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Full text of "Dell'idioma e della letteratura genovese; studio seguìto da un Vocabolario etimologico genovese"

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DELL' IDIOMA 




• ^ . -ià. 



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DELLA LETTERATURA GENOVESE 



STUDIO 

DA UN VOCABOLARIO STIHOLOGICO «ENOYESE 

DI , 

CARLO* EANDAOOIÓ . ' • 

D^UH^TO'ii. PARLAMENTO 




ROMA 

' f PORZANI E C. TIPOGRAFI DKL SENATO, EDITORI 

1894 



DELL' IDIOMA 



E 



DELLA LETTERATURA GENOVESE 



STUDIO 



SEGUITO 

DA UN VOCABOLARIO ETIMOLOGICO GENOVESE 



131 



CARLO RANDAOOIO 

DEPUTATO AL PARLAMENTO 




• . . . ; 



ROMA 

FORZANI E C. TIPOGRAFI DEL SENATO, EDITORI 

1894 



♦ . 

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i- - :; y 



PEEFAZIONE 



Scorrendo io, per certi studi, i più riputati libri di glot- 
tologia, trovai che mentre vi erano, alle occorrenze, citate 
voci di quasi tutti i principali dialetti italiani, mai o quasi 
mai vi si citavano quelle del genovese : per esempio, Littré, 
nel suo celebre Dizionario della lingua francese, non cita 
voci genovesi che due o tre volte, ed il principe dei glot- 
tologi italiani, l'Ascoli, nelle Trascrizioni premesse ai voi. I 
àeW Archivio glottologico (1873), non parla mai del genovese. 
« In effetto, dice egli altrove {Arch,, voi. II), il dialetto ge- 
« novese, e le varietà liguri in generale, non ebbero insino 
« ad ora a rallegrarsi di studi molto accurati » e avrebbe 
potuto dire che non erano stati studiati affatto. Poco e male 
ne scrissero il Fernow (1806-1808) ed il Fuchs (1840) citati 
da esso Ascoli: fino l'illustre Diez, parlando assai breve- 
mente del genovese, mostrò di non conoscerlo, al punto di 
paragonarlo, egli autore della Grammatica delle lingue 
romanze, con l' italiano, e non direttamente col latino. Vero 
è aver egli soggiunto che « ad un sicuro giudizio scientifico 
« si apre la via solo colui che si sforza infaticabilmente 
4c di possedere V intero materiale della lingua fino nei suoi 
« dialetti ». 



— VI — 



Non si deve però esser severi coi glottologi se mal co- 
nobbero il genovese idioma, di cui soltanto nel 1851 l'Oli- 
vieri compilò un Dizionario tutt' altro che compiuto, e che 
possiede una letteratura, rara e presso che ignota, la quale 
poi, per l'ortografia usatavi e per la lingua in parte mutata, 
difficilmente intendono i Genovesi stessi. Di che, l'Ascoli su 
lodato confessa d'aver « creduto per lungo tempo che i ca- 
« ratteri settentrionali del genovese non fosser tali e tanti 
« da farlo decisamente assegnare alla serie dei dialetti gallo- 
« italici >. Ricredutosi infine, egli scrisse neìV Archivio glot- 
tologico (voi. II) un articolo intitolato Del posto che spetta 
al lignine 7iel sistema dei dialetti italiani, in cui conclude 
che « tutto ciò che è veramente caratteristico dei dialetti 
« gallo-italici ricorre anche nel genovese ». Verità della 
quale io, genovese, che conosco anche il piemontese, e so- 
pratutto il francese, non avevo mai dubitato. 

Fu principalmente questo lavoro dell'Ascoli, pregevo- 
lissimo come ogni altro lavoro suo, che m'indusse a studiare 
a mia volta la lingua genovese, a me, oso dirlo, perfetta- 
mente nota, essendo io vecchio abbastanza per aver parlato 
il genovese di cinquanta anni or sono, da cui si scosta, ogni 
dì più, il genovese odierno, e poiché conobbi, per circostanze 
particolari, il genovese popolare che è il solo genuino, e il 
genovese marinaresco. 

Adunque al fine di raccoghere materiali per i glotto- 
logi, ed anco a quello di fare meglio conoscere ai miei con- 
cittadini il linguaggio che parlano, di cui non fanno essi 
medesimi la stima che merita, io mi misi a comporre un 
Vocabolario etimologico del genovese puro : ma presto vidi 
la difficoltà dell'impresa. Che allo studio d'una lingua^ e 
specialmente a quello dell'etimologia sua, si dovesse pro- 
cedere di pari passo con lo studio della storia del popolo 
che la su detta lingua parlò, ben io sapeva : « la nostra 



— VII — 



« lingua è anche la nostra storia y> , lo disse Grimm : però 
credevo di poter disbrigarmene senza troppa fatica, non 
preparato punto a trovare che ad alcune gravi domande 
suggerite dallo studio dell'idioma dei Genovesi mal rispon- 
desse la loro storia antica. Di qui la necessità per me di 
un altro studio, lo storico, sulle origini dei Liguri, sull'af- 
finità loro con altri popoli, sul linguaggio loro antichissimo, 
e su le successive mutazioni di esso, fino a che si ridusse 
in quello moderno: di maniera che il disegnato mio Voca- 
bolario etimologico ha finito per trovarsi alla coda di un 
lungo studio storico su l'etnologia, la lingua e la letteratura 
del popolo genovese. 

Questo libro feci e lo pubblico, abbreviato e mutilato 
più che potei, senza pretensioni di sorta, come un semplice 
studio, invocando l'attenzione dei dotti principalmente sui 
problemi storici che, per via della linguistica, ne vengon fuori. 

Quanto al metodo cui mi sono nella parte glottologica, 
che è la più importante, attenuto, basta di aprire il hbro 
per avvedersi che non è il metodo scientifico. Dirò aperto, 
a questo proposito, che poco io so di tecnologia linguistica, 
ma che pure cercai, scrivendo, di scordarmi eziandio di quel 
poco : ciò perchè volli essere inteso da tutti, e non dai soli 
pochissimi iniziati all'intelligenza di quella nuova algebra 
che costituisce la tecnologia su lodata. 

Riguardo al Vocabolario etimologico, cui premisi alcuni 
cenni brevissimi sulla Grammatica genovese, mi son con- 
dotto cosi: ad ogni voce genovese, dichiarata prima in ita- 
Hano, posi a riscontro la voce corrispondente, o affine, se 
vi era, del piemontese, del lombardo ^ e del provenzale, e 
pur quella del francese e dello spagnuolo, ogni volta che 



' Dei dialetti emiliani tacqui perchè non li conosco, e poco mi fido dei 
Vocabolari. 



— vili — 



% 



mi parve opportuno: studio collettivo che, fatto meglio di 
quel che io feci, penso avrebbe a riuscire assai utile. 

Nella ricerca delle etimologie, anzi in tutta l'opera mia, 
non mi peritai, appunto perchè non sono uno scienziato, di 
esporre liberamente le mie idee: se sbagliate, le corregge- 
ranno i dotti, ed io l'avrò caro- 
Mi parve poi conveniente d'inserir nel Vocabolario l'eti- 
mologia delle voci marinaresche più considerabili, poco o 
punto note ai glottologi. 

Avverto in ultimo che tralasciai l'etimologia delle voci 
che il genovese puro ha comuni con l'italiano, qualche caso 
particolare eccettuato: queste etimologie troveranno i lettori 
(se ne avrò) nel Vocabolario etimologico italiano di Fran- 
cesco Zambaldi; immensi toedii et temporis opus, il quale 
avrebbe dovuto procacciare all'autore assai maggior fama 
di quella che gli fruttò. Tralasciai pure le etimologie delle 
voci che il genovese ha comuni col francese, le quali i lettori 
troveranno nel già citato Dizionario di Littré. 



PARTE PRIMA. 



15 



CAPO I. 

Dell'orione dei Lig-uri. — Elemento iberico-basco, celtico, grermanico, greco, 
nell'idioma ligure-genovese. — Come i Liguri-genovesi parlarono il la- 
tino. -^ Carattere dell'idioma ligure-genovese. 



« Nulla di più incerto - scriveva il Micali ^ - della razza 
« cui appartenevano le numerose tribù di Liguri che si trova- 
le vano già, in tempi antichissimi, diramate con proprio nome 
< dal Rodano insino alla Tirrenia ». 

« I Liguri - disse il Niebuhr ^ - son uno di quei popoli dei 
« quali la nostra scienza storica, troppo poco estesa, giunge 
« solo alla decadenza . . . tutto ciò che noi sappiamo dei Liguri 
ji < è che non erano né Iberi, né Celti » . 

In effetto, nessun monumento ligure esiste: delle cinque 
parole, credute appartenenti all'antico idioma dei Liguri, tre: 
bodincus, nome del Po; padus, pino; sai iu ne a, lavanda, 
si seppe poi che erano galliche; delle altre due, a sia signi- 
ficante avena, e sigynes (la quale secondo Erodoto^ dino- 
tava « appo i Liguri là sopra Marsiglia » i mercanti) rimase 
incerta Torigine. 

Ad altri invece pareva chiara l'affinità di stirpe tra i Li- 
guri e gli Iberi antichissimi < Liguri transalpini - scrisse il 
« Serra '^ - fu il nome generico di quanti giunsero di là dal 

' Storia degli antichi popoli italiani y cap. XVIII. 

■ Storia romana, voi. I. 

» IstoHCy lib. V, 9. 

* Storia dell'antica Liguria e di Genova, lib. I, cap. I. 

■ 

1 



— 2 — 

« Varo e dall'Alpi. I medesimi varcarono ancora i Pirenei dove 
« questi monti, simili all'Alpi, più degradano e quasi toccano 
« il mare. Se alcuno ne dubitasse, osservi la facilità del pas- 
« saggio, la somiglianza dei costumi e la corrispondenza mara- 
« vigliosa fra Genova, Cervara, Tortona, Piacenza, Valenza, 
« Alba, Asti, Albenga, Tuledana, Andora, terre della Liguria, 
« e Genua Ursanorum, oggi Ossuna, Cervara, Tortosa, Placen- 
4f eia, Valenza, Alba, Asta, Albeninga, Toledo, Andura, nel- 
<c Tantica Iberia. Se cotante analogie non bastano, abbiamo le 
« seguenti autorità: Eratostene, antico e dotto geografo, che 
^< appella penisola ligustica la Spagna; Stefano Bizantino e 
« Snida i quali ascrivono a popoli liguri la fondazione di Li- 
« gustina, città sopra il fiume Beti, e Plutarco il quale distingue 
« i Liguri abitanti separatamente lungo le marine d'Italia, da 
« coloro che abitavano a rincontro dell'Africa unitamente coi 
« Galli meridionali e con gli Iberi >. 

A questi e ad altri consimili argomenti storici diede base 
più solida Guglielmo di Humboldt. ^ Sostenne egli che appli- 
cando le cognizioni che si possedevano degli antichi idiomi di 
Europa, alla ricerca e alla spiegazione dei nomi antichi dei 
popoli, delle città, delle regioni, insomma dei nomi g^^ografici 
di un continente, si giungerebbe a determinare con sufficiente 
esattezza i luoghi abitati dai popoli i quali parlarono i su detti 
idiomi, e studiati egli stesso gli antichi nomi geografici della 
Spagna e di altre regioni abitate dagli Iberi, mostrò come si «^ 
dividessero in due serie distinte, appartenente ognuna a una 
lingua diversa aflatto dall'altra, iberica la prima, identica al 
linguaggio basco moderno, celtica la seconda. Ricercò altresì 
l'illustre filologo se di cotesto linguaggio iberico non vi fos- 
sero traccio anche nei nomi geografici dell' Italia, e ne trovò 
parecchie. 

Attenendosi a cotesti principii alcuni scrittori ^ argomen- 

* Ricerche sui primi abitanti delia Spagnn per mezzo del liìignagg io ba- 
sco, 1821. 

* Mi ristriiiffo a citare Fauriel, Dante et les orìgines de la la;ìgue et 
de la Uttrratnre itaìienne, Paris, Durand, 1854. Hovelacqujo però (la Irngni- 
stiffHP, Paris, C. Reiuwald et C, 1876; dice esser * possiblo <iue les prosomp- 
* tions do Humboldt aiont été justes, possible, peut-fìtre mOmo vraiseinblabl»^, 
^ que les ancions habitiints do Tiberio aien* parlò une lang-ue allieve au basque: 
«mais que cela soit prouvé nous no Tadmottons iK)int> (S 1'»)- 



5r 




— 3 — 

tarono: essere stati i Liguri un popolo che neirantichità più 
remota occupò simultaneamente gran parte della Gallia meri- 
dionale, dell'Italia e della Spagna, e che lo stesso popolo può 
esser chiamato iberico almeno per la ragione che parlò V idioma 
iberico, il qual si crede rappresentato dalla lingua basca mo- 
derna. ^ In effetto, si trovarono altre tracce di basco nei nomi 
geografici ispani e liguri, e si riconobbe che il nome stesso 
di Liguri, ricondotto dalla forma latina alla sua forma origi- 
nale, è composto di due parole basche: ligor o iligoral 
singolare, ligorrac o iligorracal plurale, le quali valgono: 
li ili, popolazione, gor, altura: onde ligure vorrebbe dire: 
montanaro. ^ 

Né dall'odierno idioma ligure-genovese sarebbero intera- 
mente sparite le vestigio del basco: ecco alcune parole, etimo- 
logicamente basche, che il genovese ha comuni con lo spa- 
gnuolo. 3 



Basco puro 



Spagnuolo bascuense Genovese 



Italiano 





Adobo 


Adubbu 


Concia 


Antzua 


Anchoa 


Anciùa 


Acciuga 


Bizarra 


Bizarro 


Bizaru 


Bizzarro 




Oasaca 


Casacca 


Casacca 




Chocar 


Ciocà 


Render suono 




Chusma 


Citixima 


Ciurma 




Embarazo 


Imbarassu 


Imbarazzo 




Ermita 


Ermittu 


Solitario, deserto 


£scuoncia(vaso alla 


Escancia 


Sganzla 


Scaffale 


mano) 










Escoba 


Scubba 


Scopa 


Garaitoa (parte su- 


Garita 


Garitta 


Casotto per senti- 


periore, estrema) 






nella 




Garapìna 


Carapigna 


Sorbetti era 




Garzon 


Garsun 


Garzone 


Gambelji (mangi a- 


Gamella 


Gamella 


Catino di legno 


toja) 








Guirlanda 


Guirnalda 


Ghirlanda 


Ghirlanda 




Largar 


Larga 


V. m. sciogliere , 
sfrenare 


Latas, lattea 


Latas 


Latte 


V. m. tavole 



' G. DwiGHT WiTNKY, La Otta e Io sviluppo del linguaggio, cap XII. 

* Però questa etimologria fu impugnata da H. D'Abbois de Jubainville 
nella sua ragg-uardevole opera Les premiere hahitaìits de V Europe (Paris, 1889)^ 
voi. I. Sostenne egli che il vero nome dei Liguri era Ligusi, avendo i Latini 
sostituita la .V con la /• nel nominativo plurale, dicendo però Ligus al nomi- 
nativo e al vocativo singolare, o Ligusticus all'aggettivo. 

* Le trassi dal Diccionario triliìigue del Castel! anOy Bascuense, y Latin , 
su autor el padre Manuel de Labkamexdi, San Sebastiano, 1745. 



— 4 — 



Basco puro Spagnuolo bascuense Genovese 



Italiano 



Marchar, mar- 
cila 
Mazamorra 

Mochar 

Mocho 
Mozo 

Muchacho 
Murua (eminenza, Morrò 

mucchio) 
Muturra (bocca 
sporgente con 
grosse labbra) 

Quinofia 



Motza (pelato) 



Zapata 
Zapataìn 



Marcia, marcia II camminare dei 

soldati 

V. m. tritumi di 
biscotto 

Mozzare, smocco- 
lare 

Mozzato, moccolaia 

Mozzo 

Garzone di bordo 

Muso 



Massamuru 
Amucà 



Mucca 
Mussu 
Muciacciu 
Muru 



Mutria 



Mutria 



Nifio 


Ninnu 


Fanciullo 


Quinon 


Ghignun 


Sorte avversa, ri 
pugnanza 


Rato, raton 


Rattu 


Topo 


Resaca 


Resacca 


V. m. risacca 


Tapar 
Velacho 


Tapà 
Velacciu 


Turare 


V. m. Velaccio 


Zapato 


Savatta 


Ciabatta 


Zapatero 


Savattin 


Ciabattino 



Certo che queste voci genovesi, comuni quasi tutte al pro- 
venzale e al francese, ^ non dimostrano affatto che i Liguri ab- 
biano un tempo parlato V idioma iberico-basco : né miglior prova 
danno i nomi dei pochissimi monti, paesi e fiumi della Liguria 
e del Piemonte che potrebbero credersi appartenenti a quel- 
l'idioma. Vi è, per esempio, un torrente che mette foce nella 
Polcevera e chiamasi Dori a: sonovi le due Dorè e si ha il 
nome di Do ira dato a Torino ai rigagnoli che correvano in 
mezzo alle vie; vengon essi dal basco duria, corso d'acqua, 
o dal celtico dur, dwr, acqua? Ad ogni modo, le voci su ri- 
ferite costituiscono un fatto del quale è utile tener conto, come 
pur giova considerare alcune analogie singolari tra l' idioma 
genovese e il guascone, * e la conformità di qualche nóme geo- 
grafico in Liguria e in Guascogna, per esempio quello di Uscio, 
paese sopra Rocco, il quale piuttosto che dal gallico latiniz- 
zato in Ocellum, parrebbe derivato dagli Auscii, popolo dei- 
Tanti ca Vasconia la cui capitale era Ausch, oggi Auch. 



* L'italiano no ammise poche e tardi: così la voce addobbo nel soiiso 
di concia, condimento, non entrò nell'italiano che per mezzo dello spaèrnuolo: 
il primo esempio recatone dalla Crusca è del Salvini. 

* Vedasi a pag. 102. 



— 5 — 

Furono adunque i Liguri gente iberica, o almeno a lei 
molto affini? I moderni storici lo ammettono tutti: ^ ma i più 
recenti studi antropologici ^ vennero ad infirmare cotesta forte 
sintesi cui giunte erano storia e linguistica, avvicinando invece 
i Liguri ai Celti. Quanto a me che, grazie al cielo, non ho da 
scrivere la storia dei Liguri, mi ristringerò a dire che, eccet- 
tuate le poche voci su ripoi*tate, il numero delle quali po- 
trebbe forse venire alquanto accresciuto da un più accurato 
studio del basco, i Liguri tutti dimenticarono questa che vuoisi 
fosse la loro lingua nativa, e ne parlarofio un*altra assai dif- 
ferente. 

Come avvenne cotesta trasformazione ? Come si spiega che 
nell'idioma ligure-genovese (il solo che forma oggetto di questo 
mio studio) si trovino numerose e profonde tracce di lingua 
celtica e, cosa assai più notevole, di lingua germanica? Fatto 
sta che una bucina parte dei nomi dei monti, dei fiumi, dei tor- 
renti defla Liguria son celtici, nomi che poi si estesero ai paesi 
stabiliti su quei monti o in riva a quei fiumi, ed alle famiglie 
che quei paesi abitarono. 11 nome stesso di Genova, secondo 
Paolo Diacono, longobardo, è celtico, cioè genu, che vale: 
adito, uscio 3. 

Questo fatto avea già notato nel 1806, discorrendo assai 
dottamente della celebre tavola di bronzo trovata in Polcevera 

* Citerò il più recente, che è tra i più illustri, il Duruy, il quale nella 
sua Histoire des Romains (Paris, 1885) dice che i Liguri « paraissent avoir 
« été un rameau d'un autre peuple ónigmatique, les Basques des Pyrénées ». 
In questi ultimi tempi, il D'Arbois de Jubainville, iieiropera g-ià citata, negò 
che i Liguri appartenessero alla famiglia iberico-basca, affermandone l'origine 
ariana, e Alfredo ^L^.ury nella sua Note sur les Ligures, pubblicata nei 
Comptes rendus de V Académie des inscriptions et helles lettresde Vannée 1877, 
sostenne, se non la comunità d'origine, una grande affinità di stirpe e di lingua 
tra Liguri e Celti. Rispose ad entrambi, con una dissertazione di molto pre- 
gio, intitolata: Le stirpi ihero-liguri (pubblicata nelle J/rworié» delia R. Acca- 
demia delle scienze di Torino^ 1881, voi. XXXJII), il prof. Luigi Schiappa- 
relli, sostenendo invece che i Liguri «il popolo storico più antico d'Italia» 
appartenevano alla famiglia delle genti iberiche, rappresentate ancora dai 
Baschi. 

* Si possono vedere riassunti nella recentissima opera di Giovanni Lau- 
monier, intitolata: La vationalité frati^aise,\o\. II, Les 5bww<?.9 (Paris, Cha- 
muel, 1892). 

* D'Arbois de Jubainville (Revue archéologique, novembre 187.5) lo trae 
invece dal gallico gena va che vai: bocca, e che probabilmente ha origine 
identica al genu. 



— 6 — 

nel 1506, Girolamo Serra ^ che riconobbe celtici, fra gli altri 
in essa indicati, i nomi di Mannicelo, Yindupale, Gomberanea, 
Tuledonem, Veturii, Veituriis, Langenses: ma, che io sappia, 
ninno dopo di lui si occupò in queste ricerche che tanto avreb- 
bero giovato alla storia. 

Solamente nel 1873 quel valente filologo che fu Giovanni 
Flechia pubblicò negli Atti dell* Accademia delle scienze di 
Torino (voi. XXVII) una dissertazione su alcune forme di nomi 
locali nell'Italia superiore, in cui applicandosi piuttosto allo 
studio dei suffissi ch% a quello dei temi, non considerò che le 
terminanti in ago, asco, ate, engo, le quali, eccetto le se- 
conde, poco interessano la Liguria. ^ 

Quanto a quello che Costantino Nigra ^ chiamò ^ substrato 
celtico » degli idiomi genovese e piemontese, mi riferisco al 
Vocabola^no etimologico posto in fine di questo libro, ma non 
tralascerò di far osservare come le voci celtiche ancora vive 
nel genovese appartengalo tutte al linguaggio elementare: 

araon = a reu ' lesen = lezen-a 

brig = briccu ^ marm-mear = marmelin, marmelà 

bren = brenna mota = motta 

brug = braga nas = nassa 

caban = cabanna reatha := regatta 

dru = drùu rask = rasca 

gabb = giabba sgaireach = asgaià 

jomagan = magun sgiath = sgheuà 

toc = tocca, ecc. 



Come vennero, ripeterò, all'idioma genovese le voci cel- 



tiche? 



* Memorie dell'Accademia Imperiale delle scienze e belle arti in Genora, 
voi. II. 

* Dichiarò celtiche le terminanti in ago (Cadela(?o, Ubaga, Zig'nagoi, 
non celtiche, ma appartenenti alla lingfua dei Liguri anticlii, quelle in asco 
(Buggiascu, Burzunasca, Cravascu) che sono una quarantina circa in Liguria, 
però ammettendo su questa forma l'influenza del suffisso germanico isch: 
giudizio in cui non posso convenir io, che stimo celtiche le terminazioni in 
ascu, cioè in asc (vicino). Le terminanti in ate spettano in proprio alla 
Lombardia, quelle in engo, certamente germaniche, non sono mai nomi di 
luoghi, ma di persone, in Liguria (Brunengo, Samengo, Veruengo). Quanto 
ad Albenga, si sa che è da Àlbingaunum. 

* Canti popolari del Piemonte, Torino, 1888. 

* Giovi di rammentare che in genovese Vu finale dopo consonante, non 
accentato, non ha altro ufficio che quello di smorzare il suono delle voci 
tronche, abborrite dal genovese come sarà detto a suo luogo. 



— 7 — * 

La storia degli antichi Liguri, ancorché rifatta in questi 
ultimi tempi col nuovo lu^me dell'etnologia e della glottologia, * 
non risponde, né risponder potrebbe, a tale quesito con sicu- 
rezza, ma lascia credere come assai verisimile; P non esser 
certo se i Liguri, razza distinta indo-europea, siano stati per 
sangue affini agli Iberi, oppure ai Celti; ^ 2** che essi furono, 
in un tempo antichiisimo, a contatto con gli Iberi; 3^ che poi, 
spinti dai Celti, partirono dalle montagne le cui falde sono ba-, 
gnate dalla Ouadiana, e si stabilirono su la costa che dalla foce 
del piccolo fiume Ter in Ispagna corre sino a quella dell'Arno, ^ 
abbracciando così in una zona semi-circolare il golfo che fu da 
loro chiamato ligustico; 4"^ che a mano a mano moltiplicatisi, 
si estesero nella Gallia, ad occidente del Reno, fino alle Cé- 
vennes, ad oriente fino airisère, alle Alpi ed al Varo. Cosi 
i Liguri si trovarono in diversi punti a contatto coi Galli, e 
qua si unirono ad essi formando un popolo solo, là, serbando 
il proprio carattere, vissero in buona armonia con loro. 

In effetto, Aristotele denominò CJelto-liguri gli abitanti 
della regione compresa tra V Isère, il Varo, e le Alpi marittime. 
Ora, io porto opinione che quelta qualificazione di Celto-liguri 
convenga a tutti i Liguri-genovesi, i quali credo che parlato 
abbiano, ab antico, un linguaggio . celtico più o meno puro, 
misto con qualche elemento iberico. 

Scrisse Strabene ^ « delle Alpi, che sono monti altissimi 
4 formanti una linea curva, la parte rilevata si volge verso 
« le pianure dei Celti e il monte Cemmeno (les Cévennes), quella 

< concava verso la Liguria e l'Italia. Contengono quei monti 
« assai gente gallica, eccettuati i Liguri: questi, ancorché siano 
« di (fiversa nazione, vivono però tutti alla stessa maniera dei 
^ Galli, e abitano quella parte delle Alpi contigua agli Appen- 

< nini, dei quali anzi posseggono una parte >►. 

• Consultare particolarmente, oltre alle opere che ho grià nominate e 
che ancora nominerò, la Histoiredes Gaulois par Amédéb Thierry, Paris, lft77. 

• Celti e Gralli erano, per i Romani, sinonimi ; in realtà, i Celti costitui- 
vano una delle confederazioni della g^ento g-allica. 

• È probabile che in un'epoca posteriore essi fondassero alla foce dol- 
l'Arno una stazione denominata * Ligurnus (portus) ». Il Giustiniani ne' suoi 
Annali scrisse sempre : « Ligorno », e i marinai genovesi dicono anche oggi 
invece di Livorno, Ligurnu o Ligurna, o gli Inglesi Leghorn. 

'* Geografia, lib. IL 



— 8 — 

Adunque i Liguri, secondo Strabone che scriveva, come si 
sa, al tempo d'Augusto, non eran Galli, ma vivevano allo stesso 
modo dei Galli: comuni i costumi e gli abiti, probabilmente la 
lingua. Ora, se le due stirpi si fossero trovate a contatto su 
confini molto estesi, se avessero avuto tra loro un commercio 
attivo e costante, s'intenderebbe una certa conformità del modo 
di vivere, anco una certa conformità di linguaggio, ma lo stesso 
. Strabone ^ ci lasciò questa descrizione dei Liguri « il littorale 
« da Monaco air Etruria è continuo e senza porti, salvo qual- 
« che ancoraggio : gli sovrastano grandi e scoscese rupi le quali 
« lasciano tra esse e il mare un angusto passaggio. Quivi abi- 
« tano i Liguri che a stento vivon di pecore, di latte e d'una 
« bevanda fatta con orzo. . . Sonovi selve che producono grandi 
« alberi bucai a fabbricar navi, buonissimi a far tavole : questo 
« legname portano al mercato di Genova, e così bestiami, pelli 
« e miele, traendo poi da Genova olio e vino d' Italia, avendo 
^ essi vino poco e che sa di pece. Di là (cioè dalle montagne) 

1 

«vengono pure i cavalli e i muli detti «ginni», le tuniche e 
« i saj (saga) liguri, ecc. ». 

Dunque la conformità dei costumi tra Liguri e Galli, con- 
finanti per una breve ed alpestre frontiera, senza relazioni com- 
merciali reciproche, aveva origine antica. Quanto alla confor- 
mità della lingua, Strabone stesso ne fornisce una prova: 
sonovi due parole, riputate latine, caliga « calceamentum mi- 
litare » e sagum «tunica, vestimentum militare», le quali 
vivono ancora nel genovese idioma con la forma e a e g à cal- 
zolaio, e saaghetta vestito da cacciatore: orbene, la prima 
probabilmente, la seconda sicuramente, son voci galliche. 

Conforme alla mia è su questo argomento l'opinione di quel 
valente filologo francese che ho già nominato, Alfredo Maury, ^ 
il quale aflferma che « les Ligures eux-mèmes, qui formaient 
« sans doute d'abord une race distincie, subirent si compiete- 
le ment Y influence des envahisseurs Celtes, que au plus haut 
« que nous puissions remonter dans leur histoire nous ne voyons 
« que des tribus celtisées » e poco poi ripete che « si la race 
« ligure n'est pas de source celtique, avait au moins regu de 



* Geografia, lib. IV. 

" Journal des savatits, 1811, Mémoire sur V archeologie celtique et gauloise. 



— 9 — 

^ très-bonne heure une forte infusion de sang celte, et adepto 
<^ un idiome celtique au fond » . 

Citerò ancora, intorno all'origine dei Liguri, l'opinione di 
un altro dotto francese, Ernesto Desjardins : ^ « Nous en sommes 
« réduits, en Tétat actuel de la science sur ce point, à ne rien 
« avancer, sinon que la langue parlée par les Ligures n'avait 
« aucun rapport avec celle des Ibères, et qu'elle avait au con- 
« traire la plus grande affinité avec la langue des Gaulois. Est- 
« ce à dire que les Ligures fussent Gaulois et formassent comrae 
« une première immigration de la grande nation qui a occupé 
« la majeure partie de notre pays ? Les textes classiques qui 
« distinguent soigneusement ces premiers venus des tribus cel- 
« tiques qui les ont suivis, nous interdisent de le faire, mais 
« nous croyons pouvoir dire sans témérité que les Ligures re- 
« présentent un des rameaux de la grande race aryenne ou 
« indo-européenne, et que leur langue se rattache, comme les 
« idiomes celtiques (sans que nous ayons, jusqu'à ce jour, les 
« éléraents nécessaires qui nous permettent de Ten distinguer) 
« à la mème famille linguistique ». 

Infine io non saprei trattenermi dal citare un passo di Plu- 
tarco, nella Vita di Mario^ la cui importanza storica non parmi 
essere stata abbastanza considerata dai moderni scrittori. Si sa 
che dal 1300 al 1400 in circa a. C. un'orda numerosissima di 
Celti, col nome guerresco di Ambra (valorosi, nobili) mutato 
poi dai Romani in quello di Ambre, o Umber, piombò sui 
Siculi dimoranti nella Valle del Po, e cacciatili, vi si stabili essa 
stessa, rimanendo a contatto coi Liguri stanziati sull'Appen- 
nino: si sa che poi, vinti dagli Etruschi, gli Ambroni si riti- 
rarono nella Gallia e nell'Elvezia, e che alcuni si rifugiarono 
nelle valli delle Alpi, in mezzo alle genti Liguri. 

A questa razza medesima appartenevano quelli Ambroni, 
i quali l'anno 652 si unirono coi Cimbri e coi Teutoni per in- 
vader l'Italia. Agli Ambroni ed ai Teutoni toccò in sorte di 
tentare il passo «per le terre dei Liguri, lungo la marina». 
Si oppose ad essi Mario con un esercito in cui era un corpo di 
Liguri, e si venne alle mani alle Aquae Sextiae (Aix). « Ca- 

* Oéographie historique et amministrative de la Oaule romaine, par Eu- 
NBST Desjardins, de T Insti tut, Paris, Hachette, 18*78-1892. 



t 



— IO — 

< larono rovinosamente gli Ambroni, non confusi ne con furia 
« e voci disarticolate, ma movendo l'armi a tempo e marciando 

< tutti insieme alla cadenza, replicavano spesso il lor proprio 
« nome, dicendo Ambroni, Ambroni, o per chiamarsi Tun Taltro 
^ per impaurire i nemici con lo scoprirsi prima. I primi Ita- 

< liani che si mossero contro essi furono i Liguri, i quali sen- 

< tito e ben compreso il grido, risposero ancor essi col mede- 
« Simo perchè dicono questo essere il vero cognome generale 
« della lor nazione*. ^ 

Suppone il Thierry ^ che questi Liguri ausiliari discendes- 
sero dagli Ambroni rifugiatisi, come di sopra dissi, nelle valli 
delle Alpi, ma è strana supposizione, e del tutto gratuita. La- 
sciando da parte il fatto che nel parlar di Liguri gli storici di 
Roma, latini o greci, intendono sempre di parlare degli abitanti 
della Liguria propriamente detta, giova considerare che Mario 
(sempre secondo Plutarco) « sentendo esser già i nemici vicini, 
<c varcate prestissimamente le Alpi, si accampò alle sponde del 
<f Rodano ». Or la più breve via per andarvi era sicuramente 
TEmilia, costruita da poco tempo, la quale per vie più antiche 
metteva alle Alpi marittime. ^ Mario adunque traversò la Li- 
guria che, pacificata da molto tempo con Roma, avea l'obbligo 
di somministrare ai romani eserciti un corpo di soldati, « socii 
in bellis » cioè distinti dagli altri corpi, e il console che ben 
sapeva essere i Liguri « durum in armis genus »,* ne avrà di 
certo menati seco quanti più avrà potuto. Sulle Alpi era an- 
dato, ad opporsi ai Cimbri, l'altro console Catulo. A me dunque 
par chiaro che i Liguri di Mario i quali, a detta di Plutarco 
(da cui non viene attribuita al caso altra importanza che quella 
di una curiosità storica) gridarono alla battaglia delle Aquae 
Sextiae amhra! amhra! erano Liguri principalmente Genovesi. 
Onde, mutata la parola ombriens con quella di ligures, 
dirò col Duruy: ^ « dans la melée, on avait entendu retentir 
« des deux cotés: ambra, ambra! C'ótaient les Ambrons qui 
<^ jetaient leurs noms dans les airs, et les Ombriens d* Italie, 

* Plutarco, Vita di C. Mario, traduzione di Marcello Adriani. 
' Op. cit., lib. V, cap. I. 

^ Porti, e vie strate dell'antica Liguria, per E. Celesia, Genova, lHC:i. 

* Livio, XXVII. 
' Op. cit., voi. II. 




— li- 
te auxiliaires de Rome, qui y rópondaient par leur vieux cri de 
« guerre celtique. Les deux peuples frères se retrouvaient en 
« face l'un de i'autre, après une séparation de dix siècles >. 

Assai più difficile è di sapere come si trovino nel geno- 
vese le voci germaniche. Delle geografiche citerò quelle ter- 
minate in orhu (germ. horn, corno) Cogornu, Gattornu, 
Liciornu, Pizzornu, Spòtornu, ecc.^ e in ardu (sassone 
heard, arduo, difficile) Picard u, Pizzardu, Capenardu, ecc., 
tutti nomi di monti, estesi poi, come già dissi, a paesi e famiglie: 
né accennerò ad altri nomi che potrebbero esser germanici come 
celtici, ad esempio Braccu, Garbu, Brega, ecc. 

Altri nomi topografici germanici non sono antichi in Li- 
guria, ad esempio quello di Garibaldu, villaggio nella valle della 
Graveglia ( circondario di Chiavari ). Narra la storia che, 
nel 671, Garibaldo figlio di Grimoaldo re dei Longobardi fu cac- 
ciato dal trono da Pertanto : un'antica lapide ^ trovata nel 1250 
nel castello della Busseta (forse dal monte Bussea) dice così: 

GARIBALDO GRIMOALDI REGIS FILIO 

A. PEBTARITO AVUNCULO PAPIAE TRONO EXPULSO 
AB ABiPERTA MATBE 
GARIBALDI PRIMI BAVARIAE DUCIS ABNEPTB 
IN HAC ARCE BUXETAE RECONDITO 
ANNO S^'» 673 
SOLO SUIStìITE NOMINE RELICTO 
JOANNES ABNEPOS 
800' 
MONUMENTUM POSUIT. 

I Garibaldi, signori e vassalli, cresciuti di numero in quella 
pacifica valle, si difi'usero poi sino a Genova, dove due fami- 
glie Garibaldo furono ascritte alla nobiltà. Di questa gente è 
uscito l'eroico duce dei Mille, che, per fermo, giustificò il pro- 
prio nome : gar bald, arma audace. 

Quanto alle voci germaniche che si trovano nel linguaggio 
comune genovese, mi riferisco, come già per le celtiche, al vo- 
cabolario etimologico, facendo però notare che, al par di queste. 



^ Anche il cog'nome Adorno è germanico. 

* Io non la vidi, ma so no afferma rautenticità. 

' Questa e la precedente data male si leg-fi^ono. 



— 12 — 

le germaniche, tutte elementari, appartengono certamente al 
linguaggio primamente parlato, in un tempo antichissimo, dai 
Liguri-genovesi : ^ 

baga = bèga lùge = luggia 

balla = balla modor, moder = moè 

bisa = bixa mutt = muttu 

bloch = bloccu nustern = anastu 

brikan = bricca foeder = poè 

bruck = brocca rappe = rappu 

briisa = bruii rana = randezà 

bùch = beùggiu schoss = scòsu 

butzen = buzzu shocken = ciocà 

frima = grimia schiappe = sleppa 

alon = ala spitze = pissa 

hlaepen = lippa sticca = stiggiu 

klippe = ciappa strunzen = strunzu 

kummer = giimà stunde = stundaju 

lappian = lapà stnipf =^ strufugià 

lucke = locià wathan = agueità, ecc. 

Queste voci, parecchie delle quali appartengono anche al 
lombardo, poche al piemontese, una o due soltanto all' italiano, 
resistettero alla lunga e potente influenza del latino, e vivono 
oggi di vita fortissima. Come vennero al ligure-genovese? Cer- 
tamente non come vennero alla lingua italiana, in assai mag- 
gior numero, quelle voci germaniche che or le son proprie, 
cioè (per la massima parte) dalla convivenza degli Italiani con 
i loro signori germanici. Scrive a questo proposito l'Ascoli : ^ 
«la comunanza degli elementi germanici (nell'italiano) riesce 
« aflfatto inconcepibile se non le si trova una ragione storica 
« la quale si connetta, o addirittura s' identifichi, con quella 
« dell'estendersi della parola latina al di là dei confini del- 
« l'Italia, e sia perciò anteriore alle invasioni germaniche. Ora 
« una tal ragione storica, bastevole e congrua per ogni lato, io 
« la vedo, molto semplicemente, nel legionario di Roma o sotto le 
« insegne o fatto colono, la vedo, in altri termini, nel linguaggio 

* Sono poi relativamente molti i cognomi germanici tra i Liguri- 
genovesi in ispecie nella riviera di ponente, Arnaldi (herren-hold favorito 
dei signori), Ànsaldi (hansz-alt vecchio compagno), ecc. È verosimile che 
provengano da famiglie o da genti d'arme, condotte dai nobili tedeschi i 
quali acquistarono feudi in Liguria, come i Grimaldi, i Fieschi, ecc. Altri co« 
gnomi terminati in aldi vengono dalla qualità dell'ufficio esercitato dai tito- 
lari sotto l'impero dei Codici longobardi: così Gastaldi che ò gast-aldii 
tenitore di albergo, Montaldi che è mundu-aldii, tenitore di mundio, ecc. 

• Archivio glottologico, voi. II, pag. 412. 



— 13 — 

« " castrense " al quale relemento germanico delle truppe ausi- 
« liari e le " guardie " teutoniche, dovevano aver dato una gran 
« parte delle trecento voci tedesche che si trovan comuni alle 
« diverse favelle neo-latine ». A me duole di non poter con- 
correre nell'avviso dell'illustre filologo, il quale parmi che 
abbia attribuito al linguaggio castrense un'influenza eccessiva, 
dimenticando i due secoli di domìnio longobardo su mezza 
Italia. Io non dirò che fu primo Augusto ad instituire una 
guardia germanica, la quale però stava a Roma, e non ne 
usciva che per seguire l'imperatore; neper fermo il linguaggio 
parlato da quei soldati poteva entrare nel volgare latino più 
di quello che il linguaggio parlato dai reggimenti svizzeri a 
Napoli e a Roma sia entrato nel napolitano e nel romanesco. 

Quanto poi agli « ausiliari » incorporati nelle legioni, nes- 
suna delle quali era stanziata in Italia, non consta che vi si 
ammettessero i barbari, i quali se costretti o allettati a com- 
battere per r impero, combattevano separati. ^ 

Chiederò invece : se le voci germaniche avessero quell' ori- 
gine che loro attribuisce 1' Ascoli, come accade che le voci su 
riportate non le hanno i Romani, i Toscani, i Veneti, ma solo 
i popoli Gallo-italici, e in maggior quantità e molto più pure 
i Liguri-genovesi, chiusi nelle loro montagne, che non ebbero 
né colonie, né guarnigioni romane sul loro territorio, né mai 
contatto (che la storia ricordi) con genti germaniche, eccetto 
che per due brevi e rovinose invasioni di Franchi e di Lon- 
gobardi ? 

Come accade che le poche voci germaniche che il geno- 
vese ha comuni con l' italiano, ^ le pronunzi in modo assai più 
conforme all'originale, indizio sicuro che non le ebbe dall' ita- 
liano ? Vedasi : 

Germanico Italiano Genovese 

Binden, binda Bendare, benda Binda, binda 

Hazjan Aizzare Assia 

PÓSI, bdsi Bugia Boxia 

Schopf Ciuffo Suffu 

Skinko Stinco Schincu 

Warten Guardare Vardà 

* V. Mauquabdt, DeìVordinawento militare presso i Romani, Parigi, 1891 

* Ha però comuni lo voci militari gi3rmanicbe: gruerra, spada, sciabola, 
stocco, lancia, alabarda, sprono, sella, staffa, bandiera, ecc. 



— 14 — 

Sono domande alle quali non so rispondere: pensai bensì 
alla possibilità che i Celti, mischiatisi coi Liguri, parlassero un 
linguaggio più o meno germanico, come opinava Leibnitz fin 
dal 1686, e come opinano anche oggi alcuni filologi: alla 
possibilità che i Kimri o Cimbri, di stirpe sicuramente germa- 
nica, i quali dal 587 al 521 si stabilirono sulla riva destra del 
Po, confinando a mezzodì coir Appennino ligure, siansi pur me- 
scolati coi Liguri-genovesi, ^ ma ho poi finito per rimettere la 
questione in chi ne sa più di me, che è facile di trovarne. 

Torno alla storia. Circa all'anno 600 avanti Cristo appro- 
darono i Focosi alla costa dei Segobrigi, tribù gallica vivente 
in mezzo alle genti liguri, e vi fondarono Massalia * (Marsiglia) 
introducendo tra i barbari liguri e galli l'arte nautica, il com- 
mercio, la coltivazione dell'olivo e della vite. Due secoli a un 
circa dopo, i Focosi fondarono altre città sulla costa, tra le 
quali Nizza, contrastando ora più ora meno coi Celto-liguri. 
Dei Liguri-genovesi, che pur dovevano essere soli a conser- 
vare fino ai di nostri il nome della loro stirpe, nulla si sa di 
particolare insino a che non entrarono in guerra con Roma: 
è però assai probabile che abitatori di alte montagne, coperte 
di fitte selve, specialmente di abeti, vivessero di caccia e di 
pastorizia, moltiplicandosi in quella quiete. La marina non po- 
teva allettare quei rozzi montanari, tanto più che le loro spiaggie 
erano allora molto più strette che oggi non siano; la civiltà 
venne ad essi, come ai Celto-liguri di Provenza, come a tutti 
gli Italiani, dai Greci. uno stuolo di quei Focosi che avean 
fondata Massalia, o un'altra loro compagnia venuta di Levante, 
s'impadronì del bellissimo golfo cui perla forma arcuata pose 
il nome di Selene (luna) mutato poi dai Latini in quello di 
Luni: in riva a questo fondò le stazioni di Lerice e di Porto 
Venere i cui nomi rammentano anche oggi il culto di Venere 
Ericina. Dalla forma del suo perimetro chiamò Palmaria V isola 
che è a ponente del golfo, e Tini, per la piccolezza loro, i due 

* Nel Jing-ua^^io parlato nei tredici Comuui veronesi, che si vogliono 
abitati da discendenti dei Cimbri, si trova se hoaz per grembo, spitz per 
punta, tampf per tanfo, ecc. 

* Anche in Lig-iiria vi sono due Marsigrlie. L'etimolog^ia di Massalia vuoisi 
che sia Mas-salia, c^sa dei salii; io però voglio far notare clie il nome stesso 
era anticamente ])orttit'» da un tiume di Creta (Tolomeo) og^i chiamato 
Meg-àlo-potamo. 




— 15 — 

isolotti che le stanno a lato. Di là si diffusero per le Riviere 
or genovesi; a loro devono fondazione e nome: Sori, forse Sestri, 
e Ricina (poi Ricinum, oggi Recco), Polupece tra il capo di Noli 
e quel delle Méire (oggi Mele) ed Epanterii (oggi Andora). 
Anche a Genova è verisimile che si stabilissero. < Caignan - 
« scrisse il Serra ^ - dicon oggi i Genovesi, parchi di consonanti, 
<( ma nelle antiche scritture queirestrema punta di Genova 
« vien detta Calignano, ov'è notabilissimo il g frapposto, che 
« è proprio della greca favella avanti la lettera n. E vera- 
« mente quel luogo è bello ad abitare. Di sotto giace una valle, 
« e sta dirimpetto un poggio folto di case, ove si dice di chi 
«vi ha stanza: egli abita sopra la Coeulloa: e Koilas, in 
«greco, significa: valle >. Ed io aggiungerò che greco nome 
ha la ripida via la quale mette al piano di S. Andrea, via del 
Prione, che è Prion, sega, cosi detta o dalle forme del monte, 
dai taglienti ciottoli che copri van la via: greco nome ha 
probabilmente la salita di Sant'Anna, che è Bach ernia, o 
Blakerna. 

In cotesto occupazioni i Focosi devono, di necessità, aver 
proceduto d'accordo coi Liguri troppo più potenti di loro : questi 
avranno di buon grado accolti que' marinari i quali insegna- 
vano a coltivare la terra e poi aprivano la via del mare : e le 
due genti in breve si affratellarono. 

Della mistura di un elemento greco al ligure-genovese 
fanno fode i nomi, di evidente origine greca, di parecchi ca- 
sati liguri, p. e., i Partenopeo, i Cybo, i Parodi numerosissimi, 
i Bixio, i Gregori, i Grillo, i Macari, i Medoni, gli Schiaffino, i 
Molfino (che giustamente il volgo chiama Morfine), gli Ori- 
gene, ecc. Ne fanno egualmente fede le voci greche che ancora 
vivono nel genovese idioma, delle quali alcune posson bensì es- 
sergli venute, in progresso di tempo, dal commercio coi Greci, 
specialmente di Costantinopoli, ma le più, e tutte quante le 
marinaresche, si appalesano per la natura loro di antichissima 
origine; eccone un saggio :2 

* Op. cit., annot. al lib. I. 

* Delle voci sej^nato con asterisco trattasi nel Vocaholarw etimologico. 
Superfluo dire che i Lig-uri navi^rono assai prima dei Romani, onde non 
possono avere tolte da loro le voci marinaresche: queste si rassomiprliano nel 
latino e nel g-onovose perchè i Romani le tolsero per la massima parte dai 
Greci. 



— 16 — 



Greco 




Genovese 


Akakia 




Gazi a 


Amygdala 




Amandua 


Ana-tetaméne (stesa 


su) 


Antenna 


Ankyra 


w 


Àncua 


Artytikà 




Articiocca 


Bans 




Barca 


Basilicós 




Baxaicó 


Broma (esca) 




Briimezzu 


Charax 




Carassa 


Chara 




Caa 


Cathedra (sedia a braccìuolì) 


Carèga 


Choros 




Coin 


Embatés * 




Imbattu * 


Eretmós 




Remmu 


Hormizein 




Ormezà 


Honnós 




Ormezzu 


Kaleó ♦ 




Chèga 


Kàlos 




Cau 


Eànnabis 




Caneva 


Kàrion (noce) 




Caen-a 


Eatàdoupa 




Catubba 


Kistos 




Custu 


Kithàra 




Chitàra, gen. ant 
cittara 


Komma (cordicella) 




Cumandu 


Kóphinos (vaso) 




Cuffin 


Kyphós (piegato, curvo) 


Cuppu 


Leichein (leccare) 




Leccaja 


Makurie o makar 




Magar a 


Malacia * 




Macaja * 


Mataxa * 




Assa* 


Oiacs, oiacos 




Ogiàxu 


Patos 




Pàtan 


Phalós (splendente) 




Falò 


Rhyncos (rostro) 




Runca 


Salpi X 




Sarpà * 


Sélinon 




Sellau 


Skalmós 




Scarni u 


Skàphe 




Schiffu 


Skaphos 




Scaffu 


Skizein ( dividere ) , 


schiza 


Scià, scia 


(scheggia) 






Stémonichon 




Stamanèa 


Strophós 




Streuppu 


Suntréco (concorro) 




Sintraco, cintraco 


Syllabé(coi ri prensione 


di suoni) 


Nu siila 


Teloneion 




Teloniu 


Xystos (squadra) 




Sesta 


Xeima (inverno) 




Zemì (da-u freidu) 


Ziziphon 




Zizzoa 



Italiano 

Acacia, gaggia 

Mandorla 

Antenna 

Àncora 

Carciofo 

Barca 

Basilico 

Esca pei pesci 

Palo da viti 

Cera (volto) 

Sedia 

Coro, corina (vento) 

Vento estivo, rego- 
lare 

Remo 

Ormeggiare 

Catena 

Incanto pubblico 

Cavo (y. w.) 

Canapa 

Carena 

Gran cassa 

Cesto, cespo 

Strumento simile 
alla lira 

Comando (V. ra.) 

Corbello 

Tegolo 

Leccornia 

Magari 

Aria umida 

Matassa 

Aggiaccio (mano- 
vella del timone) 

Fango 

Falò 

Gancio 

Salpare 

Sedano 

Scalmo 

Schifo 

Scafo 

Sciare, scia 

Stam enaie 
Stroppolo 

Banditore pubblico 
Star zitto 
Telonio 

Modello, forma 
Morirsi di freddo 
Giuggiola 



Fu, con grande probabilità, dopo questa fusione loro coi 
Greci, che i Liguri-genovesi divennero marinari, e come dicono 



— 17 — 

antichi scrittori, trafficarono arditamente nel Mediterraneo con 
piccoli legni, non tralasciando, a buone occasioni, di pirateg- 
giare, com'era allora costume universale: ma progredirono pre- 
stamente, si che comparvero tra gli ausiliari d'Enea coir ingente 
nave Ceniaurum, cantata da Virgilio. ^ L'altra parte ed assai 
maggiore dei Liguri-genovesi, restò montanara: il ceto dei 
mercanti nasceva a Genova, emporio, politicamente quasi neu- 
trale, di tutti i Liguri e di molti stranieri. 

I Liguri-genovesi, l'anno 237 a. C, entrarono in guerra 
con Roma : già erano, per ragion di commercio, amici dei Car- 
taginesi, ne divennero allora alleati, e insieme ai Galli così 
cisalpini che transalpini, altri loro amici costanti, formavano 
ancora il terzo dell'esercito di Annibale alla battaglia di Zama. 
Si può supporre che quella lunga consuetudine dei Liguri-ge- 
novesi coi Cartaginesi abbia introdotte nel linguaggio dei primi 
alcune voci ebraico-fenicie che ancor vi si trovano, e delle 
quali riparlerò nel Vocabolario etimologico. 

La resistenza dei Liguri-genovesi ai Romani durò più di 
un secolo, poi, sottomessi, furono ben trattati dai vincitori. Il 
latino diventò, coH'andar del tempo, l'idioma dei Genovesi : non 
il latino aureo, s'intende, ma neppure quel volgare latino, sermo 
pleheiuSy rusticitas, che fu parlato in Italia, nei Grigioni, in Pro- 
venza, in Francia, in Ispagna, sul basso Danubio. Noto è infatti 
come potente mezzo di diffusione del volgare latino nelle Pro- 
vincie siano stati gli eserciti e le colonie romane: or questo 
mezzo, e in particolare il secondo, il più efficace, alla Liguria- 
genovese mancò, poiché nessuna colonia vi fu mai stabilita, e 
le legioni romane se ne allontanarono non appena pacificata: il 
latino adunque vi si diffuse per altre vie, certo più lentamente, 
ma men corrotto. 

Certamente i Liguri-genovesi improntarono il proprio ca- 
rattere nel latino da loro parlato : « Ces Italiens - scrisse Littré - - 
« ces Espagnols, ces Gaulois, conduits par le concours des 
< circonstances a parler tous le latin, le parlaient chacun avec 

* Non eg-o te, Ligurum ductor fortissime bello 
Transierim Cinyre, et paucis comitato Cupavo, ecc. 

Notevole che i nomi dei capitani dei Liguri sono greci. Si sa per altro 
che questo passo di Virgilio è oscurissimo. 

* Complément de la préface au Dictionnaire de la langue francaise. 

2 



— 18 — 

« un mode d*articulation et d'euphonie qui leur était propre . . . 
« Ces grandes localités qu'on norame Italie, Espagne, Provence, 

< France, mirent leur empreinte sur la langue, comme la mirent 

< les localités plus petites qu'on nomme provinces. Et la diver- 
ge site eut sa règie qui ne lui permit pas los écarts. Cette règie 

< est dans la situation géographique qui implique des différences 
4f essentielles et caractéristiques entre les populations ». 

Al che il valente filologo avrebbe potuto aggiungere che 
questa regola era altresì nella natura dei popoli, perocché, 
abbiavi, a detta di Humboldt, identità assoluta tra l'anima di 
un popolo e la sua lingua. 

Brevità, precisione: questo fu sempre ed è il carattere del 
genovese idioma, avverso alle consonanti di difficil pronunzia, 
avverso ai sinonimi generatori di confusione: ^ l'idioma di un 
popolo lavoratore in terra ed in mare, che non aveva tempo 
da perdere; quale il popolo, tale la lingua. 

Cosi i Genovesi aggiustarono il latino come ad essi occor- 
reva, conformandone probabilmente i suoni al linguaggio che 
già parlavano, e conservando le voci antiche ogni volta che 
non avevano esatta corrispondenza nel nuovo linguaggio, o al- 
lorché le voci latine corrispondenti erano di pronunzia lunga 
e difficile: cosi serbarono scòsu e pissa perchè trovarono 
ostici gremium e vertex. Non vi ha però idioma italiano, 
il toscano eccettuato, che conservato abbia più tenacemente del 
genovese l'impronta del latino. Tralasciando le molte voci di 
origine latina che, con varie modificazioni di forma, il geno- 
vese ha comuni col toscano, produco qui un elenco di parole 
latine tuttora vive nel genovese, una parte delle quali il toscano 
non ha, un'altra parte alterò molto più che il genovese non 
abbia fatto. ^ 

Latino GoDovese lUiliano 

Abrupte • Abrèttiu * Precipitosamente, alla spen- 

sierata, a iosa 
Administrare • Amenestrà * Ministrare * 



' In effetto, nel genovese puro non ve no Rono. Sonovi invoce, ed è 
strano, parecchie omonimie : gèo, che vai grhiaia e bietola, ma che vai mnre 
e male, pin che vai pino epieno, seja che vai sera e cera, se neh o vai seno 
e sereno, ecc. 

* Delle voci segrnate con asterisco trattasi nel Vocahoìario etimologico. 



— 19 - 



Latino 


Genovese 


Italiano 


Albus* 


Arbu 


Bianco, candido 


Alveus (conca) 


Argiu 


Abbeveratoio 


Amma, poi Hamma 


Àmua 


Boccale, misura da 
vino 


Anas 


Ànnia 


Anitra 


Arbutum • 


Armun * 


Corbezzolo 


Armoracia 


Armoasa 


Ramolaccio 


Axungia 


Sunxa 


Sugna 


Baculus 


Baccu 


Bastone 


Bajulus (facchino) • 


Baèlu 


Baule 


Barbitium 


Barbixu 


BafPò e basetta 


Basiare e basium 


Baxà e baxu 


Baciare e bacio 


Baubari 


Bajà 


Abbaiare 


Blattea 


Bratta 


Fango, mota 
Bambagia 


Bombyx 


Bambàxiu 


Brutum (animai) 


Briitù 


Porcone, vile 


Bacca 


Bucca 


Bocca 


Butjrrus 


Butiru 


Burro 


Buxus 


Biisciu 


Bosso 


Caligarius (da caliga, calzatura 


Caegà 


Calzolaio 


militare) 






Cascus (antiquus) 


Cascu * 


Legnoso, spongioso 


Cernere 


Cerne 


Scegliere 


Ciccum * 


Cicca* 


Cicca 


Cicendela* 


Sexendò * 


^ Lumino da notte 
f Lucciola 


Ciconia * 


Cigheùgna * 


Mazza cavallo 


Circumcirca 


Circumcirca 


Presso a poco 


Cito * (avv.) 


Fitu«» 


Presto 


Coactio ♦ (ratto di raccogliere) 


Coassu * 


I capelli delle don- 
ne raccolti in un 
mazzo 


Concinnitas* (verborum) 


Coccina • 


Cadenza nel parlare 


Conficere 


Cunfèze 


Fare, preparare 


Corbis, corba 


Corba 


Cesta (volg corba) 


Caulis, cauliculus 


Cóu 


Cavolo 


Crates 


Gre 


Graticcio 


Crenae * (asprezze, tacche) 


Cren-a • 


Tacca, intaccatura 


Crepa (arcaismo) 


Crava 


Capra 


Crusta 


Crusta 


Crosta 


Crux 


Cruxe 


Croce 


Cucullus (cappuccio, cartoccio) 


Ciigollu * 


Sorta di chiocciola 


Cucuma (vaso per far bollire 


Cucuma 


Bricco (V. araba) 


liquidi) 






Cucumis (sativus) 


Chigheumau 


Cetriolo 


Cultellus 


Cutellu 


Coltello 


Cuniculus 


Cuniggiu 
Cubelettu • 


Fogna, chiavica 


Cupellum • 


Pasticcino 


Currere 


Cure 


Correre 


Curri cui US 


Ciirlu 


Ruota 


Cutica 


Cuìga 


Cotenna 



* Dicesi delle frutta, rape, ecc. disseccate cosi da non esser più buone 
a mangiarsi. 

* Ed anche cucuìlu, pasta che friggendo si gonfia. 





— 20 — 




Latino 


(ìenovese 


Italiano 


Demorari 


Demoà, Demoàse * 


Fermare, ritardare, 
trastullare 


Deruere (demo, is, ui) 


Derùa (derùu, i) 


Gettar giù, rovinare 


Destruere 


Destrùe 


Distruggere 


Desuper 


Desurve 


Di sopra 


Dictum 


Ditu 


Detto 


Dux 


Duxe 


Duce 


Effodere 


Desfunduà 


Scavare 


Eia 
Elìsus 


Eja, via! 


Su via, orsù 


Lisu 


Rotto, logoro 


Esse 


Ese 


Essere 


Examen 


Examme 


Esame 


Exemplum 


Exempiu 


Esempio 


Exhibere 


Exibì 


Esibire 


Exilium 


Exiliu 


Esilio 


Eximere 


Eximme 


Esimere 


Existere 


Existe 


Esistere 


Exitus 


Exitu 


Esito 


Exosus 


Exosu 


Esoso 


Facula 


Facula 


Cero 


Farcire 


Farcì ^ 


Infarcire 


Fasciola 


Fascieua 


Fascia per bambino 


Fatuus 


Fattu 


Insipido , poco o 
niente salato 






Ferus 


Feu 


Fiero, cattivissimo 


Ficatum * 


Fighètu * 


Fegato 


Filiolus 


Figgieù 


Ragazzo 


Floccus (ciocca di lana) 


Fipccu 


Nappa 


Foramen (buco) 


Foamme (de Tagug- 
gia) 


Cruna dell'ago 


Fornax 


Furnaxe 


Fornace 


Forsan 


Foscia 


Forse 


Fragescere 


Frazà 


Sciupare, cagionare 
diminuzione di 
quantità 


Fractio, fragium 


Frazzu 


Diminuzione, calo 


Fraus 


Frauxu 


Frode, contrabban- 
do 
Sbriciolare 


Friare * 


Freguggià 


Friatus * 


Freguggia ♦ 


Briciola 


Fricare * 


Friggià * 


Fregare 


Frivolus • 


Frillu* 


Cartaccia 


Fucatus * 


Fùcau * 


Furbo 


Fulgur 


Fùrgau 


Razzo 


Fuscina 


Fuscina 


Fiocina 


Gabata 


Xatta 


Scodella 


Galbanum, * inum 


Gianu * 


Giallo 


Gallinarius 


Gallina 


Pollaio 


Genu, genuculunx 


Zenuggiu 


Ginocchio 


Gemiscere 


Zemì 


Gemere 


Gibba 


Gibba 


Gobba 


GÌ area 


Gèa 


Ghiaia 


Glis 


Gì 


Ghiro 


Guttus ♦ 


Gottu ♦ 


Bicchiere 


Habitaculum 


Bittacula (V. m 


Chiesuola ( della 



bussola) 



.^..^^^màé 



21 — 



Lalino 



Genovese 



Incipere * 



InsH 



Implere Impì 

Infans Fante (V. pop. 

coni.) 

Inferre (portar dentro, sopra) Infeì (e veje) 

Inflare Inscià 

Inserere Insei 

Insuecatus ^ Insiigòu 

Intra * Intra * 

Intrare Intra 

Inversus Inversa 



Labellum (piccol vaso usato Lavellu 

nei bagni) 
Lacertum (pesce) 
Lamenta (arcaismo) 



Laxare, laxatum 

Lex 

Li gare 

Ligamen 

Lili um 

Lixivia 

Lucauica ^ 

Lux 

Maceria 

Mantile, mantilium* 
Mcrgum * 

Messoria (agg, da mei o^ mie- 
tere) 
Mi scere, remiscere 
Molitura (da molere) 
Morus celsa^ 
Nare (no, nas) 
Nassa • 
Natio, onis 
Necare (neco, necas) 
Nescius 

Nigredo, nigror 
Nux 

Occiput * 
Orbus 
Ordeum 
Palatium 
Pass US 
Patronus • 
Pax 



Laxertu 

Lamenta ( V. pop. e 

coni.) 
Lasca, lascu 
Lezze 
Ligà 

Ligamme 
Liviu 
Lescìa 
Luganega . 
Liixe 
Maxèa 

Mandillu • 

Magrun* 

Messuia 

Mescifi, remescià 

Mòtiia 

Seraa 

Nuà, neuu 

Nassa * 

Nascìun (figgeìì da) 

Nega 

Nesciu 

Negrù 

Nuxe 

Cuplissu * 

Orbu 

Òrdiu (pop. e coni.) 

Palassiu 

Passu 

Patrun • 

Paxe 



Italiano 

Principiare, metter 

mano 
Empire 
Fanciullo 

Inferir le vele * 

Gonfiare 

Innestare 

Inamidato 

Tra 

Entrare 

Rovescio, epersim, 
stravolto, scon- 
volto 

Acquaio 

Sgombro 
Lamento 

Allentare, allentato 
Legge 
Legare 
Legaccio 
Giglio 
Ranno 
Salsiccia 
Luce 

Muro a secco po- 
sticcio 
Fazzoletto 
Palombaro 
Falce 

Muovere, rimestare 

Molenda 

Gelso 

Nuotare 

Nassa 

Bambino testé nato 

Affogare, annegarsi 

Scimunito 

Lividore 

Noce 

Nuca, occipite 

Cieco, volg. orbo 

Orzo 

Palazzo 

Appassito 

Padrone 

Pace 



* Ma di origine indubbiamente gen. 

* Intra mi, intra de mi, dicono latinamente i popolani ed i contadini. 

* Cioè: del paese dei Lucani, etim. però incerta. 
^ Cioè: alta, in opposizione al moro basso. 



— 22 — 



Latino 




Genovese 


Italiano 


Pecuinus(da pecu 


, bestiame) 


Peguin-a* 




Pecten 




Pètene 


Pettine 


Padiculus 




Peigullu 


Picciuolo dei frutti, 
foglie, ecc. 


Pellex 




Pellon-a 


Donna di cattiva 
condotta 


Persica e persie um 
Pertusus (pp, di p 


(malum) 


Persega e persegu 


Pesca e pesco 


ertundo) 


PertUsu 


Buco, pertugio 


Pes 




Pò ^ 


Piede 


Phaseolus 




Faxpu 


Fagiolo 


Pilare • 




Pillu • (nella fr. fa 

pillu) 
Pia 




Pipire, pipilare 




Pigolare 


Pix 




Peixe 


Pece 


Plaga 




Ciazza 


Spiaggia 
Tavola piana 


Planca 




Plancia 


Plecta 




Getta 


Piega 


Pruina * 




Spruin, spruina ' 


Pioggerella, piovig- 
ginare 


Puppis 


• 


Puppa 


Poppa 


Pupum, pupam* 




Pupun, a • 


Bambino e bam- 
bina, fan toccino e 
bambola 


Putatio 




Puassa 


Potagione 


Puteus 




Pussu 


Pozzo 


Quactum 




Quaccìu 


Quatto 


Quondam 




Cundan * 


Fu 


Ramenta * 




Riimenta * 


Spazzatura 


Rasis 




Raxa 


Ragia 


Recte, directe * 




Direttu ' 


Veramente, diritta- 
mente 


Reditus 




Reditu 


Rendita 


Remedium 




Remediu 


Rimedio 


Remulcum 




Remurcu 


Rimorchio 


Ren, renes 




Ren 


Reni 


Renasci 




Renasce 


Rinascere 


Retejaculum 




Resaggiu 


Giacchio 


Reversus 




Reversu 


Rovescio 


Rixa 




Riscia 


Rissa 


Ros 




Rozà 


Rugiada 


Saburra, sabura 




Sàura 


Zavorra 


Sagittare 




Saguggià 


Pungere 


Sagum* 




Sàghetta * 


Veste da cacciatori 


Sappa 

Safinum (vaso per 


sale) 


Sappa 
Salin 


Zappa 
Saliera 


Salix 




Saxu 


Salice 


Sarcire 




Sarci 


Rimandare 


Saxum 




Sasciu 


Sasso 


Scalperò • 




Sgarbelà * 


Scalfire 


Scamnum * 




Scagnu • 


Banco, studio 


Sciolus ♦ 




Sciollu • 


Saputello, sciocche- 
rello 



' Nella frase a peguin-a che vale: alla peggio. 
** Agg. di persona morta che occorra di nominare. 



•■nxì* 



— 23 — 



Latino 

Scortulum, scortillum * 

Semel * 

Seraceum (da serum, siero del 

latte) 
Serra 
Serrago 
Serrare 
Sevum 

Sibilare e sibilum 
Soccus, socculus 
Somnus, somnium 
SpoDgia 

Spuere (spuo, spuis) 
Striga 

Strigi lis (striglia) 
Stuppa 
Sulpnur 
Super 

Theca, gr. lat. (tlieca fabarum) 
Tomacina * 
Tonsoria (ferramenta) 
Ululare 
linde ♦ 
Ustrinà * 
Valvae 
Verax 
Verruina * 
Viduus, a. 
Vox 
Zinzilulare, zilurare 



Oenovese 


Itali ano 


Scorlùssua * 


Sgualdrinella 


Semme * 


Una volta 


Sàsu 


Ricotta 


Séra • 


Sega 


Serrèua 


Segatura 


Sera 


Segare 


Sevu 


Sego 


Sciguà e Scigùu 


Fischiare e fisci 


Seùccau 


Zoccolo 


Seùnnu » 


Sonno e sogno 


Spunzia 


Spugna 


Spùà 


Sputare 


Stria 


Strega 


Striggià 


Strigliare 


Stuppa 


Stoppa 
Zolfo 


Surfu 


Surve 


Sopra 


Teiga 


Baccello, guscio 


Tumaxella * 


Braciola avvolta 


Tesùie 


Forbici 


Liiri 


Urlare 


Unde* 


Dove 


Strina ♦ 


Abbronzare 


Arve 


Imposte 


Veaxu, viaxu 


Vero, genuino 


Verin-a 


Succhiello 


Vidùu, a 


Vedovo, a 


Vuxe 


Voce 


Sia (s aspra) 


Zurlare 



Mi ingegnerò adesso ad esporre, con le particolarità che 
richiede Tiraportanza dell'argomento, come l'antico ligure-ge- 
novese siasi trasformato, passando per il latino, nel genovese 
odierno. E come tale trasformazione avvenne con notevole 
conformità a quella del celtico o gallico nel moderno fran- 
cese, accennerò ad un tempo, però di volo, al modo di trasfor- 
mazione dell'uno e dell'altro idioma. 

Nessun dubbio che, imparando a parlar latino, il ligure- 
genovese abbia seguita la stessa legge cui obbediscono, nella 
formazione loro, tutte le lingue romanze, formazione che si basò 
sulla persistenza dell'accento tonico. Là dov'era l'accento la- 
tino, ivi trovansì gli accenti italiano, francese, genovese. Tale 



* Etim. incerta. 

' V. già comuniì^iina nel geo. oggi rimasta in alcune frasi, de semmo 
in gentu, somelannu, ecc. 

* L'idioma genovese non distingue sonno da sogno. 



— 24 — 

è il principio, cui si aggiunsero poi leggi accessorie, ma senza 
indebolirlo. 

Adottando dunque il latino, ^ cominciò il genovese a tron- 
care il re ri finale, e la m, la r, la s, finali, a tutti i verbi 
ed a tutti i nomi, dicendo: 

ama = amare abusu = abusus 

amia = admirari amù = amor 

ma = mare assensiu == absinthium, ecc. 

se pure non adoperò una doppia apocope, come di per dice re, 
fa per face re. Questa nel genovese è regola senza eccezione.^ 
Lo stesso avvenne, quanto al re o ri finale dei verbi, negli idiomi 
piemontese, lombardo e provenzale; il francese invece si con- 
tentò di troncare Ve finale, non accentata, di tutti i verbi e di 
tutti i nomi, scrivendola ma non pronunziandola (dire, fai re, 
5 me) e di troncar, pure nella sola pronunzia, la r finale dei 
verbi terminati in er (aider, aimer): conservando la stessa r 
finale (in ciò fedele più dell'italiano al latino) a moltissime voci: 

amour ■=. amor ardeur = arder auteur = auctor 

Né il genovese arrestò la sua falce: 

1° Quasi tutte le terminazioni latine in -atum, -atus, 
-etum dei participi passati dei verbi e di alcuni nomi, mutò 
le più in -aw, poche in -eu: divenuto poi Veu per assimilazione 
di vocali, ow, e in qualche parte della Liguria, ao; rimase però 
eu nell'estrema Riviera di levante; 

amatus = amoù desperatus r= despeoù 

basiatus = baxou acetum — axoù 

2® Le terminazioni in -iturrij -itus, mutò in -m: 

expeditum = spedi u finitus = finiu 

digitus =. diu unitus = unìu 

* n paragone fra il latino ed il genovese è fatto con la lingua latina 
scritta, la quale il Cantù cr3do « diversa in parte da quella corrente fra la 
colta società, e affatto diversa dalla plebea ». Però il lettore ricordi clie i 
Latini anche colti, elidevano spesso la w e la ^ finali, molte voci contraevano, 
e talune poi pronunziavano diversamente da noi. Così pare che, almeno in 
alcuni luoghi, la sillaba qut pronunziassero chi, e il e davanti alle vocali <?, t 
pronunziassero s alla francese e alla genovese (V. Cantù, Sforia degli Itaì-iarti, 
App. I al lib. I, e Storia della letteratura latina). 

• Salvo la voce scignor, della quale parlerò poi. 



— 25 - 

3° Tutte le voci terminate in -tas fini in -tè (ditt. fé) 
tenendo così una via di mezzo tra l'italiano che le terminò in 
-tó e il francese che le finì, salvo poche eccezioni, in -tè. 

aestas ^= stè civitas = citte 

bonitas = buntè veritas =: veitè 

4° Le terminazioni in -actum, -acitiSy fini in -actu, 
come l'italiano in -alio, eccettuato factum che disse fé tu, 
accostandosi al francese fait. Riguardo alle terminazioni in 
--anurriy Hinus, Hxnis (manus, sanum, canis, panis), il ge- 
novese conservò al singolare la sillaba accentata seguita dalla n, 
ma nel plurale si avvicinò al francese dicendo moen, sen, 
chen, poen. 

Le terminazioni in -Wwm, -raW, mutò in ~ju: 

armarium = armaju contrarius = contraju, ecc. 

5° Quasi tutte le voci latine terminate in -or il genovese 
finì in -w: 

amor = amw dolor = dw 

color = cw error = errw 

eccezioni: cor che fece che'u e senior che fece scignor. 

6® Il -gere terminativo degli infiniti di alcuni verbi 
voltò, generalmente, in -ze: 

adj ungere = azunze regere = reze 

eligere = elèze stringere = strenze 

fingere = finze tingere = tenze 

frangere = franze ungere = unze, ecc. 

ma talora adoperò due z: 

dirigere = dirizze fpigere = frizze 

suoni straordinariamente aspri nel genovese, ripetuti in queste 
altre voci: 

aerugo, inis = ruzze incus, udis = anchizze 

exeoctus = scutizzu legem = lezze. 

Non proseguirò l'esame delle terminazioni : chiaro è che 
in queste il genovese si attenne, salvo alcune eccezioni, a una 
regola: elidere le consonanti che seguivano alla sillaba accen- 
tata, serbando le vocali; cosi per addurre ancor qualche 



— 26 — 

esempio, a glarea (ghiaia) tolse la / e la r, e ne fece gèa. 
Né gV importò che la parola restasse priva affatto di conso- 
nanti: troncò ad ala la 2, e ne fece àa, ad habebam i due 
6 e la m e ne fece aja. 

A regole quasi fisse il genovese si attenne poi nei seguenti 
casi : 

1** Il e nelle forniole iniziali ce, ci mutò in 5, come il 
francese : 

cedrus =z ceddru cibus = cibbu 

cena =: cen-a cicada izz cigàa 

centum =z centu ciconia =. cighcùgna 

cera =: ceja cinis =: cenie 

Né l'antitesi s'arrestò davanti alla sillaba dittongata cce, 
poiché il genovese voltò caelum in gè, caepa in gioula, 
caerimonia in geimonia. Tuttavia non rinunziò del tutto, a 
differenza del francese, alla pronunzia latina e italiana ce, cty 
ma fu in quei soli casi nei quali il genovese dovea pronun- 
ziare una doppia consonante iniziale di parola latina: plectere 
(piegare) cegà, clarus, cèu, e si vedrà più sotto che codesta 
pronunzia era di regola. Le altre voci nelle quali viene prò ' 
nunziato il ce, ci, celebra, censura, centro, cess^, cir- 
conda, circostanza, ecc. non sono del genovese ma dell'ita- 
liano, venute al primo da poco tempo. Che se nel genovese 
havvi la parola celeste (azzurro) pronunziata come la latina 
caolestis, questo prova che celeste non è voce antica nel 
genovese, il quale come il francese, il provenzale, il piemon- 
tese, chiamava ab antico bleu l'azzurro del cielo. 

Nelle formole interne il e davanti alle vocali e, i, voltò 
talvolta in x: 

dicit = dixe lucet = luxe 

lucere == lux! piacere = piaxei 

tacere = taxeì, ecc. 

tal'altra segui a mutarlo in s: 

farcire =z farcì vincere = vinse vincis = vinsi. 

Quando poi, nella stessa voce latina, trovavasi ripetuto il ce, cij 
come in cicerbita, cicer (cicercius), il genovese li pro- 
nunziò differentemente, dicendo scixerbua, seixau. 






-27 - 

Uà rimase immutata, salvo poche eccezioni che, trattan- 
dosi della vocale fondamentale, sono notevoli: 



acqua =: egua 
aurum = 6ù 
avis = oxellu 
fabula = fóa 
fagus = fó 
frater = frè 
gaudere := gode 
latus = I6u 
laudare = lodft 
magistrum := meistni 



X*».- A 



maturare = meuja 

maurus = moù 

nare, natare = neùa, niià 

pauci ^ pochi 

radix = reixe 

rana = réna 

rarus = rèu 

tabula = toa 

taurus = toù 

vacuus = veùu 



Di cotesto alterazioni le più furono cagionate dal pronun- 
ziare che il genovese fece (e altresì Titaliano) o, il latino au: 
già si sa che i Latini stessi usavano di mutare Vau in o, di- 
cendo, per esempio, orum per àurum: onde il dire: godere, 
lodare, moro, pochi, toro, per gaudere, laudare, maurus, 
pauci, taurus, non fu innovazione toscana o ligure. Il ge- 
novese inoltre, elidendo le consonanti, trovò in altre parole il 
suono au e ne fece o: 



fabula ~ fóa 
fagus = fó 



latus = lóu 
tabula = tóa 



però talvolta eu: meìijà, rèu, veìiu, da maturare, 
rarus, vacuus. 

Eguale origine hanno le alterazioni di avis (dim. avicella) 
in oxellu e di nare (rad. greca nau) in neùA. 

Quanto al frè il genovese si trovò d'accordo col fran- 
cese fy^ère, ma riguardo al pater, mater, non si accordò 
con alcun idioma neo-latino dicendo poè, moè: singoiar fatto 
di cui parlerò nel Vocabolario etimologico, 

2** Ij' e accentato il genovese convertì ora in ei: 



habere zir. aveì 
tela rz: teja 

talora in i: 

temo = timun 

altre volte lasciò qual era: 



velum •=! vcja 
veritas ^ vcitè 



tenere == tegni 



sebum = sevu 
semen =: semensa 



sepia 
vena 



sepia 
ven-a 



verus = veu 



— 28 — 

La confusione stessa regnò nel francese che disse: toile, 
voile, avoir, vérité, tenir, veine, vraie, ecc. 
3° L'o accentato mutò ora in u: 

bonus = bun locare = alltigà 

Columbus =. cumbu mori := mui 

ora in eu: 

coquere = cheùxe locus m leùgu 

focus, focolare,per est. = feùgu mola = meùa 

rosa = reùsa 

talora lasciò qual era: 

nobilis = nobile rodo rn rodo 

Infine, qualche altra volta, in parole identiche, mutò Vo 
in eu, come doleoizideùe, e in u, come dolor=:dù. 

Neppur quando Vo si trovava in parole formate con una 
sillaba accentata il genovese lo pronunziò sempre allo stesso 
modo, dicendo: beìi per bos, cheu per cor, ma sciù per 
flos, su per sol. 

Degno di nota è che mentre in tutte le lingue neo-latine, 
la francese e la provenzale comprese, la radicale di rosa è 
ro, nel genovese, piemontese, lombardo e in qualcuno dei dia- 
letti emiliani, è reù. 

4° Lo j, premesso alle vocali, mutò quasi sempre in z, 
seguendo la pronunzia popolare latina, divenuta quasi generale 
a cominciare dal secolo vi dell'era nostra: * mentre il fran- 
cese lo mutò in je: 

jam = za juncus iz: ziincu 

jocari = ztigà jurare = ziià 

jocum =: zeugu juvenis = zuvenu 

5° La formola iniziale si di tutte le voci latine mutò 
invariabilmente in scU dicendo: 

scicaju = sicarius scigillu = sigillum 

sciguà zn sibilare sciflaba = syllaba 

seimila = sibylla scinfonia = symphonia 



' Riguardo a questa e ad altre asserzioni consimili, vedasi la Grant- 
maire de la langtte latine par J. M. Guarda et J. Wierzkvskj, Paris, I8ì6. 



— 29 — 

E quando poi gli Italiani, dal sic, che era in latino rispo- 
sta affermativa, fecero il loro si, ì Genovesi dissero, con evi- 
dente metatesi, sci: pronunzia che li distinse da tutti gli altri 
abitanti 

Del bel paese ih, ove il si suona. 

Pure in sci il genovese voltò il 50 di s o rb ere e di sortir i 
dicendo sciurbi e sciurtì, e il se di senior dicendo sci- 
gnur : unica parola che nel genovese finisca con r e con conso- 
nante diversa dalla n, forse perchè non volle confonderla con 
la voce Segnù, con la quale intende esclusivamente Iddio, 
forse anche per un'ironica imitazione del linguaggio aristocra- 
tico; il genovese infatti dice abitualmente sciù per signore. 

Il si od latino, anche in mezzo alle parole, mutò, pur 
quasi sempre, in sci: 

passio = pasciun lixivia = lascia 

compassio = compasciun fluxio in friisciun 

qualche volta però lo mutò in xi: 

confusio =: cunfuxiun visio = vixun 

6** La formola iniziale latina fla, fle, ecc., mutò in sci: 

fiamma = sciamma fioare = sciuscià 

flatus ==: sciòu fiorerà zn sciùì 

fiumen = sciumme 

flagellum disse fragellum come altri italiani, probabil- 
mente dalla radice di esso che è flagrum: ed allorché in pro- 
gresso di tempo, gli abbisognò di dire: flessibile, flussione, disse 
frescibile, frùsciun. 

V Pia, pie, ecc. cambiò in ci: 

plaga = daga e ciazza plorare = cianze 

pianta m cianta pluere = cieiìve 

planus = cian piuma = ciiimma 

eccezioni: piacere e plenus che fecero piaxe e pin. 
8° Anche da mutò in ci: 

clamare =: ciamà claror = cèu 

claudere r= ciode clavis =z ciave 

claustrum = ciostru 



- 30 — 

Riparlerò di coteste mutazioni delle forinole iniziali si, xi, 
/la, pia, eia, ecc., nelle quali il genovese si staccò dal franceise 
quanto dair italiano ed in parte anche dagli altri idiomi gallo- 
italici. 

9*^ L'iniziale lat. gè mutò in ze, come il francese ìnje: 



gelare = zeà 
gelu = zéu 



Genua = Zena 



gener = zèneu 
gena = zenuggiu 



anche quando trovavasi in mezzo alle parole, come i n g e n i u m= 
inzegnu, eccezioni: 

gemellus == gemellu genium = genia gentem zn gente 

Si noti poi che mentre restò immutata la pronunzia latino- 
italiana del gi nelle voci rgibbazugibba, gig a s:=g i g a n t e, 
si convertì in ze e in zi nella voce: gingiva=:zenzìa. Così 
il suono dell'm latino ora è en, alla francese, com^ appunto 
in zenzia, ed in cinctura zz centùa, stringere=: 
strenze, tingere = tenze, ecc. or si mantiene in come 
in fingerezizfinze, pingere=:dipinze, ecc. 

A queste e ad altre minori modificazioni del latino per 
parte del genovese devonsi contrapporre esempi di fedeltà. 

1° Il genovese conservò in tutte le voci Vu latina che 
il toscano cambiò spessissimo in o, esempi: 

Latino 

Altus 

Bassus 

Oalidus 

Digitus 

Emundare 

Fuscus 

Gulosus 

Ingenium 

Laqueus 

Murmurare 

Nux 

Oculus 

Puteus 

Ruptus 

Subtus 

Turdus 

Vulpes 

Vero è che il genovese mutò talvolta in u Vo latina, per 
esempio in tutte le finali in or, ma non perciò può dirsi di 



Genovese 


Italiano 


Atu 


Alto 


Bassu 


Basso 


Cadu 


Caldo 


Diu 


Dito 


Mundà 


Mondare 


Fuscu 


Fosco 


Gulusu 


Goloso 


Inzegnu 


Ingegno 


Lassù 


Laccio 


Murmua 


Mormorare 


Nuxe 


Noce 


cùggiu 


Occhio 


Pussu 


Pozzo 


Rutta 


Rotto 


Satta 


Sotto 


Tarda 


Tordo 


Vurpe 


Volpe 



— 31 — 

esso quello che Pesto asserì degli Etruschi che « litteram u 
« prò efFerebant > perocché serbò Vo latina, con retta pro- 
nunzia, in molte voci. 

2"^ Conservò il re prefisso a molti verbi e nomi latini, 
dal toscano voltato in ri, esempi (oltre a quelli citati nel- 
Telenco delle voci latine): 

Latiuo 

Recordari 

Reducere 

Refugere 

Religare 

Remediare 

Remiscere 

Remordere 

Renovare 

Requoquere 

Resolvere 

Respondere 

Retmgere 

Revivere 

Recoctus 

Respectus 

Conservò pure in più casi, come il francese, il prefisso 
latino de, dal toscano tradotto in di: 



Genovese 


Italiano 


Regordàse 


Ricordarsi 


Redùe 


Ridurre 


Refiigiàse 

Religà 

Remedìà 


Rifugiarsi 

Rilegare 

Rimediare 


Remescia 


Rimescolare 


Remorde 


Rimordere 


Renovà 


Rinnovare 


Rechcùxe 


Ricuocere 


Resorve 


Risolvere 


Responde 

Retenze 

Revive 


Rispondere 

Ritingere 

Rivivere 


Rech(Mittu 


Ricotto 


Respettu 


Rispetto 



Latino 

Defendere 

Dependere 

Desperare 

Despoliare 

Destruere 

Devotio 



Genovese 

Defende 

Depende 

Despeà 

Despiiggià 

Destriie 

Devuziun 



Italiano 

Difendere 

Dipendere , 

Disperare 

Dispogliare 

Distruggere 

Divozione 



3** Conservò la x finale latina, ^ ma pronunziandola /e alla 
francese equivalente a xe genovese, eccezione sex =: sei, dove 
che in latino ha il suono di cs: di più, nemico com*è delle 
voci tronche, il genovese le aggiunse un e: 

dux = dtixe 



crux = cruxe 



nux = nuxe 



In mezzo alle parole la pronunziò ora xe, come: 

exemplum =: exempiu exilium = exiliu exosus =: exosu 

ora sci, come: 

buxus = biisciu flexilis = frescibile 



* Int^ìndo sempre parlar delle voci cho il genovese adottò ; por esempio, 
di quelle lìnite in x, non adottò nutrix, arx, falx, nex, ecc. 



— 32 - 

4** Dissi il genovese avverso alle voci tronche: sono in 
fatti assai poche, rispetto agli altri idiomi (eccettuato sempre 
il toscano) quelle che vi si trovano, e si possono dividere in due 
categorie: la prima comprende tutti quei nomi che nel latino 
hanno il genitivo in onis: 

actio = azìun leo = liun 

benedictio = benediziun melo = mejun 

carbo = carbun natio = nasci un 

damnatio = dannaziun passio = pasciun 

electio =z eleziun ratio = raxun 

functio = fuQziun salvatio = sarvaziun 

informati = informaziun tentatio = tentaziun 

Visio = vixun 

eccezione, forse unica, latro, onis, che il genovese disse 
1 a d d r u . 

La seconda categoria formata venne da voci che in latino 
erano variamente composte, ma che nel genovese obbedirono 
tutte alla stessa regola: finirono in n, come quelle della cate- 
goria prima. Alcune di esse vennero da voci latine la cui ul- 
tima sillaba era niSy num, nuSy esempi: 

bonus =: bun granum = gran 

canis :=■ can manus = man 

finis = fin terrenum := terren 

che pure terminavano in iu7tz, esempi: 

citrium = getrun jejunium =: zaziin 

eccezione: ben, pronunzia identica a quella di Piccardia. 

Le altre poche voci finite in w, vennero, assai più tardi, 
dal basso latino o da lingue straniere, e queste ultime il ge- 
novese, seguendo suo costume, conservò tali e quali: cutun, 
giasemin, latun, meschin, ecc. 

Talune in fine non sono che accrescitivi o diminutivi di 
altre voci: boxardun, capeliin. 

Perchè il genovese, di voci tronche ebbe soltanto quelle 
che finivano in n? La ragione, data T indole del genovese 
idioma, trovasi nelle seguenti parole dello Helmholtz: « le let- 
« tere M e N rassomigliano a vocali nella loro formazione, pe- 
« rocche non cagionano alcun romore nel canale della bocca: 
« questo è chiuso e la voce sfugge per mezzo del naso. La bocca 
< forma solo una cavità risonante che modifica il suono. Se 



— 33 — 

« porgiamo attenzione da un luogo basso a gente che parli as- 
« sieme passeggiando sopra un'altura, le nasali m e n sì odono 
« più lungamente ». 

5° Il genovese conservò tali e quali, salvo leggiere alte- 
razioni in alcuna di esse, tutte le voci latine che adottò, ter- 
minate in a: 

ala == aa nausea = nausea 

bestia = bestia oliva =: ulva 

capra = crava palma = parma 

familia = famiggia rosa = reùsa 

gallina == gallin-a simia = sclmia 

idea = idea terra =: téra 

lana = lan-a ungula = ungia 

musca := musca vita ^z vitta 

6° Integre serbò pure le parole latine ogni qual volta 
la soppressione delle sillabe dopo quella accentata lo avrebbe 
condotto a finir la parola in tronco con consonante diversa 
dalla n, onde disse: 

arbu ^ atu bassu grande 

grossa neigru russu verde 

sacrificando la brevità aireufonia, ed in questo si separò (cosa 
notevolissima) dagli idiomi a lui affini, piemontese, lombardo, 
provenzale, francese, i quali tutti pronunziarono tronche quelle 
parole. 

7. Seguendo il costume antico, non raddoppiò quasi mai 
le consonanti, invece di terra pronunziando ter a come, teste 
Varrone, era scritto nei libri augurali. 

Quanto ai verbi, mi riferisco ai cenni, che seguono, sulla 
grammatica genovese, in cui si vedrà com'essa, pure serbando 
meglio del toscano parecchie forme latine, és e, fui se, senimu, 
sun, ecc., procedette in questa parte della grammatica, quasi 
interamente d'accordo con lui: ciò che non vuol dire che il 
genovese siasi conformato al toscano, con cui nacque bensì ad un 
tempo, ma visse poi di vita propria, svolgendosi in modo affatto 
distinto. Io per altro non farò qui uno studio comparativo tra 
l'idioma toscano ed il genovese, sotto l'aspetto della comune 
origine loro dal latino: solo dirò che ambo si attennero al prin- 

* Più comunemente disse g i a h e u , voce, che al pari deir italiana bianco, 
vien dal tedesco. 

3 



— 34 - 

cipio (di cui parlai di sopra) della persistenza deiraccento to- 
nico latino, ma con notabili 4ifferenze di applicazione: l'accento, 
per esempio, è sul di dì di ce re, sul fa di face re; il toscano 
soppresse la sillaba intermedia, il genovese tagliò la seconda 
e la terza, come il piemontese e il lombardo, accostandosi tutti 
tre al francese che tradusse bensì il dicere in dire e il 
facere in fai re, ma in sostanza sacrificò nella pronunzia, 
com'è suo costume, tutto quanto faceva seguito alla sillaba ac- 
centata, esprimendo ognun dei due verbi con una sola sillaba. 

Lo stesso dicasi di molti nomi: lupus divenne lupo in 
toscano, ma 1 ù in genovese, 1 o u p (il p non si pronunzia) in 
francese, mulus divenne mulo in toscano, ma mù in geno- 
vese, mul in francese. Però il toscano, conservando il re fi- 
nale degli infiniti dei verbi, anzi aggiungendolo a quelli che 
ne mancavano : e s s e , velie, posse, nasci, mori, e man- 
tenendo moltissime altre terminazioni latine, tolta la s, fece la 
sua fortuna : non solamente perchè serbò forma armoniosa ed 
elegante, ma perchè restò in grado di assimilarsi, nella lingua 
letteraria, molti vocaboli e modi del latino classico, divenendo 
quello che fu chiamato da Byron that soft basiard latin, che 
però doveva essere il principale autore dell'unità politica del- 
l' Italia. 

Non parlerò nemmeno di leggi fonetiche le quali abbiano 
regolato il passaggio dall'antichissimo idioma dei Liguri al la- 
tino: quella che governò cotesto passaggio fu, già lo dissi, la 
legge della necessità. Ai Liguri-genovesi, montanari e marinari, 
occorreva un linguaggio breve, semplice, preciso, sopratutto di 
facile pronunzia: Yassueium malo ligurem ^ avea bisogno del 
fiato per lavorare. Tal era, probabilmente, l'antico loro lin- 
guaggio: tal divenne, in bocca loro, il latino. Si noti, prima 
di tutto, che di questo i Liguri adottarono forse una terza parte ; 
il genovese è lingua povera appunto perchè esser volle pre- 
cisa. Così il latino aveva agore, efficere, facere, ge- 
rere, operari, ecc.: il genovese pigliò solo il facere, 
il quale bastava a tutti i bisogni suoi, e pigliò solo la parte 
sostanziale dell'infinito dicendo fa, corrispondente alla ra- 
dice del verbo latino che è dha. Il latino aveva di cere, 



* Vma, Oeorg.y II. 



— 35 — 

fabulari, fari, loqui, ecc., aveva comedere, edere, 
mandere, manducare, ecc.: il genovese si appropriò il 
dicere e il mandere, dicendo: di, radice die^ e mangia, 
tema mand. 

lo so bene che cosi fecero, a un circa, gli altri dialetti, 
come so che dalla lingua parlata dal popolo di Firenze, di 
Siena, dei monti pistoiesi, alla lingua scritta dal Guicciardini, 
corre un gran tratto; ma nessun dialetto italiano può stare a 
petto del genovese per semplicità, per precisione e per dolcezza 
di pronunzia. 

Quest'ultima asserzione mia ^ farà probabilmente arricciare 
il naso a coloro (e non son pochi in Italia) che qualificarono 
sempre per aspro il linguaggio genovese. Che sia poco intelli- 
gibile agli altri Italiani, per la pronunzia sua che è pretta fran- 
cese, lo ammetto; ma come sarebbe aspro un linguaggio in cui 
le vocali predominano tanto alle consonanti che, sotto questo 
aspetto, nessuna lingua indo-europea, salvo la greca, può stare 
a fronte alla genovese? In cui frasi intere, non che intere pa- 
role, sono formate di sole vocali? Ecco un esempio: a e aja 
e ae? che tradotto parola per parola significa: essa le aveva 
le ali? Che, nella pronunzia popolare, ha non poche parole alle 
quali, dopo la consonante iniziale, seguono tre a senza altra 
lettera in mezzo, caàa (calarla), saàa (salarla), v a àa (vararla)? 
Il MùUer^ cita il greco éioeis (riverano), ma il genovese 
lauèiu (laboratorio) gli è di poco inferiore. Né, se le conso- 
nanti furon dette a ragione « le ossa del linguaggio » il ge- 
novese, il quale le adopera così parcamente, riusci molle e 
snervato: esso alle consonanti suppli con gli accenti sulle vo- 
cali: tutti i verbi genovesi (con eccezioni che non arrivano a 
venti) 3 finiscono in a e in i fortemente accentati, le moltissime 
termioazioni in ou e in iu hanno accentata la penultima vo- 
cale e Vu che la segue ha suono tenuissimo, accentati sempre 
sono i dittonghi, tanto frequenti, ae, eu. Che se taluno dicesse, 

* Assai prima di me lo asserì il Cavalli, del quale riporterò più sotto 
un sonetto. 

' Scienza del linguaggio y lett. III. 

' Batte, cazze, cerne, credde, ese, frizze, leze, ecc. e si noti 
puijp che la forma di alcuni di questi verbi ò affatto moderna, per esempio, 
credde^ veddo, erano dagfli antichi pronunziati crei', voi, e cosi anche 
ogg'i li pronunzilo i contadini. 



— 36 — 

in contrario, la pronunzia dello xe genovese = je francese, 
difficilissima agli altri Italiani, non esser tra le più dolci, 
risponderei che non mi sembra più dolce la z aspra dei Fio- 
rentini. 

Ma di ciò basti: cerchiamo invece di stabilire il tempo in 
cui i Liguri-genovesi parlarono, a modo loro, il latino. 

Son così pochi gli scrittori nazionali e stranieri che abbian 
trattato dell' idioma genovese, che vo' trascrivere qui ciò che 
ne dice Fauriel nell'opera già citata: « Les destinées de la 
« langue des Liguriens sont beaucoup plus obscures que celles 

< du gallo-celtique. L'histoire ne dit rien, absoluraent rieri, de 
« relatif à Tintroduction du latin parmi les tribus liguriennes. 
« Une seule chose peut étre avancée comme certaine à cet 

< égard: c'est qu'avant la fin do la domination romainO: ces 
« tribus avaient adopté l'usage du latin dans les villes et dans 
« les localités populeuses et très fréquentées. Quant à cotte 
« aride et sauvage partie de TApennin où les historiens nous 

< représentent les Liguriens comme menant une vie peu diffé- 
« rente de celle des bétes fauves auxquolles ils avaient à dis- 
« puter leurs demeures, il n'était pas aussi aisó, à beaucoup 
« près, d'y introduire Tusage du latin. On concoit à peine, poui* 
« des hommes si sauvages. si indépendants et tellenient isolès, 
« la nécessité ou la possibilité de changer d'idiome. Quant k 

< moi, je ne puis m'empècher de me figurer que, sous les der- 
« niers Romains, il y avait encore des Liguriens montagnards 
<c qui parlaient leur ancienne langue, c'est à diro, comme Je 
« Tai exposé ailleurs , une langue affiliée do très-piès au 

< basque. ^ Enfin, pour préciser un peu plus ma pensée à cet 
« égard, je regarde le ligurien comme Tun des anciens idio- 
te mes, qui, longuement eu lutto avec le latin, ne disparurent 
« pas totalement devant lui, lui survécurent dans quelquo 
« repli de vallèe, sur quelque cime de montagne inconnue aux 
^ Romains, et ne cédèrent la place qu'à un idiome ueo-latin. 
^ Mais c'est là un pojnt assez curieux auqu/^1 je ne suis point 
^ encore en mesure de toucher, et sur lequel jo ne veux point 
« anticiper ». 

Vi è del vero, ma non tutto è vero, in questo passo del 

* TaTè l'opinione di Fauriol. • * 




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— 37 — 

dotto francese. Certamente, la trasformazione dell'antica lingua 
dei Liguri nel volgare latino fu opera dei secoli : lo fu per la 
trasformazione di tutte le lingue, dovette esserlo tanto più ri- 
spetto all'idioma di una gente tenace come la ligure. Nelle città 
però e specialmente a Genova, stata sempre, dopo la prima re- 
sistenza, fedele a Roma, il latino deve essersi di£fuso assai di 
buon'ora: l'anno 582 un ligure genovese, Publio Elio, era creato 
console a Roma: indizio certo che i cittadini liguri conoscevano 
bene il latino. In campagna e in montagna, le cose andarono 
diversamente: il modo d'impararlo mancava: l'obbligo stesso 
della milizia cui, non appena ammessi tra i confederati romani, 
furono i Liguri assoggettati, non deve avere giovato molto alla 
diffusione della lingua del Lazio tra i contadini ed i monta- 
nari, perchè i Liguri costituivano negli eserciti della repubblica, 
come già dissi, un corpo distinto ut socioruìn in bellis. Ma 
se gli agricoltori delle poche pianure e delle molte colline li- 
guri tardarono ad imparare il volgare latino, gli furono poi 
fedeli nella pronunzia di parecchie voci, meglio dei cittadini. 
Anche più avranno tardato, naturalmente, gli abitatori delle 
montagne, boscaiuoli, pastori, cacciatori, ma alla fine, più o meno 
male, l'impararono essi pure. Né regge l'asserzione di Fauriel 
che, anco sotto la dominazione romana, essi vivessero come 
bestie feroci: già al tempo d'Augusto (teste Strabene) se i mon- 
tanari liguri erano poveri, facevano però un attivo commercio 
con Genova. 

Sonovi anche oggidì, come suppose Fauriel, montanari che 
parlino l'antichissimo idioma dei Liguri? Certamente no: si co- 
noscerebbero: ma non si potrebbe escludere che parole, anco 
molte, di quell'idioma, corrotte o no, sian rimaste tra loro; in 
effetto, ne hanno di strane assai, ma nessuno le ha mai rac- 
colte. Chi oggi le raccogliesse farebbe opera buona. Quanto 
alle voci del contado genovese, alcune ne accolsero i dizio- 
nari dell'Olivieri e del Casaccia: di più altre ebbi io stesso da 
un gentile amico, un elenco: sono in parte idiotismi, ma pa- 
recchie potrebbero avere antichissime origini; reco ad esempio 
le frasi: and a téTìccu, cascare in terra; òze in quinta, 
camminare in fretta; mena e acQhe a scheue, menar le 
vacche al pascolo ; piglia na renincà, inciaijipare ; fA fistè, « 
dar retta ; cuntà de se r fanello, raccontar cose da ridere ; 



— 38 — 



cieue a dernu,^ piovere a dirotto ; rùgri e patatte, sca- 
varle; nurama che, solamente che; a bottu, a cottimo; 
a male di, appena appena, ecc. e i verbi: 



acajà =1 affastellare 
abestentà = aspettare 
aviscà r= accendere 
bamburdi = tener a bada 
bricculà =: scapezzare 
cassonezà =: mescere 



stiiza = nettare 



incinà = inchiodare 
neghittà m soffocare 
reventà i= stentare 
sbeùsà = bucare 
schittà =: scivolare 
sprelenguà = ammaliare 



e 1 nomi: 



agreccu = audacia 

aziiggiu = assillo 

becca (nuxe) = malescia 

brasca = gran fame 

briaca = nulla 

craie = viticci 

descuerniusu = disprezzatore 

garba (testa) = testa vuota 

giùe = pinzette 

gheufuin = castagne aride 

gurin ■=. vimini 

ummì : 

In altre voci si sente il latino: 



maga = mucchi di sassi 

neccia = elezione 

orbain = lolla 

piccaliun = seccante 

peuzzu = poggio 

rolla = corteccia verde della noce 

ruspa =: cercar tra Terba e le foglie 

sbrinsua = briciola 

schezzi = piatti 

tabia = pianticella 

tartagna = fuscello ritorto 

perticnini 



ammu (habemus) z=: emmu inguannu(in huc anno = quest'anno 

ante = T innanzi odi = audire 

asceghi (assequor) =: seguire pai (pasci, pavi) = pascere 
fascia = campicello promè (prò me) ~ dirimpetto 

scerba (exherbare) = estirpar Terbe 

I contadini, a differenza dei cittadini, serbarono, come i 
Francesi, il pronome latino illi: i dixan, i fan. Più, in al- 
cuni paesi di montagna, mantennero la l latina alle voci nelle 
quali era stata dai cittadini mutata in g: 

cunsegli (consilium) = cunseggi mugliò (mulier) = muggè 
flllieù (filiolus) =: fìggieù pilliòu (pilatum) = piggiòu 



* Stimo opportuno di fermarmi su questa parola. I jrlottologi dicono 
OBCurissima Tetimologia deiravvorbio italiano indarno, sol citando lo slavo 
darmo, darom, che vale : gratis, ma che è lontanissimo anche per la pro- 
venienza. 11 vocabolario del Tramater, del quale i glottolopri italiani par che 
ignorino resistenza, trae indarno dal tedesco antiquato andarn, che non 
potei verificare. Or eccoti la voce antica genovese dernu in cui parmi chiara 
la radice celtica der, fiume. So non che nelle Antiche riJhe getiaresi delle 
quali parlerò poi, trovasi enderno e inderno per indarno. Più, derno è 
voce marinaresca pure antica: alzar la bandiera in derno, è alzarla non 
spiegata, ma raccolta, con un piccolo svolazzo di coda, ed è segno di lutto, 
di pericolo, domanda di soccorso. Il francese dice en berne. Lo Jal {Gìo.r 
xaire nautique) ne ignora l'etimologia, però cita il basso bretone: bern. 



— 39 — 

È poi quasi generale nelle montagne liguri Taferesi del 
V iniziale: 

acca =: vacca in = vin 

entu = ventu ^ , ostru =z vostro 

eùgliu z= voglio 

Rispetto al modo con cui fu parlato dai Genovesi il la- 
tino, aggiungerò al già detto potersi credere che il genovese 
odierno sia, quanto alle terminazioni dei verbi e di molti nomi 
latini, differente poco da quello parlato sotto l'impero romano. 

Sembrami assai probabile che i Genovesi abbiano, fin dal 
principio, eliminata la r e la ^ finali di tutte quante le voci 
latine da loro adottate, troncato il re finale dei verbi e variate 
in au e in eu le terminazioni dei participi passati dei verbi, 
e quelle dei nomi -atum, -atus, -ilum, -iius, ecc., come disopra 
dissi. Era molto difficile che i Liguri accettassero coteste pro- 
nunzie: ma più difficile che, una volta imparate, le abbando- 
nassero. E, mentre è certo che dal volgare latino fu eliminata 
la s finale, crederei pure che l'apocope del re sia stata pro- 
pria di quello stesso volgare parlato in tutta l'Italia: in efi'etto, 
quasi tutti i dialetti italiani odierni troncano il re, pochi tron- 
carono solamente Ve, serbando la r: unico il toscano pronunziò 
interamei\te i verbi latini. Ed è notevole che tra i dialetti 
complici nell'apocope trovisi il romanesco, il più diretto discen- 
dente del volgare latino. ^ 

Scrive Cantù * che « la lingua nostra è quella che sempre 
,« si è parlata in Italia modificata dal corso di tanti secoli e 
« da tante vicende . . . nessun salto intervenne fra il parlar la- 
«tino e l'italiano»; asserzione forse troppo assoluta, ma in 
fondo vera. 



* Notevole l'affinità di molte voci romanesche con le genovesi, comin- 
ciando dal comune verbo and, annà, andare. 
' Storia della letteratura italiana, cap. I. 



■■ * 



.r . ; 



,r 



f: 



r 



CAPO II. 

1/ idioma genoveBe nei se<M)li xi-xni: g-iudizio di Dante 8u di esso. — Ele- 
mento arabo. — Rime e prose antiche g-enovesi. — Poesie del Foglietta, 
del Clgr^la Gaserò e di altri. — Linprua ed ortografia che usarono. — 
Poesie del Cavalli — di altri — del De Franchi — L'idioma g-enovese 
alla fine del secolo xviii — Poesie del Piaggio e d'altri moderni. — Di- 
zionari. — Voci genovesi antiche. 

Cadde l'impero romano: stirpi germaniche signoreggia- 
rono r Italia; surse, o per meglio dire, si manifestò nella ri- 
nascente letteratura il volgare italiano dall'Alpi a Sicilia. 

Qualfu il linguaggio parlato in Liguria nei secoli xi e xii? 

Io non conosco altro documento che una poesia di Rambaldo 

de Vagueiras, trovatore provenzale del secolo xii, tenzone in 

forma di dialogo tra lui e una dama genovese, la quale gli 

risponde: 

Jular, voi no se corteso 

Che me charcheai de cho 

Che niente non farò 

Anche fosse vos a peso 

Vostr'amia non sarò 

Certa jà ve schernirò 

Provensal mal agurado 

Tale noja ve darò 

Sozo, mozo, escalvado 

Né jà voi non amaro 

Ch'ec un bello mano 

Che voi no se, ben lo so 

Ande via, frar, en tempo megliorado. 

È genovese questo? Evidentemente il buon trovatore, che 
di genovese sapeva poco, mise in bocca alla dama un miscuglio 
di volgare italiano, di genovese e probabilmente di catalano: 
se pure le parole da lui usate non siano state alterate dai 
copisti provenzali. ^ 

* Cosi pensa Faijriel, op. cit., voi. 1. 



— 42 — 

Vengo adunque senz'altro al secolo xiii in cui per la 
prima volta compaiono monumenti del moderno idioma li- 
gure. 

Per verità sono cattivi monumenti di lingua, poesie: giacché, 
come in Sicilia, come in Provenza, era nata in Liguria l'arte 
di scrivere nel proprio dialetto, d'elevarlo all'onore del verso. 
I Genovesi, già assai còlti a quel tempo, avevano prima poe- 
tato, come dice il Bembo, provenzalmente, e tra loro venuti 
erano in fama Lanfranco Cigala, Bonifacio Calvo, quel Fol- 
chetto che « a Marsiglia il nome ha dato ed a Genova tolto > 
e più altri. ^ Poetarono poi nel proprio idioma che non crede- 
vano, e non era infatti, inferiore ad alcun altro italiano. Disse 
Dante « il volgare illustre, cardinale, aulico e cortigiano in 
« Italia, è quello il quale è di tutte le città italiane e non 
« pare che sia di ninna ». 

Noto è, infatti, il conto in cui Dante tenne il volgar ge- 
novese. Nel suo libro: De vulgari eloquio^^ nscontvaìi avendo 
in Italia quattordici dialetti principali, giudicò foss^ero da gittar 
via il romano, il marchegiano, lo spoletino, il milanese, il ber- 
gamasco e i loro vicini, il friulano, l'istriano ed il sardo, perchè 
« brutti ed inornati parlari ». Riprese poscia il volgare plebeo 
di Sicilia e di Puglia, e nel capo XIII trattò degli idiomi to- 
scano e genovese, vituperando il primo e dicendo del secondo 

< se alcuno poi pensasse che quello che noi affermiamo dei 
« Toscani non sia da affirmare dei Genovesi, questo solo costui 
« consideri: che se i Genovesi, per dimenticanza, perdessero 
« il Zy lettera, bisognerebbe loro ovver essere totalmente muti, 
« ovver trovare una nuova locuzione; perciò che il ^ è la 
« maggior parte del loro parlare: la qual lettera non si può, se 

< non con molta asperità, profferire ». ^ 



* Alcuni di loro poetarono pure nel volgare illustre, tra i quali Prinzi- 
valle Pepcivale Doria che intorno al 1240 scrisse la canzone Amor mi ha 
priso riportata nella Raccolta del 7/'?/ccA?, e rimasta ignota allo Spotorno. 

* Traduzione del Trissino. 

* Evidentemente il divino Poeta dove avere confuso la pronunzia dello x 
genovese con quella della z, perocché poche sono lo parole genovesi nello 
quali entri quest'ultima lettera, che viene poi pronunziata, in generale, meno 
aspramente che in Toscana. Quanto alla pronunzia della ^r, comune a Ge- 
novesi e a Francesi, è in effetto difficilissima per gli altri popoli italiani, com- 
presi i GaUo-italici. 




— 43 — 



Non seguiterò Dante nel suo esame degli altri dialetti: 
basti che « crivellati », come egli dice, i volgari d* Italia, non 
abbia giudicato che il genovese fosse tra quelli da « gettar via», 
ma si di quelli che « nel crivello sono rimasi » per farne com- 
parazione: né poco onore per il genovese idioma è l'averlo 
Dante accompagnato con quel di Toscana, ancorché troppo se- 
veramente da lui giudicato, e Taverne innestate nella Divina 
Commedia parecchie frasi e parole, ^ come : 



per schiera 
» appresso 
rasente 
tre 



» 

» 



guatare 

strupo 

a pniovo 

a randa a randa 

trei 

montar dì chiappa in » montar di pietra 

chiappa 
co » 

di butto » 

dismento » 



gen. agueità (Inf., i, 24) 
» streììppu (/n/!, vii, 12) 
apreùvu (Inf., xii, 93) 
a randa (inf, xiv, 12) 
treì (Infy xxi) 



» 
» 
» 



in pietra 
capo 
di botto 
dimentico 



» 



caribo 

barba 
trono 



» garbo, modo 



» ZIO 

» tuono 



ciappa (Inf., xxiv, 33) 
co (Purg., Ili, 128) 
» buttu {Purg., xvii, 40) 
» desmentegu(Pwr^.,xxi, 
135) 
gen. ani. garibbu {Purg , 

XXXI, 132) 
gen. barba {Par., xix, 137) 
» trun {Par.y xxi, 12) 



Si andava intanto insinuando nel genovese idioma un nuovo 
elemento, in piccola proporzione, é vero, ma pur notabile, l'a- 
rabo. Già, dall'anno 860 a un circa, aveano gli Arabi messo 
piede sulle spiaggie liguri, afforzandosi poi in Frassineto, tra 
Monaco e Nizza: ed i Genovesi, impotenti a resistere ad essi e 
ai Normanni ad un tempo, eransi ritirali sulle montagne: stato 
di cose che durò quasi un secolo. Consta però che i Genovesi 
rinvigoritisi, presero a frequentare, mentre ancora durava l'oc- 
cupazione di Frassineto per parte dei Saraceni, i porti arabi 
d'Africa e di Sicilia e ad esercitarvi un attivo commercio: ot- 
tennero poi l'appalto delle gabelle della Sicilia: ebbero insomma 
continue relazioni con gli Arabi, anche con quelli che impa- 



* II Ferrazzi {Mamiale dantesco) ignora che Dante trasse parole dal 
dialetto genovese: vero è che alcune deUo parole stesse il genovese ha co- 
muni col provenzale, come trei (del resto, latino treis) e trun, ma non 
segue da ciò che Danto abbia tolto voci piuttosto dal provenzale che dal 
genovese che egli ben conosceva. Si sa infatti che soggiornò lungamente 
nella Lunigiana presso i Malaspina, e che vi scrisse probabilmente una parte 
del divino poema: poi traversò Liguria e Provenza per andare a Parigi: ma 
da più passi del suo poema consta la cognizione che egli avea della prima. 



— 44 — 

dreniti eransi della Spagna, interrotte per poco dalla guerra, 
ma riprese poi subito, grazie alla naturale inclinazione, cosi 
dei Genovesi come degli Arabi, al traffico. Frutto di cotesto 
relazioni e di quelle che poscia strinsero i Genovesi con Arabi 
e Turchi in Levante, fu l'introduzione nel genovese idioma, 
in cui tuttodì vivono, delle voci arabe, le quali io scrivo nel 
seguente elenco, riservandomi a parlare di alcune altre nel 
Vocabolario etimologico, e avvertendo che nell'elenco stesso ho 
comprese talune voci arabe che il genovese ha comuni con 
l'italiano, perchè credo assai verisimile che a quest'ultimo sian 
venute dal primo, il quale infatti ne serbò molto più esatta la 
pronunzia originale. 



Arabo* 

Agìb (maraviglioso) 
Al-qasr (il castello)* 
Al-qutn (il cotone) 
Bazar (mercato) 

Damdjana (fiasco di vetro) 
Dàr-as-sinà à (casa di arti, di fabbrica) 

Farda (mezzo carico di bestia da soma) 

Fondoq (magazzino di merci, it. fondaco) 

Galabà 

Giarrah (vaso di terra) 

Gilfat (calafato) 

Pammàl (facchino) 

Hadcìsci pi. hascìscin 

Imsci (va via!) 

làsmin (gelsomino) 

In scià llàh fse Dio vuole) * 

Kantar (ponte) * 

Keif (star bene) 

Rizba (menzogna) 

Kuskus, kuskusù (pasta di farina) 

Limun (limone) 

Mahzin (iL magazzino) 

Mamluk 

Meqramà (asciugatoio di lana con ornati) 

Mindil* (fazzoletto) 

Mizar (velo, mantello)* 

Qaiq (barca, v. turca) 

Qérat (carato) 

Qirmiz (cremisi) 

Qitràn (catrame) 

Rais (capo) 

Raqàma ^ricamare) 



Genovese 

Agibbu 

Cassau * 

Cutun 

Bazajottu (mercante giro- 
vago) 

Damixan-a 

Darsena (arsenale marit- 
timo) 

Fardu (balla di prodotti 
orientali) 

Fundegu 

Calabà (schiamazzo) 

Giara (coppo) 

Càfattu 

Camallu 

Assascin 

Imisci 

Giasemin 

Scialla ! » 

Cantal * 

A chiffu 

Gazibba 

Scucusù 

Limun 

Mazanghin 

Mamaluccu 

Macramè 

Mandillu * 

Meizau * 

Caìciu 

Carattu 

Cremixi 

Catran 

Raixu * 

Recamu 



Delle voci segnate con asterisco, trattasi nel Vocabolario etimologica 



. r.-.". "Z. — - 



— 45 — 



Arabo 



Sàsija 



Sàràb (sciarab, bevanda) 
Scìubbak, sciabaka 

Sifr (zero) 

Silah (arma) • 

Tarh 

Tassa (nappo, tazza) 

Zafàran' (zafferano) 

Zabib (uva passa) 

Zubb (pudend. viri) 



Genovese 

Scisela (berretto di lana 

rossa) 
Sciopu 
Sciabeccu« sciabega (nome 

di bastimento e di rete) 
Giffra 

Salacca* (sciabola) 
Tàa 
Tassa 
Safran 
Zebibbu 
Zubbu 



Vengo alla fine del secolo xiii e al principio del xiv, tempo 
cui appartiene un codice di poesie genovesi, scritto su perga- 
mena di carattere antico, trovato e reso noto nel 1821 da Matteo 
Molfino in Genova: manca d'alcune pagine sul principio, nel 
mezzo, ed alla fine : Feti rilevasi dalla data d'alcuni componi- 
menti, e varia dal 1270 al 1320. Lo Spotorno conobbe questo 
codice e ne parlò n^lla sua Storia letteraria della Liguria 
(voi. I) attribuendolo giustamente ad iin monaco del convento 
di s. Andrea di Sestri: una parte ne fu pubblicata nel 1840 
dal prof. Bonaini, coadiuvato da C. L. Bixio, neW Archivio sto- 
rico italiano (voi. IV). Venne poi pubblicato per intero nel- 
V Archivio glottologico italiano (voi. II e X) la prima parte con 
commenti ed illustrazioni del dottor Lagomaggiore, tutta l'opera 
con « annotazioni sistematiche » del compianto Flechia. Stimo 
utile di riportare qui e di commentare a mia volta una parte 
della canzone XLIX che descrive, con molta esattezza storica, 
la battaglia di Curzola : 

Nostro armirajo * con so stol - 
Soa ihusma ^ examinando 
Ben previsto comò e quando 
A la per fin se trasse for 
Candelando ■* soe gente 



* Si hanno testi gponovesi antichissimi elio dicono armiralio, pronun- 
zia volprare tuttora viva, e conformo all'etimo logia nraba. L'autore della can- 
zone dice armirajo perchè, come vedremo, non è di Genova. 

* Stuolo di g'alee dicevasi allora come og"*?i dicesi squadra. 

' Probabile errore, invece di chusma identico allo spag-nuolo I Ge- 
novesi dissero e dicono ciUxima. 

* Il Parodi propone d'interpretare il candelando col francese antico 
cadeller, catalano capdellar, che valevano: condurre, g-uidare, ed è eti- 



— 46 — 

Per farli tuti invigorì 
Chi de combate e firir * 
Mostram tuti cor ardente. 
Che bela vista era lantor * 
De segnoi) corniti, e noshé ' 
Soversagente * con ugé ^ 
Tuti ordenai a so lavor 
Cum barestrei tuti acesmai * 
Com bon quareli passaor 
Chi pertusam e mandor»: ^ 
De Tarte son troppo afinai. 
Non era li diversitae 
Ma eran tuti de cor un 
Per far honor de so comun 
Ni temevan quantitae. 
In Portovener se congregam 
Porto grande per reposo 
Contra ogni fortuna pioso ^ 
Li unsem ^ e s'apareiam 

De li partim, zem a Mesina 

• 

mologicamente accettabile: però leggendo, come altri lesse, caudelando, si 
avrebbe il verbo provenzale caudeja che vai: riscaldare, e meglio conviene 
al senso. 

Leggasi firf (ferire) anche per la rima. 

* Lantor, alantor, lanti), lantora dicovasi allora, nella Riviera di 
ponente: a Genova e nel circondario alianti! come ancora oggidì. Flechia 
fa venir queste voci dal latino intu(8) illa hora; meglio Zambaldi: ad 
illam horam che è V italiano : allora. 

' È il fr. nochor, il cat. notcher, notzel, che del resto erano il 
latino nauclerus. 

^ « Soubresalans o saillans de la nave, et leur office c'estoit de levèr et 
« avaler le voile, ployer et ostendre et d'atremper la pogo et les XXIIII cordes 
« qui soustenoyent lo mast ... et brievoment de socoure a tous les officiers de 
« la nave ». Godefroi, Dicti07inaire de Vnncienne ìangne francai se et de tous 
ses dialectes du ix au xy siede, Paris, 1892 (alla voce). 

* Ugé: ben interpreta Flechia : voghe, cioè vogatori (vogherii, Du- 
cange) io aggiungerò che il testo è mono errato di (luel che paia, perchè 
anche oggi il volgo marinaresco genovese dice ougù per vogare. 

* Flechia, citando Diez, traduce: pronti, apparecchiati: ma è precisa- 
mente il verbo fr. antico acesmer, prov. azesmar, die oltre al senso di 
ornare, apparare, ha quello di: ordinare in battaglia. Il Bos {Glossaire de la 
langue d'ote) li trae giustamente dal greco schisma, separazione, divisione, 
e per estens. taglio, onde lacci sma di Dante (/w/*. xxviii) tolto sicuramente 
dal provenzale. 

^ In men d'ora, subito. 

•* Pioso, in genovese antico : pietoso, non chiuso, come vorrebbe il 
Flechia. 

" Ungere, cioè spalmare le navi. 



— 47 — 

Li refrescham e se fornim 

Per tener le stra marina 

Or entram con gran vigor 

En De i sperando aver triumpho 

Queli zerchando inter lo gorfo 

Chi menazavam zercha * lor. 

Si che da Otranto se partim 

Quela bia ^ compagnia 

Per passar in Sihavonia 

D'Avosto a vinti nove di. 

Ma gram fortuna se comise 

De terribil mal < e vento 

E quelo comovimento 

Parti 5 lo stol in monte ^ guise 

Tanto fo quelo destolbe ^ 

Che no poen inseme stai ^ 

Per saver che dever far 

Ni portentim ^ ni conseje 

Si che lantor per consejar 

Da cossi greve remorin 

Caschaun io tem so camin 

Pu segnando che gi par. 

Ma perezando ** in tar travajo 

È in condicion si ree 

Con vinti nostre garee 

Proise terra 1 armirajo 

A un porto, De vojante, 

Chi Antiboro e anomao 



* Dò, nel francese e genovese antico, valeva Dio, come Deu nel pro- 
venzale: fedeltà al latino. 

* Voce del gen. antico: è il cerca spagnaolo. 

* B i a , con l'accento su Ta, valeva nel genov, ant, beatii, ma non conviene 
al senso: forse ha ragiono il Bonaini leggendo brà per brava. 

* Errore materiale: leggasi mar. 

* Parti, divise. 

^ Monte per molte: g-enoveso antico. 

^ Dal provenzale destorbier, destourbé, disturbare. 

* Errore materiale: leggasi: star. 

® Flechia interpetra : portantini ; ma non avrebbe senso ; trattasi al certo 
di un errore del copista. 

" Si)agnuolo cascun, latino quisque unus. 

" Bonaini interpretò: peggiorando; ma se fosse il genov. pezuando il 
poeta avrebbelo convertito in pez orando. Flechia crede si tratti d'un verbo 
marinaresco e cita il dantesco « non è pilofrgio da piccola barca » ; però pileggio 
vuol dire: un tratto di mare, e corrisponde, secondo me, al moderno: parag- 
gio. Parmi probabile che il perezando venpra dallo spagnuolo perecer, 
perire, sentire un estremo bisogno. 



— 48 — 

Chi ingolfando da 1 un lao 
De ver la faza de levante 
E quamvisde che in quelo porto 
Avesem so scampamento 
Che fosse de 1 atro armamento * 
N era arrivao cinquanta oto 
Ma quelo iomo anti note 
Revezem messo de novo 
Che for dexe miia provo * 
Chi se eonzunsen 1 endeman 
Anti che fosse, disnar coito 
£n soma fon setanta octo ^ 
Chi d engolfa no s astalan * 
Con grande ardimento andavam 
Guastando per quela rivera 
Quanto d enemixi g era 
Segondo che eli trovovam 
quanta gente, arnese, terra 
Casse e vile ^ e possession 
missem tute a destrution 
eh e tar usanza de guerra, 
e quante bele contrae 
ysore e porti de marinai 
li nostri an miso in ruyna 
chi mai no eram travaiae! 
ma ben ve digo en veritae 
tropo me parem eser osi 
guastando li loghi piosi, 
come stali de sposae. '^ 
gran deseno ' fen a lo sposo 
aijto duxe de Venexia 
chi in mar i atri dexprexia 
tochar logo si ascoso, 
ben savei che chi meiiaza 

* Qui non corro il senso: il copista saltò un verso che doveva rimare 
con: porto. 

' Flechia interpetra: vicino, dal latino prope: o tal <^, in effetto, il senso; 
ma questo provo non fu mai genovese. 

* Errore materiale: dove dir oito, genovese antico, anche per la rima. 

* Che non s'astong-ono dall'entrare nel golfo: così bisogna interpetrare 
col Flechia, ma in realtà il verbo g'onovose asta Uà non obbe mai, né può 
avere, il sig^nitìcato d'astonersi. 

* Case e ville. 

* Stranissimo parag-one. 

' Bene interiiotra il Flechia desenor, disonore. L'epiteto di sposo i^ 
dato ironicamente al dogo di Venezia porche sposavasi ogni anno al mare 
Adriatico. 



— 49 _ 

andar a atri «ichar lo dbso 
quanto dor g e poi romaao 
quaDdo aotrì lo so gi strada. 
lo Dostro hoste andar apresso; 
a quela vsora zem drìto 
a chi Scurzola & dito 
e li fem un tal processo 
che un borgo pim e grasso 
miirao merlao tuta en tomo 
che n ausa era e men d un iorno ' 
com bozon ' missem a basso 
e tuto 1 atro casamento 
stalo e maxon de quello Ioga 
fon cremae e misse a fogo 
ruina e disipatnento. 
ma li bor^esi chi so sto) 
a lor venir previsto aveam 

. le cosse lor ])Orta n aveam 
li rafacham ' n avem gran dolor: 
a chi tanto lo cor arde 
de stre^r 1 atrui fardelo 
chi an le man faite a rastelo ; 
(le tar grife Db ne guarde! 

•poi tegnando en queio logo 
leo consejo 1 armirajo 
per cerne so a vantalo 
sua si grande e forte aogo 
li nostri semper sospezosi 
de i enemixi che li vin 
venir com cor pim de venim 
é de soperbia raiosì 

alor, alor, con vigoria, 
e cascbauu sa arma e cria: 
De n Bje e santa erose, 
ma per zo che note era 
provo lo sol de stramontar 
pensam lo stormo indugiar. 



' In meno d im g'ionio. 

' Cioè: atterrammo, mettemmo a basso (le mura merlate del borgo) con 
bolzotiE - strumento antico militare da romper muraiflie » (Crusca). 

* Kafracam, à detto non per istrazio dei Veneziani, come crede Fle- 
chia, bensì degli stessi predoni ^^novesì che nulla trovarono nel borgo. Del 
resto la voce raffacan, che il lìonaini dice ancor viva nei paesi posti sul- 
l'Adriatico, non è genovese, ma vien probabilmente dal provenzale rafegà 
c!ie vai: frugare, metter sossopra. 



— 50 — 

e se missem tuti ìn^chera 
enter V isora e terra ferma 
da tuti cavi ormezai 
en tor lor afernelae ' 
caschaun so faito acesma 
tegnando proa contra vento 
en ver 1 oste veniciana 
entre maistro e tramontanna 
armai con grande ardimento, 
ma de le galee sexe ' 
partie per la fortuna 
no aiando nova alcuna 
penser an comò se dexe. 
niente me star semper atenti 
e confortosi tuto en torno 
tardi g e sea iorno 
ni stan miga sonorenti. 
quela note i enemixi 
mandam messi che previssem 
che Zenoeisi no fuzissem 
che i aveam per conquìdi, 
ma lì penssavam grande error 
che in fuga se fussem tuti metui, 
che de si lonzi eram vegnui 
per cerchali a casa lor. 
e vegnando lo dì setem 
de setembro fom avisai 
a De e a santi acomandai 
ferando insemel combatem. 
lo di de domenega era 
passa prima en 1 ora bona 
stormezam fin provo nona 
con bataia forte e fera. 
quanti for per le peccae 
entre cossi grevo tremor 
varenti omi morti e mendor 
e in mar gente stravachae! 
tante era Tarme de la tempesta ^ 
e de barestre lance e pree * 

* Deve leggersi, anche per la rima, afe melai. Il Bonaini crede che 
questa voce significhi, nientemeno, che serrar le vele! Avvidesi dell'errore il 
Flechia che giustamente traduce a fé me lai con affrenellati, da affrenel- 
laro « mettere il frenello al remo ». 

* Sedici. 

' Correggere: de Tarme la tempesta. 

* Pietre. 



— Si- 
on mar e su per le^alee 
restar guerra senza vesta ^ 
quanti prod orni se engannavam 
chi duramenti conbatando 
moriam e non savean quando 
che li quareli * pertusavam ! 
corno e lajro * subitam 
per strepa tosto la vita 
lo quarelo e la saita 
chi perdom alcun no fan ! 
ma ben e ver che da primer 
fo de li nostri morti alquanti 
ma tuti corno zaganti 
fon combateo sobrer * 
si gran frase fo per certo 
de scue ^ d arme e de gente 
morti e negai encontenente 
tuto lo mar n era coverto, 
corno De vosse a la per fin 
far honor de tanta guerra 
fo lor stanta * per terra 
e lor convegne star sovim ^ 
or che gran rota fo lauto * 
quando li venician prediti 
se vim si morti e desconfiti 
e zenoeisi venzeorl 
chi oitanta e quatro tenem 
garee de nozante e sexe 
avuo an zo che gè dexe 
che si gran dano sostentem 
de morti e d encarzcrai 
che de pu greve desconfita 
no se trove razon scrita 
che de galee fosse mai 



' Inintelligibile. « 

* Francese antico qua relè. 

* Il Flechia traduce lairo con ladro: ma non conviene al senso; parmi 
più conveniente laor, lavoro. 

* Superiore: dal provenzale antico sobrier, sobrer. 
» Scudi. 

* Leggasi stantà, stendardo dei Veneziani. 
^ Supini. 

* Leggasi lantor, per la rima. 



— 52 — 

Domando un' altra volta': è genovese questo ? E rispondo 
senza esitare : genovese di Genova e della sua provincia, no 
certamente. Lo Spotorno se ne avvide subito, e scrisse che « il 
« poeta anonimo era nativo della Riviera di ponente, non so- 

< lamente perchè il suo linguaggio esprime a meraviglia il mo- 
« derno idioma della diocesi d'Albenga, ma sì ancora perchè loda 

< questa città e vi andò col vicario di quella Riviera, ecc. ». In 
eflfetto, era impossibile che un genovese non si accorgesse dalle 
terminazioni in ao, dall' aferesi del e e del g innanzi all' i 
(iapa, ciappa, ihera, eòa, iorno, giorno) dalle molte parole 
tronche, dalla quantità delle voci provenzali, che le Antiche rime 
genovesi evsLTìo scritte nel dialetto parlato, con lievi differenze da 
paese a paese, da Alassio a Ventimiglia, e, saltando Montone, anche 
a Monaco: dialetto in cui è probabile una qualche influenza del- 
l' idioma degli antichi Liguri Ingauni ed Interaelii. Era pure 
impossibile di non accorgersi che se nelle dette Ri7ne si trovan 
molte parole di quel dialetto ed alcune anche di puro geno- 
vese antico e moderno, altre invece non appartenevano ne 
all'uno né all'altro, bensì al volgare illustre, quello che divenne 
poi 1* italiano. E per verità non vi è poeta genovese (e lo ve- 
dremo in seguito) che per nobilitare i propri versi, o per neces- 
sità di rima, non abbia usato, alle occorrenze, parole e modi 
italiani. È notabile poi nelle Antiche ri7ne che gli articoli vi 
si trovano adoperati con estrema parsimonia : il monaco poeta 
scrive alla latina, e quando adopera articoli sono i provenzali 
(la, li, ecc.) e non i genovesi (a, e, i, u). 

Ricapitolando, dirò delle Antiche ri7ne che esse sono un 
monumento pregevole dell' antico linguaggio ligure-genovese, 
per le voci che ne hanno serbato, ma che male ricordano lo 
idioma parlato nel secolo xiv da Savona fin quasi alla Spezia. 
^ Fonte migliore, non però pura, del su detto idioma tra la 
fine del secolo xiv e il principio del xv, sono le Prose genovesi 
contenute in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Pa- 
rigi, e pubblicate da A. Ive neW Archivio glottologico italiano 
già citato, voi. Vili. Ne trascriverò i primi periodi : « La iustixia 
« si he una dele quatro vertue cardenae, la quar si he virtue 
« chi rende a caschaun qo (ciò) che he so, unde la persona che 

< ha questa vertue si rende a li soi maoy (maggiori) honor et 
« reverencia et a li soi menoi dotrina et amaistramento. A li 




■<^l 



— 53 — 

^ amixi amor et alegrega et a li eneraixi paxe et paciencia. 
« Queste sun parole de san bernardo. Et chi questa vertue 
« bavera si ne reportera nove fruiti. ^ Lo prumè * si be per- 
« dunanza de le soe peccae ^ unde e^egiel (Ezechiele) dixe cbe 
« se lo pecaor ** farà guixio ^ (giudizio) et iustixia derita de si 
« raesmo * cbe de s'adementagara tute le soe pecae ; lo segundo 
« fruito si he, segondo che dixe san zoane evangelista, che per 
« la iustixia che fa lo pecaor de si mesmo quelo chi per lo 
« pecao era flior de lo demonio si sera "^ per la iustixia faito et 
« apelao flior de De ; lo tergo fruito si he segundo che dixe . . . 
« che in lo di de la morte le richeze de lo pecaò no lo poram 
« liberar de la morte de V inferno, ma la iustixia si ne lo li- 
« berara >. 

Anche coteste prose sono opera di un monaco, probabil- 
mente del convento della B. V. di Castello, e per due terzi e 
più (notò r Ive) sono la riproduzione fedele di una Vita di 
san Giovanni Battista che suol mandarsi tra le Vite dei Santi 
Padri volgarizzate dal Cavalca. E dunque una traduzione dal 
toscano in genovese e naturalmente in genovese non popolare : 
tuttavia, neir insieme suo, genovese è. Vi sono voci spagnuole 
delle quali alcune durarono lungamente nel genovese, altre 
invece ad esso ripugnano: per esempio mesmo, spagnuolo 
mismo, fu detto per più secoli dalle persone colte, invece 
del popolare ma antichissimo mèximu;^ invece si mesmo, spa- 
gnuolo si mismo, è antigenovese in cui dicesi le per sé. Ma 
come esaminare analiticamente un linguaggio, sopra un testo 
che, nelle poche righe da me trascritte, reca una volta vertue, 
un'altra virtue, una volta pecaor, un'altra pecaò? 

Nò della lingua genovese parlata sembrano monumenti più 
certi le scritture uffiziali che ci rimangono dei secoli xiv e xv 
composte in quella lingua, poiché se è vero che i magistrati 

• Provenzale fruit. 

• Provenzale g'uascone: prò urne, primo. 

• Notisi il femmÌDÌle: Dante: 

l'Agnel di Dio che le peccata leva. 

• Provenzale peccador, spagrnuolo e catalano pecador. 
■ Spagrn nolo juicio. 

• Id. si mismo, se stesso. 
' Francese sera. 

^ Latino met-ipsiim, metipsimus. 



— 54 — 

della Repubblica di Genova usavano, come quei di Venezia, di 
scrivere nel patrio idioma, vero è pure che procuravano di 
nobilitarlo con voci e frasi latine e toscane. ^ 

Dal principio del secolo xv mi convien venire alla metà 
del XVI. in cui trovo Paolo Foglietta, nobile genovese, il quale 
dettò in yera lingua genovese di Genova i primi versi che siano 
degni del nome di poesie. Ne reco alcune, traducendone due, 
come meglio mi venne fatto, in versi italiani, a fin di renderle 
intelligibili ai non Genovesi : tanto più che, per ragioni storiche, 
ho stimato di dover conservare V ortografia con cui furono 
stampate. * 

SONETTO. 

Quando de scuoggio in scuoggio va Maitinna 
Accoggiando patelle, gritte e zin 
L' egua deven crestallo puro e fin 
E de sarà ven dece ra mariana. 

E r aregha e V arena e 1' herbettinna 
Deven d' oro, smerado, e de rubin, 
E ri pessi d'arinto brillarin, 
E Nettun sen^a in testa se ghe inchinna. 

E ro so per no cuoexera s'asconde, 
Ma ne fa lumme incangio ro so viso : 
Ro vento treppa intre so trezze bionde. 

Ma no treppo za mi, perchè m'aviso 
Che se a se ve si bella dentre i onde 
Che a no ame sarvo li, corno Narciso. 

Versione. 

Quando di scoglio in scoglio Mariettina 
Va raccogliendo qualche nicchiolino, 
.L'acqua divien cristallo puro e fino, 
Dolce divien di salsa la marina. 

E l'aliga, l'arena e Terbettina 
Divengon d'oro, smeraldo e rubino, 
Mandano i pesci splendore argentino, 
E Nettuno si scopre e a lei s'inchina. 

* Pubblicò due di coteste scritture 1' Olivieri, nella Prefazione al suo 
Dizionario genovese-italiano. 

* Nella Raccolta di Rime diverse in lingua genovese, edita tre volte, in 
Pavia nel 1583 e 1595, e in Torino nel 1C12. 



— 55 — 

Il sole per non arderla s'asconde 
Ma ci illumina invece il suo bel viso : 
Il vento scherza fra sue treccie bionde. 

Ma non scherzo già io, perchè m'avviso 
Che s\ bella vedendosi neironde 
Più non ami che sé, come Narciso. 

È questo uno dei pochi componimenti in cui Foglietta cantò 
d'amore : la maggior parte hanno fine patriottico, ed in essi il 
verso e la lingua secondano a meravìglia il nobil animo del 

poeta. 

SONETTO. 

Dond'è rhonò dri nostri antighi e groria? 
Chi han sott^ e sovra terra e mh, buttao, 
Perchè han ro vero honò tutti apprexao 
Quanto noi Toro, pompe e vanagroria? 

Cosa de' dì messe Paganin Doria 
Chi era fragello de paghen chiamao? 
Cosa de' di messe Giaxo Axerao 
E i atri antighi degni de memoria? 

Che paraxi da Re chi fa ne ven, 
Puoe da un nostro vassallo e da corse 
Batte ne ven perchè garìe no hemo. 

Ch'oura da Duchi tutti sta vdggiemo, 
Ma quelli che ro mondo trema fen 
A Zena stavan da citten prive, 

Senza paraxi ornè. 
Ma se ben vivi in gran paraxi stemo 
In stretta fossa morti a^ogi eremo, 

Ni chiù ninte saremo. 
Donca comò i antighi femo noi 
Se morti e vivi haveì "voggiemo honoì : 

Che son monto meggioì 
Per fané honò ri legni dre garie 
Ch' a repoise de cangi e pompe e prie. 

Versione. 

De' nostri antichi ov'è Toner, la gloria, 
Che han sottosopra terra e mar gettato, 
Perchè hanno il vero onor tutti apprezzato 
Quanto noi Tor, la pompa e vanagloria? 

Che deve dir mcsser Pagano Doria 
Che flagel de' pagani era chiamato? 
Che ser Biagio Assereto e Tonorato 
Stuol degli antich^degni di memoria? 



— 56 — 

I quai ci vedon reggie fabbricare 
Per farsi poi da corsi e da pirati, 
Perchè privi di navi, soperchiare? 

Da duchi or vogliam tutti esser trattati 
Ma quei che il mondo fecero tremare 
In Genova si stavan da privati, 

Senza palagi ornati. 
Pur se in grandi palagi vivi stiamo, 
Morti, in piccola fossa alloggeremo 

E più nulla saremo. 
Dunque come gli antichi or noi facciamo 
Se vivi e morti aver vogliamo onori : 

Che sono assai migliori 
Per onorarci, le galere e Tarmi 
Che il pascersi di cambi e pompe e marmi. 

Un altro sonetto che, almeno in parte, potrebbe essere 
anche oggi scritto a uso dei Genovesi, e che perciò non occorre 
tradurre : 

Da (^ittaen no vestimmo ma da conti 
Ch'emo cangióu ra toga in pompa e galle 
E tutti a ra virtù demmo ré spalle 
E a core derrè ai vizi semo pronti. 

Ni andà ciù se degnemo su ri ponti 
A regeive dre lanne e spaccia balle 
Che a noi conven pù fa, che in questa valle 
Semo nasciui circonda, dai monti. 

Ni vive da Baroin poemo dMntrà 
Che ne conven per /orza ese mercanti 
Zena moere nostra abandonà. 

Ro scosà ne conven tegnì davanti 
E a ra butega in fin ne conven sta, 
score ri Ponenti e ri Levanti. 

Fu il Foglietta grandemente stimato dai concittadini suoi 
che lo chiamarono il « poeta genovese» : uno d'essi però, il giu- 
rista Spinola, gli indirizzò un sonetto in genovese idioma, in 
cui dicevagli che assai maggior gloria procacciato avrebbe a 
sé ed alla patria se poetato avesse in toscano. Gli rispose il 
Foglietta con un altro sonetto, di cui trascrivo una parte : 

A mi me basta che per versi té 
Ro poeta zeneixe son chiamaou 
Mi son zeneixe e Zenai^o sempre amaou 



— 57 — 

Però parlo zeneixe, in lengua me, 
No in lengua d'atri corno i insprité, 
Ni d'atro che dro me vaggo fasciaou. 

E se Tuscan parlasse (sìi dighe) 
Nobile no parreiva mi Fogetta 
Como son steti e son tutti ri me. 

Ebbe subito imitatori, primo tra i quali Barnaba Cigala 
Gaserò, nobile genovese egli pure « che stampò nel materno 

< linguaggio un discorso politico e alcune rime, tra le quali 
« è famosa una canzone di metro petrarchesco, piena di cosi 

< vive e leggiadre immagini, condotta con tale artifizio, limata 
« con tanto d'attenzione, che io non saprei degnamente lodarla ».^ 

Ecco la canzone, da me poi voltata alla meglio in italiano: 

Quando un fresco, soave, doce vento 

A ra saxon chiù bella, a ra megió, 

Trepà intre fogie sento 

E pà cho spire amò, 

Me ven in mente quella 

No donna za, ma stella. 

Quando ro venti xó ghe sta a trepà 

Dentri cavelli e ghe ri fa mescià. 

Quarche vetta che sento i oxelletti 
Como sareiva a di ri rosignó 
Canta su i erboretti 
Ri vaghi versi so, 
L'accorto raxonà 
E ro genti parla 

Me ven de quella ingrata dentro co, 
Ch'é atro che senti ro rosignó 

Quando mi vego quarche prao sciorio 
Gianco, giano, incarnato e porcelletta, 
Coverto e ben vestio 
De verde e fresca herbetta. 
In cangio d'alegrame 
Chiù sento apassioname 
D'una sciò strannia chi no ha proprie fogio, 
Ma re cangia secondo re so vogie. 

Quando mi vego quarche bosco grande 
D'ormori, de supressi, erexi e pin, 
Co i erbori dre giande 
Re sorbe e i ermorin, 

» Spotorno, op. cit., voi. IV. 



— 58 — 

A ro me co me pà 

De poeìro asomegià: 

Che ro me co' un bosco si s'è feto 

Tante re frecchìe son che amò gh'a treto 

E quando vego quarche egua corrente 
Luxì comò un crestallo puro e fin 
Che chi ghe pone mente 
In fondo ve ra gera, 
E dentro sì ghe brilla 
Ro pescio con Tanghilla, 
A ro so mormora piaxeive e lento 
Che amò no fa giustizia me lamento. 

Quando ro ma é grosso, e scorrosaou 
Contra ri scoggi ri maroxi o batte, 
E de longo é alteraou 
Fin che con lo o combatte. 
Così se rè astrià 
Quella Nerona pà, 
E mi ri scoggi fermi e pazienti 
A ri torti, a i ingiurie, a ri tormenti. 

Quando mi penso che ra Tramontana 
E' ghia de chi va pe ra marina, 
E sempre ra Diana 
Inanzi dì camina, 
me soven lantora 
Che in strannia forma ogn'hora 
Una atra stella, ma chiù asse luxente. 
Ghia corno a vò ra me vita dolente. 

Quando ro mondo è scuro e tenebroso, 
E ro ce s'arve e se ve fora insf 
Un lampo luminoso 
Che i ere fk luxi, 
E ro gran lumme so 
L'ogio aspeità no pò, 
Me pà ro lampo chi fa strangosciame 
Se a quella Tigre piaxe d'aguardame. 

Quando in tempo seren Peclipse fa 
Con maravegia aguarda ognun la sii 
Ni ro gran lumme za 
Ven comò prima chiù; 
Cosi quella crudera 
Se a crove ra so chiera 
Con un chiumaso o velo delicaou 
A pà ro gran pianeta ineclipsaou. 

Quando si bello e così vago apà 
L'erco celeste de coroi listaou 
Quello coasso pà 



— 59 — 

Chi m'ha ro co ligaou, 

E se ro so compà 

De nuvere acerchiaou 

me p& veira lé descavegià 

Con ro capello ch^a se sta a scìugà. 

Quando ro s6 ra seira se ne va 
E ro giorno con seigo se ne porta, 
Notte asse presto fa 
E ogni coro s'amorta, 
Se ro me so va in ca 
Como Ve dentra porta 
Tutta ra terra, nonché ra contrà, 
Un^afTorozo Limbo sì me pò, 

Quando a ra sté vego ra Luna in ere 
Chi pà ch^a no se move, e fa camin, 
E de coro son i ere 
D'azuro oltramarin, 
In co me ven quelFuna 
Chiù bella asse dra Luna 
Se depoi cena a se ne sta assetta 
In villa a ro barcon de caminÀ. 

Quando a ra notte un spazio pa ro ce 
Tutto depento e recamaou de stelle 
Me pà de ver derré 
Vei quelle tresse belle: 
Che ri frexetti so 
Re sciof, ri pointeró, 
Stelle devennen dro sidereo coro 
Como han tocaou quelli cavelli d'oro. 

E quando vego pò ro so levaou 
Chi sciuga ra rozà ch'è in su Therbetta, 
Ro ce netto e spassaou 
Senza una nuveretta, 
Ra chiera vei me pa 
De quella dexirà 

Chi esce de casa insemme con so moere, 
E fa luxì ro ma, ra terra, e i ere. 

In concruxon, quando mi vego o sento 
Fiume, erco, eclipse, oxelli, bosco, praou, 
So, Luna, stelle, vento, 
E lampi e ma astriaou, 
Ro polo e Toriente, 
Ro mezzodì e ponente, 
E ogni atra cosa bella in terra e in ce, 
Me pà che Thagie dentro i ogi lé. 

Ma se vego lé mesma, che me péti 
Cosa é de mi quando ra vego lé! 



— 60 - 

N'ho chiù che dexirà, 

E d'esse me pà in ce, 

Si me sento cangia 

E trasformarne in le, 

Onde me tocco a vei se mi son mi, 

pu quarch'atro chi m'aspete li. 

versi me cho za bagnaou de chiento 
E pò co ri sospiri v'ho sciugaou 
Quanto martello sento, 
E s'ho ro co infrecchiaou, 
Ognun chi ve veirà 
Da voi rintenderà, 
Però ve n'anderei davanti a quella 
Figgia d'ogni atra chiù crudele e bella 

Si ghe direi : che se ben n'ho speranza 
D'otegni moé da le nissun favo, 
E in pari soe d'usanza 
E ma inchietaou Tamó, 
Mi pù Fhonoro e Tamo 
E sempre moé la bramo : 
Che virtuoso e santo é ro me fin 
E ro ben che ghe vogio si é dro fin. 

Versione. 

Quando un fresco, soave e dolce vento 
Alla stagion più bella, alla migliore. 
Scherzar tra i rami sento 
Che par che spiri amore, 
Mi viene in mente quella 
Non donna già, ma stella. 
Allorché il venticello va a scherzare 
Ne' suoi capelli e li fa sventolare. 

Se alcuna volta ascolto gli augelletti 
E l'usignuol tra essi il più canoro 
Cantar su gli alberetti 
I vaghi versi loro. 
L'accorto ragionare 
Ed il gentil parlare. 
Ben più gradito all'alma innamorata. 
Tosto in mente mi vien di quell'ingrata. 

Allorché vedo un bel prato fiorito 
Di gigli, margherite, e violette. 
Coperto e ben vestito 
Di verdi e fresche erbette. 
In vece d'allegrarmi 
Più sento appassionarmi 



— 61 — 

Per uno strano fior che ha proprie foglie, 
Ma le cambia secondo le sue voglie. 

Se di veder m'accade un bosco grande 
Pien d'olmi, di cipressi, elici e pini 
D'alberi delle ghiande 
Sorbi e corbezzolini. 
Al mio core mi pare 
Poterlo assomigliare: 

Che un bosco invero il core mio s'è fatto. 
Tante le freccie son che Amor gli ha tratto. 

E quando vedo qualche acqua corrente 
Come cristallo lucere serena, 
Che chi le pone mente 
Scorge al fondo la rena, 
E che in seno le brilla 
Il pesce con l'anguilla,* 
Ne odo il mormorio soave e lento 
E che Amor non è giusto io mi lamento. 

Allorché grosso è il mare, e scorrucciato 
Contro gli scogli co' marosi batte. 
Ed è sempre adirato 
Finché con lor combatte, 
Tal è nell'ira fiera 
Quella Nerona altera. 
Ed io, come gli scogli pazienti, 
Soflro i torti, le ingiurie ed i tormenti. 

Penso talora che la Tramontana 
É guida di chi va per la marina. 
Che sempre la Diana 
Innanzi al dì cammina, 
E mi ricordo allora 
Che in strana forma ognora 
Un'altra stella, ma più assai lucente. 
Come vuol, guida mia vita dolente. 

Allorché il mondo è scuro e tenebroso 
E s'aprono le nubi e ne vien fuora 
Un lampo luminoso 
Che par novella aurora 
Si che al bagliore strano 
Non regge rocchio umano, 
Sembrami il lampo che fa trangosciarmi 
Se a quella tigre piace di guardarmi. 

Quando in tempo seren l'eclisse fa 
E ognun con maraviglia guarda in su 
Ed il gran lume già 
In ciel non vede più, 
Tal la mia donna fiera 



— 62 — 

Se si copre la ciera 

Con un ventaglio o velo delicato 

Il gran pianeta par quando è eclissato. 

Quando s\ bello e così vago appare 
L'arco celeste tutto screziato 
Quella treccia mi pare 
Che il mio core ha legato, 
E se il sole compare 
Di nubi circondato 

10 vedo lei che attende scapigliata 
Che le fresche aure l'abbiano asciugata. 

Quando il sole alla sera se ne va 
Ed il giorno con seco se ne porta, 
Notte assai presto fa 
E ogni color s'ammorta: 
Se il mio sole va in ca' 
Com'è dentro alla porta, 
Tutta la strada, anzi tutta la terra. 
Una tenebra cupa allor rinserra. 

Quando d'estate vedo in ciel la luna 
Che par che non si mova, e fa cammino 
Lungo la vòlta bruna 
D'azzurro oltremarino. 
Mi rammento quell'una 
Più bella della luna. 
Se dopo cena sta solinga e muta 
Della sua villa sul veron seduta. 

Quando uno specchio par di nott« il cielo 
Tutto dipinto di fulgenti stelle, 
Sembrami senza velo 
Veder le trecce belle 
Di cui gli spilli, i fiori, . 

I nastri a bei colori, 
Divenuer stelle del sidereo coro 
Poi che toccare que' capelli d'oro. 

E quando poi vedo il sole levato 
Che la rugiada asciuga su Terbetta, 
E il cielo screnato 
Senza una nuvoletta, 

11 vago aspetto io miro 
Di lei ch'è mio sospiro 

Ch'esce di casa con la madre, e pare. 
Illuminar l'aria, la terra, il mare. 

In somma, allorché vedo, allorché sento 
Fiume, arco, eclisse, uccelli, bjsco, prato, 
Sol, luna, stelle, vento, 
E lampi e mare irato. 



— 63 — 

Il polo e roriente, 

Il mezzodì e il ponente, 

Quaggiù in terra e lassù nel firmamento 

Sempre lei, solo lei, io vedo e sento. 

Ma se lei stessa vedo, oh che mi pare! 
Che avvien di me quando lei stessa miro! 
Non ho più che bramare, 
D'essere in ciel deliro, 
Sì mi sento mutare 
Ed in lei trasformare: 
Talché dubbioso infin delFesser mio, 
Mi tocco per saper se io son io. 

versi miei che già bagnai di pianto 
E poi con li sospiri v'ho asciugato, 
Qual provo acerbo schianto 
E se il core ho spezzato 
Ognun che vi vedrà 
Da voi l'intenderà: 
Però ne andrete voi dinanzi a quella 
Donna d'ogni altra più crudele e bella, 

Per dirle che sebben non ho speranza 
D'ottener mai da lei nessun favore, 
E 30 che per usanza 
Dalle sue pari è mal accetto amore. 
Pur io l'onoro e l'amo 
E sempre mai la bramo, 
E che il mio fine è virtuoso e santo 
Ed il ben che le voglio è tanto, tanto. 

Merita la canzone del Cigala il caldo elogio fattone dallo 
Spotorno? Certo che le similitudini son ripetute troppo, che 
alcune sono un po' strane ed altre sentono l'infesto spirito del 
seicento: ma la canzone va giudicata, più che dalla sostanza, 
dalla forma sua genovese, che è elegantissima. Dimostrò il 
Cigala che l'idioma genovese era atto ad esprimere in forma 
veramente poetica nobili e delicati sensi: né alla sua squisitezza 
di forma (che pur si trova nell'altra poesia di lui Resto dliaveive 
visto àbarlugaou inserita nella Raccolta del 1612) pervennero 
il Foglietta stesso e il Cavalli. Vero è ch^ il genovese del Cigala 
non è, ne poteva essere, il genovese popolare: pure egli usò po- 
chissime parole toscane, come: spire amò, vaghi versi, ecc., 
ed anche di queste potuto avrebbe, volendolo, far a meno. ^ 

* Del resto cosa naturale in lui che avea, nella sua gioventù, poetato 
lodevolmente anche in toscano. 



— 64 — 

Non molto dopo il Foglietta e il Cigala, poetarono in ge- 
novese Cristoforo Zabata, ^ Lorenzo Questa, Benedetto Schenone 
ed altri, * ma poco felicemente. 

Tentò più nobile arringo Vincenzo Dartona, che non con- 
tento di avere scritto alcune poesie genovesi non ispregevoli, 
osò voltare nel patrio idioma il primo canto deìVOt^lando Fu- 
rioso:^ voltare, s'intende, a modo suo, vale a dire con larga 
parafrasi e riducendolo spesso quasi in bernesco, e basterà ci- 
tare una sola ottava, quella che traduce Tariostesca notissima : 
« gran bontà dei cavalieri antiqui ». 

che gran caritè de i homi antighi 
Che lonzi mille migia eran nassui 
E dri corpi che deto da inemighi 
S'havean zu tra de lo, pesti e battui 
Aura ne van corno dui cari amighi 
O dui frati, o dui previ, o dui battui, 
Tanto ch'arrivan con ro cavalletto 
Come a di su ra croxe de Canetto. 

Pure il Dartona potuto avrebbe tenere altro modo, e para- 
frasando evitare almeno le scurrilità che son vere profanazioni, 
e lo provano alcune sue ottave tra le quali queste : 

peni-amento che ti sé ben quanto, 
Dixeiva, truamente ti m'ammazzi 
Che donie fa puoe che son steto tanto 
Perch' atri teiso m' ha ben cento lazzi ? 
D'un sguardo a maresperme mi me vanto 
Quarch'atro n'ha tutti ri so sorazzi 
Se a mi no me ne ven frutto, né sciò, 
Perché ho a pati per le tanto dorò? 

Una ruexa «emeggia ra donzella 
Chi sea dentr'un giardin su ra so ramma 
Che mentre a sta cosi fresca e novella 
Ni garson ni fantesca ra deramma, 
L'aora con ra roxa ra menten bella 
E fan s\ che caschun V ha cara e bramma, 
E tutte re personne innamorè 
D' haveila in sen patissan gran couè. 



* Una delle sue poesie porta la data del 15 ottobre 1587. 
' Alcune loro rime trovansi nella Raccolta g-ià citata. 
3 Trovasi nella Raccolta del 1612. 



1^ .^^ « ai. ak-KvJ 



— 65 — 

Ma di questa versione del Partona riparlerò tra poco. 

Giuliano Rossi, da Sestri Ponente, scrisse, sotto il pseu- 
donimo di Todaro Conchetta, molte poesie ^ in un genovese che 
sente un po' la Riviera, tra la fine del secolo xvi e il prin- 
cipio del XVII. ^ Facilità ed armonia di verso, ma non altro : 
del resto egli si giudicò da se stesso, forse troppo severamente, 
col seguente sonetto: 

Me dechiero, son schietto, e si no adullo : 
Mi no scrivo toscan per no savei 
Ne che tampoco sé pueta ve crei 
Che n'intendo Virgilio ni Catullo. 

Ma scrivo a ra zeneize per trastullo 
E ben spesso per raggia come veì 
Fazzo in un' bora dui sonetti e treì 
E n' ho in trei meisi impio quasi un baullo. 

Che mi ri buetto là cosi de ti està, 
E così a vista d'oeggio te ri taggio. 
Che n ho cervello andà per fleste in chiesta. 

Questo ve diggo ben che no rettaggio : 
Dro resto so che no haveran requesta, 
Ma non ne paghereiva un spigo d'aggio. 

Intorno al tempo medesimo indicato disopra, poetò in ge- 
novese Leonardo Levante, alcune rime del quale furono pubbli- 
cate, e Antoniotto Sauli e Giovanni da Varese, le cui opere 
restarono inedite, secondo che nota il Soprani ^ che le vide in 
biblioteche private. 

A questo punto parmi opportuno di considerare alquanto la 
lingua usata nelle loro poesie dal Foglietta, dal Cìgala e dagli 
altri che mentovai. Giova premettere che la stampa che ne fu 
fatta nel 1583, 1595 e 1612, è cosi piena d'errori, in ispecie 
^'ultima, che ne rende l'esame molto difficile. 

Incertissima l'ortografia : pure il Cristoforo Zabata, del 
quale parlai disopra, pubblicando nel 1595 in Pavia, « senza 
alcuna saputa dell'autore > le poesie del Foglietta, cosi scriveva 
nella dedica del libro al patrizio Agostino Durazzo : « tra quelle 
< lingue che ricevono in loro qualche iraperfettione per la quale 

^ Ne furono stampate parecchie nella Raccolta del 1612: le altre tro- 
vansì manoscritte nella biblioteca dell'Università di Genova 
* Una delle sue poesie porta la data del 13 agosto 1611. 
' Oli scrittori liguri di Raffaele Soprani. 

5 



— 66 — 

« non può rhuorao esprimere interamente il suo concetto, mi 
« pare che si debba con molta ragione la Genovese annoverare, 
« essendo essa talmente diflScile nella pronuntia, per manca- 
le mento di alquante lettere all' intelligenza di quella noces- 
te sarie, ^ che gli stessi cittadini non possono, senza molta con- 
« sideratione, leggerla compiutamente. Ma se di ciò poco debito 
« a Carmenta dobbiamo bavere, tanto maggiormente havemo 
< d'essere ubligati al signor Paolo Foglietta il quale con la sua 
<c propria industria ha ridotto in tal maniera facile questa fa- 
« velia che Thuomo ne può debita sodisfattione bavere, come 
« dai versi suoi chiaramente si vede, ecc. ». 

Fu dunque il Foglietta che riformò l'ortografia genovese 
COSI da rendere intelligibile la scrittura della patria favella. 
Ma, sia che egli fosse ancora incerto del modo di scrivere i 
dittonghi eu ed ou, sia che (fatto più verosimile) neir edi- 
zione da lui non curata, siano occorsi, anco nella riproduzione 
di que' dittonghi, errori di stampa, noi vediamo, nelle sole due 
poesie del Foglietta su riportate, il dittongo eu scritto ora uo 
(scuoggio), ora uoe ^ (cuo exera) e il dittongo ou scritto ao 
(buttao, apprexao, ecc.). Altrove però trovasi scritto aou 
(chiamaou, amaou, ecc.) che tanto più s'avvicina alla retta 
pronunzia di questo dittongo. Il Cigala poi, nella sua canzone, 
scrive V eu semplicemente ò (ventixó, rosignó, ecc ), però 
V ou scrive sempre aou (scorrosaou, altera ou, ecc.). 

Il dittongo eu apparisce scritto correttamente, per la prima 
volta, nella Gerusalemme tradotta in genovese, di cui parlerò 
in breve: ma Voti vi è scritto ancora aou (araortaou, ba- 
gnaou, ecc.). 

E dovuta però al Foglietta la diffusione, se non l'intro- 
duzione, dell'uso di scrivere chiù per ciù, chiento per 
cièiìtu, chiaga perciaga, ecc., modo venuto dall' influenza 
della lingua spagnuola allora assai nota a Genova, influenza 
che vedesi chiaramente in altre parole usate dagli scrittori 

* Non è che mancassero le lettere, è che non si sapevano adoperare : de 
resto, l'ortogrratta della lingrua francese non si trovava allora in mig-liori con- 
dizioni. 

* Anche il francese {antico rappresentava il suono pu non con eu, ma 
con ne: bues = bcEufs, puet = peut, ues = (eufs, ecc. « Rien de plus 
vag-ue - scrive il Rivet - de plus indt^terminé, que la prononciation de u, eu, 
Of ou, au moyen-Sg'e, et encore au xv siècle ». 



- 67 — 

genovesi fino al secolo xviii, corno per come, agno per anno, 
meigo e seigo per meco e seco, ecc., oltre alle molte voci 
che il genovese ebbe ed ha tuttavia comuni con lo spagnuolo, 
delle quali dirò in appresso. 

Quanto alla lingua, il Foglietta e gli altri dicono ancora 
De per Dio, strè per strado, tenti per tanti, ^ monto per 
molto, e più altre parole delle quali produrrò più sotto un 
elenco : sentono, più vivamente che oggi non senta il genovese 
idioma, l'affinità col francese, dicendo : 



Genovese 

Accogiando 

Afforozo 

Aggiando 

Cianzando 

Coraado 

Deliverà 

De pento 

Dexirà 

Donea 

Ere 

Maraggia 

Mignottore 

Moé 

Pointo 



Francese 




Italiano 


Accueillant 




Aecogliendo 


Afaros (frane 


. ant.) 


Spaventoso 


Ayant 
Pleurant 




Avendo 




Piangendo 


Courant 




Correndo 


Délivrée 




Liberata 


Dépeint 




Dipinto 


Désirée 




Desiderata 


Donc 




Dunque 


Air 




Aria 


Maraude 




Ruberia 


Mi^nardise 




Moine 


Mais (frane. 


ant.) 


Più 


Point 




Punto 



e posponendo sempre i pronomi al verbo, nelle frasi interro- 
gative: direivo, fareivo, seivo, vorei vo, aveio, faeo, 
peutto, veutto, ciamelo, ecc. 

Nessuno studio, almeno insino alla metà del secolo xvn, 
di avvicinarsi al toscano, che tuttavia, per mezzo degli scrittori, 
cominciava ad esercitare qualche influenza sul parlar geno- 
vese: di che arrabbiava il Foglietta, cantando: 

Ri eostumi e re lengue hemo cangie 
Puoe (pèu) ehe re toghe chiù n'usemo ehie 
Che galere dighemo a re garie 
E fradelli dighemo ai nostri fré. 

E scarpe ancon dighemo a ri cazé 
E insalatinna a V insisamme assie : 
Si che un vegio zeneize come mie 
Questi tuschen no intende azeneizè. 



* Vivo ancora tra i montanari. 



E più feroce il Rossi: 

Vui che di vengo a viegno, e lioggi a ancuoe, 
Ch'oggi ve viegna un cancaro intro cuoe! 

Aspieterei da puoe 
Che ve deggian stima ri forestié 
Se vai ve de dra zappa su ri pie: 

Prove in nome de Die 
A beive intri Bezagni e intre Ponseivere 
E lasse un poco andà TArno e ro Tei vere. 

I quali versi ho citati perchè possono servire per la storia 
d' Italia. 

Ma, per quanto abborrissero dal toscano, i poeti genovesi 
che pur erano uomini còlti, e studiato avevano sopra libri to- 
scani, non potevano qualche volta, per necessità di verso o di 
rima, fare a meno di qualche voce toscana : il Foglietta stesso 
ne ammette alcune: il Dartona acconcia alla genovese assai voci 
e modi toscani : solo il Rossi se ne guarda come dalla peste. 

Tratterò adesso della famosa « parlata con Ven*e > propria 
dei nobili e dei letterati genovesi, i quali amavano di distin- 
guersi dalla plebe eziandio nel linguaggio : ondo questa omet- 
tendo sempre la consonante intermedia, essi la pronunziavano : 
dicendo parolla invece di paola, ora invece di aoa, ecc.; 
più, mentre la plebe diceva a, e, /, w, per Za, le, li e il essi 
pronunziavano questi articoli con la r, dicendo : ra, re, n, ro. 

Quale Torigine di questo modo di favellare e di scrivere? 
Io trovai che anche oggidì i Guasconi dicono ra per la (art.) 
pi. ras per le, elidendo il ra innanzi alle voci cominciate 
con a: r' audou, l'odore ; quando poi ra è preceduto da una 
preposizione, sopprimono la r, e la diviene suflSsso: en a: nella, 
alla, su la; en a porto, alla porta; en as bilos, nelle città; 
per OS parets, sulle mura : e n a, en as, per as , sono usate 
per: nella, nelle, per le. Ho trovato inoltre che in più luoghi 
del Piemonte (Astigiano, Mondovi, Monferrato) dicesi ancora: 
ra per la, ro per lo. Sarebbe quivi, come in Guascogna, e 
come fu anticamente a Genova, retaggio iberico? Giova però 
notare che nelle scritture genovesi fino al secolo xv trovansi 
usati gli articoli provenzali e francesi la, le, li, lo: solo nella 
nota lettera dell'ammiraglio Assereto è adoperato l'articolo lo 
e ro indifferentemente. 






— 69 — 

E poi noto come e quando fini la pronunzia con Verve : fu 
la Rivoluzione francese che la portò via. 

Altre difi'erenze vi erano tra il linguaggio aristocratico ed 
il plebeo: per esempio la pronunzia della doppia n, come mat- 
tina, piccina, che i nobili pronunziavano mattin-na, 
piccin-na, con una pausa brevissima tra le due n, e i plebei 
matin-a, piccin-a, elidendo una delle due n, e facendo una 
breve pausa prima di pronunziar Va finale. 

Ora, dopo d'aver ricordato Giovanni Battista Monti da Spezia, 
morto nel 1615, che dettò in toscano ed in genovese, poesie 
nelle quali, a detta del Giustiniani, ^ si mostrò « concettoso, 
arguto e gratioso > ma che io non potei conoscere, verrò, senza 
più, al massimo dei poeti liguri, a colui che fu detto il Petrarca 
genovese, Giovanni Giacomo Cavalli (che veramente si chiamava 
Cavallo) il quale scrisse dal 1600 al 1650 molte poesie che fu- 
rono pubblicate col titolo di Qittara^ Zeneize: divulgate subito 
per tutta la Liguria e ristampate più volte, queste poesie, per 
la maggior parte di argomento amoroso, sono cosi belle che è 
deplorevole per la fama del Cavalli che non le abbia scritte 
in lingua italiana. Vero è che sarebbero state necessarie tutte 
le grazie del parlar fiorentino per vestir cosi bene, come le vesti 
il genovese, i concetti originali e naturalissimi del Cavalli. Fa- 
cilità di verso e di rima metastasiana, V espressione degli af- 
fetti sempre vera e gentile, nessuna ricercatezza, sino a tenersi 
pressoché interamente mondo dai vizi della letteratura del suo 
secolo, 3 ecco i pregi che fecero del Cavalli uno dei migliori 
poeti italiani. Di lui cosi scrisse il Chiabrcra : « se la favella è 
« opera propria dell'uomo, il Cavalli con onorare V idioma geno- 
«vese ha fatto onore alla sua patria in cosa onde gli abitatori 
« delle nostre Riviere non rimanevano senza vergogna adoperan- 
« dola malamente. Per certo, il ciò fare è stata nuova e strana 
« vaghezza, ma la Liguria produce uomini trovatori, e trovatori 
«di cose non immaginate e appena credute da altri». Dalle 



* Oli scrittori liguri descritti dall'ab. Michkle Giustinlvni, Roma, Ti 
nassi, 16G1. 

' Intendasi, non chitarra, ma cetera, cetra. 

* Non vi cadde che rare volte, per esempio là dove dice: 

Quando ammorta ro s<) ra so oandeira 
Sotta ro moccalumme do ponente. 



' — 70 — 

quali ultime parole appare come il valente lirico savonese non 
conosceva il Foglietta, il Cigala e gli altri che prima del Ca- 
valli poetato avevano in genovese. 

11 celebre P. Cova, non genovese, soleva dire piacergli tanto 
la canzone del Cavalli Ballin ambasciou di pescoei (della quale 
recherò un saggio) che l'anteponeva al panegirico di Plinio a 
Traiano, e il dottissimo P. Lagomarsini, professore di rettorica 
a Firenze, in una sua orazione nell'apertura degli studi nM 1736, 
stampata più volte, cosi favellò del Cavalli : « Quis sermo magis 
« quam Ligurum Etruscis quidem auribus inconditus atqueabso- 
« nus habetur ? Eum tamen Paulus Folieta vario scriptorum ge- 
*< nere mirifice exornavit. Cavallus vero, ex eadem gente, homo 
« ingenii felicissimi, atque ad omnia, quod de Catone dictura 
•< adcepimus, versatilis, ad eam pulchritudinem ac venustatem 
« patriam linguam suis scriptis evexit, ut illa (fidenter dicana) 
< possit, tali scriptore freta, cum quavis ex elegantissimis de di- 
« gnitate certare ». 

In patria, lo dissi già, il Cavalli fu lodatissimo : si hanno 
sonetti de' migliori poeti genovesi a lui coetanei che lo levano 
a cielo ; un di loro, Luca Assarino, così finiva un sonetto de- 
dicato ad esso Cavalli : 

In concruxion, mi ve ra diggo scetta 
Ognun ten che Ballin agge venguo 
Ro Levante, ro Monti, e ro Foggetta. 

Ma il modesto Cavalli gli rispose con altro sonetto termi- 
nato cosi : 

Per cortexia, spranghemera chi scetta : 
Dunque poei ere ch'agge Ballin venguo 
Ni manco per pensiero ro Foggetta? 

Il Cavalli fu il solo dei poeti genovesi non dimenticato 
da' concittadini suoi : della Qiltara zeneize si fecero più edi- 
zioni (ne conosco cinque) ma in tutte è incerta ed oscura l'or- 
tografia : solo in quella del 1823, un « dilettante genovese », forse 
il Pagano, la corresse secondo le regole ortografiche da lui me- 
desimo stabilite, poco diverse da quelle oggi in uso. Con tutto 
ciò la QiUara zeneize è libro raro e pochissimi la conoscono: 
ond' io stimo di fare cosa grata ai lettori riportando qui alcune 



— 71 — 

delle più belle poesie del Cavalli, scelte in modo che diano 
saggio dello stile da lui usato secondo i vari argomenti, alcune 
delle quali io m' ingegnai di voltare alla meglio in versi ita- 
liani, conservando più che fosse possibile, oltre al metro, le 
rime e le parole stesse del testo : e ciò per uso dei non geno- 
vesi. Ecco per primo un sonetto in cui il poeta intima alla sua 
bella d'amarlo, sotto pena di peccato mortale : 

Anima msB voi fae cointo che cante, 
Ve mettei ra pietas sotto ri psB : 
Me resorvo a fii ci era da brocche * 
Gomme vo! fae oregge da mercante. 

Diggo in voxe caerissima e lampante 
Che cangae verso per amor de De, 
Che se no voi sei persa a parei me, 
Minetta : no ve paere stravagante. 

Comme voreivo in somma che p'iaxe 
Una tanta superbia a ro Segnò 
Se ro Segnò re mesmo è tutto paxe? 

Minetta, temperae tanto rigò: 
No veì quanto ro ^é se compi axe 
Quando re creature s' han amò ? 



Versione. 

Voi fate conto, anima mia, chMo cante 
La pietà vi mettete sotto i pie : 
Io farò r insolente, dappoiché 
Voi fate sempre orecchi da mercante. 

Dirò con voce chiara e ben sonante : 
Mutate modi alfin verso di me, 
Se no, siete perduta per mia fé, 
Minetta, né vi paia stravagante. 

O non vedete voi quanto dispiace 
Tanta superbia a Dio nostro Signore 
Che è tutto bontade e tutto pace? 

Via, Minetta, un po' meno di rigore : 
Vedete quanto il cielo si compiace 
Quando le creature si hanno amore. 



' Faccia tosta ; « brocche » dal francese « boucliers », mascheroni lavo- 
rati il rilievo su grli antichi scudi. 



— 72 — 

Vien seconda la canzone: Alla lucciola che, con qualche 
variante, pur si presta alla traduzione: 

Cserabella 
Luxemetta 
Lanternetta 

Stella piccena * ma bella 
Chi te ghia ? « 
Fantasia 

De passa cosi TumO? 
ciù tosto ro tò amò? 

Quello raggio 
De 1 umetto 
Così netto 

Mìo lumme da viaggio? 
giojello 
Per anello? 
.^la pria da ligà? 
iElo feùgo, pu ro pA?- 

Se Tè ff^go, 
Bordellin-na, 
no strin-na? 
Comme fasto a trova leùgo? 
Ti verezzi, ^ 
Ti gallezzi, 

Ti te poaeri d'esse in ce 
Con r inferno de derré. 

Bella sorte! 
Bia* tie! 
Così mie! 

Mi, che amò me da ra morte 
Mi, che un forno 
Neùtte e giorno 
In mas vitta ho da pati. 
Ni ne spero mai d'use! 

Figatella, 
Ferma, aspissa ^ 
A ra tò ra mai faxella 
Perchè a luxe 
Ma a no bruxe 
A ra crua chi ha tanta sae 
Do me ma, e no ro crae ^' 

* Piccola. 
« Guida. 

* Veleggi. 

* Beata. 

^ Accendi. 
« Crede. 



— 73 — 



Versione. 

Luccioletta 
Lucernetta 
Lanternina 
Bella stella piccolina 
Chi t'invia? 
Fantasia 

Di passare il mal umore, 
O piuttosto egli è Tarnore? 

Che quel raggio 
Di lumino, 
Così fino 

Fosse lume da viaggio? 
gioiello 
Per anello ? 

O è gemma da legare? 
Proprio è fuoco, oppur lo pare? 

S'egli è fuoco 
Furbncchiotta 
Non ti scotta? 
Come fai a trovar loco? 
Tu veleggi, 
Tu galleggi, 
Ed in ciel beata se* 
Con r inferno dietro a te. 

Bella sorte! 
Te felice! 

Dir così di me non lice 
Cui amor conduce a morte, 
Che in un forno 
Notte e giorno 
Pone atroci ho da patir, 
Nò da esso spero uscir. 

Bricconcolla 
Deh m'attèndi 
Ed accendi 

Alla tua la mia facella 
Perchè splenda 
E non incenda 
Quella donna a me fatai 
Che gioisce del mio mal. 



Ed ecco qui la più bella delle canzoni del Cavalli, che non 
mi perito a chiamar degna d'Anacreonte, ma che a me fu im- 



— 74 — 

possibile di voltare in versi italiani senza alterare profonda- 
mente la perfetta e graziosissima forma dell'originale : 

Rossigneu che a son de centif 
De lamenti, 

Ti pertuzi ra boscaggia, 
Che gran raggia 
Che gran spin-na 
Te pertuza e t'assassin-na? 

yfilo amò che per bonombra * 
Forsi all'ombra 
Se trattegne sotto Tara * 
Ra to cara? 
O martello 
Ch'a te dagghe d'atro oxello? 

Se rè questo ro to sdegno, 
Semmo a segno, 
No te manca compagnia: 
Giroxia, 
Comme tie, 
M'assassin-na mi assie. 

Femmo dunque a ra foresta 
Do ma festa: 

Tra ri treppi d'este ramme 
Ognun ciamme 
Ra so Bella, 
Ra battezzo per rebella. 

E se a caxo a no responde. 
Se a s'asconde, 
Oarreghemone ri panni 
Con maranni: 
Se a se meùve, 
Ti ni mi no se descreùve. 

E se missa all'acgimento 
Quarche cento 
Ghe notassimo o sospiro, 
Femmo un tiro: 
Demmo un crio, 
Con pagara d'un addio ^ 



' Bonomia. 

« Ala. 

* Facciamone una: mandiamo un grido e poi piantiamola dicendole 



addio. 



— 75 — 

Ancora due madrigaletti del Cavalli, dei quali il primo non 
lio potuto tradurre, il secondo tradussi alla meno peggio: 

I. 

Quando pe ro boschetto 
Sciù ro cara * de Fora 
Ra me bella Lichin-na se demora, 
S'allegra ogni erboretto, 
Ro busco per non ponzeghe ri pè 
S'arrosa e glie fa netto ro sente, 
Re scioì za passe, e rente a fa ra barba, 
Fan festa e se cren tutte ch'a sse Tarba: 
Che lumme è questo ? dixan tra de 16, 
Torna foscia ro so? 

IL 

Ra me bella Maxinna 
Quando por passatempo a me martella 
Dixe che m'assumeggio a una patella: 
Mi che ra veggo rie cosi sott'oùggio 
E ti, respondo, a un schtMÌggio, 
Ma da lo troppo desferensiae : 
Noi dezunii e 16 sempre accoste. 

Versione. 

La mia bella Masina 
Quando per passatempo mi martella 
Dice che rassomiglio a una patella: 
Io che pungerla voglio 
Rispondo: e tu a uno scoglio: 
Ma quanto differenti da lor siamo ! 
Sempre essi uniti, e noi divisi stiamo. 

Una volta sola il Cavalli, lasciato il suo stile solito e i 
suoi metri favoriti, volle comporre una canzone alla Petrar- 
chesca con forma conveniente all'argomento nobile e grave: la 
incoronazione del doge Centurione. E intitolata Ballin (l'eroe 
delle rime marinaresche del Cavalli) ambasdoù di pescoeì 
(ambasciator dei pescatori) ne recherò le prime due strofe: 

Da questi scoùggi e care ^ ciù vexinne 
Onde spesso re aegue contrafaete 
In campagna de Isete 
Poffiran ciappe de spegio cristallinne, 

' Calare. 
* Cale. 



— 76 — 

Ond'aorn apointo p& 

Àddormio comme in letto in ma ro ma, 

Se non se tanto o quanto ra so paxe 

Desturba languozetto 

Quarche maroxelletto 

Chi pà che in-namoroù Terbetta baxe, 

Tiroù da tanta luxe 

Serenissimo Duxe 

Che aora de ni^vo spande ra cittae 

Vegno e m'inchin-no a tanta maestà. 

Chi me sae ve ro dixe per menùo 
Quest'abito, esto pescio, esto cestin: 
Ro me nomme è Ballin 
Pescoù per quarche famma conosciùo, 
Ballin matto atretanto 
Da fuscina o da rae, comme do canto, 
Ro fin perchè a ri pé ve vegno a cazze 
E' a fave donativo 
D'esto pescio ancon vivo, 
A nomme di pescoei de nostre ciazze: 
O ci il tosto per segno 
De tributo e per pegno 
Do nostro bon affetto, a presentave 
Con questo don dri nostri coù ra ciave. 



Si saranno avveduti i lettori come il Cavalli, al par dei 
predecessori suoi sul parnaso genovese, talvolta toscaneggi : pure 
anch'egli l'aveva a morte col toscano che veniva a poco a poco 
a corrompere la dolce lingua genovese, e cantò : 

Qento poajra de ben tutti azzovae 
No doggeran ra lengua a un foreste 
Chi digghe in bon zeneize Bertomó. 
Amò, me coìì, bioìì, parolle tie. 

Questa è particola feiigitae, 

A ri zeneixi dieta da ro Ce 

•à 

D'avei parolle in bocca con Tamé, 
De proferire tutte insuccarre. 

Ma ri Tuschen, meschin, chi son marotti, 
E che ro ce da bocca han bell'amaro 
Ne han noi per mezelengue e per barl)otti. 

Vorrae che me dixessan se un : frce caro, 
Senza staghe a messcià tanti ciarbotti 
Va per cento fratelli e sta do paro. 



— 77 — 



Versione. 



Cento paia di buoi tutte aggiogate 
Non farebbero si che un forestier 
Dica in buon genovese : Bertomé, 
Amò, ine ceìi, e simili parlate. 

Questa è particolar felicitate 
Che ai Genovesi ha conceduto il ciel 
D'aver parole in bocca con il miei 
E profferirle tutte inzuccherate. 

Ma i Toscani che sono un po' malati, 
Poveretti, e il palato han molto amaro, 
Tengono noi per balbi e scilinguati. 

Vorrei che mi dicesser se un: frce caro. 
Lasciando star le chiacchiere e gli ornati, 
Non vai cento fratelli e sta del paro. 

Non tacque, dopo il Cavalli, la musa genovese: nulla però 
produsse di ricordevole tra la seconda metà del secolo xvii e 
i primi anni del xviii. Il Neri, ne' suoi Sludi bibliogra/lci e 
ie^^eran* ^ riporta una lettera del P. Angelico Aprosio da Venti- 
miglia, letterato che scrisse verso la metà del secolo xvii, la quale 
tratta d*un gareggiamento d'alcuni poeti in vari linguaggi d' I- 
talia, e riproduce tra gli altri due sonetti genovesi, uno di 
Giovanni Battista Morello, Taltro di Antonio Ricciardi. Trascrivo 
qui il primo, perchè notevole per la forma poetica, e per la 
ben velata malizia, ed anche come documento della lingua geno- 
vese del tempo in cui fu dettato : 

Mi so che perso havei, Chicchetta, * un guante 
E un zoveno si so che Tha trovou, 
E per segno Té gianco e taggiuccou 
Queiró che Tha trovou vostro galante. 

Come fa s'usa de re cose sante 
Dentr'a stacca ro ten sempre fasciou 
Perchè o dixe che amò Tha consacrou 
Con ra virtù dra vostra man galante. 

Vuoi ^ che hora Fatro despareggio havei 
Perchè o ri posse insemme apparegià 
Se havei niente d'amò ghe ro darei, 

* Genova. 1890. 

» Ciccbotta: continua l'ortografia alla spagnuola. 

» Voi. 



— 78 — 

Se no quello che o Tha ve farei da : 
Che se corteixi e boin galanti sei 
Ve deveì Tun con Tatro accomoda. 

Che un solo poco va * 
Ni vuoi ni le dro so se puoe servi, 
Ma insemme sì, no se se ra capi. 

Ma me porrei si dì 
E respondeme in veì da figgia accorta 
Che vuoi caxo no fé de pelle morta, 

E che poco ve importa 
Perde ri guanti pìi che no perdei 
Ra muffirà ^ da inverno con ro pei. 

La lettera delTAprosio ricorda poi come poeti in vernacolo 
genovese: Giustiniani, Borzone, Baldani, Bogliano, Schiaffino, 
Levanto, Zoagli, e lo stesso Chiabrera, quest'ultimo, al certo, 
per errore: gli altri tutti, eccetto il Levanto, a me ignoti. Ri- 
porta infine la lettera tre sonetti in dialetto di Ventimiglia di 
Gio. Girolamo Lanteri, non considerabili sotto Taspetto poetico, 
né sotto il filologico. 

Vengo a Stefano De Franchi, patrizio genovese, il quale 
fiorì nella metà del secolo xviii, e scrisse poesie pubblicate col 
nome di Chilarrin Zeneize. Procurò d'imitare il Cavalli, qualche 
volta non infelicemente: ne adduco in prova il seguente sonetto: 

Con ra fronte de roeuze e giasemin 
Sciù ro so carro Falba sparegava: 
Quando vi Maxinetta int- ro giardin 
Che re so tregge bionde a s'accongava. 

Me fei avanti e viddi che un stiggin 
Con ra eòa delFoeuggio a me guardava, 
Amò m'aggeize in sen ro soifranin, 
E ra mee libertae ghe restò scoiava. 

Ligao a ra cadena le me ten 
E me strapagga senza caritae, 
Sae giorno o noeutte, nuvero o seren. 

Amò, te ro domando per piaetae: 
ti fa che sta stria me voeugge ben, 
ti tornarne a mette in libertae. 

Miglior prova fece il De Franchi nelle canzonette popolari, 
tra cui notevoli sono la Lezzendia del famoso combattimento 
della nave genovese san Francesco di Paola, capitan Castellini, 

« Vale. 

* Oggi m uff uà, manicotto. 



— 79 — 

con cinque sciabecchi e una fregata algerini, ^ Taltra Lezzendia 
per il ritorno del mortaio da Portoria alla batteria della Cava 
in Carignano, infine: Ri sciaratii che sente Madonna Paris- 
soeua scià ra cia^Qa de Pontexello. 

Con queste canzonette, iniziò il De Franchi quel genere di 
poesia popolare, quasi sempre narrativa, che fu imitata poi dal 
Piaggio e da altri moderni, persino nel metro. 

Però Topera cui è meglio raccomandata la fama del De 
Franchi sono le sue Commedie trasportai da ro franQeise 
in lengua zeneize, ^ ma non «trasportate » bensì imitate le più 
da quelle del Molière, due da quelle del Regnard, altre da 
quelle d'altri francesi. Tramutata la scena dalla Francia a Ge- 
nova, accomodata l'azione ai costumi genovesi, adoperati tutti 
i modi del parlar famigliare, e talvolta anche dal contadinesco, 
il De Franchi ci lasciò con le sue commedie, oltre che un la- 
voro pregevolissimo per naturalezza e per brio, il miglior mo- 
numento dell'idioma genovese del xviii secolo, il quale (tolta la 
pronunzia con Verre) non diversifica dal moderno se non per al- 
cune voci pronunzie uscite d'uso, come: depento per dipinto, 
f euzza per manèa, fu zzi per scappa, gove per gode, ecc. 

Lo stesso De Franchi collaborò con altri ^ alla versione in 
lingua genovese della Gerusalemme liberata. ^ 

Dissi già in qual maniera il Dartona voltato aveva in ge- 
novese il primo canto deìV Orlando Furioso: eppur trattavasi 
dello stile facile, chiaro, spesso famigliare, dell'Ariosto, dove 
che tutti sanno come Torquato sia il poeta della grazia artifi- 
ziata, della forma plastica inalterabile; voltar la Gerusalemme 
nella povera lingua ligure era, più che diffìcile, impresa teme 
raria, divisata, prima d'ogni altro, dallo storico Francesco Maria 

* Essendo il De Franchi amico personale del Castellini, come consta da 
un sonetto che il poeta indirizzò al capitano, questa « leg^g^enda » ha da es- 
sere considerata qual narrazione autentica di quel memorabile combattimento. 
Io quando scrissi la mia Storia delle marine militari italiane (Roma, For- 
zani e C, 1886) non conosceva la canzonetta del De Franchi, onde non ho 
potuto narrare il fatto con le particolarità che essa reca. 

* Non conosco la prima edizione divenuta rarissima: mi valgo della 
ristampa fattane in Genova dal Pendola nel 1830. 

* Ra Gerusalemme deliverà dro sigìior Torquato Tasso traduta da diversi 
in lengua zeneize, Genova, Tarilo, 1755. 

'* Tradussero: quattro canti il De Franchi, dieci Ambrogio Conti, due 
Graetano Gallino, due Paolo Toso, uno Giacomo Guidi, uno G. A Gastaldi. 



— 80 — 

Viceti ^ il quale lasciò tradotte le prime ventuna ottave del 
canto settimo. E ben lo sentirono il De Franchi e i colleghi 
suoi, premettendo alla traduzione il seguente sonetto : 

Zeneixi, voi che sei leze e pensa 
Lezeì chi approeuvo e di vostro pareì, 
E se iucontrae sgarroin a treì a treì 
Faeghe róso e lasciaeri cammina. 

Quando penso a quest^oeuvera stampa 
Tremmo tutto e me ven gianco ro pei: 
Ma si atre traduzioin se passo a veì 
Me commendo ciù tosto a consola. 

Ro Dottò, Pantalon, Xanni e Coviello 
Ro Tasso han sbarattaoù tutti in buffon, 
E son staeti piaxùi da questue quello: 

Aoura se a di bon' ombre è bello e ben 
Ro Capor& Zeneize Darseniello 
starà a vei chi passa a ro barcon? 

Ecco dunque la scusa dei traduttori genovesi: che altri 
italiani, voltando in lor dialetto il Tasso, l'avevano trasmutato 
in buffone ed erano, nondimeno, piaciuti; ond*essi facendo al- 
trettanto, speravano eguale accoglienza. La verità è che il De 
Franchi e i colleghi suoi, disperando che il genovese serbar 
potesse la grave e splendida forma deiroriginale, vollero dare 
alla versione loro, non il carattere bernesco, ma una forma 
schiettamente popolare, adoperando frasi e proverbi eziandio 
del linguaggio plebeo, ed anco là dove sarebbesi agevolmente 
potuto farne di meno: valga un esempio. Nell'episodio di Olindo 
e Sofronia, Toitava 34* 

Altre fiamme, altri nodi Amor promise 
e la 35* 

Ed oh mia morte avventurosa appieno 

sono tradotte, seriamente e bene, così: 

Atre sciamme ha promisso amò furfante. 
Atre aoura n' appareggia ingrata sciorte : 
Quello ha vossuo che sàe ro to galante, 
E questa voeu sposane con ra morte. 
Za che tant'è voeuggio essite costante 
De l'urtimo confin fin sciù re porte, 
Me despiaxe de ti: ma consolaoù 
Morirò, perchè moeuro a ro to laoù. 

* Scrisse nella seconda metà del secolo xvii. 



— 81 — 

Oh morte, oh morte tutta affortunài 
Oh fortunaB msB pefie e me doroii 
Se ottegnirò che in questa gran giornà 
Bocca a bocca morimmo tutti doi, 
E stando za lì lì noi per spira 
Ti in mi, mi in ti lascemmo i nostri amo! I 
Ro garcon così disse: ma ra figgia 
In sto mcBuo ^ ro discorso a ghe repiggia : 

Ed eccoti, nella versione della 36*^ ottava 
Amico, altri pensieri, altri lamenti 

traducibile quasi con le stesse parole, venir fuori un proverbio 
scurrile: 

Questi son venti da scinga berrette (!) 

Cantemmo, amigo, un pò sciù un atro ton. 

De pecchse ghe n'avemmo dre corbette 

Demandcmone in tempo ro perdon. 

Messe Domenedè sempre promette 

In Tatro mondo ra consolazioni 

Guarda che bello ce, che bello so. 

Ne ciamman lasciù a gove un vero amò. 

Non farò altre citazioni: havvi bensì qua e là qualche ot- 
tava che bene rende il concetto dell'originale e con forma con- 
veniente, in particolare nel canto 19° tradotto dal Guidi, ma 
il lavoro nel suo insieme, ancorché giudicato « bellissimo ^ dal 
Serassi, citato dallo Spoto rno, ^ non merita altra qualificazione 
che quella datagli dagli autori medesimi nel proemio all'edi- 
zione del 1755: una «bizzarria» letteraria. 

Ripigliando ora il filo della storia dirò che dopo il De 
Franchi e i compagni suoi nessuno più poetò in genovese che 
lasciato abbia memoria di se: i tempi si facevano grossi e la 
gente pensava a ben altro che a far sonetti amorosi: 1*89 in- 
stava, poi venne il 1797 in cui si cantava per le strade di 

Genova 

Genovesi all'armi, all'armi! 
Già Siam stanchi di pazienza: 
Non vogliamo più Eccellenza, 
Non vogliam Serenità. 
Viva, viva Libertà. 

* Modo. 

2 Op. cit., voi. V, pag. 80. 

6 



— 82 — 

Stabilivasi nel detto anno la repubblica Ligure, sotto la 
protezione della Francese: poi nel 1805 Genova domandava e 
otteneva d'essere incorporata nell'impero francese. Già era stata, 
per volontà propria, sottoposta ai re di Francia dal 1396 al 1409, 
poi dal 1458 al 1461, e dal 1495 (con brevi intervalli) al 1528: 
divenne mezza francese dal 1797 al 1805, interamente francese 
dal 1805 al 1814. In questo ultimo periodo, francese essendo 
la lingua uffiziale, tutti i Liguri atti alle armi militando negli 
eserciti e nelle armate francesi, l'idioma genovese, già tanto 
affine al francese, viepiù s' infrancesò : intere frasi francesi pas- 
sarono tali quali nel genovese e vi rimasero, per esempio: 

aux trousses = ae trosse 
, Gomme il faut = comifò 

faire une belle jambe = fi un-a bella gamba 
sans facon = sanfassun 

m 

francesi divennero tutte le voci militari e una parte anco delle 
marinaresche e di quelle del commercio. 

Unita Genova nel 1815 al regno di Sardegna, lo studio 
della lingua italiana vi fu ripreso, mai disgiunto, s'intende, da 
quello del latino: l'idea della fratellanza e dell'unità italica, 
surta, per la prima volta con pratico intendimento, al cader 
dell'impero napoleonico, incitava i giovani ad imparar la lingua 
toscana, futura lingua comune della penisola, e appunto in Ge- 
nova nasceva il maggiore apostolo dell' unità italiana, Mazzini. 
Superfluo dire che a quello studio non si davano, salvo rare 
eccezioni, che i giovani borghesi: l'aristocrazia coltivava a pre- 
ferenza il francese, come Taristocrazia piemontese, e quasi per 
protesta contro il nuovo Governo, affettava di parlare il geno- 
vese antico. Per la plebe poi e per i contadini il toscano con- 
tinuava ad essere intelligibile poco più dell'arabo. 

Del resto il linguaggio genovese durava vigorosissimo: 
l'istruzione religiosa l'adoperava, come tuttora fa, tanto per la 
dottrina cristiana de' fanciulli, quanto per il catechismo degli 
adulti. « Anche dinanzi ai tribunali ed ai magistrati nostrali 
« arringavasi nel dialetto genovese. Tale uso fu conservato, 
« almeno in qualche tribunale, fino alla metà del 1805. ^ Io 
« rammento ancora la grata maraviglia che provai nell'udire 

* Fu conservato anche più lungamente dinanzi ai tribunali inferiori. 



— 83 — 

« un'arringa detta, e probabilmente all'improvviso, da uno dei 
« più eloquenti avvocati genovesi che siano stati, da quello che 
« risplendè di poi per ogni maniera di pregi nel più importante 
« ed elevato consesso di un grande impero . . . Non solo era 
* chiaro ed espressivo il suo dire, ma quello che è più arduo 
« di assai ne' dialetti, egli rendeva il nostro nobile ed acco- 
« modato ad ogni più rilevato concetto » . ^ 

Ne tardò a ridestarsi la musa genovese. Corse primo l'ar- 
ringo il P. Luigi Serra, che in italiano avea scritto feroci sa- 
tire contro gli uomini politici della rivoluzione genovese: lo 
tentò con tre Lunarj, ma infelicemente. Gli succedette Mar- 
tino Piaggio con una raccolta di favolette, di argomento sempre 
morale, e di stile popolare, le quali piacquero molto, e con un 
Lunario intitolato « del signor Regina > che cominciato nel 1815 
egli continuò a pubblicare fino al 1843. In questi lunari il Piag- 
gio faceva, in versi quasi sempre ottonari, utili « riviste » della 
città, descrivea viaggi di piacere, narrava novellette con molta 
naturalezza e con brio non comune. Il Casaccia ^ l'antepone a 
tutti i poeti genovesi eccettuati Foglietta e Cavalli : ma il Piaggio 
non fu vero poeta, bensì un verseggiatore facile e piacevole. 
Egli poi abusò troppo dei modi italiani dei verbi, che nel parlar 
comune non si usano mai, scrivendo; 

fen (fecero) = han fètu 
firn (furono) = son stèti 
lasciò (lasciò) = u Tha lascioù 
taxé (tacque) = u Tha taxiiu 
trovon (trovarono) = han trovou 
vigne e vegni (venne) = u Tè vegniiu 

Leggasi la seguente favoletta: 

* Unn-a cerva scappando da-i chen 

A s* ascose de sotto a un angioù 
Ghe passon ben vixin, no a vedden. 
Le a sta cuccia, tegnindose o scioù, 
Ma imposcibile a veddila Tea 
Pee gren ff^gge che favan spallea. 

* Vincenzo Serra, Del dialetto genovese, nel 2" voi. deUa Descrizione 
di Genova, (Ferrando, 1846). 

■ Cenni biografici di Martino Piaggio^ premessi aUa Raccolta delle sue 
poesie, Genova. 






— 84 — 

Quando fun lunxi assae ghe passò 
Tanta fufiPa, a se misse a guasta 
Tutta a vigna e scoverta a restò; 
I caccioei che sentiri remescià 
E veddendoa da lunxi ghe tiòn 
Unn-a botta de sccieììppo^e a piggiòn. 

Quando mai i Genovesi dissero passòn, vedden, fùn, 
passò, misse, sentin, tiòn, piggion? Io so bene che questa 
del passato perfetto dei verbi è una delle difficoltà della poesia 
genovese, però i buoni poeti genovesi seppero superarla senza 
ricorrere ad alterazioni della lingua. 

Morto il Piaggio, stimabile anche più come uomo che corno 
poeta, i Lunarj del signor Regina furono continuati sino al di 
d'oggi da imitatori spesso felici. 

Del nativo idioma avea per fermo un grande concetto un 
altro genovese, L. M. Pedevilla, poiché non si peritò di usarlo 
in un poema epico, La Colombiade ^ In venti canti, in ottava 
rima, narrò, né sempre esattamente, la vita di Colombo, inse- 
)'endovi un po' di soprannaturale, cioè la lotta degli angeli 
protettori di Colombo contro i demoni rappresentati dagli idoli 
adorati dagli Indiani, che non vorrebbero, naturalmente, il suc- 
cesso dell'impresa del genovese: e cominciò il primo canto così : 

Alza vorrievo un monumento in rimma 
A-o primmo Eroe che meritasse in taera 
De filantropo sommo d vanto e a stimma 
Fra quanti son famosi in paxe e in gueera. 
Mostrando un mondo non scoverto primma 
Che paixi innumerabili o rinsaera, 
Ghe i Europei tanto inrichiva poi 
De frae, d'idee, d'industrie e de tesoi. 

Muse che in tanti lepidi suggetti 
No m'éi scarse d'aggiutto e de favo 
Dandome vive immagini e concetti 
Spiranti amò dò giusto e patrio amò, 
E ne-ò scrive 6 ciù vivo di dialetti 
«0 bello stile eh' 6 m'ha facto onò », 
In questo ciù difficile travaggio 
Noéuva forza inspireme, estro e coraggio. 

' Genova, Sordo-muti, 1870. 




— 85 — 

Che se a vostra virtù tanto a m'asciste 
Che a m'anime Tinzegno e o sentimento 
Dove ò prexo d'un' opera ò consciste, 
Avià forse Colombo un monumento 
Ch'ò posse a-6 gio di secoli resciste, 
E a un remescio de cose turbolento, 
Ciù che 6 bronzo, che ò marmo, e che ò ciù bello 
Travaggio de compasso e de scòpello. 

La modestia non era, evidentemente, la virtù principale 
del Pedevilla: ma Topera di lui non corrispose a gran pezza 
all'audace proposito. Qualche bel verso: rott?.va, in generale, 
ben maneggiata: ma il lavoro è prosaico spesso, freddo sempre: 
neppur l'istante solenne della scoperta della terra d'America 
inspirò all'autore un accento veramente poetico! E poi, è pro- 
prio in genovese che poetò il Pedevilla? Come non vide egli 
che molto meglio era scrivere addirittura in italiano, piuttosto 
che in un genovese più che mezzo italiano? 

Nello stile medesimo del Pedevilla dettò alcune poesie, 
non indegne di considerazione, Antonio Pescetto. 

Ultimi a far vibrare la cetra genovese furono G. B. Vigo 
Nicola Bacigalupo. Pubblicò il primo nel 1890, col titolo di 
Fili d'erba, alcune poesie genovesi e italiane, e una traduzione 
«libera» dei primi sette canti àeW Inferno di Dante. 

Eccone le due prime terzine: 

A-a meita3 do cammin da nostra vitta 
Me son trovòu fra tanti lummi a-o scùo 
Che de pensaghe a pausa se m'aggritta. 

Me paiva imbriaego sens' avei bevùo 
E mentre me sforzava d'arvi i cùggi 
Dormiva sempre ciù d'un seùnno duo. 

Di questa profanazione sarebbe da domandare severo conto 
all'autore se non si sapesse ch'egli era un buon popolano in- 
vaso dal demone dell'armonia. 

Il Bacigalupo poi pubblicò nel 1891 un libro con questo 
titolo: Prose rimce scrite per uso domestico, titolo che si può 
forse accettare per il Montecatini e so aegue e i so contorni, 
guidda pratica do bagnante, ma che respingo i^ecisamente per 
altri lavori del Bacigalupo e specialmente per il Loritto, o 6 
pappagallo de móneghe, poemetto in sesta rima. L'argomento è 



i 



— 86 — 

tratto dal Vey^t Veri di Gresset, però io non dubito di affer- 
mare che il poeta genovese lo trattò meglio del francese, al 
quale sovrasta per naturalezza, per brio, per somma facilità 
di verso e di rima. Il Bacigalupo scrisse in genovese moderno, 
ma r italiano usò più parcamente che gli fu possibile, adope- 
rando invece profusamente, benché talora con libertà soverchia, 
le grazie, le arguzie e le piacevolezze del parlar genovese. E 
concludo ripetendo che il Loritto e parecchi altri lavori del 
Bacigalupo non sono « prose rimate », com'egli troppo mode- 
stamente le intitolò, ma poesie vere, se vero è che poeta sia 
il Remi. 

Chiuderò questi cenni sulla letteratura genovese parlando 
brevemente dei vocabolari genovesi-italiani. Ricoido appena 
El Vocabolista ecclesiastico ricolto ci ordinato dal povero sa- 
cerdote de Christo frate Jo/ianne Bernardo, savonese, man- 
dato fuori nel 1489 in Milano, e che il Celesia cita, adducen- 
done alcune voci genovesi, ma italianizzate nelle terminazioni, 
e vengo al Dizionario genovese-italiaìio che Giuseppe Olivieri 
pubblicò nel 1841, intendendo principalmente « ali* istruzione 
« dei giovanetti che attendono allo studio della lingua italiana ». 

Egli volle, prima di tutto, riformare l'ortografia genovese 
allora in uso, 1** scrivendo u invece di o, ogni volta che la 
pronunzia genovese era effettivamente quella dell'u, e per non 
confondere Yu genovese o francese con l'italiano, le sovrappose 
due puntini (per esempio cùxi, cucire) invece dell'accento cir- 
conflesso; 2"^ scrivendo il dittongo cu con ortografia francese, 
cioè senza il suddetto accento; 3^ togliendo l'uso, non antico, 
di disgiungere alcune sillabe per mezzo d'una lineetta d'unione, 
per esempio m a r s e i n-n a o ni a r s e i n n-a, s e h e n n-a, modo 
contrario all'indole della lingua italiana: gli parve invece più 
acconcio l'uso àeWh, la quale rappresentasse ora l'aspirazione, 
ed ora, per cosi dire, lo strascico della pronunzia genovese; 
onde scrisse m a r s e i n h a, s e h e n h a ; 4" in ogni parola in 
cui la e italiana ha la pronunzia della s, ponendo questa me- 
desima consonante piuttosto che la e caudata (q) onde scrisse 
bassi e non ba(;i, serin e non cerin. 

Nei miei Cenni su la groìmuatica genovese ho già data 
all'Olivieri piena ragione riguardo al modo di scrivere Yu geno- 
vese: or dirò che egli, anche scrivendo Yea senza accento, non 



— 87 — 

avea torto : però è innegabile che, per chi ignora il francese, un 
segno sovrapposto a cotesto dittongo indica che si tratta d^una pro- 
nunzia speciale, onde giova di conservargli Taccento circonflesso. 
Quanto alla terza proposta deirOlivieri, essa, invece di 
schiarire, oscurava, introducendo la lettera h del tutto estranea 
all'alfabeto genovese: ciò però non significa che sia corretto 
lo scrivere, come si scrive, raarscinn-a, schenn-a. Nella 
pronunzia genovese non esiste la doppia n, che sarebbe afiatto 
contraria all'indole dell'idioma, esiste invece nella pronunzia 
della sillaba finale na una pausa brevissima tra il suono della 
n e quello dell'a, cadendo l'accento tonico su la prima di que- 
ste due lettere, onde pronunziasi, per esempio, campan-a, 
tan-a, Rosin-a, ed è una stranezza di scrivere queste voci 
con due n, che in italiano non hanno, e che punto si sentono 
yiella pronunzia. 

• Infine, la quarta proposta dell'Olivieri, ancorché corrisponda 
alla verità della pronunzia, non è ammissibile: la e caudata 
compie nel genovese l'uftlcio stesso che nel francese, evita con- 
fusioni: scrivendo, per esempio, sé invece di ce, sei a invece 
di (;e ia, si confonderebbero se con cielo, sera con cera. Inoltre 
la e caudata serve a riavvicinare molte parole alla forma la- 
tina e italiana, come genie cenere, gè n -a cena, ecc. 

Quanto al merito del dizionario dell'Olivieri, egli stesso 
rispose anticipatamente a coloro che lo trovassero « mancante 
< di moltissime voci » di aver inteso « di dare come un espe- 
« rimento di dizionario da compiersi e perfezionarsi, non già 
^ un dizionario compiuto e perfetto ». Nondimeno assai nume- 
rosa fu la raccolta di voci genovesi fatta dall'Olivieri, comprese 
non poche voci contadinesche: generalmente esatta la corri- 
spondenza italiana: ampie le spiegazioni, in parecchie delle 
quali scorgesi quel buon letterato che fu l'autore. Chi poi 
consideri la difficoltà di un primo lessico dialettale, dirà con 
me esser l'Olivieri assai benemerito dei concittadini suoi, come 
lo fu dei glottologi italiani e stranieri, i quali scrissero (un 
poco imprudentemente) del genovese idioma, con la sola scorta 
del vocabolario di lui. 

Lavoro di maggior mole fu il Dizionario genovese-italiano, 
compilato intorno al 1874 da Giovanni Casaccia, poi ristampato 
nel 1876, accresciuto del doppio e quasi tutto rifatto. L'autore 



— 88 - 

dichiarò che per Tortografia si attenne « a quella adottata dal 
« compianto nostro poeta Piaggio, siccome la più semplice, la 
« più chiara, la più corretta, facendo però in essa alcune pic- 
^ cole variazioni atte a facilitare la pronunzia del nostro dia- 
« letto, come si vedrà negli avvertimenti grammaticali premessi 
<c all'opera », e a proposito di questa dichiarazione io mi rife- 
risco alle osservazioni già fatte. Noterò poi come il Casaccia 
abbia comprese nel Dizionario genovese moltissime voci prette 
italiane, che si usano oggi e s' intendono dai Genovesi còlti, 
appunto perchè l'invasione dell'italiano, temuta dal Foglietta 
e dal Cavalli, è avvenuta e sempre più si dilata, ma ciò non 
toglie che quelle voci non abbiano appartenuto mai al geno- 
vese idioma, e che non gli appartengano neppur oggi. Cito le 
sole voci registrate dal Casaccia al principio della lettera A: 
abbattimento, abbellimento, abbigliamento, abboccamento, abito^ 
abitudine, acciacco, accompagnamento, accordo, ecc. Con queste^ 
metodo, la maggior parte del vocabolario italiano passar po- 
trebbe nel genovese, togliendo solamente il re ai verbi, e facendo 
finire in ou le terminazioni in ato, in ito, e via di seguito. 

Cosi l'autore ha, con savio intendimento, registrato « le 
« frasi, i modi figurati, i motti, le sentenze, i proverbi, gli 
« sbeffamenti, i dettati popolari >, ma non si è ristretto ai soli 
originali genovesi, bensì notò modi e proverbi afiatto italiani, 
traducendoli in genovese. L'autore inoltre registrò i termini 
tecnici e volgari delle scienze, arti e mestieri, e fece opera 
utilissima: questa però gli riuscì troppo imperfetta riguardo 
all'arte tanto importante per i Genovesi, la nautica: non co- 
nobbe infatti che l'antiquato dizionario di marina dello Stratico. 

Sfuggirono invece al Casaccia molte voci vere genovesi, 
e, cosa strana, anche molti avverbi, per esempio : 

ancon, ancon d'asse, attornio (d'), ca (qua), desparte (in) 
donde, dove, là, mai, meno, troppo, unde, ecc. 

altri registrò male, per esempio: 

fin per fin- a (fin- a li) sotto per de sutta 

seguo » de segùu spesso > de spessu 

Delle voci plebee e contadinesche, che non sono barbarismi 
o idiotismi, ma conservano per la massima parte il linguaggio 
genovese parlato sino alla fine del secolo xviii, il linguaggio 



^ 



— 89 — 

del Foglietta, del Cavalli, del De Franchi, pochissime registrò, 
nemmeno quel dunca che si sentiva tuttodì suonare all'orec- 
chio e che se oggi è voce plebea, appartenne per lungo tempo 
all'aristocrazia : senza aggiungere che, filologicamente, il dunca, 
se, come sembra certo, viene dal latino tunc (Diez) o da ad 
h u n e (Muratori) sarebbe voce più pura, come il francese d o ne 
e lo spagnuolo doncas, dell'italiano dunque che, per verità, 
fu anticamente pronunziato duncheedunqua. 

Nel dizionario del Casaccia vi ha impertanto del superfluo, 
e manca una parte del necessario, ma guardando all'insieme 
dell'opera, all'ampia e faticosa raccolta fattavi delle voci tec- 
niche genovesi, alle molte frasi, ai molti proverbi e motti ge- 
novesi che vi si trovano registrati, giusto è dire che è un buono 
ed utile dizionario che l'autore potrà con facilità migliorare. 

Onorevole ricordo merita pure il Vocabola^^io doìnesiico 
genovese italiano, pubblicato in Genova nel 1857 da Angelo 
Paganini, diligente ed esatta raccolta delle voci d'uso dome- 
stico, in cui segui l'ortografia dell'Olivieri. Particolarmente 
utile V Appendice zoologica. 

Parlerò in ultimo dell'opuscolo intitolato Delf antichissimo 
idioma dei Liguìn, pubblicato nel 1863^ da Emanuele Celesia, 
valente letterato e delle patrie antichità studiosissimo. Chiamò 
egli osco-montani i Liguri: disapprovò la qualificazione di gallo- 
italici data ai dialetti lombardi^ piemontesi, ed emiliani, soste- 
nendo che l'idioma ligure informò tutti i volgari dell'Alta Italia, 
dei quali ei propugnò l'unità filologica, e cosi di seguito arrivò 
ad afi'ermare: che è etrusca la pronunzia della w genovese, e 
che i suoni dell'^^j e dell'^w, con infiniti altri, passarono nei 
secoli XV e xvi dal ligure idioma al francese. 

Egli stesso senti « l'arditezza e la novità delle sue con- 
« clusioni >, che non è necessario di confutare. Al Celesia, 
nella elaborata opera sua, fecero difetto il metodo e l'erudi- 
zione affatto speciale che abbisognava : gli va data però ampia 
lode per aver trattato, egli primo, l'arduo soggetto e raccolta 
copia d'utili materiali. 

Qui mi sembra opportuno di produrre un elenco di quelle 
voci le quali usate dal secolo xrv sino alla fine del xviii, e 

* Genova, tip. dei Sordo-muti. 



— 90 — 



adoperate dal Foglietta, dal Cicala, dal Cavalli e dagli altri 
poeti che ho mentovati, sono oggi uscite d'uso nel parlar ge- 
novese; notando quelle che ancora vivono nel linguaggio dei 
contadini e della plebe cittadinesca, e notando pure l'affinità 
delle voci stesse con l'italiano o con altre lingue: 



Voci ffeiiovesi 
antictu! ' 



Significato 
italiano 



Abbrascoù* (vive nelling. Avido, ingordo 
contacL e pop, ma poco 
usato) 



Accaynou 
Adavmà, adavinello 

Aere 
Aeuritd 



Accoventàse 
Affoeitura 
Aiforozo 
AfiVeccià 



Accanito 
Indovinare 

Aria 
Olezzare 



Accontarsi 
Affatturare 
Spaventoso 
Frecciare 

Anno 



Agno 

Aguardd (gen. mod. a v arda) Guardare 

A] lama (vive nel liny. pop. In alto mare 

e mar.) 

Allegrase, allejjransa Rallegrarsi, alle- 
grezza 

Alò • (viva nel ling. cent.) Prima, avanti 



Allumerà * 
Amarego, amareura 

Amarelaede, marelsede ' 
Amarespaerme, marespa»r- 

me ^ 
Ambasciòu 
Amia 



Numerare 
amarezza 

A mala pena 
Id. 

Ambasciatore 
Zia 



.xfiiDita 
ad altre lingue 

proc. abramà, abrasa- 
ma? 

prov. acagnà 

/>•. ani. adaviner, sp. 

adivinar 
faf. aer, /r. air 
forse dal lai haurire, 

intefio come perei - 

pere, sentire 
/>• ant. aeointer 
fr. ant. afaiturer 
fr, ant. afaros 
ambo voci d'origine 

gennanica 
sp. a fio 
sp. aguardar 
fr. h la mer, sp. a la 

mar 
fr. ant. alegrance, sp. 

alegrarse 

rad. lai. lumen 
lat. amaror, sp. amar- 
gor 



fr. ant. ambasséor 
lai. amita 



' Delle voci segnato con asterisco, trattasi nel VcH'ahoìan'o etimologico. 

* Abbrascou vion da b r a s e a voce viva noi contado col senso di 
^Tan fame, di etim. oscura: forso dal colt. braic, bocca. 

* Forse connesso con l'it. allumare, gen. alliìmà, trasl. da lumi, in 
sijrnif. (rocchi, elio vale: ndocchiare. 

Allumerò re stelle a im-na, a un-na 
canta il Cavalli. 

* Non par dubbio che a m a r <ì si debba leggere : a male, tanto più che 
la voce vìve nel linguaggio contad. con la forma malaerdi o malaedi 
che ha lo stesso significato: ma liede e spaerme che voglion dire? 
E si noti clic lo stesso Cavalli, il quale usa più volte l'amarelajde, 
ramarespffirmo, dice talora anche: amarapen-na. Forse, Tama- 
respìvrme, ò connesso al fr. ant. a p a r m e e s ni e s , che significava : subito, 
immantinente. 



— 91 — 

Voci genovesi Significato Affinità 

antiche italiano ad altre lingue 

Aora Ora sp, ahora 

Apointà * {vive in alcune Allacciare fr. ani. apointier 

parti del cont.) 
Apointo (id.) Appunto fr, & poìnt 

Appelleura {gen, mod. pel- Fischietto prov, pioulel 

leùia) 
Apreùo * Appresso, dopo 

Arinto Argento it. ant, ariento 

Arra, innarrase* Errare 

Ascramanase* Scalmanarsi rad lai, calere 

A sciorte A caso rad. lai, sortem 

Ascoxi • {gen. mod, scòxt) Svergognare 
Aspissà 2 Accendere aff. al lombardo pizza,* 

accendere 
AssequsBrà * Mettere alle strette 

Assi Anche fr, aussi 

Astissase Stizzire dal lat, titio, tizzo 

Astriou Irato, stizzito forse dal lat. stridere 

Attrecoi * Ogni sorta d'orna- forse dal lat, attrectare 

mento donnesco 
Bardascieùa {gen. mod. bar- Ragazzo forse dalV arabo bar- 

dascia) dag, schiavo 

Bescavesso * ) Lento, rilassato, in 

Beschisso * i cattivo stato 

Bigarra Colori mal assortiti fr. bigarrer, prov, bi- 

garra 
Bioù, bià Beato, a fr, ant biau 

Boa Stolto, ignorante forse connesso al lat. 

bos 
Bonombre ^ 
Brondoro Brontolìo forse dal gr. brontàn, 

tuonare 

* Forme antiche, comuni a più altre parole genovesi, cointil, cointo, 
pointa, zointa, ecc. I glottologi dicono che, di regola, Vo innanzi ad n 
assumo Vi, 

* Poro gli antichi le dettero ([ualche volta il significato di: dolersi, 
maravigliarsi. 

^ Ambo dal lat. p i x , i e i s , poiché, usavasi anticamente di accendere il 
fuoco per mezzo di fuscelletti colla punta intinta di pece. 

^ La voce attrezzi, usata in questo senso, non ò troppo strana, perocché 
in italiano sig-nitica pure: arredi. 

■ Talvolta sembra significare bontà, gentilezza: 

Tutto bonombre sei, tutto dottrin-na 

tal altra scherzo: 

Aelo amò che per bonombre 

infine, giuoco fanciullesco 

Onde in forme villan-ne 

Fan re ombre ombre e bonombre int' re fontan-ue 

Cavalli. 

Par che siavi lo spagnuolo buono hombre, ma non si presta a tutti 
i significati del genovese. 



— 92 



Voci genovi 


osi 




Significato 


Affinità 


antiche 






italiano 


ad altre lingue 


Bruxente (viva 


nel 


ling. 


Bruciante 


prov. bruza 


cont) 










Calamia 






Calamita 


g)\ kalamos 


Calla 






Tacere 


sp. callar 


Caschun 






Ciascuno 


sp. cascun 


Cazza 






Cacciare 


sp. cazar 


Cerneggià 
Chittà 






Scegliere 


lat cernere 






Lasciare 


fr. quitter 


Citten 






Cittadini 


fr. citoyen 


Cocossa 






Cu cu zza, scherz. 
testa 


lat. cucurbita 


Cognosse 






Conoscere 


lat. cognoscere 


Comafaego (gen. 


moQ 


l cu- 


Pettegolezzo 


lat. cum e mater 


mèzu) 










Comeigo 






Con me 


sp. comigo 


Como 






Come 


sp. comò 


CoQseigo 






Con se 


sp. consigo 


Corpa {viva nel ling. 


pop. 


Colpa 




e coni.) 










Corpo {id.) 






Colpo 




Crei (eressi, cr^i, 


ecc. 


) (id.) 


Credere 


fr. ant. creire, sp. crear 


Dappcu e dappeù 


che 


(viva 


Dopo, dopo che 


fr. depuis peu 


nel ling. pleò. 


e cont) 






DaDcùscia 
Denscio 






Poscia 


lat, postea 






Chiaro, netto 




Degolà 






Scannare 


fr. ant. degoler, sp. de- 
collar 


Dei (demo, ecc.) 






Dovere 


prov deure 


Deliverà 






Liberare 


fr. délivrer 


Deiientoivivanelling cont) 


Dipinto 


fr. dépeint 


Derammà 






Sciupare 


sp. derramar 


Derré (viva nel ling. pop. e 


Ultimo 


fr. ant. derrer 


cont.) 










Desbaratto 






Disordine, disfatta 


sp d esbarato 


Descattà 






Disfare j 


aff. alVit. scattare, rad. 


Descatto 






Differenza i 


lat. ex-captare 


Desgòeugnoù 






Disgustato 


sp. desganado 


Despeccà 






Spezzare 
Sforzo, lavoro 


fr dépécer 


Desquérno 






sp. descuerno 


Destrascià 






Straziare 


rad lat. trahere 


Dexirà e dexiro 






Desiderare e desi- 
derio 


prov. desirà e dezir, 
fr. désirer e désir 


Dexiransa 






Desiderio 


prov. desiransa 


Dighe, dighemmo 




Dite, diciamo 




Donca 






Dunque 


jip. doncas, fr. donc 


Eri 






Jeri 


lat. beri 


Escio 






Esco 


lat exeo 


Eubbrigà (viva 


nel 


ling. 


Obbligare 




cont.) 










Facceura 






Fattura 


fr. facons 


Faccoin 






Fattezze 


id; 


Fse 






Fé, fede 




Fante (viva nel ling. 


delle 


Ragazzo 


lat. infans, sp. infante, 


Riviere) 








fr. enfant 







— 93 — 




Voci genovesi 




Significato 


Affinità 


auliche 




italiano 


ad altre lingue 


Feù (mva nel modo odier^ 


Fuori 


fr. ant. feur 


no: feu de li) 








Feùzza 




Foggia 


etim. incerta 


Figon 




Trattore 


sp. figon 


Foento {viva nel Ung, cont.) 


Ragazzo 
Malora 


alterazione di fante 


Foriero 




prov. forfori 


Foreure 




Pelliccia 


fr. fourrure 


Frappa 




Ciarpame 


prov. frapas 


Fren - na 




Frenesia 


greco phrénes 


Frolloro 




Cosa di poco niun 
valore 


prov. foulloro 


Fuzze e fuzzi 




Fuggire 


lai. fugere, prov. fugi 


Garlezzà 




Gorgheggiare 
Guidare e guida 


prov. gazalhà 


Ghia e ghia 




fr. ant. guier, sp, guiar 








e guia 


Giainin • {viva nel 


Ung. 


Meschino 


prov. gilha 


cont) 




4 




Giasmo 




Biasimo 


sp. ant. blasmo, prov. 
blasme 


Gove goe 




Godere 


celt. god 


Grou 




Grado 


lai. gradus 


Guappo 




Bravo, bello 


sp. guapo 


Gué 




Guai 


lat. vae 


Impozo 




Posto, stabilito 




Incasce 




Increscere 


forse prov. s'inchaure 


Insl, insci 




Uscire 


lai. exire 


Insisamme 




Insalata 


lai. incisus 


Intafurà 




Metter dentro 


fr. fourrer? 


InvÒ^* 




Voto 




Invoù 




Invocazione 




InvrisBgo 




Ubbriaco 


fr ivre 


Lantóa {viva nel Ung. 


pop. 


Allora 


lat. illa bora 


e cont.) 








Largo 




Lontano 


sp. largo 


Lero 




Ladro 


prov. lairo 


U* 




Giglio 


fr. lys 


Liverà 




Finire 


it. ant. liverare, aff al 
fr. livrer: tutti dal 
lat. liberare 


Loù {vive nel Ung. pop. e 


Lato 


lat. latus 


cont.) 








Lucca 




Lotta 


prov. e sp. lucha 


Ma'" 




Maggiore 


apoc. lat. major 
id. male 


M% 




Mali 


Msesmo 




Medesimo 


sp. mismo 


MSBÙO 




Modo, mó 


apoc. lat. modus 


Maraggia (audà aa) 




Rubacchiare 


prov. niarauda, fr. ma- 
raude 


Mareito 




Maledetto 




Megió 




Migliore 


lat. melior 


Memeuria 




Memoria 




Mie, tie {vive nel Ung 


.pop. 


Io, tu 


aff. al lai. me, te 


e cont.) 








Moaé 




Più 


fr. ant. mais, sp. mas 


M0C50 




Mozzo 


basco mocho 



Voci genovesi 
antiche 

Monto * 
Nasecca 

Niggio 

Odi (viva nel ling. cont.) 

Oxe {id.) 

Pareizo 

Parpaggieùa 

Pego (ése a) 

Perigo 

Perro 

Picceno 

Pittaggia 

Posero (gen. mod, piiii) 

Pon 

Porcelletta * 

Porrò 

Povertoso 

Preximoù 



Pricà 

Promé 

Pubrico (viva nel ling. pop. 

e cont.) 
Puessa 
Puradera 



— 94 — 

Signiflcato 
italiano 

Molto 

Chi ha naso grosso, 

adunco 
Nibbio 
Udire 
Voce 
Paradiso 
Farfalla » 
Con r acqua alla 

gola 
Pericolo 
Cane 
Piccolo 
Mangiare (il) 
Paio, sembro 
Possono 
Farfal Ietta e colore 

speciale 
Potrò 
Povero 
D'alto prezzo 



Predicare e pregare 

Primiero 
Pubblico 

Poiché 



Affinità 
ad altre lingue 



lai. nasica 

lat. milvius 
apoc. lat. audire 
lat. vox 
sp. paraiso 
prov. parpalohlo 
forse connesso al lat. 

pelagus 
sp, ant peligro 
sp. perro 
prov. pichoun 
prov, pità 
fr. parais 
prov. pou 



fr, pourrai 

sp. pobreton 

aff. al prov. prex, sp. 

prez, rad. com. lat, 

pretium 
fr, precher e prier^ lat, 

precare 
prov, prumè 



sp. pues 

forse connesso a prov 

pourrado , profìtto , 

guadagno 



Quenti 






Quanti 




Quinta * (viva 


nel 


ling. 


Fretta 




cont.) 










Raxoneive 






Ragionevole 




Reghaero 






Regalo 




Rente * 






Vicino 




Re posero 






Riparo 




Requeri 






Richiedere 


fr. requérir 


Saxon 






Stagione 


sp. sazon, fr, saison 


Sholìse (viva nel 


pop.i 


3àulu) 


Satollarsi 


fr. saouler 


Scatiggion 






Scampolo 


fr. échantillon 


Scciattà (dell'alba) 




Rompere, detto del 

• 


sp. esclatar 


Sciaretta • 






giuruo 
Bravaccio 


fr. éclater 


Sciverto 






Ripiego 


rad. lat. inversio 



* Forma gallo-it. che ha probabilmente origine dal lat mons, montis, 
nel senso di gran quantità. 

* Porcellana fu detta in portoghese, poi anche in italiano, la conchiglia 
di Venere; quindi per somiglianza con lo smalto di questa, passò ad indi, 
care in spagnuolo t^l in genovese un colore bianco-azzurrognolo, dal quale 
i Genovesi antichi pare denominassero una farfalla. 



— 95 — 



Voci genovesi 
antiche 

Semme (voce viva) 
Seze 

Soda 

Son-ne?* 
Soriggia ' 
Sparegà 
Spoincià 
Stra, strse 



significato 
italiano 

Una volta 
Cespugli 

Soldato 
Son io? 
Sole cocente 
Comparire 
Spingere 
Strada, e 



Strangé (vivanel ling, conL) Straniero 



Stratteizo 

Stravannià 

Suppri 

Tenti (viva nel ling. coni.) 
Tra (p. e. tra bun tempu) 
Trattuga (viva nel ling. pop. 

e cont) 
Veì (veggo, vegghemmo, 

vC, viref, ecc.) 
Veiria 
Vencuo 
Votto 

Zarbatan-na (parlar con la) 
Zó^ 

ZeumosB 
Zó 

Zovà 
Zovo 
Zuinta (viva nel ling. cont.) 



Disteso 



Affinità 
ad altre lingue 

lat, semel 

forse off. al prov. se- 

jazous 
fr. soldat 
lai. sum ne? 

forse dal UU, ex-parere 

rad. lai. pangere 

apoc. lai. strata 

prov. estrangier, $p. e- 
strangero 

rad. lai. stratus, op- 
pure extra tensum 



Vaneggiare 


fr. extravaguer, lat. 




extra e vagari 


Supplire 




Tanti 




Trarre, menare 


sp. traer 


Tartaruga 


lat. med. tartuca, prov. 




e sp. tortuga 


Vedere 


fr. ani. veir, sp. ver 


Veglia 


fr veiller, cat. veillar 


Vinto 


fr. vaincu 


Volto, diretto 




Cerbottana 


arabo zabatàna 


Andò 


off. all' it. gire 


Oramai 


fr. desormais 


Ciò 


prov. zo, zou 


Giovare 


lat. juvare 


Giogo 


lat. jugum 


Giunta 


fr. jointe 



' Son-ne in cascia o pii son-ne feù de mie? 

Cavalli. 
* Nel latino arcaico il nome del solo è s u r y a . 



CAPO IIL 

L' idioma genovese odierno : affinità con la lingua spagnuola — provenzale — 
firancese antica e moderna. — Conclusione. 



Prenderò adesso a ricercare l'affinità tra il genovese e le 
lingue neo-latine, le quali, come si sa, sono sette : portoghese, 
spagnuola, francese, provenzale, italiana, ladina e rumena. La- 
scio stare queste due ultime come le più lontane dal genovese, 
ne tratterò della portoghese per la stretta sua parentela con 
la spagnuola, e neppure delle relazioni tra V italiano ed il ge- 
novese, che già furono in questo libro ampiamente dimostrate. 
Verrò dunque senza più alla lingua spagnuola, che se nella 
fonologia e nel materiale suo lessicale, in cui s' incontrano voci 
arabe, gotiche, greche, s'allontana assai dal latino, gli si serba 
però notevolmente fedele nella formazione delle parole. Nota 
è r analogia della lingua spagnuola con V italiana : noto che 
moltissime voci e non poche frasi sono le stesse in ambo le 
lingue, ma di questa analogia non tratterò io, né di quella, anco 
maggiore, che, tolta la diversità di pronunzia, lo spagnuolo ha 
col genovese. Bensì dirò di parecchie voci che oggi ancora ap- 
partengono cosi allo spagnuolo che al genovese, e non appar- 
tengono air italiano, eccetto alcune che questo scrive e pro- 
nunzia diversamente. No produco un elenco : 



Voci spagnuole • 

Acocharse 

Adonde e donde 

Afufa, afufarse * 

Agotar 

Aguaitar 

Anora 

Amarrar * 

Amigo 

Amolar 

Arraigar, arraigarse 

Arrancar 



Voci genovesi • 

Acucciàse 

Dunde 

Fuffa • 

Agutà (V. tn.) 

Agueità 

Aoa 

Amara * (V. m.) 

Amiga 

Amua 

Arreixà, arreixàse 

Arancà 



SigniAcato italiano. 

Accosciarsi, accovacciarsi 

Dove 

Paura 

Aggottare 

Guatare, spiare 

Ora 

Amarrare, Allacciare 

Amico 

Arrotare 

Abbarbicare, abbarbicarsi 

Strappare, sradicare 



DeUe voci sognate con asterisco trattasi nel Vocabolario etimologico. 

7 



— 98 — 



Voci spagnuole 
Arrebatar 

Arri zar 

Arrollar 

Arrugar 

Asentarse 

Atesar, tesar 

Atracar * 

Avenar 

Babazorro 

Bacalo 

Balandran 

Balanza 

Banasta 

Barbotar 

Besugo (pesce) 

Bigardo 

Bocha e bochar 

Bollo 



Voci genovesi 
Ariibatà 

Arissà 

Arollà 

Ariiga 

Asettase 

Ates&, tesa (V. m.) 

Atracà {V. m.) * 

Avena e avenàse 

Babazun 

Baccu 

Balandran 

Bansa 

Banastra 

Barbuta 

Beziigu 

Bagardu 

Boccia e boccia 

Bulla (de ciccolata) 



Borracha 


Buraccia 


Borri co 


Buriccu 


Bracear 


BrassezH 


Brega 


Breiga 


Cabo 


Cau 


Cadena 


Caden-a 


Cagon 


Cagun 
Caladda 


Calada 


Caldera 


Ciidea 


Cara 


Caa 


Caracol 


Cagollu 



Chachara, chacharear, Ciociara, ciaciarà, 

chacharon ciaciarun 

Chalan * Ciallan 



Chalota 

Chata (barca) 

Chato ladd.) 

Chico 

Chocar 

Choque 

Chubasco 

Chucheria 

Chusma 

Ciguéna 

Costi parse 

Defender 

Desandar 

Desapuntar 



Scialotta 

Ciatta 

Ciattu 

Cittu 

Ciocà 

Cioccu 

Ciiivascu 

Fucikra 

Ciiisma, ciiixima 

gigheùgna 
ustipàse 
Defeisu fése] 
Desandià 
Despuntà 



Significato italiano 

Rotolarsi, correre a pre- 
cipizio 

Rizzare e acciuffare 

Avvolgere, fare un rotolo 

Aggrinzare, increspare 

Sedersi 

Tesare, tendere 

Afferrare 

Crepolare: l'uscita dei li- 
quidi per una crepatura 

Uomo materiale e goffo 

Bastone 

Veste ampia e lunga 

Bilancia 

Cestone 

Balbettare 

Occhione 

Cattivo soggetto 

Boccia (palla di legno) e 
truccare 

Boglio (che è pure spa- 
gnuolo esattamente pro- 
nunziato) 

Fiasca 

Asino 

Agitar le braccia: è pure 
un modo di nuoto 

Briga, noja, molestia 

Capo, cavo 

Catena 

Pusillanime, poltrone 

Calata 

Caldaja 

Cera, sembiante 

Garagoo, chiocciola 

Chiacchiera, chiacchiera- 
re, chiacchierone 

Dicesi per vezzo a un 
bel fanciullo 

Scalogno 

Chiatta, piatta 

Piatto 

Piccino 

Render suono 

Suono 

Acquazzone con vento 

Bagattella, bazzecola 

Ciurma 

Cicogna 

Infreddare 

Proibire» esser proibito 

Traviare 

Slacciare 



* In spagnuolo diecsi di mercante abile ad attirare, a persuadere i com- 
pratori, quasi sinonimo di lusinghiero. 





— 99 — 




Voci spagnuole 


Voci genovesi 


Significato italiano 


DesapuntelaF 


Despuntelà 


Levare i puntelli 


Desasesado 


Desauggiaddu 


Scervellato, scioperone 


Descalcafiar 


Descarcagnà 


Scalcagnare 


Desdicha 


Desdiccia 


Disdetta 


Desembarcar 


Desbarcà 


Sbarcare 


Desencadenar 


Descadenà 


Scatenare 


Desgarrar e desgarro 


Sguarà e sguaru 


Stracciare e straccio 


Destetar 


Destettà 


Spoppare 


Dicha 


Diccia 


Fortuna 


Docena 


Duzen-a 


Dozzina 


Embarcadero 


Imbarcadero 


Punto d'imbarco 


Embate * 


Imbattu • 


Vento estivo 


Embebecido ♦ 


Imbessiu * 


Lento, tardo, stupidito 


Encima 


Incimma 


Sopra 


Enganchar 


Ingancià 


Agganciare e imbrogliare 


Escabeche 


Scabecciu 


Sorta di salamoja 


Escano 


Scagnu 


Scanno 


Escopeta 


Scciupetta 


Fucile da caccia 


Espejuelos * 


Spegetti • 


Occhiali 


Estrafalario * 


Strafalaju * 


Detto di vesta, vale sciu- 
pata: detto di persona, 
vale stravagante 


Falta 


Farta 


Mancanza 


Fandango (cauto e bai- 
Feo 


Fandango * 




Feu 


Fiero 


Fideos 


Fide ^ 


Vermicelli 


Frisuelos 


Friscieu 


Frittelle 


Frotar 


Fretta 


Fregare 


Fruta, fruto 


Fnita, frutu 


Frutta, frutto 


Fulano * 


Fulanu ' 


Un tale, qualcuno 
Ragazzo di età inferiore 


Infante 


Foentu 






ai 7 anni 


Izar * 


Isa* 


Issare, alzare 


Jaco 


Giaccu e giacché 


Giacchetta (ma non cor- 
risponde esattamente) 


Jugar 


Ziiga 


Giuocare 


Lastima 


Lastima 


Lamentanza, gemito 


Laton 


Latun 


Ottone 


Legia 


Lescia 


Lisciva, ranno 


Lengua 


Lengua 


Lingua 


Liga 


Ligammc 


Legaccio da calze 


Ligar 
Lila (flore) 


Ligà 


Legare 


Lilla 


Siringa 


Llevar 


Alevà (V. m.) 


Imbarcar gente da terra 


Loro 3 


Loru 3 


Pappagallo 


Lucir 


Liixì 


Lucere, splendere 


Mampara 


Mampà 


Paravento e paralume 



* L'usano i Genovesi come sinonimo di ballo nella frase ironica mettisc, 
trovàse in t' iin bellu fandangu, cioè mettersi, trovarsi in un grave 
impiccio. 

* La parola è araba, fuliin: ma è verisimile sia venuta ai Genovesi dagli 
Spagnuoli. 

* Forse da loro, giallo dorato. 





— 100 — 




Voci ftpagnuole 


Voci genovesi 


Si^iflcato italiano 


Mandil * 


Mandillu • 


Fazzoletto, tovaglia 


Mantecado {da man- 


Mantecatu 


Sorbetto 


teca, pomata) 






Marrazo 


Marassu 


Coltella 


Menudo 


Menila 


Gracile, delicato 


Mirador 


Ami ad ù 


Belvedere, specola 


Mirar 


Mia e ami& 


Guardare (non mirare) 


Morrò 


Muru 


Muso 


Mozo 


Mussu (garzone di 
bordo) 


Mozzo 


Muchacho 


Muciacciu 


Ragazzo che sulle navi 
serve gli uffiziali 


Muger (nel senso di 


Muggè 


Moglie 


moglie) 






Nalga 


Nega 


Natica 


Navegar 


Navegà 


Navigare 


Nescio 


Nesciu 


Sciocco 


Nevar e nieve 


Nevà e neive 


Nevicare e neve 


Nino 


Ninnu (vezzeggia- 
tivo) 


Fanciullo 


Pachon 


Paci un 


Pastricciano 


Pac borra 


Paciornia e paciùra 


Flemma 


Palacio 


Pai assi u 


Palazzo 


Panza e panzada 


Pausa e pausa 


Pancia e spanciata 


Papel ♦ 


Pape * 


Carta 


Paramentar ( ornare , 


Pameutk 


Tappezziere 


apparare) 






Pata 


Patta 


Zampa d'animale 


Pateta (zoppo) * 


Patetta (scarpe in) • 




Pecilgar e pellizcar * 


Spelinsigà * 


Pizzicare 


Piafar 


Piafa 


Far la ciambella( T.di cav,) 


Piar 


Pia 


Pigolare 


Pitanza 


Pitausa 


Pietanza 


Puntapiè * 


Puntapè * 


Inciampo 


Rafaga 


Rafega 


Raffica 


Raiz 


Raixe e reixe 


Radice 


Rancho 


Ranciu 


Rancio (ma è voce spa- 
gnuola) 


Rascar 


Rasccià 


Raschiare 


Regatona * 


Regatun-a * 


Rivendugliola 


Remolino 


Remoiu 


Remolino 


Resalte, sobresalto 


Resiitu 


Scossa, rimescolamento 


Retajar 


Retagià 


Ritagliare 


Reverso 


Reversu 


Rovescio 


Rodear 


Rondezà 


Aggirarsi intorno a chec-. 
cnessia 






Sed 


Sé 


Sete • 


Sencillo * 


Senciu, zenziggiu * 


Semplice, non doppio j 


Seso • 


Sèximu * 


Cervello, giudizio / 


Tamafio (grandezza, 


Tàmpssu e atamas- 


Grosso, tozzo, mal fatto | 


grossezza) 


soìì 


j 


Techar, techo (coprire 


Teciàse, tecciu * 


i 


una casa - tetto) 




J 


Temprano 


Tempùiu 


Primaticcio J 


Tijeras 


Tesùie 


Cesoje, forbici M 


Traidor 


Traitù 


Traditore a 



>■ 








- 101 — 




Voci spaglinole 


Voci genovesi 


Significato italiano 


Transportin 

Tronar 

Tumbar ^ • 

Ver , 

Verdadero 


Strapuntin 

Trunà 

Tumbà 

Vei 

Vertadeu 


Materassino 
Tuonare 
Tombolare 
Vedere 
Verace, sincero 



Un breve commento a queste voci. Prima di tutto, non 
sembra dubbia Tantichità loro così nel genovese come nello 
spagnuolo : mostrai disopra che altre voci spagnuole apparten- 
nero, dal secolo XIV al xviii, al genovese: aguardar, callar, 
comigo, consigo, ecc., ma quelle erano importazione tem- 
poranea, né probabilmente entrarono mai nel linguaggio popo- 
lare, onde caddero : al contrario, le voci testé indicate sono 
tuttavia vivissime nel genovese. Quanto alle marinaresche 
agotar, amarrar, a rri zar, atesar, atracar, non ne 
é dubbia l'origine genovese : gli Spagnuoli medesimi ammettono 
che i Genovesi furono loro maestri dell'arte nautica. Di altre 
voci, delle quali è chiara la* comune origine dal latino, giova 
notare l'identità delle alterazioni : latino a mi cu s, spagnuolo 
amigo, genovese aniigu; catena izrcadena =:caden-a; 
ferus =: feo =: feu; lingua = lengua =: lengua, ecc. 
Ma ben poco si può argomentare da cotesto e da altre ana- 
logie. 

Passo alla lingua provenzale, la quale intendo sia quella 
oggidì parlata nella Francia meridionale, che comprende i dia- 
letti dell'alta e bassa Linguadoca, della Provenza, della Gua- 
scogna, del Béarn, del Quercy, del Rouergue, del Limousin, del 
Delfinato, ecc., e produco, senz'altro, un elenco di voci proven- 
zali identiche, o strettamente afBni, a voci genovesi : 



Voci provenzali 
Àbacha (guasc.) 

Abandouna,aban- 

doun • 
Abasta 

Abate (guasc.) 
Abausa 
Abima 
Abouca 



Voci genovesi • 



Significato italiano 



Abascià (V. pop. e Abbassare 

coni) 
Abandunà,abandun* Abbandonare, abbandono 



Abastà (V. pop. 

coni.) 
Abktte 
Imbosà 
Abima 
Abuccà 



e Bastare 

Abbattere 
Capovolgere 
Guastare, deprimere 
prov. vuotare, versare 
gen. assaporare 



• Delle voci seg'nate con asterisco trattasi uel Vocabolario etimologico. 





— 102 — 




Voci provenzali 


Voci genovesi 


Significato italiano 


Abounassa * 


Abunassà • 


Abbonacciare 


Abounda 


Abundà 


Abbondare 


Abourda 


Aburdà 


Abbofdare ^ 


Aboussa 


Abossà 


Abbozzare ^ 


A braca * 


Abracà (V. m.) 




Abranca 


Abrancè 


Abbrancare 


Abrassa 


Abrassà 


Abbracciare 


Abriva * 


Abrivà * 


Abbrivare 


Abroutun 


Brottu 


Brocco, pollone 


Acasa (s') 


Acasàse 


Accasarsi 


Accoubla 


Acubbià 


Accoppiare 


Achapa 


Aciappà 


Acchiappare 


Aeima 


Cima 


Cimare 


Acquassa (s') 


tà li squaccin (detto 

delle galline) 
Acumudà 




Acoumouda 


Accomodare 


Acoumpagna 


Acumpagnà 


Accompagnare 


Acourda 


Acurdà 


Accordare 


Acousta 


Acustà 


Accostare 


Acoustuma 


Acustùmà 


Accostumare 


Adoub 


Adubbu 


Addobbo 


Adouci 


Aducì 


Addolcire 


Adresso 


Adressa 


Indirizzo 


Adrissa 


Adrissà 


Addrizzare 


Afama 


Afamà 


Affamare 


Afana 


Afanà 


Affannare 


Afatiga 


Afatigà 


Affaticare 


Afecioun 


Afeci un 


Affezione 


Afourtuna 


Afurtunoù 


Fortunato 


Aganta 


Aguantà 


Agguantare 


Agneu 


Agneu (Riv. di lev.) 


Agnello 


Agouta 


Aguttà 


Aggottare 


Agrou 


Agrù 


Agrezza, asprezza 


Agroupa 


Agruppà 


Aggruppare 


Aiguo, aigua 


Egua 
Alargà 


Acqua 


Alarga 


Allargare 


Alesti 


Alestì 


Allestire 


Alounga 


Alunna 
Aluga 


Allungare 


Aluga 


Riporre 


Amaina * 


Amainà * ( V. m.) 


Ammainare 


Amalìcia 


Ainalicia 


Ammaliziare 


Amaluc * 


Maloccu • 


Batuffolo 


Amaluga (senso diver- 


Ainalocà * 


Abbatuffolare 


so dal gen.) * 






Amansi 


Amansi 


Ammansare 


Amassà 


Amassà 


Ammazzare 


Amerma * 


Amermè * 


Diminuire 


Auiigo 


Amigu 


Amico 


Amou {guasc) 


Amù* 


Amore 


Amoula * 


Amuà* 


Arrotare 


Amouleto ♦ 


Amuletta ♦ 


Arrotino 


Amoura * 


Amurà * 


Far battere la faccia con- 
tro il muro, la terra 


Amousta {guasc.) 


Amustà * 


Ammostare 


Ampoulla 


Ampulla 


Ampolla (bolla d'acqua o 
di sapone) 






- 103 — 




Voci provenzali 


Voci genovesi 


Significato italiano 


Ana * 


Anà *^ 


Andare 


Ancuèi * 


Ancheù * 


Oggi 


Angoissa • 


Anguscià • 


Angosciare 


Animau 


Anima 


Animale 


Apassiouna 


Apasciunà 


Appassionare 


Apountela 


Apuntelà 


Appuntellare 


Aproufità 


Apruflttà 


Approfittare 


Aquipage 


Acupaggiu ( V. pop ) 


Equipaggio 
Far luogo 


Arasso (faire) * 


Ròsu • (f&) . 


Arma 


Arme 


Armare 


Arranca 


Arancà 


Arrancare 


Arrasouna 


Araxonà 


Cercar di persuadere 


Arrecata * (guasc.) 


Dà recattu • 


Mettere in ordine 


Arrecoumanda 


Arecumandft 


Raccomandare 


Arrecourda 


Aregurdà 


Ricordare 


Arrenga 


Arangià 


Accomodare 


Arresta 


Arestà 


Arrestare 


Arreu • 


Reu* 




Arriè 


Arrié (v. dei carret- 
tieri) 


Indietro 


Arrigoula * (guasc. nel 


Arriguà * 


Scorrere 


senso di scorrere) 






Arounsa • 


Arunsà * 


Spingere, strascinare 


Artichau 


Articiocca 


Carciofo 


Asarda, asardous 


Azardà 


Azzardare 


Ase, aze * 


Aze * 


Asino 


Asenet 


Azenettu 


Asinelio 


Assasouna 


Assaxunà 


Stagionare 


Assegura 


Assegna 


Assicurare 


Asseta, e s'asseta 


Asseta e assetàse 


Sedere e sedersi 


Assetoun (d') (Cev.) 


In settun 


A sedere sul letto 


Assousta * 


Assustà • 


Ricoverare 


Astou 


Astù 


Falco 


Assuca (senso aff. al 


Assùcà 


Acciuffare 


gen.) 






Ataca 


Atacà 


Attaccare 


Atìssa 


Atissà 


Attizzare 


Atrapa 


Atrapà 


Truffare 


Atrouba 


Atruvà 


Trovare 


Avei, ave 


Aveì 


Avere 


Averti 


Averti 


Avvertire 


Avesina 


Avexinà 


Avvicinare 


Avia 


Avià 


Avviare 


Avisa 


Avisà 


Avvisare 


Bachalan 


Becellan 


Chiaccherone, baggeo 


Bagage, bagagi 


Baga^giu 


Bagaglio 


Bagna 


Bagni 


Bagnare 


Baisa 


Baxà 


Baciare 


Balet (guasc.) 


Baletta 


Piccolino, bellino, detto 
per vezzo a fanciullo 


Balla 


Balla 


Ballare 


Banastro 


Banastra 


Cestone 


Barban * 


Barban • 


Bau, befana 


Barbouta 


Barbuta 


Balbettare 


Barlugo, berlugo * 


Berliigu • 


Luce confusa, incerta 


Barqueja 


Barchezà 


Barcheggiare 



— 104 — 



Voci provenzali 

Bassaca, bassacado * 

Bastouna 

Beca 

Begudo • (osteria) 

Benigna, belugueja * 

Benèisì, benèzi * 

Berbezino (ragazzino) 

Bescuech, bescueit 
Besoun, besoun^ 
Besugo (scempiaggi- 

ne-pesce) 
Beure, bey re 

Biffa 

Bisca * 

Biso, bisa * (vento fred- 
do e secco) 

Bissac 

Blasina, blesina e bla- 
sin • 

Blu, bleu 

Boudego 

Boudissou (mascalzo- 
ne) (Cevennes) 

Boudissouno (donna 
piccola e grassa)(*d.) 

Boun 

Bourdiffo, bourdigou * 

Bo arri do * 

Boustica * 

Bozo/ boza 

Brama * 

Brassalet 

Brasseja 

Brau 

Braza 

Bregand 

Bren* 

Brignoun * 

Brigoulo, berigoulo 

Bromes 

Brujou, bruzou 

Broto, brot 

Bruc, brugo * 

Bruino * 

Bruta 

Brutau (brutale) 

Brutige 

Bruzà 

Bruzi * 

Bufa * 

Bugada, bugado • 

Bugadièiro * 

Burla 

Buscalhu 



Voci genovesi 

Bàsiga, basigli * 

Bastunà 

Becà 

Begtidà * 

Abarliiga • 

Beneixì 

Berbexin (uccelletto, 
figlioletto) 

Beschoùttu 

Bezeùgnu 

Bezijgu (scimunito- 
pesce) 

Beuie, beie (ling.pop. 
e coni.) 

Bifm 

Bisca * 

Bixa* (venticello) 

Bissacca 
Bèxinà e bèxin* 

Bleù 
Biidegu 
Bòdissun \ 

Bodissun-a i 

Bun 

Burdigottu • 

Buridda * 

Busticà ^ 

B«MÌza, beììzima 

Brami * 

Brassalettu 

Brassezà 

Brau 

Braxa 

Bregante 

Brennu * 

BrignuD 

Briguelu 

Briimezzu 

Briixù 

Brottu 

Brugu ' 

Sprùin * 

Bruta 

Briittu 

Briitixe 

Briixà 

Briizi • 

Bufa • 

Bugà* 

Biig.'iixe * 

Biirlà 

Bùscaggie 



Significato italiano 

Dondolare, don4olo 

Bastonare 

Beccare 

Gozzovigliare 

Abbarbagliare 

Benedire 



Biscotto 
Bisogno 

Bere 
Cancellare 



Bisaccia 

Piovigginare e acqueru- 
giola 
Azzurro 
Chi ha gran ventre 

Grassi, dappoco 

Buono 

Bugigattolo 

Pesce in guazzetto 

Stuzzicare 

Bovina 

Muggire 

Braccialetto 

Agitar le braccia 

Bravo 

Brace 

Brigante 

Cruscone 

Pruna 

Vermiciattolo 

Esca pei pesci 

Bruciore 

Brocco, pollone 

Erica scoparia 

Spruzzolo 

Bruttare 

Porco, vile 

Sporcizia 

Bruciare 

Mujrgire 

Buffare 

Bucato 

Lavaudaja 

Burlare 

Bruciaglia 



— 105 — 



Voci provenzali 

Buta 
Caban • 

Gabano, cabana * 
Cadel, cadeliou * 
Cadena, cadeneto 
Caga, cagadou 
Cagò-nieu, cago-nis 

Camina 

Canos • 

Canta 

Cantabruno • 

Capoun 

Carboun 

Carbouney 

Carga 

Carratier 

Carroussa 

Cau 

Chautk (s'en) 

Chicholo (ba^tella) 

Chichiou (gndo degli 

uccelli) 
Chot (uccello) 
Clap (ciottolo, rottame) 
Couble 
Coumensa 
Coumpati 
Counai 
Couasenti 

Counsigna 

Coutel 

Cru 

Darrieu * (avv.) 

De -bada • 

Defendut 

De-dela 

Desliga 

Derouca 

Desavia 

Descadena 

Descapela 

Descarga 

Descausso 

Desen, dezeu 

Desfa 

Desfaissa 

Despart (a) 

Despassa 

Despreza 

Desrena 

Dessa, dessa e de la * 

Dessubre 

Destapa 

Desturba 



Voci genovesi 

Butà 
Caban • 
Cabanna * 
A cadellu * 
Caden-a, cadenetta 
Caga, cagadù 
Caga in niu 

Camina 

Cannie • 

Canta 

Cantabrùn-a * 

Capun 

Carbun 

Carbuné 

Caregà 

Carato 

Carussa 

Cou 

Sciatàse 

Ciciollu (budello) 

Ciu, barbacì'u 

Ciò 

Ciappi 

Cubbia 

Cumensà 

Cumpatì 

Cundi 

Cunsentì (nel senso 

di cedere) 
Cunscignà 
Cutellu 
Criiu 

A reu • (avv,) 
De badda * 
Defeisu 
De delà 
Desligà 
Deriià 
Desavià 
Descadena 
Descapellà 
Descaregà 
Descàsu 
D»*xen 
Desm 
Desfascià 
Desparte (in) 
Despassà 
Desprèxà 
Derenà 

De ca, de ca e de ìk 
De surve 
Destapà 
Destùrbà 



Significato italiano 

Buttare 

Gabbano 

Capanna 

Catena, catenella 
Cacare, cacatojo 
L'ultimo nato d'una fa- 
miglia 
Camminare 
Fiori del vino 
Cantare 

Tromba da vino 
Cappone 
Carbone 
Carbonado 
Caricare 
Carrettiere 
Carrozzare 
Cavolo 
Turbarsi, alterarsi 



Chiù 

Cocci, rottami 

Coppia 

Cominciare 

Compatire 

Condire 

Consentire 

Consegnare 
Coltello 
Crudo 
In generale 
Gratis 
Proibito 
Dall'altra parte 
Slogare 
' Precipitare 
Sviare, disusare 
Scatenare 
Scappellare 
Scaricare 
Scalzo 
Decimo 
Disfare 
Sfasciare 
Disparte (in) 
Sfilare 
Disprezzare 
Dilombare 

Di qua, dalle due parti 
Di sopra 
Sturare 
Disturbare 



Voci provenzali 

Destriga 

Di-segur (guasc.) 
Durmi, drumi (id.) 

Dous 

D0US8OU 

Drouga 

Dru 

Emberluga * 

Embuteja 

Embriega 

Encapouta (s') 

Encarougna (s') 

Endegua ^ 

Engueita, gueita • 

Errou 

Esclap 

Esciapa (Cev.) 

Esclapaire 

Esclatar 

Escraca 

Escura 

Estivadou 

Fa 

Fabrica 

Fanfaroun 

Farsi 

Fau 

Fen 

Fet 

Fidèu 

Figo 

Fin 

Fouet e fouetta 

Fogassa 

Fougau 

Founniga 

Fourtou 

Fraire 

Fraudo 
Frebe 
Freid 
Freta 
Fuma 

Futo (fuga) 
G arso un * 
Gavaffno * 

Gimbla * (torcere, pie- 
gare) 
Gipo, gipou 
Gobelet * 
Graflgna 



— 106 — 

Voci genovesi 

Destrigà 
De segiiu 
Durmì, drumi (V. 

cont.) 
Duce 
Diicìi 
Drugà 
Driiu 

Imbarliigà * 
Imbuttiggià 
Imbriegà 
Incaputàse 
Jncarugnise 

Aguertà*^ 
Errù ^ 



Scciappa 

Scciappà 

Scciappoù 

Sciata 

Scracà 



Stivadù 

Fa 

Fabricà 

Fanfarun 

Farcì 

Fò • 

Fen 

Fètu 

Fide 

Figu 

Fin 

Fuettu e fuettà 

Fugassa 

Fuguà 

Furmiguà 

Furtù 

Frè, e frerc nel gen, 

Frauxu 
Freve 
Freidu 
Fretta 
Filma 
Futtu via! 
Garsun ♦ 
Cavagna * 
Gimbrà * 

Gippa, gipponetto 
Cubelettu * 
Granfignà 



significato italiano 

Strigare 
Di sicuro 
Dormire 

Dolce 

Dolciume 

Correre, far correre 

Grosso 

Abbarbagliare 

Imbottigliare 

Ubbriacare 

Ammantellarsi 

Incarognire 

Far capolino 
Errore 
Scheggia 
Fender legna 
jlia-legna 
Far ciìi^sso 
Sornaccliiare 
Pulire stol^iglie 
Stivatore 
Fare 

Fabbricare 
Millantatore 
Infarcire 
Faggio 
Fieno 
Fatto 
Vermicelli 
Fico 
Astuto 

Scudiscio e scudiscj*^^ 
Focaccia 
Focolare 
Formicolare 
Fortore 
Fratello 

Frodo 

Febbre 

Freddo 

Fregare 

Fumare 

Scappa vial 

Garzone 

Canestra 

Accomodare, convenir] 

Giubbone, corpetto 

Pasticcino 

Graffiare 



* In provenzale T invelenirsi d'una piaga, in genovese lo stesso significato, 
ma più propriamente lo slogarsi delle giunture delle mani e dei i)iedi. 






IKJi 




Voci provenzali 


Voci genovesi 


Significato italiano 


Gran 


Gran • 


Grano 


Grata 


Gratta 


Grattare 


Gnimicel, grumiceu 


Riimescellu 


Gomitolo 


Gue\no 


Guen-a 


Guaina 


Guignoun 


Ghignun 


Avversione, dispetto 


I (pronome : io, egli, a 


I (proti, contad.) essi 




lui, ecc.) 






Impedì 


Impedì 


Impedire 


Intriga 


Intriga 


Intrigare 


3apa 


Giapà 


Gracchiare, cicalare 


Juga 


Zugà 


Giocare 


Lansa 


Lansa 


Lancia 


Lapa* 


Lapà» 


Lambire 


Laura 


Lauà 


Lavorare 


Leca 


Lecà 


Leccare 


Lengua 


Lengua 


Lingua 


Leitugue 


Leituga 


Lattuga 


Leva 


Leva 


Levare 


Liga 


Ligà 


Legare 


Limoun 


Limun 


Limone 


Leinciéu 


Lenseù 


Lenzuolo 


Lioun 


Liun 


Leone 


Luzl 


Liixì 


Lucere 


Man 


Man 


Mano 


Manca 


Manca 


Mancare 


Manda 


Manda 


Mandare 


Marca 


Marca 


Marcare 


Marci 


Marci 


Marcire 


Marin 


Mann 


Marino 


Massacan * 


Massacan * 


Muratore 


Matin 


Matin 


Mattino 


Mau-de- maire 


Ma de moè 


Isterismo 


Mazel 


Maxellu 


Macello 


Marma, amerma* 


Amermà * 


Diminuire 


Meis 


Meise 


Mese 


Mestey 


Meste 


Mestiere 


Mi 


Mi 


Me 


Mino 


Minnu 


Gatto (vezzeg.) 


Moto, monto 


Mottu 


Zolla, zollo 


Mouc 


Muccu 


Lucignolo 


Mouélo 


Moula 


Midolla 


Mounda 


Mundà 


Mondare 


Mour, mourre 


Muru 


Muso 


Nache, naxe 


Nasce 


Nascere 


Navega 


Navegà 


Navigare 


Nei 


Neie 


Neve 


Nesci 


Nesciu 


Nesci 


Neteja 


Netezà 


Pulire 


Neva 


Nevà 


Nevicare 


N\ 


Ni 


Né 


Niu 


Niu 


Nido 


Non 


Nù 


No 


Nouze, noze 


Nuxe 


Noce 


Orb 


Orbu 


Cieco 


Oudou,audou {guasc] 


1 Audù, odù 


Odore 


Pan 


Pan 


Pane 






— 108 — 



Voci provensali 

Pa^a 

Paia (dolce, pacìfico , 
parlando d'un ani- 
male) 

Paisan 

Paisanetto 

Pauferre 

Panisso 

Pansa 

Pape* 

Parla 

Parmoun 

Parpelha 

Parti 

Passa 

Pastissa 

Patèlos (natiche) • 

Patroun 

Pè, ped 

Pé 

Pechin, Pichin 

Pecoul 
* Peneca 

Pensa 

Perdouna 

Pertouca 

Pesa 

Pesca 

Pessiga 

Peta 

Pè, peii, poti (guasc. 
béuìti.) 

Pica 

Pichoun, pichouno 

Picosso, picoussin 

Pignou 

Pia (albero) 

Pitansa 

Poumpoun 

Putz 

Preison 

Prepara 

Presenta 

Presega 

Presta 

Quita 

Ra (ari.) (guasc.) 

Ralegrà 

Ramadan ^ 

Rangrougnou 

Ransou 

Rapugo 

Raspa 

Rastela 

Rato penado 

Razouna 



Voci genovesi 



Paga 
Paxe 



Paisan 

Paisanettu 

Paaferu 

Panissa 

Pausa 

Pape» 

Parla 

Purmun 

Parpelà 

Partì 

Passa 

Pastissa 

Patèlu • 

Patrun 

Pè 

Peu 

Piccin 

Peigullu 

Penezà 

Pensa 

Perdunà 

PertucH 

Pesa 

Pesca 

PessigÀ 

Petà 

Pò, peu, pou 

Pica 

Picceno (gen. ant j 

Picossu, picossin 

Pigneù 

Pin 

Pitansa 

Pumpun 

Pussu 

Prexun 

Prepara 

Presenta 

Persega 

Preste 

Chità 

Ra (gen. ant.) 

Rallegra 

Ramadan * 

Rangugnun 

Rànsiu 

Rapussu 

Raspa 

Rastela 

Rattu penugu 

Raxuna 



Significato italiano 
Pagare 



Contadino 

Contadinello 

Pie di porco 

Polenta di farina di ceci 

Pancia 

Carta 

Parlare 

Polmone 

Batter le palpebre 

Partire 

Passare 

Impasticciare 

Pezza per bambini 

Padrone 

Piede 

Pietro 

Piccino 

Picciuolo 

Penare 

Pensare 

Perdonare 

Spettare, riguardare 

Pesare 

Pescare 

Pizzicare 

Morire 

Per, per lo 

Picchiare 

Piccolo 

Scure, piccozzino 

Pignolo 

Pino 

Pietanza 

Nappa 

Pozzo 

Prigione 

Preparare 

Presentare 

Pesca 

Prestare 

Lasciare 

La 

Rallegrare 

Fracasso 

Brontolone 

Rancido 

Raspo 

Raspare 

Rastrellare 

Pipistrello 

Ragionare 





^ i\jìf — 




Voci provenzali 


Voci genovesi 


Sijrnificato italiano 


Recata e recate 


Dà recattu, e recattu 


Metter a sesto, ordine 


Recoumanda 


Recumandà 


Raccomandare 


Recoumandacioun 


Recumandasiun 


Raccomandazione 


Recourda 


Regurdà 


Ricordare 


Rede 


Redenu 


Rigido 
Rifare 


Refa 


Refà 


Re^augna 


Rangugnà 


Brontolare 


Rei, raitz 


Reixe 


Radice 


Relent 


Relentu 


Puzzo di rinchiuso 


Rema 


Rema 


Remare 


Remounda 


Remundà 


Rimondare 


Ren 


Ren 


Reni 


Repesca 


Repescà 


Ripescare 


Repìc 


Repiccu 


Ripicchio 


Rescos (a, de) 


Rescusu (a, de) 


Di soppiatto 


Rescoundun 


Rescusun 


Cosa nascosta; premesso 
il de, vale: nascosta- 
mente 


Ressaut 


Ressatu 


Scossa, sussulto 


Resta 


Resta 


Restare 


Rat 


Rè 


Rete 


Retapa 


Retapa 


Riturare 


Retouca 


Retuca 


Ritoccare 


Reverso 


Reversu 


Rovescio 


Revesti 


Revesti 


Rivestire 


Rial, rian* 


Rian* 


Rivo 


Ribouta, riboto 


Ribotà, ribotta 


Gozzovigliare, gozzoviglia 


Rigou 


Rigù 


Rigore 


Ritou 


Rettù 


Rettore 


Rol 


Rollu 


Rotolo 


Rosai 


Ruzà 


Rugiada 


Roumanis 


Rumanin 


Rosmarino 


Rounfla 


Runfa 


Russare 


RouDfìe 


Runfu 


Il russare 


RouDza * 


Arrunsà • 


Spingere 


Rounzo * 


Runsa • 


Do ri va 


Rousso 


Russu 


Rosso 


Rousiga 


Ruzigià 


Rosicchiare 


Roussou 


Russù 


Rossore 


Rousti 


Rustì 


Arrostire 


Rout 


Ruttu 


Rotto 


Rouve^ rouvei 


Ruve ^ 


Rovere 


Rouveirol, rouveirou ^ 


Ruveien 




Rusca 


Riisca 


Polvere di concia 


Sau 


Sa 


Sale 


San 


San 


Sano 


Sapa 


Sapà 


Zappare 


Sarmoeiri 


Sarmuia 


SHlainoja 


Saut, sdutet 


Satu, sàtettu 


Salto, salterello 


Sazi 


Sèxì 


Stagj^ire 
Stagione 


Sazoun 


Saxun (gen. ani.) 


Se (pron.) 


Se 


Si 


Seguou 


Segnù 


Signore 


Segound 


Segundu 


Secondo 



* Piccol bosco di querce : onde il nome di Rivarolo, paese presso Genova. 



— 110 



Voci provenzali 


Voci genovesi 


Significato italiano 


Semena 


Semena 


Seminare 


Sen 


Sen 


Seno 


Senou 


Se nù 


Se no 


Serra 


Serra 


Chiudere e segare 


Serro 


Séra 


Sega 


Servitou 


Servitù 


Servitore 


Seu 


Seu 


Sego 


Set, sey 


Sé 


Sete 


Soufri 


Suffrì 


Soffrire 


Soun 


Sun 


Suono 


Soul 


Sulu 


Solo 


Sousto (a la) * 


Sustu (a) • 


Al coperto 


Souto 


Suttu 


Sotto 


Sua 


Sila 


Sudare 


Suffouca 


Suffucà 


Soffocare 


Superiou 


Sussa 


Superiore 


Sussa 


Succiare 


Tacheto 


Stacchetta * 


Bulletta 


Tacouna 


Tacunà 


Rattoppare 


Tapa 


Tapà 


Tappare 


Tapero, tapeno 
Tastoun (de) 


Tapanu 


Cappero 


Tastun (a) 


Tastoni (a) 


Taulasso 


Tavolassu 


Tavolato 


Te (pron.) 


Te 


Ti 


Teisse 


Tesce 


Tessere 


Tempourlu (per) 


Tempuju (a, per) 


Di buon'ora 


Xeni 


Tegni 


Tenere 


Terren 


Terren 


Terreno 


Terrino 


Terin-a 


Zuppiera 


Tetino 


Tettin 


Mammella 


Teu (agg.) 


Teù 


Tuo 


Tian 


Tian 


Tegame 


Touca 


Tucà 


Toccare 


Torse 


Torce 


Torcere 


Toumba 


Tumbà 


Cascare 


Toun 


Tun 


Tono 


Tourmenta, trumenta 


Turmentà, trumenta 
(corUcui.) 


Tormentare 


Tourna 


Tuma 


Di nuovo, da capo 


Tourtéiróu * 


Turtajeù ♦ 


Imbuto 


Toussi 


Tusci 


Tossire 


Traidou 


Treitii 


Traditore 


Tran-tran * 


Tran-tran * 


Corso ordinario delle fac- 
cende, consuetudini, ecc 


Trepa ♦ 


Trepà • 


Ruzzare 


Tron 


Trun 


Tuono 


U (Del/in., art il, la) 


U (gen., art. il, lo) 




Usa 


Usa 


Usare 


Vaisselier 


Vascellèa 


Piattaja 


Vanta 


Vanta 


Vantare 


Vapou 


Vapù 


Vapore 


Vautres 


Vuiatri 


Voi altri 


Veire, Vei 


Vei 


Ieri 


Veirier • 


Ve» 


Stovigliaio 


Verni ssa 


Vernixà 


Verniciare 


Vertader 


Vertadeu 


Verace 



— Ili — 



Voci 


provenzali 


Voci genovesi 


Significato italiano 


Vezin 




Vexin 


Vicino 


Vezinat 




Vexinatu 


Vicinato 


Vin 




Vin 


Vino 


Vilan 




Villan 


Villano 


Vira 




Virò 


Virare 


Voua 




Vena 


Vuotare 


Vouga 




Viigà 


Vogare 


Zoun-zoun * 


Zunziiru * 





Questo elenco di vocaboli, che non volli allungare, dimo- 
stra principalmente un fatto : che Provenzali e Genovesi parla- 
rono quasi allo stesso modo il volgare latino : rammenta poi, 
con parecchie analogie singolari tra Tuno e l'altro idioma, in 
ispecie tra il genovese e i dialetti guasconi, V antica e lunga 
convivenza dei Liguri con gli Iberi nella regione posta tra il 
Rodano e i Pirenei, perciò chiamata dagli antichi geografi Ibero- 
Liguria. 

Ma pochissime delle voci germaniche e celtiche proprie del 
genovese si trovano nel provenzale, ed anco le pochissime sono 
probabile importazione genovese o francese. 

« Le provengal - scrisse Littró ^ - ne laisse plus aux mots 
« leur ampleur primitive : il les resserre, il diminue la variété 
« de leurs désinences. C'est le latin de ce còté-ci des monts, 
« car c'est toujours du latin, et le fond est aussi intact que de 
€ l'autre coté, mais la forme en a été notablement modifiée. Le 
« latin n'a pu supporter un si lointain déplacement sans prendre 
« un autre air qui le rendrait étranger dans sa vieille patrie 
* s'il y reparaissait, il n'a pu changer de climat sans éprouver 
<( ce qu'éprouvent tous ceux qui en changent, c'est-à-dire une 
«mutation dans sa constitution. Mais le séjour où les événements 
« l'avaient conduit, quelque différent qu'il fùt du séjour origi- 
ne naire, était adossé à ces montagnes dont l'autre versant voyait 
<( se dérouler les campagnes italiques, et ne s'avangait pas à 
« perte de vue dans les profondeurs de l'occident gaulois. Aussi 
« la langue d'oc, malgré ses dissemblances, a-t-elle encore un 
<c certain aspect latin qui ne jure ni avec l'italien, ni avec l'espa- 
« gnol : la teinte latine est moins marquée sans doute, mais n'est 



* V. scherzevole dinotante il suono del violone, violoncello, ecc. 

* Histoire de la langue fran^aiscy Paris, Cidier, 1813, voi. II. 



— 112 — 

« aucunement effagée. Le voisinage se fait sentir avec toute sa 
< puissance : cette Gaule Narbonnaise, cette « Province » par 
« excellence, devenue la Provence, se distinguait à peine, au 
* dire de Pline, de l'Italie elle méme: Tassimilation était grande: 
« mais le lien avec Rome une fois rompa, une physionomie spó- 
« ciale s'empreignit dans ces contrées : elles ne furent plus 
« autant italiennes, elles furent davantage gauloises, mais gau- 
^ loises intermediai res. On remarquera, ce qu'il n'est pas su- 
« perflu de noter, que les patois de cette région inclinent aux 
« Alpes vers Titalien, aux Pyrénées vers Tespagnol, comme le 
« veut la règie des rapports et de la gradation ». 

Citai questo passo dell' illustre scienziato, un poco per ap- 
plaudire me stesso dell'opera mia : perocché se a Littré fossero 
stati noti il piemontese, e in ispecie il genovese, non avrebbe 
scritto del provenzale quello che scrisse, ma confermato ciò che 
detto avea poco prima, che cioè : « il est constate que les 
4c teintes des langues se succédent sans éprouver ni saut, ni 
4c brusque interruption » . 

Se non che una grave differenza esiste tra il genovese ed 
il provenzale: Vaccent francese che, perfetto nel primo, manca 
al secondo. 

« Cette inaptitude - dice Agostino Thierry ^ - à prendre 
« Taccent franQais, si opiniàtre chez nos compatriotes du midi, 
« ne pourrait-elle pas servir à marqucr la limite commune de 
<c deux races d'hommes anciennement distinctes ? > 

Manca in effetto al provenzale il dittongo eu, dicendo esso 
biou, bov, bou per bo3uf francese, beu genovese; cor per 
ccBur francese, cheu genovese: fioc, foc, fuec per feu 
francese, feugu genovese; logo, luec per lieu francese, 
leugu genovese, ecc., come gli manca la pronunzia dello j fran- 
cese zz: X genovese, davanti a vocale, salvo, in qualche pro- 
vincia, a mutarla in dze o tse, come i Piemontesi. 

Questa circostanza mi conduce a trattare delle relazioni 
tra l'idioma genovese e il francese. Premetto una dichiarazione: 
che io parlo del genovese popolare, e occorrendo, anche del 
contadinesco, perchè molto più puri, rispetto airaiitichità, del 
linguaggio cittadinesco : e mi piace, a questo proposito, di ci- 

' Lefti'es sur Vhistoìre de Francey Paris, Fumé et C, 1859. 



hL. 



— 113 — 

tare ancora Littré : ^ « Platon, poéte s'il en fut, Platon qui 
4c n'aimait pas le peuple, Tappelle son " maitre de langue ". Je 
*< penso, avec L. Courier, que le langage populaire renferme une 

< foule de locutions précieuses marquées au coin du vrai genie 
« de la langue, et qu'on ne saurait trop étudier ... Le peuple 

< est le conservateur suprème de la langue, ou du moins c'est 
« chez lui qu*il se perd le moins de la tradition antique, e est 
« chez lui que le travati de décomposition se fait le plus len- 
« tement sentir. D'où vient cotte faculté qu'a le peuple de con- 
* server plus fidèlement et plus sùrement les forraes de la 
« langue? De son grand nombre: plus le nombre est considé- 
4c rable plus il y a de chances pour que rien ne soit oublié ou 

< perdu, tandis que dans le langage des classes de ceux qui 
« ócrivent, Tapport total est bien moindre, et par conséquent 
« les pertes bien plus fréquentes ». 

Prendendo adunque a discorrere delle relazioni che cor- 
rono tra la lingua francese e la genovese, lascerò stare i tempi anti- 
chissimi, mettendo da parte il celtico, di cui forse rimane traccia 
più considerabile nel genovese e nel comasco che nel francese : ^ 
questo, eccettuate le quattrocento incirca voci germaniche en- 
tratevi al tempo delle invasioni barbariche, e non molte altre 
di provenienza diversa, è latino, come latino è il genovese, tolta 

una quantità, anco minore, di voci celtiche, germaniche e se- 
mitiche, accresciuta però dalle voci germaniche che ha comuni 
con l'italiano. Ma riguardo al genovese convien prima notare 
quanto segue: 

Quattro suoni distinguono nettamente la genovese dalla 
pronunzia latina e dalla toscana, quelli cioè: 

V della vocale u, che in genovese è sovente stretto o 
turbato, come l'hanno i Francesi ; 

2° della consonante x, davanti a vocale, che in geno- 
vese ha r identico suono della / francese, ^ diverso per conse- 
guenza da quello della x latina, composta delle lettere e e s; 



» Op. cit, voi. II. 

* Non vo' lasciur di dire che la notevole corrispondenza che si osserva 
frequentemente tra voci dello linj^ue celtiche odierne con quelle antichissime 
rimaste nel genovese e nel comasco, proverebbe che le dette hngue sono an- 
cora abbastanza conformi alla ling-ua celtica antica. 

* Dice Littré che è lo tot fenicio. 



— 114 — 

3^ dei dittonghi eu ed ou. 

Un altro suono distingue la genovese dalla pronunzia to- 
scana (parlo soltanto degli elementi del linguaggio) ed è quello 
del dittongo ce: questo il genovese ha comune col latino (ce, 
come in ae g e r, a3 1 as, aflSne al greco ai) e lo pronunzia come in 
e tè, me, nel modo stesso con cui dovevano pronunziarlo i La- 
tini, cioè come un' e molto aperta e prolungata, pronunzia di 
cui restò traccia nel romanesco odierno in cui pronunziasi, per 
esempio, Caesar, Cesare, con un* e quasi duplicata. 

La pronunzia dell'in turbato e quella del dittongo eUy il 
genovese ha comune col piemontese, col lombardo e con la 
lingua francese; il dittongo ou è assolutamente genovese: la 
X j è comune al genovese e al francese : si sente in poche 
parole lombarde, in nessuna piemontese; ^ il dittongo ce è co- 
mune al genovese e al francese in cui prende forma e suono 
di una e aperta /'frè genovese si pronunzia come il francese 
frère), si sente pure in alcune parole piemontesi e lombarde. 

Quanto al dittongo ou, esso si è formato, quasi di certo, 
dall'alterazione delle voci latine terminate in -atum, ecc., che 
già dissi di sopra avere il genovese finite in -au prima, in -ou 
dopo: e ne è prova il fatto che nessun altro idioma ligure ha 
Vou, e che nella stessa Liguria cotesto dittongo è limitato al 
centro di essa ; le terminazioni in -ou, mutandosi in -ao in 
buona parte della Rivi<u-a di ponente, ed in -eu neirestreraa 
parte di quella di levante. 

Un quinto suono ha il genovese, che non hanno il latino, 
il toscano, e lo stesso lombardo: quello della n, che l'Ascoli 
chidimai faucale. Nelle voci latine terminate in -ana, -erta, -ina, 
'Ona, -una, accettate dal genovese, la n dell'ultima sillaba fu, 
quasi per legge organica , attratta dalla precedente vocale 



* Il Gavuzzi, autore di un recente ed assai preg'evole Vocabolario pie~ 
moììfesp'ifaliano (Torino, Roux, 1891) dice nel trattatollo di ortografia pre- 
messogli che la z piemontese ha il suono del gè, gi, francesi innanzi alle 
vocali e ed /, e cita: piemontese zi g-ó, francese gigot, zibiè = gibler, eco* 
Aggiunge che la z piemontese ha il suono dell'y francese ^innanzi a tutte 
le vocali, e cita: piemontese zalòn = francese jalon: non si poteva dare 
prova migliore dell'impossibilità in cui sono, naturalmente, i Piemontesi 
di pronunziare il francese gf*, gi innanzi delle vocali e, i e lo j francese 
innanzi a tutte le vocali. Né più facile è per essi la pronunzia del eh fran- 
cese innanzi alle vocali, e dello se italiano innanzi all'^ ed all'i. 



— 115 — 

accentata, e staccata dalle finali a singolare, od e plurale, le 
quali furono pronunziate sole, ma con suono muto, che meglio 
sarebbe detto smorzato: 

arena = aen-a, aen-e fortuna r= furtun-a, furtun-e 

bona = bun-a, bun-e lana = lan-a, lan-e 

spina = spin-a, spin-e 

Questo carattere fonetico è comune al piemontese e al francese: 

arène fortune 

bonne laine 

épine 

nelle quali voci Ve muta finale non si fa sentire di più della 
finale a genovese e piemontese, dato il suono, naturalmente 
più aperto, dell'a medesima, ed è suono che, unito a quelli 
deir^, deirw, e delle x o j, rivela leggi del linguaggio li- 
gure preesistente al latino, le quali il latino stesso non valse a 
sopprimere. 

In efl*etto, i tre ultimi suoni trovansi in molte voci geno- 
vesi non derivate dal latino, e per quello della n faucale basti 
citare s e h e n - a zz schiena, che Diez trae dall'alto antico te- 
desco skina, voce conservata tal quale nel piemontese. 

Perchè poi manchi ai Piemontesi il suono dello j ò ìp, e 
quello dello se, ed ai Lombardi il suono della n faucale, non 
è qui il luogo di ricercare. 

Or pigliando le mosse dal tempo in cui gli idiomi celtici, 
francese e genovese, si trasformarono in uno speciale latino 
volgare, ricorderò d'aver già fatto notare la conformità o la 
diversità del modo seguito nella trasformazione stessa dal ge- 
novese a confronto del francese: gioverà tuttavia di riassu- 
mere quelle note. Francese e genovese trovaronsi d'accordo 
a pronunziare se, si, i Latini e ce =: ccelum, ce :::=: cena, 
ci rm ci 711 s. Ho già accennato alla possibilità di un' identica pro- 
nunzia latina, però ristretta a talune provincie, come la Gallia 
e r Iberia : in effetto, il principal fondamento di questa sup- 
posizione di pronunzia è il noto passo di Ausonio, relativo a 

Venere 

Nata salo, suscepta solo, patre edita caelo 

in cui verrebbe meno il bisticcio se non si leggesse salo, solo, 
selo. Però Ausonio era gallo, onde si può arguire che la pro- 
nunzia del ce z=z se fosse gallica, e quindi ligure, e più prò- 



— 116 — 

priamente ligure-genovese, perocché il piemontese stesso e il 
lombardo dicono: eie 1, ceresa, cent, cert, ciment, ecc., 
che il genovese pronunzia si, se. 

Dirò poi donde vengono al genovese le poche parole in 
cui sono il cCy ci, all'italiana. 

D'accordo pure, salvo una lieve differenza, si trovarono 
genovese e francese nel pronunziare il ^r e lo j latini davanti 
alle vocali e, i. 



lai. 


gelu 


/•/•. 


gel 


geii. 


zeu 


» 


genu 


» 


jjenou 


> 


zenuggiu 


» 


jociim 


» 


jeu 


» 


zeùgu 


> 


juvenis 


» 


jeune 


» 


zuvenu 



II genovese, come il francese, finì in tronco tutte le ter- 
minazioni latine in -ium, -nis, -num, -nus, -onis: 

lat. jejunium />•. jeun gen, zazun 

» finis » fin > fin 

» manum y> maiu » man 

» bonus » bon » bun 

» carbonis » charbou » carbun 

e pur come il francese serbò il de e il re prefisso a molti 

verbi e nomi latini: 

lat. defendere fr. défendre gen, defende 

» destruere » détruire > destrue 

» devotio » dévotion » devuziun 

» reducere » réduire > redùe 

» remordere » remordre » remorde 

> respondere » répondre » respunde 

Come il francese, e a differenza delT italiano, il genovese 
serbò Vu latina, specialmente in molte formule iniziali: 

lat. bueca fr. bouche gen. bucca 

» bullire y> bouillir » bug^ì 

» cultellus » couteau » cutellu 

» currere » courir » curi 

» dulcis » doux » duce 

» furca » fourche » furca 

Nel corpo delle parole latine, il francese soppresse gene- 
ralmente una consonante ed avvicinò le vocali: 

lat. rotundus = reond (rond) 
» maturus = meiir (mùr) 

e cosi fece il genovese: riundu, meuiu. 

La l preceduta da un* a o da un* e sparì nelle due lingue: 

lat. alter fr. autre gen. atru 

» calidus » chaud » cadu 



• — 1 17 — 

Né mancano, tra i due idiomi, analogie puramente gram- 
maticali. Francese e genovese serbarono, in molti casi, i pro- 
nomi latini qui, se, te, che T italiano mutò in che, si, ti, esempio: 
francese « Thomme qui n'a point de but se perJ *, genovese 
4c Tommu chi nu a un fin, u se perde », italiano « l'uomo che 
non ha uno scopo si perde » - francese « je te prie », genovese 
« mi te pregu », italiano « io ti prego ». Così il francese di- 
cendo 4c je lui donnai » non distingue se ad uomo o donna, e 
Io stesso fa il genovese dicendo: «gh'ho dètu ». 

E non vale la pena di tener conto di altre minori ana- 
logie. 

Notevole singolarità del genovese è Tabborrimento della / 
unita in principio di parola ad altra consonante: nessuna voce 
veramente genovese comincia con da, fla, pia, e, i; quelle che 
trovansi nei dizionari sono di recente provenienza italiana o 
straniera. Il genovese è in ciò distinto dal francese, che con- 
servò le su dette forme latine più fedelmente dell'italiano, e 
da ciò vennero per la necessità linguistica, già indicata, le poche 
radici genovesi in ce: ceu, ceive; in ci: cian, clave, e in 
gi: gi. gè a. 

Proseguirò esaminando, brevissimamente, le successive 
trasformazioni del francese, tutte le lingue essendo, secondo 
Bossuet, soggette alla « legge del cambiamento » che è a sua 
volta soggetto a condizioni regolari. E gioverà, ad ogni buon 
fine, premettere che nel secolo xiii Brunetto Latini scriveva 
in francese il suo Tesoro, Rusticiano da Pisa, i suoi romanzi, 
e (per tacer d'altri) Martino da Canale la sua Storia di Ve- 
nezia, perchè, diceva egli, « langue francaise court parmi le 
« monde, et est plus delitable à lire et à ouir que nulle anitre ». 

L'analogia col genovese doveva allora essere notevolissima, 
specialmente del francese di Piccardia e di Normandia che, 
com'è noto, forma, con quello deirile-de-France, il tipo della 
lingua d'oil. Per esempio, il piccardo cambiava e cambia tut- 
tora il eh francese in k, dicendo uncat, unkemin, une 
kose (genovese gattu, cami n, cose), il normando invece di 
ai, che distingueva il francese Ile-de-France, roi, roine, es- 
'^roit, pois, il lisoit, que je soie, ecc., diceva e dice ei: 
rei, reine, estreit, pois, il lis eit, que j e sei e, (ge- 
novese re, regin-a, streitu, peisu, u lezeiva, che mi 



— 118 — • 

scie, ecc ), e aveir,cheit, creire, freid, saveit, veeir, ecc. 
(genovese a veì, e bèi tu, crei, freidu, saveì, veì, ecc.). 

In verità, leggendo (anche come feci io, di volo) le antiche 
scritture francesi, si rimane maravigliati trovandovi moltissime 
voci e modi che il francese moderno abbandonò quasi tutti, ma 
che sono vivissime nel genovese, per esempio awardevet 
(avardéve) per: gardez-vous, sou viegne-vou s (suve- 
gnive, ve suvegne), per: souvenez-vous, bel filleul * 
(bellu figgeu), ecc., e mi per: moi; ti per: toi; sòe (ge- 
novese so) per: sa; to, tos, toe (genovese to), per: ton, ta; 
dui' per: deux, ecc. e tutti gli articoli genovesi o, u^ (le, 
ce, cela) as, ai, (au aux) dou, du (du): persino quel Die 
(Dieu) che dura fortissimo nell^esclamazione genovese « per 
Die! ». 

Del resto, ecco un elenco di voci del francese antico con 
le corrispondenti genovesi. ^ 



Francese antico 



Aastir (irritare) 
Àbaubit * 
Abaundun * 
Aberge 

Abriver, esbriver 
Acater * 
Acointer (s') 
Acoucher (s') 



Genovese antico 
Astrià 



Accoventàse 



Genovese moderno* 

Abotìu 
Abandun 
Abergu 
Asbnd,, abrià 
Acatà 

Acucci&se 



* C'est tu metsnir, bel fllleul? 

* Qui virent e u uiren (esempio del Godefroi). Altro esempio, tratto 
dalla Legende sur le pape Grégoire le Grandy 1200-1210: 

Aprés eu vini al lit corant 

U eie vit o son enfant 

Ses cheviauz trait, e brait, e crie 

che voltato in g-enovese antico suonerebbe: 

Péu a ne vegui au lettu curando 

Unde a vi u séu fante 

A se tra i cavelli e a bragrgia e a cria 

' Le trassi da quel vero monumento linguistico che è il Dictionnaire 
de r ancienne langue frangaise et de tous ses dialecteSy du ix au xv siede, 
par Fréderic Godefroi, Paris, E. Bouillon, giunto nel 1892 alla lettera T. 
Però tenni presente anche il pregevole Glossai re de la langue d*OU (xi-xiv 
siècles) par le docteur A. Bos, Paris, J. Maisonneuve, 1891. 

Non misi nell'elenco le voci marinaresche» perocché quelle relative alla 
marina medioevalo vennero al francese dal genovese (come ammettono g'ii 
stessi Francesi) e sono perciò identiche. 

^ Che comprendo molte parole usate anche in antico. 

Delle voci segnate con asterisco trattasi nel Vocabolario etimologico. 



» ■" 


- 119 - 




Francese antico 


Genovese antico 


Genovese moderno 


Acroissance 




Cresciansa 


Adaviner, adeviner 


Adavinà 




Adormir (s') 




Adurmtse 


Adoub 




Adubbu 


Afiaiter, afeitier * (afait, tannerie) 




Afità (conciar pelli) 


A faro s 


Aforozo 




Agarder, awarder, varder* 


Aguardà 


Avardà, vardà * 


Agrum 




Agru 


A^uaitier, agaiter* 




Agueità* 


Aigue, aegue, egua, augue 




Ègua 


Aisu 




Axóu 


Alaschier, alasquier 




Allascà 


Alegier 




Alegeì 


Alegrance 


Allegransa 




Allecliier * 




Alleccà • 


Alourder 




Alluà ♦ 


Amasser 




Amasse 


Ambasseor, ambaxeur 


Ambascióu 




Amelie (arme, anima) * 




Armella • 


Amenestrer 




Amenestrà * 


Amermer * 




Amermà * 


Amirer, mirer (regarder en ge- 




Amia, mia ' 


neral) 






Amole 




Amua 


Amolier * 




Amuà 


Amotelé * 




Amottóu * 


Ancoi, ancui * 




Ancheù * 


Ane, anne 




Annia * 


Aner* 




Anà* 


Angoisser, angousce* 




Anguscià, angu- 
* scia* 


Anichier 




Aniccià 


Aor, aour 


Aora 


Alia 


Aparmain, apermeesmes (aTin- 


Amarespaerme ? 




stant, sur le cbamp) 


(a mala pena) 




Apenser (s'), apanser 




Apensàse . 


Apoindre 




Apunde 


Apointer 


Apointà 




Apresenter 
Apreuf, aprof* 


^ 


Apresentàse 
Apreùu • 


Aragier 




A ragià 


Araisuner 




Araxunà 


Arrasteler 




Arras tela 


Aréer, areì'er ♦ (régler, ordonner) 




Arélà ♦ 


Aseter 




Asseta 


Aspe (aspic) 




Aspèu 


Assi 


Assi 


Asci 


Assidi er * 




Ascidià * 


Astu* (astucieux) 




Astu* 


Ataster 




Atastà 


Ateser * 




Atesà * 


Atruver 




Atruvà 


Avanter (s') 




Avantàse 


Aveir 




Aveì 


Avete, dim. ef ève (abeille) 




Ava 


Avoyé (étre) 




Avióu (ése) 



PrancMO aatico OenovaM antico 




Axillier, asxillier • (rava^r, de- 


Axillfl? 


vaster) 




Baallier * 


Biigià- 


Badea (en) • (pour rien) 


De badda • 


Baoastre * 


Banastra 


Begude ftaverae)* 


Begudà* 
Befve 


Belesse 


Beleaaa 


Belia, belliu (bélier) 


Mentala (lai.) 


Belugue • 


Barlftgu • 


Beneìcoii 


Beneiasiun (da be- 




ueixl) 


Beaaive (bisaieul) 


Besavu 


BesoguB, besoigaier 


Bes^gnu , bes^- 
Beatietta 


Beatete 


BezJIler, beail < 


Beziggiu • 


Biau Biòu, bÌH 




Boéle, boislée (boyau, entraillea) 


Bele 


Boisìe 


BoKia 


Baacbaille ibois taillis) 


Bftacagge 


Bouter,buter(heurter,renver3er, 


BiitA- 


pousser) 




Brace 


BrasBe 


Braeeier {mouvoir les bras) 


BraasBzù 




Brenna " 


Carout-'e* 'cnrrefoun 


Caruggi» • 


CciDte (oeinturei 


CflDta 


Cenis 


Òenie 


Cose, seze (pois chiche) 


Seixau 


Cerquier, ceriti er 
Chaer 


Oazse 


Chaére, chaiére ' 


Caréga * 


Chaueatel (petit gateaii) 


Caneatrellu 


Cliappin ' 


Scappin (de caset- 




ta)» 


Chapuser, chapugear* 


CiapusBtt • 


Chevelos, chevelu 


Cavell u 


Ctioij • 


Ciò • (chiù) 


Cibole, ciboule (oignon) 

Ciller (foiietter), cillance (action 

de) 
Cince, since' (haillon, guénille) 


Cioula 

écilla(da,piggia.a) 


Cinsa " 


Cincele, sincelle ' (couain) 


Sinsfta • 


Cittiun Cittaen 




Coue 


Cua 


Compensge 


Curapanégu 


Couppette 


Cupetta 


Coure, corre (courìr) 


Cure 


Coutel 


Cutellu 


Creirc Crei 




Crenne (entaille) 


Cren -a 


Criour 


Criu 


Cruc (crochet) 


Croccu 


Croton (grotte, cacliot) 


Crotun 



N 



— 


- 121 - 




Francese antico 


Genovese antico 


Genovese moderno 


Quinte, coite (se coitier, correre. 




Cuinta (ave!, anà in) 


affrettarsi) 






Cun (avec) 




Cun (con) 

Cimelli 

Die 


Cymeaulx 




De, Diex, Die (Dieu) 


De 


Defeis 




Defeisu 


De^oler (égorger) 


Degolà 




Deie, diu, die 




Diu, die 


Demore, demuere 




Demùa 


Derer, derrer 




Deré 


Deschaus 




Descasu 


Descrovir 




Descruv! 


Desirance 


Dexiransa 




Desligier 




Desligà 


Despareil, desparegiè 




Despaegiu 


Despers 




Despersu 


Despit 




Despétu 


Desrener 




Desrenà 


Destorber 




Desturbà 


Desur 




Desurve 


Dirruer 




Derriià 


Disnal, disnée 




Disnà 


Dui ^ 




Dui (due) 


Duleir 




Dui 


Embocer * 




Tmbosà " 


Ensourdir 




Insurdi 


Esbaissier 




Asbascia 


Escalvasier • (rompre, écraser) 




Scavissà * 


Escrachier 




Scraccà 


Esffailler * (éparpiller, en norm, 
déchirer) 




Asgaià • 






Espousaiges 




Spusagge 


Espu (crachat) 




Spuu 


Estai, astai* (pieu, poteau) 




Astallà • 


Esternu 




Stranuu 


Estreit 


Streitu 




Estrie 


Stria 




Eulx (yeux) 




eùggi 


Facole 




Facula 


Faé, fée 




Foé^ 


Fazeol 




Faxou 


Fenir 




Peni 


Feur 




Feùa 


Ferir 


Firi 


Fei 


Filleul 




Figgeù 


Forceur, forcur 




Forceliiu 


Fourquefière 




Furcafera 


Freire 




Frè 


Freschume 




Frescumme, refres 
cumme 


Fresel, fresiau 




Frexettu 


Freter 




Fretà 


Genoillous (a) 




Zenuggiun (a) 


Ohier, guier 


Ghia 




Gipon, gipe 




Gipun, gippa 


Gourpil, ourpil 




Gurpe, urpe 



— 122 — 




Francese antico Genovese antico 


Genovese moderno 


Guaagnier 


Guagnà 


Grime * 


Grimia • 


Hanap * 


Gnappa * 


Igal 


Iguale 


Ja 


Za 


Joene 


Zuenu, zuene 


Kalade * (sorte de féte) 


Caladda ♦ 


Labourer 


Lauà 


Landon * 


L-'ndun^ 


Legne» leigne (bois h bruler) 


Le ne 


Lezeigne • 


Lezfc-i-e * 


Lilie 


Liviu 


Loscher, lochier* (secouer, bran- 


Locià • 


ler) 




Luciabel * 


Ceabella * 


Luisir 


Luxi 


Malfiable 


Mafiaddu 


Mandil * (petit manteau) 


Mandillu * 


Meisme, meésme 


Mèximu 


Meìtez 


Meitè 


Menestre 


Menestra 


Mermel • 


Marmellu* 


Mescle 


Mesciiia 


Meurer 


Meùià 


Mie, milhe 


Miga 


Maincier, mincier (couper en pe- 


Menissà 


ti ts morceaux) 




! dolete (petite moule) 


Moietta 


Mollier Mugl é 


Muggè 


Mourre * (museau des animaux) 


Muru* 


Muse, musette 


Mlisa 


Mussier, musse ^ 


Feminal (UU.) 


Naiche, naige 


Nèghe 


Naie, nau (non) 


Na, nae 


Nascion 


Nasciun ^ 


Netefier, netisseure 


Netezà, netezenia 


Nissun 


Niscitin 


Ni 


Ni (né) 


Nive, nivele 


Neive 


Non, neu (nage) 


Neuu 


Oisel 


Oxellu 


Om, omme 


Òmmu 


Orbet (obscur) 


Orbettu {h V) 


Orfaverie, orfavril 


Fravegu 


Pansé 


Pansa 


Parais Paraiso 




Pareli e 


Parolla 


Parpaillole (monnaie) 


Parpageùa 


Passi un 


Pascìun 


Pastisser 


Pastissà 


Paute 


Patan, pauta 


Pecchez, pechiez 


Pechè 


Peige 


Peixe 



* In vetere gallico idiomate est locus obtectus, arcanus, iter angustum, 
forsitan derivatimi a verbo gallico musser, abscondere: etym. ab a. v. germa- 
nico mùzeii; a sanscritico mush, abscondere. 



— 123 — 



Francese antico 



Genovese antico 



Peluc • (balle du blé) 

Pelukier (buqueter, picoter) 

Pertus, pertusu, pertusier 

Pescion (poisson) 

Pesteler 

Petir 

Pie 

Picun 

Poeir 

Poedté 

Poumel 

Poure (pauvre) 

Pourpe 

Prée* (prairie) 

Prou, pru 

Prouvere 

Raine (grenouille) 

Raiz, rarix 

Raìsun 

Rastel 

Rateler* (bavarder) 

Rebulet ♦ 

Recapte * 

Recorder 

Recoeuller 

Refin (laine très-fine) 

Refu 

Relent (humide, mou) 

Remuaige 

Rescons (cachette) 

Respondre 

Ressi on 

Rif et raf 

Rigol 

Robe, reube ( habillement de 

femme) 
Rober (voler) 
Roette 

Rumer (ruminer) 
Saiette (flèche) 
Sali (sale) 

Sèas (tamis), sèacier (tamiser) 
Segond 
Segurté 
Semprcs 
Seps (ceps) 

Sodai Soda 

Sue 

Tamboisser * 

Tassel Tascellu 

Tavelle * 
Tezoire 
Traitor 
Transmuer 
Treper * 
Uzance 
Veir Veì 



Genovese moderno 

Peluccu * 

Feluca 

Pertusu, pertiisà 

Pesciu 

Pestelà 

Peti 

Piccu 

Piccun 

Poeì 

Poistè 

Pumellu 

Póu (póu diau) 

Purpu 

Pré^ 

Pru 

Preve 

Réna 

Raixe, reixe 

Raxun 

Rastellu 

Ratelà^ ^ 

Rebuieu, revezeiì ' 

Recattu • 

Regurdà 

Recheùgge 

Refin 

Refiiu 

Relentu 

Remesciu 

Rescusu 

Responde 

Ressiun 

Riffe e raffe 

Riguelu 

Rooa 

Arobà 

Ruetta 

Riimà 

Saìetta 

Saù 

Seassu. seassà 

Segunau 

Segurtè 

Sempre 

Seppu 

Siicca 
Tambiiscià ' 

Tavella 
Tesuie 
Traitù 
Strani uà 
Trepà • 
iizansa 



— 124 — 

A questo elenco, tutt'altro che compiuto, di vocaboli del- 
Tantico francese, è opportuno di far seguire una nota di quelle 
voci che il francese moderno ha comuni col genovese pure mo- 
derno o che ad esso son molto affini : omettendo quelle che dal 
francese passarono, oltre che al genovese, a molti altri idiomi, 
come: toilette, soirée, pardon, rendez-vous, buf- 
fet, calembour, ecc. 



Voci francesi 1 

Abimer 

Abrégé 

Accortise 

Acheter 

Adoucir 

Adresse 

Alléclier * 

Allez e allons 

Alliés 

Alumer (ant. regarder 

fixement) 
Amande 
Anchois 
Appfiter 
Arbouse 
Auge, augct 
Arracher • 
Arranger * 

Artichaut 

Assaisonné • 

Assez 

Attraper 

Audacieux 

Aussi 

Avaler 

Bàiller • 

Balle e ballon 

Bandeau 

Barbiche 

Battoir 

Barboter 

Berceau 

Bégueule, beguinage 

BOBUf 

Beurró (poi re) 

Biais 

Biffer 



Voci genovesi 

Abimà 

Abrexé 

Accortixe 

Acatà 

Aducì 

Adressu 

Alleccà • 

Alle e al]un 

Alliè 

Alumà 

Amàndoa 
Anciùa 
Apituà 
Armun 

Argiu, argettù 
Arranca ♦ 
Arangià * 

Articiocca 

Assaxunoù 

Asse 

Atrapà 

Odaciusu 

Asci 

Avalà 

Bàn^ia • 

Bàlia e ballun 

Bando • 

Barbi xi 

Battoezu 

Barbotà 

Bersò 

Beghin-a beghinixi- 

mu 
Bèu 

Bure (pei) * 
Sbiascm 
Sbifta 



Voci italiane 

Avvilire, rovinare 

Compendio 

Accortezza 

Comperare 

Addolcire 

Indirizzo 

Allettare, adescare 

Su, orsù, via 

Alleati 

Adocchiare 

Mandorla 

Acciuga 

Allettare, adescare 

Corbezzola 

Truogolo, truogoletto 

Svellere, sradicare 

Accomodare, mettere in 
ordine 

Carciofo 

Stagionato, maturo 

Assai, abbastanza 

Ingannare, truffare 

Sfacciato, temerario 

Anche, pure 

Ingojare 

Sbadigliare 

Palla e pallone 

Cuffia da notte 

Baffi e basette 

Mestolo da lavandaje 

Balbettare 

Capanna, volta coperta 
(li verzura nei giardini 

Bacchettona , bacchetto- 
neria 

Bue 

Pera butirra 

Sbieco, obliquo 

Cancellare, annullare 



* Dello voci seg-nate con asterisco trattasi nel Vocabolario etimologico. 

* 11 genovese ha perù conservato il senso antico del francese a s B.a i - 
s n n e r scostandosi dal moderno. 





— 125 - 




Voci francesi 


Voci genovesi 


Voci italiaue 


Bijou 
Bilie 


Bixù 


Gioiello 

Palla d' avorio per giuo- 


Biglia 






care al bigliardo 


Bis 


Bixu 


Grigio. 


Bise 


Bixa 


V. m. vento non molto 
fresco, T. fam, filo d'aria 


Bisquer 


Bisca 


Borbottare dispettosa- 
mente 


Bivaquer 


Bivacà 


Serenare 


Blaguer, blague, bla- 


Blagà2^ blaga, bla- 
gheùr 


Millantarsi, millanteria, 


gueur 


millantatore. 


Bleu 


Bleù 


Azzurro, turchino 


Bloc» 


Bloccu • 




Blonde 


Blonda 


Merletto di seta 


Blouse 


Blusa 


Camiciotto 


Boite 


Bueta 


Recipiente per tabacco 
Zuccnerino e scatola per 


Bonbon e bonbon ni ère 


Bumbun e bumbunèa 






dolci 


Bonnet 


Bunettu 


Berretto di panno 


Border 


Borda 


Orlare con gallone , 
trina, ecc. 


Bouge* 


Beùggiu 


Buco 


Boucles 


Boccoli 


Ricci 


Bourgeois 


Burxoà 


Borghese 


Boudoir 


Budoar 


Gabinetto da signora 


Bras, brasses 


Brassu, brasse 


Braccio, braccia 


Brave 


Brau, bravu 


Buono, onesto 


Brise 


Brixa 


Brezza 


Brodequins 


Brocchin 


Stivaletti 


Brout 


Brottu 


Brocco, pollone 


Brouet 


Bruvettu 


Cordiale 


Bruine, bruiner * 


Spruin, spruinA ' 


Spruzzolo, piovigginare 


Brun 


Brun 


Bruno 


Brusquembille 


Biscambiggia 


Briscola 


Ca, deca 


Ca, deca 


Qua, di qua 


Óabane 


Óabanna 


Capanna 


Cabaret 


Cabarè 


Vas-sojo 


Cabas * 


Scarbassa * 


Cestone, gerla 


Cabriolet (fauteuil) 


Cabriolè 


Sedia a bracciuoli 


Cambuse e cambusier* 


Cambiisa e cambiisé 
(V. m) 


Dispensa e dispensiere 


Cancan 


Cancan 


Chiasso, scandalo 


Canot 


Canottu 


Lancia 


Capeliue 


Capellin-a 


Cappellino da signora 


Capot 


Capottu 


Cappotto {voce d'uso) 


Centime 


Centi mmu 


Centesimo 


Chagriner 


Sagrinà, sagrinàse 


Accorarsi 


Chaniier 


Ciarnè (V. m.) 


Tina con acqua da bere 
sulla coperta delle navi 


Charnière 


Ciarnèa 


Cerniera 


Chemiuée 


Sciamine 


Luminello (del fucile) 


Chicane 


Scicanata 


Furberia, inganno 


Choc * e choquer * 


Cioccu e cioccji * 


Suono e render suono 


Chòmer ♦ 


Ciomà • 


Oziare 


Chuchoter 


Ciccioà 


Bisbigliare 


Cible 


Sibbla 


Bersaglio 



— 126 — 



Voci francesi 

Citron • (limone) 

CoBur 

Collet 

Commode 

Gomme il faut 

Complot e comploter 

Compotier 

Comptoir 

Confectionner 

Confire 

Confiture 

Congé 

Console 

Coque 

Cotolette 

Cotiser (se) 

Couchette 

Coulisse 

Courir 

Cracher 

Creux de la main 

Crier e cri 

Crochet 

Croquant 

Croùton 

Crù 

Dame-jeanne 

De (art) 
Débarrasser 
Découvrir 
Décrocher 

Décrotteur 
Défendre, défendu 

Dógoiser 
Degagé r, degagé 

Dégourdir, dégourdi 

Délabrer, dolabre 



Voci genovesi 



e com- 



Cetrun * 

ChiMÌ 

Colletta 

Comò 

Comifò 

Complotta 

plottà 
Compostèa 
Contòar 
Confeziona 
Cunféze 
Cunfitiia 
Cungè 
ConsoF 
Cocca * 
Cuteletta 
Cotizase 



Cuccetta 

Culissa 

Curi 

Scraca 

Creuzu da man 

Cria e Criu 

Curcettu 

Crocante 

Crutun 

Criiu 

Damixan-a 

De (art) 
Desbarassa 
Descruvi 
Scruccià 

Decretteùr 

Difeisu e nel contado 

defeisu 
Desgosciàse 
Desgaggià e desgag- 

ginou 
Degurdi, degurdiu 

Delabré 



Déloger {ant. desloger) Deslogiu 

Démanger e déman- Smangia e sman- 

geaison giaxun 

Démàter Desmatà (V. m) 

Démordre Demorde 

Depuis peu Dappeìi (in qualche 

caso) 

Dernier Deré 

Derrière Deré 

Deshabillé *Desabiglié 



Voci italiane 

Arancia 

Cuore 

Collaretto, bavero 

Cassettone, canterano 

Come si conviene 

Congiura, trama, e con- 
giurare, tramare 

Ciotola da guazzi 

Banco 

Fare, fabbricare 

Confettare, crogiolare 

Confetto 

Congedo 

Mensola 

Guscio dell'uovo 

Costoletta ' 

Contribuire, dare la prò 
pria quota 

Letticciuolo di bordo 

Scanalatura 

Correre 

Sornacchiare 

Concavo della mano 

Gridare e grido 

Gangherello 

Croccante {voce d* uso) 

Prigione militare 

Crudo 

Damigiana (voce poco u- 
sala) 

Di (art.) 

Sbarazzare 

Scoprire 

Sgrillettare (armi da 
fuoco) 

Lustra scarpe 

Proibito 

Ciarlare, spiattellare 

Sciogliere, e svelto, spi- 
gliato 

Svegliare, riscuotere, in- 
telligente, astuto 

Male in assetto, in cat- 
tivo stato 

Chi non sta a casa, chi 
va girando 

Prudere e prudore 

Disalberare 
Desistere, cessare 
Dopo poco 

Ultimo 
Dietro 

Abito negletto portato in 
casa dalle signore 





— 127 - 




Voci francesi 


Voci genovesi 


Voci italiane 


Dessus ^ 


Desciù * 


Di sopra 


Détail 


Dettaglia 


Particolarità, vendere al 
minuto 


Détaper 


Destapà 


Sturare, stappare 


Difficulté, difficile 


Difficulté, difficile 


Difficoltà, difficile 


Donc 


Donca (V. pop. e 
contad.) 


Dunque 


Doux, douce 


Duce 


Dolce 


Douze 


Duzze 


Dodici 


Draps 


Drappi 


Panni 


Dm* 


Druu * 


Grosso, contrario a sottile 


Du (art.) 


Du (art.) 


Del 


Écurer * {ani. escurer) 


Scuà* 


Pulire, strofinare, special- 
mente stoviglie 


Echalote 


Scialotta 


Scalogno 


Echantillons 


Sciantigliuin 


Pizzi, fedine 


Embarcadère 


Imbarcadero 


Luogo d'imbarco e sbarco 
nei porti 


Enceinte 


Incenta 


Circuito chiuso in qual- 






siasi modo 


Entrailles 


Ventraggi 


Interiora 


Entrebàiller 


Imbagià 


Socchiudere 


Epicier • 


Spezia * 


Speziale e droghiere 


Escamoter , escamot- 


Scarno ttà e scamot- 


Fare sparire, giocolatore 


teur 


teur 




Escopette (V. ani.) 


Scciùpetta 


Fucile da caccia 


Étagère 


Etaxó 


Scaffale 


Denicher 


Desnià 


Snidare 


Facon 


Fassun 


Maniera 


Faction e factionnaire 


Faziun e faziune 


Lo stare in sentinella, e 
il soldato che vi sta 


Fade 


Fattu 


Sciocco, insipido 


Fainéant 


Feneàn 


Scioperone 


Fée 


Foé 


Fata 


Fièvre 


Frove 


Febbre 


Fil 


Fi- 


Filo 


Filets 


Filetti 


Schienali 


Filoselle 


Fi osella 


Filaticcio di seta 


Filou 


Filun 


Volpone, scaltro 


Flacon 


Flacon 


Boccetta 


Fou, fau (fouteau) 


F6 


Faggio 


Foiiet 


Fuettu 


Frustino 


Fouine 


Fuin 


Faina 


Fumèe 


Fiimme 


Fumo 


Framboise 


Framboase 


Lamponi 


Frère 


Frè 


Fratello 


Fricandeau 


Fricandò 


Sorta di stufato 


Frise 


Frixu 


Fregio 


Froisser, froissò * 


Fruscia, fruscioù • 


Nojare, inquietare 


Frotter 


Fretà 


Fregare, strofinare 


Galopin 


Galopin 


Ragazzo mandato a far 
commissioni 


Garerote 


Garerotta 


Bettolaccia 



* Usato dai Genovesi, come dai Francesi, nello frasi étre au dessus, 
avolr, prendre le dessus. 





— 128 — 




Voci francesi 


Voci genovesi 


Vo(;i italiane 


Gazeuse 


Gazeus' 


Acqua gasosa 


Gèmir 


Zemi 


Gemere 


Gendarme 


Xandarme 


Guardia di polizia 


Géner e gène 


Gena e gèna 


Incomodo, soggezione e 
incomodare, mettere in 
soggezione 


Gigot 
Gilet 


Gigottu 
Gilè 


Cosciotto di castrato 


Ck)rpetto 


Giace (s. f.) 


Glassa, {s. f.) 


Ghiaccio 


Griffe • 


Grinfia * 


Artiglio, zampa 

Far Te boccucce, i visacei 


Grimace 


Grimassa (fa e) 


Gobelet • 


Cubellettu, gubel- 
lettu ♦ 


Pasticcino 


Gogò* 


Gòghin • 


Luogo in cui uno si trova 

bene 
Strisce di cuojo che an- 


Gourmette 


Grumette 






nodate sotto il mento 






tengono ferma la coper- 






tura del capo 


Guéridon 


Ghirindun 


Tavolino da notte 


Guides 


Guidde 


Redini 


Guidon 


Ghidun 


Gagliardetto, banderuola 
Ceffo, grinta 


Guigner 


Ghigna 


Guignon * 


Ghignnn * 


Ripugnanza e mala sorte 


Ingambe 
Jabot 


tlse in gambe 


Sentirsi forte 


Xabò 


Gala, guarnizione di ca- 






micia 


Jambon 


Xambun 


Presciutto 


Jalons 


Xaloin 


Bastoni da livello 


Japper * 


Giapà ' 


Parlare molto, e legger- 
mente 


Jaque, jaquette 


Giacché, giacchetta 


Giacca, giubbetto 


Jatte 


Xatta 


Scodella 


Jeudi 


Zeùggia 


Giovedì 


Laisse (des chiens de 


Lascia 


Levriere 


chasse qui vont en 






laisse) 






Lait 


Lète 


Latte 


Laitière 


Leitèa 


Lattaja 


Laiton 


Latun 


Ottone 


Laitue 


Lei tuga 


Lattuga 


Lambris 


Lambrin 


Fregio dalla parte infe- 
riore dei muri 


Lessive 


Lescia 


Ranno 


Lòvre 


Lerfu, lerfe 


Labbro 


Li erre 


Lélloa 


Edera 


Lievre 


Levre 


Lepre 


Linceul 


LensrHì 


Lenzuolo 


Locher 


Locià 


Tentennare per i solidi, 
guazzare per i liquidi 


Loup 


Lù 


Lupo 


Lumière 


Liimèa 


Lucerna 



' È propriamente l'abbajaro dei cani, perù si usa fìg. per « crialler, dirti 
d'une facon bruyante *. 





— 129 — 


Voci francesi 


Voci genovesi 


Malheur 


Maleur 


Maman 


Marna 


Manant 


Manente 


Marin 


Maren 


Marmelade 


Marmelata 


Marmi te 


Marmitta 


Méfiant 


Màfiaddu 


Menu 


Meniiu 


Meuuaille 
Meule 


Menuaggia 
Meùa 


Miche, Michette 


Mìcca, micchetta 


Moelle 


Móula 


•Moiré 


Moaré 



Motte 



Mottu 



Monture 


MòtUa 


Moustache 


Mustasci 


Mousser 


Mussa 


Negligé 


Neglixé 


Neveu 


Nevu 


Nicher (se) 


Anicciàse 


Nièce 


Nessa 


Ni 


Ni 


Nu 


Niiu 


CEuf 


eùvu 


Officieux 


Officieù 


(Kuvre 


eùvia 


Onze 


iinze 


Oreiller 


Oégé 


Orfévre 


Fravegu 


Ouate 


Uéta 


Ouie, (5. f.) 


Udia e nel coni, Uia 




{s. f.) 


Pacotille * 


Paccotiggia 


Pays, paysan, ecc. 
Palmier 


Paise, paisan 


Parme 


Papier 


Pape 


Papillotes 


Papigliotte 


Passementier 


Passamanté 


Patte 


Patta 


Pendant 


Pandan 


Pendants d'oreilles 


Pendin 


Pendeloque 


Pendaloccu 


Pensée 


Pansé 


Pepinière 


Pepinèa 


Perruquier 


Periicchè 


9 





Voci italiane 

Male 

Mamma 

Colui che coltiva il po- 
dere altrui, e divide i 
frutti col padrone, mez- 
zadro 

Marinaro 

Cotognata 

Pentolona 

Diffidente 

Minuto 

Moneta minuta 

Mola 

Pane alla francese 

Midolla 

Marezzato (panno 
drappo) 

Zolla, pezzo di checches- 
sia spiccato dalla sua 
massa 

Molenda 

Baffi, mustacchi 

Spumeggiare 

Aoito negletto, da camera 

Nipote (masch.) 

Mettersi in un cantuccio, 
come entro un nicchio 

Nipote (femm.) 

Né, non 

Nudo 

Uovo 

Cerino che accendono in 
chiesa i ragazzi nel dì 
dei morti 

Opera 

Undici 

Guanciale 

Orefice 

Ovatta 

Udito, sentimento, da 
suono 

Paccotiglia (i?oce delVuso) 

Paese, paesano 

Palmizio 

Carta 

Diavoletti (ricci avvolto- 
lati in cartucce) 

Passamantajo 

Zampa 

Riscontro, corrispondenza 
di parti 

Orecchini 

Pendolo, ciondolo 

Viola del pensiero 

Semenzajo 

Parrucchiere 



— 130 — 



Voci francesi 
Peter 

Pétiller 

Piaffer 

Piqué 

Pirouette 

Pitance 

Piacer 

Plafond 

Planche 

Plaque 

Poéle 

Pompe e pomper 

Pompon 
Ponceau 
Pouf (faire un) 
Poupon e pouponne 
Pourlécher (se) 
Prepose 
Presse papier 
Puree 

Quatorze 

Qui 

Quincaille e quincail- 

lier 
Quinzaine 
Quinze 

Quitter, quittes 
Ra^oùt 
Raide, roide 

Raison 

Rance 

Ratatouille 

Rave 

Rebut 

Refin 

Refus 

Relent 

Remarquer 

Remplacer 

Repentir (s. m) 

Ressac 

Rets (pr. ré) 

Revers e reverser 

Ribote, ribotter, ribo- 

teur 
Robe 
Róder 

Rogner 

Roud 

Ronfler 



Voci genovesi 

Petà 

Peti 

Piaflrai 

Picchè 

Piruetta 

Pitansa 

Piassà 

Plafon 

Plancia 

Placca 

Poéla 

Pumpa e pumpà 

Pumpun 

Ponsò 

Puffu (fi un) 

Pupun e pupun-a 

Perlecc&se 

Prepusó 

Pres papié 

Purè 

Quatorze 

Chi 

Chincaggia e chin- 

caggè 
Chinzen-a 
Chinze 
Chità, chitti 
Ragò 
Redenu e réudu nel 

contado 
Raxun 
Ranciu 
Ratatuia 
Rava 

Rebiittu e rebù 
Refin 
Refiiu 
Reientu 
Remarcà 
Rimpiassà 
Repentiu (s. m.) 
Resacca 
Rè 

Reversu, reversft 
Ribotta, ribotta, ri- 

botteur 
Roba 
Rondezà 

Ruggià 
Riundu 
Runfà 



Voci italiane 

Prqp. scoppiare, fig. mo- 
rire, ma è modo basso 

Crepitare, scoppiettare 

Scalpitare 

Basino, trapunto 

Giravolta 

Pietanza 

Collocare 

SofB4;to 

Tavola e incisione su ra- 
me, legno, ecc. 

Piastra 

Padella 

Tromba d' incendio e 
trombare 

Nappa 

Rosso vivissimo 

Far un debito 

Bambino e fluitoccino 

Leccarsi : fig. compiacersi 

Gabelliere 

Calcafogli 

Vivanda di legami di- 
sfatti 

Quattordici 

Che 

Chincaglie e chincagliere 

Quindicina 

Quindici 

Lasciare e far quitanza 

Stracotto 

Rigido, inflessibile 

Ragione 

Rancido 

Rimasugli mangerecci 

Rapa 

Scarto, rifiuto 

Lana sopraffine 

Rifiuto 

Notare, osservare 

Sostituire 

Pentimento 

Risacca (T. mar.) 

Rete 

Rovescio e rovesciare 

Gozzoviglia, gozzovigliare 

Il vestito donnesco 
Aggirarsi intorno a chec- 



chessia 



Rodere 

Tondo, rotondo 
Russare 



^ 



— 131 — 



Voci fìrancesi 


Voci genovesi 


Voci italiane 


Rosee 


Rosa 


Rugiada 


Rouleau 


Ruló 


Ruotolo 


Saisir 


Sex! 


Sequestrare 


Saoul 


Saulu 


Satollo 


Sas, sasser 


Sìasu, sìassà 


Staccio, stacciare 


Savate 


Savatta 


Ciabatta 


Saveur 


Savù 


Sapore 


Savon 


Savun 


Sapone 


Se (pron) 


Se (pron.) 


Si (pron.) 


Second (pr. se-gond) 


Segundu 


Secondo 


Seize 


Sezze 


Sedici 


Soeur 


SeÙ 


Sorella 


Son 


So 


Suo 


Sortir 


Sciurti 


Uscire, andar fuori 


Soubresaut, soubre- 


Resatu, resat& 


Scossa, sussulto, riscuo- 


sauter 




tersi, sussultare 


Sucer 


SÙSS& 


Succhiare 


Suer, sueur 


Siift, sùù 


Sudare, sudore 


Tabouret 


Taburé 


Piccolo sedile 


Terrine 


Terin-a 


Zuppiera 


Terraille 


Teraggia 


Vasellame di terra 


Tetin, teton 


Tetin 


Mammella 


Timbrer 


Timbra 


Bollare 


Tire-bouchon 


Tirabiisciun 


Cavatappi 


Tornate ♦ 


Tumata • 


Pomodoro 


Tomber 


Tumbà 


Tombolare , cascare col 
capo airmgiù 


Ton 


To 


Tuo 


Toupet 


Tupé 


Ciocca di capelli, accon- 
ciatura 


Tout de bon 


Di, fa, da bun 


Dire far sul serio 


Trantran * 


Trantran • 


Modo ordinario di con- 
durre taluni af&ri, e 
anche di vivere 


Travail, travailler 


Travaggiu , tràvag- 
già 


Lavoro, lavorare 


Treize 


Trezze 


Tredici 


Trinquer 


Trinca 


Bere ingordamente, trin- 
care 


Trogne * 


Trugnu, trugnellot- 

tu * 
Tròsse * 


Grasso, paffuto 


Trousse ^ 


¥ 


Truffe 


Triffolo 


Tartufo 


Venin 


Venin 


Veleno 


Viande * 


Vianda * 


Pasta casalinga 


Vis-à-vis 


Visavì 


Rimpetto, in faccia 


Vrille, vriller * 


Verin-a, verinà • 


Succhiello, succhiellare 


Vaisselier 


Vascelèa 


Piattaja 



Vediamo adesso che costrutto s'abbia a cavare dagli elenchi 
di voci su riferiti, e da tutto quanto son venuto esponendo in- 



^ Nella frase « aùx trousses », che vale : « à la poursuite », usata in ge- 
novese con lo stesso significato: « sta ae trosse d'un », « levàse un dae trosse ». 



i 



— 132 — 

torno alle relazioni fra gli idiomi genovese e francese. Su- 
perfluo dire che l'uno e Taltro essendo figli del volgare latino 
e comune avendo, quasi in tutte le parti, la grammatica, coteste 
relazioni non possono dar luogo ad alcuna grave questione lin- 
guistica. Certamente, tra il francese antico e il genovese antico e 
moderno, l'affinità fu ed è più stretta: che se il primo, e non il 
secondo, avea conservato due dei sei casi latini, l'affinità stessa 
era, malgrado ciò, dimostrata specialmente dalla comunanza 
degli articoli e dei pronomi. In ogni caso, anticamente come 
oggidì, la grammatica francese era ed è più conforme alla ge- 
novese che all' italiana. « La francese -r scrisse il Giordani - 
4c è lingua sorella e nemica dell'italiana: sorella nell'origine 
< e somiglianza dei vocaboli, nemica nel giro delle frasi e dei 
«costrutti». Al contrario, chi prenda in mano le prime Me- 
morie della storia di Francia, Geoffroy de Ville Hardouin^ 
il Sire di Joinville, ecc., non avrà che a tradurre quasi parola 
per parola il testo francese per avere un genovese perfetto. Le 
stesse antichissime poesie francesi si prestano alla traduzione, 
pressoché letterale, in genovese. Citai già un breve passo della 
Legende sur le pape Grégoire le Grand: riapro a caso il libro, 
e trovo il seguente passo del romanzo o Chanson de geste di 
Girart de Rossillon, appartenente al secolo xii o xiii (la moglie 
di Girart gli chiede « estes haitiés?)» ^ 

Nenil, dit-il, ma suer, je suis trop maltraités, 

Je suis ung pou navrés, - mas de ce ne me chant; 

Jamais jour n'aurai joie, face froit face chaut; 

Je croi de mon gran deul par tout le mont parie on. 

Je me suis combatus au felon roi Charlon, 

J'ai perdu mes amis, j'ai perda toute terre, 

Quar^ presque tuit mi hom m'ont fallii en ma guerre. 

Mon bon neveu Guibert hai bui veti occire; 

Jamais de si grant deul uè puis que me consire. 

Mon bon neveu Fourcon, moi voyant, Fon a pris : 

Que voulés que vous die? Li rois en a le pris. 

Ma passiamo a più grave argomento. Lessi in un libro di 
filologia, non rammento più quale, che la comunanza tra due 
lingue dell'a privativa greca, prova l'affinità loro assai meglio 

* Da hait, saluto, bene: voce germanica. 
'Da navror, forare, ferire, voce grermanica. 

* Dal latino quare. 



.~k 



— las- 
che la comunanza di cento parole : e Renan disse che la gram- 
matica è quella che costituisce l' individualità d' una lingua. 
Questo è vero, come vero è che « la formation du frangais 
« n'est point quelque chose d' isole qui se soit produit en degà 
« de la Loire et qui n'ait rien d'analogue et de congènere dans 
« les autres parties latines, membres disjoints du grand em- 
« pire. Un travail tout semblable s*est opere au delà de la Loire, 
« d'où le provengal, au delà des Alpes, d'où Titalien, au delà 
« des Pyrénées, d'où Tespagnol. Ce qui frappe, c*est la gran- 
de deur mème du phénomène philologique que Térudit doit 
« étudier. Surcet espace immense tout concorde: il suffit d*ef- 

< facer cette sorte de pellicule légère qui, soit comme forme 
« des mots, soit comme désinence, dissimulo les similitudes^ 
« et aussitót on apergoit à nu la trame, qui est la mème. Plus 
« on s*approche de Torigine, plus la ressemblance croìt, jusqu'à 
« ce qu'on atteigne le tronc latin, dont chacune de ces vastes 
« branches est sortie. Ce n'est pas seulement le vocabulaire, 
« et, si je puis dire, la provision des mots, qui est commuue 
« de part et d'autre ; mais les artifices de la nouvelle gram- 
« maire, qui a surgi des ruines de l'ancienne, ont été simul- 
« tanément inventés par des populations qui élaboraient un 
« mérae fonds sous des conditions analogues de culture. La 
« conjugation prend un caractère uniforme; les temps latins 

< qui se perdent, se perdent pour les quatre langues ; les temps 
« romans qui se créent et qui enrichissent le paradigme, se 
<f créent pour toutes les quatre. Toutes prennent Tarticle; 
« toutes laissent le neutre disparaìtre ; toutes suppléent aux 
« désinences de Tadverbe latin par une mème composition; 

< toutes adoptent à peu près les mémes mots germains; toutes 
« s'accordent pour détourner semblablement de leur signifì- 
<< cation originelle un certain nombre de termos latins 

« Les langues romanes ont pour fond le latin. Le celtique 
« dans les Gaules, 1* ibère dans TEspagne, n'ont laissé que des 
« faibles traces parmi les populations qui les parlaient avant 
« la conquéte romaine. Cette conquète fut si profonde, le poids 
« de rimmense empire assimila tellement les peuples de TEs- 
« pagne et de la Gaule, ils se laissèrent tellement captiver 
« et absorber, que leur propre idiome leur devint étranger. 
« L*influence germanique s'est fait sentir beaucoup davantage; 



— 134 — 

« et, de fait, les circons^ances avaient grandement changé, 
4( l'empire bien loin d'avoir une force de cohésion et d'absorption, 
« tombait en dissolution: la langue latine eut le méme sort, 
4c et elle s'ouvrit à bon nombre de mots allemands. Voilà les 
« trois sources, très-inégales, d'où proviennent les langues ro- 
« manes ». ^ 

Tutto ciò, lo ripeto, è vero : io però non posso a meno di 
considerare un fatto cui, per quanto mi consta, non fu attri- 
buita dai glottologi quell'importanza che a me sembra che 
abbia. Sono nell'alfabeto spagnuolo, come in quello francese 
e nei dialetti ad esso affini, taluni suoni particolari, veri carat- 
teri fonetici, che li distinguono dalle altre lingue neo-latine: 
nello spagnuolo il suono dello jota (;) e quello (che chiamerò 
balbuziente) del e innanzi alle vocali e, i: nel francese, il 
suono dell'w, del dittongo euy e dello j innanzi alle vocali. 
Qual'è l'origine di questi suoni nelle due lingue? Non lo ri- 
cercherò io, ma chiederò : la comunanza dell'n, deWeu, e dello j 
{xe genovese) tra il francese ed il genovese non potrebbe es- 
sere prova novella dell'antica affinità loro? A me parrebbe di 
si: tanto più che per parte del genovese non si tratta di sem- 
plice imitazione dei detti suoni francesi, o, per dir meglio, gal- 
lici: che anzi, proporzione fatta tra i due idiomi in ragione 
della ricchezza loro tanto diversa, il suono dell'w e deWeu ab- 
bonda più nel genovese che nel francese: in non poche voci 
nelle quali quest'ultimo adopera VoUy Veu, o altre lettere, il 
genovese usa l'w. 

arsila = ardeur nùà =i nager 

batuggia = patrouille piia = poussière 

biJtega = boutique ruzze =z rouille 

ciixi m coudre sciuscià = souffler 

fissua = fente siina m sonner 

llimassa = limacon tiittu =: tout 

miiggiu =: amas iinze = onze, ecc. 

E cotesto suono dell'io (che l'Ascoli chiama franco-ladino) 
così naturale al genovese che l'usò pure nelle voci acqui- 
ate dall'italiano: udienza, ùmanitè, ùmile, ùmù, ùnicu, 
usa, iispià, tùbu, tùguiu, tùraù, ecc. Se questo avesse sa- 



è 
state 



*LlTTRÉ, Op. Cit, voi. I. 



- 135 — 

puto il Pasquier ^ non avrebbe scritto nel secolo xvi che 

< toutes les nations de V Europe inclinent en ceste opinion 

< qu'il n'y a que notre Franco ou l'on prononce Vu comme 

< nous faisons ». Lo stesso accade délVeu. 

cheùgu = cuisinier deue = douloir (se) 

cheùscia = cuisse meùju :=: mùr 

cheùxe =z cuire reùsa = rose,* ecc. 

Anche lo xe genovese è indipendente dallo j francese e 
basti citare per tutte la voce xoà che in francese significa gioja, 
e in genovese volare. ^ 

Or a me sembra chiaro che questi suoni singolari vennero 
dalla lingua parlata dai Liguri-genovesi prima che essi aves- 
*sero imparata la lingua latina: che resistettero all'influenza 
di essa, da cui quei suoni erano radicalmente alieni, in ispecie 
il suono dell w, difficilissimo per gl'Italiani tutti, eccettuati i 
Genovesi, i Piemontesi e i Lombardi: che vivono, oggi ancora, 
di vita fortissima, nonostante la sempre crescente influenza del- 
l'italiano; che essi infine somministrano una delle prove più 
valide che i Liguri-genovesi parlarono, un tempo, una lingua 
affine alla langue d'ozi, e specialmente al piccardo e al nor- 
mando, i quali poscia cedettero, com'è noto, al dialetto del- 
l'Ile-de-France, divenuto lingua francese. Senza dubbio la lingua 
d'oil non si parlava allo stesso modo al di là e al di qua delle 
Alpi, e tra le più notevoli diflFerenze fonetiche, devesi anno- 
verare lo 5CZ pronunziato frequentemente dai Genovesi invece 
del si italiano, francese, piemontese e lombardo, pronunzia che 
fa pensare all'ebraico scibboleth, ^ 

Come poi i Liguri-genovesi, separati dai veri Francesi da 
una parte dai popoli piemontesi che non hanno, come già dissi, 
il suono dello ; innanzi a vocale, dall'altra dai provenzali che 
non hanno lo stesso suono, né quello iélVeu, abbiano conser- 
vato puro e vivissimo l'un suono e l'altro, è tal fenomeno che 

* Leftres, tom. 1. 

* Vero è che il francese antico diceva: eoe, queusse (bourg.), cheuze 
(Saint.), meur, re uso fboiirfir.). 

* Vedi Vocnb, etim.y alla voce. 

* IGalaaditi, sconfitti gli Efraimiti, obblif^avano i prig^ionieri a dire: 
scibboleth, quod interpretatur spica : ma gli Efraimiti non potendo pponun- 
ziare lo sci dicevano: sibboleth, ed erano uccisi. {Bibbia, Giud. XII). 



— 136 — 

la ragion geografica e la tenacia ligure non bastano a spie- 
gare. A questo punto, io stimo opportuno di ripetere le parole 
di un dotto francese che ho più volte citato. ^ 

« Il n'y a point de race frangaise, mais bien plusieurs 
« races parlant le frangais; point de race italienne, mais bien 
« plusieurs races parlant Titalien; point de race allemande, 
« mais bien plusieurs races parlant Tallemand ». 

Quanto a me, dico, che sarei lieto se il mio povero libro 
aggiungesse qualche argomento alla tesi scientifica della fra- 
tellanza dei popoli Indo-europei, ed in particolare dei popoli i 
quali parlano gli idiomi neo-latini. 

^ H0VELA.CQUE, Op. Cit. 



PARTE SECONDA 

CENNI SU LA GRAMMATICA GENOVESE 



Non esistendo alcuna grammatica genovese,^ pensai di scri- 
vere questi cenni brevissimi su di essa, che gioveranno a faci- 
litare, specialmente ai non Genovesi, l'intelligenza di alcune 
parti dell'opera mia. 

§ 1. Ortografia. 

1° Le lettere dell'alfabeto genovese sono ventiquattro, 
due di più dell'alfabeto italiano, cioè il e caudato (q) e la ^r : 
è necessario il primo per conservare la forma loro originale 
alle parole nelle quali è usato (^eddru, ginq uè), la seconda 
occorre per indicare un suono perfettamente identico allo je 
francese. 

2° L'idioma genovese ha tre dittonghi particolari, eUj 
oUy ed ae. Il primo è identico aìVeu francese, che ai glotto- 
logi italiani piace di chiamare o turbato. Uou è dittongo esclu- 
sivamente genovese, avuto probabilmente dal vecchio latino 
(loumen, jous) cou (cavolo), mou (moro). Conformandomi 
all'uso, che in questo caso è giustificato dalla necessità di far 
intendere a Genovesi e non Genovesi che trattasi di dittonghi, 
ho sovrapposto aìVeu ed all'ow l'accento circonflesso, non su 
Vo solamente, come oggi si usa, ma esteso cosi che abbracci 
ambo le lettere, come del resto usavano i vecchi scrittori ge- 
novesi. Il terzo dittongo, ce, ha il suono, forse alquanto più 
aperto, àeWè francese: ère, fièvre, zèle: è l'antico dittongo 
latino ai, divenuto ce al tempo dei Gracchi, quindi cambiatosi 

*n Casa-CCIa ha premesse al suo Dizionario genovese-italiano alcune 
osservazioni intorno aU* orto grafia genovese. 



^ 



— 138 — 

in un'e molto aperta: * si sente ancora nella pronunzia roma- 
nesca di Cesare (Caesar) e di altre voci, che corrisponde per- 
fettamente al suono dell'a? genovese. Le parole genovesi nelle 
quali oggi trovasi questo dittongo non sono molte : alcune ven- 
gono da vocaboli in cui Va e Ve non entravano affatto : cosi 
eoa? (voglia) che viene dal latino comedo re, faeru (ferro) 
da ferrum, sae (sete) da sitis, faen-a da farina, ecc. Non 
occorre dunque nell'ortografia genovese T uso del dittongo ce, 
bastando Taccento grave suiré a indicare il suono aperto, ed 
io cosi feci. Che se pur si volesse manifestare come Ve genovese 
abbia suono un pochino più aperto dell' é francese, si potrebbe 
munirla d'un segno speciale, però non parmi necessario di tener 
conto di cotali lievissime differenze fonetiche. L' innovazione 
da me proposta ha inoltre il vantaggio di non obbligare a frap- 
porre un' i (che non si pronunzia) fra il e iniziale e l'ae, come 
oggi avviene scrivendo cìjbu (chiaro), ciaetu (pettegolezzo), 
giaea (ghiaia) ed altre, ciò che aumenta la confusione. 

3° Io scrissi sempre u allorché il genovese pronunzia 
ic: ommu, e non ommò, bellu e non bello, butte e non 
bótte, russu e non rósso: l'ortografia in uso volle forse, scri- 
vendo ó e avvertendo che si pronunzia u, avvicinare la forma 
del genovese all'italiana, e renderlo più intelligibile; ma le 
lingue son quello che sono, e, per altro, Vu genovese è quasi 
sempre Vu latino che il toscano mutò, moltissime volte, in o. 
« Nel nostro dialetto - scrisse il Celesia* - come nell'umbro 
<c antico, nel siculo e nel sardo, predomina Vu indeclinabile 
^ sopra l'o, e l'abbondanza di questa vocale sanscritica è, a 
« nostro avviso, indizio gravissimo dell'antichità di questo lin- 
« guaggio, e quindi a stolta opera poneva le mani chi ai di 
« nostri fea prova di scambiarla con l'o nella scrittura del 
< patrio vernacolo ». 

L\c genovese, identico al gallo-italico e al gallico, che or 
si distingue con l'accento circonflesso (v) riputai conveniente 
distinguere col trema (il) per conformarmi all'uso scientifico, 

4° Nelle parole terminate con la sillaba na, la n s'ap- 

' CoussEN, Sulla pronunzia^ il vocalismo e Vaccentatura della lingua 
latina, Leipzig", 1868. 

^ BelVantichisstmo idioma dei Liguri^ per Emanuele Celesia, Genova, 
1863. 



— 139 — 

poggia alla vocale che la precede, e la vocale che segue si 
pronunzia interamente staccata, ma con suono smorzato ; oggi, 
dovendo scrivere: campana, Rosina, tana, si scrive: cam- 
pann-a, Rosinn-a, tann-a; evidentemente, una delle due n 
è di troppo, ed io scrissi: campan-a, Rosin-a, tan-a. 

5** Ho conservato l'accento circonflesso che ora si mette 
su la vocale ultima degli infiniti dei verbi: abarlùgà, abucà, 
ardì, arvì, ma mi scostai dall'uso mettendo l'accento grave, 
anziché il circonflesso, su la vocale ultima dei sostantivi 
anima, ardì, arvi: lo che era pur necessario a distinguerli 
dagli infiniti dei verbi di forma identica. 

6° Si costuma oggi, scrivendo in genovese, di raddoppiare 
le consonanti in moltissime voci, imitando le corrispondenti 
forme italiane, ma si tradisce la vera pronunzia genovese, e 
spesse volte anche l'etimologia, scrivendo: 

abbaen per abaen 

abbandunà » abaudunà 

abbarluga » abarliigà 

abbassa » abassà, ecc. 

Lessicografi e scrittori piemontesi, lombardi e provenzali, 
non caddero in questo errore, ma si attennero alla pronunzia. 
Quanto alla lingua francese, Littró * dice che « Thabitude com- 
« mune dans les anciens textes de ne pas écrire les consonnes 
« doublées qui ne se prononcent pas, et de mettre arester, 
«doner, apeler, mèrito rait d'ètre transportée dans notre or- 
tographe ». E per conto mio la trasportai nell'ortografia ge- 
novese, fuorché nelle poche volte in cui la pronunzia fa 
realmente sentire un raddoppiamento di consonanti, sempre 
però meno forte che nell' italiano. 

Qui hanno fine le modificazioni da me recate alla detta 
ortografia, anco perchè la natura dell'opera mia rendevale ne- 
cessarie : in tutto il resto mi attenni all'ortografia vigente, an- 
corché imperfetta. 

L' idioma genovese ha pur dei trittonghi : a n d i e i v u 
(andrei), amieivu (amerei), pueiva ;poteva); dei quadriton- 
ghi: rattajéu (trappola), scursajeù (scorciatoia), turtajeù 
(imbuto); infine qualche quinquetongo (?) come: lauéiu (labo- 
ratorio), élìjou (oliato). 

* LlTTBÉ, op. cit. 



— 140 — 



• § II. Del Nome. 

1^ Del genere. — Quanto al nome, la grammatica geno- 
vese segue le stesse regole dell' italiana, con le seguenti ecce- 
zioni. Rispetto al genere dei sostantivi: siccome il genovese 
confonde, alla latina, il genere dell'albero e quello del frutto, 
cosi i nomi dei frutti sono maschili, anziché femminili come 
in italiano: armun (corbezzola), briccocalu (albicocca), 
brignun (pruna), ^etrun (arancia), mei (mela), pei (pera). 
S'accosta più all'italiano il volgo dicendo: meja, peja. 
Formano eccezione il ciliegio ed il gelso che in genovese son 
femminili come alberi e come frutti, gexa, sersa. 

Quanto al conoscere il genere dei nomi dalla terminazione, 
sono maschili quelli terminati in -i ed in -w, con le eccezioni 
stesse della grammatica italiana,^ e in -an, -en, -in. I terminati 
in -nu sono or maschili, come armun, bun, getrun, or 
femminili come cansun, comuniun, questi un. Sono fem- 
minili i nomi terminati in -a ed in -e, con alcune eccezioni per 
quest'ultima vocale, come calige, prève (prete). 

Alcuni nomi finiti in -a, con l'accento o senza, sono 
femminili mentrechè in italiano sono maschili, così artà (al- 
tare), sa (sale), glassa (ghiaccio). 

I nomi terminati in -^ aperta (dittongo ce) son or ma- 
schili, come de (dadi), frè (fratello), pò è (pa'dre); or femmi- 
nili, come eoe (voglia), moè (madre), rè (rete). 

Quelli finiti in -é sono maschili, eccetto muggé (moglie). 

Sono infine maschili i nomi terminati in -eu ed in -ou: 
eccezione, seu (sorella). 

2"* Dei numeri, — I nomi finiti in -a, di genere fem- 
minile, hanno il plurale in -e, come in italiano : i terminati 
in -e e in -u lo hanno in -e, con alcune eccezioni: diu (dito) 
che fa die, carcagnu (calcagno) che fa carcagne, ossu 
che fa osse, ecc. 

I terminati in -é, -é ed -eu sono invariabili: frè, pò è, 
moè, arfè, barbe, pé (piedi), agheù (pesce), beù (bue), 

* Più, queUa di sciù, fiore, che è femminile. 



— 141 — 

clieù (cuore), nel che vedesi la corrispondenza con la gram- 
matica francese, salvo che questa distingue i detti nomi al 
plurale con la $ finale (che però non si pronunzia) e con 
diverso articolo, dove che la genovese li distingue con l'arti- 
colo solo. 

I nomi terminati in -an hanno il plurale in -en, come i 
corrispondenti francesi: can, plurale chen (cani), man, plu- 
rale raoen (mani), pan, plurale poen (pani). 

I terminati in -en sono invariabili : ben (bene), f en (fieno), 
sen (seno). 

Pure invariabili sono i terminati in -in: armellin, 
brunzin (cannella), caputi n (cappuccino). 

I terminati in -un hanno il plurale in -uin: armun, 
armuin; bun,buin; caxun, caxuin. 

I terminati in -d hanno il plurale in -è (a?): ag uggia, 
aguggiè (agugliate), bacca, bacche (bastonate), canà, 
cane (canali). 

Le altre regole conformi, in quanto applicabili, alla gram- 
matica italiana. 

3" Dei nomi alterati. — I diminutivi genovesi non fini- 
scono mai negli italiani: -atto, -elio, -ino, -ozzo, -ognolOy 
-uolo, -uzzo, ma sempre in -ettu, -ottUy e -m: lepratto =: 1 e- 
V r o 1 1 u , campanello = campanin, lumicino =: 1 ù m i n , 
amarognolo =: amètu, cagnuolo = cagnettu, occhiuzzo = 
euggettu . 

§ III. Dell'Articolo. 

Due sono gli articoli del genovese e composti di sole vo- 
cali, u, a, che hanno al plurale e, i. Uu corrisponde all'ita- 
liano il, lo. Va al la. Ve al le, Vi all'/, gli. Un terzo articolo 
genovese sarebbe il lo, la italiano, ma non si usa che al sin- 
golare, e sempre apostrofato dinanzi ai nomi che cominciano 
per la stessa vocale, come l'ònù (l'onore), l'amicissia: a 
queste stesse parola non si premettono in genovese i plurali 
italiani gli, le, bensì i genovesi e, i: i onuì, e amicissie; 
né tali articoli mutano innanzi a parola che cominci con 
la stessa vocale, perchè dicesi: i imb roggi (gli imbrogli), 
e erbe. 



— 142 — 

Eccone la declinazione : 



Genovese 


Singolare. 


Italiano 


Nom. u, a, V 
Gen. de, du, da 
Dat. au, aa 
Acc. u, a 
Abl. dau, daa 


Plurale. 


il, lo, la 

del, dello, della 

allò, alla 

il, lo, la 

dal, dallo, dalla 


Nom. i, e 
Gen. de 
Dat. ai, ae 
Acc. i, e 
Abl. dai, dae 




i, gli, le 
deUi, delle 
ai, agli, alle 
i, ^li, le 
dai, dagli, dalle 



Come gli altri idiomi gallo-italici (e parmi anche il vene- 
ziano), il genovese ripete Tarticolo a, u {il, lo, la) nella mede- 
sima proposizione, cioè: a lezzo a dixe (la legge dice), u giu- 
dice u giudica (il giudice giudica). 

Invece Ve e 17, plurali, non si ripetono: e lezzi dixan, 
i giud ìqì giudican. 



§ IV. Del Pronome. 

I pronomi sostantivi, in genovese, sono: miy ti, tó, qicesiUy 
quellu, chi, cAi ^^ ^^p^^e (chicchessia), atru, vale a dire che non 
si trovano nel genovese i pronomi italiani : egli, sé, esso, co- 
testo, quegli, costui, cptesiui, colui, cui, chiunque, checchessia, 
altrui, ciò. 

U idioma genovese, come il lombardo, il piemontese ^ ed il 
veneziano, manca del pronome primitivo io, nel cui luogo sur- 
rogò il mi: mi pensu, mi sentu, io penso, io sento: ha 
invece il plurale dell' io, il noi (nui), ma i Genovesi usano di 
rado sola questa parola, amando d' accompagnarla, come gli 
Spagnuoli, col pronome altri: nui atri dimmu, nui atri 
femmu (noi diciamo, noi facciamo). 

* n piemontese non usa l' i, io, che per pleonasmo : mi i fass, io faccio : 
che 80 dicesi, per esempio, i mangio, nel quale caso i sarebbe io, dicesi 
pure i mangiuma, in cui 1* i diventa noi, e i mange, in cui vale wn. 




— 143 — 

Ecco la declinazione dei pronomi mz, ti : 

Singolare Plurale 



MI 



IO 



Nom, 


mi 


io 


nui 


noi 


Oen. 


de mi 


di me 


de nuì (atri) 


dì noi 


Bai. 


a mi 


a me 


a nuì (atri) 


a noi 


Acc. 


mi 


me 


nuì 


noi 


Yoc. 


^manca) 
aa mi 


^manca) 
aa me 


(manca) 


(manca) 


Abl. 


da nuì (atri) 


da noi 




TI 


TU 






Nom. 


ti 


tu 


vuì 


voi 


Gen, 


de ti 


di te 


de vuì 


di voi 


Dot, 


a ti 


a te 


a vuì 


a voi 


Acc. 


ti 


tu 


vuì 


voi 


Abl. 


da ti 


da te 


da vuì 


da voi 



La voce italiana mi si muta nel genovese in me (mi di- 
cono, me dixan), la ti in te (ti fanno, te fan), la si in se (si 
crede, se e r ed de), idi ce, ci in ne (ce le danno, né dan; ci 
ruberanno, n'arobian). 

Son regolate come in italiano le voci me, te, ve, se, ante- 
poste a lo, la, gli, o alla particella ne, e come in italiano è, 
generalmente, stabilito il posto che gli affissi debbon tener nel 
discorso, salvo che il genovese non dice mai : credesi, offromi, 
ma : si crede, mi oflFro. 

Riguardo alle altre regole dei pronomi sostantivi genovesi, 
essendo esse molto variabili, troppo più converrebbe scriverne 
che io possa e voglia: accennerò solamente di volo: V che il 
genovese, interrogando, unisce sempre il pronome al verbo 
cose ti fé? (che fai?), unde ti ve? (dove vai?) e spesso lo 
pospone: cose f ètu?(che fai tu ?), unde ve tu? (dove vai tu?), 
cos'euttu ? (che vuoi tu ?) ; 2** che il genovese non dice fommi, 
stassi, amotti, bensì dice: fatte (fatti in qua, in là), fallu, 
falla, vanni (vanne); che me, te, sé, con la preposizione da, 
si usano in generale come in italiano: da me non venni, da 
minusunvegnùu; molte malattie guariscono da per sé, 
tante^ maotie guariscian da lù. E con la preposizione 
per : io per me non intendo di portarla, mi per mi nu a 
portu de segùu; 3' dirò infine che il relativo italiano che 
mai significa, in genovese, cosa: il: che dici? italiano, è tradotto 

^ n grenovese non ha la voce molto, invece dice: tantu o asso (assai). 



— 144 — 

dal genovese in: cose ti dixi? e che cosa (poi che mi accadde 
di scrivere questa parola) nelle frasi interrogative si usa sempre 
in plurale: cose fé? (cosa fate?), cose Tè stètu? (cosa è 
stato ?) 

Menzione particolare merita il genovese pronome Zé (egli, 
lui, sé, esso). È neutro ed invariabile, così nel singolare le, come 
nel plurale lù. Eccone la declinazione: 

Genovese Italiano Genovese Italiano 

Singolare Plurale 

Nom. le egli ed ella lù eglino ed elle 

Gen. de Io di lui, di lei de lù di loro 

Dot. a le a lui, a lei a lù a loro 

Acc. le lui, lei lù loro 

Abl. da lè da lui, da lei da lù da loro 

Il lè genovese equivale anche all' italiano sé: di sé, geno- 
vese de lè: a sé, genovese a lè; da sé, genovese da lè: ma ap- 
punto per r indeterminatezza sua, il lè genovese vuol essere, in 
molti casi, accompagnato col pronome medesimo air uso fran- 
cese : così dicesi in italiano : amante di sé, sicuro di sé, ma in 
genovese bisogna aggiungere: mèximu (stesso), perchè di- 
cendo soltanto lè, non si saprebbe se si tratti di lui, o d'altri ; 
per esempio l'italiano dice: non ama che sé: se il genovese 
dicesse: u nu veubenatru che ale, resterebbe incerto se 
ami solo se stesso, o una terza persona. Superfluo notare che il 
lè genovese corrisponde al lombardo lù, al francese lui : for- 
matosi il primo da illae, i secondi da illum /tic, latini. 

Vi ha poi un caso in cui il fó genovese, come il lù lombardo 
e Vela veneziano muta di forma. * Parlando a terza persona, cui 
voglia dare del lei, il genovese non dice: le dico, le faccio, ma 
ghe diggu, ghe fassu; così nel dativo non dice: gli ho W- 
sposto, gli ho mostrato, ma gh' ho rispostu, gh' ho mu- 
s tròu. 

Il genovese ha il ^^/le in altro caso: ghe sun stètu, ghe 
sun turnòu col significato cosi di vi (avverbio locale) vi sono 
stato, vi son tornato, come col significato di pronome personale : 
sono stato a lui, son tornalo a lui. In conclusione, il ghe geno- 
vese, lombardo e veneziano equivalgono agli italiani gli, le, lui, 

* Il piemontese ha la forma tj. 



*'' ^* jfl 



lei, loro, vi, ci. Si formarono forse dal tama pronoraÌDale gha, 
onde gli italiani : qui, qtia, ci. 

Ancora un'osservazione riguardo ai pronomi. 11 genovese, 
come il piemontese e il lombardo, raddoppia, nella coningazione 
di tutti i verbi, i pronomi ti e le: 



egli è 
tu aarai 
egli sarà 



ti ti «> 
le u l'è 
ti ti saio 
16 u SUA 

più frappone al le raddoppiato, per temperare l'assonanza, l'ar- 
ticolo uoa: le a l'ha ditu (essa ha detto). Non li raddoppia 
però neir imperativo futuro, o «quando trattisi di un'affermazione 
assoluta : ti è un galantommu (tu sei un galantuomo), u l'è 

bravu (egli è buono). 



i V. Del Verro. 



La coniugazione dei verbi genovesi è latina, quindi ita- 
liana: so non che al genovese manca in tutti i tempi il modo 
perfetto latino di tutti i verbi: fui, habui, veni, vidi, vici, ecc., 
che r italiano conservò : fui, ebbi, venni, vidi, vinsi, ecc. 11 ge- 
novese ne fece un modo solo col passato prossimo italiano: sono 
stato, ho avuto, mi sun stètu, mi ho aviiu. 

Ecco la coniugazione dei verbi genovesi i'se {essere, la- 
tino esse) e avei [fioere, latino habere) comparata a lìuella 
dei due verbi italiani corrinpondonti. 



Essere- 

Indicativ 

Presunta. 



Plur. Nili semmu 
lù sun. 



— 146 — 



Sing. Mi èa 
ti ti ei 
le u rèa. 

Plu7\ Nui éimu 
vui èi 
lù èan. 



Imperfetto. 



Io era 
tu eri 
colui era. 
Noi eravamo 
voi eravate 
coloro erano. 



Passato Hmoto. 



(Manca al genovese). 



Io fui, tu fosti, ecc. 



Sing. Mi saio 
ti ti saie 
le u saia. 

Pliir, Nui saiému 
vui saiéì 
lù saìan. 



Futuro imperfetto. 



Io sarò 
tu sarai 
colui sarà. 
Noi saremo 
voi sarete 
coloro saranno. 



Passato prossima). 



Sing. Mi sun stètu 
ti ti e stètu 
le u r è stètu. 

Plur. Nui semmu stèti 
vui sei stèti 
lìi sun stèti. 



Io sono stato 
tu sei stato 
colui è stato. 
Noi siamo stati 
voi siete stati 
coloro sono stati. 



Trapassato indeterminato. 



Sing. Mi èa stètu 
ti ti èi stètu 
le u Tèa stètu. 

Plur. Nui èimu stèti 
vui èi stèti 
lù ean stèti. 



Io era stato 
tu eri stato 
colui è stato. 
Noi eravamo stati 
voi eravate stati 
coloro erano stati. 



Trapassato detetminato italiano. 
(Manca al genovese). Io fui stato, ecc. 



Futuro perfetto. 



Sing. Mi saio stètu 
ti ti saie stètu 
le u saia stètu. 

Plur. Nui saiému stèti 
vuì saiéì stèti 
lù saian stèti. 



Io sarò stato , 

tu sarai stato 
colui sarà stato. 
Noi saremo stati 
voi sarete stati 
coloro saranno stati. 



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— 147 — 



Sing. 2*^ Ti seggi 
le u seg^e. 

Plur. Nui seggimu 
vui seggè 
lù seggian. 



Imperativo. 



Presente. 



Sii sia tu 
sia colui. 
Siamo noi 
siate voi 
siano coloro. 



Futuro perfetto. 



Sing 2* Ti seggi stètu ti 
u segge stètu le. 

Plur. Seggimu stèti nui 
seggè stèti vuì 
seggi an stèti lù. 



Sii sia statu tu 
sia stato colui. 
Siamo stati noi 
siate stati voi 
siano stati coloro. 



Condizionale. 



Presente. 

Sing. Mi saiéiva, o sai va, o sé 
ti ti saiésci, sèsci 
le u saiéiva, o sai va. 

Plur. Nu'i saiéscimu, o sèscimu 
vui saiésci, sèsci 
lù saiévan, o saivan. 



Io sarei 
tu saresti 
colui sarebbe. 
Noi saremmo 
voi sareste 
coloro sarebbero. 



Passato. 



Identico al presente, aggiun- 
gendo stètu. 



Io sarei stato, tu saresti stato, 
colui sarebbe stato, ecc. 



Sing. Mi segge 
ti ti seggi 
le u segge. 

Plur. Nui seggimu 



vui segge 
lù seggian. 



Congiuntivo. 
Presente. 



Io sia 
tu sii 
colui sia. 
Noi siamo 
voi siate 
coloro siano. 



Passato imperfetto. 



Sing. Mi fuise 

ti ti fuisci 

le u fuise. 
Plur. Nuì fuiscimu o fuscimu 

vùi fuisci 

lù fuisan. 



Io fossi 
tu fossi 
colui fosse. 
Noi fossimo 
voi foste 
coloro fossero. 



' In cui è notevole la conformità al latino fuissetn, fuisses, ecc. 



— 148 — 

Passato perfetto e trapassato. 
(Conformi ai corrispondenti italiani). 



Infinito 



Presente : ese 

Passalo: ése stètu 

Futuro: duvet ése 

Participio passato : stètu 
Gerundio : essendu * 



essere 

essere stato 
dover essere 
stato 
essendo 



Avere. 



Indicativo. 



Presente, 



Sing. Mi ho 
ti ti he 
le u rha. 

Phir. Nui emmu 
vui hei 
lìi han. 



Io ho 
tu hai 
colui ha. 
Noi abbiamo 
voi avete 
coloro hanno. 



Imperfetto, 



Sing. Mi aja, o aveiva 
ti ti ali, aveivi 
le u 1 aja, aveiva. 

Plur. Nui aivimu, o aveivimu 
vui aji, aveivi 
lù ajan, o aveivan. 



Io aveva 
tu avevi 
colui aveva. 
Noi avevamo 
voi avevate 
coloro avevano. 



Pas.sato rimoto. 



(Manca al genovese) 



Ebbi, avesti, ebbe, avemmo, 
aveste ebbero. 



Sing. Mi aviò 
ti ti aviò 
le u Tavik. 

Plur, Nui aviemu 
vui aviei 
lù avian. 



Futuro imperfetto. 



Io avrò 
tu avrai 
colui avrà. 
Noi avremo 
voi avrete 
coloro avranno. 



' Ma usato solo nella lingua nobile; il genovese invece di essendo 
dico: stando. 



— 149 — 



PasseUo prossimo. 

Sing, Mi ho aviiu 

ti ti he aviiu 

le u rha aviiu. 
Plur, Nui emmu aviiu 

vui he\ aviiu 

lù han aviiu. 



Io ho avuto 
tu hai avuto 
colui ha avuto. 
Noi abbiamo avuto 
voi avete avuto 
coloro hanno avuto. 



Trapassato detei^minato. 
(Manca al genovese) Io ebbi avuto, ecc. 



Futuro perfetto. 

Sing, Mi aviò aviiu 

ti t'aviè avuu 

le u Tavià aviiu. 
Plur. Nuì aviemu aviiu 

vu\ aviei avl^u 

lù avian aviiu. 



Io avrò avuto 
tu avrai avuto 
colui avrà avuto 
Noi avremo avuto 
voi avrete avuto 
coloro avranno avuto. 



Trapassato indeterminato. 



i 



Sing. Mi aveiva aviiu 
ti ti aveivi avuu 
le u Taveiva aviiu. 

Plur. Nuì aveivimu aviiu 
vui aveivi aviiu 
lù aveivan aviiu. 



Sing. 2* Aggi ti 
agge le. 

Plur. Aggimu nui 
aggè vui 
aggian lù. 



Imperativo 
Presente. 



Futuro perfetto. 



Sing. 2^" Aggi avuu ti 
agge avuu le. 

Plur. Aggimu avuu nuì 
aggè aviia vuì 
aggian avuu lù. 



Io aveva avuto 
tu avevi avuto 
colui aveva avuto. 
Noi avevamo avuto 
voi avevate avuto 
coloro avevano avuto. 



Abbi tu 
abbia colui. 
Abbiamo noi 
abbiate voi 
abbiano coloro. 



Abbi avuto tu 
abbia avuto colui. 
Abbiamo avuto noi 
abbiate avuto voi 
abbiano avuto coloro. 



Condizionale. 

Presente. 

Sing. Mi aviè. o avieiva 

ti ti aviesci. 

le u Taviè, o avieva. 
Plur. Nuì aviéscimu 

vuì aviesci 

lù aviéivan. 



Io avrei 
tu avresti 
colui avrebbe. 
Noi avremmo 
voi avreste 
coloro avrebbero. 



— 150 — 



Passato. 



Identico al presente, aggiun- 
gendo aviiu. 



Io avrei avuto, tu avresti 
avuto, ecc. 



Congiuntivo. 
Presente. 



^ing. Mi agge 
ti ti aggi 
le u Tagge. 

Plur. Nuì aggimu 
vui aggi 
lù aggian. 



Io abbia 
tu abbi, o dbbia 
colui abbia. 
Noi abbiamo 
voi abbiate 
coloro abbiano. 



Passato imperfetto. 



Sing. Mi avesse, o èse 
ti ti avesci, o esci 
le u l'avesse, o èse 

Plur. Nui ftvescimu, o èscimu 
vu\ avesci, o esci 
lù avessan, o essan. 



Io avessi 
tu avessi 
colui avesse. 
Noi avessimo 
voi aveste 
coloro avessero. 



Passato perfetto e trapassato. 
(Conformi ai corrispondenti italiani). 



Infinito. 

Presente: avei, e ai 
Passato: avei aviiu 
Futuro: duvei avei. 



avere 

aver avuto 
dover avere 



.* 



Participio presente 

(Manca al genovese) avente. 

Passato : aviiu 

Gerundio presente : avendo * 

» passato : avendo aviiu * 



avuto 
avendo 
avendo avuto. 



Quanto agli altri verbi, venutigli dal latino, il genovese 
or si attenne alla ferma loro originale, come in bibere, can- 
tare, dormire, or si condusse, nelle flessioni, come il fran- 
cese : 

La^. mori Frane, mourir Gen. muì 

mi meùu, ti ti meni, le u meùe 
nuì muimmu, vuì muì, lù meuan. 



Usasi solo nella lingua nobile. 



— 151 — 
Lai. posse Frane, pouvoir Gen. puei 

mi posso, * ti ti peu, le u peù 
nui puemmu, vui puei, lù peùan. 

Lai. velie Frane, vouloir Gen. vueì 

mi veùggiu, ti ti veù, le u veìì 
nui vuemmu, vuì vuoeì, lù veùan. 

Vi sono poi verbi nei quali appare di continuo la lotta 
tra le forme latino-italiane, e quelle francesi: per esempio: 

Lai. facere Frane, faire Gen. fa 

mi fassu, ti ti fé, le u fa 

nuì femmu, rui fé, lù fan 

mi faa, * fava, * faceiva * 

ti ti faii, favi, falcivi 

le u faa, fava, faceiva 

nui fàmu, favimù, faceivimu 

vuì faii, favi, faceivi 

lù faan, favan, feceivan 
mi fesse, o faxesse, ti ti fesci, o f&xesci, lù fessan, o faxessan 
nui fescimu, o faxescimu, vuì fesci, o faxesci, lù fessan, o faxessan 
mi ho fètu {frane, fait, eome stètu = été, ani. esté), ecc. 



§ VI. Della Preposizìone. 

Nelle preposizioni genovesi, assai minori di numero delle 
italiane, va notata la particolarità dell' m, il quale anziché 
mutarsi in ne, nel (che non esiste nel genovese) dinanzi al- 
l'articolo, come in italiano, si unisce alle sillabe la, te, ti, tu: 

lo trovai nella scala Tho truvoìì in ta scaa 

lo tengo nelle mani Tbo in te moen 

vi son fiori nei prati gh'è de sciai in ti proei 

buttalo in un angolo caccilu in t'un cantu. 

E modo conforme al piemontese an-t-l (an-tla stanssia) 
e al lombardo in del, in de la, in di: e tutti sono conformi 
all'uso dell'antica lingua italiana, che pift» diceva in nel, in del, 
come tuttavia dice il volgo romano e toscano. 

' Questa forma, contraria aUa pronunzia genovese, è cittadinesca; in 
montagna dicesi polisci u, nella Riviera di ponente posciu. 

* Forma popolare e contadinesca. 
^ Forma cittadinesca. 

* Forma elegante. 



PARTE TERZA 



VOCABOLARIO ETIMOLOGICO GENOVESE 



Abaclncoa, it. sbalordito, specialmente per percossa nella testa, 
per un colpo di sole; v. entrata recentemente nell'uso italiano con 
la forma acciocchire, ma antica nel gen. cui venne probabilmente 
dalla rad. stessa di cioccu (V. alla voce), cioè dal germ. shock, per- 
cosso. 

Abandon, it. abbandono; etim. lat. med. abandum « res arbitrio 
cujusque exposita, in bannum missa, proscripta » (Ducange), * onde il 
significato del lasciar solo, senza aiuto. La stessa origine germ. del 
bannum ha la frase marinaresca « in bandu » significante il mollare 
del tutto un cavo, il non trattenerlo più. 



« Abbreviature: 


aat. 


antico alto tedesco. 


af!. 


a/ffne, affinità. 


ant. 


antico. ' 


ar. 


arabo. 


avv. 


avverbio. 


b. bres. 


bergamasco - bresciano. 


b. lat. 


ba.iw latino. 


cat. 


catalano. 


celt. 


celtico {che comprende il 




basso bretone, il bretone, 




ilaaelico e il cambrio). 
confronta. 


cfr. 


civ. 


civile. 


com. 


comasco. 


dim. 


diminutivo. 


ebr. 


ebraico. 


esci. 


esci US ivo, e.^cl usivamen (e. 


est. 


per estensione. 


etim. 


etimologia. 


fig. 


figurativamente. 


fr. 


francese. 


fr. ant. 


francese antico. 


gall-it. 


gallo-italico. 


gen. 


genovese. 


germ. 


germanico {che comprende 




il medio tedesco e il tede- 




sco moderno). 


got. 


gotico. 


gr. 


greco. 



gr.-lat. greco-latino. 

id. identico. 

ingl. inglese. 

it. italiano. 

lat. latino. 

lat. med. latino medievale. 

lomb. lombardo. 

oland. olandese. 

p. e. per esempio. 

p. p. participio passato. 

piom. pietnontese. 

prob. probabile, probabilmente. 

prop. propriamente. 

prov. provenzale. 

rad. radice. 

rem. romanesco. 

sig-nif. significato. 

sim. similitudine. 

sm. sostantivo maschile. 

sost. sostantivo. 

sp. spagnuolo. 

ted. tedesco. 

tose. toscano. 

trasl. traslato. 

V. vedi. 

V. voce. 

vb. verbo. 

V. m. voce marinaresca. 

= eguale. 



Glossa riunì mediie et in fi ni (p latinifatis, Parigi, 1842. 



— 154 — 

Abarlag^à e Imbarlùgà, it. abbagliare, onde Barlàgnn (andà 
in), it. barcollare, id. a prov. beluga, fr. ant belugue; etira, bar, 
equivalente al prefisso peggiorativo latino bis (it. bar-lume, lat. bis- 
lumen, cattivo lume) e litga, da lat. lucere, e più direttamente dal 
romanzo lugor. 

Aberft, it. afferrare, Aber&ie, azzuffarsi, onde la frase : « fa 
abèra », prendere con violenza la roba altrui, accerchiando prima il 
luogo in cui trovasi; etim. prob. dal celt. bar, ramo, asta, da cui it. 
barrare, impedire il passo, che fig. corrisponde alla detta frase gen. 

Aberùfà, it. arruffare, dicesi specialmente dei capelli, della 
barba, ecc.; etim. dalFaat. biroufan, tirare i capelli. 

Abl^aelft, it. ripiegar tela, carta e simili su se stesse a moMi 
piccolo rotolo, onde Blg^eln e Brig^eln, rotolino, e Beblgn, ghiri- 
goro, svolazzo; etim. got. biugan, curvare, torcere, germ. mod. biegeti, 
ripiegare. 

Abosaft, it. abbozzare, ma in gen. è voce specialmente marina- 
resca, e vale : far una legatura provvisoria, con pezzi di corda chiamati 
bosse, a fine di assicurare un attrezzo o manovra. Ancorché abbia un 
esempio del Falconi ' (1612) e la N. Crusca registri bozza per enfiato, 
enfiatura, par verisimile che abossd e bossa sian venute al gen. e per 
esso airit. dal fr. bosser e bosse, voci per altro di etim. germ. come 
le it. bozza e abbozzare. 

Abòtin, it. intontito. Il Caix e il Parodi ^ la traggono da un lat. 
fittizio <( ex pavitire » non ammissibile; è v. identica al piem. ababià 
ed al fr. ant. abaubit, attonito, stupito; etim. comune prob. celt. aibaubi 
di ugual senso. Vuoisi tuttavia rammentare che V it. antico aveva 
abbotire, per darsi in boto o voto (« ad, in, botum, votum »), onde il 
gen. abòtiu potrebbe anche significare il rimanere immobile come un 
voto, senso spiegato dall'esempio del Tramater: 

In cotal atto pajo un di coloro 

Che a San Giobbe abbotiscono di cera 

e del Cavalli: 

. . . pofero li spuóu 
L*invó de coro&l dent'ro muróu. 
' (Sonetto XXXII). 

Abracà, v. m. che vale: tirare a forza di braccia un cavo per 
accorciarlo o coglierlo, id. a prov. abracà, fr. abraquer; etim. lat. 
a bracìiiis. 

Abrettln, avv. che in it. vale: precipitosamente, alla spensierata; 
per trasl. abrettiu significa anche: a iosa, in abbondanza; non pre> 
standosi, per il diverso senso, il lat« abreptus (p. p. d^abripio) convien 
ricorrere alFavv. abrupte « non existimans abrupte agendum », Just. II. 

* Breve istruzione appartenente al capitano dei vasselli quadri, Fi- 
renze, 1612. 

' Caix, Etimologìe italiane; Parodi, Saggio di etimologie genovesi, nel 
Giornale ligustico, 1885, che però comprende soltanto 43 vocL 



— 155 — 

Abonasaft e Abnnaaaàae, it. abbonacciare, arsi, onde Bonaasa, 
bonaccia, v. m. gen., comune al prov., che il Caro trasportò tal quale 
neir it. voltando il virgiliano « motos componere fluctos » (En. I) in 
« abbonazzar quest'onde ». Fu il Monti che propose la registrazione di 
questo verbo nel Vocabolario della Crusca con la forma : abbonacciare. 

Aoatà, it. comperare, id. a piem. caté (il lomb. ha calla per co- 
gliere), fr. acheter (il prov. acaptar significa : dare in enfiteusi). Etim. 
Diez da un lat. fittizio ad-captare, ma il lat. captare (pigliare, cer- 
care) è Tetim. del tose, accattare, che vai mendicare. Anche Littré ri- 
getta Tetim. del Diez e propone quella dal b. lat. accapitare che trae 
da at2 e da caput, prendere in enfiteusi, a un canone fisso, e, dice egli, 
anche comprare: ma come ammettere che il fr. acheter, gen. acatà, 
cioè Tatto del comprare, venga da ae2 e da caput? I Latini per com- 
perare dicevano emere (mercari significava mercanteggiare), dicevano 
anche comparare, però nel senso di provvedere, procacciare. Del primo 
verbo non si trova traccia negli idiomi neo- latini : il comparare divenne 
per est. Tit. comperare^ lo sp. comprar. Però la plebe romana dovette 
ab antico pronunziarlo, come lo pronunzia anche oggi, erompa, e cosi 
il lomb. erompa, il prov. croumpà. Come mai non vi è indizio di 
questo verbo nel fr, nel gen. e nel piem.? (Conpré, in piem., è mo- 
derno). Anche il Flechia sta per Tetim. del Diez, ad-captare, ma, 
lasciando da parte l'alterazione del senso del captare, come si spiega 
che Genovesi e Provenzali, confinanti, parlanti una lingua tanto con- 
forme, e in continuo commercio tra loro, chiamino diversamente Tatto 
dell'acquistar con danaro? Com'è avvenuto che mentre gli abitanti 
delTalta Italia e di quella centrale dicevano comperare, i Liguri da 
una, i Napolitani e i Siciliani' dall'altra estremità, dissero adcaptare? 

Adaxn, it. adagio, hff. a piem. e lomb. adasi. Per la v. it. agio 
furono proposte molte etim. ma niuna accettevole; perchè non consi- 
derare la celt. adhaiSy ozio, stabilita dal Monti,* e viva nella pronunzia 
gallo-italica? Però il gen. adaxu che trova riscontro nell'altra v. de* 
zaxu, disagio, potrebbe avere altra origine, comune a quella dell' it 
agio e suoi derivati; forse il germ. be-hagen, proposto dal Frisch. 

Adas:gri&9 it. addoppiare, v. specialmente marinaresca, entrata 
nel linguaggio nautico it. con la forma: addugliare, e vale: cogliere 
a doppio un capo affinchè non si arruffi, né prenda spazio soverchio. 
Etim. lat. duplus. 

Afità, it. conciare, e dicesi delle pelli, onde Afitaja, concia, id- 
a piem. afaitè, lomb. affaità, fr. ant. afaiter, afeiter, da afait (tan- 
nene)', dal lat. med. affaitare « seu conficere pelles »; etim. prob. lat. 
afficere, affectum, nel senso di acconciare. « Afficere vultum medica- 
mine », tingere il volto di belletto, disse Ovidio. 

Affna, it. ragno, onde Tàgnk, ragncUelo ; etim. gr. aracne, lat. 
aranea, « tela araneae ». 

* I primi dicono accattari, i secondi accattare. 

• Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como^ Milano, 1845. 



— 156 — 

Agn^eppiae, it. aUrappirey non potersi muovere per freddo o per 
malattia : aflT. a piem. agrapé, fr. se gripper; etim. comune got. greipan, 
prendere; però cfr. anche gr. grypós, becco curvo. 

Agrrlttàae, it. ìHtorcersi su se stesso ; sim. presa dal granchio, in 
gen. grilla, allorché raccoglie sotto il corpo le gambe. 

Agruantà, it. agguantare, v. comune e m. Etim. oscura: i glottologi 
dicono che deriva da guanto, v. germ., ma par difficile che con simile 
etim. sia entrata nel linguaggio marinaresco in cui significa « tener 
forte checchessia » e « resistere, specialmente al cattivo tempo ». Lo 
sp. ha aguante per: forza, costanza^ coraggio, resistenza, e anche: 
pazienza, rassegnazione. 

Agrueltà, in gen. vale: guardar di soppiatto da un fesso o spi- 
raglio, che i Toscani dicono, con v. ted., usolare; il vb. it. guadare, 
che pur si vuole avere Dante tolto dal gen., male risponde al senso 
àeWagueild. Nel lat. med. agaitu e aguayt significavano insidie, e 
aguaitare, insidiare. In prov. gailar, in fr. ant. aguailier^ aguUer, 
mod. guetter, in sp. aguailar^ significano : spiare, osservare a fine di sor- 
prendere ed anche di nuocere; senso quest'ultimo che Fegual voce gen. 
non ha. Il piem. dice vaitè^ il com. vaidà, conservando cosi più di 
tutti la forma della parola originale che per consenso generale è 
Taat. toathàn, vegliare, far la guardia. 

Agrug^lotta, it. agiigliotto, v. m., ferramento a guisa di ganghero, 
chiodato alla ruota di poppa, e particolarmente quella spina che entra 
nelle femminelle del timone; gen. è la voce e Topera, poiché furono 
Gio. Zerbi e suo figlio, da Genova, gF inventori «delle aguglie dei ti- 
moni delle navi e galee ». i 

Ala, it. alare, v. m. che vai : tirare^ onde Alag^grin, la tratta di 
checchessia facendo forza su un canapo a livello, id. a fr. haler. Il 
Guglielmotti,^ esimio scrittore di cose nautiche, ma etimologo spesso 
infelice, la trasse dalla v. militare: far ala; invece alare venne al gen. 
come a più altre lingue, dalFaat. hdlon o dalFant. scandinavo hala^ i 
quali valgono appunto tirare, voce che i marinari italiani accolsero 
subito, essendo troppo generica ed equivoca Tit. tirare. 

Allocca, it. adescare, fig. allettare^ onde Lecca, cosa ghiotta 
che alletta, Leoohòan, ghiottOfls^eed^VL, leccornìa; v. comune, eccet^ 
tuato il verbo, a piem., lomb. e prov.; etim. più prob. Taat. lecchòn^ 
voluto da Diaz, che il gr. leikein, sostenuto da Zambaldi » Quanto al 
verbo, il gen. alleccd è id. al fr. allécher, che Littré trae dal lat. ad- 
lectare (il quale egli fa venire da allicere, mentre viene da lectum), 
ma è troppo chiara in fr. ed in gen. la provenienza da leccare (le» 
cher)y onde la ragione del verbo. 

AUùa, it. allora, ambo da lat. « ad illam horam » ; Allantùa, 
come dicono popolani e contadini, verrebbe da « illa intus bora » se- 

* AcciNKLLi, Compendio dfiììe storie di Genoca, tom. I, pag. 107. 

• VocahoJtìrio marino e Miìitare, Roma, 1889. 
Vocahoìnrio etimologico itnliaììo, Città di Castello, 1889. 



— 157 — 

condo Picchia, ma è formazione troppo difficile, per l'appunto nel lin- 
guaggio volgare. 

Alò. Nelle Antiche rime genovesi, mentovate nella parte prima, 
questa voce è più volte usata col significato di: subilo, immediata- 
mente; onde il Picchia, nello Annotazioni alle stesse rime, la trasse 
da latino ilUco. Ma è fuor di dubbio che nel gen. di Genova e sua pro- 
vincia, alò, voce antichissima e sempre viva tra i contadini, non si- 
gnificò mai né significa altro che : prima, avanti, ammettendo anche 
Tavv. più: ciù allò, più avanti, più presto. Nel primo caso, piuttosto 
che venire da illieo, che mal si presta, alò potrebb'esserc il fr. alors; 
nelFaltro caso Fetim. è oscura: forse potrebbesi riferire al Faat. uo/e^a, 
ora mattutina, o all'antico nordico otta, le tre prime ore del giorno, 
con formazione eguale a quella dclF it. allotta. 

Alnsrlòn. Male P Olivieri (Dizionario), interpretando uggioso, 
stucco, bene il Casaccia (Dizionario) traducendo: quasi addormentato ; 
viene infatti da lat. loliaceus, di loglio, seme che, mangiato, induce 
gravezza alla testa. 

Amaca, it. ammaccare, da macco, schiacciamento, onde Amao- 
oatùa, ammaccatura, e la frase a macchettu, che vai persone o cose 
strette, stipate ; questa voce manca al piem. e al lomb. ma se ne trova 
la rad. nel prov. e nello sp. Etim. ebr. makkah, battere, ammessa anche 
dalla N. Crusca. 

Amainà, it. ammainare, v. m. intorno a cui stranamente alma- 
naccarono i glottologi, cominciando dal Diez per finire col Picchia; 
il Guglielmutti ben dice che significa : « tirar giù », « far venir giù 
checchessia », antenne, alberctti, vele e bandiera. Quanto alFetim. ci la 
trova nel lat. med. minare, condurre, ma non è che una parte dello 
ammainare, il quale parrebbe composto così : « ad marem minare >, 
se pur non è il genovese pretto : a maen-a, alla marina, senza neces- 
sità di verbo. La v. gen. divenne in prov. ameinà, in fr. ant. ameiner, 
mod. amene r, in sp. a^nainar, essendo quasi superfluo di rammentare 
che i Genovesi furono maestri d'ogni cosa nautica a Francesi e a Spa- 
gnuoli e che il linguaggio della marina medioevale di questi popoli è 
pressoché interamente genovese. 

Amalooà, it. avvolgere scompigliatamente panni, vesti, carta, ecc., 
onde Maloocn, batuffolo; etim. potrebb'esserc lat. nude locare, ma 
allugd. Cfr. però il prov, aìnaluc, anche, groppa de' buoi e dei somari 
con ossa prominenti, onde amalugd, sciancare, rompere; inoltre ama- 
laguro, impressione rimasta su un corpo che fu abbatufTolato. * 

Amarra, it. amarrare, v. m., id. a fr. amarre r, sp. amarrar, 
legar l' àncora por le sue marre, legare un cavo alle marre dell'ancora; 
etim. Diez dall'ar. marra, legare; Littré dall'oland. maaren, amar- 
rare; é invece il gr.-lat. marra, specialmente nel senso d'uncino: 
« intendasi il garbo nelle àncore, la maggiore o minore stortura nelle 

* Gran brutta voce, d'origine tedesca. I Romani dicono ciancicare, prob. 
da cencio, v. elio la N. Crusca registra con altro significato. 



— 158 — 

« loro marre * (Crescentio *); « marre sono i rampini delle àncore » 
(Pantera 2). 

Amaaoà, it. ammascare, v. m. Dicesi di nave che riceva sulla 
guancia una brusca e violenta risvolta. Guglielmotti chiama amtna- 
Hcare e masca voci marinaresche: se avesse conosciuto l'idioma ge- 
novese (e nocque al pregevole suo Vocabolario di non averlo egli co- 
nosciuto), sarebbesi avveduto che masca^ in gen. vuol dice guancia, e 
che dinota la parte della nave corrispondente alle grue delle àncore : 
onde etim. di ammascare è il gen. masca (V. alla voce). 

Amò, it. miele, anche il piem. dice amel; perchè la protesi? e 
si noti che il gen. l'estese anche a fiele, dicendo arfè^ dove che il piem. 
disse a/eZ, ma anche fel, 

Ameneatrà, in gen. significa esci. : cavar la minestra dalla zup- 
piera e metterla nelle scodelle, oppure: levarla dalla scodella e met- 
terla in un piatto perchè si raffreddi ; in questo senso è v. esci, gen., 
poiché il fr. ant. aìnenestrer^ e T it. ministrare non hanno, pratica- 
mente, tale significato. Etim. lat. adminislrare : « mei in secunda 
mensa administratur » (Varr.). 

Amermà, it. diminuire, scemare, onde marmala, muover le dita, 
marmelin (diu) dito mignolo ; quesf ultima voce è comune a piem. 
e lomb., id. a prov. meìiTià, amermà^ fr. ant. ameì-mer, m^ertne, sp. 
niermar; etim. celt. marm, piccolo, mat^m.-mear, dito mignolo. 

Amia e Mia corrispondono al guardare e non al mirare it. ed 
esattamente al fr. ant. amirer e allo sp. mirar; etim. lat. miran nel 
.s-enso di guardare semplicemente. 

Amuà, it. arrotare, onde Amnletta, arrotino, id. a piem. mx)lé^ 
molet, molèta, lomb. tnolà, moietta, fr. ant. amollier, prov. amrOulà^ 
amoulet, sp. amolar, amoldador; etira. lat. mola, ad molam {nieùa). 

Amurà, it. investire, dar in secco; v. m. che vale in gen. dà du 
muru, battere il muso. 

Anft, it. andare, id. a com. anà e nà, b. bres. nà, rom. annà, prov. 
anà, cat. anar, fr. ant. aner; pare esistesse anco nelPit. ant. un vb. 
aaare. Quanto alFetira. non si conosce né àeWandare, né delTanà; la 
questione è ampiamente trattata da Littré alla v. aZZer; però non regge 
la soluzione adnare, essendo assurdo T immaginare che gii uomini ab- 
biano prima imparato a nuotare che a camminare In sanscrito dicesi 
han e hand per andare; non ne deriverebbe Vana? 

Anaatà, it. fiutare, onde Anaatn, fiuto, detto particolarmente 
dei cani, id. a piem. anast; etim. germ. nustern, narice. 

Anohen, it. oggi, id. a piem. ancheàj, lomb. inchéu, prov. a«- 
cuei, com. ancoi; quest'ultima forma imitata tre volte da Dante: etim. 
prob. lat. hanc hodie. 



* Ndìif/ra medi terranea, 1607. 
' Armata ììavaìp, 1614. 



— 159 — 

Anohlzze, it. incudine; etim. lat. iticus, udis; V in prefisso di- 
venne an in tutte le lingue, compresa T italiana, che anticamente di- 
ceva ancudine. 

Ansrion, it. pergola ; il Parodi da lat. ambulaiorium, che mal si 
presta; etim. più regolare sarebbe da lat. angulum, angellum, i quali 
valgono anche: ritiro, luogo nascosto^ senso che conviene altresì a 
pergola, e che riscontrasi pure nel fr. ant. anglée. 

Angruaola, it. nausea, onde Ansraaoi&, nauseare^ infastidire, e 
Ans^naclùan, molesto, fastidioso : id. a fr. ant. angousce, angoissier, 
prov. angoissà, tormentare» affliggere; etim. lat angustiare e angustia, 
in quanto vengono da angere, stringere, soffocare, molestare. 

Antiohén, it. nausea, onde Antiohenà, nauseare; etim. chiara 
per chi ricordi che Genovesi, Piemontesi e Francesi dicono fig. cuore 
per stomaco (figura che del resto è anche italiana ed ha origine sto- 
rica), onde anticheìid equivale a stomacare e antichéù a contro-sto- 
maco; fr. mal, soulèvement de coeur, piem. scheur, fé scheur. 

Apajà, vale in it. aver tempo, agio, v. id. a piem. apairè, lomb. 
apairar ; etim. comune celt. vair, ora, tempo. Però nel gen. cittadi- 
nesco è V. uscita d'uso, rimasta viva soltanto nel contado. 

Aprenn e nella lingua civ. Apprénvu, it. dietro, dopo, id. a piem. 
apreu, apreuv, lomb. apreuv, apreuf prov, aprop, fr. ant aprof: però 
piem. e lomb. lo usa in signif. di presso, accanto, e non in quello di 
dietro, come Fusa il genovese e Fuso Dante, nella v. a pruovo, che è 
prob. egli togliesse appunto dal gen. Etim. comune: lat. ad prope. 

Apnllft e Apnllón, it. bagnare, bagnato da capo a piedi; v. an- 
tichissima, certamente analoga a ìt polla, vena d'acqua, di etim. oscura, 
forse da celt. poli, stagno. Cfr. gr. polla crené, fonte copioso. 

• Apnnde, ìt. piantare, affondare; etim. oscura: forse da ìslì. pondus, 
eris, peso, gravità. 

Aranoft, it. svellere ; etim. germ. rank, contorcimento, vb. renken; 
conformemente alla v. d'origine, non ha in genovese che il significato 
di svellere storcendo : arrancare una pianta, un dente, un chiodo. Con 
lo stesso significato passò nel linguaggio marinaresco, dicendosi « voga 
arrancata », quella in cui i vogatori fanno molta forza sui remi, quasi 
a svellere, a strappare gli scalmi ai quali sono attaccati. Si sa che in 
it. arrancare (che ha la stessa etim. germ. del gen.) significa il cam- 
minare in fretta degli zoppi o sciancati; passò poi nell'uso tose, anche 
col significato di svellere, e la registrò il Fanfani, ma è manifesta im- 
portazione ligure. Arancà non hanno il prov., il piem. e il lomb., bensì 
lo sp. arrancar. 

Arang^a, it. accomodare, ordinare, onde Arang^amentn, id. a 
piem. arangè, lomb. rangià, prov. arrengà, fr. ant. arrangier, mod. 
arranger, tutti dalFaat. hring, circolo, celt. (kimri) rhenge, onde il 
rang germ., ingl., fr. Altri cita il germ. raidjan, ordinare. 

Arelà, vale in it. avvolgere checchessia a forma di gomitolo, di 
matassa, onde Bela, matassa; vale anche rocchio, fetta di cosa che 



— 160 — 

tiri al cilindrico, 4c réla de pesciu » ; etim. oscara : forse da lat. rotula, 
osso rotondo, onde it. arrotolare, 

Arembft, it. appoggiare, accostare, onde ArembaSTSTia* arac- 
duolo, Aremba, appoggio, sostegno materiale e morale, e Arem- 
basoffia, raccostarsi a una nave per impadronirsene a forza. Nulla di 
comune con Fit. arrembare, relativo a cavalli e ad uomini inabili al 
lavoro. Guglielmotti trae arrembaggio dalle retribate, palchi o castelli 
a prora delle galere, e le rembaie stesse trae da rimburchio, rimbalzo, 
alienissimi. Zam baldi deriva arrembaggio dal gr. rhembazéin, sviare, 
fare smarrire, di signif. troppo lontano; ambo ignorarono esservi nel 
gen. il vb. aremba, nel piem. arambè, nel prov. arrambà, coi su 
detti derivati nel gen., tutte voci del linguaggio comune ed antiche: 
TAzais * trae Yarram.bd da ar e da rambà^ addossarsi ad un muro, ma 
non è un'etimologia; questa potrebbe essere dal gr. rhémbein, torcere 
in giro, citato dal Zambaldi per Tit. arrembare^ cui poco conviene; 
anche il Tramater trae renibate dal gr. rhembo, io volgo in giro, perchè 
quei palchi giravano intorno alla prora. Il rhémbein sarebbe rimasto 
nel gen. e nel prov., da quest'ultimo comunicato al piem., e nel lin- 
guaggio nautico l'avrebbe introdotto il gen. Tuttavia, giovi di rammen- 
tare che le rembate o arrembate, prima d'essere palchi o castelli, erano 
semplici ripari o parapetti circolari, fatti di travi, corde, tele, ecc. per 
proteggere i combattenti ; ^ ora il sassone ha le v. ryman^ ing. vemble. 
muovere e rimuovere, rhf/mpelle, ingl. Hmple, che, come nome, val- 
gono: doppio^ come verbo: avviluppare. 

Arenaenise non ha che fare con it. aggrinzarsi e aggricciarsi^ 
come pensa il Parodi, né vi entra la grinza germ.; sembra che vi entri 
invece il lat. renes, reni, e infatti arensenise significa: ristringersi in 
se ste.sso, piegarsi sulle proprie reni per freddo o per contrazione mu- 
scolare. 

Arente, D*arente, it. da vicino, presso, onde Arentiae, avvici- 
narsi, v. comune a piem. e lomb. ; etim. prob. lat. adhaerenteniy essere 
stare attaccato, aderente. 

Arida, it. arridare, v. m. che vale : dar tutta la conveniente ten- 
sione alle manovre dormienti. Guglielmotti la trae dal lat. rigidire, 
e doveva dir rigidare, far duro, inflessibile; ma le etimologie latine 
(e questa sarebbe giustissima) ndn si possono ammettere nel linguaggio 
nautico che per le voci antiche, e arridare antico non è. Conviene 
adunque attenersi alTetim. da fr. rider, che vale lo stesso, e che, se- 
condo Littré, vien dall'aat. ga-ridan e dal germ. riden, girare, torcere. 

Ariffuà e Ariffuelà. Il Parodi da lat. rota, 7*0^1/^, madri dell' it. 
arrotolare : vi si scorge invece la rad. gr. rhy^ scorrere, onde lat. rivus; 
i Genovesi infatti dicono di un liquido versato che « u s'arigùa », che 

* Dictionnnire des iiìiornes Romans ihi midi de la Franc€y eie. MontpeU 
lier, 1S77. 

* Vedasi: Jal, Glossaire nautique, Paris, Firmin Didot, 1848, alla v. Ar- 
rombata. 



— 161 — 

« u fa un riguelu » (rivulus). Anche il fr. ant. aveva ngol nello stesso 
senso, e il prov. (guascone) ha arrigoulà nel senso di scorrere; quello 
di arrotolare venne evidentemente alVariguà per similitudine. 

Arlmà, it. arrimare; v. m. che vale: aofgiustare il carico d'una 
nave: prov. arrimà, fr. arrimer ; etim. dal germ. raum, spazio, stiva 
della nave. 

Armella, it. seme dei frutti, v. comune, con lievi differenze di 
forma, a tutti i dialetti gall.-it ; il prov. ha arma, armo, col signif. di 
anima, come avevano Tit. e il fr. antichi (quest'ultimo aveva anche 
amelle) ; etim. prob. più che da lat. anima, animula, che mal si presta, 
Tantico celt. amhra, animo. L'etim. da lat. alma, di cui Porcellini, non 
è verosimile. 

Arman, it. corbezzolo, una delle parecchie voci celtiche entrate 
nel latino, in cui prese la forma aròutus (e arbutum per il gen.). La 
rad. celt. ar si trova infatti nel fr. arbouse, prov. arbousso, piem. ar- 
mlin, emiliano arbuso : forse, alterata, trovasi pure neìValbatro, detto 
in alcune parti della Toscana; quindi sparisce. A Roma il corbezzolo' 
è detto cerasa marina, e cosi nelle Marche e neirUmbria, onde i Te 
deschi trassero la loro meer kirsche. È poi strana in bocca ai Toscani 
la V. corbezzolo, certamente tedesca. Zambaldi la trae da hiirbiss (lat. 
cucurbita), zucca, ma è inverosimile che sia stato dato questo nome 
al corbezzolo. Verrebbe dunque da kirsch bùschel, grappolo di ciriegie, 
per sim., o da kirsch buschchen, arbusto di ciriegio; ma come mai? 
La N. Crusca suppone che corbezzolo possa essere corruzione conta- 
dinesca del lat. arbutus, supposizione inammissibile. 

Aroaà e Amnaà. Due verbi di distinto significato, i quali nelPuso 
si confondono spesso : il primo vahj rimuovere , far luogo , e ne 
deriva &oaa, nella frase «fa rosu », far largo; il secondo vale: spin- 
gere, urtare violentemente ^ a fine di portar via qualche cosa, e ne viene 
&anaan, spintone. Il prov. ha arassà, far fare largo, roiinzà, spignere, 
arasso, grido equivalente a : « largo 1 » e rounzado, salto, slancio ; lo 
sp. ha arrojar, che vale: lanciare, spignere, e ronzar, far leva. Gen. e 
sp. hanno la frase marinaresca « andà (ir) de ronza », e il prov. « ana 
h la rounzo », le quali si applicano a un bastimento che, caduto sotto- 
vento, va di continuo in deriva. Etim. oscura: quella proposta dal Pa- 
rodi da lat. rapere, non è ammissibile ; forse va cercata nelle lingue 
germ. nelle quali trovasi p. e. runzity col signif. di cavallo cattivo. 

Arri&, e nella lingua civ. Arriva, it. arrivare; etim. lat. med. 
adnpare, arripare. Registrai la voce per far notare che nel linguaggio 
nautico gen. a riva significa sopra, in alto, come Varriba sp , e che 
arrid significa pure: mandar giù dall'alto, abbassare checchessia. 

Ara, it. errore, sbaglio; v. ant., con le varianti arror e arro» 
sempre viva nel volgo e vivissima nel contado, adoperata però esclu- 
sivamente nella frase: « fa aru », far errore, sbagliare; ne venne il 
vb. Ara, Innarà, usato ancor dal De Franchi, ma disusato oggidì. 
Etim. oscura: il fr. ant. aveva erroi, lo sp. ha yerro, errore, che certo 
vengono da lat. error, onde non può venire il gen. aru. Lo stesso 

11 



— 162 — 

sp. ha aro, grosso anello di ferro piantato in terra, per cui nel giuoco 
deir« argolla», gen. «trucca », devesifar passare una palla dì legno; 
che « fu aru "^ sia venuto dal toccare Fanello con la palla e quindi 
fallire il colpo? Anche la forma « in-arà » ai presterebbe a questo si- 
gnificato. Ma è una semplice domanda. 

Arftbatà, Arftbatàse, it. rotolare, rotolarsi, onde Bftbattim 
(andd a) andare, correre a precipizio, cascare, id. a piem. ruàaiè, aff. 
a sp. arrebatar, arreàatado. È anche aif. nel senso di: « darsi gran 
moto, adoperarsi molto > a it. arrabattarsi, la cui etim. è incerta, 
potendo essere dal gr. arabdttein, fare strepito, o dalPaat. arapeilon, 
mod. arbeiten, lavorare. Nel primo signif. Tetim. potrebbe essere da 
lat. rupa. 

Ariixentà, it. sciacquare, onde Arrftzenteaia, Hsdaquatura, e 
&iizentà, secchio di rame per attinger acqua, id. a b. bres. resetUà, 
aff. a prov arrousa, arrosar, arrousadou, a fr. arroser, arrosoir^ a sp. 
rodar, rociadura, a catal. ruxar. Littré vi scorge la rad. lat. ras, ru- 
giada, proveniente dal sanscrito rarsha, pioggia; TAzais trova Petim. 
nel lat. adrorare, irrorare, spruzzare leggermente. Nella v. gen. alla 
rad. ros (gen. ri'zà) è unito un vb. che forse è jactare. 

Arzilla. A significare che un pesce è freschissimo ed ha ottimo 
sapore, i Gen. dicono che « sa d'arziliu ». Questo arziliu si forma nelle 
acque limpide e di continuo mosse di un mare con fondo di scogli e 
sassi mondi da muschio e da fango, e consiste nelle piccole erbe co- 
ralline nate a contatto delle ramificazioni del coralletto bianco, tra cui 
vive una quantit?i di animaletti, con nicchio e senza, dei quali (ed anco 
delle erbo coralline, a detta dei pescatori) si nutriscono i pesci. Havvi 
affìnitìi tra il gen. arziliu^ e V it. arzillo, che significa vivace, vigo- 
roso? Zambaldi dice che arzillo ò forse connesso al germ. harz, re- 
sina, etim. non ammissibile pel gen. Si noti poi che arziliu è voce an- 
tichissima nel gen., moderna nel tose, al quale è verisimile sia venuta, 
l)or via di Livorno, dal ligure. Probabilmente Varziliu, come arsella, 
i'MÌ ò affine (di etim. ignota) hanno la stessa origine del lat. arx, 
arcis, che però non si conosce. 

Aabrià, it. lanciare^ avventare^ onde Asbria, slancio: ne vien la 
frase: « piggià Tasbriu vv, prendere la rincorsa. Voce comune e ant. nel 
gen . id. a fr. ant. esbrioer, abriver, a prov. abrivà e abrivado, che 
l'Azais trae da à e dal romanzo abriu, impeto, ma che più probabil- 
mente, data la forma gen., vien dal celt briosg, moto vivace, onde 
it brio. Dal gen. e dal prov. passò nel linguaggio marinaresco it., ec- 
cettuato il veneziano, con la forma abbrivare, che significa: imprimere 
alla barca la maggiore velocità possibile, e abbnvOy significante: la 
spinta data alla barca, la velocità da essa acquisita. Cadono quindi le 
otim proposte dal Guglielmotti: « ab ripa solvere» e da Zambaldi 
« a bri pare ». 

Asoidin, sono le ascidie (lat. ascidia, gr. ascidion), molluschi co- 
muni in Mediterraneo che vivono aggruppati su gli scogli, le piante e 
le conchiglie, e vi restano immobili tutto il tempo della loro vita; il 



— 163 — 

gen., con giusta similitudine, chiamò ascidiu e asciata chi gli recava 
continuamente noia e molestia, e ne fece il vb. ascidid, noiare, mole- 
stare, id. al fr. ant. asidier. 

Aisr^Jà, 8s^à e AiSH^eJà, it. sciupare^ sprecare y id. a piem. 
sgairè, sgìieirè, com. sgairày aff. a fr. ant. esgailler; etim. celt. scai» 
reap, prodigalità, sgaireach, scialacquatore. 

Aipertu, it. accorto^ scaltro^ onde Aipertize, accortezza^ scal- 
trezza, È singolare che Vexpertus lat. copiato da tutte le lingue neo- 
latine nel senso di pento^ abbia perduto nel gen. cotesto significato 
per assumere quello di accorto, scaltro- Esperto, in gen., dicesi praticu, 
capage. 

Asaa, it. matassa, id. al gr. nuUaxa, filo, corda; i Genovesi ab- 
bandonarono r ignota rad. mat, dicendo semplicemente assa. 

Asiià, it. aizzare, id. a fr. ant. aacier. Secondo Zambaldi, aiZ' 
zare verrebbe dalFaat. Mza, calore; ma, specialmente per il gen. e il 
fr., è più probabile il germ. hazjan, eccitare, punzecchiare. Cfr. celt. 
hìsa, eccitare. 

AiaalsriMe, « star al sole per goderne il calore », V it. ha soleg- 
giare, ma non in questo senso che latinamente è: « ad solem jacere». 

Aiiaat&se, it. ricoverarsi, onde la frase : « mettìse a Tassustu », 
mettersi al coperto : id. al prov. « se sousta )> e « se mettre à la sousto » 
e al piem. « a la susta ». E aff. airit. sostare, e sosta, ma è molto più 
fedele, per signif., al lat. substare, da cui tutti provengono. La Crusca, 
e gli altri vocabolari, hanno sosta, per: una delle funi delle navi, e 
sostaro, per: colui che ne ha cura; è un idiotismo, in vece di osta, 
nota manovra, come ben rilevò il Guglielmotti. 

Aitala, it. domare, cotUenere; etim. incerta: non da ^^a^?o, come 
altri vuole, bensì: o da stalla (lat. o germ. voce, qui non importa di 
esaminare), e asfald in questo caso verrebbe dal condurre a forza alla 
stalla una bestia vagante e recalcitrante, onde il senso fìg. del domare: 
oppure dal fr. ant. astai, estai, palo, cui facevasi legare un colpevole, 
un ribelle, per batterlo. 

AitresTOy it. lastrico, selciato di pietre piane, onde Aatreg^à, la- 
stricare; etim. senza risalire con Zambaldi alla greca, vi è lat. stratus, 
via strafa. 

Aatranon, it. croccayite : dicesi delle campane e dei vasi che, es- 
sendo fessi, mandano un suono falso; v. aff. alla piom.: strun, stì^ni» 
ambo forse da tnoi, tuono. 

Astù. Il modo con cui questa v. è sempre usata in gen., cioè: 
« voi siete, egli ò un heìVastù », detto a persona accorta, maliziosa, lo 
fa venire da lat. astur, astore, falcone per la caccia, che pure in it. si- 
gnifica uom furbo; la v. del resto ò id. a fr. ant. astit, astuto, da lat. 
astiis, furberia. 

Atracà, it. attraccare, v. m. che vale: far accostare una nave o 
barca alla terra o ad altra nave; la definizione del Guglielmotti è er- 
rata. Voce comune a prov., fr. e sp.; etim.: neerlandese ^r^AA^n; ma po- 
trebbe pur essere lat. attrahere, attractum. 



— 164 — 

Avaà, it. varare f v. m. che vale: lanciare o condurre una nave, 
dal cantiere su cui fu costruita o riparata, nel mare, o in un lago, o 
fiume; ne vengono in gen. Avàn, varo. Fatto del varare, e la frase: 
« piggià Tavàu », usata anche a proposito d'una massa qualunque che, 
posta su un declivio, si muove per discenderne: v. comune al fr. ant. 
varer, ed allo sp. varar. Etim. Zambaldi da lat. vara, palco fatto di 
pali, cavalletto, di senso lontanissimo, tanto più che i Latini, per varare 
dicevano « navim deducere, moli ri, trahere v>. Lo Jal la dichiara ignota, 
parendogli che la v. varare, appartenente ai soli idiomi del bacino del 
Mediterraneo, non possa derivare dalFanglo-sassoue toarad, toarod, 
riva, sponda. Il Tramater, seguito da altri vocabolari, la trae dalFar. 
va"ada, condusse, mise, avvicinò, onde varid, che scende nelPacqua; 
ma come ammettere questa etim. quando è certo che i Liguri naviga- 
rono (almeno in Mediterraneo) molti secoli prima degli Arabi? Pre- 
messo che la V. it. varare è, per ragioni storiche sicurissime, d'origine 
genovese, e che la sua forma primitiva è appunto la gen. avaà, pare 
assai verosimile che essa venga dal celt. aio, acqua, avan, aven, fiume, 
dal gotico ahva, acqua; voci conservate nelFit. ant. evo, acqua, nel 
fr. ant. ève, aive, eave, ecc., acqua, nel com. mod. avas, sorgiva di 
acqua. Il fr. ant. che aveva avuto varer dal gen. col signif di varare 
(che poi abbandonò per dire lancer), teneva la voce propria varer, si- 
gnificante: passare un fiume a guado. Con questa occasione, gioverà 
di corregger Terrore dei vocabolari italiani i quali, tra i significati del 
varare, mettono quello di: accostare il naviglio a terra, citando i se- 
guenti versi del Ciriflb Calvaneo : 

Venne la notte, onde di nuovo afferra 
Il porto, e i venti lo servon leggieri: 
Varò la barca, e il Pover mise a terra 
Con quei cavalli e con tutti gli arcieri. 

Or non vi ha marinaro che non intenda subito come trattisi della barca 
battello che stava dentro alla nave, e che fu varato, cioè calato in 
acqua, per mettere a terra i passeggeri. 

Avardàae, Vaxdàae, it. guardarsi, prender guardia, id. a piem. 
vardè, lomb. vardà, prov. agarar, fr. ant. awarder, varder; come it 
guardare, ma di esso più puro, vien dalFaat. toarten (guardati ! in gen. 
varie l). 

Avià, non ha in gen. il significato di avviare it., mettere sulla via, 
bensì quello di avvezzare, assuefare, accostumare, verbi tutti che 
non appartengono al gen. ; viene, come it. avviare, da lat advehere, 
trasportare, condurre : avioù =: advectum, assuefatto alla via, e per est 
a qualsivoglia altra cosa. 

Avlat&, V. m. comune a prov. e sp., e che significa : acoprir da 
lungi una terra, una nave; etim. lat. visere. 

Avnxà, it. dar la voce, mettere in fama, aflT. a prov. avougà; etim. 
per est. dal lat. advocare. 



— 165 — 

AxlUn, it. allegria smoderata che induce a correre, a saltare, 
onde vb. Axillà ; etim. più prob. lat. asUus, assillo, noto insetto che 
punge specialmente i buoi, onde it. assillarey smaniare per la puntura 
dell'assillo. Dice il Pulci: 

Quauti ne puuge, par ch'abbian Tassillo. 

Il fr. ant. aveva axillier, per: ravager, dévaster. 

Aze, it. asina; etim. lat. asellus, ma la forma gen. di questa voce 
è antichissima: celt. azen, germ. esel, prov. aze, cat. ase, piem. aso, 
lomb. asen, ecc. 

B&ngella, it. bilancella; etim. lat. lancem; nome dei navicelli a 
vela latina che pescano appaiati, colla rete a strascico, tenuta in bi- 
lancia tra le due parti, onde il nome, che manca alla N. Crusca. Nel 
Mezzogiorno d' Italia lo stesso navicello è chiamato paranza, paranr 
zella, e la stessa pesca è detta a paranza, voce napolitana, da lat. 
par, coppia. Registrata bilancella perchè manca al vocabolario di Zam- 
baldi, e paranza perchè egli ne dice ignota Tetim. 

B&bolla, it. lucciolato, bacherozzolo lucente ; etim. ignota: quella 
dal gr. bolide^ meteora luminosa, essendo inverosimile. 

Baoan, v. usata nella frase : «. boscu de bacan », parlando di luogo 
in cui facciasi strepito grande; etim. lat. bacchanal^ luogo dove adu- 
navansi le baccanti. Bacan poi significa in gen. capo, sia della casa, 
il padre, sia della bottega o deirofficina, il principale; in questo senso 
Petim. è oscura, ancorché la voce apparisca composta da altre due 
conosciute: celt. 6a, buono, e persiano khan^ capo; ma Tunione di due 
voci d'origine cosi diversa nel gen. bacan, non è ammissibile. Si pos- 
sono fare altre ipotesi : khan era il titolo dei capi delle tribù dei Tar- 
tari, hhakan quello del capo di tutti; sono note le relazioni dei Ge- 
novesi coi Tartari: che di khakan abbian fatto bacan? che pure 
abbiano accoppiata la v. turca baba^ padre, apocopata in &a, col khan^ 
capo? 

Baoloùla, leggera percossa a mano aperta sul capo; v. onoma- 
topeica, come it. pacca cui è affine. 

Baolooon, it. zerbinotto^ giovane galante; etim. oscura: il prov 
ha bachacoun, per uom da nulla, buffone, il com. bacioch per bimbo. 
Il Caix dice bacciocco composto di baccello e sciocco, signif che ri- 
pugnano tutti (salvo forse il com.) a quello del gen. bacioccu, in cui 
è chiara V idea del suono, del chiasso. (V. cioccu). 

Baooffl, it. uomo sempliciotto, inesperto; etim. dal volgare lat. 
baceolus. Scrive Svetonio d'Augusto: « ponit prò stulto, baceolum » 
LXXXVII. 

Badda, usato esci, nella frase de badda^ vale: gratuitamente, per 
nulla; etim. lat. med. bada « praestatio publica - dice Ducange - 
annuus census ex frumento et aliis >, a germ. bete, beete, « eadem no- 
tione, quia hae praestationes olim blande et per rogationes et suasiones 
exigebantur ». Questa voce di badda penetrò anche nel tose, leggen- 



— 166 — 

dosi nella Tavola ritonda^ testo di lingua del secolo xiv : ^ « gik non 
« vogliamo noi vostra vittuaglia di badda, anzi vi vogliamo donare dello 
« nostro argento al vostro piacere ». Il Polidori, che illustrò da par suo 
questo testo, dice : « se non è errore in voce che " di bando ^ o fors'anche 
4c " di bazza " (che però sarebbe men proprio) vorrà certamente signifi- 
« care : a ufo, per nulla. La Crusca, col Magliab., legge ^^ di bando "^ la 
« cui natura però, secondo la storia, non è di esprimere '* aggiudicato 
« per bando '^ ma imposto per pubblico comandamento. E siccome le 
€ cose in tal modo comandate si avevano senza pagar mercede, cosi 
« di bando venne a ricevere la significazione che sopra si disse » ecc. 
Tutte cose le quali la Crusca ed il Polidori non avrebbero dette cono- 
scendo che la voce di badda è viva e fresca nel gen., col preciso si- 
gnificato datole dal Ducange. Invece, la voce stessa mutò significato nel 
prov. in cui de bado e de bada vogliono dire, secondo i luoghi, suàitOj 
invano, ancorché, anche. Nel fr. ant. en bades significava invimo. 

Ba^^g^ia, it. rospo, id. a piem. babi, lomb. babbi, afT. a fr. ant. 
bà, boi; etim : il lat. ha babà, babbius, significante: sciocco, senso che 
lo allontana dalle tre voci gall.-it. cui converrebbe per la forma; eccetto 
che la goffa figura e la pochissima intelligenza del rospo non gli abbia 
procurato il nome suddetto; più prob. Tetim. dal celt. bag, ventre, 
bagagh, corpulento, v. conservate nei dialetti comaschi. 

B&sri&9 che si pronunzia quasi come Baag^i^ it. sbadigliare^ onde 
B&gla, sbadiglio, Ballala, sbadigliamento, e ImbSglà, socchiudere 
usci finestre: id. a piem. bc^è, bajada, ambage, socchiudere, fr. ant. 
baailler, mod. bàiller, entrebdiller, socchiudere. Etim. incerta: «òa- 
digliare, in lat., dicevasi oscitari, os diducere; ninna traccia dì esso 
nelle lingue e nei dialetti neo-latini, caso non raro. Il prov. ha òa- 
daillar. lo sp. bostezar, il celt. ha bada, badalein, stupore, essere 
stupito, conveniente airit. ed al prov. non al fr., piem. e gen. Diez 
congetturò si trattasse d'una sillaba onomatopeica, ba, col suffisso 
'ilare. Il sanscrito ha bhuj, dividere, che esprimerebbe Tatto di aprir 
la bocca per sbadigliare; questa forma e questo signif. di aprire, quindi 
dividere, trovasi nel baier del dialetto del Berry, e questa origine hanno 
prob. il fr. bdiller, piem. bc^è, gen. bdgid, provata dalle voci di signi- 
ficato opposto entrebdiller, ambage, imbdgid. 

Bagnn, it blatta^ afi". al romanesco bagarozzo, di uguale signif.; 
etim. oscura: fr. e sp. imitarono, come Fit., il lat. blatta, il prov. ha 
babaroto e baragogno, bestia nera, che si accosterebbe al gen. La 
formazione lat. bacius, bacus, dal gr. bombyx, onde it. bacherozzo, 
non conviene per il diverso significato. 

Baioa, it. violacciocco (cheirantus cheiri), pianta orientale di anti- 
chissima introduzione nell'Europa occidentale; etim. oscura: forse dal 
germ. veilchen, viola. 

* Pubblicata nella Coi Irz ione di opere inedite o rare dei primi tre secoli 
della lingua, per cura della R. Commissione pe' testi di lingua nelle Provincie 
dell'Emilia (Bologna, Romagnoli, 18G4). 



— 167 — 

Baleuitm, it balaustro^ onde Baleuitrà, balaustrata. Registrata 
questa v. perchè mentre in tutta Italia è termine d^architettura, in Li- 
guria è di uso popolare : vien dal gr. bàlaiistiony che sembra d'origine 
aramea, ed indica il fiore del melagrano salvatico, ad imitazione del 
quale si facevano gli ornati dei parapetti. (Zambaldi). 

Balla, it. palla; etim. celt. ball, ed aat. balla, 

Baaaitra, it. cestone^ id. a prov. baruistra, sp. banasta; etim. lat. 
benna, v. gallica significante: cesta e anche un veicolo di vimini su 
due mote. 

Baaoa, it. panca; etim. comune germ. banche poi bank : il gen. però, 
oltre alla solita maggior fedeltà alla v. originale, ha parecchi dei de* 
rivati da essa : banker beiter = bancà^ legnaiolo, falegname, che in gen. 
non ha sinonimi: bank-haUer= bancàotUy cambiavalute, che prese in 
Genova questo significato soltanto dopo che i banchieri moderni non 
tennero più bottega, allo scopo principale di barattar monete. Che poi 
questa v. sia nel gen. antichissima è provato dalla v. contadinesca 
bancascrenna^ panca a spalliera (it. ciscranna) formata con altra v. 
deiraat scranna (ted. mod. schranne, onde it. scrcmna). 

Bandéta, it. ventaglio ; letteralmente, significa bando^ola, nome 
che ricorda l'antichissima forma orientale dei ventagli, conservata 
anche oggidì per quelli di poco prezzo ; vennero poi dalla China i ven- 
tagli a stecche imperniate all'estremità e coperti di seta lavorata, poi 
di carta dipinta, atti ad essere aperti e richiusi; furono chiamati in 
Francia éventail, onde Tit. ventagli, ì Genovesi si tennero la loro 
bandéta^ v. d'origine germ. come bandiera 

Bara, it. grande carro; v. com. al lomb. Etim. sanscrito bharami^ 
io porto, barena, portatore; però il Rosai opina ci sia venuta dal gr. 
baris, nave, che del resto ha la stessa origine. Jiara, in celt, chiama- 
vasi il pane e questa voce unita a quella di bin (vino in prov. ed in 
altri idiomi) dura nel cognome Barabin, corrispondente al fr. bara- 
gouin, in celtico (basso bretone) pane e vino. 

Barba, it. zio, comune a più dialetti italiani; etim. lat. med. 6ar- 
banusy che valeva lo stesso. 

Barban e Bazara, it. bau e befana, voci per impaurire i bimbi 
cattivi. Barban è id. a piem. barabau, prov. barban^ orco, bestia nera; 
etim. prob. dalla gran barba. Bazara poi non potrebbe essere, come 
it. befana, corruzione di epifania; è v. esci. gen. di etim oscura Cfr. 
celt. baobh, cattiva donna, basco, bass, grasso, ecc. 

Barohi, it. fontana, afT. a prov. barquiu, bacino, truogolo; etim. 
lat. barca, prob. per la forma dei recipienti dell'acqua. 

Baronn, it. balcone, che in it. significa: finestra aperta fino al 
pavimento, con ringhiera. Il gen. invece chiama balcone qualsivoglia 
finestra, anzi non ha questa voce, che pure è latina. Ciò proverebbe 

* Dialetti, costumi e tradizioni delle prooincie di Berganw e di Brescia, 
Brescia, Id'ìO. 



— 168 — 

Tantichità della parola balcone nel gen. e darebbe ragione a chi le 
assegna provenienza orientale. 

Bàslsra, it. dondolo, onde Bàslg&, dondolare, giuoco fanciullesco 
diverso dall'altalena; si volle connetterlo al gr. ballizein, saltellare, 
ma ne è troppo lontano; è invece id. a prov. (Cevennes) bassacd, che 
vale: scuotere, sbalzellare, e bassacado, scosso, sbalzellio; etim. bassac^ 
che in romanzo significa bisacca (gr. sakkòs), onde bassacà vale scuo- 
tere come in un sacco. Resta il cognome, assai diffuso in Liguria, di 
Basigalv (Bacigalupo) cui mal s'addice cotesta etim.; il prov. ne som- 
ministra un'altra: ablasigà, blasigà, accoppare, ammazzare; onde: am- 
mazza-lupi, nome ben conveniente agli antichi Liguri. 

Battusn, it. ragazzaccio ozioso e vagabondo, id. al fr. baiteur 
de pavés. 

Bazan-a, it. fava; in Toscana si dissero baggiane certe fave 
grosse; etim. lat. bajanus, a, perchè tali fave erano coltivate nelle vi- 
cinanze di Baja. 

Bazanottn, it bazzotto, fra sodo e tenero, detto specialmente di 
uovo, id. a piem. bassot; etim. comune prob. germ. besotten, bollito. 

Bédln, it. carato, il seme della carruba, prob. è voce infantile, 
con la rad. bé, agnello. 

Bèg^a, it. bega, briga, litigio; v. moderna nellMt., ma antica nel 
gen. Zambaldi ne dice ignota Tetim. pur citando Taat. bàga, contesa, 
che molto prob. è la vera. 

Begrftd&, it. gozzovigliare, onde Begrftdda, gozzoviglia, dal lat. 
med. beguta e begudo, osteria, ospizio. Il prov. ha begudo, qual nome 
d'alberghi posti lungo le strade, nei quali i viaggiatori si soffermano 
a bere, e TAzais ne trae Tetim. dal vb. beare, bere, che mal si presta; 
trattasi prob. di v. germ. 

Bellna, it. donnola ; etim. celt. (kim>'t) bete, o aat bilih. 

Berlendun, it. berleffe, sberleffe, taglio o sfregio ' (ma in gen. 
colpo) sul viso, aff. a fr. balafre; etim. oscura in tutte le lingue: 
forse dairaat. leffur, labbro, col prefisso ber, 

Bemlss&, it. spiccicare, onde Bemlssn, poltiglia; etim. prob. 
lat. nitor, appoggiarsi fortemente, e sm. nixus, atto dell'appoggiarsi, 
più il prefisso ber. 

Berodn, it. sanguinaccio, in qualche luogo biroldo; etim. prob. 
lat. bi-rotulus, doppio rotolo. 

Bertnell, it. rimessiticci del cavolo; etim. oscura: sembra un 
diminutivo del gen. brottu, germoglio. (V. alla voce). 

Besassa, dicesi a donna grassa e sudicia, id. a lomb. besascia, 
besas, fr. besace; etim., il Monti i cita Far. vesach, sudiciume, ma è 
inverosimile; prob. per sim., da lat. bisaccium, a, doppio sacco. 

Beitettu, chiamano i Genovesi chi prese il latte della madre dopo 
il parto d'un secondo figlio; da bistettare, e il volgo gli attribuisce 
qualità di iettatore. 

* Vocabolario già citato. 



— 169 — 

Bettùa, it. bettola; etìm. oscura, secondo Zambaldi : sembrerebbe 
prob. quella germ. da batteUade, casa di pezzenti. Il celt. ha buthy per 
trabacca. 

Ben, it gorUy canale, id. a piem. bial, fr. ant. bieu, mod. biez; 
etim. celt. bèz, bior, o aat betti, sassone bed. 

HeuggìxLy it. bucOy id. a piem. beucc, lomb. boggin, boggion, com. 
beugg, beuggia; etim. germ. bnch, bauch, cavo, pancia. 

Benisal, it. pruni, frutici spinosi per far siepi, onde Hezìggiu^ 
detto dai Genovesi a chi si renda grandemente importuno : voce aff. a 
lomb. besiàf pungere, e a fr. ant. biso, biza, animale che punge, bezi, 
pollone selvatico, onde besil, besillier, tormento, tormentare; etim. co- 
mune germ. bizen, pungere, e beizen, esser pungente, mordace. 

Beoxima, it. fimo di bestia bovina, id. a piem. busa, com. boascia, 
prov. bozazo, boza, fr. bouse; etim., il Monti dal celt. beìizel, buachair, 

Bexin&, it. piovigginare, onde Béxln, acquerugiola, id. al prov. 
blasinà, blesinà, blasin, blesin L'Azais da lat. pruina, però questa è 
Tetim. del prov. bruinà e del gen. spìniinà. Il Parodi da bava, bavi- 
cinare, ma è una stranezza, né la frase : « bava di vento » (che è pro- 
pria deirit. e non del solo gen.) si può mai riferire all'acqua, bensì 
all'alito, al soflRo insufficiente a far uscire un po' di bava o schiuma 
dalla bocca degli animali. Veggasi il Fanfani, alla v. Bava, Il germ. 
bespritzen forse si presterebbe, se fosse antico. In conclusione: etim. 
ignota. 

Biava, it. biada, avena, v. comune a piem. e lomb. ; etim. Diez da 
lat. ablaia, sottintendendo messis, inammissibile; certa invece Tetim. 
proposta da Grimm, celt. blawd, farina, tanto più che biava, nel lat. 
med. biava, fu già il nome di tutti i cereali. 

Blbin, it. gallo d^ India, tacchino ; etim. ignota tanto pel gen. che 
per r it. 

Bissila, palla d'avorio per giuoco al bigliardo, id. a prov. bilho, 
fr. bilie, sp. bilia; l^tim. germ. proposta da Diez non regge, perchè il 
giuoco del bigliardo se non fu inventato in Francia, certo vi fu eser- 
citato da tempo antico e di ìò. diffuso per tutta T Europa, ond'è da 
seguitare Littré il quale crede ad una viziosa assimilazione di bilie a 
boule. I Toscani male chiamano bilie le buche del bigliardo. 

Binda, it. benda, onde Bind&, bendare; v. comune a piem. e 
lomb., più affini che Tit. airoriginale aat. binden, legare. 

Bisca, luogo dove si tiene giuoco pubblico, onde peggiorativo: 
Bisoassa, BisoaMÒ, biscazziere, e vb. Biso&, dolersi per danno avuto 
o bene non conseguito: id. a piem. bische, a prov. bisca, fr. bisquer; 
etim. lat. med. biscatia, giuoco d'azzardo (Ducange). 

Bisoaesn, it. 7'otto, e dicesi specialmente di quella parte della 
moneta che avanza da una intera; etim. lat. bis e caesum, tagliato, 
rotto. 

BisoSohin-a (&), vale in gen. alla peggio, malamente; etim- 
incerta: forse da bis-coquina, lat. med coquinus, onde fr. coquin, vale 



— 170 — 

a dire cosa due volte cattiva; forse id. a fr. ant. àeschochier, tirar 
male (òes male, cochier incocciare la corda della balestra) : e conside- 
rato che Tarte del balestriere fu antica e generale in Liguria, questa 
è prob. la vera etim. di biscóchin-a 

Bixa, in gen. debole venticello, in prov. invece biso, bisa, e in 
fr. bise, è vento secco di N. o N.-N. E., lo sp. non ha questa voce. È 
credibile che sia avvenuta una confusione fra essa e Tit. brezza, gen. 
brixa, fr. brise, sp. brisa, ingl. breese, voci che in it., gen , fr. e ingl. 
indicano un vento leggero, dove che in sp. brisa dinota il vento di 
N. E., nel prov. manca; etim. aat. bisa o pùa, o celt. biz. 

Blocca, pezzo grande di checchessia, masso di marmo, ecc., onde 
la frase: < fa iin bloccu », vendere o comprare a corpo ; id. al piem., al 
prov. e al fr. aloe, ma, in questo senso, non al lomb. ; etim. dall'aat. 
blochy dal celt. bloc o biute. 

Bea, it. cassa cToìtneggio, è v. m. antichissima del gen., imitata 
da' Francesi, Spagnuoli e pur dagli Inglesi. Littré e Guglielmotti (che 
la chiama boga) la traggono dal lat. bqjae, bQjat^m, che erano, se- 
condo Feste : « vincula ferrea vel lignea » ; ma, premesso che Fuso 
delle catene per le àncore è affatto moderno, bisogna chiedere: usa- 
vano i Greci e i Romani le boe? Non consta, ed è poco probabile: 
Littré dice che esse furono chiamate così perchè « son pezzi di legno 
galleggianti, ma fissati ad una fune», però nessun marinaro avrebbe 
mai dato lo stesso nome alla boa ed al cavo cui essa stava attaccata. 
Trovasi nel lat. la voce boa e bova per indicare un « vaso vinario 
lungo, turgido ed ampio * (Porcellini) e forse questa è Tetim. della 
boa, tanto più che essa non fu. per secoli, che una botte od un cara- 
tello, ben chiusi, e tale è, qualche volta, anche oggi. Il fatto poi che 
il nome di boa durò sempre immutato nel solo gen. induce a credere 
che si tratti d'una invenzione ligure. 

Borda, per metonimia, nave^ barca; ne derivano nel linguaggio 
marinaresco una quantitli di voci e di modi che fcon accade riportare 
qui; etim dall'aat. borty orlo, sponda della nave, e baurd, bord, tavola, 
che è pure celt. Voce non antica nel gen., con^ non lo è nell'it. e nel 
fr.;. tuttavia nel seicento dicevasi già bordare, bordeggiare, ecc.; dif- 
fusa probabilmente in Mediterraneo da Olandesi e da Inglesi, ed ac- 
colta, perchè opportunissima, da tutti i marinari neo-latini. Sembra 
però che Tetim. celt. si ritrovi ab antico nella voce gen. burdaUu, bor- 
dato, tela di cotone a righe sottili di due colori, delle quali i Genovesi 
furono i primi fabbricanti in Italia, e sarebbe dal kimri burdd, tavola 
di pino, naturalmente rigata. 

Boria, it bernoccolo : il piem , il lomb. e in particolare il b. bres. 
e il com. hanno più voci aiBni a quella gen. nel senso generale di cosa 
tonda, di rotolare; il Rosa trae b. bres. boria dall'ant. b. ted. bohar. 

Bdxla, it bugia, piem. busta, lomb. bosla, prov. bauzìa, fr. ant. 
boisie; etim. comune prob. dall'aat. pósi, basi, vano, cattivo, mod. 
base; più direttamente da bosa, inganno. 



— 171 — 

BragrbO) V. gr. poi gali, passata nel lat. con la forma: bracae, 
bracarum: id. a piem. braje, prov. bragos; brache dicon anche i To- 
scani, ma familiarmente e quasi in ischerzo, dove che il gen. non ha 
né rit. calzoni, né il veneziano pantaloni. 

Bras^&, ora v. pop. e contad. ma antica e genuina invece della 
V. civile sbragià, it gridar forte: id. a piem. sbraia^se, lomb. sbragià, 
com. bragia, prov. brailar, fr. brailler; etim. comune celt. braic, bocca. 

Bram&, il muggir forte degli animali bovini, id. a piem brame, 
prov. bramar, fr. bramer, sp. bramar; etim. comune aat. breman. 

Brenna, it. cmscone, id. a piem. e com. bren, prov. bren, fr. ant. 
bren, bran, b. lat. brennium; etim. celt. bran, bren, breun. 

Bricca, it. niente, id. a it. brida, briciola, lomb. bricch, com. 
bìHca, prov. brico, fr. bris; tutti dal gotico bnkan, ted. mod. brechen, 
rompere; la v. gen. indica dunque un frammento così piccolo da equi- 
valere a niente. 

Bricca, it. monte erto, Hpido, fatto a cono, id. a piem. e com. 
brich; etim. dal celt. brig, cima, vetta. 

Brichetta, it. fiammifero ; così furono chiamati in Liguria e in 
Piemonte i primi fiammiferi fosforici venuti di Francia, dove bnquet 
dinota il piccolo pezzo d'acciaio con cui traesi il fuoco dalla pietra 
focaia. 

Bricocàla, it. albicocco, a; etim. la prugna delFArmenia fu 
detta dai Romani praecóqua, praecoca, in paragone della pesca sua 
vicina che matura più tardi; praecóqua fu storpiato nell'arabo ai- 
barquq, che passò nello sp. albaricoque, prov. e fr. abricot, it. albi- 
cocco. Così Zambaldi, ma per verità praecóqua era, in latino, il nome 
generico di tutti i frutti precoci, né consta che nel latino scritto sia 
stata mai designata con esso, in particolare, Talbicocca; che però, nel 
parlar volgare, tal nome avesse dimostrano il gen. bncocalu, il sardo 
pincoccu (ambo dal nome dell'albero), e più di tutti il romanesco 
bricocola. 

Brisrnan, it. prugna, id. a prov. brig nolo e (Cevennes) bngnoù; 
etim. prob. da Brignolles, città di Provenza, gran produttrice di prugne 
secche. Per sira. di forma e talvolta pur di colore, i Genovesi chiù- 
mano brignun il gelone. 

Brisraa, it. bolla^ vescichetta sulla pelle; etim. oscura: forse dal 
celt. breg, rottura, forse dal prov. bngue^ pezzettino, minuzzolo, dim. 
brigouleto, gen. brigueta; in questo caso da anglo-sass. brice. 

Brocca, significa in gen. uno o più fiori spiccati dalla pianta col 
loro gambo, o con un ramicello: v. aff. a it. e lomb. brocca^ fr. ant. 
bì^c; etim. dall'aat. bì'uck, fiammingo brok, ramo spezzato, pollone. 

Brotta, it. brocco, germoglio, id. a prov. brot, brout, fr. brout, 
sp. brote; etim. dall'aat. 6ro^, pollone, sass. brustian, germogliare. 

Briigti, it. erica, sufi^rutice per fare scope, v. comune a piem., lomb- 
e prov.; etim. dal celt. brwg, bruh, 

Brftmma, insetto di mare che fora le carene non foderate di rame 
V. m. gen. e prov. broumo, passata nel ling. nautico it.; bruma è anche 



— 172 — 

Terba che si attacca alle carene, ma è chiamata così da una specie di 
brume che vi si annidano (dette in gen. tettinotti) e servon d'esca per 
pescare. Bruma, in tutte le lingue, eccettuata Fit. in cui signilìca in- 
verno, vale: nebbia, tempo piovoso; bituma, insetto, non può dunque 
venire che dal gr. broma, cibo, esca, onde il gen. brumezzu, esca per 
i pesci. 

Brii80&, it. brniscare, v. m. che vale: abbrustolir la carena d'una 
nave con fascine di brugo accese, per poterla poi pulire, ecc.; etim- 
oscura, forse, per sim. la stessa delPit. bìniscare (che però significa: 
rimondare un albero), cioè Taat. burste, brusta, pettine. É notevole 
che anche nel romanesco bruscare vale abbrustolire. 

BriizI, it. il muggire delle bestie bovine, onde Briizza, muggito, 
id. a piem. brogè, l'it. ha brusio per rumore prodotto da chiacchiere 
che la N Crusca dice aff. a fr. bì'uit; Tetim. della v. gen. è dalPaat. 
brasa, muggire. 

Bnèu, it. baglio, v. m., uno dei grossi travi squadrati che legano 
per traverso i fianchi della nave e reggono il ponte: id. a fr. bau, sp. 
bao; etim. Jal e Littré dal germ. balken, trave; nel basso bretone il 
baglio è chiamato bau. 

Bufftlu. Il Parodi dice che è precisamente la stessa cosa che Tit 
paffuto, ma non è: buffuu non significa «molto grasso e rigoglioso» 
come it. paffuto, bensì che « soffia gonfiando le gote *. Non si adopera 
infatti che nefla frase « russu buffiiu » la quale indica o gran fatica 
gran collera; è insomma il fr. bouffi, da bouffer, it. buffare, voci 
che giustamente Diez chiama onomatopeiche. 

Bùs^à, it. bucato, onde Biigàixe, lavandaia, id. a piem. bugà^ 
lomb. bugada, com. bugada e bugadà, prov. bugada e bugadieiro, sp. 
bugada; etim Muratori dal germ. bauchen, lavare. Zambaldi e Azaì's 
pensano che bucato sia il p. p. di bucare, perchè il ranno si fa passare 
per un panno foracchiato: ma bucare è voce ignota a tutti i dialetti 
italici; nel lat. med. (Ducange) havvi bugada, ranno, come v. iberica, 
bugaderius, attinente a ranno, e bugadieyra, lavandaia; queste due 
ultime voci come celtiche. Il Monti dice che buga^da deriva dal celt. 
bugà, premere colle mani; anche la N. Crusca dubita che bucato venga 
dal celt. bog, bagnare. Quanto alla v. gen. bilgàixe, essa o rivela af- 
finità coirant. teutonico buychsel, bucato (citato pure dal Monti), od 
è un'assimilazione del celt. o del germ. a una forma lat. bugatrix. 

Bùgratta, it. bambola, id. a piem. buàta. Il Parodi pensa che 
venir possa da lat. pupa col p scaduto ad; in questo caso bisogne- 
rebbe ammettere anche lo scadimento del secondo p in ^, e sarebbe 
troppo. Per il fr. poupée, Littré propose una forma fittizia: pupata, 
che può stare, ma il gen. bùgatta si allontana soverchiamente da pupct. 
Forse in bùgatta, buàta, trovasi la rad. gr.-lat. bu, bua, voce infantile 
per chieder da bere; e Nonio Marcello' scrive che le balie chiamavano 
« cibum ac potionem buas >. 

* De prop. sermonum. 



— 173 — 

BiUggSn, it. bugliolo, v. m. gen. che indica una piccola secchia 
di legno ed anche di cuoio, con manico circolare, usitatissima a bordo; 
etim. Zambaldi da it. bugno, alveare, troppo lontano; è prob. invece 
lat. doliolum, botticina, mutato il d in 6, come quando il gr. dis dà 
il lat. bis. 

Bulaooa, it. calderotto, afT. a fr. boi; etim. comune prob. dal 
celt. boi, bolla, coppa. 

Bnlitlsrai it. solletico, onde Balitig&, solleticare, lat. titillus, 
titillare. Non una lingua neo- latina imitò questa, pur così bella, voce: 
il prov. ha catilha, il fr. chatouiller, lo sp. Iiacer casquillas, il piem. 
gatii e gatiè. Inutile riferire ciò che scrissero i glottologi per trovare 
Tetim. deir it. solletico che resta oscura come quella del gen. bulitigu. 

Boll&se, it. fare un tuffo, ma in gen. indica ciò che i Francesi 
dicono « piquer une téte v>, gettarsi nell'acqua con la testa avanti, e 
rovesciarsi poi su se stessi; il solo prov. (Carcassonne) ha una voce 
consimile, boulingà, con quest'ultimo significato. Etim. oscura: lat. 
bulla, nel senso di cosa tonda, è inverosimile; forse dalla capata che 
batte chi si tuffa, si può arguire che vi sia nella v. bullàse la germ. 
bulle, bue, grossa testa. 

Bulleziimme, it. maretta; etim. oscura: sembra aff. a fr. bouil- 
laison, fermentazione. 

Bulla, it. giovanotto galante, audace, ed anche bravaccio, onde 
vb. Bullez&, sfoggiare, braveggiare, e Bollata, bravata, v. com a 
piem. e lomb. ; etim. più che dal germ. buhle, drudo (proposta dai 
glottologi per un preteso it. buio), dal sassone bulluca, onde ingl. bui- 
lock, torello, e bully, bravo, sgherro. Nota: il gen. ha bullibè, col si- 
gnificato di babbeo; Tingi, ha bull-bee, insetto, e bull-head, ghiozzo 
e uomo sciocco. 

Bumbòa, it. iattanza, ostentazione, onde « fa bumbèa », millan- 
tarsi: aff. a prov. bobansa, fr. bombance, in cui però Tantico signifi- 
cato si mutò in quello di: gozzovigliare; etim. prob. da lat. bombus, 
nel senso di millanteria, o bombicus, in quello di fastoso (Diez). 

Bunòs^a, it. buonavoglia, chi volontariamente serviva al remo 
sulle galere per mercede; v. che dura nel gen. col significato di: ma- 
riuolo, furfante; ègia nel gen. ant. era: voglia, e nel contado è voce 
ancor viva. 

Burdi8r&, it. frugare, frugacchiare, onde Bnrdlgottn, piccolo 
stanzino, bugigattolo; il lat. med. avea borda, dal sassone bord, casa, 
tugurio, da cui vennero bordigala, bordigalum, recinto di canne in 
mare o fiume per prendere e serbar vivo il pesce, che pur si trova nel 
prov. bourdigo, bourdigou; indi il significato delle due voci gen. 

3nridda, vivanda di pesce, specialmente di stoccafisso, ridotto 
in minuzzoli, id. a prov. bourrido; di etim. oscura in ambedue gli 
idiomi: forse da fr. bourrer, battere (4c bourrer de coups >), ma la que- 
stione è complicata dalla frase, comune al gen. ed al prov., € cure 
buridda > e 4c courre bourrido >, le quali valgono : correre un pericolo, 



— 174 — 

toccar busse, e di esse non havvi altra spiegazione possibile che quella 
dì bolina, « correre la bolina » (anticamente purHna in it., boryne in 
fr. , sorta di cavo di manovra), castigo marinaresco, or non più usato, 
che consisteva nel far passare il condannato tra due file di marinai, 
ognun dei quali gli dava sul dorso nudo un colpo di trincila. 

B1iao&, sgrossar legni con Fascia o altro strumento, onde Bfl- 
Eoa, minuzzolo di legno e Bftaoae^gla, scheggia^ truciolo^ id. a piem. 
busca e buscaje, aif. a fr. ant. boscage, prov. bousealho; etim. got. 
busch, bosco, b. lat buscus, o celt. buscha, legname. 

Biiaoin, it. bosso, bossolo, onde Bftaoina, portantina, BflflOl- 
ueta, salvadanaio, Bùaoinlaja, pasticciere, Bùaoinlottn, busso- 
lotto; etim. lat buxiis, bosso. Quanto a Buaoettn, che in gen. vale 
vecchietto, il b. lat. aveva busxis nel senso di pinguis, obesus. 

Basaellu, it bozzello, carrucola di marina, onde Bnasellài box» 
zellaio, id. a fr. ant. bocel, boissel, scatoletta; etim. gr. pyxida, da 
pyxos, bosso (i bozzelli essendo fatti di bosso) mediante la forma bu- 
xida dim. 

Bustio&j it. stuzzicare, muoversi, nella frase « tucca e busticca » 
indica chi non può star fermo, un frugolo; nell'altra « fa satà a bustica» 
vale: irritare; id. a piem. bustichè, prov. bousticà. Etim. incerta: più 
prob. dal lat. med. bovis stiga, stimolo per i bovi (rad. stig, pungere) 
dal germ. stechen, di senso aff. al busticà. 

B1it&, it. buttare, onde Botta, colpo, id. a piem. butè, lomb. buUà, 
fr. ant. bouter: ha in gen. vari significati, ma il principale è quello 
stesso del fr. : urtare, spingere, cacciare ; etim. comune germ. buize^ 
cosa ammaccata, da bòzen, urtare. 

Battu, it. balzoy Hmbalzo, onde Battez&, balzare, risaltare: è 
una delle voci le quali dicesi avere Dante tolte dal gen. usandola nella 
frase « di botto », cioè « di colpo >, <( in un subito ». Etim. la atessa 
deir it. botta, percossa, cioè il germ. bòzen, urtare. 

B1izano&, dicesi, per eufemismo id. a quello del tose, buscherare, 
nel senso di conciar male, cagionar danno, per non pronunziare la 
parola originale che; è turpe. Questa la N. Crusca trae da bugio, Zam- 
baldi da bulgaro, fr. bougre, ma bugg ... è v. moderna nel tose, ve- 
nutagli dal gen. e dal veneziano che la portarono di Turchia dove buz 
è lat. feminal e coire. 

Buzzu, it. acerbo, inimojturo, e dicesi delle frutta, id. a piem. 
beus; etim. prob. germ , forse da butzen, torsolo, o da bòs, cattivo. 

Cabanna, it. capanna, onde Caban, gabbano; voci comuni al 
prov.. fr,sp. ed ai dialetti gall.-it. con lievissime alterazioni di forma; 
etim. dal celt. caban, da cab, baracca. Quanto a caban, fr. cab€M, 
Littró lo trae dall'arabo aba, Zambaldi ne dice ignota Petim.; parrebbe 
invece che sia la stessa di capanna, fr. cabane: il gabbano, mantello 
per il cattivo tempo, avendo significato di protezione, ricovero, come 
la capanna. 

Cabirda, compagnia di gente disposta a mal fare; etim oscura, 
forse dalFebr. fenicio cabbir, potente. 



- 175 — 

Oaoaliia, ìt. coccola^ cioè il frutto del cipresso, ginepro, ecc.; 
etim. dal gr. kohkos, kohkalos. 

Oadellu, usato esclusivamente nella frase: «mette a testa a ca- 
dellu )>, che significa: fare, o far mettere, giudizio. Il Parodi scorge nel 
cadellu il fr. ant. cadeler di cui già si parlò nelle note alle Antiche 
rime genovesi e vorrebbe quindi attribuirgli il senso di : mettere sotto 
un capo, una guida; ma questo senso è alieno cosi dalla forma che 
dalla sostanza della frase gen. Pensando al lat. cadus, dim. ccuìellus, 
caratello, barile, e considerando la forma del barile gen. da vino e da 
olio, e al modo con cui facchini e contadini usano di portarlo sul capo 
e sul collo, si potrebbe credere che il « metter testa a cadellu » abbia 
significato in origine : tornare al lavoro, obbligare al lavoro. Altrimenti 
convien ricorrere al prov. che ha cadeliou col significato di testa matta, 
d'uomo violento e furioso, e cadel, cagnolino, e per estens. ragazzo ed 
anche giovinotto che ha modi ed inclinazioni da ragazzo: voci che 
TAzais tolse da lat. catulus, (3erto vi è affinità tra la v. gen. e la prov., 
però la frase gen. non si presta al signif. della v. prov. anco suppo- 
nendo che sia stata alterata da una forma primitiva « mette testa au 
cadellu », poiché cadellu per cagnolino è voce anti genovese. 

0&fatt&, it. calafatare, onde Cafattu, calafato; è forse Tunica 
voce che sia comune a tutte le -lingue marinaresche indo-europee, la 
russa eccettuata; etim. incerta. Littré e la N. Crusca, dalPar. qalafa, 
che vale appunto calafatare; Zam baldi, citata Topinione delFEngel- 
mann che la trae da lat. calefactare, intensivo di calefacere, profe- 
risce la derivazione dalPar. galla f, saldare a fuoco; ma è impossibile 
che i marinari del Mediterraneo abbiano dato un nome arabo alFanti- 
chissima arte del calafato: è il contrario che certamente avvenne: gli 
Arabi tolsero, probabilmente dal genovese, il su detto qalafà come 
Taltra v. gilfat, calafato. Lo Jal ed il Guglielmotti derivano il calafa- 
tare dal lat. calefacerj, scaldare, che non si presta alla flessione nelle 
forme neo-latine: rimane il calefactare ; ma come un'operazione ac- 
cessoria alle quattro che costituiscono il calafatamc (ristoppatura, 
chiusura dei commenti, impeciamento, spalmatura) avrebbe denomi- 
nata r intera arte del calafato? Greci e Romani non par che avessero 
un nome speciale per tale arte, assai semplice ai tempi loro, e com- 
presa probabilmente in quella del mastro d'ascia; ma è possibile che 
essi chiamassero calefactor l'operaio incaricato di far bollire il sego e 
la pece per ungerne le tavole, e questo nomo sarebbe rimasto nel 
medio evo all'operaio, con estensione all'opera. 

Cafasol, in gen. vai negro; Tetini. che il Casaccia mal trae da 
Gaffa, città, è prob. da Cafusi, nome di un popolo che abitava il Bra- 
sile. Esso Casaccia registra pure Caffun, col signif. di negro; a me 
non accadde mai d'udirlo ; caffon, in napolitano, cafuni, in siciliano, 
ambo voci di greca origine, significano: villano, zotico. 

Oaga in nlu, significa in gen. il figlio ultimo nato d'una famiglia, 
id. al prov. cago^nis. 




— 176 — 

Cajoma, it. caliorna, ven. caloma, \. m. grosso paranco. Il 
Guglielmotti lo vuol chiamare candelizza, affermando che caliorna è 
detto < a servizio dei Francesi ». Questi dicono invece, per bocca di 
Littré, che la loro caliome è un'alterazione delFit. carnale. Infatti, 
caliorna non è che la corruzione della v. quaniale, grosso paranco, 
chiamato qua)*nara nel '500, camara nel '600, ecc. 

Caladda, significa in it. strepito, chiasso, onde « fa da caladda > 
vale: gridare, far chiasso. Non è, come fu detto, v. orientale: Telim. 
però è oscura, il fr. ant. aveva kalade, per « sorte de fète > 

Dedans le chasteau retourna 
Cu Ton faisait feste et kalade. 

Lefranc. 

Il prov. ha caladà, calado, selciare, selce; il Tramater registra la 
V. calade, traendola dal gr. kalos, bello, e odo, canto; etim. che per 
il fr. ed il gen. non sarebbe da rigettarsi. 

Calanoa, dim. di cala, piccol seno di mare, v. m. gen., id. a prov. 
calanco, fr. càlangue ; etim. la stessa di calare, cala, calata, voci 
venute tutte dal gr. chalan, cui più s'accosta il gen. calanca. 

Calau, it. castellina di noci, noto giuoco fanciullesco, aff. a prov. 
cocal, noce; etim. prob. dal gr. hohkalos, 

Caléujn, dicono i Genovesi (però con senso gradevole) della pasta 
da minestra quando è poco cotta; il Parodi da lat. callus, callo, e 
avrebbe dovuto dir da callosus, perchè callus non poteva dare caXleUju, 
Come però sarebbe venuta in' mente ai Genovesi la poco pulita simi- 
litudine della pasta da mangiare coi calli? E se calléuju significasse 
calloso, come accade che i Genovesi non l'adoperino mai in tal senso 
che sarebbe il suo proprio ? L'etim. probabile di questa voce è celt. ant. 
calut, mod. caled, fermo, duro. 

CalfLm&, it. calumare, v., m. che vale: calare un cavo, filandolo 
a poco a poco, onde Calùmu, lunghezza di esso cavo uscita da bordo; 
è V. gen. comunicata al linguaggio marinaresco it., ma a nessun altro, 
e accolta dalla N. Crusca perchè usata dall'Ariosto: essa Crusca ne 
travede l'afììnità d'origine a calare, ma poi dubita che venir possa dal 
gr. celetisma, il quale ha senso assolutamente estraneo al caluìnare. 
Guglielmotti propone un « calare ad humum », che oltre ad essere 
modo terraiolo, è affatto arbitrario; è prob. che l'etim. di calumare 
sia dal gr. chalan, combinato con altra voce, forse chalasma, allen- 
tamento. 

Cambusa, it. dispensa di bordo, onde Oambiisé, dispensiere, 
id. a prov. cambuso, fr. cambuse; etim. comune olandese kaòuis, cu- 
cina di bordo. 

Camna, it. tarlo, tarma, onde Cama&, tarlare, Oamnon, but* 
terato dal vajuolo, comune a piem. e lomb.; etim. incerta: forse dal 
celt. cam, curvato, che indicherebbe la tortuosa via dei tarli, forse (ed 
è più verisimile) dal gr. hdmuo, lavorar faticosamente. 



— 177 — 

Cannle, it. fioHy muffa del vino, id. a prov. canos; etim. lat. ca- 
nu9, cano, bianco: il fr. ant. aveva chanes, chaines, col signif. di ca- 
pelli bianchi, conservato nel piem. cane. 

Cantày it. cantaro, noto strumento per pesare; etim. da ar. al- 
hantar, che significa: il ponte ; ed ecco perchè : allorché trattasi di pe- 
sare robe assai gravi o di gran mole, esse vengono appese con ganci 
a una stanga i cui capi poggiano sulla spalladi due uomini; al soste- 
gno è attaccato il cantaro con un contrappeso, chiamato romano. Si 
ha così la similitudine con un ponte da cui pende il peso e lo stru- 
mento che lo misura. È credibile che questo modo di pesare, che forse 
dicevasi « fare il ponte » sia stato usato dagli Arabi e imitato dai Ge- 
novesi. 

Cantabnm-a, it. sifone, tromba da vino, id. a piem. cantab^^na, 
prov. cantabruno ; ambo in origine consistenti in una cannuccia con 
cui aspiravasi il vino da un barile, chiamata in fr. cìialumeau, da lat. 
calamìÀs: però cotesta etim. non conviene a cantabrun-a che prob. è 
da lat. cantarus, poi nel lat. med. cantabrum, vaso da vino : etim. con- 
servata da it. càntaro, fiasco, barilotto, e da sp. càntara o cantaro, 
secchio, misura per il vino. 

Càntia, it. cassetta : la gen. càntia fu in origine una cassa che 
si teneva in un canto perchè recasse meno ingombro; etim. da canto, 
angolo, forse celt. cani, ricinto, cerchio, forse gr. kamptós, curvare, 
inflettere. 

Capàro, it. caparra; etim. gr. arrhabon (derivato dal fenicio), 
somma pagata anticipatamente sul prezzo convenuto, da perdersi se 
non si mantiene il contratto. Varrhabon fu poi combinato col lat. cape, 
cape arrham: il gen. però conservò Yo della v. originale. 

Capetta, chiamano i Genovesi chi vuol vestire secondo la moda e 
far lo zerbino, ma non ne ha che scarsissimi mezzi : i Fiorentini lo dicon 
frustino: odasi il Foglietta: 

E capi>6tte si curte ognun se fa 
Che ben re chiappe nu se pou cruvi: 
Però semu chiame tutti cappotte. 

Capitanin, it. capitano; da lat. med. capUaneus che, sincopato, 
formò il cognome: Cattaneo. 

Carabuttin, v. m.. it graticolato di legno a serrette, che serve 
ad usi diversi su navi e barche, id. a fr. caillebotis; etim. ignota. 

Caraplsrna, it. sorbettiera ; etim. dal basco garapina, in cui vale : 
stato d'un liquido che si congela. 

CaròSTa, it. sedia, fr. ant. caire, chaieire ; etim. più prob. dal gr. 
kat'hédra, sedia a spalliera. Cfr. ar. hursl, pi. haràsì, sedia. 

CarasTfiriu, it vico, viuzza: parrebbe aff. a lomb. ant. caì^òbio, 
che Zambaldi trae da quadnivio, quadrivio, ma tal non è il senso delle 
due voci gall.-it. nelle quali scorgesi Vetim. carrulus, piccolo carro. 
Anche il fr. ant. aveva carouge col signif di «promenade près d'un 
village ». 

12 



— 178 — 

Casan-a, it. monte di pietà. Alcuni pensano, tra gli altri il Casac- 
cia (Diz.) che ccuiun-a denwì da una parola turca, la quale scrivono cha- 
sana e spiegano: luogo dove il Sultano tiene il suo tesoro. In ogni caso, 
deriverebbe dall'arabo hizàìia che vale: tesoreria. Ma era egli possibile 
che i Genovesi andassero a cercare una parola araba per dare il nome 
al loro monte di pietk? E Faltro significato del gen. casan-a, assai 
più comune, di avventore, cliente, come si accorderebbe col casan-a, 
tesoreria? La verità ò checasana è v. del lat. med., significante « mensa 
argentana » cioè banca, cassa (V. Ducange, alla v.) Erano i Lombardi 
e gli Ebrei che nel medio evo esercitavano l'industria del prestar da- 
naro su pegno, e il loro banco si chiamava casana, onde in Francia 
dicevansi casenters. Questa voce poi deriva da casa, che in origine 
era un tugurio fatto di pali, rami e canne, e casan-a venne a signifi- 
care: chi frequentava la casa, e per estensione, la bottega: in questo 
senso il gen. casan-a ha qualche affinità col fr. chaland, sp. cfialan. 

Cassa, it. ramajiiolo, mestola, dim. Cassetta, m^stoUna: in qual- 
che luogo d'Italia chiamasi cazza, come in Liguria, un vaso di ferro 
con manico per attinger acqua dalla secchia; ne derivarono al gen. cas- 
saraea, mestola bucherata e cassarolla, cazzaruola, fr. casserole, id. 
a piem cassici, lomb. cazzùu. Etim. comune dalPaat. chezi, mod. kes- 
sei, bacino. 

Cassau, it cassero, o castello a poppa e a prua delle navi; etim. 
ar. al-qagr, corrotto dallo sp. in alcazar; in effetto però è la parola 
lat castrum mal pronunziata dai Numidi e conservatasi tra gli Alrabi. 

Catorbia, erroneamente gattoròia, che vale: prigione; etim. prob. 
(la gr. katd (in. sotto) e orbo, sotterraneo, luogo bujo (Zambaldì). 

Cavagna e Cavala, it. canestra e canestro, di forma diversa, 
v. comune a piem. e lomb. ; etim. da lat. cavus, cava, cavo, concavo : 

Poi riede, e la speranza riugavagna. i 

Cavò, chiamaronsi volgarmente a Genova, fino a questi ultimi 
tempi, le guardie municipali ; la voce cave non avea singolare, ciò che 
avvalora V idea che essa venga dal lat. cavete, grido mandato dai ri- 
venduglioli nelle piazze e vie, non appena scorte le guardie (incaricate 
specialmente dMmpedire indebite occupazioni di suolo pubblico) per 
avvisare i compagni. Cave non può venire, come altri pensa, dal turco 
kavas (ar. hdssat) perchè questa voce non indica guardia municipale 
di polizia, ma persona addetta a un servizio particolare. 

Cèabella, it. lucciola, letteralmente significa: chiara-bella; non 
pare corruzione del lat. cicendela, lucciola, perchè il gen. ha ben reso 
questa voce con Taltra sexendé, luminello per lampade notturne : prob. 
è v. originale, afil al lucìabel del fr. ant che valeva: lucifero, 

9etrim, it arancio -a. Come i Francesi e i Tedeschi sono i soli 
che chiamino citron, durone, il limone (salvo una qualità di sapore 
più agro che i Francesi chiamano pure limon), così i Genovesi sono i soli 

» Dante, In/., XXIV. 



— 179 — 
che chiamino felrun ramacio. Il mondo romano non coDosceva che i 
cedrati, citntm, fr. pitron, gen. (;etrun. Furono gli Arabi che introdus- 
!sero ìq lapagoa, e pare itnche in Sicilia, l'amocio, clie però era l'aran- 
cio forte: chiamitvasi in arabo nài-anj, ai chiamò in »p. naraiija; era però 
assai raro, e noto biotto il nome di pomum citrin'im. I Genovesi, che 
sembra lo eoltivassero assai per tempo ii S. Remo, continuarono a chia- 
marlo ^etrun, forse allora chiamando seddru il cedrato. Venuto poi, al 
tempo delle Crociate, il limone, ì Genovesi che lo coltivarono subito e 
con grande successo, specialmente nella Riviera di iwnentc, ne adot- 
tarono il nome arabo, lasciando quello di getrun all'arancio forte, cui 
per la tenacia loro, non mutarono nome allorché i Portoghesi introdus- 
sero in Kiiropa l'arancio dolce. Al contrario, Francesi e Tedeschi adot- 
tarono per l'arancio il nome ambo orange estendeudo quel di eilron 
anche al limone come succedaneo dfl cedrato. 

Cèto, it. lUe,pialoc per e^t. peltegolesio, impU-eio,hì n ap^pleilo, 
a.tf. a prov. piatala, fr. plaider; etim. lat. plavitum, che dal signifi- 
cato di sentenza, passò a quello di lite da giudicarsi. In effetto, a Ge- 
nova la giustìzia era ammini?itrata da Consoli cosi detti << dei placiti». 

Olieoliexi, it schiuma:! zare, propr. il gridar delle galline quando 
hanno fatto l'uovo: meglio però la v. gen. perfettamente onomatopeica. 

Cliègra, e anticamente Cileg^a, it. oendila all' incanto; etim. gr. 
kaleiì, cliiamo, perchè la vendita è fatta « voce praeconis », chiamando 
gli aittanti ad oiTerire di piii. 

OUg^la, it. chiglia, v. m , primo e principal pezr.o die serve di 
base all'ossatura della nave. Il Guglielmotti crede sia stato denominato 
chiglia perchè va dritto da poppa a prua come un ago e dice che gli 
antichi lo chiamavano achiglia, aghiglia ed agnglia : però gli antichi 
chiamavano colomba la chiglia e cos'i la cliiama il Pantera nel suo Vo- 
cabolai-io nautico (1614) e cos'i la chiamano, anche oggidì, i Veneziani: 
chiglia è voce venuta dall'aat. kiol (l'Aza'is: kegìl) a (viveudo essa an- 
cora nell' islandese) dal celt. kial, kiólr; etim. eomuue a prov. quUho, 
fr. quitte, sp. quilla. 

Clappa, it. laslra di pietra, e piti propriamente d'ardesia, detta 
in Liguria laoagna dalle antiche e ricche cave del monto 3. Giacomo 
presso Lavagna; ne vennero: aciapà, acchiappare, ciapà, lavoratore 
d'ardesie, ciappa, mercato dei pesci (perchè ì banchi ne son guarniti 
di ardesie), ciapnjéù, pescivendolo, ciapassèu, rottame d'ardesia, cia- 
pella, mattone sottile, ciapeletla, pastiglia sottile e piatta, ciapellà, 
scorrer la cavallina, ciapeltu, donnaccia, ciappi, cocci, ciajipua, schiac- 
cia, ciaptixsrì. lavorar male, ciapu.tsata, lavoraccio, ciapimiu, artefice 
inetto, infine, il vb. scciappà, spaccare, fendere. E v. comune a tutti ì 
dialetti gall.-it , afi' al fr. ant. chapwer, chapiigear * couper du boia eu 
menus éclats », ■ travailler sans aucun gout », fr. mod. clapier, conigliera, 
e prob. anche vb, c/iapoler; id. a prov. clap, pietra, esclap, scheggia. 
esclaiià, fender legna, clapax, mucchi di pietre, clapassfià, camminar 
per luoghi pietrosi, ecc. Manca alto sp. Nel b. lat. si disae clapeì-ius per 
muccliio di sassi, e clapa per trappola da selvaggiume: il genovese Caf- 



— 180 — 

faro Tusò per « clapa olei » mercato dell'olio. Chiappa scrisse Dante in 
bignif di roccia sporgente, ma tal v. non entrò nel toscano che per indi- 
care Tatto del chiappare: vi entrarono più tardi, forse per influenza ligure, 
le V. acchiappare, chiappare, per pigliar dMmproTriso con destrezza 
o con inganno « voce d'uso, più che altro, famigliare > dice la N. Crusca 
che la trae da lat. capere o captare. Trattasi invece di v. celt., viva 
ancora nell' i:$landese klaupp, roccia, germ. klippe, scoglio, scheggia, 
come opinano Littré, T Azais, ed altri. L'etim. proposta da Diez dal kimrì * 
clap, massa, sembra troppo discosta per signif. Quanto al vb. scciappd, 
resta incerto se siasi formato con la rad. scid, spaccare, e ciappa, o se, 
come indicherebbe il suono sibilante, venga dal germ. schleipen, fendere, 
spaccare. (V. scceUu). Riguardo al vb. aciappà, acchiappare, ed al nome 
ciappua, sono v. che si spiegano, da se stesse: gli antichi Liguri, co- 
stretti a vivere principalmente di cacciagione, tendevano insidie agli 
animali con quella trappola antichissima che i Toscani chiamano schiac- 
cia e i Gen. ciappua, appunto perchè la pietra posta in bilico era una 
pcHante ciappa. 

Otooa, it. volgare cicca, mozzicone di sigaro buttato via dai fu- 
matori : in gen. e pi6m. piccola quantità di tabacco messa in bocca per 
masticarla, usanza americana; ne derivarono i vb. gen. cica, piem. ciche, 
lomb. cicca, prov. chica, fr. chiquer, che tutti valgono fig. : masticar 
male una cosa, adattarvisi male, con qualche stizza; etim. comune lat. 
ciccum, piccolissima cosa, onde eziandio lo sp. chico. 

Clooa, nella frase esclus. gen. « dà o piggià a cieca » che vai: dare 
toccar busse, ed anche rabbuffi; etim. oscura: cicca, in gen. ha il 
signif. espresso nell'arti colo precedente, e inoltre quello di chicchera^ 
dallo sp. xicara, che in origine serviva solo per bere la cioccolata: fosse 
detto ironico come «cpiggià u lacciun?» 

Olfatti, è in gen. voce di sprezzo; etìm.dhtMrcoiehudi, ebreo, ri- 
dotto però dai turchi stessi a cifud, signiUcante: che ha negato la 
verità. 

9isrheasra&9 it. mazzacavallo, antichissimo strumento rurale per 
attinger acqua dai pozzi, sempre d'uso generale in Liguria; etim. lat. 
ciconia, per sim. al movimento del collo e del becco della cicogna. 

Gilln, it. fanciulli7io, piccino, onde BeoiU&se, gongolare, giuòi- 
lare, come i fanciulli; etim. oscura: il gr. ha chillos, asino, il lat. cilo 
ha significato anche più alieno: quanto al vb. il latino antiq. ha cillo, 
ciliare per muovere, agitare. Lo sp. ha chillar, suono acuto, e chillon, 
strillone. 

91mma, it. cima, punta, sommità, ma in gen. vale anche: estre^ 
mila, .sponda, onde 9^1^^»^ cimosa; etim. gr. kyma, cosa gonfia 
lat. cyma, broccolo, tulio: la prima trovasi nel gen. ^immapin-a, pan- 
cetta di vitello agnello ripiena d'uova, erbe e altri ingredienti, la se- 
conda etim. nel gen. gimnia de con, cesto di cavolo tenerello. 

Glnoi&se, it. gongolare, gioire; etim. oscura: forse aff. al prov. 
se chinchd, che vale: ornarsi, acconciarsi con ricercatezza. 



— 181 — 

^insa? brano cascante di reste rotta, id. a fr. ant. cinse, alieno da 
it. cencio che si trae da lat. centonem; etim. oscura: forse da lat. in- 
cisas, cose tagliate, onde pure it. cincischiare. 

CI00&, it. render suono, e dicesi di vasi vuoti, monete, ecc., quando 
sono percossi : onde Cioooii, suono, Giocata, battimano, id. a fr. elio- 
quer, choc; etim. dal basco chocar e cheque, 0, secondo Littré, da 
choque, souche, id. a it ciocco ceppo d'albero, onde, secondo lui, 4c le 
« choc est le heurt contre une choque ou souche». Ma ben a ragione 
Zambaldi disse di confrontare Tingi, to shock, che Johnson* trae dal 
germ. shocken, urtare, percuotere. 

Cidm&, it. oziare, poltrire, id. a fr. chOmer; etim. comune, prob. 
celt. choum, fermarsi (il piem. ha doma per riposo delle vacche) Cfr. 
gr. koimao, dormire. 

Ciota, zampa d'animale con unghie, propriamente quella del 
gatto, onde Clotà, colpo di zampa; piem. piota, ed anche it. piota voce 
d'uso per: pianta del piede. Zambaldi, pur citando lat. plautus, plotus, 
detto dagli Umbri a chi avea piedi piatti, dichiara oscura IVtim. di 
piofa^ ma la flessione delpZ. latino nel ci gen. toglie ogni dubbio. 

Citta, it. ragazzino, e dicesi anco a Siena e nella montagna pisto- 
iese : in gen. significa pure centesimo di lira: id. a piem. pct7; etim. 
Diez da una rad pit, cofea aguzza, stretta, onde it rtìì. petite, fr. petit: 
ma il gen. ha questa stessa rad. in più altre voci, e la serbò integra: 
come Pavrebbe mutata in ci per la voce che esaminiamo? Prob è im- 
portazione piem. 

Ciacca, it, ubriacatura, onde Ciacca, briaco, id. a piem. e lomb.; 
etim. incerta, forse germ. schenken, versar liquori, come it. cioncare, 
forse prov. chucd, succhiare, bere deliziosamente, da chucho, succo della 
vigna, vino ; nella v. prov. avrebbesi Tetim. lat. succus (uvae), 

Cianassa, it. pialla, dim. Clonetta, pialletto, onde vb. Ciana, 
piallare. Il Parodi foggia un verbo latino plaunare e ne trae duna, 
ma andiamo « piano ». Plana e piantila significano veramente in latino 
pialla e pialletto? È assai dubbio: non vi ha che un esempio di Arno- 
bio, recato dal Forcellini, che male prova in favor della plana: «simu- 
lacra terebrarum excavata vertigine, runcinarum laevigata de planis >. 
Il nome della pialla, delTistrumento che faceva ufficio di pialla, cioè 
una piccola ascia bene affilata, ^ era presso i Romani rundna, e così 
la chiamano, mai plana o planula, Varrone, Plinio, Tertulliano e altri. 
Par dunque verisimile che il ciund gen. sia il runcinare lat. e la ctw- 
nassa sia la rundna. 

Ciùsa, it. gora, id. a fr. écluse; etim. lat. med. exclusa, aqua 
exclusa. 

Ccà, it. corata; etim. lat. cor, che nel gen. si un\ prob. al celt. óa, 
fegato, viscere. 

* A Dictionary of the English language, hy Samuel Johnson, London, 1827. 

* Oggi ancora i maestri d'ascia navali Bpianano e levigano con cotesta 
ascia il legno tiinto bene quanto con la pialla. 



— 182 — . 

Ooassn, chiamano i Genovesi i capelli della donna raccolti in un 
mazzo; etim. prob. lat. coactio, Tatto di raccogliere. 

Oòooina, it pront^n^ea/occ^n^o, suono speciale delle parole; etim. 
prob. lat. concinnitas (verborum), 

Ooè, it. voglia, desiderio; apocopato, come sp. corner, da lat. co- 
medere, mangiare. 

OOmentn, it. comerUo, v. m. per dinotar T intervallo che è tra ta- 
vola e tavola dei bastimenti, in cui si devono metter le stoppe per cala- 
fatarli : manca, come tante altre voci marinaresche, alla N. Crusca, e sì 
che l'usarono il Pantera e il Falconi; etim.: il lat. commiUere, unire, 
congiungere, male prestasi per la forma : il gen. ha pure cómerUa, ter- 
mine dei legnaioli, col signif. di riunire le parti separate dei materiali 
in modo che combacino perfettamente, onde comentu nel senso di com- 
mettitura, calettatura; queste voci, e per est. la marinaresca còmerUu, 
potrebbero venir da lat. commentare, che ha pure il signif. d'impri- 
mere, segnare. 

OOpressn, albero che esce obliquamente dalla prua della nave 
sporgendone fuori quasi tutto; in it. bompresso, che come fr. beaupré, 
è corruzione delPingl. botvsprit, o dell'olandese bueg spriet: però la 
V. gen. che ha resistito air influenza del francese, viene prob. da lat. 
cupressus, forse perchè il detto albero facevtsi anticamente di questo 
legno. 

Oomabiiggria, it oHgano; etim. germ. hoìm, corno, e bùch, cavo, 
pancia: corno di bove in cui si conservavano i fiori secchi delPorigano. 
Nel bergamasco vi è un picco denominato Comabusa, perchè cavernoso. 

Oren-a, it. tacca, intaccatura, onde Oren&, intaccare, e Crena- 
tfla, fenditura: per sim. i montanari liguri chiamano cren-e, le creste 
dei monti ; v. aff. a piem. cran, lomb. crenna, prov. cren, fr. cran, fr. 
ant. crenne (onde creneau, creneler, ecc.); etim. incerta: il lat. ha 
crenae nel senso d'asprezze, tacche: ma considerato il testo di Plinio 
(l'unico che questa voce usi) dice Littré che convien pure considerare 
il germ. harm, krinnen, intaccatura, e poteva eziandio citare il celt. 
cran. 

Oreppn, Oreppnn, it. schianto, scoppio, id. a piem. crep; etim. 
comune lat. crepitus. 

Oreusa, it. via traversa, via di campagna, aff. al fr. creux, che 
Diez suppone derivato da lat. corrosus, dove che Littré, per ragioni 
etimologiche, vorrebbe trarlo da lat. oypta, onde venne il prov. erosa 
e crota. Però Tetim. del Diez calza benissimo al gen. creusa, via sca- 
vata sui monti o nelle valli dalle acque o dagli uomini. 

Oriooa, una delle serrature dell'uscio: v. comune al piem; prob. 
dal germ. drucker, o klinte, saliscendi, toppa a colpo. 

Crocea, it. gancio, significa anche un bossolo di cuojo, fermato 
alla vita, in cui si fa entrare il calcio della croce o dello stendardo 
nelle processioni : ne vengono curcettu, gangherello, scruccin, grilletto, 
e scruccià, sgrillettare, far scoccare lo scatto di un'arma da fuoco: 



— 183 — 

jd. a piem. croch, crocei, fr. eroe, crochet; etim. dal germ. hrohr, 
krog, dal celt. crog. 

Orfiv&, dicesi del cadere spontaneo dei fiori, delle foglie, dei ca- 
pelli, id. a piem. eroe, lomb. eroda; etim. incerta: il Cherubini * dice 
che è V. d'origine romanzo-svizzera, eurdar, cadere: il Monti la crede 
celtica, crion, decadere. 

Oubeletta, it. pasticcino dolce, così chiamato dalla forma del 
vasettino in cui vien cotto; etim. lat. cupellum, vasettino. 

Oi|OOliettu, it. filugello, baco da seta, aff. a prov. coucou, coucon, 
fr, cocon, tessute/ filamentoso in cui s'avvolge il baco; etim. comune 
lat. concha, conchiglia, guscio. 

Cunfòu e Ounfòu, it. eonfalone, oggi stendardo da processioni • 
religiose, ma anticamente bandiera di battaglia; etim. comune Taat. 
gundfano {fano, drappo, gundja, battaglia) onde il detto genovese « pig- 
gi& u cunfòu > mettersi alla testa d'una compagnia. 

CuntflSBU, it. farsetto femminile. Il Parodi da lat. comere, p. p. 
comptus, da cui forma un com,ptuceus: sen^nchè comere vai propria- 
mente: ornare la testa, acconciare i capelli, e se è vero che vale pure, 
in generale, adornarsi, mal conviene, anche in questo caso, al cuntussu 
che è un vestito ordinario, non un ornamento : ma chi sa che, antica- 
mente, tal non fosse il cuntussu? Certo che, esclusa Tetim. proposta 
dal Parodi, si dovrebbe conchiuder che è ignota. 

OupfiBBu, it. nuca, occipite, id. a piem. cupiss; etim. lat. oceiput, 
oceipitium. I Genovesi conservarono anche il proverbio latino « habere 
oculos in occipitio » « ave! i eùggi in tu cupiissu ». 

Cnrzettn, piccola lasagna tonda su cui viene impresso un fregio: 
V. connessa all'altra Curzeu, crogiuolo per fonder metalli ; etim. prob. 
d'ambo le v. Taat. chrose, arrosto. (I curzetti oggi si mangiano lessi, 
al sugo di carne e formaggio : ma è verisimile che anticamente si man- 
giassero semplicemente arrostiti, a mò dei brigidini o cicalini toscani). 

Demu&, Demu&se, it. trastullare, trastullarsi: fig. tenere a bada, 
onde Demùa, trastullo, Demuòlo, baloccone, aif. a fr. ant. demore, de- 
muere; etim. prob. lat. demorari, nel senso d'indugiare, trattenersi, 
fermare. 

Depui ha in gen. due significati: 1° davanti «ii me sta depui» 
egli mi sta davanti; 2® dopo < depuì disnà » dopo pranzo. È voce id. 
nella forma a prov. depueis, fr. depuis, ma dai Gen. usata diversamente. 

Desmiiu, it. bruno, lutto; etim. lat. transmutatio, il mutar abito, 
vestendo il bruno 

Dezeiiteg& (e non desentegà, secondo la retta pronunzia), it. estir- 
pare, cacciar via da un luogo. L'Olivieri (Dizionario) lo trasse da lat. 
exenterare, che vale: sventrare e fig. vuotare. Al Parodi questa etim 
non garba perchè, egli dice, exentero non avrebbe dato in gen. altro 
riflesso che sdenterà o scianterà, ma non è esatto. Anzitutto, si dee 
notare che bIY exenterare il gen. com'è suo costume, prefisse il de. Si 

* Vocabolario Milanese-italiano, Milano, 1839. 



— 184 — 

noti poi che la x latina si muta, nel gen., ora in xe, ora in tei, ma 
talvolta in z: lex = lezze. Quanto alle terminazioni dei verbi latini in 
rare esse, nella flessione genovese, obbediscono generalmente alla re- 
gola per cui, troncato il re finale, si elide pure la r della sillaba pre- 
cedente: jurare = zuà, laborare = lauà: ma vi sono eccezioni ad ambo 
le regole, ed eccone una conforme a quelle del dezentegd: lat. appa- 
rare =: gen. apaegià. Sta bene adunque Tetim dell'Olivieri. Il Parodi 
poi attribuì lo stesso signif. del dezentegd ai vb. gen desverUegà e 
desventd, ì quali, ce me lo sp. desventar, valgono in it. sventile. 

Direttu, avv. comunissimo fra i popolani ed i contadini genovesi 
che vale: veramente, dirittamente; etim. lat. directe, de recto, che era 
pur comunissimo nel parlar famigliare degli antichi plebei romani. 

Drtia, it. molletta; etim. celt. druz, grasso. 

Drfiu, it. grosso, contrario di sottile, id. a prov. dru, drud, aff. 
a fr. dm; etim. celt dru, molto, drud, vigoroso. 

Dnggiu, boccale contenente due amolc, misura gen. antica del 
vino : id. a piem. dui, duja (onde Giandvja, Giovanni dal boccale), fr. 
ant. duie (eruche) ; etim. comune dal gr. dochè, recipiente, misura per 
i liquidi. 

ErUa, in gen. significa: uggia, avversione, in altri dialetti vale 
invece: ubbìa, superstizione, malaugurio, e si trae dal lat. hariolus, 
indovino. 

FasBon, it. modo, maniera, id. a prov. faissoun, fr fagon; etim. 
comune lat. factionem, poter di fare. 

Faulu, grosso granciiio di color rosso; etim. dalPaat. falò, falwer, 
fulvo, dal gr. falos, splendente. 

Festeoou, it. pistacchio. I Genovesi che per lungo tempo furono 
quasi soli a provvederne V Europa traendolo dalla Siria, gli conserva- 
rono il suo nome arabo fosstoc, rimasto anche nel siciliano fastuca. 

Fiarsue, it. filaccica, filaccia; la v. gen. non potendo, come le 
it., venire da lat. filum, deriverà prob. da lat. fibras, o nel senso di 
frange, o in quello di barbe minute delle radici. 

Fidò, it. vermicelli, onde Fideà, vermicellaio : v. originale gen. 
come gen. è prob. Tinvenzione di questa sorta di paste; etim. gr.-lat. 
fides^ corde della cetra. E a proposito di cotesta etim. derivata dalla 
similitudine, perchè non dir fidelini invece di vermicelli e di capellini, 
detti pure così per similitudine, ma nauseante? 

Fighòtn, it. fegato; etim. prob. dal med. lat. ficaium, che, sot- 
tinteso jecur, indicò il fegato d'oca ingrassata con fichi. 

Fileoohe (f&), it. far cilecca; etim. oscura dell'una e delPaltra 
voce. La N Crusca da lat. illicium, allettamento, che mal conviene 
alla V. gen.; Zambaldi da germ. schielauge, guercio, dubitando però 
egli stesso della giustezza di tale etim. 

Fitn, it. presto; etim., forse per antitesi, da lat. cito, che vai Jo 
stesso; etim. che potrebbe esser comune al fr. vite, ora assai dubbia. 
Il celt. /?c, movimento, è troppo lontano. 



— 185 — 

Fraveg^n, it. orefice , aflT. a fr. orfèvre, ant. orfaver; etim. comune 
lat. auri faber. 

Fresraggi&, it. sbiHciólare, onde Fregrug^g^a, briciola; etim. 
lat. friare, « friari in micas » e fricUum. 

Frezettu, it. nastro di seta, id. a fr. ant. fresel, fresiau; etim. 
prob. dal lat. med. fresimn, frig^ium, venuto da un vb. lat. phrigiare, 
poiché da Plinio è usato il p. p. phrigiatus, ricamato, dalle « phrygiae 
vestes » dei Romani. 

Fm80i&, it. noiare, infastidire, onde Frusciata, noia, fastidio, 
e Fmsoin, noioso, fastidioso: aff. a fr. froisser che, secondo Littré, 
viene da lat. frustum, brano, briciola, dal quale il lat. med. fece un 
frustrare, mettere in pezzi; però tale etim., gik poco verisimile pel fr., 
lo è ancor meno pel gen.; Taltra etim. da lat. fressus, da f rendere, 
frangere, mal si presta. L' ing. ha to frush, rompere o anche opprimere, 
più conveniente al gen.; ma Johnson lo trae dal fr. froisser: Vìi. 
fruscio, sfrusciare, remore, stormir di frasche, è di senso troppo di- 
verso, e del resto non se ne conosce Tetim. Che il gen. fruscia venga 
dal ted. frosch, rana, froshlaich, fregolo di rane? 

Fii, it. remore, specialmente del tuono, dell' esplosione di mine, 
artiglierie, ecc.; etim. oscura, forse da gr. fulg, metatesi ^ìphlog, onde 
lat. falgur. 

Fuoau, persona astuta e frodolenta; etim. lat. fucatus, che signi- 
fica: finto, simulato. 

Fuoiàra, it. bagattella, cosa da nulla, aff. per signif. a piem. fo- 
lairà, etim. prob. sp. chuchena, cianfrusaglia. 

Fuffa, it. grande paura, id. a piem. fifa, fofa, b. bres. fufa, aff. 
a sp. afufa, fuga, afufar, scappare : v. che il Dizionario dell'Acca- 
demia spagnuola dice germ.; il Rosa, invece, trae fufa dal gr. feugo, 
per contrazione fuo, fuggo; altri dal gr. fobos, paura. 

Furlanoia, pezzetto d'ottone ridotto a guisa di moneta, per uso 
di giuoco: per sim. moneta falsa; etim. oscura, però ò chiara la rad. 
lat. fur, ladro. 

Fumi per Fini, it. finire, dicono i popolani ed i contadini geno- 
vesi: non è idiotismo, come si crede, è il vb. che nel gen. come nel 
piem. fumi, nel prov. furmir, fornir, e in alcuni dialetti fr. fornir, 
foì'ni, precedette il lat. finire, col senso di compiere, terminare, e dato 
il cambiamento della m in n, ammesso da Diez, deriva dalFaat. ft*umjan, 
terminare. Popolani e contadini dicono anche fent, invece di fini, e 
così disse, sino al secolo xiv, il fr. per ripugnanza ai due i accentati 
nella stessa parola. 

Ffistu, it. piccola botte : in questo senso è v. ignota air it. ed agli 
altri idiomi neo -latini, salvo il fr. che ha fut, ant. fust, con lo stesso 
significato, del gen ; etim. comune prob. lat. fistula, nel senso di tubo. 

Futta, it. stizza, id. a piem. fot, lomb. fotta, b. bres. ftUa, che 
il Rosa trae da germ. tauth, impeto; ma è più verisimile sian tutte 
voci provenienti da una nota e sconcia parola francese, d'origine latina. 



— 186 — 

Ffitu, it. pallido, allibito; etim. oscura, forse da fr. ant ftUé, bat- 
tuto, da fuster, battere, « mettre à Taifùt >. Cfr. normando futè, detto 
d'un corpo che perda la lucentezza, o per alitarvi sopra, o per sudicio. 

Oabbian, vale in it stolido, babbeo, v. comune a piem. e lomb. ; 
etim. comune germ. galaubjan, credenzone. 

Oaèlu, Ohòlu, it. ghenglio di noce, e per est spicchio d'arancio 
e altri frutti, id. a b. bres. guel, gaum, aff. al vallone ant. gaill, fr. 
nord, gaille, che valgono: noce; etim. lat. galga, noce, e direttamente 
il galbulus di Varrone. pallottola contenente il seme dei frutti. 

Gaffa, it. gaffa, spuntone adoperato dai marinari nelle lancie da 
guerra. Guglielmotti la vuol chiamare alighiero, e a Venezia e nel- 
r Istria vien detto anghiere, ma dei marinari italiani i più lo chiamano 
gaffa, come gaffe i francesi, gafa spagnuoli e portoghesi, gaff gli in- 
glesi Secondo lo Jal * verrebbe dalPolandese gaffel, pertica armata di 
ferro biforcato; ma Brunetto Latini, fin dal secolo xiii, scriveva nel 
Pataffio: « aggaffala, che elFè buona gemmiera »; onde vedesi che vi 
era nelFit. un vb. aggaffare, significante: afferrare, strappar di mano. 
In effetto Fetim. della v. gaffa è celt gaf, gicaf, adunco, uncinato. 

Oa^giardu, it. gagliardo, comune a tutte le lingue neo-latine; 
etim. prob. celt. galach, coraggio. 

Oagrgioà, nella frase gen.: «piggia un-a gaggioà» equivalente 
al tose. « pigliar per il ganascino », noto atto amorevole; etim. prob. 
fr. gage, « gage d'amour ». 

Oàibu, it. garbo, onde Agaibà, aggarbare, Desgraiboo, sgar- 
bato; etim. incerta. LaN Crusca accenna alFar. galib, modello, forma, 
e alTaat. garaioi o ganci, ornamento; la prima etim. converrebbe al 
gen. in cui gaibu è anco v. m. significante: acconciatura dei contorni 
e delle linee del corpo di una nave, onde « dà u gaibu » vai : disegnare, 
modellare. 

Oaitellu, it gavitello, v. m., galleggiante cui sta attaccata la 
grippia e che segna la posizione dell' àncora; v. gen. trascritta tal quale 
nel Consolato del mare che dice: gaiatello. Lo Statuto di GazaHa lo 
chiama: « gavium ferri ». Accettabile Tetim. proposta dal Guglielmotti 
che dice gavium derivato da lat. gavia, gabbiano, per la sim. affatto 
marinaresca del gavitello con queiruccello acquatico che si posa leg- 
germente e si ciondola sulla superficie del mare. 

Gaietta, it. biscotto di forma schiacciata; etim. fr. gaiette: nel 
fr. antico gal indicava una pietra, onde il mod. galet, ghiaia ; gaiette 
fu detto per sim. a un sasso schiacciato. 

Gamella, it. gamella, catino di legno in cui mangiano marinari 
e soldati; etim, secondo i glottologi, da lat. camelia: questo però era 
un vaso ricurvo di legno per uso di alcuni sacrifizi; conviene pur ram- 
mentare il basco gambela, e notare che la v. gamella non è italiana 
ma venne a noi come ai Francesi dagli Spagnuoli. 

* Glossai re na ut igne, Parigi, 1848. 



H 



— 187 — 

OarbOxn, ìt. cavolo cappuccio, è v. atrettunente aff. all'altra ften. 
Qarbfig^a, it garbuglio, che significa; ravviluppamento; v. comune, 
con lievi alterazioni, a tutte le lingue neo-lutine (fr. ant. garburge), 
ma di etim. ignota ìn tutte. Si sa cbe il cavolo cappuccio (firatsica ole- 
iacea capitata) ha le foglie avvolte l'una sull'altra cosi strettamente 
da formare una soda palla; nulla diiuque di più ingarbugliato, ma 
garbuxu onde viene? Il Monti, per il com. garbói, propone il celt. 
carbhvaic, tumulto (meglio garbhuaic), clie mal si presta, fuorché per 
la radice. 

Oardettn, ìt. ragazxelto. Si sa che Diez volle trarre il fr. gars, 
yargon, garzone, dal milanese garzéù, ganuolo (gen. car-éii), cuore 
del cavolo, e flg. cosa tenera, non sviluppata; etim. che Littré non 
accettò, scorgendo invece nel gai-QOn origine celtica. Anche la Is". Crusca 
è di questo parere. Ma donde viene il gardettu gen.? Non da garsun, 
perchè questo ha gib il dim. suo in garsunetlu, e poi la forma non si 
presterebbe. Verrebbe dunque da gr. ktìrdos, lat. carduus, gen. gardu, 
e almeno iu questo caso Die/ non avrehbi^ torto. 

Oarltta, it. casotto per sentinella, ìd, a prov. garilo, fr. guérile, 
sp giiarida; etim. dal got. vaijan, difendere. Qui pure è dn ricordare, 
il basco garailoa, che vale: parte superiore, estrema, e ben dinota la 
torrkella con feritoie posta sui luoghi alti delle fortezze. 

Oasxa^ it. cappio, nodo, dim. Oftsietta, che significa pure: oc- 
chiello. Gaisa è anco v. m. gen. che vale: corda ripresa ordinatamente 
con nodo di bolina': mal perù la gassetta indicherebbe l'occhiello, per- 
tugio delle vesti in cui entra il bottone, se non si riflettesse che co- 
testa maniera di abbottonare, in ispecie taluno vestì, è recente, e che 
anticamente usavansi all'uopo, laccetti, cordoncini, ecc. Il piem. ha 
ganssa, il prov. ganso, il fr. ganse, cordoncino per allacciare il bot>< 
tone, ed anche occhiello, fatto col cordoncino medesimo. Il fr. ant. di- 
ceva: ganx, e « gancher Ics draps », Littré dice ignota l'etim, di questa 
voce. Ù, possibile che sia venuta ai Liguri, per via dei Fenici e Car- 
taginesi, dall'ebr. qaseiar, legare. 

Oatta, it. bruco dalla verzura, per sìm. la ciniglia, piem. gaia, 
lomb. gaiinna, gala, fr. chenUle; etim. Diez da lat. canicula, perchè, 
dice egli, somiglia a te^jtu di cane; invece, i Gallo-italici la trovarono 
somigliante a testa di gatto, come pure i Normandi che la chiamano : 
« chatte pelouse >; etim, gr, katto, gatto domestico, o celt. cai, che 
vale lo stesso, 

Oànsa, it. bigoncia; etim, lat med. gauxlarius * tigna super quae 
dolia collocantur» (Ducange), 

Qia, it, ghiaia e bietola. Strano è che il geuT cos'i avverso ai si- 
nonimi, abbia dato Io stesso nome alla ghiaia (rena) e alla bietola 
(erba). Quanto all'etim. la gèa, ghiaia, ù da lat. glarea, se pur non è 
gr. gè, terra; quella di gèa, bietola, non potendo venir da lat. bela, è 
ignota. Da gèa si formò girava, barbabietola, afi'. a fr. betteraoe. 

Ohlffaui, it. sorte avversa negli affari e nel giuoco, ripugnanza, 
talora stizza, dispetto: id, a piem. e lomb. ghignon, prov. e fr. gai- 



— 188 — 

gnon, sp. quihon; etim dal basco quihona, che propriamente significa 
buona sorte. 

Oiabba (&), vale in gen.: a ufo, senza spesa, e si usa quasi sempre 
col vb. mangiare; etim. prob., la stessa delPit. gabbare, ingannare, 
giuntare, che viene dal nordico o celt. gabb. 

Oiamlii&, it. stentare, faticare, specialmente camminando, onde 
Oiamln, stento : v. contad. ; etim. prob. dall'aat. gilan, giìjan, afifret- 
tarsi; se pur non convenga meglio ricorrere al sans. gam, andare. 

Oiandunà, it. girandolare, onde Oiandun (and& in) andare a 
zonzo; etim. incerta, ma più che dal gr. gyros (onde gen. già, giù) da 
cui si vuol trarre it. girandolare e gironzare, par che venga dal got 
ganga, germ. gehen, andar girando. 

Gianu, it. giallo, piem. giaon, lomb. giald, prov. e fr. jaune; 
etim. lat. galbinus, galbanus, da galbus o gelbeus, biondo, color dei- 
Foro ; quest'ultima voce toglie la difiBcoltà, cui accennò il Parodi, della 
impossibilità che il g gutturale gen. si muti in palatino. Del resto. 
il gen. stesso mutò in xatta il lat. gabala. 

Oia80i&, it. masticare, aif. però a it. biasciare, biascicare; etim, 

comune gr. blaisós, lat. blaesus, chi mal pronunzia qualche conso- 
nante. 

Oimbr&, « a nu me gimbra » dicono i Genovesi di cosa che loro 
non garbi ; etim. fig. da prov. gimblà, torcere, piegare. 

Oimiohia, dicono i Genovesi di cosa maravigliosa : non può venire 
d&\B,t. gemma, uè ha, che io sappia, rad in altra lingua; però i Musul- 
mani ed anche i rabbini ebrei chiamano gimi certi esseri che suppon- 
gono di natura intermedia tra Tangelo e l'uomo. 

Gippa, it. giubbone, abito contadinesco, onde Oipponetta, cor^ 
petto, panciotto, aff. a prov. gipo, gipou; etim. nr.jubbet, veste (pellic- 
cia) portata sotto altro abito. Il fr. gilet, gen. gilè, par che vengano 
da un Gilles che primo avrebbe fatti i panciotti della forma moderna. 

Giarda, it. morchia', feccia deirolio, e anche, ma poco in uso, 
fanghiglia; etim. prob. da sp. gordo, a, grasso, unto. 

Giusoellu, it. brodetto; v. disusata, che giustamente il Parodi 
trae da lat. ius, sugo. 

Gnèra, it. trullo } ^ • i. 

^ .^ . J V. onomatopeiche. 

Gnag^nue, it. moine ] '^ 

Gnappa (pigg^& a) vai ricevere un regalo a fine di corruzione: 
nel dialetto comasco gnap significa scodella, in quel di Val Camonica 
lo stesso, più vi ha il vb. gnapd, mangiare ; etim. comune dall'aat. hnap, 
vaso per bere, germ. nap, piatto, onde it. nappo. 

Gniffirà, vale: mostrare svogliatezza, ripugnanza; afi: a tose, fri- 
gnare, significante piagnucolare, che Diez trae da germ. flennen, rag- 
grinzar la bocca. 

Gòghin, indica in gen. un luogo, una posizione in cui uno si trova 
bene: v. id.alle fr. a gogò, gogne, goguettes ; etim. comune celt. gag, 
abbondanza. 



--*. 



"S 



Chime, ìt ganghe e gangole (scrofole) -, etim. comune gr. gongyle, 
rapa rotonda. 

Oottn, it. bicchiere, che è v. germ. ; etim. lat. guttus; queato ve- 
rameate era un vaso di collo stretto per raccogliere il vino gocciolante 
dalla botte: gotta però in Liguria è nome generico ed esclusivo del 
bicchiere, grande o piccolo. Dicono pure gotto i Toscani, ma intendono 
un bicchiere piii grande degli ordinari. 

flramma, it. gramo, ma in it. è voce del linguaggio nobile, dove 
che in gen.è voce pop. e contad.; etim. comune dal germ. jJ-dm, pena, 
affanno. 

Chrebaun, ital, rozio, zotico : il veneiiano chiama grebani i 
greppi, i dirupi; etim. incerta: o da celt. breghen, breg, greppi e dì- 
rupi, o dall'aat. hléy, roccia sporgente in mare; etim., secondo Zam- 
baldi, dell' it. greppo. S'intende facilmente che il geo. abbia detto rozzo 
l'abitatore dei greppi. 

OremlnlTt, it. gremito ; etim. oscura, perchè, se è dubbio che it. 
gremire venga da lat. gremium, è assai più dubbio che ne derivi il 
greminiu gcn. 

Oréàppla, it greppia, mangiatoia, pìem. e lomb. gntpia, prov. 
grepia (Cev. grupio), fr. erèche: tutti dall'aat. krippa o krippea, o 
dall'ani, sassone ci-ibbia; come cosi distinta la flessione genovese? Si 
sa che il nome lat. della mangiatoia degli animali era praesepe, ma 
non restò in alcuno dei dialetti italiani, per il significato che acquistò 
tra i Cristiani; il tose, in parte e i dialetti dell'alta Italia (che forse 
l'avevana ab antico) adottarono il nome germanico: il romanesco ed i 
dialetti meridionali dissero: mangialora. 

GrUb, it. grifo, muso del porco : i Genovesi lo dìcon, per ì^chemo, 
del viso umano; etim. dall'aat, grifon, pigliare, addentare, onde grif, 
zanna, artiglio, da cui it. gnnfe, gen. grinfie, corrottamente grinte. 

Cblfl^ia, it, lucertola; etim,: il Parodi vorrebbe trarla da lat. lan- 
guria, ramarro, onde gen. laghéìt, ma non è ammissibile. Grigua è 
prob. V. onomatopeica. 

Orimla, it, segrenna, persona magra, sparuta; l'etim. di quest'ul- 
timn da una v. persi ano -ture a onde venne ìt sigri/io, pelle, è già poco 
verosimile, pel gen. grìmia non è affatto accettabile. Prob. grimia 
viene dall'aat, grimo, spettro, da cui derivano pure fr. grimaces, gen. 
griitiasse, boccacce, vi sacci. 

Orlnta (plggl& in), significa in gen,: prendere in uggia; in questo 
caso t'etìm. sarebbe dall'aiit. grim, rabbia, stizza, o dal kimri grinta, 
che vai lo stesso. Perù significa pure ceffo, come in piem., in lomb. 
od anche in to.sc, die deve averlo avuto dai gall,-ìt, ; Zambaldi lo trae 
dall'aat. già citato, grim, il Rosa da gr. grintin, il Monti da celt. 
greann. Cfr. anche germ. grinzen, ghignare. 

Qrttta, it. granchio : nel lat. med. fu detto grilla; etim. oscura, 
forse dall'aat. hrebiz, granchio, o dal germ, yreifen, pigliare, ad- 
dentare. 



— 190 — 

Orlxella, it. graticola, graticolato, ecc.; è anco v. m., griselle 
delle sartie : aff. a prov. grazilho, e più a fr. grille; etim. comune lat. 
craticula 

Ouen-a, corrisponde airit. guaina solamente nel senso d''una 
special cucitura. I glottologi traggono guaina^ vagina, da lat. vacare^ 
etim. troppo forzata; il celt. ha guein che ben conviene al gen. 

Guigsriu, collare di cuoio per i cani: nel fr. ant. guiche, guige, 
era striscia di cuoio per allacciare zoccoli, ecc., e tal è ancora nell'it. 
guiggia; etim. comune certamente germ., forse Taat. tointinc, 

Gùm&, it. sgobbare, affaticarsi molto, v. pop. e contad. , id. a 
piem. game; etim prob. germ. kummer, pena, cura, vb. kùnimeì'n, 
curarsi, affannarsi. Cfr. il siriaco gomal, cammello. 

Gàmena, it. gomena; etim oscura: i più dall'ar. al-gomm.al, 
ma è inammissibile che i marini italiani abbiano tolto dagli À.rabi il 
nome del più grosso canapo di bordo; il Picchia da lat. ligare fa li- 
gumina, solite formazioni arbitrarie, tanto meno accettabili che la go- 
mena avea nome proprio in lat. ed in gr. 

Ourpe, e nel ling. civile Vurpe, it. volpe. La forma pop. e cent, 
gen. è id. a quella del fr. ant. gourpil, goulpil, che poi si mutò in re- 
nard, nome d'uomo; etim. lat. vulpes. Il fr. ant. aveva anche ow^pil, 
e il gen. contad. ha urpe, nota influenza celtica comune ai due idiomi. 

OusBu, it. gozzo, barchetta dì forma e di nome certamente d''ori- 
gine genovese. Il Guglielmotti, che il gen. non conosceva, trasse il 
nome di gozzo dallo stomaco degli uccelli, vera stranezza. Zambaldi 
propone Tit. guscio, conveniente alla forma del gussugen, somigliante 
a quella d'un guscio di noce, ma ne dice ignota Tetim.; questa è prob. 
il celt. guesk, guscio. 

Imbattu, V. m. significante vento estivo, periodico in alcuni mari : 
id. a sp. embat3 ; eiìm.. gv.embatés, con lo stesso significato. Imbattu 
divenne poi nel gen. sinonimo di riflesso, specialmente del sole. 

Imbessiu e Abessiu, it. intorpidito, lento, tardo, id. a piem. b'ssi, 
amp'ssì, a sp. embebecido; etim. prob.- lat. imbecillus. 

Imbo8&, capovolgere, e dicesi specialmente di vaso: aff. a prov. 
(Delf.) emboussou, botte, barile, sp. e^nboza, fondo di botte disuguale; 
il fr. ant. aveva embocer, per: « relever en bosse », e bosso, germ. 
butze, cosa ottusa, è prob. Fetim. del gen. imbósd, dalla forma del 
vaso capovolto. 

Imbrig^n&sene, it. in fischiarsene, non curarsi di checchessia, id. 
a ^ìem. anbrigyiesse ; etim. oscura: il lat. med. ha ambra che Ducange 
defluisce « devorator, consumptor, patrimoniorum decoctor, luxuriosus, 
profusus »; però male si presta alla risoluzione in igna, igne dei due 
dialetti. 

Inandi&, bel verbo, comune a piem. anandiè, con vari significati: 
avviare uno ad un'arte, mettere in ordine, preparare un lavoro, prender le 
mosse, ecc.; etim. andare? Ripugna così al prefisso in, come ai riflessi 
ià, iè nei due idiomi, né ben conviene al senso; vi fosse la rad. germ. 
hand, in hand, mano, in mano? 



- 191 - 

Inoall&se, vb. usato sempre negativamente « nii ìncallàse », pe- 
ritarsi, non osare: id a pìeiDL.ancalèse, osare, ancaliira, ardimento; ne 
sono traccie anche in altri dialetti: il prov. ha encald per: impigliarsi 
nel fango, nella sabbia, ecc.; lo sp. ha encallar, v. m. investire, onde 
it. incagliare. Etim.: il Flechia volle trarre il gen. incallàse da callo, 
far il callo, cioè abituarsi, dicendo che con l'abitudine vien Pardire, 
onde incallàse, ma è una stranezza indegna del valente glottologo. 
Etim. prob. d" incallàse è lat. callis, via stretta e montuosa: incallàse 
significherebbe incamminarsi, nù incallàse, non volersi mettere per 
una via aspra e pericolosa : in effetto, il modo primo ed usuale di questo 
verbo è « nu m'incallu >, cioè, non m'avvio, non mi ci metto. Vi sa- 
rebbe anche il lat. calere, trovarsi imbarazzato, però male si presta 
alla costruzione delle voci romanze su riferite, mentre che il callis 
conviene a tutte. 

Iiioaooi&, V. m. che il Pantera scrisse incocchiare, e che vale: 
mettere un gancio di ferro nella coccia di un cappio di canapo, e anche 
attaccare stabilmente un cavo dovecchessia; il contrario è 8oaooi&, 
scocciare. Dal linguaggio marinaresco passarono nel comune: Inouo- 
oi&se, incocciarsi, col signif. di ostinarsi (poiché un cavo incocciato 
non si lascia staccare se non sia scocciato), scocciare, con quello di 
dar noia. Etim. prob. greca : forse da kónche, nicchio marino, lat concha, 
nel senso di concavità. 

Ingri&rm&se, it. acconciarsi, assettarsi, ed anche, per est., infagot- 
tarsi» Il Caix: attribuisce a questa v. il senso d'ingannare, e la trae da 
fr. charmer, ma è invece affine, se non identica, a fr. se gendarmer, 
nel senso che un giorno ebbe la v. gendarme, uomo d'armi : < c'est un 
beau gendarme », dicevasi di chi avca belle armi, bel cavallo e aspetto 
guerriero. 

Ingriuiib&Be, it. incurvarsi nella larghezza, e dicesi dei legnami, 
onde Insrumbatfta, piega, curvatura^ id. a piem gotnbè: il lat. med. 
aveva gumba per gobba; etim. incerta, forse dal gr. hampé, piegatura, 
ma più prob. dal celt. komb curvare, e cuma, comba, curvatura : tro- 
vandosi questa rad. in molti nomi di luoghi nell'alta Italia e in Francia. 

Insà, it. incignare, intaccare per la prima volta cosa commesti- 
bile, ne viene Ins&la, romperla, cominciare una zuffa: id. al com. 
ninzà, per cui Monti cita il celt neag, che non si presta affatto. Etim. 
oscura : converrebbe, per il preciso senso conforme, il lat. incipere, prin- 
cipiare (il famoso « che Tinse? » di Balilla: «incipiam ne?») ma non 
si presta al cambiamento delFe in a; fosse caelare, intagliare, col pre- 
fisso in ì Vero è che Diez trasse lo sp. sobajar da lat. subigere. 

Intima, it. guscio del materasso e del guanciale, v. comune al 
lomb. e al venez.; etim prob. lat. linteamen, lenzuolo, tela che copriva 
uno strato di lana. 

Iiiverdllg^&, it. accalappiare, tirar uno, con lusinghe, al proprio 
volere; etim. da ap. verdugado, onde fr. vertugadin, g\i&Tdmfs,nte: nota 
foggia d'abito donnesco ampio e rigonfio; ond'è chiaro il significato del 
gen inverdilgà. 



— 192 — 

Iiivexeiid&, it. confondere, tur bare, disordinare, onde 
con gli stessi significati, più quello deiragitazione confusa d'una quan- 
tità di persone, e Invezendan, imbroglione, faccendone, chi opera 
sconsigliatamente: ha qualche affinità con lo sp. enved^arse, aggrovi- 
gliolarsi, arruffarsi la lana o i capelli; nelle Antiche rime genovesi è 
usato avexendar, avexendarse e avexendao, etivexendao, invexendao, 
nel senso di lavorare, adoperarsi, occupato, affaccendato. Il Flechia penilo 
all'it viceìida per faccenda; ma vicenda è v. del tutto estranea al gen., 
e nel senso di faccenda ripugna al significato del gen. invexendu, certa- 
mente alterato nella Riviera di ponente, cui apparteneva Fautore delle 
Rime. Etim. ignota. 

I8&, it. alzare; Vìi. ha pure issare come v. m., e così prov. hissd, 
fr. hisser, sp. izar. Guglielmotti dice che issare ò v. ant. it^ composta 
da «in sii », quasi insuare, o, come disse Dante: insusare (^Par. XVII;. 
Fatto sta che issare è, ab antico, voce del linguaggio comune ligure, 
prov. e fr., passata poi, come breve ed energica, nel linguaggio marina- 
resco; Tetim. ne è incerta: il celt. ha hisa, eccitare, e isa, fare uno 
aforzo, voci conservate, come molte.altre celtiche, nel dialetto comasco, 
e forse il significato di alzare venne air issare dal grido di comando e di 
incoraggiamento: issa!, mandato anche oggi dovunque si lavori ad 
alzar gravi pesi; vi è poi Tant. scandinavo che dice hisa, onde germ. 
hissen, ma parrebbe più prob. che ai Liguri issare sia venuto dai celt. 
Notevole, come sempre, la fedeltà del gen. alla voce originale, che 
serbò vivissima nel linguaggio comune quanto nel marinaresco, non 
conoscendo esso Tit. alzare, ed usando soltanto in certi casi il lat. 
erigere, contratto in erze. 

Iiabla, it. fame, miseria, v. pop. e cont.: « a Té labia», la è fame; 
etim lat arcaico labia, « vel labra », nel senso di bocca asciutta. 

Laooiun, dicono i Genovesi « che pigliò il lacciun », chi, fatta una 
cosa con speranza di bene, invece ne ottenga male; etim. oscura: Tit. 
lacciuolo, inganno, insidia, ripugna al senso dell'unica e non antica 
frase in cui i Genovesi usano la v. lacciun, la quale forse deriva dal- 
l' ingl. luncheon, merenda, refezione. 

La^héu. it. ramarro, id. a piem. laieul, lomb. ghezz, e lingoeuri; 
etim. incerta, o lat. languHa, lucertola verde, o celt. lagairt, ramarro. 

Lalla, it. zia, v. esclusiv. gen.; etim. oscura: loia, in gr., v. con 
cui le balie addormentavano i fanciulli, onde il lat. lattare, lallum, 
dormire dei fanciulli: in sanscrito làlanà,làlànam, hÌRndìzìe, carezze; 
anche in turco e in persiano lala è v. esprimente affetto rispettoso. 
In tedesco lallen, parlare. 

Lambardan, it. uomo alto e poco intelligente; etim. germ. 
langbdrthe, longobardo. 

Iiandon, it. zimbello, ludibrio : « mette au landun », mettere in 
beffe, a ludibrio; etim. fr. ant. laudon, bastoncello, «qui canibus ad 
collum appenditur ne excurrant » (Ducange), i quali perciò fornivano 
ampia materia di ri.so. 



— 193 — 

Lap&, it. lambire, il modo di bere dei cani, gatti, ecc., in gen. 
;. bere, id. a piem. lapè, lomb. litppd, prov. lapd, fr. lapper ; etim. 
dal gr. lapto, o dal germ. lappian, lappen, proposto da Littré e da altri. 

Laugla, it. broda, broscia , id. a fr. lavage ; etim. lat. lavatura. 

Lellua, come il fr. lierre, è un errore prodotto dall'aggiunta del- 
Tarticolo « le ierre », « la ellua », alterazione del lat. hedera, simile a 
quella dell' it. ellera. 

laèpegVL, it. untume, viscidume, onde Lepes^sn, unto, viscido, 
j aff. a prov. lipous ; etim. incerta, o dal tardo lat. alipem, grasso ani- 
male che verrebbe dal sanscrito lipa, ungere con grasso, o, come 
adipem, da lat. lebes, lebetis, paiuolo, laveggio. 

Lerftì, it. labbro, v. pop. e cont., onde lerfà, labbrata, lerfun, 
ceffatone: v. anche civile; etim. aat. leffur, labbro. 

Iiezen-a, it. pilastro incassaio, contracolonna, il gr.-lat. para- 
stata, id. a piem. lesena, lomb. lésenna, fr. ant. lezeigne (v. che il 
Godefroi non comprese); etim. incerta: il Monti da lat. lacinia, pezzo, 
striscia, che mal si presta: il celt. ha lesen, orlo, striscia, che pare 
conveniente ; e a chi trovasse strano che ad un disegno architettonico, 
venuto di Grecia con nome proprio, sia stato dato nelle due Gallio e 
in Liguria un nome celtico, si può rispondere facendo notare la diflBcoltà 
della V. gr.-lat , e la facilità della celt. E forse le v. del fr. mod. lisière 
e lizéré provengono esse pure da lesen anziché da liste, come credesi 

oggi- 

Liamme, it. letame, da lat laetamen, cos\ detto <( quod facit 

laetas segetes )>, però dubito che dalla stessa voce vengano il gen. 
liamme, piem. liam, lomb. liatnm, quando si ha il celt. Ha, stalla. 

Lig^gla, it. greppo, balza, e non frana o ripa, come reca TOlivieri; 
etim. oscura: nel lat. med. di covasi lignadum, lignaricia, lo « jus li- 
gnum excidendi in nemoribus » (Ducange). Distrutto il bosco, come 
avvenne nella massima parte dei monti liguri, sarebbe rimasto il nome 
del luogo. 

Iiippa, noto giuoco fanciullesco, v. quasi esclusivamente gen.; 
Tetim. sarebbe direttamente dalF ingl. to leap, balzare, saltare, tanto più 
che gU Inglesi hanno un giuoco consimile, chiamato leap^frog, però 
è certo che il giuoco della lippa esisteva tra i Liguri prima assai che 
essi avessero relazione con gli Inglesi : conviene adunque ricorrere alla 
fonte comune, e trovar Tetim. di lippa nelFant. sassone hlaepan, saltare. 

Iiisu, detto di pane mal lievitato, e anche di vesti quasi logore ; 
etim. lat. elidere, elisus, che però se conviene al secondo dei suddetti 
significati, male s'addice al primo, per cui potrebbesi ricorrere a la^sum, 
oifeso. 

Lobbia, it. arcuccio su la cuna dei bambini, e tenda di poppa in 
piccola barca; etim. lat. med. laubia, venuto dall'aat. lauba, laubja, 
da cui pure deriva it. loggia. 

lK>ooi&, it. tentennare, agitare, scuotere^ onde Barloooià e Lam- 
broooi&, agitare un liquido entro un vaso: id. a piem. locè, fr. ant. 

13 



— 194 — 

lochier, mod. locher (nel ling. dello Hainaut: harlocher)-, etim. comune 
germ. luche, scosso, tentennante. 

iMùtta,, it. loffa, vento che esce di dietro senza remore; le etim. 
proposte dal Caix e da Zambaldi non paiono accettabili: questa v. 
viene prob. dal germ. lauf, corso, lauffen, scorrere, scolare, lasciar 
cadere. 

IifiiTST^^ i^- frottola, bugìa; etim. germ. lug, frode, bugìa: il lat. 
ha alogia ma nel senso di sciocchezza, sproposito. 

Iifighòn, it. lucherino, uccelletto di penne verdi e gialle; etim., % 
secondo Zambaldi, da lat. ligurinus, perchè, dice egli, i lucherini ab- * 
bendavano nei monti liguri, mentre che non vi abbondano più d^altre 
specie, e non vi si trovano che di passaggio; è verisimile Fetim. dal celt. 
lugeìfii, brillare. 

Lfigglu, it. peluia delle castagne, tramezzo degli spicchi di 
noce, ecc.; etim. oscura, forse da gr. lòpos, guscio. 

Iiuisa, erba, è quella che i Toscani chiamano erba cedrina, ma 
cui fu conservato dai Genovesi il nome originale aloysia cUriodora, 
venutole dalla dedica fattane da chi la portò dal Chili a Maria Luisa 
regina di Spagna. 

Iitlroiii, it. losco, strambo, aflT. a prov. lusc, fr. louche, prove- 
nienti da lat. luscus; ma si può ammettere che il gen. lùrciu, come 
il prov. (di Toulouse) lugre, siano derivati da lusctis ? V Azai's inclina 
a crederlo, però lice di dubitare che Tetim. di lùrciu sia nordica o germ. 
Cfr. svedese lura, sassone lerz. 

Iifiu, it. ululato, aif. a I1611, urlo, onde Lftà, ululare, urlare, 
Allu&, stordire con urli grida, Alinoli, stordito: aff. a fr. ant. 
alourder; etim. lat. ululare, da ulula, gufo. 

LavesTU, it. cupo, tetro, detto specialmente di bosco, aff. al prov. 
ubagous, lubac, il dorso della montagna esposto a tramontana; etim. 
r Azaì's da lat. opacus, ma è poco verisimile ; il Celesia *■ dice che le 
foreste di Dolceacqua, di Abeglio, e di Pigna, chiamansi ancora ubago, 
per la cui etim. fa ipotesi inammissibili : la voce parrebbe basca. 

Kaoaja, nel linguaggio comune gen. significa: aria umida che 
ammollisce, illanguidisce. La Crusca registrò, come marinaresca, la v. 
maccheì^, definendola : « calma di mare spianato e smaccatissimo 
quando il cielo è nuvoloso ». La Crusca copiò il Redi, che a sua volta 
copiò il cap. Pantera, ^ solo aggiungendo la parola « smaccatissimo ». 
su la quale il Guglielmotti ricamò poi Tetim. di maccheria, facendola 
venire da macca, a macco, « calmena sino alla nausea ». Farmi invece 
prob. che la voce pretta gen. macera, venga dal gr. malak, maUMa, 
mollezza, languore, come ne venne il lat. mcUacia, col significato così 
di calma di mare, come di mollezza e languore, « non est tranquillitas, 
malacia est », scrisse Seneca. Se marinari italiani, oltre a quelli geno- 
vesi, usarono la v. maccheria, col solo significato di bonaccia, come 

* Op. cit., pag. 58. 

* L'Armata navale già citata. 



consta dal Pantera, la restrizione ni spiega focilmente, riflettendo che 
il tompo umido implica assenza di vento, quindi calma di mare. Da 
macaia venne la y. gen. maccu, significante: denso, spesso, detto di 
ÌDchiostro tinta non scorrevole. 

Madnnava, it. avola, nonna; v. composta di madonna e di ava, 
che si conservò come quella di messiamt, messer avo, nella sua form» 
medioevale. Nel contado, l'avo è chiamata messe, meus senex, mio 

lEag;aj^a, it. magag-na, che vai difetto, guasto: in gea. ne viene il 
vb. Kagr&gnftBe che vale ammalarci, e specialmente infreddarsi; il 
piem, non ha questa v., il lomb. contad. ha maga, per difetto, i! com. 
■magagnàa, per guasto, bacato, i! prov. magagna, maganhar, con gli 
stessi signif. del gen., il fr. ant. aveva mahaignier, mahaigne (più altre 
forme) nel senso di maltrattare, mutilare. I glottologi dicono ignota 
l'etim. di magagna, salvo Die?, che congottiira un composto gcrm. 
troppo lontano; il Monti invece cita il celt. mac'hanna; il Tramater 
puro il cclt. mahaigna, con lo stesso signif. del fr. ant., più il celt. 
mahaign, malelieio: verisimile assai l'etim. celt. vista anche la con- 
ce rdnnza del geu. e del comasco. 

Uagnàra -a, it. bravaccio ; etim. oscura : nel lat. med. magnerius 
era un famiglio che aveva naturalmente te abitudini del suo tempo. 
Uu monte ia Liguria è chiamato Magnerri. 

Ka^nln, it. coniHacaldaie ; etim. lat. med. magninus, con eguale 
significato. 

Xagmn, it. marangone, oggi palombaro (da ìat, palumbarius, 
sparviero che db la caccia ai palombi); etim. lat mergum, uccello che 
sì tuffa per prendere i pesci. 

Magm^T il^- accoramento, crepacuore, onde AmagnnAse, acco- 
rarsi, comune a piem. e lorab., il guascone ha magoulent per soffe- 
rente; etim. cclt jvmagan, con lo stesso aignitlcato. Cfr. aat mago, 
mod. magen, stomaco. 

Blanamui, Amanaman, v. che in gen. indicano un pericolo te- 
muto; il piem. ha maraman, manaman, mariman, or col signif. di: 
risico, or con quello di: a poco a poco, a mano a mano; il lomb. ha 
munoman, manaman con quest'ultimo significato, più quello di : quasi; 
per le v. gen. e piem. nel primo senso l'etim. è oacurissima. Cfr. arabo 
aman, sicurezza, ripetuto, celt. mar, diHlcoltà, sanscrito mariman, 
morte. 

HuiAlIln, it. fazzoletto. Questa v. gen. ha, come molte altro, una 
storia: in origine, fu il lat. montile, manliUum, tovagliolo (senso con- 
servato nel piem. mantil), i Greci di Costanticopuli ne fecero matUi- 
iion, con lo stesso ijignif., gli Arabi sopravvenuti la mutarono in mindU, 
fazzoletto, i Genovesi, infine, in tnandillu. Ma potrebbe anche essere, 
e forse è più verisimile, che i Genovesi, conservatori delle voci latine, 
avessero tradotto ab antico il mantUium nel loro mandiUu, alteran- 
done alquanto il senso, e che poi essi portato abbiano ai Greci bizan- 



— 196 — 

tini la merce così denominata, merce della quale erano i principali 
fabbricanti in Italia. 

Kandraooin, it. màndracchio, v. m. che dinota una piccola parte 
e la più riparata d'un porto; etim. da gr. mdndra, recinto, stalla per 
bestiame. A spiegare però il senso nautico di màndracchio, giovi sog- 
giungere che mandra viene dal caldaico medar o mudar, significante 
abitacolo, recinto in genere. 

Kanteoatn, it. sorbetto di pasta finissima; da sp. manteca, burro, 
pomata. 

KaOttia e nel linguaggio civile Marottia, it malattia, onde Ka- 
rottn, malato; Tetim. non potrebbe essere, come quella proposta per Tit. 
malatOy da lat. m^le aptus, Vo aperto della v. gen. oppone una difficoltà 
insormontabile. Anche il dialetto di Como ha marò per malato, e quel 
di Corsica marodi; però quest'ultimo può averlo avuto dal gen. Per lo 
sp. malroto, dissipato, Diez aveva proposto Tetim. di male ruptus, 
rovinato, che, con qualche sforzo, sarebbe forse applicabile al marottu, 
marò. Ma Tosservazione di Littré (v. Maraud) che il comasco ed il 
còrso hanno marò e marodi (e poteva aggiungere il gen. marottu, 
se Tavesse conosciutole che nel fr. ani maraud significava: un po- 
vero diavolo, induce a considerare la possibile affinità di coteste voci. 
L'etim. del fr. maraud, onde maraude (« aller à la») è ignota; il gen. 
aveva esso pure, da tempo antico, marraggia (andd a), saccheggio; 
sarebbevi in queste voci la rad. mxir, distruggere? Tuttavia cotesta 
rad. non converrebbe al marottu. * Quanto a mariolu, camiciuola, di 
cui si parla in seguito, se si può, come sembrerebbe, accostare a ma- 
raud, indicherebbe Tunica copertura del busto d'un pover uomo. 

Kappa, in lat. significava tovagliolo, onde l' it. mappa, carta to- 
pografica; V. di etim. ignota; in gen. poi non significa che bandella, 
noto arnese di ferro per le imposte, onde Kappetta, feìtnaglio; in 
questo senso ha pur mapa il piem., ma poco usata. Quintiliano dice 
che mappa venne al lat. dal fenicio. 

Maren, it. marinaro, id. a fr. marin. In gen. è maren chiunque 
eserciti la professione marinaresca, anche l'ammiraglio; è maina il 
marinaro semplice, non graduato; etim. lat. 7narinus. 

Kariolu, vale in gen. camiciuola di lana o cotone. Come mai potè 
assumere questo significato una voce che in it. manuolo, in fr. mor^ 
raud, in sp. marrullero, indica un truff'atore, un imbroglione? La 
probabile spiegazione si troverà nella v. Maòttia. 

Karsoin-a, abito da società e da ballo : piem. e lomb. m^trsinna; 
etim. ignota: il Monti dal germ. mannshleid, abito da uomo, che non 
conviene. 

* Leggesi nei Monumenti storici rivelati dalVanalisi delle,parole, deirU- 
lustre Pietro Marzolo, che « il tedesco marode è il risultato della forma 
della parola maraudy fr., e del significato della parola malade, pure fr. Si usa 
nel linguaggio militare austriaco nel senso di: ammalato. {Nota posta du- 
rante la stampa). 



"^« 



— 197 — 

Maranslnl, chiamano i Genovesi certi dolci che i cialdonai ven- 
dono ai ragazzi; etim. da marrone, castagna grossa, essendo probabile 
che, anticamente, cotesti dolci non fossero che castagne unte di miele. 

Masoa, it. gota, guancia, onde Mascà, schiaffo; etim. prob. lat. 
mascilla; trovasi spesso usato nel fr. ant. masselle e maiselle per 
gota, e anche il dim. maisseletes, gen. maschette: 

De lis, de rosea qir ils mellerent, 
Les maisseletes coalourerent 

(Roman d'Athis). 

MascarBun, it. mascalzone, che vale: masnadiere, cialtrone ed 
anche semplicemente uom cattivo : quest'ultimo è il solo signif. della 
V. gen. comunissima; id. a piem. mascarson, mentre che il lomb. ma- 
scarpon vale uom deforme. Etim. Zambaldi da mascalcia, con cui nulla 
ha da fare; probabilmente vien da lat. m^scafyio, onis, che da in- 
giuria particolare e di sconcio significato passò ad ingiuria di senso 
generico. Altre voci lombarde giustificano tale etim. 

Mascezà, it. stazzonare, « mascezàse un-a cosa », fig. godersela; 
etim. oscura, forse dalPebr. masciasc, palpare. 

Massacan, it. mtiratore, v. esclusivamente gen. : però anche il 
siciliano ha mazzacani per sasso, ciottolo, e m^azzacanata, per suolo 
assodato con ciottoli e ghiaia, e il prov. ha m^assacan, col significato 
di rottami di pietre; etim. prob. l'arabo mascan (i) il quale risponde 
perfettamente alPit. abituro^ e, in senso piii generale, a luogo di ri- 
poso. Ma come venne ai Genovesi? Certo essi avevano case prima di 
entrare in relazione con gli Arabi, e gli operai che le fabbricavano do- 
vevano avere un nome particolare; pure, massacan non ha sinonimo 
in gen. : nessuna traccia del lat. structor o d'altra voce derivante da 
murus. Avrebbe mascan radice fenicia? In questo caso il vocabolo 
sarebbe stato tolto dai Liguri ai Cartaginesi, dai quali avrebbero im- 
parato l'arte del muratore, ciò che è molto probabile, considerando il 
tempo in cui Liguri e Cartaginesi si trovarono insieme, e la diversa 
civiltà loro. 2 E forse la stessa origine potrebbe avere il fr. m^igon, la 
etim. del quale è oscurissima. 

MasBamuru, tritumi, Hmusugli di biscotto, quasi sempre guasto, 
raccolto dal fondo dei depositi sulle navi: v. comune, con lievi diffe- 
renze, a tutte le marine del Mediterraneo; etim. basco mazamorra 
di cui Larramendi dice essere stato il pasto che davasi ai galeotti, 
denominato così da az-amorra, significante: erba rabbiosa, poiché 
mangiar potevano il mazzamuro solamente que' galeotti i quali arrab- 
biavano p^r la famet 

* Amari, Archivio storico italiano^ tomo IV, pag. 71. 

* In una delle iscrizioni gerogUflche del tempio di Medinet-Habù sono 
mentovati, tra i popoli vinti dal Faraone, i Mushahen, popoli della Libia o 
Numidi. Veggansi Les études sur Vantiquité historique, d*après les sources 
égyptiennes, di F. Chabas, Paris, 1813. 



— 198 — 

KasBoin, it. maschio; qui parrebbe evidente Tetim. da lat. ma- 
sculus, ma come spiegare il suono esplosivo in questa voce, unica tra 
le parecchie venute dal latino con lo se davanti alle vocali, p. es. co- 
scuSj le quali voci il gen. pronunzia correttamente ? Come non pensare 
al germ. mensch? (V. la v. Sccettu). 

KaBBnoon, it. corizza, infreddatura di testa; etim. ignota, mal 
prestandosi lat. succus. Il com. ha mazùca per testa. 

MaBtrùBBft, it. imbrogliare, confondere, e anche brancicare^ 
onde MaBtrftBSu, imbroglio, e BEastr&BBiin, imbroglione, affi a piem. 
mastrojè, mastrogn; etim. prob. lat. e sconcia. 

BEataflan, it. mataffioìie, v. m.: funicella a treccia principalmente 
a uso di fare i terzaruoli; etim. oscura: Guglielmotti da fune matta {l) 
forse viene da lat. m^ta, stuoia intrecciata di grosso canape, giunco o 
palma, che serviva per giaciglio, e, assottigliata, anche per vela delle 
antiche barche, e filum (gen. fiun) per avvolgerla o scemarne la su- 
perficie. 

Màama, vale in gen.: fatto straordinario compiuto a caso; etim. 
oscura, forse da Mahom, Maometto; il fr. ant. aveva Mahomerìe 
Makomie, per significare tutto ciò che si apparteneva air islamismo. 

BKazens^, in gen. vale uomo attempato, vicino alla vecchiaia ; etim. 
oscura, forse per sim. dal germ. mahzeit, tempo della mietitura, della 
falciatura. 

Melzau, specie di mantiglia di tela forte di cotone o di lino a 
fondo bianco, stampato a rami giallognoli, foglie verdi e fiori rossi che 
portavano le popolane e le contadine genovesi (oggidì ne è scemato 
Tuso) la quale copre il capo, le spalle e la vita, e le cui falde passano 
sulla piegatura delle braccia, e riunite pendono sul davanti fin sulle 
ginocchia; etim. da ar. mizar, velo, mantello. Questa voce entrò nel 
livornese per mezzo del gen. poi anche nel fiorentino, con la forma 
misere, sotto cui la registra il Fanfani, ma al di d'oggi non indica 
più che un semplice velo portato in testa. 

Mela, e nel parlar^civile Merella, it. fragola, v. esci. gen. afi^. al 
b. bres. che ha mutole, tratta dal Rosa dal germ. mai, maggio, il quale 
poco conviene al m^ole, e meno al melu. Sarebbevi il gr. mélon, ma 
il senso che ha di frutto in generale, può estendersi sino alla fragola? 
È poi possibile che i Liguri abbiano atteso i Greci per denominare 
quel frutto che cresceva spontaneo sui loro monti? E come i Greci 
non gli avrebbero dato Ib stesso nome che essi davano aUa fragola, 
cioè chomaron? 

Men-a, it. mena, nel senso di qualità, condiiione, stat(^; v. poco 
usata nel tose, in cui però è antichissima come nel gen. che continua 
ad usarla: non T hanno piem. e lomb. né le altre lingue neo-latine; 
etim. non da lat. minare che ha tutt'altro signif. ma dal celt. meni, 
mine, specie, sorta. 

Messela, it. mescolare, che si trae da lat. miscere per mezzo di 
un immaginario ynisculare ; etim. del gen. è il sass. miscetn^ germ. 



— 199 — 

mischen. Da lat. miacere viene invece il vb. gen. mescid^ muovere. 
(V. la V. Sccettu). 

Mloellà, it. buffetto; etim. lat. micare che fig. vale: giuocar con 
le dita, « micare trìbus digitis ». 

Mlg^agnettn, it. amorino; è il reseda odoroso venuto a Genova 
dalla Francia col suo nome di mignonnette. 

MUia, dicono i Genovesi volendo dir : ottimo ; etim. prob. ar. bis- 
millah, che vale: benissimo. 

Minna, dim. Minin, nome vezzeggiativo del gatto; etim. prob. 
germ. e celt. min^ amore. 

MinoUn, significa in it. colui che somministra e porta la zavorra 
alle navi ; etim. incerta, la più prob. è gr. mna, lat. mina, antica unità 
di peso, ancora usata in Liguria, min-a; ma potrebbe eziandio venire 
da m,einn, cava e altre simili voci celtiche, il minollu estraendo i ma- 
teriali per la zavorra dalle cave di pietra. 

fliiscin, vale in gen. : senza danari, v. esci. gen. ; etim. oscura, il 
lat. misellus male prestandosi. Cfr. ebr. misched. 

Mobba, significa in gen. combriccola e per est. trama, inganno : 
è V. id. airingl. mob. significante folla, popolaccio, canaglia; etim. ignota 
in ambedue gli idiomi, non potendo venir da lat. mobilis, come dice 
qualche filologo inglese; forse è voce semitica. 

Moò (o stretto, ma non mué, e cosi Poò, e non puè\ it. madre, 
piem. mare, lomb. m>ader, prov. mxiire, fr. m>ère, tutti dal sanscrito 
matri, rad. m,a (fare, fabbricare): il gen. se ne scostò, dicendo moè, 
come il persiano mxìdar, il sassone modor, il gotico e lo scandinavo 
m^er, Toland. moeder, Tingi, mother. Lo stesso avvenne riguardo 
al padre, che il gen. chiama poé, il sassone foeder, Altrd radici go- 
tiche e sassoni sono nel gen., però ninna ha, per certo, V importanza di 
queste due. 

Moòln, e nel parlar civile Morella, it. tnorello, di color tendente 
al nero, ma in gen. indica color pavonazzo, e giustamente, perchè in 
lat. morulus significava anche livido « pugnis totam faciam ut sit mo- 
rula » (Plauto). Del resto anche nel celt. mor è nero. 

MoUà, it. mollare, ammesso dalla Crusca per: finare, restare, 
allentare: v. del ling. comune gen., piem. e lomb. col significato di 
allentare, rilassare, passata poi per mezzo del gen. nel ling. marin. 
it. in cui vale: sciogliere, levar volta, disfare un nodo; etim. lat. mollis. 
Cf. anche gr. malak. 

Morbin, it. orgoglio, contegno altero? nella frase « leva u morbin 
a un », cavare il ruzzo a uno, fargli abbassar l'orgoglio, aff. a lomb. 
morbin, fr. morgue, di cui Littré dice ignota Tetim. Il com. ha morbin 
nello stesso senso del gen. e il Monti lo trae dal celt mor, grande. 

Motta, it. zolla, qualsivoglia polvere ammassata dalla umidità o 
da forte pressione fatta in pezzi, onde Amottoa, ridotto in zolle, in 
pezzi: id. a piem. mota, lomb. motta, prov. moto, fr. motte, fr. ant. 
amatele; etim. celt. mota, monte. 



— 200 — 

Maocia, in gen. significa: i capelli delle donne raccolti come in 
un mazzo sulla sommità del capo e tenuti insieme con vari mezzi, che 
i Toscani chiaman mazzocchio. Il piem. e il lomb. hanno mucc, nel 
senso di mucchio; il gen. chiama mùggiu il mucchio, e mucciu il 
mazzocchio, tutti dal celt. muc, moch, mucchio. 

Macon (da Iftmiiie), it. smoccolatura, onde Amaooà, smocco- 
lare, Maooalftimiie, smoccolatoio, e fig. Amaooà, azzittirsi per ti- 
more, e muccu, zitto, confuso; etim. basco mochar, desmochar, tron- 
care, mutilare, e desmocho, la cosa troncata. Il lat. m,ucus^ etim. 
corrente per it. moccolo, smoccolare, non indicherebbe Fazione del 
troncamento del moccolo. 

Mùihia, it. manicotto per signora; etim. lat. med. muffla, muf- 
folae, « chirothecae pellitae et hibemae » (Ducange), fr. ant. moufle, 
germ. ed ing. muffy manicotto. 

Mag^g^n&, borbottio, e Mas^gnnn, brontolone : il com. ha mogndy 
parlar sottovoce, borbottare, mignolar, brontolare; il Monti cita il lat. 
mussitare che non si presta; il celt. ha m^vha, borbottare, e mugach, 
parlar nel naso, il lat. med. mugulare. In sostanza però il mu è voce 
imitativa del parlar piano : « ww facere », « nec mu facere » dicevano 
i Latini. 

Man, it. mattone, id. a piem. moun; etim. le due v. gall.-it. non 
possono venire, come l'italiana, dal germ. matte, proposto da Diez: 
prob. vengono da lat. mactum, duro, compatto. 

Mara, it. mxyra, noto giuoco che si fa con le dita di una mano: 
in nessuna parte d'Italia è comune come in Liguria; poco usato in 
Francia dov] è chiamato mourre, e in Ispagna in cui vien detto morra 
calva: prov. mourro, piem. e lomb. mora. Etim. : Menage da lat. wit- 
catura, micare digitis; Littré trova che morra (tal credeva che fosse 
il nome it. del giuoco) è troppo lontana da micatura ; se egli avesse 
conosciuto il nome genovese forse avrebbe modificato il suo giudizio. 
Vuoisi però considerare anche il celt. meur, dito. 

Mnrn, it. muso, che taluni glottologi derivano da lat. m,orsus, 
propriamente la bocca, poi la parte anteriore della testa dei mammiferi 
e per disprezzo il volto umano : se così fosse, Tetim. converrebbe anche 
al gen. muru, ma è inverisimile per Tuna e per Taltra forma. Il piem. 
ha mouro, il fr. ant. aveva mor, mxmrre, per muso, con altri signi- 
ficati, lo sp. ha mxìrra per cranio, il catalano morrOy il prov. marre e 
m^ourre per muso ed anche per cima di monte rotonda, V ingl. mwr per 
muso : tutte voci che Diez 1;rae dal basco murua, eminenza, mucchio. 

Mnsoardin, it. zerbinotto; etim. fr. muscadin, petit-maitre, cosi 
detto dall'odor di muschio. Muscardin in gen. è anche il polpo mu- 
schiato. 

Mnsclamme, it. mosciame, filetto di tonno salato e tenuto in 
soppressa; etim. ar. mosammed, cosa dura, e più prob. per la pronunzia 
gen. mescmun, che manda odore. Prodotto e nome diflPusi dai Geno- 
vesi. 



— 201 — 

MuBcia, it. ben pasciuto, benestante, onde Musetto, agiatezza, 
MuBcezft, grandeggiare ; etim. oscura: forse da lat. muceo, contrarre 
la muffa, mucidìÀS, muffato, nel senso fig. di abbondanza, noncuranza; 
senso che pure trovasi nelP it. muffa, detto per superbia, albagia. 

MuBBa, it. mozzo, ragazzo di bastimento, v. m. comune a tutte 
le marine del Mediterraneo ; etim. basco motza, che vuol dire pelato, 
dall'avere i capelli corti. Dim. di motza, o mocho, è sp. muchacho, 
gen. mucciacciu, sinonimo di mozzo. 

Matta, it. spuntato, troncato, « gattu muttu », gatto senza coda; 
il fr. ant. aveva mout con lo stesso senso: « chevre moutte qui n'a 
pas de Comes », il piem ha tnouc, mout, per monco, il prov. m,out, 
per mutilato. Etim. potrebbe essere da lat. mutilus, ma sembra più 
verosimile quella dal germ. mutt, spuntato. 

Na, per no, dicono i popolani e i contadini liguri, come altri ita- 
liani (p. e. i Comaschi), è voce celtica, ma venuta a tutti dal sanscrito 
na. La forza della tradizione è tale che, per affermare una negativa, i 
Genovesi dicono: «ve diggo de nù e de nà», cioè: vi dico no in due 
lingue, nelFantica e nella nuova. 

Napla, it. nasone, v. comune al piem.; etim gr. napos, naso. Da 
napos venne il soprannome di Napoleone (naso di leone), antichissimo 
in Italia. 

ITaBsa, it. nassa, cestella a rete per pescare, v. comune al piem.» 
bresc. e com.; etim. Zambaldi da un composto gr. nau-7ndche, dimen- 
ticando il lat. nassa, nacca, derivato forse dal celt. nas, laccio. 

Natta, it. sughero, id. a piem. nata; nel lat. med. naita, altera- 
zione del lat. matta, era una stuoia fatta di giunchi, a uso di giaciglio, 
o coprir pavimenti, ecc. e con questo signif. dura nel fr. naite ; da matta 
vennero it. materasso, a, fr. maielas, ecc., che i glottologi vogliono 
trarre da una voce araba significante: copertura dei somari. Fu poi la 
natta fabbricata di canne spaccate e intrecciate, appresso di scorze di 
alberi, specialmente di sughero, e usata su le navi a fasciare interna- 
mente i depositi del biscotto, delle vele e altri, ed anche la stiva, per 
guarentirli dall'umidità. Pare che gen. e piem. abbiano dato al sughero 
il nome della manifattura in cui l'adoperavano. Etim. di matta-natta, 
forse ebraica, forse celtica. 

Neg^a, it. cialda, onde JXegik, cialdonaio ; nel cont. gen. négia 
significa nebbia, negiassu, nebbione ; etim. lat nebula, nebla, spiegata 
per il primo significato da Ducange : « ea quae in ferramento caracte- 
rato de conspersione farinae tenuissime fiunt et ab hominibus Romana e 
linguae, Nebulae, a nostratibus appellantur Oblatae » (piem. ubid, 
ubidì). 

Netezft, it nettare; etim. lat. med. nectesare, fr. nettoyer. 

Nlooi, nella frase: « tià i nicci », tirar piano i capelli per ischerzo; 
v. aff. a fr.niche, nique, < faire la nique k quelqu'an » che Littré trae 
da germ. nicken, far un segno con la testa; al gen. però converrebbe 
meglio lo scand. nykke, malizia, cattiveria. 



— 202 — 

Ninna, it. fanciullo, y. vezzeggiativa, id. a sp. nino, fanciullo, 
onde ninà, cullare, e fig. tentennare; etim. comune ebraico nin, figlio. 

IfissA, it. ammaccare, cagionar contusioni con lividi, onde nissu, 
contuso, livido, e per sim. detto del frutto troppo maturo, in toscano : 
ammezzito; v. id. a piem. niss, lomb. nizz, comasco niz ; etim. Diez 
da lat. mritis, tenero, molle, detto anche dei frutti, da cui forma un 
miiius, formazione troppo forzata; e poi donde viene il vb. nissà? Vi 
sarebbe il lat. nixus, Tatto delFappoggiarsi, lo sforzo, ma è difficile di 
convertirlo in verbo: rimane il celt. nycha, languire, nych, languore, 
onde il com. nisc, afato, malazzato. 

Ofeftgg^in, it. alloro, I Genovesi danno questo nome anche alFagri- 
foglio che è Tallero spinoso ; infatti òfeuggiu è composto da 6, con- 
trazione, veramente genovese, di laurus (come où da aurum) e da 
folium, foglia. 

Orsa, it. orza. Parlo di questa v. m. per metter fine, se sarà pos- 
sibile, agli almanacchi dei glottologi, cominciando da quello del Diez 
che vuol connettere Yorza alTolandese lurts, sassone lurz, sinistro; 
Yorza è bensì « la corda che si lega al capo delTantenna d'una nave », 
ma non « da mano sinistra >, come definì il Buti, e dietro lui la Crusca 
e i lessici tutti. Cito Guglielmotti che quando parla da marinaro non 
ha chi lo agguagli: « Orza è quel canapo che, attaccato come braccio 
al carro delTantenna, serve per uso di tirare il detto carro, e con esso 
l'antenna e la vela, dal lato di sopravvento. Il termine è antico, proprio 
dei bastimenti latini, ricevuto anche dai quadri, e derivato da forza, 
elisa la /*-, nelTafa affannosa dei marinai. » (Questa volta il valente 
frate ha ragione anche come etimologo). E concludo col Falconi che 
« orza è andare contro il vento che soffia ». Così che Forza può esser 
legata a destra, o a sinistra, secondo il vento. 

Osca, it. calettare, onde Osca, calettatura, v. dei legnaiuoli gen. 
significante : unir pezzi di legno in modo che combacino perfettamente ; 
etim. lat. osculari, baciare. 

Paciugo, it. imbroglio, garbuglio, e anche imbratto, onde Pa- 
ciugo, imbrogliare, ecc. e Paciùg^nn, imbroglione : v. aff. a piem. 
paciochè, pacinch, lomb. paciugh, spaciugà; etim. oscura: nel gen. 
chiamavansi paggixi, certi fantocci grossolani, empiti di paglia, raffi- 
guranti uomini donne, che si appendevano come voti nelle chiese, 
due dei quali sussistono ancora in quella di N. S. Coronata presso Ge- 
nova, e son detti paciugu e paciuga. Ne parla il Cavalli in un sonetto 
già citato. Data la forma paggìu, Tetim. del paciugu, paciugd sarebbe 
da paggia, paglia. Zambaldi trae pacchiuco, impacciucare (forme dia- 
lettali) da gr. pachys, grosso, e dal b. lat. pacho, porco ingrassato. 

Paootigrsri&j id* ^ fr. pacotille, che Tebbe prob. dal gen. Piccola 
quantità di merci che ciascun marinaro avea diritto di portar seco 
senza pagare nolo ; etim. b. lat. paccus, derivato da una radice comune 
al celt. ed al germ. 

Pagrgrinà, it. puerpera; etim. lat. palea, paglia, v. id. a lat. med. 
pajola, ed al tose, impagliata: donna, dice il Redi, che per aver par- 



— 203 — 

torito da poco tempo sta ancora nel letto. E si ricordi che « antiqui» 
enim torus e stramentis erat » (Plinio, 8, 48). 

Pai, it. pascere, per est. digerire, v. contad.; etim. lat. pascere, 
venutagli dalla radice sanscrita pà, nutrire. 

Panò, V. usata dai Genovesi per indicare onestamente il deretano, e 
viene dal fr. panier, sottana (jupon) guarnita di balene che sosteneva 
la veste delle donne nel secolo xviii. 

Papò, it. carta, id. a piem. pape, lomb. palpèe, prov. pape, fr. 
papier, sp. papel, e provenendo dal gr. papyros, lat. papyrus, è v. le- 
gittima più deir it. carta, che nel lat. charta significava scrittura, do- 
cumento, diploma. 

Patatuocu, it. zoticone, balordo, id. a piem. patatoch, prov. pa- 
tarrut, fr. pataud, sp. patan, tutti dinotanti persona con grandi piedi 
(patta), malfatta, rozza. 

Patetta (scarpe in), dicono i Genovesi quando le scarpe non son 
tirate su di dietro, onde chi le porta cammina quasi zoppicando: 
aff. allo sp. pateta, che vale zoppo; etim. prob. da pata, gen. patta, 
piede zampa di animali. 

Patrun, e non padrun (padrone), bene dicono gli operai ed i con- 
tadini gen., poiché patrun è il lat. patronus, dal rapporto fra patroni 
e clienti passato a significare signore, riguardo al servo. 

Patta, it. zampa d'alcuni animali, id. a fr. patte, sp. pata, che 
Littré trae da una rad.jpa^, la quale trovasi nel germ.pa^ò^c/i^n^ zampa, 
e che poteva trarre addirittura dal celt. pat, mano. Patta, in gen., vale 
anche: colpo dato in terra cascando, « picca na (una) patta », modo 
comunissimo, e si capisce che vien pure da patta, mano, poiché chi 
cslde protende le mani (dette scherzosamente patte in gen. e in fr.) per 
riparare il capo. Questo prova (sia detto in passando) che il gen. non 
ebbe patta dal fr. e dallo sp., ma direttamente dalla fonte comune. 

Pattò, it. mercante di panni; etim. da fr. ant. pattier, che era il 
nome del mercante di cenci per far carta. 

Peoclàse, it. bazzicarsi^ bisticciarsi, v. afi^. a it. pecchia» ape; 
etim. lat. apicula, apecula. 

Pelandrnn, it. scioperone, vagabondo, onde Pelandrnnà, vagar 
bondare, id. a piem plandron e plandronè, aff. a prov pelhandro, pe- 
lliandron, cencio, persona cenciosa; etim. oscura: TAzaìs da prov. peif/io, 
cencio, e questo da ìiitpellem, ma non conviene alla forma né al senso 
della parola gen., piem. e dello stesso prov. Peland)'un forse viene da 
lat. pellere, scacciare, e da gr.-lat. andron, la parte della casa riser- 
vata agli uomini, significando cosi : cacciato di casa. 

Pelaoou, ìt peluzzo, ma in gen. significa propriamente: pezzet- 
tino di sfilaccico, di penero: ne viene vb. Pelucà, it. pilticcaì'e ; id. h 
piem. plucCy prov. peloc, peloco; il fr. ant. aveva peluc « ce qui reste 
du blé après quMl a été vanne », e pelukier, per becquéter, picoter. 
Etim. lat. pilus. 

Pessigru, it. mordicamento, pizzicore, ed ^nche la puntura delle 
api, vespe, ecc , onde Pe««lgft, punzecchiare ; il ]^iem. pessiè, pession, 



— 204 — 

lomb. pizzigd^ e prov. pessigà, pessuc^ evidentemente affini alla v. gcn., 
significano però pizzicottare e pizzicotto ; ma delPetim. si rìparleiii alk 
V. Spelinsigd. 

Pessottu, velo bianco leggerissimo che le donne liguri portavano, 
e alcune portano ancora, sul capo, e che scendeva loro sulle spalle, e 
davanti sino al ginocchio; etim. prob. celt. pess, pezzo. Però la v. ri- 
mane oscura riguardo al nome. Certo il pessoUu è un pezzo di mus- 
.solina, ma, per quanto piccolo, non è un pezzetto ; e poi, per indicare 
un pezzo di checchessia di mezzana grandezza, non dicesi in gen.pes- 
sottUy come non dicesi in it. pezzotto. Probabilmente, cotesto nome si 
riferisce al tempo in cui nel gen. eravi una voce simile alla piccarda 
ptioty borgognona petiò^ vive ancora nel piem. pciot^ piccoletto, per in- 
dicare il più piccolo dei veli femminili. Del resto il pessottu^ nella formi 
che conservò fino al dì d'oggi, fu adottato dalle Genovesi nel 1407, anno 
in cui S. Vincenzo Ferreri, predicando in Genova, esortava le donne a 
seguire il precetto dell'Apostolo, andando sempre alla chiesa col velo 
sul capo. ' 

Fessa, it. pezzo, parte di cosa solida; in gen. vale inoltre nietUe, 
nessuno : « hai soldi? » il gen. risponde: « nu glie n'ho pessu ». Etim. 
oscura in tutte le lingue. Diez dal gr. peza, piede, il quale anche col 
significato d'estremità, di orlo, non si presta al significato del pezzo; 
e poi, come delFetim. greca di una voce come pezzo, non sarebbevi 
traccia nel latino? Ciò non ostante a Zambaldi sembra probabile che 
dal peza sieno venute le voci del lat. med. petia, petium, le quali in- 
vece appaiono latinizzazioni barbare di parole volgari. È credibile, in 
conclusione, che V it. pezzo, fr. pièce, sp. pedazo, pieza, voci affatto 
estranee al latino, vivessero in tutto l'Impero romano, mentre che il 
latino stesso diceva ft^ustum, rimasto solo nel toscano elegante; hanno 
dunque origine antica: furono proposte le voci semitiche jpesaTi/i, spez- 
zare, pissah, particella ; le celtiche pess, pez, pios, pezzo ; per il gen. 
è certamente più verosimile la celt. pess. 

Pestùmma, in gen. è propriamente v. vezzeggiativa, con cui le 
madri chiamano l'ultimo loro bambino, e corrisponde al lat. postumus, 
ultimo; per est. è pure à^iìo pestùmmu, un pocolino, un briciolo di 
checchessia. 

Peteléa, femmina vile e ciarliera: non è prop. Tit. pettegola^ che 
Zambaldi trae da lat. petere, e direttamente da una forma supposta 
peticulus ; ha qualche analogia col prov. petego, petelego ; non impro- 
babile l'etim. germ. bettelei, mendicare. 

Pevò, \t. cipolla, ventriglio dei polli, \à.9i ^\em.prè,\omb.perdée, 
prov. périer, tutti da lat. petra, eccetto il gen., la cui forma si riferi- 
rebbe a peivie, pepe. 

Plcagrgria, it. nastro di tela, onde Pioagretta, asciugamano, così 
detta perchè guarnita di un anello fatto col detto nastro, che serve ad 

* Semeiua, Storia ecclesiastica di Oeìwoa, Torino, 1838. 



V 

N 



— 205 — 

appenderla; etim. oscura: forse, come quella delPit. appiccare (attac- 
care, appendere), dal celt. pie, punta. 

PiooBsa, it. scure, id. a prov. pigassOy picosso, che, in origine, 
oltre al ferro tagliente da una parte, dovevano avere dall'altra una 
punta; infatti Tetim. loro è la stessa sovra citata, celt. pie, punta. 

Pilla, nella frase: « fa pillu » che vale: far nulla, non riuscire in 
qualche impresa; il prov. ha faire pilJio, far presa, il fr. faire pille, 
termine di giuoco; etim. comune lat.pi7are, pigliare, rubare. Il gen. fd 
pillu potrebbe essere alterazione del senso delle dette due frasi, ma è 
più prob. venga dal lat. pilus, pelo, che trasl. dicevasi dai Latini per 
cosa di niun momento; « ego ne pilo quidem minus te amabo », scrisse 
Cicerone. 

Fissa, it. punta, l'estremità di cosa acuta, onde Fissa, angolo 
dei panni, fazzoletti, ecc., e Fissetta, merletto d' invenzione genovese 
così chiamato perchè terminato per ogni verso con pizzi o punte: id. 
a ìomb. pizz, piz; etim. germ spitze, punta. 

Pitft, it. beccare, il pigliare il cibo col becco che fanno gli uc- 
celli e i polli, onde Pitta, cibo in genere, Fitette, macchiettine, 
butteri sul viso: id. a prov. pità, dalFagenais pit, colpo di becco; 
etim. celt. pid, punta, o peth, poco. 

Pivetta, it. ragazzo, id. a lomb pivell, romanesco pivetto, ve- 
nuto forse da prov. pivello, brocca, germoglio degli alberi; etim. oscura, 
lat. pueUus, putillus, mal si prestano. 

Poe, li. padre. V. Moè. 

Prò, chiamano i contadini i prati sui monti « prè rabite », hanno 
però, come i cittadini, la v. pròu per indicare un prato qualunque. Uno 
dei sestieri di Genova ha nome Prè, e l'assurda leggenda che venisse 
à9i prede (perchè in quei luoghi, anticamente fuori della città, i Ge- 
novesi dividessero le prede) fu sbugiardata già dallo Spotorno. * Il fr. 
ant. aveva prèe per prateria, il mod. ha prè per prato, che Littré, non 
avendo di meglio, trae da lat. pratum, ma non è ammissibile. Da 
prcUum viene sicuramente il gen. pròu, però è chiaro che prima di 
imitare quella forma lat. i Genovesi dicevano prèy come ancor dicono 
i contadini; anzi, secondo Tuso, Tantica pronunzia si fa sentire nel 
pi. di pròu che è proèi. Onde il prè ? I Provenzali dicono prè la parte 
che ciascuno ha diritto di prendere in una cosa : « ai près moun prè », 
ho presa la mia parte; forse il prè indicava prati divisi in parecchie 
porzioni. 

Prebag^g^ion, minestra con molti erbaggi, che si fanno bollire 
avanti del riso o pasta; etim. lat. prae^ e bullio, bollire, con forma- 
zione id. a quella del fr. bouillon. Buglione usò il Giusti per mistura 
di cose. 

* Art. Genova Gavoro pregevolissimo e poco noto di quel dotto uomo) 
nel Dizionario geografico^torico-statistico degli Stati del re di Sardegna, di 
G. CASA.US, Torino, 1840. 



— 206 — 

Presolnseua, it. IcUte rappreso, acidulo. Diez avendo tratto pro- 
sciutto da un per^eoosucCìis, il Parodi vorrebbe trarne anche prescin- 
sena; però, presso i Romani, come presso i Greci, il prosciutto aveva 
il suo nome che era: petasOy onis, onde non occorreva ricercar nel lat. 
Tetim. del nome toscano, che si spiega da sé. Genovesi, Piemontesi e 
Lombardi dicono xambon, giambon, come i Francesi, da gamba, gam- 
bona. Quanto a prescinseua, perchè non vedervi la frase lat. : < jy^essa 
in sola» la quale indica il modo di formazione di questo latticinio? 

Pùa, it. polveì-io, polvere; il gen. ha pure la v. puvie, ma è mo- 
derna, indicando solo la polvere pirica e qualche altra particolare, come 
quelle di corallo, di marmo, ecc. La stessa distinzione che è tra il fr. 
poussière e poudre. L' it. ha pula che nel signif. corrisponde ai lat. 
apluda, loppa, guscio del grano rimasto in terra nel batterlo, o, come 
altri vuole, al lat. stipula, paglia» ma che se ne scosta per la forma. 
Che dire del gen. pùa che se ne allontana per la forma e più per il 
significato ? 

Paia, it. paura, fr. peur, che i glottologi traggono da lat. pavoreni : 
questa però era v. del lat. nobile, quasi poetica; nel linguaggio co- 
mune, per dir paura, dicevasi metus, rimasto nello sp. miedo. E poi 
si sa che tutti i nomi latini finiti in or come amor, color, dolor, ecc. 
danno ore in italiano; perchè mai pavor avrebbe fatta eccezione? 
E perchè sarebbe passato dal genere maschile al femminile, altra ec- 
cezione strana nell* italiano? Lasciando che a cotesto domande risponda 
chi può, per me dico che almeno il gen. puia non può venire dal lat- 
pavor. 

Quinta Oainta, it. fretta, premura, v. contad. id. al fr. ant 
cuinte, coite, vb. coitier {se), correre, affrettare; etim. oscura, forse ha 
relazione col vb. sp. quintar, di cui la v. seg., forse si riferisce per 
associazione d^ idee al « quintum milliare », una delle pietre indicanti 
le miglia percorse. 

Quintft, it. correr 7*ischio, pericolare, v. popol. e contad.; etim. sp. 
quintar, che significa: estrarre a sorte di cinque uno e, in generale, 
estrarrc a sorte coloro che devono andar soldati. 

Raooa, sinonimo in gen. di niente : « nu ghò racca », non vi è 
nulla; aff. a prov. racalho, fr. racaille, feccia del popolo, marmaglia, 
voci indicanti pure ogni cosa senza valore, per le quali Littré e PAzalis 
propongono Tetim. dal siro-caldaico raca (che trovasi nel Vangelo di 
S. Matteo) col significato di sciocco, imbecille; ma è possibile una 
etim. simile, tanto più che il senso della parola ebraica, adottata tal 
quale dal genovese, sarebbe assai gravemente alterato? Il gr. ha rakos, 
abito lacero, cencio, il lat. ha recula, coserella, robicciuola, V ingl. rag, 
straccio, che Johnson trae da un vb. sassone significante lacerare; 
è prob. che dall'una o dall'altra di queste voci derivino la gen. racca^ 
e le prov. e fr. su riferite. 

Raooola, it. bagattella, inezia, v. comune al piem.; etim. id. a 
quella di racca. 



— 207 — 

RafatagTflrl? ^^- rimasugli di cose senza valore, id. a prov. i^afa^ 
talho; etim. oscura, forse lat. refracta^ cose rotte, spezzate, forse germ. 
raffeìi, portar via. 

Raixu, it. furbo^avaro\ etim. prob. dalFar. rd «5, capo, capitano 
di nave barbaresca. 

Ramadan, it. frastuono^ baccano^ y. esci. gen. salvo il prov. che 
ha pure ramadan^ ma lo dice soltanto del romore che fanno i gatti 
in amore; etim. dall'ar. ramhdan, che vien da rhamana^ avere mise- 
ricordia. Ramadan chiamano i Musulmani il nono mese del loro anno, 
in cui sono obbligati, durante il giorno, a un digiuno rigorosissimo; 
allorché un colpo di cannone annunzia il tramonto del sole, si leva 
un grido generale di contentezza tra i cittadini, perocché, allora pos- 
sono mangiare e fumare, e alla quiete succede un frastuono, cui fa 
dai Genovesi dato il nome del ramadan, che ne è la cagione. Anche 
il piem. ed il com. han rabadan, con lo stesso signif che il Monti trae 
dal celt. rabalacK romore; ma è manifesta importazione, lievemente 
alterata, dal genovese. 

Bandezà, it. randeggiare, v. m., id. a dantesca a randa, che vale: 
rasentare la costa, onde Randa, nota vela aurica; etim. germ. rand^ 
margine. 

Ranghi, it. zoppo, onde Rang^hezft, zopfpicare, id. a it. famigliare 
ranco, rancheggiare, a prov. rane, ranquejà, sp. rencOy ranquear; 
etim. germ. rank, contorcimento. 

Rang^elu, it. raspollo, grappolìno rimasto dopo la vendemmia, 
V. contad., in prov. rapugoun, rapugueto; etim. oscura: il Parodi, dal 
germ. rank, di cui sopra, però il nome non conviene alla cosa ; il lat. 
racemus è precisamente il gen. ranguelu^ ma etimologicamente si 
presta male. 

Rang^ognà, it. brontolare, talora col signif. di rampognare, onde 
Rang^g^a, brontolio, Rangrognon, brontolone : il b. bres. ha rogna, 
brontolare, il prov. rangrougnou, brontolone, e rancura (se), ran- 
curar, dolersi, inquietarsi, brontolare; etim. comune prob. lat. rancor, 
rancore. 

Rappa, it. grinza, ruga, onde Arapft, aggrinzare, v. esci, gen., 
salvo che il bresciano ha rapai per grinzoso ; etim. prob. per sim. da 
gr. rapis, verga. 

Rappa, it. grappo, dim. grappolo, id. a piem. i-apa, fr. rape (però, 
grappolo senza acini, in gen. rapùssu)-, etim. germ. rappe, grappolo. 

Rassoift, it. raschiare, che si vuol trarre da lat. rastrum, ra- 
strello, forma fittizia rasclare; etim. del gen. incerta, il germ. rascheln, 
sfrondare, sfrascare, essendo di signif discosto; rimane il sassone ra* 
don, rastrellare, ma non so se convenga per la pronunzia. (V. la v. Scettu). 

Ratelft, it. altercare, onde Rateila, alterco, id. a piem. ratte, 
ratèla, a lomb. rateila, rateila, b. bres. raterà, com. raJtelà : il fr. ant. 
aveva rateler nel senso di bavarder < il quacquette trop, il rateile 
trop, pour ung sage homme» (Godefroi); etim. forse dair olandese 



— 208 — 

ratelen, onde ingl. to raUle, fare strepito, parlar presto, ma più prob- 
è V. celt., vivendo anche oggi nel bretone il vb. rendaelà, questionare Per 
il b. bres. rcUerà, il Rosa cita il gr. racterios, schiamazzo, e il ted. rath, 
parlamento. 

Satin penftsr^, it. pipistrello, aflf. a piem. ratavoloira, prov. retto- 
penado; etim. lat. med. rattus (dal germ. ratte) e pennaius, pennuto, 
alato. Singolare il disaccordo su questo nome (lat. vespertilio) di tutti 
gli idiomi neo-latini. 

Saazn, di cesi di persona irritabile, di mal umore, afT. a prov. 
raujoìis, a fr. rageur; etim. comune lat. rabiosus. 

Savaoòa, it. cavolrapa; etim. lat. med. ravacaulus. 

Savattu, it. ciatpame, roba vile, onde RavatA, rovistare, fru- 
gare: V. in Italia esci, gen., ma id. a prov. ravatidage, ravaiidd, con 
qualche affinità al fr. ravauder; etim. oscura, forse da un lat. sup- 
posto, revisUare, forse dal gr. hrabàtos, lat. grabatus, lettuccio, onde 
it. carabattola, cosa di poco valore. 

Ravlen, it. ravioli, nota minestra che si dice, senza alcun fon- 
damento, inventata da un cuoco genovese; il piem. ha ravióle, il lomb. 
ravieù, il prov. raviolo, ma son più o meno diversi dai genovesi ; etim. 
oscura, chi dal formaggio raviggiuolo che prima mettevasi su cotesta 
vivanda, chi da lat. med. raviolae, sorta di vivanda delicata. Zambaldi 
accenna alForigine germ. della v. citando Tingi, to ravel; questo, ve- 
nuto dairoland. ravelen, si presterebbe, non nel senso di storcere at- 
tribuitogli dal detto glottologo, ma in quello d^ involgere, avviluppare. 
Ma prob. ha ragione il Monti {Vocabolario), il quale notando che i 
ravioli a Poschiavo hanno, per ripieno, foglie di rapa, pensa sia questa 
la vera e naturale etim. della voce. « È da credersi », soggiunge egli, 
« che quest'uso fosse anche altrove, al buon tempo antico >. 

Bebelà, it. strascinare, onde Bebellnn, straccione, Rebelòa, 
vetturacda, id. a piem. rablè; etim. prob. fìg. da lat. 7'ebellare, detto 
dei vinti che ricominciano a guerreggiare ; « rebellio », scrive un antico 
autore, « idest repulsio, vel resistenza ». 

Rebaiea, it. farinaiolo e Bevezea, it. crusca ; la prima v. è id. 
al lat. med. rebuletum (V. Ducange, alla v.) e al fr. ant. rebulet, « fa- 
rine dont on a oté la fleur »; la seconda v. è pure registrata dal Du- 
cange con la forma: revezolium, che dall'esempio da lui addotto par- 
rebbe avere lo stesso significato di crusca; è verisimile che il gen. 
abbia lasciato, forse per ironia, Fantico nome di rebuletum al fari- 
naiolo, e dato quello di revezeù alla crusca. Etim. Ducange pensa 
giustamente che rebulet sia dim. del fr. rebut, di origine germ. come 
it. buttare. 

Reoanlssa, it. regolizia, ambo alterazioni del gr. glyhkyrrhiza, 
radice dolce. 

Beoattn, it. ricapito, ma in gen. dà recattu significa porre in 
assetto, in ordine una cosa, ed anche racconciar checchessia: id. a prov. 
recata e recate, bearnese recapte; etim. lat. caput. 



— 209 — 

Beoùveu, it. ristoro, refngerio, onde Reoavòà, ristorare, con' 
fortare; etim. lat recuperare^ nel senso di riacquistare cosa perduta 
per es., il benessere, la tranquillità. 

Befìresoftmme, it. lezzo di stoviglie mal lavate, aff. a fr. ant. 
freschume^ prov. frescura; v. composta del prefisso re. il cui primo 
significato è: indietro, e frescumme^ freschezza, onde vale: non più 
fresco. 

Resratta, it. regaia, onde Resratft, gareggiare di velocità tra 
barche, v. m. gen. e veneziana, aff. a sp. regatonear ; etim. dai glotto- 
logi« salvo qualche proposta inammissibile, detta ignota. Questo perchè 
non seppero che in qualche luogo del bresciano è la v. regà^ col signif. 
di lavorare attivamente, regalo^ faccendiere, regata, gara viva, voci 
che il Rosa trae da germ. ìnngen, contendere con la forza. Però la vera 
etim. venne data dal Monti il quale trovata nel dialetto di Poschiavo 
la V. regata, la stimò celtica, citando T irlandese reaih, correre, reatha, 
corsa, e il gallese rheii, andar veloce. 

Regratun-a, it. trecca, rivendugliola di frutta e di ortaggi, aff". a 
it. rigattiere, prov. regatier, fr. regrattier, sp. regaion, tutti signifi- 
canti : chi compra air ingrosso e rivende al minuto cose di poco prezzo, 
e venuti tutti da lat. med. regratarii. Tra le moltissime etim. pro- 
poste per questa v. ninna è soddisfacente. Avrebbe essa rad. comune 
con la precedente v. regata? Non parrebbe improbabile, tanto più che 
la V. regrattani venne principalmente, se non esclusivamente, dagli 
antichi Statuti scozzesi e inglesi (V. Ducange). Anco lo sp. regaion 
ha sua base nel vb. regatear che vale: altercare, contender del prezzo 
di cosa in vendita. 

Relsraa, it. barbatella, propaggine ; etim., il Parodi, da lat. ra- 
dicula. 

Rèlzesra, it. risico, onde Arreike^à, arrischiare, piem. rizigh, 
lomb. ris'c, fr. risque, sp. Hesgo; etim. Diez da risco, pure spagnuolo, 
scoglio, roccia, ma è poco verisimile: il com. ha Hsci, riscià, rischiare, 
che il Monti trae dal celt. riskvz, sdrucciolevole, mAa, sdrucciolare; se 
si consideri che anche Tingi, ha risk, il quale dicesi proveniente dal 
celt. rìsql, si troverà accettabile Tetim. celtica. 

Relenta, significa in gen. puzzo di rinchiuso, quel cattivo odore 
particolare che mandano gli alimenti, oppure i luoghi chiusi da lungo 
tempo, id. a prov. r eleni, cat. rellent, fr. relent; etim. lat. redolentem 
(« graviter redolens », che rende assai cattivo odore). Littré preferì il 
lat. lentus, viscoso, tenace, ma ignorava che la forma gen. era iden- 
tica alla prov., ciò che dà causa vinta all'etim. da redolentem, 

ReBoa, it. lisca, nome gen. delle spine dei pesci, v. com. a piem. 
e lomb.; non può venir da lat. ateista che dinotava la spiga del grano, 
come ne venne Tit. resta che significa per sim. la spina dei pesce; 
etim. prob. celt. esgara, lisca. 

ReBouBon (de), RaBouBiin (a) e D'aresousu, valgono in it. 
di nascosto e son voci id. alle prov. rescoundun, rescoundous, a rescos, 

14 



— 210 — 

de rescos; TafiBnità tra i due idiomi si manifesta perfln'liel nome del noto 
giuoco infantile che i Toscani chiamano : « fare a rimpiattino », i Ro- 
mani: «a nascondarelle», i Genovesi: «fià a scundilù», e i Proven- 
zali: « faire escoundiò, rescoundalhò » ; etim. lat. abscondere, 

Ròa, V. usata in molte frasi gen.: «a rèu», che vale: in generale, 
senza distinzione, « fa rèu », far comparita, « vegn! a rèu », detto del- 
l'acqua, piovere a dirotto, « ese da rèu », detto di fanciullo, esser vi- 
vace, molesto; insomma significa: quantità, generalità. Il Parodi si 
ingegna, ma senza frutto, a trarla dal lat. retro. Rèu è v. antichis- 
sima: in celt. araon vale: in generale, insieme, in prov. (guascone) 
arreu^ e (biterr.) darreu valgono: in modo continuo, senza nulla la- 
sciare di ciò che si raccoglie; tutte corrispondono al primo e proba- 
bilmente unico significato del gen. « a rèu », onde poi si formarono le 
altre frasi su riportate. 

Ria e Rian, it. fossatello, ruscello; etim. celt. recUh, correre ria 
rad. è. per altro, il sanscrito ri, scolare, onde il nome, in tutte le lingue 
indo-europee, dell'acqua corrente. 

Riffe e Raffe (o de - o de), valgono : ottenere con frode o con 
violenza; etim. germ. raffen, arrafiare, riffen, strappare. 

Rig^a, it linea, fila, onde Rig^hinasrsriA, linea di persone o di 
cose, Arig^ft, rigare; etim. dalFaat. ri^a, linea, fila, delle quali voci 
la prima manca nel gen., la seconda non vi ha tutti i significati del- 
l' italiano. 

Risseu, it. ciottolo, onde Rissuft, sassaia, Risseà è pure il nome 
del riccio o porco spino, che ha il dorso coperto da fitti aculei, al 
quale i Genovesi paragonarono gli acuti ciottoli ond'era selciata quasi 
tutta la loro città; etim. lat. encitis (riccio). 

Rondezft, it. aggirarsi cautamente attorno ad un luogo, o ad una 
persona, aff. a prov. rondejà, fr. róder; etim. fr. ronde, ispezione mi- 
litare, venuto da lat. rotunda. 

Rflmenta, it. spazzatura, onde Rumenta, spazzaturaio^ Rft- 
mentòa, cassetta per la spazzatura; etim. lat. ramenta, rametUum, 
che propr. significavano : raschiatura, trucioli, particelle staccate da 
checchessia, signif. esteso dai Liguri a tutta la spazzatura; v. com. 
al piem. con qualche traccia nel lomb., adoperata dal Giustiniani (Ann,, 
lib. II). E nei secoli xiii e xiv gli spazzaturai giravano per la città, 
gridando : « ege de la rumenta ? » (egere, in lat., vuol dire : aver bisogno; 
gli spazzaturai risparmiavano il vb. ritirare). Ciò si apprende dalle 
Rime genovesi, n. LXXI, che giova trascrivere, con qualche corre- 
zione per renderle intelligibili: 

D'aotre gente odo assae 

Chi luto dì van per cittae 

Asenai son la maop parte 

Chi se norigan de soa arte 

La malia e tuto ìorno 

Con soa testa ruzenenta 

Sempre criando: ege de la rumentaf 




à^ 



— 211 — 

RameBcelln, it. gomitolo di fìlo o lana*, il lat. ha glomus, già- 
tnicellus per gomitolo, onde il piem. grumissel che, come il gen., mutò 
la l in r, conservando però il g della formola iniziale che il gen. invece 
troncò. 

Busca, it. corteccia di rovere o cerro per concia, e anche la lolla 
del grano, id.a piem. e lomb. n/òca, prov. rusc, rusco; etim, celt. rush, 
rusg, che vale lo stesso. 

RuBtf, it. arrostire, onde Rosta, arrosto, Rustia, arrostito; 
etim. deir it. e del gen. o dall'aat. rostjan, o dal celt. rùist, rhostio. 

Ruzig^à, it. rosicchiare, che Zambaldi trae da un lat. supposto 
rasiculare ; più conveniente il gr. rusiazo, dal quale il Rosa fa venire 
il b. bres. rosià, 

Sacanó, borsa, tasca elegante che le signore portavano appesa al 
braccio; etim. fr. sac-à-noix, così detta scherzosamente perchè un 
tempo coteste borse erano molto grandi. 

S&g^hetta, it. veste da cacciatori; è il gallico, poi latino, sagum: 
« dimidiasque nates gallica palla tegit » (Marziale, lib. I). 

Salacca, chiamano i Genovesi ed anco i Toscani la sciabola, e 
credono di chiamarla cosi per ischerzo; ma è voce che i Genovesi im- 
pararono dagli Arabi nella lingua dei quali silà*h significa : arma. 

Sanf ernia, strumentino d'acciaio fatto a guisa d'arpa che si suona 
applicandolo tra le labbra, id. a piem. e lomb sanforgna, in Toscana 
chiamato: scacciapensieri; etim. oscura, forse dal gr. symphonia, con- 
sonanza, forse sconcia. 

Sarpft, it. salpare, levar Fàncora, id. a prov. serpa, fr. B.nì, sarper, 
sp. zarpar ; anche Tit. ant. diceva sarpare^ come ben dicono anche 
oggi i Genovesi, poiché l'etim. di questa v. è gr. salpix^ trombetta 
(con cui si dava il segnale della partenza), connesso col vb. harpàzein^ 
lo strappare (P àncora dal fondo). 

Savatta, it. ciabatta^ onde Savattin, ciabattino; etim. basco ZO' 
pata, scarpa, zapatain^ calzolaio. Ofr. ar. sapaia^ calzare. 

Sbrinsu, it. tose, sbricio: ambo valgono: lacero, rappezzato; il 
gen, è id. al com. sbnss, poverissimo ; etim. comune o dairaat. bristan, 
onde fr. briser, o dal celt. bris, spezzare. 

Sbrus^giu (s aspra), it. moccio, v. esci. gen. ; etim. oscura ma prob 
germ. Cfr. sassone snote, moccio, germ. schnupfen, raffreddore, catarro. 

Scag^nu, significa in gen. banco dei mercanti ed anche studio, 
scrittoio, onde Soag^nettò, stipettaio; etim. lat. scam.num, panca, 
scanno fatto a somiglianza di gradino; mobili che bastavano ai mer- 
canti antichi per aprire bottega. 

Soamuròu, detto di piatto o bicchiere, vale guasto attorno al- 
l'orlo, aff. a piem. scarnate, it. scam^zzare ; di etim. oscura, però la 
V. gen. potrebbe venire da lat. med. scarnare, vb. che valeva: levar la 
squama. 

Bcaparun, it. scampolo, v. com. al piem. (il prov. ha escapoulon, 
id. alla V. it.) ; etim. prob. delle v. piem. e gen. da lat. med. scapularium, 



— 212 — 

che era un « palliolum, monachorum vestis propria cum labori et operi 
inaistabant, loco cucullae, ut quae brevior esset, et minus ampia » ecc. 
(Ducange), insomma, un pezzo di panno atto a piccole manifatture. 
Scapili (de casetta), it. pedule e anche scappino^ ma pochissimo 
usato ; V. comune al piem. non al lomb., pur lo sp. ha scapin e il fr. 
ant. aveva chappin, nello stesso senso : 

Aller sans chausses et chappins 

VlLLON. 

Scarbassa, in gen. significa esclusivamente una doppia cesta 
fermata sul basto dei somari ; è aff. a piem. cabassa, fr. cabas, gerla, 
in cui Littré ed altri ravvisano la rad. celt. cab^ capanna, che a me 
non par verisimile: nella v. gen. vi è la rad. celt. scar^ separare, prob. 
unita al germ. bast, corteccia, buccia (di che è appunto formata la 
scarbassa) che si crede con fondamento sia Tetim. delPit. basto. 

ScarpentA, vale : graffiare, scannigliare, v. id. a piem. scarpentèy 
a fr. charpentery prov. caì^ignà, carpenày aff. a lomb. scarpa; etim. 
oscura, forse da lat. carpentarius^ legnaiuolo che fa e racconcia carri, 
da caìjtenlum^ carro. 

8cavlM&, it. scavezzare, ma in gen. propriamente significa : rom- 
pere in schegge, onde scaven-a, scheggia, e fig. scavissu che dicesi di 
ragazzo discolo, sfrenato, id. a piem. scaviss^ fr. ant. escalvasier, lat. 
med. scavizare, per non risalire a lat. capitiiim. In passato, scauissuy 
significò assai di peggio; trovasi infatti nelle leggi della Repubblica 
genovese del 1576 che ^ nullum est hominum genus quod in repu- 
blica ... sit adeo abominabile quam gladiatores et sicarii quos vulgus 
bravos seu scavezzos appellat ». 

Socettu, it. schietto. Sotto questa, tratterò di tutte le voci gen. 
nelle quali si fa sentire il suono, che chiamerò esplosivo, scc, davanti 
alle vocali e, t, cosi al principio come nel corpo della parola. È Punico 
suono aspro che si trovi nel gen., più aspro che non sia nel piem. e 
nel lomb. i quali hanno lo stesso suono, e lo indicano staccando la s 
dal e, e interponendo un'apostrofe fra le due consonanti: s'ciapè (piem.), 
s'cenna, s" ceppa (lomb.), ortografia cui parmi preferibile la gen. scc^ 
scciappà. È, nei tre idiomi, suono che manifesta origine germanica; 
infatti : 

Sooetta, it. schietto; etim. comune germ. schlechty schlicht, 
SoolanoA, it. strappare, squarciare ; etim. comune òA\„shleizan, 
ScolappA, it. spaccare, onde Soolappou, spaccalegnay e Scoiap- 
pin, cattivo artefice ; etim. dell' it. il germ. spachen^ per quella del 
gen. vedi la v. Ciappa. 

8oclatt&, it. schiattare ; etim. comune aat. skleitàn. 
Scolava, it. schiavo; etim. comune germ. sklave. 
Sedai, vb. che significa in it. schiude re^ venir fuori con qualche 
sforzo, e dicesi specialmente del pulcino che esce dall'uovo ; etim. 
oscura, la pronunzia esclude il lat. ex -ire, Cfr. germ. scheiden, sepa- 
rare, disunire. 



— 213 — 

Soolftmma, ìt schiuma; etim. comune aàt. scum, mod. schaum, 
SoolfippA, ìt. scoppiare, per la cui etim. è citata la v. stloppus, 
forse scloppus^ usata dal solo Persio per dinotare il suono di un colpo 
sulla guancia; v. creduta onomatopeica, che difficilmente avrebbe dato 
il nome allo schioppo, allo scoppio, ecc. Intanto il vb. scciuppd è an- 
tichissimo nel gen. e senza sinonimi ; per il suono e per la forma venir 
potrebbe dal germ. schiappe, colpo strepitoso. 

8oent&, it. dileguarsi, sparire a un tratto, v. esci, gen.; etim. 
oscura, tanto più per la frase « andà cumme u scentu », correre velo- 
cissimamente. Il Flechia si chiede se non provenga da un fittizio lat. 
exemplarey ma è troppo alieno dal significato della v. gen. Non resta 
che il germ. in cui però non trovasi che il tedesco moderno fliehen, 
sfuggire, scansare (con la solita mutazione del fli in sce). 

Scerpa, it. serpe, come alcuni vorrebbero chiamare il sedile sul 
dinanzi di carrozze, sorretto da ferri torti a guisa di serpe, ma è sim. 
inammissibile; la v. gen. come la piem. seìpa (id. salvo la diversità 
di pronunzia) e la lomb. scerpa, indicano la provenienza dal germ. 
scherbey saccoccia, cosi detta dalla forma antica dei sedili dei cocchieri, 
che i Todcani chiaman cassette. 

Soheug^g^ia, it. siero, id. a lomb. scoccia, com. scoéucia; etim. 
incerta, forse da lat. ex-coctits, forse dal germ. schotte, siero. 

Soheave, it. riscuotere^ il quale è dai glottologi tratto da lat. 
excutere, che mal si presta al significato d'esiger danaro. Scheuve nel 
gen. rustico, ha pure il senso di pascolare, « porta a scheùve e pégoe », 
menar gli agnelli a pasturare. Schéùve, infine, è connesso alla v. scotto 
che in gen., accoppiato ai verbi essere o tenere, vale: stare o tenere a 
dozzina, ricevendo o dando alloggio e vitto. L'etim. di queste voci è 
germ. e celtica: sassone scott, tedesco schoss, celt. sgot, contribuzione: 
longobardo schuldaiss, esattore, ecc. Quanto al signif. del pasturare si 
presta il lat. med. scotte, scottum^ cui da Ducange è attribuito anche 
il senso di censo, di parte, onde l'idea del diritto o delPuso di pascolo. 

Sohiff, it. svigtiarsela, scapolale, e anticamente schippire; etim. 
Zambaldi da germ. slipfen, mod. schldpfen, scivolar via, sguizzare, 
che poco bene si prestano. I Genovesi però dicono anche schifi (come 
i piem. schefì) per ritagliare in qualche parte un vestito, onde schi- 
fltùa, scollo, e in questo caso Tetim. è da germ. schief, a sghembo, 
schiefe, bieco, obliquità, forse più dello slipfen convenienti anche al 
primo significato del vb. schifi, 

Sohillente, it. limpido, chiaro, detto di cielo: sereno; etim. prob. 
got. ski/a, onde ingl. skj/, firmamento, cielo. 

Sohlnoa, ìt. stinco, onde SohinoA, stinccUa, percossa nello stinco; 
il lomb. ha schinca per osso della gamba; etim. comune alFit., Taat. 
skinko, canna, però con questa etim. resta oscura la frase gen. « fìi i 
schincamuri » far muso, tenere il broncio. 

SohlBsA, it. calcare, premere, id. in questo senso a piem. schissè, 
lomb. schiscià; Tit. schizzare, lo scappar fuori dei liquidi compressi, 



— 214 — 

non è per certo che Teffetto della compressione, lo schissà dei dialetti 
gallo-it., però Tetim. dell'uno e delFaltro, certamente germ., è oscura. ' 

SohlttA, it. balzare, saltare, onde Sohlttn, balzo, salto, v. escL 
gen. salvo qualche traccia di essa nel b. bres. e nel com.; per sim. di 
effetto, vale anrhe scattare, nel senso dello scatto di molle o cose si- 
mili, ma è lontana dalFetim. di questa v. it. che Zambaldi, coi soliti 
procedimenti, trae da un latino supposto ex -captare; maggiore ana- 
logia avrebbe con it. schizzare, cui Io stesso Zambaldi assegna etim. 
germ. Sembrerebbe che il gen. schUtà provenisse dall'aat. skiuhany 
mod. skiuven, aver paura, got. shy, schivare, sfuggire, connesso al celt. 
skats, ingl. skit, lesto, agile; dal significato di schivare venne il germ. 
schijte, schitte, cacherello. Tingi, skittish, schifo, e il gen. schittu, sterco 
d'uccelli. Confortano questa opinione il b. bres. che ha sqiiìtacc, paura 
eccessiva, squiton, pauroso, e schita, sterco d'uccelli; voce quest'ul- 
tima comune al com. 

80I&, it. sciare, v. m , onde Soia, sciare, è propriamente Tarre- 
stare la barca tenendo le pale dei remi attraversate nell'acqua: si scìa 
nello stesso modo a dritta o a sinistra per far voltare la barca dal- 
l'una dall'altra parte; sciare per vogare a ritroso facendo retrocedere 
la barca, « andare alla scìa » o « far la scìa » son modi usati, ma impropri. 
Scia poi dinota la traccia solco lasciato nelFacqua dalla nave o barca 
nel corso; sciare, verbo, è dunque l'azione, scia, sost. è un segno del- 
l'azione. Ambedue sono voci comuni a tutti i marinai italiani che però 
dicevano e dicono ziare e zìa (Crescentio), siare e sia (Pantera), 
siar e sia (Veneziano). La retta pronunzia scia appartiene al solo 
gen. da cui venne al tose. Il fr. ha scier, v. m., ma non sciaj il verbo 
gli venne sicuramente dal gen. ma, non potendo serbare il suono se 
per non confondersi con altro vb. fr. di suono eguale, però di senso 
molto diverso, fu pronunziata siè; così si confuse con un vb. pree- 
sistente nel fr. seer, sier, che valeva: segare, da sde, sega. Onde Littré> 
come Zambaldi, traggono scier e sciare dal lat. secare. Premesso che 
per ragioni storiche, una voce marinaresca così elementare non poteva 
venir dal latino agli idiomi italici, e stabilito che questi voltarono tutti 
(eccettuato il piem. che disse ressiè) il secare lat. in segare, non 
sembra dubbio che l'origine di sciare, come d'ogni altra voce marina- 
resca elementare, vada cercata nel linguaggio dei primi popoli navi- 
gatori. L'ebr. avendo sarat, tagliare, il vb. sciare, il quale altro non 
significa che tagliare, tagliar Tacqua con la pala del remo, potrebbe 
derivar dal fenicio. Essendo tuttavia più probabile che al gen. sia ve- 
nuto dal greco, il quale, a sua volta, l'avrebbe avuto dal fenicio, o dal 
sanscrito {shid per skid, fendere) non resta che a ricercarla in questa, 
lingua. Il Guglielmotti trasse scìa da gr. shià, convenientissimo per 
la forma, non per il senso che è quello di: ombra; vi è bensì un de- 
rivato da questa v. gr. che vale linea, disegno, e potrebbe quindi di- 
notare segno, traccia, ma. convien ripeterlo, sciare vuol dir tagliare- 
Bisogna dunque ricorrere al vb. schizein, dividere, onde lat. scinderey 
e schiza, scheggia. 



— 215 — 

SolaoA, it. schiacciare, onde Solaoadda (d& un-a), picchiare, 
percuotere, v. comune al napolitano; etim. prob. deirit. schiacciare^ 
Taat. klahjan, rompere, ma la v. gen non può venire che da una forma 
ant. del moderno ted, flachen^ appianare, flach, schiacciato (mutato il 
fi in sci secondo la regola) oppure da schlagen, battere. Cfr. anche 
ebr. fenicio sciahhaq^ battere. 

Solaoohetrà, vino che appena pigiata Tuva si trae ; etim. sciacca 
(pigia) e tra (trai). 

Solagagnoa, it. ìnalaticcio, ha qualche aff. con prov. sagagnà, 
sagougnà; forse è alterazione del lat. ex-auguraius, sciagurato. 

Soiall&se, it. rallegrarsi, gongolare, onde Solalla, grido d'al- 
legrezza; V. aff. airit. scialare, fare sfoggio d'abiti, di pranzi, ecc. 
che i glottologi voglion trarre da lat. exhalare, troppo lontano; etim. 
certamente araba, ciò che è provato anche dal siciliano sciallari, id. al 
gen., forse in scià llhà, frase di contentezza che letteralmente signi- 
fica : se Dio vuole I II d'Ambra, i per il napolitano scialare, cita invece 
il vb. arabo scialach. 

Solampradda, it stravizzo, gozzoviglia; etim. ignota. 

Soiarbella, it. ciabatta, onde SoiarbelA, girellare, aff. a lomb. 
sciarbattera, sciarbattola, ciana, trecca; etim. non potendo essere la 
stessa di savatta, rimane ignota. Cfr. germ. schuhabsatz, tacco, cal- 
cagno. 

Solare, onde Solardla, it. crepolare, crepolato, detto del legno, 
battelli, botti, ecc. che nel disseccare si fendono; etim. lat. exardescere, 
accendersi, infiammarsi. 

Solarr&se, ìt. , scosciarsi , onde Solarrou, chi ha le gambe 
troppo larghe. L'it. ha sciarra, rissa, e sciarrare^ dividere, mettere in 
rotta, ecc. Diez dalPaat. zerron, squarciare; Zambaldi accenna a que- 
st^opinione e a quella del Pasqualino che trae scianca dalFar scharr. 
Il Parodi combatte Diez e vuol che sciar rare derivi da un lat enar- 
rare, che non esiste, forse exarare, ma che non ha né può avere il 
senso attribuitogli dal Parodi. Il siciliano ha sciar nari, far rissa, e 
sciarra, rissa, voci che il Mortillaro2 dichiara arabe. L'etim. più prob., 
almeno quanto alForigine della v. gen , è sempre quella del Diez, con- 
siderato anche Tingi, to share, dividere, separare, che Johnson trae da 
un vb. sassone con eguale significato. 

Solata, it. far chiasso, metter sossopra, e fig. aver grido e fama, 
onde Solata, chiasso, schiamazzo, v. esclus. gen. Il Parodi la trae 
da lat. exhalare, lontanissimo; è invece aff. a prov. esclat, esclatd, 
fr. éclat, éclater, provenienti tutti dalFaat. skleizan o skleitàn, rom- 
pere, cui pure si riferisce il piem. s*ciat, scoppio. « On comprend (dice 
Littré) comment le sens de se rompre en éclats a passe, par une mé- 
taphore, aussi bien au sens de bruyant qu'au sens de brillant, le son 

» Vocabolario napolitano-toscano, Napoli, 1873. 
• Archivio storico siciliano, 1881. 



- 216 — 

qui se fait entendre, la lumière qui brille, étant comma un éclat qui 
va frapper les oreilles et les yeux >. 

BeìgìiiL, it. zufolare, fischiare, onde Bcigio, fischio, e 8oi|^fi<^ 
specie di piffero pastorale, piem. subiè, lomb. ziffolà, prov. siblà, 
suòla, ecc., fr. si/per, sp. siblar; etim. secondo Littré, per le forme in 
b, da lat. sibilare, per quelle in f, da lat. si filare ; il gen. aTrìi la 
stessa origine con forma in g? Cfr. germ. zischen, fischiare. 

Solile, nella frase : « dà, o piggià e scille » che vai : dare o pren- 
dere busse, id. a fr. ant. ciller (fouelier); etim. prob. celt. scille, panra. 

Solooou, non ha in gen. il significato it. di scipito e di stolto, 
bensì di morbido, soffice; il lat. supplex, anche ridotto a sufflex, già 
è cattiva etim. dell' it. 50/^Céf, e sarebbe inammissibile pel gen. «eioccu. 
L'ing. ha soft, softish, dolce, morbido, per cui sono proposte diverse 
etim. celt. e germ., nelle quali è da ricercare Tetim. della v. it. e gen. 

SoloUu, altra v. di forma identica ad una parola italiana, ma di 
senso diverso: sciolo in it. vai saputello, saccentino; sciollu in gen. 
vai scimunito; forse sono una sola voce da lat. sciolus, potendo am- 
mettersi Talterazione di senso nella gen.; forse questa viene dal celt. 
eiseolach, ignorante. 

Solorbettu, it. sorbetto; etim. comune ar. sciurb, sciurab^ id. a 
quella del gen. sciópu, it. sciroppo, e sciarappu, v. volgare per vino. 

8o68a, it. grembo, onde 8o6sà, grembiule^ id. a lomb. scoss e 
scossaa; il piem. ha scoss per davanzale, ^co^^aZ per grembiule ; etim. 
comune germ. schooss, schos, grembo, e schdrze, grembiule, celt. sguirt. 

Soozi, it. svergognare, beffare, v. esclus. gen.; di etim. oscura, 
non affine, né per la forma, né pel significato, alFit. scorgere^ che si 
vuol derivato da lat. regere; che venga dal germ. schuldahiss, com- 
missari dei Longobardi i quali esigevano le multe e i tributi, e che 
naturalmente saranno stati accolti dal popolo con grida e fischi? Dice 
il Rosa che una giurisdizione di questi commissari presso Este chia- 
masi ancora Scódosia. Cfr. anche ted. schuldig, colpevole, debitore. 

SorloohI, it. svilupparsi, crescere di persona, « u nu péu schricchi » 
dicono i Genovesi di fanciullo gracile, o di pianta stremenzita che cre- 
scono a stento; etim. certamente germ. Cfr scrikken, saltare, schriUchen, 
piccolo passo. 

SorlgnA, it schernire, v disusata; è afi". alle it. scngno, scrignuto, 
gobba, gobbo; etim. comune lat. scnnium, forziere. Cfr. però anche 
aat. ském, vb. skémón, etim. deìV it, schetmo, schernire, onde pure il 
piem. schergnie, beifi». 

Sorlplllti, it. scerpellini, scet^ellati, detto degli occhi con le pal- 
pebre arrovcisciate. Zambaldi trae le voci it. da cispa, di etim. ignota; 
il Parodi dice che « senza dubbio > scripiliti vien da lat. excerpere, ma 
questo vb. ha tutt' altro senso, e lo scerpare it., che ne deriva etimo- 
logicamente, vale divellere, schiantare. Il lat. ha scHblita, scribilita, 
ciambella rotonda a spicchi, voce conservata tal quale dal popolo gen. 
applicandola alla farinata (faina). La stessa v. latina (prob. dalla gr. 
streblein, torcere) somministrò l'aggettivo scherzevole gen scripiliti. 



— 217 — 

Sorlpizl, it. grilli, ghiHbizzi; come quest^ultima, potrebbe esser 
Y. onomatopeica dal gr. gryllos, cioè fig. dai salti che fa quest'insetto. 

8ofi& e Sff&à, it. pulire strofinando, specialmente metalli e sto- 
viglie, id. a piem. sgùrèy lomb. sgurà, fr. écurer, prov. e sp. escurar; 
è V. celt. (sgu7', sguraim, scour\ germ., scandinava; nondimeno Diez 
la vuol trarre dal lat. curare, da cui egli forma un ex- curare, non 
riflettendo: 1" che in tal caso, anco l'italiano avrebbe cotesta voce, la 
quale invece gli è affatto estranea ; 2° che la voce medesima, in tutti 
gli idiomi neo-latini, indica Fazione particolare di pulire strofinando, 
azione che mal sarebbe indicata dalla generica voce: curare. 

Soubba, it. scopa, per lo più di erica (brugu) usata specialmente 
dai marinari, onde 8oab&, scopare; etim. basco escoba, celt. sguaò, 
scuab. 

Soaffia, it. cuffia. Zambaldi ne dice ignota Tetim.; T Amari ^ scrisse 
che kufia, hefia e keffieh, che si pronunzia in questi modi diversi, è 
un fazzoletto quadro che gli Arabi legansi intorno al capo con doppi 
giri di una funicella di pelo, e che scende al collo e alle spalle, e ag- 
giunse che gli Arabi devono aver portato cotesto nome in Italia. 

Sotig^g^ift, it scivolare, id. a piom. sghiè, Zambaldi è propenso a 
credere che scivolare derivi dalPaat. sliofan, mod. schWpfen, sguisciare. 
Anche Flechia lo suppone d'origine germ., come lo è di certo la v. gen. 

BQXLtì%%u,\t. puzzo e sapor di rifritto; etim. prob. lat. ea?-coc^wm, 
onde it. scottare. 

Soatun - a, it. vacca giovine che non ha ancora portato : scottona 
trovasi in un documento lat. della Liguria del 1526; etim. prob. germ. 
ma oscura: servissero le scotone nel medio evo a pagar qualche censo, 
scot in sassone? 

Seqaòa usano i Genovesi nella fr. : « mette a-u sequèu », che vale : 
mettere alle strette; i Genovesi antichi dicevano assequerà; etim. lat. 
sequester, che era la persona cui affìdavasi il deposito di cosa conte- 
stata, perchè la consegnasse a chi avesse vinto la lite. La v. gen. se- 
quèu passò poi nel linguaggio marinaresco, con la forma it. sequaro, 
per indicare il mezzo con cui si tien saldo un cavo ed anche l'estre- 
mità dì esso. 

Sexendò chiamano i Genovesi il lumino da notte, per sim. dal lat. 
cicendela, lucciola. 

Sòxima, it senno, giudizio, v. aff. allo sp. seso, cervello, con lo 
stesso signif. del gen. L' Accademia spagnuola cita il lat. cerebrum, 
che non si presta all'etim. ; al genovese converrebbe un pò* più il lat. 
sensum, dove nel se di sèximu non si facesse sentire apertissimo il dit- 
tongo ce. 

Stanzia, it. scansia; etim : Zambaldi la crede d'origine germ.; 
più prob. la provenienza dal basco escuoncia, vaso o coppa alla mano, 
onde sp. escancia. 

* Storia dei Musulmani di Cicilia, voi. I, pag. 31. 



— 218 — 

SgrarbelA, it. scalfire leggermente, onde Sgarbeléuia, scalfittura^ 
id. a -pìevii, sgarblè, lomb. sgarbelà^ sp. escarapelar; etim.: il Parodi 
suppose un lat. ex^carpere^ non pensando al lat. scalpere, onde scal- 
prum, scalpellus (lancetta, coltellino), che converrebbe meglio: 

Oli occhi con le branclie si scappella 

Dante (Inr. XXIX). 

Cfr. però celt. sgar, separare, e ingl garble. 

Sghlndft, it. sfuggire, sottrarsi, ma prop. è il contrario di 01iind&, 
far la matassa sul guindolo (Ghlndaa)*, etim. comune aat. windan^ 
avvolgere, torcere. Ghinda e sghindd passarono pioi nel linguaggio ma- 
rinaresco col signif. di tirar su, o giù, alberi, bandiere, un fardello qua- 
lunque ; dallo sparire che fa l'oggetto sghindato, venne il senso fìg. di 
sfuggire, sottrarsi. 

Sgrezza, it. greggio e grezzo^ dei quali Zambaldi dice ignota la 
etim.; la v. gen. è id. alla lomb. sgresg^ com. sgresCj tutte probabil- 
mente dal celt. sgrabach, rozzo. 

SepoLarA, it. squarciare, lacerare, onde Sgpaàra, squarciOy lace- 
razione, com. e b. bres. hanno sguarà, sgarlà, con signif. aff.: lo sp. 
ha desgarrar, desgarro, con signif identico. Zambaldi trae it. squar^ 
dare da un lat. supposto exquartiare, rompere stracciando o fendendo, 
ma sembra più verosimile la provenienza dal celt. sgar. 

81ft, it. zirlare, onde Sia, zirlo ; etim. lat. zinzilulare, abbreviato 
in zilulare : il grido acuto e tronco che mandano il tordo ed altri uc- 
celli. 

SillA (na), non dir sillaba, non fiatare; etim. gr. syllabé, com- 
prensione di suoni. 

Sinsàa, it. zanzara, piem. e lomb. adottarono la v. it. che ì glot- 
tologi dicono onomatopeica: tal però non potrebbe essere la v. gen. 
in cui le due s hanno suono dolce. Il fr. chiama cousin la zanzara, che 
Littré vuol derivare da un lat. ipotetico culicinus, dim. di culex, ma 
il fr. ant. la chiamava cincele, sincelle, evidentemente aflP. alla sinsda 
gen. Leggesi nella Bible de Guiart (sec. xiii) : « fu la tierce plaie d'E- 
gypte de cinceles, ce sunt petites mouschetes ki ne reposent ne ne 
laissent reposer les gens >. 

Sleppa, V. pop. corrispondente alla it. schiaffo, comune a piem. e 
lomb.; etim. germ. schiappe, percossa. Nel gen. sleppa non si sente, 
come neppure nelP ingl. slap, il suono esplosivo della voce originale; 
vero è però che il suono stesso fu convertito in quello di una z aspra, 
poiché, volendo imitar la pronunzia gen. di questa voce, bisognerebbe 
scrivere zleppa. Nel gen. vi è pure la v. scciaffu, ma vi fu importata, 
da tempo non antico, dal toscano, e solamente nel linguaggio civile; 
il gen. puro dice mascd. Si sa per altro che anche Tit schiaffo si trae 
dal tedesco schiappe, supponendo una forma schlapfe. 

SmeasTSria, it. acquitrino; etim. oscura, forse da lat. exmovere, 
exmx)tam {aquam? terram?). 



— 219 — 

Sotta (o largo) ìndica in gen. una forma dello sterco, specialmente 
di quello degli animali bovini ; v. esclus. genovese di etim. ignota. Giovi 
di ricordare che anche Tetim. del fr. sot^ soUe, sp. zote, anglo-sassone 
sot, ecc. (stupido) è ignota. 

Spattar&se e Impattar&se, porsi a sedere con tutta comodità, 
senza riguardo ad altri; probabilmente è alterazione dello sp. espar* 
rancarse, allargar troppo le gambe. 

Spesrassà, it. scarabocchiare, scrivere o dipingere male, onde 
Speg^assa, scarabocchio, e Spes^assin, cattivo pittore (spegassin 
vale anche verniciatore, non in senso di spregio), v. comune a piem. e 
lomb ; etim. oscura: il Picchia, che mal conobbe il significato di spe- 
gassa, la trasse da lat. pix, picis; qualche affinità par che abbia con 
it. appiastncciare, che vai anche : dipinger male, impiastrar fogli, e 
che viene dal gr. plas^na; nel celt. trovasi spairte achd, lordura. 

Spegettl, it. occhiali; etim. lat. spedo, sinc. di specito, guardare, 
mirare, aflT. a sp. espejuelos, che T Accademia spagnuola trae da conspi' 
cilla, vedette, osservato rj. 

SpellnsigA, ìi. pizzicottare, onde BpMnui^iWDi^ pizzicotto, in gen., 
come fu detto già alla v. Pessigu, sono atti distinti dal pizzicare, di- 
stinzione che non si trova negli altri idiomi neo-latini. L'etim. deUMt. 
pizzicare e pizzicottare, prov. pessigà, fr. pincer, sp. pizcar, e pelliZ' 
car, è da Diez creduta germ.: oland. pitsen, ted. pfetzen; altri citano 
anche il bavarese pfitzen; ma nel gen. spelinsigà, come nello sp. peU 
lizcar, par così chiara la presenza della v. lat. pellis da supporre, con 
qualche ragione, T unione di questa voce con Tal tra lat. vellicare, che 
è proprio ir pizzicare. Cosi, quanto al gen., rimarrebbe prob. Fetim. 
germ. per il pessigà (preferendo alle sovra citate quelle da spitze, punta) 
e Tetim. lat. per lo spelinsigà. Il celt. ha spitheagaich, 

Spemnslu, it. asciutto, macilente, estenuato; etim. da sperone, 
nome dato ad una malattia delle piante cereali, e in particolare della 
segala, che le intristisce. 

Spldda, it. spiedo; ambo dal germ. spid, lardatoio. 

Spippùa, it. mingherlino, sottile; etim. prob. dal sassone-ingl. 
spindle, fuso, (spindle-legged, che ha gambe di fuso). 

Sprulnft, it. spiazzare e piovigginare, onde Spruin, spruzzolo 
e pioggia minutissima; kS. a it. sprazzare, spruzzare, derivati da 
germ. spratzen, sprutzen: ma il gen. spruin potrebbe esser venuto da 
lat. pruina, propriamente rugiada congelata, voce accolta dall' it. an- 
tico, quindi mutata in brina. Conforta quest'opinione il prov. che ha 
bruino, pì^inay sost., e bruinà vb., col signif. di pioggerella minutis- 
sima e fredda, e il fr. che ha bigine e bruiner con lo stesso signifi- 
cato. Il celt. bru, pioggia, è troppo generico, salvochè la forma gen. 
non ne costituisca un diminutivo: il germ. prod, vapore d'acqua, è 
troppo lontano. 

Spunolft, it. spingere, onde Spunoliin, spintone, afi: a prov. poussà, 
pulsar, fr. pousser; etim. comune lat. pulsare. 



— 220 — 

Spnrtlnr^ùa chiamasi in gen. qualsivoglia apertura artiflziale 
negli abiti, principalmente quella che dà adito alle tasche; etim. lat. 
spofiula, sportularius. 

Squòn, it squadro, legno segato per la lunghezza delKalbero, di 
cui risegandolo si fan tavoloni; etim. lat. med. squaratus, alterazione 
di quadrai US, 

Staooa, it tasca la cui origine è oscurìssima; il gen. dice stacca 
a buona ragione, poiché nel celt. islandese trovasi stack (gardur) re- 
cinto in cui sono conservati mucchi di grano e di fieno, e Tingi, ha 
stack per mucchio, cumulo, e to stach, per ammucchiare, ammassare. 

Staoohetta, it. bulletta, chiodetto, id. a lomb. stacchetta, il b. bres. 
dice iach per chiodo, come il gallese ^oc. Tingi. /acA, il hretone t-ocher, 
il germ. stackel: la stessa origine ha la v. it. tacco, così detto perchè 
guemito di stacchette; etim. celt. tach, chiodo, tacaid, chiodetto. 

Stazza, it. stazza, v. m. ufficiale; è lo strumento con cui si mi- 
sura la capacità d'una nave o di un vaso qualunque e per est. indica la 
capacità stessa: ne vengono vb. stazd, stazzare, e stazadù, stazzature. 
E V. d origine gen. comunicata al tose, che Talterò in staggia: non ha 
che fare, come vorrebbe Zambaldi, con le it. stazzare o stabbiare, e 
stazzo f derivate da lat. statio; etim. prob. lat. sextanus, nota misura 
antica, onde pur it. staio, staia. 

Stlsrsriu? it. secco, di persona asciutta ; etim. sassone sticca, onde 
ingl. stick, bastone, stecco. 

StoooA, it. troncare, rompere in due pezzi un corpo duro, acciaio, 
legno, vetro, onde Stoooà, stoccata, Stooohòsu, rompevole, Stooon 
nella frase mar. « tià un stoccu » che vale: tirare un bordo: tutte voci 
esclusivamente gen. derivate piuttosto che dal germ. stecken^ pungere, 
onde stock, bastone e it. stocco, dal kymri toc, pezzo di checchessia, 
onde gen. toccu, e it. tocco Del resto la parola bastone che in altri 
idiomi celtici è detto stochd e stoc, ha in sé Tidea di cosa spezzata. 
Identica origine ha stocchefisce, stoccafisso, che viene dalT olandese 
stockevish (ingl. stockfish), pesce di legno (ceppo). 

Straoaft, it. straccare, onde Straooùa, stracco, v. mar. antichis- 
sime, la prima delle quali indica una nave che, perduto Tequipaggio 
da esso abbandonata, va a fermarsi dove il mare la mena; la seconda, 
tutto ciò che é menato dal mare alla riva, o trovato in alto mare. « Altre 
< galere - scrisse il Villani - ruppero o straccarono in diverse parti » 
(X, 103). Etim. Guglielmotti da it. straccare, stancare grandemente: 
egli però ignorava che T it. straccare non é che la traduzione delTaat 
streccan, che vale: stendere, abbattere, senso che corrisponde assai 
meglio a quello delle due v. In gen. però straci^d è once voce del lin- 
guaggio comune e vale: capitare a caso in un luogo: più, i Genovesi 
antichi dicevano stratteizu per disteso. 

Strafalaja, detto di vestito vale in it. sciupalo e per est. detto 
di persona vale malaticcio. Venne al gen. come al piem. {strafalari, in 
cui però ebbe il signif. di babbeo, pedante) dallo sp. estrùfalario, che 



— 221 — 

vale: uom mal vestito ed anche stravagante. Etim. oscura, pare che 
siaavi le v. lat. extra e fallare, 

StrasTi^A, it. dissipare, sciupare, bìdtar qua e Id^ onde Straggln, 
sciupio, e Strag^giun, dissipatore, id. al com. stragià, stragion; etim. 
prob. lat. strages, « stragem facere >. 

Stralablft, it. delirare, vaneggiare; etim. lat. extra e labias, man- 
dar fuori delle labbra parole vane, irragionevoli: aff. a fr. extravaguer. 

Stralatft, it. dissipare, sciupare, onde Stralattim, dissipatore, 
V. comune al lomb. che sembra aff. a it. starnazzare, spaimazzare ; 
etim. oscura: forse da lat. stemere, stendere, spargere. 

Straléuggla, it. strambo; etim. lat. extra, o meglio trans, bocu^ 
lum, occhio fuori di sesto. 

Straman, it. fuor di mano; etim. lat. extra e manum, 

Strambaelun (and& in), it. barcollare, traballare, id. a piem. 
stranbalè; nei dialetti lomb. strambala, strambalada, strambada, 
hanno significato di strampoleria; etim. incerta: o dai trampoli (germ. 
trampeln, calcare) « stare in trampoli > che vale : esser mal fermo : o 
quella stessa delFit. traballare. 

Stramesoi fparl& a), it. parlare fuor di proposito, a casaccio; 
etim. oscura: forse da lat. extrem^eatus, uscita, Fatto d'uscir fuori. 

StramuA, it. sgomberare, mutar casa, onde Stramùa, sgombero; 
etim. lat. transmutare, non prestandosi transmovere, proposto dal 
Parodi. 

Straplooa, it. tracollo, sbilancio; in questa v. esclusivamente gen. 
sembrano uniti il lat. extra, fuori, o trans, al di là, e il celt. pie, nel 
senso di: a piombo, a picco. 

Strapunta, it. materasso, onde Strapniitò, materassaio^ v. esclus. 
gen.; etim. lat. med. straponta, strapontinus : ildim. passò nel fr. strO' 
pontin, col signi f. di sedile imbottito per le carrozze, e nello sp. tror- 
sportin, piccolo materasso di lana fine : prob. da lat. trans e punctam., 
cucita da parte a parto. 

Strassft, it. stracciare, onde Strassa, cencio, straccio, e Stras- 
■un, straccione, id. a piem. strasse, lomb. straseià, prov. estras, estrasso, 
sp. estrazar ed estrazo; etim. oscura: Zambaldi da lat. abstrahere, 
onde distractio, difiBcilmente ammissibile anche per la v. it., tanto più 
che il lat. ha il suo verbo e il suo nome per dire: stracciare e straC" 
do. Il celt. ha strac, streachail, per stracciare. 

Strazettu, it. scorciatoja, tragetto, in gen. propriamente un sen- 
tieruccio alpestre che scorcia la via; etim. dovrebbe essere lat. extra 
e tramitem, fuori strada, ma è, per alterazione del senso, da trajectum 
che in latino indica Tatto del trapassare, non il sentiero. 

Streùppu, it. stormo, moltitudine d'uomini o d'animali, id. a piem. 
strop, trupy lomb. tropp, ma com. strup, prov. troupeu, troupel, fr. 
troupeau, sp. tropa; etim. lat. med. troppus, con eguale significato, 
proveniente dalle leggi germaniche. Diez pensa che possa essere il lat. 
turba, alteratosi nelle bocche germaniche in trupa, troppus. Ma si sa 



— 222 — 

che r illustro maestro vedeva il latino da per tutto. Ilfìitto cheilpiem^ 
il gen. e il com. dicono streuppu, sirop, stnip, fa pensare invece id 
un'origine celt. di questa v., naturalmente antichissima, e che nonpotea 
venire ai tre popoli da un latino corrotto dai Tedeschi. Nel celt moderno 
trovasi trevd, trend, branco, armento, che mal convengono. Sirv^ usò 
Dante per truppa, schiera : 

K«'' la vi.'iidella lU'ì siiperÌK) stniiu» 

//»/•. VII. 

togliendolo certamente dal genovese, parola intorno a cui farnetica- 
rono i commentatori, i più dei quali vogliono clic invece di strupo 
truppa, si legga stnipo, stupro, perchè, dicono, non par che regg» 
« far la vendetta d^ma moltitudine ». il « vindicare seditionem > di 
Cicerone ? 

Strexia, it. arsiccio, disseccato, detto dei cereali, v. contad. Il 
Parodi da lat. transitns, che. scrive egli copiando Littré, significò in 
primo luogo: passato, morto. Ma transire, in lat., non significa che 
passare: il senso di passare all'altra vita, cioè morire, è tutto crìstiaDO, 
e in questo senso Littré dice che il fr. transir. transi^ vien da transita.. 
L'etim. di strexìu è, per alterazione, da lat. extritus^ stremenzito, cai 
fu dal sole impedita la maturazione. 

Strlnft, it. abbronzare^ abbnistiare ; etim. lat. ustHna (da usium 
uro) luogo in cui s'abbruciavano i cadaveri. 

8tnifag^&, it. sgualcire^ spiegazzare^ onde Stmfag^ii, gat'bU' 
gito, cosa mal fatta, e Strafaggiun, chi nulla fa bene: id. a piem. 
strafognè, lomb. strafoiày strofignà : in qualche punto del com. sti'oft 
cencio; etim. comune germ. stnqjf, cosa strappata, aat. stroufen, onde 
it. strofinare, strofinaccio, ecc. 

Strunsa, significa in gen. torso di cavolo, e solamente per sim. 
indica Tit. stronzo, piem. stronss, lomb, stronz ; onde vedesi che il gen- 
solo si è, come sempre, conservato fedele air etim. della v. originale 
che è Taat strimzan, tagliare, mod. strunzen, strunzel. 

Stundaiu, it. uomo lunatico, cervel balzano : il b. bresc ha sionda, 
«aver la stonda» per essere di mal umore; etim. comune germ. stunde, 
ora: onde il signif. di stuìidaiu, che ha cervello il quale patisce alte- 
razioni da un'ora all'altra. 

Sabaoft, e non AsubaoA che è idiotismo, it. metter sotto, supe- 
rare. Diez trae Io sp. sobajar da lat. subigere, ma sobajar significa: 
maneggiar rozzamente, sciupare a forza di toccare, e il subigere^ tra 
i suoi parecchi significati, questo non ha: converrebbe invece al su- 
baca gen. quanto al significato, ma, come nota giustamente il Parodi, non 
quanto alla forma. E cosi ha ragione esso Parodi dicendo che ^bacà 
può venire da un lat. volgare sub-aquare, per tuff'are nell'acqua; >tim. 
dimostrata da esempi di antichi scrittori gen. Il trapasso da quel ^^^ 
primitivo al moderno di metter sotto, superare, è naturalissimo. \ 

Buffa, it. ciuffo; etim. comune: germ. schopf. 



— 223 — 

TasTS^ia, it. carrucola, id. a piem. tajola, lomb. taja; etim. prob. 
celt. tilleadh, giro. I Genovesi introdussero la v. taglia nel linguaggio 
mar. it. 

Tàmassa, dicesi in gen. uom tozzo, mal fatto, e per sim. gaglioffo^ 
Tanardu dicesi per tanghero^ zoticone : v. aif. nei due significati alle 
lomb. tananariy tandocca, tandan, tanascion^ tanasciott, ed alle com. ta- 
maco, faìianach, tangan; etim. comune celt. tamhassach, tamfiasg, 
tanaidhe, di senso id. alle v. genovesi. 

TambùsoiA, it. tambussare, ma in gen. vale : tempestare, metter 
sossopra; etim. oscura, prob. dal lat. med. tabussare, « strepitum fa- 
cere crebris ictibus aliquid percutiendo » (Ducange), onde il fr. ant. 
tabustory tabust, rissa, taflPeruglio. Zambaldi registra tambussare col 
signif. della Crusca: dar busse; il Caix ne fa una combinazione di 
tamburare -bussare; Diez lo raccosta a trambusto. 

Tanabéu!&a, it. bugigattolo, id. a lomb. tanabus, b. bresc. tam- 
bus; etim. prob. gr. tambos, nascondiglio. 

Tànoaa, it. scorpione. Cosa singolare, i Genovesi chiamano scur- 
piun la tarantola (lat. stellio) e tancua lo scorpione. Etim. ignota. 

Tannn, piccolo fornellino portatile; etim. prob. oland. tannen, 
ingl. tati, abbrustiare. 

TapA, it. turare, ed anche tappare, onde Tappa, turacciolo, tappo, 
prov. tapà o tap, fr. ant. taper: v. ignote, in questo senso, al fr. mod., 
al piem., e lomb., salvo il com. che ha tap.; etim. Zambaldi dal 
basso tedesco tap, turare, riempire, ma è più prob. sia venuta alFit. 
(in cui è V. non antica) dallo sp. tapar. Quanto al fr. ant , al gen. ed 
al prov. Tetim. è dal basco tapar, o come vuole TAzais, dal celt. tappe. 

Tàpanl, it. cappen, id. a prov. tapero, tapeno^ piem. tàpaH, cat. 
taparo, notevole alterazione della forma gr.-lat. càppariSy cui s'atten- 
nero gli altri Italiani e i Francesi. Gli Spagnuoli dicono alcaparra dal- 
l'arabo al'habar. 

Tavella, it. nottola, id. a lomb. tavella^ afi;'. a sp. taravilla; etim. 
incerta, le due voci gall.-it. se non vengono dalla sp , di etim. ignota, 
potrebbero derivare da lat, tabella^ tavoletta. 

Teol&se, vb. significante: star tranquillo e contento, afi*. a lomb. 
tecCy tetto, com. teccià, far il tetto, riparare il bestiame, prov. teg^ sp. 
techo, tetto, e tediar., porre il tetto a una casa, onde la v. gen. signi- 
ficò primamente star al riparo, al sicuro; etim. celt. teach, tetto, casa. 

Telonia, it. telonio., dicesi per ischerzo il banco, lo studio, Toc- 
cupazione quotidiana; essendo v. più viva nel gen. che neirit., giova 
dire che vien dal gr. telonewìi, banco dei gabellieri; nel lat. med. 
chiamavasi teloneum un <k tributum de mercibus marinis circa littus 
acceptum » (Ducange), sicché il gen. « andà au teloniu > significò in 
origine: ire a pagar il dazio. 

Ténppla, ò un ingraticolato a foggia di volta su cui si mandano 
le viti, id. a piem. e lomb. topia; etim. comune lat. topia^ luogo co- 
perto con trabacche di fronde. 



A 



— 224 — 

Tlbba, per: gran voce, dicono i soli Genovesi; etim. lat. tiòia^ 
piffero, piva, 

TI00M&, it. quistionar di parole^ aff. a prov. ticoutejà; etim. co- 
mune oscura, forse dalFoland. tikhen, ingl. to ticK la vibrazione re- 
golare di un orologio o di una campana, onde, per imitazione di suono 
(tick) la botta e risposta dei litiganti. 

Torflln (ése anda &), vale : essere ozioso, disoccupato, ma pro- 
priamente è V. m. e dicesi dei battelli disormeggiati e lasciati in ab- 
bandono; etim. prob. lat. torquere (onde torsio), torcere, voltare, pie- 
gare, bene applicato al galleggiante lasciato in balìa delle acque; 

PtalegethoD torquet sonantia saxa. 

Kn., VI. 

Traooasn^ottn, it. tarchicUello, v. comune apiem. e lomb.; etim. 
oscura. Zambaldi trae it. tarchiato dal gr. tàrichos che mal si presta 
al signif. cosi della v. italiana che delle tre galL-it. Il celt. ha tmr- 
ginn, che vale appunto : tarchiato, e tì'vachan^ persona grassa e pan- 
ciuta. 

Trantran, v. dinotante il corso ordinario della vita, degli affari, ecc.; 
etim. fr. tran-tran, che viene dall'olandese tranten, trantelen, andare 
qua e Ik. 

Trappa, it. bacchetta, verga, v. esci, gen.; etim. oscura, forse dal- 
Faat. trapo, trapp, trappola, per le verghe rami ond'era formata: 
infatti Littré trae da troppe il fr. trappette, bacchetta a uso dei telai 

TremeléQja, it frastuono, fracasso; etim. oscura, di senso aff. a 
fr. tremblement, nella frase famigliare: « il est venu avec tout le trem- 
blement » ed altre. 

TrepA, it. rxizzare, folleggiare, onde Treppn, ruzzo; v. ignote 
al piem. e al lomb., ma comune al prov. trepa, trepado, e al fr. antico 
treper (onde il mod. trépigner): 

Saillir, treper et flajoler 
Chanter, corner, lirer, muser 
Fastoralet. 

Etim. comune celt. tHpa, tripio (ingl. to tnp). Il lat. ha trepere per 
girare, volgere. 

TrSug^g^iu, it. vasca per lavare, trogolo è vaso in cui mangiano 
i maiali, bevono altri animali; etim. comune Taat. trog, ted. mod. 
trog, ingl. trough, vaso grande per vari usi. 

TrillA, it. trillare, da trillo, gorgheggio, v. che i glottologi dicono 
onomatopeica; è però bene si sappia che in gen. tìillà è v. antichis- 
sima e sempre viva per significare il tremolar brillando, specialmente 
dei pesci nell'acqua, oppure il tremolio di due occhi lucenti, cagionato 
da commozione delPanimo ; inoltre chiamasi in gen. trillo la tremolina 
dei prati (« briza media >) che trema e si agita al più lieve sofBo. Il 
signif. musicale del trillare è secondario nel gen. e non popolare; etim. 
got. dnlla, traila, scossa, tremito, vibrazione, onde V ingl. to trilla che 



— 225 — 

però in questo senso è v. antiquata (Johnson). Il gr. ha tryllos per 
mormorio, susurro. 

Trinca, it. trincare; etim. germ. trinken^ bere; ma trinca è pure 
V. m. che significa: legare strettamente, fortemente. Diez, alla v. trin- 
chetto, pensò che cotesta vela essendo triangolare, conveniva ricorrere 
allo sp. tnnca, triade, ma tnnchetto vien da trincare, perchè il vento si 
stringe alla prua, e trincare donde viene? Il Guglielmotti da lat. stnn- 
gere (con legame trino), ma non è un'etimologia. Forse questa è dalFaat. 
hring, mod. ring {die ring\ cerchio. Il gen., piem. e lomb. hanno pure 
la V. tHnca nella frase: «nuovo di trinca», che vai: nuovo affatto, e 
il com. ha inoltre tnnca per gala. Nel primo senso è v. id. a it. trin- 
ciare, jìvovJr enea, guasc. tnncà, sp. trinchar, tutti significanti: tagliare, 
onde « nuovo di trinca » indicherebbe un oggetto appena tagliato dalla 
pezza. Etim. da lat. truncare, però incerta. Nel secondo senso, trinca 
è aff. airingl. trim, tricking, ornamento, 'di etim. oscura. 

Troffla, it. gnocco, v. esci. gen. ; considerata la qualità della vi- 
vanda, Tetim. è gr. trophe, alimento. 

Tragnu, it. grasso, paffuto, id. a fr. trogne, che significa: « vi- 
sage enluminé par Thabitude du vin et de la benne chère » così Littré, 
che poi ne cerca invano Tetim. supponendola però celt. o germ. Il piem. 
ha trognOy il prov. trougno, per visaccio. 

Tran, it. tuono, id. a piem., lomb. e prov., aff. a fr. tonnerre, sp. 
truonOy anche il toscano ant. dicova trono; etim. comune lat. tonitru, 
il celi, ha torran, toran, 

Tnoon, it. sugo, intinto di stracotto o altra vivanda, v. esci. gen. 
(salvo il veneziano che ha tochio per intinto) derivata dsj vb. Tnoà, 
toccare, nel senso d' intingere il pane nel detto sugo, come usano fare 
i Genovesi, e sarebbe il lat. tangere nel senso di gustare, se a tale 
signif. si prestasse la forma di questa v. Diez e gli altri glottologi 
traggono Tit. toccare, fr. toucher, ecc. dalPaat. zuchòn, mod. zucken, 
che poco meglio si prestano. L*ingl. \i%to touch, toccare, che Johnson 
dice certamente venuto dal got. tekan, di uguale signif.; etim. sfug* 
gita a Diez, e che prob. è la vera. 

Tamata, it. pomodoro, id. a piem. tomatica, lomb. tomatesa, fr. 
tornate; etim. sp. tomaie, dal nome originale messicano tornati. 

Tamazella, sottil fetta di carne avvolta su di sé, con entro un 
ripieno; etim. lat. tomacina, salsicciotto, camangiare fatto di pezzet- 
tini di carne. 

TonezftBe, it. toneggiarsi, azione di tirar innanzi la nave me- 
diante un cavo detto Ttmezzu, it. toneggio; etim. comune gr. tónos, 
fune tesa. 

Tnrtajén, it. imbuto, id. al bresciano tortaról^ al prov. tourteirou ; 
etim. prob. lat. tortum, tortttosum, dalla forma dell'utensile adoperato 
dagli antiche 

natta, it. ovatta, id. a fr. ouate, che Diez volle trarre da lat. 
otmm, Littré dal fr. ant. oue, ouette, oca; ma che il Rosa ben trae dal 

15 



— 226 — 

gr. oa^ ocUis, pelle di pecora, poiché Tuso del cotone essendo relativa- 
mente moderno, le antiche ovatte facevansi, per necessità, di lana. 

Uifa (a), it. a ufo, gratis. Zambaldi ne dice ignota Tetim. dopo 
d'aver citato quelle proposte da Minucci, da Diez, e da altri; il Tra- 
mater va fino a citare Teb. efes che vale: gratis^ e Far. tufeily chi 
mangia senza spesa, onde sp. a ufo. Forse l'origine delFit. a ufo è 
molto più semplice. Anticamente, allorché i Comuni volevano promuo- 
vere la costruzione di case, offrivano gratuitamente le aree su cui 
piantavano pali con Tiscriziono: A . U . F. « ad usum fabricae ». * 

Umbrlssalla, it. umbilico^ aff. a piem. anbuA^ a fr. ant. ambiHl^ 
mod. nombril; etim. lat. mnòiUcKSj con la solita mutazione delle l in r, 
ma la risoluzione in alla della v. gen. ò oscurissima. 

linde, avv. it. dove; ctira. lat. unde, dove, «bere, unde bis? > 
(Plauto). E fu detto sempre dai Genovesi: 

Ballili elio faetu? Unde te ixìrdi tue? 

Cavalli. 

Vasoellòa, it. (fiorentino) piattaia: havvi chi usa, scrivendo, acan^ 
reria, che è v. tod. ; il gen. rascellèa, come fr. vaisselier^ vien da lat. 
yff,v, dim. vascellum, vaso e vasetto, derivati da vescor, mangiare, onde 
bene potrebbesi dire italianamente: vasclliera. 

Ve, it. stovigliaio ; etim. par sincopato da fr. ant. vairiet\ mod. 
verrierj prov. veìrier, tutti da lat. vitrearius; in gen. significa: mer- 
cante di stoviglie e di vetrami, però chi vende e mette in opera vetri 
per finestre e per mobili, è detto vedrai vetraio. È singolare che in 
Liguria, dove antica e fiorente era Parte del vasaio, e dove, presso 
Genova, è un paese chiamato ancora Feggin (« ad figlinas >) non siasi 
conservato, salvo che in un cognome, la v. figuluSy fabbricante di vasi 
di creta. 

Verln-a, it. mcchiello, onde i verbi VerlnA, VerugiA, e Verug^- 

g^lu, succhiello; etim. lat. vernina, strumento per forare, proposto da 
Zambaldi, preferibile certamente all'antica etim. veru^ spiedo. 

Verzella, così chiamasi in gen. il coreggiato per batter le biade 
su Taia ; il Celesia la stimò v. aff". alle berze di Dante 

Oh come facea lor levar le berze 
Alle prime percosse 

infatti, berza significando (dal germ. die terse) tallone, il gen. verzella 
indicherebbe uno strumento che fa alzar le gambe, fuggire. Più natu- 
rale sarebbe Tetim. da lat. virgula^ piccola verga, ma riguardo all'una 
ed air altra etim. dovasi notare che il diminutivo in eZZa ripugna al gen. 
Vezu, bastone del pollaio su cui vanno a dormire le galline; etim. 
prob. lat. vectiSy bastone rotondo; vi sarebbe anche l'arabo veda, ba- 
stoncello. 

* Questo io lessi sicuramente in un libro, ma non rammento quale. 




— 227 — 

Vianda, son dette in gen. tutte le paste per minestra fatte in casa; 
etim. lat. med. vivanda, che dinotava tutti i cibi eccetto il pane. 
Anche il fr. viande nel suo primo e generico senso, non significa carne, 
ma vivanda. 

Vag^&, ma più esattamente Veag^&, e nell'uso antico e costante 
del volgo marinaresco ligure eag&, it. vogare : id. a prov. vougà^ fr. 
voguer^ sp. bogar, Etim. incerta, Littré ed altri dalPaat. vagùn^ alte- 
rato in wogón, muoversi ; Zambaldi ammette Torigine germ. e lo trova 
connesso a tcoge^ onda, wogen, ondeggiare; però il basco ha boga nel 
senso d'andare, camminare, onde lo sp. bogar, infine il celt. (gali ) ha 
uigh col significato di viaggio, forma che, conservata nella voce vol- 
gare gen. sovra citata e nella voce vgé per vogatori, delle Antiche rime 
genovesi (V. a pag. 46), renderebbe forse più verisimile Tetim. celtica. 

Zo&, e non Za&, it. volare^ onde Zenn, volo^ e Zoatt&, svo- 
lazzare^ voce onde il gen. va distinto da tutti gli idiomi neo-latini 
(per i non Genovesi, giovi dire che si pronunzia come il fr.joie, gioia). 
K strettamente affine all'altro vb gen. sghéud, lo spiccare il volo che 
fanno gli uccelli, onde sghéttit, un breve volo, p. e. quello delle galline. 
Parrebbero voci onomatopeiche, in ispecie la seconda; tali però potreb- 
bero essere solamente in un linguaggio primitivo, come nel sanscrito, 
ma questo non corrisponde. Verrìi dunque dal celt. sgia/h, ala, sgiathach, 
alato, in particolare lo sgliéna, certo più antico dello ivoà, adottato 
come di più facil pronunzia. 

Z&nelin, dicon per vezzo i Genovesi a bambino non ancor divez- 
zato; etim. aat. zainày cesto, onde it. zana^ che vale culla; la stessa 
origine ha zdnelUi^ baco che rode internamente lo frutta, perchè tro- 
vasi nella sua zana. 

Zembn, it. gobba e vom gobbo, v. esci, gen.; etim. oscura, forse 
dal lat. med. zembla, cioè embla {< z addito euphoniae causa », dice 
Ducange) nome doi somari; embla poi, dal gr.-lat. embola, carico; in 
sostanza i poveri gobbi sarebbero stati dai nostri antichi assimilati ai 
muli ed agli asini con la soma sul dorso. 

Zemin, it. sorta di salsa per il pesce, zimino; etim. oscura, forse 
dalFar. semin, fatto con burro. 

^Zenziggìu, it. asciutto, meschino, afl: allo sp sencillo; etim. prob. 
lat simplex. 

Zerbn, it. prato, erba, pezzo di terra erbosa, onde Zerbin, stoino 
fatto di trecce di sparto, aff^. a piem. gerb, a lomb. zerb, gerby che 
però valgono: terreno incolto, sterile; il piem. ha gerba, il fr. gerbe, 
il prov. garba, jarbo, tutti significanti i covoni, i fasci di grano se- 
gato, voci queste ultime che i glottologi francesi traggono dall'aat. 
garba, di senso identico. Ducange ha gerba per herba, luogo erboso, 
gerbum, « ager graminosus ot pascuus >. 

Zimma, it. favilla, v. esci, gen.; etim. oscura, il gr. zyme, fer- 
mento, non conviene: il celt. ha scim, luce, il sassone scimo, splen- 
dore, vb. sciman, splendere; il ted. mod. schimmer, scintillamento, 



— 228 — 

sfavillamento. Ma come sarebbesi mutato in un^aspra z il suono se 
così naturale al genovese? Forse zimma è voce onomatopeica come 
germ. bUtz^ cimbrico glitz^ lampo. 

Zin, it. riccio di mare^ v. esci. gen. ; etim. oscura, gr. lat. echinos^ 
its, non si prestano ; forse dal germ. zinhe, punta, dente, o sinhen, ingl. 
sink (anglo-sass. sinccm)^ andare al fondo, e si sa che il riccio sta ap- 
punto attaccato al fondo. 

Zin-a, it. estremità, sponda, ed anche capruggme, onde Ztnajén, 
strumento da bottai: v. aff. a ìtzingone, mozzicone di ramo; etim. da 
germ. zinke, punta. 

ZinzanA, it. gingillare , perdere il tempo, onde Ziazannle, lun- 
gherie, indugi, non ha che fare con it. zinzinare che vai centellare, 
bere a zinzini, parrebbe invece aff. al com. ginginà, vagheggiare, e 
ginginn, vagheggino; etim. prob. celt. geanail, donnaiuolo, gean^ donna, 
in cui potrebbe forse trovarsi la spiegazione, finora ignota, della voce 
italiana zerbino, zerbinotto. Non è però da tacersi Tebr. zinzem, ronzare. 

Zntta, sedimento, fondaccio lasciato dai liquidi; i Siciliani chia- 
mano zotta una piccola quantità d'acqua stagnante : essi, come i Geno- 
vesi, tolsero questa voce dall'arabo in cui sautt (h') vale appunto : un 
po' d'acqua stagnante (Amari già citato). 



INDICE 



DELLE VOCI REGISTRATE NEL VOCABOLARIO ETIMOLOGICO 

E DI ALTRE COMPRESE IN PARTICOLARI ELENCHI 

NELLA PARTE PRIMA DELL'OPERA 



Abaciuccoù pag. 153 

Àbandun » 

Abarlugà 154 

Aberà » 

Aberiifà » 

Abessìu 190 

Abiguelà 154 

Abimà 124 

Abossà 154 

Abotìu » 

Abracà » 

Abrèttiu » 

Abrexè 124 

Abunass& 155 

Acatà » 

Accortixe 124 

Acucci&se 97 

Adaxu 155 

Adressu 124 

Adubbu 3 

Aduggià 155 

Afità » 

Afitaia > 

Agaibà 186 

Agibbu 44 

Agnu 155 

Agreppìse. . . ' 156 

Agrittàse » 

Aguantà » 

Agueità » 

Aguggiottu » 

Ala » 

Alleccà > 

Alevà 99 

Alle 124 



Alò pag. 157 

Allùa 156 

Alluà 194 

Allun 124 

Alluoù 194 

Alugi6ù 157 

Aliimà 124 

Amaca 157 

Amainà » 

Amalocà » 

Amàndoa 16 

Amarra 157 

Amasc& 158 

Amè » 

Amenestrà » 

Amermà » 

Amia, mi& » 

Amiadìi 100 

Amottoù 199 

Àmua 19 

Amuà 158 

Amucà 200 

Amuletta 158 

Amurà » 

Anà » 

Anastà » 

Anastu y> 

Ancheu » 

Anchizze 159 

Anciùa 3 

Àncua 16 

ÀDgioù 159 

Anguscià » 

Anguscìa » 

Anicciàse 119 



— 230 — 



Ànnia pag. 19 

Antenna 16 

Anticheùà 159 

Anticheu » 

Apajh, » 

Apì'tuà 124 

Apr»MÌu, apreuvu 159 

Apullà » 

Apunde » 

Arancà » 

Arangià » 

Arapfi 207 

Arbu 19 

Areizegà 209 

Arelà 159 

Arembà 160 

Arembaggia » 

Arembaggiu » 

Arembu » 

Arensenìse » 

Arente » 

Arescusu 209 

Arfè 158 

Argiu 19 

Argettu » 

Arida 160 

Arigil 210 

Ariguà 160 

Arimà 161 

Armella 161 

Armoasa 19 

Armun 161 

Arosà » 

Arrià » 

Articiocca 16 

Àru 161 

Arubattà 162 

Arunsà 161 

Ariixentà 162 

Arve 23 

Arzìliu 162 

Asbrià » 

Asbrìu » 

Asci 124 

Ascidià 162 

Ascidiu » 

Asgaià 163 

Aspertixe » 

Aspertu » 

Assa 163 

ABsascìn 44 

Assaxunoù 124 



Asse pag. 124 

Assia 163 

Assuigid^e > 

Assust&se » 

Astallà » 

Astregà » 

Àstregu » 

Astrunoù > 

Astù > 

Atamassoù 223 

Atracà 163 

Atrapà 124 

Ava, avaà 164 

Avalà 124 

Avardàse 164 

Avià. aviou » 

^xVlaCa •••••••• ^ 

Avuxà » 

Axillà 165 

Axillu » 

Aze » 



Bansella, balansella . . . .165 

Babazun 98 

Bàbollu 165 

Baccan » 

Bacca 19 

Bacicula 165 

Bacioccu » 

Bacogi » 

Badda (de) > 

Bagardu 98 

Baggiu 166 

Bàgià » 

Bàgiaia » 

Bagiu » 

Bagun > 

Bkicu » 

Baja 19 

Balandran 98 

Baletta 103 

Balèustru 167 

Balla » 

Banastra > 

Banca » 

Banca » 

Bancàotu » 

Bandeta » 

Bando 124 

Bandu (in) 153 

Bara 167 



— 231 — 



Barba pag. 167 

Barban » 

Barbixi 19 

Barbotà 124 

Barca 16 

Barchì 167 

Barcun » 

Barlocià 193 

Barliigun 154 

Basigtt 168 

Basigu » 

Battoezu 124 

Battusu 168 

Bàulu 19 

Baxà » 

Baxaicò 16 

Baxu 19 

Bazaiottu 44 

Bazan-a 168 

Bazanottu » 

Bazara 167 

Becellan 103 

Bèdin 168 

Bèga » 

Beghin 124 

Begiiddà, begiidda . . . .168 

Bel li Q (francese) 120 

Bellua 168 

Berbexin 104 

Berlendun 168 

Bernissii » 

Bernissu » 

Berodu » 

Bersò 124 

Bertuèli 168 

Besassa » 

Bestettu » 

Bettua 169 

Bèli » 

Bouggiu » 

Beùssai » 

Beùxima » 

Béxin » 

Bexinà . » 

Beziggiu » 

Beziigu 98 

Biava 169 

Bibin ^ 

Bifm 124 

Biglia 169 

Biguelu 154 

Binda 169 



Binda pag. 169 

Bisca > 

Bisca » 

Biscambiggia 125 

Biscassè, biscassa .... 169 

Biscochin-a » 

Bitacula 20 

Bixa 170 

Bixu 125 

Bixù » 

Bizaru 3 

Blaga 125 

Blagà, blagheùr » 

Bleìì » 

Blocca 170 

Blonda 125 

Blusa > 

Boa 170 

Boccoli 125 

Bodissun 104 

Borda 170 

Borda » 

Boria > 

Bòxìa > 

Braghe 171 

Bragia » 

Brama » 

Brassezà 98 

Bratta 19 

Brava 125 

Brenna 171 

Bricca > 

Bricca » 

Brichettu » 

Bricòcala » 

Brignan » 

Briglia » 

Brixa 170 

Brocca 171 

Brocchin 125 

Brotta 171 

Briiga » 

Brilmezza » 

Briìmma » 

Brasca 172 

BrUtixe 104 

Bruta 19 

Bruvettu 125 

Bruzi 172 

Bucca 19 

Budoar 125 

Bùeta » 



— 23^ — 



Buèu pag. 172 

BuflFiiu » 



Biigaìxe » 

Biigatta » 

Buggeu 178 

Bulaccu » 

Bulitigà » 

Bulitigu » 

Bullase » 

Bullozumme » 

Biillata » 

Bullezà » 

BuUibè > 

Bulla 98 

Bullu 173 

Bumbèa » 

Bumbun, bumbunèa. . . . 125 

Bunassa 155 

Bunégia 173 

Bunettu .125 

Buraccia 98 

Burdattu 170 

Burdigà 173 

Burdigottu » 

Bure 124 

Buriccu 98 

Buridda 173 

Burxok 125 

Blisca 174 

Biiscà » 

Biiscaggia » 

Buscettu » 

Biisciu » 

Busciua » 

Busciueta » 

Biisciulaìu » 

Biisciulottu » 

Bussellu » 

Busticà » 

Butiru 19 

Butà 174 

Buttezà » 

Buttu » 

Buzancà » 

Buzzu >!> 



Caa 16 

Caban 174 

Cabanna » 

Cabarè 125 



Cabirda pag. 174 

Cabriolè 125 

Cacallua • . . .175 

Cadellu (a) > 

Caegk 19 

Caen-a 16 

Càfattà, càfattu 175 

Cafuscì » 

Caga in n\u » 

Càgollu . 19 

Caiciu 44 

Caìorna 176 

Calabà 44 

Caladda 176 

Calanca » 

Callau » 

Calleùiu » 

Caluma » 

Camallu 44 

Cambusa 176 

Camuà) camuoù » 

Càmua » 

Cancan 125 

Canestrellu 120 

Caneva 16 

Cknnie 177 

Canta » 

Cantabruna » 

Càntia » 

Capàro > 

Capetta > 

Capitanniu > 

Carabutin » 

Carapigna » 

Carassa 16 

Carattu 44 

Carèga 177 

Caruggiu » 

Casacca 3 

Casan-a 178 

Cascu 19 

Cassa 178 

Cassarèa » 

Cassarolla » 

Cassau » 

Catorbia » 

Catran 44 

Catubba 16 

Cavagna 17S 

Cave » 

Cèabella > 

Qetrun » 



— 233 — 



Getta pag. 22 

Cètu 179 

Checchez& » 

Chèga » 

Chiffu (a) 44 

Chiggia 179 

Chigheùmau 19 

Chitàra 16 

Chittà 120 

Ciaciarà ........ 98 

Giàcciara » 

Giallan » 

Ciapà 179 

Giappa » 

Ciappaieù 179 

Giappasseù » 

Ciappella » 

Giappelletta » 

Ciappetà > 

Giappettu > 

Ciappi > 

Giappua > 

Ciapiissà » 

Gìapussata > 

Giarnè 125 

Giazza 22 

fibbia 125 

Gicà 180 

Gicca » 

Giccioà 125 

Gicciollu 105 

Gifutti 180 

^igheùgna » 

Gillu » 

Cimma » 

Gimussa >^ 

Ginciàse » 

^insa 181 

Gioca, cioccata » 

Gioccu » 

Giomà » 

Ciota » 

Giotà » 

Gittu » 

Giucca » 

Giuccu » 

Giunà » 

Giunassa » 

Giunettu > 

Giiisa » 

Giuvascu 98 

GiUxima » 



Goà pag. 181 

Goassu 182 

Gocca 126 

Gòccina 182 

Goè » 

Goin 16 

Gòmentu 182 

Gomò 126 

Gompostòa > 

Gonsol » 

Gontoar » 

Gòpressu 182 

Gornabiiggia » 

Gotizftse 126 

Gòu 19 

Grava » 

Gremixi 44 

Gren-a 182 

Grenà, crenatiia » 

Greppu, crepun » 

Greùsa 182 

Gricca 182 

Groccu » 

Grotun 126 

Gniva 183 

Gruxe 19 

Gubelettu 183 

Guchettu » 

Gucullu 19 

Gucuma » 

Guftìn 16 

Guiga 19 

Gulissa 126 

Gumandu 16 

Gunfèze 19 

Cunfòu 183 

Gungò 126 

Cuniggiu 19 

Guntiìssu 183 

Guppu 16 

Gupiissu 183 

Gurcettu 126 

Giirlu 19 

Gurzettu 183 

Gurzeu » 

Gustipase 98 

Gustu 16 



Damixan-a 44 

Darsena » 

Degurdl, iu 126 



— 234 — 



Delabrè pag. 

Demorde 

Demufi 

Demùaf elu 

Depui 

Dare 

Deriià 

Desabigliè 

Desauggìaddu 

Descasu 

Desciii 

Desdiccia 

Desfunduà 

Desgaggià^ 

Desgagginoù 

Desgaiboù 

Desgosci&se 

Deslògiu 

Desmilu 

Desnià 

Desrenà 

Deca 

Destrùe 

Desurve 

Dettaglia 

Dezentegà 

Diccia 

Diretta 

Disnà 

Dita 

DoDca 

Drappi 

Driia 

Draga 

Drtiu 

Duggia 

Daxe 



126 

183 

» 

» 
1-26 

20 
126 

99 
121 
127 

99 

20 
126 

» 

186 

126 

» 

183 

ri"/ 

121 
125 

20 

» 
127 
183 

99 
184 
121 

20 
127 

» 

184 
106 
184 

20 



Ègaa 102 

Eja 20 

Erlìa 184 

Ermitta 3 

Erze 192 

Ese 20 

Etaxè 127 

Examme 20 

Exempia » 

Eximme » 

Exosu » 

Fàcala 20 

Falò 16 



Fandango pag. 

Fanfarun 

Fante 

Farda 

Farci 

Farta 

Fascieiìa 

Fassan 

Fatta 

Fàula 

Faziun 

Fazianè 

Fenèan 

Pastecca 

Feù, feùa 

Fiarsaa 

Fide 

Fideà 

Figgi^ 

Fighètu 

Filecche (fa) 

Filetti 

Filan 

Fiocca 

Fita 

Fiasella 

Fò 

Foamme 

Foè 

Framboas 

Fraaxa 

Fravega 

Frazà 

Frazza 

Frè 

Fregaggia 

Freguggià 

Fretà 

Frexatta 

Friggià 

Frilla 

Frisceù 

Frixa 

Fruscia 

Frusciata 

Fruscin 

Fu 

Fùcaa 

Fuciàra 

Fuentu 

Fuetta 

Fuffa 



99 
106 

21 

44 

20 

99 

20 
184 

20 
184 
127 

> 

> 
184 
121 
184 

» 

» 

121 
184 

» 
127 

» 

20 
184 
127 

» 

20 
127 

» 

20 
185 

20 

» 
127 

185 

» 
121 
185 

20 

» 

99 
127 
185 

» 

» 

» 

99 
127 
185 



— 235 — 



Fuin pag. 127 

Fulanu 99 

Fumme 127 

Fundegu 44 

Furcafèra 121 

Fùrgau 20 

Furlancia 185 

Furnaxe 20 

Fumi 185 

Fascina 20 

Fustu , 185 

i/^iiLxa •••••••••)^ 

Futu 186 

Futtu 106 



Gabbiai! 186 

Gàelu, Ghèlu » 

Gaffa » 

Gaggiardu » 

Gdggiok » 

Gkibii > 

Gaitellu » 

Gaietta » 

Gallina 20 

Gamella 186 

Garbuggiu 187 

Garblixii » 

Gardettu » 

Gargotta 127 

Garitta 187 

Garsun > 

Gassa » 

Gassetta » 

Gatta » 

Gkusu » 

Gazia 16 

Gòa 187 

Gena 128 

Gena » 

Gèrava 187 

Ghigna 128 

Ghignun 187 

Ghinda 218 

Ghirindun 128 

Gì 20 

Giabba (a) 188 

Giamin » 

Giaminà » 

Giandun » 

Giandunà 188 

Gianu » 



Giappà pag. 128 

Giara 44 

Giascià 188 

Giasemin 44 

Giassa 128 

Gibba 20 

Giffra 45 

Gigottu 128 

Gimbra 188 

Gimichia » 

Gippa » 

Gipunettu » 

Giarda » 

Giuscellu > 

Gnagnue » 

Gnappa » 

Gnèra » 

Gniffrà > 

Goghin » 

Gome 189 

Gotta > 

Grammu » 

Grebanu » 

Greminìu >> 

Greùppia > 

Griffa » 

Grinfie > 

Grigua » 

Grimasse 128 

Grimia 189 

Grinta » 

Gritta » 

Grixella 190 

Grumette 128 

Guen-a 190 

Guidde 128 

Guiggia 190 

Giimà » 

Giimena » 

Gurpe, arpe > 

Gassa » 



Iguale 122 

Imbagià 166 

Imbarlugà 154 

Imbatta 190 

Imbessìa » 

Imbosà » 

Imbrign&se » 

Imìsei 44 

Impi 21 



— 236 — 



Inandià pag. 190 

Incalldse 191 

Incenta 127 

Incuccift 191 

Indegna 106 

Infe! 21 

Ingiarmàse 191 

Ingumbàse » 

Ingiimbatua » 

Insft » 

Inscìà 21 

Insei » 

Insùgì^ » 

Intima 191 

Intra 21 

Intra » 

Inverdiigà 191 

Inversa 21 

Invexendà 192 

Invexendu » 

Isa » 

Labia » 

Lacciun » 

Laghen » 

Lalla » 

Lambardan y> 

Lambrin 128 

Lambrocià 193 

Landun 192 

Lapà 193 

Larga 3 

Lasca 21 

Lascia 128 

Lasca 21 

Lastima 99 

Latte 3 

Làagia 193 

Lavella 21 

Laxerta » 

Leccaja 16 

Lèllaa 193 

Lèpega » 

Lepegùsa » 

Lerfà » 

Lerfa » 

Lerfun » 

Lesela 21 

Lezen-a 193 

Lezze 21 

Liamme 193 

Ligà 21 



Ligamme pag. 21 

Liggìa 193 

Liman 44 

Lippa 19S 

Lisa » 

Livia 21 

Lobbia 193 

Locci& » 

Loffa 194 

Lora 99 

Lòa 194 

Ltià » 

Lùgànega 21 

Ltiggia 1S4 

Liighèn » 

Liiggiu » 

Luisa (erba) » 

Liirciu » 

Liiu » 

Luvega > 

Ltixe 21 

Macaja 194 

Macca » 

Macramè 44 

Madunava 195 

Magagpia » 

Magagnàse » 

Magara 16 

Magnerà 195 

Magnin » 

Magran » 

Magun » 

Malocca 157 

Mampà 99 

Manaman, amanaman . . .195 

Mandillu » 

Mandracciu 196 

Manente 129 

Mantecata 196 

Maottia » 

Mappa » 

Marcia 4 

Maren 196 

Mariolu » 

Marmelata 129 

Marmitta » 

Maretta 196 

Marscin-a » 

Marunsini 197 

Masca » 

Mascà » 

Mascarsan 197 



— 237 — 



• 

MascezÉr pag. 

Massciu 

Massacan 

Massamuru 

Massuccu 

Mastriissà 

Mastriissu 

Matafiun 

Màuma 

Mazanghin 

Mazengu 

Meìzau 

Melu, merellu 

Men-a 

Meoissà 

Mescià 

Messcià 

Messiavu 

Messina 

Micca, michetta 

Micellà 

Mignugnettu 

Miha 

Minnu 

Minollu 

Misciu 

Mobba 

Moè 

Moèlii, morella 

Molla 

Morbin 

Mottu 

Mòtua 

Muccalùmme 

Mucciaccìu 

Mucciu 

Mucca 

Muifua 

Magagna 

Magagna, un 

Man 

Mura 

Mura 

Muscardin 

Muscezà 

Muscìamme 

Musciu 

Mussier, musse (francese) 

Muds& 

Mussu 

Mutria 

Muttu 



197 
198 
197 
» 
198 

» 
44 

» 

» 
122 
199 
198 
195 

21 
129 
199 

» 

» 
199 

» 

129 
200 
201 
200 

» 

201 
200 
201 
122 
129 
201 
4 
201 



Na pag. 201 

Napia » 

Nasciun 21 

Nassa 201 

Natta » 

Nega 100 

Nega 21 

Negia 201 

Negià )► 

Neglixè 129 

Negrù 21 

Nesciu » 

Nessa 129 

Netezà 201 

Neùu 21 

Nevu 129 

Nicci 201 

Ninna 202 

Nissà > 

Nissu » 

Nuà, neùà 21 

Nuxe » 



Odaciusu 124 

Ofeùggiu 202 

Ofici.Mi 129 

Ogiaxu 16 

Orbu 21 

òrdiu » 

Ormezà 16 

Ormezzu » 

Orsa 202 

Osca » 



Paaféru 108 

Paciòrnia 100 

Paciuga 202 

Paciiigu > 

Pacciun 100 

Paciura » 

Pacotiggia 202 

Paggiaft » 

Pai 203 

Palassiu 21 

Pamentà 100 

Pandan 129 

Pane. 203 

Pansé 129 

Pape 203 

Papigliotte 129 



— 238 — 



Paranza pag. 1^)5 

ParpaggìMia 1*2*2 

Passamantè 129 

Passu 21 

Pàtan 16 

Patatuccu 203 

Patèlu 108 

Patetta 203 

Patrun > 

Patta > 

Patte > 

Paxe 21 

Ve 22 

Pecciàse 203 

Peffuin-a 22 

Peigullii > 

Peixe > 

Pelandrun 203 

Pelandrunà » 

Pellim-a 22 

Peluccu 203 

Pendaloccu 129 

Pendin > 

Pffj)inèa > 

Perleccàse 130 

Porsegu 22 

Portiisu » 

Pessigft 203 

Pessigu > 

Pessottu 204 

Pessu > 

Pestelà 123 

Pestiimmu 204 

Petelòa » 

Peteiie 22 

Peti 130 

Pevò 204 

Pia 22 

Piassà 130 

Picaggia 204 

Picagetta » 

Picchè 130 

Picossu 205 

Pillu » 

Piruetta 130 

Pissa 205 

Pissettu » 

Pissii » 

VìtÙL » 

Pitette » 

Pittu > 

^ivettu * 



Placca pag. 130 

Plafon » 

Plancia 22 

Poe 199 

Poela 130 

Ponsò > 

Prè 205 

Prebuggiun » 

Prepusé 130 

Prescinsoùa 206 

Preve 123 

Pua 206 

Piiassa 22 

Puffu 130 

Paia 206 

Puistè 123 

Puraellu » 

Piimpa, pump& 130 

Piimpun » 

Piintapè 100 

Pappa 22 

Pupun, a » 

Purè 130 

Piissu 22 

Puvie 206 



Quacciii 22 

Quinta 206 

Quinta » 



Racca 206 

Haccola » 

Rafataggi 207 

Raixu > 

Ramadan » 

Randa » 

Randezà > 

Ranghezà » 

Rangu > 

Ranguèlu > 

Rangugnà » 

Rangugnu » 

Rancia 130 

Rappa 207 

Rappu » 

Rapussa > 

Rasscià » 

Ratatùia 130 

Ratelà 207 

Rateila » 



— 239 — 



Rattu pag. 

Rattu peniigu 

Raiìzu 

Ravacoù 

Ravatà 

Ravattu 

Ravieu 

Raxa 

Rè 



Rebelà . . . 

Rebelèa . . 

Rebigii . . . 

Rebù . . . 

Rebui»'^ . . 

Recama . . 

Re(^anÌ8su . . 

Recattu . . 

Recuveà . . 

Recùveìì . . 

Ró«ienu . . 

Reditu . . . 

Retin . . . 
Refroscumme 

Reiratà . . . 

Regatta . . 
Rcgatun-a 

Reìgiia . . . 

R«4zegu . . 

Rèia. . . . 

Rolentu . . 

Remèdiu . . 

Romescià . . 

Remmu . . 

Rcraiircu . . 

Rf»n . . . . 

Ronaace . . 

Ro ponti u . . 

Rosacea . . 

Resaggiu . , 

Rosata . . . 

ResJitu . . . 

Resca . . . 

Rescusun . . 

Rèu . . . . 

Roversu . . 

Revezoìì . . 

Rian . . . . 

Ribotta. . . 

Rille e raffe . 

Riga. . . . 

Righinaggia . 

Rissciì . . . 



208 

» 
22 

130 
208 

» 

154 
130 
208 

44 
208 

> 

209 
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22 
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159 
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21 
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» 
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210 
22 
208 
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130 
210 
> 



Rissuà pag. 210 

Rondczà » 

Ròsu 161 

Rostu . : 211 

Rozà 22 

Rubattun 162 

Ruggià 130 

Rulò 131 

Rumenta 210 

Rumenta » 

Riimentèa » 

Rumescellu 211 

Runca 16 

Runfà 130 

Runsa, runsun 161 

Riisca 211 

Rusti » 

Ruvei»uì 109 

Riixentìi 162 

RuxentJ^ia >► 

Ruzigifi 211 



Sacanó 211 

Safran 45 

SJighetta 211 

Sagrina 125 

Sagugià 22 

Saietta 123 

Salacca 211 

Sanfornia » 

Sappa 22 

Sarei * 

Sarpa 211 

Sasciu 22 

Sàura > 

Savatta 211 

Savattin . » 

Siisu 23 

Sbiàsciu 124 

Sbiffà > 

Sbrinsu 211 

Sbruggiu » 

Scabecciu 99 

Seagnettè 211 

Scagnu * 

Seamotà 127 

Scamott*'^r » 

Scamurou 211 

Seaparun » 

Scapin 212 

Scarbassa > 



— 240 — 



Scarpentà ...... pag. 212 

Scavìssà » 

Scavissu > 

Sccettu » 

Scciaffu 218 

Scciancà 212 

Scciappà » 

Scciappìn ;> 

Scciappou » 

Scciavu » 

Scciui » 

Scciiimma 213 

Scciuppfi » 

Scentà > 

Scentu » 

Scerpa y> 

Scheiìggia » 

Scheììve > 

Schifi » 

Schifitùa > 

Schiìlente » 

Schincà y. 

Schincamuri » 

Schincu » 

Schi^^sà » 

Schittà 214 

Schitta » 

Schittu » 

Scìa > 

Scià » 

Sciabeccu 45 

Scikbega » 

Sciàcà 215 

Sciacadda » 

Sciacchetrà » 

Sciagagnoù > 

Scialotta . 98 

Sciallàse 215 

Scialla » 

Sciamine 125 

Sciampradda 215 

Sciantigliuin 127 

Sciarappu 216 

Sciarbelà 215 

Sciarbella » 

Sciardi, iu » 

Sciarràse » 

Sciarroù » 

Sciata » 

Sciatu » 

Scicanata 125 

Scìgua 216 



Scigua pag. 216 

Scigùu > 

Scille > 

Sciocca » 

Sciollu » 

Sciòpu » 

Scisela 45 

Sciurbettu 216 

Scòsà > 

Scòsu » 

Scoxì » 

Scricchi )> 

Scrigni » 

Scripih'ti » 

Scripixi 217 

Scruccià 126 

Scuà, sguà 217 

ScubÉi » 

Scubba 210 

Scucusù 44 

Scuffia 217 

Sciig^Mà » 

Scundilù » 

Scurliissua 23 

Scutizzu 217 

Scutun-a » 

Semme 23 

Senciu 100 

Sequèu 217 

Séra 23 

Serra » 

Serreuia » 

Sersa 81 

Settun (in) 103 

Seùccai 23 

Seunnu » 

Sevu » 

Sexendè 217 

Sexì 131 

Sèximu 217 

Sganzìa » 

Sgarbelà 218 

Sgarbelleuia ■» 

Sgheùà 227 

Sgheuu » 

Sghindà 218 

Sgrezzu » 

Sguarà » 

Sguaru 

Sia 

Siasà 

Siasu 



» 
123 

» 




— 241 — 



Sillft pag. 218 

Sinsèia » 

Sleppa » 

Smangia 126 

Smangiaxun » 

Smeùggia 218 

Sotta 219 

Spatar&se » 

Spegassà » 

Spegassin » 

Spegassu > 

Spegetti > 

Spelinsigà » 

Spelinsigun > 

Sperunsìu > 

Spiddu [ j, 

Spippuu > 

Spruinà > 

Spruin y^ 

Spuà 23 

Spuncià 219 

Spunciun > 

Spunzia 2:i 

Spurtiggeùa 220 

Spusagge . 121 

Squaccin 22 

Squòu 220 

Stacca > 

Stacchetta » 

Stazà • )► 

Stazadù » 

àStazza > 

Stiggiu » 

Stoccà » 

Stocchefisce » 

Stocchèsu » 

Stoccu » 

Stracuà » 

Straccùu » 

Strafalaiu » 

Stragift 221 

Straggiu > 

Straggiun » 

Stralabià » 

Stralatà » 

Stralattun >> 

Straleuggiu » 

Straman >» 

Strambaelun * 

Stramesci » 

Stramuà » 

Stramùu » 

16 



Strapiccu pag. 221 

Strapunta » 

Strapunto » 

Strassà » 

Strassa » 

Strassun > 

Strazettu* » 

Streùppu » 

Strexìu 222 

Stria 23 

Striggià » 

Strina 222 

Strufugià » 

Strufuggiu » 

Strufuggiun » 

Strunsu » 

Stundaiu 222 

Stuppa 33 

Sua 131 

Subacà 222 

Suffu » 

Sunxa . . . .• 19 

Surfu 23 

Surve » 

SUS8& 131 

Sustu 163 



Tàa 45 

Taburè 131 

Tacunà » 

Taggia 223 

Tàgnà 155 

Tamassu 223 

Tambiiscift » 

Tanabeùzu » 

Tàncua ^ » 

Tanardu » 

Tanun » 

Tapfi » 

Tàpani » 

Tassa 45 

Tavella 223 

Teciase » 

Teiga 23 

Teloniu 223 

Tempùiu 100 

Terin-a 131 

Tesuìe 23 

Tettin 131 

Teùppia 223 

Tibba 224 



— 242 - 



Ticossà pag. 224 

Timbra 131 

Tirabusciun » 

Toccu 220 

Tòrsiu 224 

Traccagnotta » 

Trantran .• . . » 

Trappa » 

Tremeleùiu » 

Trepà » 

Treppu » 

Treùggiu » 

Trilla » 

Trinca 225 

Trifulu 131 

Troffia 225 

Trosse 131 

Trugnu 225 

Trun >► 

Tuc& » 

Tuccu » 

Tornata ...» » 

Tumaxella » 

Tumba 131 

Tunezàse 225 

Tunezzu » 

Tupè 131 

Turna 110 

Turtaieù 225 



Uatta, uèta 225 

Uifu (a) 226 

Umbrissallu > 

Unde » 

Urpe 190 



Vascellèa 226 

Ve > 

Velacciu 4 

Venin 131 

Ventraggi 127 



Verin-a pag. 226 

Verinà » 

Vertadèu 101 

Verugià 226 

Veruggiu » 

Verzella » 

Vezu » 

Vianda 227 

Viduu 23 

Vugè, cùgà 227 

Vuxe 23 



Xabò 128 

Xaloin » 

Xambun » 

Xandarme » 

Xatta » 

Xeùu 227 

Xo& » 

XoattÀ » 



Za 122 

Zànelin 227 

Zanella » 

Zebibba 45 

Zemba 227 

Zemì 128 

Zemin 227 

Zenuggian 121 

Zenziggiu 227 

Zerbin » 

Zerbu *....» 

Zimma ^ 

Zin 228 

Zin-a » 

Zinaieìì » 

Zinzanà » 

Zinzannie » 

Zabba 45 

Zunziiru Ili 

Zutta 228 



INDICE GENERALE 



Prefazione pag. v 

Parte Priua — Capo I. - Dell'origine dei Liguri. - Elemento iberico- 
basco, celtico, gennanico, greco, neir idioma ligure-genovese. - 
Come i Liguri- genovesi parlarono il latino. - Carattere del- 
l' idioma ligure-genovese 1 

Capo IL - L'idioma genovese nei secoli ii-xm: giudizio 
lii Dante su di esso. - Elemento arabo. - Rime e prose antiche 
itenovesi. - Poesie del Foglietta, del Cignla Caaero e di altri. - 
Lingua ed ortografia che usarono. - Poesie del Cavalli - di 
altri - dei De Franchi — L' idioma genovese alla fine del 
.-fìcolo svili. - Poesie del Piaggio e d'altri moderni. - Dizio- 
nari. - Voci genovesi antiche 41 

Capo ih. - L'idioma genovese odierno: affinità con la 
lingua spagnuola - provenzale • francese antica e moderna. - 

Conclusione D7 

Parte Seconda. — Cenni sulla grammatica genovese . . . . I3T 
Parte Terza. — Vocabolario etimologico genovese 15!l 

Indice delle voci registrate nel Vocabolario etimologico, e di 
altre compreso in particolari elenchi nella Parte Prima del- 
l'opera 229 

Errata-(