >
Scòsu »
Scoxì »
Scricchi )>
Scrigni »
Scripih'ti »
Scripixi 217
Scruccià 126
Scuà, sguà 217
ScubÉi »
Scubba 210
Scucusù 44
Scuffia 217
Sciig^Mà »
Scundilù »
Scurliissua 23
Scutizzu 217
Scutun-a »
Semme 23
Senciu 100
Sequèu 217
Séra 23
Serra »
Serreuia »
Sersa 81
Settun (in) 103
Seùccai 23
Seunnu »
Sevu »
Sexendè 217
Sexì 131
Sèximu 217
Sganzìa »
Sgarbelà 218
Sgarbelleuia ■»
Sgheùà 227
Sgheuu »
Sghindà 218
Sgrezzu »
Sguarà »
Sguaru
Sia
Siasà
Siasu
»
123
»
— 241 —
Sillft pag. 218
Sinsèia »
Sleppa »
Smangia 126
Smangiaxun »
Smeùggia 218
Sotta 219
Spatar&se »
Spegassà »
Spegassin »
Spegassu >
Spegetti >
Spelinsigà »
Spelinsigun >
Sperunsìu >
Spiddu [ j,
Spippuu >
Spruinà >
Spruin y^
Spuà 23
Spuncià 219
Spunciun >
Spunzia 2:i
Spurtiggeùa 220
Spusagge . 121
Squaccin 22
Squòu 220
Stacca >
Stacchetta »
Stazà • )►
Stazadù »
àStazza >
Stiggiu »
Stoccà »
Stocchefisce »
Stocchèsu »
Stoccu »
Stracuà »
Straccùu »
Strafalaiu »
Stragift 221
Straggiu >
Straggiun »
Stralabià »
Stralatà »
Stralattun >>
Straleuggiu »
Straman >»
Strambaelun *
Stramesci »
Stramuà »
Stramùu »
16
Strapiccu pag. 221
Strapunta »
Strapunto »
Strassà »
Strassa »
Strassun >
Strazettu* »
Streùppu »
Strexìu 222
Stria 23
Striggià »
Strina 222
Strufugià »
Strufuggiu »
Strufuggiun »
Strunsu »
Stundaiu 222
Stuppa 33
Sua 131
Subacà 222
Suffu »
Sunxa . . . .• 19
Surfu 23
Surve »
SUS8& 131
Sustu 163
Tàa 45
Taburè 131
Tacunà »
Taggia 223
Tàgnà 155
Tamassu 223
Tambiiscift »
Tanabeùzu »
Tàncua ^ »
Tanardu »
Tanun »
Tapfi »
Tàpani »
Tassa 45
Tavella 223
Teciase »
Teiga 23
Teloniu 223
Tempùiu 100
Terin-a 131
Tesuìe 23
Tettin 131
Teùppia 223
Tibba 224
— 242 -
Ticossà pag. 224
Timbra 131
Tirabusciun »
Toccu 220
Tòrsiu 224
Traccagnotta »
Trantran .• . . »
Trappa »
Tremeleùiu »
Trepà »
Treppu »
Treùggiu »
Trilla »
Trinca 225
Trifulu 131
Troffia 225
Trosse 131
Trugnu 225
Trun >►
Tuc& »
Tuccu »
Tornata ...» »
Tumaxella »
Tumba 131
Tunezàse 225
Tunezzu »
Tupè 131
Turna 110
Turtaieù 225
Uatta, uèta 225
Uifu (a) 226
Umbrissallu >
Unde »
Urpe 190
Vascellèa 226
Ve >
Velacciu 4
Venin 131
Ventraggi 127
Verin-a pag. 226
Verinà »
Vertadèu 101
Verugià 226
Veruggiu »
Verzella »
Vezu »
Vianda 227
Viduu 23
Vugè, cùgà 227
Vuxe 23
Xabò 128
Xaloin »
Xambun »
Xandarme »
Xatta »
Xeùu 227
Xo& »
XoattÀ »
Za 122
Zànelin 227
Zanella »
Zebibba 45
Zemba 227
Zemì 128
Zemin 227
Zenuggian 121
Zenziggiu 227
Zerbin »
Zerbu *....»
Zimma ^
Zin 228
Zin-a »
Zinaieìì »
Zinzanà »
Zinzannie »
Zabba 45
Zunziiru Ili
Zutta 228
INDICE GENERALE
Prefazione pag. v
Parte Priua — Capo I. - Dell'origine dei Liguri. - Elemento iberico-
basco, celtico, gennanico, greco, neir idioma ligure-genovese. -
Come i Liguri- genovesi parlarono il latino. - Carattere del-
l' idioma ligure-genovese 1
Capo IL - L'idioma genovese nei secoli ii-xm: giudizio
lii Dante su di esso. - Elemento arabo. - Rime e prose antiche
itenovesi. - Poesie del Foglietta, del Cignla Caaero e di altri. -
Lingua ed ortografia che usarono. - Poesie del Cavalli - di
altri - dei De Franchi — L' idioma genovese alla fine del
.-fìcolo svili. - Poesie del Piaggio e d'altri moderni. - Dizio-
nari. - Voci genovesi antiche 41
Capo ih. - L'idioma genovese odierno: affinità con la
lingua spagnuola - provenzale • francese antica e moderna. -
Conclusione D7
Parte Seconda. — Cenni sulla grammatica genovese . . . . I3T
Parte Terza. — Vocabolario etimologico genovese 15!l
Indice delle voci registrate nel Vocabolario etimologico, e di
altre compreso in particolari elenchi nella Parte Prima del-
l'opera 229
Errata-(