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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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DIZIONARIO 

DI  ERUDIZIONE 

STORICO-ECGLESIASTICA 

DA  S.  PIETRO  SIINO  AI  NOSTRI  GIORNI 

SPECIALMENTE      INTORNO 

M  PRINCIPALI  SANTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI^  AI  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ  CELEBRI  SCRITTORI  ECCLESIASTICI,  AI  VARII  GRADI  DELLA  GERARCHIA 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA,  ALLE  CITTA  PATRIARCALI,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONCILII  ,  ALLE  FESTE  PIÙ  SOLENNI, 
AI  RITI,  ALLE  CEREMONIE  SACRE,  ALLE  CAPPELLE  PAPALI,  C  ARTÌINALIZIE  E 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI^  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NON 
CHE    ALLA    CORTE   E   CURIA   ROMANA    ED  ALLA   FAMIGLIA    PONTIFICIA,   EC.    EC.    EC. 

COMPILAZIONE 

DEL  CAVALIERE  GAETANO  MORONI  ROMANO 

PRIMO  AIUTANTE  DI  CAMERA  DI  SUA  SANTITÀ 

GREGORIO      XVL 


AOL.  XIII. 


IN    VENEZIA 

DALLA      TIPOGRAFIA      EMILIANA 
M  D  C  C  C  X  L  I  I. 


DIZIONARIO 


DI  ERUDIZIONE 


STORICO-ECCLESIASTICA 


■*^®m" 


C 


CHI 

S.  Pietro  in  Vinculis,  hasìlìca  Eu- 
dossiana,  titolo  Cardinalizio ,  in 
cura  de  canonici  regolari  latera- 
nensi,  nel  rione  Monti. 


I. 


lI  monte  Esquilino  è  il  più  lun- 
go, e  più  largo  de'  monti  Palatino, 
Capitolino,  Celio,  Quirinale,  e  Vimi- 
nale. Si  disse  Esquilino  da  quisqui- 
liOj  vocabolo  latino,  che  significa 
esca,  pei'  la  caccia  di  uccelli,  che 
ivi  facevasi,  pei  molti  nidi,  cui  ave- 
vano ne'  boschetti  del  monte.  Altri 
però  fanno  derivare  il  nome  di  E- 
squilino  dalle  Esquilie,  eh'  erano  i 
campi  ove  anticamente  bruciavansi 
i  cadaveri,  per  raccoglierne  le  cene- 
ri in  vasi  di  creta.  Sul  lato  meri- 
dionale di  questo  monte,  e  nella 
contrada  delta  delle  Carine,  dalla 
forma  d' tma  bai'ca  rovesciata ,  e 
precisamente  sugli  avanzi  del  pa- 
lazzo e  terme  di  Tito,  delle  quali 
abbiamo  sette  conserve  d'acqua  det- 
te le  Selle  Sale,  fu  edificata  questa 
aulica  ed  insigne  basilica,  una  delle 


CFII 

prime  erette  in  Roma.  Questa  e  quel- 
la di  s.  Pudenziana,  vuoisi  che  sie- 
no  state  le  prime  ad  essere  ivi  con- 
sagrate. 

Se  grande  fu  la  venerazione  dei 
fedeli  per  le  catene  de'  martiri,  mol- 
to maggiore  doveva  essere  per  quel- 
le, che  avvinsero  il  principe  degli 
apostoli  s.  Pietro.  Avendosi  detto 
all'  articolo  Cate>-e  di  s.  Pietro,  del- 
la loro  invenzione,  e  dei  pregi  loro, 
ci  limiteremo  qui  a  ripetere  ciò  che 
riguarda  l'origine  di  questa  basili- 
ca, la  quale  dedicata  ,  secondo  al- 
cuni^ al  Salvatore,  fu  poscia  destinata 
ad  onorare  il  primo  fra  i  romani  Pon- 
tefici, e  a  custodire  s'i  preziose  reliquie 
dei  suoi  travagh  e  patimenti.  Questa 
chiesa  pertanto,  secondo  la  tradizio- 
ne, vuoisi  eretta  o  rinnovata  sul 
colle  Esquilino  ,  giacché  vi  fu  chi 
ne  attribuì  l' erezione  a  s.  Pietro 
stesso,  da  Teodora  nobilissima  ma- 
trona romana,  sorella  del  prefetto  di 
Roma  s.  Ermete.  Per  avervi  poi  il 
Pontefice  s.  Alessandro  I,  creato  nel- 
l'anno I  2  I ,  riposte  le  catene  colle  qua- 


e  CHI 

li  in  Roma  fa  stielto  s.  Pietro,  que- 
sta chiesa  prese  la  denominazione  di 
s.  Pietro  in  VincuUs,  e  fu  dal  det- 
to Papa  consagrata  il  primo  giorno 
di  agosto.  Tuttavolta  è  indidjitato, 
ch'essa  verso  la  metà  del  quinto  se- 
colo fu  ridotta  in  modo  maestoso  e 
pel  medesimo  oggetto;  dappoiché  ri- 
cevendo r  imperatrice  Eudossia  mo- 
glie di  Teodosio  il  Giovane,  nel  4^9! 
da  Giovenale  vescovo  di  Gerusalem- 
me, ove  erasi  portata  in  pio  pelle- 
grinaggio, e  in  premio  delle  limo- 
si ne  ivi  fatte,  non  solo  diverse  re- 
liquie, ma  anche  le  due  catene  con 
cui  fu  avvinto  s.  Pietro  in  quella 
città  per  ordine  di  Erode,  una  ne 
ripose  in  Costantinopoli,  e  1'  altra  la 
mandò  in  Roma  alla  sua  figlia  pur 
chiamata  Eudossia,  moglie  di  Valen- 
tiniaiio  111,  la  quale  subito  volle  por- 
la nel  tempio  situato  sull'  Esquilino, 
ovvero  per  questa  circostanza  da  lei 
riedificato  in  onore  di  s.  Pietro.  Go- 
•vernando  poi  in  tal  tempo  la  Chie- 
sa universale  s.  Sisto  ili,  egli  nel 
di  primo  di  agosto  vide  il  mira- 
colo, che  la  catena  donala  da  Eu- 
dossia si  congiunse  con  quella,  la 
quale  già  custodivasi  nella  mede- 
sima chiesa,  formandosi  una  sola 
catena.  Quindi,  e  per  la  dedicazio- 
ne di  essa,  e  pel  prodigio  avvenu- 
to in  detto  giorno ,  il  medesimo  s. 
Sisto  III  ne  stabili  la  festa. 

Alcuni  autori  raccontano  esse- 
re questo  prodigio  accaduto  inve- 
ce all'  immediato  suo  successore  s. 
Leone  I  ,  il  quale  volendo  con- 
frontare la  catena  di  Roma  con 
quella  di  Gerusalemme,  ambedue 
prodigiosamente  si  riunirono ,  e , 
come  vuole  il  Panciroli,  pag.  691, 
quel  Pontefice  annoverò  la  chie- 
sa tra  i  titoli  Cardinalizi.  Certo 
è  che  le  due  catene  nel  VI  secolo 
già   vencravansi  in     questa     chiesa , 


CHI 

come  dicemmo  al  citalf)  articolo. 
Per  quanto  poi  operò  a  di  lei  lustro  e 
vantaggio  l' imperatrice  Eudossia,  fu 
detta  basilica  Kuclossiana.  Di  que- 
sta basilica^  delle  lodi  che  delle  ca- 
tene di  s.  Pietro  fece  s.  Agostino, 
e  della  grande  loro  venerazione,  è 
a  vedersi  il  Piazza,  Gerarchia  Car- 
dinalizia, pag.  5o8,  e  seg.,  mentre 
a  pag.  5i  I  riporta  le  testimonianze 
di  vari  autori,  i  quali  sono  di  opi- 
nione essere  la  chiesa  di  s.  Pietro  in 
Fincidis  la  prima  fabbricata  in  Eu- 
ropa, e  da  s.  Pietro  stesso,  ad  onore 
del  Salvatore. 

In  questa  chiesa,  ai  3 1  dicembre 
dell'  anno  532,  fu  creato  Papa  s. 
Giovanni  li;  in  essa  anticamente 
nel  mercoledì  delle  quattro  tempo- 
ra dell'  avvento  si  faceva  dal  clero 
romano  la  colletta,  e  di  qua  proces- 
sionalmente  recavasi  a  s.  Maria  mag- 
giore col  Papa,  che  ivi  poi  cantava 
la  messa,  dopo  aver  nominato  (juei 
che  nel  sabbato  seguente  dovevano 
ordinarsi  ;  ed  in  questa  chiesa  Pe- 
lagio 1  del  555,  colle  sue  mani  po- 
se sotto  r  altare  maggiore,  i  corpi 
de' sette  fratelli  INIaccabei,  trasferiti 
da  altra  chiesa  di  Roma_,  di  cui 
scrissero  tanti  elogi  i  santi  padri , 
massime  s.  Leone  l.  Papa  s.  Gre- 
gorio I  vi  pose  la  stazione,  che  ce- 
lebrasi nel  lunedì  dopo  la  prima  do- 
menica di  quaresima.  Si  celebra  qui 
ancora  la  festa  di  s.  Sebastiano,  per 
im  altare,  che  a  lui  fu  eretto  nel- 
r  anno  G80  per  voto  de' romani  af- 
flitti da  una  pestilenza,  e  pel  di  lui 
patrocinio  dai  medesimi  sperimen- 
tato, come  riporta  il  Piazza  a  pag. 
5i3. 

Adriano  I  restaurò  la  basilica , 
ove  ai  2  agosto  del  loS?,  con  una- 
nime consenso,  e  per  acclamazione 
fu  eletto  Stefano  detto  X.  Poco  do- 
po, e  ai   22  aprile  del    1070,  vi  fu 


CHI 

pure  creato  Papa,  con  unanime  vo- 
lere del  popolo  e  del  clei'o,  s.  Gre- 
gorio VII  romano,  cioè    mentre    si 
celebravano   l' esequie  del   predeces- 
sore nella  basilica  lateranense,  laon- 
de questo  Pontefice  con  animo  ge- 
neroso si  diede  a  restaurare,  ed  ab- 
bellire la  chiesa  di  s.  Pietro  in  Viii~ 
culis.     Senza    mentovare    gli    altri 
Pontefici,    che  in   diversi    tempi    la 
restaurarono,  e  i  Cardinali    titolari, 
fra  cui  il  celebre  Cardinal  di  Cusa, 
diremo  che    avendo    Paolo    II,    nel 
1467,  creato  Cardinale,  e  dato  que- 
sto titolo  a  Francesco    della    Rove- 
re (il  quale  divenuto    nel   i^ji    di 
lui    successsore  col    nome    di    Sisto 
IV,   fece    fare    la  volta   della    nave 
travei-sa  alla  basilica),  la  beneficò  in 
diversi   modi,    e    facendo    nell'anno 
stesso    Cardinale    il    di    lui    nipote 
Giuliano  della  Rovere,  gli  diede  il 
medesimo  titolo.  Questi,  nel  1489, 
ottenne  da  Innocenzo  Vili,  che  tras- 
ferendo altrove  i  religiosi  di  s.  Am- 
brogio ad  Nenius,  venissero  accor- 
dati la  chiesa  e  il   contiguo    moni- 
stero,    a'  canonici    regolari    del   ss. 
Salvatore  in  Selva    [Vedi),   di    cui 
il  Cardinale  era  protettoi'e,  e  dive- 
nuto egli  nel    i5o3   sommo    Ponte- 
fice col  nome  di  Giulio  lì,  donò  ai 
canonici  regolari  l' annesso    palazzo 
dei  Cardinali  titolari,  architettato  da 
Giuliano  da  Sangallo  ;    quindi    con 
magnificenza  e  con  disegno  di  Bac- 
cio Pintelli  restaurò  ed    abbelb    la 
chiesa,  erigendovi  il  bel  portico.  Ta- 
le e  tanto  poi  fu  il    suo    amore    e 
la  sua  venei'azione  verso  di  essa,  che 
morendo  ordinò  di   esservi    sepolto, 
nel  sontuoso  monumento  commesso 
a  Michelangelo    Buonarroti.    Questi 
per  mancanza    delle    somme    occor- 
renti, e  distratto  dalla  dipintura  del 
giudizio  universale  nella  cappella  Si- 
slina,  eseguì  solo  una  parte  del  mo- 


CHI  7 

numento,  il  quale  fu  collocato  nel 
lato  destro  della  nave  della  crociera,  e 
invece  di  essere  quasi  quadrato,  iso- 
lato, e  decorato  da  quaranta  statue, 
fece  solo  quello,  che  si  vede  in  for- 
me più  ristrette,  appoggiato  al  mu- 
ro, colla  statua  colossale  di  Mosè, 
riputata  opera  immortale  e  capo  la- 
voro del  grande  artista,  mentre  le 
altre  statue  che  lo  adornano,  furo- 
no scolpite  da  Raffaele  da  Monte 
Lupo.  Le  ceneri  poi  di  Giulio  II 
rimasero  nella  basilica  vaticana  nel- 
le sue  grotte,  ovvero  presso  quelle 
dello  zio  Sisto  IV.  y.  Francesco 
Cancellieri,  Lettera  sopra  la  statua 
eli  Mosè  di  Buonarrolij  Firenze 
1828. 

Altro  benemerito  titolare  fu  il 
Cardinal  Alessandro  de  Medici,  che 
nel  i6o5  ascese  la  veneranda  cat- 
tedra apostolica  col  nome  di  Leone 
XI.  Ne  fu  benefattore  il  Cardinal 
Benedetto  Odescalchi,  poi  Pontefice 
Innocenzo  XI;  quindi  Clemente  XI, 
nel  1706,  creò  Cardinale  prete  di 
s.  Susanna,  Lorenzo  Corsini,  il  qua- 
le poscia  otto,  ed  ebbe  questa  chie- 
sa titolare,  divenendo  nel  1730  Pa- 
pa Clemente  XII.  Siccome  le  cate- 
ne si  custodiscono  nella  sagrestia, 
in  una  cavità,  che  viene  coper- 
ta da  due  sportelli  lavorati  in  bron- 
zo, opera  esimia  dei  fratelli  Polla- 
juoli,  le  tre  chiavi  che  ne  chiudono  la 
custodia,  sono  tenute  da  tre;  cioè  pel 
Poutelìce,  presso  il  maggiordomo,  il 
Cardinal  litolare,  e  l' abbate  di  s. 
Pietro  in  Vincoli,  In  venerazione  di 
sì  sagre  reliquie,  nel  I743j  Bene- 
detto XIV  stabdìj  che  nel  quinto 
giorno  dell'  ottava  della  festa  dei 
ss.  Pietro  e  Paolo,  iu  questa  basi- 
lica si  celebrasse  messa  con  ponti- 
ficale, e  l'assistenza  de' prelati  chie- 
rici della  reverenda  camera  aposto- 
lica.  11  detto  Pontefice,   nel     i7)3j 


8  CHI 

ere?)  CnrJinnlc,  e  conferì  questo  li- 
tolo,  a  d.  Antonio  Galli,  giìi  cano- 
nico jegolare  e  professore  di  teolo- 
f:;ia  nell'annessa  canonica,  il  quale 
non  solo  riuiodernò,  e  abbellì  la 
cliiesa,  ma  risarcì  il  monistero,  e  vi 
aumentò  grandemente  la  biblioteca, 
fondata  già  dal  p.  abljate  Mengio  , 
arricchita  dal  p.  ab.  Monsagrati  di 
pregevolissime  edizioni,  e  finalmente 
dopo  i  canonici  p.  ab.  del  Signore,  e 
Busiri,  restaurata  tutta  ed  accresciuta 
dal  p.  ab.  Tizzanij  il  quale  vi  ha 
aggiunto  un  altro  ambiente  giù 
pieno  di  preziose  opere,  per  cui  ò 
ora  una  delle  più  scelte  biblioteche 
di  Roma. 

11  suo  bel  portico  con  cancelli  di 
ferro,  il  cui  soflltto  fu  i-ifatto  per 
opera  del  Cardinale  Antonio  Doria 
titolare,  si  compone  di  cinque  ar- 
chi. L'interno  della  chiesa  è  a  tre 
navi  divise  da  ventidue  colonne, 
due  di  granito,  e  le  altre  di  marmo 
bianco  parlo  scanalate  d'ordine  do- 
rico, ben  conservate,  e  di  circa  die- 
ci palmi  di  diametro.  La  tribuna,  e 
l'altare  maggiore  isolato  vennero 
eretti  ed  adornati  dal  padre  abbate 
Raffaele  Campioni  generale  de'  ca- 
nonici regolari,  essendo  le  pitture 
della  tribuna,  rappresentanti  nella 
parte  superiore  il  miracolo  avvenu- 
to in  Berito  di  un  Crocefisso,  che 
trovandosi  in  casa  di  un  ebreo,  e 
da  lui  conculcato,  con  istupore  di 
tutti  si  vide  emanare  sangue  dal 
sagro  costato,  come  ripoita  s.  Ata- 
nasio. Nella  parte  inferioi'e  della 
tribuna  poi  sono  espressi  dei  fatti 
relativi  a  s.  Pietro,  e  alle  s.  catene. 
Nel  1706,  e  nel  i835  queste  pit- 
ture furono  ristorate. 

Nelle  cappelle  vi  sono  pregevoli 
dipinti;  in  quella  di  s.  Sebastiano,  lì 
musaico  che  il  rappresenta,  rimonta 
all'erezione  dell'altare,  cioè  al  setti- 


CIII 

mo  secolo,  ed  ò.  unico  nel  suo  ge- 
nere, perchè  espresso  colla  barha. 
Il  soifitto  della  basilica  nel  170') 
con  disegno  dell'  architetto  Carlo 
Fojitana  ,  fu  rifatto  per  opera 
del  principe  Giambattista  Pamphi- 
ly  ,  mentre  il  Cardinal  Marcel- 
lo Durazzo  titolare,  nel  mezzo  del- 
la volta  a  sue  spese  fece  dipinge- 
re oltre  altri  ornamenti  un  (pia- 
dro  dal  genovese  Paroli,  cioè  la  li- 
berazione di  un'  indemoniata  per 
mezzo  delle  catene  di  s.  Pietro  : 
questo  quadro  è  d'  una  grandezza 
straordinaria. 

Tra  i  personaggi  quivi  sepolti , 
e  i  belli  depositi  che  vi  sono,  van- 
no rammentati  quelli  dei  Cardina- 
li IMargotti ,  e  Agucchi,  i  di  cui 
ritratti  somigliantissimi  sono  dipinti 
dal  Domenichino  eseguiti  in  pietra 
lavagna  ;  di  Giulio  Clovio  canonico 
regolare  di  questa  chiesa,  autore  di 
stupende  miniature,  e  di  Pietro  ed 
Antonio  Pollajuoli,  celebri  scultoi'i  in 
bronzo. 

Finalmente  sino  dal  i63o  il  se- 
nato romano  nel  dì  primo  di  ago- 
sto offre  all'  altare  di  s.  Sebastiano 
un  calice  di  argento,  e  quattro  tor- 
cie  di  cei-a .  Urbano  Vili  in  tempo 
di  peste,  sostituì  questa  basilica  al- 
la patriarcale  di  s.  Lorenzo  fuori 
le  mura,  nella  visita  delle  sette 
chiese.  Le  sagre  catene  si  espongo- 
no nella  suddetta  cappella  prelati- 
zia, e  nel  giorno  della  loro  festa,  e 
per  tutta  la  sua  ottava;  e  da  ultimo 
nella  contigua  canonica  nel  1823  si 
unirono  le  due  congregazioni  dei 
canonici  regolari  lateranesi  ,  con 
quelli  del  ss.  Salvatore  della  con- 
gregazione renana  ,  cui  in  avanti 
apparteneva,  e  vi  fu  aperto  un  con- 
vitto di  educazione,  che  fiorisce  con 
singoiar  vantaggio  della  gioventù,  e 
con  singoiar  decoro  di  ({uegli  csem- 


CHI 

plari  canonici.  Nel  chiostro  contiguo 
alla  basilica  si  ammira  una  superba 
cisterna  di  IMichelangclo,  capo  lavo- 
ro in  simil  genere.  Questo  chiostro, 
che  è  uno  dei  più  graziosi  di  Roma, 
è  stato  restaurato  ed  abbellito  dal 
p.  ab,  d.  Vincenzo  Tizzani  romano, 
attuale  procuratore  generale  dei 
suddetti  canonici  regolari,  il  quale 
non  solo  fece  tre  onorevoli  iscrizioni 
ai  tre  ultimi  distinti  canonici  rego- 
lari defonti,  Garofali,  del  Signore,  e 
Busiri,  sepolti  nella  basilica,  ma  è  a 
desiderarsi  che  in  essa  ponga  pure 
una  memoria  al  gran  Cardinale 
Sadoleto  che  ne  fu  titolare,  giac- 
ché in  essa  l'iposano  le  sue  spoglie 
mortali ,  sebbene  ciò  da  molti  si 
ignori. 

iS".  Prasscde  titolo  Cardinalìzio ,  in 
cura  de'  monaci  Pallond/rosani, 
nel  rione  Monti. 

Sul  monte  Esquilino,  poco  lungi 
di  s.  Maria  Maggiore,  si  vede  que- 
sta chiesa  eretta  presso  le  terme  di 
No\'ato  nel  vico  Laterizio,  e  nella 
stessa  casa  della  santa,  dal  Pontefi- 
ce s.  Pio  I,  eletto  nell'anno  i58, 
di  che  fa  pure  menzione  il  b. 
Pastore  fratello  del  Papa.  Dagli  at- 
ti di  s.  Prasscde  nobilissima  roma- 
na si  rileva,  che  avendo  notizia 
l' imperatore  Antonino,  che  in  questa 
sua  casa  essa  sostentava  molti  cristia- 
ni nella  persecuzione,  oi'dinò  che  ivi 
si  uccidessero,  laonde  vi  patirono  il 
martirio  s.  Simmetrio  prete,  con 
altri  ventidue  cristiani,  i  corpi  dei 
quali  s.  Pi-assede  di  notte  portò  a 
seppellire  nel  cimitcrio  di  s.  Pri- 
scilla. Ancora  nel  mezzo  della  chie- 
sa si  vede  un  pozzo,  ove  la  santa 
gettava  il  sangue  de' martiri,  cui 
andava  raccogliendo  con  ispugna,  ma 
non   [loteiido  più  reggere  alle  inau- 


Clil  9 

dite  loro  stragi,  supplicò  Dio  che 
la  facesse  morire,  ed  esaudita  ripo- 
sò in  pace,  e  fu  sepolta  nel  mede- 
simo luogo.  Già  nel  499  ^'^'^  ^'^ 
chiesa  titolo  presbiterale  Cardinali- 
zio, e  veniva  detto  in  Romano,  dap- 
poiché nel  concilio  celebrato  in  quel- 
r  anno  da  Papa  s.  Simmaco,  si  fa 
menzione  di  Celio  arciprete  Cardi- 
nale, e  Pietro  prete  di  questo  titolo, 
che  si  sottoscrissero  al  concilio.  Anzi 
si  ha  dal  Novaes,  tomo  I,  p.  197, 
che  neir  elezione  di  Papa  s.  Sim- 
maco, nel  49^5  insorse  l'antipapa 
Lorenzo  arciprete  Cardinale  di  s. 
Prassede,  spalleggiato  dal  senatore 
di  Roma  Festo.  In  seguito  fu  con- 
cesso al  Cardinal  titolare,  di  cele- 
brare la  messa  neh'  altare  papale 
della  patriarcale  basilica  di  s.  Loren- 
zo fuori  le  mura,  in  ogni  domeni- 
ca, perchè  fu  dichiarato  addetto  al 
servizio  ebdomadario  di  quella  chiesa. 
Anastasio  bibliotecario  l'acconla, 
che  la  prima  restaurazione  di  que- 
sta antichissima  chiesa  si  deve  a  s. 
Adriano  I,  il  quale  fu  assunto  al  pon- 
tificato nel  772.  Il  di  lui  successore 
s.  Leone  III  fece  prete  Cardinale  di 
s.  Prassede,  s.  Pasquale  I,  che  ven- 
ne creato  Papa  l'anno  817.  PSel- 
l'anno  precedente  1' antecessore  Ste- 
fano IV  detto  V  contiguo  alla  chie- 
sa fondò  im  monistero,  e  vi  pose 
una  congregazione  di  monaci  greci , 
ch'erano  fuggiti  dall'oriente  perle 
note  persecuzioni,  acciò  secondo  il 
loro  rito  vi  salmeggiassero  tanto  di 
giorno  che  di  notte.  Quindi  s.  Pa- 
squale I,  siccome  divolissimo  di  s. 
Prassede,  e  di  questa  chiesa,  in  cui 
spesso  passava  tutta  la  notte  in  ora- 
zione, volle  ingrandirla,  ed  adornarla 
co' musaici  della  tribuna,  e  dell'ar- 
co maggioi'e.  In  questo  si  vede  ef- 
figiata, secondo  l'  Apocalisse,  la  città 
santa  cogli  eletti,  e  gli  angeli,   che 


IO  CHI 

ne  vegliano  alla  custodia  ;  mentre 
nella  iVonte  dell' abside  è  liguralu 
il  mistico  agnello,  cui  rendono  omag- 
gio i  ventiquattro  seniori.  L'  abside 
Ila  il  Salvatore  con  diversi  santi , 
leggendosi  di  sotto  i  seguenti  versi  : 

Eniicat  aula  pia  vanis  decorata 

metalli  s 
Praxedis    Domino    super    aelhra 

placends  lioiiore 
PoiUiflcis  Snmmi  studio  Paschalis 

alnmni 
Sedis    Apostolicae ,    passini    (pd 

rorpora  condens. 
Plurima    sanctorum    subter   hacc 

inoenia  ponit 
Festiis ,    ut    his    limen     mercatur 

adire  pò  lo  rum. 

la  oltre  s.  Pasquale  I  vi  collocò 
il  ritratto  di  s.  Pietro  eseguito  in 
musaico,  presso  quello  che  conser- 
vava s.  Silvestro  I,  fatto  già  copia- 
re da  Sisto  III  nella  basilica  Libe- 
riana. Sopra  r  altare  principale  fece 
un  ciborio  d' argento  di  libbre  ot- 
tocento dieci,  ed  vm  regno  o  corona 
d'  oro  con  molte  gioje.  Ornò  la  con- 
fessione ov' è  il  corpo  della  santa 
con  lamine  di  argento  di  libbre 
cento.  Vi  trasportò  da  diversi  cimi- 
teri molti  corpi  de'  santi  martiri 
sino  al  numero  di  duemila  e  tre- 
cento, o  duecento  trenta,  come  dice 
il  Venuti,  oltre  quelli,  che  vi  avea 
liposti  s.  Prassede.  Oltre  a  ciò  s. 
Pasquale  I,  dal  cimilerio  di  Priscilla 
tolse  il  corpo  di  Papa  s.  Silicio,  e 
poi  quello  del  Pontefice  s.  Celestino  I, 
e  in  questa  chiesa  ambedue  li  collo- 
cò, ove  poi  il  di  lui  successore  Euge- 
nio II  neir  824  trasportò  il  corpo 
del  niedcbimo  s.   Pasquale  I. 

Nella  stessa  chiesa  eresse  s.  Pas- 
quale 1  la  cuppella  od  oratorio  in 
onore  di  s.    Zenone    martire,    e    \i 


CHI 
ripose  il  suo  corpo,  e  quello  di  s. 
A  aleulino,  decorandola  entro,  e  fuori 
di  bellissimi  musaici,  che  ancora  si 
v("dono,  fra  i  quali  un'  antica  im- 
magine della  b.  Vergine,  col  s.  Bam- 
bino in  biaccio,  clie  si  venera  sull'al- 
tare, il  (piale  è  decoralo  di  due  colon- 
ne di  akdjastro  orientale.  Si  chiamò 
la  cappella  Orto  del  paradiso,  ed 
anco  s.  Maria  Ubera  nos  a  poe/iis 
iiifcrid,  così  detta  perchè  ivi  cele- 
brando s.  Pasfjuale  I  la  messa  per 
suiliagare  l'anima  di  un  suo  nipote 
defunto,  la  vide  portata  in  cielo 
dalla  Madonna.  Ed  è  pei'ciòche  pri- 
vilegiato n'è  l'altare,  ed  in  essa 
non  entrano  mai  le  donne,  essen- 
dovi pena  di  scomunica,  meno  al- 
cuni giorni  dell'anno.  Poi  diremo 
della  .s.  Colonna  che  si  custodisce, 
per  cui  è  chiamata  anco  la  Cap- 
pella della  santa  Colomia,  e  degli 
ulteriori  suoi  abbellimenti.  Sulla  por- 
ta si  legge  la  seguente  iscrizione  : 

Paschalis  praesulis  opus  dccor  fui' 

gel  in  aula, 
Quod   pia    ohtulit    vota    studuit 

reddere  Deo. 

Mentre  nel  1 1 1 8  celebrava  in 
questa  chiesa  il  venerando  Pontefi- 
ce Gelasio  II,  nel  dì  della  festa,  ed 
a  richiesta  di  Desiderio  Cardinal  ti- 
tolare, dalla  fazione  di  Leone,  e 
Cencio  Frangipane  fautori  di  Eurico 
V,  fu  sacrilegamente  maltrattato , 
ma  prendendone  le  difese  il  suo  ni- 
pote Crescenzio  Gaetano,  colle  no- 
bili famiglie  de' Corsi,  e  de' Nor- 
manni ,  dopo  serio  combattimento 
sulle  porte  della  chiesa,  riuscì  al 
Papa  di  fuggire  nei  campi  presso 
s.  Paolo  ,  donde  si  recò  a  Pisa. 
Poco  dipoi  il  Cardinal  Lamberto 
di  lagnano,  denominato  Scannabec- 
chij    già    titolare   della    chiesa,    nel 


CHI 

1124}  divenne  Papa  col  come  di 
Onorio  II  ;  ed  il  Cardinale  titolare 
Ubaldo  AlUicignoli,  nel  1181,  fu 
sollevato  al  pontificato  col  nome  di 
Lucio  III. 

Sotto  Papa  Innocenzo  III,   eletto 
nel    1198,   ottennero  la   chiesa   col 
contiguo    monistero  i    monaci    T"  al- 
lomhrosani    (Vedi),  che  tuttora    la 
iifiìciano.  Alcuni  vogliono  che  da  que- 
sto monistero  uscisse   il    gran   Pon- 
tiiflce  Gregorio  VII,  il  cpiale  ivi  fu 
monaco,  come   lo    furono    altri,  che 
divennero  Papi.  Nel    ilio  nel  pon- 
tificato di  Onorio  III,  mentre  n'era 
titolare  e  benefattore  insigne  il  Car- 
dinal Giovanni  Colonna,  legato  apo- 
stolico   e    condottiero    dell'  esercito 
crociato  nella  guerra  di  Soria,    es- 
sendo passato  per  divozione  a   Ge- 
rusalemme, cadde  in  potere  de' sa- 
raceni,   che    dopo    averlo    straziato 
con    tormenti,   lo    volevano    segare 
vivo;   ma  atterriti  dallo    splendore, 
che    improvvisamente    tramandò    il 
suo  volto,  cambiato  l'odio  in  rispetto, 
gli  donarono  la  colonna  di  dias>pro 
sanguigno     sulla    quale    fu    legato , 
quando   fu  flagellato,   Gesù  Cristo.  Il 
Cardinale  la  portò  a  lloma  donan- 
dola a  questa  chiesa,     e    fu    collo- 
cata    nella     suddetta  cappella  di  s. 
Zenone.   Altri  dicono  che  il   Cardi- 
nale ebbe  si  preziosa  colonna  come 
preda  fatta  ai  nemici,  ed  il  Piazza, 
//   santuario    romano    parte    II,    p. 
i68  dice,  che  la  colonna  a'  tempi  di 
s.   Girolamo    con    altre    colonne    fu 
posta     a     reggere    il     portico    della 
chiesa  del    monte     Sion,    ov'era    il 
Cenacolo  del  Signore,  e  si    vedeva 
spruzzata  del  suo  prezioso    sangue; 
quindi  a'  tempi    del    ven.    Beda    fu 
posta  nel     mezzo  di    quella    i:hiesa. 
Dice  poi  ancora,  che   la  presente  è 
un  pezzo,  ovvero  la    metà   dell'  an- 
tica. 


CHI  II 

Questa     colonna,   eh'  è    alta    tre 
palmi,  riscuote  grandissima  venera- 
zione ;  e  monsignor  Ciriaco  Lancet- 
ta uditore  di  Rota  ne  decorò  il  luogo 
dove  è  riposta,  elevandola  iu  modo 
conveniente.  Ael   1775   il    Cardinal 
titolare  Delle  Lanze  restaurò  di  nuo- 
vo questa  cappella.   Nicolò  IV ,  che 
regnò  dall'anno    1288  al   1292,  se- 
condo   Novaes    t.  IV,    p.   78,  abitò 
presso   questa  chiesa  ;    tanto  confer- 
ma il  Cancellieri,  nella  Lctlera  sul- 
Varia  di  Roma,  a  p.  37.  Nicolò  V, 
fiorito     nel    i447)    restaurò     questa 
chiesa    notabilmente.     11     Cardinale 
litolare  Vincenzo  Ciocchi  del  Monte, 
nel    i55o  fu  fatto  Papa   col    nome 
di  Giulio  III.  Per  gran  ventura  della  . 
chiesa  di  s.  Pi-assede,  Pio  IV  la  die- 
de in  titolo  nel    i564alsuo  nipote 
Cardinal  s.  Carlo  Borromeo,  il  quale 
splendidamente    la  rinnovò    ed    ab- 
bellì.  Rifece  la  faccia  esterna,  il  por- 
tico e  gli  scalini  pe'  quali  si  ascende 
alla  chiesa,  rinnovò  le  tre    navi  in- 
terne;   fece    accomodare    i    gradini 
per    salire  all'altare    maggiore,  cui 
chiuse  con  cancelli  di  marmo,  e  ba- 
laustri di   metallo;    rinnovò  i  seggi 
intorno  al  presbiterio  ;  rifece    il  ta- 
bernacolo, che  sull'altare  sostenevasi 
da  quattro  colonne    di  porfido ,    ed 
il  prospetto  esterno  del  coro  decorò 
colle  statue  delle  sante  sorelle  Pras- 
sede  e  Pudenziana,  facendo  fare  due 
poggioli   con  ornato  balaustrato  an- 
co pel  luogo  ove  si    fa  1'  ostensione 
delle  reliquie,  nel  giorno  di  pasqua 
di  risurrezione  dopo  il  vespero,  sen- 
za mentovare    altri    mighoramenti  , 
come  l'ingrandimento  del  contiguo 
monistero.   In  questa  chiesa  il  santo 
Cardinale  piìi  volte  di  notte  si  trat- 
tenne a  lungo  in  orazione,   partico- 
larmente   nella    confessione    o    cap- 
pella sotterranea  dell'altare  maggio- 
re, e  nella  cappella  della  santa  co- 


,2  CHI 

lonna.  Quivi  celebrava  spesso  la  mes- 
sa, ircilava  il  divino  ullìzio,  e  eol- 
la propria  famiglia  vi  orava,  e  fa- 
ceva la  meditazione.  Abitò  nell'an- 
nesso palazzo,  che  edificò  pel  Cartli- 
nal  titolare,  ove  in  austerissima  vita 
edificò  tutti  coir  esercizio  delle  più 
belle  virtìi.  Nella  cappella,  che  è  a 
lui  iledicala  in  (juesta  chiesa,  si  con- 
serva la  tavola  su  cui  egli  dava  da 
mangiare  ai  poveri,  e  la  sua  sedia 
pontificale,  mentre  nel  monistero  si 
custodisce  la  di  lui  mitra  ,  e  moz- 
zetta  Cardinalizia.  Anche  s.  Brigida 
era  stata  divotissima  di  qiicsta  chie- 
sa ,  come  fu  frequentata  da  s.  Fi- 
lippo Neri,  cose  tutte  che  distesa- 
mente riporta  il  Piazza  nella  sua 
Gerarchia  Cardinalizia,  trattando 
di  questo  titolo. 

Il  Cardinal  Alessandro  de  Medi- 
ci ne  fu  pure  titolare,  e  poi  nel 
i6o5  divenne  Papa  Leone  XI.  Egli 
vi  fece  molti  restauri ,  ed  abbelli- 
menti :  rifabbricò  la  sagrestia ,  fece 
dipingere  da  buoni  pennelli,  ne'  va- 
ni dei  muri  della  nave  di  mezzo , 
varie  storie  della  passione  di  Gesìi 
Cristo,  ed  architetto  dei  migliora- 
menti fu  il  celebre  Martino  Longhi. 
Anticamente  era  parrocchia,  ed  un 
monaco  adempiva  le  funzioni  di  par- 
roco. Nel  lunedì  santo  tuttora  si  ce- 
lebra da  tempo  remotissimo  la  sta- 
zione ,  come  ai  2 1  luglio  la  festa 
di  s.  Prassede.  Ove  si  conservano 
le  reliquie,  si  custodisce  un  musai- 
co coir  immagine  del  Salvatore,  do- 
nato da  s.  Pietro  al  senatore  s.  Pu- 
dente  padre  di  s.  Prassede,  col  no- 
me dell' istesso  s.  Pietro  in  lettere 
greche  ;  della  quale  immagine,  dice 
il  Severano,  in  VII  ecclcs.,  sono  stati 
levati  alcuni  pezzetti  dalla  pia  avi- 
dità dei  pellogriui.  Si  osserva  in  essa 
il  volto  di  Gesù  Ci'isto  di  viso  lun- 
go, gracile,   e  macilente,  simile  alle 


CHI 

altre  eguali  immagini,  che  si  veggono 
in  Roma,  ed  in  molto  altre  parti  del- 
la cristianità.  13i  questa  venerabile  fi- 
gura fa  menzione  il  Liudano,  Apo- 
log.  prò  TÀlurg.  s.  Falri ,  cap.  17. 
Per  im  antico  portico  adorno  di 
due  colonne  si  ascende  alla  chiesa: 
essa  si  apre  in  tre  navate  separate 
da  sedici  colonne  di  granito.  La  tri- 
buna è  in  alto,  e  vi  si  ascende  per 
una  doppia  scala ,  i  di  cui  gradi- 
ni sono  di  rosso  antico ,  e  vengo- 
no tenuti  rarissimi  per  la  gran- 
dezza dei  massi.  L' altare  maggiore 
fu  ridotto  nella  forma  che  si  vede, 
dalla  generosità  del  Cardinal  Pico 
de'  duchi  della  Mirandola  nel  de- 
corso secolo,  servendosi  dell'architet- 
to Ferrari.  Esso  è  isolato,  e  coperto 
da  un  baldacchino,  che  vien  sostenu- 
to dalle  mentovate  colonne  di  por- 
fido. Nel  presbiterio  fra  l'arcone,  e 
la  suddescritta  tribuna,  reggono  due 
coretti  fatti  erigere  da  s.  Carlo,  sei 
belle  colonne  di  marmo  bianco,  con 
scanalature  rastremate ,  fogliami  e 
capitelli  analoghi  di  grottesco  stile. 
Le  cappelle  sono  decorate  di  mar- 
mi, e  di  diversi  buoni  dipinti,  e  tra 
i  depositi  va  rammentato  quello  del 
Cardinal  Cetivo,  pel  merito  artisti- 
co. Nella  sagrestia  ammirasi  la  ce- 
lebre tavola  della  flagellazione,  di 
Giulio  Romano.  Il  campanile  di 
questa  chiesa  viene  descritto  e  ce- 
lebrato da  Francesco  Cancellieri , 
nelle  sue  Campane  a  pag.  i36.  Ai 
21  luglio,  festa  della  santa  titolare, 
il  senato  romano  in  ogni  quadrien- 
nio la  1'  offerta  di  un  calice  di  ar- 
gento con  sua  patena,  e  quattro  tor- 
cie  di  cera. 

S.  Prisca,  titolo  Cardiìializìo  in  cu- 
ra degli  Agostiniani,  sul  monte 
Aventino  nel  rione  Trastevere. 

Nella    parte   dell'  Aventino,   che 


CHI 
guarda  vci'so  oriente,  è  posfa^  questa 
chiesa ,  ove  si  vuole  che  fosse  un 
tempio  dedicato  a  Diana,  ovvero,  se- 
condo altri,  ad  Ercole.  Alcuni  pre- 
tendono esservi  state  le  terme  del- 
l' imperatore  Dccio.  Gli  antichi  fa- 
volosamente narrano,  che  in  questa 
paite  dell'Aventino  fosse  la  grotta 
di  Fauno,  e  di  Pico  con  una  fonte, 
in  cui  Numa  Pompilio  pose  del  vino 
per  inebriarli,  e  riportano  la  favola  di 
Evandro,  di  Ercole,  e  di  Giove  Elicio, 
cose  che  si  spiegano  da  que'  versi,  i 
quali  leggonsi  nella  chiesa  a  mano  si- 
nistra dell'altare  maggiore,  e  furono 
ivi  posti  da  Papa  Calisto  III,  Dai  me- 
desimi versi  pur  rilevasi,  che  s.  Pie- 
tro mentre  fu  in  Roma,  per  alcun 
tempo  abitò  in  questo  luogo ,  e  vi 
celebrò  la  messa,  battezzandovi  molti 
convertiti  alla  fede.  Anzi  alcuni  as- 
seriscono che  nel  luogo  di  questa 
chiesa,  ch'era  la  casa  dei  santi  coniu- 
gi Aquila  e  Priscilla ,  s.  Pietro  vi 
passò  prima  di  i-ecarsi  nella  casa  di 
Pudente.  Si  conserva  ancora  il  fon- 
te dell'acqua  colla  quale  battezzava, 
e  fra  quelli  che  furono  ammessi  al 
sagro  lavacro,  vi  furono  i  detti  due 
coniugi  ospiti  di  s.  Pietro ,  i  quali 
ricettarono  nella  loro  casa  anche  s. 
Paolo. 

Gli  scrittori  ecclesiastici  chiamano 
questa  chiesa  (che  eretta  in  titolo 
Cardinalizio  fu  consagrata  alla  ss. 
Trinità),  de' ss.  Aquila  e  Prisca,  o 
Priscilla,  perchè  poi  dedicata  in  loro 
onore.  Prima  Io  era  ai  soli  ss.  Aquila 
e  Priscilla,  ma  dopo  che  il  Ponte- 
fice s.  Eutichiano,  creato  nel  27.5, 
ebbe  per  rivelazione  notizia  del  luo- 
go ov'  era  stato  sepolto  il  corpo  di 
s.  Prisca  vergine  e  martire  romana, 
si  portò  fuori  di  Roma  col  clero  e 
col  popolo,  e  rinvenutolo  quivi  con 
molto  onore  lo  ripose,  per  cui  il 
titolo  prese  il  nome   de'  ss.    Aquila 


CHI  i3 

e  Prisca,  e  poi  venne  chiamato  solo 
con  quello  di  s.  Prisca.  Di  fatti  nel 
secondo  concilio  romano  trovasi  sot- 
toscritto Domenico  prete  de'  ss.  Aqui- 
la e  Prisca,  come  in  altri  concili  , 
essendo  uno  de'  titoli  Cardinalizi  dei 
piìi  antichi,  per  cui  fra  i  suoi  tito- 
lari sono  a  rammentarsi,  Giovanni 
Colonna  detto  il  Cardinal  di  s.  Pri- 
sca, il  quale  morendo  nel  1 198,  Ce- 
lestino III  il  voleva  per  successore, 
rinunziandogli  il  pontificato.  Onorio 
II,  nel  I  127,  diede  il  titolo  al  Car- 
dinal Enrico,  che  poi  si  unì  coll'an- 
tipapa  Anacleto  II;  ed  Innocenzo  II 
nel  I  1 38  lo  conferì  al  Cardinal 
Rainiero  Crescenzio  romano.  Gio- 
vanni XXII,  nel  1827,  creò  in  Avi- 
gnone prete  Cardinale  di  s.  Prisca 
il  proprio  nipote  Jacopo  dal  Forno, 
che  poi  gli  successe  nel  pontificato, 
nel  i334,  col  nome  di  Benedetto 
XII.  Il  Cardinal  Giannangelo  de 
Medici  era  titolare  di  s.  Prisca,  quan- 
do nel  iSog  fu  creato  Papa.  Tut- 
tavolta  per  un  tempo  rimase  sospe- 
so il  conferimento  del  suo  titolo , 
finché  il  Pontefice  Sisto  V  nella 
bolla,  con  cui  confermò  i  titoli,  ve 
lo  comprese,  per  cui  nuovamente  fu 
dato  ai  Cardinali.  Anticamente  il 
Cardinal  titolare  adempiva  il  servi- 
zio divino  ebdomadario  nella  basi- 
lica di  s.  Paolo,  e  in  tutti  i  lune- 
dì vi  celebrava  la  messa  all'  altare 
papale. 

Non  si  deve  poi  tacere,  che  an- 
ticamente furono  posti  in  un  son- 
tuoso contiguo  monistero  ad  uf&- 
ziarla  dei  monaci  greci  basiliani,  di 
quelli  che  fuggirono  dall'oriente  nel- 
la persecuzione  delle  sagre  immagi- 
ni, e  fu  annoverata  la  chiesa  tra 
le  venti  abbazie  privilegiate,  il  cui 
abbate  assisteva  il  Papa  nei  solenni 
pontificali.  Alessandro  II,  che  nel 
io52  la  concesse  all'abbate  \  indo- 


i4  CHI 

cinpiisc,  ceco  come  si  esprime  :  Con- 
ccdiiiiun  eiiam  omnibus  hujus  loci 
filìhatibus  ecclesia/il  Prìscac  cum 
dignilate  CardinaUs,  etc.  (il' impo- 
se di  riformavo  i  monaci  colla  re- 
gola di  s.  Benedelto,  coi) fermando 
tutli  i  privilegi  cui  godeva  la  chie- 
sa. Di  poi  l'antipapa  Clemente  HI 
la  tolse  ai  monaci,  ai  quali  la  restituì 
Urbano  li,  facendo  altrettanto  Ca- 
listo II,  e  Innocenzo  III  quando  lo- 
ro venne  ritolta.  Ma  questo  ultimo 
Pontefice  sottomise  i  monaci  al  Car- 
dinal titolare  prò  tempore,  e  dispose 
che  godesse  la  quarta  parte  delle 
entrate  del  monistero,  come  riferi- 
sce il  Su-mondo,  ep.  9  lib.  I.  Es- 
sendone per  la  sua  lontananza  tras- 
curato il  culto,  sotto  Sisto  V  vi  fu- 
rono posti  i  religiosi  riformati  di 
s.  Francesco,  dai  quali  passò  in  custo- 
dia agli  agostiniani  della  congrega- 
zione di  Lombardia  ,  mentre  n'  era 
titolare  il  Cardinal  Benedetto  Giu- 
stiniani genovese  verso  l'anno  1600, 
il  quale,  come  poi  si  dirà,  fu  gran- 
demente benemerito  dell'  edifizio. 

Zelando  il  culto  divino  della  me- 
desima, il  Cardinal  Giustiniani  già 
diacono  di  s.  Giorgio  in  Velabro. 
diaconia  che  gli  conferì  colla  por- 
pora Sisto  V  nel  i586,  prima  di 
mettere  nella  chiesa  gli  agostiniani, 
vi  eresse  una  collegiata,  con  istituir- 
vi sei  canonici,  ed  un  arciprete;  ma 
per  pochi  anni  sussistettero,  ed  allora 
fu  che  tanto  la  chiesa,  quanto  il  mo- 
nistero, il  giardino  e  l'orto  furono  da- 
ti agli  agostiniani  del  convento  di 
.s.  IVIaria  del  Popolo  per  uso  di  un 
noviziato,  di  cui  se  ne  vede  la  me- 
moria nella  iscrizione  che  i  religiosi 
posero  nella  camera  appresso  la  sa- 
grestia, in  onore  del  Cardinale  Giu- 
stiniani. I  canonicati  si  convertiro- 
no in  tanti  benefìzi  semplici,  come 
si  raccoglie  da  una  decisione  del  tri- 


cnr 

bunale  delia  Rota,  latta  avanti  mon- 
signor Manzanedo ,  ed  è  in  ordine 
la  rìoi,  nella  parte  prima  delle  Re- 
rrnsioìii,  pubblicala  nell'anno  1609. 
In  seguito  venendo  iiiual/ato  nel 
167  j  al  Cardinalato  Alessandro  Cre- 
scenzi,  Clemente  X  avendogli  con- 
ferito questo  titolo,  procurò  ripri- 
stinare la  collegiata,  ma  ad  onta  del 
suo  impegno  dovette  cedere  alle  dif- 
ficoltà che  si  liapposero. 

Tutta  volta  venendo  i  sei  canoni- 
cati ridotti  a  benefizi  semplici,  tre 
sono  perpetui ,  e  tre  vacabili.  Due 
de' primi  vengono  posseduti  dal  prio- 
re prò  tempore  degli  agostiniani,  ed 
uno  dal  corpo  de'  beneficiati  di  s. 
Lorenzo  in  Damaso,  i  quali  ebbero 
da  Innocenzo  X  il  detto  canonicato 
in  compenso  di  alcune  piccole  case 
che  possedevano,  e  che  furono  de- 
molite nel  riedificarsi  la  chiesa  di  s. 
Agnese  iu  piazza  Navona,  e  il  con- 
tiguo palazzo.  Gli  altri  tre  benefizi 
vacabili  sono  di  nomina  del  Cardi- 
nal titolare,  qualora  non  sieno  af- 
fetti alla  santa  Se.i\e  gli  ultimi  pos- 
sessori. Tenui  sono  le  rendite  di 
cadauno,  e  sono  sui  luoghi  de' monti, 
fruttando  ognuno  annui  scudi  tre- 
dici e  baiocchi  ottantotto  e  mezzo. 
La  prebenda  è  ora  in  barili  cinque 
di  mosto,  per  canone  annuo  impo- 
sto sopra  alcuni  orti,  e  vigne  adia- 
centi, e  confinanti  co'  beni  del  ca- 
pitolo, e  che  una  volta  appartene- 
vano al  medesimo.  Ora  però  fatto- 
ne il  censo  colla  camera  Apostolica, 
si  ritira  dalla  direzione  de'  luoghi 
di  monti  con  ordine  la  somma 
tenue  di  scudi  quattro ,  e  baioc- 
chi settantadue  all'  anno.  I  detti 
benefìzi  godono  ancora  di  un'  an- 
nua spartizione,  più  o  meno  di 
scudi  tre  e  baiocchi  cinquanta.  Di 
questi  in  comune  si  esige  la  som- 
ma totale  dalla  direzione  del  debito 


CHI 

pul)bIico,  dalla  compagnia  della  mor- 
te delia  nazione  israelitica  di  Roma 
pel  cosi  detto  Ortaccio,  ove  seppel- 
liscono i  loro  cadaveri,  data  ad  essa 
in  enfiteusi  perpetua.  L' esattore  be- 
neficiato di  s.  Lorenzo  in  Daraaso, 
il  procuratore,  ed  il  computista  ven- 
gono pagati  annualmente  dai  due 
incassi  mentovati,  ed  il  residuo  di- 
viso dà  a  ciascun  canonico  circa  scu- 
di tre  e  baiocchi  cinquanta  suddetti, 
ed  al  cadere  dei  quindennii  circa 
scudi  cinque. 

Ritornando  all'  edifizio  di  questa 
chiesa,  il  Panciroli,  Tesori  nascosti 
p.  709  dice,  che  dopo  le  persecuzio- 
ni questo  antico  titolo  sotto  il  no- 
me de'  gloriosi  martiri  Aquila  e 
Priscilla,  e  di  s.  Prisca  che  fu  chia- 
mata protomartire  dell'  occidente  dal 
\'enuti,  fosse  nobilitato  con  qualche 
fabbrica  da  Costantino  Magno,  e  da 
s.  Silvestro  I.  Certo  poi  è  che  A- 
driano  I,  nell'anno  772,  la  riedificò, 
e  siccome  per  la  vecchiezza  era  per 
cadere,  accorse  il  Pontefice  Calisto 
III  nel  1455  a  rifabbricai-la,  come 
si  vede  dal  suo  stemma  ed  iscri- 
fione  metrica  di  sopra  nominata. 
In  appresso  volendo  Leone  X  che 
i  corpi  de' suddetti  tre  santi  marti- 
ri venissero  con  sicurezza  custoditi, 
li  fece  trasportare  nella  chiesa  dei 
ss.  Quattro  nel  monte  Celio,  da  do- 
ve poi  ne  fu  qui  gran  parte  ripor- 
tala. Il  menzionato  titolare  Cardi- 
nal Giustiniani,  verso  l'anno  1600 
nel  pontificato  di  Clemente  Vili, 
con  architettura  di  Carlo  Lombar- 
di di  Arezzo,  vi  aggiunse  la  facciata 
esterna,  ne  ampliò  l'atrio,  rinnovò 
ed  abbellì  con  pitture  la  confessio- 
ne e  l'altare  sotterraneo,  che  dicesi 
consagrato  da  s.  Pietro,  rifece  il  sof- 
fitto ornandolo  con  dorature,  e  gli 
donò  diversi  sagri  arredi.  Anche  il 
nominato  Cardinal  Crescenzi,  ed  al- 


CHI  15: 

tri  benefattori  litolari  presero  cura 
della  chiesa,  e  del  contiguo  convento  , 
che  venne  ampliato  dal  p.  Dacci 
vicario  generale  degli  agostiniani  del- 
la congregazione  di  Lombardia;  e, 
verso  il  1734,  Clemente  XII  fece 
molti  mighoramenti  nella  chiesa,  co- 
me attesta  una  marmorea  iscrizione, 
che  si  legge  a  destra  dell'  ingresso. 
Anticamente  la  chiesa  ebbe  due 
ingressi,  ma  al  tempo  dell'  Ugonio 
già  ne  aveva  un  solo.  Essa  è  divisa 
in  tre  navi  con  quattordici  colonne 
antiche,  le  quali  per  renderle  più 
solide,  furono  incassate  nel  muro  di 
altrettanti  pilastri.  Le  pareti  furono 
dipinte  dal  Fontebuono;  il  quadro 
dell'altare  principale  è  del  Passigna- 
ni,  e  rappresenta  il  battesimo  della 
santa.  JNel  mezzo  della  nave  gran- 
de è  un'ampia  inferriata  che  illu- 
mina la  sottoposta  confessione,  alla 
quale  si  scende  per  vma  comoda  e 
doppia  scala  circondata  da  balaustra- 
te. In  essa  è  un  quadro  di  musai- 
co rappresentante  s.  Pietro,  e  incon- 
tro l'altare  è  il  vaso,  che  si  preten- 
de servisse  di  battistcrio  a  s.  Pietro 
quando  battezzò  i  ss.  Aqviila,  e  Pri- 
scilla, ed  altri  pagani  venuti  alla  fe- 
de ,  leggendosi  da  un  lato  inciso  : 
BAPTiSMUM  s.  PETBi.  La  fcsta  di  s. 
Prisca  ricorre  ai  18  gennaio,  e  la 
stazione  da  tempo  antichissimo  vi 
si  celebra  nel  martedì  santo. 

S.  PuDENZiAyj ,  titolo  Cardinali- 
zio in  cura  delle  canonicliesse  re- 
golari di  s.  Agostino,  o  Latera- 
nensi,  nel  rione  Monti. 

Sorge  questa  venerabilissima  chie- 
sa alle  radici  del  monte  Viminale 
nel  vico  detto  anticamente  Lateri- 
zio, o  Patrizio,  perchè  Servio  Tul- 
lio re  dei  romani,  dubitando  della 
fedeltà  de'  nobili  cittadini    romani  i 


hs  chi 

quali  ciano  pattizi, comandò  clic  tutti, 
abbandonate  le  loro  case,  si  portas- 
sero ad  abitare  per  questi  strada. 
Per  tal  causa  il  sito  fu  detto  yico 
Patrizio,  che  dalla  moderna  Subur- 
ra si  estendeva  sino  alla  porta  Vi- 
minale. Ora  essendo  occupato  il  sito 
dalla  villa  Massimo  fabbiicata  da  Si- 
sto V  (  il  ciuaie  perciò  avendo  spia- 
nato le  ineguaglianze,  tolse  l'antica 
via  che  divideva  il  colle  Esquilino 
e  il  eolle  Viminale),  l'antico  vico 
Patrizio  termina  appunto  alla  por- 
ta di  detta  villa,  ove  si  legge  la  me- 
moria della  porta  Viminale.  Dagli 
atti  poi  de'  ss.  martiri  si  raccoglie, 
che  quivi  fosse  la  rinomata  grotta 
JVepoziana,  perchè  molti  asseriscono 
che  fosse  nel  vico  Patrizio,  e  forse 
dovette  chiamarsi  Novaziana  da  Ne- 
vato figliuolo  di  s.  Pudcnte,  come 
furono  appellate  le  terme  che  ivi 
esistevano,  ed  anco  Timotine  da  Ti- 
moteo altro  figlio  di  s.  Pudente,  le 
quali  edificate  dai  due  fratelli  an- 
cor oggi  se  ne  veggono  alcuni  avan- 
zi presso  la  chiesa.  Sotto  taU  terme 
dovevano  essere  le  mentovate  grot- 
te o  cimiterio,  e  forse  quello  in  cui 
il  Papa  s.  Stefano  I  battezzò  cento 
otto  persone. 

Recatosi  in  R.oma  il  primo  som- 
nìo  Pontefice  s.  Pietro  nell'anno  4^ 
di  Cristo,  dopo  di  essere  stato  per 
alcun  tempo  ad  abitare  in  Traste- 
vere presso  la  chiesa  di  s.  Cecilia  , 
e  di  poi  suir  Aventino  nel  luogo  ove 
è  la  Chiesa  di  s.  Prisca  (  f  edi),  a- 
vcndo  convertito  alla  fede  il  sena- 
tore romano  Pudente,  questi  lo  con- 
dusse nella  sua  abitazione,  ove  ap- 
punto è  la  chiesa  di  s.  Pudenziana. 
Quivi  pertanto  vuoisi  che  s.  Pietro 
incominciasse  a  praticare  i  riti,  e  il 
culto  divino  in  Roma,  e  celebrasse  la 
prima  messa.  Quivi  formò  gì' inco- 
minciati fondamenti  della  Chiesa  ro- 


CllI 

mona,  e  da  quivi  propagò  sempre 
pili  la  sua  giurisdizione,  ordinando 
su  quella  sedia  o  diltcdra  [T'odi), 
datagli  da  Pudente ,  vescovi  e  sa- 
cerdoti, e  perciò  spedi  a  propagare 
la  fede  s.  Apollinare  a  Ravenna,  s. 
Prisco  a  Capua,  s.  Aspreno  a  Na- 
poli, s.  Romolo  a  Fiesole,  s.  Eutro- 
pio a  Verona,  s.  Prosdocimo  a  Pa- 
dova ,  s.  Siro  a  Pavia ,  s.  Filippo 
Argirone  nella  Sicilia,  s.  Encario  a 
Treveri ,  Torquato  nelle  Spagne , 
Giuliano  a  Cenomani ,  s.  Aristoba- 
lo  nella  Brettagna,  s.  Clemente  in 
Francia,  ed  altri  molti  in  diver- 
se parti  del  mondo.  Qui  pure  or- 
dinò Lino,  Cleto,  e  Clemente  I  che 
gli  successero  nel  Pontificato,  e  qui 
scrisse  la  sua  prima  lettera  a'  cri- 
stiani discacciati  da  Gerusalemme , 
consolandoli  con  paterne  parole  ;  e 
quivi  battezzò  Pudente  con  tutta 
la  sua  famiglia,  per  cui  fuvvi  eret- 
to un  fonte  battesimale,  dal  Ponte- 
fice s.  Pio  I,  avendovi  esercitato  an- 
ch' egli  l'apostohco  ministero.  Dopo 
avere  risieduto  s.  Pietro  sette  anni 
in  Pioma,  ne  par  fi  pel  bando  impe- 
riale, che  esiliava  tutti  gli  ebrei,  la- 
sciando al  suo  ospite  s.  Pudente  il 
libro  del  vangelo,  che  aveva  fatto 
scrivere  da  s.  3Iarco  in  latino,  ed 
un'immagine  del  Salvatore,  che  poi 
fu  collocata  nella  chiesa  di  s.  Pras- 
sede.  Terminato  il  bando,  s.  Pietro 
fece  ritorno  in  R.oma  con  s.  Paolo, 
e  si  vuole  che  ambedue  per  qual- 
che tempo  abitassero  nel  ])alazzo  di 
s.  Pudente.  Poscia  in  questo  luogo 
s.  Pudenziana  figlia  di  Pudente  , 
seppelh  tremila  corpi  di  santi  mar- 
tiri, e  ad  imitazione  della  sua  so- 
rella Prassede,  in  un  pozzo  che  og- 
gidì pur  si  vede  nella  chiesa,  ri- 
poneva il  sangue  de'raartiri,  che 
raccoglieva  con  una  spugna.  Dopo 
la  sua  morte,  il  Pontefice    s.    Pio  1 


CHI 

detto  nell'anno  i58,  ad  istanza  di 
s.  Prassede,  eresse  la  chiesa  in  titolo 
ili  onore  di  Dio,  e  di  s.  Puden/.iana. 
Qual  poi  sia  la  prima  chiesa, 
che  fu  consagrata  iu  Roma,  se  que- 
sta, o  quella  di  s.  Pietro  in  Vinciir 
lis,  ovvero  altra,  il  Cardinal  Bona 
non  lo  sa  decidere ,  Rerum  liturg. 
lib.  V,  cap.  19,  §  I,  dicendo  che 
la  cosa  è  incerta.  Ne  trattano  però 
eruditamente  il  Fiorentino,  Exerc. 
XI  ad  diem  i  Aug.,  ed  il  Punal- 
di ,  Annali  ecclesiastici ,  all'  anno 
162.  La  chiesa  prese  poi  il  titolo 
di  Pastore,  da  sant'  Ermete  fra- 
tello di  s.  Pio  I,  che  pur  si  chia- 
mava Pastore  pel  seguente  avve- 
nimento. Essendo  nata  divergenza 
sul  tempo  della  celebrazione  della 
pasqua,  apparve  a  Pastore  un  angelo 
in  forma  di  pastore,  e  gli  rilevò  es- 
ser volere  divino,  che  si  celebrasse 
sempre  in  giorno  di  domenica:  co- 
sì il  Piazza  nel  Menologio  romano 
perpetuo,  parte  II,  pag.  75.  Altri 
sono  di  opinione,  che  prendesse  il 
titolo  di  Pastore  dal  nome  del  me- 
desimo fiatello  di  s.  Pio  I,  perchè 
questi  a  lui  la  diede  in  cura.  Né  si 
deve  tacere,  che  in  questo  luogo,  pi'i- 
mizia  della  religione  cristiana  in  Ro- 
ma, onorato  colla  presenza,  residen- 
za, e  sagrifìzio  di  s.  Pietro,  e  colla 
predicazione  di  s.  Paolo,  secondo 
il  Pauliano,  il  Pontefice  san  Cle- 
mente I  concesse  l' indulgenza ,  e 
forse  la  più  antica  di  qualsivoglia 
di  R.oma.  T^.  Jo.  Bapt.  Pauliano , 
De  jiihilaeo,  lib.  Ili,  ed  il  Baronio 
Annal.  ad  annum  44-  All'anno  poi 
I  ^9  racconta  la  gran  carità,  che  in 
questa  casa  e  titolo  si  usava  co'  no- 
velli cristiani ,  mnssime  con  quelli 
provenienti  dall'oriente,  coi  quali  pra- 
ticavasi  amorevole  ospitalità,  per  cui 
vi  prese  alloggio  anco  s.  Giustino 
filosofo  martire. 


CHI  r7 

Dal  padre  di  s.  Pudenzio  s.  Pu- 
dente,  questo  titolo  Cardinalizio  si 
chiamò  pure  col  suo  nome,  e  quando 
neir  anno  385  fu  creato  Papa  s. 
Siricio,  trovavasi  prete  Cardinale  di 
questa  chiesa.  Quindi  s.  Gregorio 
I  vi  pose  la  stazione  del  martedì 
dopo  la  terza  domenica  di  quaresi- 
ma ;  ed  in  progresso  il  Cardinal 
titolare  nel  venerdì  celebrava  sul- 
l'altare papale  della  basilica  di  -s. 
Maria  Maggiore,  essendo  addetto  al 
servizio  ecclesiastico  ebdomadario  ; 
della  qual  basilica  divenne  filiale  la 
chiesa  di  s.  Pudenziana,  per  cui 
tuttora  il  capitolo  ai  19  maggio, 
festa  della  santa  vergine,  e  nel  dì 
della  stazione  vi  si  reca  a  celebrare 
la  messa,  e  i  divini  uffizi.  Dipoi 
parte  delle  rendite  della  chiesa  di  s. 
Pudenziana ,  formava  la  prebenda 
del  Cardinal  arciprete  della  mento- 
vata basilica,  ma  verso  l'anno  i543 
Paolo  III  ad  istanza  del  Cardinal 
arciprete  Guido  Ascanio  Sforza,  che 
in  perpetuo  le  rinunziò,  applicate 
vennero  alla  stessa  basilica  pel  man- 
tenimento de' musici,  ed  altri  bisogni 
della  basilica. 

Questa  venerabile  chiesa  fu  più 
volte  restaurata,  ed  abbellita.  Pri- 
mieramente si  vuole  che  il  detto 
Pontefice  s.  Siricio  ne  fosse  beneme- 
rito. Quindi  Adriano  I  nel  774  la 
rifece:  s.  Leone  III  le  donò  un 
ornamento  di  seta  bianca  ;  e  poi, 
come  racconta  il  Vittorelli,  verso 
l'anno  884,  venne  restaurata  da 
Adriano  III,  come  ne  faceva  testi- 
monianza un  monogramma  del  suo 
nome.  In  appresso  un  tal  Cardinale 
Benedetto  titolare ,  di  nuovo  la 
rifabbricò  ,  nel  pontificato  di  s. 
Gregorio  VII,  e  la  consagrò  in  onore 
di  s.  Pastore,  e  di  s.  Giovanni 
Battista,  oltre  di  s.  Pudenziana, 
leggendosene   la    memoria    seguente 


i8  <:ìii 

nella  cappella  di  s.  Pietro  incisa  su 
tavole  in  marmo,  la  quale  prima 
stava  al  vecchio  pulpito  presso  l'al- 
tare grande; 

Tempore  Gregoriì   septeni    prac- 

sulis  almi 
Praesbyler  eximiuSj  prccclarns  vir 

Benedictum 
Moribus,  ecclesiam  renovai'it  fun- 

dilus  istam, 
Qnam  consecravit  sacer  idem  Car- 

diiiequenalis  : 
EjiLsdem  sane  feci t  super  tempore 

Papae 
Augusli    mensis    .leptenis    nempe 

Kalendis, 
Nomine  Pasloris,  praecnrsorisque 

Joaiiiiis. 

Nel  1278  Nicolò  UT  fece  Car- 
dinale titolare  di  s.  Pudenziana , 
Girolamo  IMascio,  che  nel  1288  di- 
venne Pontefice  Nicolò  IV.  Eletto 
nel  i447  Nicolò  V,  per  molto 
tempo  gli  piacque  ad  abitare  nel 
contiguo  palazzo,  come  asseriscono 
Novaes,  e  Borgia.  Dipoi  nel  i549 
Paolo  III  ne  conferì  il  titolo  colla 
porpora  a  Giannangelo  de  Medici, 
che  nel  i559  salì  al  pontificato 
col  nome  di  Pio  IV.  Nel  declinare 
di  tal  secolo,  l'altro  Cardinale  tito- 
lare Enrico  Caetani,  con  ecclesiasti- 
ca magnificenza  restaurò  la  chiesa, 
e  per  la  sua  nobilissima  famiglia 
rifabbricò  splendidamente  la  cap- 
pella di  s.  Pastore,  in  onore  de' ss. 
re  Magi,  della  quale  parlammo  al 
tomo  VI,  pag.  216  del  Diziona- 
rio all'  articolo  della  famiglia  Cae- 
tani. Altro  titolare  degno  di  special 
menzione  è  il  beato  Paolo  Burati 
detto  di  Arezzo.  Allorché  poi  Bene- 
detto XIV  volle  rendere  nel  1743 
più  solenne  l' ottava  de'  ss.  Pietro 
e  Paolo,  stabilì  che    nel    dì    primo 


CITI 

di  luglio,  in  memoria  dall' avervi 
abitato,  il  collegio  dei  protonotari 
apostolici  si  recasse  in  questa  chiesa, 
ad  assistere  al  pontificale.  Anticii- 
mente  la  chiesa  di  s.  Pudenziana  lii 
ufiiziata  dal  clero  secolare,  linchè 
Innocenzo  II  nel  ii3o  la  diede  in 
custodia  ai  canonici  regolari  di  s. 
Maria  del  Reno  di  Bologna,  dicen- 
do altri  che  Adriano  IV  del  i  1 54 
r  accordò  ai  canonici  regolari  late- 
ranensi.  Sotto  Url)ano  VI  dai  cano- 
nici regolari  per  istanza  del  Caidi- 
nal  Rainulfo  Gerza  IVIonturco,  tito- 
lare di  s.  Pudenziana ,  vi  furo- 
no collocati  i  monaci  camaldolesi , 
che  vi  fecero  fioiire  la  regolare 
disciplina,  ed  avendola  lasciata,  s. 
Pio  V  la  diede  ai  p.  domenicani, 
penitenzieri  di  s.  INIaria  Maggiore. 
Quindi,  avendo  Sisto  V  confermato 
nel  1 586  la  congregazione  de'  ci- 
stcrciensi detti  fogUanti,  per  le  pre- 
mure del  nominato  Cardinal  Cae- 
tani ,  ad  essi  la  consegnò.  Questi 
si  distinsero  nel  farvi  risplendere  il 
divin  culto,  adornando  la  chiesa,  e 
rendendo  più  ampio,  e  comodo  il 
contiguo  monistero.  Fu  a  questi 
cistcrciensi,  che  nel  i6o5  Leone  XI 
diede  l'incarico  di  riformare  gli 
Agnus  Dei  di  cera ,  da  benediisi 
dai  Pontefici,  lo  che  confermò  nel 
itìo8  Paolo  V.  Ma  per  le  note  ul- 
time vicende,  rimanendo  il  moniste- 
ro senza  monaci,  per  ordine  di  Pio 
VII,  in  esso  furono  collocate  le  ca- 
uonichesse  regolari  di  s.  Agostino, 
dopoché  il  loro  monistero  dello 
Spirito  Santo  fu  atterrato  nulla 
francese  amministrazione,  per  am- 
pliare il  foro  trajano,  come  meglio 
dicesi  al  tomo  MI  del  Dizionario 
p.  233,  parlandosi  di  tali  canoni- 
ci! esse. 

Prima  si    salivano    dieci    gradini 
per  giungere  alla  chiesa,  ed  ora    a 


CHI 
cagione  clell'alzamento  della  strada, 
se  ne  scendono  parecchi  per  entrar- 
vi. La  facciata  esteriore  è  semplice, 
e  già  fu  dipinta  da  Poniarancio. 
L'interno  è  a  tre  navi,  sostenute 
dai  pilastri,  in  cui  sono  incassate  le 
antiche  colonne  di  marmo  bigio , 
due  delle  quali  a  spira  si  vedono 
ai  lati  della  porta.  La  tribuna  è 
decorata  d'  un  antico  musaico  e- 
gregiamente  conservato  ,  fatto  da 
Papa  Adriano  I.  Si  vedono  in  esso 
molle  prospettive  e  figure  attorno 
ad  un  Salvatore,  con  libro  apeito 
in  mano,  nel  quale  si  legge  :  Donii- 
nus  coiisen'ator  ecclesiae  Picdc/itia- 
nae.  Per  le  figure,  sono  rimarche- 
voli tra  gli  apostoli  quelle  di  s.  Pie- 
tro e  di  s.  Paolo,  non  che  quella 
di  s.  Pudente.  L'  Ugonio  attribui- 
sce questo  musaico  ai  tempi  di 
Adriano  Ili,  e  lo  dice  eseguito  per  sua 
cui-a.  Il  quadro  colla  santa  titola- 
re, insieme  alle  effigie  dei  suoi  fra- 
telli i  ss.  Novato  e  Timoteo,  sono 
del  Nocchi  di  Lucca.  La  cupola,  e  i 
suoi  peducci  furono  dipinti  da  Poma- 
rancio  ;  le  statue  in  istucco  le  fece  il 
Reti,  e  gli  angeli,  che  reggono  l'orga- 
no e  i  coretti,  sono  del  Maini.  Fra  le 
cappelle  primeggiano  quella  succen- 
iiata  dei  Caetani,  e  quella  dedicata 
a  s.  Pietro  ,  nella  quale  cappella 
vuoisi  che  celebrasse  il  santo  apo- 
stolo, e  perciò  Y  altare  è  privilegia- 
to ,  venendo  abbellita  la  cappella 
nel  iSgG  da  Desiderio  Collino  fran- 
cese. Parlando  il  Cancellieri,  Me- 
morie istoriche  delle  sagre  teste  dei 
ss.  Pietro  e  Paolo,  a  pag.  72,  del- 
l'altare ove  celebrò  s.  Pietro,  il  quale 
conservasi  entro  quello  papale  della 
basilica  lateranense,  aggiunge  che 
di  un'  altra  mensa  di  legno,  in  cui 
vi  è  tradizione  che  celebrasse  s.  Pie- 
tro, ed  esistente  nella  chiesa  di  s. 
Pudenziana,  ne  trattano  il  Torrigio, 


CHI  19 

Della  chiesa  di  s.  Pudenziaiia  nei 
sagri  Trofei  p.  23;  il  IMabillou 
3Ius.  Italie,  t.  I,  p.  58;  e  \incen- 
zo  M.  Costanzi,  de  Ecclesia  s.  Pii- 
dentianae  p.  335.  La  delta  cappella 
di  s.  Pietro  ha  suU'  altare,  entro 
del  quale  dicesi  essere  la  suddetta 
mensa  di  legno,  due  statue  di  Gio. 
Battista  della  Porta,  che  rappresen- 
tano Gesù  Cristo,  il  quale  dà  le  chia- 
vi a  s.  Pietro  ;  e  gli  atlreschi  della 
volta  che  furono  condotti  dal  Ba- 
glioni,  esprimono  alcune  storie  del 
principe  degli  apostoli. 

Sulla  chiesa  di  s.  Pudenziana,  la 
quale  ebbe  anche  il  nome  di  basilica, 
oltre  i  citati  autori,  ed  altri,  si  ha 
Benigno  Davanzali,  Notizie  della  ba- 
silica di  s.  Pudenziana,  Roma  i  725, 
ed  il  libro  intitolato.  Divozione  a 
s.  Pudenziana,  ed  alli  santi  tre  mi- 
la martiri  sepolti  in  detta  chiesa , 
Ptoma  1731.  11  senato  romano  in 
ogni  quadriennio  fa  a  questa  chiesa 
r  offerta  d'  un  calice  di  argento  con 
sua  patena,  e  quattro  torcie  di  cera 
nel  d'i  della  festa  di  s.  Pudenziana. 

Ss.  Quaranta  martiri,  dé'pp.  mi- 
nori Osservanti.   Vedi. 

Ss.  Quattro  Coronati,  titolo  Car- 
dinalizio, in  cura  delle  monache 
agostiniane  del  conservatorio  del- 
le orfane,  nel  rione  Canipitelli. 

Questa  nobilissima  ed  antica  chie- 
sa è  sul  monte  Celio,  in  quella  parte 
che  guarda  verso  l'oriente,  e  il 
monte  Esquilino,  nel  luogo  che  si 
disse  Castra  peregrina,  dagli  allog- 
giamenti, che  ivi  stabilì  Augusto  pei 
soldati  forestieri.  Si  vuole  eretta  da 
s.  ]Melchiade,  come  dice  Panvinio, 
prima  che  divenisse  Papa  nell'anno 
3 II,  in  onore  di  quattro  soldati 
fratelli  Severo,  Severiauo,  Carpofo- 


20  CHI 

ro,  e  Villorino  niaiiiri  nella  perse- 
cuzione (li  Diocleziano,  i  quali  es- 
sendo cornicolaii,  che  aveano  per 
ulìlzio  (li  ricevere  gli  atti  de'  con- 
dannati, aveano  ricusato  di  farlo 
nelle  cause  de'  cristiani  destinati  al 
martirio.  S.  Melcliiade  li  seppellì 
nella  via  Labicana,  forse  nel  ci- 
miterio  ad  duos  laiiros ,  presso  i 
santi  martiri  Claudio,  Nicostra- 
to ,  Sinforiano ,  Castorio ,  e  Sim- 
plicio, i  quali  patirono  il  marti- 
rio perchè,  essendo  scultori,  si  ri- 
cusarono di  fare  statue,  che  doveva- 
no servire  per  idoli  ai  gentili,  della 
qual  professione  alcuni  vorrebbono 
anche  i  precedenti  quattro  martiri. 
Divenuto  Papa  s.Melchiade,  a  questi 
ultimi  ordinò  1'  uffizio ,  e  siccome 
ignoravansi  i  loro  nomi,  disse  che  se 
ne  celebrasse  la  memoria  col  nome 
de'  ss.  Quattro  Coronati,  dalla  coro- 
na del  martirio. 

Di  questa  chiesa  fece  onorevole 
menzione  s.  Gregorio  I,  il  quale  per 
la  divozione  che  ne  aveva,  vi  tras- 
ferì la  stazione  nel  lunedi  dopo  la 
quarta  domenica  di  quaresima,  che 
tuttora  vi  si  celebra,  la  quale  prima 
stava  nella  chiesa  di  s.  Cajo.  Da 
questa  chiesa  vuoisi,  che  vi  trasferisse 
il  titolo  Cardinalizio  ancora,  per 
cui  si  ha  un  Fortunato  prete  Car- 
dinale de'  ss.  Quattro  Coronati  nel 
concilio  celebrato  da  quel  Papa. 
Il  Pontefice  Onorio  I,  verso  l'anno 
63o,  riedificò  la  chiesa  sull'antica, 
e  forse  il  fece  da  Cardinale  nel 
pontificato  di  s.  Gregorio  I,  che  poi 
r  onorò  colla  detta  stazione,,  e  col 
titolo.  Il  Cardinal  titolale  antica- 
mente esercitava  le  funzioni  ebdo- 
madarie nella  patriarcale  basilica  di 
s.  Lorenzo  fuori  le  mura  in  tutti  i 
sabbati,  celebrando  suU'  altare  ponti- 
ficio. In  seguito  Adriano  I  la  rin- 
novò, e    siccome    Sergio    II    l'avea 


CHI 

data  in  titolo  a  s.  Leone  IV,  per- 
chè* era  titolo  fino  da  s.  Gregoiio 
I,  come  rilevasi  dal  menzionato  con- 
cilio romano  da  lui  celihrato,  appe- 
na quel  Papa  morì,  in  questa  chie- 
sa si  convocarono  il  clero ,  e  il 
popolo,  che  portarono  fra  gli  ap- 
plausi s.  Leone  IV  alla  vicina  ba- 
silica lateranense,  ove  lo  venerarono 
Pontelice,  il  che  avvenne  agli  i  i 
aprile  dell' 847.  Fu  allora,  che  s. 
Leone  IV  dai  fondamenti  rifece  la 
chiesa,  l'abbelh,  e  le  fece  il  dono 
di  molti  vasi  d'oro  e  di  argento, 
ed  allri  sagri  arredi,  come  poi  fe- 
cero altri  successoli.  Quindi  ricercò, 
e  rinvenne  i  corpi  de' ss.  Quattro 
coronati,  i  di  cui  nomi  si  seppero 
per  divina  rivelazione,  ed  insieme  a 
quelli  dei  cinque  santi  martiri  scul- 
tori summeiitovati,  li  collocò  sotto 
la  confessione,  o  cappella  sotterranea. 
Nel  marmo  posto  da  un  lato  del- 
l'altare maggiore,  vengono  descritti 
non  solo  i  detti  corpi  santi  qui 
riposti  da  s.  Leone  IV,  ma  quelli 
di  altri  santi,  e  di  altre  insigni  re- 
liquie. Tale  fu  poi  il  culto,  che  si 
professò  ai  ss.  Quattro  Coronati , 
che  nella  festa  di  essi  agli  8  novem- 
bre i  Pontefici  usavano  il  triregno. 
II  Piazza,  nella  Gerarchia  Cardinali- 
zia a  pag.  55cf,  e  56o,  riporta  il 
catalogo  delle  nominate  reliquie, 
postevi  da  s.   Leone  IV. 

Nell'anno  885,  e  ai  i5  luglio, 
quivi  fu  acclamato  Pontefice  Stefa- 
no V  detto  VI,  il  quale  essendo 
titolare  della  chiesa,  abitava  l'annes- 
so palazzo  de' Cardinali.  Nel  io85 
per  la  dilferenza  dell'  investiture  ec- 
clesiastiche, tra  Enrico  IV  impera- 
tore, e  s.  Gregorio  VII,  il  primo 
si  recò  in  Roma  con  un  esercito,  e 
costrinse  il  Papa  a  ritirarsi  nel  Ca- 
stel s.  Angelo,  ove  l' assediò.  Intan- 
to   recatosi    in  Roma    in  ajuto    del 


CHI 

Pontefice,  Roberto  Guiscardo  duca 
di  Puglia,  r  imperatore  si  ritirò  a 
Siena.  Tutlavolta,  siccome  i  di  lui 
fautori  fecero  resistenza,  il  duca  in- 
cendiò vari  luoghi  della  città,  onde 
trasportare  nel  trambusto  s.  Gre- 
gorio VII  nel  patriarchio  lateranen- 
se,  come  gli  riuscì.  Tra  i  luoghi 
che  perirono  per  le  fiamme,  vi  fu 
anco  questa  chiesa,  la  quale  rimase  at- 
terrata. Peraltro  non  andò  guari,  che 
Pasquale  II  non  solo  la  rifabbricò 
dai  fondamenti,  e  l' adornò,  ma  ai 
20  gennaio  del  11  16  solennemente 
la  consagrò.  Inoltre  vi  eresse  ac- 
canto un  magnifico  palazzo  ponti- 
ficio, il  quale  fu  abitato  da  Sigis- 
mondo imperatore,  quando  nel  mag- 
gio 1433  giunse  in  Roma  per  es- 
sei'e  coronato  da  Eugenio  IV. 

Nel  pontificato  di  INIartino  V, 
essendone  titolare  il  Cardinal  Al- 
fonso Cardio  spagnuolo,  risarcì  in 
gran  parte  la  chiesa,  del  che  si 
legge  per  testimonianza  la  seguente 
iscrizione  ,  posta  nell'  atrio  o  vesti- 
bolo sotto  il  di  lui  stemma  genti- 
lizio: 

Haec  quaecumque  vìdes  \> eteri  pro- 
strata ridila, 

Obruta  verbenis,  hederis,  diim  is- 
qiie  jacehant. 

Non  tu  Ut  hìspanus  Carillo  Al- 
pìionsiia.  honore 

Cardineo  fidgens,  sed  opus  lìcet 
occupat  ingens 

Sic  animus  magno  rcparatque  pa- 
latia  sumpta, 

Duni  sedet  extincto  Martinus  schìs- 
mate  qiiiiitus. 

Altro  titolare  spagnuolo  fu  il  Car- 
dinal Alfonso  Borgia,  che  nel  1455 
divenne  Papa  col  nome  di  Calisto 
III.  Quindi  nel  i54j  Paolo  III  ne 
dichiarò  Cardinale  prete  Enrico   fi- 


CHI  21 

glio  del  re  di  Pcntogallo,  il  quale 
nella  minorità  del  re  Sebastiano  suo 
nipote,  fu  reggente  del  regno,  e  per 
la  di  lui  morte  ascese  al  trono , 
conservando  la  dignità  e  le  insegne 
Cardinalizie,  ed  era  di  tali  pregi  e 
virtù ,  che  poco  mancò  ad  essere 
fatto  successore  a  Paolo  III.  Pio  IV 
accomodò  in  più  parti  la  chiesa,  ed 
il  monistero,  che  per  lungo  tempo 
avea  servito  di  abitazione  ai  mona- 
ci camaldolesi,  e  nel  i56o  diede  sì 
la  chiesa  che  il  monistero  al  con- 
servatorio delle  povere  zitelle  orfa- 
ne, di  cui  si  tratta  all'articolo  Col- 
legio Salviati  [Vedi),  togliendole  dal 
monistero  per  loro  eretto,  ove  ora 
è  r  ospedale  de'  Bonfratelli  nell'  iso- 
la tiberina.  Lo  stesso  Pio  IV  aprì 
incontro  alla  chiesa  una  comoda 
via,  che  conduce  alla  basilica  di  s. 
Giovanni   in  Laterano. 

L'  antichissimo  oratorio,  che  si 
vede  sotto  il  portico,  è  dedicato  da 
Stefano  Cardinale  di  s.  Maria  in 
Trastevere,  nel  pontificato  d' Inno- 
cenzo III,  a  Papa  s.  Silvestro  I,  è 
decorato  nelle  pareti  d' interessanti 
pitture  del  sesto  e  settimo  secolo, 
rappresentanti  pai'ecchi  fatti  della 
vita  di  Costantino  magno,  e  di  s. 
Silvestro  I.  Il  Cardinal  Rinaldo 
Conti,  che  fu  poi  Alessandro  IV, 
nel  1246  sotto  Innocenzo  IV  la  con- 
sagrò, di  che  ne  fa  fede  una  iscri- 
zione in  marmo  ivi  posta.  In  una  cro- 
naca di  Fiandra,  riferita  dagli  scrit- 
tori della  Germania  al  foglio  84 
citati  dal  Martinelli,  Rom.  ex  Ethni- 
ca  socr.,  si  racconta  :  Tlieodoricus 
Pontifcx  Trei'irensis  sub  Leone  Vili 
cellam  ss.  Quatuor  Coronatorum, 
Clini  omnibus  /J ppendìtiis  suis  sibi, 
suisque  successoribiis  in  perpetuum 
acquisii'it.  Dal  che  si  scorge,  che 
forse  questo  oratorio  fu  assegnato 
per  di  lui  residenza,  quando  si  fos- 


11  CHI 

se  recato  in  Roma  1"  arcivescovo  di 
Trevcri,  come  presso  la  chiesa  di 
s.  Giovanni  ante  porlam  latinain  , 
eravi  la  residenza  per  quello  di  Co- 
lonia. In  questo  oratorio  pregevole 
per  le  sagre  e  preziose  reliquie  che 
ivi  veneransi,  sino  dal  i4o6  sotto 
Innocenzo  VII,  gli  sciiltorij  e  scal- 
pellini, sotto  i"  invocazione  dei  santi 
Quattro  Coronati,  e  degli  altri  cin- 
que santi  martiri,  che  aveano  eser- 
citata la  professione  di  scultore, 
eressero  una  confraternita  d' ambo 
i  sessi.  V.  Piazza,  Opere  Pie  ec.  p. 
C3-2,  Della  Confraternita  dei  ss. 
Quattro  incoronati. 

Ritornando  alla  nostra  chiesa,  nel 
i583  Gregorio  XIII  vi  prepose  in  ti- 
tolare il  Cardinal  Giannantonio  Fac- 
chinetti bolognese,  il  quale,  ai  29  ot- 
tobre i')9i,  fu  eletto  Papa  col  no- 
me d'Innocenzo  IX,  ed  in  onore 
de'  santi  titolari,  volle  prendere  il 
solenne  possesso  della  basilica  late- 
ranense  agli  8  novembre  giorno 
della  loro  festa  :  nel  creare  poi  ai 
18  dicembre  il  nipote  Antonio  Fac- 
chinetti della  Noce  diacono  Cardi- 
nale, gli  diede  questa  chiesa  per 
diaconia ,  e  morì  il  Cardinale  nel- 
r  anno  1606.  Quindi  nel  .1624 
il  Cardinal  titolare  Giovanni  Gar- 
zia  Millini ,  restaurando  la  chiesa, 
ebbe  la  religiosa  consolazione  di 
ritrovare  i  corpi  de'  ss.  Quattro  Co- 
ronati Severo,  Severiano,  Carpofo- 
ro,  e  Vittorino,  e  fra  le  tante  reli- 
quie che  la  chiesa  possiede,  rinvenne 
ancora  il  capo  di  s.  Sebastiano  mar- 
tire, il  quale  collocato  in  una  teca 
d'argento  da  s.  Gregorio  IV,  fu  poi 
da  s.  Leone  IV  donato  alla  mede- 
sima. In  seguito  r  altro  Cardinal  ti- 
tolare Girolamo  Vidoni,  nel  i632 
collocò  tal  capo  in  nobile  reliquia- 
rio in  una  cappella  elegante  dedi- 
cata al  detto  santo. 


CMI 

Per  un  atrio  di  antica  costruzio- 
ne si  entra  in  ima  corte,  da  dove 
per  una  sola  porta  si  ha  ingresso 
alla  chieda.  L'interno  della  chiesa 
è  diviso  in  ti'e  navi,  sostenute  da 
otto  colonne  di  granito,  quattro  per 
parte,  sopra  le  quali  sonpvi  i  muri 
a  guisa  di  loggie,  come  erano  nelle 
antiche  basiliche,  ornati  di  altre  co- 
lonne simili  ,  ma  piti  piccole.  Le 
navi  laterali  sono  a  volta,  quella  di 
mezzo  ha  il  soHltto  di  legno  con 
intagli,  fatto  fare  dal  sullodato  Car- 
dinal di  Portogallo  :  il  pavimento  è 
d'  opera  alessandrina,  accomodato 
in  pili  parti.  La  tribuna  già  fatta 
erigere  da  Pasquale  li  fu  ristorata 
dal  Cardinal  Millini  titolare,  con 
buoni  affreschi  del  Maimozzi,  detto 
Giovanni  da  s.  Giovanni,  stimati  per 
la  vivacità  della  loro  composizione. 
Questo  pittore  vuoisi  fosse  il  primo  a 
dipingere  bizzarramente  con  gli  ange- 
li le  angiolesse  ;  altri  però  attribui- 
scono tale  introduzione  al  cav.  d'Ar- 
pino,  o  all'Allori.  Il  primo  altare  a 
diritta  è  dedicato  alla  nascita  di  Ge- 
sù Cristo,  indi  si  vede  il  maestoso 
deposito  di  monsignor  d'Aquino,  udi- 
tore delia  Camera,  insigne  benefatto- 
re dell'attiguo  conservatorio,  uomo 
dotto,  che  raccolse  molti  libri  rari. 
Segue  l'altare  di  s.  Sebastiano  mar- 
tire, il  cui  quadro  dipinse  il  Baglio- 
ni.  Quivi  è  nna  cappelletta  sotter- 
ranea, dove  si  scentle  per  doppia 
scala;  ed  ivi  si  conservano  i  corpi 
de'  santi    titolari  della  chiesa. 

Il  senato  romano  in  ogni  qua- 
driennio per  la  festa  de'  ss.  Quattro, 
fa  in  questa  chiesa  la  pia  olferta  di 
un  calice  e  patena  di  argento,  e 
quattro  lorcie  di  cera.  Abbiamo  da 
Decio  INIemmolo,  Della  vita,  chiesa, 
e  relìquie  de'  ss.  Quattro  coronati, 
Roma  iG-jS;  opera,  che  nella  stessa 
città  si  ristampò  nel    1757.    E  Gio. 


CHI 

Pietro  Luccitelli  scrisse,  Le  Notizie 
concernenti  la  testa  di  s.  Sebastiano 
martire,  che  si  custodisce  nella  chie- 
sa de"  ss.   Quattro   Coronati,  Roma 

1757. 

Ss.  QuiRico  e  GiULiTTA ,  titolo 
Cardinalizio,  con  parrocchia  in 
cura  dt  domenicani ,  nel  rione 
31onti. 

Questa  antichissima  chiesa  è  de- 
dicata a  s.  Quirico  fanciullo,  ed  alla 
sua  madre  Giulitta  martiri,  ambe- 
due di  TiU-so,  ii  cui  aliare  vuoisi  con- 
sagrato dal  Pontefice  Vigilio,  il  qua- 
le fiorì  nel  546.  Viene  detta  que- 
sta chiesa  a  2  or  de'  Conti ^  da  quel- 
la che  vicino  grandiosamente  eresse 
ne' primi  del  secolo  XIII  Innocenzo 
IH,  Conti,  perchè  servisse  di  guardia 
alla  città  in  occasione  di  tumul- 
to, o  per  testimonio  di  grandezza 
della  sua  illustre  casa,  e  del  suo 
glorioso  pontificato  :  ma  minaccian- 
do di  poi  rovina,  Urbano  Vili  la 
fece  in  parte  demolire. 

Verso  l'anno  i47<^>  Sisto  IV  re- 
staurò questa  chiesa,  e  vi  trasportò 
il  titolo  Cardinalizio,  e  la  stazione, 
che  nel  maitedì  dopo  la  domenica 
di  passione  godeva  la  chiesa  di  s.  Ci- 
riaco, la  quale  anticamente  era  nelle 
terme  Diocleziane;  stazione,  che  ve- 
nendo alla  chiesa  de'  ss.  Quirico  e 
Giulitta  contrastata  da  quella  di  s. 
Maria  in  Via  Lata  (  Vedi),  fu  dal- 
la pontificia  autorità  deciso,  che  iu 
tal  giorno  ambedue  le  chiese  godes- 
sero la  stazione.  Quindi  essendo  già 
collegiata  con  capitolo  di  canonici, 
fu  annoverata  da  Pio  V  nel  nove- 
ro delle  vicarie  parrocchiali  perpe- 
tue ,  ma  allorché ,  come  diremo , 
cessò  di  essere  collegiata,  vm  reli- 
gioso domenicano  ne  divenne  il 
parroco.  Nel    pontificato    di  Grego- 


CHI  23 

rio  XIII,  e  nel  \5'j5,  quivi  fu  fon- 
data la  confraternita  del  ss.  Sagra- 
mento,  ai  cui  fratelli  vennero  con- 
cesse molte  grazie  ed  indulgenze,  e 
il  sacco  bianco,  mentre  per  insegna 
si  stabilì  un  calice  d'oro,  con  l'O- 
stia sopra  in  campo  bianco.  V. 
Carlo  Bartolomeo  Piazza,  Opere  pie 
di  Roma  pag.  53o,  Della  confra- 
ternita citi  ss.  Sagramento ,  ai  ss. 
Quirico  e  Giulitta  a  Torre  de  Conti. 

Lo  stesso  Gregorio  XllI  nel  i586 
fece  prete  Cardinale  di  questo  tito- 
lo Alessandro  de  Medici,  il  quale 
nell'anno  seguente  ai  19  febbraio, 
avendola  restaurata  ed  abbellita , 
solennemente  consagrò  in  onore  dei 
due  santi  titolari  l'altare  antichissi- 
mo, già  consagrato  da  Papa  Vigi- 
lio, e  poscia  nel  i6o5  fu  creato 
Pontefice  col  nome  di  Leone  XI. 
Gli  successe  Paolo  V,  il  quale  nel 
1606  alzò  il  pavimento,  per  libe- 
l'arlo  dalle  inondazioni  del  Tevere. 
Quindi  ne  fu  benefattore  anco  Ur- 
bano Vili,  dappoiché  la  restaurò,  e 
feccia  fiancheggiare  con  alcuni  pi- 
lastri. Clemente  X  la  diede  per  ti- 
tolo al  Cardinal  Galeazzo  Mare- 
scotti,  le  cui  beneficenze  a  favore 
della  chiesa,  riporta  il  Piazza  cita- 
to, nella  Gerarchia  Cardinalizia , 
parlando  di  questo  titolo. 

Clemente  XI,  nel  1706,  creò  Car- 
dinale de' ss.  Quirico  e  Giulitta  Mi- 
chelangelo Conti,  che  nel  1731  gli 
successe  col  nome  di  Innocenzo 
XIII;  e  tolta  la  collegiata,  che  vi 
era,  l'affidò  alla  custodia  dei  reli- 
giosi di  s.  Domenico,  i  quali  nel 
pontificato  di  Benedetto  XllI,  del 
loro  medesimo  Ordine,  e  da  lui  aiu- 
tati, rimodernarono  ed  abbellirono 
la  chiesa.  Tranne  il  quadro  dell'al- 
tare maggiore,  rappresentante  i  due 
santi  martiri,  e  di  buon  pennello, 
gli  altri    sono  moderni  :    in    quello 


i\  CHI 

dedicato  a  s.  Giuseppe  sposo  di 
Maria  Veif^ine ,  ed  al  ladrone  s. 
Disma,  vuoisi  che  entro  l'altare  vi 
sia  gran  parte  del  corpo  di  quest' 
ultimo.  Di  altre  reliquie  fa  men- 
zione la  lapide,  che  si  legge  nella 
slessa  chiesa  del  suddetto  Cardina- 
le titolare  de' Medici,  colla  data  19 
febbraio  i584-  La  festa  titolare  ce- 
lebrasi ai  16  giugno,  nel  qual  gior- 
no in  ogni  quadriennio,  il  senato 
romano  fa  a  questa  cliiesa  la  pia 
oblazione  di  un  calice  di  argento, 
e  di  quattro  toi'cie  di  cera. 

S.  Rocco,  con  parrochia,  dell' arci- 
confraternila  dì  s.  Rocco,  nel  rio- 
ne   Campo  Maì'zo.  V.    Arcicon- 

FRATERJVITA    DI    S.    RoCCO. 

Il  magistrato  romano,  ogni  anno 
ai  16  agosto  festa  del  santo  titola- 
re, olfre  a  questa  chiesa  un  calice, 
e  patena  di  argento,  con  quattro 
torcie  di  cera  bianca.  Leone  XII  nel 
1824  colla  bolla,  Super  Universani, 
stabili  m  questa  chiesa  la  cura  par- 
rocchiale. 

S.  Romualdo  de'  monaci  camal- 
dolesi, nel  rione  Trevi.  V.  Ca- 
maldolesi monaci. 

Ss.  Ruffina  e  Seconda,  delle  mo- 
nache del  sagro  Cuore,  nel  rio- 
ne di  Trastevere.  V.  Sagro  Cuo- 
re monache. 

S.  Sabba  abbate,  de'  pp.  Gesuiti 
del  collegio  Germanico,  nel  rio- 
ne Ripa. 

A  questa  chiesa  si  arriva  per  una 
piccola  via  situata  dietro  s.  Balbina , 
e  la  sua  fondazione  è  antichissima, 
giacché  l'abbate  del  contiguo  mo- 
uistero   assisteva   al  romano  Ponte- 


cin 

fice  nelle  funzioni  solenni ,  per  es- 
sere la  sua  abbazia  una  delle  venti 
privilegiate  di  Roma.  Anticamente 
eravi  la  stazione  nel  martedì  santo, 
come  abbiamo  dal  Piazza,  Eortero- 
logio.,  ovvero  le  sagre  stazioni  ro- 
mane, pag.  3Gf),  il  quale  parla  dei 
pregi,  e  delle  memorie  ecclesiastiche 
di  questa  chiesa,  non  che  nel  tomo 
II  del  suo  Enierologio  a  pag.  717. 
Venne  dedicata  a  s.  Sabba  abbate 
di  Cappadocia,  e  fondata  ai  mona- 
ci greci  di  s.  Basilio  verso  l'anno 
55o,  che  la  chiamarono  Cella  Nuo- 
va,  o  Cella  Novella,  forse,  come 
dicono  alcuni,  per  essere  stalo  il  lo- 
ro primo  ospizio  in  Roma  ,  o,  per 
dire  meglio,  per  essere  stati  ivi 
trasportati  da  qualche  altro  luogo 
della  medesima  città.  Quivi  risiede- 
vano duecento  monaci  greci,  che  sal- 
meggiavano dì  e  notte,  e  detti  perciò 
Acemiti,  o  Acemeti,  cioè  sempre  vi- 
gilanti. Altri  fanno  fondatore,  o  re- 
stauratore del  monistero,  s.  Grego- 
rio I,  che  fu  eletto  nel  Sgo.  È  poi 
certo  che  presso  la  chiesa  vi  abita- 
va religiosamente  la  di  lui  madre 
s.  Silvia,  di  che  facemmo  menzio- 
ne all'articolo  Chiesa  di  s.  Grego- 
rio AL   MoxTE  Celio. 

Nell'anno  767  per  la  sede  vacan- 
te di  s.  Paolo  I,  insorse  l'antipapa 
Costantino  [Vedi),  ma  dopo  tredici 
mesi  di  scisma  fu  cacciato  nel  mo- 
nistero di  Cella  Nuova,  dove  fu 
tratto  dai  furibondi  soldati  che  gli 
cavarono  gli  occhi.  Quindi  si  legge 
nelle  Vite  de' Papi,  che  Giovanni 
XVIII  morì  ai  7  dicembre  ioo3, 
ovvero  ai  3 1  ottobre,  e  fu  sepolto 
secondo  il  Ciacconio,  nel  monistero 
di  s.  Sabba  in  Cella  Nuova  :  altri 
dicono  pili  probabilmente  con  Gio- 
vanni diacono,  che  fosse  tumulato 
al   Lalerauo. 

Sembra    che    poi    nel    luouislero 


CHI 

vi  passassero  i  monaci  benedettini 
cliiniacensi  ;  certo  è  che  mancan- 
dovi l'  osservanza  della  disciplina, 
nell'  anno  i  i4^  >  Lucio  II  chia- 
mò dalla  Francia  in  Roma  al- 
cuni virtuosi  monaci  cluniacensi,  e 
diede  loro  la  chiesa ,  e  il  moniste- 
ro,  ma  poscia  vi  passarono  i  cistcr- 
ciensi, come  afferma  il  p.  Casimiro, 
Mem.  Ist.  p.  i3.  In  seguito  restan- 
do l'abbazia  pressoché  abbandona- 
ta, Gregorio  XIll,  siccome  era  di- 
venuta commenda,  uni  le  sue  ren- 
dite al  Collegio  germanico  ungari- 
co (  P^edi  ) ,  che  afiidò  alla  dire- 
zione de'  gesuiti.  Da  un  lato  del 
portico  che  precede  la  chiesa  è  un 
antico  sarcofago,  in  cui  vedesi  scol- 
pila una  festa  nuziale.  L' interno 
ha  tre  navi  divise  in  ventiquattro 
colonne,  parte  di  granito,  paite  di 
marmo  pario.  Essa  è  visibile  al  po- 
polo solo  nel  giorno  6  dicembre, 
festività  del  sauto  titolare. 

S.  Sabina,  titolo  Cardinalizio,  in 
cura  dei  domenicani,  nel  rione 
Ripa. 

Fra  le  chiese,  che  nobilitano  il 
celebre  monte  Aventino,  una  è  que- 
sta edificata ,  secondo  alcuni  ,  nel 
luogo  dove  s.  Sabina  ebbe  la  casa 
paterna,  o  del  suo  marito,  e  presso 
i  templi  di  Diana,  e  di  Giunone 
Lucina.  Ivi  pure  vuoisi  che  la  san- 
ta patisse  il  martirio,  ed  ove  i  fe- 
deli eressero  un  oratorio,  sul  quale 
nel  pontificato  di  s.  Celestino  I, 
e  verso  l'anno  ^'25  venne  edificata 
la  chiesa  da  un  certo  Pietro  Cardi- 
nale ,  prete  schiavone  di  nazione , 
come  l'ilevasi  dai  seguenti  versi,  che 
sono  scritti  sulla  porta  maggiore  del 
lato  destro,  con  lettere  di  musaico 
dorato: 


CHI  25 

Culnium  apostolicum  cinn  Coe- 
lestiniis  haheret 

Primus  et  in  tato  fidgeret  epìsco- 
pus  orLej 

Haec  quae  miraris  fundavit praes- 
hyter   Urbis 

Illyrica  degente  Petrus,  vir  no- 
mine tanto 

Digniis,  ah  exortu  Christi  nutii- 
tiis  in  aula: 

Pauperihus  lucuples,  sili  pauper, 
qui  bona  vitae 

Praesentis  JìigienSj  meniit  spera- 
re futuram . 

Dalle  bande  poi  di  tali  versi  si 
vedono  due  figure  di  donne  con  un 
libro  in  mano,  sotto  le  quali  sono 
queste  iscrizioni,  cioè  sotto  quella  a 
destra,  ecclesia  ex  circumcisioxe  ; 
sotto  l'altare  a  sinistra,  ecclesia  ex 
Gentirus. 

Nell'anno  ^3i,  successe  a  s.  Ce- 
lestino I,  il  Pontefice  s.  Sisto  IH, 
il  quale  compì  l'edifizio  della  chie- 
sa, quindi  la  dedicò  e  consagrò  coi 
consueti  riti,  ponendovi  il  battiste- 
rio,  laonde  fino  da  quel  tempo  di- 
venne titolo  di  Cardinale  prete.  Di 
poi  neir  anno  538  avendo  Yitige 
re  dei  goti  assediato  Roma,  Be- 
lisario capitano  imperiale,  credendo 
che  Papa  s.  Silveiio  fosse  d' intelli- 
genza col  nemico,  da  questa  chiesa 
ove  erasi  ritirato  l' innocente  Pon- 
tefice, l'esiliò  dalla  città,  dopo  aver- 
lo obbligato  a  vestirsi  da  monaco . 
Dipoi  s.  Gregorio  I  creato  nel  5cjO 
vi  pose  o  confermò  la  stazione  pel 
dì  primo  di  quaresima,  incomincian- 
do visi  a  celebrare  una  delle  piìi  ri- 
nomate funzioni  ecclesiastiche.  Dap- 
poiché in  tal  giorno  il  Papa  coi 
Cardinali  si  recava  a  s.  Anastasia 
per  la  colletta  per  adunarvi  il  po- 
polo, ed  in  essi  dava  a  tutti  la  ce- 
nere; quindi  processionalmente,  pas- 


26  CUI 

sando  per  la  chiesa  di  s.  Maria  in 
Cdsineilin  scalzo,  si  avviava  alla 
chiesa  di  s.  Sabina:  quivi  si  caiila- 
va  la  messa,  pronunciava  un  ome- 
lia, ed  in  fine  il  diacono  annuncia- 
va la  seguente  stazione.  In  piogies- 
so  di  tempo  i  Pontefici  si  portavano 
dalia  loro  residenza  in  questa  chie- 
sa a  dare  principio  alle  stazioni 
quaiesiinali,  in  solenne  cavalcala, 
segniti  dai  Cardinali,  prelati  e  cor- 
te romana,  funzioni  tutte  che  ven- 
gono descritte  all'  articolo  Cai'Pelle 
]^o>TiFiciE  G  X  numero  6. 

Qui  il  medesimo  s-  Gregorio  I 
lecito  quel  bel  sermone  nclT  i^liluir- 
vi  le  litanie  maggiori  dette  scUiJur- 
mij  cioè  nel  tempo  che  Roma  era 
atTlitta  dalla  peste.  Si  chiamarono 
settifonni  tali  litanie,  perchè  dove- 
vano recitarsi  nella  processione  da 
sette  condizioni  di  persone,  partendo 
da  sette  diverse  chiese;  della  (piai 
funzione  se  ne  legge  la  memoria 
nella  tribuna,  o  coro  di  questa  chie- 
sa. In  seguito  essa  fu  rinnovata  da 
s.  Leone  ili,  il  (juale  la  diede  per 
titolo  Cardinalizio  ad  Eugenio  II, 
che  nell  824  fu  eletto  Papa,  e  vol- 
le beneficarla  coli'  abbellirla  d'  ogni 
intorno  di  pitture,  arricchendola  coi 
cor[)i  de'  ss.  Alessandro  I  Papa,  Teo- 
ilolo  ed  Evenzio.  \enendo  poi  ri- 
guardata come  una  delle  più  insi- 
gni ed  antiche  chiese  di  Roma  ,  al 
suo  Cardinal  titolare  fu  concesso  di 
essere  annoverato  al  servigio  ebdo- 
madario nella  basilica  Ostiense,  e  ce- 
lebrare nelle  domeniche  sulT  altare 
papale  solennemente. 

In  questa  chiesa  vi  era  stato  tras- 
portalo dal  \  aticauo  il  corpo  di  Papa 
s.  Sisto  I,  ma  nel  11 32  Innocenzo 
li  Io  donò  a  Piainolfo  conte  di  Ali- 
te.  JNel  12  38  Gregorio  IX  consagrò 
di  nuovo  l'altare  maggiore,  facendo 
cou^aiirare  ali   altri  dai    vescovi  .    e 


CHI 

Cardinali.  Prima  di  lui  Onorio  III, 
avendo  con'ermalo  l'Ordine  de'  pre- 
dicatori, concesse  loro  la  chiesa  col 
contiguo  hiogo,  per  cui  fa  santifi- 
cata dalla  residenza  di  s.  Domenico 
fondatore  del  medesimo,  che  per 
virtìi  di  Dio,  vi  operò  molli  mira- 
coli, ^i  fondò  il  ujonistero  in  una 
parte  del  palazzo  di  Onorio  III,  ci 
dictle  l'abito  religioso  a  s.  Giacinto, 
e  vi  godette  la  compagnia  di  s. 
Francesco  d'  ^Vssisi,  e  di  s.  Angelo 
carmelitano.  I  Savelli,  della  cui  fa- 
miglia era  Onorio  III  che  divenne 
Pontefice  nel  12 16,  potentissimi  no- 
bili romani,  erano  signori  del  monte 
Aventino.  Onorio  IH  presso  la  chie- 
sa aveva  edificato  un  magnifico  pa- 
lazzo ponfificio,  ove  abitò  molto  tem- 
po, come  poi  fecero  altri  Papi;  in  esso 
appunto  confermò  l'Ordine  di  s.  Do- 
menico, e  vi  stabifi  il  cospicuo  ufllzio 
di  Maestro  del  sagro  palazzo  apo- 
stolico, destinandovi  pel  primo  lo 
stesso  s.  Domenico.  Nel  i285  fu 
esaltato  alla  cattedra  di  s.  Pietro 
Onorio  IV,  Savtlli ,  ed  anch'esso 
fece  r  ordinaria  sua  residenza,  meno 
l'estate  che  si  trasferiva  a  Tivoli, 
nel  palazzo  pontificio  di  s.  Sabina, 
come  attesta  anche  Tolomeo  da  Luc- 
ca, Hìstor.  ecd.  lib.  XXIV,  cap.  i3. 
]Morì  Onorio  IV  ai  3  aprile  1287 
nel  detto  palazzo,  vacando  la  santa 
Sede  dieci  mesi  e  dieciotto  giorni, 
perchè  i  Cardinali  rinchiusi  in  con- 
clave nel  palazzo  di  s.  Sabina,  a 
cagione  della  peste  si  ritirarono  al- 
trove, dopo  che  sei  di  essi  vi  erano 
morti,  ed  altri  erano  caduti  infer- 
mi. 3Ia  il  Cardinal  Girolamo  Ma- 
scio  detto  Tineo  non  abbandonò 
mai  il  palazzo  di  s.  Sabina ,  nel 
quale  nelT  estiva  stagione  purifica- 
va r  aria  infetta,  col  fare  gran  fuo- 
co intorno.  Cessato  il  pericolo  ,  ri- 
tornali i  CarJiuLili   in    concla\e   nel 


CHI 

dello  palazzo,  ai  22  febbraio  1288, 
elessero  Papa  il  medesimo  Cardinal 
Mascio,  che  prese  il  nome  di  Nico- 
lò IV.  Altri  dicono,  che  in  detto 
palazzo  fui'ono  celebrati  altri  con- 
clavi ;  a  me  non  fu  dato  rinvenir- 
li, ed  il  Cancellieri  nelle  Notizie 
istoriche  delle  Stagioni  3  e  de'  sili 
dii'ersi  in  cui  sono  stati  tenuti  i 
Conclavi,  parla  solo  di  quello  di 
Nicolò  IV.  Su  questo  palazzo  ag- 
giungeremo, che  Sisto  IV  dipoi  fece 
demolire  gli  avanzi  del  famoso  ponte 
Sublicio,  ch'era  alle  radici  di  esso, 
ed  il  palazzo,  siccome  divenuto  sino 
da  Paolo  III  luogo  di  diporto  per 
la  deliziosa  amenità  del  sito,  fu  ri- 
storato dalle  sue  rovine  dal  Cardinal 
Domenico  Ginnasi ,  finché  fu  tutto 
incorporato,  come  diremo,  al  conven- 
to dei  domenicani. 

In  questa  chiesa  il  re  di  Sicilia 
Carlo  II  giurò  nel  1293,  alla  pre- 
senza di  Bonifìcio  VIII,  vassallag- 
gio e  fedeltà  alla  Sede  apostolica  , 
invocando  dal  Papa  l'assoluzione  da 
qualunque  ommissione  nella  conse- 
guita investitura  del  reame  di  Si- 
cilia. Poscia  Bonifacio  \III  nel  crea- 
re nel  1298  Cardinale  il  b.  Nicolò 
Boccasini  domenicano,  gli  diede  que- 
sta chiesa  per  titolo,  e  questi  meritò 
di  succedergli  nel  pontificato  col  no- 
me di  Benedetto  XI  nel  i  3o3.  Molti 
poi  furono  i  Cardinali  titolari  che 
nobilitarono,  e  restaurarono  la  chie- 
sa. Giuliano  Cesarini  riparò,  e  rin- 
novò la  tribuna,  che  minacciava  ro- 
vina ,  come  rilevasi  da  una  me- 
moria del  i44i-  Calisto  III  nel 
1456,  creò  Cardinal  prete  di  s.  Sa- 
bina Enea  Silvio  Piccolomini,  e  poi 
nel  i4j8  l'ebbe  in  successore  col 
nome  di  Pio  II.  11  Cardinal  Auxia 
Poggio  spagnuolo  beneficò  questo 
suo  titolo,  vi  fece  risplendere  il  di- 
vin  culto  con  accrescervi  i  sacri  mi- 


CHI  27 

nistri ,  ristorò  il  convento  annesso , 
edificò  la  cappella  al  s.  Piosario,  e 
morendo  nel  i483  volle  essere  se- 
polto nella  chiesa,  ove  gli  fu  posto 
nel  bel  deposito  un  onorevole  epi- 
taffio. Il  Cardinal  Bandi  nel  lo  Sauli, 
genovese  titolare,  sotto  Giulio  II,  re- 
staurò il  bellissimo  chiostro  secon- 
do l'antica  costruzione,  ed  abbellì  i 
vani  dei  portici  di  fatti  esprimenti 
le  geste  di  s.  Domenico,  e  in  morte 
volle  essere  sepolto  nell'amata  sua 
chiesa.  Ed  il  Cardinal  titolare  Ot- 
tone Truchses  rinnovò  il  musaico 
della  tribuna,  operò  altri  migliora- 
menti, ed  abbclfi  la  chiesa  con  pit- 
ture risguardanti  i  santi  e  le  sante, 
che  in  essa  si  venerano  ed  onora- 
no, come  rilevasi  da  una  memoria 
posta  nella  cappella  maggiore  l'an- 
no   i54o. 

Prima  che  s.  Pio  V  divenisse  Pa- 
pa, era  stato  religioso  domenicano 
nel  contiguo  convento ,  per  cui  il 
luogo  ove  abitò  venne  ridotto  in 
una  cappella  adornata  con  istucchi 
dal  Rusconi ,  non  che  di  pitture. 
Quelle  dell'altare  poi  sono  di  Marlia- 
ni.  Nel  suo  pontificato  s.  Pio  V  con- 
servando grande  amore  per  questa 
chiesa,  spesso  vi  si  recò  a  celebrale 
le  pontificie  funzioni,  compì  la  fab- 
brica del  monistero,  della  sagrestia, 
e  dei  portici,  concedendole  inoltre  la 
chiesa,  allora  parrocchiale,  di  s.  Ni- 
cola de' Perfetti  in  Campomarzo, 
perchè  servisse  di  comodo  ospizio 
ai  domenicani  di  s.  Sabina  nel  re- 
carsi nell'interno,  o  centro  di  Roma. 
Sisto  V,  che  da  lui  era  stato  elevato 
al  Cai'dinalato ,  volle  rendere  più 
magnifica  la  chiesa,  e  il  convento. 
Piipristinò  la  cappella  papale  nel 
primo  giorno  di  quaresima ,  per 
maggior  comodo  del  popolo,  e  per 
renderla  più  ampia  levò  il  presbi- 
teiio  erettovi  da  Eugenio   II,  la  di- 


28  CHI 

visione  di  mezzo ,  e  i  due  amboni 
ovocantavansi  l'epistola,  e  l'cvan^^jolo. 
Piifcce  il  pavimento  ,  rispettando  le 
nìcmoiie  aiilidic,  ed  alìhelli  la  tribu- 
na col  pennello  di  Taddeo  Zuccaii. 
Sotto  l'altare  maggiore  eresse  una 
nobile  cappella  con  iscala  di  marmo 
ben  ornata,  per  discendervi,  poi  resa 
più  ricca  dalla  nobile  famiglia  dan- 
ti ;  nel  medesimo  luogo  si  ha,  che 
s.  Domenico  traltcnevasi  in  lunghe 
orazioni.  INel  rimuovere  e  rinnova- 
re r  antico  altare  maggiore,  ritrovò 
sotto  le  reliquie  de'  sagri  corpi  di 
Sabina  martire,  Serapia  vergine  e 
martire,  Alessandro  1  Papa  e  mar- 
tire, Evenzio  prete,  e  Teodolo  com- 
pagni. Tanto  viene  riferito  da  una 
marmorea  iscrizione,  che  da  un  can- 
to fu  ivi  posta  nell'anno  secondo 
del  suo  pontificato. 

Il  Cardinal  Girolamo  Bernerio; 
già  religioso  e  priore  del  convento, 
edificò  una  magnifica  cappella  a  s. 
Giacinto  domeniamo  ,  e  in  essa  fu 
sepolto  nel  i6i  i,  Clemente  IX,  Ro- 
spigliosi, che  regnò  sul  trono  del 
Valicano  dal  1667  al  1669,  cangiò 
in  cappella  la  stanza  di  s.  Domeni- 
co, con  arcliiltttiu'a  del  Borromini,  e 
rinnovò  le  antiche  memorie  de'  suoi 
predecessori,  ritirandosi  nel  carne- 
vale a  fare  gli  esercizi  spirituali,  ed 
a  starsene  in  quiete,  nel  convento 
medesimo  o  palazzo  pontificio  di  s. 
Sabina,  del  quale  ancora  si  veg- 
gono alcune  parti,  non  che  i  resi- 
dui di  grande  muraglia ,  torri  ,  e 
merli  a  di  lui  custodia.  Quindi  il 
Cardinal  Delci  fondò  la  bella  eap- 
pella di  s.  Caterina,  e  nel  1670  in 
morte  vi  lasciò  il  suo  cadavere.  Re- 
se poi  luminosa  la  chiesa  il  Cardi- 
nal Tommaso  Howard  de'  duchi  di 
iVortfolk  inglese,  con  aprirvi  delle  fi- 
nestre dalle  due  parti. 

Si  entra  in  chiesa  per  un  porli- 


CIII 
elietto  laterale,  da  dove  furono  ^olte 
le  preziose  colonne  di  granito  ver- 
de, che  attualmente  servono  di  or- 
namento al  braccio  nuovo  da  Pio 
VII  aggiunto  al  museo  vaticano. 
L'interno  è  compartito  in  tre  navi, 
una  maggiore  nel  mezzo  ,  due  mi- 
nori ne'  lati.  Quella  di  mezzo  resta 
divisa  dalle  altre  da  ventiquattro 
colonne  scanalate  di  marmo  pano , 
cioè  dodici  per  banda,  con  basi  e 
capitelli  di  ordine  corintio.  In  fon- 
do della  nave  destra  si  vede  la  cap- 
pella di  s.  Domenico  non  ha  guari 
rimodernata,  avente  per  quadro  la 
Madonna  del  Rosario,  con  s.  Dome- 
nico, e  s.  Caterina,  egregio  dipinto 
del  celebre  Sassoferrato.  La  cappella 
di  s.  Giacinto  nella  nave  stessa  è 
opera  della  pittrice  Lavinia  Fonta- 
na .  Federico  Zuccari  dipinse  da  un 
lato  la  di  lui  canonizzazione  ese- 
guita da  Clemente  Vili,  dall'altro 
Taddeo  Zuccari  rappresentò  s.  Do- 
menico nell'atto  di  dare  l'abito  dei 
predicatori  a  s.  Giacinto,  ed  al  bea- 
to Ceslao.  Presentemente  nella  sud- 
descritta  tribuna  si  ammira  un  qua- 
dro che  esprime  s.  Sabina  martiriz- 
zata, eseguito  dal  eh.  cav.  Giovan- 
ni Silvagni  professore,  e  vice-presi- 
dente della  pontificia  accademia  di 
s.  Luca.  Nella  nave  sinistra  evvi  la 
cappella  della  famiglia  d'  Elei  tosca- 
na, eretta  con  disegno  del  Contini, 
ed  abbellita  di  belli  marmi  :  nel- 
l'altare il  ìMorandi  dipinse  s.  Cate- 
rina, ed  è  fra  quattro  colonne  di 
breccia,  mentre  1'  Odazi  fece  gli  af- 
freschi della  cupola.  Oltre  i  mento- 
vati depositi  sono  meritevoli  di  men- 
zione i  depositi  riuniti  del  Cardinal 
Alessandro  Bichi ,  e  del  suo  fratel- 
lo Celio  Bichi  uditore  di  Rota,  co- 
me nel  pavimento  della  nave  di 
mezzo  è  un  musaico,  rappresentante 
fra  ]Munio  di  Zamora,  generale  dei 


CHI 
domenicani ,    che    morì    nell'  anno 
i3oo. 

Sono    pur    degni    di  osservazione 
l'antico  portico,    e    l'antico    ingres- 
so, in  parte  chiuso  dentro    il    con- 
vento. Allorché  tal  portico  fu  restau- 
rato dal  menzionato  Cardinid    Ber- 
iierio ,  il    vestibolo    era  decorato  di 
colonne,  delle  quali  sono    superstiti 
quattro  di  paonazzelto    scanalate    a 
tia verso,  e  quattro    di  granito  :    ivi 
erano  Ire  porte,  ed  ora   solo  esiste 
la  piincipale,  e  quella  a  destra.    Si 
vuole,  che  questa  un  tempo  servisse 
di  porla  santa  (su  di  che  è  a  ve- 
dersi il  Panciroli,    Tesori,    ec,  pag. 
788),  quando  fu  sostituita  la  chie- 
sa di  s.  Sabina,  alla    basilica    di  s. 
Paolo  negli  anni  santi  dell'  univer- 
sale giubileo,  allorché  il  Tevere  colle 
sue  inondazioni  impediva  l'accesso  al- 
la basilica.  Ciò  forse  appartiene  agli 
antichi  tempi,  dappoiché  tutti  sanno, 
che  da  Urbano  Vili  in    poi    in  si- 
mili od  altre  emergenze,  alla  basi- 
lica di  s.  Paolo  fu  sostituita  quella 
di  s.  Maria  in  Trastevere,  nel  mo- 
do che  si  disse  a  quell'articolo.  L'in- 
gresso, o  stipite  della    porta  princi- 
pale, è  abbellito  per  di  fuori  e  per 
dentro  d' intagli  di  marmo  mirabili, 
per  la  diligenza  con  cui  furono  fatti  ; 
egualmente  interessanti  sono  le  sue 
imposte  di  cipresso,  le  quali  nei  fusti 
da  ultimo  ristorati,  in  riquadri  hanno 
in  bassorilievi    scolpiti    diversi    fatti 
della  sagra  Scrittura,  opera  che  ri- 
monta al  decimoterzo  secolo,  e  me- 
ritò, anco  per  le  belle  fregiature  che 
l'adornano,  di  essere  incisa  ed  illu- 
stiata  dal  d'  Argincourt,    nel  suo  ri- 
nomato   trattato    intorno    la    deca- 
denza delle  arti.  Tale  lavoro  si  vuole 
una  imitazione  di  getti  in  bronzi  la- 
vorati nel  decimoprimo  e  nel  deci- 
niosecondo  secolo.  Dal  detto  portico 
si  può  aver  ingresso  pure  al  conti- 


CHI  29 

guo  convento,  il  cui  chiostro  di  for- 
ma quadra  é  ornato  di  centotie  co- 
lonnine antiche.  Pompeo  Felici  ci 
diede:  La  prima  stazione  di  Roina^ 
e  della  chiesa  di  s.  Sabina,  Ri  mi- 
ni i568.  In  questo  libro  si  parla 
della  stazione  di  s.  Sabina,  e  delle 
altre  di  Roma ,  ed  anco  de'  pregi 
di  questa  chiesa.  La  festa  della  san- 
ta vi  si  celebra  ai   29  agosto. 

Sagre  Stimmate  di  s.  Francesco , 
dell'  arciconfraternita  nel  rione 
Pigna.  V.  Volunie  II  del  Dizio- 
nario a  pagine   Sog. 

Il  senato  romano  ogni  anno,  per 
la  festa  delle  sagre  Stimmate  di  s. 
Francesco  d' Assisi,  la  quale  ricorre 
ai  1 7  settembre,  fa  l' offerta  d'  un 
calice  e  patena  di  argento,  insieme 
a  quattro  torcie  di  cera. 

S.  Salvatore  delle  Coppelle,  del 
collegio  de  Parrochi  di  Roma.  V. 
Parbochi. 

S.  Salvatore  della  Corte,  o  s. 
31  A  RIA  della  Luce,  con  parroc- 
chia in  cura  de'  Pacioni,  nel  rio- 
ne di  Trastevere , 

Questa  antica  chiesa  fu  eretta,  e 
dotata  di  molte  possessioni  da  s. 
Bonosa,  e  si  vuole  che  il  Pontefice 
s.  Giulio  I,  creato  nell'anno  336, 
la  facesse  parrocchia.  Fu  detta  in 
Corte,  o,  come  altri  vogliono,  nella 
Corte,  perchè  fu  quivi  una  Curia 
degli  antichij  o  secondo  il  Panciroli 
una  basilica,  ove  si  trattavano  le  cu- 
re ed  i  negozi  pubblici,  aggiungen- 
do che  a  Torre  de'  Specchi  fu  già 
una  chiesa  detta  s.  3Iarìa  in  Corte, 
dalla  cwia  o  basilica,  la  quale  ivi  pri- 
ma esisteva.  Altri  sono  di  parere,  che 
tal  soprannome  avesse  origine,  per- 


.3o 


CHI 


clic  ìli  loiit;iui  U;iin)i  in  ([iicsta  con- 
Iraila  cMìcto  gli  cbrii  mia  sinago- 
ga, dai  gentili  chiamala  Curii,  cioè 
Circoncisi^  ovvero  perchè  la  liimiglia 
de  Curtibus  prestasse  a  (juesta^  come 
ad  altre  chiese,  il  proprio  cognome. 
L'antichità  di  (jiicsta  chiesa  ap- 
parisce anche  dalle  pittare  in  mu- 
saico del  secolo  decimo  <juarto,  che 
decorano  la  tribuna  dell'  aitare  gran- 
de. Clemente  Vili  vi  uiù  la  par- 
rocchia della  vicina  chiesa  dedicata 
alla  medesima  s.  Bonosa,  la  quale 
è  pure  antica,  giacché  il  famoso  Co- 
la di  llienzo,  ucciso  nel  1354,  ^^ 
essa  fu  sepolto.  Fu  ristorala  nel  iGSy, 
dal  pro[)rio  parroco  Gio.  Domeni- 
co Mauro  Cosentino  di  Aprigliano; 
indi  fu  eziandio  rinnovata  dal  ret- 
tore Francesco  Serra  di  Genova. 
Quindi  Benedetto  MI I  nel  1729  die- 
de la  chiesa  e  la  parrocchia  ai  re- 
ligiosi Jìli/iifìii  di  s.  Francesco  di 
Paola,  perciò  delti  Paolotti,  tiella 
provincia  romana,  i  quali  nel  se- 
guente anno  la  restaurarono  con 
disegno  del  Valvasori.  Allorché  fu  ter- 
minata la  crocerà,  vi  venne  traspor- 
tata una  divota  immagine  di  Maria 
Vergine,  detta  della  Luce,  che  fu 
discoperta  in  un  arco  presso  il  Te- 
vere, ove  i  fedeli  accoirevano  a  ve- 
nerarla pei  prodigi  cui  operava,  e 
fu  allora  che  la  chiesa  prese  anco 
l'altro  nome  di  s.  Maria  della  Lu- 
ce. Il  quadro  di  s.  Francesco  di 
Paola  nel  suo  altare  fu  dipinto 
dall'  Avellino.  11  Padre  eterno  sul- 
r  aliare  maggiore ,  e  il  Salvatore 
sulla  porta  del  tabernacolo  sono  di 
Sebastiano  Conca,  come  del  fratello 
di  questo,  Giovanni,  è  il  s.  France- 
sco di  Sales.  V.  Gio.  Domenico 
Mauro ,  Descrizione  della  chiesa 
parrocchiale  del  Ss.  Salvatore  in 
Corte  nel  rione  Trastevere,  Velletri 
1667. 


CHI 

S.  Salvatore  in  Lauro^  de'  mar- 
chcgiaui ,  cui  è  unito  il  collci^io 
Piceno,  con  parrocchia,  nel  rio- 
ne Punte. 

A  questa  chiesa  fu  aggiunta  la 
denominazione  di  Lauro  per  essere 
ivi  stato  il  celebratissiino  portico  di 
Europa,  in  mezzo  al  quale  vuoisi 
che  vi  fosse  un  boschetto  di  allori. 
Né  manca  chi  opina,  che  non  in 
Lauro,  ma  in  Lari  si  dovrebbe  di- 
re, perchè  in  questo  luogo  i  gentili 
veneravano  in  un  modo  particolare  i 
loro  idoli  domestici  detti  Lares.  Edi- 
ficò la  chiesa  verso  l'anno  i4493  '^ 
magnanimo  Cardinale  Latino  Orsini 
romano,  in  un  all'annesso  monistero, 
in  vicinanza  del  palazzo  paterno  di 
monte  Giordano.  Perchè  fòsse  poi 
custodita,  e  vi  risplendesse  il  culto 
divino,  verso  il  i4^0j  ^i  chiamò  da 
Venezia  i  Canonici  di  s.  Giorgio  in 
Alga  [P^edi),  colà  nel  i4o4  istituiti 
da  Antonio  Corralo,  che  dallo  zio 
Gregorio  XII  fu  poi  creato  Cardi- 
nale, e  da  Gabriele  Condulmiero, 
che  dal  medesimo  Papa,  di  cui  era 
nipote,  fu  fatto  Cardinale,  meritan- 
do nel  i43i  il  pontificato  col  nome 
di  Eugenio  IV.  Il  benefico  Cardi- 
nal Orsini  diede  ancora  ai  canonici 
una  preziosa  biblioteca,  la  quale  nel 
i52  7  fu  incendiata  dall' esercito  di 
Borbone ,  soffrendo  gravemente  in 
altro  incendio  anche  la  chiesa ,  che 
i  canonici  fecero  rifabbricare,  come 
meglio  poi  si  dirà,  con  architettura  di 
Ottavio  Mascherini.  Dotò  il  Cardinal 
Oi^ini  la  chiesa,  e  il  monistero,  e  tan- 
ta amorevolezza  avea  pei  mentovati 
canonici  regolari,  che  sovente  re- 
cavasi nel  loro  refettorio,  ed  assiso 
a  mensa  ivi  mangiava.  Morì  nel 
i477j  e  fu  sepolto  in  questa  chiesa 
senza  memoria  alcuna,  com'egli  avea 
comandato.  Ma  i  canonici  da  lui  «jui- 


CHI 
vi  posti,  gli  eressero  un  busto  di 
marmo  con  una  iscrizione  sopra  la 
poita  del  secondo  chiostro  che  con- 
duce al  refettorio,  come  asserisce  il 
Cardella  nel  tomo  III  p.  Ili,  Delle 
memorie  {storiche  de'  Cardinali.  La 
detta  iscrizione  fu  replicata  presso 
r  ultima  cappella  dalla  parte  destra 
della  chiesa.  Che  il  Cardinale  fu 
sepolto  in  questa  chiesa,  nella  di  lui 
vita  Io  afferma  V  Oldoino.  ISel  tem- 
po che  la  uliiciavano  i  canonici,  la 
chiesa  crebbe  in  tanta  venerazione, 
che  ottenne  la  cura  parrocchiale , 
quantunque  per  bi-eve  tempo  la  go- 
desse, venendo  poi  tolta  nel  i  \^Q> 
da  Innocenzo  ^  III,  e  unita  alla  chie- 
sa di  s.  Celso.  Ai  nostri  giorni  però 
Leone  XII,  colla  bolla  Super  Uni- 
versam,  data  kal.  novembris  anno 
1824»  restituì  a  questa  chiesa  la 
cura  parrocchiale. 

Dopo  di  tal'  epoca,  e  nel  1 5 1 7 
Leone  X  eresse  la  chiesa  in  titolo 
Cardinalizio,  quando  in  una  pro- 
mozione annoverò  trenta  uno  Cardi- 
nali al  sagro  Collegio.  ludi  avendo 
Pio  IV  donato  un  elegante  reli([uia- 
rio,  con  parte  del  legno  della  ss. 
Croce  a  Melchiorre  Michieli  amba- 
sciatore della  repubblica  di  \enezia 
presso  la  santa  Sede,  egli  ne  fece 
dono  a  questa  chiesa.  In  seguito 
mancando  la  chiesa  di  Cardinal  ti- 
tolare, Sisto  V  nel  sopprimere  il  ti- 
tolo di  s.  Simeone,  nel  1087  ^^^' 
fermò  questo  di  s.  Salvatore  in 
Lauro,  ed  il  conferì  al  Cardinal  Sci- 
pione Lancellotti,  creatura  di  Gre- 
gorio XIII  ,  la  cui  famiglia  aveva 
sino  d' allora  vicino  il  palazzo ,  e 
che  morì  nell'anno  iSgS.  Clemen- 
te Vili  gli  diede  in  successore  il  ce- 
lebre Cardinal  Silvio  Antoniano , 
che  il  Ruscellio  non  dubitò  chia- 
ntare,  Piruni  sui  sacculi  miraculum  ; 
ed    il   Castelvctro ,    Magmim  natu- 


CHI  3i 

rae  miraculum.  Innocenzo  X,  nel 
i65'2,  creò  Cardinale  prete  di  s. 
Salvatore  in  Lauro  Pietro  Ottobo- 
ni  veneziano ,  che  poi  neh'  anno 
1G89  divenne  Papa  Alessandro  Vili. 
L'  ultimo  titolare  fu  il  dottissimo 
Cardinal  Sforza  Pallavicini  gesuita, 
che  morì  nell'anno  16G7.  E  sicco- 
me, come  dicemmo  al  citato  artico- 
lo, Clemente  IX  nel  iG()8  soppres- 
se i  canonici  di  s.  Giorgio  in  Alga, 
il  suo  successore  Clemente  X  nel 
1670  vi  tolse  pure  il  titolo,  ed  in 
vece  eresse  quello  di  s.  Bernardo 
alle  Terme,  dei  cistcrciensi.  Va  qui 
però  notato,  che  nel  settembre  1391, 
la  chiesa  per  casuale  incendio  andò 
tutta  distrutta,  a  riserva  di  un  qua- 
dro rappresentante  la  b.  Vergine, 
che  tuttora  esiste.  I  canonici  la  ri- 
costruirono dalle  fundamenta  con 
architettura  del  nominato  JMasche- 
rini,  ma  non  avendola  totalmente 
terminata,  la  nazione  picena  la  ri- 
dusse nello  stato  in  cui  ora  si  ve- 
de. Di  detta  nazione  picena  o  mar- 
chegiana ,  che  sotto  Clemente  I K 
passò  colla  sua  confraternita  e  col- 
legio, ad  acquistare  questa  chiesa, 
e  monistero  contiguo ,  fa  d' uopo 
narrare  qui  la  origine ,  e  ciò  che 
precedette  lo  stabilimento  di  detti 
pii  istituti  nella  chiesa  di  s.  Salva- 
tore in  Laiu'o. 

Nel  1 620  circa  i  marchegiani , 
con  permesso  dei  canonici  della  chie- 
sa di  v.  Maria  ad  Martyres,  eressero 
in  quella  chiesa  un  sodalizio  pei  lo- 
ro nazionali,  che  Urbano  ^  III  nel 
i(i33  con  breve  de'  i4  aprile  ca- 
nonicamente dichiarò  confraternita, 
elevata  poi  al  grado  di  arciconfra- 
ternita  nel  1677  con  breve  de'  16 
luglio  da  Innocenzo  XI.  Da  princi- 
pio la  confraternita  essendosi  stabi- 
lita nella  chiesa  di  s.  Maria  ad  Mar- 
tyres, coir  autorità    d'  uu    breve  di 


32  CHI 

Urbano  VITI  de'  3i  ilicembrc  1^30, 
la  nazione  picena  oltcniic,  per  niez- 
Zf)  tlcl  Cardinal  Gio.  l'atlisla  Pai- 
lolla,  la  lacoltù  di  erigere  una  chie- 
sa propria  con  oralorio,  collegio  ed 
alunni,  ce.  Laonde  concorrendovi  il 
detto  Cardinale  connazionale  e  loro 
primo  protettore,  nel  iG38,  presso 
la  piazza  del  popolo ,  e  nella  via 
Ilipetta,  acquistò  alcune  case,  e  fab- 
bricò la  chiesa  sotto  la  invocazione 
di  s.  INIichele  Arcangelo,  ed  ivi  pas- 
sò a  stabilirsi  la  confraternita,  dove 
espose  alla  pubblica  venerazione  e 
culto  la  statua  della  beala  Vergine 
col  suo  divin  figlio,  fatta  a  somi- 
glianza di  quella  che  sta  nella  santa 
casa  di  Loreto,  e  quindi  implorò  ed 
ottenne  dal  capitolo  vaticano  che 
la  coronasse  con  corona  d'oro  nel 
I  r)44j  corona  che  pure  fu  imposta 
al  s.  Bambino  nel  1646.  Essendo 
grande  la  divozione  dei  fedeli  a 
tale  simulacro,  la  chiesa  era  angu- 
sta per  contenervi  il  numeroso  po- 
polo che  vi  accorreva  a  venerare 
la  santa  efllgie  sotto  il  nome  della 
Madonna  di  Lordo.  Narra  l'Ai  veri, 
ìloina  in  ogni  stato,  tomo  li,  pag. 
56,  che  non  solo  presso  la  chiesa 
fu  istituito  un  collegio  pei  marche- 
giani,  i  quali  volessero  applicare  al- 
lo studio  delle  lettere,  ma  anco  uno 
spedale  per  curare  gì'  infermi  di  tal 
nazione;  e  che  tal  divenne  la  divo- 
zione ivi  verso  la  Madonna,  che  la 
chiesa  fu  diligentemente  e  decoro- 
samente uffiziata  ,  per  lo  zelo  e  li- 
beralità del  Cardinal  Pallotta,  il 
quale  ogni  anno  a'  i  o  dicembre  vi 
foccva  celebrare  una  solenne  proces- 
sione con  meravigliosa  macchina,  che 
racchiudeva  la  santa  immagine  de- 
scritta dallo  stesso  Alveri ,  cui  in- 
tervenivano Cardinali,  prelati,  e  per- 
sonaggi distinti.  In  progresso  di 
tempo  la  confraleriiita   stabih  di  e- 


CTIl 

difìcare  altra  chiesa  più  vasta ,  al- 
le radici  del  Campitloglio  ov'  ci*a 
una  chiesa  de' basiliani,  detta  di  .1. 
Gio.  in  Illcrcatcllo,  ed  oggi  s.  Ve- 
nanzio de'  Camerinesi,  per  cui  la  na- 
zione picena  l'acquistò  insieme  al- 
l'annesso ospizio  a'  1 5  marzo  i654 
per  la  somma  di  scudi  sedicimila 
centocinfjuanta,  somma  che  pagò  ai 
basiliani.  Quindi  nella  chiesa  di  s. 
Giovanni  1'  arciconfraternita  traspor- 
tò il  venerando  simulacro  della  b. 
Vergine  a'  5  aprile  i656.  Ma  sic- 
come il  luogo  fu  riconosciuto  angu- 
sto, colla  mediazione  del  Cardinal 
protetlorc  Decio  Azzolini,  e  il  bene- 
l)Iacito  di  Papa  Clemente  IX,  Ro- 
spigliosi, a'  22  agosto  i6Gq,  la  na- 
zione picena  acquistò  pel  collegio 
ed  arciconfraternita  la  chiesa  di  s. 
Salvatore  in  Lauro,  col  monistero , 
sagre  suppellettili,  quadri,  ec. ,  per 
la  somma  di  trentamila  scudi ,  ce- 
dendo la  chiesa  di  s.  Giovanni  in 
Mercatello  ai  camerinesi.  L'arcicon- 
fraternila  convertì  il  monistero  in  col- 
legio con  rendite,  per  allevare  nella 
curia  romana,  nelle  facoltà  legali,  e 
nella  medicina,  sotto  combinate  re- 
gole, dodici  giovani  marchegiani,  per- 
chè ivi  per  cinque  anni  attendessero 
agli  studi.  A  loro  comodo  il  pio  luogo 
pose  una  copiosa  libreria,  lasciata  da 
Maria  Urbani  da  monte  Sammar- 
tino. 

In  seguito  r  arciconfraternita  al> 
belh  la  chiesa,  compi  la  crociera,  vi 
aggiunse  la  cupola  con  architettura 
di  Gio.  Battista  Sassi,  collocandovi 
la  statua  della  IMadonna  coronata  dal 
capitolo  vaticano,  e  dedicò  la  chiesa 
alla  [Madonna  di  Loreto,  la  cui  festa 
solennemente  celebra  ai  1  o  dicem- 
bre, giorno  anniversario  della  for- 
tunata traslazione  della  s.  Casa  nel- 
la JMarca ,  ed  ottenne  stabilmente 
un    Caidinal  protettore,  della  mede- 


CHI 
sima  nazione  picena  o  marchegia- 
na,  cioè  il  piìi  anziano  di  esalta- 
zione al  Cardinalato.  Dai  Diari  di 
Roma  si  rileva,  che  questa  chiesa  per 
tal  festa  veniva  visitala  dai  Cardinali, 
e  nel  17  17  lo  fu  anco  da  Clemente 
XI.  Dopo  che  nel  pontificato  di  Pio 
Yl  sulla  piazza,  che  prende  il  nome 
dalla  chiesa,  furono  istituite  le  scuole 
cristiane  sotto  la  dilezione  dei  tanto 
benemeriti  Fratelli  delle  scuole  Cri- 
stiane, questi  ogni  giorno  vi  condu- 
cono la  loro  numerosa  scolaresca 
ad  ascoltarvi  la  s.  Messa.  jN'ell'au- 
no  1802  poi,  avendo  Napoleone 
Bonaparte,  primo  console  della  re- 
pubblica francese,  mandato  a  Roma 
al  Pontefice  Pio  VII  il  sagro  simu- 
lacro che  si  venera  nella  s.  Casa  di 
Loreto,  tolto  di  là,  e  trasportato  a 
Parigi  negli  anni  precedenti  dalle 
armate  repubblicane,  Pio  VII  pri- 
ma di  resti tuiie  la  sagra  statua  al 
.suo  proprio  santuario  di  Loreto,,  la 
fece  esporre  con  divota  pompa  nella 
chiesa,  per  appagare  la  pia  ed  ar- 
dente brama  de'  romani. 

La  facciata  di  questa  chiesa  non 
essendo  per  anche  terminata  è  tutta- 
via rustica,  avente  ai  iati  della  porta 
principale  due  leoni  di  marmo,  se- 
condo il  costume  delle  chiese  anti- 
che. L'interno  è  decorato  da  ven- 
tiquattro colonne  d' ordine  corintio  ; 
e  fra  le  sue  numerose  ed  ornate 
cappelle  assai  pregevoli  pe'loro  di- 
pinti, ricorderemo  quella  del  ss.  Cro- 
cefisso, somigliante  a  quello  miraco- 
loso di  Sirolo  presso  Ancona;  sotto 
del  quale  è  un'  immagine  della  b. 
Vergine  delle  Grazie,  coronata  an- 
ch'essa dal  capitolo  vaticano  nel 
1654,  che  pretendisi  dipinta  dal 
famigerato  pittore  e  scultore  fioren- 
tino Antonio  Pollajuolo.  Questo  è  il 
quadro  della  b.  Vergine,  che  limase 
illeso    nell'incendio    del     10^91,    di 

VOI..    XIII. 


CHI  33 

cui  parlammo  di  sopra.  In  due 
luoghi  del  quadro  si  legge:  An- 
tonius  pinxit  3  i494-  SuU'  altare 
maggiore  fu  già  un  quadro  rap- 
presentante la  Tx'asfigurazione,  di 
Giovanni  Serodine,  con  altre  pit- 
ture di  Pierin  del  Vaga  ;  ma  la 
confraternita  vi  fece  pure  una  tela 
di  Gio.  Peruzzini  di  Ancona,  in  cui 
si  vede  figurata  la  s.  Casa,  portata 
dagli  angeli  nella  Marca.  Gli  angeli 
poi,  che  in  istucco  fece  il  Campi  , 
circondano  la  nicchia  in  cui  si  ve- 
nera la  suddetta  statua  della  Madon- 
na di  Loreto,  che  da  ultimo  nel  1 836 
a'  9  dicembre  il  Cardinal  CTallefli  ai'- 
ciprete  vaticano  coi  canonici  del  suo 
cap'tolo,  coronò  con  due  corone 
d'oro  benedette  dal  Cardinale  stes- 
so, giacché  nelle  ultime  vicende  era- 
no state  tolte  le  coi-one  d'  oro  sì  alla 
Madonna,  che  al  s.   Bambino. 

iSel  chiostro  dell'  annesso  collegio, 
eh'  è  di  buona  architettura  con  dop- 
pio portico,  si  vede  il  deposito  del 
gran  Pontefice  Eugenio  IV,  ornato 
di  bellissime  scolture,  con  epitaffio 
in  versi,  che  ricorda  le  vicende  del 
conciliabolo  di  Basilea,  e  l'animo 
grande  di  Eugenio  IV,  come  si  leg- 
ge nella  Bibliolh.  Pont.  pag.  68 
del  p.  Giacobbe,  riportandone  la  fi- 
gura l'Oldoino,  tomo  II,  pag.  891. 
Egli  mori  nel  1447?  ^  ^"  sepolto 
nella  basilica  vaticana,  dove  il  suo 
nipote  Cardinal  Francesco  Condul- 
mieii  gli  eresse  un  magnifico  depo- 
sito, il  quale  appunto  nella  riedifi- 
cazione della  basilica  insieme  al  di 
lui  corpo  fu  quivi  trasferito.  Que- 
sta chiesa  ha  pure  annesso  n\\  ora- 
torio, che  un  tempo  uiiiziarono  i 
confrati,  nel  quale,  oltre  le  belle 
pitture  a  fresco,  si  vede  sulle  pareti 
dipinto  a  olio  il  miracolo  delle  noz- 
ze di  Cana   di  Cecchino  Salviati. 

Passata  la  chiesa,  come  si  dis.se, 
3 


34  CHI 

in  propi  ielà  della  nazione  picena  o 
nìnrolici^iana  j  termiii?)  di  avere  il 
(Jardiiial  titolare,  ma  fu  inveri;  pre- 
sieduta dai  Cardinali  proteUori.  l'er 
varie  vicende  sì  politiche  che  eco- 
nomiche, le  rendite  della  chiesa  mol- 
lo ebbero  a  soffrire,  per  cui  nel 
18 14  Pio  VII  soppresse  la  confia- 
ternita ,  e  congregazione  ammini- 
strativa del  collegio  Piceno,  ed  as- 
soggettò la  chiesa,  e  tutte  le  sue 
dipendenze  ad  un  Cardinale  visita- 
tore ,  con  facoltà  di  nominare  un 
prelato  convisitatore.  Ciò  si  effettuò 
nelle  persone  del  Cardinal  Branca- 
doro ,  e  di  monsignor  Barile,  cui 
successe  mon-iignor  Grimaldi,  ora 
Cardinale.  Ouindi,  nel  iSSy,  diven- 
ne visitatore  il  Cardinal  Tommaso 
Bernetti ,  e  convisitatore  il  prelato 
Antonio  IMatteucci.  Il  collegio  Pice- 
no poi,  che  fu  stabilito  nel  conti- 
guo moiiistero,  per  lunga  serie  d'an- 
ni fu  in  pieno  vigore  ;  ma  per  le 
diminuite  rendite  lasciò  di  sussiste- 
re, e  invece  alcuni  giovani  marche- 
giani,  ed  ancora  alcuni  giovani  ge- 
novesi per  certi  legati  pii  ivi  la- 
sciati, godono  l'abitazione  nell'anti- 
co collegio,  per  fare  in  Roma  gii 
studi  alle  pubbliche  scuole,  e  ven- 
gono riguardati  come  addetti  all'an- 
tico collegio  Piceno,  giacché  godono 
alcuni  anco  una  pensione,  ed  han- 
no un  rettore.  V .  Carlo  Bartolomeo 
Piazza,  Opere  pie  di  Roma  a  pag. 
279,  Del  collegio  de'  Marchiani,  al- 
la santa  casa  di  Loreto ,  nonché 
a  pag.  58'>,  Della  confraternita 
della  santa  casa  de  Marchiani 
a  s.  Salvatore  in  Lauro  ;  IMa- 
rio  Cresci mljieni,  Memorie  istorielie 
della  immagine  di  s.  Diaria  drlle 
Grazie  esistente  in  Roma  nella  chie- 
di s.  Sahatore  in  Lauro,  ossia  di 
s.  Maria  di  Loreto  della  nazione 
Picena,  Roma  1716;  oonchè  il  Ve- 


cin 

nuti  Roma  moilerna,  t.  I,  parte  If, 
pag:  44'2  j  ove  parla  della  chiesa  , 
arcicon fraternità  e  collegio.  Di  cpie- 
slo  abbiamo,  Regole  dell'almo  col- 
legio Piceno,  Roma    171 3. 

Il  senato  romano  in  ogni  qua- 
driennio, per  la  festa  della  s.  Casa 
di  Loreto,  fa  a  questa  chiesa  la 
pia  oblazione  d'  un  calice  di  argen- 
to, e  di   (piattro  torcie  di  cera. 

S.  SÀLVATOiìEin  Primi  cero,  ^.  gli 
articoli  Arciconfraterxita  del  ss. 
Sacramento  nella  chiesa  di  s.  Tri- 
fone, e  CHIESA  iJi  s.  Agostino, 
peichè  esisteva  nel  luogo  dei 
convento  aimesso  a  detta  chiesa. 

Ss.  Sàlvatoiìe  ad  Sancta  Sanclo- 
rum,  ossia  alle  Scale  Sante.  V. 
Sancta  Saxctorum. 

S.  Salvatole  alle  Terme,  detto 
volgarmente  s.  Sah'atorello,  unito 
alla  Chiesa  di  s.  Luigi  de' fran- 
tesi,   f^edi. 

ScAt.E  Saxte,  sttnluario  nel  rione 
Monti.    V.    Scale    Sante    santua- 


S.  Sebastiaso  fuori  delle  mura  , 
basilica,  con  parrocchia,  con  ca- 
tacombe, in  cura  de'  minori  os- 
servanti, nel  rione  Ripa. 

Questa  chiesa  si  trova  fuori  della 
porta  Capena,  ora  chiamata  per  la 
medesima  di  s.  Sebastiano.  Fu  edi- 
ficata sopra  il  tanto  celebralo  cimi- 
tero di  Calisto,  detto  comunemente 
le  Catacombe  di  s.  Sebastiano  [Ve- 
di), che  descrivemmo  a  tale  artico- 
lo, ed  al  volume  X  p.  ^33,  e  234 
del  Dizionario.  Non  si  sa  di  certo, 
da  chi  e  quando  fu  edificata  la  basi- 
lica, volendo  alcuni    che  ciò   facesse 


CHI 

r  imperatore  Costantino,  e  che  s. 
Silvestro  1  la  consagrasse  prima  del- 
la metà  del  quarto  secolo.  Alcuni  la 
dicono  rilal)bricata  da  s.  Damaso  I 
nell'anno  SGy,  ed  in  progresso  ri- 
storata da  s.  Innocenzo  1,  e  da  s. 
Leone  1,  il  quale  la  dedicò  al  prede- 
cessore s.  Cornelio,  che  nelle  sottopo- 
ste catacombe  avea  rinvenuto  i  cor- 
pi de'  ss.  Pietro  e  Paolo,  ivi  tem- 
poraneamente nascosti  perchè  non 
fossero  derubati,  e  quindi  restituiti 
alle  loro  basiliche. 

Tuttavolta  sembra  più  probabile, 
che  il  glorioso  martire  s.  Sebastiano 
dopo  il  suo  martirio  abbia  avvertito 
s.  Lucina  matrona  romana,  che  il  suo 
corpo  era  stato  gettato  in    una  cloa- 
ca,   ov' è    oggi  la  chiesa  di    s.    An- 
drea della  Valle,  e  quivi  nel    terzo 
secolo  lo  riponesse,  rimanendovi  dap- 
presso trenta  giorni   per    ossequiare 
e  Acnerare  sì  sagro  spoglie.  Sul  ci- 
mitero   o    catacomba    fu    eretta    la 
chiesa,  che  s.  Innocenzo  I   del  ^[Oi 
dedicò  a  s.  Sebastiano,  il  cui  corpo 
essendo    stato    l'iposto    nella  basilica 
vaticana  da  s.   Gregorio  IV,  fu  fat- 
to riportare    in    (jucsta    basilica   nel 
1218   da  Onorio  111.    In   questa   ba- 
sihca  anticamente  i  Papi  si  recavano 
a  celebrare  le  sagre  funzioni.  S.  Gre- 
gorio  I   vi  recitò  la  XXXVII  ome- 
lia 5  e  s.   Pio  V   vi   pose  cin<|ue  al- 
tari.   Quindi    il    Pontefice    Sisto  V 
per  la  lontananza,  surrogò  a  questa 
chiesa  per  le  cappelle  papali  quella 
di  s.   Maria  del  Popolo.  Essa  è  pur 
venerabile  per  le   tante  reliquie  che 
possiede,  le  quali  si  custodiscono  nell' 
altare  incontro  a  quella  di  s.  Seba- 
stiano,  cioè  di  ima  spina  della    co- 
rona di  Gesù  Cristo,  di  un    dito   e 
di  un  dente  di  s.   Pietro,  della    te- 
sta e  di  un  braccio  del  Pontefice  s. 
Fabiano,  la  cui  festa  insieme  a  quella 
di  s.  Sebastiano,  ricorre  ai  20  gennaio; 


CHI  35 

di  ima  delle  frecce  con  cui  fu  saettato 
il    medesimo  s.   Sebastiano,    e    delle 
orme  dei   piedi   impressi   sopra  una 
pietra  dal  divin  Redentore,  quando 
non  molto  lontano  da  questa    basi- 
lica nel   luogo    detto  :    Domine    quo 
vadis  P  o  s.   Maria  de  planclis  dal- 
la   chiesina    ivi    poi    eretta,    si    fece 
vedere  da  s.   Pietro,   il  quale  parti- 
va da    Pioma    per    porsi    in    salvo, 
mentre  incrudeliva   la    persecuzione 
di  Nerone.   Appena    vide  il  Salvato- 
re, s.  Pietro  gli  domandò.  Maestro 
ove  andate  P  e   Gesù  rispose  :  Vado 
(i  Roma  per  essere    di    nuovo    cro- 
cefisso,     lasciando    1'   impronta    dei 
suoi   piedi  su  detta     pietra.    In    ap- 
presso Onorio  111    vi   pose  molte  in- 
signi reliquie,   laonde  sempre  questa 
basilica    anco  per  le     catacombe  ri- 
scosse divozione  dal   popolo  romano, 
e  da  molti  .santi,   fra'  (juali    notere- 
mo s.  Girolamo^  s.    Brigida,    s.    Ca- 
terina   da    Siena ,    s.    Carlo    Borro- 
meo ,   s.  Filippo   Neri,  e    s.  Fiance- 
sco    di    Sales.     Una     delle    principa- 
li   prerogative    poi    di    questa    chie- 
sa, è  r  essere  una  delle  Scile  chiese 
di  Roma.  (Vedi),   nella  quale,  meno 
nell'anno  santo,  evvi  indulgenza  ple- 
naria per  quelli    che  le  visitano.    / . 
Piazza,  Emcrologio  di  Roma,   ai   ?.o 
gennaio. 

La  basilica  fu  ristorata  ed  abbel- 
lita prima  da  Adriano  I,  e  poi  da 
Eugenio  IV.  Siccome  poi  era  stata 
lasciata  dai  monaci  benedettini  cui 
l'aveva  affidata  Alessandro  III,  di- 
venendo commenda  Cardinalizia  , 
mentre  n'  eia  commendatario  il  Car- 
dinal Scipione  Caffarelli  Borghese  ni- 
pote di  Paolo  V,  pel  cattivo  stato 
in  cui  era  caduta,  la  riedificò  qua- 
si per  intero  con  architettura  di 
Flaminio  Ponzio ,  e  le  aggiunse  il 
portico,  la  facciata  esterna,  ed  il  sof 
fitto  dorato  co'  disegni  del  fiamniin- 


36 


CHI 


go    Giovanili    Vasanzio.    ninpliando 
pure  e  migliorando  l'ai  tiglio  inoni- 
slero.    Poiché  lo    zio  Paolo   V  era  di 
fssa  divotissimo ,  nel    ilJ^i,  la   vol- 
le visitare  prima  di   morire.  11  Car- 
<linale  vi  pose  i  monaci  cisterciensi 
nd  ufllziarla,  a'  quali  dipoi  Clemente 
XI   unì  la  cura  parrocchiale,  finché 
a' nostri  giorni  piactpie  a  Leone  XII 
di  dare  la  chiesa,  la  ciu'a  di  anime, 
e  il    monistero    ai    religiosi    Blinorì 
osservanti  di  s.  Francesco.  Va  però 
qui  notato,  che    Alessandro  III    nel 
1  i6i   uni  la  chiesa,  il  monistero,  e 
r  abbazia    di    s.    Sebastiano  a  quel- 
la di  s.   JMaria  Nova,    come    si  leg- 
ge nelle  Historiae    Olivetanae    del- 
l' abbate    di    tal    congregazione    se- 
condo   Lancellotto  ,     stampate    nel 
1623   in  Venezia,   p.    i33,  De  Mo- 
nasterio  Romano.  Ed  è  perciò,  che 
quando  si   diedeio  agli   Olivetani    la 
chiesa  e  il  monistero  di  s.  Maria  Nuo- 
va,  ebbero  pure  la  chiesa  e  il  mo- 
nistero  di   s.  Sebastiano.  In  progres- 
so di  tempo    la    cedettero    coli'  an- 
nuo censo  d'un    zecchino    d'oro,    e 
di  due  libbre  d'incenso,  ai  Cistercien- 
si Bernardini,  i  quali  venendo  tolti 
da  Sisto   V.  furono  le  rendite  con- 
cedute in  vantaggio    della    sagrestia 
pontifìcia,  finché  divenuta  commen- 
da   Cardinalizia,    il    Cardinale    Bor- 
ghesi ottenne  dallo  zio  di  ritornarvi 
i   Cisterciensi. 

Preceduto  da  piccola  corte  si  apre 
il  portico  composto  di  soli  tre  ar- 
chi ,  sostenuti  da  sei  colonne  bi- 
nate di  granito;  l'interno  ha  una 
nave  sola.  Il  primo  altare  dalla  par- 
te destra  contiene  molte  preziose  re- 
liquie, essendo  le  più  insigni  il  capo 
di  s.  Calisto  I,  un  braccio  di  s. 
Andrea  apostolo,  ed  altro  di  s.  Se- 
bastiano, la  cui  cappella  sta  di  con- 
tro. Questa  fu  riedificata  co'  disegni 
di  Ciro  Ferri  dal  Cardinal  Francesco 


CHI 

Barberini,   che   vi    frce    collocare    la 
statua   del  santo  scol[iita    dal    Gior- 
gelti  con  disegno  flel    cav.    Bernini. 
Sotto  la  mensa  dell'altare  in  una  cju- 
ca  di   marmo  si  venera  il  corpo  di 
detto  santo.  Senza  fare  la  descrizione 
(ielle  altre  cappelle,  decorale  di  buoni 
dipinti,   diremo   delle   sole  [niiicipali. 
L'  ultima   cappella  a  diritta   è  quel- 
la gentilizia  della    famiglia    Albani, 
eretta  da  Clemente  XI  in  onore  di 
s.  Fabiano  Papa,   pregevole  pei  mar- 
mi che    r  adornano,    per    la  statua 
del  santo  scolpita  dal  Papaleo,  e  per 
le  pitture  del   Passeri,  e  del  Ghezzi  : 
ne  furono  architetti  il    Barisrioni,  lo 
Specchi,  ed  il  Fontana.   Ivi    riposa- 
no le  ceneri  di  d.  Orazio  Albani  fra- 
tello di  Clemente  XI,  e  di  d.  Car- 
lo nipote  di  questo.  La  cappella  prin- 
cipale fu  incominciata    dal    Ponzio, 
e  compita  dal  Vasanzio  summento- 
vati.   In  mezzo  a  quattro  colonne  di 
verde  antico,  è  un  quadro  del  Tac- 
coni. Di  prospetto  alla  cappella  Al- 
bani é  un  oratorio,  in  cui  si  discende 
per  una  scala  di   marmo,    ove    nel- 
l'interno si  osservano  alcune    pittu- 
re antiche  di  greca  scuola.  In  que- 
sto luogo  i  Papi  celebrarono  i  divini 
uffizii  nelle  persecuzioni,  sopra  i  se- 
polcri  de' martiri,  per  cui  ancora  ev- 
vi   il  seggio  papale    di    marmo,    rd 
ivi    a  s.   Stefano    I,  ai    2  agosto    del 
260,  venne  mozzato  il  capo  mentre 
celebrava.  Nelle  dodici  arcate  intor- 
no la  confessione,  furono  sepolti  mol- 
ti  martiri,  e  per     quasi     due    seco- 
li vi  stettero  i  venerandi  corpi    flei 
ss.   Pietro  e  Paolo,  per  cui   in    me- 
moria suir  altare  vi  sono  i  loro  bu- 
sti  di   marmo,    scolpiti   egregiamen- 
te  da  Nicolò  Cordieri,  detto  il  Fian- 
ciosino.   Risalendo  dal   Iato  opposto , 
si  vede  una  pila  dell'acqua  'oenedelta 
di   buona  scoltura,    e  a  destra  avvi 
r  etììgie  del  detti  apostoli,  che  dipin- 


CHI 

se  il  Lanfi-nco.  Dalla  parte  poi,  che 
inette  al  dcsciitto  oratorio,  si  pervie- 
ne alle  catacombe,  restaurate  ed  ab- 
bellite da  s.  Daniaso  I,  da  s.  Sisto 
III,  da  Adriano  I,  da  s.  Nicolò  I, 
e  da  altri  sommi  Pontefici. 

Il  senato  romano  in  ogni  qua- 
driennio per  la  festa  di  s.  Sebastia- 
no, cioè  ai  20  gennaio,  fa  a  questa 
basilica  la  pia  ol)lazione  d'  un  calice 
e  patena  d' argento,  con  quattro  toi'- 
cie  di  cera.  V.  il  citato  Piazza,  E- 
mcrolos^io  di  Roma,  t.  I,  pag.  3 1  o, 
Digressione  2  8 ,  della  dedicazione 
della  sagrosanta  basilica  de'  ss.  Fa- 
biano e  Sebastiano  nella  via  Ap- 
pia,  ove  riporta  i  grandi  pregi  ec- 
clesiastici della  medesima. 

S.  SEBASTiAyo  alla  Pohnìera,  det- 
to s.  Bastianello,  o  s.  Maria  in 
Pallara^  m-l  rione  Campitelli. 

Nella  falda  del  monte  Palatino , 
che  corrisponde  all'  arco  di  Tito, 
quasi  in  faccia  alla  porta  laterale 
degli  orti  farnesiani ,  evvi  questa 
chiesa,  cioè  in  una  contrada  nomi- 
nata la  polveriera,  perchè  in  altri 
tempi  ivi  fabbrica  vasi  il  sai  nitro 
per  le  polveri.  Essa  anticaaiente 
chiamavasi  s.  Maria  in  Pallara,  o 
Pallaria,  per  la  tradizione  che  qui 
siasi  lungamente  conservato  il  Pal- 
ladio di  Troja,  come  fra  gli  altri 
scrisse  l'Allertino,  de  Mirabil.  Lr- 
bis  a  pag.  ic),  supponendosi,  che 
nel  medesimo  luogo  sia  stato  il  tem- 
pio di  Eliogabalo,  cioè  del  dio  del- 
lo stesso  nome ,  ove  fu  trasporta- 
to il  Palladio.  Il  Venuti  poi  fa 
derivare  questa  denominazione  da 
Palaliuni,  essendovi  in  tal  sito  stato 
r  ippodromo,  o  cavallerizza  del  pa- 
lazzo de'  Cesari  o  imperatori  roma- 
ni, i  cui  vestigi  si  veggono  appies- 
so  la  chiesa,  siccome  alfermano  gli 
archeologi. 


CHI  37 

La  chiesa  fu  dedicata  a  s.  Seba- 
stiano, perchè  qui  fu  colle  verghe 
battuto,  o,  come  altri  dicono,  qui  fu 
saettalo,  ed  ucciso  colle  frecce.  Fu 
detta  anche  di  s,  ISlaria,  e  de'  santi 
Sebastiano,  e  Zotico,  o  di  s.  iMaria 
in  Pallara  o  Pallaria,  ove  fu  una 
celebre  abbazia,  ed  una  delle  venti 
privilegiate  di  Roma,  il  cui  al)bale 
assisteva  il  Papa  quando  celebrava 
solennemente.  Alessandro  11  diede  il 
monistero  ai  benedettini  di  INIonte 
Cassino,  per  cui  in  seguito  fu  resi- 
denza dell'abbate  del  famoso  moni- 
stero  di  tal  nome,  chiamato  l' ab- 
bate degli  abbati.  Nel  monistero,  ai 
20  gennaio  i  i  18,  fu  eletto  Ponte- 
fice Gelasio  II,  e  non  molto  discoste 
si  pretende  che  fossero  le  case  dei 
Frangipani.  Il  monistero  chiamossi 
talora  di  s.  IMaria  iu  Pallara,  e  ta- 
lora di  s.  Sebastiano,  o  s.  Bastiano, 
come  lo  nomina  il  Cresci nd)cni,  Ist. 
di  s.  Maria  in  Cosmedin,  di  s.  Ba- 
stiano in  Palladio,  pag.  89 1  ;  laon- 
de poscia  fu  detto  volgarmente  s. 
Bastianello.  Il  monistero  sembra  che 
siasi  fondato  ne'  primi  secoli  del- 
l' Ordine  benedettino,  dappoiché,  s. 
Bonifacio  IV,  che  fu  creato  Ponte- 
fice l'anno  608,  era  stato  monaco 
benedettino  del  monistero  di  s.  Se- 
bastiano di  Roma,  come  si  legge  ia 
Novaes,  t.  II,  p.    io. 

Nel  1274  nella  chiesa  eravi  una 
collegiata;  e  nel  1624  fu  restaura- 
ta da  Urbano  Vili,  e  da  d.  Taddeo 
Barberini  suo  nipote  prefetto  di 
Roma.  Fu  poi  dedicata  a  s.  Seba- 
stiano martire.  Il  quadro  dell'altare 
l'appresenta  il  martirio  di  s.  Seba- 
stiano, e  lo  dipinse  il  Camassei  di 
Bevagna  ,  e  le  pitture  a  fresco  per 
di  so|na  si  credono  del  cav.  Ga- 
gliardi ;  dietro  l'altare  si  vedeva  una 
piccola  tribuna  antica,  tutta  dipinta 
con   fii^ure  di  santi,  di  maniera  bar- 


38  CHI 

bara.  A'  30  gennaio  ivi  si  celebra 
la  fcsla  del  santo  titolare,  il  quale 
fu  capitano  tlella  prima  compagnia 
dei  pretoriani  sotto  Diocleziano. 

Ss.  Seiìgio  e  Bacco,  diaconia  Car- 
dinalizia distrutta. 

Gli  archeologi  fiu'ono  di  parere 
che  due  fossero  le  antiche  chiese,  che 
in  Roma  vennei'o  dedicate  ai  ss.  Ser- 
gio e  Bacco,  nobili  romani,  e  glo- 
riosi martiri.  A  concordare  le  opi- 
nioni, che  una  fosse  presso  la  basi- 
lica vaticana,  l'altra  nel  Foi'o  x'o- 
niano,  bisognerebbe  ammettere  quan- 
to suppongono  alcuni,  cioè  che  esi- 
stendo la  chiesa  pur  dedicata  a 
tali  santi ,  presso  il  Vaticano ,  fos- 
se demolita  da  s.  Leone  IV  per 
fortificare  la  città  Leonina,  e  in  ve- 
ce edificata  l'altra  nel  Foro  i-oma- 
no,  trasportandovi  la  diaconia  Car- 
dinalizia. Certo  è,  che  questa  ulti- 
ma esistette  sino  a  Pio  IV,  e,  sic- 
come venne  demolita,  le  rendite  fu- 
rono convertite  in  un  amonicato , 
ed  applicate  ad  un  altare  dedicato 
ai  ss.  Sergio  e  Bacco  nella  Chiesa 
di  s.  Adriano  [P'edi),  come  asseri- 
sce il  Giimaldi ,  e  come  dicemmo 
meglio  al  citato  articolo,  dove  inol- 
tre dicesi,  che  in  essa  vi  fu  già  una 
collegiata. 

Riportando  le  notizie  della  dia- 
conia Cardinalizia,  essa  rimonta  ad 
epoca  assai  antica,  forse  istituita  da 
s.  Igino,  che  fu  creato  Papa  l'anno 
i54-  iNel  sinodo  poi  romano,  che 
nel  402  celebrò  Gelasio  1,  trovasi 
sottoscritto  il  Cardinal  diacono  Gio- 
vanni. Ai  diacono  regionario  di  que- 
sta chiesa,  era  assegnato  il  secondo, 
e  nono  rione  (li  Roma,  per  la  distri- 
buzione ilei  le  limosiue,  e  pel  ricevi- 
mento delle  offerte  de'  fedeli.  Ab- 
biunìo    da    Anastasio    Bibliotecario, 


CHI 

che  s.  Gregorio  IH,  Papa  del  781, 
ingrandii  la  chiesa  di  questa  diaco- 
nia, e  le  assegnò  le  rendite;  e  che 
s.  Leone  HI,  creato  nell'anno  79^, 
fece  alla  medesima  molti  donativi  , 
come  altri  poi  ne  fece,  oltre  a  di- 
versi miglioramenti,  Benedetto  III 
fiorito  neir8j5,  e  sembra  che  allo- 
ra avesse  contiguo  un  moiiistero. 
Vittore  IH,  eletto  Papa  nel  io8(>, 
era  stato  prima  fatto  diacono  Car- 
dinale de'  ss.  Sergio  e  Bacco,  da  s. 
Leone  IV.  Nei  1190  Clemente  HI 
creò  Cardinale  Giovanni  Lotario 
Conti,  e  gli  conferì  questa  diaconia, 
e  nel  1  198,  divenne  il  magnanimo 
Pontefice  Innocenzo  III.  Di  lui  si 
ha  una  lettera  diretta  all'  arciprete, 
e  ai  canonici  della  diaconia  sotto  il 
Campidoglio,  ove  fa  menzione  di  sei 
canonici,  a'  quali  donò  la  metà  del- 
l'arco trionfale  di  Settimio  nel  foro 
romano.  Inoltre  Innocenzo  HI  or- 
nò ,  e  restaurò  la  chiesa ,  le  fece 
dei  donativi  d'  oro  e  di  argento, 
fabbricandovi  pure  un  portico  soste- 
nuto da  colonne,  con  alcuni  versi 
die  riporta,  trattando  di  questa  dia- 
conia, il  Piazza  nella  sua  Gerarchia 
Cardinalizia. 

Sisto  IV,  nel  i477,  creò  Cardi- 
nale prete  di  questa  chiesa,  Gabrie- 
le Rangoni ,  vescovo  di  Agria,  il 
quale  ne  impedì  la  prossima  rovina, 
e  dai  fondamenti  re^taulò ,  come 
narra  Onofiio  Panvinio  nella  di  lui 
vita.  Senza  dire  di  altri,  aggiugne- 
remo,  che  Alessandro  VI  nei  i5o3 
innalzò  al  Cardinalato ,  col  titolo 
presbiterale  di  questa  chiesa ,  forse 
divenuta  titolo,  Francesco  Sprala  , 
spagnuolo,  vescovo  di  Lione,  che  mo- 
rì in  Roma  nel  seguente  anno.  Fi- 
nalmente per  vecchiezza  la  chiesa 
venne  distrutta  sotto  Pio  IV,  creato 
nel  i55q,  e  perchè  in  essa  venera- 
vausi  i  corpi  de'  ss.  Felicissimo,  ed 


CHI 
Agapito  postivi  da  s.  Leone  IV,  il 
quale  ne  avea  pur  fatto  parte  alla 
chiesa  de'  ss.  Quattro  Coronati,  in- 
sieme col  corpo  intatto  di  s.  Vin- 
cenzo martire ,  furono  i  medesimi 
per  autorità  della  visita  apostolica 
eseguita  dal  Cardinal  Ascanio  Cesa- 
rini,  trasferiti  all'ai tai-e  maggiore  del- 
la vicina  chiesa  di  s.  Maria  della 
Consolazione. 

In  Roma  evvi  ancora  un'  altra 
chiesa  de'  ss.  Sergio  e  Bacco  nel 
rione  Monti,  la  quale  essendo  par- 
rocchia in  cura  de'paolotti,  Urbano 
Vili  trasferì  essi  e  la  parrocchia  a 
s.  Francesco  di  Paola,  diede  la  chie- 
sa ai  monaci  ruteni,  a'  quali  il  ni- 
pote del  Papa,  Cardinal  Francesco 
Barberini,  ristorò  e  ridusse  la  chie- 
sa secondo  il  rito  greco,  e  accjui- 
stò  delle  case  pel  mantenimento  lo- 
ro, col  fine  in  progresso  di  stabi- 
lirvi un  collegio  per  la  nazione  ru- 
tena. Quindi  nel  1741  fii  rimoder- 
nata dall'architetto  Ferrari,  a  spe- 
se dei  divoti  di  un'immagine  della 
b.  Vergine,  che  si  venera  nell'alta- 
re maggiore.  Questa  immagine  è  co- 
pia di  quella,  che  si  venera  in  Zi- 
rowictz  nella  Lituania,  cui  Clemente 
XI  fece  esporre  nel  detto  luogo, 
e  per  detta  immagine,  d'allora  in 
poi  la  chiesa  prese  il  nome  anche 
di  s.  Maria  del  Pascolo. 

Ss.  Seugio  e  Bacco,  o  Madonna 
del  Pascolo  de"  ruteni,  nel  rione 
Monti.  V.  Chiesa  de' ss.  Sergio  e 
Bacco,  diaconia  Cardinalizia  di- 
strutta. 

S.  Silvestro  in  Capite,  titolo  Car- 
dinalizio, in  cura  delle  monache 
di  s.   Chiara,  nel  lionc   Trevi. 

Questa  chiesa  fu  eretta  nella  val- 
le marzia,  cioè  nel  luogo  piìi  basso 


CHI  39 

del  celebre  Campo  Marzo,  sottopo- 
sta al  colle  detto  allora  degli  Ortu- 
li,  ed  oggi  monte  Pincio,  e  già  chia- 
mata de'  ss.  Dionisio,  Stefano  ,  e 
Silvestro  iiiter  Hortos,  per  le  ragio- 
ni, che  si  diranno.  Sulle  rovine  per- 
tanto di  alcuni  celebri  edilizi  roma- 
ni di  Domiziano,  si  vuole  che  il 
Pontefice  s.  Dionisio  greco,  eletto 
nell'anno  261,  abbia  fabbricato  un 
monistero  coU'oratorio,  sebbene  altri 
attribuiscano  ciò  al  suo  fratello  santo 
Stefano,  e  vogliano  che  s.  Dionisio 
già  monaco  nel  detto  monistero,  a- 
sceso  al  pontificato, lo  abbia  ampliato, 
mentre  regnavano  gl'imperatori  \  ale- 
riano,  e  Gallieno.  Il  suo  pi  imo  ti- 
tolo fu  de'^.y.  Dionisio,  Rustico,  ed 
Eleuterio  martiri,  de' quali  fa  men- 
zione il  bibliotecario  Anastasio,  chia- 
mando col  nome  di  basilica  questa 
chiesa,  come  una  delle  più  celebri 
e  venerabili  di  Roma,  doviziosa  di 
sagre  reliquie.  E  siccome  s.  Paolo  I 
dipoi  qui  fabbricò  una  chiesa, e  riedifi- 
cò il  monistero  in  onore  di  Papa  s.  Sil- 
vestro I;  e,  come  meglio  si  dirà,  oltre 
A  di  lui  corpo  vi  ripose  anche  quel- 
lo del  Pontefice  s.  Stefano  I  ;  gli  scrit- 
tori ecclesiastici  chiamarono  la  chiesa 
oi"a  di  s.  Dionisio,  ora  di  s.  Silve- 
stro e  di  s.  Stefano  inter  duos  hortos, 
da  quelli  amenissimi  che  ivi  erano, 
cioè  dal  colle  degli  orti  summentova- 
to.  Dal  capo  poi  del  santo  precursore 
che  nella  medesima  chiesa  si  venera, 
tu  detta  in  Capite,  prevalendo  perciò 
il  titolo  di  s.  Silvestro  in  Capite, 
o  s.   Silvestro  in   Campo  Marzo. 

JNell'ora torio,  o  chiesa  antica,  per 
la  venerazione  che  di  essa  avevasi, 
fu  posta  la  stazione,  che  s.  Grego- 
rio I  confei'mò  nel  quarto  giovedì 
di  quaresima ,  la  quale  tuttora  vi 
si  celebra ,  ed  inoltre  quel  Pon- 
tefice vi  recitò  la  nona  omelia  su- 
gli evangeli.    Accanto  a  questo  Ino- 


4o  CHI 

go  era  In  casa  di  certo  Costantino, 
clic  molti  vogliono  della  finniglia 
Orsini,  due  figli  del  fjiiaie  sedettero 
sulla  cattedra  apostolica,  cioè  Ste- 
tano II  detto  HI  nel  752  ;  e  s.  Pao- 
lo I  che  gli  successe  nel  757.  Questo 
idtimo  colla  casa  paterna  ingrandì  il 
monistero  clic,  come  dicemmo,  riedi- 
ficò, e  dove  forse  era  stato  edu- 
cato ,  e  di  nuovo  rifabbricò  la 
chiesa  più  grande  della  preceden- 
te ;  quindi  la  dotò  di  copiose  ren- 
dite ,  r  affidò  ai  monaci  greci  per 
r  uffiziatura,  vi  ripose  i  corpi  dei 
ss.  Pontefici  Silvestro  I,  e  Stefano 
I,  e  ad  essi  dedicò  la  chiesa  e  il 
monistero,  che  ricolmò  di  grazie,  e 
favori,  come  si  legge  nella  bolla  di 
fondazione  nel  tomo  J,  p.  i54  del 
Bull.  Rom. 

Nell'anno  762  ai  19  giugno,  s. 
Paolo  I  dal  cimitero  di  Priscilla 
nella  via  Salare,  fece  quivi  traspor- 
tare il  detto  corpo  di  s.  Silvestro 
I.  Non  è  vero  che  Sergio  II  collo- 
casse tal  corpo  nella  chiesa  dei  ss. 
Silvestro  e  Martino  ai  Monti,  come 
alcuni  scrivono  col  p.  Giacobbe  nel- 
la sua  Biblioth.  Pontlf.  p.  -2  13,  ne 
donato  da  Stefano  II  detto  III  nel 
753  a  s.  Anselmo  primo  abbate  di 
Nonantola,  come  può  vedersi  nel- 
r  Oldoino  Acldit.  ad  Ciacc.  tomo 
1,  col.  ii5,  e  nel  Giacchetti.  La 
traslazione  del  corpo  di  s.  Stefa- 
no I  dal  cimitero  di  Calisto,  seguì 
ai  17  agosto  dell'anno  762.  Di 
essa  il  Giacchetti  riporta  la  bolla 
di  Paolo  I,  nella  storia  che  scrisse 
di  questa  chiesa.  Del  corpo  di  s. 
Stefano  I,  ottenuto  poi  per  opera 
del  conte  Orazio  Delci  sanese  nel- 
r  anno  1682  dalla  città  di  Tra- 
ili per  la  chiesa  dell'  Ordine  eque- 
stre di  s.  Stefano  in  Pisa,  e  della 
sua  testa  (la  quale  con  alcune  altre 
reliquie  fu  ac(juislata  in   Costantiuo- 


CIII 

poli   da  Pietro   Torregiani    fifìrenli- 
no  nell'anno  13  70),  iu  occasione  che 
ivi    furono    venduti    i    sagri    arredi 
della  cappella  di  Costantino  magno) 
ottenuta   nel    i()83  dal  granduca  dal 
regio  spedale  di  Siena  per  la  stessa 
chiesa    di    Pisa,   ne    tratta    il    Gigli 
nel  suo  Diario  Sanese  tomo  li,   p. 
I  I  ,  e  tomo  I   p.  9(1,  e  3  "12.  In  ol- 
tre s.   Paolo  I   vi   ripose  pure  il  cor- 
po di  Papa  s.  Melchiade,  che  prese 
dal  cimitero    di  Calisto,    dal    quale 
anche  fu  levato  e    posto    in  questa 
chiesa  quello  di   Papa  s.   Antero.   Il 
santo  fondatore    determinò    le    sud- 
dette   traslazioni    in  un     sinodo     di 
vescovi,  die  tenne  nel    Laterano,    e 
l'eseguì     solennemente    con    pompa 
ecclesiastica.   Nel   medesimo  anno    s. 
Paolo  I  celebrò  in  questo  luogo  un 
concilio,    ed    i    prelati    che    v'  inter- 
vennero,   sottoscrissero    la    bolla    in 
favore  della  chiesa  e  monistero,  co- 
me si  legge  negli    Annali    del    Ba- 
ronio.   Oltre  a  ciò  quivi  s.  Paolo  I 
pose  nel  monistero  i    monaci    greci 
dell'Ordine  di  s.  Benedetto,  o,  come 
altri   dicono,    di  s.  Basilio,    che   fug- 
gendo   dall'  oriente    le    persecuzioni 
degli  iconoclasti,  vi  portarono  alcu- 
ne sagre  immagini  e    reliquie    insi- 
gni, celebrandovi  i  divini    ulllcii    in 
rito  greco.  L'abbazia    divenne    così 
illustre,   che  al    suo  abbate     fu  da- 
ta  la  prerogativa  di  essere  uno  dei 
venti    abbati    privilegiati  di   Roma , 
i  quali  nelle    funzioni    solenni    assi- 
stevano al   trono  del  Papa.  A  questo 
abbate  e    monistero    fu  concesso    il 
dominio     sulla     colonna     Antonina , 
dominio  che    confermò     Agapito    II 
eletto  nel  94^,  allorché    approvò    i 
beni    e    le    possessioni    che    godeva- 
no.   È    notevole    l' iscrizione,  che    si 
legge  sotto  il  portico    della    chiesa, 
la    quale  porta   1'  epoca    del    11  19, 
con  cui  si   descrive  l'  allo  dell'abbate 


CHI 

per  le  censure  ecclesiastiche  da   lui 
intimate  contro  coloro,  che  ardisse- 
ro impadronirsi  della    colonna    An- 
tonina, e  delle  oblazioni,  le  quali   si 
facevano  sull'altare  della  vicina  chie- 
sa di  s.  Andrea  della  Colonna,  per 
essere  anch'  essa  soggetta    al    moni- 
stero  .   Spiegano    alcuni  che    X  obla- 
zione   era    di    quelli,  che    volevano 
ascendere    sulla    sommità    della    co- 
lonna. Dipoi  nel    1-28)    Onorio  IV, 
ad  istanza  del  Cardinal  Mascio,  che 
divenne  suo  successore  col  nome  di 
Nicolò   IVj  concesse    la    chiesa   e  il 
monistero  alle  monache  di  s.  Chia- 
ra, che  colla  regola  di  s.  Francesco 
tuttora  vi  fioriscono  ;  ed    i    monaci 
furono  distribuiti  nei   vari  monisteri 
di  Roma,  ed  il    loro    abbate    vemie 
fatto  superiore  del  monistero    di   s. 
Lorenzo  fuori    le    mura.    A    queste 
monache  il   Cardinal  Jacopo  Colon- 
na, porporato    di    Nicolò  III,    rifab- 
bricò magnificamente    il    monistero, 
e   donò    il  predio  chiamato    la  Co- 
lonna.   Tanto    il    monistero    che    la 
chiesa  dalla  nobilissima  famiglia  Co- 
lonna   pili  volte    furono    beneficali , 
dappoiché  generosamente    vi    operò 
molti  abbellimenti ,    e  i-estauri ,    fa- 
cendovi   esercitare    ogni     più    bella 
virtù  la  b.  Margherita  superiora  del 
monistero,  della  stessa  famiglia  Co- 
lonna,  ed  ivi  sepolta. 

Dipendenti  e  soggetti  alla  chiosa 
di  s.  Silvestro  in  Capite,  furono  già  la 
chiesa  e  il  monistero  di  s.  Valentino 
fuori  della  porta  del  popolo,  presso 
ponte  Molle,  per  cui  il  di  della  fe- 
sta di  s.  Valentino  martire  celebra- 
vasi  solennemente  anco  nella  nostra 
chiesa,  giacché  sotto  un  suo  altare 
eravi  un  di  lui  braccio.  La  chiesa 
di  s.  Valentino  nella  via  Flaminia, 
e  presso  il  detto  ponte,  fu  fabbri- 
cata sopra  di  un  cimitero  dal  Pon- 
tefice s.   Giulio  I  del    33()  ;    quindi 


CHI  41 

dopo  r  anno  642    fu    riedificata,    e 
riccamente  adornata  da   Papa    Teo- 
doro I.  L'  abbate  di  s.  Valentino  fu 
uno  dei  venti  principali   di    Roma  , 
che  godevano  la  singolare    preroga- 
tiva di  assistere  il  Romano  Pontefi- 
ce, quando  celebrava  nelle  principali 
solennità.  Nella  vigna    degli    agosti- 
niani, fuori  della  menzionata  parte, 
nel    i6q3    nel  fare    alcuni    scavi    si 
trovarono    manifesti   indizi    dell'  esi- 
stenza dell'  antica  chiesa  abbaziale  ili 
s.    Valentino,   i  quali   furono  veduti, 
e   registrati  dal  p.   Agostino    Lubiii, 
Ahbatiar.     Ital.     brevis    notitia.    p. 
346.   Della  chiesa  e    del    monistero 
di  s.    Valentino,    si  leggono  erudite 
notizie,  nel  tomo  III,  p.   23 1    degli 
Atti  delV accad.  roin.  d'Archeoloi^ia, 
cioè    nell'illustrazione,    che    fece    il 
ciotto  canonico  Giuseppe  Scitele,  so- 
pra   un'  antica     iscrizione     esistente 
nella  chiesa  di  s.   Silvestro  in  Capi- 
te, sotto  il  paliotto  dell'altare  di   s. 
Dionisio,    e    già    appartenente    alla 
chiesa  di  s.   Valentino. 

Per  ciò  che  riguarda  le  siiccen- 
nate  reliquie  di  questa  chiesa,  le  due 
principali,  come  descrive  il  Piazza 
nel  trattare  di  sì  venerabile  tit(jlo , 
sono  le  seguenti,  che  prova  colla 
autorità  di  diversi  scrittori.  Una  è 
il  santo  volto,  o  effigie  del  ss.  Sal- 
vatore, che  il  medesimo  Gesù  Cri- 
sto per  mezzo  dell'  apostolo  s.  Tad- 
deo mandò  ad  Abagaro,  re  armeno  di 
Soria,  con  una  lettera  che  poi  si  con- 
servò in  un  al  ritratto  nella  città  di 
Edessa,  per  venerare  il  quale  si  parti 
da  Roma  s.  Alessio  vestito  da  pel- 
legrino. Il  Petrini,  nella  Storia  di 
Palcstrina,  stampata  in  R.oma  nel 
179J,  dice  a  p.  14»^;  cli<^  1^  ^^- 
nache  di  s.  Chiara,  quivi  collocate 
nel  l'iSo  da  Onorio  IV,  stavano  a 
Palestrina,  da  dove  seco  recarono  la 
immagine  descritta.    L'altra  preziosa 


42 


CHI 


icliniiia  r  il  c;i[)()  (li  s.  Gio.  llatlisla, 
clic  si  viiolo  [ìoilato  puro  tUi  Eilessa 
ili  lloina,  (luvii  culla  massima  ve- 
jieia/.ioiio  recavasi  in  processione 
ila  (juatli-o  arcivescovi.  Ma  siccome 
nel  i4ii  sembrava  al  Papa  'ijo- 
vunni  X.X^in,  che  potessero  involarlo 
i  lìoreuliiii,  non  III  [)oilaLo  più  in 
processione,  anco  per  consi^li(j  dei 
Culonncsi  benefattori  della  ciiiesa  , 
per  cui  si  conserva  tuttora  assai 
gelosamente.  Né  deve  tacersi,  che 
Martino  IV  nel  1283  fece  a  questo 
capo  un  nobile  e  ricco  tabernacolo 
di  ari^ento,  nel  cui  piede  eravi  uno 
smeraldo, che  avea  scolpita  la  nascita, 
le  yesta,  e  la  decollazione  del  santo 
precursore,  senza  mentovare  le  altre 
pietre  preziose.  Però  il  sagro  capo 
ve  lo  ripose  Bonifacio  Vili,  il  qua- 
le concesse  indulgenza  a  quelli,  che 
recarunsi  a  venerarlo.  Racconta  il 
Baronio  nel  Martyrol.  Roman.  29 
iiH^.,  che  bouifacio  Vili  pose  sopra 
il  tabernacolo  un  triregno,  o  tiara 
papale.  Quindi  nel  1^27  nel  tre- 
mendo saccheggio  dell'  esercito  di 
Borbone,  alcune  monache  salvarono 
SI  venerabile  capo,  col  porre  la  tiara 
sopra  un'altra  testa,  che  fu  invo- 
lata dai  soldati,  alla  rapacità  dei 
quali  pure  sottrassero  l'immagine 
del  ss.  Salvatore  proveniente  an- 
ch' essa  da  Edessa ,  per  accrescer- 
ne il  culto  alla  quale,  concessero 
indulgenze  ai  fedeli,  tanto  Bonifacio 
Vili,  che  Bonifacio  IX,  e  Martino 
V,    Colonna. 

L'Anastasio  dice,  che  avanti  que- 
sto monistero  nell  anno  yqc),  mentre 
s.  Leone  IH  dal  patriarchio  latei'a- 
iiense  recavasi  a  s.  Lorenzo  in  Lu- 
cina per  la  processione  del  giorno 
di  s.  Marco,  fu  inifjuamente  assa- 
lito da  Pasquale,  e  Campolo,  i  quali 
strascinalo  il  Pontellce  in  questa 
chiesa,  gli  strapparono  gli    occhi,  e 


CUI 
la  lingua,  che  poi  prodigiosamente 
ricuperò  per  intercessione  di  s.  Pie- 
tro. In  (juesta  chiesa  nell'anno  8j8 
si  celebrarono  i  sagri  comizi,  per 
l'elezione  di  Papa  s.  Nicolò  I.  In 
seguito  Innocenzo  III  del  1  198  fece 
ricdilìcare  la  chiesa,  e  il  campanile 
dall'  architetto  aretino  Marchionne. 
Finalmente  da  Leone  X,  creato  nel 
iliiS,  fu  la  chiesa  di  s.  Silvestro 
ili  Capile  eretta  in  titolo  presbite- 
rale Cardinalizio.  Non  ebbe  prima 
questo  onore,  perchè  anticamente  i 
titoli  istituironsi  nelle  chiese  dentro 
il  recinto  di  Roma,  giacché  la  re- 
gione di  Campo  ov'  essa  trovavasi , 
fu  nel  terzo  secolo  racchiusa  e  com- 
presa nella  città  dall'  imperatore  Au- 
reliano. Clemente  Vili,  per  mezzo 
della  sagra  visita  apostolica,  ai  17 
novembre  i')9'),  riconobbe  autenti- 
che le  sagre  reliquie,  e  1'  identicità 
dei  molti  corpi  santi,  che  ivi  si  ve- 
nerano, per  cui  dai  lati  dell'  altare 
maggiore  furono  poste  due  analo- 
ghe iscrizioni.  La  ricognizione  poi 
fu  eseguita  da  monsignor  Fabrizio 
Mandosio.  A  questo  Pontelice  si 
deve  altresì  la  riedificazione  della 
chiesa,  che  minacciava  rovina,  come 
a  Francesco  Dietrichstein  vescovo  di 
Olmutz,  da  lui  creato  Cardinale,  si 
debbono  molti  abbellimenti.  Le  mo- 
nache coi  disegni  di  Gio.  Antonio 
de  Rossi,  nel  declinare  del  secolo 
XVII,  ristorarono  la  chiesa,  e  la 
decorarono  con  marmi,  pitture,  e 
stucchi  ;  ma  la  facciata  esterna  fu 
compita  nel  1703,  mentre  era  ab- 
badessa  Maria  Arcaugela  Muti.  Nel 
1700  fu  creato  Pontefice  Clemente 
XI,  il  quale  era  Cardinale  prete  di 
s.   Silvestro  in   Capite. 

La  facciata  esterna  è  decorata  da 
quattro  statue  di  travertino,  cioè  di 
s.  Silvestro  I,  di  s.  Francesco,  di 
s.  Chiara,  e  di  s.  Francesca,    e    da 


CHI 

due  medaglioni,  in  cui  sonovi  efiì- 
giati  il  Volto  Santo,  ed  il  capo  di 
s.  Gio.  Battista.  Entrando  per  la 
porta  di  detta  facciataj  trovasi  un 
cortile,  da  dove  si  passa  ad  un  por- 
tichetto  con  suo  prospetto,  sotto  cui 
è  la  porta,  che  introduce  in  chiesa. 
L' interno  è  ben  decorato  :  la  gran 
volta  fu  dipinta  dal  Brandi,  e  quella 
della  crocerà  dal  Roncalli  e  dai  suoi 
discepoli.  Il  battesimo  di  Costantino 
nella  tribuna  è  del  Gemignani,  e 
l'altare  maggiore  col  ciborio  fu  ai'- 
chitettato  dal  cav.  Carlo  Rainaldi. 
Questo  ciborio  ha  un  beli'  ornamen- 
to di  quattro  colonne  di  giallo  an- 
tico scanalate,  d'ordine  corintio. 
Numei'ose  sono  le  sue  cappelle  , 
pregevoli  pei  loro  dipinti.  Oltre  la 
stazione  vi  si  celebra  la  festa  di  s. 
Gio.  Battista  ai  24  gi'^'S"^'  quella 
della  sua  decollazione  ai  2C)  agosto, 
e  quella  di  s.  Silvestro  I  ai  3 1  di- 
cembre. V.  Giovanni  Giacchetti , 
Istoria  della  chiesa,  e  moiiislero  di 
s.  Silvestro  in  Capile  di  Roma,  ivi 
1629;  non  che  Giuseppe  Carletti, 
Memorie  isterico-critiche  drlla  chiesa 
e  inoiiistero  di  s.  Silvestro  in  Ca- 
pite di  Roma,  Roma  170 5. 

Il  contiguo  monistero  è  uno  dei 
più  belli,  e  sontuosi  di  Roma,  hi 
ogni  quadriennio ,  e  nel  dì  della 
festa  della  decollazione  di  s.  Gio. 
Battista,  il  senato  romano  fa  in 
questa  chiesa  la  pia  oblazione  di 
quattro  torcie  di  cera,  e  di  im  ca- 
lice con  patena  d'argento. 

Ss.  Sir.v ESTRO  e  MjnriNo  a'  Mon- 
ti. V.  Chies\  de' ss  Martino  e  Sil- 
vestro a' Monti. 


CHI 


43 


S.  Simeone  profeta,  già  titolo  Car- 
dinalizio, nel  rione    Ponte. 

Sulla  piazza  Lancellotti,  presso  il 
palazzo  Cesi,  ora  Pentini,  è  questa 
chiesa  ab  antico  titolo  Cardinalizio, 
e  già  cura  parrocchiale.  Dalle  iscri- 
zioni sepolcrali,  che  riporta  l' Alve- 
ri,  Roma  in  ogni  stato  parte  secon- 
da pag.  93  e  seguenti,  rilevasi  che 
già  esisteva  nel  pontificato  di  Urba- 
no VI,  giacché  vi  fu  nel  i38o  se- 
polto certo  magnifico  Jachellus  de 
Lrsis.  D' altronde  se  ne  iguoi'a  la 
origine.  Gli  ultimi  Cardinali  titolari 
fiu-ono;  Jacopo  del  Pozzo,  fatto  da 
Giulio  III  nel  i53i,  che  mori  nel 
i5G3,  poco  mancando  che  succedesse 
a  Marcello  II  ;  Virgilio  Rosario  fatto 
nel  j5j7  da  Paolo  IV,  che  lo 
dichiarò  primo  Cardinal  vicario  di 
Roma,  e  morì  nel  15^9;  Fi-.  Felice 
Peretti,  fatto  nel  1070  da  s.  Pio 
V,  trasferito  quindi  all'altro  titolo 
di  s.  Girolamo  degli  Schiavoni,  di- 
venendo liei  1^85  glorioso  Pontefice 
Sisto  V.  Questo  Papa  soppresse  il 
titolo,  che  trasferì  alla  chiesa  di  s. 
Salvatore  in  Lauro ,  insieme  col 
Cardinal  titolare  Girolamo  Lancel- 
lotti. Siccome  per  r  ingiuria  de'tempi 
era  in  istato  cadente,  nel  16  io  il 
Cardinal  Lancellotti  la  rifàbbrici') 
dai  fondamenti,  e  le  fece  diversi 
abbellimenli,  anco  in  riguardo  del- 
l'alloi-a  regnante  Paolo  V,  perchè 
ei'a  stata  di  lui  parrocchia.  Il  Sa- 
limbeni  dipinse  il  quadro  dell'  alta- 
re maggiore,  rappresentante  la  Cir- 
concisione del  Signore  ;  come  del 
Saraceni  è  quello  della  b.  Vergine, 
col  bambino,  e  s.    Anna. 


S.    SiLP'ESTRO    al     Quirinale,     nel     S.  Sisto,  titolo  Cardinalizio,  in  cii- 
rione     Trevi ,    de    signori    della  ra    dei    domenicani,    nel    rione 

Missione.   Pedi.  Canwitelli. 


44  CHI 

Lungo  la  via  Appia,  presso  un 
tempio  (li  Marte,  e  1'  antica  Pi- 
scina pubblica,  in  una  casa  della 
iiialrona  romana  Tigrich,  fu  eretta 
questa  cliiesa  in  onore  del  Pontefi- 
ce s.  Sisto  II,  per  cui  fu  chiamata 
s.  Sisto  in  Piscina,  e  titolo  di  Ti- 
gride.  La  detta  nobilissima  matrona 
donò  la  casa  e  i  suoi  beni  perchè 
si  edificasse  tal  tempio  in  onore  di 
Sisto  11,  perchè  questi,  a' G  agosto 
dell'anno  i(Ji,  passò  da  questo  luo- 
go con  due  suoi  diaconi,  i  ss.  Feli- 
cissimo ed  Agapito,  e  quattro  sud- 
diaconi, cioè  Gennaro,  Magno,  In- 
nocenzo, e  Stefano,  per  andare  con 
essi  al  marfirio  fuori  della  porta 
Capena,  ora  di  s.  Sebastiano  ,  seguiti 
dopo  tre  giorni  dall'altro  diacono 
s.  Lorenzo.  Poscia  in  questa  chie- 
sa fu  s.  Sisto  II  sepolto,  trasferitovi 
dui  cimitero  di  Pretestato;  laonde 
in  seguito  il  sito  fu  detto  anco 
ciinitcìio  di  s.  Sisto,  non  perchè  vi 
fosse  un  cimitero ,  ma  perchè  con- 
finava colle  vaste  catacombe  di  Ca- 
listo. In  appresso  vi  vennero  ripo- 
sti anche  i  corpi  de' ss.  Anatolia, 
Calocero,   Partenio,  ed  altri  martiri. 

Di  questo  titolo  Cardinalizio  di 
Tigridc  si  fa  menzione  nel  concilio 
celebrato  nel  499?  ^'"^  Papa  s.  Sim- 
maco nel  Vaticano,  ove  intervenne- 
ro due  preti  di  esso,  uno  chiamato 
Romano  prete,  l' altro  di  Redento 
arciprete,  col  qual  titolo  erasi  pure 
sottoscritto  nel  precedente  concilio 
celebrato  nel  494  ^^  ^-  Gelasio  I 
nel  Laterano.  Nel  registro  di  san 
Gregorio  I,  viene  nominato  certo 
Basso  del  titolo  di  s.  Sisto.  Il  Car- 
dinal titolare  di  questa  chiesa  fu 
destinato  ad  uftlziare  in  ogni  gio- 
vedì nella  patriarcale  basilica  di  san 
Paolo,  ed  a  celebrare  suU'  altare 
papale.  Alcuni  opinarono,  che  la 
chiesa  fosse  eretta  da  s.  Silvestro  I, 


CHI 

cogli  aiuti  di  Costantino  imperato- 
re; certo  è  che  s.  Gregorio  1  per 
accrescervi  la  renerazione ,  vi  pose 
la  stazione  nel  mercoI<;di  dopo  la 
terza  domenica  di  quaresima,  nel 
qual  giorno  tuttora  si  celebra. 

\  uolsi  inolti'C,  che  quivi  fossero 
sepolti  sette  santi  Pontefici,  e  ripo- 
sti sotto  l'altare  maggiore,  cioè  Si- 
sto Il ,  Felice,  Zefirino  ,  Antero , 
Lucio,  Luciano,  e  Sotero,  come  si 
legge  da  una  iscrizione.  Vero  è  pe- 
rò che  per  sicurezza  si  crede  sieno 
stati  trasferiti  altrove,  ovvero  quivi 
se  ne  venerino  le  reliquie.  Altri 
sono  d'avviso,  che  siano  santi  ve- 
scovi, meno  s.  Sisto  II,  giacché  non 
si  conosce  alcun  Papa  col  nome  di 
Luciano,  chiamandosi  anticamente 
Pontefici  anco  i  vescovi.  Altri  in  fi- 
ne avvertono,  che  venendo  sepolti 
alcuni  dei  nominati  Papi  nel  cimi- 
tcrio  di  Calisto ,  per  la  vicinanza  , 
fu  talora  confuso  con  quello  di  s. 
Sisto,  come  di  sopra  avvertimmo. 

Bonifacio  V  fu  creato  Pontefice 
nel  619,  mentre  era  Cardinale  pre- 
te di  s.  Sisto  ;  titolo  che  splendida- 
mente, nel  772,  ristorò  Adriano  I, 
e  quindi  venne  abbellito  dal  suo  im- 
medialo successole  s.  Leone  IH,  al 
quale  si  attribuisce  la  traslazione  in 
questo  luogo  del  corpo  di  s.  Sisto 
II.  Verso  il  I200,  Innocenzo  III, 
magnificamente  restaurò  la  chiesa, 
ed  il  suo  successore  Onorio  HI,  a- 
vendo  approvato  l'Ordine  di  s.  Do- 
menico, diede  a  questo  per  prima 
chiesa  cotesto  titolo,  fabbricandogli 
l'annesso  convento  ;  luoghi  santifi- 
cati dalla  presenza  di  s.  Domenico, 
il  quale  nella  chiesa  di  s.  Sisto  isti- 
tuì la  celebre  divozione  del  santis- 
simo Rosario,  che  si  propagò  per 
tutto  il  cristianesimo.  Onorio  IH, 
vedendo  che  in  Roma  la  disci- 
plina   e    lo    spinto    delle    monache 


CHI 

crasi  raffreddato,  poiché  se  ne  con- 
tavano appena  quaranta,  volle  ri- 
durle tutte  in  un  monistero ,  affi- 
dandone r  incarico  a  s.  Domenico, 
e  al  Cardinal  Nicolò  de  Romanis. 
Il  Papa  diede  al  santo  pe'suoi  reli- 
giosi la  chiesa  di  s.  Sabina,  con 
parte  del  suo  annesso  palazzo  per 
convento,  e  stabili  la  chiesa  e  il 
convento  di  s.  Sisto  per  le  mona- 
che, che  ivi  riunite  fecero  la  pro- 
fessione religiosa  nelle  mani  di  san 
Domenico.  Non  mancarono  difficoltà 
da  superare,  massime  per  parte  del- 
le monache  di  s.  Maria  in  Traste- 
vere, ossia  di  s.  Maria  in  Cappel- 
la, le  quali  possedendo  una  mira- 
colosa immagine  della  B.  Vergine, 
cui  la  tradizione  vuol  dipinta  da 
s.  Luca,  fu  loro  concesso  portarla 
nella  chiesa  di  s.  Sisto  con  solenne 
processione,  alla  quale  intervennero 
molti  Cardinali,  e  i  religiosi  dome- 
nicani. 

In  progresso  di  tempo  divenuto 
Papa  s.  Pio  V,  già  dell'Ordine  di 
s.  Domenico,  considerando  che  l'a- 
ria malsana  del  monistero  di  san 
Sisto  pregiudicava  alle  monache , 
eresse  loro  al  monte  Magnanapoli 
presso  il  Quirinale,  un  sontuoso  mo- 
nistero, ed  una  magnifica  chiesa , 
che  dedicò  ai  ss.  Domenico,  e  Sisto, 
ed  ivi  le  fece  trasferire,  ritornando  la 
chiesa  di  s.  Sisto  in  possesso  dei 
domenicani,  e  fu  allora  che  venne 
chiamata  s.  Sisto  vecchio.  La  mira- 
colosa immagine  della  Madonna  fu 
trasferita  dalle  monache  nella  nuo- 
va chiesa,  e  di  essa  molto  ed  eru- 
ditamente scrissero  Francesco  Tor- 
rigio,  e  Fioravante  Martinelli.  Nel 
xSni  a  s.  Pio  V  successe  Gregorio 
XIII,  eh'  era  stato  titolare  di  s.  Si- 
sto sino  dal  i56),  per  cui  nel  crea- 
re a'  2  giugno  Cardinale  il  nipote 
Filippo  Boncompagni,   glielo    confe- 


cni  44 

r"ì,  e  perciò  questi  fu  detto  il  Car- 
dinal di  s.  Sisto.  Il  medesimo  Gse- 
gorio  XIII,  ad  evitare  il  disturbo  che 
producevano  agli  uffizi  divini  nel  men- 
dicare i  poveri  nelle  chiese,  assegnò 
loro  per  comune  abitazione  il  mo- 
nistero di  s.  Sisto,"  nel  quale  furono 
processionalmente  condotti  nel  i58i, 
dall' arciconfraternita  della  ss.  Trini- 
tà de'  pellegrini  ottocento  poveri  ; 
ma  siccome  di  mala  voglia  vi  en- 
trarono, dolendosi  dell'aria  cattiva, 
presto  ne  uscirono. 

La  chiesa  fu  prima,  verso  il  i-i'^'^j 
restaurata  dal  titolare  Cardinal  Pie- 
tro Ferrici  spaglinolo  ;  di|ioi  il  men- 
tovato Cardinal  Filippo  Boncompa- 
gni generosamente  ne  rinnovò  la 
facciata  esterna  con  travertini,  apren- 
dovi avanti  una  piazza;  rifece  il  tet- 
to e  il  soffitto  con  belli  intagli,  or- 
nò le  pareli,  ed  abbellì  la  tribuna 
con  istucchi   dorati. 

Nel  pontificato  di  Paolo  V,  il 
p.  Serafino  Sicco,  generale  de'  do- 
menicani, rifece  il  convento,  ed  ornò 
con  diversi  dipinti  la  chiesa.  Ales- 
sandro VII,  nel  I6^7  la  diede  per 
titolo  al  Cardinal  Giulio  E,ospiglio- 
si,  che  meritamente,  nel  1667,  gli 
successe  col  nome  di  Clemente  IX. 
Nel  convento  professò  nel  1646,  la 
regola  religiosa  Filippo  Tommaso 
Oward  inglese  de' duchi  di  Nort- 
fulch,  il  quale  nel  1671  fu  creato 
Cardinale  da  Clemente  X,  e  dipoi 
coni  miserando  i  domenicani  iber- 
nesi  esuli  dall'  Inghilterra  per  la  di- 
fesa del  cattolicismo,  quivi  li  collo- 
cò dando  ad  essi  molti  soccorsi.  In 
questo  pio  uffizio  gli  successe  il  Car- 
dinal Tommaso  IMaria  Ferrari,  che  pu- 
re avea  appartenuto  all'  Ordine  di  s. 
Domenico.  Clemente  X,  nel  promo- 
vcre  al  cardinalato  il  religioso  do- 
menicano fr.  Vincenzo  Maria  Orsi- 
ni,   nel     iGt"?,,  gli    diede  il    presen- 


40 


CHI 


te  lildlo,  il  (jiial  {)er.soiin;^f5Ì()  poi  in'l 
I7?.j  (livellile  l*;i|);i  Keiiedello  Xllf, 
c  insieme  lieiu'liiltoie  del  iuo^o,  giac- 
ché non  solo  laloni  nel  CiUTievale 
\i  passava  alenili  i^'iorni  nell'eserci- 
zio dell' umiltà,  e  dell'orazione,  ma 
col  disei5n(j  del  Piau/yini,  operò  del- 
le lestauiazioni,  ed  ab])eiliinenti . 
La  festa  del  santo  titolare  si  celebra 
ai   6  agosto. 

Nell'interno  della  chiesa  vi  sono 
i  depositi  de'  Cardinali  Vincenzo 
I>ii(luvic()  Gotti,  Luigi  JMaria  Luci- 
iii,  e  Giuseppe  Agostino  Orsi,  tutti 
e  tre  stati  domenicani,  e  Cardinali 
preti  di  s.  SistOj  celebri  per  la  loro 
dottrina,  e  per  le  opere  loro,  l^er 
di  fuori  trovasi  congiunta  al  conven- 
to una  piccola  cappella  dedicata  a 
.s.  Domenico,  ov(>  alcime  pitture  e 
delle  iscrizioni  rammentano  due  in- 
signi miracoli  fatti  dal  santo,  men- 
tre dimorava  nel  convento.  Il  chio- 
stro fu  dipinto  a  fresco  da  Andrea 
Casale  scolare  del  Conca  ,  ma  una 
parte  di  esso  è  ridotto  o  cartiera 
I Iella  camera  Apostolica,  per  la  car- 
ta del  bollo,  e  di  altri  usi  ;  opificio 
che  a' 17  agosto  i835,  fu  onorato 
dalla  presenza  del  Papa  regnau- 
te.  11  eh.  cav.  Gaspare  Servi  ar- 
chitetto scrisse  :  Della  rarlicra  di  s. 
Sisto,  Roma  i83^.  J^.  Girolamo 
Baldassini  Memorie  appartenenti  al- 
la storia,  e  al  culto  della  Madon- 
na detta  di  s.  Luca,  esistente  in  ss. 
Domenico,  e  Sisto,  Jesi    1775. 

S.  SpinrTO  in  Sassia,  nel  rione  Bor- 
go, deW  arcispedale  di  s.  Spinto. 
y.  Ospedale  di  s.  Spirito  ix  Sas- 
sia,   ED    ARCICO^FRAfER.MTA     DI    SAN 

Spirito  in  Sassia. 


Spibito  Sj.vto    de' Napoletani,  nel 
none  Regola.   F.  Naioli.    . 


CHI 

S.  Sr.tyisr.yto  de'  Polacchi,  nel  rio- 
ne s.  Angelo.   V.  Polonia. 

S.  SricF.iNo  del  Cacco,  nel  rione 
Pigna,  de' monaci   Si Ivc strini.    F. 

SlL\ESTRINI. 

S.  Stefjvo  de'  Mori ,  nel  rione 
Borgo,  filiale  della  basilica  va- 
ticana, con  ospizio  pegli  Abissini. 

La  chiesa,  ed  ospizio  di  s.  Stefano 
de' mori,  degl'indiani,  o  degli  «;liopi, 
ed  abissini,  come  fiiiono chiamali,  era 
del  capitol(j  di  s.  Pietro  in  Vaticano,  e 
fu  edificata  presso  questa  basilica  das. 
Leone  I  del  44^3  come  si  rileva  dai 
privilegi,  che  godeva  per  essere  stata 
una  delle  venti  o  veiilidui;  abbazie 
antiche  di  lloma,  e  privilegiate,  per- 
chè il  loro  abbate  assisteva  il  Som- 
mo Pontefice,  allorrpiando  celebrava 
solennemente.  L'Alveri  dice,  che  in 
questo  luogo  fu  l'ospedale  eretto  da 
s.  Crregorio  I  pegli  orfani,  chiamalo 
orfanotrofio.  Nel  monistero,  eh'  era 
uno  de' quattro  presso  la  basilica 
vaticana,  erauvi  de' monaci  benedet- 
tini, di  cui,  come  scrive  Onofrio 
Panvinio,  fu  abbate  Pasquale  roma- 
no, figlio  di  Massimo  Bonoso ,  che 
ai  2  5  gennaio  817  divenne  Papa 
col  nome  di  Pasquale  1,  e  che  la 
Chiesa  venera  per  santo.  F.  su  que- 
sto monistero  i  compilatori  del  Bol- 
lano Faticano,  nel  tomo  I,  p.  29. 
Poscia  la  chiesa  e  il  monistero  fu- 
rono dati  al  capitolo  di  s.  Pietro,  co- 
me provasi  da  una  concessione  di  s. 
Leone  IX  del  1049  ad  esso  indiriz- 
zata, sotto  il  nome  de' canonici  del 
monistero  di  s.  Stefano.  Da  ciò  si 
raccoglie,  come  dice  il  Panciroli  nei 
Tesori  nascosti,  che  per  seicento  an- 
ni abitarono  nel  monistero  i  mo- 
naci dell'  Ordine  di  s.  Benedetto, 
poiché  tanti  anni  appunto  corsero 
da  s.  Leone  I,  a  s.  Leone  IX.  Che 


CHI 
i  monaci  erano  addetti  all'  ufGzia- 
tura  della  basilica  di  s.  Pietro,  con 
altre  nozioni  ad  essi  riguardanti,  il 
dicemmo  all'articolo  Chiesa  di  sa\ 
Pietro  l\  Vaticano.    Vedi. 

Questa  chiesa  prese    il    nome    di 
s.   Stefano  de'  Mori,  o    degli  Abis- 
sini, allorché  il   Pontefice    Paolo  IV 
del    i555  la   diede,  in  uno  alla  con- 
tigua casa,  ad   alcuni  mori  del  pae- 
se detto  del    Prete    Janni,    e    chia- 
mali  indiani.  Tuttavolta  Carlo  Bar- 
tolomeo Piazza,  nelle  sue   Opere  pie 
di  Roma,  parlando    a  pag.     i?.3    e 
seg.   dell'ospedale  degli   indiani,  ov- 
vero abissini    a    s.   Pietro,  dice  clic 
Clemente  \  li,  nel    1325,   diede    la 
chiesa  e  l'ospizio   a    detta    nazione. 
Laonde  Paolo  IV  avrà    confermata 
la   concessione,  e  ne  sarà  stato    be- 
nemerito, come  lo  fu  Gregorio  XIII, 
che  dal    palazzo    apostolico    assegnò 
all'  ospizio  quotidiane    somministra- 
zioni, come  lessi    nei  ruoli    dei    pa- 
lazzi apostolici.  Non  si  dee    tacere , 
esservi  chi   sostiene,   che  Alessandro 
III  eresse  in  P».oma  nn    ospizio  agli 
abissini ,    sotto    la    cura    de'  monaci 
copti.     V.  Abissi>"ia.  Anche  l'Alveri 
vuole  che  Eugenio  IV,  nel    14^9  > 
abbia  confermato  agli  abissini  l'ospi- 
zio   ad  essi  concesso  da    Alessandro 
III,  il  quale  fu  eletto  Papa  nel  i  log. 
1  diversi    tentativi    fatti    successi- 
vamente dalla  santa    Sede  per  con- 
vertire alla    fede    cattolica    gli    abi- 
tanti dell'Abissinia,    furono    soggetti 
a  fiere    persecuzioni ,    come    si   può 
vedere  nel  viaggio  che  fece  Salt,  e 
poi  stampato  nel    1808.  Assunto  al 
pontificato  Clemente  XI,  e  vedendo 
che  la  chiesa  e  l' ospizio  di   s.   Ste- 
fano protomartire  presso  la  basilica 
vaticana  era  disestato   nelle  rendite, 
e  che  non  venivano  dallEtiopia  uè 
abissini,    né  copti,    volle    prenderne 
provvidenza  ,     perchè     giungendone 


CHI  47 

qualcuno  in  Roma,  ivi  fosse  chi  ne 
prendesse  cura,  e  diede  la  chiesa  in 
cappellania  al  suo  familiare  d.  Sil- 
vcrio  Campana,  beneficiato  di  s.  Pie- 
tro col  titolo  di  rettore,  locchè  con- 
fermò con  breve  de'  io  ottobre 
1705.  Ma  già  la  casa  contigua  era- 
si rifabbricata  per  ordine  del  Papa, 
il  quale  si  recò  a  visitarla,  come 
già  nell'almo  precedente  erano  giunti 
in  Pioma  quattro  mori,  i  quali  erano 
stati  ordinati  sacerdoti  ai  20  aprile. 
In  seguito  Benedetto  XIII,  con  bre- 
ve de'  3i  agosto  1724,  dichiarò 
coadiutore  al  Campana  nell'  uffizio 
di  rettore  dell'  ospizio,  e  di  supe- 
riore della  chiesa  con  futura  suc- 
cessione, Marc' Antonio  Ausidei,  no- 
bile perugino  arcivescovo  di  Damia- 
ta,  ed  assessore  del  s.  Offizio,  che 
poi  nel    1728   creò  Cardinale. 

Nel  pontificato  di  Clemente  XII 
si  recarono  a  Roma  alcuni  monaci 
abissini  di  s.  Antonio,  i  quali  poi  vi 
rimasero  sino  a  quello  di  Pio  "NI. 
Ad  essi  coll'autorità  della  costituzio- 
ne Alias  postqnam  de'  i5  gennaio 
it3i.  Clemente  XII  accordò  la 
chiesa  di  s.  Stefano  de'  IMori  col- 
r  annesso  ospizio ,  e  giardino.  Que- 
sta concessione  venne  fatta  a  se- 
conda di  qnella  di  Paolo  HI  , 
che  fu  r  immediato  successore  di 
Clemente  VII,  ed  espres.samente 
si  dichiarò  essere  in  favore  dei  mo- 
naci di  s.  Antonio  Abbate  {Vedi), 
di  nazione  abissini,  etiopi,  copti, 
o  egiziani,  col  patto  di  celebrare 
le  feste  di  s.  Stefano  protomar- 
tire ai  26  dicembre ,  e  di  s,  Sil- 
verio  Papa  ai  20  giugno,  secondo 
la  pia  disposizione  del  defunto  ret- 
tore Campana,  in  onore  del  santo 
titolare  della  chiesa,  e  di  quello 
del  suo  nome,  assoggettando  gl'in- 
dividui della  mentovata  nazione  al- 
la sagra  congregazione    Cardinalizia 


48  CHI 

fli  Prnpafjnndii ,  ed  al  suo  Cardinal 
piclèlto  generale  prò  tempore.  Indi 
sotto  l'io  \  n,  e  nel  i8o/j,  d.  Gior- 
i^io  (iiilahadda  al)i,ssinio,  ispirato  dal- 
la divina  J Provvidenza,  fiiygi  dall'E- 
tiopia per  abiurare  gli  errori,  e  por- 
tatosi in  Roma  nel  1807,  fu  dal 
lodato  Pontefice  fatto  istruire  nei 
dogmi  ortodossi  di  nostra  santa  re- 
ligione, e  poscia  lo  dichiarò  rettore 
delia  chiesa  ed  ospizio  della  sua 
nazione,  cioè  della  chiesa  e  casa  di 
s.  Stefano  de'  iMori,  carica  che  tut- 
tora esercita  con  pio  zelo.  Nel  n."  ^'^ 
del  Diario  di  Roma  del  1841  si 
legge  ciò  die  spetta  ai  tre  deputati 
abissini  mori,  e  loro  seguito  com- 
posto di  vari  dottori,  sacerdoti,  e 
monaci  etiopi,  inviati  dal  Degesma- 
clio  Ubhè  signore  del  Tigre  al  re- 
gnante Pontefice,  qual  deputazione 
dei  tre  regni  cristiani  del  Tigre , 
dell'Amara,  e  di  Sclioa  nell'Abissi- 
nia,  cui  fecero  da  interpreti  il  po- 
liglotte dottissimo  Cardinal  Giu- 
seppe Mezzofanti,  d.  Gio.  de  Gia- 
eobis  della  congregazione  della  mis- 
sione, e  prefetto  Apostolico  del- 
la missione  di  Abissinia,  nonché 
del  suddetto  d.  Giorgio  Galabadda. 
ivi  ancora  riportasi  con  qual  beni- 
gnità il  Papa  Gregorio  XVI  li  ri- 
cevesse ai  17  agosto  1841  nel  pa- 
lazzo Quirinale,  e  si  parla  anche 
d(dr  offerta  a  lui  fatta  dagli  abissini 
dell'incenso  delle  lor  parti,  insieme 
ad  alcuni  rari  uccelli  di  Etiopia , 
come  dicesi  che  cinque  di  delti  abis- 
sini rimasero  in  Roma  per  alunni 
nel  collegio  Urbano  di  Propaganda 
fide. 

La  chiesa  di  s.  Stefano  de' Mori, 
che,  come  dicemmo,  ripete  la  sua 
erigine  da  s.  Leone  I ,  in  diversi 
teiripi  fu  ristorata,  massime  da  A- 
driano  I,  da  Sisto  IV,  da  Gregorio 
XIII,  e  da  Clemente  XI,    ha    ncl- 


CUI 

r  altare  maggiore  un  buon  quadro 
d'incerto  autore,  rappresentante  s. 
S!(;f  mo  lapidato,  e  nell'altare  a  de- 
stra vedcsi  un  dipinto  del  Puccini, 
esprimente  s.  Silverio  Papa;  altare, 
che  fu  eretto  dalla  pietà  del  sun- 
Tiominato  rettore  Campana,  come 
alìerma  il  Piazza  nel  suo  Emerolo- 
i^io  di  Roma,  a  pag.  4io>  parlan- 
do della  festa  di  detto  santo,  nella 
quale,  e  in  quella  di  s.  Stelàno  il 
capitolo  valicano  si  reca  ad  ulììzia- 
re  la  chiesa.  P^.  l'Alveri,  Roma  in 
ogni  slato j  a  pag.  219  e  220,  ove, 
trattando  di  questa  chiesa,  riporta 
le  iscrizioni  necrologiche  degli  etio- 
pi  ivi  sepolti. 

S.  Stefano  Rotondo,  titolo  Cardi- 
nalizio, in  cura  de'  Gesuiti,  si- 
tuato sul  monte  Celio,  nel  rione 
Monti. 

Sulla  vetta  del  monte  Celio,  cos\ 
chiamato  da  Celio  Vibeuna  capita- 
no toscano,  che  portatosi  a  soccor- 
rere R.omolo,  o  altro  re  di  Roma, 
ivi  si  fermò  ad  abitare,  è  posta  la 
chiesa  di  s.  Stefano  Rotondo,  cos\ 
chiamata  dalla  sua  foi'ma  circolare, 
mentre  prima  si  disse  ancora  dal 
monte,  .<^.  Stefano  al  Celio.  Xè  de- 
ve occultarsi,  che  fu  detto  pure  s. 
Stefano  nelQuerquelulano  in  Cele- 
rina, dalla  copia  delle  querele,  che 
ivi  erano,  e  da  una  famigha,  o  con- 
trada, che  si  nominava  Celerina, 
giacché  abbiamo  certo  Stefano  Car- 
tlinale  titolare  di  s.  Stefano  in  Ce- 
lerina. Xon  sono  d'accordo  gli  au- 
tori se  fosse  un  tempio  antico  sa- 
cro al  dio  Fauno.  Si  sa  per  altro, 
che  era  tempio  de'  gentili,  quando 
il  Pontefice  s.  Simplicio  del  4^7  l" 
dedicò  al  protomartire  s.  Stefano , 
liducendolo  al  relativo  uso.  Già  era 
titolo  Cardinalizio  quando  nel    498 


CHI 

s.  Simmnco  celebrò  un  concilio,  dap- 
poiché y\  si  sottoscrisse  un  Marcel- 
lo prete  del  titolo  di  s.  Stefano  nel 
monte  Celio;  titolo  che  poscia  con- 
fermò s.  Gregorio  I.  in  luogo  del- 
la chiesa  di  s.  Crescenziana,  \i 
pose  quest'  ultimo  Pontefice  la  sta- 
zione nel  venerdì  avanti  la  do- 
menica delle  palme  ,  ed  ai  26  di- 
cembre, festa  del  santo,  le  quali  og- 
gidì si  celebrano  ancora.  Il  mede- 
simo s.  Gregorio  I  in  questa  chiesa 
pronunziò  al  popolo  romano  l'o- 
meha  IV  siiU'  evangelo  di  s.  Mat- 
teo. Il  Cardinal  titolare  doveva  ce- 
lebrare ogni  giovedì  sull'  altare  pa- 
pale della  patriarcale  basilica  di  s. 
Lorenzo  fuori  le  mura,  facendovi  il 
servizio  ebdomadario. 

Già  i  Pontefici  s.  Giovanni  I  , 
del  524,  ed  il  suo  immediato  suc- 
cessore s.  Felice  HI  detto  IV,  vi 
avevano  fatto  eseguire  alcuni  mu- 
saici, massime  nella  tribuna,  di  che 
fa  menzione  il  Grutero  con  due 
iscrizioni,  cui  riporta  alla  p.  11 64 
ai  numeri  17  e  20.  Di  poi  Papa 
Teodoro  del  642,  dall'arenario  della 
via  Nomentana,  prese  i  corpi  de'  ss. 
martiri  Primo  e  Feliciano ,  ripo- 
nendoli in  questa  chiesa,  alla  quale 
offrì  molti  doni.  Ci  avverte  il  Piaz- 
za, Gerarchia  pag.  534,  che  Sergio 
II,  Papa  dell'  844^  concesse  ad  E- 
remberto,  uomo  illustre,  il  corpo  di 
im  s.  Primo,  e  le  reliquie  d' lui  s. 
Feliciano,  venendo  depositate  nella 
villa  Lega  della  diocesi  di  Milano. 
Su  questo  punto  va  letta  la  Notizia 
istoiica  del  martino  de'  ss.  cittadi- 
ni romani  Primo  e  Feliciano,  e  del- 
la traslazione,  ed  iin'e/izioiic  de'  lo- 
to corpi  nella  chiesa  di  s.  Stefano 
Rotondo  nel  monte  Celio,  Iloma' 
1736.  In  questo  libro  evvi  una  bre- 
ve notizia  su  questo  antico  tempio. 
In  appresso    Adriano  I,    nel    773, 

VOL.     XIK. 


CHI  49 

restaurò  ed  abbellì  la  chiesa.  Que- 
sta fu  data  in  titolo  nel  concilio  di 
Clermont  al  b.  Martino  Cibo,  ci- 
stcrciense ,  amico  di  s.  Bernardo , 
quando  nel  ii3o  Innocenzo  li  lo 
creò  Cardinale.  Quindi  nel  1191, 
Celestino  HI  conferì  il  medesimo 
titolo  al  Cardinal  Giovanni  di  Sa- 
lerno, che  in  sua  morte  dieci  Car- 
dinali elessero  Papa  ;  ma  temendo 
l'eletto  di  uno  scisma,  px-ontamente 
rinunziò,  facendovi  sostituire  Inno- 
cenzo IH.  Alcuni  vogliono,  che  que- 
st' ultimo  Papa  sia  stato  benemerito 
della  chiesa,  per  le  riparazioni  die  vi 
fece  eseguire. 

INIinacciando  in  appresso  la  chie- 
sa ruiua ,  Nicolò  V  accorse  solle- 
cito a  ristorarla  sino  dai  fonda- 
menti. 11  glorioso  di  lui  nome  fu 
posto  nel  fl'ontespizio  della  faccia- 
ta esteriore  colla  data  del  i453. 
Poscia,  nell'anno  i  455,  Nicolò  V  tol- 
se la  collegiata  de'  canonici,  che  si- 
no allora  uffiziavano  la  chiesa ,  ed 
in  vece  vi  pose  dodici  frati  romiti 
di  s.  Paolo  primo  eremita.  Pio  H, 
nel  i45B,  creò  Cardinale  prete  di 
s.  Stefano  Alessandro  Oliva,  agosti- 
niano di  Sassoferrato,  celebre  pe'  suoi 
grandi  meriti.  Questo  titolare  fu  be- 
nefico della  sua  chiesa, coll'abbelli ria. 
In  seguito  venne  pure,  nel  i4'^8  , 
ristorata  da  Innocenzo  \  III.  Ma 
verso  l'anno  1 549,  avendo  ii^^^^'^^to 
Paolo  IH  al  Cardinalato  Giannange- 
lo  de'  Medici,  che  poi  conseguì  il 
presente  titolo,  da  esso  nel  i55g 
ascese  alla  veneranda  cattedra  di  s. 
Pietro  col  nome  di  Pio  IV.  Aven- 
do poi  il  suo  predecessore  Giulio 
HI,  per  opera  di  s.  Ignazio,  dato 
principio  al  collegio  germanico-un- 
garico,  sotto  la  direzione  de'  gesuiti, 
il  successore  Gregorio  XI H  lo  sta- 
bilì, e  fra  le  copiose  entrate  che  gli 
assegnò,  gli  diede  in  un  alla  chiesa, 

4 


"■u,  CHI 

quello  goduto  flai   ielif:;iosi  nuivi   (li- 
molanti, i  (fuali  orano  uudati   iu  dc;- 
oadoiiza,  e   pmciò  da  lui  tolti,  come 
rilevasi   dalla  b(jlla    Jposlolici   niu- 
m-ris    snlliciludn  ,    data    kal.     mar- 
lii    anno     i  TyS.     I     gosuili ,    oltre- 
ché    farvi     rifiorire     il     divin     cul- 
to, l'abbellirono  e  decorarono    con 
i stupende  pitture    a  fresco,    di    cui 
poi  faremo  parola.  Di  (juosta  chiesa 
iVi   molto  divoto  s.  Filippo  ISeri,  e  vi 
condiiceva  nel  giovedì  di    carnevale 
molto  popolo  a  ricevervi  la  s.  comu- 
nione, oltre  la  visita  delle  sette  chiese. 
Il  Crescim!)eiii  nella  sua  erudita 
Istoria  della  chiesa  di    s.    Giovan- 
ni avanti  porta  latina,  a  pag.   167 
e  seguenti,   riporta    preziose    notizie 
della  chiesa  di  s.   Stefano  al  monte 
Colio,  che  alcuni  chiamarono  s.  Ste- 
fano in  capo  d'Africa.    Tra  le  al- 
tre cose  racconta,    che  la  chiesa  di 
s.    Stefano    apparteneva    alla    detta 
chiesa  di  s.   Giovanni ,    la  quale  fu 
data  da  Lucio  II  con  tutte    le  sue 
pertinenze  alla  basilica    lateranense, 
locchè  confermò    Onorio    III,   com- 
prosavi la  chiesa   di  s.  Stefano,  in- 
sieme ad  altri  Papi.   Quindi  riporta 
i   diversi  accordi   fatti    dal    capitolo 
lateranense  coi  frati  di  s.  Paolo  pri- 
mo eremita,  a  cagione   dei  reclami 
dal  primo  avanzali  ai  secondi,  dopo 
che  a  loro  Nicolò  V  avea  concesso 
la  chiesa,  e  i  beni.  Dopo  molte  vi- 
cende da  ambedue  le  parti  si  con- 
chiuse col   patto    di    restituire    si    i 
beni  che  la  chiesa  al  capitolo,  quan- 
do i    frati    per    qualunque    ragione 
l'avessero  lasciata.   Essendo    il  capi- 
tolo ricorso  dopo  la  morte  di  Gre- 
gorio XI li  al    successore    Sisto    V, 
per  essere    reintegrato    ne'  suoi    di- 
ritti, nulla  potè  ottenere,  e  il    Col- 
legio gernianico-wigarico  [Vedi),  go- 
vernalo dai  gesuiti,    ne    rimase  pa- 
ciiico  possessore,  come  lo  è  tuttora. 


cin 

Sol  piondonle  ,  e  njcraviglioso  è 
1  circllo  che  si  prova  entrando  in 
quello  ic-mpio ,  dappoiché  rotonda 
n'  (•  la  forma  con  una  nave  circo- 
lare sorretta  da  cinquantotto  co- 
lonne di  granito,  e  sei  di  marmo 
bianco,  tutte  d'ordini  differenti.  Au- 
licamente essa  aveva  un  altro  por- 
tico più  vasto  all'  intorno  sostenuto 
pure  da  colonne;  ma  iVicolò  V  re- 
strinse il  suo  circuito ,  e  chiuse  nel 
nuu'o  il  primo  ordine  di  colonne, 
che  restava  piii  in  fuori,  in  modo 
per  altro,  che  alcune  ancora  se  ne 
vedono  scoperte.  Le  due  colonne  del 
centro,  che  reggono  la  cupola,  sono 
d'ordine  corintio;  il  diametro  della 
chiesa  è  di  cento  novantotto  piedi. 
Nelle  pareti  della  nave  circolare,  Ni- 
cola Pomarancio  con  bravura  e  di- 
ligenza dipinse  le  trentadue  storie 
de'  santi  martiri  principiando  dagli 
Innocenti;  ma  i  paesi  e  le  prospet- 
tive furono  eseguite  da  Matteo  da 
Siena.  Antonio  Tempesta  dipinse  i 
martirii  de'  ss.  Primo  e  Feliciano 
nella  hno  cappella,  e  di  fuori  la 
strage  degl'Innocenti,  e  la  Vergine 
Addolorata.  Nel  i  5H  j  riprodusse  tali 
pitture  in  rame  Gio.  Ballista  de 
Cavalieri,  come  nota  il  Crescimbjeni 
a  pag.  189.  Il  quadro  della  ss.  An- 
nunziata nel  suo  altare  è  opera  del 
gesuita  p.  Pozzi.  Nel  centro  sopra 
l'altare,  e  sotto  la  cupola  si  alza  un 
artificioso  tabernacolo,  il  quale  con 
bizzarro  disegno  fu  lavorato  da  un 
fornaio  svedese,  che  il  donò  al  col- 
legio germanico- ungarico. 

Presso  la  chiesa  anticamente  fu 
il  celebre  monistero  di  s.  Erasmo, 
di  cui  ancora  si  veggono  i  vesti- 
gi ,  il  quale  fu  uno  de'  più  an- 
tichi e  primari  di  E.oma,  e  venne 
fondato,  secondo  alcuni,  dallo  stesso 
s.  Bencdetlo.  Piisplendctte  per  la  re- 
golare diocipliua,  pei  mouaci  che  vi 


CHI  Clir                      'Tr 

noriionn,  uno  de'  quali  fu  A(1cn(ìa-  cura  dcllr  inniuichc  cisterciensi , 
to  ,  o  Deodato  ,  ovvero  Dcusdcrlit ,  nel  rione  Trevi. 
che,  nel  6i5,  fu  creato  sommo  Pon- 
tefice. In  questo  monistero,  e  pres-  Questa  chiesa  fu  detta  anticamen- 
so  la  chiesa  di  s.  Stefano,  dopo  la  to  do'  ss.  Gabino  e  Susanna,  ad 
morte  di  Giovanni  Y,  avvenuta  nel  diiai  Donins.  agli  orti  Sa  liristi  a?  n  . 
jiiimo  agosto  del  G^6,  ncH' elezione  lìvU'aUa  Semita  del  Qi/in'nale,  vi- 
dei successore  nacque  grave  conte-  cino  al  vico  di  Mamurro,  fabbro 
sa,  poiché  il  popolo  essendosi  divi-  che,  secondo  gli  ordini  di  Numa,  ta- 
so dall'esercito  dell'esarca  di  Ra-  voi-ò  i  famosi  scudi  Ancillj.  Viene 
venna  ,  che  voleva  in  essa  introdur-  chiamata  dagli  scrittori  ecclesiastici 
si,  questo  faceva  tumulto  presso  la  ad  duas  Domos,  perchè  ivi  furono 
chiesa,  e  il  popolo  col  clero  roma-  le  case  di  s.  Gabino  padre  di  s.  Sa- 
no erasi  ritirato  in  s.  Giovanni  in  sanna,  e  del  Pontefice  s.  Cajo,  elet- 
Laterano,  per  cui  insorti  gli  antipapi  to  nel  283,  ambedue  convertite  in 
Pietro  e  Teodoi'O,  poscia  composti  chiese,  od  oratori.  In  questo  luogo, 
gli  animi,  concordemente  elessero  per  la  sua  eminenza  ed  amenità , 
Conone  per  Papa.  Finalmente  nel  già  chiamato  alta  Semita,  sul  dor- 
raonistero  di  s.  Erasmo,  dalla  chic-  so  del  Quirinale,  furono  il  tempio  di 
sa  di  s.  .Silvestro  in  Capite,  nel  Quirino,  la  casa  di  Pomponio  At- 
799,  i  ribelli  Pasquale,  e  Campolo  tico,  ed  i  famigerati  orti  Sallustia- 
fecero  trasportare,  e  strettamente  ni,  col  superbo  palazzo,  oltre  di- 
rinchiudere s.  Leone  IH,  da  loro  versi  altri  templi  ed  edifici.  V.  Chie- 
orrendamente  mutilato,  donde  fu  li-  sa  di  s.   Cajo. 

berato  da  Albino  suo  cameriere,  ed  Vuoisi  pertanto,  che  Papa  s.  Cajo 

accompagnato  al   Vaticano.  erigesse  in  chiesa  la  casa  del  fratello 

Sulla  chiesa  di  s.  Stefano  Ptoton-  Gabino,  e  della  nipote  Susanna  vei'gi- 

do    possono    principalmente    vedei-  ne   dopo  il  suo  martirio  pur  ivi  sof- 

si  ,     Descrizione    di    Roma    antica  ferto,  e    celebrasse    nella    medesima 

e    moderna,   dedicata    al     Cardinal  piìi    volte  la  messa  ad  onore  di  lei. 

Valenti   tom.   II  pag.  4 '4?  e  seguen-  Altri  credono,  che  a  s.  Leone  1  deb- 

ti  ;    Le  antichità  della   città  di  Ro-  ba    attribuirsi    la    dedicazione    della 

ma  per  Lucio  Mauro    stampate    in  chiesa  da  lui  restaurata,  o  forse  da 

Venezia  nel    i556  a  pag.  42;  Ro-  oratorio  ridotta  a  chiesa,   recitando- 

ma  vetus  et  recens,  auctore  Alexan-  vi  un  sermone  in   onore  di  s.  Feìici- 

dro  Donato,  a  p.   324;  e    V  Hi  sto-  ta,  e  de' sette  martiri  suoi  figli.  Ccr- 

ria  collega   Gennnnici  et   Ungarici,  to  è,  che  nel  concilio  celebrato  nel 

auctore  p.   Cordaro  soc.  Jesu.  Laterano,  dal    Pontefice    s.  Simma- 
co, nel  499»  "^'  si  sottoscrissei'o  A- 

Ss.  Sudario  de'  Savojardi,  nel  rio-  sello,  ed    Agatone,    preti    del    titolo 

ne  s.  Eustachio,  chiesa    dell'  Ar-  de'  ss.  Gabino    e  Susanna  ;    come    s. 

ciconf r  aterni  ta    del    Ss.    Sudario  Gregorio  I  iiomina    nel  suo  registro 

[Tedi),  fal)!)ricata   nel     r6o5  con  im  tal   Rustico,   prete    del    titolo  di 

disegno  di   Carlo  Kainaldi ,    e  ri-  s.    Susanna.   Poscia   al    suo  Cardinal 

storata  nel  secolo  decorso.  titolare  fu  data    la  prerogativa    del 

servigio  ebdomadario  nella  patriarca- 

S.  Susanna,  titolo   Cardinalizio,   in  le  basilica  di  s.  Paolo,  dovendo  ce- 


52  CHI 

Icbrnrc  suU'nlfan!  pontificio  in  ogni 
sahhato.  Da  tempo  anticliissinio  rpii- 
vi,  come  nella  chiesa  di  s.  Cajo,  si 
celebra  la  stazione  nel  sabI)ato  dopo 
la  terza  domenica  di  rpiaresima. 

S.  Leone  II  dichiarò  prete    Car- 
dinale di     s.   Susanna     s.    Sergio  I, 
che  fu  creato  l'apa  nel  687.  Adria- 
no I  rifece  il    tetto  delia    chiesa;  e 
l'immediato  suo    successore  s.   Leo- 
ne III,  nel   795,  quando   fu    eletto, 
trovavasi  prete  Cardinale  di  questo 
titolo.   Secondo  l'annalista    Baronio, 
quivi  egli     volle    essere     consagrato 
Papa  ;  indi  la  rifabbricò  quasi    tut- 
ta, vi  pose    il  baltisterio ,    l' abbellì 
facendovi  eseguii-e    nella    trilxma  la 
immagine  di  Carlo  Magno  in  abito 
militare,  e  l'arricchì  del  corpo  di  s. 
Felicita  martire,  che    fu    preso    dal 
cimitero    detto  di    s.  Felicita    nella 
via  Salare,  donde  era  stato  trasferi- 
to in  questa  sua  chiesa  anche  quel- 
lo di  s.  Susanna.    In    essa  riposano 
pure  il  corpo  del   di    lei    padie    san 
Gabino,   e  nell'altare   di  s.   Lorenzo 
la  metà  di  quelli  de'  ss.  martiri  Ge- 
nesio,  ed  Eleuterio  :    vi  è    pure  un 
osso  del  profeta    Michea,    che  pre- 
disse il   nascimento    del    Redentore, 
e  vi    sono  altre    reliquie.    Anastasio 
bibliotecario  nella  vita  di    s.   Leone 
IH,    narra  la   sua  magnificenza  ver- 
so questa    chiesa,  e    fa  la  descrizio- 
ne de' donativi,  cioè    di  tre   gabale, 
o  lampadi  d'oro  di  cinque  libbre  e 
mezzo:  di  due  croci  d'oro  ornale  di 
gemme,  del  peso  di  quindici  libbie; 
di  due    verghe     d'argento;     di    tre 
immagini  di  tal  metallo    di    trenta- 
cinque  libbre  ;  dell'altare  per  la  con- 
fessione di  argento  del  peso  di  cen- 
totre  libbre;  di  otto  colonne    d'ar- 
gento, con  due  archi,  ed  una  croce 
simile  ;  di  due  vesti  di   lama  di  ar- 
gento, chiamate  gamadie;  più  un'al- 
tra croce  di  argento,    un   canestro, 


CHI 

ima  corona  grande  con  dodici  del- 
fini, altra  croce,  de'  vasi  colalorii, 
due  altre  lampade  con  grifi  dorali, 
due  corone  con  dieciotto  delfini , 
tutto  di  argento. 

Nel   I  1 44  Lucio  II   confer'i  que- 
sto titolo  al  Cardinal  Gezo.  Altre  ri- 
parazioni a  questa  chiesa,  che  fu  chia- 
mata anche  basilica,  e  fino  agli  ulti- 
mi tempi  fu    pure    parrocchia,  non 
si  trovano  sino  a  Nicolò  V,  Parentu- 
celli,  che  successe  nel  i447  ^"-l  I^"^'" 
genio  IV,  il  quale  l'avea  fatto  Car- 
dinale   prete    di    s.    Susanna.    Dipoi 
Sisto  IV,  nel    i47^)  l'abbeiri,   e  vi 
fece  alcuni  ristauri.  INIa  al  Cardinal 
Girolamo  Rusticucci  titolare  di  santa 
Susanna,  per  beneficenza  di    s.  Pio 
V  si  devono  la  riedificazione    della 
chiesa,  i  maggiori  suoi  ornati,  e  la 
erezione     della     facciata    esterna    di 
travertini,  con  architettura  di   Carlo 
IMaderno,  il  soffitto   dorato,  le    pit- 
ture nelle  pareti,  oltre  il  totale  suo 
ingrandimento.   Adornò  ancora    con 
marmi,  e  dipinti   il  sotterraneo  della 
confessione,  e  la  tribuna,  mentre  per 
l'amore  che  portò  a  questa  chiesa^  se- 
condo l'uso  antico,  volle  chiamarsi  il 
Cardinal  di  s.  Susanna,  e  la  ritenne 
in  commenda  quando  passò  al  tito- 
lo di  s.  Maria  in  Trastevere,  ed  ai 
vescovati  suburbicarii. 

Contemporaneamente  imitatrice  in 
parte  del  Cardinal  Rusticucci  fu  d. 
Camilla  Peretti  sorella  di  Sisto  V, 
la  quale  fablnicò  con  beili  marmi 
la  cappella  di  s.  Lorenzo,  facendovi 
dipingere  il  suo  martirio  da  Battista 
Pozzo  di  Valsoldo,  e  dal  Nebbia;  e 
le  geste  de' ss.  Genesio,  ed  Eleuterio, 
che  nella  metà  dei  loro  corpi  avea 
dal  Pontefice  fratello  ottenuti  dal- 
la chiesa  di  s.  Giovanni  delia  Pi- 
gna. Quindi  stabilì  un  legato,  per 
dotare,  nel  giorno  di  s.  Susanna,  no- 
ve zitelle,  alle  quali  assegnò  cinquan- 


CHI 

ta  scudi  per  cadauna,  cioè  nel  di 
della  sua  festa  agli  1 1  agosto,  nel 
qual  giorno  il  senato  romano  viene 
a  fare  l'olTerta  di  un  calice  d' ar- 
gento e  di  torcie  di  cera  in  ogni 
quadriennio.  La  medesima  pia  da- 
ma eresse  un  monistero  di  mona- 
che presso  la  chiesa  de' ss.  Vito  e 
Modesto,  donde  poi  furono  da  Si- 
sto V  trasferite  a  questa  chiesa  di 
s.  Susanna,  aiutata  da  Pietro  Ful- 
vio, nel  modo  che  si  descrive  al- 
l'articolo ClSTERCIEySI  MONACHE,  CSSCU- 

do  appunto  tali  quelle,  che  tuttora 
sono  nell'annesso  monisteio,  e  sog- 
gette al  Cardinal  protettore. 

Paolo  V  ingrandì  e  riedificò  il  mo- 
nistero, il  cui  coro  interno  di  noce  in- 
tagliata è  forse  il  più  bello,  che  sia  in 
Roma.  Entro  l'ameno  e  vasto  giar- 
dino delle  monache,     si    vede    una 
cisterna,  il  cui  architrave,  e  pilastri 
sono  disegno  e  lavoro   di  IMichelan- 
gelo  Buonarroti.  Da    ultimo    onorò 
questo   titolo    il  Cardinale    Lorenzo 
Corsini,  cui  lo  diede  Clemente   XI, 
nel   1705,  giacché  nel   lySo   fu  su- 
blimato al  triregno,    ed    assunse    il 
nome    di    Clemente  XII.    L' interno 
della  chiesa   ha    una  sola    nave,    il 
cui  pavimento  tuttora  conserva    al- 
cuna traccia  dell'anlico.    Pcicco    è  il 
soffitto  d'intagli,  e  doralure,  avente 
le  pareti  ornate  di  pitture  esprimen- 
ti le  storie  della  casta  Susanna  ebrea, 
eseguite  a  fresco  da  Baldassare  Cro- 
ce ;  ma  le  prospettive  di  tali  dipin- 
ti   sono    del    p.    Zoccolino     teatino, 
come     le  statue     di    stucco,  che    le 
frammezzano,  sono  del  Valsoldo.  Dal- 
la tribuna  si  scende  per    una  scala 
a  due  bracci  alla  confessione,  la  qua- 
le occupa  un   vasto  spazio  sotteira- 
iieo,  e  vi  si  venerano   i  corpi  di  s. 
Felicita,  e  le  reliquie    de'  suoi    figli 
martiri.    11  quadro     poi     dell'altare 
maggiore    rappresenta    s.     Susanna 


CHI  53 

morta,  opera  del  siciliano  Laureti  ; 
le  pitture  della  tribuna,  e  l' assun- 
zione della  b.  Vergine,  sono  del  pen- 
nello dell'orvietano  Nebbia.  Al  lato 
destro  del  detto  altare  evvi  il  mar- 
tirio di  s.  Susanna,  che  con  altre 
ligure  superiori  nel  pilastro,  e  fuo- 
ri dell'arco  dipinse  il  Nogari.  L'i- 
storia di  contro  è  del  mentovato 
Croce,  ch'è  pure  autore  dei  freschi 
esteriori  dell'arco.  A  mano  sinistra 
si  vede  la  magnifica  cappella  di  s. 
Lorenzo,  e  nella  parete  destra  è  il 
deposito,  che  Camilla  Minio  pittri- 
ce, eresse  al  genitore  Filippo  Valle, 
scultore  del  secolo  decorso. 

S.  Teodoro,  già  diaconia  Carcliimli- 
zia,  in  cura  dell'  arciconfralcrnila 
del  ss.  Cuore  di  Gesìi,  delta  dei 
Sacconi^    nel  rione  Canipitelli. 

Di  questa  antichissima  chiesa,  già 
tempio  rotondo  di  Romolo,  volgar- 
mente detto  s.  Tota  alle  radici  del 
Palatino,  o,  come  altri  dicono,  fab- 
bricata sugli    avanzi    del   tempio  di 
Giove  Statore,  o  di  quello  di  Vesta, 
già  se  n'è  parlato  nel  voi.  II  del  Di- 
zionario a  p.  3  1 3,  trattando  di  quel 
sodahzio.  Solo  qui  daremo  altre  no- 
tizie su  questa  chiesa ,    posta    nella 
contrada,    ch'ebbe    nome    di    Vico 
toscano,  perchè    vi  abitavano    mer- 
canti ed  artisti   toscani.    Fu    questa 
diaconia  la  nona  regionaria  istituita 
da  s.    Iginio     Papa    del    i54,    alla 
quale  presiedeva    il  diacono    Cardi- 
nale regionario  della  settima   diaco- 
nia, di  cui  si  ricorda  un  tal    Celio 
Giovanni,  diacono    di  questa  chiesa, 
nel    sinodo    romano,    celebrato    nel 
499  dal  Pontefice  s.  Simmaco;  chie- 
sa, che  s.  Gregorio  1   dedicò  all'  in- 
vitlissiino  martire    s.   Teodoro,    del 
quale  la  Chiesa  celebra  la  festa    ai 
9  novembre.  Il  volgo   poi   lo  chia- 


.54  CHI 

mò  santo  Tutu  per  Ja  tli   lui  tenera 
età,  ed  al  patrocinio    di   esso  santo 
rieorrono  i  genitori  pe'  loro  fanciid- 
li.  Essa  fu    in  proj^resso    restaurata 
da  Adriano  I  :  quindi  da  Nicolò  V, 
che  conservò  le    forme     anliclie,     e 
fece    dipin;^cre    sulla    ])orta    la    na- 
scita   del    Salvatore  ;    dal    Cardinal 
Francesco  Barberini,  nipote    di   Ur- 
bano VIH,    verso    il    i<)74;  e    poi 
da  Clemente  XI,  che  còll'opera  del 
cav.   Carlo  Fontana,   nel    i7o5,  iso- 
lò l'ediflzio  per  liberarlo    dall'  umi- 
dità del   teri  apieno  da  cui  era   cir- 
condato,   aprì    una    piazza    avanti , 
munendo  di  cancelli  lingrcsso ,  ab- 
bellì i    tre  aitali,     ed     il    maggiore 
decorò  con   marmi   mischi,  sul  rpia- 
le  evvi    un    «juadro    di    s.   Teodoro 
del  Zuccari.    11   magistrato    romano 
ogni  anno,   nel  dì  della  festa    di   san 
Teodoi'o ,    fa     in   questa     chiesa    la 
olTerla  di  un  calice  d'argento,   e  di 
quattro  torcie  di  cera. 

Onorio  li,  nel  i  17.5,  conferì  que- 
sta chiesa  in  diaconia  ad  Ugo  Ge- 
vemei  arciprete  della  basilica  vati- 
cana ;  e  Giovanni  XXII,  in  Avigno- 
ne, la  diede,  nel  i3i6,  al  celebre 
Cardinal  Gio.  Carlo  Orsini,  morto 
colà  nel  i355.  Ma  nel  pontificato 
di  Sisto  V  restò  soppressa  la  dia- 
conia, sebbene ,  secondo  il  Piazza  , 
Gerarchia  Curdinalizia,  p.  735,  fu 
da  Urbano  Vili  temporaneamente 
ripristinata  in  fiivore  del  Cardinale 
Teodoro  Trivulzi.  Prima  era  colle- 
giata di  canonici ,  e  poi  sotto  Cle- 
mente XII  fu  concessa  alla  lodata 
arciconfraternita.  P^.  Fi-ancesco  Ma- 
ria Toriigio,  Istoria  del  martirio  di 
■s.  Teodoro,  Roma  i634,  nel  qual 
libro,  oltre  la  vita  del  Santo,  si 
tratta  anco  di  questa  sua  chiesa  ; 
nonché  Francesco  Cecconi,  Memo- 
rie storiche  dell'  insiirne  diaconia  di 
o 

o.    Teodoro     martire,     situata     alle 


CHI 

raffici    del    monte   Palatino,   Roma 
1710. 

S.  Teresa  alle  (/icaltro  fontane  , 
delle  carmelitane  scalze  riforma- 
te, nel  rione.  Monti.  V.  Carme- 
litane   MONACHE. 

Il  senato  romano,  in  ogni  decen- 
nio, in  vigore  di  rescritto  fitto  da 
Pio  VII  ai  22  settembre  1804,  nel 
dì  della  festa  di  s.  Teresa^  ai  i5 
ottobre,  fa  in  questa  chiesa  la  pia 
oblazione  di  un  calice  di  argento 
con  sua  patena,  e  quattro  torcie  di 
cera. 

S.  Tom M. ISO  di  Cantorbery ,  del 
collegio  inglese j  nel  rione  Regola. 
V.   Collegio   inglese. 

S.  Tommaso  in  Foi-mis,  del  Capi- 
tolo f^aticanOj  nel  rione  Campi- 
telli.  V.  Chiesa  di  s.  Pietro  iv 
Vaticano,  nel  fine  dell'articolo. 

S.  Tommaso  in  Parione  ,  titolo 
presbiterale  Cardinalizio  ,  con 
parrocchia,  nel  rione  di  Parione. 

Vuoisi  edificata  nel  i  1 3«^  dal 
Pontefice  Innocenzo  II,  che  la  con- 
sagrò solennemente  ai  2 1  dicembre 
di  detto  anno,  giorno  in  cui  ap- 
punto la  Chiesa  universale  celebra 
la  festa  di  s.  Tommaso  apostolo, 
cui  è  dedicata.  Prese  il  nome  di 
Parione  da  quello  del  rione,  per- 
chè in  esso  abitavano  i  cursori ,  o 
mandatari,  che  in  latino  chiamansi 
apparitores.  Verso  l'anno  i4^4  '^ 
Cardinal  Stefano  Nardini  di  Forlì 
fondò  l'annesso  collegio,  che  prese  il 
nome  di  Collegio  Nardini  [l'aedi),  e 
doveva  servire  a  ventisei  giovani  stu- 
denti, ed  un  palazzo,  il  quale  servì  di 
residenza  al  tribunale  del  govei-no,  e 


CHI 

dei  [trelati  governatori  di  PLoma, 
per  cui  quando  tali  residenze  furo- 
no traslerite  ove  sono ,  al  palazzo 
e  alla  contrada  rimase  il  nome  di 
governo  vecchio.  Nella  celebre  pro- 
mozione, che  Leone  X  fece,  nel 
I?i7,  di  trentuno  Cardinali,  eresse 
la  chiesa  al  grado  di  titolo  Cardi- 
nalizio, nominandovi  per  primo  il 
Car<linal  Lorenzo  Campeggi  da  lui 
creato  nella  stessa  promozione  ;  e 
poscia  Clemente  VII,  nel  iSat),  la 
diede  per  titolo  al  Cardinal  Giro- 
lamo Doria.  Fra  i  Cardinali,  che 
onorarono  questa  chiesa,  vi  fu  il 
b.  Gregorio  Barliarigo  veneziano,  cui 
l'nssegnò  Alessandro  VII,  quando,  nel 
1660,  da  lui  fu  aggregato  al  senato 
apostolico.  S.  Filippo  Neri  vi  volle 
prendere  tutti  gli  ordini  sagri,  me 
no  quello  di  diacono,  che  prese  nel- 
la basilica  Kiteranense,  ed  allora  il 
santo  era  nell'età  di  trentasei  an- 
ni ;  i  primi  ordini  li  prese  nel  me- 
se di  marzo  da  Giovanni  Lunelli 
vescovo  di  Sebaste,  vicario  genera- 
le di  Giulio  IH,  e  il  sacerdozio  nel- 
la Pentecoste.  Ciò  avvenne  in  que- 
sta chiesa  forse  perchè  il  detto  ve- 
scovo vi  abitava  vicino. 

Della  confraternila  de'  ss.  Gio. 
Evangelista  e  Nicola  de'  Copisti,  in 
s.  Tommaso  in  Pavione,  tiatta  il 
Piazza,  nelle  sue  Opere  pie  di  Ro- 
ma, a  pag.  661  ,  e  seguenti.  Essa 
ebbe  origine  sotto  Pio  IV ,  nel 
1 56  [ ,  ma  in  progresso  si  estinse. 
In  questa  chiesa  fu  pure  fondata 
nel  secolo  XVII  la  confraternita 
delle  missioni,  la  tjuale  poi  passò  a 
s.  Giuliano  in  Banchi.  j\el  pontifi- 
cato di  Gregorio  XIII ,  e  verso 
l'anno  i582,  Mario  e  Camillo  Cer- 
rini  nobili  romani,  con  molta  spesa, 
e  con  disegno  di  Francesco  Volter- 
ra fecero  restaurare,  ed  abbellire 
questa  chiesa.   Il  quadro  dell'  altare 


c  ri  I  55 

maggiore  fu  colorito  dal  p.  Cosi- 
mo cappuccino,  che  vi  espresse  san 
Tommaso  apostolo  in  atto  di  ora- 
re. Il  quadro  dell'Annunziata,  e  dei 
ss.  Gio.  Evangelista,  e  Nicola  di  Bii.- 
ri,  posto  suir  altare  a  sinistra,  è  o- 
pera  di  Pomerancio.  Nell'altare  0[)- 
posto  la  Concezione  è  pittura  del 
Passeri.  Nella  prima  cappella  poi  a 
mano  destra  di  chi  entra  evvi  il 
quadro  di  s.  Filippo ,  cioè  la  sua 
ordinazione ,  dipinto  dal  cavaliere 
Giacomo  Conca,  il  quale  seppe  su- 
perare le  dlllicoltà  de'  para  menti  ros- 
si,  che  hanno  i  sagri   ministri. 

Questa  chiesa  fu  frequentata  dalla 
matrona  s.  Francesca  Promana.  Al- 
tre notizie  di  questa  chiesa  si  pos- 
sono leggere  nel  Bovio ,  La  pietà 
trionfante,  pag.  187,  della  chiesa 
di  s.  Tommaso  in  Pai-ione,  filiale 
dell'  insigne  basilica  di  s.  Lorenzo 
in  Damaso  di  R.oma.  Il  Cancellieri, 
a  pag.  66  del  suo  Mercato,  confuta 
lo  Sprengero,  il  quale  nella  Roma, 
nova,  aveva  scritto,  che  sulla  poita 
di  questa  chiesa  appendevasi  la 
tabella  degli  scomunicati  ,  che  non 
avevano  adempito  alia  comunione 
del  precetto  pasquale. 

S.  Trifone  nel  rione  Ponte.  V. 
Chiesa,  di    s.   Agosti vo,  ed  Arci- 

CONFRATERXITA    DEL    SS.   SaGRAMEN- 

To  nella  chiesa  di  s.   Trifone. 

SS.  Trinità'  de'  Signori  della  Mis- 
sione, nel  rione  Colonna.  V.  Si- 
gnori DELLA  Missione. 

SS.  Trinità'  dell' arcicoufraternita 
de'  Pellegrini,  nel  rione  Regola. 
V.  ArciconfrateRxNita  della  ss. 
Trinità'  de'  Pellegrini. 

11  senato  romano  ogni    anno,   per 
la   lesta  della  ss.   Trinità,   fa  a  (jucr 


SG  CHI 

sta  chiesa    l' oblazione    d'  un     calice 

d'argento,  e  quattro  torcic  eli  cera. 

SS.  Trinità'  de  pp.  Trinitarj  cal- 
zali, nel  rione  Canipomnrzo.  V . 
Trinitari  Ordine  religioso. 

SS.  Trinità'  de'  Monti  al  Mon- 
te Pinci o,  titolo  Cardinalizio  in 
cura  delle  monache  del  Sagro 
Cuore,  nel  rione   Camponiarzo. 

Questa  chiesa  si  chiama  della  ss. 
Trinità  de  monti,  al  monte  Pincio, 
<)  colle  degli  ortidi,  perchè  dedica- 
ta alla  ss.  Trinità  sul  monte  Pin- 
cio da  quel  senatore  romano ,  che 
ivi  fabbricò  un  sontuoso  palazzo , 
detto  poi  in  Pincis,  dai  famosi  orti 
di  Lucidlo,  e  di  Sallustio ,  che  per 
la  loi'o  amenità  deliziosa ,  servirono 
di  diporto  ai  romani  imperatori  ; 
chiamato  poi  venne  il  colle  col  di- 
minutivo di  oriuli  da  quelli,  che 
nel  declivio  del  monte  piantarono 
molti  particolari.  Su  questo  colle,  e 
alle  sue  falde  fu  la  basilica  di  s. 
Felice  prete  e  martire ,  chiamata 
ne*  Rituali  in  Pincis,  in  cui  eravi 
la  stazione  a'  i4  gennaio,  e  la  quale 
era  in  tanta  venerazione,  che  s.  Gre- 
gorio I  vi  recitò  la  IX  omelia  sul- 
r  evangclo.  Vari  sci  ittori  però  sono 
di  parere,  che  tal  basilica  non  dalla 
porta  o  palazzo  Pinciano  si  chia- 
masse in  Pincis,  ma  perchè  s.  Fe- 
lice fu  martirizzato  colle  punte  di 
ferro  o  lesine,  che  si  dicono  Pince. 
11  detto  palazzo  del  senatore  Pin- 
ciano, era  sì  splendido,  che  Cassio- 
doro  per  ordine  del  re  Teodorico, 
scrisse  a'  romani ,  che  mandassero 
a  Piavenna  i  marmi  della  casa  Pin- 
ciana.  In  questo  palazzo  abitò ,  nel 
oab,  Belisario  allorquando  liberò 
Roma  dall'  assedio  de'  goti ,  ed  ivi 
fatto    chiamare    il    santo    Pontefice 


CHI 

Silvcrio,  lo  calunniò  d"  intelligenza 
co'  nemici,  e  l'esiliò  ncll'iscjla  Pai- 
maria:  ingiustizia,  che  poi  Dio  punì 
col  far  cadere  Belisario  in  tlisgra- 
zia  dell'imperatore  Giustiniano  II, 
pure  per  calunnia,  per  cui  gli  ven- 
nero cavati  gli  occhi ,  e  ridotto  a 
mendicare  alla  porta  di  Costantino- 
poli ,  colle  note  parole  :  Date  obu- 
Inni  Belisario. 

Venendo  all'  origine  di  questa 
magnifica  chiesa,  e  del  sontuoso 
convento,  è  a  sapersi,  che  mentre 
s.  Francesco  di  Paola ,  fondatore 
de'  minimi  da  lui  detti  Paololli,  si 
trovava  in  Francia,  ottenne  dal  re 
Carlo  Vili  il  permesso  di  fondare 
in  Roma  un  convento  pel  suo  Or- 
dine, massime  pei  religiosi  francesi, 
per  cui  mandò  i  religiosi  Giaco- 
mo di  Pulisio,  e  Giacomo  di  Mon- 
tano, con  regie  lettere  al  Cardin;d 
Gio.  Villiers  de  la  Grolaye  o  Grau- 
lois,  ambasciatore  presso  Alessan- 
dro VI.  Quindi  s.  Francesco  si  re- 
cò egli  stesso  in  Roma,  ed  insieme 
a  due  suoi  religiosi ,  prescelse  di 
fondarlo  sid  monte  Pincio,  ove  ora 
sorge  la  chiesa.  Questo  sito  nel  149^ 
era  stato  acquistato  dal  veneziano 
Daniele  Barbaro  per  mille  cinque- 
cento fiorini;  ma  poi  per  la  mede- 
sima somma  lo  cedette  ai  religiosi, 
per  cui  a'  20  marzo  si  stipulò  il 
contratto.  Non  andò  guari,  che  per 
la  conquista  del  reame  di  Napoli , 
e  con  poderoso  esercito  Carlo  VIII 
si  avviò  per  Pioma,  entrandovi  a'  3  i 
dicembre  i494>  e  tanto  gli  piacque 
tale  scelta,  che  per  l' erezione  del 
tempio  donò  trecentoquarantasette 
scudi  d'oro  ;  e  passando  a  Napoli 
ordinò  al  Cardinal  Grolaye,  di  som- 
ministrare altra  somma  più  rag- 
guardevole. Con  questi,  ed  altri  pii 
soccorsi  fu  nel  luogo  edificata  una 
cappella    sotto    l' invocazione    della 


CHI 

ss.  Trinità,  ed  una  piccola  casa  poi- 
abitazione  de'  religiosi  ;  indi  a'  20 
lebbraio  i49^>  Alessandro  VI  ap- 
provò r  acquisto,  e  la  donazione  del 
re  di   Francia. 

Mentre  Carlo  Vili  voleva  ingran- 
dire la  chiesa  e  la  casa,  mori  nel 
1498,  e  gli  successe  Ludovico  XII, 
dal  quale  s.  Francesco  ottenne  la 
somma  di  seimila  lire  tornesi,  som- 
ma che  poco  dopo  il  novello  re  fe- 
ce nuovamente  somministrare  per 
le  istanze  del  medesimo  santo,  e  del 
Cardinal  Brissonet ,  vescovo  di  s. 
IMalò ,  il  quale  a  sue  spese  man- 
dò in  Roma  molti  marmi  per  co- 
struire l'altare  maggiore,  che  anco- 
ra esiste.  Dopo  che  nel  detto  anno 
1498  erano  state  gettate  le  fonda- 
menta della  presente  chiesa ,  nel 
meglio  ne  rimase  sospesa  l' edifica- 
zione, a  cagione  della  morte  di  Ales- 
sandra VI,  seguita  nell'agosto  i5o3, 
per  cui  solo  dodici  anni  dopo  ven- 
ne riassunta  la  fabbrica.  Intanto 
Leone  X  nel  canonizzare  nel  i5ir) 
s.  Fi-ancesco  di  Paola,  somministrò 
considerabili  doni  s\  per  la  chiesa , 
come  pel  convento  della  ss.  Trinità. 
Nello  stesso  anno  la  regina  Claudia, 
moglie  di  Francesco  I,  diede  una 
somma  di  danaro  per  progredire 
nella  fabbrica  della  chiesa  ;  e  suc- 
cessivamente Carlo  IX  nel  i56i 
donò  al  convento  novemila  tornesi, 
ed  Enrico  III  nel  i584  offri  mille 
scudi  d'oro  per  la  facciata  esterna, 
e  pei  campanili,  alla  costruzione  dei 
quali  però  supplì  il  Cardinal  Fran- 
cesco di  Giojosa  con  mille  duecento 
scudi ,  perchè  la  suddetta  somma 
appena  fu  sufficiente  alla  facciata. 

Essendo  molto  incomode  le  scale, 
che  conducevano  all'  ingresso  della 
chiesa,  Sisto  V,  nel  i58T,  ne  fece 
costruire  una  nuova  a  due  bracci  , 
che  tuttora  esiste  ;  ed  apri  una  sli-adu, 


CHI  57 

la  quale  dal  suo  antico  nome  chia- 
mò Felice,  che  direttamente  con- 
ducesse alle  quattro  Fontane,  e  al- 
la basilica  liberiana.  Oltre  a  ciò, 
nel  1387,  eresse  in  titolo  Cardina- 
lizio la  chiesa,  che  poi  nel  i5q3 
fu  consagrata,  in  uno  all'altare  mag- 
giore, dal  Cardinal  Giojosa.  Il  pri- 
mo titolare  di  questa  chiesa  fu  Car- 
lo di  Lorena,  cognato  del  re  En- 
rico II,  che  Sisto  V  ivi  trasferì  dal- 
la diaconia  di  s.  JMaria  in  Coranica. 
Il  secondo  fu  il  predetto  Cardinal 
Giojosa,  fatto  pure  da  Sisto  V  nel 
i588.  Gli  successero  progressiva- 
mente i  Cardinali  seguenti.  Nel 
1594,  Pietro  di  Gondi,  vescovo  di 
Parigi;  nel  1626  Dionisio  Simone 
de  Marquemont,  arcivescovo  di  Lio- 
ne; nel  i63G  Alfonso  de  Richclieu, 
arcivescovo  di  Lione;  nel  i6j3  An- 
tonio Barberini;  nel  i655  Girola- 
mo Grimaldi;  nel  iG8q  Cesare  d'E- 
strees,  senza  dire  di  altri  Cardinali 
titolari. 

Siccome  dalla  parte  della  piazza 
di  Spagna,  cioè  avanti  il  prospetto 
esterno  della  chiesa,  eravi  uu  ine- 
guale scoglio  coperto  d'alberi,  ascen- 
devasi  alla  piazza  della  chiesa  per 
tortuose  stradelle.  L'ambasciatoi'e  di 
Francia  Stefano  Gouffier,  che  morì 
in  Roma  nel  1660,  lasciò  i  fondi 
per  costruire  la  magnilica  scalina- 
ta, che  ora  ammirasi  ;  perciò  ven- 
ne incominciata  nel  pontificato  d'In- 
nocenzo XIII  dall'architetto  Ales- 
sandro Specchi,  e  compita  nel  1725, 
in  quello  di  Benedetto  XllI,  dal- 
l' architetto  Francesco  de  Sanelis. 
Poscia  nella  piazza  avanti  la  chiesa, 
nel  1789  col  mezzo  dell'architetto 
Antinori,  Pio  VI  collocò  l' obelisco 
Sallusliano  a  decoro  del  luogo.  Ma 
poco  dipoi  per  le  vicende  della  re- 
pubblica francese,  nel  1799,  1;^  chie- 
sa fu   spogliata    de'  suoi    quadri ,  e 


58  CHI 

nel  convento  alloggiarono  i  soldali, 
por  <:iii  (li'i:a(l(l(;i'o  la  cliiosa  e  il  con- 
vento dal  primiero  splendore.  Accorse 
a  tulle  le  opportune  ii[)ara7,ioni  nel 
181G  la  pielù  del  re  Luigi  X.V11I,  e 
il  religioso  zelo  del  conte  di  Blacas 
suo  ambasciatore  a  Pio  VII ,  ese- 
guendole con  perizia  l' architetto 
francese  IMa/ois.  Perlocliè  a'  2  5 
agosto,  testa  di  s.  Ludovico  IX  i-e 
di  Francia,  essendo  stata  purifica- 
ta la  chiesa,  monsignor  vescovo  di 
Ortosia  bened'i  la  chiesa,  e  le  cap- 
pelle, e  solennemente  vi  celebrò  la 
messa,  e  venne  cosi  ridonata  al  di- 
vin  culto.  Leone  XII  nel  1826  ap- 
provò l'istituto  h'ancese  delle  dame 
del  sagro  Cuore  di  Gesù,  fondato 
da  Sofia  Barra,  per  l'educazione  delle 
nobili  donzelle,  e  pegU  esercizi  spiri- 
tuali, e  pubbliche  scuole  gratuite  di 
quelle  povere.  Neil'  anno  seguente 
furono  collocate  queste  monache  nel 
convento  già  abitato  dai  Paolotti  , 
ed  a  loro  fu  pure  concessa  la  chiesa; 
istituto  che  grandemente  fiorisce,  e 
di  cui  fu  generosa  benefattrice  la 
marchesa  Teresa  Audrosilla,  e  più 
volte  meritò  di  essere  visitato  dal 
Papa  regnante. 

La  facciata  della  chiesa  è  sempli- 
ce, ed  ha  nei  lati  due  campanili. 
Al  piano  di  essa  si  ascende  per  una 
scalinata  a  due  bracci ,  e  vi  si  en- 
tra per  un' unica  porta.  Molte  sono 
le  cappelle,  che  si  distinguono  per 
ornati,  dipinti  antichi  e  moderni  , 
ed  altri  pregi ,  ma  a  seconda  del 
nostro  proponimento,  tarenio  men- 
zione soltanto  delle  principali.  L'al- 
tare dell'Assunzione  ha  per  cpiadro 
un  dipinto  di  Daniele  da  VoUeri-a, 
o  disegnato  da  lui,  ed  eseguito  dai 
suoi  scolari  ,  nel  quale  si  vede  il 
ritratto  di  ]Michelani!«lo  Buonarro- 
ti  ;  e  nella  cappella  vi  sono  altri  pre- 
gevoli dipinti.   Nella  cappelletta  del- 


CIII 

l'Annunziata,  questa  coloiù  Federico 
Zuccari.   Nella  cappella  Massimi  ev- 
vi   l'apparizione    del    Redentore  ri- 
sorto ,    a    s.    Maddalena,  di    Oiulio 
Romano,  cui  pose  mano  anco  Fran- 
cesco Fattori  :    ne'  laterali    vi    sono 
pitture  di  Pierin    del    Vaga.    Nella 
cappella    degli    Orsini,  Daniello    da 
Volterra  molto  dipinse;    tutto  però 
perì,  ed  al   celebre  fresco  della  de- 
posizione della  Croce  ebbe  a  diret- 
tore    il     suo     maestro    Buonarroti. 
Nel    1 8 1  I    si  trasportò    per    conser- 
varlo sulla   tela,  ed  ora    il    valente 
incisore   Pietro   Folo  ne  ha  maestre- 
volmente   terminata    l' incisione    in 
rame.  Nella  cappella  de'  Borghesi  i 
freschi  sono  di  Cesare    Nebbia ,    di 
cui    pure    era    il    Cristo    dipinto    a 
olio  ;  ed  oggi    vi    è    stata    collocata 
la  celebrata  Deposizione    di  Daniel- 
lo, che  gl'intendenti  pongono  subito 
dopo  la  Trasfigurazione,  di  Raffaele. 
Nella  crocerà  poi  si   vedono    a    de- 
stra le  sibille  e  i   profeti,  e  le  altre 
figure  dipinte   nella   volta  da  un  Si- 
ciliano, scolare  di    Buonarroti  ;    e  a 
sinistra   i   profeti   Isaia    e    Daniello , 
con  altre  storie  relative  alla  b.  Ver- 
gine, colorite  nella  volta    da  Pierin 
del   Vaga,  e  da   Checchino  Salviati, 
meno  che  le  storie  del  transito  della 
Madonna,  e  della  sua  Assunzione  al 
cielo,  che  incominciate    da    Taddeo 
Zuccari,  furono  condotte    al  termi- 
ne dal  fratello  Federico.    E    degna 
pure  di  menzione  la  pittura  a  fre- 
sco d' ignoto  autore,  rappresentante 
la  processione  fatta  per  la  peste  da 
s.    Gregorio  I ,  e  l'apparizione    del- 
l'Arcangelo  s.    Blichele    sulla    mole 
Adriana,  e  siccome  fu  eseguita  sotto 
Leone  X,  si  vede  la    sua    effigie  in 
quella   del    precedente  Pontefice.    L' 
aliare     maggiore      fu     rimodernato, 
ed  abbellito  con  architettura  di  M. 
Champagne,  che    diede  anche  i  di- 


CHI 
segni  pegli  stucchi.  In  questa  chie- 
sa furono  sepolti  diversi  Cardinah, 
ed  evvi  il  deposito  di  Claudio  Ce- 
lie di  Lorena ,  detto  il  Lorenese , 
esimio  pittore  di  paesi ,  a  cui  nou 
ha  guari  fu  eretto  un  hel  monu- 
mento nella  chiesa  di  s.  Luigi  dei 
francesi. 

ISeir  annesso  monistero  vi  è  un 
bel  refettorio,  mutato  oggi  in  ca- 
mera da  lavoro,  la  cui  architettura 
fu  del  gesuita  p.  Pozzi ,  che  egre- 
giamente ne  dipinse  la  volta.  jVelle 
pareti  del  chiostro  sono  tutte  di- 
pinte a  fresco  le  storie  di  s.  France- 
sco di  Paola,  e  il  cav.  d'Arpino  vi  e- 
seguì  col  pennello  la  di  lui  canonizza- 
zione. Le  altre  sono  del  Ptoncelli,  del 
Semenza,  e  di  Marco  di  Faenza.  La 
serie  delle  immagini  dei  re  di  Fran- 
cia fu  colorita  da  Avanzino  INucci 
di  Città  di  Castello.  Per  non  di- 
lungarci di  troppo,  nou  faremo  men- 
zione delle  altre  pitture.  Per  mag- 
giori notizie  sono  tra  gli  altri  a  con- 
sultarsi, Carlo  Bartolomeo  Piazza,  La 
Gerarcliia  Cardiiializia  ce.  del  Titolo 
XLIII,  della  ss.  Trinità  de'  Monti, 
ed  il  Pauciroli,  Tesori  nascosti  del- 
Vahna  città  di  Roma,  pag.  70)0  e 
seg.  Il  magistrato  romano  in  ogni 
biennio,  })er  la  festa  della  ss.  Cro- 
ce, a  questa  chiesa  fa  l' oblazione 
di  un  calice  d'argento  e  di  quat- 
tro torcie  di  cera,  a  tenore  del  chi- 
rografo di  Paolo  V  de'  2  maggio 
1606. 

S.  UnBjyo  a  Campo  Carico,  delle 
ìiionaehe  cappuccine ,  nel  rione 
Monti.  V.  CArrucci.vE  di  s.  Ur- 
bano. 

Ss.  f^ESASZio,  RuFFiSA  e  Secon- 
da al  Latcìtino,  nel  rione  Monti. 
V.  CuiESA  DI  s.  Giovanni  vs  fox- 
TE,  o   Battistkkio    Latììra.vjì.xse  j 


e  il  1  59 

e  CuiESA  DI  s.    Giovanni    in    La- 

TERANO. 

Ss.  Venanzio  ed  Aysuiyo  de'  Ca- 
merìnesi,  nel  rione  Cainpitelli.  V. 
Camerino,  e  Chiesa  di  s.  Salva- 
tore IN  Lauro  de'  Marchegiaxi, 
la  cui  nazione  avea  dai  baslliani 
acquistata  la  chiesa  parrocchiale  tli 
s.  Venanzio,  e  lasciando  questa , 
passò  a  quella  di  s.  Salvatore,  co- 
me dicesi  a  quell  articolo. 

SS.  Vincenzo,  ed  Anastasio  alle 
tre  fontane,  o  alle  Accpie  Salvie, 
con  abbazia,  nel  rione  Ripa. 

Questa  chiesa  è  posta  fuori  del- 
la porta  Ostiense,  oggi  di  s.  Paolo, 
vicino  alla  chiesina  delle  tre  fonta- 
ne, già  detta  ad  Acpias  Sah'ias, 
della  quale,  e  di  altra  premettere- 
mo qui  un  cenno,  che  reputiamo 
opportuno  anco  perchè  ambedue 
furono,  e  tuttora  sono  unite  alla 
chiesa  de' ss.  Vincenzo  ed  Anasta- 
sio, e  soggette  alla  giurisdizione  del- 
la celebre  abbazia  nullius  di  tal  no- 
me. Incomiucieremo  a  parlare  della 
prima  Chiesa. 

Chiesa  di  s.  Maria  in  Scala  Codi. 

E  situata  in  un  luogo  chiamato 
anticamente  ad  Guttani  j'iigiter  ma- 
nentem,  cioè  della  goccia  perpetua, 
ovvero  delle  Acque  Salvie,  che  ivi 
saituriscono  provenienti  da  un  vi- 
cino colle,  o  da  una  famiglia  Sal- 
via, della  quale  fu  V  iuq)cratore  Ot- 
tone, che  ivi  avea  i  suoi  beni,  od 
una  borgata.  Parlando  il  iVibby 
Analisi  de'  dintorni  di  Roma  bnuo 
III  ,  delle  tre  fontane  o  Ac<pie 
Salvie  ,  dice  che  Gordiano,  vicario 
di  Giuliano  iuiperaluic,  si  convertì 
alla  li:de    colla    moglie    JMarina    i^- 


Go  CHI 

sicnic  air  iiiU;i;i  liitniglia  nell'anno 
3G2,  e  che  JMarina  fu  ivi  rilegata. 
In  quanto  poi  all'origine  de!  nome 
Accjue  Sahie,  opina  che  derivasse 
dalla  qualità  delle  acque  salutifere, 
e  medicinali,  o  perchè  il  fondo  spet- 
tava alla  detta  famiglia  Salvia.  Il 
(ondo  poi  ,  o  massa  delle  Acque 
Salvie,  nell'anno  G04  fu  donato  da 
s.  (}regorio  I  alla  basilica  di  s.  Pao- 
lo, ad  cllelto  che  si  arricchisse  di 
lumi  il  sepolcro  del  s.  Apostolo. 
Siccome  questo  luogo,  lungi  circa 
tre  miglia  da  Roma,  a  cagione  del- 
le circostanti  paludi  a vea  l'aria  mal- 
sana, così  dai  gentili  fu  stabilito 
macello  dei  martiri.  Ivi  patirono  il 
martirio  s.  Zenone  con  diecimila  e 
duecento  tre  compagni,  de'  quali  si 
fu  jnemoria  nel  martirologio  ai  9 
luglio,  dopo  avere  lavorato  nell'edi- 
licazione  delle  terme  Diocleziane, 
per  cui  i  cristiani  vi  eressero  una 
chiesuola  intitolata  a  s.  Maria,  cui  si 
aggiunse  anche  il  nome  di  Scala  Coe- 
li,  per  la  ragione  che  diremo.  Ed  es- 
sendovi d'appresso  trasportato  a  de- 
capitare s.  Paolo,  nel  luogo  ove 
spiccò  la  testa  dal  busto,  venne  e- 
rctta  alti-a  chiesa  col  nome  di  san 
Paolo  alle,  tre  fonlaiw  ad  Aqaas 
Salvias,  di  cui  pur  faremo  (jui  pa- 
rola. Nella  chiesa  pertanto  di  santa 
IMaria,  celebrando  un  giorno  s.  Ber- 
nardo (avendo  avuto  il  vicino  mo- 
nistero,  e  chiesa  de' ss.  Vincenzo  ed 
Anastasio),  a  prò  dei  defunti,  fu  ra- 
pito in  ispiri to  e  vide  una  scala  , 
che  da  terra  giugneva  al  cielo,  e 
su  essa  ascendevano  molte  anime 
imprigionale  del  purgatorio,  per  cui 
d'allora  in  poi,  la  chiesa  prese  la  de- 
nominazione di  y.  Diaria  Scala  Codi. 
Nel  i582  il  Cardinal  Alessandro 
Farnese,  come  abbate  delle  Ire  fonta- 
ne, cull'opcra  del  \  igiiola  riedilicò 
la  chiesma  dai  fondamenti  ;  e  poscia 


CHI 

il  Cai  (linai  Pietro  Aldobrandini, 
altro  abbate  delle  tre  fontane,  la 
perfezionò  coi  disegni  di  Giacomo 
della  l*orta,  per  cui  si  vede  di 
forma  semplice  e  leggera,  avente 
l' interno  otto  faccio.  Egli  fece  com- 
pire nella  tribuna  anco  il  musaico 
da  Francesco  Zucca,  presso  i  dise- 
gni di  Gio.  de  Vecchis,  opera  assai 
stimata.  Nel  sotterraneo,  ove  si  di- 
scende per  due  scale,  a  sinistra  tro- 
vasi un  altare,  che  da  un  lato  è 
una  inferriata,  la  qual  chiude  il  ci- 
mitero detto  di  s.  Zenone:;,  pel  sof- 
ferto martirio  co'  compagni  ed  ivi 
sepolti:  dalla  parte  opposta,  cioè 
del  vangelo,  si  vede  una  angusta 
cameretta,  in  cui  una  pia  tradizio- 
ne dice  essersi  trattenuto  s.  Paolo, 
prima  di  venire  decapitato. 

Chiesa  di  s.  Paolo  alle  tre 
fontane. 

Fu  portato  quindi  l'apostolo  s. 
Paolo  al  luogo  del  supplizio,  ov'  è 
(juesta  chiesa,  la  quale  è  detta  di 
s.  Paolo  alle  tre  fontane,  perchè 
nel  tagliarsi  dal  manigoldo  il  capo 
di  esso  santo,  prodigiosamente  spic- 
cò tre  salti,  ed  in  ogni  luogo  ove 
sbalzò  la  testa,  subito  scaturì  una 
lontana.  Queste  tre  fonti  pertanto 
dai  fedeli  furono  circondate,  con  eri- 
gervi una  piccola  chiesa.  Divenuta 
anche  questa  diruta,  il  detto  Car- 
dinal Aldobrandini,  quale  abbate 
delle  tre  fontane  (  poiché  tutto  il 
luogo  circostante  ne  prese  il  nome  j 
nel  1 55g  la  fece  ritabbricare  dal 
medesimo  della  Porta.  L' interno 
della  chiesa  è  semplice  ;  le  tre  sca- 
turigini si  trovano  decorate  in  for- 
ma di  tre  altari,  ornati  di  nicchie 
con  marmi,  e  colonne  di  verde  an- 
tico sovrastate  da  un  basso  rilievo 
colla  testa    di    s.  Paolo,    e    l'acqua 


CHI  crii                6i 

si    beve    dai     fedeli     per     divozio-  preferirono    nasconderli     per    allora 
ne.  Presso    il  primo    fonte    evvi    la  dentro  la  stessa  catacomba  o    cimi- 
colonna  con  cui  si  ritiene  fosse   le-  tero    detto   poi  di  Calisto,  ove  stet- 
gato    s.   Paolo    per    decapitarlo.    Vi  tero  del    tempo,  finché    il    corpo  di 
sono  due  quadri;  quello  della  ero-  s.  Pietro  fu  restituito  al  suo   sepol- 
cefissione  di    s.   Pietro,    il    quale    è  ero,  rimanendovi  quello  di    s.  Pao- 
copia  di    quello    dipinto    da    Guido  lo.  Quindi  Costantino,   venerando  la 
Reni,  che  era  quivi,   ed  in    oggi    si  memoria  dell'accaduto,    all'imbocca- 
trova  nella  galleria    vaticana;    e  la  tura     delle    catacombe,     innalzo     il 
decollazione  di  s.  Paolo,  che    è  del  tempio  suo  particolare   a    s.   Paolo, 
Passerotto.  Le  due  statue  dei    pria-  che  ivi  ancor  giaceva. 
cipi  degli  apostoli,  sul  frontone,  so- 
no di  Nicolò  Cordieri.    V.  Panciroli,  Chiesa  ed  abbazia   de  ss.   Vincenzo 
Tesori,  p.  65o,  ed  il  Severano  Me-  ed  Anastasio, 
morie  sagre  p.  4'8- 

Se  vuoisi  poi  sapere  perchè  la  Presso  adunque  i  suddetti  luoghi 
patriarcale  basilica  di  s.  Paolo  non  delle  tre  fontane,  ed  acque  salvie, 
fu  eretta  in  questo  luogo,  ma  in  il  Sommo  Pontefice  Onorio  I,  per 
quello  ov'è  ora  tal  basilica,  si  leg-  illustrarlo  maggiormente  ad  onore 
ga  l'articolo  Chiesa  o  basilica  di  s.  del  dottore  delle  genti  nell'occasio- 
Paolo  nella  via  ostiense.  Tutta  voi-  ne  che  fa  portato  in  Roma,  per  er- 
ta non  dobbiamo  passar  sotto  si-  dine  dell'imperatore  Eraclio,  il  cor- 
inzio quanto  ne  scrisse  un  profon-  pò  di  s.  Anastasio  monaco  marli- 
do  archeologo.  rizzato  dai  persiani  per  volere  tlel 
Il  dottissimo  avv.  Fea,  Lezioni  re  Cosroe,  fobbricò  verso  il  62 5 
sopra  quattro  basiliche  Romane,  questa  chiesa,  seppure  non  lo  fu  nei 
dette  Costantiniane,  presso  il  t.  Ili,  62(3,  o  nel  627.  Il  santo,  essendo 
p.  82  e  seg.  degli  Atti  de W  Acca-  prima  mago,  fu  chiamato  fllagun- 
deniia  Romana  d^ Archeologia,  col-  dato;  ma  convertitosi  alla  fede  ,  si 
l'autorità  di  alcuni  documenti  dice,  fece  battezzare,  e  prese  l'abito  mo- 
che  i  sagri  corpi  dei  principi  degli  nastico,  per  lo  che  fu  fatto  dal  re 
apostoli  furono  derubati  dai  crislia-  strangolare  con  altri  settanta  mar- 
ni dell'  oriente,  i  quali  vennero  in  tiri,  ed  a  lui  venne  pure  troncato 
Roma  per  riportarseli  nelle  loro  il  capo.  Ciò  non  pertanto  vuoisi, 
parti,  come  loro  concittadini.  Costo-  che  Onorio  I  edificasse  la  chiesa 
ro  arrivati  per  la  via  Ostiense  ,  in  onore  di  san  Paolo  apostolo, 
dove  ora  è  la  basilica,  volendosi  al-  e  poi  la  dedicasse  ai  santi  Vin- 
qnanto  riposare,  li  nascosero  nella  cenzo  ed  Anastasio,  ambedue  mar- 
vicina  catacomba.  Senonchè  volen-  tirizzati  a'  22  gennaio,  in  cui  se 
do  ripienderli  per  seguire  il  viaggio  ne  celebra  la  festa.  San  Vincenzo 
onde  imbarcarsi  ad  Ostia,  furono  fu  diacono  spagnuolo,  onorato  sino 
per  un  terribile  temporale  talmente  dal  quarto  secolo  in  tutta  la  chiesa 
spaventati,  che,  abbandonando  i  sa-  occidentale.  Onorio  I  ripose  in  que- 
gri  corpi,  se  ne  fuggirono.  Soprag-  sta  chiesa  la  testa ,  e  il  corpo  di 
giunti  i  romani,  accortisi  del  sagri-  s.  Anastasio,  in  uno  alla  di  lui  im- 
lego  attentato,  per  prudente  consi-  mngine,  pur  mandata  a  Pvoma  da 
glio  non  li  riportarono  in  Roma,   e  Eraclio  per  mezzo  di  alcuni   mona- 


62  CHI 

ci  oricntnli  Dia;  il  dialo  i\il)l)v, 
clic  in  origine  la  chiesa  fu  dedicata 
a  s.  Maria,  die  il  corpo  di  s.  Ana- 
slasio  vi  fu  portato  piii  tardi,  e 
probabilmente  da  Teodoro  I,  il 
(jnale  fa  creato  Papa  Tanno  G42, 
V  inoltre  lo  assegnò  ai  monaci  del 
contigno  monistero  da  lui  fljiidato. 
11  Panvinio  però  attribuisce  la  fon- 
d:ì7.ione  del  monistero  anche  ad  O- 
norio  I,  e  il  conferma  il  Tangellino 
nelle  Notizie  delle  haxilichc  CisLev- 
licnsi^  par.  IV.  Certo  è,  che  in  ap- 
presso il  corpo  di  s.  Anastasio,  dal 
Pontefice  s.  Leone  III,  fu  traspor- 
tato al  Laterano,  e  si  venera  nella 
eappella  di  Snuda  Sauctomm.  Nel 
secondo  concilio  Niceno  si  parla 
della  prima  traslazione  del  ct)rpo, 
e  della  immagine  di  s.  Anastasio  a 
Cesarea  di  Palestina,  e  della  solen- 
nità colla  quale  fu  ricevuta  dal  po- 
polo, mentre  i  miracoli  operati  fu- 
rono riferiti  dallo  stesso  concilio  per 
corroborare  la  venerazione  dovuta 
alle  sagre  immagini.  Della  grande 
divozione  de' fedeli  verso  la  testa  ed 
immagine  di  sant'  Anastasio,  e  dei 
prodigi  operati  da  Dio  a  di  lui  in- 
tercessione, trattano  il  citato  Seve- 
rano  a  pag.  /^i\  e  seg.,  ed  il  Piaz- 
za nel  tomo  I  del  suo  Eincrolo"io 
(li  Roma  a  2-2  gennaio,  dove  pure 
parla  delle  glorie  del  martire  san 
Vincenzo.  Non  deve  tacersi  quanto 
racconta  il  predetto  Severano  sulle 
leliquie  di  s.  Anastasio.  Esse  furo- 
no involate  dalla  sua  chiesa,  ed  oc- 
cultate nella  sagrestia  di  s.  Maria 
in  Trastevere;  ma  nell'anno  i4o8, 
in  cui  regnava  Gregorio  XII,  aven- 
dolo saputo  i  conservatori  di  Pioma, 
vi  si  recarono  accompagnati  dal  po- 
polo romano,  e  rompendo  una  cas- 
sa, vi  trovarono  due  tabernacoli , 
uno  doralo  e  smaltato  colla  testa 
di  s.    Anastasio,   e  l'altro  piccolo  di 


Clil 

cristallo  cerchialo  di  argento  dora- 
to, ov'  era  d(;l  cervello  del  mcidesi- 
nio  santo;  e  tutto  con  religiosa 
pompa  riportarono  a  questa  sua 
chiesa,  o  basilica. 

Che  la  chiesa  abbia  preso  il  nome 
de'  ss.  Vincenzo  ed  Anastasio,  dacché 
vi  furono  collocate  le  loro  reliquie  in- 
signi, lo  attesta  il  Tìaronio  nelle  Anno- 
tazioni al  HLirlirologio  Romano  frollo 
il  di  22  gennaio,  a  causa  delle  pro- 
digiose griarigioni,  che  si  otteneva- 
no per  l'intercessione  di  s.  Anasta- 
sio, come  riferisce  lo  stesso  Baronio 
ali  anno  71 3,  ^  '^j  e  all'anno  fi?-", 
§  22.  Piìi  cose  ancora  raccontano 
i  Bollandisti  di  tali  guarigioni  al  dì 
22  gennaio.  Essendosi  dipoi  incen- 
diato, forse  per  incuiia  de' monaci, 
il  batlisterio,  che  in  onore  di  s.  Gio. 
Battista  avea  edificato  Teodoro  I, 
come  pure  il  monistero  e  la  chiesa, 
Adriano  I,  verso  l'anno  780  ,  ma- 
gnificamente ristaurò  1'  uno  e  l'altra, 
come  alTerma  Piiccardo  monaco  Clu- 
lìiacense;  ma  dall'  immediato  suo 
successore  s.  Leone  HI,  fu  rifabbri- 
cata da' fondamenti  ed  arricchita  di 
ornamenli  ed  arredi  sagri ,  verso 
l'anno  79^-  Quindi,  come  diremo 
poi  meglio,  Carlo  Magno  imperato- 
re donò  alla  chiesa  pel  suo  mante- 
nimento, molte  lene,  e  castella,  cioè 
Orbetello,  Cassarbio,  Ansidonia,  Mon- 
te Argentario,  Giglio,  Altrecosta , 
Acquapiteno,  Monte  Acuto,  Serpena, 
Massigliano ,  Sciapilazio  ,  e  Monte 
Gianuzio.  Il  IMalvoIti  però,  storico 
della  città  di  Siena,  porta  la  ragio- 
ne delle  donate  terre,  e  della  testa 
di  s.  Anastasio  quivi  riposta.  Egli 
pertanto  presso  il  Torrigio,  in  Chrypt. 
l'atic,  racconta  quanto  qui  ripor- 
tiamo. Dopo  di  avere  Carlo  Magno 
soggiogato  molte  città,  e  castella  dei 
longobardi,  fra  quelle  di  Siena  vi 
fu   Ansidonia,    che    fece  una    valida 


CHI 

resislciiza  ;  ma  nicntro  progrecìiva 
!  l'assedio,  essendo  cadala  la  lesta  di 
B  s.  Anastasio  monaco  e  martire,  al 
cui  onore  era  dedicata  una  chiesa 
vicina,  r  esercito  di  Carlo  Magno 
fece  una  divota  processione,  col  ca- 
po di  detto  santo,  laonde  il  popolo 
di  Ansidonia  spontaneamente  si  ar- 
rese. Sembrando  al  pio  monarca, 
clie  ciò  fosse  avvenuto  ad  interces- 
sione di  s.  Anastasio,  donò  Ansido- 
nia, ed  altre  terre  di  Siena  presso 
il  mare  alla  chiesa  de  ss.  Vincenzo 
ed  Anastasio  in  Pioma,  insieme  alla 
testa  del  santo,  che  forse  eragli  sta- 
ta involata  dai  longobardi,  e  quindi 
(lall  imperatore  ricuperata,  venendo 
collocata  in  un  ricco  reliquiario  in 
forma  di  tabernacolo,  avente  intorno 
leggiadramente  disegnati  i  dodici 
castelli  summentovati  donati  alla  stes- 
>a  chiesa,  cui  per  altro  nel  secolo 
i  decorso  fu  surrogato  un  altro  reli- 
I  qniario  di  argento. 

Accertasi  adunque  ,  che  Carlo 
Magno  dotò  questa  chiesa  di  cit- 
tà, terre,  castella,  e  porti  maritti- 
mi, e  lo  asserisce  anche  il  celebre 
Ferdinando  Uglielli,  nella  sua  Ilalia 
■'f/^ra,  dove  parlando  de'  vescovi  o- 
stiensi,  ne  riporta  pure  i  privilegi  : 
ed  il  Panciroli,  ed  il  Severano  par- 
lando di  questa  chiesa,  dicono  che 
tali  possedimenti  furono  dati  in  feu- 
do dai  sovrani  Pontefici.  Ma  nel 
fare  la  storia  di  questa  abbazia  al 
termine  di  questo  articolo,  diremo 
positivamente  quanto  riguarda  i  luo- 
ghi donati,  ed  altre  cose. 

Innocenzo  [I,  verso  l'anno  ii36, 
risturò  il  moni>tero,  perchè  era  ro- 
vinato, e  vi  chiamò  da  Chiaravalle 
s.  Bernardo  abbate  co'suoi  monaci 
cistcrciensi  per  abitarlo,  ed  insieme 
uilìziare  la  chiesa,  assegnando  perciò 
varie  possessioni.  Quinili  s.  Bernardo 
VI  pose  per  primo  abbate  il  monaco 


C  li  I  63 

Pietro  Beinardo  da  Monte  Magno, 
della  famiglia  Paganelli  pisana,  il 
quale  per  la  sua  santità  e  dottrina, 
benché  non  fosse  Cardinale,  ai  26 
febbraio  1  1.4^5  fu  eletto  Papa  col 
nome  di  Eugenio  III.  Successiva- 
mente nel  monistero  fiorirono  per- 
sonaggi chiari  per  dottrina,  santità 
di  vita,  e  dignità  ecclesiastiche.  Ri- 
dotta la  chiesa  sotto  i  cistcrciensi  in 
florido  stato,  il  Pontefice  Onorio  III 
nel  1221  la  consagrò  in  onore  del- 
la b.  Vergine,  per  cui  sotto  il  por- 
tico si  vedeva  la  di  lui  elìlgie  di- 
pinta, insieme  ad  altre  pitture  ri- 
guardanti Carlo  ìMagno,  di  maniera 
rozza,  le  quali  vennero  guaste  dal- 
le intemperie,  e  dai  secoli.  In  segui- 
to l'abbazia  divenuta  cotanto  cele- 
bre, fu  data  in  commenda  ai  Car- 
dinali. IMentre  la  possedeva  il  Car- 
dinal Giuliano  de  siedici,  nel  ijaS 
fu  eletto  Papa,  ed  assunse  il  nome 
di  Clemente  VII;  ed  avendola  data 
Sisto  V  al  Cardinal  Ippolito  Aldo- 
brandini,  in  premio  della  concordia 
stabilita  tra  il  re  di  Polonia  Sigis- 
mondo, e  l'arciduca  d'  Austria  ì\Ias- 
similiano,  nel  1592  1' Aldobiandini 
divenne  Papa  Clemente  Vili.  Ne 
furono  pertanto  abbati  commenda- 
tari amplissimi  Cardinali,  e  vari  ni- 
poti de'  Pontefici.  In  seguito  Cle- 
mente XII  nel  1733,  risarcì  il  mo- 
nistero, ed  operò  varie  riparazioni 
alla  chiesa,  facendo  pure  altrettan- 
to a' nostri  giorni  Leone  XII,  che  ri- 
movendone  i  cistcrciensi  ,  ivi  pose  i 
minori   osservanti,  cioè  nel    iSaS. 

La  chiesa  viene  preceduta  da  un 
porlichetto  ,  Sostenuto  da  quattro 
colonne  di  marmo,  con  capitelli  io- 
nici, opera  rifatta  da  Onorio  III. 
L"  interno  è  a  tre  navi,  divisa  cia- 
scuna da  nove  pilastri.  I  primi  pi- 
la^tii  da  ciascuna  parte  furono  chiu- 
si entro  un  muro   moderno.   Le  pit- 


^4  CHI 

Itirc  (loHiillarc  maggiore  si  liton- 
i,'oii(»  ])('!■  antidiissime;  e  i  dodici 
aposloli,  r.Uc  ornano  i  pilastri,  furo- 
no coloriti  sopra  i  cationi  di  llaf- 
liicllo,  e  si  pretende  clic  sieno  copie 
di  fpielli  dipinti  dallo  stesso  RatThcl- 
lo,  nella  sala  di  chiaro-scuri  del  pa- 
lazzo Valicano,  le  quali  vennero  ri- 
prodotte nella  cappella  l*aolina  del 
palazzo  Quirinale  per  ordine  di  Pio 
VII.  Dalla  parte  sinistra  dell'altare 
maggiore  si  vede  la  memoria  sepol- 
crale del  nominato  p.  Ferdinando 
Uglielli,  celebre  per  la  sua  dottrina 
ed  erudizione,  che  essendo  monaco 
cistcrciense ,  e  fatto  abbate  di  que- 
sto insigne  inonistero,  vi  mori  a'  19 
maggio    1670. 

Ahhtizia  nullius  delle  tre  fontane. 

Di  questa  abbazia,  che  nell'ordine 
gerarchico  è  delle  primarie,  oltre 
quanto  si  disse  di  sopra,  faremo  qui 
distinta  parola  per  l'unità  dell'argo- 
mento. Mosso  il  Pontefice  s.  Leone  III 
dai  prodigi,  che  operava  Dio  ad  in- 
tercessione di  s.  Anastasio,  e  mosso 
per  essi  anche  l' imperatore  Carlo 
Magno,  assegnarono  molte  città, 
luoghi,  e  beni  con  magnanima  gene- 
rosità al  monistero  contiguo,  ed  alla 
chiesa  e  basilica,  che  Onorio  I  eres- 
se in  onore  della  b.  Vergine  Ma- 
ria, e  poi  chiamata  de' ss.  Vincenzo 
ed  Anastasio  per  le  dette  l'agioni, 
con  assoluta  giurisdizione,  come  si 
rileva  dal  diploma  riportato  dall'  U- 
ghelli  ueW  Itt/lia  sagra,  libro  I,  col. 
65,  e  dal  Marganno  nel  Bollano 
delle  Costituzioni,  tomo   li,  cosi.  2.5. 

Tra  i  luoghi  principali  donati  si 
noverano  la  città  di  Ansidonia,  il  Ca- 
stello di  Orbetcllo,  le  isole  del  Gi- 
glio ec.  nel  gran  ducato  di  Tosca- 
na, coi  rispettivi  territori.  Per  ri- 
guardo poi   alla  giurisdizione    ecclc- 


cni 

siaslica,  ecco  quanto  si  legge  nel 
diploma  citato:  >»  Insuper  conce- 
»  dinius  tibi  ,  praefate  martyr 
»  Christi,  tuisque  successoribus  in 
'>  perpetuum  omues  Ecclesias,  quac 
'»  infra  comitatum,  et  assignationem 
'>  hujus  territorii  sunt,  vel  us(jue  in 
»  fìnem  mundi  erunt,  ut  exinde  fa- 
>i  ciatis  qtiodcumque  volueritis  vos, 
»  et  servi tores  vestri  in  perpetuum, 
»  ponendo  rectores,  dejiciendo,  prò 
"  meritis  eos  clericos  mittere,  et 
»  ad  vestram  utiiitatem  omni  tem- 
"  pore  tenere,  et  nuUus  alius,  ni- 
'>  si  solus  summus  Pontifex,  et  in 
"  praefalis  ecclesiis  iuterdictum  po- 
>»  nere,  vel  aliquem  clericum  ex- 
'>  communicare  nisi  rector  jam  dictae 
'5  ecclesiae  s.  Anastasii  possit,  et  nul- 
»  li  licitum  sit  infra  terminos  cou- 
»  stituere,  vel  aeditlcare  nisi  prò  vo- 
«    luntate  abbatis  s.   Anastasii  ". 

Per  lungo  tempo  presiedette  al 
monistero  l'abbate  di  s.  Paolo  fuori 
delle  mura,  finché  il  Pontefice  In- 
nocenzo II,  negli  anni  ii3G,  ir 38, 
o  I  i4o,  vi  chiamò  i  monaci  cistcr- 
ciensi, rimovendone  quelli  di  s.  Be- 
nedetto, secondo  quel  che  ne  dice  il 
mentovato  annalista  Earonio  al  to- 
mo XII  Animi,  p.  178.  La  chiesa 
nel  menzionato  anno  fu  con  rito  so- 
lenne consagrata  da  Onorio  III,  co- 
me fa  testimonianza  anche  l'iscri- 
zione in  pietra  situata  presso  l'alta- 
re maggiore.  Si  costumò  di  dare 
questa  abbazia  in  commenda,  per 
cui  Eugenio  IV  nel  i444  l  assegnò 
a  certo  p.  Angelo  monaco  di  san 
Salvatore  di  R.iese,  ed  abbate  di  s. 
Apollonio  di  Canosa,  al  quale  suc- 
cedette il  Cardinal  Bernardo,  ©Be- 
rardo, vescovo  di  Spoleto.  Da  que- 
sta epoca  in  poi  sino  a'nostri  giorni, 
si  è  usato  di  conferire  l'abbazia  in 
commenda  ad  un  Cardinale,  ed  at- 
tualmente la  gode    il  Cardinal  Co- 


CITI 

stmUino  Palrizi  romano,   vicario    di 
Roma. 

Sebbene  questa  abliazia  fosse  ri- 
spettabile possedendo  molte  città , 
luoghi,  e  beili,  come  si  è  detto,  e 
come  più  cliiaramente  si  rileva  dal- 
la costituzione  di  Alessandro  IV  al- 
l'anno 1255,  riferita  dall' Ughel li  al 
tomo  I  ;  tutta  volta  soffrì  essa  pure 
negli  antichi  tempi  quelle  stesse  vi- 
cende, alle  quali  sono  stati  soggetti 
ai  giorni  nostri  i  monisteri  e  i  luo- 
ghi pii.  Mentre  poi  era  abbate  com- 
mendatario il  Cardinal  Alessandro 
Farnese,  nipote  di  Paolo  III,  otten- 
ne che  fossero  separati  dal  moni- 
stero  di  s.  Paolo  della  basilica  O- 
stiense,  i  castelli  di  Ramiano,  il  qua- 
le ora  è  diroccato,  di  s.  Oreste,  e 
di  Ponzano,  unitamente  al  moni- 
stero  di  s.  Andrea  detto  in  Flami- 
ne, e  di  s.  Silvestro  al  Soratte ,  e 
coi  rispettivi  casali,  beni,  territori, e 
diritti  spettanti,  non  solo  al  dominio 
dei  beni  dell'abbazia,  ma  pur  anco 
alla  doppia  giurisdizione,  che  vi  eser- 
citava il  monistero  di  s.  Paolo,  li 
unì,  e  li  assegnò  in  perpetuo  alla 
abbazia  de' ss.  Vincenzo,  ed  Anasta- 
sio, come  pili  diffusamente  si  rac- 
coglie dalla  bolla  di  concessione,  o 
di  permuta  dei  detti  castelli  col 
monistero  di  Fontevivo  nella  dioce- 
si di  Parma,  attinente  a  questa  ab- 
bazia, e  col  titolo  di  permuta  ap- 
plicato al  monistero  di  s.  Paolo  ; 
nelle  quali  lettere  apostoliche  i  detti 
castelli  s' intitolano  Nullìus  Dioece- 
sis.  Di  questa  permuta  molto  si 
parla  nell'altra  bolla  del  medesimo 
Pontefice  all'anno  i548;  e  tuttociò 
trovasi  registrato  nell'  archivio  del 
monistero  di  s.  Paolo. 

Per  quanto    poi  spetta    alla    fon- 
dazione de' due    nominati    monisteri 
di    s.   Andrea  in  Flamine,  e  di    san 
Silvestro  al  Soratte,  non  vi  è  certa 
voL.  xni. 


CHI  05 

notÌ7Ìa,  rimanendo  il  tutto  nascosto 
nelle  tenebre  dell'  antichità.  Forse 
non  si  andrebbe  lungi  dal  vero  se 
si  fissasse  la  loro  fondazione  al  prin- 
cipio del  sesto  secolo,  quando  cioè 
s.  Benedetto  capo  de' monaci  di  oc- 
cidente, unito  il  suo  zelo  a  quello 
de'  suoi  compagni,  fondò  simili  mo- 
nisteri in  Italia,  e  se  ne  videro  co- 
struiti alcuni  anche  nei  luoghi  no- 
stri. Di  fatti  s.  Nonnoso,  protettore 
di  s.  Oreste,  il  quale  fiori  nel  se- 
colo sesto,  presiedette  come  abbate 
al  monistero  del  Soratte,  sotto  l'invo- 
cazione di  s.  Silvestro.  D'altronde, 
che  circa  la  metà  del  secolo  ottavo 
il  monistero  fosse  già  celebre,  si 
arguisce  dall'  essersi  nel  medesimo 
ritirato  il  b.  Carlomano  fratello  di 
Pipino  con  alcuni  compagni  ,  i 
quali  vestirono  l' abito  monastico. 
Crede  poi  il  p.  Kircker,  nella  sua 
Storia  Eustachiana,  che  la  chiesa 
annessa  di  s.  Silvestro  ripeta  la 
sua  origine  sino  dai  tempi  di  Co- 
stantino, e  che  fosse  da  lui  dedicata 
in  onore  dei  ss.  Apostoli  Pietro,  e 
Paolo. 

Due  cose  però  sono  fuori  di  (hil>- 
bio  ;  una  cioè  che  i  due  sopraddet- 
ti monisteri,  con  tutti  i  loro  beni 
e  diritti,  furono  anteriormente  sog- 
getti all'abbate  di  s.  Paolo ,  come 
già  fu  premesso,  aggiugnendosi  ora 
per  ciò  che  riguarda  il  monistero 
del  Soratte,  che  la  sua  unione  a 
quello  di  s.  Paolo  accadde  nel  Pon- 
tificato di  s.  Gregorio  VII;  l'altra 
che  tanto  il  feudo  di  Ramiano  , 
quanto  quello  di  s.  Oreste,  e  di 
Ponzano,  essendo  incolti,  macchiosi, 
e  pieni  di  spine ,  furono  ridotti  a 
coltivazione  per  opera  e  industria 
dei  monaci,  i  quali  resero  il  terri- 
torio fruttifero,  e  vi  costruirono  co- 
mode abitazioni  pei  coloni. 

L' abbazia  delle   Tre  Fontane  at- 
5 


6G  CHI 

tualmenlc,  per  quanto  riguarda  la 
porzione  situala  nello  stato  toscano, 
confina  da  ogni  parte  col  mare,  ec- 
cettuato l'istmo  da  un  lato  della 
diocesi  di  Soana.  INclIa  porzione  poi 
dello  stato  pontificio,  IVIonterosi  con- 
fina dall'oriente  al  mezzogiorno  col- 
la diocesi  di  Nepi,  e  dal  ponente 
al  settentrione  con  quella  di  Sutri. 
I  paesi  di  s.  Oreste,  e  di  Ponzano 
a  settentrione  confinano  colla  dio- 
cesi di  Civita  Castellana,  ad  oriente 
col  Tevere,  e  dal  mezzogiorno  al- 
l' occidente  con  Nazzano,  spettante 
all'abbazia  di  san  Paolo  fuori  le 
mura. 

Come  cattedrale  di  questa  abba- 
zia ìiullius,  si  considera  la  sudde- 
scritta  chiesa  del  monistero  de'.yi'. 
Vincenzo,  ed  Anastasio  alle  Acque 
Salvie,  ove  l'abbate  prende  il  so- 
lenne possesso.  Attiguo  a  questa  chie- 
sa vi  è  il  monistero  antico  de'  mo- 
naci di  s.  Bernardo,  in  oggi  quasi 
abbandonato ,  e  cadente ,  il  qual 
monistero  si  vuole  abitato  una  vol- 
ta da  s.  Bernardo  medesimo.  Vi  si 
conservano,  come  si  disse  di  sopra, 
le  insigni  reliquie  de'  ss.  Vincenzo , 
ed  Anastasio,  non  clie  il  corpo  di 
s.  Zenone,  oltre  molte  altre.  Presso 
la  detta  chiesa  vi  sono  le  sudde- 
scritte  due  chiese,  cioè  quella  ele- 
gante detta  Scala  Codi,  ed  in  fon- 
do della  Valle  quella  rifabbricata 
dal  Cardinal  Aldobrandini,  ed  or- 
nata dallo  zio  Clemente  Vili  in  o- 
nore  del  dottore  delle  genti  s.  Pao- 
lo. Queste  due  chiese  si  trovano  in 
buono  stato,  ed  in  tutto  apparten- 
gono, e  sono  soggette  alFabbazia.  Il 
regnante  Pontefice  Gregorio  XVI, 
mentre  era  suo  maggiordomo  ed 
arcivescovo  di  Filippi  l'abbate  com- 
mendatario ora  Cardinal  Patrizi,  si 
recò  a' 28  ottol)re  i833,  a  visitare 
la  cliiesa  de' ss.    Vincenzo  ed    Ana- 


CHI 

stasio,  e  poscia  nel  contiguo  luogo, 
fu  dal  medesimo  abbate  trattato, 
in  un  alla  famiglia  pontificia,  di 
lauta  mensa;  laonde  a  memoria  di 
tal  onore,  l'abbate  vi  fece  porre 
un'analoga  marmorea  iscrizione. 

A  restringere  pertanto  il  tutto  qui 
brevemente,  diremo  che  l'abbazia  in- 
tera delle  Tre  Fontane  cotanto  cele- 
bre, è  compresa  in  oggi  parte  nel 
gran  ducato  di  Toscana,  parte  nello 
stato  Pontificio.  Nella  parte  dello  stato 
Toscano  si  annovera:  i."  la  città  di 
Orbetello,  che  sorge  non  lungi  dal 
fiume  Albegna,  e  dal  monte  e  pro- 
montorio Argentaro,  e  fu  fabbricata 
e  ingrandita  nel  iioi.  Innocenzo 
III,  che  regnava  in  tal  tempo ,  se- 
condo Novaes  nella  sua  vita  t.  Ili, 
p.  170,  era  riconosciuto  per  sovra- 
no da  Orbetello.  Segui  peraltro  le 
vicende  della  repubblica  sanese,  e 
quando  i  re  di  Spagna  cedettero  al 
gran  duca  le  conquiste  sanesi,  si  ri- 
servarono varie  piazze  sul  littorale, 
che  munite  di  guarnigioni,  furono 
chiamate  sotto  il  complessivo  nome 
di  Stato  de'  presidj,  del  quale  Or- 
betello validamente  fortificato  dalla 
natura,  e  dall'arte,  divenne  il  capo- 
luogo. Quando  poi  l' infante  di  Spa-. 
glia  d.  Carlo  fu  chiamato  al  trono 
di  Napoli,  conservò  la  sovranità  di 
questo  stato  marittimo,  che  ne'  patti 
del  1814,  fLi  definitivamente  riuni- 
to alla  Toscana,  la  quale  vi  pose 
un  vicario  per  amministrare  la  giu- 
stizia,  essendo  abitato  da  più  di 
duemila  anime:  1."  \J  isola  del  Gi- 
glio abitata  da  piìi  di  mille  e  due- 
cento persone  :  piccola  isola  con  ter- 
ritorio montuoso,  ma  coltivato;  3.° 
Porto  s.  Stefano,  surrogato  all'  an- 
tico Portus  Donntianus,  piccolo  vil- 
laggio in  riva  al  mar  Tirreno,  che 
un  istmo  divide  dal  Porto  Ercole, 
avente    alcune    fortificazioni.    Com- 


CHI 

prenderebbe  ancora  nello  stato  To- 
scano la  città  Ansidouia  da  lungo 
tempo  distrutta.  Prima  cliiamavasi 
Cosa,  per  cui  il  Porto  Ercole,  bor- 
go clie  sta  presso  la  sua  area,  talor 
si  appella  Povtiis  Cosanus.  Esso  è 
in  riva  al  mare  nel  piccolo  seno 
formato  dalla  parte  orientale  del 
IMonte  Argentaro,  e  difeso  da  vari 
forti.  Sulla  cima  di  tal  monte  tro- 
vasi il  sagro  P\.itiro,  ove  il  ven.  Pao- 
lo della  Croce  fondò  la  congrega- 
zione de'  religiosi  passionisti ,  che 
tuttora  vi  dimorano.  11  suolo  di  An- 
sidonia  fu  con  beneplacito  aposto- 
lico dato  in  enfiteusi  alla  città  di 
Siena,  col  canone  d'un  calice  d'ar- 
gento dorato  da  offrirsi  il  giorno 
del  sabbato  santo  ogni  tre  anni,  ed 
ogni  ventiquattro  anni  due  calici  si- 
mili. Inoltre,  siccome  nell'atto  del- 
la conferma  dell'enfiteusi,  fatto  nel 
i466  dal  Pontefice  Paolo  II,  la  città 
di  Siena  sborsò  cinquemila  fiorini, 
così  parte  di  questa  somma  fu  im- 
piegata nella  compera  del  feudo,  e 
del  castello  insieme  di  Monterosi. 

Nel  dominio  pontificio,  l'abbazia 
poi  possiede    i    tre    seguenti    paesi , 
co'  loro    territorii ,    de'  quali     fondi 
spetta  alla  mensa  abballale    il    do- 
minio tanto  utile  ,    quanto   diretto  : 
i."  s.   Oreste,  monte  della  Comarca 
nel  distretto  di  Castelnuovo  di  Porto, 
chiamato    Suractes ,    Soratte,    forse 
con    nome    pelasgico,    celebre   negli 
scrittori    classici    di    tutte    l'epoche, 
come  si  può  vedere  nel  Nibby,  che 
il  descrive.    Analisi    de'  dintorni  di 
Roma,  t.  Ili,  p.    io3  e  seg.  Questo 
monte  fu  sacro    particolarmente  ad 
Apollo,  e  perciò   celebrato    da  Vir- 
gilio, da  Silio,  e  da    Strabone,  an- 
co perchè  alle  sue  falde  fiorì   la  città 
di  Feronia,  nome  d'una    dea  corri- 
spondente alla  Flora  de'  romani,  ed 
ove  avea  tempio,  poi  saccheggiato  da 


CHI  Gj 

Annibale.  Sulla  area  di  Feronia  evvi 
la  terra  di  s.   Oreste,   che    contiene 
circa  mille  cinquecento  abitanti,  ri- 
montando la  sua  origine    al    secolo 
decimo.  In    principio    si    chiamò  s. 
Edistio  o  Edisto  dal  nome  del  prin- 
cipale protettore  del  luogo,  poi  per 
corruzione    s.    Resto,   e    finalmente 
s.  Oreste.  Di  s.  Edistio  avvocato  del 
Soratte,  V.  t.  II,  Bull.  Cassia.  Const. 
4^3    i3  novembre    i55i    p-    4^^  ; 
Galletti,   Capena,  p.   i\.  Di  questo 
s.  Edistio  o  Edisto    si    fa    l' ulìizio , 
ma  di  s.   Oreste  il  solo  comune  dei 
martiri,  giacché    la    suddetta    deno- 
minazione vuoisi  ancora  derivata  da 
questo  santo  martire,  che    nel    luo- 
go è    in  venerazione.  È  fama ,  che 
sul    monte    Soratte    siasi    ritirato  il 
Pontefice  s.   Silvestro  I,    durante  la 
persecuzione ,    e    che    egli   vi  abbia 
edificato  un  monistero,   il  quale  por- 
tò il  suo  nome.    Altri    dicono,  che 
il  monistero  venisse  fondato  nel  se- 
colo sesto,  in  cui,    come    dicemmo, 
ivi  fiorì  per  abbate  s.  Nonnoso,  del 
quale  abbiamo  le   Memorie  pubbli- 
cate nel    167.5  da   Antonio  degli  Ef- 
fetti ;  monistero,  che  a  cagione  delle 
incursioni  de'  longobardi  rimase  de- 
serto. Secondo  gli  Annali   Bertinia- 
nl ,    presso  il  Muratori ,    Rer.   Ital. 
Script,  t.  Il,   par.    I,  pag.    49^5    ^^^ 
monistero    verso    l'anno    746,    ana- 
logamente   a    quanto    dicemmo    più 
sopra,     fu   edificato   da    Carloman- 
no.   I  monaci  benedettini    l' occupa- 
rono in  quell'epoca    sino    al    149^; 
e  quelli    del  monistero   della  basili- 
ca di  s.   Paolo  vi    passavano  l' esta- 
te.  Fu  chiamato  anco    di   s.    Bene- 
detto; e  Pio  li  vi  passò  quando  nel 
1464,  si  recava  ad  Ancona   per   le 
crociate.  Nello  stesso  secolo  fu  dato 
in  commenda  all'abbate  Pietro  Sa- 
velli, che  lo  godette  sino  al    i4^o; 
ma  sotto  Sisto  IV  nel  1482,  le  ab- 


G8  CHI 

bazic  di  s.  Silvestro  del  Soralte,  e 
di  s.   Andrea  in  Flamine,  o  di  Pon- 
zano, furono  di  nuovo  canonicamen- 
te unite  al  monisfero    di     s.    Paolo 
di  Roma.   Sotto  Clemente  VII,  l'ab- 
bate di  s.  Paolo  cedette  il  moniste- 
io  agli  Ereniili  camaldolesi  di  mon- 
te Corona  [ledi),    il  cui  riformato- 
re ven.   Paolo  Giustiniani,  vi    prese 
possesso,  e  vi  terminò  i  suoi  giorni, 
laonde  poco    dipoi    gli    eremiti    la- 
sciarono   il    monistero.    Indi    Paolo 
III,  nel     i54B,  smembrò    l'abbazia 
di  s,   Silvestro  dal    monistero    di  s. 
Paolo,  lo  cambiò  con  quello  di  Fon- 
tevivo,  e    ne    fece    una    commenda 
cou  quella  di  s.   Andrea  in    Fluniì- 
ne,  o  di  Ponzano,    cui    assegnò    al 
suo  nipote  Cardinal  Alessandro  Far- 
nese, come   pure    indicammo   supe- 
l'iormente.    11    Cardinale    nel    1071 
concedette   il  monistero  del  Soralte 
ed   altri    romitorii    a'  padri    geroli- 
mini  di  s.    Onofrio,    cui  successero, 
nei    i582,  i  minori    osservanti,  clie 
r  occuparono  quindi  per  poco  tem- 
po, finché  nel    1 596  il  Cardinal  Al- 
dobrandini  commendatario ,  lo  die- 
de ai  cistcrciensi    fulllensi ,    i    quali 
per  timore  dei  fulmini  l'abbandona- 
rono in  seguito,  fabbricando  l'attua- 
le monistero  della  Madonna  ss.  delle 
Grazie.     Abl)andonato     adunque     il 
monistero    di     s.     Silvestro ,    questo 
della  Madonna  ss.    delle    Grazie,  ai 
giorni  nostri  dal  Cardinal  Doria  fu 
consegnato  ai    trappensi,  cui  furono 
sostituiti  i  canonici  regolari;  ma  at- 
tualmente lo  posseggono  i  padri  tri- 
nitari scalzi.  Questi  nel  1834  vi  fu- 
rono collocali  dal  prelodato  abbate 
Cardinal  Patrizi,  per  lo   zelo  e  cu- 
ra, che  ha  de'  suoi  diocesani ,  con- 
tribuendo a  tal  effetto  delle  somme, 
per  supplire  alle  reudite  corrispon- 
denti   al    mantenimento    de'  religio- 
si.    Nel    monistero    di    s.     Silvestro 


CITI 

sudtletto  fiorisce  1'  antica  sempli- 
cità ,  V.  neir  orticello  si  vuole  che 
lavorasse  colle  proprie  mani  s.  Sil- 
vestro I,  per  coltivare  le  erbe  pel 
suo  sostentamento.  La  contisrua  chic- 
sa  merita  pure  di  vedersi,  perchè 
conserva  le  foi*me  della  riedificazio- 
ne di  Carlomanno. 

2."  Ponzano,  terra  della  Comar- 
ca  nel  distretto  di  Caslelnuovo  di 
Porto,  sulla  riva  destra  del  Tevere 
sotto  il  monte  Soratte,  posto  in  de- 
liziosa, sebbene  selvosa  situazione. 
Il  nome  deriva  da  un  fondo  della 
gente  Ponzia,  il  quale  sino  dal  se- 
colo decimo  apparteneva  ai  monaci 
benedettini  del  vicino  monte  Sorat- 
te, che  fondarono  il  monistero  di 
s.  Andrea  in  Flamine,  due  miglia 
distante,  detto  perciò  s.  Andrea  de 
Ponzano^  o  de  Fondano.  Del  mo- 
nistero appena  restano  de'  vestigi  ; 
la  chiesa  esiste,  ma  piuttosto  in  cat- 
tivo stato. 

3.°  Monte  Rosi,  Rossaluin,  terra 
della  Comarca  di  Roma  nel  gover- 
no di  Campagnano.  Molti  credono, 
che  ivi  sorgesse  uu  luogo  chiamato 
Rossaliun ,  donde  derivò  il  Mons 
Rossaliis,  ricordato  nella  bolla  d'In- 
nocenzo III  del  1203,  siccome  per- 
tinenza del  monistero  di  s.  Paolo 
nella  via  OsUense,  insieme  al  lago, 
che  si  vede  a  pie  della  terra ,  il 
quale  si  dice  il  lago  di  Monte  Rosi, 
ed  ha  appena  un  mezzo  miglio  di 
circonferenza.  Nella  detta  bolla  viene 
designato  col  nome  di  Lacum  qai 
l'ocatur  Janala,  nome  che  pure  si 
legge  in  quella  di  Gregorio  VII  del- 
l'anno I074-  Il  lago  ebbe  il  nome 
di  Janula  dal  fondo  nel  quale  era 
compreso,  e  viene  appellato  fandiis 
Janula  in  altra  bolla  d'Innocenzo 
III,  esistente  nell'archivio  di  s.  Pao- 
lo. Questo  fondo  medesimo  Villa. 
Janula  si  ricorda  nella  bolla  di  O- 


CHI 
norio  III,  riportata  nel  Bull.  Vat. 
t.  I,  p.  io3,  dove  apparisce  che  in 
parte  spettava  allora  alla  chiesa  di 
s.  Tommaso  in  Forviis,  adesso  filia- 
le della  basilica  vaticana.  Monte 
Rosi  nel  secolo  duodecimo  era  già 
terra  de'  monaci  di  s.  Paolo,  ed  in 
progresso  di  tempo  tornò  sotto  il 
dominio  immediato  della  s.  Sede. 
Mentre  era  abbate  commendatario  il 
Cardinale  Lorenzo  Altieri,  Benedetto 
XIII  si  recò  nel  1725  a  consagra- 
re la  chiesa  principale  di  Vignanel- 
lo,  seguito  da  cinquanta  persone, 
e  dormì  la  notte  de'  5  novembre 
nel  palazzo  abbaziale,  ricevuto  dal 
detto  porporato,  il  quale  fece  al- 
trettanto nel  di  lui  ritorno  in  Roma, 
pernottandovi  il  Papa  un'altra  volta, 
locchè  pur  fece  ai  16  novembre 
1727,  nella  circostanza  che  da  Bene- 
vento passava  in  Roma.  Quando  in 
questa  città  si  portò,  a'  3  luglio  1800, 
Pio  VII,  ch'era  stato  eletto  in  Vene- 
zia, pranzò  nello  stesso  giorno  in  Mon- 
te Rosi  dal  commendatario  Cardinal 
Giuseppe  Doria.  Il  regnante  Ponte- 
fice Gregorio  XVI  nel  viaggio,  che 
felicemente  intraprese  e  comp\  nel 
1841  per  alcuni  santuari  del  suo  sta- 
to, ai  So  agosto,  giorno  in  cui  parfi 
da  R^oma,  fu  decorosamente  trattato, 
in  un  al  suo  seguito,  a  mensa  dal- 
l'attual  abbate  commendatario  Car- 
dinal Costantino  Patrizi  nel  palazzo 
abbaziale ,  dopo  avere  visitato  la 
chiesa  principale ,  dedicata  alla  ss. 
Croce ,  e  ricevuto  la  benedizione 
col  ss.  Sagramento  ;  cose  tutte  che 
ebbero  pur  luogo  a'  6  ottobre,  gior- 
no, in  cui  il  Papa  fece  li torno  in 
Roma. 

Ss.  Vincenzo  ed  Anastasio  a 
Trevi,  nel  rione  di  questo  nome, 
de'  religiosi  crocifeii  ministri  de- 
gli infermi.   Vedi. 


CHI  69 

S.  Vitale  ,  già  tìtolo  Cardinali- 
zio, de'  religiosi  gesuiti,  nel  rione 
Monti. 

Il  luogo,  ove  è  situata  questa 
chiesa,  anticamente  ei^a  il  più  abi- 
tato di  Roma ,  ed  ivi  sorgeva  un 
tempio  dedicato  a  Romolo  sotto  il 
nome  di  Quirino,  da  cui  presero  il 
nome  la  valle,  il  monte  Quirinale, 
e  il  palazzo  pontificio,  che  sul  monte 
fu  eretto.  Nella  valle  di  Quirino  fu 
edificata  la  chiesa  in  onore  di  s.  Vi- 
tale, e  de'  ss.  Gcrvasio  e  Protasio 
suoi  figliuoli ,  nel  tempo  che  per 
divina  rivelazione  furono  manifestati 
a  s.  Ambrogio  in  IMilano,  allorché 
dedicò  ad  essi  una  chiesa,  per  lui 
detta  Ambrosiana.  S.  Agostino  si 
trovò  presente  alla  invenzione  dei 
loro  corpi.  Tanta  fu  la  fama,  che 
si  sparse  pel  cristianesimo,  del  tro- 
vamento  di  sì  preziosi  corpi ,  che 
in  Roma  la  nobile  matrona  roma- 
na Vestina,  parente  del  Pontefice 
s.  Innocenzo  I  lasciò  nel  suo  testa- 
mento incaricati  Ursicino  e  Leone 
preti,  e  Liriano  diacono,  di  erigere 
una  basilica  ai  due  santi  martiri , 
col  prodotto  della  vendita  delle  sue 
vesti,  gioie,  e  suppellettili.  Tutto 
venne  fedelmente  eseguito,  e  s.  In- 
nocenzo I,  verso  r  anno  4oB,  dedi- 
cò il  sagro  tempio  ai  ss.  Gervasio 
e  Protasio,  cui  poi  venne  aggiunto 
s.  Vitale,  ed  è  perciò,  che  questa 
chiesa  fu  chiamata  di  s.  Vitale  e 
de'  ss.  Gervasio  e  Protasio  ìiella 
valle  di  Quirino,  detto  il  titolo  di 
Vestina,  ovvero  ad  ss.  Apostolos 
in  ti  tu  lo   Vestinae. 

Oltre  a  ciò,  il  medesimo  s.  In- 
nocenzo I  offrì  de'  preziosi  donati- 
vi alla  chiesa,  l'abbeUì  con  orna- 
menti, e  la  pose  fra  i  titoli  Cardi- 
nalizi :  laonde  por  la  sua  venera- 
zione, dipoi  fu  assegnata   al  Carch- 


70  CHI 

iial  lilolare  l'uflìziatura    ebdomada- 
ria nella   patriarcale    basilica    di    s. 
Maria  Maggiore,  in  tutti    i  merco- 
ledì,  celebrando  iiell' aliare    papale. 
Di  questa  chiesa  s.   Gregorio   I  fece 
menzione  nel  suo  Registro,  lib.  IX, 
capo  XXII,  dove  si  legge  nominato 
un  Giovanni  prete  di  questo  titolo, 
e  nel  bb.  IV  capo  LXXXVIII,  Gio- 
vanni, e  Spettato.  Quindi  vi  stabili 
la  stazione  nel   secondo    venerdì    di 
quaresima,  nel  qual  giorno   tuttora 
si  celebra.    JVelle    litanie    settiformi 
volle,  che  la  processione  delle  vedo- 
ve si  avviasse  dalla  chiesa  di  s.  Vi- 
tale ;  e  poscia  in  onore  dei  ss.  mar- 
tiri titolari  l'arricclù  di  molti  doni, 
che  descrive  Anastasio  Bibliotecario, 
cioè  vasi,  lampadi,  lucerne,  corone, 
cerostrati,  torrette,  e  cervi  per  uso  del 
battisterio,  e  per  l'acqua;  non  che  cop- 
pe, calici,  patene,  catini,  e  bacili,  oltre 
molte  possessioni  e    pingui    reudite. 
V.  rUgonio,  Staz.    17,  che  l'iporta 
le  rendite  stabilite  a  questa   chiesa, 
ed  il  Piazza  che  ne  fa  l'interessante 
enumerazione,  nella  sua  Gerarchia^ 
a  pag.  694»  pi'esso  il  racconto  del- 
l' Anastasio.     In    progresso    divenne 
collegiata  con  canonici  ;  ed  il  Bosio 
asserisce,  che  il  capitolo  di  Vestina 
aveva  cura  della  chiesa  di  s.  Agne- 
se in  piazza  IVavona. 

Il  Cardinal  Teodino,  il  quale  era 
di  questo  titolo,  ed  il  Cardinal  Al- 
berto del  titolo  di  s.  Lorenzo  in 
Lucina  vennero  spediti  legati  in  In- 
ghilterra da  Alessandro  III,  per  la 
morte  di  s.  Tommaso  arcivescovo 
di  Cantorbery,  per  cui  imposero  la 
penitenza  ad  Enrico  II,  e  lo  assol- 
vettero. Di  poi  Paolo  III,  nel  i535, 
ai  20  maggio  creò  Cardinale  prete 
di  s.  \  itale,  Giovanni  Fischer,  ve- 
scovo E.olì(ense,  che  poco  dopo  fu 
decapitalo  per  ordine  di  Enrico  Vili, 
siccome    sostenitore    della    religione 


CHI 

cattolica,  che  quel  principe  I^andìi 
dal  reame.  Indi,  e  nel  l'iSG,  lo 
stesso  Paolo  III  conferì  questa  chie- 
sa a  Vincenzo  Ciocchi  del  Monte , 
che  nel  1 55o  gli  successe  nel  pon- 
tificato col  nome  di  Giulio  HI.  Nel 
seguente  anno  Giulio  HI  fece  prete 
Cardinale  di  s.  Vitale,  Giovanni  Ric- 
ci, che  da  Pio  IV  fu  creato  primo 
vescovo  di  IMontepulciauo  sua  pa- 
tria. 

Verso  l'anno  i47^  accorse  a  re- 
staurare questa  chiesa  Papa  Sisto 
IV;  ma  in  pi'Ogresso  rimanendo  sen- 
za entrate,  e  perciò  senza  culto,  il 
sommo  Pontefice  Clemente  VIH , 
zelantissimo  di  mantenere  le  me- 
morie ecclesiastiche ,  avendo  sop- 
presso il  titolo  Cardinalizio  ,  tornò 
invece  ad  erigere  in  diaconia  Car- 
dinalizia la  chiesa  di  s.  Cesareo,  ed 
affidò,  nel  159^,  questa  di  s.  Vitale 
ai  gesuiti,  i  quali  non  solo  la  rie- 
dificarono, ma  la  nobilitarono  con 
pitture  ed  altri  ornamenti ,  di  cui 
faremo  poi  cenno,  e  vi  fecero  ri- 
splendere  il  divino  culto,  siccome 
tuttora  con  gran  vantaggio  de'  fe- 
deli praticano  zelantemente.  Restò 
così  la  chiesa  unita  al  noviziato  della 
compagnia  di  Gesù ,  che  è  presso 
la  chiesa  di  s.  Andrea  al  Quirinale, 
pegli  orti  del  quale  hanno  comuni- 
cazione col  medesimo  tempio  ;  uè 
deve  passarsi  sotto  silenzio,  che  don- 
na Isabella  della  R.overe  principessa 
di  Bisignano ,  qual  discendente  di 
Sisto  IV  benefattore  di  questa  chie- 
sa, concorse  con  larghe  limosine  ai 
ristoiamenti  summentovati. 

L'  antico  porfico,  che  le  stava  in- 
nanzi, sostenuto  da  quattro  colonne, 
al  presente  è  cambiato  in  vestibolo. 
In  esso,  e  nella  facciata  il  p.  Fiam- 
meri  fece  le  pitture  a  fresco.  L'in- 
terno ha  una  sola  nave,  e  l'altare 
appoggiato  alla  tribuna  fu  rinnova- 


CHI 

to,  negli  ultimi  del  secolo  decimo- 
sesto, dal  Cardinal  Cesi.  L'  istoria 
dipinta  sulla  tribuna,  rappresenta  il 
Redentore,  che  ascende  al  Calvario 
colla  croce  sulle  spalle ,  opera  di 
Andrea  Commodo,  che  dipinse  in 
basso  i  due  martirii.  Le  storie  del 
martirio  di  s.  Vitale,  che  sono  nei 
lati  della  medesima  tribuna,  furono 
colorite  dal  Ciampelli;  mentre  altri 
pittori  fecero  i  freschi  nelle  pareti 
della  chiesa.  Tutti  i  quattro  altari 
laterali  hanno  per  ornamento  un 
frontespizio  sorretto  da  colonne,  due 
cioè  per  cadauno  :  quattro  sono  di 
granito,  le  altre  di  bigio.  Le  porte 
della  chiesa  meritano  menzione  pei 
belli  bassorilievi  di  noce  che  con- 
tengono. 

La  festa  del  santo  titolare  vi  si 
celebra  a'  28  aprile.  Quivi  per  un 
legato  di  Francesco  Siila  gentiluo- 
mo della  Marca,  in  ogni  venerdì  si 
distribuisce  pane  ai  poveri  ;  vi  si  fa 
la  missione  in  tutte  le  feste  del  me- 
se di  maggio;  ed  i  gesuiti  vi  han- 
no eretta  una  confraternita  di  con- 
tadini, sotto  r  invocazione  di  Maria 
Vergine,  e  di  s.  Gio.  Francesco  Pie- 
gis  gesuita.  V.  le  Notizie  de  fratelli 
della  congregazione  dei  campagno- 
li nella  chiesa  di  s.  Filale,  Roma 
1777. 

Ss.  P/To  e  Modesto  ,  diaconia 
Cardinalizia,  succursale  della  ba- 
silica Liberiana,  nel  rione  Monti. 

Si  trova  questa  chiesa  accanto 
all'arco  di  Gallieno,  sul  ripiano  prin- 
cipale del  colle  Esquilino,  che  uni- 
sce insieme  i  minori  colli  Oppio  e 
Crispio.  Anticamente  si  chiamava 
s.  Filo  al  Macello  Li^'iano,  e  dei 
ss.  Filo  e  Modesto  in  Macello  Mar- 
tjruni,  perchè  era  la  casa  di  ceito 
Liviano,  che  faceva  molti  ladroucc- 


CHI  71 

ci,  per  cui,  spianata   la  casa,  fu    il 
luogo   destinato    per    pubblico    ma- 
cello ;  o  per  un  luogo  che  era    ti'a 
i  portici  di   Livia,  ove  custodivansi 
i  ss.  Martiri  come  bestie.  Anzi  vuoi- 
si, che  sopra  quella  pietra,  la  quale 
fu  già  un  cippo  gentilesco,  circonda- 
ta di  ferro,  chiamata  scellerata,  che 
si  vede    in    questa    chiesa    a    mano 
destra,  si  fosse  fatta  grande  carnifl- 
cina  e  strage  di    martiri.    I    gentili 
per  abbominazione  chiamarono  scel- 
lerate le  pietre,  tinte  del  sangue  dei 
cristiani.  Noto  è  altresì,    che    quivi 
piene  di    coraggio    raccoglievano    il 
sangue  de'  martiri,  le  sante    sorelle 
Prassede    e  Pudenziana,  dando    po- 
scia a'  loro  corpi  sepoltura.  Che  in 
questo  luogo  ov'  è  fabbricata    cote- 
sta  diaconia,  oltre    all'esservi    stato 
un  mercato  di  commestibili,  vi  fos- 
se la  basilica  di  Sicinnio,    o  di    Si- 
cinnino,  ovvero  di  Sicinio,  si  confer- 
ma dalla  storia  funesta  dello  scisma 
del  367,  in  cui  per    la    morte    del 
Pontefice  s.  Felice  II,  e  nell'elezione 
di  s.  Damaso  I,  insorse  il  secondo  an- 
tipapa Orsicino,  il  quale  fu  nella  ba- 
silica di  Sicinio  consacrato  da  Pao- 
lo vescovo  di  Tivoli.  Racconta  per- 
ciò Ammiano    Marcellino,    lib.    27, 
cap.  3,    essersi    suscitata    una   sedi- 
zione cotanto  fiera,  che  i  due    par- 
titi sostenendo  vigorosamente  ognu- 
no il  loro  capo,  si  azzuffarono  nella 
stessa  basilica,  per  lo  che  in  un  sol 
giorno    vi    restai'ono    uccise    cento- 
trentasette  persone.  Laonde   Orsici- 
no, e  i  seguaci   di  lui    furono    cac- 
ciati da  Roma,  e  dichiarati  pertur- 
batori ,  ratificando  l'  esilio  e  il  ban- 
do,   Valentiniano    I    imperatore.    Il 
Marliano  poi,  hb.  IV,  cap.    ig,  as- 
serisce che  la  basilica,  dove  seguì  il 
sanguinoso  fatto,  fosse  la  basilica  di 
Sisinnio,  cittadino  romano,  destina- 
ta alle  cause  civili,    ed    il    Nardini 


72  CHI 

è  di  parere,  che  vi  esercitasse  la 
i5Ìurisilizionc  il  presidente  del  ma- 
cello o  del  mercato ,  sui  venditori 
e  compratori  delle  carni  ,  o  altri 
commestibili.  Sembra  adunque,  che 
lai  basilica  sia  stata  data  a'  cristia- 
ni da  Costantino  per  onorare  i  ss. 
Vito  e  ]Modesto  siciliani,  che  insie- 
me a  Crescenzia,  nutrice  del  primo 
e  moglie  del  secondo ,  soffrirono 
glorioso  martirio  per  ordine  di  Dio- 
cleziano, operando  Dio  prima  e  do- 
po la  loro  morte  i  piìi  stupendi 
prodigi.  Pel  corpo  e  reliquie  di  delti 
santi,  veggasi  quanto  ne  scrive  il  Piaz- 
za, GerarcInUj  p.  868  ed  870,  e  seg., 
mentre  a  pag.  235  e  seg. ,  parlan- 
do della  terra  di  s.  Vito  nella  dio- 
cesi di  Palestrina  (  che  disputa  l'o- 
nore di  aver  dato  i  natali  a  Mar- 
tino V  con  Ptoma  ,  e  Genazzano  ), 
l'antica  Vitellia  o  Boia,  o  Treba, 
o  il  famoso  Satrico,  dice,  che  aven- 
do i  popolani  edificato  una  chiesa 
al  santo ,  ne  diedero  per  divozione 
il  nome  al  luogo.  Ma  essendo  stata 
violala  la  basilica  dal  sacrilego  sci- 
sma, e  da  sì  notabile  effusione  di 
sangue,  per  tanto  scandalo  forse 
rimase  per  un  tempo  abbandonata. 
In  seguito  poi  venne  restituita  a 
s.  Damaso  I,  come  diffusamente  de- 
scrive Ludovico  Agnello  Anastasio, 
Istoria  degli  antipapi,  capo  III,  di 
Orsino,  Orsiciao,  od  Ursicinio  an- 
tipapa. 

Da  s.  Vito  prese  anco  nome  il 
contiguo  arco,  né  forse  sarà  disca- 
ro che  qui  se  ne  premetta  un  cen- 
no. Questo  arco  semplice  ma  soli- 
do, verso  l'anno  260,  fu  eretto  al 
figlio  di  Valeriano  Gallieno,  ed  a 
sua  moglie  Salonina,  da  certo  iMar- 
co  Aurelio,  forse  esercitante  la  so- 
praintendenza  del  Macello  ,  come 
opina  il  citato  Nardini,  e  per  rico- 
noscenza di  conseguito  peculiare  fa- 


cili 

vore  ;  dappoiché  l' imperatore  Gal- 
lieno, lungi  dal  meritarsi  puljblici 
onori,  111  principe  codardo ,  <;  du 
poco.  Dai  rituali  romani,  e  dal  ca- 
nonico Benedetto  abbiamo  ,  che 
quando  il  Papa  nel  d'i  della  Pa- 
squa recavasi  dalla  basilica  Liberia- 
na ed  patriarchio  lateranense,  con  so- 
lenne processione  passava  sotto  l'ar- 
co di  Gallieno,  o  di  s.  Vito.  jNel 
centro  poi  dell'arco,  sino  all'anno 
182  5,  era  appesa  una  catena  di  fer- 
ro, alla  quale  sino  alla  metà  del 
secolo  XVII  erano  pendenti  due 
chiavi  della  porta  Salsicchia  della 
città  di  Viterbo,  ivi  poste  dal  Se- 
nato romano,  come  trofeo  della  vit- 
toria riportata  sotto  Onorio  III  sui 
ribellati  viterbesi.  Vi  fu  alcuno,  il 
quale  credette  essere  le  chiavi  tolte 
da'  romani  alle  porte  dell'antico  Tu- 
scolo,  ora  Frascati,  allorquando  lo 
soggiogò  nel  pontificato  di  Celesti- 
no III  l'anno  1191;  e  quindi  ap- 
pese all'arco  di  s.  Vito ,  con  una 
catena,  segno  di  soggezione.  E  al- 
tresì notevole,  che  Nicolò  V,  nel- 
l'anno i44*^j  esentò  dalle  gabelle  tutti 
quelli,  i  quali  dimoravano  dall'ar- 
co di  s.  Vito  sino  alla  basilica  di  s. 
Maria  IMaggiore. 

Tornando  all'origine  della  chiesa 
di  s.  Vito,  venendo  abbandonata 
pel  suddescritto  avvenimento,  pare 
che  sotto  s.  Gregorio  I,  il  quale 
morì  nell'anno  6o5,  ritornasse  in  lu- 
stro, perchè  il  Panvinio  dice,  aver- 
la quel  Pontefice  eretta  in  diaconia 
cardinalizia;  aggiugnendo  il  citato 
Piazza,  che  dessa  non  fu  delle  an- 
tiche diaconie  regionarie,  ma  delle 
quattro  Palatine.  In  questa  ipotesi 
è  noto,  che  s.  Gregorio  III  del 
73  I,  vedendo  cresciuti  i  diaconi  re- 
gionari dal  numero  di  sef^e  a  (juat- 
tordici,  ne  aggiiuise  quattro  col  no- 
me di  Palatini,  per  assistere  sempre 


CHI 

il  Sommo  Pontefice  iillorchè  cele- 
brava. Tultavolla  appiendesl  dal 
medesimo  Piazza,  che  questa  chiesa 
nella  scarsezza  de'  titoli  presbiterali, 
tu  conferita  a' Cardinali  per  titolo 
cardinalizio,  senza  alterazione  stabi- 
le del  suo  grado  diaconale. 

L'Anastasio,  nella  vita  di  Stefa- 
no IV  creato  nell'anno  768,  chia- 
ma questa  chiesa  antichissima,  con 
annesso  monisleio.  11  Novaes,  P  ite 
de  Papi,  tom.  II,  p.  84,  dice  che 
a' 5  agosto  7 G8,  insoi'se  nell'elezio- 
ne di  Stefano  IV,  l'antipapa  Filip- 
po, monaco  abbate  di  s.  Vito,  e 
prete  Cardinale,  che  nell'  istcsso  gior- 
no fu  costretto  a  rinunziare,  e  riti- 
rarsi nel  suo  monistero.  Ecco  poi, come 
racconta  tale  intrusione  il  citato  Lodo- 
vico Agnello  Anastasio,  t.  I,  p.  l'i»!, 
presso  Anast.  Bihl.  in  Stcph.  Il': 
M  La  domenica  seguente  raunando 
»  Valdiperto  prete,  senza  saputa  di 
'»  Sergio  sacellario  ,  alcuni  romani 
»  andarono  al  monistero  di  s.  Vi- 
»  to,  e  quindi  levarono  Filippo  Pa- 
»  pa,  gridando  :  s.  Pietro  Vìia  clet- 
"  to,  e  condusserlo,  secondo  l'anti- 
w  co  costume,  nella  basilica  del  Sal- 
»  valore,  e  dettesi  dal  vescovo  le 
"  consuete  preci,  e  dando  Filippo 
"  la  pace  a  tutti,  fu  menato  nel  pa- 
"  lazzo  patriarcale  lateranense,  e 
"  quivi  sedendo  per  simil  modo  nel- 
"  la  sedia  pontificale,  data  a  tutti 
»  la  pace,  andò  di  sopra.  Ria  so- 
"  praggiungendo  in  poco  d'ora  ap- 
»»  pi-esso  Cristoforo  primicerio,  sa- 
»  pula  r  elezione  di  Filippo,  salì 
»  di  subito  pieno  d'ira,  e  alfermò 
>»  con  giuramento  nel  cospetto  di 
»  tutti,  che  non  sarebbe  uscito  da 
"  Roma,  finché  Fdippo  prete  non 
"  fosse  stato  cacciato  dal  palazzo 
«  lateranense.  Allora  Grazioso  Car- 
>*  tulario,  ed  alcuni  romani  il  co- 
■»  strinsero  a  levarsene,  ed  egli  scc- 


ClII  73 

»  so  per  la  scala  che  conduce  al 
»  bagno,  tornò  con  riverenza  gran- 
"  de  al  suo  monistero  ".  Laonde 
questo  Filippo  fu  chiamato  Ponti- 
fcx  iiiiius  (liei. 

Da  chi  fosse  prima  governata 
questa  chiesa,  non  si  sa  di  certo: 
è  noto  soltanto  che  essa  fu  del- 
ta pure  san  I  ilo  in  Dlonaslerio, 
ad  Sardas,  seu  in  vico  Sardo- 
rum,  e  che  vi  dimorarono,  sino  dai 
primi  tempi  del  monachismo,  i  mo- 
naci di  s.  Basilio,  ovvero  quelli  di 
s.  Benedetto.  Veramente  il  Tlco 
Sardorum  era  lungi  da  R.oma  circa 
trenta  miglia,  ma  piuttosto ,  come 
scrive  r  Anastasio  nella  vita  di  san 
Leone  III,  devesi  dire  ad  Sardas, 
forse  dall'abbondanza  di  tal  com- 
mestibile, che  spacciavasi  nel  pros- 
simo macello  Liviano.  Il  primo  dia- 
cono Cardinale,  che  si  trova  ricor- 
dato dagli  scrittori ,  fu  cerio  Leojie 
monaco,  ed  abbate  del  monistero  di 
s.  Clemente,  che  morì  sotto  Pasqua- 
le II,  il  quale  fiorì  l'anno  1099,  e 
poscia  creò  Cardinale  diacono  di  s. 
Vito,  Amico  abbate  di  s.  Lorenzo 
fuori  le  mura.  Quindi,  a  dire  ili 
alcuni,  ne  furono  diaconi  :  Lucio 
Boezio,  creato  Cardinale  nel  1 135  da 
Innocenzo  lì,  che  morì  in  concetto 
di  santità  ;  Rinaldo  Brancacci,  fatto 
da  Libano  VI,  nel  i38i;  Carlo 
Domenico  del  Carretto,  creato  da 
Giulio  II  nel  i5o5;  Carlo  Caralfa 
nipote  di  Paolo  IV,  che  lo  fece  nel 
i555;  s.  Carlo  Borromeo  dallo  zio 
Pio  IV  creato  diacono  Cardinale 
de' ss.  Vito  e  Modesto  nel  i56o, 
donde  per  morte  del  fratello  conte 
Federico,  avendo  preso  segretamen- 
te gli  ordini  sagri,  si  fece  ordinare 
prete  dal  Cardinal  Cesi  nella  chiesa 
di  s.  Maria  IMaggiore,  passando  poi 
ai  titoli  presbiterali  de' ss.  Martino, 
e  Silvestro  a'Monti,  ed  a  s.  Prasse- 


74  CHI 

de.  Lo  furono  ancora  i  Cardinali 
L(;lio  Biscia,  fatto  da  Urbano  Vili 
nel  1G26;  Giovanni  DcKiiio  vene- 
ziano, nominato  nel  i()(>^  da  Ales- 
sandro VII;  Domenico  Orsini,  crea- 
to nel  1743  tlti  Benedetto  XIV; 
ed  Andrea  Ncgroni,  fatto  nel  1763, 
diacono  de'  ss.  Vito  e  Modesto,  da 
Clemente  XIII,  donde  passò  alla 
diaconia  di  s.  Agata  alla  Sidjurra, 
e  mori  nel   1789. 

In  progresso  di  tempo,  Sisto  IV 
considerando  questa  chiesa  abban- 
donata, ed  esposta  alle  ingiurie  dei 
tempi,  anche  per  essere  situata  in 
luogo  poco  abitato,  quasi  la  rinno- 
vò nel  1477»  "^  riapri  al  pubblico 
culto,  e  vi  stabili  la  parrocchia  ; 
indi  dal  Cardinal  Iacopo  Antonio 
Veniero ,  che  avea  fatto  diacono 
nel  1473,  allorché  questi  passò  al 
titolo  di  s.  Clemente  nel  medesimo 
anno  i477>  diede  la  chiesa  in  tito- 
lo presbiterale  al  Cardinale  Giorgio 
Resler.  Ma  passando  questi  ad  altro 
titolo,  ripristinata  la  diaconia,  nel 
1480,  gli  diede  in  successore  il  Car- 
dinal diacono  Giambattista  Savelli, 
e  nel  1484}  '^  Cardinal  diacono 
Ascanio  Maria  Sforza.  Ma  avendovi 
nel  i565  Pio  IV  nominato  in  vece 
del  santo  di  lui  nipote,  il  Cardinal 
Carlo  Visconti,  e  morendo  questi 
alcuni  mesi  dopo,  poiché  la  chiesa 
era  ridotta  nuovamente  in  rovina, 
nel  i566,  fu  trasferita  la  parroc- 
chia nella  chiesa  di  s.  Prassede  da 
s.  Pio  V.  Innalzato,  nel  i585,  al 
pontificato  Sisto  V,  dice  il  Piazza 
citando  l' Ughelli ,  che  assegnò  le 
rendite  rimaste  del  cospicuo  moni- 
stero  de'benedettini,  il  quale  ivi  avea 
fiorito,  al  collegio  di  s.  Bonaventu- 
ra, cui  fijndò  nel  convento  de'  ss. 
Apostoli.  Poscia,  considerando  Sisto 
V,  che  la  chiesa  de' ss.  Vito  e  ]Mo- 
desto  mancava  alfutto  di  ulliziatura, 


CHI 

la  concesse  ixVÌ Arciconfratcrnìta  di  s. 
Bernardo  {^Vcdi),  per  sostituirvi  un 
monistero  di  monache,  per  cui  il 
sodalizio  l'eslaurò  la  chiesa,  e  a' 20 
marzo  1*787  la  consagrò  il  Cardi- 
nal Enrico  Caetani  romano,  de' du- 
chi di  Scrmoneta,  del  titolo  di  s. 
Pudcnziana,  mentre  vi  era  Cardi- 
nale diacono  Ascanio  Colonna,  ivi 
postovi  nell'anno  precedente  dallo 
stesso  Sisto  V.  Dice  il  Novacs,  tom. 
Vili,  p.  II 5,  che  quando  quel 
Pontedce  diede  la  chiesa,  e  la  casa 
per  le  monache  collocate  dal  sodali- 
zio, era  morto  il  Cardinal  Guido 
Ferreri,  creato  da  Pio  IV,  nel  i565, 
per  cui  sembra  che  nella  numerosa 
promozione  de'  Cardinali  fatta  quel- 
l'anno da  Pio  IV ,  di  nuovo  tem- 
poraneamente questa  diaconia  sia 
stata  dichiarata  titolo.  Nel  moniste- 
ro furono  poste  tre  monache  di 
s.  Cecilia  in  Trastevere  per  maestre 
di  trentatre  fanciulle;  ma  riconosciu- 
to il  luogo  piuttosto  angusto,  dallo 
stesso  Sisto  V  furono  mandate  nel 
monistero  di  s.  Susanna ,  apparte- 
nente all'Ordine  cistcrciense. 

Quindi  la  chiesa  fu  data  in  cu- 
stodia ai  monaci  Cisterciensi  Fo' 
glìanti  i^Vedi)  ^  che  nella  contigua 
casa  vi  posero  la  residenza  del  pro- 
curatore generale  dell'Ordine,  del- 
la provincia  l'omana,  finché  nel 
1779,  lasciarono  i  cisterciensi  la  ca- 
sa, e  la  chiesa  per  passare  a  quella 
di  s.  Maria  in  Carinis;  ed  alcuni 
chierici  regolari  mariani  della  ss. 
Concezione  del  regno  di  Polonia , 
sotto  la  direzione  de'  somaschi,  sub- 
entrarono alla  custodia  del  tempio. 
Nel  principio  del  Pontificato  di  Pio 
VII,  un  religioso  domenicano,  chia- 
mato fr.  Antonio  di  Pistoja,  vi  fon- 
dò un  piccolo  conservatorio  di  po- 
vere zitelle,  che  poi  passarono  in 
quello  Borromeo.  Indi,    nel    1806, 


CHI 

una  pia  unione  di  sacerdoti  sfabi- 
11  nella  casa  annessa  un  ritiro  per  gli 
esercizi  spirituali,  pegli  uomini  che 
domandano  la  limosina;  e  la  chie- 
sa nel  riordinamento  delle  parroc- 
chie di  Roma,  operato  da  Leone 
XII,  fu  stabilita  succursale  alla  cu- 
ra della  basilica  Liberiana.  Del  pio 
esercizio  introdotto  in  questa  chie- 
sa da  Clemente  IX,  ed  animato  da 
Innocenzo  XI,  e  Clemente  XI,  cioè 
del  catechismo  che  ivi  facevasi  in 
diverse  lingue  nell'ultimo  martedì 
d'ogni  mese,  colia  distribuzione  di 
due  pagnotte  per  cadauno,  tratta  il 
Piazza  a  pag.  860.  Ridotta  la  chie- 
sa indecente  pel  diviu  culto ,  umi- 
da ,  e  nella  massima  decadenza , 
nell'anno  i836,  il  regnante  Grego- 
rio XVI  ne  ordinò  la  restaura- 
zione, e  r  abbellimento  per  cura  del 
zelante  suo  tesoriere  Antonio  Tosti, 
ora  amplissimo  Cardinale,  come  si 
legge  in  una  marmorea  inscrizione, 
dicontro  all'  altare  maggiore,  nel 
nuovo  coro,  sullo  spazio  dell'  inter- 
colunnio di  mezzo. 

Tre  sono  gii  altari,  che  si  vedo- 
no in  questa  chiesa,  e  tre  sono  le 
dipinture,  le  quali  hanno  sopra  i 
medesimi.  11  quadro  dell'altare  mag- 
giore con  Maria  Vergine  ed  il  bam- 
bino in  alto,  e  sotto  s.  Bernardo  in 
ginocchioni,  credevasi  dipinto  da  Ce- 
sare Rossetti,  ma  è  di  Andrea  Pa- 
squal  di  Recanati,  come  si  legge 
nel  medesimo.  I  due  angeli  sul  fron- 
tispizio sono  lavori  in  istucco  del 
Rusconi.  All'altare  de' santi  martiri 
litolari,  de' quali  celebrasi  la  festa 
a'  1 5  giugno,  vengono  condotti  quel- 
li, che  sono  stati  morsicati  dai  cani 
idrofobi,  acciocché  ottengano  la  gua- 
rigione per  r  intercessione  di  essi 
santi.  Fra  quelli,  che  ne  sperimen- 
tarono gli  effetti,  vi  fu  il  duca  di 
Palliano  d.  Federico  Colonna ,    che 


CHI  75 

guarito  da  un  morso  di  rabbioso 
cane,  per  adempimento  del  voto  a 
s.  Vito,  nel  1620,  restaurò  la  chie- 
sa, come  si  legge  nel)'  iscrizione  po- 
sta dietro  l'abside  del  grande  alta- 
re. A  sinistra  di  esso  evvi  il  picco- 
lo deposito  del  Cardinal  diacono 
Carlo  Visconti,  col  riti-atto  suo  in 
marmo,  e  relativa  iscrizione.  In  mez- 
zo alla  chiesa,  vi  sono  le  lapidi  di 
due  Cardinali  quivi  sepolti,  cioè  di 
Fabio  degli  Abbati  Olivieri,  creato 
dal  cugino  Clemente  XI  nel  17 15, 
e  di  Giuseppe  Livizzani,  creato  da 
Benedetto  XIV  nel  1753.  Ma  delia 
chiesa  e  diaconia  Cardinalizia  de'  ss. 
Vito,  e  Modesto,  de'  suoi  pregi,  ed 
ultimi  ristauri  ,  dottamente  scris- 
se il  principe  d.  Pietro  Odescalchi 
de'  duchi  del  Si r mio.  V.  la  Descri- 
zione dei  nuovi  lavori  eseguiti  nella 
diaconia  de' ss.  Filo,  e  Modesto, 
Roma    1837. 

ClIIETI  (  Tcatin.  ).  Città  con  re- 
sidenza arcivescovile  nel  regno  delle 
due  Sicilie,  capoluogo  della  provin- 
cia dell' Abruzzo  citeriore,  di  distret- 
to, e  di  cantone.  Questa  bella  città 
è  posta  su  ridente  collina ,  presso 
la  riva  destra  del  fiume  Pescara, 
ed  in  essa  risiedono  i  dicasteri  am- 
ministrativi, e  giudiziari,  dipenden- 
do però  dalla  gran  corte  d'Aquila 
per  le  revisioni  civili.  È  cinta  di 
buone  mura,  ed  è  guardata  da  una 
rocca,  il  perchè  si  considera  qual 
piazza  forte  di  quarta  classe.  Si  ve- 
de ben  fabbricata,  e  va  adorna  di 
magnifici,  e  deliziosi  edificii.  Fu  già, 
secondo  alcuni,  metropoli  de'Ma- 
ruccini,  e  quindi  passò  ai  romani, 
dopo  essere  stata  sottoposta  ai  gre- 
ci. Dai  romani,  che  la  chiamarono 
Teate  o  Tlieate  Marrucinormn,  nel- 
la loro  caduta  divenne  successiva- 
mente dominata  dai  goti,  e  dai  lon- 
gobardi, Questi  ultimi,  vcncado  vin- 


76  CHI 

ti  noU'oltavo  secolo  da  Pipino,  do- 
po l'assedio  questo  re  la  mise  a  fer- 
ro, e  a  fuoco,  per  cui  rimase  inte- 
ramente distratta.  I.a  rifal)briearono 
i  normanni,  laonde  tornò  a  rifiori- 
re, concorrendovi  in  diversi  tempi 
i  sovrani  cui  fu  soggetta ,  ma  i 
francesi  se  ne  impadronirono  nel 
1802.  Dopo  di  questi,  tornò  al  pa- 
cifico possesso  dei  regnanti  delle  due 
Sicilie. 

La  sede  rescovile  in  Chieti  fu 
fondata  nel  quinto  secolo,  e  sebbe- 
ne Commanville  convenga,  che  nei 
primordi  del  decimosesto  fosse  eret- 
ta in  nietropoM  ,  assegnandole  tre 
vescovati  per  sutfraganei ,  a  pag. 
3i.  Ilist.  de  tons  les  archev.,  fa  il 
novero  di  un  numero  maggiore  di 
chiese  da  essa  dipendenti.  Abbiamo 
dal  p.  Mansi,  Siipplem.  tom.  I,  col. 
bqy,  che  in  questa  città  nell'anno 
840,  fu  tenuto  un  concilio,  al  qua- 
le presiedette  Teodoro  arcivescovo 
di  Chieti,  per  far  rientrare  i  cano- 
nici secolari  nell'osservanza  della  vi- 
ta comune.  Certo  è,  che  Clemente 
VII,  nel  iS'zg,  eresse  questa  chiesa 
al  grado  arcivescovile,  assegnandole 
per  suffraganee  le  diocesi  di  Lancia- 
no, Penna,  ed  Atri;  ma  siccome  ven- 
nero poscia  esse  tolte  dalla  sua  sog- 
gezione, s.  Pio  V  le  sottopose  il  solo 
vescovato  di  Ortona,  che  in  pro- 
cesso di  tempo  le  fu  tolto  per  cui 
ora  la  metropoli  di  Chieti  non 
ha    sutfraganei. 

Giulio  II,  nel  i5o3  o  i5io4, 
diede  per  pastore  a  questa  chiesa  l'ir- 
reprensibile Giampietro  Caralfa,  na- 
poletano, per  la  santa  vita  del  qua- 
le Dio  permise  si  estinguesse  un  fu- 
rioso incendio  nel  castello  di  Popoli, 
sottoposto  alla  sua  diocesi,  col  get- 
tar nelle  fiamme  un  /égiiua  Dei  be- 
nedetto. Quindi  nel  i5ig,  Leone  X 
gli  aggiunse  l'arcivescovato  di  Brindi- 


CHI 

si,  ma  nel  t^'ì^y  rinunziò  ambedue 
le  sedi,  per  ritirarsi  con  s.  Gaetano 
a  menar  vita  solitaria,  e  ad  istituire 
rOidine  de'  chierici  regolari,  che  dal 
vocal)olo  latino  di  questo  suo  primo 
vescovato  furono  detti  Tt'adni  [Ve- 
di). Chiamatolo  poscia  a  Roma  Pao- 
lo HI,  ad  onta  della  sua  ripugnanza, 
lo  creò  Cardinale ,  gli  restituì  la 
chiesa  di  Chieti,  e  a'  2  dicembre 
1537,  gli  diede  nel  pontificio  pa- 
lazzo di  s.  Marco  il  pallio  arcive- 
scovile, donde  a'g  novembre  iS^g, 
lo  trasferì  alla  chiesa  di  Napoli.  Pei 
suoi  grandi  meriti,  nel  i555,  fu  il 
Caraffa  nell'età  d'anni  settantanove 
sublimato  al  pontificato  col  nome  di 
Paolo  IV.   Vedi. 

La  cattedrale  di  Chieti  tanto  pe- 
gli  ornamenti,  non  meno  che  per 
la  nobiltà  del  disegno,  riesce  mae- 
stosa. Essa  è  dedicata  all'  apostolo 
s.  Tommaso.  Il  capitolo  si  compo- 
ne di  due  dignità,  la  prima  delle 
quali  è  l'arcidiacono,  di  quindici  ca- 
nonici, di  dieci  ebdomadari ,  e  di 
altri  preti  e  chierici  addetti  al  di- 
vino servigio.  iNella  cattedrale  si  ve- 
nera il  corpo  di  s.  Giusfino  vesco- 
vo e  patrono  della  città  ;  vi  è  la 
cura  d'anime,  col  fonte  battesimale, 
non  essendovene  altri,  benché  vi  sie- 
no  altre  tre  parrocchie.  L'episcopio 
è  un  edifizio  antico;  il  cimiterio  sta 
fuori  della  città,  nella  quale  vi  sono 
cinque  monisteri  e  conventi  di  re- 
ligiosi, due  monisteri  di  monache, 
quattro  conservatori!,  un  ospedale, 
un  monte  di  pietà ,  ed  il  semina- 
rio. La  mensa  per  ogni  nuovo  ar- 
civescovo è  tassata  nei  libri  della 
camera  apostolica  a  fiorini  cinque- 
cento. Oltre  tali  stabilimenti,  la  pub- 
blica istruzione  vanta  il  i-eale  colle- 
gio ,  ed  una  società  accademica  di 
agricoltura,  arti,  e  commercio. 
CHIGI  Famiglia.    La  nobilissima 


CHI 

famiglia  Chigi  romana,  oriunda  di 
Siena,  fino  da  otto  secoli  addietro 
godeva  il  titolo  di  conti  dell'  Arden- 
gesca,  titolo  di  cui  ci  sono  memorie, 
che  nel  1072  era  da  essa  posseduto, 
come  può  vedersi  nel  Gigli,  Diario  sa- 
nese,  t.  I,  pag.  107  e  scg.  Possedeva 
inoltre  questa  famiglia  il  castello 
di  Macereto  nel  territorio  di  Siena, 
del  quale  ora  non  rimangono  che 
rovine,  ed  alcuni  bagni  salulnù,  ai 
quali  negli  anni  14^9  e  \\^o  si 
recò  Pio  IF,  Piccoloniiiii ,  sanese.  Del 
castello  di  Macereto  furono  signori 
Ranuzio  nel  1200,  ed  Anselmo  nel 
1248,  il  quale  porlo  l'insegna  di 
sei  monti  d'oro,  colla  stella  nel  cam- 
po rosso.  Egli  fu  uno  de'  cinquan- 
ta nobili  sanesi ,  eletti  dalla  città 
per  assistere  l'imperatore  Federico 
II,  nella  guerra  di  Parma,  nella  quale 
si  distinse  per  egregie  doti.  Figlio  di 
Anselmo  fu  Chigi,  da  cui  presero 
il  cognome  gì'  illustri  suoi  discen- 
denti. Ereditò  esso  dal  genitore  non 
solo  il  di  lui  dominio,  e  i  diritti,  ma 
anche  le  virtù,  per  le  quali  avea  fiorito 
alla  patria.  Merita  ancora  menzione 
un  Mariano  Chigi,  ambasciatore  della 
repubblica  di  Siena  a  Carlo  ^  III  l'e 
di  Francia  ,  che  poscia  colla  stessa 
eminente  qualifica  fu  inviato  al  Pon- 
tefice Alessandro  VI.  Colla  protezio- 
ne del  re  di  Francia,  potè  rista- 
bilire r  indipendenza,  e  dignità  della 
sua  repubblica ,  e  da  lui  uscirono 
Agostino,  Sigismondo,  e  Lorenzo  suoi 

figli; 

Nel  medesimo  pontificato  di  A- 
lessandro  VI,  il  magnifico  e  celebre 
Agostino  Chigi  figlio  di  Mariano, 
e  fratello  di  Lorenzo,  e  Sigismon- 
do, divenne  uno  de'  più  ricchi  gen- 
tiluomini, che  si  trovassero  nella 
corte  di  Roma  ;  dappoiché  avendo 
egh  introdotto  in  Italia  l'arte  di 
cavare  e  formare  l'allume,   che  pel 


CHI  77 

primo  nel  monte  di  Tolfa  avea  dis- 
coperto Giovanni  di  Castro  ,  nel 
1 462,  ne  avea  ricusato  in  profitto 
la  rilevante  somma  di  quattrocento 
mila  scudi,  ed  assicurato  alla  Ca- 
meia  apostolica  l'annua  rendita  di 
trentaquattro  mila  scudi.  Allor(|uau- 
do  poi  Cesare  Borgia  duca  del  ^'a- 
lentinois,  e  figfio  di  Alessandro  YI, 
si  preparava  nel  i5oo  ad  intrapren- 
dere la  spedizione  di  Romagna,  A- 
gostino  gì' imprestò  non  solo  pa- 
recchie migliaia  di  scudi,  ma  diede 
pure  tutta  la  sua  considerabile  ar- 
genteria, che  avea  fatta  fondere  e 
ridm're  in  moneta.  Nel  i5o3,  di- 
venuto Papa  Giulio  II,  della  Roi>e- 
re,  per  la  stima^  e  per  la  benevo- 
lenza con  cui  riguardava  Agostino 
Chigi,  gli  aQidò  la  sopraintendenza 
delle  finanze  pontificie,  della  qua- 
le restò  molto  contento ,  al  paro 
che  del  nobilissimo  e  principesco 
alloggio  datogli  da  Sigismondo  fra- 
tello di  lui  nella  sua  villa  detta  le 
Polle,  circa  tre  miglia  presso  Sie- 
na; anzi  per  una  specie  di  onore- 
vole adozione,  volle  Giulio  II,  che 
Agostino  e  i  suoi  discendenti  fosse- 
ro stimati,  e  riguardati  come  ap- 
partenenti alla  propria  famiglia  del- 
la Rovere.  Ed  è  perciò,  che  sino 
d' allora  i  Chigi  al  loro  stemma 
inquartarono  la  quercia  con  ghian- 
de d'  oro  dei  Rovereschi  (  V.  Ro- 
vere FAMic.i  lA  ).  Il  p.  Bonnani,  -T«- 
mismata  l'onti/icum  Rom.  p.  699, 
cosi  spiega  la  inquartatura  della 
quercia  della  casa  della  Rovere,  che 
nello  stemma  Chigi  si  vede  :  "  De 
»  gentilitio  Chisiorum  stemmate  in- 
»  nuere  sufficiat,  illud  in  qnatnor 
M  aureolas  divisum  esse,  quarum 
5j  duae  sex.  montes  aureos  coutinent, 
j>  quibus  sidus  etiam  aureum  im- 
;)  minet  in  campo  rubro  ;  aliae  vero 
!}  in  campo  cianeoquercumhabent  ". 


78  CHI 

Il  medesimo  Agostino  Chigi  sulla 
riva  del  Tevere,  presso  poila  Set- 
timiana,  con  animo  grande ,  e  col 
disegno  di  Baldassare  Periizzi  eres- 
se un  bollissimo  palazzo,  ed  un  luogo 
di  delizia,  con  una  gran  loggia  sul 
detto  fiume,  adoperandovi  il  pennel- 
lo del  divino  RallacUo,  e  dei  valen- 
ti di  lui  scolari.  Divenuto  Pontefice 
nel  i5i3,  Leone  X,  de  Medici,  nel 
possesso  solenne,  che  prese  della  ba- 
silica lateranense,  nelle  vicinanze  di 
ponte  s.  Angelo,  ove  Agostino  avea 
l'abitazione,  gli  venne  da  lui  eret- 
to un  arco  trionfale,  descritto  dal 
Cancellieri  ne' Possessi  de'  Papi.  In 
quel  palazzo,  e  nel  delizioso  giardi- 
no, Agostino  diede  tre  sontuosi 
conviti  allo  stesso  Leone  X,  e  al 
sagro  Collegio  de'  Cardinali,  in  uno 
de' quali  (a'  3o  aprile  i5i8)  v'era- 
no tre  pesci  pagati  duecento  cin- 
tjuanta  scudi,  e  nell'  altro  d'incre- 
dibile magnificenza,  nel  giorno  del 
suo  sposalizio,  ricevette  da  Leone 
X  l'anello,  quasi  in  memoria  del 
generoso  sovvenimento  da  Leone 
ricevuto  dal  Chigi  nel  tempo  dei 
suoi  esilii  dalla  città  di  Firenze, 
prima  che  salisse  al  pontificato.  Ca- 
millo Fanucci,  nel  Trattalo  di  tutte 
le  opere  pie  di  Roma  ove  parla 
della  sontuosa  cappella  da  Agostino 
Chigi  fabbricata  nella  Chiesa  di  s. 
Maria  del  Popolo  [Tedi),  alla  pag. 
i6t  racconta,  che  messer  Agostino 
Chigi,  gentiluomo  sanese,  fu  il  mag- 
gior banchiere  e  mercante,  che  vi 
fosse  allora,  giacché  né  egli,  ne  i  suoi 
ministri  sapevano  il  valore  dei  be- 
ni che  possedeva,  né  de' crediti,  ed 
imprese,  le  quali  ascendevano  a  più 
d'un  milione  d'oro;  ed  aveva  credito 
in  ogni  parte  del  mondo  sino  tra 
gl'infedeli,  i  quali  lo  chiamavano, 
il  gran  mercante  cristiano.  Di  lui 
si  contavano  cose  maravisrliose,    fra 


CHI 

le  quali  che  Leone  X  lo  sposò,  gli 
battezzò  un  figlio,  e  quando  Agosti- 
no lece  testamento,  il  Papa  v'  in- 
terpose il  decreto  dell'autorità  sua, 
facendo  da  testimoni  dodici  Cardi- 
nali, Imbandì  Agostino  a  Leone  X, 
ai  Cardinali  ed  agli  ambasciatori 
de'  principi,  un  banchetto  su  d'una 
loggia,  che  avea  edificata  sul  Teve- 
re presso  il  palazzo  sum mentovato, 
splendidamente  ornata.  Lautissiino 
fu  il  convito  per  la  copia  e  rarità 
de'  cibi,  per  la  ricchezza  e  preziosi- 
tà del  vasellame  d'argento,  e  d'oro, 
ed  allorché  fu  termmato  il  convito, 
venne  la  loggia  demolita.  Il  mede- 
simo Agostino  edificò  una  bella 
cappella  nella  chiesa  di  s.  Maria 
della  Pace  (P^edi),  e  maritò  una 
figlia  a  Ridolfo  Strozzi.  Di  lui,  e 
dell'  intera  famiglia  ci  dà  preziose 
notizie  il  Cancellieri  nelle  Disserta- 
zioni epistolari  bibliografiche,  a  pag. 
363. 

Del  lusso  di  Agostino  Chigi  da 
tenere  nelle  scuderie  cento  cavalli  , 
ì^.  Paolo  Colmesio  negli  Opuscoli 
al  e.  27,  p.  60,  dell'edizione  del 
1G69  ;  Adriano  Giunio  nell'  ^ni- 
madversa  lib.  IV,  cap.  8,  nel  to- 
mo IV  del  LampaSj  sive  Fax  ar- 
tiuni  liberalium  del  Grutero  p.  ^ii. 
Egid.  Gallo  stampò  nel  i5i2  un 
poema  assai  raro,  diviso  in  cinque 
libri,  in  lode  del  delizioso  palazzo 
di  Agostino,  intitolato.  De  Virida- 
rìo  Augustini  Chisii  patritii  sanen- 
sis,  ed  in  quell'  anno  istesso  Blosio 
Palladio  pubblicò  il  suo  Suburba- 
nuni  Augustini  Chisii.  Allora  la  via 
della  LuiigiU'a,  ove  trovasi  detto  luo- 
go, chiamato  in  appresso  Farnesi- 
na, pel  motivo  che  diremo,  era  fuo- 
ri delle  mura  di  Pioma.  F.  Raph. 
Sanctii,  Monumenta  ac  Tabulae  ac- 
ri incisa  a  Petro  Sancte  Bartoli. 
La  casa  poi,  che  il  sunuoraiuato  ar- 


CHI 
cliitetto  Peruzzi  si  edificò  nella  via 
de'  Ginpponarij  per  andare  alla  Can- 
celleria, è  un  model  lo  della  Farne- 
sina da   lui  pure  eretta. 

Contemporaneo  di  Agostino  Chi- 
gi, fu  il  beato  Giovanni  Chigi,  che 
visse  santamente  ne' deserti  di  Lec- 
ceto  sotto  il  pontificalo  di  Giulio  II, 
e  che  fu  lo  splendore  degli  eremiti 
di  s.  Agostino,  e  gloria  ben  distin- 
ta di  questa  cospicua  famiglia,  co- 
me si  legge  nella  di  lui  vita  pub- 
blicata in  latino  da  Raimondo  Ca- 
pizucchi  in  Roma  nel  i65j,  e  da 
Niceforo  Sebasto  jMelisseno  nel  i6j6, 
e  nel    167 5  riprodotta. 

Ma,  secondo  che  accade  più  vol- 
te nelle  famiglie  ricche  ed  opulenti, 
la  ricchezza  generò  la  trascuratezza, 
e,  morta  la  madre,  la  roba  poco  a 
poco  scemò,  e  i  successori  del  ma- 
gnifico Agostino  Chigi,  a' quali  egli 
aveva  lasciata  l'entrata  di  settanta 
mila  scudi  d'oro,  rimasero  nel  gra- 
do de'  mediocri  gentiluomini,  finché 
la  sua  discendenza  si  estinse.  JXè  de- 
ve tacersi,  che  nel  Pontificato  di 
Paolo  III,  Farnese,  creato  nel  i534j 
la  famiglia  Chigi  da  E.oma  fu  co- 
sti'etta  a  i-itornare  in  Siena,  lasciando 
in  Roma  il  palazzo  e  il  bel  giardi- 
no sul  Tevere  nella  via  della  Lun- 
gara,  che  la  casa  Farnese  per  sua 
ricreazione  uni  a  quello  incontro 
nell'altra  riva,  e  che  riuscì  sontuo- 
sissimo ,  per  cui  dai  nuovi  pro- 
prietari prese  il  nome  di  Farne- 
sina. 

Anche  il  patrimonio  di  Sigismon- 
do fratello  di  Agostino  il  Magnifico, 
si  andò  diminuendo,  benché  dividen- 
dosi la  sua  discendenza  in  due  rami, 
alquanto  più  pingue  si  mantenne  in 
quello  della  famiglia  di  Agostino 
cavaliere  di  san  Stefano ,  che  in 
quello  di  Flavio  cugino  del  cava- 
liere,   il    quale   fu  padre    di    Ales- 


CHI  79 

Sandro  VII  ;  giacché  mentre  le  fa- 
coltà di  questi  poco  eccedevano 
l'annua  rendita  di  mille  scudi,  quelle 
del  lamo  del  cav.  Agostino  superava- 
no l'entrata  di  cinquemila  scudi.  Il 
detto  Agostino,  cavaliere  di  s.  Ste- 
fano, fu  maestro  di  camera  e  pri- 
mo consigliere  di  Caterina  duches- 
sa di  Mantova,  e  di  Mattia  e  Leo- 
poldo de  Medici,  i  quali  con  bene- 
volenza senza  esempio  gli  confidaro- 
no le  chiavi  delle  porte  della  di  lui 
patria  Siena.  Faremo  pure  qui  men- 
zione d'un  Scipione  Chigi,  che  am- 
basciatore e  generale  della  repub- 
blica Sanese,  la  liberò  nel  i552 
dall'assedio  postovi  dall'esercito  im- 
periale di  Carlo  V. 

Passando  ora  a  parlar  compen- 
diosamente della  preclarissima  di- 
scendenza di  Alessandro  VII,  prin- 
cipal  ornamento  della  famiglia  Chi- 
gi, diremo  che  il  nominato  di  lui  pa- 
dre Flavio,  il  quale  per  parte  di  sua 
madre  Agnese  Bulgarini  era  nipote 
cugino  di  Paolo  V,  Borghese,  si 
sposò  con  Laura  Marsigli,  figlia  di 
Antonio  signore  di  CoUecchio,  e 
vedova  di  Antonio  ÌNIignanelli ,  di 
nobihssima  famiglia.  Da  questo  ma- 
trimonio nacquero:  i."  Sigismondo, 
che  morì  nul)ile;  1°  Mario,  che 
nel  proprio  figliuolo  rinnovò  il  no- 
me paterno  di  Flavio;  3.°  Fabio, 
poi  Pontefice  A  lessandro  \  II  ;  4-  A"' 
gusto,  il  quale  morendo,  dalle  due 
mogli  avute  lasciò  due  fìgliuoh,  cioè 
Agostino  della  prima,  e  Sigismondo 
della  seconda.  La  prima  moglie  di 
Augusto  figlio  di  Mario,  fu  Olim- 
pia della  Ciaja,  che  pronipote  del 
mentovato  Agostino  cavaliere  di  s. 
Stefano,  e  da  lui  adottata  nella 
linea  Chigi,  si  diede  da  lui  in 
isposa  al  nipote  Augusto,  istituendo 
suoi  eredi  i  figliuoli  di  essa ,  nel 
puigue    retaggio  ,   eh'  egli    lasciava , 


8o  CHI 

ascendente  a  circa  cento  cinquanta 
mila  sciuli.  L'altra  moi^lio  di  Aii- 
guslo  fu  Francesca  Piccolomiiii  (che 
avea  dato  alla  Chiesa  Pio  li  e  Pio  IH) 
colla  quale  si  fece  nella  famii^lia  Chi- 
^\  il  deciinosetlirno  parentado.  A 
Sigismondo  figlio  secondogenito  di 
Augusto  toccò  la  sola  metà  delle 
antiche  proprietà  paterne,  né  la  sua 
porzione  più  oltre  giugneva  di  tre- 
cento scudi  di  annua  rendita. 

Da  Flavio,  e  da  Laura  nacquero 
pure  cinque  figlie,  che  si  fecero  re- 
ligiose in  due  monisteri  di  Siena , 
tre  delle  quali  vivevano  con  segna- 
lata umiltà  nel  tempo  che  avevano 
il  fratello  sul  trono  pontificale.  In 
questo  modo  Alessandro  VII  ebbe 
tre  fratelli,  e  cinque  sorelle. 

Fabio  Chigi  nacque  in  Siena  ai 
i3  febbraio  iSgg.  Nella  sua  fan- 
ciullezza corse  pericolo  di  morire, 
a  segno  ch'erasi  comperata  la  cera 
pel  funerale.  Dopo  che  sua  madre 
Laura  gli  aveva  insegnato  a  legge- 
re ed  a  scrivere ,  e  i  primi  ele- 
menti della  grammatica ,  Fabio  in- 
traprese gli  studii,  e  fece  tale  pro- 
gresso, che  nella  villa  Ancajani  (  poi 
de'  Chigi  )  presso  Siena  nella  sua 
gioventìi  compose  la  tragedia,  il  Pom- 
peo. Quindi  nel  1626,  coli' aiuto  e 
col  consiglio  di  Agostino  cavaliere 
di  s.  Stelano  suo  zio,  restatogli  in 
luogo  di  padre  che  era  morto  nel- 
l'anno duodecimo  di  Fabio,  si  recò 
a  Roma  ove  fu  subito  fatto  da  Ur- 
bano Vili  prelato,  e  dopo  luminosa 
carriera  da  Innocenzo  X  fu  pro- 
mosso alla  rispettabile  carica  di  se- 
gretario di  stato,  e  nel  iGSi  fu 
ereato  Cardinale ,  e  per  morte  di 
Innocenzo  X,  a'7  aprile  del  iG55, 
venne  eletto  Papa  col  nome  di  A- 
Icssandro  FU  (  Vadi  ).  Tanto  era 
limgi  dall'ambire  sì  sublime  digni- 
tà, che  quando  i  Cardinali  ÌMedici, 


CHI 

D'Esle,  e  i  due  Barberini  recaronsi 
nella  di  lui  ccjJIa  in  conclave,  a  no- 
tilìcargli  ch'orasi  stabilito  crearlo 
J'apa,  egli,  senza  usare  molti  rin- 
graziamenti, rispose,  che  avea  molti 
difetti  noti,  e  molti  non  noti,  e  che 
aveva  dentro  il  terzo  grado  forse 
novanta  parenti.  Così  la  casa  Chigi 
fii  onorata  dal  suo  virtuoso  discen- 
dente. Quanto  questa  famiglia  ab- 
bia fiorito  in  nobiltà,  basta  riflette- 
re alla  parentela  della  medesima, 
contratta  colle  famiglie  Salviali  di 
Firenze,  Petrucci  di  Siena ,  Gatta 
di  Viterbo ,  Ortensia  di  Gubbio , 
Alidosio  d'  Imola,  Colonna,  Sciarra, 
Capizucchi,  ed  altre  distinte,  preci- 
puamente di  Pioma,  come  si  vedrà 
in  progresso.  Ahissandro  VII  richia- 
mò la  sua  famiglia  a  Pioma,  nel 
modo  che  andiamo  a  dire,  e  dove 
eravi  già  stata  con  isplendore ,  sic- 
come dicemmo  piìi  sopra. 

Alessandro  VII  primieramente  fe- 
ce cameriere  segreto  coli'  uffizio  di 
scalco,  il  cav.  Angelo  della  Ciaja, 
zio  dal  canto  materno  di  Agostino  ni- 
pote dello  stesso  Papa,  come  quello 
che  nel  suo  Cardinalato  lo  avea  ser- 
vito col  grado  onorifico  di  coppiere. 
Intanto  era  passato  mi  anno  senza 
che  Alessandro  VII  avesse  prestato 
orecchio  alle  istanze,  che  gli  facevano 
molti  personaggi ,  perchè  chiamasse 
da  Siena  a  Roma  i  suoi  congiunti,  coi 
quali  dividesse  la  cure  della  sovra- 
nità temporale,  principalmente  eoa 
iNlario  Chigi  suo  fratello,  pratico, 
eil  esperto  negli  affari  di  pubblica 
amministrazione  per  averli  lunga 
pezza  di  tempo  esercitati,  con  som- 
ma lode  del  gran  duca  di  Tosca- 
na. Crescendo  sempre  piìi  tali  istan- 
ze, e  mentre  ancora  ninna  lettera 
erasi  scritta  né  dal  Paps,  uè  dai 
parenti,  Alessandro  VII  nel  conci- 
storo de'  24  api'de,  il  primo    dopo 


CHI 

r  anniversario  di  sua  incoronazione, 
propose  al  sagro  Collegio  di  chia- 
mare in  Roma  i  suoi  parenti;  in- 
culcò il  segreto ,  e  domandò  che 
ogni  Cardinale  esternasse  liberamen- 
te il  proprio  parere  in  iscritto,  per 
poterlo  esaminare  al  ritorno  dalla 
villeggiatura  che  andava  a  faie  in 
Castel  Gandolfo,  alla  quale  invitolli. 
IVon  tardarono  i  Cardinali  di  recarsi 
indetto  luogo  a  presentare  al  Papa  i 
loro  pareri,  convenendo  tutti  atfer- 
mativamente,  meno  qualche  modifi- 
cazione, che  piacque  ad  alcuni  consi- 
gliare. Fu  allora  che  Alessandro  VII 
scrisse  un  breve  al  fratello  Mario,  e 
ai  due  nipoti,  cioè  Agostino  figlio  del 
dclbnto  fratello  Augusto,  e  Flavio 
figlio  di  Mario ,  invitandoli  a  re- 
carsi in  Roma  con  analoghi  avver- 
timenti per  una  saggia  ed  esemplar 
condotta.  Mandò  il  breve  per  Gia- 
como Nini  sanese ,  suo  cameriere 
segreto,  che  poi  creò  Cardinale;  ed 
a'  IO  maggio  partirono  da  Siena 
Mario,  Agostino ,  e  Flavio ,  recan- 
dosi a'  i6  maggio  in  Castel  Gan- 
dolfo dal  Pontefice,  accompagnati  dal 
marchese  Patrizj.  Pel  primo  entrò 
Mario,  poi  Agostino  e  Flavio,  e  fu- 
rono accolti  da  Alessandro  VII  con 
ritegno  e  gravità. 

R.estituitosi  il  Pontefice  in  Roma, 
mandò  i  nipoti  a  fare  i  santi  eser- 
cizi, al  noviziato  della  compagnia 
di  Gesù,  ove  Flavio  avendo  voca- 
zione per  farsi  ecclesiastico ,  si  ap- 
parecchiò per  ricevere  gli  ordini  sa- 
gri, ed  a'  3  giugno,  terza  festa  di 
Pentecoste,  ricevette  1  ultimo  ordine 
dal  vecchio  Giambattista  Scannaro- 
lo,  vescovo  di  Sidonia,  il  quale  da 
undici  anni  erasi  ritirato  in  quella 
casa.  Avea  quel  vescovo  conferito 
l'idtimo  ordine  ad  Alessandro  VII 
medesimo,  ventidue  anni  prima  in 
quella  stessa  casa.  Siccome  il  Papa 
VOL.    \u\. 


CHI  St 

avea  espressamente  proibito  ai  no- 
minati congiunti,  di  ricevere  i  tanti 
e  preziosi  clonativi  eh'  ei-ano  loro 
stati  offerti ,  volendoli  però  giusta- 
mente aiutare  in  altra  guisa  con 
decoro,  ad  esempio  de'  suoi  prede- 
cessori, creò  Mario  suo  fratello,  ge- 
nerale di  s.  Chiesa,  e  castellano  di 
Castel  s.  Angelo,  e  il  nipote  Ago- 
stino generale  delle  guardie  di  pa- 
lazzo. Alessandro  VII  per  alcun 
tempo  ritenne  pi'esso  di  sé  i  con- 
giunti, non  solo  per  economia,  ma 
per  conoscerne  la  condotta,  anzi  per 
moderazione  non  permise  a  Flavio 
di  abitar  le  stanze  solite  darsi  ai 
Cardinali  nipoti,  afììnchè  non  si  cre- 
desse tale,  avanti  eh'  egli  lo  diclùa- 
rasse. 

Quindi  in  coerenza  degli  ester- 
nati sentimenti,  a'  2  maggio  i656, 
avea  già  Alessandro  VII  emanata 
la  costituzione,  Inter  gravissinias, 
colla  quale  confermò  con  nuove  pe- 
ne quelle  di  Bonifacio  VIII,  e  di 
Gr-egorio  XIII,  nelle  quali  si  vieta 
il  promettere,  o  ricevere  cosa  alcu- 
na per  giustizia,  o  favore  accordata 
dalla  santa  Sede. 

Dopo  avere  Alessandro  VII  scam- 
pato i  tremendi  effetti  della  pe- 
ste, che  invase  lo  stato  pontificio  e 
R.oma  (  nella  quale  occasione  d.  Ma- 
rio diede  prove  luminose  di  capa- 
cità e  di  energia),  considerando  che 
d.  Flavio  tanto  pel  merito  che  pei 
compiti  studii  era  in  grado  da  soste- 
nere il  Cardinalato,  a  tal  dignità 
lo  elevò  a'  9  aprile  dcH'aiiiio  1657, 
conferendogli  il  titolo  presbiterale 
di  s.  Maria  del  Popolo,  chiesa  di 
cui  Alessandro  VII  fu  grandemente 
benenjerito ,  che  fu  già  suo  titolo 
Cardinalizio,  e  dove,  come  si  disse, 
la  famiglia  Chigi  ha  la  magnifica 
cappella  gentilizia  con  diversi  sepol- 
crali depositi. 

6 


s-i  CHI 

Scnya  dilungarci  sul  Cardinal  Fla- 
vio Ciiif^i,  le  cariclit:  a  lui  conreiile, 
la  iTjmtayione  che  si  procacciò  colle 
esemplari  sin-  doli,  si  potranno  leg- 
gere nella  di  lui  hiogralia,  che  fa 
seguito  a  (juesto  articolo.  Nella  me- 
desima ])romo7.ione  Alessandro  VII 
creò  Cardinale  Antonio  Biclii,  sa- 
iiese,  fratello  uterino  di  Laura  sua 
madre,  già  uditore  del  Papa,  men- 
tre era  nunzio  di  Colonia.  All'ar- 
ticolo Avignone,  nonché  all'articolo 
Alessandro  VII,  si  tratta  delle  spia- 
cevoli emergenze  accadute  in  Ro- 
ma coli'  ambasciatore  di  Francia 
Crecqui,  per  alcuni  suoi  famigliari, 
e  pe'  soldati  corsi  al  servigio  della 
santa  Sede,  a  cagione  d'  un  velaio, 
eh'  erasi  rifugiato  nel  palazzo  del- 
l' ambasciatore.  In  quegli  articoli  si 
conoscerà  la  prudenza,  e  mansuetu- 
dine di  Alessandro  ^  li  ,  ignaro  ed 
estraneo  a  tali  avvenimenti  ;  la  in- 
nocenza del  Cardinal  Chigi ,  e  del 
suo  genitore  d.  IMario  ;  e  le  esi- 
genze di  Luigi  XIV  che,  abusando 
della  forza,  occupò  Avignone ,  e  il 
contado  Venosino ,  ed  esigette  che 
il  Cardinale  in  qualità  di  legato  si 
recasse  a  Parigi,  per  dichiarare  che 
né  il  Papa,  né  i  suoi  parenti  eb- 
bero veruna  parte  nell'accaduto; 
che  d.  IMario  si  ritirasse  per  un 
tempo  da  Roma  ;  che  il  Cardinal 
Imperiali,  il  quale  era  governatore 
quando  succedettero  le  accennate  dif- 
ferenze, si  recasse  in  Francia  a  giu- 
stificarsi ;  che  d.  Agostino  nel  i  itor- 
no  in  Roma  dell'ambasciatore  gli  di- 
chiai-asse  il  dispiacere  dello  zio  Pa- 
pa pegli  affronti  ricevuti;  e  che  la 
nazione  de'  corsi  fosse  inabile  a  pren- 
dere servigio  militare  nello  stato 
ecclesiastico,  coli' obbligo  di  erigere 
una  piramide,  la  cui  iscrizione  ri- 
cordasse il  motivo  della  loro  puni- 
zione.  Tutti  i  saggi  disapprovaiono, 


CHI 

e  sempre  rimprovereranno  la  con- 
dotta di  Luigi  XIV  col  Vicario  di 
Cristo,  fra'  quali  l'annalista  Mura- 
tori. /^.  il  Giielra,  lìfMl.  Pont.  Const. 
nel  tomo  I,  pag.  062  ;  e  Du  Fres- 
noy,  Piiiìcipii  della  Storia,  ec,  t. 
VII,  par.  II,  art.  75,  pag,    i4i- 

Arrivato  d.  Agostino  all'età  di 
ventitre  anni,  molti  per  esso  olFri- 
rono  al  Pontclice  di  lui  zio  una 
sposa.  Gliela  olfri  il  duca  di  Mo- 
dena in  una  sua  figlia  ;  altrettanto 
fece  il  duca  di  Parma  ;  il  Cardi- 
nal Mazzarini  potentissimo  uìinistro 
di  Francia,  in  una  delle  di  lui  ni- 
poti, col  qual  maritaggio  oltre  una 
ricca  dote,  ed  importanti  aderenze 
nella  corte  di  Francia,  avrebbe  lo  spo- 
so contratto  parentela  di  primo  gra- 
do di  aOìnità  co'  principi  d'  Este ,  di 
Savuja,  e  di  Borbone.  Ma  la  costante 
moderazione  di  Alessandro  VII,  che 
era  alieno  da  simili  parentele,  non 
volle  acconsentirvi.  Anche  il  conte- 
stabile Colonna  gli  offri  la  mano 
della  figlia ,  con  quelle  condizioni 
che  fossero  piaciute  stabilire  al  Pa- 
pa, il  quale  adombrato  dalla  pre- 
potenza esercitata  in  altri  tempi  dai 
potenti  Colonnesi,  inclinava  invece  a 
d.  IVIaria  Virginia  nipote  di  ]Mar- 
c' Antonio  Borghese  principe  di  Sul- 
mona, che  sembi-avagli  di  condizio- 
ne eguale  a  d.  Agostino  suo  nipote, 
come  famiglia  ch'era  stata  pur  essa 
innalzala  a  maggior  grandezza,  per 
im  recente  Pontefice  loro  congiunto, 
ed  anch'  esso  oriondo  sanese.  I  Bor- 
ghesi vedendo  d.  Agostino  ancora 
nel  grado  di  privato  e  non  multo 
provveduto  di  beni  di  fortuna,  an- 
davano procrastinando  il  compimen- 
to del  trattato,  finché  conclusero  di 
celebrare  il  matiimonio  appena  tosse 
dato  a  d.  Agostino  un  léudo,  e  il 
titolo  di   barone. 

Non  andò  guari  che    il    daca  di 


CHI 

Lntei-a,  fi-atello  del  Cardinal  Glio- 
lamo  Farnese,  trovandosi  in  età  se- 
nile, e  senza  spei'anza  di  dare  suc- 
cessione al  suo  ramo,  ed  aggravato 
coni'  eia  di  debiti,  mise  in  vendita 
il  feudo  di  Farnese,  che  rendeva 
circa  cinquemila  scudi  di  annua 
reudita  ,  non  punto  a  veruu  prin- 
cipe soggetto.  Quel  castello  avea 
pi^so  il  nome  dalia  famiglia  Far- 
nese de'  duchi  di  Parma.  Il  Cardi- 
nal Chigi  ne  trattò  e  couchiuse 
V  acquisto  per  duecento  settantaciu- 
que  mila  scudi,  ed  Alessandro  VII 
gli  diede  il  titolo  di  principato.  La 
dote  di  d.  Maria  Virginia  Borghesi 
fu  ceiitoltanta  mila  scudi,  quanti 
r  avo  della  sposa  ne  avea  ricevuti 
dall'ava,  e  quanti  pure  al  Barberi- 
ni nipote  di  Urbano  Vili  ne  aveva 
portati  d.  Anna  Colonna.  Alessan- 
dro VII  in  questa  lieta  circostanza 
donò  al  nipote  d.  Agostino  quindi- 
cimila scudi  d'oro,  ed  il  matrimo- 
nio si  fece  nel  fine  di  luglio  dal 
Papa  nella  sua  privata  cappella , 
colla  sola  assistenza  del  Cardinal 
Chigi,  piìi  propinquo  dello  sposo,  e 
del  Cardinal  Orsini,  fratello  dell'ava 
della  sposa.  Oltre  a  ciò  d.  Agosti- 
no ebbe  il  principato  di  Campa- 
gnano,  borgo  della  Co  marca ,  e  il 
ducato  della  Riccia  (  Fedi),  ove 
Alessandro  VII  eresse  il  palazzo  e 
la  collegiata.  Quel  principato  fu 
venduto  dal  principe  di  Albano  Giu- 
lio Savelli,  che  si  trovava  molto  in- 
debitato, al  Cardinal  Chigi,  unita- 
mente ai  principi  d.  Mario ,  e  d. 
Agostino,  verso  l'aimo  1662,  come 
riporta  il  Riccy,  Memorie  della  cit- 
ici di  yJlbano,  pag.   243. 

A  Sigismondo  Chigi,  altro  nipo- 
te di  Alessandro  VII,  come  figlio 
del  di  lui  fratello  Augusto ,  e  di 
Francesca  Piccolomini  summentova- 
ta,  il  Papa  conferì  con  due  pensio- 


CHI  83 

ni  l'annua  rendita  di  mille  e  cin- 
quecento scudi,  e  la  coadiutoria  del 
gran  priorato  di  Roma  dell'Ordine 
gerosolimitano,  che  avea  iSicolò  Bar- 
berini pronipote  di  Urbano  VIII. 
Questi  essendosi  fatto  sacerdote  del- 
l'oratorio di  s.  Filippo,  era  suben- 
trato a  goderne  le  rendite  il  Cai*- 
dinal  Antonio  Barberini  iuniore,che 
fu  poi  creato  Cardinale. 

Dei  benefici  ecclesiastici,  fondati 
da  Alessandro  VII  in  Siena  sua 
patria,  concedendone  il  juspatronalo 
alla  propria  famiglia,  se  ne  tratta 
all'articolo  Siena.  Dal  fin  qui  detto 
non  sembra  che  sì  zelante  e  gran 
Pontefice  meritasse  le  accuse  date- 
gli da  alcuni  storici  per  la  propen- 
sione a' parenti,  forse  perchè  da 
Cardinale  e  nei  primi  mesi  del  suo 
pontificato,  ch'ebbe  termine  a' 22 
maggio  1667,  avea  declamato  con- 
tro il  nepotismo.  Non  è  vero  quan- 
to scrisse  il  ^Muratori,  che  al  Cardi- 
nale Sforza  Pallavicino,  biografo  di 
Alessandro  V  li,  cadesse  la  penna 
dalle  mani  quando  vide  il  Papa  e- 
saltare,  ed  ingrandire  il  proprio  san- 
gue, e  che  lasciasse  l'impresa  di  scri- 
verne la  vita  ad  altri  pii^i  cortigiano 
di  lui.  Il  eh.  Novaes  asserisce  di 
aver  visto  nella  biblioteca  del  Gesìi 
di  Roma  in  tre  volumi  in  foglio, 
r  originale  manoscritto  del  Pallavi- 
cino sulla  vita  di  Alessandro  VII, 
colle  postille  in  margine  fatte  col 
lapis  dallo  stesso  Pontefice.  Cristo- 
foro Palmieri,  nobile  sanese  ,  nel 
1679  pubblicò  in  Firenze  la  Fila 
di  Alessandro  VII.  P.  R.  La  vita 
di  Alessandro  VII  del  Cardinal 
Pallavicini  fu  ristampata  in  Prato 
nel  1839,  ma  non  giunge  sino  al- 
la fine  del  pontificato  di  tal  Papa, 
perchè  l'autore  non  potè ,  o  non 
volle  compirla.  L'editore  si  è  servito 
di   un  codice   della  biblioteca  Albani. 


84  CHI 

nd  sontuoso  palazzo  Cliigi  cret- 
to in  piazza  Colonna  (  rinomato 
anco  per  la  galleria  de'  qnathi  )  là 
ove  prima  era  la  chiesa  di  s.  Paolo 
decollato  dei  barnabiti,  ed  incomin- 
ciato da  Alessandro  VII,  nonché 
della  biblioteca  Chigiana,  che  ebbe 
pure  origine  da  si  dotto  Pontefice, 
sono  a  vedersi  gli  articoli  Bidliote- 
CA  Chigiana,  e  Chiesa  di  s.  Carlo 
a'  Cati.\.\ki. 

Lungi  dal  tessere  il  catalogo  de- 
gli altri  personaggi  distinti,  che  fio- 
rirono in  questa  famiglia,  ci  limite- 
remo a  darne  i  pochi  cenni  seguen- 
ti. Sigismondo  Chigi  [Fedi),  sum- 
mentovato  nipote  di  Alessandro  VII 
fu  elevato  alla  porpora  nel  1667 
da  Clemente  IX  per  restituzione 
di  cappello  ;  FIuk'Ìo  Cliigi  (  Fedi) 
de'  principi  di  Farnese,  fu  fatto 
Cardinale  nel  1753  da  Benedet- 
to XIV.  I  Chigi  di  Roma  che 
derivano  dai  sunnominati  Agostino 
Chigi,  e  da  IMaria  Virginia  Bor- 
ghesi, sino  al  pontificato  di  Leo- 
ne XII  goderono  il  piincipato  di 
Farnese,  che  alienarono  alla  Came- 
ra apostolica,  rimanendone  il  titolo 
al  solo  vivente  principe,  ad  onta 
che  poi  la  camera  vendesse  Farne- 
se al  celebi'e  maresciallo  Bourmout. 
I  Chigi  tuttora  sono  duchi  della 
Riccia,  principi  di  Campagnano,  ti- 
tolo che  assume  il  primogenito,  si- 
gnori di  Cesano,  e  di  Castel  Fusa- 
no,  marchesi  di  IMagliano  Pecora- 
reccio,  e  di  Scrofano,  duchi  di  For- 
melle ec.,  e  baroni  della  Olgiata. 
Sono  ascritti  a  diverse  nobiltà,  co- 
me di  Roma,  di  Venezia,  e  di  Ge- 
nova; e  l'imperatore  Leopoldo  I 
li  dichiarò  principi  del  sagro  roma- 
no impero. 

Ad  Augusto  Chigi  figlio  di  Ago- 
stino, ed  a' suoi  discendenti  in  per- 
petuo conferì  Clemente  XI  nel  1712 


CHI 

la  dignità  di  maresciallo  del  Concia- 
\'e  (ledi),  vaaita  allora  per  la  mor- 
te di  Giulio  Savelli,  principe  di  Al- 
bano. Quindi  nel  1740  Benedetto 
XIV  nominò  Agostino  Chigi  per 
coadiutore  di  Augusto,  di  cui  era  fi- 
glio, non  che  di  d.  Eleonora  Rospi- 
gliosi, ritenuto  che  Augusto  godesse 
della  stessa  onorifica  carica  sua  vita 
durante.  Morto  poi  questo  ai  29  di- 
cembre 1769,  d.  Sigismondo  Chi- 
gi di  lui  figlio,  e  di  d.  Giulia  /al- 
bani, e  nato  ai  i5  marzo  1736,  ot- 
tenne da  Clemente  XIV  ai  5  gen- 
naio 1770  la  conferma  dello  stes- 
so cospicuo  grado.  Egli  prese  per 
moglie  d.  Flaminia  Odescalchi  dei 
duchi  di  Bracciano,  morta  la  qua- 
le nel  I  771,  dopo  avergli  dato  due 
figlie  ,  cioè  d.  \  irginia  maritata  al 
nobile  veneto  Giimani,  e  d.  EleO'» 
nora  sposata  al  principe  di  Teano, 
non  che  un  figlio  per  nome  d.  A- 
gostino ,  eh' è  il  vivente  principe, 
prese  per  seconda  moglie  d.  IMa- 
ria Giovanna  napoletana  de'  princi- 
pi Medici  d'  Ottajano,  moria  in  Na- 
poli nel  fine  del  1791.  Alla  suddet- 
ta d.  Flaminia  nella  cappella  gen- 
tilizia de'Chigi  alla  chiesa  di  s.  Ma- 
ria del  Popolo,  fu  eretto  il  moiui- 
mento,  di  cui  parlammo  a  quell'ar- 
ticolo. D.  Agostino  fu  dato  in  succes- 
sore da  Pio  VI  al  di  lui  genitore 
nel  maresciallato,  che  esercitò  in  Ve- 
nezia per  l'elezione  di  Pio  VII  nel 
conclave  del  i8oo,  ed  in  Roma  nei 
tre  conclavi  j>er  le  elezioni  di  Leone 
Xlf,  di  Pio  Vili,  e  del  regnante  Gre- 
gorio XVI.  Il  principe  d.  Agostino  tut- 
tora vivente,  che  allo  splendore  della 
nascita  aggiunge  quello  molto  piìi  sli- 
mabile de' rari  talenti,  e  di  fino  gu- 
sto, e  intelligenza  nella  letteratura  e 
nella  poesia,  dal  detto  regnante  Pon- 
tefice fu  decorato  della  gran  croce 
di  s.  Gregorio  Magno.  Si  congiunse 


CHI 

in  matrimonio  a  d.  Amalia  Carlotta 
Barberini,  che  mori  nel  iSSy,  dalla 
quale  ebbe  i  seguenti  figli  : 

1.  D.  Alessandro,  nato  nel  179^, 
morto  nel  1 8 1 5,  signore  di  gran- 
di speranze  pei  suoi  talenti,  e  per 
la  sua  pietà. 

2.  D.  Sigismondo  Chigi,  principe  di 
Cainpagnano,  fatto  dal  Papa  re- 
gnante ispettore  generale  delle 
poste  ponlitìcie,  che  sposatosi  nel 
i82f)  alla  principessa  d.  Leopol- 
dina Doria  Pamphily,  nacquero 
da  essi  successivamente,  nel  i83i 
d.  Teresa;  nel  i832  d.  IMariu; 
nel  1834  d.  Marianna  che  mori 
nel  1835;  nel  i836  d.  Maria; 
nel  1837  d.  Angela;  nel  1839  d. 
Carlo;  e  nel   i84o  d.  Eleonora. 

3.  D.  Laura,  nata  nel  1800,  marita- 
ta al  marchese  Taccoli  di  Mo- 
dena. 

4.  D.  Maria  Flaminia,  nata  nel  i8or, 
maritata  al  cav.  Covoni  di  Fi- 
renze. 

5.  D.  Giulia,  nata  nel  i8o4,  spo- 
sata prima  al  conte  Lavaggi,  poi 
al  marchese  Filippo  Patrizi. 

6.  D.  Francesco,  nato  nel  i8o5, 
guardia  nobile  di  sua  Santità. 

7.  D.  Costanza,  nata  nel  1807,  ma- 
ritata al  coxite  Lovateili  di  P».a- 
Tenna. 

8.  D.  Augusto,  fatto  dal  regnante 
Pontefice  cameriere  segreto  so- 
prannumerario, e  canonico  di  s. 
Pietro  in  Vaticano,  morto  nel 
1837,  d'anni  ventinove,  encomia- 
to per  pietà  e  belle  doti. 

9.  D.  Flavio,  nato  nel  1810,  guar- 
dia nobile  del  Papa  regnante,  dal 
quale  nel  1841  fu  inviato  col  ber- 
rettino rosso  al  Cardinal  de  Do- 
nald arcivescovo  di  Lione,  colla 
notizia  della  sua  esaltazione  al 
Cardinalato,  e  quindi  fu  decorato 


CHI  85 

della  legione  di  onore  dal  re  dei 
fiali  cesi. 

10.  D.  Giovanni,  nato  nel  i8i3, 
appartenente  agli  uffiziali  dell'ar- 
tiglieria pontificia. 

I  r.  D.  Giustina,  nata  nel  18 16, 
morta  nel    18 18. 

In  Siena  poi  è  rimasto  un  altro 
ramo  de'  Cliisri,  fatto  dal  marchese 
Bonaventura  Chigi,  figlio  di  Agne- 
se, sorella  del  Cardinal  Flavio  Chi- 
gi, il  quale  chiamò  Ansano  Zonda- 
dari,  padre  del  detto  Bonaventura, 
e  marito  di  Agnese,  a  seguitare 
questo  ramo,  a  cui  diede  la  terra 
di  s.  Quirico,  col  bellissimo  palaz- 
zo, che  vi  avea  fabbricato,  col  tito- 
lo di  marchesato,  di  cui  l'ornò  Co- 
simo HI  gran  duca  di  Toscana,  e 
la  deliziosa  villa  di  Cetinale,  che  lo 
stesso  Cardinale  aveva  acci'esciuta 
di  molte  fabbriche,  e  comodità ,  e 
dove  fu  visitato,  nel  1691,  dal  det- 
to sovrano.  Possiede  ancora  la  signo- 
ria di  Luriano,  di  Leonina,  ed 
altre. 

Un  altro  ramo  ci  è  di  Chigi-Zon- 
dadari,  fatto  nel  decimo  secolo  da 
un  secondogenito  desuddelti  marche- 
si Chigi  col  patrimonio  de' due  fra- 
telli Zondadari,  imo  Cardinale,  l'al- 
tro arcivescovo  di  Siena,  i  quali  coi 
loro  beni  divisero  questo  ramo  per 
conservare  il  nome  di  Zondadari,  che 
si  era  estinto  coli' adozione  summen- 
tovata  de'  Chigi,  e  pel  matrimonio 
di  d.  Agnese  Chigi  con  Ansano  Zon- 
dadari. 

Della  famiglia  Chigi  inoltre  vi  era 
in  Pioma  un  altro  ramo  intitolato 
Chigi  Montoro  .  Da  IMariano  Chigi, 
che  celebrammo  di  sopra,  fiorito  nel 
XV  secolo,  sposato  a  Margherita  Bal- 
dij  nacquero  tra  gli  altri:  i -"  il  pu- 
re mentovato  Sigismondo  Chigi,  che 
prese  per  moglie  Sulpizia  Petrucci,  e 


86 


CHI 


fece  il  ramo  de'  Chigi ,  di  cui  era 
Alessandro  VII,  del  quale  Sigismon- 
do fu  bisavolo  :  2."  Francesco  Chi- 
gi, che  si  congiunse  in  matrimonio 
con  Battista  figlia  ereditaria  della 
famiglia  Gatteschi  di  Viterbo,  e  for- 
mò il  ramo  de' Chigi  Montorio  in 
Pioma.  Da  questo  Francesco  nacque 
Bernardino,  che  sposò  Laura  de  Pla- 
nis,  e  da  quel  matrimonio  nacque 
Francesco,  il  quale,  avendo  sposata 
Lucrezia  Poggi,  ebbe  tra  gli  altri 
figli  Lorenzo,  che  prese  per  moglie, 
nel  i63r»,  Dianore,  erede  del  mar- 
chesato di  Montorio.  Da  questi  nac- 
que Lorenzo ,  il  quale  sposato  a 
Laura  figlia  del  principe  Scipione 
Lancellotti,  ebbe  Luigi,  che  ammo- 
gliato a  Drusilla,  figlia  del  princi- 
pe Santacroce,  moita  nel  174^5  fra 
gli  altri  figli  lasciò  Giovanni  ultimo 
marchese  Chigi  Montoro ,  perocché 
sposando  egli,  nel  1726,  la  rispetta- 
bile dama  Maria  Virginia  Patrizi , 
vmica  figlia  di  questa  nobilissima 
famiglia,  originaria  da  Siena,  che 
Urbano  Vili  dichiai'ò  marchesi  di 
Baldacchino,  dovette  lasciare  il  no- 
me di  Chigi  Montorio  per  prende- 
re quello  di  Patrizi ,  al  quale  per 
questo  matrimonio  venne  adottato. 
Non  restò  di  lui  che  una  sola  figlia, 
d.  Porzia  Patrizi,  dama  romana  delle 
pili  mirabili,  pie,  ed  egregie  qualità, 
la  quale  impalmata  al  marchese 
Francesco  Nai-o,  vessillifero  di  santa 
Chiesa,  gli  diede,  come  era  avve- 
nuto col  suddetto  Giovanni,  il  co- 
gnome de""  Patrizi,  per  1'  adozione 
di  esso  fatto  in  questa  famiglia.  11 
fratello  di  Francesco  fu  il  Cardina- 
le Benedetto  Naro,  ed  il  loro  figlio 
chiamato  pure  Giovanni  divenne  se- 
natore di  Roma,  e  da  d.  Cunegon- 
da sua  moglie,  della  real  casa  di 
Sassonia,  ebbe  i  viventi  Cardinal 
Costantino  Patrizi    vicario  di  Roma, 


CHI 
il  marchese  Filippo  Patrizi  ressilli- 
fero  di  s.  Chiesa,  ammogliato  ora  a 
d.  (Viulia  Chigi,  e  il  p.  Francesco 
Saverio  Patrizi  della  compagnia  di 
Gesìi.  Nel  171.5  Clemente  XI  creò 
Cardinale  Giovanni  Patrizi  [^J^edi), 
di  questa  medesima  famiglia. 

Dell'  illustre  prosapia  Chigi  mol- 
ti scrittori  pubblicarono  i  pregi ,  e 
le  geste,  e  diversi  ne  cita  il  Can- 
cellieri ne' suoi  Posxf'.s.ii^  a  p.  258,  e 
259.  Abbiamo  pure  un  opuscolo 
intitolato,  Chisiae  gcntis  Inudihus 
illustrata,  ac  Roinae  proposita,  Ro- 
mae  typ.  Corbelletti  16)8;  e  Giu- 
seppe Buonafede ,  /  Chigi  Augìi- 
sti ,  Istoria,  in  Venezia  per  Fran- 
cesco Valvasense  1660;  nonché  De 
Chasol,  Genealogies.  Histor.  Paris, 
tom.  IV,  dans  le  t.  II  des  Famil- 
les  Papah's. 

CHIGI  Fabio,    Cardinale.    V.  A- 

LESSA3VDRO    VII. 

CHIGI  Flavio,  Cardinale.  Flavio 
Chigi  nacque  in  Siena  ,  ed  era  ni- 
pote del  Pontefice  Alessandro  VII. 
Accompagnò  lo  zio,  quando  col  ca- 
rattere di  legato  si  condusse  in  A- 
lemagna  per  conchiudere  la  pace; 
pure  innanzi  al  termine  della  lega- 
zione lo  zio  medesimo  il  fece  ripa- 
triare.  In  quella  circostanza  si  die- 
de egli  di  proposito  alle  scienze  fi- 
losofiche e  legali.  Salito  al  trono 
Alessandro  VII,  venne,  non  prima 
del  terzo  anno  del  suo  pontificato, 
creato  da  lui  prete  Cardinale  del 
titolo  di  s.  IMaria  del  Popolo,  e  fat- 
to presidente  della  città  di  Fermo, 
governatore  di  Tivoli,  legato  d'Avi- 
gnone, prefetto  della  segnatura  di 
giustizia,  e  delle  congregazioni  dei 
confini  e  del  concilio,  arciprete  del- 
la basilica  lateranense,  mentre  che 
nel  1659  il  fece  bibliotecario  della 
Vaticana,  e  pi'otetlore  de' Minimi, 
de'  monaci   Silveslrini  e  Valloiiibro- 


CHI 
sani,  e,  secondo  altri,    eziandio  dei 
Minori  conventuali,  con  amplissima 
autorità  in  tutto  lo    stato    ecclesia- 
stico. Somma  capacità  e  rettitudine 
mostrò  egli  in  tutti  questi  impieghi, 
né  tradì  mai  la  gravità  del  decoro, 
comunque    sempre    accoppiasse    nei 
suoi   modi  il  fiore  della    galanteria. 
Per    acquetare    le    discordie  insorte 
in  Roma  nell'occasione   della    gara 
tra  le  milizie  urbane    e  la  famiglia 
del  duca   di   Crecquy,  ambasciatore 
di   Francia  ,    fu  il   Cardinale  Flavio 
Chigi   spedito  legato  a   Intere    al  re 
cristiani^imo.  E  si  bella  fu  la  ora- 
zione sua    e    sì  persuasiva,    che    a 
poco  a    poco    calmossi    l'esacerbato 
monarca,  e  s'indusse  facilmente  alla 
pace,  senza  che  la  voluta    soddisfa- 
zione offendesse  punto    il    pontificio 
decoro.  Liberale  co'  poveri,  dispen- 
sava egli  ogni  mese  da  mille  scudi, 
oltre  il  promuovere    che    faceva    le 
arti  e  le  lettere.    Dimise    il    primo 
titolo,  ed  ottenne  da  Innocenzo  XI, 
nel    1686,  il  vescovato  di  Albano, 
dove  neir  anno   seguente  celebrò   il 
sinodo,  che  pur  diede    alla  pubbli- 
ca luce.  Provvide  inoltre  quella  chie- 
sa di  sacre  suppellettili,  e  fecevi  edi- 
ficare una  nuova  sagrestia.   Sotto  il 
medesimo    Innocenzo    XI    passò    al 
vescovato  di  J^orto,   ed    ivi    ampliò 
la  cattedrale  e  la    provvide    di    ec- 
clesiastici arredi.  Fece  dono  alla  san- 
ta   casa   di    Loreto     della     preziosa 
croce   tempestata    di    diamanti    del 
valsente  di   ventimila  scudi,    regala- 
tagli da  Luigi  XIV  nel  tempo  della 
sua  legazione    di    Parigi.    Comparti 
immensi  beneficii  alla  basilica  Late- 
ranense,  di  cui  nel  giubileo  dell'an- 
no    1675    aprì    e    chiuse    la  porta 
santa.   La  sua    morte    avvenne    nel 
i6f)8   nell'età    di    sessantatie    anni. 
Trovossi    presente    ai     conclavi    dei 
due  Clementi  IX  e  X,  d'Iunocen- 


cni  87 

20  XI,  di  Alessandro  Vili,  e  d'In- 
nocenzo XII.  Ebbe  sepoltui'a  nella 
chiesa  di  s.  Maria  del  popolo  nella 
sua  cappella  gentilizia,  vuìa  delle  più 
sontuose  di  Roma, 

CHIGI  Sigismondo,  Cardinale.  Si- 
gismondo Chigi  fu  nipote  di  Ales- 
sandro VII,  ed  ascritto  sin  da  gio- 
vanetto tra  i  cavalieri  di  Malta,  ot- 
tenne dallo  zio  Pontefice  il  prioi-a- 
to  di  Roma  ed  alcuni  altri'  eccle- 
siastici beneficii.  Alessandro  VII , 
nelle  ore  di  ricreazione,  soleva  chia- 
marlo a  sé,  ed  interrogarlo  sui  pro- 
fìtti da  lui  fatti  sì  nella  pietà  che 
nelle  lettere.  Che  se  non  potè  indur- 
si a  crearlo  Cardinale ,  bene  il  fece 
Clemente  IX  nel  1667,  dandogli  la 
diaconia  di  s.  Maria  in  Domnica.  Cle- 
mente X,  alla  cui  esaltazione  avea 
contribuito  il  suo  sulTragio ,  desti- 
noUo  alla  legazione  di  Ferrara,  ed 
in  età  di  ventiquattro  anni  Io  ascris- 
se a  parecchie  congregazioni  di  Ro- 
ma, tra  le  quali  a  quelle  del  con- 
cilio, de'  riti,  ed  altre.  Sommo  ap- 
plauso riscosse  nel  suo  governo  di 
Ferrara,  dopo  di  che  si  restituì  a 
Roma,  dove  prestato  il  suo  volo  per 
I  elezione  d' Innocenzo  XI,  morì  nel- 
la robusta  età  di  ventinove  anni, 
dopo  dieci  di  Cardinalato.  Ebbe  se- 
poltura nella  chiesa  di  s.  Maria  del 
Popolo  nella  tomba  gentilizia,  senza 
alcuna  funebre  memoria. 

CHIGI  Flavio,  Cardinale.  Flavio 
Chigi  nacque  in  Roma,  e  dopo  es- 
sersi applicato  agli  studi,  fu  ammes- 
so tra  i  protonotari  apostolici,  e  fu 
deputato  da  Clemente  XII  a  rice- 
vere ai  confini  dello  stalo  ecclesia- 
stico Amalia,  figlia  di  Augusto  III 
re  di  Polonia ,  che  conducevasi  a 
Napoli  per  unirsi  in  matrimonio  con 
Carlo  di  Borbone  re  delle  due  Sicilie. 
In  quella  circostanza  fu  eletto  presi- 
dente, e  poco  dopo  da  Benedetto  XIV 


88  CHI 

fu  fatto  chierico,  e  poi  nel  17') 3, 
«liacoiio  Cardinale  di  s.  Animilo,  pre- 
lòtto della  congregazione  de'  rili,  e 
protettore  dei  Minori  conventuali,  e 
dei  canonici  regolari  del  Salvatore. 
Decorato  della  porpora  Cardinali- 
zia, mantenne  un  tenore  di  vita  cosi 
umile,  religioso  e  liberale,  che  ama- 
re lagrime  cagionò  generalmente  la 
sua  morte  accaduta  in  Roma  nel 
1771  nell'età  sua  di  cinquantanove 
anni,  e  diciotto  di  Cardinalato.  Fu 
sepolto  nella  chiesa  di  s.  Maria  del 
Popolo  nella  tomba  della  nobile  sua 
famiglia,  senza  l'onore  di  memorie. 

CHILI.  Contrada  lunga  e  stretta 
dell'America  meridionale.  V.  Ame- 
rica. 

CHILIANO  (s.)  vescovo.  Era  da 
prima  monaco  in  Irlanda.  Poscia  si 
recò  a  Roma  unitamente  al  prete  Co- 
lomano,  ed  al  diacono  Totuano  nel 
686,  e  ricevuto  il  grado  episcopa- 
le dal  Pontefice,  fu  incaricato  coi 
compagni  della  predicazione  del  van- 
gelo ai  Germani,  che  abitavano  la 
Franconia.  Vi  convertì  molta  gente 
ed  il  duca  Gosberto  medesimo  ri- 
cevette il  battesimo  ,  e  perchè  rap- 
presentò a  questo,  che  il  matri- 
monio colla  cognata  Geilana  era  con» 
trarlo  alle  leggi  della  Chiesa ,  si 
tirò  l'odio  della  iniqua  donna  per 
modo,  che  nella  assenza  del  duca , 
per  comando  di  lei  fu  assassinato 
insieme  ai  compagni  nell'anno  688. 

CHILI  ASTRI.    Eretici.     F.    Mil- 

LEJfARI. 

GHINEA  o  GHINEA.  Cavallo  am- 
biante,  a.siitrco.  Questo  nome  secondo 
il  Dizionario  della  lingua  italiana 
si  applicò  in  vari  tempi  a  diversi 
cavaUi,  e  si  disse  talvolta  chinea  un 
cavallo  bianco,  o  un  cavallo  lear- 
do; ed  ancora  si  appellò  chinea 
una  mula  bianca,  vecchia,  e  man- 
sueta, massime  quella   che  il    re  di 


CHI 

Napoli   mandava  ogni  anjio    al    Pa- 
pa, in  soddisfazione  del  censo  o  tri- 
buto per  l'investitura  del  regno,  la 
quale  solennemente    presentavasi  da 
un  ambasciatore  nella    basilica    Va- 
ticana, nella   vigilia    della  festa    dei 
ss.  Pietro  e   Paolo.    Di   tal  censo,  e 
funzione,  della  sua  origine  e  termi- 
ne,   intendiamo    trattare     in    questo 
articolo,    coU'autorità    del    Cardinal 
Stefano  Borgia  ,    Breve   istoria    del 
dominio  temporale  della  Sede  Apo- 
stolica nelle  due  Sicilie,  Roma  1788- 
1789;  Difesa  del  dominio  tempora- 
le della  Sede  Apostolica  nelle    due 
Sicilie,  in  n'sposta  alle  scritture  pub- 
blicate  in    contrario,    Roma     1791. 
Questo  autore  illustre,  ed    eruditis- 
simo, ecco  come  a  pag.    201     della 
Breve  istoria,  definisce  la  Chinea  in 
discorso  ;  equuni  album  decenter  or- 
natum.  »   Questo  cavallo  nella  for- 
«   mola  usata  in  oggi  nella  presenta- 
»  zione  del  censo,  chiamasi  Chinea, 
«   e  vuole  per  questa  voce  indicarsi 
»5   un  cavallo  bello,  e  di  andar  soa- 
»   ve,  detto  dai  latini  ccpius  grada- 
»   rius.  I  cavalli  d'  Asturia  asturco- 
»   nes,  dagli  scrittori  italiani    appel- 
M   lansi    gianetli ,    e    chinee.     Anche 
M   r  ubino  è  il  medesimo  che  cìnnea. 
M    Quindi  è  invalso  che  la   funzione 
M   del  censo  dicasi  volgarmente  pre- 
fi   sentazione  della   Cliinea   '. 

Il  tributo,  o  censo,  che  i  sovrani 
di  Napoli  dovevano  pel  regno  delle 
due  Sicilie,  si  presentava  al  sovra- 
no Pontefice,  ed  alla  santa  Sede  per 
la  festività  dei  principi  degli  apo- 
stoli, e  tale  atto  doveva  farsi  non 
già  privatamente,  ma  colle  solenni- 
tà consuete,  che  dimostrassero  al  pub- 
blico r  omaggio  dell'  inclito  vassal- 
lo, come  Clemente  V  chiamò  il  re 
Carlo  II  lo  Zoppo.  Questa  solenni- 
tà da  più  secoli  prescritta  consiste- 
va   precipuamente    nella    splendida 


CHI 

com[xirsa  del  censo  in  pubblica  ca- 
valcata. Tale  antico  ed  espresso  pat- 
to d' investitura  richiedeva,  che  il 
novello  re  di  Napoli  dovesse  pren- 
dala in  persona  del  sommo  Pon- 
tefice, e  che  il  medesimo  re  fosse 
obbligato  rinnovare  personalmente  il 
suo  omaggio,  e  giuramento  ad  ogni 
nuovo  Papa,  in  arbitrio  del  quale 
però  rimaneva,  o  di  chiamare  il  le 
a  compiere  questo  rispettoso  uffizio, 
ovvero  di  mandare  altri  in  sua  ve- 
ce a  riceverne  l'omaggio,  ed  il  giu- 
ramento. Fino  dal  secolo  decimo 
primo  ciò  incominciossi  dai  duchi 
e  principi  investiti  dai  Pontefici 
delle  terre  delle  Sicilie,  come  al- 
to dominio  della  Chiesa  Promana  ; 
ma  poscia  che  furono  innalzate 
/dal  sovi-ano  Pontefice  in  reame,  lo 
stesso  fecero  i  primi  re  ,  finche 
Clemente  IV  ne  prescrisse  stabil- 
mente le  regole  nella  investitura, 
che  diede  nell'anno  1265  a  Carlo 
I  d'Angiò,  fratello  di  s.  Luigi  IX 
le  di  Francia,  riserbando  Beneven- 
to per  la  romana  Chiesa.  In  quc.Nto 
solenne  atto  Clemente  IV  parlò  an- 
che dell'  obbligo  del  re  di  far  pre- 
sentare il  censo  delle  ottomila  on- 
cic  d'oro  in  ogni  anno,  che  il  Pla- 
tina e  il  Nauclero  computarono  per 
quarantamila  scudi  d'oro,  e  del  ca- 
vallo bianco  in  ogni  triennio  alla 
sagra  persona  del  Romano  Pontefi- 
ce ,  uhìcumque  Romanus  Pontìfcx 
fucrit. 

Dalla  vita  di  Paolo  li  abbia- 
mo, ch'egli  nell'anno  i470  rifiutò  la 
chinea ,  ed  il  falcone,  mandatogli 
dal  re  Ferdinando  pel  regno  di  Na- 
poli, e  che  domandò  invece  sessan- 
tamila scudi.  Ma  il  suo  successore 
Sisto  IV  nel  1472  esentò  il  detto 
re  Ferdinando  d'  Aragona  re  di  Na- 
poli ,  durante  la  sua  vita  ,  dal  tri- 
buto   dovuto    alla     Chiesa    romana 


CHI  89 

pel  l'came ,  purché  in  luogo  di 
censo  facesse  prestare  al  Pontefice 
ogtii  anno  nella  vigilia  della  festa  di 
s.  Pietro,  l'omaggio  della  Chinea, 
in  ricognizione  della  sovranità  pon- 
tificiaj  e  difendesse  le  spiagge  dello 
stato  ecclesiastico  dai  corsari,  e  soc- 
corresse il  Papa  nei  bisogni  colle 
milizie  necessarie.  Anzi  abbiamo  dal 
Novaes,  nella  vita  di  Sisto  IV,  che 
nel  147^  incominciò  l'uso  di  pre- 
sentare la  chinea  in  luogo  di  tri- 
buto,  nella  vigilia  della  festa  di  s. 
Pietro,  in  ricognizione  della  sovra- 
nità pontificia  sopra  il  regno  di  Na- 
poli ,  cui  poi  fu  aggiunto  nuo- 
vamente il  censo.  Racconta  il  Bur- 
cardo,  Conclavi,  pag.  i3o,  che  ai 
29  giugno  i5o4,  il  sabbato  dedi- 
cato ai  gloriosi  ss.  Pietro  e  Pao- 
lo ,  dopo  la  messa  papale ,  furo- 
no presentate  a  Giulio  II  due  chi- 
nee  coi  fornimenti  e  gualdrappe 
bellissime:  una  la  presentò  il  ve- 
scovo Rodonense  ambasciatore  del 
re  d.  Francia  in  nome  di  sua  mae- 
stà cristianissima  pel  censo  del  re- 
gno di  Napoli  ;  ed  il  Papa  rispo- 
se :  Acceptamus,  senza  nostro  od  al- 
trui pregiudizio. 

Giulio  II  nella  investitura  data 
a  Ferdinando  il  Cattolico,  la  quale 
ha  servito  di  norma  alle  posteriori, 
confermò  le  condizioni  ordinate  da 
Clemente  IV,  massime  suU'  accesso 
personale  del  re  a  ricevere  l' inve- 
stitura ,  ed  a  rinnovare  l'omaggio 
ad  ogni  nuovo  Papa:  ->  lidem  vero 
5)  haeredes  (  di  Ferdinando  il  Cal- 
si tolico  ),  et  successores,  si  Roraa- 
»  nus  Pontifex  in  Italia  fuerit,  in- 
»  fra  sex  menses,  si  vero  extra  Ita- 
-•}  liam  esset,  infra  annum,  postquam 
.-j  dicti  regni  dominium  adepti  fue- 
»  rint,  teneantur  et  singulis  succes- 
;>  soribus  nostris,  ac  eidem  Roma- 
•j   nae    Ecclesiae     rcnovabuut     tam 


90  CHI 

»  ipsum  liginrn,  et  homagium,  qnam 
«  cHiiiii  liujiisinodi  jiiiami-nliini.  In 
»  oplionc  aiilcm,  ot  bfii('|)lacilo  crit 
»  Romani  Pontilicis,  soii  pracdictae 
»  Ecclcsiac  Ferdinandum  rcgem,  et 
M  hacredes  et  successorcs  siios  prae- 
M  dictos  vocai-c  ad  praestandiun  pcr- 
»  sonalitcr  jiuamcntum  lidclitatis,  et 
»  ligiiun,  et  homagium  liiijusmodi, 
»  diiinmodo  ad  hoc  iMis  lutiim  lo- 
»  ciitn  statuat,  et  assignet,  vel  Car- 
»>  dinalem  i])siusEccle.siae  aut  alium, 
sj  qui  vice  Romani  Pontifìcis  jura- 
»  mcnliim  juxta  eamdem  formam, 
j»  et  homagium  ac  ligiiim  hujusiuO' 
M   di   recipiat,  destinare  ". 

Riguardo  poi  alla  presentazione 
del  censo ,  non  variò  Giulio  II  le 
disposizioni  di  Clemente  IV ,  cioè 
che  il  censo  si  dovesse  dare  »  in 
»  dicto  festo  beatorum  Pelri  et 
«  Pauli,  uhicumque  romanus  Pon- 
«  tifex  fuerit ,  ipsi  romano  Ponti- 
»  fìci,  et  Romanae  Ecclesiae  ".  La 
osservabile  circostanza  di  essere  il 
re  tenuto  di  far  presentare  il 
censo  alla  stessa  persona  del  Som- 
mo l'onteficc,  esigeva  che  la  cosa 
si  adempisse  con  quelle  formalità  , 
che  corrispondessero  alla  dignità  di 
così  grandi  personaggi.  11  censo  im- 
posto da  Giulio  II  al  re  Ferdinando 
fu  di  ottomila  oncie  d'oro  ad  pon- 
diis  ipsiiLs  ivgin ,  in  ogni  anno,  e 
di  un  palafreno  liianco,  bello,  e 
buono  in  ogni  triennio.  Ma  da  que- 
sto censo  lo  slesso  Giulio  II,  ncl- 
fanno  medesimo  i^^io,  con  bolla  dei 
17  agosto,  liberò  Ferdinando,  condo- 
nandogli ancbe  il  pagamento  del- 
l'investitura, in  grazia  della  parti- 
colare sua  divozione  ed  attaccamen- 
to alla  santa  Sede,  e  delle  dispen- 
diose gucire  sostenute  per  cacciar 
via  dalla  Spagna  i  mori  maometta- 
ni,  con  tanto  onore,  e  vantaggio 
del   nome  cristiano.  Volle  però  Giu- 


CHI 

lio  II,  che  il  re  facesse  presentare 
ogni  anno  al  romano  Pontefice  nella 
festa  de'  ss.  Apostoli  Pietro  e  Paolo 
itnian  pahtfrcnum  allmm  et  piil- 
chrnni,  et  bonum,  ci  decenter  orna- 
tnm,  in  ricognizione  del  vero  do- 
minio della  santa  romana  Chiesa , 
delle  terre  investite. 

Leone  X  minorò  poi  nel  i52i 
in  favore  di  Carlo  V,  il  censo,  ri- 
ducendolo  dalle  ottomila  oncie  d'o- 
ro di  camera  in  ogni  anno,  ed  in 
ogni  anno  prescrisse  la  presentazio- 
ne del  bianco  palafreno,  già  costu- 
mato sotto  Ferdinando  U  Cattolico. 
Che  questo  atto  di  omaggio,  anche 
prima  del  i5io,  si  facesse  alla  sa- 
gra persona  del  Papa ,  e  con  di- 
stinta pompa,  ricavasi  eziandio  dai 
Diarj  del  rinomato  Burcardo ,  il 
quale  fa  menzione  de'  regi  amba- 
sciatori, allorché  Ludovico  XII  re 
di  Francia,  e  Ferdinando  il  Catto- 
lico per  le  rispettive  investiture, 
Ogni  anno  pagavano  il  censo. 

Quanto  poi  fosse  solenne  lo  sfog- 
gio della  pubblica  cavalcata  per  la 
presentazione  del  censo  e  palafreno, 
ben  lo  dimostra  ciò  che  avvenne 
sotto  Gregorio  XIV  nel  i^gi  ,  di 
che  dilTusamente  tratta  il  Borgia  con 
analoghi  documenti.  Fra  questi  ve 
ne  sono  sulla  presentazione  della 
chinea  fatta  al  Papa,  benché  questi 
non  si  fosse  recato  a  celebrare  le 
funzioni  per  la  festa  de'  ss.  Apo- 
stoli nella  basilica  vaticana.  Questo 
magnifico  apparato  reputavasi  tanto 
unito  al  censo ,  che  tutte  le  volte 
in  cui  per  necessarie  e  gravissime 
ragioni  fosse  ommesso  o  differito , 
veniva  nei  brevi  apostolici  chiara- 
mente espresso  ,  che  la  ommissione 
non  pregiudicasse  al  consueto,  come 
rilevasi  dal  breve  di  Alessandro  VII 
del  56)7,  e  che  la  dilazione  si 
concedeva  con  questa  speciale  legge 


CHI 

e  condizioi^e ,  che  la  presentazione 
si  dovesse  fare,  nel  termine  proro- 
gato, al  sommo  Pontefice  colla  or- 
dinaria solennità  ;  il  che  dichiarò 
Innocenzo  XI  nel  i683.  Il  nomi- 
nato Alessandro  VII  emanò  tal  bre- 
ve, perchè  Roma  in  quell'anno  es- 
sendo ti'avagliata  da  micidiale  pe- 
stilenza, la  festa  di  s.  Pietro  fu  ce- 
lebrata senza  le  consuete  liete  di- 
mostrazioni di  fuochi  artifiziali,  spari 
di  artiglierie,  ed  illuminazioni,  e  la 
chinea  fu  perciò  presentata  privata- 
mente. 

Accadde  nel  pontificato  del  men- 
zionato Innocenzo  XI  che,  troTandosi 
infermo  nel  1686,  e  non  potendo  nel 
luogo  consueto  ricevere  il  censo,  de- 
terminò che  dall'ambasciatore  di  Car- 
lo li  re  di  Spagna  si  presentasse  nel- 
la sala  del  concistoro,  supplendo  la 
presenza  del  sagro  Collegio  a  quella 
del  Papa.  Ma  avendo  il  conte  Bor- 
romeo ambasciatore  ricusato  di  fa- 
re questo  atto,  se  non  in  cappella, 
ovvero  al  letto  del  Pontefice ,  loc- 
chè  gli  era  stato  negato,  si  appigliò 
al  partito  di  far  presentare  il  cen- 
so privatamente  al  Cardinal  camer- 
lengo di  santa  Chiesa,  ed  ai  mini- 
stri camerali  nella  sala  ,  dove  dagli 
altri  feudatari,  non  obbligati  ad  una 
splendida  forma ,  si  ricevono  i  tri- 
buti. Di  fatti  andarono  i  ministri  del- 
l'ambasciatore per  presentarlo  ;  ma 
dai  camerali  non  si  volle  ricevere 
un  censo  dovuto  alla  stessa  persona 
del  Papa.  L'ambasciatore  ne  portò 
doglianze  al  proprio  sovrano  ;  ma 
questi  con  più  equo  consiglio ,  or- 
dinò che  si  pagasse  il  censo  quando 
e  dove  voleva  sua  Santità.  Ed  è 
perciò,  che  quindi  venne  presentato 
a'  28  agosto  dello  slesso  anno  1686 
ad  Innocenzo  XI  al  Quirinale ,  e 
l'ambasciatore  Borromeo  compì  alla 
solennità  della  funzione,  che  descris- 


CHI  9, 

se  il  Du-Mont ,  nel  Cérénìonial  di- 
ploììialique,  num.  1,  pag.  i  ja,  Am- 
slerilam  1739.  Con  questo  celebre 
fatto  restò  pubblicamente  contestata, 
ancora  per  confessione  del  medesi- 
mo re  Carlo  li,  la  giusta  e  ragio- 
nevole richiesta  de'  pontificii  mini- 
stri, che  un  atto  sì  solenne,  ed  im- 
portante fosse  con  tutta  la  conve- 
nevole e  necessaria  pompa  celebra- 
to dinanzi  la  sagra  persona  del  Pa- 
pa ,  a  cui  piacimento  ed  aibitrio 
dovesse  il  luogo  e  tempo  determi- 
narsi. Fu  inoltre  Carlo  II  sì  reli- 
gioso ed  esatto,  che  dovendo  paga- 
re il  censo  nella  festività  degli  Apo- 
stoli nel  1691,  e  vacando  allora  la 
santa  Sede ,  per  la  seguita  morte 
di  Alessandro  Vili,  si  esibì  pronto 
di  farlo  presentare  al  sagro  Colle- 
gio de'  Cardinali,  anche  con  riser- 
bare  il  palafreno,  o  chinea,  per  of- 
frirlo al  nuovo  Pontefice.  Piacque 
ai  Cardinah  la  buona  volontà  del 
re;  ma  saggiamente  preferirono  di 
rimettere  il  censo  e  chinea  al  futu- 
ro Papa.  IVel  medesimo  anno  fu 
creato  Innocenzo  Xll,  il  quale  nel 
dì  primo  di  novembre  ricevette  nel 
palazzo  Quirinale  l'omaggio  del  i-e 
per  le  mani  del  principe  Barberini, 
che  con  legia  magnificenza  sosten- 
ne il  carattere  di  ambasciatore  straor- 
dinario del  re  cattolico ,  come  sor 
vrano  delle  Sicilie.  IVIa  delle  pre- 
sentazioni della  chinea  fatte  nei  pa- 
lazzi Quirinale  e  Vaticano,  e  nella 
chiesa  di  s.  Maria  del  Popolo  agli 
8  settembre  dopo  la  cappella  par 
pale,  e  di  quelle  fatte  da  un  Car- 
dinale, si  può  vedere  il  volume  IX 
del  Dizionario,  alle  pag.    77,  86  e 

87. 

Neil  anno  1 700,  cessando  di  vi- 
vere Carlo  Uj  in  Europa,  e  mas- 
sime in  Italia,  si  accese  aspra  guer- 
ra per   la  successione    alla    possente 


9^ 


CHI 


ih1  estesa  inonai-chia  di  Spagna,  alla 
(pialo  ])i-ete)i(lcvaiio  Luij^i  ^IV  re 
iti  l'-iaiicia,  e  Loo]jo!(1(j  I  ii)i})cra- 
tore.  Ma  avendo  il  primo  accettala 
la  disposizione  testamenlaria  del  de- 
lonto,  dichiarò  re  delle  Spagne  Fi- 
lippo duca  d'Augiò,  secondogenito 
del  suo  tiglio  Delfino  di  Francia,  il 
f|Liale  prese  il  nome  di  Filippo  V.  Aspi- 
rò questi  anco  alla  sovranità  delle 
due  Sicilie,  e  eolle  armi  se  ne  rese 
padrone.  A  giustificarne  il  possesso, 
si  rivolse  a  Clemente  XI  per  otte- 
nerne r  investitura.  Fu  allora,  che 
nacque  viva  gara  tra  le  corti  ili  Ma- 
drid, e  di  Vienna,  pretendenti  alle 
Sicilie.  Da  ambe  le  parti  si  doman- 
dava l'investitura  con  preghiere,  e 
larghe  promesse  al  Papa.  Entram- 
be le  corti  offrirono  il  censo  prima 
di  averla  riportata,  e  quella  di  Ma- 
drid lo  fece  eziandio  iniprovvisa- 
niente  presentare  al  tribunale  della 
camera  Apostolica  nella  vigilia  della 
lesti  vita  di  s.  Pietro  nel  1701  ;  ma 
non  Tu  ammesso,  anzi  venne  tòr- 
uialmente  rigettato.  Era  fermo  il 
Papa  nella  prudente  massima  di  con- 
servarsi strettamente  neutrale,  qual 
si  conviene  al  padre  comune  de'  fe- 
deli, per  cui  sempre  ricusò  conce- 
dere ai  pretendenti  la  tanto  bra- 
mata investitura,  come  può  vedersi 
nel  lib.  V  dell'  Istoria  delle  guerre 
avi'enute  in  Europa  per  la  succes- 
sione della  nionarchiaspagnuola.ee., 
del  marchese  Ottieri.  Nel  tomo  I  di 
questa  istoria  si  legge  un  singolare 
stratagemma,  con  cui  gli  spagnuoli 
presentarono  di  nascosto  in  tale  oc- 
casione il  suddetto  tributo  nel  pa- 
lazzo vaticano,  e  come  lo  rifiutò 
Clemente  XI,  donde  prese  occasio- 
ne il  tedesco  Vesterno  per  battere 
una  medaglia  con  questa  leggenda, 
allusiva  alla  chinea:  equo  ne  credi- 
te    TEUCRI  j     AUFUGIAT    PRO    HAC    VICE  , 


CHI 

come  scrive  il  Guairiacci,  f^it.  Pon- 
tif.  toin.  II,  pag.  7  e  371.  Due 
giorni  prima  della  detta  presenta- 
zione del  censo,  avea  Clemente  XI, 
con  suo  chirografo  de'  2G  giugno, 
dichiarato  alle  parli  contendenti  non 
pregiudicarsi  la  non  efrettuata  pre- 
sentazic^ne  di  censo,  e  che  rimanes- 
sero salve  ed  illese  egualmente  le 
ragioni  della  santa  Sede.  In  questo 
chirogratò,  cui  Clemente  XI  ripetè 
ne' seguenti  aiìiii ,  si  fìi  particolar 
menzione  della  solenne  pompa  e 
cavalcata,  che  doveva  accompagnare 
la  presentazione  del  censo  e  chinea 
per  le  due  Sicilie. 

E  ben  a  ragione  Innocenzo  XIII, 
neir  investitura ,  che  poi  diede  nel 
172?.  a  Carlo  VI  d'Austria,  par- 
lò delle  consuete  solennità  nella  pre- 
sentazione del  censo,  non  già  c(»me 
di  un  atto  semplice  tàcoltativo,  ma 
come  di  un  atto  famulativo  ad  un 
titolo  positivo  5  e  sul  quale,  dopo 
così  lungo  corso  d'anni,  oltre  la  cen- 
tenaria, s'era  acquistato  ogni  buon 
diritto,  e  quindi  obbligò  l"  investito 
Carlo  VI  a  giurargliene  l'  osservan- 
za, con  queste  parole:  "  Perpeluis 
»  futuris  temporibus  singulis  annis 
»  ipse  Carolus  rex,  ejusque  haere- 
:>  des  et  successores,  alii([ue  vocali 
»  praedictum  censum  nobis,  et  suc- 
»  cessoribus  nostris  cuin  solitis  solc- 
»  mnitatibus  integre  persolvere  o- 
«  innino  debeant  ".  Non  fu  però 
questo  un  nuovo  obbligo  imposto 
al  re;  ma  una  giusta  cautela,  per- 
chè si  osservasse  quel  jus ,  eh'  era 
già  con  tanti  atti  solennemente  pre- 
scritto, e  che  ultroneamente  fu  pro- 
messo pochi  anni  dopo  dal  re  di 
Spagna  Filippo  V,  quando  divenu- 
to sovrano  delle  Sicilie,  co'  termini 
seguenti,  in  idioma  spagnuolo:  •>  Y 
»  de  la  nnsnia ,  sue  r  te  se  afre  te 
:>  proinpto  a   presentar  la   Acanea 


CHI 

»  en  la  forma,  y  solcmnulad  rtco- 
}t  stuinhrada  ".  E  di  falli  la  conse- 
gui iiell'aiino  lySS,  e  nella  lìolla 
speditagli  da  Clemente  XII,  fece 
ripetere  anche  la  clausola  delle  usa- 
te formalità,  e  solennità  nella  pre- 
sentazione del  censo,  colle  stesse 
espressioni  della  bolla  d'Innocenzo 
XIII,  per  Carlo  VI  d'Austria. 

Tali  condizioni  sulle  ordinarie  so- 
lennità della  presentazione  della  Chi- 
nea,  furono  ripetute  da  Clemente 
XIII,  nella  investitura,  che  diede 
delle  Sicilie  nel  1760  al  re  Ferdi- 
nando IV,  e  volle  che  il  censo  si 
pagasse  con  le  condizioni,  modi,  e 
forme  prescritte  dai  Papi  suoi  pre- 
decessori ,  massime  da  Innocenzo 
XIII,  e  Clemente  XII  ;  e  nella  for- 
inola di  giuramento,  che  a  nome  del 
re  prestò  il  Cardinal  Domenico  Or- 
sini, e  che  poi  fu  ratificato  da  Fer- 
dinando IV,  distintamente  fu  richia- 
mata la  bolla    di  Clemente  XII. 

Nel  pontificato  di  Pio  VI,  nel 
177G,  insorsero  alcune  dispute  di 
precedenza,  nel  giorno  della  presen- 
tazione della  chinea ,  fra  i  gentiluo- 
mini del  governatore  di  Roma,  del 
ministro  di  iSpagna,  e  del  contesta- 
bile Colonna  ambasciatore  straordi- 
nario del  re  Ferdinando  IV,  onde 
presentare  al  Papa  il  censo.  Il  mi- 
nistero napoletano  fece  sapere  alia 
corte  di  lloma,  che  per  evitare  in 
seguito  altri  simili  disordini ,  il  re 
aveva  risoluto  di  non  far  più  cele- 
brare la  solenne  cerimonia  delia 
pubblica  presentazione ,  ma  invece 
di  far  passare  privatamente  alla  ca- 
mera ajiostolica  la  solita  somma  di 
sette  mila  ducali  d'oro,  a  titolo  di 
di  vota  offerta  ai  ss.  Apostoli  Pietro 
e  Paolo.  JMa  sulla  sottrazione  del- 
l'annuo tributo  sino  dal  i  196  con- 
venuto tra  Celestino  111,  ed  Enrico 
VI  figlio  dell'imperatore  Federico  I, 


CHI  93 

e  sugli  anteriori  tributi  ed  investi- 
ture concesse  dai  Papi  ai  sovrani 
diversi,  che  dominarono  sulle  Sici- 
lie, per  la  sovranità  avuta  dalla 
santa  Sede  su  quel  reame  sino  dal 
secolo  ottavo,  e  sulla  condotta  di 
Pio  VI  in  sostenere  le  ragioni  della 
Chiesa  Romana,  si  cousuiti  l'artico- 
lo   SlCItlA. 

Tuttavolta  aggiungeremo  qui  qual- 
che nozione  più  interessante  sull'argo- 
mento. Nel  1777  nel  presentare  il 
contestabile  Colonna  la  chinea,  cam- 
biò la  formula  all'  improvviso  ,  di- 
cendo che  la  presentava  in  attesta- 
to di  divozione  del  suo  sovrano , 
verso  i  ss.  apostoli  Pietro  e  Paolo. 
Ad  onta  che  inaspettatamente  si  u- 
disse  da  Pio  VI  la  nuova  formula, 
con  prontezza  rispose:  Noi  accettia- 
mo questa  Chinea  in  segno  di  vas- 
sallaggio, per  li  due  regni  di  qua 
e  di  là  dal  Faro.  Ciò  non  pertan- 
to, per  interposizione  di  Carlo  III 
re  di  Spagna,  ne' successivi  anni  il 
contestabile  Colonna  continuò  a  pre- 
sentax-e  in  nome  di  Ferdinando  IV 
la  chinea  a  Pio  VI  coli'  antica  for- 
mula. Ma  nel  1788,11  governo  del 
re  prese  la  risoluzione  di  non  far 
più  presentare  la  chinea,  per  cui 
Pio  VI,  dopo  aver  celebratola  mes- 
sa pontificale  nella  basilica  vaticana 
per  la  festa  de'  ss.  Pietro,  e  Paolo, 
pi'onunziò  in  pubblico  al  sagro  Col- 
legio un'allocuzione  per  la  non  of- 
ferta chinea  ,  dopo  la  quale  sullo 
stesso  proposito  monsignor  fiscale 
della  Camera  apostolica  emise  una 
lobusta  protesta.  Da  questa  el)l)o 
origine  la  protesta,  che  ogni  anno 
nel  detto  pontificale  Pio  VI  fece  in 
lutto  il  suo  pontificato,  dopo  aver 
accettata  quella  del  mentovato  pre- 
lato fiscale^  e  che  pur  proseguirono 
i  di  lui  successori,  sino  al  presente. 
/'.  il  volume  IX,  p.    81,  e  82    di 


94  CHI 

(jiieslo  Dizionario,  in  un  alle  for- 
mule della  protesta  e  dell'  aeccltu- 
zioiic.  Ivi,  e  specialrneiite  uelle  an- 
teriori pagine  76  e  77,  si  descrive 
il  modo  come  seguiva  la  presenta- 
zione della  cliinea ,  nella  vigilia  di 
s.  l'ietro  dopo  il  vespero  pontifica- 
le, cioè  che  quando  il  Papa  era 
arrivato  Ira  i  due  pili  dell' accpia 
santa,  la  cliinea  appositamente  am- 
maestrata s' inginocchiava,  e  dentro 
nn  vaso  d'argento  sostenuto  dalla 
sella,  presentava  il  trihuto  di  sette 
mila  ducati  d'oro,  nell'  atto  che 
l'ambasciatore  pronunziava  quella 
formula,  che  insieme  alla  risposta 
del  Papa  ivi  pure  riportammo. 

La  detta  Ghinea,  magnificamen- 
te bardata,  spettava  dopo  la  fun- 
zione al  Cavalltrizzo  maggiore  del 
Papa  {^Vecii);  ma  poi  si  conven- 
ne tra  il  cavallerizzo  e  l'ambascia- 
tore, che  questi  pagherebbe  a  quel- 
lo in  compenso  della  chinea  e  del- 
la bardatura  scudi  trecento  per 
ogni  volta.  Piiguardo  al  cerimonia- 
le, e  come  seguiva  la  cavalcata  del- 
l'ambasciatore straordinario,  si  de- 
sciive  al  volume  X  del  Dizionario 
alle  pagine  3ii  e  3 12.  Solo  qui 
aggiungeremo,  che  l'ambasciatore  del 
Carpio,  destinato  a  presentare  la 
chinea  ad  Innocenzo  XI,  voleva 
portarsi  in  sedia  nella  cavalcata  ; 
ma  il  Papa  gli  fece  sapere  che  non 
gli  avrebbe  mandato  le  consuete 
guardie,  per  cui  si  adattò  di  caval- 
care, come  era  il  costume. 

Non  sempre  il  contestabile  Colon- 
na fu  quegli  che  fece  le  funzioni  di 
ambasciatole  straordinario  per  pre- 
sentare la  cliinea,  dacché  piuttosto, 
dopo  il  i68o,  sembra  che  s'incomin- 
ciasse da  un  individuo  di  tal' illustre 
famiglia  a  fare  sì  onorevole  uffizio, 
per  parte  dei  re  di  Spagna,  e  dei 
re  di  Napoli.  E  di  fatti,  per  dire  di 


CHI 

alcuni,  il  i^av.  Ferdinando  de  TolTes 
presentò  la  chinea  a  Pio  IV  in  no- 
me di  I''ilippo  li  re  di  Spagna,  e 
quindi  nel  proprio  palazzo  in  piazza 
IN'avona,  che  poi  divenne  proprietà 
dei  Laneellotli  ,  ne'  riquadri  della 
sala,  fece  di[>ingere  la  magnifica 
pompa  con  cui  eseguì  1'  incarico. 
Nel  1687  Carlo  li  destinò  a  pre- 
sentare la  chinea  a  Innocenzo  XI^ 
colla  solita  qualifica  di  ambasciato- 
re, il  duca  Federico  Sforza  Cesari- 
ni,  ed  egli  adempì  quella  funzione 
eolla  maggiore  sontuosità.  Neli734> 
Clemente  XII  ricevette  la  presenta- 
zione della  chinea  dal  principe  San- 
tacroce. Però  nello  stesso  decorso  se- 
colo, e  parlicolarincnte  verso  la  melàj 
il  conteslabile  Colonna  fu  l'auìbascia- 
tore  straordinario  del  re  di  Napoli, 
per  la  presentazione  della  chinea  al 
sommo  Pontefice.  Siccome  nell'an- 
data alla  basilica  vaticana  colla  chi- 
nea l'ambasciatore  riceveva  il  salu- 
to dal  Castel  s.  Angelo,  con  alcune 
salve  di  artiglieria ,  e  nel  passare 
per  la  piazza  di  s.  Pietro,  dal  can- 
none e  mortari  della  guardia  sviz- 
zera, così  tornato  al  suo  palazzo  , 
aveano  luogo  sontuosi  rinfreschi , 
suoni,  cantate,  illuminazioni,  fuochi 
artifiziali  con  macchine  allegoriche, 
ed  altre  solenni  e  pubbliche  dimo- 
strazioni di  gioia.  Le  descrizioni  di 
tali  feste  si  leggono  ne'  Diari  di  Ro- 
ma, e  il  Cancellieri  nel  suo  Merca- 
lo  ec,  a  pag.  i8c),  tesse  un  catalo- 
go dei  numeri  de'  detti  Diari,  che 
ne  parlano. 

liitornando  alla  sospesa  presenta- 
zione della  chinea ,  nel  medesimo 
anno  1788  il  cav.  Ricciardelli ,  in- 
caricato di  affari  del  re  di  Napoli, 
ebbe  ordine  dalla  sua  corte  di  por- 
tare al  Cardinal  Boncompagni  se- 
gretario di  stato,  settemila  ducati 
d'oro  di  Camera,  nonché  altri    tre- 


CHI 

cento  ducati  pel  cavallo  bianco  det- 
to chinea  ;  ma  il  Cardinal  ricusò 
di  riceverli,  dicendo  che  nella  so- 
lennità appunto  della  cerimonia,  e 
nella  nomina  di  uno  straordinario 
ambasciatore  per  adempirla,  consi- 
steva la  principal  circostanza  del- 
l'omaggio. Replicò  il  ministro,  che 
sua  maestà  era  intenzionata  di  con- 
tinuare la  pietosa  offerta,  non  mai 
a  titolo  di  censo,  tributo,  investitu- 
ra, o  vassallaggio,  ma  solo  per  di- 
vola offerta  ai  ss.  Apostoli  Pietro  e 
Paolo,  e  perciò  a  tal  fine  l'avrebbe 
depositata  al  montt  di  pietà  di  Ro- 
ma [Vedi),  per  restarvi  a  piena 
disposizione  di  sua  Santità.  Di  fatti 
per  molti  anni  continuò  il  cav.  Ric- 
ciardelli  a  fare  il  deposito  di  un- 
dici mila  ottocento  trentotto  scudi , 
e  baiocchi  settantacinque,  che  cor- 
rispondono ai  detti  settemila  ducati 
d'oro  di  camera,  ed  alla  tliinea  bar- 
data, che  si  valutava  per  cento  set- 
tantacinque scudi  d'oro  simili.  IMa 
se  per  piìi  anni  replicò  il  Ricciar- 
delli  il  corrispondente  deposito,  que- 
sto tuttavia  non  fu  mai  dalla  santa 
Sede  accettato.  Laonde  così  molti- 
plicato, fu  poi  levato  dal  monte  di 
pietà  con  ordine  del  medesimo  in- 
caricato regio.  Nel  1791  continuan- 
dosi a  fare  il  deposito,  nella  dichia- 
razione si  ebbe  a  notare  una  variazio- 
ne di  espressione,  cioè  che  invece  di 
dire  a  titolo  di  limosina,  si  disse  a 
titolo  di  divozione,  il  che  nella  so- 
stanza non  era  quanto  richiedevasi 
giustamente.  Diceva  la  formola  del 
deposito  w  che  per  la  special  divo- 
»  zione,  che  sua  maestà  Siciliana 
"  professava  ai  ss.  apostoli  Pietro  e 
"  Paolo,  mandava  la  consueta  som- 
"  ma,  coir  aggiunta  di  ottocento 
M  scudi  in  circa ,  per  compensare 
w  l'ommissione  fatta  negli  anni  pre- 
»   cedenti,  di  non  aver    valutato  il 


CHI  9I; 

»  prezzo  del  cavallo  bardato  detto 
M  chinea,  che  sopra  il  dor.so  portar 
>*   soleva  il  consueto  denaro  ". 

In  processo  di  tempo  la  corte  di 
Napoh  fece  alcune  trattative  per  una 
convenzione  con  Pio  VI,  in  virtù  del- 
la quale  ogni  re  delle  due  Sicilie  pa- 
gherebbe per  una  sola  volta  alla  san- 
ta Sede  cinquecento  mila  ducati,  in 
foi'ma  di  pietosa  offerta  a  s.  Pietro, 
ma  che  cesserebbe  per  sempre  la  ce- 
rimonia e  formalità  della  solenne  pre- 
sentazione della  chinea.  11  tempo  pe- 
rò fece  conoscere,  che  le  trattative 
per  la  convenzione  non  ebbero  elfet- 
to,  continuando  Pio  VI  a  pronun- 
ziare la  consueta  protesta  sedente  sul- 
la sedia  gestatoria,  nel  dì  di  s.  Pie- 
tro ,  in  mezzo  alla  basilica  Vati- 
cana. 

Che  il  cavallo  bardato,  o  la  chi- 
nea, venisse  dato  alla  santa  Sede  per 
imbuto  di  vassallaggio  anche  dalla 
città  di  Bamherga  (Vedi),  lo  dicem- 
mo a  queir  articolo.  Della  chinea  de- 
stinata a  poitare  la  ss.  Eucaristia  a- 
vanti  ai  sommi  Pontefici,  nel  posses- 
so alla  basilica  lateianense,  e  nei  viag- 
gi dei  medesimi  Papi,  guidata  da  due 
palafrenieri,  chiamati  i  palafrenieri 
del  ss.  Sagiamento,  si  tratta  agli 
articoli  Eucaristia  (Vedi),  ed  a 
Cavallo  (  Vedi  ) ,  ove  pure  si  di- 
ce delle  mule  bianche,  o  chinee  ca- 
valcate ,  od  usate  dai  Pontefici. 
Il  Cancellieri  poi  nelle  sue  ope- 
re parla  delle  chinee  portanti  il 
ss.  Sagrameuto ,  guidate  pel  freno 
da  persone  nobili  ecclesiastiche ,  a- 
venti  anch'esse  il  nome  di  palafre- 
nieri della  chinea,  e  palafrenieri 
del  ss.  Sagramento.  Tra  le  dette 
opere  va  letto  quanto  egli  riporta 
nella  Lettera  a  monsignor  Tommaso 
Guido  Calcagnini,  a  pag.  3-ì,  pe- 
rocché vi  hanno  in  essa  erudite  no- 
tizie   suU'argomeuto. 


96  CHI 

CIITO  o  SCIO.  Sedo  vescovile 
neir  isola  di  lai  nome.    V.   Scio. 

CHIODI  (Co ngrcgaz ion e  religiosa 
de' sacri).  Nell'anno  iSGy  nella  cit- 
tà di  Siena  il  p.  Matteo  Guei'ra, 
uomo  insigne  per  pietà,  volle  isti- 
tuire una  congregazione  di  sacerdo- 
ti, la  quale  fu  chiamata  (\e  sagrì 
Cliiodi,  perchè  abitando  dopo  la  lo- 
ro fondazione,  nell'ospedale  detto 
della  Scala,  si  congregavano  in  una 
cappella  della  chiesa  dell'  ospedale 
medesimo,  dove  si  conservava  con 
inolia  venerazione  uno  de'  chiodi,  coi 
quali  venne  inchiodato  in  croce  Ge- 
sù Cristo.  Dipoi  con  bolla  di  Grego- 
rio XIII  ncUanno  i584  fu  alla  con- 
gregazione data  la  chiesa  di  s.  Giorgio, 
e  furono  confermate  le  loro  rego- 
le, che  pure  vennero  approvate  nel 
seguente  anno  da  Sisto  V.  Ivi  i  sa- 
cerdoti vivevano  religiosamente  in 
vita  comune,  senza  proprietà  indivi- 
duali, e  secondo  le  costituzioni  aposto- 
liche, che  ricevettero  altres'i  l'appro- 
vazione nel  1 096,  anche  da  Clemen- 
te \II1.  Facevano  solenne  giura- 
mento di  perseverare  sino  alla  mor- 
te, e  di  ubbidire  al  loro  superiore; 
dal  qual  giuramento  il  solo  Papa 
poteva  dispensarli ,  come  espressa- 
mente si  legge  in  una  bolla  di  Pao- 
lo V  de' 23  gennaio  16 14,  e  in 
altra  emanata  da  Urbano  VIII  nel 
1627.  Questa  congregazione  fiori 
per  uomini  di  segnalata  bontà ,  e 
dottrina,  e  si  esercitava  nell'ammi- 
nistrazione de' sagramenti,  in  predi- 
care, ed  insegnare  la  dottrina  cri- 
stiana a' fanciulli,  e  in  molte  auste- 
rità. E  già  colle  sue  opere,  e  col 
suo  esempio,  riuscì  di  grande  edi- 
ficazione a'  fedeli,  e  trasse  a  sé  molti 
proseliti,  fra' quaU  s.  Filippo  Neri,  in- 
timo amico  del  p.  IMatteo  fondatore. 
E  siccome  l'abito  dei  sacerdoti  dei 
sagri  Chiodi  era  uguale  a  quello  dei 


CHI 

sacerdoti  della  congregazione  dell"  o- 
ratorio,  fondata  poi  dal  medesimo 
s.  Filippo,  furono  pure  volgarmente 
chiamali,  \  padri  di  s.  Filippo  Neri. 
Di  questa  congregazione  si  possono 
leggere  le  notizie  ne  Fa  su  Sancsi, 
e  nelle  Pompe  Sancsi  del  p.  Isido- 
ro Azzolini  Ugurgeri,  part.  I,  tomo 
X,  Ddli  fondatori  delle  Religioni 
Sanesi. 

CHIODI  {Reliquie  insigni).  Quan- 
tunque gli  Evangelisti  nel  riferire 
la  passione  e  il  martirio  solTcrto  in 
croce  da  Gesù  Cristo,  non  facciano 
menzione  de'  chiodi  che  Io  trafis- 
sero, con  tuttociò  ne  parlano  chia- 
ramente dopo  la  sua  gloriosa  ri- 
surrezione. S.  Luca,  cap.  XXIV,  89, 
ci  dice ,  che  allorché  Cristo  com- 
parve agli  Apostoli ,  dopo  essere 
risuscitato,  non  essendovi  s.  Tom- 
maso, disse  loro  :  Mirate  le  mie  mani 
e  i  miei  piedi,  perocché  io  son  desso. 
E  detto  questo,  mostro  le  mani  e  i 
piedi,  e  da  s.  Giovanni  si  replica, 
cap.  XX,  20  :  E  dopo  aver  così 
detto,  mostro  loro  le  mani  ed  il  co- 
stato. E  Tommaso  disse  agli  Apo- 
stoli quando  gli  raccontarono  1'  ap- 
parizione, idem  V.  25:  Se  io  non 
veggo  nelle  sue  mani  la  fessura 
de'  chiodi ,  e  se  non  metto  il  mio 
dito  nel  luogo  de'  chiodi ,  e  non 
metto  la  mia  mano  nel  suo  costato, 
non  lo  credo.  E  comparendo  di 
nuovo  Gesù  Cristo,  allor  cli'era- 
vi  s.  Tommaso,  a  lui  rivolto,  ecco 
come  gli  parlò,  ib.  v.  27  :  Metti  qua 
il  tuo  dito,  e  osserva  le  mie  mani, 
e  accosta  la  tua  mano,  e  mettila  nel 
mio  costato.  E  ciò  fece,  perchè  tut- 
tavia apparivano  aperte  le  sue  mani 
da'  chiodi,  e  il  costato  dalla  lancia. 
Nella  versione  persiana,  Jo.  e.  XX, 
in  Polyglot.  t.  V,  XLI,  20,  pag. 
509,  London,  1657,  si  espriaiono 
anco  le  ferite  de'  piedi,  ove  leggesi  : 


CHI 

Disse  questo,  e  mostri)  loro  le  ferite 
delle  mani,  de  piedi  e  del  costato  : 
11  che  mirabilmente  si  accorda  con 
ciò,  clic  di  Ini  predisse  il  reale  Sal- 
mista, Psai.  XXIj  i8,  ove  dice: 
Hanno  forati  i  mici  piedi,  e  le  mie 
inani.  E  adunque  indubitato,  e  lo 
confermano  l'antica  veneranda  tra- 
dizione, la  rispettabile  autorità  dei 
Padri,  ed  un  numero  incalcolabile 
di  antichissime  immagini  di  Gesù 
crocefisso ,  che  gli  furono  eziandio 
trafìtti  e  perforati  i  piedi  da  chiodi 
di   l'eiro. 

I  chiodi  de'  piedi,  secondo  la  più 
comune  opinione,  si  crede  siano  stati 
due,  come  ricavasi  da  s.  Gregorio 
di  Tours,  De  glor.  3Iarfyr.  cap.  6; 
da  Innocenzo  111,  Semi.  I  de  uno 
Marlyre;  dal  Cardinal  Toledo  sopra 
del  capo  19  di  s.  Giovanni,  annot. 
1 4  j  da  s.  Cipriano  nel  sermone  de 
Passione  Domini,  e  da  un  gran  nu- 
mero d'immagini  lavorate  negh  an- 
tichi musaici ,  e  principahnente  in 
quelli  fatti  dai  greci,  riportate  fra 
gli  altri  dal  p.  Cornelio  Cuiti  nella 
sua  opera  de  Clavis  Domini cis.  Me- 
glio di  tutti  lo  prova  il  dottissimo 
Benedetto  Xi  V,  Lamherlini ^  De  [est. 
D.  N.  Jesu  Chris  ti  part.  I,  num. 
279;  il  quale  con  isquisita  erudizio- 
ne ha  moltissime  cose  disaminate, 
ed  osservate  non  meno  in  conferma 
<le'  quattro  chiodi,  che  in  confuta- 
zione di  chi  sognava  non  già  con 
chiodi  essere  stato  confitto  in  croce 
Gesù  Cristo,  ma  bensì  con  funi  es- 
sere stato  legato.  In  un  sagro  trit- 
tico de'  religiosi  carmelitani  di  Luc- 
ca del  XIV  secolo,  in  bassorilievo 
eseguito  sull'  osso  bianco,  eravi  rap- 
presentato il  mistero  della  crocefis- 
sione,  con  Gesù  Cristo  posto  sulla 
croce,  senza  segno  di  chiodi,  pog- 
giando i  piedi  su  di  un  zoccolo. 
Vero  è  però,  che  i  romani,  al  dire 
voi.    XUI. 


CHI  07 

di  Plinio,  mettevano  dei  pezzi  di 
legno  al  Ijasso  delle  croci,  affinchè 
i  malfattori  potessero  appoggiarvi  i 
piedi.  Un'  altra  simile  stravaganza 
si  vedeva  nella  croce  stazionale  pos- 
seduta dal  senatore  Ebnero  d'Eschen- 
bach,  in  cui  rappresentasi  Cristo 
senza  avere  i  piedi  trafitti  dai  chio- 
di ;  locchè  è  certamente  contro  l'o- 
pinione più  vera  e  più  comune,  e 
contro  l'uso  generale  antico  e  mo- 
derno, di  rappresentare  Gesù  con- 
fitto da  chiodi  ancor  ne'  piedi.  Che 
il  Redentore  fosse  trafitto  da  quat- 
tro chiodi,  è  più  probabile,  sebbene 
l'opinione,  che  lo  sia  stato  da  tre 
chiodi ,  abbia  in  favore  gravi  ed 
antichi  scrittori.  Giusto  Lipsio,  de 
Criice,  lib.  II,  cap.  9,  pag.  44,  cre- 
dette che  Nonno  scrittore  del  quinto 
secolo ,  fosse  di  questo  sentimento 
nella  parafrasi  in  versi  del  vangelo 
di  s.  Giovanni.  Il  citato  p.  Curti 
pelò  da  un  altro  passo  del  mede- 
simo Nonno,  pretende  di  mostrare 
che  ancor  egli  opinasse  essere  stati 
quattro  i  chiodi. 

Altri  poi,  per  convalidare  l' opi- 
nione de'  tre  chiodi,  adducono  in 
loio  favole  l' autorità  della  trage- 
dia greca  intitolata:  Cristo  paziente. 
Ma  c[uesta  veramente  poco  a  loro 
giova  perchè  l'  autore  è  un  ooeta  , 
che  non  istà  strettamente  al  van- 
gelo e  all'istoria,  sebbene  sia  il  ve- 
nerando s.  Gregorio  Nazianzeno,  se- 
condo alcuni.  V.  Lollaud,  ad  i5 
3Inii.,  Tillemont  t.  I,  not.  3g.  Sur. 
lY.  S.  J.  C,  p.  455 ,  e  i  Crocefissi 
con  quattro  chiodi,  dappoiché  fuori 
di  quelli  riportati  dal  p.  Curti,  dal 
Lanibccio,  Uibl.  Caes.  lib.  II,  pag. 
4 IO,  e  lib.  XIII  cod.  6'j ,  dal 
Buonarroti  nel  Dittico  di  Ramhona, 
e  dal  can.  Giuseppe  Martini,  Tlieatr. 
IJasilic.  Pisan.  tab.  XiX,  pag.  87, 
se  ne  trovano  pure  altrove.  Di  fatti 
7 


gS  CHI 

se  ne  trovano  anche  oggltlì  in  al- 
cune chiese  antiche,  come  nella  col- 
legiale eli  s.  Michele  in  Lucca ,  in 
quella  metropolitana,  in  quella  ab- 
bazia di  Pozzeveri,  senza  mentova- 
re altri  luoghi.  Il  Torrigio,  Le  sa- 
gre grotte  Faticane,  dice  a  p.  i(^'^, 
che  pur  troppo  gravissimi  autori 
greci  e  latini  sostengono  che,  Gesù 
fu  crocefisso  con  quattro  chiodi,  due 
alle  mani ,  e  due  a'  piedi ,  ed  af- 
ferma di  avere  veduto  simili  Cro- 
cefissi i^f^edi),  nel  portico  della  ba- 
silica lateranense,  e  nelle  chiese  di 
s.  Maria  Liberatrice,  de'  ss.  Cosma 
e  Damiano,  di  s.  Bonosa,  di  s.  Ni- 
cola in  Carcere,  di  s.  Clemente,  di 
s.  Urbano  alla  Calltirella,  di  s.  Bi- 
l)iana,  e  di  s.  Costanza  ,  come  ne 
vide  a  s.  Maria  in  Traspontina  nel 
chiostro,  nelle  porte  della  basilica 
ostiense,  nella  sagrestia  di  s.  Pietro, 
nelle  grotte  vaticane,  e  sopra  il  mo- 
numento di  Giunio  Basso ,  prefetto 
di  E.oma,  esistente  nella  stessa  ba- 
silica vaticana. 

11  costume  moderno  di  rappre- 
sentare le  immagini  de'  Crocefissi 
co'  piedi  sovrapposti  l'uno  all'  altro, 
e  trafitti  da  un  solo  chiodo  ,  vi  è 
chi  crede,  come  il  citato  Buonarro- 
ti, Osservazioni  sopra  il  dittico  di 
Rand)ona,  sia  stato  introdotto  in- 
torno al  tempo  della  ristorazione 
delle  belle  arti,  pensando  forse  gli 
artefici  col  formarli  in  tal  guisa,  di 
dar  loro  maggior  grazia ,  e  attitu- 
dine. In  siinil  modo  se  ne  vedono 
alcuni  nella  chiesa  di  s.  Croce  di 
Firenze  dipinti  non  solo  da  Cima- 
bue,  che  fiorì  nel  secolo  decimo- 
terzo, e  fu  maestro  di  Giotto ,  ed 
uno  de'  principali  ristoratori  della 
pittura,  ma  ancora  da  Margaritone 
pittore  e  scultore  aretino,  che  pur  egli 
visse  in  quell'epoca.  /  .Pompeo  Sar- 
ndYì,  Lettere  ecclcsiasticUe,  t.  ¥,0.78. 


CHI 

Si  sono  anche  per  divozione  imi- 
tati i  chiodi,  coi  quali  Gesìi  Cristo, 
fu  attaccato  alla  croce.  Calvino  ne 
conta  quattordici  o  quindici,  ch'egli 
pretende  che  i  cattolici  tengano  per 
veri  ,  ma  fra  questi  ne  mette  molti, 
dei  quali  prima  di  lui  non  si  era 
mai  inteso  parlare  ^  come  «juelli  di 
Venezia ,  dei  carmelitani  di  Parigi, 
della  santa  cappella  di  Draguignan 
del  villaggio  di  Tenaille ,  il  quale 
vuoisi  immaginario.  Il  vero  chio- 
do, che  è  in  Boma  nella  chiesa 
di  s.  Croce,  fu  limato,  ed  ora  non 
ha  pili  punta.  Questa  limatura  e 
stata  rinchiusa  in  altri  chiodi,  fatti 
alla  stessa  foggia  e  forma  del  vero, 
e  in  tal  modo  lo  si  è  in  certa  guisa 
moltiplicato.  Si  è  trovato  anche  un 
altro  modo  di  farne  molti,  cioè  col 
toccare  con  chiodi  somiglianti  il  ve- 
ro, e  dopo  distribuirli.  11  Cardinal 
s.  Cai'lo  Borromeo,  prelato  illumi- 
nato e  della  più  scrupolosa  esat- 
tezza in  fatto  di  reliquie,  aveva  molti 
chiodi  fatti  a  somiglianza  di  (jiiello, 
che  si  venera  a  Milano,  e  li  distri- 
buiva dopo  averli  toccati  a  questo, 
ed  uno  ne  donò  al  re  di  Spagna 
Filippo  II. 

Parlando  il  Baronio,  all'anno  326, 
de'  chiodi  della  croce,  ove  fu  cro- 
cefisso il  Salvatore,  avveite  che  il 
trovaisi  in  più  luoghi  diversi  di  tali 
chiodi,  forse  avvenne  dal  formarsene 
con  parte  dei  veri  ,  ovvero  che  i 
chiodi,  i  quali  servirono  a  commet- 
tere i  due  assi  della  croce,  sieno  cre- 
duli per  quelli,  che  forarono  le  di- 
vine membra  di  Gesù.  Dello  stesso 
sentimento  è  il  p.  ftlenochio,  t  J, 
pag.  6'2(),  Dei  chiodi  co'  (jiiali  fa 
confìtto  in  croce  Gesù,  dicendo  che 
pure  in  Como,  e  in  Treveri  se  ne 
venerano,  ed  aggiugne  die  fra  essi 
vi  sieno  puro  i  chiodi,  co'  quali  fu 
li^rmato  sulla  croce  il   Titolo.   /^,  il 


CHI 

Gretsero,  de   Cnice,  capo    28.    Per 
non  dire  di  altri  luo£!;lii,  anche  nella 
città  di  Spoleto,  e  nella   chiesa  di  s. 
Domenico  si   venera  lui  sagro  chiodo, 
ed    uno  è  pure  in  venerazione  nella 
cattedrale  di  Colle.   Racconta  il  Piaz- 
za,  Gerarchia,  ec.,  pag.    4^^  5    ^^^^ 
nella  chiesa  di  s.  Eusebio  di  Roma 
si  dice  conservarsi  il  chiodo,  il  quale 
fu  fatto  in  forma    di    freno    a    Co- 
stantino imperatore,  ma  aggiunge  che 
piuttosto  esso  sia  quello,  il  quale  con 
molta    divozione    si    conserva    nella 
metropolitana  di  Milano,   in  prezio- 
so reliquiario,  che  si  espone  ogni  an- 
no   alla    pubblica    venerazione    a'  3 
maggio,  con  solenne  processione  in- 
trodotta da  s.  Carlo  Rorromeo  quan- 
do n'  era  arcivescovo.  Certo  è,  che 
nella  chiesa  di  s.  Eusebio  ora  non 
vi  è  tal  chiodo.   Da   alcuni  fu  credu- 
to, che   la  celebre     Corona    di  fer- 
ro [Fedi),  colla  quale  s'  incoronano 
gl'iniperatori,  come  sovi-ani  del  regno 
Lombardo-veneto,    e  prima  serviva 
pei  re  d'Italia,  e  che  si  conserva  ge- 
losamente in  Monza  ,  sia  formata  con 
un  santo  chiodo.  Con    questa  coro- 
na nel    l3^5  fu  coronato    in  Mila- 
no a'  6  gennaio  l'imperatore   Carlo 
lY,  ad  istanza  del  quale    nel!'  anno 
precedente.   Papa  hmocenzo  \  I  con- 
cesse alla  Germania,  e  alla  Roemia 
il   celebrare  nel  venerdì  dopo  l' ot- 
tava di  pasqua  la  festa  della  sagra 
Lancia,  e  de'  sagri   Chiodi,  che  ser- 
virono di  stromento  per   la    passio- 
ne di  Gesù    Cristo.    Che    in    Siena 
vi  fosse  un  santo  chiodo,  lo  dicem- 
mo   all'  articolo     Chiodi     Congrega- 
Zìoue  de'  sagri    (fedi),    cosi    deno- 
minata perchè  fondata  presso  la  chie- 
sa ove  veneravasi. 

Intorno  ai  veri  chiodi,  che  l'impe- 
raliice  s.  Elena  trasse  dalla  croce  del 
Salvatore,,  si  sa  che  la  pia  principes- 
sa trovandosi  in  pericolo  di  annega r- 


CHl  99 

si  nell'Adriatico,  per  una  violenta  bur- 
rasca, gettò  nel  mare  uno  de'  chiodi, 
e  lo  ebbe  tranquillo.  Tanto  riporta 
il  citato  san  Gregorio  Turonese,  lib. 
I,  e.  6.  Abbiamo  inoltre,  che  il  ti- 
glio di  s.  Elena,  Costantino,  come  at- 
testa s.  Andjrogio,  de  Ohit.  Theod.  n. 
4?,  e  dicono  altri  autori,  pose  uno  dei 
chiodi  nel  ricco  diadema  di  cui  usava 
ne'  giorni  piìi  solenni,  e  che  un  al- 
tro chiodo  pose  nella  briglia  del  ca- 
vallo, riguardandolo  come  un  sicu- 
ro preservativo  ne'pericoli  della  guer- 
ra. E  il  predetto  s.  Gregorio,  Ice.  cit., 
dice  che  eranvi  due  santi  chiodi,  nel- 
la briglia  del  gran  Costantino.  Si  leg- 
ga Alfonso  Paleolti,  nel  libro  inti- 
tolato Jesti  Cliristi  Crucifìxi  Styg- 
niala  sacra  e  sindoni  impressa,  Ve- 
nezia 1G06,  cap.  21,  che  parla  dcN 
le  ragioni  per  cui  il  Salvatore  non 
permise  che  gli  fossero  infrante  le 
gambe.  Il  Cancellieri  nelle  sue  Dis- 
sertazioni epistolari  bibliografiche  ^ 
tratta  a  pag.  i  i  i,  dei  tre  chio- 
di della  santa  cioce  espressi  da  s. 
Rernardino  nel  nome  di  Gesù,  la 
cui  divozione  grandemente  fu  da 
quel  santo  propagata  col  dipingerlo 
in  sigle. 

Seguendo  la  tradizione  di  quelli, 
che  voghono  il  Redentore  crocefis- 
so con  tre  chiodi,  alcuni  liturgici  di- 
cono venire  rappresentati  nei  tre  a- 
ghi  o  spilloni  d'oro,  la  cui  testa  è 
ornata  d'un  rubino,  co' quali  vie- 
ne fermato  dal  Cardinal  diacono  e 
dal  prelato  suddiacono,  il  pallio  al 
sommo  Pontefice  allorché  celebra  so- 
lennemente. P\  Stomer  AugusLlib.  i, 
Genume  Aidnicv  e.  i']^;  Raldassari, 
il  Pallio  apostolico;  e  Garampi,  Si- 
gillo della  Gnrfagnana  pag.  122  e 
12  3,  ove  si  dice,  che  Cencio  Came- 
rario chiamò  i  detti  spilloni  Spinu- 
Ice,  e  di  essi  riporta  erudite  notizie. 

CHIOGGIA    o  CIIIOZZA  (  Ciò- 


loo  CHI 

dica.).  Citlà  con  residenza  vescovile 
nel  i"Cgno  lombardo-veneto.  E  po- 
sta in  snlubre  e  vantai^giosa  situa- 
zione nella  parte  jneri<lionale  del- 
l'estuario presso  l'Adriatico,  un  po- 
co al  nord  dell'imboccatura  della 
lìrenta.  Sarebbe  interamente  isola- 
ta se  non  fosse  congiunta  col  lido 
di  Brondolo,  mediante  un  ponte  di 
pietra  di  quarantatre  archi,  assai 
stretto,  ma  lungo  duecento  cinquan- 
ta passi.  Oltre  l' isola  di  Brondolo, 
sono  non  molto  lontane  da  Cliiog- 
gia  quelle  del  Lido,  di  Poveglia,  e 
di  Pelestrina.  11  suo  sobborgo  è  pro- 
tetto da  qualche  batteria,  e  la  cit- 
tà è  riguardata  come  uno  de'  punti 
piìi  forti  delle  lagune  di  Venezia. 
Il  suo  porto,  l'antico  Hcdron,  con 
ampio  bacino  e  canali,  chiamato  la 
Conca  di  Brondolo,  è  il  piìi  oppor- 
tuno al  commercio  pel  Brenta,  Adi- 
ge, e  Po,  perchè  formato  dalle  ac- 
que dell'estuario ,  e  da  un  ramo 
dello  stesso  Brenta.  Desso  è  difeso 
dal  forte  san  Felice  di  figura  esa- 
gona.  Chloggia  è  capo  luogo  di  un 
distretto  di  quattro  comuni,  con  pre- 
tura di  prima  classe,  congregazione 
municipale,  vice-capitanato  del  por- 
to, e  dogana.  L'origine  della  città 
rimonta  ad  epoca  remota  ed  incer- 
ta. Sembra  farne  menzione  non 
chiara  Tito  Livio,  parlando  nel  X 
libro  di  tre  borgate  di  padovani 
distrutte  dai  greci,  una  delle  quali 
fu  Chioggia,  per  cui  si  trae  conse- 
guenza, che  la  fondasse  Clodio,  com- 
pagno di  Autenoi'e.  Altri,  seguendo 
un  passo  di  Plinio,  in  cui  parla 
della  Fossa  Clodia,  e  del  porto  di 
Hcdron,  la  credono  a  lui  anteriore, 
e  fondata  da  Clodio  nemico  di  Ci- 
cerone, o  da  Clodio  capo  degli  Al- 
banesi. Non  mancamo  (juelli,  che  ne 
credono  fondatore  o  l' inqieratore 
Clodio    Albmo ,    o    Marco    Aurelio 


CHI 

Claudio,  per  cui  chiamossi  Clandio- 
rinlis.  Fossa  Claudia,  da  Tolomeo 
Fossa  Clodia,  e  nel  medio  evtj  Cin- 
cia. Paro  tuttavia  piìi  indubitato 
die  Chioggia  fosse  una  delle  isole, 
di  rifugio  specialmente  a'padovani, 
nelle  barbariche  incursioni  di  Atti- 
la, di  Odoacre,  di  Totila,  di  Al- 
boino, e  degli  altri  dominatori  lon- 
gobardi, e  greci.  Divenuta  in  pro- 
gresso popolata,  massime  per  lo  sta- 
bilimento di  quei  di  Este,  e  di 
IMonselice,  sulle  rovine  della  città  di 
JMalamocco,  antica  sede  del  veneto 
governo,  si  divise  in  due  parti,  che 
si  chiamarono  la  grande  e  la  j)iccola. 
La  prima  tuttora  in  piedi,  bella, 
con  buoni  edifizi,  è  divisa  dallaltra 
da  un  canale  navigabile  detto  la 
ì'cna.  Chioggia  fu  una  delle  dodi- 
ci isole  formanti  la  provincia  di  Ve- 
nezia, che  aveva  il  suo  tribuno,  e 
posteriormente  uno  de'qualtro  can- 
cellieri. Venne  eretta  in  città,  e  per 
tale  confermata,  verso  l'anno  i  i  i  o, 
da  Ordelafo  Fahero,  doge  di  Ve- 
nezia. 

Per  la  sua  posizione  soffrì  Chiog- 
gia spessi  guasti  nelle  venete  guer- 
re, e  fu  celebre  per  diversi  com- 
battimenti navali  fra  le  flotte  vene- 
ziane e  genovesi.  Questi  ultimi  vi 
perdettero  nel  1 38o  la  celebre  bat- 
taglia, che  rese  vano  il  fruito  delle 
precedenti  loro  vittorie ,  e  che  ri- 
stabilì il  veneto  dominio  sulla  ligu- 
re rivale.  Tanto  in  questo,  che  in 
altri  incontri,  gli  abitanti  di  Chiog- 
gia diedero  riprove  di  valore  e  di 
Itideltà.  Nel  resto  Chioggia  seguì  la 
^5orte,  e  i  destini  della  repubblica 
di  Venezia.  Sul  così  detto  lido  dì 
Sotlomarinn,  che  forma  quasi  un 
sobborgo  di  Chioggia,  vedevasi  la 
chiesa  della  b.  Vergine  detta  della 
Navicella,  bell'edifizio  decorato  di 
stupendi  dipinti,  la  cui  erezione  ri- 


CHI 
inonlava  al  secolo  dcciniososlo,  ma 
ora  è  demolita  e  ridolta  a  foitifìca- 
zioni.  Ivi  si  ammirano  i  sorpren- 
denti e  celebri  nuovi  argini  del 
mare,  chiamati  Murazzi,  opera  ve- 
ramente emula  delle  piìi  magnilìche 
e  grandiose  de' romani,  incominciata 
nel  lySi,  per  cui  giustamente  vi 
fu  posta  r  iscrizione  :  ausu  komano 
VERE  VENETO  .  La  Strada  maggiore  di 
Cliioggia  è  larga,  e  deliziosa.  Il  pa- 
lazzo governativo  fu  riparalo  nel 
if)44)  ed  abbellito  di  pitture.  Quan- 
do Pio  \'I  nel  1782  recossi  a  Ve- 
nezia, ai  io  marzo  giunse  a  Lago 
Scuro  del  Po,  dov'erano  preparati 
tre  bucintori,  sette  peote,  e  tre  bar- 
che pel  suo  trasporto,  e  per  quello 
del  suo  seguito.  Sbarcò  a  Cliioggia 
ad  un'ora  della  sera,  e  prese  allog- 
gio, e  dornù  nel  palazzo  Grassi,  ove 
fu  convenientemente  complimentato 
a  nome  della  repubblica  veneta , 
dai  procuratori  di  s.  ]Marco  Manin 
e  Contarini,  che  poi  il  corteggiaro- 
no sino  ai  confini  dei  dominii  vene- 
ziani. Il  di  lui  successore  Pio  VII, 
eletto  nel  1800  in  Venezia,  avanti 
di  recarsi  in  Pioma,  andò  a  vedere 
su  di  un  piccolo  legno  i  celebrati 
Murazzi,  come  raccontano  Cancel- 
lieri ne'  suoi  Possessi,  a  pag.  4^^'^  > 
e  Pistoiesi,  1  ila  di  Pio  l" II,  tomo 
1,  pag.   87. 

Cliioggia  divenne  più  considere- 
vole allorquando  verso  l'anno  1106 
\i  fu  trasferita  la  sede  vescovile  di 
INIalamocco,  suffraganea  del  patriar- 
cato di  Grado,  la  quale  era  stata 
fondata  circa  nell'anno  G38  da  Tri- 
oidio  vescovo  di  Padova  ,  ivi  rifu- 
giatosi per  la  persecuzione  di  Piola- 
ri.  Il  vescovo,  che  per  lo  stato  ro- 
Ninoso  di  Malamocco  si  fissò  a 
Cliioggia,  fu  Arrigo  Grancarolo  nel 
pontificato  di  Pasquale  li,  e  nel  do- 
gado  di  Ordelafo  Fulicro.   Fu    SUC- 


CHI 101 

ceduto  nella  sede  di  Chioggia  da 
quei  personaggi,  che  si  leggono  nel- 
la Serie  dei  Vesco^'i  di  Malamocco 
e  Chioggia,  del  eh.  Giuseppe  Via- 
nelli  della  stessa  città.  In  progresso 
di  tempo  la  sede  divenne  sulfraga- 
nea  di  quella  di  Venezia,  dopo  che 
nel  XVI  secolo  fu  sollevala  al  gra- 
do patriarcale.  Si  contano  quindici 
sinodi,  che  celebi-aronsi  in  diverse 
epoche  dai  vescovi  di  Cliioggia,  e  i 
cinque  ultimi  furono  pubblicati  col- 
le stampe,  cioè  il  sinodo  di  Lorenzo 
Prezzato,  tenuto  nel  i6o3;  di  Pie- 
tro Paolo  Milolti  nel  16 16;  di 
Pasquale  Grassi  nel  i634;  di  Fran- 
cesco Grassi  nel  1648;  e  del  me- 
desimo Fi'ancesco  nel  1GG2.  La  cat- 
tedrale dedicata  all'  Assunzione  di 
IVIaria  Vergine  in  ciclo ,  possiede 
diverse  preziose  reliquie.  F  a  tre 
navi,  come  la  rifabbricò  larchi tetto 
Baldassare  Longhena  nel  i633,  sul- 
le rovine  dell'antica  stata  consunta 
da  un  incendio.  IMagnifico  n'  è  il 
pulpito,  ed  il  battisterio  di  marmo 
è  uno  de' più  celebri  d'Italia,  orna- 
to di  statue,  e  bassorilievi.  Il  suo 
campanile  altissimo  ed  isolato,  è  di 
bellissima  forma.  Dal  capitolo  usci- 
rono uomini  rinomatissimi.  Ora  si 
compone  di  otto  canonici,  di  tre 
dignità,  la  prima  delle  quali  è  l'ar- 
cidiacono, la  seconda  il  decano,  e 
tra  i  canonici  sono  compresi  il  teo- 
logo, e  il  penitenziere.  Vi  sono 
inoltre  addetti  all' iiffiziatura  altri 
preti  e  chierici.  Un  canonico  eser- 
cita ivi  le  funzioni  di  parroco,  e 
nella  città  vi  sono  due  altre  parro- 
chie,  ed  altre  chiese  ec.  Evvi  pu- 
re una  casa  di  Filippini,  un  istitu- 
to delle  scuole  pie,  un  altro  di 
beiìeficenza,  un  conservatorio  per  le 
zitelle,  il  seminario,  il  monte  di  pie- 
tà l'ospedale  ce.  L'episcopio  è  un  bel- 
l'edifizio;  e  la  mensa  per  ogninuo\x) 


102  CHI 

vescovo  è  tassala  ne'  libri  della  Ca- 
Diera  apostolica,  in  fiorini  sessan- 
totto. Il  rinomato  Cardinal  Bembo 
fu  canonico  decano  della  cattedrale; 
e  tra  i  molti  uomini  illustri,  che 
diede  la  città,  vanno  rammentati  il 
Cardinal  Santi  Yeioiiese,  il  doge 
Paolo  Renier,  molli  vescovi,  ed  uo- 
mini dottissimi. 

CH  IONIA  (s.).  Sebbene  di  geni  lo- 
ri idolatri,  subì  la  pena  del  marti- 
rio in  compagnia  delle  sorelle,  nel- 
l'anno 3o45  in  Tessalonica,  il  gior- 
no terzo  di  aprile.  V.  Agape  (s.)_, 
Irene  (s.). 

CHIOSTRO.  Questa  voce  in  gene- 
re significa  un  monistero  di  perso- 
ne regolari  dell'uno  e  l'allro  sesso  ; 
e  talvolta  la  vita  monastica.  In  que- 
sto senso  suol  dirsi,  che  uno  si  può 
salvare  nel  chiostro.  Il  monaco  spes- 
so viene  chiamato  claustrale  dagli 
scrittori  ecclesiaslici.  J^.  Macri  Noi. 
(le'vocab.  ecclesiastici,  alla  voce  Clau- 
strum.  Anticamente  i  chiostri  erano 
ancora  scuole  di  lingua,  di  lettere, 
e  di  arti  liberali,  massime  ne' tem- 
pi, in  cui  per  le  barbarie  non  v'era- 
no le  pubbliche  scuole.  Tuttavolta 
anche  ne' secoli  a  noi  vicini,  e  pre- 
sentemente in  alcuni  raonisteri  te- 
nevausi,  e  si  tengono  gratuitamente 
scuole  di  filosofia,  teologia,  diritto 
canonico,  ec.^  benché  a  ciò  non  ob- 
blighi il  loro  istituto. 

In  generale  dlcesi  chiostro  quel 
luogo  chiuso,  e  per  lo  più  abitato 
da  persone  sagre.  Si  dà  anche  tal 
nome  alle  loggie  e  ai  portici  intor- 
no ai  cortili  de'  conventi ,  perysti- 
lium.  I  chiostri  servirono  eziandio 
di  onesta  prigione  a'  principi  infe- 
lici ,  e  ad  alcuni  sovrani  di  ul- 
tima abitazione,  non  meno  che  ai 
vescovi  ad  altri  prelati,  o  necessa- 
riamente, o  volontariamente  peni- 
tenti. 


CHI 

CHIROGRAFO,  o  CIROGRAFO 

(  Cliiro^raplmm,  Cirof^raphitin).  Que- 
sta parola  viene  dal  greco,  e  signi- 
fica scrittura  in  cera,  giacché  prima 
scrivevasi  sopra  tavolette  spalmate 
di  cera.  Questo  vocabolo  aulicamente 
indicava  pure  un  atto,  che,  richie- 
dendo una  copia,  si  scriveva  due 
volte  in  una  medesima  pergamena 
in  senso  contrario ,  lasciando  uno 
spazio  frammezzo,  ov'era  scritto  il 
chirografo,  per  la  cui  metà  era  ta- 
gliata la  pergamena  ora  per  diiitlo, 
ora  a  denti  ,  consegnandosene  la 
metà  a  cadauna  delle  parti.  Di  pre- 
sente da'  giureconsulti  per  chiro- 
grafo intendesi  ima  scrittura  auten- 
tica stesa  di  proprio  pugno  portante 
obbligazione,  secondo  che  la  defini- 
sce il  Dizionario  della  lingua  ita- 
liana. V.  Chirographarius,  nel  Hie- 
rolexicon  del  Macri;  ed  il  Forcellini, 
Lexicon  totius  latinitalis  pag.  554 
del  t.  I,  Patav.  1827.  Chirografo 
anche  nel  senso  di  diploma  scriptum, 
pactum,  reguni  et  principuni  mani- 
bus  ac  subscriptionihus  roboratuvi 
(  Da  Cange,  Glossar,  ad  scriptor. 
med.  et  infimae  latinitatis,  Venet. 
1737,  t.  II,  p.  536),  quando  ha 
il  distintivo  di  Pontifìcio,  significa 
quella  concessione,  o  conferma  di 
grazia,  che  il  Papa  accorda,  o  nel- 
r  interesse  della  camera  Apostolica, 
o  in  seguito  di  domanda  di  parti- 
colari, o  di  j)Ioto  proprio  (^Fedi) , 
sempre  munito  a  piedi  della  sua  au- 
tografa firma,  e  registrato  nella  me- 
desima Camera,  a  differenza  delle 
Bolle  {Fedi),  e  dei  Brevi  {Vedi), 
e  con  deroga  alle  formalità  pre- 
scritte dalla  costituzione  di  Pio  IV, 
De  registrandis.  Così  si  esprime  in 
proposito  Teodoro  Amydenio,  cele- 
l)re  avvocato  della  curia  romana , 
De  officio  et  j'urisdictionc  Datariae, 
et  de  stylo  Datariae,  lib.  I,  cap,  i5. 


CHI 

lì.  1 19,  pag.  c)!,  cdit.  Venet.  i65^. 
Egli,  dopo  avere  riportato  quasi  per 
esemplare  un  chirografo  di  Urbano 
Vili,  dei  21  agosto  1627,  a  favo- 
re del  marchese  ^  incenzo  Giusti- 
niani, signore  in  tcmporalibus  del 
castello  di  Bassa  no  nella  diocesi  di 
Sutri,  così  soggiugne,  dopo  la  fir- 
ma di  Urbano  Vili  :  '>  Haec  est 
»  forma  conlìrmationis  per  chiro- 
"  graphum,  quod  nihil  aliud  est, 
»  quam  cedula  nostra  propria  ma- 
«  nu  subscripta ,  et  semper  solet 
«  concipi  lingua  vernacula ,  sub- 
"  scribitur  tamen  lingua  latina  , 
»  videlicet  ;  Urbanus  Papa  Vili, 
"  quae  subscriptio  in  Chirographo 
"  adjicitur  in  fine.  In  litteris  in 
w  forma  Brevis  ponitur  a  princi- 
»  pio,  et  non  scripta  de  nianu 
>i  Papae  ". 

Lo  stesso  Amydenio  soggiunge 
al  n.  120,  che  »  Chirographa  non 
>i  fiunt  nisi  in  materiis  spectanti- 
»  bus  interesse  Camerae  ".  Questa 
ultima  parte  non  va  però  presa 
così  sti'ettamente  alla  lettera,  giac- 
ché non  solo  dove  trattavasi  degli 
interessi  della  Camera,  ma  anche 
nel  Coiicessum  ai  particolari,  le  gra- 
zie venivano  talvolta  per  chirografo. 
Ciò  si  rammenta  dalla  sagra  B.ota 
come  cosa  notoria.  Gravi  questioni 
insorsero  fra  il  marchese  Andrea 
Giustiniani  di  Genova ,  prima  per 
la  separazione  tra  d.  Eugenia  Spi- 
nola sua  moglie ,  poi  per  la  resti- 
tuzione del  quarto  della  sua  dote , 
costituitogli  in  scudi  ventiduemila 
d'oro  di  stampa.  Nel  proporre,  a'  27 
aprile  1642,  la  causa  su  quest'ul- 
timo articolo,  cadde  in  discussione 
la  famigerata  bolla  di  Sisto  V  sul- 
la riforma  delle  doti,  eh'  è  la  costi- 
tuzione 52  del  Bollano  Romano  del 
Cherubini,  t.  Il,  p.  4^9,  nella  <[uale 
si  riserbò    la    facoltà    nei    rispettivi 


CHI  io3 

casi  »  supplicationem  ani  alium  mo- 
-•>  tum  propri um,  nostra  seu  Roma- 
-V  ni  Pontificis  prò  tempore  existen- 
»  tis  manu  signata,  derogalio  fue- 
"  rit  concessa  ".  Sulla  scorta  di 
tali  parole  il  tribunale  della  Piota, 
nella  detta  causa  Giustiniani  e  Spi- 
nola, Rot.  Roin.  Recentìor,  par.  9, 
n.  I.  Decìs.  'j5,  n.  59,  62,  si  espres- 
se al  modo  seguente  :  «  Sed  cer- 
"  tum  est  quod  praeter  supplica- 
»  tiones  tunc  non  signabantur  ma- 
»  nu  Papae  nisi  Chirographa.  Ergo 
»  de  illis  loquitur  Sis^tus  ,  et  ap- 
-■'  pellatione  moia  proprii  manu  Pa- 
»  pae  signati  venit  etiani  Chirogra- 
»  phum  ".  E  più  sotto  al  n.  62 
si  legge  :  Et  Chirographa  sìve  con- 
-•'  cernent  interesse  Camerae ,  sive 
»  privatorum,  solent  signari  manu 
•'  Sanctissimi,  et  registrar!  in  Ca- 
"   mera,  ut  est  notum  ". 

Da  quanto  si  è  qui  compendio- 
samente esposto  per  definire  il  chi- 
rografo Pontificio  ,  può  conoscersi  , 
che  le  grazie  per  chirografo  si  ac- 
cordano dal  sovrano  Pontefice ,  sia 
neir  interesse  della  camera  Aposto- 
lica, sia  in  quello  dei  privati,  e  che 
il  distintivo  dei  Chirografi,  non  che 
dei  pontificii  3Ioto-jìropri  consiste 
nell'estensione  italiana,  e  nella  fir- 
ma latina  dei  sommi  Pontelici  a 
piedi  dei  medesimi,  che  in  fine  ven- 
gono registrati  in  Camera,  eccettua- 
to il  caso  di  una  deroga  espressa 
nei  medesimi  Chirogiaii  alla  bolla 
di  Pio  IV,  De  registrandis.  11  dot- 
tissimo monsignor  Marino  Marini, 
prefetto  degli  archivi  vaticani,  pub- 
blicò nel  1  84  1  in  Rouja  colle  stam- 
pe, l'eruditissima  Dissertazione  Di- 
plomatico-Poìiti/ìcia,  ossieno  osser- 
vazioni paleografiche  ed  erudite  sul- 
le bolle  de' Papi. 

L'origine  di  questa  diversità    fra 
i  Chirografi,    e   Moto-propri ,    dalle 


io4  CHI 

bolle,  e  dal  brevi  non  si  saprebbe 
con  cortezza  additare,  e  solo  per  sem- 
plice congettura  può  ari^uirsi,  clic 
venissero  introdotti  dopo  la  resti- 
tuzione della  residenza  Pontificia  da 
Avignone  in  Roma,  avvenimento 
cbe  rimonta  all'anno  iSyy.  Clemen- 
te Xn,  verso  l'anno  1735,  stabilì 
die  le  prime  minute  delle  bolle,  le 
quali  si  fanno  dall'  uflicio  degli  ab- 
breviatori,  fossero  munite  del  chi- 
rografo pontificio,  come  pure  i  bre- 
vi, affine  di  togliere  l'abuso  intro- 
dotto, che  le  bolle,  alle  quali  non 
ispettava  l'approvazione  del  conci- 
storo, si  publ)licassei"o  senza  la  sot- 
toscrizione del  Papa.  Il  regnante 
Gregorio  XVI  col  Moto-proprio  del 
IO  novembre  i834,  col  quale  pub- 
blicò il  Regolamento  legislativo  e 
giudiziario  per  gli  a/fari  civili,  nel- 
la parte  II,  titolo  I,  si  espresse  co- 
sì nel  §  278:  "  I  Chirografi,  che 
»  contengono  le  concessioni  sovra- 
»  ne,  si  spediscono,  e  l'imangono 
»  depositati  nella  cancelleria  del  tri- 
jj   bunale  supremo  di  segnatura  ". 

I  chirografi  pontificii  rare  volte 
sono  assoluti,  e  quasi  sempre  ven- 
gono emanati,  e  diretti  al  prelato 
uditore  del  Papa,  se  riguardano 
soggetti,  e  cose  particolari.  Se  poi 
appellano  ad  interesse  pubblico ,  o 
vengono  commessi  al  Cardinal  Ca- 
merlengo di  s.  Chiesa ,  ovvero  al 
prelato  tesoriere,  specialmente  in 
cose  riguardanti  l'erario.  Qualunque 
per  altro  sia  il  Chirografo,  vi  sono 
alcune  formole  generali,  che  a  mag- 
gior intelligenza  si  trascrivono  qui 
appresso  letteralmente. 

«  In  adempimento  pertanto  del 
!»  presente  Nostro  Chirografo  ne 
'»  pronuncierete  qualunijue  deci'cto, 
»»  concederete  in  nome  Nostro  le 
»  opportune  facoltà,  e  farete  tut- 
■i   t'altro,  che    per    la  totale   esecu- 


CIII 

zinne,  perpetua  fermezza  ,  e    sus- 
sistenza di  questa     Nostra    gnizia 
stimerete    essere     in     (pialsi voglia 
modo  spcdiente  e  necessario,    es- 
sendo mente,     e    volontà    Nostra 
espressa.     Volendo     e    decretando 
che  al  presente  Chirografo,  quan- 
tunque non  esibito    né  registralo 
in   Camera,  e  ne' suoi  libri,    non 
possa   mai    darsi,     né  opporsi     di 
orrezione,  e  sorrezione,  uè  di  al- 
cun altro    vizio,    e    difetto    della 
Nostra  volontà,  ed  intenzione,  né 
che  mai  sotto    tali  altri    qualun- 
que pretesti  possa  essere  impugna- 
to, moderato,  e  rivocato,  e  che  co- 
sì, e  non  altritnenti,  debbe  sempre 
giudicarsi,  definirsi,    ed    interpre- 
tarsi   da    qualsivoglia     giudice     o 
tribunale  benché  collegiale,     con- 
gregazione anche  de'  reverendissi- 
mi  Cardinali,  camerlengo  di  santa 
Chiesa,  vescovi,  governatori ,    te- 
soriere, rota,    e   camera,   e    qua- 
lunque altro,  togliendo  loro  ogni 
facoltà  e  giurisdizione  di  giudica- 
re, definire  ed  interpretare  in  con- 
trario, dichiarando    Noi   fin    d'a- 
desso preventivamente  nullo ,    ir- 
rito, ed  invalido  tuttociò,  che  da 
ciascuno  di  essi  con    qualsivoglia 
autorità  scientemente,  o  ignoran- 
temente fosse  in  qualun([ue  tem- 
po giudicato,  o  si   tentasse  giudi- 
care contro  la  formale  disposizio- 
ne del  presente  Nostro  Chirogra- 
fo, quale  vogliamo  che  vaglia,  e 
e  debba  aver  sempre  il    suo  pie- 
no   effetto,     esecuzione    e    vigore 
colla  semplice  Nostra  sottoscrizio- 
ne, ancorché  non  vi  fossero  state 
intese  quali    si    vogliano    persone 
privilegiate,     e     privilegiatissime , 
ecclesiastiche,  e   luoghi  pii   che  vi 
avessero,    o  pretendessero  di  aver- 
vi alcun  interesse,  e  che  per  com- 
prenderle facesse  bisogno    di  spe- 


CUI 
ciale,  ed  iiulividiin  menzione.  Non 
ostanlc  (qui  si  pone,  ctl  indivi- 
dua o  il  Icslamciito,  o  altro  Clii- 
rogiafo,  o  qualsiasi  alto  al  qnal 
venga  derogalo  )  come  pure  non 
ostanti  le  opposizioni ,  e  dissenso 
di  qualunque  interessato,  la  bolla 
di  Pio  IV  di  fé.  me.  Nostro 
pi'edecessore,  de  regislrandis,  la 
regola  della  nostra  Cancelleria 
de  jiirc.  quaesìlo  non  tallendo,  ed 
altre  qualsivogliano  costituzioni  , 
ed  ordinazioni  apostoliche  Nostre, 
e  de'  Nostri  predecessori ,  leggi  , 
statuti,  riforme,  usi,  stili,  consue- 
tudini,  e  qualunque  altre  cose, 
che  facesse,  o  potesse  fare  in  con- 
trario, alle  quali  tutte  e  sing(jle 
avendone  il  tenore  qui  per  espres- 
so, e  di  parola  in  parola  inseri- 
to, e  registrato,  e  supplendo  Noi 
colla  pienezza  delia  Nostra  pote- 
stà Pontifìcia  ,  ad  ogni  vizio  o 
difetto  quantunque  sostanziale,  e 
fomnaley  xìte  vi  potesse  rnterveni- 
l'e,  per  questa  sola  volta  ,  e  per 
la  piena ,  e  total  esecuzione  di 
quanto  si  contiene  nel  presente 
Nostro  Chirografo,  ampiamente, 
ed  espressamente  deroghiamo. 
»  Dato  dal  nostro  palazzo  apo- 
stolico al  Vaticano,  o  Quirinale, 
questo  di  .   .   .  novembre    .... 

GREGORIUS  PAPA  XVI". 

Non  si  pose  la  data  pcrehc  de- 
ve mettersi  dal  Papa  di  proprio 
pugno. 

CHIRURGIA  {Chirurgia,  Cem- 
gia,  o  Cirusia).  Questo  vocabolo 
deriva  dalle  voci  greche  cìiir,  ma- 
no, ed  ergoUj  e  si  applica  a  quella 
scienza,  che  .si  occupa  della  cogni- 
zione, e  della  cura  delie  maUitlie 
del  coqio   uiiiauo,  e  per    la    guari- 


CHI  io:) 

gionc  delle  (piali  può  occorrere  l'ap- 
plicazione della    mano,    degli    stru- 
menti, e  dei   topici,  come  mezzi  es- 
senziali di  guarigione.   Dopo  la   me- 
tà tlel  .secolo  decimosecondo,  la  chi- 
rurgia fu  separata  interamente  dal- 
la medicina  ;  ed  il  Marini,  /Irchiatri 
Poulijìcii,    tom.   I,  p.   5 ,    ignora    se 
fosse  per  volere  di    Ronilàeio   Vili, 
che  s' introdusse  nelle    università  di 
Parigi  la  separazione  della  chiiurgia 
dalla  medicina.    V.  Hisloire  de  l'o- 
rigine ec.  de  la    Chirurgie  en  Fran- 
ce.   Quantunque  la  chirurgia  sia  un' 
arte  utilissima  alla    società ,    diversi 
concilii    la    proibiscono    ai    regolari, 
ed  ai  secolari,  che  sono  negli  ordini 
ecclesiastici,  allorché  induce  adustio- 
ne, od  incisione,     massime     il    con- 
cilio di  Tours,  celebrato    nel    i  i  <>  ">, 
e  quello     generale    XII,     presieduto 
nell'anno  1 2  i5  da  Innocen/,o  111   nel 
La  telano.    V.  capo   IX  delle  Decre- 
tali di  Gregorio   IX,  tit.    Ne  clerici 
vel  monachi  ec.    Bonifacio  VIII    di- 
chiarò, che  la  costituzione  di   On<j- 
rio  HI,  la  prima  parlò  d'ogni  ordi- 
ne di  persone  sagre    (essendo    state 
le  altre  costituzioni  pei  soli  monaci, 
e  canonici  legolari),  e  proibiva  hjro 
l'esercizio  della  chirurgia,    ma    non 
doveva  estendersi  ad  cos  (pii  pavu- 
chiales  Ecclesias  ohtìnere  nosciinlur, 
capo  1,   tit.  eadem   in   Sexto.  Sicco- 
me poi   dalla   legge    di    Onorio    III 
dispensarono    i    Pontefici     in     ogni 
tempo,  cos'i  alcuni  molte  volte  per- 
misero di    potere    essere    chirmghi, 
principalmente  ai  missionari!,   e    ai 
religiosi  ospitalari,  come    i    Benfra- 
tclli  [^cdi),  colle  rispettive    clausole 
e  restrizioni.   L'epoca  certa  della  di- 
visione della  chirurgia    dalla    medi- 
cina   vuoisi    attribuire  ,    quando    la 
Chiesa  ne  vietò    V  esercizio  agli    ec- 
clesiastici,  per  cui  la  chirurgia  cad- 
de nel  rlominio  de  laici.    Ma    sicco- 


io5  CHI 

me  questi  erano  di  iinri  it;noranz;i 
oslreuia,  gli  ecclesiastici,  clie  natu- 
ralmente esercitavano  quella  supe- 
riorità che  loro  dava  il  sapere , 
presero  su  di  essi  un  impero  e  un 
autorità,  che  si  mantenne  fin  quasi 
al  principio  del  secolo  passato,  ben- 
cliè  da  molto  tempo  la  medicina 
avesse  cessato  di  essere  esercitala 
dai  membri  del  chiericato.  In  Fran- 
cia, dopo  il  secolo  XII,  la  facoltà 
medica  chiamò  i  barbieri  per  con- 
fidar loro  i  soccorsi  della  chirurgia 
manuale.  In  seguito  essa  li  iniziò 
alle  funzioni  delle  grandi  operazioni 
della  chirurgia  ;  in  fine  pervenne  a 
fare  unire  i  barbieri  al  corpo  dei 
chirurghi.  La  chirurgia,  cos'i  degra- 
data per  la  associazione  sua  con  ar- 
tisti, fu  esposta  al  dispregio ,  e  fu 
spogliata  degli  onori  letterari.  Ma 
in  progresso  i  chirurghi  ristabiliro- 
no la  gloria  dell'arte. 

La  proibizione  dell'esercizio  della 
chirurgia  ai  religiosi,  ed  ai  chierici, 
è  fondata  nella  considerazione,  che 
questa  arte,  sebbene  in  sé  eccellen- 
te, tuttavolta  ritiene  alcpianto  del 
crudele,  e  domanda  neh'  esecuzione 
molte  cose,  che  sono  affatto  contra- 
rie alla  santità  dello  slato  ecclesia- 
stico. Quindi  ne  segue,  che  un  chie- 
rico negli  ordini  sagri  è  irregolare 
quando  una  persona  muore  dopo 
qualche  opei'azione  chirurgica  da 
lui  fattale,  ad  onta  che  abbia  osser- 
vato tutte  le  regole  dell'arte,  e  che 
la  persona  sia  morta  senza  che  vi 
sia  sua  colpa.  La  ragione  è  perchè 
i  concili  gli  proibiscono  l' esercizio 
di  questa  arte,  in  questo  caso  sot- 
to pena  d'irregolarità,  e  quando  si 
fa  una  cosa  proibita,  naturalmente 
s' incorre  nelle  pene  stabilite  contra 
quelli,  che  le  commettono,  quantun- 
que diligentemente  si  adempiano  le 
presaizioui  dell'arte. 


CHI 

Non  essendo  nostro  scopo  dilun- 
garci in  questa  scicMi/.a,  possono  con- 
sultarsi piuttosto  i  seguenti  Diziona- 
ri che  di  proposito  ne  parlano;  Eii- 
cyclop.  mttliod.  traduzione  di  Cesa- 
re Ruggieri,  col  titolo  Dizionario 
enciclopedico,  Padova  i8o5,  tom.  I, 
p.  5,  e  se^.  ;  Dizionario  classico  di 
medicina  interna  ed  esterna,  prima 
traduzione  italiana,  Venezia  i834, 
tom.  VI,  pag.  36 1,  87 1,  e  SgS  ; 
Dizionario  chirurgico  comunicato  ai 
compilatori  della  Enciclopedia  dal 
signor  Lovis,  traduzione  di  Girola- 
mo Ferrari,  Venezia  1794?  tom.  I, 
p.  i2f)  e  i33:  alle  pag.  i3g  e  se- 
guenti si  riportano  le  notizie  dei 
pi  il  celebri  autori  di  chirurgia  ; 
Dictionnaire  de  3Iedecinc  oii  reper- 
toire  general  ec.  II  edition,  Paris 
1834.;  Dictionnaire  des  sciences  rne- 
dicales  par  una  societé  de  niedecins 
et  de  chirurgi ens  ,  Paris  18 13,  to- 
mo V,  pag.  84,  93,6  112;  Dizio- 
nario di  Cliirurgia  pratica,  di  Sa- 
muele Cooper,  traduzione  dall'in- 
glese, Milano  1823,  tom.  I,  p.  5i6 
e  seg.  E  Bayle  e  Gibert  ;  Diction- 
miire  de  Medecine  usuelle  et  donie- 
stiqae,  Paris  i835,  tome  premier, 
pag.  349  e  35 1.  Gli  elenchi  poi  di 
opere,  e  di  dissertazioni  di  chirur- 
gia si  troveranno  nella  Bibliotheca 
chirurgica  di  Haller;  Histoire  de  l'a- 
natomie et  de  la  chirurgie  di  Por- 
tal  ;  Litteratura  medica  digesta,  seti 
repertoriuìii  etc.  di  Ploucquet,  Conti- 
nuatio  et  snpplenienlum,  dello  stesso  ; 
e  negli  articoli  bibliogradci  delle  ./«• 
stitutiones  Chirurgiae  L.  lieisteri. 
Si  può  anche  vedere  il  Manuale  di 
Chirurgia  di  Chelius;  il  Dictionnai- 
re de  Med.  et  Chir.  pratiques  ;  ed 
i  citati  Diclion.  des  sciences  med.  , 
et  Dìction.   de  Med.  ou    repertoire. 

CHIRUllGO  ,  Cerusico  (  Chi- 
rurgus,  ^'uLncruiii    mcdicus).    JXomi- 


CHI 
nasi  così  l' individuo,  che  si  dedica 
air  esercizio  della  chirurgia,  e  che 
esercita,  e  professa  quest'  arte,  scien- 
za il  cui  vocabolo,  come  dicemmo 
al  precedente  articolo  ,  viene  da 
cldr ,  mano,  e  da  ergon  ^  opera. 
Molti  autori  hanno  considerata  la 
chiruigia ,  come  quel  ramo  della 
medicina,  che  guarisce  le  malattie 
coirajuto  della  mano,  cogli  stro- 
nienli,  o  con  rimedi  topici.  P^. 
Eiicyclop.  Metìiod.  Chir.  tom.  5. 
Antic,  Chirurgie.  La  medicina,  e  la 
chirurgia,  riguardate  come  una  sola 
e  medesima  scienza,  furono  eserci- 
tate da  uno  stesso  individuo  sino 
dalla  più  rimota  antichità.  L'eserci- 
tavano gli  ecclesiastici  promiscua- 
mente, finché  i  concilii  di  Reims, 
del  ii3i,  di  Montpellier,  di  Tours, 
e  il  generale  lateranense  IV  lo  vie- 
tarono ad  essi,  permettendo  loro  il 
solo  esercizio  della  medicina,  ond'  è 
che  per  le  operazioni  in  cui  adope- 
ravasi  il  ferro,  e  si  dovea  incidere 
o  tagliare,  si  servivano  dei  laici  eser- 
citanti l'arte  del  barbiere. 

Presso  gli  antichi  l'esercizio  della 
medicina  e  della  chirurgia  non  ap- 
parteneva che  a  genti  privilegiate.  E- 
sercitata  fu  poi  dagli  ecclesiastici,  col- 
l'ajuto  de'  laici  in  alcune  operazioni, 
e  così  continuarono  a  praticar  an- 
che i  medici,  dopo  chela  chirurgia  fu 
vietata  agli  ecclesiastici.  Nella  Fran- 
cia particolarmente  la  facoltà  medi- 
ca col  servirsi  di  chirurghi-barbie- 
ri, tenne  per  diversi  secoli  la  chirur- 
gia sotto  l'esclusiva  sua  dipendenza,  ed 
i  medici  si  limitavano  ad  istruire  i  chi- 
rurghi nell'anatomia,  nel  cavar  sangue, 
nei  fare  le  amputazioni,  e  poco  altro, 
e  quindi  la  facoltà  li  ammetteva  tra 
i  chirurghi-barbieri  .  Nel  i55i  fu 
imposta  una  tenue  contribuzione  al- 
la comunità  de  barbieri,  con  giura- 
mento di  rispetto,  e  ubbidienza    al- 


CHI  107 

la  facoltà  mediai.  Oltre  i  barbieri- 
chirurghi,  si  formò  poscia  un'  altra 
corporazione,  composta  di  uomini, 
che  facevano  i  loro  studi  nelle  uni- 
versità, i  quali  ben  presto  ebbero  il 
titolo  di  maestri,  e  di  cJnruri^^ìti  /ei- 
terati,  e  dì  foga,  per  distinguersi 
dalla  classe  de'barbieri.  Francesco  li 
accordò  ai  chiruighi  di  toga  gli 
stessi  privilegi,  che  avevano  i  dotto- 
ri e  licenziati  in  medicina;  ma  favo- 
rendo la  facoltà  medica  ,  i  barbie- 
ri dovettero  con  essi  fare  alleanza, 
e  la  loro  unione  coi  l)arbieri  fu  san- 
zionata dal  parlamento,  con  molte 
restrizioni  per  l'esercizio  della  chi- 
rurgia nei  barbieri,  sebbene  insieme 
componessero  una  sola  corporazione. 
Finalmente  i  chirurghi  colf  istituzio- 
ne d'una  accademia  chirurgica,  ad 
onta  degli  sforzi  de'  medici  posero 
la  chirurgia  nell'  antica  sua  dignità, 
e  separata  venne  l'unione  coi  bar- 
bieri. 

Nel  nostro  stato  Pontificio  i  chi- 
rurghi furono  messi  a  livello  de'me- 
dici  in  alcune  provincie,  al  principio 
del  secolo.  E  da  avvertirsi  poi  che 
anche  prima  a  Bologna  1'  alta  chi- 
rurgia era  esercitata  da  persone  mol- 
to istruite,  cioè  da'medici,  i  (piali  si 
davano  allo  studio  ed  all'esercizio 
della  chirurgia  dopo  avere  studiato, 
e  fatto  tuttociò,  che  facevano  gli  al- 
tri medici  per  ottener  gli  onori  nel- 
le lauree,  e  dal  collegio  erano  allo- 
ra tenuti  in  pi-egio,  e  pagavano  una 
somma,  che  oltrepassava  i  trecento 
scudi. 

Cessato  il  regno  d'Italia,  e  i  go- 
verni provvisorii,  che  gli  successero, 
il  Pontefice  Pio  VII  mandò  deleiia- 
to  a  Bologna  monsignor  Giacomo 
Giustiniani,  ora  Cardinal  Camerlen- 
go di  s.  Chiesa,  il  quale  riorganizzò 
ruuivernità.  Nella  (iicoltà  medica  sta- 
bili  una  sezione    di    chirurgia,    for- 


io8  CHI 

mala  da  due  |irofcssoii  di  aiialoinia 
iiiiiana,  d'an:jloinia  comparala,  e  ve- 
Jciiiiaria,  di  isliluzioni  cliiriuijiclic, ed 
o.slc;Lricia,  di  clinica  ci  li  ri  nimica,  ed  o- 
pcrazioiii  chirurgiclie,  Qncsli  prolcs- 
sori,  unitamente  agii  altri  tulli  del- 
la facollà  medica,  eosliluivano  il  Col- 
Jei^iiì,  al  (juale  spellavano  gli  esami 
])er  la  collazione  dei  giadi ,  e  per 
la  palenle  di  libero  esercizio  tanto 
in  medicina  che  in  chirurgia ,  in 
farmacia,  in  veterinaria.  Gli  studen- 
ti di  chirurgia  furono  obbligati  non 
solo  alla  lezione  dai  suddelli  pro- 
fessori componenti  la  sezione  chirur- 
gica, ma  alle  altre  ancora  di  storia 
naturale,  di  botanica,  di  chimica, 
tli  materia  medica,  di  farmacia,  di 
medicina  legale,  ebbero  tanti  anni 
di  studio  quanto  i  medici,  e  dovet- 
tero subire  gli  esami  medesimi  pel 
haccellierato,  per  la  licenza,  e  per  la 
laurea  ;  e  se  pel  libero  esercizio  do- 
vettero pagare  la  stessa  somma  a 
titolo  di  propina,  ebbero  gli  stessi 
onori,  e  la  stessa  facoltà  per  la  chi- 
rurgia, che  i  medici  per  la  mede- 
sinia. 

jNelle  altre  provincie,  ed  in  Roma, 
dopo  la  bolla  dì  Leone  XII,  Quod 
(ìi\'iiia  sapiciilia,  i  chirurghi  vengono 
laureati  dopo  che  abbiano  presi  i 
gradi  nelle  imivcrsità,  ed  abbiano 
fatto  parte  del  collegio  medico-chi- 
rurgico. Autorizzati  vennero  ad  or- 
dinare nelle  malattie  chirurgiche 
ogni  medicamento,  e  godono  perciò 
per  le  malattie  chirurgiche  la  stessa 
facoltà  che  i  medici  esercitano  per  le 
malattie  di  pertinenza  medica.  Non 
è  così  però  negli  ospedali ,  ove  si 
tiene  1'  antica  pratica ,  avvegnaché 
tulle  le  ordinazioni  dietetiche ,  e 
làrinaceutiche,  anche  pei  malati  di 
chirurgia,  sono  fitte  dai  medici. 
Perciì:>  che  riguarda  i  chirurghi,  e 
la  loro  proiessioue,  al  precedente  ar- 


CIll 

ticolo  Chiruì^ia  (l'aedi),  citammo  vari 
autori,  che  della  loro  scienza,  e  del- 
le loro  individuali  pertinenze  trat- 
tano didusamente,  e  con  piena  co- 
gnizione dell'argomento,  non  che 
de'  chirurghi  più  celebri. 

rui)orteremo  qui  qualche  erudi- 
zione rigunrdante  i  chirurghi  dei 
l'api  e  del  sagro  Collegio  nei  con- 
clavi, menlre  per  (pianto  riguarda 
i  barbieri-chirurghi  di  Roma,  si  par- 
lerà in  appresso.  Perciò  che  spetta 
ai  chirurghi  dei  Pontefici ,  essi  ap- 
partengono alla  famiglia  nobile  pon- 
tificia, godono  r  abitazione  nel  palaz- 
zo apostolico,  e  di  quello  distribu- 
zioni di  palme,  e  candele  benedet- 
te, medaglie  d'argento  ec.,  giusta 
l'uso  dei  palatini,  ed  a  seconda  del 
bisogno  e  del  piacitìiento  dei  Papi. 
Talvolta  col  cameriere  segreto  ar- 
climlro  i^k'edi),  li  seguono  nei  treni 
in  separato  frullone,  ed  il  loro  ono- 
rario mensile  è  di  scudi  venticinque. 
Per  quanto  riguarda  la  sezione  del 
pontificio  cadavere,  che  dai  chirur- 
ghi si  eseguisce,  se  ne  tratta  all'arti- 
colo Cadavere  del  Papa.  Del  re- 
sto essi  godono  di  quelle  preroga- 
tive, distinzioni,  riguardi,  e  benefi- 
cenze, che  loro  sono  dovute  per 
l'alto  onore  di  servire  il  sovrano 
Pontefice,  e  quali  inlimi  suoi  fami- 
gliari. 

Da  ultimo  Leone  XII,  nella  bol- 
la Quod  divina  sapiciiùa ,  decretò 
che  il  medico,  e  il  chirurgo  del 
Papa  appartenevano  sempre  al  col- 
legio medico  chirurgico  dell'univer- 
sità di  Roma,  e  qualora  non  vi  fos- 
se posto  in  collegio ,  pel  completo 
numero  de' collegiali,  ambedue  fos- 
sero ammessi  come  onorarli  per  poi 
occupare  il  primo  posto  vacante.  Il 
chirurgo  del  conclave  si  presceglie 
per  voti  segreti  dal  sagio  Collegio 
de"  Cardinali  nella  quarta  congrega- 


CHI 

7Ìone  generale,  che  tengono  (ìopo  la 
morte  del  Papa,  nella  quale  pure 
vengono  eletti  pel  conclave  (lue  me- 
dici, collo  stipendio  ognuno  di  cen- 
to scudi  al  mese,  fruendo  e  parte- 
cipando de' privilegi  Ae  Conclavisti 
[Fedi),  non  che  delie  zimarre  ne- 
re, che  il  medesimo  conclave  pure 
a  loro  concede.  Da  ciò  si  conosce 
che  l'abito  del  chirurgo  del  concla- 
ve è  la  zimai'ra  nera ,  colla  ber- 
retta dottorale  del  medesimo  colo- 
re. Per  dare  poi  qualche  nozione 
de' chirurghi  de' Pontefici,  e  de' con- 
clavi, ci  limiteremo  ai  seguenti  cenni. 
Sì  fa  menzione  di  un  certo  Pie- 
tro de  Tofallis,  dal  eh.  Gaetano  Ma- 
rini, ne'  suoi  Archiatri  Ponli/Icii,  il 
quale  fu  medico  chirurgo  sino  dal 
iSiy  del  Papa  Giovanni  XXII,  re- 
sidente in  Avignone,  e  fu  annove- 
ralo tra  gli  ofliciali,  e  famigliari  del 
Pontefice,  poi  fatto  canonico  d'Agen. 
Nelle  vite  de' Pontefici  si  legge  inol- 
tre, che  cospirando  contro  la  vita 
di  Giovanni  XXII,  prima  col  vele- 
no, poi  colla  magia,  sì  Girand  ve- 
scovo di  Cahors,  si  Beinardo  can- 
tore di  Poitiers ,  e  sì  il  medico,  e 
il  barbiere  flello  stesso  Papa,  tutti 
furono  puniti  severissimamente.  Eo- 
neto  Mote  o  di  Lanfranco  fu  me- 
dico, e  valente  chirurgo  dal  1 34o 
in  poi  di  Benedetto  XII,  come  Io 
fu  Arnoldo  de  Chatus  do  micelio  e 
chirurgo,  che  forse  lo  fu  pure  di 
Clemente  VI.  Pietro  Augerii  fu  chi- 
rurgo o  siirffìco^  come  allora  si  di- 
ceva, ed  è  chiamato  (ìniuiaUo,  cioè 
cameriere,  sino  dal  i33r),  di  Bene- 
detto XII,  e  servì  anche  Clemente 
VI,  venendo  chiamato  ancora  medi- 
co. Giovanni  di  Genova,  e  Giovan- 
ni di  Parma  furono  chiringhi  di 
Clemente  VI;  il  primo  si  conosce 
anche  col  nome  di  medico,  e  il  se- 
condo di  siirgico,  e    di  fisico ,    scr- 


CIII  109 

vendo  poi  anche  Innocenzo  VI.  Bi- 
eeveva  per  ogni  otto  sctlimane  ,  o 
sia  per  ogni  bimestre,  come  allora 
si  pagavano  gli  onorari i,  ventisette 
fiorini  e  nove  denari,  ch'era  l'or- 
dinario stipendio  così  de'medici,  co- 
me de' chirurghi  palatini.  Del  celebre 
Guido  o  Guidone  de  Chauliac,  me- 
dico e  chirurgo  di  Uibano  V,  cap- 
pellaniis  et  commensalis  Papac,  che 
nel  1 363  scrisse  un'  opera,  è  a  ve- 
dersi il  citato  Marini  tom.  I,  pag. 
7()  e  scg.  sulle  diverse  opinioni,  che 
sia  stato  al  servigio  di  altri  Papi 
avignonesi. 

G  nudai  fa  da  Cremona,  snrsieo, 
seguì  Libano  V  nel  viaggio  in  Ita- 
lia; ed  un  Giovanni  Catalani,  chi- 
rurgo degli  spedali  di  Avignone,  ri- 
ceveva lo  stipendio  prima  da  Ur- 
bano V,  e  poi  da  Gregorio  XI. 
Bobino  de  Singallo  fu  serviente 
d'armi  dell'aula  pontificia,  cioè  maz- 
ziere, e  fu  barbiere  e  chirurgo  di 
Urbano  V:  servì  di  poi  anche  Gre- 
gorio XI.  Angelo  di  Manuele,  ebreo 
di  Trastevere,  nel  1 3r):?,  fu  anno- 
verato tra  i  famigliari,  o  medici 
del  Papa,  e  della  santa  Sede,  me- 
diante una  bolla  di  Bonidicio  IX, 
che  il  medesimo  Marini  riporta  iicl- 
V  Appendice  al  num.  XX;  mentre 
in  allra  del  1399,  num.  XXVI,  io 
chiama  chiiurgo,  e  tanto  egli  che  i 
suoi  figli  parimenti  ehirui'ghi,  sì  da 
Bonifacio  IX,  sì  da  Giovanni  XXIII, 
e  sì  da  Martino  V  furono  ricolmi 
di  grazie  e  di  favori.  Allorché  Ales- 
sandro V  nel  i4io  si  fermò  in  Bo- 
logna, vuoisi  che  avesse  per  suo 
chirurgo  il  rinomato  Pietro  d'Arge- 
lata,  dal  quale  fu  poi  aperto  ed  im- 
balsamato, il  di  lui  cadavere  :  Pie- 
tro Amelio,  sagrista  di  Urbano  V, 
giudicò  a  pioposito  inserire  nel  suo 
Ordine  romano,  presso  il  Mabillon, 
Dlus.  Jial.  tom.  II,  p.  526  e  527, 


no  CHI 

dopo  di  avere  ivi  detto  il  dovere 
de'  medici ,  allorché  essi  vedono  il 
Papa  prossimo  a  morirò,  il  modo 
clic  nella  preparazione  del  pontificio 
cadavere  si  adoperava  ,  di  clic  si 
parla  al  citato  articolo  Cadavere 
del  Papa. 

Da  una  lettera  del  Cardinal  Pa- 
pieiise,  de' 26  lnf»lio  1 4^^,  si  rileva, 
che  Giovanni  /llbarisaìù,  di  Ferra- 
ra, accolito  di  Paolo  II,  da  questo 
fu  dichiarato  suo  chirurgo,  ed  ebbe 
quindi  diverse  provviste  ecclesiasti- 
che, ed  il  vescovato  di  s.  Agata  dei 
Goti.  Non  solo  Sisto  IV  ricolmò  di 
onori  i  medici ,  ma  conoscendo  la 
importanza  della  loro  arte,  con  bol- 
la del  147^3  ad  ovviare  i  gravi  er- 
rori, che  si  commettevano  da  quelli, 
che  usurpavano  il  nome  di  medi- 
ci, ordinò  che  si  eseguisse  la  legge 
fatta  dal  collegio  de' medici  di  Ro- 
ma, che  nessuno  maschio  o  femmi- 
na, cristiano  o  giudeo,  i  quali  non 
fossero  maestri  o  licenziati  in  me- 
dicina ,  si  esercitasse  sul  corpo  u- 
mano  in  fìsica,  o  chirurgia;  la  qual 
legge  Sisto  IV  estese  poscia  nel  i47^ 
con  sua  bolla  anche  agli  speziali 
[Fedi).  Queste  due  bolle  conferma- 
te nel  i4i^6  da  Innocenzo  Vili,  in 
appresso  lo  furono  pure  da  Clemen- 
te VII  nel  i53i.  11  Marini  fa  men- 
zione di  un  libro  dedicato  a  Gia- 
como Solleciti,  medico  di  Sisto  IV, 
nel  quale  si  legge  la  formola  epi- 
stolare pei  medici  chirurghi,  in  cui 
si  nomina  un  Aduarda  Teutonico 
chirurgo  perìlissìmo.  Un  maestro  Gio- 
vanni Chirurgo  condusse  seco  con 
molte  persone  il  Cardinal  di  INIon- 
reale,  quando  andò  legato  di  Ales- 
sandro VI  al  re  Alfonso  di  Napoli 
nel   i494- 

Giacomo  Bartolomeo  da  Brescia 
fu  medico  di  Leone  X,  e  nella  ca- 
sa che  si    eresse    per   sé     presso     il 


CHI 
palazzo  Accoramboni  in  borgo,  nel- 
r  esterna  iscrizione  s' intitolò  Chi- 
rurgus.  Sebbene  il  Papa  nel  moto- 
proprio,  col  quale  gli  concesse  l'a- 
rea, mediante  lo  sborso  di  mille  du- 
cati di  oro  di  Camera,  lo  chiamas- 
se suo  medico  e  famigliare,  egli  in 
un  monumento,  che  poneva  alla  vi- 
sta di  tutti,  volle  dirsi  chirurgo,  e 
tale  dovette  essere.  E  veramente  di 
uomini  di  questa  professione  Leone 
X  avea  bisogno,  per  una  fìstola  ve- 
nutagli da  gran  tempo  sotto  le  na- 
tiche, a  curar  la  quale  fu  espressa- 
mente introdotto  nel  i5i3  pel  con- 
clave di  Giulio  li,  un  chirurgo  cuni 
omnibus  instrun:enlis  ad  scinden- 
duni  apostema,  et  iste  postquain  in- 
Iravit,  amplius  non  exivit,  siccome 
narra  il  diarista  Grassi.  Un  altro 
diarista  anonimo,  Miscel.  in  ardi. 
Val.  a  pag.  286,  racconta  essere 
questo  stato  Giacomo  da  Brescia, 
e  che  se  ne  uscì  dal  conclave  il 
giorno  medesimo,  in  cui  era  entra- 
to. Ma  lo  stesso  Grassi,  ed  altro 
isloriografo  di  quel  conclave ,  dico- 
no che  il  Cardinal  de' Medici,  poi 
Papa  Leone  X,  avesse  da  principio 
portato  per  conclavista  il  detto  Gia- 
como. Nell'agosto  del  loiG  fu  Leo- 
ne X  vicino  a  morire  per  tal  fìsto- 
la, apertaglisi  in  cinque  luoghi,  e  fu 
per  essa  che  nell'  anno  seguente  il 
Cardinal  Alfonso  Pelriicci,  il  quale 
si  chiamava  offeso  dalla  casa  ]\ledi- 
ci  gravemente ,  si  avvisò  di  poter 
insinuare  il  veleno  coll'opera  del  va- 
lente ed  ardito  chirurgo  Battista  da 
\ercelli  nel  medicare  al  Papa  la  fi- 
stola, avvegnaché  quel  chirurgo  ser- 
viva pure  il  fratello  del  Cardinale 
Borghese  Petrucci.  Discoperta  l'ini- 
qua trama,  il  chirurgo,  e  certo  Ni- 
ni furono  esemplarmente  squartati, 
e  rotta  la  gola  al  Cardinal  in  Castel 
s.  Angelo,  dopo  la    di  lui  degrada- 


CHI 

zione;  olire  di  che  severa  in  ente  fu- 
rono puniti  i  complici  di  si  orrendo 
attentato. 

Giocamo  Rnstclli,  rimincse,  fu  il 
chirurgo  di  Clemente  VII,  e  dei 
Papi,  che  gli  successelo  sino  a  Pio 
IV,  cioè  Paolo  IH,  Giulio  IH,  Mar- 
cello II,  fc  Paolo  IV,  e  lo  sarebbe 
stato  anche  di  s.  Pio  V,  se  la  mor- 
ie non  lo  avesse  involato,  essendo 
entralo  ne' conclavi  per  morte  di 
Adriano  VI,  di  Paolo  III,  di  Mar- 
cello II,  e  di  Paolo  IV  qua!  chi- 
rurgo del  sagro  Collegio.  Egli  venne 
chiamalo  Chiriirgomm  sui  tempoiis 
principem,  e  molto  eccellentissimo 
Cerusico.  Alfonso  Ferro,  napolita- 
no, servai  da  chirurgo  Paolo  IH,  e 
Paolo  IV,  ed  alcuni  lo  vogliono 
medico,  e  chirurgo  eziandio  di  Giu- 
lio III,  e  candidato  di  quelli,  che 
concorrevano  ad  esserlo  con  Pio 
IV.  Benedetto  Giunj,  di  Como,  fu 
chirurgo  palatino  sotto  Paolo  IH,  e 
Giulio  HI.  Questo  secondo  lo  ebbe 
suo  nel  i55o  in  Viterbo:  pure  si 
sa  avere  assistito  Clemente  VII  ne- 
gli ultimi  due  mesi  della  malattia, 
e  che  lo  portò  alia  tomba,  colla  pro- 
visione di  cinque  scudi  il  giorno . 
Nella  chiesa  di  s.  Giacomo  a  Scos- 
sacavalli,  ove  Benedetto  è  sepolto, 
si  legge  nella  iscrizione,  ch'egli  lasciò 
gran  desiderio  di  sé  a'  poveri  ma- 
lati. 

Dopo  la  morte  di  Paolo  IH  ,  nel 
conclave  incomincialo  ai  iq  novembre 
i549,  è  lerniinato  ai  7  febbraio 
i55o  coir  esaltazione  di  Giulio  HI, 
si  vide,  come  cosa  rara ,  l' introdu- 
zione in  esso  di  sei  medici,  e  di  sei 
chirurghi,  lo  che  non  avea  avuto  né 
ebbe  poi  esempio.  Ma  avendo  i  Car- 
dinali deputati  sul  conclave  stabili- 
to, die  tutte  le  nazioni  vi  avessero 
i  loro  medici,  e  chirurghi,  perciò  de- 
putarono  Ire  italiani  per  IMtalia,  un 


CHI  III 

tedesco  pogli  Alemanni,  un  france- 
se pei  Galli,  ed  uno  spagnuolo  pei 
Cardinali  di  questa  nazione.  Fra  i 
i  medici  ne' ruoli  del  palazzo  apo- 
stolico si  legge  un  Piemigio  de' Pe- 
roni di  Liegi,  chirurgo  della  fami- 
glia pontifìcia  .  I  chirurghi  furono 
JNicoIò  de' Santi,  Fabio  Picioni,  ro- 
mano, ed  Antonio  Sarti,  rimincse. 
Il  ruolo  del  palazzo  non  nomina 
che  Rcaldo  Colombo ,  e  Giacf>nio 
Easlelli,  oltre  vm  Vittorio  da  Orte. 
Ma  su  queste  divergenze  di  persone, 
veggasi  il  Marini,  nel  luogo  citato 
alla  pag.  892.  Dal  medesimo  si  ha 
che  un  Scipione  de  Rossi,  milanese, 
nel  settembre  del  i554,  fu  ammes- 
so a  servire  come  chirurgo  di  Giu- 
lio HI;  e  che  Realdo  Colombo  ana- 
tomico nel  i554  fece  la  sezione  al 
cadavere  del  Cardinal  Alessandro 
Campeggi,  encomiato  da  alcuni  au- 
tori. Tutti  però  sono  concordi  nel- 
ratlermare,  che  Bartolomeo  Maggi 
fu  chirurgo,  non  medico  di  Giulio 
HI.  Non  dobbiamo  tacere,  che  vuoisi 
essere  slata  cagionata  la  morte  del 
successore  di  questo,  Marcello  II, 
che  legnò  soli  ventidue  giorni  (  T  . 
Genebrardo  in  Chron.  lib.  1\'  )  dnl 
veleno  messogli  da  un  chirurgo  m 
un'  occulta  piaga,  che  da  molto 
tempo  aveva  in  una  gamba.  Certo 
è  che  apertosi  il  cadavere,  non  fu 
trovato  segno  di  veleno.  Il  Marini, 
parlando  a  pag.  4'*^  di  Marcello 
lì,  riporta  secondo  il  Mandosio,  il 
sunnominato  Francesco  Colombo , 
chirurgo,  come  medico  di  quel  Pa- 
pa, che  invece  il  Marini  dice  già 
morto  in  Perugia  ai  23  luglio  del 
i553.  Paolo  IV  ebbe  molti  medi- 
ci e  chirurghi,  sebbene  ci  dica  il 
p.  Caraccioli  nella  sua  \ita,  che  po- 
co si  servì  de'raedici  e  delle  medi- 
cine, come  quello,  che  in  lingua  gre- 
ca avca  letto  Avicenna ,  la  scuola  di 


1.2  CHI 

Salerno,  e  Galeno.  TiillavoUa  [viaccn- 
d((gli  disputar  co'nicdiei   sulla  filoso 
fìa,i;  sulla    nu'dicina,  chlti;  vari  clii- 
rtirfjlii,   i   quali   lìnono   (iiacomo    da 
l'crugia,  Malico  Vilj,  Allòiiso  Ferri, 
(icnnanico     Uaslelli  ,     Scipione     de 
liossi,  e  Gio.   l"'ranccsco   Oliva.    Fu 
Paolo  IV,    elle    pioibi    nuovamente 
poter  i   inediei    ebrei  curare    i    cri- 
stiani, ancurcliè   chiamati    e  pregati. 
Del  successore  Pio.iV,  de  Medi- 
ci, niilaiicsc,  crealo  nel    i55c),    nel 
Diiii-io  Itilcrario,    che    ili    stampato 
in    Firenze     nel     i744;     si  dice     al 
num.   i.\,  ch'egli  era  figlio  di    Ber- 
nardino, il   rpiale  per  essere  nato  da 
un  chirurgo,  fu    detto    del  Medico. 
Ma   r  Argelati  confutò    quegli  scrit- 
tori, che  negano  l'origine  dei  Medi- 
ci di    Milano,     come    derivanti    dal 
ramo   Medici  di  Firenze.   Tiittavolta 
di  ({uesla  opinione  senihra  che  fosse 
il  gran  Michelangelo  Buonarroti,   il 
quale     ncll' erigere     per  ordine     del 
l'apa  la  Porta   Pia  {Vedi),    ed    al- 
ludendo ai   barbieri    e  chirurghi  da 
cui  cretlcvasi   originaria   la    famiglia 
di  l'io  IV,   satiricamente  e  con   biz- 
zarx-o  disegno  nelle  decorazioni  ester- 
ne di  travertino,  in  bassorilievo  scol- 
pì asciugamani,  catini,  e  saponette,  le 
quali    possono    essere     prese    per  le 
palle,   slemma  della  famiglia   IMediei. 
Anzi  siccome  i  barbieri  insino  a'  no- 
stri  tempi,  come  dicemmo  superior- 
mente, dovevano,  giusta    l' antichis- 
sima, e  lodevole  consuetudine,  eser- 
citare la    bassa  chirurgia,    massime 
la   flebotomia,   nel   prospetto  esterno 
delle    loro    botteghe    si     vedono    in 
lloma    le    pareti    dipinte    priucipal- 
mente  coi   colori  bianco  e  turchino, 
con  dei  gigli  gialli  su  quest'  ultimo. 
Vuoisi  spiegare  un  tal  contrasto  di 
colori   perchè  avessero  ima  fàcile  in- 
dicazione nel  bujo  della   notte  (  non 
cbseudo     Ilunui    prima    illuminala), 


CHI 

col(,ro,  che  ricercassero  de'  barbieri 
per  le  sanguigne.  V'ha  pure  chi 
pei  gigli  iiiU-nde  essere  il  suddetto 
l'onlclice  disceso  da  un  barbiere 
chirmgo,  giacché  nell'arme  di  casa 
Medici,  una  delle  palle,  che  la  for- 
ma, ha  sopra  diversi  gigli.  Anzi  o- 
pinano  alcuni  che  la  stessa  casa  Me- 
dici di  Firenze  discenda  da  un 
medico,  che  adottò  per  istemma 
le  coppette  di  vetro,  le  quali  per 
la  forma  furono  poi  convertite  in 
palle.  Che  i  barbieri  facessero  le  o- 
perazioni  chirurgiche  sotto  la  di- 
rezione de'  medici ,  già  si  disse  il 
peichè  furono  detti,  e  considera- 
ti anco  come  chirurghi  ;  e  quan- 
do Eugenio  IV  nell'anno  144^*  ei'es- 
sc  la  loro  antica  congregazione  in 
luiivcrsità,  ne  stabili  i  regolamenti 
e  gli  statuti ,  che  poi  furono  con- 
fermati eil  ampliati  da  altri  Ponte- 
fici, massime  da  Sisto  IV,  che  l'ar- 
ricchì di  privilegi ,  concedendo  in- 
dulgenze alla  chiesa  della  ss.  Tri- 
nità dietro  Torre  Argentina,  e  che  fu 
già  del  monistero  delle  monache  di  s. 
Chiara,  cioè  di  alcune  di  quelle  ches. 
Domenico  trasportò  insieme  a  molte 
altre  di  Roma  presso  la  chiesa  di 
s.  Sisto.  L'università  de' barbieri 
chirurghi,  prima  di  Sisto  IV,  ave- 
va la  chiesa  nel  rione  ponte  vicino 
a  s.  Lucia  della  Chiavica.  Ottenuta 
quella  della  ss.  Trinità,  la  riedifi- 
carono, l'adornarono  di  buone  pit- 
ture, e  la  dedicarono  ai  loro  santi 
protettori  Cosma,  e  Damiano,  dei 
(juali  si  celebra  la  festa  a' 27  set- 
tembre. 11  Fiorentini,  in  Adnot.  ad 
i\l(tityiol.  Hicroiìy/iiiantuUj  V.  kal. 
oct.  p.  879;  e  Bona,  Rer.  Liturg. 
cap.  2,  §  3,  scrivono  che  tre  cop- 
pie de'  santi  si  trovano  coli'  istesso 
nome  di  Cosma,  e  Damiano  ;  uno 
di  martiri  nell'  Arabia ,  altra  di 
confessori  ncll'  Asia,  la  terza  di  mar- 


CHI 

tiri,  che  patirono  il  martirio  in  Ro- 
ma, tutti  però  di  professione  me- 
dici, e  perciò  anche  chirurghi,  se- 
condo il  costume  di  que'  tempi,  in 
cui  senza  mercede  curavansi  gli  am- 
malati. A  questi  due  martiri  romani, 
de'  quali  senza  dubbio  si  fa  memoria 
nel  canone  della  messa ,  fu  dal  Pon- 
tefice s.  Felice  IV  del  5i6  dedicata 
la  chiesa,  che  sta  nel  foro  roma- 
no. P^.  il  Piazza  Opere  pie  di  Roma, 
a  pag.  6  [  o,  Della  confraternita  dei 
ss.  Cosma  e  Damiano  de'  barbieri, 
e  sliifaroli  ;  e  Statuti,  ordini,  e  co- 
stituzioni dell'  università ,  e  colle- 
gio de'  barbieri  di  Roma ,  Roma 
1783. 

Ritornando  a  Pio  IV,  leggo  nei 
registratori  dei  ruoli  del  palazzo  apo- 
stolico, oltre  cinque  medici  ed  uno 
speziale,  tre  medici  chirurgici  :  Gia- 
como da  Perugia,  Scipione  da  Mila- 
no concittadino  del  Papa,  e  Lazza- 
ro Palombo.  Nel  Rotulo  poi  delle  fa- 
miglie pontificie,  che  nel  settembre 
i56f,  seguirono  Pio  IV  a  Perugia, 
per  medici  sono  registrati  Francesco 
Manfredi,  e  Pomponio  da  Pescia,  e 
Nicolò  Speziale.  Chirurgo  poi  di  s. 
Pio  V,  che  nel  i566  successe  a  Pio 
IV,  si  nomina  un  Germanico  Ra- 
stelli,  figlio  del  summentovato  Giaco- 
mo, che  avea    servito    anche    Paolo 

IV .  Nei  ruoli  del  palazzo  apostoUco 
della  famiglia  del  medesimo    s.    Pio 

V,  nel  1 57  I,  sono  registrati  Lazzaro 
Palombo,  già  chirurgo  di  Pio  IV, 
e  Ludovico  Monticioli,  o  Monticoli. 
Questo  santo  Pontefice  rinnovò  la  proi- 
bizione già  fatta  da  Innocenzo  III 
ai  medici,  di  non  visitare,  né  curare 
gl'infermi,  che  non  si  fossero  confes- 
sati nel  terzo  giorno  della  loro  in- 
fermità. Nella  sua  morte,  coll'apri- 
re  i  chirurghi  il  suo  cadavere,  tro- 
varono nelle  viscere  tre  pietre  della 
stessa    grandezza,    forma,    colore,    e 

VOL.     XIII. 


CHI  ir3 

durezza.  Gregorio  XIII,  come  abbia- 
mo dal  suo  biografo  Ciappi,  celebie 
speziale  pontificio,  ebbe  per  chirur- 
ghi il  suddetto  Ludovico  ^Monticoh  ; 
e  Gioseffo  Zerla.  Questo  secondo  in 
compagnia  del  pur  nominato  Germa- 
nico Rastelli,  e  di  un  Andrea  Mar- 
colini ,  nel  i565,  concorse  per  esse- 
re fatto  chirurgo  del  conclave.  Il  Mon- 
ticoli fu  poi  chirurgo  anche  di  Gre- 
gorio XIV,  e  Paolo  V.  Per  morte 
di  Gregorio  XIII,  entrò  nel  conclave 
per  chirurgo  un  certo  Giuliano  Cec- 
chini. Questo  Pontefice,  con  costitu- 
zione de"3o  marzo  i58i,  confermò 
quelle  d'  Innocenzo  III,  Paolo  IV, 
e  s.  Pio  V,  colle  quali  si  vieta  ai 
ci'istiani  di  servirsi  nelle  loro  infer- 
mità di  medici  ebrei,  e  nello  stes- 
so tempo  ricordò  a'medici  cristiani 
di  opportunamente  avvertire  i  ma- 
lati nel  pericolo  di  morte;  ciocché 
inculcò  Innocenzo  XI,  nel  concilio 
romano  del  1723  Benedetto  XIII, 
indi  Clemente  XIV,  Pio  VI,  ed  al- 
tri zelanti  Pontefici.  Nel  ruolo  dei 
famigliari  di  Sisto  V,  e  nella  classe 
de  medici  fisici,  cerusico  e  speziale, 
lessi  per  chirurgo  il  detto  Giuliano 
Cecchini,  rilevandosi  dal  medesimo 
molo,  e  dagli  altri  anteriori  e  po- 
steriori, che  sono  nell'  archivio  dei 
palazzo  apostolico,  la  parte  di  pane 
e  vino  quotidiana,  i  cavalli  loro  as- 
segnati, i  servi  loro  addetti,  e  le  al- 
tre distribuzioni,  come  olio,  cande- 
le, aceto,  legna,  fieno,  orzo,  e  biada 
pei  cavalli  ec,  di  cui  godevano  dal 
palazzo  stesso  i  chirurghi  Ponti- 
fìcii. 

Racconta  il  Mucanzio  nel  suo  dia- 
rio manoscritto,  che  al  cadavere  di 
Gregorio  XIV,  aperto  alla  presenza 
dell' archialro  Simone  Castelvetro, 
dal  predetto  Monticoli  chirurgo  del 
Papa,  si  rinvenne  una  pietra  della 
forma  di  un  grosso  uovo. 
8 


%^h^^^fi^/^    ^J&(>U't>i't 


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AAirrMri*5*'' 


H: 


ii4  CHI 

Giuliano  Cecchini  fu  pure  da  me 
rinvenuto  tra  i  ruoli  ili  Clenieute 
Vili,  per  chirurgo  del  Papa.  Il  ni- 
pote di  Clemente  Vili,  Cardinal 
Pietro  Aldobrandini,  elevato  alla 
porpora  dallo  zio  nel  i5^99,  '"ti'o- 
dusse  a  sue  spese  le  spezierie  e  i 
medici  a  benefìcio  de'poveri  per  tut- 
ti i  rioni  di  Roma,  i  quali,  in  uno 
ai  chirurghi;,  durano  tuttora  a  spe- 
se dell'elemosineria  apostolica,  sotto 
la  dipendenza  del  prelato  elemosini f- 
re  del  Papa  (Fedi).  Nei  ruoli  di 
Urbano  VHI  trovo  registrati  tre  me- 
dici, e  talora  quattro,  oltre  il  me- 
dico della  compagnia  del  ss.  Sagra- 
nieuto  di  s.  Pietro,  nella  quale  era- 
no aggregati  i  famigliari  Pontificii; 
non  che  un  Ferrante  Serroni  ceru- 
sico dell'ospedale  di  s.  IMarta  de'me- 
desimi  famigli  del  palazzo  apostoli- 
co, ed  un  Paolo  Carcarasio  spezia- 
le. Nella  vita  di  detto  Papa,  si  leg- 
ge die  il  Carcarasio  gli  medi- 
cava il  fonticolo,  e  perciò  col  suo 
mezzo  volevasi  dai  nemici  avvele- 
nare. 

Il  Cardinale  Ottaviano  Aquaviva 
d'Aragona  mori  d'anni  sessantasei, 
nel  1647  per  un'arteria  disgraziata- 
mente tagliatagli  dal  chirurgo.  Que- 
sto tristo  avvenimento  si  rinnovò 
col  Cardinale  Federico  Borromeo 
milanese,  che  ne  morì  d'unni  56 
nel  1673,  il  quale  considerando  il 
discredito  in  cui  sarebbe  caduto  il 
mal  pratico  chirurgo,  gli  assegnò  la 
vitalizia  pensione  di  annui  scudi  cin- 
(juanta. 

Non  avendo  rinvenuto  altre  co- 
se particolari  sui  chirurghi  dei  Papi, 
e  di  quelli  del  conclave,  ed  essendo 
più  comuni  le  loro  notizie,  pel  se- 
colo passato  e  pel  corrente,  pei  chi- 
rurglii  dei  Papi  vi  suppliscono  le 
annuali  Notizie  di  Roma  all'  arti- 
colo Famiglia  Pontificia,  e  j^>er  quelli 


CHI 

del  conclave  i  Diaii  di  Roma.  Oltre 
a  ciò  si  possono  vedere  gli  articoli  del 
Dizionario  Medici  e  Famiglia  Pon- 
tificia, nonché  Ospedali  di  Roma  ed 
U.viversita'  Romana,  nella  quale  vi 
sono  cattedre  di  anatomiaj  di  chi- 
rurgia teorica,  di  ostetricia,  di  cli- 
nica chirurgica,  ed  un  collegio  me- 
dico-chirurgico istituito  da  Leone 
XII,  che  nel  comporlo  aggiunse  sei 
chirurghi  al  preesistente  collegio  di 
dodici  medici,  del  quale  faceva  sem- 
pre parte  il  medico  del  Papa,  che  a- 
veva  posto  distinto  immediatamente 
dopo  il  presidente,  seppure  non  cuo- 
priva  questa  carica.  Non  riuscirà  poi 
discaro  l'aggiungere,  che  fra  i  chi- 
rurghi de'Papi,  che  ottennero  mag- 
gior celebrità,  ed  ebbero  grandissi- 
ma fama  europea  ,  principalmen- 
te per  le  loro  opere  anatomiche  e 
chirurgiche ,  per  cui  alcuni  furono 
riguardali  restauratori  della  chirur- 
gia ,  vanno  rammentati  i  seguen- 
ti, di  molti  de'quali  già  si  fece  men- 
zione. Guido  di  Chauliac  di  Clemen- 
te VI,  e  di  Urbano  V;  Pietro  d'Ar- 
geiata  di  Alessandro  V;  Giovanni 
di  Vico  di  Giulio  II;  Alfonso  Ferri 
di  Paolo  III,  Giulio  III,  e  Paolo 
IV;  Realdo  Colombo  di  Paolo  HI; 
Bartolomineo  JMaggi  di  Giulio  HI; 
Costantino  Vaioli  di  Gregorio  XIII; 
Carlo  Gualtani  di  Benedetto  XIV;  e 
Giuseppe  Flajani  di  Clemente  XIV, 
e  di  Pio  VI.  Alcuni  però  de'  suddet- 
ti, come  Giulio  di  Chauliac,  Ferri, 
Maggi,  e  Varoli,  furono  anche  ar- 
chiatri, e  medici  dcgU  stessi  Papi. 

CIIISUME.  Città  vescovile  dei  gia- 
cobiti,  nella  diocesi  di  Antiochia  nella 
Siria,  intorno  la  quale  si  fa  menzio- 
ne di  cinque  vescovi  che  vi  ebbero 
sede,  nonché  di  un  rinomato  moni- 
stero,  in  cui  ritirossi  Giacomo  di 
Edessa,  allorquando  lasciò  la  pro- 
pria sede. 


CHI 
CHIUSI  {Clusin).  Città  con  resi- 
denza vescovile  unita  a  Pienza,  nel 
granducato  di  Toscana,  nella  pro- 
vincia di  Siena  situata  su  di  un  col- 
le del  quale  la  Chiana  inaffia  le  fal- 
de, l'ormando  non  lungi  il  lago  che 
da  essa  riceve  il  suo  nome,  e  le  cui 
rive  settentrionali,  ed  orientali  for- 
mano i  limiti  tra  la  Toscana,  e  lo 
stato  della  Chiesa.  Tito  Livio,  Poli- 
bio, S trabone,  Plinio,  e  quasi  tutti 
gli  antichi  autori  parlavano  di  Chiu- 
si, Clusium,  come  di  una  antichis- 
sima città,  e  di  una  delle  principa- 
li e  splendide  Lucomonie  etrusche. 
Ebbe  anche  il  nome  di  Caniars , 
secondo  Tito  Livio.  Delle  terme , 
dei  templi ,  e  delle  altre  sue  pas- 
sate grandezze  non  evvi  più  ve- 
stigio ;  solo  alcuna  cosa  si  rin- 
venne negli  importanti  scavi  ivi  o- 
perati.  Si  vuole,  che  fosse  la  capi- 
tale degli  stati  del  re  Porsenna, 
il  quale  di  cesi  vi  fabbricasse  un  la- 
berinto ,  ove  fu  sepolto  in  un  son- 
tuoso mausoleo.  Chiusi  era  già  in 
istato  florido  quando  surse  Roma, 
e  poteva  considerarsi  come  capitale 
della  Toscana,  essendo  residenza  di 
Porsenna ,  o  Lucumone ,  che  agli 
altri  Lucumoni  sovrastava.  Porsen- 
na, dopo  l'espulsione  da  Roma  di 
Tarquinio  il  Superbo,  mandò  con- 
tro quella  città  il  suo  esercito,  per 
giovarlo  e  riporlo  sul  trono.  Nel  quar- 
to secolo  di  Roma  soffri  Chiusi  gra- 
vi molestie  dai  Galli  Sennoni ,  che 
assediarono  la  città  ;  però  i  chiusini 
assistiti  dai  romani,  che  loro  aveva- 
no inviato  per  legati  tre  figli  di  M. 
Fabio  Ambusto,  rintuzzarono  l'ardi- 
re dei  galli,  il  cui  duce,  come  narra 
lo  stesso  Livio ,  restò  trafitto  dal- 
l' asta  di  Q.  Fabio ,  uno  dei  tre 
legati.  Ma  Chiusi ,  verso  1'  anno 
4?^  di  Roma,  sub\  la  sorte  del- 
le altre  città  etrusche,  ed  assogget- 


CHI  ii5 

tossi  al  dominio  de'  romani,  dive- 
nendo però  nobile  municipio  ascrit- 
to alla  tribù  Arniense.  la  se- 
guito nelle  sue  vicinanze,  Siila  bat- 
tè gli  avanzi  dell'  esercito  di  Ca- 
tone. 

Nel  secolo  IX ,  e  forse  nel  pon- 
tificato di  Giovanni  Vili,  che  fu 
eletto  neir  872,  l'imperatore  Carlo 
il  Cal\'o^  donò  alla  Chiesa  Romana 
la  città  di  Chiusi,  come  diffusamente 
descrisse  il  Cardinale  Stefano  Borgia, 
Difesa  del  dominio  temporale  della 
sede  Apostolica,  ec,  alle  pag.  1 35, 
r36  e  iSy.  Dopo  avere  obbedito 
ai  re  longobardi ,  sotto  de'  quali 
Chiusi  era  capo  di  un  rispettabile 
ducalo,  e  residenza  del  duca,  passò 
sotto  la  dominazione  dei  vicari  im- 
periali, e  dei  marchesi  di  Toscana,  e 
in  ultimo  fu  assoggettata  ad  Orvieto. 
Ma  nel  io3i  ne  scosse  il  giogo,  e 
dopo  lunghi  contrasti ,  coli'  aiuto  dei 
sanesi  e  de'  pisani,  l'icuperò  la  li- 
bertà, della  quale  però  poco  go- 
dette, dappoiché  successivamente  i 
perugini,  gli  orvietani,  ed  i  circo- 
stanti feudatarii  se  ne  avvicendaro- 
no il  possesso,  e  sempre  maggiore 
ne  resero  il  guasto.  Sotto  l' impero 
di  Carlo  IV,  che  vi  avea  fatto  un 
breve  soggiorno,  Chiusi  ricuperò  la 
libertà,  e  cominciò  a  risorgere  dal 
suo  squallore  ;  quindi  la  ricevette 
in  feudo  il  visconte  di  Lorena ,  e 
poi  r  ebbe  per  maritaggio  Muzio 
Attendoli  di  Cotignola,  detto  Sfor- 
za il  Grande.  Dappoiché  avendo  egli 
sposata  Antonia  Salimbeni ,  di  fa- 
miglia antica  e  potente  di  Siena , 
donde  nacquero  i  conti  di  s.  Fiora, 
duchi  di  Sforza,  e  il  b.  Carlo  ar- 
civescovo di  Milano,  ricevette  in  dote 
la  città  di  Chiusi  con  altre  terre  e 
castella  ;  le  quali  possessioni  gli  fu- 
rono confermate  nel  \^\o.  Ma  nel 
i4i5;   essendo    stato   Muzio  impri- 


!i6  CTI! 

clonato  dal  marito   di  Giovanna  II 

o 

regina  di  Napoli,  i  sancsi  ne  ap- 
prolìttarono  per  oecnpar  Chiusi  e 
le  terre  soggette  allo  slato  sanese , 
per  cui  nel  seguente  anno  fu  costret- 
to a  IMuzio  (arne  cessione  per  una 
somma  di  denaro,  come  scrive  il 
Ratti,  Della  famis;lia  Sforza,  t.  I, 
pag.  6,  i5,  e  3G5.  In  appresso,  e 
nel  i4i^^j  ^^  città  di  Chiusi  fece 
alla  repul)blica  di  Siena  una  spon- 
tanea dedizione  del  proprio  domi- 
nio .  Tultavolta  non  trovò  pace , 
finché  col  territorio  sanese  non  fu 
unita  al  granducato  di  Toscana,  pei 
conflitti  di  estranei  eserciti,  per  le 
stragi  e  pei  saccheggi  che  soffri , 
particolarmente  per  le  guerre  dei 
confinanti  perugini.  Cagione  delle 
guerre  co'  perugini  fu  l' insigne  re- 
liquia dell'  anello  pronubo  della  b. 
Vergine  Maria,  che  servi  al  suo  spo- 
salizio con  s.  Giuseppe;  il  perchè, 
oltre  quanto  abbiamo  detto  al  vo- 
lume li  del  Dizionario  a  pag.  .7 3 
e  74,  cioè  che  seguendo  l' autorità 
del  Novaes,  Storia  de  Pontefici,  t. 
VII,  pag.  50»,  fu  lasciato  quell'a- 
nello a  Chiusi  da  s.  Mustiola,  e 
discoperto  sotto  Gi-egorio  V,  aggiu- 
gneremo  il  seguente  cenno,  il  quale 
ricaviamo  dal  Compendio  istorico  ri- 
guardante il  pronubo  anello  di  Maria 
ss.y  che  si  conserva  nella  chiesa  catte- 
drale di  Perugia,  del  sacerdote  Do- 
menico Venti,  custode  di  detta  re- 
liquia ,  stampato  in  Perugia  nel 
i838. 

Intorno  al  X  secolo,  governava 
la  Toscana,  qual  vicario  dell'  impe- 
ro, il  marchese  Ugonc  figlio  di  Al- 
berto di  Ugone  re  d'Italia,  che  per 
meglio  governare  risiedeva  alterna- 
tivamente in  diverse  città,  principal- 
mente in  Chiusi.  Di  là  la  sua  mo- 
glie Giuditta,  nipote  dell'  imperato- 
re Ottone  III,  inviò  aP\.omapcr  l'ac- 


CHI 

quislo  di  gioie  un  certo  Ranieri,  gran 
conoscitore  di  esse.  Questi  in  latti 
ne  acquistò  da  un  mercadante  ebreo, 
reduce  da  Gerusalemme,  ed  il  mer- 
calanlc  volle  inoltre  donargli  uà 
anello,  che  dicesi  di  agata  orienta- 
le, o  amatista  di  Siria,  cioè  quello, 
con  cui  fu  sposata  Maria  a  Giusep- 
pe, ereditato  dai  suoi  maggiori.  Ri- 
cevette Ranieri  l' anello  con  indif- 
ferenza mettendo  poco  conto  a  tale 
assertiva,  e  senza  badarci,  colle  gioie 
lo  consegnò  in  Chiusi  alla  marche- 
sa. Intanto  gli  morì  l'unico  figlio, 
il  cui  cadavere  mentre  portavasi  col- 
la pompa  funebre  alla  chiesa  di  s. 
Mustiola  o  Mostiola ,  distante  da 
Chiusi  più  di  tre  miglia,  con  istu- 
pendo  prodigio  si  alzò  sulla  bara , 
riprese  il  genitore  per  la  sua  indif- 
ferenza, disse  che  per  punizione  di 
esso  era  seguita  la  sua  morte,  si 
fece  portare  la  cassetta  delle  gioie, 
e  senza  mai  averle  vedute,  subito 
prese  il  santo  anello,  il  baciò,  lo 
mostrò  a  tutti ,  e  lo  consegnò  al 
parroco  di  detta  chiesa,  che  allora 
era  de'  canonici  regolari ,  perchè 
l'esponesse  alla  pubblica  venerazio- 
ne. Quindi  in  conferma  del  suo  di- 
re manifestò  due  voti  fatti  dal  pa- 
dre, e  a  ninno  cogniti,  il  luogo  ove 
dovea  il  suo  corpo  tumularsi,  e  ri- 
posò nel  Signore.  In  progresso  di 
tempo,  rovinandosi  la  chiesa  di  s. 
Mustiola,  verso  l'anno  i3oo  il  sa- 
gro anello  fu  trasferito  in  Chiusi 
nella  chiesa  de'  conventuali  di  s. 
Francesco,  da  dove  nel  147^  un 
francescano  tedesco,  nominato  Vin- 
tcro,  vedendosi  perseguitato  a  segno 
d' essere  incolpato  di  aver  involato 
il  santo  anello,  preso  da  dispetto , 
elTettuò  il  rubamento  la  notte  de'aS 
luglio,  e  colla  scusa  di  avviarsi  al 
perdono  di  Assisi, nel  passare  da  Peru- 
gia, per  mezzo  d'  un  suo  amico  of» 


CHI 
(vì  l'anello  a  Matteo  Francesco  Mon- 
tesperelli,  capo  d'ufficio  della  città, 
e  ritornando  da  Assisi  a  Peru- 
gia, accusato  qual  ladro  del  santo 
anello  da  due  religiosi  di  Chiusi ,  fu 
carcerato  per  comando  del  Cardinal 
s.  Sisto  legato  di  Perugia.  In  questa 
città  poi  rimase  allorché  uscì  di  pi'i- 
gione  sino  alla  morte,  avvenuta  nel 
i5o3,  sempre  mantenuto  dal  co- 
mune. Intanto  che  fr.  Vintero  fu 
posto  in  prigione,  il  di  lui  amico 
chiamato  Giordani  dalle  Mine,  sen- 
za dichiarare  la  provenienza  del 
santo  anello  ne  fece  irrevocabile 
donazione  alla  patria,  laonde  nell'ac- 
ccltarlo  il  comune  di  Perugia  de- 
cretò la  conQsca  de'  beni,  la  morte, 
e  r  infamia  contro  chi  avesse  pro- 
posta l'alienazione  dell'  insigne  i-eli- 
quia,  che  fu  posta  in  valida  custo- 
dia di  ferro  chiusa  a  quattro  chiavi 
nel  palazzo  comunale. 

Dolenti  i  chiusini  per  tanta  per- 
dita, ricorsero  al  Cardinal  France- 
sco Piccolomini,  arcivescovo  di  Sie- 
na, nipote  di  Pio  II,  che  per  ri- 
cuperare il  sagro  anello  si  recò  a 
Perugia  ;  ma  non  conseguendo  l'in- 
tento, ricorsero  i  chiusini  alla  pro- 
tezione de'  sanesi,  che  inviarono  alla 
città  per  ambasciatore  il  celebre 
Bartolomeo  Bonasperio ,  mentre  il 
maestrato  di  Perugia  spedi  al  Pon- 
tefice Sisto  IV  in  ambasceria  Ba- 
glione  Vibi,  e  Gentile  Signorelli  per 
informarlo  del  flitto.  Al  medesimo 
Pontefice  anche  i  senesi  inviarono 
due  oi-atori  per  favorire  Chiusi  , 
mentre  fra  le  parti  contendenti  pro- 
seguivano le  rappresaglie  guerresche, 
ch'ebbero  solo  fine  quando  i  chiu- 
sini ,  ritrovato  prodigiosamente  il 
corpo  di  s.  Mustiola  vergine  e  mar- 
tire, ti'a lasciarono  d' insistere  per  la 
ricupera  del  santo  anello. 

Nella  città  di  Chiusi  risiede  un  vi- 


CHI  117 

cario  di  terza  classe  per  l'amministi'a- 
zionc  della  giustizia,  e  la  erezione 
della  vecchia  sua  fortezza  rimonta  al 
secolo  XII.  Giuseppe  Migliori  nel 
l'jSi  stampò  in  Siena  una  Lettera 
della  qualità  dell'  aria  della  città 
di  Chiusi. 

La  sede  vescovile  di  Chiusi  fu 
istituita,  secondo  Comraanville,  nel- 
l'anno 45o,  e  secondo  altri,  prima 
di  tal'  epoca.  Vi  sono  realmente  ar- 
gomenti per  crederla  di  data  molto 
più  antica,  e  lo  stesso  Benedetto 
XIV  mostrò  essere  di  tale  opi- 
nione. Pasquale  II,  nell'anno  iioo, 
unì  al  vescovato  di  Chiusi  la  sede 
vescovile  di  Castel  della  Pieve,  poi 
Città  della  Pieve;  unione  che  con- 
fermò Celestino  III  nel  1191,6  che 
durò  sino  al  1600,  in  cui  Clemente 
Vili  istituì  o  ripristinò,  come  preten- 
de lo  storico  Bolletti,  la  sede  episco- 
pale di  Città  della  Pieve  (P^edi) ,  sepa- 
randola da  Chiusi.  A  queir  articolo 
vi  sono  notizie,  che  risguardano  que- 
sta città,  e  il  suo  lago.  La  chiesa 
di  Chiusi  tra  i  suoi  vescovi  conta 
il  Cardinal  Francesco  degli  Atti,  no- 
bile di  Todi,  fatto  vescovo  da  Cle- 
mente VI  in  Avignone,  morto  poi 
in  odore  di  santità;  come  si  gloria 
a  ragione  di  monsignor  Nicolò  Bo- 
nafede,  accettissimo  a  vari  Papi. 
Esaltato  al  pontificato  il  sanese  Pio 
II,  Piccolomini,  nel  trovarsi  in  Sie- 
na ai  19  aprile  dell'anno  i4%> 
eresse  la  sede  sanese  in  metropo- 
litana ,  e  tra  le  chiese  suffiaga- 
nee  ,  che  le  assegnò  ,  comprese 
questa  di  Chiusi ,  ordinando  che 
tanto  per  l'arcivescovo  di  Siena,  che 
pei  vescovi  suffraganei,  ne  godesse 
la  nomina  la  stessa  città  di  Siena. 
In  appresso,  mentre  era  Vescovo  di 
Chiusi  monsignor  Giustino  Bagneri 
olivetano,  Clemente  XIV,  nel  1773, 
unì  a  questa  chiesa  quella  tcscovì- 


iiS  Clio 

le  di  Pìenza  (Fedi).    La    cattedrale 
(li  (  Jiiiisi  è  assai  antica ,    ed    è  un 
bcU'edilIcio,    eziandio  per     le    sue 
considerevoli  colonne  già  appartenen- 
ti a  qualche  tempio,  o  altra    magni- 
fica   fabbrica.  Essa  è  dedicata    a   s. 
Secondiano,  e  la  città  riposa    pui'e 
all'ombra  del  valevole  patrocinio  di 
s.  Mustiola  vergine  e  martire,  il  cui 
sagro    corpo    rinvenuto    prodigiosa- 
mente   in     quella    cattedrale    anti- 
chissima, è  quivi   con  ispeciale  pie- 
tà venerata.  Il  suo   capitolo  si  com- 
pone   di  due  dignità,  la  prima  del- 
le   quali   è    l' arciprete  ,  la    seconda 
il  preposto ,    con    dieci   canonici ,   e 
quattro   cappellani,    non   compresi  i 
preti,  e   chierici    studenti    in  quelle 
scuole    vescovili,    e    che    hanno  ob- 
bligo   di     essere    addetti    al    servi- 
zio ecclesiastico.   Nella    cattedrale  e- 
sercita  le  funzioni  parrocchiali    l'  ar- 
ciprete ;  tre  parroehi  hanno  la  cura 
delle  anime     del    contado,    e    della 
campagna;  ed  ogni    vescovo    è  tas- 
sato   ne'  libri   della  cancelleria  Apo- 
stolica in   fiorini   cento  ottantasette. 
CHOLET   Giovanni,    Cardinale. 
Giovanni  Cholet,  nacque    di   nobile 
lignaggio  in  Francia,  in  Nomtre  nel- 
la diocesi  di  Beauvais,  di  cui  fu  ca- 
nonico e  poi  vescovo.  Creato  prete 
Cardinale  di  s.  Cecilia  nel  1281  da 
Martino  IV ,  fu   legato    in    Inghil- 
terra nel   1283,    e  mori  in   Roma 
a'  1  agosto    1293,  dopo    aver    fon- 
dato in  Parigi  il  collegio  di  Beau- 
vais del  suo  nome ,    che   fu  termi- 
nato nel   1295. 

CHOMA,  o  COMA.  Città  vesco- 
vile di  Licia,  la  cui  erezione  rimon- 
ta al  quinto  secolo.  È  nella  diocesi 
d'Asia,  ed  è  sullraganea  della  me- 
tropoli di  Mira,  e  di  essa  si  cono- 
scono tre  vescovi. 

CHONAD  o  CSANAD  {Csana- 
dien.).  Città  vescovile  dell'Ungheria 


Clio 

inferiore,  il  cui  vescovo  risiede  nella 
città  di  Temeswar.  Chonad  è  posta 
alla  sinistra  sponda  del  (lume  Ma- 
rusio  o  Maros ,  in  una  deliziosa  e 
fertile  pianura,  come  lo  è  il  paese. 
È  comitato  del  suo  nome,  distante 
circa  tredici  miglia  da  Seghedino. 
Fu  un  tempo  munita  di  fortifica- 
zioni, che  i  turchi  impossessandose- 
ne fino  dal  i574j  dovettero  demo- 
lire per  la  pace  di  Carlowitz  nel 
1G99.  Il  barone  di  Mercy,  e  il  ge- 
nerale Heusler  la  presero  nel  mar- 
zo del  1686;  ma  solo  nel  lyiGfii 
restituita  al  regno  ungarico,  di  cui 
segui  i  destini. 

La  sede  vescovile    di   Chonad  fu 
eretta  per  autorità  del  Pontefice  Sil- 
vestro II,  da  s,  Stefano  I  re  di  Un- 
gheria, apostolo  di  sua  nazione,  ver- 
so l'anno   io3o.  Ne    fu    primo   ve- 
scovo s.  Gerardo  della  nobile  veneta 
famiglia  Sagredo,  pel  cui  zelo  reli- 
gioso fu  istituito  un  collegio  di  sa- 
cerdoti, furono  fondate  delle  scuole 
che  divennero  le  più  celebri  del  rea- 
me ungarese,  e  fu  propagata  la  di- 
vozione alla  b.  Vergine  ne'  suoi  dio- 
cesani   venuti    di    fresco   alla    fede. 
Premio  delle    sue    apostoliche    fati- 
che fu  il    martirio ,    giacché   alcuni 
sediziosi  ricaduti  nelle    superstizioni 
del  gentilesimo,  in  Buda,  ai  24  set- 
tembre del    1047,   lo  lapidarono,  e 
trafissero  colla  lancia.  I  di  lui  suc- 
cessori fiorirono  nella  sede  di  Cho- 
nad sino  al  1574,  in   cui,  occupata 
dai  turchi  una  gran  parte  dell'  Un- 
gheria, la  forte  città  di  Chonad  fu 
presa  di  assedio,  e  furono  distrutte 
dalle  fondamenta    le    sue    fortifica- 
zioni. A  sì  lagrimevole  catastrofe  il 
clero    della    diocesi    si   disperse,    si 
csti userò  tutte   le  ecclesiastiche    isti- 
tuzioni, costretti  furono  i  fedeli  alla 
schiavitù,  o  all'esilio.  Quindi  i   ve- 
scovi, che  si  nominarono  dalia  san- 


CHO 

ta  Sede,  furono  come  quelli  in  pnr- 
tibiis,  perchè  dovevano  risiedere  ben 
lungi  dai  confini  della  diocesi ,  fin- 
ché l'imperatore  Carlo  VI,  colle 
vittoriose  sue  armi  liberò  tutta  la 
diocesi  di  Chonad  dal  giogo  otto- 
mano. 

Ritornato  il  vescovo    in  Chonad, 
e  trovando  appena  i  ruderi  dell'  e- 
piscopio,  prima  fu  costretto    di  fer- 
mare la  sua  sede  nella  città  di  Se- 
gedino  o  Szegedin,  una  delle  pii^i  an- 
tiche,  forti  e  ragguardevoli    città  di 
Ungheria,  e  poscia  nell'anno    lySi, 
in   Temeswar.  Questa  regia  e  libera 
città  d'  Ungheria,  capoluogo  del  co- 
mitato di   Temesch,  è  posta  in  gran- 
de pianura  paludosa,  sul  canale  di 
Bega,  ed  è  sede  della  corte  di  giu- 
stizia pei  tre  comitati   del  Bannato. 
Essa  è  una  delle    primarie    fortezze 
della  monarchia,  reg^olarmente  fab- 
bricata con  quattro    sobborghi ,    né 
manca  d'importanti    edificii ,    e    di 
civiche    istituzioni.    Secondo    d'An- 
ville,  sarebbe  Temeswar    il    Thybi- 
scus  degli  antichi  nella    Dacia ,    da 
Traiano  soggiogato.  I  turchi,  coman- 
dati   da  Solimano  II,    se  ne  impa- 
dronirono nel    i55i  ,   e    la  conser- 
varono sino  al  1716,  in  cui  il  prin- 
cipe Eugenio  la  restituì  all' impera- 
tore Carlo  VI,  e  pel  trattato    fatto 
in   Passarowitz  nel  1 7  1 8,  rimase  per 
sempre  alla  casa  d'  Austria. 

La  città  di  TemeSAvar  rimane  nel 
mezzo  della  diocesi  di  Chonad ,  il 
cui  circuito  è  di  settecento  miglia 
geografiche,  e  perciò  ragionevolmen- 
te fu  stabilita  per  residenza  dei  ve- 
scovi. Per  la  dominazione  ottomana 
nella  diocesi  ebbe  quasi  ad  estin- 
guersi il  nome  cristiano,  eccettuata 
la  città  di  Segedino,  in  cui,  e  per 
la  residenza  episcopale,  e  per  la  vi- 
gilanza de' francescani,  che  la  dife- 
sero pur  anco  dallo    scisma    Fozia- 


CHO  119 

no  propagato  in  varie  parli ,  restò 
men  danneggiato.    In    Temeswar  si 
portò  anco  il  capitolo,  e  per  la  mu- 
nificenza   del    predetto   Carlo  VI  e 
di    sua    figlia    i'  imperatrice    regina 
Maria  Teresa,    vi    fu  faljbricata   la 
bella  cattedrale,  dedicata  a  s.  Gior- 
gio martire.    Tuttavolta  il  vescovo, 
la    diocesi ,    il    capitolo    e    la  stessa 
chiesa  cattedrale   si    appellano    col- 
l'antica  nomenclatura,  cioè  col  pri- 
mitivo titolo  della    sede    Csanadien- 
se.    Ad  accrescerne    la  popolazione, 
e  l'industria,  spesso    Maria    Teresa 
vi  spedi  da   varie  parti    del  germa- 
nico impero  colonie  cattoliche ,  co- 
me pur  fece  nelle  altre   diocesi  del 
regno    con    felicissimi    risultamenti, 
dappoiché  nel  1782  i  cattolici  di  que- 
sta diocesi    ascesero    a    centotrenta- 
mila,  ed  ora  poi  ve  ne  sono  più  di 
quattrocentomila. 

Nella   cattedrale    vi    si    venerano 
molte  reliquie,  ed  è  ben  fornita  di 
sagre  suppellettili.  Il  capitolo  si  com- 
pone di  quattro  dignità,  prima  delle 
quali  è  il  prevosto.  Vi  sono  sei  ca- 
nonici onorarii,  tra'  quali  il  teologo, 
e  il  penitenziere,  quattro  beneficia- 
ti, e  diversi  chierici  addetti    all'  uf- 
fiziatura,  ed  al  servigio  della    chie- 
sa, la  quale    è    tuttora    sulfraganea 
della    metropoli    di    Colocza.    Nella 
città  vi  sono  tre  parrocchie,  due  ci- 
miteri ,    un    collegio    dei    pp.    delle 
scuole  pie,  i  religiosi  di    s.  Gio.  di 
Dio,  ossiano  i  Benfratelli,  tre  ospe- 
dali, ed  il  seminario    numeroso    di 
alunni.  L'ampio    episcopio    è    poco 
distante  dalla  cattedrale  ;  e  la  men- 
sa nella  cancelleria  Apostolica  è  tas- 
sata a  trecento    fiorini.    Tra    i    ve- 
scovi illustri  di  Chonad  vanno  ram- 
mentali ,  un  Giovanni    Cholosvary , 
oratore  del  clero  d'  Ungheria  al  con- 
cilio di  Trento,  ove  mori  nel  i562; 
e  l'attuale  monsignor  Giuseppe  Le- 


ilo  CIA 

iiovicz,  clic    nella    serie    de'  vescovi 
Csanadiensi  è  l' ottantesimoler/o,  il 
(piale,  benemerito  già  per  avere  vit- 
toriosamente, e  con  comune  plauso, 
difeso  i  diritti  della  Chiesa    cattoli- 
ca nei  comizii  del  regno  nel  1 84o,  111 
poi  saggiamente  prescelto  dal  piissi- 
mo regnante    imperatore    Ferdinan- 
do I,  col  consenso    del    rispettabile 
corpo  episcopale  di  Ungheria,  a  com- 
porre in  Roma  col    Papa  Gregorio 
XVI,  la  questione  insorta   nel  me- 
desimo regno  intorno    i    matrimoni 
misti.  Egli,  accompagnato    dal    suo 
vicario  generale   e    canonico  csana- 
diense  Ignazio    Fabri,    si    trattenne 
in  Roma  varii  mesi,  e  con  recipro- 
ca soddisfazione  delle  alte  parti,  trat- 
tò egregiamente  il  geloso  affare,    e 
vicevette  distinte  testimonianze  della 
pontificia  considerazione. 

CIIUSIUM,  o  CUSIUM.  Città  ve- 
scovile della  Moldavia ,  eretta  nel 
secolo  decimoterzo,  suffraganea  della 
metropoli  di  Solzaba  o  Solzava,  chia- 
mata comunemente  Chotza.  Vuoisi 
situata  all'  estremità  della  Polonia  , 
presso  il  Boristene.  Si  ha  memoria 
di  soli  due  vescovi. 

CHYTRUS,  CHITRI,  o  CITRO. 
Città  vescovile  dell'  isola  di  Cipro , 
la  cui  sede  fu  fondata  nel  quinto 
secolo,  ed  e  dipendente  dal  patriar- 
cato d' Antiochia ,  sotto  la  metro- 
poli di  Costanza,  la  quale,  secondo 
Commanville,  nel  secolo  undecimo 
fu  trasferita  a  Famagosta.  Altri  la 
chiamano  Cytìicra  e  Cilhron-  Dicesi 
che  soli  quattro  vescovi  avessero 
quivi  la  sede. 

CIACCONIO  Alfonso.  Scrittore  del 
secolo  decimosettimo,  nato  in  Baeza 
nell'Andalusia.  Pigliò  l'abito  di  san 
Domenico,  e  in  quell'  Ordine  si  di- 
stinse pel  merito  nello  insegnare  le 
scienze.  Il  suo  prediletto  studio  ver- 
sava inturno  le  antichità  ecclesiasti- 


CIA 

che  e  profane.  Egli  vi  riuscì  in  quel- 
lo tanto  a  meraviglia,  che  il   dotto 
Ambrogio  Moralcs,  nell'opera    delle 
Anlickilà  di  Spagna,  lo  cliiamò  lu- 
minare della  sua  nazione,  ed  onore 
del  secolo.   Si  recò  a  Roma  nel  Pon- 
tificato di   Gregorio  XIII:  vi   otten- 
ne il  posto  di  penitenziere  in  santa 
Maria  maggiore,  e  poscia    fu    deco- 
rato del  titolo    di  patriarca  di  An- 
tiochia. Nel   1601,  fini    la  vita,  ed 
ebbe  la  tomba,  giusta  l'opinione  di 
molti,  nella  chiesa    di    s.   Sabina  di 
Roma.  Tutti  gli  antiquari  gli  tribu- 
tano grandi  elogi,    alcuni    anche  lo 
chiamano  un  teologo  di  grande  ri- 
putazione: ma  sembra  in    vero  che 
le  di  lui  opere  manchino  della  cri- 
tica propria  di  un  beli'  ingegno.  Egli 
scrisse  una  storia  della  doppia  fficr- 
ra  di  Tracia  intrapresa  e  finita  da 
Trajano  ;  La  storia    dell'  anima    di 
Trajano  liberata  dall'  inferno  per  le 
preghiere  di  s.   Gregorio.    In  questo 
lavoro  trionfa  la  favola.  Scrisse  an- 
cora intorno  al  cardinalato    di  san 
Girolamo,  Roma    i58i;    Dei  segni 
della  santa  croce  comparsi  in  diver- 
se parti    del  mondo ,    e   particolar- 
mente nel   i5>9i   in  Francia    ed   in 
Inghilterra,  Roma    iSgi  ;    Del   di- 
giuno e   della    diversa    maniera    di 
osservarlo,  Roma   1 599  ,•  Un   Trat- 
tato sopra  i  dugento  martiri  del  mo- 
nistero  di  Cardona,  nella  diocesi  di 
Bourges,  Roma  i594;   yitc  ed  azio- 
ni de'  sommi  Pontefici   e  de'    Car- 
dinali,   dal   principio    della    Chiesa 
fino  a   Clemente  Vili.  Quest'opera 
venne  poscia  corretta,    e  continuata 
fino  a    Clemente    X.    Apparisce    da 
certe  lettere  dal    p.   Mabillon ,    tro- 
vate nella  biblioteca  Chigi ,    che    il 
Ciacconio  avesse  composte  altre  due 
opere:     Un    trattato    delle    antichità 
romane,  coji  figure,  ed  una  Biblio- 
teca universale  di  autori. 


CIA 

CIAMPINI  GiovA?wi .  Scrittore 
tlcl  secolo  decimosettimo ,  uato  in 
Roma  l'anno  i633.  Dapprima  si 
applicò  allo  studio  della  legge,  ma 
poscia  rivolse  l'animo  alla  Cancel- 
leria Apostolica,  dove  riuscì  molto 
bene.  Fu  creato  segretario  de'  bre- 
\ì  di  grazia,  indi  prefetto  de'  brevi 
di  giustizia,  poi  abbreviatoi'e  e  se- 
gretario del  gran  parco.  La  storia 
ecclesiastica  era  lo  studio  che  mag- 
giormente lo  dilettava,  ed  anzi  dob- 
biamo alle  sue  cure  la  istituzione 
dell'accademia  di  storia  ecclesiastica 
fondata  in  E.oma  nel  1671.  Morì 
neir  età  di  sessanta  anni.  Le  di  lui 
opere  son  ricche  di  preziosa  erudi- 
zione, ma  non  molto  bene  ordina- 
te,  e  di  uno  stile  piuttosto  basso. 
Queste  sono: 

1.  Una  dissertazione  storica  sull'an- 
tichità, sulle  funzioni,  e  sulle  pre- 
rogative degli  abbrevialori  dei 
brevi  apostolici. 

2.  Una  disquisizione  sacra  e  stori- 
ca sovra  due  emblemi,  che  si  con- 
servavano nel  gabinetto  del  Car- 
dinale Carpegna. 

3.  Un  volume  degli  edifizi  sacri 
fabbricati  da  Costantino. 

4.  Due  volumi  sugli  edifizi  dell'  an- 
tica Roma. 

5.  Una  dissertazione  sull'uso  del  pa- 
ne azimo  nella  Chiesa   latina. 

G.  L'  esame  delle  vite  dei  Papi,  che 
portano  il  nome  di  Anastasio  bi- 
bliotecario. 

7.  Una  lettera  latina  per  riformare 
un  passo  di  una  lettera  di  Pio 
li,  che  si  dice  essere  stato  altera- 
to dagli  eretici. 

8.  Una  dissertazione,  in  cui  si  esa- 
mina, se  i  Papi  abbiano  portato 
altre  volte  il   pastorale. 

r).  Un  trattato  Ialino  sulle  crori,  che 
si  portano  alla  lesta  delle  pro- 
cessioni. 


GIR  i2[ 

IO.  De  vocis  correctione  in  sermo- 
ne VII  s.  Leonis,  de  nativitate 
Domini. 

I  I .  Explicatio  duorum  sareophago- 
rum  ritum  baptismi  indicanti  um. 

12.  De  sanct.  Rom.  Ecclesia;  vice- 
cellerario,  ejusque  munere  eie. 

CIARPA ,  o  SCIARPA  (  Ordine 
c<jisesttr  di  donne).    V.  Raada. 

CIBALLIANA.  Sede  vescovile  del- 
l' Africa  occidentale ,  della  quale  si 
sa,  che  Donato  suo  vescovo,  inter- 
venne al  concilio  di  Cartagine,  pre- 
sieduto da  s.  Cipriano.  Au^.  lib.  7 
coni.  Donat. 

CIBO  Famiglia.  Questa  nobilis- 
sima ed  antichissima  famiglia  ,  che 
fiorì  cotanto  in  Italia,  ripete  la  sua 
primaria  origine  dalla  Gi-ecia.  Si 
chiamava  Cnhea,  o  Cibocca  dai  cu- 
bi e  quadrelli  di  sei  faccie  del  suo 
gentilizio  stemma ,  dai  latini  detti 
cubi.  Narrasi  da  alcuni  sciittori , 
che  il  primo  a  trasportare  questa 
famiglia  nella  Liguria,  fu  Odoardo 
barone  della  Grecia,  e  prode  capi- 
tano, che  si  recò  in  Italia  in  tem- 
po delle  guene  dell  imperatore  Gra- 
ziano, e  stabilì,  verso  l'anno  385, 
il  suo  soggiorno  in  Genova ,  ove 
diede  principio  a  questa  famiglia , 
che  cominciò  ad  essere  più  consi- 
derabile fino  dal  secolo  decimo,  al- 
lorché Ottone  I  ricompensò  i  ser- 
vigi di  Guido  Cibo  con  alcune  ter- 
re, e  coir  impiego  di  tribuno  delle 
compagnie  de' nobili  e  de' cavalieri 
del  sagro  romano  impero,  come  ri- 
porta il  Novaes,  t.  VI,  pag.  53.  Al- 
trettanto si  legge  nel  Dizionario  sto- 
rico portatile  dell'abbate  Ladvocat 
alla  pai'ola  Cibo^  cioè  che  nel  se- 
colo X  la  famiglia  era  in  Italia  in 
considerazione,  ritrovandosi  in  un 
privilegio  a  favor»;  della  città  di  Vi- 
terbo, che    Óltuae    1    ricompensato 


123  CIB 

aveva  i  servigi  di  Guido  Cibo  col 
dono  di  alcuni  feudi.  Altri  stabili- 
scono la  famiglia  Cibo  in  Genova, 
ncir  anno  999.  Guido  I  fu  padre 
di  Odoardo,  e  questo  di  Guido  II, 
il  cui  figlio  Lamberto  intraprese  la 
guerra  contro  i  saraceni ,  e  loro 
tolse  le  isole  di  Gorgona  e  di  Ca- 
praj;!,  la  prima  del  mare  Tirreno, 
la  seconda  del  Mediterraneo.  L'iso- 
la Gorgona,  Urgos  o  Gorgon,  ora 
è  dipendente  dalla  provincia  di  Pi- 
sa del  granducato  di  Toscana,  ed 
ha  in  cima  un'alta  toz-re  per  avvi- 
sare Livorno  dellavvicinamento  dei 
corsari  barbareschi.  Ivi  è  conside- 
rabilissima la  pesca  delle  sardelle. 
L'isola  Capraja,  Aegidium ,  ha  la 
città  di  tal  nome,  con  sicuro  porto, 
e  castello  fortificato.  Essa  apparten- 
ne alla  Corsica  sino  al  i5o7,  in 
cui  i  genovesi  ne  spogliarono  Gia- 
como del  Mare ,  o  de  Mari ,  che 
n  era  signore,  e  tuttora  è  compre- 
sa negli  stati  di  Genova  ceduti  al 
re  di   Sardegna. 

Lamberto  Cibo  ebbe  diversi  fi- 
gliuoli, tra' quali  Aranito,  che  in- 
traprese il  viaggio  di  Terra  santa. 
Nel  ii3o  Innocenzo  II  creò  Car- 
dinale un  Martino,  che  alcuni  dico- 
no della  famiglia  Cibo.  In  seguito 
un  Guglielmo  Cibo  fu  fatto  cavalie- 
re dallimperatore  Federico  II,  e  suo 
ambasciatore  a  Clemente  IV,  Papa 
del  126?.  Un  l'amo  della  famiglia 
Cibo  si  trasferì  a  Napoli,  ove  fiori 
in  nobiltà,  e  molto  si  diffuse ,  col 
nome  di  Tomacelli,  o  Tomazelii. 
Da  essa  usci  Alberico,  o  Ulderico 
Tomacelli,  o  Cibo,  che  Onorio  lì 
nel  1 125  creò  Cardinale.  Nel  secolo 
XIV  fiori  Francesco  Tomacelli  pa- 
trizio napolitano ,  che  si  congiunse 
in  matrimonio  con  Gratimole  della 
cospicua  famiglia  Filomarino,  dai 
quali  nacque   Pietro  in  Carafanello, 


CIB 
antico  feudo  della  famiglia  stessa, 
il  quale  pe'  suoi  illibati  costumi,  e 
belle  doti  fu  da  Urbano  VI  nel 
i38i  creato  Cardinale,  e  quindi 
meritò  nel  iSHg  di  succedergli  nel 
pontificato  col  nome  di  Bonifacio  IX 
(^«//).  Questo  Papa  nel  1402  creò 
Cardinali  Leonardo  Cibo,  e  Angelo 
Cibo  patrizi  genovesi  ;  e  fece  di  tutto 
per  ristabilire  nel  regno  di  Napoli 
Ladislao  figlio  di  Carlo  III,  Duraz- 
zo.  Ladislao  per  gratitudine  diede 
ai  Tomacelli,  nipoti  di  Bonifacio  IX, 
la  contea  di  Sora ,  con  altri  terri- 
torii.  Inoltre  lo  stesso  Pontefice  ar- 
ricchì ed  esaltò  la  madre  ancor  vi- 
vente,  i  fratelli,  e  i  nipoti:  fece 
marchese  della  Marca  d'  Ancona 
uno  de'  suoi  tre  fratelli  chiamato 
Andrea,  e  l' altro  per  nome  Gio- 
vanni il  fece  duca  di  Orvieto,  e  du- 
ca di  Spoleto;  dichiarò  Antonio  di 
lui  fratello  o  nipote  castellano  di  Ca- 
stel s.  Angelo.  Tultavolta  la  fami- 
glia Tomacelli  non  conservò  tutte 
le  ricchezze  acquistate,  perocché  do- 
po la  morte  di  Bonifacio  IX,  La- 
dislao la  spogliò  de'  suoi  feudi.  V. 
s.  Antonino,  in  Chronicon,  part.  III, 
tit.   2,  e.   3. 

Arano,  o  Aronne  Cibo,  figlio  di 
Maurizio,  e  di  Saracina  Marculla, 
e  discendente  di  Lamberto  Cibo, 
dopo  che  ebbe  diviso  con  Tomma- 
so Fregoso  il  governo  della  repub- 
blica di  Genova,  essendo  stato  da 
essa  destinato  a  condurre  un  con- 
voglio importante  a  Renato  d' An- 
giò  re  di  Napoli,  per  la  stima  che 
ne  concepì  venne  da  questo  prin- 
cipe creato  viceré  di  Napoli ,  città 
che  valorosamente  difese  quando 
nel  144^  f"  assediato  da  Alfonso 
V  di  Aragona,  facendo  prigioniero 
questo  principe,  che  senza  riscatto 
mandò  a  Genova.  La  repubblica 
ijenovese  destinò  Arano  ad  accomo- 


CIB 

dare  le  sue  vertenze  con  Alfonso  V, 
e  vi  riuscì  così  bene ,  che  il  re  lo 
ritenne  in  Napoli  al  suo  servigio  , 
lo  fece  presidente  del  suo  consiglio, 
e  ad  istanza  de'  napoletani  nuova- 
mente il  creò  loro  viceré.  Intanto, 
elevato  al  pontificato  nel  i^55  Ca- 
listo III,  il  quale,  come  narra  il 
Zazzera,  era  nel  Cardinalato  grande 
amico  di  Arano,  a  sé  lo  chiamò  di- 
chiarandolo senatore  di  Roma ,  di- 
gnità in  quei  tempi  conceduta  ai 
soli  principi,  o  personaggi  di  gran 
considerazione.  Peraltro  non  andò 
guari  che  il  Cibo  abdicò  il  senato- 
rato, attesi  i  disgusti  nati  tra  Ca- 
listo III  ed  Alfonso  V,  e  ritornò  a 
Napoli  ad  esercitare  i  suoi  alti  im- 
pieghi, morendo  a  Capua  nel  i4^7- 
Da  questo  Arano ,  e  da  Marzia 
del  Mare,  di  famiglia  senatoria  di 
Genova,  nacque  nel  i432  Giambat- 
tista Cibo,  poi  Papa  Innocenzo  Vili, 
che  fu  il  principale  splendore  di 
sua  famiglia,  e  diede  origine  a  quella 
grandezza,  cui  in  progresso  essa  asce- 
se, divenendo  una  delle  più  nobili, 
e  più  potenti  d' Italia.  Egli  pertanto 
servì  prima  nella  corte  di  Napoli  il 
re  Alfonso  V,  e  Ferdinando  di  lui 
figlio,  e  sposatosi  ad  una  dama  na- 
polilana,  n'  ebbe  due  figli,  che  era- 
no ancor  viventi  quando  fu  creato 
Papa,  cioè  Franceschetto,  e  Teodo- 
rina.  Alcuni  dissero,  che  France- 
schetto fosse  figlio  naturale ,  o  ni- 
pote di  quel  Pontefice,  però  figlio 
veramente  lo  chiama  il  celebre  Pie- 
tro Delfino  camaldolese,  nella  let- 
tera 27  del  libro  III,  scritta  a'  7 
aprile  1492,  cioè  vivendo  ancora 
il  Papa;  e  Paride  de  Grassis  dice 
altrettanto  nel  suo  Diario ,  in  cui 
descrisse  minutamente  le  magnifiche 
esequie,  fatte  nella  basilica  vatica- 
na ai  16  luglio  i5ir)  a  France- 
schetto, cognato  dell'allora  regnante 


CIB  123 

Leone X.  Tultavolta  nelle  sue  bolle, 
Innocenzo  Vili  chiamò  sempre  Fran- 
ceschetto suo  nipote,  e  nipote  di 
Arano  di  lui  genitore,  e  per  tale  si 
nomina  avvedutamente  nell'  iscrizio- 
ne sepolcrale,  che  poi  in  detta  ba- 
silica pose  Alberico  Cibo ,  principe 
di  Massa.  P\  il  Marini,  Archiatri 
poni.  t.  I,  p.  221,  n.  6.  Il  Ciac- 
conio  afferma  il  matrimonio  di  Giam- 
battista colla  dama  napolitana,  ma 
il  Vialardi  accenna  eh'  esso  fosse 
soltanto  stipulato;  e  Raffaello  di  Vol- 
terra lib.  22,  col  Bergamasco,  e  col 
Platina  sostengono,  che  Franceschet- 
to, e  Teodorina  fossero  figliuoli  na- 
turali di  Giambattista,  il  quale  poi 
diede  Teodorina  in  matrimonio  a 
Gerardo  Usumari  di  nobile  famiglia 
genovese,  famiglia  che  procurò  in- 
gi'andire  come  quella  de'  proprii  ni- 
poti. Né  si  deve  tacere,  che  il  Ber- 
castel,  Histoire  de  VEglise,  t.  XV I, 
p.  270,  dice  che  Giambattista  pri- 
ma di  x'icevere  gli  ordini  sagri,  aves- 
se avuto  sette  figli  da  diverse  donne. 
Giambattista  adunque  trasferitosi 
a  Pvoma,  si  pose  nella  carriera  ec- 
clesiastica, ove  per  i  suoi  costumi 
dolci,  e  somma  saviezza  fu  fatto  ve- 
scovo e  poi  Cardinale,  venendo  po- 
scia nel  i4'^4  subliniato  al  trono 
pontificio  col  nome  d'  Innocenzo 
FUI  (Fedi).  Nella  prima  promor 
zione  da  lui  fatta  nel  i4^9  3  creò 
pel  primo  Cardinale  Lorenzo  del 
Mare  o  de  Marj  nobile  genovese , 
suo  consanguineo,  o,  come  dicono 
alcuni,  figlio  naturale  del  propria 
fratello,  cui  diede  il  cognome  Cibo, 
e  lo  stemma.  A  Franceschetto  Ci- 
bo, oltre  il  generalato  di  santa  Chie^ 
sa,  diede  la  contea  d' Anguillara , 
quella  di  Fcrentillo,  Cerveterij  e4 
altri  piccoli  castelli,  che  in  appresso 
da  Franceschetto  si  vendettero  a 
Viiginio  Orsini,  meno  la  contea  di 


i:j4  cib 

l'Ynentillo.  Quindi  Innoccnr.o  Vili 
otU'niu;  a  Fianceschclto  in  isposa 
la  l)cllii  MacUlalcna  de'  Medici,  II- 
i^lia  di  Lorenzo  il  I\l (lignifico.  Per 
ricompensare  poi  cpiesta  illustre  fa- 
miglia, che  gi.à  signoreggiava  Firen- 
7(^ ,  il  J^apa  nominò  jirotonolario 
apostolico  (iiovanni  de'  Medici  figlio 
di  Lorenzo ,  mentre  avea  l' età  di 
sette  anni,  e  poi  nel  i4<^9  il  dt-'^ 
Cardinale,  e  l' inviò  legato  a  Firen- 
ze, e  al  Patrimonio,  finché  nel  i5i3 
meritò  di  succedere  a  Giulio  li  col 
glorioso   nome  di  Leone  X. 

Da  Francese! ietto  Cibo,  e  da  Mad- 
dalena de'  Medici,  sorella  di  Leone 
X,  nacquero  Lorenzo,  e  Innocenzo. 
IVella  sua  prima  promozione  lo  zio 
Leone  X  diede  a  rpiest' ultimo  la 
porpora  cardinalizia  nel  i5i3,  col- 
la signoria  di  Fabriano,  mentre  con- 
tava ventim'anni  di  età;  ed  allu- 
dendo al  nome  d'Innocenzo  Vili, 
ed  a  quello  del  Cardinale,  Leone 
X  nel  crearlo  disse  in  concistoro  : 
Qiiod  ab  Innoceniio  acccpi,  Jiino- 
ccntio  resi! tuo.  11  Cardinal  Innocen- 
zo Cibo  si  lese  immortale ,  primie- 
lamente  nelle  peripezie  del  cugino 
di  Leone  X  suo  zio,  cioè  del  Papa 
Clemente  VII,  de  flledwi,  al  quale 
in  un  agli  altri  Cardinali,  dissuase 
ili  trasferire  la  pontificia  residenza 
ad  Avignone;  in  secondo  luogo  per- 
chè alla  uccisione  di  Alessandro  dei 
Medici,  duca  di  Firenze,  nobilmen- 
te ricusò  quella  sovranità  per  la  sua 
fimiglia,  e  la  mantenne  nel  secon- 
do ramo  della  casa  Medici  ;  e  per- 
chè poi  fu  visitato  in  ]\Iassa  dal 
Pontefice  Paolo  III,  e  dall'impera- 
tore Carlo  V,  da  lui  trattati  con 
somma  splendidezza.  Di  questo  am- 
plissimo Cardinale,  Innocenzo  Ci- 
bo, scrisse  la  vita  Fianccsco  Maria 
\  ialardi ,  che  unitamente  alle  vite 
di  ISunilàcio  1\,  e  d' Innocenzo  Vili, 


CIP, 

fu  stampata  a  Venezia  por  il  Scssa 
nel  iGi3.  Ma  di  detto  Cardinale, 
e  di  tutti  gli  altri  Cardinali  della 
famiglia  Cibo  nominati  in  questo 
articolo,  si  potranno  leggere  le  bio- 
grafie ne' seguenti  articoli. 

Leone  X  mostrò  propensione  per 
Franceschetto,  e  per  Maddalena  sua 
sorella,  che  spesso  visitava  nel  loro 
feudo  di  Cerveteri,  e  il  suddetto  Lo- 
renzo Cibo,  pur  nipote  di  Leone  X, 
continuò  la  successione  della  famiglia 
Cibo.  Egli  sposò  Ricciarda  Malaspina 
erede  degli  stati  di  Massa,  e  Carrara, 
allora  marchesato.  Da  Franceschet- 
to, e  INIaddalena  nacque  pure  una 
figlia  per  nome  Caterina,  che  be- 
ne apprese  le  lingue  ebraica ,  gi'e- 
ca,  e  latina,  non  che  la  filosofia,  e 
la  teologia.  Leone  X  la  maritò  con 
Giammaria  Varano  duca  di  Came- 
rino, dal  qual  matrimonio  nacque 
Giulia  Varano,  che  maritatasi  con 
Guidobaldo  duca  di  Urbino,  sotto 
Paolo  III  perdette  1'  avito  ducato 
di  Camerino,  e  terminò  i  suoi  gior- 
ni tra  i  libri,  e  gli  esercizi  di  pie- 
tà. Da  Lorenzo  e  Pticciarda  nacque 
l'unico  figlio  Alberico  Cibo  Malaspi- 
na, che  nel  i553,  ereditò  gli  stati 
di  Massa  e  Carrara.  Questo  prin- 
cipe, nel  i568,  ottenne  dall'impera- 
tore Massimiliano  II,  che  i  detti  sta- 
ti fossero  eretti  in  ducato,  per  cui 
fu  il  primo  duca  di  Massa  e  Carra- 
ra. P^.  Massa  e  Carrara.  Certo  Alfon- 
so Ciccarelli,  medico  di  professione, 
lusingava  l'orgoglio  de' grandi  con  fa- 
volose genealogie,  e  tese  pur  una 
tale  insidia  ad  Alberico  Cibo  Mala- 
spina,  col  volergli  provare,  che  la 
sua  famiglia  contava  circa  sei  seco- 
li di  più  di  quelli,  che  ne  stabiliva- 
no gristorici.  11  principe,  che  avea 
d(;lio  spirito,  fu  il  primo  a  smasche- 
rare il  falso  biogralò.  Insorsero  quin- 
di molte  accuse  contro  di  lui,  e  fat- 


CIB 

togli  il  processo  sotto  Gregorio  XIII, 
di  cui  era  suddito,  e  convinto  di 
falsità  con  intenzioni  le  più  ree,  fu 
condannato  al  taglio  d'una  mano,  e 
ad  essere  impiccato,  ciò  che  fu  ese- 
guito nel   i58o. 

A  Carlo  I,  principe  e  duca  di 
Massa  e  Carrara,  nel  i6^5  da  Inno- 
cenzo X  fu  creato  Cardinale  il  figlio 
Alderano  Cibo ,  che  il  veneiabile 
Innocenzo  XI  fece  segretario  di  sta- 
to, e  in  tal  credito  si  mantenne  che 
r  imperatore,  e  i  sovrani  di  Europa 
gli  scrivevano  di  proprio  pugno  per 
ottenere  quanto  desideravano  dal 
Papa,  il  quale  in  morte  lo  racco- 
mandò al  sagro  Collegio,  perchè  lo 
facesse  suo  successore.  L'ultimo  Car- 
dinale di  questa  celebre  prosapia  fu 
Camillo  Cibo,  de'  principi  di  Massa, 
e  Carrara,  Maneta ,  e  Lavenza ,  e 
per  parte  di  sua  madre  Teresa  Pam- 
phily,  pronipote  d'Innocenzo  X.  Fu 
elevalo  alla  porpora,  nel  1729,  da 
Benedetto  XllI,  L' ultimo  principe 
Cibo  Malaspina  fu  Alderano,  che 
avendo  preso  in  moglie  E.icciarda 
Gonzaga,  figlia  di  Camillo  III,  con- 
te di  IVovellara,  e  Bagnolo,  nacque- 
l'O  tre  figlie,  ]\Iaria  Teresa,  erede 
de' paterni  stati,  maritata  nel  1741 
ad  Ercole  Piinaldo  d'Este  principe 
ereditario  di  Modena;  Marianna, 
che  fu  sposata  al  principe  Orazio 
Albani,  pronipote  di  Clemente  XI  ; 
e  la  terza,  che  divenne  duchessa  di 
Popoli,  nella  famiglia  del  Tocco  in 
Napoli.  Così  rimase  estinta  la  linea 
maschile  di  Cibo  Malaspina,  e  pas- 
sò ne' duchi  estensi  il  ducato  di 
Massa,  e  Cai-rara  .  P^.  Modena. 
Della  villa  Cibo,  che  questa  famiglia 
aveva  in  Castel  Gandolfo,  onorata 
spesso  dai  Papi  nelle  villeggiature, 
ed  acquistata  dal  palazzo  apostolico 
sotto  Clemente  XIV,  si  parla  all'ar- 
ticolo Casld  Gandolfo.  Scrissero  poi 


CIB  iiS 

di  questa  famiglia  Porcacchi,  e  Fran- 
cesco Zazzera,  Genealogia  della  fa- 
miglia Cibo:  il  Dialogo  della  nobil- 
tà di  essa.  L*  Ughellio  neWTlalia 
sagra  ;  il  Prioi'ato,  Scena  degli  uo- 
mini illustri  d'Italia  :  l'Aubcry,  il 
Tuano  nel  t.  Ili  delle  Istorie;  Pao- 
lo Giovio;  il  Foglietta,  e  altri.  Nel 
i588  in  Genova  fu  pubblicato  un 
libro,  col  titolo:  Della  famiglia  Ci- 
bo. Finalmente  il  Yiani  nel  i8o8  ha 
pubblicato  in  Pisa:  Le  memorie  del- 
la famiglia  Cibo  e  delle  monete  di 
fliassa  di  Lanigiano,  con  qnattoi'- 
dici  tavole,  contenenti  le  impronte 
di  centoventotto  monete  coniate  nel 
i5o9  dai  principi  della  famiglia  Ci- 
bo: famiglia  estintasi  nel  1760  col- 
la morte  della  duchessa  di  Modena 
Maria  Teresa. 

CIBO  Martino,  Cardinale.  Mar- 
tino Cibo,  di  nobile  famiglia  geno- 
vese, era  monaco  cisteixiense.  Fu 
diretto  da  s.  Bernardo  suo  amico, 
e  molto  si  distinse  per  l' esercizio 
delle  cristiane  virtù.  Innocenzo  II 
nel  ii3o  lo  creò  Cardinal  prete  di 
s.  Stefano  nel  Montecelio,  e  lo  fece 
legato  al  re  di  Danimarca.  Giovan- 
ni di  Sarisbery,  e  s.  Bernardo  si 
meravigliarono  assai  perchè  il  Cibo 
ritornasse  povero  dalla  sua  legnzio- 
ne,  venendo,  com'  egli  scrive,  dalla 
terra  dell'oro,  senza  oro.  Poscia  in- 
tervenne al  concilio  di  Pisa ,  e  nel 
II 44  mori  santamente,  nel  Ponti- 
ficato di  Lucio  lì,  dopo  quattordici 
anni  circa  di   Cardinalato. 

CIBO  Guido  Clemente,  Cardina- 
le. Guido  Clemente  Cibo  di  Geno- 
va piissimo,  e  dotto  così  da  meri- 
tarsi il  titolo  di  maestro,  nelle  tem- 
pora di  avvento  del  i  i  4  t>  l^^  crea- 
to Cardinal  prete  di  s.  Pudenziana 
da  Lucio  II.  Sotto  il  Pontefice  A- 
driano  IV,  insorse  popolar  sedizio- 
ne a  causa  degli  Arualdisti.  Il  Cibo 


126  CIB 

si  recò  allora  dal  Papa,  ma  fu  in- 
sultalo, e  ferito  ^ravcincnle.  UPon- 
tclice  sdegnato  sottopose  tutta  Roma 
ali'  interdetto,  castigo,  cui  non  aveva 
ella  provato  giammai.  Riavutosi  al- 
fpianto  dal  male,  con  altri  Cardi- 
nali si  fece  ad  incontrar  l'impera- 
tor  Federico  I,  che  conduccvasi  a  Ro- 
ma per  ricevere  la  corona  impe- 
riale; ed  ottenne  di  aver  nelle  ma- 
ni l'eresiarca  Arnaldo,  che  movea 
di  continuo  il  popolo  romano  con- 
tro al  clero.  Così  giovò  assai  la  s. 
Sede  presso  a  Cesaie.  Da  ultimo, 
dopo  la  elezione  di  Eugenio  III,  A- 
nastasio,  ed  Adriano  IV,  morì  nel 
I  i5c),  dopo  ([uattordici  anni  di  Car- 
dinalato. 

CIBO  Lkoxahdo,  Cardinale.  Leo- 
nardo Cibo,  patrizio  genovese,  celebre 
legale,  fu  promosso  alla  sagra  por- 
pora da  Bonifacio  IX  a' 27  gennaio 
i4o2,  colla  diaconia  de' ss.  Cosma, 
e  Damiano.  Il  Novaes  però  dice  che 
fu  fatto  prete  de'  ss.  Silvestro  e 
Martino   a'  Monti. 

CIBO  Angelo,  Cardinale.  Ange- 
lo Cibo  patrizio  di  Genova,  da  Bo- 
nifacio IX  fu  creato  Cardinale  del- 
l'ordine de' diaconi,  ai  27  gennaio 
i4o2,  colla  diaconia  dei  ss.  Silvestro 
e  Martino  a' Monti.  Così  il  Cardel- 
la,  t.  II,  pag.  320;  ma  il  citato 
Novaes,  t.  IV,  pag.  261,  dice  che 
Angelo  fu  fatto  Cardinal  diacono  dei 
ss.  Cosma  e  Damiano. 

CIBO    Alberico,     Cardinale.     V. 

TOMACELLI. 

CIBO  Giambattista  ,  Cardinale. 
V.  Innocenzo  Vili. 

CIBO  Lorenzo,  Cardinale.  Loren- 
zo Cibo  genovese  nacque  nel  i45o 
dalla  nobile  famiglia  de  Mari,  con- 
sanguineo ad  Innocenzo  Vili.  Era 
dottissimo,  e  di  angelici  costumi. 
Essendosi  posto  a  servire  la  s.  Sede, 
fu  fatto  preletto  di  Castel  s.  Angelo; 


CIB 

canonico  di  s.  Pietro,  e  nel  i4S5  fa 
promosso  all'arcivescovato  di  Bene- 
vento, ove  stabilì  un  luogo  al  capitolo 
di  quella  metropolitana,  ai  canoni- 
ci della  quale  ottenne  l' uso  della 
berretta  rossa.  Poscia  ai  i4  marzo 
del  i4"^0  dallo  stesso  Papa  fu  crea- 
to Cardinal  prete  di  s.  Susanna; 
indi  di  s.  Cecilia,  coli'  amministra- 
zione della  chiesa  di  Vannes  nella 
Brettagna,  e  l' abbazia  di  StalTarda. 
Era  modello  di  giustizia;  e  d' inte- 
grità, (!d  accolse  in  sua  casa  di  Ro- 
ma Carlo  Vili  re  di  Francia.  Ad 
insinuazione  del  Pontefice ,  e  nel 
modo  che  dicesi  all'articolo  Chiesa 
di  s.  Marco  [P'edi) ,  stabilì  nella 
basilica  vaticana  una  cappella  con 
quattro  beneficiati,  nella  qual  cap- 
pella dovevasi  riporre  la  lancia,  col- 
la quale  fu  trafitto  il  costato  del 
Salvatore.  Quindi  coli'  opera  del 
PoUajuolo  nella  stessa  basilica  e- 
resse  un  monumento  sepolcrale  di 
bronzo  al  Papa.  Sebbene  Alessan- 
dro VI  lo  vedesse  di  mal  occhio , 
gli  conferì  il  vescovato  di  Pale- 
strina,  ma  dopo  i  conclavi  di  Pio 
III,  e  Giulio  II  morì  a  R.oma  nel 
i5o3,  di  cinquantatre  anni,  e  quat- 
tordici di  Cardinalato.  Fu  sepolto 
in  una  cappella,  cui  magnificamen- 
te avea  adornata  in  s.  Maria  del  Po- 
polo. Fece  dono  alla  sua  chiesa  del- 
la propria  biblioteca,  e  di  altri  pre- 
ziosissimi ornamenti. 

CIBO  Nicolò,  Cardinale. l^ìcoloQAho 
fratello  d'Innocenzo  VIII,  nel  i486 
divenne  arcivescovo  di  Cosenza,  e  do- 
po un  anno  governatore  di  Perugia. 
Nel  1489  fu  promosso  all'arcivesco- 
vato di  Arles;  e  fu  nominato  poi  Car- 
dinale dallo  stesso  Innocenzo  nell'an- 
no 1489,  senza  pubblicarlo  formal- 
mente al  sagro  Collegio.  Morto  Inno- 
cenzo Vili,  il  gran  signore  de' turchi 
supplicò  con  sua  lettera  Alessandro 


CIB 

VI  a  crearlo,  come  diceva,  perfetto 
Cardinale.  Che  il  Cibo  sia  veramente 
stato  Cardinale,  non  è  fuor  d'ogni 
dubbio.  Mori  all' incirca  nel   i499' 

CIBO  Pantaleone  ,  Cardinale . 
Pantaleone  Cibo,  pronipote  a  Inno- 
cenzo Vili,  a'  i4  marzo  del  1489» 
fu  sollevato  all'  onor  della  sacra 
porpora. 

CIBO  IxxocENzo,  Cardinale.  In- 
nocenzo Cibo  genovese ,  nato  nel 
149I5  nipote  al  Pontefice  per  via 
di  madre ,  giovane  di  angelici  co- 
stumi ,  fu  fatto  arcivescovo  di  Ge- 
nova da  Leone  X.  Francesco  I,  l'e 
di  Francia,  lo  elesse  abbate  di  s. 
Vittore  di  Marsiglia,  e  di  s.  Oveno 
di  Rouen.  Poi,  ai  2  3  settembre  del 
i5i3,  dallo  stesso  Leone  venne  crea- 
to Cardinal  diacono  de'  ss.  Cosimo 
e  Damiano,  colla  signoria  perpetua 
di  Fabriano;  nell'anno  iSiy  fu  am- 
ministrator  della  chiesa  di  Torino , 
e  di  Marsiglia  nel  1 5 1 8,  col  gover- 
no di  Aleria  nella  Corsica.  Indi  nel 
i5i9  ebbe  il  governo  pastorale  del- 
la chiesa  di  Ventimiglia;  e  nel  i53i 
sotto  Clemente  VII  quella  di  Ma- 
riana nella  Corsica;  poscia  nell'anno 
i558,  nel  pontificato  di  Paolo  III, 
ebbe  quella  di  Messina ,  ed  altri 
vescovati.  Divenne  Camerlengo  del- 
la s.  Romana  Chiesa,  pei  bisogni 
della  quale  sborsò  la  somma  di 
trentacinquemila  ducati  ;  legato  di 
Bologna,  e  Romagna ,  e  nella  pri- 
gionia di  Clemente  VII  manten- 
ne parecchie  città  devote  al  Papa; 
ed  in  quelle  strettezze  spese  gros- 
se somme,  a  rimborsar  le  quali  ot- 
tenne dal  Pontefice  la  terra  di 
Vetralla.  A  lui  è  debitrice  l' Italia, 
che  la  s.  Sede  sia  restata  in  Roma, 
poiché  la  si  voleva  ti'asferire  in  A- 
viguone.  Magnanimamente  ricusò  il 
principato,  che  gli  offerivano  i  fio- 
rentini della  casa  de'  Medici,   che, 


CIB  127 

sedati  i  tumulti ,  ristabilì  nella  me- 
desima famiglia  .  Favorì  gi'ande- 
mente  i  letterati,  e  nella  sua  casa  di 
Massa  fu  onorato  da  Paolo  III,  e 
Carlo  V;  si  trovò  a  molte  sessioni 
del  concilio  di  Latei-ano,  non  che  ai 
conclavi  di  Adriano  VI,  Clemente 
VII,  Paolo,  e  Giulio  III.  Morì  a 
Roma  nel  i55o,  di  cinquantanove 
anni,  e  trentasette  di  Cardinalato,  e 
venne  sepolto  nella  chiesa  di  s.  Ma- 
ria sopra  Minerva. 

CIBO  Alderìxo,  Cardinale.  Al- 
derano  Cibo  dei  principi  di  INIassa 
e  Carrara,  nato  nel  161 2,  divenne 
prelato  sotto  Urbano  VIII.  Poi  In- 
nocenzo X  lo  elesse  a  maggiordo- 
mo pontificio;  quindi  a' 6  marzo 
1645  lo  creò  Cardinal  prete  di  s. 
Pudenziana,  legato  di  Libino,  Ra- 
venna, e  Ferrara,  cui  governò  con 
sommo  vantaggio  del  Pontefice ,  e 
dei  popoli  soggetti.  Fu  anche  pro- 
tettore dell'  Ordine  dei  Minori ,  di 
quello  dei  Trinitarii ,  degli  Arme- 
ni, ed  ebbe  luogo  nelle  prime  con- 
gregazioni di  R.oma.  Sotto  Alessan- 
dro VII,  nel  i656,  fu  nominato  al 
vescovato  di  Jesi,  cui  beneficò  gene- 
rosamente, enei  i658  vi  tenne  il 
sinodo.  Trasfeiù  la  congregazione  di 
s.  Filippo  Neri ,  eh'  era  lungi  dalla 
città,  alla  comoda  via  Savelli,  e  le 
diede  la  chiesa  di  s.  Giovanni  colle 
case  vicine.  Lo  stesso  fece  del  semi- 
nario situandolo  prossimo  alla  cat- 
tedrale. Senonchè  rinunziò  a  quella 
chiesa,  e  nel  1687  sotto  Innocenzo 
XI,  dopo  altri  vescovati  suburbicari, 
essendo  divenuto  decano  del  sagro 
Collegio,  gli  toccò  il  vescovato  di 
Ostia  ,  ove  ristaurò  il  palazzo  vesco- 
vile ,  r  antica  cattedrale  di  s.  An- 
drea, e  la  cappella  di  s.  IMonica,  cui 
abbelhdi  finissimi  marmi,  di  grazio- 
se pitture,  e  di  un  ricco  fonte  bat- 
tesimale. JNella  chiesa  di  s.  ]\Iaria  del 


128  CllJ 

Popolo  fornii  una  mngnifirn  cap- 
pi^lln  ;  nel  \6()^  tenne  il  sinodo  a 
Vclletri  ,  e  dopo  essere  iiilervcnuto 
ai  conclavi  di  Alessantiro  VII,  Cle- 
mente IX  e  X,  Innocenzo  XI,  Ales- 
sandro Vili,  e  Innocenzo  XII ,  mori 
a  Roma  nel  1700,  di  ottantotto  an- 
ni e  einrpianlasei  di  Cardinalato,  de- 
cano del  «acro  Collegio.  Ebbe  la 
tomba  nella  sua  cappella,  in  s.  Ma- 
ria del  Popolo,  ove  sorge  nobile 
mausoleo ,  che  si  fece  erigere  egli 
medesimo  nel  i68|..  Innocenzo  XI, 
che  appena  eletto  Papa  lo  fece 
suo  segretario  di  sfato,  morendo 
lo  avea  con  grande  ardore  proposto 
al  sommo  pontillcato,  ma  non  vi 
riuscì.  Era  il  Cibo  tale  da  godere 
meritamente  della  estimazione  di 
tutti. 

CIBO  Camillo,  Cardinale.  Camil- 
lo Cibo  dei  principi  di  Massa  e 
Carrara,  nacque  nel  1 681.  Nel  170?, 
sotto  Clemente  XI,  divenne  chieri- 
co di  camera ,  e  presidente  degli 
archivi,  delle  acque,  e  ripe,  e  della 
grascia,  poi  fu  fatto  uditore  di  Ca- 
mera, e  nel  17  18  ebbe  il  titolo  di 
patriarca  di  Costantinopoli.  Ma  por- 
tato a  riformar  ogni  cosa,  corse  ta- 
li rischi,  che  dovette  paitire  da 
Roma,  sotto  Innocenzo  XIII,  e  ri- 
tirossi  presso  Spoleti.  Senonchè  Be- 
nedetto XIII,  nel  1725,  lo  vol- 
le appresso  di  se,  dichiarandolo 
suo  maggiordomo.  Poi  sostenne  stre- 
pitosa lite  coi  primi  tribunali  di 
Roma  a  mantenere  illesa  la  priva- 
tiva sua  giurisdizione  civile,  e  cri- 
minale sopra  i  palatini,  e  fece  fron- 
te al  Cardinal  Coscia,  potente  fa- 
vorito del  Papa ,  che  si  mischiava 
oltre  il  dovere  negli  addiri.  Quindi 
a'  23  marzo  1729  lo  stesso  Bene- 
detto XIII  lo  promosse  al  Cardinala- 
to,col  litolc;  di  s.  Stefano  ncBIontece- 
lio,  e  lo  ascrisse  alle  congregazioni  dei 


CIB 

vescovi,  e  regolari,  (1(;1  concilio,  dei 
riti,  della  consulta,  di  propaganda  , 
ed  allre.  Rinunziò  al  priorato  della 
religione  di  INIalta ,  e  andò  a  pas- 
sare alcun  tempo  nelle  deliziose  cam- 
pagne tra  Gaeta  e  Pozzuolo.  Eb- 
be contese  col  duca  di  Massa  suo 
fratello  per  la  successione  di  quel 
principato.  Dopo  il  conclave  di  (de- 
mente XII  e  di  Benedetto  XIV , 
mor\  in  Roma  nell'  anno  1 743  , 
di  scssantadue  anni,  e  quattordici  di 
Cardinalato.  Fu  sepolto  in  sotterra- 
nea cappella  in  s.  Maria  degli  An- 
geli, ove  avea  fatto  costruir  tondje 
per  se,  e  per  sette  de'  suoi  fami- 
liari. 

CIBORIO  (  Cihoriuin,  aiigmtissi- 
mae  Eticharixtiae.  sacra  pyxis).  Con 
questo  nome  si  chiama  il  tabernaco- 
lo, ove  si  conserva  la  ss.  Eucaristia, 
il  vaso  che  la  racchiude,  non  che 
un  sagro  edifizio  isolato.  Sebbene 
agli  articoli  Tabernacolo  e  Pisslde 
dicasi  quanto  riguarda  tal  custodia, 
e  vaso,  piu'e  qui  ne  daremo  un  cen- 
no a  cagione  che  il  Ciborio  viene 
chiamato  anche  Tabernacolo,  e  Pis- 
side dagli  ecclesiastici. 

Il  tabernacolo  è  rm  piccolo  tem- 
pio di  legno  dorato,  di  metallo,  e 
di  pietra,  che  sta  sull'altare,  chiuso 
con  chiave,  ove  si  conserva  il  ss.  Sa- 
gramento  dentro  la  pisside ,  eh'  è 
un  vaso  sagro  d' argento  o  di  oro 
in  forma  di  calice,  coperto,  e  che 
conserva  le  ostie  consagrate  per  la 
comunione  de'  fedeli.  Debbono  esse 
cangiarsi  ogni  otto  giorni,  o  alme- 
no ogni  quindici,  ed  allora  purifi- 
car si  deve  anche  il  vaso. 

Dal  Mcnologio  Romano  del  Piaz- 
za, a  pag.  109,  si  rileva,  che  l' ar- 
cicon fraternità  del  ss.  Sagramoito, 
istituita  nel  i  139,  nella  chiesa  di  s. 
Maria  sopra  IMincrva,  fu  la  prima 
che    in    Roma   erigesse    tabernacoli 


CIB 

nelle  chiese,  nella  forma  d'  oggid'i . 
per  custodire  decentemente  ed  alla 
pubblica  venerazione  la  ss.  Eucari- 
stia.  P^edi. 

Il  rito  più  antico,  col  quale  so- 
leva conservarsi  la  ss.  Eucaristia , 
era  quello  di  tenerla  rinchiusa  nella 
sagrestia,  come  ci  dimostro  l' eru- 
ditissimo Cancellieri,  nel  tom.  I  de 
Secre.tariis  etliidcoruni  et  christiano- 
rum,  ac  veteris,  et  no\'ae  basii.  i>af., 
cap.  II,  §  IV,  de  vita  vetustissimo 
in  secretano  majorì,  Sacramentunt 
aìignstuin  sub  utraque  specie  adscr- 
iandi^p.  197.  Altro  rito  era  quello  di 
collocarla  sugli  altari,  o  nei  vasi  so- 
spesi sotto  al  ciborio,  sospesa  nel  bat- 
tistero, sul  sepolcro  de'  martiri,  su- 
gli altari,  entro  una  torricella  d'a- 
vorio, e  pili  comunemente  in  vasi 
fiuti  in  forma  di  colomba  d'oro,  o 
d'argento,  o  di  altro  metallo;  o 
ne'  tabernacoli  ,  come  ora  si  usa. 
Le  dette  torri  d'avorio  si  chiama- 
rono pure  Turris  gestatoria,  come 
si  può  vedere  in  s.  Gregorio  di 
Tours,  De  glor.  inart-yr.  cap.  86. 
Si  costumò  ancora  di  riporre  la  ss. 
Eucaristia  entro  il  muro  della  tri- 
buna della  chiesa ,  il  quale ,  oltre- 
ché dal  p.  Martene,  De  antir/nis 
eccl.  ritibus,  1.  I,  e.  5,  art.  3,  cosi 
è  descritto  dal  p.  Mabillon  non  so- 
lamente nel  ti'attato  De  usu  azyini 
et  fermentati,  cap.  8,  ma  anche  nel 
Commentario  sopra  gli  ordini  Ro- 
mani, tom.  II.  Mus.  Ital.  pag.  i3c)  : 
"  Tertius  modus,  qui  in  sola  s.  Cru- 
»  cis  basilica  obtinet ,  is  est  quod 
5>  Eucharistia,  pone  majus  altare, 
"  ad  summum  basii icae  parieteni 
»>  absque  ara  apposita,  servatur  in 
»  vasculo  patente,  adjectis  loco  or- 
"   namenlis.   Quod   o[)us    est  Fran- 

"   cisci  Quignonii    Cardinalis 

»   anno  MDXXXVI  ". 

Così    nello  stesso   tempo    si   sono 

VOL.     \M[. 


CIB  129 

conservate  due  delle  antiche  e  ve- 
nerande costumanze  ;  dappoiché  re- 
stando il  tabernacolo  del  ss.  Sagra- 
mento  elevato  nel  mezzo  della  tri- 
buna, seguita  altresì  ad  essere  cu- 
stodito nella  sagrestia,  dove  si  mu- 
ta, e  si  rimette  secondo  il  bisogno. 
Nella  chiesa  cattedrale  di  s.  Gio- 
vanni di  jMaurienne,  racconta  il  cav. 
INIillin  nel  suo  Voyage  en  Savoje 
etc.  Paris  i8i6j  p.  76,  che  esiste 
5»  un  Ciborium,  ou  espèce  de  Ta- 
«  jjeruacic  en  beau  maibre  blanc, 
»  destine  a  garder  I'  Hostie.  Au 
5j  milieu  des  Aiguilles  flnemens  de- 
»  coupies;  et  des  elegants  rainceaux 
55  sont  les  flgures  de  Dieu,  de  Chri- 
»  ste,  et  de  la  Vierge.  Ce  Cibo- 
"  rium  est  un  don  d'  Etienne  Mo- 
M  rclli ,  evéque  de  cette  cglise  ". 
Il  Casalio,  De  vct.  christ.  sac.  rìtib., 
e  altri  teologi  dicono,  che  la  paro- 
la ciborio  venga  da  cibus,  perchè 
contiene  una  vivanda  spirituale.  La 
parola  ciborio  significava  presso  gli 
egizj  il  frutto  di  certa  loro  fava, 
ovvero  il  guscio,  che  la  racchiude- 
va, per  cui  le  foglie  di  tal  pianta, 
servivano  a  fare  una  specie  di  cop- 
pe adoperate  ne' banchetti ,  e  fatte 
a  cono,  donde  presero  il  nome  le 
altre  coppe.  E  certo  che  i  greci,  e 
i  latini  si  servirono  di  vasi_,  cui  chia- 
mavano ciborj,  sia  che  fosseio  fatti 
di  quelle  fave  di  Egitto,  sia  che 
fossero  a  quelli  somiglianti,  ed  è 
appunto  dalla  loro  conformità  con 
questa  sorte  di  vasi  ,  che  i  nostri 
cibori  o  pissidi,  secondo  il  Fleury, 
Costumi  de'  cristiani ,  ne  trassero  il 
nome.  Dice  il  Bergier,  che  l'uso  di 
conservare  la  ss.  Eucaristia  per  la 
comunione  principalmente  degl'  in- 
fermi, è  una  dimostrazione  insupe- 
rabile della  fede  nella  reale  presen- 
za di  Gesìi  Cristo  nell'Eucaristia,  e 
che  la  (^liesa   orientale    seguiva  tal 


i3o  CIB 

costumo  nei  loinpi  antichissimi.  In- 
nanzi l'altare,  ove  è  il  cib(MÌo  colla 
santa  Eucaristia,  dee  tenersi  sempre 
accesa  la  lampada,  ed  il  tabernacolo 
(leve  essere  sempre  coperto  di  una 
cortina,  o  conopeo  111  Ilo  a  padiglio- 
ne, ed  a  guisa  di  baldacchino.  Sul- 
le antiche  custodie  della  ss.  Eucari- 
stia, sui  cibori,  sui  tabernacoli,  e  su 
diversi  punti  relativi ,  scrisse  una 
dottissima  Disscrlazìone  il  camaldo- 
lese d.  Albertino  Bellenghi,  arcive- 
scovo di  JXicosia,  che  nel  i83(5  pub- 
blicò in  Roma  colle  stampe.  V.  Ci- 
boriuin,  nella  Notìzia  de  vocaboli 
ecclcsiasiici,  di  Domenico  Macri. 

Ciborio  poi  preso  per  edilizio  isola- 
to, composto  di  una  volta  d'ordina- 
rio a  sesto  acuto,  sostenuta  da  quat- 
tro colonne,  ed  aperto  ai  quattro  lati 
in  forma  di  portico,  serve  come  bal- 
dacchino all'altare  principale.  Se  ne 
vedono  nelle  chiese  di  Roma,  ed  al- 
trove, massime  in  Francia.  Altri  de- 
ducono il  nome  di  ciborio  dal  vocabo- 
lo greco,  che  significa  cofano,  arca, 
o  cosa  simile,  il  che  sembra  assai  me- 
glio convenire  all'  uso  del  ciborio  , 
edifizio  presso  i  primitivi  cristiani,  i 
quali  ne  cuoprivano  l'altare,  le  cose 
sante,  e  i  sacri  misteri.  Laonde  era 
per  essi  il  ciborio  ciò  che  l'arca  fu 
presso  gli  ebrei.  Talvolta  tali  cibo- 
ri si  eressero  sulle  tombe  de'  martiri  ; 
talora  alla  volta  dei  cibori  sospen- 
devasi  quella  torretta  d' avorio,  o 
colomba  d'oro  e  di  argento,  che  con- 
teneva le  Ostie  consagrale  [Vedi).  Ci 
furono  cibori  formati  di  soli  quat- 
tro pilastri,  sostenenti  un  baldacchi- 
no, o  velo  alzato  più  o  meno,  ricchi 
di  marmi  e  di  colonne  superbe,  deco- 
rati di  preziosi  ornamenti.  Pel  più 
magnifico  si  celebra  quello  edificato 
dall'imperatore  Giustiniano  nel  son- 
tuoso tempio  di  s.  Sofia  in  Costan- 
tinopoli. Agli  articoli  riguardanti  le 


GIR 

Chiese  di-  Roma  si  è  parlato  dei 
cibori,  che  le  decoravano,  e  di  quel- 
li rimasti:  e  trattandosi  della  chiesa 
e  basilica  di  s.  Maria  Maggiore,  si  è 
detto  dei  due  belli  cibori,  che  sta- 
vano nelle  navale  di  mezzo.  Anco 
in  altre  chiese  vi  fu  piìi  di  un  ci- 
borio ,  e  lo  spazio  che  occupava 
quello  dell'altare  maggiore  si  chia- 
mò Sancta  Sanctomni  .  Finalmen- 
te non  è  da  tacersi,  che  le  forme 
de'cibori  si  cambiarono  insensibil- 
mente senza  veli  e  cortine,  sovra- 
stando e  ricuoprendo  gli  altari  l'ar- 
nese chiamato  Baldacchino  [f^edi). 
Sui  cibori,  o  tabernacoli  eretti  sul- 
le confessioni  o  tombe  de'  martiri , 
che  riconoscono  la  loro  origine  dai 
tempietti  dei  gentili,  trattò  il  p.  Lu- 
pi nelle  sue  Dissertazioni  pubblica- 
te dal  Zaccaria,  tom.  I,  pag.  35, 
e  seg.  Cos\  va  letto  quanto  il  detto 
Pompeo  Ugonio  dice  sul  Ciborio 
ncW  Istoria  delle  stazioni  di  Roma 
a  pag.  IO,  parlando  di  quello  di 
argento,  che  verso  l'anno  824  pose 
Eugenio  li  nella  chiesa  di  s.  Sabi- 
na suir  Aventino. 

CIBIRA,  o  Cyeira.  Città  vesco- 
vile della  Caria  nella  diocesi  d'Asia, 
la  cui  sede  venne  eretta  nel  quar- 
to secolo,  ed  è  conosciuta  anche  col 
nome  di  Biirus.  Fu  già  grande  cit- 
tà, ed  il  vescovo  era  sulTraganeo  di 
Afrodisiade,  metropoli  che  nel  sesto 
secolo  fu  chiamata  Stauropoli.  Ci- 
bira  fu  soprannominata  la  grande 
pel  suo  esteso  dominio  e  potenza, 
ma  soggiacque  al  dominio  de'  Ro- 
mani nell'anno  671  di  Roma.  Be- 
neficata da  Tiberio,  da  essa  fu  ri- 
guardato qual  fondatore.  Continuò 
a  godere  il  diritto  di  battere  mo- 
neta, ed  ebbe  l'onorifico  titolo  di 
Cesarea. 

CmiST'^^  [Cyhistran.).  Città  ve- 
scovile   in     partibiis    nell'   Armenia 


eie 

minore  ai  confini  della  Cappaclo- 
cia,  e  della  Cilicia,  presso  il  mon- 
te Tauro,  chiamata  da  Caudrand 
anche  Arimanacha.  La  sua  sede  ve- 
scovile, eretta  nel  secolo  quarto,  se- 
condo Commanville,  fu  fatta  suifra- 
ganea  di  Tiana,  anch'essa  metropo- 
li in  parti'bits,  e  nel  secolo  decimo- 
terzo divenne  arcivescovato  ono- 
rario. 

CICALA  Giambattista,  Cardinale. 
GiamJjattista  Cicala  nacque  nel  loio 
da  nobile  famiglia  genovese.    Si  di- 
stinse molto  negli  studi,  e  nella  pie- 
tà, per  cui  divenne  referendario  del- 
l'una  e  l'altra  segnatura;    indi  nel 
I  jSg  sotto    Paolo    III     uditore     di 
Camera,  poscia    nel    i5^5    vescovo 
di  Alberga,  e  come  tale  fu  al  conci- 
lio di  Trento.  Quindi  ebbe  l'ammi- 
nistrazione  delle    chiese    di    Sagona 
nella  Corsica  nel    i554,    e    di    Ma- 
riana ;  e  in  seguito  a'  20  dicembre 
del    i55i    Giulio  III  lo  creò  Cardi- 
nal prete  di    s.    Clemente.    Successi- 
vamente divenne  protettore  de'  mo- 
naci   Olivetani  ,     legato    della     pro- 
vincia   di    Campagna ,    revisore    dei 
decreti  del  concilio  di  Trento,  giu- 
dice della  santa  inquisizione    e    de- 
putato da    Pio  IV    sopra    la    causa 
del  Cardinal  Carlo   Caraffa.  Compo- 
se le    differenze  insorte    fra   Pio  IV 
e  IMassimiliano  Cesare  circa  la  for- 
mola  del  giuramento,  ch'esigeva  da 
questo  principe.  Nel    i568  ebbe  da 
s.  Pio  V  il  vescovato  di  Sabina,    e 
dopo  essere  intervenuto   ai    concla- 
vi di  Marcello  II,    Paolo   IV,  Pio 
IV  e  s.  Pio  V,  morì    a  Roma  nel- 
r  anno    i570,    di  sessanta    anni,  e 
diecinove  di  Cardinalato.  Fu  seppel- 
lito nella  cappella  di  s.  Lucia  nella 
chiesa  di  s.   Maria  del  Popolo. 

CICERI  Cario  Stefano,  Cardi- 
nale. Carlo  Stefano  Anastasio  Cice- 
ri di  Como,  oaccjue  nel    1 6 1 8.  Eb- 


CIC  i3i 

he  la  laurea  in  diritto  a  Pavia;  sotto 
Innocenzo  X  consegui  il  governo  di 
alcune  città  Pontificie,  poi  fu  ponente 
di  consulta,  quindi  votante  di  segna- 
tura, da  Alessandro  VII    promosso 
nel  1659  al  vescovato  di  Alessandria 
della  Paglia;  da  Innocenzo XI  suo  a- 
mico,  parente  e  compatriota  a  quel- 
lo di  Como  comune  patria  nel  1680. 
Quindi,  a' 2  settembre  del    i686,  lo 
stesso  Innocenzo  XI  lo  decorò  della 
porpora  Cardinalizia.  Nel  1694  niori 
di  settantasei  anni,  ed  ebbe    tomba 
nella  sua   cattedrale   con    magnifico 
elogio.     Promosse     la    elezione     di 
Alessandro  VITI,  ed  Innocenzo  XII, 
né  ebbe  mai  titolo  Cardinalizio,  seb- 
bene pei  due   conclavi  si  recasse  in 
Roma. 

CICLO    PASQUALE.    Pel    ciclo 
s'intende  una  serie  regolata  di  certi 
numeri,  che  vanno    successivamente 
e  senza  interruzione  l'uno  dopo  l'al- 
tro nel  loro  ordine,  dal  primo  sino 
all'ultimo,  dal  quale  al  primo   ritor- 
nano successivamente,  il   che    forma 
un  circolo  o  ciclo.  Si  distingue  il  ci- 
clo   in    solare ,  lunare,    e    dell'  indi- 
zione. Di  essi  parlammo  al    volume 
VI  del    Dizionario,    all'articolo  Ca- 
lendario, cioè  alle  pagine  25i  e  252. 
Ciclo,  vocabolo  usato  dai  cronologi- 
sti,    passò    alla     astronomia    ed    alle 
scienze,  e  si  disse  quindi    ciclico  in 
vece  di  circolare,  donde  ebbe  origi- 
ne la  voce  enciclico,  adoperata  so- 
vente nelle  lettere  apostoliche.  Quin- 
di fu  composto  il  ciclo  pasquale,  det- 
to   il   gran    ciclo   pasquale,  perchè 
serve  a  trovare  la    pasqua ,    e  per- 
chè riconduce  le    nuove  lune    e    la 
festa  di  Pasqua  ai  medesimi    giorni 
dell'anno  Giuliano.  Il  ciclo  pasquale, 
secondo  il     computo    Diouisiano,  di 
cui  in  ultimo  parleremo,  è  una  ri- 
voluzione   di  cinquecento    trenladue 
anni,  alla   fine  dei  quah  la  festa  di 


i32  eie 

]*asqua  di  risurrcziono ,  ricon'crà 
nello  stesso  giorno  di  domenica,  e 
i  due  cicli  della  Irma,  i  regolari,  le 
chiavi  delle  fesfe  inohili,  il  ciclo  del 
sole,  i  concorrenti,  le  lettere  dome- 
nicali, le  epalte  colle  nuove  lune , 
ricominciano  com'erano  cinquecento 
trentadiic  anni  prima,  e  continuano 
pel  medesimo  spazio  d'anni,  di  ma- 
niera che  la  seconda  rivoluzione  è 
in  tutto  simile  alla  prima,  e  la  ter- 
za alle  due  altre.    V.  Pasqua  di  Rt- 

SURREZIO:vE. 

Fu  nell'anno  3? 5,  che  il  Ponte- 
fice s.  Silvestro  I  fece  celchrare  il 
primo  concilio  Niceno  per  togliere 
](•  tante  divergenze,  e  dissensioni 
delle  chiese,  sopra  il  tempo  di  ce- 
lehrare  la  Pasqua.  Al  concilio  in- 
tervenneio  l'imperatore  Costantino 
/"/  Grande,  i  legati  del  Papa,  e  tre- 
cento diciotto  vescovi,  e  fu  decre- 
tato che  al  [patriarca  di  Alessandria 
sjìcttasse  il  pubhlicare  il  giorno  in 
cui  cadeva  la  Pasqua ,  perchè  in 
Alessandria,  più  che  in  ogni  altro 
luogo,  si  faceva  studio  di  astrono- 
mia, donde  ebbe  origine  1'  uso  del 
cielo  pasquale.  Fu  inoltre  stabilito 
«lai  concilio,  contro  i  quartodeci- 
nianj,  che  il  dì  2 1  marzo  fosse  la 
sede  dell'equinozio  verno,  e  che  nel- 
la domenica  seguente  alla  decima- 
quarta luna,  che  cadesse  in  quel- 
lo ,  si  celebrasse  la  pasqua.  Ad 
onta  dei  diversi  cicli  pasquali  che 
si  formarono  in  epoche  diverse . 
finalmente  Dionisio,  di  nazione  sci- 
la ,  avendo  impreso  di  abolire  il 
ciclo  di  Vittorio,  e  l'antico  ci- 
clo de'  latini  ,  compose  un  nuo- 
vo canone  pasquale  sul  ciclo  lu- 
nare degli  alessandrini ,  e  ritenne 
il  gran  periodo  di  Vittorio,  cooi po- 
sto dei  due  cicli  solare  e  limare 
uioltiplicati  r  uno  per  l'altro.  Que- 
sto ciclo  è  appunto  quello,  che  chia- 


CIC 
masi  [periodo  Dionisiano  di  cinque- 
cento trentadue  anni,  il  quale  i>on 
diversifica  dal  periodo  Vittoriano  se 
non  perchè  si  fondava  nel  calcolo 
degli  orientali  ed  alessandrini,  i  (piali 
per  altro  erano  più  sicuri  di  quei 
de'  latini,  ch'erano  stati  quelli  di  cui 
aveva  fatto  uso  Vittorio. 

T^.  INlichele  Casali,  Raccolta  di 
DisscrUizioni  italiane,  fatta  dal  eh. 
Zaccaria,  Dissertazione  I  sopra  lo 
studio  della  storia  ecclesiastica,  t. 
I,  pag.  c),  dell'edizione  del  1792; 
Bianchi  De  kalendario  et  cyclo  Cae.- 
saris,  ac  de  paschali  canone,  Ro- 
mae  1708;  e  il  p.  Lupi  sul  Ciclo 
orientale,  quando  dai  Romani  Pon- 
tefici fu  promosso  nella  chiesa  occi- 
dentale. Dissertazioni,  tom.  I,  pag. 
211.  Da  ultimo  nell'adunanza  del- 
l' accademia  di  R.eligione  cattolica 
in  Roma,  cioè  a'  ii)  agosto  1B41, 
il  dottissimo  p.  Benedetto  Mauri- 
zio Olivieri  commissario  generale 
del  s.  officio ,  e  censore  dell'  ac- 
cademia, lesse  una  eruditissima  dis- 
sertazione Sui  ineriti  de'  Romani 
Pontefici  verso  V  astronomia.  Di- 
mostrò la  loro  gloria  per  averla 
depurata  dalle  superstizioni,  che  la 
deturpavano  ;  parlò  delle  loro  cure 
nel  fissare  stabilmente  la  celebra- 
zione della  pasqua  e  della  corre- 
zione del  calendario;  dimostrò  che 
Sisto  IV  fu  il  primo  a  formare  il 
progetto  di  tal  riforma,  che  non 
potè  effettuarla  per  la  sovraggiunta 
morte  del  Regioinontano,  che  a  tale 
uopo  avea  chiamato  presso  di  sé  ; 
e  disse  della  protezione  dai  Papi 
accordata  a  Copernico,  facendo  no- 
tare che  se  quell'  astronomo  dopo 
le  nobili,  e  laboriose  fatiche  soste- 
nute, non  ebbe  la  compiacenza  di 
vedere  eseguita  la  riforma  del  ca- 
lendario, il  suo  libro  servì  di  fon- 
damento   e    di    guida    alla    grande 


CIE 

operazione  ,    eflcttuala    da   Gieiioriu 

\nì. 

CIDISSA.  Città  vescovile  della 
Fiigia  pacaziana,  eretta  in  vescova- 
\o  nel  secolo  quinto,  nella  diocesi 
d'  Asia,  sulVraganea  della  metropoli 
di  Laodicea,  della  quale  si  conosco- 
no quattro  vescovi. 

CIDOiMA  (Cjdomen.).  Chili  ve- 
scovile in  parìibiis,  suftVaganea  di 
Candia  o  Creta,  nella  cui  isola  vuoisi 
fìdjbricala  da  iMinosse,  e  dicesi  cor- 
rispondere alla  moderna  Canea.  \  ie- 
ne anche  chiamala  Cjdo/i,  e  Cf- 
doììiea,  ed  Apollonia,  secondo  Ste- 
fano di  Bisanzio.  Commanville  dice 
che  la  sua  erezione  in  seggio  epi- 
scopale rimonta  al  sesto  secolo. 

CIEXFUEGOS  Alvaro,  Cardina- 
le. Alvaro  Cienfuegos ,  nobile  di  A- 
guerra,  diocesi  di  Oviedo  nell'Asluria, 
nacque  nel  i656.  Fu  gesuita,  e  do- 
po che  lesse  onorevolmente  nelle 
cattedre  dell'  Ordine,  andò  lettor 
pubblico  all'università  di  Salaman- 
ca ,  ove  Gianloininaso  Henriquez 
grande  almirante  di  Castiglia,  lo 
elesse  a  suo  teologo.  Nei  trambusti 
del  1703,  era  indivisibile  compagno 
airiienriqucz,  cui  assisteva  moribon- 
do, e  persuadevalo  a  lasciar  erede 
delle  sue  ricchezze  l'imperatoi-  Car- 
lo VI,  che  stimava  altamente  il  Cien- 
fuegos, il  quale  poi  rese  grandi  ser- 
vigi a  lui  presso  l  Inghilterra,  e  l'O- 
lantla.  11  Pontelice  Clemente  XI  ad 
istanza  di  Carlo  AI  lo  annoverò  al 
sagro  Collegio,  ai  3o  settembre  i  720 
col  titolo  di  s.  Bartolomeo  all'Isola; 
poscia  lo  ascrisse  alle  congregazioni 
del  concilio,  dei  vescovi,  e  regolari, 
dei  riti,  dell' iuununilà  ed  altre,  lo 
lece  vescovo  di  Catania,  e  nel  1724 
arcivescovo  di  IMonreale;  come  an- 
cora fu  ministro  cesareo  presso  la 
saula  Sede  colla  comproteltoria  del- 
la  Germania.    Uopo  i  comizi  d'  In- 


CIG  i33 

nocenzo ,  e  Benedetto  XllI,  e  di 
Clemente  Xll ,  morì  a  Roma  nel 
1739,  di  cttantatri:  anni,  e  dieci- 
nove di  Cardinalato.  Fu  sepolto  nella 
cappella  della  ftladonna  nella  chie- 
sa del  Gesù,  com  egli  avta  disposto 
morendo.  Fu  encomiato  per  pro- 
«ònda  dottrina,  e  maschia  eloquen- 
za, la  quale  si  ravvisa  nella  vita  di 
s.  Fiancesco  Borgia  ,  che  pubblicò 
in  idioma  spagnuolo  ;  fu  di  natvna- 
le  pronto,  aidente,  e  molto  eflJcace 
in  muovere  gli  animi  d' ugni  sorla 
di   persone. 

CIFRA  Pietro,  Cardinale.  Pietro 
Ciera  veneziano  integro,  e  dotto , 
fu  promosso  al  Cardinalato  ai  3o 
maggio  i5o3  da  Alessandro  A  1. 
Senonchè  prima  di  venire  pubbli- 
cato in  concistoro,  morì  di  circa 
sessanta  anni.  Alcuni  però  lo  esclu- 
dono dal    novero  dei   Porporati. 

CIGJNO.  Ordine  equestre.  Fu  isti- 
tuito verso  l'anno  711  da  Beatrice, 
figlia  unica  di  Thierry,  duca  di  Cle- 
ves,  secondo  Favin;  ma  il  Giustinia- 
ni, Bonanni,  e  il  Godefroy  dicono, 
che  il  fondasse  Silvio  Brabon,  duca 
di  Brabanle,  dal  quale  prese  il  no- 
me la  provincia  della  Fiandra  così 
appellata.  L'oggetto  per  cui  Silvio, 
o,  come  altri  lo  chiamano,  Salucio, 
si  determinò  all'istituzione  dell'Or- 
dine, fu  per  le  discordie  gravissime 
che  dividevano  gli  animi  tiella  mag- 
gior parte  delle  famiglie  del  ducato. 
Quindi  è  che  i  cavalieri  da  lui  riu- 
niti ebbero  l' incarico  di  avvicinare 
gli  animi  e  pacificarli.  Raggiunto  lo 
scopo  vuoisi  che  lOidine  si  discio- 
gliesse, o  almeno  non  avesse  piìi  lun- 
ga durata.  Ciò  anzi  fece  credere  al 
p.  Helyot,  t.  \I11,  p.  44^ >  favolo- 
sa la  sua  esistenza.  Per  insegna  por- 
tavano que'  cavalieri  una  collana 
d'oro,  da  cui  pendeva  la  figura  di 
un  cigno,  ed  il  loro  abito  ibrse    fu 


i34  CIL 

nero.  ]1  lionanni,  Catalogo  degli  Or- 
dini equestri,  ne  riporta  la  figura  a 
pag.  32,  e  il  Giustiniani,  Ilistorie 
etc.   ne  dà  l'insegna  a  pag.  io8. 

CILICIA,  o  Ei.iniA,  ovvero  Elìbra. 
Sede  vescovile  dell'Africa  proconso- 
lare, della  quale  si  ha  memoria  di 
due  vescovi  .  i."  Restituto  ,  che 
nell'anno  525  intervenne  al  conci- 
lio di  Cartagine  sotto  Bonifazio,  e 
2.°  Giovanni,  che  assistette  in  Ro- 
ma a  quello  del  Laterano  presieduto, 
nel  649,  dal  sommo  Pontelice  Mar- 
tino I,  in  cui  furono  condannati  i 
monoteliti. 

CILICIA.  Antica  contrada  dell'  A- 
sia  minore,  detta  altre  volte  Cara- 
mania,  e  più  modernamente  la  pro- 
vincia d'Iceli.  Essa  è  circoscritta  al 
nord  dalla  Galazia,  dalla  Cappado- 
cia,  e  in  parte  dall'Armenia  mino- 
re, dalla  quale  viene  separata  dal 
monte  Tauro  ;  dalla  parte  occiden- 
tale dalla  Pamfilia;  da  quella  orien- 
tale dalla  Siria;  e  dalla  parte  di 
mezzodì  dal  mare,  che  dal  suo  no- 
me si  disse  Ciliciano.  Prima  la  Cili- 
cia  si  divideva  in  due  parti,  in  Ci- 
licia  campestre,  Cilicia  campesirìs, 
ch'è  la  più  grande  verso  l'oriente, 
ed  in  Cilicia  montagnosa,  Cilicia 
Trachea,  che  sta  ad  occidente.  Quan- 
tunque i  popoli  cilicii  abbiano  avu- 
to dei  le,  pochi  di  essi  si  conoscono 
per  notizie  certe.  Uno  di  loro  es- 
sendo amico  di  Classare  re  dei  medi, 
e  di  Astiage  re  della  Lidia,  compo- 
se le  discordie  fra  questi  due  prin- 
cipi verso  l'anno  del  mondo  3435, 
e  Na1)uccodonosor  re  di  Babilonia, 
come  di  un  altro  loro  re  si  sa  che 
fu  alleato  dei  persiani.  Allorquando 
Ciro,  ;7  Giovane,  andò  a  combattere 
suo  fratello  Artaserse,  cioè  verso  l'an- 
no 4oo  avanti  l' era  volgare,  il  re- 
gno di  Cilicia  non  più  esisteva.  Do- 
po Alessandro  il  Grande,    la  Cilicia 


CIL 

fu  soggetta  a  governatori,  che  di- 
pendevano dai  re  di  Siria.  Divenu- 
tine padroni  i  romani,  divisero  la 
Cilicia  in  prima,  e  seconda,  allldan- 
do  il  governo  dell'  luia  ad  un  con- 
sole, e  dell'altra  ad  un  presidente. 
Quindi  la  Cilicia  passò  sotto  l'im- 
pero de'greci,  i  quali  vi  regnarono 
sino  al  io85,  nel  qual  anno  Rubi- 
no, discendente  di  Kakigh  li,  re 
degli  armeni,  ristabilì  nella  Cilicia 
il  principato  armeno,  che  dal  suo 
nome  fu  detto  il  principato  de'Ru- 
beniti,  e  per  lo  spazio  di  quindici 
anni  vi  si  mantenne  in  una  indi- 
pendenza assoluta,  lasciandolo,  nel 
morire,  solidamente  fondato,  a  Co- 
stantino l  suo  figlio.  Questi  dilatò  la 
sua  giurisdizione  con  rilevanti  con- 
quiste, ed  aiutò  l' esercito  de' primi 
crociali  con  viltovaglie  e  guide,  come 
abbiamo  da  IMalleo  Urhajese,  isto- 
rico  contemporaneo.  Dopo  Costanti- 
no I  regnò  in  Cilicia  il  suo  figlio 
Toroso  o  Teodoro  I  per  circa  venti- 
tré anni.  Gli  successe  il  proprio  fra- 
tello Leone  I,  il  quale  terminò  di  con- 
quistare quasi  tutta  la  Cilicia.  Leone 
li,  dopo  altri  succedendo  nel  trono, 
per  ottenere  dalla  Santa  Sede  la  co- 
rona reale,  scrisse  umili  e  filiali  let- 
tere al  Pontefice  Celestino  IH,  il 
quale  solennemente  lo  fece  coronare 
a  re  di  Armenia  l'anno  1198,  per 
le  mani  dell'arcivescovo  di  Magon- 
za.  Il  terzo,  che  dopo  di  lui  succe- 
dette sul  trono  fu  Aitone  I,  che  me- 
ritò due  paterni  brevi  apostolici  da 
Clemente  IV,  riportati  dal  Guerra 
nel  suo  Epitome  delle  pontificie  co- 
stituzioni. ISe  fa  pur  menzione  l'an- 
nalista Rinaldi  all'anno  1269.  Gli 
successe  il  figlio  Leone  HI,  indi 
Aitone  II,  al  quale  Papa  Nicolò 
IV  fece  grandi  elogi  nei  breve, 
che  gli  scrisse  l'anno  1289.  Qual 
parte    ed    iuliueuza    avesse    Aitonc 


CIL 

II  alla  conversione  di  Cassana,  oltre 
sant'Antonino  in  Chronicon,  lo  rac- 
contano il  Vestmonastariense,  il  Vil- 
lani, ed  altri,  in  un  all'  Assemani. 
Dopo  Toroso,  fratello  e  successore 
di  Aitone  II,  salì  sul  trono  Sembato, 
chiamato  anche  Secubat,  al  quale 
nel  1296  scrisse  il  gran  Pontefice 
Bonifacio  Vili.  Ma  Aitone  li,  che 
per  ritirarsi  in  un  monistero  avea 
aperta  la  via  al  trono  a  Sembato, 
in  seguito  fu  dal  popolo  ancora  col- 
locato sul  seggio  sovrano.  Tuttavol- 
la,  avendo  regnato  altri  quattro  an- 
ni circa,  preferì  di  fare  ritorno  alla 
sua  amata  solitudine ,  lasciando  in 
sua  vece  il  figlio  Leone  IV.  In  ap- 
presso regnò  Ossinio  I,  al  quale  Gio- 
vanni XXII,  Papa  residente  in  Avi- 
gnone, inviò  vm  suo  breve.  Indi  gli 
successe  il  figlio  Leone  V,  a  cui  il 
detto  Pontefice  scrisse  altro  breve, 
come  fece  nel  i34i  Benedetto  XII, 
che  inoltre  nel  i336  ne  avea  già 
inviato  un  altro  alla  regina  Costan- 
za di  lui  moglie. 

Tranquillati  alquanto  i  torbidi  in- 
sorti nel  regno  di  Leone  V,  che  si 
crede  da  alcuni  morto  in  Cipro 
{f  c(li),  fu  chiamato  alla  reggenza 
della  Cilicia  Costantino  III  ,  detto 
anche  Giovanni,  figlio  del  re  di  Ci- 
pro di  quel  tempo,  e  figlio  di  ma- 
dre armena  ;  ma  essendo  morto 
trascorsi  appena  due  anni,  ne  pre- 
se famministrazione  il  fratello  Co- 
stantino. Tie  soli  anni  avendo  do- 
minato egli  nella  Cilicia,  gli  succes- 
se Costantino  IV,  consanguineo  di 
Leone  V.  In  seguito,  e  dopo  due 
anni  d'interregno,  nel  i36j  mon- 
tò sul  trono  Leone  VI  de' re  di 
Cipro  della  fan)iglia  Lusignani,  im- 
parentata pili  volte  co'  principi  ar- 
meni, e  congiunto  a  Pietro  I  re  di 
Cipro.  Assalito  quindi  Leone  VI 
di  molti  nemici  ,    sostenne    diverse 


CIL 


i35 


sanguinose    battaglie     in    una    delle 
quali  soccombette,    e  fu  fatto    pri- 
gione.   Visse    dieci    anni    nella    sua 
cattività,  finché  Giovanni  I,     re    di 
Leone,  e  di  Castiglia,  gli  ottenne  la 
libertà.  Grato    Leone    VI     a     tanto 
beneficio,  si  recò  in  persona    a  rin- 
graziare il    suo    benefattore ,    visitò 
lloma  e    il    Pontefice    Urbano    VI, 
che  lo  accolse  paternamente,  e  pas- 
sato in  Francia  terminò  i  suoi  gior- 
ni in  Parigi  nel    iSpS.   Gli   scritto- 
ri armeni  di    que'  calamitosi    tempi 
non  ci  dicono,  se  Leone  VI,   Lusi- 
gnano,  avesse  figliuoli,  e  se    alcuno 
tosse  sostituito  al    padre  nella    reg- 
genza della  Cilicia,  allorché  fu  fatto 
prigioniero.   Tuttavolta  si  rileva   dal 
citato  Guerra,  che  il    Papa  Grego- 
l'io  XI  nel    1372   da  Avignone  scris- 
se un  breve  a  Filippo  principe  Tor- 
rentino,    dal    cui    contenuto    si    ap- 
prende che  Rlaria,  regina  degli  ar- 
meni, da  che  i  saraceni  le  avevano 
devastato  il    regno,    inviò    al    Papa 
in  Avignone     l' arcivescovo     di     Sis 
[f^edi),    acciocché     gli    esponesse    le 
gravi  circostanze  del  reame ,     e    lo 
supplicasse     a     porgervi     opportiuio 
soccorso.   Ed    é  perciò    che    Grego- 
rio XI   indirizzò    il   detto    breve    al 
principe  Filippo,    zio  paterno    della 
regina  Maria,  eccitandolo  ad  ajutarla 
vigorosamente.  Di  questa  principessa 
armena  nulla  ci  dicono  gli  scrittori  di 
queir  illustre  nazione,  por  cui  si  può 
credere  eh'  essa  sia  stata  foise  figlia 
di  Leone  VI,  Lusignano,    e   perciò 
unica  e  legittima    erede    del    regno 
armeno,  senza    però    avervi    potuto 
ascendere,  dappoiché    alla    sconfitta 
del   padre,    seguì  la    conquista,    che 
fecero  gli  ottomani  della    Cilicia,  la 
quale  é  tuttora  da  essi  posseduta. 

Le  città  principali  della  Cilicia  sono 
Tarso,  Auazarba,  Adana,  Ireuopo- 
lij  Gcnuauicin,     Epifania,    Sis,   Ni- 


130  CIL 

copoli,  Mopsueste,  Olba,  Filadelfia, 
iJiocesarea,  Seleucia  Trachea,  ed  al- 
tre. Anche  le  notizie  ecclesiastiche 
divisero  in  due  provincic  la  Cilicia, 
cioè  la  prima,  e  la  seconda.  La  pri- 
ma era  la  (juinta  provincia  della 
diocesi  patriarcale  di  Antiochia,  ed 
è  precisamente  quella,  che  il  con- 
cilio di  Gerusalemme  espresse  in 
una  lettera  con  questi  termini  :  Gli 
anosloli  e  gli  anziani  ai  nostri  fra- 
telli, che  sono  in  Antiochia,  in  Ci- 
licia fra  i  gentili,  salale  ec.  Tarso 
XI  era  la  metropoli,  con  nove  sedi 
vescovili  sullraganee.  La  seconda  Ci- 
licia, sesta  provincia  della  diocesi 
patriarcale  di  Antiochia,  nell'  impe- 
rio di  Teodosio  II,  //  Giovine,  avea 
Anazarba  per  metropoli,  con  undici 
sedi  vescovili  per  sullraganee,  a  se- 
conda del  novero,  che  ne  fa  Com- 
manville,  il  quale  inoltre  dice ,  che 
le  due  Provincie  di  Cilicia,  erano  in 
ordine  gerarchico  la  quarta  e  quin- 
ta del  patriarcato  antiocheno.  Se- 
guendo poi  le  notizie  di  Leone, 
il  Saggio,  vi  erano  anticamente 
nella  Cilicia  otto  sedi  vescovili  nel- 
la prima  provincia,  e  nove  nella  se- 
conda. 

]N ch'anno  f^iZ  in  Cilicia  fu  cele- 
hiato  un  concilio  provinciale,  cono- 
sciuto sotto  il  nome  di  concilio  Ci- 
liciensc.  Vi  fu  condannala  l' eresia 
de'  Pelagiani.  Il  celebre  Teodoro  di 
Mopsueste,  che  si  era  creduto  il 
principale  sostenitore ,  e  presso  il 
quale  erasi  ritiiato  per  qualche  tem- 
po Giuliano,  per  comporre  i  suoi 
otto  libri  contro  s.  Agostino,  pro- 
nunziò egli  stesso  l'anatema  contro 
quel  pelagiano.  Tultavolta  Teodoro 
impugnò  s.  Girolamo,  e  s.  Agosti- 
no intorno  al  peccato  originale:  il 
perchè  fu  anch'  esso  condannato  dal 
concilio.  Ealuzio  in  Nov.  Collcct. 
p.   371;  Dizionario  de  Concili  pag. 


CIL 

c)i.  T\  Cilicia  patriarcato ,  e  re- 
gno aulico   di  yfinienia. 

CILICIA    ,       PATRIARCATO      ArMENO 

(  Ciliciae  Annenoruni  patriarchatns). 
L'origine  del  patriarcato  di  Cilicia 
o  sia  di  Sis  [f  edi),  già  capitale  del 
regno  armeno  in  Cilicia,  sarà  qui  ila 
noi  indicata  in  pochi  cenni,  dappoi- 
ché se  ne  tratta  all'articolo  Patbiar- 
cATi  Armem.  Non  potendo  piìi  i 
patriarchi  armeni  starsene  pacilìca- 
mente  in  Ezniìazin  [fedi],  traspor- 
tarono la  loro  sede  l'anno  4^^  ''^ 
Tuin,  dove  avendo  dimorato  sino 
all'anno  C)'!^,  passarono  in  vari  luo- 
ghi, e  nell'anno  998  ad  Ani,  allo- 
ra capitale  dell'  Aimenia.  Di  poi 
nell'anno  1064  i  patriarchi  anda- 
rono a  Tau-plur;  quindi,  e  nel 
1 1  I  3,  a  Monte  nero  in  Cilicia  ;  po- 
scia, e  neh  i47j  passarono  in  Hr-om- 
gla,  e  di  là  finalmente  nel  1294  *>i 
trasferirono  alla  celebre  città  di  Sis, 
dove  rimasero  sino  all'anno  i44'' 
Commanville,  che  stabilisce  la  sede 
patriarcale  di  Sis  al  detto  secolo 
XIII,  nell'  Ilistoire  de  tous  les  Ardi. 
ne  tratta  alle  pag.  218  e  35 1.  Do- 
po la  predetta  epoca,  venendo  affat- 
to distrutto  il  regno  armeno  dei 
Rubeniti,  i  patriarchi  furono  costret- 
ti a  trasferire  nuovamente  da  Sis 
la  loro  sede  ad  Ezmiazin,  col  con- 
senso di  un  concilio  nazionale ,  te- 
nuto in  Ezmiazin  stesso.  La  qual 
cosa  essendo  sommamente  dispiaciu- 
ta agli  abitanti  di  Sis,  essi  conti- 
nuarono a  creare  in  Sis  i  loro  pa- 
triarchi, valendosi  perciò  anche  del- 
l'autorità ottomana. 

JNcssuno  di  questi  patriarchi  ar- 
meni è  rimasto  in  unione  colla  san- 
ta Romana  Chiesa,  ed  in  progresso 
di  tempo  ebbe  origine  quest'altro 
patriarcato  armeno  cattolico,  resi- 
dente in  Monte  Libano  [Vedi),  il 
quale    tuttora    fiorisce ,    e    chiamasi 


CIL 

y^punto  patriarcato  di  Cilicia.  La 
stia  origine  è  la  seguente.  Alla  mor- 
te di  Luca  patriarca  accatlolico  di 
Cilicia,  il  partito  cattolico  elesse  per 
patriarca  di  Cilicia  monsignor  A- 
bramo  già  arcivescovo  di  Aleppo, 
nomo  insigne,  e  di  grandissimo  me- 
rito. Questi,  per  timore  degli  ere- 
tici armeni,  non  potendo  occupare 
la  sua  sede  in  Sis,  ed  avendo  gli 
eretici  posto  sulla  sede  di  Cilicia  altro 
patriarca,  dovette  stabilire  la  sua  re- 
sidenza in  Cbesrovano,  che  è  la 
provincia  più  bella,  e  piti  amena 
della  catena  di  montagne  del  mon- 
te Libano,  abitala  da  tutti  cattolici, 
ove,  come  dicemmo,  fiorisce  ancora 
il  patriarcato  armeno  cattolico  di 
Cilicia.  Benedetto  XI Vj  ai  "2.5  no- 
vembre i'"4'25  confermò  tal  nuovo 
patriarcato,  in  persona  del  detto 
monsignor  A  bramo,  il  quale  assun- 
se il  nome  di  Abi-amo  Pietro  I,  pa- 
triarca di  Cilicia.  Gli  successe  nel 
patriarcato  Giacomo  arcivescovo  di 
Aleppo  dell'Ordine  de'monaci  Anto- 
niani,  col  nome  di  Pietro  II,  cioè  ai 
26  dicembre  1749^  regnando  lo 
stesso  Benedetto  XIV.  Sotto  il  qua- 
le, e  nell'anno  lySS,  divenne  pure 
patriarca  di  Cilicia  Michele  altro  ar- 
civescovo di  Aleppo,  del  medesimo 
Ordine  de'monaci  x\ntoniani,  col  no- 
me di  Pietro  111.  JNel  pontificato  di 
Pio  \  I,  e  nell'anno  1780,  fu  eletto 
in  patriarca  l'arcivescovo  Basilio,  an- 
ch'egli  monaco  Antoniano,  col  nome 
di  Pietro  IV.  Regnando  egualmente 
Pio  VI,  ai  IO  settembre  1788,  fu 
fatto  patriarca  Gregorio  arcivescovo 
di  Adana,  il  quale  prese  il  nome  di 
Pietro  V.  Quindi,  sotto  Pio  VII,  fu 
elevato  al  seggio  patriarcale  di  Ci- 
licia agli  8  marzo  18 16,  Gregorio 
vescovo  di  Germanicia,  ossia  JMara- 
sci,  il  quale  si  chiamò  Pietro  VI; 
finché  da  ultimo,eai  3o  giugno  1841, 


CIL  1^7 

venne  eletto  patriarca  Giacomo  Ho- 
las,  arcivescovo  di  Amasia,  che  pre- 
se il  nome  di  Pietro  VII.  Questi  à- 
vendo  ottenuto  la  conferma  dal  re- 
gnante Pontefice,  nel  concistoro  de'27 
gennaio  1842,  ricevette  dal  medesi- 
mo Gregorio  XVI,  e  per  mezzo  del 
di   lui  procuratore,  il  sagro  pallio. 

La  giurisdizione  di  questo  pa- 
triarcato cattolico  di  Cilicia,  con  de- 
creto della  sagra  congregazione  di 
Propaganda,  dei  3o  aprile,  e  9  lu- 
glio 1759,  approvato  da  Clemente 
XI li,  fu  circoscritta  dentro  la  Cili- 
cia, Armenia  minore,  Soria  e  Cap- 
padocia ,  lasciando  al  vicario  apo- 
stolico di  Costantinopoli  la  Bitinia, 
Ponto  e  Galazia.  Con  altro  decre- 
to, emanato  dalla  stessa  congrega- 
zione, ai  20  luglio  1760,  e  con- 
fermato egualmente  da  Papa  Cle- 
mente XllI  ,  fu  data  al  patriarca 
di  Cilicia  in  amministrazione,  e  a 
beneplacito  della  santa  Sede,  la  Me- 
sopotamia  ;  quindi  con  altro  decre- 
to de' 22  agosto  1769,  la  congre- 
gazione di  Propaganda  coll'autorità 
di  Clemente  XIV  gli  diede  pure 
Tocat  e  Piikinikj  giurisdizione  che 
restò  interamente  illesa ,  quando  il 
Pontefice  Pio  ^  III,  nel  i83o,  eresse 
la  sede  metropolitana  primaziale  di 
Costati  ti  napoli,  l  celi. 

La  diocesi  di  questa  sede  patriar- 
cale di  Cilicia  ha  una  grande  esten- 
sione ;  però  il  popolo  armeno  cat- 
tolico, che  esiste  nelle  sue  Provin- 
cie soggette  al  patriarca  di  Cilicia, 
non  ascende  a  piìi  di  diecimila.  Lo 
stato  presente  del  patriarcato  è  co- 
me appresso. 

IMonsignor  Giacomo  Pietro  Holas 
n'è  il  settimo  patriarca  sino  dai  So 
giugno  1841,  come  si  dissedi  sopi-a. 
Lgli  risiede  in  Cbesrovano  del  monte 
Libano,  dove  non  esiste  veruria  fa- 
miglia armena.   In  Aleppo    vi  sono 


j38  CIL 

circa  cinquccciilo  famiglie  cattoliche 
armeno,  col  vescovo  armeno,  il  qua- 
le, a  cagione  degli  en;lici,  che  sono 
i  Soli  atl  aver  chiesa  piihljlica,  so- 
leva abitare  nel  convento  patriar- 
cale di  Cliesrovano.  Tiittavolta  ul- 
timamente passò  a  risiedere  in  A- 
leppo,  ed  alcuni  sacerdoti  secolari 
in  ninnerò  di  sei  circa,  formano  il 
suo  clero,  ed  iilliziano  provvisional- 
mente in  una  casa  ridotta  a  chiesa. 
In  Damaso  vi  sono  circa  venti  fa- 
miglie cattoliche  armene.  Questa 
diocesi  si  governa,  come  tutte  le 
altre  seguenti,  dal  medesimo  pa- 
triarca per  mezzo  di  un  prete  suo 
vicario  patriarcale,  ulìiziandosi  al 
medesimo  modo.  In  Diarbekir  vi 
sono  cii'ca  centocinquanta  famiglie, 
le  quali  sono  assistite  da  due  o  tre 
sacerdoti  del  medesimo  patriarcato. 
In  Cesarea  di  Cappadocia,  in  Ama- 
sia, in  Edessa,  in  Adana,  in  Seba- 
ste, in  Gerusalemme,  ed  in  molli  al- 
tri luoghi  non  vi  è  quasi  nessima 
famiglia  cattolica  armena  domici- 
liata, e  quindi  neppure  sacerdoti.  In 
Pirkinik  evvi  una  chiesa  pubblica 
cattolica,  e  compresa  anche  Sivas, 
vi  sono  circa  settanta  od  ottanta 
famiglie  assistite  da  tre,  o  quattro 
sacerdoti  del  patriarca  di  Cilicia.  In 
Tocat  vi  sono  circa  centosessanta 
lìuniglie,  che  vengono  assistite  dai 
sacerdoti  di  Pirkinik,  i  quali  ivi  si 
recano  alternativamente.  luGhiurun 
sonovi  quaranta  famiglie ,  con  un 
sacerdote  del  patriarcato.  In  Chilis 
si  enumerano  trenta  famiglie  circa, 
ed  un  sa(;erdote.  In  Cerito  vi  sono 
([uindici  famiglie,  ed  im  sacerdote. 
In  Bagdad  evvi  egualmente  piccolo 
numero  di  cattolici  armeni,  i  quali 
hanno  in  loro  spiritual  vantaggio 
due  sacerdoti.  In  Anteb  vi  è  un 
piccolissimo  numero  di  cattolici  con 
un  sacerdule.     In     Merdiu    vi    è    la 


CIL 

cliiesa,  e  libero  esercizio  della  reli- 
gione cattolica ,  ed  il  numero  dei 
cattolici  armeni  è  di  circa  trecen- 
to famiglie  ,  con  un  vescovo ,  e 
vari  sacerdoti.  Al  vescovo  di  Mer- 
din,  monsignor  Abramo  Candii, 
già  vescovo  di  Dolica  in  partibus, 
la  sagra  congregazione  di  Propa- 
ganda a' ?,f)  giugno  i838,  diede  per 
coadiutore,  col  beneplacito  del  Papa 
che  regna,  monsignor  Giuseppe,  la 
cui  scelta  dal  l'ontelìcc  fu  allidata 
al  defbnto  patriarca  Pietro  VI.  Fi- 
nalmente il  patriarca  di  Cilicia  eser- 
cita l'ecclesiastica  giurisdizione  pure 
nel  gran  Cairo  d' Egitto ,  dove  esi- 
stono otto  o  dieci  famiglie  armene 
cattoliche,  e  governa  quelle  anime 
per  mezzo  di  un  vicario  patriarcale 
per  ogni  luogo. 

Questa  sede  patriarcale  di  Cili- 
cia, oltre  il  patriarca,  ha  ordinaria- 
mente altri  quattro  arcivescovi,  tran- 
ne quello  di  Merdin ,  che  sempre 
indipendentemente  dalla  sede  pa- 
triarcale, ha  avuto  la  residenza  a 
Merdin ,  sebbene  la  sua  sede  sia 
sotto  il  patriarcato  di  Cilicia ,  e  la 
congregazione  di  Propaganda  abbia 
incaricato  il  patriarca  d' invigilare 
su  di  esso.  Il  solo  arcivescovo  di 
Aleppo,  siccome  dicemmo,  trovasi 
nella  propria  residenza  ;  gli  altri  ar- 
civescovi poi  abitano  sempre  nel 
convento  di  Chesrovano ,  presso  il 
patriarca  come  vescovi  in  parlìbiis, 
non  potendo  esercitare  veruna  giu- 
risdizione sopra  i  vescovati,  dei  quali 
portano  il  semplice  titolo.  Nel  me- 
desimo convento  patriarcale  di  Ches- 
rovano evvi  anche  il  seminario  del 
patriarca,  dove  da  tutte  le  provi  n- 
cie  di  sua  giurisdizione  si  recano  dei 
giovani  per  alunni,  e  per  lo  piìi  vi 
si  trovano  quindici  o  venti  giovani, 
i  (jiiali  al  termine  degli  studi ,  dal 
patriaica   vengono  ordinali  sacerdo- 


CIL 

li,  ovvero  sono  per  esso  fatti  ordi- 
nare da  un  vescovo.  Questi  semi- 
naristi formano  il  clero  secolare,  il 
quale  è  composto  di  circa  quaranta 
sacerdoti.  Il  seminario  fu  fondato 
verso  l'anno  1791  dal  patriarca 
Pietro  V.  Esistono  nel  medesimo 
Cliesrovano  anche  i  monaci  armeni 
antoniani,  che  sono  di  un  numero 
eguale  a  quello  del  clero  secolare, 
i  quali  si  prestano  al  servigio  eccle- 
siastico del  patriarcato  sino  dal  tem- 
po, che  non  eravi  il  detto  semina- 
rio. Di  questi  monaci,  i  quali  han- 
no monistero  anche  in  Roma  pres- 
so la  basilica  vaticana,  si  può  leg- 
gere il  loro  articolo  nel  volume  li, 
pag.   224  del  Dizionario. 

Tanto  poi  il  convento  della  re- 
sidenza patriarcale,  che  il  semina- 
rio, sono  diretti  dai  sacerdoti  sotto 
la  dipendenza  del  patriarca.  Questo 
ha  rendite  sufficienti  al  suo  mante- 
nimento, tratte  da  fondi  stabili  e- 
sistenti  nel  medesimo  Chesrovano, 
oltre  a  quelli  che  ritrae  dai  fondi 
rinvestiti  in  lloma,  ove  tiene  un 
procuratore. 

La  elezione  del  patriarca  armeno 
di  Cilicia  procede,  come  quella  de- 
gli altri  patriarchi  orientali  ,  per 
mezzo  del  corpo  episcopale ,  meno 
il  caso  che  il  Pontefice,  per  insi- 
nuazione della  congregazione  dei 
Cardinali  di  Propaganda,  elegga  un 
coadiutore  al  patriarca,  o  per  in- 
lermità,  o  per  qualche  altro  moti- 
vo canonico.  Dopo  che  i  vescovi  ar- 
meno-cattolici hanno  eletto  il  nuovo 
patriarca,  spediscono  alla  medesima 
congregazione  di  Propaganda  i  le- 
gali atti  dell'  elezione,  muniti  delle 
sottoscrizioni  dei  vescovi  elettori. 
Quindi  la  sagra  congregazione  esa- 
mina ,  se  gli  atti  sono  in  regola , 
e  se  la  elezione  procedette  nelle 
lurmc  canoniche.  Se    tutto    fu    cse- 


CIL  i39 

guito  regolarmente,  la  congiegazio- 
ne  supplica  il  sommo  Pontefice  a 
confermare  colla  siq)rcma  autorità 
Apostolica  l'eletto  patriarca  di  Cili- 
cia, e  per  mezzo  di  un  procuratore 
fa  allo  stesso  Papa  l' istanza  pel  sa- 
gro pallio,  il  quale  gli  viene  rimesso 
a   Chesrovano. 

CILICIO,  CiLiccio,  o  CiLizio  [Ci- 
licium).  Anticamente  era  questa  una 
veste,  o  un  panno  tessuto  di  peli 
irsuti  di  caprone,  così  detto  perchè 
alcuni  credono  si  inventasse  nella 
Cilicia,  come  regione  in  cui  v'  era- 
no molte  capre,  e  perchè  gli  anti- 
chi anacoreti  vestivano  la  carne  nu- 
da di  quel  panno  in  foi-ma  di  sac- 
co per  fare  penitenza.  Così  chiamia- 
mo oggi  cilicio,  o  cilizio,  qualunque 
arnese,  che  si  porta  in  dosso  per- 
chè fatto  a  maglia  come  la  rete. 
Si  fecero  però  cilicii  di  diverse  spe- 
cie, e  nelle  vite  de'  santi  padri,  ed 
altri  servi  di  Dio  si  fa  menzione 
di  vestimenti  cilicii,  nonché  di  to- 
nache ciiicie,  come  ancora  di  arnesi, 
e  di  strumenti  di  dilferenti  specie, 
con  cui  tormentavano  le  proprie 
carni,  per  penitenza ,  e  per  morti- 
ficazione. 

Alcuni  definiscono  l'antico  cilicio 
per  un  vestito  grossolano,  ruvido, 
e  di  color  nero  o  cupo,  mollo  usato 
dagli  ebrei  ne' tempi  di  lulto,  e  di 
disgrazia.  Altri  pure  vogliono  che 
tali  vesti  si  chiamino  cilicii,  perchè 
i  siciliani  li  avevano  inventati,  prin- 
cipalmente pei  soldati ,  e  pei  mari- 
nari. Il  dolio  Cardinal  Gararapi , 
Memorie  isloriclic  della  b.  Chiara  ^ 
così  descrive  l'antico  cilicio:  ■'  Il  Ci- 
=>  licio  è  una  specie  di  panno  in- 
>i  tessuto  di  setole  di  animali,  che 
»  punge  e  tormenta  la  carne  di 
.-5  chi  se  ne  veste,  ponendosi  sotto 
»  tutti  gli  altri  vestimenti  ".  Ne 
traila  alle  pagine  54,55  e  5o8,  ove 


i4o  CIM 

coir  autorilà  d'un' omelia  di  s.  Ce- 
sareo di  Arles,  di(;e,  clic  la  colmi- 
ne materia  del  cilicio  nel  nostro  oc- 
cidente,  erano  i  peli  di  capra,  e 
congettura,  che  se  ne  iacesscro  an- 
co con  setole  di  cavallo ,  anzi  da 
un  commenlo  di  Dante  si  ricava, 
che  (jiieste  anche  si  annodavano , 
per  cui  i  nodi  pungevano  continua- 
menti;   la   carne. 

CILLITA.  ^"cdc  episcopale  d'A- 
frica, della  provincia  Bizacena,  siiC- 
fraganea  della  metropoli  di  Adra- 
milo.  Ej}.  Syn.  Bizac. 

CIMA.  Sede  vescovile  della  dio- 
cesi d'Asia,  siiffraganea  della  metro- 
politana Efesina,  ed  antica  città  d'E- 
lide, fondata  da  Pelope  dopo  la  vit- 
toria, che  riportò  sui  greci.  Fu  già 
ricca,  e  grande,  e  capitale  delle  al- 
tre città  dell'Elide.  Si  sa  che  cin- 
que vescovi  vi  ebhero  l' episcopale 
seggio. 

'CIMITEPJ,  o  CEMETERI  {Se- 
pulcreta,  Cocmeteria).  Luoghi  sagri 
per  lo  più  allato  alla  chiesa ,  ove 
si  seppelliscono  i  morti.  Il  vocàbo- 
lo cimiterio  deriva  da  due  parole, 
ima  greca,  l'altra  latina,  che  han- 
no un  quasi  eguale  significato,  cioè 
dormitorio,  o  luogo  di  riposo j  dap- 
poiché, secondo  i  principii  della  re- 
ligione, i  fedeli  defonti  non  sono 
propriamente  morti ,  ma  dormono 
e  aspettano  la  risurrezione  genera- 
le. JNè  solamente  i  luoghi  delle  se- 
polture ,  ma  eziandio  il  feretro  fu 
talora  chiamato  dormitoiio  dai  no- 
stri antichi.  Il  cimiterio  fu  anche 
detto  Polyandrium.  cioè  sepoltura 
di  molti,  ed  anco  Concilia  ìMarty- 
rum,  per  esservi  slati  sepolti  un  nu- 
mero grandissimo  di  martiri.  Pii- 
ma  però  tli  parlare  di  quelli  dei  cri- 
stiani, accenneremo  qualche  parti- 
colaiità  di  quelli  dei  gentili  ,  e  in- 
fedeli.  Il  ]\Jillin  crede,  che    il    pri- 


CIM 

mo  cimltcì'io,  e  forse  il  più  antico, 
e  più  vasto  sia  quello  fuori  della 
città  di  Menli,  in  una  grande  pia- 
nura chiamata  pianura  dtlle  Mum- 
mie d'Kgiilo.  La  cura  usata  dagli 
egiziani  nel  seppellire  i  loro  morti 
consisteva  nel  conservarne  i  corpi 
col  renderli  indestruttibili,  piuttosto 
elle  conservarne  la  memoria.  I  gre- 
ci, e  i  romani  al  contrario  preferi- 
rono di  sollerrarli,  poi  di  bruciarli, 
afliue  di  preservarli  alla  violazione. 
La  magnificenza  degli  attuali  cimite- 
ri dcll'Egitlo  posta  al  confronto  della 
semplicità  delle  cise  richiama  (juel- 
i'idea  ieligiosa,  che  avevano  pure 
gli  antichi  egiziani,  che  le  case  ter- 
rene sono  luoghi  di  passaggio ,  ma 
che  il  soggiorno  eterno  è  nel  regno 
de'  morti.  Presso  ogni  grande  città 
evvi  una  città  di  morti  (iiecropoli s) 
piìi  o  meno  spaziosa,  e  che  spesso 
circonda  interamente  la  città  dei 
vivi:  selve  di  colonne,  cenotafi  , 
mausolei  cuoprono  spazi  immensi  ; 
e  le  moschee  e  i  palazzi  dei  glandi 
uguagliano  appena  in  ricchezza  al- 
cuni di   questi  mausolei. 

Il  medesimo  Millin,  senza  distin- 
guere le  epoche,  asserisce  che  si  pos- 
sano annoverare  tra  quei,  che  ap- 
pellansi  cimiteri  pubblici ,  le  riu- 
nioni de'  sepolcri  i  quali  formava- 
no per  lo  più  i  sobborghi  delle  an- 
ticlie  città  ,  a  seconda  delle  leggi , 
che  aveano  vietato  la  tumulazione 
de'  cadaveri  nell'  interno  delle  città. 
Le  vie  pubbliche,  principalmente 
(jiielle  che  mettevano  alle  medesi- 
me città  (  come  si  osserva  nelle  esca- 
vazioni di  Pompei  ) ,  i  campi  riser- 
vali a  questo  pio  ulìicio,  diversi  sot- 
terranei scavati,  o  almeno  destinati 
a  quest'  oggetto,  diventavano,  dice 
egli,  una  specie  di  vere  città,  ilei  le 
quali  i  sepolcri  erano  le  abitazioni. 
Ogni  famiglia  vi    aveva    la  propria 


CTM 

casa,  e  si  visitavano  di  tempo  in 
tempo,  e  in  certe  epoche,  i  mani  o 
le  ombre  degli  antenati.  Alcuna 
volta  davasi  a  tali  città  funebri  il 
nome  di  Campi  Elisii,  ed  in  tal  mo- 
do sono  nominati  quei  che  si  veg- 
gono presso  Pozzuoli  in  Italia ,  e 
presso  Arles  in  Francia,  i  quali  mol- 
to si  avvicinano  a'  moderni  cimi- 
teri. Una  vasta  pianura  tutta  sparsa 
di  sarcofagi,  di  cippi,  e  d'altri  mo- 
numenti sepolcrali  presenta  anco  og- 
gidì gli  avanzi  piìi  interessanti  del- 
I  antica  finiebre  e  distrutta  Pozzuoli. 
Trovansi  ancora  molte  antiche  tom- 
be sulle  vie,  che  conducono  a  I\o- 
ma.    A^.   Cimiteri  di  Roma. 

I  turchi  hanno  i  loro  cimiteri 
fuori  della  città,  e  procurano  tras- 
formarli in  luoghi  deliziosi,  me- 
diante piantagioni  di  fiori,  e  di  er- 
be odorose.  In  molte  delle  loro  cit- 
tà, e  massime  sulle  fosse,  che  cir- 
condano Smirne,  trovasi  una  quan- 
tità di  cipressi,  alcuni  dei  quali  as- 
sai alti,  oltre  una  copia  straordina- 
ria di  rosmarino ,  che  tramandano 
un  odore  aromatico.  Osserva  inol- 
tre il  citato  Milliii,  che  gli  alberi 
piantati  sui  cimiteri,  o  intorno  ai 
medesimi,  servono  non  solo  a  indi- 
care il  luogo  di  riposo  dei  defonti 
ove  si  trovano  ,  ma  anche  a  puri- 
ficare l'aria  nelle  vicinanze,  massi- 
me i  cipressi  destinati  dagli  antichi 
al  lutto  delle  tombe.  L' uso  poi  di 
ammonticchiare  i  cadaveri  ne'  cimi- 
teri, non  si  stabili  se  non  che  verso 
l'anno  200  dell'era  volgare,  e  forse 
anche  più  tardi.  V.  Cadaveri  e  Se- 
polture. 

Piitornando  ai  cimiteri  dei  cri- 
stiani, diremo  esserne  derivato  l'uso 
dalla  fondazione  delle  chiese  e  delie 
parrocchie,  il  che  secondo  alcuni 
rimonta  al  secondo  e  terzo  secolo, 
e  quindi  per  lungo  tempo  pigliossi 


CIM  14  [ 

sotto  il  nome  di  ci  mi  ter  io,  non  so- 
lamente il  luogo  ove  i  defonti  si 
seppelliscono  ,  ma  ancora  il  terreno, 
che  circondava  le  chiese  parrocchia- 
li, o  che  trova  vasi  a  quelle  vicino, 
ovvero  che  era  contiguo  ai  veri  ci- 
miteri ;  tale  stabilimento  ebbe  per 
altro  luogo  in  tempo  assai  poste- 
riore. Nei  primi  secoH  del  cristia- 
nesimo i  cimiteri  si  stabilivano  ezian- 
dio fuori  della  città,  e  sovente  sulle 
pubbliche  vie,  essendo  allora  espres- 
samente proibito  di  seppelhre  i  ca- 
daveri nelle  chiese,  finché  l'impera- 
tore Leone  annullò  simile  divieto. 
Tuttavolta  il  costume  di  seppellire 
i  morti  nelle  chiese  vuoisi  derivato 
dai  primitivi  costumi  de'  pagani  , 
perchè  gli  egiziani  usarono  eziandio 
di  erigere  i  sepolcri  in  vicinanza  dei 
templi.  Potè  anche  aver  origine  dal- 
l'uso degli  antichi  cristiani  di  cele- 
brare i  santi  misteri  nelle  catacom- 
be, o  cimiteri  sotterranei  de'  mar- 
tiri ivi  in  gran  copia  sepolti.  Ed  è 
perciò,  che  i  pagani  proibirono  ai 
cristiani  di  entrare  nei  cimiteri.  Il 
proconsole  fece  simile  proibizione  a 
s.  Cipriano ,  in  Actis  p.  II ,  ed  il 
prefetto  di  Egitto  a  s.  Dionisio  di 
Alessandria,  apud  Eusehiuni  lib.  7, 

e.     II. 

Le  prime  chiese  furono  edificate 
nei  cimiteri ,  o  presso  di  essi ,  e  i 
loro  sotterranei  furono,  o  diventa» 
rono  le  stesse  catacombe  arenarie 
tufàcee,  o  caverne  scavate  ordina- 
riamente dai  gentili  ,  i  quali  ,  per 
non  avere  voluto  guastare  la  super- 
ficie dei  campi,  estraevano  ((niiìdi 
la  rena,  il  tufo,  o  la  pozzolana,  che 
dovea  loro  servire  per  le  fabbriche. 
Pure  ciò  può  essere  stata  anche 
opera  dei  primi  cristiani  ,  siccome 
sostengono  gravi  autori.  Questo  co- 
stume di  collocare  i  cadaveri  nelle 
grotte ,    dentro    a'  sepolcri    scavati , 


semhiM  preso  dafjli  ebrei  ,  giacché 
lcf^;^'iati)o  nella  Cene;/,  capo  i3  , 
aver  Àbramo  acfpiislalo  da  EIron 
a  lai  elFelto  la  doppia  spelonca.  Tale 
fu  anco  il  sepolcro  del  Salvatore , 
cioè  scavato  nella  pietia.  Boldetli 
prova,  che  il  ci  unterò  di  s.  Af^nese 
in  Roma  fu  ingrandito  dopo  il  re- 
gno di  Costantino.  Cos'i  avvenne  di 
jnolti  altri  ;  e  fra  le  iscrizioni,  che 
vi  si  trovarono,  si  rilevò  che  certe 
persone  avevano  il  titolo  di  fosso- 
res,  cioè  di  uomini  impiegati  a  sca- 
vare i  cimiteri,  come  si  può  vedere 
nell'Aringhi,    lib.  I,  e.    i3.    F.  Ca- 

TACOMDE. 

JNel  tempo  delle  persecuzioni ,  i 
fedeli  si  nascosero  nei  cimiteri  delle 
città,  non  volendo  esporsi  agli  in- 
sulti e  agli  assassinii ,  non  che  al 
pericolo  di  essere  sbranati  dalle  fie- 
re, ma  più  di  tutto  per  tema  di 
essere  costretti  a  sagrificare  agl'idoh. 
Talvolta  però  successe  ,  che  traditi 
i  fedeli  dai  falsi  amici  ,  o  scoperti 
dai  persecutori  della  religione,  fos- 
sero assaliti  e  obl)ligati  ,  e  crudel- 
mente trascinati  a'  tribunali  ;  ovve- 
ro, essendo  chiusi  iu  tutte  le  parti, 
acciò  non  fosse  loro  possibile  invo- 
care soccorso  dagli  altri  cristiani  , 
che  occultamente  solevano  provve- 
derli cU  nutrimento ,  morivano  di 
fame  e  di  sete. 

In  progresso  di  tempo  dal  pio  de- 
siderio de'fedeli  di  essere  seppelliti 
appresso  i  martiri,  per  la  confiden- 
za, che  ponevano  nella  loro  interces- 
sione (per  cui  vennero,  come  dicem- 
mo, eretti  cimiteri  contigui  alle 
chiese),  si  giudicò  utile,  che  entran- 
do nelle  chiese,  e  vedendo  alcuna  tom- 
ba, si  ricordasse  a' vi  vi  di  pregare  pei 
morti,  e  venne  a  poco  a  poco  accor- 
dato a  qualche  distinta  persona  il 
privilegio  di  essere  tumulata  neh'  in- 
terno    medesimo   della     chiesa.     Ma 


ClM 
(piesto     cambiamento     all'  anteriore 
disciplina    non    rimonta    che  al    se- 
colo decimo,    giacché  è    noto,   e   su- 
periormente l'accennammo,    ch'era 
proibito  seppellire  i  morti  nel  recin- 
to delle  città,  legge  che  fu  osserva- 
ta  nelle   Cxallie  fino  dopo  il    ristabi- 
liuiento   dei   franchi.     Il  concilio    pe- 
rò di  Ijraga,  celebrato  nell'anno  563, 
vietò  di  seppellire   chiuncpie    nell'in- 
terno delle  chiese,  e  richiamò  la  ro- 
mana legge  delle  dodici  tavole,   per- 
mettendo invece    di   seppellire  al  di 
fuori   ed   intorno  alle   mura  i    cada- 
veri. E  siccome  pure  i  martiri    era- 
no stati   tunuilali  come  gli    altri   fe- 
deli, quindi    si  permise    la    erezione 
delle  cappelle,  tj  delle  chiese  sui  lo- 
ro sepolcri,  le  quali  ritrovandosi  fuo- 
ri del  recinto  delle  città,  non   viola- 
vano perciò  i    cristiani  le  menziona- 
te leggi,  se   desideravano    di   esservi 
sepolti.  Tali  nuove  fabbriche,  erette 
in    onore    de'martiri,  si    chiainarono 
basiliche,  per  distinguerle  dalle  catte- 
drali denominate  semplicemente  chie- 
se, ove  appunto  nel  secolo   decimo  si 
permise   la  tumulazione  dei   defonti. 
In  quanto  alle  basiliche,  già  sino 
dal  quarto  secolo  il  cadavere  di  Co- 
stantino fu  collocato  all'  ingresso    di 
quella  de' ss.   Apostoli  da    lui    edifi- 
cata appunto  per  esservi    seppellito, 
mentre  dipoi   in  altra    fu    trasferito. 
vS.   Gregorio  di  Tours,  lib.   X,   cap. 
3r,  parla  di  alcuni  santi  vescovi,  i 
quali    nel  medesimo    secolo    furono 
deposti    in    alcune    basiliche    situate 
fuori  della  città  ;  ma  allorché  le  cit- 
tà  vennero  ingrandite,    le    basiliche 
e  i  cimiteli  adiacenti  vi  si  trovaro- 
no compresi.  S.  Paolino  ci  rammen- 
ta   le  cellette  fabbricate  nelle    basi- 
liche per  le  sepolture  dei  morti.  E 
certo   poi  che  Satiro  ebbe    comune 
in  chiesa  col  suo  fiatello  s.  Ambro- 
gio la  sepoltura,  e  che  s.   alassimo, 


CIM  CIM                    143 

e  s.  Agostino  attcstano,  che  i  cada-  ne  cimiteno  di  Bologna,   ivi  incisa, 

veri  dei  cristiani  si  seppellivano  nel-  e    pubblicata  nel    1825. 

le  loro  chiese  ;  che  Cesareo  fratello  Si  è  poi  provato  (jiianto  fosse  im- 

del  Nazianzeno,    e    Paola    discepola  portante  di  non  moltiplicar  le  tom- 

del  dotto  Massimo,  non  ebbero    al-  be  nelle  chiese,  avvegnaché  se   non 

trovo  la  loro  sepoltura;    chegl'im-  sono  molto  profonde,  e  se  le  volte  sono 

peratori,  i  re,  i   vescovi  ,    gli  abbati  mal  collegate,  l'aria  non  potrà  certa- 

costantemente    si    seppellirono    nelle  niente    che     corrompersi    insensibil- 

loro  basiliche,   talché    si   legge    di  s.  mente.  F.   l'Haguenot,  Memoria  sul 

Flaviano,     che,  morto,  ebbe    riposo  pencolo   delle  sepolture  nelle  chiese , 

nel  tempio,     in    quo     consuevcrant  anno    1748;    e    la    bella    Memoria 

praedecessores  episcopi    sepeliri.    V^.  sui    cimiteri  del    cav.     Angeli    imo- 

S.    Agostino    citato,    De    cura   prò  lese. 

mortuis  agenda.  Contro  l'uso    di    seppellire    nelle 

Non  si  deve  però   tacere,    che  la  città  scrissero  ancora  Cristiano  Gof- 

eccessiva  brama  di  trovar  luogo  nei  fredo     Hoffmanno  ,     Dissertatio     de 

sepolcri  delle  chiese  fece  si,  che  que-  coenieteriis  ex  urbe  tollendis,  Fran- 

ste  diventassero  per  lo  più    i  cimi-  cofurti  1629;  Andrea  Piiveto,    Epi- 

teri  dei  facoltosi,    mentre    i    recinti  stola    in  qua    mos    cadavera    mor- 

air  intoino  delle  stesse  chiese  erano  il  tuoruni  in  templis    sepelicndi  redar- 

luogo  della  sepoltura  del  volgo;  uso  guitur,  Lugduni     i836;    Dissertatio 

che  principalmente  si  conservò    nei  de  sepulcris  ad  viam  puhlicam  etc. 

tempi  di  mezzo.   Ma  nelle  città   pos-  Lipsiae  1721;  Cosclnviz,    Dissertatio 

senti  i  vescovi  e  le  municipali   ma-  de  morte  ex  sepulcris  seu  de  noxis 

gistrature  ristabilirono    l'antica    di-  ex     sepulcris    in    templis    oriundis , 

sciplina  di  collocare  i  cimiteri  fuori  Hai.    1728;  Alberti,     De    sepulcrO' 

delle  città  per    motivi     di    pul)blica  rmn  salubri  translatione    extra    ur- 

sanità,  ed  anche    in    riflesso    clie    i  lem,  Hai.  i743;  Poree,  Quattro  let- 

luoghi  destinati  ai  pubblici    cimile-  tere    sull'abuso    di    seppellire   nelle 

ri  nel  loro  interno,  in    proporzione  chiese,  stampate    nel    174^-     Navier 

delle  aumentate  popolazioni,  si  Irò-  scrisse  alcune  riflessioni  sul  pericolo 

varono    angusti,    non     che  prossimi  dei   sotterramenti   precipitati,  e  sul- 

alle  case  dei    cittadini,    e    quindi  la  1"  abuso    di    seppellire  nelle    chiese; 

loro  salute  era   esposta  alle    funeste  Alix,  Nociva    mortuorum  intra    sa- 

iafluenze  delle  esalazioni  pericolose,  cras  aedes  urbiumque  muros  sepul- 

Laonde  in  progresso  fnrono  edifica-  era,  Erfurti    i  778;  Scipione  Piatto- 

ti   il  celebre   Campo  santo  di  Pisa,  li,  Saggio  intorno  al  luogo  del  scp- 

e  i  celebri  cimiteri  di  Napoli,    Ve-  pellire,  Modena    1774;  ed  il  Maret, 

rona,  Bologna,    Brescia,     di    Mont-  Blemoire  sur   l"  usa  gè   ou    V  on    est 

Lovis,  o  del    p.    La    Chaise ,    senza  d' cnterrer  les  morts  tìc.'D\\on  i']']^; 

nominarne  altri  ricchi  di  monumen-  Memoire  sur  les  sepidtures  dans  Ics 

ti  artistici,  di  scollurc,  pitture,  iscri-  villes  etc.  Versailles     1776;    Ohser- 

zioni  ec.    F.    Pitture    a   fresco    del  vations    sur    l'  etahlissement    d'  un 

campo  santo  di  Pisa,    con  illustra-  clmitierc   general    hors    de    la    ville 

zioni,  intagliale    dal   cav.    Lasinio,  de  Lyon,  Lion    177G. 

Firenze    1828;  e    Collezione    scelta  Cahino  principalmente    e    i    suoi 

dei  monumenti  sepolcrali  del  comu-  seguaci  contrariarono  la  pratica  del- 


i44  <^1M 

la  Chiesa  romana,  dei  seppellimento 
ne'  templi  ,  collo  scopo  di  toi,'lie- 
re  l'idea  dei  sudraj^i,  e  di  allonta- 
nare dall'uomo  colla  memoria  del  se- 
polcro il  più  polente  lieno  della  su- 
perbia, e  delle  altre  passioni,  non 
che  di  togliere  un  mezzo  alle  limo- 
sina, ed  alle  pie  fondazioni,  impove- 
rendo il  clero.  Fra  quelli,  che  de- 
starono filavi  timori  sulla  publjlica 
incolumità  nel  tiunularc  nelle  chie- 
se, vuoisi  in  ispecie  nominare  il  pro- 
testante Franck,  sì  celebre  nella  po- 
lizia medica,  provando  sommamente 
nocevole  il  seppellire  nelle  chiese, 
per  cui  oggi  mai  si  erigono  i  cimite- 
ri fuori  delle  ciltà.  D'altronde  le 
riflessioni  chimiche  di  ThemsdorlF, 
stampate  nel  1800  in  Reichsauzeiger, 
dimostrando  la  natura  delle  esala- 
zioni cadaveriche,  fecero  conoscere 
come  la  Provvidenza  dispose  in  mo- 
do le  cose,  che  i  nostri  cadaveri  pos- 
sono interrarsi  in  mezzo  ai  viventi , 
senza  che  questi  ne  risentano  vcrun 
danno.  Anche  Pùans,  con  un  trattato 
preoedcnlemeute  pubblicato  nel  ijrg 
in  Lipsia  volle  dimostrare  con  pro- 
ve evidenti,  e  di  fatto  non  potere 
risultare  alcun  pericolo  dal  seppel- 
lire i  morti  nelle  chiese,  e  nell'in- 
terno delle  città,  osservate  le  debite 
cautele,  onde  rimuovere  gl'inconve- 
nienti, i  contagi  ed  altri  infortunii. 

Benedizione  dei   Cimiteri. 

Certo  è,  che  se  verranno  conside- 
rate le  parole,  che  si  adoperano  nel 
consagrare  le  chiese,  ed  i  cimiteri, 
si  vedrà  che  le  prime  sono  propria- 
mente per  i  vivi,  e  le  altre  per  i 
morti.  I  cimiteri  sono  sempre  stati 
in  grande  venerazione  tra  i  fedeh,  e 
l'uso  di  benedirli  è  antichissimo,  in- 
combendo ciò  ai  vescovi,  ovvero  ai 
sacerdoti    da   loro  autorizzati.   Se  ne 


CIM 

(a  la    benedizione  con  piviale  bianco, 
come    ([nello     eh'  è    usato     seni[)re  . 
Adoperansi   pure  l'acqua  santa,  l' in- 
censo, e  tre  candele  per  ognuna  del- 
le cinque  croci.   Le  candele  debbono 
ardere  prima  avanti,  e  poscia  sullo  me- 
desime. IMa  ecco  come  procede  la  bene- 
dizione del  cimiterio,  se  viene  eseguita 
dal  vescovo.  Terminata  la  fabbrica  del 
cimiterio,    il  giorno  precedente    alla 
benedizione  si    dispongono  in    detto 
luogo  cinque  croci  di  legno,  ed  una 
pili  elevata     delle    altre    situata    in 
mezzo,    e    le  altre  per    l'altezza     di 
un   uomo.   La  prima    si    colloca  nel- 
r  estremità  del    cimiterio,  avanti   la 
croce  di   mezzo,  la    seconda    nell'al- 
tra estremità,  retro  crucem  mediani j 
e  le    altre  due,    una    alla    destra,   e 
l'altra  alla  sinistra.  Avanti  ogni  cro- 
ce si  pone  in    terra    un    legno    per 
porvi    tre    candele ,    una    scala    per 
ascendere     alla     sommità,    un    vaso 
grande    coli' acqua  da    benedirsi,  ed 
un  altro  col  sale.   Vestito   il    vesco- 
vo con  camice,  stola,  piviale  bianco, 
con   mitra  in  capo,  e  pastorale  nella 
sinistra  mano,  dalla  sagrestia  si  reca 
al  cimiterio,  ove  ponendosi  a  sedere 
sul  faldistorio  dà  principio  alla  fun- 
zione con  fare  al  popolo  una  breve 
ed  analoga  esortazione  sulla    santità 
del  luogo.   Terminato  il  discorso,  si 
accendono  le    quindici   candele,  cioè 
tre  per  ogni  croce,  e  stando  il    ve- 
scovo avanti  la  croce  di  mezzo,  de- 
posta   la    mitra    i-ecita    un'orazione, 
quindi  riprende  la  mitra,  genuflette 
al  cauto     delle  litanie  alzandosi  alle 
parole:    Ut  omnibus  Jidelibus  defnn- 
cti<:.  Allora  il  vescovo  con  tre  segni  di 
croce    purga,    benedice,    santifica,   e 
consagra  il  luogo.  Tornando  a  genu- 
flettere,  si  proseguono  le  litanie,  dopo 
le  quali  viene  la  benedizione  dell'ac- 
qua insieme  col  sale,    e  detta   l'anti- 
fona. Asperges  me,   mentre  si  canta 


e  I  M 

il  fliixercre,  colla  detta  acqua  bene- 
dice il  cimitcrio,  cominciando  dalla 
|.arlc  destra,  e  lo  asperge  conlinua- 
mcntc  in  ogni  luogo.  Finita  questa 
hencdizionc,  deposta  la  mitra  incensa 
la  croce,  cioè  quella  ch'è  avanti  la 
croce  di  mezzo,  indi  vi  pone  nella 
cima  una  delle  candele  accese,  collo- 
cando le  altre  due  nei  bracci  della 
stessa  croce.  Ciò  fatto,  colla  mitra  si 
reca  dalla  parte  di  dietro,  aspergen- 
do nel  procedere  il  cimitcrio  col- 
l'acqua  santa,  ed  innanzi  alla  secon- 
da croce,  deposta  la  mitra,  fa  la  stes- 
sa funzione,  che  si  disse  per  la  pri- 
ma. Indi  passa  alle  altre  due  croci 
laterali,  e  vi  compie  egual  cerimo- 
nia. Ritornando  poi  avanti  la  croce 
di  mezzo,  e  deposta  la  mitra,  canta 
il  prefazio,  dopo  il  quale  incensa  la 
detta  croce,  e  vi  pone  le  tre  can- 
dele come  fece  nelle  altre;  indi  be- 
nedice solennemente  il  popolo,  e 
recatosi  alla  contigua  chiesa  si  pre- 
para per  la  celebrazione  della  mes- 
.sa,  che  dee  dirsi  secondo  1'  ufìlzio 
corrente,  aggiungendosi  all'orazione 
propria  un'altra  sub  unica  conclu- 
sione. 

La  benedizione  del  cimitcrio,  che 
si  fa  da  un  saceidote  delegato  dal 
vescovo,  segue  presso  a  poco  come 
la  precedente.  Però  si  ei'ige  vma  so- 
la croce  di  legno  nel  mezzo  di  esso, 
ed  avanti  la  croce  si  accendono  le  tre 
candele.  Il  sacerdote,  col  capo  scoper- 
to diià  r  Oremus  proprio  di  tal  ri- 
to, le  litanie  oi'dinarie,  e  dopo  il  ver- 
setto :  Ut  omnibus  fidelibus  dcjuncds, 
lo  stesso  sacerdote  in  piedi,  e  facendo 
il  segno  della  croce,  dirà  :  Ut  hoc 
coenietcrium  etc.  ;  e  terminate  le  li- 
tanie, coi  ministri  assistenti,  asper- 
gerà prima  la  croce,  dicendo  l'anti- 
fona, Asperges  me,  intanto  che  gli 
astanti  recitano  il  salmo  Miscrerc, 
col  Gloria  Patri,  dopo  il  quale  si 
voi.    XIM. 


CIM  145 

ripete  l'antifona,  avendo  già  il  sa- 
cerdote fatto  il  giro  del  cimitcrio, 
e  la  sua  aspersione  coU'acqua  san- 
ta. Indi  poirà  il  sacerdote  nella 
sommità  della  croce  una  delle  tre 
candele  ardenti,  collocando  le  altre 
due  nelle  braccia  di  essa  :  linai- 
mente  incensata,  e  benedetta  che 
sia  la  croce,  termina  la  funzione. 

Si  benedicono  dalla  Chiesa  i  luo- 
ghi ove  si  debbono  coUocai'e  i  ca- 
daveri de'  suoi  figli,  per  distinguer- 
li da  quelli,  che  non  sono  contras- 
segnali dalla  croce.  L'  erezione  della 
croce  significa,  che  il  luogo  è  con- 
sagrato a  Dio ,  e  le  tre  candele 
si  accendono,  come  simbolo  dei  tre 
chiodi,  i  quali  trapassarono  le  mem- 
bra del  Piedentore  nella  crocifissione. 
La  benedizione  poi  serve  per  assicu- 
rare i  fedeli  defonti  dell'  eterno  ri- 
poso. 

Quando  il  cimitcrio  è  contami-» 
nato,  violato,  o  profanato  dal  sep- 
pellimento di  un  infedele,  di  un  e- 
retico,  e  di  uno  scomunicato,  si  ri- 
concilia, e  tal  riconciliazione  si  fa 
presso  a  poco  come  la  benedizione^ 
col  canto,  e  colle  preci,  coli'  inccn- 
sOj  e  coll'acqua  benedetta  ec.  Solo 
il  sacerdote,  dopo  il  versetto  Ut 
omnibus  etc,  aggiunge  Ut  hoc  coe- 
ineteriuni  reconciliare  etc.  U.  il 
Pontificale  romano,  ed  il  Rituale 
romano,  Ritus  benedic.  novi  coe- 
meteriì,  et  Ordo  reconciliancU  eoe- 
melerium  vioìatum. 

Sui  cimiteri  sono  a  consultarsi 
il  Baronie  nel  Martirologio  roma- 
710,  a'  29  gennaio  ;  V  altro  annalista 
Spondano,  De  coemetcriisj  Sponda- 
ni,  cocnieteria  sacra,  Parisiis  i638; 
Gio.  Francesco  Cccconi,  //  sagro 
rito  di  consegrare  le  chiese ,  al  ea- 
pò  XVIIj  Del  cimitcrio,  sua  origi- 
ne, liso,  e  significalo;  Orsi,  Storia 
Ecclesiastica  toni.  Ili,  p.  70  eseg,; 
10 


i46  CIM 

il  p.    Dande,     tom.    I.     Hist.     unh'. 
njlcx.    XI,  tratlando    De    sepuliu- 
ris  marlyriun,  coemcteriis,  tic    ciita- 
cumhis,  p.   643,  e  seg.  ;  Marangoni, 
Historia  de  cocnict.  ;    J'^abrclti,    la- 
script   dotnest.  ;    Onofrio    Panvinio, 
Tr.  de  rilu    sepeliendi    niorluos^    et 
de  coemeU'riisy  e.    12,    n.   4>    Id).    i, 
de  7    Urbis    ecclesiis  j  itern   in  epì- 
tome roin.  ponti/,  p.  5.  ;    e    gli   au- 
tori, che  si  citano  al  seguente  arti- 
colo dei  cimiterii  di  Roma.    Da  ul- 
timo, e  nel    1821,    si    pubblicò     in 
Imola  dal     cav.     Luigi    Angeli    una 
eruditissima      Memoria ,      intitolata 
Dcir  antichità  de'  Cimiterii,  e  de'lo- 
ro  vantaggi ,    cui     dà    terniine    con 
queste  memorande  parole  :  »j   O  ci- 
M   mitero,  quanto    puoi    essere    elo- 
"    quentc,   e  di   vero  profitto  all'uo- 
"    mo   meditante  in   un  angolo    ap- 
»    parta to     della     tua     circonferenza 
»  l'ultimo  suo  fine,  e  che  sarai  un 
v   giorno  accogli tore  pietoso  delle  e- 
■•>   sanimi  sue  spoglie,    ed    il    geloso 
»   custoditure    fino    al    suono    della 
»   spaventevole  tromba  risvegliatrice, 
»   cui   solo  darà  fiato  la  voce   impe- 
»   riosa  dell'  Onnipotente  "  !  E   pure 
degna  da    consultarsi    V  eruditissima 
Dissertazione  de''  Campi  ^a/?//, stampa- 
ta nel  fascicolo  XVI  degli  Annali  civili 
del   regno   delle  due  Sicilie,   la  quale 
riporta  la  Notificazione  del  Cardinal 
Odescalchi    vicario    di    Pioma ,    che 
incomincia:   La  liunulazione  de' Ca- 
daverine,., del  primo  settembre  i835, 
colla  quale    pubblicò    la    risoluzione 
del    regnante    Papa    Gregorio  XVf, 
di   porre    in  attività    i     cimiteri  ,  e 
pel    primo   quello   presso    la    basilica 
di     s.    Lorenzo     fuori     le     mura    di 
llonia. 

CIMITERI  DI  Roma.  Questi  in 
parte  furono  formali  dentro  la  cit- 
tà, ed  altri  nelle  di  lei  adiacenze. 
Aaticaraente  per  la  proibizione  del- 


CIM 

le  leggi,  contenute  nelle  XII  tavole, 
riportata  da  Cicerone,    de    Legibiis, 
lib.    II,   non  si  potevano    seppellire 
dentro  le  mura  di   Roma   i  cadave- 
ri, mentre  gli  Spartani  volevano  che 
i  loro  defonti  fossero  sepolti  dentro 
la  città,  e  presso  i  templi,  a  tenore 
delle  prescrizioni  di   Licurgo.  In  Ro- 
ma solo  a  quelli,  che  avevano  trion- 
fato,  eia  permesso   l' onore  di  avere 
la  sepoltura  nella    città,    come    alle 
Vestali,  e  qualche  volta  gl'imperato- 
ri   furono  eccettuati  dalla  legge  ge- 
nerale,  come  ce   ne  assicura  Plutar- 
co.   Il  perchè  i   cristiani    nei  primi 
tempi  erano  costretti  a  dar  sepoltura 
ai  loro  morii  fuori  della  città,  e  tal- 
volta   nelle  stesse    proprie    case ,    e 
nascostamente    riposero    i    corpi  dei 
martiri  in  grotte,  e  cimiteri  particola- 
ri. La  maggior  parte  però  dei  cadave- 
ri in  progresso  di  tempo  si  portarono 
nei   cimiteri,     o  catacombe  arenarie 
presso  Roma.  Di  questi  cimiteri  lapiìt 
nobile  e  remota  parte  adornata  col- 
le immagini  dei  santi  era   destinata 
all'  uso  delle  sagre    funzioni.  Disco- 
perta  per  altro  dai  gentili,  questi  i"e- 
cero  la  più    crudele    carnificina    dei 
cristiani,  che   ivi  si    adunavano    per 
assistere  alla  messa,   ricevere  la  san- 
ta comunione,     ed    udire    la    divna 
parola.   Un'  altra  parte  di    tali    sot- 
terranei  cimiteri  serviva  di  abitazio- 
ne temporanea  ai  fedeli,  i  quali    vi 
si    nascondevano,    quando    venivano 
in  cognizione  di  essere  ricercati  per 
dover  sagrificare  alle  false  deità.   Ivi 
erano  sostentati  dalla   pietà  degli  al- 
tri fedeli,  e  dai    diaconi    martiriarii 
istituiti    dal    Pontefice    s.    Fabiano , 
mentre  i  sacerdoti  martiriarii  ne  nu- 
trivano    lo    spirito    colla    parola    di 
Dio.   La  terza  parte  poi  di  tali    ci- 
miteri era  ad  uso  di   sepolcri   degli 
stessi  cristiani,  che  ivi   morivano,  a- 
veadosi  somma  cura  di  non  coufon» 


CIM 

deie  i  loro  coi'pi  con  quelli  de'gen- 
tili,  e  se  avevano  patito  il  martirio, 
si  ponevano  nei  sepolcri  co'loro  corpi, 
anche  i  segni  che  attestavano  il  sof- 
ferto martirio,  cogli  strumenti  delle 
loro  pene,  oltre  ad  analoghe  iscri- 
zioni, per  cui  questi  cimiteri  diven- 
nero alti'etlanti  santuari,  dove  un 
immenso  numero  di  santi  vennero 
seppelliti.  Molti  di  essi  forniscono 
alla  pietà  dei  fedeli  tuttora  reliquie 
alla  loro   venerazione. 

All'anno  22G  il  Cardinal  Baroni© 
enumera  quarantatre  cimiteri  di  Pio- 
ma,  e  suoi  dintorni,  nei  quali  i  cri- 
stiani facevano  le  succennate  adu- 
nanze, anche  per  non  avere  altri 
luoghi  per  convocarsi.  E  pur  noto, 
eh'  essi  nelle  persecuzioni  si  congre- 
garono persino  nelle  carceri,  affer- 
mandolo s.  Cipriano  nella  sua  epi- 
stola 5.  Ma  talvolta  a  si  crudeli  pe- 
ne erano  per  ciò  esposti,  ch'essi  si 
astennero  dall' adunarvisi.  Quindi  il 
Pontefice  s.  Cornelio  del  254  scri- 
vendo a  Lupicino,  vescovo  di  Vien- 
na, ebbe  a  dirgli  :  Publice,  ncque  in 
cryptis  notìoribus  missas  agert  Chri- 
stianis  licet. 

Nell'anno  260  l' imperator  Vale- 
riano  per  tutte  le  provincie  del  ro- 
mano impero,  fece  pubblicare  un  e- 
ditto,  col  quale  severamente  ordinò 
che  i  fedeli  fossero  costretti  a  forza 
de'  più  aspri  tormenti  ad  abbando- 
nare la  loro  religione,  e  che  non 
celebrassero  le  loro  adunanze  nei  ci- 
miteri. In  progresso  allorché  dimi- 
nuì la  persecuzione,  non  solo  i  cri- 
stiani frequentarono  i  cimiteri,  ma 
in  essi,  e  sopra  di  essi  vennero  e- 
retli  sagri  edifizi.  Il  perchè  il  Papa 
s.  Fabiano,  siccome  leggiamo  nel 
libro,  de  Fiomaìiis  Ponlijìcibus,  fece 
molte  rubriche  sui  cimiteri,  e  grotte 
arenarie,  in  considerazione  dei  se- 
polcri   de'  martiri ,    concorrendovi    i 


CIM  147 

fedeli  a  fare  orazione.  Nella  prole- 
zione poi  accordala  dall'  imperatore 
Costanzo  agli  Ariani ,  ripugnando 
alla  loro  pravità  il  Pontefice  s.  Li- 
berio I,  e  fulminandoli  colle  censu- 
re della  Chiesa,  Costanzo  il  cacciò 
da  Pvoma,  onde  il  Papa  fu  costret- 
to a  uascondeisi  nei  snburbani  ci- 
miteri, sino  alla  preziosa  sua  mor- 
te, avvenuta  nel  867  ,  venendo  se- 
polto in  quello  di  Priscilla  nella  via 
Salaria. 

Durarono  le  fabbriche  dei  cimi- 
teri di  Roma,  sino  al  tempo  dei 
Longobardi,  i  quali  sebbene  non  en- 
trassero nella  città,  tenuti  da  essa 
per  un  tempo  lontani  pei  donativi 
dei  Papi,  tuttavolta  fecero  gravi 
danni  nei  luoghi  vicini  e  nei  bor- 
ghi, atterrando  gli  edifizii ,  come  ri- 
levasi da  una  costituzione  del  santo 
Pontefice  Paolo  I.  Tranquillate  pe- 
rò le  cose  sotto  il  suo  medesimo 
pontificato,  a  cui  fu  elevato  nel  757, 
egli  si  applicò  alla  visita  dei  cimi- 
teri, ed  acciocché  altri  non  avesse- 
ro potuto  ulteriormente  oltraggiare 
i  corpi  dei  santi  che  ivi  si  conser- 
vavano, volle  trasportarne  molti  in 
Roma ,  colla  maggiore  solennità , 
con  inni,  e  cantici,  venendo  in  pa- 
recchie chiese  decentemente  colloca- 
ti. Già  il  suo  predecessore  s.  Boni- 
facio IV  avea  preso  da  vari  cimi- 
teri di  Roma  ventotto  carri  de' cor- 
pi dei  ss.  martiri,  e  riposti  gli  ave- 
va nella  chiesa  di  santa  Maria  del 
Pantheon  ,  perciò  poi  detta  ad 
Marljres  ^  e  i'  altro  predecessore 
Giovanni  VII  del  7o5  aveva  abbel- 
lito e  restaurato  alcuni  cimiteri , 
come  abbiamo  dall'Anastasio. 

Prima  di  accennare  quanto  ri- 
guarda i  primari  cimiteri  antichi 
dentro  le  mura  di  Roma,  riporte- 
remo la  succinta  enumerazione  di 
quelli,  che  fuori  di  essa  (secondo  i 


'I 


/i8 


CIM 


luoglii  (love  stanno)  sono  descritti 
tlal  Coslaiizi  nel  suo  Osservatore  eli 
/ìy//i/r,  ivi  stampato  nel  182').  Par- 
lando egli  dei  cimiteri  adiacenti  a 
JViita  maggiore,  dice  che  nella  via 
Labicana,  la  ([iiale  si  trova  fuori  di 
lai  porla  a  Tor  Pignatlara ,  scen- 
dendo (piaraiila  gradini,  si  trovano 
Je  catacombe  de'  ss.  Marcellino  e 
Pietro,  dove  furono  sepolti  questi 
due  martiri,  insieme  con  s.  Tibur- 
zio  egualmente  martire,  fra  i  due 
lauri,  intrr  daa^  lanros.  Da  ultimo, 
e  nel  i838,  nella  vigna  de' fra- 
telli Tommaso,  e  Natale  del  Gran- 
de presso  la  delta  catacomba  o  ci- 
miterio,  fu  dai  proprietari  discoper- 
to un  tratto  di  palmi  sessantadue 
di  nobile  catacomba  con  pavimento 
messo  a  musaico ,  sei  rpiadri  del 
quale  sono  coloriti ,  ed  esprimono 
emblemi  cristiani,  eseguiti  con  dili- 
genza. Appartengono  essi  appun- 
to al  cimiterio  di  s.  Tiburzio  , 
de*  ss.  IMarcellino,  e  Pietro,  e  di  s. 
Elena,  per  esservi  stala  sepolta,  In- 
ter (luas  Ifiuros.  Il  perchè,  a'  22 
maggio,  "vi  si  recò  a  vederlo  il  Car- 
dinal Giustiniani  Camerlengo,  coi 
suoi  ministri,  e  agli  8  luglio  ono- 
rollo  anco  il  l'cgnante  Pontefice  ri- 
cevuto dal  cav.  \'isconli  commissa- 
rio delle  antichità,  dai  suddetti  pro- 
prietari, e  da  \  inceuzo  del  Gran- 
de, luogotenente  del  tribunale  cri- 
minale senatorio.  Un  poco  più  di- 
stante evvi  il  cimiterio  di  s.  Zotico, 
o  Gelulio  martire,  sposo  di  s.  Sin- 
fnrosa,  come  non  più  di  un  miglio 
distante  dalla  detta  porta  trovasi 
quello  di  s.  Castolo  martire,  fami- 
gliare dell'imperatore  Diocleziano. 
A  questi  sono  in  qualche  modo  uni- 
ti i  cimiteri  della  antica  via  latina, 
di  s.  Aproniano,  di  s.  Gordiano,  e 
di  s.  Eugenia  martiri  ;  come  altre- 
sì quelli,  che    si  trovano    nella    via 


CIM 
Appia,  detti  di  s.  Preleslato,  non- 
ché di  s.  IJalbina,  e  di  s.  Marco. 
Di  essi  parlammo  meglio  all'artico- 
lo CuiESv  DI  s.  Baldina.  Mousiguor 
Domenico  Bartolini,  cameriere  d'o- 
nore di  sua  Santità,  e  canonico  del- 
la basilica  di  s.  IMarco,  nel  1840 
ha  pubblicato  in  Roma  colle  stam- 
pe un  erudito  opuscolo,  con  questo 
titolo  :  //  cimitero  cV  AproiiianOj 
(letto  anche  di  s.  Eugenia  sulla 
i'ia  Latina.  V  ha  pur  quello  di 
san  Calislo  sotto  la  basilica  di 
san  Sebastiano,  del  quale  si  trat- 
tò all'articolo  Catacombe.  Una  por- 
zione di  esso  cimiterio  vuoisi  che 
sia  l'altro  dello  ad  s.  Cacci liani, 
mentre  ove  fu  sepolto  s.  Sisto ,  si 
riconosce  un  cimiterio,  detto  ad  s. 
Xystuni.  Sul  cimiterio  di  Calisto, 
veggasi  il  Pia7za  nel  suo  Mtnolo^io 
Romano  p.  160  e  180.  Sul  tentalo 
derubamento  de' corpi  de' ss.  Pietro 
e  paolo,  che  per  vui  tempo  furono 
collocali  nel  cimiterio  di  Calisto,  si 
vegga  il  tomo  III,  p.  83  degli  At- 
ti dell'  accademia  romana  di  archeo- 
logia, Lezione  sopra  quattro  basili- 
che romane  del  dollissimo  Fea. 

Coincidono  pure  ai  cimiteri  di 
Porta  maggioie,  quelli  della  via  Ti- 
burtina,  appellati  di  s.  Ciriaca,  e  di 
s.  Ippolito  martire.  P^.  il  tom.  IV 
dei  citati  Alti,  p.  21.  Illustrazione 
di  un  antico  monumento  cristiano 
trovalo  nel  cimiterio  di  Ciiiaca, 
del  can.  Giuseppe  Scitele;  il  quale 
nel  tomo  V  degh  stessi  Atti,  a  p. 
1 80  ci  ha  dato  le  Osservazioni  so- 
pra le  lapidi  pagane  che  si  trova- 
no nelle  Catacombe,  e  nel  cimite- 
rio di  s.  Ippolito.  Di  questi  cimi- 
teri di  s.  Ciriaca,  e  di  s.  Ippolito 
poi  se  ne  parlerà  meglio,  essendo  ora 
pubblico  cimiterio  quello  di  s.  Lo- 
renzo. I  citj)ileri  adiacenti  alle  porte 
Flaminia  o  del  Popolo,  e  Pia,  sono 


CIM 

i  seguenti.  Nella  via  Flaminia,  pri- 
ma del  ponte  IMilvio  o  ìMolle,  evvi 
il  cimiterio  di  s.  Valentino,  restau- 
rato dal  Pontefice  s.  Giulio  I,  e  più 
sopra  l'altro  di  s.  Teodora  da  essa 
costruito.  Sul  cimiterio  di  s.  Valen- 
tino, va  letta  V  Illustrazione  di  una 
antica  iscrizione  ec.  del  medesimo 
Settele,  inserita  nel  lom.  Ili  dei  à- 
tati  y^«z,  a  p.  aSo.  Il  vasto  cimiterio 
di  s.  Ermete,  Basilla,  Proto,  e  Giacin- 
to, chiamato  eziandio  ad  clivum  cu- 
cumeris,  sta  nella  via  Salaria  vecchia, 
e  nella  nuova  evvi  l' altro  celebre, 
e  grandissimo  cimiterio  di  s.  Pri- 
scilla, discepola  dei  principi  degli 
Apostoli,  e  del  quale  essa  inco- 
minciò l'erezione.  Circa  un  secolo 
e  mezzo  dopo  fu  dilatato  da  un'al- 
tra s.  Priscilla  nel  Pontificato  di  s. 
Martino  I,  e  per  esservi  stati  sep- 
pelliti anche  i  martiri  Silvestro,  e 
Crescenziano,  fu  chiamato  coi  nomi 
loro.  Contiguo  a  questo  cimiterio  di 
Priscilla  vi  fu  quello  di  s.  Felicita, 
detta  Jordanorum.  Porzione  del  ci- 
miterio di  Priscilla ,  è  pur  quello 
detto  di  Osleriano,  in  cui  s.  Pietro 
battezzò  molti  gentili,  e  l' altro  di 
s.  Trasone.  Nella  stessa  via  Salaria 
s.  Ilario  formò  da  un  suo  orto,  un 
cimiterio,  donde  ne  prese  il  nome. 
Nella  via  Nomentana,  e  presso  la 
chiesa  di  s.  Agnese,  si  trova  1'  am- 
pio cimiterio,  che  porta  il  nome 
di  quella  santa  per  esservi  stata  se- 
polta. Più  avanti  vi  è  il  cimiterio 
ad  arcuni  ISomentanuni,  de' ss.  Pri- 
mo e  Feliciano  martiri;  e  v'è  pur 
quello  detto  ad  nyniphas  beali  Petri, 
cioè  alle  acque  di  s.  Pietro,  perchè 
il  santo  apostolo  colle  acque ,  che 
ivi  scorrevano,  battezzò  molti  cristia- 
ni. Sonvi  ancora  quello  di  s.  x\les- 
sandro  formato  da  s.  Severia  in  un 
suo  fondo,  e  quello  di  s.  Pvestituto 
in  un  podere  di  s.  Giusta, 


Cl.M  i49 

I  cimiteri  poi  adiacenti  alle  por- 
te di  s.  Paolo,  Portese,  e  di  s.  Pan- 
crazio sono  questi.  Nella  via  ostien- 
se si  trovano  i  cimiteri  di  s.  Timo- 
teo, di  s.  Ciriaco  martire  formato 
da  s.  Lucina;  di  s.  Zenone,  e  delle 
Acque  Salvie  o  di  s,  Anastas.io,  do- 
ve fu  decapitato  s.  Paolo,  e  dove 
furono  deposti  i  corpi  di  diecimila 
martiri.  Parlando  il  citato  Piazza , 
parte  li,  p.  ii6,  della  stazione  che 
nel  dì  trentesimo  di  quaresima  era- 
vi  nella  basilica  di  s.  Paolo  nella 
via  ostiense,  dice  che  in  tal  giorno 
dal  cimiterio  di  s.  Anastasio,  e  di 
s.  Zenone  alle  Acque  Salvie,  anda- 
vano processionalmente  al  cimiterio 
di  s.  Paolo  per  una  strada  sotter- 
ranea i  monaci  della  stessa  chiesa, 
passando  per  ambedue  i  cimiteri. 
Cosi  il  clero  laterauense  si  recava 
"in  processione  colla  sua  croce  sta- 
zionale al  cimiterio  di  s.  Paolo,  a 
ricevere  tutte  le  offerte  fatte  all'al- 
tare di  s.  Paolo,  come  si  legge  in  uu 
antico  manoscritto  dell'archivio  late- 
rauense. Nella  chiesa  dedicata  a  s. 
Paolo  in  cui  fu  egli  sepolto,  evvi 
il  cimiterio  di  santa  Lucina  triuni 
fontium,  e  poco  distanti  quelli  di 
Commodilla,  e  de' ss.  Felice  ed  A- 
dauto  martiri.  Al  cosi  detto  pozzo 
pantaleo  nella  via  portucnse,  vi  è 
un  cimiterio  d' iunuraerabili  marti- 
ri, che  in  essa  sparsero  il  sangue  pel 
vangelo,  e  sopra  il  colle  più  vicino 
a  Roma  esiste  ancora  il  rinomato 
cimiterio  di  s.  Ponziano,  detto  an- 
che ad  L  rsuni  pileaturn,  e  dei  ss. 
martiri  Abdon  e  Sennen .  Appar- 
tengono eziandio  a  questa  strada  i 
cimiteri  di  s.  GiuHo  I,  e  di  Gene- 
rosa, detto  ad  sextum  Philippi,  non 
che  un  cimitero  di  ebrei  trovato 
quivi  dal  Bosio,  come  riporta  nella 
sua  RoiìKi  saiilificala,\\h.  3,cap.  22. 
In  qucbt'  ultuno  non  solamente  noiì 


i5o  CIM 

evvi  alcun  segno  cristiano,  ma  solo  si 
rinviene  in  colore  rosso  la  figura  di 
uu  candelabro  colle  sette  lampade, 
e  di  tratto  in  tiatto  la  parola  si- 
nagoga. Va  qui  però  avvertito,  che 
il  p.  Giuseppe  Marchi  della  com- 
pagnia di  Gesù,  nella  Pontificia  ac- 
cademia romana  di  Archeologia,  ai 
29  aprile  iSj',  pronunziò  una  dot- 
ta dissertazione  inforno  i  primitivi 
monumenti  della  Chiesa  Romana, 
ed  in  particolare  de'  vetri  dipinti  a 
sgraffio  su  foglia  d'oro,  che  si  trag- 
gono dalle  sole  catacombe,  o  cimi- 
teri. Quindi  contro  la  sentenza  del 
senatore  Bonarroti,  prese  a  sostene- 
re con  valide  ragioni,  essere  non 
già  ebraici,  ma  cristiani  quei  vetri 
tutti  delle  catacombe,  su  cui  è  ef- 
figiato l'aron,  il  candelabro  a  sette 
fiaccole,  la  verga  d'Aronne,  il  vaso 
della  manna,  e  quegli  altri  arnesi, 
che  nel  tabernacolo  degli  ebrei  sim- 
boleggiavano i  misteri,  e  sagramenti 
del  nuovo  testamento. 

Finalmente  nella  via  Aurelia  so- 
no stati  trovati  diversi  illustri  e 
venerandi  cimiteri  come  quelli  di  Ca- 
lepodio,  sotto  la  chiesa  di  san  Pan- 
crazio, de'  santi  Processo  e  Marti- 
niano  martiri,  detto  di  Girolo,  e 
poco  lungi  quello  di  s.  Agata,  che 
forse  è  lo  stesso  che  il  precedente  ; 
non  che  il  Vaticano  presso  la  basi- 
lica di  s.  Pietro,  ove  fu  sepolto  lo 
stesso  principe  degli  apostoli.  Esso 
fu  chiamato  memoria,  confessione, 
martirio,  liniini  di  s.  Pietro,  Limi- 
na  apostoloriun,  e  vuoisi  formato  in 
alcuna  delle  arenarie,  ch'erano  in 
gran  copia  nel  monte  vaticano,  don- 
de si  traevano  l'argilla,  e  l' arena 
per  la  costruzione  dei  vasi  di  creta. 
11  suo  principio  rimonta  all'incen- 
dio di  Roma  sotto  Nerone,  il  quale 
incolpandone  i  cristiani  ,  molti  ne 
fece  uccidere.  1  primi  fedeli  di  Ro- 


C  I  M 

ma  ivi  seppellirono  i  propri  confra- 
telli ;  ed  ivi  fu  poi  deposto  il  cor- 
po di  s.  Pietro,  e  poscia  quello  di 
moltissimi  martiri ,  Papi  e  perso- 
naggi. K.  Sepolcri  dei  Papi,  ove  si 
tratta  in  quali  cimiteri ,  chiese  e 
luoghi  furono  seppelliti  i  .sommi 
Pontefici,  delle  loro  traslazioni,  con 
altre  notizie  analoghe  ai  cimiteri  di 
Roma.  Dice  il  Fea,  nella  sua  Le- 
zione sopra  cjuattro  basiliche  roma- 
ne dette  Costantiniane,  che  l'impe- 
ratore Costantino  eresse  all'  imboc- 
catura della  catacomba,  o  cimiterio 
\  aticaiio,  il  grandissimo  tempio  a- 
dalto  agli  usi,  e  alle  adunanze  dei 
cristiani. 

Passando  poi  a  dire  alcuna  cosa 
sui  cimiteri  dentro  la  città  di  Ro- 
ma sì  antichi  che  moderni ,  parle- 
remo prima  degli  antichi.  Ad  onta 
della  ricordata  proibizione  delle  ro- 
mane leggi,  i  cristiani  qualche  volta 
costretti  dalla  necessità ,  e  conside- 
rando i  martiri  eroi  più  gloriosi  dei 
gentili  trionfatori,  non  ebbero  dif- 
ficoltà, come  accennammo,  di  sep- 
pellire i  corpi  loro  segretamente 
nelle  grotte,  e  cimiteri  formati  ap- 
positamente in  case  particolari  den- 
tro la  stessa  città.  Così  servirono  di 
cimiteri  le  terme  Timotine,  e  No- 
vaziane,  situate  nel  vico  Patrizio 
alle  radici  dei  colli  Viminale,  e  Qui- 
rinale dai  ss.  Timoteo  e  Novato,  fi- 
gli del  santo  senatore  Pudente,  e 
fiatelli  delle  ss.  Pudenziana,  e  Pras- 
sede,  il  quale  cimiterio  divenne  la 
chiesa,  che  poi  da  s.  Pio  1  nell'an- 
no 162  fu  dedicata  a  s.  Pudenzia- 
na. Questo  Papa  formò  anche  il 
battisterio  per  battezzarvi  i  nuovi 
proseliti  del  vangelo,  e  vi  celebrò 
la  santa  messa .  Cotesto  cimitero 
ebbe  il  nome  di  Priscilla,  madre 
di  s.  Pudente,  perchè  assai  s'impe- 
gnò essa  per  formarlo  dentro  la  cit- 


CIM 
t;i,  oltre  l'altro  da  lei  fatto  al  di 
fuori  nella  via  Salaria,  e  di  cui  par- 
lammo di  sopra.  Vuoisi,  che  in 
questo  cimiterio  si  tumulassero  nel- 
la persecuzione  di  Antonino  circa 
tremila  martiri,  e  clie  il  sangue  loro 
con  una  spugna  si  raccogliesse  da 
s.  Pudenziana,  che  dicesi  lo  abbia 
posto  nel  pozzo,  il  quale  si  vede  in 
mezzo  alla  chiesa.  Cosi  s.  Simetrio 
prete,  ed  altri  venti  due  martiri  vi 
ebbero  sepoltura  per  le  mani  di  s. 
Prassede.  Ma  siccome  gli  autori  di- 
cono, che  s.  Simetrio  ed  altri  mar- 
tiri furono  collocati  anche  nel  ci- 
miterio di  Priscilla  nella  via  Sala- 
ria, sembra  che  il  cimiterio  della 
famiglia  Pudente  fosse  di  deposito, 
per  poi  trasferirli  a  quello  di  santa 
Priscilla.  Vuoisi  ancora  che  servisse 
di  nascondiglio  ai  cristiani,  e  di  luo- 
go per  la  celebrazione  delle  sante 
funzioni  della  Chiesa.  Apparteneva 
a  questo  cimiterio  la  grotta  Nepo- 
ziana,  o  Novaziana,  in  cui  s.  Stefa- 
no I  battezzò  cento  otto  persone. 

Fu  inoltre  in  questa  stessa  regio- 
ne, ed  entro  di  Rom  a  il  cimiterio 
ad  Ursum  Pileahcm,  così  chiamato 
da  im'imma"ine  marmorea  d'un  orso 

o 

con  cappello,  diverso  per  altro  dal 
cimiterio  dello  stesso  nome  nella  via 
portuense  fuori  della  città,  del  qua- 
le già  si  fece  memoria.  Sotto  l'apo- 
stata Giuliano  formossi  tal  cimiterio 
da  s.  Fabiano,  o  Flaviano,  prefet- 
to, ed  illustre  martire,  e  principal- 
mente da  s.  Bibiana  di  lui  figliuo- 
la, nota  pel  suo  zelo  nel  cercare,  e 
seppellire  le  reliquie  degl'  intrepidi 
confessori  di  Cristo.  Egli  l'incomin- 
ciò in  propria  casa,  indi  fu  dilatato 
dalla  detta  figlia,  con  s.  Demetria 
sua  sorella,  la  quale  vi  venne  sepol- 
ta dopo  s.  Dafrosa  loro  madie,  e 
dai  ss.  preti  Giovanni,  e  Pigmenin. 
La  medesima  s.   Bibiana  v'  ebbe  po- 


CIM  i5r 

scia  sepoltura,  finché  dopo  la  morte 
di  Giuliano  vi  si  edificò  una  chiesa 
in  onore  di  detta  santa.  Innumera- 
bili  furono  i  corpi  de' martiri  in 
detto  cimiterio  riposti,  e  trasportati 
da  quei  cimiteri  fuori  di  Roma,  che 
minacciavano  rovina.  In  molte  altre 
case  dentro  Roma  furono  sepolti  mar- 
tiri, senza  divenire  poi  cimiteri  aperti 
ai  martirizzati,  ma  soltanto  ad  alcuni 
particolari,  eh'  erano  talvolta  i  pro- 
prietari delle  case  medesime. 

Avanti  di  far  menzione  degli  at- 
tuali cimiteri  di  Roma,  noteremo 
alcuni  autori,  che  trattarono  di  quel- 
li antichi.  Questi  sono:  Gio.  Do- 
menico INIauro,  Istoria  sagra  dei 
martini  di  molti  santi  martiri,  colla 
notizia  dei  cimiteri,  Roma  1682; 
Arrighi,  Roma  suhterranea  novissi- 
ma, in  qua  post  Antonium  Bosiiim 
et  Joannem  Severanum,  et  alios, 
antiqua  christianorum,  et  praecipue 
mariyrum  coemeteria  illustrantur ^ 
Romae  i6ti,  et  Coloniae  1659; 
Bosio,  Roma  sotterranea  accresciuta 
dal  Semerano  prete  dell'  oratorio , 
riscontrata  dal  dott.  Ottai'io  Pico, 
e  pubblicata  in  Roma  dal  Cardi- 
nal Aldobrandini  nel  i632,  ed  ivi 
pel  Grignani  nel  1640.  In  questa 
seconda  edizione  non  si  trovano  re- 
plicate certe  figure  come  nella  pri- 
ma ;  r  edizione  poi  originale  del 
Bosio  è  quella  di  Roma  del  1625, 
in  cui  si  tratta  dei  sagri  cimiteri 
di  Roma,  sito,  forma,  uso  antico 
di  essi,  cubiculi,  oratorii,  etc.  ;  Boi- 
detti,  Osservazioni  sopra  i  cimiteri 
de'  ss.  martiri,  ed  antichi  cristiani 
di  Roma,  17 19,  e  1720:  opera 
accuratissima,  che  contiene  ciò  eh' è 
stato  scoperto  dopo  il  Bosio  ;  Botta- 
ri,  Sculture,  e  pitture  sagre  astratte 
dai  cimiteli  di  Roma ,  pubblicate 
dagli  autori  della  Roma  sotterra- 
ncaj  e   nuovamente    data    in    Iure, 


132  CIIM 

colle  spiegazioni  per  ordine  di  Cle- 
mente XII,  Roma  1737,  1740,  e 
1754-,  p.  Giiiscpjxj  Alazzolari,  No- 
tizie dei  ss.  Martìri,  le  vie  sagre, 
e  le  Oasilirhe  di  Hnma.  Di  essa  si 
fecero  diverse  edizioni.  V.  inoltre 
Pompeo  Ugonio,  Hisloria  delle  sta- 
zioni di  Roma,  nella  quale  parla  di 
diversi  cimiteri ,  e  a  pag.  8G  spie- 
ga perdiè  si  considerino  equivalenti 
idle  chiese;  e  Giuseppe  canonico 
dettele,  illemoria  siili'  importanza 
dei  monumenti  che  si  trovano  nei 
cimiteri  degli  antichi  cristiani  nel 
contorno  di  Roma,  pubblicata  nel 
1825  nel  tomo  H  delle  Disseria- 
zioni dell'accademia  romana  di  Ji^ 
cheologia.  ì^iiWiwmo  1841  a' 28  giu- 
gno in  questa  accademia,  il  suìlo- 
dato  monsignor  Domenico  Bartoli- 
nì  lesse  una  dissertazione  sui  Vasi 
ciniileriali  contenenti  il  sangue  dei 
martiri. 

Senza  fare  la  descrizione  de' ci- 
miteri particolari  di  Roma,  propri i 
di  sodalizii,  come  quelli  di  s.  Maria 
della  Pietà  in  campo  santo  delle 
nazioni  teutonica  e  fiamminga  pres- 
so la  basilica  vaticana;  di  s.  Gio- 
vanni decollato  pei  giustiziati  ;  di  s. 
Maria  di  Loreto  de' Fornari  ;  di  s. 
Rocco;  di  6.  Maria  dell'Orazione 
della  morte,  pei  defonti  nelle  cam- 
pagne, o  annegati  etc.  ;  e  senza  ri- 
cordare quelli  de' cappuccini,  ed  al- 
tri Ordini  religiosi,  e  di  monache, 
o  degli  ospedali,  come  di  s.  Gio- 
vanni in  Laterano,  di  s.  Giacomo 
degl'incurabili,  di  s.  Gallicano  (il 
quale  fu  benedetto  a  7  novembre 
1726,  da  Benedetto  XIII),  di  s.  Ma- 
ria della  Consolazione  ec. ,  trattan- 
dosene a' loro  articoli;  faremo  piut- 
tosto menzione  di  quello  dell'ospe- 
dale di  s.  Spirito,  e  dell'altro  pub- 
blico di  s.  Lorenzo  fuori  le  mura. 
Il  primo  sta  nella  regione  di  Tras- 


CIM 

tevere,  sull'alto  dei  bastioiìi  chiama- 
li di  s.  Spirito,  Esso  è  anqiio,  ina- 
gnilico,  e  coinodo,  e  si  compone  di 
cenlocinquc  Kepolture.  Vi  si  tunni- 
lano  i  cinlavori  di  (picUi,  che  nmo- 
jono  in  detto  ospedale,  non  che  di 
que'  fratelli,  e  di  quelle  sorelle  dia 
ascritti  sono  alla  pia  unione  ivi  isti- 
tuita. Fu  fatto  falj|)ricare  dal  som- 
mo Pontefice  Benedetto  XIV,  con 
disegno  dell' architetto  cav.  Fuga  in 
forza  di  un  suo  chirografo  de'2 3  mag- 
gio 1742,  diretto  al  Cardinal  Gen- 
tili, allora  visitatore  apostolico  di 
detto  pio  stabilimento,  e  di  altro 
chirografo  de' 2  3  settembre  i  74"^  5 
diretto  a  monsignor  Banchieri  te- 
soriere generale.  Tale  cimiterio,  po- 
sto nella  cima  del  Gianicolo,  è  fab- 
bricato in  luogo  all'atto  diverso  dal- 
l'antico, e  di  molto  riuscì  più  gran- 
de, dappoiché  1'  antico  aveva  solo 
sette  sepolture.  Sorgeva  esso  sulla 
sponda  del  Tevere,  ove  oggi  è  il 
conservatorio  delle  projette  zitelle 
dell'ospedale,  anzi  nel  contiguo  spa- 
zio, in  cui  esse  distendono  le  bian- 
cherie. Da  varii  Pontefici  fu  questo 
cimiterio  arricchito  di  privilegi,  e 
indulgenze.  Benedetto  XIV  dichiarò 
privilegiato  l'altare  del  Ci'ocefisso 
con  breve  de'  27  settembre  1747  ,  0 
concesse  indulgenza  plenaria,  ed  ap- 
plicabile alle  anime  del  purgatorio,  a 
chi  visitasse  la  cappella  ove  si  venera, 
purché  si  fossero  confessati,  e  comu- 
nicati, e  ciò  in  tutta  l'ottava  de»  fe- 
deli defonti.  Pio  VII  nel  1779,  ac- 
cordò la  facoltà  di  potersi  eiigere 
nel  portico  del  cimiterio,  e  nel  det- 
to ottavario,  un  altare,  per  cele- 
brarvi la  messa,  dichiarandolo  pri- 
vilegiato. Di  poi  vi  fu  eretta  ima 
pia  unione  sotto  il  titolo  della  bea- 
tissima Vergine  dei  Rosario,  arric- 
chita di  privilegi,  e  d'indulgenze, 
che  si  leggono  nello  Statuto    slam- 


e  1  .M 
pillo  in  Roma  dal  Poc^f^ioli  nel  iSi.y. 
Onesto  cimiterio  fu  visitato  dai  Pon- 
k'Iìc^i  Leone  XII,  e  da  Gregorio 
\Vf  rei^nante.  Vollero  essi  onorare 
l'albo  de  fratelli,  tlando  gli  aiigusli 
loro  nomi.  Tanfo  nel  cimiterio  di 
s.  Spirito,  che  in  quelli  mentovati 
di  s.  Giovanili  iti  Laterano,  di  s. 
Maria  della  Consola/ione,  di  s.  Ma- 
ria dell'  orazione  della  morte,  non- 
ché in  quello  presso  la  basilica  di 
s.  Moria  in  Trastevere,  ogni  anno 
neir  oltavario  dell'anniversario  ilei 
lèdeli  deibnti,  si  rappiesenta  con  li- 
gure grandi  al  naturale  alcun  fatto 
scritturale,  di  storia  ecclesiastica,  o 
delle  gesto  de'  santi  ,  allusivo  alla 
memoria  de'  trapassati,  e  alle  anime 
purganti j  per  sempre  più  risveglia- 
re nella  pietà  de'  fedeli  i  sullragi 
verso  i  defonti. 

Passiamo  ora  a  parlare  del  ci- 
miterio pubblico  di  s.  Lorenzo  fuo- 
ri le  mura  di  Roma.  Fino  dal  K^iy, 
e  nel  pontificato  di  Pio  VII,  la  sa- 
gra Consulta,  come  magistrato  su- 
piemo  di  sanità,  aveva  prescritto 
che  in  tutto  Io  .stato  pontificio  si 
costruissero  cimiteli  fuori  dell'abita- 
to per  tumularvi  i  cadaveri  ;  e  già 
nella  maggior  parte  delle  città  e 
dei  comuni  vedesi  posta  in  opeia 
quella  saggia  disposizione.  Tu  Roma 
solo  mancava  questa  sagra  Necropu- 
U,  giacché  il  cimiterio,  eh'  erasi  in- 
cominciato a  costruire  nel  campo 
Verano  in  tempo  dell'amministra- 
zione francese,  era  affatto  abbando- 
nato, consistendo  in  sole  trecento 
ottantaquattro  sepolture,  e  quello  , 
che  la  medesima  aveva  incouiincia- 
to  nel  pigiieto  Sacchetti,  non  ebbe 
compimento,  rimanendo  iiiqxrfctto, 
e  distrutto.  Il  perchè  conosciutaiu; 
dal  regnante  Pontefice  Gregorio  XVI 
la  necessità,  nel  1837,  ne  mandò 
ad  elletto  l' ordinamento,  scegliendo 


a  tal  un|^  (piel  medesimo  luogo 
che  sta  alla  destra  della  via  Tibur- 
tina,  accanto  alla  basilica  eretta  da 
Costantino  a  s.  Lorenzo  fuori  delle 
mura  di  Roma,  presso  lo  vasi  e  ca- 
tacombe, o  cimiterio  dell'agro  Ostia- 
no,  o  Yerano,  e  circa  un  miglio 
fuori   la  porta   di   s.  Lorenzo. 

Non  riuscirà  qui  discaro  che  si 
accenni  primamente,  che  una  parte 
del  campo  Osliano,  o  Vociano,  dove 
ne'  primi  tempi  della  Chiesa  si  for- 
mò un  cimiterio  in  cui  si  ripose  pel 
primo  il  corpo  di  s.  Romano,  sol- 
dato che  aveva  professala  la  [\(\<i  ^ 
fu  propiietà  di  s.  Ciriaca  nobile 
matrona  romana,  la  quale  fiorì  nel 
terzo  secolo.  Ammirando  essa  la 
fortezza,  e  la  costanza  di  s.  Lorenzo 
nel  subire  il  martirio,  nel  giorno 
seguente  vi  scpjielh  quel  santo  in- 
sieme a  Claudio  suddiacono,  a  Cre- 
scente lettore,  a  Romano  osliario, 
a  Severo  prete,  e  a  molti  altri. 
Tre  giorni  dopo,  s.  Ippolito  sol- 
dato, con  diciannove  tli  sua  fami- 
glia, e  s.  Concordia  di  lui  nutrice  , 
furono  qui  innati  da  s.  Giustino  pre- 
te, non  meno  che  i  ss.  Ireneo  ed 
Abbondio,  ed  in  fine  vi  furono  depo- 
ste le  spoglie  della  stessa  s.  Ciriaca, 
per  cui  prese  il  nome  di  cimiterio, 
o  catacombe  di  Ciriaca,  di  Ostiano, 
o  di   Verano. 

In  seguito  il  medesimo s.  Giustino 
collocò  in  (piesto  cimiterio  i  corpi 
di  s.  Tritònia,  moglie  di  Decio  im- 
peratore, e  di  s.  Cirilla  di  lui  figlia, 
con  moltissimi  altri  da  lui  martiriz- 
zali in  tempo  della  persecuzione 
mossa  contro  i  cristiani  da  detto 
imperatore.  Servì  poi  questo  cimite- 
rio ili  sepolcro  al  predetto  s.  Giusti- 
no, allorché  fu  deca[)ilato  per  ordi- 
ne di  Claudio  imperatore.  Né  deve 
tacersi,  che  appartiene  a  questo  gran- 
de cimiterio  di  Ciriaca,  ((ucllo  dctt(i 


1  "J^  e  1 M 

(li  s.  Ippolito,  da  cui  prese  il  nome 
ili  quella  porzione  appunto  dove  il 
santo  fiì  sepolto  dopo  aver  solTer- 
to  il  raarliiio;  cimiteri  di  cui  già 
laccinnio  più  sopra  menzione.  Sulla 
porta  poi  delle  catacombe,  o  cimi- 
terio  di  Ciriaca,  evvi  la  seguente 
iscrizione  : 

»  Ilaec  est  tiimba  il  la  loto  orbe 
5'  terrarum  celeberrima,  ex  coeme- 
?»  terio  s.  Ciriacae  matronac,  id)i  sa- 
-•5  cruin  si  quis  fecerit  prò  defiincti*;, 
5>  eorum  animas  e  purgatorii  poe- 
•5  nis  divi  Laurenlii  meritis  evoca- 
5'  bit".  P.  CmES\  DI  s.  Lorenzo 
fuori  le  mura. 

In  sequela  pertanto  delle  provvi- 
denze ordinate  dal  prelodato  i^jnte- 
fìce,  furono  accresciute  al  cimilerio 
le  sepolture  fatte  dall'amministrazio- 
ne francese;  e  compite  e  purgate  le 
preesistenti,  circondato  il  luogo  di 
muraglia,  in  fondo  si  eresse  ima 
cappella,  come  meglio  si  dirà.  Il 
Cardinal  Carlo  Odescalcbi  romano, 
allora  vicario  di  Roma,  poi  esemplare 
religioso  della  compagnia  di  Gesìi,  do- 
ve santamente  morì,  ne  fece  a'  3  set- 
tembre 1 83 Ti,  la  solenne  inaugurazio- 
ne e  benedizione,  la  quale  riuscì  deco- 
rosa, e  piena  di  raccoglimento  per 
la  santità  del  rito,  e  del  grande  og- 
getto, che  l'aveva  provocato.  T^.  la 
Relazione  della  benedizione  del  ci- 
miterin  presso  la  patriareale  basi- 
liea  di  s.  Lorenzo  fuori  le  mura  ec, 
nel  numero  7  3  del  Diario  di  Ro- 
ma del    i835. 

Ora  passiamo  a  dare  la  descri- 
zione di  questo  pubblico  cimiterio, 
nello  stato  in  cui  trovasi,  opera  che 
onora  l'odierno  pontificato,  e  che 
accrescerà  quind'  innanzi  il  lustro  di 
Roma,  pel  suo  giornaliero  incremen- 
to. Il  Papa  regnante  lo  onorò  per 
ben  tre  volte  della  sua  sovrana  pre- 
senza, come  distintamente  si    legge 


CIM 

in  una  singolare  e  marmorea  iscri- 
zione sepolcrale,  cui  un  riconoscente 
dispettosissimo  figlio  eresse  alla  mi- 
gliore delle  madri  ;  cioè  a'  27  otto- 
bre i836;  a' 7.3  luglio  i838;  ed 
ai  G  luglio  1839,  nei  quali  giorni, 
lo  stesso  figlio  per  sua  gran  ventu- 
ra, ivi  presente,  prendendo  corag- 
gio dall'amore  filiale,  sempre  diman- 
dò ed  ottenne  sulle  materne  ceneri 
l'apostolica  benedizione  del  vicario 
di  Cristo. 

Il  perimetro  del  campo  destinato 
ul  cimiterio  racchiude  un  poligono 
irregolare  di  591  71  :  25  metri  qua- 
drati ;  la  parte  di  detta  superficie, 
il  di  cui  suolo  trovasi  già  consa- 
grato alla  tumulazione  de'  defonti 
d'  ambo  i  sessi,  e  d'ogni  età,  è  do- 
ve in  larghezza  meglio  corrisponde 
allo  scopo.  Viene  essa  ridotta  in 
forma  quadrilunga,  e  comprende 
una  superficie  di  37100:  i5  metri 
quadrati.  Il  lato  minore  paralello 
all'altro,  ov' è  l'ingresso  al  cimite- 
rio verso  la  strada  provinciale  Ti- 
burtina,  si  dispone  in  emiciclo,  nel 
centro  del  cui  diametro  sopra  un 
ben  disposto  basamento  s' innalza 
una  cappella  a  croce  greca  con  por- 
tico tetrastico ,  mentre  i  lati  del 
quadrilungo,  e  l'emiciclo  stesso  si 
cingono  di  spaziose  arcuazioni  di 
ordinanza  dorica  greca,  elevate  so- 
pra un  proporzionato  stilobate,  al 
cui  piano  si  ascende  per  quattor- 
dici separate  grandiose  gradinate , 
disposte  soltanto  nel  davanti  di  quel- 
le arcuazioni,  le  quali  corrispondono 
sugli  assi  degli  stradali,  che  divido- 
no dodici  grandi  aree  quadrate  sta- 
bilite per  la  tumulazione  de'  tra- 
passati. Il  dado  dello  stilobate  è 
guernito  di  lapidi  di  marmo  bian- 
co per  le  iscrizioni,  delle  singole  se- 
polture erette  .separatamente  dagli 
attinenti   al   defonto    ivi    tumulato, 


CIM 
tutte  però  di  eguale  dimensione,  e 
contornate  da  mia  fascia  di  niai'mo 
bardiglio.  L' architetto  ,  professore 
Gaspare  cav.  S;dvi,  fu  incaricato  di 
quest'  opera,  ed  lia  già  dato  compi- 
mento a  due  delle  arenazioni,  ima  nel 
lato  destro,  e  1"  altra  nel  sinistro^,  non 
che  a  due  tratti  dello  stilobate,  il  quale 
appena  costruito  si  vide  rivestito  di 
lapidi  scritte  ad  onore  dei  tumulati. 
In  progresso  di  tempo  questa  im- 
ponente fabbrica  gareggierà  in  gran- 
dezza e  in  magnificenza  co' più  de- 
corosi campi  santi  d'Europa,  e  darà 
occasione  a'  professori  di  scoltura  di 
ornare  le  pareti  delle  arcate  di  mo- 
numenti ,  che  verranno  innalzati  a 
chi  avrà  meritato  di  sopravvivere 
alla  memoria  de'  posteri.  F.  la  Lel- 
tcra  sopra  il  niio^'O  ciiiiiterio  di  Ro- 
ma,\\\  scritta  a' 24  settembre  i835, 
e  pubblicata  colle  stampe. 

Nella  Raccolla  ddlc  leggi  e  dlspo- 
dizioni  di  pubblica  ainnìiiiislrazione, 
emanate  nel  presente  pontificato , 
nel  voi.  I.  del  i836  a  pag.  SSp , 
si  legge  la  circolare  del  CarcUnal  vi- 
cario a'  parrochi  di  Roma  sulla 
costruzione  ed  attivazione  di  questo 
ciraiterio.  A  pag.  34o,  vedesi  il  di- 
vieto di  contrattare ,  e  concedere 
nuovi  locali  per  sepolture  e  sepol- 
cri entro  Roma.  A  pag.  34 1  stanno 
le  condizioni  colle  quali  si  permet- 
te la  tumulazione  nei  sepolcri  gen- 
tilizi. A  pag.  342  vi  sono  gli  ordi- 
ni e  le  tasse  per  la  concessione  dei 
sepolcri  separati  nel  pubblico  cimi- 
terio,  ed  a  pag.  344  '^  disposizioni 
pei  funerali  a  beneficio  delle  par- 
rocchie, a  pag.  34^1  il  regolamento 
pel  trasporto  e  tumulazione  de'  ca- 
daveri, a  pag,  35 1  la  circolare  del 
Cardinal  vicario  ai  superiori  delle 
chiese  di  Roma,  affinchè  si  confor- 
mino alle  disposizioni  intorno  il  nuo- 
vo pubblico  cimiterio  di  s.  Lorenzo. 


GIN  155 

Finalmente  il  defunto  Cardinal  della 
l'orla  vicario  di  Roma,  con  editto  dei 
aG  aprile  1841,  In  vati  tempi  ec,  ha 
lichiamato  all'  osservanza  la  vene- 
razione e  il  rispetto,  che  .si  deve 
alle  catacombe  e  ai  cimiteri,  riguar- 
dati dagli  antichi  cristiani  come  le 
prime  chiese,  come  asilo  di  tanti 
santi,  e  come  testimoni  solenni  dei 
più  gloriosi  trionfi  di  tanti  cam- 
pioni  della  vera  Religione. 

CINA,  o  CHINA.  Vasto  e  pos- 
sente impero  continentale,  situato 
nella  parte  orientale ,  e  media  del- 
l'Asia ,  il  più  antico,  il  più  ricco, 
non  però  in  proporzione  de'  suoi 
abitanti  e  alla  sua  estensione.  Certo 
è  però,  che  l' impero  è  il  più  po- 
polalo di  quanti  presentemente  esi- 
stono, giacché  i  suoi  abitatori  ascen- 
dono, secondo  i  più  ragionevoli  cal- 
coli, e  desunti  dal  censimento  re- 
golare del  governo  cinese ,  proba- 
bilmente a  cento  cinquantacinque 
milioni,  compre.so  il  Tibet,  la  ]Mon- 
gollia,  e  la  IMantsciuria ,  nella  Tar- 
la ria  cinese.  I  popoli  che  lo  abita- 
no, non  gli  danno  nella  loro  lin- 
gua altro  nome  che  l' impero  cele- 
ste, il  Mondo,  il  Regno  del  mezzo,  il 
Fiore  del  mezzo,  o  Centro  della  ter- 
ra, e  talvolta  lo  chiamano  col  no- 
me della  dinastia  regnante,  che  og- 
gidì è  Thsing,  o  Mantsciuri ,  cioè 
Cim.  Gli  arabi  la  denominano  Sin, 
i  russi  e  i  letterati  del  secolo  XV 
Cathay,  e  Tho  i  giapponesi.  Della 
Cina ,  o  Serica  degli  antichi ,  il 
veneto  Marco  Polo ,  e  il  Cardinal 
l'iacido  Zurla  (colle  opere  che  ci- 
teremo alla  sua  biografia)  ed  altri 
ci  diedero  preziose  nozioni.  Lascian- 
do il  dettaglio  di  queste  ai  geografi, 
sol  qui  ci  limiteremo,  giusta  il  di- 
visamento  del  nostro  Dizionario,  di 
accennare  le  principali  notizie  eccle- 
siastiche sull'origine  e  progresso  del 


,^r,  GIN 

cnUolicisino  In  qucsle  immense  ve- 
i^iiMii,  nelle  quali  per  aecorlo,  seb- 
bene rigoroso  princi[)io  adottato  dal 
governo,  è  impedita  ogni  comuni- 
cazione al  di  fuori  colle  nazioni  stra- 
niere; principio,  che  ora  sembra  pros- 
simo a  solliire  una  erisi  a  cagione 
della  potenza  brittanica  che  fa  guer- 
ra al  paese,  con  qualche  successo. 

Se  si  considera  la  sola  regione 
della  Cina,  senza  comprendervi  le 
conquiste,  essa  ha  per  limile  all'est 
l'oceano,  al  nord  una  gran  mura- 
glia, che  lìancheggiata  pel  vasto  trat- 
to di  cinquecento  leghe,  da  circa 
quarantacincjuemila  toni,  la  divitle 
dalla  Mongollia,  e  Mantseiuria,  al- 
l'ovest il  Thibet  e  l'impero  Bir- 
manno,  ed  al  sud  Tonchino,  e  l'  o- 
ceano.  La  della  famosa  muraglia, 
eh' è  alla  quarantacinque  pietli,  con 
proporzionata  larghezza ,  fu  eretta 
dagli  antichi  cinesi  lamio  '?.^[G  avan- 
ti la  nascita  di  Gesù  Cristo,  per 
meglio  assicurarsi  dalle  invasioni  ilei 
tartari.  Ma  se  poi  vuole  risguardar- 
si  r  impero  cinese  e  i  suoi  regni 
tributarii  o  dipendenti,  secondo  l'at- 
tuale esistenza  politica,  esso  si  esten- 
de dal  19."  al  ^6."  lat.  N.  ,  e  in 
(pianto  alla  longitudine  nella  parie 
settentrionale  occupa  dal  60.°  al 
i32.",  o  nella  meridionale  dall' 8'>." 
al  c)8.°,  ed  allora  vedesi  continuare 
all'  est  coll'oceano,  e  al  sud  coll'o- 
ceano  medesimo,  e  coll'lndo  (iliiiia, 
ali  ovest  colla  Buckaria,  ed  al  nord 
colla  Russia.  Secondo  T  otiierno  si- 
slenia  di  amministrazione  colle  quin- 
dici antiche  provincia  della  Cina  , 
ciaseima  delle  quali  equivale  ad  un 
popoloso  regno  europeo ,  si  sono 
formale  le  veni'  ima,  nelle  quali  è 
pi'esentemcnte  diviso  l'impero.  Ec- 
co il  nome  delle  quindici  antiche 
Provincie  cinesi.  I.  Pet-chi-li,  o  ita- 
lianamente Petscieli,  ovvero  Pe-cc-Ii , 


GIN 

il  di  cui  capoluogo  è  PiKìnn  (  Fé- 
di).  Ola  la  ca[)it;ile  di  tutto  l'impe- 
ro cinese.  11.  Chan-si  o  Sciansi,  il 
cui  capo  luogo  è  Taycn-Fu,  o  Tai- 
quen-fu.  111.  Xensi  ,  o  Chen-si,  o 
Sciensi,  che  ha  per  capo  luogo  Sin- 
gau-i''u.  IV.  Chang-Toiig  o  Scian- 
tum,  il  di  cui  capo  luogo  è  Tsinan- 
Fu.  V.  Kiam-Nan  ,  che  riguardasi 
come  il  centro  della  navigazione,  l'a- 
nima del  commercio,  e  l' emporio 
di  tutta  la  ricchezza  industriale  di  (pic- 
slo  grande  impero,  il  quale  ha  Nan- 
hin  (^Fcdi')  per  capoluogo,  seconda 
città,  e  già  capitale  dell'impero: 
inoltre  nella  detta  provincia  si  com- 
prende r  isola  Zum-lMim.  VI.  Ge- 
kiam,  il  cui  capo  luogo  è  Ilan-ceu- 
Fu.  VII.  Fou-kian,  o  Fukien,  che 
ha  per  capoluogo  Fu-ccu-Fu,  ed 
inoltre  ha  l'isola  Formosa,  di  cui 
^  capitale  Tayoan-Fu.  Vili.  Kuam- 
Tum,  la  più  considerevole  fra  le 
Provincie  meridionali  cinesi,  il  cui 
capo  luogo  è  Canton  o  Kivam-ceu- 
Fu,  che  può  chiamarsi  la  terza  cit- 
tà dell'  impero,  con  ampio  e  rino- 
mato porto,  il  solo  che  gli  Europei 
possono  frequentare.  La  detta  pro- 
vincia ha  pure  la  celebre  isola  J/rf- 
cao  i^f^cdi) ,  Sanciano  o  Sian-chu- 
en,  isola  nella  quale  morì  l'aposto- 
lo dell'oriente  s.  Francesco  Saverio 
della  compagnia  di  Gesù;  nonché 
l'allia  is(j|a  Hainan,  e  il  capo  luo- 
go Kium-ceu.  IX.  Kuam-si,  o  Gang- 
si,  il  ili  cui  capo  luogo  è,  Ruei-Sini- 
Fu,  o  Keilen.  X.  Yun-Xan,  che  ha 
la  bella,  e  vaga  città  di  Yun-Nan- 
Fu  per  capo  luogo.  XI.  Se-Tchuan 
o  Su-ciiien,  che  por  capo  luogo  ha 
Ciin-Tu-l'\i.  XII.  IIo-Nan,  nel  cen- 
tro dell'  impero  cinese  ,  chiamala 
perciò  Giardino  dflla  Ciiict,  con 
Khai-Fom  Fu  per  capo  luogo.  XIII. 
Kou-Covang  o  Hu-Kuam,  il  di  cui 
capuluogo    chiamasi     Wou-Tchang- 


GIN 
Fu,  ovvero  U-Ciam-Fu.  XIV.  Ku- 
ei-ceu,  con  Kuci-Yam-Fu  per  capo 
luogo.  XV.  Rian-si,  che  ha  per  ca- 
po hiogo  Nan-Tchang  Fu,  o,  come 
altri  dicono,  J\am-ciam-fu. 

La  storia  della  Cina  risale  con 
certezza  al  ventesimo  secondo  secolo 
avanti  l'era  volgare,,  comechè  alcu- 
ne tradizioni  facciano  rimontare  l'e- 
poca quattro  secoli  prima,  cioè  ver- 
so l'anno  2678  avanti  la  venuta  del 
Salvatoi'e,  ciò  che  per  altro  dai  buo- 
ni critici  si  ritiene  per  favoloso,  giac- 
ché la  detta  epoca  va  di  molto  avan- 
ti al  diluvio  secondo  la  Volgata.  Il 
re  lioang-ti  Fou-hi  passa  pel  fon- 
datore del  cinese  impero;  ma  vera- 
mente fu  Yao  il  primo  principe,  di 
cui  siasi  parlato  nel  Chou-king , 
il  piìi  autentico  tra  i  classici  libri 
cinesi.  Yu,  suo  secondo  successore, 
fondò  la  prima  linea  di  successione. 
Dopo  questa  dinastia,  altre  ventuna 
occuparono  il  trono,  ma  probabil- 
mente non  l'intera  Cina;  dappoi- 
ché i  primi  l'e  non  sembrano  aver 
regnato  nelle  provincie  del  centro, 
e  del  nord  ovest,  YHo-nan,  il  Sciali- 
sì,  ed  il  Scicns-si  ,  nelle  quali  si 
ha  ragione  di  credere,  dia  abbia  in- 
cominciato la  civilizzazione  cinese. 
Non  è  se  non  progressivamente,  che 
il  loro  dominio  si  estese  alle  pro- 
vincie situate  sul  Kiang  o  Kiam, 
uno  dei  due  piìi  grandi  fiumi  del- 
la Cina,  nome  che  significa  figlio 
del  mare  a  cagione  della  profondi- 
tà, ed  ampiezza  delle  sue  acque, 
mentre  l'altro  fiume  chiamasi  Ilo- 
ang  dal  colore  delle  sue  acque  gial- 
le. Dipoi  le  contrade  al  di  là  del 
fiume  Kiang,  o  Riara,  abitate  da 
popoli  barbari,  furono  riunite  all'im- 
pero. Quelle  che  lo  formano  attual- 
mentCj  non  sono  le  sole  che  ne  ab- 
biano un  tempo  fatto  parte.  Il  Ton- 
kino,  e  la  Cochinchina  sino  al  Carn- 


ei N  i57 

l)oja  furono  cangiate  sotto  gli  Han 
in  provincie  cinesi,  coi  nomi  di  Fu- 
Nan,  e  di  li-Nan.  Tutta  la  piccola 
Eiikai  ia,  la  Trausosana,  ed  anche 
ima  parte  della  Persia  furono  egual- 
mente divise  sotto  gli  Han  in  pro- 
vincie ,  dipartimenti  e  circondari. 
Ad  altre  epoche  al  contrario  le  na- 
zioni tarlare  invasero  delle  porzio- 
ni più  o  meno  considerabili  del  ter- 
ritorio impciiale.  Della  tribù  di  raz- 
za turca,  e  tongusa  formarono  sta- 
bilimenti nel  Scian-si,  nel  Scìeii- 
Kiii ,  e  nel  Tchi-lì ,  ovvero  Ce-li. 
Una  nazione  di  origine  tibetana  for- 
mò nei  paesi  ,  che  ora  chianmnsi 
Sccn-si,  o  Ka-sii,  un  regno,  ch'eb- 
be qualche  celebrità  sotto  il  nome 
di  Tangut.  Due  popoli  usciti  dalla 
Tarlarla  orientale,  s'impadronirono 
di  tutto  il  nord  della  Cina ,  e  vi 
formarono  degli  stati  potenti  sotto 
i  nomi  di  Khilans,  e  di  Altun-Khans, 
cioè  re  d'oro.  Questi  ultimi  furono 
in  seguito  soggiogati  dai  Mongolli, 
che  terminarono  pure  di  sottomet- 
tere la  dinastia  cinese  dei  Sani 
o  Soiuig  iitii-ati  nel  mezzodì.  A  que- 
sta epoca  la  Cina  intera  riconobbe 
per  la  prima  volta  una  straniera 
dominazione,  cptclla  dei  discendcnli 
di  Tenchinghis-Ran,  stato  che  dinò 
meno  di  vent'  anni,  dopo  i  quali  i 
cinesi  cacciarono  i  Mongolli,  e  gli 
obbligarono  a  ritornare  al  nord  del- 
la gran  muraglia.  Finalmente  nei 
primordi  dei  secolo  decimoseltimo  i 
mandsciuri  tartari  della  stessa  razza 
degli  Altun-Rhans,  profittando  dei 
torl)idi  ond'era  sconvolta  la  Cina, 
vi  entrarono  come  ausiliari.  Dap- 
poiché verso  il  1644  l'impero  es- 
sendo stato  invaso  da  ladroni  co- 
mandati da  certo  Tesciang,  o  Te- 
Sciaìì),  l' imperatore,  per  non  cade- 
re nelle  loro  mani,  uccise  la  pro- 
pria  figlia,  e  poi    si  appiccò.    Ed  è 


i5«  GIN 

peiciò,  che  essendo  stali  chiamati  i 
tartari  dai  cinesi  per  domare  l'in- 
solenza de' ladroni,  trionfarono  di 
essi,  entrarono  vittoriosi  in  Pekino, 
sacclici^^iarono  le  case,  e  termina- 
rono col  porre  sul  trono  uno  de'lo- 
ro  capi,  che  fu  il  primo  imperato- 
re delia  dinastia  regnante,  il  quale 
chiamasi  Thising  di  Tougse ,  o  per 
dir  megho  Cim,  dopo  averne  discac- 
ciato r  usurpatore  Tesciang.  Con- 
ta questa  dinastia  già  sei  impe- 
ratori, compreso  quello,  che  ora 
occupa  il  trono,  il  quale  discen- 
de dall'imperatore  Kia-Ring  ,  che 
essendo  il  diciassettesimo  figlio  del- 
l'imperatore Kien-Long,  questi  nel 
1796  a  di  lui  favore  abdicò  il  tro- 
no. Due  principi  di  questa  ultima 
dinastia  contribuirono  ad  innalzare 
la  Cina  ad  un  grado  di  splendore 
eguale  a  quello,  a  cui  era  giunta 
nelle  epoche  più  floride. 

La  Cina  deve  pure  alla  dinastia  re- 
gnante il  celebre  trattato  di  pace  colla 
Russia,  che  fissò  i  limiti  de'due  im- 
peri ,  la  distruzione  della  potenza 
degli  Olets,  e  la  sommissione  della 
Tartaria  occidentale,  della  piccola 
Bukaria,  e  quella  del  Thibet,  che  ne 
fu  la  conseguenza.  I  Russi  per  un 
articolo  del  loro  trattato,  manten- 
gono a  Pekino  un  collegio  sotto  la 
direzione  di  un  archimandrita.  Mer- 
canti bukari,  persiani,  ed  arabi  vi 
arrivano  ad  epoche  diverse  pel  com- 
mercio; vi  si  trovano  degli  armeni, 
degli  ebrei,  dei  lamas  del  Thibet, 
e  dei  pellegrini  indiani.  In  Canton 
poi  sono  ammessi  a  soggiornare  va- 
ri europei  intenti  alla  negoziazione. 
Il  giorno  piìi  festivo  dell'anno  nella 
Cina,  si  celebra  nel  dì  i5  della 
prima  luna,'  corrispondente  al  mese 
di  marzo,  e  l' imperatore  lo  celebra 
colla  massima  pompa,  e  in  presen- 
za degli  agricoltori,  che  il  governo 


CIN 

grandemente  protegge.  Si  onora  in 
tal  dì  il  Tien ,  cioè  //  Cielo ,  con 
fogli  un  sagiifizio,  maneggiando  lo 
stesso  principe  1'  aratio,  alla  fòggia 
degli  antichi  monarchi  dell'oriente. 
Nella  Cina  si  distinguono  varie 
religioni  o  sette.  La  prima  è  la  re- 
ligione naturale,  eh' è  quella  dei  let- 
terali e  del  governo,  che  impropria- 
mente alcuni  qualificaiono  ateismo. 
La  seconda  è  quella  della  filosofia, 
Lo-Kyun,  eh' è  la  religione  attuale 
di  Confucio  alquanto  corrotta.  La 
terza,  è  quella  di  Fu,  consistente  in 
una  grossolana  idolatria,  la  quale 
incominciò  poco  dopo  la  nascita  di 
Gesù  Cristo  sotto  l' imperatore  Min- 
ti, seguendo  i  principii  di  Rama,  o 
Xechia.  La  quarta  è  quella  di  Jukiao, 
eh' è  una  modificazione  ragionevole 
della  prima,  che  ebbe  principio  nel- 
l'anno 1070,  e  poscia  verso  il  i4oo 
fu  abbracciata  dall'  imperatore.  Tut- 
te queste  sette  però  convengono  nel 
credere  il  principio  del  cielo,  e  del- 
la terra,  e  l'anima  del  mondo,  prin- 
i;ipio  che  appellasi  Sciainniiisnio. 
Hanno  i  cinesi  i  loro  templi  dì  e 
notte  aperti,  regna  tra  loro  la  su- 
perstizione, alinìentala  principalmen- 
te dalla  credenza  della  trasmigra- 
zione dell'  anima ,  alta  a  sostene- 
re le  frodi  dei  loro  bonzi  o  sa- 
cerdoti, dall'  arte  di  consultare  gli 
spiriti,  e  dalla  operazione  misterio- 
sa ,  che  riguarda  la  positura  de- 
gli edifizi,  e  delle  tombe.  Evvi  la 
setta  anco  degli  Epicurei  assai  este- 
sa, non  pensando  essi  se  non  che  a 
saziare  le  loro  voglie,  ed  a  riporre 
tutta  la  felicità  della  vita  nei  pia- 
ceri. Nella  Cina  vi  è  pure  tollerato 
il  giudaismo,  il  maomettanismo,  ed 
alile  sette.  Molli  sono  i  giudei,  non 
però  in  lutti  i  luoghi,  i  quali  sem- 
l3rano  cinesi,  e  possono  occupare 
cariche,  ed  aver  sinagoghej  ove  im- 


GIN 

perfetta  mente  osservano  la  legge 
mosaica.  Il  cristianesimo  poi,  dallo 
zelo  degli  evangelici  banditori  in- 
trodotto, ha  sovente  sofferto  le  piìi 
accanite  persecuzioni,  che  andiamo 
ad  accennare,  insieme  all'origine 
del  cristianesimo.  Sulle  divei'se  città 
della  Cina,  e  di  ciò  che  le  riguar- 
da, veggasi  il  Berguer. 

E  comune  opinione  dei  cristiani, 
che  l'apostolo  s.  Tommaso  predi- 
casse la  fede  di  Gesù  Cristo  dap- 
prima nelle  Indie,  e  che  di  là  si  re- 
casse nella  Cina  ;  sentimento  conforme 
a  ciò,  che  si  legge  nell'  uffizio  della 
chiesa  di  Malabar,  il  giorno  della 
festa  di  questo  santo  apostolo:  »  Per 
»  opera  di  s.  Tommaso  disparvero 
»  gli  errori  della  idolatria  nelle  In- 
"  die.  Per  s.  Tommaso  i  cinesi  e 
"  gli  etiopi  sono  slati  convertiti  al- 
»  la  cognizione  della  verità,  e  della 
"  fede.  Per  s.  Tomnjaso  hanno  ri- 
»  cevuto  il  sagramenLo  del  batle- 
"  simo ,  e  r  adozione  dei  fìgliuo- 
»  li.  .  .  .  Per  s.  Tommaso  il  regno 
»  di  Dio  è  volato,  ed  è  salito  fino 
»  alla  Cina.  .  .  .  GÌ'  Indiani,  i  Ci- 
"  nesi  e  i  Persiani  adorano  il  san- 
"  lo  nome  nella  commemorazione 
"  di  s.  Tommaso  ".  Alcuni  asseri- 
scono la  propagazione  della  fede  nel- 
la Cina  nel  terzo  secolo,  o  almeno 
che  si  ravvivasse  in  detta  epoca ,  e 
maggiormente  si  dilatasse. 

Nelle  costituzioni  sinodali  dell'ar- 
civescovile chiesa  di  Cranganor,  ev- 
vi  un  canone  di  Teodosio  patriar- 
ca, secondo  il  quale  i  patriaichi  del- 
le regioni  lontane  (nominandosi  in 
primo  luogo  la  Cina)  vengono  di- 
spensati dal  recarsi  a  riconoscere  il 
patriarca  di  Malava,  ed  in  vece  ogni 
sei  anni  spediscono  lettere  commu- 
nicatorie  sulla  medesima  fede.  Al- 
lorquando i  Portoghesi  discojjersero 
le  Indie,    il    sacerdote   delle    chiese 


GIN  1% 

nei  monti  di  Malabar,  s' intitolava 
metropolitano  delle  Indie,  e  della 
Cina,  facendo  altrettanto  quelli  che 
lo  avevano  preceduto,  e  che  succes- 
sero. E  pure  indubitato,  che  i  cine- 
si portavano  le  loro  merci  nell'isola 
di  Tapobrana,  presso  la  costa  di 
Malabar,  nella  quale  eravi  una  chie- 
sa de'  Persiani,  con  un  sacerdote,  e 
ministri,  nella  metà  del  sesto  secolo. 
Laonde  potevano  benissimo  appren- 
dere il  cattolicismo  se  anco  presso 
loro  si  fosse  dimenticato.  Anzi  si  ri- 
tiene che  l'istituzione  del  metropo- 
litano della  Cina,  sia  anteriore  a 
quello  delle  Indie,  pel  riflesso  che, 
essendo  le  chiese  dell'India  sogget- 
te alla  giurisdizione  del  metropolita 
persiano,  e  questo  trascurandole,  Ti- 
moteo I  cattolico  di  Seleucia  cre- 
dette utile  il  dare  vui  metropolita- 
no agi'  Indiani,  nel  modo  stesso  che 
la  chiesa  della  Cina  avea  già  il  suo 
da  molto  tempo  innanzi  ;  lo  che 
probabilmente  avvenne  circa  l'anno 
780.  Da  un  monumento,  che  si 
rinvenne  nel  iGsS  nella  provincia 
di  Chen-Si  o  Xeiisi  presso  la  capi- 
tale Singan-fu,  sembra  che  la  reli- 
gione cristiana  nell'  anno  63 1  esi- 
stesse indubitatamente  nella  Cina.  Ciò 
produsse  immensi  vantaggi  al  dila- 
tamento della  fede,  massime  in  Ken- 
si,  a  Ransi,  ed  in  Foklen,  che  di- 
venne   piena  di  cattolici. 

Dopo  r  erezione  del  monumento, 
eh'  era  una  gran  tavola  di  marmo, 
segnata  di  una  croce  in  cima,  coi 
principali  articoli  della  fede  in  Cine- 
se ,  la  religione  cristiana  dovette 
mantenersi  nella  Cina  ancora  per 
qualche  tempo.  Racconta  il  Renau- 
dot,  che  due  viaggiatori  arabi,  l'u- 
no neU'SSi,  l'altro  nell' 877  visi- 
tando la  Cina,  vi  trovarono  de' cri- 
stiani, una  gran  parte  de'  quali  pe- 
ri nella  seconda  epoca  in  una  livo- 


lii/iono.  Sì  sa  ancora  clic,  verso  il 
fine  del  dociino  secolo,  i  cattolici  di 
.Scleucia,  cioè  il  patriarca  de'iiesto- 
viani  seguendo  l'esempio  de'  suoi 
})redccessori,  mandò  degli  ecclesiasti- 
ci nella  Cina.  Clic  i  nesLoriani  aves- 
sero portata  la  loro  setta  sulla  co- 
sta del  JMalabar  nelle  Indie,  e  nella 
filande  Tarlarla,  e  che  penetrassero 
nella  Cina  e  \i  si  stabilissero,  lo  aller- 
niano  molti  scrittori  orientali,  e  il 
r^ei-gier  JJiz.  E/iciclop.  alla  parola 
Cina,  difende  i  missionari  apostoli- 
ci dalla  imputazione  di  aver  imma- 
ginato il  ritrovamento  del  sudde- 
fccritto  monumento,  che  il  magistra- 
to cinese  fece  trasportar  nel  tempio 
dei  bonzi.  Dal  secolo  decimo  in  poi 
Aciamente  nulla  si  sa  della  chiesa 
cinese,  e  vuoisi,  che  in  progresso 
vi  perisse  senza  conoscersene  il  mo- 
tivo. Il  coraggioso  viaggiatore  IMar- 
co  Polo,  (;he  nel  declinar  del  secolo 
Xill  visitò  quasi  tutti  i  paesi  di 
oriente,  riferisce  di  aver  veduto  nel- 
la Cina  due  chiese  nella  città  di 
Ì5ingan-Fu,  edificale  da  ftlar-Sergio, 
fatto  vescovo  di  quella  città  dal 
Gran-Chan  nel  1288,  ma  non  erano 
che  reliquie  di  un  cristianesimo  spi- 
rante, e   toccante  il  suo   termine. 

Dopo  lAIarco  Polo  si  obbliò  1'  esi- 
stenza della  Cina,  finché  una  flotta 
jìortoghese,  comandala  da  Ferdinan- 
do Perez  d'Andrada,  ne  fece  di 
nuovo  la  scoperta  verso  l'anno  1 5  1  7, 
e  giunse  pel  primo  a  Canton.  Som- 
mo era  il  rigore  de' cinesi  contro  gli 
estranei,  i  quali  se  avessero  posto  pie- 
de nel  loro  paese  venivano  subito  uc- 
cisi, il  perchè  rimase  per  tanto  lem- 
])o  ignoto  s"i  vasto  impero.  Solo  la 
l()rza  del!'  interesse  fece  aprire  il 
trallico  Ira  la  Cina,  e  i  portoghesi. 
(Questi  non  trovarono  alcun  segno 
della  religione  cristiana,  per  lo  che  si 
e  acceso    lo  zelo    de' missionari    in- 


CIN 

tenti  a  ridurre  sì  bella  ed  estesa 
parie  del  inondo  alla  vera  luce  del 
vangelo,  e  alla  cattolica  religione 
])er  le  cure  de'  Sonnni  Pontefici. 
Sebbene  a' Gesuiti  benemeriti  si  tlia 
il  vanto  di  essere  stati  i  primi,  che 
do[)o  la  scoj)erta  de'  portoghesi  pe- 
netrassero nella  Cina  a  predicarvi 
la  vera  fede,  pure  alcuni  vogliono 
che  fossero  slati  preceduti  da'missio- 
narii  portoghesi,  e  castigliani,  i  ipia- 
li  vi  passarono  dalle  isole  Filip[>ine. 
Quindi  il  p.  Gaspare  de  la  Croix 
domenicano  portoghese,  essendo  giun- 
to in  Goa  nell'almo  i548,  con  un- 
dici de' suoi  compagni  lutti  dome- 
nicani, ed  avendo  fondato  un  con- 
vento al  suo  Ordine,  prima  si  recò 
nel  regno  di  Caniboya,  nell'India 
ulteriore,  passò  dipoi  nella  Cina  nel 
i55G,  e  molto  soffrì  per  la  fede. 
La  relazione  del  suo  viaggio,  e  del- 
le sue  apostoliche  fatiche  fu  stam- 
pata ad  Evora  nel  1  oGg.  Inoltre 
osserva  il  p.  Echard,  dopo  Domeni- 
co Navarette,  che  i  pp.  Martino  ile 
Piada,  e  Girolamo  Maria  erano  en- 
trati nella  Cina  nel  iSjS.  Tulta- 
volta,  come  poi  si  dirà,  Gregorio 
XIII,  ed  altri  considerarono  i  Ge- 
suiti pei  primi  introduttori  della  ve- 
ra religione  nella  Cina.  Certo  è,  che 
apertosi  nel  i555  il  trafìfico  tra  i 
j)oitoghesi  e  i  cinesi,  questi,  come 
dicono  alcuni,  donarono  a  quelli  Ma- 
cao, luogo  allora  di  ricovero  ai  pirati 
cinesi.  Certo  è  però  che  ìMacao  è  dei 
cinesi,  non  dei  portoghesi.  In  quell'an- 
no il  p.  Melchiorre  Nunez  gesuita, 
imbarcatosi  pel  Giappone,  dalla  tem- 
pesta fu  balzato  nell'  isola  di  Saa- 
ciano,  ove,  a' 2  dicembre  i552,  ei'a 
morto  s.  Francesco  Saverio  della 
stessa  compagnia  di  Gesìi.  Quel 
santo  aveva  concepito  appunto  il  dise- 
gno di  predic^ire  il  vangelo  ai  cinesi 
e  convertirli,  ma  la  morte  impedì  che 


CI>.' 

lo  portasse  ad  effetto.   Indi   il  p.  Mel- 
chiorre si  recò  a  Cantori,  e  coU'aiuto 
de'  mercanti    gli    riuscì    penetrare    a 
Quanceu,  capitale  di  quella  provinciaj 
senza   però    ricavai'ne  vantaggio    al- 
cuno.  Ma,    nel    i562,   avendo    Gio- 
vanni  HI   re    di    Portogallo    inviato 
per  ambasciatore  all'  imperatore  del- 
la Cina  il  conte  Diego  Pereira,  in- 
sieme ai  padri  gesuiti  Perez,   Tessei- 
ra,    e  Pinto,  si  trattennero  essi  due 
anni  in  Macao,  e  battezzarono  molti 
schiavi  cinesi,  de'quali  schiavi  nove- 
cento portoghesi  abbondavano;  però  i 
mandarini  che  sono  ufficiali  dell'im- 
pei'o,    non    permisero    loro    d' inol- 
trarsi in  esso.  Riuscì  poi,  nel  i58i, 
d' introdurvisi  al  p.    Michele    Rug- 
gieri j  il  quale  fu  il  primo  che    ot- 
tenne licenza  di  trattenervisi,  aven- 
do pure  la  religiosa  consolazione  di 
battezzare  pubblicamente    molti    ci- 
nesi. Fu  allora    che  il   p.    Ruggieri 
scelse  alcuni   individui,    li    condusse 
a  Macao,  e  quivi,  con  un  pio    soc- 
corso,  edificò    una    piccola    casa    in 
forma  di  seminario. 

Nell'anno  seguente  si  asrsriunse 
al  detto  gesuita,  il  correligioso  p. 
Matteo  Ricci.  Per  quello  che  entram- 
bi operarono  tra  i  cinesi  ,  sono  ri- 
guardati come  due  apostoli,  tradu- 
cendo essi  persino  in  cinese  la  dot- 
trina evangelica.  Siccome  poi  que- 
st'ultimo era  profondo  matematico, 
per  l'amoi'e  che  i  cinesi  portano  a 
tal  scienza,  si  guadagnò  l'  ammira- 
zione non  solo  della  corte,  ma  del- 
lo stesso  imperatore  \'anliè.  \enuto 
di  tutto  in  cognizione  Gregorio  XIII, 
che  sino  dal  iSji,  governava  la 
Chiesa,  dichiarò  a'  soli  gesuiti  com- 
petere la  propagazione  della  fede 
nella  Cina,  e  nel  Giappone.  Sotto  il 
medesimo  pontificato,  per  opera  dei 
gesuiti,  l'arcivescovo  di  Angamale  o 
Cranganor,    abiurati    gli    errori    ne- 

VOL.    XIU. 


GIN  i6i 

storiani,    si   pose    all'ubbidienza    di 
Gregorio  XIII;   Giovanni  re    dell'i- 
sola Ceylan,  che    alcuni    dicono    sia 
l'antica     Taprobana     o    Trapobana, 
con  più  di   ventimila  sudditi  si  con- 
vertì al  cristianesimo;  ed  egualmente 
per  opera  de' gesuiti,  i  re  di  Bungo, 
di  Arima,  e  di  Omuro  nel  Giappone, 
inviarono    una  splendida  ambasceria 
ubbidienziale  a  Gregorio  XIII.  Tut- 
tavolta  non  andò  guari  che  i  padri 
Ruggieri,  e  Ricci,  perseguitati  dagli 
idolatri     discacciati  dalla    reggia    di 
Pekino,  nel   iSgs,  passarono  a  ÌNan- 
kino     aprendovi    una    casa .     Quivi 
ancora    espulsi,    risolvettero    far    ri- 
torno alla  prima    città,  ove,    dopo 
avere  superate  non  poche  contrarie- 
tà, cortesemente    fu  loro    accordata 
vma  casa  per  abitazione.  In  progres- 
so i  gesuiti  aprirono  nella  Cina  quat- 
tro collegi,    mentre    Clemente  Vili 
zelando  di  profittare  di  sì  fortunati 
priucipii,  colla  costituzione.  Onerosa^ 
de'  12  dicembre    1600,   Bull.    Rom. 
tom.   V,    part.    II,    p.    3 2 3,    abilitò 
alle  missioni    della     Cina     tutti    gli 
Ordini     rehgiosi,    e    precipuamente 
quelli  mendicanti,    coli' obbligo   pri- 
ma di  recarsi  in  Portogallo,  da   do- 
ve sarebbono    inviati    per    la    Cina 
dai  propri  superiori.    T^.  lo  Sponda- 
no,  Annal.  Eccl.  anno   1600,  num. 
26. 

Nel  1606  insorse  nuova  persecu- 
zione contro  i  gesuiti,  i  quali  furono 
costretti  partire  da  Pekino,  e  ritornare 
a  JVIacao.  La  divina  Provvidenza  pe- 
rò, dopo  aver  scampato  dalla  morte 
il  p.  Ricci,  giunto  esso  a  Canton,  un 
mandarino  gli  diede  permesso  di 
retrocedere  a  Pekino,  ove  poi  san- 
tamente finì  i  suoi  giorni  nel  16 io, 
lasciando  alla  Cina  più  di  trecento- 
mila  cristiani.  A  lui  succedette  il 
p.  Longobardi.  JVel  seguente  anno 
in  Nankino  il  gesuita  p.  Vagnoui 
1 1 


iGo.  GIN 

fdificò  un  maestoso  tempio  ad  ono- 
re (li  Dio,  tradusse  in  cinese  la  for- 
mula del  haltesimo,  e  preparò  am- 
pia via  air  ulteriore  conversione  di 
<jue' popoli.  Indi  furiosamente  i  bon- 
zi fecero  cacciare  dalla  Cina  i  ge- 
suiti, per  cui  nel  i6i8  tornarono 
in  Macao,  nel  qual  anno  i  tartari 
invasero  la  Cina,  e  quasi  tutta  la 
sottomisero  al  loro  dominio.  Arrivò, 
nel  i6ig,  nella  Cina  il  gesuita  p. 
Trigalzio,  portando  seco  due  brevi 
di  Paolo  V,  che  avea  emanati  sino 
dal  i6i5,  per  meglio  stabilire  la 
fede  in  sì  florida  regione .  Con 
vmo  conceduto  ei'a  ai  missionai'i  di 
poter  celebrare  col  capo  coperto , 
altrimenti  avevasi  un  ostacolo  per 
parte  de' cinesi  neofiti,  che  ostinati 
nelle  loro  cerimonie,  le  celebravano 
col  capo  coperto,  forse  anco  pel  lo- 
ro costume  di  portare  la  testa  rasa, 
ad  eccezione  di  una  ciocca  di  ca- 
pelli, che  conservano  in  cima,  e 
che  sogliono  intrecciare.  V.  Lam- 
berti ni,  toni.  II,  del  sagrifizio  della 
messa  part.  IV,  sez.  I,  p.  174  5  ^ 
il  Raynaud  de  Pìleo  etc.  caetcris 
capitis  tcgniìnìbiis,  t.  Ili,  p.  628. 
Coir  altro  breve ,  de'  25  gennaio 
1 6 1 5,  Paolo  V  decretò,  che  si  po- 
tessero celebrare  i  divini  uffizii,  e 
la  messa  in  lingua  cinese,  e  si  po- 
tesse anco  voltare  in  simile  idio- 
ma r  istruzione  della  cattolica  fede. 
Intanto,  essendo  morto  l' impera- 
tore Vauliè,  gli  successe  il  figlio 
Taican,  e  poco  dopo  il  nipote  Tien- 
chi  o  Tien-Ci,  che  proteggendo  i  ge- 
suiti, nel  1624,  li  fece  tornare  a 
Pekino.  E  siccome  i  cinesi  tengo- 
no in  pregio  quelli,  che  coltivano  lo 
studio  dell'  astronomia ,  avendo  il 
p.  Sciai  egregiamente  spiegato  una 
eclisse  lunare,  la  compagnia  di  Gcsìi 
crebbe  in  estimazione  presso  tulli, 
mentre  il  vangelo  predicavasi    libe- 


CIN 
ramente  in  più  parli.  Nel  1G29  cir- 
ca, fiuono  pubblicamente  baltezzali 
a  Pekino  un  piccolo  figlio  deUim- 
pcralure,  insieme  alla  sua  madre. 
Inlanlo,  avendo  i  tartari  fatta  una 
nuova  irruzione  nella  Cina  arrivan- 
do sino  sotto  le  mura  di  Pekino, 
l'imperatore  ne  partì,  e  grandemen- 
te adirato  contro  la  debolezza  dei 
suoi  dei,  che  non  lo  avevano  assi- 
stito, demolì  i  loro  templi,  e  con- 
vertì in  moneta  gì'  idoli  medesimi , 
che  erano  di  metallo.  Fu  in  questo 
tempo,  che  dalle  Filippine  si  reca- 
rono nella  Cina  tre  domenicani,  due 
de'  quali  furono  uccisi  nel  viaggio. 
Vennero  essi  rimpiazzati  da  un  altro 
domenicano,  e  da  un  agostiniano. 
Nel  1637  entrarono  nella  Cina  an- 
che dieci  francescani,  però  non  ne 
rimasero  che  soli  due.  Nel  medesi- 
mo anno  insorse  una  persecuzione 
de'  bonzi  contro  il  nome  cristiano , 
che  essendosi  ben  presto  sopita  nel 
cambiamento  accaduto  nella  Cina 
nel  )  644)  i"  cui  ascese  al  trono  il 
principe  tartaro  progenitore  della 
regnante  dinastia ,  i  missionari  vi 
guadagnarono  per  la  benigna  incli- 
nazione del  novello  imperatore. 

Nel  pontificato  d' Innocenzo  X 
giunsero  in  Roma  le  notizie  della 
Cina,  e  del  gran  bene  che  vi  face- 
vano i  gesuiti,  insieme  alla  richiesta 
del  p.  Rodes,  per  cui  la  santa  Sede, 
per  mezzo  della  sagra  congregazio- 
ne Cardinalizia,  che  Gregorio  XV 
aveva  istituita  per  la  propagazione 
della  fede,  deliberò  di  spedire  a 
queir  impero  dei  vescovi,  perchè  or- 
dinando colà  sacerdoti,  dilìbndessero 
vieppiìi  il  cristianesimo.  Nel  ponti- 
ficato del  successore  Alessandro  VII, 
alcuni  francesi  si  ofirirono  per  uu 
tcìl  ministero;  ma  considerando  egli 
le  pretensioni  del  Portogallo,  che 
sosteneva  per    concessioni    pontificie 


GIN 

il  diritto  giurisdizionale  sopra  le  chie- 
se della  Cina,  prudentemente  ne  in- 
viò soli  tre  coi  titolo  e  facoltà  di 
vicari  apostolici,  e  col  grado  di  ve- 
scovi in  partibuSj  dando  loro  per 
compagni  fervorosi  ecclesiastici;  locchè 
avvenne  nel  i658.  In  questa  occa- 
sione si  agitò  di  nuovo  con  suppli- 
ca ad  Alessandro  VII  il  punto  del- 
la celebrazione  de'  divini  ufllzii  in 
lingua  cinese,  che,  sebbene  Paolo  V 
ne  avesse  spedito  il  breve,  era  stata 
dappoi  sospesa.  Fu  pertanto  tenuta 
una  congregazione  di  uomini  dot- 
tissimi, ma  nulla  fu  risoluto.  I  lorO 
voti  furono  registrati  nell'  opera  del 
Cardinal  Albizi,  de  iiiconstanlia  ili 
fide,  par.  I,  cap.  34,  dal  u.  43  si- 
ilo al  n.  5o.  Per  terminai"  qui  la 
risoluzione  di  questo  punto,  diremo 
che  poscia  nel  1681  si  mandò  a 
Papa  Innocenzo  XI  un  messale  tm- 
dotlo  in  cinese.  A  tal  fine  venne 
spedito  a  Roma  il  p.  Couplet,  pro- 
curatore generale  delle  missioni  del- 
la Cina,  affine  di  ottenere  l'appro- 
vazione, e  r  uso,  ma  nulla  fu  con- 
cesso. V.  Papebrochio  in  Propylaeo 
ina'd  nelle  vite  de'  Pontefici  Nicolò 
I,  Adriano  II,  e  Giovanni  \III;  il 
Pallavicini,  Storia  del  concilio  di 
Trento  lib.  XVIII  capo  i  o  ;  e  Na- 
tale Alessandro ,  Hist.  Eccl.  saec. 
XV  et  XVI,  Dissert.  XII.  art.  12. 
Al  detto  Innocenzo  XI  poi,  nel  1688, 
arrivò  in  Pioma  1'  ambasceria  del  re 
di  Siam,  composta  di  tre  ambascia- 
tori Tunckiiiesi,  e  di  alcuni  neofiti 
accompagnati  dal  gesuita  Tachard 
francese,  i  quali,  vestiti  alla  cinese, 
presentarono  al  Pontefice  i  regali 
del  loro  monarca.  Innocenzo  XI 
volle,  che  convenientemente  fossero 
trattati  di  alloggio  e  mantenimento, 
e  con  somma  tenerezza  ed  egual 
getierosità  li  rimandò  alla  patria  ca- 
jichi  di  donativi,  come  abbiamo  dal 


GIN  i63 

Bonanni,  Numismata  Pont.  t.  lllj  p. 

779; 

Ritornando  ai  vicari  apostolici 
spediti  nella  Cina  insigniti  del  ca- 
rattere episcopale,  e  con  titoli  in 
partibtis,  dii-emo  essere  Alessandro 
VII  stato  imitato  dai  successori  Cle- 
mente IX,  Clemente  X,  ed  Inno- 
cenzo XI;  ma  il  ministero  porto- 
ghese non  mancò  querelarsi  con  vi- 
gore, perchè  veniva  distrutta  la  re- 
gia autorità  nelle  regioni  cinesi.  Tut- 
tavia dalla  congregazione  di  Propa- 
ganda fide  fu  decretato  nel  settem-? 
bre  1680,  non  essersi  colla  nomina 
de' vicari  apostolici  affatto  pregiudi- 
cato ai  pretesi  diritti  del  Portogal- 
lo, né  potersi  in  riflesso  di  qualsia- 
si pHvilegio  conceduto  a  quella  mo- 
narchia legare  le  mani  al  sommo 
Pontefice,  che  dee  prendere  le  op- 
portune provvidenze  secondo  le  cir- 
costanze, e  pel  miglior  ben  essere 
del  cattolicismo.  Tale  risoluzione 
venne  approvata  da  altre  congrega- 
zioni, e  dalla  suprema  sanzione  del 
venerabile  Innocenzo  XI,  perocché 
era  incompatibile  il  patronato  uni- 
versale della  corona  portoghese  in 
quelle  parti. 

Il  suo  successore  Alessandro  Vili 
nel  1 690,  cedendo  alle  istanze  del 
re  di  Portogallo,  nel  riflesso  che  il 
vescovo  di  Macao  di  lui  padronato 
non  poteva  pascere  l'immenso  ed 
esteso  gregge  cinese,  eresse  in  ve- 
scovati Nankino,  e  Pekino,  dismem- 
brandoli dalla  diocesi  di  Macao  (giac- 
ché dall'  imperatore  della  Cina  si  la- 
sciava libero  l'  esercizio  della  catto- 
lica religione),  e  s' inviarono  vicari 
apostolici  ne'  regni  di  Siam,  Concin- 
cina,  Sciampa,  Cambogia,  ed  altri 
regni  e  provincie  affidate  esclusiva- 
mente ai  detti  vicari.  Calcolavansi 
allora  i  cristiani  della  Cina  a  più 
di  duecento  mila,  novanta  i  missio- 


i64  CIN 

nati,  la  maggior  parte  gesuiti,  ed 
alcuni  domenicani ,  agostiniani ,  e 
francescani,  olire  i  preti  francesi. 
Finalmente  pose  un  termine  alle 
pretensioni  della  corte  portoghese, 
la  saviezza,  e  lo  zelo  d'  Innocenzo 
XII,  il  quale  a  vantaggio  delle  ci- 
nesi missioni  donò  cento  mila  scudi, 
come  si  legge  nella  sua  vita.  iVovaes 
t.  XI.  p.    173. 

Ad  eseguire  gli  ordini  della  sa- 
gra congregazione  di  Propaganda 
nella  Cina  per  la  sopraintendenza  a 
tutti  i  vicari  apostolici,  e  missiona- 
ri dimoranti  in  essa,  fu  creduto  spe- 
diente  a  Clemente  XI  spedirvi  un 
visitatore  apostolico  generale,  cioè 
Carlo  Tommaso  IMaillard  de  Tour- 
iion  torinese,  die  a  tal  effetto  con- 
sagrò nella  basilica  vaticana  in  pa- 
triarca d'  Antiochia.  Lo  incaricò  e- 
ziandio  di  occuparsi  della  famosa 
controversia  sui  riti  permessi  nella 
Cina  dai  gesuiti,  e  gli  diede  a  com- 
pagni degli  ecclesiastici  probi,  e  ze- 
lanti. Fu  nel  1702,  che  il  detto 
monsignor  Toumon  si  pose  in  viag- 
gio pel  suo  destino,  ed  arrivò  nella 
Cina  ai  9  aprile  i7o5,  ove  venne 
accolto  onorevolmente  dall'impera- 
tore, che  destinò  preziosissimi  rega- 
li pel  Pontefice  Clemente  XI.  A  ca- 
gione della  gravità  delle  differenze 
sui  riti  della  Cina,  riesce  indispen- 
sabile farne  qui  una  breve  istoria, 
descritta  fra  gli  altri  da  monsignor 
Lafiteau  nella  vie  de  Clement  XI. 
p.   2 1  r,  e  seguenti. 

Verso  l'anno  55o  avanti  la  na- 
scita di  Gesù  Cristo  fiori  il  celebre 
filosofo  cinese  Confucio, nato  in  Ckan- 
ping  d'una  famiglia  antica  del  regno 
di  Lo,  oggi  Canton,  o  8cian-Tum. 
Dalla  sua  prima  giovinezza  si  acquistò 
gran  nome  per  la  vivacità  dello  spi- 
rito, e  per  la  maturità  del  suo  giu- 
dizio. Essendo  divenuto  mandarino  e 


GIN 

ministro  di  stato,  si  fece  ammirare 
per  la  politica,  e  per  lo  stabilimen- 
to delle  leggi.  Ritiratosi  poscia  dalla 
corte,  si  pose  ad  insegnare  filosofia 
con  tale  applauso,  che  i  suoi  disce- 
poli arrivarono  a  tre  mila.  Settanta- 
due di  essi  superarono  gli  altri  pe- 
rò in  sapere  e  virtìi,  cosicché  anco 
per  essi  i  cinesi  conservano  venera- 
zione. Ma  quella  di  Confucio  è  su- 
periore a  quella  di  tutti  gli  altri  , 
giacche  ogni  città  ha  dei  palazzi 
consagrati  alla  sua  memoria,  sulla 
facciata  de' quali  a  lettere  d'oro  si 
legge  :  Al  gran  maestro  :  All^  Illu- 
stre ;  Al  saggio  re  delle  lettere. 
Quando  alcun  togato  passa  dinanzi 
ad  uno  di  questi  palazzi,  scende  dal 
palanquin,  e  fa  alcuni  passi  a  piedi 
per  rendergli  onore .  Xiuno  vie- 
ne promosso  a  mandarino  ed  a 
cariche  della  toga,  se  non  dopo  di 
essere  stato  dichiarato  dottore  giu- 
sta la  dottrina  di  Confucio,  i  cui  di- 
scendenti sono  tuttora  in  grandissi- 
ma estimazione.  Sono  essi  mandari- 
ni, e  vanno  esenti  dai  tributi  come 
i  principi  del  sangue  imperiale.  Tutti 
quelli,  che  prendono  il  dottorato, 
debbono  fare  un  donativo  ad  un 
mandarino  della  discendenza  di  Con- 
fucio. Vengono  a  questo  filosofo  at- 
tribuiti quattro  libri,  che  sono  di 
grande  autorità  fia  i  cinesi  ;  dei  qua- 
li il  p.  Couplet  ha  tradotti  in  la- 
tino, e  pubblicati   i  tre  primi. 

Venendo  poi  al  punto  della  con- 
troversia, è  a  sapersi,  che  quando 
uno  scolare  doveva  prendere  il  gra- 
do di  dottore,  tutti  gli  accademici 
si  radunavano  in  una  sala  del  col- 
legio, nella  quale  era  esposto  in  un 
quadro  il  nome  del  filosofo  Confu- 
cio ;  e  dopo  avere  resi  a  tal  qua- 
dro quegli  onori  di  rispetto ,  che 
soglionsi  fare  dai  discepoli  agli 
stessi    loro    maestri    ancor    viventi. 


GIN 
allora  il  cancelliere  conferiva  il 
gi-ado  dottorale  al  candidato.  Ma 
nel  i633,  essendo  passato  alle  mis- 
sioni della  Cina  il  p.  Giambattista 
Morales  domenicano  spagnuolo,  con- 
dannò queste  cerimonie,  che  i  gesui- 
ti tolleravano  come  puramente  ci- 
vili. Quindi  per  comando  dell'  im- 
peratore, furono  esiliati  i  domenica- 
ni dall'  impero,  insieme  ai  france- 
scani. Il  p.  Morales  giunto  in  Roma 
nel  1645,  portò  le  sue  lagnanze  a 
Innocenzo  X,  ed  alla  congregazione 
di  Propaganda  fide  tra  gli  altri 
propose  questi  due  dubbi  :  Se  fos- 
se lecito  prostrarsi  avanti  V  idolo 
Cìuinchinchiani?  E  se  fosse  lecito  il 
sacrificare  a  Keumfucum,  o  Kun-fa- 
zu,  cióìi  a  Confucio  ?  Rispose  la  con- 
gregazione con  decreto  pontificio  del 
settembre  164  5^,  vietando  l' una  e 
r  altra  cosa,  a  tutti  i  missionari  di 
qualunque  religione  ed  istituto,  fin- 
ché la  santa  Sede  non  ordinasse  in 
contrario. 

JN'el  successivo  pontificato  di  Ales- 
sandro VII,  giunto  in  Roma  il  p. 
Martini  gesuita,  presentò  al  Papa, 
ed  alla  sagra  congregazione  una  let- 
tera colla  relazione  di  questo  affare, 
in  vigore  della  quale  nel  i656  usci 
un  decreto,  che  permetteva  a'cristia- 
ni  cinesi  le  riferite  cerimonie,  non 
istimate  religiose,  ma  pm'amente  ci- 
vih,  e  come  tali  approvate  dal  me- 
desimo Alessandro  VII  nel  breve , 
che  spedì  nel  i66i  all'imperatrice 
Elena  moglie  d'Ymliè.  Di  questa 
imperatrice  si  parlò  superiormente, 
mentre  di  altra,  coli'  autorità  del 
Novaes,  si  fece  menzione  all'articolo 
Asia.   Vedi. 

Clemente  IX  dipoi  in  un  breve 
del  1669  approvò  il  decreto  di  A- 
lessandro  VII,  ed  altrettanto  fecero 
Innocenzo  XI  nel  breve  de'  3  di- 
cembre  1681    diretto  al    p.    Verti- 


CIN  i65 

biesl  gesuita,  non  che  in  quello  dei 
7  gennaio  i68g,  inviato  a'  cristia- 
ni del  Tonckino  ;  similmente  ciò 
fecero  Alessandro  VIII  nel  breve 
de'  25  luglio  •  1690  all'  imperato- 
re della  Cina ,  ed  Innocenzo  XII, 
in  quello  de' 2  settembre  1692,  al 
medesimo.  Il  p.  Pace  domenicano , 
rettore  dell'università  di  Malines  nel- 
he  sue  risposte  a'dubbi  de'missionari 
del  Tonckino,  impresse  a  Malines  nel 
1G60,  i  pp.  Le  Gand,  della  Palma,  e 
Gando  provinciali  domenicani,  re- 
plicate volte  raccomandarono  a' loro 
dipendenti  di  conformarsi  all'uso  dei 
gesuiti  in  queste  cerimonie,  le  qua- 
li il  p.  Sarpetri  ancor  domenicano 
in  un  suo  attestato,  sottoscritto  ia 
Canton  a' 4  agosto  1668,  protesta- 
va, che  da  lui  esaminate  per  otto 
anni  con  iscrupolosa  diligenza,  era- 
no non  solo  lontane  dal  peccato, 
ma  utili  e  necessarie  per  promuo- 
vere il  vangelo  nel  cinese  impero. 
Ad  onta  di  tuttociò  il  vicario  a- 
postolico  Fokiense,  Carlo  Maigrot 
dottoi'e  di  Sorbona,  e  vescovo  coo- 
nense,  esaminò  con  accuratezza  que- 
ste cerimonie,  e  a' 26  marzo  1693 
le  proibì  con  un  decreto,  che  si  leg- 
ge nel  Bull.  Roni.  t.  X,  par.  I,  p. 
129.  La  causa  fu  perciò  nuovamen- 
te portata  in  Roma  nel  pontificato 
di  Clemente  XI,  a  cui  nulla  più 
stava  a  cuore,  che  di  comporre,  e 
terminare  queste  controversie  con 
vantaggio  della  religione.  Per  deci- 
dere con  maggior  sicurezza,  a'3  di- 
cembre 1701,  nominò  il  suddetto 
visitatore  apostolico  monsignor  Tour- 
non,  qual  legato,  che  poscia  nel  1707 
creò  Cardinale.  Uomo  egli  era  di 
provata  pietà,  per  cui  lo  stesso  Papa 
per  la  stima  che  ne  faceva,  il  rac- 
comandò con  diversi  brevi  ai  sovra- 
ni, che  nelle  Indie  orientali  posse- 
devano stati,  nonché  a  molti  perso- 


iG6  CIN 

naggi,  e  vescovi  di  quelle  regioni , 
ed  il  raunì  d'amplissime  facoltà  con 
breve  de'  2  luglio  1702.  Giunto,  co- 
me dicemmo,  il  prelato  nella  Cina, 
quivi  a' 20  novembre  1704,  l'ce- 
vette  il  pontificio  decreto,  che  ripor- 
tasi nel  Bull.  Rom.  t.  Vili,  p.  388, 
nel  quale  si  condannavano  i  riti  sì 
della  Cina,  che  del  Malabar,  già 
condannali  dallo  stesso  legato  con 
decreto  de' 2  3  del  precedente  giu- 
gno. I  gesuiti,  sostenuti  da  monsi- 
gnor Alvaro  Benavente  vescovo  di 
Ascalona  e  vicario  apostolico  nella 
Cina,  il  quale  stimava  essere  neces- 
sario praticar  l' uso  de'  cinesi  sicco- 
me più  vantaggioso  alla  cattolica  re- 
ligione, ricorsero  a  Clemente  XI , 
pretendendo  che  il  suo  legato  fosse 
stato  informato  soltanto  da  persone, 
che  ignoravano  la  lingua  e  i  prin- 
cipii  della  Cina.  Ma  il  Pontefice  esa- 
minò maturamente  la  causa  nel 
17  io;  e  poi  nel  17 12  confermò 
lutti  i  decreti  contro  le  predette  ce- 
rimonie, come  ancora  gli  edilli  del 
Cardinal  Tournon,  e  a'  ig  marzo 
1715,  più  rigorosamente  le  condan- 
nò colla  bolla  Ex  ilici  die,  presso 
il  Bull.  Rom.  t.  X ,  par.  II ,  pag. 
49,  nella  quale  propose  la  formula 
del  giuramento,  che  dovrebbono  pre- 
stare tutti  i  missionari  per  confor- 
marsi alla  intera  osservanza  della 
bolla.  E  ad  essa  tutti  i  generali  de- 
gli Ordini  religiosi,  che  avevano  mis- 
sionari nelle  Indie,  promisero  ubbi- 
dienza anco  pe'  loro  religiosi.  Delle 
persecuzioni,  cui  andò  incontro  il 
Cardinal  Tournon  [Vedi),  e  come 
dall'  imperatore  sia  stato  posto  nelle 
prigioni  di  INIacao  ove  morì,  si  trat- 
ta alla  sua  biografia. 

Per  non  lasciare  interrotta  la  sto- 
ria «li  questa  controversia,  per  ciò 
che  riguarda  i  successori  di  Clemen- 
te XI,  noi    qui    aggiungeremo,   che 


CI\ 

Benedetto  XI li  col  breve  Ad  aura 
nostras,  de'  12  dicembre  1727,  Bull. 
Rom.  t.  XVI,  p.  2  3"),  nuovamente 
confermò  il  decreto  del  Cardinal 
Tournon,  e  la  bolla  di  Clemente  XI, 
prescrivendone  l' esalla  osservanza. 
Clemente  XII,  dopo  aver  commtìsso 
all'  esame  della  congregazione  del  s. 
Uffizio  alcuni  nuovi  dubbi,  che  gli 
furono  proposti  sulT  osservanza  del 
decreto  e  della  bolla,  di  nuovo  con- 
fermò ambedue  con  decreto  de'  24 
agosto  1734  Comperiam,  Bull.  Ma- 
gno loc.  cit. ,  in  vigore  del  quale  i 
padri  Le  Gac,  la  Lane,  de  Monta- 
lembert,  Turpin,  e  Vicary  prote- 
starono nelle  mani  di  m.  Dumas  go- 
vernatore di  Pondichery  a'  22  set- 
tembre 1735,  di  osservarlo,  e  di  far- 
lo osservare  esattamente.  Indi  lo 
stesso  Clemente  XII,  con  due  altri 
brevi  de'  19  maggio  1739  Concredi- 
ta  etc.  ;  et  Conlincre  laida,  Bull. 
Magn.  loc.  cit.  p.  249  e  seg,  diret- 
ti ai  vescovi  ed  ai  missionari  delle 
Indie,  nuovamente  comandò  l'intera 
osservanza  de'mentovati  decreti,  pro- 
ponendo la  formula  del  giuramen- 
to, che  gli  uni  e  gli  altri  dovevano 
fare,  e  rimettere  alla  congregazione 
del  s.  Uffizio.  In  fine  Benedetto  XIV 
con  maggior  solennità  terminò  la  con- 
troversia di  questi  riti  per  la  Cina 
colla  costituzione  Ex  quo  de'  1 1  lu- 
gUo  1742,  Bull.  Magn.  loc.  cit. 
p.  I  o5  ;  colla  quale  annullò  e  ri- 
provò otto  concessioni  di  monsignor 
^lezzabarba,  che,  come  diremo,  da 
Clemente  XI  era  stalo  fatto  commis- 
sario apostolico  della  Cina.  Pel  Ma- 
labar poi  terminolli  colla  costituzio- 
ne, Oniìdum  solUciiudinem  ,  de'  12 
.settembre  1744,  Bull.  Bcncd.  XIV, 
t.  I,  p.  391,  condannando  definiti- 
vamente que'riti.  In  questo  eostilu- 
zioni  espose  la  storia  della  contro- 
versia.  Trovavansi  nella  prim.i  alcu- 


GIN 

nR  parole,  cioè  Nikilomiiiua  iiiohe- 
dientcs  et  captiosi  liomines  exactam 
ej'usdcm  constitulionis-  {^Clcincntis  XI) 
ohsen'niitinrn  effugi'ri'  posse  puta- 
rnnt.  Tali  parole  da  molti  si  cre- 
dettero doversi  applicare  a'  gesuiti , 
come  trasgressori  di  pontificii  de- 
ci'eti.  Laonde  lagnandosene  meravi- 
gliato il  vescovo  di  Coimbia  Mi- 
chele dell'  Annunziazione,  con  una 
lettera  scritta  allo  stesso  Papa  a'20 
marzo  1748,  questi  gli  rispose  col 
breve,  che  scrisse  il  seguente  giu- 
gno, Inter  gratissinias,  nel  quale  lo 
assicurò  che  quelle  parole  non  in- 
tendei>ansì  delenninataniente  rivolte 
contro  i  gesuiti,  ma  contro  quelli  ^ 
che  fino  allora  erano  slati  disubbi- 
dienti a'  mentovati  decreti,  0  questi 
fossero  della  compagnia    di    Gesìi, 

0  della  famiglia  di  s.  Domenico,  o 
di  quella  di    s.  Francesco,  oppure 

fossero  chierici  secolari. 

Ritorniamo  al  pontificato  di  Cle- 
mente XI.  Zelando  egli  sempre  la 
propagazione  e  l'accrescimento  del- 
la fede  nella  Cina,  a'  3o  gennaio 
1719  scrisse  all'imperatore,  parteci- 
pandogli r  impegno  col  quale  spe- 
diva nell'impero  una  nuova  legazio- 
ne di  monsignor  Mezzabarba  pa^^ 
triarca  d'Alessandria;  inviandogli  in- 
tanto come  di  lui  precursori  alcuni 
religiosi  missionari .  Lo  pregava  a 
riceverli  benignamente,  come  avea 
ricevuti  gli  altri,  che  sotto  il  di  lui 
patrocinio  avevano  predicata  nel- 
r  impero  la  legge  cristiana.  In  questa 
epoca  vuoisi  che  nella  Cina  fossero 
più  di  trecento  chiese  con  più  di 
trecento  mila  cristiani.  iVello  stesso 
tempo  si  sparse  voce,  che  il  mede- 
simo imperatore  era  in  procinto  di 
pubblicare  un  editto,  col  cjuale  or- 
dinava a' missionari    di    uscire    dal- 

1  impero  cinese,  e  proibiva  a'propri 
sutlditi   di  professare  la  religione  cri- 


CIN  167 

stiana,  alle  quali  notizie  non  poten- 
do resistere  il  buon  Pontefice,  cad- 
de gravemente  infermo  ;  ma  essen- 
do sopraggiunte  veraci  notizie  da 
Goa,  e  da  Macao  per  parte  del  re 
di  Portogallo,  ei  si  ristabilì  in  salu- 
te. F.  il  citato  Lafiteau,  t.  II,  lib. 
V,  p.    195,  e  seg. 

Nel  pontificato  d' Innocenzo  XllI 
e  nel  1722,  l'imperatore  della  Cina 
mosso  dalle  querele  del  governato- 
re di  Fokien  pubblicò  de'  barbari 
editti,  il  cui  scopo  era  di  distrug- 
gere il  cristianesimo  ne'  suoi  siali. 
Un  principe  del  sangue  imperiale 
neir  età  di  oltant'  anni,  fu  caricato 
di  ferri  e  bandito  nella  Tartaria 
con  tutta  la  sua  numerosa  fami- 
gliaj  perchè  avea  ricusato  di  rinun- 
ziare alla  fede,  quindi  furono  di- 
spersi, esiliati,  e  perseguitati  tanto 
i  cinesi  che  i  missionari,  e  distrut- 
te vennero  le  chiese. 

Clemente  XII,  nel  i73i,  spedi 
missionari  nel  Thibet,  promosse,  ed 
approvò  la  congregazione  della  sa- 
gra famiglia  di  Gesù  Cristo,  istitui- 
ta in  Napoli  da  Matteo  Piipa  per 
la  istruzione  dei  giovani  cinesi,  ed 
indiani,  acciò  divenissero  abili  mis- 
sionari, e  r  assoggettò  alla  congre- 
gazione di  Propaganda  fide.  La 
congregazione  tuttora  fiorisce,  ha 
cinesi  che  educa  all'apostolico  mini- 
stero, e  stanno  essi  ancora  in  Roma 
per  alunni  nel  venerando  collegio  Ur- 
bano della  stessa  Propaganda  fide. 
Nel  1788  il  p.  Sanz,  che  erasi  ri- 
tirato in  Macao,  ritornò  nella  pro- 
vincia di  Fokien ,  ove  fondò  più 
chiese,  e  ricevette  i  voti  di  un  gran 
numero  di  vergini,  che  si  consagraro- 
no a  Dio.  Non  andò  guari  per  altro, 
che  il  viceré  lo  fece  martirizzare  eoa 
quattro  domenicani.  Nell'anno  1700, 
il  Pontefice  Benedetto  XIV  fu  som- 
mamente rammaricato  per  la    per" 


i68  GIN 

secuziojic  suscitata  nella  Cina  con- 
tro la  cattolica  religione,  mossa  dal- 
l'imperatore  a  suggestione  de' suoi 
ministri,  i  quali,  per  alloiilanare  dal 
loro  capo  i  tristi  ellelli  di  una  paz- 
zia in  cui  era  caduto  quel  monar- 
ca, per  la  perdita  ad  un  tempo  del- 
la consorte  e  di  un  figlio,  gli  die- 
dero ad  intendere  che  i  cattolici 
erano  sospetti  d'intelligenze  nocive 
a' di  lui  interessi,  e  perniciose  alla 
sua  vita.  Seguì  da  sì  scaltri  sug- 
gerimenti la  decapitazione  del  vec- 
chio vescovo  di  Moncastro,  il  quale 
da  trent'anni  presiedeva  a  quelle 
missioni;  e  squartati  furono  quattro 
domenicani,  e  due  gesuiti.  Olire  a 
ciò  r  inqicratore  rinnovò  i  più  ri- 
gorosi editti,  che  dai  suoi  predeces- 
sori erano  stati  pubblicati  conti'o  i 
cristiani;  né  i  missionari  che  si  tro- 
varono a  Pekino,  poterono  scansa- 
re la  barbarie  di  lui,  se  non  per  le 
calde  suppliche  di  alcuni  gesuiti  a 
lui  ben  accetti,  e  pei  quali  egli  se- 
guitava a  dimostrare  parzialità,  a 
cagione  del  gran  vantaggio  che  ne 
ritraevano  i  sudditi,  per  le  cogni- 
zioni che  acquistavano  nell'astrono- 
mia, nella  pittura,  nell'  architettura, 
e  neir  arte  delle  fortificazioni.  Per 
queste  ragioni  gli  stessi  ministri  a- 
mavano  rispiarmiarli,  anco  per  ri- 
guardo al  favore  che  godevano  pres- 
so l'imperatore. 

Benedetto  XIV,  nel  citato  suo 
breve  Ex  quo  singulari,  pubblica- 
to, come  si  disse,  nel  174^3  coman- 
dò di  esprimere  in  lingua  cinese  il 
nome  di  Dio  per  Tien-Chu,  che 
vuol  dire  Signore  del  Cielo^  proibì 
le  voci  Tieti  il  Ciclo,  e  Xang-Ti, 
il  Supremo  inodcralore,  perocché  si- 
gnificavano il  supremo  Dio  degli 
idolatri.  Egli  abolì  ancora  l' iscrizio- 
ne King-Tien,  cioè  Adora  il  Ciclo. 
Delle  allocuzioni  fatte    da   Bcncdet- 


CIN 

to  XIV  a' Cardinali  per  i  tormon- 
ti  e  morte  eroicamente  sostenuti  ti;» 
vari  missionari,  tratta  il  IJullcr  ai 
5  febbraio,  parlando  de'santi  mar- 
tiri del  (riaj)pone  e  della   Cina. 

Nel  pontificalo  di  Clemente  XIV, 
un  re  della  Tarlarla  cinese ,  cioè 
quello  di  Tangut,  fece  assicurare 
quel  Pontefice  per  mezzo  dei  mis- 
sionari della  sua  sommissione,  a- 
mò  di  essere  istruito  ne'  dommi 
del  cristianesimo ,  e  quindi  si  fece 
battezzare.  IMentre  governava  la 
Chiesa  universale  Pio  VI.  nel  i  780, 
fu  per  lettere  avvisato,  che  l' impe- 
ratore della  Cina  avea  permesso  ai 
missionari  cattolici  di  predicare  il 
vangelo  nel  suo  impero,  e  di  battez- 
zare tutti  i  sudditi,  che  ad  essi  fos- 
sero stati  presentali,  fuori  che  i  fi- 
gli dei  mandarini,  senza  il  preven- 
tivo consenso  de'  genitori ,  per  cui 
prontamente  il  Papa  accordò  alla 
pia  regina  di  Portogallo ,  i  missio- 
nari da  lei  richiesti,  affinchè  fossero 
mandati  a  Goa.  Poscia  nel  1784  lo 
stesso  Pio  VI  ebbe  la  consolazione 
di  sapere,  che  l'imperatore,  non 
solo  tollerava  di  buon  animo  i  cat- 
tolici ne'  suoi  dominii ,  ma  aveva 
eziandio  permesso,  che  si  edificas- 
sero in  Pekino  sua  capitale ,  quat- 
tro chiese  pubbliche;  e  ciò  egli  ac- 
cordava in  grazia  della  propensione, 
che  nudriva  per  l'ex  gesuita  Poirot, 
che  in  qualità  di  mandarino  occu- 
pava la  carica  di  segretario  del  car- 
teggio colla  corte  di  Russia.  Gli  era 
entrato  quel  gesuita  nella  benevo- 
lenza col  mezzo  della  pittura  ,  che 
avea  appositamente  imparata  in  Ro- 
ma nel  collegio  romano,  quando 
ivi  era  studente  di  teologia.  A  fine 
di  poter  coltivarla,  desiderò  che  il 
p.  generale  gli  accordasse  di  pas- 
sare alle  missioni  cinesi ,  dove  era- 
no solo  tollerati  quelli,  che  avessero 


amala  qualclie  arte  liberale.  Quin- 
di Pio  VI,  in  considerazione  de'  fe- 
lici progressi,  che  nella  Cina  faceva 
la  religione,  perchè  piìi  facile  fosse 
resa  la  cognizione  della  liturgia  del- 
la Chiesa  romana  in  quell'impero, 
incaricò  la  congregazione  di  Propa- 
ganda di  far  stampale  nella  sua 
celebre  tipografia  (ove  vi  sono  molti 
caratteri  cinesi ,  ed  opere  con  essi 
pubblicate),  il  messale,  il  rituale, 
ed  il  breviario  romano  nel  cinese 
idioma.  F .  il  Giornale  ecclesiastico, 
che  prima  pubblicavasi  in  Roma  , 
ove  sonovi  molte  notizie  ecclesiasti- 
che sulla   Cina. 

Per  le  idteriori  notizie,  e  perse- 
cuzioni, che  nel  corrente  secolo  in- 
furiarono nella  Cina,  nella  Concin- 
cina  ed  in  altri  regni,  o  sottoposti 
all'impero  cinese,  o  ad  esso  adia- 
centi ,  ampiamente  ne  trattano  le 
Lettere  edificami  scritte  dalle  mis- 
sioni straniere,  precedute  da  quadri 
geografici,  storici,  politici,  religiosi  e 
lelterarii  de'  paesi  di  missione ,  tra- 
duzione dal  francese,  Milano  1825. 
Ancora  vanno  consultati  les  Anna- 
les  de  la  Propagatiou  de  la  Foi, 
recueil  periodique  des  lettres  des  e\'é- 
ques  et  des  missionaires  des  mis- 
sions  des  dcitx  mondes^  et  de  tous 
le  documens  relatifs  aux  missions 
et  à  Vassociation  de  la  Propagation 
de  la  Foi,  opera  interessantissima 
che  si  stampa  a  Lione ,  fino  dal 
1823.  Vanno  pur  consullati  gli  An- 
nali della  pia  opera  della  propa- 
gazione della  Fede,  che  si  pubbli- 
cano in  Roma.  iSopra  i  martiri  della 
Cina,  sono  a  vedersi  il  p.  Tournon 
domenicano,  e  le  Lettere  de'  missio- 
nari gesuiti. 

iXel  concistoi'o  de'  27.  settembre 
18 16,  Pio  VII  annunziò  il  gloiioso 
martirio  sofferto  in  Su-Tchuen,  o 
Su-Civen,  provincia   della    Ciii;i   mi 


GIN  169 

precedente  anno  da  monsignor  Ga- 
briele Taurino  Dufresse  francese  , 
vescovo  di  Ta braca,  e  vicario  apo» 
stolico  di  delta  provincia,  al  quale, 
dopo  tientanove  anni  di  laborioso 
evangelico  ministero ,  dopo  molti 
patimenti  fu  mozzato  il  capo,  e 
per  ispaventare  i  cristiani,  fu  posto 
sopra  una  colonna  con  di  sotto  que- 
sta iscrizione:    europeo    predicatore 

E    VESCOVO  DELLA  RELIGIONE  CRISTIANA. 

L'altro  martire  ed  eroico  atlejta  di 
Gesù  Cristo,  fu  l'ottuagenario  Ago- 
stino Tchao  o  Ciao,  sacerdote  mis- 
sionario apostolico.  F.  ['  Allocuzione, 
che  il  Papa  regnante  Gregorio  XVI 
pronunziò  nel  concistoro  segieto  dei 
27  aprile  1840,  che  incomincia: 
Affl'ctas  in  Tunqui/ìo  fìnitiniisque 
regionihus ,  cliristianorwn  res,  etc., 
colla  quale  celebrò  con  altissimi  en- 
comii ,  quelli  che  ultimamente  con 
mirabile  costanza,  in  mezzo  ai  più 
terribili  tornienli,  aveano  patito  glo- 
rioso martirio,  per  manifesta  virtù 
e  grazia  di  Dio.  Chi  desidera  istruir- 
si suir  istoria  cinese,  può  leggere  la 
Descrizione  storica  del  p.  du  llalde 
intorno  a  questo  vastissimo  imp(uo, 
in  quattro  volumi  in  foglio;  il  Gro- 
sier ,  Storia  generale  della  Cina, 
stampata  in  Siena  in  trenlasei  vo- 
lumi nel  1777  ;  come  pure  MuUero, 
da  Chataià  ;  Navarette,  Tralados 
historicos  de  la  Cìiina,  an.  1676; 
la  Cronologia  di  Jackson,  ec. ,  i 
Viaggi  del  p.  Carlo  florali,  mino- 
re osservante ,  che  fu  missionario 
nella  Cina  dal  1698  al  17 33,  stam- 
pati nel  1759.  Lo  stesso  autoi'e  pub- 
blicò un  Dizionario  e  una  gramma- 
tica della  lingua  cinese,  con  una 
relazione  de'  costumi,  e  delle  ceri- 
monie della  Cina,  nonché  una  spie- 
gazione latina  della  filosofia  e  dei 
libri  sagri  de'  cinesi,  la  quale  fu 
stampata    a    Roma    nel     17%-    De 


,70  GIN 

Giiignus  scrisse  una  disscrtazinne 
per  ilimosfraie,  che  i  cinesi  S(jiio 
una  colonia  egiziana. 

Riserbandoci  agli  arlicoli  Peri- 
co, Nant.kino  e  jMacao  {^f'edi),  di 
pnilare  dello  stato  del  cristianesi- 
mo, riporteremo  qui  appresso  in  po- 
chi cenni  lo  stato  delle  niissioni  nella 
Cina,  e  ne'  regni  adiacenti ,  di  po- 
chi anni  addietro,  mentre  dei  vica- 
riali non  nominati  ultimamente  isti- 
tuiti, ancora  non  sono  note  le  re- 
lative nozioni.  Il  vicariato  apostolico 
di  Xansi ,  o  Ransi ,  cioè  Scian-Si , 
contiene  nella  sua  giurisdizione  Xan- 
si, Xenfi,  Kansiii,  Ilnquang,  e  la 
Tartaria  cinese.  Oltre  pochi  sacer- 
doti cinesi  alunni  del  collegio  di  Na- 
poli, e  del  seminario  di  Macao,  so- 
no in  aiuto  del  vicario  apostolico 
cinque  missionari  europei,  in  parte 
minori  osservanti.  Non  vi  sono  chiese 
pubbliche,  ma  solo  cappelle,  od  ora- 
torii  privati:  il  numero  de' cattoli- 
ci ascendeva  a  trentacinquemila.  In 
Xensi  eravi  un  seminano  che  fu 
chiuso  per  le  persecuzioni,  venendo 
mantenuto  s'i  il  vicario  apostolico  , 
che  i  missionari  dalla  congregazio- 
ne di   Propaganda. 

Il  vicariato  apostolico  di  Fokicn, 
oltre  Fokien ,  ha  giurisdizione  su 
Kicang  ovvero  Ce-Riam,  e  Riam-si, 
Riangsi,  e  l'isola  Formosa.  Vi  sono 
alcuni  sacerdoti  nazionali  con  alcu- 
ni domenicani  cinesi  e  spagnuoli. 
Vi  hanno  delle  divote,  che  osser- 
vano come  possono  le  regole  di  s. 
Domenico,  senza  vita  comune  e  clau- 
sura. Non  esistono  chiese,  ma  ora- 
torii  privati.  Evvi  un  seminario  pei 
chierici ,  ed  i  cattolici  ascendevano 
a  quarantamila.  Le  missioni  de'  ge- 
suiti furono  rimpiazzate  dai  dome- 
nicani spagnuoli. 

Il  vicariato  apostolico  di  Sut- 
chucn   o   Su-Civeii.  oltre    Sutchuen, 


GIN 

ha  sotto  di  sé  Queic-heu,  e  Jnnnan. 
In  esso  sono  vi  vari  sacerd(jti  delle 
missioni  estere  di  Parigi,  alcuni  sa- 
cerdoti indigeni,  con  iscuole  separate 
pei  fanciulli,  e  per  le  fanciulle.  Il 
numero  de'  cattolici  era  circa  cin- 
(juantacinquemila.  In  questa  mis- 
sione il  seminario  fu  saccheggiato  e 
incendiato  dagli  idolatri,  per  cui  i 
chierici  si  educano  nel  seminario  ge- 
nerale eretto  in  Pulopinang.  Le  mis- 
sioni de'  gesuiti  furono  rimpiazzate 
dai   francesi. 

Il  vicariato  apostolico  di  Siam, 
regno  adiacente  all'  impero  cinese, 
oltre  che  in  Siam,  esercita  la  sua 
autorità  in  Queda,  e  nelle  isole  di 
Suncelam  e  di  Sumatra.  Vi  sono 
alcuni  alunni  del  seminario  delle 
missioni  estere  di  Parigi ,  uno  dei 
quali  faceva  da  rettore  ai  semina- 
rio di  Pulopinang,  con  alcuni  sacer- 
doti indigeni.  In  Banckoc,  residen- 
za del  vicario,  vi  è  una  chiesa  quasi 
cattedrale,  ed  in  cinque  altri  luoghi 
ve  ne  sono  altrettante.  Sono  vi  pure 
alcune  di  vote,  che  vivono  da  mo- 
nache in  tre  case,  ma  solo  con  voti 
semplici.  Vi  è  ptn-e  un  collegio  par- 
ticolare in  Banckoc,  ed  un  semina- 
rio generale  per  le  missioni  francesi 
in  Pulopinang;  e  i  cattolici  supe- 
ravano i  duemila  cinquecento.  Que- 
sta missione  è  addetta  al  seminario 
delle  missioni  estere  di  Parigi ,  il 
quale  ha  cura  di  spedirvi  i  missio- 
nari. 

Il  vicariato  apostolico  della  Gon- 
cincina,  regno  adiacente  all'  impero 
cinese,  ha  la  Goncincina,  che  com- 
prende Ciampa,  Cambogia  e  Terra 
di  Laos.  ^  i  sono  alcuni  .sacerdoti 
del  seminario  delle  missioni  estere 
di  Pai'igi,  ed  altri  indigeni,  ec.  Nel- 
la bassa  Goncincina  da  ultimo  fu 
eretto  una  specie  di  monistero  :  e- 
ranvi  due  collegi,   uno    nella  bassa, 


CìN 

l'altro  nell'alta  Conciqcina.  Se  ne 
ignorava  lo  stato  a  cagione  della 
persecuzione.  Tanto  nell'alta  Concin- 
cina,  che  nella  bassa,  sonovi  chiese 
per  esercitarvi  il  pubblico  culto,  ed 
i  cattolici  ascendevano  a  sessanla- 
niila.  La  missione  era  divisa  come 
in  due,  perchè  nella  bassa  Concin- 
cina  i  francescani  di  Planila  eser- 
citavano l'apostolico  ministero,  ma 
venendo  da  essi  abbandonata  quella 
contrada,  la  congregazione  di  Pro- 
paganda vi  spedì  de'  francescani 
d'Italia  a  tutte  sqe  spese.  Poscia 
fu  affidata  l' intera  missione  a'  .sa- 
cerdoti del  seminario  delle  missioni 
estere  di  Parigi,  e  viene  considera- 
ta  ora  per  una  sola   missione. 

11  vicarialo  apostolico  di  Tonki- 
no  occidentale,  ne' regni  adiacenti 
all'  impero  cinese,  ha  in  aiuto  qual- 
che sacerdote  francese,  e  circa  set- 
tanta indigeni  ,  con  Ircntaquattro 
parrocchie,  ed  altrettante  chiese  det- 
te case  di  ovazione.  I  fedeli  ascen- 
dono a  ccntosessantamila.  Nel  se- 
minario vi  s'istruivano  trenta  alun- 
ni .  Sonvi  due  collegi  per  istruire 
la  gioventù,  e  trenta  case  di  don- 
ne divote,  dette  le  Sorelle  amanti 
della  Croce.  Anche  questo  vicaria- 
to è  affidato  a' sacerdoti  francesi, 
alunni  del  seminario  delle  missioni 
estere  di  Parigi  .  Al  vicario  aposto- 
lico si  contribuiscono  duecento  scu- 
di annui;  e  i  sacerdoti  vivono  delle 
pie  offerte  de' cattolici. 

Il  vicariato  apostolico  del  Ton- 
kino  orientale ,  ne'  regni  adiacenti 
all'impero  cinese,  ha  in  aiuto  alcu- 
ni missionari  europei  dell  Ordine  di 
s.  Domenico,  e  circa  sessanta  sacer- 
doti indigeni,  de' quali  parte  sono 
regolari  dell'Ordine  medesimo,  e 
jtarte  secolari.  A  i  sono  chiese  ove 
.'•i  amministrano  i  sagrainonti  a' cat- 
tolici, i  quali    si   fanno    ascendere  a 


GIN  17  1 

più  di  cento  sessantamila.  Ne'  due 
collegi,  in  uno  s'  iiisc-gna  la  gram- 
matica, nell'altro  la  teologia.  La 
missione  è  affidata  ai  domenicani 
delle  Filippine,  e  ad  essi  ne  appar- 
tiene il  mantenimento.  Quando  le 
cose  nella  Concincina  procedevano 
prosperose ,  anche  le  missioni  del 
Tonkino  godevano  quiete;  ma  quan- 
do nella  Concincina  la  religione  è 
perseguitata,  i  cristiani  ancora  del 
Tonkino  ne  soffrono,  come  quelli 
che  sono  compresi  negli  stati  dipen- 
denti da  uno  stesso  monarca.  Il 
vicariato  apostolico  di  Corea,  che 
era  in  amministra/ione  al  vescovo 
di  Peckino,  da  uHimo  fu  ristabilito, 
col  nuovo  vicario  apostolico,  che  vi 
si  recò  con  due  alunni  del  collegio 
cinese  di  Napoli. 

Dal  1840  pubblicandosi  nelle  an- 
nuali Notìzie  di  Roma  il  catalogo 
de'  vicari,  delegati,  e  prefetti  apo- 
stolici della  santa  Sede  stabiliti  in 
ogni  parte  del  mondo  sotto  la  dire- 
zione della  sagra  congregazione  di 
Propaganda  fide,  in  e.'.so,  dopo  le 
diocesi  per  ordine  allabetico  si  pos- 
sono leggei'e,  i  nomi,  la  patvia,  e  la 
quahfica  de'  vicari  apostolici  della 
Cina  e  regni  adiacenti,  non  che  quel- 
lo de' rispettivi  coadiutori.  Solo  di- 
remo dei  nomi  dei  vicariati ,  cioè 
di  quelli  non  mejitovati  qui  sopra  : 
Hii-cjuang,  Yun-nan,  Telie-Kia.ng,  o 
Kiaiìg-si,  Leao-Tuug,  3Jongolia,  e. 
Xan-tiaig.  Per  gli  affari  della  Cina 
cogli  stessi  Cardinali  membri  della 
congregazione  di  Propaganda  fu  depu- 
tata una  paiticolare  congregazione  da 
Alessandro  A  II,  cioè  in  occasione,  chft 
da  quel  Ponlefice  furono  spediti 
nell'impero  cinese  i  primi  vicari  a- 
]50slolici  con  carattere  vescovile,  co- 
me dicemmo  superioiinenle.  La  pri- 
ma adunanza  de"  Cardinali  dello  par- 
ticolare   congregazione    della    Cina  , 


173  Cll\ 

cbl)c  luogo  a'  1 3  gennaio  iGG'), 
ma  da  principio  non  sembra  clic 
fijsse  permanente,  athmanclosi  secon- 
do il  bisogno.  Dal  1677  in  poi  di- 
venne permanente.  11  Cardinal  pre- 
Cello  generale  prò  tempore  della 
congiegazione  di  Propaganda  fide , 
è  sempre  il  ponente  della  congre- 
gazione della  Cina,  e  monsignor  .se- 
gretario di  Propaganda  v'  intervie- 
ne con  voto  consultivo.  I  Cardinali 
die  la  compongono  si  adunano  nel- 
le camere  domestiche  del  Cardinal 
prefetto  generale. 

CIlNClNNATl  (  Gncinnaten.).  Cit- 
tà con  residenza  vescovile  negli  Sta- 
li Uniti  di  America,  capo  luogo  del- 
la contea  di  Hamilton,  stato  di  O- 
Lio,  da  cui  prende  nome  il  fiume, 
sulla  destra  riva  del  quale  fu  edi- 
ficata, nel  luogo  ove  comincia  il  ca- 
nale tli  Miami,  che  dee  congiunger- 
la a  Dayton,  e  ([uindi  pel  Maumee 
al  lago  Eriè.  Vantaggiosa  e  .salubre 
n'è  la  situazione,  ed  oltre  all'ame- 
nità, ha  una  bella  apparenza,  sic- 
come fabbricata  con  simmetrico  di- 
segno. Il  suo  accrescimento  è  vera- 
mente meraviglioso,  dappoiché  quat- 
tro famiglie  vi  si  stabiliiono  nel 
1789,  e  ne  gettarono  le  basi  dopo 
aver  superati  gli  ostacoli  apposti 
dagl'indigeni.  Ne  crebbe  la  popo- 
lazione a  tal  segno,  che  nel  i83o 
superava  i  ventiquattro  mila  indi- 
vidui. Ila  molte  belle  piazze,  ed 
ampie  vie  rettilinee,  grandiosi  pa- 
lazzi, ed  eleganti  edifizi,  particolar- 
mente quello  della  corte  di  giusti- 
zia. Cincinnati  è  il  principal  deposi- 
to del  commercio  interno  dell  Ohio, 
ed  il  centro  de' lavori  intellettuali, 
e  letterari  della  parte  meridionale 
della  Liiione,  pubblicandosi  in  que- 
sta sola  città  quindici  giornali,  fra 
quotidiani  ed  ebdomadari.  V'ha  fra 
essi  un    gioinale    cattolico  religioso, 


GIN 

che  pul)])licasi  una  volta  la  setti- 
mana, e  che  chiamasi,  Tha  Calholic 
Tfu'lcgraphe.  Da  più  anni  è  trasfe- 
rito da  Lovisville  a  Cincinnati  il 
quartiere  generale  del  comando  del- 
la divisione  militare  occidentale  del- 
la Confederazione ,  cotne  a  Nuova 
Yorck  ri.siede  quello  della  divisione 
orientale.  I  dintorni  di  Cincinnati 
ridondano  di  avanzi  di  fortezze,  cir- 
chi, trincee,  e  vi  si  ravvisa  l' area 
di  una  preesistente  città  molto  va- 
sta. Oggidì  la  popolazione  ascende 
a  circa  trentamila  individui. 

La  sede  vescovile  vi  fu  istituita 
nel  1821  dal  sommo  Pontefice  Pio 
VII,  che  a' 19  giugno  vi  fece  per 
primo  vescovo  Eduardo  Fenwick 
dell'Ordine  de' predicatori,  cui  agli 
8  marzo  i833,  il  regnante  Grego- 
rio XVI,  diede  in  successore  mon- 
signor Gio.  Battista  Purcell,  che  tut- 
tora vi  governa.  La  maestosa  catte- 
drale è  dedicata  al  principe  degli 
apostoli  s.  Pietro,  ed  oltre  il  vica- 
rio generale,  la  diocesi  ha  tren- 
tacinque preti.  Essa  è  sulTraganea 
dell'arcivescovo  di  Baltimore,  for- 
mandosi la  diocesi  collo  stato  del- 
l'Ohio, in  cui  ventiquattro  sono  le 
chiese,  e  le  cappelle,  compresa  la 
chiesa  della  ss.  Trinità  pei  tedeschi 
in  Cincinnati.  Molti  sono  i  pii  sta- 
bilimenti nella  città,  e  nella  dioce- 
si, giacché  oltre  il  seminario  dio- 
cesano, vi  sono  i  domenicani ,  ed  il 
collegio  de' gesuiti,  istituito  nel  1840 
nella  città.  Monsignor  Federico  Be- 
se,  già  vicario  generale  di  Cincinna- 
ti, poi  vescovo  di  Detroit,  ha  cedu- 
to ai  gesuiti  un  gran  locale  conti- 
guo alia  cattedrale,  che  comprende 
la  sua  abitazione  vescovile,  le  case 
del  seminario,  l'ateneo,  o  collegio 
adiacente.  Evvi  un  monistero,  e  vi 
hanno  anche  scuole  delle  domenica- 
ne, con  numerose  educande.  L'orfa- 


GIN 
notroGo  intitolato  a  s.  Pietro  i^ev 
le  sorelle  della  Carità,  fu  stabilito 
celi'  anno  i83o.  Vi  concorrono 
molte  donzelle  nelle  scuole  ester- 
ne, senza  mentovare  le  associazio- 
ni religiose  ,  pel  ben  essere  del 
paese,  ed  a  vantaggio  della  cattoli- 
ca fede. 

CINGOLI  (  Cingulan.).  Città  con 
residenza  vescovile,  nella  delegazio- 
ne apostolica  di  Macerata ,  nello 
stato  pontificio,  fabbricata  d'intorno 
all'  estremità  del  monte  di  Circe,  o 
Cingono,  dal  cui  nome,  e  dal  cinge- 
re a  forma  di  cingolo  lo  stesso  mon- 
te, prese  il  nome  di  Cìngolo,  o  Cin- 
goli, Cingoliirii,  sulla  riva  destra  del 
Musone,  che  bagna  le  sue  falde. 
Questa  antichissima  città  del  Pice- 
no, menzionata  da  Plinio,  da  Cice- 
rone e  da  altri  autoi-i,  era  una  co- 
lonia romana  fondata  ,  o  riparata , 
ed  aumentata  da  Tito  Labieno , 
luogotenente  di  Giulio  Cesare  nella 
spedizione  delle  Gallie,  ovvero  nel- 
la guerra  con  Pompeo.  Fu  da  esso 
popolata  con  una  colonia  di  vete- 
rani,  per  cui  n'è  salutato  autore, 
secondo  le  testimonianze  dello  stes- 
so Cesare.  Come  dice  il  mentovato 
Plinio,  nel  suo  territorio  esistette  la 
città  di  Beragra.  Cingoli  tuttora  con- 
serva, nel  palazzo  municipale,  e  in 
altri  luoghi  pubblici  e  privati,  mol- 
te iscrizioni,  in  cui  sono  ricordati  gli 
antichi  magistrati ,  i  decemviri  ,  i 
settemviri  ec.  Il  superstite  acquedot- 
to è  opera  dell'imperatore  Adriano. 
Balbo,  presso  Frontino,  parla  della 
legge  che  regolava  il  territorio  cin- 
golano.  Molto  Cingoli  soffiì  nel  quin- 
to secolo  al  tempo  della  guerra  dei 
Goti,  nell'invasione  longobarda,  e 
nella  pestilenza  del  sesto  secolo.  Nel- 
l'ottavo secolo  passò  sotto  il  pater- 
no, e  soave  dominio  della  santa  Se- 
de. Tuttavolta  per  le  fazioni  potcu- 


CIN  173 

ti,  che  divisero  l' Italia  nei  secoli 
XI li  e  XIV,  Cingoli  per  lo  più  se- 
gm  quella  de' Ghibellini,  anzi  nel 
liiS,  insofferenti  i  Cingolani  della 
dominazione  Estense,  furono  i  pri- 
mi a  prendere  le  armi  per  sostene- 
re la  libertà  della  Marca,  confede- 
randosi cogli  anconitani,  che  Onorio 
III  Romano  Pontefice,  in  un  alla 
Marca,  avea  sottoposti  al  marchese 
d'  Este,  feudatario  della  Chiesa  Ro- 
mana, come  attesta  il  Muratori, 
Andquit.  Est.  par.  i,  cap.  ^i.  Cin- 
goli si  assoggettò  dappoi  alla  chiesa 
di  s.  Leopardo,  e  al  comune  di  Osi- 
mo ,  come  vuole  il  Compagnoni  . 
Gli  autori  Cingolani  dicono,  che  la 
chiesa  vescovile  di  Cingoli  fu  affi- 
data o  raccomandata ,  come  altre 
molte  del  Piceno,  al  vescovo  vici- 
niore, che  fu  quello  di  Osimo.  As- 
seriscono inoltre,  che  Cingoli  ebbe 
sempre  proprie  leggi,  e  propri  ma- 
gistrati; e  che  nessun  monumento 
pubblico  porta  la  dedizione  dei  Cin- 
golani ad  Osimo,  ritenendo  per  fal- 
so r  istromento  chiamato  Cartata 
Castri  Cingali.  Poco  dipoi,  e  nel 
pontificato  di  Gregorio  IX,  riporta 
il  Colucci  nella  sua  Treja  picena, 
a  pag.  79,  che  tra  i  deputati  di 
Camerino  e  di  Cingoli  si  formò  una 
lega  contro  le  città  di  Osimo,  e  di 
Sanseverino,  sebbene  collo  specioso 
titolo  ad  honorem  Dei,  et  statum 
Ecclesiae  Romanae,  et  ej'ns  imperii. 
La  gelosia  de' confini,  le  facili 
usui-pazioni,  il  cattivo  genio  teneva- 
no a  quell'epoca  di  continuo  in  ru- 
mori i  vicini,  e  per  non  soccombe- 
re, un  popolo  collegavasi  coH'altro, 
affine  di  rendere  più  facili  quelle 
imprese,  che  difficili  sarebbono  sta- 
te se  dalle  sole  proprie  foize  si  fos- 
sero misurate.  iVderirono  i  Cingola- 
ni a  Federico  II  imperatore:  e  ad 
onta  dei  privilegi,  e  delle    esenzioni 


,74  <^  1  ^ 

loro  accordale  dal  Caitlinal  Pietro 
Capocci ,  legato  della  IVIarca ,  se- 
guirono poscia  il  partito  di  Manfre- 
di, figlio  naturale  di  Federico  II, 
ed  anco  ubbidirono  al  di  lui  vicario 
Percivalle  d'Oria.  In  prova  del  sud- 
descritto.  Cingoli  nel  ponlillcalo  di 
JN'icolò  IV  rilirossi  dall'  ubbidienza 
della  s.  Sede,  por  cui  fu  dipoi  costret- 
to il  rettore  della  Marca ,  GilTredo 
Gaetatii,  di  spedirvi  contro  un  e- 
sercito  nel  i2()3.  ìMa  prima  che  Gre- 
gorio X!  riportasse  la  residenza  pon- 
tificia da  Avignone  in  Roma^  verso 
l'anno  iSyG,  tornarono  i  Cingola- 
ni  a  ribellarsi  al  dominio  Papale. 
In  appresso  poco  di  rilevante  ci 
presenta  la  storia,  non  avendo  più 
luogo  le  confederazioni,  a  cui  ante- 
riormente erasi  unita,  quando  go- 
deva il  privilegio  del  mero  e  misto 
impero;  il  perchè  la  nobiltà  di  Cin- 
goli fece  sempre  prova  per  tutti  gli 
ordini  equestri,  vantando  cavalieri  dei 
pi  il  cospicui,  come  di  Calatrava,  di 
]\Ialta  ec.  Non  possiamo  quindi  ag- 
giugnere,  se  non  che  per  la  forte 
posizione  della  città  vi  si  recarono 
nel  secolo  XV  gli  Sfoizeschi  col  ner- 
bo della  loro  cavalleria,  e  vi  rima- 
sero in  sicuro  nella  loro  contraria 
fortuna.  Per  la  salubrità  del  suo 
clima,  il  Cardinal  Farnese ,  legato 
della  Marca  anconitana,  dipoi  nel 
I  ')34.  Pontefice  col  nome  di  Paolo 
IH,  vi  faceva  la  sua  ordinaria  di- 
mora. In  progresso  seguì  Cingoli  i 
destini  della  Marca  {l'edi),  e  si 
mostrò  inalterabilmente  fedele  alla 
santa  Sede,  avendone  da  ultimo 
dato  un  luminoso  esempio  nell'  in- 
vasione francese,  cui  oppose  valoro- 
sa resistenza,  sebbene  a  cagione  del- 
le forze  senza  paragone  maggiori, 
dovette  soccombere. 

Nel    iH-ìS  fu    ripristinata    l'acca- 
demia  Cingolana    degV  Incolli j    che 


CIN 

sotto  un  solo  presidente  e  segreta- 
rio, con  tre  direttori,  si  occupa  di 
letteratura,  musica,  e  recitazione, 
dando  in  un  ampio,  e  vago  locale 
dei  saggi  solenni  piìi  volte  all'anno 
con  afìluenza  ben  anco  di  forestie- 
ri. La  strada  provinciale  Pia,  così 
detta  perchè  incominciata  sotto  Pio 
Vili,  e  compiuta  sotto  il  regnante 
sommo  Pontefice,  da  san  Severino 
per  Cingcjli  a  Jesi,  è  di  somma  uti- 
lità e  comodo  de'  Cingolani. 

Fra  le  nobili  famiglie,  che  ono- 
rano Cingoli,  va  qui  rammentata 
quella  dtì  Casllglioni  [Predi'),  che  im- 
parentatasi colla  Ghislieri  di  Jesi, 
discendente  dal  santo  Pontefice  Pio 
V,  ne  perpetuò  il  lustro.  Francesco 
Saverio  Castiglioni,  fatto  da  Pio  VII 
vescovo  di  Montalto,  e  poi  di  Cese- 
na, fu  annoverato  al  sagro  Collegio, 
ed  alla  cospicua  carica  di  peniten- 
ziere maggiore,  e  per  le  sue  virtù, 
dottrina,  e  sperienza,  meritò  di  es- 
sere sublimato  nel  1829  al  triregno 
col  nome  di  Pio  Vili,  dimostrando- 
si sul  maggiore  de'troni  amorevole 
concittadino.  Però  il  breve  pontificato 
di  venti  mesi  gì' impedì  di  autenti- 
care le  sue  virtù  con  qualche  più 
solenne  attestato,  che  ne  onorasse 
maggiormente  la  memoria.  Ciò  non 
per  tanto  memore  di  aver  coperto 
nella  cattedrale  la  prima  dignità  di 
preposto,  per  mezzo  di  monsignor 
Filippo  Appignanesi  Cingolano ,  e 
vescovo  di  Pvipatransone,  le  inviò  il 
prezioso  donativo  della  Rosa  d'oro 
benedetta  (^P^edi),  indi  per  mezzo  di 
monsignor  Sala  poi  Cardinale  ,  le 
diede  sei  candellieri  con  croce,  e  cer- 
te glorie  di  metallo  dorato,  e  di 
bellissimo  lavoro  ;  non  che  la  metà 
degli  arredi  sagri  di  argento  dorati, 
che  avea  adoperali  nel  suo  Cardi- 
nalato, oltre  alcuni  nobili  paramen- 
ti sagri.  11  medesimo   Pontefice   ad 


GIN 

altre  chiese  della  città  fu  pure  be- 
nefico con  donativi  di  suppellettili, 
e  sagri  paramenti.  Per  conto  delle 
notizie  storiche  della  città  di  Cin- 
goli, sono  a  consultarsi,  Orazio  Avi- 
cenna, ossia  Rutilio  Silvestri  ;  Mc' 
moria  della  città  di  Cingoli,  Jesi 
1644?  Giuseppe  Culucci,  Antichità 
Picena,  nel  t.  Ili  DelC  antica  città 
di  Cingoli;  e  le  lettere  di  France- 
sco ]Maria  RalTaelli,  inserite  nelle 
Novelle  Letterarie  di  Firenze,  pub- 
blicate da  Giovanni  Lami,  ai  tomi 
X,  XI,  XII,  e  XIII. 

Antiche  e  importanti  sono  egual- 
mente le  notizie  ecclesiastiche  di 
Cingoli,  come  meglio  si  potrà  vedere 
negli  autori,  che  citeremo.  La  erezione 
della  sua  sede  vescovile,  immediata- 
mente soggetta  alla  s.  Sede,  rimonta 
ai  primordi  del  sesto  secolo.  Troppo 
noto  è  Giuliano  suo  vescovo,  che 
accompagnò  in  Costantinopoli  il  som- 
mo Pontefice  Vigilio,  pel  grave  af- 
fare dei  famosi  Tre  Capitoli  (J^edi), 
ed  ivi  si  sottosci'isse  nell'  anno  553 
al  celebre  costituto,  e  in  altri  atti  : 
Ilumilis  episcopus  ecclesiae  Cingu- 
lana  e.  Neil'  anno  559  abbiamo  che 
Papa  Pelagio  I  scrisse  una  lettera 
al  vescovo  Giuliano;  ma  dopo  di  lui 
non  si  fa  menzione  di  altro  vesco- 
vo di  Cingoli,  secondo  Pompeo  Com- 
pagnoni ,  Memorie  della  chiesa,  e 
de'  vescovi  di  Osimo,  tomo  I,  p. 
i58  e  seg.,  e  l'autore  delle  Osser- 
vazioni ciitichc  sopra  le  anticJiità  cri- 
stiane di  Cingoli,  che  è  Luca  Fan- 
ciulli, Osimo  1769.  Sostengono  poi 
aver  avuto  Cingoli  per  vescovi  Teo- 
dosio, e  s.  Esuperanzio,  i.  il  Christia- 
nopoli,  De  s.  Esuperantio  cingula- 
noriim  episcopo  ctc.  Romae  1771» 
2.  il  RalTaelli,  Delle  memorie  ec- 
clesiastiche intorno  all'  istoria,  ed 
al  cullo  di  s.  Esuperanzio  antico 
vescovo,  e    principal    protettore   di 


GIN  175 

Cingoli,  Pesaro  l'jQi;  3.  le  memo- 
rie de*  vescovi ,  e  della  chiesa  di 
Cingoli  dopo  s.  Esuperanzio,  Pesa- 
ro 1762;  4-  Dell'origine,  e  dei 
progressi  della  chiesa  vescovile  di 
Cingoli,  nel  tomo  XXXII  della  rac- 
colta Calogerà.  T^.  inoltre  Bollan- 
do, Act.  ss.  Janaur.  t.  II,  p.  602, 
e  r  Ughelli,  Italia  sacra,  tomo  X, 
p.  5^6,  n.  61. 

In  seguito  la  chiesa  Cingolana  ri- 
mase unita  alla  sede  vescovile  di 
Osimo  :  quando  poi  questa  città  fu 
scomunicata,  la  chiesa  di  Cingoli  ri- 
mase lungo  tempo  sotto  la  giuris- 
dizione di  s.  Esuperanzio.  Dipoi, 
mentre  la  governava  il  vescovo  Car- 
dinal Agostino  Pipia,  il  Pontefice 
Lenedetto  XllI,  mosso  dallo  zelo  di 
avvantaggiare  1'  onore  di  Dio,  e  dal- 
le istanze  della  curia  di  Cingoli,  e 
dal  voto  che  ne  fece  monsignor  Fon- 
lanini  per  ordine  di  monsignor  iMa- 
refoschi  uditore  del  Papa,  col  dis- 
posto della  costituzione  Romana  Ec- 
clesìa, Bull.  Rom.  t.  XII,  p.  2G,  e- 
manala  a' 20  maggio  1725,  con- 
fermò a  Cingoli  il  grado  di  città, 
reintegrò  ed  eresse  in  cattedrale  la 
chiesa  collegiata  di  s.  Maria  assun* 
ta  in  cielo,  e  contemporaneamente 
la  un\  aeque  principaliter  alla  cat- 
tedrale di  Osimo  (Fedi),  ambedue 
immediatamente  soggette  alla  santa 
Sede.  Laonde  il  vescovo  si  chiama 
vescovo  di  Osimo,  e  Cingoli,  e  per 
lo  piìi  è  un  Cardinale.  Governata  è 
presentemente  Cingoli  dallo  zelo  pa- 
storale di  Giovanni  Soglia,  fatto  Car- 
dinale, e  vescovo  dal  regnante  Pon- 
tefice. Inoltre  lo  stesso  Benedetto 
XllI  accordò  alcune  distinzioni  alla 
detta  concattedrale  di  s.  Maria,  cioè 
al  prevosto,  e  arcidiacono  la  moz* 
zetta  di  seta  paonazza,  ed  il  roc- 
chetto, e  ai  dieci  canonici  le  almu- 
zie.     Questa    chiesa    fu    eretta    nel 


inG  GIN 

W'II  st'colo  nel  vescovato  (h;!  Cur- 
(linal  nielli,  il  quale  ne  diede  il  pos- 
sesso al  capitolo  a' 22  maggio  1660, 
trasportandovi  proccssionalinente dal- 
la veeeliia  collegiata  le  reliquie,  e  il 
corpo  di  s.  Candido  donatole  dal 
Cardinal  vescovo  Verospi.  Per  la 
erezione  e  restituzione  della  chiesa 
di  Cingoli  in  cattedrale  si  pubJjli- 
carono  le  seguenti  opere:  Consulta- 
tio  de  cingulana  ecclesia  in  Piceno 
antiijiiis  ìionoribiis  catlicclrae  cpisco- 
pnlis  restitnenda ,  Pioinae  172  Tj 
Memoriale  addicdonale  facU  et  ju- 
ris,  etc.  ;  Romae  1784;  Reslrictns 
rcsponsionis  facd  etj'uris,  etc.  P».otnac 
1734-  Sulle  quali  scritture  i  cingo- 
lani  riportarono  piena  vittoria.  Pri- 
ma però  di  tal'  epoca,  e  nel  1(334, 
in  Roma  erasi  pubblicato;  Cingu- 
lanae  Cadicdralitads,  prò  capitalo  , 
et  communi  la  le  civitalis  Cinguli,  con- 
tra  capitiduni,  et  cominwdtalem  ci- 
vitates  Auxind  :  Restrictus  facli,  et 
juris. 

Attualmente  il  capitolo  della  cat- 
tedrale di  Cingoli  si  compone  di  tre 
dignità,  prime  delle  quali  sono  il 
teologo  e  il  penitenziere,  con  sette 
mansionari,  oltre  altri  preti,  e  chie- 
rici addetti  al  servigio  divino.  Nella 
medesima  cattedrale  evvi  la  cura 
parrocliiale,  amministrata  pel  capi- 
tolo da  un  curato  vicario.  Non  vi 
è  nella  città  altra  parrocchia,  ma  van- 
ta la  insigne  collegiata  di  s.  Esu- 
peranzio  eretta  dal  grado  di  prio- 
vale,  nel  vescovato  di  monsignor 
Pompeo  Compagnoni  verso  l' anno 
1764.  Da  ultimo  furono  approvate 
le  lezioni  proprie  di  s.  Esuperanzio 
vescovo  di  Cingoli,  ordinandosi  da 
Pio  VII  con  decreto,  che  nel  Mar- 
tirologio Romano  si  ponesse  come 
vescovo  di  Cingoli,  in  seguito  di  un 
dotto  volo  del  Cardinal  Fontana. 
Pio  Vili  poi  conciltadiuo  di  Ciiigo- 


CIN 

li,  non  solo  fece  coniare  il  testone 
in  onore  di  s.  Esuperanzio,  e  di  s. 
S|)(,'iandia,  ma  incaricò  il  vescovo 
d'allora  Cardinal  Benvenuti,  di  por- 
re al  collo  del  semibusto  d'  argento 
di  s.  Esuperanzio,  lavoro  del  XIV  se- 
colo, la  propria  croce  vescovile.  L'a- 
nello poi  donatogli  dal  medesimo 
Pontefice,  fu  messo  nel  braccio  pure 
d' argento  di  tal  santo.  Nella  detta 
collegiata  di  s.  Esuperanzio  il  prio- 
re è  parroco  ;  ed  evvi  il  primicerio 
seconda  dignità.  La  sua  struttura  è 
ampia,  e  di  stile  gotico,  ed  è  ram- 
mentata dal  Pvicci,  nelle  Memorie 
delle  belle  arti  del  Piceno.  Il  semi- 
nario, il  quale  era  stato  soppresso 
verso  l'anno  i5i94,  nel  vescovato 
del  Cardinal  Galli,  fu  ripristinato  in 
quello  del  vescovo  Compagnoni,  e 
pei  chierici  nel  1765.  Quindi  fu 
collocato  in  vasto  e  conveniente  lo- 
cale, già  appartenente  alla  compa- 
gnia de' Filippini,  ove  ancora  vi  è 
il  ginnasio  comunale  ripristinato.  Vi 
sono  in  Cingoli  diverse  confraterni- 
te, l'ospedale ,  e  il  monte  di  pietà. 
Oltre  i  conventuali,  gli  agostiniani, 
i  domenicani,  i  cappuccini,  e  i  mi- 
nori osservanti ,  vi  sono  pure  le 
monache  di  s.  Caterina  dell'Ordi- 
ne cistcrciense ,  che  sono  d'una  re- 
mota antichità.  Vantavano  un  ar- 
chivio doviziosissimo  di  pergamene 
passato  alla  comune.  1^.  Giunte  al- 
la serie  de  rettori  Piceni,  del  conte 
Francesco  Pergoli  Campanelli,  pub- 
blicate in  Ancona  nel  1826.  Vi  so- 
no pure  in  Cingoli  le  benedettine 
dell'  Ordine  cassinese,  le  quali  pos- 
seggono il  corpo  della  comprotet- 
trice di  Cingoli  s.  Sperandia.  F.  la 
Dissertazione  intorno  s.  Sperandia 
vergine  di  Gubbio,  del  monistero  di 
s.  Michele  da  essa  in  Cingoli  fonda- 
to e  poi  unito  al  monistero  di  s. 
Marco,  nel  t.  XXIX  della  raccolta 


CIN 

Calogeriana.  Vi  sono  anche  le  Clarisse 
o  francescane,  che  tengono  pubbliche 
scuole  per  tutte  le  ragazze  della  cit- 
tà, divise  in  camerate  secondo  il 
rango,  e  devono  la  nuova  loro  fab- 
brica alla  munificenza  di  Pio  \I1I, 
Casti  gli  Olii. 

Gli   uomini  celebri  poi    che  illu- 
strarono   Cingoli,  sono    i    seguenti  : 
Raniero  Simonetti ,    che  nacque  in 
Cingoli  a' 12   dicembre   167.5,  come 
si   legge    nell'iscrizione    posta    nella 
cattedrale   dalla  di  lui  famiglia.   Be- 
nedetto  XIV,   nel     174?)   innalzol- 
lo  al  Cardinalato.    V.   Delle  lodi  di 
Raniero  Simonetti,   Cardinale  di  s. 
Chiesa,  orazione   del    p.   d.    Mauro 
Sarti  camaldolese,  arricchita  con  no- 
te riguardanti   la  nobilissima    stirpe 
Simonetti  di   Cingoli.    Questa    ora- 
zione fu  pronunziata  in  Cingoli,  in 
un'  accademia  di  belle  lettere,  a'  i  7 
agosto   174/5  ^lls  presenza  del  me- 
desimo Cardinale  patrizio  cingolano, 
e  poi  venne  pubblicata  in  Pesaro  nel 
I747.  Di  Cingoli    furono:    s.    Fio- 
rano   martire ,    e    comprotettore  di 
Jesi;  il    b.    Bartolomeo    Simonetti, 
generale  de'  Silvestrini;  il  b.  Ange- 
lo da  Cingoli  fondatore  de'  Chiareni 
(  Fedi),  e  il  ven.   fr.  Felice  Pergoli, 
predicatore    cappuccino.    Inoltre    si 
vanta  Cingoli  di  avere  dato    a    di- 
verse diocesi  più  di  venti    vescovi , 
senza  dire  dei  prelati,  che  serviro- 
no la  santa  Sede,  di  religiosi    insi- 
gni e  di  lettei-ati,   e  dotti,  come  di 
Francesco  IMaria  RafTaelli ,   1'  elogio 
del   quale  si  legge  nel  numero  4  <^ltl 
Giornale    scientifico -lelterario  ,    che 
fu  composto  dal  conte  Pergoli  Cam- 
panelli suddetto,  Perugia    i833.  Fi- 
nalmente ,    per    non    dire  di  altri , 
vanta  Cingoli  im    Benuttino  Cima  , 
o  de  Cini   di   Cingoli,  come  lo  chia- 
ma Pompilj  Olivieri,  nel  suo  Senato 
Romano,    pag.    7.72.    Da    Bonifacio 

VOI..     XHI. 


CIN  177 

IX,  nel  1400,  fu  fatto  senatore  di 
Roma.  Il  p.  Casimiro,  Memorie 
istoriche,  a  pag.  235,  riporta  l'ono- 
revolissima iscrizione  di  lui,  esistente 
nella  chiesa  di  Araceli,  e  di  Pietro 
Giacomo  Cima,  maestro  di  camera 
di  Leone  XI.  Quindi  coli'  autorità 
di  Vincenzo  Scampoli,  racconta  che 
Benotino  o  Benuttino  dopo  avere 
colle  armi  tolta  la  sua  patria  al  do- 
minio di  Silvestro  Boia,  coli'  esercito 
bretone  al  soldo  della  santa  Sede,  di 
aver  liberato  alcuni  castelli  di  Cingoli 
dall'oppres'^ione  delle  armi  straniere, 
dopo  essersi  occupato  in  molti,  e  prin- 
cipali vantaggi  in  servigio  della  Chie- 
sa Romana,  meritò  da  Bonifacio  IX 
il  titolo  di  Domiccllo,  la  suprema 
vicaria  della  santa  Sede  nella  pro- 
vincia della  Marca,  la  carica  di  se- 
natore di  R.oma,  e  il  donativo  del- 
la Rosa  d'oro  benedetta, 

CINGOLO  (Cmg^H/«m,  Zona,  Bai- 
thens).  Arnese  sagro  ed  ornamento 
sacerdotale,  compreso  ne'  paramenti 
ecclesiastici,  in  forma  di  cordone , 
con  due  fiocchi  alle  estremità.  Suole 
essere  di  filo,  seta,  o  altra  simile  ma- 
teria, e  talvolta  è  misto  con  oro, 
ed  è  del  colore  secondo  la  rubrica. 
Su  di  che  la  sagra  congregazione 
de'R.iti  ha  emanato  i  due  seguenti 
decreti  :  Sacerdotes  in  3Jissae  sa- 
crifìcio congruentius  utuntnr  cingalo 
lineo,  qiiani  serico,  22  jan.  1701; 
Cingulwn,  tertiiun  indumentum  sa- 
cerdotale, potest  esse  coloris  para- 
mentonun,  5  jun.  1709.  Serve  il 
cingolo  per  tenere  fermo  il  camice, 
o  per  cingere  le  reni,  come  rilevasi 
dalle  parole ,  che  pronunzia  il  sa- 
cerdote nel  prenderlo,  allorché  si  ve- 
ste per  celebrare  la  messa  :  Prae- 
ciugc  me.  Domine,  cingalo  purita- 
tis,  et  extingue  in  lumbìs  meìs  hn- 
moreni  lihidinis,  ut  maneat  in  me 
virltis  confinentiae,  et  castitatis.  In 
12 


1-8  cirs 

jin  antico  pontificale  viene  chiama- 
to cinctorium,  e  ila  alcuni  diccsi  an- 
che cintura. 

Vuoisi  il  cingolo  simbolicamente 
significare  la  carità  di  (icsìi  Cristo, 
e  la  sua  verginità,  V.  Innocenl.  e. 
37,  e  Bonavcntnr.  Dice  Durando, 
in  proem.  lih.  Ili  ,  che  il  cingolo 
allude  ai  flagelli  adoperati  nella  pas- 
sione del  Signore ,  e  s.  Tommaso 
asserisce  alludere  alle  funi  colle  qua- 
li fu  legato.  Moralmente  pailando, 
il  cingolo,  per  senlimcnto  di  Ra- 
hano,  significa  la  custodia  dt!l  cuo- 
re, e,  secondo  Amalaiio,  lih.  Il, 
cap.  22,  la  continenza,  mentre  l'Hi- 
sichio  nel  lib.  V  in  Lcvit.  è  di  av- 
viso che  sia  simbolo  della  fortezza. 
Finalmente  dicesi  denotare  il  cin- 
golo anco  la  corda  dell'  arco,  per 
combattere  contro  il  comune  nemi- 
co.  Gemma   1.   I,  e.   83. 

Pompeo  Sarnelli ,  TjcUcvc  eccle- 
siastiche tomo  X,  p.  83,  parlando 
del  succintorio  (Pedi),  descrive  co- 
me deve  essere  il  cingolo:  "  Non 
:>  placet  ea  forma  cinguli  (  ut  prò 
«  ventate  loquar  )  quae  cingulo  ipsi, 
«  ut  bine  inde  pendeant  flocci  a 
«  lateribus  sacerdotis,  duas  addit 
>y  lineas,  quibus  reipsa  cingitur  al- 
)>  ba;  est  cnim  ejusdem  omnino 
j>  formae  cum  succintorio  Papali, 
j>  quod  adhibctur  (addito  manipu- 
*>  lo)  ad  cingendxmi  albani  Papae, 
w  et  non  ni  si  in  ejusdem  missa  Pa- 
ss pali  (  Caeremon.  Papae  lib.  7, 
«  e.  i4)-  Ergo  non  debet  esse  com- 
>'  munis  haec  forma  cuicumque  ce- 
j»  lebranti  ".  Quindi  lo  stesso  Sar- 
nelli aggiugne,  che  il  cingolo  ha  set- 
te dei  misteri  sopraindicati,  cioè  la 
discrezione  moderatrice  di  tutte  le 
virtìi  ,  r  astinenza  ,  la  custodia  del 
cuore,  la  castità  del  corpo,  l'arco 
contro  i  nemici,  la  fortezza  ,  ed  il 
fervore  della    continenza ,    la    quale 


CIN 
non  deve  csscix;  li messi,  rome  si 
esprime  il  citato  Rabnno ,  (fé  Jn- 
s/itiit.  Cleric.  V.  Alenino,  cap.  quid 
si^nificant  ve.stimenta ,  ed  Hugo  Vi- 
ctor, in  Specul.  Eccles.  e.  6.  Il  Ma- 
cri  poi,  Not.  de'  vocab.  EccL,  dice, 
che  in  vece  del  cingolo,  si  può  a- 
doperare  la  stola ,  e  in  luogo  di 
questa  il  manipolo  se  fosse  lungo, 
ed  aggiunge  che  Cingidiim  hrachiale 
significa  il  manipolo.  Che  il  succin- 
torio chiamisi  pure  sitb-cingoln,  lo 
diremo  all'articolo  Paramenti  Sv- 
eni (redi).  Il  Uonanni  nella  Ge- 
rarchia ecclesiastica ,  a  pag.  1 84 , 
tratta  del  cingolo  con  cui  si  cinge  il 
camice  ;  e  il  Giorgi  pur  ne  tratta  : 
De  Liturgia  Rom.  Pont.  toni.  I,  e. 
17,  pag.    i4r. 

CIj\I  Angelo,  Cardinale.  Angelo 
Cini  di  rJevngna,  notissimo  per  le 
sue  produzioni  letterarie,  e  peiizia 
nei  canoni,  ottenne  nel  i386  da 
Urbano  VI  la  chiesa  di  Rpcanati. 
Fu  collettore  degli  spogli  nella  Mar- 
ca d'Ancona,  e  vescovo  di  Macerata, 
la  qua!  chiesa  tenne  con  fpiella  di 
Recanati  come  commenda.  Quindi, 
a' 19  settembre  del  1 408,  Gregorio 
XII  in  premio  della  sua  soda  pie- 
tà, e  scienza  profonda,  lo  sollevò  al- 
la sacra  Porpora  tra  i  Caidinali 
dell'ordine  de'  preti  ,  col  titolo  di 
santo  Stefano  nel  Monlecelio.  Morì 
nel    \\\i. 

CINNA  (Cinnen.).  Sede  episcopa- 
le l'n  partibus ,  suffraganea  e  sog- 
getta alla  metropoli  di  Ancira,  del- 
la prima  Galazia,  nella  diocesi  di 
Ponto.  Commanville  fa  rimontare 
l'erezione  del  vescovato  di  Cinna  al 
quarto  secolo  ,  e  l' Oriens  Christ. 
tom.  I,  p.  4"^^j  ^oa'^^S^  ^^^^  dieci 
vescovi  vi  ebbero  sede. 

GIN  VA  BORA  {  Cinaborinm  ,  o 
Cynnahoriuni).  Sede  vescovile,  eret- 
ta  nel  secolo     quinto,     nella    Frigia 


CIN 

Salutare,  nella  diocesi  ed  esarcato  di 
Asia,  sotto  la  metropolitana  di  Sin- 
nade  o  Synnade.  Si  conoscono  due 
vescovi,  clic  vi  risiedettero. 

CINOPOLI  {  CynopoUs,  seu  Cy- 
nus  ).  Sede  episcopale  del  basso  Egit- 
to nel  patriarcato  di  Alessandria, 
eretta  nel  secolo  quinto ,  di  cui  si 
ricordano  tre  vescovi. 

CIKOPOLl.  Città  vescovile  del- 
l'alto Egitto,  sotto  il  patriarcato  A- 
lessandrino,  di  cui  si  fa  parola  nel 
quinto  concilio  di  Costantinopoli , 
ove  tre  vescovi  ebbero  sede.  Jero- 
rle  dice,  che  fosse  la  capitale  del- 
l'Arcadia. Fu  detta  la  città  de'  cani, 
perchè  vi  si  adorava  JMercurio  in 
(òrma  di  cane. 

CINQUE  CHIESE  {QainqueEc- 
clesien.,  ossia  Funfkirchen.  ).  Città 
con  residenza  vescovile  nella  bassa 
Ungheria,  così  detta  dalle  cinque 
chiese  magnifiche  racchiuse  in  es- 
sa. Questa  è  libera  e  regia,  si  ve- 
de in  riva  al  Pets,  per  cui  in  lingua 
ungherese  con  tal  nome,  o  con  quello 
di  Pets  viene  apjx^llata,  fra  il  Drava, 
e  il  Danubio,  a  pie  di  un  floridissimo 
colle.  È  capo-luogo  del  comitato  di 
Baranya,  e  della  marca  del  suo  no- 
me. Si  pretende,  che  Fiuif-kirchcn 
esistesse  al  tempo  dei  Romani,  e  che 
si  chiamasse  Serbinum.  Le  antichi- 
tà, che  vi  si  trovarono,  sembrano 
confermare  tale  opinione ,  ma  gli 
antichi  geografi  non  ne  fanno  men- 
zione. L'università  che,  nel  i364, 
vi  fondò  Luigi  I  re  di  Ungheria , 
più  non  esiste.  Solimano  II,  nel 
1543,  la  prese,  e  rimase  in  mano 
dei  turchi  sino  al  1686,  nel  qual 
anno  il  principe  di  Bade  la  prese 
colla  foi'za  delle  armi,  e  la  restituì 
all'Austria.  Nel  1664  già  era  riuscito 
agli  austriaci  di  prenderla  per  as- 
salto, e  saccheggiarla  per  tre  giorni, 
ma  non  vi    si    poterono    sostenere. 


CIN  179 

Uguali  saccheggi  provo  la  città  an- 
co per  parte  de'  turchi.  Nella  città 
vi  sono  stabilimenti  di  istruzione  e 
di  beneficenza.  La  sede  vescovile  vi 
fu  eretta  l'anno   1000,  o   looq  per 

10  zelo  e  pietà  di  s.  Stefano  I  re 
di  Ungheria.  Fu  dichiarata  suffra- 
ganea  della  metropoli  di  Gran,  os- 
sia Strigonia,  alla  quale  ancora  è 
soggetta.  La  cattedrale  di  bella  co- 
struzione in  istile  gotico,  è  sotto  la 
invocazione  dell'apostolo    s.    Pietro. 

11  capitolo  si  compone  di  sei  digni- 
tà, la  prima  delle  quali  è  il  prevo- 
sto, e  di  quattro  canonici,  oltre  il 
canonico  teologo,  e  il  canonico  pe- 
nitenziere. Yi  sono  inoltre  molli 
preti,  e  chierici  addetti  al  servigio 
della  chiesa,  ove  esercita  le  funzioni 
parrocchiali  il  canonico  penitenziere, 
assistito  da  due  preti  di  quelli  ad- 
detti al  coro.  Oltre  la  cattedrale,  nel- 
la città  vi  sono  altre  cinque  chiese 
parrocchiali  con  fonie  battesimale, 
e  la  bella  chiesa  de'  gesuiti.  Ewi 
r  ospedale,  ed  il  seminario  cogli  a- 
lunni.  La  mensa  ne'  libri  della  Can- 
celleria apostolica  è  tassata  di  due 
mila  fiorini.  Il  palazzo  vescovile , 
situato  sopra  il  luogo  più  elevato,  è 
magnifico,  e  sta  dappresso  alla  catle- 
drale.  In  esso  racchiudesi  una  copio- 
sa biblioteca,  ed  un  gabinetto  nu- 
mismatico. 11  sommo  Pontefice  Be- 
nedetto XIV,  nell'anno  1754,  col- 
l'autorità  della  costituzione,  Roma- 
nus,  data  il  primo  settembre,  Bull. 
Bened.  XIV,  tom.  IV,  png.  225, 
concesse  a' vescovi  della  cattedrale  di 
Cinque  chiese  in  Ungheria  l'uso  del 
pallio,  e  il  potersi  far  precedere  dal- 
la croce  astata  nella  propria  dioce- 
si, fuorché  alla  presenza  de'  Cardi- 
nali di  s.  Romana  Chiesa,  de'  nun- 
zi apostolici,  e  dell'arcivescovo  di 
Strigonia,  se  qvicsli   noi  permettono. 

CINTO  (  Cintura ,  o   Cordelliera). 


i8o  cui 

Sneijc  (li  Oitline  di  donne,  istituito 
in  Francia  dalla  duchessa  di  Bret- 
tagna Anna,  moglie  a  Carlo  Vili 
re  di  Francia ,  e  poscia  anche  a 
Luigi  XIII,  che  gli  successe  nel  149^- 
li  primario  line  della  principessa  fu 
la  riunione  di  varie  donzelle,  che 
dovessero  volare  a  Dio  la  loro  ver- 
ginità, fare  tre  ore  di  orazione  in 
ogni  di  festivo  nella  chiesa,  eserci- 
tarsi nel  restante  del  giorno  in  opere 
di  pietà,  pregando  l'Allissimo  per  la 
conversione  de'  tanti  eretici  di  cui  era 
allora  inondala  la  Francia,  e  per  la 
j)iosperilà  delle  armi  della  monar- 
chia. Per  onorare  poi  la  passione  di 
Gesù  Cristo,  e  le  corde  colle  quali 
fu  cinto,  la  fondatrice  chiamò  il  suo 
Ordine  della  Cordclliera,  e  per  la 
divozione  che  aveva  a  s.  Francesco 
di  Assisi,  di  cui  portava  il  cordo- 
ne, diede  alle  donzelle  per  distinti- 
vo un  cordone  di  color  bianco,  sim- 
bolo della  professata  castità.  L' im- 
presa poi  formavasi  di  un  collare 
fatto  d'una  corda  intrecciata  a  pa- 
recchi nodi,  della  quale  la  regina 
Anna  volle  onorare  le  principali 
dame  della  sua  corte,  acciocché  lo 
mettessero  intoi-no  ai  loro  stemmi. 
f^.  il  p.  llelyot.  Storia  degli  Ordi- 
ni ec,  e  il  Bonanni,  Catalogo  de- 
gli Ordini  equestri  ec.,  cap.  i3o,  là 
fio  ve  parlano  Dell'Ordine  delle  don- 
ne detto  del  Cinto  0  della  Cordel- 
liera  ;  nonché  il  Giustiniani,  Hist. 
pag.   407. 

ClNTUPiA ,  o  CiXTOtA.  (  Cingw 
inni.  Zona).  Fascia  di  panno,  o  di 
cuojo  colla  quale  1'  uomo  si  cinge  i 
panni,  intorno  al  mezzo  della  per- 
sona. L'uso  della  cintura  risale  al- 
la più  rimota  antichità.  Gli  ebrei 
erano  muniti  di  cinture ,  allorché 
mangiavano  l'agnello  pasquale,  e  il 
loro  sommo  sacerdote  era  obbliga- 
to   a    portale    nei    solenni     sagrillzi 


GIN 

una  cintura,  ornata  di  pietre.  I 
cristiani  della  cintura  sono  i  cri- 
stiani d'  Asia,  principalmente  quei 
di  Soria,  e  di  Mesopotamia,  qua- 
si tutti  nestoriani ,  giacobiti ,  ec. 
Si  chiamano  i  cristiani  della  cintu- 
ra ,  perché  IMatavaxhel  X,  califfo 
della  casa  degli  Abassidi,  ol)blig()  i 
cristiani  ed  i  giudei  nell'anno  856, 
a  portare  una  lunga  cintura  di 
cuojo. 

La  cintura  de' saceidoti  ebbe  ori- 
gine dopo  che  Dio  prescrisse  l' abi- 
to de' sacerdoti  della  legge  mosai- 
ca,  nel  comando  dato  a  Mosè  : 
Stiingesque  tunicam  hysso  et  facies 
ballheuni  opere  pluniarii.  Laonde 
dice  il  Bonanni,  trattando  dell'  abi- 
to de'cliierici,  si  é  sempre  poi  man- 
tenuto l' uso  della  cintura  nel  cle- 
ro. Vuoisi  ritenere,  che  gli  apostoli 
r  usassero^  da  quanto  disse  il  divin 
maestro  :  Sint  lambì  vestri  praecin- 
cli;  e  in  altra  circostanza  disse  loro: 
nolite  possidere  anruni ,  neque  ar- 
getiluni,  nec  pecuniani  in  zonis  ve- 
stris.  In  queste  parole  l' erudito 
Sarnelli  ravvisò  pure  il  costume  de- 
gli orientali,  i  quali  portavano  in- 
volte nelle  cinture  le  monete,  sti- 
mando egU  che  fossex'o  tessute  a 
guisa  di  rete,  ed  in  esse  si  ravvol- 
gessero le  borse  col  denaro.  Il  Re- 
dentore volle  inculcare  colle  dette 
parole  il  distacco  dall'  alTetlo  disor- 
dinato alle  ricchezze,  e  l'amore  al- 
la virtù  della  povertà.  Essendo  poi 
sialo  general  costume,  anco  presso 
1  romani  ,  di  portare  la  cintura, 
per  cui  Giovenale  Sat.  3  stimò  che 
un  uomo  civile  senza  cintura  dovesse 
vergognarsi,  ne  fu  inculcato  V  uso 
agli  ecclesiastici  tanto  dai  concilii,  e 
sinodi,  che  da  ordinanze  episcopa- 
li ,  sino  a  stabilirne  la  forma,  e  la 
materia. 

In    fatti  abbiamo ,    che  il    sinodo 


GIN 

di  Colonia  del  iSSy,  per  non  rife- 
rire altri  pili  antichi  esempi,  cele- 
brato dal  vescovo  Yaltamo  di  Ju- 
liers,  ai  chierici  comandò:  tonsuram, 
et  hahitiim  defcranl,  suo  ordini  con- 
gnienles,  et  superius  cincti.  Il  sino- 
do di  Milano  del  i5i4  determinò: 
ne  cingula  serico  relisve  intercoiilexta, 
aut  e  corio  confccta  adhiheant.  Il  si- 
nodo di  Treviso,  adunato  nel  1601, 
disse:  Ligamen  s'ive  vincidum  colo' 
ris  violacei^  sed  tantum  nigri  colo- 
ris,  exceptis  r.  d.  decano,  et  cano- 
nicis  nostrae  cathedralis ,  aut  ar- 
cìiipreshyteris,  deferant.  Il  sinodo  di 
Policastro,  nel  i632,  ordinò,  che: 
a  zona  fere  cingulo  violaceo  clerici 
prorsus  ahslineant.  Nel  i643,  nel 
sinodo  di  Marcico,  o  Marsico,  ven- 
ne comandato,  che  il  colore  delle 
vesti  clericali  fosse  interamente  ne- 
ro una  cuni  cingulo.  Dalle  enun- 
ciate sinodali  disposizioni,  si  nota  pu- 
re l'uso  costante  delle  cinture. 

Questa  lodevole,  ed  anco  miste- 
riosa usanza  di  cingere  la  tonaca, 
e  la  veste  talare,  è  stata  praticata 
da  diversi  ecclesiastici  secolari,  ed 
anche  da  tutti  i  regolari  d' ambo  i 
sessi,  come  si  può  vedere  a'  loro  ar- 
ticoli, sebbene  non  convengano  tut- 
ti nella  materia,  di  cui  sono  forma- 
te le  loro  cinture.  N'  è  per  altro 
comune  il  simbolo  di  mortificazio- 
ne, penitenza,  continenza,  e  castità, 
come  avvertì  s.  Gregorio.  Dappoiché, 
per  dire  di  alcuni,  i  basiliani,  e  gli 
agostiniani  1'  usano  di  pelle  nera,  i 
benedettini  di  lana  del  colore  dell'  a- 
bito,  di  lana  nera  i  chierici  regola- 
ri, di  canape  i  francescani,  e  di  se- 
ta gli  ecclesiastici  costituiti  in  digni- 
tà. V.  Fascie,  e  Pompeo  Sarnelli , 
Lettere  Eccl.  tomo  I,  p.  74,  Della 
cintola  chericale. 

Carlo  Bartolomeo  Piazza,  nel  suo 
trattato,  Le  opere    pie    di  Roma  a 


CIN  i8i 

png.  4o7j  parla  della  Confraternita 
della  Cintura,  nella  chiesa  di  s.  A- 
gostino.  Egli  eruditamente  dice  sul- 
l'antico uso  di  cingersi  i  lombi  con 
una  cinta  o  fascia  di  pelli  di  ani- 
mali, usanza  che  praticò  la  b.  Ver- 
gine Maria,  la  quale  prima  di  ascen- 
dere al  cielo  consegnò  la  propria 
cintura  a  san  Tommaso  apostolo. 
Laonde  in  processo  di  tempo  es- 
sendosi portata  tal  insigne  reliquia 
a  Costantinopoli,  nel  calendaino  gre- 
co s'incominciò  a  celebrare  l'uffizio 
della  Cintura  della  b.  Vergine  ai 
2  I  agosto,  e  la  sua  traslazione  ai  3 
luglio.  Di  essa  furono  divotissimi  s. 
Agostino,  e  la  sua  madre  s.  Monica; 
il  perchè  vennero  istituite  nelle  chie- 
se di  religiosi  agostiniani  le  Congrc- 
g.'izioni  della  Cintura,  dichiarando 
Gregorio  XIII  capo  delle  altre  quel- 
la istituita  in  Bologna  sua  patria. 
Siccome  poi  i  Pontefici  furono  lar- 
ghi in  concedere  privilegi  e  indul- 
genze a  quelli  di  amljo  i  sessi  a- 
scritti  alla  divozione  della  cintura, 
Clemente  Vili  moderò  tali  grazie, 
mediante  la  costituzione,  Inscrutah. 
etc,  giacché  il  novero  veniva  chia- 
mato mare  magnum.  Il  medesimo 
Piazza  nel  suo  Emerologio  di  Ro- 
ma, tom.  I,  p.  295,  tratta  erudi- 
tamente colla  digressione  26,  Della 
cintura,  cingolo,  o  fascia,  suo  uso, 
mistero,  e  precetto  al  eletto  secola- 
re, e  regolare  nella  chiesa. 

CIAZIO  Cexci,  Cardinale.  Cin- 
zio  Cenci  ,  di  antica  e  nobile  fa- 
miglia di  Roma ,  fu  creato  Car- 
dinal prete  del  titolo  di  s.  Loren- 
zo in  Lucina  nella  Pentecoste  del 
iiqi  da  Celestino  III.  E.istaurò  la 
sua  chiesa,  e  la  fece  consacrare  dal- 
lo stesso  Pontefice.  Fu  alla  canoniz- 
zazione di  s.  Giangualberto  ;  poi  le- 
gato nella  Marca;  quindi  scomuni- 
cò Marcualdo,    che    negava    di   far 


iSa  CIP 

giurar  vassallaggio  al  Pontefice  ;  po- 
scia andò  legato  in  Sicilia  a  frena- 
re i  nemici  della  Ciiiesa,  «juimli  in 
Francia  per  la  causa  matrimoniale 
del  re  Filippo  III,  e  dopo  essere  in- 
tervenuto ai  comizi  d'Innocenzo,  e 
Onorio  III,  mori  a  Roma  verso  il 
1228. 

CIOCCHI  A>'TOMo,  Cardinale.  V. 

Mo>fTE. 

CIOCCHI  Cristoforo,   Canlhui- 

Ic.    V.    INIoNTE. 

CIOCCHI  Giammaria,  Cardinale. 
V.  INIoxTE,  e  Giulio  III. 

CIOCCHI  LvNocExzo,  Cardinale. 
V.  Monte. 

CIOLETTI,  o  CHOLET  Gio- 
vanni,   Cardinale.    V.  Cuolet. 

CIPRIANO  (s.),  vescovo  di  Tolo- 
ne in  Provenza,  consecrato  da  s. 
Cesario  di  Arles  nell'anno  5 16.  As- 
sistette a  molti  concilii,  giovando 
non  poco  coli*  opera  sua  alla  con- 
servazione della  fede  e  della  disci- 
plina. Ridotta  la  Provenza  in  quel 
tempo  sotto  il  dominio  dei  Francesi, 
ebbe  il  modo  di  purgare,  con  grande 
consolazione  del  suo  spirito,  dall'aria- 
nesimo la  propria  diocesi,  che  ne  era 
miseramente  infetta  dagli  Ostrogoti. 
Mori  intorno  alla  metà  del  sesto 
secolo,  ebbe  sepoltura  nella  sua  chie- 
sa, ed  è  il  secondo  protettore  della 
città  di  Tolone. 

CIPRIANO  (s.),  martire  di  Nico- 
media  detto  il  Mago,  nacque  in 
Antiochia,  città  posta  tra  la  Siria 
e  r  Arabia,  dipendente  dal  governo 
della  Fenicia.  I  genitori  di  lui,  che 
erano  immersi  nella  superstizione, 
lo  votarono  sino  da  fanciullo  al  de- 
monio, ed  egli  crebbe  nel  disor- 
dine del  vizio  e  nella  empietà. 
Tra  le  arti  funeste,  che  aveva  ap- 
preso alla  scuola  di  un  tanto  mae- 
stro, usava  anche  quella  infamissi- 
ina    di    sedurre    le    vergini,    fra    le 


CIP 

quali  vittime  della  seduzione  era  al 
sommo  impegnato  di  potersi  avere 
una  giovinetta  cristiana,  che  viveva 
in  quei  giorni  in  Antiochia,  nomi- 
nata Giustina.  Dopo  molto  tentare, 
conobbe  che  nulla  valevano  in  un 
anima  consccrata  a  Gesù  Cristo  le 
insidie  diaboliche,  e  cominciò  a  per- 
dere il  credito  al  suo  insegnatole  in- 
fernale. La  grazia  di  Dio  lo  illuminò 
a  conoscere  i  propri  erroii,  egli  mos- 
se il  cuore  a  pentirsene,  per  cui  egli 
gettò  alle  fiamme  tutti  i  libri  di  ma- 
gia, che  aveaiio  formalo  per  tanti  an- 
ni il  prediletto  suo  studio,  donò  tutti 
i  suoi  beni  ai  poverelli,  ed,  istruito 
bastantemente  nella  religione  cristia- 
na fu  battezzato.  San  Gregorio  di 
Nazianzo  racconta  il  miracoloso  mu- 
tamento di  quest'  uomo ,  Che  dal- 
l' eccesso  della  empietà  in  cui  vive- 
va, divenne  il  modello  di  ogni  piìi 
bella  virtù  per  modo,  che  ardente 
di  carità  verso  Dio,  non  dubitò  pun- 
to di  sottomettere  il  capo  alla  scure 
del  carnefice,  nella  persecuzione  di 
Diocleziano,  in  testimonio  della  sal- 
da sua  fede,  l'anno  804.  Con  esso 
colse  ancora  la  palma  del  mar- 
tirio quella  vergine  Giustina,  che  re- 
sistendo alle  sue  brame,  era  stata  fe- 
licissima occasione  del  ravvedimen- 
to di  lui.  Alcuni  fedeli  di  R.oma  por- 
tarono da  Nicomedia  in  questa  cit- 
tà le  reliquie  di  ambedue  i  santi 
martiri,  ai  quali  nel  regno  di  Co- 
stantino, per  opera  d'  una  pia  don- 
na della  famiglia  di  Claudio,  fu  e- 
retto  un  tempio  nella  piazza,  che 
porta  il  nome  di  questo  principe. 
In  progresso  di  tempo  però  le  ossa 
di  s.  Cipriano  e  di  s.  Giustina  fu- 
rono trasferite  nella  basilica  di  La- 
terano,  dove  riposano  anche  al  pre- 
sente. La  festa  di  questi  due  mar- 
tiri è  celebrata  il  ventesimoscsto 
giorno  di  settembre. 


GIP 
CIPRLV^O  (s.),  vescovo  di  Car- 
tagine e  martire.  Figliuolo  ad  uno 
dei  priuii  seuatori  di  Cartagine  era 
cresciuto  nella  universale  estimazio- 
ne così  per  la  nobiltà  della  nascita, 
come  per  la  altezza  dell'  ingegno,  e 
per  la  facondia  del  dire.  11  Signore, 
che  volea  trarlo  dalle  tenebre  del 
paganesimo  alla  luce  del  vangelo,  e 
dalle  sozzure  di  bruiti  vizii  alla  pu- 
rità della  morale  crislianaj  dispose 
ch'egli  incontrasse  amicizia  col  santo 
prete  Cecilio,  che  viveva  di  quei 
gioinii  in  Cartagine,  e  fu  appunto 
per  le  persuadenti  ammonizioni  di 
questo,  ch'egli,  dopo  vinti  non  po- 
chi contrasti  dell'animo,  deliberò  di 
abbracciare  la  religione  di  Gesù  Cri- 
sto. Ricevuto  il  battesimo,  come  a 
preludio  di  quella  carità,  che  dove- 
va renderlo  un  eroe  della  Chiesa  , 
vendette  ogni  suo  avere,  distribuen- 
done il  prezzo  ai  poveri.  La  sacra 
Scrittura  e  le  opei'e  di  Tertulliano 
furono  i  primi  libri,  sui  quali,  tosto 
convertito,  pose  con  ogni  calore  il 
suo  studio,  standosi  però  molto  ri- 
guardato nelle  opere  di  quest'  ulti- 
mo, per  non  cadere  negli  eirori  di 
lui.  Alla  scuola  dei  hbri  santi  pro- 
fittò nelle  virtìi  di  giorno  in  giorno, 
così,  che  in  breve,  al  dire  di  Ponzio, 
divenne  erede  della  pietà  di  Cecilio, 
di  cui  volle  assumere  per  gratitu- 
dine il  nome,  chiamandosi  appresso 
Fascio  Cecilio  Cipriano.  Per  voto 
unanime  del  popolo,  comechè  neo- 
fìto,  fu  innalzato  al  sacerdozio,  e  non 
era  ancora  un  anno  trascorso  dalla 
sua  ordinazione,  che  venuto  a  mor- 
te Demetrio  vescovo  di  Cartagine , 
il  clero  insieme  ed  il  popolo  lo  do- 
mandarono per  successore.  La  umil- 
tà, che  era  in  lui  non  ordinaria , 
lo  consigliò  alla  fuga,  ma  inseguito 
per  ogni  parte,  dovette  cedere  alle 
istanze  universali,  ed    approvata    la 


CIP  i83 

sua  eiezione  dai  vescovi  delia  pro- 
vincia, fu  consecralo  nell'anno  248. 
Tulio  ciò,  che  può  formare  il  più  bel- 
lo encomio  di  un  vescovo,  avea  Ci- 
priano in  grado  eminente,  e  fu  scritto 
che  così  anche  nell'  esterno  ei  dimo- 
strava le  egregie  doli  dell'animo, 
da  non  poterlo  vedere  senza  sen- 
tirsi mossi  all'  amore  insieme  ed  al 
rispetto.  La  persecuzione ,  che  fece 
Decio  ai  cristiani,  diede  occasione 
agli  idolatri  di  insolentire  acremen- 
te contro  il  santo  vescovo,  che  non 
lasciava  di  adopei'are  il  suo  zelo 
per  mantenere  la  disciplina,  e  ri- 
parale in  parte  le  gravi  perdite 
cagionate  dall'  insano  furore  degli 
infedeli.  Ma  poiché  questi  non  de- 
sistevano dall'  insidiare  per  ogni 
parte  la  ^ua  sacra  persona,  ricorde- 
vole delle  parole  evangeliche  :  se  sie- 
te perseguitati  in  una  città,  fuggite 
in  un  altra  ;  ben  conoscendo  che 
una  più  lunga  dimora  in  Cartagi- 
ne, non  avrebbe  clic  accresciuto  il 
furoic  dei  Pagani,  non  per-  debolez- 
za d' animo,  ma  affine  di  rendere 
anzi  il  miglior  servigio  al  suo  greg- 
ge, pensò  di  allontanarsi  da  quella 
città.  Nella  sua  assenza,  che  durò 
poco  meno  che  due  anni,  egli  scris- 
se moltissime  lettere,  tulle  ripiene 
di  queir  apostolico  zelo  che  lo  in- 
fiammava, nelle  quali  dirigeva  sa- 
lutari ammonizioni,  ora  al  popolo 
per  conservailo  fedele  a  Gesù  Cri- 
sto, ora  ai  traviati  per  ridurli  al 
retto  sentiero,  ora  ai  sacerdoti  ed 
a'  vicari  perchè  non  cadesseio  di 
animo  nell'esercizio  del  santo  mini- 
stero, ancora  più  difficile  in  quel 
tempo  di  persecuzione.  Potea  dirsi 
con  tutta  verità  che  se  non  era  pre- 
sente ai  suoi  figli  colla  persona,  lo 
era  sempre  con  lo  spirilo,  e  meglio 
giovava  al  bene  spirituale  delle  ani- 
me, perchè  più   liberamente    parla- 


.84  CIP 

va  loro  collo  scritto,  di  quello    clic 
non  avrebbe  potuto  fare  colla  voce. 
Poiché  piacque  al   Signore    di   rido- 
nare la  calma  ai   fedeli,  circa  l'anno 
25i,  per  la  avvenuta  morte   di  De- 
cio  e  del  suo  figliuolo,  il  santo  ve- 
scovo Cipriano  litornò  dal  suo  esilio 
in  Cartagine, 'nel  mese  d'aprile  del- 
lo stesso  anno.  Non  andò  molto  dal 
suo  ritoino,  che   tenne    un    concilio 
assai  numeroso  in  questa  città,    nel 
quale  furono  condannati  gli  scisma- 
liei,  ed  obbligati  alla  penitenza  i  cadu- 
ti nella  persecuzione.  Sarebbe  trop- 
po lungo  il  narrare  per  quante  ma- 
niere Cipriano  abbia  dimostrato  l'in- 
faticabile suo  zelo  nell'esercizio  dei 
suoi  doveri  episcopali,  doveri  che  se 
riescono  in  ogni  tempo    di    somma 
difficoltà  ad  eseguirsi,  più    assai    lo 
erano  senza  alcun  dubbio  in  quella 
stagione,  nella  quale  le  potestà  ter- 
rene faceano  ogni  prova  per  abbat- 
tere il  regno  eterno  di  Gesìi  Cristo. 
Quanto  di  bone    può    arrecare    alla 
Chiesa  mia  somma  pietà    congiunta 
alla  più  profonda  dottrina  in  un  ve- 
scovo, tutto  questo  può    essere    ba- 
stante encomio  a  Cipriano,  che    fra 
i  pastori  fu  distintissimo.   Se    persi- 
stette, più  che  forse  non  conveniva, 
nella  opinione  che  fosse  nullo  il  bat- 
tesimo conferito  dagli  eretici,  seppe 
anche,   come    dice    santo   Agostino , 
cancellare  il  suo  errore  collo    spar- 
gimento del  proprio  sangue  per    la 
fede  di  Gesù  Cristo,  Io  che  av\ en- 
ne nel  giorno    i4  di  settembre  del- 
l'anno 2  58,  non  senza  grande  com- 
pianto ed  edificazione  di  tutto  il  suo 
popolo.  Dopo  il  quinto  secolo,  la  fe- 
sta di  questo  santo  è  celebrata  uni- 
tamente a  quella  di  s.    Cornelio    ai 
16  del  mese  di  settembre.      ' 

IVoUzie  sugli  scrùn  di  s.   Cipriano. 

I  •  La  lettera  o  trattato  dd  disprcz- 


CIP 

zo  *rld  mondo,  0  della  grazia  di 
Dio.  II  santo  scrisse  quest'  opera 
poco  dopo  la  sua  conveisioue,  e 
la  mandò  a  Donato,  che  era  stato 
battezzato  con  lui,  e  che  pare  es- 
sere stato  suo  'compagno  in  ret- 
torica.  Lo  stile  ne  è  lucido  e 
pomposo:  vi  si  riconosce  un  pro- 
fessore di  eloquenza,  avvezzo  alle 
declamazioni,  e  che  aveva  testé 
lascialo  questo  impiego. 

2.  Il  libro  della  Vanità  degl'ido- 
li, composto  da  lui  essendo  lai- 
co. Lo  scopo  del  santo  è  di  pro- 
vare non  doversi  riguardar  co- 
me dei  quelli ,  che  non  furono 
altro  che  uomini,  e  commisero  i 
più  abbominevoli  delitti.  Prova 
che  i  pagani  adoravano  sovente 
i  demoni,  quelli  ancora  che  qual- 
che volta  possedevano  i  corpi  de- 
gli uomini.  Egli  se  ne  appella 
agli  stessi  suoi  avversari,  che 
avevano  più  di  una  volta  udito 
i  demoni  confessare  ciò  ch'erano, 
quando  i  cristiani  loro  facevano 
gli  esorcismi. 

3.  Sembra  ch'egli  fosse  catecumeno 
quando  scrisse  i  due  libri  dei  Te- 
slinionii ,  che  sono  una  raccolta 
di  passi  dell'  antico  testamento , 
risguardanti  Gesù  Cristo  e  la  sua 
Chiesa.  Vi  è  un  terzo  libro  dei 
Tcslinionii,  che  è  pure  una  rac- 
colta di  passi,  dai  quali  risulta 
un  sistema  di  morale. 

4-  II  libro  del  Contegno  delle  Ver- 
gini fu  scritto  immediatamente 
dopo  l'innalzamento  del  santo 
alla  dignità  episcopale,  secondo 
Pamelio,  Pearson  e   Tiliemont. 

5.  Il  libro  dell'  Unità  della  Chiesa 
fu  scritto  poco  prima  che  egli 
abbandonasse  il  suo  ritiro  per  tor- 
nare a  Cartagine. 

6.  Il  libro  dei  Cadali.  11  santo  do- 
po aver  Iodato  a  cielo  la  corona 


CIP 
dei  martiri,  deplora  amaramente 
la  caduta  di  quelli ,  che  aveano 
apostatato. 
y.  11  libro  dell' 0/r/;,/o/2e  domenicale, 
scritto  poco  tempo  dopo  la  pre- 
cedente opera. 

8.  Il  libro  della  Moralità,  scritto 
neir  occasione  della  pestilenza. 

9.  L'  esortazione  al  Martirio,  scritta 
nel  252. 

10.  Il  libro  a  Demetriano.  Questi 
era  un  magistrato  di  Cartagine, 
che  quantunque  caldo  pagano, 
era  stretto  in  amicizia  col  santo 
vescovo.  L'  opera  di  cui  si  tratta 
è  una  risposta  alle  invettive  di 
questo  magistrato  contro  la  no- 
stra fede.  Vi  si  prova  la  religione 
cristiana  non  esser  causa  delle  ca- 
lamità dell'  impero ,  e  vi  si  ha 
inoltre  una  bella  esortazione  alla 
penitenza. 

11.  11  libro  della  Elemosina  e  delle 
buone  opere,  composto  verso  V  an- 
no 254. 

12.  Il  libro  del  Bene  della  pazienza, 
composto  verso  l'anno  256,  in 
occasione  delle  dispute  levate  ri- 
spetto al  battesimo  degli  ere- 
tici. 

1  3.  11  libro  della  Gelosia  e  AqW  In- 
vidia, scritto  poco  dopo  il  prece- 
dente. 

i4-  Lettere  in  numero  di  oltantu- 
na  nell'edizione  di  OxCord  (  detto 
in  latino  Oxoniiim  ) ,  e  ottanta- 
tre in  quella  di  Baluzio.  lìllleno 
hanno  per  argomento  punti  di 
dogma,  di  disciplina,  e  di  pietà. 

i5.  Fra  le  opere  di  s.  Cipriano  ne 
sono  stampate  molte,  che  furono 
attribuite  a  lui,  benché  non  sia- 
no sue.  Le  principali  sono:  i.  Il 
Trattato  contro  gli  spettacoli  pub- 
blici. 2.  Il  Discorso  contro  No- 
vaziano.  3.  Il  libro  del  Celibato 
de    chierici,    che   è    del    settimo 


CIP  i85 

secolo ,  e  contiene    cose    somma- 
mente utili. 

La  prima  edizione  delle  opere  di 
s.  Cipriano  comparve  poco  tempo 
dopo  r  invenzione  della  stampa  ;  es- 
sa non  porta  nome,  né  di  stampa- 
tore, né  di  luogo  ;  tuttavia  è  piti 
corretta  della  maggior  parte  di  quel- 
le che  uscirono  dopo.  Le  opere  del- 
lo stesso  padre  furono  ristampate 
per  cura  di  Erasmo  ,  di  Manuzio  , 
di  Morel,  di  Pamelio  e  di  Piigault. 
Questo  ultimo  editore  è  un  calvi- 
nista mascherato ,  al  dir  di  Fello. 
In  fatti  si  trovano  nelle  sue  note  a 
Tertulliano  ed  a  s.  Cipriano  molte 
cose  che  sentono  di  calvinismo.  A^. 
l'Aubespine ,  Gozio,  Ep.  ad  Salinas. 
pag.  32  3,  e  Petitdidier,  Osservaz. 
sulla  Biblioth.  di  du  Fin,  tom.  I, 
p.    280. 

Nell'edizione  di  Pamelio  le  lette- 
re di  s.  Cipriano  sono  poste  le  pri- 
me e  messe  in  ordine  cronologico  ; 
ma  non  hanno  lo  stesso  luogo  nelle 
edizioni  anteriori  e  posteriori. 

L'  edizione  di  Oxford  uscì  nel 
1681  :  ella  si  debbe  a  Fello,  vesco- 
vo della  stessa  città,  che  vi  aggiun- 
se nuove  annotazioni,  cogli  Ànnnles 
Ciprianici  di  Pearson,  e  le  tredici 
Dissertaliones  Ciprianicae  di  Dod- 
well,  che  mirano  a  schiarire  certi 
punti  di  fatto  e  di  disciplina.  Ba- 
luzio preparava  una  nuova  edizio- 
ne di  s.  Cipriano,  quando  rapi  Ilo 
la  morte.  Maran  Benedettino  della 
congregazione  di  s.  Mauro  diodo 
r  ultima  mano  all'opera  di  lui.  Ila 
eziandio  corretto  alcune  note  di  Ba- 
luzio, ve  ne  aggiunse  di  nuove,  e 
fregiò  la  sua  edizione  di  una  nuo- 
va  vita  di  s.  Cipriano.  Questa  edi- 
zione comparve  a  Parigi  nel  1726, 
in  fol.  col  titolo  seguente;  S.  Cy- 
priain    opera    rccognila   per    Bahh 


I  Hb  CI  P 

jciinn  ,  kcruin  illusirata  per  unum 
(iìLyan)  e  nioiiacliis  s.  lilauri,  qui 
jìravfdiionem  et  vitani  s.  Cipriani 
iidornavit.  Essa  fu  ristampata  a  Ve- 
nezia  nel    1758. 

CIPRIANO  (s.),  abbate  nel  Pe- 
rigoitl,  visse  al  tempo  di  Clutaiio  I. 
Coiisecralosi  (ino  dai  primi  aiuii  al 
servizio  del  Signore,  riuscì  un  di- 
stintissimo modello  di  vita  cenobiti- 
ca. Secondo  s.  Gregorio  di  Tours, 
ebbe  egli  il  dono  dei  miracoli,  che 
operò  cos'i  iu  vita  come  dopo  mor- 
te, la  qual  morte  avvenne  circa  la 
line  del  secolo  sesto.  La  festa  di  lui 
è  indicata  nel  martirologio  romano 
nel  giorno  9  del   mese  di  dicembre. 

CIPRIANO,  Cardinale.  Cipriano, 
arcidiacono  di  santa  romana  Chie- 
sa, e  Cardinal  diacono,  viveva  nel 
494  5  "ti  pontificato  di  s.  Gela- 
sio I. 

CIPRO  (Ordine  di  cavalieri).  L'i- 
stituzione di  cjuest'  Ordine  si  attri- 
buisce verso  il  I  i()7,  per  opera  di  un 
le  dell'isola  di  Cipro  della  nobilis- 
sima famiglia  Lusignano,  forse  Alme- 
rico. Onesti  cavalieri,  che  seguivano  la 
regola  di  s.  Basilio,  dovevano  prendere 
le  armi  contro  gl'infedeli,  e  difendei'e 
la  cattolica  religione  massime  con- 
tro gli  ottomani.  Fu  data  per  in- 
segna ai  cavalieri  di  Cipro  una  col- 
lana d'oro,  formata  di  molti  S  in- 
sieme concatenati,  da  cui  pendeva 
nel  mezzo  una  piccola  spada  d'ar- 
gento, col  manico  d'oro,  avente  so- 
pra uu  S  con  r  epigrafe  :  prò  fide 
SERVAXDA,  come  apparisce  nel  C.i- 
talogo  (lei^li  Ordini  ecpiestri,  etc.  di 
Bonanni  a  pag.  108,  ed  al  u.  98. 
Non  si  deve  tacere,  che  altri  disse- 
10  essere  nel  mezzo  della  spada  la 
lettera  R..  Con  questa  spada  volle  il 
fondatore  dell'Ordine  significare, 
che  muniti  di  tal  arme,  dovevano 
que'  cavalieri  combattere  il  ucunco, 


CIP 
mentre  per  la  lettera  S,  piesso  gli 
antichi  simbolo  del  silenzio,  inse- 
gnavasi  loro,  doversi  mantenei'C  ne- 
gli alfari  di  stato  uu  rigoroso  se- 
greto. Per  questa  ragione  furono 
chiamati  anche  Cavalieri  del  silen- 
zio. Lo  stemma  dei  Lusignano  era 
fregiato  colla  lettera  S,  forse  per  me- 
moria dell'istituzione  di  (|uest' Ordi- 
ne cavalleresco.  Fiori  per  molti  an- 
ni r  Ordine  ;  ma  occupata  da'  tur- 
chi l'isola  di  Cipro  (f^edi),  esso 
naturalmente  si  estinse.  V.  Hist. 
Cronol.  degli  Ordini  equestri,  etc, 
di  Bernardo  Giustiniani,  a  pag.  £96 
e  seg. 

CIPRO  (  Cyprus,  ed  in  turco  Ki- 
Iris).  Isola  considerabile  del  Medi- 
terraneo, tra  la  Cilicia,  e  la  Siria, 
posta  al  nord  dell'Egitto,  all'ovest 
della  Siria,  ed  al  sud  della  Cara- 
mania.  Sebbene  montuosa ,  è  ferti- 
lissima ,  e  produce  in  abbondanza 
le  cose  necessarie  alla  vita,  special- 
mente l'eccellentissimo  e  tanto  ri- 
nomato vino  di  Cipro.  E  tagliata 
dall'est  all'ovest  per  una  catena  di 
montagne  alte  e  scoscese ,  la  cui 
punta  più  alta  è  il  monte  Santa 
Croce,  cioè  il  famigerato  Olimpo 
degli  antichi.  Consagrata  già  a  Ve- 
nere dai  favoleggiatori ,  onora  vasi 
quivi  la  dea  con  un  culto  partico- 
lai(^,  come  ([uella  che  al  dire  dei 
poeti  era  nata  in  quest'isola.  Forse 
la  voluttà  degli  abitanti  diede  ori- 
gine alla  favola,  mentre  dalla  gran 
(pianti tà  degli  arboscelli  chiamati 
Cipro,  i  quali  producono  un  fiore 
odorosissimo ,  che  cresce  ovunque 
nell'isola,  vuoisi  che  essa  ne  pren- 
desse il  nome.  Delle  tante  famose 
città  che  Cipro  contenne,  Salamina 
piìi  non  esiste,  Ceraunia,  oggi  Cui- 
nes,  non  ha  che  un  buon  porto,  e 
così  Palo  oggi  BalTa ,  è  l'i  dotta  a 
piccolo  borgo.  Amutuiita ,  oggi  JLi- 


CIP 

niassol,  fa  di  sé  meschina  mostra  fra 
le  rovine  di  antichi  monumenti,  ed 
Arsi  noe,  oggi  Famagosta  (Fedi), 
Ila  ingombrata  di  macerie  la  sua 
rada.  Le  altre  celebrate  città ,  che 
una  volta  fiorirono  neh'  isola,  sono 
Citerà,  e  Leucotea ,  oggi  Nicosia 
[  Fedi)j  che  u'è  capitale.  Ma  la 
maggior  celebrità  derivò  a  Cipro 
da  Amatunta,  Pafo,  Citerà,  e  dal 
bosco  d' Idalia.  L'isola  fu  anco  chia- 
mata con  diversi  nomi ,  e  per  la 
sua  floridezza,  popolazione,  ed  altre 
singolari  prerogative,  principalmen- 
te al  tempo  delle  Crociate,  fu  dai 
Greci  chiamata  Macaria,  cioè  Bea- 
ta. Ma  ora  pel  suo  considerevole 
decadimento  non  conta  che  circa 
settantamila  abitanti,  la  metà  gre- 
ci, e  il  resto  turchi ,  mai'oniti ,  ar- 
meni, ec.  Però  sino  dai  tempi  re- 
moti, è  proibito  agli  ebi'ci  di  sog- 
giornarvi, in  conseguenza  della  ri- 
bellione da  essi  suscitatavi  sotto  l'im- 
peratore Trajano. 

Cipro  anticamente  fu  popolata 
dai  Fenicii,  avanti  che  alcune  colo- 
nie greche  vi  si  stabilissero,  poscia 
fu  divisa  in  quattro  provincie ,  e 
contiene  nove  regni  tributarii  dei 
monarchi  di  Persia.  Allorquando 
r  impero  persiano  fu  distrutto,  l'iso- 
la divenne  dominio  dei  Tolomei  re 
d'Egitto,  o  de'  loro  parenti  dopo  la 
morte  di  Alessandro  il  Grande , 
dall'anno  3i^  avanti  l'era  cristia- 
na, sino  al  697  di  Pioma ,  e  Sy 
prima  delia  nascita  del  Salvatore. 
A  quest'epoca  fu  da'  romani  occu- 
pata, ed  i  governatori  si  chiamaro- 
no allora  Cipriarclii.  I  romani  tol- 
sero quest'isola  a  Cleopatra,  regina 
di  Egitto,  come  discendente  di  To- 
lomeo. Diviso  poscia  l'impero  ro- 
mano, Cipro  rimase  soggetta  all'im- 
peratore di  Costantinopoli,  che  de- 
stinava al  suo  governo  im  ministro 


CIP  187 

col  titoio  di  duca,  o  Cipriarca.  Al- 
la caduta  del  romano  impero  per 
alcun  tempo  fu  signoreggiata  dagli 
arabi,  che  dagli  imperatori  greci 
vennero  discacciati,  cosicché  rimase 
al  loro  governo.  Ribellatasi  l' isola 
al  duca  Isacco  Comneno,  uomo  cru- 
dele, se  ne  rese  padrone  Riccardo  I 
re  d'  Inghilterra,  il  quale  s'  era  im- 
barcato nel  1191  per  la  crociata, 
ed  era  stato  gettato  dalla  tempesta 
nelle  coste  dell'isola,  e  la  prese  ad  I- 
sacco,  che  era  stato  saccheggiato  da- 
gli stessi  suoi  soldati.  Il  motivo  di 
tale  invasione  si  attribuisce  agli  af- 
fronti che  il  re  ricevette  dal  duca  Isac- 
co. Il  re  ne  investi  i  cavalieri  Tem- 
plari, che  poco  tempo  dopo  la  re- 
stituirono a  Riccardo  I.  Siccome  era 
slata  presa  la  città ,  e  il  regno  di 
Gerusalemme  dai  saraceni  nel  i  i88, 
mentre  n'era  re  Guido  di  Lusigna- 
no  di  nobilissima  stirpe  francese, 
bramoso  il  detto  re  d'Inghilterra 
di  conquistare  a*  saraceni  il  regna 
di  Gerusalemme,  si  fece  cedere  da 
Guido  le  sue  ragioni  sul  medesimo, 
e  invece  gli  cedette  il  regno  dell'i- 
sola di  Cipro,  che  teneva  in  pos- 
sesso, locchè  avvenne  nel  medesimo 
anno  i  1 9 1 .  Nel  1 1 94  gli  successe 
sul  trono  Almerico,  ed  a  questo  si 
attribuisce  l'istituzione  de'  Cavalie- 
ri di  Cipro  {Vedi),  detti  anco  del 
Sdeiizio,  per  difendere  l'isola  con- 
ila i  turchi;  Ordine  equestre,  che 
mollo  fiorì  in  questo  regno.  Montò 
poscia  sul  trono  nel  i2o5  Ugo  I, 
ch'ebbe  nel  1218  Enrico  I  per  suc- 
cessore. IMcntre  per  la  sua  morte  il 
regno  era  governato  dalla  regina  , 
il  Cardinal  Pelagio  Galvani,  legato 
d'Innocenzo  IH  nella  Grecia,  per 
ordine  del  Papa  passò  in  Cipro,  e 
stabili  colla  regina ,  co'  vescovi  e 
magnati  del  reame  le  cose  riguar- 
dauli  lu  cattolica  religione  ,    laonde 


i88  CIP 

venne  iicU'  isola  foiulala  la  mofio- 
politana,  con  tre  vescovi  sullraganei 
di  rito  latino  quando  prima  ve  n'e- 
rano quattordici  di  rito  greco.  Ma 
(lolle  sedi  vescovili  del  rci^no  di  Ci- 
pro, e  de'  concilii  ivi  celebrali  ne 
rarleremo  in  fine  dell'  articolo. 

Nel  12^4  all'enne  re  di  Cipro 
Ugo  II,  che  ebbe  per  successori  nel 
ì7.G^  Ugo  HI,  nel  1281  Giovanni  I, 
jiel  1283  Enrico  II,  nel  i3i6  Ugo 
IV,  il  quale  regnò  trentasette  anni. 
Detcrminata  nel  i333  la  crociata 
contro  i  turchi,  ed  effettuata  nel  i  344 
sotto  il  pontificato  di  Clemente  VI, 
questo  Papa  prescrisse  al  re  di  Ci- 
pro, ai  veneziani,  ai  genovesi,  ed 
a'  cavalieri  di  Ilodi  di  mantenere 
nel  porto  di  Smirne  delle  galere  ar- 
mate,  per  raffrenare  la  crescente 
possanza  turchesca.  Dipoi,  nel  i352, 
Innocenzo  VI  suo  successore,  da  A- 
vignone  scrisse  al  re  Ugo  IV,  acciò 
eseguisse  tali  condizioni,  ed  osser- 
vando, che  dopo  la  ribellione  del 
Iriljiuio  Cola  di  Pùenzo ,  i  romani 
profittando  del  soggiorno  de'  Ponte- 
fici in  Avignone,  non  volevano  sof- 
frire alcun  giogo,  perchè  si  accostu- 
massero all'ubbidienza,  mandò  a  go- 
vernarli il  re  Ugo  IV  Lusignano , 
che  si  trovava  alla  sua  corte  di  A- 
vignone  col  fine  di  domandargli  soc- 
corso contro  il  sultano  d'Egitto.  11 
rispetto ,  che  si  doveva  a  f[ue-^to 
principe,  riscosse  dai  romani  l'ubbi- 
dienza ,  ma  questa  durò  per  ben 
poco  tempo.  Eletto  nel  i362  in  A- 
vignone  il  Papa  Urbano  V,  Pietro 
I  re  di  Cipro  vi  si  recò  ad  ossequiar- 
lo, come  fecero  altri  sovrani,  in  un 
ai  re  di  Francia,  di  Danimarca,  e 
all'imperatore  Carlo  IV.  Alla  pre- 
senza di  numerosa  assemblea  fu  pri- 
ma cura  di  Urbano  V  di  deliberare 
sulla  crociata,  e  sul  modo  con  cui 
aveasi  da  intraprendere.  N'era  prin- 


CIP 
cipal  motore  11  detto  Pietro  re  di 
Cipro,  che  da  cinque  o  sei  anni  per 
tale  effetto  visitava  tutte  le  corti  di 
Europa ,  come  quello  che  piti  era 
esposto  alla  possanza  degli  ottoma- 
ni. Urbano  V  deliberò  di  partire 
da  Avignone,  e  lecarsi  in  Roma,  rna 
scris.se  prima  nel  i366  premurose 
lettere  a  tutti  i  principi  Europei , 
perchè  porgessero  soccorso  alle  iso- 
le di  Cipts,  e  di  Rodi,  contro  le 
(juali  volevano  scagliarsi  i  saraceni 
dell'Egitto,  di  Soria,  e  di  Babilo- 
nia collegati  coi  turchi.  Giunto  il 
Papa  a  Roma  a'  16  ottobre,  fu  vi- 
sitato da  Pietro  re  di  Cipro,  dal- 
l' imperatore  e  da  Giovanna  I,  re- 
gina di  Napoli,  alla  quale  il  Pon- 
tefice donò  la  Rosa  d'oro  benedet- 
ta ,  comunque  i  Cardinali  avessero 
desiderato,  che  piuttosto  fosse  data 
al  re  di  Cipro. 

Nell'anno  1372,  Gregorio  XI  co- 
mandò il  primo,  che  si  celebrasse 
neir  occidente  la  festa  della  Presen- 
tazione della  beata  Vergine  nel  tem- 
pio, fissandola  a'  2  i  novembre.  Pie- 
tro II,  o  Petrino  re  di  Cipro ,  salito 
al  trono  nel  i3j  i  ,  inviò  in  Avi- 
gnone al  Papa  l' uffizio  di  tal  so- 
lennità posto  in  note,  come  si  can- 
tava neir  oriente ,  e  Gregorio  XI 
non  solo  approvollo ,  ma  lo  fece 
cantare  nella  chiesa  de'  frati  minori 
in  Avignone,  donde  si  propagò  per 
tutto  l'occidente.  Nell'anno  i383, 
divenne  re  di  Cipro  Jacopo  I,  il 
quale  però,  come  il  predecessoie , 
avviluppato  nel  funesto  scisma  di 
Clemente  VII,  contro  il  legittimo 
Pontefice  Urbano  VI,  segui  le  par- 
ti dell'antipapa,  per  cui  anche  l'isola 
prestò  ubbidienza  a  Clemente  VII, 
e  al  successore  Benedetto  Xlll.  Ma 
dipoi  conosciuto  l' errore  ,  il  re 
Giovanni  II  che  nel  iBgS  era  dive- 
vcuulo  sovrano    di  Cipro,    si    ritirò 


CIP 
dall'ubbidienza  di  questo  ultimo, 
e  spedì  ambasciatori  al  concilio  di 
Pisa,  ove  fu  eletto  nell'anno  1409 
Alessandro  V.  Nel  i4i2  divenne 
re  di  Cipro  Giovanni  HI,  ed  ancor 
eirli    in\iò    ambasciatori   al    celebre 

o 

concilio  di  Costanza ,  ov'  ebbe  ter- 
mine lo  scisma,  coli' elezione  di  Mar- 
tino V,  nel    i-iir. 

Mentre  era  sovrano  di  Cipro  Gio- 
vanni 111,  il  Pontefice  Eugenio  IV 
provò  gran  consolazione  nel  ricevere 
all'unione  della  Chiesa  romanri,  nel 
144^3  §li  scismatici  dell'isola  di  Ci- 
pro, che  aveano  seguitati  i  decreti 
del  concdiabolo  di  Basilea.  Appena 
poi,  nel  14473  S^'  successe  nel  pon- 
tificato jNicolò  V,  questi  assolvette 
il  re  Giovanni  III  incorso  nelle  cen- 
sure per  le  molestie  date  all'  arci- 
vescovo di  JNicosia,  delle  quali  si  di- 
mostrava sinceramente  pentito.  Fra- 
tello di  questo  re  fu  Ugo  Lusigna^ 
no,  che  nel  is\i3  era  stato  fatto  da 
Giovanni  XX III  arcivescovo  di  Xi- 
cosia,  e  da  INIartino  V  nel  1426 
era  stato  creato  Cardinale.  Ciò  non 
pertanto,  sotto  Eugenio  IV,  seguì  il 
partito  de'  padri  di  Basilea,  e  dell  an- 
tipapa Febee  V,  eletto  da  que'  pa- 
dri, perchè  Anna  di  Lusignano  sua 
nipote  era  maritata  a  Ludovico  du- 
ca di  Savoja,  figlio  dell'antipapa. 
Degradato  da  Eugenio  IV  delle  di- 
gnità vescovile  e  Cardinalizia,  morì 
nella  Savoja  nel    i44-- 

Nicolò  V,  nel  luglio  del  i44'5 
nominò  legato  apostolico  nel  regno 
di  Cipro  e  nell'  isola  di  R.odi,  An- 
drea arcivescovo  di  Pvodi,  affin  di  re- 
staurare la  disciplina  ecclesiastica  in 
ambedue  i  luoghi,  e  richiamare  al 
grembo  della  Chiesa  i  caldei,  e  gli 
scismatici  i\i  dimoranti.  Maometto 
II  imperatore  de'  turchi  mosse  guer- 
ra al  re  Giovanni  III;  per  cui  Pa- 
pa Nicolò   V,    a'  12    agosto     1 4 l'i  3 


CIP  189 

scrisse  caldissime  lettere  a  Federico 
III  re  de' Romani,  ed  ai  re  d' In- 
glìilteri-a,  Polonia,  Boemia,  Svezia, 
Norvegia,  Sicilia,  e  Scozia,  esortan- 
doli a  prestargli  soccorso  con  dena- 
ro, o  con  armi;  ammonì  lo  stesso 
re  di  Cipro  a  fortificare  Nicosia,  e 
concesse  indulgenza  plenaria  a  tutti 
i  fedeli,  che  al  re  prestassero  aiuto. 
Egual  zelo  ebbe  Calisto  HI,  perchè 
nel  1455  fece  allestire  un'armata 
di  sedici  galere  sotto  il  comando  del 
valoroso  Cardinal  Mezzarota,  colla 
quale  difese  l'isola  di  Cipro  dagli 
ottomani,  e  restituì  quella  di  JMiti- 
lene  al  suo  principe.  Nel  1460,  Car- 
lotta regina  di  Cipro,  figlia  di  Gio- 
vanni III,  si  fece  coronare  in  Nico- 
sia, e  governò  il  regno  sino  al  i463, 
in  cui  usurpò  il  potere  Giacomo  fi- 
glio spurio  di  Giovanni  III,  il  qua- 
le divenne  re  col  nome  di  Jacopo 
II.  Ad  istanza  di  questo  principe , 
nel  14^73  Paiolo  II  creò  Cardinale 
il  di  lui  parente  Teodoro  Paleolo- 
go,  discendente  dagl'imperatori  di 
Oriente. 

Giacomo  li  si  sposò  con  Cateri- 
na figlia  di  Marco  Cornaro  nobile 
veneziano,  da  quella  repubblica  adot- 
tata per  figlia.  Caterina  rimase  ve- 
dova nel  i473,  e  dopo  due  anni  alla 
morte  del  suo  piccolo  figlio  Giaco- 
mo IH,  abdicò  il  regno  a  favore 
della  repubblica  di  Venezia,  ritiran- 
dosi nella  sua  patria  l'anno  i^So. 
Siccome  tuttora  era  vivente  Carlot- 
ta, figlia  legittima  di  Giovanni  IH, 
indarno  reclamò  essa  contro  tale 
determinazione,  enormemente  lesi- 
va de'  suoi  sagri  diritti,  e  indarno 
ricorse  colle  armi  del  sultano  di  E- 
gitto,  a  quelle  di  Savoja,  ed  al  Pa- 
pa .  Recatasi  pertanto  in  Ptoma, 
luvvi  graziosamente  ricevuta  da  Si- 
sto IV,  e  trattata  coi  riguardi  dovu- 
ti air  alto  suo  rango,  e  quindi  mo- 


i()o  CIP 

lì  solfo  Innocenzo  VII!  a' iG  luglio 
j/jHj,  clic  non  cbl)c  minor  consi- 
tleraz.ione  del  predecessore  per  tal 
disgraziata  regina.  Fu  sepolta  nella 
basilica  vaticana,  dopo  essere  stata 
esposta  nel  palazzo,  die  Sisto  IV  le 
avca  assegnato  in  Borgo  nuovo  per 
abitazione,  incontro  la  chiesa  di  s. 
Maria  della  Purità.  Venne  accora- 
]iagnnla  con  pompa  alla  basilica, 
coir  intervento  della  famiglia  ponti- 
ficia, ed  ivi  undici  Cardinali  assi- 
.«teltero  alle  sue  esequie.  Sotto  Pao- 
lo V  il  corpo  della  regina  fu  tras- 
portato nelle  grotte  vaticane,  ove  si 
legge  questa  iscrizione  :   kabola  hie- 

T.VSALEM,  CYPRI  ET  ARMENIAE  REGINA 
ORItT     XVI    JULtl    ANNO    DOM.      l4^7-      ^ 

Torrigio,  nelle  Sagre  grolle  vatiea- 
ve,  ci  dà  pi-cziosc  notizie  di  questa 
piissima  regina,  che  mori  d'anni  47 
per  paralisia,  e  che  fu  encomiata 
per  virtù.  Questa  principessa,  la  qua- 
le avea  sposato  Luigi  di  Savoja,  e 
secondo  figlio  di  Luigi  duca  di  Sa- 
voja e  di  Anna  di  Cipro,  figlia  di 
Giovanni  III,  nel  morire  lasciò  tut- 
ti i  suoi  diritti  alla  corona  di  Cipro 
a  Carlo  duca  di  Savoja  suo  nipote, 
il  quale  prese  in  fatti  il  titolo  di 
re  di  Cipro,  titolo  che  fu  trascura- 
to da' suoi  successori  sino  a  Vittorio 
Amadeo  I.  Questi  lo  assunse  nel 
1 633,  e  lo  trasmise  ai  suoi  successori,  i 
quali  s'  intitolano  re  di  Cipro,  Ar- 
menia, e  Gerusalemme,  come  si  dirà 
meglio  all'articolo  Savoja  (^Vedi), 
Olii  per?»  diremo  il  perchè  i  re  di 
Cipro  si  dicessero  ancora  di  Armenia, 
e  di  Gerusalemme. 

Thoros  III,  della  dinastia  di  Ru- 
])en,  re  di  Armenia  in  Cilicia,  nel 
i2C)3  prese  per  moglie  la  princi- 
pessa Margherita,  figlia  di  Ugo  III 
re  di  Cipro  della  suddetta  dinastia 
de' Lusignnni.  Indi  nel  1295  la  so- 
rella di  Thoros  III,  principessa  Isa- 


CIP 
bella  di  Armenia ,  fu  sposala  da 
Maurizio  conte  di  Tiro,  fratello  di 
Enrico  II  re  di  Cipro,  e  da  questi 
nacquero  Giovanni,  e  Guido  di  Lu- 
signano.  Giovanni  fu  chiamato  in 
Cilicia,  mentre  ancora  reg-iava  Leo- 
ne V,  e  fu  creato  bailo,  e  gran 
principe  di  Armenia.  Morto  quindi 
Leone  V  senza  lasciare  prole,  i 
grandi  proclamarono  re  di  Armenia 
Giovanni  di  Lusignano,  sotto  il  no- 
me di  Costantino  III,  cioè  nel  1342; 
ma  siccome  Giovanni  non  avea  fi- 
gli, nel  seguente  anno  gli  succes- 
se il  fratello  Guido.  Questi  pure 
non  avendo  discendenza,  ebbe  per 
successore  al  trono  di  Armenia  , 
sotto  il  nome  di  Costantino  IV, 
il  figlio  di  Baldovino  di  Lusi- 
gnano, gran  contestabile  di  Arme- 
nia. Costantino  IV  morì  dopo  die- 
ciotto anni  di  regno,  e  per  alcun 
tempo  essendo  rimasto  vacante  il 
trono  di  Armenia,  Papa  Urbano  V 
scrisse  lettere  ai  grandi  d'  Armenia, 
e  li  esorlò  a  coronare  re  Leone  di 
Lusignano  discendente  dai  mentova- 
ti principi,  e  dai  re  di  Cipro.  Leo- 
ne portatosi  a  Sis ,  vi  fu  coronato 
nel  i365.  Mentre  regnava  questo 
Leone  VI,  la  Cilicia  fu  assalita  da- 
gli eserciti  di  Esciref-Sciaban  sulta- 
no di  Egitto,  ed  il  regno  di  Arme- 
nia fu  distrutto  ;  il  perchè  Leone 
VI  prima  condotto  in  Egitto,  vi  fu 
tenuto  lungo  tempo  in  prigione; 
ma  liberato  nel  i382,  venne  in 
Europa,  ed  in  Roma  fu  molto  ono- 
rato dal  Pontefice  Urbano  VI.  Per- 
corsi altri  paesi  ,  morì  a  Parigi 
nel  1393,  senza  lasciare  figli.  Suo 
erede  legittimo  essendo  il  re  di  Ci- 
pro Jacopo  I,  questi  si  fece  coronare 
solennemente  re  di  Armenia,  e  così 
divennero  i  Lusignani  re  di  Cipro,  ol- 
tre che  re  di  Gerusalemme,  conservan- 
do anco  il  titolo    di  re  di  Armenia. 


CIP 

La  repiibblicj»  di  Venezia  posse- 
tlette  l'isola  di  Cipro  sino  dal  1^7  i, 
Ma  ad  onta  che  armate  veneziane, 
spagniiole,  e  pontifìcie  avessero  vin- 
ta la  strepitosa  armata  di  Lepanto, 
Solimano  II  imperatore  de' turchi, 
per  nulla  avvilito,  s' impadronì  del 
regno  di  Cipro  nel  iSyi,  per  cui 
la  sublime  porta  ottomana  tuttora 
ne  conserva  il  dominio.  Gregorio 
XIII,  che  governava  la  Chiesa  alla 
caduta  di  Cipro,  ne  fu  estremamen- 
te dolente,  e  con  molto  oro  riscattò 
Tina  gran  quantità  di  ripiiotti  fatti 
schiavi  dai  turchi.  Nel  pontificato 
poi  di  Paolo  V,  il  duca  di  Savoja 
Carlo  Emmanuele,  confidando  nei 
soccorsi  di  milizie  e  denaro  offerti- 
gli dal  Pontefice,  e  per  di  lui  con- 
siglio volle  tentar  la  ricupera  del 
regno  di  Cipro,  onde  far  valere  i 
diritti,  che  gli  derivavano  per  la  dis- 
posizione della  regina  Carlotta.  I 
cristiani  abitatori  dell'isola  in  nu- 
mero di  trentacinquemila,  promise- 
ro al  duca  valido  ajuto,  ed  una  ri- 
bellione contro  i  turchi  appena  vi 
fosse  comparso  colle  sue  truppe;  ma 
quando  le  trattative  erano  già  avan- 
zate, il  pascià  di  Cipro  essendosi 
insospettito  per  certe  lettere,  che  ave- 
va fatto  intercettare,  si  scagliò  fu- 
riosamente contro  i  cristiani.  Perciò 
il  duca  rimase  deluso  nelle  con- 
cepite speranze,  e  Paolo  V  fu  afìlit- 
to  per  la  perdita  di  tanti   fedeli. 

Cipro  forma  oggidì  un  pasciala- 
tico  dipendente  dal  governo  del  ca- 
pitano pascià,  ed  è  l'isola  divisa  in 
tre  sangiacati,  cioè  di  BnjYa,  Ceri- 
na,  e  Nicosia.  Il  distretto  d'  IchiI 
nella  parte  di  Cilicia  detta  Trachea, 
o  r  Aspra,  sulla  costa  occidentale 
della  Caramania,  dipende  dall'in- 
tendenza di  Cipro.  Nella  funesta  rea- 
zione del  I  82?.,  il  furore  de'turchi  punì 
severamente  i  cipri(jtti,  per  cui  la  po- 


C I  P  1 9  i 

polazione  soffri  notabile  decremento. 
La  chiesa  di  Cipro  fu  fondata  da- 
gli apostoli  s.  Paolo_,  e  s.  Barnaba, 
i  quali  essendo  partiti  d'  Antiochia, 
s' imbarcarono  a  Seleucia,  ed  arri- 
varono neir  isola  di  Cipro  ;  predica- 
rono in  Salamina,  e  quindi  per  tut- 
te le  città  dell'  isola.  La  provincia 
ecclesiastica  di  Cipro  si  compose  di 
Nicosia,  che  eretta  in  sede  vescovi- 
le nel  quarto  secolo,  divenne  metro- 
poli nel  secolo  XIII,  sotto  Papa  In- 
nocenzo III,  come  superiormente  ac- 
cennammo. Ebbe  quattordici,  o  die- 
ciotto sedi  vescovili,  ed  arcivescovi- 
li per  sulTraganee.  Sotto  il  pontifi- 
cato di  Pio  IV,  i  veneziani,  allora 
padroni  dell'  isola,  ottennero  la  no- 
mina di  un  arcivescovo,  con  condi- 
zione che  la  repubblica  nominasse 
quattro  soggetti  ,  de'  quali  il  Papa 
ne  eleggerebbe  uno.  Dopo  l'invasio- 
ne ottomana  la  congregazione  di 
Propaganda  vi  manteneva  un  vesco- 
vo in  Pafo,  e  vi  mandò  per  mis- 
sionari i  cappuccini,  i  riformati,  e 
gli  osservanti,  mentre  il  patriarca 
de'  maroniti  faceva  assistere  i  suoi 
cattolici  nazionali  da  un  vescovo  del 
proprio  rito.  Cipro  fu  anche  titolo 
arcivescovile  e  vescovile  onorario  ;  e 
i  greci,  i  giacchiti,  i  maroniti,  e  gli 
armeni  vi  ebbero  particolare  sede  1 
vescovile  ed  arcivescovile.  Comman- 
ville,  Ilislor.  de  tous  les  /4rchev.  et 
Evcq.  dice,  che  anco  i  copti  vi  eb- 
bero il  vescovo  sino  dal  secolo  XI. 
Il  celebre  s.  Spiridione,  protettore  di 
Cor  fu,  era  stato  vescovo  di  Tremi- 
tunte  nell'isola  di  Cipro,  e  nell'an- 
no 325  intervenne  al  concilio  di 
Nicea,  e  poi  a  quello  di  Sardica. 
L' erezione  della  chiesa  di  Nicosia 
rimonta  a  tal'  epoca,  o  poco  prima. 

Concila  di  Cipro. 

Il  piimo  concilio  nell'isola  di  Cipro 


i(j2  CIP 

f(i  tenuto  nell'nnno  Sqo,  contro 
Oiigcne.  Baluzio  in  Collcct.  ed 
Arduino  toni.  I. 

Il  secondo  concilio  fu  celebrato  l'an- 
no (>43  contio  gli  eretici  ìMono 
telili.  Re-  MV.  Labbé  t.  V,  ed 
Arduino  ton).   111. 

Il  terzo  ebbe  luogo  nel  1260,  per 
la  disciplina  ecclesiastica, e  ne  par- 
la il  solo  Arduino  nei  tom.  VH. 

V.  Janna,  Ilisloire  generale  dcs 
royaumes  eie  Cyprc,  de  Jerusa- 
lem,  d'  Armenie  3  et  d'Egypte , 
Leide    17.Ì7. 

CIPSELLA,  o  Cypsela.  Città  ve- 
scovile della  Tracia,  nella  provincia 
ecclesiastica  di  R.odope,  sotto  la  me- 
tropoli di  Tiajanopoli ,  suU'  Ebro. 
L' imperatore  Giustiniano  I  dal  suo 
nome  la  chiamo  Giusliniana,  o  la 
nuova  Giustìniana.  Altri  la  chia- 
marono Ipsela,  e  Sfracella.  La  sua 
scile,  istituita  nel  secolo  quinto,  eb- 
be sei  vescovi,  secondo  l' Orìens 
Chrisl.  tomo  I,  p.  204.  ÌMa  in  se- 
guito, e  nel  secolo  nono,  fu  eleva- 
ta al  grado  di  arcivescovato  ono- 
rario. 

CIRAxXO  (s.),  abbate  di  Lonrey 
nel  Bern.  S.  Girano,  o  Sigirano_, 
che  ebbe  i  natali  da  illustre  fami- 
giia  nel  IJerrì,  fioriva  nel  secolo  set- 
limo.  Dopoché  fu  informato  nella 
pietà,  e  in  quegli  studii  che  si  ad- 
dicevano al  suo  lignaggio,  gli  venne 
conferita  la  cospicua  carica  di  cop- 
piere nella  corte  del  re  Clotario  li. 
Siccome  però  il  suo  desiderio  era 
di  consecrarsi  piì^i  da  vicino  al  ser- 
vigio di  Dio,  ruppe  ogni  commer- 
cio col  mondo;  e  ricusò  di  unirsi 
iu  matrimonio  con  una  ricca  giova- 
ne olfertagli  da  suo  padre.  Recossi 
quindi  a  visitare  la  tomba  di  s.  Mar- 
tino a  Tours,  ove  fu  innalzato  al 
sacerdozio  dal  vescovo  ÌModciiisilo.  e 


CIR 

venne  poscia  insignito  della  dignità 
di  arcidiacono.  Lo  zelo,  di  cui  av- 
vampava pel  bene  della  diocesi,  lo 
fece  porre  in  opera  tutti  i  mezzi 
possibili  per  torre  gli  abusi,  e  ri- 
mettere la  disciplina.  Se  non  che 
non  andò  guari,  che  il  goveinatore 
della  città  prese  a  perseguitarlo,  e 
giunse  persino  a  porlo  in  prigione 
per  pazzo.  Ricuperata  per  altro  la 
libertà  dopo  la  morte  infelice  del 
suo  persecutore,  rinunziò  l' arcidia- 
couato,  e  distribuito  l'avanzo  dei 
suoi  beni  ai  poveri,  si  condusse  a 
Roma  in  compagnia  di  un  santo 
vescovo  irlandese  chiamato  Fulvio. 
Dopo  questo  viaggio,  volle  visitare 
Flaocatc,  prefetto  del  palazzo  pel 
regno  di  Borgogna  nell' aimo  G|f, 
dal  quale  avendo  ricevute  in  dono 
due  terre  situate  sui  confini  del  Ber- 
ri  e  della  Turena,  nella  diocesi  di 
Bourges,  edilicò  i  monisteri  di  Meau- 
bec  e  Lonrey.  Qucst'  ultimo  in  pro- 
cesso di  tempo  prese  il  nome  di  s. 
Girano,  il  quale  fu  seppellito  nel 
medesimo,  l'anno  6J7. 

GIR.CINA.  Sede  vescovile  nella 
provincia  Bizacena,  dell'  esarcato  di 
Adrumeto.  la  cui  erezione  rimonta 
al  quarto  secolo,  nell'  Africa  occi- 
dentale, in  un'isola  del  regno  di 
Tunisi.  Viene  chiamata  con  diverse 
denominazioni.  Commanville  la  chia- 
ma Cìrcìna ,  Cercine ,  e  Cercare. 
Altri  la  chiamarono  Cine  arila ,  e 
Cicllila.  S.  Fulgenzio  vi  si  ritirò  per 
poco  tempo  avanti   la  sua  xuorte. 

CIRCONCELLIOM.  Eretici  del 
([uarto  secolo,  derivati  dai  dona- 
tisti. Sorsero  essi  nell'  Africa,  dove 
ebbero  tale  denominazione,  perchè 
giravano  intorno  alle  piazze  ed  ai 
borghi,  commettendo  una  infinità 
di  violenze.  ìMakidc  e  Faside  furo- 
no i  capi  di  codesti  fuorusciti  entu- 
sii\sli.   Portavano  in    mano    un     ba- 


stone  per  alludere  a  quello,  che  te- 
nevano gli  ebrei  nella  cereinonia 
tli  mangiare  1' agnello  pasquale;  ma 
realmente  ben  diversa  n'era  la  ra- 
gione. Donato  solea  chiamar  quei 
due  ribaldi  i  capi  de' santi,  e  di  es- 
si servivasi  per  le  piti  crudeli  bar- 
barie. I  Circoncellioni  si  predicava- 
no ristauratori  dei  diritti  della  giu- 
stizia :  costringeano  dunque  tutti  i 
padroni  a  dare  libertà  agli  schiavi, 
e,  quello  ch'è  piìi  ridicolo,  pel  loro 
principio  assolveauo  i  debitori  da 
ogni  impegno,  minacciando  i  cre- 
ditori di  morte,  se  osavano  opporsi. 
Giunsero  a  tal  segno  di  fanatismo 
che,  prese  le  armi,  inveivano  con- 
tro i  cattolici,  uccidendo,  abbrucian- 
do case  e  chiese,  ed  atterrando  gli 
altari.  A  tanto  giunse  la  empietà, 
che  i  loro  stessi  vescovi  imploraro- 
no la  pubblica  forza,  per  raffrenar- 
ne i  furori.  jMa  per  darsi  la  gloria 
di  martiri,  cosa  assai  curiosa,  si 
ammazzavano  da  sé  stessi,  si  preci- 
pitavano dai  dirupi,  o  si  tagliava- 
no la  gola,  e  si  gettavano  nel  fuo- 
co .  I  loro  settari  li  riguardavano 
come  ostie  accette  all'Altissimo,  e 
ad  essi  offerivano  culto.  S.  Ottato 
ÌMilevitano,  De  Donatist.  1.  2,  scri- 
ve che  per  fare  disprezzo  alla  Eu- 
caristia, la  davano  a'  cani,  ma  che 
questi' per  divina  virtù  si  rivoltava- 
no contro  a'  sacrileghi,  e  li  morde- 
vano con  tutta  fierezza.  Le  loro 
massime  eran  quelle  de'  donaLÌsd 
[Fateli).  Essi  avean  fìerissima  guerra 
con  s.  Agostino,  verso  del  quale  non 
lasciavano  di  tramar  le  più  accorte 
insidie.  Un  giorno  fra  gli  altri  ei  vi 
sarebbe  certamente  caduto ,  se  la 
Provvidenza  non  lo  avesse  fatto 
smarrire  di  strada. 

CIRCONCELLIONI .  Predicanti 
t. malici  sorti  uell'  Alemagna  verso 
la  metà  del    secolo  XIII,    app(;l!ati 

VOI,.     \1II.  • 


GIR  193 

così  perchè  andavano  insegnando  i 
loro  errori  con  tutto  l'entusiasmo, 
e  ili  ogni  luogo  dove  poteano.  Pre- 
dicavan  essi,  che  il  Papa  è  un  ere- 
tico, che  i  vescovi,  i  sacerdoti,  i  re- 
ligiosi di  ogni  ordine  son  tanti  ipo- 
criti seduttori  ;  eh'  aveano  perduta 
ogni  giurisdizione;  che  finalmente  le 
indulgenze  erano  una  favola.  Ma  es- 
si poi  dopo  le  prediche  pretendeva- 
no impartirle  con  autorità  ricevuta 
da  Dio  medesimo.  Questi  fanatici 
s' immagina van  così  difendere  l' im- 
peradore  Federigo  li,  perchè  il  con- 
cilio di  Lione  avea  proceduto  con- 
tro di  lui;  ma  realmente  non  fece- 
ro a  quel  principe  che  un  gravissi- 
mo danno. 

CIRCONCISIONE  ( Civcmucisio). 
Cerimonia  della  religione  giudaica 
e  maomettana,  per  la  quale  tagliasi 
la  pelle  del  prepuzio  ai  maschi,  che 
devono  professare  l' una  o  l' altra 
legge,  cioè  la  mosaica,  o  l'alcorano. 
Tal  parola  proviene  dal  latino  cir- 
ciimcidere,  che  significa  tagliare  in- 
torno, perchè  i  giudei  che  ammini- 
strarono la  circoncisione  a'  loro  fi- 
gliuoli, tagliavano  a  quelli  il  prepu- 
zio. Presso  gli  ebrei  credesi  comin- 
ciata la  circoncisione  ai  tempi  di 
Abramo,  nell'anno  2108  del  mon- 
do. Gli  ebrei,  e  i  discendenti  loro 
non  hanno  mai  circonciso  se  non 
che  i  figliuoli  maschi,  ma  gli  egizi, 
gli  arabi,  i  persiani  ed  altri  popoli, 
ed  vm  tempo  anche  i  messicani  che 
usavano  circoncidere,  assoggettavano 
egualmente  le  fanciulle  alla  circonci- 
sione, la  quale  però  in  diverso  modo 
si  eseguiva.  Il  Sarnelli,  LeUere  Eccl. 
t.  IV,  p.  73,  dice  del  modo  come  si 
praticava  la  circoncisione,  e  di  quan- 
to riguarda  le  donne.  Pretesero  gli 
eretici  Celso,  e  Gj^uliano  l'apostata, 
che  Abramo  avesse  impalato  dagli 
egizi  la  pratica  della  circoncisione, 
i3 


194  CIR 

opiiiinne  ilio  alcuni  moderni  rolle- 
rò sostenere  ;  ma  è  troppo  noto 
quanto  su  ciò  dicono  i  sni^ri  libri 
del  Pentateuco  e  della  Genesi.  I 
padri  ritengono  costantemente,  che 
la  circoncisione  fti  un  segno  distin- 
tivo del  popolo  di  Dio.  Altri  sosten- 
gono, clic  essn  fosse  por  gli  ebrei 
come  un  sagramcnto,  istituita  per 
santificarli  ,  cancellando  in  essi  il 
peccato  originale.  Figurava  il  bat- 
tesimo, la  passione  di  Gesti  Cristo, 
e  la  risurrezione  futura,  come  spie- 
gano i   santi  padri. 

Anche  gli  cgi/i  praticarono  la  cir- 
concisione per  motivo  di  religione , 
mentre  gli  altri  popoli  il  fecero  per 
sole  i-agioni  fisiclic  di  pulitezza,  di  sa- 
lute, e  di  fecondità.  Uno  dei  primi 
eresiarclii  insorti  nella  Chiesa  nascente 
fu  Corinto,  il  rpialc  stimava  neces- 
saria la  circoncisione,  come  il  batte- 
simo, ai  gentili  di  fresco  convertiti. 
Il  perchè  il  principe  degli  apostoli 
san  Pietro  convocò  un  concilio  in 
Gerusalemme,  ai  cpiale  intervennero 
diversi  apostoli  ed  altri  ecclesiastici, 
e  nel  quale  fu  decretala  l' al)olizio- 
ne  della  circoncisione  a'  cristiani,  co- 
me cosa  non  più  necessaria,  f^.  Act. 
Apost.  cap.  i5;  ed  il  Lahbe  Con- 
dì, tomo  I. 

Dice  il  Cutler,  al  primo  di  gen- 
naio, che  Gesù  Cristo  coli'  assogget- 
tare subito  appena  nato  la  propria 
persona  alla  cerimonia  della  circon- 
cisione, aboliva  in  un  modo  onore- 
vole un  rito,  cui  Dio  non  avea  isti- 
tuito che  per  un  dato  tempo.  J^.  Ber- 
nini Istoria  delle  eresie  p.  4  5  Pao- 
lo Medici,  Riti  e  costumi  degli  ebrei, 
capo  111,  p.  f,  il  p.  Calmet,  Dis- 
sert.  sulV  origine  della  circoncisione , 
che  è  in  fronte  al  suo  Commento  sul- 
la Genesi;  ed  il  Contenson  Theo- 
log,  tom.  II,  pag.  89.  Il  p.  Gio. 
Stefano  Menochio  della  compagnia  di 


CIR 
Gesù,  mi  tomo  I  delle  sue  Stuore 
di  erudfzioni  sagre,  morali  e  pro- 
fane ec. ,  a  pag.  ()8  tratta  :  Se  la 
circoncisione  rlegli  ebrei  si  facesse 
con  coltello  di  ferro,  0  di  pietra. 

CIRCONCISIONE  m  nostro  Si- 
g:vorf.  Gesìi  Cristo.  Festa,  che  si 
celebra  il  primo  giorno  di  gennaio, 
in  onore  della  circoncisione  del  Sal- 
vatore del  mondo.  In  quel  giorno 
fu  a  lui  imposto  il  nome  di  Gesù, 
datogli  dall'angelo  primachè  fosse 
concetto.  Gesù  Cristo  essendo  Dio, 
avrebbe  potuto  sottrarsi  dalla  cir- 
concisione ;  ma  egli  volle,  per  mol- 
te ragioni,  sottomettersi  a  questa 
perigliosa  ed  umiliante  cerimonia 
mosaica.  ^.  Circoncisione.  Nella  ter- 
ra di  Calcata  diocesi  di  Orte,  si 
conserva  il  prepuzio  tli  Gesù  Cri- 
sto, che  nel  funesto  sacco  di  Roma 
del  iSi'j  rubato  venne  dal  santua- 
rio di  Sancta  Sanctoram  da  un  sol- 
dato, e  sotterrato  in  quella  terra, 
dove  poi  fu  rinvenuto,  come  lunga- 
mente descrive  il  gran  Lambertini, 
De  canoniz.  ss.  lib.  IV,  parte  II, 
capo  XXIV,  num.  i3,  e  capo  XXV, 
num.  46-  Sulle  particolarità  di  tal 
insigne  reliquia,  del  suo  rubaraen- 
to,  e  della  venerazione  che  riscuo- 
te, ne  tratta  eruditamente  il  Piazza, 
nel  tomo  I  dell'  Enierologio  di  Ro- 
ma, pag.  I  r,  e  seg.  Digressione  I. 
Del  santissimo  prepuzio  del  nostro 
Signore  Gesìc   Cristo. 

Si  ignora  precisamente  quando 
questa  festa  s' incominciasse  a  cele- 
brare nella  Chiesa.  La  festa  della 
Circoncisione  è  delta  Ottai'a  della 
nascita  di  IV.  S.  in  un  antico  .sa- 
gramentario  della  Chiesa  romana, 
cui  fecero  delle  aggiunte  i  ss.  Pon- 
tefici Leone  I,  e  Gelasio  I.  In  esso 
si  fa  chiara  menzione  della  circon- 
cisione nella  orazione  segreta  della 
messa.   Abbiamo  un    decreto  di  Re- 


GIR  GIR  195 

ccsvindo,  che  montò  sul  trono  di  ncH'  uffizio.  I  sommi  Pontefici  ia 
Spagna  l' anno  649»  coi  quale  vie-  questo  giorno  si  recavano  ad  ossi- 
ne ordinata  ia  celebrazione  di  lai  stcre  alla  solenne  messa  nella  chie- 
festa.  Oltre  a  ciò  già  il  concilio  di  sa  di  s.  Maria  del  Popolo  ;  ma 
Tours,  sino  dai  56(>,  avca  prescrit-  ora  lo  fanno  nella  cappella  mag- 
io il  digiuno  e  la  celei^razionc  del-  giore  dei  palazzo  apostolico,  dove 
la  messa  della  circoncisione  nel  pri-  aljitano. 

mo  giorno  di  gennaio,  per  opporsi  II    Bergier,   parlando    della   festa 

alle    pagane    superstizioni^    che    nel  della  circoncisione,    osserva    che    in 

medesimo  giorno  aveano    luogo    in  Francia    il    dì    primo    gennaio    era 

onore  di  Giano.  Certo  è,  che  dopo  giorno  di  penitenza    e    di    digiuno, 

il  settimo   secolo,  la    Chiesa    stabilì  ad  espiazione  non  solo  delle  super- 

una  festa    regolata    sotto    il    doppio  stizioni,   ma  eziandio  dei    disordini , 

titolo  di   Circoncisione,  e  di  Oliava  ai    quali    abbandonavasi    il    popolo 

di  Natale j  e  l'ufficio,  che    ha  ri-  seguace  del  paganesimo,  e  che    nel 

tenuto  per  queste  due  solennità,   è  '444  ^^^  i"  4"cl  regno  sostituita  ia 

composto  di  una  parte  di  un  terzo  festa    solenne    del    nome    di    Gesù, 

uffizio,  che  si  riferisce  alla  b.    Ver-  Sulle  feste  superstiziose,  che  aveva- 

gine  Maria,  perchè  il    giorno    della  no  luogo  il   primo  di  gennaio,  con 

ottava  di  Natale  era  in  certo  modo  altre  notizie  analoghe  al  primo  gior- 

consagrato   ai    di    lei    culto  ;    culto  no  dell'  anno,  si  vegga  il  Dizionario 

già  in  pratica    prima    dello    stabili-  ai  volumi  VI,  a  pag.   2  34,  ^  X  al- 

mento  della  festa.  le  pagine  77,  e  78. 

Nel  giorno  della  circoncisione,  ol-  CIPiENAICI.  Eretici  del  secolo 
tre  queste  feste  generali,  ve  ne  so-  secondo,  che  negavano  la  necessità 
no  due,  che  sono  particolari  in  al-  della  orazione.  Gesù  Cristo,  dicevan 
cuni  luoghi  :  ia  consagrazione  delle  essi,  conosce  tutto  ciò  che  ci  abbi- 
primizie  del  prezioso  sangue  di  Gè-  sogna;  dunque  è  inutile  domandar- 
sù  Cristo,  colla  quale  incominciò  la  glielo.  Ma  non  rifletteano  quegli 
grande  opera  della  redenzione;  e  stolti,  che  lo  stesso  Signor  nostro 
quella  del  Nome  di  Gesìi  (  F'e-  non  solo  comandò  la  orazione,  ma 
di).  Questa  festa  si  suole  traspor-  sibben  anco  e'  insegnò  a  farla, 
tare  agli  8  gennaio,  ovvero  ai  i4,  CIRENE  (Cy/enen.  Carvenna,  ed 
ed  anco  ai  i5  ee.  dello  stesso  me-  ora  Curia,  o  Curen.  ).  Sede  'epi- 
se.  Anticamente  si  dicevano  due  mcs-  scopale  in  pardhus  neh'  Africa.  Con 
se  nel  primo  giorno  di  gennaio ,  gli  ultimi  nomi  chiamasi  il  luogo 
r  una  della  circoncisione ,  l' altra  dell'  antica  Cirene,  eh'  era  situata 
della  Madonna ,  come  afferma  il  alla  estremità  settentrionale,  e  alla 
Durando,  autore  del  XIII  secolo,  sommità  della  catena  Cirenenna , 
Il  IMicrologo  ne  adduce  la  ragione,  oggi  corrispondente  al  paese,  o  de- 
cioè esser  ben  giusto,  che  in  tal  serto  di  Barca  nella  Barbaria.  Que- 
giorno  si  facesse  menzione  anche  sto  paese  fu  compreso  nella  Cire- 
della  ss.  Vergine,  la  quale  tanta  naica,  e  chiamato  anche  Libia  Ci- 
parte  aveva  avuto  alla  nascita  di  reuaica,  e  Pentapoli,  Vuoisi  fonda- 
Gesù.  Laonde  non  celebrandosi  più  ta  la  città  dai  Greci  l'anno  63  £ 
le  due  messe,  è  restata,  come  di-  avanti  l'era  volgare,  contando  per 
ccmmo,  la  di  lei   commemorazione  primo  loro    re    Batto,    il    quale    fu 


19O  CHI 

siiccAluto  (la  otto  re  di  sua  stirpe. 
Dopo  varie  vicende  venne  in  pote- 
re di  Alessandro,  e  poscia  de' To- 
Jomei,  uno  de' quali  chiamato  Apio- 
ne,  fece  il  popolo  romano  suo  ere- 
de, per  cui  il  senato  comandò  che 
le  città  dil  piccolo  slato  della  Ci- 
renaica fossero  libere.  Dopo  la  rovi- 
na di  Gerusalemme  vi  si  stabiliro- 
no molti  ebrei  ;  ma  ribellatisi,  fu- 
rono distrutti  dai  romani,  come  fe- 
cero colla  città,  che  però  in  pro- 
gresso rifabbricarono.  Finalmente 
passò  in  potere  degli  arabi,  e  poi 
de' turchi,  non  ravvisandosi  della 
antica  città  che  alcune  strade  con 
grotte  e  sepolcri,  nonché  la  fonta- 
na di  Apollo,  Cyrr,  che  dicesi  ab- 
bia dato  il  nome  alla  città,  e  il 
bel  cimiterio  scavato  a'  fianchi  della 
montagna. 

In  Cirene  vi  sono  stati  de'  cri- 
stiani sino  dalla  predicazione  degli 
apostoli;  e  tra  i  giudei,  che  si  tro- 
varono in  Gerusalemme  nel  d'i  del- 
le Pentecoste,  si  contano  alcuni  ci- 
renaici. Fra  i  profeti,  e  i  dottori 
di  Antiochia,  a'quali  lo  Spirito  San- 
to ordinò  d' inviare  Saulo  e  Bar- 
naba a  predicare  ai  gentili,  vi  era 
Luca  di  Cirene.  Di  tal  paese  era 
Simone  il  Cireneo,  che  i  giudei,  o 
i  soldati  romani  costrinsero  a  por- 
tare la  croce  in  ajuto  a  Gesìi  Cri- 
sto, del  quale  era  discepolo.  In  Ci- 
rene fiorirono  anco  altri  uomini 
celebri,  non  che  altri  illustri  per 
dottrina.  Alcuni  credono  che  vi 
nascesse  1'  evangelista  san  Marco , 
il  quale  vi  predicò  prima  di  pas- 
sare in  Alessandria  ,  per  cui  si 
congettura,  che  vi  lasciasse  un  ve- 
scovo. Dice  Commanville,  che  Cire- 
ne fu  la  metropoli  della  Libia  Pen- 
tapoli,  sotto  il  patriarcato  Alessan- 
drino, e  che  i  Copti  vi  fondarono 
una  sede  vescovile.  Nel  quinto   se- 


CIR 

colo  però  il  medesimo  autore  pone 
l'erezione  del  seggio  vescovile  in  Ci- 
rene, che  poi  diventò  arcivescovile 
con  tredici  vescovati  per  sulfraga- 
nei  :  cioè  Tolomctln,  che  pur  di- 
venne arcivescovato,  Sosuza,  Tao- 
chara,  Bonandriai  Barnica  o  Be- 
renice, Barea,  Iliclra,  Palehisca , 
Olbia,  Ticelia,  Erythran,  Diclis  e 
Lcniandus.  Si  contano  dodici  vesco- 
vi, che  ebbero  sede  in  Cirene,  sei 
de'quali  furono  latini.  Orieiis  Chrisl. 
tomo  li,  p.  612,  tomo  III  p.  i  i5i. 
/  .   IJaiidi'and,   alla  voce    Cyrene. 

Presentemente  Cirene  è  titolo  ve- 
scovile in  parlibus,  e  Pio  VI  lo 
conferì  al  dottissimo  p.  abbate  be- 
nedettino Pier  Luigi  Galletti,  con- 
s;\crandulo  vescovo  nella  basilica 
ostiense  a' 4  ottobre  1778.  Mori 
egli  a'  il  dicembre  1790.  Il  p.  Pao-» 
lo  Antonio  Paoli,  nel  1793  pubbli- 
cò in  Roma  Le  notizie  spettanti  a 
monsignor  Pier  Luigi  Galletti^  ve- 
scoK'o  di   Cirene. 

CIRIACO  (s.),  martire.  Sotto  i 
Pontefici  Marcellino  e  Marcello  eser- 
citò con  ogni  lode  il  ministero  di 
diacono  della  Chiesa  romana,  ed  a 
cagione  della  eroica  affezione,  che 
portava  alla  fede  di  Gesù  Cristo  fu 
preso  nella  persecuzione  di  Diocle- 
ziano, e  colse  in  Roma  la  palma 
del  martirio  1'  anno  3o3.  Ebbe 
molti  compagni  nel  suo  martirio , 
fra  i  quali  si  ricordano  Largo,  Sma- 
ragdo,  Crescenziano,  Sergio,  Secon- 
do, Albano,  Vittoriano,  Faustino, 
Felice,  Silvano,  nonché  le  quattro 
pie  donne,  Memnia,  Giuliana,  Ci- 
riacida,  e  Donata.  La  festa  di  que- 
sti santi  martiri  viene  celebrata  il 
giorno  8  di  agosto,  in  memoria 
della  traslazione  delle  reliquie  loro 
dalla  via  Salaria,  ad  una  terra  di 
proprietà  d' una  cristiana  chiamata 
Lucina,  sulla  strada  di  Ostia,  donde 


CIR 

poi  quelle  di  s.  Ciriaco  furono  tras- 
fcrile  nella  chiesa  di  s.  3Iaria  m 
Via  Lata  [fedi).  Ivi  questo  santo 
ebbe  anco  un'antica  chiesa  di  tito- 
lo Cardinalizio,  di  cui  si  tratta  al 
volume  XI,  p.   3i4  de\  Dizionaiio. 

ClPiIACO,  Papa  Jìnto.  Alcuni, 
con  Giovanni  Stella  e  co' Centuria- 
tori  di  iNIaddeburgo  (cent.  III.  cap. 
X),  mettono  questo  Papa.  Pure  es- 
so non  ha  mai  esistito ,  checché 
ne  dica  anche  il  p.  Berti  nella  quin- 
ta dissertazione  delle  sue  prose  vol- 
gari, in  cui  cercando  ristabilire  la 
storia  dei  Pontefici  Poliziano  ed  An- 
tero,  vorrebbe  pur  intiiidere  questo 
Pontefice.  S.  Ponziano  fu  fatto  Pa- 
pa nell'anno  2-23,  e  s.  Antero  nel 
287.  Il  Papebrochio  nel  Propy- 
laeo  di  maggio  a  pag.  28  scrisse 
un'  intera  dissertazione  contro  lo 
Stella,  e  i  Centuiiatori,  annullando 
r  esistenza  di  Ciriaco,  de!  quale  né 
il  Sandiiii,  né  il  Platina  fanno  ve- 
runa menzione.  Su  tal  preteso  Pon- 
tefice va  letto  Guglielmo  Burio , 
Rom.  Pont.  Brevis  noiilia,  pag.  2!^ 
e  iq.  Il  dotto  Zaccaria  nella  Rac- 
colta delle  Disserlaz.  di  Stor.  eccl. 
nel  t.  VII,  p.  I,  riprodusse  la  Dis- 
sertazione del   p.   Berti. 

CIRIACO  PtETRo,  Canlinalc.  Pie- 
tro Ciriaco  di  Limoges,  fu  promosso 
al  cardinalato  col  titolo  di  s.  Gi'i- 
sogono  ai  29  dicembre  1842  da 
Benedetto  XII  residente  in  Avigno- 
ne; di  poi  fu  spedito  legato  a  la- 
tere  in  Italia,  per  la  celebrazione  in 
Roma  dell'anno  santo  od  univer- 
sale giubileo  nel  i35o.  Mori  a  R^o- 
ma  nel  i85i,  dopo  nove  anni  di 
Cardinalato. 

CIRIGNOLA,  o  CERIGNOLA 
(Ciriniolen.).  Città  vescovile  del  re- 
gno delle  due  Sicilie  nella  provin- 
cia di  Capitanata,  posta  nella  pia- 
nura  di  Puglia  poco  lungi  dall'  O- 


CIR  197 

fanto,  capo  luogo  di  cantone.  Alcu- 
ne chiese  e  l'ospedale  degli  infermi 
sono  gli  osservabili  edifìzii  di  que- 
sta città,  il  cui  territorio  produce 
molto  cotone.  I  suoi  campi  furono 
teatro  al  valore  di  Gonsalvo  di  Cor- 
dova, il  quale  ivi,  ai  28  aprile  i5o3, 
riportò  una  completa  vittoria  sul 
duca  di  Nemours,  che  vi  perdette 
pure  la  vita.  Cirignola  fu  sede  ve- 
scovile, che  Pio  VII,  nel  restituire 
al  suo  grado,  uni  ad  Ascoli  di  Sa- 
triano  [Vedi).  Ambedue  queste  sedi 
sono  sutfraganee  della  metropolitana 
di  Benevento.  La  cattedrale  di  Ciri- 
gnola é  dedicata  a  s.  Pietro  principe 
degli  apostoli.  Il  capitolo  si  compone 
di  quattro  dignità,  la  prima  delle 
quali  è  l'arcidiacono,  con  venti  ca- 
nonici, compresi  il  teologo,  e  il  pe- 
nitenziere, oltre  alcuni  cappellani,  e 
chierici  addetti  all'  uffiziatura.  L'ar- 
ciprete, eh'  è  la  terza  dignità  del 
capitolo,  esercita  nella  cattedrale  le 
funzioni  di  parroco,  né  ewi  altra 
parrocchia.  Avvi  però  l'orfanotrofio, 
il  monte  di  pietà,  e  il  seminario. 
Ogni  nuovo  vescovo  é  tassato  nei 
registri  della  cancelleria  apostolica 
di  fiorini  cento. 

CIRILLO  fanciullo  (s.),  martire 
in  Cappadocia.  Il  padre  di  questo 
giovanetto,  che  era  immerso  nelle 
tenebre  del  paganesimo,  avendo  sa- 
puto che  il  suo  figliuolo  era  stato 
educato  nella  religione  di  Cristo , 
arse  di  sdegno  contro  di  lui,  e  noti 
potendo  persuaderlo  a  prestare  in- 
censi alle  false  divinità,  lo  espulse 
dalla  sua  casa,  lasciandolo  in  preda 
al  furore  della  persecuzione.  Chia- 
mato il  fanciullo  al  cospetto  del  go- 
vernatore di  Cesarea,  confessò  in- 
trepido di  essere  seguace  di  Gesù. 
Cristo,  e  minacciato  della  morte,  e 
posto  in  vista  ad  un  gran  fuoco , 
per  intimorirlo,  persistette  nella  sua 


T9B  cin 

confossioiic  pei-  nioilo  da  commuo- 
vere i  circostanti.  Solo  il  governa- 
tore non  si  commosse ,  ma  acceso 
d'ira,  riputandosi  insultato,  lo  con- 
dannò nel  fatto  alla  morto,  e  pen, 
come  credcsi,  sotto  il  ferro,  nel  re- 
gno di   Decio,   o  di   Valeriano. 

CIRILLO  (  s.  )  ,  arcivescovo  di 
Gerusalemme,  e  dottore  della  Chie- 
sa,  nacque  in  questa  città,  o  nel- 
le sue  vicinanze  l'anno  3i5.  L'a- 
more allo  studio  dei  libri  santi , 
delle  opere  dei  padri,  che  il  pre- 
cedettero, e  degli  scritti  ancora  dei 
filosofi  pagani,  fu  in  lui  sempre  così 
ardente  da  renderlo  sommamente 
distinto  nella  erudizione  sì  sacra  che 
profana.  Ordinato  sacerdote  nell'an- 
no 345  da  Massimo,  vescovo  di  Ge- 
rusalemme, fu  dal  medesimo  inca- 
ricato dell'  uffizio  di  predicare  la  di- 
vina parola  in  ogni  domenica  nel- 
l'assemblea de' fedeli ,  e  poco  ap- 
presso fu  a  lui  pui'e  affidata  la  i- 
struzione  dei  catecumeni.  Tanto  si 
acquistò  egli  di  stima  nell'  esercizio 
del  doppio  difficile  ministero  ,  che, 
morto  Massimo,  fu  chiamato  a  suc- 
cedergli nella  dignità  episcopale  l'an- 
no 35o.  In  sul  principio  del  suo 
episcopato  ebbe  a  sostenere  una  di- 
sputa assai  forte  con  Acacio ,  ar- 
civescovo di  Cesarea,  che  pareva  in 
sulle  prime  versare  intorno  a  qual- 
che punto  di  giurisdizione,  ma  che 
nel  fatto  prendeva  origine  dalla  dif- 
ferenza di  dottrina  riguardo  alla 
consuslanzialilà  del  Verbo,  che  il 
nostro  santo  aveva  sempre  sostenuto 
con  tutto  il  calore.  Acacio,  ch'era 
uno  dei  partigiani  dell'  arianesimo, 
citò  Cirillo  ad  un  concilio  di  ve- 
scovi ariani  per  discolparsi  da  ac- 
cuse appostegli  falsamente,  e  perchè 
questo  santo  non  volle  mai  presen- 
tarsi a  quel  tribunale,  che  non  ri- 
conosceva    competente ,     pronunziò 


CHI 

contro  di  lui  la  sentcjnza  di  depo- 
sizione. Costretto  s.  Cirillo  a  cedere 
alla  violenza,  ritirossi  prima  in  An- 
tiochia, indi  fu  a  Darso  in  Cilicia, 
finché  fu  ristabilito  nella  sua  sede 
dal  concilio  tenuto  a  Seleucia  nel 
SJ^g.  L'anno  seguente  però  riuscì 
di  nuovo  agli  Ariani  di  farlo  de- 
porre in  un  concilio  di  Costantino- 
poli, né  fu  restituito  alla  sua  sede 
che  l'anno  371,  allorché  Giuliano 
Vaposlala,  fingendo  di  donar  favo- 
re ai  fedeli,  richiamò  tutti  i  vescovi 
sbanditi  alle  diocesi  loro.  S.  Cirillo 
fu  testimonio  oculare  dello  strepito- 
so miracolo,  avvenuto  nella  tentata 
riedificazione  del  tempio  di  Geru- 
salemme, e  in  vista  a  trionfo  così 
glorioso  pel  cristianesimo,  adorò  l'on- 
nipotenza di  Dio,  e  continuò  a  fa- 
ticare per  la  salute  spirituale  del 
vasto  sue  gregge.  Fu  in  odio  a 
Giuliano,  che  avea  deliberato  di 
sacrificarlo  al  suo  furore  nel  ritor- 
no dalla  guerra  di  Persia,  se  la  mor- 
te non  avesse  colpito  quell'  empio 
idolatra.  \J  imperatore  Valente,  in- 
fetto di  arianesimo,  cacciò  per  la 
terza  volta  da  Gerusalemme  il  san- 
to pastore  Cirillo  nell'  anno  367,  e 
non  vi  ritornò  che  nel  378.  Rista- 
bilì allora  la  pace  e  la  unità  di 
dottrina,  assistette  al  concilio  gene- 
rale di  Costantinopoli  nel  38 1,  sot- 
toscrivendo la  condanna  dei  semi-a- 
riani, e  dei  maccdoniani,  e  dopo 
una  vita  logorata  dalle  traversie  e 
dalle  fatiche,  morì  nella  età  di  an- 
ni settanta  nel  386,  il  giorno  18 
di  marzo,  nel  quale  se  ne  celebra 
la  gloriosa  memoria. 

Notizie  degli  scritti  di  s.   Cirillo. 

Le  istruzioni  ,  conosciute  sotto  il 
nome  di  Catechesi,  sono  dieciot- 
to, e  indirizzate  a  quelli  che  si 
dicevano  compctcnli,  o  illuminati. 


GIR 

La  pi  ima  catechesi  delle  dicciolto, 
intitolata  Introduzione  al  batte- 
simo, non  è  che  un  invito  a  ri- 
cevere questo  sacramento ,  del 
quale  il  santo  tocca  per  singulo 
tutti  i  vantaggi  La  seconda  è 
intitolata  della  penitenza  e  della 
remissione  dei  peccati.  Lo  scopo 
delia  terza  catechesi  è  di  far  ve- 
dere r  eccellenza,  la  necessità  e 
gli  effetti  del  battesimo  :  nella 
quarta  bassi  una  spiegazione  del 
simbolo,  e  un  eccellente  ristretto 
della  dottrina  cristiana.  La  quin- 
ta catechesi  ha  per  oggetto  di 
rialzare  l'eccellenza  della  fede,  e 
di  notarne  gli  effetti.  La  sesta  e 
la  settima  portano  ima  spiega- 
zione del  primo  articolo  del  sim- 
bolo. Neil'  ottava  confuta  gli  er- 
rori dei  Manichei  sulf  onnipoten- 
za di  Dio.  La  nona  è  una  con- 
tinuazione della  precedente  ;  e  vi 
si  trova  una  ammirabile  pittura 
del  beli'  ordine  che  regna  ncl- 
l' universo  e  in  tutte  le  sue  par- 
ti. Nella  decima  è  spiegato  il  se- 
condo articolo  del  simbolo,  ove 
si  leggono  eziandio  di  assai  belle 
cose  sulla  grandezza  e  sulla  ec- 
cellenza del  nome  de'  cristiani. 
Neil'  undecima  trattasi  della  ge- 
nerazione eterna  del  figliuolo  di 
Dio,  e  della  sua  nascita  tempo- 
rale. Nella  duodecima  stabilisce 
il  santo  il  mistero  dell'  Incarna- 
zione, e  risponde  in  essa  alle  obbie- 
zioni degli  ebrei  e  degli  eretici. 
Lo  scopo  della  tredicesima  è  di 
mostrarci  vantaggi  che  ci  vengono 
dalla  morte  di  Gesù  Cristo,  e  di 
rilevare  la  virtìi  delia  Croce.  La 
decima  quarta  contiene  la  spie- 
gazione di  questi  tre  articoli  del 
simbolo  :  Risuscitò  dopo  morte, 
nel  terzo  giorno  ;  è  salito  al  cie- 
lo: siede  alla  destra  del    Padre. 


GIR  .99 

Nella  dccniia  quinta  si  tratta  del- 
la seconda  venuta  di    Gesù    Cri- 
sto, del  giudizio  che  farà  di  tut- 
ti gli    uomini,    e   del  suo    regno 
eterno.  La  decima  sesta  e    setti- 
ma  hanno  per  soggetto  la  spiega- 
zione   del    simbolo    Credo   nello 
Spirito  santo  ec.  La    decima   ot- 
tava spiega    in   una    maniera  la 
più    solida    il    senso  degli   ultimi 
articoli  del  simbolo  :   Credo  nella, 
chiesa   catlolicaj    la    risurrezione 
della  carne  e  la  vita  eterna. 
Altre     cinque     furono    le     catechesi 
dette  mistagogiche.  La  prima  trat- 
ta delle  rinunzie  della    professio- 
ne di  fede,  e  delle  cerimonie  che 
precedono  il  battesimo.  La  secon- 
da del  battesimo,  e  della  unzione 
del  santo  crisma,  o  della  conler- 
mazionc.   La    quarta    dell'  eucari- 
stia. La   quinta  contiene  la  litur- 
gia, la   quale  era  in  uso  ai  tempi 
di  s.  Cirillo,  e  da  cui  si  appren- 
de la  maniera  con    cui  allora    si 
comunicavano  i  cristiani. 
Abbiamo    ancora    un'  omelia    di    s. 
Cirillo  sul  paralitico  del  Piange' 
lo,  e  ima  lettera  a  Costanzo  sul- 
r  apparizione  di  una  croce  lumi- 
nosa. 
Molti  mss.  attribuiscono  a  s.   Ciril- 
lo un   sermone  sulla  Puri/icazio- 
ne  ;  ma  sembra  eh'  egli   non    ne 
sia    l'autore.    Nelle    catechesi    di 
questo  santo    si    riscontra    molla 
forza  di    raziocinio  ;    egli  spiega  i 
dommi    della    religione    cristiana 
con    chiarezza    e    precisione  :    lo 
siile  ne  è   semplice,   e  adatto  al- 
l' intelligenza    di  quelli ,    che    era 
incaricato  d'istruire.    Non  pertan- 
to ei  sapeva     innalzarsi  ,    quando 
la  grandezza  del  subbietlo    il   ri- 
chiedeva. 
Tommaso  Milles  diede  a  Oxford  nel 
1703  uu' cdizioue  delle  opere  di 


aoo  CIR 

s.  Cirillo,  assai  più  completa  di 
Inlto  le  precedenti.  Toulèe,  bene- 
dettino della  congregazione  di  s. 
Mauro,  imprese  ima  nuova  edi- 
zione di  s.  Cirillo,  la  quale  non 
vide  la  luce  perchè  la  morte  Io 
tolse  nel  1718.  Maran,  suo  con- 
fratello, la  puhl)licò  a  Parigi  nel 
1720  in  fol.  Grancolas,  dottore 
in  teologia  della  facoltcà  di  Pa- 
rigi ha  dato  una  traduzione  fran- 
cese delle  Catech.  di  s.  Cirillo 
di  Gerusalemme,  con  note  e  dis- 
sertazioni dommatiche:  la  quale 
fu  stampata  a  Parigi  nel  lyiS 
in   4-" 

CIRILLO  (s.),  patriarca  di  A- 
lessandria  ,  e  dottore  della  Chie- 
sa. Fino  dai  più  teneri  anni  di- 
mostrò questo  santo  colla  perspi- 
cacia dell'ingegno,  colla  assiduità 
nello  studio  delie  divine  Scritture, 
quanto  avrebbe  giovato  e  con  l'o- 
pera e  con  gli  scritti  alla  Chiesa  di 
G(!sù  Cristo.  Assunto  al  patriarcato 
di  Alessandria,  dopo  la  morte  di 
Teofilo,  zio  di  lui,  non  è  a  dire 
quanto  bene  abbia  sostenuto  quella 
importantissima  dignità,  in  quel  tem- 
po segnatamente  nel  quale  Nestorio, 
patriarca  di  Costantinopoli,  negando 
coi  pelagiani  la  necessità  della  gra- 
zia, osò  ancora  di  predicare  pub- 
blicamente gli  errori  i  più  aperti 
intorno  alla  incarnazione  del  Verbo 
{  P .  Pelagio).  Cirillo,  che  era  at- 
iaccato  con  ogni  calore  alla  sana 
dottrina,  e  che  ben  conosceva  i  tri- 
sti effètti  di  questa  nuova  eresia, 
adoperò  in  prima  le  più  dolci  ma- 
niere per  guadagnare  il  cuore  e  la 
mente  del  pervertito  Nestorio,  tentò 
le  più  volte  di  ridurlo  a  buon  par- 
tito e  con  la  voce,  e  con  lo  scrit- 
to ;  ma  vedendo  che  ogni  dolcezza 
tornava  inutile  per  ammollire  queir 
l'indurato    eresiarca,     lasciò    libero 


CIR 
Io  sfogo  al  suo  apostolico  zelo,  non 
curò  le  piìi  fiere  jtorsecuzioni,  mos- 
se contro  di  lui  dagli  amici  di  Ne- 
storio, pronto  sempre  a  versare  an- 
che il  sangue  in  difesa  della  {aàe 
cattolica.  Presiedette  in  nome  di  Pa- 
pa Celestino  I  al  terzo  concilio  gene- 
rale, aperto  ad  Efeso  nel  4^'?  '"-O'i- 
dannando  la  dottrina  dell'empio  pa- 
triarca di  Costantinopoli,  e  pronun- 
ziando contro  di  lui  la  sentenza  di 
deposizione.  Ritornato  s.  Cirillo  da 
Elèso  in  Alessandria  a  dì  3o  di 
ottobre  dell'anno  medesimo  4'^i>si 
diede  tutto  al  governo  di  quelle  a- 
nime  alle  sue  cure  affidate,  non  ri- 
sparmiò la  penna  e  la  voce  per 
mantenere  nella  interezza  il  prezio- 
so deposito  della  fede,  e  per  rista- 
bilire la  pace,  turbala  per  molti  an- 
ni dalla  eresia.  Ricco  di  meriti  non 
ordinari  volò  al  cielo  il  giorno  28 
di  giugno  dell'anno  444-  1^  marli- 
rologio  romano  ne  fa  commemora- 
zione ai  28  di  gennaio. 

A  conoscere  maggiormente  il  me- 
rito di  questo  dottore  sì  riguardo 
all'  episcopale  suo  zelo  che  alla  pu- 
rezza e  profondità  della  sua  dottri- 
na, si  leggano  le  seguenti  notizie  in- 
torno agli  scritti  di  lui. 


Notizie  degli  scrini  di  s.   Cirillo. 


Le  opere  che  ci  rimangono  di  s. 
Cirillo  sono: 

1.  Il  trattato  àeW /ddorazione  in  ispi- 
rito,  e  in  K'erità,  diviso  in  dieci 
libri. 

2.  I  tredici  libri  delti  Glafiri,  cioè 
profondi  o  eleganti,  contengono 
ima  spiegazione  allegorica  delle 
storie  riferite  più  dislintamenle 
nel  Pentateuco. 

3.  I  Commentari  sopra  Isaia  e  cui 
dodici  profeti  minori. 


GIR 

4.  Il  Commentario  sopra  il  vange- 
lo di  s.   Giovanni. 

5.  11  libro  intitolato  il  Tesoro  pel 
gran  numero  di  verità  e  dei  prin- 
cipii  che  contiene,  diviso  in  tren- 
tacinque libri  o  sezioni. 

6.  Il  libro  sulla  santa  e  consustan- 
ziale Trinità  ,  composto  ad  i^ 
stanza  di  JVemesino  ed  Ermia. 

7.  I  tre  Trattali  sulla  fede,  compo- 
sti ad  Efeso. 

8.  I  cinque  libri  contro  Neslorio 
racchiudono  la  confutazione  delle 
bestemmie  spacciate  nelle  sue  o- 
melie  da  questo  eresiarca ,  che 
per  altro  non  vi  è  mai  nomina- 
to ;  il  che  fa  credere  che  non  fos- 
se ancora  condannato. 

9.  I  dodici  anatemalisnii  contro  la 
dottrina  di  Nestorio  nulla  conten- 
gono che  non  sia  pienamente  or- 
todosso, e  furono  letti  al  coucilio 
di  Efeso. 

10.  Due  apologie  degli  stessi  ana- 
tematismi,  l' una  contro  Andrea 
di  Samosata,  e  l'altra  contro  Teo- 
doreto  di  Giro. 

11.  Il  libro  contro  gli  Antropomor- 
fìti  ;  eretici  che  credevano  Iddio 
avesse  corpo. 

1 2.  I  dieci  libri  contro  Giuliano 
apostata. 

i3.   Le  omelie  sulla  pasqua. 

i4-  Parecchie  lettere,  che  hanno  per 
oggetto  affari  della  Chiesa,  o  la 
difesa  dei   dommi  cattolici. 

II  merito  degli  scritti  di  s.  Ci- 
l'illo  è  specialmente  riposto  nella 
giustezza,  e  nella  precisione,  con  che 
il  santo  dottore  spiega  le  verità  del- 
la fede.  Tra  gli  altri  sono  degni  di 
altissima  stima  II  Tesoro,  i  cinque 
libri  contro  Nestorio,  e  i  dieci  con- 
tro  Giuliano   l'apostata. 

Giovanni  Aubert,  canonico  di  Laon, 
pubblicò  le  opere    di   questo    padre 


GIR  :ior 

in  greco  e  in  latino  a  Parigi  nel 
16 38.  Il  padre  Lupo  e  Baluzio 
pubblicarono  alcune  lettere  del  san- 
to dottore,  che  non  erano  state  co- 
nosciute, né  da  Giovanni  Aubert, 
né  dal  p.  Labbé. 

GIRILLO  (s.),  detto  il  filosofo 
per  la  vastità  delle  sue  cognizioni, 
nacque  a  Tessalonica,  e  si  rese  chia- 
ro lino  dalla  gioventù,  oltre  che 
per  non  ordinario  sapere,  anche  per 
la  innocenza  de'  suoi  costumi.  Or- 
dinato sacerdote,  prestò  col  suo  zelo 
grandi  servigi  alla  chiesa  di  Costan- 
tinopoli che  in  quel  tempo,  cioè 
nell'anno  846,  era  governata  dal 
santo  vescovo  Ignazio.  I  Cazari,  tri- 
l)ìi  di  turchi,  che  avevano  fermata 
la  loro  dimora  in  vicinanza  alla  Ger- 
mania, fecero  domanda  circa  quel- 
l'epoca all'imperatore  Michele  III, 
ed  alla  pia  imperatrice  Teodora  sua 
madre,  che  mandassero  loro  dei 
preti,  affine  di  essere  ammaestrati 
nella  religione  cristiana.  L' impera- 
trice, interrogato  s.  Ignazio  intorno 
alla  scelta  di  questi  operai,  ebbe  in 
risposta,  che  a  ninno  meglio  che  al 
sacerdote  Cirillo  sarebbe  da  affidar- 
si quella  importante  missione.  Assai 
di  buon  animo  la  assunse  il  nostro 
santo,  e  perchè  era  bisogno  di  ap- 
prendere a  tale  effetto  la  lingua 
turca,  si  diede  con  tutto  il  calore 
a  quello  studio  per  modo ,  che  in 
brevissimo  tempo  fu  in  grado  di 
farsi  intendere.  L'  esito  della  sua 
predicazione  non  poteva  essere  più 
felice:  tutti  gli  occhi  di  quei  ciechi 
si  apersero  alla  luce  del  vangelo , 
vi  fondò  delle  chiese,  che  provvide 
di  eccellenti  ministri,  e  fece  ritorno 
in  patria  colmato  della  più  viva 
consolazione.  In  progresso  di  tempo 
parti  di  nuovo  in  qualità  di  mis- 
sionario, unitamente  al  fratello  IMe- 
todio,  che  era  monaco,  per  la  Bui- 


202  CIU 

C'U'iii,  (•  (lo|)u  ìum  [»oc.n  (liincollù 
ebbe  il  conl(>rlo  di  convcrlirli.  Fu 
iridi  in  Moravia,  od  anelli*  «juci  po- 
j)f)Ii  tolse  alla  superstizione,  e  fcccli 
sudditi  al  vangelo.  Dopo  l'anno 
«S78  non  si  sa  piìi  nulla  di  s.  Ci- 
rillo, non  parlando  le  storie  che 
delle  conversioni  operate  dal  suo 
fratello  Metodio.  Probabilmente  egli 
morì  in  qnest'  anno.  Il  martirolo- 
gio romano  nomina  congiuntamen- 
te questi  duo  santi  addi  f)  di  mar- 
zo. Narra  il  Dubravio  che  lo  reli- 
quie loro  .sono  state  scoperte  sotto 
r  altare  di  una  antica  cappella  del- 
la chiesa  di  s.  Clemente  in  Roma, 
ove  si  custodiscono  con  grandissima 
cura. 

CIRINO  (s.)  lo  stesso  che  *.  Qui- 
rino,   f^edi.  <" 

CIRO  (s.)  era  medico  di  profes- 
sione in  Alessandria,  e  nell'alto  che 
egli  apprestava  rimedi  per  la  salu- 
to del  corpo^  procin-ava  ancora  la 
salvezza  delle  anime,  persuadendo 
i  suoi  ammalati  idolatri  ad  abban- 
«loiiare  quel  culto  superstizioso  ed 
infame  per  farsi  seguaci  della  re- 
ligione del  vero  Iddio.  Tosto  che 
dui  pagani  si  seppe  che  questo  me- 
dico era  cristiano,  e  che  cercava 
di  condurre  anche  degli  altri  alla 
sua  fede,  fu  mossa  contro  di  Ini 
ima  fìorissima  persecuzione.  Vari 
generi  di  tormenti  solTn  questo 
santo,  finché  con  altri  sei  compa- 
gni fu  condannato  a  perdere  la  te- 
.sta.  Io  che  avvenne  a  Canopo  in 
Egitto,  ove  erasi  recato  afline  di 
incoraggiare  nella  confessione  della 
fede  una  donna  ciistiana,  chiamata 
Anastasia,  che  era  stata  presa  con 
tre  sue  figliuole.  11  giorno  3i  di 
gennaio  se  ne  celebra  la  memoria. 

CIRO  (Cynis,  o  Cy^rrhus,  Cy- 
t'eri.).  Sode  arcivescovile  ?«  partihw!, 
detta  volgarmente   Carili^  nella  Si- 


CIR 

ria,  sotto  il  patriarcato  di  Antio- 
chia, sufTragaiìea  della  metropoli  di 
Gerapoli,  vicino  ad  A  leppo  sull'Eu- 
frate, ed  è  perciò  addetta  alla  pro- 
vincia Eufratena.  Ciro  fu  erotta  in 
sede  vescovile  nel  quinto  secolo,  e 
nel  decimosecondo  in  arcivescovile. 
Nel  pontificato  di  s.  Leone  I,  eletto 
nel  44o  j  si  contavano  ottocento 
chiese,  e  molti  monisleri  nella  dif> 
cesi  di  Ciro,  della  quale  si  conosco- 
no otto  vescovi.  Si  opina  che  l'ori- 
gine della  città  si  debba  ai  giudei 
reduci  da  Babilonia,  e  che  sia  stata 
fidihrieata  in  onore  di  Ciro,  il  qua- 
le avea  ad  essi  resa  la  libertà.  L'im- 
peratore Giustiniano,  per  rendere 
più  decorosa  all'  impero  questa  cit- 
tà, e  per  onorare  nello  stesso  tem- 
po i  corpi  de' ss.  Cosimo  e  Damia- 
no, cioè  dei  confessori  (  poiché  vi 
erano  due  altre  coppie  del  medesi- 
mo nome  )  che  ivi  erano  sepolti  , 
la  circondò  di  solide  mura,  e  vi  fo- 
ce fabbricare  bellissime  case.  Questa 
città  in  un'antica  notizia  ecclesia- 
stica, a  cagione  de' due  santi  con- 
fessori in  essa  sepolti,  chiamasi  Ci- 
vita.'} snnctorunt.  Attualmente  è  ti- 
tolo di  arcivescovato  in  parlìbiis,  da 
cui  dipendono  Capsen,  e  Tolemai- 
de,  vescovati  egualmente  in  parti- 
bus. 

CIRO,  anticamente  Crìmis-n.  Cit- 
tà vescovile  del  regno  delle  due  Si- 
cilie, nella  provincia  di  Calabria  ul- 
teriore seconda.  È  cinta  di  muro,  ed 
è  difesa  da  un  castello  fortificato.  Vi 
sono  tre  chiese,  ed  un  palazzo,  ove 
risiedeva  il  vescovo  di  Umbriatico. 
]^  capo  luogo  di  cantone,  situata 
sopra  una  collina.  Vanta  di  aver 
dato  i  natali  all'astronomo  Gigli, 
di  ciii  principalmente  si  servi  Gre- 
gorio XIII  nella  riforma  del  calen- 
dario. 

CIRTA  (Ci riha  Julia,  o  Cosina- 


GIR 
tina).  Metropolitana  in  parlihus,  e 
città  d'Africa,  e  di  Barbaiia,  nella 
jXiimidia.  È  posta  in  vetta  ad  una 
dirupata  montagna  cinta  all'  intor- 
iK)  dalla  corrente  del  fjume  Ampsa- 
ga,  oggi  Ovad-el-Rebir,  ovvero  Ku- 
mel.  Il  nome  della  città  viene  dal- 
la parola  orientale  Karth,  che  si- 
gnifica città  j  locchè  può  indicare 
abbastanza  quanto  fosse  considera- 
bile. Fu  chiamata  pure  Julia  Cir- 
tìia,  e  Cirtha  Sitlianonim  dalla  colo- 
nia dei  Sittiani,  che  vi  fu  condotta 
sotto  gli  auspicii  di  Giulio  Cesare. 
Dall'  itinerario  di  Antonino  viene 
detta  Circa  Colonia,  dal  che  ven- 
nero i  suoi  vescovi  chiamati  col  ti- 
tolo di  Circensis  Episcojms,  ed  an- 
co di  Cirtensis  con  più  di  ragione- 
volezza. Nel  riedificarla  ebbe  Co- 
stantino a  darle  il  proprio  nome,  che 
tuttora  le  è  rimasto,  per  cui  chia- 
masi Costantina.  Sono  deboli  le  sue 
muraglia,  e  nelle  porte  d'ingresso, 
costruite  di  fina  pietra  rossiccia,  si 
ammirano  statue  di  scultura  roma- 
na. La  città  è  tetra,  per  le  angu- 
ste vie,  e  per  la  monutonia  di-lle 
case,  che  non  hanno  finestre  al  di 
fuori,  e  sono  tutte  costruite  con  un 
medesimo  disegno.  Prima  che  i  bravi 
francesi  la  prendessero  a'  i  3  oltobi-e 
del  I  S39,  comandati  dal  valoroso  ge- 
neral Valée,  vi  risiedeva  un  bey  di  sola 
nominale  dipendenza  dal  dey  d'Al- 
geri, essendo  anco  il  suo  palazzo 
imiforme  agli  altri,  meno  in  am- 
piezza. Fra  gli  antichi  edifizii  evvi 
un  ponte  lestaurato  da  qualche  an- 
no dagli  europei,  i  cui  archi,  gal- 
lerie, e  colonne  sono  ornati  di  ghir- 
iande,  teste  di  bue.  e  caducei.  Tra 
due  arcate  evvi  un  basso  rilievo 
rappresentante  una  donna ,  i  cui 
piedi  poggiano  su  di  un  grande 
elefante,  con  una  gran  conchiglia 
in  testa.  Altre  rimarchevoli    rovine 


CIR  ao3 

sono  quelle  d'un  bell'arco  trionfale, 
di  cisterne,  di  acquedotti  ec.  ;  cose  tut- 
te, le  quali  attestano  che  Cirta  anti- 
ca fosse  pili  grande  della  rifabbri- 
cata da  Costantino  imperatore.  La 
caduta  del  Kumel,  che  si  vede  nel- 
la parte  più  alta,  che  per  un  ca- 
nale esce  di  sotterra,  si  eseguisce  per 
mezzo  di  una  gran  cascata,  la  quale 
ha  seicento  piedi  di  altezza.  Da  que- 
sto precipizio  anticamente  si  gittava- 
no  le  mogli  infedeli,  e  i  condannati 
a  morte. 

Cirta  è  celebre  non  solo  per  la 
antichità  della  sua  origine,  pei  re 
che  ha  avuti,  ma  per  le  sue  lun- 
ghe guerre  con  Roma  e  Cartagine, 
e  per  essere  stata  ia  patria  di  Giu- 
gurta,  e  di  Massinissa.  Micipsa,  al 
detto  di  Strabene,  vi  stabilì  una 
colonia  di  greci  :  quindi  divenne  flo- 
l'ida,  e  possente  a  segno,  che  pote- 
va armare  diecimila  uomini  a  ca- 
vallo, e  il  doppio  a  piedi.  Divenu- 
ta Cirta  la  capitale  della  Numi- 
dia,  sotto  Siface  crebbe  in  potere  ; 
ma  dopo  la  conquista  che  ne  fece- 
ro i  romani  essendosi  ribellala,  Si- 
cio  Nucerino  se  ne  impadronì,  e  le 
diede  il  suo  nome.  Ritornata  Cirta 
al  romano  dominio,  quando  Giulio 
Cesare  si  recò  nelf  Africa  vi  con- 
dusse una  colonia.  Essendo  poi  sta- 
ta distrutta  verso  1'  anno  3  i  i  du- 
rante la  guerra  del  tiranjio  Ales- 
sandro, fu  riedificata  da  Costantino 
il  grande,  mentre  in  seguito  Giu- 
stiniano I  ne  fece  riparare  le  forti- 
ficazioni :  finalmente  passata  in  po- 
tere dei  maomettani  tunisini,  il  dey 
di  Algeri  la  conquistò,  e  la  diede 
ni  governo  d' un  bey,  dal  quale  la 
tolsero  i  trionfi  de'  francesi  ponen- 
dola fra  i  dominii,  che  la  Francia 
ha  neir  Africa.  Poco  dopo  la  con- 
quista, i  francesi  con  lodevole  spi- 
rito religioso,  abiKillcrouo  una  mo- 


2o4  CUI 

schca  pei-  fabbricarvi  una  chiesa 
pei  callolici,  il  cui  numero  è  ora 
rilcvanle. 

Cirta  non  è  nien  celebre  nei  Fa- 
sti ecclesiastici,  dappoiché  fu  metro- 
poli di  tutta  la  provincia  di  Numi- 
tlia  sino  dal  quarto  secolo,  e  Com- 
manviìle,  Hist.  a  pag.  i53,  regi- 
vStra  cento  trentaquattro  sedi  vesco- 
vili da  essa  dipendenti.  IXe  fu  ve- 
scovo quel  Pitiliano,  che  seguendo 
gli  errori  di  Donato,  mosse  il  gran 
dottore  s.  Agostino  a  scrivergli  con- 
tro un  libro.  Fortunato,  altro  suo 
vescovo,  intervenne  alla  celebre  con- 
ferenza di  Cartagine.  La  santa  Se- 
de ne  conferisce  il  titolo  arcivesco- 
vile in  parùbus,  come  conferisce  i 
titoli  di  Centuria,  Diana,  Fessa,  e 
Fessula,  sue  antiche  sedi  sufFraganee, 
ai  vescovi  in  pmtihus. 

Concili  di  Cirta  in  ISuniidia,  chia- 
mati Cirtensi. 

Il  primo  concilio  fu  celebrato  ai 
24  marzo  dell'anno  3o5.  Secondo, 
vescovo  di  Tiglio  o  Tigima,  pri- 
mate di  Numidia,  lo  convocò  in 
Cirta  contro  i  libellatici  e  i  tradi- 
tori, cioè  contro  quelli,  che  nella 
persecuzione  di  Diocleziano,  per  de- 
bolezza avoano  consegnate  ai  ma- 
gistrali gentili  le  sante  Scritture,  e  i 
vasi  sagri.  E  siccome  circa  dodici 
vescovi  confessarono  il  fallo  pub- 
blicamente nel  concilio,  questo  li 
assolvette,  per  non  dar  luogo  ad 
uno  scisma.  Regia  t.  I,  Arduino  t. 
I,  e  Labbè  t.   ì.  ■ 

11  secondo  concilio  venne  cele- 
brato nell'anno  412.  Silvano,  pri- 
mate di  Numidia,  s.  Agostino,  ed 
*  altri  vescovi,  si  convocarono  in  Cir- 
ta, perchè  i  donatisti,  intervenuti 
alla  conferenza  di  Cartagine,  per 
cuoprirc   la  loro  vergogna,  spaccia- 


CIS 
vano  ch'era  stato  corrotto  Marcel- 
lino giudice  di  essa.  Il  perchè  s. 
Agostino  dettò  la  lettera,  che  i  pa- 
dri scrissero  in  confutazione  di  tali 
calunnie.  Regia,  t.  IV,  Labbc  t.  II, 
Arduino   t.    I. 

Non  deve  tacersi,  che  alcuni  dis- 
sero essere  celebrato  il  concilio  in 
Zcrta  nella  Cirta  proconsolare,  sede 
episcopale  della  metropoli  di  Cirta 
di  Numidia.  Il  Tillemont,  ed  altri 
lo  chiamano    Conciliurn  ^Xersense. 

CI  SCISSA,  o  CISSA.  Sede  ve- 
scovile della  prima  Cappadocia,  la 
cui  erezione  rimonta  al  V  secolo, 
sotto  la  metropoli  di  Cesarea,  di 
cui  si  conoscono  due  vescovi  che 
vi  ebbero  sede. 

CI  SS  AC.  Sede  episcopale  della 
IMauritiana  Cesariana  nell'Africa  00- 
cidentale,  dipendente  dalla  metro- 
poli di  Julia  Cesarea.  Nella  provio' 
eia  di  Cartagine,  o  proconsolare,  vi 
fu  altra  sede  chiamata  Cissac,  ov- 
vero, come  la  registra  Commanvil- 
le,  appellata  Cicsita. 

CI  SS  A. MI  A,  o  CISSAMUS,  ov- 
vero Castel  Chisamo  o  Cissanio . 
Sade  vescovile  della  provincia  di 
Creta  o  Candia,  e  dipendente  da 
questa  metropoli,  sino  dalla  sua  ere- 
zione, che  rimonta  al  secolo  quin- 
to. Da  quel  tempo  in  poi  vi  risie- 
dettero da  dieci  vescovi. 

CISTELLO,  CISTERZO,  o  CI- 
TEAUK  (Cisterciuni).  Celebre  ab- 
bazia in  Francia,  capo  dell'  Ordine 
cistcrciense  da  cui  prese  il  nome, 
emanato  da  quello  di  s.  Benedetto. 
Si  vuole  che  il  nome  di  Cistello  o 
Cisterzo  venga  dal  gran  numero  di 
cisterne ,  che  vi  erano  scavate,  o 
perchè  il  luogo  deserto  e  solitario 
era  tutto  ingombro  d'  alberi  e  di 
spine.  Appartiene  alla  diocesi  di 
Chalons  sur-Saone  in  Borgogna,  ed 
è  distante  quattro  leghe  da  Diyon, 


CIS 

nel  dipartimento  della  Costa  doro, 
nel  cantone  di  Niiits,  presso  la  riva 
destra  di-IIa  Youge.  Roberto  abba- 
te benedettino  di  Molestne,  nella 
diocesi  di  Langres,  essendosi  ritira- 
to co'  suoi  compagni  in  questo  luo- 
go, della  foresta  di  Citeaux,  col  con- 
senso di  Gahero  vescovo  di  Cha- 
lons,  e  di  Piinaldo  visconte  di  Beau- 
nie  signore  del  paese ,  vi  diede 
principio  alla  tanto  celebre  e  be- 
nemerita congregazione  cistcrcien- 
se ,  che  dal  nome  della  foresta 
fu  pur  detta  di  Cileaux.  Disso- 
data una  parte  del  terreno  ,  e 
fabbricate  alcune  celle,  a'  1 1  marzo 
dell'anno  1098,  giorno  sagro  alla 
festa  di  s.  Benedetto,  ebbe  incomin- 
ciamento  la  fondazione  dell  abbazia, 
che  divenne  il  primo  monistcro  del- 
la congregazione,  e  delle  dilferenti 
filiazioni,  o  congregazioni,  che  da 
essa  derivarono  ad  illustrare  1'  Or- 
dine. L' arcivescovo  di  Lione  Ugo, 
metropolitano  della  provincia,  con- 
siderando che  i  novelli  solitari  non 
potevano  reggere  la  vita  senza  il 
soccorso  di  qualche  persona  poten- 
te, scrisse  in  loro  favore  ad  Eudo, 
od  Ottone  I  duca  di  Borgogna.  Il 
perchè  questo  principe  li  accolse 
sotto  il  suo  patrocinio,  fece  termi- 
nare a  sue  spese  k  fabbriche  del 
monistero,  somministrò  loro  il  bi- 
sognevole, ed  assegnò  poi  propor- 
zionate rendite.  Di  più  quel  princi- 
pe vi  si  recava  sovente  per  edifi- 
carsi colle  virtù  de' monaci;  fece 
fabbricare  un  palazzo  poco  distante 
per  abitarlo,  e  volle  essere  sepolto 
nella  chiesa  di  Cistello.  In  progres- 
so nella  detta  bella  e  magnifica 
cliiesa,  furono  sepolti  vari  duchi  di 
Borgogna  della  prima  stirpe.  La 
descrizione  delle  tombe  deduciti  di 
Borgogna,  e  di  molti  altri  celebri 
personaggi    sepolti    a    Cistello,    non 


CI  S  20" 

che  della  toml)a  di  s.  Albei-ico,  si 
trova  nelle  3It'tnorie.  (LW AccaxL  del- 
le  inscriz.   t.   9,  p.    193. 

Quindi  il  vescovo  di  Chalons  can- 
giò il  novello  monistero  in  abbazia, 
e  ne  diede  il  governo  a  E.oberto, 
eh'  ebbe  in  successore  s.  Alberico  ,  e 
dopo  la  di  lui  morte  fu  canonizza- 
to da  Onorio  III.  Per  F  edificante 
vita,  che  dai  monaci  si  menava  a 
Cistello,  per  le  austerità,  e  per  le 
penitenze  che  vi  esercitavano,  l' ab- 
bazia venne  in  grandissima  rino- 
manza, acquistò  molte  ricchezze  per 
la  pietà  de'  principi,  e  fu  da  questi 
e  dai  Pontelici  arricchita  altresì  di 
privilegi.  Quando  poi  Papa  Euge- 
nio 111,  ch'era  stato  monaco  di  Ci- 
stello, si  recò  in  Francia,  ricevuto 
con  grande  onore  dal  re  Ludovico 
VII,  a'  17  settembre  i  i4'^,  volle  pas- 
sare a  soggiornare  in  questa  abbazia, 
]\eir  anno  seguente  vi  fece  ritorno, 
assunse  labito  monastico,  e  come  fos- 
se uno  de'  monaci,  intervenne  al  ca- 
pitolo generale  che  vi  si  celebrò,  e 
diede  esempio  d'ogni  più  bella  vir- 
tù, mostrandosi  a  tutti  degno  di- 
scepolo di  s.  Bernardo.  L'  abbate  di 
Cistello  era  generale  di  tutto  1'  Or- 
dine, ed  avea  centoventimila  lire  di 
rendita  annua,  era  consigliere  nato 
del  parlamento  di  Diyon,  e  capo  di 
mille  e  ottocento  monisteri  di  uo- 
mini, e  quasi  d'altrettanti  dj  mo- 
nache. L' articolo  terzo  del  decreto 
di  Blois  prescriveva,  che  fosse  elet- 
to dai  monaci  professi  di  questa  ab- 
bazia, nella  forma  voluta  dalle  co- 
stituzioni canoniche.  Tuttavolta  l'ab- 
bate generale  de'  cistcrciensi  per  au- 
torità del  capitolo  generale,  era  vi- 
sitato dai  quattro  abbati  di  La  Fer- 
té,  di  Pontigny,  di  Chiaravalle,  e 
di  Morimont.  che  comunemente  ap- 
pellavansi  le  quattro  prime  abbazie 
figliali  di  Cistello.  Ciò  non  pertanto 


l'abbate  generale,  quniulo  non  era 
adunato  il  capitolo,  riuniva  in  sé 
tutta  la  potestà  ;  visitava,  e  faceva 
visitare  senza  eccezione  i  moniste- 
ri  cistcrciensi,  e  vi  operava  le  op- 
portune provvidenze  volute  dagli 
statuti  della  congregazione.  Questa 
abbazia  avea  inoltre  collegi  nelle 
università  più  rinomate,  e  i  mona- 
ci godevano  particolari  privilegi.  La 
abbazia,  ora  monisteio,  di  Cistercio, 
esiste  tuttora^  ma  è  convertita  ad 
altri  usi.  Fu  soppressa  all'  epoca 
dell'  ultima  soppressione  degli  Ordi- 
ni religiosi  in  Francia.  Ne'  successi- 
vi articoli  si  vedranno  gli  scrittori, 
die  ampiamente  lianno  trattato  di 
questa  celebratissima  abbazia. 

CISTERCIENSI ,  Co.vgreg azione 
MONASTICA,  che  seguendo  la  regola 
di  s.  Benedetto,  vanta  origine  da 
s.  Roberto,  nato  l'anno  10-24,  biel- 
la Sciampagna,  e  che  di  quindici 
anni  si  foce  religioso  nel  monistero 
di  Montier-la-Celle  dell'  Ordine  di 
s.  Benedetto.  Divenuto  per  i'  esem- 
plare sua  condotta  priore  di  esso, 
e  poscia  abbate  di  s.  Michele  di 
Tonncrrc,  inutilmente  ivi  procurò  di 
ristabilire  la  disciplina  regolare;  il 
perchè  fece  ritorno  a  ]\Ioiitier-la- 
Celle,  e  non  andò  guai-i  che  venne 
prescelto  ad  abbate  del  monistero 
di  s.  Aigulfo.  Allora  gli  eremiti,  che 
abitavano  nel  deserto  vicino  a  Ton- 
nere,  chiamato  Colan,  e  che  in  nu- 
mero di  sette  si  esercitavano  nella 
penitenza,  e  nella  contemplazione, 
tornarono  a  supplicarlo  di  assumere 
la  loro  direzione,  e  v'  interposero  la 
autorità  pontificia.  Roberto  si  arre- 
se, e  fu  dagli  eremiti  ricevuto  come 
un  angelo  mandato  da  Dio.  La  so- 
litudine di  Colan  essendo  un  luogo 
assai  malsano,  R.oberto  trasportò  i 
suoi  discepoli  nella  foresta  di  Moles- 
mc,  nella  diocesi   di  Langres,  ai  con- 


GIS 

fìlli  della  Sciampagna,  e  della  Bor- 
gogna, ove  si  fabbricarono  delle  pic- 
cole celle  con  rami  di  alberi,  etl  un 
oratorio  dedicato  alla  Ss.  Trinità  , 
lo  che  avvenne  verso  il  1075  nel 
pontificato  di  s.  Gregorio  VII.  Questi 
religiosi  da  poverissimi  che  erano, 
|K'r  la  generosa  pietà  del  vescovo 
di  Troyes  e  di  parecchi  signori,  di- 
vennero molto  ricchi,  tralasciarono 
di  esercitarsi  nelle  fatiche  manuali, 
introdussero  delle  innovazioni  negli 
abiti,  contro  il  volere  del  superiore, 
il  quale  pure  non  permetteva  che 
ricevessero  le  oblazioni  dai  fedeli. 
Non  potendo  pertanto  R^oberto  ri- 
durli alla  primiera  osservanza,  pas- 
sò al  deserto  di  Haur,  fra  i  reli- 
giosi, che  ad  un  gran  fervore  uni- 
vano una  santa  semplicità.  Presi  es- 
si di  ammirazione  per  le  sue  virtù, 
bentosto  lo  dichiararono  loro  supe- 
riore. Non  li  goveinò  peraltro  lun- 
gamente, perchè  i  monaci  di  IVIoles- 
me,  vergognandosi  di  essere  stati 
cagione  dell'abbandono  di  lui,  gli 
fecero  comandare  dal  Papa  ,  e  dal 
vescovo  di  Langres  di  far  ritorno  a 
Molesme  in  qualità  di  abbate.  Tut- 
tavolta  Roberto,  non  essendo  con- 
tento della  loro  condotta ,  con  sei 
religiosi  de' più  zelanti,  andò  da  Ugo 
arcivescovo  di  Lione,  eh'  era  pure 
legato  apostolico,  ed  invocò  la  pro- 
tezione della  santa  Sede ,  alfine  di 
uscire  da  Molesme,  e  stabilire  al- 
trove r  osservanza  esatta  della  l'e- 
gola  di  s.  Benedetto.  Ricevette  egli 
lettere  patenti,  ed  incoraggimento  a 
sì  commendevole  risoluzione. 

Tornato  Roberto  co'  compagni  a 
Molesme,  si  unirono  ad  essi  altri, 
che  volevano  praticare  la  regola  be- 
nedettina in  tutta  la  sua  austerità , 
ed  in  numero  di  ventuno,  nel  1098, 
andarono  nella  foresta  di  Cileaux, 
nella  diocesi  di  Chalons  sur  Saone, 


GIS 

in  un  luogo  chiamato  Cistello ,  o 
Cisterzo  (  Vedi),  d' onde  poi  prese 
nome  la  congregazione  cisterciense. 
Quivi  fabbricaronsi  delle  celle  di 
legno,  e  resero  fertile  il  suolo  ste- 
rilissimo ;  e  mediante  i  soccorsi 
de'  benefattori  divenne  un  gran 
monistero.  Per  ciò  il  vescovo  di 
Clialons  Gualtiero,  o  Galtero,  l'e- 
resse in  abbazia,  creandone  per  pri- 
mo abbate  s.  Roberto.  Nulla  quin- 
di era  più  edificante  della  vita  pe- 
nitente, che  si  menava  in  Cistello , 
dappoiché  i  religiosi  non  dormiva- 
no che  quattro  ore,  e  ne  consuma- 
vano altrettante  nel  cantare  le  di- 
vine lodi.  Nella  mattina  impiega- 
vano quattio  ore  Jll  lavoro ,  poi 
leggevano  sino  a  nona  ,  e  tutto  il 
loro  cibo  consisteva  in  erbe,  e  radici. 
Ma  nellanno  seguente,  i  monaci  di 
Molesme  o  Molesmo,  spedirono  depu- 
tati a  Roma,  acciocché  il  Papa  coman- 
dasse a  Roberto  di  ritornarvi,  pro- 
mettendo di  eseguir  in  tutto  le  sue 
prescrizioni.  Quindi  é  che  Urbano  II, 
per  mezzo  del  suo  legato  Ugo,  in- 
vitò il  santo  a  ritornare  a  ÌVloltsme, 
ed  egli  prontamente  ubbidì,  e  vi  si 
trattenne  fino  alla  morte,  che  in- 
contrò da  santo. 

A  Cistello  gli  fu  dato  in  succes- 
sore s.  Alberico,  cioè  uno  dei  reli- 
giosi, che  da  Molesme  erasi  recato 
a  Citeaux,  il  quale  dipoi  spedì  due 
monaci  al  sommo  Pontefice  Pasqua- 
le II.  Questi  informato  dai  suoi  le- 
gati di  quanto  si  faceva  a  Cistello, 
ai  i8  aprile  del  iioo,  coU'autori- 
tà  della  bolla  Sacrosancla  Romana, 
approvò  la  congregazione  cistcrcien- 
se, che  per  essere  stata  istituita 
nella  foresta  di  Citeaux,  fu  anco 
appellata  con  questo  nome.  Il  Pon- 
tefice dichiarò  inoltre  il  moniste- 
ro di  Cistello  immediatamente  sog- 
getto   e     sotto    la    prolezione     dcl- 


CIS  207 

la  santa  Sede,  e  furono  quindi 
compilali  i  primi  statuti  per  Ci.stet- 
lo.  In  essi  viene  comandato  l'esat- 
ta osservanza  della  regola  di  s.  Bc- 
nedetlo,  senza  veruna  deroga  o  di- 
spensa, per  cui  dovevano  torsi  gli 
abusi  introdotti;  ricevere  dei  laici 
conversi  per  la  cura  dell'ammini- 
strazione de' beni,  e  delle  possessio- 
ni, mentre  i  monaci,  secondo  la  re- 
gola di  s.  Benedetto,  dovevano  di- 
morare nella  clausura,  impiegarsi 
neir  orazione,  e  nel  divino  servizio. 
Dagli  limali  Cis(ercicnsi\  scritti  da 
Angelo  Manriquez,  si  ha  all'anno 
iioi,  nel  capo  3;  «  Che  nell'anno 
"  quarto  del  piincipio  di  tale  Or- 
n  dine  si  consultarono  quei  i-eligio- 
«  si,  in  qual  modo  potessero  al- 
»  loggiare  gli  ospiti  secondo  il  co- 
»  mandamento  della  regola  ;  e  ri- 
"  solvettero  di  accettare  conversi 
"  laici,  quali  fossero  traltati  al  pa- 
»  ri  di  essi,  non  però  fossero  reli- 
'  giosi  con  voti.  Determinarono  an- 
'  che  di  dar  loro  la  cura  delle  co- 
»  se  temporali,  non  per  essere  sgra- 
5  vati  dalla  falira,  ma  acciocché  i 
»  monaci  con  attendere  alii  negozi 
'  temporali  fuori  del  monistero, 
'  non  perdessero  i  beni  della  riti- 
ratezza propria  dei  monaci,  a- 
>  mando  pinti  osto ,  che  in  mano 
»  dei  conversi  si  perdessero  i  beni 
'  temporali,  che  slontanarsi  da  ciò 
'5  che  si  richiedeva  dalla  loro  voca- 
zione ".  Questi  conversi  in  detto 
tempo  non  erano  religiosi,  né  ob- 
bligati con  voti,  ma  dipoi  il  Pon- 
tefice Calisto  II  proibì  che  altri  ne 
fossero  ricevuti.  Il  Manriquez  però 
é  di  parere,  che  dopo  facessero  so- 
lamente un  voto  di  ubbidienza,  men- 
tre negli  antichi  monastici  si  legge 
questa  formula  di  professione  :  pro- 
lìictlo  ol'bcclicnza.  Altri  credono  che 
facessero  voti  semplici  e  non  solcn- 


2o8  C\S 

Ili.  PirscMilcmciite  i  conversi  ctsler- 
cieiisi  fanno  solenne  professione,  co- 
me definì  Benetlelto  XIV,  previo 
esame,  e  consulte.  Si  vegga  il  de- 
creto presso  il  p.  Ferraris  alla  pa- 
rola votimi  mini.  167,  dove  questa 
questione  è  ampiamente  discussa,  e 
poi  definita.  Né  deve  tacersi,  che 
anticamente  due  frati  conversi  ci- 
stcrciensi avevano  l' ufficio  di  bol- 
lare i  diplomi  pontifìcii  col  piom- 
l)o,  onde  venivano  delti  Fralrcs  de 
flambo  :  iifìizio  che  passò  ad  altri, 
come  si  dice  all'articolo  Cancdla- 
ria  apostolica.    Vedi. 

L'abito  dei  monaci  di  Cistello 
era  allora  simile  a  quello  dei  reli- 
giosi di  Molesme,  cioè  di  color  ta- 
nè, o  bigio;  ma  poi  fu  cambiato 
in  bianco  per  un'apparizione  della 
beata  Vergine,  a  s.  Alberico,  il  qua- 
le istituì  perciò  nelTOrdine  la  lesta 
di  tal  apparizione.  Coll'abito  bian- 
co però  ritennero  lo  scapolare  bigio, 
che  poi  mutarono  in  nero,  e  di  questo 
medesimo  colore  portavano  in  cam- 
pagna il  mantello,  e  la  cocolla,  per 
cui  in  Germania  furono  i  cistcrcien- 
si chiamati  un  tempo  i  monaci  bi- 
gi. V.  il  b.  Humbert  ,  de  erudii. 
Jr.  pracdicat.  p.  1 00  edit.  rem. , 
ed  ivi  le  note  del  p.  Catalani,  non 
che  r  Haefteno  nelle  sue  Disquisi- 
zioni monastiche.  Si  legge  poi  nel 
Bonanni,  Catalogo  p.  100,  de"  mo- 
ìuici  cistcrciensi^  de'  quali  porta  an- 
che la  figura,  che  un  tempo  in- 
sorse dubbio  sul  colore  delle  ve- 
sti di  questi  religiosi,  perchè  aven- 
do Benedetto  XII  ordinato  che  ve- 
stissero di  color  bruno ,  alcuni  lo 
portavano  nero  ,  e  altri  grigio  , 
ritenendo  che  in  ambedue  i  colo- 
li  si  comprendesse  il  bruno.  Laon- 
de Sisto  IV,  colla  bolla,  Etsi  cunclis 
ecclesiastici  status,  nell'anno  i^jS, 
comandò  che    i    monaci   cistcrciensi 


CIS 

eleggessero  o  il  colore  nero,  o  il 
bianco  ;  per  lo  che  mutarono  la  ve- 
ste, che  attualmente  portano  bian- 
ca, ma  ritennero  il  cappuccio,  e  la 
pazienza  o  scapolare  di  color  nero, 
la  quale,  in  una  alla  veste,  è  cin- 
ta intorno  ai  lombi  da  una  fliscia 
nera  fuori  del  monistero.  Dove  ab- 
biano collegi,  assumono  la  cocolla 
monacale  nera  con  suo  cappuccio  ; 
ma  in  coro  incedono  in  cocolla 
bianca,  e  sopra  di  questa  portano 
un  cappuccio  con  una  mozzetta,  la 
cui  estremità  anteriore  è  tonda,  e 
scende  sino  alla  cintura,  mentre  la 
posteriore  è  aguzza,  ed  arriva  sino  a 
mezza  gamba. 

I  conversi  cistcrciensi  vestono  co- 
me i  monaci,  con  questa  sola  diffe- 
renza, che  portano  la  tonaca  un  po- 
co piìi  corta,  e  1  hanno  terminante 
inferi(ji-ineute  in  figura  ovale.  Inol- 
tre iu  coro,  e  fuoii  del  monistero, 
portano  invece  della  cocolla,  propria 
de'  monaci,  un  abito  cliiamato  cap- 
pa senza  maniche,  che  copre  tutta 
la  persona,  ed  è  aperto  interior- 
mente. Colla  cappa  nera  poi  fanno 
uso  del  cappuccio  anche  di  colore 
nero.  Dessi  non  vengono  ammessi 
alla  professione,  che  dopo  sette  an- 
ni di  esperimenti.  Ne' primi  sei  an- 
ni, che  sono  detti  di  prova,  vengo- 
no chiamati  conwiissi,  e  vestono  di 
color  nero  senza  scapolare.  L' anno 
settimo,  eh' è  detto  di  noviziato, 
chiamansi  novizi,  e  vestono  la  tona- 
ca, e  scapolare  con  cinta  bianca  si- 
no alla  professione,  nella  quale  pren- 
dono l'abito  de' conversi. 

S.  Alberico,  dopo  aver  avuto  la 
consolazione  di  ricevere  tra'  suoi  di- 
scepoli Enrico  figlio  di  Eudo  I  duca 
di  Borgogna,  principal  fondatore  del 
monistero  di  Cistello,  morì  nel  i  109. 
Venne  eletto  a  successore  di  lui  nel- 
la carica  di  al)bate  l' inglese  s.  Ste- 


GIS 
fano  Harding,   die  si  nguartla  uno 
de'  principali    fondatori    della    con- 
gregazione ;  dappoiché,  non  trovan- 
dosi  chi  abbracciare  volesse  un  te- 
nore di  vita  cosi  austero ,  il  numero 
de'  monaci  divenne    sì  scarso ,    che 
l'abbate  Stefano  temeva  che  il  mo- 
nistero  di  Cistello  divenisse  deserto; 
ma  nel   i  1 1  3,  essendovisi  recato  s. 
Bernardo  [P^edi),    con    trenta  com- 
pagni, fra'  quali  tre  suoi  fratelli,   a 
prendervi   l'abito  religioso,  il  di  lui 
esempio  fece  risolvere  molti  a  fare 
altrettanto,    dimodoché   s.    Stefano 
imprese  a    fabbricare    nuovi    moni- 
steri  per  riceverli  ;    e  furono  quelli 
di  la  Fertè,  Pontigny,  Chiara  valle, 
e  Morimont,  i  quah    in    progresso 
di  tempo  diventarono    celebri  e  il- 
lustri abbazie,  gli  abbati  delle  quali, 
dopo  quello  di    Cistello,   erano    ri- 
guardati siccome  i  primari  dell'Or- 
dine. Di  quello  di  Chiaravalle  [T^e- 
di),  fabbricato  nel   i  i  1 5  nella  dio- 
cesi di  Langres,  fu  eletto    per  pri- 
mo abbate  lo    stesso    s.    Bernardo, 
contando    allora    ventiquattro    anni 
di  età  ed  uno  di  professione.   Egli, 
colla    sua    santità    e    dottrina ,    così 
propagò  la  congregazione ,  che  vie- 
ne   generalmente    tenuto    per    con- 
fondatore de' cistcrciensi.    Frattanto 
l'Ordine  fece  tali  progressi ,    che  il 
santo   abbate    Stefano,    nel    iiiQj 
de'  monisteri  fondati  formò  un  corpo 
solo,  ed  in  unione  degh    abbati ,  e 
di  alcuni   monaci  fece    uno    statuto 
chiamato     Carta    di  carila,  da  do- 
versi osservare  da  tutti,  inculcando 
vivamente  nel  primo   capitolo  1'  os- 
servanza   letterale    della    regola  be- 
nedettina ,    senza    interpretazioni ,  e 
modificazioni ,   come    osservavasi    a 
Cistello.  Stefano  presentò  quindi  lo 
statuto  ai    rispettivi    vescovi,    nelle 
cui  diocesi  vi    erano    monisteri    ci- 
stcrciensi, ed  avutane    da    ciascuno 
VOL.    xiu. 


C 1 S  209 

r  approvazione,  nel  1 1 1 9  conseguì 
la  suprema  conferma  di  Papa  Ca- 
listo II.  In  seguito  fecero  altrettanto 
Eugenio  IH,  che  era  stato  discepolo 
di  s.  Bernardo ,  Anastasio  IV  ,  A- 
driano  IV,  Alessandro  IH,  ed  altri 
sommi  Pontefici.  Ed  Innocenzo  III, 
ammirando  in  questi  religiosi  non 
solo  la  probità ,  ma  la  profonda 
scienza,  massime  nella  facoltà  teo- 
logica, li  destinò  alla  conversione 
degli  albigesi,  con  felici  risultati,  e 
col  glorioso  martirio  di  diversi  mo- 
naci. Pietro  di  Cernay  monaco  ci- 
sterciense  scrisse  l'  Historia  Albigen- 
sium,  che  fu  stampata  in  Troys  nel 
161 5.  Egli  faticò  molto  nella  con- 
versione di  questi  eretici,  e  dedicò 
allo  stesso  Innocenzo  IH  la  sua  ope- 
ra ,  la  quale  ancora  si  trova  nel 
toni.  VI  della  Bibliolheca  cistercieti- 
siiini. 

La  congregazione  sempre  più  8Ì 
aumentò,  e  si  diffuse,  ed  il  solo  s. 
Bernardo  si  riguarda  come  fonda- 
tore di  circa  sessanta  abbazie ,  cui 
pose  a  governare  i  suoi  monaci  di 
Chiaravalle.  Principal  causa  di  tal 
portentosa  propagazione  fu,  siccome 
scrisse  il  Cardinal  Giacomo  di  Vi- 
triaco,  la  diligente  osservanza  della 
discipUna,  la  singoiar  pietà,  la  pe- 
nitenza, e  r  esercizio  d' ogni  virtìi. 
Però  nel  pontificato  di  Urbano  IV 
insorsero  alcune  divergenze  sulla 
Carta  di  carità,  le  quali  per  altro, 
senza  alterazione  della  religiosa  os- 
servanza, nel  1265  vennero  com- 
poste da  Clemente  IV,  colla  bolla 
Parvus  fons  qui  crcK'it  in  flm'iuni, 
Bull.  Rom.  an.  i265;  la  qual  bolla 
dai  cistcrciensi  è  chiamata  la  costi- 
tuzione Clementina.  Quindi,  nel  ca- 
pitolo generale  del  1289,  si  ordinò 
la  compilazione  di  tutti  i  decreti 
formati  ne'  capitoli  della  congrega- 
zione, e  poscia  se  ne  impose  ad 
i4 


9.  I  O  C  I  S 

oj^^iii  monaco  l' osservanza.  Nel  sc- 
giionle  secolo,  sedendo  sulla  catte- 
dra apostolica  Benedetto  \II,  già 
religioso  cistercicnsc,  colla  sua  costi- 
tuzione Fulgcns  sicut  stella  niafiid- 
ria,  Bull.  Piom.  an.  i335  (appellala 
la  BincdcUina  ) ,  venne  rimediato 
ad  alcuni  abusi ,  che  eransi  intro- 
dotti ,  minacciando  gravi  pene  ai 
trasgressori.  Ed  è  perciò ,  che  nel 
i35o  ebbe  luogo  la  formazione  dei 
nuovi  statuti,  che  si  conoscono  sotto 
il  titolo  di  Nuove  costituzioni.  E  sic- 
come ancora  qualche  abuso  era  ri- 
masto, ovvero  incominciava  a  pren- 
der piede,  nel  capitolo  generale  del 
I  890  si  formarono  provvidenze  per 
loglierli  affatto.  Sino  al  secolo  XV 
la  congregazione  cistcrciense,  sebbe- 
ne pi'opagata  in  molti  stati ,  erasi 
mantenuta  unita  e  soggetta  ai  su- 
periori delle  abbazie  di  Francia  ; 
ma  bramando  alcuni  Pontefici,  mas- 
sime Eugenio  IV,  Nicolò  V,  ed  In- 
nocenzo VITI,  che  si  operasse  qual- 
che salutare  riforma ,  principiò  a 
suddividersi  in  varie  congregazioni. 
Il  Pontefice  Sisto  IV,  nel  147^', 
colla  bolla  di  cui  si  fa  menzione 
in  quella  di  Alessandro  VII,  che  è 
la  ^5  del  Bollario  del  Mainardi, 
deir edizione  di  Lione  1678,  e  che 
incomincia  la  supremo  Aposlolatiis 
fasligìOs  diede  facoltà  al  capitolo 
generale,  ed  all'abbate  di  Cistello, 
superiore  di  tutto  l' Ordine ,  di  di- 
spensare secoiido  il  bisogno,  dall'a- 
stinenza delle  carni  que'  monaci , 
che  avessero  richiesta  la  dispensa , 
e  poscia  nel  capitolo  generale  del 
i4B5,  per  mantenersi  l'uniformità 
del  vitto,  fu  decretato  che  in  tutti 
i  monisteri  si  potesse  mangiare  la 
carne  nelle  domeniche,  martedì,  e 
giovedì,  e  che  a  tal  effetto  si  do- 
vesse erigere  in  ogni  monistero  im 
refettorio  a  parie.  Quindi,  in  un'as- 


CIS 
semblea  di  abbati  tenuta  a  Parigi 
nel  1/198,  formaronsi  alcuni  articoli 
di  riforma,  i  quali  in  progresso  non 
ebbero  una  generale  esecuzione.  Per- 
tanto parecchi  zelanti  monaci  di 
diverse  provincie  si  esentarono  dal- 
l' ubbidienza  dei  primari  abbati ,  e 
del  generale  residente  in  Cistello. 
In  Cistello,  secondo  l'istituzione  del- 
l' abbate  s.  Stefano ,  i  capitoli  ge- 
nerali si  convocavano  ogni  anno, 
comunque  dopo  la  bolla  di  Alessan- 
dro VII  In  supremo  (eh' è  la  i83 
della  edizione  Lionese  ) ,  emanata 
nel  r666  per  la  riforma  de'  cister- 
ciensi ,  fosse  stabilito  doversi  cele- 
brare ogni  tre  anni.  L'abbate  di 
Cistello  coi  definitori  giudicava  e 
ordinava  tutti  gli  affari,  che  vi  si 
proponevano ,  ed  aggiunse  molti 
altri  salutari  regolamenti.  La  bol- 
la di  Alessandro  VII  richiamava 
quella  di  Sisto  IV  succitata,  ed  eb- 
be in  mira  particolarmente  certi 
monaci  francesi ,  detti  Aslvienti,  i 
quali  pretendevano,  che  non  si  po- 
tesse far  uso  delle  carni,  non  ostan- 
te la  dichiarazione  di  Sisto  IV.  Di- 
chiarò pertanto  Alessandro  VII,  co- 
me il  suo  predecessore ,  che  l' asti- 
nenza dalle  carni  non  è  pei  cistcr- 
ciensi di  sostanza  della  regola.  Pri- 
ma di  Alessandro  VII,  il  Pontefice 
s.  Pio  V  nel  1570  riformò,  e  re- 
stituì all'osservanza  della  disciplina 
i  cistcrciensi;  ed  il  successore  Gre- 
gorio XIII  nel  1373,  con  sommo 
impegno ,  diede  compimento  alle 
provvidenze  del  predecessore. 

La  congregazione  de'  monaci  ci- 
stcrciensi, ubbidienti  alla  regola  di 
s.  Benedetto,  con  particolari  costi- 
tuzioni ,  si  divise  nelle  varie  con- 
gregazioni, di  cui  parleremo  in  ap- 
piesso,  o  per  nazionalità,  o  per  1  os- 
servanza, o  per  l'abito.  Varii  Or- 
dini cavallereschi  ed    equestri  adol- 


GIS 
tarono  le  regole  de'  cistcrciensi,  co- 
me si  può  vedere  ai  rispettivi  ar- 
ticoli, e  dai  santi  abbati  Stefano  e 
Dernardo  ripetono  l' origine  le  ci- 
stcrciensi, monache,  che  si  diffusero 
presso  vai'ie  nazioni.  Sul  rito  della 
loro  comunione,  tratta  il  Garampi 
nelle  sue  Memorie  a  pag.  i84;  e 
nel  Nomaslico  cistcrciense  di  Giu- 
liano Parisio,  pag.  i44j  si  descrive 
tutto  il  rito  tenuto  dai  cistcrciensi 
nella  comunione  di  ambedue  le  spe- 
cie sino  all'anno    1261. 

La  grande  e  singolax'e  utilità,  che 
i  cistcrciensi  recavano  alla  Chiesa 
ed  alla  repubblica,  indusse  il  Pon- 
tefice Innocenzo  Vili  a  concedere 
air  abbate  generale  di  Cistello,  e  ad 
altri  quattio  abbati  ad  esso  sogget- 
ti, il  privilegio  di  poter  confei-ire 
ai  loro  monaci  gli  ordini  del  sud- 
diaconato e  diaconato,  perchè  non 
fossero  costretti  a  vagare  altrove 
per  ricevere  tali  ordini  ;  privilegio 
contrariato  da  varii  teologi  e  ca- 
nonisti ,  ma  difeso  nelle  sue  teolo- 
giche discipline  dal  p.  Berti,  il  qua- 
le per  autorità  può  equivalere  a 
molti. 

Le  osservanze  dei  cistcrciensi  pro- 
cacciarono loro  la  venerazione  del 
pubblico  ,  e  r  amore  de'  Pontefici , 
nonché  de'  sovrani,  de'  principi,  e 
principesse,  molti  de'  quali  ne  as- 
sunsero r  abito.  Si  resero  altresì 
benemeriti  questi  monaci  per  l'ospi- 
talità dispendiosa  di  alcuni  loro  mo- 
nisteri,  posti  in  luoghi  alpestri  e  so- 
litari ;  per  un  gran  novero  di  dotti 
scrittori  (  fra'  quali  principalmente 
risplende  il  dottore  s.  Bernardo  ), 
ed  eziandio  pei  suoi  tanti  virtuosi 
e  zelanti  religiosi,  di  cui  molti  ne 
veneriamo  sugli  altari.  Alla  vene- 
randa cattedra  di  s.  Pietro  que- 
st'  Ordine  diede  quattro  Pontefici , 
clic  sono  i  seguenti:    Eugenio  III, 


GIS  art 

chiamato  prima  Pietro  Bernardo  da 
JMonte-Magno,  monaco  cistcrciense, 
ed  abbate  de'  ss.  Vincenzo  ed  Ana- 
stasio alle  tre  Fontane  nella  via 
ostiense ,  il  quale  sebbene  non  fosse 
Cardinale,  meritò  di  essere  creato 
Pontefice  dal  sagro  Collegio  ai  2G 
febbraio  i  \^5.  Alcuni  enumerano 
fra  i  Papi  cisterciensi  Alessandro  III, 
eletto  nel  i  1 5g,  come  asserisce  Cri- 
sostomo Enriquez  scrittore  dell'Or- 
dine ;  ed  il  Novaes  nelle  sue  Dis- 
seriazioni,  t.  I,  pag.  83 ,  vi  conta 
anco  Urbano  IV,  creato  nel  1261, 
fatto  Papa  pur  esso  senza  essere  in- 
signito della  dignità  Cardinalizia. 
Certo  è  che  i  cisterciensi,  oltre  che 
Eugenio  III,  ebbero  pure  Benedet- 
to XII,  chiamato  prima  Jacopo  del 
Forno  o  Fournier,  cognominato  No- 
velli, che  essendo  stato  per  sei  an- 
ni abbate  di  Fontefreddo  nella  dio- 
cesi di  Narbona,  fu  fatto  Cardinale 
da  Giovanni  XXII,  nel  iSsy,  e 
gli  successe  nel  trono  pontificio  nel 
1334.  Egli  dall'abito  era  chiamato 
il  Cardinal  bianco.  Oltre  poi  tal 
Cardinale,  ed  una  gi'an  quantità  di 
arcivescovi  e  vescovi ,  i  cisterciensi 
diedero  al  sagro  Collegio  i  seguen- 
ti ,  le  cui  notizie  si  leggono  a'  ri- 
spettivi articoli.  Il  Cardella  poi,  Me- 
morie storiche  de  Cardinali ,  Del- 
l' elenco  de'  Cardinali  i-eligiosi,  sen- 
za renderne  lagione,  vi  registra  pu- 
]"e  Corrado  di  Baviera,  Gabriello 
Tressio  ossia  Trejo,  Renato  di  Pra- 
ta,  E.oberto,  Teobaldo  francese,  ed 
Ugo  francese.  Tuttavolta,  a  difesa 
del  Cardella,  rileviamo  dal  Ton- 
gelino,  Purpura  divi  Bernardi,  etc. 
che  i  detti  Cardinali  furono  ed  ap- 
partennero all'  Ordine  cistcrciense  , 
anzi  a  pag.  62  ne  aggiunge  alcuni 
altri  non  compresi  nel  seguente  no- 
vero, e  de'  quali  riporteremo  le  bio- 
grafie a'  loro  luoghi.  Ecco  i  Cardi- 


212  GIS 

nali  cistcrciensi,   le  di  cui  biografie 
sono  nel  Dizionario. 

11  primo  Cardinale  cistcrciense  fu 
Balduino  da  Pisa  ,  creato  nel 
II 33  dal  Pontefice  Innocenzo  II. 

II 33.  Luca,  fiaiicese  j  monaco  di 
Cliiaravalle,  fatto  da  Innocenzo  II. 

II 33.  Martino  Cibo,  genovese,  mo- 
naco di  Cliiaravalle,  pure  di  In- 
nocenzo II. 

li4o.  Stefano  di  Chalons,  monaco 
di  Cliiaravalle,  di  Innocenzo  lì. 

ii5o.  Bernardo  di  Rennes,  mona- 
co di  Cliiaravalie,  di  Eugenio  IH. 

I  1 5o.  Errico  INIaricotti ,  abbate  dei 
ss.  Vincenzo  ed  Anastasio  alle 
Acque  Salvie,  di  Eugenio  III. 

II 55.  Alberto  Sartori  di  Mora  di 
Benevento,  di  Adriano  IV. 

I  1 55.  Guglielmo  Matengo  di  Pa- 
via, monaco  ed  abbate  di  Cbia- 
ra valle  presso  Milano,  di  Adria- 
no IV. 

1 1 79.  Errico  Marsiaco,  francese,  ab- 
bate di  Chiaravalle ,  di  Alessan- 
dro III. 

II 79.  Teobaldo,  francese,  di  Ales- 
sandro III. 

1186.  Errico  di  Sully,  di  Urba- 
no III. 

I  188.  Girolamo  da  Ceccano ,  ab- 
bate di  Fossanova ,  di  Clemente 
III. 

1190.  Guido  di  Pare,  francese,  ab- 
bate generale,  di  Clemente  III. 

I  190.  Mainardo,  o  Gherardo,  fran- 
cese, abbate  di  Pontigny,  di  Cle- 
mente III. 

1 2  1 3.  Gherardo  Sessio  di  Reggio 
di  Modena ,  abbate  di  s.  Maria 
di  Tileto,  d' Innocenzo  III. 

12 13.  Raniero  Capocci  da  Viter- 
bo, abbate  delle  tre  Fontane,  di 
Innocenzo  III. 

121 3.  Stefano  di  Ceccano,  abbate 
di  Fossanova,  d'Innocenzo  III. 


GIS 

2  I  6.  Corrado  di  Urrach  ,  abl)ale 
di  Chiaravalle,  di    Onorio   III. 

2 1 6.  Nicolò  di  Chiaramontc  sici- 
liano, di  Onorio  III. 

227.  Goffredo  Castiglioni,  milanese, 
monaco  di  Altacomba,  di  Gre- 
gorio IX. 

234.  Jacopo  da  Pecoraria,  piacen- 
tino, abbate  delle  tre  Fontane  di 
Roma,  di  Gregorio  IX. 

244-  Giovanni  Toledo,  inglese,  di 
Innocenzo  IV. 

244-  Ottone  di  Bourges ,  rnonaco 
di  Granselva,   d' Innocenzo  IV. 

2  44-  Pietro  di  Barro ,  abbate  di 
Chiaravalle,  d' Innocenzo  IV, 

253.  Albo  da  Viterbo,  d'Inno- 
cenzo IV. 

273.  Teobaldo  da  Ceccano,  abba- 
te di  Fossanova,  di   Gregorio  X. 

294.  Simone  di  Beaulieau  o  Bei- 
luogo,  abbate  della  Carità  di  Be- 
sancone,  di  s.  Celestino  V. 

294.  Roberto  francese ,  abbate  di 
Pontigny,  e  generale  dell'Ordine, 
di  s.   Celestino  V. 

3 IO.  Arnaldo  Novelli  di  Guasco- 
gna ,  abbate  di  Fontefreddo ,  di 
Clemente  V. 

338.  Guglielmo  Curti  o  Novelli , 
francese,  abbate  Bolbonese,  di  Be- 
nedetto XII. 

375,  Giovanni  della  Bussiere,  fran- 
cese, abbate  di  Cistello,  e  gene- 
rale dell'  Ordine,  di  Gregorio  XI. 

38 1.  Fi-ancesco  Carbone,  napoli- 
tano, di  Urbano  VI. 

4 '9-  Giambattista  Murillo,  spa- 
gnuolo,  di   Martino  V. 

484-  Teobaldo  di  Lucemburgo , 
abbate  di  Orsocampo,  di  Sisto 
IV. 

5G8.  Girolamo  Souchier ,  france- 
•se ,  abbate  di  Chiaravalle ,  di  s. 
Pio  V. 

G69.  Giovanni  Bona,  piemontese, 
della  congregazione    d' -Italia,  ed 


CIS 

ablxite  generale  di  essa ,  di  Cle- 
inéiitu  IX, 
i6e)9.  Giambattista  Gabrielli  di  Cit- 
tà di  Castello,  generale  de'  cister- 
ciensi,  d' Innocenzo  XII. 
«743.  Gioacchino  Besozzi ,  milane- 
se, della  congregazione  di  Lom- 
bnidia,  abbate  di  s.  Croce  in  Ge- 
rusalemme, creato  Cardinale  da 
Benedetto  XIV. 

Prima  di  passare  a  far  parola 
delle  altre  congregazioni  cistcrcien- 
si ,  e  delle  loro  monache,  ripor- 
teremo un  sunto  delle  costituzio- 
ni ,  die  le  riguardano.  Incomin- 
ciamo pertanto  dalla  detta  Carta 
di  carila.  Questa  ordina  :  che  si 
nssi-rvi  la  regola  di  s.  Benedetto 
in  tutte  le  case  dell'Ordine,  co- 
me viene  osservala  in  Cistello ,  o 
CiteauK.  Il  capo  quarto  prescrive, 
che  l'abbate  di  Cistello  sia  tenuto, 
come  superiore  degli  abbati,  a  fare 
le  visite  di  tutti  i  monisteri  del- 
l'Ordine; e  che  prenda  di  concerto 
coi  rispettivi  abbati  di  ogni  casa , 
delle  utili  misure  per  riformare  gli 
abusi.  In  conseguenza  di  questo  re- 
golamento, fu  deciso  da  un  decreto 
del  gran  consiglio,  dato  l'anno  1761, 
che  l'abbate  di  Cistello  non  possa 
stabilire  la  riforma  nelle  quattro 
primarie  abbazie  de'  cistcrciensi ,  e 
nelle  loro  filiazioni,  senza  il  con- 
senso degli  abbati  di  dette  quattro 
case.  II  capo  ottavo  dice,  che  cia- 
scun abbate  debba  visitare  ogni  an- 
no le  case  da  lui  dipendenti  ;  che  i 
quattro  primi  abbati  ,  cioè  quelli 
della  Fertè,  di  Pontigny  di  Chia- 
l'avalle  o  Clairvaux,  e  di  Morimont, 
debbano  visitare  parimenti  ogni  an- 
no in  persona  il  monistero  di  Ci- 
stello; che  ne  abbiano  l'ammini- 
strazione dopo  la  morte  dell'  abba- 
te, e  che  debbano  adunarsi,  per 
dargli  un  successore,  gli  abbati  del- 


CIS  2i3 

le  filiazioni  di  Cistello,  ed  anche  di 
altre,  le  quali  verranno  scelte  per 
questo  effetto.  Il  capo  decimonono  di-» 
ce,  che  se  un  abbate  non  fosse  ubbi- 
diente alla  regola,  dovesse  essere  ri-- 
preso  da  quello  di  Cistello,  e  fosse  da 
esso  deposto,  nel  caso  che  non  vo- 
lesse emendarsi.  Il  capo  vigesimoterzo 
stabilisce,  che  se  l'abbate  di  Cistel- 
lo vivesse  di  una  maniera  opposta  al 
suo  stato,  venisse  avvertito  de' suoi 
falli,  e  poscia  deposto  dagli  abbati 
della  Fertè,  di  Pontigny,  di  Chia- 
ravalle,  e  di  Morimont,  se  non  vo- 
lesse rientrare  in  sé  stesso,  e  mu-' 
tare  condotta  ec. 

Il  Liber  usuum,  ossia  il  libro  de- 
gli usi  di  Cistello,  fu  scritto  circa 
lo  stesso  tempo  della  Carta  di  ca- 
rità. Alcuni  ne  fanno  autore  s.  Ste- 
fano, altri  s.  Bernardo.  Questa  rac- 
colta di  tutte  le  osservanze  regolari 
di  Cistello  è  divisa  in  cinque  parli, 
che  compi'endono  cento  ottanta  ca- 
pitoli. La  santa  Sede  l'approvò  nel 
medesimo  tempo,  ovvero  presso  a 
poco  in  quello  in  cui  fu  approvata 
la  Carta  di  carità.  Se  n'  è  parlato 
iiegU  atti  de'capitoli  generali  del- 
l'Ordine, pubblicati  dal  Rainardo, 
quarto  abbate  di  Cistello,  nell'anno 
I  134.  La  migliore  edizione  di  que- 
sto libro,  eh' è  sempre  stato  il  co- 
dice de'  cistcrciensi,  è  quella  che  ci 
ha  dato  il  p.  Giuliano  Paris  nel  Mo- 
nasticon  cistcrciense,  Parisiis    1 764. 

U  Exordium  parviim ,  ossia  il 
compendio  della  storia  dell'  origine 
di  Cistello,  fu  scritto  per  ordine  di 
s.  wStefano,  ed  è  libro  edificantissi- 
mo cui  l'annalista  dell'  Ordine  chia- 
ma giustamente  :  Libro  d'oro.  Esso 
perciò  fu  inserito  nella  Bibliotheca 
Patruni  cistcrciensium ,  pubblicata 
da  Tissier  nell'anno  1662  in  tre 
vohuni  in  foglio.  Finalmente  l' E- 
xordiuni  magnitrn  cistcrciense  è  una 


3.4  cis 

storia  più  diffusa  dell'  oiigine  di 
Cistcllo,  la  quale  fu  scritta  nel  se- 
colo decimoterzo,  e  ritrovasi  anco 
nella  Bibliolhcca  Patrum  cislercicn- 
sium. 

Gli  Annali  de'  cistcrciensi  m 
«juattro  volumi,  furono  composti  da 
Angelo  Manriqiiez  di  Bourges  ;  il 
Mcnologio  di  Cistcllo  fu  scritto  dal 
p.  Grisostomo  Heuriquez  del  me- 
desimo Ordine  ;  il  Saggio  dell'  Or- 
dine di  Cistello,  ec.  fu  composto 
da  Le-Nam;  e  i  Privilegi  de' ci- 
stcrciensi vennero  pubblicati  colle 
stampe  a  Parigi  nel  1 7 1 3.  Sono 
inoltre  a  consultarsi  Silvestro  ìMau- 
rolico,  Arnaldo  Wion,  e  gli  autori 
della  Storia  degli  Ordini  religiosi. 
Fra  gli  altri  storici  rimarchevoli 
dell'  Ordine,  è  da  notarsi  il  Ton- 
gclino,  le  cui  opere  sono:  I.  lYoti- 
tia  abhcitìaram  ordinis  cisterciensis 
per  orheni  universum  Uh.  X  coni- 
plexa  etc. ,  publicabat  Gaspar  Ton- 
gelmus  Antuerpiensis  ahbas  nion- 
tis  s.  Dischodi,  Coloni ae  Agrippi- 
nae,  sumptibus  auctoris  1640.  II. 
Purpura  divi  Bernardi  rcpraesentan- 
tis  elogia  et  insignia  gentilitia,  tuni 
Ponti/icum,  tuni  Cardinalium ,  nec 
non  archiepiscoporuni ,  et  episcopo- 
rum,  qui  assunipti  ex  ordine  cistcr- 
ciensi in  s.  Reni.  Ecclesia  florue- 
runt ,  aere  et  labore  D.  Gasparis 
Tongelini  abbatis  Disenburgensis  , 
Coloniae  Agrippinae  i644-  J^^el  fron- 
tispizio della  prima  opera  vi  sono 
gli  stemmi  di  Cistello  o  Cistercio , 
e  delle  alti-e  quattro  abbazie  pri- 
marie. Quegli  stemmi  vennero  poi 
inquartati  negli  stemmi  individua- 
li delie  altre  congregazioni ,  e  moni- 
steri  cistcrciensi.  Delle  seguenti  con- 
gregazioni ancora  esistono  interamen- 
te in  diverse  parti ,  monisteri  e  con- 
gregazioni diverse,  specialmente  dopo 
le   ultime     vicende  delia  Spagna  ,  e 


GIS 
Portogallo.  Ma  quella  d'Italia  intera- 
mente esiste  e  liorisce,  osservando  le 
costituzioni  approvate  da  vari  som- 
mi Pontefici,  e  ultimamente    modi- 
ficate, e  confermale    dal    Pupa    re- 
gnante Gregorio  XVI.  Fra  le    con- 
gregazioni cistcrciensi,  si  è  ammes- 
sa quella  delta  della  Trappa,  di  cui 
si  tratta  all'articolo  Trappisti,  f^edi. 
Cistcrciense  congregazione  di  Ca- 
stìglia,  e  della  regolare   osservanza, 
di  Spagna.  Martino  de  \argas,    o 
Bargas,  spagnuolo  di  Xeres  ,    dopo 
aver     preso     l'abito     de'   girolamini 
d'Italia,  dal    Pontefice    JMartino  V 
fu    prescelto    per   suo    confessore    e 
predicatore  ;     ma  dipoi     col    di    lui 
assenso  si  ritirò  nell'Aragona  ,    e  si 
fece    cisterciense    nel    monisteió    di 
Piedra  situato  nella  diocesi .  di  Tar- 
ragona.  Quindi,  nel    1^1^,    ritornò 
in  Ptoma    col    p.    Michele     Quenca, 
ed  ottenne  dallo  st.esso    Martino  V 
l' opportuna  licenza  di  operare  una 
riforma  ne' cistcrciensi    colla    fonda- 
zione di     due  monisteri  ,     o    eremi 
nella  Castiglia,  e  nel  regno  di  Leo- 
lìe,  acciocché  in  essi  si    osservassero 
letteralmente  la  regola  di    s.   Bene- 
detto, e  le  costituzioni    di  Cistello; 
con  questo  però,  che    i    due  moni- 
steri,  o  eremi,  fossero    esenti    dalla 
giurisdizione  del   capitolo    generale, 
e  degli  abbati  di  Cistello  e  di  Pie- 
dra; che    i    monaci    ubbidissero    al 
superiore  eletto  dai  religiosi  dei  nuo- 
vi monisteri,  il  quale  avrebbe  il  ti- 
tolo di  Riformatore;  che  in  tutti  i 
casi  ricori'cssero  all'  abbate    di    Pa- 
bleto  dal  cui    monistero    quello    di 
Piedra  era  derivato  ;  e  che  i  mona- 
ci  degli    altri    monisteri    dell'  Ordi- 
ne potessero  passare    a  quelli   della 
sua  riforma,  senza  preventiva  licen- 
za de' superiori.  Martino  V  incaricò 
di  questo  affare  il   Cardinal    di    Si- 
viglia, ed  il  p.   Vargas,    munito    di 


GIS 
tutte  le  facoltà,  lece  ritorno  al  mo- 
uislero  di  Piedra,  donde  recossi  con 
alcuni  compagni  in  Casliglia  per 
dare  esecuzione  al  suo  disegno.  Que- 
sto ebbe  felice  riuscita,  poiché  fon- 
dò coir  aiuto  di  Alfonzo  Martinez, 
canonico  e  tesoriere  della  metropo- 
litana di  Toledo,  il  primo  suo  mo- 
nisLero  in  riva  al  Tago,  non  lungi 
da  questa  città,  in  un  luogo  solita- 
rio chiamato  Vengalla ,  ed  antica- 
mente la  Vega  di  s.  Romano,  ed 
ove  con  rami  d'alberi  costruì  delle 
celle  anguste. 

II  novello  monistero  fu  appellato 
Monte  di  Sion,  e  il  p.  Vargas  ne  ven- 
ne eletto  priore  col  titolo  di  Rifor- 
viatore,  titolo  che  dai  generali  della 
congregazione  fu  poi  ritenuto.  Sul 
principio  di  questa  riforma,  detta 
della  congregazione  di  Castiglia,  o 
dcir osservanza  di  Spagna,  il  cibo 
de'  religiosi  per  lo  più  era  di  erbe, 
vestivano  panni  grossolani,  ed  osser- 
vavano assai  il  silenzio.  Frequenti 
erano  i  loro  digiuni,  rigorosa  la 
clausura,  potendo  appena  uscire  ogni 
tre  anni,  e  talvolta  nemmeno  dalla 
cella,  senonchè  pel  divino  uffizio, 
e  pegli  esercizi  comuni.  Non  andò 
guari  che,  nel  i43o,  questa  riforma 
fu  abbracciata  dal  monistero  di  Val 
di  Buena,  che  divenendo  il  secondo 
eremo,  fu  assoggettato  a  quello  del 
Monte  di  Sion^  laonde  lasciato  il  ti- 
tolo di  abbate,  che  il  superiore  di 
esso  aveva  sino  a  quell'  epoca,  ne 
prese  il  governo  lo  stesso  p.  Var- 
gas, sostituendo  a  quello  di  Sion 
il  p.  Martino  Longrogno.  Questi, 
nel  1432,  inviò  due  suoi  monaci 
a  Papa  Eugenio  IV,  da  cui  otten- 
nero la  conferma  dell'  erezione  del 
monistero  di  Sion,  e  la  menzionata 
unione  con  quel  di  Val  di  Buena; 
indi  Eugenio  IV,  due  anni  dopo, 
diede  licenza  di  fabbricare  altri  sei 


GIS  2i5 

monistcri,  ed  a  tutti  i  monisteri 
uniti  e  da  unirsi  concesse  la  facoltà 
di  eleggersi  un  ritòrmatore,  al  quale 
fossero  soggetti.  Però,  nel  i437, 
Eugenio  IV  rivocò  il  privilegio  ac- 
cordato dal  suo  immediato  succes- 
sore Martino  V,  all'  abbate  di  Pa- 
bleto,  di  confermar  l' elezione  del 
riformatore  di  questa  congregazio- 
ne, conferendo  in  vece  tal  facoltà 
all'  abbate  di  Cistello,  cui  comandò 
di  visitar  in  persona  i  monisteri 
della  medesima.  Il  p.  Vargas,  ad 
onta  che  zelasse  per  la  piopaga/.io- 
ne  della  sua  riforma^  fu  bersaglio 
di  molte  persecuzioni ,  e  morì  in 
prigione  nel  1 44^  ii^l  monistero  di 
Sion,  ignorandosene  la  cagione.  Tut- 
tavolta  in  seguito  la  congregazione 
si  aumentò,  ed  acquistò  nella  Spa- 
gna parecchi  monisteri ,  fra'  quali 
quello  di  Palacuelos,  in  cui  nel  ca- 
pitolo generale  del  i55o  venne 
ordinato,  che  il  riformatore  vi  fa- 
cesse continua  residenza,  col  titolo 
di  abbate  di  Palacuelos.  I  monaci , 
tre  volte  la  settimana,  a  pranzo 
mangiavano  carne,  e  nel  vestire  non 
differivano  dagli  altri  cistcrciensi , 
che  nella  fascia  bianca,  essendo  quel- 
la degli  altri  nera.  V.  Congrega- 
zione   de' ClSTERCIENSl    d' ARAGONA. 

Cislerciense  congregazione  di  s. 
Bernardo j  e  Romana.  Il  sommo 
Pontefice  Alessandro  VI ,  1'  anno 
1497,  uni  in  congregazione  tutti  i 
monisteri  de'  cistcrciensi  della  pro- 
vincia di  Toscana,  e  di  Lombardia 
dandole  il  nome  di  Congregazione 
di  s.  Bernardo ,  e  prescrivendole 
alcune  rifoi*me,  ch'egli  stesso  poi 
rivocò,  come  annullò  la  detta  unio- 
ne. Nondimeno,  ad  istanza  dei  mo- 
naci delle  due  provincie,  fa  essa 
quindi  rinnovata  nel  i5ii  da  Giu- 
lio II,  che  comandò  l' esecuzione 
della  bulla  di  Alessandro  VI.  In  se- 


2i6  GIS 

guito  i  Pontefici  Leone  X  e  Paolo 
ìli  concessero  a  questa  congrega- 
zione vari  privilegi ,  e  Gregorio 
XIII  confermò  poi  le  bolle  dei 
predecessori  aggiungendovi  alcuni  re- 
golamenti. Sisto  V,  che  gli  succes- 
se nel  i585,  tolse  alcuni  abusi  ivi 
introdotti  ,  ed  Urbano  Vili  nel 
i63i,  con  autorità  apostolica,  ap- 
provò gli  statuti  compilati  per  la 
riforma.  Altri  Papi  accordarono  a 
questi  monaci  molte  grazie,  e  tra 
le  altre,  che  il  loro  presidente,  quan- 
do si  recava  in  persona  al  capitolo 
di  Cistello,  dovesse  sedere  imme- 
diatamente dopo  gli  abbati  della 
Fertè,  di  Pontigny,  di  Chiaravalle, 
e  di  Morimont ,  quali  primi  abba- 
ti dell'Ordine,  come  superiormente 
dicemmo. 

Nel  i6i3  il  capitolo  generale 
ordinò,  che  i  monisteri  d'  Italia,  i 
quali  non  dipendevano  da  congre- 
gazione alcuna,  si  unissero  insieme 
per  comporne  un'  altra,  come  ven- 
ne eseguito  nel  162  3,  coli' appro- 
vazione di  Gregorio  XV,  che  la 
formò  di  quelli  dello  stato  pontifi- 
cio, e  del  regno  di  Napoli,  e  la 
chiamò  Congregazione  Romana.  Vol- 
le che  il  presidente  avesse  il  titolo 
di  abbate,  che  godesse  tutti  i  pri- 
vilegi degli  altri  abbati  delf  Ordine, 
e  che  nel  tempo  medesimo  fosse 
priore  di  un  monistero  della  sua 
congregazione,  la  quale  cogli  stessi 
obblighi  e  dipendenza,  fu  da  lui 
assoggettata  all'  autoi'ità  dell'  abbate 
generale  di  Cistello  e  del  capitolo 
generale,  a  cui  doveva  inviare  due 
abbati.  Venendo  poi,  nel  declinare 
del  secolo  decorso,  soppressi  i  mo- 
nisteri della  suddetta  congregazione 
di  Toscana,  cui  appartenevano  in 
Roma  la  chiesa  e  il  monistero  dei 
.ss.  Vincenzo  ed  Anastasio  alle  tre 
Fontane,  la  congregazione  di  Lonx- 


CIS 

bardia  si  uni  alla  Romana,  e  tut- 
tora fiorisce.  In  Roma  risiedono  il 
presidente  generale,  e  il  procin-ato- 
ra  generale,  ed  hanno  le  chiese  e 
i  titoli  Cardinalizj  di  s.  Croce  in 
Gerusalemme,  e  di  s.  Bernardo 
alle  Tavne  [Vedi),  mentre  quella 
dei  ss.  Vincenzo  ed  Anastasio  alle 
tre  Fontane  [Vedi),  che  Innocenzo 
Il  nel  I  140  diede  ai  cistcrciensi, 
ed  il  cui  primo  abbate  spedito  da 
s.  Bernardo  nel  i  i^^  fu  creato 
Pontefice  col  nome  di  Eugenio  III, 
venne  da  ultimo  da  Leone  Xll  con- 
ceduta ai  minori  osservanti.  Ad  es- 
si il  medesimo  Pontefice  diede  in 
oltre  la  Chiesa  di  s.  Sebastiano 
(Vedi),  cui  dopo  il  161  i  il  Cardi- 
nal Scipione  Borghese  avea  dato 
ai  monaci  cistcrciensi  della  congre- 
gazione di  s.  Bernardo,  comunque, 
secondo  altri,  ciò  debbasi  attribui- 
re a  Clemente  XI.  La  chiesa  di  s. 
Bernardo  alle  terme  1'  ebbe  la  con- 
gregazione cistcrciense  de'Foglianti, 
o  di  s.  Bernardo,  dalla  contessa 
Caterina  Sforza,  che,  in  uno  al  mo- 
nistero, la  fece  edificare  nel  iScjS; 
e  la  chiesa  di  s.  Croce  in  Gerusa- 
lemme, coir  annesso  monistero,  fu 
conceduta  ai  cistcrciensi  di  Lom- 
bardia dal  Pontefice  Pio  IV,  allor- 
quando nel  i56o  trasferì  i  certosi- 
ni da  essa  alla  chiesa  e  al  moni- 
stero  di  s.  Maria  degli  Angeli.  I  ci- 
sterciensi  pertanto  furono  tolti  dalla 
chiesa  e  dal  monistero  di  s.  Sabba 
suir  Aventino,  cui  1'  avea  data  Giu- 
lio II,  e  vennero  mandati  a  s.  Cro- 
ce in  Gerusalemme,  con  bolla  ri- 
ferita dal  p.  Raimondo  Besozzi,  pag. 
187.  Quindi,  per  mezzo  del  p.  ab- 
bate Filippo  Maraviglia,  nel  lOgy, 
i  cistcrciensi  incominciarono  la  fab- 
brica di  un  ospizio,  presso'  l' arco 
di  Carbognano,  il  quale  fu  perfe- 
zionato   dal  p.    abbate    d.    Stefano 


GIS 

Reina  uel  lyoS,  per  avere  un  silo 
di  buon*  aria  da  rifugiarsi  in  tem- 
po di  estate,  e  che  per  le  seguile 
cognite  vicende  furono  coslrelli  ad 
alienare  nel  1802.  Qui  invece  fu 
stabilita  l'accademia  Sabina,  pro- 
mossa dalle  indefesse  cure,  e  dallo 
zelo  patrio  di  monsignor  Gio.  Bat- 
tista Nardi  Valentini.  F.  Collegio, 
o  Accademia  Sabixa. 

Finalmente  a  questa  congregazione 
venne  dato  l'incarico  di  formare  colla 
cera  gli  /^giius  Dei,  che  ogni  set- 
te anni  solennemente  si  benedicono 
dal  Pontefice  ;  privilegio  goduto  per 

10  innanzi  dai   Cistercieiisi  Fogliali 
ti,  de' quali   si  tratterà  in  appresso. 

11  suo  abbate  presidente  generale 
gode  il  luogo  tia  gli  abbati  mitra- 
ti nelle  cappelle  pontificie.  I  mona- 
ci e  vari  monisteri  di  Foglianti  di 
Italia,  furono  riuniti  con  autorità 
apostolica  di  Pio  VII,  nell'anno  1802, 
a  (piesta  congregazione  cislercien- 
.se  romana,  la  quale  tuttoia  è  flo- 
rida, ed  è  di  grande  esemplarità. 
Da  ultimo  il  Papa  regnante  modi- 
ficò, e  confermò  le  Pontificie  costi- 
tuzioni che  la  riguardano. 

Cislerciense  congregazione  cV  A- 
ragona.  Questa  fu  eretta  nel  16 16 
dal  Pontefice  Paolo  V  ad  istanza 
del  re  di  Spagna  Filippo  III,  do- 
po che  il  capitolo  generale,  tenuto 
in  Cislello  nel  161  3  vi  ebbe  accon- 
sentito. Fu  essa  stabilita  dal  prov- 
vido Pontefice,  perchè  gli  abbati 
di  Cislello  sovente  per  la  lontanan- 
za tralasciavano  di  visitare  i  moni- 
steri  di  quelle  di  Castiglia.  Il  per- 
chè tutti  gli  altri,  che  a  quella  con- 
gregazione di  Cistello  non  erano 
soggetti,  tanto  della  stessa  Castiglia, 
che  dei  regni  di  Valenza,  Catalo- 
gna, e  Navarra,  non  che  dell'  isola 
di  Majorica,  non  potendo  essere  vi- 
sitati, con  danno  notabile  della  disci- 


CIS  217 

plina  regolare,  venne  perciò  da  Paolo 
V  costituito  un  vicario  generale,  che 
sottopose  in  perpetuo  al  capitolo  gene- 
rale di  Cistello,  cioè  all'abbate  di  Cis- 
tello, ed  agli  altri  quattro  primari 
abbati  dell  Ordine.  Concesse  poi  il 
Pontefice  al  detto  vicario  generale 
r  autorità  di  presiedere  ai  capitoli 
generali  della  stessa  congregazione 
d'Aragona,  la  quale  doveva  man- 
dare un  abbate  ài  capitolo  genera- 
le, e  quindi  doveva  accettarne  i  de- 
creti, non  che  i  commissari,  dal 
capitolo  deputati  alla  visita  de'mo- 
nisteri.  Venne  stabilito  altresì,  che 
il  vicario  generale,  i  visitatori,  e  i 
definitori  della  congregazione  d'  A- 
ragona,  appena  eletti,  dovessero  pre- 
stare il  giuramento  al  capitolo  ge- 
nerale, e  all'abbate  di  Cistello,  di 
non  fare,  o  procurale  cosa  alcuna, 
che  fosse  a  di  lui  pregiudizio.  E 
sebbene  ne' propri  capitoli  particola- 
ri, si  potessero  ordinare  cose  condu- 
centi all'  osservanza,  erano  obbliga- 
ti a  mandarle  per  la  conferma  a! 
capitolo  generale.  Fu  poi  proibito 
a  questa  congregazione  di  avere  in 
Roma  un  procuratore  generale,  do- 
vendosi invece  valere  di  quello  del- 
l' Ordine  Cistcrciense  V.  CtwoRECA- 
zio\E  cisterciense  di  Castiglia,  e 
della  regolare  osscivanza  di  Spagna. 
Cistcrciense  congregazione  della 
Madonna  di  Calabria,  e  della  con- 
gregazione di  Fiori ,  o  Florense. 
IVell'anno  i6o5  il  capitolo  genera- 
le di  Cistello  diede  il  suo  consenso 
perchè  si  erigesse  una  congregazio- 
ne cisterciense  in  Calabria,  la  quale 
si  elleltuò  nel  pontificato  di  Urba- 
no ^  HI  nel  iG32,  e  ricevette  il 
titolo  di  Congregazione  Cisterciense 
della  -  Madonna  di  Calabria,  colle 
medesime  condizioni  assegnate  alla 
Congregazione  R.omana ,  a  riserva 
che  la  calabrese  era    tenuta  a  man- 


2 I 8  GIS 

tlaii;  al  capitolo  generale  un  abbu- 
io, (;  un  tiopiilato,  ed  a  dover,  sci 
mesi  avanli  di  convocare  il  capitolo 
particolare,  darne  parlccipa/ioiie  al- 
l'abbate  di  Cistcllo,  invitandolo  a 
inlcivcnirvi ,  o  a  spedirvi  almeno 
un  commissai'io.  Molti  nionisteri  di 
questa  congrega/ione  erano  apparte- 
nuti ad  un'altra  ilctta  di  Fiori  o 
J'iorcn.sc  parimenti  nella  Calabria, 
che  alcuni  dicono  essere  stata  una 
congregazione  distinta  dalla  cislcr- 
ciense,  fondata  dal  celel)re  abbate 
Gioacchino,  cui  il  martirologio  ci- 
stcrciense, e  i  Bollandisli  danno  il 
titolo  di  beato,  leggendosene  la  vita 
nei  medesimi  bollandisti  nel  tomo 
VII  maji  ad  diem  29.  11  p.  d.  Gre- 
gorio di  Lauro,  abbate  cistcrciense 
di  Calabria,  scrisse  l' apologia  del 
il.  Gioacchino  m  un  libro  in  fo- 
glio stampato  a  Napoli  nel  1640, 
nel  qual  anno  pubblicò  le  rinoma- 
te Profezie  de  Ponlefici  attribuite 
al  b.  Gioacchino,  e  spiegate,  insie- 
me alla  vita  di  esso,  la  quale  col- 
r  analisi  delle  sue  opere  fu  altresì 
pubblicata  da  un  dotto  francese  in 
Parigi  nel  \']^^.  Ptacconta  Corra- 
do Halberstadense  nella  sua  Crona- 
ca, che  tali  profezie  si  conobbero 
verso  l'anno    i25o. 

Per  conoscere  adunque  1'  origine 
della  congregazione  Florense,  è  a 
sapersi  che  il  b.  Gioacchino  nacque 
verso  l'anno  iiii  presso  Cosenza 
in  un  luogo  chiamato  Celico.  Nella 
bua  gioventù  prima  s' impiegò  nella 
real  corte  di  Napoli,  e  poi  essendo- 
si recato  in  Palestina,  si  dice  che 
passasse  la  quaresima  sul  Tabor 
nella  contemplazione  delle  cose  ce- 
lesti, e  che  ivi  nel  giorno  di  pas- 
qua ricevesse  la  scienza,  e  l'iiitelli- 
genza  di  molti  misteri.  Ritornato 
nella  Calabria,  si  fece  cistcrciense 
nel   munibtcro  di    Corazzo,    di    cui, 


GIS 

poco  dopo  avere  professalo,  diven- 
ne per  le  sue  doli  prioie  ed  abba- 
te ad  onta  della  sua  ripugnanza  , 
che  alla  line  vinse  per  le  istanze 
dell' abbate  di  Sambuca,  e  dell'ar- 
civescovo di  Cosenza.  Quindi,  col 
beneplacito  di  Papa  Lucio  li],  nel 
Il  83  si  ritirò  nella  solitudine  di 
Alla  Pietra,  e  da  questa,  nel  1  189, 
passò  con  due  compagni  ad  un  al- 
tro luogo  chiamalo  Fiori,  ove  fab- 
bricò alcune  celle  ;  ma  crescendo  il 
numero  de' discepoli,  nel  i  i  90  cir- 
ca, foiidò  il  mouislero,  che  poi  fu 
capo  della  sua  congregazione ,  ap- 
provata dal  Cardinale  Cencio  Sa- 
velli, allora  legato  della  santa  Sede 
in  Sicilia,  e  che  in  un  al  medesi- 
mo monistero  prese  il  nome  di  Fio- 
ri. Ne  furono  benefattori  i  re  di 
Sicilia,  e  i  duchi  dì  Calabria.  la 
progresso  il  b.  Gioacchino  fece  al- 
tre fondazioni,  il  perchè  aumentan- 
dosi il  numero  de'  monaci,  e  quello 
de'  monisteri,  compose  analoghe  co- 
stituzioni, le  quali  furono,  nel  i  196, 
approvate  dal  Pontefice  Celestino 
III.  Indebolito  dalle  penitenze  e  fa- 
tiche, morì  ai  3  marzo  1202,  nel 
monistero  di  Jova,  ovvero  di  Ca- 
nali, e  poscia  il  suo  corpo  fu  tras- 
portato all'  altro  di  Fiori  nella 
chiesa  di  s.  Gio.  Battista.  Dio  a  sua 
intercessione  operò    molti   prodigi. 

Egli  compose  alcune  opere,  ma 
due  anni  prima  di  morire,  scrisse 
una  professione  di  fede ,  con  cui 
protestò  di  non  avere  avuto  tem- 
po di  rivederle,  e  correggerle,  e 
pregò  gli  abbati  della  sua  congre- 
gazione, che  se  fosse  morto  prima 
di  pubblicarle,  le  soggettassero  all'al- 
trui censura  ed  al  giudizio  della 
sede  apostolica,  a  cui  non  intende- 
va di  opporsi  colle  sue  opinioni, 
condannando  anzi  quello  eh'  es- 
sa avesse    condannato ,  e    credendo 


GIS 
quanto  da  essa  si  crede.  Ad  onta 
di  si  chiare  proteste,  vi  furono  al- 
cuni che  parlarono  sospettosamente 
della  sua  fede,  e  della  sua  santità, 
ed  allorquando  Innocenzo  III  nel 
i2i5,  tenne  il  concilio  generale 
lateranense  IV,  condannò  l' opera 
da  lui  scritta:  //  maestro  delle  Sen- 
tenze, nella  quale  vi  sono  alcuni 
errori  centra  il  mistero  della  ss. 
Trinità  ;  cioè  che  il  Padre,  il  Fi- 
gliuolo,  e  lo  Spirito  Santo  sono 
un  solo  Dioj  noli  già  con  unità  di 
Cosenza  e  di  natura,  ma  con  unità 
collettiva,  non  altrimenti,  che  molli 
uomini  sono  un  popolo.  Tuttavolta 
Innocenzo  III  lasciò  intatto  l'  auto- 
re, ed  assicurò  della  protesta  da 
esso  fatta  prima  di  morire.  Di- 
fatti l'errore  di  questo  grand' uomo 
fu  di  mente,  non  già  di  volon- 
tà ,  laonde  il  successore  Onorio 
III,  con  due  suoi  brevi  l'uno 
dell'anno  12 17  sciùtto  ad  un  ve- 
scovo di  Basilicata,  e  l'altro  del 
1223  diretto  all'arcivescovo  di  Co- 
senza, e  al  vescovo  di  Bisaccia,  bre- 
vi che  furono  pubblicati  dal  Pape- 
Ijrochio,  e  dal  padre  Jacopo  Gre- 
co ,  che  scrisse  la  vita  del  padre 
Gioacchino ,  ordinò  loro  di  ftu' 
pubblicare  per  tutta  la  Calabria , 
eh'  egli  teneva  l' abbate  Gioacchi- 
no per  cattolico  ,  e  seguace  del- 
la retta  fede,  ordinando  che  ninna 
molestia  perciò  si  recasse  a'  monaci 
della  congregazione  florense  da  lui 
fondata,  come  quella  che  riconosce- 
va per  utile  e  per  buona. 

Tutte  le  sopraddette  congregazio- 
ni della  Madonna  di  Calabria,  e 
di  Fiori ,  erano  uniformi  tra  di 
loro  tanto  nel  colore  e  nella  forma 
dell'  abito,  quanto  nella  maggior 
parte  delle  regolari  osservanze.  La 
♦liffereuza  consisteva  soltanto  in  al- 
cuni particolari  regolamenti,  riguar- 


C IS  219 

danti  il  rispettivo  governo  di  cia- 
scheduna. /'.  il  Bonnani,  Catalo- 
go degli  Ordini  religiosi,  a  pag. 
I  1 3  ,  De'  monaci  Floriacensi ,  dei 
quali  riporta  anche  la  figura. 

.Cisterciense  congregazione  della 
3Iadonna  de'  Foglianti  e  de'  rifor- 
mati di  s.  Bernardo.  Una  delle  ri- 
forme più  ragguardevoli  dell'Ordi- 
ne cisterciense,  e  quella  della  Ma- 
donna de'  Foglianti ,  detta  perciò 
dei  Fogliantini,  in  francese-  i^civ/- 
lans,  ed  in  latino  Fuliensis,  fonda- 
ta da  d.  Giovanni  de  la  Barriere,  no- 
bile francese,  nell'  abbazia  Fevillans 
presso  Tolosa,  la  quale  nel  1172 
era  stata  eretta  colla  regola  di  Ci- 
stello  sotto  la  dipendenza  dell'  ab- 
bazia di  Morimont.  Questo  moni- 
stero  prese  il  nome  di  Fevillans, 
perchè  nella  di  lui  chiesa  la  cele- 
bre immagine  della  b.  "S'ergine 
Maria,  che  vi  si  venei-ava,  era  sta- 
ta dipinta  tra  le  foglie,  e  i   fiori. 

D.  Giovanni,  dopo  essere  stato 
per  undici  anni  abbate  commenda- 
tario della  predetta  abbazia,  nel 
1573  inspirato  da  Dio,  vestì  l'abi- 
to cisterciense  nel  monistero  di  Au- 
ne  nella  diocesi  di  Tolosa,  e  vi 
fece  la  solenne  professione,  dopo  la 
quale ,  bramoso  di  ripristinare  la 
piìi  rigorosa  osservanza  cisterciense, 
secondo  l' antica  e  primitiva  disci- 
plina di  s.  Benedetto  e  di  s.  Ber- 
nardo, massime  ncli'  astinenza  della 
carne ,  volle  passare  nell'  abbazia 
de' Foglianti,  e  v'introdusse  la  ri- 
forma, ad  onta  de'  travagli,  e  dei 
disturbi,  che  dovette  solFrire.  Nel 
i557  i  religiosi  di  questa  congre- 
gazione, chiamati  comunemente  ia 
Italia  i  Bernardoni ,  erano  già  as- 
sai numerosi,  e  tanto  zelanti,  che 
alle  antiche  osservanze  di  Cislello 
aggiunsero  quella  di  andare  alfalto 
scalzi,  e  col  capo  scoperte;,  di    dor= 


aio  GIS 

min;  veglili  sopra  ruzzo  tavole,  e 
(li  mangiale  gcmiflessi  [)er  terra, 
(intenti  di  una  «ola  minestra  tli 
erbe  colte  iieH'aecjiia  pina,  e  di  po- 
co pane  di  orzo  impastalo  eolla 
semola,  astenendosi  dalla  carile, 
dalle  uova,  dai  laltic.ini,  dal  pe- 
sce, dall'  olio,  ed  eziandio  dal  sale. 
Nel  1 586,  i  Foglianli  spedirono 
due  monaci  a  Papa  Sisto  V,  il  qua- 
le, coH'autorità  della  costituzione  41 
Rfligiosos  K'iros,  emanata  a'  5  mag- 
gio 1 586,  Culi.  Rom.  tom.  IV,  [lar. 
1 V,  pag.  2  11,  a[)provò  questa  ri- 
forma, e  sebbene  la  sottoponesse  alla 
visita  dell'abbate  di  Cistello,  in  ciò 
che  non  fosse  contrario  alle  parti- 
colari osservanze  dai  Foglianti  ab- 
bracciale, comandò  die  insorgendo 
alcune  dilìicoltà  sopra  1'  intelligenza 
«Iella  regola  di  s.  Benedetto,  ricor- 
ressero al  sommo  Pontefice  per  lo 
scioglimento.  Quindi  nell' aniìo  se- 
guente i587  il  medesimo  Sisto  V, 
colla  bolla.  Super  specula  inilìlaii- 
lis  lùclt;sic7c,  Bull.  Rom.  t.  IV,  par. 
IV,  approvò  di  nuovo  questa  rifor- 
ma tanto  pei  monaci  ,  che  per  le 
monache,  fece  rimanere  in  Roma  i 
due  religiosi  deputati ,  e  volle  che 
il  riformatore  gli  mandasse  degli 
altri  monaci  dalla  Francia,  e  quindi 
gli  assegnò  prima  la  chiesa  e  moni- 
stero  de'  ss.  Vito  e  Modesto,  e  poi 
quella  di  s.  Pudenziana  ,  ambedue 
titolo  Cardinalizio.  Qui  però  è  da 
notarsi  che  il  raonislero  de'  ss.  Vi- 
to e  Rlodesto  già  abitalo  dalle  mo- 
nache cistcrciensi  Foglianti,  fu  dato 
a  custodire  ai  cistcrciensi  Foglianti, 
della  provincia  romana,  che  ne  for- 
marono la  residenza  pel  loro  pio- 
curatore  generale,  che  vi  abitò  sino 
al  1779,  in  cui  passò  alla  chiesa  e 
casa  di  s.  Maria  in  Caiinis,  sidieii- 
liando  neir  altra  de'  ss.  Vito  e  Mo- 
desto alcuni   religiosi  polacchi.    Non 


GIS 

andò  guari  che  a  cagione  delle  per- 
secuzioni che  pativa  in  Francia,  il 
riformatore  passò  in  Italia,  dove 
nel  l'j'y:»  fu  celebrato  un  capitolo 
generale  della  sua  riforma  ,  venen- 
do eletto  vicario'  generale  il  p.  d. 
Giuseppe  Gualterone  francese.  In 
detto  ca[)itolo  i  monaci  cambiarono 
il  cognome  delle  loro  famiglie,  col 
nome  di  qualche  santo,  per  cui  il 
vicario  generale  si  fece  chiamare 
Criovanni  di  s.  Girolamo,  ed  il  ri- 
formatore Giovanni  di  s.  Benedetto. 
Nel  pontificato  di  Clemente  Vili, 
il  vicario  generale  ottenne  l'esenzio- 
ne de'  monaci  dai  superiori  di  Ci- 
stello, e  che  fossero  immediatamente 
soggetti  alla  santa  Sede.  Il  medesi- 
mo Papa  accordò  a  questa  congre- 
gazione la  facoltà  di  formarsi  un 
corpo  di  costituzioni  particolari , 
le  (|uali  egli  approvò  con  autorità 
apostolica,  dopo  essere  state  presen- 
tate al  capitolo  generale.  In  esse 
venne  mitigalo  l'aspro  rigore  pri- 
mitivo, permettendosi  di  cuoprire  il 
capo,  di  coricarsi  sopra  de'  paglioni, 
di  bere  il  vino,  di  mangiare  in  certi 
determinati  giorni  ova,  latticini  ,  e 
pesce,  e  di  condire  le  vivande  con 
sale,  butirro,  e  olio.  Quindi  nel 
1098  fu  in  Roma  terminata  la  fab- 
brica della  chiesa  e  del  monistero  di 
s.  Bernardo  alle  Terme,  fatta  pei  Fo- 
glianti a  spese  della  contessa  di 
Santafiore  d.  Caterina  Sforza;  e  il 
p.  d.  Giovanni  de  la  Barriere ,  o 
di  s.  Benedetto ,  dopo  essere  stato 
dichiarato  innocente  per  sentenza 
del  gran  Cardinal  Bellarmino ,  sic- 
come deputato  da  Clemente  Vili, 
a'  7.5  aprile  del  1600,  morì  con 
fama  di  santità  nel  detto  nuovo  mo- 
nistero, ove  dalla  pia  contessa  Sfor- 
za gli  furono  fatte  celebrare  solen- 
ni esequie,  e  vi  fu  tumulalo.  Lo 
stesso  Clemente  Vili  incaricò  i  mo- 


GIS 
naci  di  s.  Pudenziana,  e  di  s.  Ber- 
nardo per  formare  gli  Agnus  Dei 
di  cera,  da  benedirsi  poi  solenne- 
mente dal  sommo  Pontefice  ,  colla 
cera  e  colle  impronte  che  fornisce 
il  palazzo  apostolico  ;  dovendo  poi 
i  detti  religiosi  in  un  al  bussolante 
sotto-guardaroba  custode  degli  A- 
gnus  Dei  benedttli  {^Fedi),  assistere 
alla  benedizione  con  zinali  di  tela 
bianca,  per  votare  su  apposite  ta- 
vole i  bacili  degli  Agnus  Dei  tolti 
dal  sagro  bagno.  Un  tal  privilegio 
fu  confermato  a'Foglianti  da  Leone 
XI,  e  da  Paolo  V  a'  28  marzo 
1608,  colla  costituzione  96,  che  si 
legge  nel  Bull.  Rom.,  t.  V,  par.  Ili, 
pag.  3o3,  ove  espressamente  ogni  al- 
tro è  escluso  da  tale  uffizio,  che  do- 
vranno esei'citare  i  soli  cistcrciensi 
Foglianti. 

Dopo  la  morte  del  riformatore 
la  congregazione  Fogliantina  fu  da 
Paolo  V  ancora  esentata  dalla  sog- 
gezione dell'abbate  di  Cistello,  ed 
in  Francia  formava  tre  provincie, 
cioè  Guienna,  Francia,  e  Borgogna, 
capo  delle  quali  era  l' abbazia  di 
Fevillans,  elettiva  e  triennale,  colla 
rendita  abbaziale  di  trentamila  lire. 
Propagandosi  sempre  piìi  la  con- 
gregazione, essa  fece  acquisto  di  al- 
tri monisteri,  sì  in  Francia,  che  in 
Italia;  ma  nel  i63o  il  Pontefice 
Urbano  Vili  per  maggior  quiete 
de'  religiosi,  volle  dividere  i  francesi, 
dagli  italiani,  e  formò  due  congre- 
gazioni, ad  ognuna  delle  quali  die- 
de il  generale  della  rispettiva  na- 
zione, chiamando  quella  di  Francia, 
Congregazione  della  Madonna  dei 
Foglianti,  di  cui  il  primo  generale 
fu  il  p.  d.  Carlo  di  s.  Paolo  ;  e 
quella  d'Italia,  in  cui  fu  compre- 
sa la  Savoja,  si  disse  Congrega- 
zione de'  riformati  di  s.  Bernardo, 
della  quale  d  primo  generale   fu  il 


GIS  22r 

p.  d.  Filippo  di  s.  Gio.  Battista.  lu 
seguito  i  francesi,  nel  loro  capitolo 
del  i634j  e  gl'italiani  nel  loro  del 
1667,  fecero  alcuni  caudjiamenti  al- 
le costituzioni  ;  quindi  Glemente  X 
dispensò  nel  1670  i  monaci  della 
congregazione  di  s.  Bernardo  dal- 
l'andare senza  calze,  e  dal  portai-e 
i  zoccoli. 

I  foglianti  vestivano  con  abito  o 
cocolla  bianca  di  lana,  senza  scapo- 
lare, cinta  con  un  cordone,  ed  un 
cappuccio  grande  che  cuopriva  tut- 
te le  spalle.  Dello  stesso  colore 
era  quello  degl'  italiani ,  usando- 
lo piìi  piccolo  i  francesi;  ma  la 
mozzetta  desìi  uni,  e  desrli  altri  era 
tonda  nella  parte  anteriore ,  scen- 
dendo sino  alla  cintura,  mentre  nella 
parte  posteriore  quella  de'  francesi 
era  acuminata  e  si  distendeva  alla 
polpa  delle  gambe.  I  convei'si  ve- 
stivano come  i  sacerdoti,  e  gli  oblali, 
in  luogo  di  cappuccio ,  usavano  il 
cappello.  Il  loro  abito  egualmente 
bianco,  non  si  distendeva  oltre  la 
metà  delle  gambe.  V.  Bonnani,  Or- 
dini religiosi,  pag.  i  i  i ,  De  mona- 
ci cistcrciensi  detti  fogliantmi,  dei 
quali  si  vede  anche  la  figura. 

Nell'anno  1802,  a  cagione  delle 
note  vicende ,  il  sommo  Pontefice 
Pio  VII  unì,  ed  incorporò  i  monaci 
e  varii  monisteri  di  foglianti  d'Ita- 
lia alla  benemerita  congregazione  ci- 
stcrciense romana.  Scrisse  poi  della 
congregazione  de'  foglianti  il  Moroz- 
zo,  la  cui  opera  porta  questo  titolo: 
Cistercii  reflorescentis  seu  Cong.  Ci- 
stercio  monasticarum  h.  Mariae  Fu- 
liensis  in  Gallia,  et  reformatorum  s. 
Bernardi  in  Italia  chronologica  hi- 
storia,  auctore  d.  Garolo  Josepho 
Morotio,  ex.  strictiori  eadem  obser- 
vantia  provinciae  pedemontanae  Sa- 
baudiae  moderatore,  Augustae  Tau- 
rinorum,    1690. 


2  2  ■>.  GIS 

Cisicrcicnsc  coi igr coazione  di  Chin- 
ravallc,  o  della  stretta  os.scn'anza. 
D.  Dionisio  r  Argentici- ,  al)batc  di 
Chiaravalle,  cominciò  in  rjni;sta  al)- 
liazia  un'  altra  rifonna  ,  chiamata 
(Iella  sti(;tta  osservanza,  in  cui  le- 
vati tutti  gli  abusi  clic  si  erano  in- 
trodotti, furono  ristabilite  le  antiche 
pratiche  de'  cistcrciensi.  Diversi  mo- 
nisteri  soggetti  a  quello  di  Chiara- 
valle,  ed  altri  ptu'e  si  determinaro- 
no di  seguirne  l'esempio,  e  in  poco 
tempo  le  medesime  osservanze  si 
videro  introdotte  in  sette,  o  in  otto 
<1i  questi.  Tal  riforma  venne  appro- 
vata nel  1618  dal  capitolo  generale, 
e  quindi  protetta  da  Luigi  XIII  re 
di  Francia,  che  scrisse  al  Pontefice 
Gregorio  XY  perchè  la  confermas- 
.se,  siccome  il  Papa  fece  con  un  breve 
spedito  agli  8  aprile  1622,  conferen- 
do con  esso  le  opportune  facoltà  al 
Cardinale  de  la  Ilochefoucault,  pro- 
tettore dell'Ordine  cistcrciense.  11  p. 
abbate  d.  Dionisio  rifoi-matore,  mo- 
rì nel  1 624  a'  29  ottobre ,  laonde 
la  riforma  andò  soggetta  a  non  po- 
che contraddizioni ,  e  vicende  per 
parte  di  quelli,  che  non  la  voleva- 
no. Tultavolta  il  Cardinal  Rochefou- 
cault  col  suo  gran  zelo,  l'introdusse  in 
pi  il  di  (piaranta  monisteri,  ed  anco 
in  quello  di  Cistello.  Pur  ebbe  breve 
durata,  sebbene  il  Cardinale  stesso 
n'  era  stato  eletto  abbate,  dopo  la 
rinunzia  del  p.  d.  Pietro  di  Nigelle. 
Finalmente  fr^  tanti  contrasti.  Papa 
Alessandro  VII,  con  breve  apostoli- 
co de'  29  aprile  1666,  stabiPi  che 
dei  consueti  definitori  generali  da 
eleggersi  nel  capitolo  dell'Ordine, 
dieci  fossero  di  questa  riforma ,  e 
che  i  monaci  di  essa  non  potessero 
passare  alla  comune  osservanza,  sen- 
za la  licenza,  o  del  Pontefice,  o  del 
capitolo  generale,  o  dell'abbate  di 
Cistello,  uè  quelli  di  questa  alla  ri- 


Ci  S 

forma  senza  l'autorizzazione  per  Io 
meno  del  proprio  abbate;  e  che  t 
monaci  riformali  si  dividessero  per 
comporre  due  provincie,  ad  ognuna 
delle  quali,  dall'abbate  di  Cistello, 
dai  primi  quattro  abbati  dell'Ordi- 
ne, e  dai  dieci  definitori  della  ri- 
forma, si  dovesse  assegnare  un  vi- 
sitatore generale  della  medesima  os- 
servanza. Alessandro  VII  comandò 
in  oltre  in  virtìi  di  santa  ubbidien- 
za ai  menzionati  abbati  di  Cistello, 
ed  a'  quattro  primi  dellOrdine,  non 
solo  di  proteggere ,  ma  ancora  di 
propagare,  ed  accrescere  la  riforma, 
che  da  allora  in  poi  rimase  in  pa- 
ce e  nella  perfetta  osservanza ,  ve- 
stendo i  di  lei  monaci  come  gli  al- 
tri cistcrciensi. 

Cisterciense  congregazione  d'  Or- 
vai,  e  del  monislero  di  Sette  Fon- 
ti. Il  celebre  predicatore  p.  d.  Ber- 
nardo di  Montgaillard,  monaco  fo- 
gliantino,  o  bernardone,  fu  eletto 
abbate  di  Orval.  Sembrandogli  pe- 
rò la  riforma  cisterciense  troppo 
mite,  sebbene  austerissima,  pensò  il 
modo  di  renderla  più  assai  rigoro- 
sa. Prima  di  tutto  si  deve  dire,  che 
l'abbazia  d'Orval,  cioè  d'Aurea  valle, 
così  detta  per  la  sua  deliziosa  posizio- 
ne, era  situata  nella  contea  di  Chini 
della  diocesi  di  Treveri,  ed  era  stata 
fondata  nel  1070  da  alcuni  monaci 
benedettini  di  Calabria  ,  i  quali  va- 
gando per  questa  parte,  stabilironsi 
in  quel  luogo,  e  poscia,  con  dispia- 
cere degli  abitanti  dei  dintorni,  l'ab- 
bandonarono, per  essere  stati  richia- 
mati all'ubbidienza  in  Calabria.  Al- 
lora l'arcivescovo  di  Tieveri  incor- 
porò alla  propria  chiesa  il  moni- 
stero,  e  ne  diede  il  possesso  a'  ca- 
nonici. Però  nell'anno  1 1 3  i  fu  nuo- 
vamente occupato  da'  cistcrciensi , 
perchè  essendone  stato  pregato  s. 
Bernardo  ,  v'  inviò  sette  religiosi. 


GIS  GIS  20.3 
La  riforma  pertanto  introdotta  te  della  medesima.  Volendo  esso 
dal  p.  Montguillard ,  che  mori  agli  riformare  la  sua  abbazia,  ed  essen- 
8  giugno  iSaS,  in  delta  abbazia ,  done  impedito  dai  religiosi,  pensò 
è  molto  simile  a  quella  de'  Trop-  di  ritirarsi  in  quella  della  Trappa, 
■pisii  {Vedi),  i  quali  derivano  dai  ma  venendone  dissuaso,  promise  ai 
cisterciensi,  sebbene  sostengano  alca-  suoi  monaci  una  pensione,  purché 
ni  che  nella  congregazione  d'Or%al  si  ritirassero  in  qualche  monistero 
si  osservi  la  regola  benedettina  più  della  comune  osservanza.  Accettaro- 
letteralmente  che  nella  Trappense.  no  i  religiosi  il  partito,  e  fu  allora 
Fra  le  altre  cose,  è  a  rimarcarsi  eh' egli  rimasto  solo,  l'estaurò  il  moni- 
che  i  monaci,  due  ore  dopo  la  mez-  stero  coli  ajuto  di  due  monaci,  che 
za  notte,  vanno  in  coro  pel  mat-  a  lui  eransi  uniti  per  abbracciare 
lutino,  quindi  fanno  mezz'ora  di  la  riforma,  senza  mai  tralasciare 
orazione  mentale,  e  dopo,  invece  di  gli  esercizi  voluti  dalla  regola  di  s. 
tornare  a  dormire,  i  vecchi  e  i  gio-  Benedetto ,  e  dalle  costituzioni  di 
vani  si  uniscono  in  una  sala  diver-  Cistello ,  ridusse  a  coltura  una  va- 
sa,  ed  ivi  attendono  allo  studio  della  sta  estensione  di  terreno,  diseccò 
sagra  Scrittura  e  di  altri  buoni  li-  una  palude,  e  vi  piantò  un  gran 
bri,  sinché  nell'inverno  giunga  l'ora  giardino.  In  progresso  di  tempo  si 
della  recita  delle  laudi,  e  nell'està-  aumentarono  i  monaci  cotanto,  che 
te  quella  dell'ora  di  prima,  dappoi-  il  riformatore  compose  alcune  re- 
chè  recitano  le  ore  del  divino  uf-  gole  molto  conformi  a  quelle  della 
fìzio  in  tempi  separati ,  e  distinti.  Trappa,  dalle  quali  dilferiscono  in 
Recitata  l'ora  di  prima,  depongono  questo  che  i  monaci  di  sette  Fonti 
la  cocolla,  e  vanno  a  lavorare  nel  vanno  al  mattutino  nelle  feste  so- 
bosco  sino  all'ora  di  terza,  dopo  la  lenni  a  mezza  notte,  in  quelle  de- 
quale  cantano  la  messa.  Un'  ora  e  gli  apostoli  dopo  un'  ora  e  mezza  ; 
un  quarto  prima  di  mezzodì,  secon-  e  quando  si  fa  1'  uffizio  della  feria, 
do  la  regola  di  s.  Benedetto,  reci-  o  di  qualche  festa  semplice,  due 
tane  nona,  e  dopo  tornano  a  lavo-  dopo;  ma  a  qualunque  ora  vadano 
rare  sino  a  vespero,  che  dicono  quat-  al  coro,  non  escono,  se  non  passate 
tre  ore  dopo  mezzodì,  e  dopo  un'o-  (quattro  ore  e  mezza  dopo  la  mez- 
ra  cenano,  mentre  dopo  le  sei  ore  za  notte.  La  lor  salmodia  è  molto 
e  tre  quarti  recitano  la  compieta,  di  vota,  e  le  pause,  che  fanno  al- 
Kella  quaresima  non  dicono  il  ve-  1'  asterisco  dei  versetti,  sono  lunghis- 
spero  la  mattina,  perchè  mangiano  sime.  Non  entrano  nelle  proprie  cel- 
solo  la  sera ,  ec.  II  loro  abito  è  le  che  per  le  ore  destinate  al  ripo- 
bianco,  simile  a  quello  de'  foglian-  so,  il  quale  è  da  essi  preso  vestiti 
tini  e  bernardoni  ;  ma  quello  dei  su  di  un  saccone  di  paglia.  Eser- 
conversi  è  di  color  tanè.  citano  tutti  1'  ospitalità  ;  hanno  gran 
Un'  altra  riforma  di  cisterciensi  cura  degl'  infermi,  e  sono  esattissi- 
fu  operata  nell'  abbazia  di  Sette  mi  in  tutte  le  altre  osservanze,  po- 
Fonti,  distante  sei  leghe  da  Mou-  co  diverse  dalle  Trappensi.  Questa 
lins,  capitale  del  Borbonese,  appar-  riforma  però  non  si  estese  fuori 
tenente  alla  figliuolanza  di  Chiara-  del  monistero  di  sette  Fonti,  ove 
valle,  per  opera  del  p.  d.  Eusta-  vi  furono  sino  a  cento  monaci  co- 
clùo  di  Bcaufort,  monaco  ed  abba-  risti,   e    cinquanta    conversi.    Il    p. 


7.24  GIS 

Eiislacliio  Bcaufort  mori  ai  a?,  di 
otiohre  1709,  dopo  avci- governalo 
«|iiasi  per  quaranlacinquc  anni  il 
suo  moiiistcro. 

CISTEKCIENSI  Monache.  A  s. 
Bernardo  alcuni  autori  attribuisco- 
no l' istituzione  della  monache  ci- 
stcrciensi, dicendo  che  la  di  lui  so- 
rella s.  Uinbellina  fosse  la  prima 
religiosa  che  prese  l' abito  cistcr- 
ciense, nel  monistero  di  Juilly  nel- 
la diocesi  di  Langres.  Altri,  con 
Angelo  Manriquez  nel  capo  I  num. 
2,  dell'anno  iii3,  decimo  sesto 
dell'  Ordine  cistcrciense,  raccontano 
che  quando  san  Bernardo  e  trenta 
suoi  compagni  si  recarono  a  Cistello 
per  farsi  religiosi ,  alcuni  di  essi 
erano  conjugati,  onde  per  le  loro 
mogli  venne  fabbricato  il  moniste- 
ro di  Juilly  ad  istanza  del  medesi- 
mo s.  Bernardo.  Il  Surio,  nel  li- 
bro I  della  vita  di  s.  Bernardo,  ag- 
giunge che  il  primo  monistero  del- 
le cistcrciensi  fu  edificato  in  un 
luogo  chiamato  Vilieto  nella  dioce- 
si di  Langres.  Certo  poi  si  è,  che 
le  monache  cistcrciensi  furono  isti- 
tuite da  s.  Stefano  abbate  di  Cistel- 
lo nel  1120,  fondando  il  loro  pri- 
mo monistero  in  Tart  nella  diocesi 
di  Langres,  il  perchè  anticamente 
esse  celebravano  sempre  in  Tart 
i  loro  capitoli  generali ,  per  esser 
questa  abbazia  la  piìi  antica  del- 
l'Ordine. Tralasciarono  di  celebrare 
que'  capitoli  dopo  il  concilio  di 
Trento,  che  comandò  loro  l'  osser- 
vanza della  clausura. 

In  progresso  le  monache  cistcrcien- 
si si  moltiplicarono,  ed  estesero  "per 
ogni  parte,  essendo  desiderate  dai  po- 
poli per  la  loro  esatta  osservanza,  a 
tal  segno  dapprima  condotta,  che  non 
usavano  panni  di  lino,  uè  fodere  di 
pelli ,  lavoravano  colle  proprie  ma- 
ni, e  si  recavano  ancora    al    bosco 


GIS 

per  ripulirlo  dalle  spine;  ficevano 
molti  digiuni,  ed  osservavano  rigo- 
roso silenzio,  ad  imitazione  dei  pri- 
mi cistcrciensi.  Si  diffusero  princi- 
palmente per  la  Francia,  per  la 
S[)agna,  per  la  Germania,  e  nella 
Polonia.  Molte  sante  esse  diedero 
al  culto,  e  parecchie  principesse,  e 
signore  ne  professarono  la  regolv 
Fra  di  esse  meritano  menzione  s. 
Edwige  duchessa  di  Polonia,  mona- 
ca cistcrciense,  morta  nel  1243,  e 
canonizzata  nel  1267  da  Clemente 
IV;  nonché  le  beate  Teresa,  e  San- 
cia principesse  reali  di  Portogallo 
figlie  del  re  Sancio  I,  monache  ci- 
stcrciensi. La  prima  è  fondatrice  del 
monistero  di  Lorvao  presso  Coim- 
bra  ;  la  seconda  di  quello  di  Cel- 
las,  egualmente  presso  Coimbia. 

Che  le  monache  cistcrciensi  ve- 
nissero istituite  anche  in  Costantino- 
poli, lo  abbiamo  dal  Garampi  nel- 
le sue  Memorie  a  pag.  364,  il  qua- 
le racconta,  che  da  Costantinopoli 
vennero  per  fermarsi  in  R.imini  l'ab- 
badessa  e  le  monache  di  s.  Maria 
di  Perzejo  dell'Ordine  cistcrciense; 
e  che  frate  Ambrogio,  allora  vesco- 
vo della  città ,  assegnò  alle  dette 
monache  il  luogo  di  s.  Maria  in 
iVIuro  per  ordine  del  Pontefice  Gre- 
gorio X,  ai  i4  dicembre  1273. 
Tuttavolta  nelle  antichissime  tavole 
dell'  Ordine  cistcrciense  ,  compilate 
verso  l'anno  ii86,  non  si  fa  men- 
zione di  altro  monistero  cistcrcien- 
se in  Costantinopoli,  eccetto  quello 
di  Lauro  fondato  nel  i  1 56,  come 
attesta  Carlo  de  Wisch  nella  Bi- 
bliotech.  Cisterc.  ]Ma  fra  le  lettere 
di  Onorio  III  evvi  una  bolla,  colla 
quale  egli  ricevette  sotto  la  ponti- 
ficia protezione  Beatrice  abbadessa, 
e  il  monistero  di  s.  Maria  de  Per- 
chejo  quondam  dici.  Ysostis^  libe- 
randolo dalla  giurisdizione  del   pa- 


GIS  GIS                   22" 

triarca  di  Costantinopoli,    a'  27  Mi-  gli  uni,  e  le  altre.  Le    prime,    che 

braio    122 1,  professarono  l'istituto,   furono  alcu- 

Inoltre  fai'emo  qui  menzione  del-  ne  nobili  donzelle,  cioè  Margherita 
le  monache  della  congregazione,  isti-  di  Polastron,  e  Jacjuelina  di  Dim- 
tiiita  in  Toledo  da  Beatrice  da  Sii-  pralla,  che  eretto  un  monistero,  vi 
va  colla  regola  cistercieuse,  e  sotto  incominciai'ono  la  congregiizione  del- 
l' obbedienza  a'  vescovi,  tutto  nel  le  monache  Fogliantine.  hi  Italia 
ì^iS^  approvando  Innocenzo  Vili,  però  il  pi'imo  monistei'O  di  dette 
come  narra  JNatal  Alessandro,  Hi-  monache,  fri  quello  in  Roma  fon- 
stor.  Eccles.  t.  Vili,  p.  2  5.  Però,  tlato  in  un  alla  chiesa  di  s.  Su- 
dopo  la  morte  della  fondatrice,  le  sauna  [Vedi)  dal  Cardinal  Girola- 
monache  adottarono  la  regola  di  s.  mo  Rusticucci  protettore  de'  cister- 
Chiara  conservando  il  titolo  e  V  a-  ciensi  e  titolare  di  detta  chiesa,  ad 
bito  della  Concezione,  che  era  una  insinuazione  del  p.  Giacomo  R.oclie- 
tonaca  con  iscapolare  di  color  bian-  mouson,  uno  de'  due  monaci  spedi- 
co,  e  mantello  celeste  ;  quindi  Giù-  ti  a  Sisto  V  dalla  Francia  dal  p. 
lio  li  le  tolse  dall' osservanza  di  Ci-  la  Barriere,  per  1' approvazione  del- 
stello,  per  darne  la  direzione  ai  fran-  la  riforma  ;  ma  siccome  le  mona- 
cescani  riformati.  che  vi  furono    trasferite  dal    moni- 

L' abito  delle  monache  cistercien-  stero  de'  ss.  Vito,  e  Modesto ,  fa 
si  è  simile  a  quello  de'monaci,  cioè  duopo  parlare  dell'origine  di  esse 
vesti  bianche  collo  scapolare  nero ,  eh'  è  la  seguente, 
come  nero  hanno  il  velo  del  capo  Francesco  Fulvio,  cittadino  ro- 
.sovrapposto  su  di  altro  bianco;  ed  mano,  sin  dall'anno  i368,  aveva 
ili  coro  alcune  portano  la  cocolla,  fatto  fabbricare  in  una  sua  casa 
ed  altre  un  manto  secondo  le  con-  una  chiesa  nel  rione  Monti,  consa- 
suetudini  dei  diversi  monisteri.  Le  grata  a  Dio,  e  in  onore  di  s.  Ber- 
novizie  vestono  di  bianco,  e  le  con-  nardo,  donando  alla  medesima  tut- 
verse  di  color  tanè.  R.acconta  Ce-  ti  i  suoi  beni,  ed  istituendovi  una 
sario  Eiverbacense,  che  anticamente  confraternita  sotto  il  nome  del- 
le monache  cistcrciensi  usavano  lo  lo  stesso  santo,  la  quale,  seguendo 
scapolare  grigio  per  una  certa  vi-  la  mente  del  pio  testatore,  impie- 
sione  avuta  dalla  b.  Cristina  di  Gè-  gava  le  rendile  in  opere  pie,  con 
sii  Bambino  fasciato  con  fascia  di  distribuire  pane  e  vino  ad  un  nu- 
tal  colore.  Di  queste  monache  ri-  mero  di  famiglie  bisognose.  Consi- 
porta  la  figura,  e  tratta  il  gesuita  derò  il  Pontefice  Sisto  V  che  sa- 
p.  Bonanni,  Catalogo  ec.  delle  ver-  rcbbe  stato  piìi  vantaggioso  al  pub- 
gird  a  Dio  dedicale,  a  pagine  4'?  l^lico  l'impiegare  queste  rendite  in 
Delle  monache  deW Ordine  Cisler-  un  monistero  di  vergini  sino  al 
dense.  numero    di    trentatre ,    venti    delle 

Cisterciensi  Monache  Foglianli.  Il  quali  dovessero  poi  tare  una  sufli- 
riformatore  dei  Foglianti,  p.  d.  Gio-  dente  dote,  e  tredici  fossero  rice- 
■vanni  de  la  Barriere,  istituì  pure  vute  gratis.  Quindi  col  consenso, 
le  monache,  giacché  avendo  ottenu-  anzi  ad  istanza  della  medesima  con- 
to dal  Pontefice  Sisto  V  la  facoltà  fraternità,  di  cui  allora  era  priore 
di  edificare  monisteri  si  pe'  monaci,  Pietro  Fulvio,  discendente  del  fon- 
che  per  le  monache,  ne  fondò  per  datorCj  fece  subito  innalzare  il  mo- 
VOL.    xiii.  i5 


9.9.G  CIS 

nistcro  appresso  la  chiosa  de'  ss. 
Vito  e  Modesto,  il  cui  titolo  Car- 
dinali/io, secondo  il  Novaes,  allora 
appunto  vacava  per  la  nuute  d(;l 
Cardinal  Ferreri.  Si  servì  a  lai  ef- 
fetto di  una  casa  contigua  alla 
stessa  chiesa.  L'entrata  di  quella 
chiesa,  rimanendo  salvo  il  titolo 
cardinalizio ,  unitamente  a  quella 
della  confraternita,  doveva  servire 
ad  utile  del  monistero  :  concessione 
ch'ebbe  luogo  in  febbraio  1 58(). 
Indi  furono  trasferite  dal  moni- 
stero  di  s.  Cecilia  in  Trastevere 
(che  ad  istanza  di  Laura  Magolol- 
ta  Clemente  VII  avea  dato  alle 
benedettine)  per  maestre  delle  men- 
tovate trentatre  donzelle  alle  quali, 
dovendo  vivere  conforme  alla  rego- 
la di  s.  Benedetto,  da  Sisto  V  fu- 
rono conceduti  tutti  i  privilegi  e  le 
grazie  dell'  Ordine  di  s.  Benedetto 
e  delle  monache  di  s.  Cecilia,  e 
fu  raccomandata  la  custodia  del 
nuovo  monistero  alla  confralci  ni- 
ta  di  s.  Bernardo.  Ma  non  passo 
molto  tempo,  che  divenuto  angusto 
il  monistero  de'ss.  Vito  e  IModesto, 
le  monache,  a' 9  ottobre  1087,  per 
ordine  di  Sisto  V  vennero  manda- 
te in  quello  di  s.  Susanna,  dove  tut- 
tora fioriscono.  V.  Regole,  e  coslilu- 
zioni  da  assennarsi  dalle  monache 
cistcrciensi  di  s.  Susanna  alle  Ter- 
me,  Roma  1781.  Oggi  queste  mo- 
nache di  s.  Susanna  non  hanno 
più  il  titolo  di  Fogli  and ,  e  sono 
soggette  al  Cardinal  protettore. 

11  secondo  monistero  delle  ci- 
stcrciensi, fatto  edificare  dal  p.  de 
la  Barriere  fu  quello  di  Montes- 
quieu di  Polvestre ,  nella  diocesi 
di  Rieux  nella  Linguadoca,  le  cui  re- 
ligiose ne  andarono  al  possesso  a' 19 
giugno  i588,  e  poi  l'abbandonaro- 
no per  essere  troppo  angusto,  pas- 
sando   ad    altro    più    spazioso    fab- 


CIS 
brlcato  in  Tolosa.  Le  prime  mo- 
nache che  entrarono  in  Montesquieu 
furono  alcune  pie  dame,  le  quali 
attendevano  nelle  proprie  case  ad 
una  vita  divota  sotto  la  direzione 
del  medesimo  p.  de  la  Barriere,  che 
poi  loro  prescrisse  le  regole  e  le 
osservanze  eguali  a  quelle  de'  mo- 
naci Fogliantini.  Papa  Clemente 
Vili  ordinò  al  capitolo  generalesche 
celebrossi  nel  iSg^,  di  moderare  le 
loro  austerità  ;  il  perchè,  come  si 
disse  altrove ,  anche  le  monache 
Fogliantine,  o  Bernardone,  vivono 
con  tali  modificazioni,  e  vestono  co- 
me i  monaci  di  dette  denominazio- 
ni, ai  quali  sono  soggette.  Di  que- 
ste monache  scrisse  il  p.  Carlo  Giu- 
seppe Morotio,  neir  7>9tori^  dell'Or- 
dine de'  Fognanti ,  a  pag.  1 8  ;  ed 
il  Bonanni,  nel  suo  Catalogo,  alla 
pag.  '^c),  Delle  monache  dell'  Ordi- 
ne Fogliantino. 

Cisterciensi  Monache  Recollette 
di  Spagna.  La  riforma  delle  cistcr- 
ciensi dette  Recollette  o  della  Re- 
rollezione,  ebbe  origine  e  progresso 
nel  regno  di  Spagna  per  lo  zelo  di 
alcune  abbadesse  del  monisteroZ?e 
las  fluclgas  presso  la  città  di  Bur- 
gos.  La  prima  di  queste  fu  Agnese 
Enriquez,  che,  per  la  seconda  volta 
eletta  abbadessa  nel  i^gG,  fece 
ogni  sforzo  per  introdurre  la  rifor- 
ma nel  monistero  di  Perales  a  lei 
soggetto  ;  laonde  sparse  in  altri 
monisteri  le  religiose  di  esso,  sosti- 
tuendovi le  monache  riformate,  per 
le  quali  nel  i  ^99  ottenne  una  bol- 
la di  Clemente  Vili  per  mezzo  del 
legato  apostolico  di  Spagna.  Le  suc- 
cesse Giovanna  de  A.yla,  che  prose- 
guì la  riforma,  ed  incaricò  due  ci- 
sterciensi dell'  osservanza  di  Spagna 
di  formarne  le  costituzioni  secondo 
il  primitivo  spirito  di  Cistello  ;  ma 
sorpresa  dalla  morte,   toccò  all'  ab- 


GIS 

badessa  Maria  di  Navarra  il  farla 
approvare  nel  i6o4  da  Domenico 
Ginnasio  arcivescovo  di  Siponto,  al- 
tro legato  di  Clemenle  YIIT  ;  e  me- 
diante il  di  lui  pontifìcio  benepla- 
cito trasferì  le  monache  dal  moni- 
stero  di  Peralcs,  a  quello  di  s.  Anna 
in  Vagliadolid. 

La  riforma  di  queste  cistcrciensi 
progredì  non  solo  per  la  Spagna, 
ma  persino  nelle  isole  Canarie.  An- 
che Paolo  V  ne  confermò  nel  1606 
le  costituzioni,  che  fra  le  altre  cose 
prescrivevano  dovere  abitai'c  ven- 
ti monache  per  ogni  monislero, 
oltre  tre  converse.  11  loro  abito  fu 
prescritto  di  panno  grosso,  eguale 
a  quello  de'  cisterciensi  dell'osservan- 
za di  Spagna,  tanto  nel  colore,  quan- 
to nella  forma. 

Cisterciensi  Monache  della  ch\'i- 
na  ProvK'iclenza,  e  di  s.  Bernardo, 
in  Savoja,  ed  in  Francia.  Nel  162 2 
la  madre  Luisa  Bianca  Teresa  de 
Ballon,  coli' aiuto  di  s.  Francesco  di 
Sales  suo  parente,  diede  origine  al- 
la rifoi'ma  delle  monache  ci.slcrcien- 
si,  che  cominciò  in  Runiilli,  città 
della  Savoja.  Di  là  si  propagarono 
anco  in  Francia,  per  cui  le  loro  co- 
stituzioni si  fecero  molto  conformi 
a  quelle  delle  monache  della  Visi- 
tazione. Urbano  Vili,  nel  i634j 
l'approvò,  e  le  sottopose  alla  giu- 
risdizione degli  Ordinarli.  Di  poi 
per  alcune  variazioni  operate  dalla 
madre  Ponconas,  questa  riforma  si  sud- 
divise in  due  congregazioni,  una  chia- 
mata della  Di't'ina  Provi'idenzaj  aven- 
do sotto  di  sé  diversi  monisteri  sì  in 
Savoja  che  in  Francia,  e  Taltra  fu 
chiamata  di  s.  Bernardo j  e  fu  ristret- 
ta alla  sola  Francia.  La  madre  de 
Ballon,  vera  fondatrice  di  tal  rifor- 
ma, cessò  di  vivere  a'i4  dicembre 
1668  nel  monistero  di  Seyssel,  e 
la  madre  de  Ponconas  morì  in  qucl- 


CIS 


22' 


lo  di  Aix  nella   Provenza  a' 7    feb- 
l)raio     1657,    allorché    erasi    recata 
a  fondarlo  da  quello  di  Grenoble. 
Cisterciensi  Monache  del  Sangue 
prezioso.   Rimonta  1' origine  di  que- 
sta congregazione  dopo  il    i636,  in 
cui     la    madre     Maddalena     Teresa 
Baudet  di  Bamegard,    monaca    del 
monistero  di  Grenoble,  e  superiora 
di  quello  di  Parigi,  operò  la  rifor- 
ma.  Sebbene  le  loro  costituzioni   a- 
vessero  riportato  l'approvazione  del- 
la   santa    Sede,    nondimeno    perchè 
avevano  detto  le  monache  di   segui- 
re la  stretta  osservanza   dell'Ordine 
cistcrciense,  mentre  poi  per    le  co- 
stituzioni  vivevano    secondo    le    re- 
gole delle  monache    della  Visitazio- 
ne, vennero  quindi   obbligate  a  fare 
vui  altro  anno  di  noviziato ,    a    te- 
nore della  regola  benedettina.    Fu- 
rono poscia  composte  le  costituzioni 
conformi  a  quelle    della  stretta    os- 
servanza dell'Ordine    cistcrciense,  e 
vennero  esse    approvate    a'  i4   ago- 
sto   1661,  obbligandosi  le  monache 
del  Sangue    prezioso    ad    eseguirle, 
mediante    solenne    professione,    che 
fecero  a' 2  7   dello  stesso  mese.    Do- 
po molti  anni,  che    la  madre  Bau- 
det avea  presieduto  al  governo  del 
monistero  di  Parigi,    vi    morì    a'  6 
settembre    1688.   . 

Cisterciensi  Bionache  della  Bla- 
donna  di  Tart.  11  monistero  di  que- 
sto nome,  siccome  superiormente  si 
lìotò,  fu  il  primo  delle  monache  ci- 
sterciensi, fondalo  nel  1120  da  san 
Silvestro  abbate  di  Cistello.  La  sua 
riforma  seguì  per  lo  zelo  della  ma- 
dre Giovanna  da  Coui'celle  di  Pour- 
lan,  discendente  dalla  famiglia  di 
s.  Bernardo,  la  quale,  divenutane 
abbadessa,  subito  propose  l'esatta 
osservanza  della  regola  di  s.  Bene- 
detto, si  affaticò  a  togliere  gli  abu- 
si, e  procurò  disporre    gli    animi  a 


2?8  CTS 

ricovcre  la  riforma  che  mcdlfava  . 
nelle  quali  operazioni  r'ajiilò  graii- 
tlementc  il  vescovo  di  Langrcs.  Fe- 
ce pertanto  cambiare  il  cognome 
alle  .sue  monache,  coli' adottare  il 
nome  di  alcun  santo,  e  diede  essa 
l'esempio  col  prontlcr  quello  di  s. 
Giuseppe.  Per  mezzo  did  detto  pre- 
lato, nel  i6?,3,  dal  nionisloro  di 
Tart  passò  a  quello  di  D3'on  colle 
riformate.  Quindi  con  tre  brevi, 
r  ultimo  de' quali  è  del  169.7,  Ur- 
bano Vili  soggettando  le  cistcrcien- 
si di  Tart,  e  di  Dyon  alla  giuris- 
dizione del  vescovo  di  Langrcs,  le 
esentò  in  vece  da  quella  dell'abba- 
te di  Cistello.  Si  composero  esse 
quindi  alcune  particolari  costituzio- 
ni, che  approvò  il  detto  vescovo, 
dopo  di  che  le  monache  si  obbli- 
garono a  seguire  diligentemente  la 
regola  benedettina,  ed  alcune  au- 
sterità  proprie  delle  cistcrciensi  ri- 
formate, colle  quali  ebbero  comu- 
ne l'abito.  INIeiitre  la  riformatrice 
Giovanna  di  Courcelle,  o  di  s.  Giu- 
seppe, era  abbadessa  di  Dyon,  agli 
8  maggio  i65i  vi  terminò  i  suoi 
giorni. 

Cislercicnsi  Monache  di  Porlo 
reale  de  Campi  in  Francia.  Il  mo- 
nistero  di  tal  nome  della  diocesi  di 
Parigi  venne  fondato  l'anno  17.04, 
ma  la  sua  riforma  incominciò  dopo 
che  nel  1602  fu  eletta  in  abbades- 
sa la  madre  Angelica  Arnaud.  Di 
poi  nel  1626  acquistò  in  Parigi 
altro  monistcro,  che  per  distinguer- 
lo dal  primo  fu  appellato  Porto  rea- 
le di  Parigi.  Verso  quell'  epoca  da 
madama  Luisa  di  Borbone,  duches- 
sa di  Longueville,  venne  eretta  una 
casa  religiosa  dedicata  al  ss.  Sagra- 
mento,  ove,  colla  approvazione  di 
Urbano  Vili  nel  1627,  le  monache 
dovevano  obbligarsi  con  voto  alla 
perpetua  adorazione  di  Gesù  Sagra- 


CTS 

mentalo,  s*i  di  giorno  che  di  notte. 
La  detta  madre  Angelica  venne  e- 
letta  a  fondare  mi  lai  monistcro  ; 
ma  essa  ,  dopo  avervi  dimorato  si- 
no all'anno  i633,  per  la  morte 
della  duchessa  che  non  assegnò  al- 
cun fondo  al  monistcro ,  dovette 
fu*  ritorno  a  quello  di  Porto  reale 
di  Parigi,  dove  eransi  raccolte  le 
monache  di  Porlo  reale  de'  Campi. 
Quindi,  perchè  l'istituto  dell'adora- 
zione del  Santissimo  non  perisse,  nel 
164?  colle  debite  licenze  ebbe  essa 
a  concentrarlo  nel  suo  monistcro; 
il  perchè  le  monache  cambiarono 
lo  scapolare  nero  dell'  Ordine  cistcr- 
ciense in  bianco,  e  vi  aggiunsero 
una  croce  rossa.  Oltre  a  ciò,  nel 
medesimo  anno  l' abbadessa  potè 
ristabilire  le  sue  religiose  nel  mo- 
nistcro di  Porto  reale  de'  Campi, 
colla  condizione  che  fossero  sogget- 
te all'abbadessa  di  Porto  reale  di 
Parigi,  e  le  due  comunità  formas- 
sero un  sol  corpo.  Dipoi  l'arcive- 
scovo Gio.  Francesco  de'  Gondi  ap- 
provò le  costituzioni,  compilate  se- 
condo quelle  delle  altre  monache 
cistcrciensi  riformate. 

Ma  nel  1708,  il  sommo  Ponte- 
fice Clemente  XI,  con  bolla  de' 27 
marzo,  ad  istanza  del  re  di  Fran- 
cia Luigi  XIV,  abolì  il  monistcro 
delle  monache  cistcrciensi  di  Porto 
reale  de*  Campi  nella  diocesi  di  Pa- 
rigi, e  nell'anno  seguente,  per  ordine 
espresso  del  re  fu  inteiamente  demo- 
lito, avvegnaché  tali  monache  erano 
ostinate  e  pertinaci  gianseniste,  ed 
appellanti  dalla  celebre  bolla  Vineani 
Domini,  dello  stesso  Clemente  XI. 
Di  queste  monache ,  e  de'  Solilan 
di  Porto  reale,  loro  direttori,  dopo 
s.  Cyrano ,  fa  una  esatta  storia 
monsignor  Nuzzi.  V.  Stona  della 
bolla  Unigenitus  etc,  tom.  I,  pag. 
12,  e  scg.   Distrullo  che  fu  il   mo- 


GIS 
nistero,  alcune  inoiiaclie  si  ritiraro- 
no presso  i  loro  congiunti,  altre  en- 
trarono in  qualche  monistero,  e  po- 
scia in  diversi  tempi,  lontane  dai 
filisi  consiglieri,  sottoscrissero  1'  ade- 
sione che  da  loro  si  domandava,  e 
che  avevano  falla  le  monache  di 
Porto  reale  di  Parigi,  le  cui  reli- 
giose fiorirono  sino  al  declinar  del 
secolo  XVIU.  medesimo,  istruendo 
la  gioventù,  ed  osservando  esem- 
plarmente le  regole  della  rilbima 
da  esse  seguita. 

CISTERNA.  Terra,  che  ha  tito- 
lo di  marchesato  posseduto  dai  Cae- 
tani  [Fedi),  e  soggetta  al  governo 
legatizio  di  Velletri  nello  stato  pon- 
tificio. Cisterna  è  posta  a  destra  del 
fiume  Antico,  sulla  strada  consola- 
re Appia,  che  conduce  a  Velletri, 
avente  vicino  il  piccolo  villaggio  di 
Ninfa,  ove,  secondo  il  Ciacconio, 
ed  altri  autori,  fu  coronato  il  Pa- 
pa Alessandro  ili.  Ne' suoi  dintorni 
sono  le  vaste  ed  insalubri  tenute 
di  Conca,  e  Camjjomorto,  ov'  è  sta- 
bilito un  asilo  a'  deliiKjuenti.  La 
prima  appartiene  alia  santa  roma- 
na inquisizione,  la  seconda  al  ca- 
pitolo vaticano ,  le  cui  notizie  ri- 
portammo parlando  di  tale  illustre 
capitolo,  all'articolo  C/iicsa  o  baòi- 
lica  ili  s.  Fìclro.  Noi  qui  facciamo 
parola  di  Cisterna  soltanto  per  ri- 
cordare, ch'essa  non  è  le  li  e  Ta- 
bernc,  Tt'Cs  Tabcrnui',  antica  sede 
vescovile,  come  chiaramente  tra  gli 
altri  ha  dimostrato  Alessandro  Bor- 
gia, nella  dotta  Istoria  dtLla  Chie- 
sa, e  ciilà  di  ì^  ellttri,  alle  pag. 
79,  80,  81,  128  e  1 2q,  ec.  ec. , 
e  da  ultimo  A.  Nibhy,  Analisi  dei 
dintorni  di  Roma,  tomo  I,  p.  47«J, 
e  seg.  e  toni.  Ili,  p.  279,  e  seg. , 
ove  dice  che  Tres  Tabernat  in  ori- 
gine furono  tre  osterie,  le  quali  di- 
vennero poi  uu  villaggio  per    l' ag- 


CIS 


229 


gregato  di  varie  case.  E  tale  esso 
era  quando  iNIassenzio  tiranno  in  una 
imboscata  vi  fece  strangolare  Severo 
Cesare,  a  cui  l' imperatore  Galerio, 
nellanno  3o6,  avea  aflidalo  la  guer- 
ra per  debellare  Massenzio.  Quindi, 
pel  progresso  della  religione  cristia- 
na, divenne  città  anche  in  memo- 
ria di  s.  Paolo,  pel  motivo  che  ora 
andiamo  a  descrivere. 

Molti  hanno  confuso  Cisterna  con 
Trcs  Tabcrnnc ,  città  dei  Volsci  , 
mentre  questa  antica  stazione  fu  nel 
lenimento  delle  Castella  ,  non  lungi 
dalle  mole  di  Velletri,  circa  sei  mi- 
glia più  indietro ,  nel  luogo  chia- 
mato Civitona,  presso  l'influente  del 
fiume  Astura.  Di  molta  anlichilù  fu 
la  chiesa  delle  Tre  Taberne,  Triian, 
Taberìiarniìi,  nobilitata,  verso  1  an- 
no 61  di  Cristo,  dalla  presenza  del- 
l'apostolo s.  Paolo,  che  lecandosi  a 
Pioma,  ivi  festevolmente  fu  incon- 
trato dai  Romani.  Per  ciò  che  spet- 
ta alla  sede  vescovile,  la  quale  se- 
condo Conimanville  fu  isliluita  nel 
quarto  secolo  ,  ed  era  immediata- 
mente soggetta  al  sommo  Pontefice, 
si  rileva  dal  concilio  romano,  cele- 
brato l'anno  3 1 3  da  Papa  s.  Mel- 
chiade,  esservi  sottoscritto  il  vesco- 
vo Felix  a  tribus  Tabernis.  Qmndi 
'  negli  atti  del  concilio  romano  ,  te- 
nuto sotto  il  santo  Pontefice  Ilario 
nel  4^7j  ''•  sottoscrisse  il  vescovo , 
Lucifcr  Trillili  Tabernariun.  Nel 
ponlilicato  di  s.  Felice  111,  e  nel 
concilio  romano  del  4^7  ,  si  vede 
la  sottoscrizione  di  Dtcio  Tìiuni 
Tiòernaruin ,  il  quale  fu  anco  pre- 
sente al  concilio  del  499  >  ^'^  ^"*  ' 
fra  il  nome  di  tutti  i  vescovi  ,  si 
legge  :  Decius  Triuin  Taberiiaruni. 
IMa  tjuesta  chieda  posta  nella  via 
Appia,  cotanto  fiequentata,  nel  de- 
clinare del  secolo  sesto  per  le  dis- 
graziate vicende  cui  saggiacquero  ilo- 


ajo  GIS 

ma  e  i  suoi  tliiitonii,  restò  ahljan- 
donata ,  e  in  istato  calamitoso ,  e 
gli  abitanti  per  le  guerre,  per  la 
peste  e  per  le  barbarie  de'  Longo- 
bardi si  rifugiarono  altrove.  Laon- 
de nel  592  il  Pontefice  s.  Grego- 
rio I,  volendo  provvedere  alla  sa- 
lute delle  anime  dei  superstiti  dio- 
cesani, e  conservare  la  memoria  del- 
l' illustre  chiesa  delle  tre  Taberne, 
mentre  era  vescovo  di  Vellelri  Gio- 
vanni ,  l' unì  per  sempre  alla  sua 
sede  non  aeque  prinripalùcr ,  ma 
subjeelÌK>e.  Tale  e  tanta  fu  la  cura 
che  presero  di  questa  chiesa  sì  Gio- 
vanni, che  i  vescovi  di  Velletri  suoi 
successola,  che  dopo  un  secolo  e 
mezzo  dappoiché  la  governavano , 
fu  in  grado  di  essere  ripristinata 
nella  sua  dignità,  e  riavere  il  pro- 
prio vescovo ,  sciogliendola  il  Papa 
dall'  unione  con  Velletri.  Sembra 
che  ciò  realmente  accadesse,  poiché 
in  una  costituzione  di  Paolo  I  del 
761  si  legge  sottoscritto,  Parviis 
luunilis  cpiscopus  s.  Ecclesiae  in 
Trìbus  Tahcrnis,  e  ad  un  concilio 
romano  dell'  826  intervenne  Leo- 
nino o  Leonlino,  vescovo  della  stessa 
chiesa.  A  questo  successe  Anastasio, 
il  quale  si  trovò  presente  nel  con- 
cilio l'ornano  dell'anno  853.  Ad  A- 
nastasio  successe  Giovanni,  che  nel 
concilio  romano  dell' 869  sottoscris- 
se alla  condanna  del  sinodo  costan- 
tinopolitano convocato  da  Fozio. 
Dopo  il  detto  Giovanni  non  si  han- 
no altre  memorie  dei  vescovi  delle 
tre  Taverne,  per  cui  si  congettura, 
che  verso  la  tìne  del  nono  secolo, 
i  Pontefici  la  riunissero  alla  sede  di 
Fellclri.    Vedi. 

A  voler  dire  alcuna  cosa  di  Ci- 
sterna, alcuni  opinano  essere  succe- 
duta ad  Ulubrae.  Certo  è  però,  che 
non  è  luogo  antico,  e  che  ne'  tem- 
pi bassi  veniva    conosciuta    sotto  il 


GIS 
nome  di  Cisterna  .Veroni.? ,  dal  quale 
si  pretende  tragga  l'origine  il  pre- 
sente borgo,  cioè  dalle  cisterne  che 
ivi  queir  imperatore  aveva  fatto  sca- 
vare. Per  altro  può  asserirsi  che 
dopo  la  distruzione  di  Tres  Taber- 
nae,  e  di  Ulubrae  ([ui  si  rannodò 
la  popolazione  presso  qualche  anti- 
ca conserva  d'acqua,  formandosi  in 
tal  modo  la  terra.  Se  poi  l'ealmen- 
te  in  questo  luogo  si  ricovrasse  Ne- 
rone nella  sua  fuga,  si  vegga  il  ci- 
tato Borgia  a  pag.  49-  Dalla  cro- 
naca di  Fossa  Nuova  si  apprende 
che  nel  11 65  Cisterna,  per  essere 
fedele  ad  Alessandro  III,  fu  incen- 
diata da  Cristiano  intruso  nell'  ar- 
civescovato di  Magonza ,  e  cancel- 
liere dell'  imperatore  Federico  I,  e 
dal  conte  Gotelino.  Qui  poi  .ricor- 
diamo, che  Alessandro  III,  nel  I  159, 
era  stato  eletto,  secondo  l'annalista 
Baronio ,  e  consagrato ,  e  coronato 
nella  città  di  Ninfa,  o  in  Cisterna. 
Altri  dicono  con  maggior  probabi- 
lità, che  l'elezione  seguisse  in  Ro- 
ma a'  7  settembre,  e  che  quindi  A- 
lessandro  III  in  Cisterna  prendesse 
le  insegne  papali ,  mentre  in  Ninfa 
fu  consagrato,  e  coronato  ai  20 
dello  stesso  mese,  contro  l'antipapa 
Vittore  IV.  E  siccome  a  questo  di- 
poi nel  1 1 64  era  succeduto  l' anti- 
papa Pasquale  II,  il  mentovato  Cri- 
stiano, colle  sue  soldatesche  passò 
nella  campagna  romana,  e  fece  giu- 
rare dai  popoli  fedeltà  a  Pasquale 
II  sostenuto  da  Federico  I,  ed  al 
quale  iu  Viterbo  lo  condusse;  ma 
avendo  Anagni  ricusato  di  ubbidi- 
re. Cristiano  diede  il  guasto  alla 
campagna ,  e  Cisterna  fu  bruciata. 
Così  il  Muratori,  Annali  et  Italia^ 
all'anno   11 65. 

Pùsorta  Cisterna  dal  disastro,  fu 
di  nuovo  manomessa,  saccheggiata, 
ed  arsa  nel    i328    dall'esercito    di 


GIS 
Ludovico  il  BiH'arOj  nemico  di  Gio- 
vanni XXII.  Lo  storico  Gio.  Villani , 
nella  Cronica  al  lib.  X,  cap.  76,  rac- 
conta, che  in  detto  anno,  agli  1 1  giu- 
gno, il  popolo  roraaruo  colla  gente 
del  bavaro,  dopo  aver  superato  l'as- 
sedio del  castello  della  Molara,  ce- 
duto dalla  gente  al  re  Roberto  per 
naancanza  di  vittovaglia,  guidati  dal- 
lo stesso  Ludovico  si  recarono  a  Ci- 
sterna, cui  derubarono  ed  arsero,  a 
cagione  della  somma  penuria  di  vit- 
tovaglie,  che  era  nel  campo.  Il  perchè 
i  Romani  tornarono  in  Roma,  e  il 
bavaro  coli'  esercito  andò  a  Velle- 
^  tri ,  disertando  poscia  molti  tra  i 
tedeschi,  per  causa  della  divisione 
della  preda  fatta  in  Cisterna.  Per 
ciò  che  riguarda  la  proprietà  del 
luogo,  appartenente  alla  nobilissima 
famiglia  Caetani  sullodata,  è  a  sa- 
persi ;  che  nell'anno  1 4o  i  Bonifacio 
IX  mise  in  possesso  Jacobello  Cae- 
tani della  rocca  o  castello  e  teni men- 
to di  Cisterna.  Tuttavolta  sembra 
che  l'intero  dominio  di  essa  dai  Cae- 
tani si  acquistasse  successivamente 
e  in  progresso  di  tempo ,  come  si 
vedrà  dalle  seguenti  notizie.  Di  fatti 
in  alcuni  capitoli  presentati  nel  i4i3 
dagli  uflìziali  del  comune  di  Sezze, 
a  quelli  di  Ladislao  re  di  JVapoli, 
si  rileva  che  la  magnifica  donna 
madonna  Ursina  figlia  di  Giordano 
Ursino,  cittadina  di  Sezze  ,  per  es- 
sere vedova  di  Giovanni  Citarelli 
di  tal  città,  era  padrona  della  roc- 
ca e  lenimento  di  Cisterna ,  come 
sue  ragioni  dotali,  sebbene  per  al- 
cun tempo  l'avesse  occupata  Ric- 
cardo Rosa  di  Terracina ,  ribelle  a 
Ladislao.  Quindi  abbiamo  che,  nel 
1437,  la  detta  Ursina  vendette  le 
sue  ragioni  dotali  sulla  rocca  e  te- 
nimento  di  Cisterna  a  Giacomo  Cae- 
tani. Poscia,  e  nel  144^3  Aldo  dei 
Conti  alienò  ad  Onorato   Caetani  i 


CIS  201 

diritti ,  che  avca  sopra  al  castello 
diruto  di  Cisterna.  Finalmente  nel 
i44^j  Giuditta,  figlia  del  defonto 
Giacomo  di  Piiccardo  R.osa  sum- 
mentovato,  vendè  una  parte  di  Ci- 
sterna a  favore  del  medesimo  Ono- 
rato. 

Nel  pontificato  di  Sisto  IV,  e  nel 
1483  fu  Cisterna  occupata  dalla 
gente  di  Ferdinando  re  di  Napoli, 
e  quindi  consegnata  alle  milizie  del- 
la Chiesa  a'  3  febbraio.  Nel  i5or, 
Alessandro  VI  privò  la  casa  Caeta- 
ni del  ducato  di  Sermoneta  e  di 
Cisterna,  investendone  il  suo  figlio 
R.oderico  o  Cesare  Borgia;  ma  as- 
sunto al  pontificato  Giulio  li ,  nel 
i5o4,  di  tutto  reintegrò  Guglielmo 
Caetani.  Da  questo  tempo  in  poi 
la  casa  Caetani  procurò  che  il  ca- 
stello fosse  ripopolato.  Questa  fa- 
miglia per  le  numerose  buffale,  che 
possiede  nello  sue  tenute  presso  Ci- 
sterna, negli  antichi  tempi  vi  diede 
magnifiche  caccie,  nelle  quali  anche 
giostravano  le  donne  del  luogo.  A 
cagione  poi  della  sua  posizione  i  Cae- 
tani vi  riceverono  convenientemen- 
te diversi  Pontefici  e  principi,  che 
partivano  da  Roma,  o  ad  essa  re- 
ca vansi.  Si  ha  perciò,  che  nel  1727, 
ritornando  Benedetto  Xlll  da  Be- 
nevento, a'  27  maggio  vi  si  fermò 
a  pranzare  dal  duca  Caetani,  dopo 
avere  ascoltata  la  messa  nella  chie- 
sa collegiata;  ma  allorché  nel  1729 
lo  stesso  Benedetto  XI li  ripassò  per 
Cisterna  dirigendosi  a  Benevento, volle 
cenare  nel  refettorio,  e  dormire  nel 
convento  de'  rifoi-mati ,  mandando 
la  famiglia  nel  palazzo  del  duca.  Indi, 
restituendosi  Benedetto  XIII  a  Roma, 
il  primo  giugno  pernottò  in  Cisterna 
dai  medesimi  religiosi  riformati,  la 
cui  chiesa  e  convento  di  s.  Antonio, 
nel  1572,  erano  slati  edificati  (l;d 
Cardinal  Caetani,  con  autorizzazio- 


232  CIT 

ne  di  Gregorio  Xlfl.  Dopo  la  morie 
di  JJenedelto  Xlll  ,  il  suo  lavorilo 
Cardinal  Coscia,  si  ritirò  in  questo 
feudo  per  la  grande  amicizia ,  che 
avea  col  duca  Caetani.  Pio  Vl^  nel 
recarsi  a  Terraciiia  a  visitare  i  gran- 
diosi lavori  del  proseiugamenlo  del- 
le Paludi  Pontine  [Vedi),  nei  di- 
versi anni  che  fece  tal  gita,  piìi  volle 
visitò  Cisterna;  per  la  quale  a'  2  3 
aprile  i83c),  il  Papa  regnante  passò 
recandosi  a  Terracina,  ed  entrando 
nella  sua  chiesa  collegiata,  dedicala 
all'Assunzione  in  cielo  di  Maria  Ver- 
gine, vi  ricevette  la  benedizione  col 
ss.  Sagramento.  Sulla  chiesa  colle- 
giata di  Cisterna  ,  e  se  quivi  fosse 
vicciso  Severo  imperatore  da  Era- 
clio, J^.  il  Piazza,  Gerarchia  Car- 
dinalizia, pag.  4^  e  49-  Di  Cister- 
na, e  delle  Tre  Taberae  fra  gli  al- 
tri trattarono  il  Ricchi  nella  /?e- 
gia  de'  Volsci  a  p.  49  e  f  Ughelli, 
Ital.  sacr.  t.  X. 

CITARIZA.  Sede  vescovile,  cono- 
sciuta anco  sotto  il  nome  di  Ca- 
strimi Citharìsarum  della  grande  Ar- 
menia ,  tra  i  monti  Antitauro,  e 
Masio,  nella  diocesi  di  Ponto,  sotto 
la  metropoli  di  IMolaliah  o  Dade- 
mon,  come  scrive  Commanville.  Ma- 
riano, suo  vescovo,  si  sottoscrisse  ai 
canoni  del  concilio  trullano.  Il  ca- 
stello, ove  esisteva  la  sede  vescovi- 
le, venne  edificato  da  Giustiniano 
I  imperatore ,  in  modo  inespugna- 
bile. 

CITIDIOPOLI.  Sede  episcopale 
della  Cilicia  mediterranea,  ove  si  col- 
loca la  città  di  Oblasa.  Nella  Pam- 
filia  abbiamo  Olhiuni  sea  Olbasuni, 
eretta  in  vescovato  nel  quinto  se- 
colo sotto  Pirgi.  Sisinnio ,  vescovo 
di  Citidiopoli,  si  trovò  al  concilio 
di  Trullo,  celebrato  l'anno  691,  e 
detto  anco   Quinisesto. 

ClTiUM,   Crruu,    o  Guite.  Sedo 


CIT 
vescovile  nell'  isola  di  Cipro,  sulTra- 
ganea  dell'arcivescovato  di  JNicosia, 
la  cui  erezione  rimonta  al  secolo 
quarto.  Di  essa  si  conoscono  quat- 
tro vescovi.  Commanville  dice,  che 
vi  si  mostra  la  tomba  di  s.  Laz- 
zaroj  il  quale  fu  risuscitato  da  Gesìi 
Cristo,  e  che  vuoisi  sia  stato  il  pri- 
mo vescovo  di  Citiuni;  lo  che  fa- 
rebbe rimontare  l' erezione  di  que- 
sto vescovato  al  primo  secolo  della 
Chiesa.  Certo  è  che  il  suo  vedovo 
Pappo  solfri  il  martirio  sotto  Co- 
stanzo imperatore.  Potino  o  Folino, 
altro  suo  vescovo,  mandò  al  conci- 
lio di  Calcedonia  il  suo  diacono 
Dionigi,  ed  il  vescovo  Spiridione  fu 
presente  al  concilio  generale  settimo, 
e  V  altro  vescovo  Germano  all'  ot- 
tavo. Si  crede  che  Citro  o  Citiuni 
sia  stata  edificata  da  Celhin ,  uno 
de'  figli  di  Seth.  Opinione  generale 
è  per  altro  che  gli  abitanti  di  Ci- 
tro ripetano  l' origine  da  quei  Fe- 
nicii ,  e  Cananei,  i  quali  si  ritira- 
rono neir  isola  ,  allorché  gì'  israeli- 
ti andarono  a  conquistare  le  loro 
terre.  Secondo  S trabone,  vi  el)be  i 
natali  Zenone,  capo  degli  stoici ,  e 
il  celebre  Cimone  ,  generale  degli 
ateniesi,  che  qui  pure  morì. 

CITONATO,  Cardinale.  Citona- 
to ,  Cardinal  diacono,  viveva  nel 
494)  mentre  era  sommo  Pontefice 
s.   Gelasio.   I. 

CITONATO,  Cardinale.  Cito- 
nato,  Cardinal  vescovo  di  Porto,  fio- 
riva nel  769  sotto  Stefano  III,  detto 
IV.  Fu  al  concilio  tenuto  da  questo 
Papa  nel  detto  anno,  ed  assistette 
alla  consacrazione  dell'  antipapa  Co- 
stantino. 

CITONIA.  Sede  episcopale  isti- 
tuita neir  isola  di  tal  nome  nel  se- 
colo XIII.  Si  apprende  dall'  Oriens 
Christ.  t.  Ili,  p.  871,  che  vi  ebbe- 
ro   sede   quattro    vescovi.     Ciluniu, 


crr  ciT              233 

o   Cytonhim,  fu    città  cieli' Asia,   si-  lemme  pei'  antonomasia  fu  cliiaina- 

tuata  ai  confini  della  Libia,  e  della  ta  la  città  santa,  siccoxne  già   cen- 

Misia,  secondo  Stefano  di  Bisanzio,  tro  della  sola  vera  religione;  laon- 

CrrR.A.  Sede  episcopale,  col  qual  de  per  lo  stesso  motivo  viene  pure 
nome  si  conoscono  varie  chiese  ve-  chiamata  Ptoma ,  coli'  aggiunta  di 
scovili.  Dal  IVIireo,  Notitia  Episcop.  capitale  del  cristianesimo ,  o  del 
Orhis  Clirisfiani,  alla  pag.  92  si  mondo  cattolico.  Il  paradiso  dicesi 
legge  Citra,  sede  episcopale  sutFra-  la  città  celeste,  la  città  di  Dio,  e 
ganea  di  Tessalonica  ,  ed  altret-  di  ciò  tratta  la  nota  opera  del  dot- 
tanto  alla  p.    106.  tore  s.  Agostino,  in  cui  descrive  la 

CITROrvE  (Cithron).    Sede    epi-  città  terrestre,  e  la    celeste,    cioè    i 

scopale  di  Macedonia,  chiamata  an-  buoni,   e  i  cattivi,  con  quella  viva- 

che   Cìiitto    e   Chitro,  sotto    la    me-  cita  d'  iiigega(j,  che  lo  l'endono  cele- 

tropoli   di    Tessalonica.    Si    chiama  bre.  La  parola  Civitas  in  sua   origi- 

pure    Pidua ,  Pydna ,    o     Citri.    Si  ne  non  ebbe  il  significato,  che  noi 

conoscono  due  vescovi,  che  vi  sedet-  diamo    oggi     piti    comunemente     a 

tero.  Baudrand,    Geographia,    t.    f,  quello  di    città  j    ma    così    chiama- 

p.   274 5  e    IDI,    ed    Oriens     Cliri-  vasi  soltanto  una  comunità  formata 

stianus    t.  II,  p.   81.  dalla   unione  di   più  famiglie,    com- 

CITR.UM.     Sede    vescovile    della  ponenti   fra  di  loro  una    repubblica, 

Piei'ia  di   Macedonia,    nella    diocesi  un  corpo    civile,    che    comprendeva 

della    Illiria     orientale,     dipendente  un  certo  tratto  di  paese,  e  talvolta 

dalla   metropoli  di    Tessalonica,    di  anche  quello  di  più  città,  0    villag- 

cui  si   conoscono  sette    vescovi.    Fu  gi,  come  osserva  il  marchese  jMaiiei 

detta  pure   Cithroti,  e  Cithriun.    O-  col  Facciolati,  Lex.  t.  1.   in    V.    Ci- 

riens    Christ.    t.    II,    p.    8r;    Bau-  vitas ,    col    Marti nier,     Gran.    Dic- 

drand,   Geograph.  p.   274,    tom.    I,  tion.   Geograph,  e  con  altri,  suU'au- 

e    pag.     i5i  ,    tom.     II    ad    vocem  torità     di    Cesare  ,    Bell.    Gali.    1. 

Pydna.  Vili,  di  Cicerone,  In  Sonin.  Scip., 

CITTA'  (Civitas).  Paese  accasato,  di  Plinio  H.  N.  L.  IV,  e.  68,  e  I. 
e  per  solito  più  considerabile  di  XXXI,  e.  2;  di  Tacito  Histor. 
quel  paese,  cui  comunemente  si  1.  IV,  e.  68,  e  Annal.  1.  III;  e 
chiama  terra,  castello,  o  villai^gio.  di  Livio  Epit.  1.  XXXV.  Essa  vie- 
Qualche  volta  vale  anche  soltanto  ne  dal  Celtico  Ci\wlawd,  ed  è  una 
luogo  abitato.  Così  il  Dizionano  di  quelle,  che  sotto  una  sola  deno- 
della  lingua  italiana.  Quando  trat-  minazione  ci  presenta  l' idea  di  più 
tasi  dell'  antichità,  città  significa  cose,  e  vale  lo  stesso  di  popolazio- 
per  r  ordinario  uno  stato,  od  un  ne,  unione  di  famiglia,  un  sol  cor- 
popolo  colle  sue  dipendenze.  Tut-  pò,  o  consorteria  sotto  una  niedesi- 
tavolta  si  osserva  negli  antichi  au-  ma  forma,  e  disciplina,  come  ne 
tori  dato  il  nome  di  città  ad  una  assicura  il  Bullet,  Memoir  sur  la. 
sola,  come  facciamo  noi,  massime  Lang.  Celfiq.,  gvan.  maestro  in  ar- 
allecapitaU  degli  stati,  che  sono  chia-  gomento.  Da  quella  lingua  fa  egli 
mate  con  greca  \oce  Metropoli ,  alle  derivare  la  parola  Civitas  collo  stes- 
sedi  vescovili  e  ad  altre,  che  per  so  significato  di  popolazione,  unio- 
le  loro  prerogative  e  pregi  merita-  ne  di  famiglia  ec.  ,  e  così  pure  il 
rono  un  tal  distinto  nome.  Gerusa-  Civis,  giacché    scn  za    cittadini    uou 


2  34  e  IT 

vi  lia  città,  né  città  senza  ciltatlini, 
come  elice  Cicerone,  De  llcpuh.  I. 
I.  I  veri  cittadini  di  città,  Urbes, 
erano  anticamente  contraddistinti 
coir  appellativo  di  Urbani,  qui  in 
urbe  linlntant,  quando  all'  opposto 
(pielli,  che  non  erano  cittadini,  ve- 
nivano detti  Vicari,  vel  Padani. 
Ciò  sia  detto  per  togliere  fpudiuKjiic 
opposizione  in  contrario,  se  si  dei)ba 
la  preferenza  a  Civis,  ovvero  a  Ci- 
vilas.  I  Romani  si  valevano  soltan- 
to della  parola  ZJrbs  loro  propria 
per  indicare  appunto  una  città,  clic 
per  essere  tale  conveniva,  che  fosse 
murata,  e  circonvallata  di  fosse.  In 
seguito  poi  dal  generale  passò  al 
particolare  a  distinguere  soltanto 
que'  luoghi,  che  per  numero  di  abi- 
tanti, ampiezza  di  sito,  magnificenza 
di  fabbriche  e  piazze  e  commercio 
soprastavano  agli  altri.  I  municipi 
degli  antichi  romani,  erano  le  città 
della  pili  onorevole  condizione,  per 
cui  Cicerone  nel  libro  de  legìbiis, 
disse,  che  un  municipale  cittadino 
poteva  considerarsi  come  se  due 
patrie  avesse,  cioè  una  di  natura, 
l'altra  di  privilegio.  Oltre  a  ciò  i 
municipali  tutti  i  privilegi  godeva- 
no de'  cittadini  romani,  e  potevano 
sostenere  in  Roma  ancora  le  cari- 
che, che  avevano  sostenute  nel  mu- 
nicipio. Ce  lo  conferma  Svetonio. 
Aveva  altresì  questo  di  speciale  un 
municipio,  che  colle  proprie  sue  leg- 
gi si  governava,  a  dillerenza  delle 
colonie ,  le  quali  dai  R.omani  rice- 
vevano le  leggi  per  governarsi.  F^. 
Municipio. 

Nella  curia  romana  si  fa  distin- 
zione dalla  parola  città  cii'itas  dal- 
l'altra città  vescovile  Civitas  epi- 
scopaUs.  Sotto  la  prima  denomina- 
zione s' intendono  quelle  terre  o  cit- 
tà, che  dalla  santa  Sede  vengono  e- 
levate  al   grado    di    città    vescovile 


CIT 

o  arcivescovile.  Ed  in  fatti  i  Ro- 
mani Pontefici  nelle  loro  bolle  quan- 
do parlano  delle  città,  che  non  so- 
no episcopali,  soltanto  le  chiamano 
paesi,  e  terre,  sebbene  comunemen- 
te denominate  e  riconosciute  dagli 
altri  per  città.  Nella  stessa  romana 
curia  si  fa  ancora  distinzione  tra  la 
parola  civitas  cpiscopalis  città  vesco- 
vile, e  diocesi  dioecesis.  Per  la  prima, 
come  si  dissBj  s'intende  il  luogo  ov'  è 
la  sede  episc(jpale,  per  la  seconda  s'in- 
tendono tutti  i  luoghi  che  compongo- 
no la  diocesi  ;  purché  un  vescovato 
non  costituisca  tutti  i  luoghi  dove 
ha  giurisdizione  in  città.  Su  questo 
punto  va  consultato  quanto  dotta- 
mente scrisse  il  Sarnelli,  Lettere 
Eccl.  t.  IH,  pag.  72  lett.  XXIX, 
Non  darsi  città  in  Italia  senza  ve- 
scovo.  Ma  oggidì  anche  nell'  Italia 
vi  sono  delle  città  senza  che  sieno 
decorate  della  sede  vescovile,  come 
sono  Marino,  e  s.  Giovanni  in  Per- 
siceto,  per  non  dire  di  altre,  che 
furono  erette  a'  nostri  giorni  in  cit- 
tà  dal    regnante  Pontefice. 

La  prima  città,  che  sia  stata  fab- 
bricata, sembra  che  sia  Enóchia, 
edificata  da  Caino  in  onore  del  suo 
figlio  Enoch,  come  si  ha  dalla  sa- 
gra Scrittura.  S,  Agostino,  De  ci- 
i'itate  Dei  lib.  i5,  capit.  5,  osser- 
va che  come  il  primo  fondatore 
della  prima  città  del  mondo  fu  Cai- 
no fratricida,  così  il  fondatore  di 
Roma,  che  fu  capitale  del  mondo, 
ed  ora  lo  è  del  cattolicismo,  fu  R.o- 
molo  che  uccise  il  fratello  Remo, 
per  cui  disse  Lucano  nel  primo  li- 
bro della  Farsaglia  : 

Fraterno  primi  maduerunt   san- 
guine muri. 

Il  p.  Menocchio  nelle  sue  Stuore 
di    erudizione  t.  IH,  p.   5^\o,    capo 


CIT  CIT                   23> 
I,  Quale  città  sia  stata  prima  di  tutte  carono  città  anco  vicino  al  mare,  ai 
le  altre  fabbricata  nel  mondo,  e  da  fiumi  ec.  Le    irnizioni    degli    eser- 
cì/, coir  autorità  della  sagra  Scrit-  citi  nemici  consii^liarono    gli    uomi- 
tura,  confata  i   Caldei,  x4ristotile,  e  ni   a  ritirarsi  sui    monti,    per   porsi 
quelli  autori,  che    non    l'iconobbero  al  sicuro;  laonde  ebbero  origine  la 
Enochia  per  la  prima  città  fabbri-  villa,  il  borgo,  il  castello.   E    sicco- 
cata    al    mondo.     Platone    assegna  me  tutte  le  città  nella    loro    fonda- 
aver   causato    in    Caino    1'  erezione  zione  furono  di  ambito  ristretto,  co- 
delia  città,   il  bisogno  che  senfi  per  sì  crescendo    la    popolazione  si    an- 
difendersi   dalle  fiere  ;  altri,  con  Ari-  darono*  ampliando.  Xelle  città  dipen- 
stotile,  opinano,  che  siccome  l'uomo  denti  dall'antica  Roma,  aumenùan- 
per  natura  ama  la  società,    l'indi-  dosi  gli  edifizi,  si  allargava  pure  il 
nazione  il  porta  ad  abitare  con  al-  pomerio,    che    soleva    stabilirsi    con 
tri,  per  le  vantaggiose  conseguenze,  atti  solenni,  e  riti  superstiziosi   nel- 
che  ne  risultano.  Ma  per    riguardo  la  deduzione  della   Colonia  (Vedi). 
al   motivo,  che  mosse  Caino  a  fab-  A    questo    articolo     si    tratta    anco- 
bricare  la  città,  Gioseffo  nelle    An-  ra  delle  città    federate  de'  Romani. 
tich.  giudaiche  lib.   I,  capit.  4?   con-  Quindi    per    soddisfare    al    bisogno 
gettura,  che  il  facesse    per    propria  degli  abitanti,  se    la  città     era    cir- 
sicurezza  dopo  l'  uccisione  di  Abele,  condata  di  mura,  si  fabbricava  fuo- 
per  dominare  sui  propri  discenden-  ri  di  essa,  venendo  a  formare  l'ag- 
ii, o  perchè  divenendo  peggiore  do-  gregato  ed  unione  delle   nuove   ca- 
po i  rimproveri  e  le  minacce  rice-  se ,  ciò  che  noi    diciamo    hors;hi,    e 
vute  da  Dio,  e  continuando  a  com-  che  gli  antichi  chiamavano    Subur- 
mettere  ogni    sorta  di  scelleraggini,  bia.  ìVelle  città  i  Romani  ponevano 
credette    necessario    vivere    co'  suoi  i  Flamini,  nelle  metropoli    gli    Ar- 
seguaci  in  luogo    sicuro,    anco    per  chi/lamini.  Tale  era    l' ordine    reli- 
custodirvi  le    cose    prepotentemente  gioso  mentre    nel    governo    politico 
rapite  da  se,  e  dai  suoi.   Su  questo  tenevano  quest'  altro.   Nelle    sempli- 
argomento    l' erudito    Sarnelli,    nel  ci  città  erano  i   giudici  minori,  nel- 
tomo     V    delle    succitate    lettere    a  le  metropoli  i  maggiori,  nelle     pri- 
pagina    2g    tratta:     Della     prima  marie  i  rettori  delle  provincie,  i  prO' 
città    del    mondo    ai'anti    e    dopo  consoli  o     legati,    e    nelle     capitali 
il  diluvio    unÌK'ersalc,    terminato    il  V imperatore,  e  il  senato.    S.  Pietro 
quale   Nembrod  edificò  quella    tor-  principe    degli    apostoli  ,    stabilì    la 
re  che  prese    il    nome     di     Babele  sua  sede  in  Roma,   ov' era     il  pon- 
dall'avere  Dio  confuse  le  lingue  dei  tefice   massimo    de' gentili ,    quindi 
superbi  fabbricatori.  Al  toni.  Ili  poi,  nelle  primarie  città  si  stabilirono    i 
e  alle  pag.    io3,  lo  stesso    Sarnelli  patriarchi   e  i   primati,  nelle  metro- 
descrive  le  città,  che  in  Asia  rovi-  poli    gli    arcivescovi,    e    nelle    altre 
narono  pel  terremoto.  città  i   vescovi,    modellando    la    ge- 
Dopo  il  diluvio  i  discendenti    di  rarchia  della    chiesa    militante    alla 
Noè  fabbricarono  le  città  sui  monti  chiesa  celeste.    V^.  Clenicns.  P.  P.  in 
per  timore  che  si  rinnovasse    quel-  e.  in    illis  8o    distin.    et    Anacletiis 
la  tei-ribile  catastrofe.  Passato  il  ti-  e.  /,  99  dist.    Innocenzo    IV    poi, 
more  si  cominciò  a  scendere  a  bas-  cap.   n.  Super.  5.   Decret.    de    noi'ì 
so,  e  nelle  pianure;  quindi  si  edifi-  operai,  nuiiciat.  (,  601,  col.  2,nun:. 


i36  riT 

•>.,  (lice:  che  unn  ciUìi  n1)l)attiita 
(liu  mMnici  conserva  tulli  i  j)iivilc- 
t^i,  che  prima  godeva.  Come  gli 
antichi  festeggiassero  T  anniversario 
della  fondazione  delle  città,  chia- 
mato anche  Natale  ,  lo  asserisce  il 
succitato    p.     JMenocchio    t.    HI,    p. 

Il  IVItuatori  nelle  sue  Disserlazio- 
ìii  sopra  le.  antichità  italiane,  ci  dà 
preziose  notizie,  ed  erudizioni  sulle 
città  italiane ,  quando  assumessero 
la  forma  di  repubbliche;  quando 
si  mettessero  in  libertà  ;  dei  loro 
magistrati;  quando  sottomisero  i 
conti  rurali  ed  altri  nobili  ;  della 
guerra  che  fecero  eziandio  ai  beni 
dei  chierici,  e  monaci  ;  delle  loro 
leghe,  giuramenti,  tregue,  paci  ec.  ; 
dei  privilegi  loro  accordati  nella  pa- 
ce di   Costanza,  ec. 

CITTA'  DI  CASTELLO  (Civita- 
tis     Castelli).     Città     con    residenza 
vescovile,  capo  di  distretto  della  de- 
legazione di     Perugia,     nello    stato 
pontificio.     Questa    antica,    forte,    e 
bella  città  venne  edificata    sulla    si- 
nistra sponda  del  fiume  Tevere,  fra 
r  Umbria  e  i  confini  degli  stati  to- 
scani, in  fertile  territorio  circondato 
di   monti    in    forma    di    anfiteatro, 
che  rendono  il  suo  prospetto   vago 
e  dilettevole.  Un   foro  commerciale 
(qui    stabilito     dagli     antichi    primi 
abitatori  del  Pittino   umbro,  nomi- 
nato da  Tolomeo,  come  pretende  il 
can.    Giulio  IMancini  di  Città  di  Ca- 
stello,  Giorn.   Arcad.,  tomo    XLIV 
pag.    277,  esistito  già    in  un  vicino 
colle,  che  ancora  ne  conserva  il  no- 
me) diede  probabilmente    1'  origine 
a  questa  città,  che  tale  forse  addi- 
venne tra  il  quinto  e    sesto    secolo 
di  R.oiaa,  per  opera  del  Sabino  Ti- 
ferno.  Dai    monumenti    però    chia- 
ramente    risulta ,     che     gli    antichi 
etruschi  coiiobbero  ed  abitarono    il 


C I T 

suolo  ove  ora  giace  il   paese.     Altri 
sono  anzi  di  parere,    che    il     luogo 
ove    si    crede    esistesse    Pillino ,    ed 
ove   sono  ora   le    Grotte  di  Pittino, 
non  offra  che  macerie,  e  reliquie  di 
(|ualche  castellelto,   ma   non    vestigi 
(li   rimota  antichità.  Quindi  sotto  il 
dominio  de' Piomani   prese  il     nome 
di    Tifcriio    Tiberino,    Tifcrnnni     Ti- 
berinnni,     come    provano    i    monu- 
menti  ivi    ritrovati  ;  sotto  quello  dei 
Longobardi     fu     chiamato     Castello 
della   Felicità,    Caslrnrn  Felicitatis, 
forse  in   felice  augurio    del    castello 
e  delle  fortificazioni,  colle    quali    !o 
circondarono,     ovvero  per  celebrare 
qualche  vittoria  riportala   sui    Gre- 
ci ;   finalmente   d(j|)o   il   secolo    deci- 
mo  venne   appellate^    Città    Castella- 
na,   Cina  di    Castello,  ed  anco  sem- 
plicemente    Castello,   provando    la- 
li  etimologie,  e  ciò  che  le  riguarda, 
il  lodato  canonico,    nel  t.    LX    del 
medesimo    Giornale  Arcadico  a  pag. 
i3i,  e  seg.   Probabilmente  il  nome 
acroiunto  di  Felicità  si  deve  al  tem- 
pio,  che  venne  in  questo  luogo  de- 
dicato alla  virtù  personificata  della 
genfilità  per  esprimere  quella,  che  i 
popoli  godevano  nell'  impero  di  Tra- 
jano    amico    di    Plinio,  il    quale    lo 
dedicò  o  si  trovò  presente  alla  inau- 
gurazione di  tal    tempio.    Il    nome 
poi  di  Tiberino  lo  prese    dalla    vi- 
cinanza del  fiume  Tevere.  Siccome 
venne  pur  dòtta    Città    di   Castello, 
Tiferniini  Tiberìniini  in  Thuscia  lon- 
gobardornm,  è   a  sapersi  che    non  i 
longobardi    la  compresero  nella   re- 
gione toscana,  ma  perchè  fu  consi- 
derata comprendersi  in  essa,  tagha- 
ta  dall'Umbria,  così    divenne    capo 
della  sua  special  contea,  e  del    suo 
proprio,  e  separato  governo. 

Questa  è  una  delle  prime  città  sot- 
to il  soave  dominio  della  santa  Sede, 
come   pure  è  celebre  per   magnifici 


CIT 

cclillzi,  e  per  monumenti  di  belle 
arti,  ammirandosi  in  essa  i  dipinti 
di  Signorelli  da  Cortona ,  di  Raf- 
faellino  dal  Colle ,  del  Rosso ,  di 
Santi  di  Tito,  di  Pagani,  tutti  in 
belle  tavole,  nonché  gli  affreschi  del 
Benelliale,  del  Mazzanti,  e  del  cav. 
Tommaso  Conca.  Rinomate  sono  le 
gallerie  di  casa  IMancini,  e  quel- 
le del  sontuoso  palazzo  Bufalini,  che 
il  terremoto  del  1789  molto  dan- 
neggiò. Anche  alcune  nobili  e  fa- 
coltose famiglie  possedono  egregie 
pitture.  Riserbandoci  a  parlare  alla 
fine  di  questo  articolo  sulla  magni- 
ficenza de' sagri  teinpli,  fra  i  mi- 
gliori palazzi  merita  particolare 
menzione  il  palazzo  apostolico,  re- 
sidenza del  governatore,  e  quello 
de'  Vitelli  in  porta  s.  Egidio,  gran- 
dioso, e  decorato  di  molte  pitture. 
Due  sono  i  teatri  ;  il  più  grande 
elegantissimo  appartiene  all'  acca- 
demia degl'  Illuminali,  e  l' altro  è 
detto  de'  Filarmonici.  Adorne  sono 
le  piazze,  belle  le  vie,  e  solidi  i 
bastioni,  che  colle  fosse  cingono  la 
città,  e  le  danno  all' esterno  un  a- 
spetto  militare.  Opera  sono  que  ba- 
stioni che  rimonta  al  1 643,  prima 
che  Vauban  appalesasse  il  suo  in- 
gegno nelle  fortificazioni,  e  perciò 
lodata  a  cagione  dell'esecuzione.  I 
pregi  però  degli  edifizi,  e  de" mo- 
numenti di  belle  arti  che  ivi  sono, 
dottamente  si  descrissero  dal  con- 
cittadino ,  cav.  Giacomo  Mancini 
colla  Islmzìone  storico-pittorica  per 
visitare  le  chiese  e  palazzi  di  Città 
di  Castello,  ec. ,  Perugia  i832;  li- 
bro che  fu  annunziato  anche  dal 
Gior.  Arcaci,  nel  tom.  LXI,  a  p. 
220,  e  fu  ristampato  nel  iSSg; 
come  pure  dall'altro  concittadino 
cav.  Giuseppe  Andrcocci  Due  gior- 
ni in  città  di  Castello  per  osserva- 
re i   ìnomanciui  di  aite  ce. ,  Arez- 


CIT  237 

zo  1841.  Nello  stesso  luogo,  e  nel 
1829,  il  cav.  Andreocci  pubblicò 
un  altro  opuscolo  riguardante  la 
città. 

JNon  si  deve  poi  tacere,  che  sot- 
to gliauspicii  di  s.  Florido  priiici- 
pal  piotettore  della  città,  e  già  suo 
vescovo,  nell'anno  1 84 1  nella  me- 
desima venne  istituita  1'  Accademia 
FLoridiana,  della  quale  fu  primo  e 
principal  promotore  l' attuai  zelan- 
tissimo vescovo  monsignor  Giovan- 
ni IVIuzj  Romano,  già  arcivescovo 
di  Filippi  in  partibus.  Questa  re- 
cente accademia  è  figlia  di  madre 
celebre,  perchè  fu  sostituita  a  quella 
dell'Accademia  dei  LUieri.  11  suo 
principale  scopo  è  di  eternare  la 
memoria  degli  uomini  illustri  de- 
fonli  della  città,  con  prose,  e  com- 
posizioni poetiche  ;  e  di  far  eserci- 
tare nell  eloquenza ,  e  nella  poesia 
la  gioveutìi  studiosa  ascritta  all'Ac- 
cademia. Nella  quarta  ed  ultima 
sua  adunanza,  si  distribuiscono  agli 
accademici,  che  nel  decorso  dell'an- 
no si  mostrarono  valorosi,  dei  pre- 
mi  in  medaglie  di  argento. 

Il  territorio  di  Città  di  Castello 
è  di  proprietà  del  popolo  Tiferna- 
te.  Prima  del  secolo  decimo  ei-a 
più  vasto,  e  quindi  separato  in  gran- 
di porzioni,  come  quella  di  Borgo 
s.  Sepolcro  [J'edi);  e  quelle  passate 
ai  marchesi  Bourbon  del  monte 
Santa  IVIaria,  dato  a  questa  fami- 
glia in  feudo  imperiale,  ai  marchesi 
di  Bourbon-Sorbello,  ai  duchi  di 
Urbino,  ai  Citerncsi,  e  ai  Montonesi 
ec  Però,  meno  le  porzioni  dei  tre 
ultimi,  le  altre  nel  congresso  di 
Vienna  del  i8i5,  furono  incorpo- 
rate nel  gran  ducato  di  Toscana, 
restando  gli  abitanti  solo  diocesani  di 
questa  sede.  Oltre  a  quanto  di- 
ccuuno  al  citato  articolo  Borc.o  s. 
Seiolcro,  sicccjnc  il    suo    territorio 


238  CiT 

apparteneva  alla  contea  di  Città  di 
(Jaslello,  ci  penneltereino  il  seguen- 
te cenno. 

Nel  secolo  X  in  Val-di-Nocc  eb- 
be principio  Borgo  s.  Sepolcro,  al- 
lorquando fu  ivi  fondata  la  chiesa 
de  ss.  Egidio  ed  Arcano.  Prima 
cre])l)e  in  piccolo  liorgo  ;  ma  di- 
venne splendido  nel  XI 1  secolo  por 
^li  edilìzi,  che  vi  fabbricarono  mol- 
li militi  tifernati,  i  quali  vi  si  sono 
slal)iliti.  Riconoscendo  il  borgo  la 
sua  dipendenza  ed  origine  da  Città 
di  Castello,  nell'  aprile  del  1 358  in 
pieno  consiglio  fece  ad  essa  la  sua 
lòiinale  dedizione  in  perpetuo,  per 
cui  il  comune -di  Città  di  Castello 
governollo  finché  nel  1370,  l'im- 
peratore Carlo  IV,  col  pretesto  di 
antico  feudale  dominio,  la  vendette 
al  Cardinal  Angt^lico  o  Egidio  Gri- 
moardi  di  Grissac,  fratello  di  Ur- 
bano V,  da  cui  l'acquistò  Galeot- 
to Malatesta,  e  poi,  nel  principio 
del  secolo  XVI,  fu  da  Leone  X 
elevata  al  grado  di  città,  e  defini- 
tivamente ceduta  alla  Toscana  da 
Gregorio  XIII.  Qui  giova  ricordare 
non  essere  vero  che  i  Vitelli  per 
momenti  invadessero  Borgo  s.  Se- 
polcro, come  dicemmo  a  quell"  ar- 
ticolo, suir  autorità  dell'  applaudito 
Specchio  gpograjico ,  1^  edizione, 
Voi.   V.  p.  609. 

Presentemente  dipende  da  Cit- 
tà di  Castello  il  governo  di  Frat- 
ta, cospicuo  borgo,  che  forse  rim- 
piazzò r  antico  Piluluììi.  JNon  si  de- 
ve passare  sotto  silenzio,  che  prima 
la  terra  di  Pietralunga,  ed  il  ca- 
stello di  Monte  Ruperto,  membri 
deditizi  del  comune  Castellano,  fu- 
rono baronie  del  civico  magistrato, 
che  negli  atti  diplomatici  »ne  usa 
ancora  il  titolo.  La  valle  del  Te- 
vere è  divisa  dalla  città  in  due  pia- 
ni,  uno   detto    di    sopra,    seminato 


CIT 

di  amene  colline,  e  deliziose  ville, 
e  perciò  celebrato  da  Plinio  il  Gio- 
vane, nel  lib.  5.  Alla  sinistra  poi 
del  Tevere,  sul  colle  di  Collecchio 
si  veggono  avanzi  di  antiche  costru- 
zioni, ed  un  acquedotto  della  rino- 
mata villa  del  medesimo  Plinio.  Di- 
falti  in  questo  luogo  era  una  parte 
delle  possidenze  della  tifernate  fa- 
miglia Cecilia,  da  cui  nacque  Pli- 
nio Cecilio,  e  eh'  egli  pur  descrive 
nel  menzionato  libro,  in  una  lettera 
ad  Apollinare  ,  come  affermano 
il  suddetto  canonico  Mancini,  alle 
pag.  1G4,  iG5,  e  173,  del  volu- 
me LX  del  G'ior.  Arcaci. s  il  geo- 
grafo Baudrand  Novuni  Lexicon 
Geogr.  ed  altri  ,  tra'  quali  Lio- 
ne Pascoli ,  //  Tevere  navigato  ,  e 
navigabile,  par.  ì,  cap.  3.  Pli- 
nio, sino  dalla  sua  tenera  età,  fu 
eletto  a    patrono  dai  Tifernati. 

Il  governamento  del  popolo  tifer- 
nate, cosi  detto  da  Caio  Tiferno  sabi- 
no, ascritto  alla  tribù  Clustumina,  che 
fondò  la  città  di  Tiferno  nell'anno 
del  mondo  Ss/pj  cessato  quello  de- 
gli etruschi,  si  cambiò  in  libero 
municipio  l'omano,  e  si  tasmutò 
nel  governo  de'  goti  sino  alla  cadu- 
ta di  Totila,  che  ne  distrusse  le 
mura,  per  cui  nel  sesto  secolo  il 
santo  vescovo  Florido  ne  riparò  i 
danni,  come  racconta  1'  Ughelli.  Ver- 
so l'anno  601,  soggiacque  al  giogo 
de'  Longobardi ,  che  ,  dopo  averla 
orrendamente  manomessa,  procura- 
rono ripararne  le  perdite,  anzi  il 
celebre  re  Luitprando  la  circondò 
di  migliori  mura,  e  la  fornì  di  roc- 
ca. Nell'anno  744  Carlo  Magno, 
coH'inqM-igionare  Desiderio  ultimo 
re  de'  Longobardi,  diede  fine  al  lo- 
ro regno,  che  avea  durato  206  an- 
ni. Carlo  Magno  pose  allora  nel 
Castello  della  Felicità  un  regio  ga- 
staldo,  sebbene  si  voglia  che  la  cit- 


CIT 

tà  contemporaneamente  fosse  go- 
vernata da  un  conte,  o  goveiniato- 
re.  Narra  il  Borgia,  Memorie  isto- 
rìclie  di  Benevento  tomo  I,  p.  28, 
3o,  e  34,  che  mentre  Carlo  Ma- 
gno assediava  in  Pavia  il  re  Desi- 
derio, nel  774j  si  recò  in  Roma, 
confermò  le  donazioni  del  suo  pa- 
dre Pipino  a  Papa  Stefano  III,  e 
le  ampliò  con  altre  al  Pontefice 
Adriano  I,  tra  le  quali  vi  fu  Ca- 
stelhim  Felicitatisi  che  da  lui  fu 
dato  alla  Chiesa  romana.  Fu  allora, 
che  gli  abitanti  prestato  il  giura- 
mento di  fedeltà  a  s.  Pietro ^  ed  al 
Pontefice j  si  diedero  a  questo,  con 
essersi  fatti  tosare  alla  romana. 
Tullavolta  si  legge  in  Anastasio 
bibliotecario,  nella  vita  di  Adriano 
I,  che  i  Tifernali  si  diedero  spon- 
taneamente alla  santa  Sede.  La  re- 
cisione de'  capelli  all'  uso  longobar- 
do, fu  per  imitare  il  costume  ro- 
mano. Per  altro  non  andò  guari, 
che  il  longobardo  Reginaldo,  già 
gastaldo  del  Castello  della  Felicità, 
dopo  essere  stato  fatto  duca,  o  pre- 
fetto di  Chiusi,  vi  ritornò  con  ar- 
mata mano,  e  vi  portò  via  diversi 
cittadini,  per  cui  Adriano  I  con  let- 
tera se  ne  dolse  con  Carlo  Magno. 
La  cessione  di  questo  principe  del- 
la città,  fu  confermata  nell'Siy, 
dal  suo  figlio  Ludovico  I,  e  da  al- 
tri imperatori,  come  si  ha  pure  dal- 
l'annalista Baronio. 

Introdotto  poscia  il  sistema  feu- 
dale, il  comune  della  città  in  modi 
solenni  elevava  i  suoi  prodi  cittadi- 
ni al  grado  di  militi ,  o  cavalieri, 
grado  appo  gli  altiù  comuni  civici 
d'  Italia  distinto,  e  ad  essi  distri- 
buiva le  castella  de'  monti  circostan- 
ti, avendosene  esempi  anco  in  ap- 
presso. Vuoisi  che  nel  i  o  1 2  Otto- 
ne III  morisse  nel  castello  di  Pa- 
terno, allora  soggetto  all'abbazia  di 


CIT  289 

s.  Maria  di  Petroja  nel  territorio 
castellano,  sebbene  alcuni  autori , 
tra'  quali  Pompilj-Olivieri,  //  Sena- 
to Romano,  a  pag.  178,  dicano 
che  morisse  in  Paterno  della  Cam- 
pagna romana.  Dai  militi ,  divisi 
nella  regione  superiore  del  conta- 
do, si  ripete  la  narrata  fondazione 
di  Borgo  s.  Sepolcro.  Successo  all' 
imperatore  Enrico  IV,  nel  1106, 
Enrico  V  suo  figlio,  recandosi  egli 
in  Italia,  democratizzò  Città  di  Ca- 
stello verso  l'anno  i  i  1 2  ;  ed  i  suoi 
cittadini  assunsero  libero  governa- 
mento  con  consoli  ed  un  rettore, 
il  quale  in  seguito  si  chiamò  pode- 
stà dipendente  dal  potere  legislativo 
della  civica   magistratura. 

Poco  dipoi,  nel  1127,  Onorio  li 
creò  Cardinale  Guido  o  Guidone 
di  Città  di  Castello,  che  per  la  sua 
profonda  scienza  fu  appellato  Mae- 
stro Guido  de'  Castelli,  e  lodato  da 
Ottone  di  Frisinga  come  sommo  in 
lettere  e  in  pietà^  per  cui  era  sta- 
to scrittore  apostolico  di  Calisto  li, 
e  da  lui  fu  ordinato  suddiacono. 
Dalla  diaconia  di  s.  Maria  in  Via 
Lata,  passò  al  titolo  presbiterale  di 
s.  INIarco,  e  come  descrive  il  succi- 
tato Borgia,  nel  tomo  III  alle  pa- 
gine 112,  1145  '^^  6  '^9?  f" 
prescelto  da  Innocenzo  li  per  lega- 
to al  re  di  Sicilia  Ruggiero  nel 
I  i36,  per  descrivergli  com'era  pro- 
ceduta la  sua  esaltazione,  e  l'insor- 
to scisma  dell'antipapa  Anacleto  II. 
Dipoi  il  Pontefice  Innocenzo  II  an- 
dò a  Benevento  nel  iiSg,  ove  a- 
vendo  annullato  quanto  vi  aveva 
fatto  l'antipapa,  perchè  la  città  ab- 
bisognava d'un  nuovo  governatore 
o  rettore,  diede  tal  importante  ca- 
rico a  Guido,  che  Falcone  chiamò 
virum  valde  discretum,  et  moribus 
ornatum,  e  governò  tranquillamen- 
te il  ducato  sino    al    primo   giorno 


9.4o  CIT 

di  marzo  dell  anno  1140,  in  cui 
fece  rilorno  in  lloma,  lasciando  la 
relloiia  di  Tiencvcnto  a  Giovanni 
suddiacono  delia  santa  romana  Chie- 
sa, pcrsonai;j^io  cospicuo  per  meri- 
to, e  parente  d'Innocenzo  If.  Que- 
sli  r  inviò  poscia  lej^ato  a  Lotario 
li,  e  in  Fi-ancia  per  gravissimi  af- 
fari, e  per  di  lui  morte  gli  succes- 
se col  nome  di  CclcsLiiio  II  (^P'cdi), 
con  gran  compiacenza  de' beneven- 
tani, e  di  Città  di  Castello.  Ma 
incnlre  i  suoi  concittadini  andavano 
giustamente  lieti  di  vedere  iP pri- 
mo Cardinale  conci ttatliiio  divenuto 
sovrano  Pontefice,  dopo  cinque  mesi 
e  tretlici  giorni  di  pontificato,  in  cui 
creò  nove  Cardinali ,  ne  compian- 
sero la  perdita. 

Gli  successe  Lucio  II,  nel  11 44^ 
che  accolse  sotto  la  protezione  di 
s.  Pietro  la  nuova  repubblica  di 
Città  di  Castello,  per  lieve  tributo, 
come  risulta  da  sua  bolla  esistente 
nell'archivio  comunale.  Il  di  lui 
immediato  successore  Eugenio  III, 
temendo  le  impertinenze  degli  Ar- 
naldisti,  a' 4  niarzo  i  146,  partì  da 
P>oma,  passando  a  Città  di  Castello 
a'  9  aprile,  siccome  si  ha  dal  JVo- 
Taes,  Storia  de'  sommi  Pontefici,  to- 
mo III,  pag.  70.  Intanto  lo  stato 
libero  della  città  venne  conservato 
con  bolla,  pure  da  Alessandro  III, 
salva  la  ricognizione  dell'alto  domi- 
nio, cioè  di  un  denaro  per  fuoco  ; 
ma  Federico  I,  Barhawssa,  sino 
alla  apertura  della  pace  con  detto 
Papa,  la  quale  segui  nel  1177,  do- 
minò la  repubblica  di  Città  di  Ca- 
stello, ed  esigette  l'annuo  censo  di 
trenta  marche  di  argento.  Ceduta 
questa  al  proprio  fratello  Filippo, 
che  altri  dicono  figlio  e  poi  impe- 
ratore nel  1197,  col  tlucato  di  To- 
scana, ne  solili  un  governo  dispoti- 
co spogliatorc  fino  alla  sua  parten- 


CIT 

za  dall'  Italia.  A  Federico  I  succes- 
se nell'impero,  l'anno  1190,  Enri- 
co \  I,  suo  figlio,  che  si  mostrò  be- 
nefico colla  città,  dichiarandola  li- 
bera ed  imperiale,  siccome  consta 
da  diploma,  e  da  pergamena,  esi- 
stente il  primo  nell'archivio  del  co- 
mune, la  seconda  in  quello  della 
catlcdiale.  Dopo  la  di  lui  morte, 
avvenuta  nel  i^.o8,  rimase  la  città 
in  istato  di  repubblica,  sotto  l'alto 
dominio  della  santa  Sede,  benché 
gli  succedesse  nell'  impero  nel  12  12, 
il  suo  figlio  Federico   II. 

Nel  1243  fu  creato  Papa  Inno- 
cenzo IV,  mentre  eranvi  gravi  ver- 
tenze tra  la  sede  apostolica,  e  Fe- 
derico II.  Confidando  il  Papa  nel- 
lantica  amicizia,  che  avea  con  quel 
principe,  aflìne  di  pacificarlo  colla 
Chiesa,  a' 7  giugno,  come  nella  sua 
vita  dice  il  Novaes,  si  trasferì  in 
Città  di  Castello,  per  trattare  con 
Ini,  che  dimorava  a  Terni,  una  pa- 
ce stabile;  ma  venendo  in  cognizio- 
ne che  l'imperatore  meditava  di 
tendergli  insidie  dopo  di  aver  di- 
moiato diecinove  giorni  nella  città, 
senza  più  attendere  l'imperatore, 
Innocenzo  IV  si  recò  in  Sutri,  don- 
de recossi  in  Francia.  Per  la  ripu- 
tazione poi  che  Città  di  Castello , 
col  crescere  in  potere,  erasi  procac- 
ciata dal  secolo  XII,  e  che  si  man- 
teime  ne' successivi  XIII  e  XIV,  di- 
versi marchesi,  e  feudatari  si  assog- 
gettarono alla  sua  repubblica,  cui 
Federico  I,  Enrico  VI,  e  Federico 
II  avevano  dichiarata  repubblica 
imperiale  di  protezione,  con  mero, 
e  misto  comando,  e  con  potestà  di 
spada  ;  per  lo  che  glie  ne  deriva- 
rono onorevoli  ambascerie  anche  di 
grandi  potentati,  distinte  considera- 
zioni, non  che  leghe  ed  alleanze 
c.(A\c  primarie  repubbliche,  ricono- 
scendone più   tardi   la  nobiltà  gene- 


CIT 

rosa  l'inclito  Ordine  gerosolimitano. 
Anche  gl'imperatori  Ottone  IV,  e 
Ludovico  //  Bavaro  esercitarono  il 
loro  dominio  su  Città  di  Castello , 
che  soiTri  le  prepotenze  delle  arma- 
te fazioni  de'  Guelli  e  Ghibellini,  e 
quelle  dei  capi  delle  diverse  fazioni. 

Correndo  l'anno  iSsS,  mentre  i 
Papi  risiedevano  in  Avignone  ,  e 
l'Italia  era  divisa  dalle  mentova- 
te fazioni,  questa  città  improv- 
visamente venne  occupata  da  Pier 
Saccone  di  Pietra -mala,  che  ne 
soppresse  la  liberlà ,  sinché  il  po- 
polo nel  i334  ricuperolla  coli' aiu- 
to de' vicini.  Quindi,  verso  il  iSGg, 
Urbano  V  concedetle  alla  città  il  do- 
minio in  vicariato  perpetuo;  ma 
nel  1371,  per  artifizio  di  ministri 
francesi,  che  esercitavano  il  potere 
per  Gregorio  XI,  tornò  sotto  1'  as- 
soluto dominio  pontificio.  A  Peru- 
gia fu  mandato  da  Avignone  per 
governatore  Gherardo  du  Puy,  cu- 
gino del  Papa,  abbate  benedettino 
del  monistero  maggiore  di  Tours, 
che  poi  nel  iSyS,  fu  creato  Cardi- 
nale. Questi  pel  suo  imprudente 
contegno,  esacerbò  gli  animi,  come 
nelle  altre  provincie  faceva  il  Car- 
dinal Roberto  di  Ginevra,  poi  an- 
tipapa Clemente  VII,  siccome  nar- 
ra anche  l'annalista  P«.ainaldi  all'an- 
no 1876  numero  9.  Per  le  quali 
cose  Città  di  Castello  colle  armi 
riprese  l'autorità  del  concesso  vica- 
riato. Tuttavolta  riporta  il  Novaes, 
nella  vita  d'Innocenzo  VII,  toni.  V, 
pag.  7,  che  i  popoli-  di  Città  di 
Castello  avendo  scosso  il  giogo  del- 
la servitù  da  chi  li  tiranneggiava, 
si  assoggettaiono  interamente,  nel 
j4o5,  a  quel  Papa. 

Nel  14175  benché  Città  di  Ca- 
stello fosse  sottomessa  al  regime 
papale,  incominciò  ad  esercitare  la 
potestà  di  spada,  con  mero  e  misto 

VOI,.     XI  li. 


CIT  24r 

comando,  sul  castello  di  Rasina, 
donatole  da  Corazza  del  Monte,  sic- 
come esercitava  in  altre  terre  e  ca- 
stella. Il  vicai'iato  che  alla  città  era 
stato  confermato  da  diversi  Ponte- 
fici, terminò  quando  fu  occupata  ai 
i5  settembre  1422  dal  celebre 
Braccio  da  Montone  della  stessa 
città,  nel  pontificato  di  Martino  V. 
Non  andò  guari  che  a'  1 7  gennaio 
1428,  insorta  la  città  contro  i  Brac- 
ceschi,  li  espulse  da  essa,  dalle  roc- 
che, e  dalle  castella,  che  aveano  oc- 
cupato, e  dopo  un  anno  d' indipen- 
denza i  cittadini  riconobbero  il  su- 
premo dominio  di  Martino  V,  che 
lasciando  loro  alcune  prerogative, 
vi  spedi  un  governatore.  Sotto  Eu- 
genio IV  Città  di  Castello  fu  mo- 
lestata dalle  armi  di  Nicolò  Stella, 
per  cui  domandò  il  duca  di  Urbi- 
no per  vicario  della  santa  Sede; 
poscia  nel  i432  a  lui  si  ribellò,  e 
vedendo  che  Eugenio  IV  avea  con- 
ceduto allo  Stella  Borgo  s.  Sepol- 
cro, a  lui  si  assoggettò;  ma  alla  di 
lui  morte  si  sottrasse  dal  dominio 
de' suoi  ministri,  e  nel  i435  si  sot- 
tomise di  nuovo  all'  ubbidienza  del 
Papa  e  del  suo  governatore  median- 
te alcune  concessioni.  Indi  nel  i44*' 
i  fiorentini  ebbero  Città  di  Castel- 
lo in  vicariato,  e  nel  i44^  '^  go- 
vernatore di  Eugenio  IV  tornò  a 
dominarla. 

In  progresso  la  città  fu  lacerata 
dalle  potenti  famiglie  Giustini,  Puc- 
ci, e  Vitelli,  che  aspiravano  al  po- 
tere, e  benché  Paolo  II  nel  i468 
v'inviasse  ad  accomodare  le  gravi 
differenze  l'arcivescovo  di  Spalatro, 
questi  se  ne  partì  co'ministri  pontifici, 
senza  nulla  concludere,  lasciando  la 
città  in  balìa  di  sé  stessa,  che  per 
altro  si  governò  con  quiete.  Final- 
mente pacificatosi  Paolo  II  coi  Vi- 
telli, nel  i470>  ^i  spedì  per  go- 
iG 


242  CIT 

veinatorc  monsignor  Mazzaacolli  di 
Terni,  olire  il  podestà:  ma  i  Giu- 
slini  ,  co'  principali  loro  nllincnli, 
rimasero  esuli.  Regnando  Sisto  IV, 
la  città  si  oppose  clie  il  di  lui  ni- 
pote, Cardinal  Giuliano  della  Rove- 
re, poi  Giulio  li,  siccome  commissario 
liformatore,  vi  entrasse  coll'escrcito, 
ma  con  sole  duecento  guardie,  perchè 
quell'esercito  altrove  si  era  permes- 
se molte  licenze  e  crudeltà.  Laonde 
i  tifcrnati  non  contro  il  Papa,  ma 
contro  le  indisciplinate  milizie,  sos- 
tennero l'assedio,  comandati  da  Ni- 
colò Vitelli,  chiamato  il  Padre  della 
Patria,  per  settantanove  giorni,  fin- 
ché per  mediazione  degli  stessi  Vitel- 
li, e  del  duca  di  Urbino,  si  venne  a 
concordia .  Orso  arimincse  scrisse 
un  Commentario  di  tal  guerra,  che 
venne  stampato.  Dipoi  lo  fu  di  nuo- 
vo con  questo  titolo:  Libcr  de  Oh- 
sidione  Typhcrnatimi  anni  i474 
ex  editione  perrara  Civitalis  Ca- 
stelli anni  i538  ab  erroribiis  ex- 
purgatus  Cam  adaotationibus  D.  Do- 
minici M.  Maimi.  Extat  in  toni,  i  i 
Suppl.  Rer.  hai.  Scriptor.  Nello  stes- 
so pontificato  di  Sisto  IV,  l'anno 
1482,  per  suo  ordine  furono  esclusi 
i  Vitelli,  e  ripristinati  i  Giustini, 
mentre  Nicolò  era  commissario  del- 
le armi  fiorentine,  alleate  della  lega 
contro  il  Papa,  pei-  cui  con  esse,  a' 
1 2  giugno,  e  col  favore  del  popolo 
s'impadronì  della  città,  che  lo  ac- 
colse esultante,  proclamando  la  re- 
pubblica sotto  la  direzione  della  Fio- 
rentina. Tuttavolta  il  Vitelli  coli' 
interposizione  del  conte  Girolamo 
Riario,  nipote  di  Sisto  IV,  ottenne 
di  far  parte  dell'ambasceria,  che  la 
città  gl'inviava  per  ottenere  il  perdo- 
no, che  pure  il  Vitelli  medesimo  ebbe 
conseguito,  altresì  venendo  approvati 
i  privilegi.  I  Giustini  colla  loro  fa- 
zione mandati  furono  in  bando  ri- 


CIT 

stabilendosi  nella  città  il  governa- 
tore pontificio.  Intanto  mentre  nello 
stato  della  Chiesa  dominava  Ce- 
sare lìorgia  figlio  di  Alessandro  VI, 
esssendo  divenuto  Vitellozzo  figlio 
di  Nicolò  Vitelli,  uno  de' magistrati 
civici,  chiamati  degli  otto  della  cu- 
siodia,  ambizioso  di  dominare  ne  pro- 
fittò ,  anco  per  l'amore  che  godeva 
presso  i  cittadini,  a  segno  che  giunse  a 
signoreggiare  la  patria,  in  un  modo 
cui  mai  non  potè  esercitare  il  padre. 
Ma  avendo  Cesare  Borgia  preso  Si- 
nigaglia  il  primo  gennaio  i5o3,  Vi- 
tellozzo si  recò  da  lui  credendolo 
amico,  ed  invece  venne  a  tradi- 
mento strangolato.  Fu  allora  che  il 
Borgia  si  fece  proclamare  signore  di 
Città  di  Castello,  e  lo  fu  sino  alla 
morte  di  Alessandro  VI,  cioè  a' 18 
agosto,  ritornando  Città  di  Castello 
alla  santa  Sede,  sotto  Giulio  II,  del- 
la Rovere.  Non  si  ha  memoria  negli 
archivi  civici  che  alcun  Papa  siasi 
recato  a  questa  città,  e  se  dicemmo 
più  sopra  che  due  sommi  Pontefici 
la  visitarono,  lo  abbia m  fatto  colla 
autorità  di  Novaes.  Tuttavolta  si  pre- 
tende che  dopo  il  tremendo  sac- 
cheggio di  Roma ,  nell'  anno  se- 
guente 1028,  Clemente  VII  da 
Orvieto  passasse  in  Città  di  Ca- 
stello ,  donde  si  recò  a  Firenze 
pernottando  nel  palazzo  dei  Vitelli. 
Il  suo  predecessore  Leone  X  accor- 
dò gran  privilegi  alla  città,  C  la  tol- 
se dalla  soggezione  della  legazione 
di  Perugia,  facendola  governare  da 
un  prelato. 

Altri  avvenimenti  rimarchevoli  non 
presenta  la  storia  di  Città  di  Castello 
jestata  sempre  fedele  alla  domina- 
zione papale.  S.  Pio  V  dichiarò  go- 
vernatore della  città  il  Cardinal  Sci- 
pione Rebiba,  di  Messina,  encomiato 
per  zelo,  e  per  consiglio  ;  ed  essendo 
morto  nel   iS'jj,  Gregorio  XIII  ne 


CiT 

lece  governatore  il  proprio  nipote 
Cardinal  Filippo  Boncompagno,  che 
avea  amplissima  giurisdizione  per  tut- 
to lo  stato  ecclesiastico,  e  morì  nel 
i586,  coll'elogio  di  diligente  nelle 
sue  attribuzioni.  Il  menzionato  san 
Pio  V  con  bolla  che  conservasi  nel- 
l'archivio comunale,  nel  confermare 
a  Città  di  Castello  le  particolari  sue 
prerogative,  mantenne  comune  coi 
Pontificii  governatori,  la  facoltà  le- 
gislativa nel  civico  magisti-ato  sino 
al  decreto  di  morte,  esonerandola 
dalla  dipendenza  ai  Cardinali  lega- 
ti. Nel  i585,  e  negli  anni  seguen- 
ti, Sisto  V  emanò  parecchie  costi- 
tuzioni, colle  quali  prese  providenze 
pel  governo  della  città.  Quindi  la 
città  venne  governata  da  distinti 
prelati,  ai  quali  nel  corrente  secolo 
furono  sostituiti  governatori  laici.  Gli 
ultimi  governatori  prelati  furono  nel 
1798,  Antonio  Burini  milanese,  e 
nel  1809,  Gio.  Pio  Liberati.  Nel- 
le vicende  del  1799,  e  nelle  suc- 
cessive sotto  Pio  VII  la  città  soffri 
ciò  che  ebbe  a  provare  Tintero  sta- 
to ecclesiastico  per  l' effimera  re- 
pubblica ,  e  per  la  straniera  inva- 
.sione  che  valorosamente  si  volle  af- 
frontare, provocando  però  così  le  vio- 
lenze, e  il  saccheggio  cui  patirono 
anche  i  pacifici  cittadini. 

La  luce  del  Vangelo  fu  predica- 
ta in  Tiferno  ne' primi  secoli  della 
Chiesa,  quindi  si  propagò  e  si  dif- 
fuse maggiormente  dopo  il  glorioso 
martirio  sofferto  nei  primi  del  seco- 
lo terzo  da  s.  Crescenziano  cavalie- 
re romano.  Il  di  lui  corpo  da  Urbi- 
no, di  cui  è  protettore,  nel  1 068  ven- 
ne traslatato  a  Città  di  Castello,  che 
lo  venera  nella  cattedrale  come  pre- 
cettore nella  fede.  Il  suo  seggio  ve- 
scovile è  antichissimo  ed  immedia- 
tamente .soggetto  alla  santa  Sede. 
Nel  concilio   romano   del    4^3,    ce- 


CIT  243 

lebrato  sotto  il  Pontefice  s.  Ilaro,  vi 
si  sottoscrisse  il  vescovo  Eubodio.  Ne' 
successivi  concili  romani  si  leggono 
i  nomi  dei  vescovi  col  titolo  di  Ti- 
fano Tiberino,  i  quali,  analogamente 
a  quanto  si  disse  di  sopra,  o  a  cagione 
del  tempio  della  Felicità,  ovvero  sotto 
i  longobardi,  assunsero  quello  di  Ca- 
stello  della  Felicità,  finche,  dopo  il 
secolo  X,  si  chiamarono  vescovi  ca- 
stellani, ossia  di  Città  di  Castello; 
tuttavolta  negli  atti  pubblici  eccle- 
siastici continuano  a  chiamarsi  ve- 
scovi di  Tiferno,  col  qual  titolo 
monsignor  Costantino  Bonelli  si  sot- 
toscrisse al  concilio  di  Trento. 

La  chiesa  Tifernate  venera  per 
protettore  il  concittadino  s.  Florido, 
che  ne  fu  pur  zelante  pastore,  sino  a 
meritare  lodevole  menzione  da  Pa- 
pa s.  Gregorio  I  nel  lib.  IX  de'suoi 
Dialoghi,  cap.  i3.  35.  La  chiesa 
cattedrale,  sino  al  secolo  XI,  ebbe 
il  titolo  di  s.  Lorenzo  martire;  ma 
nella  riedificazione ,  seguita  verso 
la  metà  di  quel  secolo,  fu  dedica- 
ta al  detto  s.  Florido,  venendo  ri- 
tenuto qual  titolare  s.  Stefano  .  I 
corpi  di  s.  Florido,  e  del  suo  com- 
pagno s.  Amanzio  sacerdote,  ripo- 
sano nel  sotterraneo  della  cattedra- 
le. Maestoso  è  questo  tempio,  che 
vuoisi  fabbricato  sull'antica  area  di 
quello  eretto  da  Plinio,  a  proprie 
spes^  alla  Felicità,  con  disegno  di 
Braniante  Lazzari,  e  coli' assistenza 
di  Raffaele  d'  Urbino,  secondo  il  pa- 
rere del  ÌVIancini,  Esso  è  decorato  di 
stupende  pitture  con  chiesa  sotterra- 
nea, ove  pure  si  venera  la  miraco- 
losa effigie  di  s.  Florido.  Nelle  va- 
ste sagrestie  ammirasi  un  superbo 
paliotto  d'argento,  preteso  dono  di 
Celestino  li  già  canonico  della  me- 
desima, tutto  cesellato,  e  di  tanto  pre- 
gio che  di  esso  si  legge  distinta  men- 
zione nella  Storia  delle  arti j  d'Agin- 


2  44  ciT 

coiu't,  toni.  Ili  pag.  179.  La  faccia- 
ta esterna  non  compita ,  fu  fatta 
nel  1640  dal  vescovo  Racagna,  che 
non  potè  terminarla  prima  di  mo- 
rire. Alla  porta,  che  corrisponde  di 
contro  all'episcopio,  di  architettura 
gotico-tedesca,  ovvi  un  interessante 
monumento  scolpito  in  marmo  del 
Xlli  secolo.  La  descrizione  di  que- 
sta cattedrale  fu  fatta  dall'abbate 
Filippo  Titi,  Guida  di  Roma  e  r/e- 
scrizione  del  Duomo  Tifcrnese,  Ro- 
ma 1646.  A' nostri  giorni  poi  la 
fece  il  cav.  Giacomo  Mancini,  ed  è 
inserita  nel  tomo  XXX VII,  pag. 
2q8,  e  seg.  del  Giorii.  Arcadico,  e 
si  legge  ancora  nel  citato  libro  del 
cav.   Andreocci. 

Sino  al  pontificato  di  Gregorio 
XIII,  e  nell'anno  1078,  la  chiesa 
cattedrale  fu  uffiziata  dai  canonici 
regolari  di  s.  Agostino.  11  dottissi- 
mo monsignor  Garampi  poi  Cardi- 
nale, nelle  3Iemorìe  ecclesiastiche 
della  vita  della  h.  Chiara  a  p.  275 
e  seg.,  riporta  pregevoli  documenti 
della  comune  vita  canonica  regola- 
re dei  medesimi,  che  dice  aver  tratti 
dall'archivio  del  capitolo,  per  cor- 
tesia di  d.  Domenico  de'  Pazzi,  be- 
nemerito di  quanto  appartiene  alla 
storia  di  questa  illustre  chiesa.  Le 
più  antiche  memorie  rimontano  a- 
gli  anni  104B,  1079,  e  11  io; 
e  sembra  che  fossero  della  congre- 
gazione di  s.  Frediano  di  Lucca.  Da 
esse  si  conosce  che  professava»!  la 
regola  sino  a  Leone  X,  il  quale  ve- 
dendo decaduta  l'antica  disciplina, 
sostituì  a'  canonici  regolari  i  seco- 
lari, finché  Gregorio  XIII,  col  con- 
tenuto della  bolla  Infirma,  seco- 
larizzò il  capitolo.  A'  nostri  gior- 
ni il  capitolo  si  compone  di  dieci- 
nove  canonici,  due  de' quali,  il 
prevosto  e  l' arcidiacono,  sonp  di- 
gnità in  abito   prelatizio,    con  due 


CIT 

mansionari,  e  .sedici  cappellani ,  ol- 
tre il  vicario  del  capitolo  detto  san- 
tese,  il  quale  esercita  le  funzioni  di 
parroco  nella  stessa  cattedrale.  Da 
ultimo  l'arcidiacono  Cesarei  Leoni, 
la  cui  prebenda  è  di  patronato  del- 
la nobile  famiglia  Andreocci,  fu  fat- 
to Cardinale  da  Pio  VII.  Sono  poi 
a  mentovarsi  le  chiese,  di  s.  Dome- 
nico, de'  religiosi  domenicani  (  del 
qual  convento  il  Fontana,  De  roiii. 
prov.,  fa  r  istoria  ) ,  di  santa  Cate- 
rina ,  di  s.  Maria  IMaggiore,  di  s. 
Francesco  dei  conventuali,  della  Ma- 
donna delle  Grazie  dei  serviti ,  di 
s.  Cecilia,  della  .ss.  Trinità,  di  s. 
Pietro  de'  Filippini ,  di  s.  Agostino 
delle  Salesiane,  del  Gesìi,  ed  altie. 
Oltre  i  summentovati  autori,  nel 
1687  pubblicò  in  Todi  JNicolò  Uar- 
bioni.  Diario  per  sapere  tutte  le  fe- 
ste, che  si  celebrano  nelle  cinquan- 
tatrc  chiese  di  Città  di  Castello,  le 
reliquie  ed  i  corpi  santi,  che  in  es- 
se si  conservano. 

Tra  i  vescovi  Tifernati,  secondo 
rUghelli,  hanno  il  titolo  di  santi  Flo- 
rido, Alberto  martire,  ec.  :  inoltre  ha 
il  titolo  di  beato  Ijutiuso  Buccio,  che 
si  aggregò  all'  Ordine  de'  gesuati , 
quando  il  fondatore  di  esso  B.  Gio. 
Colombino  da  Siena  si  recò  a  Città 
di  Castello.  II  detto  vescovo  viene 
riconosciuto  per  beato  dui  p.  Mo- 
rigia ,  Paradiso  de'  Gesuati,  lib.  Ili, 
cap.  3  ;  dal  Jacobilli ,  de'  beati  e 
santi  dell'  Umbria;  e  dal  p.  Angelo 
Conti  cappuccino ,  ne'  Fiori  vaghi 
delle  vite  de'  santi,  e  beali  delle 
chiese,  e  reliquie  di  Città  di  Castel- 
lo, le  reliquie  ed  i  corpi  santi,  rlie 
in  esse  si  conservano.  Città  di  Ca- 
stello  1627. 

I  vescovi  poi,  che  furono  creati 
Cardinali,  sono  Bandcllo  Bandelli 
veneziano,  e  patrizio  di  Pvoma,  fat- 
to   da  Gregorio    XII;    Antonio    di 


e  IT 

Fabiano  Ciocchi  del  Monte ,  della 
diocesi  di  Arezzo  creato  da  Giulio 
li,  e  zio  di  Giulio  111;  e  Achille 
de'  Grassi  boiogncsc  pur  creato  da 
Giuho  li.  Nel'iSSB  Clemente  VII 
ne  fece  amministiatore  il  veneto 
Cardinal  IMarino  Grimani;  e  Giulio 
HI  nel  i554  Vitellozzo  Vitelli  di 
Città  di  Castello,  che  Paolo  IV  nel 
1 557  creò  Cardinale ,  e  fu  degno 
dell'  intima  amicizia  di  s.  Carlo  Bor- 
romeo. Le  biografie  di  ognuno  si 
riportano  ai  rispettivi  articoli  del 
Dizionario.  7^.  Francesco  Ignazio 
Lazzari,  Serie  de'  vesroi'i  e  breve 
notizia  di  Città  di  Castello,  Foli- 
gno 1698;  e  rUghelli  Italia  sagra 
t.  I,  col.  i3i6,  e  t.  X,  col.  34^, 
iiov,  ediz. 

La  diocesi  tifernate  ebbe  Ire  no- 
tabili dismembramenti  ;  il  primo 
quando  Giovanni  XXII,  colla  bolla 
Vigilis  specidatoris  qffìcium ,  data 
a'  19  giugno  1825,  eresse  il  vesco- 
vato di  Cortona ,  a  cui  incorporò 
le  due  pievi  di  Biibbiano,  e  di  Fas- 
sano.  11  secondo  allorché  Leone  X, 
colla  bolla  Praeccellcnti  praecrnincn- 
tia  sanctac  Sedis.  data  a'  20  set- 
tembre i5i5,  eresse  in  sede  epi- 
.scopale  Borgo  s.  Sepolcro,  con  tutte 
le  pievi  esistenti  nel  dominio  tosca- 
no. Il  terzo  quando  Urbano  Vili, 
colla  lìolla  Cani  niiper,  istituì  i  ve- 
scovati di  Urbania,  e  s.  Angelo  in 
Vado,  distaccando  dalla  diocesi  Ca- 
stellana la  terra  di  Mercatello,  pa- 
tria di  s.  Veronica  Giuliani,  e  l'ab- 
bazia di  Lamole.  Ora  la  diocesi  di 
Città  di  Castello  conta  circa  tren- 
tacinque mila  anime,  tre  mila  delie 
quali  sono  nello  stato  toscano.  I  ze- 
lanti vescovi  celebrarono  vaii  sino- 
di, l'ultimo  de'  quali,  come  riporta 
l'ab.  Bellomo  Confili,  della  storia. 
del  crisf.  pag.  24^5  to"i-  ^  5  "el 
1818  si  tenne  da  monsignor  Fran- 


CIT  24j 

Cesco  Antonio  Mondelli  romano.  In 
essi  si  trattarono  importanti  argo- 
menti sì  disciplinari,  che  dommatici. 
Nella  città  vi  sono  sette  moni- 
steri  di  monache ,  e  quattro  nella 
diocesi.  Evvi  inoltre  l'ospedale  pe- 
gl'  infermi,  coli'  annesso  conservato- 
rio per  gli  orfani,  e  proietti  ;  pio 
stabilimento  che  si  deve  a  Pio  VI, 
ed  all'  attività  di  monsignor  Gaz- 
zoli,  poi  Cardinale,  in  parte  colle 
rendite  di  alcune  confraternite.  V'a- 
veano  altri  pii  istituti ,  che  furono 
soppressi.  Vi  sono  pure  l'istituto  di 
carità  pe'  fanciulli  miserabili  d'am- 
bo i  sessi,  il  monte  di  pietà,  e  due 
istituti  per  r  educazione  della  gio- 
ventù per  le  fondazioni  Fuccioli,  e 
Segapoli ,  per  non  dire  di  altre. 
Monsignor  Gio.  Antonio  Fuccioli 
di  Città  di  Castello,  che  morì  nel 
1628,  e  fu  sepolto  in  Roma  nella 
chiesa  del  Gesù,  istituì  in  delta  cit- 
tà un  collegio  per  dodici  giovani, 
otto  de'  quali  doveano  csseie  con  ■ 
cittadini,  e  da  lui  prese  il  nome  di 
Fuecioli,  ma  riunendovi  Pio  VI  il 
collegio  Umbro  fu  detto  Unihro- 
Fiiccioli.  Di  esso,  non  che  delle  no- 
mine degli  alunni ,  fa  menzione  il 
Piazza,  Opere  pie  di  Roma  p.  271, 
là  dove  parla  del  collegio  Fuceioli 
in  borgo  s.  Agata  a'  Monti.  Per  le 
note  vicende  esso  più  non  esiste,  e 
colle  rimaste  rendite  si  conferiscono 
pensioni  a'  castellani  del  seminario, 
e  del  pubblico  liceo,  e  ad  altri,  come 
meglio  dicesi  all'articolo  Collegio 
Fuccioli.  Delle  pie  istituzioni,  e  dota- 
zioni del  benemerito  Fuccioli,  trat- 
ta il  Bicci,  nella  Notizia  della  fami- 
glia Bo(capadtdi,ix  p.  336,  parlando 
di  Francesco  Boccapaduli ,  che  In- 
nocenzo X  fece  vescovo  di  Città  di 
Castello;  della  quale  il  Bicci  a  p.  761 
ci  porge  pure  diverse  notizie.  Il  se- 
minario è  vm'ampia  e  maestosa  fab- 


2 46  e  IT 

brica  ;  vi  era  un  collegio  pei  no- 
bili, ma  ora  è  soppresso,  per  le  vi- 
cende de'  tempi. 

Lungo  poi  sarebbe  qui  riportare  i 
grandi  uomini,  che  fiorirono  in  Città 
fli  Castello,  per  scienza,  valore,  digni- 
tà, e  santità.  Solo  ci  limiteremo  ad 
accennare,  che  da  ultimo  il  regnante 
Pontefice  ha  solennemente  canoniz- 
zato s.  Veronica  Giuliani,  il  cui  cor- 
po si  venera  nella  chiesa  di  s.  Chia- 
la  delle  cappuccine ,  per  cui ,  nel 
settembre  1841,  la  città  celebrò  so- 
lennissime  feste  descritte  nel  Sup- 
plimento  (lei  Diario  di  Roma,  n.  77. 
In  tal  occasione  il  eh.  cav.  Andreoc- 
ci  pubblicò  Due  f^ioriii  in  Città  di 
Castello,  con  succinto  discorso  sul- 
la canonizzazione  de'  santi,  cioè  la 
traduzione  di  quello  bellissimo  di 
Enrico  di  Bonald  ;  e  il  eh.  avv.  Pie- 
tro Castellano  diede  alla  luce  1'  E- 
logio  di  s.  Veronica  Giuliani,  con 
due  inni  di  Assunia  Pieralli,  Lore- 
to 1841.  A  quest'ultimo  piacque 
alla  pag.  27  di  far  benigna  men- 
zione del  mio  articolo  sulla  Cano- 
nizzazione, inserito  in  questo  Dizio- 
nario. 

Per  riguardo  ai  principali  uomi- 
ni illustri  di  Città  di  Castello,  sono 
a  nominarsi  i  seguenti.  Furono  Car- 
dinali Guido  o  Guidone,  già  cano- 
nico regolai-e  della  cattedrale  poi 
Papa  Celestino  li,  di  cui  abbiamo 
superiormente  parlato.  Qui  però  ag- 
giugneremo ,  che  sotto  Clemente 
YIII,  Terni  contese  a  Città  di  Ca- 
.stello  la  di  lui  patria.  La  causa  fu 
esaminata  per  ordine  pontificio  dai 
Cardinali  Caronio,  e  Bellarmino,  e  fu 
deciso  in  favore  della  nostra  Città  ; 
come  si  può  vedere  Vita  et  gesta 
Celestini  II,  di  monsignor  France- 
sco Cabrerà,  Romae  161 3.  Gli  altri 
Cardinali  sono  Vitellozzo  de  Vitel- 
lozzi  0  Vitelli,   di  cui  parlammo  di 


CIT 

sopra  ;  Giambattista  Gabrielli,  crea- 
to nel  1699  da  Innocenzo  XII  ;  e 
Giovanni  Ottavio  Bufalini,  crealo 
nel  1766  da  Clemente  XIII.  Ven- 
gono poi  considerati  come  di  Città 
di  Castello  :  K.oberto  Ubaldini  nato 
in  Firenze  ;  Francesco  Maria  Casi- 
ni, nato  in  Arezzo,  come  si  ha  dal 
Cardella  nelle  Memorie  storiche  dei 
Cardinali.  Innumerabili  poi  sono  i 
generali  della  Chiesa,  delle  città,  e 
di  altri  potentati,  ed  i  guerrieri  che 
valorosamente  si  distinsero,  su  di 
che  sono  a  consultarsi  i  seguenti 
autori:  i.  Il  Gamurrini  della  Fa- 
miglia Albigini,  Ist.  delle  famiglie 
toscane  ed  umbre,  ove  parla  pure 
della  fomiglia  Bufalini  ;  2.  France- 
sco Zazzera  delia  famiglia  Vitelli, 
nella  sua  Nobiltà  d'Italia  :  3.  Gior- 
gio Marchesi,  di  Città  di  Castello, 
nella  Galleria  dell'onore,  n.  35, 
tom.  I,  ove  parla  a  lungo  delle  fa- 
miglie Borboni  del  Monte,  dei  Bu- 
falini, dei  Guelfucci,  de'  Vitelli,  ec. 
Inoltre  di  Bernardo  Oiicellario  si 
ha  r  Oralio  de  auxilio  Tiplwrnati- 
bus  adferendo,  pubblicata  in  Firen- 
ze nel  1733,  e  non  in  Londra,  co- 
me si  raccoglie  dalla  Bibliografìa 
storica  delle  città  dello  stalo  Ponti- 
Jìcio. 

•CITTA'  DUCALE.  V.  Civita  Du- 
cale. 

CITTA'  Leonina,  {Ci^-itas  Leo- 
niana^j.  Con  questo  nome  intendesi 
la  XIV  regione  di  Roma,  volgar- 
mente chiamata  Borgo,  o  Borgo  s. 
Pietro  (Vedi)  .  Essa  comprende  il 
Vaticano  [Vedi),  e  1  vicini  sobbor- 
ghi, che  i  Pontefici  Leone  III  pri- 
ma, e  Leone  IV  poi  cinsero  con  re- 
cinto di  mura  e  fortificazioni.  Tale 
recinto  cominciava  presso  le  fosse  del 
Castel  s.  Angelo  (Vedi),  dove  ora 
comincia  il  corridoio,  o  passaggio  pel 
quale  comunica  detto  forte  col  palaz- 


CIT 

7.0  apostolico,  per  cui  sino  a  questo 
ne  seguiva  randamento,  cioè  al  luo- 
go ove  fu  poi  creilo,  non  esistendo 
allora  tal  palazzo.  Di  là  saliva  il 
colle  vaticano  ,  dove  poi  fu  po- 
sta la  zecca  papale,  e  cingendo  la 
sommità  del  monte,  girava  a  po- 
nente, e  con  una  linea  retta  para- 
lella  alfaltra,  veniva  a  raggiugnore 
il  fiume  Tevere,  presso  l' ospedale 
di  s.  Spirito  in  Sassia,  e  pel  pon- 
te Elio  continuava  lungo  la  riva , 
unendosi  al  braccio  occidentale  del- 
le mura  Aureliane,  il  quale  secondo 
Procopio  dal  mausoleo  di  Adriano 
terminava  alla  riva  del  Tevere.  11  cir- 
cuito della  Città  Leonina  era  di  due 
mila  quattrocento  sedici  passi  geome- 
trici, cioè  due  miglia  e  mezzo  roma- 
ne. Però  di  questo  recinto,  che  ri- 
mase intatto  sino  al  secolo  XVI,  si 
vedono  gli  avanzi,  e  il  muro  del  sud- 
detto corridoio  ,  nella  paite  setten- 
Irionale  di  Borgo,  sopra  il  palazzo 
apostolico,  nell'attiguo  giardino  pon- 
tificio, dove  esistono  ancora  tre  tor- 
ri, dette  i  Torrioni  di  s.  Leone,  cioè 
nella  parte  boscareccia.  Tal  recinto 
ivi  si  vede  interrotto  a  cagione  del- 
l'ingrandimento  del  palazzo  vatica- 
no, incominciato  nell'anno  i4'i  da 
Giovanni  XXIII,  che  demon  a  tal 
effetto  le  mura,  e  le  torri  di  quel 
tratto  .  Di  queste  mura  esiste 
qualche  altro  avanzo,  ed  una  pic- 
cola porzione  se  ne  vede  dappres- 
so alla  porta  de'  Cavalleggieri,  che 
serve  ad  uso  del  moderno  recinto. 
Essa  si  disse  prima  del  Torrione 
dalla  torre,  che  vi  fabbricò  s.  Leo- 
ne IV. 

Sei  erano  le  porte  della  Città  Leo- 
nina, come  asserisce  l'Alveri,  Roma 
in  ogni  slato,  t.  II  p.  1 18.  L'Enea,  o 
Cornelia ,  che  congiungeva  la  Città 
Leonina  col  ponte  S.  Ans^elo  (  Ve- 
di), era     la     più  bella     di  tulle    le 


CIT  247 

altre.  Fu  essa  poi  rifatta  da  Ales- 
}>andro  \T  allorché  restaurò  Castel 
s.  Angelo,  e  fu  nominata  Enea  da 
un'antica  porta  di  rame,  ovvero  fac- 
ciata di  metallo,  che  in  quel  luogo 
era  tra  il  ponte,  e  il  castello  co- 
me una  controporta  a  fronte  della 
Città  Leonina,  da  alcuni  chiamata 
Collina  (non  però  quella  del  recinto 
Tulliano  posto  in  altra  parte),  perchè 
conduceva  ai  colli  gianiculensi .  Ma 
siccome  era  stretta,  in  appresso  lo 
stesso  Alessandro  VI  la  demoli  quando 
rese  ampia  la  via  di  Dorgo.  La  secon- 
da, e  la  tei'za  porla  erano,  se- 
condo lo  stesso  Alveri  ,  la  por- 
ta Aurelta,  e  la  porta  Trionfale,  la 
prima  dalla  parie  di  s.  Pietro,  la 
seconda  di  s.  Spirito,  che  comuni- 
cava colla  via  Aurelia,  fuori  della 
porta  s.  Pancrazio,  e  da  quel  lato 
riusciva  al  Vaticano,  come  osserva 
il  Torrigio,  Le  Sagre  grotte  Vatica- 
ne pag.  35.  Altri  sono  di  parere 
che  la  porta  Aurelia  mettesse  diret- 
tamente alla  basilica  di  s.  Pietro, 
e  perciò  nel  quinto  e  sesto  secolo 
fu  delta  porta  s.  Petri,  venendo  de- 
molita quando  Alessandro  VI  un\ 
la  città  Leonina  col  resto  di  Ro- 
ma. La  porta  Trionfale  fu  detta 
sancta,  via  sacra,  via  marlyruni,  et 
carraria  sancta^  oggi  via  di  Borgo 
vecchio,  è  così  si  appellò  pel  giaa 
numero  de'martiri,  che  per  quel  si- 
to passavano  allorché  erano  condot- 
ti al  circo  ed  orti  di  Nerone  per  es- 
sere martirizzati.  Si  chiamò  Trion- 
fale, perchè  da  questa  porta,  pon- 
te ,  e  via  il  trionfatore  si  avviava 
al  tempio  di  Giove  Capitolino,  co- 
me afferma  il  citato  Alveri  a  p.  i56. 
Su  questa  porta  è  a  vedersi  il  Fon- 
tana, Templum  Valicanum  pag.  ^\. 
Dal  ponte  sino  alla  basilica  vaticana 
la  strada  era  ricoperta  da  un  porti- 
co per  Ijanda  lungo  circa  due    mi- 


o.  |H  C  I  T 

la  cinquecento  piedi,  che  ingrandi- 
ti e  restaurati  da  Adriano  I,  furo- 
no poi  atterrati  dai  barbari  e  dal- 
le t'azioni.  Da  quei  portici  prese 
la  denominazione  un  tempo  la  chie- 
sa di  s.  Giacomo  a  Scossacavalli, 
che  si  disse  in  Portico.  Si  chiama- 
lono  ambedue  portici  mcigi^iori,  per 
distmguerli  dal  portico  avanti  alla 
basilica.  La  quarta  porta  fu  detta 
Postcrula  de'Sassoni,  dalla  scuola  e 
collegio  di  tal  nazione  presso  s.  Spi- 
rito, e  verso  la  porta  di  tal  nome 
chiamata  Postemla  dalla  sua  pic- 
colezza, ovvero  dal  nome  d'uno  dei 
principali  fra'Sassoni.  Secondo  il  Can- 
cellieri, Mercato,  pag.  24 1,  antica- 
mente chiamavasi  colle  voce  Poste- 
mia  una  porta.  Quando,  come  dire- 
mo, s.  Leone  IV  benedi  le  mura 
della  citta  Leonina,  si  fermò  a  que- 
sta porta,  per  recitare  l'orazione  : 
Praesta,  rjuaesiimus  Domine,  etc.  Si 
chiamò  anche  Porta  Nuova,  ne' prin- 
cipi dei  secolo  XV.  Da  essa  si  an- 
da%'a  alla  via  poi  chiamata  Lungara, 
incominciata  da  Alessandro  VI ,  e 
compita  da  Giulio  II.  La  quinta 
porta  si  chiamò  di  s.  Pellegrino; 
ed  era  presso  la  presente  Porta  An- 
gelica, così  chiamandosi  dalla  vicina 
chiesa  nel  quartiere  della  guardia 
svizzera  pontifìcia.  Si  disse  pure  di 
Bch-edere  e  Giulia ,  da  Giulio  II 
che  la  fece  restaurare.  Si  chiamò  dei 
Nibbi  nel  principiare  del  secolo  XV, 
finché  prese  il  nome  di  Angelica  pei 
due  angeli,  che  sopra  vi  fece  porre  Pio 
IV  (che  in  avanti  avea  nome  Gian- 
nangelo),  con  l'iscrizione;  Angelis  suis 
mandavit  de  te,  ut  custodiant  te  in 
omnibus  viis  tuis,  etc.  Finalmente  la 
sesta  porta  della  Città  Leonina  era 
quella  piccola  di  s.  Angelo,  detta 
})ur  anco  Postemla,  ov'è  oggi  la 
cortina  di  Castel  s.  Angelo,  poi  detta 
Porta  Castello,  dal  lato  del  borgo  Pio. 


CIT 

Ma  sulle  porte  e  mura  delki  Cit- 
tà Leonina,  va  letta  lu  dottissima 
Dissertazione,  Delle  mura  e  porte 
del  Praticano  di  Stefano  Piale,  in- 
serita nel  tomo  IV,  p.  27.3  degli 
Atti  della  Pont.  Accad.  Romana 
di  Archeologia.  Egli  parla  della  via 
Cornelia,  che  partendo  dalla  porta 
di  Aureliano  di  tal  nome,  entrava 
nella  via  Trionfale,  e  salendo  pel 
clivo  di  Cinna  sul  monte  Mario,  si 
congiungeva  colla  via  Cassia.  Dice 
inoltre  che  delle  suddette  sei  por- 
te, sole  tre  debbonsi  attribuire  a  s. 
Leone  IV,  e  parla  della  Porta  Pa- 
lata, detta  ancora  Porta  Vaticana, 
perchè  in  uso  ai  soli  abitanti  di  pa- 
lazzo, demolita  da  Pio  IV,  con  al- 
tre interessantissime,  e  critiche  no- 
zioni. 

Le  vicinanze  del  Vaticano,  e  l'a- 
rea che  costituisce  la  Città  Leonina, 
non  furono  abitate  dai  Romani  essen- 
do in  luogo  basso,  e  perciò  non  rac- 
chiuso nelle  mura  dell'antica  Pioma. 
Vennero  dipoi  popolate  quelle  vici- 
nanze da  tutte  le  nazioni,  cioè  quan- 
do vi  fu  sepolto  il  principe  degli 
apostoli,  sul  quale  Costantino  Ma- 
gno eresse  una  basilica  degna  di  lui. 
Dopo  le  invasioni  dei  goti,  dei  lon- 
gobardi, e  di  altri  barbaiù,  divenu- 
ti i  R-omani  Pontefici  signori  asso- 
luti di  Roma  e  del  suo  ducato,  pro- 
curarono garantirsi  dalle  incursioni 
de'Saraceni,  i  quali  rimontando  il 
Tevere,  sbarcavano  ne  luoghi  subur- 
l)ani,  e  vi  commettevano  orribili  de- 
predazioni, particolarmente  alle  ba- 
siliche di  s.  Paolo  nella  via  ostien- 
se, e  di  s.  Pietro  nel  Vaticano.  Laon- 
de Papa  s.  Leone  III,  che  regnò 
sino  all'anno  8i6,  per  testimonian- 
za del  Torrigio  summentovato,  co- 
minciò a  cingere  la  basilica  vati- 
cana di  solide  mura,  e  di  bastioni 
anche  dalla  parte  del  Tevere.  Quin- 


CIT 

l'.j,  a  cogione  di  sua  morte,  l'opera 
jiiuase  impcrfclta.  Avvenne  l'anno 
84*3,  che  essciulo  Papa  Sei'gio  II,  i 
saraceni  che  allora  tenevano  la  Si- 
cilia, approdassero  ai  lidi  romani,  e 
montassero  il  Tevere  fino  a  Roma. 
rSon  potendo  entrare  in  città,  die- 
dero il  guasto  al  circondario ,  e 
saccheggiarono  le  basiliche  di  s.  Pie- 
tro, e  di  s.  Paolo,  le  quali,  come 
dicemmo,  erano  fuori  delle  mura,  e 
perciò  prive  d'ogni  difesa.  S.  Leone 
IVj  che  successe  a  Sergio  II,  a  pre- 
venire simili  barbarie,  stabilì  di  man- 
dare ad  effetto  il  compimento  delle 
fortificazioni  e  della  chiusura  della 
basilica  vaticana  e  suoi  sobborghi,  che 
erano  stati  dai  saraceni  incendiati  in 
un'altra  scorreria,  nella  quale  s.  Leo- 
ne IV  pieno  di  fiducia  nel  patrocinio 
della  B.  Yei'gine,  mentre  dalle  fiam- 
me venivano  distrutti,  si  presentò 
nei  borghi  coU'immagine  di  quella 
che  si  venera  nella  basilica  liberia- 
na, e  col  segno  della  croce  tosta- 
mente fece  cessare  l'incendio.  Tale 
avvenimento  fu  da  Ptatlaello  reso 
più  celebre  col  suo  pennello  nelle 
camere  vaticane. 

A  compiere  pertanto  quelle  forti- 
ficazioni ordinò  s.  Leone  IV  che  da 
tutte  le  città  del  ducato  romano,  da 
tutti  i  poderi  dei  proprietari,  e  per 
sino  da  ogni  luogo  fossero  inviate 
molte  migliaia  di  persone.  Con- 
concorsero all'opera  i  napoletani  , 
r  imperatore  Lotario  I,  e  i  suoi 
fratelli  con  molto  argento.  Poscia 
il  coraggioso  Pontefice,  radunato  un 
corpo  di  milizie,  neir84o  si  i-ecò 
ad  Ostia,  ove  vinse  e  disperse  l'ar- 
mala de' saraceni,  restandone  parte 
in  ischiavitìi.  Leone  IV  rese  utile  la 
sua  vittoria  facendo  lavorare  nel- 
le fortificazioni  di  Roma  e  del  cir- 
condario vaticano  quelle  mani 
stesse,    che    avevano  procurato    di- 


CIT  2 49 

struggerlo.  Il  lavoro  progredì  con 
sollecitudine,  con  costruzione  di  o- 
pera  mista  di  pietre  e  calce,  il  qual 
lavoro  fu  poscia  denominato  alla 
saracinisca .  Sembra  che  ciascuna 
squadra  di  lavoranti  notasse  in  la- 
pide di  marmo  il  lavoro  esegui- 
to, giacché  due  di  tali  iscrizioni  scrit- 
te con  caratteri  irresfolari  si  ve"- 
gono  tuttora  affisse  nell'  arco  e- 
retto  da  Pio  IV  al  principio  della 
strada,  che  dal  colonnato  di  s.  Pie- 
tro conduce  alla  porta  Angelica;  ar- 
co edificato  in  sostituzione  di  un 
pezzo  di  queste  mura  medesime  al- 
lora abbattuto.  Quattro  anni  durò 
la  costruzione  di  questo  recinto,  che 
ha  dato  origine  ad  una  parte  nobi- 
lissima di  Roma,  ed  al  sontuosissimo 
Vaticano,  che  venne  cosi  posto  al 
coperto  da  ogni  aggressione,  racchiu- 
dendolo in  murato  limite  oltre  quello 
del  Tevere,  sul  quale  confina  il  bor- 
go s.  Spirito.  Leggiamo  nel  Torri- 
gio,  a  pag.  5?.  3,  che  Leone  IV  fab- 
bricò nel  detto  recinto  vaticano  qua- 
rantaquattro torri ,  grandi  e  solide, 
oltre  a  quindici  per  le  mura  di 
Roma  ch'erano  cadute,  e  che  i  mer- 
li erano  i444-  Di  questi  non  ne  ri- 
mase alcuno,  e  delle  torri  esistono 
le  sole  quattro  surricordate.  Compito 
si  vasto  lavoro,  Leone  IV  volle  far- 
ne egli  slesso  la  solenne  dedicazione 
il  dì  27,  o  28  giugno  dell'anno  85^, 
benedicendo  le  mura,  le  torri,  e  le 
porte  con  acqua  benedetta,  avendo- 
ne coi  Cardinali,  e  col  clero  fatto 
a  piedi  nudi  e  in  processione  tutto 
il  giro.  Secondo  Anastasio  Bibliote- 
cario, per  tal  occasione  Leone  IV 
compose  l' orazione  :  Deus,  qui  b. 
Pelro  collatis  clavibus.  Vuoisi  però 
che  il  Papa  vi  adattasse  solo  alcu- 
ne parole  relative  alla  circostanza, 
che  poi  furono  tolte,  rimanendo 
esse  nella  forma    che   sono   oggidì^ 


25o  CIT 

pcrdit;  sono  [)iìi  antiche,  trovandosi 
nel  sagraraonlario  di  s.  Gregorio  I, 
tomo  ni  Opere  col.  ii3  e  ii4- 
11  Labbé,  Condì,  t.  VIH,  col.  i3 
e  19,  le  riporta  come  le  recitò 
licone  IV.  P^.  il  Zaccaria  nel  suo 
y^iitifebronias  vindicatus,  tom.  Il, 
dissert.  IV,  cap.  VI,  p.  i53  e  scg., 
ove  eruditamente  se  la  prende  con- 
tro il  filippino  Pereira  per  quel- 
lo che  riguarda  la  suddetta  ora- 
zione. 

Finalmente  s.  Leone  IV  chiaraiS 
tutti  quei  luoghi  che  aveva  racchiusi 
<U  sobborghi  alla  basilica  Vaticana, 
<ol  nome  di  Città  Leonina  o  Leo- 
ninna,  e  vi  pose  dei  corsi  ad  abi- 
tarla, che  dalla  loro  isola  erano  sta- 
ti cacciati  dai  saraceni,  con  alcune 
terre  per  sostentarsi.  Pertanto  la 
nuova  città  fu  abitata,  oltre  che  dai 
l'omani,  dai  francesi,  dai  sassoni, 
dai  frisoni,  dagli  illirici;,  dagli  schia- 
vi, e  da  altre  nazioni  che  eressero 
.scuole,  abitazioni,  ed  ospizi  presso 
la  tomba  di  s.  Pietro,  come  si  può 
vedere  all'articolo:  Chiesa  o  basili- 
ca PATRIARCALE  DI  S.  PlETRO  I.\  VA- 
TICANO. Non  deve  occultarsi  che  la 
t.ittà  Leonina  fu  detta  anche  Città 
Nuova,  e  si  legge  Civitns  noha , 
idest  nova,  in  alcuni  istroraenti  dei 
pontificati  di  Benedetto  IX,  Giovan- 
ni XIX,  Gregorio  VII,  e  Pasquale 
II.  Che  la  suddetta  porta,  s.  Petri 
fosse  chiamata  anche  Leoniaiia,  lo 
afferma  il  Torrigio  p.  4*^4)  ^  4o''> 
ove  riporta  i  vei'si  che  si  leggeva- 
no su  tal  porta,  con  altre  notizie 
analoghe.  Aggiungiamo  poi  col  Pla- 
tina, F'ila  di  s.  Leone  IP^,  che 
questi  pose  altrettante  orazioni  su 
tre  porte  della  Città  Leoniana,  che 
pure  riporta,  cioè  su  quella  di  san 
Pellegrino,  su  quella  px-esso  Castel 
s.  Angelo,  e  su  quella  detta  Poster- 
la  dal    lato    della   scuola  de' sassoni. 


CIT 

Da  ciò  sembra  seguire  il  Platina  il 
parere  di  quelli  che  fecero  menzio- 
ne di  tre  sole  porte  della  Città 
Leonina.  Le  orazioni  contenevano 
preghiere  a  Dio  perchè  difendesse 
la  città  dalle  insidie,  e  dalle  forze 
de' nemici. 

Che  il  medesimo  s,  Leone  IV 
affidasse  la  giurisdizione  ecclesiasti- 
ca della  Città  Leonina,  al  Cardinal 
vescovo  suburbicario  delle  ss.  Ruf- 
fìna  e  Seconda,  o  Selva  Candida  , 
(  sedi  che  poi  furono  unite  a  quel- 
la di  Porto);  che  le  chiese  della 
Città  Leonina  fossero  soggette  alla 
basilica  Vaticana  ;  che,  cessata  la  giu- 
risdizione ecclesiastica,  passasse  nel 
Cardinal  vicario,  oltre  a  quanto  ri- 
guarda la  detta  basilica,  si  è  detto 
agli  articoli  Chiesa  di  s.  Pietro  in 
Vaticano,  e  Borgo  di  Roma,  ove  si 
descrivono  eziandio  i  sei  borghi  che 
lo  compongono.  Ivi  si  dice  che  la 
legione  in  progresso  si  appellò  Bor- 
go, e  si  riportano  gli  autori,  i  qua- 
li scrissero  della  Città  Leonina ,  0 
Borgo  (  nome  che  prevalse  forse 
quando  Alessandro  VI  nel  tagliare 
i  muri  divisorii,  unì  la  regione  al 
resto  di  Roma),  giacché  era  com- 
posta di  sei  lunghi  borghi,  con  al- 
trettante strade.  Ora  passiamo  a  di- 
re le  principali  cose,  che  possono 
riguardare  la  Città  Leonina.  Secon- 
do il  Muratori,  Dissertazioni  sopra 
le  antiehità  italiane,  tom.  I,  p.  ^'ii, 
sembra  che  anche  Papa  Giovanni 
Vili  dell' 872,  si  adoperasse  per 
compiere  la  Città  Leonina.  Certo  è 
che  Giovanni  Vili  mosso  da  nobi- 
le gara^  restando  esposta  alle  rube- 
rie de' saraceni  l'insigne  basilica  di 
s.  Paolo  fuori  di  Roma,  la  cinse  di 
mura,  bastioni,  e  porte,  ordinando, 
che  questa  nuova  città  si  chiamasse 
dal  suo  nome  Giovannopoli.  Cosi 
il  Muratori  a  pag.   ^^ii.  Su   di  che 


CIT 
va  letto  quanto   dicemmo  intorno  a 
Gìo\>annopoli,  al  voi.  XII,  pag.  21  r 
del  Dizionario. 

S.  Gregorio  VII  nel  ro8r  per- 
seguitato da  Enrico  IV  per  la  ver- 
tenza delle  investiture  ecclesiastiche, 
fu  da  lui  assediato  nella  città  Leo- 
nina: ma  i  romani  con  piccolo  drap- 
pello, con  tal  valore  il  difesero,  che 
Enrico  IV  lasciandovi  alcuni  solda- 
ti all'  assedio,  si  partì  col  nerbo  del- 
l'esercito per  la  Lombardia  per  op- 
porsi a  quello  della  contessa  Ma- 
tilde, che  difendeva  il  Papa.  Quindi 
nel  1  084  tornò  Enrico  IV  in  Roma, 
che  prese  colle  sue  genti,  assediò  il 
Papa  in  Castel  s.  Angelo;  ma  te- 
mendo i  soccorsi  poderosi  che  in 
di  lui  favore  conduceva  il  norman- 
no Roberto  Guiscardo,  levò  l'asse- 
dio al  Castello,  ed  abbandonando 
Roma,  devastò  in  parte  il  recinto 
della  Città  Leonina ,  per  renderlo 
inutile  al  nemico  ,  e  trovarvi  più 
facile  l'accesso  al  suo  ritorno,  sicco- 
me erasi  proposto.  Nel  secolo  se- 
guente, e  nell'anno  i  i55  quando 
Federico  I,  Barharossa,  si  portò  in 
Roma  per  ricevere  dalle  mani  di 
Adriano  IV  la  corona  imperiale;  il 
Pontefice,  per  metterlo  al  coperto 
de' suoi  emoli,  fece  occupare  dalle 
di  lui  truppe  la  Città  Leonina,  e  i 
confini  della  basilica  vaticana.  IMa 
succedendo  ad  Adriano  IV  il  Pon- 
tefice Alessandro  III,  insorse  l'an- 
tipapa Vittore  IV,  dall'  imperatore 
difeso  colle  armi.  Fece  il  simile  col 
di  lui  successore  l'antipapa  Pasqua- 
le III.  Difatti  nel  i  167  avendo  l'e- 
sercito di  Federico  I  debellato  quel- 
lo romano  alle  falde  del  Tuscolo, 
passò  ad  accamparsi  sul  Monte  Ma- 
rio, donde  si  recò  all'assalto  della 
Città  Leonina,  di  cui  si  rese  padro- 
ne; per  cui  Alessandro  III  dovette 
anzi    rifugiarsi    nelle    case    dei    po- 


CIT  aTi 

lenti  Frangipani  presso  il  Colosseo; 
e  dai  nemici  stretta  di  assedio  la 
basilica  Vaticana,  fu  d'uopo  che  chi 
la  difendeva  dopo  una  settimana  la 
cedesse  Però  vedendo  Federico  l 
le  difficoltà  di  ridurre  i  romani  al- 
l' ubbidienza,  e  temendo  il  contagio 
che  allora  afìliggeva  la  città ,  partì 
da  essa. 

All'  articolo  Conclave  si  dice 
quando  incominciò  ad  essere  esso 
celebrato  nella  Città  Leonina,  pres- 
so la  basilica  di  s.  Pietro.  Il  pri- 
mo Papa,  che  ivi  nuovamente  ven- 
ne eletto  dopo  l'assenza  de'  Pontefici 
Avignonesi,  fu  Urbano  VI  creato  nel 
1378.  Così  intorno  alla  custodia  di 
detto  conclave,  ch'era  devoluta  al 
maresciallo  del  conclave ,  e  al  go-^ 
vernatore  del  conclave ,  già  eletto 
dal  sagro  Collegio,  cui  successe  il 
maggiordomo  prò  tempore,  sono  a 
vedersi  quegli  articoli.  La  custodia 
del  conclave  per  l'elezione  di  Ur- 
bano VI  fli  affidata  dai  Cardinali, 
prima  che  vi  si  racchiudessero,  a 
soggetti  particolari,  come  si  ricava 
da  queste  parole  di  una  relazione 
mss.  :  »  His  peractis,  et  ordinata 
'•»  per  dd.  Cardinales,  tam  palatii 
»  s.  Petri,  quam  Rurgi  cjusdem  Vi- 
>'  da  custodia,  deputatisque  eliam 
"  custodibus  conclavis  ut  moris  est". 
In  tempo  di  sede  vacante,  nella 
Città  Leonina,  o  Roigo,  comandava, 
e  vi  esercitava  la  giurisdizione  il 
governatore  del  conclave,  rimanen- 
do vacante  la  carica  di  governatore 
di  Rorgo,  di  cui  in  progresso  par- 
leiemo. 

Dal  numero  58o  del  Diario  di 
Roma  del  172 1,  in  cui  era  sede  va- 
cante per  morte  di  Clemente  XI,  si 
ha,  che  una  compagnia  di  pescivendi, 
di  coronari,  e  del  rione  Regola,  con 
bandiera  spiegata  accompagnarono  il 
principe  Chigi,  maresciallo  del  con- 


■j.  7  j  C I  T 

clave,  cli'i'ra  preceduto  dal  suo  gon- 
falone, sino  al  Valicano;  eh  e  il  go- 
vernatore di  Borgo  e  del  conclave, 
monsignore  Ruspoli,  il  quale  si  creò 
in  sede  vacante,  in  segno  della  sua 
piena  giurisdizione  ,  fece  piantare 
sulla  piazza  valicaiia  un  trave  colla 
corda  e  le  forche;  e  che  alle  sei 
ore  di  notte  fu  chiuso  il  conclave. 
Nella  sede  vac;inte  per  morte  di 
Ijonifacio  IX,  ed  elezione  di  Inno- 
cenzo VII  nel  i4o4  {il  fjuale  era 
stato  governatore  del  conclave  per 
la  esaltazione  del  suildetto  Urbano 
\i),  gravi  luimdti  naccpiero,  per- 
chè i  romani  profittando  dello  sci- 
sma volevano  scuotere  il  giogo  mo- 
iiarcliico.  ]Ma  al  nuovo  Pontefice, 
con  capitolato  (\c  l'j  ottobre,  riu- 
scì quietare  i  turbolenti.  Fra  le  co- 
se stabilite  giova  qui  rammentare, 
che  la  costodia  de'  ponti  fuori  di 
Roma,  e  di  qualunque  porta  della 
città,  meno  il  ponte  IVIilvio,  e  me- 
no la  porta  della  Città  Leonina  ri- 
servala al  Papa,  tenere  si  debba  dai 
romani.  Ciò  prova,  che  abitando  i 
Pontefici  al  Vaticano,  volevano  es- 
sere indipendenti  nella  comunica- 
zione esterna  pel  ponte  anzidetto 
cui  conduce  la  porta  Angelica,  e 
che  esclusivamente  nella  Città  Leo- 
nina non  volevano  ammettere  ve- 
run'  ombra  di  amministrazione  sud- 
delegata.  Ad  onta  di  ciò  i  romani 
non  si  mostrarono  ubbidienli  al  be- 
nefico Innocenzo  VII,  che  anzi  es- 
sendosi a  lui  ribollati,  forni lono  pre- 
testo al  re  di  Napoli  Ladislao ,  il 
«juale  agognava  alla  dominazione 
di  Roma,  di  andai-e  colle  sue  trup- 
pe in  aiuto  del  Papa.  Intanto  il 
popolo  montò  in  maggior  furia  per 
la  strage  fatta  da  Ludovico  Miglio- 
rati, nipote  d'Innocenzo  VII,  di  al- 
cuni romani  che  fece  passare  a  fìl 
di  spada  nel  suo  palazzo    a  s.  Spi- 


CIT 

rito  in  Sassia,  per  cui  il  Papa  si 
ritirò  in  Viterbo.  In  tal  epoca  il 
re  era  ritornato  a  Napoli;  ma  ap- 
pena sentì  i  nimori  de'  romani,  e 
che  Giovanni  Colonna  avea  occupali 
i  sobboi'ghi  di  s.  Pietro  e  del  pa- 
lazzo Valicano,  sembrandogli  essere 
questa  l'occasione  di  occupare  Ro- 
ma, vi  spedì  Peretto  conte  di  Troja 
con  un  forte  esercito ,  il  quale  fu 
ricevuto  dai  congiurati,  e  ammesso 
ne'  contorni  della  stessa  Città  Leo- 
nina ,  ma  non  potè  penetrare  in 
Roma  dalla  parte  del  ponte  di  s. 
Angelo.  Il  perchè  pensò  bene  di  ri- 
tirarsi, come  fece  il  Colonnese,  nel- 
l'avvicinarsi  che  facevano  le  truppe 
papali. 

Ladislao,  sotto  pretesto  di  pro- 
teggere Gregorio  XII,  o  di  prende- 
re le  parti  di  Giovanni  XXIII ,  a 
cagione  dello  scisma  ,  trovò  nuova 
occasione  di  occupare  Roma ,  cui 
per  altro  fortemente  travagliò,  mas- 
sime la  Città  Leonina,  e  la  basilica 
vaticana,  che  furono  oltremodo  dan-. 
neggiale  dalle  sue  armi  ;  tristi  vi- 
cende che  si  leggono  nel  Diario  di 
Antonio  di  Pietro  benefiziato  vati- 
cano, il  quale  ne  fu  testimone.  Fra 
le  altre  cose  racconta,  che  nel  i4o6 
non  fu  più  libero  il  passaggio  del 
Ponte  s.  Angelo  (f^edij  per  recarsi 
alla  basilica  per  Città  Leonina,  se  non 
in  alcuni  giorni  di  tregua.  Nel  i4o8, 
tanto  si  avanzarono  le  ostilità,  che 
nella  basilica  si  tralasciarono  le  fun- 
zioni sagre,  e  gli  abitanti  della  cit- 
tà Leonina  molto  soffrirono.  Quin- 
di carestia,  saccheggio,  ed  altre  ca- 
lamità afflissero  questa  regione,  ri- 
sentendone cotanto  il  capitolo  vati- 
cano, che  meno  i  più  zelanti  e  co- 
raggiosi, gli  altri  abbandonarono  la 
basilica,  per  cui  i  canonici  si  adu- 
navano nella  loro  chiesa  di  s.  Tom' 
maso  in  Formisj  per    far   capitolo. 


e  IT 
Molli  abitavano  nel  luogo  conli- 
guOj  perchè  le  case  presso  la  cano- 
nica erano  state  devastate,  e  la  ca- 
nonica era  sempre  in  pericolo.  Nei 
1 4 1 1  si  vide  però  risplendere  qual- 
che raggio  di  pace,  per  cui  il  Car- 
dinal arciprete  della  basilica  di  s. 
Pietro,  chiamando  il  capitolo  alla 
puntuale  intervenzione  a'  divini  uf- 
ficii,  bruciò  i  registri  delle  punta- 
ture  ,  considerandosi  esse  solo  va- 
canze in  tempi  di  guerra ,  e  in 
tali  circostanze  che  non  si  potea 
senza  pericolo  della  vita  non  solo 
passare  per  la  Città  Leonina,  ma 
soggiornare  nel  Vaticano.  Incomin- 
ciata poi  di  nuovo  la  guerra  di 
Ladislao,  essendo  fuggito  Giovanni 
XXIII  a  Viterbo,  nel  i4i3,  prin- 
cipiarono di  nuovo  i  saccheggi  nella 
Città  Leonina,  e  nella  della  basilica, 
e  morto  a'  3  agosto  i4i4  i^  i'^  > 
la  Città  Leonina  respirò  alquanto, 
meno  le  prepotenze  di  alcuni. 

Divenuto  Pontefice  nel  14' 7  Mar- 
tino V,  Roma  e  l'Italia  riebbero 
pace.  Nel  suo  pontificato  Nicolò  Si- 
gnorile contò  nella  Città  Leonina 
esistere  quarantaquattro  torri,  e  mil- 
le quattrocento  quarantaquattro  mer- 
li. Sotto  Eugenio  IV,  che  nel  i43i 
successe  a  Martino  V,  racconta  il 
Martorelli,  Stona  del  clero  P'alica- 
iio  pag.  i55,  che  la  basilica  era  ri- 
dotta per  le  domestiche  ed  esterne 
occupazioni  in  povertà  ;  il  borgo  vi- 
cino alla  basilica,  dopo  i  suindicati 
disastri,  era  rimasto  quasi  senza  abi- 
tatori, eh'  erano  passati  ad  abitare 
quartieri,  i  quali  si  credevano  piìi  si- 
euri.  Questa  emigrazione  fu  al  clero 
vaticano  dannosa  per  due  motivi , 
cioè  perchè  le  case  del  Borgo,  os- 
sia Città  Leonina  (ch'erano  in  gran 
parte  proprietà,  come  lo  son  anco- 
ra, della  mensa  capitolare)  non 
rendevano  alla  medesima  alcun  fiut- 


C 1 T  2  53 

to,  e  andavano  rovinando;  e  perchè 
essendo  la  popolazione  del  borgo  di» 
minuita,  diminuivano  ancora  le  obla- 
zioni nella  basilica.  Eugenio  IV,  per 
ripopolare  il  borgo,  erindennizzare  il 
capitolo  di  questi  pregiudizii,  confer- 
mò nel  14^7  con  bolla  che  si  leggo 
nel  Bull.  Rom.  t.  II,  pag.  i68,  le 
amplissime  esenzioni  e  privilegi  ac- 
cordati già  dal  Cardinal  Giovanni 
\  itelleschi  suo  legato  apostolico,  a 
chiunque  fosse  tornato  a  soggiornare 
nel  borgo  medesimo. 

Nicolò  V,  d'animo  grande,  di- 
visava rendere  pivi  decorosa  la  città 
Leonina  pei  grandi  e  singolari  pre- 
gi, che  in  sé  racchiude,  col  dividerla 
con  tre  vie,  le  quali  andassero  a 
terminare  alla  basilica  di  s.  Pietro, 
cioè  una  alla  piazza  ove  voleva  eri- 
gere l'obelisco,  che  poi  innalzò  Sisto 
V,  l'altra  al  palazzo  apostolico,  la 
terza  dalla  parte  del  Tevere,  e  del- 
l'ospedale di  s.  Spirito,  ornandole 
tutte  con  portici,  loggie,  botteghe, 
e  case  pegli  artefici,  non  che  nobili 
palazzi  ed  altri  edifizii.  Voleva  pure 
rifabbricare  la  basilica  di  s.  Pietro, 
le  abitazioni  de'  canonici,  riedificare 
il  palazzo  pontifìcio  con  vasto  quar- 
tiere per  alloggiarvi  decorosamente 
i  principi  che  recavansi  in  Roma  ; 
per  dare  altresì  abitazione  conve- 
niente per  tutti  i  Cardinali,  oiliire 
un  luogo  corrispondente  alla  funzio- 
ne della  coronazione,  ed  altro  pe- 
gli uffiziali  di  palazzo ,  e  di  Roma, 
co'  notari  e  loro  tribunali,  come  si 
legge  nell'Alveri  t.  II,  p.  ii5,  eia 
Giannotto  Manetti  autore  contem- 
poraneo, nella  Vita  di  quel  Ponte- 
fice presso  il  Muratori,  Scrip.  Rer. 
Ilal.,  t.  Ili,  par.  II,  pag.  9 3 5.  IMa 
mentre  il  magnanimo  Nicolò  V  , 
coir  opera  di  Bei'nardo  Rosseliini  , 
tutto  avca  disposto  per  mandare  ad 
elfetto    sì     grandiose     e    magnifiche 


254  CIT 

idee,  la  morte  il  rapì  nel  i  j^^  ? 
laonde  solo  edificò  due  torri  al  giar- 
dino papale,  e  due  piccole  sul  pon- 
te di  s.  Angelo.  A  Sisto  IV,  nel- 
l'anno santo  i74'>)  tlo'jl^'^^io  parte 
del  borgo,  e  l'  aperliu-a  della  strada, 
che  dal  suo  nome  si  chiamò  allora 
Sistina,  e  poi  s.  Angelo  dalla  chiesa 
di  tal  nome. 

Ad  Alcssaiulro  VI  la  Città  Leo- 
nina deve  la  strada,  che  ora  chia- 
masi Borgo  nuovo,  ed  allora  Ales- 
sandrina, nonché  l'erezione  di  nuo- 
ve fabbriche,  l'alzamento  delle  vec- 
chie, che  essere  dovevano  non  me- 
no di  sette  canne,  come  si  legge 
nel  Marini  Ardi.  Foni.  t.  I,  pag.  817, 
e  la  demolizione  di  quelle  mura,  che 
la  segregava  da  Roma  nel  modo 
che  dicemmo  piìi  sopra.  Siccome 
nel  luogo  ov'  è  ora  la  Chiesa  di  s. 
Maria  in  Traspondna  [P^edi),  una 
delle  prime  chiese  della  regione,  al- 
lora esisteva  una  Meta,  o  piramide 
di  marino  bianco,  già  sepolcro  dei 
Scipioni  diverso  da  quello  a  porta 
S.Sebastiano, il  medesimo  Alessandro 
VI  la  fece  demolire  per  rendere  diritta 
e  libera  la  strada.  Coi  marmi  vi  fu 
lastricato  il  pavimento  della  basilica 
vaticana,  come  abbiamo  dal  Marti- 
nelli, dal  Vasi,  e  da  altri  archeolo- 
gi. Riferisce  il  Torrigio,  a  p.  igS, 
che  tal  piramide  o  Meta  era  altis- 
sima ,  e  che  precisamente  esisteva 
nell'ingresso  del  borgo  dove  Paolo 
V  eresse  il  fonte,  venendo  chiamata 
impropriamente  sepolcro  di  Romo- 
lo, e  dal  canonico  Benedetto,  Tere- 
binto di  Nerone,  per  un  albero  di 
tal  nome  eh'  eravi  dappresso.  Dice 
egli  ancora  che  la  maggior  parte 
de'suoi  marmi  erano  già  stati  impie- 
gati da  Papa  Dono  I,  o  Domnione, 
del  676,  a  lastricare  il  cortile  o 
atrio  chiamato  paradiso,  della  basi- 
lica  vaticana.  In  questa   Meta  tutti 


CIT 

gli  autori  convengono  che  i  cano- 
nici di  s.  Pietro  tenevano  alcuni 
soldati  per  difesa  della  basilica,  i  quali 
erano  pagati  con  ima  pr(;bcnda  ca- 
nonicale ,  chiamata  porzione  della 
Mela,  fissata  sino  da  Nicolò  III, 
e  che  terminò  dopo  la  demolizione 
dell'  edificio.  Aggiungiamo  poi  col- 
l'Alveri,  che  da  detta  Meta  sino  al- 
la chiesa  di  s.  Pietro  per  la  indi- 
cata via  più  volte  furono  corsi  dei 
palli,  ne'  giorni  dopo  le  feste  di  Na- 
tale. Alessandro  VI,  nel  i499>  '"" 
Iraprese  la  fabbrica  di  detta  sti-ada 
perchè  servisse  nell'anno  santo  i5oo, 
ed  invitò  il  popolo  romano  a  fab- 
bricarvi abitazioni,  concedendo  a  tal 
elfetto  molti  privilegi;  poscia  Giu- 
lio II  nel  i5o5  lastricò  tutta  la 
strada  Alessandrina,  e  fu  quello  che 
incominciò  la  riedificazione  della  ba- 
silica Vaticana  nel  modo,  che  con 
istupore  si  ammira. 

Il  di  lui  successore  Leone  X,  fra 
le  altre  cose  concedute  al  capitolo 
vaticano,  confermò  il  diritto  di  esi- 
gere da'  mercanti  e  da'  giocolieri 
della  piazza  di  s.  Pietro  le  pensioni 
od  affitti  de'  luoghi  che  occupavano, 
e  che  da  qualche  anno  si  erano  ap- 
propriate ingiustamente  i  soldati  sti- 
pendiati, che  custodivano  il  palazzo 
apostolico.  In  quel  tempo ,  e  nel 
fìorentissimo  pontificato  di  Leone  X, 
mediante  la  pace  riacquistata,  il  gu- 
sto degli  spettacoli  dalle  guerre  in- 
terrotto, si  era  nuovamente  eccita- 
to negli  animi  de'  romani  sempre 
tiasportati  alle  pubbliche  rappre- 
sentazioni. Quindi  è  che  frequen- 
tissime divennero  nelle  pubbliche 
piazze  le  farse  de'  ciarlatani,  che 
trattenevano  il   popolo. 

Ma  non  tardò  molto  a  cangiarsi  la 
scena.  Il  Papa  Clemente  VII,  cugi- 
no di  Leone  X  vide  due  volte  sac- 
cheggiata la  città  Leonina,    il  prò- 


CIT 

pilo  palazzo  vaticano;  la  basilica  di 
s.  Pietro,  le  case  de'  Cardinali ,  le 
chiese  di  Roma,  iu  una  parola  tutta 
la  città  dal  pi  li  tremendo  eccidio. 
La  guerra  dell'  imperatore  Carlo  V 
con  Francesco  I  le  di  Francia  fu 
al  Pontefice  funesta  per  essersi  al- 
leato col  secondo. 

I  Colonnesi  pei  primi ,  uniti  ad 
Ugo  Moncada,  viceré  di  Napoli  per 
Carlo  V,  nel  1 526  incominciarono 
la  guerra,  dichiarata  da  Carlo  a 
Clemente  VII.  A'  20  settembre,  o 
a'  26  di  tal  mese,  come  dice  il 
maesti'o  di  cerimonie  Biagio  Baro- 
ni, nel  Diario  lib.  I,  cap,  85,  i  ne- 
mici sorpresero  il  Borgo  nuovo,  e  iu 
un  al  palazzo  vaticano  lo  saccheggia- 
rono, non  risparmiando  la  cappel- 
la e  sagrestia  pontifìcia,  né  la  ba- 
silica vaticana.  Ed  il  Guicciardini, 
nel  lib.  XVII ,  dice  che  entrarono 
nel  Borgo  nuovo ,  ne  saccheggia- 
rono la  terza  parte ,  non  proce- 
dendo più  oltre  per  timore  delle 
artiglierie  di  Castello  ove  per  iscam* 
par  la  morte  erasi  ritirato  Cle- 
mente \  li ,  che  però  fu  costretto 
capitolare,  ed  accettare  la  tregua , 
la  quale  durò  bi-evissimo  tempo. 
Nel  seguente  anno  1527  mar- 
ciò all'  assedio  di  Roma  ,  con  qua- 
rantamila uomini  ,  Carlo  contesta- 
bile di  Borbone,  il  quale  fidavasi 
nella  sua  vana  astrologia ,  e  nelle 
false  predizioni  di  Cornelio  A  grip- 
pa che  avealo  assicurato  che  le  mu- 
ra di  Roma  sarebbono  cadute  ai 
primi  assalti  di  lui;  ma  mentre  si 
accingeva  per  la  via  della  Lunga- 
ra,  verso  la  porta  Posterula  de'  sas- 
soni (oggidì  s.  Spirito)  a  dare  l'as- 
salto alla  Città  Leonina,  fu  colpito 
dietro  le  reni  da  una  palla  ramata 
per  l'archibugiata  che  gli  avea  ti- 
rato Francesco  Yalentini  romano , 
non    Bernardino  Passeri ,    come    si 


CIT  255 

pretende  rilevare  dall'  iscrizione  po- 
sta sul  campanile  della  chiesa  di 
s.  Spirito.  Borbone  miseramente  mo- 
rì nella  cappelletla  della  beata  Ver- 
gine Maria  del  Rifugio  ove  se  ne 
legge  la  men)oria,  fuori  di  porta 
Cavalleggieri.  Sul)cntrò  al  com.indo 
deli'  esercito  il  luterano  principe 
d'Oranges,  e  la  capitale  del  cristia- 
nesimo fu  presa  a'  6  maggio.  la 
tal  infausta  giornata;  si  portò  egre- 
giamente Camillo  Orsini  in  difen- 
dei e  Borgo  e  il  Vaticano  ;  ma  so- 
praffatto dal  nemico,  si  ritirò  colla 
famiglia  a  Spoleto.  Clemente  Ali 
erasi  recato  in  Castel  s.  Angelo , 
ove  rimase  assediato  sino  a'  9  di- 
cembre. L'  inimico  entrò  in  Roma 
anche  pel  ponte  Sisto,  pose  a  sac- 
co le  abitazioni  de'  cittadini,  ne  uc- 
cise molte  migliaia,  e  commeltendo 
ogni  sorta  di  scelleratezze,  rubò  piìi 
di  sei  milioni  d'oro,  come  da  allu- 
ni è  calcolato.  Quanto  soffrissero  la 
Città  Leonina,  e  le  parti  adiacenti 
al  Vaticano,  facile  é  il  congettu- 
rarlo. 

Siccome  le  mura  della  Città  Leo- 
nina erano  state  fatte  quando  non 
si  conosceva  né  la  polvere,  ne  l'u- 
so delle  artigliere,  sì  le  mura  che 
le  torri  non  potevano  resisterne  al- 
l' urto,  e  perciò  facilmente  veniva- 
no superate.  Volendo  Paolo  III  ri- 
mediarvi, e  cingere  il  Vaticano  di 
nuove  mura,  ne  commise  il  cUsegno 
e  l'esecuzione  ad  Antonio  da  San- 
gallo  :  ma  egli  mentre  eseguiva  il 
lavoro,  avendo  contrastato  avanti 
Paolo  III  col  Bonarroti  sul  mento 
dell'invenzione,  fu  lasciato  imperfet- 
to il  lavoro  al  bastione  di  Belve- 
dere, e  alla  porta  di  s.  Spirito  tut- 
tora incompleta.  Giulio  IH,  che  gli 
successe,  volendo  che  la  Città  Leo- 
nina, o  Borgo,  fosse  custodita  da 
un  magistrato  singolare,  nel  giorno 


2*^6  CIT 

della  sua  coronazione,  a'  2?.  febbra- 
io I .joo,  con  apostolico  breve,  creò 
il  governatore  di  Borgo  s.  Pietro 
con  ampia  autorità  sì  nel  civile  che 
nel  criminale  sino  alla  sentenza  eli 
morte,  con  carceri,  che  in  uno  al 
tribunale,  fin-ono  erette  incontro  al 
luogo  ove  fu  poi  fabbricata  la  chie- 
sa di  santa  Maria  della  Traspon- 
tina. Laonde  la  carica  divenne  as- 
sai onorifica  perchè  dai  Papi  confe- 
rita a' propri  fratelli  e  congiunti,  o  a 
qualche  gran  personaggio,  come  si 
vedrà  agli  articoli  delle  loro  fami- 
glie. Aveva  quel  governatore  ala- 
bardieri, giudici,  e  bargello  paitico- 
lari,  i  quali  insieme  con  lui  gode- 
vano la  parte  palatina,  consistente 
in  pane,  vino,  ed  altre  distribuzio- 
ni. Però,  come  si  disse,  in  sede  va- 
cante la  giurisdizione  si  devolveva  al 
prelato,  che  il  sagro  Collegio  eleg- 
geva in  governatore  del  Conclave. 
Pel  primo  governatore  di  Borgo 
Giulio  III  fece  Ascanio  della  Cornia, 
nobile  perugino,  figlio  della  sua  so- 
rella Giacoma.  Creò  Cardinale  il  di 
lui  fratello  Fulvio  della  Cornia,  ed 
entrambi  li  fece  governatori  perpe- 
tui del  Castel  della  Pieve,  oggi  Cit- 
tà della  Pieve,  con  mero  e  misto 
impero,  e  che  governarono  per  mez- 
zo de'  loro  luogotenenti. 

Pio  IV  edificò  in  gran  parte  il 
Borgo  Pio,  nome  ch'egli  stesso  gli 
die  nel  i565,  quando  l'opera  fu 
terminata.  Cinse  di  nuove  mura  la 
Città  Leonina  per  preservarla  dalle 
incursioni  de' Turchi,  che  avessero 
voluto  rimontare  il  Tevere.  Egli 
segui  il  disegno  di  Michelangelo,  agli 
8  maggio  i56i  pose  alle  fonda- 
menta la  prima  pietra,  con  alcune 
medaglie  d'  oro  e  di  argento  conia- 
te ne)  suo  pontificato.  Tuttavia  quel 
lavoro  fu  compito  dal  suo  successore 
s.  Pio  V,   il  quale,  come  alleato  della 


CIT 

sagra  lega  che  vinse  sugli  ottomani 
la  battaglia  di  Lepanto,  ad  esempio 
di  s.  Leone  IV  impiegò  nel  lavoro 
i  turchi  fatti  prigionieri.  Questo  re- 
cinto, che  presenta  gli  stemmi  dei 
due  Pii,  non  si  estese  più  avanti 
della  porta  di  s.  Spirito,  incomin- 
ciando dalle  mura  del  giardino  pa- 
pale ;  per  cui  le  porte  che  vi  da- 
vano accesso  sono,  porta  Castello  in 
oggi  chiusa,  la  porta  Angelica,  la 
porta  Perttisa  che  rimane  all'  estre- 
mità della  vigna  del  Papa,  detta 
perciò  J  iridarla,  la  porta  Fabbri- 
ca, Porta  Fornaciun,  così  appella- 
ta dalle  fabbriche  e  fornaci  di  mat- 
toni, ovvero  per  comodo  della  vi- 
cina fabbrica  della  basilica  di  s.  Pie- 
tro^ e  la  porta  Cavallcggieri  tlalla 
guardia  di  tal  nome,  che  ivi  avea 
gli  alloggiamenti. 

E  natiu-ale  conseguenza,  che  ove 
soggiorna  il  principe,  gli  abitanti 
godano  gli  ciTetti  della  sua  benefi- 
cenza, e  i  Borghigiani  in  piìi  in- 
contri il  provarono.  Una  di  tali 
occasioni  avvenne  nell'anno  i58o 
sotto  Gregorio  XIII  per  l' epide- 
mia detta  del  Castrone,  nella  qua- 
le egli  prese  particolar  cura  de- 
gl'  iniermi  che  abitavano  nella  Città 
Leonina,  cioè  da  Castel  s.  Angelo 
pei  borghi  sino  alle  dette  fornaci , 
non  che  alle  porte  Pertusa,  e  Set- 
timiana,  che  è  al  fine  della  via  an- 
ticamente chiamata  Scttignanani.  e 
dipoi  chiamata  Lungara.  A  quei 
soccorsi  non  mancavano  letti,  me- 
dici, medicinali,  e  limosine.  Il  di 
lui  successore  Sisto  V ,  col  teno- 
re della  costituzione  Ut  primuni, 
data  il  primo  novembre  1 5'6Q , 
Bull.  Rom.  tom.  IV,  pag.  278, 
aggiunse  agli  antichi  tredici  l'ioni 
di  l\oma  la  Città  Leonina  col  no- 
me di  Borgo,  che  divenne  il  XIV 
de' rioni;  le  diede  il   proprio    slem- 


CIT 

ma  gentilizio  per  insegna,  e  sino 
dal  quinto  mese  del  suo  pontificato 
ne  fece  governatore  il  nipote  Mi- 
chele Peretti,  confermandogli  la  giu- 
risdizione concessa  dalle  costituzioni 
di  Giulio  III,  e  Pio  IV  ai  gover- 
natori di  Borgo  s.  Pietro. 

Paolo  V,  colle  acque  che  riunì 
neir  acquedotto  il  quale  sbocca  a  s. 
Pietro  Montorio,  ne  dispose  in  parte 
in  favore  del  Borgo,  e  in  parte  per 
r  acqua,  che  mandò  nella  fontana 
della  piazza  Vaticana,  erigendo  due 
fontane  l' una  nella  piazza  Scossa- 
cavalli,  e  r  altra  verso  il  Castel  s. 
Angelo  neir  ingresso  del  Borgo  nel 
i6i4j  come  si  legge  dalla  iscrizio- 
ne, colla  quale  chiama  il  Borgo, 
Eegioneni  Leoninani.  Finalmente  Ur- 
bano Vili  fu  quegli  che  circondò 
di  altre  mura  la  Città  Leonina, 
giacché  non  solo  restaurò  quelle 
sulla  sponda  del  Tevere  verso  il 
1626;  ma  facendosi  più  gravi  le 
vertenze  col  duca  di  Parma  Odoar- 
do  Farnese  pel  ducato  di  Castro 
(Fedi),  nel  1642  le  risarcì,  ed  in- 
traprese un  nuovo  recinto  sulla 
ripa  destra  del  fiume,  eh'  è  appun- 
to quello,  che  oggi  la  difènde.  E 
siccome  sino  a  quell'  anno  la  Città 
Leonina  era  rimasta  separata  dalla 
città,  cioè  dalla  parte  di  Trasteve- 
re, per  r  intero  tratto  de'  colli  gia- 
nicolensi,  che  domina  la  via  della 
Lungara  (ove  alle  due  estremità  sono 
le  nominate  porte  di  s.  Spirilo  e  Set- 
timiana),  così  Urbano  Vili,  conside- 
rando la  debolezza  delle  mura  trans- 
tiberine, e  r  importanza  di  non  la- 
sciar discoperto  il  dorso  gianicolen- 
se,  costruì  un  nuovo  recinto  a  ba- 
stioni. Lo  fece  incominciare  dalla 
porta  Cavalleggieri,  ov' è  l'arma  di 
s.  Pio  V,  e  il  condusse  alla  ripa  del 
fiume  presso  porta  Portese.  Così 
rimasero  inutili  le  porte  di  s.    Spi- 

VOL.     Ì.1U. 


CIT  257 

rito,  e  Settimiana,  e  fu  lasciata  fuo- 
ri, ed  atterrata  quella  paite  di  mura 
del  l'ecinto  Aureliano,  che  giungeva 
molto  più  in  fuori,  sulla  sponda 
destra  del  Tevere.  Delle  fortificazio- 
ni e  mui-a  fatte  da  Urbano  Vili, 
e  perciò  che  riguarda  la  Città  Leo- 
nina, il  Cancellieri  nella  sua  Aria 
di  Roma,  alle  pag.  54,  55,  e  56, 
riporta  un  interessante  tratto  del 
celebi'e  Diario  di  Giacinto  Gigli,  con- 
temporaneo a  quel  Papa. 

Alessandro  VII,  col  magnifico  co- 
lonnato rese  più  bella  e  incompa- 
rabile la  piazza  di  s.  Pietro,  e  nel- 
la pestilenza,  che  sì  gravemente  af- 
flisse Roma,  affidò  la  vigilanza  sa- 
nitaria sul  rione  di  Borgo  al  pre- 
lato Roberto  di  Fabio  Accorambo- 
ni,  la  cui  famiglia  possedeva  il  pa- 
lazzo già  de'  Rusticucci  sulla  piazza 
di  questo  nome.  Il  di  lui  successo- 
re Clemente  IX,  vedendo  le  tristi 
conseguenze,  che  dei'ivavano  dalla 
moltiplicità  de'tribunali,  per  ciò  che 
riguarda  la  giurisdizione  competen- 
te, coir  autorità  della  bolla  In  hoc 
primo,  data  al  primo  settembre 
1667,  Bull.  Rom.  tom.  VI,  par. 
VI,  pag.  284,  abolì  il  governatore 
di  Borgo  e  il  suo  tribunale,  e  ne 
affidò  la  giurisdizione  a  monsignor 
governatore  di  Roma,  come  vice- 
governatore di  Borgo,  eccettuato  in 
tempo  di  sede  vacante ,  nel  quale 
il  governo  di  Borgo  apparteneva  a 
quel  prelato,  che  si  eleggeva  dal 
sagro  Collegio  per  governatore  del 
conclave  e  del  Borgo.  Dipoi  Cle- 
mente XII  volle  che  il  maggiordo- 
mo pontificio  fosse  sempre  governa- 
tore del  conclave. 

Nell'istituzione  fatta  da  Pio  VII 
dei  presidenti  de'  rioni  di  Roma,  ne 
assegnò  uno  al  rione  di  Borgo,  che  ivi 
risiede.  Lo  stesso  Pontefice  operò 
un  restauro  da  un  lato  delle  mura 
17 


7'j^  CIT 

del  giardino  valicano;  Leone  XII 
lastricò  di  selci  la  piazza  liiisticuc- 
cij  e  rinnovò  la  vaticana,  costruen- 
do dalla  parte  della  Liingara  il 
Porto  Leonino.  Da  ultimo  il  Papa 
regnante  ha  resa  piìi  comoda  e 
regolare  la  via  di  Borgo  nuovOj  ed 
ha  fatto  ristorare  ed  innalzare  la 
maggior  parte  delle  mura,  che  cin- 
gono il  giardino  papale,  non  che 
parte  di  quelle  presso  la  porta  An- 
gelica. E  seguendo  gli  esempii  degli 
ultimi  Pontefici  Pio  VI  e  Leone 
XII,  abita  volentieri  la  maggior  par- 
te dell'anno  nella  Città  Leonina,  i 
cui  abitanti  ne  festeggiano  il  pas- 
saggio con  quelle  dimostrazioni  che 
si  leggono  nei  Diari  di  Roma. 

CITTA'  NOVA  (zEmonien.).  Città 
vescovile  nel  regno  Illirico,  o  sia 
neir  Istria  ,  Civitas  novae  Istriae. 
Giace  essa  suU'  estremità  di  un  pic- 
colo promontorio  che  si  avanza  nel 
mare  Adriatico,  all'  ingresso  di  an- 
gusta baja,  presso  la  foce  del  Quie- 
to, con  porto  che  offre  sicura  sta- 
zione. Ebbe  il  suo  nome  dall'  esse- 
re fabbricata  dagli  Ungheri  con 
parte  delle  rovine  dell'antica  ^- 
monia,  altra  città  poco  distante,  e 
di  cui  tuttora  se  ne  veggono  gli 
avanzi.  Fu  chiamata  anche  Nove- 
tiiim,  e  venne  in  potere  de'  vene- 
ziani nel  1170,  o  come  altri  scri- 
vono a' 9  novembre  1270,  uè  si 
stabih  sotto  la  loro  repubblica,  se 
non  dopo  che  del  tutto  fu  estinto 
nella  provincia  il  dominio  patriar- 
cale. La  cattedrale  è  il  piìi  nobile 
edificio,  perchè  le  abitazioni  sono 
occupate  nella  maggior  parte  dai 
pescatori.  La  popolazione  si  è  non- 
dimeno alquanto  diminuita  dalla 
cattiva  influenza  del  clima. 

La  sede  vescovile  di  Città  Nova 
fu  istituita  prima  dell'  anno  5oo,  ed 
ini  suo  vescovo  assistette  sotto  Pa- 


CIT 

pa  s.  Damaso  I,  al  concilio  di  A- 
qnilcja,  al  cui  patriarcato  fu  al- 
lora soggetta.  Nicolò  V  la  uni  a 
Venezia ,  ma  poscia  il  Pontefice 
Paolo  II  la  separò,  rendendola  an- 
cora suffraganea  di  Aquileja.  Allor- 
ché Benedetto  XIV  nel  17.^1,  col- 
la bolla  InjuncL  soppresse  il  pa- 
triarcato Aquilejese,  erigendo  in  ve- 
ce i  due  arcivescovati  di  Gorizia,  e 
di  Udine,  a  questo  secondo  sotto- 
pose Città  Nuova.  Divenuto  poi  ai 
nostri  giorni  Udine  vescovato ,  la 
metropolitica  giurisdizione  di  questo 
fu  trasferita  nel  patriarca  di  Ve- 
nezia. L' ultimo  vescovo  fu  Teo- 
doro Loreto  Baldi  di  Veglia,  che 
collocato  sulla  sede  di  Città  No- 
va da  Pio  VI,  nel  concistoro  del 
primo  giugno  179^,  ne  governò 
la  diocesi  sino  al  termine  di  sua 
vita,  cioè  al  i835.  La  cattedrale 
è  ben  fabbricata,  ed  è  dedica- 
ta alla  beata  Vergine  Maria,  ed 
il  capitolo  componesi  dell'  arcidia- 
cono dignità,  e  di  quattro  cano- 
nici. 

CITTA'  NOVA  o  ERACLEA. 
Città  vescovile  d'Italia,  sulla  costa 
settentrionale  del  Golfo  di  Venezia, 
precisamente  nel  luogo  ove  la  Piave 
metteva  foce  nella  laguna.  L'anti- 
ca Eraclea  o  Eraclia  fu  distrutta 
nel  declinar  dell'  Vili  secolo,  o  nei 
primordi  del  IX,  quindi  venne  ri- 
fabbricata dal  celebre  doge  Angelo 
Partecipazio,  ignorandosi  se  nel  luo- 
go primiero,  ed  allora  fu  chiamata 
Città  Nova.  Fu  sede  per  un  tempo 
del  veneto  governo,  e  nel  IV  seco- 
lo lo  divenne  d'  un  vescovo  sulTra- 
ganeo  della  metropoli  di  Aquileja, 
finché  verso  l'anno  144^3  venne  que- 
sta riunita  a  quella  di  Grado. 
Trasportata  la  sede  ducale  a  Mala- 
mocco  ed  a  Venezia,  Eraclea  andò 
a  poco  a  poco  declinando  finché  del 


CIT 
tutto  scomparve  così  che  ora  non 
lascia  traccia  della  sua  vera  situa- 
zione. Solo  se  ne  veggono  degli 
avanzi  nei  luogo  chiamato  Dosso 
di  Città  Nuova,  cinto  da  canali 
e  paludi  formate  dal  fìumicello 
Grassaga,  fra  Torcello  e    Caorle. 

CITTA'  DELLA  Pieve  (  Civitalis 
Plehis).  Città  con  residenza  vescovi- 
le deli'  Umhria  nello  slato  Pontifi- 
cio, delegazione  apostolica  di  Peru- 
gia, chiamata  pure  Civitas  Castri 
Plebis,  perchè  un  tempo  appellava- 
si  Castel  della  Pieve.  Sorge  questa 
città  in  un'  alta  e  deliziosa  collina 
confinante  colla  Toscana,  ed  un  tem- 
po ad  essa  compresa,  attorniata  da 
un  vasto  ed  ameno  orizzonte,  su  cui 
scorgesi  al  nord  il  lago  Trasimeno, 
e  la  città  di  Cortona,  all'  est  Peru- 
gia, al  sud  Orvieto  e  Viterbo,  ed 
all'  ovest  Montepulciano.  Le  scorro- 
no intorno  il  torrente  Tresa,  che 
sboccando  nel  lago  di  Chiusi,  va  ad 
ingrossarne  l' Arno,  non  che  il  fiu- 
me Chiana  in  un  al  torrente  Astro- 
ne,  i  quali,  insieme  al  fiume  Pa- 
glia, s' imboccano  al  Tevere.  Le  sue 
mura,  fatte  a  scarpa  con  terrapie- 
ni, torri,  e  l'ivellini,  sono  dirute  in 
qualche  lato,  e  quattro  porte  a- 
pronsi  nel  recinto  d' una  lega.  Si 
divide  la  città  ne'terzieri,  o  rioni 
di  Borgodentro,  di  Castello,  e  di 
Casalino.  Ha  le  strade  in  piano  in- 
clinato. Ancora  esiste  la  sua  rocca, 
non  che  tx'e  delle  cinque  torri,  che 
la  munivano  con  ponte  levatoio  in 
vma  di  esse,  la  quale  fu  ridotta  a 
palazzo  di  residenza  del  governato- 
re dal  Cardinal  Tranense  governa- 
tore perpetuo.  Vi  furono  anco  ag- 
giunte le  carceri  criminali.  Oltre  la 
cattedrale,  edificata  su  di  un  antico 
tempio  pagano,  i  cui  emblemi  si 
veggono  al  piospetto  esterno,  vi 
sono  altre  otto  chiescj  tutte  di  bel- 


CIT  259 

la  forma,  e  tenute  con  pulitezza  e 
decoro.  Presso  la  chiesa  parrocchiale 
di  s.  Maria  de'  Bianchi,  si  vede  l'o- 
ratorio della  confraternita,  dove  si 
ammira  il  bellissimo  dipinto  affì-e- 
sco,  che  occupa  l' intera  facciata,  e 
rappresentante  il  presepio  e  l'ado- 
razione de'  Magi,  capo  lavoro  di 
Pietro  Vannucci  Pievese,  detto  il 
Perugino,  sul  quale  è  fama  che  vi 
abbia  pur  lavorato  l' immortale  Raf- 
faello suo  discepolo.  L'  antica  acca- 
demia de'  Neghittosi ,  istituita  nel 
1 590,  risorse  nel  1 8 1 4  per  lo  zelo 
letterario  di  monsignor  Filippo  An- 
gelico Becchetti  bolognese,  vescovo 
della  città,  benemerito  continuatore 
della  Storia  Ecelesiastica  del  Car- 
dinal Orsi.  Fece  dipoi  approvare  gli 
statuti  dalla  congregazione  degli  stu- 
di l'altro  vescovo  monsignor  Giu- 
liano Mami  di  Cesena,  principe  della 
stessa  accademia. 

Antichissima  è  l' origine  di  Ca- 
striim  plehis,  il  quale  si  aumentò 
dopo  la  battaglia  vinta  da  Siila 
contro  Carbone  nella  sottoposta  pia- 
nura sulla  Chiana,  85  anni  avanti 
la  nascita  di  Gesù  Cristo.  Secondo 
il  Calindri,  Saggio  Statistico  ec. , 
p.  Ili ,  si  vuole  che  i  soldati  di 
Siila  vincitori  della  fazione  di  Car- 
bone, quivi  si  fissassero,  prendendo 
abitazioni  e  possidenze  ai  vinti. 

Il  nome  di  Plebe  venne  a  questa 
città  dall'essere  la  maggior  parte 
della  colonia  romana  composta  di 
gente  plebea ,  d' altronde  potente 
in  Pioma,  convenendovi  nelle  eru- 
dite Notizie  istoriche  di  questa  cit- 
tà, e  alle  pag.  23,  e  seg. ,  Giusep- 
pe Belletti,  giustamente  lodato  dal 
eh.  Pietro  Castellano.  Né  pretenda 
alcuno,  che  con  tal  denominazione 
ne  venga  disdoro  all'  illustre  città, 
dappoiché  a  tutti  è  noto  che  nella 
antica  B-oma  molti  nobili  e  patrizi 


t>.Go  CIT 

si  ascrissero  alla  plebe,  clie  in  piìi 
incontri  per  un  reale  merito  consegui- 
rono i  primi  onori  nella  repubblica, 
per  cui  in  quc'  tempi  era  la  plebe 
grandemente  nobilitata.  Sembra  cer- 
to che  i  soldati  vincitori  destinati  da 
vSilla  ad  abitare  (jucsta  parte,  in 
premio  del  loro  valore  per  la  ri- 
portata vittoria,  ottenessero  dal  se- 
nato romano  il  diritto  di  municipio, 
di  colonia,  e  che  in  ringraziamento 
ne  facessero  secondo  l' uso,  un  sa- 
gi'ifizio  al  loro  nume  tutelare,  tra- 
mandandone la  memoria  a'  posteri 
con  una  lapide,  che  il  Brasavolo, 
Frammenti  istorici  di  Città  della 
Pieve,  ed  altri  così  lessero:  Genio. 
Municipali.  Legio.  Manilia.  Catili- 
nae.  Fautrix.  Lihavit.  L'  Orlandi 
lesse  Liheravit  nell'  illustrazione  di 
tale  lapide. 

Che  r  origine  di  Castrum  o  Ca- 
slelluni  Plehis  rimonti  ad  età  più 
remota,  lo  comprovano  gli  scavi  fat- 
ti, dove  si  rinvennero  copiose  anti- 
chità etrusche,  urne  sepolcrali,  tri- 
podi, patere,  candelabri,  e  consi- 
mili monumenti,  oltre  queUi  appar- 
tenenti   all'  epoca  romana. 

Dopo  che  Castel  della  Pieve  fu 
dominato  dai  romani,  segui  esso  i 
destini  della  repubblica,  e  dell'  im- 
pero, e  soggiacque  alle  vicende  co- 
muni alle  città  d' Italia.  E  quando 
questa  bella  regione  fu  governata  da 
Narsete  per  l'imperator  Giustino, 
permise  egli,  che  le  città  italiane  si 
governassero  co'  propri  .  statuti  e 
magistrati  civici.  Fu  allora  che  Pe- 
rugia, come  racconta  Pompeo  Pel- 
lini,  wgW  Istoria  di  Perugia,  am- 
pliando il  proprio  dominio,  ristorò  i 
circostanti  luoghi  devastati  dalle  in- 
cursioni dei  barbari,  fra  i  quali  egli 
novera  Castel  della  Pieve,  come  al- 
lora chiama  vasi.  Ne'  bassi  tempi  fu 
agitata    dalle    tremende    fazioni    se- 


CIT 
guaci  del  Papi,  e  degl'imperatori, 
distinguendosi  i  seguaci  de'  primi 
col  nome  di  Guelfi,  e  quelli  de'se- 
condi  con  quello  di  Ghibellini.  Sic- 
come tali  fazioni  in  Italia  ebbero 
diverse  denominazioni  ,  in  Castel 
della  Pieve  la  Guelfa  dicevasi  il 
partito  di  sotto,  e  la  Ghibellina , 
«piello  di  sopra. 

Lagrimevoli  furono  gli  avveni- 
menti, che  in  queste  contrade  av- 
vennero verso  l'anno  1080,  perle 
vertenze  tra  s.  Gregorio  VII,  ed 
Enrico  IV  a  cagione  delle  ecclesia- 
stiche investiture.  Nel  logr,  quan- 
do l'imperatore  pose  a  feiTo  e  a 
fuoco  i  vicini  paesi ,  Castel  della 
Pieve  fu  risparmiato,  ma  i  sanesi 
ghibellini,  nel  1099,  il  travagliarono. 
I  ripetuti  infortuni  indussero  il  ve- 
scovo ad  abbandonare  questa  sede, 
il  perchè  fu  dichiarata  Nullius  Dioe- 
cesis,  e  riunita  a  quella  di  Chiusi 
nel  I  100  da  Papa  Pasquale  II,  co- 
me riporta  Monaldo  Monaldeschi , 
Commenlarii  historici  ec. ,  lib.  18. 
Quindi  Castel  della  Pieve  nel  1170 
si  collegò  con  Orvieto,  e  nell'  anno 
seguente  vi  si  sottomise.  Ma  non 
andò  guari  che,  a  maggior  sicurez- 
za, invocò  ed  ottenne  la  protezione 
di  Perugia,  col  patto  di  non  far 
guerra  all'  imperatore  Federico  I,  e 
ad  Enrico  VI  suo  figlio.  Allora 
Castel  della  Pieve  si  governava  con 
forme  repubblicane,  ed  aveva  i  suoi 
consoli. 

Tuttavolta  sembra  che  nel  secolo 
XII  già  la  santa  Sede  vi  avesse  so- 
pra r  alto  dominio,  perchè  il  citato 
Pellini,  nel  lib.  4>  fol.  4*^6  >  dice 
che  l'imperatore  Federico  II,  nel 
1228,  occupò  molti  luoghi  della 
Chiesa  romana,  che  dichiarò  suoi, 
e  tra  questi  Castel  della  Pieve,  e 
siccome  nel  1  i3o  fu  soggiogato  dai 
Perugini,  ne  trasse    dipoi    vendetta 


CIT 
l'imperatore,  e  premiò  la  fedeltà 
de'  Pievesi  coli'  astenersi  di  occupa- 
re il  loro  territorio,  e  con  diplo- 
ma dato  a  Foligno  a'  3  gennaio 
del  1243,  ricolmò  il  castello  di 
privilegi  ed  onori,  ampliandone  no- 
tabilmente il  territorio  ;  il  perchè 
seguì  il  partito  di  sopra,  o  Ghibel- 
lino. Divenuto  podestà  di  Castel 
della  Pieve  Raniero  Bulgarelli,  si- 
gnoreggiò la  patria,  e  la  costrinse 
a  tornare  sotto  Perugia,  ciò  che 
approvarono  l'imperatore  Gugliel- 
mo, e  Papa  Innocenzo  IV  colla 
bolla,  Solet  annuente  sede  Aposto- 
lica,  data  XV.  kal.  maii  ii5i. 
Non  sussistendo  la  dominazione,  che 
i  Bulgarelli  vantavano  sul  castello , 
venne  poi  ricorso  ad  Alessandro  IV, 
ma  egli  con  bollade'2  5  febbraio!  255, 
confermò  a  Perugia  la  cessione. 

Nel  1284  volendo  il  Pontefice 
Martino  IV  da  Orvieto  recarsi  a 
Perugia,  a' 26  o  27  giugno  giunse 
in  Castel  della  Pieve,  dove  sorpre- 
so da  malattia  ivi  si  trattenne  sino 
ai  3o  di  settembre,  nel  qual  giorno 
parfi  per  Perugia  ove  morì.  Indi 
nel  1288  rinnovossi  la  confedera- 
zione con  Perugia,  la  quale  incaricò 
la  comunità  del  Castello  di  ultima- 
re la  fabbrica  della  torre  chiamata 
Beccati  quello,  di  faccia  ad  altra 
chiamata  Beccati  questo,  edificate 
sul  lago  di  Chiusi,  per  conto  dei  pe- 
rugini, che  ne  dierono  la  sorveglian- 
za ai  Pievesi.  Intanto,  nel  i3o4, 
Castel  della  Pieve  fu  onorato  della 
presenza  del  Papa  Benedetto  XI, 
proveniente  da  Acquapendente,  nel- 
la qual  circostanza  vuoisi  che  di- 
chiarasse beato  Giacomo  di  Castel 
della  Pieve  ,  dello  1'  Elimosinano, 
eh'  era  morto  santamente  a'  i  5  gen- 
naio. E  passando  poscia  il  Ponte- 
fice a  Perugia  vi  terminò  i  suoi 
gioi-ni  a' 6  luglio   i3o4. 


CIT  26r 

Verso  il  i3o6,  a  comprimere  nel 
Castello  le  fazioni,  e  per  sicurezza 
del  popolo  dalle  straniere  aggressio- 
ni, fu  per  ordine  di  Perugia  costrut- 
ta una  rocca  con  cinque  torri  ben 
munite  ;  ed  affinchè  i  Priori  dell'ar- 
te (  così  chiamavasi  il  magistrato  ) 
potessero  attendere  a'  pubblici  affari, 
fu  stabilito  che  tutti  dovessero  di- 
morare nel  palazzo  pubblico.  Nel 
I  3  I  3  fu,  ad  istanza  del  legato  apo- 
stolico di  Clemente  V,  conchiuso  in 
Castel  della  Pieve,  e  pei  guelfi,  il 
trattato  di  pace  tra  Perugia,  ed  Or- 
vieto. Nell'anno  i32o  Perugia  di- 
chiarò principal  suo  membro  il  Ca- 
stello, e  poscia  vi  spedì  governatori 
di  parte  guelfa,  la  quale  in  appres- 
so divenuta  preponderante,  nasceva- 
no tumulti  frequenti,  ad  onta  del- 
la cura  presa  da  Perugia  per  so- 
pirli. L' ultimo  dei  Papi,  che  nel 
XIV  secolo  dimorasse  in  Avignone, 
cioè  Gregorio  XI,  si  vuole  che  do- 
nasse a  messer  Giovanni  di  Siena, 
sua  vita  durante,  Castel  della  Pie- 
ve. Però  pili  probabilmente  ebbe 
luogo  tal  donazione,  compreso  Chiu- 
si ed  altri  luoghi,  in  favore  del  pro- 
prio nipote  conte  Villata  di  Lore- 
na, che  per  mezzo  di  procuratori 
ne  prese  possesso  nel  maggio  1371, 
con  grande  sorpresa  de'  Perugini. 
Ma  nel  i375,  avendo  ricuperato  il 
Castello  la  libertà,  fece  lega  e  fe- 
derazione colla  repubblica  di  Firen- 
ze, e  con  Bernabò  Visconti,  signo- 
re di  Milano,  per  cui  in  modo  ono- 
rifico fu  riconosciuto  il  suo  domi- 
nio, che  esercitava  sopra  diversi  ca- 
stelli e  terre.  Ciò  non  pertanto  non 
tralasciò  le  sue  relazioni  amichevoli 
con  Perugia,  che  l'aiutava  a  com- 
primere i  rinascenti  moti  civili,  ad 
onta  che  su  Castel  della  Pieve  Ven- 
ceslao  avesse  rinnovata  la  protezio- 
ne imperiale.  Grave   poi    fu  il   tu- 


262  CIT 

multo  tra    i  guelfi,    e    i    ghiljellini, 

colla  peggio  di  questi. 

Correndo  l'anno  i3f)3  disgustati 
i  Pievesi  per  essersi  da  Perugia 
(che  li  riguardava  quali  sudditi) 
mandato  contro  i  patti  per  pode- 
stà Pallino  Baglioni,  il  paese  si  ri- 
bellò, e  guidati  i  popolani  da  Ne- 
ruccio  d'Oddo,  assalirono  con  im- 
peto la  rocca,  proclamarono  la  li- 
bertà ,  e  si  dicrono  poi  a  Biordo 
IMicliclotti,  con  l'ajuto  di  cui  ave- 
vano fatto  una  tal  mossa.  Questi 
col  favore  del  duca  Filippo  Maria 
Visconti,  prese  il  titolo  di  Conte  del- 
la Pieve.  E  quando  fu  ampliata  la 
di  lui  potenza,  e  si  compose  Peru- 
gia con  Bonifacio  IX,  che  vi  si  e- 
ra  recato  nel  i4o3,  i  Michelotti 
dopo  avere  respinto  colle  armi  i  Pe- 
rugini, e  difeso  il  castello,  ebbero 
il  govei-no  di  Castel  della  Pieve , 
corrispondendo  alla  Camera  aposto- 
lica l'annuo  tributo  di  un  pajo  di 
fagiani.  Di  simili  tributi  parlam- 
mo all'articolo  Caccia  [F'ecli).  Ciò 
avvenne  dopo  che  Biordo  erasi  im- 
padronito di  Todi,  Orvieto,  Gualdo 
di  Nocera,  Trevi,  Spello,  Cesi,  e 
dappoi  ch'era  divenuto  signore  di 
Perugia,  e  dopo  eziandio  che  Bo- 
nifacio IX,  nel  detto  anno  i4o3, 
avea  pubblicato  1*  interdetto  con- 
tro detti  luoghi,  e  contro  Castel 
della  Pieve  per  essersi  ribellati , 
e  dati  ai  Visconti  e  loro  aderen- 
ti. Tuttavia  nel  medesimo  anno , 
essendo  tutti  tornati  all'  ubbidien- 
za ed  all'  alta  sovranità  della  Se- 
de apostolica,  il  Papa  li  assolvet- 
te con  pontificio  breve  de'  3  no- 
vembi'e  ;  e  messer  Giannello  di  lui 
commissario  diede  a  Ceccolino,  Gi- 
nolfo,  ed  Egano  fratelli  Michelot- 
ti per  ventinove  anni,  con  mero  e 
misto  impero,  Castel  della  Pieve, 
col  suddetto  tributo.   Passò  poi  Ca- 


CIT 

stellò  nel  14^0  a  Braccio  Fortibrac- 
cio,  dopo  la  morte  del  quale  tor- 
nò   a    formare  con    Perugia    stabile 

o 

alleanza  con  patti  onorevoli,  to- 
gliendosi dalla  breve  dominazione 
di  Cherubino  della  Staffa,  nobile  pe- 
rugino. 

Terminato  il  grande  scisma  d'oc- 
cidente, ed  eletto  nel  14' 7?  Mar- 
tino V  nel  concilio  costanziese,  que- 
sto Pontefice  fu  sollecito  di  ricupe- 
rai'c  alla  Promana  Chiesa  i  suoi  do- 
minii ,  fra'  quali  Castel  della  Pieve, 
compreso  nella  legazione  apostolica 
di  Perugia  allora  istituita,  ma  però 
immediatamente  soggetto  come  Pe- 
rugia alla  s.  Sede,  come  si  legge  nel- 
la bolla  Clini  oniis  universalis  gre- 
gis,  data  da  Eugenio  IV,  XIII  Kal. 
augusti  1432,  quando  spedì  a  Pe- 
rugia in  quahtà  di  legato,  il  Car- 
dinal Giordano  Orsini. 

Nel  rimanente  del  secolo  decimo- 
quinto sono  degni  di  memoria  i 
seguenti  fatti  ;  cioè  la  protezione  e 
tutela  ricercate  a  Perugia  dal  Ca- 
stello, per  difendersi  dalle  prepoten- 
ze de'  Visconti  duchi  di  Milano  in 
un  al  conte  Francesco  Sforza,  e  man- 
tenersi nella  fedeltà ,  e  divozione 
che  professava  alla  santa  Sede:  le 
contese  fra  il  Castello  e  Cetona  sot- 
toposta ai  Sanesi,  co'  quali  i  Pie- 
vani godevano  buon'armonia;  con- 
tese giudicate  sovente,  con  autoriz- 
zazione pontificia,  colla  interposizio- 
ne della  magistratura  di  Perugia , 
e  della  repubblica  di  Siena  riguar- 
do ai  particolari  :  il  ricorso  ad  Eu- 
genio IV  per  le  pretensioni  di  Che- 
rubino della  Staffa:  la  fiera  peste 
del  1^61,  che  disertò  l'infelice  pae- 
se :  la  riforma  delle  municipali  co- 
stituzioni operata  nel  1464,  nella  qua- 
le furono  proibiti  i  segnali,  le  inse- 
gne che  si  tenevano  sulle  pareti 
esterne  delle  abitazioni,  le  quali  in- 


CIT 

dicavano  il  partito  che  seguivasi,  al 
paro  che  le  calze  o  altra  parte  del 
vestimento  che  indicava  altrettanto; 
e  la  pace  cogli  orvietani  sanzionata 
da  Paolo  II,  sebbene  le  differenze 
si  potraessero  sino  a  Sisto  IV.  Que- 
ste sono  le  cose  rimarchevoli,  che 
riguardano  nel  secolo  XV  Castel  del- 
la Pieve. 

Nel  pontificato  di  Alessandro  VI, 
il  duca  del  Valentinois,  Cesare  Bor- 
gia, avendo  fatto  prigioni  in  Sini- 
gaglia  il  conte  di  Gravina,  e  Paolo 
Orsini,  nel  recarsi  a  Siena,  men- 
tre era  nel  Castello,  udì  la  prigio- 
nia del  Cardinal  Orsini,  e  degli  al- 
tri della  stessa  famiglia  da  lui  odia- 
ta, e  fece  quivi  strangolare  i  due  il- 
lustri prigionieri.  Quindi  nell'anno 
1 5 1  o  ,  racconta  il  Mariotti,  Sag. 
Istor.  di  Perugia  p.  077,  che  an- 
dando a  Perugia  il  gran  Giulio 
II,  onorò  di  sua  presenza  questo  luo- 
go. Dal  medesimo  autore  egualmen- 
te si  apprende,  a  p.  58 1,  che  fece 
altrettanto  1'  immortale  Leone  X, 
ricevuto  colle  distinzioni  convenien- 
ti al  sovrano  Pontefice.  Ma  non 
andò  guari  che  Castel  della  Pieve 
fu  immerso  nelle  piìi  deplorabili 
sciagure,  allorché  l' esercito  di  Car- 
lo V,  partendo  nel  1527  da  R.oma, 
che  aveva  per  due  mesi  orribilmen- 
te saccheggiata,  si  divise  esso  in 
due  parti,  una  delle  quali  prese  la 
via  di  Cortona,  Perugia,  Todi  ed 
Orte  per  riunirsi,  passato  il  Teve- 
re, con  r  altra  parte  composta  di 
Svizzeri,  che  preso  aveano  il  cammi- 
no verso  Castel  della  Pieve.  Impru- 
dentemente, e  per  attaccamento  alla 
Sede  apostolica,  ì  Pievesi  contrasta- 
rono loro  il  passaggio,  il  perchè  fu- 
riosamente il  nemico  saccheggiò  il 
Castello,  e  in  parte  lo  bruciò,  uc- 
cidendo da  ottocento  cittadini.  In 
tanta  desolazione  i    Pievesi    furono 


CIT  2(33 

confortati  dall'  umanità  della  re- 
pul)blica  sanese,  e  sollevati  ed  aju- 
tati  dal  Pontefice  Clemente  VII,  cui 
erano  ricorsi.  Fu  questo  Papa  che 
separò  totalmente  Castel  della  Pie- 
ve dalla  legazione  di  Perugia,  e  lo 
pose  sotto  la  sola  e  immediata  sog- 
gezione della  santa  Sede,  assegnan- 
dogli governatori  perpetui,  i  quali 
da  tal  epoca  sino  alla  fine  del  se- 
colo, furono  sempre  nobilissimi  per- 
sonaggi, Cardinali,  nipoti  de'  Papi. 
Non  riuscirà  discaro,  per  non  in- 
terrompere l'argomento,  se  qui  fare- 
mo qualche  cenno  di  essi. 

Da  Eugenio  IV  in  poi  quattro 
potestà  governarono  il  Castello  , 
quindi  successero  i  Cardinali  gover- 
natorij  che  pei  loro  luogotenenti 
si  fecero  rappresentare.  Clemente 
VII  nominò  per  piimo  governatore 
perpetuo  nel  1329,  l'insigne  Car- 
dinale Giandomenico  de  Cupis  no- 
bile romano,  vescovo  di  Trani,  e 
perciò  chiamato  il  Cardinal  Tra- 
nense,  il  quale  per  primo  suo  luo- 
gotenente nominò  il  cav.  Agostino 
Recuperto  di  Arezzo.  Nel  i546. 
Paolo  HI  fece  governatore  perpetuo 
il  suo  parente  Cardinal  Tiberio  Cri- 
spi  romano,  già  governatore  di  Pe- 
rugia, e  presidente  all'edificazione  di 
quel  forte.  Nel  1 548  lo  stesso  Paolo 
III  vi  nominò  il  Cardinal  Giulio  Fel- 
tre,  della  Rovere,  nipote  di  Giulio 
II;  nel  i55o  Giulio  III  vi  pose 
per  governatore,  Ascanio  duca  del- 
la Corgna,  suo  nipote,  che  pur  ave- 
va fatto  governatore  della  Città  Leo- 
nina, con  mero  e  misto  impero, 
col  jiis  sanguinis ,  e  totale  giu- 
risdizione; Paolo  IV  nel  i557  ne 
aflidò  r  incarico  al  nipote  Matteo 
Stendardi  nobile  napolitano,  e  Pio 
IV,  nel  i56o,  investì  di  questo  go- 
verno Fulvio  della  Corgna  da  lui 
creato  Cardinale,  unitamente  al  fra- 


a64  CIT 

tello  Ascatìlo  suddetto.  Lo  stesso 
Papa  poi  fece  governatore  il  nipote 
Cardinal  Gio.  Antonio  Sorbeiloni 
milanese.  S,  Pio  V  nel  iSyi  diede 
r  uffìzio  al  Cardinal  Ferdinando 
de'  Medici,  che  il  ritenne  quando 
diventò  gran  duca  di  Toscana;  ma 
prima  quel  Pontefice  derogò  alle  sud- 
dette disposizioni  di  Giulio  III,  già 
rinnovate  da  Pio  IV.  Rimise  s.  Pio  V 
Castel  della  Pieve  ed  L  suoi  concit- 
tadini sotto  r  immediato  dominio 
della  santa  Sede,  come  lo  erano  in 
avanti,  lo  che  si  legge  nella  bolla 
Romanus  Pontifex  ,  de'  9  luglio 
i566.  Finalmente  nel  iSSq  Sisto 
V  ne  allidò  il  governo  al  proprio 
nipote  Cardinal  Alessandro  Peretti 
di  Montalto,  che  fu  V  ultimo  dei 
governatori  perpetui.  Nel  i5go  Gre- 
gorio XIV  vi  nominò  con  patente 
della  sagra  Consulta  per  governa- 
tore Bartolomeo  de'  Perigli  nobile 
perugino,  che  ebbe  quattro  succes- 
sori, finché  divenuto  Castel  della 
Pieve  città  nel  1600,  la  stessa  sa- 
gra Consulta  vi  nominò  i  gover- 
natori per  mezzo  di  un  pontificio 
breve,  i  quali  durarono  sino  al 
1816,  cui  successero  gli  attuali  go- 
vernatori, dipendenti  dalla  delega- 
zione apostolica  di  Perugia. 

Sotto  gli  auspici  e  l'assoluto  pa- 
cifico dominio  de' sovrani  Pontefici, 
cominciò  Castel  della  Pieve  a  re- 
spirar pace  e  quiete,  ed  a  rifiorire 
nelle  arti,  nelle  scienze,  e  nel  com- 
mercio, cessando  le  prepotenze  delle 
micidiali  fazioni.  Grato  il  Cardinal 
Ippolito  Aldobrandini  fiorentino,  ai 
cordiali  ed  affettuosi  trattamenti  ri- 
cevuti dai  Pievesi  nel  di  lui  passag- 
gio per  questa  terra,  divenuto  Pa- 
pa Clemente  VIII,  nel  1600  colla 
autorità  della  bolla.  In  siiperenii- 
ncnti  militantìs  Ecclesiae  solio,  data 
VII  Kal.  octobris,  l'elevò  al    grado 


CIT 

di  città  col  nome  di  Città  di  Ca- 
stello della  Pieve,  restituendole  l'e- 
piscopale sede.  Ma  accaduti  alcuni 
equivoci  per  la  denominazione  col- 
la Città  di  Castello,  fu  decretato  in 
seguito  a  questo  paese  il  nome  di 
Città  della  Pieve.  Dipoi  pel  pas- 
saggio delle  truppe  nel  1642  del 
duca  di  Parma  Odoardo  Farnese, 
che  recavasi  a  conquistare  Castro, 
e  Ronciglione,  dovette  molto  sof- 
frire questa  città.  Fermandovisi  il 
duca  in  sembianza  amica,  nei  pri- 
mi del  mese  di  ottobre  fece  sac- 
cheggiare la  città,  e  il  territorio 
devastato  per  nove  giorni.  Nel  se- 
guente anno  furono  maggiori  le  dis- 
avventure per  Città  della  Pieve,  ed 
il  Chiana  divenne  teatro  della  guer- 
ra fra  la  santa  Sede,  e  la  Toscana 
alleata  del  Farnese.  La  città  era 
guardata  dal  sergente  maggiore  Lui- 
gi Frizza  napolitano,  per  ordine  di 
Urbano  Vili,  e  ricusando  di  arren- 
dersi, né  d'altronde  potendo  rice- 
vere gì' implorati  soccorsi,  fu  assa- 
lita dal  principe  Mattia,  fratello 
del  gran  duca  Ferdinando  II ,  nel 
mese  di  giugno.  Dopo  validissima 
difesa,  passati  cinque  giorni,  fu  co- 
stretto il  Frizza  a  capitolare,  e  quin- 
di a'  19  giugno  entrò  nella  città  il 
principe  coll'esercito  toscano.  ]Mal- 
grado  i  patti  di  buona  guerra,  Cit- 
tà della  Pieve  dovette  solfrire  tutti 
gli  effetti  delle  più  crude  ostilità, 
né  risparmiaronsi  i  conventi  reli- 
giosi, ed  altro  di  piìi  sacro,  come 
racconta  il  Belletti  alle  pagine  109, 
e  seguenti.  Finalmente  conchiusa  la 
pace  nell'aprile  i644  ^^'^  '^  santa 
Sede  e  i  principi  collegati,  a'  19 
luglio  partito  l'esercito  fiorentino, 
la  città  rimase  nel  primiero  domi- 
nio di  Urbano  Vili,  essendone  ve- 
scovo il  confessore  di  lui,  Piiginaldo 
Lucarini  di  Trevi,  il  quale,  come  rac- 


CIT 
conta  il  Novaes,  tom.  IX,  p.  276, 
gli  amministrò  i  sagramenti  prima 
di  morire.  Ciò  avvenne  dieci  giorni 
dopo  la  liberazione  della  città  dalla 
dominazione  straniera.  Il  Reginaldi 
era  il  quarto  vescovo,  che  alla  chie- 
sa Pievese  avesse  dato  Urbano  Vili. 
Nel  secolo  decorso  Città  delia  Pie- 
ve non  andò  esente  da  calamità 
prodotte  dai  passaggi  delle  truppe, 
massime  austriache;  ma  nelle  ulti- 
me invasioni  lo  spirito  di  modera- 
zione dei  capi,  esentò  i  Pievesi  da 
ogni  disastro. 

Ne'  tempi  antichi  la  maggior  im- 
portanza per  Città  della  Pieve  era 
la  via  consolare,  che  l'attraversava  ; 
e  sino  al  i5i6  si  ha  memoria  che 
tuttora  vi  durasse  la  via  postale, 
per  cui  i  Pontefici  che  da  Perugia 
si  recarono  ad  Orvieto  e  viceversa, 
passarono  per  Città  della  Pieve.  In 
seguito  la  trascuranza  posta  nel  re- 
golare le  acque  del  Chiana  fece 
perdere  il  vantaggio  delia  strada,  e 
cagionò  la  emigrazione  ad  Orvieto 
e  Perugia  di  molte  famiglie,  che 
volevano  evitare  i  miasmi  nocivi. 
Ma  ripristinata  la  bella  via,  che  da 
Orvieto  conduce  ad  Arezzo,  ed  in- 
frenato il  Chiana,  la  città  a  grandi 
passi  ritorna  al  primitivo  splendo- 
re. Pure  molto  maggiori  sarebbero 
i  vantaggi,  se  avesse  luogo  il  com- 
pimento del  canale  del  Chiana,  na- 
vigabile sino  alTArno. 

Il  confine  del  territorio  di  Città 
della  Pieve  con  quelli  di  Cetona,  e 
Chiusi,  lungo  il  Chiana,  fu  motivo 
di  frequenti  vertenze  fra  le  limi- 
trofe popolazioni  per  più  secoli,  e 
benché  i  rispettivi  sovrani  territo- 
riali più  volte  conchiudessero  ami- 
chevoli composizioni,  pure  uno  sta- 
bile concordato  non  si  ottenne  che 
nei  Pontificato  di  Pio  VI,  e  nel 
granducato  di  Pietro    Leopoldo   poi 


CIT  265 

imperatore.  A'  4  febbraio  1778  ne 
fu  rogato  l' istromento  al  Piano  di 
Cardeto  dai  notari  Aurelio  Cane- 
strelli  pievese,  e  Michele  Marini 
fiorentino.  Contribuì  molto  all'  in- 
dustria cittadina ,  la  bella  strada 
che  da  Orvieto  conduce  ad  Arezzo; 
ma  molto  maggiori  sarebbero  i  van- 
taggi, se  avesse  luogo  il  già  detto 
compimento  del  canale  del  Chia- 
na, navigabile  sino  all' Arno.  Anche 
il  disseccamento  del  Chiana  ,  che 
un  aggregato  piuttosto  di  paludi 
poteva  prima  chiamarsi,  destò  fre- 
quenti contese  fra  i  popoli  confi- 
nanti, principalmente  per  le  devia- 
zioni del  rapido  torrente  Astrone , 
prossimo  a  Cetona,  il  quale  assai 
danneggiava  le  teire  pievesi.  I  tre 
Papi  Clemente  VII,  dr  Medici^ 
Clemente  VIII,  Aldohrandini,  e  Cle- 
mente XII,  Corsini,  tutti  fiorentini, 
se  ne  occuparono  indefessamente, 
ma  la  gloria  del  compimento  era 
serbata  ai  lodati  Pio  VI,  e  Pietro 
Leopoldo,  pel  concordato  conchiuso 
nel  1780,  l'articolo  quinto  del  qua- 
le onoi-ò  Città  della  Pieve  di  cospi- 
cua magistratura,  detta  la  Prcfella- 
ra  delle  acque,  per  provvedere  ai 
successivi  bisogni,  e  differenze.  Ap- 
prendiamo dal  citato  Novaes,  tom. 
XVI,  p.  Ili,  che  in  seguito,  e  nel 
1783,  Pio  VI,  colla  direzione  del 
canonico  Fantoni,  fece  prosciugare 
la  vasta  pianura ,  che  circonda  la 
Città  della  Pieve,  e  diede  una  nuo- 
va direzione  alle  acque  del  tiu- 
me  Tresa,  e  ad  altri  torrenti,  per 
cui  si  ottenne  un  maggiore  spazio  di 
terreno  fruttifero,  che  prima  ren- 
deva l'aria  infetta,  né  produceva 
che  inutili  erbe  palustri. 

Città  della  Pieve  oggi  racchiude 
nel  suo  governo  le  comuni  di  Pada- 
no e  di  Piegaro  coli' appodiato  Ci- 
bottola,  e  parecchi  villaggi.  Alla  co- 


266  CIT 

mune  poi  soggiace  l' appodiato  Sal- 
ci, già  feudo,  ed  appartenente  ai 
duchi  Bonclli  congiunti  di  s.  Pio 
V.  Nel  decorso  anno  i84'  onorò 
Città  della  Pieve  di  sua  pontificia 
presenza  il  regnante  Gregorio  XVI, 
allorché  reduce  dalla  visita  di  al- 
cuni principali  santuarii  de'  suoi  do- 
inìnii,  restituivasi  alla  capitale.  Ai 
28  settembre  partito  egli  da  Peru- 
gia, vi  giunse  verso  il  mezzodì,  ri- 
cevendo all'ingresso  gli  omaggi  del- 
la magistratura  civica ,  mentre  un 
drappello  di  giovani  ottenne  il  per- 
messo di  trarne  a  mano  la  carroz- 
za, lungo  la  strada  del  Casalino,  la 
cjuale  in  memoria  dell'avvenimento, 
per  decreto  del  magistrato  civico  si 
vuole  chiamata  Fin  Gregoriana. 
Piicevuto  fu  dipoi  il  Pontefice  alla 
cattedrale  da  monsignor  Giuseppe 
JMaria  Severa,  vescovo  da  lui  dato 
meritamente  alla  città,  nonché  dal 
clero.  Dal  medesimo  vescovo  rice- 
vette il  Papa  nella  cattedrale  ezian- 
dio la  benedizione  col  ss.  Sagra- 
mento.  Poscia  da  una  vicina  log- 
gia benedì  il  numeroso  popolo,  con- 
dotto altresì  dalle  confinanti  con- 
trade toscane.  Indi  passò  ad  abita- 
re neir  episcopio.  Quivi  il  Pontefice 
fu  complimentato  nel  sovrano  nome 
del  regnante  granduca  di  Toscana 
Leopoldo  II,  dal  marchese  Ginori 
suo  gran  ciambellano,  in  occasione 
di  essersi  il  Papa  avvicinato  al  terri- 
torio toscano.  Nelle  ore  pomeridia- 
ne ebbe  luogo  una  passeggiata ,  e 
la  sera  si  fecero  illuminazioni ,  e 
fuochi  d'artifizio,  che  si  ripeterono 
nella  sera  seguente.  Nella  mattina 
appresso  il  Papa  ammirò  nell'  ora- 
torio di  s.  Maria  de'  Bianchi  il  di- 
pinto del  Vannucci,  che  lodammo 
di  sopra  ;  indi  visitò  la  chiesa,  e  il 
convento  de'  cappuccini,  e  il  moni- 
stero  delle  Clarisse,  ove  eraasi  uai- 


CIT 

te  le  religiose  di  altra  comunità. 
Sempre  egli  era  accompagnato  dal 
zelante  vescovo  diocesano,  e  da 
quello  di  Soana  Francesco  Barzel- 
lotti,  che  dalla  Toscana  erasi  re- 
cato in  Città  della  Pieve ,  per  tri- 
butargli il  dovuto  ossequio.  Nel  do- 
po pranzo  da  una  finestra  dell'  e- 
piscopio  il  Papa  vide  la  processio- 
ne, che  si  fece  in  onore  della  ss. 
Croce,  e  nella  seguente  mattina  par- 
tì per  Orvieto,  lasciando  negli  abi- 
tanti, e  nel  popolo  de'  paesi  circon- 
vicini, la  più  religiosa  consolazione. 
Monsignor  Gioacchino  Pecci, come  de- 
legato apostolico  della  provincia,  cor- 
teggiò sempre  il  santo  Padre,  che  ri- 
cevette da  tutti  dimostrazioni  di  ve- 
nerazione. Poeticamente  ne  cele- 
brarono le  gesta,  d.  Raffaele  Bocci 
arcidiacono  della  cattedrale  con  de- 
cassillabi  ed  ode;  il  fratello  del  ve- 
scovo Pio  Severa  con  decassillabi , 
e  il  p.  Angelo  Molle  del  collegio 
delle  scuole  pie  con  ode  latina.  Ta- 
li composizioni  in  istampa  furono 
dispensate  alla  corte  pontificia ,  e 
agli  altri.  Chi  poi  bramasse  cono- 
scere in  dettaglio  la  permanenza  di 
Gregorio  XVI  in  questa  città,  può 
leggere  la  Lettera  narrativa^  o  sia 
il  pasfsaggio  del  sovrano  Pontefice 
Gregorio  ^VI per  Città  della  Piei'e 
nel  settembre  i8(.i,  del  cav.  Ange- 
lo Antonio  Baglioui,  IMoutepulciano 
184.. 

La  luce  del  vangelo  vuoisi  in- 
trodotta in  Città  della  Pieve  sino 
dai  tempi  apostolici ,  verso  l' an- 
no 67  di  Cristo.  Sant'  x\mbro- 
gio  arcivescovo  di  IMilano  nel  tras- 
ferirsi a  Roma,  pel  concilio  con- 
vocato da  s.  Damaso  I  nell'  anno 
382,  passò  per  questo  luogo,  men- 
tre stavasi  restaurando  l'antico  tem- 
pio degl'  idolatri  per  ridurlo  al  cul- 
to del  vero  Dio.  Pvimusto   il   santo 


CIT 
contentissimo  dell'ospitalità  de'Pieve- 
si,  procurò  ad  essi  ia  confederazione 
con  Milano ,  ed  allorquando  colà 
discuoprì  i  corpi  de'  santi  martiri 
Gervasio  e  Protasio,  colle  sue  per- 
suasioni indusse  i  Pievesi  ad  eleg- 
gerli a  pi'otettori,  anzi  col  nome 
del  primo  chiamarono  il  paese,  per 
cui  in  molti  antichi  istromenti  si 
legge  :  Castrimi  Plebi s  s.  Cerva  sii. 
Asserisce  il  IMonaldeschi,  che  quivi 
esistesse  la  sede  vescovile  nel  quinto 
secolo,  giacché  nel  concilio  di  Sie- 
na si  trova  sottoscritto  un  Stefano 
vescovo  di  Castel  della  Pieve  ;  ma 
a  cagione  della  barbarie  de'  tempi, 
costretto  il  vescovo  ad  abbandonar- 
ne la  cattedra,  il  Pontefice  Pasqua- 
le II,  dopo  averla  dichiarata  JVal- 
lìiis  dioecesisj  nel  i  loo  l'unì  al  ve- 
scovo di  Chiusi  ;  riunione  che  fu 
confermata  nel  1191  da  Celestino 
HI,  mediante  la  bolla,  Miserati  ino- 
piani  commissae  libi  ecclesiae  Cliisi- 
iiae;  la  qua!  bolla  è  riportata  dal  Mu- 
ratori, Antiqidt.  Ital.  mcd.  ae\>i,  t. 
VI,  pag.  421-  Dall'Armanni  si  ri- 
leva che  nel  i2o5  in  Castel  della 
Pieve  v'aveva  l'arcipretura,  e  n'era 
investito  un  Todini  di  Gubbio.  Nel 
iSig  si  ha  dal  succitato  Pellini, 
che  il  vescovo  di  Chiusi  emanò 
r  interdetto  a  Castel  della  Pieve . 
ed  alcuni  dicono  a  cagione  dell'uc- 
cisione del  b.  Giacomo  operata  da 
alcuni  masnadieri,  allorché  il  servo 
di  Dio  da  Chiusi  restituivasi  a  que- 
sta sua  patria.  Perchè  la  Pieve  ve- 
nisse assoluta  dalle  censure  eccle- 
siastiche, la  città  di  Perugia  man- 
dò messer  Rigone  d' Ottanello  in 
ambasciatore  al  vescovo  chiusino. 

Nell'anno  1600  Clemente  Vili 
ridonò  a  questa  città  il  seggio  ve- 
scovile, colla  summcntovata  bolla  , 
data  septimo  kalen.  octobris,  la  tol- 
se dalla  unione    di   Chiusi ,    la    di- 


CIT  267 

chiaro  immediatamente  soggetta  al- 
la santa  Sede,  e  riunì  al  territorio 
pievese  varie  terre,    castelli,  e  vil- 
laggi posti  ne'  territori  di   Orvieto, 
di  Perugia,  e  di  Toscana.  Ora  com- 
prendonsi    nella    diocesi    sei    terre , 
cinque  castelli,    e  quindici    ville,  e- 
sercitando  il  vescovo  la  giurisdizio- 
ne sul  capitolo,    su    due    collegiate, 
su  otto  conventi    di    frati ,    su    tre 
monisteri  di  monache,  su  trenta  tre 
parrocchie,  e  su  piti  di  venticinque 
mila  anime.   11  primo  vescovo,  elet- 
to da  Clemente  Vili,    fu    Fabrizio 
Paolucci  nobile  forlivese ,    che  non 
potè  consagrare    a    cagione    di  sua 
morte,  supplendovi  poscia  a  consa- 
grarlo    Paolo    V    a'  3     agosto    del 
160 5.  Egli    mostrò  di  esserne    de- 
gno   non    solo    per    la  sua  virtìi    e 
dottrina,    ma  per    avere  restaurata 
la  cattedrale,  avervi  eretto    le    due 
maggiori  cappelle  lateralmente,  aver 
migliorato  l'episcopio,  aperto  il  se- 
minario, ed    un    convento    di    cap- 
puccine in  s.  Fiora.  Morì  in  Roma 
nell'anno  santo    1620,  e  fu  sepolto 
nella  chiesa  di  s.  Maria  in  Vallicella. 
Fiorirono  fra  i  suoi  successori  altri 
vescovi  zelanti,  dotti,  e  di  santa  vi- 
ta,  come  a  dire  R.iginaldo  Lucarini, 
che  fu  il  primo  a  celebrare  il  sino- 
do ;  Fausto  Guidotti  da  Oilkla,  che 
intervenne    a    quello    celebrato    nel 
1725  in  Roma  da   Benedetto  XIII; 
Ascanio    Argelati   di    Bologna,    che 
istituì  le    maestre    pie,    ed    Angelo 
Maria     Venizza    della     stessa    Città 
della  Pieve ,    canonico    della    catte- 
drale,   che  meritò  questa    sede    nel 
1754    per    volere    del    gran   Bene- 
detto XIV,  ad  onta  della  sua  ripu- 
gnanza. 

La  cattedrale,  che  nel  1607  si 
ridusse  all'odierna  forma  di  croce  la- 
tina, è  dedicata  ai  ss.  martiri  Gerva- 
sio  e   Protasio,    patroni  della    città. 


?.6H  CIT 

Tia  le  suo  reliquie  si  venera  il  cor- 
no del  eornpatrono  s.  Poliziano  mar- 
tire. Gio.  Nicola  Circignani,  che  si 
disse  Pomarancio  dal  luogo  nativo, 
e  cittadino  pievese,  ne  dipinse  la  tri- 
buna dell'altare  maggiore;  ma  ap- 
j)ena  ora  rimane  illeso  il  timpano 
del  coro.  La  tavola  di  detto  alta- 
re, che  rappresenta  la  B.  Vergine 
fra  i  principi  degli  apostoli,  e  i  due 
santi  patroni,  è  opera  di  Pietro  Van- 
iiucci  pievese  detto  il  Perugino,  del 
«piale  pure  è  quello  del  battesi- 
mo di  s.  Giovanni,  come  del  Poma- 
rancio  sono  i  quadri  della  Madon- 
na del  Carmine,  e  dello  sposalizio 
di  Maria  Vergine.  Il  suo  capitolo 
si  compone  dell'arcidiacono,  unica 
dignità,  di  quindici  canonici,  fra  i 
quali  evvi  il  penitenziere  e  il  teo- 
logo, di  otto  cappellani  corali  o 
beneficiati  ,  e  di  altri  ecclesiastici 
addetti  al  divino  servizio.  I  cano- 
nici hanno  l' uso  della  cappa  ma- 
gna ,  e  i  cappellani,  quello  della 
mozzetta  paonazza  per  concessione 
del  Papa  che  regna,  il  quale  fino  dal 
1834  decorò  i  canonici  di  collare 
paonazzo,  e  flocco  simile  al  cappel- 
lo. Vi  sono  nella  città  tre  parroc- 
chie, sei  conventi  di  religiosi,  cioè 
conventuali,  cappuccini,  agostiniani, 
serviti  ,  e  minori  osservanti.  Evvi 
lui  collegio,  o  scuola  diretta  dai  pa- 
dri Scolopj,  vi  sono  le  maestre  pie, 
e  v'ha  pure  un  monistero  di  mo- 
nache, un  conservatorio  insieme  a 
quattro  coiìfraternite  ,  un  ospe- 
dale, il  monte  di  pietà  ,  un  se- 
minario. Allorché  Benedetto  XIII, 
secondo  il  Concilio  di  Trento,  or- 
dinò l'istituzione  de' seminari,  ad  i- 
stanza  del  vescovo,  e  col  disposto 
della  costituzione,  iiiter  niiilùplices, 
óe'iS  giugno  1729,  applicò  al  se- 
minario l'eredità  di  Ludovico  Mau- 
ri, col  peso  di  soddisfare  le  sue  di- 


CIT 

sposizioni  testamentarie.  La  mensa 
ad  ogni  nuovo  vescovo ,  in  cancel- 
leria apostolica,  è  tassata  in  fiorini 
ducento  venticinque. 

Degli  uomini  illustri  che  fiori- 
rono in  Città  della  Pieve  per  san- 
tità di  vita,  per  dignità,  e  dottri- 
na, per  valore  nelle  armi,  e  nel- 
le aiti  liberali  ,  ampiamente  trat- 
ta il  lodato  Bolletti  a  pag.  262,  e 
seguenti.  Va  però  qui  i-ammentato 
Gregorio  Sellari  di  Panicale,  dio- 
cesi della  Città  della  Pieve,  che  da 
Benedetto  Xlll  nel  1728,  fu  crea- 
to Cardinale.  Della  città  e  diocesi 
della  Pieve,  oltre  l'Ughelli,  Italia  Sa- 
cra, t.  I.  p.  !^H6  e  seg.,  abbiamo  i  se- 
guenti. E.idolfo  Brasavalo,  Breve,  rag- 
guaglio di  Città  della  Pieve,  estrat- 
to dalla  sua  storia  diffusamente 
scritta  dal  medesimo,  e  donata  mss. 
alla  civica  magistratura,  Perugia , 
1686;  Romanae  adscriptionis  alito 
nobiliuni  romanorum,  pei  signori  della 
Farnia  o  Fargna,  originari  di  Lione, 
e  patrizi  della  Città  della  Pieve,  Pio- 
ma  1773;  Giusepppe  Bolletti,  Noti- 
zie isteriche  della  Città  della  Pieve, 
Perugia  i83o.  Questo  benemerito 
pievese,  nell'occasione  che  il  regnan- 
te Papa  onorava  la  sua  patria  col- 
la di  lui  sovrana  presenza,  aven- 
do fatte  ulteriori  scoperte  risguar- 
danti  la  stessa  storia  patria,  pub- 
l)licò  colle  stampe  Appendice  alle 
Notizie  istoriche  di  Città  della  Pieve. 
A  voler  accennare  le  principali,  di- 
remo: I ."  C  he  Castel  della  Pieve  fu 
Castello  prima  dei  romani,  e  che 
al  nome  di  Castel  forte  del  Chiu- 
sino, fu  sostituito  il  Castrimi  Plebis; 
1."^  Che  per  la  sua  importanza  vi  si 
rifugiarono  i  soldati  di  Antonio  vin- 
to da  Augusto,  ma  furono  rispinti 
per  non  incontrar  1'  indignazione 
del  secondo:  3.°  Che  Nerone  nel 
passare  per  questa  città  inveì  cru- 


CIT 

delmenle  contro  i  cristiani,  che  ivi 
già  esistevano  ;  4-°  Che  dall'anno 
4 IO  sino  a  Pasquale  II  ventuno  ve- 
scovi monachi  ed  abbati,  governaro- 
no la  chiesa  vescovile  di  Castel  del- 
ia Pieve,  senza  mentovare  altre  no- 
tizie interessanti  la  patria  istoria, 
civile  ed  ecclesiastica,  come  la  ve- 
nuta nella  città  di  Clemente  "Vili 
nel  1399.  E  noto  che  recandosi 
quel  Pontefice  a  prendere  possesso 
del  ducato  di  Ferrara,  partì  da 
quella  città  appunto  nell'anno  i5^99 
a'  29  novembre,  e  rientrò  in  Ro- 
ma a'  20  dicembre.  Così  il  Novaes, 
Elementi  della  storia  dei  sommi 
Pontefici,  t.   IX,  p.   36. 

CITTA'  RODRIGO  (  Civiiaten. 
Proi'inciae  Compostellan.  )  o  Ciu- 
dad  Rodrigo,  Rodericopolis.  Città 
con  residenza  vescovile,  nell'  antico 
regno  di  Leone  in  Ispagna,  posta 
nell'antico  territorio  de'  Mirobri- 
gensi,  in  una  pianura  fertilissima, 
presso  la  riva  destra  del  fiume  A- 
guada,  che  si  attraversa  sopra  un 
ponte  di  sette  archi.  Questa  piazza 
forte  di  prima  classe,  colle  ottime 
fortificazioni  di  cui  è  munita,  serve 
alla  Spagna  di  baloardo,  sulla  fron- 
tiera del  Portogallo.  Ha  due  sobbor- 
ghi, e  le  sue  strade  sono  molto  re- 
golari. Vi  sono  alcuni  begli  edifizi; 
e  nella  sua  gran  piazza  si  vedono  tre 
colonne  romane  con  interessanti  iscri- 
zioni. Diversi  scrittori  spagnuoli  credo- 
no, che  questa  città  occupi  l'area  del- 
l' antica  Mirohriga  :  altri,  con  mag- 
giore probabilità,  opinano  che  essendo 
quella  città  rovinata,  in  suo  luogo,  od 
in  quello  di  Lancia  transcudana, 
detta  ancora  Lancia  oppidana,  sia 
stata  edificata  Ciudad,  verso  l'anno 
I  200  (o  come  dice  Commanviile  nel 
I  f  70,  sotto  il  regno  di  Ferdinando 
li,  re  di  Leone  e  di  Castiglia,  ovve- 
ro reggente  pel  re  Alfonso)  appunto 


CIT  269 

perchè  servisse  di  baloardo  contro 
i  portoghesi.  Altri  vogliono  che  fab- 
bricata dal  conte  Rodrigo  Gonzales 
Gyixìn,  da  lui  abbia  avuto  il  nome, 
e  perciò  si  dica  Rodericopolis.  Que- 
sta città  fu  presa  dai  portoghesi,  e 
dagli  alleati  nel  1 706  in  quattro 
giorni  ;  ma  gli  spagnuoli  nel  seguen- 
te anno  la  ripresero.  Nel  1 8 1  o  oc- 
cupata venne  dai  francesi,  che,  dopo 
averne  distrutte  le  fortificazioni,  la 
abbandonarono  nel  1 8 1 2  agli  ingle- 
si, dai  quali  tornò  alla  monarchia 
spagnuola. 

La  sede  vescovile  di  questa  città 
fu  eretta  nel  decimo  secondo  seco- 
lo, e  fatta  sulfraganea  della  metro- 
poli di  Compostella  nella  Galizia, 
tuttora  vi  si  mantiene  soggetta.  La 
cattedrale  anticamente  aveva  un  ca- 
pitolo composto  di  sette  dignità , 
venti  canonici,  sette  beneficiati,  ed 
altri  ecclesiastici  addetti  alla  uffizia- 
tura.  Vi  erano  nella  città  nove  case 
religiose  d'  ambo  i  sessi,  e  tre  ospe- 
dali. La  diocesi  conteneva  altra  vol- 
ta sessantatre  parrocchie,  lipartite 
in  tre  arcidiaconati.  Attualmente  la 
sede  è  vacante,  e  l'ultimo  vescovo 
fu  Pietro  Emmanuele  Ramirez  de 
la  Piscina,  di  Penne  Cerrada  dio- 
cesi di  Calahorra  fatto  vescovo 
da  Pio  VII  nel  concistoro  de'  19 
dicembre  18 14-  Dalle  ultime  pro- 
posizioni concistoriali  si  rileva:  i.° 
Che  la  cattedrale  è  dedicata  all'Im- 
macolata Concezione  di  IMaria,  Che 
il  capitolo  si  componeva  di  sette 
dignità,  la  prima  delle  quali  era  il 
decano,  di  diciassette  canonici  com- 
preso il  penitenziere  ,  e  il  teolo- 
go, nonché  di  cappellani  porzionari, 
preti,  e  chierici;  2".  Cbe  oltre  la 
cura  parrocchiale,  amministrata  da 
un  vicario  nella  cattedrale,  nella 
citlà  eranvi  altre  sei  parrocchie, 
cinque  conventi,    quattro    monisteri 


ayo  CIV 

di  monache,  il  seminario  con  alun- 
ni, diverse  confraternite,  ospedale,  e 
monte  di  pietà.  La  tassa,  registrata 
in  cancelleria  apostolica,  ascende  a 
fiorini  quattrocento  cinquanta. 

CI  LAI  o  GIUS.  Sede  vescovile  del- 
la Eitinia,  neir  Asia  minore,  così 
chiamata  perchè  vuoisi  edificata  da 
Cius  compagno  d' Ercole,  nella  ce- 
lebre spedizione  degli  Argonauti. 
Altri  la  chiamano  Priisiade,  sicco- 
me restaurata  da  Prusia,  che  edifi- 
cò la  città  di  Prusio.  Fu  già  sede 
vescovile  sino  dal  quarto  secolo  nel- 
r  esarcato  di  Ponto,  sottoposta  alla 
metropoli  di  rs'icomedia.  Comman- 
ville  asserisce,  che  nel  nono  se- 
colo fu  sollevata  al  grado  arcive- 
scovile; certo  è,  come  dice  V  Oriens 
Christ.  t.  I,  p.  63 1,  che  sedici  ve- 
scovi vi  ebbero  s^de.  Oggidì  non 
è  che  un  villaggio  detto  Cliioux  o 
Cliiaoux  nella  strada,  che  da  Co- 
stantinopoli va  a  Bursa,  in  vicinan- 
za al  mare  ed  alla  città  di  Nicea. 
Fra  Nicea  e  Cium,  nell'anno  194 
avanti  la  nostra  era,  fu  sconfitto 
JVegro  da  Candido  capitano  della 
armata  di  Severo,  aspirante  pure 
al  lomano  impero. 

CIVICA  PONTIFICIA  di  Roma, 
o  Guardia  Civica.  Esiste  in  Roma 
un  corpo  di  milizia  volontaria  chia- 
mato Guardia  Civica,  dichiarato  per- 
manente dal  sovrano  Pontefice  sin 
dalla  sua  istituzione.  Esso  si  compone 
di  nobili,  possidenti,  negozianti,  capi 
di  arti  anche  liberali,  di  capi  di 
mestieri  e  botteghe,  dall'  età  di  anni 
sedici  compiuti  fino  ai  cinquanta. 
Questo  corpo  istituito  per  mantene- 
re la  quiete,  e  la  tranquillità  della 
capitale,  dal  cui  seno  non  è  mai 
obbligato  ad  allontanarsi,  è  com- 
posto di  uno  stato  maggior  genera- 
le, di  uno  o  più  reggimenti  di  fan- 
teria,    secondo    la    quantità    della 


CIV 

forza,  che  ha  la  guardia,  e  secondo 
le  circostanze,  e  li  bisogni.  L' im- 
pianto di  ogni  reggimento,  è  di  due 
battaglioni.  Ila  inoltre  una  compa- 
gnia scelta  di  granatieri,  che  per 
maggiore  onorificenza,  e  per  la  qua- 
lità del  servigio,  che  presta  diretta- 
mente al  sovrano  Pontefice,  si  volle, 
che  dipendesse  immediatamente  dal 
comandante  generale.  Vi  è  inoltre 
ima  quantità  di  ufficiali,  e  sotto 
ufficiali  senza  truppa,  e  d'impiega- 
ti isolati  civili,  e  militari  occorren- 
ti per  i  diversi  interni  servigi,  e 
finalmente  esiste  un  uditorato  mili- 
tare. 

Il  vestiario  è  uniforme  in  tutto 
il  corpo  attivoj  avendo  la  montura 
bleu  ad  un  petto  con  bottoni  con- 
vessi lisci  di  metallo  giallo,  e  pan- 
taloni di  color  amaranto  con  fascia 
di  panno  bleu,  lo  schakos  di  egual 
panno  con  visiera  imperiale,  pompò, 
e  fiamma  di  piuma  color  amaranto. 
La  buffetteria  è  di  cuojo  bianco. 

I  soldati  sono  armati  di  scialila 
con  fucile,  e  bajonelta.  Gli  ufficiali, 
e  sotto  ufficiali,  che  sono  in  quie- 
scenza, ritiro,  o  riforma ,  hanno 
r  uniforme  tutto  bleu  con  pistagni- 
ni bianchi  al  collo  con  un  botto- 
ne in  mezzOj  ed  altro,  ove  si  riu- 
niscono le  ribalse,  ed  usano  del 
cappello  pimtato  con  cappio,  e  fioc- 
chi, secondo  il  grado,  o  l'ango. 

La  compagnia  granaliera  scelta 
per  corrispondere  all'onorifico,  e  de- 
coroso servigio,  che  presta  nella  se- 
conda anticamera  del  sommo  Pon- 
tefice, appresso  immediatamente  alle 
guardie  nobili,  nella  tenuta  giorna- 
liera porta  r  uniforme  bleu  eoa 
due  asole,  o  alamari  d'oro  al  col- 
lo, e  due  simili  ai  paramani,  con 
granate  pur  d'oro  al  di  dietro.  Fa 
uso  dello  schakos  con  metalli  do- 
rati;   e    gallone    d'oro,    pompò,    e 


CIV 

pennacchio  amaranto.  jN^ella  gran 
tenuta  la  compagnia  porta  il  bon- 
net  a  pelo  con  cascate,  e  fiocchi  in 
oro  misto  con  seta,  e  pennacchio 
di  piuma  amaranto,  potendo  usare 
anche  quello  di  color  bianco.  La 
montura  è  bleu  con  rivolti,  para- 
mani, e  collo  amai-anto  con  alama- 
ri d^oro  al  collo,  ai  paramani,  e 
pattine,  oltre  le  granate.  Il  pantani- 
Ione  è  di  panno  amaranto  con  fet- 
tuccia d' oro.  Tanto  nella  bassa , 
che  neir  alta  tenuta,  i  comuni  e 
sotto  ufficiali  portano  le  spalline,  e 
la  ghiglia  d'  oro  mista  con  seta. 
Gli  ufficiali  sono  tutti  guarniti  di 
oro.  Il  suo  armamento  è  la  cara- 
bina con  bajonetta,  e  la  sciabla. 

Per  la  qualità  del  servigio,  che 
presta  questa  compagnia  nella  corte 
del  sovrano,  rimane  stabilito  dal 
manuale  della  guardia  civica,  che 
non  possono  ammettersi  all'  onore 
di  far  parte  di  detta  compagnia 
scella,  se  non  che  i  negozianti,  i 
mercanti  d'importanza,  i  farmacisti, 
i  droghieri,  i  gioiellieri,  gli  orefici, 
gì'  incisori  di  carnei,  i  mosaicisti,  e 
gli  esercenti  un'  arte  liberale  ,  o 
quasi  liberale,  nei  quali  oltre  la  ci- 
viltà della  professione,  concorra  la 
probità  de' costumi.  Approvato  che 
sia  r  aspirante  dal  consigho  di  am- 
missione, e  riforma,  deve  vestirsi, 
ed  equipaggiarsi  a  proprie  spese 
senza  alcuna  dipendenza,  e  respon- 
sabilità del  consiglio  di  amministra- 
zione del  corpo,  il  quale  non  gli 
passa,  che  la  carabina. 

Il  servizio,  che  la  guardia  civica 
presta  gratuitamente  in  Roma  sotto 
l'immediata  dipendenza  de' suoi  uf- 
ficiali, è  sempre  corrispondente  al 
suo  istituto,  e  alla  quantità  della 
forza  attiva,  di  cui  può  disporre. 
Essa  alla  circostanza  arma  quoti- 
dianamente   quei    posti    di    Piazza , 


CìV  271 

che  si  fissano  di  concerto  colla  pre- 
sidenza delle  armi,  e  nella  dipenden- 
za della  segreteria  di  stato.  Negli 
ultimi  otto  giorni  di  carnovale  pel 
mantenimento  del  buon  ordine  nel- 
la occasione  delle  carriere  de'bar- 
beri,  arma  quella  parte  della  via 
del  Corso,  che  le  viene  assegnata, 
cominciando  dal  luogo  della  ripre- 
sa de'  cavalli,  ove  rimane  l'  autorità 
governativa,  prendendo  cosi  la  drit- 
ta sulle  altre  truppe,  che  formano 
r  armamento  del  corso.  Previa  la 
superiore  autorizzazione  può  tenere 
aperti  per  la  città  dei  quartieri  in 
corrispondenza  al  bisognOj  ed  alla 
forza.  Il  corpo  civico  concorre  colle 
truppe  di  linea,  avendo  sempre  la 
dritta,  a  far  parata  a  sua  Santità 
sulla  piazza  del  Vaticano  nel  gio- 
vedì santo,  e  Pasqua  di  R.isurre- 
zione  per  la  solenne  benedizione 
del  Papa.  Guarnisce  pure  un  trat- 
to del  luogo  in  cui  passa  la  solen- 
ne processione  del  Corpus  Domini, 
della  cappella  pontificia,,  e  poi  colla 
precedenza  sulla  truppa  di  linea  la 
siegue.  Presta  prue  il  suo  servizio 
nei  giorni,  nei  quali  suole  tirarsi  il 
cordone  dalla  truppa,  o  farsi  para- 
ta a  sua  Santità,  cioè  nel  giorno  della 
festa  della  ss.  Annunziata,  nel  giorno 
di  quella  di  s.  Filippo  jNeri,  nelle  fe- 
stività dell' Ascensione,  e  dell'Assun- 
zione ,  nel  giorno  della  festa  di  s. 
Carlo  Borromeo,  e  così  pure  quan- 
do sua  Santità  suol  partire  dal- 
la capitale  nei  casi  di  viaggi ,  e 
villeggiatura,  e  nel  ritorno  della 
Santità  sua  in  questa  capitale.  Nelle 
pubbliche  funzioni,  feste  ordinarie, 
e  straordinarie  tanto  religiose,  che 
civili,  e  così  nei  pubblici  spettacoli 
concorre,  quando  è  chiamata^  o  ne 
viene  ordinala  dalla  segreteria  di 
stato,  a  mantenervi  il  buon  ordine 
coi  distaccamenti,    sotto  l' immedia- 


272  CIV 

ta  dipendenza  de' suoi  capi,  e  tal- 
volta ha  armato  anche  i  teatri.  Si 
vedi;  montare  la  guardia  colla  pro- 
pria bandiera  ned  (jnartiere  presso 
il  palazzo  Apostolicd  abitato  dal  so- 
riano l*onlc(ìce  nel  dì  primo  del- 
l'anno, nell'anniversario  della  Co- 
ronazione del  Papa,  che  regna,  e 
nel  di  della  festa  de' ss.  apostoli 
Pietro  e  Paolo,  come  giorni  solen- 
ni, anche  in  commemorazione  di 
avere  per  lungo  tempo  prestato 
quotidianamente  tal  servizio  al  Pon- 
telìce  nella  guardia  reale.  11  corpo 
civico  in  fine  presta  qualunque  im- 
preveduto servigio  straordinario  sì  di 
onore,  che  di  l'atica  nella  capitale  del- 
lo stato  Pontificio,  allorché  il  coman- 
dante generale  del  medesimo  ne  vie- 
ne richiesto  dalla  segreteria  di  stato; 
per  cui  quando  il  governo  accorda  ai 
sovrani,  che  si  recano  in  questa  ca- 
pitale, la  guardia  d'onore,  il  corpo 
civico  è  chiamato  a  farvi  il  primo 
turno. 

Dagli  ajutanti  sotto  ufTiciali,  e 
in  deficienza  di  (juesti,  dai  sergenti 
maggiori,  e  sergenti,  che  si  sono 
distinti  col  servigio,  e  con  la  con- 
dotta, si  scelgono  gli  ufficiali  di  po- 
lizia alle  porte  di  Roma,  servigio, 
che  ebbe  principio  fin  dal    1817. 

La  compagnia  scelta  poi,  che  vie- 
ne comandata  dal  suo  capitano,  a 
forma  della  richiesta  di  monsignor 
maggiordomo,  o  di  monsignor  mae- 
stro di  camera  secondo  le  rispettive 
attribuzioni,  presta  il  suo  servigio 
nella  seconda  anticamera  Pontificia 
appresso  immediatamente  alle  guar- 
die nobili  in  tutti  i  giorni,  ne'qua- 
li  il  Pontefice  dà  udienza  pubblica, 
e  così  pure  in  quelli  della  cappella, 
o  di  altre  funzioni.  Concorre  ezian- 
dio col  suo  armamento  nelle  cap- 
pelle, che  il  Papa  celebra,  ocui  assiste 
fuori   del    palazzo    Apostolico    nelle 


CIV 

chiese,  o  basiliche  di  Roma.  Altret- 
tanto fa  nei  Pontificali,  che  cele- 
bra il  medesimo  Pontefice  ,  sempre 
do[)o  le  guardie  nobili,  prendendo 
la  dritta  sui  capotori,  come  si  schie- 
ra nella  sala  regia  del  palazzo  apo- 
stolico per  le  processioni,  che  vi 
lunmo  luogo,  nelle  sagre  funzioni 
delle  cappelle  Pontificie.  Per  rende- 
re pili  agevole  il  servigio  dell'  anti- 
camera, tal  compagnia  ha  un  corpo 
tli  guardia  nei  due  palazzi  aposto- 
lici del   Vaticano,    e    del    Quirinale. 

All'uditorato  militare,  che  secon- 
do l'impianto  si  forma  da  un  udi- 
tore generale,  da  altro  uditore,  e 
da  mi  attuario,  è  affidato  il  ramo 
giudiziario  di    tutto  il  corpo. 

La  guardia  civica  ha  un  coman- 
dante generale,  che  suol  essere  un 
principe  l'ornano,  il  quale  dipen- 
de dal  Cardinale  segretario  di  stato. 

Origine  della  guardia  civica 
di  Roma. 

Nel  declinare  del  secolo  decorso, 
il  floridissimo  regno  di  Francia  pre- 
cipitò nell'anarchia,  si  eresse  in  re- 
pubblica, e  giunse  la  sua  conven- 
zione nazionale  a  decapitare  il  re 
e  la  regina,  ad  abolire  ogni  culto 
religioso,  e  a  disporre  anco  l' ab- 
battimento della  sede  del  cattoli- 
cismo.  A  tal  effetto  occultamen- 
te vi  spedì  emissari  per  sovvertire 
l'ordine  pubblico  ,  fra'  quali  i  più 
audaci  furono  La  Flotte,  e  Basville,  il 
quale  però  fu  vittima  della  sua  im- 
prudenza, e  dell'irritata  plebe.  Seb- 
bene il  tumulto  e  le  conseguenze  fos- 
sero affatto  ignote  al  sovrano  Ponte- 
fice Pio  VI,  la  repubblica  francese 
prese  la  morte  di  Basville  per  prete- 
sto al  compimento  de'suoi  disegni , 
per  cui  il  Papa  che  ne  conosceva 
le  mire,  a  difesa  de' propri    sudditi 


CIV 

aumentò  la  3-Jilizia  Pontificia  (  Ve- 
di). Né  andò  guari  che  le  truppe 
repubblicane  a' 19  gennaio  1796 
entrarono  nel  Bolognese,  e  costrin- 
sero Pio  VI  a  conchiudere  a'  ^3 
giugno  in  Bologna  un  pregiudizie- 
vole armistizio,  in  cui  oltre  la  per- 
dita delle  legazioni  di  Bologna  e 
Ferrara,  e  la  citteì  di  Faenza ,  si 
dovette  accedere  a'  più  grandi  sa- 
grifizi  ed  umiliazioni  .  Mentre  si 
attendeva  per  parte  del  direttorio 
di  Parigi,  alla  ratifica  degli  articoli 
dell'armistizio,  esso  in  vece  esigette 
prima  da  Pio  VI  una  pubblica  ri- 
trattazione de'brevi  apostolici,  coi 
({uaii  avea  giustamente  condannato 
la  costituzione  civile  del  clero  di 
Francia,  per  non  violare  la  disci- 
plina della  Chiesa.  Interrotto  per- 
tanto ogni  trattato,  il  provvido  Pon- 
tefice, per  tutelare  1'  integrità  dei 
dominii  della  santa  Sede  e  i  suoi 
sudditi,  ed  in  vista  del  movimento 
che  doveva  avere  la  truppa  di  li- 
nea, chiamata  allora  truppa  rego- 
lala^  la  quale  dovea  spedirsi  ai  con- 
fini del  minacciato  stato,  contando 
sulla  fedeltà  e  patriottismo,  di  cui 
sempre  si  pregiò  il  popolo  romano , 
venne  nella  determinazione  di  aflì- 
dare  il  servizio  militare  interno  del- 
la capitale  agli  stessi  abitanti  ,  con 
un  corpo  di  civica  milizia.,  che  poi 
prese  il  nome  di  guardia  civica. 

Ed  è  perciò  che  il  Caidinal  Bu- 
sca, segretario  di  stato,  a'2S  settem- 
bre 1 796,  emanò  una  notificazione, 
con  cui  invitò  in  nome  del  Papa  i 
bottegai  ed  artisti  di  Roma  ad  a- 
scriversi  nei  ruoli  delia  milizia  ci- 
vica. Questa  fi^i  stabilita  in  cinque 
battaglioni  sotto  il  comando  d' un 
colonnello,  un  tenente  colonnello  ed 
un  maggiore.  Ad  ogni  battaglione  fu- 
rono dati  dei  capitani, non  che  dei  capi- 
tani tenenti,  che  assunsero  il  coman- 
voi..   xui. 


CIV  27^ 

do  delle  diverse  compagnie  da  ri- 
partirsi nei  rioni  della  città,  per  la 
formazione  dei  battaglioni  designa- 
ti. Tali  ufficiali  si  presero  dal  cetr» 
nobile  ;  da  quello  de'negozianli,  ban- 
chieri, ed  altri  di  civile  condizione, 
gli  uffiziali  minori,  come  tenenti,  sot- 
to-tenenti, ed  alfieri  ;  mentre  tra  i 
primi  conduttori  o  proprietari  di 
botteghe  esei'centi  arti  e  mestieri, 
si  scelsero  gli  altri  graduali  sotto- 
ufficiali. Il  comando  supi-emo  della 
milizia  civica  fu  affidato  al  senato- 
re di  Roma  d.  Abbondio  Rezzoni- 
co,  nipote  di  Clemente  Xlll ,  con 
quelle  istesse  preeminenze  e  supe- 
riorità d'ispezione,  che  godeva  il  co- 
mando generale  della  truppa  rega- 
lata. Ad  ogni  compagnia  si  assegnò 
un  quartiere  nei  diversi  punii  della 
città,  per  cui  in  un  momento  ne 
furono  aperti  trentuno,  e  situati  in 
modo  che  reciprocamente  all'istan- 
te si  potevano  aiutare  in  qualun- 
que emergente,  dappoiché,  secondo  il 
Novaes,  Vita  di  Pio  VI,  a  quat- 
tordici mila  uomini  ascese  la  civica 
romana  nel  suo  nascere.  Le  spese 
del  primo  impianto  di  tal  guardia, 
e  dei  soldi,  dalla  metà  di  novembre 
a  tutto  dicembre  di  detto  anno , 
furono  sostenute  dalla  cassa  de"  do- 
ni gratuiti  fatti  in  seguito  della  no- 
tificazione di  segreteria  di  stato  de- 
gli 8  ottobre  1796,  ed  ammonta- 
rono a  diecimila  e  duecento  scudi 
circa.  Le  incumbenze  assegnale  al- 
la civica  furono  quelle  di  tutelare 
la  pubblica  sicurezza,  la  conserva- 
zione del  buon  ordine,  e  la  polizia 
pubblica  della  città,  dovendo  fare 
tultociò  che  potesse  essere  neces.sa- 
rio  all'  interna  tranquillità  del  pae- 
se. Agl'individui,  che  montavano  la 
guardia,  si  assegnarono  percompeir-o 
venti  baiocchi  al  giorno,  cioè  per 
ogni  servizio  militare,  e  proporzio-* 
18 


274  civ 

nato  fu  quello  pei  sotto-ufficiali. 
Venne  espressamente  ordinato  dal 
Pontefice,  che  la  nuova  truppa  ci- 
vica fosse  da  tutti  riconosciuta,  ri- 
spettata, ed  ubbidita  al  paro  delia 
truppa  regolata;  e  quindi  per  di- 
mostrare la  sovrana  soddisfazione, 
pel  copioso  arrolamento  degli  a- 
bitanti ,  accordò  loro  alcune  prero- 
gative, esenzioni,  e  privilegi,  come 
si  legge  nella  notificazione  del  Car- 
dinal Busca  dc'i3  novembre  lygH, 
che  principia  colle  parole.  Il  reli- 
gioso e  nobile  zelo,  ce. 

I  privilegi,  le  esenzioni  e  le  grazie 
accordate  alla  truppa  civica  da  Pio 
VI,  furono  {{ucllc  concesse  da  Ales- 
sandro Vili  ai  soldati  delle  milizie 
urbane,  e  da  Innocenzo  XII  agli 
alabardieri  di  .  monsignor  governa- 
tore di  Roma,  ed  ai  patentati  di 
Castel  s.  Angelo.  Piìi,  che  nelle  lo- 
ro cause  civili  e  criminali,  dovesse- 
ro giudicarsi  dai  giudici  competenti 
di  Roma ,  pagando  la  sola  metà 
delle  sportule,  emolumenti  e  pro- 
pine. Dalle  classi  de'  sergenti  e  ca- 
porali si  sarebbero  prescelti  li  Ca- 
po-rioni di  Roma  [Vedi),  colla  per- 
cezione dei  solili  emolumenti;  e 
venne  decretato  che  in  ogni  anno 
per  ciascuna  compagnia  si  conferi- 
rebbero tre  doti  di  scudi  venticin- 
que r  una,  da  godersi  dalle  figlie 
dei  civici.  Tali  concessioni  furono 
seguite  dagli  arlieoli  militari  per  la 
truppa  civica,  pubblicati  dal  prin- 
cipe Rezzonico  comandante  genera- 
le, coi  quali  stabilironsi  le  norme 
pel  servizio ,  e  le  pene  pei  tras- 
gressori, che  venivano  giudicati  dal 
tribunale  militare,  avendovi  a  tal  ef- 
fetto l'uditore  generale.  Nel  1797 
la  civica  fu  posta  in  azione,  e  poco 
dipoi  fu  raddoppiata  la  mercede  a 
quelli  che  hi  fruivano.  Intanto,  co- 
me si  dirà  all'articolo  Roma  (Fedi), 


CIV 

accrebbero  i  torbidi  dei  male  inten- 
zionati e  partigiani  della  repubbli- 
ca francese,  i  quali  più  volte  ten- 
tarono la  rivoluzione;  laonde  inco- 
minciando dal  generale  ,  la  civica 
accorse  zelante  ovunque  per  repri- 
mere l'audacia,  e  conservare  la  pub- 
blica tranquillità,  come  dimostrò 
neir  incauto  tentativo  rivoluzionario 
di  Duphault,  che  ne  restò  morto 
nel  palazzo  Corsini  a' 28  dicembre. 
Però  questo  disgustoso  avvenimen- 
tOj  ad  onta  della  pace  di  Tolentino, 
determinò  i  francesi  ad  effettuare 
la  detronizzazione  e  deportazione  di 
Pio  VI,  e  r  intera  occupazione  del- 
lo stato  della  Chiesa,  ciocché  si  ve- 
rificò a'i5,  e  20  febbraio  1798, 
insieme  alla  istallazione  dell'  effime- 
ra repubblica  romana.  Della  guar- 
dia civica  sotto  tale  illegittima  epo- 
ca non  se  ne  parla,  seppure  non  si 
volessero  ricordare  le  tre  convoca- 
zioni fatte  dal  governo  invasore, 
nelle  due  usurpazioni  del  1798, 
sotto  Pio  VI,  e  nel  1808  sotto  Pio 
VII,  col  nome  di  legione  imperia- 
le, alle  quali  si  può  aggiugnere  la 
terza  nel  1812  colla  denominazio- 
ne di  legione  della  guardia  nazio- 
nale. Essa  era  comandata  da  un 
colonnello,  e  formavasi  di  otto  coorti, 
ognuna  delle  quali  veniva  comandata 
da  un  capo  di  battaglione.  Sì  avverte, 
che  questa  civica  fu  obbligatoria,  e 
che  non  valsero  le  ripulse  di  quelli 
che  furono  nominati  per  esentarse- 
ne. Le  dette  convocazioni  poco  van- 
taggio recarono,  giacché  il  governo 
francese  si  contentava  di  una  con- 
tribuzione da  chi  voleva  esserne  es- 
onerato, per  cui  adempivasi  il  ser- 
vizio dai  più  bisognosi ,  da  pochi 
fanatici,  o  dai  prezzolati  fazionieri. 
Tuttavolta  sotto  la  precaria  ammi- 
nistrazione napolilana,  e  nei  primi 
del    i8i4;  la  legione    della  guardia 


CIV 

nazionale,  e  massime  »  suoi  uffiziali 
si  adoperarono  pel  mantenimento 
dell'  ordine  pubblico,  specialmente 
pel  fausto  avvenimento  del  glorioso 
ritorno  di  Pio  VII  in  Roma ,  ove 
entrò  come  in  trionfo  a'  24  ^^^g" 
gio   18 14. 

Riorganizzazioni  della  guardia  ci- 
vica, e  notizie  che  la  riguar- 
dano. 

Nel  medesimo  mese  di  maggio 
del  1814,  ed  a'  i4  detto,  da  mon- 
signor Saiiseverino  ,  poi  Cardinale, 
commissario  provvisorio  delie  ar- 
mi, autorizzato  da  monsignor  Ri- 
\arola  ,  ora  amplissimo  Cardina- 
le, e  a  quell'epoca  delegato  aposto- 
lico di  Pio  VII  pel  ristabilimento 
del  governo  pontificio  in  Roma,  ven- 
ne provvisoriamente  confermata  la 
guardia  o  legione  nazionale,  clie  dal 
1812  trovavasi  in  attività,  la  quale 
poi  con  successivo  editto  de'21  del- 
lo stesso  mese  fu  disciolta,  e  in  vece 
111  convocata  la  guardia  civica  pon- 
tificia, per  affidarle  la  quiete  e  il 
buon  ordine  della  capitale,  finché 
fosse  riorganizzata  la  truppa  di  li- 
nea. Si  formò  essa  di  otto  batta- 
glioni, sotto  il  comando  del  princi- 
pe d.  Giulio  Rospigliosi,  romano , 
col  grado  di  colonnello  comandante, 
il  quale  lo  era  stato  pure  della  Le- 
gione della  guardia  nazionale,  e  di 
altrettanti  comandanti  scelti  dal  ceto 
nobile,  non  che  di  uffiziali  subalterni 
scelti  da  quello  de'  possidenti,  ne- 
gozianti, e  di  civil  condizione,  a  pro- 
posizione del  colonnello,  per  mezzo 
dei  capi  battaglioni.  Furono  invita- 
ti a  farne  parte  tutti  i  cittadini  dai 
sedici  ai  sessanta  anni  inclusivi,  me- 
no le  persone  artiste,  che  vivono 
del  ritratto  dalla  giornata  che  lavo- 
lauo,  e  quelle  trovate  inabili,  oltre 


CIV  275 

gli  ebrei.  Si  formarono  otto  quar- 
tieri, si  ristabiri  come  prima  il  pa- 
gamento di  baiocchi  venticinque 
per  i  civici  che  volessero  farsi  rap- 
presentare da  altri  nelle  guardie,  e 
nei  detti  quartieri  si  aprì  un  ruolo 
per  segnarvi  i  volontari,  per  forma- 
l'e  uno  o  più  battaglioni,  che  verreb- 
bono  chiamati  disdnù,  e  gl'individui 
sarebbero  autorizzati  a  monturarsi 
secondo  il  figurino  stabilito,  col  go- 
dimento nel  servizio  militare  del  pri- 
mo rango  nei  posti.  Fra  i  volonta- 
ri si  ammettevano  i  probi  possiden- 
ti, capi  di  negozio  e  mestieri ,  ed 
altri  della  classe  civile.  Avendo  a- 
dunque  la  guardia  civica  occupato 
i  posti  della  linea,  i  suoi  uffiziali, 
oltre  il  servizio  di  piazza,  ebbero 
r  onore  di  prestare  il  loro  persona- 
le servizio  di  guardia  del  corpo  al 
Pontefice  sia  nello  scortarlo,  sia  nel- 
le sue  anticamere,  sia  nelle  sagre 
funzioni,  e  ciò  fino  al  mese  di  ot- 
tobre i8i4j  epoca  in  cui  ebbe  luo- 
go la  x'iorganizzazione  delle  Guardie 
nobili  pontificie  {Vedi),  l^la  essendo 
stata  inoltre  posta  inattività  la  trup- 
pa di  linea,  il  nominato  prelato  Sau- 
severino,  con  editto  de'  26  gennaio 
1  8 1 5,  disciolse  pel  primo  febbraio 
la  guardia  civica  di  Roma,  che  in 
nome  sovrano  assai  encomiò  ;  con- 
servando l'onore  dell'uniforme  al 
colonnello  comandante,  e  ai  capi  di 
battaglione,  e  agli  uffiziali  subalter- 
ni della  organizzazione  ristretta,  che 
fu    lasciata    per    riattivarsi    al    biso- 

Non  andò  guari  che  ciò  si  veri- 
ficò nel  medesimo  anno  con  notifi- 
cazione del  celebre  Cardinal  Con- 
salvi, segretario  di  stato,  emanata 
a'  27  dicembre,  in  cui  rammenta  i 
menti  della  civica,  per  essersi  do- 
vute spedire  alcune  compagnie  di 
truppa  di    linea  nella    provincia    di 


27G  CIV  CIV 
Campagna  alla  estirpazione  ile' mal-  pa  militare  fu  hciicilclta  nella  chie-, 
viventi.  Invitò  pertanto  tutti  i  na-  sa  di  s.  Silvcstio  al  Quirinale,  da 
livi  di  Roma,  e  quelli  che  vi  erano  monsignor  nreivescovo  di  Tral)ison- 
divenuli  cittadini  per  domicilio,  cioè  da  nella  mattina  del  primo  olto- 
i  nobili,  i  possidenti,  i  proprietari ,  bre,  e  quindi  fu  depositata  presso 
i  negozianti,  e  i  capi  di  mestieri  il  detto  comandante  generale.  Nel- 
«lall'etù  di  anni  sedici  sino  ai  cin-  l'anno  seguente  1817  con  notiflca- 
quanta,  dovendo  solo  tali  classi  far  zione  de'  2.j  luglio  il  Cardinal  Con- 
parte del  nuovo  nrrolamento,  di  cui  salvi  dichiarò  la  soddisfazione  del 
fu  fatto  il  suddetto  principe  Rospi-  Papa  per  la  civica,  ed  a  rendere 
gliosi  brigadiere  comandante  gene-  meno  gravoso,  e  più  equaltilmeutc 
rale;  e  lo  scopo  di  questa  riorga-  diviso  il  servizio,  ordinò  che  tutti 
nizzazione  del  corpo,  si  fu  per  la  i  capi  di  negozi,  arti,  e  mestieri, 
sicurezza,  e  tranfjuillità  della  capi-  non  che  i  padroni  di  botteghe,  che 
tale.  Al  comandante  fu  dato  posto  non  avessero  legittimo  impedimento, 
nella  coTigregazione  militare ,  alla  fossero  iscritti  nel  ruolo  civico,  ve- 
guardia  la  preeminenza  .-^ulla  linea ,  nendo  aggiunti  ai  privilegi  concessi, 
e  a' suoi  individui  il  privilegio  del  l'esenzione  dal  pagamento  per  la 
foro  militare  con  un  uditorato  par-  patente  di  esercizio,  e  l'abilitazione 
licolare  distinto  da  quello  delia  li-  di  farsi  rappresentare  da  un  figlio 
nea  ,     la     franchigia    personale    sul  o  nipote. 

macinato,  e  sul  vino,  per  la  fé-  Nuova  e  solenne  prova  della  pie- 
sta  di  s.  Pietro,  una  distribuzio-  dilezione  di  Pio  VII  per  la  civica, 
ne  di  medaglie  di  ai'gento  che  si  certamente  fu  il  posto  distinto  che 
sogliono  coniare  per  tal  solennità,  accordò  nelle  sue  pontificie  antica- 
per  premiare  i  benemeriti;  ed  in  ogni  mere,  dopo  le  guardie  nobili,  alla 
estrazione  del  lotto  una  delle  cin-  compagnia  scelta  della  medesima 
que  dotazioni  a  vantaggio  delle  lo-  guardia,  cosi  detta  dall'essere  com- 
ro  figlie,  o  sorelle,  o  parenti  pros-  posta  di  persone  di  civil  ceto ,  e 
sima.  Nel  medesimo  giorno,  il  pre-  monturate  nobilmente,  la  quale  fu 
lodato  Cardinal  Consalvi  pubblicò  organizzata  nello  stesso  anno  18 1"; 
i  Regolamenti ,  ed  istruzioni  relati-  distinzione  che  in  seguito  fu  am- 
ve  alla  guardia  civica  di  Roma,  pliata  in  molte  delle  sagre  funzioni_, 
che  riguardano  specialmente  il  pri-  cui  assiste  o  celebra  il  sommo  Pon- 
vilegio  del  foro  militare.  ]\Iolti  con-  tefice,  come  si  può  vedere  all'  arti- 
corscro  ad  ascriversi  nei  ruoli,  laon-  colo  Cappelle  Po>fTiFiciE.  Va  qui 
de  nel  febbraio  18 16  intrapresero  avvertito,  che  quando  la  civica  era 
il  servizio,  e  per  le  parate  della  se-  coattiva  ,  vi  erano  due  compagnie 
guente  settimana  santa,  e  solennità  scelte,  una  di  granatieri,  e  l'altra  di 
di  Pasqua,  fu  pronto  un  battaglio-  volteggiatori,  le  quali  nel  1826  fu- 
ne completamente  monturato  ,  che  rono  unite  insieme,  ed  ora  formano 
prese  la  dritta  del  quadro  aperto  l'attuale  compagnia  scelta.  Alla  com- 
sulla  piazza  del  Vaticano  per  le  so-  pagnia  poi  degli  usseri  a  cavallo  , 
lonni  benedizioni  papali.  Quindi  nel  cosi  detti  perchè  il  loro  ricco  ve- 
settembre  Pio  VII  accordò  al  cor-  stiario  era  alla  foggia  degli  unga- 
po  civico  l'onorevole  distintivo  del-  resi,  composta  di  persone  civili,  ed 
la   Ixìiidicra,  che  con  religiosa  poni-  istituita  nel    18 19,  iu  occasione  del- 


CIV 
ja  solenne  processione  tìel  Corpus 
Domini,  venne  dato  l'onore  di  scor- 
tare il  Pontelìce,  presso  il  suo  tre- 
no, e  dopo  le  dette  guardie  nobili, 
in  tutte  le  pubbliche  funzioni  jia- 
pali  ,  compresa  la  processione  del 
Corpus  Domini.  Sembra  che  non 
debba  passarsi  sotto  silenzio  il  fedele, 
e  più  grave  servigio  reso  dalla  fan- 
teria e  cavalleria  civica  nel  1820, 
a  motivo  della  costituzione  adottata 
dai  rivoluzionari  nel  contermine  re- 
gno di  Napoli,  per  cui  la  cavalleria 
specialmente  pattugliò  per  Koma  al- 
ternativamente ai  dragoni  in  tempo  di 
notte  per  più  mesi.  L' intiero  corpo 
poi  si  distinse  per  la  sua  fedeltà  e 
prontezza  nell' accorrere  alla  difesa 
del  Pontefice,  e  del  suo  governo  nella 
sera  dei  i3  febbraio  1821  ,  in  cui 
pel  falso,  ma  creduto  vero  allarme 
di  una  imminente  aggressione  della 
capitale  per  parte  delle  truppe  ri- 
voluzionarie napolitane,  in  una  sola 
ora  la  guardia  civica  rilevò  da  tutti 
i  [)Osli  di  piazza,  ed  anche  dai  tea- 
tri la  truppa  di  linea,  acciò  questa 
potesse  subito  mettersi  in  marcia , 
ed  in  istato  di  difesa.  La  cavalleria 
poi  fu  piazzata  al  Quirinale  ove 
abitava  l'io  VII  anche  per  sommi- 
nistrare, siccome  fece,  le  ordinanze 
a  cavallo  in  servigio  del  Cardinal 
segretario  di  stato,  da  cui  si  ema- 
narono gli  ordini  per  mezzo  di  con- 
tinue e  pressanti  spedizioni. 

Ed  è  perciò  che  la  notificazione 
del  Cardinal  Consalvi,  data  a'  i4 
febbiaio  1821,  sarà  sempre  un  mo- 
nimiento  di  gloria  alla  civica  di 
Pioma,  perchè  nel  nome  dell'  im- 
mortale Pio  VII,  ne  rileva  i  pregi 
e  i  servigi  anco  slraordiuarii,  l'as- 
siduità e  la  fedeltà  d<;'niedesimi,  ciò 
che  pur  si  legge  nell'altra  notifica- 
zione, cui  lo  stesso  porporato  pub- 
blicò a' 6  marzo  1822.  Anzi  in  que- 


CIV  277 

sta,  pei-  r  aumento  del  militar  ser- 
vigio, venne  ampliato  il  permesso 
ai  civici  di  farsi  rappresentai'e  an- 
che da  un  parente,  o  ministro,  o 
giovine  del  proprio  negozio  e  bot- 
tega ;  ma  si  obbligarono  a  far  parte 
del  corpo  i  banchieri,  i  mercanti  di 
campagna,  ed  ogni  capo  di  nego- 
ziato o  traffico  ;  non  che  tutti  gli 
impiegati  secolari,  autorizzati  però 
a  farsi  rappresentare  mediante  il 
pagamento  d'una  tassa,  lo  che  pur 
fu  concesso  ai  mentovati  banchie- 
ri, ec.  Inoltre  furono  chiamati  al 
pagamento  d' una  quota  mensile  i 
bottegai  di  arti  e  mestieri  infimi,  e 
i  bottegai  e  negozianti  ebrei ,  in 
luogo  di  prestare  servigio,  goden- 
done i  vantaggi  come  lo  adempis- 
sero, e  facessero  parte  del  corpo , 
meno  quei  privilegi  accordati  dal 
sovrano  Pontefice  a  chi  serviva  per- 
sonalmente, dei  quali  non  potrebbo- 
no  godere  i  rappi-esentati  mediante 
pagamento. 

Quindi,  con  1'  ordine  del  giorno 
de'  26  aprile  1822,  si  stabilì  mi 
nuovo  impianto,  dappoiché  ai  cin- 
que battaglioni  furono  sostituite  le 
divisioni,  gii  antichi  comandanti  si 
piomossero  a  colonnelli  divisionari, 
e  dalla  nobiltà  si  presero  de'  nuo- 
vi tenenti  colonnelli,  come  a!  gra- 
do di  maggiori  si  esaltarono  i  be- 
nemeriti capitani.  Dipoi,  nei  primi 
del  1823,  avendo  il  principe  Rospi- 
gliosi rinunziato  al  comando  della 
civica.  Pio  VII  a'  28  gennaio  ne 
dichiarò  successore  il  principe  ro- 
mano d.  Paluzzo  Altieri  senatore 
di  Roma,  col  grado  di  comandante 
generale.  Il  detto  impianto  non  eb- 
be sviluppo  ed  esecuzione,  ed  in 
vece  si  venne  ali"  organizzazione  di 
due  reggimenti  composti  di  due  bat- 
taglioni, e  nello  stesso  tempo  si 
stampò  il  Manuale  relativo  al  cor- 


27B  civ 

no  lilla  guardia  cù'ica  di  Roma, 
liei  quale  8Ì  descrissero  i  regola- 
menti, l'istruzione  disciplinare  e 
penale,  ce.  per  legge  stabile  del  cor- 
po, e  si  enumerarono  lutti  i  privile- 
gi sovrani  fino  a  quell'  epoca  con- 
cessi al  corpo  civico.  Il  detto  Ma- 
nuale riguarda  il  corpo  civico  con 
leggi  obbligatorie  a  servire,  per  cui 
fu  pubblicato  a'  26  aprile  182 3 
con  approvazione  della  segreteria 
di  stato.  Morto  Pio  VII  a'  20  ago- 
sto, i  civici  ne  scortarono  il  convo- 
glio funebre,  e  prestarono  il  servigio  sì 
nelle  esequie  novendiali,  che  pel  con- 
clave, alla  guardia  reale  del  Quirina- 
le, come  facevano  prima  delia  mor- 
te del  Papa,  e  successiva  elezione, 
e  coronazione  di  Leone  XII. 

Questo  Pontefice,  mediante  la  no- 
tificazione, che  pubblicò  a'  2 1  no- 
vembre 1823  il  Cardinal  della  So- 
maglia  segretario  di  stato,  previo 
un  elogio  alla  civica,  per  le  mol- 
tissime istanze  degl'individui  della 
medesima,  che  erano  obbligati  a 
servire  personalmente ,  o  a  pagare 
lina  tassa  pel  rimpiazzo,  accordò  il 
domandato  riposo ,  j-imanendo  fer- 
mo rimpianto  del  corpo,  e  con- 
servandogli il  tenue  servizio  giorna- 
liero alla  custodia  della  bandiera, 
che  fu  depositata  in  Campidoglio 
neir  appartamento  del  senatore,  ed 
accanto  al  trono  ;  per  cui  fu  con- 
servato il  posto  della  guardia  per 
essa  nel  Campidoglio  medesimo,  da 
farsi  dai  fazionieri  a  soldo,  il  quale 
posto  nell'agosto  1826  fu  dato  alla 
truppa  di  linea.  Abolì  la  tassa  di 
ritnpiazzo,  conservò  per  metà  il  pri- 
vilegio delle  esenzioni  dal  paga- 
mento della  tassa  patente,  la  licen- 
za per  la  caccia,  le  dotazioni,  e  per 
carcere  in  caso  di  arresto,  il  pro- 
fosso stabilito  in  Campidoglio,  o  il 
Castel  s.   Angelo,  A  tutti  gli  ulTiziali 


CIV 

sino  al  grado  di  sergente  maggiore 
si  permise  indossarne  1'  uniforme , 
co' rispettivi  distintivi.  In  seguito, 
e  «ebbene  nell'agosto  182G  fosse 
agli  antichi  impiegati  del  corpo  ri- 
formato il  soldo  che  godevano,  Leo- 
ne XII  reputò  opportuno  che  la 
civica  riprendesse  le  sue  militari 
funzioni,  concorrendo  al  disimpegno 
del  servizio  ordinario  della  piazza 
di  Roma,  ed  altri  straordinari,  ma 
senza  coazione,  e  costringimento  al- 
cuno. Tuttavolta  la  massima  parte 
de'  civici,  venerando  i  sovrani  inviti, 
si  ascrissero  tra  i  volontari  ,  si  ri- 
pristinarono tutti  i  privilegi,  e  riat- 
tivossi  il  servizio,  esaurito  in  parte 
da'  fazionieri  pagati  dal  governo,  ne- 
gli otto  posti  militari.  Il  corpo  si 
prestò  alle  straordinarie  parate  nelle 
principali  funzioni  annuali  sì  pub- 
bliche, che  sagre,  alle  quali  Leone 
XII  per  distinzione  aggiunse  i  tre 
servizi  ordinari  ai  quartieri  della 
guardia  reale  presso  il  palazzo  apo- 
stolico ,  ne'  tre  solenni  giorni  del 
primo  dell'anno,  della  festa  de'  prin- 
cipi degli  apostoli ,  principali  pro- 
tettori di  Pioma,  e  dell'anniversario 
della  coronazione  del  sommo  Pon- 
tefice, siccome  di  sopra  si  è  già  ac- 
cennato. 

Per  morte  di  Leone  XII,  nell'an- 
no 1829,  ed  elezione  di  Pio  Vili, 
la  civica  rese  i  medesimi  servigi 
suddescritti  :  quest'ultimo  Papa  am- 
pliò ad  essa  il  privilegio  del  foro 
criminale,  e  manifestatisi  nel  i83o 
alcuni  torbidi  nello  stato  ,  per  ri- 
verbero di  quelli  gravi  insorti  in 
altri,  fu  aumentato  al  corpo  il  ser- 
vizio ,  ed  accresciuta  la  vigilanza 
mediante  duplice  ispezione,  rinfor- 
zi, e  pattuglie,  anco  della  compa- 
gnia a  cavallo  degli  usseri  a  tutela 
dell'  ordine  pubblico.  Passato  agli 
eterni  riposi   Pio  Vili ,    i    civici  si 


CIV 
prestarono  nel  trasporlo  del  di  lui 
cadavere,  nella  sede  vacante,  ed  alla 
esaltazione  al  pontificato  di  Grego- 
rio XVI   regnante,  che    si    verificò 
a'  2  febbraio   i83i;    indi,  a'  7  del 
medesimo    mese,  giunse    in    Roma 
r  infausta  nuova  della    insurrezione 
di    alcune    provincie     de'  pontificii 
dominii,  nelle  quali  i  ribelli    avea- 
no  profittalo  dell'  interregno.    Que- 
sto triste  avvenimento  se  trafisse  il 
suo  paterno  animo,    riuscì    poi    di 
gloria,  e  al  corpo  civico  di  occasio- 
ne luminosa  per  dimostrare    il  sin- 
cero patriottismo ,    ed   il   vivo  reli- 
gioso attaccamento  alla  santa  Sede, 
e  al  novello  sovrano    Pontefice.  La 
sei-a  degli    1 1    febbraio    ne    diedero 
i  civici    volontari    mirabile    prova , 
dopo  che  alcuni  sciagurati  avevano 
tentato  sorprendere  a  piazza  Colon- 
na il  valore  e  la  fedeltà   della  bra- 
va truppa  di  linea  pontificia.  Giac- 
ché consistendo  allora    il    corpo  in 
circa  quattrocento  individui,  in  ve- 
ce di    recarsi    a  riposare    alle  pro- 
prie   case ,    dopo    avere  prestato  il 
servizio    del    carnevale ,    spontanea- 
mente si  posero    a    disposizione  dei 
superiori,  e  senza  risparmiare  disa- 
gi e  fatiche    s' impiegarono    perchè 
la  pubblica  quiete  non    venisse    al- 
terata. La  compagnia  scelta  avendo 
alla  testa  il  suo  capitano,    si  munì 
e  restò  sulle    armi    al  Quirinale    a 
difesa  del  suo  sovrano ,    e    ne   rad- 
doppiò in  seguito  la  guardia  in  quel 
palazzo  apostolico.    I\Ia    nel  giorno 
seguente,  il  Cardinal  Bernetti  pro- 
segretario di  stato,  emanò  una  no- 
tificazione, colla  quale  pel  manteni- 
mento dell'ordine    contro   le  prave 
macchinazioni    dei    malintenzionati , 
comandò  che  oltre  i  civici    già  ar- 
ruolati, ognuno  dei  quattordici  pre- 
sidenti regionari  scegliesse  cento  in- 
dividui   alti  a    concorrere    alla    di- 


CIV  279 

fesa  delle  proprie  famiglie,  sostanze  e 
pubblica  incolumità.  Indi  a'  2 1  dello 
stesso  mese    pubblicò    il    medesimo 
Cardinal  Bernetti  un'altra  notificazio- 
ne, colla  quale  per  diminuire  il  servi- 
gio personale,  o  la  quota  di  contri- 
buenza  a  quelli  civici,  che  si    face- 
vano rappresentare,  dovendo  il  cor- 
po quasi  per  intero    ricoprire  l'  ai'- 
mamento  della   città ,    perchè    gran 
parte  della  truppa  di  linea  era  stata 
spedita  contro  i  rivoltosi ,    dichiarò 
che  la  guardia  sarebbe  composta  di 
tutti    i    cittadini    atti    a    portare  le 
armi,  esclusi    gli    ecclesiastici,    cioè 
quelli  che  avessei'o  compita  l'età  di 
anni    venti ,    e    non    altrepassassero 
quella  di  sessanta,  potendone  anco- 
ra far  parte  quelli,  che    supei'ando 
lal'età,  volessero  appartenervi.  Oltre 
a  ciò  furono  pure  esclusi  quelli  che 
vivono    di    mercede    giornaliera ,    e 
gì'  impotenti    vennero    autorizzati  a 
farsi  rappresentare.  Indi  il  coman- 
do generale  notificò  che    le  cancel- 
lerie dei  cinque    colonnelli     riceve- 
rebbono  le  iscrizioni  degl'  individui. 
Sia  ad  eterna  lode  de'  romani,  alla 
voce  del  sovrano  invito ,    senza  di- 
stinzione di  ceti,  senza  riguardo  alla 
nascita,  nobili,  e  plebei,  possidenti, 
impiegati,  legali,  artisti,     bottegai, 
in  una  parola  gli  abitanti  della  ca- 
pitale   del    cristianesimo    tutti   cor- 
sero in  fretta  a  dare  il  loro  nome. 
Furono  pertanto  nominati  altri  uf- 
ziaU  di  slato  maggiore,  e  gran  nume- 
ro di  uffiziali  subalterni  ;  si  formaro- 
no quattro  reggimenti,  vennero  de- 
stinali i  battaglioni  e  le  compagnie,  e 
col   medesimo  ordine  dell'  iscrizione 
si  prestò  indistintamente   il  servizio 
ovunque  venne  comandato.  Partita 
da  Roma  la  truppa  di  linea,  il  quai'- 
tiere  del  Quirinale,  il  palazzo  apo- 
stolico colla  sagra  persona   del  Pon- 
tefice,   e   la    protezione    dell'  ordine 


aSo  CIV 

pubblico  si  aHiclarono  alla  civica,  sus- 
sidiata da  sole  due  compagnie  au- 
siliarie pagate  con  le  tasse  di  quel- 
li die  si  facevano  suppliie  nel  ser- 
•vi/io,  secondo  il  permesso  dato  dal 
pielodato  segretario  di  stato  con 
notificazione  de' 3  giugno  i83i.  Con 
essa,  e  con  altre  il  regnante  Gre- 
gorio XVI  esternò  in  modo  solen- 
ne l'alta  sua  soddisfazione,  gratitu- 
dine, e  paterna  benevolenza  al  be- 
nemerito e  fedele  corpo  civico  . 
IVon  deve  omettersi  a  lode  del 
comandante  generale  di  quel  tem- 
po, che  il  superior  governo,  nel  luo- 
go il  più  forte  del  palazzo  senato- 
rio in  Campidoglio,  fece  un  depo- 
sito di  armi  di  diverse  specie  per 
armare  in  un  momento  piìi  di  mil- 
le civici;  e  queste  munizioni  da  guer- 
ra ed  armamento  furono  affidate  al- 
la custodia  di  persona  del  corpo  ivi 
residente,  cioè  del  benemerito  udi- 
tore generale  del  medesimo,  l'avvo- 
cato Vincenzo  del  Grande;  e  ven- 
ne il  deposito  segretamente  ispe- 
zionato dal  conte  Resta ,  tenen- 
te generale  delle  milizie  pontifìcie  ; 
quindi  diminuito  il  timore,  le  mu- 
nizioni e  r  armamento  furono  ri- 
portate in  Castel  s.  Angelo.  Cessate 
le  turbolenze,  e  rientrata  la  truppa 
di  linea  nella  capitale,  il  servizio  dei 
civici  venne  alleggerito,  massime  di 
quelli  da  ultimo  ascritti  e  non  mon- 
turati,  conservandosi  però  i  ruoli  per 
averli  pronti  ad  ogni  appello  che 
la  necessità  richiedesse;  cessando  an- 
cora la  tassa  imposta  a' contribuenti, 
e  venendo  in  vece  aumentato  il  nu- 
mero de'  volontari.  Il  perchè  a' 7.5 
luglio  ritornò  il  corpo  nell'attività 
dell'antico  servizio,  e  le  due  compa- 
gnie ausiliarie  passarono  sotto  il  co- 
mando della  linea.  Quindi  il  bene- 
fìco  Pontefice,  appena  istituito  l'or- 
idine  etpestre    di    s.    Gregorio    Ma- 


CIV 

gno,  in  contemplazione  de'  prestati 
servigi,  conferì  la  decorazione  del- 
la gran  croce  al  comandante  gene- 
rale principe  Altieri,  di  commenda- 
tore ai  colonnelli,  e  di  cavaliere  a- 
gl'  individui  dello  stato  maggiore, 
ed  altri  uffiziali  civici.  L'intiero  cor- 
po civico  poi  fu  premiato  quando  il 
regnante  Gregorio  XVI  disse  di  lui 
non  solo  a  Roma,  e  alle  provincie,  ma 
airi'ìuropa,  queste  memorande,  e  so- 
lenni parole:  »  Gloria  sia  pure  e  lo- 
»  de  a  quegli  onorati  cittadini,  che 
»>  unitisi  premurosi  in  milizia  civi- 
-•'  ca  vegliarono  indefessi  sotto  le 
}>  armi  e  tra  i  travagli  di  servizio 
>=  il  più  stretto  alla  salvezza  della 
»3  Nostra  persona,  e  alla  quiete  di 
!>  questa  città.  Noi  osservammo  con 
"  tenerezza  gareggiare  in  questo  ge- 
•i  neralmente,  e  indistintamente  col 
"  popolo,  persone  trutte  dalla  no- 
"  biltà  più  illustre,  e  da  quanto  ev- 
"  vi  in  tutti  gli  ordini  di  scelto 
"  ed  attivo.  Caro  ci  è  il  dichiarare, 
»  che  a  prove  sì  belle  di  divozio- 
»  ne  corrisponderà  sempre  la  pie- 
»5  nezza  del  Nostro  affetto,  che  non 
«  sarà  [)ago  se  non  colla  sicurez- 
"  za  della  compiuta  felicità  di  fi- 
»   gli  così  fedeli  ". 

Per  morte  del  menzionato  prin- 
cipe, il  corpo  civico  gli  prestò  i  mi- 
litari onori,  ed  il  regnante  Ponte- 
fice gli  diede  indegno  successore  a'i3 
gennaio  i834  il  principe  d.  Do- 
inenico  Orsini  romano,  che  avea  no- 
minato anche  senatore  di  Roma. 
Questi  subito  ne  assunse  il  coman- 
doj  nel  successivo  giorno  20  gen- 
naio, convocò  nell'appartamento  se- 
natorio di  Campidoglio  tutti  gli  uf- 
fìziali  civici ,  per  assicurarli  dell'im- 
pegno con  cui  andava  ad  occupar- 
si per  conservare  in  lustro  il  cor- 
po civico,  eleminandune  gli  abusi. 
Di  fatti  egli    riformò  le    compagnie 


CIV 

resili ngeudoue  il  numero,  e  ridu- 
ceiìdole  in  una  sola  arma;  regolariz- 
zò il  pagamento  delle  franchigie,  pa- 
reggiò il  numero  delle  teste  nelle 
compagnie,  essendo  allora  i  volon- 
tari soli  quattrocento  cinquantuno. 
Soppressa  la  compagnia  a  cavallo 
degli  usseri  ,  ridotta  inservibile  a 
cagione  del  ristretto  suo  numero , 
Ktabill  un  esatto  metodo  sulla  di- 
stribuzione e  durata  del  vestiario  ; 
liattivò  le  manovre  e  le  istruzioni 
militari,  e  richiamò  all'osservanza  le 
anteriori  discipline.  Avendo  la  guar- 
dia civica  la  precedenza  sulla  distin- 
ta milizia  urbana,  o  C a  potori  {^Ve- 
di), nel  i835  la  segreteria  di  stato, 
a'  3  I  gennaio,  glielo  confermò,  an- 
che pel  luogo  in  cui  nel  carne- 
vale guarnisce  il  corso.  Nel  seguen- 
te anno  vennero  riformati,  e  posti 
al  seguito  de' reggimenti  gli  uflizia- 
li  e  comuni  esuberanti,  od  inabili 
ce. ,  venendo  pure  regolarizzata  la 
distribuzione  delle  medaglie  di  ar- 
gento,  che  si  coniano  per  la  festa  di 
s.  Pietro,  secondo  la  concessione  nar- 
rata di  sopra  ;  indi  fu  rinnovato  e 
migliorato  l'armamento.  ìNel  1887, 
prima  della  manifestazione  del  pe- 
stilenziale morbo  cholera,  il  nume- 
ro dei  volontari  spontaneamente  si 
raddoppiò,  il  che  provocò  elogi  sì 
al  corpo  che  ai  capi,  dati  dal  Car- 
dinal Lanibruscbini  attuale  segre- 
tario di  stato  ,  per  nome  espresso 
del  Papa  che  regna.  11  morbo  rapì 
circa  ventisei  comuni,  cui  la  compa- 
gnia scelta  celebrò  solenni  esequie 
nella  chiesa  di  s.  ÌNIaria  Maddalena 
de'ministri   degl'infermi. 

IVel  i838  per  sovrano  favore  si 
riabilitarono  al  godimento  di  tutti 
i  privilegi ,  analoghi  allo  stato  at- 
tuale, gli  uffiziali,  che  per  la  loro  ri- 
forma n'  eiano  decaduti  ;  poscia  il 
corpo  si  prestò  per  l'esposizione  ed 


CIV  28 r 

estrazione  degli  oggetti  donati,  ad 
utile  degli  orfani  del  cholera  asia- 
tico. Rimanendo  alla  civica  il  solo 
posto  slabile  sul  Campidoglio,  dimi- 
nuitisi i  volontari,  a'i3  giugno  i838 
fu  consegnato  alla  truppa  di  linea. 
Sospeso  così  il  tenue  servizio  ordi- 
nario, non  rimase  alla  civica  che 
quello  straordinario.  Lo  zelo  del  prin- 
cipe Orsini  ottenne  l'autorizzazione, 
e  le  facoltà  per  riformare  e  dare 
un  novello  impianto  al  corpo  civi- 
co, che  produsse  lodevoli  risulta- 
ti; e  tanto  per  le  spalline,  che  pei 
distintivi  del  servizio  militare,  la  guar- 
dia civica  si  uniformò,  pegli  ulllzia- 
li,  e  sotto  ufllziali,  a  quello  che  pra- 
ticasi dagli  uffiziali  della  piazza  di 
Roma.  Dipoi,  coll'ordine  del  giorno 
datato  4  agosto  1840,  il  principe 
Orsini  pubblicò  altri  sedici  privi- 
legi concessi  da  Gregorio  XVI  al- 
la civica  di  Roma  sua  capitale,  eoa 
biglietto  di  segreteria  di  stato  dei 
1 5  luglio  precedente.  A  volerne  in 
compendio  fare  qui  menzione  dei 
principali,  essi  consistono  come  ap- 
presso . 

Che  nella  collezione  degl'impie- 
ghi, a  parità  di  requisiti,  al  borghe- 
se sarà  preferito  il  civico;  fermo  ri- 
manendo il  diritto  accordato  coli' ar- 
ticolo i63,  parte  prima  del  Manna' 
le  civico,  agli  aiutanti  sotto  uffizia- 
li, ed  ai  sergenti  maggiori,  per  ot- 
tenere i  lucrosi  posti  di  uffiziali 
di  polizia  alle  porte  della  città,  si 
dispose  che  in  caso  che  tali  gra- 
duati non  vi  concorrano,  o  non  sie- 
no  idonei  al  servizio,  ogni  civico 
potrà  concorrervi  ec.  ;  i  civici  che 
avranno  servito  dodici  anni,  conti- 
nueranno a  godere  la  licenza  del- 
l'uso dell'archibugio  per  la  caccia, 
il  carceie  militare,  e  l'annua  fran- 
chigia. Chi  avrà  servito  venti  anni 
godrà  l'onore    dell'uniforme,  Vcxe- 


28a  CIV 

(junlur  nel  mandali  civili,  l'esenzione 
(Iclh  lassa  patente,,  e  dell'alloggio 
jiiilitare.  Si  classincarono  i  privilegi  da 
godersi  dai  rappresentanti  dei  civici. 
)y\  concesse  al  civico  di  porre  sul- 
ruiiiforme  uno  scaglione,  o  sti'iscia 
di  painio  rosso  dopo  avere  servito 
Ire  anni.  lSì  slalìilirono,  oltre  le  me- 
daglie per  la  festa  di  s.  Pietro,  per 
la  ricorrenza  anniversaria  della  co- 
l'onazione  del  Papa,  due  medaglie 
d'oro  pegli  ulllziali,  e  dieci  di  argen- 
to pei  sotto  nniziali  e  comuni  volon- 
tari ,  coll'epigiafe  :  Al  mento,  e  con 
contorno  speciale  per  la  guardia  ci- 
vica di  Roma ,  onde  il  comandan- 
te generale  possa  premiare  i  bene- 
meriti del  corpo  :  chiunque  verrà 
decorato  di  tali  medaglie,  avrà  dirit- 
to di  portarla  sull'uniforme  sospesa 
ad  im  nastro  bianco  e  giallo.  Il  ve- 
stiario fu  fissato,  e  stabiliti  gli  or- 
namenti e  i  distintivi  delle  compa- 
gnie scelte  nella  tenuta  giornaliera 
e  nell'altra  di  parata,  in  corrispon- 
tlenza  aironorifico  servizio  che  pre- 
sta nelle  anticamere  e  cappelle  Pon- 
tificie, su  di  che  già  si  è  di  sopra 
fatto  cenno.  Gli  uHlziali  della  com- 
pagnia scelta  potranno  fuori  di  ser- 
vizio indossare  le  spalline  devolute 
al  grado  superiore  al  loro  grado;  il 
sergente  magg'ore  indosserà  i  di- 
stintivi di  aiutante  sotto  -  ufìiziale  , 
l'aiutante  sotto-ufllziale  quelli  di  sot- 
to-tenente: i  sotto-uffiziali,  ed  i  co- 
muni sono  pure  autorizzati  fuori  di 
servizio  ad  indossare  due  mozzette 
in  luogo  delle  spalline,  col  contras- 
segno del  grado.  Agl'individui  poi 
di  detta  comj^agnia,  da  sergente  a 
basso  venne  permesso  fuori  di  ser- 
vizio l'uso  del  cappello,  e  del  por- 
ta spada;  inoltre  fm-ono  assegnate 
alla  compagnia  scelta  sei  doli  del 
lotto  all'anno,  indipendentemente  da 
quelle  già   assegnate  al  corpo  civico. 


CIV 

Con  ordine  del  giorno,  de':»8  no- 
vend)re  i  H4  i ,  il  comandante  generale 
jìrincipe  Orsini  notificò  che  il  sovra- 
no Pontefice  per  ragione  di  salute 
lo  aveva  dietro  sua  domanda  esone- 
rato dal  comando  della  civica,  per 
cui  esso  in  lui  cessava  col  primo  del 
prossimo  dicembre,  subentrando  al 
medesimo  d.  Pompeo  de'  principi 
Gabrielli  romano.  Collo  stesso  ordi- 
ne il  principe  Orsini  invitò  lo  stato 
maggiore  del  corpo,  e  tutti  gli  uffi- 
ziali  superiori  e  subalterni  in  atti- 
vità, a  trovarsi  nella  mattina  de'3o 
novembre  in  stretta  uniforme  nel- 
r  ulllcio  del  comando  generale  alla 
Pilotla,  per  fare  la  dispensa  delle 
medaglie  di  merito  aggiudicate  a 
quelli,  che  se  n'  erano  resi  degni, 
mentre  egual  considerazione  per  su- 
periore volontà  era  stata  al  principe 
stesso  accordata.  Quindi  manifestò 
nel  modo  il  piìi  solenne  ed  onore- 
vole la  sua  soddisfazione,  ed  attac- 
camento per  r  intero  corpo,  che  ri- 
colmò di  elogi.  Tal  ordine  del  gior- 
no fu  seguito  da  altro  che  emanò 
nel  primo  di  dicembre  il  nuovo  co- 
mandante generale,  col  quale  in  belli 
ed  analoghi  modi  partecipò  al  cor- 
po la  sovrana  sua  destinazione  di 
presiederlo,  dirigerlo,  e  comandar- 
lo, eccitando  gli  uffiziali  e  i  soldati 
con  giusti  encomi  a  continuare  nel- 
l'onorevole e  disinteressalo  servigio, 
dandogli  per  parola  d' ordine  per- 
manente, ordine,  fedeltà,  ubbidienza. 

CIVIDALE  DEL  FRIULI.  Città 
del  regno  lombardo  veneto,  situata 
a  piedi  di  coltivati  monti,  ramo 
delle  Alpi,  sopra  il  fiume  e  torren- 
te Natisene,  che  nasce  nel  monte 
Moris,  e  che  è  attraversato  da  un 
ardito  e  magnifico  ponte  formato 
di  pietre  quadrate,  e  costruito  nel 
i44'  5  con  due  sole  grandiose  ar- 
cale.  Cividale  è  cinta   di   antiche,  e 


GIV  GIV  aS3 
solide  mura  e  di  una  fossa  ;  e  va  ed  aperta  questa  slessa  via  per  la 
doviziosa  di  pregevoli  monumenti  quale  era  prima  venuto  Massimino 
archeologici,  e  d' interessanti  i  seri  zio-  all'assedio  di  Aquileja,  e  dopo  lui 
ni.  Esistendo  nella  parte  del  moder-  Attila  nel  4^i  ^i  ^^'^  sceso  alla  to- 
no Friuli,  detta  Cargna^  o  Carnia,  tale  sua  distruzione.  Volendo  AU 
un  villaggio  chiamato  ora  Ziiglio,  i:)oino  proseguire  con  pari  passo  le 
e  in  latino  Juliiim  Carnicum,  si  sue  conquiste,  prima  d'  inoltrarsi 
disputa  fra  gli  eruditi,  se  in  Juliimi  prepose  alla  direzione  di  questa  pro- 
Carnicum,  o  in  Cividale  fosse  col-  vincia  Gisulfo  suo  nipote  col  titolo 
locata  la  vera  colonia  del  Foro  di  Duca,  da  lui  conosciuto  a  ciò 
Giulio.  Non  essendo  scopo  di  que-  idoneo ,  ed  atto  a  governare.  Di 
sto  Dizionario  il  decifraie  certe  qua  ebbe  origine  il  ducato  del 
questioni,  perciò  senza  prendere  al-  Friuli,  e  da  quest'epoca  Giulio  Car- 
cun  partito  in  proposito,  ci  limite-  nico,  città  forte  e  munita  capitale 
remo  ad  osservare,  che  il  conte  del  Foro  Giulio,  sola  rimasta  in- 
Girolamo Asquini,  nella  sua  Letlera  latta  dal  furore  barbaresco,  peroc- 
sul  Foro  Giulio  dei  Carni,  e  di  che  stava  lungi  da  quella  via  don- 
quello  di  altri  popoli  traspadani,  de  entrarono  i  barbari  del  setten- 
stampata  in  Verona  nel  1827,  sos-  trione,  divenne  la  residenza  del  suo 
tiene  in  modo  evidente ,  che  il  ducato,  il  quale  estese  i  propri 
Juliuin  Carnicum  fosse  chiama-  confini  sino  al  mare,  per  la  distru- 
to  Coloniain  Juliam  Kamoruni  ,  zione  di  Aquileja. 
distinta  affatto  dalla  Colonia  A-  Neil'  anno  6 1  i  Cacano,  re  degli 
quilejese,  e  dall'  altra  Giulia  Con-  Avari,  con  formidabile  esercito  si 
cordia,  attualmente  poco  abitata  ;  recò  dalla  Pannonia  in  queste  con- 
ma  sede  vescovile,  con  residenza  trade.  Entrato  appena  nella  Vene- 
dei  vescovo  in  Portogruai'o.  F.  Con-  zia,  si  die'  tosto  a  scorrere  con  la 
CORDIA.  «uà  armata  tutti  i  confini  della  co- 
Ai  detto  Giulio  Gamico,  o  Givi-  Ionia  Forogiuliese,  portando  la  de- 
dale, non  manca  il  lodato  scrittore  solnzione  e  la  strage  in  tutti  i  bio- 
di attribuire  la  cattedra  vescovile,  ghi,  secondato  da  que' baibari,  che 
fino  dai  primi  secoli  della  Chiesa,  giunti  alla  capitale,  ossia  a  Juliuin 
e  ne  riconosce  per  antichi  vescovi  Carnicum,  ne  strinsero  di  assedio 
s.  Amanzio,  s.  Gennaro,  Massenzio,  il  castello,  tentando  con  tutto  il 
Fidenzio,  Federico  ed  Amatore,  dei  nerbo  delle  loro  forze  di  espugnar- 
quali  parleremo  all'articolo  Zuglio  lo.  Andò  coraggiosamente  contro 
(Pedi)  determinandone  la  diocesi  di  Cacano  il  duca  Gisulfo  coli' armata 
<|ua  delle  Alpi  in  tutta  quella  parte  che  avea  potuto  raccogliere,  sì  dai 
del  Friuli  odierno,  eh'  era  fuori  del  suoi  longobardi  ,  che  dagli  amici  ; 
confine  dell'  agro  Aquileiese,  e  al  ma  sopraffiitlo  dalla  moltitudine  dei 
di  là  della  Zelia,  ossia  Pallis  Ju-  nimici  restò  estinto  sul  campo,  col- 
lia,  nella  Rczia  seconda.  Il  mcdesi-  la  maggior  parte  de' suoi.  Abusò 
mo  autore  ricorda  poi,  che  Alboino  quindi  il  re  degli  Avari  della  debo- 
J"e  de'  Longobardi  nell'anno  568,  lezza,  e  della  femminile  follia  di 
calò  ad  invadere  colla  sua  podero-  Romilda,  vedova  del  duca.  Rinser- 
sa  armata  questa  parte  d'  Italia  sen-  l'alasi  Costei  in  Giulio  Gamico,  in- 
za  ostacolo,   avendo    trovata    libera,  siemc  alla  sua  prole,  olfiì  a   lui   in 


:ì84  CIV 

un  colla  propria  dcslra,  la  città  e 
lo  «tato.  (Jacaiio  introdusse  nella  cit- 
tà le  sue  genti,  le  quali  appena  en- 
trate ne  dicd(;ro  il  sacco,  la  misero 
a  ferro  e  a  l'uoco,  e  la  ridussero 
un  mucchio  di  sassi. 

Dalla  caduta  di  Giulio  Gamico 
(secondo  le  idee  del  summentovato 
scriltorej  ornai  ridotta  a  sole  ma- 
cerie, incominciò  la  grandezza  di  Ci- 
vidale,  proporzionala,  e  relativa  a 
tpic' tempi,  e  al  suo  principato.  Di 
paese  che  era,  divenne  città,  e  sede 
dei  duchi  del  Friuli,  e  quindi  la 
capitale  di  tutto  il  ducato.  Ma  per 
gccoudare  il  desiderio  di  que'  duchi, 
vennero  a  stabilirsi  in  Cividale  an- 
che i  vescovi  di  Giulio  Gamico. 
Questo  per  altro  aveva  sempre  avu- 
to il  proprio  territorio,  e  la  pro- 
pria diocesi  ;  laddove  Cividale  ap- 
parteneva al  territorio  della  colonia 
i\({uilejese,  ed  alla  diocesi  appunto 
di  Aquileja. 

L'  ultimo  vescovo  di  Giulio  Gar- 
nico,  che  lisiedesse  in  Cividale,  fu, 
come  pare,  il  suddetto  Amatore; 
tua  non  potendo  soffrile  il  patriai"' 
ca  di  Aquileja  Calisto,  che  iìi  e- 
jus  (liocccd  cum  duce  ,  et  longo- 
haidis  liahitaret  episcopus,  come  si 
esprime  Paolo  Diacono  nel  lib.  VI, 
cap.  5i,  lo  discacciò,  ed  egli  stesso 
vi  si  stabih,  piantando  la  residenza 
patriarcale  in  Cividale,  mentre  per 
lo  innanzi,  e  dopo  la  distruzione  di 
Aquileja,  i  patriarchi  si  erano  sta- 
biliti a  Cormons,  situato  a  piedi  di 
alcune  montagne,  cinto  da  vecchie 
muraglia,  e  difeso  una  volta  da  un 
castello  fortificato.  Fu  poi,  al  dire 
dell'  Asquini,  in  memoria  di  quella 
prima  capitale  del  Friuli  distrutta, 
se  Paolo  Diacono ,  che  fiori  circa 
un  secolo  e  mezzo  dopo  tal  distru- 
zione, in  hiogo  di  chiamarla  col 
proprio  suo  nome  primitivo,  sostituì 


CIV 

piuttosto  a  Cividale,  nuova  capitale 
del  Friuli,  la  denominazione  di  Ga- 
slruiìi  Forojuliciisc,  Oppiduni  Foro- 
jtilii,  e  talvolta  Givilas  Forojuliaiiay 
dicendosi  in  italiano  Gasudlo  del 
Friuli,  Città  o  Gii'idale  del  Friuli, 
o  nel  Friuli. 

Alieno  dall'  abbracciare  verun 
partito ,  lascio  che  da  quanto  sin 
qui  si  è  detto  sull'autorità  del  pre- 
detto scrittore,  altri  giudichi,  se  deb- 
bano o  no  appartenere  a  Giulio 
Carnico,  o  piuttosto  a  Cividale,  tut- 
te o  parte  delle  cose  fin  qui  nar- 
rale. Solo  mi  limiterò  ad  osservare 
che  Cividale,  sino  dai  tempi  anti- 
chi, è  .stata  illustre  e  celebre  per  la 
residenza  in  essa  fatta  dai  duchi 
del  Friuli,  e  per  la  residenza  pari- 
menti in  essa  tenutasi  dai  patriar- 
chi  di   Aquileja. 

Sigeardo  patriarca  di  Aquileja, 
dopo  la  metà  del  secolo  XI,  au- 
mentò Cividale  con  edifizi  e  con 
abitanti;  e  Bertoldo  fatto  patriarca 
nel  1218,  come  scrive  l'Ughelli, 
insieme  colla  comunità  e  capitolo 
de'  canonici,  ne  cinse  i  borghi  di 
mura.  E  degna  di  osservazione  la 
vecchia  chiesa  principale,  che  nel 
i5ii,  dopo  la  rovina  dell'antica 
collegiata,  cagionata  dal  terremoto, 
fu  ridotta  in  nobile,  e  grandiosa 
forma.  Illustre  n' è  ancora  il  capi- 
tolo, il  quale  possiede  un  prezioso 
archivio,  in  cui  si  conservano  pi"e- 
gevoli  manoscritti  antichissimi,  fra 
i  quali  un  evangelario  scritto  nel 
V  o  VI  secolo  in  lingua  latina  su 
pergamena,  che  fu  illustrato  da 
molti  celebri  scrittori.  Sulla  cima 
d' un  vicino  monte  si  venera  iiu 
santuario  della  b.  Vergine  assai 
frequentato  dalla  pietà  de'  fedeli. 
Vuoisi  che  Desiderio,  ultimo  re  dei 
Longobardi,  fondasse  appi'csso  alla 
città  un  gran  monistero    di    mona- 


CIV 
tli€  benedettine,  con  molti    privile- 
gi e  giurisdizione. 

Cividale,  oltre  di  chiamarsi  Civi- 
dale  del   Friuli,   è    stata    anco    ap- 
pellata  Cn'itas  Austriae,  o   Città  di 
Austria,    secondo     il    linguaggio  di 
qua'  popoli,   che    chiamavano    NcU' 
strìa   i    luoghi    situati    all'  ovest    di 
Pavia,  ed  Austria,  quelli  all'  est,  co- 
me   abbiamo     dal      celebre    Paolo 
Diacono,  che  nacque    in   questa  cit- 
tà nel  secolo  Vili.  Dalle  leggi  lon- 
go]>ardiche     si    rileva    altrettanto  , 
In  esse  Cividale    è    appellata    Civi- 
tas  Austriae.j  e  talora    col  suo  pri- 
mo   nome  ;     mentre    in    altri     mo- 
numenti   si    legge    con    ambedue  i 
nomi    uniti    di    Civitatis    Australis 
Fori  Julii.  Non   si    dee    tacere    che 
alcuni    vollero    dedotta    la    nomen- 
clatura Austria    da    Rosimonda    di 
Austria,    moglie  del  re  Luitprando. 
In    principio     dell'  ottavo    secolo, 
Calisto  patriarca  di   Aquileja,  come 
di  sopra  dicemmo,  vi    trasportò    la 
sua  sede,    che  vi  rimase  stabile   in- 
sino  al  secolo  undecimo,  e  interpo- 
latamente sino  al  decimo  terzo,  per 
cui    i     patriarchi    furono    chiamati 
Forojuliesi.    Neil'  anno    791,    o  nel 
796,  il  patriarca  s.  Paolino  vi  adu- 
nò i    suoi    suffraganei    pel    concilio 
Forojuliense  y    nel    quale    si    com- 
batterono due  eirori,  e    si    presero 
delle  provvidenze  sopra  la  disciplina. 
Il  primo  di    quegli   errori    era   che 
lo  Spinto  Santo  non    procede    che 
dal  Padre,  e  non  dal    Figliuolo,    e 
l'altro  divideva  Gesù  Cristo  in  due, 
uno  naturale,  l'altro  adottivo.  Am- 
bedue questi  errori   furono  condan- 
nati dal  concilio,  il  quale  inoltre  fe- 
ce quattordici   canoni   per  riformare 
la  disciplina  ecclesiastica.    Il    primo 
è  contro  la  simonia,    gli    altri    ris- 
guardano    la     vita     esemplare     dei 
chierici.  Fra  le  altre  cose   proibisce 


CIV  28"; 

loro  r  abitare  con  donne,  le  can- 
zoni profane,  e  i  divertimenti  cla- 
morosi. Reg.  XV,  Labhé  VII,  Ar- 
duino IV. 

Taluno  de' patriarchi  di  Aquileja 
ritornò  per  un  tempo  a  fissarsi  nel- 
la desolata  Aquileja  ;  ma  ben  presto 
i  successori  si  ricondussero  a  Civi- 
dale, che  perciò  nelle  antiche  noli- 
zie  ecclesiàstiche,  come  osserva  Com- 
manville,  fu  chiamata  Civitas  Aqui- 
hjensium,  hoc  est  Forum  Julii.  Ma 
eletto  nell'anno  12 18  il  patriarca 
Bertoldo,  passò  a  risiedere  in  Udi- 
ne, dal  che  conseguirono  rivalità, 
e  lunghe  guerre  tra  gli  Udinesi,  e 
i  Cividalesi.  Verso  l'anno  1267,1! 
patriarca  Gregorio  di  INIontelongo 
fondò  fuori  della  città  un  bel  mo- 
nistero  di  monache,  chiamalo  la 
Cella. 

Nel  grande  scisma  d'  occidente , 
sostenuto  in  Avignone  prima  da  Cle- 
mente VII ,  e  poi  da  Benedetto 
XIII  antipapi  ,  divenuto  Pontefice 
Gregorio  XII,  Carrara,  patrizio  ve- 
neto, vedendo  che  alcuni  Cardinali 
della  sua  ubbidienza ,  ribellatisi  a 
lui,  eransi  adunati  in  Pisa  per  cele- 
brarvi un  concilio  afiine  di  deporlo, 
in  un  al  vivente  Benedetto  XIII  an- 
tipapa, con  bolla  de'  18  settembre 
i4o8  inlimò  un  concilio  per  op- 
porlo  al  Pisano,  dichiarando  che  al 
solo  e  legittimo  Pontefice  romano 
appartiene  l'autorità  di  convocare 
i  concini  generali.  E  siccome  erasi 
Gregorio  XII  determinato  di  cele- 
brarlo per  la  Pentecoste  dell'  anno 
seguente  i4<^93  dopo  aver  deposto 
dal  patriarcato  di  Aquileia  Antonio 
Pancera,  e  creato  in  sua  vece  An- 
tonio da  Ponte,  da  Ri  mini  ove  ri- 
siedeva parfi  pel  Friuli  nel  mese  di 
maggio  i4*^9-  Si  l'^cò  prima  nel 
castello  di  Prata,  posto  nel  distretto 
di   Pordenone ,    ove  alcuni  credono 


286  C 1 V 

che  incominciasse  il  concilio,  quindi 
jiassò  in  Civiilale,  e  vi  fece  l'aper- 
tura del  concilio  nel  dì  della  Pen- 
tecoste. E  perchè  vi  eiano  pochi 
prelati,  dideiì  ad  assemblea  pii^i  nu- 
merosa la  prima  sessione.  Però,  do- 
po la  processione  del  Coqms  Do- 
mini, a'  6,  o  a'  12  giugno  i4o9j 
tenne  la  piima  sessione,  cui  assi- 
.stcltero  pochi  prelati.  Con  lettera 
dei  20  giugno  altii  ne  invitò  quindi 
a  recarvisi  prontamente.  Confermò 
in  quella  sessione  Antonio  da  Ponte 
in  patriarca  di  Aquileia ,  e  depose 
il  Pancera  seguace  degli  scismatici, 
che  d'altronde  era  sostenuto  dagli 
udinesi  e  dagl'  imperiali.  Inoltre 
venne  nella  sessione  dichiarato,  es- 
sere state  canoniche  e  legittime  le 
elezioni  in  sommi  Pontefici  fatte 
in  Pioma  di  Urbano  VI,  Bonifa- 
cio IX,  Innocenzo  VII,  e  dello 
stesso  Gregorio  XII;  e  che  quel- 
le degli  antipapi  Clemente  VII ,  e 
Benedetto  XIII  effettuate  in  Avi- 
gnone, non  che  quella  di  Alessan- 
dro V,  eseguita  nello  stesso  mese 
nella  sessione  XIX  del  concilio,  o 
conciliabolo  di  Pisa,  come  il  chia- 
ma s.  Antonino,  erano  tutte  scisma- 
tiche ed  illegittime. 

Tenne  Gregorio  XII  la  seconda, 
o  terza  sessione  in  Cividale,  a'  5 
settembre ,  nella  quale,  come  rac- 
contano il  Niemo  lib.  Ili,  cap.  45',  e 
il  citato  s.  Antonino,  in  Chronicon, 
par.  Ili,  tit.  2  2,  §  3,  e.  6,  il  Papa 
promise  con  pubblica  scrittura  di 
spogliarsi  delle  pontificie  insegne,  se 
Alessandro  V  e  Benedetto  XIII  fa- 
cessero altrettanto,  affinchè,  creandosi 
un  nuovo  Pontefice ,  si  terminasse 
il  lagrimevole  scisma,  che  dal  iSyS 
teneva  divisa  la  credenza  de'  fedeli. 
A  tal  effetto  Gregorio  XII  deputò, 
e  diede  facoltà  a  Roberto  di  Ba- 
viera re  de'  romani,    a  Ladislao  re 


GIV 

di  Napoli  e  Gerusalemme ,  e  a  Si- 
gismondo re   d'Ungheria,    poi  im- 
peratore, perchè  eleggessero  co' prin- 
cipi delle  parti    contrarie    il    luogo 
per  tenersi   un  concilio    generale,  a 
cui  prometteva  d'intervenire,    assi- 
stere e  sottomettersi  al   giudizio  del- 
la maggior  parte  de'  Cardinali,  delle 
diverse  ubbidienze,  al  qual  fine  in- 
viò diversi  legati  per  la  cristianità. 
Ma  poco  dopo,   vedendosi  Gregorio 
XII  abbandonato  dai  boemi ,  dagli 
ungheri  e  da  altri,  e  temendo   che 
ne  seguissero  l'esempio  i  veneti  suoi 
concittadini    e    i  napolitani,  paven- 
tando inoltre  la    potenza    dell'  irato 
ex  patriarca    Pancera ,    dominatore 
della   maggior  parte    del    Friuli,   il 
quale  con  gente  armata    gli   tende- 
va insidie,  si  determinò    partire  da 
Cividale.    Travestito    da    mercante, 
ed  accompagnato  da  due  soli  fami- 
gliari,  Gregorio  XII    uscì   fuggiasco 
dalla   città,  e  per   maggior    precau- 
zione fece  vestile  da  Papa,  e  in  abito 
rosso,   Paolo  suo  cameriere,  mentre 
egli    ramingo    si    salvò    prodigiosa- 
mente. Giunto  a  Gaeta,    salì    sulle 
galere  del    re    Ladislao ,    e    s'  inviò 
neir  Abruzzo.     Appena    Paolo    uscì 
da  Cividale,   i   partitanti  del  deposto 
patriarca,  dall'abito  e  dall'  equipag- 
gio   ingannati,    subito  il  fermarono, 
quindi  senza  riguardi    il    malmena- 
rono spogliandolo,    e  bastonandolo. 
Laonde,  per  non  avere  di    peggio. 
Paolo  confessò  chi  era,  e  che  tene- 
va   cuciti  nella  camicia  cinquecento 
fiorini.    Nel   dì    seguente    ardì    un 
mascalzone  indossar  gli  abiti  ponti- 
ficii ,    e    con    essi    cavalcare   per  la 
città,  dando  sacrilegamente    la    be- 
ncdizione  papale,    siccome  racconta 
Agnello     Anastasio,    arcivescovo    di 
Sorrento,  niAY  Istoria  degli  antipapi, 
t.    II,    p.    23  [. 

Ritornando   ai    cronologici   cenni 


CIV 

storici  su  Cividale,  diremo  che  que- 
sta   città    spontaneamente ,    mentre 
era  doge  di  \'enezia  Tommaso  Mo- 
cenigo,  si  sottomise    nel    i4'9  ^"•'^ 
repubblica  veneta.  Dipoi   fu  assedia- 
ta con  numeroso  esercito  di  ungheri 
e  friulani  dal  patriarca  di  Aquileia 
Lodovico  duca  di  Tech,  ma  potè  resi- 
stere a  tante  forze  mediante  i  soccorsi 
de'  veneziani.   Indi  nel    1009  fu  di 
nuovo  assediata  dall'esercito  di  Mas- 
similiano I  re    de'  romani ,    capita- 
nato   da    Enrico    di    BrunsAvich,  il 
quale  per  altro  dovette  per  le  gravi 
perdite  ritirarsi  a  Gorizia.   Da  quel 
tempo  Cividale  restò  tranquilla  sotto 
la  repubblica  di  Venezia ,  e  ne  se- 
gui i  destini.    Ora  è  capoluogo  del 
duodecimo  distretto,  sotto  la  dipen- 
denza dell'imperiale    regio  delegato 
di    Udine,    moderna    capitale    della 
provincia  del  Friuli  ;  ed  in  quanto 
allo  spirituale  è  poi  soggetto  al  ve- 
scovo di  Udine.  Fra  i  cittadini  be- 
nemeriti di  Cividale    va    qui    ram- 
mentato   monsignor    Michele    conte 
della   Torre  e  \alsassina,  ora  pre- 
posto dell  insigne  collegiata    di   Ci- 
vidale, di  famiglia  nobilissima,   e  di- 
scendente dagli    antichi    sovrani    di 
Milano,  il  quale  si  occupa  ad  illu- 
strare questa  città,  a  sostenerne  £;li 
antichi    pregi,    ed  a    presiedere   ad 
un  museo  ove  si  radunano  gli  og- 
getti di  antichità,  che  in  quel   ter- 
ritorio si  rinvengono,   e  che  forma- 
no ornamento  alla  medesima. 

CIVITA  CASTELLANA  {Cwi- 
tatis  Caslellan.).  Città  con  residen- 
za vescovile  nello  stato  pontifìcio, 
delegazione  di  Viterbo,  fondata  su 
d' un  fortissimo  scoglio  tufaceo  di 
figura  quadrilunga,  il  quale  è  iso- 
lato da  tutte  le  parti,  meno  verso 
mezzodì,  cioè  verso  Nepi  e  Monte- 
rosi,  dove  si  unisce  ad  una  spiana- 
ta per  mezzo  d'  una  specie  d'istmo. 


CIV  287 

Scorrono    a   pie   della    rupe    i    rivi 
detti    Rio  \icano,    oggi    conosciuto 
sotto  il  nome  di  Rio  Filetto,  e  R^io 
maggiore,  che  ivi  si  riuniscono  insie- 
me, e   formano  il  fiume  Treja,  che, 
non  molto    dopo,    mette     foce    nel 
Tevere.  Sul  Rio  maggiore  all'  aper- 
tura della   nuova    strada.    Clemente 
XI  fece  costruire  nell'anno  i  7  i  2  col 
mezzo  del    Cardinal    Imperiali,    un 
solido  ponte    di  pietra,    alto    cento 
cinquanta  piedi.  Dal  detto  lato  del- 
la nuova  strada,  la  sua  superficie  è 
molto  ampia.  L'antica    via    Flami- 
nia, che  circa  mezza  lega  trovasi  Inn- 
gi  dalla  via  consolare,  aperta  da  Pio 
AT    neir  anno     1789;     il     Tevere, 
ed    il     maestoso     monte     sanC  Ore- 
ste   dipendente     dall'  abbazia    delle 
tre    fontane  (della    quale,    in  un   al 
monte  s.    Oreste  o  Soratle  si   tratta 
all'articolo  Chiesa  de' ss.    A  incexzo 
ED     An.astasio    alle  acque    Salvie), 
circoscrivono    nella    parte    orientale 
il    territorio    di    Civita    Castellana, 
che  può  genei'almcnte  dirsi   salubre, 
meno  le  pianure  prossime  al  Teve- 
re. Esso  è  fecondo  di  ogni  sorta  di 
biade,  legumi  e  vino;    ma  è  poco 
coltivato     per    mancanza     di    brac- 
cia.  Civita   Caslellana   non   presenta 
altri  edilizi    dtgni    di    osservazione, 
che  la   chiesa   cattedrale,  opera    del 
secolo  XI li,  di  cui  poscia  riparlere- 
mo, della    cittadella  della  quale  pure 
si  terrà  discorso,  la  pia7za  maggio- 
re decorala  di  una  fontana,    ed    a- 
vente  ne'  lati  il  palazzo  municipale, 
eh'  è  un  mediocre  edifizio.  jNon  co- 
s'i vuol   dirsi  del  palazzo    della    ro- 
mana famiglia  Andiosilla  ora  estin- 
ta, il  quale  è  situato  nel!  estremità 
meridionale.  Da  porta  romana  sino 
alla  porta  Lauretana  la    città    pre- 
senta dei  buoni  casamenti,  frammez- 
zati  da  qualche  j  ala/yo,   tra  cui  di- 
slinguonsi  quelli  delle  t^^iLle  fpn'ig'ie 


288                   G 1 V  C 1 V 

l'etroni,  Stella,  e  Casfcllan  Ciolli.  Farnese,  o  in  molile  Liipoli,  sui 
La  città  non  ha  mura  formali  ;  colli,  clic  dominano  lìaciano.  Gli 
ma  è  però  difesa  da  quelle  clic  indizi  però  riuniti  dal  eli.  can.  Mo- 
dale le  vennero  dalla  natura,  aven-  relli  nella  sua  recente  dissertazione 
do  all'intorno  altissime  rupi,  che  sulla  ipotesi,  che  Civita  Castellana 
la  rendono  di  dillicilo  espugnazio-  sia  l'antica  Vejo,  somministrano  ar- 
no: ha  porte  su  tutte  le  vie,  meno  gomenli  favorevoli  alla  città.  Certo 
su  quella  di  Iloma,  dominata  dai  è,  che  ncppur  Tito  Livio  seppe  in- 
baloardi  della  fortezza.  Distante  poi  dicarc  il  luogo  di  Vejo,  e  le  diver- 
circa  una  lega,  è  il  sito  conosciuto  se  opinioni  basano  tutte  sulla  pro- 
sotto il  nome  di  Falleri,  e  si  vede  babilità. 

tuttavia  un  avanzo  imponente  di  V  ha  chi  crede  quivi  situato  Fe- 
mura,  alto  circa  palmi  43  ,  con  le  sccnniiun,  città  argiva,  come  asse- 
turri  quadrilatere,  che  lo  difendeva-  riscono  Dionisio  e  Strabene,  a'  tem- 
no.  L'interno  della  città  offre  gii  pi  de' quali  era  abitata;  ma  essa  più 
avanzi  antichi  di  una  piscina ,  e  probabilmente  viene  collocata  a  Gai- 
quelli  di  un  teatro  scavato  negli  lese.  Che  se  devesi  riconoscere  a 
anni  1829,  e  i83o,  opera  vera-  Civita  Castellana,  dovrebbe  ricono- 
inentc  romana ,  e  del  tempo  di  scersi  per  qualche  avanzo  romano, 
Augusto.  Ivi  molti  frammenti  di  o  di  una  coionia  formativisi  dopo 
statue  si  discoprirono,  e  tra  esse  la  distruzione  di  Fcscciiiiia,  dap- 
iina  bella  di  Livia,  sotto  le  forme  poiché  a'  tempi  di  Augusto  e  di 
della  Concordia,  insieme  ai  fram-  Tiberio  era  ancora  popolata.  Tut- 
nicnti  di  due  statue  di  Cajo  e  Lu-  tavolta  vuoisi  comunemente  che 
ciò  Cesari.  Altri  ruderi  informi  si  Civita  Castellana  sia  succeduta  a 
veggono  fra  la  piscina  ed  il  teatro  ,  Fesccnnia.  Questa  antichissima  città 
e  due  tumuli,  che  incontransi  fra  dell'  Etruria  Cicisminia  da  Fasto,  e 
la  stessa  piscina  e  l'abbazia  abban-  nella  Carta  Peutingeriana,  viene 
donata  di  s.  Maria ,  coprono  gli  chiamata  Faleri,  onde  Falerii  furo- 
avanzi  di  qualche  tempio.  La  chiesa  no  detti  i  suoi  abitanti.  Tal  nome 
di  s.  JMaria,  e  l'annessa  abbazia  ora  ebbe  origine  da  Phalesi,  o  Falesia 
in  rovina,  furono  edificati  con  fran-  derivato  da  Ihdesiis,  compagno  e 
tumi  antichi  del  XII  secolo.  La  figlio  natui'ale  di  Agamennone  re  di 
chiesa  è  a  tre  navi  divise  da  colon-  Argo,  il  quale,  dopo  la  morte  del 
ne.  Forse  in  questi  dintorni  vi  fu  re  abbandonò  la  Grecia,  e  si  ritirò 
un  tempio  antico,  che  foriù  i  ma-  in  questa  terra  già  da'  Siculi,  ed 
teriali  all'erezione  di  tal  chiesa,  allora  aljitata  dai  Pelasgi  suoi  con- 
Prcsso  di  questa  è  la  porta  di  Gio-  nazionali.  Dall'averle  poi  comunicato 
ve,  una  delle  sette  de'  Falerii,  ed  è  il  nome,  e  probabilmente  dall'averla 
ancora  conservata.  anche  colonizzata,  fu  riconosciuto 
Non  sembra  abbastanza  prova-  come  fondatore;  avvenimento  che 
ta  ropinione  di  coloro,  che  nc'din-  rimonta  a  circa  dodici  secoli  innan- 
torni,  e  presso  Civita  Castellana  vo-  zi  l'era  volgare.  Da  Phalcsi,  nome 
levano  ne'  tempi  passali  riconoscere  della  città,  gli  abitanti  furono  dotti 
il  sito  del  celebre  Vejo,  Del  Tosco  Falisci,  e  così  si  chiamò  il  popolo 
impero  già  capo  e  regina  ,  dacché  di  tulio  questo  distretto,  che  ebbe 
piuttosto     vuoisi     esistita    nell'isola  l'epiteto     di    yFrpii.     Quindi    alcun't 


CIV 

scrittori  confusero  il  nome  della 
gente,  con  quella  della  terra  che 
chiamarono  Falisco,  acquimi  Falì- 
scum,  Falisci.  Nel  quarto  secolo  di 
Roma  i  Falisci  provarono  gli  effetti 
della  sua  potenza,  e  Camillo  poscia 
li  disfece  co'Vejenti  e  i  Capenati 
presso  Pfepi,  finché,  dopo  divei'se 
guerre  sostenute  con  valore  dai  Fa- 
lisci,  nell'anno  5ii  di  Roma,  per- 
dettero la  metà  delle  loro  terre,  e 
Faleria  fu  presa,  spianata,  e  riedifi- 
cata in  luogo  di  facile  accesso,  cioè 
in  Fallari,  divenendo  colonia  roma- 
na, col  nome  di  Junonia  dal  culto 
particolare,  che  prestavano  i  Falisci 
a  Giunone,  e  dal  tempio  che  quel- 
la dea  avea  nella  Faleria  argiva. 

Faleria  costruita  da'  Romani  di- 
venne sede  vescovile,  e  rimase  in 
piedi  sino  al  secolo  XI,  mentre  la 
antica  argiva  risorse,  come  dotta- 
mente ha  dimostrato  A.  iSibby,  nel 
tomo  II  dell'  Aìialisi  de'  dintorni 
di  Roma  a  p.  1 5,  e  seg.  Perciò 
Montefìascone,  secondo  lui,  non  sa- 
rebbe la  Faleria,  ma  una  colonia 
di  Macedoni.  3Ions  Faliscoruni  da 
molti  si  ritiene  per  la  metropoli  dei 
popoli  Falisci.  F .  Monte  Fiascoxe. 
Che  Faleria  da  molti  si  creda  esse- 
re Civita  Castellana ,  stata  pure 
chiamata  da  altri  Flavinia,  lo  dice 
anco  l'Adami,  Storia  di  Volseno, 
tom.  I.  p.  4^5  ^  110.  Tutta  volta 
lungi  dal  pronunziare  definitivamen- 
te su  tante  divergenti  opinioni,  noi 
non  faremo  che  riunirle,  potendo 
chi  il  bi-ami  consultare  gli  autori 
che  nomineremo. 

Da  Faleria  argiva,  Civita  Castel- 
lana, dice  il  suUodato  autore ,  de- 
ve riconoscere  la  sua  origine.  Il 
seggio  episcopale  poi  le  è  deriva- 
to dopo  le  rovine  di  Faleria  ro- 
mana ,  siccome  stiam  per  narrare. 
Lo  ripetiamo,  che  questa  città  se- 
voL.   xni. 


CIV  289 

condo  il  Nibby  citato,  non  fu  Vejo, 
ad  onta  dell'  epigrafe  :  Qui  steterunt 
T'cjos,  mine  reno^are  licei,  scritta 
nel  frontespizio  della  casa  comunale 
edificata  dalla  munificenza  di  Leone 
X.  V'ha  pure,  come  dicemmo,  chi 
reputa  Civita  Castellana  l'antica  Fé- 
scennia,  ove  si  celebravano  solenne- 
mente gli  epitalami,  e  i  licenziosi 
ludi  fescennini,  che  appunto  in  oc- 
casione di  nozze  solevansi  fai-e.  For- 
se distrutta  Fescennia,  una  parte  de- 
gli abitanti  si  recò  in  Faleria  argi- 
va, oggi  Civita  Castellana,  il  ch^  diede 
luogo  di  credere  essere  l'antica  Fe- 
scennia, o  Fescennium. 

Nella  fiera,  che  a'  16  settembre  ha 
luogo  in  Civita  Castellana,  siccome 
giox-no  festivo  de'  suoi  patroni,  il  po- 
polo dava  molti  anni  addietro  il 
bizzarro  spettacolo  di  un  bufalo  trat- 
to lungamente  per  le  vie,  fra  lo 
schiamazzo  e  1'  allegria  del  basso  po- 
polo; il  quale  dopo  averne  fatto 
scempio ,  anelava  di  mangiarne  le 
carni.  Forse  tal  sollazzo  sarà  orisi- 
nato  in  parte  da  quella  festa,  che 
gli  argivi  celebravano  in  Faleria  pri- 
mitiva, ed  in  onore  di  Giunone,  della 
quale  erano,  come  dicemmo,  i  Falisci 
particolarmente  divoti  ;  festa,  che  O- 
vidio  ne' suoi  Fasti  descrive  nel  lib. 
VI,  Elegia  XIII  del  hb.  Ili,  e  che 
a'  suoi  giorni  si  continuava  in  onore 
della  dea,  nel  recinto  di  Faleria  ai-- 
giva.  E  noto  che  i  romani,  dopo  lo 
smantellamento  della  città,  lasciaro- 
no sussistere  il  tempio  situato  sopra 
un  colle  di  accesso  difficile.  Or  dun- 
que tra  gli  animali,  che  con  solen- 
ne rito  e  pompa  portavansi  a  sagri - 
ficare  a  Giunone ,  si  eccettuava  la 
capra  come  invisa  alla  dea,  onde  una 
se  ne  lasciava,  che  con  dardi  era 
inseguita  da' garzoni,  e  colui  che  la 
feriva  r  aveva  in  dono.  Non  dee  qui 
però  tacersi  che  l'origine  di  delta  po- 

'9 


SS90  CIV 

polare  costumanza  può  più  ragione- 
volmenle  ripetersi  da  altre  tradizioni, 
cioè  che  i  corpi  de'  ss.  Rlarciano  e 
Giovanni  protettori  della  città  siano 
slati  dalle  catacombe  di  lligiiano  tras- 
portati in  città  su  di  un  carro  tirato 
da  due  bufali  ;  per  lo  che,  a  peren- 
ne memoria  dell'avvenimento,  inval- 
se il  costume  di  cui  si    fece  cenno. 

Trasportati  dai  vincitori  romani 
i  Falisci  da  un  luogo  forte,  come  è 
Civita  Castellana,  ad  un  luogo  pia- 
no, come  si  vede  nell'odierna  Fal- 
lari,  i  Falisci  più  non  si  mossei'o.  A 
Fallari  si  veggono  importanti  avan- 
zi della  colonia  romana  dei  Falisci 
ergivi  di  Faleria  primitiva.  Mentre 
r  antica  Faleria  andava  poco  a  poco 
a  ripopolarsi  nel  romano  impero, 
fioriva  pure  la  colonia  Junionia.  I 
fasti  de'  martiri  del  secolo  terzo  ri- 
cordano il  martirio  sofferto  in  Fa- 
lerii  da  Graciliano  e  Felicissima  ver- 
gine, il  dì  I  2  agosto,  come  si  legge 
ne'  martirologi  di  Adone  colle  note 
del  Giorgi,  e  nel  romano  con  quelle 
del  Baronie.  I  loro  corpi  sono  oggi 
venerati  in  Civita  Castellana ,  dove 
furono  trasportati.  Neil'  Ughelli,  Ita- 
lia sagra,  dal  secolo  sesto  al  deci- 
moprimOj  abbiamo  i  vescovi  che  se- 
dettero in  Faleria  colonia  romana, 
che  Commanville  dice  fondata  nel 
quinto  secolo,  chiamandola  Falera 
o  Falisci ,  soggetta  immediata- 
mente alla  sede  apostolica.  Questa 
chiesa  fu  pure  delta  Faleriiia,  o  Fa- 
leritana.  e  Faleritanense. 

Il  primo  vescovo,  che  si  conosca 
di  Faleria  romana,  è  Giovanni,  il 
quale  intervenne  ai  concilii  romani 
del  595,  e  del  601  sotto  il  Ponte- 
fice s.  Gregono  I.  Garoso  fu  pre- 
sente al  concilio  tenuto  da  Papa  s. 
Martino  I  nell'  anno  649  ;  Giovan- 
ni sottoscrisse  gli  atti  del  concilio  ro- 
mano del  679  convocato   dal    Pou- 


CIV 

tefice  s.  Agatone,  e  la  epistola  sino- 
dica dello  stesso  Papa  nel  GHo  ;  Tri- 
hiinizio  fu  presente  al  concilio  cele- 
brato in  Roma  da  s.  Gregorio  II, 
l'anno  721  ;  Giovanni  segnò  gli  atti 
di  quello  adunato  nel  743  dal  Pa- 
pa s.  Zaccaria  ;  Adriano  nominato 
in  quello  dell'  826,  in  cui  sedeva 
sulla  cattedra  apostolica  Eugenio  II; 
e  Giovanni  in  quello  dell' 861,  ra- 
dunato da  s.  Nicolò  I  contro  l'arci- 
vescovo di  Ravenna.  Al  conciliabolo 
fatto  celebrare  in  Roma  nel  968, 
dall'  imperatore  Ottone  I,  contro  Pa- 
pa Giovanni  XII,  assistè  un  vescovo 
Falarensis,  del  quale  ignorasi  il  no- 
me. Nell'anno  978  si  ricorda  in  un 
privilegio  di  Benedetto  VII,  Giovan- 
ni vescovo  Faleritano;  nel  concilio 
romano  del  ioi5,  nel  pontificato  di 
Benedetto  Vili,  un  Crescenzio;  e 
nel  io33,  da  una  bolla  di  Benedetto 
IX  apparisce  la  unione  delle  sedi  di 
Falerii  e  Civita  Castellana,  cioè  lo 
spopolamento  della  città  o  colonia 
romana,  ed  il  ripopolamento  della 
primitiva  Falerii  argiva,  secondo  il 
lodato  Nibby,  che  lo  afferma  coll'au- 
torità  di  gravi  scrittori;  dappoiché 
in  essa  trovasi  sottoscritto  Benedictus 
ec.  Faleritanae,  et  Castellanae  epi- 
scopus.  Tra  i  documenti  del  registro 
Farfense,  n.  994?  si  legge  che  Fa- 
leria romana,  o  Junonia,  era  ancora 
abitata  il  primo  luglio  io64;  e  vi 
è  sottoscritto  certo  Tenzo  di  Cre- 
scenzio giudice  di  Fallari. 

Civita  Castellana,  siccome  parte 
del  ducato  romano,  con  Nepi,  Gal- 
lese, Otricoli  ec,  verso  l'anno  727, 
divenne  dominio  della  santa  Sede  nel 
pontificalo  di  s.  Gregorio  H,  e  per 
volontaria  dedizione  dei  popoli.  Nel 
registro  poi  di  questo  Papa,  inserito  da 
Cencio  Camerario  nel  libro  de  censi, 
pubblicato  dal  Muratori,  si  nomina 
il  uioaistcro  di  s.  Silveno   nel  muu- 


CIV 

te  Soratte,  al  quale  fu  dato  in  en- 
fiteusi dal  medesimo  Gregorio  li  un 
(ondo  chiamato  Canciano  ex  corpo- 
re  Massae  Castdlianac  patrinioniì 
Tusciae.  Da  ciò  si  rileva  che  i  fon- 
di posti  in  quella  contrada,  ed  ap- 
partenenti alla  romana  Chiesa,  for- 
mavano una  massa  denominata  Ca- 
stellana o  Castelliana,  per  le  molte 
castella  che  conteneva.  A  misura  però 
che  la  Falerii  romana  si  andava  spo- 
polando, si  raccoglievano  genti  sulle 
rovine  della  Falerii  primitiva  come 
luogo  più  inaccessibile,  e  per  con- 
seguenza più  sicuro  in  que' tempi 
di  scorrerie  frequenti,  di  usurpazio- 
ni e  di  fazioni.  Questa  seconda  a 
poco  a  poco  nel  secolo  nono,  e  nel 
seguente  formò  una  città,  che  dalla 
massa  mentovata  fu  detta  Ch'ila 
Castellana ,  nome  che  ancora  ritie- 
ne. In  fatti  il  Calindri,  saggio  storico 
p.  113,  dice  che  nel  998  Grego- 
rio V  dichiarò  città  Civita  Castella- 
na. Sino  poi  dall'  anno  precedente, 
si  nomina  negli  alti  de'  ss.  Abbon- 
dio ed  Abbondanzio  un  tal  Crescen- 
ziano,  vescovo  Civitatis  Castcllanae, 
che  trasportò  i  corpi  di  que'  martiri 
in  Civita,  da  dove  poi  si  trasferirono 
in  Roma  nella  chiesa  del  Gesù  in 
cui  veneransi.  Quindi  abbiamo  nel 
1  o  1 5  im  Pietro  episcopus  Civitalis 
Castcllanae,  il  quale  sottoscrisse  il 
decreto  di  Papa  Benedetto  Vili  a 
favore  di  Guglielmo  abbate  Fruttua- 
riense,  dopo  il  quale  le  sedi  di  Ci- 
vita e  Faleria  furono,  sotto  Benedet- 
to vescovo,  vmite  insieme  dal  Pon- 
tefice Benedetto  IX,  come  fu  indi- 
cato di  sopra. 

Sul  principio  del  secolo  decimo 
secondo,  nella  vita  di  Pasquale  II, 
narra  Pandolfo  Pisano ,  che  quel 
Pontefice  volendo  ricuperare  alla 
santa  Sede  i  suoi  dominiij  usurpati 
dagli  antipapi,  attacco  colle  sue  genti 


CIV  291 

Civita  Castellana,  designata  come  lo- 
cuni  natura  satis  munitimi  _,  e  la 
prese.  Altrettanto  riporta  1'  annalista 
Rinaldi,  all'anno  1100.  Allora  era 
Civita  Castellana  capo  di  un  conta- 
do, Cojnitatus,  che  unitamente  alla 
città,  e  con  altre  terre  fu  oppigno- 
rato r  anno  1  1 5S,  da  Papa  Adria- 
no IV,  a  Pietro  prefetto  di  Roma, 
ai  suoi  figli  Giovanni  ed  Ottaviano, 
ed  a'  suoi  coadiutoi'i  ec,  per  la  som- 
ma di  mille  marche  d' argento,  ec- 
cettuando però  quello,  che  un  tal 
Malavolta  aveva  ricevuto  in  Civita 
dalla  Chiesa  romana.  Questo  pegno 
fu  fatto  per  compensare  le  spese  in- 
contrate dal  prefetto  a  favore  della 
Chiesa,  e  si  stabili  di  redimerlo  a 
cinquanta  marche  l' anno,  cioè  in 
venti  anni.  Ludovico  Muratori,  Ànt. 
Bled.  Aevi.  t.  IV.  e.  3  i ,  riporta  l'ori- 
ginale istromento  di  questa  oppigno- 
razione.  Secondo  que'  patti  il  pegno 
doveva  essere  del  tutto  redento  nel- 
l'anno 1178;  ma  si  sa  che  non  lo 
era  stato  neppure  nel  i  195,  mentre 
che  da  tre  altri  istromenti  di  quel- 
l'anno, che  si  leggono  nello  stesso 
IMuratori,  t.  I.  p.  i43,  t.  II.  p.  809 
e  seg.,  si  rileva  che  la  porzione  di 
Pietro  de  Atteia,  o  Attegio,  nomina- 
to tra  gli  oppiguoratori,  fu  svinco- 
lata ,  e  riceduta  alla  Chiesa  ,  nel 
Pontificato  di  Celestino  IH,  dalle 
sue  sorelle  Costanza,  e  Sibilia,  e  da 
Giacinto  di  Pietro  Diovisalvi  marito 
di  Sibilia,  e  da'  suoi  fratelli  Nicola 
ed  Ottaviano,  cioè  il  primo  febbraio 
iiqS;  e  che  a' 7  e  2  5  dello  stesso 
mese  gli  eredi  delle  ragioni  dotali 
e  nuziali  di  Porpora,  moglie  di  Pie- 
tro prefetto  di  Roma,  e  sorella  di 
Cencio  di  Romano  di  Papa,  cedet- 
tero al  Pontefice  le  loro  porzioni 
per  centotrentatre  marche  e  mezza 
d'  argento.  Nella  bolla  di  Onorio  III 
del  1217,  presso  il  Bull.  Fatic.  t.  I. 


292  CIV 

p.  loo.  seg.,  si  rammenta  il  terri- 
torio Castellano,  nel  quale  si  pone 
Moroio,  e  t>i  unisce  insieme  col  Fale- 
ritano,  dove  si  paria  di  F'iaianellum. 

Nelle  vite  de'  Pontefici  del  can. 
JVovaes,  si  apprende,  che  avviandosi 
r  imperatore  Federico  I  Barharossa 
alla  volta  di  Roma  per  essere  coro- 
nato (  funzione  che  poi  seguì  a*  i  8 
giugno  1 1  j5  ),  e  temendo  il  Papa 
Adriano  IV  summentovato  eh'  egli 
venisse  piuttosto  come  nemico ,  pei 
numeroso  esercito  che  seco  condu- 
ceva, per  questo  timore  si  rifijgiò 
in  Civita  Castellana,  e  gli  mandò 
incontro  tre  Cardinali,  acciò  giurasse 
di  difendere,  e  mantenere  i  diritti 
della  Chiesa.  Quindi  passò  a  Sutri, 
a  -ricevere  il  principe  che  tutto  a- 
veva  promesso.  Nel  1 1  Sg,  successe 
ad  Adriano  IV  il  glorioso  Alessan- 
dro III,  il  quale  terminò  il  suo 
lungo  pontificato  di  circa  anni  ven- 
tidue a  Civita  Castellana  perchè  vi 
mori  ai  3o  agosto  i  i8r,  e  traspor- 
tato in  Roma  fu  sepolto  nella  basi- 
lica lateranense.  Tanto  afferma  il 
Novaes,  ma  il  Platina  dice  nella  sua 
vita,  che  morì  in  Roma  a' 27  ago- 
sto. Non  però  così  dice  il  dotto  San- 
dini Viiae  Pontiftcum,  t.  II.  p.  4^4» 
il  quale  ecco  come  si  esprime:  imi- 
tarli posuif  in  urbe  Castellana  anno 
1181,  ///.  Kal.  septanhris.  A' 3o 
di  agosto,  e  in  Civita  Castellana, 
molti  autori  sostengono  che  morisse 
Alessandro  III.  Così  dice  Ludovico 
Agnello  (  il  quale  per  altro  chiama 
questa  città  col  nome  di  Città  di 
Castello  ) ,  nella  storia  degli  Anti- 
papi, t.  II.  p.  I  I  o,  e  I  I  I ,  e  fra 
le  testimonianze  che  riporta,  v'ha 
quella  dell'  Anonimo  Cassinese.  Da 
tuttociò  si  rileva  quanto  importante 
fosse  divenuta  Civita  Castellana  nel 
XII  secolo. 

Nel  pontificato  di  Bonifacio  Vili,  a 


CIV 

cagione  del  suo  stato  rovinoso  per 
le  guerre  delle  fazioni,  il  Papa  fe- 
ce riedificare  le  sue  mura,  e  circon- 
darla di  nuove ,  cioè  da  quel  lato 
ove  le  aveva ,  munendola  ad  un 
tempo  di  torri.  Nel  principio  del  se- 
colo XIV  Civita  Castellana  fu  con- 
cessa dai  sovrani  Pontefici  in  vica- 
riato della  santa  Sede  alla  nobilis- 
sima e  potente  casa  Savelli.  Nel- 
l'archivio Sforza  in  Roma  esiste 
una  lettera  di  Giovanni  XXII,  Pa- 
pa residente  in  Avignone  eletto  nel 
i3i6,  data  apud  Villani  novani  A- 
venionen.  Dioec.  XVIII  Kal.  sept. 
anno  7,  e  diretta  Ven.  fratri  Ae- 
gidio  episcopo  Sabinen.  Apostollcae 
scdis  legalo,  colla  quale  ingiunge 
al  Cardinale  di  rimettere  in  liber- 
tà Petruccio  figlio  di  Luca  Savelli, 
tenuto  in  ostaggio  presso  l'abbate  di 
s.  Paolo  d'Albano,  abbazia  fondata 
dallo  zio  Onorio  IV,  e  toglieva  con 
essa  r  interdetto  a  cui  aveva  sotto- 
posto Civita  Castellana  per  avere  o- 
messo  di  pagare  il  solito  censo  al- 
la Chiesa  romana,  esprimendosi  il 
Papa  nella  lettera,  che  ambedue  que- 
ste grazie  gli  erano  state  domanda- 
te da  Luca  per  siium  nuntiuni ,  et 
litteras.  L'interesse  preso  dal  Savel- 
li a  favore  della  città ,  mostra  cer- 
tamente eh'  egli  ne  era  il  retto- 
re ed  il  vicario.  Un  altro  Luca  Sa- 
velli senatore  di  Roma,  negli  anni 
1 34B  e  i355,  nel  1373  ottenne 
da  Gregorio  XI,  poco  prima  che  ri- 
stabilisse in  Roma  la  Pontificia  re- 
sidenza, il  vicariato  di  Civita  Ca- 
stellana, già  in  addietro  goduto  dal- 
la sua  famiglia,  come  continuò  an- 
co in  progresso  per  altro  tempo.  La 
bolla  di  Gregorio  XI  porta  la  da- 
ta di  Avignone  XIV  Kal.  julii  pan- 
tificat.  nostri  anno  sexto.  Il  vicaria- 
to è  ristretto  a  soli  otto  anni,  si  as- 
seiinano  a  Luca    sedici  mila    fiorini 


CIV 

d'oro  d'annua  provvisione  da  pren- 
dersi dalle  rendite  della  città,  e  con- 
tado, col  solo  obbligo  di  pagarne 
dieci  a  titolo  di  censo  nel  giorno 
della  festa  di  s.  Pietro.  V.  Rat- 
ti, della  famiglia  Savelli.  Dell'an- 
tica rocca  poi  di  Civita  Castellana, 
si  fa  menzione  in  un  breve  del 
medesimo  Gregorio  XI,  il  quale  ne 
affidò  la  custodia  al  detto  Luca  Sa- 
velli. 

Bonifacio  IX,  recandosi  nel  1392 
a  Perugia  per  comporre  gli  animi 
dei  Raspanti  con  Beccarino,  ritor- 
nando in  Roma  a'i5  settembre  del 
seguente  anno,  prima  onorò  di  sua 
presenza  Civita  Castellana.  Papa  Ni- 
colò V,  creato  nel  i4473i'ifGce  le  mu- 
ra della  città.  L'immediato  succes- 
sore Calisto  III  creò  Cardinale  il 
proprio  nipote  Roderico  Borgia  spa- 
gnuolo,  il  quale  poi  fu  fatto  go- 
vernatore di  Civita  Castellana  da  Si- 
sto IV.  Quindi  divenuto  Pontefice 
nel  1492  col  nome  di  Alessandro 
VI,  ebbe  sommamente  a  cuore  di 
riedificare  la  rocca  ridotta  in  ista- 
to  di  decadenza.  Altri  dicono,  che 
considerando  Alessandro  VI  che  Ci- 
vita Castellana,  forte  per  natura, 
e  stimata  in  guisa  di  poter  signoreg- 
giare il  nodo  delle  strade  di  Nepi, 
di  Acquaviva,  di  Ponte  Felice,  di 
Amelia  e  di  Vitei'bo,  per  l' impor- 
tanza del  sito  fabbricò  dalle  fonda- 
menta la  fortezza  che  ora  si  vede, 
e  che  serve  di  prigione  di  stato.  Cer- 
to è,  ch'egli  dal  lato  occidentale  del- 
la città  fece  innalzare  quella  fortezza 
dal  celebre  Antonio  Sangallo,  fratel- 
lo del  rinomato  Giuliano,  siccome  va- 
lentissimo anche  nell'architettura  mi- 
litare, e  nelle  foi  tificazioni  in  figu- 
ra pentagona,  e  riuscì  solida,  ed  en- 
comiata. Quindi  Giulio  li,  Leone  X, 
e  altri  Pontefici  ne  curarono  la  con- 
servazione, ed  anco  nell'odierno  pon- 


CIV  293 

tlficato  vi  si  operarono  dei  miglio- 
ramenti, per  cui  si  trova  in  otti- 
mo stato.  Nei  vasti  saloni  vi  sono 
bellissimi  sofiitti  dorati,  nobilitati  dal- 
le pitture  dello  Zuccari ,  come  mi- 
rabih  sono  gli  affieschi  delle  vol- 
te degl'inferiori  loggiati,  in  mezzo 
a'quali  si  veggono  in  varie  parti  il 
nome  e  gli  stemmi  gentilizi  del  fa- 
moso duca  Valentino  Cesare  Borgia, 
che  dal  Papa  Alessandro  VI  ne  fu 
fatto  castellano.  Per  alcuni  secoli 
continuò  la  fortezza  ad  avere  il  ca- 
stellano, per  lo  più  scelto  tra'  Care 
dinali  di  s.  Chiesa.  In  progresso  Ci- 
vita Castellana  segui  i  destini  dello 
stato  pontificio,  e  se  ad  essa  deri- 
va gran  vantaggio  per  la  stazione, 
che  vi  fanno  nel  loro  passaggio 
gli  stranieri,  che  del  continuo  si  di- 
rigono a  Roma,  andò  pure  soggetta 
alle  conseguenze  derivatele  dalle  ar- 
mate nimiche  quando  si  recarono 
alla  capitale.  Ed  a'4  dicembre  1798, 
la  città  vide  disfatte  nelle  sue  vici- 
nanze dall'esercito  francese  di  Mac- 
donald,  le  truppe  napoletane,  co- 
mandate dal  general  Mack .  Per 
questa  città  transitaiono,  e  si  fer- 
marono oltre  molti  sovrani,  ezian- 
dio i  sommi  Pontefici.  Da  ultimo 
Pio  VI ,  ritornando  da  Vienna  in 
Roma  a'  12  giugno  del  1782  giun- 
se in  Civita  Castellana  fra  il  rim- 
bombo delle  artiglierie,  e  pernottò 
nel  palazzo  del  marchese  Androsilla, 
ove  ricevette  il  vescovo,  il  governatore, 
la  magistratura,  e  i  primarii  del 
paese.  Nella  seguente  mattina  ascoltò 
la  messa,  che  nella  cattedrale  celebrò 
monsignor  Ponzetti  caudatario  ;  da 
un  balcone  dell'  episcopio  benedi 
il  popolo,  quindi  partì  per  Roma. 
Dopo  che  Pio  VII,  nel  1800  fu 
eletto  in  Venezia ,  nel  condursi  a 
Roma,  la  sera  del  2  luglio  pernot- 
tò  nell'episcopio,  ricevuto    dal    ve- 


i294  civ 

scovo  monsignor  Lorenzo  de  Domi- 
iiicis,  e  nella  mattina  si  avviò  per 
la  capitale.  Lo  stesso  Pontefice,  re- 
duce dal  viaggio  di  Parigi,  nella 
mattina  de' i5  maggio  i8i4i''pas- 
sò  per  Civita  Castellana  ;  finalmen- 
te il  regnante  Papa  Gregorio  XVI, 
rieir  intraprendere  nel  1841  il  glo- 
rioso suo  viaggio,  per  visitare  alcu- 
ni principali  santuari  de'  suoi  do- 
minii,  fece  la  sera  de'  3o  agosto  la 
prima  fermata  in  Civita  Castellana, 
e  dormì  nel  nominato  palazzo  An- 
drosilla.  Uno  stuolo  di  giovani  pa- 
trizi e  di  cittadini  vmiformemente 
vestiti,  preceduti  da  una  deputazio- 
ne delia  magistratura ,  ottennero  il 
permesso  di  trarre  la  carrozza,  do- 
po averne  distaccati  i  cavalli  in 
qualche  distanza  dalla  città.  Così  in 
mezzo  agli  applausi  di  pubblica  e- 
sultanza,  fu  ricevuto  il  Pontefice 
alla  porta  della  città,  ov'ex'a  stato 
innalzato  un  maestoso  arco  trionfa- 
le da  monsignor  Bartolomeo  Orsi, 
delegato  della  provincia  Viterbese, 
e  dalla  magistratura  locale,  il  cai 
gonfaloniere  a  nome  di  quella  fede- 
le suddita  popolazione,  ebbe  l'onore 
di  presentargli  le  chiavi.  Sul  piano 
poi  delle  scale  della  cattedrale  fu 
ricevuto  da  monsignor  Fortunato 
IMaria  Ercolani,  vescovo  del  luogo, 
da  tutto  il  clero  secolare,  e  da  alcuni 
vescovi  delle  diocesi  confinanti.  En- 
trato il  Papa  nella  cattedrale  magni- 
ficamente addobbata  e  illuminata  da 
copiosissimi  lumi,  ricevette  la  bene- 
dizione col  ss.  Sagramento  ;  e  poscia 
nella  sua  residenza,  dopo  aver  com- 
partita da  un  padiglione  costruito 
sulla  loggia  del  palazzo,  l'apostolica 
benedizione,  ammise  alla  sua  pre- 
senza ed  al  bacio  del  piede  d  ve- 
scovo, il  clero  secolare  e  regolare,  i 
vescovi  confinanti,  la  magistratura 
SI   governativa  che  civile,    e    i    pri- 


CIV 

mari  della  città,  non  che  il  corpo 
militare.  11  Cardinal  Gaspare  Bene- 
detto Pianelti,  vescovo  di  Viterbo, 
si  portò  in  Civita  Castellana  ad  os- 
sequiare il  santo  Padre,  poco  dopo 
il  di  lui  arri"o.  La  sovrana  di  lui 
pnìsenza  fu  celebrata  con  infiniti 
evviva  degli  abitanti,  con  numerose 
salve  d'  artiglieria,  con  eleganti  fuo- 
chi d'  artifizio  ,  con  illuminazione 
generale ,  anche  della  cupola  del 
duomo  e  della  fortezza,  con  giulive 
armoniose  bande,  e  con  altri  mo- 
di. Quindi  nella  seguente  matti- 
na, traversando  la  città  addobbata 
di  arazzi,  partì  per  Narni,  benedi- 
cendo paternamente  l' intera  popo- 
lazione, dopo  aver  ricevuto  gli  o- 
maggi  dal  zelante  vescovo ,  e  di 
tutte  le  autorità  e  personaggi  no- 
minati, e  dopo  essere  state  dispen- 
sate per  suo  sovrano  comando  ele- 
mosine, e  donativi  diversi.  JMonsi- 
gnor  vescovo  seguì  il  Pontefice  sino 
ai  confini  della  diocesi,  e  il  prelato 
delegato  sino  a  queUi  della  pro- 
vincia. 

Civita  Castellana,  capo  luogo  di 
governo,  ha  per  appodialo  il  castel- 
lo di  BorghetiOj  ov'  è  la  stazione 
postale  in  prossimità  del  Tevere,  e 
del  celebre  Ponte  Felice,  così  chia- 
mato dal  nome  di  Sisto  V,  che  lo 
costrusse,  e  che  avea  innanzi  il  pon- 
tificato. Sono  ad  essa  soggette  le 
comuni  di  Nepi,  di  Castel  s.  Elia, 
di  Stabbia  e  di  Calcata.  Alcune 
donne  de' popolani  mantengono  l'an- 
tico e  curioso  costume  ,  d'  altronde 
molto  modesto,  d'indossare  due  gon- 
nelle, ed  una  ne  alzano  da  teigo 
per  cuoprire  il  capo,  uso  che  si  ve- 
de seguito  nel  circondario  campe- 
stre di  Monte  Fiasco  ne.  Tuttavia  in 
Civita  Castellana  tale  costume  va 
ogni  giorno  più  perdendosi  ,  sc- 
euendo  il  vestire  comune. 


CIV 

Non  dobbiamo  passare  sotto  si- 
lenzio, che  questa  città  sempre  fe- 
delissima e  divota  alla  santa  Sede, 
fu  patria  di  personaggi  ragguarde- 
voli per  pietà  e  dottrina ,  non  che 
di  cinque  vescovi ,  di  un  nunzio 
apostolico  spedito  nella  Ungheria,  di 
un  maestro  della  Cappella  Pontifi- 
cia ,  di  un  bibliotecario  del  so- 
vrano di  Modena,  e  di  altri  rispet- 
tabili individui.  Essendo  confusi  il 
patriziato  e  la  cittadinanza  (i  quali 
stati  sono  antichissimi),  il  regnante 
Papa  nel  iSSy  richiamò  dall'ob- 
blio  il  patriziato,  e  permise  che  si 
procedesse  alla  opportuna  rifoi'ma, 
e  distinzione  dei  ceti ,  sulle  norme 
del  moto  proprio  di  Leone  XII, 
emanato  nel    1827. 

Ad  ulteriore  lode  di  Civita  Ca- 
stellana aggiungeremo,  che  nella  fa- 
tale epoca  del  i83i,  essendosi  la 
rivoluzione  estesa  sino  ai  confini 
del  suo  territorio,  la  città,  ad  onta 
degli  sforzi  dei  ribelli,  si  mantenne 
costante  nella  sua  fede,  e  rivolse  in- 
cessanti preghiere  a  Dio,  acciocché 
ripristinasse  l' ordine  e  la  quiete 
ai  pontificii  domini.  In  tal  congiun- 
tura molti  volontari  con  entusiasmo 
partirono  per  andare  a  difendere  la 
santa  causa,  ed  in  altri  punti  dello 
stato  ove  si  presentarono  ai  ribelli 
resistettei'o  con  quel  coraggio,  che 
non  manca  a  chi  combatte  sotto  il 
vessillo  della  religione  e  del  legit- 
timo sovrano,  massime  del  soave 
dominio  della  sede  Apostolica. 

La  fede  fu  predicata  in  questi 
dintorni,  nel  pontificato  di  s.  Lino, 
immediato  successore  di  s.  Pietro, 
come  narra  l' Ughelli  Italia  aagra 
t.  I,  p.  596.  Superiormente  abbia- 
mo detto  che  la  sua  sede  vescovi- 
le ebbe  origine  nel  secolo  decimo,  e 
che  nei  primi  del  secolo  decimopri- 
mo,   le    fu  unita  quella  di    Faleria 


CIV  295 

Juniona.  Quindi  nel  secolo  decimo- 
quarto venne  unita  a  Civita  Ca- 
stellana la  sede  episcopale  di  Gal- 
lese (Fedi),  e  poscia  nel  14^7  il 
vescovato  di  Orla  (f^edi),  vmione  che 
tuttora  dura,  colla  diretta  soggezio- 
ne alla  sede  Apostolica.  Comman- 
ville  aggiunge,  che  furono  unite 
alla  sede  di  Civita  Castellana  quella 
di  Aquae  Vivae,  le  cui  rovine  sono 
nel  luogo  detto  la  Fontana  di  Ac- 
quaviva,  e  di  Valentinum,  Castrimi 
Inaienti niim,  ambedue  erette  sino 
dal  quinto  secolo. 

La  cattedrale  era  prima  a  cinque 
navate,  di  antica  architettura:  ora 
lo  è  a  tre,  dopoché  il  ven.  Giovan- 
ni Francesco  Tenderini,  fatto  ve- 
scovo di  Civita  Castellana  da  Cle- 
mente XI,  la  riedificò  nel  17  17.  Ri- 
marchevole è  l'antico  mosaico,  che  ne 
decora  il  pavimento.  E  dedicata  quel- 
la cattedrale  all'Annunziazione  della 
b.  Vergine,  e  vi  si  venerano  le 
sagre  spoglie  di  s.  Marciano  illu- 
stre personaggio,  e  di  s.  Giovanni 
suo  figliuolo,  al  quale,  per  l'inter- 
cessione de'  ss.  Abbondio  ed  Abbon- 
danzio, Dio  rese  la  vita.  Tutti  e 
quattro  que' santi  nella  persecuzio- 
ne di  Diocleziano,  verso  l'anno  3o3 
a'  16  settembre,  patirono  il  marti- 
rio; i  due  primi  sono  i  patroni 
della  città.  L'  invenzione  de'  loro 
corpi  avvenne  dopo  il  corso  di  set- 
te secoli,  nella  notte  stessa  della 
loro  passione,  sulla  falda  del  monte 
Soratte,  ove  la  pia  ed  illustre  ma- 
trona Teodora  avca  dato  loro  la 
sepoltura.  Subito  se  ne  fece  la  tras- 
lazione    neir  anno    997  ,     ovvero 

11  capitolo  della  cattedrale  si 
compone  della  dignità  dell'  arci- 
prete, di  diciotto  canonici,  compre- 
si il  penitenziere  e  il  teologo,  oltre 
altri  ecclesiastici  addetti  al  scrvi^io 


af)6  CTV 

divino.  La  cura  annessa  alla  calfc- 
<lrale  è  anarainistrata  da  un  vicario 
curato  perpetuo.  Vi  sono  nella  città 
due  altre  parrocchie,  i  cappuccini  e 
un  monistero  di  monache,  oltre  il 
seminario  con  alunni,  alcune  con- 
fraternite, l'ospedale,  e  il  monte  di 
pietà,  non  che  V  orfanotrofio.  L' o- 
spedale  fu  largamente  beneficato 
da  un  legalo  fattogli  dalla  pia  de- 
fonta  marchesa  Orsola  Androsilla. 
Il  detto  orfanotrofio  è  di  recente 
erezione,  ed  è  fondato  coli'  eredità 
dtì'benemeriti  fratelli  d.  Onorato  e 
Tommaso  Stefani  della  diocesi.  11 
seminario  fu  riaperto  sotto  gli  au- 
spici dell'ottimo  vescovo  attuale  sul- 
ìodato,  le  cui  sollecite  cure  furono 
coadiuvate  dai  mezzi  forniti  dal  co- 
mune. 

La  mensa  vescovile  ad  ogni  nuo- 
vo pastore,  nella  cancelleria  aposto- 
lica, è  tassata  in  fiorini  novanta.  La 
diocesi  è  ampia.  J^.  Bonaventura 
Theuli  j  Apparato  mvioritico  della 
provìncia  di  Roma,  del  convento  di 
.s.  Francesco  di  Civita  Castellana. 
Egidio  da  Cesarò,  U  effìmeri  per  il 
inariirio  de^  ss.  Marciano  e  Giovan- 
ni, con  un  parere  del  vero  sito  del- 
l'antico  Veio,  Venezia  1678.  Ab- 
biamo poi  dal  p.  IMarroni  :  Ragio- 
ììamento  con  cui  si  dimostra,  die  la 
.sede  vescovile  della  città  di  Oria 
non  può  pretendere  superiorità  di 
precedenza  sopra  la  sede  vescovile 
di  Civita  Castellana  per  ragione  di 
maggiore  antichità,  Roma  lySp; 
Ragionamento  secondo  in  cui  si  ri- 
sponde alle  ragioni  proposte  dal.  p. 
M.  Mamachi  in  favore  della  catte- 
dra vescovile  di  Orta,  contro  la  cat- 
tedra vescovile  di  Civita  Castellana 
nel  libro  de  Hortani  episcopatus  aa- 
tiquitate,  e  neW  altro  adversus  au- 
clorem,  etc.  Romae  ly^Q;  Ragiona- 
mento terzo,  e  lettere  due  dell'auto- 


CIV 

re  de"  Ragionamenti,  cioè  del  p. 
Marroni.  Sembra  che  i  dotti  dieno 
la  preferenza  alle  ragioni  addotte 
dal  p.  M.  Mamachi ,  come  osserva 
il  Rangiaschi. 

Sulle  diverse  opinioni  poi  se  Ci- 
vita Castellana  sia  Pelo  o  Fescen- 
nia,  oltre  quanto  di  sopra  abbiamo 
detto,  si  possono  consultare  i  seguen- 
ti autori  :  Francesco  Scotto ,  Itinera- 
rio d' Italia,  di  Civita  Castellana, 
detta  Fescennia  p.  280;  Petrus  Gur- 
sius.  Poema  de  Civitate  Castellana, 
Faliscoruni  non  Veientiuni  oppido, 
Romae  1389;  Franciscus  Mariani, 
de  antiquis  Feiis,  et  Veiente  colo- 
nia cantra  Cluverium,  Holstenium, 
aliosque.  Ext.  nel  Gior.  de'  Letterati 
di  Roma  dell'anno  1759;  Domeni- 
co IMazzocchi,  Lettera  ed  apologia 
del  dijensor  di  Veio,  dove  si  ripro- 
vano molle  opposizioni  fattegli  dal- 
l' investigatore  dello  stesso  Veio,  Ro- 
ma 1 653  ;  Supplemento  a  Civita 
Castellana  circa  la  sua  distanza  da 
Roma,  Discorso  al  quale  si  è  ag- 
giunto il  Sintagma  di  Giuseppe  Ca- 
stiglione in  difesa  di  Pelo,  Roma 
1 663  ;  Veio  difeso,  Discorso  in  cui 
si  mostra  l'antico  Veio  essere  oggi 
Civita  Castellana,  Roma  1 696  ;  Fa- 
miano  JNardini,  il  quale  scrisse  con- 
tro la  lettera  del  Mazzocchi  ;  L'antico 
Veio  investigato  dal  silo  di  quella 
città,  Roma  1647.  Gio.  Domenico 
Pei'azzi  fece  la  risposta  alla  lettera 
del  ftlazzocchi,  coU'opei-a  :  La  sco- 
perta, .apologia  in  difesa  dell'antico 
Veio  di  Famiano  Nardini,  Ronci- 
glione  i6j4;  Carlo  Zanchi,  /'/  Veio 
illustrato,  ove  si  dimostra  il  vero 
silo  di  quella  città,  un  dì  capo  e 
frontiera  di  tutta  la  Toscana,  Roma 
1 758.  Da  ultimo  il  canonico  Fran- 
cesco Morelli  eruditamente  compose 
una  Dissertazione,  nella  quale  sta- 
bilì per  ipotesi,  che   Civita    Castel- 


e  1  V 

lana  sìa  l'antico  Veio,  e  la  pubbli- 
cò nel    1825  colle  stampe  in  Terni. 

Sull'opera  di  d.  Eugenio  Sarzana, 
dedicata  a  Pio  VI,  della  capitale 
de'  Tuscaniensij  ec.,  Montefiascone 
stamperia  del  seminario  1788,  fra 
gli  altri  ebbe  ad  esternare  favore- 
vole giudizio  il  teologo  della  catte- 
drale di  Montefiascone,  lettore  di 
dommatica  nello  stesso  seminario  e 
collegio,  e  prefetto  degli  studi,  cioè 
il  can.  Carlo  Fiorelli  a  pag.  4i-  l"v'i 
si  legge  quindi,  che  i  cittadini  di 
IMontefìascone  si  pregiano  di  essere 
Etrusci  d'  origine,  di  stare  nello  stes- 
so agro  particolare  etrusco,  e  che  la 
loro  città  sia  la  Rocca  di  Corito  pa« 
dre  di  Bardano.  INè  mai  ignorarono, 
soggiunge,  che  i  Falisci  erano  una  co- 
lonia degli  Argivi,  e  che  i  savi  cittadi- 
ni di  IMontefìascone  non  si  appro- 
piiarono  mai  i  vescovi  dell'antica 
Faleria,  Tuttavolta  non  si  deve  ta- 
cere che  in  IMontefìascone  stesso,  e 
nell'anno  1788,  fu  pubblicata  l'o- 
pera postuma  del  dottore  Francesco 
IMaria  Pieri  patrizio  Falisco,  e  de- 
dicata al  vescovo  Cardinale  Giusep- 
pe Garampi,  che  porta  per  titolo  : 
La  situazione  Trasciniinia  darli  anti- 
chi  Falisci,  e  della  loro  metropoli  Fa- 
lerio.  Non  ha  guari,  e  nel  1 84',  dal- 
la tipografia  del  seminario  suddet- 
to, fu  dato  alla  luce  il  Commentario 
sulla  città  e  chiesa  di  Montefiasco- 
ne, ove  nella  terza  Annotazione  a 
pag.  79  si  tratta  degli  autori  e  delle 
opinioni  sulla  situazione  cisciminia, 
o  transciminia  dei  Falisci. 

CIVITA  DUCALE,  o  CITTA' 
DUCALE.  Città  vescovile  nel  regno 
delle  due  Sicilie,  nella  provincia  del- 
l'Abruzzo ulteriore  secondo,  Cii'itas 
Ducalis,  chiamata  da  Commanville 
Città  di  Cali,  Cii'itas  Caliensis.  Es- 
sa è  situata  alla  destra  del  Velino, 
nel  confine    occidentale    della    pro- 


ci V  2()7 

vincia  coH'altra    pontificia   limitrofa 
reatina.  Deve  la  sua  origine  all'An- 
gioino Roberto    duca    di    Calabria, 
figlio  di  Carlo  II   re  di  Napoli,  tro- 
no su  cui  ascese  anch'  egli  col  glo- 
rioso epiteto  di  saggio,    prima    del 
1807.  Per  lui  ricevette  la  città  il  no- 
me di   Città   del   Duca.    Nel     1708 
fu  assai  danneggiata    da    un  terre- 
moto,   aprendosi    allora    un    piccolo 
lago  di  asfalto  d'acqua  fetida   e  bi- 
tuminosa, che  all'est  della    città  si 
vede  tuttora.  Ebbe  un  tempo  i  suoi 
vescovi,  ed  anticamente  era  sogget- 
ta alla  diocesi    di  R.ieti.    Da  questa 
Alessandro  VI    la    separò    per    for- 
marne un   vescovato,  il    24    giugno 
i5o2,  e  vi   nominò  pel    primo    ve- 
scovo Mattia  Ursino  romano.  Quin- 
di Giulio  II  la  restituì    al    vescovo 
di  Rieti   agli  8  novembre    i5o5.  ma 
di  nuovo  poco  tempo  dopo    la    di- 
staccò da  esso  per  sempre.    Dichia- 
rò quel  Pontefice  la  sede  immedia- 
tamente soggetta  al  sommo    Ponte- 
fice, eresse  la  collegiata  in  cattedra- 
le, vi  stabilì  due  dignitari ,    l'  arci- 
prete   ed  il   prevosto,    vmdici    cano- 
nici ed  alcuni  chierici.  \i  erano  n{4- 
la  città  tre  case  religiose  di  uomini, 
ed  un  monistero  di  monache,  oltre 
le  cappuccine  fuori  di  essa,  non  che 
il  seminario,  il  monte    di    pietà  ec. 
Ma  il  Pontefice  Pio  VII,  colle  Lit- 
terac  apostolicae  etc.  De  meliori  Do- 
miiiicae,  quinto  Kalendas  juiii  1818, 
la  unì  alla  sede  vescovile  di  Aquila, 
capitale  della    medesima    provincia. 
Civita  Ducale  per  la  sua    posizione 
è  costituita  capo  di  distretto,    e  ne 
dipendono,  oltre    il  proprio    circon- 
dario, ancor  quelli  di  Lionessa,   Au- 
trodoco,  Amatrice,    Borgo-Colle-Fe- 
gato, Mercato,  e  la   Posta. 

CIVITA  VECCHIA  {Centumcel- 
laruni).  Città  marittima  con  resi- 
denza vescovile,    nello    stato    ponti- 


7.(jS  C 1  V 

fìcio,  sede  della  delegazione  aposto- 
lica, e  della   provincia  del    suo  no- 
me. Essa  giace  sopra    quella    parte 
del   littorale  romano,    che    corre    a 
destra  del    fiume    Tevere,    e    viene 
bagnata  dalle  acque  del  mare    me- 
diterraneo. È  paese  celebre  per  es- 
sere già    stato  il     più    nobile    fiore 
dell'Etrnria.   Gli   antichi   la  chiama- 
rono Cento- Celle,  Ccnlumcellae,  Cin- 
celle,    Ceneelli,    Cengello,   perchè   ivi 
erano  cento  celle  o  camere  a  rico- 
vero delle  milizie.   Vuoisi  che   l'im- 
peratore Trajano,  il  quale  in  questo 
luogo  aveva   le  sue  ville,  vi    fabbri- 
casse  un  magnifico  palazzo,  compo- 
sto   di  cento    camere.    Dipoi,  come 
diremo,  prese  il  nome  di  CU'ita  Vec- 
chia, Civitax  Vetiis,  dal  ritorno  che 
vi  fecero    gli    abitanti    dopo    essere 
stati  per    alcun    tempo    a    Leopoli, 
per   fuggire    le    frequenti     irruzioni 
de' saraceni.   Il  suo  porto  è    il    mi- 
gliore, e  può  dirsi  1'  unico,  che  ab- 
bia  lo  stato  ecclesiastico    in    questa 
spiaggia.   Ove  esso  sorge,  non    era, 
per  quel  che  si  sa,  nessima    stazio- 
ne navale,  poiché  è  totalmente    ar- 
tificiale, ed   il  genio  dell'imperatore 
Trajano  il  fabbricò  per  cos'i  dire  di 
getto.    I   popoli  di  questa  provincia, 
come  fiuono  bravi  agricoltori,  egual- 
mente furono  coraggiosi   navigatori, 
ed  esperti    trafficanti.    Si    distinsero 
soprattutti  i  Ceretani,  come  quelli  che 
non  si  dierono  alla  pirateria,  eserci- 
tata da  molti   popoli  dell'Etruria,  e 
colla  quale  arricchirono  ;  ma   traffi- 
cando   nelle  parli     orientali    princi- 
palmente divennero  sì  possenti,  che 
essi  soli  poterono    a' romani    fornire 
i     sessanta     triremi,     co'  quali   com- 
batterono   i   Focesi    nelle    acque    di 
Sardegna,  non  che    tutte    le    vetto- 
vaglie   di     cui    abbisognò     Scipione 
per  la  cartaginese    spedizione.    Cere 
avca  il  suo  porto,  e  il  suo  mercato 


CIV 

giù  al  mare,  che  chiamavasi  Pirgo, 
cioè  luogo  forte  e  di  torri.  Ivi  ado- 
ravasi  con  fenicio  rito  una  deità  ma- 
rina chiamata  Leucotea,  il  cui  tem- 
pio divenne  ricchissimo  per  le  olìèr- 
te  de'  trafficanti.  V.  Ceri,  o  Cere. 
(iravisca,  anche  essa  posta  in  riva 
al  mare,  tra  la  IVIarta^  e  il  Migno- 
ne,  era  la  stazione  navale  dei  Tar- 
quiniesi,  e  que'li  di  Videi  (^  Vedi) y 
che  presso  1'  Argentaro  era  Cossa  lo- 
ro colonia.  V.  Psibby,  Analisi  dei 
dintorni  di  Roma,  t.  HI.  p.  91,  Ca- 
slruni  s.  Stverae  o  Pyrgi. 

Del  porto  di  Traiano  narra  Pli- 
nio, che  essendo  chiamato  a  consi- 
glio da  lui  a  Cento  Celle,  vide  la 
fiorita  città,  vide  i  campi  verdissi- 
mi, e  la  soavità  ad  un  tempo  del 
grigio  mare.  Fabbricavasi  in  quello 
il  porto,  il  quale  a  foggia  di  anfi- 
teatro si  presentava  all'  oceano  im- 
menso. Il  braccio  sinistro  era  stato 
fermissimamente  fornito ,  il  desti'o 
era  ancora  sid>  ascia.  In  mezzo  per- 
tanto alla  sua  bocca  sorgeva  l' isola 
o  antemurale  a  respingere  il  flutto 
e  r  onda.  L' acqua  per  le  novelle 
mura  arricciava,  e  il  sempiterno 
fiotto  del  mare  irrompeva  sui  vivi 
sassi.  Al  genio  adunque  dell'  impe- 
ratore Traiano  si  deve  l' idea  del- 
l' ampio  porto,  e  del  rotondo  ba- 
cino, che  si  riguarda  come  un  perfet- 
to modello  d'  arte  ,  non  che  lo 
stabile  antemurale,  che  rende  sicuro 
il  porto,  ove  corrono  solo  i  flut- 
ti ad  infrangersi.  Quivi  l' augu- 
sto eresse  la  colossale  statua  di 
bronzo  a  Nettuno  dio  del  mare,  di 
cui  si  rinvenne  nella  darsena  un 
superbo  braccio,  il  tridente,  ed 
una  coda  di  delfino.  Le  quali  cose 
dal  regnante  Pontefice  si  fecero  col- 
locare nel  Musco  Etrusco  [Vedi)  ^ 
da  lui  eretto  in  Vaticano,  pre- 
cisamente nella    preziosa    collezione 


CIV 

di  bronzi  etruschi.  Gli  antichi  brac- 
ci però  del  porto  sono  eccentrici 
agli  odierni  innalzati  dai  provvidi 
sovrani  Pontefici  in  circuito  piìi  an- 
gusto, mentre  gli  altri  deperivano. 
La  mwnificenza  di  Pio  YI  accorse 
a  prestare  all'  indebolito  argine  op- 
portuno riparo.  Delle  fortificazioni, 
miglioramenti,  e  demolizione  d'una 
porta,  e  delle  vecchie  cadenti  mura 
che  deturpavano  il  centro  della  cit- 
tà, dividendola  iri"egolarmeiite  (ope- 
re tutte  ordinate  dal  Papa  regnan- 
te )  diremo  in  appresso. 

Le  muraglie,  onde  Civita  Vecchia 
è  cinta,  la  rendono  forte  e  munita. 
IMagnifico  è  poi  l'aspetto  della  for- 
tezza, che  Giulio  II  fece  costruire 
dall' un  de' lati  presso  al  mare.  E 
però  controverso  a  quale  de'  fa- 
mosi architetti  Sangallo,  o  Buonar- 
roti, o  Bramante  attribuir  si  deb- 
ba il  bel  disegno.  Dall'altro  lato 
Pio  IV  vi  eresse  l' ampia  darsena 
o  bagno,  ove  in  gran  numero  sono 
racchiusi  i  forzati ,  che  ci  ricevono 
gli  aiuti  spirituali  dai  benemeriti 
cappuccini.  Veramente  a  Pio  IV,  e 
a  Sisto  V  piuttosto  si  attribuisce  la 
restaurazione  della  darsena,  la  quale 
si  vuole  eretta  dallo  stesso  Trajano. 
Vi  sono  diversi  regolari  edificii,  co- 
me l'episcopio,  e  il  seminario.  So- 
pra i  fondamenti  dell'antica  rocca, 
ed  in  parte  sopra  la  parte  inferiu- 
l'e  di  quel  tratto  che  ancora  esiste, 
è  situato  il  palazzo  della  camera 
apostolica ,  formato  dalla  riunione 
di  diversi  fabbricati  ediOcati  da  vari 
Papi,  massime  da  Giulio  li  e  da 
Pio  IV,  sormontati  da  una  torie. 
Questo  palazzo  non  ha  guari  fu  pu- 
re migliorato. 

Fra  le  opere  di  architettura  di 
Civita  Vecchia,  merita  menzione  il 
meraviglioso  acquedotto ,  che  sotto 
gli  auspici!  d' Innocenzo  XII  vi  cou- 


CIV  0_yc) 

dusse  il  cav.  Fontana.  Quell'acque- 
dotto corre  il  tratto  di  ventisette 
miglia,  conducendo  alla  città  acque 
pure,  come  l' antico  di  Trajano  dai 
vicini  monti  di  Tolfa,  e  delle  Al- 
lumiere. Ha  poco  distanti  i  saluti- 
feri bagni  termali,  che  tanto  gli  an- 
tichi apprezzarono,  e  perciò  furono 
detti  di  Palazzi,  e  da  Plinio  Acjuae 
Tauri.  Straordinario  è  il  calore  di 
quelle  acque,  e  si  lasciano  anzi  raf- 
freddare all'aperto  avanti  di  farne 
uso.  Ci  narra  la  storia,  che  l'impe- 
ratore Commodo  desse  nella  fan- 
ciullezza gran  saggio  della  sua  cru- 
deltà ,  coir  ordinare  ch'entro  una 
fornace  perisse  Io  schiavo ,  da  cui 
era  stato  apprestato  il  bagno  so- 
verchiamente caldo;  ma  l'umano  ese- 
cutore di  tal  cenno  vi  surrogò  uu 
ariete.  Sonovi  magnifici  avanzi  del- 
le antiche  terme  dette  Taurine, 
perchè  diconsi  scoperte  da  un  toro, 
e  piuttosto  ad  Adriano,  che  a  Tra- 
jano se  ne  attribuisce  l'edificazione. 
11  eh.  Pietro  Manzi,  negli  scavi  ope- 
rativi ,  rinvenne  splendidi  monu- 
menti della  loro  nobile  sontuosità. 
Il  poeta  Rutilio  ne  fa  la  descrizio- 
ne, come  quello  che  nel  quinto"  se- 
colo le  trovò  nella  loro  integrità. 
Kè  devesi  passare  sotto  silenzio,  che 
ancora  si  veggono  avanzi  dell'anti- 
ca grandezza  della  città;  come  gl'in- 
dizi di  una  grandiosa  basilica,  o 
tempio  colle  basi  di  vari  ordini  di 
colonne,  molte  delle  quali  di  gra- 
nito; e  gl'indizi  d'un  magnifico 
porticato  all'  intorno  del  porto.  Non 
pei'ò  sono  antiche  come  si  voglio- 
no le  due  torri  nell'  orlo  estremo 
delle  due  braccia  del  porto,  sì  per 
la  loro  architettura  militare ,  e  s\ 
pel  reticolato  che  le  adorna.  Nelle 
vicinanze  della  città  fu  rinvenuta  la 
statua  del  Perseo  descritta  dal  dotto 
Visconti;  cou  di  piìi  cento  ventidiie 


3oo  rìv 

nicdat^lie  d'oro,  da  Nerone  ad  Adriano 
inclusive.  Si  trovarono  ancora  altre 
slattie  di  raro  merito,  come  pure  dei 
sepolcri,  in  uno  de'quali  scavalo  nel 
masso,  giaceva  un  cadavere  con 
elmo,  due  lancie,  spada  e  scudo  di 
metallo.  Lungo  sarebbe  enumerare 
gli  altri  oggetti  rinvenuti  negli  sca- 
vi, che  palesano,  come  il  vasto  ge- 
nio, e  il  buon  gusto  del  fondatore 
dei  porto,  non  avea  trascurato  di 
abbellirlo,  aggiungendo  alla  amenis- 
sima  e  magica  posizione,  la  splen- 
didezza, come  quello  eh'  è  quasi  al 
contatto  di   Roma. 

Per  riguardo  alla  Marina  pon- 
tifìcia [Vedi),  sebbene  Calisto  III 
sia  stato  il  primo  tra  i  romani  Pon- 
tefici ad  armare  una  flotta  di  navi 
in  questo  porlo,  fu  però  Sisto  V  il 
])i  imo  a  porre  una  squadra  di  die- 
ci galere  a  guardia  del  liltorale,  e 
contro  i  barbareschi  ,  e  progre- 
dendo fu  Alessandro  VII,  che  fon- 
dò r  arsenale.  Quindi  alle  galere 
si  aggiunsero  le  fregate ,  e  quando 
poi  venne  la  guerra  di  Francia  nel 
declinar  del  decorso  secolo ,  il  na- 
viglio Pontificio,  composto  ed  equi- 
paggiato dai  civitavecchicsi  e  da  al- 
tri, fu  da  Napoleone  tratto  alla  spe- 
dizione di  Egitto,  e  recò  colà  il  ce- 
It'brato  general  Desaix.  In  tale  spe- 
dizione si  può  dire  finisse  la  ma- 
rina Pontilìcia,  perchè  quel  navi- 
glio piti  non  tornò ,  e  quasi  tutte 
le  ciurme,  spinte  su  pel  Nilo,  peri- 
lono  parte  per  mancanza  di  vetto- 
vaglie, e  parte  dal  feiTO  de'  mame- 
lucchi. 

Nel  528  e  sotto  l'impero  di  Giu- 
stiniano I,  narra  Procopio,  era  que- 
vSta  città  in  grande  auge,  potente  e 
valorosa  a  segno,  che  avendo  fatto 
parte  nelle  guerre  fra  i  goti  ed  i 
greci,  capitanati  da  Belisario,  avea 
njspinto  da  sé,  dopo  uu  lungo  as- 


CIV 

sedio,  le  coraggiose  armale  del  re 
Totila.  Altri  dicono  che  la  città  fu 
presa  da  Totila,  e  quindi  nell'anno 
553  ripresa  da  Narsete.  Che  intor- 
no al  sesto  secolo  Cento  Celle  fosse 
da  Totila  soggiogala,  lo  riferisce  il 
Lami,  riportato  dal  p.  Faure,  par. 
1,  p.  187,  delle  Meinor.  yìpologet. 
Anche  sotto  i  longobardi  continuò 
a  prosperare,  finché  dai  saraceni  o 
mori  venuti  di  Spagna,  nemici  del 
nome  cristiano,  fu  totalmente  deva- 
stata e  distrutta  :  la  città  di  Traja- 
no  venne  pareggiata  al  suolo,  parte 
dai  greci,  dai  goti,  e  dai  longobar- 
di, e  sovra  tutto  dai  mori  prima 
neir8i45  e  poi  verso  l'anno  828. 
Questi  ultimi  nelle  loro  piraterie 
scorrendo  furibondi  il  liltorale,  tutto 
distruggevano  anco  per  odio  reli- 
gioso. Per  la  loro  ferocia  atterriti  i 
centumcellesi  furono  costretti  di  cer- 
care uno  scampo  nelle  vicine  fore- 
ste, ove  impauriti  vivevano  fra  la 
miseria  e  le  lagiime.  Fu  allora ,  e 
verso  l'anno  854,  che  il  Pontefice 
s.  Leone  IV,  dopo  aver  vinto  ad 
Ostia  i  saraceni,  ed  eretta  in  PvO- 
ma  a  difesa  del  Vaticano  la  Città 
Leonina  per  metterla  al  coperto  del- 
le loro  incursioni  e  depredazioni , 
mosso  a  compassione  dei  centumcel- 
lesi, li  ricovrò  in  altro  luogo  da 
lui  fabbricato,  e  prossimo  all'antica 
patria,  che  dal  suo  nome  chiamò 
Le.opoli;  e  ciò  fece  dopo  di  averla 
cii'condata  di  mura,  e  vi  ricettò  pu- 
re gli  abitanti  esuli  delle  città  cir- 
convicine. Siccome  Leopoli  secondo 
alcuni  era  lungi  da  Centocelle  (che 
r  Anastasio  chi;ima  Centiunccllense 
Castrimi),  poco  piacque  ai  centum- 
cellesi, i  quali  non  ebbero  più  pa- 
ce finché  non  giunsero  al  suolo  an- 
tico, e  sulle  primitive  mura  roma- 
ne non  gettai'ono  le  fondam{;nla 
della  nuova  città.   Appena  pertanto 


CIV 

cessarono  le  piraterie,  abbandona- 
rono Leopolij  si  portaiono  a  Cen- 
tocelle  che  riedificarono  sulla  vec- 
chia città,  e  perciò  la  chiamarono 
Città  P^ecchia,  Ch'ita  Veccliia.  Po- 
chi furono  i  restauratori,  e  con  po- 
chi mezzi,  perchè  si  restrinsero  en- 
tro un  piccolo  quadrato,  come  tutto- 
ra si  vede  dalle  mura,  che  in  qual- 
che parte  sussistono,  cioè  verso  il  pa- 
lazzo pontificio.  Secondo  la  tavola 
dell'Ameti,  Leopoli  era  lontana  sei 
miglia  da  Cento  Celle,  su  di  che 
è  a  vedersi  il  Limperani  Istoria 
della  Corsica,  t.  I,  1.  9,  pag.  344; 
ed  il  Sarzana,  Della  capitale  elei 
tuscaniensi ,  p.    182. 

Fino  dall'anno  ySo,  e  nel  pon- 
tificato di  s.  Gregorio  li.  Cento 
Celle,  siccome  apparteneva  alle  se- 
dici città  che  formavano  allora  il 
ducato  romano,  nella  deduzione  di 
questo  alla  santa  Sede  ,  divenne 
sovrano  dominio  de'  Papi,  il  che 
afferma  il  Borgia,  Memorie  istori- 
che  tom.  I,  pag.  6:  In  Tusciae  par- 
tibits  (cioè  nella  Toscana  de' Roma- 
ni, detta  oggi  Patrimonio),  idest  Por- 
tuni.  Cenili  ni  cellas,  Chere  etc.  Lo 
Scotto,  Itiner.  d' Italia  a  p.  187, 
dice  che  Gregorio  III  nel  740  la 
restaurò,  e  munì  di  nuove  mura. 
Indi  fu  dichiarata  città  nel  i  192, 
dal  Pontefice  Celestino  III.  Dipoi 
nel  1244  s'imbarcò  su  questo  por- 
to, e  nelle  galere  de'  Genovesi  suoi 
concittadini,  il  Papa  Innocenzo  IV, 
per  fuggire  l'insidie  dell'imperato- 
re Federico  II.  Duiante  il  grande 
scisma  di  occidente,  sostenuto  in 
Avignone  dall'  antipapa  Benedetto 
XIII,  il  di  lui  parente  e  fautore 
Martino  re  di  Aragona,  stabih  di 
condurlo  in  E.onia  accompagnato 
da  un'  armata,  contra  il  legittimo 
Pontefice  Bonifacio  IX,  avendo  a 
tal    efi'etto    promesso    Giovanni    de 


CIV  3oi 

Vico,  di  consegnargli  nelle  mani 
Civita  Vecchia,  che  teneva  per  la 
santa  Sede,  mediante  la  somma  di 
dodici  mila  scudi  ;  ma  non  poten- 
do r  antipapa  partire  da  Avignone, 
la  congiura  si  sventò.  Terminato  il 
funesto  scisma  ,  colla  elezione  di 
Martino  V,  Eugenio  IV,  che  gli  suc- 
cesse l'anno  i43i,  nel  ricuperare 
dai  tiranni  le  usurpate  terre  della 
Chiesa  Romana  si  propose  di  to- 
gliere dalle  mani  del  tiranno  Gia- 
como de  Vico,  prefetto  di  Roma, 
Civita  Vecchia,  dandone  l' incarico 
al  celebre  Giovanni  Vitelli  Vitelle- 
schi  oriundo  di  Foligno,  e  di  nobile 
famiglia  di  Corneto.  Egli  colle  mi- 
lizie Pontificie  uccise  in  Vetralla  il 
de  Vico,  nella  vigilia  di  s.  Michele 
Arcangelo  del  143^,  come  si  ha 
dal  Contelori,  De  praef.  Urbis,  p, 
85.  Ma  siccome  la  descrizione  del- 
la presa  di  Civitavecchia,  che  ne  fa 
Flavio  Biondo  segretario  di  Eugenio 
IV  nella  sua  Storia,  interessa  an- 
che la  posizione  dell'antica  rocca  e 
della  contigua  darsena,  che  lo  sto- 
rico chiama  porticello  avente  allora 
due  aperture,  non  riuscirà  discara 
la  seguente  traduzione. 

«  E  questa  incumbenza  (di  ri- 
"  prender  Civita  Vecchia)  la  diede 
»  il  Pontefice  al  vescovo  di  Reca- 
"  nati,  che  era  un  Vitelleschi  di 
«  Corneto,  il  quale  allora  gover- 
»  nava  (in  qualità  di  legato  apo- 
'»  stolico)  la  provincia.  Ci  si  pose 
"  costui  con  tutto  il  vigore^  secon- 
»  dato  da  Fortebraccio,  da  Ranuc- 
>:  ciò  Farnese,  da  Menicuccio  Aqui- 
»  lano,  e  da  Muzio  da  Fiesole, 
»  dando  rapidamente  il  guasto  a 
>■>  quelle  castella.  Quindi  espugnata 
"  Vetralla,  terra  in  sulla  via  Cas- 
»  sia,  forte  di  sito  e  di  mura,  mos- 
>i  se  il  campo  contro  Civitavecchia, 
M   paese    spopolalo,    ma   fortissimo, 


3o2  CIV 

e  celebre  per  il  suo    porto,    clie 

>  anlicainenle  nominavasi  Centum- 
cellese.  Coiitiiiiiava  a   tiiUo    (fuel 

>  giorno  l'assetlicj  formato  dall' e- 
»  sercito  Pontificio ,  e  si  teneva 
5   per    fermo,    che    non  si    sarebbe 

>  venuto  a  capo  di  espugnarla    se 

>  non  fosse,  a  preghiera  del    Pon- 

>  tefice,  soppraggiunto  da  Pisa  col- 

>  la  flotta  IMetro  Laureano.  Iinpe- 
»   rocche,    oltre  le    soldatesche,    re- 

>  cava  egli  eziandio  varie  inacchi- 
'  ne  da  guerra,  di  che  mancavano 
»   i   Pontificii.   In    tal    guisa    venne 

il  luoEfo  attaccato  e  da  mare  e 
da  terra.  Sta  quivi  uno  scoglio 
sassoso  protratto  a  occidente,  che 
si  disgiunge  dal  continente  per 
tanta  ampiezza  di  mare,  quanta 
conterrebbe  trenta  galere.  Ha  que- 
sto il  nome  di  porticello,  e  quel- 
la parte  di  lui  che  si  volge  al 
sol  cadente  è  tal  limacciosa,  che 
non  può  transitarvi  naviglio;  quel- 
la poi  che  riguarda  l' oriente  è 
si  angusta  e  pericolosa,  che  ap- 
pena dà  passaggio  ad  una  galera, 
e  d' infra  gli  scogli  spiccasi  dal 
lido  vicino.  In  sul  dorso  di  que- 
sto fu  a  grandi  spese  fabbricata 
una  rocca  di  pietre  quadrate, 
architettata  in  guisa,  che  dal  la- 
to del  continente,  sebbene  priva 
di  fossa,  a  qualunque  assalto  tien 
petto.  Nella  maggior  ampiezza 
della  rocca,  fino  alla  testa  dello 
scoglio ,  che  tragge  in  mare , 
stanno  intorno  grandi  macigni, 
che  fanno  argine  ai  furiosi  venti, 
in  guisa  da  rendere  quel  luogo 
immune  da  ogni  sinistro  di  mare, 
mentre  la  fortissima  rocca  porge 
sicuro  ricovero  contro  i  nemici. 
Sospintosi  quivi  colla  flotta  il 
Laureano,  contenne  le  sue  galere 
fuori  di  tiro,  e  sbarcate  le  schie- 
>■'  re,  pose   in  terra    tutte    le    tuac- 


CIV 

chine,  e  le  miniizioni.  Indi,  ri- 
chiestone dal  Foi  tebraccio,  diede 
a  lui  una  piccola  galera  ed  una 
gl'OSsa  scafacela,  ambo  co[)erte  di 
doppio  tavolato,  e  questi,  empiu- 
tale de' suoi  Ijracceschi.  li  sospin- 
se contro  all'  angolo  occidentale 
della  rocca,  ove  giunti  costoro 
spezzarono  quella  catena ,  che 
porgendo  dalla  rocca  allo  scoglio, 
dava  adito  al  porticello.  Iiifrat- 
tanto  le  schiere  vescovili,  le  brac- 
ccsche,  e  quelle  eziandio  che  si 
erano  fatte  venire  dalla  provin- 
cia etrusca  del  Patrimonio  con  i 
veneziani  e  i  lombardi ,  com- 
battevano la  rocca  con  vani  as- 
salti dalla  parte  di  terra,  e  ap- 
poggiate le  scale  spazzavano  le 
mura  in  guisa  da  incutere  limo- 
re.  Quei  poi  eh'  erano  già  den- 
tro il  porticello,  traendo  la  scala 
alle  aperture  soggiacenti  alla  roc- 
ca, penetrarono  tra  le  carceii,  e 
le  sepolture,  come  se  avessero  a 
fare  con  dei  bravi,  e  non  con 
vigliacchi  ed  effeminati ,  poiché 
Giacomo,  il  comandante  di  quel- 
la fortissima  rocca,  temendo,  co- 
me poi  si  disse,  le  perfìdie  dei 
Catalani ,  o  sospinto  dalla  sua 
vigliaccheria,  nel  tredicesimo  gior- 
no dell'assedio  si  rendette  mercè 
lo  sborso  che  gli  fece  il  Ponte- 
fice di  quattro  mila  monete  di 
oro,  e  il  permesso  di  ricoverarsi 
in  Siena  con  le  sue  bagaglie,  e 
suppellettili.  Il  Laureano  fece  ve- 
la per  ove  era  indirizzato,  e  il 
Cornetano  vescovo  di  R.ecauati, 
avendo  ordinato  a  IMcnicuccio  ed 
a  quel  da  Fiesole  di  precederlo 
in  Ptoraa,  a  Forte  Braccio  di 
svernare  in  quel  di  Vetralla,  ed  al 
Farnese  nella  pi'ovincia,  se  ne  an- 
dò benché  malato  a  trovare  il 
Pontefice  '. 


CIV 

Ad  Eugenio  IV  nell'anno  i447 
successe  Nicolò  V,  il  quale  si  rese 
benemerito  di  Civitavecchia,  perchè 
vi  costruì  molti  edifìzi.  Dal  Car- 
della ,  Mem.  ist.  de  Cardinali ,  t. 
IH,  p.  172,  abbiamo  che  Paolo 
II  creò  Cardinale  Amico  della  Ptoc- 
ca  detto  Angifilo,  della  diocesi  di 
Aquila,  e  perciò,  come  dice  il  Mo- 
retti De  s.  Calisto  ec. ,  chiamato  il 
Cardinal  Aquilano,  che  ricuperò 
alla  santa  Sede  molte  piazze  e  cit- 
tà. ]\è  di  ciò  contento ,  fabbricò 
quella  di  Civitavecchia,  come  al 
presente  si  vede.  È  da  intendersi 
però  che  questo  porporato,  il  quale 
mori  nel  1476,  avendo  avuto  da 
Paolo  II,  o  da  Sisto  IV  il  gover- 
no della  città  e  porto  di  Civita- 
vecchia, l'avrà  allora  rifabbricata 
nella  maggior  parte.  L'Ughelli  poi, 
t.  X,  p.  5^,  parlando  di  tal  Cardi- 
nale ecco  come  si  esprime  :  ad  Cen- 
tuni  Cellarum  crani  muuilissimani 
arceni  construxit.  Che  Sisto  IV  sia  il 
primo  il  quale  abbia  ristorate  le  mu- 
i"a  di  Civitavecchia,  non  solo  è  no- 
to, ma  nella  storia  che  di  essa  fece 
Antigono  Frangipani,  e  pubblicata 
nel  1761,  si  legge  il  pontificio  bre- 
ve col  quale  Sisto  IV  ne  alBdò  la 
sopraintendenza  al  lavoro  a  Lo- 
renzo di  Pietra-santa,  suo  domestico 
familiare.  Il  Marini  poi,  Archiatri 
pontifìcii,  t.  I,  p.  21  o,  parla  di  Gio. 
Battista  Bocciardo  nipote  d'Inno- 
cenzo Vili,  il  quale  ai  i5  gennaio 
1490  fu  fatto  dallo  zio  castellano 
di  Civitavecchia.  Parla  egli  ancora 
di  altro  castellano,  nominato  Ilario 
Gentile,  forse  altro  nipote  del  Pa- 
pa, alla  cura  del  quale,  nel  i485, 
avea  lo  stesso  Innocenzo  VIII  in- 
viato il  celebre  medico  Pellegro, 
che  probabilmente  discendeva  da 
Bartolomeo,  il  quale  fu  padre  a  Ni- 
colò  V. 


CIV  3o3 

La  fortezza  di  Civitavecchia  è 
certamente  uno  de' pili  belli  monu- 
menti di  militare  architettura,  una 
opera  di  stile  sodo  e  robusto,  un 
complesso  di  belle  proporzioni.  Giu- 
lio lì,  della  Rovere,  magnanimo 
Pontefice,  che  al  gusto  delle  arti 
accoppiava  gli  spiriti  delle  armi  in 
dilèsa  del  principato,  vista  l'impor- 
tante situazione  della  città,  e  con- 
sidei^ato  di  che  interesse  e  vantag- 
gio quel  suo  porto  poteva  essere  si 
per  le  spedizioni  marittime,  che  pel 
commercio,  ed  eziandio  a  difesa  del 
paese  e  del  liltorale,  incominciò  a 
edificare  si  stupenda  fortezza  nel 
mese  di  dicembre,  come  dice  il 
Piazza,  Gerarchia,  pag.  i^iG.  Co- 
munemente si  crede  che  Giulio  li 
ne  affidasse  il  disegno  a  Michelan- 
gelo Bonarroti,  e  1'  esecuzione  a 
Giuliano  Sangallo,  nipote  e  fratello 
dei  due  Antonio  Sangallo.  Tutta- 
volta  il  lodato  cav.  Pietro  Manzi, 
pieno  di  amor  patrio,  e  delle  re- 
lative cognizioni,  preso  con  criterio 
tutto  a  calcolo,  dopo  aver  posto  ad 
esame  chi  realmente  possa  esserne 
stato  il  valente  architetto,  si  di- 
chiara con  sode  i-agioni  e  giusti  ra- 
ziocinii  per  Bramante  Lazzeri,  e  la 
dichiara  anzi  una  delle  ultime  sue 
maravigliose  opere.  Piuttosto  convie- 
ne, che  dall'  avervi  Michelangelo 
posto  per  ultimo  la  mano,  sia  stato 
riguardato  come  1'  autore  dell'  inte- 
ro edificio.  Imperocché  può  asse- 
rirsi, che  egli  per  comando  di  Pao- 
lo III,  il  quale  si  servi  di  lui  in 
molte  opere  di  architettura  civi- 
le e  militare,  fabbricò  il  maschio 
ben  diverso  dagli  altri  bastioni  di 
figura  ottangolare,  con  disegno  fie- 
ro ed  ardito,  e  con  ornati  coni- 
spondenti  al  suo  cornicione  del  pa- 
lazzo Farnese.  Leone  X  onorò  di 
sua  presenza  la  città,   accompagna- 


3o4  civ 

to  da  molti  ingegneri,  perchè  divi- 
sava fortifjcaila.  Fra  gl'ingegneri  era- 
vi  il  Sangallo,  per  cui  alcuni  credet- 
tero, che  avesse  avuto  mano  all'ere- 
zioiie  della  fortezza  sotto  l'immo- 
diato  predecessoie   Giulio   il. 

Nel  i555  Paolo  IV  severamente 
punì  il  Cardinal  A  Scanio  Sforza,  e 
i  Colonnesi,  perchè,  quali  aderenti 
della  Spagna,  contro  la  Francia  ave- 
vano ingannato  il  castellano  di  Ci- 
vitavecchia, ad  onta  della  sua  resi- 
stenza, con  togliere  dal  porto  due 
galere  francesi  ;  galere  che  poi  fu- 
rono restituite  per  espresso  ordine 
del  Papa.  11  successore  Pio  IV,  Me- 
dici, fu  pur  henemerito  del  porto  e 
della  città  per  le  opere  summen- 
tovate,  e  molto  contribm  alle  sue 
fortificazioni.  Queste  furono  conti- 
nuale anche  da  s.  Pio  V,  che  nel 
i566  divenne    Papa. 

Di    Gregorio  XllI   non  solo    ab- 
biamo, che  nel  ì5']i  si  recò  a  Civita- 
vecchia per  r  armamento  di    venti- 
quattro   galere,    per    la    spedizione 
contro  i   turchi,   già  vinti  da  s.  Pio 
\   nel  golfo  di  Lepanto,  in  unione 
altresì  delle  squadre  di   Spagna^    e 
Venezia  ;   ma  da  una  medaglia  pub- 
blicala dal  Venuti,  si   legge  intorno 
r  epigrafe  :    Portus   Centuni    cel.  in- 
slaur.     urbemque    vallo   auxit.    Lo 
che  prova  che  Gregorio  XllI,  verso 
il    iSyS,  aggiunse    un    baluardo,    e 
restaurò  alcune  mura.  Talmente  poi 
gli  piaceva  il  delizioso  soggiorno  di 
questa   città,    che  nei    tredici    anni 
del  suo  pontificato,  vi  si  recava  in 
ogni  autunno.   Fuvvi  anco  in  apri- 
le   del  detto  anno    iSyS,  e  discus- 
se il  progetto    di    tirare    mi    alveo 
navigabile  pel  Tevere,  che  per   al- 
tro dagli  architetti    non  fu   appro- 
vato. 

11    gran  Pontefice  Sisto  V  estese 
le  sue  cure    ancora  a   Civita    Vec- 


CIV 

chia  col  nobilitarne,  e  fortificarne  il 
porto,  e  col  fargli  condurre  per  un 
acfjuedolto  lungo  sei  miglia  una  co- 
p^iosa  fonte  d'acqua  dolce,  di  cui  al- 
lora mancava.  Quindi,  per  evitare 
la  scarsezza  del  frumento  a  Roma, 
acquistò  da  Filippo  Peruzzi  fioren- 
tino i  terreni  delle  Chiane  ne'  ter- 
ritori di  Civita  Vecchia,  per  pro- 
sciugarli e  renderli  fertili,  alienan- 
doli poi  alle  comunità  dei  medesi- 
mi territori,  creando  perciò  un  luo- 
go di  monte  vacabile  camerale,  col 
nome  di  Monte  Civitavecchia,  a  ra- 
gione del  sei  per  cento,  che  addos- 
sò altresì  alle  comuni  di  ]Monteleo- 
ne,  di  Città  della  Pieve,  di  Fieni- 
le ec.  Paolo  V  Borghese  del  i6o5 
restaurò  ed  ampliò  il  porto,  la  for- 
tezza, e  la  città,  ed  eresse  il  faro 
perchè  di  notte  servisse  di  scorta  e 
segno  a'  naviganti.  Il  di  lui  prede- 
cessore Clemente  VIII  aveva  già 
portato  a  compimento  un  suo  brac- 
cio. 

Grandemente  predilesse  Urbano 
Vili,  Barberini,  il  porto,  la  città, 
e  il  forte.  Nel  i632  v'  introdusse 
acque  salubri,  per  cui  in  sul  fonte 
si  legge  l'iscrizione,  che  riporta  il 
Torrigio  nelle  sue  Grotte  ec.  a  p, 
483.  Quindi  nel  i634  restaurò  la 
città  notabilmente  in  molte  parti,  ne 
aìsicurò  il  porto,  ne  rinnovò  il  mo- 
lo, costrnsse  l'  argine  massimo  con- 
tro la  violenza  del  mare,  fabbricò 
molte  case  e  magazzini  pei  commer- 
cianti ;  e  per  favorire  il  commercio 
tolse  la  gabella  alle  merci  giunte- 
vi per  via  di  mare,  con  altre  be- 
neficenze, che  si  leggono  in  altra 
iscrizione,  che  riporta  il  Torrigio 
nel  luogo  citato,  e  in  quella  eretta 
sulla  facciata  esterna  del  palazzo  di 
rocca,  in  piazza  d'armi.  Questo  Pa- 
pa aveva  in  mira  di  fare  stanzia- 
re in    questo    porto  le  galere  della 


CI  V 
nnirina  l'ontificiu,  e  di  proteggerle 
dalle  tempeste  marittime.  Il  di  lui 
successore  Innocenzo  X,  Pamphily 
dopo  che  il  suo  nipote  nel  1647 
rinunziò  la  dignità  cardinalizia,  per 
dare  successione  alla  famiglia,  lo  di- 
cliiarò  generalissimo  delle  milizie  pa- 
pali, nel  cjual  grado  fu  il  primo 
ad  introdurre  in  Civitavecchia  la 
fabbricazione  delle  galere. 

Alessandio  VII,  esaltato  al  trire- 
gno nel  i655,  con  doppio  molo  e 
catene  ristabilì  il  porto  rovinato  dal 
tempo  e  dall'impeto  delle  onde  del 
mare;  vi  fabbricò  l'ospedale  pei  viag- 
giatori, ed  un'altra  torre,  e  conces- 
se alcuni  privilegi  alla  città.  Tolse 
la  necessità  di  fabbricare  le  navi  e 
galere  altrove  col  costruir  con  disegno 
del  cav.  Bcrnino,  l'arsenale,  leggiadro 
e  svelto-  Esso  è  formato  di  sei  grandi 
arcate,  che  porgono  in  mare,  e  forma- 
no un  semicircolo,  fatto  in  modo  da 
potere  in  cadauna  fabbricate  e  va- 
rare una  galera.  Dalla  parte  late- 
rale dell'ultima  arcata,  volta  a  mez- 
zod'i,  si  presenta  il  magnifico  aspet- 
to della  fortezza,  che  in  basso  da 
un  Iato  ha  la  fabbrichetta,  ove  tro- 
vasi l'ufficio  della  sanità.  All'isola 
edificata  da  Traiano  avanti  il  por- 
to, cioè  nel  mezzo  delle  parti  estre- 
me delle  due  braccia,  per  cui  for- 
mansi  due  bocche,  una  detta  di  le- 
vante, l'altra  di  ponente,  eranvi  due 
torri,  per  avvertire  i  naviganti  e  farli 
cauti  nell'entrare  le  due  bocche  me- 
desime, ma  ora  una  sola  ne  esiste 
sormontata  dall'  ampio  fanale.  Ad 
onta  che  l'isola  fosse  fabbricata  soli- 
dissimamente, accorsero  a  ripararla 
prima  Clemente  X,  e  poi  verso  il 
17 14  Clemente  XI,  che  molto  vi 
spese;  ma  all'immediato  suo  prede- 
cessore Innocenzo  XII  va  di  molto 
debitrice  la  città,  come  ad  Innocen- 
zo XI  deve  l'accrescimento  delle  sue 
voT.   xur. 


CIV  3ui; 

artiglierie,  l'atlerratnento  di  duemon- 
ticelli,  la  strada  coperta,  non  che 
buone  fortificazioni. 

Avendo  pertanto  Innocenzo  XII 
fabbricato  i  summentovati  acquedot- 
ti, nel  1692,  si  recò  a  visitarla,  fece 
franco  dalle  gabelle  il  porto,  e  la 
dichiarò  città,  giacche  quando  Cele- 
stino III  vi  avea  eretta  la  sede  ve- 
scovile, era  per  questa  divenuta  cit- 
tà, ciò  che  poi  cessò  di  essere  pel 
trasferimento,  o  unione  della  sede  a 
quella  di  Viterbo,  siccome  poi  dire- 
mo. Quindi  Innocenzo  XII,  coll'au- 
torità  della  costituzione  In  supre- 
mo, presso  il  tomo  IX  del  Bull. 
Rolli.,  le  assegnò  un  prelato  per 
governatore,  colla  sopraintendenza 
eziandio  della  vicina  città  di  Cor- 
neto:  e  sebbene  i  medici  gli  aves- 
sero vietato  di  recarvisi,  nel  169G 
ritornò  ad  onorare  Civitavecchia  per 
vedere  l'ampliazione  sua,  che  avea 
ordinata  dalla  punta  di  levante,  fa- 
cendovi fabbricare  un  borgo ,  il 
quale  fu  denominato  di  sant'  Anto- 
nio, e  venne  munito  di  alte  mu- 
ra e  terrapieni.  Così  formossi  una 
nuova  cinta  di  fortificazioni,  che 
resero  da  questo  Iato  inutili  le  pre- 
esistenti. In  seguito  il  detto  succes- 
sore Clemente  XI  si  occupò  gran- 
demente delle  acque  in  vantaggio 
degli  abitanti,  per  cui  vi  spedì  il 
proprio  nipote  Annibale  poi  Cardina- 
le, ed  in  appresso  il  Cardinal  Pam- 
phily. 

Altro  segnalato  benefattore  fu 
Benedetto  XIV,  il  quale  non  solo 
abbellì  il  mezzo  del  porto  d' una 
bella,  ed  elegante  fontana,  ma  spur- 
gò il  porto  per  maggior  comodo 
delle  navi  che  vi  approdano,  e  rese 
più  ampia  la  piazza  per  lo  scarico 
delle  mercanzie.  Il  commercio,  che 
sino  a  lui  aveva  languito ,  prese 
subito    vigore    allorché     restituì    al 


3u6  CIV 

porto  1  al^olita  franchigia,  e  con- 
iriinò  ed  accrebbe  le  concessioni 
d  Innocenzo  XII,  consolidandole  con 
l('gii;i  e  statuii,  che  garantissero  i 
Irallìcanti.  Il  perchè  venne  il  por- 
io  fi'equentato  anco  da  lontane  na- 
zioni, e  con  grossi  legni,  con  gran- 
de utile  della  rifiorente  città.  Desi- 
derando poi  il  benefico  Pontefice 
di  osservare  quanto  avea  fatto  a 
Civitavecchia,  parti  da  Roma  a  26 
aprile  del  1747j  avendo  seco  in 
carrozza  il  Cardinal  Valenti  segre- 
tario di  stato,  e  Colonna  pro-mag- 
giordomo. Nel  seguente  giovedì 
giunse  iu  Civitavecchia,  preceduto 
dal  crocifero  a  cavallo  colla  croce 
inalberata.  Egli  avea  pernottato  a 
Palo,  ed  era  stato  per  terra  pre- 
ceduto e  scortato  dalla  cavalleria,  e 
per  mare  da  quattro  galere,  rice- 
vendo lungo  la  strada  gli  onori  che 
si  convengono  al  sovrano  Pontefice, 
come  dicesi  all'articolo  Piaggi  dei 
Papi  (Pedi).  Alla  porta  della  piaz- 
za d'armi  gli  furono  colla  debita 
formalità  presentate  le  chiavi  della 
città  dal  magistrato.  Il  governatore 
della  medesima,  monsignor  Saverio 
Dattilo  di  Cosenza,  con  le  autorità, 
e  molti  distinti  pei'sonaggi,  si  trovò 
alla  rocca  a  riceverlo,  mentre  il  rim- 
bombo de'  cannoni ,  il  suono  delle 
campane,  e  le  acclamazioni  del  fol- 
tissimo popolo  accorso  anche  dai 
dintorni  ,  riempiva  gli  animi  di 
gioia.  Asceso  Benedetto  XIV  al  suo 
appartamento,  ammise  al  bacio  del 
piede  i  pubblici  rappresentanti  del 
comune,  quindi  ascoltò  tutti  all'u- 
dienza, il  clero,  gli  uffiziali  ed  altri. 
A  pranzo  la  prima  volta  che  be- 
vette,  le  artiglierie  fecero  una  ge- 
nerale salva.  Nel  giorno  visitò  la 
chiesa  principale  de'domenicani  de- 
dicata a  s.  Maria;  quindi  passò  alla 
fortezza,  in  cui  ebbe  gli  omaggi  di 


CI  V 
monsignor  tesoriere  generale,  che  gli 
rassegnò  in  un  bacile  le  chiavi  :  vi- 
sitò la  chiesa,  i  fortini,  le  cortine, 
i  baloardi,  accompagnato  dal  castel- 
lano Origo.  Passato  all'  arsenale  os- 
servò una  nuova  galera,  ed  al  mo- 
lo la  fontana,  non  che  le  tre  iscri- 
zioni marmoree  poste  al  porto  a 
perpetua  memoria  de'  favori  da  lui 
ricevuti  dalla  città.  Nella  sera  vi  fu 
generale  illuminazione,  e  il  magi- 
strato presentò  al  Papa  un  calice 
dorato,  l'assentiste  delle  galere  una 
pianeta  ed  alcuni  libri  di  marine- 
ria, e  il  principe  di  Palestrina  di- 
versi bacili  di  commestibili.  Nel  ve- 
nerdì Benedetto  XIV  celebrò  messa 
bassa  nella  detta  chiesa  de'  dome- 
nicani all'altare  dedicato  a  s.  Fir- 
minia  protettrice  della  città,  di  cui 
solennizzavasi  la  festa.  Nelle  ore  po- 
meridiane ammise  all'  udienza  la 
deputazione  di  Corneto,  e  co'  sud- 
detti Cardinali  in  carrozza  andò  ai 
cappuccini,  dove  monsignor  Alessan- 
dro Abati  romano,  vescovo  di  Vi- 
terbo e  Toscanella,  gli  fece  presen- 
tare un  donativo  di  commestibili, 
avendo  già  fatti  i  suoi  ossequi  sino 
alla  Chiariiccia,  luogo  così  detto  da 
una  delle  torri  del  littorale,  ov'era- 
si  recato  ad  incontrarlo,  qual  luo- 
go in  cui  principiava  I'  episcopale 
sua  giurisdizione  In  questo  giorno 
vi   fu  la  coi'sa  de'  barbari. 

La  mattina  del  sabbato,  e  a  piedi 
seguito  dalla  pontifìcia  corte.  Bene- 
detto XIV  ritornò  al  molo,  e  al- 
l'arsenale; passò  ad  ascoltare  la 
messa  nella  chiesa  di  s.  Giovanni  di 
Dio  de'  religiosi  Benfratelli,  quindi 
si  recò  al  loro  contiguo  ospedale, 
benedì  la  mensa  degl'  infermi,  cui 
somministrò  vivande  e  dolci,  e  fece 
dispensare  uno  scudo  ad  ognuno  ; 
volle  eziandio  vedere  la  spezieria  , 
ed  ammise  al  bacio  del  piede    tut- 


CIV 

ti  i  religiosi.    Passò    poi    a   visitare 
la    chiesa    della    confraternita  della 
morte,  e  nel  giorno  assistè  alla  re- 
cita   delle    litanie    nella    chiesa  dei 
cappuccini.  Nella  domenica  il  Papa 
disse    messa    nella    chiesa  de'  p.  p. 
conventuali:  dipoi  bened\  nell'arse- 
nale la  detta    galera    solennemente, 
e  le  impose  il  nome  di  s.  Benedet- 
to, vedendola  varare  dal  casino  del- 
la sanità,   Ricorrendo  la    festa  di  s. 
Caterina  da   Siena,  visitò    la    chiesa 
de'  domenicani  ;  e  passando    ad    os- 
servare le  mura  della  città,  ne  fece 
elogi  pel  loro  stato,  sì  a  monsignor 
Maggi  commissario  delle  armi,  sì  al 
conte  Sederini,  governatore  delle  ar- 
mi della  città.   In   mare  vi    fu  una 
giostra,  e  l' affittuario  della  provin- 
cia   del    Patrimonio    Pagliacci,  pre- 
sentò   al    Papa    una    ricca    pianeta. 
Nel  lunedì,   siccome  festa  de'ss.  Fi- 
lippo   e    Giacomo,    Benedetto  XIV 
celebrò  messa  nella  mentovata  chie- 
sa de'  cotifrati  della  morte ,  i    qua- 
li furoiio    da  lui  ammessi  al    bacio 
del  piede.  Poi  visitò  l'ospedale,  che 
avea    fatto    fabbricare     pei     forzati 
della  darsena,  pel  quale    assegnò  la 
cappella  de'religiosi  cappuccini,  affin- 
chè vi  ricevessero  i  sagramenti  :  bene- 
dì  il  cibo  pegli  infermi,  dispensò  le 
vivande,  le  confetture,  e  a  tutti  fe- 
ce dare  uno  scudo.  Nel  dopo  pran- 
zo andò  alla  chiesa  di  s.  Gio.  Bat- 
tista, commenda  dell'Ordine  geroso- 
limitano, ammise  al  bacio  de'  piedi 
i  cavalieri  fr.  cappellani  ;  indi  pas- 
seggiò lungo  la  spiaggia  del    mare. 
Nella  città  vi  fu  il  divertimento  della 
corsa  al  Saracino,  e  si  fecero  le  evo- 
luzioni militari  dalla  guarnigione.  Nel 
dì    seguente  recossi    il    Pontefice    al 
porlo  salutato  dai  cannoni  di  tutte  le 
galere  ;    poi    ascoltò  la    messa  nella 
chiesa  di  s.  Nicolò  dei  pp.  della  dot- 
trina  cristiana  ;  e  in   darsena  si  fece 


CIV  3o7 

la  corsa  delle  barchette.    Nelle    ore 
pomeridiane    Benedetto    XIV  visitò 
la  chiesa  del  sodalizio  del  Gonfalo- 
ne, ammettendo  i  confratelli  al  ba- 
cio del  piede,  indi  visitò  i    cappuc- 
cini, come  fu  ripetuto    in    mare   il 
divertimento    della    giostra.     Final- 
mente nel    mercoledì    4    ™^gg'o    il 
Pontefice,    dopo    avere    ascoltata  la 
messa ,    sparse    agli    abitanti    molte 
beneficenze,    e    graziò    trentacinque 
forzati,  e  pel  primo  uno  che  si  era 
confessato  reo  a  confronto  degli  al- 
tri i  quali  chiamavansi  innocenti,  per 
cui  lepidamente  disse  il  gran  Papa, 
non  convenire  che  un  colpevole  stes- 
se fra  innocenti  e  gente  buona.   In- 
di alle  ore    i  i    partì    da  Civitavec- 
chia, cogli  onori    dovuti  al  sovrano 
Pontefice,  e  l'eco  delle  più  vive  ac- 
clamazioni   riconoscenti    e  divote.  / 
Diari  di  Roma  del    1747   fanno   la 
descrizione  di  questo  viaggio,  ai  nu- 
meri 4647   e  46^0.  Dopo    la    par- 
tenza di  Benedetto  XIV  dalla  città, 
caddero  alcune  case,  colla  morte  di 
dodici  pei'sone,  il  perchè,  ad  ovvia- 
re simili    funeste  disgrazie,  colla  co- 
stituzione   Ad    Centumcellas ,    data 
die   3o  sept.    1747  j  Bnll.  Magn.  t. 
XVII.  p.  267,  il  provvido  Pontefi- 
ce stabih,  che   ogni  anno  fossero  e- 
letti  due  maestri  di    strade,  i  quali 
visitassero  tutte  le  case,  e  facessero 
risarcire   quelle  che    avessero    biso- 
gno, e  qualora  i  proprietari  si  rifiu- 
tassero, i   maestri   le  vendessero    al 
maggior  offi^rente,  preferendo  i  pro- 
prietari confinanti,  indi  gì'  inquilini. 
Correndo  Tanno   i753,    i    mari- 
nari di  un  legno  genovese  si  azzuf- 
farono con  quelli    delle    tarlane    di 
Gaeta  ;  ma  il  presidio    sedò    il    tu- 
multo, che  poteva  divenire  ben  gra- 
ve, pel  partito  che  in  favore  de'ge- 
novesi    prendeva   il    popolo.    Allora 
governava  Civitavecchia    monsignor 


.l.,8  CIV 

J'inocciru'lli  poi  Caidiiiolc,  ctl  il  con- 
te Soileriiii  eia  ancora  governatore 
«Ielle  armi.  Questo  avvenimento 
j)roclusse  alcune  lenipoianee  tlifTe- 
) cnze  Ira  la  corte  di  Pioma,  e  quel- 
la eli  JNapoli;  difl'erenze  che  raccon- 
la  il  Novaes  nella  vita  di  Benedet- 
to XIV,  t.  XIV,  p.    198  e   199. 

Clemente  XIII,  a  cagione  d'infer- 
mità sofferte,  nel  1759,  aveva  sta- 
I)ilito  di  recarsi  agli  8  di  maggio 
in  Civitavecchia,  per  godere  dell'a- 
ria marittima,  stimata  assai  proficua 
alla  di  lui  salute,  e  perciò  tre  gior- 
jii  avanti  vi  si  recarono  pegli  op- 
portuni preparativi,  monsignor  Co- 
lonna maggiordomo,  e  il  marchese 
Patrizi  foriere  maggiore;  ma  soprav- 
venuta al  Papa  a'  5  altra  febbre, 
venne  sospesa  la  gita.  IVello  stesso 
anno,  e  a'  1 6  settembre,  Clemente 
XIII  fece  ricevere  in  Civitavecchia, 
e  trattare  a  spese  della  Camera  apo- 
stolica i  perseguitati  gesuiti  prove- 
nienti dal  regno  di  Portogallo.  iXè 
riuscirà  discaro,  che  qui  si  riporti  il 
soggiorno  cui  in  Civitavecchia  fecero 
Clemente  XIII,  ed  altri  suoi  suc- 
cessori, giacché  il  romano  Pontefi- 
ce non  è  un  sovrano  qualunque, 
ina  riunisce  la  sublime  dignità  di 
capo  della  Chiesa,  quale  padre  co- 
mune de"  fedeli  ;  laonde  tultociò  che 
il  riguarda,  deve  interessare  ciascun 
cattolico.  Ognuno  sa  ,  che  Vrjos 
luibitaiUc  Caniillo,  illieo  Roma  fuit, 
Luciano  lib.  V,  vers.  28;  voglio  di- 
re, che  dovunque  si  trova  il  sommo 
Pontefice,  ivi  soggiorna  la  sede  Ro- 
mana, secondo  il  volgare  proverbio: 
l^ii  Papa,  ibi  Roma. 

Adunque  nella  primavera  del 
1762,  Clemente  XUl,  Rczzoiiico,  in 
vece  di  passare  alla  pontiHcia  vil- 
leggiatura di  Castel- Gandoljo  [Vc- 
di),  per  alcuni  giorni  andò  in  Ci- 
vitavecchia,  preceduto  dalle    milizie 


CIV 

che  dovevano  perluslrare  la  strada 
e  la  costa  del  mare,  oltre  quelle 
che  dovevano  servirlo  nella  stessa 
città.  Indi  la  mattina  del  lunedi  26 
aprile,  col  consueto  accompagnamen- 
to e  corteggio,  avendo  in  cairozza 
il  Cardinal  Cavalchini  pro-datario, 
ed  il  proprio  nipote  monsignor  Car- 
lo Rezzonico,  segretario  de'  memo- 
riali, partì  da  Roma.  Pernottò,  co- 
me Benedetto  XIV,  a  Palo,  e  nella 
mattina  seguente  si  ripose  in  viag- 
gio, incontrato  dopo  s.  Severa  dal- 
le mute  del  Cardinal  Giacomo  Od- 
di, il  quale,  come  vescovo  di  Vi- 
terbo e  Toscanella,  e  perciò  allora, 
come  diremo,  ordinario  pure  di  Ci- 
vitavecchia, erasi  portato  a  fare  i 
dovuti  omaggi  al  Papa.  All'  ingres- 
so nella  piazza  delle  armi,  il  pre- 
lato Giambattista  Rezzonico ,  altro 
nipote  di  Clemente  XIII,  qual  com- 
missario generale  delle  armi  ^  ed 
il  conte  Soderini  governatore  del- 
le armi ,  cioè  comandante  del  pre- 
sidio ,  gli  presentarono  le  chiavi 
della  città.  Smontò  al  palazzo  apo- 
stolico, alla  cui  porta  trovaronsi,  il 
suddetto  Cardinal  vescovo,  monsi- 
gnor Canale  tesoriere  generale,  i 
prelati  Acquavi  va  commissario  del 
mare,  e  Antonio  R.ipanti  di  Jesi 
governatore  della  città.  Fu  ivi  an- 
cora ricevuto  dalla  civica  magistra- 
tura, fra  le  salve  de' cannoni  della 
fortezza,  le  galere  papali,  e  le  navi 
ancorate,  licevendo  da  tulte  le  au- 
torità gli  onori,  e  le  distinzioni  do- 
vute} a  un  monarca,  ed  al  supremo 
gerarca.  Nel  dopo  pranzo  Clemente 
XIII  visitò  la  chiesa  de' domenica- 
ni, ed  oiò  nell'altare  di  s.  Firmi- 
nia;  indi  passò  ad  osservare  la  nuo- 
va fabbrica  dello  scaricatore  da  lui 
eretta  per  comodo  delle  navi,  men- 
tre per  la  città  solennizza  vasi  la  pro- 
ces^ione  della   patrona    s.   Firminia. 


C!V 

rosola  ricevette  dal  Cardinal  vesco- 
vo    un     donativo    di    commestibili. 
Nel  seguente  mercoledì    28    aprile, 
sacro  a  s.  Firminia,    disse    il  Papa 
la  messa   nella  detta    chiesa ,    dopo 
di.  che  ammise  in  sagrestia    al    ba- 
cio del  piede  il  p.  Yillavecchia,  \'i- 
cario  generale  de'domenicani  co' suoi 
religiosi,    ricevendo  dal    primo    una 
costa  della    santa    entro    reliquiario 
di  argento,  insieme    ad    un    nobile 
fiore,  e  l'effigie  della  stessa  santa  in 
seta.  Altro  dono,  consistente    in  un 
calice     d'argento    dorato,     ricevette 
dall'  università     de' mercanti.    Nelle 
ore  pomei'idiane  visitò    il    lazzaret- 
to,    e  i  nuovi    granari.     Il    giovedì 
osservò    le    fabbriche    de'  lavorieri , 
passò  a  venerare  il   ss.  Sagramento 
nella  chiesa  di  s.  Fi'ancesco  de' mi- 
nori conventuali,    seguito  dal    terzo 
nipote  d.  Abbondio  poi  senatore  di 
Roma.  Indi  nel  venerdì    dopo  l'u- 
dienza recossi    alla   fortezza,    le   cui 
chiavi    nel  debito  modo  gli  furono 
presentate    dal    castellano    commen- 
datoi'e    Origo,  e  fece  orazione  nel- 
la cappella. 

Nel  primo  giorno  di  maggio  Cle- 
mente XIII  visitò  la  chiesa,  e  il 
convento  de'  cappuccini,  tornando  a 
piedi  alla  rocca  sua  residenza.  Nel 
dì  seguente,  eh'  era  domenica,  cele- 
brò la  messa  nella  chiesa  de' Bene- 
fratelli,  indi  visitò  l'ospedale,  dispen- 
sando ai  malati  mezzo  zecchino,  una 
medaglia  benedetta,  e  una  porzione 
di  dolci  per  cadauno.  Nelle  ore  po- 
meridiane orò  nella  chiesa  del  so- 
dalizio della  morte,  e  si  recò  a  ve- 
dere il  palazzo  del  marchese  Chigi 
Muntoro,  suo  foriere  maggiore.  Nel 
lunedì  il  Papa  andò  nella  chiesa  di 
s.  Nicola  della  dottrina  cristiana,  vi 
disse  la  messa,  ed  ammise  al  bacio 
de' piedi  i  religiosi;  indi  si  trasferì 
all'ospedale  dei  forzali,  ove  ne  Iro- 


CIV  3o() 

vò  novanta  infermi ,  benedì  la  loro 
mensa,  presentò  loro  le  vivande,  e 
ad  ognuno  diede  delle  paste  dolci, 
una  medaglia  benedetta,  e  sei  pao- 
li; nel  dopo  pranzo  visitò  il  Santis- 
simo nella  chiesa  di  s.  Maria  dei 
domenicani.  Il  martedì  passò  a  Cor- 
neto;  nel  mercoledì  visitò  la  chiesa 
di  s.  Antonio  fuori  della  porta  ro- 
mana di  Civita  Vecchia,  già  eretta 
dal  predecessore  Benedetto  XIV,  e 
nel  giovedì  disse  messa  nella  chie- 
sa della  confraternita  della  morte, 
dove  ebbe  da' confrati  un  fiore  tes- 
suto d'argento;  visitò  un  piccolo 
o>pedale  di  donne,  e  la  ss.  Eucari- 
stia nella  chiesa  de'  conventuali  , 
partendo  dalla  città  nel  venerdì  7 
maggio. 

Clemente  XIII  nella  sua  dimora 
a  Civita  Vecchia,  oltre  quanto  si 
è  detto,  fece  dare  ai  forzati  una 
libbra  di  carne  per  giorno,  e  buon 
vino,  e  ne  liberò  dalle  prigioni  tren- 
tacinque ;  e  dispensava  le  limosine 
a'  poveri  colle  sue  proprie  mani. 
Ordinò  r  erezione  d'  uno  spedale 
per  le  donne,  ed  un  conservatorio 
per  le  orfane  ed  oneste  zitelle,  il 
quale  compì  in  tre  anni,  colla  spesa 
di  diecimila  scudi.  Donò  la  comu- 
nità a  tal  effetto  una  piccola  casa. 
Fu  agli  8  settembre  del  1766,  che 
le  orfane  e  le  zitelle  passarono  ad 
abitarlo.  Quanto  qui  dicemmo  di 
Clemente  XIII,  più  diffusamente  si 
legge  nel  Novaes  t.  XV,  p.  18,  46, 
47,  64  e  seguenti,  non  che  ne  Din- 
ri  (li  Roma  nel  1762,  ai  numeri 
6993,  6996,  e  6999. 

Nella  vita  di  Pio  VI,  scritta  dal 
citato  Novaes,  molte  cose  si  dicono 
da  lui  operate  a  vantaggio  di  Ci- 
vita Vecchia,  che  qui  accenneremo. 
Appena  nel  177 5  salì  egli  sul  tio- 
no  pontificale  ,  che  prese  cura  del 
purlu,  restaurando  T  anlemuialc   di 


k86UZ/ 


3  1  o  C  1  V 

Trajano,  peichù  corroso  dal  tcinpo, 
e  dall'  urto  veeincntissimo  delle  on- 
de del  mare.  Con  tal  benefìcio  rese 
la  siciu'ezza  ai  bastimenti,  che  en- 
trano e  si  trattengono  nel  molo. 
Quindi  volendo  provvedere  in  un 
modo  stabile  al  nuovo  spedale  del- 
le donne,  e  al  conservatorio  della 
divina  provi'idcnza  per  le  orfane 
degl'impiegati  camerali,  eretti  po- 
chi anni  prima,  impose  alcune  pic- 
cole gabelle  sulle  merci,  che  s'intro- 
ducessero nel  porto,  e  nelle  vicine 
spiaggie  di  s.  IMarina,  di  s.  Severa, 
e  di  Palo,  le  quali  dovrebbero  ero- 
garsi pel  necessario  sostentamento. 
Indi  per  le  sue  sollecitudini  go- 
vernative, e  per  le  sagge  disposi- 
zioni emanate,  il  commercio  si  fe- 
ce più  attivo  e  fiorente.  Nell'anno 
1779  cadde  un  fulmine  sulla  pol- 
veriera della  fortezza,  che  fece  sbal- 
zar in  aria,  e  rovesciare  una  parie 
del  forte,  trapassando  i  tetti  del- 
l'ai'senale  e  delle  vicine  case,  con 
altri  danni  che  si  calcolarono  ascen- 


CIV 

dere  a  settanta  mila  scudi.  Pronta- 
mente Pio  VI  diede  l'opportuno 
soccorso  agl'infelici,  che  aveano  sof- 
ferto, e  riparando  le  conseguenze 
del  fortuito  avvenimento,  fece  ese- 
guire i  necessari  l'isarcimenti  dal- 
l' architetto  Navona.  Nel  di  lui 
pontificato,  presso  le  vicinanze  del- 
la città,  si  discopersero  miniere  di 
piombo,  che  Pio  VI  attivò  a  van- 
taggio del  commercio,  come  si  rese 
benemerito  delle  escavazioni  dell'ala- 
bastro detto  di  Civitavecchia.  Delle 
vicende  repubblicane,  che  termina- 
rono il  secolo  XVIII,  e  della  resa 
della  città  al  generale  Merlin,  trat- 
ta il  Manzi  alle  pag.  45  >  ^  4^- 
IMa  gì'  inglesi  temporaneamente  si 
impossessarono  di  Civitavecchia  ai 
16  settembre  1799?  nienlre  nel 
mese  precedente  l'  esule,  ma  gloi-io- 
so  Pio  VI,  avea  terminato  i  suoi 
giorni  a   Valenza  di  Francia. 

Altre  notizie  intorno  a  Civita  Vec- 
chia si  andranno  esponendo  nel  vo- 
lume seguente. 


FINE    DEL    VOLUME    DECLUOTERZO. 


BX    841    .ri67    1840 

sncR 

rioroni  ,  Gaetano, 

1802-1883. 
Dizionario  di  erudizione 

storico-ecclesiastica 
AFK-9455  (awsk)