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Full text of "Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni. Compilazione di Gaetano Moroni romano"

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6  3  7*6 


DIZIONARIO 

DI  ERUDIZIONE 

STORICO-ECCLESIASTICA 

DA  S.  PIETRO  SINO  Al  NOSTRI  GIORNI 

SPECIALMENTE      INTORNO 

AI  PRINCIPALI  SANTI,  BEATI,  MARTIRI,  PADRI,  AI  SOMMI  PONTEFICI,  CARDINALI 
E  PIÙ  CELEBRI  SCRITTORI  ECCLESIASTICI,  AI  VABII  GRADI  DELLA  GERARCHIA 
DELLA  CHIESA  CATTOLICA,  ALLE  CITTA  PATRIARCALI  ,  ARCIVESCOVILI  E 
VESCOVILI,  AGLI  SCISMI,  ALLE  ERESIE,  AI  CONCILI!  ,  ALLE  FESTE  PIÙ  SOLENNI, 
AI  EITI,  ALLE  CEREMONIE  SACRE,  ALLE  CAPPELLE  PAPALI,  CARDINALIZIE  E 
PRELATIZIE,  AGLI  ORDINI  RELIGIOSI,  MILITARI,  EQUESTRI  ED  OSPITALIERI,  NOI» 
CHE    ALLA    CORTE  E  CURIA  BOMANA    ED  ALLA  FAMIGLIA    PONTIFICIA,  EC.    EC.    EC. 

COMPILAZIONE 

DLL  CAVALIERE  GAETANO  MOROM  ROMANO 

PRIMO  AIUTANTE  DI  CAMERA  DI  SUA  SANTITÀ 

GREGORIO     XVI. 


VOL.  XXXV. 


IN     VENEZIA 

DALLA      TIPOGRAFIA     EMILIANA 

MDCCCXLV. 


a 


DIZIONARIO 


DI  ERUDIZIONE 


STORICO -E  GG  LE  SI  ASTICA 


m&* 


ING 

Cenni  storici  civili  ed  ecclesiastici 
sul  regno  di  Inghilterra,  e  delle 
relazioni  di  attesto  con  la  santa 
Sede. 


G 


li  antichi  abitanti  della  Gran 
Bretagna  davano  alla  loro  isola  il 
nome  di  Prydain.  I  greci,  al  dire 
di  alcuni,  la  conobbero  sotto  quello 
di  Albione,  prima  che  i  romani  la 
chiamassero  Britannia  major,  per 
distinguerla  dalla  Bretagna  Armo* 
rica  (Fedi),  Britannia  minor,  una 
delle  più  antiche  e  considerabili 
Provincie  della  Francia,  che  si  di- 
vise già  in  alta  e  bassa.  Pare  certo 
che  i  greci  non  la  visitassero  giam- 
mai, ma  che  ne  parlassero  dietro 
a  cognizioni  estranee,  come  è  certo 
che  i  romani  furono  quelli  che  l'ap- 
pellarono Albione,  dalle  cime  ste- 
rili e  biancastre  o  cretacee  che  vide- 
ro provenendo  dalla  Gallia.  Vir- 
gilio parla  dei  britanni  come  noi  par- 
leremmo degli  abitanti  dello  Spitz- 
berg  o  della  Terra  del  fuoco.  L'In- 


ING 

ghilterra  era  poco  conosciuta  prima 
che  Giulio  Cesare  ne  intraprendesse 
la  conquista,  onde  a  lui  dobbiamo 
la  prima  autentica  ed  estesa  descri- 
zione; egli  ne  fu  lo  scopritore,    il 
conquistatore,  e  lo  storico  :  era  a- 
bitata    dagli   antichi    bretoni ,  celti 
di  origine,  chiamati  anche    gaulesi 
e  gaydels  dai  welsci,  che  li  riguar- 
davano   come    i    loro   predecessori. 
Parlavano  la  stessa  lingua  dei  celti, 
erano  generalmente  grandi,  ben  fat- 
ti,   coi    capelli    rossi,   ed    avevano 
un  temperamento  assai  robusto,  per 
cui  vedevansi  fra  loro  molti  di  aimi 
cento.    Non    portavano    altre   vesti 
che  de'  mantelli  fatti  con    pelli    di 
bestie  selvaggie,  e  si    facevano   sul 
corpo  incisioni  in  varie  forme  e  fi- 
gure, che  riempite    poscia    con  un 
succo  di  colore  oscuro,  davano  loro 
una    tinta    che    non    si   cancellava 
giammai ,    ed    in    questo    facevano 
consistere  il    principale    loro    orna- 
mento. Inoltre  si  dipingevano  pure 
la  pelle  di  colore  azzurro,  affine  di 
rendere  vieppiù  truce  il  loro  aspet- 


6  ING 

to  nelle  battaglie  :    a    tale    oggetto 
parimenti     lasciavansi     crescere     le 
chiome    ed  i   peli   del  labbro   supe- 
riore.   Le    mogli     erano    comuni  a 
tutti,    massime  tra  parenti  ed  ami- 
ci, vivendo  in   una  specie  di    socie- 
tà ;  i  figli   che    nascevano    apparte- 
nevano al  marito  di  quella  donna 
che    li    dava    alla    luce.    Abitavano 
capanne  piantate  nelle  foreste,  co- 
perte di  pelli,  di   rami    d' alberi  o 
zolle    di    terra  :    però    gli     abitanti 
della  regione   marittima    del    Can- 
aio ossia  del  paese  di  Kent,   avea- 
no  case  ben  costruite,  ed  in  molti 
rami   di  civilizzazione  sociale  erano 
istruiti.  Si  cibavano    di    selvaggiu- 
me  e  del  latte  delle  loro  mandrie. 
Erano  divisi  in   molti  popoli    indi- 
pendenti. I  loro  dei  serviti  dai  drui- 
di, per  dargli  un  carattere    miste- 
rioso, si    adoravano    ne'  luoghi    più 
tetri  delle    foreste,    e  sacrificavausi 
loro  anche   vittime  umane.    Eso    e 
Teutate  erano  le  loro  principali  di- 
vinità.   Adoravano    altresì    Apollo, 
Mercurio,  Marte,  Giove    e    Miner- 
va.  I   druidi  non  solo  erano  sacer- 
doti  del   loro  culto,   ma  anche  giu- 
dici della  nazione.    Uno  de'  princi- 
pali domini   ch'essi  insegnavano  era 
la   metempsicosi,    o    trasmigrazione 
delle  anime   umane  in    altri    corpi 
dopo  la  morte.  La  caccia  e  la  guerra 
essendo  state  le  prime  occupazioni 
de'  bretoni  o  britanni,    i  sanguina- 
ri druidi  con  abbominevole  culto  e 
dalie  fumanti  viscere  dell'immolato 
straniero,  traevano  presagio  al  suc- 
cesso   delle    loro    armi.    Ci  riman- 
gono ancora  i  nomi  dell'antico   re 
Brione,  che   vuoisi    aver    cambiato 
il    nome    di    Albione   in    quello  di 
Bretagna  a  quella  terra,  e  di  Coilo 
che  regnava  trecentocinquanta  anni 
avanti   la  nascila    di    Gesù    Cristo. 
Sì  può  calcolare  come  l'epoca  se- 


ING 

conda  della  istoria    dell'  Inghilterra 
l'arrivo    in    essa    di   talune  colonie 
belgiche,  che  forse  tre  secoli  prima 
dell'  era  cristiana    s' impadronirono 
delle  rive  del    rad    e    dell'  est.    Lo 
stabilimento  de'  belgi  in   Inghilter- 
ra è  interessante  per  ogni    rappor- 
to, giacché  puossi  supporre  il  ger- 
me primitivo    dell'attuale    nazione 
inglese,   e  fissar  1'  epoca  dell'  intro- 
duzione dell'agricoltura  sconosciuta 
ai   celti  cacciatori  o    pastori,    ed  il 
principio  della  civilizzazione  di  quel 
suolo.    Nello    stesso    modo    che  in 
tempi  posteriori  le  colonie  belgiche 
di  questo  paese    furono    soggiogate 
dai    sassoni    settentrionali  ,    così    la 
colonia  celtica  venuta  dal    sud    fu 
vinta  dai  cimbri  del  nord.  Sembra 
che  i   primi  abitanti  gaulesi  abbia- 
no abbandonata    intieramente  que- 
sta    contrada    rifugiandosi    nell'  Ir- 
landa. Alla  popolazione  celtica  del- 
l'Inghilterra successe  quella   de'  sci- 
ti   o    goti ,  scesi  dall'  Asia,  i  quali 
scacciarono  dinanzi  ad  essi    i    cim- 
bri o  celti  settentrionali,    e    lungo 
tempo  prima  dell'era  cristiana,  es- 
sendosi  impadroniti   di    quella   por- 
zione della   Gallia  eh'  era  più  vici- 
na alla   Gran  Bretagna,  da  ciò  ri- 
cevettero il  nome  di    belgi.    Di  là 
poscia    passarono     nell'Inghilterra, 
dove  Giulio  Cesare    al    suo    arrivo 
trovò  le  contrade    del    sud-est    po- 
polate da  colonie  belgiche,  mentre 
gli  abitanti  originari  eransi  ritirali 
nell'  interno  delle  terre. 

Allorché  i  romani,  dopo  la  con- 
quista delle  Gallie,  sotto  il  coman- 
do di  Giulio  Cesare,  entrarono  in 
quest'isola, ciuquantacinque  anni  pri- 
ma di  Gesù  Cristo,  la  trovarono  a- 
bitata  dai  bretoni  e  caledoni ,  i 
primi  erano  al  nord,  gli  altri  al 
sud,  e  divisa  come  gli  altri  paesi 
selvaggi,  fra    un  certo   numero  di 


ING 

piccole  tribù;   e  quindi  dopo  aver- 
ne conquistata   una  gran  parte,  se- 
guendo   la    loro    politica    ordinaria 
la  divisero    poscia    in  cinque  gran- 
di provincie  o  prefetture.    La   Bri- 
tannici prima  comprendeva  tutta  la 
porzione  meridionale  dell'Inghilter- 
ra, sino  alla  Se  verna   ed  al   Tami- 
gi, avente  Londra  per  capitale.   La 
Brìtannia  secunda    rinchiudeva     il 
paese  conosciuto    sotto  il  nome  di 
Galles,  la    cui  capitale  era   lsca   o 
Carleon.    La    bella    provincia  chia- 
mala Flavia    Caesariensis  dal  no- 
me della  casa  imperiale  di   Vespa- 
siano e  de'suoi  successori,   sotto  ai 
quali   furono  latte  alcune  delle  più 
importanti     conquiste ,     estendevasi 
dal  Tamigi  alKHtraber.     La    Ma- 
xima Caesariensis  rinchiudeva  tutto 
il  paese  fra  1'  Straber  e  la  Tyne, 
dal    Mersey  sino    al    Solwayj    cioè 
Ja  parte    settentrionale,    la   cui  ca- 
pitale   era    York.    La     Valentia     o 
Valentina  finalmente  comprendeva 
la   parte  meridionale    della   Scozia, 
cioè  le    pianure     della    Scozia  fino 
ai    Friths    di    Clyde    e    Forth.    Le 
tribù    dopo    i    Friths     formavano 
il  governo  della     Vespasiana,    di- 
viso dai  caledoni  indipendenti    dal- 
la   catena    di    montagne    che    pas- 
sa    da    Dumlrarton     per     le     con- 
tee    di   Athol    e    Badenoch.     Sotto 
Giulio  Cesare    i  romani     veramen- 
te non    fecero    che    visitare  questa 
isola,  la  sua  campagna  allora  non 
avendo  prodotto    altro  risultamen- 
to,  che    di    rendere    tributari    del- 
la  repubblica    i    popoli  della  par- 
te meridionale.    La  maggior  parte 
degli  storici  scrivono  che  Giulio  Ce- 
sare ne  fece  la    conquista  col  pre- 
testo di  avere    i    britanni  prestato 
soccorso  ai  nemici  dei  romani  nel- 
le  Gallie  ;   ma    essa   non    ebbe   in 
sostanza  per  risultato  che  un  gran 


ING  7 

numero  di  ostaggi,  e  la  vana  glo- 
ria di  conoscere  gli  abitanti  d'una 
regione  sconosciuta ,  che  mostra- 
ronsi  valorosi  nel  combattere,  ed 
opponendo  valida  resistenza  con 
buona  cavalleria  e  carri  che  avean 
le  vuote  armate  di  falci.  Cesare 
vi  ritornò  con  cinque  legioni  com- 
poste di  trentamila  uomini,  ed  i 
britanni  costituiti  in  separati  indi- 
pendenti governi,  unironsi  in  lega, 
affrontandone  le  forze  sotto  il  co- 
mando di  Cassi velauno,  uno  dei  re 
del  paese.  Cesare  varcò  il  Tamigi, 
pose  a  ferro  e  a  fuoco  le  campa- 
gne, e  prese  la  città  di  detto  re, 
consistente  in  un  bosco  cinto  da 
profonda  fossa  con  alcune  greggi. 
Mentre  Cesare  invadeva  il  Canzio, 
Cassi  velauno  chiese  la  pace,  dando 
ostaggi  e  promettendo  annuo  tri- 
buto. Cesare  partì  fremendo  di 
non  aver  potuto  debellare  quel  po- 
polo di  guerrieri,  e  come  la  pri- 
ma volta  senza  lasciarvi  guarni- 
gioni. I  bretoni  si  ribellarono  al 
principio  dell'impero  di  Augusto, 
sforzandosi  replicatamente  di  scuo- 
tere un  giogo  che  loro  sembrava 
insopportabile,  ma  furono  sempre 
vinti.  I  più  critici  non  convengono 
su  tali  insurrezioni  e  vittorie,  an- 
zi dicono  che  voleudo  Augusto 
intraprendere  una  spedizione  in 
Bretagna,    ne    fu    distolto    da   una 

ambasciata  di  sommessione  che  "li 

o 

spedirono  gl'isolani.  Malagevole  im- 
presa ritenevasi  il  conquisto  di 
Bretagna.  Caligola  formò  il  grot- 
tesco disegno  d'  intraprenderlo ,  e 
noto  è  come  bizzarramente  schierò 
le  sue  legioni  sulle  rive  dell'Ocea- 
no, e  disse  che  il  nemico  era  già 
vinto,  cioè  1'  Oceano  stesso.  Fece 
erigere  un  faro  sulla  spiaggia  per 
memoria,  e  profittando  degli  aiu- 
ti che    implorò    Admiuio    principe 


8  ING 

britanno,  si  fece  decretare  gli  ono- 
ri del  trionfo.  Sotto  il  regno  di 
Claudio,  Plauzio,  Vespasiano  ed 
Ostorio  Scapula  furono  primi  a  do- 
mare i  bretoni,  malgrado  gli  sforzi 
della  -valorosa  loro  regina  Baodi- 
cea,  e  di  Carattaco  re  de'  siluri. 
Claudio  si  recò  a  ricevere  gli  o- 
maggi  de'  popoli,  e  si  fece  decre- 
tar gli  onori  del  trionfo.  Quindi 
dopo  Svetonio  Paolino  divenuto 
imperatore  Vespasiano,  a  compiere 
la  conquista  dell'  isola  vi  mandò 
Giulio  Agricola  insigne  generale,  il 
quale  sottomise  l'Inghilterra,  passò 
in  Iscozia,  e  distrusse  sui  mon- 
ti Grampiani  l' armata  caledonia 
guidata  da  Galgaco,  ultimo  soste- 
gno della  cadente  libertà  de*  bri- 
tanni; penetrò  tino  all'ultima  estre- 
mità boreale  della  Scozia,  scoperse 
le  Orcadi,  gruppo  d'isolette  oppo- 
ste al  promontorio  del  nord.  Col- 
mo di  gloria  sotto  i  regni  di  Ve- 
spasiano, Tito  e  Domiziano  ,  que- 
sto principe  crudele  lo  fece  avve- 
lenare. Intanto  le  legioni  romane 
quivi  inviate  gli  accostumarono  a 
poco  a  poco  ad  una  specie  di  di- 
pendenza, ad  abbandonare  la  na- 
tiva fierezza,  e  a  coltivare  le  ar- 
ti, le  scienze  ed  il  commercio.  Con- 
fessar bisogna  per  altro  cbe  le  di- 
visioni politiche  di  quest'isolani  fa- 
cilitarono la  conquista ,  compita 
come  dicemmo  sotto  Agricola,  che 
innalzò  un  baluardo  considerabile 
onde  porli  al  sicuro  dalle  incursio- 
ni dei  pitti  e  caledoni,  popoli  del 
nord  dell'isola.  Gl'imperatori  Adria- 
no, Antonino ,  e  Settimio  Severo 
aumentarono  in  progresso  questa 
muraglia,  fiancheggiandola  di  torri, 
qual  segno  del  romano  confine. 

Questi  popoli  furono  de'  primi 
ad  abbracciare  il  cristianesimo,  di 
cui    vantavansi   di  avere   ottenuto 


ING 

la  prima  notizia  dall'apostolo  delle 
genti  s.  Paolo.    Altri  con  maggior 
probabilità    sostengono    che  la  re- 
ligione cattolica  fu  abbracciata  da- 
gl  inglesi    per    la    predicazione    di 
Giuseppe  d  Arimatea    discepolo  di 
Gesù  Cristo,  che  il  calò  dalla  cro- 
ce e  ripose  nel  sepolcro.  Divenuta 
quasi  estinta,  fu   restaurata  per  lo 
zelo  del  re  Lucio,  il  quale  pregò  il 
Pontefice  s.  Eleutero  creato  nell'an- 
no   179    di    mandargli     missionari, 
onde  il    Papa  vi    sped\  Fugazio  e 
Damiano,  per  mezzo  de' quali  il  re 
e  l'isola  ricevettero  la  fede,  che  vi 
perseverò  fino  al  furore  della  per- 
secuzione   di  Diocleziano,    assunto 
all'impero  nell'anno  284,  pel  qua- 
le  restò    quasi     spenta.    A    questo 
Pontefice    sant' Eleutero    si    attri- 
buisce la  seconda  sua  lettera,  scrit- 
ta a  Lucio  re  della  Bretagna,  seb- 
bene non    ricevuta  dai    critici  per 
certa.  Veggasi  Alford,  Annal.  eccles. 
et   civil.    Britannorum ,  anno    i33, 
§  4-  N°n  fil  dubita  più  che  i  bre- 
toni antichi  abitanti  d'  Inghilterra 
non    sieno    stati    convertiti  al    cri- 
stianesimo sotto  il  pontificato  di  s. 
Eleutero,  verso  il  fine  del  secondo 
secolo,    o    verso    1'  anno     182:  si 
possono    vederne    le    prove    nelle 
Vite  de  padri   e  de'  martiri   del  p. 
Albano  Butler,  toni.   IV,    p.    5g5, 
e  t.  IX,  p.  607.   Quei  tra  i  prote- 
stanti   che  contrastano  questo   fat- 
to, operano  per  prevenzione. 

Tertulliano  ci  assicura  che  la 
fede  di  Gesù  Cristo  fu  quivi  predi- 
cata fino  dal  primo  secolo  :  questo 
scrittore  contemporaneo  dice  ezian- 
dio che  nel  terzo  secolo  fioriva  il 
cristianesimo  nella  Bretagna,  anche 
nelle  provinole  non  ancora  intera- 
mente conquistate  dai  romani.  Eu- 
sebio e  Socrate  attestano  delle  va- 
rie   chiese    erette    dai    bretoni,    e 


ING 

che  molti  *i  soffrirono  il  martirio. 
ìù  inoltre  opinione  che  l'imperato- 
re Costanzo  incominciasse  in  In- 
ghilterra ad  avere  qualche  incli- 
nazione per  la  religione  cristiana, 
e  che  Costantino  Magno  abbia  in 
quest'isola  fatta  la  ferma  risoluzio- 
ne di  abbracciarla.  Ma  tuttociò 
che  1'  Usserio  racconta  intorno  ai 
primi  apostoli,  ch'egli  fa  andare 
in  Inghilterra  prima  che  s.  Pietro 
si  portasse  a  Roma,  per  poter  cosi 
dimostrare  che  la  chiesa  inglese  è 
più  antica  della  romana  ,  tutto- 
ciò  non  serve  ad  altro  se  non  che 
a  fare  chiaramente  comprendere 
di  quali  e  quante  favole  vanno  pa- 
scolandosi i  protestanti  allorché  si 
tratta  dei  loro  interessi,  mentre  il 
fatto  raccontato  dall' Usserio  non  è 
in  realtà  che  una  semplice  illu- 
sione. Polrebbesi  dire  egualmente 
delle  tre  metropoli  ecclesiastiche 
che  si  vorrebbero  esistenti  già  nei 
primi  secoli  del  cristianesimo,  Lon- 
dra cioè,  Caerleon  e  \ork;  ed 
intorno  alle  quali  credesi  di  avere 
una  prova  sufficiente  nelle  sotto- 
scrizioni del  concilio  d'  Arles,  loc- 
chè  però  è  ancora  troppo  incerto. 
Lingard  asserisce  esservi  prova  del- 
l'istituzione di  una  gerarchia  rego- 
lare prima  della  fine  del  terzo  se- 
colo, poiché  die' egli  »  dagli  scrit- 
tori contemporanei  si  mette  la  chie- 
sa della  Britannia  eguale  a  quel- 
le della  Spagna  e  della  Gallia  ; 
ed  in  uno  dei  più  antichi  de'  con- 
cilii  occidentali,  quello  di  Arles  del 
3i4,  troviamo  i  nomi  di  tre  ve- 
scovi britanni,  quelli  cioè  di  Ebo- 
rio di  York  per  la  proviucia  det- 
ta Maxima,  di  Restiluto  di  Lon- 
dra per  la  Flavia,  e  di  Adelfìo  di 
Richborough  per  la  Britannia  pri- 
ma " .  Sembra  però  che  la  rabbia  dei 
primi  persecutori  del  cristianesimo 


ING  9 

non  giungesse  fino  a  quest'isola,  il 
che  contribuì  non  poco  ad  attrar- 
vi  i  fedeli  che  si  vedevano  in   pe- 
ricolo   a    cagione  degl*  idolatri  ,  e 
forse  anche  confortati  dalla  mode- 
razione   del    governo     romano,  vi 
sperarono    un    asilo    sicuro,  tanto 
più  che  l'Inghilterra  era  quasi  co- 
me un  mondo  novello  verso  il  ri- 
manente dell'impero.    Ma  essi  non 
poterono  fuggire  la  persecuzione  di 
Diocleziano;    Gilda    e  Beda  narra- 
no che    molti  cristiani    si  dell'uno 
che    dell'  altro    sesso    ottennero  la 
gloriosa     palma     del     martirio.     Il 
primo  e  più  celebre  di  questi  cri- 
stiani   eroi  fu   s.     Albano,  la    cui 
morte  fu  eziandio  illustrata  da  mol- 
ti miracoli  e  da  diverse  circostan- 
ze straordinarie,   ed  il  cui  sangue, 
dopo    aver    fatto  testimonianza    al 
nome  di  Gesù  Cristo,  è  stato  una 
sorgente  feconda  di  benedizioni  per 
l'Inghilterra.     Gli    uni    collocarono 
il  suo    martirio  nel  286,    gli  altri 
nel    3o3,    cioè  al    principio    della 
grande  persecuzione   di  Diocleziano, 
cui  mise  fine  Costanzo   Cloro  l'an- 
no appresso  nella  Bretagna.    Sem- 
bra che    s.   Albano     fosse    romano, 
ma  nato  a    Verulamio  che  fu  per 
più  secoli   una   delle  città  più  con- 
siderabili    della    Gran  Bretagna,    e 
sulle  rovine     della  quale  s'  innalzò 
poscia  la  città  di  s.  Albauo.  Esseudo 
ancor  giovane  era  andato  a   Roma 
per    perfezionarsi  nella    conoscenza 
delle  belle  lettere.  A  questo  primo 
martire    della   Gran  Bretagna,    sot- 
to il    regno  di    Costantino    Magno 
si  edificò  una  magnifica   chiesa  nel 
luogo    in    cui    patì  il    martirio,     e 
divenne    celebre    per    un  grau  nu- 
mero di  miracoli. 

Sotto  i  romani  una  colonia  d'i- 
berni col  nome  di  scoti  o  scozzesi 
si  stabilirono  sulla  costa  occideuta- 


io  ING 

le  della  Caledonia  ossia  Scozia.    II 
fatto  di  questa  emigrazione  dall'Ir- 
landa nella  Scozia    è  ammesso  da 
alcuni    storici ,  e    negato    da  altri. 
Ma  il     nome    dei   pitti    appartiene 
non  a  questa  colonia,  se  mai   ven- 
ne, ma    ad    un    popolo    distinto  e 
molto  antico  che  anch'esso  si   tro- 
vò in    quei    tempi    nella    Scozia.   I 
popoli    di   questa  contrada   presero 
insensibilmente  il  nome  di  pitti,  ed  i 
bretoni    s'  infievolirono    a  segno  di 
non  poter    conservare    la    loro    li- 
bertà allorché  la    fortuna,   avversa 
ai   romani,    venne     a    recarla  loro. 
Sbalordito     1'  imperatore     Adriano 
dal    guasto  dato  dagli  scozzesi   alle 
proviucie    settentrionali  dell'Inghil- 
terra,   e    di  aver    messo    a   morte 
le  legioni  romane,  recossi   egli  stes- 
so   con    un'  armata     in    Bretagna. 
Al   suo  arrivo   i    barbari  si   rinsel- 
varono  ne'cupi  boschi,  e  su   per  gli 
erti   monti    della    Scozia.    L'  impe- 
ratore si    contentò  di     fare  erigere 
mia  mura.glia  di  zolla  lunga  ottan- 
ta miglia    sui  confini   della  Scozia, 
onde  porre  nn  qualche  argine  alle 
incursioni  del    nemico.  Partito  A- 
driano  gli  scozzesi   ne    atterrarono 
una  parte,  e  rinnovarono  le  incur- 
sioni più  feroci  di  prima.   Antoni- 
no Pio  spedi    contro    di  loro  Lol- 
lio     Urbico,    che    attaccandoli    con 
■vigore  li    costrinse    a    ritirarsi,  ed 
eresse    poscia  un    nuovo    muro  di 
zolle ,  debole    barriera  a  si  formi- 
dabili nemici.    Marco    Aurelio    in- 
viò nella  Bretagna  Calpurnio  Agri- 
cola    a    reprimere   le    devastazioni 
de'  scozzesi,    e  Commodo  vi    spedi 
Ulpio     Marcello  ,    al    quale     riuscì 
porli    in  fuga.    Mentre  Albino  ce- 
lebre   generale    romano  governava 
la   Bretagna,    Settimio    Severo  ge- 
loso del  suo  credito,  prima  gli  fe- 
ce credere  di   volerlo  associare  al- 


ING 

P  impero,  e  poi    si    portò  a  debel- 
larlo presso  Lione.   Non  andò  gua- 
ri   che     i  bretoni    attaccarono    gli 
stabilimenti    romani ,     e  ne    fecero 
strage.    Settimio    Severo     si    portò 
nell'isola,    e    sparse    per    tutto    la 
desolazione,    indi    fece    erigere    un 
terzo    muro    di  solida  pietra    per 
difendere    gli     abitanti    dai     rapaci 
devastatori.  L' imperatore  si  ammalò 
e  mori  a  York,  ed  i  suoi  figli  Ca- 
racalla  e  Geta  che   lo  avevano  se- 
guito, conchiusero  la  pace  coi  bri- 
tanni del  nord,  e  portaronsi  a  Ro- 
ma.  Scorso  qualche  tempo,  l'impe- 
ratore Costanzo    padre    di  Costan- 
tino il  Grande,  recossi  anch'egli  in 
Inghilterra    e    morì    a    York.    Co- 
stantino suo  figlio,  il  quale  credesi 
da  alcuni    nato    in    quest'isola,    la 
divise    in    quattro   prefetture,    che 
furono  assoggettale    al  prefetto  ro- 
mano delle  Gallie,  e  di  sopra   de- 
scritte.    Sotto    Valenliniano  I    poi, 
avendo  egli  spedito  nell'isola  Teo- 
dosio, battè  gli  scozzesi,  e  conquistò 
un  gran    tratto  di    paese  al    nord 
del  muro  di  Severo  ;  delle  sue  con- 
quiste  in  appresso  formò  la  quin- 
ta  prefettura  che  chiamò    Valentia 
in  onore  dell'imperatore.   Regnan- 
do   Graziano    passò    in   Inghilterra 
il  pretore   Massimo,    che  ivi  ribel- 
latosi osò  assumere  la  porpora  im- 
periale;    indi    passato    nelle  Gallie 
con  un'armata,  e  fatto    assassinare 
Graziano,  fu  alla  fine  vinto  e  mes- 
so a  morte  da  Teodosio  II  il  gio- 
vane, il  quale    restò    solo  padrone 
dell'impero.   Giunta  finalmente   l'e- 
poca fatale    di    Valentiniano  III,  i 
barbari    della    Scandinavia    e  della 
Tartaria  invasero  le  provincie  del- 
l'impero romano,  per  cui  atterrito 
P  imperatore    dal    numero    e     dal 
furore    de'nemici,    richiamò    le  ro- 
mane legioni  dalla  Bretagna.  Que- 


!NG 

sta  lasciata  indifesa,  pitti  e  scoz- 
zesi vi  rientrarono  in  ogni  ma- 
niera a  desolarla,  per  cui  i  bri- 
tanni inviarono  ripetute  ambasce- 
rie a  Valentiniano  III,  implorando 
legioni  per  difenderli,  e  gli  tras- 
misero un  memoriale  intitolato  : 
Gemiti  de  britanni.  L'  imperatore 
commosso  dal  suo  patetico  tenore 
mandò  loro  una  legione,  ma  poi  fu 
costretto  richiamarla,  abbandonando 
i  romani  l'isola  nel  42°>  dopo  esserne 
stati  padroui  per  quattro  secoli  cir- 
ca, dal  regno  di  Claudio  a  quello  di 
Valentiniano  III.  11  corso  de 'secoli 
cbe  lutto  cambia  rese  i  britanni, 
che  quali  fieri  leoni  avevauo  resi- 
stito alle  coorti  romane,  quali  ti- 
midi lepri  innanzi  alle  orde  sel- 
vagge de'pitti  e  scozzesi,  che  usci- 
ti di  nuovo  dalle  loro  contrade, 
atterrato  il  muro  di  Severo,  si  die- 
dero a  devastare  le  provinole  d'In- 
ghilterra. Alla  vista  del  paese  sac- 
cheggiato dai  pitti  e  dagli  scozzesi, 
i  bretoni  implorarono  il  soccorso 
degli  anglo-sassoni,  ed  i  loro  libe- 
ratori ne  divennero  in  progresso  i 
padroni  ;  dappoiché  essi  erano  un 
popolo  bellicoso  del  nord  di  Ger- 
mania, che  soleva  stipendiarsi  al 
servigio  degli  stranieri,  come  fanno 
appunto  gli  svizzeri  d'oggidì.  I  sas- 
soni ed  agli  o  angili  erano  popoli  la 
cui  origine  si  confonde  con  quella 
dei  belgi.  Gli  angli  erano  antichi 
popoli  dell'Alemagna  settentrionale 
nel  Jutland  abitanti  la  parte  del 
ducato  di  Sleswick,  verso  il  Bal- 
tico. Questa  rivoluzione  impresse  il 
carattere  indelebile  al  nome,  alla 
lingua,  alle  leggi,  agli  usi  e  costu- 
mi del  popolo  bretone  od  inglese. 
I  pitti  e  gli  scozzesi  eh'  erano 
stati  chiamati  dai  bretoni  in  soc- 
corso, onde  liberarli  dai  romani, 
dopo  la  partenza  di  questi,    per  le 


ING  u 

dissensioni  dei  capi  nativi,  seppero 
cos'i  bene  consolidare  la  loro  po- 
tenza nell'  isola,  che  la  maggior 
parte  de'  suoi  abitanti,  affievoliti 
dal  dominio  romano,  ed  accostu- 
mati alla  mollezza  ed  al  giogo,  fu 
costretta  di  assoggettarsi  a  questi 
nuovi  padroni,  e  fu  allora  che  in- 
vano implorando  il  soccorso  di 
Roma  e  di  Aezio  generale  roma- 
no in  Galjia,  si  videro  obbligati  i 
bretoni,  massime  Yortigeruo  il  più 
potente  de'  re  britanni,  ad  invi- 
tare i  «sassoni  del  nord-est  della 
Germania,  e  a  collegarsi  con  loro. 
Intanto  i  juti,  popolo  uscito  dalla 
Germania  o  forse  meglio  dalla 
Scandinavia,  arrivarono  in  Inghil- 
terra nel  449,  e  fondarono  verso 
1'  anno  ^5  o  460  il  regno  di 
Kent,  impadronendosi  pure  dell'  i- 
sola  di  YVight.  Altri  dicono  che  i 
sassoni  vi  pervennero  la  prima  vol- 
ta nel  477»  dalla  quale  epoca  si 
fa  incominciare  il  regno  de'  sasso- 
ni meridionali  ;  mentre  altri  sosten- 
gono che  i  sassoni  sbarcarono  i 
primi  nell'  Inghilterra,  precisamen- 
te nell'  isola  di  Thanet,  e  succes- 
sivamente giuusero  nuovi  ausiliari, 
cioè  i  juti,  i  danesi  e  gli  angli 
sotto  il  comando  di  Engisto,  Hor- 
sa  o  Orsa  fratelli,  ed  Ida.  Laonde 
gli  angli  uniti  ai  juti  ed  ai  sasso- 
ni, popoli  pagani  di  Germania 
conosciuti  anche  col  nome  di  an- 
glo-sassoni, conquistarono  nel  44^ 
ovvero  nel  449  °  nel  455  1'  In- 
ghilterra o  sia  Gran  Bretagna, 
tranne  la  Caledonia,  contro  i  bre- 
toni ,  cui  obbligarono  rifugiarsi 
parte  nell'  Armorica,  provincia  di 
Francia  che  dal  nome  loro  fu  po- 
scia chiamata  Bretagna  minore,  e 
parte  nella  provincia  di  Cornova- 
glia  e  nel  principato  di  Galles  : 
dopo  la  conquista    degli  anglo-sas- 


12  ING 

soni     il    popolo    misto     prese    piìi 
tardi  il    nome    d'  inglese.    Gli  abi- 
tanti di  Galles    e    di     Cornovaglia 
conservano     tuttora    il     linguaggio 
degli    antichi    britanni    che    ivi    si 
ritirarono  siccome  situazione    mon- 
tuosa, ed  alcuni    de'  loro   costumi. 
Vortigero    o    Vortigerno  che    sino 
dal  445  e,'a  stato  eletto  e  ricono- 
sciuto    re     d'  Inghilterra    o     della 
Gran     Bretagna ,      proclamato     da 
quei  bretoni  che    assoggettarsi  non 
■vollero    ai    pitti,     dopo  di  aver  su 
di    essi    riportato     alcune    vittorie, 
sposò    la    bella    Rowena     figlia    di 
Engislo,   uno    dei    generali  sassoni, 
ed   in  considerazione  di   tal    matri- 
monio cedette  al    suocero  il    paese 
di  Kent    col  titolo    di     regno,  per 
cui    Engisto    ne    fu    il    primo    re. 
Questi    era    il     quinto    discendente 
del  famoso    goto  Odino,    rinomato 
conquistatore,  da  cui  si  fanno  de- 
rivare i  primi  re  anglo-sassoni  che 
fondarono  1'  eplarchia  in  Inghilter- 
ra. Sono  a  vedersi  Sammes,  Anti- 
(juit.  Brilan.j  Tyrell,  e  il  Liber  Jo- 
annis   Georgi  Eccardì,   De   origine 
Germanoruin,  eorumque   coloniis  et 
migrationibits,    etc.    Studio    Christ. 
Luci.     Schedii,     Goetlingae      iy5o. 
Ognuno  de'  generali  sassoni    riten- 
ne per  sé  le  provincie  da  lui  con- 
quistate ed  assunse  il  titolo    di   re, 
talché,  come  andiamo  a  narrare,  la 
Bretagna     venne     divisa     in    sette 
monarchie  diverse,    e  prese  il    no- 
me di  Eplarchia  o   Etlarchia,  vo- 
cabolo che  significa    settemplice  di- 
nastia, sette,  governo,  principato. 

I  bretoni  coi  loro  alleali  sasso- 
ni marciarono  intanto  contro  i 
pitti  e  gli  scozzesi,  e  gli  sconfissero; 
ma  i  sassoni  ingrati  amici,  avidi 
di  possedere  i  paesi  di  quelli  che 
venivano  a  proteggere  e  difendere, 
invitarono  tutta  la  nobiltà  bretone 


ING 

ad  un    gran    festino    nella  pianura 
di  Salisbury,  e  quivi  la  trucidaro- 
no inumanamente.    Padroni    allora 
della    maggior    parte     dell'  isola,  i 
sassoni    divisero    le    loro    conquiste 
in  sette  piccoli    regni,    che   forma- 
rono successivamente   ciò  che  chia- 
mossi  1'  Eplarchia    sassone.  Prima 
di    descriverla     noteremo,    che  Ar- 
turo fu    eletto     re    de'  bretoni  nel 
5o5,  mori  nel    54^,  e  dopo  nove 
anni  d'  interregno  gli  successe  Mal- 
gone  nel  55 1 ,  dopo    la    cui   morte 
i  bretoni    terminarono     di  ritirarsi 
nel  paese  di  Galles.  Noteremo  an- 
cora   che    i    sassoni    occidentali     si 
stabilirono    neh'  Inghilterra  1'  anno 
49^  ;  e  che  già   era  trascorsa  par- 
te del  secolo   VI,  quando  una  nuo- 
va popolazione   venne  ad  aumenta- 
re   il    numero     di  queste    barbare 
colonie,  fissandovisi  i  sassoni  orien- 
tali nel  527.  Indi    nel  547  'a  co- 
lonia degli  angli    che   doveva  dare 
il  suo  nome  alla   parte  meridiona- 
le dell'  isola  quattrocento  anni  do- 
po   il    suo    stabilimento,    vi  giunse 
sotto  la  condotta  del  nominato  va- 
loroso Ida.  Gli    angli  orientali,    es- 
sendosi impossessati    di  Norfolk  nel 
5j5}  le    coste    del    sud  e  dell'  est 
caddero  quasi     interamente    in  po- 
tere degli    usurpatori,  i  quali  spin- 
gendo le  conquiste  loro  nell'  inter- 
no del    paese,    fondarono    nel   584 
o  585    il    regno    di    Mercia.  Ecco 
la    divisione    dell'  Eptarchia  anglo- 
sassone   o    selle    piccoli     cantoni , 
ognuno  con    titolo    di    reame,  fon- 
data   in    Inghilterra,    eh'  ebbe  per 
più  di    tre  secoli  pacifica  durata.  I 
regni  dunque    formanti  questa   ep- 
tarchia o    diarchia,  de'quali  i  sas- 
soni   n'  ebbero    tre    ed     altrettanti 
gl'inglesi,  furono  :   I.°  di  Kent  fon- 
dato   da    Engisto     suo  primo  re  e 
da  Orsa  nel    4^°    °    ue*    4^5,  a- 


ING 

vente  Cantorbery  per  capitale,  per 
cui  fu  anche  detto  il  regno  Can- 
tanriense,  che  conteneva  la  etessa 
estensione  della  provincia  di  tal 
nome,  che  fu  governata  da  dieci- 
sette re,  e  che  dopo  avere  esistito 
circa  3go  anni,  firn  nell'82  3  colla 
sconfitta  di  Baldred,  i  cui  stati 
■vennero  uniti  al  regno  di  Westsex 
o  Wessex.  II.°  Il  regno  di  Sussex 
o  dei  Sassoni  o  Sassonia  meridio- 
nale, colla  capitale  Chichester,  che 
occupava  le  contee  di  Sussex 
e  di  Surrey,  avente  venticinque 
leghe  dal  sud-est  al  nord-ovest,  e 
quindici  dal  sud  al  nord,  fondato 
da  Ella  o  Aella  suo  primo  re  nel 
477  ovvero  nel  49  r>  ^ni  ne'  6°° 
dopo  aver  sussistito  circa  centono- 
ve  anni  sotto  tre  re,  1'  ultimo  dei 
quali  fu  ucciso  da  quello  di  West- 
sex,  e  da  quel  tempo  riuniti  insie- 
me. Questo  regno  includeva  le  at- 
tuali provincie  di  Surrey,  Sussex, 
e  la  Nuova  Foresta.  III.0  Il  regno 
di  TVestsex  o  Wessex,  o  Sassoni 
occidentali,  o  Sassonia  occidentale, 
capitale  Winchester,  comprendeva 
le  provincie  di  Beiks,  Hants  ossia 
Southampton  ,  Wilts  ,  Somerset , 
Dorset  e  Devon ,  oltre  l' isola  di 
Wight.  Aveva  cinque  leghe  dall'est 
all'ovest,  e  ventisei  dal  sud  al  nord, 
ed  in  progresso  acquistò  anche  qua- 
si tutta  la  provincia  di  Cornova- 
glia.  Fondato  da  Cordik  o  Cerdi- 
ko  suo  primo  re  nel  5 19,  e  da  suo 
figlio  Kenrick  o  Chenrico ,  sussi- 
stette per  quasi  cinquecentocinquan- 
ta anni  sotto  trentasette  re,  e  fini 
circa  all'avvenimento  dei  norman- 
ni nel  io65.  Alcuni  cronologisti 
registrano  i  re  di  Wessex  come  se- 
gue: anno  5ig  Cerdiko,  535  Chen- 
rico, 56o  Ceolino  Vaac,  5o,2  Ceol- 
rico  o  Ceolrik ,  597  o  5g8  Ceo- 
lufo,    611     Cinigifìlo  o    Cinisigilo, 


ING  i3 

643  Cenovralk  ,  672  Sasburgo 
regina,  673  Censo,  685  Cedral- 
la  o  Cedowalla^  nel  qual  tempo 
sono  pure  nominati  Centuino  ed 
Escuiuo,  689  Ina,  che  si  fece  mo- 
naco, 727  Adelartlo,  741  Cudre- 
do,  754  Sigeberto  deposto,  755 
Cinulfo  o  Cenulfo,  784  Britrico, 
800  Egberto  o  Ecberto  il  Grande 
che  riunì  XEptarchia  sotto  le  pro- 
prie leggi.  IV.°  Il  regno  di  Essex 
o  Sassoni  dell' est,  o  Sassonia  o- 
rientale,  capitali  Colchester  e  Lon- 
dra. Esso  fu  smembrato  da  quello 
di  Kent,  ed  era  composto  delle 
provincie  di  Essex ,  Middlesex  e 
della  maggior  parte  di  quella  di 
Hertford,  avente  una  estensione  di 
ventisei  leghe  dal  sud-ovest  al  nord- 
est, e  tredici  dal  sud  al  nord.  Fon- 
dato da  Erchewin  o  Ercevino  pri- 
mo re  nel  52.6  o  527,  ed  alcuni 
lo  protraggono  al  585,  sussistette 
circa  duecentoventi  anni  sotto  do- 
dici re,  e  fu  distrutto  e  usurpato 
dai  re  di  Westsex,  circa  dopo  il 
746.  V.°  Il  regno  di  Northumber- 
land  o  Bernicia,  o  Inghilterra  set- 
tenirionale,  avente  per  capitale  Leeds 
e  York,  comprendeva  le  provincie 
di  Lancastro,  York,  Durham,  Cum- 
berland,  Westmoreland,  Northum- 
berland,  e  le  parti  meridionali  del- 
la Scozia  sino  al  golfo  di  Edim- 
burgo, ed  aveva  sessantacinque  le- 
ghe di  estensione  dal  sud-est  al 
nord -ovest  ,  e  quarantadue  leghe 
dall'est  all'ovest.  Fondato  da  Ida 
primo  re  nel  547,  ^Q1  ne^  792  sot~ 
to  ventuno  re,  ebbe  poscia  un  in- 
terregno di  trentatre  anni,  e  nel- 
l'82  7  passò  sotto  il  dominio  dei  re 
di  Westsex.  Il  regno  di  Northum- 
berland  o  di  Bernicia  un  tempo 
fu  diviso  in  due  regni,  essendo  l'al- 
tro quello  de'  Deiri  che  abbraccia- 
va le  provincie  di  Lancastro    e  di 


i4  1NG 

York,  fondalo  dopo  il  547  °*a  A  el- 
la altro  generale  sassone.  Colla  mor- 
te di  Ida  ed  Aella,  Adelfrido  spo- 
sò Acca  figlia  di  Aella  ed  unì  sot- 
to di  sé  i  regni  di  Bernicia  e  dei 
deiri,  e  prese  il  titolo  di  re  di  Nor- 
thumbei  land,  uno  de'  più  potenti 
dell'  diarchia,  che  in  progresso  di 
nuovo  fu  diviso  in  due  reami.  VI." 
Il  regno  degli  Angli  dell'est.,  o  In- 
ghilterra orientale  ossia  Estanglia, 
capitale  Cambridge,  comprendeva 
la  provincia  di  Cambridge,  Nor- 
folk, Suffolk,  e  parte  di  quella  di 
Miuitingdon,  ciò  che  formava  ven- 
titre leghe  dal  sud  al  nord,  e  ven- 
tisei dall'est  all'ovest.  Fondato  da 
Olfa  o  Uffa  primo  re  nell'  an- 
no 571  o  575  sussistette  per  cir- 
ca duecento  diciotto  anni  sot- 
to quattordici  re,  finì  nel  793,  e 
fu  allora  diviso  fra  i  re  danesi  ed 
i  re  di  Mercia,  ma  infine  Egberto 
lo  riunì  al  regno  di  Westsex  o 
Wessex.  VII."  Il  regno  di  Mercia, 
capitale  Lincoln ,  comprendeva  le 
contee  dell'interno  dell'Inghilterra, 
ossia  le  provincie  di  Gloucester , 
Hereford  ,  Worcester  ,  Wanvick  , 
Leicester  ,  Rutland  ,  Northampton, 
Lincoln,  Bedford,  Buckingham,  Ox- 
ford, StafTord,  Salop,  Nottingham, 
Derby,  Chester,  e  porzione  di  quelle 
di  Huntingdon  e  di  Herlford,  for- 
mante in  tutto  quarantadue  leghe 
dal  nord  al  sud  ed  altrettante  dal- 
l'est all'ovest.  In  progresso  la  con- 
tea di  Montmouth  fu  aggiunta  a 
questo  regno,  che  fondato  da  Crid- 
da  o  Grida  suo  primo  re  nel  584, 
sussistette  sino  all'874,  cioè  a  dire 
per  quasi  duecentonovanta  anni,  sot- 
to venti  re.  Alfredo  re  di  Westsex 
riunì  il  regno  di  Mercia  a'  suoi  al- 
tri stali.  Va  avvertito  che  le  ca- 
pitali di  questi  sette  regni  talvolta 
cangiarono,  secondo  la  volontà  dei 


ING 
differenti  loro  sovrani,  o  per  gli 
avvenimenti  politici.  Alcuni  autori, 
come  Kapin  de  Thoiras,  preten- 
dono che  il  nome  d' Inghilterra 
fosse  dato  all'antica  Britannia  fino 
dal  tempo  della  conquista  fatta  di 
quest'isola  dagli  anglo-sassoni  ver- 
so l'anno  585;  ma  l'opinione  più. 
comune  è  che  un  tal  nome  le  ven- 
ne dato  all'epoca  del  regno  di  Eg- 
berto, sotto  il  quale  cessò  intera- 
mente la  divisione  dell' Eptarchia 
sassone  negli  anni  800,  812  e  827. 
Frattanto  una  quantità  di  fatti  di 
armi  e  di  battaglie  ebbero  luogo 
tra  i  principi  dell'  diarchia,  per  la 
sete  insaziabile  di  estendere  i  con- 
fini de'  loro  stati,  e  per  diversi  al- 
tri motivi  e  passioni.  Tra  le  cele- 
bri battaglie  nomineremo  quella  in 
cui  Wortimero  capo  de'  britanni 
disfece  ad  Eglesford  Orsa  che  vi 
restò  ucciso  j  e  quella  di  Caerba- 
don  o  Badon-Iiill  che  Arturo  re 
de' siluri  o  del  paese  di  Galles  ot- 
tenne sulle  truppe  sassoni,  coman- 
date da  Aella  re  di  Sussex.  Si  pre- 
tende che  Arturo  di  propria  mano 
uccidesse  quattrocento  quaranta  ne- 
mici, e  fu  altamente  celebrato  dai 
bardi  poeti  e  suonatori  d'arpa  della 
Bretagna,  e  segnatamente  da  Tha- 
liessino,  il   più.  rinomato  fra  essi. 

Allorquando  i  sassoni,  gli  angli 
ed  i  juli,  popoli  idolatri  della  bas- 
sa Germania,  nel  quinto  secolo  in- 
vasero la  Gran  Bretagna,  obbliga- 
rono come  dicemmo  i  cristiani  bre- 
toni a  ritirarsi  sui  monti  del  paese 
di  Galles,  e  credesi  che  questi  fa- 
cessero qualche  tentativo  per  conver- 
tire i  loro  vincitori.  Narra  Beda  al 
cap.  17,  che  ritiratosi  Celestio  ca- 
po de'  pelagiani  in  Bretagna  ,  il 
Pontefice  s.  Celestino  I  del  4^3  v» 
spedì  missionari,  i  quali  dopo  due 
anni    la    ridussero    alla    fede  orto- 


ING 

dossa  :   e  per  mettere  in  istato   di 
trionfare  dell'errore,  e  per  dare  mag- 
gior autorità  a  s.   Germano  d'Au- 
xerre    che   si    recò    in   Bretagna  a 
combattere  il   pelagianismo,    lo  ri- 
vesti  dell'autorità  di  suo  legato.  In- 
viò pure    quel    Papa    nella    Scozia 
Palladio  suo  primo   vescovo,  e  nel 
432   in   Irlanda  s.   Patrizio  che  di- 
venne l'apostolo  degli  ibernesi.  Gli 
anglo-sassoni  recarono  in  Inghilter- 
ra il  culto  degl'  idoli  de'  goti,  che 
non  erano  punto  diversi  da  quelli 
che  adoravano   i  danesi,  gli  svezzesi 
ed  i  norvegi,  popoli  che    traevano 
tutti  la  stessa  origine.  I  nomi  prin- 
cipali di   questi    idoli  sono  :    Thor, 
dio  del   tuono,  le  funzioni  del  qua- 
le somigliavano  a  quelle   del  Giove 
dei  romani;  Woden,  dio  della  guer- 
ra ;  Friga  o  Frea  moglie    di  Wo- 
den, dea  dell'amore,  come    Venere 
presso    i    latini  ;    e    Dysa  o  Thisd 
moglie  di  Thor,  dea  della    giusti- 
zia;  il   perchè  gli   abitanti  dell'iso- 
la ricaddero   nelle  tenebre  del  pa- 
ganesimo e  dell'idolatria.  Erano  di 
già  scorsi  quasi  cinquanta  anni  dac- 
ché i  sassoni,    gli    angli    ed    i    juti 
erano  padroni  di  queste    contrade, 
quando  piacque    a  Dio  di    far  ri- 
splendere ai  loro  occhi    la  luce  del 
vangelo,  ed  operare  la  terza    con- 
versione della  Gran  Bretagna.  II  ge- 
suita inglese  Roberto  Personio  scris- 
se   in    inglese,    Le    tre  conversioni 
dell  Inghilterra  dal  paganesimo  al- 
la   religione    cristiana  :    la    prima 
sotto  gli  apostoli  nel  primo   secolo 
dopo  Cristo;  la  seconda  sotto  Papa 
s.  Eleulero   e  il  re    Lucio    nel    se- 
condo secoloj  la  terza  sotto  Papa 
s.   Gregorio  Magno    e    il   re  Etel- 
berto  nel  sesto  secolo,  con    diverse 
altre  materie  appartenenti  alle  det- 
te conversioni,  Roma  1740  e  1702, 
opera  tradotta    in  italiano  dal    sa- 


1NG  i5 

cerdote  fiorentino    Francesco  Giu- 
seppe Morelli.  San    Gregorio    1    il 
Grande   prima   del    suo  pontificato 
avea   formato   il  disegno  di  andare 
egli  stesso  ad  annunziare  a  quelle 
genti   la  fede;  ma  non    potè    dare 
a  ciò  esecuzione,  perchè  sublimalo 
nel   5go   alla    cattedra    apostolica , 
il  popolo  di  Roma   non    volle    ac- 
consentire alla  sua   partenza.    A  Uri 
però  dicono  che    s.    Gregorio    era 
già  partito  per  l'Inghilterra,  quan- 
do il  Pontefice  Pelagio  II  suo  pre- 
decessore  dovette    richiamarlo,    at- 
tese le  lagnanze  del    popolo  roma- 
no,   il    quale    non    volle    perderlo. 
Fermo  nel  pensiero  su   tal  missio- 
ne, sua  prima   cura  fu  di  manda- 
re degli   operai   evangelici,  e  desti- 
nò all'impresa    s.    Agostino    allora 
priore  del  amnisterò  di  s.   Andrea 
di    Roma,    dal     Pontefice     fondato 
nella    sua    casa    paterna.    Scelto  a 
capo  della   missione    il    santo    per- 
sonaggio   romano,    gli    diede    altri 
monaci  che  Io  accompagnassero  per 
illuminare   una   nazione    infedele  a 
conoscere    ed    amare    il    vero  Dio. 
IS'on  tardò  il  nemico  dell'uman  ge- 
nere a  frapparvi  ostacoli ,    dappoi- 
ché giunto  in  Francia  Agostino  coi 
compagni,   restarono  scoraggiti    dai 
racconti  delle  barbarie  e  dei   peri- 
coli che  dovevano  affrontare.  Il  Pa- 
pa rincuorò  Agostino    e    i    missio- 
nari, i  quali  accompagnati    da    al- 
cuni franchi  originari  come  gli  an- 
glo-sassoni   di    Germania  ,   siccome 
interpreti, con  essi  s'imbarcarono,  in 
tutti  formanti     il  numero   di  circa 
quaranta    persone,  ed     approdò     il 
vascello  che  li  conduceva    all'  isola 
di  Thanet,  posta  all'oriente  del  pae- 
se di  Kent,  probabilmente  nell'an- 
no    5cj6.     Appena    Agostino    pose 
piede    in    terra    mandò  a    dire  ad 
Eteiberto  re   di  Rent,  che    veniva 


16  ING 

da  Roma  per  assicurargli  da  parte 
di  Dio  il  possesso  d'un  regno  che 
non  avrebbe  mai  fine.  Il  principe 
fece  rispondere  ai  missionari  che 
si  rimanessero  nell'  isola ,  che  poi 
avrebbe  deliberato  sul  partito  che 
fosse  da  prendere,  facendogli  in- 
tanto somministrar  le  cose  necessa- 
rie al  loro   sostentamento. 

Etelberto  ch'era  il  più  possente 
dei    sovrani    dell'  eptarchia ,    avea 
qualche  barlume  del  cristianesimo, 
avendo  sposata  Berta  figlia  di  Ca- 
riberto    1    re    di    Parigi ,  la  quale 
principessa  era  una  zelantissima  cri- 
stiana, e  si  era  fatta  seguire  in  In- 
ghilterra dal  santo  vescovo  Luidar- 
do  o  Letardo,    che    le    serviva   di 
limosiniere  e  di   direttore.    Passati 
alcuni  giorni,  il  re  si  portò  nell'i- 
sola di  Thanet,  e  si  mise  a  sede- 
re a  cielo  scoperto  per  dare  udien- 
za ai  missionari.  Questi    preceduti 
dalla   croce    e    dall'  immagine    del 
Salvatore,  cantando  litanie  ed  ora- 
zioni a  lui  si  portarono  in  proces- 
sione.  Giunti  al  re,  gli    annunzia- 
rono la  parola  di  vita  eterna  ,    la 
quale  piacque  al    principe,  ma  di- 
chiarò che  le  promesse  gli  pareva- 
no un  poco  incerte.    Aggiunse  che 
essendo  essi  venuti  per  lui  da  parti 
sì  lontane,  non  permetterebbe  che 
si  dasse   loro  alcuna    molestia,    ac- 
cordandogli   di    poter  predicare  ai 
suoi    sudditi  :    volle     che    si    fer- 
massero nella  sua  capitale  Cantor- 
bery,  e  stabilì  loro  un  assegnamen- 
to per  vivere.    Quivi    i    missionari 
con  austerità,  digiuni,  imitando  nel 
tenore  di  vita  gli  apostoli,  tenevansi 
pronti    a    suggellar    col   sangue  la 
fede  di  Gesù   Cristo    che    predica- 
vano. Vicino  a  Cantorbery  era  una 
chiesa  antica  dedicata  a  s.    Marti- 
no,  che   i    bretoni  aveano  abban- 
donato, e  in  cui    la   regina    usava 


ING 

fare  le  sue  divozioni.    In  questa  i 
missionari  cantavano  l'uffizio,  cele- 
bravano la  messa,  predicavano  ed 
amministravano   i   sacramenti.    Un 
gran  numero  di  gente  rinunziò  al 
paganesimo    e    ricevette    il  battesi- 
mo, e  lo  stesso  re  si  convertì  ;   la 
quale  importante  conversione  fu  se- 
guita da  quella  d'una  moltitudine 
innumerabile  di  sudditi.  In  seguito 
s.   Agostino  si  recò  da  Virgilio  ve- 
scovo d'Arles  e  vicario  della  santa 
Sede  nelle  Gallie,  e  fu   consacrato 
vescovo,  sebbene    altri    dicono  che 
già    lo    fosse.    Appena    ricevette  la 
consacrazione,  dopo  di  aver  battez- 
zato Etelberto,  mandò  a  Roma  Pie- 
tro e  Lorenzo  per  aver  nuovi  ope- 
rai   evangelici.    Questi    di    ritorno 
condussero  seco  parecchi  fervidi  di- 
scepoli di  s.  Gregorio  I,  fra  i  quali 
Mellito,   Giusto    e   Paolino   in   ap- 
presso vescovi,  oltre  Rufiniano  che 
fu  terzo  abbate  del    monistero    di 
s.   Agostino.  Con  questi  nuovi  mis- 
sionari il  Papa   mandò  quanto  era 
necessario  pel  servizio  divino,    ad- 
dobbi di  chiesa,   paramenti  d'alta- 
ri, vasi  sacri,  vesti  pei  preti  e  chie- 
rici, reliquie  degli  apostoli  e  de'mar- 
tiri,  e  gran  numero  di  libri.  Spes- 
so s.  Agostino  ragguagliava  il  Pon- 
tefice dei  progressi  della   missione, 
consultandolo  nelle  più  piccole  dif- 
ficoltà, quantunque    si    potesse  re- 
golare colle  proprie  cognizioni.  Scri- 
veva pure  s.  Gregorio    I    a'  di  lui 
cooperatori  per  la   distruzione   de- 
gli idoli  e  per  cangiare  i  templi  in 
chiese.  Il  pio  re  Etelberto   si  ado- 
però con  zelo  a  stendere    il  regno 
di  Gesù  Cristo,  e  durante    gli  ul- 
timi venti  anni  di  sua  vita,    nulla 
risparmiò  onde  procurar  la  conver- 
sione de'  suoi    sudditi  :     fece    savie 
leggi,    abolì    il   culto   degl'idoli    e 
ne  fece  chiudere  i  templi    in  tutti 


ING 

i  suoi  stati.  Colla  sua  liberalità  la 
chiesa  cattedrale  di  Cantorbery  fu 
fabbricata  in  luogo  dov'  era  stato 
un  tempio  degli  idoli,  ad  onore  di 
s.  Pancrazio.  Fuori  delle  mura  fon- 
dò il  monistero  de'  ss.  Pietro  e  Pao- 
lo, che  prese  poi  il  nome  di  s.  A- 
gostino ,  come  pure  la  chiesa  di  s. 
Andrea  di  Rochester,  e  guadagnò 
alla  fede  Seberto  re  de'  sassoni  o- 
rienfali.  Fu  meno  fortunato  con 
Rechvaldo  re  degli  angli  orientali, 
perchè  questi  abbracciato  il  cristia- 
nesimo, mescolò  il  culto  di  Dio  a 
quello  delle  false  divinità.  Nell'an- 
no 600  s.  Gregorio  I  con  lettera 
si  rallegrò  con  Etelberto  del  suo 
zelo,  e  gli  mandò  alcuni  regali  ; 
egli  mori  nel  616,  fu  sepolto  nella 
chiesa  de'  ss.  Pietro  e  Paolo,  e  nel 
martirologio  è  nominato  a'  24  feb- 
braio. 

Nello  stesso  anno  600  il  Ponte- 
fice mandò  il  pallio  a  s.  Agostino, 
colla  facoltà  di  ordinare  dodici  ve- 
scovi sui  quali  egli  avrebbe  il  di- 
ritto di  metropolitano.  Gli  ingiun- 
se di  ordinare  un  vescovo  a  York, 
dopo  la  conversione  di  que'  popoli 
della  contrada  settentrionale,  e  di 
dargli  anche  dodici  sulTraganei  ; 
ma  circostanze  particolari  obbliga- 
rono in  appresso  a  fare  alcun  can- 
giamento nella  esecuzione  di  que- 
st'  ordine,  come  narra  il  celebre 
inglese  ab.  Albano  Butler  nelle 
Vile  de  padri,  dei  martiri  e  degli 
altri  principali  santi,  in  quella 
cioè  di  s.  Agostino.  II  Novaes  nella 
•vita  di  s.  Gregorio  I  dice  che  que- 
sti ingiunse  a  6.  Agostino  di  ordi- 
nare due  metropolitani,  uno  in 
Londra,  1'  altro  nella  città  di  York, 
i  quali  potessero  ciascuno  ordinare 
nelle  loro  provincie  dodici  vescovi, 
e  cita  i  seguenti  autori.  Pietro  de 
Marca,  De    concord.    sac.    et  irnp. 


vot.   xxxv 


ING  17 

Kb.  5,  cap.  42,  §  8.  S.  Gregorio 
I,  lib.  XII,  epist.  XV.  Zaccaria 
nel  suo  Anlifebronio  tom.  Ili,  p. 
1 49  e  327,  ediz.  del  1770,  ove 
per  ciò  adduce  l'autorità  di  Beda, 
Hist.  gent.  Augi.  lib.  II,  cap.  1 3  ; 
e  di  Giovanni  diacono  in  vita  s. 
Greg.  Ij  lib.  II  ,  cap.  37.  San 
Gregorio  I  non  dubitava  di  non 
avere  il  potere  di  cambiar  la  giu- 
risdizione delle  metropoli  partico- 
lari, senza  aver  riguardo  alcuno 
ali'  antica  divisione  ecclesiastica, 
quando  le  circostanze  rendevano 
questi  cambiamenti  o  necessari  o 
sommamente  vantaggiosi  :  molti  e- 
sempli  se  ne  trovano  nella  storia 
ecclesiastica  di  que'  tempi.  Per  pub- 
blica utilità  dunque  e  forti  ragio- 
ni s.  Gregorio  I  diede  la  qualità 
di  primate  a  s.  Agostino  ;  percioc- 
ché intese  con  questo  di  procu- 
rare efficacemente  la  riforma  dei 
bretoni,  i  quali,  a  quanto  ne  di- 
ce Gildas  ,  erano  caduti  in  sì 
grossolana  ignoranza  e  in  tali  bar- 
barie, che  non  ritenevano  più.  di 
cristiani  altro  che  il  nome.  Intanto 
la  fama  de'  miracoli  che  s.  Agosti- 
no per  virtù  divina  operava  in 
Inghilterra,  mosse  il  Papa  a  dargli 
su  ciò  saggi  avvertimenti,  massime 
di  non  levarsi  in  superbia  e  vana- 
gloria. Sant'  Agostino  consacrò  Mel- 
lito vescovo  di  Londra  o  dei  sas- 
soni orientali,  e  Giusto  vescovo  di 
Rochester;  e  vedendo  che  la  fede 
faceva  mirabili  progressi,  e  che  il 
vero  Dio  avea  per  tutto  adoratori, 
imprese  a  visitar  la  Britannia,  sicco- 
me legato  e  metropolitano  fatto 
dal  Pontefice,  onde  travagliare  an- 
che per  la  salute  degli  antichi  bre- 
toni, i  quali  co.je  dicemmo  eransi 
ritirati  sulle  montagne  del  paese 
di  Galles.  Egli  desiderava  ardente- 
mente istruirli,  correggerne  gli  a- 
2 


18  ING 

busi,  come  a  conformarsi  all'  uso 
della  Chiesa  cattolica  in  celebrare 
la  Pasqua,  nell'  amministrare  il 
battesimo  secondo  la  pratica  della 
Chiesa  universale  ;  non  che  indurli 
ad  unirsi  a  lui  per  dare  1'  ultima 
mano  alla  conversione  degli  inglesi 
o  anglo-sassoni.  Giunto  s.  Agostino 
sulle  frontiere  de'  sassoni  occiden- 
tali ossia  della  contea  di  Worce- 
ster, poco  lungi  dal  paese  di  Gal- 
les, dopo  il  60 1,  forse  nella  città 
di  Ausric  o  nel  luogo  chiamalo  la 
quercia  di  s.  agostino,  invitò  ad 
una  conferenza  i  vescovi  e  i  dot- 
tori bretoni,  ed  essi  accettarono 
1'  invito.  11  santo  pose  in  opera 
le  esortazioni,  le  preghiere  avvalo- 
rate da  un  miracolo,  perchè  si 
correggessero  dai  menzionati  ahusi, 
ed  i  bretoni  riconobbero  per  vera 
la  dottrina  da  lui  predicata,  ina 
soggiunsero  non  poter  abbandona- 
re le  loro  antiche  costumanze  sen- 
za il  consentimento  di  tutta  la  na- 
zione, e  che  faceva  d'uopo  aduna- 
re un  sinodo  generale  nel  loro 
paese.  In  questo  sinodo  si  trovaro- 
no sette  vescovi  e  gran  numero  di 
teologi,  soprattutto  del  monislera 
di  Bangor  posto  nella  contea  di 
Flint  poco  lontano  da  Dee.  Entra- 
ti essi  nel  luogo  ore  dovea  tener- 
si il  parlamento,  s.  Agostino  non 
si  levò  dal  suo  seggio,  ciò  che  dai 
bretoni,  secondo  l'avviso  di  un  fa- 
moso romito,  fu  preso  a  male,  o- 
stinandosi  ne'  loro  torti  divisamen- 
ti.  11  santo  nella  conferenza  non 
fece  parola  della  sua  dignità,  e 
quanto  al  suo  diritto  di  primazia, 
egli  Io  avrebbe  volentieri  ceduto 
all'  arcivescovo  di  s.  Davide  nel 
paese  di  Galles,  se  così  fosse  pia- 
ciuto ai  bretoni,  a  patto  però  che 
si  conformassero  alla  disciplina  -del- 
la Chiesa  universale,  e  deponessero 


ING 

la  loro  nimistà  contro  gì'  inglesi 
o  anglo-sassoni  :  un  odio  inflessibi- 
le contro  la  nazione  che  li  avea 
vinti  accecò  a'  bretoni  le  loro  men- 
ti e  ne  indurì  il  cuore,  ricusando 
di  unirsi  coi  missionari  per  com- 
piere la  loro  conversione. 

Mal  si  conchiuderebbe  da  quan- 
to abbiamo  detto,  che  i  bretoni 
non  fossero  d'  accordo  in  punto  di 
fede  colla  Chiesa  universale  ;  poi- 
ché vi  sono  diverse  ragioni  a  mo- 
strare la  loro  cattolicità.  I  bretoni 
riconobbero  1'  ortodossia  di  s.  Ago- 
stino; essi  erano  slati  fino  a  quel 
tempo  uniti  di  comunione  colla 
Chiesa  di  Roma  e  delle  Gallie  :  s. 
Niniano  loro  compatriota  ,  che 
predicò  ad  essi  la  fede,  e  morì  tra 
loro  nel  4^2>  avea  studiato  a  Ro- 
ma. È  noto  lo  zelo  dei  primi  cri- 
stiani per  la  conservazione  della 
purità  della  fede,  e  se  qualcuno  si 
arrischiò  d'  introdurvi  innovazioni, 
fu  tantosto  punito  e  separato  dal 
corpo  de'  fedeli.  I  bretoni  perse- 
verarono nella  vera  fede  senza  al- 
cuna divisione  lino  al  regno  di 
Costanzo  :  comparve  tra  essi  1'  aria- 
nismo,  ma  subito  sparì.  Appena  il 
pelagianismo  pose  le  radici  nel  lo- 
ro paese,  s.  Germano  d'  Auxerre, 
e  s.  Lupo  di  Troyes  vi  si  recaro- 
no a  combatterlo,  e  si  sa  come 
essi  vennero  a  capo  di  sbandirlo 
dalla  Bretagna.  Gildas  dotto  teo- 
logo che  visse  per  molti  anni  tra 
i  britanni,  rende  giustizia  alla  fé-» 
de  di  questi  popoli,  solo  rimpro- 
vera i  loro  disordini.  Altra  prova 
dell'  ortodossia  del  clero  britanno 
è  1'  invito  di  s.  Agostino  per  aiu- 
tarlo nell'  opera  della  conversione 
dei  sassoni,  Iucche  non  avrebbe 
fatto  se  non  avessero  i  britanni 
tenuta  la  fede  della  Chiesa  catto- 
lica. Da  ultimo  il  rev.  Rees  M.  A. 


ING 

nel  1837  Cl  diede  un  Saggio  so- 
pra i  santi  gallesi,  ovvero  sopra  i 
primitivi  cristiani  del  paese,  di  Gal- 
les. Ai  tempi  di  cui  parliamo  non 
vi  era  arcivescovo  a  Caerleou  su 
1'  Usk  ossia  Isea  Silurimi,  perchè 
la  sede  metropolitana  era  stata  da 
questa  città  trasportata  a  Landau0 
da  s.  Dubrizio,  e  poco  dopo  a  Me- 
nevia  o  Menew  da  s.  David,  il  che 
era  già  avvenuto  ottant'  anni  cir- 
ca prima  dell'  arrivo  di  s.  Agosti- 
no in  Inghilterra.  Vedendo  quindi 
s.  Agostino  la  caparbietà  de'  bre- 
toni, dichiarò  loro  con  ispirito 
profetico,  che  se  essi  si  ricusavano 
di  predicare  agi'  inglesi  la  parola 
di  vita,  soggiacerebbero  per  le  lo- 
ro mani  ad  un  decreto  di  morte. 
La  qual  predizione  si  verificò  do- 
po la  sua  morte,  quando  Edilfrido 
o  Edetelfredo  re  degl'  inglesi  set- 
tentrionali, ancor  pagano,  disfece  i 
bretoni  nella  famosa  battaglia  di 
Chester,  ed  uccise  mille  e  duecen- 
to o  forse  duemila  duecento  mona- 
ci di  Bangor.  Questo  gran  nu- 
mero di  religiosi  scannati  non  deve 
sorprendere,  dappoiché  il  monistero 
di  Bangor  era  diviso  in  sette  clas- 
si, sotto  altrettanti  superiori,  ed 
ogni  classe  era  composta  di  tre- 
cento persone,  per  modo  che  quan- 
do gli  uni  lavoravano,  gli  altri 
cantavano  le  lodi  del  Signore. 
Qualche  autore  dubita  se  siano 
stati  uccisi  i  milleduecento  mona- 
ci, poiché  il  Beda  dice  che  al  loro 
numero  in  tale  circostanza  si  era- 
no uniti  degli  altri.  Sant'  Agostino 
volle  prima  di  morire  darsi  un 
successore  sulla  sede  di  Cantorbery, 
alììne  di  non  lasciare  una  chiesa 
nascente  priva  di  un  buon  pastore, 
e  pose  gli  occhi  sopra  Lorenzo. 
La  morte  beata  del  servo  di  Dio 
avvenne  ai  26  di    maggio,  e  forse 


ING  r9 

nell'  anno  604,  non  essendo  certa 
1'  epoca  in  cui  passò  nel  soggiorno 
della  gloria;  e  meritossi  il  titolo  di 
apostolo  dell'  Inghilterra.  Notere- 
mo che  questo  titolo  si  dà  dal 
Beda  anche  a  s.  Gregorio  I,  come 
si  può  vedere  nel  Breviario  roma- 
no a'  12  marzo,  lect.  2  noct.  Fu 
sepolto  nel  portico  della  chiesa  dei 
ss.  Pietro  e  Paolo  ,  non  essendo 
ancora  introdotto  1'  uso  di  seppel- 
lire nelle  chiese  le  persone  quali- 
ficate o  di  una  eminente  santità, 
e  nello  stesso  luogo  furono  tumu- 
lati i  sei  immediati  suoi  successori. 
Questi  sette  arcivescovi  avevano  sul 
loro  epitaffio  il  titolo  di  patriarchi 
d'  Inghilterra.  Dipoi  le  reliquie  di 
s.  Agostino  furono  trasferite  in  città 
e  deposte  nel  portico  della  catte- 
drale di  Cantorbery,  mentre  la 
sua  testa  nel  1221  fu  posta  in 
una  cassa  guernita  d'  oro  e  di  pie- 
tre preziose  ;  altre  ossa  furono 
chiuse  in'  una  tomba  di  marmo 
ornata  di  belle  sculture,  e  vi  ri- 
masero fino  alla  lagrimevole  de- 
molizione dei  monisteri  in  Inghil- 
terra. La  gratitudine  e  la  venera- 
zione aveano  reso  sacra  la  memo- 
ria di  s.  Agostino  presso  gì'  ingle- 
si ;  ma  la  calunnia  si  è  adoperata 
negli  ultimi  tempi  a  dare  di  lui 
un'  opinione  la  più  torta.  Contro 
di  lui  scrissero  le  più  amare  in- 
vettive e  con  astio  diversi  scrittori 
protestanti,  come  Rapin  di  Thoyras 
nella  sua  Storia,  V  arcivescovo  Par- 
ker, e  per  non  dire  di  altri  Smol- 
let  nella  sua  Storia  d' Inghilterra, 
di  cui  abbiamo  la  traduzione  di 
Targe,  le  cui  note  fanno  onore  al 
suo  sapere  ed  al  suo  pensare.  Ma 
dalla  Storia  ecclesiastica  di  Beda  si 
rileva  qual  fosse  la  fède  che  s. 
Agostino  e  i  suoi  cooperatori  re- 
carono in    Inghilterra,  come   dalle 


ao  ING  ING 

opere  di  s.  Gregorio  I  si  può  e-  nistero,  e  in  tutto  che  potesse  con- 
ziandio  rilevare.  E  inoltre  a  ve-  tribuire  alla  santifica/ione  delle  a- 
dersi  il  libro  eccellente  intitolato  :  nime  ;  essi  erano  animati  da  quel- 
La  conversione  d'  Inghilterra  e  la  lo  spirito  di  povertà  e  di  disinte- 
sua  riforma  paragonate  insieme.  resse,  che  avea  reso  ammirabili  i 
Ristabilita  in  tal  modo  la  reli-  loro  padri  nella  fede  ;  e  passarono 
gione  in  Inghilterra,  essa  fece  mag-  tutta  la  vita  loro  nella  mortifica- 
giori  progressi  successivamente  pei  zione'e  nel  raccoglimento,  siccome 
suoi  vescovi,  missionari,  e  principi  narrasi  nella  storia  di  Betla,  e 
pii.  Dovendoci  limitare  a  compen-  questo  fervore  durava  ancora  nel- 
diosi  cenni,  tanto  le  notizie  eccle-  1'  824.  Dicesi  nelle  visioni  di  Ve- 
siastiche  che  civili  riguardanti  que-  tino,  allora  monaco  di  Richenou, 
sta  illustre  e  possente  monarchia,  aver  egli  inteso  da  un  angelo,  che 
si  possono  leggere  in  questo  stes-  la  vita  monastica  fioriva  in  tutta 
so  Dizionario,  negli  articoli  delle  la  sua  perfezione  al  di  là  dal  ma- 
sedi  arcivescovili  e  vescovili  ancor-  re  ;  e  rispetto  a  questo  secolo,  ciò 
che  non  più  esistenti  o  non  go-  non  può  essere  inteso  che  per 
vernate  da  vescovi  cattolici;  in  1'  Inghilterra.  Si  possono  consulta- 
quelli  de'  luoghi  ove  furono  cele-  re  Canisio,  Lect.  antiq.;  Mabillon, 
hr&ti  concilii;  in  quelli  delle  bio-  Saec.  IV  Bened.;  Fleuiy  t.  X,  p. 
grafie  dei  santi  vescovi^  re,  abbati  220;  e  se  anco  si  volesse  sospet- 
di  questa  nazione,  ed  in  altri  arti-  tare  sulla  verità  di  questa  visione, 
coli  riguardanti  gl'inglesi  e  l'Inghil-  ne  risulterebbe  tuttavia,  che  i  re- 
terra;  laonde  qui  appresso  riportere-  ligiosi  inglesi  godevano  di  una 
eoo  delle  indicazioni  generali  degli  grande  riputazione  nel  IX  secolo, 
avvenimenti  e  cose  più  importan-  L'  ordine  monastico  produsse  in 
ti.  Molli  principi  di  questa  contra-  Inghilterra  assai  uomini  celebri  per 
da  illustrarono  i  secoli  in  cui  vis-  la  loro  santità  e  pel  loro  sapere  ; 
sero  colla  loro  santità,  e  con  tal  e  di  là  mossero  que'  zelanti  mis- 
forza  d'animo  che  fece  loro  sprez-  sionari,  che  predicarono  la  fede 
zare  le  grandezze  umane.  Speed  in  Germania,  nella  Svezia,  nella 
nella  sua  Storia  della  Gran  Bre-  Norvegia,  e  quasi  in  tutto  il  set- 
tagna,  a  p.  243  e  seg.  parla  di  ot-  lentrione.  Non  si  può  non  conce- 
to re  e  due  regine,  che  abbando-  pire  la  più  alta  idea  di  s.  Agosti- 
narono  il  mondo  per  abbracciare  no  e  de'  suoi  cooperatori,  dove  si 
lo  stato  religioso,  e  per  menare  esamini  il  prodigioso  cambiamento 
volontariamente  una  vita  povera  da  essi  operato  in  Inghilterra.  In 
ed  oscura  quale  era  la  monastica,  fatti,  prima  dell'  arrivo  di  questi 
Si  legge  nella  dotta  prefazione  del  santi  missionari,  gì'  inglesi  o  anglo- 
Monaslicon  p.  9,  che  nello  spazio  sassoni  erano  dati  ad  ogni  sorta 
di  duecento  anni  trentatre  re  e  di  vizi,  e  sepolti  nella  più  stupida 
regine  degli  anglo-sassoni  scesero  ignoranza  ;  di  che  è  prova,  che 
dal  trono  in  mezzo  alla  pace  e  al-  allora  quando  essi  sbarcarono  in 
la  prosperità,  per  andare  a  rischili-  Bretagna,  non  vi  si  conosceva  pure 
dersi  ne'  chiostri.  1  chierici  e  i  1'  uso  delle  lettere,  e  che  tutto  il 
monaci  di  que'  tempi  si  oecuparo-  loro  sapere  fino  al  tempo  di  s. 
no  cou  zelo  ucllc    funzioni  del  mi-  Agostino  era  nell'  aver  preso    1'  al- 


ING 
fàbeto  degP  irlandesi.  I  nortumbri, 
a  della  di  Guglielmo  di  Malmes- 
bury,  vendevano  per  ischiavi  i  lo- 
ro figliuoli,  ed  appunto  s.  Grego- 
rio I,  essendo  ancor  monaco,  fu 
acceso  in  cuore  da  un  gran  desi- 
derio di  convertire  1'  Inghilterra, 
per  aver  veduto  nel  foro  romano 
un  mercante  che  voleva  vendere 
due  giovanetti  inglesi  di  biondi 
capelli  e  di  bellissimo  aspetto,  che 
non  erano  cristiani.  Sembrandogli  es- 
si di  aspetto  angelico,  li  fece  collo- 
care in  monistero  per  esservi  am- 
maestrati nelle  verità  della  fede. 
Essendo  Papa  e  venuto  in  cogni- 
zione che  in  Francia  molti  inglesi 
fatti  prigioni  in  guerra  si  metteva- 
no in  vendita,  scrisse  a  Candido 
prete  che  avea  spedito  in  quel 
reame,  che  acquistasse  i  giovanetti 
che  non  superassero  1'  età  di  die- 
ciotlo  anni,  e  li  facesse  cristiana- 
mente allevare  ne'monisteri  prov- 
vedendoli del  necessario.  Ma  tosto 
the  il  lume  del  vangelo  sfavillò 
agli  occhi  degli  anglo-sassoni,  essi 
divennero  uomini  affatto  nuovi,  e 
veii  discepoli  del  Salvatore.  Stupe- 
fatti al  vedere  la  vita  angelica  che 
menavano  i  loro  apostoli,  essi  sen- 
tironsi  sospinti  ad  imitare  il  loro 
distaccamento  dal  mondo,  e  il  lo- 
ro zelo  nella  pratica  fino  dei  con- 
sigli evangelici.  I  nobili  ed  i  prin- 
cipi fabbricarono  chiese  e  moniste- 
ri,  e  li  dotarono  riccamente. 

Dopo  la  morte  del  santo  re  di 
Kent  o  Cantauria  Etelberto,  avve- 
nuta l'anno  616  circa,  con  gran 
danno  della  chiesa  gli  successe  il 
suo  figlio  Eadualdo  o  Eadbaldo 
che  avea  rifiutato  di  abbracciare  il 
cristianesimo,  e  contaminato  il  ta- 
lamo paterno  con  prendere  la  mo- 
glie del  genitore.  Per  le  quali  scel- 
leratezze molti    di  quelli  che  si  e- 


Ii\G 


21 


rano  convertiti  per  timore  del  re 
defunto,  tornarono  all'idolatria  ed 
abbandonarono  le  leggi  della  ca- 
stità. Morto  ancora  Sabereto  o  Se- 
berto  nipote  di  Etelberto  e  re  dei 
sassoni  orientali,  ì  suoi  tre  figliuo- 
li pagani  diedero  licenza  ai  sud- 
diti di  adorare  gì'  idoli:  Mellito  ve- 
scovo di  Londra,  Lorenzo  di  Ca,n- 
torbery,  e  Giusto  di  Rochester  fu- 
rono costretti  riparare  in  Francia. 
Mentre  era  sul  punto  di  partire 
Lorenzo,  nella  notte  precedente  gli 
comparve  il  priucipe  degli  aposto- 
li s.  Pietro,  e  battutolo  fortemen- 
te con  flagelli  lo  rimproverò  per- 
chè volesse  abbandonare  il  gregge 
a  lui  commesso,  e  l'incoraggi  a  sof- 
frire anche  il  martirio.  Nella  mat- 
tina Lorenzo  si  presentò  ad  Ea- 
dualdo, che  vedendolo  lacerato  gli 
domandò  chi  avesse  ciò  fatto,  ed 
udita  la  narrazione  dell'accaduto, 
fu  preso  da  timore,  e  lasciata  l'i- 
dolatria e  l'incestuoso  maritaggio, 
volle  essere  battezzato,  incominciò 
a  proteggere  la  chiesa  e  richiamò 
di  Francia  Mellito  e  Giusto  :  que- 
sti tornò  alla  sua  chiesa,  ma  Mel- 
lito non  fu  ricevuto  dai  londinesi. 
Intanto  Eduino  re  degli  angli  bo- 
reali sposò  nel  625  circa  Edel- 
burga  sorella  di  Eadualdo,  che 
professando  la  religione  cristiana,  si 
fece  seguire  dal  vescovo  Paolino 
già  mandato  in  Inghilterra  da  s. 
Gregorio  I,  perchè  il  re  non  es- 
sendo lontano  di  convertirsi  per- 
mise alla  regina  di  osservare  libe- 
ramente la  sua  religione.  Paolino 
non  solo  mantenne  in  questa  quel- 
li del  seguito  di  Edelburga,  ma 
si  adoperò  per  convertire  i  gentili. 
Le  quali  cose  avendo  sapute  il 
Pontefice  Bonifacio  V,  scrisse  una 
lettera  al  re  Eduino,  che  si  legge 
nel  Labbé,  Coutil,  t.  V,  col.  1660, 


aa  ING 

e  nel  Baronio  all'anno  6a5,  n.  io, 
esorlandolo  a  lasciare  l'idolatria,  e 
ad  abbracciare  il  culto  del  vero  Dio. 
Altra  lettera  il  Papa  scrisse  ad 
Edelburga,  lodandone  la  pietà  e  lo 
zelo  che  avea  pel  dilatamento  del- 
la fede,  invitandola  a  procurare  la 
conversione  del  marito.  Gli  eretici 
criticarono  Bonifacio  V.  per  aver 
detto  nella  lettera  al  re,  che  Cri- 
sto ci  avea  redento  dal  solo  pecca- 
to originale.  Ma  oltreché  non  si 
trova  in  tale  lettera  la  parola  solo, 
non  meriterebbe  rimprovero  an- 
corché vi  fosse,  perchè  con  quel* 
l'espressione  allro  non  avrebbe  vo- 
luto intendere,  se  non  che  l'origi- 
nale è  quello  per  la  cui  redenzio- 
ne principalmente  morì  il  Salvato- 
re, mentre  quel  peccato  è  il  solo 
comune  a  tutti  gli  uomini,  molti 
de'  quali,  siccome  tutti  i  bambi- 
ni ,  non  ne  hanno  altri ,  ciò  che 
osserva  il  Bellarmino,  De  Rom. 
Pont.  lib.  4i  cap.  io.  Nell'anno  se- 
guente Eduino  corse  pericolo  di 
essere  ucciso  per  uno  scherano 
mandato  per  ciò  da  Cuichelmo  re 
de'  sassoni  occidentali  :  un  fedele 
servo  colla  propria  vita  salvò  quel- 
la del  suo  re,  il  quale  però  ri- 
mase ferito.  Nella  notte  la  regina 
partorì  una  figliuola  senza  grave 
dolore,  per  cui  mentre  di  ciò  Pao- 
lino ringraziava  Dio,  il  re  fece  al- 
trettanto co'suoi  dei;  ma  per  l'esor- 
tazioni del  vescovo  promise  con- 
vertirsi quaudo  Dio  lo  avesse  rèso 
vincitore  di  chi  aveagli  insidiato 
la  vita,  e  si  fosse  persuaso  della 
religione  cattolica.  Riportò  vittoria 
su  Cuichelmo,  e  riuscì  a  Paolino 
di  battezzare  Eduino,  i  primari  del 
regno  ed  il  pontefice  gentile  Cuillì 
o  Coirti.  11  re  edificò  una  chiesa  in 
onore  di  san  Pietro,  ed  i  suoi 
figliuoli    ricevettero    il    santo  lava- 


ING 

ero.  Pieno  di  fervore  Eduino  in- 
dusse Carpualdo  re  degli  angli  o- 
rientaìi  figlio  di  Redwaldo  a  la- 
sciare col  suo  regno  l'idolatria,  ed 
a  convertirsi  al  cristianesimo:  dopo 
la  sua  morte  il  fratello  Siberto  re 
di  eccellente  dottrina  e  cristianissi- 
mo, dilatò  la  fede  per  opera  del 
vescovo  Felice. 

Nel  633  il  re  Eduino  mandò 
un'  ambasceria  al  Papa  Onorio  F, 
chiedendogli  il  pallio  per  Paolino 
arcivescovo  di  York  e  per  Onorio 
arcivescovo  Dorovernense  o  di  Can- 
torbery  :  il  Pontefice  l'esaudì  ed 
esortollo  a  perseverare  nella  re- 
ligione cattolica.  Però  nell'  istesso 
anno  mosse  guerra  ad  Eduino  il 
re  de' bretoni  Ceadvvalla  o  Card- 
wella cristiano  crudele,  aiutato  da 
Penda  valoroso  re  di  Mercia  e  pa- 
gano :  Eduino  perdette  la  battaglia 
con  strage  de'  suoi  e  la  vita,  che 
pure  perderono  i  suoi  figliuoli,  on- 
de 1'  arcivescovo  Paolino  con  altri 
figliuoli  e  la  vedova  Edelburga  si 
rifugiarono  presso  il  fratello  Ea- 
dualdo.  Inoltre  Cardwella  uccise 
pure  i  successori  d'Eduino,  Ofrico 
o  Osrico,  ed  Eanfrido  ;  ma  Oswal- 
do santissimo  re  di  Northumber- 
land  o  di  York,  con  piccola  armata 
vinse  ed  uccise  il  tiranno  e  potente 
Cardwella,  e  ciò  per  le  orazioni 
del  pio  vincitore,  che  tutto  s'im- 
piegò a  mézzo  del  vescovo  Aidano 
a  dilatare  la  fede.  Alcuni  dubitano 
che  Ceadwalla  sia  stato  cristiano. 
Nell'anno  653  ampiamente  si  dif- 
fuse il  cristianesimo  nell'  Inghilter- 
ra, giacché  i  popoli  middleangles 
o  angli  mediterranei,  insieme  col 
loro  re  Penda  figlio  di  Penda  re 
di  Mercia,  divennero  cristiani,  aven- 
do posto  questa  condizione  il  san- 
to re  de'  northumbri  Osvvi  o  O- 
swino,  nel  concedere  a  Penda  per 


ING 

moglie  la  propria  figlia  Aleffeda. 
Nel  655  il  regno  di  Merda  si 
convertì  alla  fede  interamente,  e 
sempre  più  in  ogni  cosa  fiorì  nel- 
l'isola, come  ancora  lo  studio  del- 
le sacre  lettere  e  del  canto  eccle- 
siastico, il  quale  conoscendosi  solo 
nel  reguo  di  Kent,  cominciarono 
ad  impararlo  tutte  le  chiese,  aven- 
do il  Papa  s.  Vitaliauo  spedito  nel- 
l' Inghilterra  Teodoro  ed  Adriano. 
Nel  679  si  portò  in  Roma  l'abbate 
Biscopo  cognominato  Benedetto,  per 
ottenere  dal  Pontefice  s.  Agato- 
ne l'esenzione  al  suo  monistero,  e 
perchè  in  esso  s' insegnasse  il  can- 
to ecclesiastico  romano,  usato  nella 
basilica  di  s.  Pietro  ;  al  quale  ef- 
fetto il  Papa  spedì  in  Inghilterra 
Giovanni  arcicantore  di  tal  basili- 
ca ed  abbate  di  s.  Martino  per 
impararlo  agli  altri  monisteri  ;  ed 
in  oltre  l'incaricò  di  esaminare  la 
fede  della  chiesa  anglicana  intorno 
delle  volontà  e  delle  operazioni  di 
Cristo,  e  fu  trovata  cattolica  ed 
inviolata.  Nell'anno  681  nell'In- 
ghilterra fu  grande  fame  e  pesti- 
lenza, e  s.  "VYilfrido  arcivescovo  di 
York,  dopo  essere  stato  in  Roma, 
trovando  la  sua  sede  usurpata  si 
die  a  predicar  l'evangelo  ai  sasso- 
ni australi  tuttora  infedeli,  e  li  re- 
se cristiani.  JVel  684  Egfrido  re 
de'  northumbri  operò  gran  guasto 
nel  paese  d'ibernia,  non  perdonan- 
do all'  innocente  popolo  ,  né  alle 
chiese  e  monisteri  ;  ma  portando 
poscia  il  suo  esercito  a  danno  dei 
pitti  contro  il  consiglio  del  vescovo 
Cutberto  nel  6S5,  fu  ammazzato 
con  parte  de'  suoi ,  e  d'  indi  in- 
nanzi cominciò  a  scadere  il  resno 
e  potenza  degli  anglo-sassoni,  met- 
tendosi in  libertà  i  pitti  e  parte 
de'  bretoni.  Nel  pontificato  di  s. 
Sergio    I  si    portò    in  Roma    nel 


ING  23 

689  Ceadwalla  santo  re  de'bre- 
toni  o  de'  sassoni  occidentali  per 
averli  vinti ,  avendo  regnato  con 
sommo  valore.  Vi  si  recò  in  pio 
pellegrinaggio  siccome  bramoso  di 
ricevere  il  santo  lavacro  in  s.  Pie- 
tro, colla  speranza  che  così  mon- 
do potesse  passare  agli  eterni  gau- 
di. ?«è  vano  tornò  il  suo  propo- 
nimento. Il  Papa  Io  battezzò  nel 
sabbato  santo,  gì'  impose  il  nome 
di  Pietro,  e  venendo  poco  dopo 
a  morte  lo  fece  seppellire  nella 
basilica,  in  premio  del  lungo  cam- 
mino fatto  a  causa  di  religione. 
Il  Pontefice  fece  porre  nel  suo 
sepolcro  onorevole  epitaffio.  Narra 
Beda,  che  d'  allora  in  poi  molli 
inglesi  d'ogni  rango  e  condizione 
incominciarono  i  sacri  pellegrinag- 
gi a  Roma  per  riconoscere  la  loro 
madre  da  cui  erano  stati  generati 
spiritualmeute,  e  per  venerare  i 
sacri  limini  o  tombe  de'principi  de- 
gli apostoli. 

Racconta  Beda  lib.  5,  cap.  20, 
che  nell'anno  709  Coenredo  re  di 
Merda,  ed  Offa  re  de'  sassoni  o- 
rientali,  avendo  solennemente  ri- 
nunziato ai  loro  regni,  si  portaro- 
no in  Roma  per  cambiare  la  co- 
rona reale  coli' abito  monastico,  e 
furono  ricevuti  con  estrema  tene- 
rezza dal  Papa  Costantino,  che  ve- 
stito pontificalmente  all'  altare  dei 
ss.  Apostoli  nella  basilica  vaticana 
li  consacrò  a  Dio  nella  professione 
monastica.  Scrive  ilNovaes  che  nel 
pontificato  di  s.  Gregorio  II  termi- 
nò lo  scisma  o  meglio  la  differenza 
d'Inghilterra  o  dei  bretoni  che  dura- 
va da  centocinquaut'anni,  sopra  il 
celebrar  la  Pasqua  nella  XIV  luna. 
Ina  re  di  YVessex  o  de'sassoni  oc- 
cidentali, dopo  di  avere  regnato 
trentadue  anni  con  molta  gloria, 
e   assodata    la    tranquillità   ne'suoi 


a4  ING 

stati  con  emanare  un  codice  di 
leggi  piene  di  saviezza,v  pubblicale 
da  Spelman,  Conc.  t.  I,  e  cbe  fu- 
rono le  prime  promulgate  da  al- 
cun monarca  sassone  nella  Breta- 
gna, volle  abdicare  alla  corona  e 
ritirarsi  in  Roma  colla  sua  sposa 
Edilburga.  Egli  fu  talmente  gene- 
roso e  pio,  che  diede  2640  libbre 
d'argento  per  fare  una  cappella  a 
Glastonbury  ;  264  libbre  d'oro 
per  l'altare;  il  calice  e  la  pa- 
tena d'  oro  massiccio  pesavano 
dieci  libbre;  l'incensiere,  fatto  del- 
la stessa  materia  ,  otto  libbre  e 
venti  marchi;  dodici  libbre  d'ar- 
gento furono  impiegate  pei  can- 
dellieri  ;  venti  libbre  e  quaranta 
marchi  d'  oro  per  la  coperta  del 
libro  degli  evangeli  ;  dieciselle  lib- 
bre d'oro  per  li  vasi  che  serviva- 
no all'altare,  e  otto  libbre  dello 
stesso  metallo  per  gli  stessi  bacili  ; 
la  pila  dell'acqua  santa,  tutta  di 
argento,  pesava  venti  libbre;  fu- 
rono adoperate  175  libbre  di  ar- 
gento ,  e  trentotto  d'  oro  per  le 
immagini  del  Salvatore  e  della  Bea- 
ta Vergine,  e  dei  dodici  apostoli  ; 
1'  altare  e  gli  abiti  sacerdotali  li 
fece  guarnire  d'  oro  e  di  gemme. 
Al  dire  di  Beda  lib.  5,  cap.  7,  il 
re  Ina  si  portò  in  Roma  nel  72? 
sotto  s.  Gregorio  II,  per  venerare 
la  tomba  del  principe  degli  apo- 
stoli, e  non  per  farvi  sfoggio  di 
sua  reale  dignità,  ma  per  quivi 
nasconderla  agli  occhi  del  moudo, 
e  colla  regina  sua  moglie  abbrac- 
ciarvi la  vita  monastica.  Prima  di 
rinunziare  nel  728  al  suo  regno, 
volle  renderlo  tributario  al  romano 
Pontefice,  obbligando  sé  medesimo 
e  i  successori  suoi  di  contribuir 
alle  chiese  di  Pioma  ogni  anno 
un  denaro  di  argento,  che  doveva 
riscuotersi  da  ogni  casa  del  reame, 


ING 

il  quale  fu  detto  moneta  d'  ogni 
fuoco,  dagli  inglesi  Romescol  o 
Rome-  Scot ,  o  St.  Peter  s  pence, 
e  dai  romani,  Denaro  di  s.  Pietro 
[Fedì).  Il  Marangoni,  Delle  cose 
gentilesche  p.  4*5,  racconta,  che  il 
re  s.  Ina  avendo  eretto  una  chiesa 
magnifica  ai  ss.  Pietro  e  Paolo, 
fece  porvi  nel  frontespizio  cinquan- 
tasei versi,  ne'  quali  si  nomina 
fondatore.  Si  riportano  questi  dal 
Bollando  nel  commentario  istorico 
di  questo  santo  nel  tom.  II  di 
gennaio,  p.  906.  Abbiamo  dal  Ri- 
naldi all'  anno  74°»  cne  s.  Boni- 
facio apostolo  della  Germania  scri- 
vendo al  novello  arcivescovo  Do- 
rovernense,  procurò  rimediare  ad 
un  disordine  grande,  coli'  invita- 
re il  concilio  de' vescovi  e  dei  prin- 
cipi inglesi  a  proibire  alle  don- 
ne inglesi  di  portarsi  in  pellegri- 
naggio a  Roma,  dappoiché  v'era- 
no pochissime  città  della  Lombar- 
dia, della  Francia  e  della  Gallia 
che  non  avessero  alcune  femmine 
di  mondo  inglesi,  quod  scandalum 
est,  et  turpi  ludo  tolius  ecclesiae 
veslrae.  Aggiunge  il  Rinaldi ,  a 
quanto  abbiamo  narrato  di  Ina, 
che  questi  col  fare  tributario  il  re- 
gno a  san  Pietro,  in  tal  guisa 
s'  ingegnò  obbligare  il  suo  popolo 
a  conoscere  d'  essere  suddito  al- 
l' istesso  principe  degli  apostoli,  e 
a  venerarlo  come  suo  signore;  e 
che  il  tributo  riscuotevasi  nel- 
1'  Inghilterra  dai  questori  o  collet- 
tori pontificii,  1'  ultimo  de'  quali 
fu  Polidoro  Virgilio,  il  quale  con 
somma  lode  scrisse  le  cose  degli 
inglesi. 

Offa  re  di  Mercia  s'impadronì 
del  regno  di  Kent,  nel  777  battè 
il  popolo  e  CyueAvulf  re  di  Wessex 
presso  Oxford;  ed  iuvase  altresì  il 
regno  di   Estanglia  o   sia  degli  an- 


ING 

gli  dell'est,  con    trucidare  a  tradi- 
mento il  re  Etelberto  che  si  era  por- 
tato da    lui  a    chiedergli  in  isposa 
la   figlia  Etheldrida   che  altri  chia- 
mano Alfreda.  Questo  monarca  eb- 
be    intime     relazioni     di     amicizia 
con  Carlo  Magno,   e  mandogli  Al- 
cinoo   sacerdote    inglese    e    celebre 
letterato  di  quei  tempi,  il  quale  po- 
scia divenne  il    precettore    di  quel 
grande  imperatore.  11  regno  di  Of- 
fa   era  composto    delle    contee    di 
Hereford,  di  "Worcester,  di  Glouce- 
ster,    di    Warwick,    di    Derby,    di 
Chester,  di  Salop,    di  Nottingham, 
di  Norlhampton,  di  Oxford,  di  Bu- 
ckingham,  di   Leicester,  di  Bedford, 
di   Hunlingdon,    di  Cambridge,  di 
Norfolk,  di    Suffblk,    di    Essex,    di 
Middlesex    e  della    metà  di  quella 
di  Ilertford.   Verso    il    fine    di  sua 
vita,   Olla  si  pentì    del   male   fatto, 
e  dedicossi    interamente    alla   divo- 
zione. Conferì    ricchi    donativi  alle 
chiese,    ed    essendo    stata    distrutta 
quella  di  s.  Albano  ne  fondò  uu'  al- 
tra con    amnisterò    cui    donò  beni 
considerabili,  e  poscia  esentò  le  ter- 
re dell'abbazia  dalla  lassa  chiama- 
ta denaro  di  s.    Pietro.  Quindi  nel 
793,  anno   trentesimoterzo  del  suo 
regno,  e  nel  pontificato  di  Adriano 
I,  come  si  legge  nella  vita   di  que- 
sto Papa,  in  penitenza  de'suoi  gravi 
falli    intraprese  a  titolo  di  religio- 
ne il  viaggio  di    Pioina,    per  quivi 
rendere  omaggio  al  sepolcro  dei  ss. 
Pietro  e  Paolo  ed  al  vicario  di  Gesù. 
Cristo.   11  Pontefice    lo  accolse  con 
paterna  tenerezza  e  distinzione,  ed  il 
re  oltre  il  confermare  il  suo  regno 
tributario  alla  Sede  apostolica,  cou 
reale  munificenza   accrebbe  le  reu- 
dite della  scuola  pei    pellegrini   in- 
glesi già  fondata    in  Roma   dal  re 
Ina,  la  quale  soggiacque  ad  incendi 
nell'817  e  ucU't>47,  e  pmieipulmeu- 


ING  a5 

te  nel  1  1  ro  per  opera  di  Enrico  V 
imperatore;  e  siccome  Federico  I  nel 
Ii5y  gli    recò  l'ultimo  esterminio, 
con   pontificia    magnificenza  fu  poi 
da   lnuocenzo  III  convertita  nel  fa- 
moso Ospedale  di  s.   Spirito  iti  Sa- 
xia  (Fedi).    Altri   negano  la  gita 
di  Olla  in  Roma;  altri  invece  di- 
cono che  OlFa  fondò  in  Roma  un 
collegio  per  l'istruzione  dei  giovani 
inglesi  che  volessero  andarvi  ad  i- 
studiare;    ed    impose    aneli  egli    ai 
suoi  sudditi,  cioè  ad  ogni   famiglia, 
un  annuo  tributo  di  un  soldo  d'ar- 
gento   inglese    o    peuny    per    ogni 
casa.   Questa    imposizione  fu  posta 
in  seguito  anche    dagli  altri  re  del- 
l'eptarchia  sui   loro    vassalli  ;  e  sic- 
come   alcuni    attribuirono  ad     Of- 
fa e  non    ad    Ina    l'istituzione    del 
denaro  di  s.  Pietro ,  una  parte  del 
quale  doveva    servire  per   tenere  in 
vigore  l'istituzione    in    R.orna  della 
scuola  o  collegio  degli  anglo-sasso- 
ni, sembra  potersi  spiegare,  che  Ina 
impose  il  tributo    al  suo    regno  di 
WcfSCXj  ed   Offa  a  quello  di   -Aler- 
cia  ed  agli  altri    da   lui  conquista- 
ti. Sulla  discrepanza  della  fondazio- 
ne della  Schola  Saxonum,  di  cui  pu- 
re parlammo  all'articolo  Chiesa  di 
s.  Pietro  di  \  atic.oo   presso  di  cui 
fu  eretta,  all'articolo  Citta'  Leom- 
wa   ed  in  altri,  ne    accorda  le  opi- 
nioni Francesco  Pagi   uà  vita  Ha- 
driaui  I,  num.  56,  affermando  che 
Ina    sia   stato    il   primo    fondatore, 
e  successivamente    Offa    l'abbia  ri- 
staurata  ed  accresciuta.  Certo  è  che 
nel    collegio    e    chiesa  di  s.  Maria 
fino    dalla  loro    fondazione  fu    de- 
terminato   che    vi    si    ricevessero    i 
pellegrini  nazionali,  ed  a  tumularli 
decentemente  qualora  in  quella  a- 
bitazioue  accadesse    la  loro  norie, 
11  vocabolo  di   Schola  Saxonum  di 
cui  là   menzione  s.   Leone  IX  nel- 


26  ING 

la  sua  bolla  registrata  nel  t.  I,  p. 

a3  del  bollano  Vaticano,  indica 
bastantemente  che  in  questo  luo- 
go si  trovassero  alcuni  chierici , 
i  quali  non  solo  erano  istruiti  nei 
riti  e  costumanze  d<  Ila  romana  chie- 
sa, ma  inoltre  erano  tenuti  a  pre- 
stare un  caritativo  trattenimento  ai 
forestieri  che  dalla  parte  dell'Inghil- 
terre e  Bretagna  accorrevano  rive- 
renti a  visitare  i  sacri  Limini  de- 
gli a  pò  fio  li  (  Pedi). 

Il  giovane  Egherto  o  Ecberlo  le- 
gittimo erede  del  regno  di  Wessex 
de'  sassoni  occidentali,  temendo  le 
insidie  di  Britricco  che  aveva  usur- 
pato il  trono,  ritirossi  in  Francia  e 
fu  educato  alla  corte  di  Carlo  Ma- 
gno. Scrive  Guglielmo  di  Malmes- 
bury  lib.  II,  cap.  i  i,  che  i  francesi 
eccedevano  tutte  le  altre  nazioni 
d'occidente  in  talora,  in  coltura  ed 
in  civiltà,  per  cui  da  loro  apprese 
Egherto  ad  ammansare  la  rozzezza 
de'costumi  sassoni.  Egli  militò  con 
molta  gloria  nelle  armate  di  Car- 
lo Magno,  e  dopo  la  morte  di  Bri- 
trieco  suo  competitore,  avvenuta  nel- 
1' 800,  ritornò  in  Inghilterra  ed  a- 
scese  sul  trono  de'suoi  antenati.  Al- 
la sua  esaltazione  trovò  che  qua- 
si tutte  le  famiglie  reali  delle  altre 
monarchie  dell'  diarchia  sassone  e- 
rano  estuile,  e  tutti  quegli  stali  e- 
rano  agitati  da  partiti  di  vari  com- 
petitori che  gareggiavano  per  ot- 
tenere la  cotona.  Egherto,  che  van- 
tavasi  essere  il  solo  discendente  di 
Cerdtcco  fondatore  del  regno  di 
Vessex,  e  faceva  ascendere  la  sua 
genealogia  sino  a  YVoden,  colse 
profitto  da  queste  politiche  convul- 
sioni, e  postosi  alla  testa  di  un  e- 
sercito,  dopo  una  lunga  serie  di 
battaglie  ed  una  varietà  di  avveni- 
menti militari,  assoggettò  ad  uno  ad 
uno  gli    altri    regni    dell'  ettarchia, 


ING 

ed  inlitolossi  re  di  tutta  l'isola  nel- 
1*827,  la  quale  verso  questa  epoca 
prese  il  nome  di  Angleland,  da  cui 
derivò  il  nome  d' Inglullerra  o  ter- 
ra degli  Angli:  dipoi  col  volger 
dei  secoli  tornò  in  uso  l'antico  no- 
me di  Bretagna  e  di  Gran  Breta- 
gna. Così  finì  l'ettarchia  sassone, 
dopo  circa  quattro  secoli  di  durala, 
calcolando  dall'anno  4^o  in  cui  ap- 
prodò nell'isola  il  primo  corpodi  sas- 
soni sotto  la  condotta  d'Engistoed 
Orsa  Alcuni  però  pretendono,  comesi 
disse,  che  il  paese  di  Bretagna  abbia 
ricevuto  prima  la  denominazione  di 
Inghilterra  e  sino  dallo  stabilimen- 
to del  settimo  regno  sassone  del- 
l' ettarchia  verso  il  fine  del  IV 
secolo  II  regno  di  Mercia  continuò 
ad  essere  governato  da  un  capo 
che  conservò  il  titolo  di  re  fino  all'e- 
poca di  Alfredo  il  Grande,  ma  che 
fu  sempre  ligio  e  tributario  d'Eg- 
berto  e  de'suoi  successori.  Termi- 
nate le  oscillazioni  inseparabili  da 
un  paese  diviso  in  piccoli  stati,  ed 
effettuata  la  riunione  delle  sette 
monarchie  sassoni  in  una  sola,  l'In- 
ghilterra lusingava»  ormai  di  go- 
dere in  avvenire  d'una  pace  per- 
manente, e  di  una  solida  prospe- 
rità. Scorsi  pochi  anni  dopo  l'esal- 
tamento di  Egherto ,  uno  sciame 
di  barbari  sbucati  dal  fondo  dilla 
Danimarca,  l'antica  Scandinavia,  che 
non  trovando  risorse  nello  sterile 
loro  suolo  ed  esercitando  la  pira- 
teria vivevano  di  rapine  e  di  stra- 
gi, si  diedero  ad  infestare  le  co- 
ste d' Inghilterra  e  devastarono  or- 
ribilmente la  provincia  di  Northura- 
berland  sui  confini  di  Scozia,  e 
fra  quelli  che  assassinarono  vi  fu 
il  martire  s.  Alcmondo  figlio  di 
Elredo  e  fratello  di  Osredo  re  di 
Northunftbria.  Egherto  andò  vigo- 
rosamente ad  attaccarli  e  gli  scou- 


I  X  G 
fìsse  nelle  sanguinose  battaglie  di 
Charmouth  e  di  EngisdoAvn.  Ot- 
tenute queste  due  vittorie,  e  me- 
ritatosi il  nome  di  Grande,  morì 
nell'  838  lasciando  la  corona  ad 
Etelvolfo  suo  figlio.  Va  avvertito 
che  diversi  storici  narrano,  che  do- 
po che  le  truppe  di  Egberto  era- 
no state  vinte  a  Dartmoulh,  i  da- 
nesi si  unirono  ai  britanni,  e  poi 
essi  furono  superati  a  Hengstone- 
Hill  nell'835,  e  l'anno  dopo  morì 
Egberto.  Perciò  le  battaglie  di 
Charmouth  e  di  Engisdowu  non 
sembrano  vere.  Sotto  il  regno  di 
Etelvolfo  i  danesi  fecero  nuovi  pro- 
gressi: il  re  li  pose  in  fuga  sulle 
pianure  di  Okelcy  che  allagò  del 
loro  sangue  ;  ma  i  barbari  quan- 
tunque abbattuti,  risorsero  tosto 
con  nuova  vita  e  vigore.  Sbalor- 
dito  Etelvolfo  dell'  ostinato  furore 
cou  cui  i  barbari  ripetevano  le  lo- 
ro incursioni,  e  considerandole  co- 
me un  visibile  castigo  del  cielo, 
procurò  placar  l'ira  divina  con  in- 
traprendere un  pellegrinaggio  a 
Roma,  e  vi  condusse  seco  Alfredo, 
il  minore  de'suoi  quattro  figli,  il 
quale  usciva  appena  dal  primo  lu- 
stro di  sua  età,  ed  ivi  lo  lasciò 
per  compiere  la  sua  educazione. 

Andrea  Arnaldo  nella  sua  ope- 
ra: Denarius  s.  Pelri  d ispida  ti o- 
nes  hist.  theol.  exposilae,  Noriin- 
beigae  1679,  mce  cne  Etelulfo  o 
Etelvolfo  portatosi  in  Roma  nel- 
1846  o  847  si  fece  confermare  il 
titolo  di  re  d'Inghilterra  da  san 
Leone  IV,  rendendo  i  suoi  regni 
tributari  alla  santa  Sede,  e  che 
questo  censo  e  religioso  tributo 
continuò  sino  al  tempo  di  Enrico 
Vili.  Di  ciò  con  l'autorità  di  altri 
scrittori  ne  parlammo  pure  al  ci- 
tato articolo  Denaro  di  s.  Pietro. 
li  Rinaldi  al  detto  anno  narra  al- 


ING  27 

trettanto,  ed  aggiunge  che  il  re  si 
recò  a  Roma  per  voto,  ricevuto 
con  paternali  accoglienze  dal  Papa; 
che  fece  tributaria  alla  Chiesa  ro- 
mana quella  parte  dell'isola  che 
avea  conquistata  il  padre,  deter- 
minando che  quelli  de'suoi  sud- 
diti che  dalle  proprie  possessioni 
ricavavano  trenta  denari  o  posse- 
devano più  case,  dassero  ciascuno 
al  Pontefice  un  denaro  nella  festa 
dei  principi  degli  apostoli  o  al  più 
lungo  in  quella  di  s.  Pietro  in  vin- 
cuhs.  Dice  ancora  che  rifece  la 
scuola  de'sassoni  consumala  da  un 
incendio,  e  che  autori  della  sua  vi- 
ta lodevolissima  furono  Suituno  e 
Adel.xlano,  uomini  di  eccellente  san- 
tità. Abbiamo  dal  Torrigio,  Le  sa- 
ere grotte  vaticane  p.  188,  che  nel 
pontificato  di  benedetto  III  suc- 
cessore di  s.  Leone  IV,  essendo 
venuti  molti  da  Inghilterra  a  Ro- 
ma, olir  irono  una  tavola  di  ar- 
gento all'oratorio  di  s.  Gregorio  I 
Papa.  Ritornato  Etelvolfo  in  Inghil- 
terra, in  favore  del  clero  pel  pri- 
mo Stabilì  nell'isola  l'uso  di  pagar 
le  decime,  ordinando  che  ciascuno 
de'suoi  vassalli  dovesse  contribui- 
re al  clero  la  decima  parte  delle 
produzioni  della  terra  o  del  lóro 
valore.  Indi  si  vide  costretto,  per 
evitare  una  guerra  civile,  a  di\i- 
dere  lo  scettro  con  Etelbaldo  suo 
figlio  maggiore.  Morendo  poi  nel- 
T857,  o  meglio  neh'  858,  lasciò  ad 
Etelbaldo  la  metà  del  regno,  e  l'al- 
tra metà  ad  Etelberto  suo  secondo- 
genito. Etelbaldo  sfrenato  nella  dis- 
solutezza sposò  Giuditta  sua  ma- 
trigna ,  e  morì  nell'860  :  restò  solo 
Etelberto  a  regnare,  che  dopo  sei 
anni  di  regno,  passali  in  continua 
lotta  coi  danesi,  morendo  uell'86li 
lasciò  la  corona  al  suo  terzo  fra- 
tello   Elehedo  1   in  preferenza    ai 


i8  ING 

propri  figli,  per  obbedire  alle  pre- 
scrizioni del  testamento  paterno.  In- 
darno questo  valoroso  monarca,  se- 
guendo le  orme  del  suo  predeces- 
sore, tentò  di  risvegliare  il  corag- 
gio de'sudditi,  onde  porre  argine  al- 
le devastazioni  de'ladroni  del  nord, 
i  quali  guadagnando  sempre  terre- 
no, dominavano  col  saccheggio,  le 
depredazioni  e  la  schiavitù  le  pro- 
vince marittime  d'Inghilterra.  Do- 
po diverse  battaglie  Etelredo  fe- 
rito nella  battaglia  di  Morton  mo- 
rì passati  pochi  giorni  nell'  anno 
871.  I  danesi  vincitori  nell'anno 
precedente  aveano  distrutto  i  tre 
inonisleri  di  monaci  Bardeuy,  Croy- 
laod  e  Medeshamstedc,  ed  un  altro 
di   monache   nell'isola  di  Ely. 

Nella  generale  desolazione  Alfredo 
il  Grande  quarto  (ìglio  di  Etelvob 
lo,  e  fratello  de'tre  precedenti  mo- 
narchi, prese  le  redini  dell'agitato 
reame,  e  portatosi  in  Roma  fu  co- 
ronato dal  Pontefice  Adriano  II, 
come  si  ha  da  Polidoro  Virgilio, 
Ilistor.  Augi.  lib.  5,  p.  1 3  1 .  Altri 
però  affermano  che  Alfredo  era 
stato  consecrato  e  coronato  re,  non 
che  cresimato  da  s.  Leone  IV  nel- 
l'fi  54*  Questo  eroe  con  dodici  bat- 
taglie campali  costrinse  i  danesi 
alla  pace,  con  giuramento  di  e- 
vacuar  le  provincie  occupate;  ma 
essi  ricevuti  nuovi  rinfòrzi  inon- 
darono colle  armi  le  medesime. 
Gli  abitanti  credendosi  abbando- 
nati dal  cielo  si  diedero  alla  fu- 
ga, ed  Alfredo  I  senza  forze  si  vi- 
de costretto  rifugiarsi  vestito  da 
contadino  per  evitare  la  morte , 
da  un  pastore  di  Somerset.  Nelle 
foreste  di  questa  provincia  alcuni 
gentiluomini  inglesi  fedeli  al  re, 
raccolti  i  fuggitivi,  riuscirono  a  di- 
sperdere parecchi  corpi  danesi.  Po- 
co    appresso    Oduu    assedialo    nel 


ING 

castello  di  Kymvith  nel  principato 
di  Galles,  con  vigorosa  sortita  tru- 
cidò infinito  numero  di  nemici,  tra 
quali  Ubba  comandante  principale 
de'  danesi  ;  strappò  loro  il  famoso 
vessillo  incantato  e  misterioso,  ap- 
pellato rertfon  o  vessillo  del  corvo, 
e  sul  quale  superstiziosamente  po- 
nevano gran  fiducia  ,  e  co'  suoi 
guerrieri  andò  ad  unirsi  ai  con- 
nazionali nelle  campagne  di  So- 
merset. Allora  Alfredo  I  uscì  dal 
suo  ritiro,  travestito  da  suonatore 
d'arpa  vuoisi  che  visitasse  il  cam- 
po danese  per  spiarne  la  posizione, 
i  difetti  e  le  forze;  e  postosi  alla 
testa  de'suoi,  non  solo  compiuta- 
mente sconfisse  il  nemico  sulle  mon- 
tagne di  Ethandune  presso  Eding- 
ton,  ma  lo  costrinse  ad  abbandonar 
il  paese  ed  imbarcarsi  sul  proprio 
navile.  In  questa  occasione  Gothrun 
principe  danese  ed  alcuni  del  suo 
seguito  abbracciarono  il  cristiane- 
simo, per  cui  il  generoso  monarca 
permise  ai  convertiti  stabilirsi  nelle 
provincie  di  Estanglia  e  di  Nor- 
thumbei  land.  Conchiusa  la  pace, 
Alfredo  I  impiegossi  con  ogni  stu- 
dio ad  ingentilire  il  suo  regno  col- 
le scienze  e  colle  arti,  come  l'a- 
vea  difeso  colle  armi.  Questo  prin- 
cipe estendo  slato  educato  in  Ro- 
ma sotto  la  direzione  de'  più  insi- 
gni dotti,  avea  studiato  i  classici 
greci  e  latini  che  gli  raffinarono 
la  mente  in  un'epoca  hi  cui  v'era 
appena  alcuno  in  Inghilterra  che 
sapesse  tanto  di  latino  da  tradur- 
re le  preghiere  della  chiesa.  La 
mancanza  di  dottrina  in  Inghilter- 
ra veniva  dalla  distruzione  dei 
monisteri,  durante  l'incursione  dei 
danesi.  Quanto  ad  Alfredo  I  non 
si  ammette  dai  critici  che  avesse  stu- 
dialo il  latino  in  Roma,  poiché  solo 
nell'  anno  treutesimonono  di  sua  età 


1NG 

cominciò    a  studiare    la   letteratura 
romana.    Anzioso    d'introdurre     il 
gusto  delle  lettere    nel  suo   regno, 
invitò    presso    di  sé    i  più    celebri 
letterati  d'Europa,  fece  copiare  mol- 
ti  libri    della    biblioteca  della  san- 
ta Sede,  indi  fondò    l'università  dì 
Oxford  ;  compilò  un  codice  di  leg- 
gi, fece    costruire    una    marina    di 
guerra  per  tenere  i  danesi  in    sog- 
gezione, riedificò  le  città  die  i  bar- 
bari   aveano     rovinale;     animò    le 
arti,  il    commercio  e  l'agricoltura, 
e  fece  parecchi   utili  stabilimenti,  i 
quali     contribuirono    non    poco  ad 
incivilire    la    sua    nazione.    Questo 
principe  ristabilì   l' ordine  con  una 
nuova  divisione  del    regno    in  con- 
tee ;    rese  i    cittadini     vigilanti     gli 
uni  sugli    altri,  e  stabilì  dei  giura- 
ti e  f  assemblea  annuale  de'mem- 
bri    i    più    distinti    della    nazione. 
Sotto  il  suo  regno  gì'  inglesi  inco- 
minciarono   a    percorrere    i    mari, 
spingendo    le  navi  ad    Alessandria, 
donde  attraversando  l'istmo  di  Suez 
die  luogo  a  trafficare  colla  Persia, 
e    pel    primo    osò    inviare    un  va- 
scello per  trovare  un  passaggio  al- 
le   Iudie    dal    nord    dell'Europa  e 
dell'Asia,  e  tentar  il  passaggio  del 
polo  ;  per    lo    che    può    chiamarsi 
anco    il    fondatore    della    colossale 
marina    dell'  Inghilterra.   Alfredo  I 
fece  pure  fiorire  la  chiesa  anglica- 
na in   più  modi  :  il  Papa  Marino  I 
o    Martino    li    neh'  883    a  di  lui 
preghiere  liberò  dal  tributo  la  scuo- 
la degl'inglesi    in    Roma,    e    tra  i 
donativi  che    spedì    al    principe  vi 
fu  una  parte  non  piccola  della  ss. 
Croce.  Grato  Alfredo  I  a  Dio  per 
averlo  liberato  dal  giogo  danese  e 
da    molti    pericoli,    mandò  due  le- 
gazioni   con     moltissimi     donativi, 
cioè  ima  alle    memorie  de'principi 
degli    apostoli   in    Roma,  l'altra  a 


ING  ao, 

quelle  di  s.  Tommaso  apostolo 
nell'India,  donde  il  legato  riportò 
quantità  di  gioie,  d'aromati  e  di 
altre  cose  delle  quali  quella  regio- 
ne abbonda.  Dipoi  nell'  888  molte 
limosine  mandò  a  Gerusalemme,  ed 
in  Roma  per  un  vescovo,  siccome 
piissimo  e  protettore  della  religio- 
ne cristiana.  Fra  gli  altri  talenti 
che  adornavano  Alfredo  I,  preten- 
desi  ch'egli  possedesse  in  grado  e- 
minente  la  poesia,  ed  alcune  sue 
opere  scritte  in  versi  sassoni  tutto- 
ra sussistono.  Tradusse  dal  greco 
le  Favole  di  Esopo,  dal  latino  la 
Storia  ecclesiastica  di  Paolo  Orosio 
e  quella  del  venerabile  Beda,  come 
pure  il  trattato  di  Boezio  Severino, 
Della  consolazione  della  filosofìa. 
Liberatore  della  patria,  padre  del- 
la legislazione  inglese,  della  lette- 
ratura, delle  arti  e  delia  marina, 
lo  fu  pure  della  libertà  ,  avendo 
detto  nel  suo  testamento,  è  giusto 
che  gl'inglesi  sieno  liberi  come  i 
loro  pensieri.  Questo  impareggia- 
bile monarca,  modello  de  regnan- 
ti, senza  neo  che  ne  otfuscasse  la 
gloria,  finì  la  sua  carriera  d'an- 
ni cinquantuno,  e  lasciò  nel  pianto 
i  sudditi  nel  900. 

Edoardo  I  il  Vecchio  suo  figlio 
gli  successe,  solo  imitandolo  nelle 
qualità  guerriere,  per  le  quali  ri- 
portò sanguinose  vittorie  sugli  ir- 
requieti danesi ,  non  però  sul  ri- 
belle Etehvaldo  suo  cugino  che  solo 
fece  fuggire:  questi  restò  ucciso  in 
battaglia,  perchè  dal  monistero  fab- 
bricato già  da  s.  Cutburga  sorella 
d'Ina  avea  rapito  una  vergine.  El- 
fleda  o  Ethelfleda  sorella  del  re  il- 
lustrò il  suo  sesso  con  1'  asta  e  il 
brando,  e  dopo  aver  militato  col  fra- 
tello contro  i  danesi,  con  un'arma- 
ta costrinse  gli  abitanti  del  princi- 
pato di  Galles  a  pagar    all'  InghiU 


3o  ING 

terra  un  annuo  tributo.  Pretensesi 
da  alcuni  che  Edoardo  I  abbia  fon- 
dalo l'università  di  Cambridge;  gli 
storici   però  discordano   molto    sul- 
l'epoca di  questa  fondazione.  Sotto 
questo  regno  e  nell'anno  921    molti 
inglesi  che  per  divozione  reca  varisi 
a   Roma  a   venerare  la   tomba    de- 
gli apostoli,  furono  assaliti    dai  sa- 
raceni  nei  luoghi   angusti  delle  Al- 
pi,  e  vennero  lapidati  e  sepolti  nel- 
la  tempesta    de'  sassi  :    questi    mali 
non   furono    bastevoli    a    moderare 
la   pietà  degli  inglesi,  i   quali   con- 
tinuarono a   praticare  il  sacro    pel- 
legrinaggio.   Edoardo    I     morì    nel 
9^5,  egli  successe  Atelstano  o   A- 
thelstano  suo  figlio    naturale,  a  pre- 
ferenza  di   quelli   legittimi   ch'erano 
di   età  infantile.  Scuoprendo    il    re 
una  congiura   orditagli  da  Elfredo, 
e  questo  negando  la  colpa,  lo  man- 
dò in  Roma  acciò  si  purgasse  con 
giuramento  alla  presenza  del  Papa 
Giovanni   X  ;    ma  spergiurando    a- 
vanti   l'altare  di  s.  Pietro,  cadde  in 
terra,  e  dopo  tre   giorni   morì  nella 
scuola  degli  angli.   In    riconoscenza 
a  Dio  pel   pericolo  scampato,  Atel- 
stano donò  alcuni   terreni  a  s.  Pie- 
tro.  Affine  di  cattivarsi  l'alfetto  dei 
danesi    cristiani    stabiliti    nel    Nor- 
ihumberland ,    nominò    Sightric    o 
Sitricco  loro  connazionale  a  gover- 
narli, gli  diede  il  titolo  di  re  e  la 
propria     sorella    Editta    in    isposa. 
Morto  Sitricco,  i  suoi  due    figliuoli 
pretesero  regnare  uniti    e    indipen- 
denti   dal    re    d'Inghilterra,    onde 
questi    marciò    contro    di    loro,  e 
contro  Costantino  re  di  Scozia  che 
ne  avea  rifugiato    uno,  e  costrinse 
Costantino  ad  offrirgli    un    tributo 
ed  essere  da  lui  dipendente.    Que- 
sta ,    al  dire    di    alcuni,    è  la    pri- 
ma    spedizione     degli    inglesi    nel- 
la   Scozia  ;      ma   gli    storici    scoz- 


ING 

zesi    negano   interamente     il    fatto. 
Poco  dopo  i    danesi    di    Northum- 
beriand,   uniti  ai  britanni   di    Gal- 
les ed  agli  scozzesi  formarono  una 
lega   formidabile  contro    gì'  inglesi , 
la  quale  venne  distrutta  in  un  ba- 
leno da  Atelstano  nella  celebre  bat- 
taglia di  Brunsbury  o  Brunanburgh, 
ove  perì  il  fiore  della  nobiltà  delle 
tre  nazioni   alleate.   All'epoca  della 
spedizione  di   Atelstano  contro  i  fi- 
gli di   Sightric  sembra   che  Costan- 
tino non  abbia  dato  alcun  luogo  di 
ritiro  ad  uno  dei  due  fratelli.  Forse 
prima  che   venisse  il    re    d'Inghil- 
terra, Costantino  lo  avea  fatto.  Con 
lo  scopo  di  promuovere  il  commer- 
cio, ordinò  Atelstano  con  legge  che 
ogni   mercante  il  quale  avesse  fatto 
due  viaggi   in   paesi   lontani  ,    fosse 
insignito  del    rango  di   nobile.    Do- 
nò  trentotto  borghi  alla    chiesa  di 
Excester  o  Exeter;  stabili  il  regno 
d'Inghilterra,  e  morì  nel  94 1,  con 
lode  di  prode.  Gli  successe  Edmon- 
do I   di  lui  fratello  e  non  dissimile 
nel  coraggio  e  scienza  militare.  Con- 
quistò egli    la    provincia    di    Cum- 
berland,  e  poi  la  cede  a  Malcolmo 
I   re  di  Scozia,  sotto    condizione  di 
pagargli  un   tributo.    Questo    prin- 
cipe fu  il   primo  a  fulminar    pena 
di  morte  contro  i  ladroni,    ma  Leof 
o  Leolfo,  famoso    masnadiere,  irri- 
tato   dal    rigore    della  legge,   ebbe 
l'ardimento  di  penetrare  alla  men- 
sa  di  Edmondo    I,    il    quale  all'er- 
rando e    trascinando  il   ladrone  pei 
capelli,     l'assassino    lo  trafisse    con 
una    pugnalata    nel    cuore,    ma    fu 
tagliato  in  pezzi  dagli  astanti.  Con- 
sigliere del  re  fu    s.   Dunstano.  La 
morte  di  Edmondo  I  si  pone  al  (j\G 
o  948. 

Essendo  i  di  lui  figli  ancora  fan- 
ciulli, suo  fratello  Edredo  assunse 
il  titolo  di  re,  e    durante  il  regno 


ING 
di  questo  pio  monarca  l' Inghilter- 
ra si  popolò  di  monaci.  Elesse  al- 
la dignità  di  gran  tesoriere  s.  Dun- 
stano  celebre  abbate  di  Glastonbu- 
ry,  e  gli  commise  parte  del  gover- 
no. A  malato  tiranno  d'Inghilterra, 
mentre  nel  901  voleva  bruciar  la 
chiesa  di  s.  Baltero,  Dio  lo  per- 
cosse con  repentina  morte,  per  cui 
Edredo  divenne  monarca  di  tutta 
l'Inghilterra,  e  mori  nel  953,  altri 
dicono  nel  q*>8.  Edwy  nipote  del 
defunto,  perchè  figlio  di  Edmondo 
I,  montò  sul  trono,  e  siccome  di 
rei  costumi  fu  ripreso  da  s.  Dun- 
stano  che  fu  esiliato .  Volendo 
Edwy  seguitare  a  tenere  la  cugina 
Elgiva  o  Ethelgiva,  estremamente 
bella,  dopo  aver  sposata  altra  don- 
na, ebbe  a  provare  l'indignazione 
del  popolo  e  clero  d'Inghilterra: 
s.  Odo  primate  del  regno  fece  con- 
durre Elgiva  in  Irlanda,  la  quale 
avendo  azzardato  ritornare  in  corte, 
fu  trucidala  dalla  plebe  inglese.  11 
popolo  di  Londra  non  pago  di  ciò, 
con  una  parte  del  regno  si  ribellò 
contro  il  re,  detronizzollo  ed  elesse 
re  il  fratello  di  Edwy,  di  nome 
Edgar  o  Edgardo,  di  straordinaria 
avvenenza,  ed  allora  di  tredici  an- 
ni. Edgar  ebbe  i  regni  di  Mercia 
e  di  Norlbumbria,  essendosi  stabi- 
lito che  il  Tamigi  dovesse  essere  il 
limite  dei  regni  dei  due  principi.  Ciò 
avvenne  nel  9^7  o  9^9,  ed  Edwy 
morì  penitente  nel  960  per  le  ora- 
zioni di  s.  Dunslano.  Il  regno  di 
Edgar  fu  glorioso,  dappoiché  aiti- 
ne di  mantenersi  in  pace  fece  vi- 
gorosi preparativi  di  guerra ,  pose 
le  truppe  di  terra  iu  un  piede  im- 
ponente, e  la  marina  pervenne  sot- 
to di  lui  ad  un  grado  di  potere 
fino  allora  ignoto  :  numerose  squa- 
dre bordeggiavano  presso  le  coste 
dell'isola,    altre    stazionavano    nei 


ING  3i 

porti.  I  danesi  che  per  l' addietro 
commettevano  depredazioni,  atter- 
riti da  forze  sì  formidabili  non  ce- 
sarono neppure  avvicinarsi  a  quelle 
(piagge,  Quelli  che  erano  stabiliti 
in  Inghilterra  osservarono  la  più 
som  messa  condotta,  e  tracciarono 
le  sedizioni  e  le  turbolenze.  I  so- 
vrani di  Galles,  d'Irlanda,  delle 
Orcadi  e  di  Scozia  prestarono  som- 
missione ad  Ed»ar.  Narrano    alcu- 

o 

ni  storici  che  volendo  egli  da  Che- 
ster valicare  il  fiume  Dee  per  re- 
carsi alla  chiesa  di  s.  Gio.  Battista 
sull'opposta  sponda,  i  rematori  del 
suo  battello  furono  otto  sovrani  a 
lui  tributari,  e  ch'egli  stesso  ne 
dirìgeva  il  timone.  Edgaro  s' inti- 
tolò re  d'  Albione  e  sovrano  di 
tutte  l' isole  circonvicine  e  dell'O- 
ceano che  le  circonda.  Frattanto 
un'  immensa  quantità  di  fora*  t  ieri 
d'ogni  stato  accorsero  a  stabilirsi 
in  Inghilterra,  con  vantaggio  degli 
isolani  che  perderono  l'antica  ru- 
videzza, ma  anco  la  loro  semplici- 
tà. Fece  una  caccia  generale  di 
lupi,  i  quali  essendosi  rifugiati  nei 
boschi  di  Galles,  commutò  a  quel 
re  il  tributo  con  trecento  teste  di 
lupi  per  estirparli.  Aiutò  s.  Dun- 
stano  arcivescovo  Dorovernense  o 
sia  di  Cantorbery ,  nella  riforma 
degli  ecclesiastici,  e  da  lui  ripreso 
per  un  incesto  fece  umile  peniten- 
za di  sette  anni  dietro  ;  la  ripren- 
sione di  s.  Dunstano  fu  per  aver 
tolto  una  monaca  dal  monistero. 
Nel  971  il  re  e  s.  Dunstano  spe- 
dirono una  legazione  al  Papa  Gio- 
vanni XIII  ,  acciò  confermasse  i 
privilegi  da  Edgar  concessi  al  mo- 
nistero di  s.  Maria  di  Glaslingebi- 
ro,  lo  che  il  Pontefice  benignamen- 
te annuì.   Moli  Edgaro  nel  9-  j. 

Edoardo  II  il  Martire,  figlio  del- 
la   prima    moglie,  gli  successe,  ad 


3a  ING 

onta  delle  opposizioni  dilla  matri- 
gna la  bella  ed  ambiziosa  Elfrida 
figlia  del  conte  di  Devonshire.  Or- 
nato di  tutte  le  virtù  e  guidato 
dai  consigli  di  s.  Dunstano  che 
l'avea  consacrato,  i  suoi  sudditi  si 
riputarono  felici,  tranne  alcune  vio- 
lenti agitazioni  che  provò  l'Inghil- 
terra  a  cagione  de'  benefizi  eccle- 
siastici e  de'  chierici  incontinenti. 
Passati  tre  anni  Elfrida  fece  assas- 
sinare il  re  nel  978  o  979,  onde 
porre  sul  trono  il  proprio  figlio 
Etelredo  II:  straziata  poi  dai  ri- 
morsi fece  sincera  penitenza,  fondò 
i  mentitori  di  Wharwell  e  d'Am- 
bresbury,  morendo  santamente  nel 
primo.  Nel  990  il  Papa  Giovanni 
XV  detto  XVI  spedì  suo  legato 
in  Inghilterra  Leone,  che  altri  chia- 
mano Vice,  vescovo  di  Treveri , 
per  mezzo  del  quale  pacificò  Elei- 
redo  Il  con  Riccardo  duca  di  Nor- 
mandia. Sotto  Elelrcdo  II,  prin- 
cipe vigliacco,  l'Inghilterra  fu  espo- 
sta ad  ogni  calamità  per  le  scor- 
rerie feroci  dei  danesi,  e  per  te- 
nerli lontani  pagò  loro  diecimila 
lire  sterline,  indi  sedicimila  lire  non 
già  ghinee ,  e  poscia  ventiquattro- 
mila lire  sterline.  L'odio  degl'in- 
glesi contro  i  danesi  essendosi  ac- 
cresciuto, allorché  essi  portaronsi 
in  Normandia  a  prestar  soccorsi 
ai  loro  fratelli  d'armi  ivi  stabiliti, 
il  re  ordinò  la  strage  di  tutti  i  da- 
nesi che  soggiornavano  nel  regno 
colle  loro  famiglie  dal  tempo  di 
Alfredo.  Incitò  tutti  i  sudditi  a 
massacrarli  a'  1 3  novembre  del 
1002,  giorno  sacro  a  s.  Brice,  e  fu 
pienamente  obbedito  con  l'  intera 
strage  d'ogni  danese,  senza  riguar- 
do ad  età  ed  a  sesso:  perfino  Gun- 
hilda  sorella  del  re  di  Danimar- 
ca e  cristiana,  perì  fra  i  tormenti. 
Giunta  in  Danimarca  la  nuova  di 


ING 

questo  atroce  attentato ,    i  compa- 
triota de'danesi  trucidati,  snianian- 
ti  di  rabbia  e  vendetta,  s'imbarca- 
rono sopra  una  flotta   con    Sweyn 
o  Svenone  loro  re.  Giunti    in  In- 
ghilterra sconfissero  le  truppe  reali 
in  più  battaglie,  costrinsero    Etel- 
redo  II  a  fuggire  in  Normandia,  e 
dopo    mille    massacri   s'impadroni- 
rono   di    tutto    il    regno ,    ciò  che 
ebbe  compimento  nel     ioi3.    Nel- 
1'  anno    seguente     morì     Svenone , 
ed    Etelredo    lì    venne     di    nuovo 
invitato    da'  suoi     cortigiani  a   tor- 
nare ad  occupare  il   trono  vacante. 
Ebbe    in    fatti    questo  principe  ef- 
femminato  la  soddisfazione    di  reg- 
gere ancora  per    qualche    tempo  e 
sino  al    io  16   le  redini   mal    sicure 
della  monarchia.    Non     tardò  però 
a   presentarsi  con  formidabile  flotta 
ed  esercito  numeroso  Canuto    II  il 
Grande  re  di  Danimarca  e  succes- 
sore di   Svenone.    Atterrite  le  città 
marittime  al  suo  sbarco  in  Inghil- 
terra, gli    aprirono  le    porte,  e  gli 
inglesi  deboli  di  forze  non  osarono 
resistergli.     Etelredo  II    si  rinchiu- 
se  nel   suo  palazzo  di   Londra,   e  vi 
morì  nel    io  16.   Gli   successe    il   fi- 
glio Edmondo  II    Tronside  o  fian- 
co di  ferro,  le  cui    illustri  qualità 
non    furono    valevoli    a  preservare 
la  desolata  patria   dal  pesante   gio- 
go    danese.     Radunò     un   esercito, 
marciò  contro    il    nemico,  e    dopo 
due  sanguinose  battaglie,  i    due  re 
Canuto     ed     Edmondo     II,    all'ine 
d'  evitare  1'  ulteriore  sterminio  del- 
le loro  armate,  si  divisero  il  regno: 
al    primo    toccarono     le     provincie 
settentrionali,  le   meridionali   al  se* 
condo  ;   ma  poco  dopo  essendo  que- 
sti   ucciso    da    due    suoi  cortigiani 
nel    1016  o     io  17,  nò  avendo  pro- 
le,  la  sua    porzione  dell'  isola   ven- 
ne devoluta  a  Canuto. 


ING 

I  primi  anni  del  regno  dal  mo- 
narca danese    furono    impiegati  in 
ispedizioni   militari  ed  in  battaglie; 
gli  ultimi  in    esercizi    di  divozione 
e  di  pietà.  Dopo  aver  compiuto  il 
conquisto  dell'  Inghilterra,  difesa  la 
Danimarca    dal    re  di  Svezia,    con- 
quistata   la  Norvegia,    ed    umiliata 
la  Scozia    con    costringere    Malcol- 
mo  II    al  consueto    tributo  per  la 
provincia  di    Cumberland,     Canuto 
convinto  del  nulla  della  gloria  ter- 
restre, rivolse  ogni  cura  ad    acqui- 
stare quella  del  cielo.    Profuse  im- 
mensi   tesori  in    opere  di  pietà,  e 
•verso  le    chiese    e  servi  di     Dio,  e 
per  eseguire  un  voto  fece  il   pelle- 
grinaggio a  Roma  in  abito  da  pel- 
legrino. Fu  ricevuto    nel    1027,  o 
meglio  nel    io3o,  e    benignamente 
trattato     da     Giovanni    XIX    detto 
XX,  come  dall'  imperatore   Corra- 
do II,  e  da  Rodolfo  III   re  di  Bor- 
gogna che  trovavansi  nella    mede- 
sima    città.     Accompagnò      Canuto 
1'  imperatore  nella  solenne  proces- 
sione   colla    quale  si  portò     nel  d\ 
della  Pasqua  a  ricevere  la    corona 
dalle  mani    del    Papa,  ed    ottenne 
tanto  da  lui     che     da  Rodolfo  III, 
che  i  danesi  e  gì'  inglesi    passando 
dai  loro  stati  non     fossero  soggetti 
a  gravezza,  in  recarsi  a    Roma  per 
divozione    o     per     mercanzie.     Dal 
Pontefice  poi    ottenne    Canuto  che 
gli  arcivescovi  suoi   fossero   dispen- 
sati di  portarsi  in  Roma  per  pren- 
dere   il    pallio     come    sino     allora 
aveano  fatto.  Dicono  alcuni  che  il 
re     Canuto    edificasse    una    chiesa 
ove  fu  poi   fabbricata     quella  di  s. 
Maria  in  Traspontina.  Certo  è  che 
in  questa  chiesa  evvi  una  cappella 
dedicata  a  s.  Canuto,    il  cui     qua- 
dro dipiuse  M.r  Daniele.  Di  essa  tra 
gli  altri  ne  scrissero  1'  Abeti,  Ro- 
ma in  ogni  sialo,    t.   II,  p.    127; 
voi.   xxxv. 


ING  33 

ed  il  Cancellieri,  Notìzie  sulla  ve- 
nuta in  Roma  del  re  ICanuto,  p. 
64.  Comprò  il  re  Canuto  un  brac- 
cio di  s.  Agostino  dottore  per  gran- 
dissimo prezzo  in  Pavia,  come  nar- 
ra il  Rinaldi  a  detto  anno,  e  mo- 
rì nell'  anno  io36,  lasciando  tre 
figli  che  furono  tre  sovrani  ;  cioè 
Svenone    di    Norvegia,    Canuto  IH 

0  Ardicanuto  di  Danimarca,  ed 
Araldo  o  Aroldo  I  d' Inghilterra 
cognominato    pie  di    lepre.  Aroldo 

1  ebbe  discordie  col  fratello  intor- 
no la  successione,  e  fu  incolpato 
d' aver  ucciso  a  tradimento  nel 
castello  Guilford  il  giovane  princi- 
pe Alfredo,  figlio  di  Etelredo  ed 
Emma.  Veramente  più  scrittori 
ignorano  la  causa  della  morte  di 
Alfredo  ;  in  ogni  modo  essa  la  di- 
cono piuttosto  avvenuta  in  Ely, 
non  mai  per  tradiq^ento,  sebbene 
con  tal  mezzo  egli  era  stato  preso 
qualche  tempo  prima.  Morì  Arol- 
do I  senza  prole  nel  1039  o  nel 
io4o,  ed  il  suo  cadavere  con  ese- 
crabile crudeltà  disotterrato,  fu  fat- 
to gettare  nel  Tamigi,  dal  fratello 
e  successore  Ardicanuto^  che  fece 
poscia  saccheggiare  ed  incendiare 
Worcester  per  avere  ricusato  pa- 
gare un  nuovo  tributo.  Ardicanuto 
poi  morì  nel  io4t  in  un  convito, 
vittima  di  sua  strabocchevole  ghiot- 
toneria, senza  successore.  Ne  profitta- 
rono gl'inglesi  con  esaltare  al  trono 
un  rampollo  della  stirpede're  sasso- 
ni, che  fu  Edoardo  IH  il  Confes- 
sore, col  qual  titolo  la  Chiesa  Io 
venera  per  santo.  Le  pacifiche  vir- 
tù di  questo  saggio  re  lo  fecero  a- 
mare  dai  suo  vassalli.  Repressela 
congiura  del  potente  conte  Godwi- 
no,  di  cui  sposò  la  figlia;  diede 
asilo  al  re  di  Scozia  ove  mandò 
un'  armata  per  ristabilirlo  sul  tro- 
no ;  edificò  1'  abbazia   di  Westmin- 

3 


34  ING  ING 

ster,  e  raccogliendo  le  antiche  lcg-  Araldo  II  radunò  anch'  egli  un 
gi  sassoni,  compilò  un  nuovo  co-  numeroso  esercito  agguerrito  quan- 
dice  di  leggi  scelte,  conosciuto  in  lo  il  normanno  comandalo  dal  suo 
Inghilterra  sotto  il  titolo  di  gius  competitore,  e  nelle  pianure  di 
comune.  A  suo  riguardo  il  Pa-  Haslings  fu  decisa  la  gran  contesa 
pa  Nicolò  II  confermò  i  privilegi  con  ostinato  conflitto  in  favore  del 
che  dalla  santa  Sede  godevano  i  duca,  perchè  Araldo  II.  a'  14  ot- 
re d'  Inghilterra,  ed  altri  ve  ne  tobre  1066  spirò  coperto  di  ferite, 
aggiunse.  Morì  Edoardo  III  nel  e  i  due  suoi  fratelli  vennero  ucci- 
io65  o  1066  senza  figli,  perchè  si  al  suo  fianco.  Gli  inglesi  si  die- 
avea  fatto  voto  con  Editta  sua  dero  alla  fuga  ed  i  normanni  re- 
moglie di  vivere  vergini,  per  cui  starono  padroni  del  campo  :  così 
lasciò  la  corona  a  Guglielmo  I  il  terminò  la  monarchia  sassone  in 
Bastardo,  figlio  naturale  di  Ro-  Inghilterra,  dopo  aver  durato  sei 
berto  I,  duca  di  Normandia,  nel  secoli.  Si  narra  che  allorquando 
qual  paese  un  tempo  era  stato  ri-  Guglielmo  I  sbarcò  nell'  isola,  nel 
fugiato  e  vi  aveva  ricevuto  cor-  saltare  dal  palischermo  a  terra 
tese  asilo.  Però  ritiene  il  Lingard  cadde,  e  che  volgendo  quest'  acci- 
essere  incerto  se  s.  Edoardo  III  dente  in  proprio  vantaggio,  affer- 
abbia  lasciato  la  corona  a  Gugliel-  rando  il  suolo  colle  mani,  escla- 
mo I.  masse  :  Ecco  chJ  io  ho  preso  pos- 
I  grandi  Z?\  regno,  riprovan-  sesso  dell'  Inghilterra.  Una  simile 
do  tale  disposizione  e  di  assog-  avventura  si  racconta  di  Giulio  Ce- 
geltaisi  ad  un  principe  stranie-  sare,  nello  sbarcar  eh'  egli  fece  in 
ro,  elessero  concordemente  Araldo  Africa  seguendo  Catone.  Gu^liel- 
o  Aroldo  II,  ultimo  superstite  dei  ino  l  fu  cognominato  il  Conquista' 
re  sassoni,  figlio  del  conte  Godwi-  (ore.  Sbalorditi  gì'  inglesi  di  ve- 
llo, e  maggiordomo  della  casa  rea-  dersi  ad  un  tratto  sottomessi  ad 
le.  Esso  seppe  guadagnarsi  subito  uno  straniero,  non  osarono  da 
1'  affetto  di  tutta  la  nazione,  e  principio  opporgli  la  menoma  re- 
ineditava  di  renderla  felice  quando  sistenza,  e  mentre  i  loro  progeni- 
intese  che  il  di  lui  fratello  Tostig  tori  avevano  disputato  palmo  a 
o  Tostone,  collegatosi  col  re  di  palmo  il  terreno  a'  romani,  a'pit- 
Norvegia,  avea  invase  le  provincie  ti,  sebbene  a  quest'  epoca  gì'  in- 
setlentrionali  del  regno  ;  ma  ara-  glesi  erano  composti  di  sassoni  e 
bedue  restarono  morti  nella  batta-  danesi  in  maggior  parte,  represse- 
glia  di  Stamford  -  bridge  presso  ro  ne'  loro  petti  1'  antipatia  che 
York,  ove  Araldo  II  gli  die  batta-  nutrivano  contro  i  normanni,  at- 
glia.  Intanto  Guglielmo  I  ricorse  tendendo  qualche  favorevole  cir- 
si Pontefice  Alessandro  II,  che  ri-  costanza  per  isfogarla  ;  laonde  tut- 
conoscendone  i  diritti  gli  mandò  ta  la  nazione  dopo  la  distruzione 
lo  stendardo  di  s.  Pietro  benedetto,  di  South wark  nella  contea  di  Sur- 
ed  appena  il  principe  lo  ricevette  rey  che  avea  osato  resistere,  assog- 
partì  dalla  Normandia,  ed  alla  te-  gettò  il  collo  al  giogo  normanno, 
sta  di  sessantamila  combattenti,  e  Come  i  danesi  erano  una  tribù  di 
con  una  flotta  di  trecento  vele  si  sassoni,  che  si  rifuggirono  nella 
presentò    sulle    coste     del    regno.  Scandinavia  quando  Curio   Magno 


conquistò  la  Sassonia  ;  cos'i  i  nor- 
manni o  uomini  del  nord  erano 
quella  tribù  di  danesi,  ebe  nel  IX 
secolo  devastando  le  coste  setten- 
trionali della  Francia,  sotto  Carlo 
III  il  Semplice  si  stabilirono  nella 
provincia  da  loro  appellata  Nor- 
mandia, abbracciando  con  Rolando 
loro  capo  la  religione  cristiana. 
Indi  adottarono  la  lingua ,  i  co- 
stumi e  le  leggi  francesi ,  e  col 
sistema  feudale  di  questi  modella- 
rono il  loro  governo. 

Il  nuovo  re  entrò  trionfante  in 
Londra,  ricevè  le  spontanee  offer- 
te di  sommissione  del  clero,  dei 
nobili  e  de'  magistrati,  e  si  fece 
coronare  da  Aldredo  arcivescovo  di 
York,  prestando  il  giuramento  so- 
lito emettersi  dai  re  sassoni  ;  cioè 
di  proleggere  la  religione,  di  go- 
vernare la  nazione  con  equità,  e 
di  promulgare  giuste  leggi:  niun 
monarca  però  governò  con  dispo- 
tismo più  illimitato  di  Guglielmo 
I.  Assicurato  ch'ebbe  questi  il  pos- 
sesso del  trono  inglese,  e  giltati  i 
fondamenti  della  dinastia  norman- 
na, ch'era  per  durare  tanti  secoli, 
volle  rivedere  i  suoi  possedimenti 
di  Normandia.  Profittando  gì'  in- 
glesi di  sua  assenza,  impazienti  di 
scuotere  il  giogo,  tramarono  con- 
giura di  massacrare  tutti  i  nor- 
manni nel  dì  delle  Generi,  nelle 
cinese  alla  messa  solenne.  Pochi 
giorni  mancavano  a  dare  esecuzio- 
ne alla  sacrilega  tragedia,  quando 
inatteso  ritornò  Guglielmo  I,  e  la 
sola  sua  presenza  fece  andar  a  vuo- 
to il  sanguinario  progetto.  Infor- 
malo quindi  del  mal  animo  cui 
era  riguardato  dagl'  inglesi,  privò 
un  gran  numero  di  grandi  de'loro 
feudi,  titoli  ed  impieghi,  che  con- 
ferì a  gentiluomini  normanni.  Per 
meglio  dominare  il  paese,  introdus- 


ING  35 

se  il  governo  e  l'aristocrazia  feu- 
dale, divise  tutto  il  reame  in  tante 
baronie,  per  cui  i  suoi  compagni 
d'armi  furono  eretti  in  tanti  pic- 
coli tiranni,  i  figli  e  discendenti 
de' quali,  fatti  forti  con  erigere  mu- 
niti castelli,  commisero  a  danno 
degl'inglesi  rapaci  estorsioni  e  ca- 
pricciose \ioIenze,  e  collegati  tra 
loro  sovente  scossero  da'  suoi  car- 
dini il  trono  ;  dappoiché  i  baroni 
dipendevano  solo  dal  re ,  e  cia- 
scuno avea  sotto  di  sé  buon  nu- 
mero di  vassalli.  Guglielmo  I  dis- 
armò l'intera  nazione,  ed  i  conta- 
dini persino  degli  utensili  dell'  a- 
gricoltura  a  cagione  di  una  som- 
mossa, ed  in  ogni  maniera  umiliò 
gl'inglesi  ;  quindi  ebbe  qualche  dif- 
ferenza col  zelante  Pontefice  san 
Gregorio  VII.  Tra'suoi  figli  insor- 
se guerra,  e  Guglielmo  ed  Enrico 
si  collegarono  contro  Roberto  I 
duca  di  Normandia  loro  fratello 
maggiore.  Questi  si  pose  sotto  la 
protezione  di  Filippo  I  re  di  Fran- 
cia, e  dichiarando  guerra  al  padre 
ed  ai  fratelli,  Guglielmo  I  lo  vin- 
se e  perdonò,  e  lo  mandò  in  I- 
scozia  per  tenerlo  lontano  dai  fra- 
telli. Indi  rivolse  le  armi  contro  il 
re  di  Francia,  e  mentre  ne  per- 
correva il  regno»  menaudo  stragi, 
il  di  lui  cavallo  fortemente  si  scosse 
facendolo  cadere  contro  la  parte  ele- 
vata della  sella,  lo  checagionogli  una 
contusione,  e  la  morte  a  Caen  in 
Normandia  nel  1087,  lasciando  fa- 
ma di  profondo  politico,  di  prode 
guerriero,  e  d'  inflessibile  nemico. 
Amante  della  caccia,  non  contento 
delle  tante  foreste  e  parchi  esisten- 
ti in  Inghilterra,  fece  piantare  una 
nuova  foresta  presso  Winchester 
di  circa  trenta  miglia  di  circonfe- 
renza, per  lo  che  fece  abbattere 
case,  chiesej  mouisteri    e  giardini , 


36  ING 

senza  dar  compensi  ad  alcuno.  Con 
Io  scopo  d'  introdurre  la  lingua 
francese  nel  regno  sulle  rovine  del- 
la sassone,  ordinò  che  le  leggi  fos- 
sero tradotte  in  francese,  e  che 
tutti  gli  atti  pubblici  si  emanasse- 
ro in  tale  idioma,  lo  che  fu  pra- 
ticato sino  ad  Odoardo  III  del 
1327.  Tuttavolta  anche  oggidì 
quando  il  sovrano  d'Inghilterra  ap- 
prova o  ricusa  una  legge  fatta  dal- 
le due  camere,  esprime  in  lingua 
francese  la  di  lui  volontà,  mentre 
uno  risponde  in  nome  del  monar- 
ca :  le  roi  le  veut,  le  roi  s'avisera. 
A  Guglielmo  I  si  deve  il  dooni- 
sday-book,  o  grande  catastro  di 
Inghilterra.  Per  tenere  gl'inglesi  in 
soggezione  fabbricò  molte  fortezze 
e  castella,  ed  in  Londra  la  famo- 
sa torre.  Vietò  agl'inglesi  di  tene- 
ro acceso  il  fuoco  durante  la  not- 
te, e  ad  otto  ore  della  sera  in  o- 
gni  luogo  suonava  la  campana  de- 
nominata coprifoco  perchè  tutti  do- 
vevano spegnerlo  o  coprirlo  con 
cenere.  Guglielmo  di  Malmesbury 
scrittore  sincero  descrive  le  buone 
qualità  di  questo  monarca,  della 
sua  pietà,  umiltà  co 'servi  di  Dio, 
e  de'  monisteri  che  fabbricò  ;  cosi 
della  sua  penitente  morte,  come 
della  sua  misera  sepoltura,  e  che 
Dio  punì  ne'figliuoli  l'atterramento 
delle  chiese  per  la  selva,  nella  qua- 
le perirono  diversi  suoi  figli  e  ni- 
poti. Poco  prima  di  spirare  Gu- 
glielmo I  fece  a'suoi  cortigiani  un 
lungo  sermone  sulla  vanità  delle 
umane  grandezze,  e  sullimportan- 
za  dell'  eternità,  ed  ordinò  che  si 
dassero  rilevanti  somme  di  denaro 
a'poveri  ed  alle  chiese. 

Nel  suo  testamento  il  re  defunto 
dichiarò  successore  il  figlio  Gugliel- 
mo II  il  Bosso  o  il  Biondo  a  pre- 
ferenza di  Roberto  I  :  ciò  produs- 


ING 

se  grave  insurrezione  sventata  dalla 
attività  del  nuovo  re,  dalla  dappo- 
caggine di  Pioberto  I,  e  dalla  possen- 
te influenza  di  Lanfranco  arcivesco- 
vo di  Cantorbery.  Guglielmo  II  e* 
reditò  i  vizi  del  genitore  e  niuna 
delle  sue  virtù;  per  le  sue  frequenti 
estorsioni  le  ribellioni  sovente  si 
rinnovarono.  Voleva  privare  il  fra- 
tello anco  della  Normandia,  ma  i 
baroni  impedirono  la  guerra  ;  i 
due  fratelli  si  collegarono  contro 
l'altro  fratello  Enrico,  e  Io  spoglia- 
rono de' suoi  domimi.  Nel  ioq./> 
predicandosi  la  prima  crociata  per 
liberare  dai  saraceni  i  luoghi  di 
Terrasanta,  Roberto  I  per  diecimi- 
la marchi  d'oro  ipotecò  al  re  il 
ducato  di  Normandia,  ed  arruola» 
to  un  esercito  partì  per  la  Pale- 
stina. Fu  Guglielmo  I  ucciso  nel 
1100  in  una  partita  di  caccia,  do- 
po aver  edificato  il  gran  palazzo 
di  Westminster,  gittato  i  fondamen- 
ti del  gran  ponte  di  Londra,  e  ter- 
minata la  gran  torre.  Dissoluto 
com'egli  era,  avea  poca  o  niuna  re- 
ligione, per  cui  una  volta  ordinò 
ad  alcuni  teologi  cristiani  di  dispu- 
tare con  alcuni  rabbini,  fermo  d'at- 
tenersi a  quel  sistema  che  gli  sem- 
brasse meglio  fondato,  come  nar- 
rammo più  sopra.  Poco  prima  di 
morire  avea  bandito  dal  regno  s. 
Anselmo  arcivescovo  di  Cantorbe- 
ry, provocato  ad  ira  dalle  paterne 
ammonizioni  fattegli  da  quel  dot- 
to e  virtuoso  prelato,  per  avere  con- 
tro il  re  sostenuto  i  diritti  della 
Chiesa,  e  per  correggerne  i  vizi.  Il 
primate  si  ricoverò  presso  il  Pon- 
tefice Urbano  II  che  l'accolse  con 
alte  dimostrazioni  di  stima,  ed  il 
ritenne  presso  di  sé,  distinguendosi 
con  somma  lode  nel  concilio  di 
Bari.  A  Guglielmo  I  successe  il  mi- 
nore fratello  Enrico  1  JSeau-Clere, 


ING 

ossia  valoroso  studente  o  gran  dotto- 
re, essendo  ancora  in  Terrasanta  il 
primogenito  Roberto  I  cui  spettava 
la  corona.  Non   essendo  egli  legit- 
timo erede  del  trono,  si  fece  eleg- 
gere   dal    popolo   in    un'assemblea 
tumultuaria  ;  e  pietese  poscia  dare 
alla  sua    usurpazione    qualche    va- 
lidità  sposando    Matilde    figlia   di 
Malcolmo    III  re  di  Scozia,    come 
unica  superstite  degli  antichi  re  d'In- 
ghilterra  della  linea  sassone.    Ella 
era    consacrata    monaca,   però   un 
concilio  la  dispensò  dal  voto.    Ad 
oggetto    di  cattivarsi   il   favor  del- 
la nazione  e   di    soppiantar  il  fra- 
tello maggiore  Roberto  I,  sottoscris- 
se una  carta  costituzionale,  chiama- 
ta dagli  inglesi  Charter,  con  la  qua- 
le restrinse  spontaneamente  l'auto- 
rità reale  dentro  gli    angusti  limi- 
ti e  confini  ch'essa  avea  sotto  i  re 
sassoni;  confini  che   i  due  monar- 
chi   normanni  predecessori   aveano 
di  gran  lunga  oltrepassati,  estenden- 
do il  potere   reale  fino  al  dispoti- 
smo. Sotto  i  sassoni  il  potere  mo- 
narchico era    bilanciato    da  quello 
dell'assemblea    nazionale,  composta 
dagli    individui  più  cospicui    della 
nazione,  chiamato  consiglio  de'dot- 
tori,  poiché  i  membri  di  questo  au- 
gusto consesso  doveano  accoppiare  la 
scienza  alla  nobiltà;  le  leggi  venivano 
proposte  dal  re,  ed  approvate  o  ri- 
gettate dall'assemblea.  Questa  servi 
di  modello  alla  formazione  del  par- 
lamento d'Inghilterra,  composto  da 
principio  de' soli  pari  del  regno,  ed 
accresciuto  in  seguito  dai  deputati 
del  popolo.  Ma  la  carta  colla  qua- 
le Enrico  I  avea  ristretto  l'autori- 
tà reale,  la  violò  egli  stesso.  Sotto  il 
suo  regno  il  furto  e  la  fabbricazione 
della  falsa   moneta  furono  dichiara- 
ti capitali  delitti.   11  Pontefice  Ca- 
listo   li    spedì    legato  a    latere  in 


ING  37 

Inghilterra  e  nella  Francia  il  car- 
dinal Pietro  Pierleoni  romano,  che 
poi  nel    ii3o  divenne  antipapa  col 
nome  di  Anacleto  II.  Il    Papa    gli 
diede  amplissime  facoltà  di  correg- 
gere ed  emendare  tuttociò   che  a- 
vesse  trovato  in  detti  regni    meno 
conforme  alle  regole    dell'  ecclesia- 
stica   disciplina.     Questa     legazione 
eccitò  nei  popoli,  ai  quali    era  di- 
retta, una  straordinaria  espettazio- 
ne,  e  il  carattere  e  la  ricchezza  del 
cardinale    contribuì    non    poco    ad 
accrescerne  lo  strepito    e    la  fama. 
Giunto  in  Francia  spedì  in  Inghil- 
terra alcuni  abbati  a  precursori  del 
suo  arrivo,  ed  egli  fu  poi  incontra- 
to per  ordine  d'Enrico  I,  da  Ber- 
nardo vescovo  di   s.  Davide  e  dal 
chierico   Giovanni  suo  cugino,  che 
lo  introdussero  nell'Inghilterra.  Ma 
siccome  il  re  poco    gradiva  questa 
legazione,  ordinò  che  non  fosse  al- 
loggiato in  veruna  chiesa  o  moni- 
stero,  e  che  si  dovesse    alimentare 
del  proprio  ;    ed  ammessolo    final- 
mente   all'  udienza    gli    disse ,    che 
non  poteva  permettergli    di  aprile 
la  legazione  senza  il  consiglio    dei 
vescovi  e  de'  grandi    del    regno,  e 
senza  convocare   un'  assemblea    di 
stato.    11    cardinale    intesa    questa 
proposizione,  credè  di  doversi  riti- 
rare dall'  Inghilterra,  onde  conten- 
to dei  ricevuti  onori  se  ne  ritornò 
in  Francia,  dove  poteva  senza  con- 
trasto né  ostacolo  veruno  esercita- 
re la  sua  giurisdizione    e    le    fun- 
zioni proprie  del  suo  ministero.  Il 
Ciacconio  nella  vita  di  questo  car- 
dinale soggiunge,  che  il  re  Enrico 
I    per  conservare    illesi  gli  antichi 
privilegi  accordati  da    s.    Gregorio 
I  alla    chiesa  d'Inghilterra,    spedì 
suoi  ambasciatori  a  Roma  Pandol- 
fo    arcivescovo    di    Cantorbery    ed 
Ereberto  vescovo  di  Norwick,  per 


38  ING 

giustificare  la  sua  condotta    presso 
il  Pontefice. 

Ritornato  Roberto  I    dalla     Pa- 
lestina, e  sorpreso  di  trovar    il    di 
lui   trono  usurpato,    prese    l'armi 
per    vendicare    i    suoi    diritti  ;    ma 
l' intruso  monarca  con    gran    copia 
di  denaro  e  cosi  la  mediazione  di  s. 
Anselmo,  prima    da    lui    esiliato  e 
poi    richiamato,    lo    fece    desistere 
dall'impresa.  Appena  l'incauto  pria* 
cipe  licenziò   l'esercito,  Enrico  1  gli 
piombò    addosso ,    lo    vinse    presso 
Tenchebrai  in    Normandia ,    e  per 
ventotto  anni   lo   tenne    chiuso    nel 
castello    di    Cardili   nel    principato 
di   Galles,    ove    pretendesi    che    gli 
facesse  cavar  gli  occhi.     Guglielmo 
111   duca  di    Normaudia,  figlio    del 
principe  prigioniero,  fu  protetto  da 
Luigi     VI     re    di    Francia,    e    con 
guerra     aperta    pretese    pure     alla 
corona  d'Inghilterra.   1  francesi  pe- 
rò  furono  compiutamente    sconfitti 
da   Enrico  I  nella  battaglia  di  Bren- 
ville,  chiesero    pace,    e  Guglielmo 
HI    abbandonato     da    loro    finì    la 
vita  nell'  oscurità.  La   vendetta  di- 
vina non   tardò    a    punire    Enrico 
1  col   meritato  castigo;  poiché  im- 
barcatosi  il  di   lui  unico  figlio  per 
gassare    di  Francia  in    Inghilterra, 
perì  di   naufragio  presso    Barfleur; 
egli   ne  restò  così  colpito  di    dolo- 
re che  passò  il  resto  della  vita  nel- 
l'amarezza, e  seguì  il  figlio  nel  se- 
polcro nel  1 1 35.  Aveva  questo  mo- 
narca   sostenuta    acerrima    contesa 
col  primate  s.  Anselmo  e  con  tutto 
il  clero,  intorno  alle  investiture  ec- 
clesiastiche ,    che    il    re  pretendeva 
dare  egli  stesso  presentando  al  ve- 
scovo eletto  la   mitra  e  il   pastora- 
le.   Ambedue    mandarono    legati    a 
Pasquale  11,  il    quale  confermò   la 
condanna  che  delle  investiture  ave- 
vano fatto  i  coucilii  ;  ma  il  re  oc- 


1  9  G 

Culto  le  pontificie  lettere,  restando 
dal   Papa  prosciolto  poi  dalla  sco- 
munica:   anche  il   concilio   di  Lon- 
dra  proibì  che  le  investiture  delle 
chiese  si  dassero  dal  re  e  da   altri 
laici.   Finalmente  per  le  rimostran- 
ze del  Pontefice  tralasciò  Enrico  I 
di   pretendere    l' investiture  ,    come 
di  sostenere  che    l'invio    de'  legati 
in   Inghilterra    era    in    opposizione 
alla  concessione   di  s.    Gregorio   I, 
che  avea  dichiarato  legato  della  Se- 
de apostolica   l'arcivescovo  di  Can- 
lorbery,  ciò  che  non  avea  impedi- 
to successivamente  agli  altri    Papi 
di  spedir  legati  nella  Bretagna.  Nel 
ilio,    il    re    si    portò  in   Gisors  a 
trovare  Calisto  II,   per    la    contro 
versia  di  Thurstan  o  Turstino  con- 
sacralo   dal    Papa     arcivescovo     di 
York,  alle  cui    istanze    cedette  ;    e 
nel    ii3o   si  recò  a   Chartres  a  ve- 
nerare il    Pontefice    Innocenzo    II , 
promettendogli,   anche  a   nome  del 
regno,    filiale     obbedienza.    Non    si 
deve   tacere  che  Guglielmo  di  Mal- 
inesbury  assicura  che  Enrico  I  ne- 
gli  ultimi   ili   sua  vita  fece  peniten- 
za, e  ricevè  divotamente  l'estrema 
un/ione.   11  re  lasciò  col   suo  testa- 
mento la  corona   a  Matilde  sua  li- 
glia   vedova  dell'  imperatore   Enri- 
co V;  però  Stefano  di  Blois  figlio 
del  conte  di    Boulogne   di    tal    no- 
me, e  di    Adele  sorella    del  defun- 
to monarca,  prevenne  l'arrivo  della 
cugina,    e    recatosi    rapidamente  a 
Londra,  si  fece   proclamare  re  dal 
popolo  sempre  intento  a  seguire  il 
partito  di  colui  che  sa   meglio  ade- 
scarlo. Concorse    all'esaltamento  di 
Stefano  il  suo   fratello  Enrico    ve- 
scovo di  Winchester,  e  legalo  del- 
la   Sede  apostolica  nell'Inghilterra, 
il  quale   portava  speranza    che  do- 
vesse proteggere    la    disciplina    ec- 
clesiastica, ed  in  fatti  tanto    giurò 


ING 

all'arcivescovo  di  Cantorbery,  eli 
rendere  e  conservare  la  libertà  al- 
la Chiesa.  Affermò  Stefano  nel  giu- 
ramento, che  il  regno  eragli  stato 
confermato  da  Innocenzo  li,  per- 
chè il  regno  era  feudatario  del  ro- 
mano Pontefice,  da  cui  ogni  no- 
vello re  riceveva  la  conferma  ,  di 
che  resero  testimonianza  parecchi 
re,  come  Enrico  li  nelle  sue  lette- 
re. Il  re  di  Scozia  Davide  I  zio  di 
Matilde,  per  sostenere  i  diritti  della 
nipote  entrò  in  Inghilterra  con  un'ar- 
mata ,  e  desolò  le  provincie  del 
nord  ;  fu  però  battuto  dagli  inglesi 
nella  celebre  battaglia  dello  sten- 
dardo, e  potè  con  pena  salvarsi 
dalla  fuga.  Questa  battaglia  fu  del- 
ta dello  stendardo  perchè  il  coman- 
dante inglese  conte  di  Albermarle 
s'avvisò  di  far  inalberare  sopra  un 
carro,  non  un  gran  Crocefisso  in 
luogo  di  vessillo,  come  scrisse  qual- 
cuno, ma  sibbene  lo  stendardo  fu 
una  croce  nel  centro  della  quale 
vi  fu  messo  il  ss.  Sagramento,  e 
sotto  gli  stendardi  dei  tre  santi 
Pietro,  Wilfrido  e  Giovanni,  il  che 
ispirò  entusiasmo  nell'armata,  che 
fieramente  si  scagliò  addosso  al  ne- 
mico, e  lo  fugò  con  immensa  stra- 
ge. Non  andò  guari  che  Matilde 
sbarcò  in  Inghilterra,  si  fece  nu- 
merosi partigiani,  e  dopo  vari  fatti 
d'armi  guadagnò  una  battaglia  de- 
cisiva, dietro  la  quale  andò  trion- 
fante a  Londra,  fece  deporre  il  com- 
petitore dal  trono,  e  rinchiudere  in 
carcere,  quindi  venne  incoronata  a 
Winchester  solennemente. 

La  prosperità  di  Matilde  fu  di 
corta  durata.  Il  popolo  di  Londra, 
incostante  ed  avido  d' innovazioni, 
appena  conobbe  l'incapacità  di  go- 
vernare nella  regina,  l'esiliò,  ed 
estratto  Stefano  dal  carcere  lo  re- 
pristiuò  sul  trono.    Questi    dovette 


ING  39 

combattere  un  altro  nemico  in  Eu- 
rico li  Plantagcneto,  figlio  di  Geof- 
froy  o  Goffredo  Plantageneto  duca 
di  Normandia  e  conte  d' Angiò,  e 
di  Matilde,  il  quale  di  sedici  anni 
sbarcò  in  Inghilterra,  e  forzò  il  re 
a  concedergli  il  diritto  di  succe- 
dergli dopo  la  sua  morte,  che  av- 
venne nell'anno  seguente  ii54-  Le 
guerre  di  Stefano  col  re  di  Sco- 
zia, e  quelle  con  Matilde  ed  il  suo 
figlio  ridussero  il  regno  in  uno  sta- 
to deplorabile,  luttuoso  e  commo- 
vente. Aveva  Stefano  fatto  giura- 
mento di  mantenere  la  libertà  ec- 
clesiastica, ma  non  l'osservò,  e  per 
aver  perseguitato  a  torto  Teobaldo 
arcivescovo  di  Cantorbery,  il  Papa 
Eugenio  III  ordinò  a'  vescovi  che 
lo  scomunicassero  ,  e  interdicessero 
il  regno,  né  volle  che  fosse  coro- 
nato re  Eustachio  di  lui  figlio,  il 
quale  poi  fu  con  repentina  morte 
punito,  quando  voleva  occupare  la 
terra  di  s.  Edmondo  martire.  Ste- 
fano disgustato  del  Pontefice,  proi- 
bì ai  suoi  vescovi  di  portarsi  in 
Roma.  Sotto  l' infelice  suo  regno 
fiori  Guglielmo  Malmesbury  abba- 
te benedettino,  ed  uno  de'  più  ce- 
lebri storici  d' Inghilterra,  siccome 
autore  De  gestis  regimi  Anglorum, 
che  comprende  lo  spazio  di  sette 
secoli;  e  degli  Annales  Saxoniae, 
opera  che  comincia  dal  primo  an- 
no dell'era  cristiana,  e  termina  nel 
secolo  XII  in  cui  visse.  Nel  mede- 
simo anno  che  fu  assunto  al  tro- 
no Enrico  II,  l'Inghilterra  e  gl'in- 
glesi venerarono  sulla  cattedra  di 
s.  Pietro  il  loro  concittadino  Adria- 
no IV,  di  vasta  mente,  gran  zelo, 
e  talmente  disinteressato  co'  suoi , 
che  nei  cinque  anni  circa  del  suo 
pontificato  lasciò  povera  la  madre, 
e  costretta  a  vivere  delle  elemosi- 
ne della  chiesa  di  Cantorbery.  Nac- 


4o  ING 

que  di  bassa  condizione  in  Hertford- 
shire  presso  s.  Albano,  e  già  legato 
apostolico  in  Danimarca,  Svezia  e 
Norvegia.  A  questi  scrisse  Enrico 
li  congratulandosi  della  sua  assun- 
zione al  pontificato,  con  lettera  die 
riporta  Pietro  Bleseuse  ,  ep.  i65, 
ove  tra  le  altre  cose  gli  disse.  »  De- 
sideriamo cbe  vostra  Beatitudine, 
siccome  le  tocca  a  disporre  di  tutte 
le  cinese,  così  le  piaccia  di  ordi- 
nare tali  cardinali  cbe  sappiano , 
■vogliano,  e  possano  aiutarvi  a  por- 
tele il  peso  ;  non  guardando  essi 
ne  a  patria  ,  né  a  potenza,  ma  te- 
mano Dio,  odino  l'avarizia,  ami- 
no la  giustitia ,  e  avvampino  di 
zelo  per  la  salute  delle  anime".  Nel 
principio  del  suo  regno  il  sagace 
Enrico  II  pose  ogni  studio  ad  umi- 
liare il  potere  de'  nobili  d' Inghil- 
terra,  divenuti  dissoluti  e  dispotici 
tiranni,  facendone  demolire  le  ca- 
stella, colle  quali  pretendevano,  ol- 
tre farsi  temere  a'  propri  vassalli, 
di  far  ombra  al  regio  potere;  indi 
sollevò  il  popolo  dalle  loro  estor- 
sioni. Confermò  la  carta  costitu- 
zionale di  Enrico  I  suo  avo,  rin- 
novò le  antiche  leggi  d'Edoardo  che 
dichiaravano  il  popolo  soltanto  sud- 
dito del  re,  e  perciò  libero  da  ogni 
vassallaggio  feudale.  Al  clero  ed 
alla  nobiltà  eh'  eransi  fino  allora 
diviso  il  potere,  aggiunse  un  ter- 
z 'ordine,  quello  cioè  de'  più  ricchi 
fra  il  popolo,  i  quali  cominciaro- 
no ad  uscire  dall'  oscurità ,  e  ad 
aspirare  anch'  essi  ad  aver  parte 
nell'amministrazione,  ciò  s'inten- 
de di  alcuni  impieghi  che  furono 
loro  conferiti ,  poiché  i  deputati 
delle  provincie  non  furono  invitati 
la  prima  volta  al  parlamento,  che 
sotto  il  regno  d'Enrico  III.  Per 
questi  regolamenti  questo  re  viene 
consideralo  come  uno   de'  fonduto  - 


ING 

ri  dell'anglicana  civile  libertà.  A- 
driano  IV  nel  ii5o,  coli' autorità 
della  bolla  Lauda/nliter,  presso  il 
Bull.  rom.  tom.  II,  pag.  35 1,  gli 
concesse  di  potere  occupare  l'Iber- 
ni a  ossia  Irlanda,  senza  pregiudizio 
della  santa  Sede,  col  censo  annua- 
le di  Un  denaro  alla  medesima  da 
pagarsi  da  ogni  casa,  su  di  che  va 
letto  Gualdo  Cambrense,  Hibernia 
expugn.,  lib.  II,  cap.  6. 

Dopo  la  morte  di  Adriano  IV, 
avvenuta  in  detto  anno,  gli  succes- 
se Alessandro  III,  d'  animo  grande, 
e  fregiato  delle  più  eminenti  vir- 
tù. ;  ina  insorse  1'  antipapa  Vittore 
V,  che  sostenuto  dalle  armi  del- 
l' imperatore  Federico  I,  fu  cagio- 
ne di  lungo  e  funesto  scisma,  es- 
sendo costretto  Alessandro  III  rifu- 
giarsi in  Francia.  Enrico  II  Io  ri- 
conobbe per  legittimo  Pontefice,  e 
rigettò  le  lettere  del  falso.  Spedi 
un  ambasciatore  ad  Alessandro  III, 
supplicandolo  a  canonizzare  s.  E- 
doardo  III,  ed  il  Papa  lo  compiac- 
que in  Anagni  prima  di  partire 
per  la  Francia,  come  si  legge  nel- 
la costituzione  Jllius,  loco  citato  p. 
375.  Essendo  il  re  in  inimicizia 
con  Luigi  VII  re  di  Francia,  con 
esso  lo  pacificò  s.  Pietro  arcivesco- 
vo di  Tarantasia;  onorò  grande- 
mente il  santo,  e  ricevè  da  lui  le 
ceneri  benedette  nel  primo  giorno 
di  quaresima,  indi  soccorse  il  Pon- 
tefice e  Luigi  VII  contro  1'  impe- 
ratore. Enrico  II  si  portò  a  visi- 
tare nel  monistero  Bobiense  Ales- 
sandro III,  si  gittò  a  terra  per 
baciargli  i  piedi  e  gli  offrì  diversi 
doni  :  il  Papa  Io  baciò,  ma  egli 
rifiutò  sedere  nella  sedia  prepara- 
tagli, e  con  umiltà  sedette  co'  suoi 
baroni  in  terra  a  piedi  del  Ponte- 
fice, facendo  parecchi  doni  a'  car- 
dinali prima   di    partire.    Indi  col 


ING 

re  di  Francia  a  Tociaco  accolsero 
Alessandro  III  col  dovuto  onore, 
e  facendo  ambedue  1'  ullizio  di 
palafrenieri  condussero  il  cavallo 
che  cavalcava  al  padiglione  appa- 
recchiato, ed  ove  il  Pontefice  li 
confermò  nella  concordia.  Nel  i  162 
il  re  intervenne  al  concilio  di  Lon- 
dra ove  fu  eletto  in  arcivescovo 
di  Cautorbery  san  Tommaso  Can- 
tauriense,  eh'  era  allora  cancelliere 
del  regno,  ad  onta  di  sua  ripu- 
gnanza e  proteste  che  sarebbe  sta- 
to avversario  del  principe  per  di- 
fesa della  libertà  ecclesiastica.  Tan- 
to il  re  di  Francia,  che  quello 
d'  Inghilterra  offrirono  ad  Alessan- 
dro III  qualunque  luogo  de' loro 
stati  per  sua  residenza,  ed  egli 
preferì  la  città  di  Sens. 

La  pubblica  stima  che  il  giovane 
re  si  era  procacciata  con  sollevare  il 
popolo  dall'  oppressione  de' grandi, 
venne  ben  tosto  offuscata  dall'aver 
egli  voluto  usurpare  parte  de'  beni 
del  clero.  Non  conlento  di  averne 
diminuite  le  rendite,  volle  altresì 
scemarne  l'autorità,  spogliarli  delle 
immunità,  e  renderli  ligi  al  potere 
civile.  Trovò  però  nel  suddetto 
Tommaso  Becket  arcivescovo  di 
Cantorbery  e  primate  del  regno 
dotto  e  virtuoso,  un  acerrimo  e 
zelante  propugnatore  de'  diritti 
del  clero  e  della  Chiesa ,  e  tale 
com'  erasi  dichiarato  allorché  fu 
eletto .  Le  pretese  di  Enrico  II 
dispiacevano  al  primate  ;  la  fermez- 
za di  questi  il  rendeva  odioso  al 
monarca.  Stavano  gli  animi  in  tal 
guisa  disposti,  allorché  accadde 
un  avvenimento,  che  offrì  all'  uno 
1'  opportunità  di  esternare  il  suo 
raucore,  all'  altro  di  far  palese  il 
suo  zelo.  Avendo  un  diacono  com- 
messo un  doppio  delitto,  il  re  vo- 
leva farlo    condannare    dalla  corte 


ING  41 

criminale  secolare  ;  il  primate  ben- 
sì lo  fece  arrestare  e  porre  in 
prigione,  ma  sostenne  eh'  egli  do- 
vea  essere  giudicato  a  tenore  dei 
sacri  canoni,  dal  tribunale  eccle- 
siastico. Enrico  II,  bramoso  di  fa- 
re a  suo  modo,  radunò  nel  gen- 
naio 1  164  un  piccolo  sinodo  o 
conciliabolo  di  prelati  a  Clarendon, 
dove  furono  formati  parecchi  re- 
golamenti di  disciplina,  contrari  a 
quelli  stati  fin  allora  in  vigore. 
Aveva  Alessandro  III  comandato 
a'  vescovi  d'  Inghilterra,  che  nulla 
concedessero  al  re  contro  la  liber- 
tà ecclesiastica,  per  cui  ricusò  di 
approvare  i  menzionati  regolamen- 
ti, li  biasimò  altamente  e  ne  im- 
pedì con  severe  minacce  1'  esecu- 
zione. Sdegnato  1'  imperioso  mo- 
narca di  vedersi  contrariato,  pro- 
ruppe in  acerbe  rampogne  contro 
Tommaso,  il  quale  per  salvarsi 
dal  suo  furore  passò  travestito  in 
Francia. 

11  re  d'  Inghilterra  mandò  am- 
basciatori al  Papa  per  pregarlo  a 
concedere  la  qualità  di  legato  a- 
postolico  in  Inghilterra  all'  arcive- 
scovo di  York .  Alessandro  III 
glielo  accordò,  a  condizione  però 
che  questo  legato  non  dovesse  ave- 
re alcuna  giurisdizione  sopra  1'  ar- 
civescovo di  Cantorbery,  e  che  gli 
altri  vescovi  dovessero  proseguire 
a  riconoscere  1'  arcivescovo  mede- 
simo come  primate,  ciò  che  dis- 
piacque al  re  perchè  voleva  farlo 
deporre.  Benché  il  Pontefice  scri- 
vesse al  principe  in  favore  di  Tom- 
maso, contro  di  questi  Enrico  II 
spedì  una  legazione  ad  Alessandro 
III  di  arcivescovi  e  vescovi,  ma 
inutilmente  ;  allora  gli  confiscò  tut- 
tociò  che  gli  apparteneva,  cacciò 
dal  regno  i  suoi  parenti  e  fami- 
gliari, ordinando  che  ni  uno  facesse 


42  ING 

orazione  per  Tommaso.  Ad  istanza 
di  Pietro  Blesense  lasciò  il  re  che 
si  continuasse  a  riscuotere  il  de- 
naro di  s.  Pietro,  e  non  volle 
ascoltare  proposizioni  di  pace  dalle 
legazioni  del  Papa  e  dell'  arcive- 
scovo :  minacciò  di  unirsi  all' anti- 
papa Pasquale  III,  e  temendo  di 
essere  scomunicato  da  Tommaso 
appellò  ad  Alessandro  III.  Quindi 
ebbero  luogo  diverse  ambascerie 
tra  le  parti  ed  il  re  di  Francia 
senza  risultati;  finalmente  caduto 
il  re  gravemente  infermo,  e  temen- 
do di  morire  con  la  taccia  di  per- 
secutore della  Chiesa,  fece  pregare  il 
primate  di  ritornare  in  Inghilterra, 
promettendogli  di  non  dargli  più 
motivo  di  disgusto.  Aderì  egli  senza 
esitare,  e  venne  accolto  nella  sua 
diocesi  in  mezzo  agli  applausi  del 
popolo  ammiratore  di  sue  virtù.  En- 
rico II  trattò  familiarmente  1'  ar- 
civescovo, volle  essere  onorato  da 
lui  in  presenza  della  moltitudine, 
ma  riavuto  dalla  malattia  ritenne 
contro  i  patti  alcune  possessioni 
della  chiesa  di  Cantorbery.  Quin- 
di udendo  alcune  misure  di  rigo- 
re prese  dal  zelante  prelato,  escla- 
mò in  un  trasporto  di  collera  : 
»  Non  si  troverà  dunque  alcuno  che 
mi  liberi  da  questo  ecclesiastico  sì 
molesto  ".  Ciò  bastò  perchè  quattro 
gentiluomini  venduti  non  meno  al 
loro  interesse  che  alle  passioni  del 
re,  e  sicari  di  costumi,  si  recasse- 
ro rapidamente  armati  alla  chiesa, 
ove  il  santo  pastore  di  nessun  male 
sospettando,  recitava  tranquillamen- 
te 1'  uffizio  divino.  Quivi  assalitolo, 
e  fendutogli  con  replicati  colpi  il 
venerando  canuto  capo,  lo  stesero 
intriso  nel  suo  sangue  a  pie  del- 
l' altare,  a'ar)  dicembre  del  F170. 
Impaurito  il  monarca  del  risenti- 
mento   di    Alessandro    HI  e    della 


ING 

scomunica  che  gli  avrebbe  fulmi- 
nato, co'  suoi  vescovi  gli  spedì  una 
legazione  per  iscusarsi,  e  perchè  gli 
ottenesse  colla  penitenza  il  perdo- 
no dell'  uccisione,  protestando  esse- 
re stata  commessa  senza  sua  sapu- 
ta, e  molto  meno  senza  alcun  suo 
ordine.  Alessandro  III  ricusò  ve- 
dere gli  ambasciatori,  non  volle 
neppur  sentire  a  nominare  il  re, 
e  voleva  nel  giovedì  santo  scomu- 
nicarlo, e  fulminare  1'  interdetto  al 
regno.  Tuttavolta  riuscì  agli  am- 
basciatori di  far  sapere  al  Papa 
per  mezzo  de'  cardinali  amici  del 
re,  che  in  suo  nome  dovevano 
giurare  essere  egli  pronto  a  quan- 
to il  Pontefice  avesse  comandato. 
Allora  Alessandro  III  ammise  gli 
ambasciatori  in  concistoro,  e  gene- 
ralmente scomunicò  gli  uccisori  di 
Tommaso,  i  loro  fautori,  e  quelli 
che  gli  avessero  dato  asilo;  quindi 
mandò  due  cardinali  legati  Teodi- 
no  ed  Alberto  per  esaminare  co- 
ni' era  proceduta  la  morte  dell'  ar- 
civescovo. 

Frattanto  Enrico  II,  per  disto- 
gliere 1'  attenzione  del  popolo  da 
sì  abbominevole  delitto,  intraprese 
una  spedizione  contro  1'  Irlanda. 
Era  questa  isola  divisa  allora  in 
cinque  principati,  cioè  di  Munster, 
Ulster,  Meath ,  Leiuster  e  Con- 
naught,  ed  ognuno  governato  da 
un  capo  col  titolo  di  re.  Avvenne 
che  Dermot  re  di  Leinster,  sedusse 
e  rapì  la  moglie  del  principe  Lei- 
trim,  figlia  del  re  di  Meath,  il 
quale  in  vendetta  invase  con  ma- 
no armata  il  regno  del  rapitore;  e 
Dermot  costretto  a  fuggire  invocò 
I'  aiuto  del  re  inglese.  Questi  pro- 
fittando di  tali  discordie  spedì  co- 
là numerosi  eserciti,  e  potlatovisi 
egli  ancora  compì  la  conquista  del- 
l' isola,  la  «piale    coutinuò    sempre 


1NG 

dappoi  ad  essere  considerata  come 
provincia  d'  Inghilterra.  La  vendet- 
ta di  Dio  dopo  sì  splendidi  trionfi 
piombò  sul  capo  del  principe,  dap- 
poiché i  di  lui  figli  istigati  dalla 
propria  madre  Eleonora,  figlia  ed 
crede  dell'  ultimo  duca  d'  Aquita- 
nia,  si  ribellarono  apertamente  con- 
tro di  lui.  La  regina  era  stata  da 
lui  ripudiata,  per  dar  luogo  ad 
una  sua  concubina,  Rosarnonda 
CI  ilio  rei  detta  la  bella  Rosamoncla} 
a  cui  Eleonora  con  un  pugnale  al- 
la mano  fece  trangugiare  il  veleno. 
Avendo  il  re  domandato  ad  Ales- 
sandro III  la  conferma  dell'  Ir- 
landa per  sé  e  successori  ,  gliela 
concesse  secondo  le  lettere  degli 
arcivescovi  e  vescovi  irlandesi  che 
1'  avevano  riconosciuto  per  loro  si- 
gnore. In  mezzo  alle  afflizioni  rav- 
vedutosi Enrico  II,  per  obbedire 
ai  cardinali  legati,  e  per  placare 
V  ira  del  cielo,  con  dare  al  mondo 
una  pubblica  testimonianza  del  suo 
peccato  e  del  suo  pentimento,  an- 
dò a  piedi  nudi  accompagnato  da 
mollo  seguito  a  prostrarsi  sulla 
tomba  del  santo  vescovo;  quivi 
piangendo  amaramente  il  suo  de- 
litto, passò  un  giorno  intero  in 
orazioni,  senza  prendere  alcun  ci- 
bo ;  indi  fatta  una  pubblica  con- 
fessione delle  sue  colpe,  e  sotto- 
messosi alla  penitenza  della  flagel- 
lazione per  le  mani  de'  vescovi  e 
de'  monaci,  ricevè  dai  cardinali 
1'  assoluzione.  A  tutto  Enrico  II 
volle  che  fosse  presente  il  suo  fi- 
glio Enrico  che  avea  fatto  corona- 
re re,  e  giurasse  con  lui  di  man- 
tenere per  un  anno  duecento  sol- 
dati in  Terra  Santa,  di  riprovare 
gli  statuii  di  Clarendon,  di  togliere 
le  cattive  consuetudini  contro  le 
chiese,  di  restituire  a  quella  di 
Cautoibery    le    sue    possessioni,  di 


ING  43 

essere  disposto  agli  ordini  del  Papa 
a  marciare  contro  gì'  infedeli  di 
Spagna,  ed  altre  cose.  Nello  stesso 
giorno  ebbe  la  notizia  ebe  presso 
Almvick  i  suoi  eserciti  comandati 
dal  celebre  Ralph  di  Glanvillc,  a- 
veano  riportato  vittoria  su  Gugliel- 
mo re  di  Scozia,  e  fatto  questi 
prigioniero  ;  ciò  che  attribuì  a  mi- 
racolo da  Dio  operato  ad  interces- 
sione del  santo.  Intanto  Alessandro 
111,  trovandosi  in  Segni,  a'20  o  me- 
glio a' 2  1  febbraio  1  1 7 3  solenne- 
mente canonizzò  s.  Tommaso  arci- 
vescovo di  Cantorbery.  Enrico  li 
confessò  al  Papa  essere  il  regno 
d'  Inghilterra  feudatario  della  Chie- 
sa romana,  ed  Alessandro  III  mi- 
nacciò la  scomunica  a  chi  avesse 
turbato  la  pace  del  re.  Con  Luigi 
VII  re  di  Erancia  deliberò  il  mo- 
narca inglese  di  estirpar  l'eresia 
de'  tolosaui,  ed  accolse  quel  prin- 
cipe con  grande  onore  in  Inghil- 
terra, portatosi  a  venerar  la  tom- 
ba di  s.  Tommaso  già  da  lui  pro- 
tetto. Indi  Enrico  II  emanò  alcu- 
ne leggi  favorevoli  alla  Cbiesa,  si 
propose  di  porgere  soccorsi  alla 
Terra  Santa,  i  principi  della  qua- 
le gli  mandarono  lo  stendardo  con 
le  chiavi  del  santo  sepolcro,  come 
a  legittimo  erede  del  regno  di 
Gerusalemme.  Celebrò  pertanto 
un'  assemblea,  nella  quale  die  li- 
cenza ai  suoi  sudditi  di  portarsi 
alla  crociata.  Nel  11 85  mandò 
un'  ambasceria  ad  Urbano  III,  ed 
ottenne  da  lui  di  poter  coronare 
re  d'  Ibernia  un  suo  figliuolo.  Nel 
1188  a  persuasione  di  Guglielmo 
arcivescovo  di  Tiro  presero  la 
croce  di  crociati  Enrico  II,  il  re 
di  Francia,  ed  il  conte  di  Fian- 
dra, il  primo  la  prese  bianca,  il 
secondo  ili  colore  rosso,  il  terzo 
verde,    quindi    il  monarca    inglese 


44  ING  1NG 

die  col  consenso  de'  vescovi    e  dei     gli  elmo    I,    per    le    innovazioni  da 
principi  ottimi  ordini  per  la  sacra     lui  introdotte,  forzò  emigrare  nel- 
spedizione,    e    scrisse  ai     patriarchi  la  Scozia     molti    anglo-sassoni,  an- 
di     Gerusalemme     ed     Antiochia ,  glo-normanni     ed     anglo-belgi,    in 
promettendo  grandi  aiuti.  progresso  la  Scozia   favorì  spesso  i 
De'  suoi  quattro    figli  ne    mori-  ribelli    inglesi  ;   ma    il  suddetto  re 
rono     due,      Enrico    di      malattia,  di  Scozia  Guglielmo  non    acquistò 
GeofFroy    in    un  torneo,    e    per  la  la     libertà    se    non     dichiarandosi 
sua    indole    perversa     fu  chiamato  vassallo  dell'  Inghilterra  e  d'  Enri- 
fglìo  della  perdizione  :  ad   Enrico  co    li.  Sotto  di  lui     fiorirono  due 
il  re  aveagli  ceduto  la  contea  d'  An-  celebri    storici     d'  Inghilterra,     Si- 
giò   e    la  Cenomanense,  e    V  avea  rueone    di     Durham,      ed     Enrico 
fatto    coronare    dall'  arcivescovo  di  Huntingdon.  Enrico  II   morì   peni- 
York,  contro  la  proibizione    di  A-  tente.  li  primo  atto  che  fece  liic- 
lessandro  III   che    sosteneva    1'  an-  cardo    I     Cuor    di    leone     appena 
tica  prerogativa  di    quello  di  Can-  asceso  al    trono,    fu  la    liberazione 
torbery  cui  spettava   coronare  i  re;  della  madre  Eleonora    che    da  se- 
ma 1'  ingrato  Enrico    più.    volte  si  dici  anni  era  in  carcere.  Sentendo 
ribellò  contro  il  genitore,  tuttavol-  il    peso    della    paterna  maledizione 
ta  prima  di  morire    fece    mirabile  che    avea  provocato,    allontanò  gli 
penitenza    nel     i  1 83,  e   fu     lodalo  iniqui    cortigiani    che    avevano  fo- 
da    Pietro    Blesense    intimo     fami-  mentato  la  sua  snaturata     ribellio- 
gliare  del  padre.  Gli  altri    due  fi-  ne.   Il  giorno  di  sua  inaugurazione 
gli  Riccardo   I    e  Giovanni,     colle-  fu  giorno  di    sangue    e  di     strage, 
gatisi  con    Filippo    Augusto    re  di  venendo  massacrali    dal  popolo  di 
Francia,    intimarono     formalmente  Londra    tutti    gli    ebrei,    senza  ri- 
la    guerra    al    padre,  il    quale  nel  guardo  a  sesso    o    ad  età,    mentre 
1189  fu  battuto,  e  costretto  a  pa-  portavano  al  re  una  ricca  corona: 
ce  ignominiosa,  e  nello  stesso  anno  1'  ammutinamento     ebbe    principio 
soccombè  sotto  il  peso  di  sue  scia-  dal  vedere  gli  ebrei  contro    il  co- 
gure,  morendo  di   dolore  :  il     car-  stume     uscire    dal    loro     quartiere 
dinaie  Albanense  legato  di  Clemen-  in  quel  giorno  di  festa,  e    la  loro 
te  III,    scomunicò  Riccardo    I  per  distruzione  si    operò    barbaramente 
tali  guerre.  Enrico  II  ebbe    molte  in  tutto  il  regno.  Volendo  mettere 
virtù,    molti    difetti,    ed      infinite  nuove    imposte,    gli    si    oppose    s. 
amarezze.  Stabilì  1'  uso  delle  corti  Ugone    vescovo    di    Lincoln,    che 
ambulanti    dette    Assise,    formate  riuscì    persuaderlo    a    desistere,    e 
da  giudici  che  visitano  due     volte  guadagnò  la  sua    venerazione.    Al- 
ali'anno    le    capitali     d'ogni  prò-  l'articolo  Crociata     narrammo    la 
vincia,  per  giudicare    le     principali  parte    che    vi    presero  i  re    d'  In- 
cause  civili  e  criminali   del  distret-  ghilterra,  così  la  spedizione  di  Ric- 
to.  Nel   tempo    del   suo    regno  fu  cardo  I  e    sue  conseguenze,    come 
esatta  la    prima  imposta  generale  :  1'  occupazione    di    Cipro  a    questo 
colle    eredità    paterna    e    del  duca  articolo.   Il  regno  di  Gerusalemme 
d'  Aquitania    suo    suocero    diverse  Riccardo  I    Io  die  al  nipote  Enri- 
provincie  francesi  unì  alla  monar-  co,  quello    di     Cipro    a    Guido  di 
chia.    Siccome    nel    regno    di  Gu-  Lusiguauo.  S'  inimicò  cou    Filippo 


ING  ING  45 

Augusto  perchè  ricusò  sposare  la  crificando  le  sue  rendite,  e  facen- 
sorella  Alice,  a  cagione  della  ille-  do  fondere  la  sua  argenteria.  Fi- 
cita  tresca  avuta  col  re  genitore  naltnente  dopo  quattr'  anni  di  as- 
quando  era  stata  destinata  alla  di  senza,  tornò  Riccardo  I  alla  sua 
lui  tutela  per  dargliela  poi  in  capitale  tra  i  più  clamorosi  tras- 
moglie, non  che  per  altre  dis-  porti  di  gioia  de'  suoi  fedeli  vas- 
sensioni  che  gli  fecero  abbando-  salii.  Altrove  pur  dicemmo  come 
nare  la  Palestina.  Nel  partire  Rie-  il  Papa  Celestino  III  scomunicò  il 
cardo  I  per  la  crociata  avea  la-  duca  d'  Austria,  e  come  non  per- 
sciato  la  reggenza  del  regno  al  mise  che  fosse  sepolto  il  cadavere 
vescovo  Longchamp  gran  cancel-  d'  Enrico  VI,  senza  aver  prima 
liere,  a  preferenza  del  fratello  Gio-  gli  eredi  restituito  a  Riccardo  I 
vanni,  che  nella  sua  assenza  tra-  1'  ingiusta  somma  esalta,  ciò  che 
mò  detronizzarlo,  e  costrinse  alla  era  pure  1'  ultima  intenzione  dei- 
fuga  il  viceré.  Venendo  ciò  a  co-  1'  imperatore.  Inoltre  Celestino  III 
gnizione  del  re  volle  ritornare  minacciò  di  scomunica  Filippo  Au- 
ne'  suoi  stati,  ed  attraversando  la  gusto  re  di  Francia,  se  non  cessa- 
Germania  in  abito  da  pellegrino,  va  di  perseguitare  Riccardo  I.  Que- 
o  da  cavaliere  templario,  con  aper-  sti  desioso  di  vendicarsi  del  re  di 
ta  violazione  del  diritto  delle  gen-  Francia  che  avea  occupato  i  suoi 
ti,  Leopoldo  VI  duca  d'  Austria,  dominii,  passò  con  un'  armata  al 
per  vendicarsi  di  un  dissapore  a-  continente,  devastando  quelli  del 
vuto  con  lui,  l'imprigionò,  e  1'  im-  suo  nemico.  Dopo  un'  accanita 
peratore  Enrico  VI  se  lo  fece  con-  guerra  di  cinque  anni  ebbe  luogo 
segnare,  e  rinchiudere  in  una  tor-  una  tregua,  durante  la  quale  a- 
re  a  tutti  occulto  e  solo  scoperta  vendo  nel  1  199  il  re  posto  1' as- 
da  un  bardo,  altri  dicono  da  due  sedio  al  castello  di  Chalus  nel 
abbati,  per  cui  si  provvide  alla  Limosino  per  impadronirsi  d'  un 
sua  liberazione.  I  principi  di  Gei*-  tesoro,  1'  arciere  Eertram  de  Jour- 
mania  sdegnati  di  tale  violenza  si  dan  l'uccise  con  una  freccia.  Avea 
radunarono  a  Worms,  ove  Riccar-  Riccardo  I  tre  passioni  favorite 
do  I,  non  meno  eloquente  oratore  che  i  suoi  nemici  chiamavano  le 
che  prode  guerriero,  trattò  con  ta-  sue  tre  JìgUe,  cioè  la  superbia,  la 
le  energia  la  propria  causa,  che  libidine  e  1'  avarizia.  Aggiunse  al- 
l' imperatore  lo  baciò,  1'  onorò,  e  le  armi  d'  Inghilterra  tre  leoni,  e 
gli  promise  restituirgli  la  libertà,  stabilì  pesi  e  misure  uniformi  per 
esigendo  però  pel  suo  riscatto  tutto  il  regno.  Sotto  di  lui  fiorì 
1'  enorme  somma  di  centocinquan-  Guglielmo  di  Aewbury,  uno  degli 
tamila  marchi  d'  oro,  essendo  ogni  storici  originali  d'  Inghilterra.  Dei 
inarco  circa  dieci  talleri  imperiali,  doni  misteriosi  mandati  da  Inno- 
Allora  si  vide  l'affetto  cordiale  della  cenzo  III  a  Riccardo  I,  e  consi- 
nazione  inglese  pel  suo  sovrano,  e  stenti  in  quattro  anelli  d'  oro  con 
tutti  i  sudditi  in  proporzione  si  quattro  grosse  gemme  preziose,  di 
tassarono  spontaneamente  per  una  cui  facemmo  parola  all'  articolo 
somma  di  denaro,  e  contribuirono  Anello,  come  della  spiegazione  del 
alla  liberazione  del  re.  Il  clero  fu  loro  significato,  il  p.  Menochio  ivi 
il     primo    a  darne   1'  esempio,  sa-  citato  ne  riporta  la  lettera    accom- 


40  INO 

pagna  toria  del  Pontefice  ed  un 
brano  di  quella  del  re.  In  quella 
del  Papa  si  rimarca  l'indirizzzo: 
All'  illustre  re  d'  Inghilterra  ;  in 
quella  del  monarca  si  nota  questo 
soprascritto  e  saluto  posto  nel 
principio  della  lettera  :  Excellen- 
tissimo  Domino  suo,  et  universali 
Patri  Innocentio  Dei  gratia  catliO' 
licae  ecelcsiae  stimino  Pontifici,  de- 
s'Olissitnus  suae  majestatis  filius, 
Ricchardus  eadem  gratia  rex  An- 
glìae,  dux  Normanniae  et  Aquila- 
uiae,  et  comes  Andegaviae  salutali, 
ci  debitum  in  omnibus  cani  reve- 
ventia,  et  desiderio  famulatum. 

Non  avendo  Riccardo    I  che  un 
figlio  naturale  chiamato  Filippo,  fu 
suo    malgrado    costretto    a     lasciar 
la  corona  al  disleale  di   lui  fratel- 
lo Giovanni,    che  contro     i  giura- 
menti  avea    cagionato    tumulti    in 
Inghilterra;  i   legati   di   Urbano  III 
sino  dal  i  187   l'aveano  coronato  re 
d'Irlanda,  e  Celestino    III  si  era  la- 
mentato di  sua    condotta.  Giovan- 
ni fu  dagli    inglesi,   vaghi  d'impor 
soprannomi   a' loro  monarchi,  chia- 
malo Senza  terra,  perchè  il   di  lui 
padre  Enrico  II    morendo  non  gli 
lasciò     alcun    dominio    in    eredità. 
Malgrado  il   testamento  del   fratel- 
lo ed  il  suo  diritto  di  sangue,  que- 
sto monarca  non    ascese  sul   trono 
senza  incontrare  vigorosa  opposizio- 
ne, dappoiché  trovò  nel  giovane  Ar- 
turo duca  di  Bretagna,  unico   figlio 
del  suo  fratello  maggiore  GeofTroy, 
un  competitore  che  vantava  miglior 
titolo  di  lui,  anco  per  dichiarazio- 
ne del  defunto  Riccardo  I,  e  ch'era 
inoltre  sostenuto  dalle  armi  possenti 
di  Francia:  affrettossi  pertanto  Gio- 
vanni d'indebolir  il  partilo  del  suo 
rivale,  conchiudendo  la  pace  col  re 
francese.    Indi    ripudiala   la    prima 
moglie  Avisa  di  Gloucester  sotto  il 


ING 

pretesto  di  parentela,  sposò  pub- 
blicamente Isabella  d'Angouléme,  la 
quale  era  stata  promessa  sposa  al 
conte  de  la  Marche.  Questo  se- 
condo matrimonio  irritò  talmente 
Filippo  Augusto  re  di  Francia,  che 
si  dichiarò  di  bel  nuovo  contro  di 
lui,  e  data  sua  figlia  in  isposa  ad 
Arturo,  l'inviò  con  un  corpo  di 
truppe  ad  assediare  il  castello  di 
Mirabelle  Giovanni  marciò  contro 
di  Arturo  ,  Io  fece  prigioniero,  lo 
rinchiuse  nella  torre  di  Rouen,  o- 
ve  di  propria  mano  l'uccise,  e  con 
una  pietra  al  collo  fece  barbara- 
mente giltare  il  cadavere  nella  Sen- 
na. Una  sì  orrenda  serie  di  misfat- 
ti rese  il  suo  nome  oggetto  di  pub- 
blica esecrazione;  sebbene  alcuni 
storici  dicono  che  Arturo  morisse, 
modo  omnibus  ignorato.  11  re  di 
Francia,  dopo  averlo  invano  citato 
a  comparire  come  vassallo,  per  gli 
stati  che  possedeva  nel  suo  regno, 
innanzi  all'assemblea  dei  pari  del 
regno,  invase  i  di  lui  domimi  nel- 
la Normandia,  indi  privollo  succes- 
sivamente del  Poitou,  dell'Angiò, 
della  Turenna  e  del  Maine,  nò  gli 
lasciò  altra  possessione  nel  continen- 
te tranne  la  Guienna.  Così  l'Inghil- 
terra dopo  aver  per  lungo  tempo 
posseduto  tante  doride  provincic  nel- 
la Francia,  venne  a  perderle  ad  un 
tratto  pei  delitti  del  suo  sovrano. 
AH'  articolo  Francia  riportammo 
molte  notizie  riguardanti  i  possedi- 
menti che  in  essa  ebbero  i  re  in- 
glesi, e  le  guerre  tra  le  due  nazioni. 
Però  ciò  che  pose  al  colmo  le  brutali 
stravaganze  di  Giovanni  si  fu  l'a- 
ver egli  preso  a  perseguitare  i  mi- 
nistri della  Chiesa.  Per  una  leg- 
giera altercazione  che  ebbe  luogo 
tra' monaci  di  s.  Agostino  ed  alcu- 
ni vescovi,  intorno  all'elezione  del- 
l'arcivescovo    di  Cantorbcry  ,  il  re 


ING 

montato  in  furore  bandi  tutti  i 
monaci  agostiniani  dal  regno,  ed 
usurpò  i  loro  beni.  Indi  arrogan- 
dosi nuovi  diritti,  elesse  un  pri- 
mate e  rigettò  con  alterigia  l'ele- 
zione di  Stefano  Langlon,  approva- 
ta da  Innocenzo  HI,  e  scrisse  a  que- 
st'ultimo, il  quale  l'esortava  al  bene 
ed  a  correggersi,  una  lettera  altie- 
ra,  piena  di  rimbrotti,  con  la  mi- 
naccia di  separarsi  del  tutto  dalla 
comunione  della  Cbiesa,  se  ricusa- 
va approvar  le  sue  abbominevoli 
iniquità.  Condotta  n  perversa  in  un 
principe  oppressore  de' suoi  sudditi, 
bigamo  pubblico,  ed  omicida  di 
suo  nipote,  indusse  il  Pontefice  do- 
po aver  fatto  le  parti  di  padre 
con  esortazioni  e  minacce,  ad  usar 
misure  di  rigore.  Nel  1208  Inno- 
cenzo III  fulminò  dunque  contro 
il  regno  d'Inghilterra  sentenza  di 
interdetto,  la  quale  fu  strettamen- 
te osservata  al  modo  che  narra 
Matteo  Paris,  Hist.  Angl. 

Dal  momento  in  cui  l'interdetto 
fu  pubblicato,  le  chiese  si  chiusero, 
gli  altari  si  spogliarono,  le  imma- 
gini e  le  croci  furono  coperte  di 
nero  e  deposte  sul  suolo;  i  mini- 
stri del  Signore  cessarono  d'ammi- 
nistrare i  sacramenti  a'  fedeli,  dal 
battesimo  alla  penitenza  in  fuori, 
i  quali  continuaronsi  a  conferire  in 
privato,  il  primo  a'  bambini  neo- 
nati, il  secondo  a'  moribondi  ;  quei 
che  morivano,  venivano  sepolti  nei 
cimiteri;  i  teatri,  i  giuochi,  i  tri- 
pudi, furono  sospesi;  le  campane 
non  suonarono  più;  le  vesti,  il  ci- 
bo, l'andamento  esteriore,  tutto 
annunziava  tempo  di  lutto,  di  scia- 
gura e  di  pubblica  penitenza.  Con- 
tinuando il  refrattario  monarca  a 
resistere  al  capo  augusto  della  Chie- 
sa, questi  lo  scomunicò  solennemen- 
te nel  12 12,  dichiarandolo  decadu- 


ING  47 

to  da  ogni  diritto  alla  corona;  as- 
solse i  di  lui  vassalli  dal  giuramen- 
to di  fedeltà;  ed  aggiudicò  il  re- 
gno d'Inghilterra  al  re  di  Francia 
suo  più  prossimo  parente,  esortan- 
do questi  a  portarsi  con  un'arma- 
ta alla  conquista  del  reame,  come 
affermano  diversi  storici.  Preveden- 
do Giovanni  che  il  suo  rivale 
Filippo  Augusto  non  tarderebbe  ad 
effettuare  l'invito,  raccolse  in  fret- 
ta un'armata  di  sessantamila  uomi- 
ni, e  con  essa  andò  a  Douvres  ad 
attendere  l'inimico.  Quivi  scorgen- 
do il  visibile  malcontento  del  suo 
esercito,  risolvette  d'umiliarsi  all'of- 
feso Pontefice ,  domandò  solenne 
scusa  al  suo  legato,  e  fece  questa 
solenne  dichiarazione:  »  Di  nostra 
buona  e  spontanea  volontà,  e  di 
cornuti  consiglio  dei  nostri  baroni 
offeriamo  e  lil>eramente  concediamo 
a  Dio,  ai  ss.  apostoli  Pietro  e  Pao- 
lo, alla  santa  romana  Chiesa,  ed 
a  Papa  Innocenzo  III  ed  a'  suoi 
successori  cattolici  tutti,  il  regno  d'In- 
ghilterra e  tutto  il  regno  d'Ibernia, 
con  ogni  ragione  e  colle  pertinenze 
sue,  a  speranza  d'ottenere  la  remis- 
sione dei  peccati  nostri  e  di  tutta 
la  prosapia  nostra,  tanto  per  i  vivi, 
quanto  per  i  morti;  e  ricevendo 
ora  dette  cose  da  Dio  e  dalla  Chie- 
sa romana,  e  ritenendole  per  l' in- 
nanzi come  feudatario,  giuriamo 
in  presenza  del  prudente  uomo 
Pandolfo  suddiacono  e  famigliare 
del  Papa,  fedeltà  ed  omaggio  al 
medesimo  Papa  Innocenzo  III  no- 
stro signore,  e  a' suoi  successori,  e 
alla  Chiesa  romana,  obbligando  in 
perpetuo  i  successoli  nostri  e  no- 
stri eredi  legittimi  a  fare  per  si- 
mi  1  modo  senza  veruna  contrad- 
dizione l'omaggio  e  fedeltà  al  som- 
mo Pontefice  che  allora  sarà  e 
alla  Chiesa  romana.    E  per   segno 


48  ING 

di  questa  perpetua  obbligazione  e 
concessione  nostra,  vogliamo  e  sta- 
biliamo che  in  luogo  d'ogni  ser- 
vigio e  consuetudine  che  dobbia- 
mo fare,  e  salvo  al  tutto  il  dena- 
ro di  s.  Pietro,  la  Chiesa  romana 
riceva  annualmente  mille  marche 
di  sterlinghi  ".  Ne  riporta  l' atto 
e  gli  altri  particolari  il  Rinaldi  all'an- 
no i2i  3.  Innocenzo  111  accettò  per 
la  Sede  apostolica  il  supremo  domi- 
nio dell'Inghilterra  e  dell'Irlanda,  as- 
solvette il  re  Giovanni  e  tolse  al  re- 
gno l' interdetto,  come  si  ha  dal 
Paris  a  detto  anno,  e  dalla  bolla 
97,  Rex  Regimi,  de' 4  novembre, 
Bull.  Rom.  tom.  Ili,  par.  I,  pag. 
i64>  Il  tributo  di  mille  marchi 
d'argento  o  lire  sterline  fu  paga- 
to sino  al  regno  di  Enrico  III,  il 
quale  ricusò  di  più  a  lungo  con- 
tribuirlo, allegando  non  essere  sta- 
to approvato  dal  parlamento. 

La  pace  da  lungo  tempo  brama- 
ta sembrava  ristabilita,  quando  i 
baroni  inglesi,  stanchi  delle  rapaci 
estorsioni  e  capriccioso  dispotismo 
del  monarca,  presero  le  armi,  e 
protestarono  di  non  deporle  che 
dopo  la  concessione  d'  una  carta 
costituzionale.  Il  re  inabile  a  re- 
sistere, aderì  suo  malgrado  alle 
richieste ,  e  sottoscrisse  nella  pia- 
nura di  Runnymead  la  famosa 
magna  carta,  la  quale  viene  tutto- 
ra considerata  come  la  base  della 
libertà  civile  degl'inglesi;  essa  accor- 
da ampi  privilegi  d  immunità  non 
solo  a'  baroni,  ma  a  tutti  i  citta- 
dini d'Inghilterra.  Appena  il  re  eb- 
be segnato  l'umiliante  documento, 
si  morse  le  labbra,  divenne  burbe- 
ro e  melanconico,  si  andò  a  seppel- 
lire nella  solitudine  dell'  isola  di 
Wight,  e  pose  tutto  in  opera  per 
rientrare  nei  suoi  perduti  diritti . 
A  tal  fine  arrollò  armate  straniere, 


ING 

e  minacciò  sterminare  i  pervicaci 
baroni.  Questi  dall'altro  canto  of- 
frirono al  re  di  Francia  di  ricono- 
scere il  di  lui  figlio  Luigi  VIII  per 
sovrano,  purché  li  difendesse  dal- 
l' ira  del  loro  monarca.  L*  offerta 
venne  subito  accolta,  e  Luigi  Vili 
fece  il  suo  trionfile  ingresso  in 
Londra,  ed  avrebbe  anche  preso 
possesso  del  reame  se  con  la  sua 
severità,  o  meglio  per  la  troppa 
parzialità  coi  francesi,  non  avesse 
alienato  l'animo  dei  grandi,  i  quali 
si  rivolsero  di  nuovo  al  loro  legittimo 
sovrano  per  implorarne  il  perdono. 
Appena  Giovanni  si  riconciliò  con 
essi  che  finì  di  vivere  nel  isi6a 
Newark.  Principe  fantastico  e  cru- 
dele, fece  nulladimeno  utili  stabi- 
limenti; favorì  e  protesse  il  com- 
mercio, eresse  il  ponte  di  Londra, 
concesse  a  questa  città  la  facoltà  di 
eleggersi  annualmente  il  mayor  o 
podestà,  ed  altri  magistrati  locali 
detti  sceriffi.  Molte  sono  le  tiran- 
niche concussioni  ch'esercitò,  mas- 
sime cogli  ebrei  ;  ed  inviando  una 
ambasceria  all'imperatore  di  Ma- 
rocco, promise  farsi  maomettano 
se  gli  concedeva  la  sua  alleanza.  Il 
moderno  storico  Hume  fece  un 
breve  e  tristo  quadro  delle  quali- 
tà di  Giovanni:  sotto  di  lui  visse- 
ro Gervasio,  Ruggero  di  Hoveden, 
Ralph  di  Diceto,  e  Walter,  tutti 
celebri  annalisti  d'Inghilterra.  Gli 
successe  Enrico  III  suo  figlio  di 
anni  nove,  e  perciò  soggetto  ad  una 
reggenza,  cessata  la  quale  governa- 
rono i  suoi  favoriti  per  lui.  Dopo 
1'  esequie  del  padre  fu  coronato  alla 
presenza  del  legalo  apostolico,  e- 
mettendo  i  consueti  giuramenti  di 
onorare  Dio  e  la  santa  Chiesa  , 
indi  fece  l'omaggio  alla  santa  Chie- 
sa ed  al  Papa  Onorio  III  pei  re- 
gni d'Inghilterra  e  d'Irlanda,  giù- 


ING 
rancio  pagare  fedelmente  alla  ro- 
mana Chiesa  le  mille  marche  pro- 
messe e  date  dal  genitore,  finché 
avesse  ternato  i  due  regni.  11  con- 
te di  Pemhroke  fu  eletto  aio  del 
giovane  principe,  e  reggente  del  re- 
gno col  titolo  di  protettore:  que- 
sto saggio  e  fedele  ministro  eb- 
be il  merito  di  farlo  riconosce- 
re dall'assemblea  de' pari,  a  fron- 
te di  un'  armata  straniera  ac- 
quartierata in  Londra  con  Luigi 
Vili,  il  quale  pretendeva  la  coro- 
na. La  battaglia  sanguinosa  presso 
Lincoln,  e  quella  navale  della 
Manici  vinte  dagl'inglesi,  indus- 
sero Luigi  Vili  a  conchiuder  la 
pace,  e  ad  abbandonare  l' Inghil- 
terra; quando  però  nel  1223  di- 
venne re  di  Francia,  tolse  agi'  in- 
glesi la  Guienna  ed  ogui  altro 
possedimento  che  loro  restava  sul 
continente  francese.  Sotto  il  regno 
di  Enrico  IH  cominciossi  a  chia- 
mare  parlamento,  ciò  che  per  l'ad- 
dietro  appellivasi  assemblea  de'ba- 
roni  o  de'pari ,  gran  consiglio  o 
consiglio  generale. 

Guardando  il  re  di  mal  occhio 
i  baroni  che  aveano  preso  le  ar- 
mi contro  il  padre,  ed  aderito  alla 
Francia,  tolse  loro  ogni  impiego , 
e  sostituì  iu  vece  una  turba  d'av- 
venturieri della  Guascogna  e  del 
Poitou  ;  questa  imprudente  misura 
alienò  gli  animi  de'  nobili  che  pre- 
sero le  armi  contro  di  lui,  aventi 
alla  testa  il  suo  cognato  Simone 
Monlfort  conte  di  Leicester  .  Il 
re  per  placarli  convocò  un  parla- 
mento ad  Oxford,  ove  si  presero 
si  strane  misure  che  fu  chiamato 
parlamento  de  pazzi:  in  quest'as- 
semblea si  videro  per  la  prima  vol- 
ta dodici  baioni  rappresentanti  dei 
comuni  ossia  dell'ordine  plebeo.  £- 
lessero   ventiquattro    individui    cou 

VOL.    XXXV. 


ING  49 

assoluto  potere  d'  organizzare  una 
riforma,  ed  il  re  v'aderì;  ma  ve- 
dendo poi  che  dispoticamente  eran- 
si  in  loro  riconcentrata  1'  autorità 
del  parlamento  e  la  regia,  e  che 
tendevano  a  stabilir  una  oligarchia, 
protestò  altamente  contro  di  essi, 
donde  risultò  guerra  aperta,  detta 
la  guerra  dt'  baroni:  in  questa  lo 
spirito  di  partito  fu  spinto  ad  un 
grado  di  ferocia  fino  allora  ignoto, 
e  ne  furono  vittima  anche  gli  ebrei. 
Onorio  III  si  studiò  colle  censure 
e  colle  lettere  d' indurre  i  baroni 
ad  obbedire  ad  Enrico  III,  aven- 
done preso  la  protezione  e  coope- 
rato alla  pace  con  Luigi  VIII.  Nel 
12  23  Onorio  III  dichiarò  Enrica 
III  essere  di  età  legittima  a  go- 
vernare il  regno,  e  scomunicò  i  prin- 
cipi, che  non  gli  volevano  rendere 
le  cose  da  essi  ritenute.  Più  tardi 
Luigi  Vili  re  di  Francia  gli  mos- 
se guerra  per  cagione  de'  feudi , 
prese  la  Rocella  ed  altri  luoghi , 
quindi  rivolgendo  le  sue  armi  con- 
tro gli  eretici  albigesi ,  il  Papa 
ammonì  Enrico  III  a  non  infasti- 
dirlo. Nel  1227  con  un  esercitosi 
portò  in  Bretagna,  ma  fu  costi-et- 
to retrocedere  da  Luigi  IX  e  dalla 
guerra  civile  che  scoppiò  di  nuo- 
vo in  Inghilterra.  Nel  1232  ivi 
insorsero  gravi  vertenze  contro  gl'i- 
taliani che  godevano  benefizi,  quali 
non  si  volevano  goduti  dai  fore- 
stieri. Gregorio  IX.  gli  mandò  un 
legato  per  pacificarlo  con  diversi 
principi,  ed  il  re  lo  ricevette  con 
graud'onore.  Volle  aiutare  il  conte 
della  Marca  contro  Luigi  IX,  ma 
fu  vinto,  poscia  conchiuse  la  pace 
col  re  di  Scozia.  Celebrando  Inno- 
cenzo IV  il  concilio  generale  di 
Lione  nel  12^5,  v'intervenne  Eu- 
rico 111,  ed  ivi  venne  riconosciuta 
l'Inghilterra  tributaria  della    santa 

4 


5o  ING 

Sede,  e  molti  inglesi  col  re  prese- 
ro la  croce  per  andare  in  Terra- 
santa.  Avendo  Alessandro  IV  dato 
al  suo  figlio  il  regno  di  Sicilia,  il 
re  non  si  curò  sulle  prime  di  far- 
ne la  conquista ,  e  ne  dimise  il 
pensiero  allorché  ripullularono  le 
guerre  civili,  a  sopir  le  quali  il 
Papa  Urbano  IV  spedi  un  legato 
nel  1264.  Dopo  varie  ostilità  d'am- 
bo le  parti  i  baroni  vinsero  la  bat- 
taglia di  Lewes  nella  contea  di 
Sussex,  e  fecero  prigioniero  il  re, 
suo  fratello  Riccardo  eletto  re  dei 
romani,  e  due  suoi  figli.  Gonfio  il 
conte  di  Monfort  di  avere  in  suo 
potere  il  sovrano,  l'indusse  a  far 
tuttociò  che  gli  piacque:  convocò 
un  parlamento  in  cui  oltre  i  pari 
del  regno  furono  invitati  due  de- 
putati da  ogni  provincia,  e  due  da 
ogni  città,  come  rappresentanti  del 
popolo;  ed  è  questo  il  primo  ab- 
bozzo della  camera  de  comuni ,  dap- 
poiché i  comuni  a  quell'epoca  for- 
mavano una  sola  camera  coi  pari. 
IVel  parlamento  fu  decretato  che 
la  suprema  autorità  fosse  conferita 
ad  una  reggenza  di  nove  individui. 
Mentre  Monfort  impiegava  questi 
tortuosi  mezzi  per  appianarsi  la 
\ia  al  trono,  il  principe  ereditario 
Odoardo  riuscì  ad  evadere  dalla 
prigione,  e  raccolta  un'armata  vin- 
se in  battaglia  ad  Evesham  nel 
1265  il  conte  Monfort,  e  fatto  in 
pezzi  il  cadavere  lo  mandò  in  do- 
no alla  vedova  :  questa  celebre  vit- 
toria restituì  al  re  la  libertà  e  la 
pace  al  regno.  Clemente  IV  spedì 
un  legato  per  costringere  tutti  i  di 
lui  sudditi  all'obbedienza.  Poco  ap- 
presso il  principe  Odoardo  partì 
per  la  Terrasanta  onde  segnalare 
il  suo  valore  contro  gì'  infedeli,  e 
durante  la  di  lui  assenza  Enrico 
III  morì  piamente  nel    1272    con 


ING 
lode  di  limosiniero.  Sotto  il  suo 
regno  furono  abolite  le  prove  chia- 
mate Giudizn  di  Dio  (Predi');  e  lo 
scialacquamento  giunse  a  si  alto 
grado,  che  nel  banchetto  delle  noz- 
ze del  principe  Riccardo  conte  di 
Cornovaglia,  si  narra  che  furonvi 
trentamila  piatti  diversi  ;  di  que- 
sto Riccardo  eletto  re  de'  romani 
ne  parlammo  al  voi.  XXIX,  p.  i5o 
del   Dizionario. 

Mentre  Odoardo  era  in  Terra- 
santa,  fu  eletto  Papa  Gregorio  X 
(Fedi),  già  Teobaldo  Visconti,  che 
trovavasi  in  Soria  coll'esercito  cri- 
stiano: Clemente  IV  Io  avea  pri- 
ma spedito  col  cardinal  legato  Ot- 
tobono  Fieschi  nipote  d'Innocenzo 
IV  in  Inghilterra,  per  riporre  sul 
trono  Enrico  III,  scomunicar  gli 
avversari,  e  con  autorità  aposloli- 
ca  annullare  i  giuramenti  estorti 
dai  ribelli  al  re  ed  al  suo  primo- 
genito. Odoardo  I  fu  ben  lieto  del- 
l'esaltazione di  Teobaldo,  e  poscia, 
divenuto  anch'egli  re  mentre  stava 
in  Soria,  recossi  ad  Orvieto  a  ve- 
nerarlo, come  dicemmo  al  citato  ar- 
ticolo, avendone  pure  parlato  nel 
voi.  XVIII,  pag.  299  all'articolo 
Crociate.  Il  nuovo  re  doveva  la 
vita  a  sua  moglie  Eleonora,  per- 
chè gli  succhiò  l'umore  purulento 
della  ferita,  in  Palestina  fattagli  da 
un  Saracino  con  coltello  avvelenato. 
Appena  ascese  al  trono  si  die  a 
correggere  nel  regno  gli  abusi  del 
foro,  e  a  riformare  radicalmente  il 
codice  di  legislazione,  per  cui  ven- 
ne onorato  del  titolo  di  Gius  lima- 
no inglese.  Convinti  gli  ebrei  di 
tosar  le  monete,  duecen  tot  tanta  su- 
birono l'estremo  supplizio;  ricusan- 
do poi  di  pagar  ottomila  marchi 
d'oro  pei  bisogni  della  corona,  fu 
loro  imposto  di  ritirarsi  dal  regno  : 
partirono  in  numero    di    quindici- 


1NG 
mila,  e  da  quell'epoca  in  poi,  mal- 
grado l'ampia  libertà  accordata  lo- 
ro in  seguito  dai  monarchi  prole- 
stanti,  non  molti  ritornarono  a  fis- 
sare il  loro  soggiorno  nella  Gran 
Bretagna.  Aumentandosi  in  Inghil- 
terra l'antico  e  pio  uso  di  lasciare 
in  morte  le  proprie  sostanze  alle 
comunità  religiose,  il  re,  siccome 
contrario  a  siffatte  disposizioni,  fe- 
ce emanare  dal  parlamento  un  at- 
to detto  delle  mani  morie,  col  qua- 
le veune  a  tutti  impedito  di  testa- 
re a  favore  di  comunità  religiose,  sen- 
za il  consenso  regio.  Indi  domandò 
a  Gregorio  X  giustizia  contro  Guido 
di  Monforte  uccisore  del  suo  nipo- 
te Enrico,  onde  il  Papa  lo  fulmi- 
nò colle  censure  ;  gli  domandò  pu- 
re le  decime  per  riparare  le  co- 
se di  Terrasanta,  ma  il  Pontefice 
rispose  che  gliele  avrebbe  conce: 
dute,  con  patto  di  restituirle  se 
non  fossero  state  erogate  per  l'in- 
dicato oggetto,  giacché  più  d'  una 
volta  i  principi  domandarono  le 
decime  per  giusti  fini,  e  poi  se  ne 
servirono  capricciosamente  per  tut- 
t'altro.  Odoardo  I  rivolta  quindi 
la  mente  ad  imprese  militari ,  e 
messo  in  piede  numeroso  esercito, 
invase  il  principato  di  Galles.  Que- 
sto sterile  paese,  difeso  da  una  ca- 
tena di  alti  monti,  avea  servito 
mai  sempre  d'asilo  agli  abitanti, 
contro  le  successive  invasioni  de' ro- 
mani, de'  sassoni,  de'  danesi  e  dei 
normanni.  Quivi  si  conservavano 
illesi  gli  avanzi  degli  antichi  bri- 
tanni, distinti  dal  resto  degl'ingle- 
si per  mantenere  eglino  ancora 
fra  loro  vigenti,  dopo  un  sì  lungo 
corso  di  secoli,  e  la  lingua  celtica 
e  molti  strani  usi  de'  loro  bellicosi 
antenati.  Erano  essi  governati  da 
un  duce  ereditario  col  titolo  di  re, 
e  chiamato  re  di  Galles  o  di  /  'al- 


ino  5i 

ha,  ed  allora  n'era  re  Llevcellino 
da  altri  chiamato  Leone,  ch'essen- 
do in  discordia  con  Davide  e  Ro- 
drigo suoi  fratelli,  andarono  questi 
ad  offrire  i  loro  servigi  ad  Odoar- 
do I.  Avendo  Llewellino  ricusato 
di  prestare  omaggio  al  re  d'.tnghil- 
terra.  questi  entrò  coll'esercito  nei. 
suoi  stati,  lo  vinse  e  ricevette  la 
bramata  sommissione.  Poco  dopo 
essendosi  Llewellino  ribellato ,  O- 
doardo  I  tornò  in  campo  contro 
di  lui,  lo  battè  ed  uccise,  e  con- 
dannò crudelmente  al  supplizio  Da- 
vide ch'era  ritornato  sotto  le  in- 
segne dell'  infelice  fratello.  Il  re  uni 
il  principato  di  Galles  alla  corona 
d'  Inghilterra ,  destinandolo  in  ap- 
pannaggio al  di  lui  figlio  primoge- 
nito, alfine  di  compensare  in  qualche 
modo  quella  fiera  nazione  della  per- 
dita del  suo  sovrano.  Inoltre  per  pro- 
cacciarsi la  benevolenza  de'nuovi  vas- 
salli, mandò  a  partorire  la  regina  sua 
consorte  a  Caernarvon  città  del  prin- 
cipato di  Galles,  da  lui  edificata 
in  poca  distanza  dall'antico  Segon- 
tiunij  per  dar  ivi  alla  luce  nel  ca- 
stello fortificato,  pur  da  lui  fatto 
fabbricare,  l'infante;  affinchè  si  po- 
tesse dire  ch'egli  avea  dato  a  quei 
di  Galles  un  principe  di  loro  na- 
zione. Vi  nacque  Odoardo  II  che 
pel  primo  portò  il  nome  di  prin- 
cipe di  Galles,  e  fu  pure  sopran- 
nominato Caernarvon  dal  luogo  di 
sua  nascita.  Tuttavolta  gli  abitanti 
di  Galles  smaniavano  di  rabbia 
sotto  il  giogo  che  li  gravitava ,  e 
siccome  i  bardi,  maestri  ed  oracoli 
della  nazione,  colle  loro  energiche 
poesie  e  canzoni,  a  suono  d'arpa 
e  di  cetra  fomentavano  l' ardore 
marziale  de'  loro  compatrioti! ,  e 
mantenevano  vivo  il  fuoco  della  li- 
bertà nazionale,  il  re  li  fece  tutu 
massacrare. 


5t.  ING 

Compiuta  la  conquista  di  Gal- 
les ,  Odoardo  I  pregò  il  Papa 
Martino  IV  a  dispensarlo  dal  vo- 
to di  portarsi  a  soccorrere  la  Ter- 
ra Santa;  essendo  però  caduto  in- 
fermo, quando  ricuperò  la  sanità 
pigliò  la  croce  e  venne  creato  dal 
legato  pontificio  capitano  generale 
de'  crocesignati.  Poscia  non  attese 
tal  promessa,  onde  per  indurvelo 
Nicolò  IV  gli  concesse  le  decime, 
ma  quando  vide  che  non  partiva 
per  la  Palestina  gli  mandò  una 
legazione  per  obbligarlo  a  farne 
la  restituzione,  e  per  pacificarlo 
col  re  di  Francia.  Non  andò  gua- 
ri che  Odoardo  I,  anzioso  di  nuo- 
vi trionfi,  diresse  le  armi  contro 
la  Scozia.  Il  sovrano  di  quel  pae- 
se Alessandro  III  era  morto  nel 
1286  senza  successione,  lasciando 
per  unica  erede  sua  nipote  Mar- 
gherita di  Norvegia,  che  il  re  d'  In- 
ghilterra domandò  in  isposa  per 
uno  de' suoi  figli,  ciò  che  approva- 
rono i  reggenti,  il  Papa  ed  il  re  di 
Norvegia.  Maria  morì  recandosi  iti 
Inghilterra,  per  cui  vari  pretendenti 
insorsero  a  disputarsene  lo  scettro 
con  1'  armi,  e  fu  preferito  Giovan- 
ni Bailleul  o  Baliol,  discendente  da 
una  figlia  di  Davide  I,  pel  favore 
di  Odoardo  I,  che  onorò  in  più 
modi  dopo  che  nel  1292  ascese  al 
trono.  Vergognandosi  poi  dei  pro- 
fusi omaggi,  che  ferivano  1'  orgo- 
glio nazionale,  fece  un  trattato  of- 
fensivo e  difensivo  col  re  di  Fran- 
cia, e  ricusò  di  comparire  al  par- 
lamento di  Newcastle.  Odoardo  I, 
profittando  di  tali  dissensioni,  re- 
clamò per  sé  la  corona  di  Scozia, 
e  vi  si  portò  con  un  esercito  a 
far  valere  i  suoi  pretesi  diritti,  i 
quali  presso  a  poco  erano  della 
stessa  tempra  di  quelli  spacciati  ai 
tempi    nostri    da  Napoleone    allor- 


ING 

che  invase  gli  stati  altrui.  Prese 
Berwick  d'  assalto,  e  per  incutere 
terrore  alla  nazione  fece  passare  a 
111  di  spada  la  guarnigione  compo- 
sta di  ottomila  uomini.  Incontrato- 
si poscia  presso  Dunbar  con  1'  in- 
numerabile armata  scozzese  coman- 
data da  Giovanni  Baliol,  la  vinse 
e  ne  fece  immenso  macello.  Allora 
lutto  piegò  sotto  il  dominio  del 
vincitore,  e  le  principali  città  di 
Scozia  gli  spalancarono  le  porte,  e 
Giovanni  ricadde  nella  sua  prima 
debolezza,  e  col  suo  figlio  Odoar- 
do andò  a  prostrarsi  al  vincitore 
per  rimettere  a  di  lui  discrezione  la 
sua  vita  e  quella  de'  sudditi.  O- 
doardo  I  gli  fece  sottoscrivere  la 
falsa  confessione  di  sua  ribellione 
ed  una  vile  rinunzia  alla  corona  ; 
indi  col  figlio  lo  mandò  prigionie- 
ro nella  torre  di  Londra,  ove  essi 
restarono  sino  al  compimento  del- 
la conquista  di  Scozia.  Questa 
venne  operata  dal  re  colla  deva- 
stazione ed  incendio  delle  castella 
de'  baroni  scozzesi  ;  abolì  le  loro 
leggi  e  vi  sostituì  le  inglesi  ;  di- 
strusse tutti  i  monumenti  d'  anti- 
chità, affine  di  cancellare  ogni  me- 
moria dell'  antica  libertà  de'  scoz- 
zesi, facendo  trasportare  in  Inghil- 
terra la  famosa  pietra  nera,  chia- 
mata dal  volgo  il  guanciale  di 
Giacobbe,  sulla  quale  solevano  se- 
dere i  re  di  Scozia  nella  funzione 
di  loro  coronazione,  essendo  riguar- 
data qua]  palladio  della  monarchia. 
Non  conlento  di  tutto  ciò  Odoardo 
I  fece  bruciare  tutti  gli  archivi, 
ove  si  conservavano  tutti  gli  anti- 
chi documenti  de'pubblici  dominii 
come  delle  private  proprietà,  con 
disordine  e  confusione  del  regno 
inesprimibile.  Quindi  il  re  portò 
la  guerra  in  Francia,  ma  fu  co- 
stretto ripassar*  il  mare,    senza  ri- 


IND 

portarne  altro  frutto  che  il  rimor- 
so di  aver  impoverito  la  nazione. 
Per  riguadagnarsi  1*  alletto  de'  suoi 
sudditi,  solennemente  confermò  la 
magna  carta  del  re  Giovanni.  A- 
veva  Odoardo  I  domandato  a 
Nicolò  IV  Papa  le  decime  di 
tutti  i  suoi  dominii,  ma  n'  ebbe 
in  risposta  che  non  poteva  conce- 
dergli che  quelle  delle  sole  sue 
terre  ;  domandò  pure  che  il  censo 
alla  Chiesa  romana  dovuto  per 
1'  Inghilterra  venisse  pagato  da  al- 
cune chiese,  ed  il  Pontefice  non 
accettò,  essendo  ciò  contro  il  deco- 
ro della  santa  Sede.  Assunto  al 
pontificato  Bonifacio  Vili,  già  le- 
gato di  Martino  IV  per  la  pace 
tra  i  re  di  Francia  e  d'Inghilterra, 
tal  concordia  subito  procurò,  dis- 
suadendo Adolfo  re  de'  romani  ed 
alleato  di  Odoardo  I  di  assalire  i 
francesi,  e  minacciando  la  scomu- 
nica a  chi  prendesse  le  armi  ; 
quindi  dall'  arcivescovo  di  Cantor- 
bery  fece  pubblicare  la  sua  bolla 
in  difesa  dell'  immunità  de'  chieri- 
ci a'  quali  il  re  domandò  perdono, 
e  per  opera  del  Pontefice  si  paci- 
ficò col  re  di  Francia  ,  con  quei 
patti  da  lui  stabiliti  .  Cedendo 
Odoardo  I  alle  replicate  istanze 
di  Bonifacio  Vili,  restituì  la  liber- 
tà a  Giovanni  Baliol  e  suo  figlio, 
rinnovando  il  primo  la  rinunzia 
al  trono,  Indi  passando  a  termina- 
re i  suoi  giorni  in  Normandia. 
Giovanni  prestò  giuramento  di  fe- 
deltà, e  fu  consegnato  al  vescovo 
di  Vicenza    nunzio    apostolico. 

Nel  1 297  il  re  seppe  che  gli  scozze- 
si ripugnanti  al  giogo  straniero,  gui- 
dati da  Guglielmo  "Wallace  guer- 
riero scozzese  celebre  per  le  sue 
gesta  e  per  1'  ardente  suo  amor 
patrio,  avevano  inalberato  lo  sten- 
dardo   della    rivolta.     Wallace  pel 


IND  53 

suo  eroico  coraggio  ed  instancabilità 
divenne  il  terrore  degl'  inglesi.  Fu 
acclamato  duce  dai  compatriotti 
che  unironsi  intorno  a  lui,  anzi 
divenne  viceré  non  essendovi  al- 
lora nella  Scozia  veruna  autorità 
scozzese.  Pertanto  gli  scozzesi  si 
prepararono  a  difendere  quella  li- 
bertà che  mediante  il  calore  di 
Wallace  avevano  ricuperato  allor- 
ché si  ritirarono  gli  uffiziali  ingle- 
si. Non  andò  guari  che  un  eserci- 
to di  quarantamila  inglesi  portossi 
nel  paese  per  ristabilire  V  autorità 
del  loro  sovrano.  Bonifacio  Vili 
protestò  contro  questa  nuova  in- 
vasione della  Scozia  come  feudo 
della  Chiesa,  ma  il  re  si  studiò  di- 
mostrare eh'  essa  era  tributaria 
dell'  Inghilterra,  che  1'  ultimo  re 
gliene  avea  fatta  cessione,  e  che 
per  la  sua  ribellione  doveva  casti- 
garla. Vedendosi  Wallace  impoten- 
te a  combattere  contro  forze  tanto 
superiori,  si  ritirò  nelle  parti  set- 
tentrionali con  1'  intenzione  di  pro- 
lungare la  guerra  ;  ed  in  fatti  in 
un  incontro  gli  riuscì  tagliar  a 
pezzi  1'  esercito  nemico  ,  i  cui 
avanzi  subito  sgombrarono  la  Sco- 
zia. Il  vincitore  fu  dai  suoi  prodi 
commilitoni  acclamato  salvatore  e 
guardiano  del  regno  durante  la 
cattività  di  Baliol  ;  laonde  risolse 
invadere  1'  Inghilterra,  secondato 
dagli  scozzesi  che  si  credevano  in- 
vincibili sotto  un  tal  capo.  Walla- 
ce nel  1298  pose  a  ferro  ed  a 
fuoco  le  contee  settentrionali  d'  In- 
ghilterra, sino  a  Durham,  tornan- 
do nella  Scozia  nel  1299  carico 
di  gloria  e  di  bottino.  Allora  O- 
doardo  I,  raccolto  un  esercito  di 
ottantamila  fanti  e  settemila  caval- 
li, si  accinse  ad  entrare  in  Iscozia, 
e  fu  favorito  dalla  discordia  che 
insorse  tra  gli  scozzesi.  Questi,  fatti 


54  ING 

prodigii  di  valore,    furono    intera- 
mente battuti  a  Falkirk,  con  loro 
immensa  strage.  Però  la  conquista 
della  Scozia  non  fu  compiuta,  e  lo 
provincie  settentrionali  continuaro- 
no a  fare  resistenza.  Solo  nel   i3o4 
potè     Odoardo     I     terminarla  ;    e 
tradito     Wallace     fu    scoperto    nel 
suo  ritiro,  incatenato,    e    condotto 
in  Londra,  ove  fu  decapitato,  ©se- 
condo altri   tirato  a  coda  di  caval- 
lo   e  squartato    nel    i3o5.    In  tal 
guisa  perì  un  eroe    che    per  tanti 
anni  avea    difeso    la  libertà     della 
sua  patria.  Gli  scozzesi  ne  restarono 
esacerbati,  e  Roberto  Bruce  poi  lo 
vendicò,  divenendo  il  liberatore  del 
proprio    paese .    Odoardo    I    tornò 
in  Inghilterra,  e  vi  fu  ricevuto  tra 
gli  applausi.   Gli  scozzesi    non  per- 
tanto ripresero  le  armi,  e    quando 
il     re     stava     per     effettuare     una 
«piarla     esterminatrice    spedizione, 
morì  nel   1807.  Egli  ebbe  il  merito 
di  stabilire  il  parlamento    sul  pie- 
de in  cui    continua    tuttora.    Bra- 
moso   di    porgere    un    rimedio     al 
disordiue  in  cui  le  continue  guer- 
re aveano  ridotte  le    pubbliche   fi- 
nanze,   ed    il    timore    di     rendersi 
odioso    con    nuovi    aggravi    al  suo 
popolo,  senza    il  consenso    de'  suoi 
rappresentanti,  indusse    Odoardo   I 
ad  invitare  al  parlamento   due  de- 
putati d'  ogni   provincia,  e  due  al- 
tri d' ogni    città    e  d' ogni     borgo, 
e  ne    risultò    la    fondazione    della 
Camera  de  comuni,    la    quale  do- 
veva    in    seguito    contrabbilanciare 
il  potere    gravoso  de'  nobili    e    la 
dispotica  autorità  del  sovrano.  Ta- 
li deputati  furono  eletti    dalla  po- 
polazione d'  ogui  distretto,   e   ven- 
nero autorizzati  dai  loro  costituen- 
ti di  accordare  o    ricusare,    secon- 
dochè     giudicherebbero  convenien- 
te, quo'  sussidii   pecuniari    che  ve- 


ING 

nissero  richiesti  dal  re    pe'  bisogni 
dello  stato.     Odoardo    I  prima    di 
spirare    ordinò    che    il    suo    cuore 
fosse  trasportato  in    Terra    Santa, 
e  quivi  seppellito;  e  lasciò     sedici- 
mila marchi    d'  oro     pel    manteni- 
mento del  culto    del  santo     Sepol- 
cro di   Gerusalemme.    Aveva    que- 
sto   monarca    sì  profondo    rispetto 
pe'  ministri    dell'  altare,    che     fece 
imprigionare  il    proprio    figlio  per 
aver  commesso  una  mancanza  ver- 
so il  vescovo  di   Lichfield.  Qui  no- 
teremo,   che    nel     i3o5    Clemente 
V  fissò  la  sua  residenza    in  Fran- 
cia    nella    città    d'  Avignone,     ove 
pure  abitarono  sei  suoi  successori  ; 
e  che    verso    quest'  epoca     fiorì  lo 
storico       e      monaco     benedettino 
Matteo  di    Westminster.    Odoardo 
II    suo     figlio    gli    successe,     e    fu 
monarca  inesperto  che  si    fece  go- 
vernare    da   astuti     cortigiani.     Fu 
dapprima     zimbello     del    guascone 
Gaveston,  che  fu  punito  colla  mor- 
te ,    per    aver    provocato    col    suo 
disprezzo    1'  indignazione    della  no- 
biltà   inglese.    Frattanto    la    Scozia 
scosse  il  giogo  della    dipendenza,  e 
gì'  inglesi  furono    cacciati  da    tutte 
le  piazze  :  Roberto  I  Bruce,  discen- 
dente da  una  figlia  del  re  Davide 
I,  venne    proclamato    re,  e     ripor- 
tando la    celebre    vittoria  di    Ban- 
nockburn  contro    Odoardo    II  che 
comandava  l' esercito  inglese,    assi- 
curò per  qualche  tempo  1'  indipen- 
denza scozzese.   Nel   i3oq    promise 
Odoardo  11    al  Papa  d'  imprende- 
re   la    sacra    guerra,    e  nel     1 3 1  t 
intervenne  al  concilio  generale  che 
Clemente  V  celebrò  in   Vienna  :  in 
questo  fu  abolito  l'ordine  dei  tem- 
plari,   e  i  loro  beni  trasferiti  all'or- 
dine Gerosolimitano  (Fedi),  al  qua- 
le articolo  parlammo  di  quanto  ri- 
guarda    la     lingua     d'  Inghilterra, 


ING 

del  suo  gran  priorato,  dignità  ed 
altro.  Roberto  I  prese  1'  ascenden- 
te sul  nemico,  andò  desolando  coi 
suoi  scozzesi  le  provincie  settentrio- 
nali d'  Inghilterra,  per  cui  Odoar- 
do II  si  vide  costretto  per  otte- 
nere la  pace  di  ricorrere  alla  me- 
diazione    del    Pontefice     Giovanni 

xxn. 

Spedì  nel  1 3 1 7  solenne  amba- 
sceria in  Avignone,  i  membri  del- 
la quale  assicurarono  il  Papa  della 
fede  ed  obbedienza  del  re  verso  la 
santa  Sede,  e  di  essere  pronto  a 
pagare  il  tributo  di  mille  marche 
stabilito  dal  suo  predecessore  Gio- 
vanni ad  Innocenzo  III,  e  non  pa- 
gato ne'  ventiquattro  anni  addie- 
tro. Domandarono  perdono  gii  am- 
basciatori al  santo  Padre  di  tal 
sospensione,  adducendo  per  scusa 
che  il  tributo  per  1'  Inghilterra 
ed  Irlanda  non  era  stato  pagato 
per  trovarsi  esausto  il  regio  teso- 
ro :  sborsarono  mille  marche  per 
1'  anno  che  correva,  e  promisero 
che  il  loro  sovrano  avrebbe  paga- 
to ne' seguenti  sei  anni  le  venti- 
quattromila  marche  di  debito,  del 
che  si  fece  pubblico  istromento, 
che  trovasi  nel  tom.  II,  in  Epist. 
secr.  535  di  detto  Pontefice,  e  ne 
tratta  il  Rinaldi  al  menzionato  an- 
no. Quindi  il  Papa  spedì  una  le- 
gazione a  Roberto  I,  per  pacifi- 
carlo cou  Odoardo  II,  ma  egli 
non  1'  ammise  perchè  nelle  lettere 
pontificie  non  era  chiamato  re, 
onde  il  Pontefice  ordinò  che  ve- 
nisse scomunicato.  Mentre  Roberto 
I  occupava  altri  luoghi  dell'  In- 
ghilterra, Odoardo  II  domandò  a 
Giovanni  XXII  di  passare  alla 
conquista  di  Terra  Santa  ;  il  Papa 
ne  lodò  il  desiderio,  ma  1'  esortò 
prima  ad  emendarsi  de'  suoi  vizi 
e     pacificare    il    reguo.    Doniinan- 


ING  55 

do  questo  re  i  favoriti  Spenser  pa- 
dre e  figlio,  i  baroni  presero  le 
armi  ed  ottennero  il  bando  d'  am- 
bedue. Irritato  il  re  di  veder  scos- 
so il  suo  trono  da  quelli  che  ne 
dovevano  essere  il  sostegno  ,  ra- 
dunò un  possente  esercito  con- 
tro i  ribelli,  e  preso  il  conte  di 
Lancastro  loro  capo,  sebbene  di 
stirpe  regia  lo  fece  ignominiosa- 
mente  decapitare,  e  dopo  lui  an- 
che altri  nobili  perdettero  la  vita 
sul  patibolo  con  rammarico  di  tut- 
ta la  nazione.  Frattauto  la  regina 
Isabella  disgustata  del  marito  e 
de'  suoi  cortigiani,  col  suo  amante 
Mortimero  passò  in  Francia  dal 
fratello  Carlo  IV:  ritornata  in  In- 
ghilterra eccitò  il  popolo  contro  il 
re,  ed  un'  immensa  folla  di  mal- 
contenti si  unì  a  lei.  I  Spenser 
vennero  uccisi,  il  re  arrestato  a 
Neath  mentre  fuggiva  in  Irlanda, 
ed  il  parlamento  appena  costituito 
in  due  camere  separate,  abusando 
del  suo  potere  contro  il  suo  so- 
vrano, per  indolenza  Io  depose 
formalmente,  e  trasferì  la  corona 
nel  iZij  nel  giovanetto  Odoardo 
III  di  lui  figlio,  sotto  la  reggenza  e 
tutela  della  regina.  Nella  rigida 
custodia  cui  fu  condannato  il  re 
soffrì  le  più.  desolanti  umiliazioni, 
e  perì  fra  inauditi  tormenti  nel 
castello  di  Berkeley.  Inutili  riusci- 
rono le  paterne  sollecitudini  di 
Giovanni  XXII,  ad  impedire  i 
mali  cui  fu  vittima  sì  infelice  mo- 
narca, il  cui  disgraziato  regno  fu 
anche  memorabile  per  un  terribile 
terremoto,  e  per  una  micidiale 
carestia.  A  fronte  de'  suoi  difetti, 
Odoardo  II  veuue  encomiato  per 
aver  protetto  il  commercio  più 
de'  suoi  predecessori.  Durante  la 
minorità  di  Odoardo  III,  la  regi- 
na   Isabella    ed    il  suo  Mortimelo 


56  ING 

s'  arrogarono  la  suprema  autorità; 
e  Giovanni  XXII  non  mancò  dare 
al  principe  salutari  ammonizioni. 
Il  re  per  seguire  il  genio  marziale 
intraprese  una  campagna  in  Iseo- 
zia,  il  cui  risultato  fu  nullo,  anzi 
disperando  riuscir  nell'impresa  die- 
de sua  sorella  Giovanna  in  isposa 
a  Davide  Bruce  principe  ereditario 
di  Roberto  I,  e  conchiuse  la  pace, 
rinunziando  per  allora  ad  ogni  pre- 
tensione di  sovranità. 

Pervenuto  Odoardo  III  all'  età 
di  diciasselt'anni,  sdegnando  di  vi- 
vere più  a  lungo  sotto  il  giogo  de- 
gli omicidi  di  suo  padre,  di  notte 
tempo  fece  arrestare  nel  castello  di 
Nottingham  la  regina  col  suo  dru- 
do :  questi  fu  appeso  in  Londra  al 
patibolo,  e  la  madre  rinchiusa  nel 
castello  di  Risings,  ove  sopravvisse 
■venticinque  anni  al  suo  disonore 
ed  alla  sua  caduta.  Svincolato  dai 
suoi  tutori,  volò  ad  attaccar  la  Sco- 
zia, e  col  terrore  delle  sue  armi 
costrinse  il  cognato  David  II  a  fug- 
gire in  Francia.  Vinta  la  sangui- 
nosa battaglia  di  Halidon-Hill,  pre- 
se la  forte  piazza  di  Berwick ,  ri- 
dusse in  cenere  Aberdona,  e  per- 
corse senza  impedimento  tutto  il 
reame.  Privo  di  forze  per  guarnire 
le  piazze  conquistate,  ritornò  in  In- 
ghilterra lasciando  scolpito  nel  cuo- 
re de'  scozzesi  odio  sempiterno.  Im- 
baldanzito Odoardo  111  de'  vantag- 
gi riportati,  concepì  il  vasto  dise- 
gno d' invadere  il  regno  di  Fran- 
cia, pel  diritto  che  vantava  di  suc- 
cedere al  trono  come  figlio  d'Isa- 
bella, sorella  del  defunto  re.  I  fran- 
cesi vi  opposero  là  legge  Salica , 
che  ha  mai  sempre  escluse  le  fem- 
mine dal  trono  :  Lilia  non  nerit  è 
il  motto  che  allude  a  questa  leg- 
ge fatale  al  gentil  sesso,  ed  è  trat- 
to dal  vangelo   di   s.  Matteo,    VI, 


ING 

a8.  I  francesi  proclamarono  re  Fi- 
lippo VI  di  Valois  cugino  di  Car- 
lo IV,  per  cui  Odoardo  III  in- 
viperito di  veder  sprezzati  i  suoi 
diritti,  sopra  una  flotta  di  trecen- 
to vele  imbarcò  quarantamila  uo- 
mini ;  assunse  il  titolo  di  re  di 
Francia,  ed  inquartò  al  suo  stem- 
ma le  armi  di  quel  regno  col  mot- 
to :  Dieu  et  moti  droit.  I  francesi 
con  una  flotta  superiore  alla  sua 
tentarono  d' impedirgli  lo  sbarco 
sulle  coste  di  Fiandra,  nelle  quali 
le  navi  francesi  rimasero  nella  mag- 
gior parte  in  potere  degli  inglesi. 
Dopo  breve  tregua  si  riaccesero  le 
ostilità;  sbarcò  Odoardo  III  in 
Normandia,  prese  e  saccheggiò  Caen, 
ed  attraversata  con  felice  ardimen- 
to la  Somma,  passò  ad  accamparsi 
presso  Crecy  con  trentamila  guer- 
rieri. Spedì  un  cartello  di  disfida 
a  Filippo  VI,  che  ricusò  d'accet- 
tarlo perchè  mancante  del  titolo  di 
re,  ma  con  un'armata  quattro  vol- 
te superiore  all'  inglese  volò  ad  in- 
contrare il  suo  emulo.  Quivi  se- 
guì nel  1 346  la  famosa  battaglia 
che  procurò  ad  Odoardo  III  ed 
a  suo  figlio  Odoardo  principe  di 
Galles,  soprannominato  il  principe 
nero  dal  colore  di  sua  armatura , 
fama  immortale  per  aver  distrutto 
un  esercito  immenso  che  combat- 
teva nel  proprio  paese,  estenuato 
però  dalle  marcie  forzate.  Narra 
Giovanni  Villani  che  nella  batta- 
glia di  Crecy  gì'  inglesi  fecero  uso 
per  la  prima  volta  di  alcuni  pezzi 
d'artiglieria.  Il  frutto  della  vittoria 
fu  la  presa  di  Calais,  dopo  un  o- 
stinato  assedio  d'undici  mesi,  ri- 
manendo in  possesso  dell'Inghilter- 
ra sino  al  i558.  Dopo  tanti  trionfi. 
la  terribile  pestilenza  che  desolò 
l'Italia,  si  estese  iu  Inghilterra  e 
vi  fece  orrenda  strage:    nella   sola 


ING 
Londra    si    dice    esserci    periti   nel 
1 34^>  da  cinquantamila  abitanti. 

Al  principio  de'  dissapori  tra  O- 
doardo  III  e  Filippo  VI,  il  primo 
avea  rimessa  la  soluzione  delle  con- 
troversie al  Pontefice  Benedetto 
XII,  che  avea  abolito  le  grazie  a- 
spettative  delle  quali  erane  abusi- 
vamente anco  inondata  l'Inghilter- 
ra. Benedetto  XII  mandò  legati 
per  conchiudere  la  concordia,  ma 
senza  elìetto,  e  negò  al  re  inglese 
la  licenza  di  potersi  collegare  con 
Lodovico  il  Bavaro  siccome  scomu- 
nicato. Tuttavolta  Odoardo  III  si 
portò  in  Germania  per  essere  fat- 
to da  Lodovico  vicario  deli'  impe- 
rio fuorché  d'Italia,  qualifica  che 
lo  autorizzava  a  far  marciare  i  prin- 
cipi tedeschi,  onde  il  Papa  lo  ri- 
prese per  aver  oscurata  la  dignità 
reale  ed  incorso  nelle  censure  ec- 
clesiastiche, invitandolo  a  deporre 
il  titolo  di  vicario  imperiale.  Come 
tale  il  re  fece  citare  il  vescovo  di 
Cambray  a  fargli  l'omaggio,  ma 
Benedetto  XII  dichiarò  ingiusta  sì 
fatta  pretensione,  annullò  gli  atti 
di  Odoardo  III  come  vicario  im- 
periale, e  die  sentenza  di  scomuni- 
ca contro  di  lui ,  e  contro  quelli 
che  avessero  guerreggiato  nella  con- 
tea di  (Jambray.  Ad  onta  di  ciò  il 
re  assediò  Cambray,  ed  il  Papa 
con  grave  lettera  gli  dimostrò  es- 
sere incorso  nelle  scomuniche.  Quan- 
do prese  il  titolo  di  re  di  Francia, 
con  questo  scrisse  a  Benedetto  XII, 
il  quale  gli  prova  che  non  altri- 
menti a  lui  apparteneva  il  preteso 
regno,  e  lo  rimproverò  della  lega 
fatta  con  Lodovico  il  Bavaro  ne- 
mico della  Sede  apostolica  ,  ed  u- 
surpatore  dell'impero.  A  mezzo  di 
un  libello  presentato  in  Avignone 
da'  suoi  ambasciatori  volle  dimo- 
strare le  ragioni  di  sue    pretensio- 


I N*  G  57 

ni,  ma  gli  fu  provato    inutilmente 
l'opposto.   Anche  Clemente  VI,  che 
da  prelato  era  stato  nunzio  in  Lon- 
dra,   lo    rimproverò    che   usurpava 
le  ragioni  della  Chiesa,  e    procurò 
che  piuttosto  rivolgesse  le    sue  ar- 
mi contro  gì'  infedeli,  e  per    paci- 
ficarlo con  Filippo  VI  gli    mandò 
due  cardinali.  Il  re    non    si    lasciò 
rimuovere,  e  per  proseguir  la  guer- 
ra, sotto  il  titolo  d' imprestito  prese 
le  rendite  ecclesiastiche.    Compiac- 
que il  Pontefice    a  far    tregua    col 
re  di  Francia,  o  piuttosto  per  ap- 
parecchiarsi a  nuove  guerre.  Tan- 
ta  fu  la  sollecitudine  di    Clemente 
VI  per    troncare    queste    discordie 
pregiudizievoli  alla  repubblica   cri- 
stiana, che    per    meglio    applicarvi 
non  fece  ritorno  in   Boma  quaudo 
i  romani    di  ciò  lo  supplicarono,  e 
pubblicò  sentenza  di  scomunica  a  chi 
avesse  armalo  un   legno    a    danno 
della     Francia     o    dell'  Inghilterra. 
Questo  Pontefice  fece  celebrare  in 
Roma  l'anno  del    giubileo     i35o, 
nel  quale  anno  ebbe  origine  in  Ro- 
ma l'ospedale  inglese  di    s.    Tom- 
maso Cantaurieuse  e  della   ss.  Tri- 
nità, per    ricevere  i    pellegrini    ed 
altri  della  nazione  inglese  che  ca- 
pitavano   a    Roma.    Presso    questo 
luogo    per    l' educazione    del    clero 
d'  Inghilterra    dal    Papa    Gregorio 
XIII   fu   nel    1 5-9  istituito  il  cele- 
bre   Collegio  inglese  [fedi),  tutto- 
ra floridissimo,  con  immenso  van- 
taggio della    cattolica    religione    in 
Inghilterra.   A  tale  articolo  parlam- 
mo della  cappella  cardinalizia    che 
ivi  si  celebra  nella  festa  di  s.  Tom- 
maso, di  cui  facemmo  parola  anco 
all'articolo    Immunità',    e  facemmo 
pur  menzione  di    altri    pii    stabili- 
menti della  nazione  inglese  che  fu- 
rono in   Roma,  su  di  che  può  leg- 
gersi  ancora   Teodoro    Amydeuio, 


58  INO 

De.  pielale  romana,  e  sul  collegio 
principalmente,  hi  Relazione  dello 
s'alo  del  collegio  inglese  di  Roma, 
dalla  sua  riapertura  nell'anno  1 8  1 8 
fino  all'anno   1828,  presentala  dal 
rettore  d.  Roberto  Gradwell  a  sua 
eminenza    reverendissima  il  signor 
cardinal  d.  Mauro  Cappellari  pre- 
jello  della  sacra    congregazione   di 
propaganda  fide,  Roma  i8?.8  presso 
l 'raucesco  Bourliè.  Del  casino  di  vil- 
leggiatura che  questo  collegio  possie- 
de presso  Frascati  nella  terra  di  Mon- 
te Porzio,  onorato    dalla    presenza 
di  Leone  XII,  se  ne  parla  al  voi. 
XXV li,  pag.    168  del  Dizionario. 
Da  questo  collegio  sono  usciti  molti 
vicari   apostolici,    molti    personaggi 
insigni  per  dottrina,  per  santità,  e 
pel   martirio    che  sostennero  ritor- 
nati in  Inghilterra.  Al  presente  so- 
novi  sedici  alunni  nel  collegio,  sei 
convittori ,   con    due    superiori ,  iu 
tutti    ventiquattro     individui,    n'  è 
protettore  il    cardinale    Carlo    Ac- 
ton,  e  rettore  d.  Tommaso  Grant: 
prima   per  disposizione  di  Gregorio 
XIII   la  direzione  del    collegio    era 
affidata  ai    gesuiti,    ed    in    fine  di 
quest'articolo,   parlando  de' collegi 
inglesi  fuori  del  regno,  diremo  qual- 
che altra  cosa  su  quello  di  Roma. 
Ora  riprendiamo  il   filo  della    sto- 
ria di   Odoardo  III. 

Mentre  il  re  d'Inghilterra  com- 
batteva in  Francia,  la  regina  Fi- 
lippa di  lui  moglie  passò  con  uri 
esercito  nel  nord  dell'  isola,  affine 
di  fare  rientrare  nel  dovere  gì'  in- 
domabili scozzesi,  i  quali  avevano 
fatto  un'  irruzione  in  Inghilterra. 
La  regina  s' incontrò  coli'  esercito 
nemico  a  Nevil's  Cross,  lo  pose  iu 
rotta  e  fece  il  re  Davide  II  pri- 
gioniero di  guerra,  restando  pri- 
gione undici  anni.  Dopo  la  murte 
di   Lodovico  il  Bavaro,  henchè  fos- 


ING 

se  stato  eletto  re  de' romani  Carlo 
IV,   alcuni  principi    alemanni,  cioè 
quelli    di    Baviera,    i  due    Palatini 
del    Reno,   ed    Enrico    duca    del- 
la   bassa    Sassonia ,    a'  7    gennaio 
i348  elessero  re  de'romani  Odoar- 
do III,  anche  per  le  brighe  di  En- 
rico   deposto  dall'  arcivescovato  di 
Magouza  ;  ma  il  re  d  Inghilterra  ri- 
fiutò la  dignità  imperiale.  Per  aiuta- 
re gli    armeni    oppressi  dai   turchi, 
nel  1  35o  ottenne  Clemente  VI  nuo- 
va tregua  tra    gl'inglesi  ed   i  fran- 
cesi; e  iu  tale  anno    mori    Filippo 
VI,  e  gli  successe  Giovanni  II  che 
si   fece    subito    coronare    in    Reims 
acciò  Odoardo  III  non  ne    profilas- 
se. Questi  però  riportò    nel  medesi- 
mo anno  una  vittoria    navale  con- 
tro il  re  di  Castiglia.  Aveva  il   re 
inglese  sino  dal  pontificato  di  Be- 
nedetto XII  occupato  i   benefizi  dei 
cardinali  ed  altri  ecclesiastici  assen- 
ti,   raccogliendone  i  frutti  per   so- 
stegno della  guerra  contro  la  Fran- 
cia. Quel  Papa  non  mancò  di  esor- 
tare Odoardo  III  a  desistere  di  op- 
primere   la  libertà    ecclesiastica,    e 
Clemente  VI  avendo  praticato  inu- 
tilmente altrettanto,  nel    i352  pro- 
cedette colle  censure  per  costringer- 
velo.    Il  re    domandò    perdono    al 
Pontefice,    e  promise    di    reintegra- 
re   i    danneggiati ,    onde    Clemente 
VI     fece     tralasciare    il     prosegui- 
mento   giudiziario    incominciato    a 
di    lui    danno.     Alla     presenza    del 
Papa     vi  fu   un  abhoccamento    tra 
gli  ambasciatori  francesi  ed  inglesi, 
che   per    le    pretensioni    de'secondi 
non    produsse  la  bramata   concor- 
dia :  s'interpose  per    essa  anche  In- 
nocenzo VI   per    mezzo    del  legato 
cardinal  Guido  vescovo  di  Palestri- 
na,    ed    egualmente     coi    cardinali 
legati    Talléyrand    e   Capocci;  ma, 
per  la  durezza    eziaudio  del  re  di 


Francia,  senza  successo.  Avendo  O- 
doardo  III  risoluto  incominciare  la 
guerra  contro  i  francesi,  mandò  a 
guastarne  il  paese  dal  principe  nero 
suo  figlio  con  dodicimila  uomini. 
Il  valoroso  principe  alla  testa  di 
ottomila  de'suoi  nel  i356  s'incontrò 
presso  Poitiers  con  l'armata  di  Gio- 
vanni li,  forte  di  sessantamila  com- 
battenti, e  dopo  ostinato  conflitto 
a'  19  settembre  colse  in  fuga  il  ne- 
mico, e  fece  prigi oneri  il  re  e  suo 
figlio,  che  portò  in  Inghilterra  col- 
mo di  gloria.  Il  principe  vittorioso 
s'immortalò  anche  pel  generoso  trat- 
tamento fatto  al  re  prigioniero,  in- 
nanzi a  cui  ricusò  costantemente  per- 
fino di  sedere,  e  lo  servi  pine  a 
mensa;  dipoi  nell'anno  i36o  Gio- 
Minni  II  fu  riscattato  dai  suoi  sud- 
diti, mediante  la  promessa  di  tre 
milioni  di  scudi  d'oro,  che  non  fu- 
rono mai  tutti  pagati,  e  la  resti- 
tuzione delle  provincie  già  possedu- 
te in  Francia  dall'Inghilterra.  In- 
nocenzo VI  fece  quindi  vive  pre- 
mure con  Odoardo  III  e  col  suo  fi- 
glio perchè  trattassero  umanamente 
l'illustre  prigioniero  e  si  pacificas- 
sero colla  Francia,  mentre  il  princi- 
pe Odoardo  senza  mostrarsi  vano 
del  trionfo  ottenuto,  protestò  ai 
suoi  baroni  ripeterlo  da  Dio,  e  vol- 
le, oltre  suffragare  i  morti,  che  in 
tutte  le  chiese  gliene  fossero  rese 
distinte  azioni  di  grazie.  Tuttavolta 
Ja  guerra  continuò,  il  re  d'Inghilter- 
ui  si  portò  in  Francia  per  pren- 
derne possesso,  e  nel  i35g  assediò 
lieims  per  farsi  incoronare,  ciò  che 
non  gli  riuscì,  ed  impaurito  per 
qualche  sinistro  avvenimento,  fece 
voto  di  accettare  la  pace  che  uni- 
tamente a  Giovanni  11  giurò  avan- 
ti il  Corpo  di  Cristo  ,  col  quale 
ambedue  si  comunicarono.  Ritor- 
nalo il  re  iu  Francia,  quello  d' lu- 


ING  59 

ghilterra  colle  sue  pretensioni  stan- 
cò la  pazienza  degli  ostaggi  ch'e- 
rano in  Londra:  uno  di  essi  il  du- 
ca d'Angiò  figlio  di  Giovanni  II  fug- 
gì, per  cui  questo  sovrano  pieno 
di  probità  si  portò  nella  capitale 
dell'Inghilterra  a  costituirsi  prigio- 
niero nel  1 363,  e  mentre  trattava 
il  riscatto  del  figlio,  mori  nell'anno 
seguente.  A  Londra  gli  furono  fa- 
ti magnifici  funerali,  a  cui  inter- 
venne in  lutto  Odoardo  IH,  ed  il 
cadavere  fu  trasportato  a  Parigi. 
11  delfino  cbe  sino  allora  urea  go- 
vernato la  Francia,  sali  sul  trono 
col  nome  di  Carlo  V. 

Essendo  morto  nel  i362  Inno- 
cenzo V I,  i  cardinali  guasconi,  sog- 
getti al  re  d'Inghilterra  come  du- 
ca di  Aquitania,  si  separarono  dai 
cardinali  francesi,  finché  riuniti  e- 
lessero  Urbano  V.  Zelante  questi 
delle  ragioni  della  Sede  apostoli- 
ca, osservando  che  Odoardo  III  da 
trentanni  non  avea  ad  essa  paga- 
to il  tributo  pel  suo  reame,  l'esor- 
tò a  pagar  le  annue  mille  marche, 
e  lo  ammonì  a  correggersi  dei  suoi 
vizi,  ed  a  reprimere  l'eresie  che 
andava  spargendo  Giovanni  \V\- 
clilfe  o  Wicleffo  parroco  di  Lut- 
terworlh.  Dopo  tanti  prosperi  av- 
venimenti Odoardo  principe  di  Gal- 
les, sosteguo  dell'  Inghilterra  e 
flagello  dei  francesi,  morì  nell'an- 
no i3y6,  non  senza  inquietudi- 
ne per  lasciare  il  giovane  Riccar- 
do suo  figlio  in  balia  dell'ambizio- 
so zio  duca  di  Lancastro.  Intanto 
Odoardo  III  afflitto  per  aver  per- 
duto l'altro  figlio  Leonello  duca  di 
Chiarenza,  vide  con  pena  Carlo  V 
re  di  Francia  ritogliergli  tutti  i  suoi 
possedimenti  in    quel    regno   meno 

Calais.    Carlo  V  battendo    el'iiiiile- 

o       o 

si  in  corpi  separati,  ed  evitando  cau- 
tamente di   ventre  a  giornata  deci- 


6o  I N  G 

siva,  rinnovò  la  condotta  di  Fabio 
Massimo ,  qui  Guadando  restituii 
rem.  Odoardo  III  divenute  vecchio 
ed  inerte,  per  colino  di  obbrobrio 
accecato  d'amore  per  Alice  Perrers, 
abbandonato  da'  suoi  cortigiani,  e 
spogliato  persino  degli  anelli  che  te- 
neva nelle  dita  dalla  sua  amica,  morì 
nel  1 3 77  nella  conica  di  Surrey, 
assistito  da  un  solo  sacerdote,  e  ba- 
ciando con  molta  riverenza  la  cro- 
ce. Questo  principe  incoraggi  le 
manifatture,  introdusse  molle  fab- 
briche sconosciute,  edificò  il  ma- 
gnifico castello  di  Windsor  ed  isti- 
tuì l'ordine  equestre  della  Giarret- 
tiera. Prima  del  suo  regno  non  v'e- 
rano altri  titoli  in  Inghilterra,  che 
di  conti,  baioni,  cavalieri  e  scudieri; 
egli  creò  il  nuovo  titolo  di  duca, 
eleggendo  duca  di  Cornovaglia  O- 
doardo  suo  primogenito  principe  di 
Galles.  Il  figlio  di  questi  Riccardo 
Il  di  undici  anni  successe  all'avo, 
che  lasciò  tre  figli,  i  duchi  di  Lan- 
castro,  di  Gloucester  e  di  York,  i 
quali  furono  i  primi  a  rendere  o- 
niaggio  al  nipote,  ed  in  ricompen- 
za  furono  fatti  dal  parlamento  reg« 
genti  del  regno.  Essendo  il  pubbli- 
co tesoro  esausto  e  le  truppe  mal  ' 
pagate,  i  francesi  non  mancarono 
trarne  profitto:  sbarcarono  in  In- 
ghilterra, occuparono  diverse  piaz- 
ze, e  commisero  molte  crudeltà.  Il 
re  implorò  l'aiuto  del  parlamento 
che  impose  un  tributo,  ch'ebbe  per 
conseguenza  una  ribellione.  Le  som- 
mosse popolari  furono  frequenti  sot- 
to questo  regno,  per  essere  state 
le  menti  del  popolo  messe  in  gran 
fermento  da  astuti  demagoghi,  i 
quali  sperando  profittare  della  pub- 
blica confusione,  andavano  sfaccia- 
tamente predicando  che  gli  uomi- 
ni nascono  tutti  eguali,  e  che  le 
distinzioni  di  nobiltà,  di  titoli  e  di 


ING 

altri  onori  furono  invenzioni  del- 
l'orgoglio e  della  tirannia.  Frattan- 
to Urbano  V  che  avea  restituito  in 
Roma  la  residenza  pontificia,  esseu- 
do  tornato  in  Avignone  per  paci- 
ficare gl'inglesi  co'francesi,  ivi  mo- 
rì. Gli  successe  Gregorio  XI  che 
avendo  fermamente  stabilito  di  ri- 
portine in  Roma  la  sede  del  Pa- 
pa, effettuò  il  divisamento  nel  i"$T]- 
Continuando  Wicleflo,  protetto  dal 
duca  di  Lnncastro,  a  disseminare  nel- 
le scuole  del  regno  i  suoi  errori  in 
materia  di  religione,  in  Germania 
fece  altrettanto  Lollando ,  laonde 
questi  due  famosi  antesignani  del 
luteranismo  e  calvinismo  si  fecero 
molti  discepoli.  Nel  1378  Gregorio 
XI  ordinò  all'arcivescovo  di  Can- 
torbcry  ed  al  vescovo  di  Londra 
di  procedere  contro  WiclefFo,  i  cui 
errori  condannò. 

Ai  molti  fatali  disordini  commes- 
si dal  capriccioso  monarca  Riccar- 
do li,  se  ne  aggiunse  un  altro  che 
pose  a  tutti  il  colmo,  ed  affrettò 
la  sua  totale  rovina.  Sfidatisi  i  du- 
chi di  Norfolk  e  di  Hereford  cu- 
gini del  re  a  singolare  tenzone,  il 
re  li  bandì  dal  regno;  il  primo, 
figlio  del  duca  d'  York,  morì  di 
afflizione  a  Venezia,  il  secondo 
soggiacque  pure  alla  confisca  dei 
beni,  per  cui  di  cordoglio  finì  di 
vivere  il  genitore  duca  di  Lanca- 
stro.  Irritata  la  nobiltà  per  un 
procedere  sì  crudele  ed  ingiusto,  e 
scorgendo  che  il  re  mirava  a  sov- 
vertire la  costituzione,  eleggere  un 
nuovo  parlamento  e  rendersi  de- 
spota della  monarchia,  prese  le  ar- 
mi. Dopo  la  morte  di  Gregorio 
XI,  seguita  nel  1 378,  fu  eletto  in 
Roma  Urbano  VI,  il  quale  cor- 
reggendo i  costumi  d'alcuni  cardi- 
nali, e  bramando  i  francesi  ritor- 
nare in  Avignone,    essi    scismatica- 


ING 
mente  deposero  il  Pontefice,  e 
mossi  dalle  loro  private  passioni 
crearono  antipapa  Clemente  VII, 
il  quale  recatosi  in  Avignone  die 
principio  al  più  lungo  e  fatale 
scisma  dell'  occidente,  perchè  non 
ebbe  interamente  fine  che  nel 
1429.  L'  Inghilterra  e  1'  Irlanda 
rimasero  neh'  obbedienza  romana, 
ma  la  Scozia,  la  Francia  ed  altre 
nazioni  seguirono  le  parti  degli 
antipapi  avignonesi.  E  in  fatti,  av- 
visato Riccardo  II  da  Venceslao 
re  de'  romani  e  dagli  elettori  del- 
l' impero,  degli  inganni  de'  cardi- 
nali francesi,  prese  la  difesa  di 
Urbano  VI,  ed  a  lui  stette  unito  ; 
quindi  fatti  cercare  gli  scritti  di 
YYicleffo  li  condannò  alle  fiamme, 
e  con  lodevole  zelo  represse  i  se- 
guaci dell'  eresiarca.  Nel  pontifica- 
to però  di  Bonifacio  IX  i  ministri 
regi  siceome  infetti  degli  errori 
dei  wiclefbsti  ,  indussero  il  re  a 
rinnovare  quelle  leggi  che  già  a- 
vevano  intentalo  Odoardo  li  ed 
Odoardo  III,  cioè  di  conferire  i 
vescovati  ed  altri  benefizi  del  re- 
gno senza  la  provvista  della  santa 
Sede,  dichiarandosi  con  tali  leggi 
eh'  era  ribelle  al  re  chiunque  a- 
vesse  ricorso  alla  santa  Sede  per 
ottenerli.  Bonifacio  IX  con  diplo- 
ma del  i3gi,  presso  il  Rinaldi  al 
num.  1 5,  annullò  siffatte  leggi  e 
simili  altre  offensive  della  libertà 
ecclesiastica,  e  diede  sentenza  di 
scomunica  contro  quelli  che  o- 
sassero  difenderle  ne'  giudizii.  Di- 
poi Riccardo  II,  avendo  fatto  lega 
e  contratta  parentela  con  Carlo  VI 
re  di  Francia,  a  persuasione  di 
questi  che  parteggiava  per  1'  anti- 
papa Benedetto  XIII,  cospirò  con- 
tro Bonifacio  IX  per  costringerlo  a 
rinunziare  il  pontificato,  uella  falsa 
persuasione    che  il    simile  avrebbe 


IXG  61 

fatto  il  p«eudo-papa.  Bonifacio  IX 
si  ricusò  pertanto  ai  desiderii  del  re, 
ed  in  vece  gì'  inculcò  di  punire 
i  vvicleffisti  e  dare  mano  forte  ai 
vescovi  per  reprimerne  1'  audacia. 
Frattanto  aumentandosi  1'  odio  del- 
la nobiltà  e  del  popolo  contro  Ric- 
cardo II,  gì'  insorti  guidati  dai 
duchi  di  rsorthumberland  e  di 
Lancastro,  costrinsero  il  re  a  segua- 
re  un  atto  nell'anno  1 3qq  di  ri- 
nuncia alla  corona.  Ottenuto  che 
1'  ebbero,  convocarono  il  parlamen- 
to, il  quale  solennemente  depose 
il  monarca,  e  trasferì  lo  scettro 
nel  suo  cugino  Enrico  IV  duca 
di  Lancastro.  In  quest'  assemblea 
di  ribelli,  ligi  al  duca  di  Lanca- 
stro, i  quali  osarono  sopra  frivole 
accuse  deporre  il  loro  sovrano,  uno 
solo  ascese  intrepido  alla  tribu- 
na ,  il  vescovo  di  Carlisle ,  che 
con  robusta  eloquenza  difese  la 
causa  del  re,  quindi  1'  illustre 
prelato  fu  cacciato  in  un'  oscura 
prigione.  Mentre  Riccardo  II  tro- 
vavasi  carcerato  in  un  castello  del- 
la contea  di  York,  fu  assalito  da 
-otto  sgherri  ed  ucciso.  Il  non  a- 
vere  questo  re  lasciato  prole  alcu- 
na, produsse  dopo  la  sua  morte 
una  lunga  contesa  tra  le  due  ca- 
se di  Laucastro  e  di  York,  che  fece 
scorrere  rivi  di  sangue,  e  che  fini 
con  1'  unione  d'  ambe  le  famiglie 
pel  mezzo  d'  un  matrimonio,  co- 
me diremo  in  appresso.  Sotto  Ric- 
cardo II  1'  agricoltura  fu  incorag- 
giata, venne  istituito  il  nuovo  ti- 
tolo di  marchese,  nominando  mar- 
chese di  Dublino  il  favorito  Ro- 
berto di  Vere  conte  d'  OxJbrd,  il 
quale  era  altresì  duca  d'  Irlanda. 
]  membri  della  camera  de'  comu- 
ni si  elessero  per  la  prima  volta 
un  presidente,  a  cui  si  dirigono 
tutti  i  discorsi.  Sotto  questo    re  si 


n-2  ing 

crearono  ancora  per  la  prima  vol- 
ta i  pari  del  regno,  con  patente 
reale,  la  quale  accorda  loro  il  ti- 
tolo di  lord  ed  il  privilegio  di 
sedere  a  dar  voto  nella  camera 
alta. 

Enrico  IV,  detto  di    Bolingbroke 
ove  nacque,    era  figliuolo     di  Gio- 
vanni de  Gand  duca  di   Lancastro, 
terzogenito    di    Odoardo  III.     Non 
vi  La  dubbio    che    la    corona  non 
gli  si  apparteneva,     ma  bensì  giu- 
sta   le    leggi     dello    stato    doveva 
piuttosto     darsi     ad     Edmondo     di 
Mortimer    conte    della  Marca,  poi 
duca  di  York,  discendente   da  Lio- 
nello duca    di    Chiarenza     secondo 
figlio  del     medesimo    Odoardo  III. 
Fu  appunto    questa    1'  origine    dei 
litigi  fra  la  casa  di  York  e  quella 
di   Lancastro,  sotto  la  insegna  del- 
la rosa  bianca    e  della  rosa    rossa. 
Dappoiché  nelle  famose  guerre  che 
poi  successero  tra  Enrico   VI  della 
casa  di   Lancastro,    e  Piiccardo  du- 
ca di   York,  il    primo  portava  sul 
suo    scudo  una    rosa  rossa,     il  se- 
condo una  rosa    bianca  :   da     ciò  i 
nomi  che     vennero    ai  due    parliti 
che  tanto     funestarono  1'  Inghilter- 
ra. Nel    i4oj    essendo  il  re    in  o- 
dio    di    molli,  massime    de'  baroni 
amici  del  defunto  Riccardo    li,  ed 
anche  perchè  opprimeva  gli    eccle- 
siastici ed  il  popolo,  furono   attac- 
cate alle  porte    delle  chiese    molte 
accuse  di  aver    lese  le    libertà  an- 
glicane. I  ribelli  presero  le   armi  e 
principalmente  quei  di  York,  il  cui 
arcivescovo    Riccardo     fu     creduto 
capo     de'  congiurati,  ed    anche  gli 
scozzesi    alzarono    il  vessillo    della 
rivolta.  Riuscì  ai    regi     ministri  di 
reprimere     gì'  insorti,    e     preso     a 
tradimento    1'  arcivescovo,,   per  or- 
dine   del    re  fu    ucciso  per     mano 
del  carnefice.    Tommaso    Valsinga- 


ING 

no  scrive  che  l' arcivescovo  era 
innocente,  e  prese  1'  armi  di  mal 
cuore  io  difesa  delle  leggi  della 
patria  ;  che  tollerò  con  animo  co- 
stante la  morte,  e  che  i  popoli 
ebbero  tanta  venerazione  per  le 
sue  ceneri,  che  Dio  operò  alla  sua 
tomba  non  pochi  miracoli.  Il  Pon- 
tefice Innocenzo  VII  diede  sentenza 
di  scomunica  contro  gli  uccisori  di 
lui.  Il  Papa  Gregorio  XII  narra 
nelle  sue  lettere,  secondo  la  relazione 
de'  ministri  regi,  la  cosa  altrimenti, 
cioè  che  1'  arcivescovo  combattendo 
alla  testa  di  ottomila  uomini  contro 
il  re,  fu  vinto  e  preso,  e  poscia  a 
richiesta  degl'  inglesi,  che  ad  alta 
voce  ne  domandavano  la  punizio- 
ne, come  reo  di  lesa  maestà,  fu 
fatto  morire  per  impedire  mali 
maggiori.  Continuando  lo  scisma 
a  desolare  la  cristianità,  sostenuto 
dall'  antipapa  Benedetto  XIII,  i 
cardinali  dell'  obbedienza  romana 
si  rivoltarono  a  Gregorio  XII,  per- 
chè contro  le  sue  promesse  creò 
altri  cardinali,  e  spedirono  in  In- 
ghilterra ed  in  Francia  il  cardinal 
Francesco  del  titolo  de'  ss.  Quattro 
per  incitare  i  popoli  contro  Gre- 
gorio XII.  Quindi  convocarono  un 
concilio  a  Pisa  coli'  intervento  di 
molti  vescovi  e  degli  ambasciatori 
de'  principi,  fra'  quali  quelli  di 
Enrico  IV.  Nel  1409  il  concilio 
depose  1'  antipapa  e  Gregorio  XII, 
ed  in  vece  elesse  Alessandro  V  ; 
mentre  i  fedeli  speravano  veder 
estinto  il  lagrimevole  scisma,  do- 
vettero rammaricarsi  che  in  vece 
di  uno  rimasero  tre  Pontefici,  trat- 
tandosi ognuno  per  tale;  e  moren- 
do nel  14 io  Alessandro  V,  i  car- 
dinali di  sua  obbedienza  gli  diede- 
ro in  successore  Giovanni  X X_I II. 
Tutto  il  regno  d'  Enrico  I V  fu 
agitato  da  ribellioni,  ed  in     repri- 


ING  1NG                     f>3 

merle  e  far  la  guerra  agli  scozzesi,  vesi  attribuire  alla  fatale  inimicizia 
Morì  in  Londra  di  lebbra  nel  eli'  era  allora  tra  la  casa  d'  Or- 
i4i3,  e  nel  tempo  di  sua  malat-  leans  e  quella  di  Borgogna;  fra 
tia,  che  durò  circa  due  mesi,  volle  la  regina  Isabella  di  Baviera  ed  il 
sempre  tener  la  corona  presso  il  delfino  die  fu  poi  re  col  nome  di 
capezzale,  temendo  che  gli  venisse  Carlo  VII.  Il  re  Enrico  V  si  uni 
tolta.  Gli  successe  il  suo  figlio  alla  casa  di  Borgogna  ed  a  quella 
Enrico  V,  chiamato  di  Jlfonmouth,  della  regina,  e  couchiuse  nel  1420 
nato  da  Maria  di  Hereford:  i  wi-  un  trattato  a  Troyes  in  Seiampa- 
cleffisti  congiurarono  contro  la  sua  gna,  pel  quale  fu  stabilito  eh'  egli 
vita  nel  principio  del  regno,  capo  sposasse  Caterina  di  Francia  figlia 
de'  quali  era  Giovanni  Oldcastle,  di  Carlo  VI,  fosse  re  dopo  la  mor- 
e  presero  in  mira  di  distruggere  i  te  di  questi,  e  die  da  quell'  or  1 
monasteri.  Il  re  sentenziò  a  morte  prendesse  il  titolo  di  reggente  ed 
molti  di  loro,  e  quelli  che  fuggi-  erede  della  corona,  contro  le  pre- 
rono  passarono  ad  infettare  coi  scrizioni  della  legge  Salica  ed  a 
loro  errori  altre  provincie.  pregiudizio  del  dellino.  Non  ostan- 
Nel  i4f4  Sl  convocò  in  Costan-  te  un  tale  trattato  cosi  vantaggio- 
za  un  concilio  per  dar  termine  so  per  1'  Ingbilterra  la  guerra  si 
allo  scisma,  coli'  intervento  de'  ve-  proseguiva  nel  Delfìnato,  quando  il 
scovi  e  degli  ambasciatori  di  tut-  Papa  Martino  V,  bramando  che 
te  le  nazioni;  1' antipapa  Benedet-  si  dasse  fine  a  tante  calamità,  spe- 
to XIII  fu  degradato  e  scomuni-  dì  legato  per  trattare  una  pace 
cato,  Gregorio  XII  virtuosamente  definitiva  il  b.  Nicolò  Albergati 
rinunziò  al  pontificato,  e  Giovan-  poi  cardinale,  il  quale  dopo  aver 
ni  XXIII  venne  deposto.  Forma-  maneggiato  sì  grave  alfare  colla 
tosi  poscia  il  conclave  per  eleggere  maggior  destrezza,  per  la  ripugnali- 
il  legittimo  Pontefice,  oltre  i  car-  za  di  Enrico  V,  mentre  si  for- 
dinali  delle  tre  obbedienze,  tra  gli  mavano  i  preliminari  della  concor- 
elettori  furonvi  ammessi  trenta  dia  il  re  morì  a  Vincennes  a'  3 1 
prelati  delle  cinque  nazioni  che  agosto  14.22  ,  e  Carlo  VI  a'  20 
formavano  V  augusta  assemblea,  ottobre.  11  re  inglese  lasciò  la  co- 
cinque  essendone  inglesi  ;  e  con-  rona  ad  Enrico  VI  di  Windsor 
forme  alle  leggi  pontificie  agli  1  1  nell'  età  di  due  anni,  altri  dicoiu 
novembre  r 4- 1 7  esaltarono  alla  Se-  di  soli  nove  mesi,  per  cui  lo  rac- 
de  apostolica  Martino  V.  Il  re  di  comandò  al  Pontefice,  ed  ai  pre- 
Inghilterra  mosse  guerra  a  Carlo  lati,  principi  e  baroni  del  regno. 
%  I,  ed  intraprese  la  conquista  del-  Di  Enrico  V  gli  scrittori  inglesi 
la  Francia.  Dopo  avere  nel  i^.i5  fanno  i  più  onorevoli  panegirici, 
guadagnato  la  battaglia  d'  Azin-  Ebbe  da  Caterina  di  Francia  En- 
court,  s;  impadronì  della  Norman-  rico  VI,  la  quale  qualche  tempo 
dia  ;  indi  con  memorabile  assedio  dopo  sposò  Oweu  Tudor  gentil- 
prese  nel  i4'9  Rouen  ed  altre  uomo  di  Galles,  da  cui  ebbe 
città,  ed  entrò  in  Parigi  per  tra-  Edmondo  conte  di  Richemout  pa- 
dimento  del  duca  di  Borgogna,  die  di  Enrico  VII. 
La  cagione  principale  de'  prosperi  R.egnò  Enrico  VI  in  Inghilterra 
avvenimenti  delle  armi    inglesi   de-  sotto  la   tutela  del    duca  di    Glou- 


64  ING 

cester,  ed  in  Francia  sotto    quella 
del  duca  di  Bedford    suoi     zii.  Gli 
inglesi  continuarono  ad  avere  pro- 
speri successi  in    Francia  :     guada- 
gnarono   le   battaglie    di    Crevant, 
di  Verneuil    e   di   Rouvroi    contro 
Carlo     VII,     e  sarebbero    divenuti 
padroni    di    tutta    la    Francia,    se 
una     giovane    donzella ,  la     celebre 
Giovanna    d'Arco,  conosciuta    me- 
glio    sotto     il     nome     di     Pulzella 
d'  Orleans,  comparendo  d'  improv- 
viso alla   tesla  dell',  armata    france- 
se, non  obbligava  gì'  inglesi    a  le- 
var 1'  assedio  d'  Orleans  nel  i4*9< 
Da  quel  punto  gli    affari    dell'  In- 
giù! terra  andarono  di  male  in  peg- 
gio, ma  caduta  nelle  mani  degF  in- 
glesi   la    Pulzella,  iniquamente     la 
fecero  bruciar    viva  in    Koueti    nel 
maggio  o  giugno   i43i.  Il   suppli- 
zio di  questa  innocente  e    valorosa 
eroina    è    per    la    nazione     inglese 
una  maccbia  che  non   si  cancellerà 
giammai.  Narrammo  le    avventure 
e  la  fine  di  Giovanna  d'  Arco,  nel 
voi.  XXVI,  p.  3i  i,  3(2,  3 1 3,  3i4 
e  3 1 5  del  Dizionario.   Avendo   gli 
inglesi     riportato     nuovi      vantaggi 
in  Francia,  condussero    a   Parigi  il 
giovane  re  Enrico    VI,  e  lo    coro- 
narono con   una  doppia  corona  nel- 
la   chiesa  cattedrale   a'  27    novem- 
bre   1 43  x .  Cercando     il   Papa  Eu- 
genio IV,  come  padre  comune,  di 
metter  pace  tra    Carlo    VJI     re  di 
Francia  ed  Enrico    VI,    questi   ri- 
cusò convenirvi,    indi    perdette  di- 
verse   città     in  quel  reame.    Dive- 
nuto il  concilio     di  Basilea     conci- 
liabolo   contro  Eugenio  IV,     il  re 
d'  Inghilterra  intimò    ai  suoi    pre- 
lati  di  ritirarsi  da  quei    scismatici, 
e  giammai  volle  riconoscere    1'  an- 
tipapa    Felice    V,    in    esso    eletto 
nel    1439,  il  quale  dipoi   nel   1 449 
rinunziò    all'  anliponlificato,    dopo 


ING 

1'  assemblea      che     celebrarono    in 
Lione  gli  ambasciatori  di    Francia, 
di   Inghilterra     e  di    altre   nazioni. 
Nel  tempo    dello    scisma    basileese 
non  solo  Enrico  VI   riprovò  tanto 
scandalo,  ma  confortò  Eugenio  IV 
a   toglierlo ,    per    cui   il    Pontefice 
ringraziò  il  re  e  ne  lodò  la    pietà 
per  aver    difeso     la  santa    Sede,  e 
ricusalo  riconoscere  l'antipapa  quan- 
do gì'  inviò  ambasciatori.  Nel  i444 
gì'  inglesi  conchiusero  coi     francesi 
una    tregua  di    diciotto    mesi,  che 
però  venne    rotta    nella    Bretagna 
e    nella    Scozia  :    i    primi    furono 
battuti  da  per  tutto,     per    cui  nel 
1 4^  1   non    aveano    in    Francia  al- 
tro che  Calais  e  la  contea  di  Gui- 
nes.  Prima  di    questa  epoca    Enri- 
co VI    sposò    Margherita     d' Angiò 
nipote  della  regina  di  Francia,  che 
subito  s'  iinpadrotù  dell'animo  dello 
sposo,   ma  si  alienò    pressoché  1'  a- 
nimo  di   tutti,  favorendo  i    vantag- 
gi   della    Francia.    Nicolò   V,    ad 
istanza    di     Enrico    VI,    sino    dal 
i44^  con  diploma  de'  i5    febbra- 
io,   permise    che     la    prammatica 
sanzione    di   Francia,    per     ciò  che 
riguardava  la  vacanza  delle   chiese 
e  la  collazione  di  queste,  come  di 
qualunque  altro  benefìzio    ecclesia- 
stico,   fosse    distesa    ed   avesse  an- 
cor vigore  nella  Normandia    e  Bre- 
tagna    minore.     Dipoi     nel      1 4^ c 
spedì  al     re  d'  Inghilterra     per  le- 
gato   il    cardinal     di     Cusa,    come 
mandò  al  re  di   Francia  il     cardi- 
nal d'  Estouteville    per    procurare 
di  pacificarli.  Le  gravi   perdite  fat- 
te dagli  inglesi  in  Francia     princi- 
palmente provennero  dalle    guerre 
civili     insorte     tra     loro.    Riccardo 
duca  di  York,  che   discendeva  per 
parte  di  madre  da  Lionello  secon- 
dogenito   di    Odoardo  III,    pretese 
di  avere  più.    ragione    alla    corona 


1WO 

che  Enrico  VI  ;.  avendo  armato 
un  esercito,  cagionò  gravi  danni, 
e  si  guadagnò  numeroso  partito. 
Il  re  non  mancò  di  affrontarlo  con 
la  sua  armata,  e  costrinse  il  duca 
con  simulazioni  a  placarlo  ed  a 
fare  la  pace.  Per  meglio  quietare 
lo  spirito  di  partito,  il  Papa  Ni- 
colò V,  con  diploma  de'  26  luglio 
14^2,  concesse  al  cardinal  arcive- 
scovo di  Cantorbery  la  facoltà  di 
assolvere  quegli  inglesi  che  abban- 
donato il  re  avevano  seguito  le 
parti  di  Riccardo.  Non  ostante  il 
duca  tornò  a  ribellarsi,  forte  pel 
suo  parentado  colle  più  potenti 
famiglie  del  regno,  e  pel  malcon- 
tento di  tutta  1'  alta  nobiltà  pro- 
dotto dal  duca  di  Sutfolk  primo 
ministro,  arrogante  ,  arbitrario,  e 
cagione  principale  della  morte  del 
duca  di  Gloucester  zio  del  re.  Ne 
fu  motivo  1'  essere  stato  dichiarato 
protettore  del  regno  per  blandirlo, 
col  licenziamento  e  detenzione  del 
duca  di  Somerset ,  altro  primo 
ministro  odioso  al  principe,  il  qua- 
le dopo  pochi  giorni  fu  ridonato 
al  suo  lustro  e  favore.  Il  duca 
furioso  per  sì  fatto  conlegno  ripa- 
rò nel  paese  di  Galles,  dove  fece 
leva  di  truppe,  ed  altrettanto  fece 
il  re  o  piuttosto  la  regina  :  il  re 
fu  battuto  e  fatto  prigione  dal  du- 
ca a  s.  Albano  li  3i  maggio  i455 
dal  conte  Giovanni  di  Wanvick 
nipote  della  duchessa  di  York,  a 
cui  gli  avvenimenti  fecero  dare  il 
soprannome  di  facitore  elei  re.  Il 
duca  di  York  trattò  con  riguardi 
Enrico  VI,  gli  lasciò  tutti  i  segni 
esterni  della  podestà  reale,  e  si 
contentò  del  suo  primo  titolo  di 
protettore.  La  fiera  Margherita 
non  si  sentì  disposta  di  piegare  il 
collo  sotto  un  padrone,  e  fece  ri- 
pigliare al  re  le  redini  del  governo. 
VOL.   ìxsv. 


ING  65 

Nuovi  disgusti  fecero  ai  due  par- 
titi riprendere  le  armi,  e  nel  :4-6o 
il  re  cadde  nuovamente  nelle  ma- 
ni de  suoi  nemici,  che  rispettando 
la  sua  bontà  gli  usarono  apparenti 
attenzioni.  Mentre  tutti  credevano 
che  Riccardo  ascendesse  sul  trono, 
si  fermò  nell'assemblea  sul  primo 
gradino  per  discutere  i  suoi  dirit- 
ti in  vece  di  esercitarli  ;  questo 
bastò  perchè  il  parlamento  che  stava 
per  decretargli  la  corona,  si  con- 
tentasse di  dichiarare  che  la  me- 
ritava, ina  che  sarebbe  successo  al 
trono  dopo  Eurico  VI.  La  regina 
po^e  in  piedi  un  esercito,  con  suo 
figlio  fra  le  braccia  assalì  il  duca 
di  York,  lo  vinse  nel  1  460  a  Wa- 
kefield,  e  Riccardo  vi  perde  la  vi- 
ta :  la  sua  testa  fu  inchiodata  sulle 
porte  della  città  di  York,  colla  co- 
rona di  carta  in  testa  per  derisio- 
ne. Continuando  l'accanimento  tra 
i  due  partiti,  il  conte  Odoardo 
della  Marca  figlio  dell'ucciso,  di- 
venuto duca  di  York  ,  avendo  ri- 
portato significanti  vantaggi, disprez- 
zando il  parlamento,  raccolse  il  suo 
esercito  nel  1461  nella  pianura  di 
S.t  John's-Fields,  in  cui  era  accorsa 
tutta  la  popolazione  di  Londra. 
Odoardo  o  meglio  il  conte  di  War- 
■wick  chiese  alla  moltitudine  se  vo- 
leva ancora  Enrico  VI  di  Lanca- 
stro  ;  la  risposta  fu  il  grido  una- 
nime, viva  Odoardo  IV.  Il  giorno 
seguente  5  marzo  un  gran  nume- 
ro di  vescovi,  di  lord  e  di  magi- 
strati si  unì  nel  castello  di  Bay- 
nard  e  ratificò  la  scelta  dell'  eser- 
cito e  del  popolo  :  indi  vennero 
proscritti  tutti  i  partigiani  della  ca- 
sa di  Lancastro,  e  molti  furono  deca- 
pitati. Enrico  VI  passò  in  Iscozia, 
e  la  regina  in  Francia  per  implo- 
rare l'assistenza  di  Luigi  XI  :  essa 
non  ottenne  che  un  piccolo  soc- 
5 


66  ING 

corso,  ma  volle  tentare  la  sua  for- 
tuna. La  battaglia  di  Hexham  dis- 
perse nel  1464  interamente  il  suo 
partito;  gli  riuscì  ripassare  in  Fran- 
cia, ma  Enrico  VI  fu  arrestato  e 
condotto  alla  torre  di  Londra,  don- 
de il  conte  di  Warwick  lo  cavò 
dopo  sei  anni,  quando  si  gettò  dal 
partito  di  Margherita,  disgustato  di 
Otioardo  IV  perchè  vide  andare  a 
vuoto  il  di  lui  matrimonio  ch'egli 
avea  combinato  con  Buona  di  Sa- 
voia cognata  del  re  di  Francia , 
allorché  si  scuoprì  il  matrimonio 
segreto  del  re  coti  Elisabetta  Wood- 
ville.  Il  popolo  sempre  vago  di 
cambiamenti  applaudì,  dichiarando 
reggente  il  conte  sino  alla  maggio- 
rità del  principe  di  Galles,  mentre 
Odoardo  IV  di  cui  il  valore  era 
apparso  in  venti  combattimenti , 
preso  da  timor  panico  fuggì  in 
Olanda.  Non  passò  molto  ch'egli 
ripreso  coraggio  e  soccorso  dal  suo 
cognato  Carlo  duca  di  Borgogna 
e  dai  suoi  partigiani,  sbarcò  in  In- 
ghilterra ,  sorprese  i  nemici  nel 
i/\.ji,  entrò  in  Londra  e  nuova- 
mente s'impadronì  di  Enrico  VI; 
indi  vinse  la  battaglia  di  Barnet 
ove  Warwick  restò  ucciso.  Marghe- 
rita ed  il  figlio  che  in  quel  punto 
restituivansi  in  Inghilterra,  eccitati 
dai  capi  del  partito  della  rosa  ros- 
sa alla  battaglia  di  Tewksbury,  ivi 
ambedue  caddero  prigioni  del  vin- 
citore Odoardo  IV.  Il  giovane  prin- 
cipe fu  inumanamente  trucidato,  e 
Margherita  inviata  alla  torre  col 
suo  sposo,  che  poco  dopo  morì, 
forse  per  opera  del  duca  di  GIou- 
cester  poi  Riccardo  III.  Tale  fu  la 
fine  di  un  principe,  di  cui  la  cul- 
la avea  fatto  ombra  alle  corone  di 
Francia  e  d' Inghilterra ,  avendo 
passalo  la  sua  vita  ora  sul  trono, 
ora  nei  ferri,  sempre  sotto    la  tu- 


ING 
tela  de'  ministri  o  della  moglie. 
Odoardo  IV  fece  trasportarne  il  ca- 
davere a  Windsor,  dove  gli  eresse 
un  semplice  mausoleo.  Sotto  il  ra- 
gno di  Enrico  VI  occorse  il  primo 
esempio  di  que*  prestili  autorizzati 
dal  parlamento,  di  cui  l'Inghilter- 
ra ha  tanto  rinnovato  l' uso  da 
circa  quattro  secoli  in  poi.  Si  rac- 
conta che  Enrico  VI  fu  esemplare 
di  costumi ,  e  che  Dio  operò  al- 
cuni  miracoli  a  sua  intercessione. 

La  maggior  parte  de'  primari 
partigiani  della  rosa  rossa  ossia 
della  casa  di  Lancastro,  avendo  ter- 
minato i  loro  giorni  ne'  combatti- 
menti o  sul  patibolo,  Odoardo  IV 
divenne  tranquillo  possessore  del 
trono;  un  parlamento  giusta  il  co- 
stume iati  fico  tutti  gli  atti  del 
vincitore  e  riconobbe  l'autorità  sua. 
Allora  questo  principe  avvenente  e 
popolare  si  abbandonò  allo  straviz- 
zo. Volendo  reclamare  alla  Fran- 
cia la  Normandia  e  la  Guienna,  si 
portò  coll'armata  a  Calais  ;  ma  il 
sagace  Luigi  XI  l'appagò  con  una 
somma,  e  promettendogli  annua 
pensione  e  tregua  ;  tornato  però  a 
Londra  Odoardo  IV,  dissipò  il  de- 
naro ricevuto  colle  sue  concubine. 
Si  raffreddò  col  fratello  Giorgio 
duca  di  Chiarenza  che  l'avea  aiu- 
tato a  giungere  al  trono,  contri- 
buendo alla  rovina  di  esso  l'altro 
fratello  Riccardo  duca  di  Glouce- 
ster  e  la  regina  ;  indi  Io  fece  con- 
dannare a  morte  da  un  parlamen- 
to venduto  a' suoi  capricci.  Per  ven- 
dicarsi di  Luigi  XI  che  non  man- 
tenne la  promessa  d'un  maritaggio 
tra'  loro  figli,  fece  apparecchi  bel- 
licosi, quando  il  re  di  Francia  ec- 
citò Giacomo  III  re  di  Scozia  a 
romper  guerra  all'  Inghilterra.  I 
vantaggi  riportati  sugli  scozzesi  dal 
conte  di  Gloucester   incoraggirouo 


ING 

il  re  ad  occuparsi  seriamente  del 
progetto  di  guerra  contro  la  Fran- 
cia, quando  fu  colpito  da  una  ma- 
lattia che  lo  condusse  al  sepolcro 
a' 9  aprile  148 3.  Lasciò  due  figli, 
Odoardo  V  che  gli  successe,  già 
principe  di  Galles,  e  Riccardo  du- 
ca di  York,  ambedue  fanciulli ,  e 
cinque  figlie,  delle  quali  la  mag- 
giore sposò  Enrico  VII.  Ebbe  di- 
verse concubine,  una  di  esse  Elisa- 
betta Lucy  partorì  due  bastardi.  Al- 
cuni storici  hanno  asserito  ch'era  stato 
segretamente  ammogliato  con  Eleo- 
nora Talbot,  figlia  del  conte  di  Shre- 
tvsbury  e  vedova  di  lord  Butler. 
Per  questo  motivo  Riccardo  III  fece 
dichiarare  illegittimi  i  figliuoli  di 
Odoardo  IV  e  d'Elisabetta  Wood- 
ville.  Prima  di  morire,  temendo  le 
discordie  delle  due  fazioni  che  di- 
videvano la  corte,  e  composte  una 
de' congiunti  della  regina,  l'altra 
di  tutta  l'antica  nobiltà,  adunò  i 
principali  personaggi  de'  due  par- 
titi, raccomandò  loro  la  pace  e  l'u- 
nione, dichiarando  reggente  suo 
fratello  Riccardo  duca  di  Gloucester. 
Appena  egli  chiuse  gli  occhi  che 
le  gelosie  delle  due  fazioni  scoppia- 
rono di  nuovo,  cercando  ognuna 
di  guadagnare  Riccardo ,  il  quale 
era  tormentato  da  sfrenata  ambi- 
2Ìone.  Incominciò  questi  dal  far 
arrestare  il  conte  di  Rivers  zio  ma- 
terno e  custode  di  Odoardo  V , 
sir  Riccardo  Gray  uno  de' figli  del- 
la regina,  ed  altri  due  signori.  Il 
re  preso  da  dolore  e  da  spavento 
per  l'atto  di  violenza  commesso 
sopra  congiunti  sì  prossimi  che  l'a- 
vevano educato  con  tanta  cura , 
non  potè  trattenere  le  sue  querele 
e  lagrime.  Riccardo  gittandosi  alle 
sue  ginocchia  gli  fece  le  più  forti 
proteste  di  fedeltà  e  di  affetto  per 
la  sua  persona,  e  di  aver  ciò  fatto 


isti  67 

a  di  luì  sicurezza  ;  indi  volendo 
rimanere  padrone  del  nipote  si  fe- 
ce nominare  protettore  del  re  e 
del  regno.  Venuto  Riccardo  in  po- 
tere del  duca  di  York  fratello  del 
re,  ambedue  mandò  nella  torre  di 
Londra,  col  pretesto  di  sottrarli  da 
ogni  pericolo;  poscia  a'  22  giugno 
i483  fece  dichiarare  i  suoi  due 
nipoti  bastardi,  e  prese  il  titolo  di 
re  col  nome  di  Riccardo  III.  Da 
quel  momento  in  poi  nulla  più  si 
udì  de'  due  infelici  principi,  e  di- 
cesi  che  li   fece  soffocare  con  sruan- 

o 

ciali  da  Giacomo  Tyrrel.  Odoardo 
V  era  allora  in  età  di  tredici  an- 
ni, ed  avea  portato  il  titolo  di  re 
due  mesi  e  tredici  giorni;  suo  fra- 
tello Riccardo  duca  di  York  non 
avea  che  nove  anni.  Questo  grave 
misfatto  restò  impunito  :  le  ossa 
de'  principi  rinvenute  a  pie  delle 
scale  della  torre  sotto  Carlo  II , 
questi  le  fece  deporre  in  una  tom- 
ba di  marmo  a   Westminster. 

Riccardo  III  dissipò  una  con- 
giura fatta  contro  di  lui  dal  duca 
di  Buckingham,  che  fece  arresta- 
re e  decapitare.  Ma  Enrico  conte 
di  Richemont  figlio  di  Giovanni 
Tudor  e  di  Margherita  della  ca- 
sa di  Lancastro ,  e  perciò  discen- 
dente dal  re  Odoardo  III  e  da  Ca- 
teriua  di  Francia  vedova  di  Enri- 
co V,  essendosi  portato  in  Francia, 
ed  avendo  ottenuto  dal  re  Carlo 
Vili  grandi  soccorsi  d'  uomini  e 
d'argento,  si  ribellò  a  Riccardo  III. 
Passato  in  Inghilterra  fece  dichia- 
rare a  suo  favore  tutto  il  paese  di 
Galles.  lire  marciò  prontamente  con- 
tro di  lui, e  fu  ucciso  nella  sanguino- 
sa battaglia  di  Bosvvorth,  colla  coro- 
na in  capo, a'2 2  agosto  1483  :  que- 
sto principe  fu  l'ultimo  della  pro- 
sapia de'  principi  di  York  o  Plan- 
tagenet,  de' quali  Enrico  II  era  stato 


68  ING 

il  capo.  Lord  Stanley,  che  atea  spo- 
sato la  vedova  Richemont,  e  che 
comandava  l'armata  del  re,  non  so- 
lo si  dichiarò  pel  figliastro,  ma  tol- 
ta la  corona  dall'elmo  di  Riccardo 
III  gliela  impose  in  capo,  gridando  : 
Viva  il  re  Enrico  I  Tale  grido  fu 
ripetuto  da  tutto  l'esercito,  ed  esso  si 
portò  modestamente  in  Londra.  In- 
di Enrico  VII  si  fece  coronare  ai 
3o  settembre  dell'  anno  seguente , 
segnalando  il  principio  del  suo  re- 
gno con  generale  perdono  a  tutti 
i  nemici,  per  cui  fu  lodato  dal 
l'ontefice  Innocenzo  VIII.  Allora  si 
pensò  di  porre  un  termine  alle  due 
fazioni  della  rosa  rossa  e  della  ro- 
sa bianca ,  ed  alle  contese  fra  le 
case  di  Lancastro  e  di  York,  che 
disputandosi  il  reame  avevano  in 
venticinque  anni  di  guerre  civili 
coperta  orribilmente  l' Inghilterra 
di  lutto,  di  odii  e  di  sangue,  cal- 
colandosi che  in  tale  epoca  fune- 
sta perirono  più  di  centomila  in- 
glesi. Enrico  VII,  il  primo  re  della 
casa  di  Tudor,  siccome  appartenen- 
te a  quella  di  Lancastro,  si  sposò 
con  Elisabetta  o  Isabella  che  chiu- 
deva la  linea  de'  duchi  di  York , 
come  figlia  di  Odoardo  IV.  Con 
questo  matrimonio  i  diritti  delle 
due  case  di  Lancastro  e  di  York 
furono  uniti  in  una  sola ,  e  si  pose 
fine  alle  querele.  Lo  sposalizio  si 
celebrò  a'  18  gennaio  i486,  me- 
diante la  dispensa  di  parentela  che 
passava  tra  i  coniugi,  concessa  da 
Innocenzo  Vili,  che  inoltre  confer- 
mò le  ragioni  dello  scettro  in  fa- 
vore della  casa  di  Lancastro,  ed 
approvò  la  riunione  delle  due  case 
sul  trono  inglese  colla  bolla  de'  27 
marzo  i486.  Questa  bolla  fu  do- 
mandata dallo  stesso  re,  per  non 
essere  obbligato  della  corona  a  sua 
moglie,  che  incominciò    a  trattare 


ING 

con  freddezza,  perchè  nel  di  delle 
nozze  le  feste  furono  maggiori  di 
quelle  fatte  nella  coronazione,  a  ca- 
gione della  simpatia  che  gì'  inglesi 
ancora  avevano  per  la  casa  d'York, 
per  cui  ne  concepì  secreto  dispet- 
to. La  bolla  fulminava  la  scomu- 
nica contro  chiunque  avesse  osato 
d'  insorgere  contro  Enrico  VII  e 
la  sua  posterità,  e  venne  colla  mas- 
sima solennità  pubblicata.  Alla  na- 
scita di  un  figlio  la  gioia  del  re 
giunse  al  colmo;  gì'  impose  il  no- 
me di  Arturo,  in  memoria  del  fa- 
moso monarca  bretone  da  cui  pre- 
tendeva che  discendesse  la  casa  di 
Tudor  :  questo  principe  prese  in 
moglie  la  celebre  Caterina  d'  Ara- 
gona figlia  del  re  Ferdinando  V 
e  d' Isabella  monarchi  di  Spagna. 
Ciò  non  pertanto  i  disordini  ri- 
cominciarono, ed  i  nemici  di  En- 
rico VII  tentarono  ben  due  volte 
di  levargli  la  corona,  opponendogli 
due  impostori.  Il  primo  era  un 
certo  Lamberto  Simnel,  che  prese 
il  nome  di  conte  di  Warwick ,  e 
poi  quello  di  Odoardo  VI  quando 
la  città  di  Dublino,  il  governatore 
ed  il  cancelliere  lo  proclamarono 
re.  L'altro  fu  un  avventuriere  chia- 
mato Perkin  Warbeck ,  figliuolo 
di  un  ebreo  convertito  in  Tour- 
nay  :  quest'  ultimo  si  spacciava  per 
duca  di  York,  ma  il  re  seppe  re- 
primere queste  rivoluzioni  fomen- 
tate da  Margherita  duchessa  di 
Borgogna.  Ad  istanza  del  Pontefi- 
ce Alessandro  VI  fece  lega  e  soc- 
corse Massimiliano  I  re  de'  roma- 
ni, contro  Carlo  Vili  re  di  Fran- 
cia, ingelosito  del  matrimonio  di 
questi  con  Anna  di  Bretagna  ere- 
de di  quella  provincia.  Si  mostrò 
soprattutto  accorto  ad  usare  del 
pretesto  di  guerre  imminenti,  per 
ottenere    dal   parlamento    sussidii, 


ING 

cui  trovava  nella  sua  avarizia  sem- 
pre modo  d' impiegare  in  partico- 
lar  uso.  Fece  la  guerra  agli  scozzesi 
perchè  Giacomo  IV  aveva  sostenu- 
to Perkin,  che  avea  assunto  il  no- 
me di  Riccardo  IV.  Essendo  morto 
Arturo,  non  potendosi  risolvere  il 
re  a  restituire  la  dote,  concepì  to- 
sto l'idea  di  fare  che  la  giovane 
vedova  sposasse  il  suo  secondoge- 
nito Enrico,  mediante  dispensa  ac- 
cordata da  Giulio  II  nel  i5o3.  A, 
tale  matrimonio,  destinato  a  diven- 
tare la  sorgente  dei  più  grandi  e 
de'  più  funesti  avvenimenti,  ne  suc- 
cesse un  altro,  ch'ebbe  anch'esso 
importanti  e  lagrime  voli  risultati  :  fu 
quello  di  Margherita  primogenita  di 
Enrico  VII  con  Giacomo  IV  re  di 

Scozia.  Gli    inglesi    mostrarono    ti- 

o 

more  che  tale  parentela  non  li  fa- 
cesse passare  un  giorno  sotto  la 
dominazione  scozzese.  Enrico  VII 
predisse  che  sarebbe  accaduto  il 
contrario.  La  Scozia  non  passò  sot- 
to il  dominio  d'Inghilterra,  perchè 
la  famiglia  reale  di  Scozia  fu  assun- 
ta alla  corona  d' Inghilterra  ;  dipoi 
quando  fu  falla  l'unione,  essa  ebbe 
luogo  con  l'espressa  condizione  d'in- 
dipendenza per  parte  della  Scozia. 
Vero  è  però  che  in  Inghilterra  fu 
stabilito  il  centro  e  la  sede  del  go- 
verno britannico.  Egli  giunse  al  più 
alto  grado  di  sua  potenza,  avendo 
abbattuti  tutti  i  suoi  nemici,  ed  es- 
sendo in  pace  cogli  stati  vicini  ; 
ma  la  sua  avarizia  aumentata  col- 
l'età  varcò  tutti  i  limiti  della  giu- 
stizia, e  quelli  fino  della  vergogna. 
I  suoi  servitori  più  divoti  non  an- 
darono esenti  dal  rigore  delle  sue 
coufiscazioni,  e  dalla  vendita  delle 
grazie  d'ogni  genere.  Vicino  a  mor- 
te e  spaventato  dal  quadro  di  sue 
rapine,  ordinò  col  suo  testamento 
tarde  restituzioni.  Egli  spirò  a'  22 


ING  69 

aprile  10*09  ne^  castello  di  Riche- 
mont  sua  residenza  favorita  ,  e  da 
lui  fatto  edificare  presso  Londra  , 
in  memoria  del  titolo  che  avea 
portato  nella  sua  giovinezza.  Il  suo 
tesoro  si  trovò  ascendere  ad  un 
milione  ottocentomila  lire  sterline, 
somma  prodigiosa  per  que'  tempi. 
Tutta  volta  alcuni  storici  enfatica- 
mente lo  chiamarono  Salomone 
d' Inghilterra  ed  amico  delle  lettere, 
per  aver  fondato  diversi  collegi. 
Fu  pure  lodato  per  clemenza  e 
pietà.  Ed  ecco  l'epoca  più  memo- 
rabile d'Inghilterra,  come  la  più 
infelice,  cioè  a  dire  con  l'assunzio- 
ne al  trono  del  principe  di  Galles 
secondogenito  del  re  defunto,  il  fa- 
moso Enrico  Vili.  Questo  princi- 
pe che  ha  trasmesso  a'  suoi  suc- 
cessori il  titolo  di  Difensore  della. 
fede}  conferitogli  dal  Papa,  fu  quel- 
lo appunto  che  cangiò  nel  floridis- 
simo regno  d' Inghilterra  la  fede 
ed  il  cattolicismo  de'  suoi  antenati. 
Egli  combattè  i  riformatori  ed  in- 
trodusse la  riforma  ne'  suoi  stati. 
Geloso  all'  eccesso  de'  diritti  e  de- 
gli onori  della  corona,  violò  il  ri- 
spetto dovuto  alle  teste  coronate , 
facendo  perire  due  regine  sul  pa- 
tibolo. Finalmente  fece  vedere  sul 
trono,  ciò  che  forse  raramente  si 
è  veduto  nelle  condizioni  private , 
cioè  di  essere  stato  marito  di  6ei 
donne. 

Enrico  VIII  nacque  nel  1491  , 
e  quando  fu  assunto  al  trono  de- 
stò trasporti  di  gioia  in  tutte  le 
classi  della  nazione,  indignata  dal- 
l'avarizia e  severità  del  re  defun- 
to. Un  principe  d'  anni  dieciotto  , 
d'aspetto  leggiadro  e  di  bella  sta- 
tura, di  una  grazia  e  destrezza  po- 
co comune  in  tutti  gli  esercizi  del 
corpo,  non  avea  che  a  mostrarsi 
per   diventare    l'idolo    del    popolo. 


7o  INO 

Unendo    i   diritti    delle    due  rose , 
non  avea   commozioni    interne    da 
paventare  ;  i  tesoti  paterni  lo  .ren- 
devano indipendente  dal  parlamen- 
to ;    fuori    del   regno  godeva    pace 
profonda.  11  genitore,  avaro  per  na- 
tura, ripugnando  restituire  alla  mor- 
te d'Arturo  i  centomila  ducati  che 
avea    ricevuto    per     la  metà     della 
dote  di  sua  nuora  Caterina  d'Ara- 
gona, e  perdere  i  suoi  diritti  sull'al- 
tra metà,  e  temendo  che    la  prin- 
cipessa rimaritandosi   non    portasse 
al    nuovo    sposo    il    godimento  del 
terzo  delle    rendite    del    principato 
di  Galles    e  del  ducato   di   Corno- 
vaglia,  che  le  era   stato    assegnato 
siccome  vedova  del  principe  di  Gal- 
les, con  dispensa    di    Papa    Giulio 
li   la  promise  sposa    ad  Enrico   in 
età    di    anni    dodici.     Nel     giorno 
slesso    in    cui    il    giovane  principe 
divenne  maggiore  di  età,  cioè  a' 27 
giugno    i5o5,  il  re  suo   padre   gli 
fece  sottoscrivere  una  protesta  con- 
tro una  promessa,  di  cui    un   fan- 
ciullo, egli  diceva,  non  avea  potu- 
to conoscerne  la  natura.  Tale  atto, 
comunque  allegalo  in  seguito,  non 
fu  dettato  da  nessuno  scrupolo    di 
coscienza,  il  solo  interesse  pecunia- 
rio di  Enrico   VII  ne  fu  la  causa. 
Del  rimanente  tale  protesta,  che  me- 
nò tanto  rumore  dappoi,  fu  allora 
tenuta  segreta.  Parve    che    Enrico 
Vili   non  si   prendesse  di  ciò  alcun 
pensiero  allorquando  ragioni  politi- 
che d'alto  rilievo,  e  le  rare    virtù 
di    Caterina    d'  Aragona  ,    dopo  la 
morte  di   Enrico   VII   l'ehhero  de- 
terminato in  suo    favore.    Egli    la 
sposò  a'  7  giugno   i5oOy  e    la  fece 
incoronare  alcuni  giorni    dopo  con 
pompa  straordinaria.    Quindi    rin- 
novò le  alleanze  e  i  trattati  del  re 
defunto,  e  giurò  pace  a  Luigi  XII 
re  di    Francia    per    tutta    la  vita. 


ING 

Fece  primo  ministro  Tommaso  Wol- 
sey  poi  cardinale,  il  quale    diven- 
ne il  membro  il  più    influente  del 
suo  consiglio  privato;  ma  i   tornei, 
le  danze,  i  banchetti    ed   il  giuoco 
presto  dissiparono  le  ricchezze    ac- 
cumulate da  Enrico  VII.  Vedendo 
il  re  che   le  ceneri  del  suo  zio  pa- 
terno Enrico   VI   venivano  da  Dio 
onorate  di  frequente  con    parecchi 
miracoli,  supplicò  Giulio  II  che  da 
un  sepolcro  ignobile  in    cui    le    a- 
veano  collocate  gì'  invidiosi   di  sue 
virtù,    fossero    trasportate    alle    se- 
polture reali  di  Westminster,  e  che 
gli   piacesse  canonizzarlo.   Compiac- 
que il   Papa  la    prima    parte    del- 
l'istanza,  e  per  riguardo  all'altra, 
fatta  già  ad   Innocenzo    Vili  e   A- 
lessandro  VI,  ordinò  all'arcivesco- 
vo di   Cantorbery  di    fare    il    pro- 
cesso   autentico    sopra    le    virtù    e 
miracoli  di  quel  servo  di  Dio.  In- 
oltre   il    re    spedi    ambasciatori    a 
Roma  per    prestare    obbedienza    a 
Giulio    II,     giusta    il    costume   dei 
nuovi   monarchi.  Mediante    la  lega 
di  Cambray  i   francesi   erano   calati 
in   Italia,  quando  il  Papa  pacifica- 
tosi coi  veneziani  si   ritirò  da  essa 
per  cui  Luigi  XII   gli    dichiarò  la 
guerra.  Giulio  li  si  collegò  col  re 
di   Spagna  e  con    quello    d' Inghil- 
terra, cui   mandò  in  dono  la  rosa 
d'oro  benedetta,  e  gli  promise  dar- 
gli   il    titolo    di    cristianissimo  che 
voleva  togliere  al  re  di  Francia  il 
quale  stava  per  scomunicare;  altri 
dicono  che  Giulio  II  realmente   lo 
die  ad  Enrico  Vili.    Questi    s' in- 
terpose con  Luigi  XII   perchè  tra- 
lasciasse l'empia  guerra  che  faceva 
al  Pontefice,  e  poscia  gli  domandò 
la    restituzione    della     Normandia , 
della    Guienna ,    dell'  Angiò    e  del 
Maine  come  parte  del  dominio  del- 
la corona  d' Inghilterra  :  nulla  ot- 


ING 

tenendo  intimò  guerra  alla  Fran- 
cia. Nel  i5i2  ebbe  luogo  tra  le 
due  nazioni  un  combattimento  na- 
vale, senza  rilevanti  conseguenze. 
Indi  lasciata  Caterina  reggente  del 
regno,  il  re  si  portò  nel  continen- 
te, ove  guadagnò  la  battaglia  degli 
speroni,  e  nell'assediar  Tournay  as- 
sunse il  titolo  di  re  cristianissimo j 
mentre  GiacomoIV,  fedele  alleato 
della  Francia,  per  fare  un  diversi- 
vo entrò  nell'Inghilterra,  ove  col- 
la battaglia  di  Hoddenfield  perde 
ancora  la  vita.  Dopo  alcuni  trat- 
tati Enrico  Vili  ritornò  a  Lon- 
dra, e  poco  dopo  accordò  la  sua 
sorella  Maria  in  isposa  a  Luigi  XI 1, 
che  nel  i5i.i  era  stata  promessa 
all'imperatore  Carlo  V,  dopo  di 
esserlo  stata  anche  lA  Delfino.  A- 
vendo  Giulio  II  convocato  il  con- 
cilio generale  Lateranense  V  contro 
il  conciliabolo  di  Pisa,  il  re  d'In- 
ghilterra vi  mandò  i  suoi  amba- 
sciatori. 

Assunto  al  pontificato  Leone 
X,  inviò  al  re  il  donativo  dello 
stocco  e  berrettone  benedetti y  chia- 
mandolo campione  della  Chiesa. 
Disgustato  Enrico  Vili  del  nuo- 
vo re  di  Francia  Francesco  I,  de- 
terminò fargli  una  guerra  sorda  , 
soccorrendo  Massimiliano  I,  alla  cui 
morte  incominciarono  le  lunghe  e 
sanguinose  rivalità  tra  Carlo  V  di- 
venuto imperatore,  e  Francesco  I 
che  si  pacificò  con  l'Inghilterra. 
Geloso  Carlo  V  dell'  amicizia  che 
passava  tra  il  suo  emulo  ed  En- 
rico Vili,  e  come  nipote  di  Cate- 
rina d'Aragona  all'improvviso  sbar- 
cò a  Douvres.  Il  re  incontrò  l'im- 
peratore, e  lo  condusse  a  Cantor- 
bery  per  presentarlo  alla  regina; 
Carlo  V  procurò  guadagnare  l'am- 
bizioso e  potente  cardinal  Wolsey, 
ma  inutilmente  perchè  questa  visita 


ING  71 

non  impedì  che  seguisse  l'abbocca- 
mento stabilito,  il  quale  ebbe  luogo 
tra  i  due  re  nel  modo  il  più  splen- 
dido e  pacifico  nel  continente  :  tut- 
ta volta  riuscì  poi  a  Carlo  V  di 
raffreddare  la  loro  amicizia.  Essen- 
dosi l'agostiniano  Martino  Lutero 
ribellato  alla  santa  Sede,  sfrenata- 
mente incominciò  a  spargere  i  suoi 
perniciosi  errori  nel  \5iy.  Enrico 
Vili  che  pretendeva  di  essere  uno 
de'  primi  teologi  della  cristianità , 
fu  irritato  del  disprezzo  con  cui 
il  settario  tedesco  parlava  di  s. 
Tommaso  d'Aquino,  suo  autore 
favorito.  Quindi  volendo  entrare 
nella  lizza  contro  il  libro  di  Lu- 
tero :  De  captivitate  Baby-Ionia,  En- 
rico Vili  in  difesa  delle  indulgen- 
ze, del  primato  del  Papa,  e  de'  set- 
te sagrameuti  rispose  confutandolo 
coli'  opera  :  De  septem  sacramenlis 
conlra  Marlinum  Lutherum  here- 
siarcon,  ec.  col  titolo:  Asserito  se- 
ptem sacramenlorum  adversus  Mar- 
linum Lutherum,  che  fece  stampa- 
re in  Londra  nel  i5ai.  Tra  le  più 
antiche  se  ne  hanno  altre  due  edi- 
zioni :  una  eseguita  iti  Roma  nel 
i543  coli' aggiunta  di  Clerk  e  di 
Leone  X  cui  il  libro  fu  dedicato; 
l'altra  è  d'Anversa  del  i522,  e 
contiene  le  stesse  cose,  più  le  rispo- 
ste e  la  bolla  di  detto  Papa  sotto- 
scritta da  ventisette  cardinali.  In  essa 
Leone  X  paragonò  il  libro  agli  scritti 
di  s.  Agostino  e  di  s.  Girolamo, 
concesse  indulgenze  a  chi  lo  leg- 
geva, ed  in  ricompensa  di  un  ser- 
vigio cosi  rilevante  alla  Chiesa  fat- 
to dal  re  d'  Inghilterra  con  tale 
libro,  l'ornò  col  glorioso  titolo  di 
Difensore  della  fede  o  della  Chie- 
sa. Di  questo  titolo  ne  parliamo 
ancora  nel  voi.  XX,  pag.  41  del 
Dizionario.  Caduto  poi  il  re  nel- 
l'eresia, e  sottrattosi  dall'obbedien- 


yi  ING 

za  della  Sede  apostolica,  con  ma- 
nifesta contraddizione  continuò  ad 
usare  tale  titolo,  benché  persecuto- 
re crudelissimo  della  Chiesa  cat- 
tolica ;  continuarono  a  portarlo  i 
suoi  successori,  e  quel  eh'  è  più  cu- 
rioso anco  le  regine,  sebbene  tutti 
acattolici,  tranne  Maria,  Giacomo 
31  e  Giacomo  HI  cattolici.  11  libro 
fu  subilo  tradotto  in  tedesco,  e  la- 
cerato con  parole  villane  da  Lu- 
tero, alle  quali  Enrico  Vili  non 
credette  rispondere,  ciò  che  fecero 
per  lui  diversi  dottori.  Quanto  al 
titolo  di  Difensore  della  fede  nella 
bolla  di  Leone  X  che  lo  conferì, 
ed  in  quella  di  Clemente  VII  che 
lo  confermò,  non  si  parla  del  di- 
ritto di  ereditarlo  ai  successori  di 
Enrico  VIII,  appartenendo  esso  sol- 
tanto a  quel  re:  Tibi  perpetuimi  et 
proprium,  Pallavicino  pag.  177;  e 
Beyner,  Foedera  XIII,  pag.  756 , 
XIV,  pag.  i3.  Ma  Enrico  Vili  non 
solo,  come  dicemmo,  lo  ritenne  do- 
po la  sua  ribellione,  ma  con  legge 
del  l543  fu  annesso  alla  corona 
(35,  Henr.  Vili,  3).  E  sebbene 
questa  legge  fosse  stata  poi  abro- 
gata, il  titolo  fu  ritenuto  imme- 
diatamente da  Filippo  II  e  Maria 
cattolici.  Così  Lingard  nel  voi.  VI, 
pag.  io5.  Recentemente  il  chiar. 
cardinal  Mai  nel  suo  Spicilegium 
romanum  pubblicò  le  preziose  ed 
ignorate  lettere  che  il  re  scrisse  a 
Leone  X  contro  Lutero,  prima  del- 
ia sua  apostasia.  In  Londra  presso 
Arrigo  Kent  Causton  fu  pubblica- 
ta nel  1 843  :  La  bolla  di  Leone 
X  colla  quale  conferiva  al  re  En- 
rico FUI  il  titolo  di  Difenditore 
della  fede.  Fac- simile  nell'origina- 
le esistente  nella  libreria  Cottonia- 
na>  mutilalo  dall'incendio  ivi  ac- 
caduto nel  173  r,  insieme  con  una 
copia  compiuta  da  una  antichissi- 


ma copia.  Vi  è  annessa  una  di- 
chiarazione degli  autografi  ec.  11 
titolo  di  propugnatore  della  fede 
conferito  da  Leone  X  ad  Enrico 
Vili  re  d'Inghilterra  e  ritenuto  dai 
suoi  successori,  si  suole  comune- 
mente paragonare  ad  una  gemma 
pontificia  incastrata  nella  corona 
protestante,  perciò  una  delle  taute 
strane  contraddizioni  del  protestan- 
tesimo. 

Enrico  VIII  mosso  da  ricono- 
scenza verso  Leone  X,  entrò  nel- 
la lega  che  questi    fece  con  Carlo 

V  a  danno  di  Francesco  I.  L'im- 
peratore per  incominciare  le  osti- 
lità fece  un  secondo  viaggio  in  In- 
ghilterra, e  conchiuse  un  trattato 
con  Enrico  Vili:  una  delle  clau- 
sole di  tale  trattato  è  notabile,  in 
quanto  che  i  due  monarchi  assun- 
sero a  giudice  della  loro  lealtà  il 
cardinal  Wolsey,  e  si  sottomisero 
anticipatamente  alla  scomunica,  che 
gli  sarebbe  piaciuta  di  lanciare  in 
qualità  di  legato  pontificio.  Enrico 
Vili  fece  tosto  assalire  la  Francia 
e  la  Scozia,  e  nel  domandar  sus- 
sidii  al  parlamento  minacciò  la 
testa  d'  uno  de'  più  influenti  de- 
putati se  venivangli  negati.  Avea 
Carlo  V  lusingato  del  triregno  il 
cardinal  Wolsey,  ma  avendo  Dio 
fatto  eleggere  successori  a  Leone 
X,  Adriano  VI  e  Clemente  VII,  il 
cardinale  se  ne  adontò,  e  contro 
l'imperatore  fece  cambiare  le  affe- 
zioni del  re.  Il  Papa  Clemente  VII 
nel  \5i5  pubblicò  la  lega  contro 
il  turco,  in  cui  vi  entrarono  Carlo 

V  ed  Enrico  Vili. 
Continuando  la  guerra  tra  Fran- 
cesco I  e  l'imperatore,  il  primo  re- 
stò prigioniero  del  secondo  :  Enri- 
co Vili  ne  rimase  vivamente  afflit- 
to perchè  vedeva  l'imperatore  sen- 
za rivale,  e  l'Europa  senza  equili- 


ING 

brio,  e  fece  pratiche  per  la  libe- 
razione del  re  :  l'animo  freddo  di 
Carlo  V  non  le  calcolò,  quello  di 
Francesco  I  ne  fu  tocco,  e  poscia 
ambedue  si  allearono  contro  l'im- 
peratore, rinunziando  Enrico  Vili 
aile  pretensioni  che  i  suoi  prede- 
cessori aveano  sulla  corona  di  Fran- 
cia. Temendo  Clemente  VII  per  la 
crescente  possanza  di  Carlo  V,  che 
l' Italia  divenisse  interamente  sua 
conquista,  per  difenderla  nel  1026 
fece  lega  coi  re  di  Francia  e  d'In- 
ghilterra, coi  veueziani,  fiorentini, 
svizzeri  e  duca  di  Milano.  Siffatta 
alleanza  offese  l'imperatore  che  di- 
chiarò tosto  la  guerra  al  Pontefi- 
ce. Roma  nel  027  fu  presa  e  bar- 
baramente saccheggiata  dai  fanati- 
ci eretici  di  cui  nella  maggior  parte 
era  composto  l'esercito  imperiale, 
e  Clemente  VII  venne  assediato  in 
Castel  s.  Angelo.  Questo  avveni- 
mento forni  ai  due  re  pretesto 
plausibile  per  romperla  apertamen- 
te con  l'imperatore  :  Clemente  VII 
fuggì  ad  Orvieto,  ed  implorò  l'as- 
sistenza de'  due  monarchi  inglese 
e  francese,  e  l'ottenne  da  ambedue. 
Eurico  "VIII  comprese  quanto  pro- 
pizia fosse  la  circostanza  pel  com- 
pimento di  un  progetto  dell'indo- 
le più  delicata,  cioè  lo  scioglimen- 
to del  suo  matrimonio  con  Cate- 
rina d'Aragona,  che  per  gl'immen- 
si suoi  risultati  fu  cagione  d'una 
delle  più  grandi  epoche  della  sto- 
ria civile  ed  ecclesiastica  moderna. 
La  prima  idea  di  tale  divorzio  non 
si  può  stabilire,  come  tutte  le  cau- 
se che  la  provocarono.  Sembra  ch'es- 
sa avesse  origine  o  almeno  fosse 
dai  r,e  resa  pubblica  nel  i5iy,  quan- 
do si  accese  d'  amorosa  passione 
per  Anna  Bolena,  passione  irri- 
tata ed  accresciuta  dalla  resistenza 
insidiosa  ch'essa  giovane  gli  oppo- 


ING  73 

se,  protestando  di  non  acconsentir 
mai  alle  sue  voglie,  se  non  in  qua- 
lità di  sua  legittima  moglie ,  seb- 
bene essa  avesse  già  ad  altri  pro- 
stituito il  suo  onore,  come  diremo 
in  appresso.  Anna  passava  per  fi- 
glia di  Tommaso  Boleno  o  Bo- 
leyn  visconte  di  Rochefort,  ma  era 
veramente  figlia  naturale  del  me- 
desimo re,  eh'  egli  avea  avuto  dalla 
viscontessa  di  Rochefort,  nel  tempo 
che  Tommaso  era  suo  ambascia- 
tore a  Parigi.  Ritornato  questi  a 
casa  trovò  la  fanciulla ,  e  mosse 
causa  per  ripudiare  la  moglie;  ma 
subito  per  ordine  di  Enrico  Vili 
fu  costretto  di  desistere  dalla  lite 
ed  eziandio  di  ricevere  nella  sua 
grazia  la  moglie,  che  per  ottener- 
la meglio ,  genuflessa  confessò  al 
visconte  il  commercio  avuto  col 
re.  Anche  un'altra  figlia  di  essa 
prostituì  il  suo  onore  al  libidino- 
so monarca.  Che  Anna  Bolena  fos- 
se figlia  di  Enrico  Vili  fu  pub- 
blicato nel  i585  da  Sanders  dietro 
Rastel,  e  si  cercò  confutarlo  nel- 
l' Jnti-Sandems  stampato  a  Cam- 
bridge nel  1093.  Burnett  nella 
sua  Storia  della  riforma  trascrisse 
le  ragioni  àeWAnti-Sanderusj  e  Le 
Grand  nella  difesa  di  Sanders  ri- 
spose alle  ragioni  jda  lui  allegate. 
Il  cardinal  Quirini  [Poli  epist.  t.  I, 
p.  137)  dice  che  la  maggior  rifuta- 
zione  della  storia  si  trova  nel  silen- 
zio di  Pole,  il  quale  ne  avrebbe 
parlato,  se  a  suo  tempo  fosse  sta- 
ta conosciuta. 

Determinato  Enrico  VIII  a  va- 
lersi di  qualunque  mezzo  per  i- 
sciogliere  i  nodi  che  gli  erano 
divenuti  odiosi ,  ebbe  ricorso  pri- 
mieramente all'  arme  più  poten- 
te, facendo  parlare  la  religione.  Do- 
po aver  vissuto  dal  i5og  con  co- 
scienza tranquilla  colla   regina,   ad 


74  JNG 

un  tratto  gli  scrupoli  e  i  dubbi  sul- 
la legalità  del  matrimonio  soprag- 
giunsero in  folla,  e  giunse  ad  at- 
tribuire la  morte  immatura  de' suoi 
due  figli  alla  maledizione  del  cie- 
lo; lo  assalì  in  fine  il  timore  di 
\edere  il  trono  senza  erede  ma- 
schio, avendo  la  sola  figlia  Maria; 
e  proibendo  il  Levitico,  XVIII,  16, 
i  matrimoni  della  tempra  di  quel- 
lo da  lui  incontrato  con  Cateri- 
na, secondo  la  sua  interpretazione, 
ne  inferì  che  la  dispensa  di  Giu- 
lio li  fosse  nulla.  Allora  compose 
una  memoria  teologica,  senza  ba- 
dare che  la  legge  del  Levitico  era 
giudiziale  non  naturale,  e  che  il  Deu- 
teronomio, XXV,  5,  ordinò  di  spo- 
sare la  vedova  di  suo  fratello,  quan- 
do questi  sia  morto  senza  tìgli ,  il 
che  era  precisamente  al  caso,  e  la 
fece  presentare  a  Clemente  VII  dal 
segretario  Rnight.  Il  Papa  volle 
procedere  con  maturità,  e  tirò  Taf- 
fare  in  lungo,  ciò  che  irritò  l' im- 
pazienza del  re  teologo.  Egli  fissò 
il  giorno  21  giugno  i52g,  in  cui 
■voleva  che  la  regina  ed  esso  com- 
parissero in  persona  dinanzi  ai  car- 
dinali legati  deputati  dal  Papa  ad 
esaminare  sì  importante  affare.  Ta- 
le scena  indecente  era  preparata  per 
perdere  Caterina,  ma  tornò  intera- 
mente a  sua  gloria  :  la  nobile  sua 
fermezza  trionfò  della  malizia  dei 
suoi  nemici,  e  ridusse  al  silenzio  lo 
stesso  suo  ingiusto  sposo. 

Non  rimaneva  al  re  che  la  for- 
za d'adoperare,  ed  a  questo  mezzo 
ricorse.  L' infelice  regina  fu  man- 
data nel  castello  di  Dunstable ,  il 
cardinale  Wolsey  venne  privato  del- 
la sua  grazia  perchè  non  era  riu- 
scito nell'affare  ;  prese  per  suo  con- 
sigliere e  teologo  Crammer,  e  con- 
sultò diverse  università  d'Europa, 
alcune    delle    quali    lo    favorirono. 


ING 

Temendo  la  resistenza  del  clero, 
cercò  d' indebolirlo  o  piuttosto  d'u- 
miliarlo. Da  tale  momento  Enrico 
Vili  esacerbato  del  temporeggiare 
di  Roma,  o  meglio  di  vedere  an- 
cora infrenate  le  sue  passioni,  inco- 
minciò ad  ingerirsi  nelle  sacre  co- 
se; e  senza  annunziare  il  progetto 
ormai  troppo  manifesto  d'uno  sci- 
sma, si  fece  decretare  il  titolo  di 
prolettore  e  capo  supremo  della 
chiesa  d' Inghilterra  :  soltanto  con 
islento  riuscì  al  parlamento  d'inse- 
rire nell'  atto  questa  restrizione , 
per  quanto  la  legge  di  Cristo  lo 
permette.  Intanto  per  prevenire  il 
risentimento  di  Carlo  V  rinnovò 
l'amicizia  con  Francesco  I.  Elevato 
Crammer  all'arcivescovato  di  Can- 
torbery,  in  qualità  di  primate  ai 
23  maggio  i533  pronunziò  la  sen- 
tenza che  dichiarò  nullo  e  non 
avvenuto  il  matrimonio  di  Enrico 
VIII  con  Caterina  d'Aragona,  e 
con  altra  sentenza  riconobbe  Anna 
Bolena  sposa  e  regina  legittima, 
cui  il  re  lece  incoronare  con  so- 
lenne pompa.  Il  Papa  cassò  le  due 
sentenze,  ed  Enrico  Vili  invece  di- 
chiarò Elisabetta,  nata  dalla  Bole- 
na, principessa  di  Galles.  Clemente 
VII  minacciò  la  scomunica,  usò  pa- 
terne esortazioni,  e  mentre  si  trat- 
tava la  gran  causa  in  Roma,  sep- 
pe che  in  Londra  era  stato  pub- 
blicato un  libello  infame  contro  la 
santa  Sede,  e  che  in  presenza  del 
re  era  stata  recitata  una  farsa  in- 
decente contro  il  Papa  ed  i  cardi- 
nali. Adunato  il  concistoro,  col  pa- 
rere de'cardinali,  Clemente  VII  ai 
2  3  marzo  1 534»  sentenziò  valido 
e  fermo  il  matrimonio  di  Enrico 
Vili  e  Caterina,  ed  impose  al  re  di 
riprenderla  sotto  pena  di  scomuni- 
ca. L'ostinato  ed  impetuoso  mo- 
narca prima  di  ricevere  tale  noti- 


ING  ING                     75 

zia,  non  pago  del  titolo  di  capo  giorni  dopo  promulgala  la  scomu- 
della  chiesa  anglicana,  avea  nel  par-  uica  giunsero  in  Roma  i  documen- 
lamento  stabilita  la  sua  suprema-  ti  che  si  attendevano,  coll'autoriz- 
zia  e  distrutta  quella  del  Papa,  a-  zazione  del  re  d'  Inghilterra  al  ve- 
bolendo  le  annate  ed  ogni  contri-  scovo  di  Parigi  di  sottomettersi 
buzione  qualunque,  compreso  il  de'  alle  nuove  decisioni  della  santa 
naro  di  s.  Pietro,  pagata  sino  al-  Sede,  promettendo  obbedire  al  giu- 
lora  alla  camera  apostolica,  sotto-  dizio  pontificio,  purché  Clemente 
mettendo  i  monisteri  alla  sola  ispe-  VII  non  lo  separasse  dalla  cotnu- 
zione  de'  suoi  commissari,  e  dichia-  nione  de'  fedeli,  escludesse  dall'  er- 
rando che  si  poteva  senza  eresia  same  della  causa  coloro  eh'  erano 
combattere  e  negare  l'autorità  della  sospetti  al  re,  e  delegasse  commis- 
santa  Sede.  I  parlamenti  aveano  sari  per  Cambray,  i  quali  riceves- 
statuito  analoghi  provvedimenti,  e  sero  imparzialmente  gli  articoli 
riconosciuto  soli  eredi  legittimi  del  eh'  egli  desiderava  si  esaminassero 
trono  i  figli  nati  o  da  nascere  dal  nella  sua  causa.  Oltre  a  ciò,  ag- 
secondo  matrimonio  del  re ,  nulla  giungono  gli  accusatori  del  Pon- 
valutando  i  diritti  della  principes-  tefice,  passati  appena  mesi  ventuno 
sa  Maria  involta  nella  condanna  finì  di  vivere  la  regina  Caterina, 
di  sua  madre  Caterina.  Rimaneva  e  con  questa  morte  la  controversia 
dunque  poco  da  fare  per  consu-  sarebbe  terminata  se  ancor  fosse  du- 
roare  lo  scisma,  allorché  Eurico  rata.  Ma  sia  pur  detto  a  difesa  di 
Vili  ricevette  la  nuova  della  sua  Clemente  VII,  non  avea  egli  già  col 
condanna.  Di  questo  grave  argo-  pontificalo  ricevuto  lo  spirito  pro- 
mento già  ne  parlammo  nel  voi.  fetico,  onde  dovesse  prevedere  que- 
XX,  pag.  i24>  1^5,  126  e  i5o  ste  circostanze  future:  aveva  non 
del  Dizionario,  ove  dicemmo  delle  ostante  indugiato  assai  nella  risolu- 
ragioni  che  mossero  Enrico  VIII  zione,  appunto  per  aspettare  qualche 
al  divorzio,  della  validità  della  dis-  accidente  che  ne  dileguasse  il  biso- 
pensa  di  Giulio  lì,  e  di  altre  si-  gno.  L'indomita  sfrenatezza  e  libidi- 
mili;  del  modo  come  fu  trattata  ne  di  Enrico  Vili,  la  conculcata  veli- 
la causa  di  questo  divorzio,  della  gione  del  sacramento  del  matrimo- 
scomunica  di  Clemente  VII  ed  al-  nio,  e  1'  arrogante  disprezzo  del 
tro  analogo,  come  di  alcune  ope-  capo  della  Chiesa,  sembra  che  ri- 
re  pubblicate  su  questo  punto.  chiedessero  di  non  differire  un  ener- 
Quelli  che  dai  casi  non  previsti  gico  rimedio.  Chi  sa  ancora  se  le 
fanno  regola  per  li  fatti  anteriori,  promesse  vaghe  del  re  ciecamente 
accusano  Clemente  VII  d'impru-  innamorato,  giunte  in  Roma  dopo 
denza  grande  in  questa  delibera-  la  sentenza,  sarebbero  state  stabili, 
zione  ;  poiché  essi  dicono,  se  si  sincere,  docili  e  durevoli,  dopo  le 
fosse  per  qualche  tempo  trattenu-  cose  narrate  e  le  dichiarazioni  fat- 
ta la  pontificia  sentenza  ,  come  te  contro  1'  autorità  spirituale.  Ag- 
dimandava  il  vescovo  di  Parigi  Bel-  giungasi,  che  o  conveniva  dissimu- 
lay,  spedito  a  Roma  da  France-  lare  o  soprassedere  eternamente, 
sco  I  con  una  promessa  verbale,  for-  cioè  non  far  mai  nulla,  o  quan- 
se  lo  scisma  d' Inghilterra  nou  tunque  si  procedesse  in  altro  mo- 
sarebbe    seguito,    mentre    sei    soli  do,  potevano   succedere    emergenze 


76  ING 

tali,  che  niun  uomo  saggio  poteva 
antivedere.  Allorché  Enrico  Vili 
ricevette  la  sentenza  di  Clemente 
VII,  andò  in  furia,  quindi  con  un 
decreto  degli  stati  d'  Inghilterra, 
abrogò  interamente  1*  autorità  pon- 
tificia in  tutto  il  suo  regno.  Inti- 
mò pena  di  morte  a  chiunque  ri- 
conoscesse nel  Papa  la  suprema 
autorità  e  dignità  ecclesiastica  } 
cstinse  tutte  le  preghiere  pel  ro- 
mano Pontefice,  ed  in  vece  di  es- 
se fece  porre  nelle  litanie  maggio- 
ri queste  abbominevoli  parole:  Ab 
episcopi  romani  lyrannide  et  dele- 
standis  enormi tatibus,  libera  nos 
Domine.  Costrinse  col  giuramento 
gli  ecclesiastici  a  riconoscerlo  capo 
spirituale  della  chiesa  anglicana, 
costituito  immediatamente  da  Cri- 
sto, e  perciò  fece  di  sua  autorità 
una  nuova  ordinazione  di  vescovi. 
Stabilì  molti  errori  de'  luterani, 
onde  da  uno  di  questi  fu  chiamato 
il  postiglione  della  riforma.  Final- 
mente di  tutte  le  sette  fece  un 
mostruoso  miscuglio,  e  da  tutto  il 
regno  mandò  in  bando  la  religio- 
ne cattolica,  sino  allora  fiorente, 
soda  ed  immacolata.  Clemente  VII 
morì  a'  25  settembre  i5345  ed 
agli  1 1  ottobre  gli  successe  Pao- 
lo Ili. 

Continuando  Enrico  VIII  nel- 
le sue  scelleraggini,  credendosi  pa- 
drone assoluto  delle  menti  e  delle 
coscienze,  come  lo  era  delle  perso- 
ne ,  cangiò  la  disciplina  della  chie- 
sa, tenne  per  delitto  capitale  il 
credere  al  Papa.,  e  considerò  pure 
delitto  seguire  Lutero.  Ricusando 
di  prestare  il  giuramento  di  supre- 
mazia spirituale,  il  venerando  car- 
dinal Giovanni  Fischer  già  precet- 
tore del  re  e  vescovo  di  Roche- 
ster, e  per  aver  combattuto  il  di- 
vorzio e  difeso  il  primato  del  Pon- 


ING 

tefice,  Enrico  Vili  lo  fece  deca- 
pitare 6ul  palco;  egual  pena  fece 
soffrire  al  celebre  Tommaso  Moro 
cancelliere  del  regno,  per  avere 
ricusato  di  sottoscrivere  1'  alto  del 
parlamento  che  dichiarava  il' -re 
capo  della  chiesa  anglicana.  Le  re- 
liquie de'  santi  furono  gettate  alle 
fiamme,  le  sacre  immagini  profa- 
nate ed  annichilite.  Inoltre  fece  il 
re  bruciar  le  ceneri  di  s.  Tomma- 
so di  Cantorbery  martire  dell'  im- 
munità ecclesiastica,  e  difensore 
dei  diritti  della  Chiesa  romana. 
In  odio  di  questa  Enrico  Vili  fece 
morire  tra  i  tormenti  o  di  morte 
disonorante  tre  arcivescovi,  dieciot- 
to vescovi,  tredici  abbati,  cinquecen- 
to sacerdoti  e  monaci,  trenta  de- 
cani, quattordici  arcidiaconi,  ses- 
santa canonici,  cinquanta  dottori, 
dodici  fra  duchi,  marchesi  e  conti, 
ventinove  baroni  e  cancellieri,  cen- 
totrentasei  altri  nobili,  centoventi- 
quattro  cittadini,  centodieci  femmi- 
ne di  condizione,  innumerabile  nu- 
mero di  altri  sudditi,  mentre  il 
cardinal  Wolsey  morì  con  sospetto 
di  veleno.  Le  edizioni  stampate  da 
Cavendish  asseriscono  che  Wolsey 
si  avvelenò,  ma  questo  passo  non 
è  genuino,  e  non  si  trova  nel  co- 
dice mss. ,  come  prova  Words- 
worth.  In  pari  tempo  parecchi  pro- 
testanti vennero  tratti  al  sup- 
plizio per  essersi  eretti  contro  i 
sacramenti  della  Chiesa  romana, 
facendosi  il  teologo  re  arbitro  del- 
la fede.  Questo  violento  e  volubile 
principe  si  dice  aver  fatto  perire 
settantaduemila  uomini  nei  sup- 
plizi per  forzarli  a  credere  o  a 
non  credere.  Agli  onori  di  capo 
supremo  della  chiesa  d'  Inghilter- 
ra, Enrico  Vili  volle  aggiungere 
i  profitti  che  tale  titolo  gli  offriva. 
Le    ricchezze    del    clero  tentavano 


ING 

la  sua  cupidigia,  ma  per  un  avan* 
70  di    riguardo    verso    Je    opinioni 
risolse    di    procedere    con    misura. 
Egli  non  attaccò    dapprima    che  i 
monisteri     d'  una    classe    inferiore, 
e  prima  anche    di    pronunziare  la 
loro    spogliazione,     tentò     di    farla 
approvare  daila  pubblica  opinione, 
secondato    da  Tommaso  Crormvell 
segretario    di    stato,    •vicegerente  o 
"vicario    geuerale    del    re-pontefice. 
Non   vi    furono    infamie,  non  mis- 
fatti sulla    terra  di    cui  non   fosse- 
ro calunniosamente  accusati  i  mo- 
naci e  le  religiose  :    si  affermò  che 
tutti   domandavano  la  loro  libertà, 
ma  si  usò  la  violenza   per    cacciar- 
li dai  sacri  chiostri,     che  furono  a 
poco  a  poco  tutti  soppressi.  Ripor- 
teremo    qui,    giusta    il     calcolo    di 
Tanner,    il    totale    della      vendita 
delle  case  religiose    in    Inghilterra, 
allorché  vi  furono  abolite.   I  gran- 
di   monisteri     104,919    lire    sterli- 
ne; i  piccoli    29,702    lire  sterline  ; 
il  capoluogo    de'  cavalieri    gerosoli- 
mitani in  Londra  2385    lire   ster- 
line ;  le  altre  28  case   dello  stesso 
ordine  3026  lire  sterline.  In  virtù 
di  un  atto  passato  al  parlamento  nel 
i53j,  1'  abolizione  di    centottanta- 
uno  piccoli    monisteri    diede    al  re 
una  rendita  annuale  di  trentaduemila 
lire  sterline,  oltre  centomila  in  vasi 
ed  in  gemme.  Per    l'abolizione  dei 
grandi     monisteri      avvenuta     nel 
i539,  la  rendita    della    corona  fu 
accresciuta  di  centomila  lire    sterli- 
ne, senza  i  vasi    e    le    gemme.    II 
re    s'  impadronì    del      i54o    delle 
case  de'  cavalieri  gerosolimitani  ;  e 
nel     i548    fu    riunita    al    fisco  la 
rendita  di  novanta  collegi ,  di  cen- 
todieci ospedali,  e  di    duemila  tre- 
cento   settantaquattro  benefizi  sem- 
plici. Inoltre  le  chiese    furono    an- 
cora   più   maltrattate,    massime  le 


ING  77 

vescovili  ;  il  saccheggio  de'sacri  tem- 
pli fu  generale.  Cadute  poi  le  ren- 
dite ecclesiastiche  in  mani  indegne, 
esse  non  produssero  che  la  sovver- 
sione dell'  ordine,  e  la  corruzione 
de'  costumi. 

In  tanta  desolazione  non  trovan- 
do le  sollecitudini  del  nuovo  Pon- 
tefice   Paolo    III  ,     maniera ,    per 
quanta    premurosamente    ne    ado- 
perasse,   onde    temprale  la  fierez- 
za di  Enrico  VIII,  con  bolla  de'29 
novembre  dell'anno  i535,  Ejus  qui 
immobìlis  permana,  presso  il  Bull. 
Boni,   t.   IV,  par.    1,  p.    123,  nuo- 
vamente lo  scomunicò,  e  lo    privò 
del  regno  se  dentro  novanta   gior- 
ni non  compariva  a  render   conto, 
o  per  mezzo  d'  un  suo    ambascia- 
tore,   dell'  abbominevole  sua    con- 
dotta.  E  siccome  il  re  non  ubbidì 
alle  giuste  ammonizioni  del    Papa, 
questi  a'  17     dicembre     i538  rin- 
novò la  sentenza  di  scomunica  col- 
la bolla   Cimi  Redemplorem  nosler, 
loco  citato  p.    i3o,    dicendosi  nel- 
l'intestazione: Sequitur  executìo  di- 
ctae.  bullae,    et  tandem    ejus    revo- 
callo,    et    execiitio,    perchè    imme- 
diatamente   segue    la  bolla    prece- 
dente.   Il    Lingard  però    dice    che 
non   ha  trovata     alcuna  prova    che 
la  bolla  sia  stata   pubblicata,  per  le 
rimostranze  dell'  imperatore    Carlo 
V,  e  del  re  di  Francia  Francesco  I. 
Avendo  Anna  Coiena,  già  damigella 
d'  onore  della  regina  Caterina,  tol- 
to ad  essa    sposo    e  corona  ,    Gio- 
vanna di  Seymour  damigella  d'o- 
nore di  Anna  occupò  ad  un  tratto 
il  suo  luogo    nel    talamo    reale    e 
sul  trono.  Accusata    Anna    d'  ince- 
sto con  Gregorio    suo    fratello,  di 
adulterio    e    di    trama    contro    il 
suo     sposo,    questi    invaghito  della 
bella  Seymour  fece  dichiarare  nul- 
lo il    matrimonio,   e  quindi    a'  19 


78  ING 

maggio     1 536    la    fece    decapitare. 
Non  è  vero  quanto  scrisse  il  Bar- 
net,  cioè    che  Anna     confessasse  di 
essere  stata   prima    maritata  a  lord 
Percy  :   la  dichiarazione    di    Cram- 
roer     contro     Anna     fu     fatta    due 
giorni  prima  della  morte  di  questa, 
secondo  tale  storico,  ma  è    una  di 
lui     invenzione     per    giustificare    il 
divorzio    di   Anna     pronunziato  da 
queir  arcivescovo,    nessuno      autore 
appoggiando  tale  asserzione.  Questa 
disgraziata  ed    impudica     donna  fu 
punita  anche  in   vita  di  tulli   i  de- 
litti  eh'  ella   avea   fatto  commettere 
»>d   Enrico  Vili,   siccome  principale 
cagione  che    fece  introdurre   lo  sci- 
sma   e     la    religione    protestante  o 
pretesa      riforma      in      Inghilterra. 
Crammer  non   tardò  appena  morta 
Anna    dichiarare   il  suo   divorzio,   e 
bastarda  sua    figlia     Elisabetta  ;  ed 
il   parlamento  die  a  tali  atti     forza 
di   legge.    La  corona   fu  quindi  de- 
voluta ai  figli  futuri  della  Seymour 
o  di  qualunque  altra  donna  che  il 
re  avesse  potuto  sposare  in    seguilo. 
Mentre  Paolo  III,    come  dicemmo, 
voleva  ricondurre  al  grembo  della 
Chiesa  il  re  dopo  la  morte    di  chi 
era   stato  il   motivo  della  separazio- 
ne, Enrico  Vili,  dopo  aver  proibi- 
to    qualunque     scritto     o     discorso 
tendente  a  ristabilire  in  Inghilterra 
1'  autorità  pontificia  ,     abbandonò  i 
dommi  fondamentali  della  religione, 
e    convocato     il     clero     gì'   impose 
una     nuova    professione    di      fede, 
riducendo  a  tre  i  sette  sacramenti. 
La  Seymour  partorì  con    pena  un 
figlio     che     fu     chiamato     Odoardo 
con  giubilo  della  nazione,  morendo 
la  madre  dopo  dodici  giorni   a'  24 
ottobre   1,537.    Passati  due  anni  il 
re  prese    in     quarta    moglie     Anna 
di  Cteves  a'  6    gennaio    1 54o,  ma 
ben  presto  successe   avversione  per 


1NG 

essa,  che  non  ebbe  più  ritegno  di 
manifestare  quando  s'innamorò  di 
Caterina  Howard  nipote  del  duca 
di   Norfolk  :   fu    costretta   Anna  di 
confessare  che  avea  prima  contrat- 
to un    matrimonio  clandestino  col 
duca   di    Lorena,  altri   dicono  solo 
promessa  a  questi  ancor  fanciullo. 
Ella     di     carattere      indifferente  si 
contentò  del  titolo  di  sorella    adot- 
tiva del   re,   e    d'  una   pensione  di 
trecentomila     lire     sterline.    Pochi 
giorni     dopo  il     divorzio  Caterina 
fu  sposata,    ciò  che  in   segreto  già 
era     slato    effettuato  ;   passati    due 
anni,  avendo  il  re  scoperto  la   vita 
dissoluta    da  essa    menata  prima  , 
la   fece    decapitare     a'  12    febbraio 
i542.   Intanto  il  parlamento  accre- 
scendo i   titoli  di    Enrico  VIII,  e- 
resse  l'Irlanda    in    regno.    Mentre 
macchinava  di  dichiarare  guerra  al 
nipote  Giacomo    V    re  di    Scozia, 
questi   mori  lasciando  in  fascie  l'u- 
nica    figlia     Maria  Stuarda.    11  re 
credette  giunto  il  momento  di  con- 
chiudere un  trattato  per  unire  quel 
regno  all'Inghilterra,  col  matrimo- 
nio futuro  di    Maria    col  principe 
di  Galles. 

A'  li  luglio  i543  Enrico  Vili 
sposò  una  sesta  moglie,  l'avvenen- 
te Caterina  Parr,  giovane  vedova 
del  lord  Latimer,  e  le  principesse 
Maria  ed  Elisabetta,  più,  volte  di- 
chiarate illegittime,  furono  richia- 
mate nella  linea  di  successione.  In- 
di invase  la  Scozia,  ciò  ch'esasperò 
la  nazione  che  ruppe  l'unione  del 
progettato  matrimonio;  ma  per  oc- 
cupare la  Francia  in  unione  di  Car- 
lo V,  ne  ritirò  l'esercito  dopo  aver 
bruciato  Edimburgo.  La  guerra  di 
Francia  non  ebbe  successi  partico- 
lari, anzi  provocò  le  armi  france- 
si ad  entrare  in  Inghilterra,  e  si  vi- 
de costretto  nel  1 546  alla  pace,  si 


ING 

colla  Francia  che  colla  Scozia.  Dopo 
aver  corso  pericolo  laParr  di  perde- 
re la  testa,  il  re  morì  a'28  gennaio 
1 54/  d'anni  cinquantasei.  Fu  sepolto 
a  Windsor  nella  tomba  che  si  era 
fatto  preparare  presso  la  Seymour, 
quella  di  tutte  le  sue  mogli  che 
avea  più  amato.  Il  suo  testamen- 
to, come  la  vita,  fu  un  complesso 
di  bizzarrie;  fondò  delle  messe 
perpetue  per  riscattare  l'anima  sua 
dal  purgatorio,  ed  egli  stesso  ave- 
va abolito  tutte  le  istituzioni  di 
tal  genere,  e  fatte  dai  suoi  propri 
maggiori.  Francesco  I  gli  fece  ce- 
lebrare in  Parigi  un  uffizio  solen- 
ne, mentre  la  figlia  Maria  allor- 
ché salì  al  trono  vietò  che  si  pre- 
gasse Dio  per  suo  padre,  perchè 
era  morto  scomunicato.  Alla  sua 
morte  gl'inglesi  ignoravano  ancora 
qual  culto  doveano  professare,  per 
gli  opposti  e  frequenti  cambiamen- 
ti fatti  dal  re  nel  domma  e  nel- 
la disciplina;  l'antica  religione  dello 
stato  da  una  parie,  dall'altra  tutte 
le  sette  nate  dalla  pretesa  riforma, 
divise  e  turbate  tenevano  le  coscien- 
ze. Egli  riunì  il  paese  di  Galles  al- 
l'Inghilterra, ed  eresse  in  vescovati 
le  città  di  Westminster,  Oxford, 
Peterborough,  Bristol,  Chester,  e 
Gloucester  :  fu  benemerito  della 
marina  reale.  Sullo  scisma  d'  In- 
ghilterra, tra  gli  altri  ne  scrisse 
la  storia  il  Davanzati,  di  cui  si 
hanno  diverse  edizioni.  Principal- 
mente è  a  vedersi  1'  importante 
Storia  della  riforma  protestante  in 
Inghilterra  ed  in  Irlanda,  la  qua- 
le dimostra  come  un  tale  avveni- 
mento  ha  impoverito  e  degradato 
il  grosso  del  popolo  in  quei  paesi, 
in  una  serie  di  lettere  indirizzate 
a  tutti  i  sensati  e  giusti  inglesi  da 
Guglielmo  Gohlet.  L'opera  di  que- 
sto dotto  ed  imparziale  protestante 


ING  79 

inglese,  pubblicata  a'nostri  giorni, 
recò  una  ferita  mortale  al  prote- 
stantesimo d'Inghilterra,  per  cui 
meritò  che  fosse  tradotta  in  diver- 
se lingue,  ed  in  italiano  da  Dome- 
nico Giegori,  della  quale  versione 
egualmente  si  hanno  parecchie  e- 
dizioni.  Quella  di  Roma  è  del  i8i5 
di  Francesco  Bourliè;  quella  di  Na- 
poli è  del  1826  della  tipografia 
della  Biblioteca  cattolica.  Su  que- 
sto grave  argomento  si  può  anco- 
ra leggere  la  bella  Storia  d' Inghil- 
terra di  Lingard,  tradotta  in  italia- 
no dal  medesimo  Gregori  e  dal  p. 
Giacomo  Mazio  della  compagnia  di 
Gesù,  Roma  1828,  tipografia  di 
Domenico  Ercole,  in  quattordici  vo- 
lumi. In  Malta  nel  1 84- »  Sadler 
pubblicò  il  compendio  di  questa  sto- 
ria in  due  volumi.  Abbiamo  anco- 
ra Nuove  lettere  di  Guglielmo  Gob- 
bet  ai  ministri  della  chiesa  d'In- 
ghilterra e  d'Irlanda,  o  continua- 
zione della  istoria  della  riforma 
del  medesimo  autore.  La  traduzio- 
ne dall'inglese  in  francese  fu  pubbli- 
cata nel  1 836  in  Parigi  presso  Rou- 
ge.  In  questa  opera  vi  si  ritrova 
la  stessa  logica  della  prima,  pari 
forza  nelle  ragioni  ed  eguale  evi- 
denza di  fatti,  in  modo  che  può 
dirsi  con  verità  che  i  ministri  pro- 
testanti non  oseranno  di  risponde- 
re ad  un'opera  così  riboccante  di 
prove,  e  che  dimostra  chiaramen- 
te le  iuconsegueuze  della  pretesa 
riforma. 

Odoardo  VI  figlio  di  Enrico  VIII 
e  di  Giovanna  Seymour  era  nel- 
l'anno nono  quando  successe  a  suo 
padre.  Il  conte  di  Hertford  di  lui 
zio  materno  fu  eletto  protettore 
del  regno  e  custode  della  persona 
del  re,  e  divenne  duca  di  Somer- 
set.  Dominando  fatalmente  il  parti- 
to protestante,  il  duca  inculcò  al  suo 


80  INO 

pupillo  i  principii  della  religione 
protestante,  e  vi  riuscì  in  modo  che 
il  giovine  re  concorse  con  grandis» 
simo  zelo  a  tutte  le  misure  capaci 
di  stabilire  e  consolidare  la  rifor- 
ma; ma  il  suo  regno  fu  pieno  di 
turbolenze  nell'interno  e  nell'ester- 
no, ed  in  generale  disgraziato.  Il 
prolettore  volle  introdurre  la  rifor- 
ma in  Iscozia  e  maritare  la  giova- 
ne regina  Maria  Stuarda  al  re,  ma 
la  principessa  fu  invece  mandata 
in  Francia  dove  fu  promessa  in  ma- 
trimonio al  delfino.  Le  rivoluzioni 
che  scoppiarono  in  parecchie  parti 
del  regno,  erano  provocate  o  dai 
cambiamenti  che  si  operavano  nella 
religione,  o  dal  danno  che  faceva 
al  popolo  minuto  l'uso  adottato  dai 
gran  possidenti  di  ricingere  i  lo- 
ro poderi  per  tenervi  bestiami.  11 
duca  di  Somerset  ed  il  suo  fra- 
tello dai  loro  nemici  furono  man- 
dati al  patibolo,  ed  il  re  dovette 
sottoscrivere  la  sentenza  di  morte 
dei  due  suoi  zìi .  D'animo  compas- 
sionevole, tuttavolta  per  lo  zelo  con 
cui  Odoardo  VI  era  prevenuto  con- 
tro i  cattolici,  si  durò  molta  fati- 
ca per  indurlo  a  permettere  a  sua 
sorella  Maria  di  continuare  nella 
sua  vera  religione,  e  deplorò  ama- 
ramente l'ostinazione  di  quella  prin- 
cipessa, e  la  sua  impotenza  di  non 
poterla  correggere.  Dudley  duca 
di  Northutnberland  fu  posto  dopo 
il  Somerset  alla  testa  dell'ammini- 
strazione; questo  nuovo  reggente 
governò  il  re  ed  il  regno  con  pa- 
ri dispotismo.  11  re  mori  d'anni 
sedici  a' 6  luglio  i553,  e  fu  viva- 
mente compianto,  perchè  dava  di 
di  sé  le  piti  grandi  speranze.  Riu- 
scì a  Dudley  di  far  dichiarare  da  O- 
doardo  VI  escluse  dalla  successio- 
ne Maria  ed  Elisabetta,  ed  in  ve- 
ce chiamarvi  una    lontana  parente 


ING 
Giovanna  Grey  figlia  della  duchessa 
di  Suftolk,  nuora  del  duca.  Questi 
volle  sostenerla  colle  armi,  quando  la 
nobiltà  corse  in  folla  sotto  gli  sten- 
dardi di  Maria  ed  il  duca  cadde 
nell'odio  pubblico.  Maria  fece  subi- 
to celebrare  secondo  il  rito  della 
Chiesa  romana,  appena  giunta  in 
Londra,  magnifici  funerali  al  fratel- 
lo, e  tale  cerimonia  gli  porse  occa- 
sione di  manifestare  in  luminoso 
modo  la  sua  divozione  all'antica  re- 
ligione dello  stato,  rovesciata  dal- 
le violenze  di  suo  padre.  Con  pub- 
blico editto  si  rallegrò  la  regina  di 
aver  conservata  in  tutta  la  sua  pu- 
rezza la  fede  cattolica,  e  manifestò 
il  vivo  desiderio  di  vedere  tutti  i 
suoi  sudditi  ripigliare  il  culto  dei 
loro  antenati,  promettendo  di  non 
violentare  alcuno  finché  ogni  cosa 
fosse  regolata  dall'autorità  del  par- 
lamento: ond'evitare  qualunque  sog- 
getto di  discordia  proibì  d'usare  in 
avvenire  le  denominazioni  di  papi- 
sti e  d'eretici.  11  duca  di  Northum- 
berland  fu  condannato  a  morte, 
che  subì  da  cattolico.  Dovunque  si 
videro  gli  abitanti  delle  città  e  del- 
le campagne  rialzare  gli  altari  cat- 
tolici, e  riprendere  i  libri  delle  pre- 
ci che  aveano  dovuto  nascondere. 
Cinque  vescovi  protestanti  si  ritira- 
rono volontariamente,  e  furono  lo- 
ro surrogati  vescovi  cattolici  in  mez- 
zo alle  acclamazioni  del  popolo  :  tre 
santissimi  vescovi  cattolici,  e  molti 
esemplari  ecclesiastici  e  zelanti  lai- 
ci furono  liberati  dalle  prigioni.  Se 
non  si  toccarono  subito  le  leggi  di 
Enrico  Vili,  divenute  caduche  pel 
fatto,  fu  perchè  dovevasi  prima  por- 
si d'intelligenza  colla  santa  Sede. 

Dopo  la  sua  coronazione  la  re- 
gina aprì  il  nuovo  parlamento  ;  la 
camera  dei  pari  quasi  tutta  dichia- 
rò   la  sua  divozione  alla    religione 


ING 

romana,  e  quelle  «lei  comuni  non 
tardarono  a  far  noto  ch'erano  ani- 
mate dai  medesimi  sentimenti.  La 
sentenza  di  divorzio  tra  Enrico  N  III 
e  Caterina  d'Aragona  fu  annullata; 
e  le  leggi  sulla  religione  promulga- 
te sotto  Odoardo  \  I  furono  abro- 
gate: in  tal  guisa  si  pronunciò  impli- 
citamente la  reintegrazione  del  culto 
cattolico.  A  motivo  d'una  congiura 
soggiacquero  all'estremo  supplizio 
Giovanna  Grey,  suo  padre  duca  di 
Sutlolk,  e  suo  marito  Guilford  Du- 
dley:  anche  Crammer  fu  condannato 
ad  egual  sorte.  Per  sospetti  Eli- 
sabetta fu  messa  sotto  vigilanza  ri- 
gorosa: un'aperta  inimicizia  era 
insorta  tra  le  due  sorelle  dopo 
l' atto  che,  annullando  il  divorzio 
di  Enrico  "Nili,  dichiarava  nullo 
il  matrimonio  colla  Balena,  e  quin- 
di illegittima  Elisabetta.  Carlo  V 
domandò  ed  ottenne  la  mano  di 
Maria  per  suo  figlio  Filippo  II  re 
di  Spagna,  con  rinunzia  di  questi 
a  qualunque  diritto  eventuale  sul- 
l'Inghilterra, ed  il  quale  in  vece  di 
ricevere  dote  portò  alla  sposa  una 
somma  d'un  milione  e  duecento- 
mila scudi  in  verghe  d'argento.  Fi- 
lippo li  giunto  in  Inghilterra  trovò 
Lene  avanzata  la  restaurazione  del 
culto  cattolico,  ma  uocque  a  tale 
causa  colla  freddezza  de'  suoi  mo- 
di verso  la  nobiltà  inglese,  mentre 
il  parlamento  fece  ogni  cosa  per 
compiacerlo.  Avvisato  il  Ponteiice 
Giulio  IH  dei  felici  avvenimenti 
dell'Inghilterra,  adoprò  prontamen- 
te ogni  suo  sforzo  e  zelo  accioc- 
ché questo  reame  abbandonata  l'a- 
postasia si  riunisse  nuovamente  al- 
la Chiesa  romana,  fuori  della  qua- 
le non  vi  è  salvezza,  ma  sempiter- 
na pena.  A  tale  etfelto  e  ad  i- 
stanza  della  regina  spedì  a  Londra 
per  legato  a  Intere  il  cardinal  Re- 
vol.    xxxv. 


1JSG  81 

ginaldo  Polo  parente  de*  re  d'  In- 
ghilterra, ed  uno  de' più  grandi 
uomini  che  produsse  la  nazione  ; 
per  morte  di  Paolo  III  era  stato 
eletto  Papa  per  adorazione,  quando 
egli  dilfereudo  al  giorno  seguente 
l'effettuazione,  ciò  non  ebbe  più 
luogo.  Tosto  che  il  cardinale  fu 
sbarcato  in  Inghilterra,  le  due  ca- 
mere fermarouo  di  fare  indirizzo  a 
Filippo  II  ed  a  Maria.  Riconoscen- 
dosi colpevole  del  delitto  di  defe- 
zione verso  la  vera  Chiesa  ,  il 
parlamento  supplicò  il  re  e  la 're- 
gina di  metterlo  in  grado  di  ren- 
dere manifesto  il  suo  pentimento, 
rivocando  tutte  le  leggi  che  atten- 
tavano ai  legittimi  diritti  della 
santa  Sede.  11  cardinale  legato  iu 
nome  del  sommo  Pontefice  diede 
l'assoluzione  geuerale  del  passato,  e 
dichiarò  l' Inghilterra  rientrata  nel 
grembo  della  Chiesa.  I  preti  am- 
mogliati, perseguitati  dal  pubblico 
disprezzo ,  cessarono  dovunque  di 
uffiziare.  La  restituzione  de' beni 
ecclesiastici  avrebbe  incontrato  mi- 
nori difficoltà,  se  il  legato  si  fos- 
se spiegato  in  modo  più  positivo 
sopra  tale  punto  delicato.  Due  di- 
chiarazioni che  promulgò  successi- 
vameute,  sbigottirono  le  coscienze 
timorate,  comechè  lasciassero  alla 
cupidigia  i  mezzi  di  ricorrere  ai 
sutterfugì  per  mantenersi  nei  beni 
contrastati.  Un'ambasciata  solenne 
fu  spedita  a  Roma,  e  per  dare  un 
segno  luminoso  della  conversione 
che  si  era  operata  ne'  cuori  più 
indurili,  la  regina  commise  la  cura 
di  estirpare  l'eresia  allo  stesso  Ste- 
fano Gardiner  vescovo  di  Winche- 
ster, vecchio  prelato  versato  nelle 
leggi  e  nella  teologia,  che  avea 
sottoscritto  anch'  egli  la  sentenza 
del  divorzio  di  Enrico  Vili,  e  di- 
fesa col  trattato,  De  vera  et  falsa 


82  ING 

obedientìa,  ed  inoltre  avea  assistito 
il  re  contra  il  cullo  cattolico:  la 
regina  lo  trasse  di  prigione  per 
farlo  suo  cancelliere  e  primo  mi- 
nistro. Egli  fece  perire  sul  rogo 
quattro  ecclesiastici,  i  quali  predi- 
cavano contro  le  leggi  novellamente 
pubblicate  in  favore  dell'antica  re- 
ligione dello  stato. 

il  cardinal  Polo  altamente  dis- 
approvò ogni  maniera  di  persecu- 
zione; ed  il  re  e  la  regina  fecero 
predicare  alla  presenza  di  tutta  la 
corte  un  sermone  sull'intolleranza; 
ma  il  parlamento,  e  soprattutto  le 
comuni,  era  talmente  predominato 
dallo  zelo  religioso,  che  pronunziò 
rigorose  pene  contro  qualunque 
giudice  che  trascurasse  d'inquisire 
gli  eretici.  Elisabetta  che  viveva  in 
una  perfetta  libertà,  tosto  che  fu 
informata  delle  disposizioni  del 
parlamento,  ricorse  alla  dissimula- 
zione che  in  lei  era  naturale.  Ri- 
tornò improvvisamente  cattolica  fer- 
vente, assistette  regolarmente  alla 
messa,  si  confessò  e  comunicò;  dap- 
poiché il  cardinale  avea  restituito 
all'  Inghilterra  il  pieno  esercizio 
della  fede  ortodossa,  l' uso  della 
messa,  della  confessione,  della  co- 
munione, degli  altri  sagramenti,  e 
delle  prediche.  Mentre  l'ambasce- 
ria era  in  viaggio,  morì  Giulio  III, 
gli  successe  per  soli  ventidue  gior- 
ni Marcello  II,  dopo  il  quale  ai 
9.5  maggio  i555  fu  eletto  Paolo 
IV,  ch'era  stato  collettore  in  In- 
ghilterra del  denaro  di  .?.  Pietro 
sotto  Giulio  II.  L'esaltazione  ino- 
pinata di  Paolo  IV  dicesi  che  fa- 
cesse andar  fallita  la  speranza  che 
nutriva  Filippo  II  di  veder  l'In- 
ghilterra unirsi  alla  vasta  monar* 
chia  spagnuola.  Giunti  in  Roma 
gli  ambasciatori  inglesi  nel  primo 
giorno  del  suo   pontificato,    il  Pa- 


ING 

pa  nel  primo  concistoro  che  tenne 
dopo  la  sua  coronazione  li  accolse 
benignamente,  e  supplicando  essi 
in  nome  di  tutto  il  regno  il  per- 
dono degli  errori  passati,  Paolo  IV 
levandoli  da  terra  li  abbracciò,  as- 
solvè l' Inghilterra  da  tutte  le  cen- 
sure ecclesiastiche,  e  per  maggior- 
mente accrescere  la  dignità  dei 
sovrani,  con  bolla  de' 7  giugno  e- 
resse  1'  blanda  in  regno,  titolo  che 
già  le  aveano  dato  senza  l'appro- 
vazione della  santa  Sede  Enrico 
VIII  ed  il  parlamento.  Richiese  il 
Papa  in  primo  luogo,  che  l'Inghil- 
terra tornasse  a  stringere  tutti  i 
vincoli  dell'antica  sua  dipendenza 
alla  Chiesa  romana;  ma  avendo 
sospeso  dalla  legazione  il  cardinal 
Polo,  per  quei  motivi  che  diremo 
alla  sua  biografia,  le  negoziazioni 
rimasero  pressoché  sospese.  Filippo 
II  non  tardò  a  provare  un  altro 
dispiacere:  la  regina  si  diceva  in- 
cinta, quando  dopo  lunga  aspet- 
tativa si  manifestarono  invece  sin- 
tomi d'idropisia.  Disgustato  d'una 
donna  che  non  era  né  giovane  né 
bella,  dopo  un  soggiorno  di  circa 
quattordici  mesi  nell'Inghilterra,  il 
principe  s'imbarcò  per  le  Fiandre, 
ed  alle  lettere  amorose  di  Maria 
solo  rispondeva  quando  avea  bi- 
sogno di  denaro,  e  la  regina  subi- 
to si  spogliava  per  soddisfarlo.  Car- 
lo V  avendogli  quindi  rinunziato  la 
monarchia,  Maria  dovette  rinun- 
ziare ad  una  riunione  divenuta 
impossibile.  Fu  perciò  assalita  da 
una  profonda  malinconia,  e  diven- 
ne indifferente  a  tuttociò  che  suc- 
cedeva dentro  o  fuori  del  regno. 
Intanto  l'Inghilterra  si  riempì  di 
novatori  e  di  settari,  intenti  a  for- 
zarla ad  abiurare  la  sua  antica 
credenza.  Desiderando  Filippo  Jt 
di  trarre  la    moglie  in    una    lega 


IXG 
contro  la  Francia,  impensatamente 
ricomparve  in  Inghilterra  nel  i55f. 
Ottenne  un  corpo  di  truppe,  non 
però  di  ammettere  un  presidio  spa- 
glinolo a  Calais,  siccome  minaccia- 
to dai  francesi;  e  in  fatti  alcuni 
giorni  dopo  il  duca  di  Guisa  es- 
pugnò la  piazza  tanto  cara  agi  in- 
glesi che  la  possedevano  da  due- 
centodieci anni.  Tutta  l'Inghilterra 
fu  compresa  di  costernazione,  ed 
accelerò  tal  dispiacere  la  morte  di 
Malia,  la  quale  ehbe  luogo  a'  17 
novembre  1 558.  Il  quadro  di  tal 
regno  basta  per  ispiegare  la  rab- 
bia con  cui  gli  scrittori  protestan- 
ti hanno  ingiustamente  perseguita- 
to e  perseguitano  ancora  la  me- 
moria di  Maria,  d'animo  grande  e 
nobile;  Sono  altronde  i  medesimi 
scrittoli  che  hanno  esaltato  senza 
misura  la  gloria  e  le  pretese  vir- 
tù della  crudele  e  perfida  Elisa- 
betta che  le  successe  sul  trono , 
la  quale  dopo  aver  promesso  di 
difendere  la  religione  cattolica,  la 
abiurò  e  fieramente  perseguitò,  e  ri- 
stabilì nell'Inghilterra  il  culto  pro- 
testante; compiendo  e  perfezionan- 
do la  malaugurata  opera  di  En- 
rico Vili  suo  padre  tiranno  volut- 
tuoso. 

Elisabetta  protestante  per  calco- 
lo avrebbe  dovuto  perdere  la  te- 
sta pei  consigli  di  Gardiner,  altri- 
menti, diceva  questi,  il  ristabilimen- 
to della  religione  non  era  che  mo- 
mentaneo. Liberata  dalla  prigione 
per  la  protezione  di  Filippo  li, 
nel  suo  ritiro  impiegò  il  tempo  in 
accrescere  le  sue  cognizioni,  forti- 
ficare il  carattere  ed  a  renderlo 
prudente  e  riservato:  scriveva  in 
molte  lingue,  ed  era  fregiata  di 
un  esteriore  maestoso  e  leggiadro. 
L'esaltazione  al  trono  d'Elisabetta 
eccitò  una  gioia  universale  in  tutto 


ING  83 

il  regno;  i  protestanti  perseguitati, 
i  cattolici  assennati  che  ciò  disap- 
provavano, il  veder  terminato  il 
timore  che  il  trono  fosse  diviso  con 
un  principe  spagnuolo,  e  la  novità 
ne  furono  le  principali  cause.  Parlò 
a  tutti  con  amore,  dichiarò  obblio 
alle  passate  ingiurie  affettando  cle- 
menza, e  si  applicò  tosto  agli  af- 
fari. Avendo  promesso  alla  sorella 
moriente  di  non  lasciar  mai  ro- 
vesciare la  ristabilita  religione  cat- 
tolica, ciò  che  affermano  alcuni  ed 
altri  negano,  Elisabetta  scrisse  al 
cav.  Carne  ambasciatore  di  sua  so- 
rella e  d'Inghilterra  a  Roma,  di 
notificare  il  suo  innalzamento  al 
Papa  Paolo  IV,  e  che  a  niuno  sa- 
rebbesi  fatto  violenza  per  causa  di 
religione.  Il  Pontefice  rispose  che 
stimava  ardire  d'essersi  dichiarata 
di  sua  autorità  sovrana  d'Inghil- 
terra, la  quale  era  feudo  della  san- 
ta Sede  ;  che  la  sua  nascita  d'al- 
tronde l'escludevano  dal  trono  fin- 
ché le  sentenze  pronunziate  da 
Clemente  VII  e  Paolo  III  contro 
il  matrimonio  di  Anna  Bolena  non 
fossero  rivocate;  e  che  se  Elisabet- 
ta si  fosse  sottomessa  alle  provvi- 
denze pontificie,  il  paterno  suo 
animo  non  rimarrebbe  chiuso.  Al- 
l'austero contegno  di  Paolo  IV  im- 
putano molti  autori  seguitati  da 
Pietro  Soave  l'aperta  dichiarazio- 
ne d'Elisabetta  per  l'eresia,  e  la 
perdita  di  quel  regno.  Difende  Pao- 
lo IV,  collo  Spondano,  il  Pallavi- 
cino nella  Storia  del  concilio  di 
Trento  tona.  Ili,  p.  184,  ove  nar- 
ra come  alla  morte  della  regina 
due  donne  concorrevano  alla  suc- 
cessione dello  scettro ,  Elisabetta 
minor  sorella  della  defunta,  e  Ma- 
ria Stuarda  regina  di  Scozia  mo- 
glie di  Francesco  delfino  di  Fran- 
cia, la  più  stretta  consanguinea  del- 


84  ING 

la  schiatta  reale  d'Inghilterra,  tol- 
tane Elisabetta  a  cui  si    opponeva 
il  vizio  del  nascimento  ;    e  che  gli 
inglesi    mossi  dalla  maggior    pros- 
simità   d'Elisabetta,    pel    testamen- 
to di  Enrico  Vili,    e  per   la    loro 
contrarietà  agli  scozzesi  e  francesi, 
misero  in   trono  Elisabetta,  benché 
altresì  Maria  Stuarda  assumesse  il 
titolo     di     regina    d'  Inghilterra,    e 
intendesse  sperimentare    le    sue  ra- 
gioni.  Saputosi  dalla  regina  Elisa- 
betta il  contegno   di  Paolo  IV,  ne 
rimase  disgustata  e  richiamò  l'am- 
basciatore ;     quindi     incominciò     a 
cambiare     le     forme     esteriori    del 
culto,  per  cui  tutti   i   vescovi  catto- 
lici, meno  uno,  ricusarono  di  cele- 
brare   il    giorno    di   sua    consacra- 
zione,  ma  quello    gli  bastò  :    nella 
funzione  fatta  con  rito  cattolico  ro- 
mano, giurò  appiè   degli  altari    la 
conservazione  di    quella    medesima 
religione,  di  cui  meditava  il  rove- 
sciamento,   e    che    in    dieci    giorni 
rovinata  avrebbe  con  una  rapidità 
inconcepibile.   Ai  2  5  gennaio    i55q 
si  apri  il  parlamento  destinato  ad 
operare  tale    grande    avvenimento. 
A'  9  febbraio  le  due  camere  dichia- 
rarono Elisabetta  regina  per  dirit- 
to divino,  e  legittimamente  discesa 
dal  sangue  reale.  Ai    18  la  came- 
ra alta  dichiarò    la    regina  gover- 
natrice  suprema  della  chiesa  egual- 
mente che   dell0   stato.    Ai  22    di 
marzo  tale  dichiarazione  ebbe  l'as- 
senso de' comuni,    e  la    rivoluzione 
fu    consumata.    Furono    annullate 
tutte  le  leggi  religiose  di  Maria,  e 
ristabilite    quelle    di    Enrico    Vili 
e  d'Odoardo    VI.   Un    giuramento 
di  supremazia  spirituale    della   co- 
rona fu  imposto  a  chiunque   avea 
la  menoma  relazione  col  governo, 
ma  prima  di    tutto   ai  vescovi    ed 
al  clero;  e  per  fondare  la  sua  chie- 


ING 

sa,  per  far  eseguire  le  sue  decisio- 
ni, la  regina  fu  autorizzata  di  for- 
mare la  corte  d'alta  commissione 
che  divenne  sommamente  arbitra- 
ria. Tutti  i  vescovi,  tranne  uno,  ri- 
cusarono il  giuramento,  e  vollero 
piuttosto  sagrificare  la  loro  fortu- 
na, che  abbandonare  la  loro  fede  ; 
ma  in  novemila  trecento  ottantasei 
ecclesiastici  del  secondo  ordine,  non 
vi  furono  che  centottanta  parrochi 
e  novantacinque  benefiziati  che  se- 
guirono l'esempio  de' vescovi.  Eli- 
sabetta non  ancora  perseculrice, 
contentassi  di  deporre  i  contuma- 
ci, attestando  anche  stima  a  pa- 
recchi di  essi:  ricompensò  e  mise 
a  profitto  la  docilità  degli  altri. 

La  separazione  colla  santa  Sede 
venne    interamente    compita;    uno 
de'  rami    più    illustri    della    Chiesa 
cristiana  si  staccò    dal    tronco    ve- 
nerabile, cui  era  unito  da   quindi- 
ci secoli,    e    che  traeva    dalle    sue 
vecchie  radici  tanta   forza  e    mae- 
stà. Non  più  ebbe  Londra  il  nun- 
zio    apostolico  residente,  ne   Roma 
l'ambasciatore  inglese,  cessando  af- 
fatto le  relazioni   tra  la    santa   Se- 
de   ed     il     governo     d' Inghilterra. 
Così  il  tribunale  della    sacra    rota 
romana  non   ebbe  più    un   prelato 
inglese    per    uditore,  per    cui    dice 
il  Ber  ni  no  che  Sisto  V  ne  conces- 
se probabilmente  il    privilegio  alla 
repubblica     di    Venezia.     Terminò 
ancora  di  avere  in  Roma  la  nazio- 
ne inglese  il  chierico  nazionale  del 
sacro  collegio  e  del  concistoro,  co- 
me si  disse  al    voi.  XI,  pag.    209 
del  Dizionario.  Temendosi  se  Ma- 
ria Stuarda  regina  di   Scozia,  ere- 
de presuntiva    della    regina    prote- 
stante d'Inghilterra,   le  fosse    suc- 
cessa, di  una  nuova  religiosa  meta- 
morfosi, una   gran  deputazione  dei 
comuni  domandò  ad  Elisabetta  di 


ING 

dare  a  sé  stessa  un  sostegno  con- 
solatore ed  all'impero  britannico 
eredi  diretti;  la  regina  rispose  es- 
sere già  maritata  collo  stato,  e  gli 
inglesi  essere  i  suoi  figli,  braman- 
do di  vivere  e  morire  vergine.  Si 
pacificò  colla  Francia  e  perciò  an- 
che colla  Scozia,  il  cui  vicino  pae- 
se, la  religione  che  professava,  e 
la  regina  maritata  al  delfino  di 
Francia  le  davano  forte  inquietu- 
dine. Ma  siccome  da  due  anni  i 
presbiteriani  ponevano  a  soqqua- 
dro la  Scozia,  così  la  regina  Ma- 
ria Stuarda  mandò  truppe  francesi 
per  reprimerne  le  stravaganze  e  i 
furori.  Elisabetta  indispettita  per- 
chè Maria,  che  gli  era  pure  cugi- 
na, col  delfino  per  volere  del  pa- 
dre inquartavano  nelle  loro  armi 
quelle  d'Inghilterra,  ed  usavano  i 
titoli  di  re  e  regina  di  Francia , 
di  Scozia,  d'Inghilterra  e  di  Irlan- 
da, si  unì  ai  ribelli,  e  colla  forza 
si  oppose  alle  truppe  francesi,  ed 
a  mezzo  di  trattati  obbligò  i  coniu- 
gi a  dimettere  i  titoli  ]e  le  armi 
d' Inghilterra  e  d' Irlanda,  facendo 
pure  restringere  l'autorità  regia  di 
Maria  durante  la  sua  assenza.  In 
tal  modo  Elisabetta  si  assicurò  con- 
tro la  regina  di  Scozia,  che  consi- 
derava rivale,  perchè  amata  in  In- 
ghilterra, potente  in  Iscozia,  temu- 
ta in  Francia,  ammirata  dall'Eu- 
ropa. Mentre  Elisabetta  ricusò  la 
mano  a  diversi  principi  ed  anco  a 
parecchi  signori  inglesi,  che  non 
temerono  di  aspirarvi  sino  dal  pri- 
mo anno  del  suo  regno,  il  trono 
della  verginità  divenne  la  sede  del- 
la galanteria.  Primo  oggetto  della 
sua  affezione  fu  Roberto  Dudley 
figlio  del  decapitato  duca  di  Nor- 
thumberland,  ch'essa  fece  conte  di 
Leicester  e  primo  ministro.  Intan- 
to morì  Francesco  li,  Maria  Stuai- 


ING  85 

da  restò  vedova,  e  partita  dalla 
Francia  si  condusse  in  Iscozia . 
Elisabetta  gelosa  persino  della  sua 
avvenenza,  le  impedì  di  attraver- 
sare i  propri  stati  per  giungervi, 
e  coprì  il  mare  di  vascelli  per  co- 
gliere quello  che  ve  la  conduceva, 
allorché  col  favore  d'una  densa 
nebbia  approdò  nel  regno;  ma  E- 
lisabetta  l'attorniò  di  aguati  e  tra- 
dimenti tali,  di  cui  la  sua  rivale 
presto  o  tardi  doveva  esserne  vitti- 
ma; indi  seguì  un'apparente  ricon- 
ciliazione tra  le  due  cugine.  Fece 
successivamente  fiorire  la  coltiva- 
zione, la  navigazione,  il  commercio, 
l'economia  nelle  finanze,  e  la  di- 
sciplina negli  eserciti  :  si  meritò  i 
titoli  di  restauratrice  della  marine- 
ria inglese,  e  di  sovrana  de'  mari 
del  settentrione.  Esercitò  tutta  la 
sua  crudeltà  con  Caterina  Grey 
sorella  della  sventurata  Giovanna, 
e  col  conte  di  Hertford  Seymour, 
perchè  essendosi  sposati,  potevano 
i  loro  figli  un  giorno  vantare  diritti 
eventuali  a  quella  corona,  alla  qua- 
le non  voleva  che  altri  potessero 
a  lei  succedere. 

Dopo  avere  Elisabetta  impedito 
colle  più,  basse  arti  e  tradimenti, 
un  secondo  matrimonio  a  Maria 
Stuarda,  questa  compiacendo  il  voto 
generale  degli  scozzesi  sposò  lord 
Darnley,  il  più  prossimo  erede  alla 
corona  inglese  dopo  Maria.  Non  es- 
sendole riuscito  impedir  questa  u- 
nione,  Elisabetta  sfogò  il  suo  in- 
giusto risentimento  coi  parenti  del 
consorte  con  confische  e  prigionie, 
e  suscitò  un  ammutinamento  fra  i 
grandi  di  Scozia:  quando  poi  sep- 
pe aver  la  rivale  partorito  un  fi- 
glio diede  nelle  smanie,  mentre  i 
parlamenti  e  le  camere  rinnovava- 
no a  lei  istanze  di  matrimonio  e 
di  successioni,  o    che    almeno    no- 


86                    ING  ING 

minasse  un  erede  per  evitar  le  con-  fu  trasmessa  in  Inghilterra,  ove 
seguenze  di  tanti  pretendenti.  Si  Giovanni  Felton  cavaliere  illustre 
passò  alle  minacce,  ed  allora  la  re-  per  sangue  e  più  illustre  per  fe- 
gina  impose  con  potere  assoluto  de,  ai  i5  maggio  1670,  festa  del 
che  più  non  s' insistesse  sull'argo-  Corpus  Domini,  l'affisse  coraggio- 
meuto.  Frattanto  il  Pontefice  s.  Pio  samente  alla  porta  non  di  una 
V  risoluto  di  fare  i  medesimi  sfor-  chiesa,  ma  alla  porta  del  vescovo 
zi  che  fatto  avea  per  la  Francia  di  Londra,  e  perciò  gli  fu  dato 
contro  gli  ugonotti,  affine  di  con-  per  ordine  della  regina  il  più  01- 
servare  nell'Inghilterra  la  religione  ribile  martirio,  che  descrive  il  Ber- 
cattolica,  inviò  nunzi  a  tutti  i  prin-  nino  nella  Stana  dell'  eresie  toni. 
cipi  cristiani,  per  esortarli  vivamen-  IV,  pag.  526.  F.  M.r  Strype 
te  a  prendere  le  armi  in  favore  nell'  Ilisl.  eccl.  et  ch'ile  du  regna 
della  religione.  Nel  tempo  stesso  non  de  la  reine  Elizabeth.  Natale  Ales- 
mancò  di  assistere  con  denaro  gl'in-  Sandro,  non  sempre  favorevole  al- 
glesi  cattolici  esiliati,  e  di  sovvenire  l'autorità  del  Pontefice  romano,  nel 
quelli  ch'erano  carcerati  per  ordine  toni.  Vili,  Hist.  eccl.  saec.  XV I, 
della  regina,  col  provvedere  alle  art.  20,  pag.  5c),  pretende  dimo- 
loro  necessità  colla  somma  di  cin-  strare,  che  s.  Pio  V  non  avesse 
quantamila  scudi  :  merita  singoiar  autorità  per  fulminar  questa  sen- 
menzione  il  cardinal  Nicolò  Gae-  tenza;  ma  lo  convinse  egregiamen- 
tani  romano,  per  la  generosità  te  fra  gli  altri  il  citato  J3ernino 
colla  quale  sovvenne  i  vescovi  ed  a  pag.  524.  Quindi  Elisabetta  fe- 
i  cattolici  costretti  a  fuggire  per  la  ce  nel  i5yi  dichiarare  dal  parla- 
persecuzione  dall'Inghilterra.  Con-  mento,  doversi  ritenere  per  tradi- 
siderando  s.  Pio  V  che  la  regina  mento  non  più  soltanto  il  conver- 
Elisabelta,  usurpata  la  mostruosa  tire,  ma  l'essere  convertito  alla  fede 
qualifica  di  capo  della  chiesa  an-  cattolica  ;  tradimento  chiamare  la 
glicana,  avea  abolito  la  messa,  ban-  regina  eretica  e  infedele,  e  tradi- 
titi dalle  loro  chiese  i  vescovi  cat-  mento  il  dire  che  la  scella  del  suo 
tolici,  ed  esercitava  la  più  scaltra  successore  non  potesse  essere  deter- 
tiiannia  sopra  tutti  quelli  che  mo-  minata  da  un  atto  del  parlamento, 
stravansi  costanti  nella  religione  Maria  Stuarda  vittima  di  uu 
romana,  colla  bolla  Regnans  in  complesso  di  avvenimenti  nell'  in* 
eoccelsis,  più  severa  di  quella  ema-  terno  del  regno,  che  narreremo  al- 
nata  da  Paolo  III  contro  il  di  lei  1'  articolo  Scozia,  fu  imprigionala 
padre,  ai  xS  febbraio  1070,  Bull,  in  un  castello  dai  propri  sudditi, 
Roin.  tom.  IV,  par.  Ili,  pag.  98,  ed  allora  Elisabetta  intervenne  (pia- 
la dichiarò  solennemente  eretica,  le  arbitra  tra  la  reale  cattiva,  ed 
divisa  dalla  comunione  de'  fedeli;  i  ribelli  confederati.  Quando  poi 
la  privò  d'ogni  dominio  e  dignità,  1'  infelice  principessa  fuggì  sul  ter- 
assolvè  dal  giuramento  di  fedeltà  ritorio  inglese,  Elisabetta  violando 
i  sudditi,  ed  impose  la  medesima  1'  ospitalità  ed  abusando  della  fòr- 
scomunica  a  qualunque  soggetto  za,  esigette  che  si  purgasse  dal- 
della  nazione  inglese,  chea  lei  per  I'  accusa  calunniosa  de'  libelli,  di 
1'  avvenire  prestasse  obbedienza  .  essere  stata  complice  dell'  uccisione 
Questa  bolla,  stampata    iu  Koma  ,  dello  sposo  prima  di  sposarne  1'  uc< 


ING 

cisore.  L'  innocente  Maria  dichiarò 
che  sottoponeva  di  buon  grado  la 
sua  causa  ali'  arbitrio  delia  sua 
buona  sorella,  la  quale  sopra  tal 
sommersione  fondò  I'  istituzione  di 
un  processo  contradditorio  ;  venne 
imprigionata  e  con  atti  illegali  e 
crudeli,  con  un  cumulo  di  tradi- 
menti ed  ipocrisie,  si  osò  dichiarar- 
la rea  di  tradimento  in  ultimo  gia- 
de Il  Pontefice  Gregorio  XIII  pro- 
curò di  mantenere  la  religione 
cattolica  nella  Scozia  e  di  rimet- 
terla in  Inghilterra,  come  di  libe- 
rare Maria  Stuarda  dalla  tirannica 
oppressione  di  Elisabetta;  ed  all'ef- 
fetto conchiuse  una  lega  con  Filip- 
po II.  Esortò  poscia  con  successo  i 
veneziani  perchè  non  ricevessero 
uu  ambasciatore  d'  Inghilterra  co- 
me desiderava  la  resina.  Più    tar- 

D 

di  il  medesimo  Papa,  a  salvar  la 
regina  di  Scozia,  tentò  collegare 
con  Filippo  II  i  re  di  Polonia  e 
di  Svezia,  ma  senza  riuscita.  Dopo 
aver  Elisabetta,  implacabile  nemica 
di  sua  cugina,  tentato  più.  volte  di 
farla  assassinare,  ad  onta  delle  in- 
tercessioni e  minacce  di  suo  figlio 
Giacomo  VI  re  di  Scozia,  e  del 
suo  cognato  re  di  Francia,  dopo 
averla  tenuta  in  prigione  circa  die- 
ciotto anni,  la  fece  decapitare  a'  18 
febbraio  i  087.  Si  spinse  la  crudeltà 
a  negarle  un  avvocalo  per  difen- 
derla, ed  un  ministro  della  sua 
religione  per  amministrarle  le  ul- 
time consolazioni  di  essa.  Appena 
il  delitto  fu  consumato,  la  regina 
affettò  la  più  violenta  o  ridicola 
disperazione,  ed  osò  scrivere  al  re 
Giacomo  VI,  per  esprimergli  il  suo 
profondo  dolore.  II  Papa  Sisto  V, 
riprovando  tale  assassinio,  rinnovò 
contro  Elisabetta  le  scomuniche  di 
s.  l'io  V  e  di  Gregorio  XIII,  e  le 
fulminò  contro  quelli  che  a  lei  ob- 


I H  G  87 

bedivano.  Alcuni  cattolici  trasporta- 
ti da  eccessivo  zelo  cospirarono 
contro  la  vita  della  regina  ;  ciò 
bastò  per  fare  accusare  tutti  i  cat- 
tolici d'  essere  loro  complici,  laon- 
de si  aumentarono  le  vessazioni 
contro  di  essi.  Altre  cospirazioni 
per  togliere  i  giorni  ad  Elisabetta 
avevano  avuto  luogo,  e  per  liberare 
Maria  Stuarda,  che  destava  a  tutti 
compassione,  e  si  rinnovarono  do- 
po la  violenta  sua  morte  per  ven- 
dicarla. Si  conchiuse  quindi  fra  il 
Pontefice  Sisto  V,  e  Filippo  II  re 
di  Spagna  la  guerra  contro  I'  In- 
ghilterra, anche  per  essere  stato  il 
secondo  provocato  da  lungo  tempo 
dagli  armatori  inglesi.  Eccitato  Fi- 
lippo II  dalle  ingiurie  fatte  ancora 
alle  sue  colonie  d'  America,  ed 
animato  dal  zelo  il  più  ardente  per 
la  religione,  deliberò  d'  invadere 
1'  Inghilterra  con  una  formidabile 
flotta,  mai  simile  siuo  allora  vedu- 
ta nell'  Oceano,  per  cui  le  fu  da- 
to il  nome  d'  invincìbile.  Elisabetta 
la  vide  senza  spavento,  meditò  la 
sua  difesa  con  calma  ;  scorse  il  re- 
gno ed  infiammò  tutti  i  sudditi  : 
quella  fu  1'  epoca  della  sua  vera 
grandezza.  Una  burrasca  disperse 
e  rovinò  la  flotta  spagnuola,  che 
dicesi  aveva  costato  centoventi  mi- 
lioni di  ducati.  Fra  i  mezzi  dalla 
regina  usati  per  esaltare  1'  amor 
patrio  de'  suoi  sudditi  alla  difesa 
comune,  si  novera  la  pubblicazio- 
ne di  un  giornale  intitolato  il  J/tv- 
curio  inglese,  la  prima  gazzetta  che 
venne  alla  luce    neh'  Inghilterra. 

Elisabetta  soccorse  Enrico  I V 
re  di  Francia  contro  la  famosa 
lega,  come  quello  che  fra  tutti  i 
sovrani  più  stimava.  La  morte  nel 
i5g8  rapì  Filippo  II,  e  liberò 
1'  Inghilterra  dal  più  pericoloso 
de'  suoi  ueuiici,  il  quale  non  aveu 


88  ING 

cessato  di    fomentare  le  turbolenze 
d'  Irlanda,    che   voleva    conservarsi 
cattolica.  La   regina  spedì  contro  gli 
irlandesi   il   suo  prediletto    favorito 
conte  d'Essex,  cli'essendosi  poi  ribel- 
lato venne  decapitato  ;  lo  che  gittò 
Elisabetta   in  una  profonda  malinco- 
nia, che  dopo  due  anni  la  condusse  al 
sepolcro.  Nominò  il  re  di  Scozia  suo 
più   prossimo   parente  a  successore, 
e  morì  d'anni    settanta  a'  3   aprile 
i6o3.  La  sua    ripugnanza    al  ma- 
trimonio   derivò    dal    solo  timore 
di  darsi  un   padrone,  o  di  dividere 
la  sua    autorità.    Così    fini    questa 
donna  di  raro  spirito,  coltura,  po- 
litica,  senno  ed     accorgimento,  ma 
flagello  crudele  e  spietato     de'  cat- 
tolici, la    cui    religione    abborriva, 
onde      contrastò     nell'  empietà     la 
precedenza  ai  tiranni   dei  primi  se- 
coli della  Chiesa.    Conobbe    1'  arte 
d>   regnare  in   un  grado    eminente, 
e  fu  una  delle  regine    più     celebri 
e  di    maggior  capacità.    Le   succes- 
se Giacomo  VI  re  di  Scozia,  figlio 
di     Maria     Stuarda     e     di     Enrico 
Stuardo     lord     Darnley     conte    di 
Lennox,  che  prese  il  nome  di  Gia- 
como I,  e  per  avere  riunito  alla   sua 
corona  i  regni  di  Scozia,    di  Irlanda 
p  d'Inghilterra,  pel  primo    prese  .il 
titolo  di  re  della    Gran  Bretagna. 
Ebbe  per  maestro  il  celebre  Buca- 
nano,    sotto    del    quale  apprese  le 
belle   lettere:  si   piccava    ancora  di 
essere  teologo,    e    le    opere    che  si 
hanno  di   lui   piovano    eh'  egli  era 
più  versato  ne|la    controversia  che 
nell'  arte  di   regnare.     Roberto  Ce- 
di confidente  di  Elisabetta    1'  avea 
giovato    presso    questa.    Sperava  il 
Papa  Clemente  Vili,  che  con  Gia- 
como I  si  ripristinasse   nell'  Inghil- 
terra    il     cattolicismo  ;   ma    le  sue 
sollecitudini   praticate  a  questo  fine, 
presto  si  conobbero  infruttuose.  11 


ING 
nuovo  re  professò  la  setta  angli- 
cana, onde  con  esso  perirono  le 
speranze  del  ristabilimento  della 
fede.  11  zelo  di  questo  re  per  la 
pretesa  riforma  1'  indusse  a  pro- 
nunziar la  pena  di  morte  a  tutti 
i  sacerdoti  cattolici  se  non  usciva- 
no dall'  Inghilterra.  E  però  da 
osservarsi,  che  i  migliori  storici 
credono  che  Giacomo  I  nel  per- 
seguitare i  cattolici  non  seguiva  il 
suo  giudizio,  ma  piuttosto  fatal- 
mente cedeva  alle  pretensioni  del 
popolo.  Scoprì  nel  i6ot>  la  famo- 
sa cospirazione  della  polvere,  e 
molti  congiurati  furono  condannati 
a  morte.  Erano  stati  posti  sotto 
la  camera  del  parlamento  de'  bari- 
li di  polvere,  alla  quale  doveva 
appiccarsi  fuoco  appena  entrato  il 
re.  Alcuni  accusarono  i  gesuiti  di 
aver  avuto  parte  in  questa  congiu- 
ra ;  ma  Guido  Fabri  della  Bode- 
rie  ambasciatore  in  quel  tempo  di 
Francia  in  Inghilterra,,  li  giustificò 
pienamente.  Giacomo  I  fece  pub- 
blicare il  famoso  giuramento  nel 
1606  intorno  all'  indipendenza  del 
re  d'  Inghilterra,  chiamato  il  giu- 
ramento di  società:  di  questo  giu- 
ramentOj  che  Paolo  V  proibì  ai 
cattolici  di  prestare,  se  ne  tratta 
all'  articolo  Giuramento.  Questo 
Pontefice  fu  generoso  in  stabili 
soccorsi  ai  cattolici  esiliati  dall'  In- 
ghilterra. Si  osserva  che  la  vio- 
lenza fatta  per  tanti  anni  alle  co- 
scienze dalla  regina  Elisabetta  e 
dal  re  Giacomo  I,  popolò  il  terri- 
torio inglese  d'  America,  e  sparse 
il  seme  di  quella  fiorentissima  na- 
zione, che  nel  novello  emisfero 
primeggia.  Sotto  il  suo  regno  al- 
cuni navigatori  inglesi  presero  pos- 
sesso delle  Bermude  e  di  Mont- 
serratj  della  Barbada  e  di  s.  Cri- 
stoforo. Le  sue    prodigalità    lo  ri- 


ING 

dtissero    sollo    la     dipendenza    del 
parlamento  che  gli  rifiutò    de'  sus- 
sidii,  e  s'  irritò  della  sua  tendenza 
al  potere  assoluto.  Nel  parlamento 
da  lui   convocato  nel  162 1,   si  for- 
marono i  due  famosi  partiti  cono- 
sciuti sotto  i  nomi  di  tories    e    di 
whfgs,  il   primo  de'  quali    è  a    fa- 
vore   del    re,   il    secondo  a     favore 
del  popolo.  Giacomo   I    morì    nel- 
1'  errore  e  nello  scisma   nel    1625. 
Gli  successe  suo  figlio     Carlo  I, 
nato  nel    1600  a   Dumfermline    da 
Anna  di  Danimarca,  il   quale   prese 
subito  in  moglie  Enrichetta  di  Fran- 
cia figlia    di    Enrico    IV  e    sorella 
di  Luigi  XIII.  Due  anni  dopo  spe- 
dì soccorsi  a'  calvinisti  per   impedir 
la  presa   della    Hocella,   ma    gì'  in- 
glesi vennero  disfatti,    onde    poscia 
si  conchiuse   un  trattato  tra  le  due 
corone.     Di    là    a    non     molto    gli 
scozzesi     ed    i   parlamentari    d'  In- 
ghilterra pigliarono  le  armi  contro 
di  lui,    dal  che    ne    provenne  una 
guerra  ostinata  e  funestissima.  Egli 
avea  ereditato  da  suo  padre  un'  au- 
torità    indebolita     dai    comuni,  ed 
un     zelo    ardente    per  la    religione 
anglicana  :  questo  zelo  die    origine 
alla   lega   dei     Covenaiiùers  j    armò 
la     Scozia    contro     di     lui,   sollevò 
1'  Irlanda,     e  quarantamila     inglesi 
furono  trucidati.  Dopo   molti    asse- 
di e  combattimenti,  debole    troppo 
per    resistere   ai    comuni,     Carlo  I 
vide    il    suo    regno    in    preda    alle 
guerre  civili  fomentate  da  un  cie- 
co fanatismo  :   fu  spogliato  de'  suoi 
stati,  e  gli  scozzesi   presso  de'  qua- 
li   erasi    rifugiato,    avendolo     inde- 
gnamente   dato  in    mano  degli  in- 
glesi, Oliviero  Cromwell  lo  finì  di 
perdere    provocandone    la    condan- 
na a  morte,    e    gli  fece    tagliar  la 
testa  sul   palco   dal  carnefice  avan- 
ti il  palazzo  di  AVhitehall  a'  9  feb- 


ING  89 

braio  1649.  Veramente  non  si  può 
dire  assolutamente  che  Cromwell 
abbia  fatto  decapitare  Carlo  I,  co- 
me affermano  molti,  dappoiché  scri- 
ve Lingard,  che  gli  uomini  che  lo  fe- 
cero andare  sul  palco  furono  una 
piccola  fazione  di  arditi  ed  ambi- 
ziosi. Oliviero  Cromwell  politico 
inglese  di  molta  capacità,  ed  uno 
de'  più  gran  generali  del  suo  se- 
colo, avendo  tagliato  a  pezzi  1'  ar- 
mata reale,  superato  il  duca  Ha- 
milton, ed  ucciso  di  propria  mano 
il  famoso  colonnello  Legde  in  una 
sortita  all'  assedio  d'  Oxford,  do- 
po la  presa  di  questa  città  an- 
dò al  parlamento,  e  gli  fece  de- 
cretare nel  1646  la  degradazione 
del  re.  Neil'  anno  seguente  avendo 
gli  scozzesi  consegnato  Carlo  I  a 
Cromwell,  questi  si  fece  proclama- 
re generalissimo  dopo  la  dimissione 
di  Tommaso  Fairfax.  Dopo  aver  nel 
1648  sconfitto  il  duca  di  Buckin- 
gham,  battuto  ed  imprigionato  il 
conte  di  Holiand,  ritornato  in  Lon- 
dra come  in  trionfo,  permise  che  fos- 
se troncato  il  capo  al  re  suo  signore. 
Il  figlio  di  questi  Carlo  II,  avendo 
inteso  all'Aja  l'infelice  morte  del  pa- 
dre, passò  nella  Scozia  ove  que' po- 
poli lo  proclamarono  re  di  Scozia, 
d'  Inghilterra  e  d'  Irlanda.  Intanto 
Cromwell  a'  17  marzo  1649  ^ece 
abolire  la  monarchia,  e  stabilì  la 
repubblica  con  un  consiglio  di  sta- 
to, dando  a  quelli  che  Io  compo- 
nevano il  titolo  di  protettori  del 
popolo,  e  difensori  delle  leggi.  Passò 
dipoi  in  Irlanda,  ove  diede  una 
rotta  al  marchese  d'  Ormond.  Non 
fu  men  fortunato  in  Iscozia,  ove 
gli  stati  avevano  prese  le  armi  pel 
re  Carlo  II.  Unitamente  ai  ribelli 
inglesi,  Cromwell  lo  -vinse  a  Dun- 
bar  ed  a  Worcester,  e  fece  un 
orribile   macello    della  sua   armata 


9o  ING 

nel  i65f.  Cromwell  ebbe  pur  buon 
esito  nella  guerra  che  fece  agli  olan- 
desi nel  i653,  e  ricusò  la  corona 
tì"  Inghilterra  offertagli  dal  parla- 
mento, ina  n'  ebbe  tutto  1'  eserci- 
zio dell'  autorità  sotto  il  modesto 
titolo  di  lord  protettore,  governan- 
do dispoticamente  la  Gran  Iìreta- 
gna.  Crouiwell  ricusò  con  ipocrisia 
il  l'itolo  di  re,  prevedendo  che  a- 
Tfebbe  incontrato  grandissima  op- 
posizione all'  assunzione  di  tale  ti- 
tolo. Essendo  fuggilo  Carlo  li,  Ira- 
•vislito  da  taglialegna  e  poi  da  ca- 
meriere, si  portò  a  Rouen,  donde 
avendo  inleso  che  la  Francia  ave- 
\a  trattato  con  Cromwell,  si  ritirò 
a  Colonia.  Allora  gli  spagnuoli  di- 
chiararono la  guerra  a  Cromwell,  e 
diedero  una  pensione  al  disgraziato 
monarca,  che  passò  in  Fiandra,  in- 
di si  rifugiò  in  Olanda.  Avendo 
Cromwell  opposto  agli  spagnuoli 
Valida  resistenza,  tolse  loro  la  Gia- 
inaica  e  Dunkerque.  Gli  inglesi  a- 
Tevano  già  occupate  le  isole  JNevis, 
e  la  lìarbuda  nel  1628,  Antigua 
nel  i63"2,  ed  Anguilla  nel  i65o. 
Cromwell  prese  di  mira  anche  i 
cantoni  svizzeri  .  Alessandro  VII 
lece  coraggio  ai  cantoni  cattolici, 
e  per  mezzo  di  monsignor  Litta 
arcivescovo  di  Milano  li  soccorse 
Segretamente  con  trentamila  scudi. 
Gli  svizzeri  riportarono  de' vantaggi 
etiti'  esercito  inglese,  ma  a  mezzo 
del  loro  collegato  Luigi  XIV  re  di 
Francia,  a  cui  vivamente  li  racco- 
mandò il  Papa,  si  fece  la  pace. 
Oliviero  Cromwell  mori  in  Whi- 
tchall  ai  i3  settembre  i678,  e 
iìi  sepolto  con  magnifica  pompa 
nella  cappella  di  Enrico  VII. 
Cromwell  dotato  di  coraggio  e 
talento  straordinario,  intraprenden- 
te, dissimulatore,  e  capace  di  ese- 
guire i  più  gran  progetti,  fece  fio- 


ING 

rire  il  commercio  in  Inghilterra, 
ne  dilatò  il  dominio,  e  fu  come 
1'  arbitro  della  quiete  d'  Europa. 
Le'  sue  belle  qualità  furono  mac- 
chiate dall'  abuso  che  fece  di  sua 
autorità,  usurpando  le  prerogative 
del  trono,  e  trattando  crudelmente 
i  suoi   legittimi  sovrani. 

Oliviero  dichiarò  prima  di  mo- 
rire per  suo  successore  il  proprio 
figlio  primogenito  Riccardo  Crom- 
well, il  quale  fu  pioclamato  pro- 
tei tore  d'  Inghilterra  con  molta 
Solennità.  Non  si  seppe  mantenere 
Dell'  eminente  poslo,  dappoiché  es- 
sendosi suscitate  alcum;  dispute  per 
limitare  l'autorità  de'magistrati,  e 
non  avendo  Riccardo  avuto  la  pru- 
denza di  celare  le  misure  che  sta- 
va prendendo  per  tirar  dal  suo 
partito  la  flotta  e  la  milizia ,  i 
suoi  andamenti  fecero  nascere  del- 
la gelosia  tra  lui  e  l'armata.  Fleet- 
wood  e  Desbourough,  il  primo  co- 
gnato ed  il  secondo  zio  di  Riccar- 
do ,  tirarono  dal  loro  partito  gli 
ufficiali  dell'  esercito,  deposero  Ric- 
cardo nel  1660,  e  presero  le  re- 
dini del  governo.  Ma  vedendo  che 
il  popolo  si  lagnava  delle  loro  pro- 
cedure militari,  spedirono  deputati 
a  Riccardo,  lo  liberarono  dai  suoi 
debiti,  e  gli  accordarono  una  pro- 
tezione per  sei  mesi  :  allora  Ric- 
cardo portossi  via  le  ricchezze  che 
trovò  a  Whitehall  e  ritirassi  al- 
la campagna,  ove  visse  sconosciuto 
sino  alla  morte.  Intanto  il  genera- 
le Monk  essendosi  reso  padrone 
assoluto  del  parlamento,  richiamò 
il  re  Carlo  Ilei  suoi  fratelli  nel 
1660,  sostenuto  dai  partigiani  re- 
gi. Carlo  li  fu  coronato  l'anno 
seguente,  e  sposò  Caterina  infanta 
di  Portogallo.  Invano  questo  prin- 
cipe tentò  di  ristabilire  l'autorità 
eh  qualcuno    de'  suoi    predecessori  ; 


IiNG 

non  potè  neppure    mostrarsi  tolle- 
rante,    e     la  sua  dichiarazione    di 
indulgenza   verso    i    non  conformi- 
sti,  venne  ritrattala   dal   parlamen- 
to.   Sotto    di  lui  si    stabilì    il  giu- 
ramento del  lesto  o  tesi,  escluden- 
do dal  trono  i  principi  cattolici,  ed 
anche   il   bill   di     habeds  corpus   fu 
ammesso  sulla    libertà  del   suddito. 
Durante    questo  regno     si     fece  la 
guerra  contro    gli    olandesi   e    con- 
tro i   francesi,  co'quali   venne  futla 
la    pace  nel     1667    col    trattato  di 
Breda,  pel  quale  la  Gran  Bretagna 
acquistò  la    Nuova-York,  il   Nuovo 
Jersey,  ed    il   Capo  Corso,  suo  pri- 
mo   stabilimento    africano.    A    tale 
epoca    il  re  inviò    dei    coloni    alle 
Lucaje;    indi    Carlo  11    si   unì    coi 
francesi  nel  1672  ,    contro  gli  olan- 
desi, però  passati    due  anni  si    ri- 
stabili   la    concordia    dopo  di   aver 
preso  l'isola  di  s.  Elena  all'Olanda. 
Quanto     ai    successi    della     marina 
britannica  ,    oltre    che    per     lungo 
tempo  fu  alle  prese  con  quella  di 
Olanda,  conquistò  Virgin-Gorda    e 
Tortola.    Procurò    Carlo    li    di    e- 
htinguere  le   fazioni    nel  suo   regno 
e  di   farvi    fiorire  la  pace,  il  com- 
mercio e  le  belle  arti.    Morì   Car- 
lo  II   a'  16    febbraio    i685,    e  gli 
successe  il  duca  di  York  suo   fratel- 
lo, anch'esso  figlio  d'Enricbelta  di 
r  rancia,  che  prese  il  nome  di   Gia- 
como 11.    Erasi    segnalalo    per   va- 
lore    in     Fiandra     sotto     Giovanni 
d'Austria,   e  del  gran  Condè.  Rien- 
trato col  fratello  in  patria,  fu  cicalo 
grande    ammiraglio    del    regno,    e 
rese  illustre  per  sempre  il   suo  no- 
me   pei    combattimenti     sanguinosi 
die  sostenne;  ma  di  lui  si  dis^e,  che 
parve   deguo  del  trono  finebè   non 
\i  si    assise.  Tra  quegli     stessi  che 
non   potevano     a    meno  di     far  o- 
uiaggio    alla  sua  gloria  militare  ed 


I N  G  91 

alle  sue  qualità   personali,  un  trop- 
po grande  numero  lasciava  scorge- 
re la  diffidenza    e  l'odio  che    loro 
ispirava  l'alfezione  del   principe  al- 
la religione  cattolica.  Del   rimanen- 
te   lungi  dall' esserne    sbigottito,    si 
dava  anzi   poca  briga  per  dissimu- 
lare    opinioni,    cui    aveva    comuni 
con  Carlo  II  suo  fratello,    ma  che 
questo    monarca    voluttuoso    e    de- 
bole, non  osò  manifestare  che  quan- 
do il   timore    glie    n'  ebbe  imposto 
l'obbligo.  Iiume  dice  positivamente 
clie    Carlo    II    ricevè    morendo     i 
sagramenti   della    chiesa    romana,  e 
ciò  è  fuori  di  dubbio  dopo  la    pub- 
blicazione   dei  dispacci   di    Barillou 
ambasciatore    di    Luigi   XIV    pres- 
so quel  principe.  Nella  supposizione 
che  il     duca    di     York     ristabilisse 
l'antica   religioue  dello  stato,  il  fu- 
rore del   partito    protestante  si   su- 
scitò al     più    alto    grado,    ed  i  fa- 
natici non  conobbero    misura  ver- 
so il  duca.   Siccome  il  re  era  sen- 
za figli,  questo  principe  si   trovava 
erede  presuntivo  della  corona,  per 
cui   i    comuni    meditarono   Un   pro- 
getto   insormontabile    al   ripristina- 
mento    del    catlolicismo    contro   di 
lui,  cioè  dapprima   un  alto  di   limi- 
tazione,   e  poco    dopo    osarono     di 
proporre  il    formale  bill    di   esclu- 
sione.  Due    volte    però    la    camera 
de'pari  ed   il   re    fecero    andar  fal- 
lita  tale  cospiratone  coulro  l'ordi- 
ne esistente. 

Morto  Carlo  II,  il  principe  cui 
si  era  voluto  contrastare  i  suoi  di- 
ritti, fu  riconosciuto  ed  acclamato 
senza  opposizione;  anzi  per  le  sue 
parole,  indirizzate  al  cousiglio  pri- 
vato, destò  in  tulle  le  classi  tras- 
porti d'allegrezza  e  di  riconuscen- 
za.  Giacomo  II  dichiarò,  che  in 
onta  a  tutte  le  dicerie  fattesi  sul 
di   lui  conto,    avrebbe  saputo  con- 


9* 


ING 


vincere  la  nazione  inglese  della  sua 
risoluzione  invariabile  di  mante- 
nere le  leggi  dello  stato  e  la  chie- 
sa stabilita.  Non  tardò  a  far  ve- 
dere che  non  avea  dubbio  alcuno 
sulla  legittimità  e  sulla  (orza  della 
sua  potenza.  Con  un  bando  si  man- 
tenne nel  godimento  della  rendi- 
ta delle  dogane  e  dell'assisa,  che  il 
parlamento  avea  concesso  a  vita 
al  fratello;  andò  quindi  pubblica- 
mente alla  messa,  con  tutto  l'ap- 
parato di  principe  cattolico.  Con- 
servò tutti  i  ministri  e  grandi  uf- 
fìziali  del  fratello,  e  diebiarò  la  sua 
affezione  particolare  per  Luigi  XIV, 
sperando  ottenere  da  lui  il  modo 
di  provvedere  a  molte  spese  indi- 
spensabili senza  ricorrere  al  parla- 
mento, di  cui  temeva  gli  ostacoli 
(piando  avesse  penetrata  la  sua  ri- 
soluzione di  tornare  in  vigore  la 
religione  romana  o  almeno  di  met- 
terla iu  condizione  perfettamente 
eguale  colla  religione  protestante. 
Indipendentemente  dai  suoi  disegni 
particolari  in  tale  proposito,  Gia- 
como li  era  vivamente  istigato  dal- 
la regina  Maria  di  Modena  ad  ot» 
tenere  tanto  per  sé  stesso,  quanto 
per  quelli  de'suoi  sudditi  che  pro- 
fessavano lo  stesso  culto,  una  per- 
fetta libertà  di  coscienza.  Uno  dei 
suoi  primi  passi  per  ritrarre  i  cat- 
tolici dallo  stato  di  oppressione  in 
cui  li  trovò,  fu  di  far  processare 
l'infame  Tito  Oates  dcnunzialore 
duna  pretesa  trama  papale  ;  il  suo 
castigo  esemplare  confuse  la  fazio- 
ne che  si  era  valsa  di  lui.  11  conte 
d'Argyle  e  il  duca  di  Monmoulh 
figlio  naturale  di  Carlo  II  si  ri- 
bellarono, ma  le  loro  truppe  furo- 
rono  disfatte  ed  ambedue  decapitati. 
Avendo  la  prosperità  gonfio  il  cuo- 
re del  re,  dichiarò  senz'altro  al 
parlamento,     che    avea    impiegato 


ING 

con  tanto  buon  successo  un  gran 
numero  d'  ufliziali  cattolici  contro 
i  ribelli,  che  era  risoluto  ormai 
di  trattenerli  sotto  i  suoi  vessilli 
senza  costringerli  al  giuramento 
test,  che  avrebbe  potuto  molestare 
le  loro  coscienze.  Alcuni  membri 
dei  comuni  vollero  manifestare  le 
loro  apprensioni  per  la  religione 
dello  stalo  e  la  libertà  pubblica.  Gia- 
como II  ascoltò  le  loro  querele 
con  tanta  alterigia,  che  la  camera 
sbigottita  si  affrettò  d'inviare  alla 
torre  di  Londra  il  membro  che 
avea  steso  1'  indirizzo.  Quindi  fu 
posto  e  vinto  un  bill  che  autoriz- 
zava il  re  ad  impiegare  quel  tal 
numero  di  ufliziali  cattolici  che  giu- 
dicasse a  proposito.  Molti  personag- 
gi della  più  alta  portata,  e  tra 
gli  altri  il  ministro  conte  Sunder- 
land,  abbracciarono  la  religione  del 
re;  l'esempio  si  propagò  tra  la  no- 
biltà di  Scozia  medesima,  eh'  era 
slata  sempre  in  grido  di  più  rigi- 
da ne 'suoi  principii. 

Una  manifestazione  rigorosa  per 
parte  del  sovrano  doveva  far  in- 
vocare senza  contrasto  le  leggi  in- 
tolleranti, sotto  le  quali  gemeva 
una  parte  considerabile  della  na- 
zione rimasta  fedele  al  culto  dei 
suoi  antecessori.  Tale  era  l'avviso 
di  Luigi  XIV  che  si  espresse  nei 
seguenti  termini  in  una  lettera 
dell'agosto  i685  al  suo  ambascia- 
tore alla  corte  di  Londra.  »  Sarà 
facile  al  re  d'Inghilterra,  e  tanto 
utile  alla  sicurezza  del  suo  regno 
quanto  al  riposo  della  sua  coscien- 
za, di  ristabilire  l'esercizio  della 
religione  cattolica,  che  impegnerà 
principalmente  lutti  quelli  che  ne 
fanno  professione  nel  suo  regno, 
a  servirlo  assai  più  fedelmente; 
invece  che,  se  lascia  perdere  una 
congiuntura  tanto  favorevole  quanto 


l!HG 

ella    è  presentemente,   non  troverà 
forse     mai    tanta     disposizione     da 
tutte  le    parti,  o  a  concorrere   nei 
suoi    disegni    o    a    soffrire  che    li 
mandi    ad    effetto   ".    Lord    Sun- 
deiland,  politico  illuminato  e  mini- 
stro   che    godeva   la    confidenza   di 
Giacomo    11,     diceva    nella     stessa 
epoca.  »   Il  re  mio  padrone  non  ha 
in  cuore    che  la  hrama  di  ristabi- 
lire la  religione  cattolica;  non  può 
tampoco,  secondo  il  buon    criterio 
e  la  retta  ragione,  avere  altro  sco- 
po; senza  questo  non  sarà    mai   in 
sicurezza,    e    sarà    sempre    esposto 
allo  zelo  indiscreto  di  coloro,  che  ri- 
scalderanno   i   popoli    contro  la   fe- 
de cattolica,     finché    ella     non  sia 
più  pienamente    ristabilita  ".  Gia- 
como II  esitò;  confidò  di  ottenere 
dal  tempo  e     per  le    vie    indirette 
ciò  che    in  simile  caso    doveva  es- 
sere   espugnato    a  viva  forza,   e  si 
allontanò    dalla  meta,    come    slava 
per  raggiungerla.   Vivissime  discus- 
sioni tra  i  cattolici  e  gli  anglicani 
incominciarono  ad  inasprire   gli  a- 
nimi  dall'  una  parte    e    dall'  altra, 
allorché  avvenne  in  Francia  la  fa- 
mosa    ri  vocazione    dell'   editto    di 
Nantes.  I    protestanti    non    manca- 
rono di    tiar    vantaggio  dille  scia- 
gure de'loro  fratelli,  e   gridare  per- 
secuzione :     Giacomo    II    sbigottito 
da    tanti   clamori    affettò    di    biasi- 
mare Luigi  XIV.   Ma  risoluto   non- 
dimeno a   non   abbandonar  il   pro- 
seguimento   de' suoi     disegni,    e  da 
certe    misure    che  adottò,     il  clero 
anglicano   si    mise  in    apprensione, 
ed   anche  ne  mormorò.  D'allora   in 
poi    Giacomo  II  si    accostò  ai  non 
conformisti,  quantunque  avesse  per 
esVi    un'avversione    naturale.     Indi 
sospese  per    un  avvenimento    il    ve- 
scovo   di    Londra,     e  da   tale   mo- 
mento   la    guerra   fu    rotta   tra    la 


ITO  93 

corona  e  la  chiesa  anglicana.  Il  re 
inviò  il  conte  di  Castelmaine  a 
Roma  col  titolo  di  suo  ambascia- 
tore straordinario  nel  1686.  Era 
oggetto  della  sua  missione  1'  espri- 
mere al  Pontefice  Innocenzo  XI 
il  voto  del  re  per  la  riconciliazio- 
ne de'suoi  tre  regni  con  la  Chiesa 
romana.  Il  Papa  accolse  I'  amba- 
sciatore con  estrema  contentezza, 
ed  il  conte  spiegò  un  grande  ap- 
parato di  magnificenza.  A  promo- 
vere la  piena  effettuazione  dello 
zelo  del  re,  Innocenzo  XI  nello 
stesso  anno  gli  spedì  per  nunzio 
apostolico  Ferdinando  d'  Adda  pa- 
trizio milanese,  arcivescovo  d'Ama- 
sia, siccome  prelato  fornito  di  sin- 
golari virtù  ed  egregie  doti.  E  in 
fatti  riuscì  gratissimo  a  Giacomo 
II,  il  quale  ricevette  il  nunzio  nel 
castello  di  Windsor  con  tutto  il 
cerimoniale  usato  nelle  corti  cat- 
toliche. Il  Bonanni  ,  Numismala 
Ponti/,  t.  II,  p.  776  e  seg.,  ed 
Eggs,  Pontifìciiim  doctum  p.  91 3, 
ampiamente  descrivono  i  reciproci 
onori  fatti  ali'  ambasciatore  ed  al 
nunzio. 

Il  parlamento  per  tal  fatto  la- 
sciò scorgere  una  secreta  irritazio- 
ne, mentre  il  re  procurò  guada- 
gnarsi individualmente  i  membri 
d' un  corpo  che  avea  precedente- 
mente atlrontato  con  buon  succes- 
so ;  ed  il  clero  anglicano  divenne 
di  giorno  in  giorno  più  ricalcitran- 
te. Tuttavolta  il  re  con  decreto 
de'i4  aprile  1687  annullò  e  ri- 
vocò  il  decreto  della  regina  Elisa- 
betta, nel  quale  si  comandava  di 
abiurare  la  religione  cattolica  ro- 
mana, e  ristabilì  questa  nel  regno 
concedendo  libertà  di  coscienza,  ed 
ordinò  al  clero  anglicano  di  legge- 
re \\\\  tale  atto  in  tutti  i  templi 
dopo  il  divino    uffizio.   L'arcivesco- 


94                     INO  ING 

vo  (li  Canlorbery  e  sei  vescovi   pre-  cedentemente  avvertito  Giacomo  II 

sentarono    alcune    rimostranze    per  pel  secreto  carteggio  che  teneva  coi 

addurre  i   motivi    del    loro    rifiuto  malcontenti     d'   Inghilterra,   e    con 

di    fare    la    prescritta    lettura    della  pretesti   avea    introdotto    sue  trup- 

concessa   libertà    di    coscienza;    ma  pe  nel  regno.  L'  ingrato  genero  si 

il   re  inviò  i  sette  prelati  alla  Tor-  levò  la    maschera,    e    pel  suo     in- 

re,  e   fece  incominciale  i  loro  prò-  viato    a    Londra    non    si    contentò 

cessi.   Da    quel    punto  i    sette   pre-  di   far  pubbliche   rimostranze  al  re 

lati    divennero    agli    occhi    del   pò-  suocero     sopra    diverse    operazioni 

polo   martiri  della  chiesa   anglicana,  del   suo  governo,  ma  pose  tutto  in 

ed   il  castigo  fu   per   loro    un   vero  opera   per  accozzare  tutti    i  partiti 

trionfi).    Verso    questo    tempo  e  ai  e  tutte  le  sette  contro  la  religione 

io    giugno    1688     la   regina    dopo  cattolica,     o    piuttosto    contro     del 

sei     anni     di     sterile     matrimonio ,  re,  minacciandole  d'un  pericolo  co- 

inaspetlalamente  diede  alla  luce  un  mime.    I   secreti  preparativi  di   Gu- 

fìglio,  cui    fu  dato   il    titolo  di  prilli-  glielmo    per    una     spedizione     non 

cipe  di   Galles  ,  e  fu   battezzato  se-  poterono  sfuggire  alla   vigilanza   di 

condo  il  rito  della  Chiesa   cattolica:  Luigi  XIV,   il  quale   tosto  ne  diede 

gli   furono   imposti   i   nomi   di   Già-  avviso  al  suo    alleato  del     pericolo 

corno  Odoardo   Francesco,  ed  il   re  che  lo    minacciava,    e  gli    offri    di 

suo    padre    gli   diede    per    padrino  far    marciare    due    eserciti  francesi 

Innocenzo    XI.   Questo    principe  fu  uno    in    Olanda     e  l'altro    in    In- 

poi    conosciuto  col   nome  di   Giaco-  ghil  terra. 

mo  III.  La  sua  nascila  raddoppiò  Giacomo  II  dichiarandosi  grato 
il  furore  del  parlamento,  che  si  al  re  di  Francia,  per  un'incompren- 
preparava  a  far  cadere  dal  ca-  sibile  accecamento  lo  ringraziò  . 
pò  di  Giacomo  II  la  corona;  tut-  Tradito  da  tutte  le  parti,  il  re  non 
to  fu  posto  in  opera  per  far  ere-  aprì  gli  occhi  che  alla  lettura  di 
dere  al  popolo,  che  il  neonato  era  una  lettera  del  marchese  d'  A  Ibe- 
rni figlio  supposto,  perchè  allonta--  ville,  suo  ministro  all'Aia.  Nel  suo 
nava  dal  trono  Maria  figlia  pri-  primo  sgomento  Giacomo  II  rivo- 
mogenila  d'Ida  o  Hyde  figlia  del-  co  tutti  i  decreti  che  avea  ema- 
l'il lustre  cancelliere  Clarendon,  pri-  nati  in  favore  de'caltolici,  tua  sen- 
ma  moglie  del  re,  e  suo  marito  za  effetto,  non  producendo  che  dis- 
Guglielmo Nassau  principe  d'Orari-  prezzo.  11  manifesto  del  principe 
gè  stalolder  d' Olanda.  Frattanto  d'  Orange  già  era  nelle  mani  di 
il  giurì  dopo  una  lunga  delibera-  tutti;  in  breve  egli  stesso  tragittò 
zione  dichiarò  i  sette  vescovi  accu-  il  mare  e  sbarcò  a  Torbay  in 
sati  non  colpevoli  ;  i  gridi  di  gio-  mezzo  alle  acclamazioni  della  inol- 
ia d'un  popolo  innumerabile  eb-  titudine  a'5  novembre  1688.  Mol- 
bero  per  eco  quelli  delle  truppe  ti  ufficiali  dell'  esercito  passarono 
che  lo  stesso  re  passava  a  rassegna,  sotto  i  di  lui  vessilli,  insieme  al 
Una  fermentazione  cupa  e  sorda  principe  Giorgio  di  Danimarca  e 
annunziò  uno  scoppio  vicino,  prò-  la  sua  moglie  Anna  secondogenita 
vocata  principalmente  dal  principe  di  Giacomo  II,  siccome  nata  da 
d'  Orange,  della  cui  perfidia  inu-  Ida.  Nell'udire  il  re  che  le  due 
lilmente  Luigi    XIV  ne  avea  pre-  figlie    l'aveano    tradito,    non    potè 


ING 

trattenere  le  lagrime,  e  V  Europa 
mandò  un  grido  d'  indignazione. 
Per  maggior  fatalità  Giacomo  II 
prese  il  partito  di  abbandonar  Lon- 
dra nella  notte  de'  1 2  dicembre, 
e  gittato  il  sigillo  dello  stato  nel 
Tamigi  riparò  in  Francia,  dove  a- 
\ea  già  inviato  la  regina  ed  il 
giovane  principe.  Sotto  mentite 
spoglie  fuggi  pure  e  con  istenlo  il 
nunzio  apostolico,  cbe  giunto  in 
Roma  fu  poi  creato  cardinale.  Alla 
nuova  della  fuga  del  re  la  capi- 
tale ed  in  breve  tutto  il  regno 
caddero  in  una  confusione  inespri- 
mibile; e  Guglielmo  cbe  co'  suoi 
artifizi  avea  promossa  tale  rovinosa 
determinazione,  appena  fu  istruito 
della  partenza  del  re  marciò  alla 
volta  della  capitale,  ove  anco  per 
poco  vi  ritornò  Giacomo  li,  per 
quindi  passare  in  Francia,  ed  in 
s.  Germano.  11  gran  Luigi  XIV 
gli  fece  1'  accoglienza  la  più.  gene- 
rosa ed  amichevole.  Per  la  qua- 
le onorovole  azione  Innocenzo  XI 
scrisse  al  re  di  Francia  un  breve 
d'  encomi,  degno  dello  zelo  di  cbi 
Io  spediva  ,  e  del  monarca  cbe  lo 
riceveva.  A'23  febbraio  1689  una 
assemblea  nazionale  cbe  assunse  il 
rome  di  convenzione,  decretò  la 
corona  della  Gran  Bretagna  al 
principe  d'  Orange  ,  cbe  assunse  il 
nome  di  Guglielmo  III,  ed  a  sua 
moglie  Mafia  11  figlia  di  Giacomo 
IL  Guglielmo  III  inoltre  era  nato 
da  E  michetta  INI  a  ria  figlia  del  re 
Carlo  I,  aveva  dodici  anni  appena 
quando  si  fece  eleggere  stalolder 
nel  1673,  e  fu  dicbiarato  gene- 
rale delle  armate  olandesi,  per  op- 
porsi alle  rapide  conquiste  di  Lui- 
gi XI V.  il  principe  d'  Orange 
benché  vinto  spesso  in  questa  guer- 
ra, non  lasciò  di  dar  segui  eviden- 
ti di    coraggio,  di    prudenza,  e  di 


ING  9,- 

abilità  nell'arte  di  regnare  e  di 
comandare;  egli  fu  uno  de'più  gran 
politici  e  sovrani  die  abbiano  re- 
gnalo in  Europa.  In  tal  modo  eb- 
be fine  il  regno  di  un  principe 
riguardato  dai  suoi  nemici  medesi- 
mi come  piii  infelice  cbe  reo,  e 
di  cui  tutti  i  torti  si  riducevano 
ad  imprudenze  e  ad  errori.  Que- 
sto sfortunato  principe,  grazie  al- 
la generosa  assistenza  del  suo  al- 
leato o  piuttosto  protettore,  ricom- 
parve sulla  scena  politica  pochi 
mesi  dopo  la  sua  caduta.  Sbarcò 
a  K'mgsale  in  Irlanda  a' 12  mar- 
zo 1689,  ed  ai  24  fece  il  suo  in- 
gresso trionfante  a  Dublino  ;  vi 
convocò  il  parlamento  d'Irlanda,  ed 
intimò  a'  suoi  sudditi  inglesi  di 
tornare  al  dover  loro.  Guglielmo 
III  non  passò  in  persona  nell'Ir- 
landa che  un  anno  più  tardi.  La 
famosa  battaglia  della  Boyne,  data 
nel  giugno  1690,  decise  per  sempre 
della  sorte  dello  sventurato  Gia- 
como II.  Egli  ri  va  reo  il  mare  e 
tornò  a  gustare  il  riposo  nel  ma- 
gnifico ritiro  cbe  Luigi  XIV  gli 
aveva  preparato  a  s.  Germano:  di 
qua  egli  diresse  le  pratiche  se- 
grete de' partigiani  numerosi  che 
gli    restavano  ne'tre  regni. 

Luigi  XI V  risoluto  di  tentare 
un  nuovo  sforzo  in  favore  del  mo- 
narca esule,  gli  alìidò  un'armata 
sulle  coste  di  Normandia.  Dal  ca- 
po di  là  di  Houge,  Giacomo  II  fi 
spettatore  del  terribile  combatti- 
mento navale,  avvenuto  a'  29  mag- 
gio 1692  tra  i  francesi  e  gl'inglesi 
che  riportarono  il  trionfo  avendo 
doppie  forze:  cento  volte  ripetè  il 
re  durante  l'azione,  non  ascoltan- 
do che  l'amor  proprio  nazionale  iu 
pregiudizio  de'suoi  interessi  perso- 
nali :  »  O  miei  prodi  inglesi  "  !  In 
quest'epoca  la    regina    si   sgravò  di 


96  ING 

una  principessa.  Innocenzo  XII  an- 
ch'esso prestò  generosi  soccorsi  a 
Giacomo  II  per  ricuperare  i  pa- 
terni regni;  ed  a'  7  gennaio  i6o,5 
mori  la  regina  Maria  II,  affettan- 
do il  freddo  ed  impassibile  suo 
marito  Guglielmo  III  una  dispera- 
zione straordinaria.  Maria  II  avea 
governato  il  regno  nell'assenza  del 
marito  con  molta  sua  gloria:  ella 
proteggeva  le  arti  e  le  scienze.  Il 
partito  del  re  avendo  fatto  grandi 
commozioni  nel  1696,  delle  trup- 
pe francesi  si  radunarono  (osto  tra 
Dunkerque  e  Calai*  ,  e  Giaco- 
mo li  si  recò  in  persona  in  que- 
sta ultima  città;  ma  lo  scoprimen- 
to della  trama  per  rapire  Gugliel- 
mo HI  fece  tramontare  la  spedi- 
zione. Ad  onore  di  Giacomo  11  si 
deve  aggiungere,  che  non  cessò  di 
suscitare  i  suoi  partigiani  contro 
l'usurpatore  della  sua  corona,  non 
diede  però  mai  il  suo  assenso  alle 
cospirazioni  contro  la  di  lui  vita  : 
più  volte  gli  venne  offerto  di  li- 
berarlo con  un  sol  colpo;  egli  ri- 
gettò sempre  tali  proposizioni  con 
orrore.  Essendo  vacante  il  trono 
di  Polonia,  nel  1697  tentò  Luigi 
XIV  e  volle  farvi  salire    Giacomo 

II  :  questi  rispose  che  non  accet- 
terebbe altro  scettro  che  il  suo  , 
altrimenti  porterebbe  pregiudizio  ai 
suoi  diritti  legittimi,  e  a  quelli  dei 
suoi  figli.  In  quell'anno  medesimo 
si  negoziò  il  trattato  di  Kiswick 
nell'Olanda,  nel  quale  fu  ricono- 
sciuto re    d' Inghilterra    Guglielmo 

III  :  costretto  Luigi  XIV  per  ra- 
gioni di  stato  a  convenirvi ,  colla 
condizione  ch'egli  riconoscesse  per 
erede  il  principe  di  Galles,  con 
grande  stupore  Guglielmo  III  vi  ac- 
consentì, e  Giacomo  II  il  ricusò, 
questi  non  volendo  che  il  figlio  fi- 
gurasse complice  dell'usurpatore.  Da 


ING 
questo  momento  Giacomo  II  ab- 
bandonò ogni  idea  di  regno,  e  tro- 
vò valide  consolazioni  nella  prati- 
ca dei  doveri  più  austeri  della  re- 
ligione :  soleva  di  frequente  rin- 
graziare Dio  d'avergli  tolto  tre  re- 
gni per  renderlo  migliore.  Morì  a 
s.  Germano  in  Laya  a'  16  settem- 
bre 1701.  Per  non  interrompere 
la  narrazione  di  quanto  riguarda 
l' estinzione  della  famiglia  Stuart 
o  Stuardo,  qui  appresso  ne  accen- 
neremo le  principali  notizie,  e  poi 
riprenderemo  il  filo  della  storia 
d'Inghilterra  e  di  Guglielmo  III. 
Da  ultimo  nel  1840  in  Filadelfia 
presso  Michele  Kelly,  monsignor 
Challoner  pubblicò  un'opera  inti- 
tolata :  Memorie  dei  sacerdoti  mis- 
sionari, nelle  quali  si  contiene  una 
notizia  di  quegli  ecclesiastici  e  lai- 
ci di  amendue  i  sessi,  che  soffri- 
rono V  estremo  supplizio  per  la 
fede  cattolica  in  Inghilterra,  dal- 
l'anno 1575  all'  anno  1684.  Si 
può  consultare  inoltre  d'Orleans, 
Istoria  delle  rivoluzioni  d' Inghil- 
terra dal  principio  della  monar- 
chia sino  all' anno  1691,  Venezia 
1724. 

Alle  proposizioni  di  Luigi  XIV 
non  solo  Guglielmo  III    accettò  di 
dichiarare  che  la  corona    dopo    di 
lui  apparterrebbe  al  primogenito  di 
Giacomo  II,  ma  s'obbligò  pure  so- 
lennemente   a    far  rivocare  lo  sta- 
tuto che  chiamava  al  trono  il  du- 
ca di  Gloucester,   figlio  del  princi- 
pe di  Danimarca     e  d'Anna;    ma 
dicemmo  che  Giacomo  II  ricusò  di 
convenirvi.  Dopo  la    sua    morte  il 
primogenito   Giacomo    principe   di 
Galles,  che  portò  il  nome    in  Eu- 
ropa di  cavaliere  di  s.  Giorgio,  fu 
riconosciuto  da  Luigi  XIV  per  le- 
gittimo successore    del    defunto    al 
trono    d' Inghilterra    col    nome    di 


ING 

Giacomo  III.  La  regina  madre  fe- 
ce subito  pubblicare  un  manifesto 
alla  nazione  inglese;  il  pretendente 
si  limitò  a  promettere  solennemen- 
te che  quando  la  provvidenza  lo 
avesse  ricondotto  sul  trono  de'  suoi 
padri,  governato  avrebbe  a  tenore 
delle  leggi,  e  mantenuti  tutti  i  pri- 
vilegi della  chiesa  anglicana.  La 
morte  di  Guglielmo  III  accaduta 
nel  1702  rianimò  le  speranze  del- 
la corte  di  s.  Germano ,  ma  Gia- 
como III  si  mostrò  di  essere  con- 
tento di  succedere  ad  Anna  sua  so- 
rella, essendo  lontano  dall'idea  che 
fosse  deposta.  A  quell'epoca  la  Scozia 
non  era  ancora  unita  all'Inghilterra, 
ciò  ch'ebbe  luogo  nel  1707,  e  per 
conseguenza  gli  scozzesi  erano  per- 
fettamente liberi  di  statuire  riguar- 
do alla  successione  ciò  che  avesse- 
ro slimato  meglio,  senza  compar- 
tecipazione degl'inglesi.  Giacomo  III 
loro  richiese  tre  cose:  r.°  opporsi 
all'  unione  coli'  Inghilterra;  2."  non 
abiurare  il  caltolicismo;  3.°  rifiu- 
tare la  successione  della  casa  d'An- 
nover-Brunsvvick,  dappoiché  essen- 
do la  regina  Anna  senza  figli,  un 
atto  del  parlamento  aveva  dichia- 
rato erede  del  trono  Giorgio  I  fi- 
glio di  Ernesto  Augusto  primo  e- 
lettore  di  Brunsv\  iek-Luneburgo  , 
e  della  principessa  ed  elettrice  d'An- 
nover  Sofia  nipote  del  re  Giacomo 
I  dal  lato  della  principessa  Elisa- 
betta, a  fronte  dei  diritti  legali  e 
naturali  di  Giacomo  III,  che  avea 
lin  ragguardevole  partito  nell'  in- 
tono del  regno,  e  poteva  essere 
sostenuto  da  alcune  potenze  stra- 
niere. In  ordine  alla  primogenitu- 
ra Sofia  non  era  che  la  quaranta- 
cinquesima  chiamata  a  tale  graude 
successione.  La  casa  d'Annover  eb- 
be il  titolo  di  duca  di  BrunsAvick 
agli  8  agosto  1235,  e  di  elettore 
voi.  xxxv. 


ING  97 

a'  11  marzo  1692,  per  cui  i  suoi 
stati  presero  i  titoli  di  ducato  e  di 
elettorato.  I  partigiani  degli  Stuar- 
di adottarono  e  fecero  prevalere  le 
tre  proposizioni  di  Giacomo  III. 
Gli  animi  erano  allora  cosi  bene 
disposti  in  Iscozia  a.  suo  favore,  che 
se  il  principe  vi  si  fosse  presenta- 
to, avrebbe  prodotto  una  solleva- 
zione generale  in  suo  vantaggio. 
Avvenuta  l'unione  della  Scozia  al- 
l'Inghilterra sotto  la  regina  Anna, 
esasperò  per  tal  modo  il  popolo 
scozzese,  che  le  circostanze  si  fece- 
ro più  propizie  a  Giacomo  III,  e 
fu  acclamato  re  di  Scozia  da  cin- 
quecento uomini  travestiti  da  don- 
ne. Luigi  XIV  fece  armare  una 
squadra  che  portava  truppe  da  sbar- 
co, la  quale  nel  1708  ebbe  un  in- 
contro al  nord  d'Edimburgo  colla 
flotta  inglese  molto  superiore  alla 
francese.  Il  comandante  di  questa 
Forbin  si  rifiutò  di  porre  Giaco- 
mo III  a  terra,  e  in  vece- lo  portò 
a  raggiungere  l' armata  del  duca 
di  Borgogna  in  Fiandra.  Il  princi- 
pe militò  pure  sotto  Villars,  e  si 
segnalò  per  valore  alla  battaglia 
di  Malplaquet  nel  1709:  allora  si 
chiamò  per  la  prima  volta  il  ca- 
valiere di  s.  Giorgio,  sotto  cui  in 
seguito  fu  comunemente  conosciu- 
to. Tralasciando  di  dire  alcuni  ten- 
tativi fatti  da  Giacomo  IH  per  al- 
tre spedizioni,  e  dell'  impossibilità 
in. cui  si  trovò  Luigi  XIV  di  se- 
condarle, egli  nel  171 1  scrisse  al- 
la sorella  Anna  che  secondo  le 
promesse  fatte  al  defunto  re  cornuti 
padre  lo  reintegrasse  ne'  legittimi 
diritti,  e  di  preferire  1'  unico  fra- 
tello, ed  il  solo  superstite  del  suo 
stesso  nome,  ad  un  principe  tede- 
sco che  riporrà  il  governo  in  ma- 
no di  stranieri  d'altra  lingua  ed. 
interessi.  Anna,  sebbene  nutrisse  il 
7 


98  ING 

desiderio  di  trasmettere  dopo  di  lei 
le  tre  corone  al  fratello,  senza  ma- 
nifestare ripugnanza  o  approvazio- 
ne, non  rispose;  quindi  nel  1713 
pel  trattato  d'Utrecht  Luigi  XIV 
fu  costretto  non  solo  riconoscere 
la  successione  della  corona  d' In- 
ghilterra nella  linea  protestante 
d'Annover,  ma  ad  acconsentire  che 
Giacomo  IH  fosse  allontanato  dai 
suoi  stali. 

I    whigs    obbligarono    la  regina 
Anna  alla  crudele  necessità  di  pro- 
mettere   cinquemila  lire  sterline    a 
chi    ponesse    il    pretendente    nelle 
forze  della  giustizia  ;  ed    i  comuni 
aggiunsero  al  premio  la  somma  di 
centomila  lire  sterline.    Lo  sfortu- 
nato   principe    malgrado    la    pace 
d'Utrecht,    non    cessò   di    ricorrere 
ad  ogni  mezzo  per  far  valere  i  suoi 
diritti,  ed  invano  dimandò  in  ispo« 
sa  una  delle  figlie  dell'  imperatore 
Carlo  VI  :  il  duca    di    Lorena   gli 
mostrò  la  sua  affezione,  ma  in  que- 
sto punto  Luigi  XIV  morì,  e  ven- 
nero distrutte  le  speranze  di  Gia- 
como III.    Mentre    il    reggente    di 
Francia,  sebbene  amico  dell'Inghil- 
terra, si  ricusava  di  cacciare  il  pre- 
tendente, questi  finalmente  per  ten- 
tare la  sua  fortuna   ordinò   a'  suoi 
partigiani  di    agire    scopertamente. 
Corsi  alle  armi  proclamarono  re  di 
Scozia  Giacomo  III,  che   non    po- 
tendo sbarcarvi  rientrò  in  Francia. 
Allora  il  re  Giorgio  I  costrinse  il 
reggente  a  far    ritirare    il  principe 
dalla  Francia,  ed  egli    come    asilo 
conveniente  gì'  indicò  Avignone  do- 
minio della  santa  Sede,  ma  ancor 
da  colà  il  governo  inglese  lo  volle 
fuori.  Giacomo  III  si  convinse  che 
il  territorio    francese   eragli    inter- 
detto, massime  quando    nel    17 17 
ebbe  luogo  la  triplice  alleanza  tra 
la  Francia,  l'Inghilterra  e  1' Olan- 


ING 

da.  Il  Pontefice  Clemente  XI  offrì 
a  Giacomo  III  un  asilo  '.degno  di 
lui  in  Roma,  ed  il  principe  non 
dubitò  un  istante  ad  accettarlo.  A- 
veva  questo  Papa,  oltre  l'aver  soc- 
corso con  molte  somme  di  denaro 
Giacomo  II,  sino  dal  1 7 1 5  scritto 
calorosamente  di  proprio  pugno  in 
di  lui  favore  a  Filippo  V  re  di 
Spagna,  perchè  l'aiutasse  nella  spe- 
dizione che  intraprese  per  ricuperare 
i  suoi  dominii  ;  permettendogli  di 
convertire  in  soccorso  suo  quel  de- 
naro che  avea  percepito  per  aiuto 
della  guerra  dai  proventi  de'vescova- 
ti  e  benefìzi  vacanti,  i  quali  secondo 
che  avea  promesso  dovea  dare  alla 
camera  apostolica.  Inoltre  Clemente 
XI  avea  scritto  alla  regina  vedo- 
va di  Giacomo  II,  mandandogli 
denaro,  e  prevenendola  delle  molte 
orazioni  che  si  facevano  pel  real 
figlio.  Nello  stesso  anno  1717  Cle- 
mente XI  con  sommo  impegno  rac- 
comandò a  diversi  sovrani  i  cat- 
tolici d'Inghilterra,  che  dai  mini- 
stri e  magistrati  eretici  di  Giorgio 
I  erano  gravemente  vessati.  Adun- 
que nel  17 17  si  portò  Giacomo 
III,  sotto  il  nome  di  cavaliere  di  s. 
Giorgio,  nello  stato  ecclesiastico,  e 
passò  a  dimorare  nella  città  d'Ur- 
bino patria  del  Papa,  il  quale  Io 
fece  incontrare  dal  suo  nipote  d. 
Carlo  Albani,  e  facendogli  usare 
tutti  i  riguardi  convenienti  a  sì 
gran  personaggio.  In  quel  tempo 
il  cardinal  Àlbeioni  primo  ministro 
di  Spagna,  in  nome  di  Filippo  V 
invitò  il  re  a  recarsi  in  Ispagna , 
e  giuntovi  il  principe  vi  fu  rice- 
vuto qual  sovrano,  venendogli  as- 
segnata per  residenza  Vagliadolid, 
con  trattamento  regio,  e  quale  il 
padre  ebbe  in  Francia.  A  quell'e- 
poca a  questa  potenza  o  meglio 
al  .veggente  duca  d'Orleans,  la  Spa- 


ING 

gria  faceva  la  guerra;  la  pace  es- 
sendosi ristabilita,  Giacomo  HI  sti- 
mò conveniente  di  ritornare  nello 
stato  pontificio,  ove  Clemente  XI 
gli  fece  godere,  come  ancora  i  suoi 
successori,  tutti  gli  onori  e  il  ce- 
rimoniale osservato  coi  sovrani  re- 
gnanti. 

Nel  1 7 1 8  per  mezzo  del  Papa 
restò  conchiuso  il  matrimonio  tra 
la  principessa  Maria  Clementina  So- 
bieski  figlia  di  Giacomo  real  prin- 
cipe di  Polonia,  e  nipote  del  gran 
Giovanni  III,  e  il  re  Giacomo  III, 
la  quale  Clemente  XI  avea  tenuto 
al  sacro  fonte.  Mentre  la  princi- 
pessa era  in  viaggio  per  condursi 
dallo  sposo,  l'imperatore  Carlo  VI 
suo  parente,  siccome  avverso  a  que- 
sto matrimonio,  la  fece  trattenere 
nel  Titolo.  Ciò  dispiacque  al  Pa- 
pa che  ne  scrisse  all'imperatore  per 
rimuoverne  gli  ostacoli,  ed  alla  prin- 
cipessa per  tenerla  ferma  nel  trat- 
tato. Essa  travestita  da  uomo  sep- 
pe deludere  la  vigilanza  delle  sue 
guardie,  e  trasferitasi  nel  17 19  in 
Roma,  Clemente  XI  la  fece  allog- 
giare nel  monistero  delle  orsoline,  e 
gli  fece  molti  regali  insieme  ad  una 
cospicua  somma  di  denaro.  Intan- 
to Giacomo  III  reduce  dalla  Spa- 
gna erasi  fermato  a  Montefiascone, 
ove  si  portò  la  principessa,  e  ven- 
nero sposati  dal  vescovo  di  quella 
città.  Clemente  XI  aveva  assegnato 
a  Giacomo  III  dalla  camera  apo- 
stolica scudi  dodicimila  l'anno  ;  al- 
la celebrazione  del  matrimonio  lo 
benedisse,  aumentò  l'assegno  e  donò 
al  re  centomila  scudi  provenienti 
dai  beni  ecclesiastici  di  Spagna.  Nel- 
l'ottobre 17191  reali  coniugi  pas- 
sarono ad  abitare  in  Roma,  rice- 
vuti paternamente  e  con  distinzio- 
ne da  Clemente  XI,  che  assegnò  lo- 
ro per  residenza  il  palazzo  Muti-Pa- 


ING  99 

pazzuri,  ora  del  conte  Savorelli, 
ai  ss.  Apostoli ,  di  bello  e  gentil 
disegno,  architettato  dal  marchese 
Giambattista  Muti,  facendone  pagar 
la  pigione  dalla  camera  apostolica. 
Per  villeggiatura  poi  il  Pontefice 
gli  stabilì  la  città  di  Albano,  dan- 
dogli per  abitazione  il  palazzo  ba- 
ronale da  lui  restaurato,  e  poscia 
da  Benedetto  XIV  ingrandito  ed 
abbellito,  tanto  per  uso  del  re 
come  de' reali  figli  principe  di  Gal- 
les, e  cardinal  duca  di  York.  Ai 
3i  dicembre  1720  la  regina  diede 
alla  luce  Carlo  Odoardo  conte  di 
Albany  e  principe  di  Galles,  essen- 
dosi riuniti  nel  reale  appartamento 
il  fiore  della  nobiltà  romana,  il  sa- 
cro collegio,  e  que' personaggi  che 
sono  notati  nel  n.°  544  del  Diario 
di  Roma,  oltre  i  cardinali  protet- 
tori de' tre  regni,  cioè  Sacripante 
di  quello  di  Scozia,  Gualtieri  d'In- 
ghilterra e  Imperiali  d'Irlanda,  e 
molti  gran  signori  de'medesirni. 
Fu  battezzato  dallo  stesso  vescovo 
di  Montefiascone,  e  Clemente  XI 
oltre  di  essersi  portato  alla  chiesa 
nazionale  degli  inglesi  a  celebrarvi 
la  messa  pel  felice  parto  della  re- 
gina, donò  alcuni  divozionali,  un 
piombo  fatto  alla  cinese  del  valore 
di  scudi  quattromila,  più  la  som- 
ma di  diecimila  scudi,  e  fece  an- 
nunziar la  nascita  del  real  fanciul- 
lo colle  artiglierie  di  Castel  s.  An- 
gelo, e  ringraziare  pubblicamente 
il  Signore. 

La  morte  di  Clemente  XI  av- 
venuta nel  marzo  del  medesimo 
anno,  nulla  cangiò  nella  generosa 
ospitalità  del  re  e  della  regina.  Il 
successore  Innocenzo  XIII  donò  al 
re  una  pensione  di  scudi  ottomila, 
e  fece  depositare  nel  monte  della 
pietà  scudi  centomila;  perchè  se  ne 
potesse  servire  alla  ricupera  del  re- 


ioo  ING 

gno,  quando  la  circostanza  si  pre- 
sentasse opportuna.  Di  poi  Bene- 
detto XIII  mandò  le  Fascie  bene- 
dette [Vedi)  al  principe  di  Galles, 
al  modo  che  descrivemmo  a  quel- 
l'articolo: l'avea  preparate  Clemen- 
te XI,  e  costarono  ottomila  scudi. 
3Vel  1725  avendo  la  regina  dato 
alla  luce  altro  principe,  Benedetto 
XIII  si  portò  a  battezzarlo  nella 
cappella  domestica  del  re,  coi  no- 
mi di  Enrico  Benedetto  duca  di 
York.  In  seguito  per  cattivi  con- 
siglieri vi  fu  qualche  dissapore  tra 
i  reali  coniugi,  ma  al  cardinal  Al- 
beroni  riuscì  conciliarli.  Divenuto 
Pontefice  Clemente  XII,  colmò  la 
reale  famiglia  di  cortesie  :  ad  istan- 
za del  re  creò  cardinale  nel  1732 
Domenico  Riviera,  conferendoglie- 
ne la  nomina  a  similitudine  di  al- 
cuni sovrani  regnanti,  per  la  quale 
poi  creò  pure  cardinale  nel  1739 
Pietro  Guerin  de  Tencin.  Inoltre 
i  Pontefici  come  al  re  suo  padre 
cosi  a  Giacomo  III  conservarono 
il  diritto  di  nominare  ai  vescovati 
d'Irlanda  ;  anzi  Benedetto  XIV  nel 
1747  ad  istanza  di  Giacomo  III 
creò  cardinale  Armando  di  Rohan 
di  Parigi.  Essendo  morta  a'  18  gen- 
naio 1735  in  Roma  la  regina  Ma- 
ria Clementina ,  il  Papa  le  fece 
celebrare  sontuosi  funerali  nella  ba- 
silica de'  ss.  XII  Apostoli,  e  poscia 
trasportare  il  cadavere  con  pompa 
solenne  nella  basilica  vaticana.  Il 
principe  di  Galles  Carlo  Odoardo, 
dopo  un  viaggio  in  Italia,  per  la 
guerra  insorta  nel  1740  tra  la 
Francia  e  l'Inghilterra,  concepì  spe- 
ranza di  ricuperare  il  trono  de' suoi 
avi,  pronto  a  cimentare  la  vita. 
Luigi  XV  acconsenti  che  si  por- 
tasse a  Parigi,  e  per  consiglio  del 
cardinal  di  Tencin  volle  tentare 
uno  sbarco  in  Iscozia.  Giacomo  III 


ING 

che  non  avea  mancato  fare  prote- 
ste sull'usurpazione,  approvò  il  di- 
visamente del  figlio,  che  nel  174^ 
effettuò  la  spedizione  sulla  costa 
occidentale  di  Scozia.  Proclamò  re 
d'Inghilterra,  Scozia  ed  Irlanda  il 
genitore  e  sé  reggente,  ed  Edim- 
burgo gli  aprì  le  porte.  Assente  il 
re  Giorgio  II,  Londra  tremò,  ed 
il  governo  pose  a  prezzo  la  testa 
di  Carlo,  il  quale  invece  sconfisse 
il  generale  Cope.  Precipitosamente 
Giorgio  II  si  restituì  in  Inghilter- 
ra, quando  avendone  percorso  il 
nord  lo  Stuardo  era  a  trenta  le- 
ghe da  Londra,  mentre  gì'  irlan- 
desi al  soldo  di  Francia  divisava- 
no fare  una  diversione  a  suo  favo- 
re :  la  lentezza  rovinò  tutto.  Con 
deboli  forze  riuscì  a  Carlo  di  ri- 
portare nel  1 746  presso  Falkirk 
una  seconda  vittoria ,  ma  a  Cul- 
loden  a' 27  aprile  fu  sconfìtto.  Do- 
po aver  superato  mille  pericoli  e 
provato  indicibili  patimenti,  prodi- 
giosamente salvò  la  vita,  e  recato- 
si in  Francia  si  vide  abbandonato, 
e  per  la  pace  di  Acquisgrana  ban- 
dito da  quel  suolo.  Mentre  viveva 
tranquillo  col  re  suo  padre  in  Ro- 
ma, nel  1755  fu  richiamato  in 
Francia,  volendo  questa  potenza 
invadere  l'Inghilterra,  con  alla  te- 
sta il  principe  che  dieci  anni  pri- 
ma col  suo  valore  e  colle  sue  sven- 
ture avea  guadagnato  tanti  cuori; 
la  spedizione  non  ebbe  effetto,  e 
Carlo  fece  ritorno  a  Roma,  ove 
morì  il  genitore  a'2  gennaio  1766. 
Dei  solenni  funerali  celebratigli  da 
Clemente  XIII  e  di  altro,  come  di 
quelli  mentovati  della  regina  sua 
moglie,  se  ne  tratta  al  voi.  XXVIII, 
pag.  64  del  Dizionario.  Giacomo 
IH  passò  gli  ultimi  anni  di  sua 
vita  nei  conforti  della  religione,  e 
per  le  sue  beneficenze  divenne  in 


1NG  ING                   ioi 

Roma  l'oggetto  e  l'amore  di  tutti,  parleranno  sempre  più  forte  che 
Siccome  prima  dello  scisma  d'In-  la  voce  de'  suoi  oscuri  calunniato- 
ghilterra  la  patriarcale  basilica  o-  ri.  Ultimo  rampollo  di  regia  stir- 
stiense  di  s.  Paolo  di  Roma  stava  pe,  perseguitata  per  più  di  tre  se- 
sotto  la  protezione  del  re,  così  coli  da  una  inesplicabile  fatalità, 
finché  visse  Giacomo  IH  egli  vi  1'  istoria  gli  farà  sicuri  eterni  dira- 
mando un  cereo  per  la  candelora,  ti  all'  ammirazione  ed  alla  pietà. 
Lo  stemma  poi  dei  monaci  bene-  La  contessa  d'  Albany  sua  vedova 
dettini  che  uffiziano  nella  basilica  mori  a  Firenze  nel  1824  dopo 
ed  abitano  il  contiguo  celebre  ed  molte  avveuture.  Il  cadavere  del 
antichissimo  monistero,  consiste  in  principe  conosciuto  anco  sotto  il 
un  braccio  con  la  spada  impugna-  nome  di  Carlo  111,  venne  traspor- 
ta, e  intorno  ad  esso  una  legaccia  tato  nelle  sagre  grotte  della  basili- 
e  fìbbia  ossia  giarrettiera,  ordine  ca  vaticana  presso  quello  del  ge- 
equestre  dell'Inghilterra,  siccome  nitore,  ed  ove  pure  riposa  quel- 
segno  della  detta  protezione  sulla  lo  del  fratello  cardinale,  come  di- 
basilica, cemmo  al  voi.  XII,  p.  290  del 
La  Francia  trattò  e  conchiuse  Dizionario.  Nella  cattedrale  di  Fra- 
il  matrimonio  di  Carlo  colla  pria-  scali,  vescovato  prediletto  del  car- 
cipessa  di  Stolberg-Goedern,  più  dinal  fratello,  questi  gli  eresse  uà 
giovane  trentadue  anni  dello  spo-  monumento  sepolcrale,  di  che  ne 
so;  e  le  tre  corti  borboniche  sta-  parlammo  al  voi.  XXVII,  p.  219 
bilirono  al  principe  un  conveniente  del  Dizionario.  Quanto  al  cardina- 
appuntamenlo.  Ritiratosi  in  Tosca-  le,  il  suo  stato  non  gli  permise  di 
na  presso  il  granduca  Leopoldo  ,  prendere  parte  alcuna  agli  avveni- 
assunse  il  nome  di  conte  d'  Albany,  menti  che  agitarono  la  vita  del 
e  viveva  la  domestica  felicità,  principe  suo  fratello.  Ma  dal  pun- 
quando  la  moglie  lo  lasciò  per  to  eh'  egli  ricevette  la  nuova  della 
andarsi  a  stabilire  in  Roma  presso  di  lui  morte,  si  riguardò  come  il 
il  cognato  Enrico.  Questi  fino  dal  legittimo  sovrano  della  Gran  Bre- 
1747  era  stato  creato  cardinale  da  tagna.  Il  suo  testamento  prescrisse, 
Benedetto  XIV,  con  tutte  quelle  che  il  suo  nome  di  Enrico  IX 
particolari  distinzioni  che  dai  Papi  fosse  scolpito  sulla  tomba,  e  venne 
si  usano  coi  figli  de'  sovrani  e  car-  eseguito  :  in  conseguenza  volle  es- 
dinali  nipoti  ;  cioè  coli'  imporre  sere  chiamato  col  titolo  di  maestà 
al  cardinale  la  berretta  subito  do-  nel  suo  interno  palazzo.  Si  narra 
pò  il  concistoro,  lo  sparo  del  can-  a  questo  proposito,  che  uno  dei 
none  di  Castel  s.  Angelo,  ed  altro  figli  di  Giorgio  III,  viaggiando  in 
che  descrivemmo  nel  voi.  IX,  p.  Italia,  volle  essere  presentato  al 
3ia  del  Dizionario.  11  cai'dinale  cardinal  di  York,  e  che  non  esitò 
fu  indi  consacrato  arcivescovo  da  a  conformarsi  all'  uso,  attenendosi 
Clemente  XIII,  e  colmato  di  ono-  in  presenza  dell'  augusto  vecchio 
ri,  di  cariche  e  di  benefìzi.  Carlo  all'  etichetta  osservata  presso  i  re. 
morì  a  Firenze  a'3i  gennaio  1788:  In  Roma  egli  era  chiamato  coi  ti- 
il  valore  e  1'  umanità  che  fece  toli  di  altezza  reale  serenissima  car- 
risplendere  sui  campi  di  battaglia,  dinal  duca  di  York;  ma  ai  suoi 
e  T  eroica  costanza  uelle    sciagure,  colleghi,  siccome   eguali  in  dignità, 


102  ING 

non  piacevano  tutti  questi  titoli. 
Moiì  in  Frascati  a'  i3  luglio  1807 
decano  del  sacro  collegio.  Il  cada- 
vere trasportato  in  Roma  fu  sepol- 
to nella  basilica  vaticana  della 
quale  era  arciprete.  Nel  voi.  XII, 
p.  281  del  Dizionario  si  parlò  del 
magnifico  deposito  scolpito  dal  ce- 
lebre Canova  ad  onore  di  Giacomo 
III,  Maria  Clementina,  Carlo  III, 
ed  Enrico  IX  cardinal  York.  Con 
lui  si  estinse  interamente  pure  il 
nome  della  regia  famiglia  Stuart, 
più  sventurata  ancora  che  illustre, 
che  avea  riempito  il  mondo  delle 
sue  sciagure.  Si  dice  che  dopo  la 
sua  morte,  le  carte  della  più  alta 
importanza  eh'  erano  rimaste  in 
sua  mano,  furono  acquistate  dal 
re  d'  Inghilterra.  Ora  riprendiamo 
quanto  si  appartiene  a  Guglielmo 
III,  ed  al  termine  del  secolo  XVII. 
Guglielmo  III  fu  antagonista  di 
Luigi  XIV,  di  cui  indebolì  il  potere, 
e  nel  suo  regno  si  ha  un'epoca  pel 
parlamento  britannico,  nella  dichia- 
razione dei  diritti  del  1688.  Nell'an- 
no seguente  fu  stabilita  la  lista  civile, 
e  cinque  anni  dopo  la  durata  del 
parlamento,  sino  a  quel  punto  illi- 
mitata, venne  fissata  a  tre  anni. 
Questa  epoca  non  fu  anch'  essa 
esente  da  torbidi  religiosi,  i  quali 
non  cessarono  che  sotto  il  regno 
seguente.  La  morte  di  Carlo  II 
re  di  Spagna,  avveuuta  il  primo 
novembre  1700,  fece  formare  aire 
d'  Inghilterra  una  nuova  lega,  ma 
non  potè  vederne  la  riuscita  essen- 
do morto  senza  figliuoli  :  1'  altra' 
alleanza  fu  contro  la  Francia,  ed 
aveva  avuto  termine  colla  pace  di 
Riswick,  e  col  suo  riconoscimento. 
Gli  successe  a'  4  maggio  1702  An- 
na sua  cognata,  figlia  di  Giacomo 
11,  e  maritata  sino  dal  i683  con 
Giorgio  fratello  del  re  di  Daniniar- 


1NG 

ca  Cristiano  V,  che  divenne  duca 
di  Cumberlandia,  conte  di  Rendali, 
ma  fu  principe  nullo.  Anna, regina 
di  uno  spirito  limitato,  regnò  in 
un'  epoca  feconda  di  grandi  avve- 
nimenti, fu  di  somma  bontà,  e  le 
circostanze  la  costrinsero  a  compie- 
re la  proscrizione  della  sua  fami- 
glia, quando  ella  non  desideravane 
che  la  restaurazione,  secondo  quel- 
li che  ne  difendono  le  gesta.  Sic- 
come il  suo  padre  non  avea  anco- 
ra all'  epoca  della  sua  nascita  abiu- 
rata la  falsa  credenza  de'  protestanti 
per  rientrare  nel  seno  della  Chiesa 
romana,  Anna  come  la  sorella 
maggiore  Maria,  fu  educata  nella 
religione  anglicana.  Si  narra  che 
Anna  fosse  la  figlia  prediletta  di 
Giacomo  II,  ma  fu  tratta  e  circon- 
data dal  partito  contrario  e  fatta 
quasi  rapire  dal  vescovo  di  Londra 
quando  il  padre  parti  dall'  Inghil- 
terra. Il  sospettoso  Guglielmo  III 
avendo  concepito  dubbi  su  Anna 
1'  oltraggiò  ;    ma    quando  la    morte 

10  privò  del  sostegno  di  Maria  II 
sua  moglie,  senti  il  bisogno  di  ri- 
conciliarsi colla  cognata,  dal  parla- 
mento destinata  a  succedergli,  e 
che  nel  suo  figlio  il  duca  di  Glou- 
cester  presentava  agi'  inglesi  un  e- 
rede  presuntivo  del  sangue  dei  lo- 
ro antichi  monarchi  :  questi  morì 
nel  fiore  della  sua  adolescenza 
l'  anno  1699.  La  mal  ferma  salute 
di  Guglielmo  III  avvicinando  An- 
na alla  corona,  fece  chiedere  al  pa- 
dre il  permesso  di  salire  al  trono, 
col  progetto  di  stabilirvi  dopo  lei 
il    fratello:    1'  inflessibile    Giacomo 

11  rispose  che  sapeva  soggiacere 
all'  ingiustizia  ma  non  autorizzarla. 
Morto  Guglielmo  III,  Anna  fu  pub- 
blicata regina,  e  governò  sotto  l' im- 
pero della  contessa  e  del  conte  poi 
duca  Marlborough  già  lord    Chur- 


ING 

chili ,  i  quali  associarono  al  potere 
i  loro  due  generi  i  lord  Godolphin 
e  Sunderland.  Giurò  Anna  di  ri- 
manere fedele  ai  disegni  del  pre- 
decessore, e  con  1'  Olanda  e  l  A- 
letnagna  dichiarò  guerra  alla  Fran- 
cia per  la  successione  di  Spagna  : 
i  suoi  eserciti  riportarono  sotto 
Marlborough  molte  vittorie  sul  con- 
tinente ,  e  prepararono  gli  avveni- 
menti che  produssero  nel  1 7  1 3  la 
pace  d'Utrecht,  la  quale  assogget- 
tò alla  Gran  Bretagna  il  territorio 
della  Baia  d'Hudson,  Terra  Nuova, 
la  Nuova  Scozia  e  Minorca,  assicu- 
randole il  possesso  dell'importan- 
tissima Gibilterra,  che  avea  con- 
quistato nel  1704,  come  un  pro- 
digio per  sir  Giorgio  Rooke  e  pel 
principe  d'  Assia  ;  vinta  con  valo- 
re soprannaturale  per  essere  conser- 
vata in  perpetuo  da  una  accorta 
politica. 

Grande  atto  politico  del  governo 
della  regina,  provocato  dal  partito 
whigs,  fa  l'unione  della  Inghilterra 
e  della  Scozia  in  un  solo  regno 
chiamato  la  Gran  Bretagna.  Cia- 
scheduno de'  due  paesi  conservò  le 
sue  leggi  religiose  e  civili,  la  sua 
chiesa  ed  i  suoi  tribunali  ;  1'  esi- 
stenza politica  e  gì'  interessi  com- 
merciali furono  confusi,  e  non  vi 
ebbe  più  che  un  solo  parlamento 
britannico,  in  cui  la  Scozia  venne 
allora  rappresentata  da  sedici  suoi 
lord,  e  da  quarantacinque  deputati 
delle  sue  comuni,  tutti  liberamente 
eletti  dai  loro  pari.  Ma  i  whigs  fe- 
cero ancora  che  la  successione  di 
Anna  toccasse  alla  casa  d'  Annover, 
mentre  in  cuore  la  regina  voleva 
trasmettere  il  trono  al  fratello  Gia- 
como III.  Anna  convenne  alla  pa- 
ce d'  Utrecht  nell'  intendimento  di 
assicurare  il  suo  retaggio  al  fratel- 
lo quando  sembra  vane  espulso;  ma 


ING 


io3 


i  capi  del  partito  whigs,  scoperte  le 
intenzioni  segrete  della  regina  in 
favore  del  pretendente,  nel  parla- 
mento del  1714  costrinse  la  regi- 
na a  porre  una  seconda  taglia  sul- 
la testa  del  fratello,  e  vinse  la  prov- 
visione che  il  successore  alla  regi- 
na, già  scelto,  fosse  invitato  a  re- 
carsi in  Inghilterra  per  vegliare 
sul  suo  retaggio.  Anna  scrisse  in 
vece  alla  principessa  Sofia  ed  al 
principe  elettore,  e  seppe  dissuader- 
li da  un  viaggio  che  sarebbe  stato 
il  segnale  della  guerra  civile.  Vuoi- 
si che  in  questo  tempo  Giacomo 
III  segretamente  si  portasse  in 
Londra,  vedesse  la  sorella,  e  trion- 
fasse dei  whigs;  ma  la  discordia 
entrò  fra  i  tories,  ed  il  ministro 
Oxford  divenne  ad  un  tratto  tutto 
ardore  per  la  linea  d'  Annover. 
La  regina  agitata  per  siffatti  avve- 
nimenti, e  dalla  divisone  de'  sud- 
diti, cadde  in  tale  stato  di  debolez- 
za che  ne  mori  a'  1 2  agosto  1714 
d'anni  quarantanove,  esclamando  : 
Ah  mio  caro  fratello,  quanto  ti  com- 
piango 1  cosi  rivelando  tutto  il  segreto 
di-  sua  vita.  Il  regno  della  regina 
Anna  non  è  men  celebre  per  l'In- 
ghilterra per  lo  splendore  di  che 
brillò  la  letteratura,  che  per  la 
gloria  delle  armi,  e  l' importanza 
delle  politiche  transazioni.  L'  elo- 
quenza parlamentaria  pei  grandi 
uomini  che  fiorirono,  anche  fuori 
dell'  isole  britanniche,  eccitò  1'  am- 
mirazione delle  nazioni. 

L'  onnipotenza  e  1'  autorità  su- 
prema della  costituzione  inglese  mai 
era  apparsa  in  più  imponente  gui- 
sa, che  nella  assunzione  della  fami- 
glia di  Brunswick  al  trono  della 
Gran  Bretagna,  in  un  momento  in 
cui  tutti  gli  elementi  d'  una  guer- 
ra civile  erano  in  fermento  ;  in  cui 
la  nazione  era  divisa  in  due  oppo- 


io4  ING  ING 

sti  partiti,  ed  un'  antica  dinastia  fizi  di  una  pace  onorevole,  di  con- 
ancora esistente  doveva  essere  prò-  servare  i  suoi  stati  in  Germania,  e 
scritta  in  favore  di  una  nuova,  di  vedere  il  pretendente  escluso 
L'  avvenimento  della  casa  d'  An-  definitivamente  dal  regno  d'  Inghil- 
nover  era  il  trionfo  della  riforma  terra.  Alleanze  difensive,  e  disposi- 
protestanle  sopra  il  cattolicismo.  zioni  di  precauzione  furono  pertan- 
Tulte  le  apparenze  di  pericolo  sva-  to  il  principale  oggetto  della  sua 
nirono,  per  altro  come  la  regina  politica,  il  fondamento  della  gloria 
Anna  spirò ,  Giorgio  I  fu  accia-  e  della  felicità  del  suo  regno,  solo 
mato  re,  e  subitamente  tutti  i  par-  alterata  dalle  folli  speculazioni  della 
titi  si  unirono  in  favore  dell'  atto  compagnia  del  sud,  al  che  riparò 
che  avea  regolalo  la  successione  sir  Roberto  Walpole  co'  suoi  ta- 
del  trono,  e  riconobbe  la  legittimi-  lenti,  ministro  su  cui  pose  il  re  la 
tà  dei  diritti  dell'  elettore,  sino  dal  sua  confidenza.  Senza  prender  par- 
J682  sposo  di  Sofia  Dorotea  di  te  alle  guerre  del  continente,  riu- 
Zell  che  1'  avea  fatto  padre  d'  un  sci  a  Giorgio  I  di  conservar  al- 
fìglio  e  d'  una  figlia  ;  ma  essa  nel  1'  Inghilterra  la  preponderanza  che 
1694  per  infedeltà  venne  separata  le  vittorie  del  regno  precedente  le 
con  divorzio,  e  rinchiusa  nel  castello  avevano  acquistata.  Nel  1725  ri- 
di Alden,  ove  morì  dopo  trentadue  stabilì  1'  antico  ordine  militare  del 
anni  di  prigionia.  Giorgio  I  unì  alle  Bagno  ;  e  per  evitare  la  frequenza 
qualità  più  acconce  a  far  amare  una  delle  elezioni  che  agitavano  i  par- 
nuova  dinastia,  i  talenti  necessari  titi,  ottenne  di  rendere  settennale 
per  consolidarla.  Il  consiglio  priva-  il  parlamento.  Gli  annoveresi  furo- 
to  invitò  1'  elettore  a  condursi  in  no  i  sudditi  prediletti  di  Giorgio  I, 
Inghilterra,  assumendo  intanto  i  e  quasi  ogni  anno  andò  a  passare 
"whigs  la  reggenza  ;  la  principessa  alcuni  mesi  con  essi  ;  reduce  dalla 
Sofia  sua  madre  era  morta  due  gita  del  1727,  da  Delden  città  dei 
mesi  prima.  Giunto  il  nuovo  re  a  Paesi  Bassi  si  fermò  nella  casa  di 
Londra,  nell'alternativa  importante  campagna  del  conte  di  Twillet  lungi 
di  scegliere  i,  ministri  o  trai  whigs  venti  miglia  ;  ivi  agli  11  di  giugno 
o  tra  i  tories,  da  saggio  preferì  i  morì  d'apoplessia,  d'anni  sessantotto. 
primi  per  aver  sostenuto  trionfai-  Di  due  figli  che  lasciò  nati  dall'info- 
mente  i  suoi  interessi.  Le  buone  lice  Sofia  di  Zeli,  Giorgio  cui  avea 
qualità  di  Giorgio  I,  e  le  grazie  crealo  principe  di  Galles  arrivando 
del  suo  spirito,  andarono  del  pari  in  Inghilterra  gli  successe,  e  Sofia 
rolle  attrattive  della  sua  persona,  maritata  a  Federico  I  re  di  Prus- 
Geloso  della  sua  autorità,  e  tenace  sia  fu  madre  di  Federico  II  il 
nelle    cose    di    sua  prerogativa,    ne  Grande. 

conobbe  i    limiti,  e  non  ambiva  il  Giorgio    II,  già  pari  d'  Inghilter- 

potere  che  per  il  bene    de' sudditi,  ra  e  duca  di  Cambridge,  fatto  dal* 

Malgrado  il  suo    genio  per    la   vita  la    regina  Anna,    era  entrato    assai 

militare,  e  benché  da  giovane  aves-  per  tempo    neh'  aringo  delle    armi, 

se  spiegato    non    meno     valore  che  Se  i  talenti  nel  consiglio  non   ugua- 

talenti,  antepose  allo  splendore  del-  gliavano  quelli   del  padre,  aveva  in 

le  vittorie  il    vantaggio    di     assicu-  confronto  suo  molti  altri    vantaggi, 

vare  ai  suoi  nuovi  sudditi  i    bene-  e  particolarmente    quello    d'  aversi 


ING 

saputo  conciliare,  prima  di  salire 
sul  trono,  la  stima  e  1'  affetto  dei 
suoi  sudditi  ;  maggiormente  si  pro- 
cacciò 1'  uno  e  f  altro  con  la  pru- 
denza, la  giustizia  e  la  bontà  che 
spiegò  durante  1'  assenza  del  re  nel 
1716,  siccome  custode  e  luogote- 
nente del  regno.  La  Provvidenza 
gli  accordò  in  Carolina  d'  Anspac 
d'  ammirabile  criterio,  la  più  gra- 
ziosa compagna  e  la  più  valida 
amica,  sicché  pose  sempre  in  lei  la 
sua  fiducia:  la  principessa  lo  go- 
vernò compiutamente  sino  al  ter- 
mine de'  suoi  giorni,  con  tanto  ac- 
corgimento e  dolcezza,  che  non  die- 
de mai  ombra  ad  uno  sposo  ecces- 
sivamente geloso  di  sua  autorità, 
avendo  1'  arte  di  fargli  credere  che 
non  avea  altra  opinione  che  quella 
di  lui  ;  usò  principalmente  della 
sua  influenza  per  ispirargli  intera 
fiducia  nel  merito  ed  abilità  di 
sii*  Roberto  Walpole,  il  ministro 
più  celebre  delle  finanze  che  abbia 
avuto  f  Inghilterra.  La  nazione  fu 
debitrice  a  lui  dell'  istituzione  del 
fondo  di  estinzione,  base  essenziale 
del  suo  credito  e  della  sua  pro- 
sperità. Giorgio  II  ogni  anno  fece 
un  viaggio  nel  suo  elettorato  di 
Annover,  e  durante  la  sua  assenza 
la  regina  col  titolo  di  reggente,  e 
senza  essere  costretta  a  prestare 
giuramento,  governò  la  Grau  Bre- 
tagna con  tutta  la  pienezza  del- 
l' autorità  reale.  Ella  morì  nel 
1737  pregando  lo  sposo  a  seguir 
sempre  i  consigli  di  Walpole.  Mal- 
grado sì  valida  raccomandazione,  il 
ministro  favorito,  per  le  trame  dei 
suoi  numerosi  nemici,  fu  forzato  a 
rinunziare.  Lord  Carleret  che  gli 
successe,  attirò  sulla  patria  i  più 
gravi  disastri.  Gli  spagnuoh  inquie- 
tando gì'  inglesi  stabiliti  dal  1  y3 1 
nella  baia  di  Honduras,  ove    lavo- 


ING  ioj 

ravano  al  taglio  dei  legni  di  cam- 
peggio, ne  nacque  in  conseguenza 
la  guerra  ;  il  mare  si  coprì  di  va- 
scelli, ed  il  comodoro  Anson  fece 
allora  la  sua  spedizione  nel  grande 
Oceano.  Venne  quindi  esposto  il 
regno  da  lord  Carteret,  facendo 
intervenire  il  suo  padrone  nella 
guerra  che  per  la  morte  di  Carlo 
A  1  si  accese  nel  continente,  in  fa- 
vore della  sua  erede  Maria  Teresa, 
e  quale  elettore  d'  Annover  per 
conservare  1'  equilibrio  politico.  La 
Francia  riportò  delle  vittorie,  men- 
tre Carlo  Odoardo  figlio  di  Giaco- 
mo III  sbarcò  in  Iscozia,  e  si  av- 
vicinò alla  capitale  del  regno,  e 
sembrava  già  sfuggire  lo  scettro 
della  Gran  Bretagna  di  mano  alla 
casa  di  Brunsvvick.  In  questo  fran- 
gente Guglielmo  figlio  del  re  e 
duca  di  Cumberland,  che  avea  per- 
duto la  battaglia  di  Fontenoi,  dal 
teatro  della  guerra  fu  chiamato  io 
Inghilterra  :  la  sua  presenza  riani- 
mò il  coraggio  della  nazione,  fece 
retrocedere  1'  inimico,  e  lo  scon- 
fìsse compiutamente.  A  tale  memo- 
rabile giornata  che  rovesciò  per 
sempre  le  speranze  degli  Stuardi,  suc- 
cesse la  vittoria  di  Culloden  ricor- 
data di  sopra.  Dopo  essere  stati 
battuti  gì'  inglesi  a  Lawfeld  dal 
maresciallo  di  Sassonia,  convennero 
alla  pace  d'Acquisgrana .  Inseguito 
di  una  guerra  sì  dispendiosa  che  avea 
cresciuto  il  debito  pubblico  ad  una 
somma  enorme,  la  Gran  Bretagna 
fece  stupire  1*  Europa  con  uno  spe- 
dieute  che  provò  la  ricchezza  del 
suo  commercio,  e  1'  estensione  del 
suo  credito  nazionale.  I  creditori 
dello  stato  si  quietarono  volonta- 
riamente ad  una  riduzione  notabile 
d' interessi. 

Nel   1700  insorsero  delle  contro- 
versie relative  ai  possessi  del   nord 


io6  ING 

dell'  America  pei  confini  del  Cana- 
da ,  tra  la  Gran  Bretagna  e  la 
Francia.  Verso  questo  tempo  istes- 
so,  le  due  potenze  già  erano  alle 
prese  nelle  Indie  orientali,  per  le 
brillanti  conquiste  fatte  dagli  in- 
glesi in  quelle  regioni,  né  tardò 
molto  a  scoppiar  la  guerra  di  Ale- 
magna,  nella  quale  Giorgio  II  si 
vide  spogliare  de' suoi  possedimenti. 
11  re  morì  nel  1760  all'  improvviso 
d'anni  settantasette,  precisamente 
in  un'  epoca  in  cui  la  sua  potenza 
militare,  1'  energia  e  la  saggezza 
del  suo  governo  aveano  levato 
1'  Inghilterra  ad  un  grado  di  glo- 
ria e  di  potere,  che  non  era  stato 
sorpassato  sotto  il  regno  di  nessuno 
de'  suoi  predecessori.  Col  mantene- 
re Giorgio  II  un  corpo  considera- 
bile di  truppe  disciplinate  nell'  An- 
nover,  la  Gran  Bretagna  trasse 
principalmente  la  sua  influenza  pre- 
ponderante nell'  Inghilterra.  La  sua 
morte  fu  considerata  come  una 
calamità  nazionale,  essendo  amato 
dal  popolo  per  1'  affabilità  delle 
sue  maniere,  e  per  altre  egregie 
doti.  L*  Inghilterra  va  debitrice  a 
lui  dell'  istituzione  del  museo  bri- 
tannico, benefizio  il  più  importan- 
te che  potesse  essere  fatto  alle 
scienze  ed  alla  letteratura  in  ge- 
nerale. Federico  Luigi  principe  di 
Galles  suo  figlio  primogenito,  do- 
tato di  grandi  talenti,  ma  traviato 
da  perfide  suggestioni,  non  usò  ver- 
so di  lui  quella  rispettosa  osservan- 
za che  un  figlio  deve  a  suo  pa- 
dre :  la  sua  casa  era  il  ridotto  dei 
membri  dell'  opposizione,  e  fu  ve- 
duto sempre  combattere  con  essi 
i  progetti  presentati  dalla  corte  al 
parlamento.  Il  principe  di  Galles 
essendo  morto  nel  iy5o,  a  Gior- 
gio II  successe  il  nipote  Giorgio 
III,  figlio  di  detto  principe,  e  nato 


ING 

nel  1738.  Sua  madre  la  principes- 
sa Augusta  di  Sassonia-Gotha  lo 
custodi  con  molta  gelosia  e  circo- 
spezione. Divenuto  re  dimostrò  un 
vivo  amore  per  la  giustizia,  e  giam- 
mai tradì  le  leggi  dell'  onore  e 
dell'  equità  :  rigido  ma  probo,  mai 
perseguitò  alcuno,  e  fu  sempre  ac- 
cessibile e  con  tutti  affabile.  Nel 
1761  si  sposò  a  Sofia  Carlotta, 
figlia  del  duca  di  Mecklenbourg- 
Strelitz.  Buon  marito,  buon  padre, 
non  conobbe  mai  né  favoriti,  né 
favorite.  Semplice  e  frugale  nella 
sua  vita  privata,  amò  di  vivere  ri- 
stretto colla  sua  famiglia.  Sua  or- 
dinaria residenza  fu  il  castello  di 
Windsor,  portandosi  a  Londra  quan- 
do affari  d'  importanza  ve  lo  chia- 
marono. Amò  e  protesse  le  scienze 
e  le  belle  arti  più  de'  suoi  pre- 
decessori della  casa  di  Brunswick, 
ed  assai  la  musica  e  1'  agricoltura 
la  più  necessaria  e  più  nobile  del- 
le arti  :  il  suo  regno,  il  più  lungo 
nella  storia  d'  Inghilterra,  fu  fer- 
tilissimo di  grandi  avvenimenti,  e 
di  accrescimento  di  forza,  potenza 
e  splendore  alla  Gran  Bretagna. 
Giorgio  III  domina  col  suo  regno 
la  sua  storia  politica  durante  un 
mezzo  secolo,  e  questa  storia  è 
quella  dell'  intiera  Europa.  Educa- 
to da  lord  Bute  e  dopo  la  sua 
morte  da  M.  Jenkinson  poi  lord 
Stawkesbury  e  Liverpool,  questi  e- 
sercitò  molto  ascendente  sul  monar- 
ca, e  fu  capo  del  gabinetto  segre- 
to che  governava  1'  Inghilterra  e 
dirigeva  tutte  le  operazioni  politi- 
che cogli  altri  gabinetti  di  Europa. 
Quanto  allo  stato  de'partiti  nel- 
l'esaltamento di  Giorgio  III,  è  a  sa- 
persi, che  il  partilo  whigs  trionfante 
con  lord  Stanhope  e  Walpole  sot- 
to Giorgio  I,  era  restato  potentis- 
simo sotto  il  restio    del    successore 


ING 

Giorgio  II.  I    whigs    avevano  con- 
servata la  loro  fraseologia  di  liber- 
tà,  ma  in   fondo  eransi  costituiti  co- 
me promotori  delle    misure  le  più 
antiliberali,    e  si     andava     debitori 
alla  loro    scuola    della  sostituzione 
dei  parlamenti     settennali     ai    par- 
lamenti    triennali,     base     primitiva 
del    bill    dei    diritti    del     1688  ;  i 
tories  erano    stati  allontanali    dagli 
affari    dopo  i  grandi  errori    di  Bo- 
lingbroke  e  del  conte    d'  Ormond  ; 
la  spedizione  di  Carlo   Stuardo  era 
troppo  recente  perchè  i  tories,  riav- 
vicinati ai  giacomiti   o    seguaci    de- 
gli Stuardi,  potessero    ottenere  una 
grande  importanza  nello  stato.  Non- 
dimeno in  seno  al  torismo  era  sla- 
to educalo  Giorgio  III,  quantunque 
il     gabinetto     d'  allora     non      fosse 
composto     che    di    whigs    puri  ;  la 
lotta  era    dunque  quivi  impegnata, 
come  in  tutta  la  storia  dell'  Inghil- 
terra dopo  il    1  688.  11  primo  atto 
di   questo  principe  dopo  la  sua  as- 
sunzione al  trono,   fu    il  concedere 
la   legge  dell'  inamovibilità  dei  giu- 
dici ;  ma  il   popolo     disgustato    per 
gli    aumenti  di  tassa    sopra  il  por- 
ter,  cominciò  a  mormorare.  Essen- 
dosi   riavvicinato    alla     Prussia    ed 
alla    Russia    ne    risultò    una    forza 
vigorosa,  e  continuò   le  guerre  del- 
l' avo  con    attività  ;    la     Spagna  si 
congiunse    alla  Francia,    ed  i     suc- 
cessi degl'  inglesi    fecero  ben  presto 
ricercare     la     pace.     Il     trattato  di 
Parigi  del    1763   terminò  la  guerra 
de' sette  anni,  assicurando  alla  Gran 
Bretagna  il  Canada,    1'  isola  Capo- 
Bretone,  le  isole    del  fiume    s.  Lo- 
renzo, la  Granada,    le   Grenadilles, 
s.   Vincenzo,  la  Dominica,  Tabago, 
gli  stabilimenti  sul  Senegal,  la  Flo- 
rida, ed   inoltre  il  diritto  di   taglia- 
re nella  baia  di  Honduras   il  legno 
du  tintura  ed  il  campeggio  :   qual- 


ING  107 

che     tempo     dopo     acquistò    pure 
l'isola    di    Man.    Ma     siccome    con 
tal   trattato  si    restituirono  dall'  In- 
ghilterra alla  Spagna  ed  alla  Fran- 
cia conquiste  comperate  con  molti- 
plici  sacrifizi    della  nazione,  crebbe 
il  malcontento:   lord  Buie,  dopo  la 
dimissione  dr  Pitt    divenuto    mini- 
stro favorito,  fu   dai   tories    ripresa 
1'  influenza     che    avevano     perduto 
colla  rivoluzione  del  1688,    ma  pei 
successivi     avvenimenti     lord     Bute 
fu     assalito    da     tutti  gli    scrittori, 
massime    da  Giovanni     Wilkes     lo 
scrittore  più  rinomato  dei  whigs,  e 
gli     odii     scoppiarono     al    fine    in 
sommossa.    Giorgio    III,     d'  animo 
fermo,  conoscendo  e  proteggendo  i 
diritti  del  suo     trono,  compresse  e 
punì  i  sediziosi.  Nel    pontificato  di 
Clemente  XIV,  il  duca  di  Glouce- 
ster  fratello  del  re  si  portò  in  R.o- 
ma    per    osservare    le  rarità    della 
capitale  del   mondo  cattolico  e  del- 
la sede  delle  belle  arti.  Appena  en- 
trò nello  stato  ecclesiastico  il  Papa 
deputò  ragguardevoli  personaggi  che 
1'  accompagnarono  fino  alla     domi- 
nante.  Ivi    Clemente  XIV    gli  fece 
presentare     i    migliori    prodotti  del 
paese,  e  gli  fece  illuminare    la  cu- 
pola della  basilica    vaticana.   Il  du- 
ca di   Cumberland,  altro  fratello  di 
Giorgio    III,    allorché    si     portò     a 
Roma  non  ricevè  minori    distinzio- 
ni   dal  Pontefice,  per  cui  il  re  gli 
scrisse  nella  maniera  la  più  grazio- 
sa,  per  1'  accoglienze  fatte  ai     reali 
fratelli  ;  gli  mandò  bellissimi    rega- 
li, ed  accettò  la  sua    pontificia  me- 
diazione per    riconciliarsi    col  duca 
di   Cumberland. 

Nel  1764  incominciarono  i  tor- 
bidi che,  cagionati  dal  teutativo  di 
stabilire  delle  tasse  arbitrarie  nel- 
le colonie  dell'  America  settentrio- 
naie  fondate  sino    dal    i585,    prò- 


io8  ING 

«lusserò  poscia  l'indipendenza  degli 
Slati- Uniti  americani.  Pitt  dichia- 
rossi  francamente  a  favore  dei  co- 
loni, e  cominciò  la  sua  fulminante 
opposizione  contro  gli  oppressori  di 
essi.  Dieci  anni  trascorsero  in  ne- 
goziazioni e  preparativi  di  guerra, 
e  nel  giorno  19  aprile  1775  il 
sangue  scorse  per  la  prima  volta 
per  l'indipendenza  americana,  di 
cui  furono  i  principali  campioni 
Franklin  e  Washington.  La  dichia- 
razione di  questa  indipendenza  eb- 
be luogo  a'  4  luglio  1776,  ed 
i  francesi  appassionali  per  gl'in- 
sorti americani  la  riconobbero  pron- 
tamente. Anche  lord  Chatham  os- 
sia Pitt,  Burke  e  Fox  colla  loro 
coalizione  ed  opposizione  presero  la 
difesa  degli  americani  :  giammai  in 
alcun' epoca  della  storia  d'  Inghil- 
terra presenterà  nel  parlamento 
una  discussione  più  maestosa,  con 
mi  ministero  troppo  debole  per  re- 
sistervi. Due  anni  dopo  la  Fran- 
cia soccorse  gli  Stali- Uniti,  e  la 
guerra  fra  questa  potenza  e  1'  In- 
ghilterra scoppiò  nel  1779,  alla 
quale  prese  parte  anche  la  Spa- 
gna, che  pure  riconosceva  l' indi- 
pendenza. Poco  dopo  l'Inghilterra 
dichiarò  la  guerra  all'  Olanda.  Du- 
rante questa  lotta  .  sanguinosa  ,  il 
debito  della  Grau  Bretagna  ascese 
a  4>248  milioni  di  franchi  ;  al- 
cuni torbidi  inquietarono  Londra, 
e  l' Irlanda  chiese  la  sua  indipen- 
denza. Nel  1778  il  Papa  Pio  VI 
fu  consolato  nell'apprendere  che  in 
parte  erano  stali  moderati  ed  in 
parie  del  tutto  aboliti  alcuni  ar- 
ticoli del  decreto  di  Guglielmo  III, 
contro  i  vescovi  cattolici  e  contro 
i  cattolici  medesimi  esistenti  nel- 
l'impero britannico,  i  quali  veni- 
vano ripristinali  nel  possesso  di  qua- 
si lutti  que'  diritti  che  propri  sono 


ING 

di  ogni  onesto  suddito,  e  ciò  me- 
diante l' indulgenza  di  Giorgio  HI. 
Tuttavia  dipoi  nel  1781  nell'In- 
ghilterra ebbe  luogo  una  reazione, 
dappoiché  i  vescovi  della  chiesa 
anglicana  si  congiurarono  a  danno 
de'  cattolici  e  con  angustia  di  Pio 
VI.  Tali  vescovi  presentarono  alla 
camera  de'  pari  una  relazione  e  di- 
mostrazione del  numero  de'  loro 
diocesani  cattolici.  In  questa  si  fe- 
ce rilevare  che  nel  17 17  sotto 
Giorgio  I  se  ne  contavano  soli 
quindicimila  nella  diocesi  di  Che- 
ster, dove  in  detto  anno  1781  a- 
scendevano  a  27,288  individui, 
ciò  che  mosse  lord  Ferres  a  chie- 
dere che  fossero  rivocati  tutti  gli 
atti  già  fatti  in  favore  de'cattolici, 
ed  insieme  privati  de'privilegi  loro 
accordati.  Per  buona  sorte  de'cat- 
tolici il  progetto  del  lord  non  es- 
sendo accettato  non  produsse  can- 
giamento alcuno  a  danno  del  cat- 
tolicismo.  Intanto  a'  2 1  maggio 
1783  la  pace  fu  segnata  fra  la  Gran 
Bretagna  e  gli  Stati-Uniti  ossia  co- 
lonie inglesi  dell'  America  setten- 
trionale: in  tal  modo  la  madre 
patria  rendette  finalmente  omaggio 
al  valoroso  e  costante  eroismo  di 
quelle  colonie  col  riconoscerle  in- 
dipendenti. Nel  tempo  istesso  la 
pace  fu  conchiusa  eziandio  con  l'O- 
landa ,  alla  quale  fu  ingiunto  an- 
cora di  rendere  onore  alla  ban- 
diera britannica  ;  e  colla  Spagna  che 
ricuperò  l' isola  di  Minorica  e  la 
Florida,  ma  ceder  dovette  in  cam- 
bio le  isole  Lucaie,  delle  quali  si 
era  impadronita  nel  1781.  La  pa- 
ce colla  Francia  rese  a  questo  stato 
gli  stabilimenti  del  Senegal,  e  la- 
sciò all'Inghilterra  molte  isole  di 
cui  erasi  impadronita  nell'Indie  oc- 
cidentali, e  fra  le  altre  Tabago, 
come  pure  la  libertà   di    cornine» 


ING 
dare  sulle  coste  del  Malabar  e  di 
Coromandel.  Hayder-Aft  frattanto 
combatteva  ancora  nelle  Indie  o- 
rientali  per  la  indipendenza  di  que- 
sta vasta  e  ricca  contrada ,  sicco- 
me nemico  implacabile  degli  stabili- 
menti inglesi.  La  nuova  della  pa- 
ce del  1783  non  fu  conosciuta  che 
dopo  la  sua  morte,  e  suo  figlio  se- 
gnò un  nuovo  trattato  con  la  com- 
pagnia delle  Indie  orientali.  Ma  h 
guerra  ricominciò  nel  1791  e  non 
terminò  che  colla  morte  di  Tippu- 
Saeb,  che  peri  difendendo  la  sua 
capitale,  e  lasciando  l'impero  di 
JMissore  alla  compagnia  inglese. 

Intanto  rimontando  agli  anni  ad- 
dietro i  ministri  si  successero  ra- 
pidamente gli  uni  agli  altri  :  per 
buona  ventura  la  scelta  del  re  nel 
1784  ebbe  a  cadere  sopra  \V.  Pitt, 
il  quale  Io  servì  con  attività  e  ze- 
lo. Neil'  anno  seguente  venne  sta- 
bilita la  cassa  di  estinzione,  e  Sier- 
ra Leone  fu  colonizzata.  Nel  1786 
la  Gran  Bretagna  acquistò  l' isola 
del  principe  di  Galles,  enei  1787 
intervenne  colla  Prussia  negli  affari 
dell'Olanda;  due  mesi  dopo  essa  si 
stabilì  alla  Nuova  Galles  meridiona- 
le. Nel  1790  la  Spagna  cede  all'In- 
ghilterra una  porzione  della  costa 
nord-ovest  dell'America  settentriona- 
le, e  nel  1791  prese  possesso  delle 
isole. Andam,  che  però  abbandonò 
due  anni  dopo.  Accaduta  la  teni- 
bile rivoluzione  di  Francia  e  pro- 
clamata la  repubblica  ,  fu  dichia- 
rata insieme  fiera  guerra  ed  ac- 
canita persecuzione  alla  cattolica 
religione  e  principalmente  ai  sacri 
ministri  di  essa.  Il  Pontefice  Pio 
VI  dopo  avere  nel  1792  invitati 
i  vescovi  de'  suoi  stati  ad  eserci- 
tare il  loro  zelo  ed  ospitalità  coi 
preti  francesi  esiliati ,  con  eguale 
impegno  raccomandò  gli  infelici  ec- 


ING  109 

clesiastici  al  clero  secolare  e  rego- 
lare  ed  a  tutti  i  vescovi  di  Ger- 
mania, con  breve  apostolico  de'2 1 
novembre ,  col  quale  procurò  di 
destare  in  essi  l'antica  ospitalità  a 
cui  i  santi  padri  esortarono  sem- 
pre i  vescovi  e  gli  ecclesiastici  d'o- 
gni classe.  In  questo  medesimo  bre- 
ve Pio  VI  colmò  di  ben  meritati 
elogi  la  nazione  inglese  ed  il  suo 
sovrano  Giorgio  HI,  per  la  gene- 
rosa pietà  colla  quale  accolsero  gli 
esuli  francesi  che  in  numero  di  ot- 
tomila erano  approdati  in  Inghil- 
terra, e  dove  neppure  uno  restò 
sprovvisto  de'  mezzi  onde  poter 
vivere.  Infatti  Burke  fu  il  primo 
ad  aprire  una  sottoscrizione  di  sov- 
ventori per  soccorrerli,  la  quale  dai 
primi  del  settembre  1792  sino  ai 
primi  di  agosto  dell'anno  seguen- 
te, aveva  loro  somministrato  tren- 
taduemila lire  sterline.  Inoltre  una 
questua  ordinata  dal  governo  ne 
produsse  per  lo  stesso  fine  circa 
trentacinquemila  ;  ed  il  parlamento 
assegnò  somme  vistose  in  vantag- 
gio  del  clero  francese.  Willemont 
formò  per  così  dire  in  favore  di 
esso  un  comitato  di  beneficenza  ; 
ed  il  re  destinò  il  suo  palazzo  di 
Winchester  per  dare  ricetto  a  più 
di  seicento  di  questi  sfortunati  e- 
migrati.  Il  vescovo  di  Cantorbery 
fece  l'offerta  della  propria  abita- 
zione e  di  tutti  i  suoi  beni  ai  ve- 
scovi fuggiti  dalla  Francia.  Insom- 
ma quasi  tutti  i  prelati  della  chie- 
sa anglicana,  e  quasi  tutti  i  mini- 
stri della  medesima,  mostrarono  di 
aver  dimenticato  la  diversità  della 
loro  credenza,  e  che  altro  non  ve- 
dessero in  quella  legione  di  vedo- 
vi, preti  e  regolari  fuggiaschi,  se 
non  che  fratelli,  come  altrettanto 
si  ravvisò  in  ogni  classe  di  perso- 
ne. Non  solo  la  nazione  inglese  eb- 


no  ING 

be  lodi  da  Pio  VI,  ma  in  più  mo- 
di sperimentò  la  gratitudine  de' be- 
neficati e  principalmente  in  nome 
di  tutti  la  dichiarò  1'  abbate  Bar- 
rile!, nella  sua  storia  del  clero  fran- 
cese da  lui  pubblicata  in  Inghil- 
terra dov'  era  co'  suoi  connaziona- 
li fuggito,  e  dedicata  per  eterna 
riconoscenza  alla  nazione  medesima. 
Sino  al  I7g3  la  Gran  Bretagna 
sembrò  rimanere  spettatrice  della  ri- 
voluzione di  Francia  ;  ma  alla  vio- 
lenta morte  di  Luigi  XVI  essa  si  di- 
chiarò col  licenziare  l'ambasciatore 
francese.  La  convenzione  nazionale 
armò  contro  di  essa  e  contro  l'Olan- 
da; e  sette  mesi  di  negoziazioni  non 
poterono  ristabilire  la  pace  nel  r  796. 
L'Inghilterra  avendo  tolto  alla  Fran- 
cia l'isola  di  Corsica,  il  parlamen- 
to emanò  alcuni  decreti,  i  quali 
furono  approvati  da  Pio  VI,  pei 
motivi  riportati  nel  voi.  XVII,  p. 
277  del  Dizionario,  ove  oltre  i 
decreti  che  riproducemmo,  parlam- 
mo di  altre  cose  relative  all'occu- 
pazione della  Corsica,  già  antico  do- 
minio della  Chiesa  romana.  Si  de- 
terminò il  Pontefice  ad  approvare 
i  decreti  mentovati  non  solo  per- 
chè gl'inglesi  ne  domandarono  il 
suo  assenso,  mentre  alcuni  sovrani 
cattolici  di  proprio  arbitrio  opera- 
vano innova7Ìoni  contro  le  cose  ec- 
clesiastiche; ma  ancora  per  condi- 
scendere alle  premure  di  Giorgio 
III,  cui  cercava  dimostrare  la  sua 
riconoscenza  eziandio  per  la  pro- 
messa fattagli  di  garantire  dai  ri- 
voluzionari-francesi gli  stali  pontifi- 
cii é  l'Italia  tutta,  ciò  che  però  non 
potè  riuscirgli,  oltre  ad  altri  meriti 
che  quel  sovrano  avea  colla  santa  Se- 
de. In  una  lettera  de'  1  7  febbraio  1  79/j- 
scritta  da  Pio  VI  ai  vescovi  e  vi- 
cari apostolici  d'Inghilterra  per  e- 
soitaili  a  predicare  con  tutto  zelo 


ING 

obbedienza  e  fedeltà  al  re,  cos'i  ad 
essi  parlò  di  Giorgio  III.  »  La  be- 
nevolenza del  re  vi  rende  un  do- 
vere questa  virtù  ;  egli  e  il  miglior 
dei  sovrani.  Il  suo  impero  è  pieno 
di  dolcezza  pei  cattolici.  Non  por- 
tano più  questi  un  giogo  duro  e 
pesante.  Essi  sono  stati  liberati  dal- 
le leggi  severe  e  dalle  condizioni  gra- 
vose a  cui  erano  soggetti.  Hanno  og- 
gi dei  privilegi.  Essi  possono  servi- 
re nelle  armate  ed  hanno  ottenu- 
to di  avere  delle  scuole  cattoliche 
per  educazione  della  gioventù.  Il 
monarca  benefico  non  ha  fatto  pro- 
vare gli  effetti  della  sua  bontà  ai 
soli  cattolici  del  suo  regno.  Egli 
ha  ancora  favoriti  e  protetti  i  cat- 
tolici delle  vaste  regioni  dell'Indie 
orientali  al  suo  dominio  sogget- 
te ".  Verso  questo  tempo  Giorgio 
III  diede  alcuni  segni  di  alienazio- 
ne mentale,  ed  il  morale  ne  restò 
scosso  fortemente;  fu  salva  la  vita, 
ma  la  ragione  cessò  di  mostrarsi. 
11  suo  figlio  Giorgio  principe  di 
Galles  poi  Giorgio  IV,  di  vivace 
spirito,  erasi  tutto  dato  al  partito 
dei  whigs,  quando  nel  1795  suo  pa- 
dre gli  die  in  moglie  la  propria  ni- 
pote Carolina  Amalia  Elisabetta 
figlia  secondogenita  del  duca  di  Brun- 
swick- Wolfenbuttel,  sfortunata  prin- 
cipessa cagione  di  tanti  scandali.  La 
trista  situazione  dè'suoi  affari  eco- 
nomici decise  soltanto  il  principe 
di  Galles  a  maritarsi.  Il  solo  frut- 
to di  questo  matrimonio  fu  la  prin- 
cipessa Carlotta  maritata  nel  18 16 
a'  2  maggio  al  principe  Leopoldo 
fratello  del  duca  di  Sassonia-Co- 
burgo;  Leopoldo  ne  restò  vedovo 
dopo  aver  la  principessa  partorito  un 
estinto  bambino  nel  18 17,  ed  è  al 
presente  saggio  re  del  Belgio.  Giorgio 
e  Carolina  vissero  separati,  e  fino 
dai  primi  giorni  non  si  videro  più 


ING 

che  per  convenienza  :  i  tories  guada- 
gnarono   della  popolarità  in  soste- 
nere   la   principessa.    Ma  il   primo 
processo  di  divorzio  incominciò  nel- 
l'anno   1807,    indi    segui    in   mo- 
do strepitoso.  Dopo    l' innalzamen- 
to   al    trono  della   casa    d'Annover 
i  re  d'Inghilterra  cercavano  le    al- 
leanze di  famiglie  di  Germania,  ad 
oggetto  di  rinforzare   il  loro  pote- 
re nel  centro  della    confederazione 
germanica,    e  di    crearvisi    un'  im- 
portanza territoriale.  Per  questo  si- 
stema fu  combinato  il  matrimonio 
di  Giorgio  con    Carolina  di  Brun- 
swick, e  gli   amici  del   principe  ve 
lo  persuasero  a    contrarlo  ad  onta 
della    sua    ripugnanza.   Nella    ma- 
lattia   del  re   in    varie    circostanze 
i  vvhigs  fecero  diversi  tentativi  per 
assicurare    la  reggenza    al  principe 
di   Galles;  ma    siccome  questi  ave- 
va perduto  d'opinione  in  tutta  l'In- 
ghilterra, furono  sempre    respinti; 
dappoiché    l'aristocrazia    dei  tories 
avea   preso  l'alta     attitudine  espri- 
mente l'onore  e     la    dignità    della 
Gian)   Bretagna.    Essa    vedeva  be- 
nissimo che  se  durante    la   rivolu- 
zione  francese  il  principe    di  Gal- 
les   fosse    stato    incaricalo    del   go- 
verno, sarebbero   stati  abbandonati 
gì'  interessi  dell'Inghilterra,  e  biso- 
gnava  impedirlo    nella  crisi  in  cui 
la   Francia  avea  involto  il  mondo; 
non     era n vi    che  i  principii     tories 
che     potessero    salvare  il     governo 
della   Gran    Bretagna,   e  con    quei 
principii     la    costanza    nella    guer- 
ra. Pitt  difese  la  sovranità  del  par- 
lamento in  materia  di  reggenza  per 
allontanare  l'innalzamento  dei  whigs: 
venne  deciso  che  prowisoriamente 
i  ministri  custodirebbero    il    sigillo 
privato,  e   che  tutto    sarebbe  fatto 
per  via  di  commissione.  Essendosi 
il  re    alquanto    ristabilito,  Pitt  ne 


ING  in 

approfittò  per  ritirare  il  bill  della 
reggenza  che  allora  discutevasi  nel- 
la camera  alta. 

Indebolito  Giorgio  III  per  eser- 
citare un'influeuza  reale  negli  affari, 
egli  abbandonò  tutto  al  suo  ministro, 
e  di  tempo    in  tempo   si    risvegliò 
per  sanzionare  le  deliberazioni  del 
suo  consiglio.  L'Inghilterra  collo  svi- 
lupparsi  la    rivoluzione  di  Francia 
fece  mostra  di    forza  politica,  sor- 
vegliando tutti  i  movimenti  :    Pitt 
per    ordine    del    re    prese    severe 
misure  contro  il  giacobinismo    che 
mostravasi    in    alcuni    punti    della 
Gran    Bretagna,    e    ciò     precedette 
la  rottura  colla    Francia.   Il   primo 
febbraio    1 7g3   la    convenzione  na- 
zionale   dichiarò    la    guerra    ai   ti- 
ranni   del    popolo     inglese ,    come 
dice  il   manifesto    originale:    i  gia- 
cobini    speravano     di     sollevare     i 
club  della    Gran    Bretagna,    e    da 
ciò  ebbero    luogo    molte  leggi    re- 
pressive di  molto  rigore,  decretate 
dal  parlamento,  e    persino  la     so- 
spensione deWhabeas  corpus.  Allo- 
ra   cominciò    1'  immenso    accresci- 
mento dell'influenza  dell'Inghilterra 
sul  continente  e  nelle  colonie.  Men- 
tre la  repubblica  francese  oltrepas- 
sava le  frontiere,  gl'inglesi  agirono 
segretamente  sopra  tutti  i   gabinetti 
dell'  Europa,   offrendo    ad    ognuno 
soccorso  d'ogni  specie,  e  nello  stes- 
so tempo  introdussero  da  per  tut- 
to mercanzie,  combinarono  trattati 
di  commercio,  e  abituarono  il  con- 
tinente all'uso  delle  loro  manifat- 
ture. Da    quel  tempo   appunto  gli 
inglesi  acquistarono    un  commercio 
universale;    quindi    l'Inghilterra  si 
occupò  non   meno  nell'abbattere  il 
principio  della  rivoluzione  francese, 
che  nell'impadronirsi  delle  sue  flot- 
te e  strapparle  ad  una  ad  una    le 
sue    colonie.    Nel    1797    l'Olanda, 


ii2  ING 

ad  esempio  della  Spagna,  prese  il 
partito  della  rivoluzione,  e  momen- 
taneamente    perdette    il    Capo    di 
Buona   Speranza  ed  una  parte  dei 
suoi  possessi   e  colonie  nelle  Indie, 
il  tutto  occupato  dagl'  inglesi,  men- 
tre il  direttorio  esecutivo  di   Pari- 
gi  inviò    Bonaparle    in   Italia.     Po- 
scia il  direttorio  mandò  in    Irlanda 
una  flotta,    che   fu    dispersa    dalla 
burrasca,  e   l'Irlanda   fu  preservata 
da   un'invasione    che  avrebbe  colà 
trovato    de'partigiani  fra  i  cattolici 
malcontenti.    Pitt    sostenitore  della 
guerra  venne    appoggiato  da  Gior- 
gio III  negli  intervalli   del   suo  ma- 
le,  ed    il     re    stesso    discusse    nel 
parlamento  la    proposta    dei   sussi- 
di che  dovevano  fornirsi  all'Austria 
per  la  difesa  dell'indipendenza  con- 
tinentale.  Nell'ottobre    1797   Bona- 
parte  dettò  la  pace  a  Campo  For- 
mio con    V  Austria;     e     Nelson,  il 
Napoleone     della     marina    inglese, 
comparve  sull'Oceano  per  compri- 
mere la  lega  marittima  dell'  Olan- 
da, della  Spagna    e  della  Francia; 
e  l'odio    tra    inglesi    e  francesi  di- 
ventò più  intenso.   Intanto  avendo 
i  francesi    occupato    tutto  lo  stato 
pontificio,  a'20   febbraio  1798  por- 
tarono   via    di     Pioma     prigioniero 
Pio   VI,  e    dopo    averlo   trascinato 
in   diversi   luoghi,   morì  in  Valenza 
di  Francia   a'28   agosto    1799.    Al- 
l'annunzio   della  sua    morte    tutto 
il   mondo  ne    rimase    commosso,  e 
pochi  furono  i   luoghi  che  non  gli 
celebrarono  funerali.  Questi  ebbero 
luogo  anche  in   Londra  nella  chie- 
sa    di     s.    Patrizio  :    essendo  scorsi 
duecento    settant'  anni    circa    dalla 
separazione    dell'  Inghilterra    dalla 
Chiesa    romana,  non    si  erano    ivi 
mai   più  celebrate  esequie  ai   Papi. 
A  sue  spese  le  fece  monsignor  Car- 
lo   Erskine    oriondo    scozzese    poi 


ING 

cardinale,  residente  diplomatico  in 
Londra  per  Pio  VI  presso  la  real 
corte,  ove  fu  ammesso  onorevol- 
mente in  abito  nero  ecclesiastico, 
cosa  a  quel  tempo  singolarissima. 
Vi  celebrò  la  messa  pontificale  il 
vicario  apostolico  di  Londra,  e  vi 
fecero  le  quattro  assoluzioni  tre 
vescovi  francesi  e  quello  di  Wa- 
terford ,  coli' assistenza  di  altri  un- 
dici vescovi  francesi  aventi  alla 
testa  l'arcivescovo  di  Narbona  sic- 
come rifugiati  in  Inghilterra  :  mol- 
ti altri  signori  ancora  v'intervenne- 
ro nelle  tribune  a  ciò  preparate, 
benché  di  comunione  diversa.  Altre 
particolarità  di  questi  funerali  in 
Londra  le  riportammo  all'  articolo 
Erskine. 

Avendo  Bonaparte  invaso  l'E- 
gitto, e  perciò  minacciate  le  pos- 
sessioni inglesi  neh'  India,  Nelson 
fu  incaricalo  d'andar  dietro  alla 
flotta  francese,  e  presso  Aboukir 
nel  primo  agosto  1798  riportò  la 
celebre  vittoria  navale  ;  ne  fu  ri- 
sultato 1*  ingrandimento  della  po- 
tenza inglese  nel  Mediterraneo,  ed 
il  conquisto  di  Porto-Mahon.  Pitt 
col  consenso  di  Giorgio  III  prepa- 
rò una  nuova  coalizione  sul  con- 
tinente. La  ribellione  dell'Irlanda 
die  luogo  alla  incorporazione  di 
questo  paese  con  quello  della  Gran 
Bretagna  nel  1800:  l'atto  più 
importante  di  Giorgio  III  fu  l'u- 
nione completa  dell'Irlanda  e  del- 
l'Inghilterra. Avendo  i  francesi  tol- 
to all'ordine  Gerosolimitano  (Fedi) 
Pisola  di  Malta,  dopo  lunghissimo 
blocco  se  ne  impadronirono  gl'in- 
glesi a'5  settembre  1800,  e  al  mo- 
do narralo  al  citalo  articolo.  Indi 
le  flotte  inglesi  ottennero  buoni 
successi  sulle  spagnuole.  Il  parla- 
mento che  a  tale  epoca  si  convo- 
cò per  l'unione  dell'Irlanda  e  del- 


ING 
l'Inghilterra,  procurò  per  la  prima 
volta  a  qiiell'  assemblea  il  nome 
di  parlamento  imperiale ,  perchè 
eranvi  tre  corone  sotto  una  sola  ;  in 
esso  Pitt  si  ritirò  temporaneamente 
dal  ministero,  e  per  differire  d'  o- 
pinione  col  re  sull'  emancipazione 
de'cattolici  siccome  fu  creduto.  Di- 
venuto Bona  parte  primo  console 
della  repubblica  francese,  conchiu- 
se una  tregua,  che  durò  poco,  ai 
27  marzo  1802;  restando  agl'in- 
glesi il  possesso  delle  isole  di  Ceylan 
e  della  Trinità.  Le  animosità  fra 
le  due  nazioni  e  i  due  governi 
continuarono  anche  durante  la  pa- 
ce: quasi  subito  incomiuciarono 
le  recriminazioni;  la  stampa  in- 
glese divenne  virulenta,  sparlando 
in  ogni  maniera  della  Francia  e 
del  suo  capo.  Bonaparte,  poco  a- 
bituato  alle  forme  della  libertà 
della  stampa,  si  dolse  e  sdegnò  per 
tutte  le  dicerie  de'giornali.  Avendo 
Pitt  dopo  Addington  ripreso  la 
direzione  degli  affari  con  altri,  allo- 
ra Giorgio  III  ebbe  un  ministro 
di  forza  e  d'unità,  e  trattossi  di 
grandi  preparativi  contro  la  Fran- 
cia, che  colle  flotte  sue,  olandesi 
e  spagnuole  minacciava  invadere 
l'Inghilterra.  Questa  potenza  rian- 
nodò la  coalizione,  del  continente 
contro  i  francesi,  alleandosi  colla 
Russia,  l'Austria  e  la  Svezia,  sta- 
bilendosi per  armata  cinquecento- 
mila uomini.  Sfortunatamente  la 
coalizione  fu  mal  diretta;  Napo- 
leone Bonaparte  proclamato  impe- 
ratore a'  18  maggio  1804,  si  por- 
tò rapidamente  in  Germania  nel 
seguente  anno  ,  ed  ai  2  dicembre 
nella  battaglia  d'  Austerlitz  vide 
disfatte  le  armate  austro  -  russe. 
A'  2 1  del  precedente  ottobre  nel- 
lo strepitoso  combattimento  navale 
di  Trafalgar  gì'  inglesi  trionfarono 
voi.  xxxv.  _     — — — 


ING  n  3 

dei  gallo-ispani,  ma  vi  peri  Nel- 
son l'eroe  dell'Inghilterra,  e  poco 
dopo  morì  Pitt,  l'uomo  grande  di 
stato.  In  questo  frangente  si  pen- 
sò seriamente  a  far  dichiarare  l'in- 
terdizione di  Giorgio  III,  perchè 
solo  godeva  qualche  lucido  inter- 
vallo della  sua  pazzia  melanconica; 
ma  il  carattere  del  principe  di 
Galles  collegato  coi  whigs ,  e  te- 
mendosi con  un  cambiamento  di 
sistema  la  perdita  dell'Inghilterra, 
fece  abbandonare  1'  interdizione,  e 
cercare  al  re  appoggio  ai  vrhigs 
che  volevano  la  pace.  Pitt  avea 
altamente  fissato  il  pensiero  della 
guerra  come  base  essenziale  della 
politica  dell'Inghilterra.  Giorgio  III 
essendosi  ristabilito  in  salute  do- 
maudò  al  ministero  whigs  chiara 
spiegazione  sopra  l'assunto  dei  cat- 
tolici irlandesi.  E  d'uopo  sapere 
che  la  famiglia  d'Annover  per  degli 
scrupoli  religiosi,  e  per  l'idea  stes- 
sa che  l'avea  innalzata  al  trono , 
era  sempre  stala  fortemente  con- 
traria all'emancipazione  de'  cattoli- 
ci d'Irlanda  ;  quella  casa  regnava 
per  la  volontà  della  chiesa  stabili- 
ta. Guglielmo  III,  come  dicemmo, 
era  giunto  alla  corona  per  darne 
l'esclusione  a  Giacomo  II  il  pro- 
tettore del  cattolicismo  ;  ed  ecco 
come  fàcilmente  si  spiega  la  ripu- 
gnanza dei  re  della  casa  d'  Anno- 
ver  per  l'emancipazione  de'  catto- 
lici d'Irlanda.  Il  re  colse  quest'oc- 
casione per  sbarazzarsi  di  un  mi- 
nistero whigs  contrario  alle  sue 
persuasioni. 

La  nuova  amministrazione  scel- 
ta dal  re  fu  in  perfetta  armonia 
colle  sue  opinioni  ;  i  tories  furono 
destinati  a  dirigere  il  gabinetto,  e 
richiamò  Castlereagh,  Hawkesbury, 
Canning,  Mulgrave  e  Eldon ,  non 
senza    gravi  «declamazioni    siccome 

BMMQti 


n4  ING 

amministrazione  anti-popolare.  La 
•vittoria  riportata  da  Napoleone  ad 
Eylau  agli  8  febbraio  sui  russi , 
fece  avvicinare  al  fortunato  guer- 
riero l'imperatore  Alessandro  1  nel- 
]'  intervista  di  Tilsit:  tale  seria  po- 
sizione lasciava  l' Inghilterra  quasi 
sola  nella  gran  lotta  aperta  sul  con- 
tinente, mentre  era  in  guerra  an- 
che coi  turchi.  Lord  Castlereagh 
ed  i  tories  si  pronunciarono  con  for- 
za per  la  guerra,  e  bisognò  pro- 
seguirla con  tutta  l' energia  d'  un 
gran  popolo.  Gl'inglesi  s'imposses- 
sarono della  flotta  danese  che  par- 
teggiava per  Napoleone,  trasporta- 
rono il  re  di  Portogallo  Giovanni 
VI  nel  1808  nelle  sue  colonie  d'A- 
merica ,  sconcertando  cosi  i  piani 
dell'  imperatore  de'  francesi ,  che 
procurando  avvicinarsi  a  Giorgio 
JII  fu  rigettato.  Il  gabinetto  bri- 
tannico ordinò  il  blocco  della  Fran- 
cia, e  Napoleone  quello  dell'Inghil- 
terra: il  desiderio  di  vendetta  giun- 
se al  più  alto  grado  di  esaltazio- 
ne, e  la  Gran  Bretagna  pose  sotto 
l'armi  quattrocentomila  uomini,  ol- 
tre ottantamila  marinari.  Il  blocco 
continentale  proclamato  da  Napo- 
leone a  pregiudizio  degl'  inglesi  , 
con  decreti  dati  in  Berlino  ed  in 
Milano,  venne  seguito  dall'insurre- 
zione della  Spagna,  i  cui  capi  si 
posero  in  relazione  col  gabinetto 
britannico.  Frattanto  Napoleone  nel 
1809  consumò  l'intera  occupazio- 
ne dello  stato  pontificio,  sotto  va- 
ri pretesti,  uno  de'  quali  fu  di  a- 
vere  negato  Pio  VII  di  chiudere 
ì  porti  di  esso  agli  inglesi  e  di 
espellerli  da'  suoi  dominii,  quindi 
a'  6  luglio  il  Papa  fu  strappato  da 
Boma  e  deportato  dai  francesi  in 
vari  luoghi.  Avendo  Giorgio  III 
riconosciuto  le  cortes  di  Spagna, 
dichiarò  che  gli  spagnuoli  trovereb- 


ING 

bero  in  lui  appoggio  e  protezione: 
la  campagna  di  Portogallo  e  di 
Spagna  fu  concertata  fra  lord  Ca- 
stlereagh e  sir  Arturo  Wellesley 
poscia  duca  di  Wellington.  Il  pa- 
triottismo della  aristocrazia  britan- 
nica ed  il  governo  sapeva  non  es- 
servi per  l' Inghilterra  tregua  e 
riposo  finche  Napoleone  restava  al- 
la testa  degli  affari  di  Francia  ;  per 
vincere  dunque  il  loro  possente  e 
colossale  nemico,  con  tutti  i  loro 
mezzi  prestarono  soccorso  ai  por- 
toghesi ed  agli  spagnuoli.  Il  Por- 
togallo venne  liberato  dai  france- 
si, e  sir  Arturo  riportò  brillanti 
successi  in  Ispagna  :  mentre  l'Au- 
stria per  le  battaglie  di  Wagram 
e  d'Essling  fu  costretta  segnar  la 
penosa  pace  di  Vienna.  Più  tardi 
le  flotte  inglesi  s'impadronirono  di 
Heligoland,  occuparono  la  Sicilia 
per  difenderla  dai  francesi,  con- 
giunsero il  Labrador  ai  loro  pos- 
sessi della  Nuova  Bretagna,  e  con- 
quistarono con  ogni  mezzo  gran 
parte  dell'  Indostan,  e  quasi  tutte 
le  colonie  delle  potenze  europee. 
Dopo  l'inimicizia  ed  il  duello. tra 
Canning  e  lord  Castlereagh  ,  es- 
sendosi ritirati  dal  ministero,  di 
questo   divenne  capo  Perceval. 

Dopo  la  morte  della  principessa 
Amalia  figlia  di  Giorgio  III,  avve- 
nuta a'?,  novembre  1810,  il  re  re- 
stò sconcertato  in  quella  poca  ra- 
gione eh 'eragli  rimasta,  per  cui  i 
ministri  credettero  non  dovere  più 
ritardare  1'  organizzazione  di  un 
governo  nel  quale  sarebbe  stato 
capo  il  principe  di  Galles,  essendo 
i  tories  persuasi  che  il  di  lui  spirito 
erasi  maturato,  e  eh'  egli  associa- 
vasi  completamente  nell'idea  d'una 
resistenza  forte  e  possente  contro 
la  rivoluzione  francese  e  l'impero 
di  Napoleone.  I  tories  quindi  non 


ING 

esitarono  più,  ed  il  bill  di  reggen- 
za fu  compilato  in  favore  di  Giorgio 
principe  di  Galles ,  avendo  questi 
formalmente  promesso  di  secon- 
dare i  tories  che  aveano  l' attitudi- 
ne per  dirigere  il  governo  del  pae- 
se, e  che  niente  sarebbe  cambiato 
nel  personale  del  gabinetto.  I  whigs 
ingannati  dall'amicizia  del  princi- 
pe proposero  d'investirlo  d'un  po- 
tere illimitato,  ma  invece  la  reg- 
genza fu  stabilita  con  molte  restri- 
zioni ;  il  gran  sigillo,  immagine  del- 
la volontà  nazionale,  fu  consegna- 
to ad  una  commissione,  in  una  pa- 
rola l'aristocrazia  de'tories  riserbossi 
come  prima  la  direzione  degli  af- 
fari politici.  Dopo  il  bill  di  reg- 
genza cessò  effettivamente  il  pote- 
re di  Giorgio  III,  ed  il  suo  re- 
gno propriamente  parlando  finì  nel 
18 1 1.  Il  re  ritirossi  a  Windsor  a 
condurvi  vita  tranquilla ,  ed  ivi 
morì  d'anni  ottantadue  a'  29  gen- 
naio 1820,  avendone  regnato  ses- 
santa. Dicesi  che  Giorgio  III  sia 
stato  il  più  zelante  protettore  del 
metodo  d'insegnamento  del  dottor 
Lancaster,  e  ch'egli  ripeteva  so- 
vente queste  parole  :  »  io  bramo  di 
vedere  giungere  il  tempo  che  il 
fanciullo  più  povero  dei  tre  regni 
sarà  capace  di  leggere  la  Bibbia". 
Fu  questo  re  che  tracciò  al  capi- 
tano Cook  la  strada  ch'egli  dove- 
va percorrere  per  trovare  un  nuo- 
vo mondo.  Comunque  egli  non  sia 
mai  stato  uomo  di  primo  ordine,  e 
non  abbia  preso  che  una  parte  inter- 
rotta agli  avvenimenti  del  suo  re- 
gno, questo  fu  magnifico  ne'  risul- 
tali, mentre  dotò  l'Inghilterra  del- 
la sua  unità  politica,  e  della  sua 
grandezza  territoriale.  Sì  lungo  re- 
gno può  epilogarsi  in  un  sol  pen- 
siero :  Giorgio  III  educato  fra  i  to- 
ries, ripose  in  essi  la  sua  fiducia, 


ING  n5 

li  secondò  con  tutte  le  sue  forze, 
e  siccome  i  tories  sono  la  vera  idea 
governatrice  dell'  Inghilterra ,  ne 
conseguì  un'epoca  di  energia  e  di 
costante  politica,  la  quale  assodò  i 
destini  della  nazione.  Nel  divenire 
il  principe  di  Galles  reggente  d'In- 
ghilterra, Napoleone  era  al  suo  a- 
pogeo  di  forza  e  di  gloria ,  e  ma- 
rito dell'arciduchessa  d'Austria  Ma- 
ria Luigia  ;  ma  il  suo  sistema  con- 
tinentale aveva  creato  da  per  tut- 
to delle  inimicizie,  le  quali  destra- 
mente erano  coltivate  dall'  Inghil- 
terra. Le  pubbliche  gravezze  a  cui 
aveano  dovuto  soggiacere  gl'inglesi 
per  le  tasse  della  guerra ,  furono 
compensate  dalle  vittorie  del  duca 
di  "Wellington  in  Ispagna,  forzan- 
do a  ritirarsi  i  marescialli  Soult  e 
Massena,  e  dai  felici  successi  delle 
flotte  britanniche  in  tutti  i  mari; 
indi  Liverpool  prese  la  direzione  de- 
gli affari,  ed  il  reggente  ruppe  t 
rapporti  coi  whigs  suoi  antichi  a- 
mici  eh'  eransi  pronunziati  contro 
di  lui. 

Napoleone  prima  di  partire  per 
1'  infelice  spedizione  della  Russia  , 
fece  aperture  di  pace  al  reggente, 
ma  si  rispose  non  potersi  stabilire 
se  prima  non  si  fissava  un  sistema 
europeo,  cioè  l'indipendenza  dell'O- 
landa, ed  il  ristabilimento  di  Fer- 
dinando VII  sul  trono  di  Spagna. 
Il  reggente  in  segreto  avea  preso 
degl'impegni  con  Luigi  XVII I  pel- 
rimetterlo  sul  trono  di  Francia;  gli 
avvenimenti  sembravano  favorire  la 
previdenza  del  principe,  la  cui  ca- 
pacità e  fermezza  sempre  più  si 
accresceva.  Napoleone  nella  campa- 
gna di  Russia  correva  all'ultima 
sua  rovina,  ed  il  gabinetto  britan- 
nico reputò  salva  la  causa  euro- 
pea. Adottò  varie  misure  diploma- 
tiche, la  prima  fu  quella  de'  sussi- 


116  INO 

flii  trattati  con  la  Russia,  e  con  la 
Prussia  che  separassi  dalla  Fran- 
cia, quindi  Bernardotte  re  di  Sve- 
zia fu  alleato  :  i  sussidii  di  guerra 
ammontarono  nel  1 8 1 3  a  trenta 
milioni  di  lire  sterline.  L'Austria 
si  uni  alla  coalizione,  e  con  questa 
Murat  re  di  Napoli;  un'  insurrezio- 
ne si  fece  scoppiare  in  Olanda  ; 
tutto  disponevasi  per  lo  slogamen- 
to del  vasto  impero  Napoleonico , 
e  la  Gran  Bretagna  divenne  il  cen- 
tro ove  si  diressero  tutti  gli  affa- 
ri. La  disastrosa  e  memorabile  dis- 
fatta di  Napoleone  in  Russia  fu 
compita,  la  sua  confederazione  Pie- 
nana  si  disciolse,  lord  Wellington 
sconfisse  l'armata  del  re  Giuseppe 
Bonaparte  presso  Vittoria  a'  1 i 
giugno,  e  la  sorte  dell'  Europa  fu 
decisa  nei  campi  di  Lipsia  a'  18 
ottobre  1 8 1 3.  Il  grand'esercito  de- 
gli alleati  passò  il  Reno  a'  ?.  i  di- 
cembre, e  si  avvicinò  a  Parigi  ro- 
vesciando ogni  ostacolo,  mentre 
lord  Wellington  passata  la  Bidassoa 
si  portò  nel  cuore  dell'impero  fran- 
cese. Alessandro  I  persuase  gli  al- 
leati a  marciare  sopra  Parigi  che 
aprì  loro  le  porte  a'3  i  marzo  i8i4- 
A'  6  aprile  fu  proclamato  re  di 
Francia  Luigi  XVIII,  ed  agli  i  i 
del  medesimo  aprile  Napoleone  ri- 
nunziò all'impero,  venendogli  con- 
cesso per  luogo  di  soggiorno  l'i- 
sola dell'Elba  in  sovranità.  Ma  tut- 
to quello  che  precedette,  accompa- 
gnò e  segui  tanti  avvenimenti,  già 
lo  descrivemmo  altrove,  e  partico- 
larmente agli  articoli  Francia  e 
Germania.  Lord  Castlereagh  si  por- 
tò a  Parigi  e  negoziò  di  concerto 
colle  altre  potenze,  alla  presenza  di 
molti  de'  sovrani  alleati,  il  trattato 
del  20  maggio,  il  quale  si  può  con- 
siderare come  1'  atto  costituzionale 
delle  grandi  relazioni  europee,  che 


ING 

vennero  dappoi  interamente  rego- 
late nel  congresso  di  Vienna,  del 
quale  pure  trattammo  al  citato  ar- 
ticolo Germania.  Le  leggi  costitu- 
zionali in  Inghilterra  interdicono 
ai  re  ed  ai  reggenti  di  sortire  dal 
regno  senza  un  permesso  del  parla- 
mento imperiale,  e  pertanto  il  prin- 
cipe di  Galles  non  andò  a  Parigi  per 
vedere  la  maggior  parte  de'sovrani 
d'Europa,  ma  i  sovrani  stessi  vi- 
sitarono Londra  nel  medesimo  an- 
no. Il  re  della  Gran  Bretagna  rien- 
trò ne'  suoi  possessi  d'  Alemagna  , 
aumentati  ed  eretti  in  regno  di 
Annover,  di  cui  il  primo  a  por- 
tarne il  nome  fu  Giorgio  III. 
L'Annover  era  stato  dai  francesi 
occupato  nel  i8o3,  quindi  da  essi 
ceduto  ai  prussiani  nel  180?.  La 
Prussia  ben  presto  essendosi  alleata 
ai  nemici  della  Francia,  l'elettora- 
to passò  di  nuovo  in  potere  dei 
francesi,  e  nel  1807  una  parte  di 
esso  entrò  nel  nuovo  regno  di 
Westfalia,  restando  l'altra  in  pote- 
re della  Francia,  che  ne  formò  nel 
1810  i  dipartimenti  dell'Ems  orien- 
tale, dell'Ems  superiore,  delle  Boc- 
che del  Weser  e  delle  Bocche  del- 
l'Elba nell'  impero  francese.  Que- 
sto stato  di  cose  durò  sino  al  18  r  3: 
i  francesi  essendo  allora  forzati  di 
abbandonar  l'Aleraagna,  l'elettorato 
fu  restituito  integralmente  ai  suoi 
antichi  padroni,  e  siccome  per  gli 
anteriori  politici  avvenimenti  la  di- 
gnità elettorale  era  stata  abolita , 
così  fu  eretto  in  regno  nel  18 14 
a'  12  ottobre.  V.  Impero  ed  Elet- 
tori  DEL    SACRO   ROMANO    IMPERO.    Fu 

fatto  governatore  del  regno  d'An- 
nover  Adolfo  Federico  duca  di  Cam- 
bridge, figlio  di   Giorgio  III. 

Tra  i  sovrani  che  ritornarono 
alle  loro  sedi  vi  fu  il  Pontefice  Pio 
VII,  divenuto  segno   dell'universale 


JNG 

ammirazione,  pei  patimenti  e  co- 
stanza d'animo  di  cinque  anni  di 
deportazione.  Il  medesimo  giorno 
che  gli  alleati  entrarono  in  Pari- 
gi, il  Papa  fece  il  suo  solenne  in- 
gresso in  Bologna,  e  durante  il  suo 
soggiorno  in  tale  città  ebbe  varie 
conferenze  con  lord  Bentinck  co- 
mandante in  capo  le  forze  britan- 
niche in  Italia  e  nel  Mediterra- 
neo ;  dicesi  che  il  generale  inglese 
nell'ultima  conferenza  offrisse  al  san- 
to Padre  in  nome  del  principe 
reggente  cinquantamila  zecchini  per 
le  spese  del  viaggio,  se  deve  cre- 
dersi al  Pistoiesi  tom.  Ili,  p.  i8r, 
ma  non  pare  che  sia  vero.  Pio 
A  II  entrò  trionfante  in  Roma  a'24 
maggio.  Prima  di  entrarvi  si  trat- 
tenne e  prese  ristoro  nel  casino 
Glieli  alla  Giustiniana,  tenimento 
dell'agro  romano,  cosi  detto  dalla 
famiglia  Giustiniani  sua  antica  pro- 
prietaria, lunge  sette  miglia  dalla 
capitale,  e  chiamato  ancora  Bor- 
ghelto  e  Casteduccia.  Ivi  erano  pre- 
parate tic  tavole  per  il  necessario 
rinfresco,  una  pel  Pontefice,  l'altra 
pei  cardinali,  la  terza  pel  suo  se- 
guito. In  questo  luogo  incominciò 
l'io  Mia  fare  pubhlicamente  co- 
noscere quanto  era  grato  agli  sforzi 
dell  Inghilterra  in  favore  della  Se- 
de apostolica,  giacché  dopo  il  rice- 
vimento'del  re  Carlo  IV  e  sua 
reale  famiglia,  in  uu  alla  regina 
di  Etruria,  e  della  duchessa  di 
Chablais,  si  degnò  ricevere  con  di- 
stinzione Roberto  Fagan  console 
generale  del  re  della  Gran  Breta- 
gna per  la  Sicilia,  Malta  ed  isole 
adiacenti,  e  volle  che  assistesse  alla 
sua  mensa  unitamente  all'altro  in- 
glese cav.  Dodwel  presentato  dal 
console,  e  siccome  quest'ultimo  era 
in  istato  di  convalescenza,  Pio  VII 
io  lece  sedere  e  dopo  il  pranzo  Io 


ING  117 

trattenne  in  compagnia  del  suo  cl- 
inico per  lo  spazio  di  mezz'ora. 
Quindi  ambedue  furono  introdotti 
alla  tavola  de'  cardinali  :  il  popolo 
romano  dimostrò  pubblicamente  la 
sua  gratitudine  ai  sovrani  alleati 
ed  ai  loro  ministri,  e  tra  le  accla- 
mazioni ve  ne  furono  pel  re  Gior- 
gio III  e  per  la  nazione  inglese. 
A  Rimini  Pio  VII  era  stato  incon- 
trato dal  celebre  cardinal  Consalvi 
già  suo  segretario  di  stato,  e  giun- 
ti ambedue  a  Foligno,  il  Papa  su- 
bito lo  dichiarò  ambasciatore  straor- 
dinario a  Luigi  XVI II  per  recla- 
mare contro  il  trattato  di  Tolenti- 
no, conchiuso  tra  il  suo  predeces- 
sore Pio  VI  e  la  repubblica  fran- 
cese, ed  ancora  con  la  missione  di 
risiedere  presso  i  sovrani  dimoranti 
in  Parigi.  Siccome  poi  l'imperato- 
re di  Russia  ed  il  re  di  Prussia 
doveano  partire  per  Londra,  in  un 
al  principe  di  Mettermeli  rappre- 
sentante dell'Austria,  per  combina- 
re gli  affari  da  trattarsi  nel  con- 
gresso generale  di  Vienna,  per  que- 
sto istesso  motivo,  e  per  rivendi- 
care i  diritti  della  santa  Sede,  vi 
si  portò  eziandio  il  cardinale  , 
anche  per  ringraziare  il  principe 
reggente,  e  ringraziare  il  ministero 
inglese  della  parte  che  avevano  pre- 
sa agi'"  infoi  tunii  del  Pontefice.  11 
principe  reggente  accolse  la  corte- 
sia dei  sovrani  che  lo  visitarono, 
con  tutta  la  magnificenza  propria 
del  governo  britannico;  allora  egli 
era  più  che  mai  dominato  dai  suoi 
gusti  di  fabbricare,  avendo  restau- 
rato il  palazzo  di  Saint-James^  e 
superbamente  abbellito  il  castello 
di  "Windsor.  La  visita  dei  sovrani 
a  Londra  fu  segnalata  dalla  rinno- 
vazione delle  antiche  cerimonie  in- 
glesi, fino  al  punto  che  Alessandro 
1  imperatore  di  Russia,  e  Federi- 


n8  ING 

co  Guglielmo  III  re  di  Prussia,  i 
quali  avevano  poco  fa  rovesciato  il 
gigantesco  potere  di  Napoleone,  fu- 
rono acclamati  dottori  nelle  uni- 
versità di  Cambridge  ed  Oxford 
con  tutte  le  formole  alquanto  cu- 
riose de'  tempi  antichi. 

Quanto  al  cardinal  Consalvi  in 
Inghilterra,  fu  questa  la  prima  vol- 
ta dopo  due  secoli  che  gì'  inglesi 
di  buon  grado  vedessero  rivestito 
delle  proprie  insegne  un  cardinale 
comparire  in  Londra,  dove  la  ple- 
be costumava  bruciare  l'effigie  del 
Papa.  Questo  cangiamento  allora 
fece  tanto  maggior  meraviglia,  quan- 
to che  sapevasi  che  lord  Grenville 
pochi  anni  innanzi  avea  fatto  il  ri- 
troso per  ricevere  come  ministro 
del  re  una  lettera  del  Pontefice 
romano,  e  monsignor  Caleppi  pas- 
sando per  Londra  era  stato  obbli- 
gato a  deporre  l'abito  di  prelato. 
.All'opposto  allora  si  vide  il  cardi- 
nal Consalvi  nella  qualità  di  am- 
basciatore o  legalo  pontificio  am- 
messo da  lord  Castlereagh  a  pre- 
sentare le  sue  credenziali,  indi  in- 
trodotto alla  presenza  del  principe 
reggente  ed  accolto  con  distinto  fa- 
vore, prevenuto  dalla  illustre  fama 
che  di  lui  risuonava  come  uno  dei 
primari  diplomatici  del  nostro  tem- 
po, confermata  dal  suo  maraviglio- 
so  tratto,  pronto  e  vasto  ingegno. 
Cadde  in  siffatta  guisa,  per  riguar- 
do a  Pio  VII  ed  al  suo  degno  mi- 
nistro, quel  muro  di  separazione 
che  per  due  secoli  e  più  durava 
Ira  Roma  e  Londra  ,  e  cominciò 
da  indi  in  poi  quel!'  amichevole 
corrispondenza  che  poscia  riuscì  di 
tanto  vantaggio  ai  cattolici  sudditi 
della  Gran  Bretagna  :  al  presente 
gl'inglesi  di  qualunque  setta  o  par- 
tito, e  d'ogni  sesso,  che  in  folla  e 
di  frequente  si  conducono    in  Ro- 


ING 

ma,  bramano  quasi  tutti  fare  o- 
maggio  al  Papa  che  regna,  e  sono 
accolti  benignamente  e  con  distin- 
zione. Le  fila  dei  negoziati  che  sep- 
pe ordire  il  cardinal  Consalvi  a 
Londra  ,  sortirono  poco  dopo  un 
esito  felice  al  congresso  di  Vienna, 
per  dove  senza  frapporre  indugio 
rivolse  i  suoi  passi.  I  biografi  del 
gran  cardinale  narrano,  che  il  prin- 
cipe reggente  tanto  prese  a  stimar- 
lo, che  sovente  gli  scrisse  collo  sti- 
le della  familiarità  e  della  più  sin- 
cera amicizia.  Aggiungono  ,  che 
quando  il  valentissimo  pittore  La- 
wrence venne  mandato  a  Roma 
per  farvi  il  ritratto  di  Pio  VII, 
ebbe  pure  speciale  ordine  di  ese- 
guire anche  quello  del  cardinale, 
siccome  effettuò.  Tali  e  tante  fu- 
rono le  cordiali  attenzioni  fatte  co- 
stantemente dal  cardinale  agl'in- 
glesi che  si  recarono  in  Roma,  che 
tutti  restarono  invaghiti  e  grati  del 
complesso  delle  qualità  che  in  lui 
ammiravano.  Inoltre  il  cardinal  Con- 
salvi ebbe  relazione  colla  contessa 
d'Albany  cognata  del  cardinal  di 
York,  siccome  protetto  ed  amato 
da  questi,  e  massime  colla  bene- 
merita delle  arti,  la  duchessa  di  De- 
vonshire,  che  Roma  ed  Italia  per 
molti  anni  onorò.  Contrario  il  car- 
dinale ad  accettare  protettone,  di 
buon  grado  si  fece  protettore  del 
collegio  inglese  di  Roma. 

Le  festività  grandiose  e  le  pom- 
pe nazionali  che  occuparono  l'In- 
ghilterra per  gli  ospiti  sovrani  du- 
rante il  mese  di  giugno  1 8 1 4>  fu- 
rono seguite  dalle  dissidenze  dome- 
stiche del  reggente  e  di  Carolina 
sua  consorte  :  questa  gli  scrisse  una 
lettera  commovente,  ed  il  principe 
dichiarò  di  non  voler  con  essa  rap- 
porti se  non  pel  mezzo  officiale 
d'un  segretario  di  stato.  Alimenta- 


ING 

va  e  manteneva  la  contrarietà  di 
Giorgio  per  sua  moglie,  l'essere 
questa  interamente  confidata  ai  ra- 
dicali, ed  avere  per  consiglieri  Brou- 
gham  e  Whitbread,  laonde  era  il 
simbolo  dell'opposizione.  Dopo  il 
trattato  del  1814  e  la  fondazione  del 
regno  de'Paesi  Bassi  coll'unione  del- 
l' Olanda  al  Belgio ,  il  gabinetto 
inglese  che  n'era  stato  l'autore  a- 
veva  pensato  che  per  costituire  una 
gran  forza  ed  un'  intima  unioue 
del  nuovo  regno  coli'  Inghilterra  , 
niente  era  più  essenziale  quanto 
un'unione  di  famiglia,  e  si  deter- 
minò il  matrimonio  della  princi- 
pessa Carlotta  figlia  del  reggente  e 
di  Carolina,  col  principe  Gugliel- 
mo d'Orange  erede  della  nuova 
corona ,  posto  sotto  la  tutela  di 
lord  Wellington.  Per  effetto  de'ma- 
neggi  della  madre,  Carlotta  audò 
a  ricovrirsi  presso  di  Carolina, 
e  dichiarò  altamente  di  non  voler- 
vi acconsentire,  e  che  non  avrebbe 
accettato  altro  sposo  tranne  il  prin- 
cipe Leopoldo  di  Sassonia-Cobur- 
go,  che  dal  1 8 1 4  era  alla  corte 
d' Inghilterra  .  Alessandro  I  coo- 
però a  mezzo  di  sua  sorella  la  prin- 
cipessa d' Oldemburgo  a  sventare 
il  matrimonio  col  principe  d'Oran- 
ge, e  l'antipatia  di  Carlotta  per 
questo  operò  il  resto.  Tutto  pro- 
dusse dello  scandalo  e  schiamazzo, 
ed  i  radicali  coi  whigs  moderati 
dichiararonsi  contro  il  padre.  In- 
tanto 1'  Inghilterra  si  assicurò  i 
conquisti  del  Capo  di  Buona 
Speranza ,-  le  isole  di  Francia  e 
dì  Ceylan  ,  quelle  d'  Heligoland 
colle  loro  dipendenze  e  nomina- 
tamente Bodriguez  e  le  Sechel- 
le,  di  Tabago,  di  s.  Lucia  e  di 
una  parte  della  Guiana  olande- 
se; inoltre  all'Inghilterra  venne  ri- 
conosciuto il  possesso  di  Malta  e  il 


ING  119 

protettorato  della  repubblica  delle 
isole  Jonie,  e  fece  delle  città  an- 
seatiche come  altrettanti  magazzi- 
ni de' depositi  di  mercanzie  e  ma- 
nifatture che  inondarono  la  Ger- 
mania. Al  congresso  di  Vienna  la 
Gran  Bretagna  fu  rappresentata  da 
lord  Castlereagh  ;  la  diplomazia 
inglese  allora  cangiò  carattere,  e 
per  bilanciare  l' ingrandimento  del- 
la potenza  russa,  conchiuse  il  fa- 
moso e  segreto  trattato  della  tri- 
plice alleanza  coli'  Austria  e  colla 
Francia,  per  opera  del  principe  di 
Mettermeli,  lord  Castlereagh  e  Tal- 
leyrand  ;  trattato  che  offese  pro- 
fondamente Alessandro  I.  Framez- 
zo  a  tali  differenze  Napoleone  fug- 
gito dall'  isola  dell'Elba  sbarcò  il 
primo  marzo  1 8 1 5  a  Cannes  ;  do- 
po qualche  esitanza,  prodotta  dalla 
singolarità  dell'avvenimento,  l'Eu- 
ropa intera  si  mosse  contro  di  lui, 
ed  il  principe  reggente  seguì  l'im- 
pulsione degli  altri ,  malgrado  la 
più  viva  opposizione  dei  whigs  ;  e 
siccome  erasi  a'  24  settembre  18 14 
a  Gand  conchiusa  la  pace  cogli  Stati 
Uniti  di  America,  l' Inghilterra  fu 
in  grado  di  poter  disporre  di  tutte 
le  sue  forze. 

Il  duca  di  Wellington  prese  il 
comando  dell'  armata  alleata  nel 
Belgio,  ed  il  reggente  di  proprio 
pugno  gli  affidò  i  destini  della 
coalizione  e  della  guerra  nazionale. 
Ai  18  giugno  il  duca  riportò  com- 
pleta vittoria  su  Napoleone,  che 
cadde  per  sempre  dopo  un  nuovo 
regno  di  cento  giorni  :  il  duca  col- 
1'  armata  anglo-prussiana  marciò 
sopra  Parigi,  ove  nuova  situazione 
si  aprì  per  1'  Inghilterra  che  si- 
gnoreggiò coi  prussiani  le  negozia- 
zioni, non  essendo  ancora  i  russi 
entrati  nella  linea  militare.  Napo- 
leone spontaneamente    si    diede   in 


I2o  ING 

mano  agi'  inglesi,  che  lo  rilegarono 
Dell'  isola  di    s.  Elena    sull'  oceano 
Atlantico  equinoziale,    fra    1'  Africa 
e  l'  America  meridionale.  Quest'  i- 
sola    fu    scoperta    nel   i5oa     da  d. 
Giovanni    di   Noya    portoghese  che 
ne  prese  possesso  in  nome   del  suo 
sovrano,     chiamandola     s.      Elena, 
perchè  la  vide  il  giorno  della  festa 
di     questa    santa.     I    portoghesi  in 
una     bella     valle     vi     fabbricarono 
una    cappella,    che    distrutta     dagli 
olandesi     riedificarono     nel     1610. 
Qualche    tempo    dopo  gli    olandesi 
s'  impadronirono  dell'  isola  sino  al- 
lora disabitata,  vi  fecero  delle  pian- 
tagioni ed  aumentarono  gli  anima- 
li   portativi     dai    portoghesi.     Nel 
i65o    1'  occuparono     gì'  inglesi,     e 
tolta  loro  dagli  olandesi  nel    1673, 
subito     la     ricuperarono     e    quindi 
bene  fortificarono.    Carlo  II    allora 
\a  cedette  alla  compagnia    delle  In- 
die orientali,  che    la  rimise    al  go- 
verno   nel     1 8 1 5 ,     oude    ricevervi 
Napoleone    Bonaparte,    il     quale  vi 
giunse  verso  la  fine  del  novembre. 
A.  tal  epoca  un  nuovo  governatore 
vi  fu  nominato    per  conto  del  go- 
verno   inglese,    ed     alcune    potenze 
continentali    v'  inviarono  dei    com- 
missarii.    Non  vi  fu  allora  un  pun- 
to   solo    dell'  isola    che    non    fosse 
posto    al  sicuro  d'  ogni  sorpresa,  e 
precauzioni     di     ogni    sorta  furono 
impiegate    severamente,  onde     ren- 
dere un'  evasione  impossibile.   Qui- 
vi   moiì     Napoleone    il  5     maggio 
1821,  inelà  di  cinquantadue  anni. 
In  vicinanza  ed  all'  ovest  della  pia- 
nura di  Longwood    e   al    nordest 
del  pico  di  Diana    verso  il    centro 
dell'  isola,  sta  il  sepolcro    che  sino 
al    1840  racchiuse  le  ceneri  di  que- 
st' uomo  straordinario,    al  quale  si 
giunge  per  un  viale  di  giranei.  Un 
circuito  di  legno  di  forma    elittica, 


ING 

è  il  primo  circondario  del  sepolcro 
che  non  era  permesso  di  aprire 
che  con  1'  autorizzazione  del  gover- 
natore dell'  isola  ;  nel  mezzo  di  una 
estensione  di  un  mezzo  jugero  circa, 
coperta  di  zolle  erbose,  al  di  sopra 
delle  quali  s'  innalzano  cinque  sali" 
ci  piangenti,  i  cui  rami  ricadono 
sulla  tomba,  e  due  peschi  della 
Cina,  vi  ha  un'  inferrata  di  forma 
'quadrata.  La  pietra  funehre  com- 
posta di  tre  pezzi  di  marmo  non 
presenta  alcuna  iscrizione  ;  la  cava 
sepolcrale  è  egualmente  formata 
di  marmo  ;  il  feretro  di  Napoleone 
posto  su  quattro  cavaletti  che  s'  in- 
nalzano sopra  terra  era  composto  di 
quattro  bare  :  la  prima  cioè  l'in- 
terna d'acajù,  la  seconda  di  latta, 
la  terza  di  piombo,  e  la  quarta 
pure  di  acajù  :  su  quest'  ultima  si 
scolpì  il  titolo  di  generale  dei  fran- 
cesi. Si  depose  in  questa  bara  il 
suo  abito  militare,  il  suo  cappello 
divenuto  per  la  sua  forma,  per 
così  dire,  un  monumento  storico, 
e  la  spada  che  portava  alla  batta- 
glia d'  Austerlitz.  Presso  al  monu- 
mento evvi  una  piccola  fontana 
quadrata,  le  cui  estremità  erano 
spesso  visitate  dall'  illustre  perso- 
naggio. Dopo  la  morte  di  Napo- 
leone, per  guardia  straordinaria  si 
lasciarono  solo  quindici  uomini  al 
sepolcro,  e  l'isola  fu  restituita  alla 
compagnia.  Avendo  la  Francia  do* 
mandato  ed  ottenuto  dall'  Inghil- 
terra le  spoglie  mortali  di  Napo- 
leone, mandò  a  s.  Elena  una  spe- 
dizione sotto  il  comando  del  reale 
principe  di  Joinville,  che  le  ricevet- 
te in  consegna  a'  i5  settembre 
1840;  e  portate  a  Parigi  furono 
depositate  nella  chiesa  degl'  invali- 
di, dove  a'  i5  dicembre  gli  furono 
celebrati   magnifici  funerali. 

Essendo    1'  Inghilterra    in    piena 


0È 


ING 

pace,    nacque    quindi     la    divisione, 
le  dispute  interne    presero  luogo  in 
vece      delle     grandiose     discussioni 
della  guerra,  onde    i   partiti    si  at- 
taccarono   con    maggior    furore.   Il 
parlamento   dovendo  spesso    accor- 
rere    in   aiuto  delle  prodigalità  del 
reggente,  violentissimi    dibattimenti 
si  accesero  in    tali  occasioni.     Can- 
ning  si  procurò  una    posizione  mo- 
derata   in    mezzo    agli  stessi   tories, 
non  offese    mai  i    whigs,  e    la  sua 
antica     amicizia     colla      principessa 
Carolina  contribuì  a  mantenerlo  in 
sufficiente     situazione    coi     radicali. 
L'  Inghilterra  nel  i8i5  aveva   mol- 
te   profonde     piaghe    a  guarire  ;  la 
prima    di    tutte    era     la  situazione 
dell'  Irlanda.  Anche  nei    tempi   del- 
la guerra  la    più    ardente,  l'eman- 
cipazione    dei     cattolici     era     stato 
1'  oggetto    delle    più    romorose    di- 
scussioni nel  parlamento  :  si   aveva- 
no   cercati  i  mezzi  di   restituire  un 
poco  di  libertà  a  quelle  popolazio- 
ni    sofferenti  ;    degli     uomini    stessi 
molto  dediti  alla  causa    europea  si 
erano    dichiarati     per    gì'  irlandesi, 
cosi  lord   \\  ellesley    era    stato  uno 
dei  difensori  generosi    dei  cattolici  ; 
egli  aveva  abbandonato  il    ministe- 
ro pel  suo  dissenso  in  quest'  argo- 
mento dall'  opinione     personale  del 
principe    reggente.     Questo     era  di 
fatto    uno    dei    punti  sul     quale  il 
principe    non    voleva  cedere,    come 
erede    in    ciò    delle  massime     della 
casa  di  Brunswick  :    la    rivoluzione 
del    1688  essendo    fondata  sopra  il 
principio      protestante,     qualunque 
concessione    ai     cattolici     sembrava 
una  mancanza  di  fede  al  giuramen- 
to dei  re  d'  Inghilterra.   La    secon- 
da    difficoltà    aveva     relazione  agli 
operai    ed    alle     manifatture  ;     da 
questo     ebbero     luogo     le     pratiche 
latte  dull'  Inghilterra    per    defluire 


iuta  121 

1*  emancipazione    delle  colonie  spa- 
guuole,  a  mezzo  degli  agenti  ingle- 
si sparsi   per  1'  America  meridiona- 
le, onde  trovarsi   de'  compratori  pei 
prodotti      delle     manifatture  .     Dal 
1816  al    1819  la  storia  dell'  Inghil- 
terra è  limitata  nell'  interno  a  que- 
sta   lotta,     i     cattolici    d'  Irlanda  e 
gli    operai.    Un    tristissimo   avveni- 
mento sopravvenne  ad  affliggere  pro- 
fondamente la    famiglia     reale.    La 
principessa    Carlotta    eh'  era    quasi 
la  speranza  del  partito  whigs  mori 
improvvisamente      a'  5     novembre 
1817,  dopo  aver  sposato  il  principe 
Leopoldo    di    Sassonia  -  CoburgOj  e 
fu  cagione    di    gran  lutto.    Intanto 
1'  Inghilterra  fu  agitata  dal    carbo- 
narismo e  dalle    società  secrete  che 
minacciavano    tutte      le     monarchie 
europee,  le  quali    si    trovarono  co- 
strette a   prendere  delle  misure  con- 
tro questo  nuovo  pericolo;     mentre 
la  costituzione  dell'  Inghilterra  per- 
metteva le    libere    associazioni,  pri- 
vilegio inerente  a  qualunque  citta- 
dino inglese.  Lo  stato    dell'  Inghil- 
terra al   principio   del    18 19  diven- 
ne spaventoso,    massime     perchè  la 
classe  degli  operai  moriva  di   fame; 
la  pace  produceva    quel    male    che 
non  avea  potuto  cagionare  la  guer- 
ra.  Allora   fu  che    lord  Castlereagh 
assunse    il     sistema    repressivo    con 
diversi  bill,  e  poco  dopo  morì  nel 
1820  Giorgio  III,  e  la  corona  rea- 
le   passò    definitivamente    sul    capo 
del  reggente  Giorgio  IV,  che  inol- 
tre   divenne    il  secondo    re    d'  An- 
nover. 

Il  principio  di  questo  regno  fu 
segnalato  dalla  cospirazione  di  Ar- 
turo Thistlewood  onde  proclamare 
la  repubblica  d'  Inghilterra,  e  1'  Ir- 
landa si  rivoltò:  i  provvedimenti 
di  repressione  si  eseguirono  ener- 
gicamente.   Un    imbarazzo    da'  più 


122  ING 

serii  venne  indi  suscitato  a  Giorgio 
IV:  sua  moglie,  dopo  aver  percorso 
la  Grecia,  la  Palestina,  e  dimorato 
successivamente  a  Venezia,  Milano 
e  Roma,  all'  innalzamento  al  trono 
del  marito  ritornò  in  Inghilterra  per 
assumere  scettro  e  corona,  ed  es- 
servi acclamata  regina  in  Westmin- 
ster.  Il  re  profondamente  commos- 
so dichiarò  di  voler  intentare  un 
nuovo  processo  di  divorzio  con- 
tro di  lei  nelle  forme  più  solen- 
ni ,  accusandola  apertamente  di 
avere  avuto  che  fare  con  1'  ita- 
liano Bartolomeo  Bergami  suo  ciam- 
bellano ed  aliti  ancora.  Mentre  la 
regina  era  1'  idolo  del  popolo,  e 
1'  alderman  Wood  le  offrì  la  sua 
casa  in  Londra  come  palazzo  della 
maestà  reale,  non  dandosi  ascolto 
ad  accomodamenti  vantaggiosi,  il 
processo  incominciò,  e  vennero  fat- 
te delle  rivelazioni  scandalose.  La 
regina  persistè  nella  sua  ostinazione, 
nel  giorno  della  coronazione  di 
Giorgio  IV  preseti  tossi  alle  porte 
dell'  abbazia  di  Weslminsler  per 
ricevere  la  santa  unzione,  ma  le 
porte  furonle  chiuse  in  faccia,  e 
centomila  persone  delle  classi  più. 
popolari,  che  gridavano  viva  la  re- 
gina, indi  vennero  disperse  dalla  for- 
za armata;  la  regina  cadde  ammalata 
di  afflizione,  e  dopo  pochi  giorni  mo- 
rì a'7  agosto  182 1,  in  età  di  cin- 
quantaquattro anni.   Secondo  il  suo 

testamento    lasciò    02111    sostanza  al 

o 

giovane  William  Austin  suo  figlio, 
ed  il  suo  corpo  a  Brunswick,  ove 
con  grandi  onori  venne  deposto 
nelle  tombe  di  famiglia,  tra  V  avel- 
lo del  padre  e  del  fratello.  Frat- 
tanto 1'  indipendenza  dell'  America 
spaguuola  si  sviluppò,  le  potenze 
ponti  Dentali  reputarono  necessario 
di  prendere  straordinarie  misure 
per  arrestare  le  opinioni    demoera- 


ING 

tiche;  Castlereagh  non  godette  più. 
della  popolarità,  quando  la  maggio- 
ranza incerta  del  parlamento  di- 
chiarossi  da  quel  momento  per 
1'  emancipazione  de'  cattolici  d'  Ir- 
landa; una  proposta  di  Canning 
sui  cattolici  passò  alla  camera  dei 
comuni  e  non  fu  rigettata  che  da 
quella  dei  lordi  ;  un  tal  risultamen- 
to  condusse  ad  un  cambiamento  di 
ministero,  ed  al  suicidio  di  Ca- 
stlereagh che  inclinava  a  conceder- 
la più  tardi.  Roberto  Stewart  vi- 
sconte di  Castlereagh  marchese  di 
Londonderry,  colpito  da  demenza 
si  uccise  con  un  temperino  a'  22 
agosto  1822.  Canning  quindi  diven- 
ne capo  del  governo,  personaggio 
non  amato  da  Giorgio  IV,  per  cui 
non  fu,  se  non  dietro  di  lunghe 
negoziazioni  e  per  la  forza  della 
necessità,  che  il  re  accettò  Canning 
come  capo  del  gabinetto.  Tutto 
ciò  accadde  durante  il  congresso  di 
Verona,  e  le  transazioni  diploma- 
tiche che  prepararono  la  guerra  di 
Spagna.  Siccome  con  Canning  la 
rivoluzione  andava  a  trovare  un  au- 
siliario nell'  Inghilterra  ovunque 
essa  avesse  potuto  presentarsi  vit- 
toriosa, Giorgio  IV  volle  rimanere 
straniero  agli  atti  politici  di  quel 
ministro  ;  la  sua  .  fiducia  reale  fu 
specialmente  riposta  nella  camera 
dei  lordi,  la  quale  diventò  intie- 
ramente uri   potere  di    resistenza. 

Le  petizioni  giunsero  poscia  da 
ogni  lato,  e  siccome  i  comuni  ave- 
vano già  dato  il  guadagno  di  cau- 
sa ai  cattolici,  lord  Giovanni  Russell 
sperò  di  far  passare  il  suo  bill  di 
riforma,  una  delle  più  antiche  idee 
dell'  opposizione,  tendendo  la  Gran 
Bretagna  alla  riforma  della  sua 
costituzione.  Giorgio  Canning  essen- 
do morto  agli  8  agosto  1827,  il 
re  detertninossi  a  cagione  delle  cir- 


ING 

costanze  a  formare  un  miniatelo  di 
tories  e  di  whigs  moderati   sotto  la 
presidenza     del     visconte    Goderich. 
Volendo  1'  Inghilterra  soddisfare  il 
voto  generale  che  domandava  1'  e- 
mancipazione     greca,     conservando 
insieme  1'  impero  ottomano,  il  du- 
ca di    Wellington    firmò  il     proto- 
collo il  quale  costituì  1'  indipenden- 
za della   Grecia  (Vedi);  quel  pro- 
tocollo divenne  la  base  del  trattato 
del    5  luglio    1827    fra    la    Russia, 
la  Francia  e  1'  Inghilterra.    Diven- 
tando    la     situazione    europea  ogni 
giorno  più.  seria  pei   progetti    della 
Russia  contro  la  Porta,  il  re  chia- 
mò agli  affari  il  duca  di  Wellington, 
il  conte  d'  Aberdeen,   Peel,  e   tutta 
la     parte    illuminata     e     forte     del 
partito  tories.  Con  tali  uomini   il  re 
fu  bene    sicuro    che    la  diplomazia 
d'  Inghilterra    sarebbe    diretta  per 
strade  sostenute  e  decise,  e   ne  vi- 
de piena  prova    allorché  in    parla- 
mento il  duca  di  Wellington  procla- 
mò quasi  una    grande    catastrofe  il 
combattimento    di    Navarino     dato 
intieramente  a  vantaggio  della  Rus- 
sia. Quella  parola  eccitò  le  violenti 
mormorazioni     del    vecchio    partito 
liberale   di    Europa,    ma  svelava   il 
senso    profondo    e    nazionale    della 
politica  dei  tories.  Quel  partito  senti 
egli    stesso    il    bisogno.,  nella     crisi 
diplomatica     la  quale    andava    pre- 
parandosi,   di    disporre    gli    animi 
alla     condiscendenza    ed     eliminale 
qualunque    opposizione.    Per     sba- 
vazzarsi prima  di  tutto  dalle  diffi- 
coltà interne,    e  togliere    ogni    sog- 
getto di  discordia   che  potesse    an- 
cora   esistere    nella     Gran    Rreta- 
gna ,     determinò    il    duca   di  Wel- 
lington a    proporre    1'  adozione  del 
bill     d'  emancipazione     de'  cattolici 
d'  Irlanda,    misura  incessantemente 
sollecitata  nel  parlamento.    Giorgio 


ING  123 

IV     acconsenti    alla    proposta    del 
bill,  ed  influì    anche    sulla  camera 
dei  lordi  per  prepararne  1'  adozio- 
ne.    Leone    XII    (Fedì) ,     zelante 
Pontefice,  non  potè  vedere  i   risul- 
tati dell'  impegno  de'  vescovi  catto- 
lici d'  Inghilterra  pel  bill  di   eman- 
cipazione, del  quale,  e  in  che  con- 
siste, parlammo  ancora  a  detto  suo 
articolo,  come    delle    votazioni  che 
ebbero  luogo  pel  medesimo,  dappoi- 
ché egli  mori  a' io   febbraio    1829, 
e  il  bill  fu  accettato  a'  iZ  febbra- 
io. Ciò  che  precedette  poi  1'  eman- 
cipazione   lo    diremo    verso    il   ter- 
mine di  quest'  articolo.  Avvenimen- 
to dunque  che  formerà  epoca   nel- 
la    stona     del  cristianesimo,    si  fu 
1'   emancipazione     de'  cattolici    nel- 
la    Gran     Rretagna  ;     il    bill     vin- 
to nella    camera     de'  comuni     dal- 
l' eloquenza    di    Peel    venne    a'  3i 
marzo,  giorno  cui    in    Roma    esal- 
tavasi  Pio    Vili,    recato    nella  ca- 
mera   de'  pari    dal    duca  di    Wel- 
lington, quindi  ad  onta  dell'  oppo- 
sizione de' vescovi   e  del  clero  angli- 
cano,  Giorgio  IV   vi   appose  la  sua 
reale    sanzione     a'     i3     aprile.    Di 
un  tal  felice  successo  originariameu- 
te  parte  del  merito  si    deve    attri- 
buire   a    Pio    VII,    ed  ai    consigli 
del  cardinal  Lorenzo  Litta  prefetto 
della  congregazione    di  propaganda 
fide.  Quel  Pontefice,  come  si  scor- 
ge dal  suo  breve  del  1816,  dettalo 
collo  spirito  più  soave  di  evangeli- 
ca  conciliazione,  avea  rimarcato  da 
un  canto  lo  zelo  de'  vescovi  catto- 
lici   d'  Irlanda,    e    dall'  altro    avea 
dileguato  quegli  inveterali    pregiu- 
dizi contro  il  papismo,   che  alimen- 
tavano   la    contrarietà    politica  del 
governo  iuglese.  Pio  Vili  poi  vol- 
le porre  il  suggello  al  giubilo  uni- 
versale   del    cattolicismo  :    nel   con- 
cistoro de'  i5  marzo  i83o  annove- 


i?4  ING 

rò  al  sacro  collegio  con  generale 
tripudio  della  nazione  inglese  un 
personaggio  nato  in  Londra  :  ri- 
porteremo qui  appresso  un  brano 
dell'  allocuzione  perciò  pronunziata 
dal   Papa  ai  cardinali. 

»»  Non  dubitiamo,  venerabili  fra- 
telli, che  siamo  per  far  a  voi  cosa 
iratissima  nell'  odierno  giorno,  nel 
quale  proposto  ci  abbiamo  di  ag- 
gregare all'  amplissimo  ordine  vo- 
stro, personaggi  illustri,  che  per  le 
loro  viriti  e  pe'  loro  meriti  verso 
la  Chiesa  e  la  Sede  apostolica  degni 
ne  sembrarono  di  essere  da  noi 
della  dignità  cardinalizia  fregiati. 
Ed  in  primo  luogo  nomineremo  il 
venerabile  fratello  Tommaso  Weld 
vescovo  di  Amicla  inpartibus  e  coa- 
diutore del  vescovo  di  Kingston 
nell'  Allo  Canada .  Nato  egli  di 
nobilissima  stirpe  e  congiunto  di 
sangue  alle  primarie  famiglie  del- 
l' Inghilterra,  un  padre  ebbe  in  sor- 
te, il  quale  fra  le  altre  doti  che 
1'  adornavano  fu  commendato  per 
sì  grande  pia  liberalità,  che  i  reli- 
giosi espulsi  dalle  patrie  sedi  per 
calamità  de'tempi,  accolse,  alimentò 
e  loro  fece  dono  di  un  palazzo 
magnifico,  nel  quale  presentemente 
la  maggior  parte  de'  nobili  e  catto- 
lici giovani  inglesi  al  culto  della 
religione,  alla  bontà  de'  costumi,  ad 
ogni  maniera  di  lettere  e  di  scien- 
ze viene  egregiamente  addottrinata. 
Né  si  contenne  fra  questi  termini 
la  generosa  carità  dell'  ottimo  ge- 
nitore. Eresse  dalle  fondamenta  un 
convento,  in  cui  trovassero  asilo  i 
religiosi  trappensi  passati  di  Fran- 
cia in  Inghilterra  :  fabbricò  per  le 
monache  salesiane  una  casa  nella 
quale  anche  al  presente  due  sue 
figliuole  niellano  santissima  vita: 
soinmiuisliò  a  larga  mano  quanto 
occorreva  a  sostenere  decorosameu- 


ING 

te  il  diviu  culto  in  più  chiese.  Il 
venerabile  fratello  Tommaso,  vesco- 
vo come  dicemmo  di  Amicla,  pen- 
sando di  dover  emulare  1'  immen- 
sa, e  degna  di  essere  ognor  predi- 
cata, largita  del  suo  padre  verso 
le  cose  sacre,  mai  non  perdonò  a 
spesa  alcuna  per  promovere  1'  in- 
cremento, i  vantaggi,  il  decoro  del- 
la cattolica  religione,  della  quale 
ad  esso  non  v'  ha  cosa  più  cara, 
e  per  accorrere  al  sollievo  e  al 
ristoro  de'  miseri  bisognosi.  Lui 
per  questi  e  sì  fatti  meriti  insigne 
all'  amplissimo  ordine  vostro  ben 
volentieri  abbiamo  deliberato  di 
ascrivere,  affinchè  porgiamo  in  tal 
guisa  nuovo  argomento  di  esalta- 
zione maggiore  a  tutti  i  cattolici 
del  regno  britannico,  già  esultanti 
per  la  recente  promulgazione  di 
leggi  a  loro  vantaggio  più  miti, 
nel  quale  avvenimento  noi  rendia- 
mo le  grazie  che  maggiori  si  pos- 
sano a  Cristo  Signore  autore  d'  o- 
gni  bene  ".  Il  cardinale  Weld  fu 
anche  fatto  prolettore  del  collegio 
inglese  in  Roma,  ed  ivi  morì  dopo 
essere  stato  in  conclave  per  1'  ele- 
zione del  Papa  regnante,  e  fu  se- 
polto nella  sua  chiesa  titolare  di 
s.  Marcello,  ove  ancora  riposano  le 
ceneri  della  degna  figlia  Maria  Lu- 
cia che  fu  moglie  a  lord  Clifford. 
Compianto  da  tutti,  i  suoi  funerali 
furono  per  distinzione  onorati  dalla 
presenza  del  Pontefice  Gregorio 
XVI.  V.  Weld  Tommaso  Cardi- 
nale 

La  ragione  di  slato  già  da  gran 
tempo  esigeva  dal  governo  inglese 
col  bill  questa  specie  di  manumes- 
sione,  perciocché  escludere  ormai 
non  si  poteva  più,  senza  grave  pe- 
ricolo di  funeste  conseguenze,  dai 
diritti  civili  pressoché  la  quarta 
parte  de'cilladini.  E  verameute  de;- 


starasi  ne'  fedeli  una  santa  conso- 
lazione al  considerare  la  rapidità 
de'  progressi  che  fatto  avea  il  cat- 
tolicismo  nella  sola  Inghilterra,  an- 
che innanzi  alla  promulgazione  del 
bill  ;  poiché  a  Manchester  dove  nel 
1772  si  trovavano  appena  settecen- 
to cattolici,  se  ne  contavano  ormai 
42,175;  del  pari  a  Liverpool  sei- 
milaseicento cattolici  dopo  il  1789 
eransi  accresciuti  a  48>867.  Il 
novero  delle  cappelle  che  dapprima 
erano  sole  quarantacinque,  nel  18  14 
giungevano  a  quattrocentodieciotto. 
Erano  queste  distribuite  in  quattro 
distretti,  di  occidente,  di  settentrio- 
ne, del  mezzo,  e  di  Londra,  sotto 
la  spirituale  giurisdizione  di  vicari 
apostolici.  Il  distretto  di  Londra 
conteneva  settantadue  cappelle,  dié- 
ciotlo  delle  quali  nelle  città  o  nei 
contorni.  Subito  dopo  la  promul- 
gazione del  bill  si  accrebbero  in- 
contanente di  diecimila  cattolici 
nella  sola  Inghilterra,  e  tra  questi 
molti  personaggi  cospicui.  Era  stata 
celebre  nel  1824  la  conversione 
di  Wright,  illustre  compagno  d'ar- 
mi del  duca  di  Wellington;  ma 
più  di  recente  fece  in  tutto  il  re- 
gno una  gagliarda  impressione  Gior- 
gio secondogenito  di  lord  Spencer, 
il  quale  ascritto  al  clero  anglicano 
vedeasi  già  aperto  1'  adito  a  quel- 
1'  episcopato.  Dopo  un  sermone,  in 
cui  con  la  maggior  virulenza  avea 
declamato  contro  il  Papa  e  i  dom- 
ini cattolici,  sentissi  ali'  improvviso 
colto,  come  un  altro  s.  Paolo,  da 
un  colpo  vittorioso  della  grazia  di- 
vina. Rinunziò  tosto  agli  agi  dome- 
stici ,  allo  splendore  di  un'  alta 
dignità,  e  corse  a  Roma  per  rin- 
chiudersi nel  collegio  inglese,  affine 
di  apprendere  le  verità  della  fede 
cattolica,  e  dedicarsi  al  servigio  del 
Signore  nel    ministero    ecclesiastico. 


INO  i?.T 

Dopo  avere  Giorgio  IV  approvato 
il  bill  dell'  emancipazione  de'  cat- 
tolici, aumentandosi  i  violenti  acces- 
si di  gotta,  morì  a'26  giugno  i83o 
d'  anni  sessantanove,  senza  lasciar 
figli.  Gli  successe  il  suo  fratello  Gu- 
glielmo Enrico  duca  di  Chiarenza, 
tanto  nel  regno  d'  Inghilterra  che 
in  quello  di  Annover,  col  nome  di 
Guglielmo  IV.  Sotto  la  reggenza 
ed  il  regno  di  Giorgio  IV,  il  go- 
verno inglese  adoperò  potenti  mez- 
zi per  ridonare  all'  Europa  la  tran- 
quillità, ed  il  principale  e  formida- 
bile suo  nemico  Napoleone  si  diede 
in  braccio  agli  inglesi  come  a  ne- 
mici generosi.  La  Gran  Bretagna 
pervenne  al  più  alto  grado  di  suo 
splendore  e  potenza  esterna  ;  estese 
il  suo  commercio  neh'  America 
meridionale,  ed  ampliò  neh'  India 
ed  altrove  le  sue  vaste  possessioni  ; 
indi  furono  cangiati  in  qualche  par- 
te i  possessi  dell'Oceanica,  contro 
i  possessi  olandesi  sul  continente 
indiano.  L'  interno  dello  stato  fu 
più  volte  molestato  per  violenti 
commozioni  sediziose  in  varie  con- 
tee, che  sembravano  derivare  in 
parte  dalla  miseria  del  popolo,  ma 
la  vigilanza  e  la  forza  delle  leggi 
bastarono  a  reprimerle  ;  finalmente 
provide  leggi  furono  pubblicate  on- 
de maggiormente  favoreggiare  il 
commercio,  e  fu  stabilito  il  siste- 
ma di  deposito  per  riesportazione 
delle  merci  straniere. 

Guglielmo  IV  era  terzo  figlio 
di  Giorgio  III,  e  nacque  nel  176? 
a  Windsor:  la  storia  del  suo  re- 
gno è  di  un  alto  interesse,  giac- 
ché il  suo  avvenimento  si  raccosta 
ai  primi  giorni  del  i83o;  l'In- 
ghilterra ha  rappresentato  negli  ul- 
timi torbidi  dell'  Europa  una  sì 
gran  parte,  ed  ebbe  a  prendere 
la     più    alta     ingerenza  in    tutti  i 


i26  ING 

gravissimi  fatti  occorsi   ne'  «ette  an- 
ni del  regno  del  re  Guglielmo  IV, 
fra'  quali  la  caduta  della  linea  pri- 
mogenita de'  Borboni.  Questo  prin- 
cipe destinato  sino  da  fanciullo  alla 
marina,     secondo  le      consuetudini 
della  famiglia  regnante  in  Inghilter- 
ra, si  sottopose  come  l'ultimo  marina- 
io a  tutte  le  funzioni  del  suo  grado 
sotto    Nelson.    Fu    presente    a  tre 
o  quattro    combattimenti    dei    più 
perigliosi     nei     mari     dell'  America 
nella  guerra  cogli  Stati-Uniti.  Dopo 
aver  subiti    gli    esami    venne  fatto 
luogotenente  nel    178^,  e  nell'an- 
no seguente     capitano    di     fregala  ; 
indi    secondo    le    leggi    inglesi  che 
accordano  un  titolo  a  tutti  i  prin- 
cipi della  casa  d'  Annover,  fu  crea- 
to duca  di  Chiarenza    e  di  s.  An- 
drea^  e  conte  di  Munster.  AH'  ori- 
gine della  rivoluzione    francese  do- 
vendo il  duca  prendere  un  partito, 
manifestossi  pei  whigs    moderati,  e 
visse   coi  primari  membri  del  par- 
lamento zelatori  di  quella  bandiera. 
Il  mare  avendo  richiamato  il  duca 
di  Chiarenza  nel  1790,  sostenne  esso 
una  bella  campagna  contro  gli  spa- 
gnuoli,  e  venne  promosso  al  grado 
di    contr'  ammiraglio.    Entrato    in 
dimestichezze  con  mistriss  Jordans, 
una    delle    più.    celebri    attrici    di 
Covent-Garden,    ad    onta    delle  ri- 
mostranze di   sua  famiglia  che  vo- 
leva fargli    contrarre    matrimonio, 
visse  lungamente  con  essa.    Da  sif- 
fatta   unione    nacquero  dieci     figli 
naturali,  de'  quali  ultimamente  no- 
ve erano  ancora  viventi.  Nel   181 1 
alla    morte    di    sir    Peter    Parker, 
il  duca    venne    promosso  al    grado 
di  comandante    di    flotta.    La    vita 
domestica  del  principe   e  quasi  ma- 
ritale con  mistriss  Jordans    lo  sot- 
trasse a  tutte    le  politiche    combi- 
nazioni ;    e    tutti    i    figli  procreati 


ING 

da  questa  unione  ricevettero  una 
piccola  pensione.  Straniero  a  tutti 
gli  avvenimenti,  avendo  veduto  pas- 
sare sotto  i  suoi  occhi  1'  impero 
Napoleonico,  e  la  restaurazione  di 
Luigi  XVIII,  il  duca  di  Chiarenza 
cominciò  a  divenire  un  personag- 
gio importante  quando  si  vide  la 
probabilità  che  la  corona  potesse 
cadere  in  sua  mano.  I  principali 
del  parlamento  lo  costrinsero  a 
contrarre  un  matrimonio  degno  di 
lui,  laonde  separatosi  da  mistriss 
Jordans,  che  ne  morì  d'afflizione, 
agli  11  giugno  18 18  sposò  Ade- 
laide Luigia  Teresa,  figlia  di  Gior- 
gio duca  di  Sassonia -Meiningen. 
La  vita  del  principe  rimase  pacifi- 
ca, né  adottò  veruna  aperta  divisa 
nelle  gravi  questioni  delle  parti 
che  agitarono  1'  Inghilterra  :  nulla- 
dimeno  comparve  qualche  volta  al- 
la camera  dei  lordi  col  conte  Grey, 
e  per  tal  mezzo  ottenne  una  certa 
aura  popolare,  tutti  rammentando 
che  avea  servito  con  distinzione 
nella  marina,  e  tutti  sanno  quale 
entusiasmo  hanno  gì'  inglesi  pei 
vecchi  marinari  che  hanno  acqui- 
stato qualche  gloria.  Il  duca  di 
Chiarenza  mostrando  lealtà,  manie- 
re schiette  e  ruvide  nell'  esprimer- 
si, convenivano  esse  al  popolo  in- 
glese mirabilmente  ed  alle  sue  pub- 
bliche abitudini.  La  rinomanza  di 
lui,  chiamato  il  prode  e  rustico 
marinaro,  formò  un  contrasto  con 
1'  impopolarità  del  suo  fratello  Er- 
nesto duca  di  Cumberland  ;  e  quan- 
do dovette  ascendere  al  trono,  la 
nazione  1'  accolse  con  tutta  lealtà, 
perchè  va  superba  del  dominio 
de'  mari. 

Prima  di  parlare  del  suo  me- 
morabile regno,  occorre  dare  uno 
sguardo  all'Europa  come  la  lasciò 
Giorgio  IV.  La  restaurazione  della 


1NG 

casa  di  Borbone  nel  i8i4>  a  con- 
fessione dello  stesso  Luigi  XVIII, 
si  deve  agli  sforzi  dell'  Inghilterra 
per  contrappeso  alla  preponderan- 
za russa,  che  nell'influenza  erasi 
ingrandita  smisuratamente.  Dopo  i 
cento  giorni  di  Napoleone  la  que- 
stione della  casa  d'Orleans  presentossi 
in  linea  parallela  con  la  restaurazio- 
ne della  linea  primogenita.  Calco- 
lando l'Inghilterra  su  questa  allo- 
ra manifestamente  inglese,  come 
contrappeso  alla  Russia  ,  quando 
dopo  il  settembre  18 1 5  i  Borbo- 
ni se  ne  allontanarono,  accrescen- 
dosi a  Parigi  l'autorità  russa  col 
licenziamento  di  Talleyrand  pel  du- 
ca di  Richelieu  ;  e  tutti  i  ministri 
che  poscia  si  successero,  esclusiva- 
mente si  consacrarono  all'  alleanza 
colla  Russia.  In  quel  tempo  insor- 
se perciò  in  Inghilterra  una  oppo- 
sizione costante  contro  la  casa  di 
Borbone  della  linea  primogenita; 
e  la  guerra  di  Spagna  pose  al 
colmo  l' irritazione,  sino  a  pentirsi 
il  gabinetto  britannico  di  quanto 
avea  fatto  nel  181 4  per  Luigi 
XVIII.  Prevedendosi  combinazioni, 
il  partito  del  conte  Grey  si  pose 
in  relazioni  con  Talleyrand,  e  si 
favellò  della  possibilità  di  una  ri- 
voluzione eguale  a  quella  del  1688, 
Re  d'un  innalzamento  della  linea  se- 
condogeniti d'  Orleans.  Il  duca  di 
Chiarenza  avea  conosciuto  di  per- 
sona il  duca  d'Orleans  Luigi  Filip- 
po durante  il  suo  soggiorno  a  Lon- 
dra; e  Giorgio  IV  quando  era 
principe  di  Galles  fu  amico  di 
Filippo  di  lui  padre,  e  solo  si  ri- 
tirò dalla  sua  relazione  quando  lo 
vide  votare  contro  Luigi  XVI. 
Succeduto  nel  1824  a  Luigi  XVIII 
il  fratello  Carlo  X,  questi  nell'in- 
tendimento di  dare  una  soddisfa- 
zione all'Inghilterra   formò   il  mi- 


ING  ia7 

nistero  Polignac.  Questo  nuoTo  ga- 
binetto, senza  essere  affatto  anti- 
russo, fu  nulla  Jimeno  costituito 
più  assai  dei  precedenti  negli  inte- 
ressi dell'Inghilterra:  l'imperatore 
Nicolò  I  se  ne  mostrò  malconten- 
to, e  P  influenza  del  suo  amba- 
sciatore Pozzo  di  Borgo  a  Parigi 
soffrì  una  crisi.  Essendo  il  mini- 
stro Polignac  un  pegno  di  ritor- 
no verso  i  tories,  esso  venne  spez- 
zato aspramente  dalla  spedizione 
d'  Algeri  disapprovata  anche  da 
Talleyrand.  Nel  veder  la  Francia 
prendere  all'esterno  un'  attitudine 
di  forza  e  di  risoluzione,  l'Inghil- 
terra ne  restò  cruciata,  ed  il  du- 
ca di  Wellington  più  volte  se  ne 
dolse  col  duca  di  Lavai  ambascia- 
tore francese  a  Londra  ;  quindi  la 
società  dei  vrhigs  non  fu  stranie- 
ra alle  idee  di  rivoluzione;  una 
gran  procelia  stando  per  irrom- 
pere sulla  casa  di  Borbone,  la 
Gran  Bretagna  assecondandola  non 
volle  più  saperne  della  linea  pri- 
mogenita. In  mezzo  a  questi  avve- 
nimenti il  duca  di  Chiarenza  ven- 
ne inualzato  al  trono  a'28  giugno 
i83o,  col  nome  di  Guglielmo  IV, 
1'  amico  cioè  del  conte  Grey  il 
quale  conservava  relazioni  col  du- 
ca d'Orleans,  e  senza  spingere  gli 
avvenimenti,  si  attesero  come  con- 
seguenze inevitabili, 
o 

L'  incoronazione  di  Guglielmo 
IV  nella  chiesa  di  Westminster  si 
celebrò  con  somma  splendidezza, 
onde  imprimere  maggiore  possanza 
all'autorità  reale.  Conservò  il  mi- 
nistero tories  presieduto  dal  duca  di 
Wellington,  anco  perchè  la  persona- 
lità militare  del  duca  poteva  es- 
sere di  gran  contrappeso  al  cospet- 
to della  Russia,  che  minacciava 
l'oriente,  ed  esercitare  preponde- 
ranza    per    la  bellicosa     fama    che 


ia8  ING 

godeva.  Frattanto  clamorosi  fu  Iti 
accaddero  sul  continente;  gli  erro- 
ri della  restaurazione,  le  impru- 
denze de'  ministri  di  Carlo  X, 
trascinarono  alla  rovina  la  linea 
primogenita.  Il  duca  di  Lavai  a- 
vea  tenuto  d'occhio  con  gran  sol- 
lecitudine a  tutti  i  progressi  dei 
malcontenti,  e  degP  intrighi  del- 
l'Inghilterra  contro  la  linea  pri- 
mogenita de'Borboni,  ed  avea  ap- 
preso dallo  stesso  duca  di  Welling- 
ton che  alcuno  appoggio  non  sa- 
rebbe prestato  a  Carlo  X,  e  che 
esistevano  delle  relazioni  intime 
tra  la  casa  d'Orleans  ed  i  capi  del 
parlito  whigs  in  Inghilterra,  i  qua- 
li dovevano  necessariamente  salire 
al  potere  in  conseguenza  di  un 
movimento  rivoluzionario  in  Fran- 
cia. Il  duca  di  Lavai  avea  deter- 
minato di  avvertirne  a  voce  Car- 
lo X,  ma  quando  giunse  a  Calais 
trovò  che  la  rivoluzione  erasi  giù 
consumata  a  Parigi,  nelle  famose 
giornate  de'27,  28  e  29  luglio 
i83o,  come  dicemmo  nel  volume 
XXVII,  pag.  i44  del  Dizionario. 
Nondimeno  il  duca  di  Lavai  volò 
travestito  a  Rambouillet  ov'era 
fuggito  Carlo  X;  gli  espose  le  si- 
nistre disposizioni  del  ministero  in- 
glese, e  Io  supplicò  di  cercare  un 
appoggio  nelle  proprie  forze,  e  di 
non  portar  fiducia  nel  gabinetto 
britannico.  Carlo  X  prestò  grande 
attenzione  alle  cose  esposte  dal  du- 
ca di  Lavai;  ma  l'energia  manca- 
va, ed  in  luogo  di  ricorrere  alla 
sua  spada  ed  al  coraggio  de'  suoi 
soldati  che  lo  pregavano  di  porsi 
alla  loro  testa,  recossi  a  cercare 
rifugio  in  Inghilterra  e  si  offerse 
cattivo  ai  nemici  di  sua  casa.  Non 
avendo  conseguito  nulla,  Carlo  X 
passò  nella  Scozia  ed  in  Germa- 
nia, e  morì  in  Gorizia  (Vedi),  ove 


ING 

pure  terminò  i  suoi  giorni  il  du- 
ca d'Angoulème  suo  figlio.  Intanto 
i  deputati  di  Francia  a' 7  agosto 
offrirono  la  corona  di  re  de' fran- 
cesi al  duca  d'Orleans  Luigi  Fi- 
lippo. Questi  con  lettera  autografa 
partecipò  la  sua  esaltazione  al  re 
Guglielmo  IV  col  quale  avea  avu- 
to delle  relazioni,  e  siccome  il  du- 
ca di  Wellington  e  i  tories  l'ac- 
colsero come  un  fatto  presagito  e 
compiuto,  il  monarca  inglese  si  af- 
frettò rispondere  che  si  congratu- 
lava, e  lo  riconosceva  re  de'fran- 
cesi.  La  determinazione  del  re  d'In- 
ghilterra servi  di  primo  esempio 
all'Europa  per  riconoscere  in  Lui- 
gi Filippo  il  nuovo  re  de' francesi, 
siccome  successivamente  si  effettuò. 
Allora  questo  principe  fu  sollecito 
designare  per  l'ambasciata  d'Inghil- 
terra un  diplomatico  eminente  che 
godesse  della  sua  intiera  fiducia , 
nella  persona  di  Talleyrand,  con 
ottimi  risultati.  Nel  giungere  a 
Londra  egli  riprese  le  antiche  re- 
lazioni massime  col  conte  Grey,  ed 
uniti  insieme  dedicaronsi  con  ogni 
sforzo  ad  indebolire  i  tories,  non 
essendo  il  parlamento  più  compo- 
sto degli  elementi  conservatori ,  e 
formandosi  le  elezioni  in  un  senso 
whigs  e  quasi  radicale.  Indi  ma- 
ncggiaronsi  presso  Guglielmo  IV, 
il  duca  di  Wellington  come  avea 
preveduto  dovette  ritirarsi  pel  prin- 
cipio rivoluzionario  con  tanta  for- 
za scoppiato  a  Parigi  ed  a  Brus- 
selles,  ed  il  re  elesse  primo  mini- 
stro il  conte  Grey,  che  divenne 
l'intermediario  di  quasi  tutte  le  ne- 
goziazioni col  re  Luigi  Filippo.  In 
tal  modo  preparassi  il  trattato  del- 
la quadrupla  alleanza  ,  uno  dei 
punti  che  il  principe  Talleyrand 
considerava  come  la  base  stessa 
della  nuova  dinastia;    ed    i    whigs 


IXG 

trovarono  sommo  vantaggio  in  quel 
trattato  per  le  loro  relazioni  al- 
l'esterno, giacche  prendendo  per 
punto  di  partenza  l'alleanza  delle 
rivoluzioni  meridionali,  essi  vi  rav- 
visarono una  forza  per  opporsi  al- 
l' impresa  della  Russia.  Avendo  il 
partito  rivoluzionario  rovesciato  lord 
Wellington,  bisognò  passare  ad  al- 
tre concessioni.  Le  istituzioni  ingle- 
si sono  fondate  sopra  due  princi- 
pii,  la  legge  politica  e  la  legge  re- 
ligiosa, e  per  dire  meglio  tutte  le 
cose  si  epilogano  nella  chiesa  e 
nello  stato.  La  legge  politica  era 
stata  interamente  rovesciala  dal 
bill  di  riforma  ossia  cangiamento 
dell'  istituzione  aristocratica  nella 
stessa  sua  base.  La  legge  religiosa 
non  appariva  meno  importante  nel- 
le istituzioni  inglesi  :  il  corpo  ec- 
clesiastico che  chiamavasi  la  Chiesa 
stabilita  era  in  Inghilterra  una 
delle  basi  costitutive  dell'  ordine 
territoriale;  le  decime,  i  livelli  di 
qualunque  specie  aveano  reso  ric- 
chi i  membri  del  clero  anglicano. 
Ora,  se  i  borghi  privilegiati  erano 
stabiliti  nell'antica  costituzione  per 
dare  un'immensa  forza  all'aristo- 
crazia, i  benefizi  ecclesiastici  veni- 
vano egualmente  distribuiti  ai  ca- 
detti delle  primarie  famiglie;  eran- 
vi  delle  decime  ragguardevoli  e  dei 
benefizi  devoluti  ad  ogni  prosapia 
alquanto  elevata  nella  Gran  Bre- 
tagna. Un  arcivescovato  o  vesco- 
vato produceva  sino  a  diecimila 
lire  sterline  di  rendita,  ed  i  bene- 
fizi di  tal  natura  si  ripartivano  co- 
me gioielli  brillanti  tra  i  membri 
più  importanti  dell'aristocrazia  in- 
glese. 

La  rivoluzione  del  Belgio  (T'edì), 
complicando  l' interesse  di    diversi 
principi  e  quello  degli    stati    limi- 
trofi, l'Inghilterra  propose  di  apri- 
voi.   xxxv. 


ING  129 

re  a  Londra  alcune  conferenze  di- 
plomatiche, che  in  breve  si  este- 
sero a  tutte  le  difficoltà  della  si- 
tuazione d'  Europa.  L' Inghilterra 
pretesa  alleata  della  Francia  si  op- 
pose vivamente  alla  demolizione 
delle  fortezze  sulle  frontiere  bel- 
giche, e  giammai  volle  riconoscere  il 
duca  di  Nemours  figlio  di  Luigi 
Filippo  come  re  dei  belgi.  Dopo  le 
rinunzie  del  duca  di  Wellington 
e  di  Peel,  il  re  affidò  la  direzione  de- 
gli affari  ai  lord  Melbourne  come 
capo,  Palmerston  e  Russell.  Occu- 
paronsi  immediatamente  degli  affa- 
ri dell'Europa,  la  questione  belgi- 
ca fu  spinta  al  termine,  conservan- 
dosi le  fortezze,  ed  esaltandosi  al 
trono  il  principe  Leopoldo  di  Sas- 
sonia-Coburgo  che  rinunziò  al  re- 
gno di  Grecia.  Leopoldo  fu  fatto  re 
di  Grecia  nel  i83o,  col  protocollo 
di  Londra,  dai  plenipotenziari  del- 
le tre  potenze  alleate,  dignità  che 
da  lui  accettata  agli  1 1  febbraio, 
rinunziò  a'  2 1  maggio,  e  poscia 
nel  giugno  i83i  fu  eletto  re  del 
Belgio.  Eguali  pensieri  si  manife- 
starono nelle  negoziazioni  relative 
alla  Spagna,  contro  l'influenza  del- 
la casa  di  Borbone  e  il  patto  di  fa- 
miglia ch'eccitava  da  lunga  pezza  in 
Inghilterra  la  più  profonda  antipa- 
tia. Videsi  quindi  un  Borbone  pren- 
der l'armi  contro  un  altro  Borbo- 
ne, e  la  Francia  inabissare  la  Spa- 
gna sua  naturale  alleata.  La  situa- 
zione degli  affari  incominciò  a  far- 
si molesta  per  Guglielmo  IV.  Il 
partito  radicale  erasi  tanto  conside- 
rabilmente  accresciuto,  da  formare 
la  maggioranza  ministeriale  in  li- 
mone ni  partito  irlandese  del  ce- 
lebre O'Connel!,  per  chiamare  coi 
whigs  una  riforma  nella  chiesa  sta- 
bilita ,  e  che  il  parlamento  interve- 
nisse negli  affari  ecclesiastici,  accioc- 
9 


i3o  ING 

che  la  chiesa  anglicana  avesse  a 
trovarsi  più  in  armonia  coi  novel- 
li interessi;  e  questa  situazione  ap- 
pariva minacciosa  pei  principii  re- 
ligiosi del  monarca  in  favore  del- 
la chiesa  stabilita.  Finché  non  si 
trattò  che  di  riforma  parlamentaria, 
Guglielmo  IV  consenti  ad  ogni  co- 
sa; non  solamente  i  cattolici  ve- 
devansi  emancipati ,  ma  consegui- 
vano eziandio  l'eguaglianza  di  di- 
ritto :  parlavasi  eziandio  di  una 
riforma  nel  parlamento,  e  l'antica 
idea  radicale  dei  triennali  parlamenti 
sorgeva  in  numerose  petizioni.  Il  re 
non  ne  rimase  perturbato,  né  tale  mo- 
strossi  alla  riforma  delle  leggi  cri- 
minali, il  cui  partito  fu  vinto  in 
quest'epoca:  ma  poiché  si  trattò  di 
riformare  la  chiesa  stabilita,  videsi  il 
monarca  opporre  una  resistenza  im- 
mediata e  tenace  a  tutti  i  proget- 
ti di  lord  Piussell.  Tuttavolta,  sic- 
come in  Inghilterra  i  membri  del 
gabinetto  non  serbano  molti  riguar- 
di alle  opinioni  personali  del  re,  il 
bill  venne  sviluppato  nel  parlamen- 
to ed  ascoltato  con  favorevole  at- 
tenzione dalla  camera  dei  comuni  ; 
ma  era  sufficiente  il  conoscere  gl'in- 
dividui componenti  la  camera  dei 
lordi,  per  convincersi  che  ogni  bill 
contro  la  chiesa  sarebbe  ripulsato. 
In  questa  guisa  la  prerogativa  reale 
trovò  un  puntello  nel  corpo  aristo- 
cratico, ma  per  quanto  Guglielmo 
IV  fosse  stimolato  a  creare  un  buon 
numero  di  pari,  non  volle  acconsen- 
tirvi, avendo  una  specie  di  venera- 
zione per  la  camera  de'Iordi,  che 
considerava  come  una  grande  malle- 
veria della  costituzione. 

Guglielmo  IV  erasi  già  veduto, 
intorno  al  bill  della  riforma  parla- 
mentaria nel  r 83  i,  opporsi  costan- 
temente alla  promozione  di  alcuni 
pari  che  avrebbero  potuto  contribui- 


ING 

re  all'adozione  dell'opera  di  lord 
Russell;  mostrossi  più  tenace  anco- 
ra quando  si  trattò  di  modificare 
i  principii  fondamentali  della  chie- 
sa stabilita;  non  gli  strapparono  che 
alcune  nomine  isolate  poco  giove- 
voli per  ciò  a  modificarne  la  mag- 
gioranza. Tale  fermezza  screditò  in 
qualche  parte  la  sua  popolarità; 
fu  violentemente  attaccato  dalla  col- 
leganza dei  radicali  e  di  O'ConnelI  ; 
si  dichiarò  in  termini  formali  che 
se  il  re  non  amava  di  condiscendere 
ad  una  promozione  ,  i  ministri  pi- 
glerebbero l'impresa  sopra  sé  stes- 
si senza  consultarlo:  imperocché  a 
quest'  epoca  il  parlamento  veniva 
dominato  dall'unione  dei  whigs  e 
dei  radicali.  In  mezzo  a  siffatte  op- 
posizioni e  resistenze  la  vita  di 
Guglielmo  IV  tirava  innanzi  ma- 
laticcia. Egli  amò  teneramente  tutti 
i  suoi  figli  naturali,  a'  quali  con- 
ferì titoli  di  nobiltà  e  terre  con 
rendite:  al  primogenito  nel  1 83 r 
die  il  titolo  di  conte  di  Munster 
da  lui  portato  nella  sua  giovinez- 
za ,  ma  in  tale  anno  perdette  la 
più  prediletta  delle  sue  figlie,  la- 
dy dell'  Isle-Dudley.  Ogni  sua  con- 
solazione veniva  formata  dalla  fa- 
miglia; simile  a  suo  padre  Gior- 
gio III,  i  suoi  costumi  erano  sem- 
plici ,  amava  la  vita  domestica,  e 
fuggiva  le  rappresentanze  e  le  pom- 
pe. La  sua  vita  sedentaria  contri- 
buì allo  sviluppamento  di  un  asma, 
cui  associandosi  l' idrope  di  petto, 
finalmente  a'  io  giugno  1837  una 
dichiarazione  portata  da  lord  Rus- 
sell, e  datata  da  Windsor-Castle, 
fu  resa  pubblica  dall'araldo  d'ar- 
mi. »  Piacque  all'  Onnipossente  di 
liberare  dalle  sue  sofferenze  il  no- 
stro ottimo  e  grazioso  sovrano,  il 
re  Guglielmo  IV.  Sua  maestà  spi- 
rò questa  mattina  alle  due   ore  e 


ING 

undici  minuti  ".  Nello  stesso  tem- 
po, secondo  l'antica  consuetudine , 
il  segretario  di  stato  invitò  il  lord 
podestà  a  far  suonare  la  campana 
maggiore  della  cattedrale  di  s.  Pao- 
lo. La  sua  amministrazione  passò 
tranquillamente  senza  torbidi  in- 
terni, e  senza  guerre  all'esterno. 
Ebbe  però  a  sostenere  una  lot- 
ta assai  decisa  contro  il  torrente 
straripato  de'le  idee  radicali,  e  vi- 
desi  costretto  a  sancire  il  bill  della 
riforma,  nell'atto  stesso  in  cui  pre- 
vedeva le  conseguenze  di  sì  gran- 
de scossa  nella  costituzione  ingle- 
se :  questa  riforma  parlamentaria 
era  tendente  a  ripartire  più  equa- 
mente la  scelta  de'  rappresentanti 
della  nazione.  Gli  successe  la  sua 
nipote  Vittoria  regina  della  Gran 
Bretagna  e  dell'Irlanda,  nata  nel 
1 8 1 9  dal  principe  Edoardo  duca 
di  Kent  e  Stiathern  conte  di  Du- 
blino quarto  tìglio  di  Giorgio  III, 
e  della  principessa  Maria  Luigia 
figlia  del  duca  di  Sassonia  Saalfeld- 
Cobourg  che  restò  vedova  nel  1820. 
La  regina  Vittoria  regna  saggia- 
mente; nel  1840  a' io  febbraio  si 
sposò  col  principe  Alberto  di  Sas- 
sonia Coburgo  e  Gotha  figlio  del 
duca  Ernesto.  Da  questo  matrimo- 
nio nacquero  a'  1 1  novembre  1  840 
la  principessa  Vittoria  Ade'aide:  ai 
9  novembre  1841  il  principe  di 
Galles  Alberto  Edoardo;  a'  i5  a- 
prile  1843  la  principessa  Alice; 
ed  a' 6  agosto  1 S44  ^  duca  di 
York  Alfredo.  Nel  regno  d'  Anno- 


ver  poi  successe  a    Guglielmo 


IV 


il  fratello  Ernesto  Augusto  ottavo 
figlio  di  Giorgio  III,  principe  reale 
della  Gran  Bretagna  ed  Irlanda , 
duca  di  Cumberland  e  di  Bruns- 
wick-Lunebourg,  il  cui  figlio  è  il 
principe  reale  Giorgio  Federico. 


ING  i3i 

Concilii  cT Inghilterra. 

Il  primo  fu  tenuto  nell'anno 
601  o  604  circa,  al  quale  Spel- 
man  dà  il  nome  di  Synod.  TVigor- 
niens.  ed  è  pur  chiamato  Britan- 
nicum.  Sant'Agostino  di  Cantorbery 
vi  esortò  sette  vescovi  bretoni ,  e 
i  loro  dottori  o  sapienti,  a  cele- 
brare la  festa  di  Pasqua  la  dome- 
nica dopo  la  XIV  luna  di  marzo, 
e  di  amministrare  il  battesimo  se- 
condo l'uso  della  Chiesa  romana , 
come  ancora  di  predicare  concor- 
demente il  vangelo  agi' inglesi.  Ma 
que'  vescovi  e  sapienti  ostinati  a- 
vendolo  ricusato,  s.  Agostino  pre- 
disse loro  quelle  sciagure  che  po- 
scia si  verificarono.  Diz.  de'  con- 
cila. 

Il  secondo  concilio  ebbe  luogo 
nell'anno  644  a  Phare,  abbazia  di 
donne  nel  Norlhumberland ,  per- 
ciò detto  Pharense,  sotto  i  re  GSwi 
ed  Alchfrido,  ad  istanza  di  s.  Ilda 
abbadessa  del  monistero.  Vi  si  trat- 
tò sopra  alcune  questioni  della  di- 
sciplina, e  principalmente  sulla  ce- 
lebrazione della  Pasqua ,  e  venne 
determinato  che  si  celebrerebbe 
nella  domenica  che  segue  imme- 
diatamente il  XIV  della  luna  di 
marzo,  in  opposizione  agli  scozzesi, 
i  quali  la  celebravano  nella  prima 
domenica  dopo  il  XIII  di  detta  lu- 
na ;  dal  che  ne  conseguiva,  che  se 
quella  domenica  cadeva  nella  XIV 
luua,  celebravano  essi  la  Pasqua 
nello  stesso  giorno  degli  ebrei.  Spel- 
man,   Concil.  Angl.  tom.  I,  p.  i55. 

Il  terzo  fu  celebrato  nell'  anno 
673  ad  Hertfort  sotto  il  regno  di 
Lotario  re  di  Kent.  Teodoro  ar- 
civescovo di  Cantorbery  vi  presie- 
dette, e  furono  pubblicati  dieci  ca- 
noni relativi  alla  celebrazione  del- 
la Pasqua,  ai  diritti  dei  vescovi,  ai 


132  ING 

beni  ecclesiastici,  ai  doveri  del  clero 
in  generale,  ai  sinodi  annuali,  ed 
alla  santità  ed  indissolubilità  del 
matrimonio. 

Il  quarto  concilio  fu  tenuto  nel 
680 ,  e  venne  presieduto  da  Teo- 
doro arcivescovo  di  Cantorbery.  In 
esso  si  accettarono  i  cinque  conci- 
lii  generali  di  Nicea,  d'Efeso,  di 
Calcedonia,  e  i  due  di  Costanti- 
nopoli, cioè  tanto  quello  contro  gli 
eutichiani,  che  quello  contro  i  mo- 
noteliti.  Questo  concilio  da  alcuni  è 
considerato  dubbio. 

Il  quinto  si  adunò  nel  692  da 
quasi  tutta  l' Inghilterra,  secondo 
Èeda  ad  istanza  del  re  Ina,  per 
riunire  i  bretoni  coi  sassoni,  i  quali 
quantunque  cristiani,  differivano  an- 
cora in  moltissime  pratiche  come 
la  Pasqua. 

Il  sesto  fu  nel  705  nella  pro- 
vincia di  Mercia,  ed  in  esso  ven- 
ne ordinato  di  scrivere  contro  l'er- 
rore dei  bretoni,  riguardante  la  ce- 
lebrazione della  Pasqua.  Angl.  t.  I. 

Il  settimo  fu  tenuto  a  Celchyt 
nel  regno  di  Mercia  l'anno  7g4>  in- 
presenza di  nove  re,  di  quindici 
vescovi,  e  di  venti  duchi.  Il  re  Of-' 
fa  regalò  molti  beni  al  monistero 
di  s.  Albano  martire.  Angl.  t.  I. 

L'ottavo  ebbe  luogo  nell'820. 
Cenedrite  abbadessa  e  figlia  di  Ce- 
nulfo  re  di  Mercia,  diede  solenne 
soddisfazione  a  Wulfredo  per  di- 
Terse  terre,  che  il  re  suo  padre 
avea  usurpato  alla  chiesa  di  Can- 
torbery. Angl.  t.  I. 

Il  nono  ed  il  decimo  furono  te- 
nuti nel  904  e  900,  il  primo  per 
alcuni  nuovi  vescovi,  il  secondo  pel 
re  Edoardo  figlio  maggiore  di  Al- 
fredo. In  questo  si  lesse  una  lette- 
ra del  Papa  Benedetto  IV,  colla 
quale  lagnavasi  che  il  re  lasciasse 
il  paese  di  Wessex  senza    vescovi: 


ING 

il  concilio  ed  il  re  ne  stabilirono 
in  ogni  provincia.  Pagi  all'anno 
894;  Angl.  t.  I.  Verso  la  fine  del 
secolo  nono  si  tennero  parecchi 
concilii  da  certi  vescovi  di  gran  vir- 
tù che  punivano  con  pene  canoni- 
che i  principi  sregolati.  Diz.  de  con- 
cilii. 

L'undecimo  concilio  del  969  fu 
presieduto  da  s.  Dunstano  arcive- 
scovo di  Cantorbery.  Furono  es- 
pulsi dalla  chiesa  gli  ecclesiastici 
incontinenti,  e  vennero  in  loro  ve- 
ce sostituiti  de'  monaci  :  questo  con- 
cilio fu  nazionale.  Ecco  un  brano 
del  discorso  che  si  recitò  da  s. 
Dunstano  sopra  lo  sregolamento 
de'  chierici.  «  I  loro  abiti  dissoluti 
e  il  loro  gesto  indecente  mostrano 
che  l'interno  non  è  regolato.  Quale 
è  la  loro  negligenza  pegli  uffizi  di- 
vini? Appena  si  degnano  assistervi 
nelle  vigilie;  e  par  che  vengano 
alla  messa  per  ridere,  anziché  per 
cantare.  Eglino  si  abbandonano  agli 
eccessi  della  mensa  e  del  letto.  Ec- 
co in  qual  maniera  s' impiega  il 
patrimonio  del  re  e  dei  privati,  i 
quali  si  sono  esausti  per  sommi- 
nistrare di  che  sollevare  i  poveri  ". 
Il  santo  arcivescovo  ordinò  poi  con 
un  decreto  solenne,  che  tutti  i  ca- 
nonici, preti,  diaconi  e  suddiaconi 
osservino  la  continenza  ,  o  lascino 
le  loro  chiese,  e  ne  affidò  la  ese- 
cuzione a  due  vescovi  che  furono 
con  essolui  i  ristoratori  della  disci- 
plina monastica  in  Inghilterra.  Diz. 
de  concilii;  Regia  toni.  XXV;  Lab- 
bé  tom.  IX;  Arduino  toni.  VI; 
Angl.  tom.  I. 

Il  duodecimo  nel  1072:  l'arci- 
vescovo di  Cantorbery  fuvvi  dichia- 
rato primate  di  quello  di  York. 
Angl.  tom.  I. 

Il  decimo  terzo    nel   1074:   ven 
ne    in    esso    ingiustamente    depo 


ING 

ilo  s.  Wulstano  vescovo  di  Wor- 
cester. Regia  tom.  XXVI;  Labbé 
tom.  X;  Arduino  tom.  VI. 

Il  decimoquarto  nel  1073  fu  re- 
lativamente alla  disciplina  ed  ai  co- 
stumi, massime  sopra  le  donne  e 
i  fanciulli,  che  per  timore  aveano 
preso  il  velo  o  l'abito  religioso. 
Angl.  tom.  I.  Nel  1093  vi  fu  un'as- 
semblea di  vescovi  d' Inghilterra  , 
per  ordinare  s.  Anselmo  arcive- 
scovo di  Cantorbery.  Angl.  t.  I. 

Il  deciaaoquinto  concilio  fu  te- 
nuto nel  iog5  contro  il  Papa  Ur- 
bano II,  il  quale  venne  difeso  da 
s.  Anselmo  arcivescovo  di  Cantor- 
bery, che  fu  perciò  rimandato  e 
deposto.  Angl.  tom.  I. 

Il  decimosesto  del  1167,  in  cui 
i  vescovi  in  Northampton  citarono 
avanti  il  sommo  Pontefice  s.  Tom- 
maso di  Cautorbery,  perchè  oppo- 
nevasi  al  decretato  nel  conciliabolo 
di  Clarendon.  Angl.  tom.  I. 

Il  decimosettirao  fu  celebrato  nel 
1 1 83.  Angl.  tom.  I. 

Il  decimottavo  nel  1  188  venne 
adunato  a  Guntington  nel  Nor- 
thampton, per  le  imposizioni  ne- 
cessarie alla  guerra  santa  di  Pale- 
stina e  per  far  leve  di  soldati.  Angl. 
tom.  I. 

II  decimonono  nel  1 34-1  contro 
quelli  che  vanno  brigando  benefi- 
zi ecclesiastici,  essendone  ancor  vi- 
vi i  possessori.  Labbé  tom.  I;  Ar- 
duino tom.  VII;  Angl.  tom.  II. 

Il  ventesimo  nel  1400  relativa- 
mente ad  una  decima  e  mezza  ac- 
cordata al  re  Enrico  IV.  Angl. 
tom.  II. 

Il  ventesimoprimo  nel  1402  so- 
pra le  contribuzioni  e  contro  i  ri- 
belli.    Angl.  tom.  III. 

Il  ventesimosecondo  nel  1404 
sul  medesimo  argomento.  Angl.  t. 
HI. 


ING  i33 

Il  ventesimo  terzo  nel  iS56  sotto 
il  cardinal  Polo  legato  della  santa 
Sede,  e  fu  chiamato  concilio  na- 
zionale. 

Sui  concilii  d' Inghilterra  scris- 
se Enrico  Spelman,  Concilia,  de- 
creta, leges,  constitutiones  in  re  ec- 
clesiarum  orbis  Britannici  ad  an- 
nulli 1 5 3 1 .  Questa  compilazione 
de'  concilii  d'Inghilterra  è  divisa  in 
due  parti  ;  la  prima  arriva  sino  al 
1066,  la  seconda  sino  al  i53r. 
La  prima  fu  ristampata  nel  1640. 
Comprende  i  concilii  tenutivi  dallo 
stabilimento  del  cristianesimo  in 
Inghilterra  fino  al  1 066  ;  la  secon- 
da contiene  i  concilii  tenuti  fino  al 
tempo  dello  scisma  di  Enrico  Vili  : 
di  questa  seconda  parte  ne  fu  be- 
nemerito Dugdale  perchè  vi  ag- 
giunse più  della  metà  del  volume. 
David  Wilkius  ci  diede,  Concilia 
Magnae  Britanniae  et  Hiberniae 
a  synodo  Verolamensi  anno  44*3, 
ad  Londinensern  1 7 1 7  ;  accedimi 
constitutiones  et  alia  ad  historiam 
anglicani  spectantia,  ivi  1736.  È 
una  ristampa  dei  concilii  di  Spel- 
man con  numerose  aggiunte.  No- 
teremo che  i  concilii  riportati  di 
sopra  sono  i  soli  inglesi  non  bri- 
tanni; e  quanto  all'  ordine,  cosi  li 
notammo  non  perchè  tali  sieno  ri- 
conosciuti per  ordine  di  tempo , 
ma  solo  per  dargli  qui  un  ordine 
progressivo. 

Altre  notizie  sul  cailolicismo  e  pro- 
testantismo dell'  Inghilterra ,  e 
delle  sedi  vescovili,  ordini  reli- 
giosi e  collegi.  Stato  presente  e 
vicariati  apostolici  d'  Inghilter- 
ra ,  compreso  quello  di  Gibil- 
terra. 

Fu  già  l'Inghilterra  chiamata  Li 
terra  de'sanli,  vi  si  tennero  molti 


i34  ING 

concilii  come  si  può  vedere  nei 
citati  autori  ed  in  questo  Diziona- 
rio ai  rispettivi  articoli  de'luoghi 
ove  furono  adunati,  e  vi  fiori  il 
monachismo,  laonde  a  questo  spe- 
cialmente deve  attribuirsi  la  con- 
versione di  tanti  popoli  di  questo 
regno,  dappoiché  i  monisteri  ar- 
rivarono al  novero  di  seicento. 
Numerose  furono  le  sedi  vescovi- 
li ove  fiorirono  dotti  e  santissimi 
vescovi,  suffraganei  dell'arcivescovo 
di  Cantorbery  primate  d'Inghilter- 
ra ,  e  dell'  arcivescovo  di  York, 
compresi  in  due  provincie  eccle- 
siastiche; non  esseudo  questo  il 
luogo  di  parlare  di  quelle  di  Sco- 
zia e  d' Irlanda,  trattandosene  ai 
loro  articoli.  Sotto  all'  arcivescovo 
di  Cantorbery  furono  sottoposti  i 
vescovati  di  Londra  ;  Winchester 
cui  si  unì  Dorchester  ;  Rochester  ; 
Ely  o  Heli  ;  Norwich  che  riunì 
le  sedi  di  Dunwich,  Elmham  e 
Thetfort  ;  Peterborough  ;  Lincoln 
cui  si  unì  Dorcester  e  Lexce- 
ster  ;  Lichfield  colla  residenza  a 
Conventry  ;  Worcester  ;  Hereford  ; 
Gloucester  ;  Oxford  ;  Chichester 
cui  si  unì  Seolsei;  Salisbury  cui 
si  "unì  Wilton  e  Sherburn  ;  Exe- 
ter  cui  si  unì  Cridia  o  Devon- 
shire  e  Cornovaglia  con  residen- 
za a  Bodmin;  Wells  con  resi- 
denza a  Batti  uniti;  Bristol;  Lan- 
dau"; s.  David  cui  si  unì  Caerleon 
e  Patcrnum  o  Land-Patein  ;  Ban- 
gor  cui  si  unì  Wict-Isle,  ;  e  s. 
Asaph  o  Elvia.  Sotto  all'  arcive- 
scovato di  York  furono  sottoposti 
i  vescovati  di  Durharn,  cui  si  unì 
Lindisfarn  ed  Hexham,  il  quale  poi 
si  unì  a  York;  Carlisle;  Chester; 
e  Man  cui  si  unì  Sodor  con  re- 
sidenza a  Russi n  capitale  dell'isola. 
Lanfranco  arcivescovo  di  Cantor- 
bery riunì    un  concilio   nel    1075 


ING 

di  lutti  i  vescovi,  al  quale  assiste- 
rono i  seguenti.  Lanfranco  metro- 
politano, Tommaso  arcivescovo  di 
York,  Willesrao  di  Londra,  Val- 
chelino  di  Worcester  ,  Erimanno 
Syraburnensis,  Remigio  di  Dorcas 
o  Lincoln,  Erfasto  Helmeanensis  o 
di  Norwich,  Stigando  Slequensis, 
Osberno  di  Oxford,  Yilstano  o 
Guilstano  IVirìceslrensìs,  Gualdero 
di  Hereford,  Gisone  di  Wels,  Pie- 
tro di  Lichfield, di  Durharn 

assente;  il  vescovo  di  RolF,  vacante. 
Ad  un  concilio  chiamato  generale 
del  1127  assisterono  i  seguenti  ve- 
scovi: Guglielmo  di  Cantorbery,  Gu- 
glielmo di  Winchester  ,  Ruggero 
di  Salisbury,  Everardo  di  Nor- 
wich, Sigelfido  di  Chichester,  Ric- 
cardo d'  Hereford  ,  Godofredo  di 
Bath,  Giovanni  di  Ross,  Guglielmo 
d'Excester,  Alessandro  di  Lincoln, 
Erveo  d' Ely,  Bernardo  di  s.  Da- 
vide, Urbano  Glamorgalensis  o  di 
Landaff,  e  David  di  Bangor.  Ne  fu- 
rono assenti  Turstano  di  York  , 
Simone  di  Worcester,  e  Randulfo 
di  Dunholm.  Morti  erano  Riccar- 
do di  Londra  e  Roberto  di  Con- 
ventry. La  notizia  d'  Inghilterra 
dell'abbate  Milon  nel  12^5  ci  dà 
il  seguente  catalogo  de'  vescovati. 
Cantorbery  metropoli,  Londra,  Rolf, 
Chichester,  Excester,  Winchester, 
Bath,  Salisbury,  Worcester,  Here- 
ford, Conventry,  Lincoln,  Norwich, 
Helles,  s.  David,  Landalf,  Bangore, 
s.  Asaph,  Assano,  Asso,  Lichfield, 
York  metropoli,  Durharn,  Cardoe, 
Carlisle,  e  Whitehaven.  Sopra  i 
vescovati  d'  Inghilterra  sono  a  ve- 
dersi i  loro  articoli  e  1'  opera  di 
Enrico  Wharton  figlio  di  un  mini- 
stro anglicano,  intitolata:  Anglia 
sacra ,  siv e  colleclio  hisLoriarum 
partirli  antiquius,  partirli  recenter 
seri  pianini    de    archiepiscopi^,    et 


ING 

epìscopi*  Angliae.  Londini  1691, 
tomi  due  in  fog.  Questa  è  l'opera 
più  generalmente  nota  di  Wbarton. 
Havvi  nel  primo  volume  la  storia 
delle  chiese  ch'erano  state  posse- 
dute dai  monaci  fino  al  i54o.  Il 
secondo  contiene  una  raccolta  delle 
vite  de'  vescovi,  composte  da  an- 
tichi biografi.  L'autore  divisava  di 
pubblicarne  un  terzo,  il  quale  con- 
tenuto avrebbe  la  storia  delle  chie- 
se possedute  dai  canonici  secolari 
e  regolari,  ma  la  morte  dell'arci- 
vescovo di  Sandcroft,  che  indotto 
avealo  ad  un  tal  lavoro,  gli  tolse 
i  mezzi  di  continuarlo,  né  uscì  di 
quest'ultima  parte  che  De  episco- 
pis  et  de  decanibus  Londinensibus 
et  Assanensibus  ad  annum  i54o. 
Londra  i6cp.  Wharton  cooperò 
all'  edizione  delle  Antichità  della 
diiesa  della  Gran  Bretagna  di 
G.  Acworth,  ed  a  quella  dell'ope- 
ra di  Francesco  Godwin  sui  Vesco- 
vi d*  Inghilterra,  ossia  catalogo  dei 
vescovi  d'Inghilterra  dall'epoca  del- 
lo stabilimento  del  cristianesimo 
in  quell'  isola,  con  una  storia  in 
compendio  delle  loro  vite  e  delle 
loro  principali  azioni.  In  Londra 
ne  furono  fatte  diverse  edizioni. 

Al  fatale  avvenimento  dello  sci- 
sma le  sedi  vescovili  erano  venti- 
quattro nella  sola  Inghilterra,  e  le 
ricche  rendite  di  esse  passarono 
ai  vescovi  protestanti.  La  brutale 
passione  di  Enrico  YI1I  distrusse 
gli  ospizi,  i  monisteri  ,  i  capi- 
toli, e  come  abbiamo  detto  abolì  il 
cattolicismo.  Chi  del  clero  non  a- 
derì  al  nuovo  erroneo  sistema  ec- 
clesiastico, o  morì  sotto  la  scure, 
vittima  di  atroci  patimenti,  o  da- 
to un  eterno  «ddio  ai  parenti,  ai 
beni,  alla  patria,  passò  esule  in 
terre  straniere.  Nel  1 5 8 4  venne 
al  termine  di    sua  vita   monsiguor 


ING  i35 

Watson    vescovo  di  Lincoln,  e    fu 
I'  ultimo  di  quelli  che    non  vollero 
eroicamente  uniformarsi  alle  dispo- 
sizioni  della  regina  Elisabetta.  Pas- 
sarono   quattordici  anni  senza  che 
si  potesse  dare  a  monsiguor  Wat- 
son un    successore  nell'ordine  epi- 
scopale,   poiché   le  persecuzioni   di- 
venute più    che    prima    atroci ,  re- 
sero le     comunicazioni    colla  santa 
Sede  di  una  somma  difficoltà.   Nel 
1598  per  le  premure  del  cardinal 
Enrico     Gaetani    protettore    della 
nazione  inglese  presso  la  Sede  apo- 
stolica, fu  eletto  da  Clemente  Vili 
in   arciprete    del  clero    secolare  d. 
Giorgio  Blackwell.  Non  piacque  al 
clero  questa    nuova    forma    di  go- 
verno,  per  cui   fece  istanza  pel  ri- 
stabilimento   de'  vescovi    ordinari  ; 
ma  le  calamità  de'tempi  trattenne- 
ro   la    santa    Sede    dal    condiscen- 
dere   alla    domanda,    ed    in    vece 
nel    i6a3    credette     opportuno   di 
deputare    al    governo  della    chiesa 
cattolica  d'Inghilterra  una  persona 
insignita    del    carattere     vescovile 
come    vicario    apostolico  del  Papa, 
e    con    giurisdizione    straordinaria. 
La  scelta   cadde  su  monsignor  Bi- 
shop  vescovo  di  Calcedonia  in  parti- 
bus,  e  questi    fu    il  primo    vicario 
apostolico    alla  cui   autorità  fu  as- 
soggettata   l' Inghilterra    e  la  Sco- 
zia, con    quelle  facoltà    che    i  ve- 
scovi esercitano  nelle    loro  città  e 
diocesi.  Egli    istituì    un  decano  ed 
un    capitolo,    ma    essendo    morto 
poco  dopo  gli  fu  dato  in  successo- 
re monsignor  Smith,  il  cui  governo 
però  non  fu  gran   fatto  felice.    Dis- 
graziatamente le  discordie  del  cle- 
ro  cattolico  diedero   motivo  al  go- 
verno   protestante    di    tribolare    la 
chiesa    vera  della    Gran    Bretagna. 
Per  salvarsi  dalla  persecuzione  mon- 
siguor Smith  si  rifugiò  in  Francia, 


i36  ING  ING 
ove  mòri  nel  i655.  Passarono  Fu  sempre  presso  i  cattolici 
trent'anni  senza  che  i  Pontefici  gli  d'Inghilterra  di  un  grand'oggetto 
potessero  dare  un  successore,  re-  la  questione  della  loro  emancipa- 
golando  intanto  la  chiesa  il  deca-  zione,  e  •  tutte  le  trattative  fatte 
no  ed  il  capitolo  istituiti  dal  ve-  dai  ministri  del  governo  inglese, 
scovo  di  Calcedonia.  Assunto  al  Quei  cattolici  del  regno,  che  altra 
trono  Giacomo  II,  ^essendo  egli  mira  non  avevano  che  il  hene  dei- 
cattolico,  moslrossi  propenso  a  ri-  la  loro  religione,  dalla  quale  né 
donar  la  pace  alla  travagliata  cri-  l'interesse  né  1'  ambizione  può  al- 
stianità,  laonde  nel  suo  breve  re-  lontanarli,  non  potevano  senza  do- 
glio fu  eletto  vicario  apostolico  di  lore  vedere,  che  quanto  avrebbe- 
tutta  1'  Inghilterra  da  Innocenzo  ro  essi  guadagnato  coli'  emancipa- 
XI  monsignor  Leyburn  vescovo  zione,  tanto  potevano  perdere  nel- 
di  Adrumeto  in  partibus;  e  dopo  la  religione  accordando  condizioni 
due  anni  fu  creato  un  secondo  che  avrebbero  dato  al  governo 
vicario  apostolico  nella  persona  di  inglese  un'influenza  sulla  discipli- 
monsignor  Giffòrd  vescovo  di  Ma-  na  cattolica,  cagione  di  conseguen- 
daura  in  parlibus,  e  nel  i685  per  ze  dannose  alla  purità  della  reli- 
autorità  dello  stesso  Pontefice  tutta  gione,  e  mai  da  paragonarsi  al  be- 
la Gran  Bretagna  venne  divisa  in  ne  civile  che  potevano  sperare, 
quattro  vicariati  apostolici,  cen-  Quantunque  le  leggi  del  1778, 
trale,  meridionale,  occidentale  e  del  1791,  e  del  1793  recassero 
settentrionale,  tutti  insigniti  di  ca-  successivamente  notabili  cangiamenti 
raltere  vescovile,  e  ad  ognuno  Già-  alla  situazione  politica  dei  cattolici 
corno  II  assegnò  l'annua  pensione  inglesi,  pure  essi  restavano  sogget- 
di  mille  lire  sterline.  Nel  1688  ti  a  molte  esclusioni  e  restrizio- 
nuova  burrasca  turbò  la  pace  del-  1  ni  che  sembrarono  non  conformi 
la  chiesa  cattolica,  perchè  venendo  alla  giustizia  ed  ai  voti  delle  per- 
deposla  dal  trono  la  famiglia  degli  sone  più.  illuminate  della  stessa 
Stuardi,  venne  esso  dato  al  prin-  nazione,  molto  meno  confacenti  al- 
cipe  d' Orange  protestante,  e  ne-  la  natura  del  governo  medesimo, 
mico  implacabile  del  nome  catto-  Nel  1799  dieci  vescov'  d'Irlanda, 
lieo.  Subito  cessarono  le  pensioni,  alla  vista  di  molti  vantaggi  propo- 
ricominciò  la  persecuzione,  che  non  sti  dai  ministri  del  governo,  ma- 
rallentò  la  sua  violenza  che  nel  nifestarono  che  non  trovavano  cosa 
fine  del  passato  secolo,  al  che  con-  inconveniente  di  accordare  al  go- 
tribuirono  non  poco  quegli  esem-  verno  una  qualche  influenza  nelle 
plari  ecclesiastici  ,  che  fuggendo  nomine  de'  vescovi  per  1'  oggetto 
la  rivoluzione  francese  trovarono  dell'  emancipazione.  E  nel  1808 
un  asilo  in  quell'isola.  Fu  nel  1791  fu  la  prima  volta,  che  venne  par- 
in  cui  usci  qualche  legge  in  sollie-  tecipato  col  parlamento  il  veto,  e 
vo  de'  poveri  cattolici;  il  culto  nel  le  risoluzioni  generiche  de'vescovi 
recinto  delle  chiese  divenne  più  suddetti  del  1799;  e  si  dichiarò, 
libero,  ed  i  magistrati  desistendo  che  il  re  avrebbe  il  diritto  di  e- 
dalle  sevizie,  si  accrebbero  le  cap-  scludere  dai  vescovati  i  soggetti 
pelle,  ed  il  numero  de'  fedeli  si  presentati,  allorché  avesse  ragione 
raddoppiò  mirabilmente.  di    sospettare    di    fedeltà.    In    tale 


ING  ING                    i37 

occasione  nel  parlamento  fu  co-  I  cattolici  inglesi  non  potendo 
uiuuicato  sul  proposito  il  consen-  essere  indifferenti  in  tale  questio- 
so  favorevole  di  monsignor  Milner,  ne  alle  risoluzioni  de'  vescovi  ir- 
uno  de'  vicari  apostolici  del  regno,  landesi,  formarono  una  società  os- 
e  rappreseatante  de'  vescovi  irlan-  sia  assemblea  in  Londra.  Intanto 
desi.  Ma  subito  tal  prelato  prò-  1'  affare  avea  preso  molta  voga, 
testò  pubblicamente  che  non  avea  essendo  state  agitate  molte  subal- 
dato  il  consenso  formale  al  pre-  terne  questioni  fra'  cattolici  del  re- 
detto progetto,  e  che  non  lo  da-  gno,  e  fatte  diverse  mozioni  nei 
rebbe  senza  prima  attendere  le  i-  parlamenti  dai  lordi  Grenville  e 
struzioni  de'  vescovi  irlandesi.  In  Grey,  e  da  Ponsonby  e  Hippisley 
seguito  di  ciò  si  manifestò,  spe-  membri  del  parlamento  in  favore 
cialmente  in  Irlanda,  anche  dal-  del  veto, e  tutte  riuscite  colla  mag- 
io stesso  popolo ,  una  opposizio-  giorità  de'  suffragi  contro  i  catto- 
ne  grande  al  veto  ,  che  si  ri-  liei.  iVel  primo  febbraio  1810  si 
guardava  come  il  sacrifizio  della  tenne  ['  assemblea  de'  cattolici  in- 
religione e  della  libertà  ecclesia-  glesi  in  Londra,  i  quali  per  non 
stica  nella  scelta  de' vescovi  ;  d'ai-  porsi  in  contraddizione  coi  cattolici 
tronde  il  governo  fino  a  tal  tem-  irlandesi,  stesero  una  risoluzione 
pò  non  avea  motivo  di  lagnarsi  con  termini  generali,  annunziando 
de'  vescovi  cattolici,  né  sospettar  che  i  cattolici  sono  disposti  a  pre- 
doveva della  loro  fedeltà  :  non  vi  starsi  a  condizioni,  che  producano 
era  dunque  motivo  di  temenza  una  soddisfazione  reciproca,  e  che 
per  l'avvenire.  Uscirono  molti  scrit-  siano  conformi  ai  priucipii  della 
ti,  e  fu  un  grido  generale  contro  disciplina  della  Chiesa  romana.  I 
il  veto,  essendo  conlenti  i  catto-  vicari  apostolici  si  unirono  ne'  sen- 
lici  piuttosto  di  gemere  nell'  avvi*  timenti  così  espressi,  ed  il  solo 
limento,  al  quale  erano  avvezzi  da  monsignor  Milner  rifiutò  il  suo 
molti  anni,  che  fare  la  minima  of-  suffragio,  credendo  di  vedere  nella 
fesa  alla  disciplina  cattolica;  ben  risoluzione  la  riprovazione  delle 
persuasi  di  avere  molte  ragioni  di  ultime  determinazioni  de'  vescovi 
non  potersi  fidare  di  un  governo  irlandesi  a  cui  era  unito,  e  dei 
che  gli  aveva  trattati  con  tauto  quali  era  rappresentante  o  agente, 
rigore,  solo  perchè  erano  cattolici.  Quindi  i  cattolici  inglesi  si  posero 
Quindi  que' dieci  vescovi  irlandesi  in  opposizione  coi  vescovi  irlandesi; 
ritrattarono  qualunque  adesione  mo-  il  progetto  de' primi  venne  porta- 
strata  nel  1799,  mentre  non  ave-  to  in  parlamento,  seguirono  diver- 
vano  mai  creduto  di  acconsentire  se  mozioni,  e  nacquero  molte  e 
ad  una  influenza  del  governo  così  varie  vicende.  Monsignor  Poynter, 
estesa  come  veniva  proposta,  e  che  uno  de'  coadiutori  de'  vicari  apo- 
sempre  avrebbero  riservata  la  san-  stolici,  tentò  con  efficaci  lettere  di 
zione  al  Papa.  In  fatti  nel  1808  persuadere  monsignor  Troy  arci- 
predetto  tutti  i  vescovi  irlandesi,  vescovo  di  Dublino,  asserendo  che 
uniti  in  un  sinodo  nazionale,  ri-  le  risoluzioni  prese  in  Londra  dal- 
solsero  che  non  era  spedieute  di  1'  assemblea  de'  cattolici  erano  ri- 
introdurre alcun  cangiamento  nella  strette  al  caso  che  non  venire 
>cclta  de' vescovi.  né  la  fede,  né  la  disciplina  altera- 


i38  ING 

ta  ;  ma  ogni  tentativo  fu  vano, 
perchè  1'  Irlanda  continuò  a  pro- 
nunciare contro  il  velo.  Nel  1 8 1 3 
si  rinnovarono  nel  parlamento  per 
opera  dei  membri  inglesi  molte 
mozioni  in  favore  de'  cattolici,  e 
quasi  tutte  furono  rigettate.  Si  u- 
nirono  nuove  assemblee  in  Londra, 
e  insorsero  nuove  mozioni  ne' par- 
lamenti ;  e  queste  senza  risultamen- 
to  a  prò  de'  cattolici,  e  non  senza 
dispiacere  di  que'  cattolici  favore- 
voli al  veto.  Ciò  non  ostante  la 
questione  del  veto  formava  una 
delle  dispute  di  animosità,  quando 
monsignor  Poynter  divenuto  vica- 
rio apostolico  di  Londra  per  mor- 
te di  monsignor  Douglas,  pensò  di 
ottenere  da  Roma  una  decisione 
per  mezzo  del  suo  agente  abbate 
Macpherson,  credendo  in  tal  mo- 
do di  guadagnare  i  sentimenti  dei 
vescovi  irlandesi.  Non  era  rimasto 
in  Roma  in  detto  tempo  che  qual- 
che prelato,  che  per  l'età  avanzata 
avea  potuto  essere  dispensato  dal- 
l' esilio.  Fra  questi  monsignor 
Quarantotto  eh'  era  vice- prefetto 
di  propaganda  fide,  concesse  un 
rescritto  nel  1 8 1 4  favorevole  al 
veto.  Questo  rescritto  cagionò  le 
più.  grandi  turbolenze  fra  i  catto- 
lici del  regno,  ed  accese  maggior- 
mente i  due  partiti  ;  mentre  i  fau- 
tori del  veto  lo  sostenevano  come 
una  decisione  solenne,  gli  altri 
contrastavano  a  monsignor  Qua- 
rantotto 1'  autorità  di  pronunziare 
in  quest'  affare,  essendo  Pio  VII 
in  deportazione  per  opera  de'  fran- 
cesi invasori  del  suo  stato  e  di 
Roma.  In  questa  tornato  il  Ponte- 
fice, subito  vi  si  recarono  i  vicari 
apostolici  del  regno  un  dopo  1'  al- 
tro per  rappresentare  le  loro  ra- 
gioni. Monsignor  Milner  contro  il 
velo  ed  il  rescritto  portò  la  paro- 


ING 

la  unanime  de'  vescovi  d'  Irlanda; 
monsignor  Poynter  in  favore  del 
veto  e  del  rescritto,  unito  ai  cat- 
tolici di  Londra  ed  agli  agenti  del 
governo  britannico,  a'quali  piaceva 
1'  uno  e  1'  altro  .  Pio  VII  non 
prese  alcuna  risoluzione  formale, 
ma  il  cardinal  Litta  prefetto  di 
propaganda  fide,  come  accennammo 
più  sopra,  rispose  con  lettera  con- 
cepita in  termini  generali,  che  fa- 
vorivano sotto  alcune  riserve  il  ve- 
to. In  seguito  continuando  la  di- 
visione de'  cattolici  in  tutto  il  re- 
gno, non  mancarono  nel  1 8 1 9 
nel  parlamento  nuove  mozioni,  ina 
senza  frutto.  Finalmente  piacque 
alla  divina  provvidenza  di  muove- 
re gli  animi,  e  quindi  nel  1829 
venne  accordata  la  sospirata  eman- 
cipazione ai  cattolici  senza  il  veto, 
laonde  i  vescovi  dell'  Irlanda,  i  vi- 
cari apostolici  di  Scozia  e  d'  In- 
ghilterra, ed  i  coadiutori  degli  uni 
e  degli  altri,  vengono  liberamente 
eletti  senza  1'  influenza  e  1'  appro- 
vazione del  governo  inglese,  ed 
al  modo  che  si  accennò  nel  voi. 
XVI,  p.  s5o  del  Dizionario. 

Dopo  sì  sospirato  avvenimento 
rientrarono  i  cattolici  al  godimento 
di  quasi  tutti  i.  diritti  civili  e  mi- 
litari, obliato  ogni  obbligo  di  giu- 
ramento, abolite  molte  leggi  pena- 
li, tra  le  quali  però  si  volle  con- 
servata quella  che  condanna  alla 
multa  di  ceuto  lire  sterline  quel 
prelato  cattolico,  che  assumesse  il 
titolo  d'  una  sede  occupata  da  un 
dignitario  anglicano,  benché  neh'  Ir- 
landa che  ha  quattro  arcivescovi 
e  ventitré  vescovi  cattolici,  portano 
questi  tutt'  ora  gli  antichi  titoli, 
godendone  le  rendite  i  vescovi  an- 
glicani. Rosa  dunque  la  pace  e  la 
libertà  alla  chiesa  d'  Inghilterra, 
il     clero     ed     i    laici    più     notabili 


ING 

umiliarono  alla  santa  Sede  le  più 
rispettose  richieste  per  cambiare  la 
forma  del  governo  ecclesiastico,  co- 
me più  non  voluto  dalle  circostan- 
te mutate.  Tra  gli  altri  cambia- 
menti si  domaudava  che  si  accre- 
scesse il  numero  de'  superiori  ec- 
clesiastici ;  eh'  essendo  cresciuta  la 
greggia  si  accrescessero  in  propor- 
zione i  pastori  ;  inoltre  si  fece  i- 
stama  per  1'  istituzione  dei  capito- 
li e  dei  decanali,  ed  il  ristabili- 
mento delle  antiche  sedi  vescovili. 
Ma  la  santa  Sede  non  giudicò  co- 
sa prudente  mettersi  in  collisione 
coi  vescovi  protestanti,  i  quali  fa- 
cendo parte  del  corpo  legislativo 
potevano  recar  grave  danno  e  far 
perdere  in  un  momento  i  frutti 
delle  fatiche  di  tanti  anni.  Dopo 
però  moltiplici  consulti,  esami  ed  an- 
tiveggenze richieste  dalla  prudenza, 
escluso  il  progetto  di  fondare  ve- 
scovati, come  troppo  pericoloso, 
nell'  anno  1840  dalla  sacra  con- 
gregazione di  propaganda  fide  e 
con  piena  approvazione  del  regnan- 
te Gregorio  XVI,  fu  data  una 
nuova  forma  al  regime  ecclesiasti- 
co d'  Inghilterra,  mediante  il  pon- 
tificio breve  Muneris  j4postolìcis 
de'  3  luglio,  Bull,  de  Prop.  fde 
t.  V,  p.  198.  Fu  portato  ad  otto 
il  numero  de'  vicariati  apostolici, 
come  si  vedrà  più  innanzi,  pre- 
messo qualche  notizia  sopra  alcuni 
corpi  religiosi,  e  sopra  i  collegi 
che  in  alcuni  regni  vi  furono  aper- 
ti dopo  la  defezione  di  Enrico 
Vili,  per  conservare  i  fedeli  che 
si  erano  mantenuti  costanti,  e  per 
richiamare  quelli  che  aveano  se- 
guito 1'  errore.  Riguardo  alla  Sco- 
zia, sino  dal  1827  fu  accresciuta 
di  un  terzo  vicariato  apostolico, 
risalendo  1'  istituzione  degli  altri 
due  al   1695  ed  al  1732.  Divideu- 


ING  i39 

dosi,  come  dicemmo  in  principio, 
il  regno  d'  Inghilterra  in  quaranta 
contee ,  ed  in  dodici  contee  il 
principato  di  Galles,  oltre  le  isole 
di  Man,  di  Jersey  e  di  Guernsey, 
e  che  Londra,  York  ed  altre  insi- 
gni città  costituiscono  altrettante 
contee,  tutte  le  mentovate  contee 
contengono  diecimila  centotrentatre 
parrocchie  della  setta  episcopale, 
eh'  è  la  dominante  ;  si  trovano  pe- 
rò in  Inghilterra,  come  pure  no- 
tammo, presbiteriani,  unitari,  quac- 
queri, anabatisti ,  metodisti,  ebrei, 
ec.  Dicemmo  egualmente  che  al- 
lorquando Enrico  VIII  si  separò 
dalla  Chiesa  romana,  costituì  sé 
ed  i  suoi  successori  capi  della  re- 
ligione, per  cui  il  re  come  tale 
tuttora  invoca,  proroga,  discioglie 
i  sinodi  ecclesiastici,  nomina  arci- 
vescovi e  vescovi.  Gli  arcivescovi 
sono  due,  quello  di  Cantorbery 
primate  del  regno,  e  quello  di 
York.  I  vescovi  sono  venticinque,  cioè 
venti  nella  provincia  Cantauriense, 
e  cinque  in  quella  di  York.  Della 
prima  provincia,  oltre  l'arcivescovo  di 
Cantorbery,  i  vescovi  sono  :  di  Lon- 
dra, Winchester,  Liehfield  e  Con- 
ventry,  Lincoln,  Ely,  Salisbury, 
Exeter,  Bath  e  Wells,  Chichester, 
Norvick,  Worcester,  Hereford,  Ro- 
chester ,  Oxford  ,  Peterborough  , 
Gloucester,  Bristol,  Llandaff,  s. 
David  ,  s.  Asaph  e  Bangor.  Si 
vogliono  attualmente  unire  i  due 
ultimi  e  farne  un  altro  in  Man- 
chester. Della  seconda  provincia , 
oltre  1'  arcivescovo  d'  York,  i  ve- 
scovi sono:  di  Durham,  Carlisle, 
Chester,  Man,  ed  il  nuovo  di  Ripon. 
La  chiesa  anglicana  ha  di  rendite 
tre  milioni  di  lue  sterline  provenien- 
ti in  gran  parte  da  decime;  ma  il 
celebre  O'Connell  in  un  suo  discor- 
so   disse  che  il    mantenimento  del 


i4o  ING 

clero  anglicano  costa  sei  milioni  di 
lire  sterline  all'anno,  pari  a  tren- 
tadue milioni  e  oltocentomila  scudi 
romani.  L'  alto  clero  è  piuttosto 
una  dignità  che  un  corpo  avente 
giurisdizione  ;  i  vescovi  sono  baro- 
ni e  pari  del  regno. 

Passando  a  dire  degli  ordini  re- 
golari d' Inghilterra,  oltre  quanto 
superiormente  di  essi  venne  nar- 
rato, l'istituto  benemerito  dell'or- 
dine di  s.  Benedetto,  o  nel  fine 
del  sesto  secolo  per  mezzo  di  s. 
Agostino  e  compagni  spediti  dal 
Papa  s.  Gregorio  I,  o  poco  più 
tardi  si  stabili  in  Inghilterra,  fio- 
rendovi mirabilmente  in  virtù,  o- 
nore  e  potere.  L'abbate  del  mo- 
nistero  di  s.  Albano  sedeva  al  par- 
lamento innanzi  a  tutti  gli  abbati 
mitrati,  la  qual  precedenza  gli  fu 
accordata  dal  Pontefice  inglese  A- 
driano  IV  nel  1  1 54,  e  molti  re 
confermarono  questo  privilegio.  Pri- 
ma della  distruzione  de'  monisteri 
in  Inghilterra  ventisette  o  venti- 
nove abbati  e  due  priori,  quasi 
tutti  dell'ordine  di  s.  Benedetto, 
erano  baroni,  ed  avevano  il  dirit- 
to di  sedere  al  parlamento.  Col 
dare  la  lista  qui  appresso  delle 
abbazie  che  godevano  questo  pri- 
vilegio, noteremo  la  rendita  an- 
imarla, giusta  la  stima  fattane  al- 
lorché furono  distrutte;  è  noto  che 
la  lira  sterlina  di  cui  si  tratta  e- 
quivale  ad  un  luigi  d'oro  circa, 
i.  S.  Albano  21 02  lire  secondo  la 
maniera  ordinaria  di  contare,  e 
25 io  in  Speed.  2.  Glastembury, 
dedicata  alla  santa  Vergine,  33 11 
lire  in  Dugdale,  e  35oo  in  Speed. 
3.  S.  Agostino  di  Cantorbery  i4i3 
lire  trasportate  alla  corte  dello  scac- 
chiere; e  la  chiesa  priorale  di  Cristo 
nella  stessa  città  2387  lire.  4-  L'abba- 
zia di  Westminster  3471  lirciuDug- 


ING 

dale,  e  3977  in  Speed.  Maitland  os- 
serva nella  6ua  6toria  di  Londra 
e  di  Westminster  pag.  391,  che 
3977  lire  di  quel  tempo  ne  fareb- 
bero oggidì  ventimila.  Egli  aggiun- 
ge che  l' abbazia  di  Westminster 
colla  rendita  accennata  era  la  più. 
doviziosa  che  vi  fosse  in  Inghilter- 
ra; essa  era  anche  la  più  ricca- 
mente fornita  di  vasi  sacri  e  di 
ornamenti  preziosi.  5.  L' abbazia 
di  Winchester,  fondata  sotto  il  no- 
me della  ss.  Trinità  da  s.  Berino 
e  Rinegilso  primo  re  cristiano  dei 
west-sassoni,  e  conosciuta  poscia 
sotto  il  nome  di  san  Swituno  , 
i5o7  lire.  6.  Sant'Edmondo  Bu- 
ry,  edificata  dal  re  Canuto,  1659 
lire  in  Dugdale,  e  2336  in  Speed. 

7.  L'abbazia  d'Ely  ristaurata  da 
s.  Etelvoldo  1084  lire  ;  il  vesco- 
vato della   stessa   città    21 34   lire. 

8.  Abingdon,  fondata  sotto  il  no- 
me della  santa  Vergine ,  da  Ced- 
walla  e  Ina  re  dei  west-sassoni , 
1876  lire.  9.  L'abbazia  di  Reading, 
edificata  dal  re  Enrico  I,  ig38  li- 
re, io.  Thorney  nella  contea  di 
Cambridge,  restaurata  da  s.  Etel- 
voldo in  onore  della  santa  Vergi- 
ne, 5o8  lire.  11.  Waltham,  la 
quale  da  chiesa  collegiata  fondata 
dal  conte  Aroldo  nel  1062,  fu 
cangiata  dal  re  Enrico  II  in  ab- 
bazia di  canonici  regolari  di  s.  A- 
gostino  sotto  il  nome  di  s.  Croce, 
900  lire  in  Dugdale,  e  1079  in 
Speed.  1 2.  San  Pietro  di  Glou- 
cester,  fondata  da  Wulfero  ed  Etel- 
redo  re  di  Mercia,  i55o  lire:  En- 
rico VIII  fece  una  cattedrale  di 
questa    abbazia.     i3.     Tewksbury 

1 598  lire  :  questa  abbazia  fu  fon- 
data nel  7  i5  da  Doddo  primo  si- 
gnore di  Mercia,  il  quale  si  fece 
monaco  a  Pershore.  1 4-  Winchel- 
comb    nella    conica    di  Gloucestcr 


ING 

7^9  lire:  questa  abbazia  fu  fon- 
data da  Offa  e  Kenolfo  re  di 
Mercia.  i5.  Ramsey  nella  contea 
di  Huntingdon,  fondata  sotto  il 
nome  della  santa  Vergine  e  di  s. 
Benedetto  da  Ailwyne  aldermano 
d'Inghilterra  e  conte  degli  est-an- 
gli,  1716  lire.  16.  Bardney  nella 
contea  di  Lincoln:  quest'abbazia 
essendo  stata  distrutta  nell'870  dai 
danesi  che  vi  trucidarono  trecen- 
to monaci,  fu  riedificata  da  Gu- 
glielmo il  Conquistatore.  17.  Croy- 
land  1087  in  Dugdale,  e  12 17  in 
Speed.  18.  S.  Benedetto  di  Hultn 
nella  contea  di  Norfolk,  fondata 
circa  l'anno  800,  585  lire.  Que- 
st'abbazia fu  donata  da  Enrico 
Vili  ai  vescovi  di  Norwich,  in 
cambio  per  terre  dipendenti  dalla 
loro  sede,  la  cui  entrata  annuale 
era  allora  di  io5o  lire.  Da  indi 
innanzi  i  vescovi  di  Norwich  sono 
i  soli  abbati  in  Inghilterra.  Il  mo- 
nistero  della  ss.  Trinità  di  Nor- 
wich era  stimato  1061  lire.  ig. 
L'abbazia  di  Peterborough,  fonda- 
ta nel  655  da  Penda  re  di  Mer- 
cia, e  riedificata  da  Adolfo  can- 
celliere del  re  Edgaro  che  vi  si  fe- 
ce monaco,  e  ne  morì  abbate.  Se 
ne  faceva  salire  la  rendita  a  1921 
lire  nel  XXVI  anno  di  Enrico 
Vili,  secondo  Dugdale;  e  si  trovò 
di  1972  dal  conto  che  ne  fu  fat- 
to. Enrico  Vili  lasciò  nel  suo  sta- 
to la  chiesa  per  non  turbar  le  ce- 
neri della  regina  Caterina  d' Ara- 
gona, e  cangiò  l'abbazia  in  una 
sede  episcopale,  la  cui  rendita  an- 
nua è  di  4'4  m'e  a  cai'ic0  del  re. 
20.  L'abbazia  di  Battle  nella  con- 
tea di  Sussex,  fondata  in  onore  di 
s.  Martino  da  Guglielmo  il  Con- 
quistatore, 880  lire.  11.  Malmes- 
bury  nella  contea  di  Wilts  8o3 
lire.      22.    L'abbazia    di    Whitby 


ING  i4t 

chiamata  anticamente  Streaneshalch, 
fondata  nel  657  dal  re  Oswi  in 
favore  di  s.  Ilda.  2  3.  L'abbazia  di 
Selby  nella  contea  di  York,  fon- 
data da  Guglielmo  II  in  onore  di 
s.  Pietro  e  di  s.  Germano,  729  li- 
re. 2  4-  Santa  Maria  di  York,  edi- 
ficata sotto  il  regno  di  Guglielmo 
li,  2o85  lire  in  Speed.  Le  altre 
abbazie  mitrate  erano  quelle  di 
Shrewsbury  ,  di  Cirencester,  di 
Eveshara,  di  Tavistock,  e  di  Ida 
a  Winchester.  Giovanni  Speed  già 
sarto  in  Londra,  per  l'amore  del- 
l'antichità si  dedicò  allo  studio,  e 
diede  il  Teatro  dell'impero  della 
Gran  Bretagna,  che  presenta  la 
esatta  geografia  dei  regni  d'Inghil- 
terra, Scozia  ed  Irlanda,  e  delle 
isole  adiacenti,  Londra  1606.  E 
dessa  una  l'accolta  di  carte  di  tut- 
te le  contee,  colla  pianta  delle  prin- 
cipali città  e  corte  descrizioni,  trat- 
te la  maggior  parte  dalla  Britan- 
nia  di  Camden.  L'opera  sua  più 
grande,  frutto  laborioso  di  quattor- 
dici anni,  è  la  Storia  della  Gran 
Bretagna  pubblicata  nel  1614.  Fu 
annoverato  tra  gli  scrittori  che  me- 
glio ebbero  organizzata  la  testa  per 
iscrivere  storia.  Guglielmo  Dugdale 
antiquario,  storico  ed  autore  di 
varie  opere,  compì  la  raccolta  dei 
concilii  di  Spelman,  Londra  1664. 
Compilò  di  concerto  dell'antiqua- 
rio Ruggero  Dodworth  il  Mona- 
sticon  Anglicanum,  ornato  di  ve- 
dute delle  badie,  delle  chiese,  de- 
gli ospedali,  delle  cattedrali,  delle 
collegiate,  con  le  rispettive  storie  , 
in  lingua  latina,  ed  in  tre  volumi 
in  foglio,  pubblicati  successivamen- 
te nel  i655,  x  66 1  e  1673.  Jaco- 
po Wright  pubblicò  in  inglese  nel 
1793  un  cattivo  compendio  di  tale 
opera.  J.  Steven  ne  fece  una  tra- 
duzione compita  in  tre  volumi  1 7  1 8, 


i4*  ING 

1722  e  1725.  In  Londra  nel  1817- 
i83o  se  n'è  fatta  una  magnifica 
edizione  in  otto  volumi  in  idio- 
ma inglese.  Finalmente,  per  non 
dire  di  altri,  Browne  Willis,  altro 
antiquario  inglese ,  autore  di  pa- 
recchie opere,  compose:  Storia  del- 
le abbazie  che  davano  sede  in  par- 
lamento, e  delle  chiese  cattedrali 
conventuali,  17 18  e  1719;  nonché 
Descrizione  delle  cattedrali  d' In- 
ghilterra col  Parochiale  Anglica- 
num,  corredala  del  disegno  delle 
cattedrali,  1727,  1730  e  1733.  Va 
avvertito  che  in  quest'opera,  mal- 
grado il  titolo  menzognero  che 
gli  diede  il  libraio  Osborne,  altro 
non  contiene  realmente  che  la  sto- 
ria delle  cattedrali  di  York,  Dur- 
ham,  Carlisle,  Chester,  Man,  Lich- 
lìeld,  Ilereford,  Worcester,  Glou- 
cester,  Bristol,  Lincoln,  Ely,  Ox- 
ford e  Peterborough. 

Quanto  immenso  bene  abbia  fat- 
to l'ordine  benedettino  in  Inghilter- 
ra per  circa  dieci  secoli,  non  è  co- 
sa facile  a  raccontarsi  ;  ma  ve- 
nuta la  lagrimevole  epoca  dello  sci- 
sma, quest'ordine  si  trovò  involto 
nelle  comuni  calamità.  Le  ricche  ab- 
bazie furono  invase,  derubati  i  be- 
ni, ed  i  membri  della  congregazio- 
ne soggiacquero  alla  proscrizione, 
comune  ai  ministri  del  santuario. 
Un  cosi  insigne  istituto  non  vi  an- 
dò per  altro  del  tutto- perduto.  Ai 
tempi  di  Clemente  Vili  non  vi  ri- 
maneva però  che  un  monaco,  cioè 
il  p.  Sigeberto  Bucley  di  Westmin- 
ster,  il  quale  languiva  in  una  pri- 
gione. Quel  Pontefice  avendo  desti- 
nato alle  missioni  d'Inghilterra  al- 
cuni gióvani  educati  ne'  monisteri 
benedettini  d'Italia  e  di  Spagna , 
questi  dal  superstite  monaco  nel  suo 
carcere  furono  rivestiti  dell'  abito 
monastico,  e  cosi  tornò  a  vivere  il 


ING 

quasi  estinto  ordine  benedettino  in 
Inghilterra.  Tale  adozione  fu  con- 
fermata da  Paolo  V  nel  1612,  col 
breve  Sicut  accepiinus.  Stabiliti  poi 
dei  monisteri  con  apostolica  au- 
torità in  Francia  ed  in  Germania, 
da  questi  si  portavano  i  monaci  in 
Inghilterra  a  confermar  nella  fede 
i  credenti,  a  ricondurre  a  questa  gli 
eretici.  Suscitatasi  la  rivoluzione  fran- 
cese, distrutti  con  tutti  i  pii  stabi- 
limenti i  monisteri  benedettini,  fu- 
rono i  monaci  inglesi  obbligati  a 
rifugiarsi  in  Inghilterra.  Ivi  dopo 
varie  vicende  riuscirono  a  fondare 
due  monisteri,  uno  di  s.  Lorenzo  in 
Ampleforlh  nella  contea  di  York, 
l'altro  in  Downside  nella  contea  di 
Somerset  dedicato  a  s.  Gregorio  I 
Magno.  Ottennero  in  seguito  di  fa- 
re i  voti  solenni  nelle  cappelle  dei 
monisteri,  senza  l'intervento  de'  se- 
colari, a  porte  chiuse,  e  di  non  es- 
sere tenuti  ad  indossar  l'abito  mo- 
nastico finché  non  si  cambiassero 
i  tempi.  In  virtù  delle  loro  costi- 
tuzioni i  monaci  giurano  di  dedi- 
carsi alle  missioni.  Quelle  furono 
compilate  da  nove  definitori  bene- 
dettini, tre  inglesi,  tre  italiani  e 
tre  spagnuoli,  sotto  gli  auspicii  del 
cardinal  Guido  Bentivo^lio,  d'ordi- 
ne di  Paolo  V  e  da  lui  approvate 
nel  1619  col  breve  Ex  incumbenli, 
e  confermate  da  Urbano  Vili  me- 
diante il  breve  Piantala,  emanato 
a'  12  luglio  1 633.  Nel  i83o  le  mis- 
sioni d'Inghilterra  erano  quattrocen- 
to, ed  un  gran  numero  di  queste 
erano  assistite  dai  monaci  benedet- 
tini ;  al  presente  l'ordine  ha  anche 
dei  vescovi  nelle  colonie  inglesi,  co- 
me nella  Nuova  Olanda.  Nel  1843 
gli  Annali  delle  scienze  religiose 
nel  voi.  XVI,  p.  1 1 3,  pubblicarono 
una  notizia  sul  ripristinamento  dei 
monisteri    presso  gli  anglicani.    Ivi 


ING 

si  dice  che  la  cronaca  d'Oxford  di 
recente  avea  pubblicato  una  circo- 
lare a  quei  membri  del  clero  an- 
glicano, che  si  suppongono  favore- 
voli alle  nuove  dottrine  semi-cat- 
toliche de'puseisti,  ed  intitolata  :  Ri- 
pristinazione  delle  istituzioni  mona- 
stiche e  conventuali  secondo  un  di- 
segno adattalo  ai  bisogni  della 
Chiesa  cattolica  riformata  in  Inghil- 
terra. Vi  è  detto  che  gì'  interessi 
della  chiesa  anglicana  e  della  cri- 
stiana educazione  del  popolo  pos- 
sono trarne  sommi  vantaggi,  ed  i 
mali  provenienti  dall'attuale  disor- 
dinato stato  de'  rapporti  civili  ed 
ecclesiastici  possono  venire  rime- 
diati dal  ripristinamento  del  siste- 
ma monastico  e  conventuale  in  una 
forma  acconcia  al  genio,  all'  indo- 
le ed  ai  bisogni  della  chiesa  an- 
glicana. Si  aggiunge  che  il  progetto 
avea  ricevuto  già  la  sua  esecuzione 
in  Litllemore  presso  Oxford,  per 
la  fondazione  fatta  dal  celebre  dot- 
tor Newman  d'un  monistero  anglica- 
no. Questo  inaspettato  avvenimen- 
to nel  seno  stesso  della  chiesa  an- 
glicana fece  fare  diverse  riflessioni, 
dicendosi  che  la  prelesa  riforma 
era  astretta  a  riformare  sé  mede- 
sima, che  vai  quanto  dire,  ad  ab- 
battere ciò  che  ha  edificato  per 
l'intervallo  di  tre  malaugurati  se- 
coli, ne'  quali  distrusse  e  depredò 
i  monisteri  cattolici,  millantandosi 
di  avere  recato  benefizio  alla  re- 
ligione ed  al  popolo;  pretta  delu- 
sione e  menzogna ,  chiarita  mae- 
strevolmente dal  protestante  Gob- 
bet  nell'opera  citata  di  sopra.  No- 
teremo, che  il  dottor  Newman,  ca- 
po della  scuola  teologica  di  Oxford 
e  dei  puseisti,  si  è  convertito  al 
caltolicismo;  così  Ward  altro,  mem- 
bro di  tale  università.  Altrettanto 
hanno  fatto  altri,  fra'quali    Leicc- 


ING 


i43 


ster-Buckingham  autore  delle  Me- 
morie della  regina  Maria  di  Sco- 
zia. Questi  belli  esempli  avranno 
le  più  utili  conseguenze  per  il  cat- 
tolicismo  in  Inghilterra,  il  cui  ra- 
pido e  meraviglioso  progresso  au- 
menta lo  stupore  da  cui  sono  com- 
presi gli  stessi  protestanti,  e  segna» 
tamente  il  clero  anglicano.  Si  dice 
che  in  alcuni  distretti  comunità 
intere  vanno  ritornando  alla  fede 
de' loro  illustri  antenati. 

Gli  agostiniani,  i  domenicani,  i 
minori  conventuali,  i  carmelitani  e 
forse  i  minimi  ebbero  conventi  nel- 
l'Inghilterra. Vi  furono  e  vi  sono  i 
gesuiti,  i  quali  attualmente  hanno  in 
Inghilterra  diciassette  missioni,  resi- 
denze e  collegi.  Ebbe  l'Inghilterra  u- 
na  provincia  di  cappuccini.  Nel  1626 
essi  assistevano  una  segreta  cap- 
pella della  regina  allora  cattolica, 
cappella  di  cui  questa  avea  nella 
fondazione  gittata  la  prima  pietra, 
e  non  avea  voluto  ricevere  la  co- 
rona dal  vescovo  protestante.  I  me- 
desimi cappuccini  nel  1642  furo- 
no gittati  in  una  prigione ,  e  di 
essi  non  si  trova  più  fatta  men- 
zione. Anche  i  recolletti  o  rifor- 
mati francescani,  distrutti  i  loro 
conventi  e  derubati  i  beni  che  pos- 
sedevano, ritiratisi  in  Francia  eb- 
bero in  Doway  noviziato  e  studen- 
tato,  unico  per  la  loro  provincia 
d'Inghilterra,  e  di  là  maturi  si 
portavano  in  quel  regno.  Nella  ri- 
voluzione francese  ritornarono  nel- 
1' isola,  e  nel  1804  riuscirono  a 
fondare  una  casa  nel  distretto  oc- 
cidentale, donde  si  portarono  nel 
medio.  In  queste  case  aperte  senza 
autorità  pontificia,  e  forse  senza 
quella  dei  vicari  apostolici,  fecero 
il  noviziato  ed  invalidamente  i  vo- 
ti :  fu  però  sanato  ogni  difetto,  e 
destinata  una  casa    per    l'anno  di 


i44  ING 

prova  piuttosto  che  secolarizzarli  e 
dividere  i  loro  beni  a  vantaggio 
delle  missioni.  E  stata  la  provin- 
cia visitata  nel  184.3  dal  vicario 
apostolico  del  distretto  di  Galles  , 
e  questi  doveva  amministrare  i  loro 
beni.  Terminata  la  visita  il  visita- 
tore ebbe  un  sussidio  dalla  pro- 
vincia, come  l'ebbero  altri  vicari 
apostolici,  a  norma  d' un  ordine 
della  congregazione  di  propaganda 
fide  del  2  3  aprile  i84"2.  Va  no- 
tato, che  come  i  minori  osservanti 
della  Bosnia,  così  i  riformati  d'In- 
ghilterra hanno  dei  beni  stabili,  ed 
a  seconda  del  breve  di  Urbano 
Vili,  Cupientes,  ogni  dodici  anni 
riportano  la  facoltà  di  ritenerli.  Ha 
la  città  di  Lisbona  un  monistero 
di  sacre  vergini  inglesi  dette  Bir- 
gittine,  immediatamente  soggette  al- 
la santa  Sede;  altri  monisteri  o 
case  di  monache  inglesi  sono  nel 
Belgio ,  in  Parigi ,  ed  a  Valognes 
nella  Normandia  di  teresiane.  Veg- 
gasi  il  breve  eruditissimo  di  Be- 
nedetto XIV,  Quamvix  /usto  Dei, 
pridie  kal.  maii  1749»  Bull,  de 
Prop.  tom.  Ili,  pag.  247  ,  super 
conservatorii  virginum  Anglicana- 
rum  nuncupaturum.  Altro  ne  avea 
Brusselles.  Vi  furono  nell'  Inghil- 
terra delle  così  dette  gesuitesse,  di 
cui  si  trovano  le  notizie  nel  so- 
praccitato breve  di  Benedetto  XIV, 
Quamvisjusto  Dei.  I  sacerdoti  dell'i- 
stituto della  Carità  [Vedi),  fonda- 
to dal  dotto  e  benemerito  sacer- 
dote conte  Antonio  Rosmini  Ser- 
bati, sino  dal  i835  sono  passati 
in  Inghilterra,  e  vi  hanno  conse- 
crato  l'opera  loro  all'educazione 
della  gioventù,  alla  predicazione 
e  direzione  delle  anime,  prima  nel 
collegio  di  Prior-Park  presso  Bath, 
poscia  nel  collegio  di  Oscott,  e  nella 
missione    di   Loughborough,    città 


ING 

d'Inghilterra  della  contea  di  Lei- 
cester di  circa  dodicimila  anime. 
Ultimamente  fabbricarono  nella  stes- 
sa contea  di  Leicester  una  casa  di 
noviziato,  intitolata  Collegio  di  Ra- 
teliffe,  e  l'aprirono  a'  2  r  novem- 
bre i844-  Oltre  all'attendere  alla 
conversione  de'  protestanti ,  molti 
de'  quali  abbracciarono  la  religio- 
ne cattolica  mercè  del  loro  zelo , 
essi  hanno  intrapresa  l' opera  uti- 
lissima di  dare  le  missioni  pubbli- 
che come  si  usa  nel  continente , 
sconosciute  innanzi  nell'  Inghilterra. 
Prima  de'  sacerdoti  fratelli  della 
carità,  il  costume  religioso  ed  ec- 
clesiastico non  si  soleva  usare  pub- 
blicamente nell'  isola  ;  ma  avendo 
essi  cominciato  ad  uscire  in  pub- 
blico col  costume  del  clero  roma- 
no, ch'è  l'abito  loro  proprio,  quin- 
di anche  altri  missionari  si  diedero 
a  seguire  il  loro  esempio.  Ora  pas- 
siamo a  dire  dei  collegi  inglesi  fuori 
del  regno. 

Le  soppressioni  dei  monisteri  e 
delle  case  religiose  in  Inghilterra, 
la  secolarizzazione  de' beni  lasciati 
dalla  pietà  degli  antenati  al  culto 
ed  al  servizio  del  Signore,  l'usur- 
pazione fatta  dagli  eretici  delle 
chiese,  collegi,  università  e  pii  sta- 
bilimenti, recarono  nel  regno  un 
colpo  mortale  alla  sana  dottrina, 
alla  carità,  alla  religione.  Per  prov- 
vedere al  bisogno  e  riparare  alle 
gravissime  perdite  sofferte  dalla  fe- 
de cattolica,  convenne  ricorrere 
alla  fondazione  de'collegi  fuori  del 
regno.  Dicemmo  già  come  in  Ro- 
ma Gregorio  XIII  cambiò  in  col- 
legio l'ospedale  ch'era  destinato  a 
ricevere  i  poveri  malati  della  na- 
zione, solo  qui  aggiungeremo.  Al 
cardinal  protettore  spetta  la  scelta 
degli  alunni  da  destinarsi  ministri 
evangelici    nella  patria.    Il  rettore 


1XG 

ebbe  la  facoltà  di  assolvere  gli  a- 
lunni  dalle  censure,  di  amministra- 
re i  sacramenti  nella  Pasqua,  l'e- 
strema unzione  ai  moribondi;  ed 
era  suo  obbligo  render  conto  a 
monsignor  segretario  di  propagan- 
da fide  di  sua  amministrazione,  ed 
i  conti  si  esaminavano  da  una 
congregazione  costituita  dai  cardi- 
nali protettori  dell'Inghilterra,  del- 
l' Irlanda  e  della  Scozia.  1  beni 
dell'ospedale  passarono  in  proprie- 
tà del  collegio,  che  ebbe  inoltre 
scudi  tremila  dalla  dateria  aposto- 
lica. Gli  alunni  devono  essere  in- 
glesi o  figli  di  questi,  e  dopo  sei 
mesi  prestano  il  giuramento  solito, 
che  si  conserva  nell'  archivio  di 
propaganda.  Tra  i  privilegi  evvi 
quello  di  poter  essere  laureati  die- 
tro un  esame,  sebbene  abbiano  fatti 
gli  studi  fuori  di  Roma,  e  quando 
entrano  in  collegio  devono  aver 
compita  l'umanità:  lo  studio  del- 
la filosofia  e  teologia,  e  delle  lettere 
ebraiche  è  la  loro  occupazione.  I 
decreti  d'una  antica  visita  devono 
essere  letti  due  volte  all'anno  alla 
presenza  di  tutti.  Posto  il  collegio 
sotto  la  tutela  della  santa  Sede,  è 
tolto  ad  ogni  giurisdizione  ed  è  li- 
bero dai  dazi.  Altro  collegio  per 
T  Inghilterra  si  trovava  in  Parigi, 
fondato  da  un  signore  di  quella 
nazione.  Vi  si  potevano  educare 
otto  alunni,  che  facevano  gli  sludi 
di  filosofia  e  teologia  nella  pub- 
blica università.  Avevano  l'obbligo 
di  ascendere  al  sacerdozio  e  di  ri- 
tornare alle  missioni  della  patria. 
Era  esso  collegio  sotto  l'immedia- 
ta giurisdizione  dell'arcivescovo  di 
Parigi,  al  quale  i  vicari  apostolici 
d' Inghilterra  presentavano  tre  sog- 
getti, uno  de'  quali  egli  sceglieva 
in  rettore  del  collegio,  e  vi  rima- 
neva in  ufficio  sei  anni.  Questo 
voi     xnv. 


r  n  g  i  \"> 

collegio  più  non  esiste  forse  sino 
dal  tempo  della  fatale  rivoluzione 
repubblicana.  Oggi  in  Dovray  esiste 
un  collegio  affidato  agli  anglo-be- 
dettini,  di  cui  è  rettore  il  p.  d. 
Burchall.  Abbiamo  un  breve  di 
Clemente  XIII,  De  tua  singulari, 
de' 26  novembre  1767,  presso  il 
t.  IV,  p.  1  1 4-  del  Bull,  de  prop. 
fide,  indulget,  ut  extra  tempora 
ad  ordines  promoveri  possint ,  et 
absolvi  a  censuris. 

L'  antico  collegio  secolare  di 
Doway,  ora  estinto,  fu  fondato  dal 
celebre  Guglielmo  Alano  di  Lan- 
caster  pubblico  professore  nell'u- 
versità  di  Doway,  che  di  recente 
era  stata  istituita  da  Filippo  II  re  di 
Spagna  e  sovrano  delle  Fiandre,  per 
mezzo  di  limosine  raccolte  da  per- 
sone pie  e  facoltose,  pe'  connazio- 
nali esiliati  dalla  regina  Elisabetta 
per  causa  della  religione.  Quindi 
pel  primo  funse  l'incarico  di  ret- 
tore e  maestro  nelle  scienze  :  da 
questo  seminario  uscirono  molti 
individui  che  per  la  difesa  del  pri- 
mato del  romano  Pontefice  e  del- 
la cattolica  fede  affrontarono  tor- 
menti e  morte.  A  questo  collegio 
Gregorio  XIII  assegnò  cento  scu- 
di al  mese.  Il  Cardella  nelle  Me- 
morie storiche  de'  cardinali  t.  V, 
p.  i63  e  268,  narra  come  l'Alano 
essendo  fuggito  dall'  Inghilterra  ri- 
tirossi  a  Lovanio,  indi  fondò  a 
Doway  il  memorato  collegio  ;  ma 
dovendo  per  motivi  gravi  di  sa- 
lute ripatriare  ,  ed  operando  nel 
suo  paese  segnalate  conversioni , 
come  confermando  nella  fede  i  va- 
cillanti, la  regina  Elisabetta  pro- 
mulgò fieri  editti  contro  l' Alano 
ed  i  suoi  discepoli.  A  stento  fece 
ritorno  a  Doway,  indi  si  portò  a 
Reims  dove  il  cardinal  Lodovico  di 
Lorena  de'duchi  di  Guisa,  arcivesco- 
10 


i46  IxNG 

vo  delia  città,  gli  conferì  un  canoni- 
cato nella  metropolitana,  ed  una 
pensione  di  cento  scudi.  Indi  cogli 
aiuti  di  Filippo  II,  che  gli  accor- 
dò una  pensione  sulla  chiesa  di 
Palermo,  con  quelli  del  Papa  s. 
Pio  V,  e  principalmente  coll'ope- 
ra  del  cardinale  fondò  in  Reims 
un  collegio  pei  sacerdoti  esiliati 
dall'Inghilterra,  donde  uscirono  mol- 
ti soggetti  cospicui  per  integrità 
e  dottrina,  alcuni  de'  quali  sacrifi- 
carono in  Inghilterra  Ja  vita  per 
la  cattolica  fede,  e  de' quali  tesse 
il  catalogo  il  Marlot  nel  t.  II,  p. 
837  e  seg.  della  Storia  di  Reims. 
Fin  qui  il  Cardella,  sebbene  alla 
citata  pag.  269  scrive  che  coi  no- 
minati aiuti  fondò  in  Reims  un 
nuovo  seminario  in  cui  si  poteva- 
vano  alimentare  circa  duecento  gio- 
vani, al  governo  de'quali  egli  me- 
desimo presiedè  nello  spazio  di 
quattordici  anni,  e  due  altri  ne 
stabili  nella  Spagna.  Quivi  ancora 
iu  attentato  alla' vita  dell'Alano, 
ed  il  governo  inglese  mandò  un 
sicario  per  ucciderlo.  Quando  poi 
Gregorio  XIII  fondò  in  Roma  il 
collegio  inglese,  lo  chiamò  a  sé, 
gliene  affidò  il  governo,  1'  incaricò 
della  compilazione  di  regole  adat- 
te e  confacenti  ai  costumi  ingle- 
si; e  volendolo  creare  cardinale,  egli 
modestamente  si  ricusò  col  dire, 
che  meglio  avrebbe  giovato  ai  suoi 
connazionali  nella  sua  posizione 
privata  ;  ma  il  successore  Sisto  V 
all'improvviso  l'esaltò  al  cardinala- 
to. Il  collegio  secolare  di  Doway 
cessò    alla    rivoluzione. 

Liegi  avea  un  collegio  dei  gesuiti, 
e  Saint-Omer  ebbe  un  altro  grandio- 
so collegio  fondato  dai  gesuiti  inglesi, 
e  capace  di  duecento  convittori.  Fi- 
lippo li  gli  assegnò  duemila  scu- 
di annui  :  chi    non  abbracciava  lo 


ING 

stato  ecclesiastico  tornava  in  In- 
ghilterra a  mantenere  costanti  nella 
fede  le  famiglie  cattoliche  anche 
nella  propria  discendenza.  Chi  lo 
abbracciava  o  si  faceva  religioso 
o  portavasi  in  Roma  nel  collegio 
di  sua  nazione,  ovvero  passava  in 
quelli  stabiliti  nella  Spagna.  Ve- 
nuta Saint-Omer  sotto  il  dominio 
francese,  e  cessata  la  pensione  della 
Spagna ,  ebbe  dal  re  di  Francia 
scudi  milleseicento  olire  molte  e- 
lemosine  e  largizioni.  Soppressi  i 
gesuiti,  questi  e  gli  alunni  passa- 
rono a  Bruges  negli  stati  allora 
appartenenti  alla  casa  d'Austria,  ed 
erano  centosei  :  ripristinato  in  ap- 
presso il  collegio,  tornò  a  chiuder- 
si nell'epoca  repubblicana.  In  Sivi- 
glia, illustre  città  dell'Andalusia,  e- 
sisteva  per  la  nazione  un  collegio 
fondato  nel  1592,  ed  affidato  ai 
gesuiti,  capace  di  mantenere  ses- 
santa alunni.  Decaduto  dal  suo 
splendore  e  ridotti  a  sette  i  suoi 
collegiali,  questi  partirono  tutti  in 
un  giorno.  Riaperto  dopo  vent'an- 
ni,  vi  furono  ammessi  anche  gl'ir- 
landesi; ma  in  fine  non  potendo 
essi  alunni  sopportare  1'  aria  e  la 
qualità  de'cibi,  fu  riunito  il  colle- 
gio a  quello  ch'esisteva  in  Valla* 
dolid.  Gl'inglesi  ebbero  un  colle- 
gio anche  in  Madrid  ;  venuto  me- 
no, fu  trasportato  in  Valladolid  , 
anzi  fu  riunito  all'altro  che  già  e- 
sisteva  in  questa  città.  Quello  di 
Madrid  possedeva  delle  case  in  quel- 
la capitale,  le  quali  vendute,  furo- 
no col  ritratto  denaro  acquistate 
vigne  in  Valladolid;  ciò  avvenne 
nel  1768  per  disposizione  del  se- 
nato reale.  In  quanto  al  collegio, 
che  già  esisteva  fino  dal  1 569  in 
Valladolid,  si  sa  che  questo  fu  fon- 
dato sotto  il  regno  di  Filippo  11, 
che    nel    i%2    fu    approvato    da 


IMG 

Clemente  Vili ,  col  breve  Cum 
nulluni  firmius  praesidium,  che  a- 
vea  rendite  bastanti  a  mantenere 
venti  alunni,  e  ch'era  sotto  la  dire- 
zione dei  gesuiti.  Non  erano  co- 
stretti i  collegiali  a  prestar  giura- 
mento di  non  entrare  in  religione, 
ciò  che  fu  causa  del  suo  decadi- 
mento, perchè  correva  fama  che 
quei  religiosi  ammettessero  nella 
compagnia  i  più  scelti  soggetti.  Il 
rettore  avea  molte  facoltà  riguar- 
danti le  ordinazioni,  e  poteva  as- 
solvere dall'irregolarità  gli  alunni 
nati  da  genitori  eretici  :  venti  gio- 
vani educati  in  questo  collegio,  ri- 
tornando in  patria  vi  subirono  il 
martirio.  Il  collegio  secolare  di 
Valladolid  tuttora  esiste,  e  n'  è 
rettore  d.  Giacomo  Standen.  Anche 
la  capitale  del  Portogallo  ebbe  ed 
ha  il  suo  collegio  per  sostenere  la 
religione  nell'  Inghilterra.  Fu  fon- 
dato nel  1622  o  1623  da  d.  Pie- 
tro Cantinho  Fidalgo  d'illustre  fa- 
miglia. E  dedicato  ai  ss.  Pietro 
e  Paolo;  avea  gli  stessi  privilegi 
che  il  collegio  inglese  di  Roma,  ed 
in  età  conveniente  vi  si  prestava 
il  consueto  giuramento.  I  vicari  a- 
postolici  eleggevano  il  presidente, 
la  cui  semplice  testimonianza  ba- 
stava perchè  potessero  ascendere 
agli  ordini  sacri  a  titolo  di  mis- 
sione gli  alunni  ch'erano  quindici. 
La  fabbrica  del  collegio  solfrì  no- 
tabilmente nel  terremoto  del  iy55, 
pel  ristabilimento  della  quale  la 
congregazione  di  propaganda  fide 
somministrò  qualche  sussidio.  Se 
l'Inghilterra  fòsse  tornata  ad  es- 
sere cattolica,  i  beni  del  collegio 
erano  devoluti  alla  casa  della  Mi- 
sericordia di  Lisbona.  Questo  col- 
legio per  la  retta  amministrazio- 
ne de' beni,  per  1'  osservanza  delle 
regole,     pel    profitto    nelle    scienze 


IiNG  147 

e  nella  pietà,  fu  in  maggior  cre- 
dito che  ogni  pio  stabilimento  di 
simile  natura.  E  del  clero  secolare, 
essendone  rettore  d.  Edmondo  Wm- 
stanley,  con  trenta  studenti  e  sei 
superiori,  sotto  la  dipendenza  del 
vicario  apostolico  di  Londra,  il 
quale  ne  nomina  il  rettore. 

Quanto  allo  stato  presente  del 
cattolicismo  e  protestantismo  in 
Inghilterra,  oltre  quanto  abbiamo 
detto,  ed  oltre  quanto  diremo  par- 
lando poi  de'  vicariati  apostolici, 
e  di  ciò  che  si  dirà  agli  articoli 
Irlanda  e  Scozia,  daremo  qui  al- 
cune brevi  generali  nozioni.  Sono 
già  alcuni  anni  che  si  è  suscitata 
nella  Gran  Bretagna  una  gravissi- 
ma contesa,  la  quale  viene  tuttora 
dibattuta  con  gran  calore  dalle 
due  avverse  parti.  Il  punto  della 
controversia  si  è  la  rivocazione 
dell' unione  legislativa  tra  l'Inghil- 
terra e  1'  Irlanda.  Il  celebre  Da- 
niele O'  Connell  difensore  instan- 
cabile de' diritti  religiosi  e  politici 
della  sua  patria  1'  Irlanda,  avendo 
tentato  ogui  via  per  ottenere  dal 
parlamento  britannico  il  raddriz- 
zamento de'  torti  e  delle  ingiusti- 
zie commesse  contro  la  medesima, 
e  non  avendo  potuto  conseguire 
1'  intento,  ha  corso  dall'  uno  al- 
l'altro capo  tutta  intiera  la  sua 
isola  nativa,  sommovendo  1'  intiero 
popolo  irlandese  colla  potente  sua 
voce  a  domandar  con  unanimi  voti 
dal  parlamento  britannico,  che  si 
tronchi  il  nodo  legislativo,  il  qua- 
le in  un  corpo  riunisce  dal  1 80 1 
in  qua  le  due  isole,  e  che  si  restauri 
di  nuovo  il  parlamento  irlandese 
abolito  dal  famoso  Pitt  con  far 
melate  promesse  che  non  ebbero 
mai  effetto.  A  questa  chiamata 
dell'agitatore  eloquente  tutta  quan- 
ta 1'  Irlanda    rispose  ,    e    per   ogni 


i48  IWQ 

canto  si  adunano  assemblee,  e  cia- 
scuno paga  in  volontario  tributo  il 
denaro  necessario  a  poter  occorrere 
al  dispendio  di  una  sì  grande  e 
sì  vitale  contesa.  Dall'altro  canto 
i  cattolici  inglesi,  tuttoché  sentano 
commiserazione  pei  loro  conculcati 
fratelli  ibernesi,  non  pertanto  sono 
collegati  col  ministero,  e  con  tut- 
ta la  numerosa  schiera  degli  acca- 
niti protestanti  per  mantener  sal- 
da la  unità  legislativa  dell'impero 
britannico.  Ne  per  questo  alcuno 
vi  sia  che  creda  i  cattolici  inglesi 
avere  il  medesimo  fine,  e  lasciar- 
si muovere  dalle  medesime  ragio- 
ni de'loro  alleati.  La  questione  può 
riguardarsi  sotto  due  diversi  aspet- 
ti, l'uno  religioso  e  l'altro  politico. 
E  questa  diversità  separa  in  due 
opposte  parti  tutto  intiero  il  corpo 
de*  cattolici  irlandesi  ed  inglesi. 
I  primi  non  considerano  che  le 
conseguenze  politiche,  gli  altri  le 
conseguenze  religiose  della  unione 
legislativa.  Savie  considerazioni  pub- 
blicò 1'  eccellente  giornale  cattolico 
inglese  il  Tablet.  Nel  voi.  XV  de- 
gli Annali  delle  scienze  religiose 
compilati  da  monsignor  De  Luca, 
a  p.  3  si  riporta  da  lui  tradot- 
to dall'  inglese  con  annotazioni  e 
giunte  :  Stato  presente  e  avvenire 
della  religione  cattolica  nella  Gran 
Bretagna,  e  negli  altri  paesi  pro- 
testanti. Discorso  di  Daniele  O'Con- 
nell,  membro  del  parlamento  bri- 
tannico, e  primo  magistrato  muni- 
cipale di  Dublino,  recitato  nella 
quarta  adunanza  annuale  dell'  isti- 
tuto cattolico  della  Gran  Breta- 
gna il  dì  7  giugno  1842  in  Lon- 
dra. A  voler  qui  dare  qualche 
cenno  di  sì  facondo  e  grave  di- 
scorso, ne  indicheremo  le  parti  prin- 
cipali. 

Protestando    il     grande    oratore 


ING 

sensi  di  moderazione,  incominciò 
coli'  esternare  I'  anzietà  di  vedere 
appagata  la  brama  ,  la  cui  epoca 
crede  non  gran  fatto  lontana,  di 
assistere  ad  una  messa  solenne 
nell'abbazia  di  Westminster,  antico 
tempio  cattolico  profanato  dalla 
pretesa  riforma  religiosa  in  Inghil- 
terra, ritornandosi  così  all'  uso 
primiero.  Elevarsi  il  suo  animo 
alla  speranza  di  veder  1'  Inghilter- 
ra ritornata  all'unico  ovile,  sotto 
la  guida  di  un  sol  pastore.  Indi 
diede  indirettamente  solenne  men- 
tita alle  calunnie  de'  protestanti 
inglesi,  i  quali  falsamente  van  bu- 
cinando, che  gli  scrittori  attuali 
cattolici  dell'  Inghilterra  colorano 
con  mentite  sembianze  la  vera  es- 
senza de'  dommi  creduti  dalla  no- 
stra chiesa,  con  animo  di  attirare 
i  protestanti.  Affermano  di  più 
che  la  nostra  religione  ci  permette 
di  adoperare  menzogne,  frodi  e 
ogni  maniera  di  ribalderie  verso  i 
nostri  traviati  fratelli.  Ma  questi 
ingannevoli  artifizii  adoperati  dai 
protestanti,  sono  una  evidentissima 
ed  involontaria  prova  della  verità 
di  nostra  fede,  imperocché  Volen- 
dola impugnare  sono  astretti  a  sfi- 
gurarla. Parlò  di  certo  Tyng  mi- 
nistro della  chiesa  episcopale  pro- 
testante in  America,  che  portatosi 
in  Inghilterra,  prima  vomitò  ma- 
ledizioni contro  il  cattolicismo,  e 
poi  fu  costretto  a  versar  su  di  es- 
so benedizioni  e  lodi,  confessando 
il  benefico  influsso  eh'. esercita  ;  ed 
aggiunse  1'  oratore,  che  testificano 
del  meraviglioso  ritorno  degli  a- 
mericani  alla  fede  cattolica,  anche 
madamigella  Martineau  nemica  giu- 
rata di  essa  e  salita  in  fama  per 
opere  in  forma  romanzesca,  ed  il 
capitano  Marryatt  cospicuo  scritto- 
re di    romanzi  inglesi,  altro   nemi- 


WG 

co  della  cattolica  religione.  Disse 
pure  che  ha  dovuto  pubblicare  i 
tasti  del  cattolicismo  il  Times  stesso, 
giornale  diffuso  iu  Inghilterra,  che 
sostiene  le  parti  e  gì'  interessi  del- 
la chiesa  anglicana  ;  perciò  è  suo 
costume  il  riversare  torrenti  d'  in- 
giurie grossolane  e  di  nere  calun- 
nie contro  il  clero  cattolico  in  ge- 
nerale, e  sopra  tutto  contro  quello 
d'  Irlanda.  Rivolti  quindi  gli  occhi 
al  continente  di  Europa,  deplorò 
ia  Spagna  per  le  mostruose  ini- 
quità ivi  commesse;  si  consolò  con 
1'  Alemagna  ove  il  cattolicismo  ha 
inlranto  i  suoi  ceppi  per  essergli 
stata  consentita  perfetta  eguaglian- 
za di  diritti  ;  e  gioì  in  veder  1'  O- 
lauda  contar  già  sette  vescovi  e 
la  metà  del  popolo  felicemente  ri- 
tornata alla  fede  cattolica.  Osservò 
che  \\  presbiteriano  Layng  scozzese, 
uomo  erudito  ed  osservatore  sot- 
tile, di  recente  avea  fatto  un  con- 
fronto tra  il  protestantismo  e  il 
cattolicismo  massime  della  Svezia, 
che  chiama  immorale.  Volgendo 
V  attenzione  poscia  al  clero  pro- 
testante della  Gran  Bretagna,  per 
veder  come  soddisfi  agli  uilizi  del 
suo  ministero,  mantenuto  con  an- 
nui scudi  romani  trentadue  milioni 
ed  ottocentomila  ;  ne  riportò  le 
prove  riguardanti  la  materiale  e 
golia  ignoranza  de'  fanciulli  che 
lavorano  nelle  miniere  e  nelle  ma- 
nifatture, che  destano  compassio- 
nevole orrore.  Al  quadro  di  sì  de- 
plorabile ignoranza,  e  come  mal 
corrisponda  d  clero,  seguì  1*  avver- 
timento di  stare  in  guardia  per 
non  fare  discapito  al  gran  movi, 
mento  di  conciliazione,  infervoran- 
do i  cattolici  a  raddoppiare  gli  sfor- 
zi perchè  quelli  che  lo  sono  per 
metà  lo  addi  ventino  per  iutiero. 
Con    queste    espressioni   1'  oratore 


ING  149 

denota  i  così  detti  puseisti,  i  qua- 
li mentre  da  un  lato  professano  le 
dottrine  anglicaue,  dall'  altro  am- 
mettono molti  de'  nostri  dommi 
che  prima  erano  maledetti  e  be- 
stemmiati dai  teologi  protestanti  : 
Sibthorp  da  puseista  abbracciò 
la  fede  cattolica  nella  sua  interezza, 
così  altri  ;  le  ragioni  che  mossero 
la  conversione  di  Sibthorp  si  leg- 
gono nelle  sue  lettere.  Parlò  poi 
dell'  omelia  recitata  al  suo  clero 
dal  vescovo  protestante  d'  Oxford, 
e  notò  che  alcuni  brani  riempiono 
il  cuore  di  consolazione,  confessan- 
do il  gran  movimento  di  riconci- 
liazione, ed  essere  passati  quat- 
ti'' anni  che  da  Oxford  per  la 
scuola  dei  puseisti,  dilatatasi  sino 
all'  altra  università  di  Cambridge, 
era  incominciata  un'  epoca  impor- 
tantissima nelf  istoria  della  chiesa 
anglicana;  e  Dio  faccia  che  sia 
veramente  epoca  gloriosa  per  la 
chiesa  anglicana,  ed  argomento  di 
allegrezza  per  tutta  la  grande  fa- 
miglia cattolica,  il  ritorno  di  sì 
nobile  parte  dell'  antico  ovile  di 
Cristo.  Non  solo  iu  Inghilterra, 
ma  eziandio  nell'  India  britannica, 
e  negli  Stati- Uniti  dell'  America 
settentrionale  le  dottrine  de'  puseisti 
han  guadagnato  favore  :  i  giornali 
protestanti  di  queste  confederale 
repubbliche  risuonano  ogni  dì  di 
controversie  intorno  a  questo  pun- 
to ;  come  iu  Inghilterra  così  anche 
in  America  i  protestanti  si  dipar- 
tono in  diversità  d'  opinioni  circa 
il  inerito  e  i  risultati  pratici  del- 
le dottrine  puseistiche.  Mirabile  è 
il  brano  dell'  omelia  del  vescovo 
d'  Oxford,  che  dice  così.  «  E  ben 
vero,  1'  ora  di  misericordia  si  av- 
vicina per  quest'  isola  :  gli  orrori 
del  disertamento  per  ben  3oo  an- 
ni   hannola    devastala  ;  3oo     anni 


i5o  ING 

Vii  amarissima  e  perfidissima  per- 
secuzione) e  per  3oo  anni  essa  è 
slata  abbeverata  di  afflizioni".  L'  o- 
ratore  dice  aver  letto  con  viva  at- 
tenzione i  rapporti  intorno  la  so- 
cietà delle  missioni  protestanti ,  e 
non  avervi  trovato  cosa  alcuna 
che  lo  facesse  disperare  del  com- 
pimento de'  suoi  desiderii  :  la  so- 
cietà contava  dieciotto  anni  di 
esistenza.  Nel  parlare  del  giubilo 
di  essa  perchè  il  re  di  Prussia 
era  venuto  a  puntellare  il  cadente 
protestantesimo  in  Inghilterra,  vol- 
le provare  che  il  re  è  tutto  altro 
che  tenero  pel  protestantesimo, 
con  questo  brano  delle  Osservazioni 
di  un  viaggiatore,  il  nominato  cal- 
vinista scozzese  Layng.  »  Il  forzato 
amalgamento  della  chiesa  luterana 
e  calvinista  per  comporre  una  ter- 
za cosa,  che  non  è  né  luteranismo, 
M  calvinismo,  e  1'  abolizione  per- 
fino dello  stesso  nome  del  prote- 
stantesimo nel  regno  di  Prussia, 
è  senza  dubbio  1'  atto  il  più  gra- 
tuito, il  più  sventurato  e  il  più 
disennato  di  un  despolismo  rot- 
to ad  ogni  enormezza  ,  che  sia 
stalo  imposto  e  che  sia  stato 
accettato  da  un  popolo  cristiano 
■in  tempi  inciviliti.  Un  nome  vai 
molto.  Coli'  abolire  il  nome  di 
religione  protestante  il  governo 
prussiano  ha  fatto  ciò ,  che  ne 
imperatori,  riè  Papi  non  fecero 
mai  ;  ha  pressoché  distrutto  la 
stessa  religione  protestante  in  tutta 
Alemagua,  e  con  essa  ogni  qual- 
siasi religione  colla  nuova  chiesa 
prussiana,  che  accollò  ad  una  po- 
polazione protestante  ".  Ecco  1'  ec- 
cellente amico  e  il  forte  alleato 
che  i  protestanti  anglicani  hanno 
trovalo,  fa  osservare  O'Connell,  ag- 
giungendo che  otto  milioni  d'indivi- 
dui all'ordine  del  regio  editto  subito 


ING 

mutarono  nome,  religione  e  fede 
nel  1 8  1 7  ;  ed  essere  questi  pei  quali 
i  protestanti  inglesi  esultano  per 
averne  guadagnato  1'  alleanza  ; 
quanto  essi  poi  abbiano  a  sperare 
dal  re  protestante  della  Prussia  pro- 
testante, abbastanza  lo  dicono  i  gior- 
nali periodici.  L'oratore  invita  indi 
gli  uditori  a  considerare  la  solenne 
buffoneria  dell'  elezione  di  un  ori- 
ginario ebreo  in  vescovo  protestan- 
te in  Gerusalemme  (  in  principio 
del  quale  articolo  ne  tenemmo 
proposito  ),  in  virtù  d'  un  ordine 
pubblicato  dalla  regina  d'  Inghil- 
terra ;  vescovo  che  deve  presiedere 
non  già  ad  un  luogo  o  distretto 
determinato,  ma  a  tutti  que'  pro- 
testanti, che  per  avventura  gli  ve- 
nisse fatto  di  trovare  in  Terra 
Santa  ;  e  per  la  fondazione  di  un 
tal  vescovo  il  re  di  Prussia  contri- 
buisce la  somma  di  diecimila  lire 
sterline,  pari  a  quarantaseimila  scu- 
di romani,  cioè  quel  monarca  che 
non  crede  a  sillaba  di  quanto  vie- 
ne insegnato  dai  trentotto  artico- 
li dommatici  della  chiesa  anglica- 
na. Si  meraviglia  1'  oratore  della 
burlesca  commedia  in  vedere  un 
convegno  di  uomini  fermare  un 
matrimonio  di  coscienza  tra  il  re 
di  Prussia  e  1'  arcivescovo  di  Can- 
torbery,  esclamando.  »  Sì,  questa 
è  la  cima  e  il  compimento  di  quel- 
la trista  successione  di  errori  che 
hanno  ritenuti  molti  uomini  dab- 
bene, molti  uomini  da  senno,  mol- 
ti uomini  virtuosi,  fuor  di  quel- 
1'  ovile,  dove  1'  ancora  di  salute 
riposa  salda  e  tranquilla,  dove  la 
burrasca  delle  passioni  ribalde  si 
calma,  e  dove  la  sbattuta  nave 
del  cristianesimo  sta  in  perfetta 
sicurtà  ".  Quanto  a  Layng  rende 
in  più  luoghi  leale  testimonianza 
all'  accrescimento     della     religione 


ING 

cattolica  sul  continente,  fa  fede 
del  decadimento  del  calvinismo  in 
Ginevra,  che  ne  fu  la  sede  natale, 
e  tributa  i  meritati  elogi  a'  princi- 
pi sovrani  dell'  Italia,  per  le  cure 
da  loro  impiegate  nel  promovere 
1'  istruzione  de'  giovanetti  non 
disgiunta  però  dall'  educazione  re- 
ligiosa. E  cosi  sempre  più  vedia- 
mo l'  ammirabile  disposizione  del- 
la provvidenza  che  ha  convertito 
in  apologisti  involontari  della  no- 
stra religione,  uomini  che  si  di- 
chiarano protestanti  di  mente  e 
di  cuore.  In  Inghilterra,  dice  1'  o- 
ratore,  vi  sono  dottori  anglicani, 
e  i  più  dotti  tra  i  dottori,  i  quali 
si  fauno  banditori  delle  verità 
cattoliche,  dappoiché  il  protestante- 
simo si  disfa  e  dissolvesi  in  in- 
credulità manifesta,  e  la  gran 
massa  ritorna  all'  antico  ovile.  Se 
in  Inghilterra  vi  fosse  il  necessario 
numero  di  chiese  cattoliche,  se  vi 
fossero  tanti  preti,  quanti  ne  ri- 
chiede I'  uopo,  O'  Conuell  dice 
che  avrebbe  effetto  il  suo  ardente 
desiderio  di  ascoltar  la  messa  a 
Westminster  ;  raccontando,  che  do- 
ve si  stabilisce  un  prete  o  si  apre 
una  nuova  cappella,  in  folla  vi 
accorrono  nuovi  fedeli.  Passando  a 
parlare  della  povertà  dell'  Irlanda, 
narra  che  pure  deve  mantenere 
la  chiesa  anglicana  che  non  le 
appartiene,  che  non  gli  reca  alcun 
benetìzio  non  avendo  di  essa  biso- 
gno, ad  onta  che  vi  sia  la  chie- 
sa cattolica.  »  Questa  è  composta 
di  quattro  arcivescovi,  di  ventitre 
vescovi,  d'  un  migliaio  di  decani 
e  di  arcidiaconi,  di  cinque  a  sei- 
mila parrochi,  e  molti  conventi  di 
Uomini  e  di  donne,  che  sostengono 
questa  gloriosa  ed  intatta  gerar- 
chia; dissi  inlatta  perchè  mai  non 
fu  rolla  di  un    solo  anello    la  ca- 


ING  i5r 

tena,  che    ricongiunge    1'  epoca  di 

g.     Patrizio     all'  attuale 

E  chi  mai  mantiene  questa  catto- 
lica gerarchia  con  decoroso  man- 
tenimento ?  Ah  sono  i  poveri  di 
Irlanda,  ognuno  de'  quali  annual- 
mente contribuisce  uno  scellino, 
quasi  ventiquattro  bajocchi  roma- 
ni. E  in  questa  maniera  manten- 
gono il  clero  agiatamente  ;  un  cle- 
ro che  non  sente  bisogni,  salvo 
quelli  degli  altri.  E  perchè  l'  In- 
ghilterra non  fa  altrettanto,  trat- 
tandosi di  salvare  milioni  di  uo- 
mini,  i  quali    la    ripopoleranno  di 

santi  ? ah  mi  fosse  dato 

il  potervi  animare  con  quello  spi- 
rito che  oggi  avviva  questo  mio 
corpo  cadente  di  vecchiaia,  e  fa 
che  il  mio  petto  si  allarghi  e  pal- 
piti il  mio  cuore  di  esultanza,  pen- 
sando che  forse  la  mia  parola  po- 
trà contribuire  alla  grande  opera, 
eh'  è  il  ristauramento  della  fede 
e  della  verità  nel  seno  della  più 
grande  nazione  dell'  universo  ". 

Da  ultimo,  come  si  legge  nel 
voi.  XVIII,  pag.  296  e  seg.  dei 
citati  Annali,  il  primo  ministro 
della  corona  inglese  dichiarò  al  co- 
spetto del  mondo,  che  il  fine  per 
cui  il  clero  anglicano  si  vive  nella 
smodata  sua  ricchezza,  si  è  quello 
di  renderlo  docile  servo  alla  vo- 
lontà dello  stato.  Nel  voi.  XII, 
pag.  1  io,  discorrendosi  del  celiba- 
to del  clero  cattolico,  riportansi  te- 
stimonianze tratte  dall'opera  stam- 
pata di  Guglielmo  King  ministro 
della  chiesa  anglicana.  Questi  con- 
fessa 1'  avarizia  e  1'  ambizione  dei 
vescovi  anglicani ,  che  colle  loro 
ricchezze  appartenenti  a  Dio,  alla 
Chiesa  ed  ai  loro  fratelli  poveri , 
impinguarono  le  loro  famiglie.  Sog- 
giunge, che  non  fu  piccolo  infor- 
tunio pei  vantaggi    della   religione 


i5a  ING 

cristiana    nel    regno    d'Inghilterra 
quando  vi  fu  introdotta  la  riforma, 
avere  avuta  il  clero  la  permissione 
di  ammogliarsi  ;  da  quell'  epoca  in 
avanti  l'unico  pensiero  loro    è  sta- 
to, cosa  assai  naturale    e    che   do- 
vca    prevedersi ,    il    provvedere    le 
loro  mogli  e  figli.  Il   governo    in- 
glese non  fa  differenza   alcuna   tra 
la  moglie  d'un  vescovo    e    la    sua 
concubina.   La  moglie    del    prelato 
non  ha  posto,  né  precedenza  ;   es- 
sa non  partecipa  agli  onori  del  ma- 
rito, tuttoché  la  creazione  d'un  sem- 
plice cavaliere,  il  cui  grado    come 
quello  del  vescovo  è  soltanto  a  vi- 
ta, dia  un  luogo  di  onore    ed   un 
titolo  alla  moglie  di  lui.    Al    celi- 
bato de'  vescovi  noi  siamo  debito- 
ri di  quasi  tutte   le   nobili    fonda- 
zioni, istituite  in  entrambe    le  no- 
stre università  di    studi    d' Oxford 
e  Cambridge;  ma  dopo  la  riforma, 
possiamo  vantarci  di  pochi  dell'or- 
dine vescovile,  che  siano    stati  be- 
nefattori di  quelle  sedi  delle  scien- 
ze. Fin  qui  il    ministro  anglicano, 
che  con  altre  gravi    parole    e    con 
lodevole  ingenuità  deplora  l'aboli- 
zione del    celibato    ecclesiastico    in 
Inghilterra.    Sul  qual    proposito    è 
da  notarsi  che  lo  statuto  del  par- 
lamento inglese,    decretato    nel  se- 
condo anno  del  regno  di  Odoardo 
VI,  e  che  dà  una  sanzione    legale 
al  matrimonio    del  clero ,    affermò 
in  termini    espressi    V  utilità    ed    i 
vantaggi  superiori  di  una   vita  ce- 
libe, per  quaiito    concerne  gli    uo- 
mini di  chiesa.   Altre  analoghe  te- 
stimonianze si  leggono  nel   vivente 
istoriografo     inglese  e    protestante 
Hallam,  Istoria  d'Europa  del  me- 
dio evo,  voi.   II,  pag.    37-38.    O- 
gnun   vede,  come  tutte  le    vane   e 
calunniose  opposizioni  contro  il  ce- 
libato   ecclesiastico  svaniscono  ogni 


ING 

di  più,  e  quel  che  più  monta,  per 
opera  de'  medesimi   protestanti,  che 
lo  avevano  oppugnato  con   istnisu- 
rato  furore.  Questi  sono  segni   che 
pronunziano,  al  pari  di   tanti  altri, 
esser    prossima    alla    sua    totale    e 
desiderata  rovina  la  funesta  ed  in- 
temperante eresia  occidentale.    Nel 
detto  voi.   XII,  pag.  i  18  degli  An- 
nali si   parla  dell'ignoranza    teolo- 
gica   del    clero    anglicano ,    vera  e 
forse  unica    ragione    per    la    quale 
esso  persevera  nella  deplorabile  e- 
resia.    Neil'  università    di    Oxford , 
ove  si   pone  più  attento  studio  alla 
teologia,  i  parrochi   protestanti  so- 
no diventati  già  mezzo  papisti.   Se 
la  luce  del  giorno  potesse  penetra- 
re nelle  tenebre    dell'  università  di 
Cambridge,    vi  é    ogni  probabilità 
che    si    otterrebbe    anche    colà   uu 
simile  risultato.   In  questa  seconda 
università  quando    lo    studente  ha 
preso  i  gradi    accademici,    manife- 
stando volontà  di  farsi  ecclesiastico, 
si  prepara  agli  ordini  col  solo  leg- 
gere opere  teologiche ,  lettura  che 
generalmente    dura    soli    sei    mesi. 
Qual  maraviglia    dunque  se  i  mi- 
nistri della  chiesa    anglicana    igno- 
rano la   vera  costituzione  gerarchi- 
ca   della    Chiesa    cristiana ,    i    veri 
suoi  domini,  la   vera  sua    storia,  e 
l'antica  salutare  sua  disciplina?  Non 
si  finirebbe  più  se  si   volessero   in- 
dicare tutti  gli   argomenti    discussi 
dagli  Annali  delle  scienze  religiose, 
che  stampandosi  periodicamente  in 
Roma,  sullo  stato  del    cattolicismo 
e  del  protestantismo    in    Inghilter- 
ra, ci   danno  le  più  recenti  ed  im- 
portanti nozioni ,  come    delle    fre- 
quenti  fabbriche    di    nuove    chiese 
e  cappelle,  e  delle  consolanti  con- 
versioni   che    vanno     mirabilmente 
operandosi.   Passiamo  ora  a  descri- 
vere gli  otto  odierni   vicariati  apo- 


IPfG 
stolici  d' Inghilterra,  secondo  le  ul- 
time recenti  notizie,  non  che  il  vi- 
cariato apostolico  di  Gibilterra  isti- 
tuito dal  Papa  regnante  Gregorio 
XVI.  Anzi  va  avvertito,  che  prima  di 
lui  quattro  soli  erano  i  vicaria- 
ti apostolici  d*  Inghilterra  ,  cioè 
del  distretto  di  Londra  ossia  me- 
ridionale, del  distretto  occidentale, 
del  distretto  medio,  e  del  distretto 
settentrionale,  numero  portato  al 
doppio  nel  suo  pontificato.  Di  o- 
gnuno  noteremo  i  luoghi,  il  clero, 
i  pii  stabilimenti  e  le  relative  os- 
servazioni. Manca  però  in  ogni  di- 
stretto il  capitolo,  ma  ogni  vica- 
rio apostolico  ebbe  il  consiglio  di 
tenersi  al  fianco  de'  consultori.  Uu 
procuratore  di  tutti  i  vicari  apo- 
stolici suole  avere  domicilio  in  Ro- 
ma, ed  è  ordinariamente  il  retto- 
re del  collegio  inglese  di  Roma. 
Gli  affari  della  missione  inglese  fu- 
rono regolati  da  Benedetto  XIV 
nella  costituzione  Àpostolìcum  mi- 
nislerium,  Bull.  Propaga  tom.  Ili, 
pag.  3o3  e  seg.,  e  nelle  Rcgulae  oh- 
servanola?  in  anglicanis  missioni- 
bus,  pubblicate  nel    1753. 

Vicariato  apostolico  di  Londra. 
La  giurisdizione  de'  luoghi  di  que- 
sto vicariato  comprende  le  contee  di 
Middlesex,  Hertford,  Essex,  Berks, 
Hampshire,  Slirrey,  Sussex,  Kent. 
Comprende  ancora  le  isole  di 
Wight ,  Jersey  e  Guernsey.  Lon- 
dra, la  più  ricca,  la  più  gran- 
de, la  più  popolata  città  dell'  Eu- 
ropa, è  la  capitale  del  regno  ed  è 
la  residenza  del  vicario  apostoli- 
co. L'enorme  popolazione  di  que- 
sta città  ascende  ad  un  milione 
oltocentomila  abitanti  :  la  cattolica 
del  distretto  è  di  1 83, 54o  ;  i  cat- 
tolici di  Londra  sono  162,540,  il 
resto  è  disperso  nel  vicariato.  11 
numero  delle   chiese    nel    distretto 


ING  i53 

ascende  ad    ottantaquattro,  le  quali 
però    crescono  annualmente.    Evvi 
in  Londra   la   cappella  bavara,    la 
francese,  la  6arda,  la  spagnuola,  la 
tedesca,  quella  di  s.  Patrizio  e  quel- 
la di  s.  Giorgio.   Altra  chiesa    de- 
dicata alla  beatissima   Vergine  nel- 
la contrada  s.  John's  Wood  pei  po- 
veri. La  maggior  parte  delle   cap- 
pelle hanno  annessa    la    scuola.    A 
S.t  George's  Fields  e  nel  quartiere 
dei  Nobili  nella  parte  occidentale  si 
stanno  fabbricando  due  chiese  ma- 
gnifiche.  Virginia  Street  ha  la  sua 
cappella  con   tre  cappellani.   Mans- 
field st:   ha   una  cappella  con  quat- 
tro cappellani.  Westminster,  Somer- 
stown,   Chelsea,   Rensington,  Ham- 
mersmithjPoplar,  Bermondsey,  tutti 
luoghi  che  hanno  le  loro  cappelle. 
Come    pure    Woolwich    nove   mi- 
glia  lontano  da  Londra,  Greemvich 
sei   miglia  lunge  da    Londra.    Per 
la  missione  di  Chelsea    presso  Lon- 
dra il  sig.  Rnight  sta   facendo  del- 
le fondazioni  generose,    e  la   nobi- 
lissima   convertita    lady     Clare    fa 
altrettanto    a    favore    dell'  isola    di 
Wight.  Wight  isola  sulla  costa  me- 
ridionale   dell'  Inghilterra  ,     la    cui 
amenità  e  fertilità  la   fece  chiama- 
le il  giardino  dell'Inghilterra,    ha 
trentaduemila     abitanti  ,     e    Nevv- 
port  è  il  capoluogo.   In    Wight  vi 
si    trovano    tre    cappellani,    e  due 
chiese.   In  Jersey,  la  maggiore  delle 
isole  normanne   vicino  alla  costa  di 
Francia  nella  Manica,  vi   sono  due 
sacerdoti,  uno  inglese,  l'altro    fran- 
cese :  s.  Helier  è  il  capoluogo;  spet- 
ta agli  inglesi,  ha    una    popolazio- 
ne di  trentaquattromila  abitanti.  In 
Guernsey,  altra  isola  normanna  nel- 
la   Manica    spettante    all'  Inghilter- 
ra,   come    nella    precedente    vi    si 
parla  il  francese  :  la   popolazione  è 
di  veutiquattromila  abitanti,  con  s. 


i54  INO 

Pietro  per  capoluogo  e  còti  una  cap- 
pella. II  clero  del  vicariato  è  il  se- 
guente. Il  vicario  apostolico  è  monsi- 
gnor Tommaso  Griffiths  fatto  dal  Pa- 
pa regnante  a'3o  luglio  i833,  non 
che  vescovo  Olenense  tfl  parti- 
bus,  succeduto  per  coadiutoria  nel 
i836  a  monsignor  Giacomo  York 
Bramston  vescovo  di  Usula  in  par- 
iibus,  eh'  era  successo  per  coadiu- 
toria nel  principio  del  1828  a  mon- 
signor Poynler.  Il  di  lui  coadiuto- 
re monsignor  Roherto  Gradwell 
vescovo  di  Lidda  in  parlibus,  già 
rettore  del  collegio  inglese  di  Ro- 
ma, fatto  da  Leone  XII  nell'anno 
1828,  morì.  JV umero  de' sacerdoti 
nel  distretto  centotrentatre.  Di  que- 
sti diecinove  sono  regolari  degli  or- 
dini gesuitico,  henedetlino,  france- 
scano. In  Londra  è  procuratore 
de'  benedettini  il  p.  d.  Paolino 
Ileptonstall.  In  ogni  cappella  si  tro- 
vano uno  o  più  sacerdoti.  I  pii  sta- 
bilimenti sono.  II  collegio  di  s.  Ed- 
mondo in  Herlfordshire ,  semina- 
rio in  cui  s' istruiscono  quaranta- 
cinque chierici.  Vi  sr  sta  fabbrican- 
do una  magnifica  chiesa  vicino 
al  medesimo.  Scuole  caritatevoli 
in  Londra  giornaliere  cinquantasei, 
oltre  le  domenicali,  e  quelle  dis- 
perse nel  distretto.  Ad  un  nume- 
ro grande,  come  si  conviene  a  que- 
sta capitale,  ascendono  gl'istituti  di 
carità  comuni  anche  ai  cattolici. 
Molte  sono  le  confraternite  del  ss. 
Cuore,  della  Beata  Vergine,  e  del- 
la dottrina  cristiana.  Si  dicono  es- 
sere le  comunità  di  religiose  un- 
dici. I  francescani  riformati  hanno 
nel  distretto  di  Londra  una  casa. 
Evvi  in  Londra  una  pia  associa- 
zione per  la  conversione  di  questi 
popoli,  ad  ottener  la  quale  si  ap- 
plica dai  sacerdoti  una  messa  nel 
giovedì  salito^  e  dai  secolari  una  co- 


ING 

munione.  Si  scelse  detta  giornata  de- 
dicala al  culto  della  istituzione  del  ss. 
Sagramento  per  riparazione  dell'offe- 
sa contro  il  medesimo,  offesa  che  ca- 
ratterizza l'eresia  anglicana  e  la  de- 
fezione dalla  fede  di  quel  governo, 
che  nella  forma  prescritta  di  giu- 
ramento obbliga  i  protestanti  alla 
più  empia  bestemmia  contro  sì  san- 
to mistero  della  nostra  redenzione. 
Si  trovano  in  Londra  diverse  as- 
sociazioni per  somministrare  vesti 
ed  alimenti  ai  poveri  cattolici;  non 
che  due  orfanotrofi  per  ambo  i 
sessi.  L'antica  cattedrale  di  san  Pao- 
lo in  Londra  perì  per  un  incendio: 
ne  fu  altra  fabbricata  e  condotta 
a  termine  nel  1G66;  essa  è  l'ope- 
ra più  bella  di  cui  si  gloriano  i 
protestanti  della  Gran  Bretagna: 
delle  due  cattedrali  se  ne  parla  al- 
l'articolo Loitora.  I  monaci  benedet- 
tini ufficiarono  fino  all'epoca  della 
riforma  nove  delle  principali  cat- 
tedrali, includendo  in  tal  numero 
quelle  di  Cantorbery  e  di  Durham. 
Negli  ultimi  anni  vi  è  stato  in  que- 
sto distretto  un  aumento  di  tren- 
tamila cattolici.  Le  rendite  del  vi- 
cariato provengono  dai  banchi  e 
dalle  sedie  che  si  affittano  nelle 
chiese,  da  collette  particolari ,  da 
oblazioni  in  occasione  di  battesimi, 
matrimoni  e  funerali.  Questi  pro- 
venti devono  servire  di  manteni- 
mento ai  sacerdoti  ed  alle  chiese. 
Le  annue  conversioni  dall'eresia  in 
Londra  e  nel  vicariato  sono  circa 
seicento.  Il  distretto  di  Londra  ha 
conseguito  parte  del  legato  pio  la- 
sciato per  testamento  da  Blundell. 
In  tutti  i  vicariali  è  stata  abro- 
gata la  seconda  festa  di  Pasqua  e 
di  Pentecoste.  E  stata  traslatata  al- 
la domenica  più  vicina  la  festa 
della  ss.  Annunziala,  e  per  la  dio- 
cesi Duneluiense  quella  di  s.  Cuth- 


ING 

berto.  L  slata  accordata  la  dispen- 
sa dall'astinenza  delle  carni  nel 
sabbato,  in  cui  non  cadde  obbligo 
di  digiuno,  nel  giorno  delle  roga- 
zioni,  ed  in  altri.  Le  cappelle  d'In- 
ghilterra tengono  luogo  di  parroc- 
chie. Al  vicario  apostolico  di  Lon- 
dra erano  state  affidate  le  missioni 
dell'America  britannica,  e  di  tut- 
te le  colonie  occidentali  di  quella 
nazione,  ma  la  sua  giurisdizione 
si  restrinse  dentro  i  suoi  natu- 
rali limiti  e  confini,  quando  gli 
Stati-Uniti  avendo  dichiarata  la  lo- 
ro indipendenza  fu  eretto  il  primo 
vescovato  in  Baltimora  da  Pio  VI 
nel  1789,  e  quando  altre  sedi  ve- 
scovili furono  fondate  successiva- 
mente da  quel  Pontefice  e  dai 
suoi  successori  nell'America  setten- 
trionale. In  Londra  hanno  la  sede 
due  stabilimenti  comuni  a  tutto  il 
regno,  quello  della  Propagazione 
della  fede,  e  Y  Istillilo  cattolico. 
Questo  fu  fondato  nel  luglio  18 38 
sotto  la  protezione  de'  vicari  apo- 
stolici dell'  Inghilterra  e  delle  co- 
lonie, e  sotto  la.  presidenza  dei  si- 
gnori cattolici  e  del  clero.  Gli  og- 
getti erano  di  pensare  alla  fabbri- 
ca delle  chiese,  di  pubblicare  dei 
libri  per  la  difesa  della  fede,  di 
sostenere  i  diritti  dei  cattolici  op- 
pressi, e  di  pensare  all'  educazione 
de'  poveri.  I  vicari  apostolici  si  op- 
posero al  primo  di  questi ,  ed  il 
quarto  fu  per  il  momento  lascia- 
lo. Si  applicò  l' istituto  con  tanto 
impegno  nella  distribuzione  dei  li- 
bretti per  la  difesa  de'dommi,  che 
il  Papa  regnante  Gregorio  XVI  ne 
felicitò  il  presidente,  il  benemerito 
conte  Giovanni  di  Shrewsbury,  col 
breve  Quum  amaritudine  de'  19 
febbraio  1840,  il  quale  si  legge  nel 
tom.  V,  pag.  190  del  Bull,  de 
Propaganda  fide.   Decaduto  in  se- 


ING  i55 

gulto  l' istituto,  si  è  riorganizzato 
in  questo  anno  i845,  con  dargli 
anche  per  iscopo  l' educazione  dei 
poveri,  e  con  metterlo  in  modo 
speciale  sotto  la  direzione  de'  vi- 
cari apostolici,  nominandosi  pure  un 
ecclesiastico  in  segretario.  A  questo 
risorgimento  ha  cooperato  con  mol- 
to zelo  il  degnissimo  Carlo  Lang- 
dale,  ed  Odoardo  Petre  cavaliere 
dell'ordine  di  Cristo.  Le  opere  stam- 
pate in  Inghilterra,  che  con  argo- 
menti infallibili  provano  l' insuffi- 
cienza della  Bibbia  [Vedi)  come 
regola  di  fede,  la  necessità  della 
tradizione  e  dell'autorità  ecclesia- 
stica, la  presenza  reale  nell'  Euca- 
ristia, la  facoltà  di  assolvere  nei 
sacerdoti  ,  1'  orazione  pei  defunti , 
l'uso  delle  immagini,  la  divozione  alla 
ss.  Vergine,  i  digiuni,  la  vita  mona- 
stica, ed  altre  cattoliche  verità,  ap- 
portano un  colpo  mortale  al  pro- 
testantismo, ed  estorcono  dalle  lab- 
bra de'  vescovi  anglicani  amare  do- 
glianze. Le  corporazioni  religiose 
in  Inghilterra,  come  negli  Stati-U- 
niti di  America,  per  leggi  di  stato 
sono  incapaci  a  possedere.  I  pro- 
testanti d'Inghilterra  contribuiscono 
somme  grandi  di  denaro  per  fab- 
bricar chiese  ne'  regni  stranieri,  e 
profondono  tesori  nella  stampa  del- 
le bibbie  tradotte  in  molle  lingue, 
delle  quali  fanno  dono  nelle  ste- 
rili loro  missioni,  che  mantengono 
in  più  luoghi  della  terra.  Della 
fondazione  dell'  Istituto  cattolico , 
suo  scopo,  e  delle  opere  da  esso 
pubblicate,  se  ne  tratta  dai  più 
volte  citati  Annali  delle  scienze  re- 
ligiose, come  nei  voi.  IX,  p.  28, 
voi.  XI,  p.  99,  e  voi.  XII,  p.  117. 
Nel  voi.  XIV,  p.  271  poi,  si  par- 
la della  pia  società  formata  nel 
184^  nella  Gran  Bretagna,  col  lo- 
devole fine  di  cooperare  con  mez- 


i56  IJNTG 

zi  efficaci  al  sospirato  ritorno  dei 
dissidenti  alla  fede  cattolica,  sotto 
l'autorevole  patrocinio  del  duca  di 
Norfolk  cattolico  e  primo  pari  del 
regno,  di  lord  Stour ton  e  di  mon- 
signor Griflìths  vicario  apostolico 
del  distretto  di  Londra.  Lo  scopo 
propostosi  da  questa  società  si  è 
d'imprimere  di  nuovo  le  più  insi- 
gni opere  apologetiche,  scritte  nei 
tempi  andati  in  difesa  della  reli- 
gione cattolica,  ed  ora  divenute 
l'are,  per  formarne  quindi  una 
classica   libreria  cattolica. 

Vicariato  apostolico  orientale. 
Questo  nuovo  vicariato  apostolico, 
eretto  dal  Papa  Gregorio  XVI  nel 
i8/lo,  comprende  per  luoghi  di  sua 
giurisdizione  le  contee  di  Lincoln, 
Rutland,  Hun  ti  ngdon,  Northampton, 
Cambridge,  Norfolk,  SufFolk,  Bed- 
ford  e  Buckingham.  Ha  trentacin- 
que  chiese  e  cappelle ,  cioè  Bed- 
furd  una,  Buckingham  quattro, 
Cambridge  tre,  Lincoln  dodici,  Nor- 
folk otto,  Northampton  quattro, 
Sullolk  sei.  Bishop's  House  è  la  re- 
sidenza del  vicario  apostolico ,  in 
Northampton.  11  vicario  apostolico 
è  monsignor  Guglielmo  Wareing 
fatto  dal  Pontefice  che  regna ,  e 
■vescovo  d'Ariopoli  in  parlibus,  agli 
1 1  maggio  1840,  avente  per  clero 
trentaquattro  sacerdoti.  Vi  era  il  col- 
legio di  s.  Felice  di  Gifford-Hall 
presso  Colchester,  il  quale  però  si 
deve  trasferire  presso  la  detta  re- 
sidenza del  vicario  apostolico  in 
Northampton:  il  supcriore  di  detto 
collegio  è  d.  Giuseppe  North.  II 
"vicario  apostolico  ha  fondato  pure 
una  casa  di  religiose.  Questo  vi- 
cario apostolico  ebbe  già  la  facoltà 
di  fare  le  ordinazioni  ne'  giorni  di 
lèste  non  comandate. 

Vicarialo  apostolico  centrale  o 
medio.  La  giurisdizione    de'  luoghi 


1NG 

di  questo  vicariato  sono  le  contee 
di  Derby,  Nottingham,  SlalFord, 
Leicester  ,  Warwick  ,  Worcester  , 
Oxford  e  Salop.  Il  numero  delle 
chiese  sono  centosei.  Birmingham, 
città  di  qualche  considerazione,  è  la 
residenza  del  vicario  apostolico.  A- 
vendovi  la  pia  Wolfruna  fondato 
un  convento  nel  996,  il  luogo  pre- 
se il  nome  di  Wolfrune's-Ham- 
pton,  dond'è  venuto  quello  di  Wol- 
verhampton,  luogo  considerabile.  11 
clero  del  vicariato  consiste  nel  vi- 
cario apostolico  monsignor  Tom- 
maso Walsh  ,  fatto  vescovo  di 
Cambisopoli  in  parlibus  da  Leone 
XII  a' 28  gennaio  dell'anno  182?, 
succeduto  nel  vicariato  per  coadiu- 
toria  a  monsignor  Milner  nel  1826. 
Il  Papa  che  regna  ha  fatto  suo 
coadiutore  agli  11  maggio  1840 
monsignor  Nicola  Wiseman,  e  ve- 
scovo di  Mellipotamo  in  parlibus, 
già  suo  cameriere  segreto  sopran- 
numerario, alunno  e  poi  rettore 
del  collegio  inglese  di  Roma,  e  pro- 
fessore nella  lingua  ebraica,  e  del- 
le controversie  giudaiche  nell'  uni- 
versità romana:  egli  risiede  nel  col- 
legio di  s.  Maria  di  Oscott  presso 
Birmingham.  Numero  de'  sacerdo- 
ti centoventidue,  tra'  quali  vi  sono 
benedettini,  domenicani,  gesuiti  e 
trappisti.  I  pii  stabilimenti  sono  i 
due  collegi  di  Oscott  sotto  la  di- 
rezione di  monsignor  Wiseman  e 
d.  Giorgio  Morgan,  ed  il  collegio 
dell'Immacolata  Concezione  di  Sy- 
ston  nel  Leicestershire  sotto  i  RR. 
Furlong  ed  Hutton.  Vi  sono  tre 
scuole:  di  Sedgley  Park  diretta 
dai  preti  secolari,  di  Spinkhill  dui 
gesuiti,  e  di  Hinckley  dai  dome- 
nicani; tre  monisteri,  otto  case  di 
religiose,  nove  istituti  di  carità.  I 
francescani  riformati  hanno  tre 
case    ed    un  Campetto    in    questo 


vicariato,  cioè  in  Astonhall,  in  So- 
lihull  ,  in  Baddesley .  Ebbe  nel 
i83o  il  vicario  apostolico  la  facoltà 
di  erigere  la  confraternita  del  ss. 
Cuore  di  Gesù.  Nella  città  di 
Derby  si  trovano  molti  stabilimen- 
ti di  carità,  oggi  comuni  ancbe  ai 
cattolici. 

Vicarialo  apostolico  occidentale. 
Costituiscono  i  luoghi  di  questo 
vicariato  le  contee  di  Cornwall , 
Devon,  Dorset,  Somerset,  Glouce- 
ster  e  Wilts.  Delle  chiese  o  cap- 
pelle, quattro  ne  ha  Cornwall,  ot- 
to Devon,  nove  Dorset,  sette  Glou- 
eester,  tredici  Somerset,  tre  Wilts. 
Prior-  Park  è  la  residenza  del  vi- 
cario apostolico;  questa  è  una  ca- 
sa di  campagna  in  amena  situazio- 
ne. Vi  si  respira  l'aria  la  più  sa- 
lubre dentro  una  villa  chiusa  di 
proprietà  del  vicario  apostolico. 
Questa  villa  è  posta  nelle  vicinan- 
ze di  Bath.  La  popolazione  catto- 
lica del  vicariato  è  di  19,400  per- 
sone. Le  chiese  e  cappelle  sono 
quarantacinque.  Bristol  città  e  por- 
to di  mare  spetta  in  parte  alla 
contea  di  Gloucester,  e  in  parte  a 
quella  di  Somerset.  La  sua  popo- 
lazione è  di  88,000  abitanti  :  i 
cattolici  sono  più  di  1 5oo,  molti 
però  se  ne  trovano  dispersi  nei  li- 
di del  mare,  e  vi  è  una  cappella. 
Falmouth  nella  contea  di  Corn- 
eali ha  44 °°  abitanti  con  circa 
cinquanta  cattolici  .  Llanherne  è 
una  missione  di  trenta  cattolici  :  il 
confessore  delle  monache  carmeli- 
tane o  teresiane  ivi  esistenti  assi- 
ste questi  cattolici.  Gloucester  con- 
ta 10,000  abitanti  con  pochi  cat- 
tolici. Cheltenham  nella  contea  di 
Gloucester  ha  3 100  abitanti  con 
4oo  cattolici,  e  qualche  monaco 
benedettino,  dappoiché  la  missione 
e  la   cappella    è    opera   dell'ordine 


15G  i57 

benedettino.  Hatherop  ed  Hartpury 
con  pochi  cattolici.  Taunton  città 
nella  contea  di  Somerset  con  85oo 
abitanti,  e  forse  cento  cattolici.  An- 
che Shortvcood  forse  ha  cento  cat- 
tolici, e  Shepton  Mallet  ne  ha  cir- 
ca cinquanta.  Salisbury  nella  con- 
tea di  Wilts  è  una  città  che  ha 
9000  abitanti,  e  più  di  venticin- 
que cattolici  con  loro  cappella. 
^Yardour  cartello  che  contiene  sei- 
cento cattolici.  Bonham  ne  ha  set- 
tanta. Plymouth  nella  contea  di 
Devon  di  60,000  abitanti,  più  di 
12,000  sono  cattolici.  In  Calver, 
Calverleigh,  Totness,  Tor  Abbey.  e 
Dartmouth  vi  sono  pochi  cattoli- 
ci. Nella  contea  di  Dorset  vi  è 
Lulworth,  feudo  della  nobile  fami- 
glia Weld  che  ci  diede  l'amplissi- 
mo cardinale  di  questo  nome,  con 
più  di  centoventi  cattolici;  di  questi 
cinquanta  ne  ha  Poole,  trenta  Chi- 
deock,  venti  Stapehill,  venti  Bland- 
fordt  e  trenta  Marnhull.  Il  clero  del 
vicariato  consiste  in  monsig.  Carlo 
Baggs  fatto  vicario  apostolico  e  ve- 
scovo di  Pella  in  partibus  nel  di- 
cembre i843  dal  regnante  Gre- 
gorio XVI,  e  già  suo  cameriere  se- 
greto soprannumerario,  alunno  e 
poi  rettore  del  collegio  inglese  di 
Roma.  Egli  succedette  a  monsignor 
Pietro  Agostino  Baines  della  con- 
gregazione anglo-benedettina,  fatto 
vescovo  di  Siga  in  partibus  da  Pio 
\  Il  a' 4  febbraio  i8a3,  e  vicario 
apostolico  succeduto  per  coadiuto- 
ria  a  monsignor  Collingridge  nel 
1829.  Al  punto  della  stampa  giun- 
ge l'infàusta  notizia,  che  l'illustre 
vescovo  è  morto  ai  16  ottobre 
i845  a  Prior- Park,  ed  ai  23  fu 
fatto  il  solenne   funerale.   In   questo 

cantò  la    messa    monsignor    vicario 
o 

apostolico  di   Londra,    coli' assisten- 
za di  quattro  vescovi,   uno  de'  quali 


•  58  ING 

monsignor  Briggs  pronunziò  l'elo- 
gio funebre.  Il  vicario  generale 
del  defunto  vicario  apostolico  è 
monsignor  Tommaso  Brindle.  Il 
numero  de'  sacerdoti  è  sessantotto, 
de'quali  molti  sono  sparsi  nelle  mis- 
sioni: se  ne  trovano  quattordici  col 
vicario  apostolico  in  Prior  -  Park. 
Missionari  vi  sono  anche  de'beue- 
dettini.  I  pii  stabilimenti  sono  il 
gran  seminario  de'  ss.  Pietro  e  Pao- 
lo ed  annessi  che  importarono  il 
valore  di  centomila  scudi,  essendo 
capace  di  contenere  cento  indivi- 
dui. Vi  sono  inoltre  quattro  case 
di  religiose  e  tre  collegi.  Vi  era 
un  monastero  di  monache  benedet- 
tine in  Cannington:  fu  fondato  dal- 
le benedettine  francesi  fucsnte  dal- 
la  Francia  nella  rivoluzione  re- 
pubblicana. Questo  monistero  esi- 
steva prima  dello  scisma,  e  fu  do- 
nato alle  monache  da  lord  Clifford 
padre  del  genero  del  cardinal  Weld. 
L'abbazia  di  Downside  nella  quale 
i  benedettini  hanno  noviziato  e 
collegio  di  s.  Gregorio.  Essa  è  si- 
tuata nella  contea  di  Somerset  : 
ha  buone  rendite,  vi  si  mantenso- 
no  venti  monaci  ,  e  s' istruiscono 
nelle  lettere  umane  sessanta  alun- 
ni. A  Downside,  si  doveva  fondare 
un  monistero  già  disegnato  dal 
gran  architetto  Pugin,  il  quale  ha 
fabbricato  delle  chiese  magnifiche 
quasi  in  tutti  i  distretti  dell'  In- 
ghilterra. Un  monistero  di  monache 
dell'ordine  di  s.  Francesco.  In  que- 
sto distretto  esisteva  vicino  a  Wym- 
burn  nella  contea  di  Dorset,  fon- 
dato nel  i8o3  in  un  luogo  detto 
Stape  Hill,  un  monistero  di  mona- 
che trappiste  di  una  vita  tanto 
austera,  che  poco  dopo  la  profes- 
sione nel  meglio  della  vita  veniva- 
no a  morte.  Per  provvidenza  ponti- 
ficia nel  1825  si  procurò  mitigare 


UTC 

tanto  rigore.  La  città  di  Bristol  ha 
numerosi  istituti  di  carità  ed  una 
comunità  religiosa  a  Westbury.  A. 
Sales-IIouse  avvi  il  monistero  della 
Visitazione.  In  Taunton  nel  Somer- 
set si  trova  un  monistero  di  francesca- 
ne, ed  un  grande  ospedale  comune  a 
tutti.  Più  istituti  di  carità  e  di 
pubblica  istruzione.  In  Hartpury 
si  trova  un  monistero  di  dome- 
nicane. In  Salisbury  sonovi  mol- 
ti istituti  di  carità,  specialmen- 
te pegli  infermi,  e  scuole  gratuite. 
Un  monistero  di  trappensi  in  Lul- 
worth.  Questo  è  uno  de' quattro 
vicariati  apostolici  fondati  nell'an- 
no 1688  da  Innocenzo  XI.  Die- 
ci sono  stati  i  vicari  apostolici, 
cinque  dell'ordine  benedettino,  tre 
dell'istituto  di  s.  Francesco,  due 
preti  secolari,  ai  quali  è  da  ag- 
giungersi il  deplorato  monsignor 
Carlo  Baggs.  I  medesimi  mona- 
ci benedettini  prima  dello  scisma 
avevano  in  Bath  uno  di  quei  no- 
ve monisteri  detti  cattedrali  ;  il 
priore  ed  i  monaci  erano  canonici 
e  costituivano  il  capitolo,  mentre 
gli  abbati  erano  vescovi.  Il  moni- 
stero  fu  distrutto,  furono  dispersi  i 
monaci,  ma  questi  procurarono  di 
conservare  ed  esercitare  segreta- 
mente la  loro  giurisdizione.  I  be- 
nedettini in  questo  vicariato  hanno- 
dei  beni  bastevoli  al  loro  onesto 
sostentamento.  Le  monache  di  Can- 
nington usano  il  breviario  romano. 
Vicariato  apostolico  nel  principa- 
to di  Galles.  La  giurisdizione  dei  luo- 
ghi di  questo  vicariato  contiene  le  sue 
dodici  contee,  e  due  altre  cioè  Mon- 
mouth  e  Hereford  in  Inghilterra. 
Numero  dei  cattolici  del  vicariato 
5609;  numero  delle  chiese  e  cap- 
pelle sedici.  Nel  principato  di  Gal- 
les si  parla  l'antica  lingua  britan- 
nica, che  tauto  differisce  dall'odier- 


ING 

no  inglese  idioma,  come  già  no- 
tammo. In  Chepstow  città  nel  Mon- 
mouth,  risiede  il  vicario  aposto- 
lico. La  sua  popolazione  è  di  tre- 
mila abitanti,  centoventi  de'  quali 
cattolici.  Chepstovv  o  Venta  Silu- 
rimi giace  sulla  riva  destra  della 
Wye,  ed  è  ben  fabbricata:  era  un 
tempo  fortificata  e  difesa  da  un 
castello,  del  quale  resta  una  con- 
siderabile porzione  ch'è  abitata.  Il 
porto  serve  a  tutte  le  città  situa- 
te fra  la  Wye  e  la  Lug.  Carlo  I 
mise  nel  castello  di  Chepstow  una 
guarnigione,  la  quale  non  lo  ren- 
dette alle  truppe  del  parlamento 
che  nel  1648.  Carlo  II  vi  fece  rin- 
chiudere Harry  Martin,  uno  de'giu- 
dici  di  Carlo  1,  che  vi  morì  nel  1680: 
la  torre  da  esso  occupata  porta  an- 
cora il  suo  nome.  Altri  luoghi  del 
vicariato  sono:  Newport,  città  e  mis- 
sione di  considerazione,  con  un  mis- 
sionario; la  sua  popolazione  è  di  4^00, 
sono  i  cattolici  2000:  vi  è  stata  fab- 
bricata una  chiesa  di  forma  elegan- 
te. CardifF  nella  contea  di  Glamor- 
gan  con  33oo  abitanti  e  i3oo  cat- 
tolici :  è  in  edificazione  una  chiesa 
sufficientemente  grande .  Swansea 
città  amena  e  pittoresca  con  10,206 
abitanti,  sono  i  cattolici  43o  ;  de- 
v'esservi stata  costruita  una  chiesa 
comoda;  avvi  un  missionario.  Mon- 
mouth  cnpoluogo  della  contea 
di  tal  nome  con  4?°°  abitanti, 
sono  i  cattolici  2  3o:  vi  è  una  cap- 
pella abbastanza  grande.  Usk  pic- 
cola città  della  medesima  contea 
con  1400  abitanti  ed  ottanta  cat- 
tolici che  hanno  una  piccola  cap- 
pella. Abergavenny  bella  città  del- 
l'istessa  contea  con  3 592  abitanti 
e  3oo  cattolici  possessori  di  una 
bella  cappella.  Llanorlh  con  210 
cattolici  e  bella  cappella.  Aberga- 
venny   comprende    Pout-y-pool    e 


IISG  i59 

Blaina:  la  sua  popolazione  è  di 
4o,ooo  abitanti,  sono  i  cattolici  600 
che  talvolta  ascendono  a  1000. 
La  messa  si  celebrava  in  una  sa- 
la :  forse  sarà  stata  principiata  una 
chiesa.  Merthyr-Tydvil ,  missione 
che  comprende  Dowlais  eRhymney: 
la  sua  popolazione  comprese  le 
vicinanze  è  di  60,000,  i  cattolici 
sono  900,  che  alle  volte  ascendono 
a  i5oo.  Sì  celebra  in  un  granaio 
ed  in  una  sala.  Brecon  o  Brecknock 
città  popolata  da  420°  abitanti,  e 
100  cattolici  con  ristretta  cappella 
nella  casa  del  sacerdote.  Ross  cit- 
tà con  missione  nascente  e  tren- 
ta cattolici  :  una  piccola  camera 
del  missionario  serve  di  chiesa. 
Courtfield  con  ottanta  cattolici  : 
una  camera  serve  di  chiesa.  Bere* 
ford  capoluogo  della  contea  di 
tal  nome  con  9100  abitanti,  e  200 
cattolici  che  hanno  una  chiesa 
grande  e  nuova.  Weobley  villag- 
gio prossimo  ad  Hereford,  nuova 
missione  con  750  abitanti,  ed  ot- 
tanta cattolici  che  hanno  cappella. 
Wrexham  missione  con  duecento 
cattolici  che  hanno  cappella  ordi- 
naria. Holywell  missione  ai  confini 
del  principato  di  Galles  con  83oo 
abitanti, e  trecento  e  cinquanta  catto- 
lici con  bella  cappella,  'l'alacre  con 
60  cattolici  e  cappella  in  una  ca- 
sa privata.  Bangor  città  alle  spiag- 
gie  innanzi  all'isola  Anglesey,  con 
2400  abitanti,  e  120  cattolici, 
missione  nuova  che  ha  una  bella 
cappella.  Si  meditava  di  aprire 
nuove  missioni  a  Flint  e  nella 
contea  di  tal  nome  nel  settentrio- 
ne del  principato  di  Galles,  e  nel- 
la contea  di  Monmoutli.  Il  clero 
del  vicariato  consiste  in  monsignor 
Tommaso  Brown  della  congregazio- 
ne anglo-benedettina,  fatto  vescovo 
di  Apollonia  wi  parùbus  e  vicario  a- 


i  So  I  N  G 

postolico  dal  Papa  regnante  agli 
li  maggio  18/p.  Numero  dei 
sacerdoti  venti  ;  vi  sono  i  france- 
scani ed  altri  missionari.  I  pii  sta- 
bilimenti sono,  venti  scuole  gratuite 
del  vicariato.  In  Newport  evvi 
una  scuola.  In  Swansea  casa  pel 
missionario,  e  varie  scuole  comuni 
anche  ai  cattolici.  In  Monmouth 
vi  sono  case  di  carità  ed  una  scuola. 
In  Dowlais  ed  in  IUiymney  vi  so- 
no scuole  ;  in  Brecon  la  casa  pel 
missionario,  così  in  Ross.  In  Here- 
ford  avvi  scuola,  ospedali  e  case 
di  carità  in  mollo  numero.  In 
Holyyrell  vi  è  la  scuola.  Questo  è 
uno  de'  vicariati  eretti  nel  1840 
dal  Pontefice  Gregorio  XYI.  I 
popoli  del  principato  di  Galles 
combatterono  più  lungo  tempo  de- 
gl'inglesi la  falsa  dottrina  della  ri- 
forma. Neppure  la  confisca  de' be- 
ni ebbe  tanta  forza  sul  principio 
da  precipitarli  nell'apostasia.  Man- 
canti di  sacerdoti  e  d'istruzione, 
anche  i  popoli  di  questo  princi- 
pato abbracciarono  la  riforma:  non- 
dimeno si  mantenne  per  molti 
anni  un  attaccamento  alla  vera 
fede  ricevuta  per  tradizione.  Negli 
ultimi  tempi  vi  sono  penetrati  i 
metodisti,  e  questi  fanno  una  l'e- 
sistenza ed  opposizione  alla  con- 
versione di  questa  nazione.  A  tale 
ostacolo  aggiungasi  1'  estrema  po- 
vertà de' cattolici,  che  per  lo  più 
sono  irlandesi,  che  vi  si  sono  povtati 
per  trovarvi  lavoro,  e  provvedere 
ai  loro  bisogni.  Un  mezzo  efficace 
per  richiamare  al  seno  della  Chie- 
sa i  protestanti  di  Galles  sarebbe 
la  fondazione  di  un  seminario,  do- 
ve si  potesse  educare  un  clero  na- 
tivo. Le  chiese  di  questo  princi- 
pato sono  le  più  povere,  e  mal 
custodite  dalle  intemperie.  I  mis- 
sionari vivono   delle    oblazioni  dei 


ING 

fedeli,  incerte  per  altro  e  limitate. 
Una  pia  signora  di  Bath  lasciò 
diversi  legati  nel  suo  testamento  ; 
il  suo  figlio  imitandone  la  religio- 
sa generosità  dà  delle  speranze  di 
applicarli  a  questo  bisognoso  vica- 
riato. Belle  e  grandi  chiese  vi 
hanno  i  presbiteriani,  i  metodisti 
ed  altri  settari.  Esiste  ancora  la 
chiesa  ed  il  refettorio  di  un'  an- 
tica abbazia  di  benedettini  di  Gren- 
field.  Pel  mantenimento  del  di- 
stretto si  è  stabilita  la  società  di 
s.  David. 

Vicariato  apostolico  di  Lanca- 
ster.  Fanno  parte  de'  luoghi  di 
questo  vicariato  le  contee  di  Lan- 
caster ,  Chester,  e  l'isola  di  Man, 
cioè  la  contea  di  Lancaster  con 
novantotto  chiese  o  cappelle,  Che- 
ster con  tredici,  e  1'  isola  di  Man 
con  una.  Quéste  regioni  contengo- 
no un  numero  grande  di  città 
ragguardevoli.  Il  numero  totale 
delle  chiese,  cappelle,  o  missioni 
è  di  centododici.  Lancaster  capo- 
luogo della  contea  di  tal  nome  è 
la  residenza  del  vicario  apostolico, 
la  sua  popolazione  è  di  9247 
abitanti.  Lancastro  o  Lancaster, 
Longevicum,  Lancastria,  è  sulla 
riva  sinistra  della  Lune.  Ha  un'an- 
tica chiesa  gotica  nella  sommi- 
tà, ed  un  antico  castello  costrutto 
dai  romani,  aumentato  dai  sassoni 
di  una  torre,  ristorato  ed  abbellito 
da  Edoardo  III  e  da  suo  figlio. 
Vasto  è  il  palazzo  pubblico  col 
suo  portico.  Quantunque  Lanca- 
stro sia  stata  una  piazza  romana, 
non  è  però  sicuro  il  suo  antico 
nome;  secondo  Carndeno  chiamossi 
Mc.diolainim^  ma  sembra  in  vece 
essere  stata  la  Longevicum  dell'  i- 
tinerario  d'  Antonino.  Diede  il  ti- 
tolo di  duca  a  parecchi  principi 
del  sangue  reale,  e  molto     sofferse 


ING 

nelle  guerre  delle  case  di  Lanca- 
stro  e  di  York,  o  per  meglio  di- 
re in  quelle  della  rosa  rossa  e  ro- 
sa bianca.  Alla  conferma  della  sua 
carta  aumentata  di  nuovi  privile- 
gi da  Carlo  II,  si  ristabilì  e  pro- 
sperò sempre  da  questa  epoca.  Al- 
tri luoghi  del  vicariato  souo:  Li- 
verpool, che  è  divenuta  la  secon- 
da città  dell'  Inghilterra,  emporio 
del  commercio  e  della  navigazione 
europea.  La  sua  popolazione  è  di 
200,000  abitanti  ;  ed  i  cattolici 
nella  massima  parte  irlandesi  sono 
80,000.  Sette  sono  le  chiese  del 
clero  secolare,  delle  quali  una  è  de- 
dicata a  s.  Antonio,  altra  a  s\  Nicola, 
altra  a  s.  Patrizio.  Dei  benedettini 
è  la  chiesa  di  s.  Maria,  e  quella  di 
s.  Pietro  ;  dei  gesuiti  la  chiesa  di 
s.  Francesco  Saverio.  In  Liver- 
pool  risiede  il  vicario  generale  del 
vicario  apostolico.  In  Aigburth  ev- 
vi  la  chiesa.  La  città  di  Preston 
ha  20,000  abitanti,  con  quattro 
chiese,  una  del  clero  secolare,  tre 
de'  gesuiti.  Macclesfield  ha  una 
chiesa  eretta  nel  1841,  e  dedicata 
al  protomartire  dell'  Inghilterra  s. 
Albano.  La  città  di  Wigan  conta 
37,000  abitanti;  il  clero  secolare 
vi  ha  una  chiesa,  altrettanto  i  ge- 
suiti. Manchester  città  della  contea 
di  Lancaster,  cui  tanti  canali-  apro- 
no facili  comunicazioni  con  tutto 
il  regno,  conta  200,000  abitanti: 
ha  cinque  chiese,  una  costò  scudi 
novantaqualtromila.  Il  clero  del 
•vicariato  consiste,  in  monsignor 
Giorgio  Brown  di  Lancaster,  che 
prima  fu  fatto  vescovo  di  Bugia, 
poi  di  Tloa  in  parlibus  e  vicario 
apostolico  dal  Papa  che  regna  ai 
24  agosto  1840;  il  medesimo  Pon- 
tefice fece  di  lui  coadiutore  con 
futura  successione  e  vescovo  di 
Samaria  in  parlibus  monsignor  Gia- 
vol.  xxxv. 


ING  161 

comò  Sharples  consacrato  a'i5  ago- 
sto 1843.  La  residenza  de*  due 
prelati  è  a  Bishop  Eton,  Waver- 
tree  presso  Liverpool.  Questo  è  il 
distretto  più  cattolico  dell'  Inghil- 
terra. Il  numero  de'  sacerdoti  se- 
colari e  regolari  nel  vicariato  è  di 
centosessantasei  circa.  Il  clero  se- 
colare officia  settantaquattro  chiese. 
I  benedettini  della  provincia  del 
nord  reggono  venti  chiese  e  sono 
venti.  I  gesuiti  che  sono  venti 
reggono  dieciotto  chiese.  Il  clero 
secolare  e  regolare  di  Liverpool  si 
compone  di  sédici  sacerdoti  :  que- 
sto clero  in  una  proporzionata  di- 
stribuzione serve  le  proprie  chiese. 
In  Preston  ed  in  Wigan  sonovi 
gesuiti  e  preti  secolari.  1  pii  sta- 
bilimenti sono  i  conventi  della 
Presentazione  e  della  Misericordia, 
ed  un  terzo  delle  seguaci  fedeli  di 
Gesù.  Scuole  gratuite  notturne  per 
quelli  che  il  bisogno  obbliga  nel 
giorno  a  lavorare  pel  proprio  man- 
tenimento. Vi  souo  le  confraterni- 
te arricchite  di  molte  indulgenze, 
del  sacro  Cuore,  del  Rosario,  del 
Monte  Carmelo,  delle  anime  pur- 
ganti, e  degl'  infermi.  Comuni  a 
tutti  gli  abitanti  vi  sono  ospizi 
e  pubbliche  biblioteche.  Presso  la 
chiesa  di  s.  Nicola  in  Liverpool 
evvi  una  scuola  per  460  poveri 
fanciulli  d'  ambo  i  sessi;  quella  di 
s.  Patrizio  ne  conta  4^o.  Queste 
scuole  sono  dirette  dai  fratelli  irlan- 
desi delle  scuole  cristiane.  Anche  dei 
sacerdoti  secolari  si  occupano  in 
scuole  private.  Vi  è  la  residenza 
pel  clero  capace  di  sei  persone  vi- 
cino alla  chiesa  di  s.  Antonio.  Nel- 
la slessa  Liverpool  è  stata  fondala 
una  casa  per  le  sorelle  della  mise- 
ricordia, oltre  quella  delle  compa- 
gne fedeli.  Forse  vi  è  stato  aperto 
nel  distretto  un  asilo  per  le  donne 
1 1 


xG?.  ING 

penitenti  sotto  la  direzione  delle  so- 
relle della  carità  di  s.  Vincenzo  dei 
Paoli,  che  vi  si  sono  introdotte.  Si  è 
aperto  urt   asilo    anche    pei    ciechi 
cattolici.    In  Stoneyhurst    quaranta 
miglia  da  Liverpool  vi  è  un  colle- 
gio di    gesuiti,   con     noviziato.    Vi 
è  pure  il    collegio    di    s.  Edwardo 
presso  Liverpool.  In  Àigburlh  ewi 
una  scuola     ed    una     canonica;    si 
sperava    aprire     un    seminario.    In 
Preston  si  trovano  aperte  tre  scuo- 
le,    una    per    le     fanciulle     dirette 
dalle     sorelle     della     carità  ,     due 
pei      fanciulli     dirette    dai     fratelli 
irlandesi    della     dottrina     cristiana. 
Queste  non  possono  provvedere  con 
maggior     vantaggio  :     tanta     e     la 
prudenza    e  la    maniera    scientifica 
delle    sore!le;    e  dói    fratelli     della 
dottrina  cristiana  chiamati  dall'  Ir- 
landa. Vi  sono  altri  stabilimenti  di 
cai'ità  comuni    a   tutti.   La  città  di 
Manchester    si    distingue    per    gli 
stabilimenti  di  pubblica  istruzione  e 
di  carità:  scuole    gratuite,    ospizi, 
ospedali,  asili    in    gran    numero.   I 
cattolici    vi     hanno     scuole    diurne 
e  notturne  dirette  dai  fratelli  della 
dottrina    cristiana    venuti     dall'  Ir- 
landa.  Il   monistero    delle  monache 
della     Presentazione     è    di     molta 
osservanza.   In  Duckinfield  vi  è   una 
confraternita.  Questo  è  uno  de' vica- 
riati eretti    nel  1 840  dal  Pontefice 
Gregorio  XVI.  Anticamente  forma- 
va parte  della  diocesi  di  Chester.  Do- 
po il    1800   il  clero  secolare   riuscì 
a  fondare  venticinque    missioni  nei 
luoghi    che  oggi  costituiscono  que- 
sto   vicariato.   I  gesuiti   hanno   fon- 
dato due  missioni  ed  aperto     sette 
chiese.   I  benedettini  hanno     eretto 
nuove  missioni,  e  restaurate    quat- 
tro chiese.   Il  clero  vive  delle     ob- 
lazioni   de'  fedeli,    e    dell'   affitto 
delle  sedie  nelle  chiese.   Il    collegio 


I N  G 

de'  gesuiti  di  Stoneyhurst  è  fiorente 
e  grande,  ed  esiste  in    un    palazzo 
donato     dal      padre    del      cardinal 
Weld.   Non  si  conosce  precisamen- 
te il   numero  de'  cattolici  di  questo 
vicariato  ;    ma  esso  è  grande,  dap- 
poiché  ncir  isola    di    Man    e  nella 
contea  di    Lancaster    si    battezzano 
annualmente  diecimila    bambini,  e 
mille  e  cento  in  quella  di  Chester. 
Inoltre  circa  sessantamila    soddisfa- 
no    il     precetto    pasquale,     e  circa 
mille  ogni  anno  si  convertono  dal- 
l' eresia.  Le  scuole  si    mantengono 
colle  obblazioni  de'  fedeli  :   di    esse 
alcune  sono  diurne,  altre  notturne, 
altre    domenicali.    Quando     si   tro- 
vano    giovani    di     beli'  ingegno    si 
procura  di  educarli   in   qualche  se- 
minario    dove    possano     acquistare 
lo  spirito  ecclesiastico.  In  Liverpool 
furono  i     fanciulli     cattolici    esclusi 
dalle   scuole    municipali,     per  aver 
ricusato  di  leggere  la   versione  an- 
glicana della  sacra   Scrittura.  Tut- 
ti  i   missionari  del  distretto  adem- 
piono    i     propri     doveri    con    zelo, 
esattezza  e  carità  ;  e  dove  sono  in 
numero  sufficiente    tengono    confe- 
renze  morali.  Essi  colla  loro  esem- 
plare condotta  si    meritano    la  sti- 
ma dei  protestanti.   Le  chiese  fab- 
bricate colle     elemosine   dei     fedeli 
sostengono   il  peso  di    gravi  debiti. 
In  Manchester  i  protestanti  hanno 
sedici     belle     chiese  .     Sono     circa 
quarant'  anni    dacché  fu    ampliata 
la   missione  in     Manchester  dall'  a- 
lUnno  del  collegio     inglese    d.   Pio- 
tando Broomhead. 

Vicariato  apostolico  di  York. 
La  giurisdizione  de'  luoghi  di  que- 
sto vicariato  comprende  la  sola 
antica  vastissima  contea  di  York, 
dove  si  trovano  più  di  ses>antacin- 
que  sacerdoti  e  missionari,  aventi 
cinquantanove  chiese.     La  città    di 


WG  1NG                    i63 

York  capitale  dell'  Inghilterra  set-  con  futura  successione  monsignor 
tentrionale  è  la  residenza  del  vi-  Guglielmo  Riddell,  da  lui  fatto  vi- 
cario apostolico,  ed  ha  4°j00°  au'"  scovo  di  Lengona  in  partibus,  che 
tanti.  11  clero  del  vicariato  consiste  risedeva  in  Newcastle  nel  Northum- 
in  monsignor  Giovanni  Briggs  ve-  berland.  Numero  de'sacerdoti  cin- 
seovo  Trachonense  hi  partibus,  e  quantotto.  Vi  sono  i  religiosi  france- 
vicario  apostolico,  fatto  dal  Papa  scani.  I  pii  stabilimenti  sono  il  col- 
che  regna  a'  22  gennaio  1843.  legio  o  seminario  di  s.  Cuthberto 
Numero  dei  sacerdoti  sessa  ut'  uno,  di  Ushaw,  che  vuoisi  il  migliore  di 
tre  de'  quali  sono  nel  collegio  di  quanti  esistono  nel  regno,  ed  appar- 
Ampleforth.  I  pii  stabilimenti  so-  tenente  ai  tre  distretti,  settentriona- 
no,  due  conventi  o  mouisleri,  cioè  le,  di  Lancastro,  e  di  York:  ivi  si 
di  s.  Maria  di  Mieklegule  Dar  di  fabbrica  una  nuova  chiesa,  disegno 
York,  e  di  s.  Chiara  proso  Cat-  del  valente  Pugin.  ^  i  è  un  moni- 
lerick,  non  che  il  collegio  benedet-  stero  a  Carmel-House  presso  Darìin- 
tino  di  s.  Lorenzo  di  Ampleforlh  gton  di  tcresiaue  ossia  carmelitane 
presso    York.    Questo     vicariato  fu  scalze. 

eretto  neh  anno  1  840  dal  Pon-  ì  '{carialo  apostolico  di  Gibilter- 
tefìce  Gregorio  XVI.  La  città  di  ra.  Monte  Caspe  o  Gibilterra  è  una 
York  è  considerata  come  una  del-  delle  coloune  di  Ercole.  La  giti- 
le principali  città  del  regno.  La  ì-isdizione  de'  luoghi  del  vicariato 
cattedrale  di  questa  città  per  tan-  non  esce  da  questo  piccolo  ma  ini- 
ti  riguardi  di  antichità,  di  ar-  portantissimo  possesso  inglese,  cioè 
chitettura,  magnificenza  e  ricchez-  non  comprende  che  la  città  ed  il 
za  può  chiamarsi  la  gloria  della  promontorio.  La  popolazione  è  di 
Gran  Bretagna.  Sotto  il  regoo  di  venticinquemila,  cattolici  diecimila, 
Enrico  V  vi  erano  quarantaquat-  oltre  quelli  del  presidio  in  nume- 
tro  chiese  parrocchiali  e  diciassette  io  di  settemila.  Avvi  una  chiesa 
oratorii.  La  disgrazia  della  catte-  parrocchiale  ed  angusta  in  propor- 
drale  è  1'  essere  in  mano  dei  prò-  zione  del  popolo,  che  parla  le  lin- 
testauli,  e  fu  alquanto  danneggiata  gue  spagnuola  ed  inglese.  Il  cle- 
da  un  inceudio  nel  1829.  ro  consiste  nel  vicario  apostolico  , 
Vicarialo  apostolico  sclltntrio-  V  inflessibile  e  zelante  monsignor 
naie.  La  giurisdizione  de'  luoghi  Enrico  Hughes  dell'ordine  de' mi- 
dei  vicarialo  comprende  le  quattro  nori  riformati,  vescovo  di  Elio- 
coniee  di  Norlhumberlaud,  West-  poli  81  partibus,  fatto  dal  Pon- 
moreland,  Cumberlaud  e  Durham.  tefice  Gregorio  XVI  a'  1 5  marzo 
Numero  delle  chiese  o  cappelle  i83g.  Prima  era  vicario  apostoli- 
quarantanove.  Old-Elvet  nel  Dur-  co,  non  vescovo,  d.  Giovanni  Bat- 
ham  è  la  residenza  del  vicariato  tista  Zino.  Vi  sono  per  lo  più  sette 
apostolico.  Il  clero  del  vicariato  preti  spagnuoli,  uno  de'  quaii  pat- 
consiste  in  monsignor  Francesco  roco.  I  pii  stabilimenti  sono  piii 
Mostyn,  fatto  vescovo  di  Abida  in  ospedali  comuni  a  tutti  gli  abitanti, 
partibus  e  vicario  apostolico  ai  2  3  uno  de'  quali  cattolico  fondato  nel 
settembre  del  1840,  dal  regnante  1790.  Una  scuola  cattolica  fu  a- 
Ponlefice.  Questi  a'  22  dicembre  perla  nel  i836:  per  sostenerla 
i843  gli  ha    dato    per  coadiutore  contribuiscono  il  vicario  apostolico 


164  ING 

e  gli  anziani.  Questa  per  breve 
tempo  fu  assistita  dai  fratelli  laici 
delle  scuole  cristiane  d'Irlanda,  ma 
ne  partirono.  Questa  città  fu  un 
giorno  tutta  cattolica.  Passata  pe- 
lò dal  dominio  di  Spagna  cui 
apparteneva,  alla  corona  d'Inghil- 
terra ,  e  ceduta  definitivamente 
pel  trattato  d'  Utrecht  a  quel- 
la potenza,  vi  fu  reso  libero  l'e- 
sercizio del  culto,  tutte  le  specie 
di  settari  vi  aprirono  chiese,  e 
deve  attribuirsi  alle  astute  arti  ed 
influenza  di  questi  la  grande  di- 
minuzione de'  cattolici.  Dipendeva 
questa  chiesa  dal  vescovo  di  Ca- 
dice, quando  nel  1817  fu  da  Pio 
VII  eretta  in  vicariato  apostolico. 
Il  vicario  apostolico  riceve  dal  go- 
verno tremila  lire  sterline  annue, 
da  ripartirsi  in  proporzione  col  cle- 
ro inferiore,  ed  ebbe  nel  1841 
franchi  seimila  dalla  società  di 
Lione. 

La  chiesa  manca  di  beni  sta- 
bili; le  sue  rendite  consistono  in 
obblazioni  volontarie  amministrate 
da  una  mal  nomata  commissione 
o  giunta  di  cattolici,  nata  nel  i8i5 
e  riorganizzata  nel  i835,  compo- 
sta di  laici  anziani  in  numero  di 
dodici,  sotto  il  titolo  di  s.  Maria 
l' Incoronata  o  dell'  Ospedale,  che 
ne  affidano  la  cura  ad  uno  cui 
danno  il  nome  di  aggiunto  o  pos- 
sidente, ma  si  arrogano  troppa 
autorità  sopra  il  clero,  perchè  col 
presidente  formano  la  cosi  det- 
ta giunta.  Su  di  che  va  letto  il 
libro  di  P.  A.  Wynne  vicario  ge- 
nerale, stampato  in  Londra  nel 
1841  con  questo  titolo:  La  cau- 
sa dell'incarcerazione  dì  monsi- 
gnor Hughes  nella  prigione  crimi- 
nale di  Gibilterra.  Ce  ne  diede 
un  sunto  importante  e  migliore 
schiarimento    il   benemerito    com- 


ING 

pilatore  della  prima  serie  degli 
annali  delle  scienze  religiose  mon- 
signor Antonino  de  Luca,  ora  ve- 
scovo di  Aversa,  nel  voi.  XII,  p. 
397.  Pertanto  è  a  sapersi  che  gli 
indegni  cattolici  della  giunta,  arro- 
gandosi tutta  la  podestà  sopra  le 
rendite  temporali  della  chiesa,  pro- 
vocarono sanzione  al  loro  operato, 
mediante  un  assurdo  decreto  pro- 
ferito dal  primario  giudice  barone 
Field,  il  quale  venne  dall'encomia- 
to  savio  scrittore  qualificato  uu 
vero  atto  di  ladroneccio,  riguardo 
ai  diritti  vescovili  e  parrocchiali,  i 
quali  sono  doni  volontari  ed  ob- 
blazioni date  dai  fedeli  al  pastore. 
Ma  quel  ch'è  peggio,  il  vescovo 
mentre  dallo  stesso  giudice  eragli 
stato  ammesso  l'appello  alla  corte 
superiore,  per  ricusarsi  pendente  l'ap- 
pello di  osservare  il  decreto  e  di  da- 
re cauzione  di  5oo  piastre,  fu  gittato 
in  un  carcere  criminale,  di  che  s'in- 
colpò pure  il  governatore  di  Gibil- 
terra sir  Alessandro  Woodford.  La 
ingiusta  carcerazione  d'un  vescovo 
vicario  apostolico,  fatta  ad  istanza 
di  pochi  depravati  cattolici,  e  per 
sentenza  di  un  giudice  protestante, 
suscitò  nel  mondo  cattolico  una 
giusta  indignazione.  La  sacra  con- 
gregazione di  propaganda  fide  ai 
21  novembre  1840  indirizzò  a 
monsignor  Hughes  la  lettera  che 
riportasi  dai  citati  annali,  nella 
quale  deplorando  il  traviamento 
della  sedicente  giunta  cattolica,  e 
confidando  nelle  autorità  e  nei 
magistrati  britannici,  sperava  che 
gli  avrebbero  avuto  per  la  sua 
dignità  quei  riguardi  cui  manca- 
rono i  nominati  indocili  figli  della 
Chiesa  cattolica,  anco  a  tenore  del- 
la protezione  garantita  dalle  leggi 
e  dai  trattati.  Quindi  secondo  gl'im- 
mutabili   piincipii    della    cattolica 


ING 

Chiesa,  gì' ingiunse  disciogliere  su- 
bito la  giunta,  non  potendo  essa 
affatto  mischiarsi  delle  cose  spet- 
tanti alla  Chiesa,  incorrendo  nelle 
più  gravi  censure  se  perseverava 
nella  sua  pertinacia.  Mercè  gli 
sforzi  riuniti  di  tutto  il  corpo  dei 
cattolici  nelle  isole  britanniche , 
trionfò  la  giustizia,  ed  il  prelato 
fu  postò  in  libertà.  Su  questo  grave 
argomento  va  letta  la  lettera  apo- 
stolica del  Papa  regnante,  Dudum 
Nos  sollicitos  habent  auae  istic  con- 
tro, Ecclesìae  jus,  data  a'  1 2  ago- 
sto 184.1»  e  diretta  al  sullodato  vi- 
cario apostolico  e  vescovo  Heliopo- 
litano. 

Secondo  altre  relazioni  meno  re- 
centi il  numero  degli  abitanti  era  di 
diciassettemila, dei  quali  ottomila  cat- 
tolici per  la  maggior  parte  geno- 
vesi, pochi  inglesi;  fra  spagnuoli  e 
portoghesi  tremila  ;  inglesi  prote- 
stanti duemila;  ebrei  circa  tremi- 
la ;  la  guarnigione  è  di  quattromi- 
la circa,  ottocento  de'  quali  catto- 
lici irlandesi.  L'epidemia  del  1828, 
la  franchigia  del  porto  di  Cadice, 
e  il  generale  incaglio  del  commer- 
cio hanno  prodotto  questa  dimi- 
nuzione. In  questa  piazza  si  riu- 
niscono i  contumaci  della  Spagna 
e  del  Portogallo,  e  vi  sono  varie 
sette  di  eretici  :  l'esercizio  però  del- 
la religione  cattolica  è  libero.  I 
protestanti  non  vi  hanno  che  una 
chiesa  militare,  ed  un  solo  mini- 
stro; i  metodisti  vi  hanno  una  cap- 
pella ;  gli  ebrei  due  sinagoghe,  non 
vi  sono  moschee  e  talvolta  pochi 
maomettani.  Il  governo  inglese  som- 
ministra una  razione  diaria  di  pa- 
ne, carne,  vino,  ec.  e  scudi  sessan- 
tasei annui  al  vicario  apostolico  ; 
e  la  giunta  la  casa,  scudi  tre  al 
giorno,  e  scudi  trenta  mensili  al 
curato.  Gibilterra,  Malta    e  Corfù 


ING  »65 

sono  le  tre  chiavi  del  mare  Me- 
diterraneo, che  gli  inglesi  si  reca- 
rono in  loro  potere  nel  breve  cor- 
so di  un  secolo.  Tra  i  vantaggi 
che  il  possesso  di  Gibilterra  reca 
alla  Gran  Bretagna,  principale  è 
quello  di  dominare  dalla  medesi- 
ma tutta  la  costa  occidentale  della 
Spagna,  cioè  i  due  terzi  della  ma- 
rittima circonferenza  di  questo  rea- 
me, e  di  troncargli  per  tal  guisa, 
in  caso  di  guerra,  le  relazioni  tra 
i  suoi  porti  del  Mediterraneo  e 
quelli  dell'Atlantico.  Siccome  nel 
Dizionario  vi  sono  gli  articoli  Cor- 
fu  e  Malta,  non  Gibilterra,  così 
mi  sia  permesso  per  la  sua  cele- 
brità farne  qui  appresso  il  cenno 
storico. 

Gli  antichi  mescolando  la  favola 
a  tradizionali  memorie  di  un  gran 
diluvio,  raccontavano  che  l'Europa 
e  l'Africa  erano  ne'primissimi  tem- 
pi congiunte,  e  che  Ercole  uccisi  i 
mostri  della  Libia  e  della  Spagna 
avea  separato  i  due  continenti ,  ed 
aperto  in  tal  guisa  un  varco  tra 
l'Atlantico  e  il  Mediterraneo.  Dei 
due  monti  o  masse  di  roccie  che 
sorgono  in  capo  allo  stretto,  Calpe 
ebbe  nome  quello  negli  ultimi  con- 
fini della  costa  di  Spagna,  ed  A- 
bila  V  altro  che  gli  sta  rim petto 
sulla  costa  d'Africa  nella  Mauri  - 
tiana.  Calpe  fu  poi  detto  Gibil- 
terra, ed  Abila  venne  quindi  chia- 
mato Ceuta  {Vedi),  città  e  pro- 
montorio con  sede  vescovile.  E  per- 
chè i  due  monti  guardati  in  di- 
stanza sembrano  nella  forma  due 
colonne,  e  nell'  infanzia  della  na- 
vigazione non  si  avventuravano  i 
marinai  a  passare  lo  stretto,  favo- 
leggiossi  che  Ercole  piantasse  sopra 
le  loro  due  vette  due  colonne  di 
bronzo,  sopra  le  quali  scrivesse  non 
più  oltre,  per  denotare  il   termine 


166  ING 

eli  sue  faliche,  e  quello  del  mare 
navigabile.  Ciò  però  non  deve  in- 
tendersi che  in  senso  largo,  perchè 
entravano  dal  Mediterraneo  nell'O- 
ceano i  fenicii  navigatori  e  traffi- 
canti; ed  anche  ne'  più  barbarici 
tempi  entravano  dall'  Oceano  nel 
Mediterraneo,  affine  di  predare  i 
pirati  normanni.  Siccome  Calpe  0 
Gibilterra,  ed  Abila  o  Ceuta,  era- 
no possedute  dalla  Spagna,  la  qua- 
le ora  domina  soltanto  Ceuta,  cos'i 
nelle  monete  di  quei  monarchi  tut- 
tora si  vede  ai  lati  dello  stemma 
due  colonne,  simbolo  delle  favoleg- 
giate, col  motto:  plus  ultra.  Lo 
stretto  di  Gibilterra,  passaggio  che 
divide  la  estremità  meridionale  del- 
la Spagna  dall'estremità  nord-ovest 
della  Barbaria,  e  che  unisce  il  Me- 
diterraneo all'Atlantico,  fu  pure 
chiamato  Fretum  TIerculeum  o  Ga- 
dilanimi,  perchè  si  credette  operata 
da  Ercole  l'apertura  di  tal  comu- 
nicazione fra  i  due  mari,  e  perchè 
al  nord  -  ovest  n' è  distante  undici 
leghe  la  città  di  Gadcs  ossia  Ca- 
dice. Pare  che  gli  antichi  non  co- 
noscessero o  non  curassero  l'im- 
portanza militare  del  sito  ove  ora 
è  Gibilterra.  Anche  dopo  che  là 
Spagna  fu  notissima  ai  romani,  e 
divenne  provincia  del  loro  impero, 
non  si  conosce  che  alcuna  fortezza 
sorgesse  sulla  rupe  Calpe.  Anzi  è 
dubbio  se  quivi  fosse  una  città  ;  e 
in  fatti  nessuna  antichità  romana 
si  trovò  sinora  in  Gibilterra  o  nei 
suoi  dintorni.  Altri  dicono  che  i 
fenicii  ed  i  cartaginesi  abbiano  a- 
vuto  degli  stabilimenti  su  questa 
costa,  e  che  furono  essi  che  ai  due 
promontorii  di  Gibilterra  e  Ceuta 
dierono  il  nome  di  colonne  d'Er- 
cole. Nella  baia  e  stazione  navale 
comoda  si  vede  porzione  cicliti 
rovine  dell'antica  Carlcia,  che  ap- 


ING 

parlenne  prima  ai  fenicii  e  poscia 
ai  cartaginesi.  Certo  è  che  i  mori 
nell'anno  7  1  (  occuparono  il  monte 
Calpe,  e  ne  fecero  una  stazione 
militare,  quando  soggiogarono  la 
Spagna.  Dal  loro  condottiero  Ta- 
rif  prese  allora  Calpe  l'arabo  suo 
nome  di  Gibel-Tarif  ossia  monte 
di  Tarif,  che  per  corruzione  si  dis- 
se da  noi  italiani  Gibilterra,  e  da 
altre  nazioni  Gibraltar.  Appena  i 
mori  ne  divennero  padroni  che  vi 
edificarono  un  forte  castello  sul 
fianco  del  monte  a  settentrione  po- 
nente, e  ne  sussiste  ancora  una 
parte.  Rimase  Gibilterra  in  potere 
dei  maomettani  circa  otto  secali  , 
tranne  un  intervallo  di  forse  tren- 
t'anni  che  la  tennero  i  cristiani 
per  essersene  impadroniti  nel  1  3o3 
sotto  Ferdinando  IV  re  di  Leone 
e  di  Casliglia;  e  fu  Abumelek  fi- 
glio dell'imperatore  di  Fez  che  la 
riprese  nel  1  3 3 3  ;  né  gl'infedeli 
ne  vennero  definitivamente  cacciati 
se  non  che  verso  la  metà  del  quat- 
trocenlo,  dopo  aver  fatto  alterna- 
tivamente parte  dei  regni  mauri* 
tani  dell'Andalusia.  Stette  Gibilter- 
ra soggetta  alla  monarchia  spa- 
glinola, ed  il  primo  a  fortificarla 
nello  stile  moderno  fu  Daniele  Spe- 
ckel  architetto  tedesco  per  ordine 
di  Carlo  V  imperatore.  Ma  nel 
1704  un'armata  navale  inglese,  al- 
tri dicono  anglo-olandese,  coman- 
data da  sir  Giorgio  Rooke,  e  dal 
principe  d'  Assia-Darmstadt ,  aggi- 
randosi pel  Mediterraneo,  e  dispia- 
cente di  tornare  ai  porti  d'Inghil- 
terra senza  aver  potuto  nulla  ope- 
rare che  corrispondesse  alla  grande 
espettazione  che  di  sé  avea  desta- 
ta, sene  impossessò  in  questo  mo- 
do. Il  disegno  di  occupazione  fu 
proposto  in  consiglio  di  guerra  a 
bordo  della    nave   ammiraglia,    ed 


ING 

abbracciato  da  tutti  senza  dimora 
venne  stabilita  l'effettuazione.  A'^4 
giugno,  o  nel  seguente  luglio,  o  ai 
4  agosto  la  rocca  fu  espugnata 
senza  fatica  ,  giacché  i  centocin- 
quanta spagnuoli  di  presidio,  dopo 
alcune  ore  di  bombardamento  si 
arresero  passati  tre  giorni  di  asse- 
dio. In  tal  modo  la  Gran  Breta- 
gna divenne  signora  dell'  invidiata 
posizione,  riuscendo  quindi  vani  gli 
sforzi  di  Filippo  V  e  degli  altri 
re  di  Spagna,  uniti  sovente  a  quel- 
li di  Francia,  per  ricuperarla  ,  in- 
cominciando da  quelli  tentati  ver- 
so la  fine  del  medesimo  anno  fJ0^- 
Estenuato  Filippo  V  dalla  guerra 
di  successione,  cede  in  perpetuità 
alla  Gran  Bretagna  questo  posto 
importante,  col  trattato  di  pace  di 
Utrecht  nel  i  7  i  3.  In  seguito  non- 
dimeno gli  spagnuoli  ne  fecero  an- 
cor l'assedio  in  epoche  diverse,  co- 
me nel  1727,  ma  sempre  inutil- 
mente: il  più  memorabile  fu  quel- 
lo del  1779  che  si  prolungò  sino 
al  1783,  ed  in  cui  mercè  il  valo- 
re del  celebre  Eliot  andarono  vani 
gì'  immensi  sforzi  della  Spagna  e 
della  Francia  unite.  Da  quest'epo- 
ca gli  inglesi  godettero  tranquilla- 
mente della  loro  conquista,  e  dalle 
precauzioni  adottate  si  può  giudi- 
care che  la  conserveranno  forse  per 
sempre. 

A  voler  parlare  delle  cose  prin- 
cipali di  sua  forte  posizione,  e  del- 
le sue  famose  fortificazioni,  Gibil- 
terra è  fortezza  fondata  sopra  di 
una  roccia,  la  quale  a  guisa  di  lin- 
gua nata  dalla  terraferma  di  Spa- 
gna, corre  per  lo  spazio  di  una  le- 
ga da  tramontana  a  ostro,  e  si  ter- 
mina in  un  punto,  che  chiamano 
punta  d'Europa.  La  cima  della  roc- 
cia è  alta  mille  piedi  sopra  il  pe- 
lo dell'acqua  del  mare.   Il  suo    lato 


ING  167 

di  levante,  quello  cioè  ch'è  volto  verso 
il  Mediterraneo,  è  tutto  da  una  par- 
te all'altra  composto  di  un  vivo  ma- 
cigno, e  talmente  rupinoso  ed  er- 
to che  il  salirvi  sopra  è  cosa  del 
tutto  impossibile.  La  punta  d'Eu- 
ropa, fatta  anch'essa  di  vivo  sasso, 
s'abbassa  e  termina  in  una  spianata 
venti  piedi  alta  sopra  l'acqua  del 
mare,  e  quivi  gl'inglesi  hanno  pian- 
tato una  batteria  di  venti  colubri- 
ne. Dalla  punta  d'Europa  indietro 
il  promontorio  s'allarga,  ed  alzan- 
dosi si  estende  poscia  in  un'altra 
spianata  che  sta  a  ridosso  della  pri- 
ma. Questa  seconda  è  abbastanza 
grande,  perchè  i  soldati  vi  possano 
fare  per  la  difesa  del  luogo  tutte 
le  loro  mosse,  armeggiamenti  ed 
uffizi  militari  ;  e  siccome  la  scesa 
è  dolce,  e  ne  sarebbe  la  salita  age- 
vole, cos'i  gl'inglesi  vi  hanno  fatto 
trincierameuti  e  circuiti  di  mura  qua 
e  là;  quindi  si  vede  circondata  al 
ciglione  della  spianata  con  un  mu- 
ro quindici  piedi  alto,  e  grosso 
altrettanti  ,  e  munitissimo  di  ar- 
tiglierie. Oltracciò  hanno  costrut- 
to all'indentro  della  spianata  me- 
desima un  campo  trincerato,  ove 
come  dentro  una  sicura  ritirata 
possono  ripararsi,  caso  che  fosse- 
ro dalle  esteriori  difese  cacciati. 
Da  questo  luogo  avvi  la  via  ad 
un  altro  più.  alto,  e  posto  tra  mas- 
si dirupati  e  scoscesi  per  alloggia- 
menti. Sul  lato  occidentale  del  pro- 
montorio a  riva  del  mare  è  fon- 
data lunga  e  stretta  la  città  di  Gi- 
bilterra; ella  è  chiusa  a  ostro  da 
un  muro,  a  tramontana  da  una  vec- 
chia bastita  ossia  riparo  che  chia- 
mano il  Castello  de  mori,  e  da  fron- 
te verso  il  mare  da  un  parapetto 
quiudici  piedi  grosso  e  munito  da 
luogo  a  luogo  di  batterie  che  trag- 
gouo    a  livello  d'acqua.  Dietro    la 


i68  ING  ING 
città  il  monte  s'innalza  molto  ben  essi  non  solo  il  presidio,  ma  ezian- 
erto  sino  alla  cima.  Per  maggior  dio  tutta  la  popolazione  di  Gibil- 
sicurezza  di  questa  parte,  hanno  terra  troverebbe  sicuro  ricovero 
anche  gl'inglesi  due  altre  fortifica-  nel  caso  di  un  bombardamento, 
zioni  che  molto  s'innoltrano  nel  L'immensa  quantità  di  munizioni 
mare,  fatta  l'una  e  1'  altra  guer-  d'ogni  specie,  che  vi  sono  adunate, 
nire  di  formidabili  artiglierie.  La  porgerebbe  agi'  inglesi  tutto  il  tem- 
prima,  posta  a  tramontana,  chia-  pò  necessario  di  venire  al  soccorso 
mano  molo  vecchio,  la  seconda  ino-  della  città  e  del  porto  assediati. 
lo  nuovo.  Avanti  poi  il  molo  vec-  Si  può  salire  a  cavallo  per  sentie- 
chio  ed.il  castello  de'  mori,  vi  è  ri  tagliati  con  bell'arte  sino  alla 
un  altra  baslita  considerabile  in  due  cima  del  monte,  da  dove  la  vista 
bastioni  accorlinati,  la  scarpa  dei  si  prolunga  per  quaranta  leghe  di 
quali,  ed  il  cammino  coperto  so-  distanza  sui  due  mari  ;  vi  si  di- 
llo molto  difficili  a  minare,  per  es-  stinguono  Fez  e  Marocco  nell'A- 
sere  contramminati  bene  per  tutto,  frica,  e  gli  antichi  regni  di  Siviglia 
La  roccia  a  tramontana  dalla  par-  e  di  Granata  in  Ispagna.  La  roc- 
te  di  Spagna,  più  alta  die  in  qua-  ca  di  Gibilterra  è  oggi  la  meglio 
lunque  altro  luogo,  fronteggia  il  munita  fortezza  del  mondo;  nes- 
campo  di  s.  Rocco,  ed  è  munita  sun  potere  umano  è  atto  ad  espu- 
ne'  luoghi  più  acconci  d'  una  me-  gnarla,  e  solo  può  farla  cadere  la 
ravigliosa  quantità  di  batterie.  Fu-  mancanza  di  presidio  o  di  muni- 
rono accresciuti  i  mezzi  di  difesa  zioni  da  guerra,  o  qualche  inopi- 
gagliardamente  colla  formazione  del-  nato  colpo  della  provvidenza.  La 
le  gallerie  coperte,  scavate  dentro  città  è  essenzialmente  commercian- 
la  rupe  e  fornite  di  batterie  con  te  ;  il  suo  porto  franco  la  rende 
fuoco  ficcante  così  sull'istmo  come  1'  emporio  delle  merci  di  tutti  i 
sulla  baia.  Levandosi  la  rupe  di  paesi,  e  quasi  tutte  le  potenze 
Gibilterra  a  perpendicolo  verso  tra-  dell'Europa  e  gli  Stati-Uniti  vi 
montana,  e  non  presentando  quin-  hanno  dei  consoli.  L'aria  vi  è  sa- 
di  alcun  punto  per  collocarvi  le  na,  ma  la  peste  vi  è  qualche  vol- 
arliglierie,  scavarono  gl'inglesi  den-  ta  portata  dai  vicini  paesi,  e  nel 
tro  della  rupe  parecchi  piani  di  1804  produsse  crudeli  stragi.  Po- 
gallerie  sotterranee,  lungo  le  quali  sta. la  città  di  Gibilterra  appiedi 
fecero  a  giusti  intervalli  de'  fori  del  promontorio  e  sulla  costa  o- 
ossia  delle  aperture  ad  uso  di  rientale  del  suo  nome,  elevandosi 
cannoniere .  Cinquecento  cannoni-  gradatamente  dalla  spiaggia,  forma 
quivi  collocati  sono  appena  visibili  una  specie  di  antiteatro,  e  presenta 
a  chi  guarda  dal  mare.  Contigui  allo  sguardo  un  aspetto  incantevole, 
a  queste  gallerie  stanno  vasti  sa-  INGILA.  Sede  vescovile  della 
Ioni  che  fanno  il  servigio  di  depo-  Mesopotamia  nella  diocesi  e  patriar- 
siti  per  le  munizioni  di  bocca  e  cato  d'  Antiochia,  sotto  la  metro- 
di  guerra.  Due  ore  di  cammino  poli  d'Amida.  E  altresì  chiamata 
non  bastano  a  scorrere  questi  sot-  Aghel,  ed  ebbe  per  vescovi  Adeo- 
terranei  artefatti,  scavati  nel  masso  ne  che  fu  al  concilio  di  Nicea,  e 
3oo  piedi  inglesi  sotto  il  suolo,  e  Teodoro  che  trovossi  al  quinto 
iooo  sopra  il  livello  del  mare.  In  concilio  generale. 


ING 

INGRESSI  SOLENNI  IN  RO- 
MA. I  trionfi  degli  antichi  romaui 
ordinariamente  facevansi  con  una 
entrata  magnifica  in  Roma  accom- 
pagnata dalle  pubbliche  acclama- 
zioni :  questo  onore  solenne  accor- 
davasi  ai  dittatori,  ai  consoli  ai 
pretori,  e  per  privilegio  particolare 
a  qualche  comandante  o  genera- 
le di  armata  che  non  era  in  tali 
cariche,  e  che  avea  riportato  al- 
cuna segnalata  vittoria.  Due  sor- 
ta di  trionfi  vi  erano  presso  i  ro- 
mani ,  il  grande  che  chiamavano 
semplicemente  trionfo ,  ed  il  pic- 
colo che  chiamavano  ovazione  ; 
distinguevansi  pure  i  trionfi  in  ter- 
restri ed  in  navali,  secondo  i  com- 
battimenti vinti  per  terra  o  per 
mare.  Il  generale  dell'armata  che 
domandava  il  trionfo,  era  obbli- 
gato di  lasciare  il  comando  delle 
truppe,  e  di  trattenersi  fuori  di 
Roma,  sinché  gli  venisse  accorda- 
to un  tale  onore.  Per  ottenerlo  egli 
scriveva  al  senato ,  inviandogli  la 
relazione  della  vittoria  che  avea 
riportato,  o  delle  conquiste  che  a- 
vea  fatto.  11  senato  convoca  vasi 
nel  tempio  di  Marte  o  di  Bellona, 
ove  leggevasi  la  relazione,  e  quan- 
do i  questori  ed  i  centurioni  del- 
l'armata, i  quali  erano  stati  testi- 
moni del  fatto,  assicuravano  con 
giuramento  che  la  relazione  era 
fedele,  che  dalla  parte  del  nemi- 
co erano  rimasti  almeno  cinque- 
mila uomini  morti,  egli  faceva  il 
suo  decreto;  indi  convocavasi  il  po- 
polo che  approvava  il  trionfo  e 
rendeva  al  generale  il  comando 
dell'armata.  Colui  che  avea  trion- 
fato, coronato  d'alloro  cominciava 
ad  arringare  il  popolo  ed  i  sol- 
dati radunati  in  un  medesimo  luo- 
go, indi  distribuiva  i  suoi  doni,  ed 
uua  parte  delle  spoglie   de'  nemici. 


ING  169 

Dopo  ciò  mettevasi  in  ordine  di 
marcia  dalla  porta  chiamata  trion- 
fale: precedevano  i  trombettieri  ed 
altri  suonatori  di  strumenti  diversi, 
seguivano  i  tori  destinati  al  sacri- 
fìcio, coronati  di  fiori  ed  ornati  di 
vari  nastri  o  bende,  e  talvolta  col- 
le corna  dorate  ;  i  sacerdoti,  i  lit- 
tori, i  vittimari  ed  altri  ministri; 
le  spoglie  de'  nemici  portate  dai 
giovani  o  sopra  carri;  le  figure 
delle  città  prese,  delle  provincie 
conquistate ,  delle  nazioni  soggio- 
gate, le  quali  immagini  erano  d'o- 
ro o  d'argento,  o  di  legno  dorato, 
d'avorio  o  di  cera,  e  gli  animali 
rari  delle  regioni  acquistate.  Ap- 
presso venivano  i  rej  i  principi, 
o  i  capitani  prigionieri,  carichi  di 
catene  di  ferro,  d'oro  o  d'argento, 
portando  la  testa  rasa  in  segno  di 
schiavitù,  accompagnati  dai  suona- 
tori di  arpa,  e  da  molti  uffiziali 
dell'  armata;  un  buffone  insultava 
i  vinti ,  ed  encomiava  i  romani. 
Finalmente  il  trionfatore,  precedu- 
to dal  senato  e  dalle  truppe  ro- 
mane, compariva  su  di  un  carro 
tirato  da  quattro  cavalli  bianchi 
tutti  messi  di  fronte;  ma  vi  furo- 
no degl'imperatori  che  fecero  tira- 
re il  loro  carro  trionfale  dagli  e- 
lefanti,  dalle  tigri,  dai  leoni,  o  dai 
cervi.  Giunto  al  Campidoglio  (Fe- 
di) offeriva  un  sacrificio  a  Giove 
e  teneva  un  banchetto  magnifico, 
indi  era  condotto  al  suo  palazzo. 
Durante  la  pompa  trionfale  un 
pubblico  uffiziale  che  stava  accanto 
al  trionfatore,  tenendo  sopra  il  di  lui 
capo  una  corona  preziosa  di  rare 
gemme,  pronunziava  ad  alta  voce 
queste  parole:  sovvengati  che  sei 
nomo,  e  pensa  all'  avvenire j  per 
avvertirlo  di  non  lasciarsi  abba- 
gliare dallo  splendore  e  dagli  o- 
uori    del    trionfo.    La    corona   del 


i7o  ING 

trionfatore  da  principio  fu  d'al- 
loro, indi  d*  oro.  Portavansi  anco- 
ra avanti  di  lui  molte  corone  d'o- 
ro donategli  dalle  provincie  per 
servire  d'ornamento  al  suo  trionfo. 
La  sua  veste  era  di  porpora  adorna 
di  ligure  di  palme,  ricamata  in  oro, 
perciò  chiamata  toga  piata  o  tunica 
palmata;  teneva  colla  destra  un  ramo 
d'alloro,  e  colla  sinistra  uno  scettro 
di  avorio,  all'  estremità  del  quale 
eravi  una  piccola  aquila.  Il  corteg- 
gio del  trionfo  era  spesse  volte 
così  numeroso  che  vi  si  dovevano 
impiegare  molti  giorni.  Qualche 
volta  sul  carro  trionfale  vi  erano 
i  figli  del  trionfatore,  ed  i  parenti 
lo  seguivano  a  cavallo;  dei  carri 
trionfali  si  parlò  nel  voi.  X,  p.  i  1 4- 
del  Dizionario.  Pretendesi  che  Bac- 
co abbia  avuto  gli  onori  del  trion- 
fo nelle  Indie,  e  Romolo  in  Roma, 
e  che  possano  riguardarsi  come 
gl'inventori  del  trionfo;  certo  è 
che  i  trionfi  dei  romani  per  la 
solennità  della  pompa  sono  stati  i 
più.  magnifici.  Il  piccolo  trionfo, 
che  chiamavasi  ovazione,  si  faceva 
con  minor  pompa.  Colui  al  quale 
questo  onore  era  accordato,  faceva 
la  sua  entrata  ed  ingresso  in  Ro- 
ma a  piedi  od  a  cavallo,  a  suono 
di  flauti  e  di  chiarine  senza  trom- 
bette. Era  accompagnato  dai  sena- 
tori e  dalla  sua  armata;  la  sua 
corona  era  di  mirto,  e  la  ve- 
ste di  porpora.  Ottenevasi  1'  onore 
di  questo  trionfo,  quando  il  trion- 
fatore avea  messo  in  fuga  il  ne- 
mico, senza  però  avergli  ucciso 
molti  individui;  quando  avea  com- 
battuto contro  pirati  o  contro  schia- 
vi, quantunque  non  gli  avesse  com- 
pletamente disfatti  ;  e  quando  a- 
veva  amministrato  bene  gli  affari 
e  le  rendite  della  repubblica  ro- 
mana   nelle  provincie.    Al   dire   di 


ING 

Dionisio  d'Alicarnasso  e  di  Pesto, 
chiamossi  ovazione  il  piccolo  trion- 
fo, perchè  da  per  tutto  ove  passa- 
va la  pompa  udivasi  l'esclamazione 
oh!  ch'era  un  grido  di  gioia  dei 
soldati  vincitori.  Ma  secondo  Plu- 
tarco si  chiamò  ovazione  perchè  il 
trionfatore  giunto  al  Campidoglio 
immolava  una  pecora,  detta  ovit  in 
latino,  mentre  nel  grande  trionfo 
sacrifica  vasi  un  toro.  Il  primo  a 
godere  dell'ovazione  fu  Publio  Po- 
stumio  Tuberto  l'anno  di  Roma 
2  5o.  Nei  grandi  trionfi  i  cittadini 
colle  loro  vesti  ed  abiti  accresce- 
vano la  festa  di  Roma  giubilante, 
i  templi  della  quale  erano  aperti, 
circondati  di  corone,  e  ripieni  di 
profumi  ed  incensi;  i  palazzi  e  le 
case  degli  abitanti  adornavansi  con 
nobilissime  tappezzerie,  e  le  strade 
venivano  coperte  di  olezzanti  fiori, 
e  talvolta  al  trionfatore  si  eresse- 
ro sontuosi  archi  trionfali.  Questi 
erano  i  piò  solenni  ingressi  degli 
antichi  romani,  cioè  di  quello  che 
rientrava  in  Roma  dopo  avere  ri- 
portato segnalate  vittorie,  o  distin- 
to coll'onore  dell'ovazione.  Di  quan- 
to è  relativo  a  tali  trionfi  se  ne 
tratta  in  diversi  articoli  del  Di- 
zionario. Onofrio  Panvinio  ci  ha 
dato:  Fasti  et  triumphi ronianorum 
a  Romulo  usque  ad  Carolimi  V. 
Venezia  i55j.  De  triumpho  corn- 
mentarius.  Venezia  1567.  Gioac- 
chino Giovanni  Mader  è  beneme- 
rito per  1'  edizioni  con  note  ed 
aggiunte,  Helmestadt  1662,  e  Pa- 
dova 1681,  del  trattato  di  Pan- 
vinio De  triumphis.  Gio.  Pietro 
Bellori  pubblicò  in  Roma  nel  1690: 
Veteres  arcus  Augustorum  trium- 
phis insignes  restituti,  et  illustrati. 
Ai  nostri  giorni  il  valente  artista 
Luigi  Rossini  ha  diligentemente 
inciso  :   Gli  archi  trionfali,  onorari 


li\G 

e  funebri  degli  antichi  romani  spar- 
si per  tutta  l'Italia. 

L'  ingresso  degli  antichi  impe- 
ratori in  Roma  si  faceva  a  cavallo 
sino  alla  porla  della  città,  e  poi 
a  piedi  in  abito  civile,  come  osser- 
va il  Buonarroti  ne'  suoi  Meda- 
glioni a  p.  3i3.  Minacciando  Desi- 
derio re  de'  longobardi  la  rovina 
di  Roma,  il  Pontefice  Adriano  I 
invocò  V  aiuto  di  Carlo  Magno  re 
di  Francia.  Questi  nel  773  vinse 
Desiderio  e  lo  fece  prigione.  Nel- 
1'  anno  seguente  volendo  Carlo  pel 
sabbato  santo  recarsi  in  Pioma,  il 
Papa  lo  fece  incontrare  sino  a  No- 
vi, e  trenta  miglia  lungi  da  Roma 
dai  senatori  e  dai.  magnati  colle 
bandiere  spiegate.  Un  miglio  di- 
stante dalla  città  trovaronsi  tutte 
le  brigate  della  milizia,  ed  i  fan- 
ciulli delle  scuole  con  rami  di  pal- 
me ed  olivi,  e  fuori  della  città  si 
unirono  pure  ad  incontrar  Carlo 
tutte  le  croci  ed  insegne.  All'  ap- 
parire di  queste,  Carlo  smontò  da 
cavallo,  e  corteggiato  dai  suoi 
principi  e  nobili  officiali  s'  incam- 
minò verso  la  basilica  di  s.  Pietro, 
nell'  atrio  della  quale  lo  aspettava 
Adriano  I,  con  lutto  il  clero  e 
popolo  romano.  Salendo  Carlo  i 
gradini  li  baciò  tutti,  e  giunto  al 
Papa  si  abbracciarono  con  vero 
giubilo  ,  e  reciproca  cordialità. 
Compili  nella  basilica  i  doveri  del- 
la religione,  il  re  domandò  al  Pa- 
pa il  permesso  d'  entrale  io  città, 
onde  sciogliere  i  voti  cbe  avea  fatti 
a  parecchie  chiese  di  Roma,  giacché 
ancora  la  basilica  di  s.  Pietro  era 
fuori  delle  mura  della  città.  Pre- 
messi fra  il  Papa  e  Carlo  Magno 
gli  scambievoli  giuramenti  di  si- 
curezza, entrarono  formalmente  in 
Roma,  e  nei  tre  giorni  di  Pasqua 
attesero  alle  orazioni. 


ING  171 

Il  Cancellieri  nella  Storia  diso- 
leimi possessi  de' sommi  Pontefici,  a  p. 
a,  osserva  che  la  pompa  con  cui  il 
Papa  s.  Leone  III  fu  accolto  dai  ro- 
mani, e  fece  il  suo  solenne  ingresso 
in  Roma  a'29  novembre  dell' anno 
800,  nel  suo  ritorno  dalla  visita 
fatta  a  Carlo  Magno,  e  narrata  da 
Anastasio  Bibliotecario,  venne  in 
certo  modo  ad  adombrare  il  trion- 
fo usato  dai  suoi  successori  nella 
solenne  funzione  del  loro  possesso, 
della  quale  si  trattò  nel  voi.  Vili, 
p.  171  e  seg.  Il  Galletti,  Del  Pri- 
micerio pag.  60,  racconta,  che  s. 
Leone  III,  ritornando  dalla  Fran- 
cia alla  volta  di  Roma,  accompa- 
gnato da  grande  stuolo  di  prelati 
francesi  per  ordine  di  Carlo,  fu  ri- 
cevuto come  un  apostolo  in  tutte 
le  città  per  le  quali  passò.  Giunto 
vicino  a  Roma  al  ponte  Milvio  fu 
incontrato  dagli  ottimali,  dal  clero, 
dalla  milizia,  dal  senato  e  popolo 
romano,  dalle  sacre  vergini,  dalle 
diaconesse,  da  nobilissime  matrone, 
dalle  scuole  de'  pellegrini,  cioè  dei 
francesi,  de'  frisoni,  de'  sassoni  ,  e 
de'  longobardi  colle  loro  bandiere 
spiegate:  cantando  tutti  inni  di  glo- 
ria, fu  il  Pontefice  condotto  a  s.  Pie- 
tro ,  ove  celebrò  solennemente  mes- 
sa e  partecipò  a'  fedeli  il  corpo  e 
sangue  di  Gesù  Cristo,  dopo  di 
che  nel  giorno  seguente  entrò  con 
universale  allegrezza  in  Roma,  e 
portossi  al  suo  Lateranense  pa- 
triarchio. Siccome  ai  singoli  arti- 
coli delle  città  e  regni  si  riporta- 
no gì'  ingressi  solenni  nelle  prime 
e  nei  secondi  falti  dai  Papi,  so- 
vrani ed  altri  personaggi,  cos'i  al- 
l' articolo  Roma  parleremo  di  quel- 
li eh'  ebbero  luogo  in  questa  me- 
tropoli del  cristianesimo,  nel  pre- 
sente articolo  limitandoci  riporta- 
re   qualche    analogo    esempio,  per 


i7a  ING 

notare  la  diversità  delle  circostan- 
ze, dei  cerimoniali  e  delle  pompe 
usate  in  differenti  epoche. 

Maltrattato  il  Pontefice  Giovan- 
ni XII  da  Berengario  II,  invitò 
Ottone  I  re  di  Germania  a  veni- 
re in  Italia,  promettendogli  la  co- 
rona imperiale  purché  lo  aiutasse 
contro  la  prepotenza  di  Berenga- 
rio H,  e  del  suo  figlio  Adalberto. 
Temendo  il  Papa  che  Ottone  I 
potesse  aspirare  a  pigliarsi  qualche 
autorità  sui  romani,  con  pregiudi- 
zio della  suprema  signoria  de'  Pon- 
tefici, volle  che  il  re  prima  di 
giungere  in  Roma  gli  giurasse  di 
non  ledere  in  verini  modo  i  di- 
ritti di  sua  sovranità,  e  di  assu- 
mere la  difesa  de'  suoi  stati  onde 
gli  venisse  restituito  quanto  gli  era 
stato  ingiustamente  tolto.  Questo 
giuramento  non  esigettero  s.  Leo- 
ne III  da  Carlo  Magno,  e  s.  Pa- 
squale I  da  Lotario  I,  perchè  non 
si  poteva  dubitare  della  loro  pro- 
tezione ed  avocazia  sulla  Chiesa 
romana,  della  quale  avocazia  par- 
lammo all'  articolo  Imperatore.  Ec- 
co i  termini  del  giuramento  di 
Ottone  I,  fatto  a  mezzo  de'  suoi 
legali.  »  Tibi  Domino  Joanni  Pa- 
pae  ego  rex  Otto  promittere  et 
jurare  facio  per  Patrem,  et  Filium, 
et  Spiritum  Sanctum,  et  per  li- 
gnum  hoc  verae  suae  crucis,  et 
per  has  reliquias  sanctorum,  quod 
si  permittenle  Domino  Romani  ve- 
nero S.  R.  Ecclesiam,  et  te  recto- 
rem  ipsius  exaltabo,  secundum  pos- 
se meum,  et  numquam  vitam,  aut 
membra  et  ipsum  honorem,  quae 
habes  mea  exhortatione  perdes.  Et 
in  romana  urbe  nullum  placituin 
aut  ordinationem  faciam,  quae  ad 
le  aut  ad  romanos  pertinent,  si  ne 
tuo  Consilio.  Et  quidqiiid  in  nostrani 
potcslaleui  de    terra    s.    Petri    pcr- 


ING 

venerit  tibi  reddam.  Et  cuicumque 
regnum  ilalicum  commisero  jurare 
faciam  illuni,  ut  adjutor  lui  sit  ad 
defendendam  terram  s.  Petri,  se- 
cundum suam  posse .  Sic  me  Deus 
adjuvet,  et  haec  sancta  Dei  Evan- 
gelia ".  Venne  poi  il  re  in  Roma, 
e  fu  da  Giovanni  XII  nel  febbraio 
962  coronalo  imperatore.  Più  tar- 
di e  nel  pontificato  di  Giovanni 
XIII,  1'  imperatore  Ottone  I  a  di 
lui  istanza  passò  in  Italia  e  resti- 
tuì alla  Chiesa  le  terre  usurpate 
dai  Berengari.  Quindi  Ottone  II 
suo  figlio,  assestate  le  cose  di  Ger- 
mania, raggiunse  il  padre  ed  in- 
sieme passarono  in  Roma,  ove 
giunsero  a'2.4  dicembre  967.  Tre 
miglia  fuori  della  città  furono  ad 
incontrarli  i  senatori  colle  scuole, 
portando  le  loro  croci  ed  insegne, 
e  cantando  le  lodi  dell'  imperatore. 
Il  Papa  si  trovò  alle  scale  della 
basilica  vaticana  ove  li  ricevè,  ed 
il  giorno  appresso,  festa  del  santo 
Natale,  nella  stessa  basilica  Ottone 
II  fu  proclamato  imperatore  e  ricevè 
T  unzione  dal  Pontefice  colla  coro- 
na imperiale. 

Calisto  II,  essendo  stato  eletto 
in  Cluny  nel  11 19,  portatosi  in 
Roma  vi  fu  ricevuto  con  archi 
trionfali,  con  1'  incontro  delle  ban- 
diere, de'  fanciulli  esultanti  con  ra- 
mi di  ulivo  in  mano,  dei  greci  e 
degli  ebrei  :  1'  ingresso  della  città 
fu  descritto  dal  cardinal  Nicolò  Ro- 
selli  detto  d'Aragona,  scrittore  del- 
le vite  dei  Papi.  Questa  è  la  pri- 
ma memoria  che  sieno  stati  eretti 
ai  Pontefici  pel  loro  ingresso  in 
Roma  archi  trionfali,  i  quali  par- 
ticolarmente poi  vennero  innalzati 
nelle  funzioni  de'  solenni  possessi. 
V.  l'articolo  Intronizzazione.  Nel- 
l'anno ii4^  fu  esaltato  al  pontifi- 
cato   Eugeuio    III    a'  26    febbraio, 


IRG  I3TG 

tre  fioriti  partì  <fn  Ho-  draastame  di  quoto  solenne  in- 
per  le  rivoluzioni  degli  amai-  grasso,  pobbbcata  da  Papirio  itas- 
dtsti,  e»*— »'»  la  quali,  panati  die-  san,  Kb.  ¥1  De  episcopo  Urbis  fòL 
ciotto  meno  meno,  ritornò  in  fio-  3i6,  riportata  dal  Muratori,  Ber. 
ma,  end  no  ingresso  fu  ricevuto  IiaL  X.  Ili,  par.  II,  coL  690.  Il 
allegrezza,  che  il  senato  e  popolo  romano  creme 
descrive.  •  Fa-  dappoi  neOa  chiesa  di  s.  Maria 
est,  Deo  anctore,  gsmhnm  M nova  sulla  tomba  di  Gregorio 
in  tota  Orbe,  et  in  op-  XI  un  marmorea  monumento,  fa- 
tato ingressa  ipsios  Pontine»  oc-  cendo  esprimere  nel  basso  rilievo 
currit  d  -y»"— »  et  frequens  pò-  da  Pietro  Paolo  Olivieri  A  mede- 
poli  mnltitndo  cum  rami*,  et  ad  simo  fàusto  inumili  in  Roma.  Gli 
ejus  vestigia  continur  umuentes  ingressi  dì  Eugenio  IV,  deU*  impc- 
pasi pednm  osculi  devabantnr  ad  latore  Giovanni  Paleologo  e  del 
orti  oscula.  Praeoedebaat  somieri  patriarca  di  Costantinopolli  in  Fer- 
cam  hannisj  sequebantnr  scrinarii,  rara  e  Firenze,  per  celebrarvi 
et  judkxs.  Judad  quoque  non  contro  il  conciliabolo  di  Basilea  il 
deerant    tantae    letìtiae,    portante*  concilio    generale,    fi   deseriv 

ai  due  alati  articoli,  ed 
di  Basilea  vi  sono  notizie 

Agli  articoli  Con»  uxoas  osciin- 
massosa,  ed  lmreatiocE  si  parlò 
dei  loro  solenni  ingressi  in  Aquis- 
graaa,  in  Francfòrt  ed  in  Roma. 
la  questa  ultima  città  Fimperato- 
V  nel  re  che  vi  si  portava  a  prendere  la 
pontili-  corona  e  le  insegne  imperiali,  ginn- 
sette  to  nelle  sue  vicinanze  attendava 
1  A<ngwome(Fe*£),3Ì  resecato  ne*  campi  lieromani,  e 
riportammo  i  solenni  nel  luogo  tsfesso  dove  era  incoo- 
ingressi  ivi  fatti  dai  Papi,  dai  so-  trato  per  ordine  del  Papa  dai  car- 
e  da  altri  principi ,  cardi-  amali  legati,  prestava  il  giuramen- 
nati  e  amhasriatoii.  Urbano  V  nel  to  sugli  evangeli  di  conservare  e 
1367,  volendo  restituire  a  Roma  proteggere  i  diritti  della  santa  Se- 
bi residenza,  a*  16  ottobre  vi  cn-  de.  Indi  veniva  ricevuto  sotto  bat- 
tio con  quella  pompa  che  indi-  j1j~W;—>  le  cui  aste  venivano  sos- 
cammo  ad  voL  XXIV,  p,  88  dd  tenute  dal  prefètto  di  Roma,  dal 
Diskmario.  La  gloria  di  tal  rista-  senatore  e  dai  principi  romani.  Fa- 
llimento si  dovette  al  successore  cera  il  suo  ingresso  in  Roma  a  ca- 
Gregorio  XI,  dappoiché  Cibano  V  vallo  sino  al  palazzo  assegnato  alla 
ritornò  e  mori  in  Avignone.  Gre-  sua  abitazione,  donde  il  giorno  «Lo- 
gorio XI  dunque  a*  17  granai!  m  coruniiiionc  portavasi  a  s.  Pie- 
1377  fece  il  suo  solenne  ingresso  tra,  venendo  ricevuto  sulla  porta 
ricevendo  le  maggiori  dal  Papa.  Sella  biografia  d" /«no- 
di rispetto  e  di  gioia,  censo  III  (Fedi),  si  descrive  A 
Pietro  Amelio  ci  consti vò  la  me-  miniar  iagrrum  fatto  in  Roma  da 
moria   e   la  solennità   di    tutte  le  Ottone   IV   quando    fu    coronata 


i74  ING 

colla  corona  imperiale.  Anche  in 
altre  biografie  de' Pontefici  si  nar- 
rano i  modi  co'  quali  essi  fecero 
incontrare  in  Roma  i  sovrani  al 
loro  ingresso.  V.  il  Marcello,  Sa- 
cremini  cacrimoniarium ,  lib.  I,  tit. 
V  e  tit.  XIII.  De  recepitone  prin- 
cipimi, et  primo  de  recepitone  impc- 
ratoris  venicntis  ad  Urbem  peregri- 
nationis  causa.-  De  recepitone  regis 
venicntis  ad  Urbem.  De  recepito- 
ne reginae.  De  receptione  alicu- 
fus  pri/icipis  electoris  impcrii,  ■  si- 
vc  allerius  maxi  mi  prìncipi s.  De 
receptione  principia  non  ita  clan'. 
Da  principe  electore  praelato.  Nel 
pontificato  di  Nicolò  V  l'anno  i^%i 
si  recò  in  Roma  per  esservi  da 
lui  coronato  l' imperatore  Federi- 
co III.  A  Siena  fu  incontrato  dal 
cardinal  legato  apostolico,  secondo 
il  Catelani,  Dell'  imperio  romano, 
pag.  100;  ma  al  dire  del  Novaes, 
Nicolò  V  mandò  due  cardinali  le- 
gati a  Firenze  per  incontrarlo  ed 
accompagnarlo  a  Roma ,  esigendo- 
ne prima  il  consueto  giuramento 
che  prestò  in  Siena.  Giunto  nelle 
vicinanze  di  Roma,  l'imperatore 
pose  in  ordinanza  1'  esercito  e  co- 
mandò che  non  si  spiegasse  altra 
bandiera  che  quella  dell'aquila  im- 
periale. Sei  miglia  distante  dalla 
città  l'incontrarono  i  Colonnesi,  gli 
Orsini,  gli  altri  baroni  romani,  le 
guardie  del  Papa,  il  vice-camer- 
lengo, il  prefetto  di  Roma ,  il  se- 
natore, i  conservatori,  i  cittadini 
romani  e  la  corte  pontificia.  La 
notte  alloggiò  fuori  delle  mura  di 
Roma  nella  villa  di  Marco  Spi- 
nelli negoziante  fiorentino,  per  en- 
trare solennemente  in  Roma  nel 
dì  seguente  9  marzo  per  porta 
Castello,  nella  forma  che  prolissa- 
mente si  legge  nel  Cerimoniale 
della  S.  R.  C.  lib.  I,  sect.  V,  cap. 


ING 
III,  pag.  331  In  quel  luogo  del 
cerimoniale  ove  si  prescrive  l'in- 
contro da  farsi  all'imperatore,  si 
dice  che  venendo  a  Roma,  il  car- 
dinal decano  con  tutto  il  sacro  col- 
legio deve  incontrarlo  alla  porta 
della  città,  il  capo  della  casa  Or- 
sini co'  suoi  parenti  a  ponte  Mol- 
le, e  il  capo  della  casa  Colonna  a 
Viterbo.  Per  Monte  Mario  Nicolò 
V  mandò  ad  incontrare  l'impera- 
tore alla  delta  porta  presso  Castel 
s.  Angelo  tredici  cardinali,  molti 
arcivescovi,  vescovi,  abbati  ed  altri 
prelati,  con  tutto  il  clero  in  pro- 
cessione, tutto  descrivendo  ampia- 
mente il  Nauclero,  Generat.  voi.  II, 
pag.  49-  Neil'  ingresso  in  Roma 
formava  la  vanguardia  la  cavalle- 
ria sveva,  indi  procedevano  i  ro- 
mani, Federico  III  col  suo  nipote 
Ladislao  re  d'  Ungheria  e  di  Boe- 
mia, ed  il  suo  fratello  Alberto  ar- 
ciduca d'Austria  portava  la  ban- 
diera dell'aquila.  Seguiva  il  duca, 
di  Slesia,  la  nobiltà,  Eleonora  di 
Portogallo  imperatrice,  la  quale  era 
accompagnata  dalla  cavalleria  delle 
città  imperiali.  Il  Papa  l'attende- 
va sedendo  al  palazzo  di  s.  Pietro, 
dove  ammise  l' imperatore  ,  il  re  , 
l'arciduca  e  l' imperatrice  al  bacio 
del  piede.  Da  qui  andarono  nella 
basilica  vaticana  a  fare  le  consue- 
te orazioni  al  ss.  Sagiamento  ed 
al  sepolcro  de'  ss.  Apostoli.  Ne) 
giorno  della  coronazione  V  impera- 
tore presso  Castel  s.  Angelo  creò 
i  cavalieri  dell'impero  e  pel  pri- 
mo il  fratello  arciduca,  per  dimo- 
strare in  che  stima  tenevasi  il  ti- 
tolo e  grado  di  cavaliere  dell'im- 
pero. 

Gern  conosciuto  volgarmente  sot- 
to il  nome  di  Zizimo,  e  secondogenito 
di  Maometto  II  imperatore  de'  tur- 
chi, dopo  la  morte  del  padre  disputò 


ING 
ii  trono  al  suo  fratello  primogenito 
Baiazetto  II.  A  tale  effetto  parti  per 
l'Egitto,  ed  avendo  prima  fatta  o- 
razione  nel  tempio  di  Gerusalem- 
me, fu  onorevolmente  accolto  dal 
sultano  di  Egitto;  indi  passò  alla 
Mecca  a  visitare  il  sepolcro  di  Mao- 
metto, adunò  grosso  esercito,  e  ri- 
solvette di  ricorrere  all'aiuto  di  fr. 
Pietro  d*  Aubusson  gran  maestro 
dell'ordine  gerosolimitano  in  Rodi, 
da  dove  si  trasferì  in  Francia  nel- 
la commenda  Borgauneuf  dell'or- 
dine, camera  priora  le  di  Alvergna, 
trattalo  regiamente  dai  cavalieri. 
Al  gran  maestro  domandarono  di 
custodire  Zizimo,  il  soldano  d' E- 
gitto,  il  re  di  Napoli,  quello  d'Un- 
gheria ed  il  Papa  Innocenzo  Vili, 
al  modo  che  nana  il  Bosio  nella 
Stona  della  sacra  religione  pai».  II, 
lib.  XIV.  Fu  pertanto  devoluta  la 
custodia  di  Zizimo  al  Pontefice , 
sotto  la  guardia  de'  cavalieri  ge- 
rosolimitani. A  tale  effetto  il  prin- 
cipe col  suo  seguito  s'imbarcò  per 
Civitavecchia  nel  14B9,  ed  appro- 
dò a  quel  porto  a'  6  marzo  ,  ove 
fu  ricevuto  da  Leonardo  Cibo  pa- 
rente del  Papa,  che  lo  avea  a  ciò 
mandato  per  trattarlo  onorevolmen- 
te nella  rocca  ;  quindi  grato  Inno- 
cenzo VIII  al  gran  maestro,  e  per 
avere  eroicamente  difeso  Rodi  , 
residenza  principale  dell'  ordine 
gerosolimitano,  lo  creò  cardinale. 
Portatosi  poscia  Zizimo  a  Roma, 
il  Pontefice  gli  mandò  incontro 
il  cardinale  d'  Angiò  e  France- 
sco Cibo  suo  stretto  congiunto  , 
con  altri  signori,  dodici  miglia  di- 
stante da  Roma.  Procedendo  a  ca- 
vallo giunsero  alle  porte  della  cit- 
tà ove  trovarono  Domenico  Doria 
capitano  della  cavalleria  della  guar- 
dia pontificia,  con  altri  signori  e 
principati     personaggi,    giungendo 


ING  i75 

Zizimo  alla  porta  s.  Sebastiano  ai 
i3  marzo,  e  quindi  fece  il  suo  solen- 
ne ingresso  in  Roma.  A  detta  por- 
ta recaronsi  ad  incontrare  Zizimo, 
il  senatore  di  Roma  con  molti  gen- 
tiluomini romani,  la  famiglia  del 
Papa,  e  quella  de'  cardinali  a  ca- 
vallo di  mule,  coi  cappelli  cardina- 
lizi. Vi  andarono  ancora  molti  ar- 
civescovi, vescovi,  abbati  e  prelati, 
non  che  gli  ambasciatori  del  re  di 
Napoli,  de'  veneziani,  de'  fiorentini 
e  de'  sanesi,  con  grandissimo  con- 
corso di  gentiluomini  e  di  corti- 
giani, che  arrivarono  in  tutto  al 
numero  di  dodicimila  cavalli,  i  quali 
secondo  le  prescrizioni  del  maestro 
di  cerimonie,  alla  volta  di  Roma 
con  bellissima  e  lunga  cavalcata 
s'incamminarono.  Andavano  innan- 
zi i  turchi,  e  le  altre  persone  di 
minor  conto  del  seguito  e  della 
famiglia  di  Zizimo,  e  dopo  questi 
cavalcavano  i  gentiluomini  delle  fa- 
miglie de'  cardinali,  appresso  i  ro- 
mani e  dopo  loro  Domenico  Do- 
ria con  la  cavalleria  leggiera  della 
guardia  del  Papa;  dietro  a  questi  i 
cavalieri  gerosolimitani  o  di  Rodi, 
che  Zizimo  in  guardia  avevano.  Ap- 
presso seguivano  g!;  ambasciatori  dei 
principi,  e  dietro  a  loro  andava  il  se- 
natore di  Roma,  e  seco  al  pari  caval- 
cavano fr.  Guido  di  Blanchefort  prio- 
re d'  Alvergna,  molto  riccamente 
adorno  e  ben  montato  ;  il  signor 
di  Falcone  ambasciatore  del  re  di 
Francia,  e  Francesco  Cibo.  E  fi- 
nalmente cavalcava  solo  Zizimo  so- 
pra un  superbo  e  guarnitissimo  ca- 
vallo, con  aspetto  intrepido,  che  la 
ferocia  de'  principi  ottomani  rap- 
presentava. Dopo  di  lui  seguiva  il 
maestro  di  casa  del  Papa ,  con  gran 
numero  di  vescovi  e  prelati,  oltre 
la  famiglia  pontificia.  Con  tale  or- 
dine passando  per  Campo  di   Fio- 


176  ING 

re,  per  Hi  via  del  Pellegrino,  la  ca- 
valcata si  diresse  al  palazzo  va- 
ticano. Il  cardinal  d'Angiòche  d'or- 
dine del  Pontefice  aveva  incontra- 
to Zizirno,  giunto  due  miglia  vici- 
no a  Roma,  pigliò  licenza  per  re- 
carsi dal  Papa  a  notificargli  il  vi- 
cino suo  arrivo,  e  così  conservò  il 
decoro  della  dignità  cardinalizia. 
Arrivato  Zizimo  al  palazzo  fu  dal 
medesimo  cardinale  amorevolmen- 
te ricevuto  e  condotto  alle,  stanze 
che  gli  erano  stale  apparecchiate 
nell'appartamento  pontificio,  dove 
a'  tempi  di  Paolo  II  era  stato  al- 
loggiato il  gran  maestro  gerosoli- 
mitano Zacosta.  II  priore  d'Àlver- 
gna  tosto  che  fu  smontato  andò  a 
baciare  i  piedi  al  Pontefice,  insie- 
me con  tutti  i  cavalieri  dell'ordine 
destinali  alla  guardia  del  principe 
turco,  i  quali  furono  benignamen- 
te accolti,  e  trattenuti  ad  abitare 
nel  medesimo  palazzo.  Nel  seguente 
giorno  Innocenzo  VIII  pontifical- 
mente vestito  ricevette  Zizimo  con- 
dottogli dal  priore  d' Alvergna  e 
dal  signor  di  Falcone;  e  benché 
essi  lo  avessero  prima  avvisato  che 
secondochè  praticano  tutti  i  prin- 
cipi cristiani  gli  conveniva  baciare 
il  piede  del  Papa,  nondimeno  mal 
volentieri  lo  fece  ;  e  per  mezzo  di 
Giorgio  Jaxi  cittadino  di  Rodi  in- 
terprete suo,  disse  alcune  parole. 
Indi  come  dal  maestro  di  cerimo- 
nie gli  fu  ricordato,  fece  riveren- 
za a  tutti  i  cardinali  ivi  presenti, 
da'quali  gli  fu  reso  il  saluto.  Tor- 
nato alle  sue  stanze  lodò  la  mae- 
stà e  grandezza  del  Papa  e  sacro 
collegio,  e  si  mostrò  di  tutto  sod- 
disfatto. Della  pompa  come  il  prin- 
cipe turco  fece  il  suo  ingresso  nella 
capitale  del  cristianesimo ,  oltre  il 
Bosio  ne  tratta  il  Violardo  nella 
Vita  d' Innocenzo  Vili.  Di  questo 


ING 

principe  ne  parlammo  meglio  nei 
voi.  XVIII,  p.  6a  o  63,  e  XXIX, 
p.  a33  del  Dizionario.  Solo  qui 
aggiungeremo  che  avendo  nel  i492 
Raiazetto  II  donato  ad  Innocenzo 
VIII  la  sacra  Lancia  (Vedi),  que- 
sta dal  Papa  con  solenne  proces- 
sione fu  trasportata  in  s.  Pietro. 
Nella  processione  v'  intervenne  Cas- 
sa Regh  ambasciatore  di  Baiazetto 
II,  che  per  mezzo  del  gran  maestro 
di  Rodi  era  venuto  d'Antiochia  in 
Boma  ad  offrire  il  sacro  ferro  al 
Pontefice.  Perciò  a'  3o  maggio  fe- 
ce l'entrata  solenne  a  cavallo  per 
la  porta  Flaminia,  andando  in  mez- 
zo al  nominato  Francesco  Cibo,  ed 
al  principe  di  Capua,  e  fu  allog- 
giato vicino  alla  basilica  vaticana 
nel  palazzo  Cesi.  Quanto  al  princi- 
pe Zizimo,  devesi  notare  che  por- 
tandosi in  Italia  nel  i494  Carlo 
Vili  re  di  Francia,  il  Papa  Ales- 
sandro VI  credette  bene  far  riti- 
rare Zizimo  in  Castel  s.  Angelo 
sotto  la  guardia  de'  suoi  nipoti 
Galcerano,  e  Francesco  cavaliere  ge- 
rosolimitano, licenziando  e  riman- 
dando a  Rodi  i  dieci  cavalieri  di 
guardia  che  custodivano  Zizimo , 
che  ne  restò  afflitto  per  l'amicizia 
che  avea  per  essi.  Giunto  in  Ro- 
ma con  formidabile  esercito  Carlo 
Vili,  fece  il  suo  solenne  ingresso 
circa  le  ore  due  di  notte  a  lume 
di  torcie  e  di  lucerne.  L'esercito 
francese  formato  di  ventimila  fanti 
e  cinquemila  cavalli  in  ordinanza, 
era  diviso  nelle  sue  squadre,  com- 
poste oltre  la  francese,  delle  nazio- 
ni tedesca,  scozzese  e  svizzera,  con 
armi  nuove  e  non  più  vedute  in 
Italia,  e  con  sorprendente  appara- 
to d'artiglieria.  In  ultimo  veniva 
a  cavallo  il  re  Carlo  Vili,  cir- 
condato dalla  sua  guardia.  Erano 
ne'  primi  luoghi    appresso    il   re  i 


ING 

cardinali  Ascanio  Sforza  e  Giulia- 
no delia  Rovere,  indi  Colonna  e 
Savello,  e  poi  Prospero  e  Fabrizio 
Colonna,  ed  altri  capitani  italiani 
e  francesi  col  flore  della  nobiltà  di 
Francia.  Il  re  smontò  al  palazzo 
di  s.  Marco,  e  le  vicine  case  fino 
a  Colonna  Traiana  furouo  distri- 
buite ai  capitani.  Il  Papa  intimo- 
rito si  ritirò  in  Castel  s.  Angelo , 
quindi  fu  costretto  venire  a  con- 
cordia con  Carlo  Vili  :  tra  le  con- 
dizioni della  pace  che  conchiuse 
con  Alessandro  VI,  vi  fu  quella  di 
cedergli  Zizimo,  riputandolo  utilis- 
simo alla  guerra  che  voleva  fare 
agli  ottomani.  Zizimo  baciò  la  ma- 
no e  la  spalla  al  re,  ed  invocò  dal 
Papa  le  sue  raccomandazioni  al 
medesimo.  Ma  dopo  pochi  gior- 
ni di  flusso,  e  non  senza  sospetto 
di  veleno,  Zizimo  mori  a  Velletri 
o  a  Tenaci na,  altri  dicono  a  Ca- 
pua  od  a  Gaeta.  Il  chiar.  Michele 
de  Matthias  è  autore  della  Dife- 
sa di  Alessandro  VI  spagnuolo 
sul  punto  di  accusa  diretto  a  far 
credere  di  aver  egli  cooperato  al- 
l' avvelenamento  di  Geni  principe 
Osmano.  Proposizione  ultimamente 
ripetuta  da  G.  M.  Javannin  pri- 
mo segretario  interprete  del  re  di 
Francia  per  le  lingue  orientali,  e 
da  Giulio  Van  Gaver,  nella  loro 
opera:  La  Turchia,  stampata  nel 
i83g  e  tradotta  nel  1840  da 
Falconetti  .  La  Difesa  si  legge  nel 
voi.  XV,  p.  48  e  seg.  degli  An- 
nali delle  scienze  religiose. 

L'  ingresso  trionfale  fatto  in  Ro- 
ma nella  domenica  delle  palme 
da  Giulio  li,  fu  descritto  da  Pari- 
de de  Grassis  e  riprodotto  dal  p. 
Gattico,  Act.  caerem.  p.  09,  e  dal 
Cancellieri  nella  Storia  de' possessi 
a  p.  53g.  All'articolo  I.vcexsiere, 
parlando  del  ritode'luriboli  fuman- 
vol.  xxxv. 


ING  I7- 

ti  d'incenso,  col  quale  incontravasi 
il  Pontefice  nella  funzione  del  pos- 
sesso, abbiamo  detto  come  faceva 
il  suo  ingresso  in  Roma  il  Papa 
ch'era  stato  eletto  altrove;  qui  ri- 
porteremo come  lo  fece  nel  i5ii 
Adriano  VI  creato  in  Roma  men- 
tre trovavasi  in  Vittoria  di  Spa- 
gna. La  prima  città  e  luogo  dello 
stato  della  Chiesa  cui  arrivò  il 
Pontefice  fu  Civitavecchia,  ove  in 
chiesa  assistè  subito  alla  messa  so- 
lenne, e  portatosi  al  palazzo  a  ce- 
lebrarla privatamente,  vi  trovò  al- 
cuni cardinali  e  nobili  romani  ad 
ossequiarlo.  Postosi  nuovamente  in 
mare  col  suo  nobilissimo  e  nume- 
roso seguito,  giunse  ad  Ostia,  ove 
fu  trattato  il  Papa  di  lauto  con- 
vito dal  cardinal  Carvajal  ;  indi  in 
compaguia  di  cinque  o  9ei  cardi- 
nali s'incamminò  verso  Roma,  per- 
nottando nel  monistero  di  s.  Pao- 
lo, ove  i  romani  corsero  in  folla 
per  vederlo.  Nel  dì  seguente  29 
agosto  vi  si  portarono  pure  i  car- 
dinali, i  prelati,  i  consoli,  gli  oratori 
delle  corti,  i  decurioni,  gli  ufìiziali 
della  curia,  i  soldati  di  guarnigio- 
ne che  in  numero  di  duecento  e- 
rano  deputali  alla  custodia  del 
Pontefice,  facendo  successivamente 
la  guardia  alle  porte  del  palazzo 
apostolico  ;  e  parimenti  i  cavalleg- 
gieri  anch'essi  deputati  alla  guar- 
dia del  corpo  del  medesimo  Papa. 
Biagio  Ortiz  nella  Descrizione  del 
viaggio  di  Adriano  VI,  descriven- 
do al  cap.  XXI  questo  celebre  in- 
gresso in  Roma,  riporta  il  discor- 
so fatto  al  Papa  da  un  personag- 
gio, dopo  che  i  cardinali  gli  avea- 
no  reso  l'obbedienza,  e  la  risposta 
del  Pontefice.  Tre  ore  avanti  mez- 
zodì partì  Adriano  VI  dal  moni- 
stero  per  la  città.  Precedevano  al- 
cune guardie  a  cavallo,  seguivano 
12 


i78  1NG 

i  soldati  di  fanteria  della  custodia 
del  palazzo,  indi  gli  scudieri  cogli 
altri  officiali  della  curia,  vestiti  di 
abiti  rossi,  e  per  ultimo  il  maestro 
di  camera  con  altri  prelati  dome- 
stici. Subito  poi  venivano  i  pala- 
frenieri che  circondavano  il  Pon- 
tefice. Seguivano  immediatamente 
il  dottore  d'Agreda  protomedico, 
e  il  maestro  Pietro  di  Iloma  fiam- 
mingo, principale  di  camera ,  ufli- 
ziale  del  registro  per  la  spedizione 
delle  suppliche.  Indi  seguivano  i 
cardinali,  e  dietro  a  questi  gli  ora- 
tori, i  consoli,  i  magnati  ed  i  no- 
bili, e  finalmente  la  gran  turba  del 
popolo  concorso  allo  spettacolo,  tut- 
ti esclamando:  Benedictus  qui  venit 
in  nomine  Domini,  per  la  vantag- 
giosa opinione  che  avevano  della 
santità  e  dottrina  del  nuovo  Pon- 
tefice. Giunto  esso  con  sì  magnifi- 
ca pompa  alla  porta  della  città  , 
trovò  nel  primo  ingresso  bellissi- 
mi archi  trionfali,  a  somiglianza 
di  quelli  degli  antichi  romani.  Al- 
tri dicono  che  il  Papa  sospese  il 
compimento  di  tali  archi,  che  fu 
portato  in  sedia  gestatoria  da  s. 
Paolo  sino  alla  porta  della  città  , 
e  che  ivi  il  cardinal  Farnese  gli 
presentò  a  baciare  la  croce,  ed  il 
senatore  e  conservatori  di  Roma 
fecero  la  tradizione  delle  chiavi  ; 
che  fu  preceduto  dalla  ss.  Euca- 
ristia {Vedi),  secondo  il  costume 
de'  Papi  che  viaggiano ,  e  che  fu 
così  accompagnato  con  grandi  ap- 
plausi e  col  rimbombo  de'  cannoni 
sino  al  palazzo  vaticano,  dopo  a- 
vere  ascoltata  la  messa  nella  con- 
tigua basilica.  Il  Cancellieri  nella 
Storia  de  possessi  a  pag.  86  ri- 
produsse il  diario  che  di  questo 
solenne  ingresso  fece  il  maestro  di 
cerimonie  Biagio  Martinelli.  Que- 
sto   ingresso    fu  scolpito  sul   mau- 


ING 

soleo  di  Adriano  VI,  nella  cbiesa 
di  s.  Maria  dell'  Anima  dov'  è  se- 
polto. 

Nel  pontificato  di  Paolo  III  e 
nel  i536  l'imperatore  Carlo  V 
fece  il  solenne  ingresso  in  Roma, 
a  seconda  della  minuta  descrizione 
che  ne  fa  il  predetto  Cancellieri  a 
pag.  g3  e  seg.  Si  narra,  che  per 
fare  la  strada  si  demolirono  più. 
di  duecento  case,  e  tre  o  quattro 
chiese,  onde  farlo  passare  libera- 
mente sotto  gli  archi  di  Costanti- 
no, di  Tito  e  di  Settimio  Severo, 
e  per  nuove  strade,  le  quali  si 
videro  tutte  adornate  con  fine  tap- 
pezzerie e  bellissimi  quadri;  inol- 
tre Paolo  III  che  invitò  a  Roma 
Carlo  V,  per  riceverlo  onorevol- 
mente deputò  diversi  commissari 
a  procurar  le  cose  necessarie  di 
vettovaglie,  di  alloggiamenti,  e  per 
l'erezione  degli  archi  trionfali  ed 
altri  ornamenti.  Spedì  ad  incon- 
trarlo monsignor  Baldassarri  da 
Pescia,  per  farlo  onorare  in  tutti  i 
luoghi  soggetti  al  dominio  della  Chie- 
sa, ed  espressamente  deputò  ancora 
ad  incontrarlo  e  complimentarlo  i 
monsignori  Sipontino  arcivescovo 
di  Siena,  Capizucco,  ed  il  vescovo 
Colonna,  oltre  due  cardinali  lega- 
ti di  s.  Severina  e  di  Trani,  i 
quali  lo  presero  in  mezzo  e  lo 
accompagnarono  sino  a  s.  Paolo , 
ove  Carlo  V  alloggiò  la  notte  dei 
4  aprile.  Nella  seguente  mattina 
ad  ore  quindici,  l'imperatore  vol- 
le fare  la  solenne  entrala.  La  de- 
scrizione venne  pubblicata  col  li- 
bro intitolato:  Ordine,  pompa  _, 
apparati  e  ceremoniale  della  so- 
lenne entrata  di  Carlo  V  impera- 
tore sempre  augusto  nella  città  di 
Roma,  i536.  Tutti  i  cardinali  si 
recarono  ad  incontrare  l'impera- 
tore, tranne  quattro  che  restarono 


ING 

col  Papa  ad  aspettarlo  in  s.  Pie- 
tro; e  cos'i  tutti  i  vescovi,  prelati, 
baroni,  cittadini  romani  ed  offi- 
ciali della  corte  si  radunarono  in 
s.  Sebastiano,  dove  Carlo  V  fu  da 
tutti  secondo  i  loro  gradi  e  colle 
debite  cerimonie  ricevuto  ed  in- 
chinato. La  pompa  dell'ingresso  si 
ordinò  come  segue.  Il  marchese 
del  Vasto  generale  capitano  im- 
periale precedeva,  essendo  seguito 
dai  soldati  di  fanteria  in  numero 
di  35oo  colle  proprie  insegne. 
Indi  venivano  il  duca  d'Alba  ric- 
camente" addobbato  con  molti  suoi 
gentiluomini,  paggi  e  cavalli,  di 
una  livrea  tutta  di  panni  d'oro  di 
diversa  sorte  e  lavoro;  cinquecento 
uomini  a  cavallo;  alcune  famiglie 
de' baroni  imperiali,  de'nobili  ro- 
mani, de'cardinali;  i  paggi  e  ca- 
valli dell'imperatore,  bellissimi  e 
guarniti  di  diverse  sorta  di  abbi- 
gliamenti ricchissimi  ,  essendo  i 
paggi  tutti  vestiti  di  una  livrea  di 
velo  giallo  e  bigio  ;  la  famiglia 
del  conte  di  Benevento,  sopra  bel- 
li e  ben  ornati  cavalli,  tutti  vesti- 
ti di  sai  di  tela  d'oro;  la  famiglia 
di  palazzo  ossia  pontifìcia ,  tutta 
vestita  di  scarlatto  ;  cento  giovani 
romani  con  livrea  di  giubboni  di 
teletta  d'argento,  saie  e  robe  di 
raso  e  velluto  paonazzo,  ciascuno 
con  due  servitori  in  livrea;  i  ca- 
po-rioni, il  senatore,  i  conservato- 
ri, i  sindaci  ed  i  cavalieri  romani 
vestiti  all'antica  di  un  corto  man- 
to di  broccato,  con  berrette  a  ta- 
glieri pur  di  broccato  foderate  di 
armellini.  Questi  giovani  romani 
insieme  coi  conservatori  procedeva- 
no alla  stalla,  portando  il  baldac- 
chino pur  di  broccato  dell'impe- 
ratore. Carlo  V  era  vestito  sem- 
plicissimo, con  un  saio  di  velluto 
paouazzo  ed  un  cappelletto  del  me- 


ING  179 

desimo,  ornato  con  alcune  punte  e 
cordoni  d'oro,  cavalcando  un  ca- 
vallo leardo  bellissimo,  in  mezzo 
ai  cardinali  di  Siena  e  di  Tiaui, 
uno  per  essere  decano,  l'altro  qual 
primo  vescovo.  Avanti  all'impera- 
tore incedevano  uno  squadrone  di 
duchi,  marchesi,  conti,  baroni  e 
gentiluomini  tutti  ricchissimamen- 
te  e  variamente  vestiti,  e  fra  essi 
Pier  Luigi  Farnese  figlio  del  Pa- 
pa, ed  Ascanio  Colonna.  Seguiva 
la  guardia  imperiale  degli  spagnuo- 
li  alabardieri  vestiti  di  velluto  gial- 
lo, indi  i  cardinali,  gli  arcivescovi, 
i  vescovi  ed  altri  prelati,  e  per 
ultimo  la  retroguardia  di  fanteria 
imperiale  di  i5oo,  e  3oo  cavalieri 
alla  borgognona,  e  circa  mille  fan- 
ti archibugieri.  Con  questa  pompa 
e  corteggio  essendo  stato  incontra- 
to dai  cardinali  avanti  la  chiesina 
chiamata  Domine,  quo  vadis  ?  al 
dire  del  Torrigio,  giunse  alla  por- 
ta di  s.  Sebastiano  assai  decorata 
con  pitture  simboliche,  perchè  il 
Papa  dispose  che  facesse  V  antica 
via  trionfale.  Alla  porta  1'  impera- 
tore fu  incontrato  dal  clero  roma- 
no, e  baciata  la  croce  presentata 
da  mousignor  Capizucco  vescovo 
di  Nicastro  e  vicario  del  Pontefi- 
ce, non  apparendo  tale  nell'  elenco 
del  Ponzetti  ;  e  fatte  Carlo  V 
alcune  altre  cerimonie,  pel  Circo 
Massimo,  pel  Settizouio,  passò  sot- 
to gli  archi  di  Costantino,  Tito  e 
Settimio,  e  per  la  via  di  Marforio 
sotto  quello  eretto  presso  la  piaz- 
za di  s.  Marco,  disegno  di  San  Gal- 
lo tutto  di  legno  con  bellissimi 
ornamenti,  iscrizioni  ed  allusioni 
ai  fasti  dell'  imperatore  ;  indi  per 
la  via  de'  Cesarmi,  per  quelle  del- 
la Valle  e  de'  Massimi  voltò  per 
Campo  di  Fiore,  e  giunse  per  la 
via  dritta  a  ponte  s.  Angelo  tutto 


180  ING 

decorato  di  statue.  Allora  il  castel- 
lo, anch'esso  nella  sua  porta  addob- 
bato, esplose  parecchi  tiri  d'  arti- 
glierie, e  per  Borgo  giunse  Carlo 
V  sulla  piazza  di  s.  Pietro.  Il  Pa- 
pa lo  aspettava  sopra  un  palco 
nelle  scale,  in  compagnia  de'  men- 
tovati cardinali,  della  sua  famiglia 
e  guardia.  Smontato  1'  imperatore 
da  cavallo,  con  grandissima  rive- 
renza ed  umiltà  andò  a  baciare 
il  piede  al  Papa,  il  quale  Io  ba- 
ciò in  volto,  e  abbracciò  tenera- 
mente, e  per  la  mano  lo  condusse 
nella  basilica  ;  mentre  le  artiglie- 
rie e  le  moschetterie  spararono  per 
giubilo,  essendo  le  porte  della  ba- 
silica magnificamente  abbellite.  Nel- 
la basilica  il  corteggio  dell'  impe- 
ratore baciò  i  piedi  a  Paolo  IH, 
che  recitate  alcune  orazioni  bene- 
disse Carlo  V  e  la  sua  corte,  e 
portatisi  insieme  nel  palazzo  vati- 
cano, si  separarono  nella  sala  della 
cappella,  il  Papa  ritirandosi  nelle 
sue  stanze,  e  Carlo  V  in  quelle 
di  Alessandro  VI  :  nella  sera  furo- 
no fatte  allegrezze  per  tutta  la  cit- 
tà e  fuochi  in  Castel  s.  Angelo.  Il 
Torrigio  nelle  sue  Grotte  vatica- 
ne p.  110,  aggiunge,  che  V  impe- 
ratore assisti  alla  messa  pontificale 
di  Paolo  III,  venerò  il  Volto  san- 
to e  la  sacra  Lancia,  e  parti  da 
Roma  ai  18  aprile,  dopo  avere  ri- 
baciato il  piede  al  Papa.  Questi 
donò  all'  imperatore  un  uffiziolo 
della  Madonna,  miniato  finissima- 
mente da  Giulio  Clovio,  con  co- 
perte d'  oro  con  preziosissime  gio- 
ie fatte  da  Benvenuto  Cellini  ;  e 
Carlo  V  regalò  a  Paolo  III  un 
diamante  del  valore  di  dodicimila 
scudi,  che  Benvenuto  gli  legò  in 
un  anello. 

Altro  ingresso  trionfale  vide  Ro- 
ma due  anni  dopo,  quando  il  po- 


ING 

polo  romano  volle  dimostrare  la 
sua  gratitudine  a  Paolo  III  ch'era- 
si  portato  a  Nizza  per  pacificare 
l'imperatore  con  Francesco  I  re 
di  Francia.  I  romani  a'  24  luglio 
i538  andarono  ad  incontrare  il 
Pontefice  a  ponte  Molle,  coi  prin- 
cipali signori  di  Roma,  coi  Colon- 
nesi  ed  i  conservatori  ;  adornarono 
la  porta  Flaminia  con  pitture  ed 
iscrizioni,  cosi  l'arco  di  Portogallo 
allora  nella  strada  del  Corso.  Il 
Papa  fu  ricevuto  tra  le  giulive 
acclamazioni,  e  nella  mattina  smon- 
tò al  palazzo  di  s.  Marco,  dopo 
aver  fatto  gittar  denari  e  rivestire 
quaranta  romani.  Verso  il  fine 
dello  stesso  secolo,  volendo  s.  Pio 
V  onorare  col  trionfo  il  prode  Mar- 
c'Antonio  Colonna  vincitore  de'tur- 
chi  nella  famosa  battaglia  di  Le- 
panto, di  che  tenemmo  proposito 
nei  voi.  XIV,  p.  291,  XVIII,  p. 
70  e  seg.,  e  XXIX,  p.  248,  del 
Dizionario,  la  solenne  entrata  in 
Roma  ebbe  luogo  a'  4  dicembre 
1 57  1  ;  e  Francesco  Albertonio  ne 
pubblicò  la  relazione  che  compen- 
diata qui  daremo.  Altrove  par- 
lammo a'ioro  luoghi  de' di  versi  co- 
stumi come  andarono  vestiti  quelli 
che  intervennero  alla  solenne  pom- 
pa di  sì  trionfale  ingresso.  Mar- 
c'Antonio  alla  porta  di  s.  Sebastia- 
no fu  ricevuto  dal  senatore,  con- 
servatori, capo-rioni  ed  altri  uffi- 
ziali  del  popolo  romano.  La  porta 
fu  adornata  con  analoghe  pitture, 
simboli,  iscrizioni,  e  stemmi  del 
Papa,  del  popolo  romano,  e  del 
Colonnese.  Incedendo  la  pompa 
per  la  via  Appia,  pel  Settizonio, 
passò  sotto  gli  archi  di  Costantino, 
di  Tito  e  di  Settimio  Severo,  tut- 
ti decorati  con  allusive  iscrizioni: 
nel  foro  romano  1'  attendeva  la 
compagnia  delle  milizie  della  città. 


ING 

Sa!"ì  il  corteggio  sul  Campidoglio,  le 
cui  finestre  erano  ornate  con  iscri- 
zioni ed  insegne  tolte  ai  nemici,  tra 
il  suono  di  musicali  istromeuti ,  lo 
spaio  de'moschetti  e  le  voci  giu- 
bilanti de'romaui.  Dal  Campidoglio 
proseguì  la  pompa  per  le  vie  dei 
Cesarini,  della  Valle,  di  Pasquino, 
e  per  monte  Giordano  arrivò  sul 
ponte  s.  Angelo.  Quivi  il  trionfato- 
re fu  salutato  dagli  istrumenti  ed 
artiglierie  del  castello,  e  per  Bor- 
go traversò  la  piazza  di  s.  Pietro, 
e  s'introdusse  nel  palazzo  vaticano. 
Nel  cortile  Marc'Antonio  scese  da 
cavallo,  e  portossi  alla  chiesa  rice- 
vuto dal  patriarca  di  Gerusalem- 
me vicario  e  vescovo  di  Pola,  ve- 
stito in  pontificale,  accompagnato 
dai  canonici  e  clero.  Condotto  il 
Colonna  all'  altare  del  ss.  Sagra- 
mento  ivi  fu  cantato  il  Te  Deum; 
visitò  gli  altri  altari,  e  posto  in 
mezzo  da  due  camerieri  del  Papa, 
a  questi  venne  introdotto  in  com- 
pagnia degli  uffiziali  romani.  Pio 
V  lo  ricevette  con  grandi  dimo- 
strazioni di  onore,  e  gli  diede  lun- 
ga e  grata  udienza  a  solo.  Dipoi 
il  giorno  di  s.  Lucia  nella  chiesa 
di  s.  Maria  d'Araceli  solennemente 
si  celebrò  la  messa  dello  Spirito 
Santo,  Marc'Antonio  Mureto  pro- 
nunziò una  bellissima  orazione  in 
lode  del  trionfatore,  ed  ebbero  luogo 
altre  festevoli  e  pie  dimostrazio- 
ni descritte  da  Sebastiano  Torello, 
e  riportate  dal  Cancellieri  nella 
Storia  de  possessi  a  p.  1 18.  Quan- 
to alla  descrizione  della  pompa 
trionfale  ,  eccone  il  compendiato 
racconto.  La  soldatesca  della  città 
che  l'accompagnò  venne  divisa  in 
tre  squadroni.  Eranvi  dodici  vesti- 
ti alla  turchesca,  ed  alcuni  turchi 
schiavi  legati  in  numero  di  due- 
cento,   tra'  quali  alcuni    pascià  ,  il 


ING  i8t 

viceré  di  Negroponte  e  forse  un 
nipote  di  Seliin  II.  Procedevano 
quindi  a  cavallo  alcune  file  di 
gentiluomini,  seguiti  dai  maestri  di 
strada,  dai  sindaci,  dagli  scriba  se- 
nalus,  dai  segretari,  dai  marescialli 
del  popolo  romano,  dai  capo-rioni, 
dal  priore  de' medesimi,  dal  gon- 
faloniere in  mezzo  ai  cancellieri 
e  portante  lo  stendardo  del  popolo 
romano.  Indi  cavalcavano  il  com- 
mendatore gerosolimitano  Roma- 
gasso  con  lo  stendardo  del  Papa, 
il  capitano  delle  guardie  pontifi- 
cie, due  nipoti  di  Pio  V,  il  gene- 
rale della  fanteria,  e  Marc'Antonio 
Colonna  a  cavallo  sopra  una  chi- 
nea  del  Papa,  con  sella  di  tela  di 
oro,  guarnita  d'oro  e  seta  rossa 
con  frangie  simili  da  piedi  ;  por- 
tava stivaletti  bianchi  incerati  con 
calze  di  seta  d'oro,  e  sotto  tela  di 
argento  e  seta  morella ,  giubbone 
di  tela  d'oro  con  cappotto  di  seta 
nera  con  trine  d'  oro  foderato  di 
pelli  zibelline  ,  con  cappello  di 
velluto  nero  guarnito  di  frangia 
d'oro  con  perle  di  molto  valore, 
e  salutava  tutti  umilmente,  sem- 
pre col  cappello  in  mano.  Erangli 
intorno  dodici  staffieri  con  calze 
d'oro  di  velluto  cremisino  trincia- 
to, con  ginocchiati  di  raso  picchia- 
to, con  calzette  cremisine  e  scarpe 
bianche,  borricco  di  velluto  nero 
con  liste  del  medesimo  trinciante, 
e  giubbone  di  raso  cremisino  pic- 
chiato, cappe  di  panno  nero  con 
liste  di  velluto  quattro  dita  larghe, 
e  berretta  di  velluto  nero  con  piu- 
me bianche  e  rosse.  Dietro  ad  es- 
so venivano  il  senatore  coi  conser- 
vatori, ed  i  cavalleggieri  del  Papa. 
Sisto  V  per  regolare  meglio  le 
cose  dell'ordine  gevosomilitano,  nel 
1087  chiamò  a  Roma  il  gran  mae- 
stro  fr.  Ugo  de  Loubeus  de   Ver- 


182  ING 

dalle.  Avvicinandosi  questi  alla  cit- 
tà, il  cardinal  Alessandro  Peretti 
nipote  del  Papa  gli  mandò  incon- 
tro buon  numero  di  carrozze  e  di 
cavalli  a  maggior  comodo  del  suo 
seguito  numeroso,  ed  oltre  a  ciò  gli 
mandò  in  dono  una  lettiga  coper- 
ta di  velluto  cremisino  fregiata  d'o- 
ro. In  questa  entrò  il  gran  maestro, 
seguito  da  una  sedia  di  velluto  ne- 
ro portata  da  otto  schiavi  con  ca- 
sacconi  di  velluto  nero  trinati  d'o- 
ro, essendo  circondato  da  ventiquat- 
tro palafrenieri  vestiti  dell'istesso 
drappo  con  maniche  di  broccato.  Il 
gran  maestro  agli  8  dicembre  de- 
sinò nella  villa  di  Ciriaco  Mattei 
barone  romano,  quindi  venne  incon- 
trato dalle  famiglie  de'cardinali,  de- 
gli ambasciatori  e  dei  principi,  e 
fece  il  suo  ingresso  in  Roma  con 
tanto  concorso  di  tutti  gli  ordini 
della  corte  e  della  nobiltà  roma- 
na, che  non  solamente  superò  l'in» 
trata  del  suo  predecessore  La  Cas- 
siere, della  quale  facemmo  parola  al 
voi.  XXIX,  p.  252  del  Dizionario, 
ma  qualsivoglia  altra  più.  magnifi- 
ca e  più  solenne  che  da  molti  an- 
ni veduta  si  fosse.  Nel  passare  pel 
ponte  s.  Angelo,  salutollo  il  castel- 
lo con  tutte  le  artiglierie,  ed  il  si- 
mile si  l'innovò  quando  sulla  piaz- 
za di  s.  Pietro  pose  piede  in  terra. 
Asceso  nel  palazzo  vaticano  ,  fu 
accolto  nella  prima  loggia  da  d. 
Michele  Peretti  fratello  del  cardi- 
nale, e  condotto  nella  sala  di  Co- 
stantino lo  presentò  al  Papa  ed  al 
sacro  collegio  al  modo  narrato  a 
p.  253  del  citato  volume,  ove  pu- 
le si  disse  dell'alloggio  datogli  nel 
Vaticano.  Ivi  fu  visitato  dal  cardinal 
Peretti,  da  tutti  i  cardinali,  dagli 
ambasciatori  e  da  tutta  la  corte; 
indi  Sisto  V  lo  creò  cardinale,  co- 
me si  legge  nel  Pozzo,  Historia  del- 


ING 
la  sacra  religione,  t.  I,  p.  298  e 
seg.  Del  solenne  ingresso  che  fece 
in  Roma  nel  pontificato  di  Alessan- 
dro VII  la  celebre  Cristina  regi- 
na di  Svezia,  se  ne  può  leggere  la 
descrizione  nel  voi.  X,  p.3o2  e  seg. 
del  Dizionario.  Da  ultimo  in  Ro- 
ma nel  i838  coi  tipi  del  Sal- 
viucci  il  dotto  e  eh.  d.  Tito  Crcco- 
ni  bibliotecario  dell'  eccellentissima 
casa  Albani,  pubblicò  l'opuscolo  inti- 
tolato :  Descrizione  del  primo  viag- 
gio fatto  a  Roma  dalla  regina  di 
Svezia  Cristina  Maria,  e  delle  ac- 
coglienze quivi  avute  ec,  del p.  Sfor- 
za Pallavicino  della  compagnia  di 
Gesìi,  poi  cardinale,  tratta  da  un 
manoscritto  della  biblioteca  Alba- 
ni. In  esso  a  p.  4°  e  seg-  si  descri- 
ve il  suo  ingresso  in  Roma,  ed  al- 
tro relativo.  Dell'incontro  dei  car- 
dinali a  qualche  principe  sovrano 
nei  loro  ingressi  in  Roma  ne  par- 
lammo altrove  al  voi.  X,  p.  3o2 
del  Dizionario,  all'articolo  Ferrara 
ec.  Il  Lonigo,  Delle  vesti  purpuree 
p.  4'>  dice  che  quando  i  cardinali 
cavalcavano  per  incontrare  i  car- 
dinali legati  che  ritornavano  dalle 
legazioni,  o  i  cardinali  che  porta- 
vansi  a  ricevere  il  cappello  cardi- 
nalizio, o  per  incontrare  imperato- 
ri, re,  od  altri  principi,  assumeva- 
no le  cappe  paonazze  di  cambellot- 
to,  le  sottane  conformi  al  tempo 
e  giorno  corrente,  dovendo  essere 
i  finimenti  delie  mule  conformi  al 
colore  delle  sottane  non  delle  cap- 
pe; tuttavolta  Leone  X  per  onora- 
re Francesco  I  lo  fece  incontrare 
dal  sagro  collegio  con  cappe  ros- 
se. A  p.  56  poi  avverte  che  i  car- 
dinali per  antica  consuetudine  in- 
contravano collegialmente  gl'impe- 
ratori ed  imperatrici  sì  latini  che 
greci,  i  re,  le  regine,  i  figli  dei  re 
primogeniti,  laici  e  legittimi,  il  do- 


ING 

gè  o  principe  di  Venezia  come  si 
praticò  in  Ancona  a  tempo  di  Pio 
11.  Avverte  inoltre,  che  ad  altri 
principi  di  sangue  regio,  come  fra- 
telli di  re,  figli  di  re  non  primo- 
geniti, figlie  e  sorelle  di  re  o  re- 
gine, non  uscivano  i  cardinali  col- 
legialmente ad  incontrarli,  ma  si 
soleva  mandare  due  cardinali  no- 
mine collegi,  e  Io  stesso  si  faceva 
coi  nipoti  legittimi  dei  re,  etiarn  ex 
primogenito,  così  al  tempo  di  Ales- 
sandro VI  con  Ferdinando  princi- 
pe di  Capua  figliuolo  d'Alfonso  pri- 
mogenito di  Ferdinando  re  di  Na. 
poli. 

Dopo  la  morte  di  Pio  VI  acca- 
duta in  Valenza  di  Francia,  nel 
declinar  dell'agosto  1799,  a  cagione 
delle  turbolenze  de'tempi  il  sacro 
collegio  dei  cardinali  non  in  Ro- 
ma ma  in  Venezia  potè  adunarsi 
in  conclave  per  dargli  il  successo- 
re, ciò  che  si  effettuò  nel  marzo 
1800  nella  persona  del  cardinal 
Chiaramonti  che-  prese  il  nome  di 
Pio  VII.  Afflitta  Roma  per  un'in- 
fausta serie  di  politiche  vicende, 
giubilò  per  tale  esaltazione,  e  que- 
sta gioia  immensamente  si  accreb- 
be nell'avvicinarsi  a  lei  il  nuovo  pa- 
dre e  sovrano,  per  cui  volle  cele- 
brarne solennemente  l'ingresso  che 
ebbe  luogo  a'  3  luglio.  Se  ne  pub- 
blicò la  relazione  dalla  stamperia 
di  Vincenzo  Pilucchi  Cracas,  ed  il 
Cancellieri  l'inserì  nella  summento- 
vata  Storia  a  p.  469  e  seg.  Dalla 
stamperia  Lazzari  ni  poi  si  pubbli- 
cò la  Descrizione  dell'arco  trionfa- 
le ed  altre  decorazioni  architetto- 
niche innalzate  nella  piazza  del  Po- 
polo per  solennizzare  il  primo  glo- 
rioso ingresso  nella  dominante  del- 
la santità  di  nostro  Signore  Papa 
Pio  VII.  Questo  ingresso  fu  cele- 
brato come  altri  con  coniazione  di 


ING  i83 

medaglia  con  l'effigie  del  Papa  e 
l'epigrafe,  advextvi.  opt.  prixcipis. 
v.  >ox.  qvixct.  Nel  rovescio  fu  rap- 
presentato il  detto  arco  trionfa- 
le. La  nobiltà,  il  senato  e  popolo 
romano,  oltre  le  dimostrazioni  di 
ossequio  e  di  tripudio  già  date 
dalla  città,  ordinò  per  tale  avveni- 
mento la  costruzione  del  detto  ar- 
co trionfale  all'ingegnere  Benedetto 
Piernicoli,  che  l'eresse  sulla  piazza 
del  Popolo  all'imbocco  della  strada 
del  Corso,  innestando  per  così  di- 
re la  macchina  dell'arco  colle  estre- 
mità delle  due  chiese  della  Madon- 
na dei  Miracoli,  e  di  s.  Maria  di 
Monte  Santo,  con  istatue  colossali, 
inscrizioni  ,  ed  anologhi  emblemi 
ed  ornali.  Per  più  nobilitare  la  de- 
corazione della  piazza  si  continuò 
l'architettura  anche  nelle  altre  due 
strade  che  conducono  a  Ripetta 
ed  a  piazza  di  Spagna,  formando 
nella  linea  della  facciata  delle  due 
chiese  due  porticati.  Si  decorò  an- 
cora gran  parte  della  piazza  del 
Popolo,  fin  dopo  l'obelisco,  con 
due  linee  di  gradinate  per  comodo 
della  popolazione,  con  quattro  or- 
chestre. Tutta  la  piazza  venne 
guarnita  dalla  truppa  napoletana 
col  general  d.  "Diego  Naselli  alla 
testa,  essendo  il  governo  provviso- 
rio di  Roma  stato  affidato  ai  mi- 
nistri del  re  Ferdinando  IV.  Es- 
sendo tutto  disposto  pel  felice  in- 
gresso in  Roma  del  supremo  Ge- 
rarca, e  le  strade  ornate  di  nobili 
tappezzerie,  il  tenente  generale 
Bourchard  andò  in  vece  del  mare- 
sciallo Acton  fino  alla  stazione  della 
Storta  per  complimentare  il  Pon- 
tefice, e  fargli  scorta  fino  alla  ca- 
pitale col  corteggio  di  scelta  uffi- 
cialità, e  di  cinquecento  uomini  di 
cavalleria.  Pio  VII,  deposto  1'  abi- 
to viatorio  nel  casino  del  cav.  Boc- 


>84  1NG 

capaduli   vicino     a  ponte  Molle,    e 
ripresi  gli   abiti   usuali  si   pose  nel- 
la  bellissima  carrozza  tirata    a  sei 
divalli,   donatagli     dal   contestabile 
Colonna,   insieme  ai  cardinali  Giu- 
seppe Doria  e  Romualdo    Braschi, 
non   permettendo  ebe    fosse    tratta 
a   braccio   da   molti   divoli    romani 
trasteverini.  Dopo  essere  stato  com- 
plimentato a   nome  del  re  di    Na- 
poli, il  Pontefice  s'  incamminò  ver- 
so   la  porta  tra    innumerabile  po- 
polo esultante,  indi    verso     le    ore 
22   fece  il    suo    ingresso  in    Roma 
come  in    trionfo,    scortato    da  nu- 
merosa    cavalleria     oltre    la     corte 
pontificia  ;  assordando  1'  aria    i  cla- 
morosi e  lieti  evviva,  il  suono  del- 
le    orchestre,    quello    di    tutte    le 
campane     della     città     che    durò 
un'  ora    e    mezzo,    ed    il  continuo 
rimbombo  delle    artiglierie    di  Ca- 
stel s.   Angelo,  ove    furono  inalbe- 
rati gli  stendardi  pontificii.   Prose- 
guendo    il     treno    per    la    via  del 
Corso,  voltò  al  palazzo  Ruspoli  per 
la  strada  che    conduce  a    ponte  s. 
Angelo,    e  per     Borgo    giunse  alla 
basilica     vaticana .     Smontò     dalla 
parte  della    sagrestia,  ricevuto  dai 
vescovi,  prelati,  da  undici  cardina- 
li, e  dal  cardinal    York    alla  testa 
del  capitolo  della  basilica.   Avendo 
quivi    appagata    la    sua    divozione, 
collo    stesso     accompagnamento    e 
slato  maggiore    del     re    di  Napoli 
ossia  delle    due    Sicilie,   il  Papa  si 
condusse  al    palazzo    Quirinale,  ri- 
cevuto dal  cardinale  Roverella  pro- 
datario, da  monsignor  Consalvi  pro- 
segretario di  stato,  dal    general  Na- 
selli, dal  regio    consultore    Frama- 
rino,    da    molti     vescovi    e  prelati, 
da  tutta    la     camera     segreta  e  di 
onore,  e     dalla'   milizia     urbana  o 
caputoli  del  popolo  romano,   la   cui 
nobiltà  trovò  schierata  nelle    scale 


ING 

e  nelle  anticamere.  Finalmente  por- 
tatosi alla  loggia  del  palazzo,  com- 
partì 1'  apostolica  benedizione  al- 
l' immenso  popolo:  per  tre  sere 
fu  fatta  generale  illuminazione,  ed 
i  poveri  provarono  gli  elfetti  della 
comune  esultanza. 

Essendosi  portato  Pio  VII  a 
Parigi  per  coronare  Napoleone,  ri- 
tornando nel  i8o5  alla  sua  capi- 
tale, solenne  ne  fu  1'  ingresso,  che 
descrive  il  numero  41  del  Diario 
dì  Roma,  di  cui.  diamo  qui  ap- 
presso un  sunto.  A'  16  maggio  il 
Papa  giunse  a  Monte  Rosi  dopo 
avere  pernottato  a  Nepi  in  casa 
Pisani,  ed  ivi  ascoltata  la  messa. 
Ad  ore  19  arrivò  alla  Storta,  ove 
furono  ad  ossequiarlo  il  ministro  di 
Spagna  e  molti  signori  romani, 
mentre  altri  d'  ambo  i  sessi  lo  at- 
tendevano lungo  la  strada  che  cou- 
duce  a  ponte  Molle.  Quivi  giunto 
trovò  molti  prelati  tra' quali  mon- 
signor Alessandro  Lante  tesoriere 
generale,  che  gli  mostrò  i  miglio- 
ramenti fatti  al  ponte,  principal- 
mente per  questo  suo  ritorno  in 
Roma.  In  una  casa  poco  distante 
Pio  VII  dimise  gli  abiti  viatorii, 
ed  assunse  gli  usuali,  e  sali  nella 
carrozza  nobile  detta  stufa,  coi 
cardinali  di  Pietro  e  de  Bayane, 
e  fece  il  suo  ingresso  nella  città 
colle  solite  dimostrazioni  di  onore 
e  di  allegrezza,  preceduto  e  segui- 
to da  questo  treno.  Precedeva  un 
picchetto  di  cavalleria,  quindi  ve- 
nivano due  battistrada  a  cavallo; 
una  carrozza  di  palazzo  col  cav. 
Altieri  vice-sopraintendente  delle 
poste,  il  marchese  Sacchetti  foriere 
maggiore,  ed  il  barone  Piccolomi- 
ni  cavallerizzo  maggiore;  monsi- 
gnor Speroni  crocifero  a  cavallo 
colla  croce  pontificia  inalberata;  la 
carrozza    col    Papa    circondata  dai 


ING 
palafrenieri  con  alla  portiera  Livio 
Pai  moni  corriere  di  gabinetto,  Giu- 
seppe Moiraghi  ed  Andrea  Morel- 
li aiutanti  di  camera  a  cavallo, 
ed  uno  scopatore  segreto  ;  tutta 
la  guardia  nobile  a  cavallo  ;  la 
seconda  muta  nobile  pontificia,  con 
entro  i  monsignori  Gavotti  mag- 
giordomo, Altieri  maestro  di  ca- 
mera e  Menochio  sagrista  ;  altra 
carrozza  di  palazzo  a  quattro  ca- 
malli con  entro  i  due  francesi  de 
Brigode  e  Duronsel  mandati  da 
Napoleone  ad  accompagnare  il  Pa- 
pa, il  duca  Brascbi  ed  il  principe 
Altieri  ;  in  altro  frullone  a  quattro 
cavalli  i  monsignori  Mancurti  e 
Calderini  camerieri  segreti,  Testa 
segretario  delle  lettere  latine,  e 
Braga  primo  cappellano  segreto  ; 
la  carrozza  nobile  del  cardinal  di 
Pietro  col  suo  seguito  ;  la  carrozza 
nobile  del  cardinale  de  Barane 
col  suo  seguito,  e  le  seconde  loro 
carrozze  colla  famiglia  di  città; 
le  carrozze  del  maggiordomo  e 
del  maestro  di  camera  colle  loro 
famiglie  di  città;  un  picchetto  di 
cavalleria,  la  carrozza  da  viaggio 
di  sua  Santità,  e  simili  di  monsi- 
gnor tesoriere,  dei  due  cardinali 
colle  famiglie  di  campagna  ;  le 
bastarde  dei  francesi  colle  famiglie; 
le  carrozze  da  viaggio  dei  monsi- 
gnori maggiordomo,  maestro  di  ca- 
mera, elemosiniere  Bertazzoli,  del 
crocifero,  del  duca  Braschi,  del 
principe  Altieri,  del  marcbese  Sac- 
chetti foriere  maggiore  (  il  quale 
essendo  stato  direttore  degli  allog- 
gi nel  viaggio  portava  la  sua  car- 
rozza, quale  non  avea  il  cavalleriz- 
zo, e  per  non  aver  fatto  parte 
del  seguito  pontificio  nel  viaggio, 
e  per  essere  andato  incoutro  al 
Papa  colla  carrozza  di  palazzo  )  e 
del  cav.  Altieri;  quindi  seguiva  la 


ING  18? 

truppa  di  cavalleria  e  fanteria, 
chiudendo  tutto  il  seguito  la  trup- 
pa a  cavallo  della  provincia  del 
Lazio  e  Sabina.  Con  quest'  ordine 
il  Pontefice  per  le  strade  summen- 
tovate,  tra  le  vive  acclamazioni 
del  popolo  giunse  a  s.  Pietro,  ri- 
cevuto dal  sacro  collegio,  da  tutta 
la  prelatura,  dal  senatore,  dal  ma- 
gistrato romano,  dalla  camera  se- 
greta, e  dal  capitolo  della  basilica, 
il  cui  arciprete  cardinal  York  apri 
lo  sportello  della  carrozza.  Dopo 
avere  il  Pontefice  fatto  orazione, 
assistito  al  Te  Deurn  e  ricevuta  la 
benedizione  col  ss.  Sagramento,  in 
una  stanza  contigua  alla  cappella 
di  s.  Leone  I  ricevette  gli  ossequi 
dell'  arciduchessa  Marianna  d'  Au- 
stria, e  del  principe  ereditario  ba- 
varo  palatino,  i  quali  avevano  as- 
sistito alla  funzione,  come  vi  as- 
sistette molta  della  nobiltà  tanto 
romana  che  straniera.  Dopo  di 
che  il  santo  Padre  risali  in  car- 
rozza coi  due  cardinali,  e  col  me- 
desimo corteggio  si  portò  al  palaz- 
zo Quirinale,  ove  1'  attendevano  i 
cardinali  palatini,  i  principi  e  ba- 
ronaggio romano,  molta  prelatura 
e  la  camera  segreta.  La  sera  vi 
fu  generale  illuminazione  per  la 
città,  insieme  a  quella  della  cupo- 
la, facciata  e  colonnato  di  s.  Pie- 
tro, oltre  1'  incendio  della  girando- 
la in  Castel  s.  Angelo.  Nella  mat- 
tina seguente  si  portarono  al  pa- 
lazzo a  congratularsi  col  Pontefice 
del  prospero  ritorno,  il  re  di  Sar- 
degna Carlo  Emmanuele  IV,  ed 
il  cardinal  York  decano  del  sacro 
collegio .  I  cardinali,  gli  ambascia- 
tori, i  ministri,  i  principi  ed  altri 
nobili,  e  la  primaria  prelatura,  giu- 
sta il  consueto,  mandarono  i  loro 
gentiluomini  per  informarsi  dello 
stato   di    salute    del    sauto    Padre. 


i86                  ING  ING 

Si  coniò  una  medaglia  coli'  effigie  delegato  apostolico  a  riprendere  le 
del  Papa  e  col  motto:  ex  gallia  redini  del  governo,  sì  in  Roma  che 
hedevnti.  postr.  EiD.  mai;  e  nel"  nelle  provincie,  monsignor  Agosti- 
l'esergo  p.  mii/vivs.  eest.  mdcccv  ,  no  Rivarola  poi  cardinale,  il  quale 
pel  risarcimento  ed  ornato  del  annunziò  poscia  a  Roma  il  ritorno 
monte  Molle.  Altre  notizie  sui  so-  del  sommo  Pontefice  tanto  desi- 
lenni  ingressi  si  possono  principal-  derato.  L'  entusiasmo  de'  romani 
mente  leggere  negli  articoli  Viag-  giunse  ad  un  punto  non  facile  a 
gì,  Villeggiature,  Treni  e  Caval-  descriversi,  e  Roma  si  vide  popo- 
cate.  lata  degli  abitanti  de'  circostanti 
Ma  il  24  Diaggio  t 8 1 4-  sai'à  luoghi,  come  di  altri  paesi,  e  pre- 
sempre, massime  per  Roma,  giorno  sento  uno  spettacolo  da  non  po- 
memorabile  e  glorioso,  pel  trionfa-  tersi  immaginare  da  chi  non  lo 
le  e  solennissimo  ingresso  che  fece  vide.  Si  fecero  quindi  grandi  pre- 
Pio  VII  in  questa  metropoli  del  parativi  per  festeggiare  il  sospira- 
cristianesimo,  e  ritorno  alla  sua  to  ritorno  del  legittimo  principe, 
sede,  dopo  cinque  anni  di  depor-  e  del  capo  della  Chiesa  universale, 
frizione,  per  cui  in  perpetuo  rin-  I  romani  con  generale  movimento 
graziamento  alla  Reata  Vergine,  il  abbandonarono  pressoché  ogni  cu- 
rnedesimo  Pontefice  istituì  la  festa  ra,  e  solo  attesero  ad  occuparsi  in 
di  divozione  per  Pioma  e  per  tut-  pubblici  e  privati  modi  in  prepa- 
to  lo  stato  ecclesiastico  di  Maria  rare  splendidi  segni  di  loro  leti- 
A uxì Hit  m  clivi stiano  rum.  La  descri-  zia,  e  brillanti  illuminazioni;  tutti 
zione  di  questo  avventurato  in-  ardentemente  bramosi  di  esternare 
presso  fu  stampata  a  parte,  non  in  diversi  modi  la  loro  profonda 
che  nel  Giornale  romano  nume-  venerazione  verso  il  comun  padre 
ro  63,  e  suo  supplemento  del  28  e  sovrano,  senza  distinzione  di 
maggio  i8i4j  e  successivi  numeri  persone  o  ceti,  laonde  anche  i  bi- 
64,  65  e  66.  L'  avvocato  Miche-  sognosi  ed  i  poveri  con  luminarie 
le  Galea/zi  pubblicò  un'  elegantis-  e  festevoli  apparati  presero  parte 
ma  descrizione  per  commissione  al  giubilo  universale.  Dal  ponte 
del  ministro  di  Portogallo  Pinto,  Molle  alla  porta  del  Popolo  e  nel- 
e  con  questo  titolo:  Epìstolam  ad  le  vie  interne  della  città  che  Pio 
amicwn  Petropoli  commoranlem  de  VII  dovea  percorrere,  si  eressero 
trium phali  Pii  FU.  P.  M.  in  Ur-  archi  di  trionfo,  anfiteatri,  colon- 
bem  ingressu,  Romae  apud  Rourliè  nati,  gradinate,  tappezzerie,  addob- 
i8i4-  11  Pistoiesi  nella  Vita  di  bi ,  festoni,  versare,  fiori,  ed  or- 
Pio  VII)  t.  HI,  p.  194  e  seg->  ce  namenti  d'ogni  genere,  e  molti  di 
ne  diede  eziandio  la  relazione  con  nuova  invenzione.  Le  gradinate 
molte  delle  iscrizioni  in  tale  epoca  principiarono  dal  detto  ponte  fino 
poste  negli  archi  trionfali  ed  al-  alla  porta  del  Popolo,  e  da  questa 
trove.  Noi  ci  limiteremo  ad  ac-  fino  al  Vaticano  ed  al  Quirinale, 
cennare  le  cose  principali.  Dopo  estensione  assai  grande  ma  ristret- 
1'  occupazione  di  Roma  e  stato  ta  al  desiderio  del  numero  prodi- 
pontificio  operata  dagl'  imperiali  gioso  di  quelli,  che  anelanti,  e 
francesi,  venendo  Pio  VII  reinte-  col  cuore  intenerito,  e  gli  occhi 
grato  de' suoi  dominii,  nominò  suo  umidi  di  lagrime,  concorsero  a  fé- 


IXG 

sfeggiare  il  passaggio  dell'  immor- 
tale Pio  VII.  Il  popolo  incominciò 
a  prendere  posto  nella  mattina  per 
le  strade  e  palchi  ;  e  le  finestre 
e  loggie  e  persino  i  tetti  delle  a- 
bitazioni  furono  piene  zeppe  di  spet- 
tatori: tutte  le  strade  erano  semi- 
nate di  mortella,  lauro,  mirto  e 
fiori.  Dal  sito  detto  di  Papa  Giu- 
lio III,  sino  alla  porta    della  città, 


ING 


iS- 


abbellirono  la  strada  due  lunghe 
ale  d' archi  di  mortella  ;  da  ogni 
arco  pendevano  «erti  di  odorifere 
rose,  e  nel  mezzo  eranvi  vasi  in 
forma  etrusca  variopinti,  pei*  non 
dire  di  altri  belli  ornati,  dei  si- 
mulacri della  Religione  e  di  Roma, 
stemmi  pontificio  e  del  popolo 
romano,  ed  iscrizioni;  la  prima  co- 
sì diceva 


RED1TVI     .    FAVSTO    .     FEtICI 
PII    .    VII    .    POST    .    MAX. 
INCOLUMIS.   EST    .    QVOD    .    VRBS    .SALVA    .    QVOD 


RELIGIO 


La  porta  del  Popolo  venne  or- 
nata con  grandioso  stemma  del 
Pontefice  ed  iscrizione  ,  e  poiché 
tutto  in  quel  giorno  essere  dove- 
va simmetria,  magnificenza  e  gran- 
dezza ,  incontro  alla  chiesa  di  s. 
Maria  del  Popolo  s'innalzò  consi- 
mile facciata  :  ivi  si  schierarono  le 
milizie  de'  capotori,  ed  il  senato 
romano  attese  il  Pontefice.  Dai  la- 
ti di  queste  due  facciate  progredi- 
va per  ambe  le  parti  un  colon- 
nato, il  quale  terminava  sull'  im- 
boccatura delle  due  strade  latera- 
li che  conducono  a  Ripetta,  ed 
alla  piazza  di  Spagna.  Il  disegno 
di  queste  architetture  e  decora- 
zioni fu  del  cav.  Giuseppe  Vala- 
dier,  ed  eseguito  per  ordine  del 
senato  e  popolo  romano,  con  di- 
verse allusive  iscrizioni.  Nella  piaz- 
2a  di  Venezia  coll'opeia  dell'archi- 
tetto cav.  Clemente  Folchi,  i  mer- 
canti di  campagna  innalzarono  un 
arco  trionfale  che  caratterizzava 
la  fermezza  del  venerando  trion- 
fatore. Esso  era  d' ordine  dorico, 
con  emblemi ,  ornati ,  bassorilievi 
ed  iscrizioni;  il  gruppo  di  statue 
posto  nella  sommità  rappresenta- 
va la  Religione  che  dà  la  pace  alle 
nazioni.    Sul    bivio    delle    quattro 


strade  della  via.  Papale,  al  luogo 
detto  de'  Cesarmi,  si  eresse  altro 
arco  di  trionfo,  semplice  ma  ben 
inteso  ,  e  con  emblemi  e  figure 
allegoriche:  per  la  spesa  concorsero 
gli  abitanti  del  luogo,  e  1'  archi- 
tetto fu  Giocondo  Dante.  Nella 
piazza  di  ponte  s.  Angelo,  alcune 
persone,  fra  le  quali  l'avvocato  Set- 
tembrini ,  a  mezzo  dell'  architetto 
Tommaso  Zappati  ,  eressero  una 
magnifica  mole  quasi  ottagona  di 
decorazione,  ossia  monumento  qua- 
drato ad  angoli  tagliati,  rappresen- 
tandosi sopra  un  arco  le  virtù  che 
caratterizzavano  il  Pontefice,  la  Co- 
stanza religiosa  e  trionfante  sopra 
le  altre.  Alla  prestazione  gratuita 
l'architetto  associò  i  seguenti  arti- 
sti che  fecero  le  statue  allegoriche: 
cioè  la  Giustizia  il  cav.  Pacetti, 
1'  Umiltà  il  cav.  Thordwalsen,  la 
Temperanza  e  la  Prudenza  il  cav. 
Labotireur,  e  la  Costanza  Carlo 
Pinelli.  Diverse  decorazioni,  passi 
scritturali,  epigrafi  ed  iscrizioni, 
abbellivano  questa  macchina.  Inol- 
tre il  medesimo  architetto  ornò  il 
ponte  con  festoni  e  vasi.  In  mol- 
ti altri  luoghi  di  Roma  s'innalza- 
rono frontispizi,  colonnati,  e  mille 
altre    variate   e    belle    decorazioni. 


188  ING 

Le     truppe    civica,    pontificia  ,    dei 
ca potori,     la     guardia    svizzera,     la 
cavalleria  austriaca,    l'infanteria    e 
la   cavalleria  napoletana,  nel  recarsi 
ciascuna    ai     luoghi    loro   destinati, 
accrebbero    lo  spettacolo    che  tutti 
sorprese    e    sbalordì.    La  cavalleria 
ungarese  si  dispose  in  due  ale  col- 
la   fanteria   civica    e    pontificia    al- 
l'ingresso della    porta  del    Popolo. 
La   truppa  napoletana,  infanteria  e 
cavalleria,  nella    più  bella    tenuta, 
ed  in  ordine  di  parata,  si  era  schie- 
rata su  tutte    le  piazze  da  s.  Car- 
lo al  Corso  fino  al  Vaticano.  Qua 
e  là  lungo  la   strada    erano  situate 
numerose     bande    musicali,    che  a 
vicenda  facevano  eecheggiare  i  mar- 
ziali  istrumenti  ed  i  loro  strepitosi 
concerti.    Una    assai   numerosa   or- 
chestra  di  scelta   musica  era  situa- 
ta nel     Corso  presso    il    monistero 
delle  Orsoline,    con    coro    formato 
con  regolare  architettura.  Monsignor 
Rivarola,    per    comodo     de' sovrani 
allora  residenti  iu  Roma,  fece   eri- 
gere   magnifici   palchi    sulla  piazza 
del    Popolo,   ed  altri  simili  ne  fece 
innalzar    nella    chiesa  di  s.    Pietro, 
monsignor    Naro     maggiordomo.    I 
sovrani     furono     Carlo  IV     re    di 
Spagna,    la     regina    sua    moglie,  e 
gl'infanti   figli;  il    re    di   Sardegna 
Carlo    Eminanuele   IV;   la    resina 
d' Elruria    Maria    Luigia    coi  reali 
figli;    e  la     duchessa  di     Chablais. 
Questi  sovrani    si    recarono  a  fare 
omaggio    al    Santo  Padre,    quando 
prese  breve    riposo  alla    Giustinia- 
na,  luogo  posto    circa    sette  miglia 
prima     della     porta    del     Popolo  , 
tranne    il    re    di    Sardegna    che  si 
trovò  sulla  porta  della  basilica   va- 
ticana   quando  vi  giunse    il    Papa, 
e    idi    baciò    di  vota  mente    i  piedi. 
Risalilo   Pio    VII    in  carrozza  pro- 
seguì  il    suo    viaggio   sino  a  ponte 


ING 

Molle ,  per  fermarsi  in  un  casino 
ove  trovò  il  corteggio  che  doveva 
accompagnarlo  nel  solenne  ingresso. 
Si  presentarono  alla  carrozza  del 
Pontefice  la  commissione  interina  di 
slato,  il  cav.  Lesbilzerten  inviato 
straordinario  dell'imperatore  d'  Au- 
stria, il  cav.  Pinto  ministro  di  Por- 
togallo, il  tenente  generale  Pignat- 
telli  Cerchiara  comandante  le  trup- 
pe napoletane  collo  stato  maggiore, 
ed  altri  personaggi.  In  quel  punto 
sulla  torre  del  ponte  Molle  fu  inal- 
berato il  pontificio  stemma,  ed  un 
colpo  di  cannone  di  Castel  s.  An- 
gelo lo  salutò  ;  questo  segnale 
sparse  nell'animo  di  tutti  incessan- 
te gioia,  vedendosi  avvicinare  l'og- 
getto da  tutti  vivamente  bramato. 
JVel  casino  il  Papa  assunse  gli  abiti 
usuali,  e  ricevette  gli  omaggi  dei 
nominati  personaggi.  Quindi  il  san- 
to Padre  ascese  nella  carrozza  no- 
bile coi  cardinali  Mattei  decano  del 
sacro  collegio,  e  Pacca  camerlengo 
e  pro-segretario  di  stato,  carrozza 
donatagli  dui  re  Carlo  IV:  questa 
tirarono  a  braccia  settantadue  gio- 
vani di  civil  condizione ,  probi  e 
pieni  di  attaccamento  al  Papa,  tutti 
uniformemente  vestiti  in  abito  ne- 
ro, con  bandoliere  e  tracolle  di 
corame,  dalle  quali  pendevano  al- 
cuni cordoni  di  seta  cremisi  con 
piccoli  uncini  attaccati  al  timone;  la 
carrozza  era  preceduta  dai  pala- 
frenieri pontificii,  procedendo  il  de- 
cano del  Papa  alla  portiera  secon- 
do il  consueto.  Seguivano,  la  com- 
missione interina  di  slato  nelle  sue 
carrozze  e  livree  di  gala,  ed  i  no- 
mi de'  membri  componenti  la  com- 
missione, sotto  la  presidenza  di  mon- 
signor delegato  apostolico,  si  leg- 
gono nel  Giornale  romano  nume- 
ri 5j  e  58  ;  la  vanguardia  di  ca- 
valleria  ungala  austriaca    e  napole- 


ING 

tana  ossiano  lancieri,  eh'  era  stata 
collocata  sulle  poste  percorse  dal 
santo  Padre;  contornava  la  carroz- 
za del  Papa  la  cavalleria  austria- 
ca, dopo  la  quale  incedeva  l'intie- 
ra compagnia  di  cavalleria  napole- 
tana, che  avea  scortato  il  Ponte- 
fice dal  momento  ch'egli  pose  pie- 
de ne' luoghi  ove  trovavasi  l'ar- 
mata napoletana  ;  poscia  veniva  il 
marchese  Sacchetti  foriere  maggio- 
re, il  barone  Piccolomini  cavalle- 
rizzo maggiore,  e  la  carrozza  del 
maestro  di  casa  de'sacri  palazzi. 
Precedeva  la  carrozza  pontifìcia 
monsignor  Speroni  crocifero  a  ca- 
vallo colla  croce  inalberata,  circon- 
dandola la  guardia  svizzera  nella 
sua  antica  uniforme  :  al  lato  destro 
della  carrozza  era  a  cavallo  il  te- 
nente generale  Piguattelli  Cerchia- 
ra,  nel  sinistro  il  maggiore  Sigis- 
mondo de  Oppitz  colonnello  co- 
mandante la  cavalleria  austriaca  o 
ungarese,  che  poscia  servì  nelle  fun- 
zioni di  guardia  d' onore  il  santo 
Padre  ;  procedendo  subito  dopo  tut- 
ta P  uiììzialità  dello  Stato  maggiore 
dell'armata  napoletana  colla  detta 
cavalleria  de'  lancieri.  La  carrozza 
nobile  ed  il  treno  del  seguito  di 
sua  Santità  erano  tirale  da  mute 
a  sei  cavalli,  poscia  seguivano  le 
mute  di  palazzo  coi  prelati  mag- 
giordomo e  maestro  di  camera,  e 
camerieri  segreti  partecipanti.  Ap- 
presso venivano  le  carrozze  nobili 
del  cardinal  Mattei  e  del  cardinal 
Pacca,  seguite  dalle  seconde  loro 
carrozze,  e  nelle  une  e  nelle  altre 
eranvi  gl'individui  delle  loro  fa- 
miglie nobili.  Poscia  incedevano  le 
mute  a  quattro  cavalli  del  mag- 
giordomo e  del  maestro  di  came- 
ra colle  loro  cappe  nere.  La  ca- 
valleria napoletana  dietro  ed  in- 
torno a  tutte  le  nominate    carroz- 


KNG  189 

ze,  formò  il  bell'ordine  della  sua 
guardia.  Indi  venivano  le  mute  e 
le  carrozze  dell'inviato  d'Austria, 
del  ministro  di  Portogallo,  del  con- 
sole inglese  Fagliati  e  di  altri  si- 
gnori esteri,  della  corte  pontificia, 
e  della  nobiltà  romana ,  oltre  il 
convoglio  da  viaggio.  Tutta  la  stra- 
da percorsa  dal  santo  Padre  eccbeg- 
giò  continuamente  di  plausi,  di  ev- 
viva ,  di  spontanee  espressioni  di 
tenerezza,  di  venerazione  ed  amo- 
re; il  Papa  commosso  dallo  spet- 
tacolo ,  a  tutti  faceva  viso  ilare  e 
ripeteva  affettuose  benedizioni  ;  tut- 
to essendo  religioso  entusiasmo  ed 
allegrezza   indescrivibile. 

Il  dottore  Giacomo  Brasca  (che 
il  Papa  regnante  fece  cavaliere  del- 
lo Speron  d'oro  )  della  famiglia 
che  da  Sisto  V  tuttora  fornisce  di 
palme  il  palazzo  apostolico,  aven- 
do ogni  anno  presentato  a  Pio  VII 
nella  sua  dimora  a  Savona  una 
bellissima  palma  lavorata  a  san  Re- 
mo, fatta  raccolta  delle  più  belle 
palme  si  recò  in  Roma  per  tribu- 
tarle al  Pontefice  nel  suo  trionfi- 
le ingresso.  Quindi  nel  casiuo  del 
suo  amico  Giuseppe  Viale  chirur- 
go, insieme  con  questo  dispose  un 
coro  di  fanciulli  e  fanciulle  con 
palme  in  mano,  cioè  veutidue  or- 
fanelli vestiti  di  bianco  con  colta 
e  berretta,  e  quarantacinque  ver- 
ginelle del  conservatorio  di  Ripet- 
ta  in  parte,  altre  di  oneste  fami- 
glie romane,  e  queste  zitelle  con 
panieri  di  verzure  e  freschi  fiori  , 
schierandosi  tulli  in  buon  ordine 
sulle  due  ale  della  strada  ,  avanti 
il  detto  casino  posto  a  circa  mez- 
zo miglio  distante  dalla  porta  del 
Popolo.  Allorché  la  carrozza  del 
Papa  si  approssimò  a  questo  luo- 
go, le  fanciulle  incominciarono  a 
spargere  i  fiori,  e  gli  orfanelli  cir- 


ì()o  ING  ING 
condando  la  carrozza  offrirono  a  dalle  acclamazioni  di  giubilo  dei- 
Pio  VII  le  palme.  La  novità  dello  l' intiera  popolazione".  Sua  San- 
spettacolo  destò  generale  commo-  tità  ringraziò  il  senato  e  lo  bene- 
zione,  ed  il  popolo  divise  alcune  dì,  proseguendo  la  carrozza  il  calli- 
di quelle  palme,  e  sull'  istante  ne  mino.  La  cavalleria  austriaca  e 
ornò  i  cappelli  ed  il  petto:  il  Pon-  I'uflìzialità  della  guardia  civica  che 
tefice  ne  fece,  collocare  due  ai  lati  riceverono  alla  porta  il  Pontefice, 
della  carrozza.  Alia  porta  del  Po-  si  posero  tosto  al  suo  seguito;  la 
polo  il  senato  romano  attendeva  il  prima  marciò  immediatamente  ap- 
supremo  Gerarca,  che  avendo  fatta  presso  di  lui,  l'altra  ne  circondò 
fermare  la  carrozza,  il  marchese  la  carrozza  a  piedi  con  spade  sfo- 
Rinaldo  dal  Bufalo  della  Valle,  derale.  E  qui  noteremo,  che  i  detti 
come  primo  conservatore  gli  dires-  uffiziali  civici,  finché  non  furono  ri- 
se questa  breve  orazione.  »  Beatis-  prislinate  le  guardie  nobili ,  allor- 
simo  Padre.  Se  trionfa  la  religio-  quando  il  Papa  incedette  per  la 
ne,  se  giubila  il  mondo  cattolico,  città  col  treno  pubblico,  a  piedi  ne 
se  esultano  i  vostri  fedelissimi  sud-  circondarono  la  carrozza,  mentre 
diti,  e  specialmente  Roma  eh' è  la  la  cavalleria  ungarese  la  seguiva 
sede  del  sovrano  Pontefice,  si  ri-  come  dicemmo, 
pete  dalla  magnanima  costanza  del-  Anche  tutto  il  clero  di  Roma 
la  Santità  vostra  nelle  diverse  tra-  colle  insegne  delle  basiliche  si 
versie  della  Chiesa  e  della  sovra-  portò  sulla  piazza  del  Popolo  ad 
nità.  Il  senato,  in  nome  del  pò-  incontrare  il  sommo  Pontefice,  e 
polo  romano,  contesta  a'  piedi  di  lo  precedette  processionalmente  in- 
■vostra  Beatitudine  i  segni  della  più  nanzi  alla  croce  papale  portata 
■viva  riconoscenza,  e  le  presta  quel-  dal  crocifero.  Dopo  aver  percor- 
l'omaggio  e  quella  fedeltà  che  Sem-  so  il  nobilissimo  treno  e  pom- 
pre  indelebile  ha  conservata  nel  pa  trionfante  tutta  la  via  del  Cor- 
suo  cuore,  come  ha  dato  in  ogni  so,  voltò  a  piazza  di  Venezia  e  per 
circostanza  riprove  non  equivoche  la  strada  Papale  giunse  alla  basi- 
di attaccamento  e  venerazione,  e  si  lica  Vaticana.  Il  capitolo  di  questa 
chiama  fortunato  di  contestarglielo  appena  intese  che  le  artiglierie  di 
in  questo  fausto  avvenimento  del  Castel  s.  Angelo  annunziavano  l'in- 
voslro  glorioso  ritorno,  ed  in  qua-  gresso  nella  porta  del  Popolo  del 
lunque  altra  occasione,  ed  iinplo-  sommo  Pontefice,  processionalmen- 
ra  la  vostra  paterna  benedizione",  te  parti  dalla  basilica,  e  proceden- 
II  Papa  rispose  benignamente:  »  Sia-  do  per  la  strada  Papale,  passata  la 
ino  grati  al  senato  romano  delle  chiesa  Nuova,  e  nelle  vicinanze  di 
dimostrazioni  dateci  in  nome  del  Pasquino  ebbe  la  religiosa  conso- 
popolo;  nulla  però  si  deve  ripete-  lazione  d'incontrarlo,  e  fatti  i  suoi 
re  da  noi ,  ina  tutto  da  Iddio  ".  omaggi  prese  luogo  nella  proces- 
Allora  il  primo  conservatore  repli-  sione  del  clero,  e  con  esso  proce- 
di modestamente.  «  Fra  le  altre  dette  a  s.  Pietro.  Il  clero  romano 
"virtù  che.  adornano  la  Santità  vo-  prima  della  processione  erasi  riu- 
stra,  risplende  la  profonda  umilia;  nito  nella  chiesa  di  s.  Maria  del 
ma  le  dimostrazioni  del  senato  le  Popolo.  11  Papa  fu  ricevuto  dal 
ha  vedute    e  le    vedrà    confermate  sacro  collegio,    dalla    prelatura  ed 


ING 

altri  personaggi  ;  e  fatte  le  con- 
suete orazioni  nella  basilica,  dopo 
aver  ricevuto  la  benedizione  col 
ss.  Sagramento,  per  la  via  Papale 
e  col  medesimo  accompagno  si  re- 
cò al  palazzo  Quirinale,  ove  ritro- 
varonsi  di  nuovo  il  sacro  collegio, 
)1  senato  romano ,  ed  i  ministri 
esteri ,  oltre  la  prelatura ,  e  dalla 
gran  loggia  benedi  l' immenso  e 
festevole  popolo.  Intanto  essendo 
l'ora  tarda  si  vide  la  città  illumi- 
nata sfarzosamente  a  giorno,  ciò 
che  venne  ripetuto  per  due  altre 
sere,  con  ornali  in  differenti  rog- 
gie ,  parature ,  festoni  ,  ghirlan- 
de di  fiori,  pitture  trasparenti, 
botti  ,  fiaccole  ,  torcie  ,  ed  an- 
cora l'università  degli  ebrei  ce- 
lebrò in  più  modi  1'  avvenimen- 
to. Coli'  opera  dell'  architetto  Leo- 
poldo Buzi  gli  ebrei  sulla  piazza 
delle  Scuole  eressero  un  tempio 
con  altre  opere  sul  prospetto  della 
sinagoga  ,  e  vaghissime  illumina- 
zioni. Fra  i  palazzi  che  si  distin- 
sero nelle  splendide  luminarie,  no- 
mineremo quelli  della  curia  Inno- 
cenziana,  Sciarra,  Verospi,  Borghe- 
se, Ruspoli  ed  altri.  I  più  regolati 
disegni  e  lampadini  di  prospetti- 
ve, di  ornati,  di  piramidi,  e  di 
festoni  che  abbarbagliavano  la  vi- 
sta riuscirono  di  comune  stupore. 
Le  ringhiere  pel  Corso,  in  piazza 
Navona,  alla  Rotonda,  agli  Orfa- 
nelli, a  pie  di  Monte  Cilorio,  ed 
altrove  formarono  spettacoli  diffi- 
cili ad  immaginarsi.  A  Villa  Me- 
dici i'  accademia  di  Francia  fece 
una  splendida  illuminazione  con 
bellissimo  fuoco  artifiziaie.  La  fa- 
mosa illuminazione  a  lanternoni 
e  fiaccole  della  cupola,  facciata, 
colonnato,  e  piazza  di  s.  Pietro 
fu  eseguita  con  maggior  copia  di 
lumi,  e  la  girandola    in  Castel    s. 


ING  i9i 

Angelo  ch'ebbe  luogo  la  terza  sera, 
fu  bellissima.  Nelle  diverse  illumina- 
zioni si  videro  grandi  lampade  di 
forme  antiche,  vasi  etruschi,  emble- 
mi ed  allegorie  singolari.  Nel  pa- 
lazzo della  ex  regina  d'Etruria  sul- 
la loggia  si  ammirò  un  gruu  qua- 
dro trasparente.  Incontro  al  palaz- 
zo Cingi  meritò  attenzione  il  ri- 
tratto del  Papa  trasparente.  Al 
fontanone  di  ponte  Sisto  i  fratelli 
Cartoni  esposero  in  figura  natura- 
le di  cera  Pio  VII,  che  sollevava 
Roma,  e  la  richiamava  alla  Reli- 
gione, con  mirabile  illuminazione. 
Michele  Ajani  espose  un  grande  sten- 
dardo dipinto  a  olio  colle  immagi- 
ni de'  ss.  Pietro  e  Paolo,  del  Pon- 
tefice col  suo  stemma,  ed  in  mez- 
zo a  nove  bandiere.  Giovanni  Rot- 
ti coli'  opera  dell'  ingegnere  Pro* 
vinciali  fece  costruire  a  Ripelta 
sul  Tevere  un  meraviglioso  e  so- 
lido ponte  trionfale  su  barche,  per 
solennizzare  il  prezioso  ritorno  di 
Pio  VII,  e  facilitale  al  pubblico 
il  tragitto  del  fiume  con  sicurezza 
a  s.  Pietro  :  1'  arco  di  trionfo  fu 
collocato  sulla  gran  barca  di  mez- 
zo; ed  era  dedicato  alla  Religione 
figurata  in  un  gruppo  di  figure, 
e  calpestante  i  vizii.  Vuoisi  che 
all'  arrivo  del  Poutefice  passassero 
il  ponte  da  sessautamila  persone, 
per  recarsi  a  vedere  lo  spettacolo 
che  presentava  la  piazza  Vaticana, 
massime  all'  arrivo  del  Papa.  In 
tempo  di  notte  seimila  lumi  ador- 
narono il  ponte  con  brillante  effet- 
to. Finalmente  noteremo  che  nella 
zecca  pontificia  di  Roma  furono 
battute  diverse  medaglie,  celebranti 
il  trionfante  ingresso  in  Roma  di 
Pio  VII.  Il  p.  Gallico,  Ada  sele- 
cta  caeremonialia,  tratta    de  Pon- 

tificis   itùiera/itis    vestes    quo 

ordine  iter   agat qua  poni- 


192 


ING 


ING 


pa  in  civitate  exccptus    il-     naie  mandava  un  suo    gentiluomo 


lani  solemniler  ingredilur 
ex  itinere  rediens  quomodo  exce- 
plus.  Più,  nella  parte  seconda 
espressamente  riporta  De  ilineribns 
lìomanorum  Ponti ficitm  a  Sislo  IV 
ad  Benediclum  X[V  P.  O.  31.  Il 
Marcello,  Sacrarum  caciinioniaruni 
lib.  I,  tit.  XII,  De  itineralione  Pa- 
pae  quando  ad  alias  urbes  sive 
alia  loca  vult  se  transferre.  Ordo 
intrandi  aliquam  urbeni  in  ponti- 
ficalibus. 

Altri  solenni  ingrani  erano  quelli 
dei  cardinali  quando  porlavansi  a 
Roma  dopo  la  loro  creazione ,  o 
dopo  qualche  legazione;  e  quelli 
degli  ambasciatori,  gl'ingressi  so- 
lenni de'  quali  sono  descritti  agli 
articoli  Ambasciatori,  Conclavi  ed 
in  altri.  Il  solenne  possesso  del  se- 
natore di  R.oma  si  può  considera- 
re un  solenne  ingresso  in  Roma  : 
lo  descrivemmo  al  voi.  X,  p.  3 12 
e  seg.  del  Dizionario.  Quanto  al 
solenne  ingresso  de'  cardinali  che 
recavansi  in  Roma  a  prendere  il 
cappello  cardinalizio,  dopo  il  loro 
arrivo  si  praticava  quanto  si  è  det- 
to al  voi.  IX,  pag.  182  e  seg.  del 
Dizionario ,  mentre  della  cavalcata 
che  avea  luogo  nella  mattina  del 
concistoro  pubblico,  se  ne  trattò  al 
detto  voi.  X,  pag.  3oo  e  seg.  Qui 
dunque  riporteremo  il  cerimoniale 
praticato  sino  agli  ultimi  del  secolo 
decorso,  dai  cardinali  che  facevano 
il  solenne  ingresso  in  Roma.  Nei 
giorni  precedenti  al  puhblico  in- 
gresso, il  cardinale  usciva  dal  suo 
palazzo  in  abito  corto  nero ,  colle 
calze  e  collare  paonazzo,  e  col  cap- 
pello nero  con  fiocco  verde  se  era 
vescovo,  o  paonazzo  se  tale  prima 
lo  portava,  o  rosso  se  era  stato 
protonotario  apostolico.  Cinque  gior- 
ni prima  di  tale  entrata    il    cardi- 


da  monsignor  maestro  di  camera 
del  Papa,  per  sapere  in  qual  gior- 
no ed  ora  voleva  degnarsi  il  Pon- 
tefice ammetterlo  alla  udienza.  A- 
vutane  risposta,  il  cardinale  reca- 
vasi a  parteciparla  al  cardinal  ni- 
pote, o  al  cardinal  segretario  di 
stato,  pregandolo  a  voler  mandare 
la  sua  carrozza  con  muta,  col  suo 
maestro  di  camera,  alla  villa  di 
Papa  Giulio  III  fuori  della  porta 
del  Popolo,  luogo  donde  partiva  il 
corteggio,  onde  entrare  in  essa  per 
essere  condotto  al  palazzo  aposto- 
lico. Eguale  partecipazione  si  co- 
stumava dare  agli  altri  nipoti  del 
Papa  ecclesiastici  o  secolari ,  colla 
preghiera  di  mandare  il  corteggio 
della  carrozza  con  muta,  ordinaria- 
mente alle  ore  ventuna.  Nel  gior- 
no seguente  il  cardinale  a  mezzo 
di  un  gentiluomo  vestito  in  abito 
da  città,  faceva  invitare  tutti  i  car- 
dinali, ambasciatori,  principi,  mi- 
nistri, prelati  di  fiocchetti  e  pa- 
triarchi ;  mentre  per  un  cappella- 
no invitava  gli  altri  prelati  e  ca- 
valieri a  mandare  alla  villa  di  Pa- 
pa Giulio  III  le  loro  carrozze  ti- 
rate da  mule  di  cavalli.  In  questa 
occasione  il  gentiluomo  ed  il  cap- 
pellano ringraziavano  quelli  che  a- 
veano  mandato  al  cardinal  nell'ar- 
rivo in  Roma  i  propri  gentiluomi- 
ni, o  l'aveano  complimentato  in  per- 
sona. Inoltre  un  cappellano  reca- 
vasi dal  foriere  maggiore  del  Pa- 
pa a  chiedergli  in  nome  del  car- 
dinale le  chiavi  dell'appartamento 
della  nominata  villa;  da  monsi- 
gnor commissario  delle  armi  e  dal 
capitano  delle  corazze  a  chiedere 
i  cavalli  per  la  famiglia  che  dovea 
cavalcare  ;  e  da  monsignor  presi- 
dente delle  strade,  per  pregarlo  a 
fare    risarcire    e    scopare    tutto    il 


ING 

tratto  di  strada  per  cui  doveva 
passare  la  cavalcata.  Finalmente  il 
cardinale  invitava  tre  prelati  e  l'able- 
gato  che  gli  avea  portato  la  ber- 
retta cardinalizia,  a  recarsi  in  abi- 
to viatorio  alla  predetta  villa,  per 
accompagnarlo  sino  al  palazzo  apo- 
stolico ;  tra  questi  prelati  solevasi 
scegliere  due  vescovi  ed  un  proto- 
notario  apostolico. 

Nel  giorno  stabilito  al  solenne 
ingresso  in  Roma,  per  questo  si 
preparava  alle  ore  venti  il  cardi- 
nale in  abito  viatorio  paonazzo  con 
calze  simili,  con  iscarpe  senza  tac- 
co rosso ,  con  cappello  nero  coi 
fiocchi  come  sopra  ;  l'abito  viato- 
rio consisteva  in  sottana  lunga  si- 
no a  mezza  gamba,  mantello  della 
medesima  lunghezza  e  maniche  lun- 
ghe pendenti  e  mozzetta  ;  1'  abito 
era  di  lana  o  di  seta.  Indi  il  car- 
dinale dalla  sua  abitazione  priva- 
tamente portavasi  in  una  carrozza 
a  bandinelle  chiuse  alla  villa  di 
Papa  Giulio  III,  dove  già  avea  fat- 
to accomodare  tre  stanze  con  se- 
die, arazzi  e  tavolini,  col  ritratto 
del  Pontefice.  Ivi  riceveva  in  piedi 
i  complimenti  di  congratulazione 
dai  gentiluomini  de'  mentovati  per- 
sonaggi, a  lui  spediti  nelle  proprie 
carrozze  o  mute  a  sei  cavalli ,  i 
quali  venivano  serviti  con  più  sorta 
di  rinfreschi.  Dopo  eh'  era  giunto 
il  maestro  di  camera  del  cardinal 
nipote  o  del  cardinal  segretario  di 
stato,  e  ch'era  stato  servito  di  rin- 
fresco nella  stanza  in  cui  stava  il 
cardinale  a  differenza  degli  altri , 
si  ritirava  il  maestro  di  camera 
del  cardinale,  lasciando  che  quello 
del  cardinal  nipote  o  segretario  di 
slato  introducesse  ed  annunziasse  i 
gentiluomini  che  portavansi  a  com- 
plimentare il  cardinale.  Alle  ore 
ventidue  incominciava  la  marcia 
vnt.    IXXV. 


ING  i93 

della  cavalcata.  Il  cardinale  saliva 
nella  carrozza  mandatagli  dal  car- 
dinal nipote  o  segretario  di  stato, 
coi  quattro  prelati  e  il  detto  mae- 
stro di  camera  del  padrone  della 
carrozza,  che  siedeva  sopra  uno  sga- 
bello a  mano  destra,  sedendo  a  si- 
nistra l'ablegato.  Circondavano  la 
muta  del  cardinale  quattro  suoi 
lacchè,  seguiti  da  altrettanti  del 
cardinal  nipote  o  segretario  di  sta- 
to ,  col  resto  di  sua  famiglia.  Pre- 
cedevano due  postiglioni  colla  cor- 
netta, e  seguivano  i  due  corrieri 
che  aveano  portato  la  notizia  del- 
l'esaltazione al  cardinalato  a  lui  ed 
al  parentado.  Indi  venivano  il  fa- 
cocchio,  il  marescalco,  dodici  ser- 
vitori, il  decano,  due  paggi  colle 
valigie,  due  uffiziali,  uno  di  cuci- 
na, l'altro  di  credenza,  quattro  ca- 
merieri e  il  maestro  di  casa,  tutti 
a  cavallo.  Dopo  la  carrozza  in  cui 
incedeva  il  cardinale ,  venivano  le 
sue  tre  carrozze  con  mute  di  ca- 
valli: nella  prima  prendeva  luogo 
il  maestro  di  camera  e  tre  gentil- 
uomini, con  due  servitori  a  piedi 
alle  portiere  della  carrozza  ;  nella 
seconda  altri  gentiluomini,  e  nella 
terza  i  cappellani.  Seguiva  un'  al- 
tra carrozza  con  muta  di  sei  ca- 
valli alla  postigliona,  con  due  ser- 
vitori in  serpa  ;  un'  altra  a  quattro 
cavalli  con  carrozzino  da  viaggio , 
un  calesse  e  tre  carriaggi  coperti 
con  gran  copertoni  aventi  nel  mez- 
zo lo  stemma  gentilizio  del  cardi- 
nale. La  cavalcata  dalla  villa  di 
Papa  Giulio  III  con  quest'  ordine 
faceva  l' ingresso  nella  porta  del 
Popolo,  e  proseguendo  per  tutta  la 
via  del  Corso,  voltava  a  s.  Ro- 
mualdo se  il  Papa  risiedeva  al  Qui- 
rinale, o  per  piazza  di  Venezia  per 
la  via  Papale  se  abitava  al  Vali- 
cano. Giunto  a  pie  delle  scale ,  il 
i3 


ig4  ING 

cardinale  quando  smontava  dalla 
carrozza  si  trovava  a  riceverlo  il 
primo  maestro  di  cerimonie  e  il  fo- 
riere maggiore  del  Papa,  con  tutta 
la  famiglia  del  cardinal  nipote  o 
segretario  di  stato,  il  quale  l' in- 
contrava alle  scale  dell'appartamen- 
to. Allora  il  cardinale  ringraziava 
i  prelati  del  corteggio  che  restava- 
no in  libertà,  e  deposto  l'abito  via- 
torio, prendeva  il  cardinalizio  pao- 
nazzo, la  fascia  simile  con  fiocchi 
d'oro,  col  rocchetto  e  la  berretta 
rossa,  il  tutto  precedentemente  pre- 
parato da  due  camerieri,  lasciando 
in  dono  al  cameriere  del  cardinal 
nipote  o  segretario  di  stato  il  cap- 
pello nero  e   la   fascia  paonazza. 

Quindi  il  cardinale  per  la  sca- 
letta segreta  veniva  accompagnato 
co'  soli  maestri  di  camera  e  cau- 
datari nell'appartamento  pontificio 
dal  cardinal  nipote  o  segretario  di 
stato  che  lo  presentava  al  Papa  , 
a  cui  il  nuovo  porporato  dopo  tre 
genuflessioni  baciava  il  piede  e  la 
mano,  ed  alzatosi  veniva  ricevuto 
all'amplesso.  Indi  faceva  il  ringra- 
ziamento per  la  sua  promozione 
alla  sacra  porpora,  e  postosi  a  se- 
dere su  di  uno  sgabello,  appresso 
all'  altro  cardinale  ,  si  trattene- 
va in  colloquio  sinché  il  Papa  lo 
congedava.  Per  la  stessa  scala  se- 
greta tornava  nelle  stanze  del  car- 
dinal nipote  o  segretario  di  stato, 
che  in  questo  ritorno  gli  cedeva 
la  mano  destra,  e  partiva  dal  pa- 
lazzo col  treno  di  due  carrozze  con 
bandinelle  chiuse,  ed  i  cavalli  sen- 
za fiocchi.  Essendovi  in  Roma  la 
nipote  del  Papa  o  altra  parente , 
il  cardinale  andava  a  farle  visita, 
conducendo  seco  il  maestro  di  ca- 
mera ed  il  coppiere ,  e  nella  se- 
conda carrozza  il  caudatario,  il  cap- 
pellano e  due  camerieri.    Uil   solo 


ING 

servitore  di  vanguardia  precedeva 
la  prima  carrozza,  il  decano  e  sot- 
to-decano procedevano  alle  portie- 
re, seguendo  la  medesima  prima 
carrozza  otto  servitori.  In  vicinan- 
za del  palazzo  dei  parenti  del  Pa- 
pa, il  decano  mandava  l'ambascia- 
ta del  vicino  arrivo  del  cardinale, 
affinchè  preparassero  le  torcie  e 
fosse  pronta  l' anticamera  a  rice- 
vere il  cardinale  alla  carrozza.  Fat- 
te tali  visite,  il  cardinale  ritorna- 
va al  proprio  palazzo  nell'  istes- 
so  modo,  e  giungendovi  non  suo- 
nava la  campanella.  Nella  sera  il 
cardinale  non  riceveva  alcuno  con 
formalità;  ne'  tre  seguenti  giorni 
riceveva  le  visite  di  calore,  apren- 
do l'anticamera  nella  mattina  due 
ore  prima  di  mezzodì  e  nel  dopo 
pranzo  alle  ore  venlidue.  In  rice- 
vere le  visite  il  cardinale  slava  sem- 
pre in  piedi  sulla  soglia  della  ca- 
mera del  trono,  dove  poi  si  dove- 
va alzare  il  baldacchino  nel  gior- 
no del  concistoro  pubblico,  ed  era 
vestito  con  sottana,  mozzelta  e  fa- 
scia paonazza,  con  berrettino  ros- 
so in  testa  e  la  berretta  rossa  in 
mano;  riceveva  chiunque  si  pre- 
sentava, senza  però  mai  dare  da 
sedere  ad  alcuno  per  tutto  il  pri- 
mo giorno.  Negli  altri  due  giorni 
seguenti  visitavano  il  cardinale  mon- 
signor governatore,  il  senatore  di 
Roma,  il  contestabile  principe  as- 
sistente al  pontificio  soglio  ,  i  pa- 
triarchi, l'uditore  della  camera,  il 
maggiordomo,  il  tesoriere,  tutti  i 
principi  e  duchi  romani  e  l'amba- 
sciatore di  Bologna.  Neppure  que- 
sti personaggi  erano  dal  cardinale 
incontrati  o  accompagnali  fuori  della 
soglia  della  stanza  ove  riceveva , 
ma  bensì  ad  ognuno  di  essi  dava 
da  sedere.  Siccome  fuori  de'  quat- 
tro patriarchi,  che  andavano  uniti, 


tlovcano  andare  gli  altri  alla  visi- 
ta uno  per  uno  mandando  prima 
l' ambasciata ,  di  mano  in  mano 
che  arrivavano,  il  decano  ne  avvi- 
sava il  maestro  di  camera  che  fa- 
ceva cenno  al  cardinale  aflìnchè  con- 
gedasse quello  che  teneva  ad  udien- 
za, il  quale  nel  partire  veniva  ac- 
compagnato dai  gentiluomini  e  cap- 
pellani fino  alla  carrozza,  cioè  nello 
stesso  modo  cui  l'aveano  ricevuto. 
]Nel  tempo  dell'udienza  non  si  chiu- 
deva mai  la  bussola,  né  si  tirava- 
no mai  le  portiere,  e  il  cardinale 
non  cedeva  mai  la  mano  nelP  an- 
dare e  nel  muoversi  dalla  sua  se- 
dia, acuì  veniva  accompagnato  da 
un  gentiluomo  che  mostrava  di 
accomodarla  come  faceva  dell'al- 
tra sedia  un  altro  gentiluomo.  Scri- 
ve il  Sestini  nel  suo  Maestro  di 
camera }  che  anticamente  alcuni 
cardinali  ,  ambasciatori  e  principi 
solevano  in  persona  incontrare  il 
cardinale  che  faceva  il  suo  solenne 
ingresso  a  Roma  ;  ma  il  suo  an- 
notatole  Amati  avverte  che  Urbano 
Vili  rimediò  a  questo  inconvenien- 
te ordinando  che  niuno  incontras- 
se di  persona  il  cardinale  che  por- 
tavasi a  Roma.  V.  il  p.  Gattico, 
Àeta  caeremonialìa:  Cardinali  novo 
Romam  venienti  obviant   alii   car- 

dinales non    tanien    conciavi* 

tempore.  Marcello,  Sacrarum  caeti- 
moniarwn  tit.  Vili,  lib.  I,  De  no- 
vo cardinali  veniente  ad  cnriam 
sine  galero.  All'articolo  Legato  a- 
postolico,  dicemmo  della  loro  ca- 
valcata, partenza  da  Roma  e  ri- 
torno. Il  Rinaldi  all'anno  io57, 
num.  9,  ed  all'anno  1059,  n.  io, 
riporta  due  esempli  del  modo  co- 
me anticamente  facevano  i  cardi- 
nali  il  loro  ingresso  in  Roma. 

1NGUANZO    RIRERA    Pietro, 
Cardinale,  Pietro  de  Inguanzo-y-Ri- 


ING  i95 

bera  nacque  in  Llanes  nel  princi- 
pato delle  Asturie,  a'-2 1  dicembre 
1764,  uno  de' tredici  figli  de'  suoi 
genitori  Antonio  de  Ingnanzo  e 
Teresa  Ribera  o  de  Riviro.  Sino 
dai  suoi  primi  anni  manifestò  a- 
more  alla  solitudine  ed  allo  stu- 
dio. Nell'età  di  undici  anni  si  re- 
cò nell'università  di  Rologna  chia- 
mato a  studiarvi  dallo  zio  d.  Pie- 
tro Inguanzo  Posada,  a  quel  tempo 
alunno  del  collegio  di  s.  Clemente 
degli  spagnuoli,  esistente  in  quella 
città  e  già  canonico  di  Palencia;  ivi 
sotto  la  direzione  dello  zio  appre- 
se la  filosofia.  Ritornato  in  patria 
poco  dopo  passò  nell'università  di 
Oviedo  a  studiare  la  legge  civi- 
le e  canonica  con  singolare  pro- 
fitto, ove  accoppiando  la  dolcezza 
del  tratto  all'innocenza  de'costumi, 
si  esercitò  pure  nella  musica  e  nel 
canto.  Monsignor  Llanes  arcivesco- 
vo di  Siviglia,  informato  delle  qua- 
lità e  buone  speranze  che  dava  il 
giovane  Pietro,  bramò  avello  pres- 
so di  sé  nella  propria  famiglia, 
onde  avviarlo  allo  stato  ecclesiasti- 
co, a  cui  lo  ch-iamavano  la  sua 
vocazione  e  gli  studi,  quali  com- 
pì nell'università  di  Siviglia,  dove 
prese  la  laurea  di  dottore,  e  ot- 
tenne per  concorso  una  delle  cat- 
tedre di  diritto  canonico.  In  segui- 
to meritò  di  essere  eletto  alla 
prebenda  dottorale  della  cattedrale 
di  Oviedo,  ed  allora  cominciò  la 
sua  vita  pubblica.  Zelante  pei  di- 
ritti della  Chiesa,  uscì  a  loro  di- 
fesa con  prudenza  e  saviezza  al- 
lorché li  vide  attaccati  :  i  sopra- 
vanzi delle  sue  rendite  ecclesiasti- 
che gì'  impiegò  generosamente  coi 
poveri,  nel  modo  il  più  ingegnoso 
e  modesto.  Vacata  l'onorevole  pre- 
benda dottorale  di  s.  Giacomo  di 
Galizia ,    vi    concorse    e    l'ottenne. 


196  ING 

Intanto  divenuta  la  Spagna  ogget- 
to delle  brame  del  conquistatore 
Napoleone,  la  provincia  delle  A- 
sturie  fu  la  prima  che  si  dichia- 
rò contro  il  fortunato  guerriero. 
Vedendo  la  provincia  lo  stato  d'i- 
solamento in  cui  si  trovava,  creò 
per  sicurezza  una  giunta  suprema 
di  governo,  e  chiamò  ad  esserne 
membro  nel  tribunale  di  grazia 
e  giustizia  Pietro.  Egli  co'suoi  lumi, 
co'suoi  scritti,  co'  suoi  consigli  e 
col  suo  denaro  cooperò  efficace- 
mente all'esito  dell'impresa  ;  disim- 
pegnò con  plauso  universale  le 
ardue  importanti  commissioni  affi- 
dategli, e  con  la  giunta  si  trasferì 
a  Castrepol,  allorquando  i  francesi 
occuparono  la  capitale  delle  Astu- 
rie. Non  andò  guari  che  si  riu- 
nirono a  Cadice  uomini  d'influen- 
za da  diversi  punti,  desiderosi  di 
dare  unità  al  governo  e  rappre- 
sentare la  nazione  spagnuola,  for* 
mando  un  congresso.  All'antico  no- 
me di  cortes  sostituirono  moder- 
ne forme  di  governo,  e  sotto  il 
pretesto  di  abusi,  cambiarono  es- 
senzialmente le  antiche  basi  della 
monarchia.  I  deputati  zelanti  di 
combattere  le  armi  straniere,  si 
lasciarono  soggiogare  da  straniere 
dottrine,  e  sottraendosi  dal  ferreo 
giogo  del  conquistatore  suscitarono 
le  armi  della  rivoluzione.  La  pro- 
vincia delle  Asturie  nominò  Pietro 
perchè  la  rappresentasse  in  questa 
occasione.  Degno  interprete  di  una 
provincia  che  salvò  in  altri  tempi 
la  monarchia  e  la  religione,  si  op- 
pose fortemente  alle  innovazioni 
pericolose,  e  difese  le  buone  e  sa- 
ne dottrine,  non  mancando  mai 
ad  alcuna  sessione:  lesse  alcuni  suoi 
scritti  importanti,  e  pronunciò  di- 
scorsi di  sommo  rilievo,  trovando 
in  lui  la  religione  e  la  monarchia 


ING 

un  saldo  campione;  parlò  in  di- 
fesa della  santa  Sede,  del  tribuna- 
le dell'inquisizione,  e  di  altri  punti 
in  cui  veniva  attaccato  il  potere 
della  Chiesa.  Si  fece  ammirare  per 
la  sua  erudizione ,  doti  oratorie, 
grandezza  d'animo,  nobiltà  ed  in- 
tegrità di  carattere.  Disse  franca- 
mente la  verità,  e  indarno  si  sca- 
tenarono contro  di  lui  le  tribune, 
le  satiriche  stampe  e  le  minacce 
del  popolaccio.  Uno  de'suoi  stessi 
contrari,  il  conte  di  Toreno,  non 
potè  a  meno  di  lodarlo  nell'istoria 
che  in  quell'epoca  diede  alla  luce. 
Frattanto  il  torrente  delle  cattive 
dottrine  vieppiù  spandendosi,  il  go- 
verno invase  di  fronte  uno  dei  pri- 
mi diritti  della  santa  Sede,  crean- 
do vescovi  contro  l'ordine  stabili- 
to da  circa  dieciolto  secoli,  e  di- 
sponendo che  fossero  confermati 
dai  vescovi  nazionali.  Il  perchè 
Pietro  nel  1 8 1 3  pubblicò  colle 
stampe  un  suo  discorso  sopra  la 
conferma  de'vescovi,  nel  quale  dot- 
tamente provò  il  diritto  della  Chie- 
sa, col  diritto  canonico,  colla  sto- 
ria e  disciplina  della  Chiesa ,  e 
con  ogni  genere  di  antichità  eccle- 
siastica. Questa  trionfante  difesa 
frenò  le  mani  al  governo,  e  di- 
poi nel  i836,  in  circostanze  egual- 
mente pericolose,  in  cui  si  ripro- 
dussero le  medesime  nocive  dottri- 
ne ,  non  mancarono  ecclesiastici 
degni  e  zelanti  che  ristamparono 
quell'istesso  discorso  per  riparare 
a  danni  eguali.  Liberato  Ferdi- 
nando VII  re  di  Spagna  dalla  sua 
prigionia,  nominò  Pietro  alla  sede 
vescovile  di  Zamora,  che  Pio  V1C 
gli  conferì  nel  concistoro  de'  26 
settembre  1 8 14-  Le  cure  pastorali 
subito  assorbirono  tutta  la  sua  per- 
sona :  predicò,  inviò  missionari  nel- 
la sua  diocesi,  e  mostrò  quanto  cstc- 


ING 

sa  fosse  la  sua  sollecitudine    e  pa- 
terna carità.  Restaurò  il  seminario, 
lo  forni    di  ottimi  maestri,    riparò 
molte  chiese   deteriorate  dui  tempi 
e  dalla  guerra,  ne  edilìcò  una  nuo- 
va in  Mayalde,    impiegò   diecimila 
scudi   per    riparare   il   palazzo  ve- 
scovile di  Zamora,  e  restaurò  quel- 
lo   della  città    di  Toro.   Visitò  più. 
volte  la  sua  diocesi,  e  fuorché  nel- 
la prima,    si  mantenne  in  tutte  le 
visite  a    sue    spese,     lasciando    per 
tutto  larghe    prove    di  sua  benefi- 
cenza. Soccorse  di  sue  limosine  gli 
artisti    e    lavoratori    di   campagna, 
e  dotò  fanciulle  povere.   Allorquan- 
do dal   1820  al    1823  le  dottrine 
che  già  avea    combattute,  vide  in 
Cadice  che    attaccavano  i  beni  del 
clero,  scrisse  un'  opera  di  due  volu- 
mi,    in     cui     mostrò  ad    evidenza 
il  sacro    dominio  della    Chiesa  nei 
suoi    beni     temporali.    Niuno    osò 
rispondergli     e    ammutolì     perfino 
la    maldicenza;  tanta    fu  la    copia 
e    la    forza    delle   ragioni    e    delle 
autorità  con  cui  era  scritta  la  sua 
opera;  mentre  lo  scrittore  che  re- 
clamava    la    proprietà  de'  beni,   e- 
ra     il    più.    zelante    amministratore 
de'poveri.   Vacata  nel    1824  la  se- 
de arcivescovile  di  Toledo,  la  pub- 
blica opinione  indicò  Pietro    come 
il     più    degno    ad    occuparla.    In 
fatti    Ferdinando    VII  non  esitò  a 
nominarlo,  e  Leone  XII  ad  appro- 
varlo ,    preconizzandolo  nel    conci- 
storo de'  27    settembre.  L'arcive- 
scovo di    Toledo  oltre  1'  essere  un 
prelato    illustre,    necessita  che    sia 
un  uomo  di  governo   e  di  consiglio: 
come  primate  della  Spagna  e  come 
gran    dignitario    della    corona,    ha 
grande  influenza  negli  affari    pub- 
blici,   sedendo    sempre  nei     consi- 
gli dei  re.    Pietro    disimpegnò  de- 
gnamente   ambedue    questi    uffizi. 


ING  197 

La  sua  pietà,  beneficenza  e  gene- 
rosa liberalità  verso  i  bisognosi  del- 
la sua  diocesi,  fu    veramente    mi- 
rabile, distribuendo  talvolta  più  di 
quello    che    raccoglievano   gli    am- 
ministratori della    mensa.    Il    con- 
tadino   nella    carestia    ebbe    grano 
per  seminare   e  per  alimento  ;  quel- 
lo che  vedeva  periti  i  suoi  bestia- 
mi,   ricorrendo    a  lui    veniva   soc- 
corso. Protesse  l'opera   della  pro- 
pagazione    della    fede  con   grandi 
somme.  Pieno  di  tanti  meriti,   ad 
istanza  di  Ferdinando  VII,  nel  con- 
cistoro de'  io  dicembre  1824  Leo- 
ne XII  lo  creò  cardinale  dell'ordi- 
ne de'preti.  Gli  spedi  il  berrettino 
cardinalizio  colla  notizia  della  sua 
esaltazione,  per    la  guardia   nobile 
Francesco  Giustiniani,  al    presente 
esente  della  medesima,    che    il    re 
decorò  dell'  ordine  e  grado  di  ca- 
valiere   della   santissima    Concezio- 
ne.   Inoltre    il    Papa    nominò    ab- 
legato    apostolico    per    la    tradizio- 
ne della  berretta  cardinalizia  l'udi- 
tore della    nunziatura    di    Madrid, 
monsignor  Ignazio  Giovanni  Cado- 
lini  suo  cameriere  segreto  sopran- 
numerario,   attualmente    cardinale 
arcivescovo  di    Ferrara.    L'imposi- 
zione della  berretta,  colla  consueta 
formalità,  la  fece  lo  stesso  re.  Con- 
tinuando il  cardinale    nell'esercizio 
delle    sue  virtù,   di    moto    proprio 
diede  diecimila  scudi  ai  missionari 
di    s.  Vincenzo    di    Paola,    per  la 
costruzione    di    una    casa  in    Ma- 
drid,  cui   assegnò    annua    rendita. 
Trovò  il  modo  di  depositare  nella 
fabbrica  della  chiesa  cattedrale   di 
Toledo   grosse    somme    di    denaro 
per  impiegarsi    in   dotazioni   di  zi- 
telle.   Mancando    nell'arcidiocesi    il 
seminario  conciliare,   die    principio 
a  costruirlo,  d'una  grandezza  pro- 
pria   della    magnanimità   del    suo 


i98  INO 

cuore.   Come  profondo  politico  as- 
sisteva ai  consigli  del  re,  ove  face- 
va sentire  i  suoi  lamenti  nelle  scis- 
sure che   nascevano;   die    salutevo- 
li avvisi  per  la  condotta  da  tener- 
si dopo  la  rivoluzione  di   luglio  in 
Parigi,  e  parlò  forte  perchè  si  riu- 
nissero le  cortes  a  decidere  la  que- 
stione   di  successione,    ed    allonta- 
nare i   mali  che  altrimenti    preve- 
deva inevitabili.   Alla  morte  di  Leo- 
ne XII  non    potè  recarsi    al    con- 
clave  in     cui    fu    eletto    Pio  Vili. 
Per  quella  di  questo   vi  si   recò  nel 
i83i,    ed    intervenne    al   conclave 
iu  cui    fu  innalzato    al    pontificato 
il  regnante  Gregorio  XVI,  il  qua- 
le gli  conferì    per  titolo    la  chiesa 
di  s.  Tommaso    in    Parione,    e  lo 
ascrisse    alle    congregazioni    de'  ve- 
scovi e  regolari,  dell' immunità,  dei 
riti  e  della  cerimoniale.    In  Roma 
si  mostrò  attaccassimo  alla  santa 
Sede  che  più  volte  avea    difeso,  e 
nel  ritorno  in  Ispagna  visitò   il  san- 
tuario di    Loreto,  siccome    tenera- 
mente divoto  della  Beata  Vergine, 
cui  offri  un  bel  calice  di  argento  do- 
rato. I   tempi  che   vennero  a  succe- 
dersi dopo  il  suo  ritorno  alla  propria 
sede,    furono  pel  cardinale  fecondi 
d'ogni  genere  di  disgusti,   a    moti- 
vo delle  innovazioni  che  in   mate- 
rie ecclesiastiche  pretendevansi   fare 
dalla  potestà  temporale,  senza   ve- 
runo intervento  del  supremo  capo 
della  Chiesa.   Privalo  d'ogni   parte- 
cipazione nel  governo,  per    non  a- 
vere  voluto    acconsentire    alle    sue 
novità,  fu  allontanato  dalla  capitale, 
dove  nel    1 834-  formossi   la  fatnosa 
giunta  della    riforma  della    chiesa 
di     Spagna,     senza     far   conto  per 
niente     dell'  autorità    del    romano 
Pontefice,    né    dei    vescovi    titolari 
di  Spagna,  anzi   volendo  che  tutti 
ai   sottomettessero    obbedienti   alle 


INN 

disposizioni  ch'emanava:  il  cardina- 
le, come     tutti    gli     altri    vescovi  , 
si  oppose  ad    un  tal    decreto    cos\ 
anti  canonicamente  delineato.  Quin- 
di  indicìbili  furono  i  crudeli    pati- 
menti  e  le  persecuzioni  che  la  sua 
apostolica   fortezza    gli   procurò,  li- 
no   a    cagionargli    quella     malattia 
che    lo  condusse    alla    tomba.    Dal 
suo     letto    di     dolore    lamentando 
tanti   disordini,  non  dubitò   di    al- 
zar la    voce    di  sua    coscienza    alle 
intimazioni  arbitrarie  e  minacciose 
del   potere:  avea   prevedute    le  ca- 
lamità   pubbliche    che    gravitarono 
sulla    già    fiorentissima    monarchia 
spagnuola;  avea  adoperato  indarno 
la  sua   voce  per  ripararle,  e  Iddio 
lo  esentò   da  ulteriori  afflizioni,  col 
chiamarlo  a     miglior    vita    d' anni 
settantadue  li     3o    gennaio     i836 
in  Toledo,    venendo  il    suo  cada- 
vere esposto  e  sepolto  nella  metro- 
politana.  Mentre  moriva,  il  gover- 
no gli  avea  decretato  l'esilio    per- 
petuo dalla    Spagna,    e  spedita    la 
scorta     che     dovea     accompagnar- 
lo in    Alicante,  .ed    indi   farlo    im- 
barcare per    Roma.    Fu    il    cardi- 
nale    di     statura     bassa  ,     ilare   di 
volto,  e   d'occhio    penetrante.    Se- 
vero ne' costumi,  franco  nel  tratto, 
umile  cogli   umili,  ma    non  s'inti- 
moriva innanzi   ai   potenti.    Il    suo 
cuore  amava    la    rettitudine,    e    le 
sue  labbra    proferivano    sempre  la 
verità.  La  chiesa  di  Toledo  ancora 
vedova,    lungamente  ne    deplorerà 
la  perdita,   siccome  uno  dei  prelati 
più  dotti  ,    zelanti    e   virtuosi    che 
illustrarono  la  chiesa  di   Spagna. 

INNO,  Hymnus,  Canto  ecclesia- 
stico composto  con  metro,  cantico 
in  versi,  piccolo  poema  di  lodi  a 
Dio  ed  ai  santi,  e  destinato  ad  es- 
porre con  soavi  e  nobili  ispirazio- 
ni i  misteri  della  nostra  religione, 


1NN 

come  a  celebrare  le  divine  glorie 
e  le  gesta  de'  medesimi  santi,  a 
similitudine  di  quelli  della  Scrittu- 
ra e  dei  Cantici  [Vedi).  Presso  gli 
antichi  pure  si  disse  inno  quel  can- 
tico od  alcuni  cantici  composti  sen- 
za metro.  Così  alcuni  scrittori  chia- 
mano, presso  Du  Gange,  inno  an- 
gelico il  Gloria  in  excelsis  Deo  } 
che  si  dice  nella  messa  ;  ed  anche 
il  trisagio  è  detto  così  presso  il  Mi- 
crologo.  Neil'  Abrincense,  De  offìc. 
eccl.,  il  Magnificat  si  vede  nomi- 
nato Hymnus  s.  Mariaej  ed  è  ce- 
lebre anche  ne'  concilii  presso  Mar- 
tene,  Anecd.  toni.  V,  col.  92,  l'in- 
no Trium  puc roriun.  V.  Canto  ec- 
clesiastico. Inno  dalla  voce  gre- 
ca significa  lode  ;  Innologia  il  canto 
degli  inni  ovvero  parola  di  lode; 
Innario  il  libro  che  contiene  gl'in- 
ni ed  i  cantici  delle  funzioni  spet- 
tanti alla  Chiesa  ;  ed  Innesta  od 
Innografo,  colui  che  compone  ov- 
vero che  canta  gì'  inni.  La  con- 
gregazione cardinalizia  de'  sacri  riti 
ha  l'innografo:  al  presente  è  il 
celebre  monsignor  Gio.  Battista  Ro- 
sani  vescovo  d'Eritrea.  L'inno  deve 
contenere  tre  condizioni,  il  canto, 
la  lode,  e  questa  in  onore  della  di- 
vinità e  de'  santi.  Queste  qualità 
altri  dicono  essere  la  lode,  la  lode 
di  Dio,  ed  il  cantico;  ciò  può  af- 
fermarsi colì'autorità  di  Rullino,  il 
quale  nel  titolo  del  salmo  72  cosi 
si  esprime:  Hymni  siint  cantus  con- 
linenles  laiidem  Dei.  Si  sit  laus  et 
non  sit  Dei,  non  est  liymnus  :  si 
sii  laus  et  Dei,  et  non  cantetur, 
non  est  hymnus  j  oportet  ergo ,  ut 
sit  hymnus,  habeat  haec  tria  :  lau- 
devi,  et  Dei,  et  canticuin.  Del  resto 
le  preghiere  e  i  canti  della  Chiesa 
non  sono  destinati  ad  allettare  le 
orecchie,  ne  la  fantasia,  ina  ad  ispi- 
rare sentimenti  di   pietà. 


INN  199 

Nel  popolo  ebreo  trovasi  l' inno 
in  tutto  1  impeto  de'suoi  slanci,  del 
suo  sacro  entusiasmo,  e  in  tutta  la 
sublimità  della  sua  lirica  elevatezza. 
Una  vittoria,  un  prodigio,  la  libe- 
razione da  un  grave  pericolo  ,  ed 
altri  simili  avvenimenti  dierono 
motivo  a'  capi  e  condottieri  del 
popolo  eletto  di  celebrare  con  can- 
tici ed  inni  la  grandezza  e  l'onni- 
potenza divina  ;  e  siccome  canta - 
vansi  a  coro  nelle  assemblee  e  nelle 
feste,  si  tramandarono  dai  padri  ai 
figli,  e  furono  propri  ad  eternar  la 
memoria  de' più  celebri  fatti.  Mosè 
nel  portentoso  passaggio  del  mar 
Rosso,  pieno  di  riconoscenza  e  di 
gioia  per  vedere  liberato  Israele 
dalla  schiavitù ,  con  inno  solenne 
magnificò  la  possanza  divina.  Laon- 
de vuoisi  che  Mosè  fosse  il  primo 
compositore  e  cantore  degli  inni 
sacri,  dal  cui  esempio  la  Chiesa  per 
tradizione  apostolica  introdusse  nel 
coro  il  canto  degli  inni ,  dicendo 
s.  Agostino  epist.  iig,  cap.  18:  De 
quibus  hymnis  in  ecclesia  canen- 
dis,  et  ipsius  Domini,  et  aposto- 
loruru  habemus  documenta ,  exern- 
pla  et  praecepta.  11  medesimo  santo 
dottore  nel  salmo  148  ecco  come 
definisce  l'inno  :  Hyninus  scitis  quid 
est?  Cantus  est  cimi  Liudeni  Dei. 
Si  laudas  Deum,  et  non  canlas,  non 
dici*  hymnurn  :  si  canlas,  et  non 
laudas  Deum  ,  non  dicis  hy- 
mnurn :  si  laudas  aliquid,  quo  il 
non  pertinet  ad  laudem  Dei,  et 
si  cantando  laudes,  non  dicis  hy- 
mnurn. Gli  inni  si  trovano  ram- 
mentati come  in  uso  nella  Chiesa, 
fino  dall'età  degli  apostoli  in  s. 
Paolo  ancora  ad  Coloss.  e.  3,  v.  16: 
Psalmis,  hymnis  et  canticis  spiri- 
tualibus.  Con  essi  il  medesimo  apo- 
stolo ad  Ephes.  e.  5,  v.  19,  esortò 
i  fedeli  ad  istruirsi  ed  edificarsi  gli 


200  INN 

uni  e  gli  altri  coi  salmi,  cogl'  inni 
e  cantici  spirituali,  cantando  per 
gratitudine  a  Dio  ne' nostri  cuori. 
Plinio  nella  sua  lettera  scritta  a 
Traiano  intorno  i  cristiani,  dice 
che  si  congregavano  il  giorno  del 
sole  ossia  la  domenica,  per  canta- 
re degl'  inni  (  carmen)  a  Gesù  Cri- 
sto come  ad  un  Dio.  1  primi  mo- 
naci ne  cantavano  nelle  loro  soli- 
tudini. Eusebio  ci  dice  che  i  salmi 
e  i  cantici  dei  fratelli  composti  sino 
dal  principio ,  chiamavano  Gesù. 
Cristo  Verbo  di  Dio,  e  gli  attri- 
buivano la  divinità,  e  ne  cava  una 
prova  contro  gli  errori  degli  aria- 
ni, Hist.  eccl.  1.  5,  e.  28.  È  certo 
che  nei  primi  secoli  della  Chiesa  i 
fedeli  componevano  degli  inni  per 
celebrare  la  gloria  di  Gesù  Cristo, 
come  vien  provato  dal  trattato  di 
un  anonimo  contro  Artemone ,  e- 
resiarca  del  terzo  secolo,  in  cui  è 
dimostralo  che  Gesù  Cristo  è  vero 
Dio  e  vero  uomo,  per  mezzo  d'in- 
ni e  di  cantici  che  i  cristiani  ave- 
vano composto  fino  dai  primi  tem- 
pi della  Chiesa ,  e  nei  quali  essi 
confessavano  pubblicamente  che  Ge- 
sù Cristo  è  il  Verbo  di  Dio,  e  Dio 
medesimo. 

Di  quanta  virtù  ed  efficacia 
sieno  gl'inni  lo  provò  sant'  E- 
frem  siro,  il'  quale  con  inni  da  lui 
composti  elegantemente  confutò  Ar- 
monio eretico.  Il  simile  fece  s.  Gre- 
gorio Nazianzeno  con  Apollinare. 
Nella  chiesa  greca  il  primo  com- 
positore degli  inni  sacri  fu  s.  Je- 
roteo  ,  fiorito  nel  primo  seco- 
lo, come  riferisce  lo  stesso  Eu- 
sebio lib.  7,  cap.  19.  Nella  chie- 
sa latina,  secondo  l' opinione  co- 
mune ,  il  primo  che  compose  pro- 
priamente degl'  inni  e  dei  cantici 
per  essere  cantati  nella  chiesa,  fu 
s.  Ilario  vescovo  di  Poitiers.  Nelle 


INN 

opere  di  s.  Clemente  di  Alessan- 
dria si  ha  un  inno  o  cantico  mi- 
surato ch'egli  recitò  in  chiesa.  Nella 
chiesa  di  Milano  se  ne  riconosce 
l'uso  fino  dai  tempi  di  s.  Ambro- 
gio, il  quale  si  rese  insigne  in  que- 
sto genere  di  cantici,  come  attesta 
Isidoro,  lib.  I,  De  eccl.  offic,  cap. 
6  ;  laonde  da  s.  Benedetto  che  pose 
gl'inni  nel  suo  uffizio,  nella  sua 
regola  l'inno  viene  detto  Ambro- 
sianus,  perchè  in  quel  tempo  nel- 
la Chiesa  non  si  cantavano  altri 
inni,  se  non  quelli  composti  da  s. 
Ambrogio.  Questi  e  Prudenzio  com- 
posero la  maggior  parte  degl'  inni 
del  breviario.  GÌ'  inni  composti  da 
s.  Ambrogio  per  la  chiesa  di  Mi- 
lano nel  quarto  secolo,  e  dal  poeta 
Prudenzio,  al  dire  di  alcuni  non 
sono  già  capolavori  di  poesia,  ma 
sono  rispettabili  per  la  loro  anti- 
chità, e  servono  a  testificare  l'an- 
tica credenza  della  Chiesa.  Tutta- 
volta  gì'  inni  di  s.  Ambrogio  sono 
da  altri  encomiati  anco  pel  metro 
poetico.  Il  dotto  sacerdote  Borghi, 
nelle  Storie  ital.  voi.  Ili,  p.  672, 
ecco  come  si  esprime  intorno  a 
Prudenzio.  »  L'aquila  de'  poeti  cri- 
stiani, quell'ardimentoso  Pruden- 
zio, che  della  religione  evangelica 
primiero  degnamente  cantò;  di  tan- 
to superiore  ai  profani  pel  vero  af- 
fetto e  le  immagini,  per  la  mora- 
lità,  per  lo  scopo,  di  quanto  il 
cielo  alla  terra,  la  sapienza  stessa 
all'  errore  ".  Dopo  il  risorgimento 
delle  lettere  ne  furono  fatti  alcuni 
bellissimi. 

In  progresso  di  tempo  l'uso  de- 
gli inni  divenne  un  punto  di  que- 
stione in  alcune  chiese  e  concilii, 
temendo  che  sotto  i  fiori  poetici 
avesse  a  nascondersi  la  eresia,  giac- 
ché Ario  prete,  poeta  e  musico,  a 
mezzo  di  canzoui  spirituali  in  versi, 


INN 

disseminò  la  sua  rea  dottrina  con- 
dannala nel  primo  concilio  gene- 
rale l'auno  3i5.  Il  concilio  di  Bra- 
ga nel  Portogallo,  l'anno  563,  proi- 
bì col  can.  1 2,  di  cantare  nell'uf- 
fizio divino  alcuna  poesia,  ma  sol- 
tanto i  salmi  ed  i  cantici  tratti 
dalla  Scrittura  sacra  del  vecchio  e 
nuovo  Testamento,  in  conseguenza 
si  venne  quasi  a  proibire  il  canto 
degli  inni.  Devesi  presumere  che 
fra  i  fedeli  si  fossero  introdotti  al- 
cuni inni  composti  da  aulori  ete- 
rodossi o  poco  istruiti,  e  che  fosse 
intenzione  di  questo  concilio  di 
sopprimerli.  Tale  misura  fu  parti- 
colare disciplina  di  alcune  chiese  e 
di  alcuni  tempi;  ma  quando  i  com- 
ponimenti di  uomini  insigni  per 
santità  e  dottrina  resero  vani  i  ti- 
mori concepiti,  allora  si  aprì  libe- 
ramente l'adito  nelle  sacre  liturgie 
all'  inno  ecclesiastico.  Imperocché 
un  secolo  prima  del  concilio  di  Bra- 
ga s.  Ambrogio  ne  avea  introdotto 
l'uso  nella  chiesa  di  Milano.  In  se- 
guito ne'  concilii  di  Tours  del  Ì66 
al  cap.  a 3,  e  di  Toledo  del  633, 
cap.  i3,  gli  inni  che  dal  principa- 
le autore  si  trovano  detti  Ambro- 
siani, sono  riguardali  come  già  ri- 
cevuti nella  Chiesa.  Il  concilio  to- 
letano  permise  l'uso  degl'inni,  con 
condizione  che  fossero  composti  da 
autori  dotti  ed  autorevoli.  Questo 
concilio  si  appoggiò  sull'esempio  di 
Gesù  Cristo,  il  quale  cantò  o  re- 
citò un  inno  dopo  1'  ultima  cena  ; 
dicendo  che  da  lui  e  dai  suoi  a- 
postoli  possiamo  trarre  i  documen- 
ti, gli  esempi  ed  i  precetti  di  can- 
tare gì'  inni  nella  Chiesa.  £  tosto 
questi  piccoli  poemi  divennero  una 
parte  dell'  Uffìzio  divino  (Ucdi). 
ISella  sinodica  del  concilio  antio- 
cheno contro  Paolo  di  Samosata , 
si  rimproverò  quell'eresiarca,  oltre 


INN  2or 

altri  errori,  di  avere  abolito  l'uso 
degli  inni  composti  in  onore  di 
Cristo.  Tuttavolta  nella  chiesa  ro- 
mana che  fra  tutte  è  stata  sempre 
la  più  attaccata  all'antiche  forme, 
dell'uso  degl'  inni  non  si  trova  me- 
moria per  tutto  il  secolo  XI,  laon- 
de solo  nel  secolo  XII  pare  che  in 
essa  s' incominciassero  ad  usarsi  e 
cantarsi.  In  fatti  non  solo  non  ne 
fa  menzione  l' Amalario ,  ma  nep- 
pure se  ne  vede  traccia  in  alcun 
Ordine  romano,  né  anche  in  quello 
che  Benedetto  canonico  di  s.  Pie- 
tro dedicò  a  Guidone  di  Castello, 
che  nel  ii43  fu  Papa  col  nome 
di  Celestino  II.  Temono  i  critici 
che  la  testimonianza  di  Giovanni 
Taleto,  il  quale  fiorì  nel  i  160,  e 
riportata  dall'Armellini  ne'  suoi  e- 
ruditi  dialoghi  sull'ufficio  divino, 
dial.  V,  n.  i54,  non  parli  del- 
l'uso della  chiesa  romana;  e  che 
quanto  alla  pratica  delle  altre  chie- 
se sia  molto  più  tarda  dal  vero 
cominciamento.  Sicura  poi  e  chia- 
ra è  la  deposizione  di  Radulfo  pres- 
so il  Zaccaria,  Onomasticon,  verbo 
Hyninus.  Da  ciò  vuoisi  dedurre,  che 
dilatatosi  uelle  varie  chiese  l' uso 
degli  inni  di  chiari  autori  ,  e  ap- 
provati sempre  più,  la  stessa  chiesa 
romana  perchè  non  sembrasse  ri- 
provare col  proprio  fatto  la  gene- 
rale irreprensibile  costumanza,  vi 
si  adattò  similmente,  e  introdusse 
gli  inni  nel  proprio  uffizio.  Ed  è 
da  notarsi  che  nelle  chiese  di  Lio- 
ne e  di  Vienna  di  Francia  non  se 
n' è  giammai  introdotto  l'uso,  fuor- 
ché alla  sola  compieta,  e  si  fa  lo 
stesso  nei  tre  ultimi  giorni  della 
settimana  santa,  e  nella  settimana 
di  Pasqua  ;  ed  anzi  nella  stessa 
chiesa  di  Parigi  ciò  non  avvenne 
che  molto  tardi,  giacché  nella  pri- 
ma edizione  del  Breviario  uel  i4<P 


iot.  INN 

non  se  ne  vede  pur  uno.  Tutta 
questa  varietà  però  non  deve  ren- 
derci meno  rispettabile  il  rito  de- 
gl'  inni,  poiché  antichissima  e  lode- 
vole è  la  costumanza,  da  uomini 
santissimi  praticata,  e  finalmente 
dalla  Chiesa  universale  venne  non 
solo  approvata  ma  ancora  pre- 
scritta. 

Nella  liturgia  greca  si  distinguo- 
no quattro  sorta  d'  inni,  prenden- 
do questo  termine  per  semplici  lo- 
di, benché  non  siano  essi  in  versi  ; 
cioè  l'inno  Angelico  Gloria  in  ex- 
celsis;  il  Trisagio  ;  1*  inno  Cheru- 
bico o  Sanctus;  e  l'inno  della  vit- 
toria o  di  trionfo.  Oltre  s.  Jeroteo, 
che  vuoisi  autore  di  vari  inni ,  s. 
Sabba  che  fiorì  nel  V  secolo  for- 
mò il  suo  tipico  greco  ,  e  ridusse 
ad  una  certa  forma  il  divino  uffi- 
zio. L' innodia  greca  con  l'armonia 
del  ritmo  si  perfezionò  nell'  otta- 
vo secolo,  quando  s.  Giovanni  Da- 
masceno rinnovando  il  rituale  di 
s.  Sabba  v'inserì  del  suo  inni  me- 
trici ,  e  sono  quelli  che  trovami 
nella  greca  liturgia  nel  mattutino 
dell'Epifania,  del  Natale  e  della 
Pentecoste.  Nella  liturgia  latina  si 
cantano  gl'inni  in  tutte  le  ore  del- 
l'uffizio divino,  fuorché  nel  triduo 
innanzi  Pasqua  fino  ai  vesperi  del 
sabbato  in  Albis  esclusivamente,  e 
fuorché  nell'uffizio  de' defunti.  Quan- 
do l'inno  incomincia  con  l'invoca- 
zione di  Dio  o  di  Cristo,  il  cele- 
brante intuonandolo  deve  alzare  le 
mani  e  poi  unirle  e  far  l'inchino 
col  capo  verso  l'altare ,  come  pre- 
scrive il  Caerem.  episc.  I.  2,  e.  i/\. 
Neil'  inno  de'  santi  confessori  cor- 
retto da  Urbano  Vili,  quando  non 
si  celebra  la  morte  del  santo ,  si 
devono  mutare  le  parole  della  pri- 
ma strofa,  e  dire:  Meruit  supre- 
ma laudis  honores.  Questa  mula- 


INN 
zione  si  deve  praticare  solamente 
quando  si  celebrano  l' ordinazione 
e  traslazione  del  santo  ;  ma  non 
già  quando  si  trasferisce  il  giorno 
natalizio  per  qualche  impedimen- 
to, nel  che  pare  al  Macri  nella 
Notizia  de  vocab.  eccl.  che  gli  stam- 
patori e  gli  ordinari  premiano  un 
grosso  equivoco  non  intendendo  la 
mente  del  sapiente  Pontefice ,  il 
quale  pretese  onorare  con  quelle 
parole  la  ordinazione  de'santi  ve- 
scovi, ovvero  la  traslazione  de'  lo- 
ro corpi  ;  perché  sebbene  si  trasfe- 
risce l'uffizio,  con  tutto  ciò  sempre 
si  celebra  la  morte  del  santo,  nel 
qua!  giorno  siccome  non  si  muta 
la  parola  Natalida,  così  in  niun 
conto  si  devono  mutare  le  parole 
dell'  inno  Meruit  bcatas  scandere 
sedes.  Le  quali  cadono  a  proposi- 
to celebrandosi  la  morte  del  santo, 
al  quale  non  si  potranno  adattare 
quelle  ,  Meruit  supremos  laudis 
honores,  non  avendo  in  tal  giorno 
quel  santo  acquistato  alcun  onore. 
La  medesima  rubrica  scioglie  il  no- 
do dicendo:  Si  non  fuerit  dies  o- 
bitus ,  poiché  si  dice  con  verità 
giorno  dedicato  alla  morte  del  santo, 
quello  nel  cjuale  si  celebra  la  di  lui 
morte,  ancorché  trasferita,  come 
si  pratica  in  tutti  i  giorni  dell'ot- 
tava de'  santi  confessori,  ne'  quali 
tempi  si  replica  le  medesime  pa- 
role, e  pure  non  sono  giorni  della 
morte,  ma  ad  essi  dedicati.  Si  cor- 
robora tutto  questo  colle  parole  del- 
l' inno  delle  laudi,  le  quali  non  si 
mutano:  Dies  refulsit  lumine,  Quo 
sanctus  lue  de  corpore  Migravit  inter 
sìdera,  ancorché  si  trasferisca  la 
fèsta.  Neil'  officio  però  delle  stim- 
mate di  s.  Francesco  furono  pru- 
dentemente nel  vespero  e  nelle  lau- 
di mutate,  perché  non  si  cele- 
bra la  di  lui  morte,  né   traslazio- 


INN 

ne.  Eguali  ed  altre  erudizieni  si 
leggono  nelle  Leti.  eccl.  del  Sar- 
nelli  tom.  V,  lelt.  XIX:  Osserva- 
zioni intorno  agli  inni  de'  confes- 
sori ed  a  quello  di  s.  Giuseppe 
sposo  di  Maria  Vergine,  e  di  s. 
Giovarmi  Battista. 

Quanto  ali  inno  cantato  da  Ge- 
sù Cristo  dopo  la  cena  ed  istitu- 
zione della  ss.  Eucaristia,  inter- 
rogato Albino  Fiacco  dall' impera- 
re Carlo  Riagno,  qual  tosse  stato 
l' inno  che  cantò  Cristo  dopo  la 
cena  prima  di  portarsi  all'orto  di 
Getsemani,  rispose  egli  con  una 
eruditissima  lettera  nella  quale  pro- 
va non  essere  stalo  un  salmo  co- 
me alcuni  stimarono,  ma  piuttosto 
quelle  parole  dell'ultimo  sermone  : 
Pater  viari  fica  Jilnini  tuurn,  con 
quel  che  segue  in  s.  Giovanni  al 
cap.  iy.  Sant'Agostino  nell'episto- 
la 2.53,  scritta  a  Ceretio  vescovo, 
asserisce  come  al  suo  tempo  cor- 
reva per  le  mani  uu  inno  stima- 
to comunemente  che  fosse  quello 
che  cantò  Cristo  dopo  la  cena,  le 
cui  parole  però  furono  tenute  per 
apocrife.  11  cardinal  Baronio  inse- 
gna, che  negli  antichi  rituali  degli 
ebrei  erano  assegnate  alcune  preci 
da  cantarsi  dopo  le  cene  solenni  ; 
ed  a  quella  dell'  agnello  pasquale 
era  prescritto  il  salino  i  1 3  :  In 
exilu  Israel  de  Egypto .  Paolo 
Burgense  neofito  ,  e  praticissimo 
de'  liti  de'giudei,  commentando  il 
salmo  112,  aiferma  come  dopo  la 
cena  dell'agnello  si  cantavano  sei 
salmi  da  esso  accennali ,  i  quali 
cominciavano  coli'  alleluj'a,  cioè  il 
primo  salmo  era  Laudate  pueri, 
coi  cinque  seguenti,  i  quali  lutti 
uniti  insieme  cliiamavansi  Magnimi 
alleluj'a.  Il  Sarnelli  nel  tom.  VI, 
lett.  LVI  :  Della  lezione  alla  men- 
sa ;    e   qual    inno    dicesse    Cristo 


INN  ao3 

Signor  nostro  finita  la  cena,  si  u- 
nisce  all'opinione  di  Albino,  e  sti- 
ma più  probabile  che  Cristo  non 
cantasse  salmo,  ma  piuttosto  le  no- 
minate parole  dell'ultimo  sermone, 
e  per  più  ragioni.  Primo,  perchè 
s.  Giovanni  descritte  le  dette  pa- 
iole, subito  soggiunge:  Haec  vurri 
dixissel  Jesus  egressus  est  vuni 
discipulis  suis  trans  torrentem  Ce- 
dron, ubi  erat  hortus,  in  quern  in- 
troivit  ipse,  et  disvipuli  t/us.  Di- 
cendo adunque  s.  Matteo  cap.  26: 
Et  hymno  divto  exierunt  in  mon- 
terà Oliveti,  intende  di  quelle  pa- 
role riferite  da  s.  Giovanni.  Se- 
condo, fu  costume  degli  ebrei  a 
tenore  delle  circostanze  lodar  Dio 
con  inni,  fatti  d'  improvviso,  sen- 
za guardare  a'numeri,  come  sono  i 
cantici  di  Debora ,  di  Anna,  di 
Zaccaria,  di  Riaria,  ec.  ;  e  quella 
orazione  di  Pietro  e  Giovanni,  e 
degli  altri  discepoli  o  cristiani  che 
si  legge,  Adorimi  14,  v.  24  usque 
ad  3i.  Or  Cristo  Signor  nostro, 
perchè  dovea  dire  inno  confacente 
non  alla  cena  dell'agnello,  ma  alla 
santa  Eucaristia,  fece  quell'  inno 
delle  grazie,  et  hymno  dicto,  che 
tratta  sempre  dell'unione  de'cuori 
de'  fedeli,  eh'  è  significato  per  la 
ss.  Eucaristia,  sacramento  di  pietà, 
vincolo  d'  unità,  e  però  Cristo  la 
istituì. 

Intorno  agli  autori  degli  inni 
che  oggi  usa  la  Chiesa,  vengono 
notati  diffusamente  dal  p.  Gavan- 
to  nella  spiegazione  delle  rubriche, 
sect.  5,  cap.  VI.  Un  copioso  IJy- 
mnario  pubblicò  sul  fine  del  passa- 
to secolo  il  ven.  cardinal  Toinma» 
si,  come  si  vede  nel  t.  II  dell'edi- 
zione romana  del  Vezzosi.  E  il 
Fontauini  riferisce,  Diar.  litter.  I- 
talic.  t.  XXI,  p.  6,  che  quel  car- 
dinal dolevasi  che  i  Maurini  edi- 


a<4  INN 

lori    diligentissirni    delle   opere    di 
s.   Ambrogio,    non  avessero  potuto 
trovare  molli  inni,  che  sicuramen- 
te   sono    di    quel    santo  dottore,  e 
eh'  egli     pubblicò    nel     detto     suo 
llymnario  ,   mostrandone  la  prove- 
nienza.  Tale  innario  è  diviso  in  tre 
parti,  cioè,  ITymni  de  anni  circu- 
ii,   e  son     quelli   per    le  feste    fra 
l'anno;   Il y inni  de    natalitiis    san- 
ctorum;    e    finalmente    Ilymnì    de 
quolidiania,    cioè   i    feriali.    Nel   li- 
bro   intitolato    Istruzioni    pratiche 
nulla  recita  del  divino  uffizio,  del 
cardinal  Gio.    Battista    Bussi,    a  p. 
46  e  seg.  si  legge  una  erudita   in- 
dicazione di  alcuni  inni,  che  attual- 
mente   si    leggono    ne'nostri   uffizi, 
coll'aulore  di  ciascuno.    Nel  ripor- 
tarsi    ivi     i   principii    di     tali     inni 
venne    seguita   la    vecchia    lezione, 
come    sta    ne'  codici    di    Tom  masi, 
ed  in     tal    guisa  si    apprende    una 
idea     delle     correzioni     fattevi     in 
emendare  il  Breviario  {Vedi),  spe- 
cialmente   sotto     Urbano    Vili,    il 
quale,    come    dice   l'  Azevedo    nel- 
YExercit.   32  ,  si  servì  dell'opera  di 
Famiano     Strada  ,     di     Tarquinio 
Galluzzi,    e  di    Girolamo  Petrucci, 
benché  valesse    mollo  in  tal  gene* 
re  di    composizioni    egli  stesso,  co- 
me può  vedersi  dall'inno  della  re- 
gina   s.    Elisabetta,    e    da  qualche 
altro,  che  a  lui  attribuiscesi  comu* 
nemente.    I  critici    però  osservano, 
che  mentre  Urbano  VIII   volle  do- 
nare   agli    inni  antichi   la     purezza 
della    lingua     e    del     ritmo,    susci- 
tò questo    lamento:  Accessit    lali- 
nitas,  recessi t  pietas.  11  Si  eco  scris- 
se, Deecclesiaslicahymnodia,  1 634; 
ed    il  Mattei,  Ilinnodia  sacra  pa- 
rafrasi armonica  degl'inni  del  iuio- 
vo  Breviario  romano,  stampata  in 
Bologna.    Gli   inni    hanno    formato 
in  tutte    l'età  una  parte    essenziale 


INN 
del  culto  religioso.  I  caldei  e  i 
persiani,  i  greci  e  i  romani ,  i 
galli  e  i  lusitani  principalmente, 
tutti  i  popoli  in  somma  tanto  bar- 
bari quanto  inciviliti,  celebrarono 
tutti  col  mezzo  d'inni  o  di  cantici 
le  lodi  delle  loro  divinità.  Omero, 
Callimaco,  Pindaro  ed  Orazio  si 
lasciarono  modelli  di  inni  o  di 
cantici  ad  onore  degli  dei  o  degli 
eroi.  A  rigore,  l'inno  non  è  altro 
che  canto  in  lode  di  Dio:  Can- 
tetnus  Domino  ;  ecco  il  titolo  del 
primo  inno  che  si  conosca.  Di 
alcuni  inni  sacri  elegantissimi  ed 
in  lingua  italiana  hanno  fornito 
recentemente  l'esempio  ed  il  mo- 
dello, il  sacerdote  Giuseppe  Bor- 
ghi, Alessandro  Manzoni,  il  pro- 
fessore Barsottini ,  il  Gabrielli,  e 
Samuele  Biava  sacerdote  co' suoi 
volgarizzamenti.  Abbiamo  pure  dal- 
l'altro celebre  monsignor  Baraldi  : 
Versione  degli  inni  e  sequenze 
dei  divini  uffizi,  Modena  i8i5.  Era 
riserbato  al  secolo  nostro  l'onore  di 
portare  l'inno  quasi  al  supremo 
grado  della  sua  perfezione,  mentre 
i  due  principi  della  lirica  italiana 
Manzoni  e  Borghi,  seguiti  da  tan- 
ti altri  valenti  ingegni,  hanno  ar- 
ricchito la  nostra  poesia  di  tali 
gemme  eh'  è  difficile  trovarne  più. 
belle,  trattando  nobilmente  un  sog- 
getto ch'è  il  più  degno  delle  mu- 
se cristiane,  come  la  celebrazione 
di  Dio,  i  misteri  di  nostra  santa 
religione,  ed  altri  argomenti  ec- 
clesiastici e  sacri.  La  prima  strofa 
dell'  inno  :  Allo  ex  olimpi  vertice, 
ultimo  del  Breviario  romano,  potè 
somministrare  al  lodato  Manzoni 
la  bella  immagine  con  che  dispie- 
ga il  volo  sublime  al  suo  stupen- 
do inno  del  Natale.  L'encomiato 
Borghi,  oltre  gl'inni  sui  misteri 
di    nostra    religione,    ci    ha     dato 


JN>" 
inoltre  de'capi  d'opera  in  quelli 
ad  onore  di  s.  Filippo  Neri,  di 
s.  Filomena,  di  s.  Ignazio,  di  s. 
Luigi,  di  s.  Romualdo,  ed  altri. 
In  questo  Dizionario  sono  ripor- 
tati ai  rispettivi  articoli  gì'  inui 
principali,  e  di  molti  altri  se  ne 
parla  in  diversi  luoghi.  Sulla  re- 
cita e  canto  degli  inni,  e  ciò  che 
si  deve  dire  dopo  di  essi  in  al- 
cuni tempi,  ne  tratta  la  rubrica 
generale  del  Breviario  romano. 

INNOCENTI  (  i  santi  ).  Così 
chiamami  i  fanciulli  che  Erode 
fece  uccidere,  avendo  udito  dai 
magi,  venuti  dall'  oriente  per  cer- 
care e  adorar  Gesù  Cristo,  che 
il  Messia  predetto  dai  profeti  era 
nato  fra'  giudei  .  Perlocchè  te- 
mendo Erode  di  essere  spoglia- 
to del  suo  regno,  prese  la  bar- 
bara risoluzione  di  far  uccidere 
tutti  i  bambini  che  da  due  anni 
in  poi  erano  nati  in  Betlemme  e 
nei  suoi  contorni,  sperando  egli 
di  far  perire  in  questa  strage  il 
nuovo  re  dei  giudei,  la  cui  nascita 
veniva  a  turbare  la  sua  ambizione. 
1  soldati  incaricati  di  eseguire  il 
crudele  decreto,  si  recarono  a  Bet- 
lemme e  ne'  dintorni,  e  vi  truci- 
darono tutti  i  fauciulli  dell'  età 
indicata;  ma  Gesù  era  già  in  sal- 
vo, avendo  un  angelo  avvisato  s. 
Giuseppe  di  condurlo  in  Egitto 
per  sottrarlo  alla  persecuzione.  Le 
grida  sì  delle  madri  che  dei  fi- 
gliuoli furono  tali,  che  s.  Matteo 
applica  a  questo  avvenimento  la 
profezia  di  Geremia  :  «  Un  rumo- 
»  re  si  è  udito  in  Rama  ;  un  gran 
»  pianto  e  molto  lamento  :  Ha- 
»  chele  che  piange  i  suoi  figliuoli,  e 
-•'  non  volle  esser  consolata,  perchè 
»  più  non  sono."  Questa  profezia 
che  riguarda  più  immediatamente 
la  schiavitù  di     Babilonia,  ebbe  il 


MI  20) 

suo  intiero  compimento  nella  stra- 
ge degli    Innocenti.    Rama    di  cui 
parla  s.    Matteo    era    un   villaggio 
poco  distante    da    Betlemme,  e  la 
tomba  di  Rachele  era   in  un    cam- 
po che  ne  dipendeva.    E   probabi- 
le inoltre  che  la  strage  siasi  estesa 
infino  alla  tribù  di  Beniamino,  che 
si  trovava  nel   vicinato,   e    che  di- 
scendeva da  Rachele.    Se  vogliamo 
attenersi    alla   liturgia    degli    etiopi 
e  al  calendario  dei    greci,  perirono 
quattordicimila   fanciulli;    ma  que- 
sto    numero ,  secondo     il     Butler , 
sembra    esagerato,     e  non     vi     so- 
no    ragioni    solide    che    ci     obbli- 
ghino   ad     ammetterlo.   Il   Sarnelli 
nelle  Lettere  ecrl.   t.   VI,  lett.  LV  : 
Se  si  pub  sapere  il  numero  de*  ss. 
Innocenti ,  e  del    rito    con    cui    la 
santa   Chiesa  li  celebra  ;   rigettan- 
do l'opinione    erronea  di   quelli  che 
bonariamente    credettero    essere    il 
numero  degl'  innocenti    periti  cen- 
toquarantaquattromila ,     tuttavolta 
citando    Genebrardo,    il  Sahnerone 
e  le  liturgie  de'greci  ed  etiopi,  dice 
che  probabilmente  furono    quattor- 
dicimila. Nel   tom.   V,  lett.    XXII: 
Se  i    bambini   battezzali    e    subito 
morti  possono    essere   canonizzali; 
il  Sarnelli  avverte,    che    per  esser 
santo    appresso     Dio    nella    Chieda 
trionfante  basta  al   fanciullo  il  bat- 
tesimo, ma  per  essere  venerato  nel- 
la Chiesa  militante,    vi  si   richiedo- 
no due  condizioni   espresse  da    In- 
nocenzo  HI    nella    bolla  della    ca- 
nonizzazione di  s.  Omobono,  Quia 
pietas,  de' 22  dicembre    1198,  cioè 
ineriti  e  miracoli;  si  venerano  poi 
per  santi  gl'Innocenti,  perchè  mo- 
rirono in   vece  di  Cristo.    Qualche 
commentatore  di  s.    Matteo  credet- 
te, che  il  furore    di  Erode    non  si 
restringesse     alla     sola    Betlemme , 
né  si  limitasse  al  solo  biiuato    dei 


2o6  INN 

bambini,  ma  si  estendesse  anche 
ad  altri  luoghi  ed  ai  quinquenni, 
per  così  assicurarsi  maggiormente 
di  togliere  al  mondo  il  temuto 
Messia.  Quindi  essendosi  discusso 
il  dubbio,  se  dovesse  prescriversi, 
che  fòsse  tolta  da'  Menei  greci  la 
suddetta  indicazione  del  numero, 
fu  decretato  dalla  s.  congregazione 
per  la  correzione  de'  libri  della 
chiesa  orientale,  a'  i4  aprile  1733, 
nihil  innovandum.  Su  questi  pun- 
ti il  Cancellieri  raccolse  erudizio- 
ni,  che  si  possono  consultare  a  p. 
53  e  54  della  Dissert.  epìst.  su 
.v.  Siinplicia  ,  ec.  Il  culto  dei 
santi  Innocenti  è  senza  dubbio 
antichissimo  nella  Chiesa  ,  che 
gli  ha  sempre  considerati  come  il 
fiore  de'  martiri.  Essi  ebbero  la 
gloria  di  morire  per  Gesù  Cristo 
in  un'età  nella  quale  non  poteva- 
no ancora  invocare  il  suo  nome, 
e  trionfarono  del  mondo  prima  di 
conoscerlo.  Che  ogni  anno  se  ne 
celebrava  ne' primi  secoli  la  loro 
memoria,  lo  afTertnano  Origene  e  s. 
Agostino.  La  chiesa  latina  cele- 
bra la  loro  festa  ai  28  di  dicem- 
bre, e  la  greca  ai  20,.  In  molti 
luoghi  si  mostrano  delle  reliquie 
de' ss.   Innocenti. 

INNOCENZO  I  (s.),  PapaXLII. 
Figlio  d'Innocenzo  di  Alba  nel  Mon- 
ferrato, fu  fitto  da  s.  Damaso  I 
diacono  cardinale,  e  quindi  venne 
creato  Pontefice  a'  18  maggio  del- 
l'anno 402j  i°  el**  di  quarantadue 
anni.  L'impero  d'occidente  era  al- 
lora governalo  da  Onorio;  la  chie- 
sa africana  trovavasi  divisa  per  la 
setta  de'donatisti  ;  ma  fiorivano  s. 
Giovanni  Crisostomo,  s.  Girolamo 
e  s.  Agostino,  coi  quali  il  Papa 
ebbe  sempre  corrispondenza,  aven- 
do dichiarato  innocente  e  restitui- 
to   alla  sede    di  Costantinopoli    il 


INN 
primo.   Impiegò  Innocenzo  I  tutto 
il  suo  zelo  presso  l'imperatore,  per 
ottenere  severe  leggi  contro    i  do- 
natisti, e  riuscì   nel  lodevole  inten- 
to.  L'invasione    de'goli    comandati 
da   Alarico  stringendo  Roma   d'as- 
sedio, il  Pontefice  concorse    a   pla- 
care  il   nemico,   il   quale  a   forza  di 
presenti   venne    a   patti    col    senato 
romano,     che  convenne    di     dargli 
cinquemila    libbre    d' oro  .    trenta- 
mila d'argento,    quattromila    tona- 
che di  seta,   tremila   pelli    tinte  in 
scarlatto,  tremila  libbre  di  pepe,  pro- 
mettendo inoltre  il  senato  di  procura- 
re la  pace  tra   Alarico  e  l'impera- 
tore.  A   tale  effetto   nel  4°9   venne 
spedita   dal   senato  e  popolo  roma- 
no un'  ambasceria  a  Ravenna,   ove 
dimorava  Onorio,    per    la    conclu- 
sione di    questo    trattato.    Invitato 
il   Papa    a    porvisi     alla     testa,     di 
buon  grado   vi  accondiscese.    Nulla 
persuase  l'imperatore  a  confermare 
la  capitolazione,  dopo   che  Giovio 
prefetto    del   pretorio     per    impru- 
denza  fece  interromperne    le   nego- 
ziazioni. Mentre    Innocenzo  I     rad- 
doppiava  le  cure   per    salvare    Ro- 
ma,  Alarico  incominciò  le  ostilità, 
obbligò  i  romani    ad  eleggere    im- 
peratore Aitalo  prefetto    della    cit- 
tà, e    restituitosi    dalle  Alpi    dopo 
un  terzo  assedio  prese  Roma  a'c*4 
agosto  del4io>  e  barbaramente  la 
saccheggiò  coli'  ultimo    eccidio    dei 
cittadini.    Trovandosi    il   Papa     in- 
fruttuosamente in  Ravenna,  non    fu 
testimonio    di     tale    catastrofe,    e 
tornato  in    Roma    non   trovò    che 
desolazione  e    rovine.    Fu    dai    ro- 
mani    ricevuto     come     un     angelo 
consolatore  ,      ond'egli     si     applicò 
con     tutto     l'impegno     a     solleva- 
re i    cristiani  colpiti  da    tante  dis- 
grazie, a  restaurare   le    chiese,    or- 
nandole di  nuovi  lavori    e  di  pre- 


1NN  INN                   207 
ziose  suppellettili     d'  oro    e    d*  ar-  nel  canone  delle  sacre  Scritture.  E 
gerito.  calunnia    quanto    scrissero    Zosimo 
Da   quel   punto  Innocenzo  I,   più  e  1'  Osmanno,    che    s.   Innocenzo  I 
che  prima,  non  attese     che  a    far  permise  nel  4°4  'a  celebrazione  dei 
fiorire    la     religione,     e    pubblicare  giuochi  secolari    o    centenari    chia- 
molte  costituzioni   pel  regolamento  mali  ludi,  i  (piali  erano  slati   abo- 
degli  ecclesiastici,    e    a    distruggete  liti  qualche  secolo  prima,   massime 
ne' suoi  principii    le  eresie    di  Pe-  dopo  la   celebre  costituzione  di  Co- 
lagio,    di    Celeslio  e     de'  donatisti  stantiuo  il  Grande.    Di  tali  giuochi 
col    condannarle.     Ordinò     che    le  se  ne  fece  parola  nel    voi    XXXI, 
cause  maggiori,    dopo    la    sentenza  pag.    172   del  Dizionario.   Solo  qui 
del    vescovo,    fossero    rimesse    alla  aggiungeremo  essersi    i    ludi    seco- 
santa  Sede,  secondo  il  religioso  co-  lari   celebrali   in   Roma   nove   volte, 
slume,  comesi  legge  nel  Coustant,  cominciando     dall'anno    di  Roma 
Epist.   Rom.  Pont.   toni.  I,   p.  y49-  ^45  sino  all'anno    1000  di    essa   e 
Intorno   al  leslo  d' Innocenzo  1   sul-  247   dell'era   nostra,    quando   furo- 
Ia    riserva     delle    cause     maggiori,  no  per  l'ultima  volta  celebrali  con 
come  si  debba  leggere    e  spiegare,  gran  magnificenza.   Con  legato  del- 
è  da    vedersi     il    Zaccaria  ,    And-  la   matrona   \  estina  fabbricò  ed  e- 
Febronio    parte  2,    omo   II.  Que-  resse    il    titolo    cardinalizio     de'  ss. 
sii  inoltre  difende   l'altro  detto  del  Vitale,     Gervasio    e     Protasio.     la 
Pontefice,   che   le  chiese  occidenta-  quattro  ordinazioni  fatle  nel  dicem- 
li  furono   tutte  da  s.  Pietro  fonila-  bre  creò  cinquantaquattro   vescovi, 
te,  cioè    a   p.    66.    Nella    decretale  trenta     preti     e     quindici     diaconi, 
con  cui   dichiarò    i   bigami    irrego-  Governò  quindici    anni,    due    mesi 
lari  ed   incapaci   di   essere  promossi  e  dieci   giorni.   Eia   egli  di   grande 
agli   ordini    sacri,    dichiarò    ancora  ingegno,  di   singolare  prudenza   or- 
esseie     bigamo    quello     che     presa  nato,  come  scrive  Teodoreto,  /list. 
moglie    prima     del    battesimo,     ne  lib.   5,  cap.   23,  e  degnissimo  della 
pigliasse  altra  dopo  battezzato,  mor-  sede  di  Pietro,  al  dire  di  s.  Prospe- 
ta   la   prima.   Riformò   l'abuso    che  ro,  contr.    collat.    e.   5,  §   3.    Mori 
si  era  messo  nel  dare   il    bacio  di  a' 28     luglio,     altri     dicono     a' 12 
pace  nella   messa   prima  del   tempo  marzo,  del  4'7  5  ma  'a   Chiesa  ono- 
osservato  dall'uso  della  Chiesa.  A p-  na    la    sua    memoria    a' 28    luglio, 
provò    il  digiuno  del  sabbato,   già  Fu  sepolto  nel  suo  cimiterio  all'Or- 
da  molto  tempo    ricevuto    in    Ro-  so   Pilealo,  e  quindi    trasferito  nella 
ma,   in    memoria  della  sepoltura  di  chiesa  de' ss.  Silvestro  e  Martino  ai 
Cristo,  e  della   tristezza  della  Bea-  Monti.   Abbiamo    di    lui    gran  nu- 
ta  Vergine  e  degli    apostoli.    Con-  mero     di  decretali  ,     essendone    le 
fermò  la  tradizione  per  cui   la  Cine-  principali,  quella  scritta  a    s.   Esu- 
sa  nel   venerdì  e  sabbaio    santo  si  perio  vescovo  di  Tolosa,    quella   a 
astiene  dal  sacrifizio  della   messa  e  Decenzio  vescovo  nell'Umbria,  quel- 
dalia    comunione,    in    memoria  ed  le  a  molti   vescovi  d'Italia   e  di  A- 
esempio  degli   apostoli,  i   quali  nei  frica.    Vacò  la    santa  Sede    ventun 
detti  due  giorni  perseverarono  me-  giorni. 

sti    in  digiuno.    Determinò    quali  INNOCENZO  II,  Papa   CLXXI. 

sieno  i  libri  che  dehbonsi  ricevere  Gregorio  del    Papa  o    Paparesohi, 


2o8  INN 

romano  del  rione  di  Trastevere, 
della  nobilissima  famiglia  delta  al- 
lora de'  Guidoni  ed  oggi  Mattei, 
ebbe  per  padre  Giovanni.  Educa- 
to fino  dall'infanzia  nella  pietà  e 
nelle  lettere,  e  nell'una  e  nell'altre 
mirabilmente  cresciuto  ,  professò 
ancor  giovanetto  la  regola  de'ca- 
nonici  regolari  lateranensi,  tra'qua- 
li  fu  abbate  de'  ss.  Nicola  e  Pri- 
mitivo di  cui  parlammo  all'  arti- 
colo Gabio  ;  quindi  divenne  tanto 
celebre,  che  Urbano  II  lo  creò 
diacono  cardinale  e  gli  conferì  per 
diaconia  la  chiesa  di  s.  Angelo  in 
Pescheria ,  tuttoché  in  giovanile 
età.  Trasferitosi  nelle  Gallie  con 
Gelasio  II,  alla  cui  elezione  erasi 
trovalo  presente,  per  sua  morte 
concorse  a  quella  di  Calisto  li  e 
poscia  a  quella  di  Onorio  II,  a  cui 
impose  la  pontificia  tiara  come 
arcidiacono  della  chiesa  romana. 
Adempì  con  valore  e  decoro  tutte 
le  parti  di  legato  apostolico  nella 
Francia  e  nell'Alemagna,  dove  nel 
1124  gli  riuscì  stabilire  insieme 
coi  cardinali  Lamberto  vescovo 
Ostiense  e  sassone ,  come  lo  chia- 
ma il  Cardella,  del  titolo  di  s. 
Stefano  al  Monte  Celio,  la  tanto 
desiderata  pace  tra  il  sacerdozio 
e  1'  impero.  Mentre  soggiornava 
nelle  Gallie  volle  visitare  s.  Ste- 
fano di  Mureto  fondatore  dell'  or- 
dine di  Grandmont,  che  per  la  san- 
tità di  sua  vita  si  era  reso  celebre. 
Appose  la  sua  soscrizione  ad  una 
bolla  spedita  da  Calisto  II  a  fa- 
vore del  vescovo  di  Genova.  Inol- 
tre si  vuole  che  da  cardinale  scri- 
vesse un  dotto  commentario  sul 
sacro  libro  della  Cantica,  che  fu 
collocato  nella  biblioteca  del  mona- 
stero di  s.  Gallo  nella  Svizzera,  al 
dire  del  Cardella,  Memorie  istori- 
che    de  cardinali    t.  I,  par.     i,  p. 


INN 
200.     Essendo    morto    Onorio    II 
a'i4  febbraio    ii3o,  per  suo  con- 
siglio si  procedette  subito  all'elezio- 
ne di    lui    in    successore ,    siccome 
degnissimo    per     veneranda     canu- 
tezza, illibati  costumi,  mirabile  scien- 
za, affabilità  ed  eloquenza,  al  dire 
di   Arnaldo  abbate  in  vita  s.   Ber- 
nardi lib.   2,    cap.    1,  §    1,    Opere 
t.  Ili,  p.     1107,  ed  il  Surio  a'20 
agosto.  Tale   sollecitudine  neh'  ele- 
zione si  fece   ancora    ad    evitare  i 
maneggi  e  le  prepotenze  di  Pietro 
di  Leone  cardinale  potentissimo  in 
Pioma  per  ricchezze,  pei  fratelli  ed 
altre    parentele,    e  per    l'appoggio 
del  vescovo  Portuense,  ma  di  cor- 
rottissimi   costumi.     Alcuni    dicono 
che    sedici     o    diecinove    cardinali 
nella  notte  dello  stesso  giorno  del- 
la morte   di  Onorio  II    frettolosa- 
mente vestirono    delle  insegne  pa- 
pali   Gregorio  ;  altri  lo    dicono  e- 
letto  nel  d'i  seguente    i5    febbraio. 
Pu pugnando    egli  con  singoiar  fer- 
mezza, fu    dai    cardinali    costretto 
con  pena  di  scomunica  a  ricevere 
il  pontificato,  al  modo  narrato  da 
Arnolfo     Sagiense  ,     De    schismatc 
posi  Honorii  II  decessurn,  cap.  4» 
in  ter  Script,   rer.  Italie,  t.    Ili,  p. 
420.  Prese    il   nome    d' Innocenzo 
II,  fu  ordinato  prete  a'22,  giorno 
dedicato     alla     cattedra  di  s.    Pie- 
tro in  Antiochia,  e  consacrato  Pa- 
pa a'23  febbraio  nella  chiesa  di  s. 
Maria  Nuova.    Nello    stesso  giorno 
dell'elezione,  ovvero  tre  giorni  do- 
po, il  cardinal  Pietro    suscitò  con- 
tro di  lui  un  orribile  scisma,  e  ven- 
ne intronizzato  e  s'intruse  nel  pon- 
tificato  col    nome    di  Anacleto  II, 
pel  favore  de'suoi  numerosi  parti- 
giani, acconsentendovi    gran  molti- 
tudine   del    clero    e    del    popolo; 
laonde     Innocenzo     li      dalle     case 
Laterane     si    ritirò    dai    Frangi pa- 


I N  N 

ni  nemici  di  Anacleto  IT.  Fu  que- 
sto consacrato  pseudo-papa  in  s. 
Pietro,  e  per  mantenersi  nell'  u- 
surpato  trono  e  corrompere  i  ro- 
mani fedeli  al  vero  Pontefice,  spo- 
gliò le  chiese  di  R.oma  delle  cose 
preziose:  di  questo  antipapa  ne 
trattammo  nei  voi.  II,  p.  193,  e 
XXI,  p.    i3    del    Dizionario. 

Non  potendo  Innocenzo  II  resi- 
stere al  partito  dell'  antipapa,  vo- 
lendo rifugiarsi  in  Francia,  partì 
da  Roma,  ed  imbarcatosi  nel  Te- 
vere con  molti  de'suoi,  giunse  a 
Porto.  Dichiarò  Corrado  vescovo 
di  Sabina  suo  vicario  in  Roma. 
Indi  con  due  galere  per  mare  si 
portò  a  Pisa,  dove  si  trattenne 
buona  parte  del  ii3o.  Continuò 
il  suo  Tiaggio  per  Genova,  e  quin- 
di sbarcò  a  s.  Egidio  nella  Pro- 
venza; portossi  a  \  iviers,  a  Puy, 
e  fu  ricevuto  magnificamente  in 
Cluny,  donde  passò  a  Clermont  in 
cui  celebrò  un  concilio.  Nel  1 1 3 1 
andò  ad  Orleans,  presso  le  cui 
vicinanze  fu  incontrato  dal  re  di 
Francia  Luigi  VI,  il  quale  con 
tutta  la  reale  famiglia  rese  al  Pa- 
pa i  più  distinti  atti  di  riverenza. 
Successivamente  Innocenzo  II  fu 
a  Rouen  ed  a  Chartres  :  ivi  il  re 
d'  Inghilterra  Enrico  I  gli  prestò 
obbedienza.  Si  recò  in  Liegi  ove 
celebrò  un  concilio,  scomunicò  nuo- 
vamente 1'  antipapa ,  e  ricevette 
Lotario  II  re  de'  romani,  che  col- 
la sua  sposa  si  portò  a  riconoscer- 
lo e  fargli  omaggio.  Sulla  piazza 
della  cattedrale  il  re  andò  incontro 
al  Papa  ;  con  una  verga  faceva 
allargare  l' affollato  popolo,  men- 
tre coli'  altra  mano  sosteneva  la 
briglia  del .  cavallo  cavalcato  da 
Innocenzo  II,  cui  sostenne  nello 
smontare.  In  tale  occasione  il  re 
gli  domandò  la  ripristinazione  del- 
vol.  xxxv. 


INN  209 

l'investiture    ecclesiastiche,    ma    il 
Papa  ricusò  di   farlo,  solo  promet- 
tendogli  la    corona  imperiale  s'egli 
assumesse  la    difesa  della  Chiesa  e 
di    conservare    i    beni    della    santa 
Sede.   S.    Bernardo,  gran  sostenito- 
re della  legittimità  d'Innocenzo  II, 
essendo  presente,,   con  savie  e  forti 
ragioni   persuase  Lotario  II  di   non 
insistere  sulla  domanda  delle  inve- 
stiture, ed  a  contentarsi  di  quanto 
erasi   stabilito     tra    il   Papa  Calisto 
II  e    l'imperatore  Enrico    V.  Indi 
il  Papa    visitò  le    due  celebri  ab- 
bazie di    Chiaravalle    e  di  s.    Dio- 
nigio    dove  celebrò     la  Pasqua,  ed 
in   Parigi  ringraziò  il  re  di  quan- 
to operava  a  di   lui     vantaggio   nel 
soggiorno    del    suo  regno.    Passato 
a   Compiegne    vi    restò    parte    del 
ii3r,    donde    recossi    a   Reims    a 
celebrarvi  un  concilio.   In    esso  fu 
riconosciuta    canonica    la    sua  ele- 
zione, l'antipapa  ed  i   suoi  Seguaci 
furono    condannati  ;    inoltre    Inno- 
cenzo II   canonizzò  s.  Godardo  ve- 
scovo d'Hildesheim,    e  nei  Bollan- 
disli    ad    diem  4  ina  fi    p.  5oi,  si 
legge  la  storia   di    questa  canoniz- 
zazione.   Quivi    pure    il    Pontefice 
coronò     Luigi    VII     secondogenito 
di    Luigi  VI,    e     da  Reims  si    di- 
resse    per    1'  Italia  nella  primave- 
ra del    11 32,    dopo  aver  concedu- 
to a  s.   Bernardo  per  tutto  il  suo 
ordine  il  privilegio    di    non  essere 
obbligati  a    pagar    decime    ai    ve- 
scovi. Per  le  montagne  del   Geno* 
vesato  entrò    in    Lombardia,  e  fe- 
steggiata presso  la  città   d'  Asti  la 
Risurrezione    del    Signore,    a  Pia- 
cenza tenne   un  terzo  concilio.  Nel- 
le vicinanze  s'  incontrò    con  Lota- 
rio  II,   col  quale  si  stabilì  di  libe- 
rare  dalle    mani  dell'antipapa    la 
Chiesa    romana,    e    che    in    Roma 
l'avrebbe  coronato  imperatore.    A 
li 


aio  INN 

Viterbo  tornarono  ad  incontrarsi, 
e  per  la  Sabina  giunsero  nelle 
vicinanze  di  Roma.  Lotario  II  ac- 
campò il  suo  esercito  presso  s. 
Agnese  ,  ed  ivi  recossi  Tebaldo 
prefetto  di  Roma,  e  moltissima  no- 
biltà, laonde  senza  resistenza  vi 
entrò  col  Pontefice  il  primo  mag- 
gio. Innocenzo  II  pacificamente  a- 
bitò  il  palazzo  lateranense,  ed  il 
re  nel  Monte  Aventino ,  mentre 
l' antipapa  teneva  ancora  la  basi- 
lica vaticana  ed  il  Castel  s.  An- 
gelo. Intanto  i  genovesi  ed  i  pisa- 
ni ,  grati  ad  Innocenzo  II  per  a- 
verli  pacificati,  ed  eretto  Pisa  e 
Genova  in  sedi  arcivescovili,  colle 
loro  armate  navali  gli  sottomisero 
Civitavecchia  e  tutta  la  costa  ma- 
rittima. A' 4  g,ugn0  Innocenzo  II 
nella  basilica  lateranense  coronò 
colle  insegne  imperiali  Lotario  II, 
e  Riclienza  o  Ricliilta  sua  moglie; 
e  diede  al  primo,  suoi  figli  e  ge- 
nero Enrico  duca  di  Baviera  il 
patrimonio  della  contessa  Matilde, 
mediante  annuo  censo,  giuramen- 
to ed  omaggio  di  fedeltà,  per  es- 
sere feudo  alla  santa  Sede.  Però 
il  Borgia  nella  Difesa  del  dominio 
temporale  della  santa  Sede  a  p. 
79,  dice  soltanto  che  Innocenzo  II 
con  atto  solenne  entro  la  basilica 
lateranense  investì  dei  doni  di  Ma- 
tilde per  annulum  V  imperatore 
Lotario  II  ed  Agnese  sua  moglie, 
coli'  obbligo  del  censo  annuo  di 
cento  lire  d'argento,  ed  il  patto 
che  dopo  la  loro  morte  1'  uti- 
le dominio  investito  ritornasse  al- 
la Chiesa  romana.  Lotario  II  di 
tutto  ringraziò  il  Papa,  gli  baciò 
i  piedi  e  condusse  per  alcuni  pas- 
si la  mula  che  cavalcava. 

Per  la  scarsezza  de'  mezzi  di 
difesa,  per  essere  infestato  e  ber- 
sagliato dalle  fortezze  in  cui  si  era 


INN 
ritiralo  1'  antipapa,  e  per  evitare 
i  calori  estivi  perniciosi  all'  arma- 
ta, 1'  imperatore  partì  per  Pisa,  e 
lo  seguì  Innocenzo  11,  il  quale  vi 
restò  sino  alla  morte  di  Anacleto 
II.  Ivi  a'  22  aprile  1  1  34  canoniz- 
zò s.  Ugo  vescovo  di  Grenoble , 
ed  a'  3o  maggio  vi  convocò  il 
quarto  concilio,  concorrendovi  i 
vescovi  ed  abbati  non  solamente 
dell'  Italia,  ma  di  Francia  e  di 
Germania  con  1'  istesso  abbate  s. 
Bernardo,  essendovi  confermata  la 
scomunica  contro  1'  antipapa  e  i 
suoi  aderenti.  Pregato  s.  Bernardo 
dai  milanesi  d'  interporsi  col  Pa- 
pa, perchè  restituisse  loro  1'  onore 
di  metropoli,  furono  benignamen- 
te esauditi.  In  detto  anno  Inno- 
cenzo li  dispensò  Ramiro  sacer- 
dote e  monaco  di  prendere  mo- 
glie per  ottenere  il  regno  d'  A- 
ragona.  Intanto  avendo  il  Ponte- 
fice pregato  d'  aiuto  1'  imperatore 
già  tornato  in  Germania,  esso  ri- 
passò prontamente  le  Alpi  con  for- 
midabile esercito,  e  nel  marzo  del 
11 37  si  fece  vedere  sotto  le  mura 
di  Roma,  dopo  avere  in  Viterbo 
riveduto  Innocenzo  II.  Sebbene 
avesse  questi  ricuperato  la  Campa- 
gna ed  Albano,  per  timore  delle 
insidie  de'  fautori  dell'  antipapa, 
si  recò  a  Benevento,  dove  celebrò 
coli'  imperatore  la  festa  di  Pente- 
coste. Inoltre  passò  il  santo  Padre 
in  Avellino,  ove  con  Lotario  II 
contrastò  sul  diritto  di  creare  il 
duca  di  Puglia,  che  finalmente  fu 
aggiudicato  al  Papa.  Ritornati  a 
Ruma  Innocenzo  II  e  1'  imperato- 
re, superali  gli  ostacoli,  vi  entraro- 
no come  trionfanti,  assistiti  dai 
Frangipani,,  e  da  quasi  tutta  la 
nobiltà  e  popolo  romano,  nello  sles- 
soanno  1  1  37 .  Innocenzo  II  ricupe- 
rò il  possesso    della    basilica    vati- 


INN 
caria,  e  si  pose  con  tutta  quiete 
a  governare  la  Chiesa  di  Dio,  che 
nel  il 38  verso  li  ?5  gennaio  fu 
liberata  dalle  molestie  dell'  antipa- 
pa, perchè  mori  di  dolore  in  ve- 
dersi abbandonato  da  tutti,  sco- 
municato e  maledetto,  terminando 
così -di  più  travagliare  il  cristia- 
nesimo. Non  fu  perciò  terminato 
lo  scisma,  dappoiché  i  fratelli  del 
defunto  spalleggiati  da  Ruggiero 
duca  o  re  di  Sicilia,  e  per  consi- 
glio di  questi  fecero  antipapa  col 
nome  di  Vittore  IV  il  cardinal 
Gregorio  Conti,  il  quale  era  stato 
legato  dell'  antipapa  alla  corona- 
zione di  Ruggiero  in  Palermo. 
Tuttavolta  crescendo  il  partito  di 
Innocenzo  II,  i  fratelli  di  Anacleto 
li,  per  non  restale  soli  scomuni- 
cati ed  esposti  agli  insulti  de'  ro- 
mani, si  umiliarono  al  Papa  giu- 
randogli fedeltà.  Riuscì  ancora  a 
s.  Rernardo  d'  indurre  il  falso 
Pontefice  a  detestare  lo  scisma, 
umiliarsi  ad  Innocenzo  lì,  e  de- 
porre le  insegne  papali,  il  che  fe- 
ce ottenendo  benignamente  il  per- 
dono a'2g  maggio  i  1 38.  Così  fi- 
nì lo  scisma  crudele  che  per  ot- 
t'  anni  avea  lacerato  la  Chiesa. 
Veggasi  s.  Rernardo,  Semi.  24  "1 
Cantica  §  1,  e  neh*  episl.  3 1 7; 
Fulcone  Beneventano  in  Chron. 
ad  an.  11 38,  p.  126.  Inoltre  di 
questo  scisma  tratta  il  p.  Mabil- 
lon,  Praefat.  in  novanti  edit.  s. 
Bernardi  §  4- 

Profittando  Innocenzo  II  della 
pace,  agli  8  aprile  t  i  3c>  cominciò 
il  concilio  generale  Lateranense  li, 
coli'  intervento  di  circa  mille  ve- 
scovi. In  questo  si  annullarono  gli 
atti  di  Anacleto  Il-r  fu  scomunica- 
to Ruggiero  re  di  Sicilia  ;  si  con- 
dannò Pietro  di  Bruii,  Arnaldo 
da    Brescia    e    loro    seguaci  ;  e  *i 


INN  211 

fecero  vari  decreti  per  riordinare 
la  disciplina  ecclesiastica  assai  ri- 
lassata. Inoltre  il  Papa  canonizzò 
s.  Sturmio  primo  abbate  di  Ful- 
da :  in  altri  tempi  canonizzò  s. 
Petronio  vescovo  e  s.  Giusto  ve- 
scovo. Dopo  il  concilio,  Innocenzo 
II  facendo  guerra  a  Ruggiero  du- 
ca' di  Sicilia,  che  dopo  morto  ai 
3o  aprile  ii3c)  Rainolfo  duca  di 
Puglia  feudatario  della  Chiesa  ro- 
mana, erasi  impadronito  della  Pu- 
glia, lo  assediò  in  Galluccio.  So- 
pravvenuto Guglielmo  duca  di  Ca- 
labria suo  figlio,  con  insidie  fece 
prigioni  il  Papa  con  tutti  i  cardi- 
nali eh'  erano  nel  campo  presso 
Monte  Cassino.  Ruggiero  con  lode- 
vole moderazione  li  trattò  onorifi- 
camente, e  li  lasciò  liberi  ottenen- 
do molti  vantaggi.  Innocenzo  II 
lo  riconobbe  ed  onorò  del  titolo 
di  re  di  Sicilia,  titolo  che  incom- 
petentemente  gli  avea  dato  Ana- 
cleto II,  e  lo  investì  del  regno  delle 
due  Sicilie  col  gonfalone.  Il  re  coi 
suoi  figli  si  prostrarono  a'piedi 
del  Pontefice,  chiesero  perdono  e 
furono  assolti;  indi  accompagnarono 
con  molto  onore  il  Papa  sino  a 
Benevento,  ove  venne  atterrato  il 
castello  costrutto  da  Roscemando 
arcivescovo  di  quella  città,  nuo- 
vamente deposto  come  fatto  da 
Anacleto  II.  Nel  1  i4o  con  la  co- 
stituzione Testante  apostolo,  presso 
il  Bull.  Rom.  t.  II,  p.  i5o,  Inno- 
cenzo II  condannò  gli  errori  di 
Pietro  Abelardo,  già  condannati 
nel  medesimo  anno  dal  concilio  di 
Sens.  Ebbe  luogo  un'apparente  ri- 
conciliazione tra  i  latini  ed  i  greci,  ' 
ma  che  poco  durò  per  la  guerra 
che  l'imperatore  Giovanni  Comne- 
no  mosse  ai  latini  d'oriente.  Nel 
1  1 4-' »  nata  discordia  tra  il  Ponte- 
fice   e  Luigi  VII  re  di  Francia,  a 


212  INN 

cagione  dell'arcivescovo  di  Bourges, 
Innocenzo  II  fulminò  l'interdetto 
contro  il  regno.  In  quest'  anno  si 
ribellarono  i  romani  ripristinando 
nel  primiero  onore  ed  autorità  il 
senato  ;  indi  avendo  terminata  la 
guerra  coi  tivolesi,  ad  onta  della 
pace  fatta  vollero  rientrare  in  cam- 
pagna con  dispiacere  del  Pontefi- 
ce, che  ne  morì  a'  24  settembre 
ii43.  Governò  tredici  anni,  sette 
mesi  e  nove  giorni,  ne'quali  creò 
in  sei  promozioni  quarantanove 
cardinali,  oltre  altri  sedici  cardi- 
nali creati  in  tempi  diversi,  secon- 
do il  Cardella.  Dettò  quarantatre 
decretali ,  oltre  cinque  altre  ri- 
guardanti la  chiesa  d'  Alemagna, 
e  due  altre  quella  di  Angers.  Fu 
sepolto  in  s.  Giovanni  in  Laterano, 
e  quindi  dopo  sette  anni  trasfe- 
rito nella  chiesa  di  s.  Maria  in 
Trastevere,  che  a  proprie  spese 
avea  cominciato  a  rinnovare  dai 
fondamenti  ornando  la  tribuna  di 
mosaici.  La  sua  vita  fu  scritta  dal 
p.  Giovanni  de  Lannes,  nelP  Ili- 
sloire  du  Pontificai  du  Pape  In- 
nocent  II.  Paris  1741-  Vacò  la 
sede  romana  tre  giorni. 

INNOCENZO  III,  P.  CLXXXIII. 
Lotario  o  Giovanni  Lotario  nac- 
que verso  l'anno  1  160  o  1161 
in  Anagni,  da  Trasmondo  o  Tra- 
simondo  Conti  di  Segni,  e  da 
Clarina  o  Clarice  della  nobile  e 
senatoria  famiglia  che  vantava  po- 
tenti amicizie  ed  illustri  parentele, 
ma  emula  della  famiglia  cospicua 
dei  Bobi  o  Bobò,  ramo  della  poten- 
te stirpe  degli  Orsini,  della  quale  fu 
Celestino  III,  immediato  predeces- 
sore d'Innocenzo  III, chiamato  prima 
Giacinto  Bobò -Orsini  romano.  I 
Conti  furono  per  più.  secoli  anno- 
verati fra  le  più.  illustri  famiglie 
dell'Italia    meridionale,    e  il  nome 


INN 

di    Trasmondi  che   questa  famiglia 
in  antico    portava,    diede    cagione 
ad  alcuni  biografi  di  far  salire  l'o- 
rigine   sua    fino    a     Trasmondo    I 
conte  di    Capua,    che  nel  663    fu 
fatto  duca  di  Spoleto  da  Grimoal- 
do  re  de'  longobardi,    che  gli  avea 
dato    per  moglie   la  propria  figlia. 
Dopo  avere  circa  quarantanni   go- 
vernato il  ducato,  si  ritirò  nel  suo 
monastero  di   Farfa,  e  gli  successe 
il  suo    figlio    Faroaldo.  Nelle    due 
versioni  stampate  a  Milano,  di  cui 
parleremo    in    fine,    della    celebre 
Storia    d' Innocenzo    III    del  eh. 
Hurter,     tanto   si     legge.    Ma    nel 
Compendio   storico  genealogico  del- 
la  patrizia  famiglia    Trasmondo, 
Roma    i832,    per    Giuseppe  Bran- 
cadoro,  a  p.  %i    si    dice  che  Tras- 
mondo   mori     nel   703    compianto 
dai   suoi    popoli,  senza    farsi    men- 
zione del  suo  ritiramento  nel   mo- 
nastero, Bensì  narrasi  che    Faroal- 
do fu  grandemente  benemerito  del- 
le abbazie    di    Farfa    e  di  Feren- 
tdlo,  al    modo    che    dicemmo    già. 
a    quegli    articoli,  e    che    ritiratosi 
nella  prima  ne    divenne  abbate,  e 
morì   santamente  nel   728,  lascian- 
do il  suo  figlio  Trasmondo  o  Tra- 
simondo  II,  che  sino  dal    724  gli 
era  successo  nel  ducato.  Dipoi  uno 
de'  suoi  discendenti,    i    quali  erano 
conti  di    Chieli,    Penna    e    Marsi, 
possedeva  anche  al  tempo  dell'im- 
peratore    Ottone     I     il     medesimo 
ducato    di   .Spoleto.     Atto,  fratello 
di    luij  per    mézzo  del     suo     figlio 
Lotario  vuoisi    avolo  di  Crescenzio 
fatto  prefetto  di  Roma    nel    io  ir. 
Questi,     figlio  di    Berardo     seniore 
conte  di  Marsi,  è   diverso  da  Cre- 
scenzio Nomentano,    e  da  Crescen- 
zio  conte    di    Sabina     morto     nel 
io  io.  Quindi   si  dice  che  il   di  lui 
figlio    Trasmondo,    che    secondo  il 


INN 

citato  Compendio  sarebbe  stato  si- 
gnore di  molti  feudi,  di  Anagni, 
Segni  e  Ferentino,  fu  padre  d' un 
altro  Trasmondo  donde  usci  il 
nostro  Lotario.  Ad  onta  dell'oscu- 
rità cbe  domina  in  questa  genealo- 
gia e  sull'origine  vera  della  fami- 
glia Conti,  che  altri  fanno  deri- 
vare dall'antica  romana  Anicia  os- 
sia Ottaviana,  certo  è  che  dessa 
risale  ad  epoca  remota  e  che  i 
proavi  di  Lotario  poi  Innocenzo 
III  esercitarono  la  dignità  ed  uffi* 
zio  di  Conte  (Vedi),  ora  in  Roma, 
ora  nel  Tuscolo,  ora  in  Segni  ed 
Anagni  ed  altri  luoghi  vicini  alla 
capitale  del  cristianesimo.  Forse 
ebbero  in  principio  questo  nome 
dalla  stessa  dignità  di  cui  furono 
più  spesso  che  gli  altri  onorati,  o 
fors'anco  dal  luogo  di  loro  dimora, 
o  dall'essere  vicine  a  queste  le  lo- 
ro terre;  col  tempo  poi  questo  so- 
prannome divenne  il  nome  assolu- 
to della  famiglia.  Su  questo  punto 
sono  a  vedersi  gli  articoli  Co>ti 
Famiglia  ,  e  Frascati  succeduta 
all'antico  Tuscolo.  A  detto  articolo 
Comi  parlammo  dell'origine  di  que- 
sta celebre  e  nobilissima  famiglia, 
che  nel  principio  del  secolo  XIII 
eguagliò  in  reputazione  e  potere 
le  romane  potenti  dei  Colonuesi, 
Orsini,  Frangipani,  Savelli,  ed  al- 
tre primarie.  Si  disse  ancora  dei 
due  rami  principali  di  Segni  e 
Valinontone  e  de'  signori  di  Poli 
come  diretti  discendenti  da  Inno- 
cenzo III;  delle  beneficenze  fatte 
dal  Papa  ai  suoi  congiunti ,  di 
quelli  che  creò  cardinali,  di  Ric- 
cardo ed  altri  suoi  fratelli  e  ni- 
poti ;  delle  famose  torri  edificate  in 
Roma,  dei  feudi  conferiti  od  acqui- 
stati dalla  famiglia  ,  dei  grandi 
uomini  boriti  in  essa  per  virtù, 
santità,    dottrina,    Papi,    cardinali, 


INN  2i3 

valorosi  ed  eccellenti  guerrieri  e 
dignitari;  delle  cospicue  parentele 
contratte  dai  Conti  anche  con  case 
sovrane,  della  loro  grandezza,  po- 
tenza e  splendore  ;  e  dicemmo  pu- 
re quanto  altro  può  appartenergli. 
Estintasi  la  famiglia  Conti  nel 
1811,  i  Ruspoli  principi  di  Cer- 
veteri,  e  gli  Sforza-Cesarini  duchi 
di  Marsi  ne  ereditarono  i  posse- 
dimenti, alcuni  de' quali  per  com- 
prila e  per  matrimonio  sono  pas- 
sati nella  principesca  famiglia  Tor- 
lonia.  Le  prerogative  ed  il  titolo 
di  duca  di  Segni  sono  riunite  nel 
duca  d.  Francesco  Sforza-Cesarini 
figlio  del  duca  d.  Lorenzo,  il  qua- 
le gode  il  cognome,  le  insegne  e 
le  onorificenze  della  famiglia  Con- 
ti, tranne  la  dignità  di  Maestro 
del  sacro  ospizio  passala  nei  prin- 
cipi Ruspoli,  ed  ora  n'  è  insignito 
il  principe  d.  Giovanni.  Inoltre 
della  illustre  famiglia  Conti  se  ne 
tratta  in  parecchi  analoghi  artico- 
li di  questo  mio  Dizionario.  Il  eh. 
conte  Litta  ne  fece  la  storia  nella 
sua  opera  delle  Famiglie  celebri 
italiane.  Non  è  vero  che  1'  inter- 
nunzio  della  Svizzera  Gizzi,  ed  il 
nunzio  Ostini,  ora  amplissimi  car- 
dinali, sieno  autori  di  due  scritti 
sulla  storia  della  famiglia  Conti. 
Richiesti  ambedue  dal  eh.  Hurter 
di  notizie  su  tal  famiglia,  il  primo 
solo  le  procurò  da  Roma,  il  se- 
condo fece  altrettanto  con  Nicolò 
Ratti  autore  della  Storia  della  fa- 
miglia Sforza,  opera  che  studiam- 
mo nella  compilazione  del  citato 
articolo  Coxti. 

Trasmondo  0  Trasimondo  ebbe 
da  Clarice  cinque  figli,  una  fem- 
mina maritata  a  Pietro  Anuibal- 
di,  della  quale  potentissima  fami- 
glia parlammo  altrove,  come  pu- 
re   nel  volume  XXVI t,    pag.    i^t 


ai4  1NN 

e  seg.  del  Dizionario,  e  quat- 
tro maschi ,  cioè  Riccardo  ,  Pie- 
tro morto  nel  iaia,  Tommaso 
conte  di  Celano,  e  Giovanni  Lo- 
tario, o  Lotario  perchè  l'antinome 
«li  Giovanni  da  alcuni  viene  escluso. 
Quest'ultimo  nacque  nel  pontifica- 
lo di  Alessandro  III,  il  quale  da 
cardinale  nella  dieta  di  Besancon 
avea  proposta  la  famosa  questione  : 
«  E  da  chi  mai  l'imperatore  ri- 
conosce l'impero  se  non  dal  Papa"? 
All'articolo  Imperatore  {Vedi)  di- 
mostrammo che  questi  riconosceva 
con  giuramento  la  corona  e  l'im- 
pero dal  sommo  Pontefice.  L'epo- 
ca adunque  in  cui  nacque  Lotario 
era  fatale  per  lo  scisma  sostenuto 
dall'antipapa  Vittore  V  e  da  Fe- 
derico I,  alla  Chiesa  e  particolar- 
mente all'  Italia  ed  alla  Germania, 
vigendo  appunto  la  questione  se 
V  impero  avesse  diritto  di  sovrani- 
tà o  solo  di  patrocinio  sulla  Chie- 
sa. Alessandro  111  e  Federico  I, 
rappresentanti  la  Chiesa  e  l'Impe- 
ro, animati  da  incomparabile  co- 
raggio operavano  ciascuno  pel  pro- 
prio trionfo:  vinse  il  Papa,  e  l'im- 
peratore, il  più  poleute  degli  Ho- 
henslaufen,  nel  i  177  giurò  in  Ve- 
nezia pace  con  la  Chiesa,  e  di  ri* 
spettare  l'integrità  de' suoi  diritti. 
Sortì  Lotario  dalla  natura  una  fe- 
licissima memoria,  accompagnata  da 
tale  acutezza  e  penetrazione  d  in- 
gegno, che  non  solo  divenne  dot- 
tissimo nella  sacra  e  profana  let- 
teratura, ma  oltre  a  ciò  riuscì  fa- 
moso nella  scienza  delle  leggi,  e  as- 
sai eloquente.  I  primi  suoi  studi 
li  fece  in  Roma,  e  nella  scuola  di 
s.  Giovanni  in  Laterano,  per  cui  il 
Pennollo,  Tot.  orci.  cler.  can.  histor. 
tri  pari.  lih.  3,  cap.  i2,§  6,  dice  che 
ivi  fu  fatto  canonico  regolare  latera- 
ncnse    da    fanciullo ,    ovvero  nella 


INN 
scuola  di  s.  Pietro  in  Vaticano  i 
cui  canonici  conducevano  vita  clau- 
strale, od  anche  in  ambedue  ter- 
minò la  sua  educazione  elementa- 
re. Che  ancor  lui  fu  poi  canonico 
di  s.  Pietro,  egli  stesso  lo  attesta 
nella  sua  bolla  che  da  Papa  di- 
resse al  capitolo,  che  tanto  favorì» 
Cum  in  lege  veteri,  presso  il  Bull. 
tom.  III,  par.  I,  pag.  7.  Uno  dei 
suoi  maestri,  Pietro  Ismaele,  appe- 
na esaltato  al  pontificato  fece  ve- 
scovo di  Sutri.  Cresciuto  in  età,  e 
fatto  capace  a  ricevere  più  ampia 
istruzione,  verso  il  1  1  80  si  condusse 
a  Parigi,  città  già  famosa  pe'  mae- 
stri che  vi  professavano  gli  elementi 
di  tutte  le  umane  cognizioni,  e  le 
scienze  di  quel  tempo  comprese 
sotto  il  nome  di  arti  liberali;  più 
tardi  poi  anche  tutte  le  altre  scien- 
ze vi  furono  introdotte  e  coltivate 
con  amore,  oud'  è  che  ivi  accorre- 
vano quanti  amavano  rendersi  pro- 
fondi in  ogni  dottrina ,  massime 
nella  teologia,  pel  grido  che  gode- 
va di  eccellente  la  sua  università 
della  Sorbona,  i  cui  professori  ve- 
nivano consultati  nelle  più  impor- 
tanti questioni  teologiche  e  morali. 
In  Parigi  Lotario  ascoltò  di  pre- 
ferenza le  lezioni  di  Pietro  cantore 
della  cattedrale,  e  più  ancora  quelle 
di  Pietro  di  Corbeil  cui  si  mostrò 
gratissimo  con  dignità  e  benefizi, 
come  pure  ebbe  per  tutta  la  vita 
lieta  e  riconoscente  memoria  del 
tempo  da  lui  passato  in  Francia  , 
e  prese  sotto  la  sua  speciale  pro- 
tezione V  università  di  Parigi,  cui 
concesse  parecchi  privilegi.  Dopo 
essersi  recato  in  Inghilterra  a  ve- 
nerare le  reliquie  di  s.  Tommaso 
di  Gantorbery,  Lotario  passò  a  Bo- 
logna dove  da  gran  tempo  fiori- 
vano le  scuole  di  giurisprudenza , 
e  dove  grande  era    il  concorso  da 


INN 
tutta  I*  Italia  e  dai  lontani  paesi. 
I  professori  di  quella  celebre  uni- 
versità più  diletti  a  Lotario  furono 
Giovanni  Bassiano  e  Uguccione  da 
Ferrara,  l'ultimo  de' quali,  che  fu 
vescovo,  onorò  poi  di  particolar  af- 
fezione, e  spesso  richiese  di  consi- 
glio; distinse  pure  Bernardo  Balbi 
detto  Circa,  indi  promosso  a  vesco- 
vo di   Pavia. 

Ignorasi  quanti  anni  Lotario  fre- 
quentasse le  due  università  di  Pa- 
rigi e  di  Bologna,  ben  vedesi  però 
da'  suoi  scritti,  che  rendono  testi- 
monianza del  suo  sapere  in  divi- 
nità, come  altresì  dalle  molteplici 
sue  provisioni,  decisioni  e  risposte, 
le  quali  attestano  la  sua  dottrina 
in  diritto  canonico,  che  i  professori 
delle  due  città  trovar  dovettero  in 
lui  un  allievo  che  sapeva  con  giu- 
dizio raccogliere  le  loro  lezioni  , 
far  suoi  i  tesori  della  loro  erudi- 
zione, per  quindi  applicarla  più 
variamente  che  mai  in  tutte  le  cose 
de'l'ampio  ed  alto  suo  ministero. 
Dar  dunque  gli  si  può  a  giusta 
ragione  il  titolo  di  maestro,  o  guar- 
disi alla  sua  dottrina  in  diritto 
canonico,  o  alla  sua  erudizione  teo- 
logica ,  se  pur  non  vogliasi  am- 
mettere eh'  egli  occupasse  qualche 
pubblica  cattedra  in  Parigi  o  in 
Bologna.  Ornato  della  dignità  di 
dottore,  con  tale  istruzione  che  as- 
sicurar gli  poteva  un  rapido  avan- 
zamento nella  carriera  cui  stava 
per  principiare,  procurandosi  l'amor 
di  lutti  per  l'amenità  de'  suoi  mo- 
di ,  Lotario  tornò  in  Roma  per  ivi 
ricevere  gli  ordini  sacri  e  dedicarsi 
agli  uffizi  ecclesiastici  ed  alle  in- 
cumbenze  che  si  riferissero  agl'in* 
teressi  della  Chiesa  universale.  Ri- 
cevuti i  primi  ordini,  ottenne  quiu- 
di  il  memorato  canonicato  di  s. 
Pietro,  e  per  la  protezione  de*  suoi 


llfW  *i5 

zìi  ed  altri  parenti,  fra'  quali  erano 
i  tre  illustri  cardinali  Paolo  o  Pao- 
lino de'  ss.  Sergio  e  Bacco,  forse 
fratello  della  madre ,  Ottaviano 
Conti  degli  antichi  signori  di  Poli 
vescovo  d'Ostia ,  e  Giovanni  di  s. 
Marco  suo  zio  dal  canto  di  padre, 
potè  facilmente  pervenire  vicino  alla 
persona  del  capo  della  Chiesa  Lucio 
HI,  avendo  allora  ventiquattr'anni 
di  età.  Facendo  il  Papa  stima  delle 
cognizioni  e  della  precoce  sagacità 
del  giovine,  lo  fece  entrare  negli 
affari  della  santa  Sede.  Dopo  la 
morte  di  Lucio  III,  ed  il  breve 
pontificato  di  Urbano  III,  Gregorio 
VIII  che  a  questi  successe,  nei 
pochi  giorni  che  regnò  conferì  il 
suddiaconato  a  Lotario.  Nel  1187 
il  di  lui  zio  per  canto  materno , 
Clemente  III  Scolari  romano,  fu 
collocato  sulla  veneranda  cattedra 
apostolica,  che  nella  terza  promo- 
zione fatta  in  Roma  nel  settembre 
1  190,  creò  il  nipote  Lotario  car- 
dinale dell'ordine  de'  diaconi,  allora 
di  ventinove  o  trent' anni,  e  per 
diaconia  gli  conferì  la  chiesa  de' ss. 
Sergio  e  Bacco  già  da  lui  occupata 
nel  cardinalato.  Il  Cardella  nelle 
Memorie  storiche  de'  cardinali,  1. 1, 
par.  II,  pag.  172,  avverte  che  al- 
cuni dissero  essere  stato  Lotario 
fatto  cardinale  dell'ordine  de*  preti 
col  titolo  di  s.  Pudenziana,  ma 
essere  vero  che  in  una  bolla  di 
Celestino  III  del  1  ig3,  Lotario  si 
trova  sottoscritto  cardinale  diacono 
di  s.  Giorgio  in  Velabro,  che  pos- 
sedeva fino  dal  ligi.  La  sua  pro- 
mozione riuscì  di  generale  gradi- 
mento, e  parecchi  già  gli  prono- 
sticarono il  pontificato.  Tosto  ri- 
volse le  cure  alla  sua  chiesa  ,  ne 
ristorò  i  muri  ed  il  tetto,  e  prov- 
vide al  suo  interno  abbellimento. 
Fregiato  di  et  eminente  dignità. 


2i6  INN 

subito  gli  furono  affidati  molti  af- 
fari, ne'  quali  pigliò  quell'abitudine 
a  lavorare,  e  acquistò  quella  facili- 
tà, che  in  progresso  di  tempo  gli 
furono  di  tanto  vantaggio.  Questa 
pratica  negli  affari  gli  fruttò  anco- 
ra la  conoscenza  dei  personaggi  co- 
spicui di  tutti  i  regni  cristiani,  e 
fu  per  esso  cagione  di  nuove  ami- 
cizie, alle  quali  rimase  fedele  anco 
sul  soglio  pontifìcio.  Morto  nel  1 1 91 
Clemente  III,  gli  fu  dato  in  suc- 
cessore il  vecchio,  benigno  e  pru- 
dente cardinal  Giaciuto  Bobò-Or- 
sini  romano,  che  prese  il  nome  di 
Celestino  III.  Nel  suo  pontificato, 
a  cagione  delle  succennate  differen- 
ze tra  le  famiglie  dei  Bobò  e  dei 
Conti,  pare  che  Lotario  avesse  mi- 
nor parte  negli  affari  della  Chiesa; 
laonde  si  suppone  che  il  cardinale 
non  restasse  fermo  stabilmente  in 
Roma,  ma  passasse  ad  abitar  le 
case  di  sua  famiglia  e  patria  iu 
Aiiagui  o  nei  suoi  dintorni,  dove 
incontrò  stretta  amicizia  col  cano- 
nico d'Anagni  Alberto  Longhi,  nel- 
l'intimità del  quale,  dopo  di  aver- 
lo promosso  al  vescovato  di  Feren- 
tino, attinse  la  posatezza  e  le  for- 
ze necessarie  a  compiere  i  doveri 
suoi  di  Pontefice  sommo.  Nel  tem- 
po che  era  Papa  per  più  anni  si 
recò  nell'estate  a  Ferentino,  e  nel- 
l'anno 1208  vi  soggiornò  per  be- 
ne un  mese  e  mezzo.  Della  dimo- 
va sua  in  Ferentino  ne  parlammo 
nel  voi.  XXIII,  pag.  29,5  e  298 
del  Dizionario.  In  questo  tempo  il 
cardinale  fu  preso  da  umore  me- 
lanconico, sotto  l'influsso  del  qua- 
le compose  il  suo  libro:  Delle  li- 
mane miserie,  o  del  disprezzo  del 
mondo,  che  dedicò  al  vescovo  di 
Porto.  L'opera  sua  sulle  diverse 
specie  di  matrimonio,  De  quadri- 
parlila    specie   nupliaruin,    non    è 


INN 
sino  a  noi  pervenuta,  quando  pur 
non  sia,  come  i  suoi  dialoghi,  se- 
polta nella  biblioteca  di  qualche 
monastero.  Agli  ozii  suoi  giovanili 
si  possono  attribuire  due  inni  in 
onore  di  Gesù  Cristo  e  della  Bea- 
ta Vergine.  Dice  il  Navaes  nella 
sua  vita,  credesi  aver  Innocenzo  III 
ordinato  che  nelle  messe  si  dicesse 
in  certo  tempo  la  seconda  orazio- 
ne: A  cunctis,  da  lui  composta,  co- 
me afferma  il  Lambertini,  De  sa- 
cri/, inissae  sect.  1,  n.  1  io,  p.  5i; 
siccome  ancora  da  lui  furono  com- 
posti l'inno  Slabat  Maler  {Vedi), 
che  altri  attribuiscono  al  b.  Jaco- 
bono  ,  l'inno  Ave  mandi  spts  Ma- 
ria, e  la  sequenza  Veni  sanctae 
Spirilus,  della  quale  il  Lenglet, 
Compendio  della  storia,  toni.  V, 
pag.  1 4-7»  ea<  altri,  fanno  autore 
Roberto  II  re  di  Francia,  mentre 
altri  con  Platina  in  vita  Gregorii 
V ',  credono  che  la  composizione 
del  monarca  francese  sia  il  Sancti 
Spiritus  adsit  nobis  grada. 

Con  la  morte  di  Guglielmo  II 
il  Buono  re  di  Napoli  e  della  Si- 
c\\\a,  e  con  quella  di  Federico  I, 
il  figlio  di  questi  Enrico  VI  di- 
venne pretendente  al  regno  di  Si- 
cilia, ed  imperatore;  di  questa  se- 
conda dignità  ne  ricevette  la  coro- 
nazione in  un  con  Costanza  sua 
moglie  dal  Papa  Celestino  HI.  Le 
ragioni  che  portarono  poi  Euri- 
co VI  sul  trono  delle  due  Sicilie, 
le  ripetè  da  Costanza  figlia  di  Rug- 
giero II,  zia  di  Guglielmo  II,  ed 
ultimo  rampollo  legittimo  della 
famiglia  de'Normanni.  Non  avendo 
Guglielmo  II  lasciato  né  prole  né 
testamento,  secondo  il  diritto  feuda- 
le il  reame  era  devoluto  allasanta  Se- 
de suprema  signora  del  medesimo, 
per  l'estinzione  della  linea  da  lei  in- 
vestita.  Insorsero    parecchi   compe- 


1 H  N 

titoli  iil  trono,  ma  ne  ottenne  la 
preferenza  Tancredi  conte  di  Lec- 
c«,  figlio  naturale  di  Ruggiero  li, 
il  quale  superate  le  poche  truppe 
mandate  dall' imperatore,  estese  il 
suo  dominio  su  tutto  il  regno.  Pre- 
scindendo anche  dai  suoi  diritti 
sulla  Sicilia  e  sulle  siguorie  dell'I- 
talia inferiore,  la  santa  Setle  non 
poteva  veder  di  huon  occhio  che 
quel  reame  cadesse  in  mano  della 
casa  imperiale  di  Hohenstaufen,  che 
già  troppo  l'adombrava  per  la  pos- 
sanza sua  nell'Italia  superiore,  per- 
che  tutti  i  tentativi  de'Papi  da  Ales- 
sandro li  in  poi  non  erano  potuti 
riuscire  a  sforzare  gli  Hohenstaufen 
alla  rinunzia  de'  beni  donati  alla 
Chiesa  dalla  gran  Conlessa  Ma- 
tilde [Vedi),  ciò  che  trattammo 
ancora  all'  articolo  Garfagiya.va,  e 
ad  altri.  Se  dunque  Enrico  VI 
capo  degli  Hohenstaufen  fosse  per- 
venuto ad  unir  le  terre  normanne 
a  queste  provincie,  Roma  si  sa^ 
rebbe  trovata  circondata  dalle  sue 
possessioni,  ed  allora  egli  avrebbe 
forse  potuto  far  valere  le  sue  pre- 
tensioni sulla  metropoli  della  cri- 
stianità, senza  che  ci  fosse  più  in 
Italia  un  sol  potentato  capace  ad 
opporsegli;  e  bastato  sarebbe  un 
colpo  solo  di  spada  ad  abbattere 
quel  gigantesco  edilìzio  già  reso  sì 
saldo  dalla  sagacità ,  vasta  mente, 
ardimento  e  perseveranza  di  s. 
Gregorio  VII  (f  edi),  e  terminato 
dalla  solerzia  e  prudenza  de'degni 
suoi  successori.  A  quell'articolo  al- 
quanto diffuso  mi  sono  allontana- 
to dalla  brevità  e  dal  sistema  com- 
pendioso delle  biografie  de'  Papi  , 
nou  solo  pel  complesso  delle  cir- 
costanze che  forse  in  ni  un  altro 
Pontefice  si  riuniscono,  e  perciò 
necessario  rilevarli;  a  schiarimento 
dei  tanti  gravi    ed    importanti     ar- 


I N  N  217 

ticoli  che  vi  hanno  relazione,  ma 
ancora  per  una  speciale  ammira- 
zione e  tenera  venerazione  che 
m'ispirarono  l'eroismo,  la  magnani- 
mità, l'animo  grande,  l'ardente  ze- 
lo a  favore  della  santa  Sede  e 
della  giustizia,  nou  che  la  dottrina 
e  la  santità  di  s.  Gregorio  VII, 
Mi  congratulo  quindi  con  me  stes- 
so, mi  gode  1'  animo  e  si  riempie 
di  religioso  tripudio  in  leggere 
soltanto  adesso  che  il  celebre  e 
dottissimo  Hurter  biografo  d  Inno- 
cenzo III,  all'incominciar  della  sua 
gloriosa  carriera  letteraria,  traen- 
dolo  l'inclinazione  verso  il  medio 
evo,  ebbe  un  momento  il  pensie- 
ro di  difendere  il  prediletto  degli 
anni  suoi  giovanili  s.  Gregorio 
VII,  contro  le  calunnie  e  le  bu- 
giarde relazioni  degli  scrittori,  e 
che  a  questo  pensiero  quello  suc- 
cedette di  scrivere  la  storia  d'  In- 
nocenzo III.  Il  eh.  Giovanni  Voigt 
ebbe  eguale  trasporto  e  tendenza, 
e  la  pose  meravigliosamente  ad 
effetto  colla  tanto  e  mai  abba- 
stanza lodata  sua  Storia  di  Papa 
Gregorio  F II  e  de  suoi  contempo- 
ranci,  da  lui  pubblicata  nel  i8i5. 
Ben  a  ragione  scrisse  il  can.  Jager, 
traduttore  erudito  di  tale  storia,  que- 
ste memorabili  parole.  »  Nella  sto- 
ria della  Cbiesa  Voigt  e  Hurter 
hanno  colti  i  primi  allori.  Spo- 
gliando questi  il  principal  pregiu- 
dizio della  loro  setta ,  eressero 
due  grandi  monumenti  alla  glo- 
ria della  santa  Sede;  con  infinita 
vergogna  di  tutti  noi,  i  quali,  nel 
mentre  ripuliamo  nostra  gloria  il 
chiamarci  cattolici,  lasciamo  che 
sorgano  in  nostra  vece  a  rendere 
omaggio  al  Pontefice  i  protestan- 
ti ".  In  questo  articolo  profitterò 
principalmente  dell'  encomialo  bio- 
grafo cou  un  sunto  della  sua  gran- 


ii8  INN 

diosa  opera;  ed  a  quanto  vi  man- 
casse o  fosse  troppo  brevemente 
narrato  potranno  supplire  i  moltis- 
simi articoli  relativi  ad  Innocenzo 
III,  alle  sue  gesta,  fasti  del  ponti- 
ficato e  sue  particolari  circostanze 
con  tutta  la  Chiesa,  che  a'ioro  luo- 
ghi nel  Dizionario  riporto;  ciò  che 
pure  eseguisco  con  tutte  le  bio- 
grafie de'  Papi,  nelle  quali,  ad  evi- 
tare ripetizioni,  soltanto  tratto  con 
economia  di  parole  le  cose  di  mag- 
giore importanza,  appena  indican- 
do quelle  di  minore  rilievo,  po- 
tendo ciò  bastare  a  tracciare  ove 
il  di  più  si  possa  leggere.  Nell'in- 
dice generale  poi,  tutte  le  parti 
si  riuniranno.  Essendo  tanto  giu- 
stamente acclamate  le  storie  di 
s.  Gregorio  VII  e  d'Innocenzo  III 
compilate  dai  due  encomiati  auto- 
ri, ripeto  che  ho  creduto  far  cosa 
grata  ai  benevoli  lettori  allonta- 
nandomi dal  sistema  di  brevità,  ed 
in  proporzione  di  tali  dettagliate 
storie  far  le  biografìe  de'due  glo- 
riosi Papi,  per  cui  sono  riuscite 
più  diffuse  delle  altre. 

Considerando  Celestino  III  le 
conseguenze  dell'ingrandimento  del- 
la casa  d'Hohenstaufen  se  aggiun- 
geva a'suoi  dominii  le  Sicilie,  favo- 
rì gli  sforzi  di  Tancredi  per  rasso- 
darsi su  quel  trono,  sebbene  in- 
darno. Enrico  VI  occupò  parte  del 
regno  colle  armi,  Costanza  sua  moglie 
cadde  prigionera  dell'avversario ,  e 
lasciando  l'imperatore  a'suoi  capitani 
la  continuazione  della  guerra  tornò 
in  Germania.  Mentre  Tancredi  ri- 
portava rilevanti  vantaggi  mori  nel 
1194,  onde  sua  moglie  Sibilla  fe- 
ce tosto  coronare  il  figlio  Gugliel- 
mo III.  Allora  l'imperatore  intra- 
prese una  seconda  spedizione,  e 
con  poca  resistenza  s'  impadronì 
delle  due  Sicilie  e  d'immenso  bot- 


INN 

tino.  Guglielmo  III,  $ua  madre  e 
le  sorelle  caddero  in  potere  del 
vincitore,  che  contro  i  giuramenti 
fatti  tutti  mandò  prigioni  in  Ger- 
mania, facendo  cavar  gli  occhi  e 
fors'anco  castrare  l'infelice  Gugliel- 
mo III  ;  i  suoi  aderenti  non  ebbe- 
ro miglior  ventura,  né  mancò  di 
muovere  pretesti  alle  vendette  e 
crudeltà  inaudite.  Per  quelle  eser- 
citate anche  in  Germania,  Enrico  VI 
provocò  da  Celestino  III  la  scomu- 
nica, e  solo  per  diverse  promesse  fu 
assolto  ;  quindi  non  riuscendogli 
rendere  ereditario  nel  figlio  Fe- 
derico Il  1'  impero,  avendo  solo 
due  anni  lo  fece  eleggere  re  dei 
romani,  indi  morì  a'  28  settembre 
1197  in  Palermo.  Prima  di  mo- 
rire raccomandò  il  figlio  alle  cure 
di  Costanza  e  di  suo  fratello  Fi- 
lippo duca  di  Svevia  e  di  Tosca- 
na; impose  a  detta  moglie  e  fi- 
glio che  domandassero  al  Papa 
la  solita  conferma  dei  diritti  sul 
reame  di  Sicilia  e  le  signorie  che 
ne  dipendevano,  e  che  se  il  figlio 
venisse  a  morire  senza  eredi,  il 
reame  ricadesse  alla  Chiesa  romana. 
In  contraccambio  della  qual  ponti- 
fìcia conferma,  ordinò  1'  imperato- 
re che  si  restituissero  alla  Chie- 
sa medesima  i  beni  della  contes- 
sa Matilde  ,  tranne  Medecina  o 
Medesina  e  Argelati  nel  Bolo- 
gnese, e  appresso  tutto  il  paese 
fino  a  Ceprano  con  Montefiascone. 
Al  siniscalco  MarcovaldooMarquar- 
do  di  Anveiler  prescrisse  Enrico  VI 
di  prendere  in  feudo  dalla  santa  Se- 
de il  ducato  di  B.avenna,  la  contea 
di  Bertinoro,  la  Marca  d'Ancona  ed 
eziandio  Medesina  ossia  Medecina 
e  Argelati  coi  loro  dominii,  e  pre- 
stargli fede  ed  omaggio  per  tutte 
queste  terre  che  egualmente  rica- 
derebbero  alla    Chiesa    se    morisse 


1  N  N 
il  figlio  senta  eredi.  Alcuni  con- 
trastano queste  disposizioni  di  En- 
rico VI.  Frattanto  i  di  ini  capi- 
tani e  compagni,  appena  morto,  si 
affrettarono  assicurar  l' impero  a 
Federico  II,  ed  a  loro  stessi  i  feudi 
acquistati.  Marcovaldo  prese  pos- 
sesso dell'esarcato,  Corrado  di  Lut- 
zenhard  si  stabili  nel  ducato  di 
Spoleto,  mentre  Costanza  fermò  il 
suo  soggiorno  a  Palermo  col  figlio, 
per  regnare  con  lui  in  qualità  di 
curatrice.  Enrico  VI  nel  suo  te- 
stamento ne  avea  lasciato  esecutore 
e  reggente  della  Sicilia  il  favorito 
Marcovaldo,  prode  ma  crudele  ed 
ambizioso. 

In  tale  epoca  approssimando- 
si il  termine  del  pontificato  del 
vecchio  Celestino  111  ,  da  molti 
ne  venne  designato  successore  Lo- 
tario, quando  il  Papa  nella  sua 
ultima  infermità  ardentemente  bra- 
mò che  si  elegesse  in  sua  vece  il 
cardinal  Giovanni  Colonna.  Agli  8 
gennaio  1198  terminò  di  vivere 
Celestino  III,  e  Lotario  con  pochi 
altri  cardinali  si  portarouo  nella 
basilica  di  s.  Giovanni  in  Laterano 
per  quivi  celebrargli  l' uffizio  dei 
morti.  Allora  erano  viventi  ventot- 
to  cardinali,  de'  quali  circa  ventitre 
trovavansi  in  Roma,  e  da'quali  sol- 
tanto ormai  dipendeva  l' Elezione 
del  Papa  (  /^W/^come  dimostrammo 
a  quell'articolo.  Volendosi  a  motivo 
di  parecchie  circostanze  prontamente 
procedere  all'elezione  del  nuovo  Pa- 
pa, i  cardinali  si  congregarono  nello 
stesso  giorno  della  morte  di  Cele- 
stino III  nel  monastero  presso  il 
Stttizonìo  [Vedi),  al  Clivo  di  Scau- 
ro  nelle  falde  del  Monte  Celio,  per 
potere  con  più  sicurezza  delibera- 
re intorno  all'elezione.  Il  cardinal 
Giordano  da  Ceccano  ambi  il  pa- 
pato inutilmente,  il  cardinal  Otta- 


INN  219 

viano  Conti  ebbe  diversi  suffragi  , 
e  dieci  furono  in  favore  del  car- 
dinal Giovanni  di  Salerno  del  ti- 
tolo di  6.  Stefano  al  Monte  Celio. 
Questi  eroicamente,  insieme  al  car- 
dinal Ottaviano ,  procurò  in  vece 
l'esaltazione  di  Lotario  pel  suo  pro- 
fondo sapere  in  diritto  canonico , 
zelo  per  tornar  in  vigore  i  canoni 
della  Chiesa,  pratica  negli  affari, 
austerità  dei  costumi ,  saviezza  e 
consumata  prudenza.  Si  disputò 
sulla  poco  matura  sua  età  di  tren- 
tasetle  o  trent'  otto  anni ,  e  non 
meno,  come  prova  il  Sandini  nella 
sua  Fila,  seguito  dal  Becchetti  nel 
tona.  XII,  pag.  i83  della  Storia 
ecclesiastica;  ma  la  vinse  il  rifles- 
so della  condizione  de'  tempi  die 
richiedevano  nel  capo  della  Chiesa 
vigoria  nel  corpo  ;  ond'  è  che  su- 
perato tale  ostacolo,  tutti  i  cardi- 
nali con  unanimi  voti  elessero  Papa 
il  cardinal  Lotario  Conti  nello  stesso 
giorno  de'  funerali  del  predecesso- 
re. Ripugnante  accettò  la  suprema 
dignità,  come  si  legge  nella  costi- 
tuzione I,  ltieffabilis,  de'  9  gennaio 
1  198,  Bull.  tom.  Ili,  par.  I,  in 
cui  diede  notizia  al  cristianesimo 
della  sua  canonica  elezione,  pre- 
gandolo di  assisterlo  colle  orazioni. 
Della  resistenza,  suppliche  e  pianti 
di  Lotario  per  esimersi  da  un  tauto 
peso  ne  fa  pure  testimonianza  il 
Rinaldi,  Annal.  eccl.  an.  11 98.  Di 
questo  punto  ne  trattiamo  all'ar- 
ticolo   Rl>'U?fZlA    AL    PONTIFICATO,    e 

Papi  remtesti  ad  accettarlo.  Fer- 
mi gli  elettori  nella  scelta  di  Lo- 
tario, il  cardinal  Graziano  da  Pisa 
già  prò  o  vice-cancelliere,  e  sud- 
diacono della  Chiesa  romana,  come 
il  cardinale  più.  antico  s'avvicinò 
a  Lotario,  gli  pose  indosso  il  pi- 
viale e  la  porpora,  salutandolo  col 
nome  d' Innocenzo  III,  non  esscudo 


220  INN 

ancor  stabilmente  libero  al  nuovo 
Papa  di  scegliere  il  uome.  V.  No- 
me de'  Pontefici.  Lotario  diede  il 
suo  consenso,  e  la  sua  elezione  fu 
compita,  prendendo  per  motto  o 
sentenza  da  porsi  nelle  bolle  e  di- 
plomi, secondo  il  costume  da  noi 
accennato  nel  Dizionario,  massime 
nei  voi.  V,  pag.  280,  VII,  pag.  319, 
e  XX,  pag.  99  e  100,  le  parole 
del  salmo  85  :  Domine,  fac  me- 
rum  sig/ium  in  bonurn,  a  significa- 
re il  desiderio  ardente  del  suo  cuo- 
re, e  fors'  anco  la  sua   prosapia. 

Annunziata  al  clero  e  popolo 
romano  l'assunzione  al  pontificato 
d'Innocenzo  III ,  fu  ricevuta  la  no- 
tizia con  festevoli  acclamazioni;  indi 
i  cardinali  col  clero  e  col  popolo 
accompagnarono  il  nuovo  Papa  alla 
patriarcale  arci  basilica  Iateranense, 
ed  ivi  con  quelle  cerimonie  descrit- 
te da  noi  in  più  luoghi  l'introniz- 
zarono nel  soglio  pontificio,  e  po- 
scia si  ritirò  nel  contiguo  patriar- 
chio allora  residenza  pontificia.  Ai 
18  febbraio  concesse  all'arcivesco- 
vo di  Milano  la  facoltà  di  pro- 
muovere agli  altri  ordini  sacri  quelli 
che  già  avevano  ricevuto  altro  or- 
dine dal  romano  Pontefice.  Essen- 
do Iunocenzo  III  soltanto  diacono, 
per  ordinarsi  prete  volle  attendere 
il  sabbato  delle  quattro  tempora 
di  Pasqua,  che  in  quell'anno  cadde 
a'  3 1  febbraio,  e  nel  dì  seguente, 
festa  della  cattedra  di  s.  Pietro  in 
Antiochia,  nella  basilica  vaticana  si 
fece  consacrare  vescovo,  celebrò  la 
solenne  messa ,  ove  il  vangelo  e 
l'epistola  furono  cantati  in  Ialino 
ed  in  greco,  e  colle  altre  cerimo- 
nie fu  coronato  ed  intronizzato 
sulla  cattedra  di  san  Pietro.  Ter- 
minate che  furono  le  sacre  fun- 
zioni ,  Innocenzo  III  pronunziò  un 
sermone  sul    fine    e    la    grandezza 


INN 

del  pastorale  ministero  apostolico: 
quattro  di  lui  ne  abbiamo,  in  con- 
secralione  romani  Pontificis.  Indi 
colla  tiara  in  capo,  preceduto  dalla 
solenne  processione,  si  condusse  alla 
basilica  Iateranense  a  prenderne 
il  formale  possesso ,  con  tutte  le 
solite  cerimonie,  donativi  e  convito 
pure  da  noi  descritte  in  molti  ar- 
ticoli. 11  citato  Rinaldi  a  detto  an- 
no, oltre  le  particolarità  dell'ele- 
zione d'  Innocenzo  III,  riporta  e- 
ziandio  quelle  della  consacrazione 
e  possesso  a  quell'epoca  chiamato 
processo  e  processione.  11  Cancel- 
lieri nella  Storia  de'  solenni  pos- 
sessi de'  romani  Pontefici  a  p.  1 5 , 
riprodusse  la  descrizione  che  com- 
pose l'Anonimo  in  vita  Intiocentii 
III,  in  ter  Script,  rer.  ltal.  t.  Ili, 
p.  4^7  del  Muratori  ,  e  cita  Ba- 
luzio  e  Moretti.  La  cristianità  av* 
vezza  a  venerare  sulla  sede  di  s. 
Pietro  uomini  atti  per  l'età  a  rap- 
presentar l'immagine  d'un  padre 
comune  de'  fedeli ,  restò  sorpresa 
di  sentir  quella  d'Innocenzo  ili  sì 
giovane,  ma  i  timori  presto  dile- 
guaronsi  dall'energia,  prudenza  ed 
accorgimento  cui  si  condusse  in 
tutti  gli  affari,  anzi  si  ringraziò  Dio 
che  l'avea  posto  a  capo  di  sua 
Chiesa  ;  tuttavolta  in  progresso  di 
tempo  l'età  sua  servi  di  pretesto 
alle  censure  di  certi  spiriti  preoc- 
cupati e  irritati,  e  di  coloro  a  cui 
sentir  fece  la  pienezza  della  sua 
podestà. 

La  decrepita  età  del  predeces- 
sore avea  cagionato  un  qualche  ar- 
renamento  negli  affari  ,  molti  ve 
n'erano  de'  pontificati  precedenti  , 
tutto  richiedeva  attenzione  ed  at- 
tivila. In  vermi  anno  si  accumu- 
larono come  nel  primo  del  regna 
d'  Innocenzo  III  le  questioni  che 
giungevano  da  ogni  parte  in  argo- 


INN 

mento  di  cause  le  più  diverse  fra 
loro,  le  decisioni,  le  istruzioni  e  le 
sentenze  che  si  spedivano  allora  per 
le  contrade  del  mondo ,  a  segno 
che  il  pi-imo  libro  delle  sue  lette- 
re ne  comprende  cinquecento  ot- 
tantatre, un  di  presso  il  doppio 
degli  anni  successivi.  Anche  prima 
della  consacrazione  il  Papa  si  diede 
a  tutto  uomo  al  lavoro,  come  ri- 
levasi dalle  sue  bolle  col  sigillo  im- 
presso da  un  solo  lato  colle  im- 
magini cioè  de'  ss.  Pietro  e  Paolo, 
essendo  il  rovescio  senza  impres- 
sione perchè  il  nome  del  Pontefice 
ivi  si  scolpiva  dopo  la  sua  consa- 
crazione. Prima  d' ogni  altra  cosa 
Innocenzo  III  rivolse  le  sue  cure  alla 
riforma  della  propria  famiglia,  a- 
vanti  di  estenderla  sul  paese  e  sulla 
Chiesa  universale.  Con  la  sempli- 
cità della  sua  vita  egli  servir  volle 
di  esempio  ai  prelati,  ed  insieme 
non  permise  con  una  corte  fastosa 
dar  motivo  a  censure,  e  però  ei  la 
ridusse  a  forme  modestissime.  I 
vasi  d'oro  e  d' argento  mutaronsi 
in  vasi  di  legno  e  di  cristallo ,  e 
la  pelle  d'armellino  in  pelle  di  pe- 
cora. Con  soli  tre  piatti  imbandi- 
vasi  la  sua  mensa,  eh'  egli  servir 
fece  non  più  da  laici  ma  da  reli- 
giosi ;  e  di  due  soli  piatti  era  la 
tavola  de'  cappellani,  eccettuate  solo 
le  feste  grandi.  A  corte  non  con- 
servò le  cariche  di  cerimonia  altro 
che  per  le  solennità,  nelle  quali  si 
richiedeva  che  il  capo  della  cri- 
stianità si  mostrasse  in  tutto  l'ester- 
no splendore  del  suo  sublime  gra- 
do. Licenziò  i  paggi  (  così  le  due 
versioni  italiane  del  eh.  Hurter  ) , 
ma  diede  a  ciascun  d' essi  quanto 
denaro  bastasse  a  farli  vivere  ono- 
ratamente. 

Già  da    cardinale    avea    mostra- 
to   il     suo     disinteresse     col     non 


IX X  221 

trar  mai  profitto  alcuno  dai  molti 
e  importanti  affari  che  richiesero 
il  suo  tempo  e  la  sua  fatica.  Del 
pari  inaccessibile  alle  promesse  ed 
ai  doni,  a  toglier  le  querele  con- 
tro la  venalità  di  cui  s' incolpava 
Roma,  pronunziò  severissimi  de« 
creti  contro  gli  abusi  di  tal  gene- 
re, manifestando  il  suo  risentimento 
contro  coloro  che  sotto  vari  pre- 
testi prendevano  sportule  dai  liti- 
ganti che  venivano  in  Roma;  solo 
permise  accettare  qualche  donativo 
spontaneo,  riducendo  i  diritti  dei 
compilatori  e  speditori  di  bolle  e 
brevi.  Provvide  alle  loro  fabi fra- 
zioni rigorosamente,  con  sottoporre 
ad  esame  l'autenticità  delle  lettere 
e  diplomi  pontificii.  Imparziale  co- 
ni' egli  era,  e  senza  rancori  verso 
i  suoi  cardinali,  seppe  colle  mode- 
rate sue  abitudini  fare  degli  avanzi, 
e  potè  subito  innalzar  edifizi  che 
destarono  meraviglia.  Altri  abusi 
che  commettevansi  dai  famigliari 
del  Papa,  avevano  già  indotto  In- 
nocenzo III  a  far  giurare  a'portinai 
di  settimana  del  palazzo  di  non 
trafugare  nessuna  cosa  preziosa  o 
masserizia.  Si  vietò  loro  difficoltare 
l'accesso  in  palazzo  ai  notari,  le 
cui  facoltà  furono  sino  da  que- 
sto tempo  circoscritte  entro  i  li- 
miti del  proprio  uffizio  ,  non  per- 
mettendosi il  presentare  altre  pe- 
tizioni se  non  quelle  de'  loro  pa- 
renti, amici,  abbiette  e  miserabili 
persone.  Le  raancie  che  gli  scudieri, 
mappullari,  servi  della  mensa,  cu- 
biculari famigliari  del  Papa  esige- 
vano spesso  arbitrariamente  dagli 
arcivescovi,  vescovi  ed  abbati  che 
venivano  in  Roma  per  ricevere  gli 
ordini ,  furono  abolite,  e  solo  si 
lasciò  libero  alla  generosità  di  cia- 
scuno il  donare  quel  più  ch'ei  vo- 
lesse. Presso  le   porte    del    palazzo 


222  INN 

lateranense,  Innocenzo  ITI  bandì 
i  banchieri,  i  cambiatori  e  i  pre- 
statori. Egli  rinnovò  l'uso,  ormai 
divenuto  raro,  di  presiedere  tre  vol- 
te per  settimana  a  un  concistoro 
di  cardinali,  a  cui  ognuno  avea  li- 
bero l'accesso,  costumandosi  allora, 
come  dicemmo  all'articolo  Conci- 
storo, di  trattarsi  in  esso  qualun- 
que affare.  In  essi  disputò  con  dot- 
trina sì  grande,  che  molti  celebri 
giureconsulti  si  portarono  a  Roma 
sol  per  udirlo. 

Appena    divenuto    Pontefice,    la 
cittadinanza  romana  con     arrogan- 
za gli  chiese  di  far  loro  prestare  il 
giuramento    di     fedeltà ,    per    aver 
quindi  i  donativi  o  presbiterii    so» 
liti  farsi  ad   ogni   elezione  del    Pa- 
pa, e  confermati  ancora  nella   con- 
cordia   stipulata    tra  il  popolo    ro- 
mano e  Clemente  III.  Fece  pertan- 
to Innocenzo  III  rispondere  che  a- 
vrebbero  avuto  luogo  nel  dì  seguente 
alla    consacrazione  ;    ma    prima    di 
questo  tempo,  senza  esporsi  al  pe- 
ricolo  di    non    poter  effettuare    la 
promessa    per   mancanza  di    mezzi, 
ordinò  si  facesse  in  segreto  un  cen- 
so   della    popolazione    di    tutte   le 
parrocchie  in  ragione  di  numero  e 
condizione,    per   sapere  se    l'erario 
potesse  bastare    alla  domanda;  do- 
po di  che  distribuir  fece  ad  ogni  rio- 
ne quanto  gli  toccava.  Vuoisi  da  al- 
cuno che  il  primo  censo  fattosi  in  Ro- 
ma dopo  la  caduta  del  romano  im- 
pero   d' oriente    fosse    eseguito    nel 
i  i  0,8  sotto  Innocenzo  III,  ed  ascen- 
desse al  numero  di  trentacinquemi- 
la i  maschi    pervenuti    soggetti  al- 
la capitazione  o  testatico,  tributo  sul- 
le teste  dei  sudditi,  e  sui  quali   po- 
teva cadere  il  dono    del  nuovo  Pa- 
pa. L' erario  pontificio    era  privo  a 
quel   tempo  di   quasi  tutte   l'entra- 
te dei  dominii  temporali  della  Chie- 


INN 

sa,  i  quali  si  trovavano  per  gran  par- 
te in  potere  degli  stranieri.  Enrico 
VI    ad  onta  delle  reiterate  istanze 
di  Celestino  III   mai  avea  restituito 
il  patrimonio    della  contessa  Matil- 
de, e  coll'aiuto  di  sue  milizie   avea 
posto  suo  figlio  in  possesso  delle  si- 
gnorie  del  conte  di  Bertinoro.  Maf- 
covaldo    signoreggiava   Ravenna,  la 
Marca  e   la  Romandiola,  essendo  il 
resto  dell'esarcato  diviso  tra'  baroni 
tedeschi;  diversi  luoghi  di  esso  come 
della  Pentapoli  eransi  eretti  in  co- 
mune. Corrado  di   Svevia  investito 
del    titolo    di  duca  di    Spoleto   ne 
occupava    la  città  insieme  ad  Asisi. 
Il   senatore  Benedetto  Carosomi  fa- 
ceva in  suo  nome  governar   le    co- 
ste di  Sabina.   Il  prefetto  di   Roma 
veniva  eletto  dall'imperatore,  al  qua- 
le promettendo  fedeltà,    riceveva  il 
manto    o  la  spada  di    sua  dignità. 
L'autorità   temporale  del  Papa  era 
riconosciuta  in  Terra  di  Lavoro,  in 
conflitto  però   di   quella  dell'impe- 
ratore ,    che    nella    provincia   avea 
dato  diversi   feudi   a' suoi  commili- 
toni.   Non   v'era  che  Roma    libera 
ancora,  sebbene  aspirante  di  eriger- 
si in  comune,  e  le  soldatesche  im- 
periali facevano    scorrerie   fino  alle 
sue     porte,    commettendo    rapacità 
e  crudeltà.  La  predilezione  poi  delle 
famiglie  grandi  era  per  l'imperato- 
re, mentre  i  romani  sedotti   dai  ri- 
voluzionari   seguaci    del   corruttore 
Arnaldo    da    Brescia ,    agognavano 
libertà,    e   di  affrancarsi   dal    giogo 
della  Chiesa. 

Prima  che  Innocenzo  III  pensasse 
a  ristabilir  l'autorità  sua  nelle  pro- 
vincie,  volle  stabilirla  in  Roma  stes- 
sa. Sarebbe  un  rimprovero  peren- 
ne ed  una  vergogna  incancellabile 
per  la  madre  e  la  regina  di  tutte 
le  Chiese,  se  lasciasse  gemere  sot- 
to un  giogo  straniero  quelli  che  sono 


INN 
pure  sottomessi  al  suo  potere  tem- 
porale. II  giorno  dopo  la  sua  con- 
sacrazione chiamò  il  prefetto  di  Ro- 
ma, e  l'obbligò  a  prestargli  il  giu- 
ramento d'obbedienza  e  fedeltà  con 
diverse  prescrizioni  :  in  tal  modo 
ebbe  termine  l'autorità  degl'impe- 
ratori in  Roma.  A  sopprimere  nel- 
la persona  del  senatore  l'ultima  trac- 
cia di  dipendenza  de'romani,  lo  fe- 
ce giurare  obbedienza  e  fedeltà,  co- 
stringendolo ad  esercitar  il  suo  mi- 
nistero non  più  in  nome  del  popolo, 
sibbene  in  quello  del  Papa.  Que- 
sti nel  medesimo  giorno  ricevette 
il  giuramento  di  vassallaggio  da  pa- 
recchi baroni  ;  indi  mandò  i  cardi- 
nali nelle  provincie,  e  diversi  uffi» 
ziali  in  altri  luoghi  a  ricuperarne 
i  dominii,  nel  fermo  proposito  di 
conservarli  inalienabilmente, toglien- 
doli a  coloro  che  illegalmente  gli 
aveano  occupati,  e  per  tutto  i  rap- 
presentanti pontificii  trovarono  ec- 
cellenti disposizioni.  Come  tosto 
fu  in  Roma  e  ne'  dintorni  rista- 
bilita 1'  autorità  sovrano,  perchè  il 
popolo  alfìn  conobbe  quanto  me- 
glio fosse  l'obbedir  ad  un  sovra- 
no stabilmente  residente  tra  loro, 
che  ad  un  monarca  lontano  ed 
illegittimo,  Innocenzo  III  rivolse  l'at- 
tenzione sua  verso  le  parti  più  lon- 
tane dei  possedimenti  della  santa 
Sede.  Mondò  i  cardinali  Giovanni 
di  Salerno,  e  Cencio  Savelli  che  lo 
successe  col  nome  di  Onorio  III, 
a  Marcovaldo  investilo  da  Enrico 
\  Ideila  Marca  d'Ancona,  della  Ro- 
magna, e  del  ducato  di  Ravenna,  per 
invitarlo  a  sottomettersi  alla  Chie- 
sa. Astuto  ed  audace  com'  eia,  fi- 
dando nelle  sue  ricchezze  e  forze,  con 
promesse  anco  d'  amplificare  il  do- 
minio della  santa  Sede,  cercò  d'il- 
ludere Io  svegliato  suo  capo,  ne- 
gando persino  di  riconoscere  la  pre- 


stazione  d'omaggio  che  a  vera  com- 
messa  a' suoi;  tultavolta  desiderò 
che  non  si  obbligassero  i  popoli  alla 
sommissione,  e  si  lasciasse  ad  ognu- 
no di  far  il  piacer  loro,  mentre  in- 
tanto fece  apparecchi  guerreschi.  I 
legati  pieni  di  zelo  ammisero  al  giu- 
ramento di  obbedienza  tutte  le  par- 
rocchie che  acconsentirono  a  sotto- 
mettersi, massime  nell'esarcato  e  nel- 
la Marca  d'Ancona.  Allora  Marco- 
valdo infierì  controia  città  e  le  cam- 
pagne, non  risparmiando  le  chiese, 
tutto  pose  a  ferro  e  fuoco:  non  cu- 
rando le  minacele  dei  cardinali  legati 
fu  scomunicato  insieme  a'suoi  ade- 
renti, ed  il  Papa  prosciolse  dal  giu- 
ramento tutti  quelli  che  glielo  avea- 
no prestato.  Indi  Innocenzo  III 
prese  denaro  ad  imprestito,  arrol- 
lò  soldatesche,  che  unite  a  quelle 
de' vassalli,  conti  e  baroni  restali  fe- 
deli, vittoriose  attraversarono  il  pae- 
se occupato  ancora  da  Marcovaldo, 
e  distrussero  i  forti  che  rimaneva- 
no sotto  la  sua  dominazione.  Jesi, 
sebbene  vide  nascere  entro  le  sue 
mura  Federico  II,  dedicò  le  sue  so- 
stanze e  le  vite  de'suoi  abitanti  in 
vigorosa  difesa  dei  diritti  della  Chie- 
sa romana.  Successivamente  Osi- 
mo,  Ascoli,  Cesena  e  Forlì  furo- 
no le  sole  che  nelle  provincie  do- 
minate da  Marcovaldo  ritardarono 
di  sottomettersi  alla  Chiesa;  anzi  in 
Forlì  vi  perì  il  prefetto  ch'era  ro- 
mano, ed  un  nipote  del  Papa  con 
alcuni  suoi  compagni  vi  perderono 
miseramente  la  vita,  al  dire  dell' A  r- 
gelati ,  not.  ad  Sigon.  Bist.  reg, 
Ital.  p.  856.  Quindi  Innocenzo  III 
spedì  i  suoi  ministri  nell'esarcato 
e  nelle  terre  già  occupate  dal  con- 
te Ugo  di  Bertinoro,  il  quale  ca- 
stello egli  ayea  donato  alla  santa 
Sede  sino  dal  r  102,  ma  per  le  ragio- 
ni che  affacciò  l'arcivescovo  di  Ra- 


2  24  INN 

venna  consentì  ch'egli  entrasse  in 
possesso,  contento  d'aver  abbattuto 
la  podestà  d'un  signore  secolare. 

L'imperatore  defunto  avea  clo- 
nato il  ducato  di  Spoleto,  la  contea 
d'Asisi  e  quella  di  Sora  a  Corra- 
do, il  quale  per  evitar  la  disgrazia 
toccata  a  Marcovaldo  procurò  con 
tulli  i  modi  guadagnar  il  favore 
del  Papa  con  offrirgli  vassallaggio, 
annuo  canone  ed  aiuti.  Innocen- 
zo III  tenendo  in  maggior  con- 
to le  disposizioni  generali  che  alta- 
mente manifestavansi  contro  i  tede- 
schi, rifiutò  le  offerte,  e  costrinse 
Corrado  a  restituir  quanto  avea  pos- 
seduto del  patrimonio  di  s.  Pietro, 
ed  a  giurare  in  Narni  obbedienza. 
Restituì  Foligno  e  Terni;  si  con- 
venne che  il  castello  d'Asisi  fosse 
spianato,  per  terminar  le  guerre  tra 
gli  asisani  e  i  perugini;  Perugia  ot- 
tenne il  privilegio  di  tribunali  pro- 
pri, e  d'eleggere  liberamente  i  suoi 
magistrati  ;  Todi  ebbe  confermata 
la  sua  giurisdizione;  a  Rieti  fu  gua- 
rentita la  facoltà  di  tenere  per  sé 
la  metà  di  certe  tasse;  altre  città 
conservarono  pure  i  loro  antichi 
privilegi,  conseguendo  governamen- 
to  più  libero.  Essendosi  Narni  im- 
padronito di  Otricoli,  il  Papa  col- 
le armi  e  le  censure  l'obbligò  a 
rientrare  ne'suoi  doveri.  Dopo  la  fe- 
sta di  s.  Pietro, Innocenzo  III  si  re- 
cò con  ragguardevole  corteggio  a  visi- 
tare il  ricuperato  ducato  di  Spoleto, 
accollo  dalle  acclamazioni  de'  popoli 
come  un  liberatore:  in  parecchie 
città  consacrò  chiese,  altari  e  vasi 
sacri,  donando  a  diverse  chiese  ar- 
redi e  vesti  ecclesiastiche.  Anche 
Perugia  fu  visitala  da  Innocenzo  III, 
e  per  memoria  gli  abitanti  impo- 
sero il  nome  di  fontana  del  Papa 
ad  una  sorgente  d'acqua  che  rinven- 
nero in  quel  tempo.  Il  Fellone,  Dei 


1NN 
VÌ/Tggi  dei  sommi  Ponfc/ìci,  dice  che 
Innocenzo  III  visitò  il  ducato  di  Spo- 
leto e  la  Toscana,  e  cbe  durò  il 
viaggio  dalla  festa  di  s.  Pietro  sino 
ad  Ognissanti  del  medesimo  i  if)8. 
Secondando  il  Papa  il  general  mo- 
to contro  i  tedeschi,  e  la  lega  fat- 
ta dalla  Toscana,  a  quella  collegò 
le  provincie  da  lui  visitate.  La  To- 
scana donata  alla  Chiesa  dalla  con- 
tessa Matilde,  con  titolo  di  ducato 
era  signoreggiata  da  Filippo  di  Sve- 
via  ch'era  favorito  da  tutta  la  no- 
biltà ;  ma  le  città  profittando  di 
quanto  operava  il  Pontefice  contro 
gli  stranieri,  si  strinsero  in  lega  per 
ricuperar  la  libertà,  difendere  la 
Chiesa  romana,  e  senza  il  suo  con- 
senso mai  sottomettersi  a  nessuna 
signoria  temporale,  né  riconoscere 
alcun  imperatore  che  non  fosse  in 
grado  al  Papa.  In  principio  Inno- 
cenzo III  che  desiderava  il  ducato 
in  virtù  della  donazione  di  Matil- 
de, e  voleva  che  l'alta  signoria  si 
appartenesse  alla  Sede  apostolica)  non 
piacevagli  la  lega.  A  rimediarvi  spe- 
di in  Toscana  per  legati  i  cardina- 
li Pandolfoe  Bernardo,  i  quali  cam- 
biarono spirito  e  forma  alla  lega  in 
modo  che  riuscì  di  soddisfazione  del 
Pontefice,  colla  riserva  de'suoi  di- 
ritti di  sovrano  signore  del  paese. 
Bramò  che  alla  difesa  della  liber- 
tà italiana  ed  alì'alfrancazione  d'o- 
gni giogo  straniero,  alla  lega  si  unis- 
se Pisa,  la  quale  essendo  da  anti- 
ca data  di  parte  imperiale,  si  ricu- 
sò e  fu  imitata  da  Pistoia.  Com- 
mettendo alcuni  nobili  toscani  mol- 
ti eccessi,  spogliando  viaggiatori  e 
pellegrini  colla  forza  delle  armi 
della  lega,  il  Papa  li  fece  domare 
e  prestar  giuramento  di  fedeltà  alla 
santa   Sede. 

Non    trascurò  Innocenzo   ili     di 
comprare    i   castelli   in  buona    poti- 


INN 

rione  ;  vendicò  le  vessazioni  com- 
messe verso  gli  ecclesiastici,  e  fece 
abbattere  il  castello  di  s.  Maria  per- 
chè Corrado  vi  avea  imprigionato 
il  cardinal  Ottaviano  Conti  reduce 
dalla  legazione  di  Normandia.  Sog- 
gettò di  poi,  non  senza  fatica,  le  cit- 
tà di  Montefiascone  e  Radicofani  ; 
ricuperò  pure  Acquapendente  asse- 
diata dagli  orvietani,  ed  a  Città  di 
Castello  fece  prestare  il  giuramen- 
to di  obbedienza.  Oltre  le  summen- 
tovate  città  e  territorii,  Innoceuzo 
III  restituì  al  dominio  della  Chiesa 
eziandio  Ancona,  Fermo,  Fano,  Seni- 
gallia, Gubbio,  la  Sabina,  Benevento 
e  molte  altre  contee  e  signorie;  di- 
modoché egli  paragonando  l'esten- 
sione del  temporale  dominio  de'suoi 
predecessori  con  quello  da  lui  in 
sì  breve  tempo  e  nel  primo  anno 
del  suo  pontificato  ricuperato,  di- 
mostrò l'ammirabile  disposizione  del 
supremo  regolatore  di  tutte  le  cose. 
In  ogni  luogo  si  fece  prestare  o- 
maggio;  istituì  molti  castellani  in 
varie  fortezze  ;  ampliò  e  fortificò 
le  mura,  le  fosse ,  i  bastioni  di  par- 
ecchie tra  esse;  confortò  gli  abi- 
tanti a  tenersi  apparecchiati  a  com- 
battere con  lancio  e  fanti,  e  li  soc- 
corse di  denaro  e  di  munizioni  da 
guerra.  In  Toscana  pose  amministra- 
tori con  carico  di  riscuotere  ogni 
anno  la  gravezza  per  l'alloggio,  vi- 
veri e  foraggi  de'militari,  tassa  che 
pagava  ogni  capo  di  famiglia  per 
esserne  dispensato;  ad  essi  commise 
pure  la  riscossione  delle  gabelle  fon- 
diarie e  la  tassa  sulle  case.  Da  va- 
rie lettere  di  questo  Papa  si  rac- 
coglie, che  l'amministrazione  interna 
di  tutte  le  città  doveva  essere  re- 
golata secondo  il  beneplacito  di  Ro- 
ma. Adunque  le  sue  prime  solleci- 
tudini quelle  furono  di  ristabilire 
l'autorità  sovrana,  poi  di  riscuotere 
voi.  xxxv. 


INN  225 

le  rendite,  di  rimettere  la  giustizia, 
la  pace,  la  tranquillità  nelle  pro- 
vincie  riconquistate,  e  radicarvi  l'a- 
more alla  santa  Sede;  ma  nello  stes- 
so tempo  attese  a  confermare  i  lo- 
ro diritti  e  le  loro  franchigie,  a 
tornarli  in  vigore  dove  cadevano,  e 
a  conservare  le  salutari  istituzioni 
che  le  città  aveano  già  dato  a  se 
stesse.  Volle,  come  poi  dichiarò  in 
processo  di  tempo,  che  la  dolcezza 
dell'autorità  sua  avesse  a  persuade- 
re altrui  che  la  santa  Sede,  anzi- 
ché opprimere  al  pari  di  schiavi  i 
suoi  sudditi  fedeli,  li  protegge  qua- 
li figli,  e  che  ama  donare  più  che 
ricevere.  Se  non  che  l'esito  parve 
non  corrispondere  sempre  agli  sfor- 
zi suoi,  e  la  difficoltà  d'assoggettar 
gente  imbarbarita  a  un  ordine  re- 
golare e  stabile,  parve  alcuna  vol- 
ta insuperabile  al  Papa  medesimo. 
Tutta  1'  Italia  superiore,  insieme 
colla  parte  di  mezzo  fino  alle  fron- 
tiere del  principato  di  Capua,  or- 
mai divenne  libera  dalla  prepon- 
deranza dell'  imperatore,  per  la 
cooperazione  del  popolo  congiunta 
all'  attività  del  sommo  Pontefice. 
Neil'  Italia  inferiore  più  ampio  an- 
cora fu  il  campo  che  si  aprì  agli 
sforzi  indefessi  d'  Innocenzo  III, 
per  conseguire  1'  intento  a  cui 
continuamente  mirava.  Frattanto 
Costanza  bramosa  di  pacificare  l'in- 
felice reame  di  Sicilia,  per  ispon- 
taneo  moto  dell'animo  suo  e  per 
compiacere  il  popolo,  ordinò  a  Mar- 
covaldo,  a  Corrado,  e  agli  altri  a- 
lemanni  che  si  trovavano  in  Sici- 
lia, di  partirne;  fece  coronare  in 
Palermo  Federico  II  suo  figlio,  e 
lo  nominò  reggente  insieme  con 
lei.  Questo  partito  non  giovando  a 
ristabilire  interamente  la  tranquilli- 
tà nel  regno,  e  ad  assicurare  ai 
principe  minore  il  pacifico  posses- 
i5 


226  I.NN 

so  del  Irono,  conosciutasi  da  Co- 
stanza la  necessità  di  un  fermo  ap- 
poggio e  d'  una  vigorosa  protezio- 
ne, trovò  l'uno  e  l'altra  nel  vinco- 
lo feudale  con  la  Sede  apostolica. 
Inviò  adunque  ambasciatori  ad  In- 
nocenzo 111  per  ricevere  in  nome 
di  Federico  II,  in  feudo  dal  Papa 
il  reame  di  Sicilia,  il  ducato  di 
Puglia,  e  il  principato  di  Capua, 
alle  medesime  condizioni  sussistenti 
tra  il  re  ed  il  sommo  Pontefice. 
L'investitura  con  diverse  pregerò- 
fio-DÌ  di  vassallaggio  fu  concessa, 
ma  Innocenzo  III  non  volle  con- 
fermare i  quattro  capitoli  o  privi- 
legi ecclesiastici  accordati  dopo  mol- 
ti contrasti  a  Guglielmo  l  da  A- 
driano  IV.  I  tre  capitoli  sull'ap- 
pellazione, sulla  legazione  e  sui  si- 
nodi furono  annullati  ;  quelli  sulle 
elezioni  o  nomine  ecclesiastiche 
vennero  ristretti.  Mentre  il  Papa 
spediva  in  Sicilia  col  carattere  di 
legato  il  cardinal  vescovo  d'Ostia, 
Gostanza  cadde  inferma,  e  senten- 
dosi avvicinare  il  suo  fine,  nomi- 
nò nel  suo  testamento  cancelliere 
Gualtieri  vescovo  di  Troia,  e  gli 
arcivescovi  di  Palermo,  di  Monrea- 
le e  di  Capua  consiglieri  e  fami- 
gliari del  suo  figlio,  conferendone 
la  tutela  ad  Innocenzo  III  nella 
sua  qualità  di  signore  diretto  ;  tut- 
ti gli  altri  dovevano  giurare  di  ri- 
conoscerlo per  tutore,  e  sull'en- 
trate del  reame  gli  assegnò  l'an- 
nuo compenso  di  trentamila  tareni. 
Costanza  usci  di  vita  in  Palermo 
a'  27  novembre  1198,  quattordici 
mesi  dopo  il  suo  sposo  Enrico  VI. 
Alla  morte  di  questi  il  di  lui  fra- 
tello Filippo  duca  di  Svevia  e  di 
Toscana,  siccome  tutore  del  nipote, 
parti  per  la  Germania  a  procurar- 
gli voti  per  l' impero,  ma  la  tro- 
vò tutta  sconvolta,   ed    afflitta    da 


INN 

durissima  carestia.  Tuttavolta  nei 
suoi  domimi  apparecchiossi  a  sos- 
tener colla  forza  delle  armi  la  pre- 
minenza di  sua  famiglia,  il  soc- 
corso delle  città  imperiali,  e  i  voti 
de'principi  ecclesiastici  del  Reno. 
Molti  obliando  il  giuramento  pre- 
stato a  Federico  11  fanciullo,  e  co- 
me fatto  prima  del  suo  battesimo, 
Io  considerarono  nullo;  ed  i  biso- 
gni e  lo  splendore  dell  impero  aver 
bisogno  d'  un  capo  che  fosse  in 
grado  di  compierne  i  doveri,  ciò  che 
non  poteva  fare  un  fanciullo  di 
quattro  anni.  Più  docili  i  principi 
della  Germania  orientale,  nomina- 
rono Filippo  difensore  dell'impero. 
Tuttavolta  la  dieta  d'Andernach, 
presieduta  da  Adolfo  di  Colonia, 
invitò  a  concorrere  all'impero  Ric- 
cardo l  re  d'Inghilterra,  come  ne- 
mico degli  Hohenstaufen  per  la 
cattività  da  lui  sofferta  iu  Germa- 
nia, ma  egli  paventando  questa  si 
ricusò.  A  lui  Innocenzo  III  nel 
principio  del  pontificato  avea  scrit- 
to una  lettera,  e  mandato  in  do- 
no quattro  anelli   simbolici. 

Dopo  avere  i  principi  di  Ger- 
mania di  detta  dieta  olferto  la  co- 
rona al  potente  principe  Bertoldo 
di  Zaeringen,  nella  dieta  di  Mul- 
hausen  in  Sassonia  altri  principi 
a  proposizione  del  vescovo  di  Co- 
stanza, e  pel  favore  di  molti  par- 
tigiani, parte  guadagnati  con  pro- 
messe, elessero  in  re  de'romani  lo 
stesso  Filippo,  che  io  riguardo  del 
nipote  si  mostrò  ritroso  in  accet- 
tare: egli  era  il  principe  più  ricco 
e  più  potente  di  Germania.  Adol- 
fo arcivescovo  di  Colonia  coi  mem- 
bri della  sua  dieta  protestò  contro 
sì  fatta  elezione,  la  quale  secondo 
le  consuetudini  dovea  aver  luogo  in 
Franconia  ;  e  siccome  riè  Bertoldo, 
uè    Bernardo    di    Sassonia    vollero 


IHN 

accettare  l'impero,  elesse  co'suoi 
aderenti  un  altro  avversano  formi- 
dabile alla  casa  di  Svevia,  in  Ot- 
tone IV  secondogenito  di  Enrico 
il  Leone  duca  di  Sassonia  e  di 
Matilde  d'Inghilterra,  il  quale  del 
pari  che  tutta  la  famiglia  sua  era 
in  piena  grazia  della  santa  Sede. 
Prima  dell'elezione  di  Filippo,  il 
Papa  spedì  legati  in  Germania  per 
la  liberazione  dei  vescovi,  e  della 
vedova  e  figlie  di  Tancredi,  impri- 
gionati tutti  da  Enrico  VI;  e  poi- 
ché Filippo  era  stato  scomunicato 
da  Celestino  III  per  aver  occupa- 
to e  dato  il  guasto  al  patrimonio 
di  s.  Pietro,  impose  al  vescovo  di 
Sutii  di  non  assolverlo  prima  di 
aver  loro  resa  la  libertà.  Questi 
in  vece  avendolo  assolto  mediante 
una  semplice  promessa,  Innocenzo 
III  per  dare  un  esempio  del  rigo- 
re con  che  voleva  che  i  suoi  le- 
gati eseguissero  i  suoi  ordini,  di- 
chiarò il  vescovo  decaduto  dalla 
dignità,  e  lo  confinò  in  un  mona- 
stero. Il  primo  ostacolo  dunque 
che  opponevasi  pel  duca  di  Svevia 
all'acquisto  della  corona  imperia- 
le parve  tolto  coll'assoluzione  di 
lui,  ma  bisognò  metter  mano  alla 
spada  contro  Ottone  IV  e  suoi  a- 
derenti,  ed  allearsi  con  Filippo 
Augusto  re  di  Francia.  Riuscì  ad 
Ottone  IV  di  prendere  Aquisgra- 
na  dove  trova  vasi  l'arcitrono  del- 
l'impero, antica  sede  degl'  impera- 
tori, ed  ivi  venne  cinto  della  co- 
rona germanica  nella  cattedrale  di 
Carlo  Magno  dall'arcivescovo  di 
Colonia  Adolfo,  giurando  rispetta- 
re e  conservare  i  diritti  della 
Chiesa,  e  di  restituirle  quanto  i 
precedenti  imperatori  le  aveano 
tolto.  Quindi  Ottone  IV  significò 
al  Pontefice  la  sua  elezione,  di  aver 
giurato  serbar  illesi   i  diritti    della 


INN  227 

Chiesa,  e  di  rinunziare  all'  iniquo 
abuso  d' incamerare  le  successioni 
de' vescovi,  abbati  e  principi  eccle- 
siastici defunti,  pregandolo  in  con- 
siderazione della  sua  divozione  alla 
santa  Sede,  di  volerlo  consacrare 
imperatore,  e  prosciogliere  dal  giu- 
ramento i  principi  ecclesiastici  e 
secolari  che  s'erano  attentati  di  e- 
leggere  Filippo,  e  gli  avevano  pre- 
stato giuramento  di  fedeltà,  e  di 
ordinar  loro  sotto  pena  della  sco- 
munica di  riconoscer  lui  medesimo. 
11  suo  zio  Riccardo  I  re  d' Inghil- 
terra mandò  i  vescovi  di  Andely 
e  di  Bangor  a  Roma  a  supplicar 
il  Pontefice  di  coronare  il  nipote, 
rendendosi  garante  •  pel  medésimo 
di  favorire,  rispettare  e  proteggere 
la  Chiesa  romana,  riponendola  in 
possesso  di  quanto  avesse  per  l'in- 
nanzi  posseduto.  Eguali  preghiere 
fecero  altri  principi,  massime  l'ar- 
civescovo Adolfo,  che  particolar- 
mente pregò  il  santo  Padre  a  ben 
accogliere  l'ambasciata  di  Ottone 
IV  eletto  re,  approvarne  l'elezione, 
l'incoronazione  e  la  consacrazione, 
ed  a  chiamarlo  a  Roma  per  esser- 
vi coronato  imperatore.  Frattanto 
Filippo  nella  cattedrale  di  Ma  gon- 
za erasi  fatto  coronare  da  Aimo 
II  arcivescovo  di  Tarantasia,  stra- 
niero all'autorità  che  arrogavasi,  e 
continuò  le  sue  guerre  con  l'av- 
versario. 

Uno  degli  affari  più  gravi  che 
Celestino  HI  lasciò  pendente  al 
suo  successore,  fu  quello  del  di- 
vorzio del  re  di  Francia  con  In- 
gelburga  di  Danimarca  sorella  di 
Canuto  VI,  di  segnalata  bellezza, 
pia  e  virtuosa,  coronata  regina  dal- 
l'arcivescovo di  Reims  in  Amiens; 
divorzio  concepito  dal  re  il  gior- 
no seguente  alle  celebrale  nozze, 
col  pretesto  d'affinità   di  parentela 


328  nw 

colla  sposa,  accompagnato  dalla  pili 
grande  avversione.    Il  re  in  Com- 
piegne  da  un'assemblea  di  vescovi, 
fidati  in    testimoni    che    giurarono 
il  grado  di  parentela,  fece  pronun- 
ziare   lo    scioglimento   del    matri- 
monio. Un  individuo  annunziò  que- 
sta  sentenza    alla  regina,    la  quale 
non  sapendo  la  lingua  del  paese  non 
potè  opporre  ragioni,  benché  aves- 
se adempito  il   debito  coniugale ,  e 
solo    fra    pianti    e    gemiti    ripetè  : 
Mala  Francia,    mala  Francia  !  Ro- 
ma,   Roma  I    con    la  quale  escla- 
mazione significar  volle  che  si  ap- 
pellava   al  solo    giudice  imparziale 
costituito  sulle  case  reali.  Non  vo- 
lendo tornar   in  •  Danimarca,  il    re 
la  fece  chiudere    nel  monastero  di 
Beaurepaire,  ove  la  principessa  re- 
sasi   superiore    alle    ingiustizie    di 
questo    mondo,  visse  nell'  esercizio 
delle  virtù,  e   nell'indigenza  cui  la 
lasciò  l' indegno     marito.  Celestino 
III    informatosi    dell'avvenuto,  ten- 
tate   le    vie    di    affettuoso    padre, 
dichiarò  nulla,  e  come  non  avve- 
nuta   e   illegale  la  sentenza  di  di- 
vorzio,   pronunziata    contro    donna 
ignara  della  lingua  del  paese  e  sen- 
za difesa,  da  persone  che  non  eb- 
bero, in  essa,  rispetto  né  al  sacra- 
mento del    matrimonio,    né  ai  di- 
ritti della  santa  Sede,  e  riferendo- 
si essa    sentenza  a  una  regina  co- 
ronata,   unta,   e    riconosciuta    dal 
proprio  sposo.  Volendo  il  re   pas- 
sala ad  altre  nozze  fu  rifiutato  da 
diverse  principesse,  finché  vi  accon- 
senti Agnese  figlia  di  Bertoldo  du- 
ca di  Merania  discendente  di  Carlo 
Magno.  Il  Papa  fece  di  nuovo  ammo- 
nire il  re  a  mezzo  di  altri  legati,  im- 
ponendogli di  licenziarla  concubina. 
Il   re  di  Danimarca  si  lagnò  colla 
santa   Sede    perchè   non    pronun- 
ziasse   il    minaccialo     interdetto    e 


INN 
la  scomunica,  ed  Ingelburga  tornò 
ad  implorar  la  misericordia  del 
Pontefice,  negando  alcun  grado  di 
parentela  col  re,  e  protestando  non 
avere  alcuna  colpa  al  suo  capric- 
cio. Non  si  tosto  Innocenzo  III  fu 
eletto  a  successore  di  Celestino  III, 
applicò  l'animo  a  far  senza  indu- 
gio cessar  questo  scandalo  verso 
la  Chiesa,  scrivendone  al  vescovo 
di  Parigi.  Tra  le  altre  cose  disse 
nella  sua  lettera:  »  La  santa  Sede 
non  può  lasciar  cadere  in  silenzio 
le  querele  delle  mogli  oppresse; 
dovere  impostole  da  Dio  è  il  rad- 
durre  sul  buon  sentiero  ogni  cri- 
stiano in  peccato  mortale,  e  ap- 
plicargli le  pene  della  disciplina 
ecclesiastica,  ogni  volta  che  ravve- 
dersi non  voglia.  La  dignità  regia 
non  iscioglie  altrui  dall'osservanza 
dei  doveri  di  cristiano;  la  condi- 
zione di  principe  non  può  legitti- 
mare differenza  veruna  tra  gli  al- 
tri cristiani  ". 

I  canoni  ecclesiastici  concedeva- 
no bensì  a'  vescovi  di  pronunziar 
sentenza  nelle  cause  di  divorzio 
dei  principi  senza  che  il  Papa  vi 
si  intromettesse,  ma  ad  ambedue 
le  parti  era  libero  l'appellarsi  del 
loro  giudizio,  ed  Ingelburga  avea 
introdotta  appellazione  all'assemblea 
di  Compiegne.  Neil'  insinuare  al 
vescovo  di  Parigi  d' indurre  il  re 
a  ripigliar  la  sua  sposa,  Innocenzo 
III  gli  ricorda  che  la  donna  con  la 
quale  il  re  vivea  non  poteagli 
procrear  mai  legittima  prole;  e  se 
P  unico  figlio  gli  venisse  a  morire, 
il  regno  cadrebbe  in  mano  agli  stra- 
nieri. Raccomandò  al  vescovo  di 
avere  in  vista  qui  più  il  re  del 
cielo,  che  il  re  della  terra,  e  di 
operare  secondo  giustizia  6enza  ri- 
spetto a  persona.  Il  re  non  fece 
alcun  conto  delle  ammonizioni  del 


IHH 

vescovo,  ed  il  Papa  gli  scrisse  con 
amore  per  1'  educazione  che  avea 
ricevuto  in  Francia,  e  per  essere 
sempre  questa  stata  unita  alla 
Chiesa  romana  ;  rinnovò  le  ammo- 
nizioni, e  che  sarebbe  costretto 
con  suo  gran  rincrescimento  di 
aggravar  1'  apostolica  sua  mano 
contro  di  lui,  non  essendovi  cosa 
al  mondo  che  possa  distoglierlo  dal- 
la sua  ferma  risoluzione,  fondala 
com'  è  sulla  ragione  e  sulla  giu- 
stizia. Il  re,  violento  di  sua  natu- 
ra e  non  avvezzo  a  soffrire  con- 
trarietà, non  si  arrestò  altrimenti 
per  queste  rimostranze.  Cogliendo 
Innocenzo  III  1'  opportunità  che 
Pietro  di  Capua  portavasi  in  Fran- 
cia in  qualità  di  legato,  per  ivi 
accender  gli  animi  alle  crociate, 
gli  diede  istruzioni  precise  intorno 
al  divorzio,  commettendogli  di  rin- 
novar al  re  1'  esortazioni  della 
Chiesa,  e  lo  minacciasse  dell'  inter- 
detto, se  fra  un  mese  non  avesse 
richiamata  la  moglie  senza  motivi 
ripudiata.  Tutti  gli  ecclesiastici  di 
qualunque  grado  ebbero  anticipa- 
tamente l'ordine  di  osservare  stret- 
tamente 1'  interdetto  quando  fosse 
intimato.  Innocenzo  III  scrisse  pur 
un'  altra  volta  a  Filippo  Augusto, 
dicendogli  :  »  Bada  alla  collera  di 
Dio,  non  ascoltare  i  consigli  dei 
tristi,  e  fa  di  salvar  dall'  altrui 
maldicenza  te  stesso,  e  noi  pure  ". 
JVon  volle  tuttavolta  per  allora 
procedere,  temendo  che  andasse  a 
vuoto  la  tregua  che  si  proponeva 
di  conchiudere  fra  lui  e  1'  Inghil- 
terra in  favore  della  crociata  di 
Terra  Santa.  Riccardo  I  frattanto 
supplicò  il  Papa  ad  invitare  il  du- 
ca di  Svevia  e  Leopoldo  d'  Austria 
a  restituirgli  il  denaro  che  i  loro 
predecessori  gli  aveano  estorto 
quando,  ritornando    dalla    guerra 


INN  229 

sacra  di  Palestina,  con  violen- 
za l' imprigionarono.  Lo  conten- 
tò quanto  al  duca  d1  Austria,  ma 
con  lo  svevo  chiamato  da  una 
parte  de'  principi  dell'  impero  a 
questo,  gli  sembrò  prudente  di 
soprassedere.  Il  re  d'  Inghilterra 
inoltre  tentò  di  ottenere  per  inter- 
posizione del  Pontefice  le  castella 
ed  il  contante  che  gli  dovea  per 
dote  il  suo  suocero  Sancio  VI  re 
di  Navarro  ,  ed  Innocenzo  III  die 
commissione  all'  arcivescovo  -di 
ÌNarbona  di  procedere  con  rimo- 
stranze e  minacce.  Il  Papa  si  fe- 
ce mallevadore  verso  il  clero  in- 
glese dell'  inviolabilità  dei  diritti 
che  dal  re  gli  erano  stati  promes- 
si pe'sussidii  avuti  da  quella  chie- 
sa, e  protestò  contro  le  collette 
arretrate  procedenti  dalle  isole  di 
Inghilterra  sino  da  Alessandro  III, 
in  favore  della  santa  Sede. 

Eravi  da  molto  tempo  tra  Al- 
fonso VIII  re  di  Castiglia,  ed 
Alfonso  IX  re  di  Leone  grande 
inimicizia,  che  li  faceva  guerreggia- 
pe  ogni  volta  che  il  paese  era  si- 
curo dai  mori  ;  onde  i  prelati  e 
baroni  del  regno  per  pacificarli 
conchiusero  il  matrimonio  di  Be- 
rengaria  figlia  del  re  di  Casti- 
glia collo  zio  re  di  Leone.  Cele- 
stino III  avea  mandato  in  Ispa- 
gna  il  cardinal  Guido  di  s.  Angelo  a 
sciogliere  questo  illegittimo  matri- 
monio, ciò  che  non  riuscendogli, 
il  re  ed  i  vescovi  di  Salamanca, 
Zamora,  Leone  ed  Astorga  furono 
scomunicati  :  all'  incontro  il  vesco- 
vo d'Oviedo  pel  suo  zelo  dovette 
fuggire.  Laonde,  per  questi  ed  al- 
tri gravi  affari,  Innocenzo  III  spe- 
di nella  penisola  frate  Rai  neri  0, 
personaggio  distinto,  con  l'incarico 
altresì  di  pacificar  i  re  cristiani 
della  regione,     di    minacciare    del- 


23o  IJNN" 

l'interdetto  il  re  di  Na varrà  se  non 
ritira  vasi  dall'allenza  dei  mori  in- 
fedeli, di  rimettere  le  discipline  ca- 
dute in  disuso  nelle  chiese,  e  di 
correggerne  gli  abusi.  Indi  gli  fu 
ordinato  di  sciogliere  l' illecito  ma- 
trimonio pel  quale  Alfonso  IX  ab- 
bracciava la  carne  sua  propria,  ab- 
bominevole  colpa  dinanzi  a  Dio, 
orrendo  scandalo  dinanzi  agli  uo- 
mini. Il  legato  avendo  invano  am- 
monito il  re,  rinnovò  il  decreto  di 
scomunica  e  d'interdetto;  la  Ca- 
stiglia  fu  salva  da  queste  censure, 
avendo  il  re  dichiarato  essere  pron- 
to a  riprendersi  la  figlia.  Le  ave- 
va Alfonso  IX  sperimentate  pel 
precedente  suo  maritaggio  con  Te- 
resa figliuola  di  Sancio  I  re  di 
Portogallo,  che  dichiarato  nullo 
per  consanguinilà,  fu  costretto  a 
separarsi  a  cagione  del  culto  divi- 
no cui  si  vide  privo  il  popolo.  In 
questo  secondo  frangente  il  re  spedì 
un'  ambasceria  al  Papa,  per  tenta- 
re di  fargli  mutar  consiglio.  In 
pari  tempo  Innocenzo  III  per 
Rainerio  reclamò  al  re  portoghes* 
1'  annuo  censo  che  Alfonso  1  avea 
promesso  alla  santa  Sede,  quando 
Alessandro  III  gli  concesse  la  di- 
gnità reale.  Per  le  doglianze  del- 
l' arcivescovo  di  Drontheim  e  del- 
l' arcivescovo  di  Lund  avea  Cele- 
stino III  fulminata  la  scomunica 
contro  Suero  re  di  Norvegia  ,  il 
quale  invece  di  correggersi  aumen- 
tò il  novero  delle  sue  iniquità;  es- 
sendo per  lui  distrutta  in  Norve- 
gia ogni  ecclesiastica  istituzione,  e 
la  disciplina  v'  avea  perduto  ogni 
osservanza  e  vigore.  Innocenzo  III 
si  vide  quindi  obbligato  di  porre 
in  opera  tutta  la  potestà  sua  per 
reintegrar  quella  della  Chiesa.  Al- 
la difesa  di  essa  chiamò  i  re  di 
Danimarca    e  di    Svezia,  esortò    il 


INN 

popolo  norvegio  a  cessar  dall'  ob- 
bedienza al  re,  tanto  piò  eh'  era 
un  usurpatore,  minacciandolo  del- 
l' interdetto.  Indi  rinnovò  il  Papa 
la  concessione  fatta  dai  suoi  prede- 
cessori all'  arcivescovo  di  Lund  di 
instituire  per  la  Svezia  un  arcive- 
scovato ad  Upsala  ;  in  Zelanda 
sostenne  il  priore  contro  i  tentati- 
vi de'  laici,  i  quali  volevano  sot- 
trarsi alla  disciplina  anticamente 
introdotta  ne'presbiterii,  ma  disap- 
provò 1'  usanza  di  permettere  me- 
diante denaro  le  nozze  vietate.  Gua- 
rentì ai  monasteri  della  Danimar- 
ca le  donazioni  de'  beni  stabili  , 
secondo  la  consuetudine  del  paese, 
la  quale  consisteva  in  deporre  sul- 
1'  altare  alquanto  di  zolla  alla  pre- 
senza di  testimoni  ;  il  priorato  di 
Strand  ebbe  da  lui  sostegno  contro 
il  proposto  della  cattedrale  di  Schle- 
swig  ;  concesse  al  popolo  danese  la 
sua  protezione  contro  i  sacerdoti  e 
i  laici  a  cui  i  frati  ospitalieri  di 
Gerusalemme  ponevano  la  croce 
addosso  per  raccogliere  nel  paese 
le  obblazioni  a  nome  loro.  Ordinò 
poi  in  Islanda  agli  ecclesiastici  di 
cessare  da  ogni  disobbedienza  ver- 
so i  loro  superiori,  di  non  più 
commettere  omicidii,  incendi,  car- 
nalità, e  di  non  più  destare  1'  u- 
niversale  indignazione  per  la  sem- 
pre più  crescente  moltitudine  dei 
loro  peccali. 

Accorse  ancora  il  zelante  Pon- 
tefice a  provvedere  alla  pace  del- 
l'Ungheria ed  alla  salvezza  sua, 
per  l'invidia  e  l'odio  ch'era  tra 
Emerico  ed  Andrea  figli  del  re 
Bela  III,  ricusandosi  il  secondo  di 
recarsi  alla  crociala  secondo  il  voto 
del  padre.  Spedì  due  legati  in  Ser- 
via  per  riordinarvi  le  cose  eccle- 
siastiche, essendo  debito  del  pastor 
supremo  non  solo  d'aver  cura  della 


I  »  M 
tranquillità  del  gregge,  ma  ezian- 
dio d'invigilare  che  non  sia  sce- 
mato. Verso  il  medesimo  tempo 
Alessio  111  Coinneuo  imperatore 
greco  mandò  al  Papa  ambasciatori 
con  ricchi  doni,  manifestandogli  che 
avrebbe  avuto  caro  di  veder  visi- 
tare 1'  impero  suo  da  qualche  le- 
gato della  santa  Sede.  Innocenzo 
III  colse  con  giubilo  l'invito,  nella 
speranza  di  por  fine  allo  scisma 
della  chiesa  greca.  Scrisse  quindi 
all'imperatore,  che  s'egli  desiderava 
che  il  suo  regno  stasse  fermo  sulla 
pietra  fondamentale  della  Chiesa , 
gli  conveniva  amar  Dio  ed  ono- 
rare la  santa  romana  Chiesa  ;  tutto 
il  popolo  cristiano  mormorare  con- 
tro l'imperatore  perchè  non  aiuta 
gli  eserciti  de'  fedeli  contro  i  ne- 
mici del  nome  cristiano  ;  ma  si 
ancora  per  la  separazione  delle  tri- 
bù greche  dalla  comunione  della 
santa  Sede,  formando  così  una  chie- 
sa a  parte,  come  se  potesse  darsene 
un'altra  oltre  quella  eh' è  una. 
Pregò  l' imperatore  a  ricongiun- 
gere la  chiesa  greca  alla  romana  , 
di  ricondurre  la  figlia  alla  madre 
allineile  le  agnella  di  Cristo  siano 
guidate  da  un  sol  pastore,  al  quale 
effètto  die  potestà  ai  legati  di  trat- 
tare, e  su  quanto  poteva  essere  di 
onore  alla  Chiesa  e  di  utilità  al- 
l'impero.  iSè  tutta  l'attività  d'In- 
nocenzo III  si  sfugava  soltanto  nel- 
le sue  pratiche  cogli  stati  cristiani 
come  capo  ch'era  della  Chiesa,  che 
mentre  allàticavasi  a  togliere  tutte 
le  discordie,  a  costituir  l'unità  cat- 
tolica, a  concentrar  tutte  le  forze 
dei  regni,  egli  avea  principalmente 
a  nobile  intento  di  collegar  tutta 
la  cristianità  contro  i  saraceni  per 
la  liberazione  di  Terra  Santa;  al 
quale  intento  dedicò  tutta  la  po- 
tenza dell'autorità  sua  e  della  sua 


INN  a3 1 

sagacia,  a  fermar  l'ordine  in  Italia 
e  la  tranquillità  nel  reame  di  Si- 
cilia, a  far  che  terminassero  le  in- 
testine discordie  in  Germania  ;  in 
Ungheria  a  rivolgere  il  genio  ar- 
migero del  duca  Andrea  verso  la 
crociala  ;  a  ridurre  Costantinopoli 
in  seno  alla  grande  comunità  cri- 
stiana, e  ad  infiammar  tutto  l'oc- 
cidente con  la  lugubre  pittura  della 
condizione  in  cui  si  trovavano  la 
Palestina  e  i  cristiani  che  ancora 
vi  dimoravano.  Esortò  con  lettere 
tutti  i  principi  ecclesiastici  e  laici 
alla  crociata;  segnò  di  croce  i  car- 
dinali Pietro  e  Solfredo;  a  quanti 
andassero  ad  incontrar  pericoli  nel 
la  crociata  o  vi  concorressero  pro- 
mise in  nome  di  Dio  e  de'  beati 
apostoli  l'assoluzione  di  tutti  i  pec- 
cati, e  pose  le  terre  e  i  beni  dei 
crociati  sotto  la  protezione  de'  ss. 
Pietro  e  Paolo,  della  Sede  aposto- 
lica, e  di  tutti  i  vescovi.  Dispose 
che  le  contribuzioni  di  lutti  i  paesi 
fossero  spese  ne'  bisogni  de'  cro- 
ciati, armò  un  bastimento,  e  lo 
fece  caricare  d'ogni  genere  di  mu- 
nizioni, dimostrando  così  che  la 
Chiesa  romana  non  suole  aggravar 
gli  altri  di  carichi,  e  sgravarne  del 
tutto  sé  stessa,  secondo  le  calunnie 
de'  suoi  nemici.  Questa  crociata  è 
descritta  agli  articoli  Gerusalemme 
e  Crociata  quinta. 

Gran  tempo  erano  durate  al- 
cune controversie  insorte  fra  l' ar- 
civescovo e  il  capitolo  di  Cantor- 
bery  ,  il  quale  era  composto  di 
monaci  benedettini,  perchè  il  pri- 
mo per  svincolarsi  da  loro  avea 
fabbricato  altra  cattedrale  i  cui 
canonici  avrebbero  eletto  i  suoi 
successori,  non  più  i  monaci.  In- 
nocenzo III  pronunziò  la  sentenza 
che  l'arcivescovo  atterrar,  dovesse 
l'edilìzio  da  lui  eretto.  Decise  pure 


5l32 


INN 


la  famosa  questione  tra  l'arcivesco- 
vo di  Tours  e  quello  di  Dol  sui 
diritti  metropolitani,  che  aggiudicò 
al  primo;  e  terminò  l'abuso  delie 
traslazioni  de'  vescovi  dall'  una  al- 
l'altra  chiesa  senza  l'autorizzazione 
della  santa  Sede.  Egli  ebbe  altresì, 
per  non  dirne  di  altre,  a  definir 
la  lite  fra  il  patriarca  d'  Antiochia 
e  quello  di  Gerusalemme.  L' im- 
mensa attività  d'Innocenzo  III  ar- 
rivò ad  ognuna  delle  molteplici  e 
variatissime  cure  del  pontificato  : 
non  vi  fu  cosa  che  a  lui  paresse 
inferiore  agli  uffizi  o  alle  cure  della 
suprema  sua  dignità.  Ognuno  po- 
tea  tenersi  sicuro  di  trovar  prote- 
zione a  Roma  contro  ogni  sorla 
d'  usurpazione,  e  giustizia  contro 
qualunque  oppressore.  Il  grande 
edilizio  della  Chiesa,  che  eri  stabi- 
lito nell'  inviolabile  osservanza  dei 
diritti  de'  piccoli  e  de'  grandi  ,  fu 
rassodato  e  ampliato  per  la  subor- 
dinazione strettamente  ordinata  di 
tutte  le  parti  del  corpo  cristiano  , 
dalla  vasta  mente  ed  energia  del 
Pontefice.  Nel  1199  mandò  un 
governatore  munito  di  pieni  poteri 
nel  ducato  di  Spoleto  e  nel  con- 
tado d'Asisi  e  in  Toscana,  il  qua- 
le fu  accompagnato  dal  prefetto 
di  Roma,  conferendo  ad  ambedue 
facoltà  di  fare  e  disfare,  acciò  co- 
stringessero le  città  a  rientrare  nei 
limiti  della  loro  giurisdizione,  con  im- 
pedir ad  esse  d'invadere  i  diritti  della 
sovranità.  La  popolosa  città  di  Tre- 
viso, che  avea  un  tempo  obbedito 
al  crudele  Ezzelino,  indi  ad  Enrico 
VI,  erasi  armata  in  guerra  contro 
ì  vescovi  circonvicini,  e  avea  sman- 
tellato la  città  di  Feltre,  obbligan- 
do vescovo  e  terrazzani  a  prestarle 
giuramento  di  obbedienza.  I  vesco- 
vi di  Belluno  e  di  Ceneda  videro 
pur  essi  dare   il  guasto    alle    loro 


INN 

terre,  e  la  chiesa  d' Aquilein  sog- 
giacque a  danni  grandissimi.  I  tre- 
vigiani, senza  pigliarsi  fastidio  della 
scomunica  e  senza  aver  riguardo 
a  un  accordo  conchiuso  coli'  im- 
peratore, non  cessarono  dalle  loro 
ostilità  contro  i  vescovi  di  Feltre, 
di  Belluno  e  di  Ceneda,  continua- 
rono i  loro  guasti,  ed  un  giorno 
imprigionarono  duecento  persone 
tra  le  più  ragguardevoli.  Sentenze 
per  arbitri,  giuramenti,  pegni,  o- 
staggi,  ogni  cosa  fu  inutile  a  trat- 
tenerli ;  che  anzi  fingendo  di  voler 
venire  ad  accordo,  presero  il  ve- 
scovo di  Belluno  in  un  agguato , 
lo  posero  a  morte,  e  collocarono 
presidii  nelle  sue  terre.  Per  tali 
gravi  avvenimenti  Celestino  III 
bandi  l' interdetto  contro  la  Marca 
Trivigiana,  e  la  scomunica  contro 
gli  autori  principali  del  misfatto. 
Dopo  l'elezione  d'Innocenzo  III  i 
trivigiani  domandarono  a  lui  gra- 
zia, ma  poi  invano  egli  ordinò  loro 
una  inquisizione,  ed  invano  promise 
l'assoluzione  purché  dar  volessero 
soddisfazione  per  l'uccisione  del  ve- 
scovo, e  cauzione  pei  beni  vescovili 
da  essi  occupati  ;  giacché  si  mo- 
strarono apertamente  nemici  della 
santa  Sede,  strinsero  lega  con  Ve- 
rona e  Vicenza,  ed  irruppero  di  bel 
nuovo  nel  vescovato  di  Ceneda,  ad 
onta  della  pace  col  vescovo  giu- 
rata. Arsero  la  cattedrale  e  varie 
altre  chiese,  spogliarono  gli  altari, 
rapirono  le  reliquie ,  e  misero  a 
sacco  le  proprietà  della  chiesa  e 
del  vescovo,  il  quale  si  salvò  colla 
fuga.  Non  potendo  Innocenzo  III 
più.  a  lungo  tollerare  tante  enor- 
mità, intimò  la  restituzione  d'ogni 
cosa  rapita  e  il  risarcimento  di 
tutti  i  danni  patiti  dal  patriarcato 
d'  Aquileia  e  dai  tre  vescovi ,  mi- 
nacciando altrimenti  di   togliere  il 


INN 
grado  episcopale  alla  chiesa  di  Tre- 
viso ,  d'  interdire  ogni  pratica  e 
ogni  commercio  alle  provincie  della 
Lombardia  cogli  abitanti  della  città, 
e  di  commettere  ai  principi  di  por 
le  mani  addosso  a'  loro  trafficanti, 
di  vender  le  loro  merci  e  d' im- 
prigionar le  loro  persone,  giacché 
la  loro  colpa  era  tanto  grave  che 
meritava  castigo  temporale  e  spi- 
rituale. 

Dopo  la  morte  dell'  imperatrice 
Costanza,  i  consiglieri  da  lei  depu- 
tati a  Federico  II  suo  figlio,  si  ri- 
volsero ad  Innocenzo  III  pregan- 
dolo a  proteggere  il  reame  e  1'  or- 
fano principino,  ed  egli  rispose  con 
una  lettera  diretta  al  fanciullo.»  Il 
Padre  delle  misericordie,  il  Dio 
d' ogni  consolazione  corregge  e  ca- 
stiga coloro  ch'egli  ama,  ma  dalla 
correzione  e  dal  castigo  fa  che  ne 
venga  un  frutto  salutare.  Per  dar- 
tene una  prova  evidente,  vedi  che 
e^li  ha  deputato  il  suo  vicario  a 
tuo  tutore  ;  con  l'abbondanza  della 
sua  grazia  egli  ha  riparato  la  per- 
dita del  padre  tuo  con  un  padre 
più  degno,  e  in  vece  della  madre 
defunta,  ti  dà  una  madre  migliore, 
quella  cioè  intorno  al  cui  capo  la 
destra  e  la  sinistra  mano  del  Si- 
gnore si  allacciano,  secondo  si  leg- 
ge ne'Cantici.  Noi  dunque,  non  solo 
per  debito  del  pastorale  uffizio  no- 
stro, pel  quale  siamo  obbligati  ver- 
so tutti  e  principalmente  verso  i 
pupilli  e  gli  orfani,  ma  sì  ancora 
per  tua  madre  l'imperatrice  Co- 
stanza, di  gloriosa  memoria ,  che 
ti  commise  alla  nostra  tutela,  e 
perchè  il  reame  di  Sicilia  ap- 
partiene al  patrimonio  della  Chie- 
sa, ci  assumiamo  di  amarti  e  pro- 
teggerti, di  provvedere  con  tutte 
le  forze  nostre,  se  Dio  ci  aiuti,  al- 
1  onore  e  all'  incremento  della  po- 


199  a33 

desta  regale,  alla  sicurtà  del  regno 
ed  al  bene  de'  tuoi  fedeli.  Ti  con- 
fortiamo però  a  dar  bando  ad  ogni 
tristezza  e  ad  esultar  nel  Signore 
che  t'  ha  dato  un  padre  spirituale 
in  luogo  d'un  padre  temporale,  e 
nella  morte  di  tua  madre  ti  ha 
procurato  le  materne  sollecitudini 
della  Chiesa,  finché  fatto  uomo  e 
raffermato  in  trono,  tu  abbi  sem- 
pre più  a  venerar  colei  per  la 
quale  fosti  esaltato.  Fa  dunque  di 
accogliere  benignamente  i  nostri  le- 
gati,  perocché  eglino  saran  tutti  per 
te,  e  si  mostreranno  diligenti  e  sol- 
leciti in  ogni  commissione  ed  uffi- 
zio loro  affidati  ".  Innocenzo  III 
rivolse  dunque  allora  ogni  cura  sua 
alle  cose  della  Sicilia  e  degli  altri 
dominii  del  suo  pupillo,  uè  mai 
cessò  dall'  intendere  all'  onore  del 
re  ed  alla  prosperità  del  regno.  Ne 
die  subito  lumiuosa  prova  opponen- 
dosi con  tutte  le  forze  a  Marco- 
valdo  tornato  di  Germania  con  mi- 
ra d' impadronirsi  della  Sicilia,  a- 
gognandone  la  corona,  e  produ- 
ceudo  un  testamento  d' Enrico  VI 
che  gli  affidava  la  tutela  del  re 
pupillo  e  la  reggenza  dello  stato. 
Respinse  colle  armi  quelle  di  Mar- 
covaldo,  lo  scomunicò  co'  suoi  a- 
derenti,  e  concesse  indulgenze  a  chi 
combatteva  contro  di  lui.  Tra  i 
legati  spediti  dal  Papa  nel  regno 
vi  fu  il  cardinal  Gregorio  con  pieni 
poteri,  siccome  personaggio  chiaro 
per  fermezza,  prudenza  e  destrez- 
za, avendo  più  volte  trattato  gli 
affari  della  Chiesa  romana  in  Si- 
cilia. Marcovaldo  si  levò  la  ma- 
schera, e  per  Corrado  arcivescovo 
di  I\Iagonza  fece  offrire  al  Papa 
quarantamila  oncie  d'  oro  ,  doppio 
canone  feudale,  i  più  estesi  diritti 
del  papato  in  Sicilia,  e  di  ricevere 
la  corona  dalle  sue  mani,  solo  che 


234  INN 

non  si  opponesse  a'  suoi  disegni  , 
olimi  dosi  a  provare  che  Federico  II 
non  era  altrimenti  figlio  degli  im- 
periali coniugi.  Avendo  Innocenzo 
ili  ributtato  con  orrore  queste 
proposi/ioni,  Marcovaldo  immaginò 
nuova  perfidia  e  chiese  di  ricon- 
ciliarsi colla  Chiesa,  promettendo 
con  solenne  giuramento  obbedien- 
za. Dubitando  il  Papa,  non  senza 
ragione,  d'inganni,  non  avendo  però 
inai  la  Chiesa  negato  di  aprir  le 
braccia  ai  figli  suoi  ravveduti,  man- 
dò luttavolta  tre  cardinali  legati  a 
Veroli  per  ribenedirlo,  con  molte 
condizioni  eh'  egli  lece  mostra  di 
accettare,  mentre  tramava  d'impa- 
dronirsi de'  cardinali.  Continuò  le 
sue  mene,  ad  usar  il  titolo  di  reg- 
gente, e  vuoisi  che  per  tale  il  ri- 
conoscesse Filippo  di  Svevia  zio 
del  pupillo;  senza  più  il  Papa  tor- 
nò a  scomunicarlo,  ed  egli  passato 
in  Sicilia  trovò  nuovo  campo  ai 
suoi  sediziosi  maneggi,  e  vi  com- 
mise inaudite  crudeltà  e  danni. 

Per  tante  calamità  i  consiglieri 
del  re  nuovamente  ricorsero  ad  In- 
nocenzo III.  Questi  scrisse  a  tutti 
gli  abitanti  della  Sicilia,  di  nuovo 
rammentò  loro  le  vessazioni  da  essi 
provate  per  opera  de'  tedeschi ,  e 
siccome  Marcovaldo  voleva  spogliar 
Federico  II  del  retaggio  materno, 
ed  erasi  collegato  co'sàraceni,  gl'in- 
sito a  combatterlo,  promettendo  loro 
le  grazie  medesime  concedute  ai 
crociati.  Scrisse  pure  ai  saraceni 
stabiliti  in  Sicilia,  a  guardarsi  bene 
dalle  promesse  e  minacce  di  Mar- 
covaldo ,  a  non  mostrarsi  ingra- 
ti ai  favori  dai  re  ad  essi  con- 
ceduti, e  ad  aspettarsi  dalla  be- 
nevolenza della  santa  Sede  non  so- 
lo la  conservazione  ,  ma  ben  anco 
l' ampliamone  de' loro  antichi  privi- 
legi   o    consuetudini.    Al    cardinal 


I  NN 
Cencio  Savelli,  uno  delegati,  affi- 
dò Innocenzo  111  la  direzione  su- 
prema dell'educazione  di  Federico 
li,  ed  il  primo  precettore  sotto  di 
lui  fu  il  vescovo  di  Catania.  Frat- 
tanto la  Germania  co' suoi  princi- 
pi era  divisa  tra  Ottone  IV  e 
Filippo  di  Svevia,  altri  principi 
restando  neutrali,  considerando  co- 
me vacante  il  trono  imperiale;  il 
primo  colla  morte  dello  zio  Ric- 
cardo I  provò  danno,  perchè  alcu- 
ni principi  ch'erano  della  sua  pas- 
sarono alla  parte  dell'emulo,  per 
cui  vide  che  a  principale  suo  ap- 
poggio non  gli  restava  che  il 
Papa  ;  ond'  è  che  sempre  più  si 
strinse  a  lui,  promettendogli  ogni 
cosa,  e  volle  il  suo  assenso  nel- 
1'  intendimento  di  sposarsi  a  Ma- 
ria figlia  del  duca  di  Brabante. 
Rispose  Innocenzo  Ill^all'arci vesco- 
vo di  Colonia  che  gli  avea  parte- 
cipato l'elezione  di  Ottone  IV,  che 
avrebbe  con  piacere  contribuito  al- 
la sua  potenza,  sperando  che  si 
sarebbe  conservato  divoto  alla  san- 
ta Sede.  Nel  medesimo  tempo  rup- 
pe il  silenzio  sul  conto  di  Filippo 
che  non  avea  partecipato  la  sua 
elezione,  scrivendo  a  tutti  i  prin- 
cipi ecclesiastici  e  secolari  di  Ger- 
mania, quanto  fosse  necessaria  la 
concordia  tra  la  Chiesa  e  l'impero, 
e  di  esser  pronto  a  dispensar  le 
grazie  apostoliche  a  colui  che  a- 
vesse  in  sé  maggior  numero  di 
suffragi  e  il  merito  maggiore.  Otto 
giorni  dopo  la  spedizione  di  tale 
lettera  •  partiva  da  Spira  quella 
che  Filippo  scrisse  al  Papa,  scu- 
sandosi del  ritardo  e  pregandolo 
accogliere  favorevolmente  quanto  i 
legati  pontificii  gli  avrebbero  det- 
to .  In  pari  tempo  molli  princi- 
pi ecclesiastici  e  secolari  scrissero 
ad  Innocenzo   III   supplicandolo  a 


INN 
nou   pregiudicare  i  diritti  dell'  im- 
pero, e  che  avrebbero  accompagna- 
to Filippo    a  Roma    per    ricevervi 
la  corona    imperiale.  11  re  di  Fran- 
cia vi  aggiunse    una     commendati- 
zia, assicurandolo     che     Filippo  a- 
vrebbe  stretto  h'ga     perpetua  colla 
Chiesa.    Prima     di     risolvere    volle 
Innocenzo    111   consultare  il    cardi- 
nal  Corrado  arcivescovo  di  Magou- 
za,    che  reduce    dalla     Palestina  si 
portò   in  Roma,  sembrandogli  1'  uo- 
mo   destinato    a     ristabilir  la  pace 
in  Germania,  di  che  in  pieno  con- 
cistoro gliene  die  V  incarico,  e  per 
collega    neir  ambasceria     Bonifazio 
marchese  di   Monferrato.  Ritornato 
Corrado  in  Germania,  si  convenne 
che  la   controversia    sarebbe  giudi- 
cata   inappellabile    dai  principi  ec- 
clesiastici e  temporali  nella  dieta  di 
Boppart,  pei   quali    Ottone  IV  cal- 
dissimamente   e    colle     più    larghe 
promesse  implorò    le    raccomanda- 
zioni   del    Pontefice  .    Filippo     in- 
viò  pure  a  Roma   i    suoi  deputati, 
colla   commissione    di   trattare  ver- 
balmente   col    Papa.     Questi   li  ac- 
colse in   un  concistoro  di  cardinali, 
rivolse  loro    un'  allocuzione   a  sta- 
bilire ancor  lui    la    preminenza  del 
sacerdozio  sui     re,    allocuzione  no- 
tabile, di  cui  sarà  bene  riferirne  al- 
cuni   paNsi. 

II  Pontefice  dopo  d'  essere  sali- 
lo sino  a  Melchisedech  e  ad  A- 
bramo,  per  provare  che  il  consa- 
crante sta  sopra  al  consacrato,  sog- 
giunge. »  Benché,  secondo  prescri- 
ve la  legge  divina,  i  re  e  i  sa- 
cerdoti ricevono  del  pari  1'  unzio- 
ne, il  sacerdote  nondimeno  è  quel- 
lo che  dà  F  unzione  al  re,  e  non 
già  il  re  al  sacerdote,  la  qual  co- 
sa proverebbe  senza  più  che  quel- 
lo è  inferiore  a  questo.  Ond'  è 
che    Gesù    Cristo    disse  :     il  Padre 


IH*  a35 

che  F  ha  unto  secoudo    la  sua  di- 
vinità essere    maggiore    di   lui  che 
fu   unto    secondo    la    sua   umanità. 
Ond'  è     parimenti    che    il  Signore 
dà   il   nome   di    Cristi  a'  sacerdoti  , 
e  quel  di  principi  ai  re.  A  que>ti 
è  dispensata    la    podestà    in  terra, 
a  quelli   in  cielo  ;  al    re  sui  corpi, 
ai  sacerdoti   sulle    anime.  11  sacer- 
dozio    è     altrettanto     superiore    al 
principato,  quanto  l'anima  è  supe- 
riore al  corpo.   I  principi  sono  co- 
stituiti   sulle  provincie    e    i  re  sui 
reami  ;     ma     Pietro     va  innanzi  a 
tutti,  tanto  per  1'  estensione,  come 
per    la    plenitudine    della     podestà 
sua,  perocché    egli    è  il  vicario  di 
colui  al  quale  appartiene  la  terra , 
F  universo,    con     lutti     quelli    che 
T  abitano.    Il     sacerdozio    precede 
altresì    il  principato    nell'anzianità. 
L'  uno    e  F  altro  ebbero  principio 
al  tempo    del    popolo    di    Dio;  il 
sacerdozio  istituito  da  Dio  medesi- 
mo, il   principato  carpito  dagli  uo- 
mini.  Dio  disse    a   Mosè,   parlando 
del    sacerdozio:     Lucerai     Aronne 
e   i  suoi  Jìgliuoli ....  affinchè  eser~ 
citino   il  mio  sacerdozio.   11  Signo- 
re disse  a    Samuele,    parlando  del 
principato  :    Ascotta    le    parole    di 
onesto  popolo     in    tulio  quello  che 
ei  ti  dice  j  perocché  eglino  han  ri- 
gettalo non  te,  via  me.   Alcuno  di- 
rà forse  :   Ma    il    princrpato  è  ben 
più  antico  fra'  pagani,  perchè  Baal 
fondò  il  suo  regno  in  Assiria  poco 
dopo  la  costruzione   della   torre  di 
Babele.  Allora  salite  a  Sem,  a  Noè, 
pur  fino  ad  Abele.   Se   guardasi  al 
modo  in    cui    sacerdozio    e  princi- 
pato continuarono    a    sussistere,  si 
vede  che  .fin  dai   tempi   pili  limoli 
v'  ebbe  chi  si  ribellò  contro  1'  uno 
e  contro  F  altro  :    contro  il  sacer- 
dozio,    Core,     Datan,    Abiron    e  i 
suoi,  che    furono    inghiottiti    dalla 


236  INN 

terra    e    consumati    dalle   fiamme  ; 
contro  il  principato  di  Saul,  David, 
non  per  protervia,    ma  per  ordine 
di  Dio;  e  a    dispetto    delle  lunghe 
persecuzioni  di  Saul,   finì  per  vin- 
cere,   perchè    Dio    era    con  lui.  E 
ora,  perchè  mai  la  ribellione  con- 
tro il  sacerdozio  fu  perdente,  e  vit- 
toriosa contro  il  principato  ?  Que- 
$t'  è  in  vero  il  supremo  indizio  di 
un  gran  fatto,  un  simbolo  per  av- 
ventura del  tempo  presente!   Glie 
perchè,  a  dir  nostro,    la  ribellione 
contro     il     sacerdozio     trovar     non 
poteva  veruna  assistenza,    perchè  il 
sacerdozio    fu    insliluito  da    Dio,  e, 
il  principato  fu  carpito  dalle  istan- 
ze degli  uomini.  Il  regno  dopo  la 
morte  di  Salomone  andò  diviso,  e 
due  tribù  conservarono  Gerusalem- 
me, la  sede  regale,  il    tempio  e  il 
sacerdozio.    Geroboanjo    divise  pur 
esso  il  sacerdozio,    edificò  un  tem- 
pio ai  falsi  Dei  e  instiliù   sacerdo- 
ti che  non    erano    altrimenti  della 
tribù  di  Levi.  Che  avvenne  ?  Men- 
tr'  egli  se  ne    stava  all'  altare  get- 
tando incenso,    accostatosi    a  lui  il 
profeta,    gli    disse:    Che  il  Signore 
sia  quegli  che  parla,  da  questo  H 
vedrete:  ecco  che  V  aliare  si  squarr 
cera  e  la  cenere  che   vi  è  sopra  si 
spanderà.  Il  re  allora  stese  la  ma- 
no, e  gridò;   Prendete    costui!  ma 
la    sua     mano     era     già     inaridita, 
1'  altare    squarciavasi,     e  la  cenere 
disperde  vasi.    Ecco    di    qual    modo 
castigò  Dio  la    ribellione    contro  il 
sacerdozio  ". 

»  Quanto  accadde  nell'  antica 
alleanza,  accadde  altresì  nella  nuo- 
va. Per  non  andar  cercando  gli 
esempi  troppo  lontano,  il  principa- 
to e  il  sacerdozio  erano  al  tempo 
di  Papa  Innocenzo  II  e  del  re 
Lotario  II  discordi  fra  loro.  Fu 
innalzalo  Anacleto  II  contro  Inno- 


INN 
cenzo    II,    e    Corrado    III    contro 
Lotario  II  ;  ma  i  due  cattolici  In- 
nocenzo   II  e     Lotario    II    trionfa- 
rono,   perchè  Innocenzo    II  coronò 
Lotario  II;  e   i   due  scismatici  A- 
nacleto  II    e  Corrado   III    soggiac- 
quero, perchè  la  verità  trionfa  del- 
l' errore.  Sotto  il  pontificato  d'  A- 
lessandro  III    uno  scisma  divise  la 
Chiesa,    e    l' impero    rimase  unito 
sotto  Federico  I.    Quest'  imperato- 
re, che  non  proteggeva  altrimenti, 
ma  perseguitava  la  Chiesa,  fomentò 
la  discordia,  e  sostenne   lo  scisma- 
tico ;  ma    lo    scisma    fu    abbattuto 
insieme  con  tutti  quelli  che  Io  ca- 
gionarono;   e    ora    la    Chiesa,  per 
la  grazia  di  Dio,  è  unita,  laddove 
1'  impero,  per  colpa    de'  suoi  pec- 
cati,   è    diviso.  Ma    la  Chiesa  non 
procede  verso  I'  impero  come  que- 
sto ha  proceduto    verso  la   Chiesa. 
Ella  si  affligge  per  questa  discordia, 
e  soprattutto  non  può  patire  di  ve- 
dere   i    principi    macchiare  il  pro- 
prio   nome,    infamare    il    proprio 
onore,  e  calpestar    la  libertà    e  la 
dignità  loro.  Già  da  un  pezzo  sot- 
topor    doveasi  questa    controversia 
alla  santa  Sede,  cui    spetta  il  giu- 
dicare in  prima  ed  ultima  istanza, 
avendo  essa    e  non    altri   trasferito 
1'  impero    d'  oriente    nell'  occiden- 
te, a  lei  appartenendo  il  concedere 
la    corona    imperiale.    Noi    dunque 
vi  daremo     udienza,     leggeremo  le 
lettere. del  vostro    signore,    e  con- 
sultati i  nostri    fratelli     vi  daremo. 
risposta.     Voglia    Dio    onnipotente 
ispirarci   un  giusto    consiglio,  e  ri- 
velarci   la  volontà  sua,     acciò  pro- 
veder possiamo  in  questa  causa  per 
la  gloria  sua  e  pel    maggior  bene 
della  Chiesa    e    dell'impero".   La 
risposta,  in  sostanza^  era  già  data  ; 
poiché  Innocenzo    III,  con  profon- 
da cognizione  della  sacra  Scrittura, 


INH 

nell'  interpretarla    avea    dichiarato 
ai  deputati  di  Filippo  la  preminen- 
za   della    Chiesa  sull'  impero,    del 
sacerdozio  sul  principato,  ed  i  suoi 
diritti    sulla     controversa    elezione. 
Innocenzo    III    spiegossi    più  chia- 
ramente ancora  nella    sua  risposta 
ai  principi  ecclesiastici  e  secolari  del- 
la Germania,  e  fu  secondo  i  desi- 
derii  di  Ottone  IV.  Il  Papa  scris- 
se loro,  di  aver  deliberato    co' suoi 
fratelli  i  cardinali  di  santa  Chiesa, 
ed  altri  uomini  di    gran    dottrina, 
sul    grave    argomento,     con     aver 
scrupolosamente  esaminatele  dispo- 
sizioni degli  elettori  e  i  meriti  de- 
gli eletti.  Egli  scongiurò  pertanto  i 
detti  principi    a     non    lasciarsi    al- 
lucinar da  coloro,  che  mirano  più 
al  proprio,  che    al     pubblico  van- 
taggio; un  principe     non  si  elegge 
perchè  favorisca  il    bene  d'  un  so- 
lo,    ma    quello    generale    di  tutti. 
Esternò     poi    il  suo    stupore  come 
il  cardinal     Corrado,    il  quale  vio- 
lando la    promessa     fatta    di  nulla 
intraprendere  circa    1'  elezione  sen- 
za  prima  informarne    la  santa  Se- 
de,   avea    sottoposto     la    questione 
alla  definitiva  sentenza  d'  una  die- 
ta ;  essere     suo    debito    che    nulla 
fosse     fatto    contro     il     bene    della 
Chiesa    e  dell'impero.    Ottone    IV 
comparve  a  Boppart,    ma  moltissi- 
mi   principi     non     v'  intervennero, 
onde  la  dieta  rimase  senza  effetto  ; 
ed    Innocenzo  HI    se  ne  dolse  col- 
1*  arcivescovo    di    Colonia,  doman- 
dandogli    la    relazione    dello  stato 
delle    cose.     Intanto    il    partito  di 
Filippo    si    accrebbe,    e    questo    e 
1'  emulo  si  fecero  delle  scambievo- 
li rappresaglie  a  travaglio  dell'  im- 
pero. 

Per  la  morte  di  Riccardo  I  la 
tregua  conchiusa  col  re  di  Fran- 
cia dal    cardinal    Pietro    di  Capua 


INN  237 

non  ebbe  effetto;  il  cardinale  in- 
contrò miglior  fortuna  per  termi- 
nare i  litigi  tra  Baldovino  IX  conte 
di  Fiandra  e  Filippo  Augusto,  per 
la  successione  di  Maria  madre  del 
primo.  A  Riccardo  I  successe  il 
suo  fratello  Giovanni,  ma  nel  prin- 
cipe Arturo  figlio  del  maggior  fra- 
tello Geoffroy,  trovò  un  competi- 
tore che  vantava  miglior  titolo  di 
lui  al  trono.  Intanto  giunse  ia 
Roma  1'  ambasceria  del  re  di  Leo- 
ne, ed  i  vescovi  che  ne  facevano 
parte  supplicarono  il  Papa  per 
motivi  gravissimi  a  sospendere  le 
leggi  ecclesiastiche  :  egli  però  solo 
mitigò  in  favore  del  popolo  e  iu 
parte  il  rigore  dell'  interdetto,  au- 
torizzando la  celebrazione  de'  divi- 
ni uffizi ,  senza  permettere  la  se- 
poltura in  luogo  sacro,  salvo  che 
per  quei  chierici  che  fossero  pro- 
prietari de' luoghi  ove  destinavano 
tumularsi.  La  regina  die  alla  luce 
un  bambino,  che  fu  s.  Ferdinan- 
do III,  e  ad  onta  della  scomunica 
venne  solennemente  battezzato  nel- 
la cattedrale  di  Leone.  JNegò  quin- 
di Innocenzo  IH  a  Pietro  II  re 
d'  Aragona  di  sposare  Bianca  so- 
rella del  re  di  Navarca  e  sua  pa- 
rente, benché  avesse  per  iscopo  un 
giurato  trattato  di  pace  ;  il  Papa 
dichiarò  il  giuramento  spergiuro 
e  disonesta  promessa,  che  non  era 
lecito  osservare.  Bendiè  frate  Rai- 
neiio  indusse  il    re    di   Castidia    e 

o 

d'  Aragona  ad  una  spedizione  cou- 
tro  i  saraceni,  con  gran  conlento 
del  Papa,  questi  non  volle  accon- 
sentire che  senza  1'  approvazione 
del  suo  popolo  si  servisse  per  ef- 
fettuarla di  moneta  alterata  :  cosi 
Innocenzo  III  resisteva  alla  prepo- 
tenza de'  principi  pel  maggior  be- 
ne de'  popoli.  Avendo  il  Papa  spe- 
dito due  inviali  pontificii   al  re  di 


a38  INN 

Dioclca    e    di  Dalmazia,  essi    cele- 
brando   un    concilio    vi  statuirono 
utilissimi  canoni    e  discipline.   I   le- 
gati inviati     all'  imperatore   Alessio 
III,  giunti  in  Costantinopoli,  ebbe- 
ro da    questi   le     seguenti   risposte, 
poco  soddisfatto  pel    loro  contegno 
acerbo,  e  pei   veementi    rimproveri 
del  Papa.   Quanto    alla  liberazione 
del    santo  Sepolcro   ne  favorirebbe 
i  tentativi  se  1'  impero  sarà  lascia- 
to illeso  ;  quanto     all'  unione  delle 
due    Cbiese     dichiarò     che   ognuna 
rinunziasse  alle  sue  opinioni,    tutti 
unendosi  nella     volontà  di  Dio;  e 
se  le  dottrine  controverse  si  voles- 
sero sottomettere    ad    un  concilio, 
la  Chiesa  greca  v'interverrebbe.   Il 
patriarca     di      Gerusalemme     lodò 
1'  ardente  zelo  del    Papa  per  1'  li- 
mone., ma    esternò    il    suo  stupore 
nel  sentir  chiamare     la   Chiesa  ro- 
mana universale  e  madre  di  tutte 
le  Chiese,    e  siccome    egli    credeva 
che  la  Chiesa  di  Gerusalemme  fos- 
se la  vera  madre,  desiderò  schiari- 
menti.   Rispose    il     Papa    all'  im- 
peratore: le  riprensioni  essere    sta- 
te   fatte    in    senso     esortatorio,  co- 
mechè  il   riprendere,    giusta   le  pa- 
iole dell'  Apostolo,  stia  nei  doveri 
del  Pontefice.    Se    egli     meglio  ri- 
fletterà, conoscerà  corrergli  dovere 
di  soccorrere  il  santo  Sepolcro.   Si 
rallegrò     per     la     disposizione    che 
mostrava  all'unione     consultandolo 
nelle  cose  dubbie,  e  convenne  sul- 
la    convocazione     del     concilio.   Al 
patriarca  spiegò  il    primato    ponti- 
ficio   istituito    da    Dio  ;     perchè  si 
chiama  universale  la  Chiesa  roma- 
na, siccome  avente    sotto    di  sé  le 
altre    tutte,    che    insieme    ad  essa 
compongono  propriamente  la  Chiesa 
universale  o    cattolica,  quindi  esse- 
re la  romana    quale    parte  princi- 
pale della  medesima,  e    perciò  go- 


INN 
dere  la  preminenza;  e  che  la  Chie- 
sa di  Gerusalemme  poteasi  chia- 
mare madre  della  fede,  la  romana 
madre  de'  fedeli,  perchè  fu  costi- 
tuita sopra  di  loro  per  la  premi- 
nenza di  dignità,  non  in  ordine  al 
tempo.  Inoltre  1'  imperatore  sup- 
plicò il  Papa  ad  indurre  il  re  di 
Cipro  a  riconoscere  1'  alta  sua  si- 
gnoria sull'  isola,  volendo  altrimen- 
ti tentar  la  sorte  dell'  armi,  ma 
non  raggiunse  1'  intento. 

Rientrando  nel  grembo  della 
Chiesa  gli  armeni,  il  loro  re  Leo- 
ne il  Grande  si  dichiarò  vassallo 
dell'impero  romano,  ottenne  la  di- 
gnità reale  e  da  Innocenzo  III  un 
legato  che  lo  nominò  re  del  Regno 
d'Armenia  [Vedi).  Il  Papa  si  die- 
de tutta  la  sollecitudine  pel  bene 
spirituale  degli  armeni,  e  prese  la 
difesa  di  Raimondo  principe  latino 
d'Antiochia,  come  supremo  protet- 
tore de'  principi  orfanelli.  In  que- 
sto tempo  fecero  pure  la  loro  sot- 
tomissione alla  Chiesa  i  Bulgari 
ed  i  Vallachi  (Vedi),  il  cui  princi- 
pe Gioannicio  o  Caloianni  avea 
domandato  a  Celestino  III  la  co- 
rona reale  per  sé,  ed  un  patriarca 
pel  suo  paese.  Accorse  Innocenzo 
III  a  procurare  aiuti  ai  nuovi  cri- 
stiani di  Livonia,  ed  alla  nascente 
chiesa  di  Riga,  dando  licenza  ai 
crociati  di  Palestina  di  portarsi  a 
combattere  i  pagani  di  Livonia,  e 
per  tal  difesa  e  propagazione  del 
vanselo  confermò  l'ordine  militare 
della  Spada,  fondato  per  ciò  da  Al- 
berto di  Brema  vescovo  di  Riga. 
Sebbene  da  gran  tempo  innanzi  la 
Prussia  aveva  accolto  alcuni  mis- 
sionari, però  al  novello  impulso  da- 
to da  Innocenzo  III  si  deve,  che 
l'evangelo  predicatovi  dal  suo  in- 
viato Cristiano  monaco  cistercien- 
se  ,    cominciasse     a    gittarvi    prò- 


INN 

fonde  radici.  La  speranza  di  sem- 
pre più  ampliare  il  regno  del  Si- 
gnore, rallegrò  tanto  il  Pontefice, 
che  scrisse  ai  crociati  di  Costanti- 
nopoli come  s.  Pietro  si  adoperasse 
in  ogni  parte  nell'uffizio  suo  di 
pescatore  delle  anime.  E  in  tutte 
queste  sollecitudini  del  Papa  per 
esercitare  l'autorità  sua  nelle  cose 
di  tutte  le  diverse  contrade ,  nel 
corroborare  la  concordia  de'  prin- 
cipi, conservare  in  tutti  i  regni  la 
riverenza  alla  santa  Sede,  egli  ave- 
va sempre  per  principal  fine  di 
adoperare  tutte  le  forze  della  cri- 
stianità per  riacquistare  la  Terra 
Santa.  Sebbene  la  trista  condizione 
de'  regni  principali  ostasse  all'effet- 
tuazione del  suo  grande  intento , 
egli  non  si  rimise  mai  dalla  sua 
instancabile  attività.  Compartì  elogi 
ai  cisterciensi ,  ai  premonstratensi 
ed  a  parecchi  altri  ordini  pel  loro 
virtuoso  e  pio  tenore  di  vita ,  e 
rinnovò  la  domanda  delle  contribu- 
zioni agli  ordini  religiosi  ed  al  cle- 
ro di  tutta  la  cristianità  in  aiuto 
de' crociati,  de' quali  espose  l'im- 
minente pericolo  siccome  bersaglio 
de' saraceni  potenti.  Gli  arcivesco- 
vi furono  abilitati  a  convertile  in 
limosine  per  Terra  Santa  le  peni- 
tenze imposte,  ed  esortò  gli  uomi- 
ni atti  ad  arrollarsi  sotto  i  vessilli 
del  Signore.  Ma  gli  eccitamenti  a 
pigliar  la  croce,  per  caldi  e  urgenti 
che  fossero,  non  ebbero  sempre  l'ef- 
fetto desiderato,  che  anzi  la  non 
curanza  ormai  con  che  venivano 
accolti   era   motivo  a  rinnovarli. 

Nel  pubblicare  Innocenzo  IH  un 
breve  relativo  agli  ebrei,  li  chia- 
mò testimoni  viventi  della  fede  cri- 
stiana, »  non  esser  quindi  lecito  al 
cristiano  distruggerli,  perchè  gio- 
vano a  impedirgli  di  scordarsi  la 
cognizione  della  legge  ;  e  poiché  ad 


IN  fi  239 

essi  è  conceduto  di  praticar  giuri- 
dicamente tuttociò  a  cui  sono  dalla 
legge  autorizzati,  non  si  vuole  tur- 
bameli. Quantunque  vogliano  essi 
piuttosto  perfidiar  nella  durezza  dei 
loro  cuori,  che  intendere  le  predi- 
zioni de'  profeti  e  i  misteri  della 
loro  legge,  e  imparare  a  conoscere 
Gesù  Cristo,  nullameno  hanno  pur 
essi  diritto  alla  nostra  protezione, 
onde  noi  loro  la  concediamo  per 
carità  cristiana,  ad  esempio  de'  no- 
stri predecessori  di  beata  memoria, 
Calisto  II,  Eugenio  III,  Alessandro 
III,  Clemente  III  e  Celestino  IH. 
Non  sia  lecito  dunque  a  nessuno 
cristiano  di  costringere  un  ebreo 
a  battezzarsi,  perocché  chi  è  costret- 
to non  ha  fede  ;  e  s'essi  vogliono 
ricevere  liberamente  e  pubblica- 
mente il  battesimo,  nessuno  osi  far 
loro  ingiurie.  Niuu  cristiano  si  at- 
tenti di  offenderli  nella  vita  senza 
una  giuridica  sentenza,  né  offen- 
derli nei  beni,  o  mutar  le  loro  an- 
tiche consuetudini  nei  luoghi  ove 
dimorano.  Non  sia  lecito  molestarli 
né  con  percosse  ne  con  sassate  in 
mezzo  alle  loro  feste,  e  meno  an- 
cora obbligarli  ad  opere  e  servigi 
che  eseguir  possano  in  altri  giorni. 
Nessuno  ardisca  dare  il  guasto  ai 
loro  cimiteri,  né  dissotterrar  per  de- 
naro i  loro  cadaveri,  il  tutto  sotto 
pena  di  scomunica  ".  I  capi  della 
Chiesa  non  entrarono  punto  nelle 
persecuzioni  mosse  a  que'  tempi 
contro  gl'israeliti  e  nelle  oppres- 
sioni sotto  le  quali  gemevano.  In- 
nocenzo Il  si  mostrò  per  essi  pie- 
no di  benignità;  Alessandro  III  fre- 
nò l'animosità  del  popolo  contro 
di  loro,  che  facilmente  traevalo  a 
maltrattarli,  e  più  tardi  Gregorio 
IX  protestò  altamente  contro  le 
violenze  che  i  crociati  esercitavano 
verso  de' medesimi.  Consimili  senti- 


a4o  INI» 

menti  animarono  s.  Bernardo  ,  i  ve- 
scovi più  illustri,  i  pastori  e  i  dottori 
della  Chiesa.  All'  incontro  gli  ebrei 
ora  furono  crudelmente  persegui- 
tati dai  principi  e  grandi  signori, 
e  ora  talmente  ricolmi  di  favore, 
che  il  clero  dovette  esserne  scau- 
dalezzato,  e  quest'è  il  motivo  che 
nascer  fece  negli  ebrei  stessi  l'a- 
mor della  vendetta  e  la  traco- 
tanza che  li  trasse  spesso  ad  a- 
zioni  indegne.  Innocenzo  III  pure 
alzò  la  voce  contro  le  loro  licenze^ 
e  rimproverò  severamente  i  princi- 
pi che  si  servivano  degli  ebrei  per 
opprimere  i  sudditi  con  uegozi  usu- 
rai. Quindi  proibì  agli  ebrei  pi- 
gliar servi  o  nutrici  fra'  cristiani  i 
ed  a  questi  di  prestar  testimonian- 
za a  favor  loro  ;  vietò  ai  cristiani 
la  coabitazione  cogli  ebrei  ,  sui 
quali  prese  altre  provvidenze,  ma 
non  potè  correggerne  1'  usura  che 
in  essi  perpetua  vasi  per  la  loro 
scaltrezza  e  protezione  de'  potenti. 
Volendo  il  Papa  che  gli  ebrei  pa- 
gassero le  decime  al  vescovo  dio- 
cesano, dichiarò  la  scomunica  con- 
tro que'  cristiani  che  trafficavano 
con  ebrei  renitenti  a  pagarle.  Proi- 
bì agli  ebrei  di  vendere  a'  cristia- 
ni le  parti  delle  bestie  macellate 
che  ad  essi  non  era  lecito  mangia- 
re, e  gli  avanzi  del  mosto  nelle 
vendemmie.  Ad  onta  di  tutti  que- 
sti divieti  il  Papa  dichiarò  essere 
grato  al  Signore  di  veder  che  il 
popolo  d' Israele  trovava  urf  asilo 
negli  stati  de'principi  cristiani,  per- 
chè e  Giuda  ed  Israello  devono 
un  giorno  pur  essi  salvarsi.  Ap- 
provò che  gli  ebrei,  secondo  1'  uso 
antico,  dovessero  portare  un  abito 
diverso  per  distinguersi  dai  cristia- 
ni secondo  le  varie  costumanze  dei 
luoghi ,  come  un  mantello  rosso 
ovvero  un  berrettino    giallo    o    di 


1NN 
altri  colori,  od  in  vece  di  essi  al- 
cun segnale;  provvide  però  che  per 
questo  non  venisse  agli  ebrei  alcun 
danno,  e  per  toglierli  dal  pericolo 
d'essere  insultati,  proibì  agli  ebrei 
mostrarsi  in  pubblico  ne'  giorni 
che  la  cristianità  celebra  la  pas- 
sione del  Signore.  Le  ordinazioni 
de' Pontefici,  le  loro  concessioni  o 
restrizioni  furono  sempre  umane  , 
non  cosi  fu  il  procedere  di  molti 
principi,  i  quali  non  videro  negli 
ebrei  che  un  mezzo  a  soddisfare 
la  necessità  di  denaro,  usando  tal- 
volta modi  crudelissimi.  V.  Ebrei. 
Incominciò  l'anno  1200  con  la 
guerra  che  i  romani  mossero  a 
Viterbo ,  i  cui  abitanti  tenevano 
assediato  Vitorchiano ,  per  le  se- 
grete macchinazioni  di  Gian  Ra- 
nieri Pierleone  già  senatore  di  Ro- 
ma, e  di  Giovanni  Capocci,  occulti 
nemici  del  Pontefice  perchè  eleg- 
geva a  suo  grado  il  senatore  ed 
esercitava  pienamente  il  dominio 
sovrano.  Innocenzo  III  inviò  un 
legato  a  Fermo  ancora  ricalcitran- 
te contro  l'autorità  papale,  e  rice- 
vette la  sommissione  di  Fano,  cui 
concesse  la  libera  scelta  de' magi- 
strati col  pagamento  d'annua  con- 
tribuzione ;  altrettanto  ebbe  luogo 
con  altre  città  ritornate  all'  obbe- 
dienza della  Chiesa.  Altre  all'  in- 
contro negavano  1'  annuo  tributo , 
e  guerreggiavano  tra  loro  ;  a  tutto 
provvide  Innocenzo  III  amante  del 
ristabilimento  dell'  ordine  e  della 
giustizia.  I  seguaci  di  Marco valdo 
continuando  a  guerreggiare  contro 
l'abbate  di  Montecassino ,  e  medi- 
tando assalire  gli  stati  di  Federico 
II,  il  Papa  assoldò  gente,  e  1'  af- 
fidò al  comando  di  Jacopo  suo  cu- 
gino maresciallo  della  Chiesa  ro- 
mana. In  Roma  si  condusse  Gual- 
tieri di  Brienna    per    vendicare    il 


INN 
principato  di  Tarauto  e  la  contea 
di  Lecce  dati  da  Enrico  VI  a  Tan- 
credi, di  cui  avea  sposato  la  figlia 
Albina.  Riconosciutasi  da  Innocen- 
zo HI  la  giustizia  di  tali  diritti , 
ne  restò  spaventato  il  cancelliere 
Gualtieri  vescovo  di  Troia,  princi- 
pal  nemico  della  famiglia  di  Tan- 
credi, e  tentò  di  sollevar  i  messi- 
nesi favorevoli  a  Marcovaldo  con- 
tro il  Papa.  Cou  l'aiuto  di  Ma- 
gatilo emiro  de'  saraceni ,  Marco- 
valdo occupò  varie  città  ed  otten- 
ne il  titolo  di  guardiano  del  re  e 
del  suo  palazzo.  Mentre  stava  per 
cadere  Palermo,  giunse  a  salvarlo 
l'esercito  pontificio  col  maresciallo 
ed  il  legato,  che  sbaragliò  compiu- 
tamente il  nemico  con  immenso 
bottino,  in  un  agli  arredi  di  Mar- 
covaldo ed  il  testamento  di  Enri- 
co VI.  Monreale  fu  presa,  l'emiro 
vi  perdette  la  vita,  ed  i  pisani  col- 
legati di  Marcovaldo  quasi  tutti  vi 
perirono.  Grato  il  re  alla  prodezza 
del  maresciallo,  con  diploma  gli 
diede  in  feudo  il  contado  d'An- 
dria;  il  Papa  premiò  le  soldatesche, 
ed  il  cancelliere  procurò  accomo- 
dare le  cose  sue  facendo  mostra 
di  affetto  pel  re ,  acciò  il  legato 
partisse.  Quindi  il  cancelliere  sen- 
za curarsi  della  scomunica  da  lui 
stesso  pronunziata  contro  Marco- 
valdo, lo  ammise  tra'consiglieri  e 
accomunò  con  esso  il  governo  del 
reguo,  ciò  che  altamente  riprovò 
il  Pontefice.  Intanto  in  Germania 
era  morto  l'arcivescovo  di  Magon- 
za,  ed  il  capitolo  della  cattedrale 
diviso  in  due  parti  elesse  due  ar- 
civescovi ,  gli  adereuti  di  Filippo 
Leopoldo,  quelli  di  Ottone  IV  Si- 
gifredo,  ma  il  primo  s'  impadronì 
di  Magouza. 

Il  re  di   Boemia   Primislao,    per 
sposare  Costanza  figlia  di  Cela  III 

VOL.    XXXV. 


INN  241 

re  di  Ungheria,  ripudiò  la  sua  mo- 
glie Adelaide  de'  margravi  di  Mis- 
nia,  colla  quale  avea  vissuto  venti 
anni  con  prole  d'ambo  i  sessi.  La 
ripudiata  vedendosi  non  ascoltata 
dal  congresso  de'  prelati  del  regno 
che  dichiarò  il  suo  divorzio,  ricorse 
al  giudice  supremo  Innocenzo  III, 
e  sottopose  a  lui  le  proprie  ragio- 
ni, che  ne  affidò  l'esame  all'  arci- 
vescovo di  Maddeburgo.  Non  ce- 
dendo Primislao  alle  esortazioni  di 
Filippo  a  riprendere  la  moglie , 
questo  lo  dichiarò  decaduto  dal 
principato  e  ne  investì  il  nipote , 
onde  il  re  fece  alleanza  con  Otto- 
ne IV,  il  quale  però  a  cagione  di 
quella  fatta  con  Filippo  Augusto 
dal  suo  zio  Giovanni  re  d'  Inghil- 
terra, di  questi  perdette  l' appog- 
gio. Tale  accordo  dispiacque  al 
Papa  che  dal  suo  legato  in  Fran- 
cia lo  fece  dichiarare  nullo  ed  in- 
giusto, e  querelossi  col  re  inglese 
che  operava  contro  le  disposizioni 
del  defunto  Riccardo  I,  colpa  che 
il  capo  della  Chiesa  doveva  preve- 
nire. In  questo  medesimo  anno  le 
due  parti  contendenti  il  trono  im- 
periale tentarono  la  sorte  delle  ar- 
mi in  Sassonia.  Innocenzo  HI  in 
mezzo  alle  proteste  d' imparzialità, 
non  potè  celare  l'inclinazione  sua 
per  Ottone  IV ,  e  vedendo  colla 
morte  di  Corrado  svanita  ogni  spe- 
ranza di  terminar  la  contesa  in 
via  pacifica,  stimò  essere  venuto  il 
tempo  di  apertamente  dichiarare 
qual  fosse  colui  che  la  Chiesa  in- 
tendeva riconoscere  per  suo  pro- 
tettore. A  tale  effetto  dipoi  Inno- 
cenzo III  elesse  a  suo  legato  in 
Germania  il  cardinal  Guido  Pare, 
col  carico  di  pubblicare  che  la 
san  la  Sede  riconosceva  Ottone  IV 
qual  re  de'  romani,  con  bolla  che 
racchiudeva  l'esame  delle  tre  ele- 
16 


242  INN 

zioni,  cioè  del  fanciullo  Federico  II 
re  di  Sicilia,  di  Filippo  e  di  Ottone 
IV-  In  essa  il  Papa  si  spiegò  ca- 
tegoricamente, riconobbe  in  parte 
legale  l' elezione  di  Federico  II , 
ma  inammissibile  perchè  questi  in- 
capace a  tutto  per  la  sua  fanciul- 
lezza, non  potersi  l'impero  gover- 
nare per  un  procuratore,  non  con- 
venire alla  dignità  dell'impero  e 
agli  uffizi  dell'  imperatore  riguar- 
dato non  solo  come  governatore  e 
capitano  supremo,  ma  reggitore  de- 
gli affari  interni  e  supremo  legis- 
latore e  difensore  della  cristianità, 
ond'  essere  permesso  di  provvedere 
in  altra  guisa  agl'interessi  dell'im- 
pero ;  elezione  inoltre  non  conve- 
niente, perchè  il  reame  di  Sicilia 
verrebbe  unito  all'impero  con  pre- 
giudizio della  Chiesa.  Quanto  a  Fi- 
lippo dichiarò  l'elezione  sua  sem- 
brare valida  anche  pel  maggior 
numero  e  qualità  degli  elettori, 
ma  essendo  egli  scomunicato  da 
Celestino  III  come  invasore  del  pa- 
trimonio di  s.  Pietro ,  non  esser 
valida  l'assoluzione  del  vescovo  di 
Sutri,  comprendersi  nella  scomuni- 
ca fulminata  contro  Marcovaldo  e 
suoi  aderenti;  non  convenirsi  per 
non  sembrare  passar  l'impero  per 
eredità,  per  essere  persecutore  e 
discendente  di  persecutori ,  affati- 
candosi ancora  di  travagliar  la  Chie- 
sa per  opera  di  Marcovaldo  ed  al- 
tri, e  di  carpire  il  reame  di  Sici- 
lia; e  volere  quindi  attraversare  le 
sue  violenze  prima  che  si  facessero 
maggiori.  Parlando  di  Ottone  IV, 
la  sua  elezione  sebbene  venne  fatta 
dal  minor  numero,  doversi  però 
contar  la  maggioranza  non  secondo 
il  numero  ma  secondo  il  merito, 
essere  divoto  alla  santa  Sede  come 
gli  avi  suoi,  e  parere  conveniente 
ed  utile  di  concedere   il  pontifìcio 


INN 
favore  a  lui.  Conchiuse  il  Ponte- 
fice stimare  inutile  insistere  perchè 
il  pupillo  ottenga  di  presente  la 
corona;  rifiutar  Filippo,  disposti 
a  fargli  opposizione  perchè  non 
usurpi  l'impero;  concedere  al  le- 
gato commissione  di  persuadere  i 
principi  a  congiungere  i  loro  suf- 
fragi sur  un  uomo  atto  all'  impe- 
ro, o  rimettere  l'elezione  al  giuri- 
dico o  arbitrale  giudizio  del  Papa, 
e  non  piacendo  loro  alcuno  di  tali 
espedienti,  dovere  la  santa  Sede 
dichiararsi  per  Ottone  IV,  ricono- 
scerlo re  de'  romani  e  chiamarlo 
a  Roma  per  ricevervi  la  corona 
imperiale.  Tale  fu  il  partito  preso 
da  Innocenzo  III  sull'  elezione  del 
re  de'  romani,  tanto  più  animoso 
e  magnanimo  siccome  senza  verini 
appoggio  di  forza  materiale,  ma 
solo  penetrato  e  mosso  dalla  co- 
scienza del  suo  diritto  e  del  suo 
dovere,  e  dagli  interessi  della  Chie- 
sa, sostenuto  da  quell'energia  mo- 
rale che  viene  dalla  certezza  d' o- 
perare  per  un  ordine  di  cose  su- 
periori. 

Innocenzo  III  profondamente  af- 
flitto dall'ostinazione  del  re  di  Fran- 
cia dimentico  dell'infelice  ripudia- 
ta sposa,  scrisse  al  clero  di  Fran- 
cia avvisandolo  che  il  legato  dove- 
va tornare  ad  ammonire  il  re,  per 
quindi  fulminar  l'interdetto.  Pertan- 
to gli  comandò  in  nome  di  Dio 
onnipotente,  del  Padre,  del  Figliuo- 
lo e  dello  Spirito  Santo,  per  la  ple- 
nitudine de'ss.  apostoli  Pietro  e  Pao- 
lo, e  in  virtù  dell'obbedienza  che 
gli  doveva,  di  conformarsi  alla  sen- 
tenza, con  astenersi  da  ogui  mini- 
stero ecclesiastico,  sotto  pena  di  per- 
dere dignità  ed  uffizi.  Ma  né  le  ri- 
mostranze e  le  minacci*  del  cardi- 
nal Pietro,  né  i  consigli  che  al  re 
diede  il  suo  clero  di  rimuovere  da 


INN 

Se  e  dal  reame  la  rigorosa  senten- 
za che  gli  sovrastava,  valsero  pun- 
to a  liberarlo  dai  vezzi  di  Agnese. 
Allora  il  cardinale   adunò  un  conci- 
lio a  Dijon,  e  non  ostante  l'appella- 
zione invocata  dal  re  per  Roma,  pro- 
nunziò l'interdetto    su  tutti  gli  sta- 
ti del  re  di  Francia,   finché  Filippo 
Augusto  non  troncasse  il  suo  adul- 
terio, e  poscia  lo  pubblicò  nel  conci- 
lio di  Vienna.  1  vescovi,  tranne  l'e- 
letto di  Bourges  e  il  vescovo  di  Au- 
xerres,  obbedirono,  e  tutta  la  Fran- 
cia fu  priva  del  divin  servigio,  on- 
de   lo  sdegno  del    re  scoppiò    con 
furore  contro  tutto  il  chiericato;  né 
meglio    fu  trattata  Ingelburga    che 
dal  monastero  ove  viveva  alle  ora- 
zioni e  alle  opere   di  pietà,  venne 
tratta    in  dura  prigione  nella    roc- 
ca di  Etampes.    Accecato  dalla  rab- 
bia, Filippo  Augusto  oppresse  il  po- 
polo   con    esorbitanti    imposizioni , 
dandone    in  appalto  la    riscossione 
agli    ebrei.  I  baroni  quindi  si    ar- 
marono,   e    i  servitori  del  re   non 
vollero  più  servirlo  e  lo  fuggivano 
come    un    uomo    a  cui    l'Onnipo- 
tente avea  levato  la  grazia  sua.  Non- 
dimeno  Innocenzo   III    ancor   non 
avea  posto  in    opera  il  castigo  più. 
rigoroso,    quello  di    scomunicare  il 
re  ed  Agnese  in  persona,  ciò  che  il  re 
assai  temeva,  per  cui  giunse  ad  escla- 
mare: »  Fortunato    il  Saladino  che 
non    ha    Papi  "!  Filippo    Augusto 
non  seppe  più  a  lungo  resistere,  e 
mandò    alcuni  preti  e  cavalieri    al 
Papa,  ma  inutilmente  ;  gli  conven- 
ne  lasciar  la  donna  ch'egli  amava 
con    tutto    il   cuore,  eh'  egli  nomi- 
nò fin  anco  io  mezzo   alle    agonie 
della  morte,    e  ripigliar    colei    per 
la    quale    provava    uu' insuperabile 
avversione.   Convocò  i  prelati  e  si- 
gnori del  regno  per  deliberare  con 
essi,  il  re  domandò  loro   che  cosa 


INN  i43 

ei  far  dovesse,  e  n'ebbe  in  rispo- 
sta :  »  Obbedire  al  santo  Padre, 
allontanare  Agnese,  e  ripigliare  In- 
gelburga ".  Il  re  mandò  a  Roma 
un'altra  ambasceria,  pregando  istan- 
temente la  remozione  dell'interdet- 
to, ed  esame  delle  sue  obbiezioni; 
Agnese  vi  unì  le  sue  suppliche, 
mostrò  i  figli  suoi,  protestando  non 
essere  sedotta  dallo  splendore  della 
corona,  ma  si  di  cuore  affezionata 
a  Filippo.  Il  Papa  rimase  inflessi- 
bile, siccome  ligio  al  proprio  do- 
vere, né  prieghi  o  minacce  vale- 
vano a  smuoverlo.  Questa  è  la 
sacerdotale  fermezza  the  mantenne 
l'autorità  del  cristianesimo  in  oc- 
cidente, che  confermò  la  salutare 
dominazione  universale  della  san- 
ta Sede,  e  collocò  dessa  sopra  i 
troni  dei  re,  unicamente  per  la 
vittoriosa  potenza  d'un  supremo 
pensiero  comune  ai  più  magnani- 
mi sommi  Pontefici. 

Filippo  si  sottomise,  onde  Inno- 
cenzo III  inviò  per  legato  il  suo 
cugino  e  confidente  cardinal  Otta- 
viano Conti  vescovo  d'Ostia,  già 
conosciuto  in  Francia,  e  che  van- 
tava parentela  col  re.  Il  Papa  esi- 
gette risarcimento  dei  danni  al  cle- 
ro, esilio  dal  reame  della  concubi- 
na, e  solenne  reintegrazione  della 
regina,  con  giuramento  del  re  che 
non  sarebbesi  più  da  lei  separato 
senza  un  giudizio  della  Chiesa.  Il 
cardinal  Giovanni  Colonna  ebbe 
commissione  d'accompagnar  il  le- 
gato e  di  coadiuvarlo.  Il  loro  in- 
gresso in  Francia  per  le  dimostra- 
zioni del  popolo  fu  trionfante,  ed 
il  re  per  guadagnarli  li  accolse  a 
Sens  con  tutti  i  segni  di  riveren- 
za e  d'affetto,  promettendo  colle 
lagrime  agli  occhi  di  sottomettersi 
agli  ordini  del  santo  Padre;  rico- 
nobbe   non  senza    ripugnanza    In- 


244  INN 

gelburga  per  sua  sposa  e  regina 
di  Francia,  e  come  tale  un  cava- 
liere giurò  in  suo  nome  l'avrebbe 
trattata.  Cosi  terminò  il  lugubre 
e  funesto  interdetto,  cui  successe  il 
giubilo  universale  e  la  consolazio- 
ne de'prelati  pel  ristabilito  culto. 
Il  re  inoltre  acconsenti  separarsi 
da  Agnese,  e  non  potendo  farla 
partire  dal  regno,  essendo  prossima 
al  parto,  la  mandò  nell'ameno  ca- 
stello di  Poissy;  ma  né  prieghi, 
né  persuasioni  poterono  indurlo  a 
vivere  con  Ingelburga  da  marito, 
che  anzi  persistette  nella  sua  do- 
manda di  divorzio,  allegando  il 
vicino  grado  della  parentela.  Il 
legato  dunque  assegnò  uno  spazio 
di  sei  mesi,  sei  giorni  e  sei  ore 
per  giudicar  la  causa  a  Soissons, 
dandone  notizia  al  re  di  Danimar- 
ca fratello  d' Ingelburga  e  all'arci- 
vescovo di  Lund,  affinchè  potesse- 
ro mandare  i  difensori  della  regi- 
na. Pentito  il  re  di  quanto  avea 
fatto  per  quietare  il  male  umore 
del  popolo,  fece  ricondurre  Ingel- 
burga ad  Etampes,  ma  trattata  con 
onori  regi,  e  poco  dopo  con  molta 
sorveglianza  e  pochi  riguardi.  La 
regina  se  ne  dolse  col  Papa,  la- 
gnandosi pure  del  legato  troppo 
condiscendente  al  re,  coll'aver  per- 
messo nella  formola  per  la  quale 
Filippo  obbligavasi  a  ripigliarla 
quale  sposa  o  regina,  le  parole,  per 
sette  mesi,  e  di  aver  intromesso 
nel  giuramento  la  clausola  di  non 
abbandonarla  senza  un  giudizio  del- 
la Chiesa.  Innocenzo  III  ne  rima- 
se sbalordito,  le  promise  assisten- 
za, e  l'esortò  ad  orare  e  confidare 
in  Dio,  invitandola  a  far  assumere 
al  fratello  la  difesa,  provando  la 
falsità  dell'addotta  parentela  ;  non 
avendo  potuto  ributtar  la  doman- 
da del  re,  perchè   l'affare   sia  de- 


INN 
ciso  in  punto  di  diritto,  ciò  che  pur 
scrisse  al  re  di  Danimarca  eccitan- 
dolo a  patrocinar  la  sorella.  Il  Pa- 
pa ripigliò  il  legato  pel  suo  pro- 
cedere biasimato  da  molti,  invi- 
tandolo a  fare  rimostranze  perchè 
la  regina  fosse  trattata  meglio  e 
dal  re  da  marito,  ed  a  questi  scris- 
se con  pari  zelo  ed  energia;  indi 
punì  quei  prelati  che  non  aveva- 
no osservato  l' interdetto.  Il  lega- 
to avea  pure  l'incarico  d'indurre 
alla  pace  la  Francia  e  l'Inghilter- 
ra per  muoverle  ad  una  crociata, 
ma  dessa  al  suo  arrivo  era  stata 
conchiusa  con  dispiacere  del  Papa, 
perchè  il  re  inglese  erasi  obbliga- 
to negar  soccorsi  al  nipote  Ot- 
tone IV.  Essendosi  il  cardinal  le- 
gato di  proposito  applicato  alla 
guerra  di  Terra  Santa,  Baldovino 
IX  conte  di  Fiandra  prese  la  cro- 
ce siccome  divoto  alla  Chiesa,  e 
fu  imitato  dalla  nobiltà  fiammin- 
ga, da  molti  signori  francesi  ed 
inglesi.  Innocenzo  III  vedendo  fi- 
nalmente appressarsi  l' istante  del- 
l'effettuazione de'suoi  desideri!  più 
cari,  scrisse  lettere  in  tutte  le  par- 
ti, onde  infiammare  gli  animi  ad 
accrescere  il  numero  de'combatten- 
ti,  col  premio  della  remissione  del- 
le penitenze  dovute  ai  loro  pecca- 
ti, anche  a  quelli  che  senza  parti- 
re vi  contribuivano  secondo  le  pro- 
prie forze. 

Nel  1201  il  conte  Gualtieri  di 
Brienna,  coll'esercito  condotto  da 
Francia  e  gli  aiuti  ricevuti  dal 
Papa,  si  portò  in  Sicilia  a  ricupe- 
rare le  signorie  di  ragione  della 
moglie,  ove  Marcovaldo  e  il  can- 
celliere eransi  divisa  l'autorità  e 
tutto  il  potere,  quando  avvedutisi 
dei  reciproci  inganni  divennero  fie- 
ri nemici  ;  e  Gualtieri  quanto  co- 
raggioso altrettanto  prudente,  s'im- 


INN 

padroni  di  quasi  tu  Ito  il  princi- 
pato di  Taranto.  Per  le  iniquità 
sue  il  cancelliere  fu  «comunicato 
e  privato  delle  chiese  di  Troia  e 
Palermo,  e  d'ogni  autorità  nel  re- 
gno. Scrisse  quindi  Innocenzo  III 
lettere  encicliche  ai  vescovi  e  prin- 
cipi secolari  di  Germania,  lagnan- 
dosi del  lungo  temporeggiare  sul 
grave  affare  dell'impero;  e  con  una 
lettera  riconobbe  Ottone  IV  per 
re  de' romani,  ordinando  che  gli 
fossero  resi  gli  onori  e  l'obbedienza 
a  un  re  dovuti.  Adempito  poi  che 
egli  abbia  quanto  il  dovere  co- 
manda, riceverà  dalle  sue  mani 
la  corona  del  sacro  romano  impe- 
ro, ed  insieme  la  dignità  suprema 
di  principe  temporale.  A  molti  prin- 
cipi tedeschi  particolarmente  scrisse 
il  Pontefice  perchè  favorissero  Ot- 
tone IV,  promettendo  riconoscenza 
e  rigore  secondo  il  contegno  che 
avrebbero  tenuto  ;  a  quelli  che  a- 
veano  abbandonato  Filippo  testifi- 
cò la  sua  soddisfazione.  Inoltre  in- 
vitò tutti  i  prelati  di  Germania 
a  sottomettersi  con  umiltà  e  buon 
animo  agli  ordini  del  cardinal  le- 
gato per  accomodar  le  cose;  e  pro- 
curò ancora  guadagnare  ad  Otto- 
ne IV  lo  stesso  re  di  Francia  e 
quello  d'Inghilterra.  Giunto  il  car- 
dinal Guido  col  suo  compagno  in 
Germania,  ed  unitosi  loro  il  car- 
dinal Ottaviano,  in  Aquisgrana  fu- 
rono ricevuti  con  gioia  da  Ottone 
IV,  il  quale  a  Neusz  alla  loro  pre- 
senza fece  un  solenne  giuramento 
in  difesa  del  Papa  e  della  santa 
Sede,  e  loro  diritti  e  dominii.  Sol- 
lecitato il  cardinal  Guido  dagli  a- 
derenti  del  re  a  non  differir  piò 
oltre  la  sua  missione,  congregò  i 
principi  astanti  in  Colonia,  e  pre- 
sentando loro  la  lettera  del  santo 
Padre,  con  la  quale  valida  dichia- 


INN  *45 

rava  l'elezione  d'Ottone  IV,  pro- 
clamò pubblicamente  a  nome  di 
Innocenzo  III,  Ottone  IV  re  dei 
romani  e  sempre  augusto,  minac- 
ciando di  scomunica  chiunque  a 
lui  si  opponesse  ;  i  principi  presen- 
ti, aderenti  del  re,  ringraziarono 
Dio  e  il  Pontefice  mandando  gri- 
da di  gioia.  Accorgendosi  il  legato 
che  la  podestà  del  re  posava  sopra 
mal  ferme  fondamenta,  rinnovò  la 
medesima  solennità  nell'adunanza 
di  Corbey.  Portatisi  poscia  i  lega- 
ti a  Maestricht,  alla  presenza  d'una 
moltitudine  di  principi  e  signori 
confermarono  lo  sposalizio  tra  Ot- 
tone IV  e  la  figlia  del  duca  di 
Brabante,  pubblicando  la  dispensa 
pontificia.  Tutti  giurarono  ricono- 
scerlo, e  il  duca  adottò  per  figliuo- 
lo il  genero  ed  invitò  a  seguirlo 
con  tutte  le  forze  chi  volesse  esse- 
re suo  amico  e  parente,  onde  i 
conti  di  Loo  e  di  Gueldria  ab- 
bandonarono Filippo.  I  legati  pas- 
sati a  Bringen,  ivi  il  cardinal  Gui- 
do convocò  i  principi  per  la  terza 
ed  ultima  volta,  con  pena  di  sos- 
pensione e  di  scomunica  a  chi  non 
interveniva,  ed  ivi  pure  proclamò 
Ottone  IV  re  de'  romani.  Questi 
fece  conoscere  al  Papa  la  sua  im- 
mensa gratitudine  per  la  pruden- 
za ed  alacrità  usate  dal  cardinale 
Guido. 

Filippo  pubblicamente  si  laguò 
del  Papa,  averlo  contrario  perchè 
non  gli  domandò  liceuza  di  regnare, 
e  che  sarebbe  finita  la  libertà  ger- 
manica se  un  imperatore  non  po- 
tesse essere  eletto  senza  il  pontifi- 
cio consenso.  Scomunicati  ch'ebbe  il 
cardinal  Guido  i  di  lui  partigiani, 
questi  in  gran  numero  e  potentissimi, 
in  Bamberga  protestarono  contro  le 
pretensioni  di  Roma,  e  indirizzaro- 
no  gravissime  rimostranze  al  Pon« 


246  INN 

tefice  contro  Y  operato  del  cardi- 
nal Guido,  che  avea  fatto  da  elet- 
tore e  da  giudice  dell'  elezione 
del  capo  dell'  impero  ;  aver  essi 
eletto  unanimamente  Filippo  re  dei 
romani  sempre  augusto,  promet- 
tere per  lui  obbedienza  a  Dio  e 
alla  santa  Sede  di  cui  sarà  valo- 
roso difensore,  ed  a  cui  non  gli 
avrebbe  a  suo  tempo  negato  la 
grazia  della  sacra  unzione.  In  vece 
Innocenzo  III  ricolmò  d'  elogi  il 
cardinal  legato  e  i  suoi  compagni, 
confortandolo  a  collegar  sempre  più 
strettamente  i  partigiani  ad  Otto- 
ne IV.  Per  chiuder  poi  la  bocca 
a  coloro  i  quali  si  immaginavano 
che  il  Papa  volesse  far  forza  alla 
loro  libertà  di  suffragio,  ripetè  che 
la  santa  Sede  nuli'  altro  più  desi- 
derava che  di  veder  appunto  que- 
sta libertà  sciolta  da  ogni  impedi- 
mento ed  intrigo.  E  in  fatti  il  Pa- 
pa non  elesse  già,  ma  solo  conces- 
se la  preferenza  a  colui  che  fu 
eletto  dalla  maggioranza,  e  legitti- 
mamente coronato  ;  perchè  la  san- 
ta Sede  ha  obbligo  di  dar  la  co- 
rona imperiale  a  quello  eh'  ebbe  le- 
gittimamente la  corona  reale,  e  solo 
rifiutò  un  principe  che  voleva  ren- 
dere la  corona  ereditaria.  Poscia  s'a- 
doperò Innocenzo  III  a  raffermar 
Y  indole  irresoluta  d'  Ottone  IV  ; 
scrisse  lettere  gratulatorie  ai  prin- 
cipi ecclesiastici  e  secolari  che  1'  a- 
ìutavano,  e  con  termini  risentiti  a 
diversi  prelati  contrari  al  re,  invi- 
tandoli a  sostenerlo  senza  aver  ri- 
guardo al  giuramento  prestato  a 
Filippo.  Non  andò  guari  che  il 
re  a"  Inghilterra  portandosi  in  Pa- 
rigi, Filippo  Augusto,  che  non  sa- 
peva distaccarsi  da  Filippo  di  Sve- 
zia, 1'  indusse  a  promettergli  di 
non  dar  soccorsi  al  nipote.  La  con- 
cordia tra  i  due  re  ebbe  corta  du- 


INN 
rata,  per  avere  il  primo  rapito  Isa- 
bella ereditiera  d' Angouléme.  Quan- 
to alle  dispute  sul  matrimonio  del 
re  di  Francia,  moltissime  persone 
si  raccolsero  in  Poissons,  oltre  \\ 
cardinal  Ottaviano,  il  re,  la  regi- 
na, i  vescovi,  e  ragguardevoli  per- 
sonaggi mandati  da  Canuto  VI 
re  di  Danimarca  per  difender  la 
causa  della  sorella.  Aperto  il  con- 
cilio, il  re  domandò  lo  scioglimento 
del  suo  matrimonio,  per  causa  di 
prossimità  nel  grado  di  parentela. 
Gli  avvocati  danesi  risposero  a  fa- 
vore della  regina,  ed  appellarono 
al  Papa  non  avendo  fiducia  nel 
cardinale  cugino  del  re.  Soprag- 
giunto a  Soissons  il  cardinal  Gio- 
vanni Colonna,  si  ricominciarono  le 
dispute  :  dieci  vescovi  e  molti  più 
abbati  parlarono  a  favore  d'  In- 
gelburga,  e  gli  avvocati  del  re  con 
fiorita  eloquenza  e  ragioni  sottilis- 
sime. Erano  passate  più  settimane 
in  prove  e  disputazioni,  quando 
un  ignoto  chierichetto  uscì  dalla 
moltitudine,  e  chiese  modestamen- 
te licenza  di  parlare.  Il  re  gliela 
concesse,  ed  egli  destò  1'  ammira- 
zione di  tutti  con  un  improvvisato 
e  caldo  discorso  pieno  di  dottrina 
e  di  chiarezza,  nel  quale  si  fece  a 
difendere  1'  innocenza  oppressa,  e 
fu  riguardalo  come  un  inviato  dal 
cielo,  perchè  i  diritti  della  dere- 
litta principessa  si  tenevano  per 
perduti  a  fronte  della  forza.  Quan- 
do il  cardinal  Giovanni  era  per 
pronunziar  la  sentenza,  Filippo 
Augusto  forse  trapelandola  contra- 
ria, con  gran  stupore  di  tutti  di- 
chiarò essere  pronto  a  riconoscere 
Ingelburga  per  propria  sposa,  ed 
acconsentire  a  non  più  separarsi 
da  lei.  Indi  a  cavallo  si  portò  a 
prenderla  dove  dimorava,  e  la  pre- 
se in  groppa  dietro    a  sé,  affinchè 


INN 
ognuno  fosse  testimonio  della  ri- 
conciliazione, ed  uscì  dalla  città 
senza  prender  commiato  da  nessu- 
no. Il  concilio  si  sciolse,  il  cardinal 
Giovanni  partì,  restò  il  cardinal 
Ottaviano,  ed  allora  il  re  fece  di 
nuovo  chiudere  la  regina  nell'  an- 
tico castello.  Agnese  di  Merania 
morì,  il  re  la  fece  seppellire  a 
Mantes  nella  chiesa  di  s.  Corenzio, 
ed  onorò  la  sua  memoria  colla 
fondazione  d'  un'  abbazia  per  cen- 
toventi monache:  a  sue  istanze  il 
Papa  legittimò  i  loro  figli  Filippo 
e  Maria  con  breve  dato  da  Ana- 
gni,  con  la  clausola  che  tal  con- 
cessione nulla  innoverebbe  quanto 
alla  già  sentenziata  nullità  del  ma- 
trimonio. 

Mentre  la  possente  repubblica 
di  Venezia  trovavasi  piena  di  ri- 
sentimento alle  ingiurie  fatte  dal- 
l' impero  greco  ,  e  n'  era  doge 
Enrico  Dandolo,  quanto  celebre 
per  gloriose  azioni,  altrettanto  im- 
placabile nemico  de'  greci,  per  es- 
sere stato  orbato  dall'  imperatore 
essendo  ambasciatore  a  Costantino- 
poli, giunsero  a  Venezia  i  depu- 
tati de'  crociati  francesi.  Questi 
domandarono  ai  veneti  aiuti  pel 
conquisto  di  Gerusalemme,  e  Y  ot- 
tennero, associandosi  pure  a  loro 
nella  sacra  guerra.  Fu  invocato 
1'  assenso  d'  Innocenzo  III,  che  lo 
die  tutto  contento  ;  ma  quasi  aves- 
se preveduto  gli  eccessi  che  acca- 
der dovevano,  raccomandò  ai  ero» 
ciati  francesi  e  veneti  di  non  fare 
nella  spedizione  alcun  danno  ai 
popoli  cristiani,  e  se  trovassero  op- 
posizioni nulla  facessero  senza  il 
consiglio  del  legato,  condizione  che 
i  veneti  non  accettarono.  In  Sois- 
sons  venne  eletto  in  capo  supre- 
mo della  crociata  Bonifazio  mar- 
chese  di    Monferrato,    personaggio 


INN  247 

di  grandissima  riputazione,  parente 
dell'  imperatore  greco,  onde  si  fe- 
cero a  lui  compagni  altri  grandi 
signori.  Presso  il  marchese  suo  cu- 
gino erasi  ricoverato  Alessio  figlio 
dell'  imperatore  Isacco  II,  balzato 
dal  trono  di  Costantinopoli  da  A- 
lessio  III  suo  zio.  Essendo  il  prin- 
cipe bizantino  cognato  di  Filippo 
di  Svevia,  questi  lo  raccomandò  a 
Bonifazio  per  procurare  coli'  aiuto 
de'  crociati  di  collocarlo  sul  trono 
come  legittimo  erede.  Quando  pe- 
rò il  marchese  si  condusse  in  Ro- 
ma parlò  di  Alessio  al  Papa,  ma 
questi  non  sembrò  favorevole,  vo- 
lendo egli,  come  i  suoi  predecesso- 
ri, che  la  crociata  fosse  in  tutta 
la  purezza  sua,  e  unicamente  per 
la  liberazione  del  santo  Sepolcro. 
Frattanto  Innocenzo  III,  ad  onta 
della  piena  autorità  che  la  sua 
parola  esercitava  sopra  tutte  le  co- 
se della  cristianità,  non  potè  come 
principe  temporale  godere  di  sta- 
bile quiete  nella  città  sua  capitale  ; 
tanto  da  far  credere  che  mentre  la 
cristianità  tutta  lo  venerava  qual 
capo  spirituale,  Roma  altro  in  lui 
non  vedesse  che  un  capo  tempo- 
rale, la  cui  potestà  tanto  avea  di 
fiacchezza  più  nel  centro  da  cui 
operava,  quanto  avea  più,  di  forza 
e  di  riputazione  al  di  fuori.  Non 
solo  con  Y  equità  e  con  fermo  ca- 
rattere procurò  farsi  stimare  dal 
popolo  e  dai  nobili,  ma  cercò  di 
guadagnarli  colle  paterne  sue  cu- 
re e  beneficenze.  Nella  primavera 
del  1202  sovrastando  a  Roma  per 
la  carestia  la  fame,  egli  tosto  ac- 
corse da  Anagni,  ove  si  trovava,  alla 
metropoli,  e  invigilò  perchè  i  bi- 
sognosi fossero  provveduti.  A  colo- 
ro che  si  vergognavano  di  mendi- 
care, ogni  settimana  fece  giungere 
segrete  limosino  ;  ai  mendicanti  poi, 


248  INN 

che  sommavano    ad  ottomila,  fece 
ogni  giorno  distribuire    pane,  altri 
nutrendone  negli  ospizi   de' poveri, 
spendendo    grossissime    somme    in 
beneficenze;    ed    eccitò    a   fare  al- 
trettanto gli  altri,  onde    il  popolo 
fu  salvato  dalla  fame.  Ma  se  que- 
ste opere  cattivavano   ad  Innocen- 
zo   III    1'  amore    de'  romani ,  non 
riuscivano  a  frenar    le   inclinazioni 
di  coloro  che  nelle  civili  discordie 
si  confidavano  di    poter  soddisfare 
la  loro  ambizione  e  le  loro  priva- 
te   e   ree  passioni.    I  nemici  della 
pubblica    quiete    non   tralasciarono 
di  profittar  d'  ogni  circostanza  per 
sollevar  il  popolo,  e   vi  voleva  lat- 
ta la  persuasiva  eloquenza  del  Pon- 
tefice perchè  non  si   levasse  a  ru- 
more, e  gli  riuscì    di   conchiudere 
un  accordo    tra'  magistrati  di  Ro- 
ma e  i  viterbesi,  i    quali  obbliga- 
ronsi  a  restituire  alla  basilica    va- 
ticana   le    porte    di  bronzo,  e  gli 
atlanti  di  egual  materia  che  soste- 
nevano   la   pila    dell'  acqua  santa, 
da  loro  tolti  a  tempo  di  Federico 
I.  Quindi  i  nipoti  di  Celestino  III 
della  casa  Orsini,  che  si  erano  ar- 
ricchiti coi    beni  della    Chiesa,  in- 
sorsero contro  gli    Scotti,  famiglia 
da    cui    discendeva    la    madre  del 
Papa.    Neil'  ardore    dell'  estate  es- 
sendo passato  Innocenzo  III  a  Su- 
biaco  ed  a  Velletri,   i  suoi  nemici 
profittandone  calarono  d'  improvvi- 
so su    Romano    Scotti    e    sui  figli 
di  Giovanni  Oddo   cugini  del  Pa- 
pa, e  li  cacciarono  con  tutti  i  loro 
famigliari.   Frettolosamente  ritornò 
in    Roma    il  Papa    e    costrinse  gli 
Orsini  alla  pace.  Il  senatore  Pan- 
dolfo  della  Suburra,  benché  aderis- 
se alle    parti    d'  Innocenzo    III,  in 
virtù  di   sua    giurisdizione  obbligò 
le  parti  a  giurare  obbedienza  pure 
a'  suoi  decreti,    prese    in  consegua 


INN 

le  loro  torri  e  poi  li  fece  uscire 
di  città,  facendo  abbattere  la  tor- 
re degli  Orsini.  Questi  profittando 
dell'  uccisione  di  Tebaldo  degli  Od- 
di suocero  di  Romano,  tornarono 
in  Roma  e  sollevando  il  popolo 
s'  impadronirono  delle  torri  de'  lo- 
ro avversari  già  occupate  dal  se- 
natore, e  le  raserò  al  suolo.  Que- 
sto avvenimento  fece  ripullulare  gli 
antichi  germi  della  discordia,  e 
perchè  nel  bollore  delle  passioni 
facilmente  si  perde  la  memoria  dei 
benefizi,  i  romani  si  fecero  subor- 
nare dai  nemici   del  Papa. 

Continuando  Gualtieri  i  suoi  bril- 
lanti   successi,    volendo    Innocenzo 
III  testimoniargli  il  favor  suo,  man- 
dò   in    Puglia   Jacopo    maresciallo 
suo  zio  e  gli  elesse  ambedue  reggi- 
tori di    questa    provincia     e    della 
Terra    di    Lavoro;     poscia    destinò 
Gualtieri  a  passare  in    Sicilia    per 
raffrenare  Marcovaldo    che  se  n'e- 
ra reso    padrone,   come  del  palaz- 
zo   reale  e  di   Federico  II,  di  cui 
forse  se  ne  sarebbe  disfatto    per  i- 
sgombrarsi  la  via  al  trono,  qualora 
non  lo  avesse  trattenuto    il  timore 
di  vedervi  ascendere  Gualtieri.  Po- 
co dopo   Marcovaldo  morì,   ed  In- 
nocenzo III  raddoppiò  le    cure    in 
vantaggio  del  regno  e  del  pupillo, 
che    destinò  sposare  ad  una  figlia 
del  re  d'Aragona.  Dalla  Germania 
il    cardinal    Guido    mandò    il   suo 
compagno    ad    informare     il    Papa 
del  risultato  di  sue  pratiche,  men- 
tre i     principi  aderenti    a    Filippo 
spedirono     pure    inviati    a    Roma, 
accolti  benignamente  e  favoriti  con 
grazie    da    Innocenzo  III,    volendo 
così    mostrare  che  egli  sapeva    se- 
parare  gli    uomini   dalle  cose.  Ri- 
spose ad  essi  che  oppugnavano  non 
dover  il  legato  far  le  parti  di  elet- 
tore,   né    pronunziar    sentenza    in 


INN 

assenza  delle  parti,  che  dovevano 
ammettere  risiedere  nel  Papa  l'au- 
torità di  esaminar  qual  sia  la  per- 
sona promossa  alla  dignità  impe- 
riale, poiché  dalle  mani  pontificie 
dovea  ricevere  l'unzione  e  la  coro- 
na. »  Supponiamo  che  i  principi 
non  fossero  stati  discordi,  ma  sì 
tutti  unanimi  ad  eleggere  uno  spo- 
gliatore  dei  beni  della  Chiesa,  uno 
scomunicato,  un  tiranno,  un  for- 
sennato, un  eretico,  un  pagano,  po- 
tremmo noi  essere  costretti  a  con- 
sacrale e  incoronare  un  re  di  que- 
sta fatta?  No  certamente.  Il  legato 
aver  solo  fatto  gli  uffizi  di  relato- 
re, e  che  le  prerogative  de' princi- 
pi si  ridurrebl>ero  al  niente  se 
l'impero  fosse  fatto  di  ragione  e- 
reditaria.  Esortare  i  principi,  senza 
lasciarsi  trattenere  dal  giuramento 
prestato,  ad  abbracciar  la  parte  di 
Ottone  IV  ,  e  in  contraccambio 
noi  vi  concederemo  la  nostra  be- 
nevolenza ".  Quindi  diverse  esor- 
tazioni ragionate  fece  al  re  di 
Francia,  per  convincerlo  essergli 
utile  dichiararsi  per  Ottone  IV. 
Le  contrarietà  che  Innocenzo  III 
incontrava  altro  non  facevano  che 
renderlo  più  fermo  e  irremovibile 
ne'  suoi  proponimenti  :  questa  fu 
sempre  la  qualità  de'grandi  uomi- 
ni. Il  legato  tra  i  due  eletti  alla 
sede  di  Magonza,  preferì  Sigefredo 
che  recossi  in  Roma  a  prendere  il 
pallio,  guadagnandosi  l'affezione  del 
Papa  per  le  sue  qualità  ;  mentre 
le  pratiche  del  legato  a  favor  di 
Ottone  IV  coi  vescovi  di  Germa- 
nia andarono  fallite,  non  cedendo 
ne  alle  care7ze  né  alle  minacce, 
e  molti  manifestarono  scopertamen- 
te la  loro  simpatia  per  Filippo. 
Innocenzo  HI  non  lasciò  impuni- 
ti i  disprezzi  e  gì'  insulti  de'  vesco- 
vi, che  per   la    propria  condizione 


erano  i  naturali  difensori  della 
Sede  apostolica,  dovendo  per  essa 
anco  esporsi  a  pericoli  e  persecu- 
zioni. In  questo  tempo  Corrado 
vescovo  di  Virzburgo  fu  ucciso 
per  vendetta  ;  e  Giovanni  re  d'In- 
ghilterra con  Canuto  VI  re  di 
Danimarca  dichiararono  per  Ot- 
tone IV. 

Mentre  l'Inghilterra,  per  colpa 
del  re  assassino  del  nipote  Arturo, 
era  in  preda  ora  agli  assalti  de'nemici 
ed  ora  alle  perturbazioni  interne, 
la  Scozia  godendo  di  sufficiente 
quiete,  il  pio  re  Guglielmo  fece 
prestare  omaggio  ad  Alessandro  II 
suo  figlio,  cui  il  Papa  mandò  un 
legato  con  donativi.  A  questo  tem- 
po furono  coronate  dall'esito  desi- 
derato le  pratiche  d'Innocenzo  III 
con  Caloianni  principe  de'bulgari 
e  de'vallachi,  il  quale  domandò  al 
Papa  la  reale  corona,  come  i  suoi 
predecessori  aveano  ricevuto  dalla 
Chiesa  romana,  alla  quale  dichia- 
rava la  sua  obbedienza,  onde  In- 
nocenzo III  gli  spedì  un  legato 
col  pallio  per  l'arcivescovo.  Poco 
dopo  ricevette  il  Pontefice  nuove 
dichiarazioni  di  Leone  re  d'Arme- 
nia di  divozione  alla  santa  Sede, 
e  concesse  all'arcivescovo  di  Sis  suo 
cancelliere  il  pallio  che  avea  do- 
mandato a  mezzo  d'  un  legato. 
Sempre  più  crescendo  in  occidente 
ardore  per  la  crociata,  il  Papa 
nominò  a  ledati  della  medesima 
il  cardinal  Soffredo  o  sia  Goffredo 
Gaetani  che  dal  titolo  di  s.  Pri- 
sca era  passato  a  quello  di  s.  Pras- 
sede,  ed  il  cardinal  Pietro  del  titolo 
di  s.  Marcello  con  corrispondente 
autorità,  esortandoli  a  preceder  l'e- 
sercito del  Signore  ed  a  mantenere 
la  concordia  e  la  pace.  Una  gran 
parte  dell'Europa  era  di  nuovo  ani- 
mata da  quello  spirito  che  accoppiar 


25o  INN 

sapeva  la  guerra  al  pellegrinaggio,  le 
opere  della  spada  con  quelle  della 
fede.  Né  era  solo  il  capo  della  Chie- 
sa ad  incuorar  i  crociati  coll'aprir 
loro  i  tesori  della  Chiesa,  ma  an- 
che i  re  gl'incoraggivano  francan- 
doli di  molti  aggravi,  provveden- 
doli altresì  gli  abitanti  de'  luoghi 
per  dove  passavano.  Baldovino  IX 
conte  di  Fiandra,  dato  sesto  agli 
affari  come  avesse  dovuto  morire, 
fatte  generose  disposizioni  pie,  si 
mosse  per  la  crociata,  e  fece  sal- 
pare dai  porti  de*  Paesi  Bassi  una 
flotta  di  sessantasei  legni  riccamen- 
te equipaggiati,  e  coi  più  valorosi 
vassalli  e  cavalieri.  Raccolti  i  cro- 
ciati a  Venezia  si  trovarono  im- 
potenti di  pagar  tutte  le  somme 
convenute,  ad  onta  delle  ulteriori 
somministrazioni  de'  loro  capi;  e 
giunse  il  doge  a  dir  in  consiglio 
non  dover  la  repubblica  ritenerli 
più  oltre,  come  non  era  tenuta  re- 
stituire il  ricevuto.  Tultavolta  si 
convenne  che  in  luogo  di  trenta- 
cinquemila marchi  che  doveano  i 
crociati ,  questi  avrebbero  coope- 
rato coi  veneti  alla  ricupera  di  Za- 
ra loro  tolta  dal  re  d'Ungheria. 
Il  doge  Dandolo  prese  la  croce  ed 
una  moltitudine  di  veneti  ne  se- 
guirono l' esempio.  Dispiacque  al 
Papa  che  i  veneziani  profittando 
de'crociati  volessero  dare  altro  in- 
dirizzo alla  spedizione,  e  mandò 
il  cardinal  Pietro  a  Venezia  onde 
affrettar  la  partenza  della  flotta 
per  Alessandria,  e  disforia  dall'im- 
presa contro  Zara,  e  d'assaltare  gli 
stati  d'un  re  il  cui  popolo  avea  preso 
la  croce.  Essendo  stato  il  cardinale 
legato  freddamente  accolto,  non  ri- 
conosciuto per  legato,  e  venendo  in 
cognizione  che  i  crociati  aveano  deli- 
berato riporre  sul  trono  di  Costanti- 
nopoli il  principe  Alessio,    il    car- 


INN 
dinaie  lasciò  Venezia.  Ne  miglior 
frutto  produssero  le  lettere  ponti- 
ficie ;  se  non  che  temendo  i  veneti 
che  alcuni  per  non  disobbedire  al 
Papa  si  decidessero  di  ritirarsi,  sciol- 
sero le  vele  alla  flotta  composta 
di  quattrocento  legni.  Ad  onta 
dell'energiche  proteste  di  Guido 
abbate  di  Val  di  Cernay,  che  in 
nome  del  Papa  proibì  di  assalir 
Zara  abitata  da  gente  cristiana;  ad 
onta  che  gli  assediati  ponessero 
alle  mura  della  città  le  immagini 
del  Crocefisso,  e  che  il  Pontefice 
minacciasse  la  scomunica,  i  venezia- 
ni la  presero,  e  quei  francesi  che 
vi  si  prestarono  ne  dimostrarono 
poco  buon  volere.  Intanto  Alessio 
fece  magnifiche  promesse  ai  cro- 
ciati perchè  lo  riponessero  sul  tro- 
no, offrendosi  poi  di  unirsi  a  loro 
per  la  sacra  guerra  ;  ritornare 
l'impero  d'oriente  sotto  l'obbe- 
dienza della  santa  Sede,  e  pagare 
ai  crociati  duecentomila  marchi. 
Tultavolta  l'abbate  Pietro  tornò  ad 
alzar  la  voce,  alcuni  crociati  si  riti- 
rarono," altri  si  diressero  per  la  Pa- 
lestina. 

Correndo  l'anno  i2o3  Roma 
era  pur  sempre  minacciata  da  un 
fuoco  coperto;  i  nemici  della  fa- 
miglia d'  Innocenzo  III  meditavano 
continuamente  congiure,  quando  gli 
sponsali  della  figliuola  d'Oddo  da 
Poli  con  un  nipote  del  Papa,  fi- 
glio di  Riccardo  suo  fratello,  ne 
porse  loro  il  pretesto.  Oddo  nel 
pontificato  di  Adriano  IV  avea 
preso  per  sé  e  discendenti  dalla 
Chiesa  romana  in  feudo  Poli  ed  al- 
tri luoghi;  ma  poi  essendo  stata 
mossa  lite  contro  di  essi  innanzi 
al  senatore,  il  Papa  l'avocò  al  suo 
tribunale  perchè  trattavasi  d'un 
feudo  della  santa  Sede,  tanto  più 
che  Riccardo  avea  spento  i    molti 


debiti  su  quelle  terre  e  poco  frut- 
to ne  ritraeva.  Benché  Innocenzo 
III  voleva  che  si  procedesse  impar- 
zialmente, nel  martedì  dopo  Pasqua 
insorse  una  sollevazione,  insultando- 
lo mentre  secondo  la  consuetudine 
vestito  degli  ornamenti  pontificali 
attraversava  la  città;  ma  egli  pro- 
segui tranquillo  ed  impavido  il  suo 
cammino,  come  nulla  fosse,  sicuro 
nella  propria  coscienza.  Né  di  ciò 
contenti  gli  avversari,  portatisi  in 
Campidoglio  cederono  formalmen- 
te que'dominii  ch'erano  feudi  del- 
la Sede  apostolica,  al  senato  e  po- 
polo romano;  e  perchè  il  senatore 
riconobbe  i  diritti  della  Chiesa 
quando  il  Papa  ne  ordinò  la  di- 
fesa, venne  assediato  il  suo  palaz- 
zo in  Campidoglio.  Disgustato  In- 
nocenzo III  dalle  calunnie  ed  ira 
del  popolo,  negli  ultimi  giorni  di 
aprile  lasciò  Roma  per  ridursi  a 
Palestrina  e  poi  a  Ferentino  ove 
era  solito  passare  l'estate.  Alla  me- 
tà di  settembre  passò  ad  Anagni  e 
per  la  malattia  grave  che  ivi  lo 
colse  dimorò  colà  tutto  l'inverno , 
e  solo  fece  ritorno  in  Roma  nei 
primi  di  marzo  dell'anno  seguente, 
senza  che  gli  affari  patissero  inter- 
ruzione. In  mezzo  a  tante  occupa- 
zioni e  burrascosi  tempi  egli  ter- 
minò la  spiegazione  de'  sette  salmi 
penitenziali ,  piena  di  religiose  bel- 
lezze e  di  profonda  cognizione  delle 
sacre  scritture.  La  malattia  del  Pa- 
pa pregiudicò  le  cose  di  Sicilia  e 
di  Puglia,  profittandone  i  nemici 
della  santa  Sede  con  parecchie  ri- 
bellioni. Intanto  la  prudente  e  fer- 
ma condotta  del  cardinal  Guido 
procurò  ad  Ottone  IV  la  benevo- 
lenza di  vàri  principi,  onde  meritò 
le  congratulazioni  del  Pontefice;  ma 
in  pari  tempo  rampognò  i  vescovi 
di  disobbedietiza  e  spergiuro.  1  car- 


INN  25i 

d'inali  resero  ai  principi  testimonian- 
za del  loro  perfetto  accordo  col 
Papa,  ch'egli  ama  come  fratelli  e 
eh'  essi  onorano  come  padre  ;  la 
Chiesa  romana  non  lasciarsi  mai 
trasportare  da  cieca  passione,  es- 
sere tutti  gli  atti  suoi  guidati  dalla 
ragione.  In  generale  Innocenzo  III 
non  lasciò  sfuggir  occasione  di  gra- 
tificare i  principi  della  parte  di  Ot- 
tone IV;  non  potè  però  in  niun 
modo  indurre  gli  altri  a  ricono- 
scerlo qual  re  de'  romani.  Mentre 
questi  ordinava  le  cose  di  sua  fa- 
miglia con  dividere  il  paterno  re- 
taggio, Filippo  si  preparò  alla  pu- 
gna per  decidere  della  validità  di 
sua  elezione.  Non  mancò  Ottone 
d' insignorirsi  di  varie  castella ,  e 
coronò  il  re  dì  Boemia  tenendosi 
illegale  la  coronazione  che  di  lui 
avea  fatto  Filippo.  Non  restando 
Innocenzo  III  inoperoso,  pel  com- 
pimento de'suoi  due  gran  disegni , 
la  pacificazione  dell'impero  e  la 
sacra  guerra,  procurò  guadagnar  ad 
Ottone  IV  l'antica  Lombardia  for- 
mante parte  dell'impero;  indi  di- 
chiarò falso  quanto  Filippo  anda- 
va spargendo  in  Germania  per  dis- 
togliere i  principi  dal  suo  emulo, 
cioè  che  il  Papa  per  mezzo  di  Mar- 
tino priore  de'  camaldolesi  gli  avea 
offerto  la  corona  imperiale,  sicco- 
me personaggio  di  cui  spesso  si  gio- 
vò in  affari  ecclesiastici;  solo  aver  il 
provvido  ed  onesto  priore  procu- 
rato il  ritorno  di  Filippo  al  grem- 
bo della  Chiesa,  essendo  incompa- 
tibile seguir  due  sentieri  ad  un 
tratto. 

Continuava  Innocenzo  III  a  sos- 
tenere con  lealtà  e  fermezza  con- 
tro i  tiranneschi  capricci  del  ma- 
rito la  misera  Ingelburga,  che  o- 
gni  giorno  cresceva  presso  tutti  in 
istima    per  l' esemplare    sua    vita , 


2*2  INN 

mentre  il  re,  senza  voler  sapere 
uè  di  processo ,  né  di  sentenza , 
instava  pel  divorzio,  che  il  Papa 
non  poteva  concedere  se  prima 
non  era  giustificato  con  sufficienti 
motivi.  L' ira  di  Filippo  Augusto 
contro  l'innocente  oggetto  della  sua 
avversione  aumentandosi  in  pro- 
porzione degli  ostacoli ,  volle  che 
fosse  oltraggiata  con  calunnie,  gl'in- 
terdisse  il  confessarsi ,  e  di  udir 
solo  qualche  rara  volta  la  messa  , 
per  non  dire  di  altre  durissime 
privazioni.  Ciò  non  pertanto  ella 
faceva  giungere  le  sue  commoven- 
ti e  patetiche  doglianze  all'  unico 
suo  protettore  e  benefattore  il  Vi- 
cario di  Gesù  Cristo,  e  di  essere 
piti  infelice  racchiusa  nel  palazzo 
reale,  che  prima  non  era  nel  chio- 
stro ove  coi  conforti  della  religio- 
ne le  monache  ne  mitigavano  colla 
loro  compagnia  le  sue  pene.  Il  Pa- 
pa fece  rinnovare  al  barbaro  mo- 
narca le  sue  più  vive  ammonizio- 
ni per  l'abbate  di  Casamare,  a  lui 
inviato  con  due  altri  abbati  per 
altre  cose  ;  ed  a  vantaggio  della 
crociata  consigliare  una  tregua  col 
re  inglese,  cui  aveagli  invaso  la 
Normandia  per  l'uccisione  dell'in- 
felice Arturo.  Troppa  era  l' irrita- 
zione di  Filippo  Augusto  per  ce- 
dere alle  rimostranze  de'  legati,  che 
non  poterono  distorlo  dal  suo  pro- 
posito, e  dichiarò  non  essere  ob- 
bligato render  conto  al  Papa  di 
quanto  riferivasi  ai  feudi  e  vassalli 
suoi ,  non  essere  di  giurisdizione 
del  Papa  le  contese  fra'  re.  Ma  al- 
lora Innocenzo  III  da  Anagni  scris- 
se una  lettera  a  Filippo  per  illu- 
minarlo sulla  fatta  dichiarazione , 
con  cui  intendeva  di  restringere 
la  giurisdizione  della  santa  Sede; 
non  pretendere  conoscere  i  diritti 
signorili,  ma  sì  il  peccato  per  ca- 


INN 

stigarlo;  e  che  se  vana  riuscirà  la 
materna  dolcezza,  essere  costretto 
per  dovere  del  ministero  di  ricor- 
rere al  paterno  rigore.  Come  di- 
fensor  della  pace,  scrisse  pure  al 
re  Giovanni  per  indurlo  a  questa, 
od  almeno  a  tregua,  poiché  i  li- 
miti dell'impero  divino  tutto  ab- 
braccia quanto  é  sopra  la  terra; 
essere  suo  dovere  l'impedir  lo  spar- 
gimento di  sangue,  e  mantener  la 
concordia  tra  due  monarchi,  la  cui 
possanza  contribuir  deve  in  modo 
efficace  alla  liberazione  di  Terra 
Santa.  Morendo  Suero  re  di  Nor- 
vegia ringraziò  Dio  d'averlo  illu- 
minato sul  mal  fatto,  e  raccoman- 
dò al  figlio  di  pacificarsi  co'  ve- 
scovi esiliati,  onde  l'arcivescovo  di 
Drontheim  levò  la  scomunica  ful- 
minata già  contro  il  re  ed  i  suoi 
consiglieri,  ma  fu  rimproverato  da 
Innocenzo  III  perchè  mancante  d'au- 
torità. 

I  crociati  passando  l'inverno  a 
Zara,  il  Papa  diresse  una  lettera 
a  tutto  l'  esercito  ,  dicendogli  aver 
offerto  le  primizie  del  suo  pelle- 
grinaggio al  demonio,  e  conculcata 
l'autorità  della  santa  Sede  che  avea 
dato  precisi  comandi  ;  invitarlo  a 
restituir  il  bottino ,  altrimenti  di- 
chiararlo capace  della  meritata  sco- 
munica, e  decaduto  da  tutti  i  me- 
riti della  crociata.  I  capitani  fran- 
cesi riconoscendo  il  loro  fallo,  in- 
viarono a  Roma  il  pio ,  eloquente 
e  dotto  maestro  Giovanni  di  No- 
yon  vescovo  di  Soissons,  in  com- 
pagnia di  due  cavalieri,  a  scusarsi 
col  Papa  della  forzata  lega  co'  ve- 
neziani, ed  a  chiedere  l' assoluzio- 
ne, assicurandolo  che  in  avvenire 
obbedirebbero  prontamente  a'  suoi 
ordini.  Ottenutasi  da  essi,  non  sen- 
za difficoltà,  l'udienza  da  Innocen- 
zo III,  questi  manifestò  loro  il  prò- 


INN 
prio  risentimento  per  gli  avveni- 
menti di  Zara;  poi  in  una  nuova 
lettera  ai  conti ,  baroni  ed  altri 
crociati,  dove  neppur  li  degna  del- 
l'apostolico saluto ,  ripetè  i  rim- 
proveri, manifestando  tuttavia  con- 
tentezza pel  ravvedimento  loro,  e 
che  la  necessità  poteva  scusameli; 
dover  restituire  il  bottino,  e  giu- 
rare al  cardinal  Pietro  che  d'  ora 
innanzi  avrebbero  obbedito  agli  or- 
dini pontifìcii,  e  solo  a  tali  condi- 
zioni potranno  essere  ribenedetti , 
non  dovendo  più  assalir  alcun  pae- 
se cristiano ,  e  chiedere  perdono 
dell'ingiuria  fattagli  al  re  d'Un- 
gheria. Grande  fu  la  gioia  de' cro- 
ciati ,  quando  al  tornar  de'  loro 
inviati  conobbero  1'  indulgenza  del 
Papa,  e  tosto  aflrettaronsi  a  man- 
dargli la  chiesta  dichiarazione  ;  soli 
i  veneziani  non  vollero  saperne 
nulla,  onde  il  marchese  di  Monfer- 
rato temendo  che  se  n'andassero 
colla  flotta,  non  mostrò  loro  la  let- 
tera pontificia,  ed  Innocenzo  III 
entrò  nelle  viste  prudenti  del  sag- 
gio marchese,  sebbene  considerasse 
i  veneziani  scomunicati.  Venuto  poi 
in  cognizione  del  trattato  conchiu- 
so dai  crociati  col  principe  Alessio, 
Innocenzo  III  scrisse  al  marchese 
ed  ai  conti  di  Fiandra,  di  Blois  e 
di  San  Polo,  avvertendoli  che  la 
crociata  andava  a  macchiarsi  di 
un  grave  misfatto;  non  esser  lecito 
assaltare  1'  impero  greco  perchè 
non  riconosceva  la  Sede  apostoli- 
ca, o  perchè  Alessio  III  avesse  cac- 
ciato dal  trono  il  fratello  Isacco  II, 
ed  esortarli  a  rinunciar  all'impre- 
sa, ed  a  passare  a  Terra  Santa, 
proibendo  di  nuovo  sotto  pena  di 
scomunica  di  assalile  o  danneggia- 
re verun  paese  cristiano;  gli  co- 
mandò conformarsi  ai  consigli  del 
legato,  e  di    comunicar    la   lettera 


INN  a53 

ai  veneziani  acciò  non  abbiano  ad 
allegare  in  discolpa  la  loro  igno- 
ranza :  laonde  è  falso  che  il  Papa 
aderisse  segretamente  alla  spedizio- 
ne contro  Costantinopoli.  Prima  che 
giungesse  a  Zara  la  lettera  d' In- 
nocenzo III  la  flotta  salpò ,  ed  il 
giovane  Alessio  si  uni  ai  crociati. 
La  vista  di  questo  principe  spoglia- 
to per  infame  tradimento  degli  sta- 
ti e  del  trono ,  un  sentimento  di 
compassione,  il  rinnovamento  delle 
sue  prime  promesse,  l'odio  contro 
un  popolo  in  opposizione  verso  la 
Chiesa  romana,  e  conseguentemente 
verso  Dio  ;  nei  veneziani  l'esca  del 
guadagno  e  il  desiderio  di  vendi- 
carsi, la  gola  del  bottino  negli  al- 
tri ;  in  quelli  che  aspiravano  ai 
tesori  spirituali  la  speranza  di  ac- 
quistar le  reliquie  de'  santi ,  delle 
quali  la  chiesa  greca  era  indegna, 
tutte  queste  ragioni  insieme  unite 
confermarono  i  crociati  nei  loro 
disegni  di  conquista  contro  Costan- 
tinopoli. Via  facendo  Dorano  si  ar- 
rese subito  al  giovine  Alessio ,  il 
quale  colle  lagrime  agli  occhi  scon- 
giurò i  crociati  a  riconquistare  il 
paterno  impero;  ma  i  crociati  con- 
siderandone i  pericoli  o  avendo 
probabilmente  ricevuto  le  lettere 
d'Innocenzo  III,  si  divisero  in  opi- 
nioni; quelli  che  inclinavano  per 
la  spedizione  di  Costantinopoli  si 
posero  in  ginocchio ,  protestando 
rimanervi  finché  i  loro  fratelli  d'ar- 
mi avessero  promesso  di  non  se- 
pararsi ,  e  con  delle  restrizioni  i 
dissenzienti  cedettero  per  commo- 
zione d'animo. 

Dopo  aver  sottomesso  1'  isola 
d'  Andro  e  la  città  d'  Abido ,  con 
prospera  navigazione  giunse  la  flot- 
ta alla  deliziosa  ed  imponente  vi- 
sta di  Costantinopoli  e  delle  ec- 
celse sue  mura  ;  uè  per  beu    ani- 


254  INN 

moso  ch'ei  fosse,  nessun  dei  cro- 
ciati potea  far  di  non  sentirsi  tre- 
mar  il  cuore  a  una  tal  vista,  pen- 
sando all'  impresa  temeraria  che 
un  pugno  di  gente  dovesse  tentar 
d' impadronirsi  d'  una  simile  citlà. 
Il  doge  autorevole  per  la  pratica 
che  avea  de'  luoghi  e  per  l' espe- 
rienza sua,  consigliò  somma  circo- 
spezione, e  del  modo  di  regolarsi, 
sapendo  ormai  i  greci  con  qual 
disegno  venivano  i  latini,  sebbene 
non  avessero  fatto  provvedimento 
alcuno  per  la  loro  sicurtà.  L'im- 
peratore Alessio  III  in  preda  alle 
delizie  delia  mensa,  con  grandissi- 
mo disprezzo  parlava  dell'  armata 
latina,  e  rideva  del  pericolo  che 
gli  sovrastava,  solo  aizzando  l'odio 
antico  de'  greci  con  dir  loro  essere 
venuti  i  latini  per  distruggere  il 
bizantino  impero,  e  sottomettere  il 
popolo  e  il  paese  al  Papa.  Inutil- 
mente i  crociati  presentarono  presso 
le  mura  di  Costantinopoli  il  gio- 
vine Alessio,  invitando  il  popolo  a 
riconoscere  il  suo  legittimo  signo- 
re. Conosciuta  i  crociati  la  neces- 
sità, per  mancanza  di  vettovaglie, 
di  vincere  o  morire,  si  accinsero 
all'assalto  in  sei  schiere ,  tenendo 
il  mare  i  veneti  colle  navi.  Senza 
difficoltà  operarono  lo  sbarco,  dan- 
dosi i  greci  alla  fuga  ;  Baldovino 
occupò  il  campo  abbandonalo  dal- 
l'imperatore,  e  mentre  più  il  co- 
raggio de'  latini  accendevasi,  e  più 
ne'  greci  languiva  per  la  strage 
sofferta,  il  porto  fu  occupato  a'  6 
luglio.  Dopo  otto  giorni  d' assedio 
e  di  accanite  battaglie,  dopo  aver 
il  doge  Dandolo  fitta  sull'alto  d'u- 
na torre  la  veneta  insegna  dello 
stendardo  di  s.  Marco ,  ad  onta 
dell'oste  greca  ben  dieci  volte  più 
numerosa,  il  vile  Alessio  III  fuggi 
da  Costantinopoli  a  Dibelto  o  De- 


INN 
velto  ovvero  ad  Halicz,  ed  il  po- 
polo cavato  di  prigione  Isacco  II  con 
Margherita  sua  sposa,  lo  salutò  im- 
peratore, con  gioia  de'  crociati,  che 
subito  ottennero  da  lui  la  sanzione 
del  trattato  conchiuso  col  figlio  A- 
lessio,  che  dal  padre  fu  associato 
al  trono ,  e  fatto  coronare  il  gior- 
no di  s.  Pietro  in  Vincoli.  Consi- 
gliato Alessio  figlio  d' Isacco  II , 
chiamato  Alessio  IV ,  dai  vescovi 
di  Soissons,  di  Alberstad  e  di  Tro- 
yes,  scrisse  ad  Innocenzo  III,  noti- 
ficandogli aver  i  crociati  preso  a  cuo- 
re la  sventura  sua,  e  avendo  Dio 
benedetto  i  loro  sforzi  era  stato  suo 
padre  liberato.  L'assicurò  della  sua 
costante  divozione,  e  che  la  pro- 
messa da  lui  fatta  di  riconoscere 
il  Papa  vero  successore  degli  apo- 
stoli, avea  solo  indotto  i  crociati  a 
prestargli  aiuto;  e  rinnovò  il  giu- 
ramento di  esser  sommesso,  quan- 
to lo  furono  gl'imperatori  cattolici 
suoi  predecessori ,  chiedendo  con- 
siglio per  condurre  ad  effetto  la 
soggezione  della  Chiesa  d'  oriente. 
Anche  i  crociati  si  giustificarono 
con  Innocenzo  III  di  aver  frappo- 
sto indugi  all'  impresa  della  crocia- 
ta, per  aiutar  Alessio.  I  veneziani 
anch'essi  mandarono  inviati  al  car- 
dinal Pietro  legato ,  supplicandolo 
a  levar  la  scomunica,  il  quale  pre- 
ferì meglio  imperfettamente  ribe- 
nedirli che  vederli  restar  sotto  l'a- 
natema. Quantunque  avesse  il  Pa- 
pa veduto  la  spedizione  rivolta 
contro  la  Grecia,  continuò  a  cu- 
rare le  cose  di  Terra  Santa,  facen- 
do patriarca  di  Gerusalemme  il 
cardinal  Soffredo  Gaetani,  che  ri- 
cusando fermamente  la  dignità , 
venne  sostituito  dal  vescovo  di  Ver- 
celli. 

I  crociati  erano  sempre    deside- 
rosi di  portarsi  iu  Terra  Santa,  ma 


INA 

l'esecuzione  di  questo  disegno  ogni 
dì  si  fece  più  difficile  ;  non  vole- 
vano, massime  i  veneti,  rinunziare 
alle  ricompense  promesse ,  e  bra- 
mavano che  la  sommissione  del- 
l' impero  d'oriente  alla  Chiesa  d'oc- 
cidente non  si  limitasse  ad  un  trat- 
tato, ma  fosse  di  fatto  eseguita,  ad 
onta  che  i  greci  n'erano  avversi  ;  oltre 
a  ciò  i  latini  per  muovere  contro 
gl'infedeli  avevano  più  bisogno  d'a- 
iuti che  prima.  Ad  istanza  di  A- 
lessio  IV  che  trovavasi  impotente 
di  soddisfare  al  trattalo ,  e  colla 
partenza  de'  crociati  correva  peri- 
colo di  perdere  il  trono,  i  crociati 
dovettero  contentarsi  di  procrasti- 
nare alla  futura  Pasqua  la  loro 
partenza  per  la  Siria  ;  e  per  evitar 
ogni  contesa  co'  greci  uscirono  da 
Costantinopoli  accampandosi  nel- 
l' opposta  riva.  Mentre  aumenta- 
vasi  l'odio  de'  greci  pei  crociati 
che  vedevano  in  ogni  modo  distinti 
dall'  imperatore  Alessio  IV,  in  Co- 
stantinopoli scoppiò  un  fatale  incen- 
dio che  infuriando  otto  giorni  pro- 
dusse immensi  danni  colla  rovina 
di  un  quarto  almeno  della  città. 
Avendo  avuto  origine  da  una  zuffa 
tra  alcuni  fiamminghi,  pisani  e  ve- 
neziani contro  i  saraceni,  il  popolo 
si  vendicò  sui  latini  abitanti ,  che 
in  numero  di  ben  quindicimila  fu- 
rono costretti  cercar  asilo  e  pro- 
tezione al  campo  de'  crociati  ;  il 
perchè  essendo  Alessio  IV  co'  più 
ragguardevoli  baroni  frauchi  per 
le  piovincie  onde  soggiogarle,  tosto 
cessò  qualunque  pratica  fra  i  greci 
e  i  latini.  11  patriarca,  i  grandi  ed 
i  cortigiani  fecero  di  tutto  per  in- 
disporre Isacco  li  e  Alessio  IV  a 
danno  de'  crociati,  divenendo  que- 
st'ultimo da  grato,  arrogante  e  sco- 
noscente, usando  sutterfugi  alle  ri- 
mostranze che  i  latini    gli   fecero  ; 


INN  255 

onde  per  mare  e  per  terra  colla 
peggio  de'  greci  ricominciò  la  guer- 
ra. 11  male  umore  del  popolo  au- 
mentò, e  se  la  prese  scopertamente 
contro  i  due  imperatori  padre  e  fi- 
glio, e  tentò  a  suggestione  di  Mur- 
zuffo  incendiare  la  flotta  veneta. 
Quella  del  conte  Baldovino  da  Mar- 
siglia erasi  portata  in  Siria ,  ove 
per  diversi  avvenimenti  restò  di 
molto  diminuita,  e  sviata  per  le 
perdite  fatte  coi  saraceni. 

Intanto  che  Innocenzo  III  pas- 
sava l' inverno  ad  Anagni,  avvici- 
navasi  il  tempo  in  cui  doveasi  a 
Roma  rinnovare  il  senato,  per  cui 
i  perturbatori  in  vece  d'uno  fece- 
ro eleggere  cinquantasei  senatori  ; 
ma  il  senatore  uscente,  forse  Pan- 
dolfo  di  Suburra,  consegnò  il  Cam- 
pidoglio agli  eletti  divoti  al  Papa, 
e  tornò  in  campo  la  questione  dei 
beni  di  Poli,  che  la  plebe  con  gran 
schiamazzo  voleva  ceduti  alla  co- 
mune, essendo  a  ciò  fomentati  dai 
sediziosi.  I  difensori  della  sovrani- 
tà del  popolo  furono  lo  stesso  in 
ogni  epoca  da  per  tutto;  e  il  fine 
delle  rivoluzioni  fu  sempre  il  le- 
vati di  qui,  che  mi  ci  voglio  met- 
tere io.  Essendo  la  città  in  preda 
ai  tumulti  i  buoni  gemevano  ;  va- 
rie deputazioni  mandate  al  Papa 
perchè  ritornasse  a  Roma,  restarono 
senza  effetto,  finché  Innocenzo  III 
cedette  ad  una  più  solenne,  e  nei 
primi  di  marzo  1204  vi  fu  accolto 
con  festevoli  dimostrazioni,  essendo 
gli  abitanti  stanchi  de'faziosi.  Tut- 
tavia successero  fatti  che  riempi- 
rono Roma  di  desolazione  e  di 
spavento  ;  uccisioni,  case  atterrate, 
incendii  ed  erezioni  di  nuove  torri 
ne  furono  le  conseguenze.  Pietro 
Annibaldi  cognato  del  Papa,  aven- 
do fatto  costruir  una  torre  per 
chiuder  gli   aditi    del    Colosseo ,    i 


n56  INN 

Frangipani  possessori  di  questo  vi 
si  opposero.  La  torre  de'  Conti  in- 
nalzata da  Riccardo  co'  denari  da- 
tigli da  suo  fratello  Innocenzo  III 
per  dilèsa  della  famiglia,  venne 
inutilmente  assalila  ;  ma  la  di  lui 
casa  a  nome  del  comune  fu  occu- 
pata, con  gravissimi  danni  degli 
amici  del  Papa.  Questi  con  la  sua 
clemenza  ed  intrepidezza  restituì 
la  pace  al  paese ,  convenne  all'  e- 
lezione  de'  cinquantasei  senatori,  e 
ne  ricevette  il  giuramento.  Indi 
sottrasse  Te  tracina  dai  Frangipani, 
obbligando  gli  abitanti  a  giurar 
fede  alla  Chiesa,  facendosi  dare  il 
castello  e  le  fortificazioni  che  la 
difendevano.  Fece  prendere  posses- 
so nel  Mantovano  sulle  terre  di 
Matilde;  mandò  castellani  alle  roc- 
che di  Montefiascone  e  Camerino; 
pose  all'  interdetto  Asisi  perchè  a- 
vea  preso  a  podestà  uno  scomuni- 
cato, e  solo  lo  tolse  quando  i  cit- 
tadini lo  rimossero  e  prestarono 
giuramento  di  fedeltà.  Avendo  Lu- 
poldo  vescovo  di  Vormazia,  amba- 
sciatore di  Filippo,  fomentato  tur- 
bolenze nella  Marca  d'Ancona,  spe- 
di a  questa  un  legato.  Riscattò 
quindi  molti  beni  di  ragione  della 
Chiesa,  e  procurò  di  far  valere  le 
ragioni  di  diretto  dominio  che  la 
santa  Sede  avea  sulla  Sardegna,  e 
pose  un  canone  annuale  sull'isola, 
tanto  a  titolo  di  podestà  spiritua- 
le quanto  di  temporale.  Essendo 
la  Sicilia  in  preda  ai  disordini,  In- 
nocenzo III  vi  spedì  per  legato  il 
cardinal  Gregorio  di  s.  Adriano 
con  plenipotenza,  onde  prendesse 
reggimento  dell'  isola  in  qualità  di 
rappresentante  del  tutore.  Nò  la 
Germania  venne  in  quest'anno  di- 
menticata da  Innocenzo  III  con 
esortazioni  ad  Ottone  IV  ed  ai 
principi  spirituali  e   temporali    del 


INN 
suo  partito,  cui  concesse  nuovi  pri- 
vilegi, e  al  re  di  Boemia  confer- 
mò il  titolo  regio ,  quindi  avuto 
riguardo  all'ampiezza  de'  suoi  stati 
gli  concesse  d' instituirvi  una  chie- 
sa metropolitana.  Ma  Adolfo  arci- 
vescovo di  Colonia  ed  altri  prin- 
cipi passarono  a  Filippo,  insieme 
al  duca  di  Brabante,  che  ad  onta 
del  giuramento  fatto  non  voleva 
più  dare  in  isposa  sua  figlia  ad 
Ottone  IV,  per  lo  che  il  Papa  lo 
ammonì  seriamente,  siccome  fece 
con  Adolfo  a  mezzo  dell'  arcivesco- 
vo di  Magonza. 

Filippo  Augusto  continuava  i 
suoi  trionfi  sui  possedimenti  che 
il  re  Giovanni  avea  in  Francia,  ed 
il  Pontefice  non  lasciava  cure  per 
pacificarli,  ed  i  vescovi  de'  paesi 
conquistati  domandarono  a  lui  istru- 
zioni prima  di  sottomettersi.  Aven- 
do Berengaria  acconsentito  alla  se- 
parazione del  suo  sposo  re  di  Leo- 
ne, e  rinunziato  alle  città  assegnate 
pel  suo  vedovile ,  Innocenzo  III 
tolse  l' interdetto  dal  regno,  dichia- 
rando la  prole  atta  a  succedere  al 
trono.  Pietro  II  re  d'Aragona  di- 
stinguendosi per  virtù,  religiose  ed. 
eroiche,  volendo  accrescere  lo  splen- 
dore alla  sua  dignità  col  farsi  in- 
coronare al  pari  di  tutti  i  re,  de- 
liberò di  portarsi  in  Roma  a  ri- 
cevervi la  corona  dalle  mani  del 
Papa  ,  per  così  escludere  qualun- 
que obbiezione  per  parte  de'gran- 
di,  e  qualunque  pretensione  da  par- 
te della  Francia  di  cui  gli  avi  suoi 
erano  vassalli.  Giunto  al  porto  di 
Ostia  trovò  duecento  cavalli  da 
sella,  e  più.  altre  bestie  da  soma, 
mandatigli  da  Innocenzo  III,  e  lun- 
go la  via  parecchi  cardinali,  il  se- 
natore e  molli  nobili  ad  incontrar- 
lo. Giunto  in  Roma  fu  ricevuto 
dal  Papa  e  coronato  al  modo  uar- 


INN 
rato  al  voi.  XVII,  pag.  229  del 
Dizionario,  ove  pur  dicemmo  co- 
me commise  il  suo  regno  al  prin- 
cipe degli  apostoli,  indi  l'ebbe  in 
feudo  dal  Pontefice ,  con  annuo 
tributo  di  duecento  mazemuttini. 
Il  Papa  dalla  sua  parte  obbligossi 
a  prendere  i  suoi  stati  e  la  per- 
sona sua  sotto  la  prolezione  della 
santa  Sede.  In  seguito  rivolse  In- 
nocenzo III  le  sue  sollecitudini  al- 
l' Ungheria  ed  alla  Servia,  la  cui 
congiunzione  colla  Chiesa  romana 
consolidò.  Caloianni  re  de'  bulgari 
e  de'  vallachi  avendo  ricevuto  il 
legato  pontificio ,  questi  creò  due 
nuovi  arcivescovati,  conferì  la  di- 
gnità di  primati  agli  arcivescovi  di 
Zagora  e  di  Ternova  ,  ed  il  prin- 
cipe ritirandosi  dalla  Chiesa  greca 
pose  il  suo  regno  nella  comunione 
della  romana.  Per  le  di  lui  suppli- 
che Innocenzo  111  gli  mandò  per 
legato  il  cardinal  Leone  del  titolo 
di  s.  Croce  in  Gerusalemme,  col 
pallio  pel  nuovo  primate,  con  la 
corona  e  lo  scettro  acciocché  un- 
gesse re  de'  bulgari  e  vallachi  lo 
stesso  Caloianni,  col  diritto  di  bat- 
ter moneta  in  proprio  nome,  oltre 
il  donativo  dello  stendardo  in  cui 
col  salutifero  segno  della  croce  e- 
ranvi  le  chiavi  di  s.  Pietro.  La  co- 
ronazione procedette  colle  festose 
grida  del  popolo.  Con  egual  sod- 
disfazione del  supremo  Gerarca  riu- 
scirono le  cose  in  Armenia,,  ma- 
neggiate dai  legati  i  cardinali  Pie- 
tro e  SofTredo,  i  quali  oltre  alle 
pratiche  fra'  crociati  aveano  l' in- 
carico di  accomodar  gli  affari  ec- 
clesiastici dell'oriente.  11  re  d' Ar- 
menia alla  presenza  del  cattolico 
co'  suoi  suffraganei  ricevette  in  so- 
lenne udienza  il  cardinal  legato,  il 
quale  conchiusa  la  congiunzione 
della  Chiesa  armeua  alla  romana, 
voi.    xx»v. 


die  il  pallio  al  cattolico  con  gran 
solennità.  Quanto  alle  dissensioni 
tra  il  re,  il  conte  di  Tripoli  ed  i 
cavalieri  templari,  Innocenzo  III  fe- 
ce di  tutto  per  sopirle. 

Tornando  alle  cose  di  Costanti- 
nopoli, 1'  irritazione  tra'  greci  e 
latini  giunse  all'  estremo.  Alessio 
duca  o  sia  Murzuffo,  godendo  d^ 
favore  di  Alessio  IV  suo  cugino, 
se  ne  giovava  a  tener  vivi  i  ran- 
cori fra  le  due  nazioni ,  siccome 
nutriva  ambiziosi  disegni  qual  di- 
scendente dei  Comneni;  confidava- 
si  egli  di  giungere  alla  corona  in 
quel  sì  frequente  mutar  de'  signo- 
ri in  Costantinopoli.  Crescendo  lo 
scontento  del  popolo  contro  i  suoi 
imperatori,  si  levò  a  tumulto  ;  A- 
lessio  I V,  fidandosi  di  Murzuffo, 
pel  suo  mezzo  chiamò  il  soccorso 
de'  latini.  Mentre  il  marchese  Bo- 
nifazio faceva  i  suoi  preparativi , 
Murzuffo  persuase  il  popolo,  che 
per  non  soggiacere  ai  crociati  bi- 
sognava deporre  Alessio  IV,  e  di 
notte  consigliando  questi  alla  fuga 
lo  fece  in  vece  chiudere  in  una 
torre,  indi  si  fece  proclamare  im- 
peratore, ed  Isacco  II  ne  morì 
di  pena.  Considerato  Murzuffo  dai 
crociati  come  reo  di  fellonia,  si  de- 
cisero liberar  1'  imperatore  ;  ma 
stretti  dal  bisogno  di  viveri,  con 
un  drappello  se  li  procurarono  nel- 
la vicina  città  di  Filca.  Murzuffo 
corse  per  accerchiarli,  ma  in  vece 
Io  fu  egli,  e  con  istento  salvò  la 
vita,  lasciando  in  poter  de'  latini 
le  armi,  lo  scudo  e  1'  insegna  im- 
periale coli'  immagine  della  Beata 
Vergine,  che  veniva  portata  dal 
patriarca  di  Costantinopoli.  Mur- 
zuffo tentò  senza  effetto  di  arder 
di  nuovo  la  flotta,  onde  i  crociati 
marciarono  per  terra  sulla  città, 
ma  niuno  comparve  a  respingerli; 
17 


258  INN 

quindi  procurò  di  venire  agli  ac- 
cordi senza  conclusione,  e  vedendo 
che  il  veleno  non  avea  operato  su 
Alessio  IV,  lo  fece  strozzare,  quan- 
do il  Papa  indirizzava  lettere  al- 
l' infelice  principe  perchè  effettuas- 
se 1'  unione  delle  due  Chiese,  seb- 
bene ne  temeva,  siccome  scrisse  al 
marchese  Bonifazio,  e  solo  credervi 
quando  il  patriarca  riconosciuto  il 
primato  della  santa  Sede  domandas- 
se il  pallio;  importar  più  di  tutto 
veder  compito  il  voto  della  crociata. 
Nel  mese  di  marzo  i  baroni  fran- 
cesi conchiusero  un  trattato  col 
doge  Dandolo  se  la  città  fosse  pre- 
sa, non  che  per  I'  elezione  d'  un 
imperatore,  e  pel  regolamento  del- 
le cose  civili  ed  ecclesiastiche;  ma 
il  sistema  feudale  che  voleva  in- 
trodursi ,  e  non  adatto  per  1'  o- 
riente,  era  il  germe  di  distruzione 
dell'  impero  che  i  latini  stavano 
per  conquistare.  Quindi  i  crociati 
si  accinsero  alla  guerra  come  i 
greci  alla  difesa  con  mezzi  formi- 
dabili, cacciando  con  improvvido 
consiglio  tutti  i  latini  che  ahi  fa  va- 
no la  città.  Datosi  dai  crociati  l'as- 
salto con  felice  successo  entrarono 
nella  medesima,  fuggendo  i  greci 
alla  loro  strage  che  i  sacerdoti  impe- 
dirono maggiore.  Inutilmente  tentò 
Murzuflo  di  raccoglierei!  popolo  per 
rafforzar  con  esso  il  suo  esercito,  tutti 
procurando  porsi  in  salvo^  siccome 
fece  egli  pure.  Allora  insorsero  due 
pretendenti  all'  impero,  Teodoro 
duca  e  Teodoro  Lascari  marito  di 
Anna  figlia  di  Alessio  III.  Ambe- 
due n'  erano  degni  per  riputazio- 
ne, nobiltà  ed  autorità;  il  clero 
stette  per  Lascari,  protettore  dei 
dotti  ;  ma  neppur  egli  valse  a  riac- 
cender lo  spento  coraggio  del  po- 
polo, per  cui  si  abbandonò  a  pre- 
cipitosa fuga. 


INN 
Continuando  i  crociati  ad  esten- 
der le  conquiste  nell'immensa  cit- 
tà, come  ad  impadronirsi  d'  infi- 
nite ricchezze,  trovarono  nel  pa- 
lazzo di  Cuccoleone  due  imperatri- 
ci sorelle  dei  re  di  Francia  e  di 
Ungheria.  Greci  e  latini  conobbero 
del  pari  la  mano  di  Dio  in  que- 
sta tremenda  rovina  della  città  j 
dappoiché  assediata  venti  nove  vol- 
te e  sei  espugnata,  questa  era  la 
prima  dopo  la  sua  fondazione  che 
fosse  del  tutto  occupata.  I  greci 
vi  vedevano  un  giusto  castigo  del 
dispregio  in  cui  da  gran  tempo 
sacerdozio  e  popolo  tenevano  le 
leggi  divine,  oltre  la  mollezza  dei 
loro  oziosi  principi;  i  latini  tene- 
vano la  conquista  per  castigo  do- 
vuto alla  scismatica  separazione  dei 
greci  dalla  Chiesa  romana,  e  per 
castigo  altresì  della  superbia  con 
la  quale  il  popolo  erasi  per  tanto 
tempo  opposto  alla  medesima,  alla 
preminenza  di  s.  Pietro  ed  alle 
istituzioni  di  Cristo,  come  ai  di- 
fensori di  Terra  Santa.  Ma  1'  em- 
pietà, la  cupidigia,  le  barbarie  ed 
ogni  sorta  di  eccessi  che  commise- 
ro i  soldati  latini  in  Costantinopo- 
li fanno  orrore  in  rammentarli, 
né  la  voce  de'  capi,  né  gli  scon- 
giuri fatti  colla  croce  in  mano, 
né  le  scomuniche  fulminate  dai 
tre  vescovi  poterono  frenare  la 
violazione  delle  chiese,  delle  tombe 
e  del  sesso  femminile  di  qualunque 
condizione  e  stato.  I  gemiti  dello 
storico  Niceta,  giustamente  sdegnato, 
di  secolo  in  secolo  fino  a  noi  risona- 
rono, nella  storia  che  ne  scrisse  sotto 
il  patrocinio  di  Teodoro  Lascari 
Né  la  cosa  poteva  essere  diversa- 
mente, poiché  migliaia  di  ribaldi 
venuti  da  tutte  le  regioni  d'  oc- 
cidente, s'  erano  congiunti  ai  cro- 
ciati solo    per    la    speranza  di  far 


I H  W 

bottino  ;  ciò  che  oggidì  vediamo 
spesso  rinnovarsi  ove  insorgono  ri- 
voluzioni o  guerre.  La  città  divo- 
rata più  che  la  metà  da  tre  in- 
ceiulii,  i  suoi  più  splendidi  monu- 
menti barbaramente  distrutti  o  la- 
ceri, presentò  I'  immagine  dello 
squallore  e  del  lutto.  Innumerabi- 
li  furono  i  tesori  spirituali  e  le 
più  venerande  reliquie  che  si  di- 
visero i  crociati,  e  n'  ebbe  anco 
Innocenzo  III.  Questo  trionfai  suc- 
cesso della  spedizione,  di  cui  aveano 
principalmente  merito  i  veneziani, 
non  raddolcì  tuttavia  il  giusto  sde- 
gno del  Papa  circa  gli  avvenimen- 
ti di  Zara,  che  li  coprì  di  rim- 
brotti e  gì'  invitò  al  pentimento. 
Partito  eh'  ebbero  fra  loro  il  bot- 
tino, i  crociati  procedettero  all'  e- 
lezione  dell'  imperatore,  mediante 
sei  elettori  veneti  nobili  e  sei  fran- 
cesi ecclesiastici  :  il  doge  Dandolo, 
il  marchese  Bonifazio  e  il  conte 
Baldovino  erano  i  candidati  di 
maggior  favore.  Il  terzo  contro  la 
sua  espettazione  prevalse  per  mol- 
i  politici  e  saggi  riflessi,  e  tanto 
fu  degno  che  meritò  gli  alti 
encomi  dello  stesso  Kiceta  ;  ed  ai 
16  maggio  fu  solennemente  inco- 
ronato imperatore  nella  basilica  di 
s.  Sofia.  L'  impero  fu  così  trava- 
sato dai  greci  ai  latini,  i  quali  gli 
diedero  istituzioni  non  atte  a  con- 
solidarlo, e  benché  cuiquantasei 
anni  dopo  i  greci  lo  riconquistas- 
sero, sempre  più  decadde,  finché 
fu  preda  della  turchesca  possanza. 
La  più  rilevante  conseguenza  di 
questa  conquista  fu  il  rivolgimen- 
to che  per  lei  ne  venne  in  Euro- 
pa. Costantinopoli  essendo  succedu- 
ta ad  Alessandria  come  centro  del 
commercio  europeo,  cessò  di  esse- 
re il  mercato  e  magazzino  di  quel- 
lo che  facevasi  fra  1'  Asia  e  1'  Eu- 


INN  a59 

ropa  ;  mercato  e  magazzino  che 
furono  trasferiti  a  Venezia,  dive- 
nuti i  veneti  padroni  ancora  dei 
privilegi  che  prima  erano  divisi 
fra  i  genovesi  e  i  pisani.  E  poi, 
chi  dir  potrebbe  tutti  i  vantaggi 
di  cui  la  scienza  andò  debitrice  a 
questa  vittoriosa  spedizione  e  al 
soggiorno  e  dominazione  de' latini 
in  Costantinopoli  ? 

Appena  Baldovino  I  si  vide 
incoronato,  inviò  al  Pontefice  ma- 
gnifici presenti  di  vesti  di  vel- 
luto, ornamenti  di  chiesa,  calici, 
croci  d'oro  fregiate  di  gemme,  e 
la  relazione  degli  avvenimenti,  qua- 
le mandò  pure  all'  imperatore  di 
occidente  e  a  tutta  la  cristianità. 
Baldovino  I  pregò  il  Papa,  1'  im- 
peratore e  i  prelati  di  stimolare 
gli  abitanti  di  occidente  acciò  ve- 
nissero a  partecipare  de*  tesori  sì 
spirituali  che  temporali  dell'  impe- 
ro greco.  Al  santo  Padre  scrisse 
pregandolo  di  radunare  un  conci- 
lio in  Costantinopoli,  d'  onorar  di 
sua  presenza  questa  città,  e  di 
congiungere  così,  al  servigio  di 
Dio,  la  nuova  Boma  all'  antica;  e 
premiar  i  vescovi,  gli  abbati  e  il 
clero  minore  che  onoratamente  a- 
veano  «servito  all'  impresa,  racco- 
mandando alla  benevolenza  aposto- 
lica i  veneziani.  Essendo  disegno 
di  Baldovino  I,  prima  di  proseguir 
il  pellegrinaggio  per  Terra  Santa, 
di  consolidar  la  podestà  sua  nel 
nuovo  impero  e  d'  introdurre  nel- 
le chiese  il  rito  latino,  a  tal  uopo 
richiamò  dalla  Siria  i  cardinali 
Pietro  e  Soffredo,  domandando  ad 
Innocenzo  III  messali,  breviari  ed 
ecclesiastici,  non  che  monaci  e  re- 
ligiosi. A  dare  quindi  un  capo 
spirituale,  essendo  i  veneti  padro- 
ni di  s.  Sofia,  essi  elessero  in  pa- 
triarca   il    compatriotta  Tommaso 


36o  INN 

Morosini  ;  ed  una  deputazione  del 
capitolo  patriarcale,  del  doge  e 
dell'  imperatore  fu  incaricata  sot- 
tomettere 1'  elezione  alla  conferma 
del  Papa;  il  quale  avea  già  scrit- 
to ai  vescovi  ed  abbati  della  cro- 
ciata cbe  ordinassero  il  culto  cat- 
tolico nelle  chiese,  e  procedessero 
coi  chierici  d'  ogni  nazione  all'  e- 
lezione  d'  un  degno  capo,  che  a- 
vrebbe  confermato  il  legato  che 
intendeva  spedire.  Intanto  1'  astuto 
Dandolo  profittò  del  buon  momen- 
to per  far  giungere  ad  Innocenzo 
III  le  sue  scuse,  e  giustificar  la 
presa  di  Zara  e  quella  di  Costan- 
tinopoli ;  mentre  seguì  tra  i  cro- 
ciati la  spartizione  delle  conquiste 
e  1'  occupazione  di  diverse  provin- 
cie  dell'  impero,  facendo  altrettan- 
to diversi  signori  greci,  onde  Teo- 
doro Lascari  fondò  1'  impero  di 
Nicea.  Smembrato  in  questo  modo 
1'  impero  d'oriente,  a  somiglianza 
d'  una  nave  rotta  dalla  tempesta, 
tutti  procurarono  afferrarne  qual- 
che brano.  Murzuffo  caduto  nelle 
mani  de'  crociati  fu  punito  coli'  ul- 
timo supplizio,  ed  Alessio  III  ca- 
duto in  quelle  del  marchese  di 
Monferrato,  ivi  esso  Io  mandò  pri- 
gione. Il  cardinal  Soffredo  da  Co- 
stantinopoli si  portò  a  Tessalonica 
data  al  marchese,  ove  ricevette 
dall'  imperatrice  Margherita  d'  Un- 
gheria di  lui  moglie  e  vedova  d'  I- 
sacco,  1'  abiura  della  religione  gre- 
ca da  lei  abbracciata.  11  cardinal 
Pietro  restò  più  a  lungo  in  Co- 
stantinopoli, sciolse  il  voto  ai  cro- 
ciati a  restarvi  ancora  un  anno 
per  1'  istanza  dell'  imperatore,  e 
tolse  la  scomunica  ai  veneziani.  Il 
Papa  rispondendo  a  Baldovino  I, 
si  tenne  sulle  generali,  e  gli  disse  : 
di  ricevere  l' impero  sotto  la  pro- 
tezione   di  s.  Pietro,    e  mandargli 


INN 
i  richiesti  aiuti,  esortandolo  di 
aver  cura  de'  beni  ecclesiastici.  Ai 
prelati  poi  inculcò  a  far  di  tutto 
per  confermar  i  greci  alla  podestà 
spirituale  della  santa  Sede.  Baldo- 
vino I  in  questo  tempo  co'  suoi 
baroni  pianse  la  morte  della  sua 
diletta  moglie  Maria,  e  da  Tolemai- 
de  ne  fece  trasferire  il  cadavere 
in  s.  Sofia. 

Mori  nel  i2o5  Gualtieri,  men- 
tre in  Germania  accadde  un  gran 
rivolgimento  di  cose  a  danno  di 
Ottone  IV,  per  l'abbandono  di 
molti  principi,  che  Innocenzo  III 
qualificò  per  canne  agitate  dal  ven- 
to, uomini  senza  fermezza  di  pro- 
posito: li  rimproverò  come  sper- 
giuri, minacciandoli  della  scomuni- 
ca. Filippo  di  Svevia  convocò  una 
curia  solenne  in  Aquisgrana  di 
tutti  i  principi  dell'  impero,  e  de- 
poste le  insegne  reali  giurò  di  non 
riprenderle  se  non  gli  fossero  state 
unanimamente  conferite.  Fattosi  lo 
scrutinio,  ed  essendo  stati  i  voti 
tutti  a  favor  suo,  volle  colla  mo- 
glie ricevere  l'unzione  e  la  consa- 
crazione dalle  mani  di  Adolfo  ar- 
civescovo di  Colonia,  il  quale  ven- 
ne scomunicato  dal  Papa,  proscio- 
gliendo tutti  i  di  lui  sudditi  tem- 
porali e  spirituali  dall'obbedienza, 
acciò  un  somigliante  esempio  di 
infedeltà  non  andasse  impunito. 
Quindi  i  giudici  eletti  dal  Papa, 
deposto  in  Colonia  Adolfo,  procla- 
marono successore  Brunone  di  Bon- 
na,  laonde  i  due  emuli  incomin- 
ciarono una  terribile  guerra.  I  co- 
loniesi  difesero  bravamente  il  nuo- 
vo pastore  e  le  parti  di  Ottone  IV, 
e  meritaronsi  grandissimi  elogi  dal 
Papa.  Questi  guidato  sempre  dalla 
giustizia,  non  volle  lasciar  impu- 
nita la  disobbedienza  de' crociati 
nell'assalire    un    paese    cristiano,  e 


INN 
principalmente  con  le  crudeltà  com- 
messe in  Costantinopoli,  ed  il  trat- 
tato fra'  veneti  ed  i  francesi ,  che 
racchiudeva  molti  capitoli,  concer- 
nenti la  Chiesa  ed  il  clero,  pre- 
giudizievoli alla  Sede  apostolica. 
Dopo  avere  Innocenzo  III  tenuto 
frequenti  consulte  co' cardinali,  ve- 
scovi e  personaggi  di  cui  conveni- 
va sempre  un  gran  numero  da 
tutte  le  parti  in  Roma,  scrisse  e- 
nergicamente  ai  crociati  rampo- 
gnandoli del  mal  fatto,  ed  invitando- 
li ad  amministrar  la  giustizia  ed 
attendere  al  primo  voto;  non  dan- 
do altra  importanza  al  conquisto 
di  Costantinopoli ,  se  non  quella 
che  riferivasi  alla  liberazione  di 
Terra  Santa  a  cui  teneva  costan- 
temente rivolli  gli  sguardi.  Indi  au- 
torizzò il  cardinal  Pietro  a  rap- 
presentarlo in  Costantinopoli,  a  pat- 
to che  non  dimenticasse  il  pae- 
se di  Gerusalemme.  Rigettò  l' ele- 
zione del  patriarca  non  per  la  perso- 
na dell'eletto,  ma  perchè  non  s'erano 
osservate  le  formalità  ecclesiastiche; 
non  aver  su  ciò  facoltà  i  laici,  né 
gli  ecclesiastici  veneti  che  si  dava- 
no il  titolo  di  canonici  eletti  del- 
la chiesa  di  s.  Sofia,  prima  di  es- 
sere stati  instituiti  dal  Papa  o  da  un 
suo  legato. Tuttavolta  perchè  la  Chie- 
sa non  dovesse  patire  per  colpa  degli 
uomini,  confermò  in  patriarca  l'e- 
letto Tommaso,  1'  assoluzione  data 
a'  veneti  dal  legato,  inculcando  al 
doge,  che  domandava  ritirarsi,  di 
effettuar  prima  il  suo  voto.  Inno- 
cenzo III  consacrò  in  s.  Pietro  il 
nuovo  patriarca,  ricevette  da  lui  il 
giuramento  di  obbedienza  alla  Se- 
de apostolica,  e  gì'  impose  il  pallio 
con  facoltà  di  conferirlo  a' suoi  ar- 
civescovi previo  il  giuramento  di 
obbedienza  alla  Chiesa  romana. 
Oltre  tutti  i  privilegi  conceduti  ai 


INN  261 

metropolitani,  gli  accordò  di  farei 
precedere  dalla  croce,  tranne  i  luo- 
ghi ove  si  trovasse  il  Papa  e  Ro- 
ma ;  di  cavalcar  una  chinea  ma- 
gnificamente bardata,  di  consacra- 
re i  sovrani  dell'impero  di  Costan- 
tinopoli, con  altre  benigne  prero- 
gative e  facoltà.  Cosi  Innocenzo 
III  terminò  le  pretensioni  della 
chiesa  Costantinopolitana ,  dichia- 
randola seconda  dopo  la  romana; 
ed  inviò  a  Costantinopoli  con  pre- 
cise istruzioni  il  legato  cardinal 
Benedetto  di  s.  Susanna. 

Il  cavalleresco  imperatore  mosse 
guerra  a  Caloianni  o  sia  Gioannicio 
re  de' bulgari  e  de'vallachi,  il  qua- 
le con  un'armata  dieci  volte  mag- 
giore de'crociati,  li  vinse  compiuta- 
mente, gran  parte  ne  uccise,  e  fe- 
ce prigioniero  l'imperatore.  Per 
maggior  sciagura  sette  delle  navi 
più  grandi  de'  veneziani  con  sette- 
mila fra  cavalli  e  fanti,  ad  onta 
dei  prieghi  del  cardinal  legato  e 
degli  altri,  vollero  tornare  alla  pa- 
tria, maledetti  da  tutto  l'esercito. 
11  conte  Enrico  fratello  di  Baldovino 
I  fu  eletto  reggente  dell'  impero,  e  col 
doge  passarono  a  difender  Costan- 
tinopoli minacciata  da  Gioannicio 
co' suoi  bulgari  e  vallachi  uniti  ai 
cumani,  forte  inoltre  per  essersi 
collegato  coi  turchi  ed  altri  nemi- 
ci del  nome  distiano.  Fu  allora 
che  i  crociati  videro  il  castigo  di- 
vino, ed  i  più  zelanti  si  persuase- 
ro che  la  conquista  dell'impero  gre- 
co, lungi  dal  giovare  alla  crociata, 
avea  impedito  quella  di  Gerusa- 
lemme. La  morte  di  Enrico  Dan- 
dolo, terminando  una  lunga  car- 
riera piena  di  belle  imprese,  afflis- 
se i  latini  vedendosi  privi  del  suo 
consiglio.  In  questi  duri  frangenti 
il  conte  Enrico  si  rivolse  pieno  di 
fiducia  al  Papa,   come  quello    che 


263  INN 

temperatamente,  ma  con  fermo  vo- 
lere ed  operosa  sollecitudine,  man- 
dava l'aiuto  delle  sue  cure  e  ^ei 
suoi  consigli  in  tutte  le  parti; 
scongiurandolo  di  assistenza  per  la 
liberazione  dell'imperatore;  conse- 
crando  la  propria  persona  e  quel- 
le de'suoi  al  servigio  della  Chiesa 
romana,  e  ritenere  la  conquista  di 
Terra  Santa,  e  la  ricongiunzione 
delle  due  Chiese,  una  sola  ed  iden- 
tica cosa.  Appena  Innocenzo  III 
apprese  la  deplorabile  sorte  di 
Baldovino  I,  scrisse  al  re  de'  bul- 
gari e  vallachi  di  far  pace  co'  la- 
tini, e  liberar  l'imperatore,  minac- 
ciandolo che  altrimenti  gli  ungheri 
e  nuovi  eserciti  lo  avrebbero  assa- 
lito; ma  ad  onta  di  quanto  avea 
fatto  per  lui,  e  delle  sollecitazioni 
del  primate  provocate  dal  Papa , 
il  re  allettato  dalle  conquiste  e  dal 
bottino  non  solo  non  volle  pacifi- 
carsi, ma  si  preparò  a  nuove  in- 
cursioni. Altri  dicono  che  al  giun- 
gere delle  lettere,  o  di  nuove  let- 
tere pontificie,  Baldovino  I  era  già 
morto,  mutilato  ed  esposto  in  un 
fosso,  pasto  agli  uccelli  di  rapina  ; 
uè  con  minor  crudeltà  furono  trat- 
tati i  suoi  compagni.  Inutilmente 
ì  latini  avevano  offerto  ricco  riscat- 
to per  l' imperatore ,  e  posto  in 
opera  minacce  e  preghiere  per  ot- 
tenerne la  libertà.  Corse  voce  che 
Dio  onorò  le  sue  reliquie  con  mi- 
racolose guarigioni.  Innocenzo  III 
scrisse  ancora  al  re  di  Francia  ed 
a  tutti  gli  arcivescovi  del  regno  di 
mandar  gente  in  Costantinopoli , 
concedendo  la  remissione  delle  pene 
de'  peccati  a  chi  vi  si  recasse,  fa- 
cendo una  lacrimevole  descrizione 
dello  stato  de'  crociati,  e  de'  luo- 
ghi santi  pressoché  abbandonati  dai 
loro  sostenitori,  per  recarsi  nella 
capitale  dell'impero.  Rimproverò  i 


INN 

due  cardinali  SolTredo  e  Pietro  per 
averli  lasciati  senza  l'autorità  «uà, 
e  rimandò  il  secondo  in  Palestina 
col  nuovo  patriarca  di  Gerusalem- 
me cui  die  il  pallio,  quattrocento 
soldi  d'  oro  per  le  spese  del  viag- 
gio, e  ventiquattro  marche  d' ar- 
gento per  soccorrere  Terra  Santa. 
V.  Costantinopoli  e  Gerusalemme. 
Nel  1206  assestate  alquanto  le 
cose  di  Sicilia  da  Innocenzo  III, 
questi  ad  istanza  di  Ottone  IV  ri- 
dotto assai  debole,  ottenne  a  mez- 
zo dei  legati  da  Filippo  di  Svevia 
una  tregua  con  lui,  condiscendenza 
che  lo  svevo  accompagnò  con  pro- 
teste di  divozione  per  cattivarsi  la 
benevolenza  del  Papa ,  senza  la 
quale  non  poteva  posseder  tran- 
quillamente Ja  corona,  siccome  con- 
vinto valere  la  pontificia  univer- 
sale influenza  più.  che  la  potenza 
de'  principi  ed  eserciti  loro.  Però 
la  tregua  non  ebbe  effetto,  che  anzi 
Filippo  sottomise  i  coloniesi  meno 
il  clero;  e  vedendosi  riconosciuto 
da  tutto  l'impero,  intantochè  il 
suo  competitore  trovavasi  ridotto 
ai  soli  stati  ereditarli,  inviò  a  Ro- 
ma una  splendida  ambasceria  con 
piena  facoltà  di  ricomporre  la  ri- 
conciliazione fra  la  Chiesa  e  l'im- 
pero. In  questo  tempo  morì  il  car- 
dinal Guido  legato  a  latere,  onde 
la  Chiesa  romana  perde  un  vicario 
in  Germania,  che  operava  intera- 
mente a  seconda  de'  suoi  materni 
disegni ,  nelle  cose  ecclesiastiche  e 
in  quelle  dell'  impero.  Quanto  al 
re  di  Francia,  i  suoi  procedimenti 
verso  Ingelburga  erano  sempre  i 
medesimi.  Per  lo  zelo  d'Innocenzo 
HI  e  la  mediazione  della  regina  di 
Danimarca  Dagmar,  questa  ottenne 
dal  suo  sposo  Valdemaro  li,  suc- 
ceduto a  suo  fratello  Canuto  VT, 
che    il    di    lui    cugino    Valdemaro 


INN 

vescovo  di  Schleswig,  imprigionato 
qual  ribelle,  fosse  finalmente  libe- 
rato. Inoltre  il  Papa  raccomandò 
all'arcivescovo  di  Lund  di  costrin- 
gere il  suo  clero  a  più  casta  vita. 
Tornando  alla  Grecia,  i  crociati  a 
stento  si  sostenevano  in  poca  par- 
te di  quel  gran  tratto  di  paese 
che  oggidì  chiamasi  Romelia,  e  Ca- 
loianni  avea  dato  una  terribile  scon- 
fitta a  quelli  che  dimoravano  nella 
forte  città  di  Rusio  ,  e  continuò 
ovunque  le  sue  distruzioni  non  ri- 
sparmiando neppure  i  greci ,  che 
perciò  si  avvicinarono  ai  latini.  Il 
prode  conte  Enrico  avendo  saggia- 
mente^ governato  l'impero,  vi  fu 
innalzato  quando  i  latini  appresero 
l'infelice  morte  del  degno  fratello, 
e  fu  coronato  con  gran  pompa 
nella  chiesa  di  s.  Sofìa.  Il  cardinal 
Benedetto  terminò  la  lite  che  di- 
videva francesi  e  veneziani ,  stabi- 
lendosi la  dotazione  ecclesiastica  pel 
patriarca,  per  le  chiese  e  pel  clero 
secolare  e  regolare,  non  che  le  giu- 
risdizioni ed  immunità:  il  Papa 
tutto  approvò,  ma  annullò  il  trat- 
tato precedentemente  fatto  tra  il 
patriarca  ed  i  veneziani,  che  il  pa- 
triarca ed  i  canonici  di  s.  Sofia 
sempre  dovessero  essere  veneziani; 
scrivendo  ai  cardinali  Pietro  legato 
di  Gerusalemme,  e  Benedetto,  che 
per  lo  splendore  e  prosperità  di 
detta  chiesa  doveansi  eleggere  uo- 
mini sapienti  e  rispettabili,  di  qua- 
lunque nazione.  Il  patriarca  spedi 
a  Roma  un'  ambasceria  solenne  per 
diversi  affari,  che  il  Pontefice  trat- 
tò colla  solita  circospezione  e  pru- 
denza, quale  praticò  sempre  nelle 
più.  piccole  cose;  indi  regolò  la 
provvisione  delle  sedi  vescovili ,  e 
ricusò  di  approvare  arcivescovo 
di  Zara  quello  proposto  dai  ve- 
neziani,   perchè    essi    ancora    non 


INN  263 

aveano  dato  soddisfazione  alla  Chie- 
sa . 

Come  avea  Innocenzo  III  pre- 
veduto, nel  1207  in  Roma  si  ve- 
rificò che  la  ragione  e  la  giustizia 
meglio  si  amministrava  da  un  sol 
senatore  che  da  un  senato  compo- 
sto di  cinquantasei  persone  ;  laon- 
de i  romani  si  trovarono  costretti 
a  supplicarlo  restituir  la  potestà 
del  senato  nelle  mani  d' un  solo. 
Il  resto  dello  stato  ecclesiastico, 
guarentito  d' ogni  pericolo  al  di 
fuori,  tranquillo  di  dentro,  di  nuo- 
vo accostumavasi  al  soave  e  pater- 
no impero  pontificio,  e  godeva,  per 
l'appoggio  conceduto  a  tutti  gli 
antichi  diritti,  per  la  ferma  con- 
servazione delle  leggi  e  per  la  pace 
onde  le  città  prosperavano,  il  frut- 
to delle  cure  d' Innocenzo  III ,  a 
rimettere  il  patrimonio  di  s.  Pie- 
tro nelle  precedenti  sue  giurisdi- 
zioni. Diede  la  marca  d'Ancona  in 
feudo  ad  A  zzo  d'Este  marchese  di 
Ferrara;  ricevette  dal  suo  fratello 
Riccardo  l'omaggio  pe'  beni  di  Poli 
e  Valmontoue  ed  altre  possessioni, 
ed  in  segno  d' investitura  prese 
dalle  mani  del  Papa,  alla  presenza 
de'  vescovi  e  cardinali,  la  coppa 
dorata.  Neil'  eslate  e  nell'  autunno 
dimorò  in  Viterbo ,  che  beneficò 
coll'ampliare  i  privilegi  municipali 
concessi  dal  predecessore ,  ed  ivi 
ricevette  il  giuramento  di  obbe- 
dienza di  quei  di  Todi ,  e  de'  pre- 
lati, signori  e  magistrati  della  To- 
scana, del  ducato  di  Spoleto,  della 
Marca  e  di  tutto  il  territorio  sino 
a  Roma  ;  a  tutti  amministrando  la 
giustizia  e  provvedendo  alle  loro 
bisogna.  Durante  il  suo  soggiorno 
a  Viterbo,  il  Papa  attese  pure  ad 
altre  faccende  tanto  spirituali  quan- 
to temporali  de'  suoi  stati  d'Italia. 
Onorò  pure  di   sua   presenza    To- 


264  1NN 

scanella,  indi  Corneto,  abitando  nel 
palazzo  da  lui  fabbricato,  e  ripi- 
gliandovi alcuni  diritti  da  altri  u- 
surpati  ;  passato  a  Sutri  vi  consa- 
crò la  cattedrale  e  ritornò  in  Ro- 
ma nella  metà  di  novembre.  Man- 
dò in  Germania  legati  il  cardinal 
Ugolino  Conti  suo  parente  e  Leo- 
ne Brancaleone,  per  ottenere  da  Fi- 
lippo di  Svevia  di  sottomettersi 
alle  censure  del  Papa  per  le  colpe 
cui  era  incorso,  onde  venisse  as- 
solto dalla  scomunica,  e  cbe  Bru- 
none  di  Colonia  fosse  liberato  dal 
carcere,  oltre  altre  cose,  il  tutto  per 
la  pace  fra  la  Cbiesa  e  l' impero. 
Avendo  Filippo  giurato  di  confor- 
marsi agli  ordini  del  Papa,  ritornò 
al  grembo  della  Chiesa  e  fu  ribene- 
detto. Il  Papa  comandò  di  levare  da 
tutta  la  Germania  una  contribuzione 
a  pio  di  Terra  Santa,  e  chi  più. 
dasse  farebbe  opera  gradita  a  Dio. 
I  legati  procurarono  di  pacificare 
i  due  competitori,  con  proporre  il 
matrimonio  d'una  figlia  di  Filippo 
con  Ottone  IV;  ma  questi  senten- 
do che  dovea  cedergli  la  corona, 
non  vi  convenne;  tuttavia  si  con- 
chiuse una  tregua,  e  Brunone  po- 
tè recarsi  in  Roma.  L'  Inghilterra 
in  questo  tempo  non  era  più  tran- 
quilla della  Germania,  pel  violento 
contrasto  delle  franchigie  della  Chie- 
sa contro  le  usurpazioni  della  po- 
destà temporale,  e  l'arbitrario  pro- 
cedere del  re  Giovanni.  A  ciò  si 
aggiunse  la  vertenza  dell'  elezione 
di  Reginaldo  alla  chiesa  di  Cantor- 
bery,  e  di  Giovanni  vescovo  di 
Norwick  favorito  dal  re,  che  volle 
sostenerlo  con  aspre  minacce.  Sic- 
come canonicamente  fu  eletto  in 
terzo  il  cardinal  Stefano  Laugton, 
questi  Innocenzo  III  vestì  del  pallio 
colle  sue  mani.  In  pari  tempo  Be- 
rengaria  vedova  di   Riccardo    I   si 


INN 
rivolse  al  Papa  per  riavere  la  sua 
dote    e   quanto  altro  gli  spettava, 
onde  il  re  fu   citato   a    rispondere 
su  questa  causa. 

Pietro  li  re  d'Aragona  volle  se- 
pararsi da  Maria  di  Montpellier, 
perchè  sua  parente,  ed  ancor  vi- 
vente il  marito  che  l'avea  divor- 
ziata. Innocenzo  IH  commise  a  tre 
legati  l' esame  della  causa ,  pen- 
dente la  quale  il  re  riunitosi  alla 
moglie  n'ebbe  un  figlio  che  fu  poi 
Giacomo  I,  indi  tornò  al  suo  pro- 
ponimento, e  benché  non  avesse 
eredi,  pose  avversione  anche  al  fan- 
ciullo. La  Svezia  pure  a  quest'  e- 
poca  provocò  le  sollecitudini  del 
Pontefice  romano;  la  Chiesa  non 
godeva  libertà,  e  il  popolo  teneva 
ancora  dell'antica  sua  barbarie; 
eletto  Valerio  ad  arcivescovo  d'Upsa- 
la,  il  Papa  non  ci  convenne,  non 
reputandolo  atto  alla  riforma  che 
bisognava  operare,  massime  sull'a- 
bolizione del  matrimonio  de' preti. 
Intento  costantemente  Innocenzo  III 
ad  ampliare  il  regno  del  Signore 
ed  a  rannodare  alla  Chiesa  le  mem- 
bra che  n'erano  state  divelte,  pro- 
fittò dello  scadimento  della  chiesa 
greca  scismatica ,  per  ricondurre 
all'  unità  della  fede  i  settari  di 
quella  credenza  sparsi  negli  altri 
paesi.  Scrisse  dunque  agli  arcive- 
scovi ,  vescovi ,  clero  e  popolo  di 
Russia ,  e  mandò  loro  per  legato 
Gregorio  cardinal  di  s.  Vitale,  per 
farli  rientrare  nel  grembo  del  cat- 
tolicismo.  Ma  colla  presa  di  Co- 
stantinopoli accresciutasi  l'avversio- 
ne de' russi  per  la  Chiesa  latina,  i 
metropolitani  non  riconobbero  che 
il  patriarca  di  Nicea.  A  seconda  dei 
trattati  i  signori  veneziani  conqui- 
starono le  isole  e  città  dei  mari 
Egeo  e  Jonio,  la  repubblica  non 
bramando  die  il  possesso  delle  iso- 


le  maggiori;  e  l'imperator  Enrico 
sposò  la  figlia  del  marchese  Boni- 
fazio il  più  potente  signore  dell'im- 
pero. Sapendo  Teodoro  Lascari  im- 
peratore di  Nicea  che  la  mag- 
gior parte  delle  forze  latine  erano 
in  Asia  minore  ,  provocò  il  re  dei 
bulgari  ad  assalire  Enrico,  mentre 
egli  si  portò  ad  assediar  Ciboto,  ed 
ebbe  principio  la  guerra  con  lui  e 
coi  bulgari,  i  quali  in  uno  scontro 
mozzarono  il  capo  al  marchese , 
onde  l'imperatore  ed  i  latini  fu- 
rono compresi  di  desolazione.  Il 
Papa  non  cessava  di  predicare  la 
pace  a  Gioannicio,  però  senza  suc- 
cesso; che  anzi  liberato  dal  formi- 
dabile nemico  del  marchese,  corse 
per  conquistar  Tessalonica,  ma  fu 
assassinato  nella  sua  tenda.  Conti- 
nuandosi mandar  dall'occidente  sem- 
pre soccorsi  ai  latini,  Innocenzo  III 
adoperavasi  perchè  potessero  con- 
servar le  conquiste,  e  compier  quel- 
le che  aveano  in  animo  di  fare , 
e  liberar  la  Terra  Santa  dalle  pro- 
fanazioni degl' infedeli,  avendo  fatto 
bandir  la  scomunica  contro  i  tornei 
onde  agevolarla,  ed  insieme  a  por 
line  alle  interne  discordie.  In  Pa- 
lestina il  conte  di  Tripoli ,  colle- 
gato co'  cavalieri  templari,  combat- 
teva sempre  per  l'eredità  del  ni- 
pote, quando  il  patriarca  e  gli  a- 
bitanti  d'  Antiochia  invitarono  Leo- 
ne re  d'Armenia  ad  impossessarsi 
della  città  pel  suo  protetto  Rupi- 
no,  mentre  il  conte  fece  imprigio- 
nare il  patriarca,  e  permise  ai  gre- 
ci di  eleggere  uno  del  loro  rito.  Il 
Papa  impose  al  patriarca  di  Geru- 
salemme legato  della  Siria ,  che 
facesse  scarcerare  il  patriarca,  ma 
questi  mori  nella  prigione. 

Sebbene  Innocenzo  III  fosse  ir- 
removibile nel  sostenere  in  usui 
luogo  i  diritti    della    Chiesa,    non 


N  IN  a65 

volle  che  il  clero  si  usurpasse  quei 
dell'  impero ,  onde  riprese  il  pa- 
triarca di  Costantinopoli ,  perchè 
suscitava  impedimenti  ad  Enrico: 
gì'  interdisse  le  censure  senza  dar- 
gliene prima  avviso  e  senza  la- 
sciargli libero  l'appello  alla  Sede 
apostolica.  Nel  1208  Federico  II 
era  giunto  all'  anno  quattordicesi- 
mo di  sua  età,  onde  la  tutela  del 
Papa  cessò,  dopo  aver  colla  sua 
vigilanza  e  personali  sagrifizi  sven- 
tato i  disegni  insidiosi  di  molti 
contro  la  Sicilia  ,  ed  aver  impe- 
dito che  il  regno  non  fosse  tolto 
al  suo  pupillo  e  dismembrato  in 
piccoli  principati  :  in  somma  tutto 
avea  fatto  per  dare  a  Federico  li 
il  regno  in  miglior  condizione  che 
non  l'avea  ricevuto,  mai  cercando 
uè  per  sé,  né  per  la  Chiesa  ro- 
mana alcun  utile.  A  terminar  la 
guerra  tra  Pietro  cardinale  gover- 
natore di  Campania,  e  Corrado  di 
Marlei  che  occupava  Sora,  l'abba- 
te di  Monte  Cassino  ed  il  conte 
Riccardo  fratello  del  Papa  furono 
sopra  al  secondo,  e  fattolo  prigio- 
niero, Innocenzo  III  per  togliere 
ai  tedeschi  gli  ultimi  ripari  nel  re- 
gno lo  fece  riscattare  mediante  la 
cessione  di  due  castelli  ;  indi  rein- 
tegrò gli  abitanti  de'  privilegi  di 
cui  li  aveano  privati  gli  stranieri. 
Volendo  por  fine  ai  moli  e  turnazio- 
ni che  ancora  tenevano  agitato  quel 
regno,  non  tenendosi  per  la  finita 
tutela  sgravato  dei  doveri  suoi  verso 
il  re  da  lui  protetto,  deliberossi  di 
portarvisi  in  persona  per  raffer- 
marne l'autorità.  Accompagnato  da 
vari  cardinali  parti  da  Roma  a' i5 
maggio,  e  dopo  essersi  trattenuto 
più.  d' un  mese  in  Anagni  prose- 
gui il  suo  viaggio,  il  quale  uon  fu 
ormai  più  che  una  solenne  pro- 
cessione   sino    a    s.    Germano,  ove 


26G  INN  INN 
avea  convocato  un  consiglio  de'reg-  rao  monastero  di  Monte  Cassino,  e 
gitori  di  quella  città  e  de'  conti  e  passò  a  Sora  in  cui  rimase  sino 
baroni  del  reame.  Giovanni  da  a'  11  settembre.  Recatosi  quindi 
Ceccano  l'aspettò  fuori  della  città  nel  rinomato  monastero  di  Casa- 
con  cinquanta  cavalieri  sontuosa-  mari  a  pernottare,  recossi  in  Fe- 
mente  vestili  per  servirgli  di  guar-  rentino,  e  dimoratovi  un  mese  e 
dia  ;  il  clero  degli  stati  del  conte  mezzo,  ritornò  a  Roma.  Avendo  il 
stava  pur  fuori  di  s.  Giuliano  per  Papa  ottenuto  dall'imperatrice  Co- 
precedere  il  Pontefice  nel  suo  so-  stanza  1'  intera  restituzione  dei  di- 
lenne  ingresso  in  questa  città,  do-  ritti  ecclesiastici  riguardanti  l' ele- 
ve alla  porta  della  chiesa  il  ve-  zione  de'  vescovi  e  la  nomina  dei 
scovo  di  Ferentino  intuonò  co'  suoi  benefizi ,  volendo  Federico  II  in- 
sacerdoti :  Tua  e.  la  podestà.  Al  trudersi  nell'elezione  dell'  arcivesco- 
Papa  venne  imbandito  uno  splen-  vo  di  Palermo  fu  rimproverato 
elido  banchetto  sotto  un    padiglio-  dal    Pontefice. 

ne,  e  il  conte,  a  fargli  onore,  rom-  Avendo  Innocenzo  III  ripristi- 
peva  intanto  alcune  lancie  in  gio-  nato  Brunone  nell'  arcivescovato 
stia  co' suoi  compagni.  Di  là  tutto  di  Colonia  e  scomunicato  quel- 
il  corteggio  recossi  a  Piperno,  ed  lo  di  Magonza,  considerando  il 
Innocenzo  III  avuta  ospitalità  nel  sovvertimento  in  cui  trovavasi  l'im- 
celebre  monisteio  di  Fossanuova,  pero,  il  pregiudizio  che  ne  veni- 
onorò  que'  monaci  sedendo  con  lo-  va  alla  Chiesa  e  la  debolezza 
io  a  cena  in  refettorio,  e  più  an-  di  Ottone  IV,  dopo  matura  de- 
cora il  giorno  appresso  consecran-  liberazione  pospose  1*  avversione 
do  l'altare  maggiore  della  chiesa,  sua  per  la  casa  di  Svevia  alla  pace 
Ivi  fu,  che  presentatosi  un  proto-  del  paese  ed  al  riposo  della  ori* 
notario  del  re  di  Sicilia,  proclamò  stianità.  Quindi  approvò  le  con- 
a  suon  di  tromba  Riccardo  fratello  venzioni  fatte  tra  i  cardinali  e  Fi- 
dei  Papa  conte  di  Sora  e  di  tutte  lippo,  e  li  rimandò  in  Germania 
le  castella  tolte  a'  tedeschi,  e  gli  coli'  ambasceria  venuta  in  Roma, 
consegnò  lo  stendardo  reale  in  se-  onde  dar  termine  definitivo  alla 
gno  d'investitura.  A'  22  giugno  faccenda.  Mentre  Filippo  stava  in 
l'abbate  di  Monte  Cassino  con  tutto  Bamberga ,  il  conte  palatino  Ot- 
il  suo  clero  incontrò  Innocenzo  III,  tone  di  Wittelsbach,  di  feroce  natu- 
e  con  lui  entrò  in  s.  Germano  ove  ra  ,  in  odio  d' avergli  negato  per 
fu  con  gran  pompa  ricevuto.  Nella  sposa  la  figlia,  ed  impedito  il  ma- 
dieta  che  vi  celebrò,  istituì  capi-  trimonio  colla  figlia  del  duca  di 
tani  con  diritto  di  far  pace  e  guer-  Polonia,  1'  uccise  e  fuggì  rapida- 
ra  Pietro  di  Celano  gran  giustizie-  mente.  Così  finì  Filippo  di  Svevia, 
re  di  Puglia  e  Terra  di  Lavoro,  mentre  per  la  riconciliazione  col 
e  Riccardo  dell'  Aquila  conte  di  Papa  credevasi  in  tranquillo  pos- 
Fondi  governatore  di  Napoli,  a  sesso  della  corona  imperiale,  colla 
vantaggio  del  re  e  per  assicurar  la  riputazione  di  principe  dotto,  ai- 
pace  e  difesa  del  regno.  Innocenzo  meno  più  de'  pari  suoi ,  giacché 
III  si  fermò  più  di  un  mese  a  s.  né  il  suo  assassino,  né  il  re  di 
Germano,  celebrò  le  tre  feste  de-  Francia  sapevano  leggere,  per  non 
gli  Apostoli  nel  vicino  celebratissi-  diredi  altre  sue  eccellenti  doti.  Alla 


INN 

nuova  di  sua  morte  la  Germania 
fu  in  preda  all'  agitazione,  e  per 
tutto  s' intese  ripetere  essere  man- 
cata la  gloria  del  paese,  per  tutto 
fu  confusione  e  lutto;  però  ter- 
minò la  guerra  civile  che  per  dieci 
anni  l'avea  travagliata.  Saputosi 
dal  Papa  l'atroce  misfatto,  trafitto 
da  dolore  la  chiamò  una  sventura; 
e  quando  n'ebbe  cognizione  Otto- 
ne IY  adoperossi  subito  a  ristorar 
l'antica  sua  possanza  ed  impadro- 
nirsi degli  stati  imperiali.  Indi  si 
rivolse  al  Papa  pregandolo  di  dare 
l'ultima  mano  alla  sua  esaltazione. 
Innocenzo  HI  l'avea  prevenuto  per 
assicurarlo  dell'  inalterabile  affetto 
suo,  e  dandogli  istruzioni  e  saggi 
consigli.  Inoltre  il  Papa  rappresen- 
tò a  tutti  gli  arcivescovi  di  Ger- 
mania esser  dovere  del  capo  della 
Chiesa  impedire  una  nuova  divi- 
sione, colf  opporsi  all'elezione  d'un 
nuovo  re,  proibendo  loro  con  pe- 
na di  scomunica  di  conferir  la  un- 
zione o  la  corona  ad  alcun  prin- 
cipe. Nei  medesimi  sensi  scrisse  a 
tutti  i  principi  spirituali  e  tempo- 
rali dell'impero,  dicendo  loro  il 
giudizio  di  Dio  essersi  pronunziato 
per  Ottone  IV,  mentre  di  nuovo 
eccitò  il  re  d' Inghilterra  a  favo- 
rire il  nipote.  Innocenzo  III  spedi 
poscia  un  legato  con  lettere  apo- 
stoliche alla  dieta  convocata  a  Virz- 
burgo  ,  per  ottener  la  conferma 
di  Ottone  IV.  Però  non  avendo 
essa  luogo,  fu  in  quella  di  Arn>tad 
che  fu  gridato  Ottone  IV  re  dei 
germani  e  sempre  augusto,  dal- 
l' arcivescovo  di  Maddeburgo ,  e 
tutti  i  principi  diedero  il  loro  suf- 
fragio; indi  fecero  dal  maresciallo 
dell'  impero  significar  ad  Ottone  IV 
che  gli  conferivano  la  podestà  so- 
vrana, ed  intimarono  la  dieta  di 
Francfort  per  la  sua  solenne    rico- 


IM  267 

gnizione.  In  essa  tutti  i  principi, 
massime  ecclesiastici  che  aveano 
consultato  il  Papa  a  chi  dare  il 
voto,  e  siccome  egli  disse  essere  il 
meglio  Ottone  IV,  d'  unanime  ac« 
cordo  tutti  Io  gridarono  re.  Il  can- 
celliere dell'  impero  vescovo  di  Spi- 
ra, in  conferma  gli  consegnò  la  co- 
rona e  l'asta  imperiale  ;  poi  gli 
die,  come  dote  di  Beatrice  che 
avea  da  sposare  e  figliuola  di  Fi- 
lippo, l'eredità  di  suo  padre:  la 
principessa  condotta  innanzi  alla 
dieta,  querelandosi  contro  l'ucciso- 
re del  padre,  mosse  tutti  al  pianto, 
e  venne  sollecitato  Ottone  IV  a 
renderle  giustizia.  Si  diede  quindi 
assetto  alle  cose  dell'  impero  con 
utilissime  provvidenze  ;  indi  il  re 
fece  solenne  promessa  di  difendere 
la  santa  Sede.  Ottone  IV,  confor- 
mandosi ai  consigli  d'Innocenzo  III 
e  dell'arcivescovo  di  Maddeburgo, 
concesse  perdoni  e  favori;  e  come 
avea  al  primo  promesso,  tolse  l'a- 
buso pel  quale  l' imperatore  ere- 
ditava da'  vescovi  e  dagli  abbati 
che  morivano,  e  confermò  la  fa- 
coltà già  dai  medesimi  ottenuta  di 
cedere  i  propri  beni  al  successore. 
Anche  i  deputati  delle  comuni  d'I- 
talia si  recarono  coi  gonfaloni  e 
con  le  chiavi  d'oro  delle  città  loro 
e  con  donativi  a  mostrare  la  soaj- 
gezione  a  Ottone  IV,  il  quale  in- 
titolandosi re  per  la  grazia  del 
Papa,  a  questo  die  tosto  notizia 
di  sua  esaltazione  e  gli  domandò 
consiglio  circa  l'incoronazione  e  le 
sue  nozze  con  Beatrice.  Anche  il 
vescovo  di  Spira  avea  tutto  noti- 
ficato ad  Innocenzo  III,  che  ricol- 
mò di  lodi  il- prelato,  ed  altrettan- 
to fece  il  vescovo  di  Cambrny  ; 
pure  a  questo,  e  in  pecu'.iar  modo 
all'arcivescovo  di  Maddeburgo ,  il 
Pontefice  dichiarò  la  sua  soddisfa- 


i68 


INN 


zione,  poscia  ricevette  i  regi  am- 
basciatori. Intanto  si  procedette  con- 
tro i  complici  dell'  uccisione  di 
Filippo,  il  castello  di  Wittelsbach 
fu  raso,  e  rinvenutosi  in  Abac  il 
conte  palatino  Ottone,  fu  trafìtto  , 
la  sua  testa  gettata  nel  Danubio , 
ed  il  cadavere  rimase  per  nove  anni 
insepolto. 

In  Francia  il  divorzio  del  re 
teneva  tutti  angustiali,  ed  Ingel- 
burga  pei  mali  trattamenti  mosse 
nuove  querele  ad  Innocenzo  III, 
il  quale  con  dolore  protestava  aver 
fatto  per  lei  tutto  il  possibile,  ne 
miglior  successo  sapeva  prometter- 
si per  l'avvenire,  perchè  Filippo 
sempre  insisteva  pel  divorzio,  ad- 
ducendo  cbe  la  parentela  e  la  ma- 
lia ed  i  maleficii  gì'  impedivano 
accostarsi  alla  regina;  tuttavia  rin- 
novò il  Pontefice  al  re  le  sue  am- 
monizioni, e  alla  regina  inviò  un 
legato  per  consolarla,  forse  il  car- 
dinal Guala  Bicchieri-  Il  re  d'In- 
ghilterra continuava  a  non  ricono- 
scere l'arcivescovo  di  Cantorbery, 
infuriando  con  contumelie  contro 
il  Papa,  i  vescovi  e  i  romani  di- 
moranti nel  regno.  Esaurite  dai 
vescovi  le  debite  rimostranze,  esor- 
tazioni e  minacce,  preferendo  per- 
dere vita  e  beni,  che  infrangere  i 
loro  doveri,  e  mancar  d'obbedien- 
za verso  il  capo  visibile  della  Chie- 
sa, nel  quale  veneravano  la  volon- 
tà del  capo  invisibile,  spirato  il 
termine  de'monitorii,  a' 24  marzo 
dichiararono  l'Inghilterra  separata 
dalla  comunione  della  Chiesa,  e 
di  tutti  i  beni  spirituali  ch'essa 
impartisce  a'  fedeli ,  pubblicando 
1'  interdetto.  Giovanni  montando 
in  collera  voleva  cacciare  i  prelati 
dal  regno  acciò  andassero  a  por- 
tar le  loro  lagnanze  a  Roma;  ma 
essi    protestando    uou    cedere     che 


INN 
alla  forza,  non  si  fece  loro  violen- 
za, bensì  vennero  sequestrati  i  lo- 
ro beni,  e  fatti  bersaglio  d' ogni 
ingiuria.  Paventando  il  re  che  il 
Papa  fulminasse  la  scomunica,  in- 
viò ambasciatori  in  Roma,  mo- 
strandosi pronto  a  riconoscere  l'ar- 
civescovo, mentre  vi  giunse  pure 
Valdemaro  vescovo  di  Schleswig  che 
poi  ottenne  l'arcivescovato  di  Bre- 
ma da  molti  di  quei  canonici,  ciò 
che  produsse  grave  contesa.  Inno- 
cenzo III  s'  interpose  tra  Suero 
re  di  Svezia  ed  Erico  che  poi  gli 
successe  nel  trono  ;  indi  ricevette 
tributari  della  santa  Sede  gli  sta- 
ti di  Lesco  duca  di  Polonia,  del- 
la quale  si  accinse  a  migliora- 
re le  cose  ecclesiastiche.  A  Co- 
stantinopoli i  latini  a  grande  sten- 
to reggevansi  nella  dominazione 
loro  con  zuffe  continue  or  con- 
tro i  greci,  or  contro  i  bulgari, 
laonde  il  Papa  nuovi  soccorsi  gli 
procurò  dall'occidente,  acciò  quella 
metropoli  divenisse  il  punto  cen- 
trale donde  muovere  al  conquisto 
di  Terra  Santa,  per  la  quale  par- 
tì il  duca  d'  Austria  Leopoldo  VI 
il  Glorioso,  adempiendo  il  voto 
fatto,  perchè  tutti  i  duchi  d'Au- 
stria aveano  caro  di  mostrarsi  ca- 
valieri cristiani  :  anche  diversi  si- 
gnori francesi  per  le  premure  del 
cardinal  Guala  Bicchieri  presero 
la  croce.  Il  Papa  raccomandò  la 
crociata  agli  abitanti  della  Lom- 
bardia e  delle  Marche,  ed  a'  mae- 
stri dei  cavalieri  templari,  e  spe- 
dalieri  ossiano  gerosolimitani.  In 
questo  tempo  Teodoro  Lascari  im- 
peratore di  Nicea  invocò  l'autorità 
del  Pontefice  per  pacificarlo  coll'im- 
peratore  Enrico;  Innocenzo  III  nel 
rispondergli  gli  die  solo  in  titolo 
nobil  uomo,  lo  consigliò  a  dichia- 
rarsi vassallo  del  competitore,  e  a 


INN  INN                   269 
mezzo    d'un    legato    gli    promise  sa  romana   nel  tranquillo    possesso 
trattar  la  concordia.  Moltissimi  ec-  di  tutte    le    terre  a   lei  cedute  dai 
clesiastici  latini  allettati    dalle    rie-  precedenti   imperatori,  e  d'aiutarla 
chezze  dell'oriente,  o  per  aver  un  a  ricuperare  quelle  che    le  furono 
maggior  campo  a  fare  il  bene,  col  tolte.  Quando  poi  la  santa  Sede  lo 
portarsi  a  Costantinopoli  accrebbe-  chiamasse  o  per  ricevere    la   coro- 
ro  i    contrasti    tra    il    clero    greco  na  imperiale  o     per    altri    bisogni 
ed  il  clero  romano;  ben    vedendo  della  Chiesa  ne' suoi  stati,   il  Papa 
Innocenzo  III  la  necessità  di  assog-  s'intendesse  ivi  obbligato    al    man- 
gettarli  ad  una  stabile  legge,  e  re-  tenimento  suo    e   della    sua    corte, 
golarvi  la  disciplina,  spiegò  per  la  Obbligavasi  inoltre    a    difendere  e 
Chiesa   d'oriente    quella    medesima  conservare  illeso  il  reame  di   Sici- 
sollecitudine    che  avea    per    l'occi-  lia    come    proprietà     della    Chiesa 
dentale,  disponendo  che    i    vescovi  romana.  Nel  medesimo  tempo  pa- 
dovessero  essere  ordinati    con    rito  re  che  Ottone  IV  mandasse    pure 
latino,  così  le  professioni  de'mona-  il  giuramento  a   Roma,  dove  tutte 
ci  e  delle  monache.  queste  disposizioni    furono    gradite 
Nel    1209   Innocenzo  III    scrisse  ed    encomiate.    I  legati    del    Papa 
ad  Ottone   IV  parole  di  congratu-  intanto    arrivarono     in    Germania, 
lazione    per    l'elezione    seguita    in  recando  alle  città  privilegi,    indul- 
Francfort,  inviandogli  per  legati  i  genze  e  grazie  in  testimonio  della 
cardinali    Ugolino    Conti    e    Leone  gioia  d'Innocenzo  IH    per    la  pace 
del  titolo  di  s.   Croce    in    Gerusa-  ristabilita;  e  nella  solenne  dieta  di 
lemme;  ed  i  prelati  di    Germania  Virzburgo  di  quasi   tutti    i  prelati 
esortò  alla  concordia  e    alla    pace,  di   Germania   e  della  maggior  par- 
Ottone  IV  esternò  al    Papa  i  suoi  te  de'principi  dell'impero,  i  cardi- 
timori    circa  le  ostili  intenzioni   di  nali  sederono  a   lato   del    trono  di 
Federico  II   re  di  Sicilia,  ma  ven-  Ottone  IV  che  la    presiedeva,    ed 
ne  rassicurato  e  promesso  di  aiuto:  ivi    col     consenso  della    dieta    spo- 
indi  otto  giorni  dopo  Pasqua,  Ot-  so  Beatrice.  A   richiesta  di  Ottone 
tone  IV    spedir  fece    a  Spira     in  IV  che  con  splendida  comitiva  vo- 
autentica  forma,  e  col    sigillo    im-  leva     intraprendere     il    viaggio    di 
penale,  un  atto  nel    quale  ricono-  Italia     per    condursi     a    Roma,    il 
scendo  la  grazia  ottenuta  da    Dio,  Papa  raccomandò  alle    città    della 
e  l'assistenza  prestatagli  dal    Papa,  Lombardia  e     della     Toscana    che 
promette  a  quest'ultimo  e  suoi  sue-  dipendevano    dall'  impero    avessero 
cessori  e  alla    Chiesa  romana  obbe-  quel  rispetto  ai  diritti  del  re  stesso 
dienza,  sommissione  e  rispetto;  ri-  che  a' loro  propri,  e  riferissero  a  1- 
nunzia,  siccome  ad  un  abuso,    alla  la  santa  Sede  le  doglianze.    E  sic- 
partecipazione  nell'elezione    de'pre-  come  il   re  avea  incaricato  Volga - 
lati;  concede  a  chiunque  l'appella-  10  patriarca  di  Aquileia    a    prece- 
re  alla    Sede    apostolica;    cede    o-  derlo  nel   viaggio     per    far    valere 
gni  pretensione  nell'eredità    de've-  nelle  città  italiane    i    diritti    iuipe- 
scovi   defunti    o    nell'entrate    delle  riali,  e  prepararvi  quanto  era    ne- 
chiese  vacanti;  promette  di  coope-  cessano  al  sostentamento    dell'  im- 
rare  alla  distruzione    degli    eretici,  peratore  e  della  sua  corte,    il  Pa- 
e  si  obbliga  di  mantenere  laChie-  pa  impose  al  patriarca  di  reclamare 


5.70  INN 

come  possessioni  della  romana  Chie- 
sa le  terre  e  gli  averi  della  con- 
tessa Matilde,  per  conseguenza  del- 
le reali  promesse.  Il  procedere  del 
patriarca  fu  violento,  per  cui  il 
Pontefice  dovette  richiamarlo  alla 
moderazione.  Una  magnifica  am- 
basceria mosse  da  Mantova  per 
annunziar  al  Papa  la  giunta  del 
re  al  passo  del  Po,  e  lo  trovò  a 
Viterbo  ad  attendere  Ottone  IV,  a 
cui  spedì  incontro  il  prefetto  della 
città  ed  uno  de' suoi  notari.  Dopo 
Volgaro  giunse  in  Viterbo  il  re 
preceduto  dall'esercito,  ed  ivi  i  due 
capi  della  cristianità  si  videro  la 
prima  volta,  dove  il  Papa  accom- 
pagnato da  grande  stuolo  di  eccle- 
siastici e  di  popolo  recossi  incon- 
tro ad  Ottone  IV:  ambedue  si 
abbracciarono  versando  lagrime  di 
gioia  e  rimasero  insieme  per  due 
giorni,  perchè  le  pratiche  fra  il 
capo  della  Chiesa  e  l'impero  do- 
veano  essere  stabilite  prima  della 
coronazione.  Indi  Innocenzo  III  si 
restituì  a  Roma,  ed  il  re  lo  seguì 
lentamente  marciando  alla  testa 
dell'esercito  ,  solo  preceduto  dal 
cancelliere  dell'impero  e  da  alcuni 
di  sua  corte  per  preparare  il  ri- 
cevimento. 

Ottone  IV  piantò  il  suo  padi- 
glione il  primo  ottobre  presso  Mon- 
te Mario  e  il  seguente  sabbato  si 
condusse  alla  chiesa  di  s.  Pietro, 
onde  pregar  sulla  soglia  de'  santi 
apostoli  e  testificare  la  sua  vene- 
razione alla  città  eterna,  accompa- 
gnato da  splendida  comitiva  di 
principi  e  di  prelati,  da  seimila 
uomini  d'arme  e  da  gran  numero 
di  balestrieri,  dappoiché  il  giorno 
innanzi  all'ingresso  del  vescovo  di 
Augusta  era  scoppiata  una  gran 
sollevazione  fra  il  popolo  e  i  tede- 
schi, colla  peggio,  di  questi.  Sembra 


INN 
che  derivasse  dall'essersi  opposto  il 
re  di   Francia  alla  coronazione;  ed 
il  magistrato    della    città  col  sena- 
tore ,     malcontenti     di     non  essere 
stati    consultati,  fecero  prova  d'im- 
pedirla con  alcuni  cardinali.  Nel  di 
della  coronazione,  prima  che  Otto- 
ne IV  entrasse  in  Roma,  giurò  coi 
suoi    che    il  Pontefice,    i  cardinali, 
la  santa   Chiesa,  il  popolo  e  le  so- 
stanze  di    tutti     sarebbero  da    essi 
difese  e  protette  sino  alla  partenza. 
La    solenne    processione  si    avanzò 
alla  porta    Castello,    attendendo  il 
re  presso  la  chiesa  di  s.  Maria  in 
Traspontina    il  prefetto    di    Roma 
e  il  conte  palatino  del  palazzo    la- 
teranense,  tacendo  largo  all'  infini- 
ta popolazione    con  pena    le    lance 
de'  soldati,  le    verghe    de'  mazzieri 
della  città    e  le   monete  che    il  re 
spandeva  con  mano  generosa.  Ven- 
ne incontrato  dal  clero  coi   turibo- 
li e  sacri  cantici  :  il  Pontefice  cir- 
condato    dai    cardinali,    dai  vesco- 
vi e    dai    sacerdoti    in    ordine    ge- 
rarchico, sedeva  sublime  sulla   gra- 
dinata che  conduce  a  s.   Pietro  di- 
nanzi  la   porta  di  bronzo.  Tre  ve- 
scovi   discesero    dai    gradini    e  be- 
nedirono     il  re,  poi     lo     accompa- 
gnarono dinanzi  al  capo  della  Chie- 
sa,   a    cui    egli  ed    i  principi     ba- 
ciarono con  riverenza  i  piedi;  dopo 
di  che    il  re    prestò   il    giuramento 
di  non  mai   assalire  la  Chiesa    del 
Signore  e    i    suoi  diritti,  di  essere 
giudice    e    protettore  delle    vedove 
e  degli  orfanelli,  difendere  le  chie- 
se   e    singolarmente    il    patrimonio 
di   s.    Pietro,    conservare   la   digni- 
tà dell'impero  e  riscattare  i  dirit- 
ti   che     gli    erano    stati   rapiti.     Il 
Papa    interrogò    Ottone  IV:  Vuoi 
tu    vivere    in    pace  colla    Chiesa? 
ed  avendo  il  re    tre  volte  risposto 
di    sì,    disse    Innocenzo    III:    Io  ti 


INN  INN  a7i 

dò  la  pace  che  il  Signore  ha  da-  l' imperatore  a  tutti  gli  abitanti 
to  a'suoi  discepoli,  e  Io  baciò  sul-  di  Roma,  la  città  risuonava  di  lie« 
la  fronte,  sul  mento,  sulle  gote,  e  te  grida  e  reputavasi  felice  augurio 
sulla  bocca.  Il  Papa  prosegui  :  alla  futura  concordia  fra  la  Chie- 
Vuoi  tu  essere  uno  de'  figli  della  sa  e  1'  impero.  Se  Ottone  IV  a- 
Chiesa  ?  e  avendo  Ottone  IV  det-  vesse  immediatamente  abbandonato 
to  di  sì  tre  volte,  il  Pontefice  Roma  e  lo  stato  del  Papa,  secondo 
soggiunse  :  Io  ti  ricevo  adunque  il  desiderio  d'Innocenzo  III,  le  co- 
a  figliuolo  della  Chiesa;  poi  lo  ri-  se  sarebbero  passate  di  meraviglia; 
parò  sotto  il  suo  manto  piglian-  ma  la  rottura  che  scoppiò  poco 
dolo  per  la  mano  destra,  e  il  re  dopo  l' incoronazione  tra  i  seguaci 
baciò  il  Papa  in  petto.  Entrarono  dell' imperatore  ed  i  romani  gra- 
ambedue  in  chiesa  tra  il  canto  veniente  l'alterò.  I  tedeschi  ere- 
alternato,  e  postisi  a  sedere,  sette  dendo  Roma  cosa  loro,  suscilaro- 
vescovi  italiani  sedettero  alla  de-  no  col  provocar  grandissime  spese 
stra  del  Pontefice  e  sette  vescovi  a  chi  li  alloggiava  e  con  atti  di 
alemanni  alla  destra  dell'imperato-  violenza  la  collera  d'  un  popolo 
re,  quindi  ehbero  luogo  tutte  le  libero  che  sentiva  ancora  del  suo 
cerimonie  della  Coronazione  degli  antico  eroismo  e  grandezza,  e  che 
imperatori  (Fedi).  Usciti  dalla  chie-  si  reputava  superiore  agli  altri  per 
sa  il  Pontefice  e  l' imperatore,  il  abitare  la  capitale  del  cristianesimo, 
Papa  montò  a  cavallo  e  Ottone  il  centro  della  fede;  si  aggiunge 
IV  gli  tenne  la  staffa,  gli  porse  al  malcontento  de' romani  il  veder- 
la briglia  e  lo  seguì  colla  corona  si  delusi  iu  partecipare  alle  lar- 
imperiale  in  capo,  circondato  da  ghezze  imperiali,  eh'  erasi  da  loro 
tutto  il  suo  seguito.  I  sacerdoti  in-  sperato.  Il  popolo  assembratosi  piom- 
tuonarono  i  consueti  inni  progre-  bò  sui  tedeschi;  Ezzelino  da  Ona- 
dendo  la  processione,  le  campane  ra  o  sia  da  Romano,  come  uno 
suonarono  a  festa,  ed  i  ciambella-  de'  più  prodi  procurò  difenderli, 
ni  dell'imperatore  sparsero  denari  ma  non  potè  impedir  l'uccisione 
al  popolo  dal  principio  al  fine  di  molti  de'  più.  ragguardevoli  ba- 
della  funzione  e  solenne  cavalcata,  roni  dell'  imperatore  e  gran  copia 
Giunti  al  palazzo  lateranense,  Ot-  di  altri.  Ottone  IV  oltre  altre  per- 
tone  IV  scese  da  cavallo,  tenne  dite,  restò  privo  di  mille  cento 
nuovamente  la  staffa  al  Pontefice,  cavalli,  e  perchè  alle  sue  preten- 
ed  insieme  col  prefetto  di  Roma  sioni  di  esserne  reintegrato  il  Pa- 
lo accompagnò  nella  gran  sala  del  pa  si  rifiutò,  abbandonò  furibondo 
convito.  Intanto  che  ambedue  si  la  città.  Dipoi  invitò  Innocenzo 
ritirarono  nelle  solite  stanze,  il  III  ad  un'  amichevole  conferenza 
ciambellano  dell'  imperatore  spartì  per  trattare  intorno  parecchi  pun- 
fra  tutti  i  servi  del  palazzo  apo-  ti  importanti  per  la  santa  Sede 
stolico  i  presenti  della  consecrazio-  e  pel  riposo  della  Chiesa;  ma  il 
ne.  Il  Papa  tenne  a  mensa  1'  im-  Papa  a  cagione  delle  circostanze 
peratore,  e  dopo  i  canti  e  le  he-  per  prudenza  si  ricusò,  e  rimise  le 
nedizioni  si  allontanarono  tutti  lie-  cose  ad  un  prudente  negoziatore, 
ti  e  contenti.  il  quale  riferisse  i  vicendevoli  sen- 
Pel    banchetto    imbandito   dal-  timenti;    pare    al    dire    d'alcuno 


n7i  INN 

che  la  conferenza  abbia  avuto  luogo 
nel  campo  imperiale  ove  si  recò  In- 
nocenzo III,  e  che  si  lasciassero  a- 
michevolmente,  avvegnaché  già  sor- 
gesse il  germe  della  futura  inimi- 
cizia. Ottone  IV  se  ne  andò  con 
gran  pompa  io  Toscana,  e  occupò 
Acquapendente,  Radicofani,  Monte- 
fiascone  ed  altre  città  appartenen- 
ti alla  contessa  Matilde,  le  quali 
dichiararono  ciò  lecito  all'impera- 
tore, preferendo  un  signore  lonta- 
no al  vicino,  ond'essere  più  liberei 
In  ogni  luogo  l'imperatore  la  fece 
da  sovrano,  ed  invano  il  Papa 
spedì  a  lui  molti  vescovi  ed  abbati 
perchè  si  astenesse  di  ledere  i  di- 
ritti della  Chiesa,  e  il  suo  giu- 
ramento, essendo  cesare  deliberato 
spogliar  la  romana  Chiesa  delle 
sue  terre  :  entrò  nel  ducato  di 
Spoleto  e  vi  prepose  al  governo 
Bertoldo,  uno  de'suoi  confidenti. 
Frattanto  in  Inghilterra  i  sacerdo- 
ti erano  in  preda  a  violenta  per- 
secuzione, e  non  per  tanto  la  mag- 
gior parte  di  essi  antepose  la  più. 
estrema  miseria  all'  inobbedienza 
verso  il  supremo  Gerarca  :  1'  ira 
del  re  Giovannni-  si  sfogò  ancora 
sul  popolo  crudelmente.  Il  Papa 
non  mancò  di  ammonirlo  paterna- 
mente, ma  severamente  fece  osser- 
vare l'interdetto.  Sprezzando  il  re 
l'esortazioni  come  le  minacce,  Inno- 
cenzo III  gli  bandì  contro  la  sco- 
munica, e  lo  minacciò  d'  un  ana- 
tema speciale  sulle  terre  di  perti- 
nenza della  cognata  Berengaria, 
che  ancora  ingiustamente  riteneva. 
La  riconciliazione  seguita  in  Ger- 
mania per  P  esaltazione  di  Ottone 
IV ,  allettò  di  nuova  speranza  il 
Papa  al  conquisto  di  quella  terra 
che  fu  nido  della  fede  e  della 
Chiesa,  ma  tre  ostacoli  si  opposero 
finché  visse  al  compimento  del  suo 


INN 
desiderio:  la  tiepidezza  de'  principi 
prodotta  dal  timore  che  sì  remote 
spedizioni  esponevano  i  loro  regni  ; 
1'  egoismo  e  1'  avidità  de'  crociati  ; 
finalmente  le  dissensioni  di  coloro 
che  già  trovavansi  in  Terra  Santa. 
Innocenzo  III  senza  perdersi  d'  a- 
nimo  e  in  mille  modi  si  studiò 
superare  sì  fatti  ostacoli  colla  per- 
severanza, e  col  mandare  ai  cro- 
ciati somme  immense.  Procurò  pa- 
cificare a  tal  oggetto  i  genovesi  coi 
pisani,  e  proibì  ai  veneti  adope- 
rare i  mezzi  della  sacra  guerra 
pel  compimento  del  conquisto  di 
Candia,  e  di  aiutare' in  Alessandria 
gì'  infedeli  contro  i  cristiani.  S'  in- 
terpose il  Papa  con  l' imperatore 
Enrico,  perchè  al  fanciullo  Gugliel- 
mo nato  da  Margherita  moglie 
del  defunto  Bonifazio  di  Monferrato, 
si  conservasse  il  suo  regno  di  Tes- 
salonica  fondato  dal  padre  nel  ri- 
parto delle  latine  conquiste  ;  e  fa- 
vorii il  matrimonio  di  Giovanni  di 
Brienna  fratello  del  morto  conte 
Gualtieri,  con  Maria  ereditiera  del 
regno  di  Gerusalemme,  cui  sovven- 
ne con  millequattrocento  marchi. 
Ingiunse  ai  veneziani  di  riconoscere 
1'  eletto  arcivescovo  di  Durazzo  e 
restituirgli  i  beni  ;  e  nel  medesimo 
tempo  fece  consacrar  il  nuovo  pa- 
triarca d'  Antiochia  dal  legato  di 
oriente,  facendo  considerare  al  re  di 
Armenia, al  contedi  Tripoli  e  al  gran 
maestro  de'  templari  che  la  spa- 
da degli  infedeli  sovrastava  sul  lo- 
ro capo,  né  poterne  campare  se 
non  tenendosi  uniti.  Consolò  con 
religiosi  conforti  il  patriarca  d'Ales- 
sandria in  cattività  degli  infede-' 
li.  Infestando  la  Chiesa  l'eresie 
dai  gazati,  o  catari,  o  valdesi, 
quelle  de'  patarini,  albigesi  ed  al- 
tri eretici,  Innocenzo  III  avrebbe 
voluto  unir  le  forze  del  suo    stato 


INN 
e  degli  altri  regni  cristiani,  non  so- 
lo per  impedirne    la    funesta    pro- 
pagazione, ma  distruggerle  del  tut- 
to, altro  non    essendo    che  la  rin- 
novazione degli  antichi  errori  sotto 
mille    diverse    forme,    sempre    lo 
stesso  quanto  alla  natura   loro.  Due 
essendo  le  specie   di    avversari    in- 
sorti in  grembo  alla  Chiesa  e  con- 
tro d'essa,  gli  uni  si  diedero  prin- 
cipalmente   ad  assalir    la  fede    da 
lei     bandita ,     gli     altri     contro    le 
forme    esterne,    giovandosi  a  prete- 
sto   de'traviamenti    d'alcuni  indivi- 
dui; ed  è  perciò  che  Innocenzo  III, 
per   conseguire  la  distruzione  delle 
eresie,  intese  doversi  prima  indurre 
il  clero  a  vita  veramente  cristiana; 
non  che  infervorare  la  predicazione 
della  vera    dottrina,    e  la  pubblica 
e    libera  confutazione  de'  perniciosi 
errori,  al  qual  proposito  pose  par- 
ticolar  fiducia  ne'monaci  cisterciensi, 
come  quelli  che  congiungevano    le 
opere  con    le  parole.   Altra  misura 
efficace    contro    l'eresia    stimò    In- 
nocenzo  III  l'inquisizione,   affinchè 
nessuno    fosse  dichiarato    colpevole 
ingiustamente,  massime  quando  gli 
accusati     appartenevano    al    clero  ; 
dovendo  l'inquisizione  usare  rigore 
cogli     ostinati  neh'  eresia  ad    onta 
degli    ammaestramenti  e    delle  vie 
della  dolcezza    con    loro  esercitata. 
Nella    maggior  parte  dello  stato 
ecclesiastico  gli  eretici  professavano 
le  false    dottrine  de'  patarini  o  pa- 
terini,  i  quali  si  congiunsero  ai  val- 
desi,   massime    si    propagarono    di 
soppiatto    in    Rimini,    Faenza,  Vi- 
terbo e  particolarmente  in  Orvie- 
to ad  onta  dello  zelo  del  vescovo, 
e  dell'interdetto  fulminato  dal  Pa- 
pa.   Vedendo    i    cattolici  orvietani 
pei   manichei  giunte  le  cose  all'  e- 
stremo  ,    invocarono    dal    Papa    e 
dal  comune  di  Roma  un  governa- 
vo!,, xxxv. 


INN  173 

tore  atto  ad  estirpar    l'eresia,    ve- 
nendo  a    ciò   destinato    Pietro  di 
Parenzo  d'illustre  ed  antica  famiglia 
romana,    siccome    di    maturissimo 
consiglio,    fermo,    intrepido,     beni- 
gno, e    liberale  co'  poveri  ;  ma  ne 
fu  gloriosa    vittima,  e    meritò    gli 
onori  dell'altare  :   la  sua    famiglia 
avea    dato    a    Roma    de'  senatori , 
ma  i    fratelli    o  parenti    del  santo 
la     trapiantarono     a    Spoleto     ove 
tuttora  fiorisce.    Innocenzo  III  pre- 
se severe    provvisioni  per    estirpar 
l'eresia  in   Viterbo,  e  vi  si  recò  di 
persona  ricevendo  grandi  dimostra- 
zioni di  onore;  punì,  promulgò  leg- 
gi e    fece  di  tutto  per  annichilare 
l'errore.  L'eresia  era  pure  sparsa  in 
diversi    luoghi    d'  Italia,    e    nelle 
valli  che    si    stendono    dalle  mon- 
tagne del  Tirolo    e  le   Alpi  carni- 
che     fino    in     Italia,  infestate    dai 
patarini.  Il    Papa    eccitò  i     popoli 
a  non   offuscar    la  luce    del  nome 
loro  con  la  macchia  dell'  eresia,  e 
restar    fedeli    alla  Chiesa  cattolica. 
Questa   peste    sotto    altri    nomi    e 
forme    insinuossi    dall'  oriente    in 
Germania,  in  Ungheria,   e  per  op- 
porvi un   argine  Innocenzo  III  ad 
istanza    del  duca  d'  Austria  fondò 
la    sede    vescovile    di  Vienna.    Le 
stesse  erronee  dottrine  penetrarono 
nella     Svizzera,  ne' Paesi  Rassi,    in 
Inghilterra,  nella  Spagna,  in  Francia, 
e  Tolosa    divenne  ciò  che  in  Ispa- 
gna  era    Leone,  ed  in  Italia  Mila- 
no. L'  eresia    facendo    rapidi  pro- 
gressi ,    acquistò    gran   numero    di 
principi    sovrani,    di    nobili    e    di 
ecclesiastici    d' ogni  grado,    con  in- 
dicibile   accoramento    d' Innocenzo 
III,   che  spedi    legati  per    tutto  a 
riparare  gli    immensi  mali  che  ne 
conseguivano,  massimamente  in  To- 
losa   ove  stabilì  il  primo  tribunale 
deh'  Inquisizione    (Fedi).  Ad  altri 
18 


274  IH» 

relativi  articoli  si  tratta  di  queste 
eresie,  e  degli  avvenimenti  grandi 
che  ne  furono  le  conseguenze,  del- 
le crociate  eh'  ebbero  luogo,  e  dei 
ss.  Domenico  e  Pietro  di  Castel- 
nau  o  Castehiuovo  che  ne  fu  mar- 
tire, e  di  altri  campioni  difensori 
della  cattolica  fede.  I  crociati  per 
distinguersi  da  quelli  di  Palestina 
portavano  una  croce  rossa  sul  pet- 
to, e  moltissimi  oltre  le  armi  un 
bordone,  a  significar  che  qnella  spe- 
dizione era  un  pellegrinaggio;  tra 
i  loro  condottieri  merita  special 
menzione  Simone  conte  di  Mon- 
fort,  il  quale  fu  dal  Papa  investi- 
to di  diversi  slati  conquistati  agli 
eretici.  Ebbero  pur  luogo  diversi 
concilii  come  in  Avignone  per  la 
riforma  de'costumi  in  Provenza  e 
per  l'esterminio  degli  eretici,  i  qua- 
li oltre  la  professione  de'  più  ne- 
fandi errori  commisero  atrocità  in- 
descrivibili, e  portarono  in  mol- 
te provincie  la  desolazione,  tut- 
to distruggendo  col  ferro  e  col  fuo- 
co. Nel  voi.  HI,  p.  16 1  e  seg.  del 
Dizionario  facemmo  la  breve  isto- 
ria dell'  eresia  degli  albigesi,  delle 
gravi  sue  conseguenze,  e  di  quanto 
zelantemente  operò  Innocenzo  III. 
I  primi  del  12  io  furono  da 
Ottone  IV  consumati  a  raffermar 
la  sua  dominazione  in  Toscana  e 
Romagna,  avendo  investito  della 
Marca  d'Ancona  il  marchese  Azzo 
d' Este,  e  d'  Argelati  e  Medicina 
Salinguerra,  della  famiglia  Torelli 
possente  in  Ferrara  ed  emula  del- 
l'Estense. Indi  l'imperatore  si  recò 
a  Milano  e  in  altre  città  d'  Italia 
che  pacificò  e  confermò  loro  i  pri- 
vilegi. Troppo  presto  dimenticando 
la  perseveranza  con  cui  l'avea  sos- 
tenuto Innocenzo  111  contro  il 
possente  suo  competitore,  cedeva 
alle    altrui    suggestioni    per    impa- 


INN 
dronirsi  di  altre  terre  della  Chie- 
sa ;  diede  commissione  ad  alcuni 
giureconsulti  di  provare  le  ragioni 
dell'  impero  sulle  provincie  appar- 
tenenti al  patrimonio  di  s.  Pietro, 
e  costoro  osarono  dichiarare  che 
la  santa  Sede,  approfittando  del 
contrasto  sulla  successione  all'impe- 
ro, erasi  impadronita  di  varie  ca- 
stella e  signorie  di  ragione  del  me- 
desimo impero,  i  cui  diritti  1'  im- 
peratore avea  giurato  difendere. 
In  conseguenza  di  che  invase  egli 
la  Campagna  ed  altre  terre  della 
Chiesa;  soggiogò  Orvieto,  Perugia, 
e  la  più  gran  parte  del  dominio 
temporale  della  Sede  apostolica,  e 
fece  assalire  e  maltrattare  i  cro- 
ciati che  attraversavano  il  paese, 
mentre  stringeva  d'assedio  Viterbo. 
Innocenzo  III,  sperando  che  1'  im- 
peratore tornasse  in  ragione,  pa- 
zientò alquanto,  poscia  gli  scrisse 
per  dovere  di  ministero,  lo  rim- 
proverò che  invece  di  protettore 
era  divenuto  acerrimo  nemico  del- 
la santa  Sede  che  lo  avea  innal- 
zato al  grado  in  cui  era;  lo  ammo- 
ni a  cessar  le  usurpazioni  e  ricor- 
darsi de' giuramenti  se  non  voleva 
essere  scomunicato.  Francamente 
rispose  l'imperatore  negando  di  a- 
ver  leso  i  suoi  diritti;  essere  tutta 
di  lui  la  podestà  temporale,  e  per- 
ciò non  doversi  il  Papa  frammet- 
tervisi;  riconoscer  lui  solo  capo 
della  cristianità  e  pienamente  inve- 
stito della  podestà  spirituale,  onde 
non  meritare  rimproveri.  Vera- 
mente egli  non  era  nemico  del  Pa- 
pa, solo  credeva  suo  debito  sotto- 
mettere i  domimi  temporali  della 
Chiesa  romana  all'impero,  quindi 
invece  di  favorir  i  nemici  dell'au- 
torità pontifìcia,  eseguir  fece  in 
Ferrara  e  nelle  altre  città  degli 
stati  papali    le    leggi  della  Chiesa 


INN 

contro  gli  eretici,  radendone  an- 
che le  case.  Non  contento  Ottone 
IV  di  riunir  all'impero  lo  stato 
della  Chiesa  ,  volle  sottomettere 
tutta  1'  Italia,  ed  agognò  alla  Pu- 
glia che  il  normanno  Ruggieri  avea 
tolta  all'  impero,  ed  al  reame  di 
Federico  II,  ed  incominciò  dall'im- 
possessarsi  della  prima.  Frattanto 
il  Papa  non  cessando  di  protestai* 
contro  le  usurpazioni  imperiali,  l'am- 
monì di  rispettare  gli  stati  di  Fede- 
rico II  ch'erano  sotto  la  protezione 
di  s.  Pietro,  mentre  avvertì  il  re 
di  procedere  cauto,  non  maltrattare 
i  nobili,  e  richiamare  l'antico  aio 
vescovo  di  Catania.  Ottone  IV  ve- 
dendo inevitabile  la  rottura  col 
Papa,  mandò  il  patriarca  d'Aqui- 
leia  nelle  città  di  Lombardia  a 
raffermar  gli  abitanti  nell'affetto  di 
lui,  in  che  fu  assai  fortunato,  e 
procurò  guadagnarsi  la  benevolen- 
za de'principi  ecclesiastici  della  Ger- 
mania. In  questo  tempo  il  re  di 
Boemia  rinnovò  nou  solo  la  do- 
manda dei  suo  divorzio,  ma  te- 
nendosi per  isciolto ,  per  quanto 
aveva  dichiarato  il  vescovo  di  Pra- 
ga, si  sposò  con  Costanza,  incorse 
nella  scomunica  ed  i  procuratori 
della  regina  ripudiata  tornarono  a 
ricorrere  in  Roma.  Essendo  morto 
Bernardo,  con  diverse  clausole  fu 
reintegrato  Adolfo  nella  sede  di 
Colonia. 

Rinnovò  Innocenzo  III  le  sue 
ammonizioni  pel  divorzio  al  re  di 
Francia,  e  s'interpose  nella  con- 
troversia eh'  egli  avea  coi  vescovi 
d'Auxerre  e  di  Orleans;  e  fece 
altrettanto  col  re  di  Portogallo  ed 
il  vescovo  di  Porto.  Alcuni  cister- 
ciensi  incoraggiti  da  Corrado  duca 
di  Masovia,  ottennero  dal  Papa  il 
permesso  di  trasferirsi  in  Prussia, 
e  semiuarvi  la  parola  di    Dio    con 


INN  275 

felice  successo  :  quindi  Innocenzo 
III  investì  de'  poteri  necessari  l'ar- 
civescovo di  Gnesna  per  la  propa- 
gazione della  religione  cristiana.  E- 
guali  sollecitudini  ebbe  il  Papa  per 
la  Livonia  e  per  le  popolazioni  po- 
ste sulla  riva  del  Baltico,  per  le 
quali  si  mostrò  molto  zelante  il  re 
di  Danimarca  Valdemaro  II.  O  che 
Alessio  III  riuscì  di  evadere  da' suoi 
custodi  quando  lo  portavano  nel 
Monferrato,  o  che  fosse  poi  lascia- 
to in  libertà,  cosa  indubitata  però 
si  è ,  che  vedendo  il  suo  genero 
Teodoro  Lascari  aver  trasferito  in 
Asia  ed  a  Nicea  il  titolo  degl'  im- 
peratori bizantini,  e  sottomesso  gran 
parte  del  paese,  indusse  il  sultano 
d' Iconio  d' intimar  a  Teodoro  che 
a  lui  restituisse  l'autorità  sovrana, 
e  a  dichiarargli  la  guerra.  Teodo- 
ro sbaragliò  il  nemico  coli'  aiuto 
de'  latini,  e  fatto  prigione  il  suo- 
cero per  sempre  lo  chiuse  nel  mo- 
nastero di  s.  Giacinto  a  Nicea.  Frat- 
tanto in  Gerusalemme  si  portò  Gio- 
vanni di  Brienna,  che  dalla  sua 
moglie  Maria  ebbe  Jolanda  poi 
maritata  a  Federico  II;  ed  in  Ro- 
ma si  recò  Raimondo  VI  conte  di 
Tolosa  a  domandar  la  restituzione 
delle  castella  date  in  mano  al  le- 
gato, ed  a  dolersi  del  suo  proce- 
dere e  di  quello  di  Simone  di 
Monfort.  Innocenzo  IH  sulle  pri- 
me lo  trattò  bruscamente,  assicu- 
ratosi poi  del  suo  pentimento,  e 
che  adempiva  quanto  gli  era  stato 
imposto,  diede  benigne  disposizio- 
ni a  suo  riguardo,  lo  regalò  di  un 
ricco  manto  e  d'un  prezioso  anello 
che  si  trasse  dal  dito,  e  gli  die 
l'assùluzioue  :  i  tolosani  al  ritorno 
del  conte  festeggiarono  la  sua  ri- 
conciliazione con  la  Chiesa.  Ma  i 
legati  trovando  pretesti  difficolta- 
rono il  compimento  di   sua    ricon- 


276  INN 

ciliazione;  la  guerra  continuo  con 
fierezza  e  crudeltà  contro  gli  ere- 
tici albigesi,  e  Raimondo  VI  fu  da 
Simone  di  Monfort  cacciato  in  una 
torre.  Tornando  ad  Ottone  IV,  egli 
passò  l'inverno  del  ian  in  Ca- 
pua,  ove  l'abbate  di  Morimond  inu- 
tilmente tentò  di  ricouciliarlo  col 
Papa,  perchè  ad  ogni  modo  vole- 
va espulso  Federico  II  dalla  Sici- 
lia, a  fronte  della  minacciata  sco- 
munica d' Innocenzo  III.  Questi  fi- 
nalmente dopo  averlo  reiterata- 
mente ammonito,  di  concordia  coi 
cardinali,  scagliò  nel  giovedì  santo 
la  sentenza  di  scomunica  contro 
Ottone  IV  che  chiamavasi  impera- 
tore ,  siccome  quello  che  degene- 
rando dalle  massime  de'suoi  maggio- 
ri, avea  rotta  la  giurata  fede,  s'era 
impadronito  di  Viterbo  e  di  altre 
città  dai  suoi  antenati  riconosciute 
proprietà  di  s.  Pietro,  e  apparecchia- 
vasi  a  muover  guerra  al  re  di  Si- 
cilia. Nella  scomunica  si  compre- 
sero tutti  i  suoi  complici  e  com- 
pagni, e  fu  sì  rigorosamente  osser- 
vata che  v'  incorsero  Capua  ,  Na- 
poli e  Pisa,  questa  per  soccorrere  il 
principe,  quelle  per  aver  celebrato 
alla  sua  presenza  gli  uffizi  divini. 

Il  Papa  chiese  quindi  aiuto  al 
re  di  Francia  che  si  mostrò  pron- 
to a  contentarlo.  Ottone  IV  sordo 
alle  esortazioni,  perseverando  nel 
suo  proposito,  divenne  più  che  mai 
nemico  della  Chiesa,  e  più  acca- 
nito di  Enrico  VI,  e  voleudo  co- 
stringere Federico  II  a  riconoscere 
almeno  il  regno  in  feudo  da  lui, 
continuò  le  invasioni  a  suo  danno. 
I  patriarchi  di  Grado  e  d'Aquileia, 
e  gli  arcivescovi  di  Ravenna ,  di 
Milano  e  di  Genova,  insieme  con 
tutti  i  vescovi  dell'Italia  superio- 
re, ebbero  ordine  di  bandir  solen- 
nemente  la    scomunica    contro    di 


INN 

Ottone  IV  che  chiamavasi  impe- 
ratore. Si  dolse  il  Papa  co'  prin- 
cipi tedeschi  de'  tentativi  di  Otto- 
ne IV  contro  la  Sicilia,  della  sua 
ingratitudine  e  delle  turnazioni  cui 
era  cagione,  ed  elesse  legato  in 
Germania  Sigifredo  arcivescovo  di 
Magonza,  commettendogli  di  tosto 
bandir  la  scomunica  in  quel  paese, 
e  di  pubblicare  che  nessuno  dasse 
più  il  titolo  d'imperatore  ad  Ot- 
tone IV,  né  tampoco  gli  obbedisse, 
sciogliendo  tutti  i  principi  tedeschi 
dal  giuramento  e  dagli  obblighi 
verso  di  lui.  L'arcivescovo  obbedì , 
tutta  la  Germania  conobbe  la  de- 
posizione e  scomunica  di  Ottone 
IV,  le  sue  enormi  ingralitudiui 
verso  il  suo  benefattore ,  per  cui 
la  sua  autorità  andò  in  pezzi.  Ot- 
tone IV  non  fu  quindi  più  tenuto 
per  principe  cattolico ,  i  vincoli 
che  avea  cogli  altri  si  rallentaro- 
no :  così  quello  che  tanto  avea 
fatto  per  deprimere  la  Chiesa ,  in 
breve  tempo  fu  balzato  dall'alto 
del  suo  soglio;  e  la  Germania  a 
un  tratto  perde  la  tranquillità  co- 
me l'impero  tornò  in  confusione. 
Tutti  i  prelati  tedeschi  pigliarono 
esempio  dalla  costanza  del  Papa , 
ed  i  principi  secolari  l'abbandona- 
rono, altri  lo  dichiararono  deca- 
duto dal  trono,  e  con  diversi  ar- 
civescovi e  vescovi  incominciarono 
a  far  pratica  in  favore  di  Federi- 
co II,  sia  con  lui  che  con  Roma. 
I  principi  che  restarono  del  partito 
di  Ottone  IV  cominciarono  le  osti- 
lità per  difenderlo.  I  legati  ponti- 
ficii in  Inghilterra  non  potendo  ri- 
durre il  re  a  correggersi,  rinnova- 
rono la  scomunica  e  l'interdetto. 
Movendo  Alfonso  IX  re  di  Castiglia 
guerra  ai  saraceni  fu  aiutato  da  In- 
nocenzo III,  minacciando  il  Pontefice 
la  scomuuica  contro  quelli  che  aves- 


INN 

sero  rotto  con  lui  la  tregua.  Nata 
grave  discordia  tra  il  re  di  Porto- 
gallo Sancio  I  ed  il  vescovo  di 
Coimbra,  questi  per  le  violenze  che 
commetteva  gli  fulminò  l' interdet- 
to :  il  Papa  rammentò  al  re  i  suoi 
doveri  e  la  salute  dell'  anima  ,  e  ve- 
nuto esso  a  morte  die  segni  di  pen- 
timento. Allora  ricorsero  al  patro- 
cinio pontificio  i  figli  del  defunto, 
coutro  il  fratello  Alfonso  I  ch'era 
montato  sul  trono,  onde  Innocen- 
zo III  die  le  opportune  istruzioni 
ai  vescovi  del  reame.  Morto  Suero 
re  di  Norvegia  fu  innalzato  alla 
corona  Ingo  nipote  di  lui,  eh'  eb- 
be a  competitore  Filippo,  per  cui 
ricorsero  al  Pontefice  producendo 
la  legittimità  delle  loro  ragioni.  Da 
questo  costante  appellarsi  a  Roma 
per  le  cause  più  gravi ,  è  chiaro 
che  la  santa  Sede  formava  un  tri- 
bunale supremo  riconosciuto  dai 
principi.  Intanto  la  riunione  della 
Chiesa  greca  colla  latina  non  era 
che  apparente,  ed  anziché  accre- 
scere autorità  alla  Sede  apostolica, 
serviva  a  moltiplicarle  gli  aflari  per 
le  infinite  questioni  de'  vescovi , 
degli  ordini  religiosi,  de'preti  e  dei 
laici. 

Per  le  violenze  che  il  re  d'Ar- 
menia commise  contro  i  cavalieri 
templari,  fu  scomunicato  dal  Pa- 
pa; quindi  questi  confortò  il  patriar- 
ca d' Antiochia  dalle  tribolazioni 
de'  suoi  nemici,  e  lo  raccomandò 
al  soldano  d'  Aleppo  Malek  figlio 
di  Saladino ,  augurando  a  questo 
ultimo  con  fervore  degno  del  capo 
della  cristianità,  che  scendesse  ad 
illuminarlo  la  luce  del  vangelo , 
con  queste  parole.  »  Noi  sappiamo 
per  relazioni  degne  di  fede  che 
quantunque  tu  non  abbia  per  an- 
co ricevuto  i  sacramenti ,  sei  tut- 
tavia sì  rivereute  della  fede  catto- 


INN  277 

lica  da  superare  in  questo  molti 
cristiani.  Confidiamo  nella  bontà 
e  nella  grazia  infinita  di  Cristo,  e 
speriamo  ch'egli  vorrà  illuminarti 
con  la  luce  della  sua  visitazione, 
onde  nasca  in  te  il  desiderio  di 
venerare  il  vero  ed  eterno  Iddio , 
che  s' è  fatto  uomo  per  nostra  re- 
denzione. Noi  dunque  caldamente 
ti  esortiamo  in  nome  di  Gesù  Cri- 
sto ad  esercitare  la  giustizia,  ad 
amare  la  verità,  che  ti  sarà  guida 
nella  via  della  salute  ;  a  venerare 
per  amor  nostro  il  patriarca  d'An- 
tiochia ,  carissimo  a  noi,  nel  Si- 
gnore, sopra  molti  fratelli  nostri 
e  vescovi  compagni,  a  cagione  del- 
l' integrità  sua  ;  a  non  lasciare,  per 
quanto  è  da  te,  eh'  egli  ed  il  suo 
re  sieno  molestati,  anzi  a  conceder 
loro  aiuto  e  consiglio ,  affinchè  tu 
così  ottener  possa  la  protezione 
della  Maestà  divina  e  la  grazia 
della  santa  Sede  ".  Continuando  i 
conti  di  Tolosa,  di  Fois  e  di  For- 
calquier  la  protezione  degli  albi, 
gesi,  dai  legati  furono  di  nuovo 
condannati;  e  continuarono  i  trat- 
tati, i  concilii  e  gli  avvenimenti 
d'una  terribile  guerra  ,  sostenuta 
con  ardore  da  ambo  le  parti  con 
sorti  varie.  Si  vuole  che  Raimon- 
do, malmenato  dai  legati,  si  dimen- 
ticò dell'accoglienza  amorevole  ri- 
cevuta in  Roma,  e  trovossi  costret- 
to a  riprendere  le  armi.  Intanto 
giunsero  in  Roma  i  deputati  dei 
principi  alemanni  per  annunziar 
ad  Innocenzo  III  la  scelta  di  Fe- 
derico li,  e  chieder  la  sua  appro- 
vazione. La  faccenda  era  grave  e 
richiedea  quella  matura  delibera- 
zione che  sapevasi  già  per  prova 
metter  la  Chiesa  romana  in  ogni 
grave  contingenza,  diflicilissimamen- 
te  e  non  altro  che  dopo  lunga  pon- 
derazione  accomodandosi  alle  inno- 


a78  INN 

vazioni.  Se  dall'  una  parte  il  Papa, 
disgustato  com'era  di  Ottone  IV, 
trovava  la  risoluzione  de'  principi 
alemanni  conforme  a'desiderii  suoi, 
non  potea  dall'altra  non  ricordarsi 
di  qual  casa  sveva  usciva  Federi- 
co II  Hohenstaufen,  le  tribolazioni 
da  questa  cagionate  alla  Chiesa,  e 
i  doveri  del  Pontefice  verso  que- 
st'  ultima.  Se  non  che  sperar  po- 
teva che  i  moltissimi  beneficii  fatti 
a  Federico  II,  il  quale  riconosceva 
il  regno  sol  dalle  cure  di  lui,  l'a- 
vrebbero altrimenti  guidato.  On- 
d'è  che  alla  fine  aderì  alla  fatta 
elezione,  e  confortò  lo  stesso  Fede- 
rico II  a  recarsi  di  presenza  in 
Germania,  ed  i  principi  tutti  di 
colà  a  riconoscerlo  per  loro  signo- 
re ed  a  collegarsi  con  esso,  come 
tosto  ivi  giunto,  coi  loro  vassalli. 
Recatisi  i  deputati  in  Sicilia  a  par- 
tecipar a  Federico  II  la  sua  ele- 
zione ,  accettò  e  si  dispose  alla  par- 
tenza nel    1 2  1 2. 

Appena  Ottone  IV  tornò  in  Ger- 
mania, tutte  le  sue  conquiste  an- 
darono perdute,  ed  Innocenzo  III 
coll'aiuto  del  marchese  Azzo  d'E- 
sle,  senza  opposizione  ricuperò  alla 
Chiesa  romana  tutte  le  provincie 
a  lei  sottratte  da  Ottone  IV  iu 
Toscana.  In  Germania  questo  prin- 
cipe non  ebbe  alcuna  accoglienza; 
in  due  diete  che  adunò  niun  ve- 
scovo comparve,  tranne  quello  d'AI- 
berstadt;  ed  i  principi  che  v'in- 
tervennero nella  maggior  parte  in 
cuore  erano  per  Federico  II.  Ce- 
lebrate Ottone  IV  le  nozze  con 
Beatrice  a'  7  agosto ,  agli  1  1  ne 
restò  vedovo;  onde  il  popolo  vide 
in  questo  castigo  un  segno  della 
collera  divina.  Federico  lì  lascian- 
do la  moglie  Costanza  reggente  del 
regno,  dopo  aver  fatto  coronare  re 
di  Sicilia  Eurico  suo  figlio,  nell'a- 


prile    si    portò   in    Roma  ricevuto 
con  grand  onore  dal  Papa,  dai  car- 
dinali e  dal  senato  e  popolo  roma- 
no.  In  perfetto  accordo  con  Inno- 
cenzo III,  riconobbe  il   diretto  do- 
minio sulla  Puglia,  confermò  l'an- 
nuo censo  di  mille  monete  d'  oro, 
e  la  libera  elezione    de'  vescovi  ;  e 
fu  convenuto  che    la    Germania    e 
la   Sicilia  non  avrebbero    mai  for- 
mato un  sol   regno.   Il  Papa  prov- 
vide alle  spese  del  re  per  tutto  il 
suo  soggiorno    in  Roma,  gli    diede 
una    somma    di    denaro    e  quanto 
altro  gli  occorreva  a  continuare  il 
suo    viaggio,    e    lo    fece    accompa- 
gnare  da  un  legato:  i  genovesi  per 
compiacere     Innocenzo  III  vennero 
con   quattro  galere  al  porto    d'  O- 
stia   a  levar  Federico  li.  Entrò  in 
Germania   riconosciuto  per   signore 
dalla  nobiltà,  dai   prelati  e  da  tut- 
te   le    popolazioni    de'  luoghi    ove 
passò  :  si  abboccò  col  figlio  primo- 
genito del  re  di  Francia ,  fece  con 
questi  alleanza  difensiva    ed  offen- 
siva, e  n'ebbe  ventimila  marchi.  La 
general   difFalta  in   Germania    inse- 
gnò ad  Ottone  IV,  che    la    pode- 
stà spirituale  del   Papa  più  poteva 
degli  eserciti  e  della   podestà  tem- 
porale.  Quanto  all'  Inghilterra  tut- 
te le  rimostranze  d'  Innocenzo    III 
furono   vane,  per  cui    costretto  ad 
usar  severità  sciolse  dal  giuramen- 
to di  fedeltà  i   nobili,  il  popolo  e 
i  vassalli  di  Giovanni,  e  vietò  sotto 
pena  di  scomunica  d'aver    pratica 
con    lui ,    che    restò    sommamente 
spaventato  dalla    sentenza    pontifi- 
cia.  Questa  pel  malcontento  gene- 
rale  venne  accolta  a  gran    giubilo 
da  tutti.  Essendosi  portati    in   Ro- 
ma l'arcivescovo  di   Cantorbery  ed 
altri   vescovi  a  narrare  le  crudeltà 
di  Giovanni  coutro  la    Chiesa,   In- 
nocenzo III  pronunziò  uu'altra  con* 


INN 

sura,  colla  quale  ordinò  la  depo- 
sizione del  re,  e  l' elezione  d' un 
altro  più  degno  sotto  la  vigilanza 
della  santa  Sede,  incaricando  del- 
l'esecuzione il  re  di  Francia ,  che 
invitò  ad  impossessarsi  del  regno , 
dichiarando  crociati  quelli  che  si 
fossero  schierati  sotto  i  di  lui  ves- 
silli, colla  partecipazione  dell'  in- 
dulgenze concesse  a  quelli  che  pel- 
legrinando visitavano  il  santo  Se- 
polcro. I  legati  pontificii  annun- 
ziarono a  Giovanni  in  Northampton 
le  sentenze  pontificie.  Il  re  arrab- 
biatissimo  sulle  prime,  venne  a  po- 
co a  poco  calmandosi,  e  vedendo 
crescere  contro  di  se  lo  scontento 
de'  suoi ,  temendo  di  peggio  inco- 
minciò a  mitigar  il  rigore  di  sue 
leggi,  benché  spesso  si  abbandonas- 
se alle  violenze. 

Tornando  alla  guerra  di  Spagna 
contro  i  mori,  essendo  venuto  dal- 
l'Africa innumerabili  orde  di  sara- 
ceni ,  Ben  Nasser  si  tenne  tanto 
certo  della  vittoria,  che  fece  bru- 
ciare le  navi  che  li  avevano  por- 
tati, essendo  durato  lo  sbarco  quin- 
dici giorni.  Minacciata  la  cristiani- 
tà da  tanto  pericolo,  prontamente 
Innocenzo  III  speuse  in  Ispagna  le 
discordie  fra  i  principi,  e  commise 
a  tutti  gli  arcivescovi  di  Francia 
di  muovere  a  favore  del  re  di  Ca- 
stiglia  Alfonso  IX  il  fervore  defe- 
deli come  fece  con  altri,  e  mera- 
vigliosi ne  furono  i  risultati.  La 
massa  degli  armati  si  radunò  a 
Toledo  ,  composta  di  portoghesi 
guidati  dall'infante  Pietro,  cavalie- 
ri degli  ordini  religiosi,  navarresi 
comandati  dal  loro  re  Sancio  \  II, 
«pagnuoli  fra' quali  il  re  d'Arago- 
na, francesi,  e  persino  italiani,  ed 
anco  il  duca  d'  Austria  Leopoldo 
VI  con  gran  seguito,  trovando 
egli  più  comodo  guadagnar  in  Eu- 


INN  a79 

ropa  la  ricompensa  promessa  ai 
crociati,  che  andarla  a  cercare  di 
là  dai  mari.  L' esercito  sommò  a 
centomila  uomini  a  piedi,  e  dieci- 
mila a  cavallo,  a  tutti  provveden- 
do del  necessario  il  re,  che  inoltre 
ognuno  trattava  con  nobiltà,  men- 
tre i  vescovi  teneva  ferma  la  pa- 
ce tra  tanta  moltitudine  d'uomini 
diversi  d'indole  e  di  costumi.  In- 
tanto eh'  essi  preparavansi  a  far 
provare  ai  nemici  della  cristianità 
il  potere  delle  sue  armi,  e  il  va- 
lore de'  suoi  difensori,  Innocenzo 
III  in  Roma  a'3  maggio  fece  una 
processione  generale  di  ecclesiastici 
e  di  laici,  affine  d'impetrar  da  Dio 
la  vittoria  alle  armi  cristiane,  di- 
pendendo dal  successo,  se  i  re  cri- 
stiani o  gli  emiri  de'saraceni  do- 
vessero comandare  in  Ispagna,  e  se 
gli  abitanti  suoi  avessero  a  seguir 
la  credenza  di  Maometto  o  la  fe- 
de di  Cristo.  I  fedeli  co'piedi  nu- 
di da  tre  chiese  si  portarono  al 
Laterano  preceduti  dal  salutifero 
vessillo  della  croce,  ove  pur  si  re- 
cò il  Papa  co'cardinali,  vescovi,  cap- 
pellani, ed  altri.  Benedì  nella  ba- 
silica il  popolo  colla  reliquia  della 
ss.  Croce  di  cui  correva  la  festa 
dell'invenzione,  e  questa  portò  poi 
al  palazzo  del  vescovo  d'Albano, 
dalle  cui  gradinate  predicò  alla 
moltitudine  ,  dopo  di  che  tutti 
tornarono  alle  chiese;  le  donne  a 
quella  di  s.  Croce  in  Gerusalemme 
dove  un  cardinale  celebrò  la  messa, 
e  le  esortò  alla  preghiera  ;  gli  eccle- 
siastici e  laici  a  quella  di  s.  Giovanni 
in  Laterano, dove  Innocenzo  III  dopo 
aver  celebrato  il  sagrifizio,  a  piedi 
nudi  come  tutti  gli  altri  venerò  la 
Croce.  L'esercito  cristiano  marcian- 
do di  vittoria  in  vittoria  prese  di- 
verse città  e  fortezze,  riportò  un 
compiuto    trionfo    a  Naves  di  To- 


280  INN 

Iosa,  avendo  poco  perduto  in  con- 
fronto de' saraceni,  che  alcuni  fece 
ascendere  a  centomila  morti  oltre 
un  immenso  bottino.  Gli  storici  a- 
rabi  riguardarono  tale  disfatta  co- 
me una  delle  cagioni  del  diserta- 
mene dell'Africa,  i  nostri  come 
il  decadimento  della  potenza  dei 
mori  in  Ispagna.  11  principale  ono- 
re della  vittoria  si  debbe  a  Dio, 
ed  alla  Beata  Vergine  protettrice 
della  Spagna,  e  tra  gli  uomini  al 
valoroso  e  pio  re  di  Castiglia,  con- 
tento di  aver  salvato  il  paese  dal- 
l'invasione de'  suoi  tremendi  vicini 
e  vendicata  la  sanguinosa  giornata 
d'Alarco.  A  Calatrava  i  crociati 
incontrarono  il  duca  d'Austria  coi 
suoi ,  ed  accompagnossi  con  suo 
cugino  alla  volta  d'Aragona.  Al- 
fonso IX  mandò  al  Papa  una  bre- 
ve relazione  della  gloriosa  spedi- 
zione, con  l'alferez ,  insegna  prin- 
cipale de'  mori,  e  la  tenda  di  seta 
dell'  emiro  Al-Mumerim.  Pietro 
II  fece  pure  il  suo  omaggio  al 
santo  Padre  della  lancia  dell'emi- 
ro, che  si  vide  per  più  secoli  so- 
spesa alla  volta  del  tempio  di  s. 
Pietro  in  testimonio  del  divin  pa- 
trocinio conceduto  ai  fedeli.  La 
gioia  prodotta  in  Roma  da  questa 
strepitosa  vittoria  fu  pari  a  quella 
del  popolo  spagnuolo,  per  cui  In- 
nocenzo III  convocò  il  clero,  sta- 
bilì una  festa  per  questo  avveni- 
mento, e  tradotta  egli  stesso  la 
lettera  del  re,  la  fece  leggere  al 
popolo  radunato  ;  quindi  lodò  le 
gesta  del  prode  principe,  e  ringraziò 
il  Dio  degli  eserciti. 

In  questo  tempo  ebbe  pur  luo- 
go la  Crociata  sesta  (Fedi),  ove 
parlammo  della  crociata  de'fanciul- 
li,  esempio  atto  a  mostrare  lo  spi- 
rito di  quell'epoca,  a  cui  tanto  die 
impulso    Innocenzo    III.     Stefano 


INN 
giovane  francese  del  villaggio  di 
Cloies  presso  Vendome,  dotato  dalla 
natura  di  efficacissima  eloquenza, 
fu  quello  che  predicò  la  crociata 
de'fanciulli,  e  fu  imitato  sia  nella 
predicazione,  che  nel  pio  desiderio 
di  liberare  i  santi  luoghi,  da  altri 
fanciulli  e  fanciulle  che  vestirono 
l'abito  de'pellegrini.  L'esito  fu  in- 
felicissimo ,  pressoché  niuno  arri- 
vando in  Palestina,  e  dispersi  po- 
chi ritornarono  alle  loro  case.  In- 
tanto i  latini  che  stanziavano  nel- 
l'impero greco,  mostrarono  non  più 
ricordarsi  del  motivo  che  gli  avea 
tratti  in  quelle  parti  ;  e  trovando- 
si il  re  di  Gerusalemme  Giovanni 
di  Brienna  in  infelice  condizione, 
spedi  il  vescovo  di  Sidone  al  Pa- 
pa ad  informarlo  del  suo  stato. 
Innocenzo  III  ordinò  quindi  ai 
cavalieri  templari  di  prestare  as- 
sistenza al  re,  perchè  la  causa 
sua  era  pur  anco  la  loro,  e  al 
patriarca  commise  di  esortar  i  ba- 
roni a  collegarsi  lealmente  col  re. 
Nata  forte  scissura  in  Costantinopoli 
per  dar  al  defunto  patriarca  il 
successore ,  il  Papa  vi  spedì  un 
legato,  e  consolò  il  patriarca  di 
Alessandria  prigione  del  soldano , 
invitando  i  principi  cristiani  di  Pa- 
lestina a  far  con  esso  il  cambio 
de'  prigionieri.  Le  guerre  contro  i 
sostenitori  degli  albigesi  continuan- 
do nella  Francia  meridionale,  il 
figlio  del  re  prese  la  croce  con  al- 
tri personaggi  e  due  vescovi,  e 
dalla  Germania  mercè  l'esortazioni 
del  Papa  diversi  signori  ed  eccle- 
siastici recaronsi  ad  ingrossare  l'e- 
sercito cattolico.  Delle  conquistate 
provincie  il  conte  di  Monfort  fece 
diversi  principati,  pe'quali  si  de- 
cretarono molti  utili  provvedimen- 
ti. In  Germania  la  generosità  di 
Federico  II  posta  a  coulrouto  con 


l'avarizia  di  Ottone  IV,  aumen- 
tò al  primo  il  numero  de'  par- 
tigiani :  quindi  nel  121 3  nella 
gran  dieta  di  Eger  dichiarò  al 
Papa  in  una  bolla  d'oro,  firmata 
dai  primi  fra  i  principi  spirituali 
e  temporali  «  voler  egli  in  bene- 
merenza della  protezione  in  cui 
l'avea  sempre  avuto  Innocenzo  III, 
e  delle  cure  sue  come  tutore  di 
lui,  prestargli  in  ogni  tempo  ob- 
bedienza e  rispetto  al  pari  e  più. 
ancora  di  tutti  i  suoi  predecesso- 
ri ".  Concesse  inoltre  ai  capitoli 
intera  libertà  nell'elezione  dei  ve- 
scovi, e  libertà  d'appellare  a  Ro- 
ma in  tutte  le  cause  ecclesiastiche; 
rinunziò  ad  ogni  pretensione  sulle 
successioni  de'  prelati  defunti ,  e 
sulle  reudite  delle  chiese  vacanti  ; 
promise  efficace  cooperazione  per 
la  distruzione  dell'eresia;  confermò 
la  Chiesa  romana  in  tutte  le  pos- 
sessioni ab  antico  acquistate,  sen- 
z'  altro  aggravio  che  di  far  le  spese 
all'imperatore  durante  il  suo  sog- 
giorno in  Roma  nell'incoronazione; 
e  protestò  che  ogni  cagione  di  di- 
scordia fra  la  Chiesa  e  l'impero 
doveva  essere  tolta  di  mezzo,  e  le 
due  podestà  d' ora  innanzi  essere 
strettamente  congiunte,  in  prova  di 
che  egli  avrebbe  fatto  causa  co- 
mune con  essa  nella  difesa  del 
reame  di  Sicilia,  e  dell'  isole  di 
Corsica  e  di  Sardegna.  Essendo 
poi  Federico  II  in  Spira,  grato 
ad  Innocenzo  III  d'avergli  conser- 
vato il  regno,  concesse  di  nuovo 
al  fratel  suo  Riccardo  ed  ai  di- 
scendenti di  lui  l'investitura  del- 
la   contea    di   Sora. 

Le  cose  di  Francia  cangiarono 
di  aspetto,  perchè  Filippo  Augu- 
sto dopo  venti  anni  di  separazio- 
ne riprese  Iugelburga  sua  moglie, 
cedeudo  alle  esortazioui  del  Papa, 


INN  38  r 

o  per  cattivarsi  tutti  gli  animi 
nella  guerra  che  andò  a  rompere 
cogl'inglesi  e  col  duca  di  Fiandra. 
Universale  perciò  fu  in  Francia  il 
contento,  e  la  regina  si  chiamò 
beata  d'essere  giunta  al  termine 
delle  sue  pene,  e  di  aver  ottenuto  la 
ricompensa  della  costanza  sua,  nel- 
l' affetto  ridonatole  dal  marito,  al 
quale  sopravvisse  quattordici  anni. 
L'arcivescovo  di  Cantorbery,  da  Ro- 
ma ov'  erasi  portato,  passando  in 
Francia,  alla  presenza  del  re,  del 
clero  e  del  popolo  bandi  la  sco- 
munica contro  il  re  d'Inghilterra, 
esortatilo  tutti  con  promessa  della 
remissione  della  penitenza  dovuta 
pei  peccati  a  chi  pigliasse  le  anni 
contro  di  lui  e  riponesse  un  altro 
più  degno  sovrano  sul  trono.  Altro 
non  desiderava  Filippo  Augusto 
per  convocar  i  suoi  vassalli  onde 
prender  l'armi  contro  l'Inghilterra, 
di  rimettervi  i  vescovi  raminghi, 
ristabilir  il  culto  divino  e  vendi- 
car la  morte  d'Arturo.  Il  re  Gio- 
vanni tutto  sapendo  si  pose  sulle 
difese  con  settantamila  uomini  ; 
ma  pei  legati  spediti  dal  Papa  a 
rinnovare  esortazioni  ,  egli  vide 
ormai  trono,  vita,  eterna  salvezza 
in  pericolo,  laonde  tutto  tremante 
giurò  sul  vangelo  di  sottomettersi 
alla  Chiesa.  Ristabilita  dai  legati 
la  concordia  tra  il  re,  i  vescovi  e 
gli  ecclesiastici,  i  primi  spedirono 
messi  al  re  francese  a  desistere 
dall'invadere  l'Inghilterra.  Il  Papa 
rispose  alle  proposizioni  di  pace 
con  una  lettera  a  Giovanni,  nella 
quale  invece  del  solilo  saluto,  gli 
augurò  miglior  consiglio  di  mente, 
dichiarando .  nulle,  illegali  e  con- 
trarie alla  immunità  della  Chiesa 
tutte  le  convenzioni  fatte  col  re 
dagli  ecclesiastici  di  qualunque  gra- 
do. 11  re  rinunziò  ìu    favore  della 


2S2  INN  INN 
santa  Sede  alla  corona  ed  ai  rea-  firma  dell'arcivescovo  di  Dublino  e 
ini  d'Inghilterra  e  d'Irlanda,  e  con-  di  parecchi  baroni,  al  legato,  poi 
segnò  al  legato  Pandolfo  un  atto  recossi  in  gran  pompa  alla  chiesa, 
concepito  in  questi  termini.  '»  Af-  depose  la  corona  e  le  insegne  del- 
fine d'ottenere  misericordia  da  Dio  la  dignità  reale,  e  prestò  il  giura- 
per  le  offese  da  noi  fatte  alla  san-  mento  di  vassallaggio  in  questi  ter- 
ta  Chiesa,  e  d'umiliarci  dinanzi  a  mini.  »  Io,  Giovanni,  per  la  grazia 
Colui  che  umiliò  sé  stesso  fino  al-  di  Dio  re  d'  Inghilterra  e  signore 
la  morte,  mossi  per  impulso  dello  d'Irlanda,  giuro  d'essere  d'ora  in- 
Spirito  Santo  e  non  avendo  nulla  nanzi  fedele  a  Dio,  a  s.  Pietro,  al- 
di più  prezioso  ad  offrir  della  la  Chiesa  romana,  a  Papa  Inno- 
persona  nostra  e  de'  nostri  regni,  cenzo  III  mio  signore  ed  a'suoi 
rinunziamo,  di  consenso  co'  nostri  successori  cattolici;  di  non  coadiu- 
baroni  ,  non  forzati  da  violenza  vare  né  in  fatti  né  in  parole  né 
o  timore  ,  ma  di  nostro  libero  in  consigli  né  in  pensieri  a  far  Io- 
volere,  a  Dio,  a'suoi  santi  aposto-  ro  perder  la  vita,  le  membra,  o  la 
li  Pietro  e  Paolo ,  a  nostra  ma-  libertà;  a  rimuovere  da  essi  ogni 
dre  santa  Chiesa,  a  Papa  Inno-  danno  di  cui  io  avessi  sentore,  ed 
cenzo  111  signor  nostro  ed  a'suoi  a  fare  ogni  poter  mio  per  impe- 
successori  cattolici,  in  espiazione  dirlo;  a  rivelar  loro  colla  maggior 
de' peccati  nostri  e  della  nostra  fa-  prontezza  possibile,  io  stesso  o  per 
miglia,  i  nostri  regni  d'Inghilterra  mezzo  di  fidate  persone,  ogni  mac- 
e  d'Irlanda,  con  tutte  le  ragioni  chinazione  contro  i  medesimi;  a 
e  dipendenze  ,  onde  riceverli  di  custodire  il  segreto  in  tutto  ciò  che 
nuovo  qual  vassallo  di  Dio  e  della  mi  comunicassero,  sia  in  persona,  sia 
Chiesa  romana.  Prestiamo  quindi  in  messaggi,  sia  per  lettere,  ed  a  non 
in  tal  qualità  tra  le  mani  di  Pan-  punto  divulgarlo  scientemente  a 
dolfo  il  giuramento  al  sommo  Pon-  danno  loro;  a  difender  con  tutte 
tefìce  ed  a'suoi  successori,  renden-  le  mie  forze  il  patrimonio  di  san 
dolo  obbligatorio  per  noi  e  nostri  Pietro  e  particolarmente  i  reami 
eredi  e  successori;  ed  in  segno  di  d'Inghilterra  e  di  Irlanda  contro 
vassallaggio  ci  obblighiamo  di  pa-  chiunque  gli  assalisse.  Così  Dio  e 
gare  alla  santa  Sede  sui  redditi  i  santi  vangeli  mi  aiutino  ".  Pan- 
dei  regno,  oltre  il  denaro  di  s.  dolfo  gettò  in  terra  il  denaro  dal 
Pietro,  trecento  marchi  per  1'  Ir-  re  offerto  in  segno  di  vassallaggio, 
landa  e  settecento  per  l'Inghilterra,  e  tenne  presso  di  sé  per  cinque 
11  tutto  sotto  pena  di  perdere  o-  giorni  la  corona  e  Io  scettro,  do- 
gni  diritto  al  regno  per  chiunque  pò  di  che  li  rese  al  re.  Questo  era 
de'successori  nostri  infrangesse  que-  il  giuramento  che  ogni  vassallo 
ste  condizioni  ".  Qui  noteremo  che  prestava  al  suo  signore.  Notano  i 
all'articolo  Inghilterra  (Fedi),  nel  critici,  che  essendo  Giovanni  osti- 
traltarsi  questo  argomento,  si  disse  nato  se  il  pericolo  era  lontano,  co- 
fino  a  quando  i  re  d'Inghilterra  dardo  se  vicino,  vogliono  che  das- 
pagarono  alla  Sede  apostolica  il  se  il  regno  in  feudo  alla  santa 
convenuto  tributo.  Sede  per  assicurarsi  d'  un  potente 
Il  re  Giovanili  consegnò  l'atto,  protettore  contro  il  re  di  Francia, 
autenticato  col  suo  sigillo  e  cou  la  di  che  ne  restarono  piccali  i  suoi 


I  n  N 

baroni  al  vedersi  da  vassalli  im- 
mediati della  corona  diventar  sot- 
to vassalli;  maggiore  fu  poi  il  ran- 
core del  re  francese  che  per  la 
spedizione  avea  speso  seicentomila 
lire,  ed  incominciò  ad  invadere  la 
Fiandra  alleata  di  Giovanni,  il  cui 
aiuto  implorò  ed  ottenne  il  suo 
conte  Ferrando.  Le  novelle  d'  In- 
ghilterra furono  accolte  a  Roma 
con  giubilo  grande,  ed  Innocenzo 
III  vedendo  la  mano  di  Dio  in 
questo  fatto,  scrisse  al  re:  »  Lo 
Spirito  Santo  ti  ha  ispirato  la  ri- 
soluzione di  sottomettere  il  tuo  re- 
gno alla  Chiesa  romana  ;  tu  il 
possederai  Ora  più  fermo  e  splen- 
dido che  mai  ;  poiché  esso  è  di- 
venuto un  regno  sacerdotale,  se- 
condo la  parola  di  Mosè  e  di  s. 
Pietro.  Dio  faccia  che  tu  lealmen- 
te adempi  tutte  le  tue  promesse". 
Ed  a  richiesta  del  re  gli  mandò 
per  l'esecuzione  del  trattato  il  car- 
dinal ÌNicolò  vescovo  di  Frascati 
con  piena  facoltà,  e  fu  prosciolto 
dalle  censure  ecclesiastiche,  rinno- 
vando il  re  i  suoi  giuramenti  di 
abrogare  tutte  le  leggi  ingiuste,  e 
confermando  quelli  fatti  alla  santa 
Sede. 

Il  re  Pietro  II  d'Aragona  sem- 
pre fisso  nel  ripudiar  Maria  sua 
moglie,  questa  portossi  in  Roma 
per  trattare  la  sua  causa.  Avendo 
quindi  Innocenzo  HI  medesimo  esa- 
minato gli  atti  del  processo,  di- 
chiarò in  pieno  concistoro  insussi- 
slenti  i  motivi  addotti  dal  re,  cui 
intimò  ripigliarsi  la  moglie  che  lo 
avea  fatto  padre  d'un  figlio  ed  era 
d'irreprensibili  costumi.  Maria  inol- 
tre ricorse  contro  gli  abitanti  di 
Montpellier  che  le  aveano  atter- 
ralo il  proprio  castello,  per  cui  il 
Papa  ordinò  un  processo;  indi 
mori   in  Roma  assistila  dal    medi- 


li* >'  283 

co  pontificio  :  lasciò  ricchi  doni 
alle  quattro  principali  basiliche  di 
Roma,  il  suo  corpo  volle  che  fos- 
se sepolto  in  quella  di  s.  Pietro 
presso  s.  Petronilla,  pose  i  figli 
sotto  la  protezione  del  Papa  e  lo 
lasciò  esecutore  testamentario,  con 
facoltà  di  cambiar  le  sue  disposi- 
zioni. In  questo  tempo  il  Papa  si 
rivolse  al  re  di  Portogallo  Alfon- 
so II,  che  avendolo  posto  sotto  la 
sua  prolezione  e  di  s.  Pietro,  e 
confermato  il  suo  stato  tributario 
alla  santa  Sede,  tornò  ad  invitarlo 
energicamente  a  rispettare  il  testa- 
mento paterno  circa  i  fratelli  e  le 
sorelle.  Piinnovò  il  Pontefice  i  suoi 
eccitamenti  per  tutto  in  soccorso 
di  Terra  Santa,  un  gran  numero 
di  fedeli  presero  la  croce,  e  scrisse 
la  seguente  lettera  a  Malek-Adel 
per  indurlo  a  ceder  volontariamen- 
te quel  che  gli  poteva  esser  tolto 
per  forza.  «  Al  magnifico  Safiìl- 
dino,  soldano  di  Damasco  e  di  Ba- 
bilonia, venerazione  ed  amore  pel 
nome  di  Dio.  Il  profeta  Daniele 
e'  insegna  che  Dio  in  cielo  produ- 
ce in  palese  le  cose  nascoste,  can- 
gia i  tempi  e  trasmuta  gl'imperi, 
affin  che  tutti  conoscano  esser  egli 
solo  l'arbitro  de'  regni  e  distribuir- 
li a  chi  più  vuole.  La  qual  verità 
fu  da  lui  chiaramente  dimostrala 
col  far  cadere  Gerusalemme  e  il 
suo  territorio  nelle  mani  di  tuo 
fratello,  non  già  per  merito  delle 
virtù  sue,  ma  si  per  castigare  il 
popolo  cristiano  dell'aver  offeso  il 
suo  Dio.  Ma  ci  siamo  prostrati  a 
lui  e  speriamo  che  avrà  misericor- 
dia di  noi,  però  che,  come  dice  il 
profeta,  anche  nell'ira  sua  non  la- 
scia di  esser  misericordioso.  Ad  e- 
sempio  di  colui  che  disse  nel  van- 
gelo: Imparate  da  me  che  sou  be- 
nigno ed  umile  di  cuore,  noi  sup- 


284  INN  INN 
plichiamo  con  tutta  1'  umiltà  la  corrispondevano  alla  sua  confiden- 
magni licenza  tua  ,  affinchè  non  si  za,  come  richiesto  avrebbe  il  mag- 
versi  maggior  quantità  di  sangue  gior  bene  della  Chiesa.  11  re  si  re- 
umano della  già  versata  per  la  vio-  co  a  Tolosa  ed  in  Lavaur  a  re- 
lenta  occupazione  di  codesto  pae-  clamare  le  provincie  tolte  ai  conti, 
se,  e  ascoltando  i  consigli  della  ma  i  legati  gli  provarono  aver  loro 
prudenza,  tu  ce  lo  renda,  da  che,  provocalo  1'  occupazione,  con  pro- 
salvo un  poco  di  gloria  vana,  da  teggere  gli  eretici,  sostener  la  guer- 
s'unil  possesso  trarrai  più  danno  ra  e  commettere  moltissime  ciudel- 
che  frutto.  Se  tu  consenti  alla  do-  tà  ;  quanto  al  tolosano  esser  di- 
manda nostra,  noi  daremo  scam-  venuto  peggio  eli  prima  dopo  il 
bievolmente  la  libertà  ai  prigionie-  suo  ritorno  da  Roma,  cose  tutte 
ri,  faremo  posar  le  armi,  e  il  che  i  legati  dimostrarono  ancora 
popolo  tuo  sarà  appo  noi  trattato  al  santo  Padre.  Questi  fece  allora 
come  il  nostro  appo  te.  Ti  pre-  sapere  al  re  che  desistesse  dalla 
ghiamo  di  accoglier  benignamente  protezione  degli  eretici,  e  che  in- 
i  latori  di  questa  lettera,  di  trai-  tanto  si  farebbe  1'  esame  delle  ra- 
tarli  onorevolmente  e  di  dar  loro  gioni  d'  ognuno.  Ma  Pietro  II, 
conveniente  risposta  quale  ce  1'  a-  non  curando  tali  ammonizioni,  rup- 
speltiaino  ".  Questo  messaggio  di-  pe  contro  Monfort  la  guerra;  si 
mostra  ancora  quanto  stasse  a  cuo-  fecero  dai  cattolici  inutili  proposi- 
re  d'Innocenzo  III  la  ricupera  del  zioni  di  pace,  i  vescovi  scomuni- 
santuario  de' santuari.  carono  i  conti  capi  degli  eretici,  e 
A  rimostranza  dei  conti  di  To-  Monfort  fiduciato  in  Dio,  attaccata 
Iosa,  di  Foix,  di  Comminges  e  di  la  battaglia,  Pietro  II  restò  ucci- 
13earn,  il  re  d'Aragona  Pietro  II  so,  dopo  essere  stato  inutilmente 
per  ambasciatori  fece  conoscere  al  scongiurato  a  ritirarsi.  Morto  il  re, 
Papa  che  il  conte  di  Monfort  a-  i  cattolici  si  precipitarono  fra  le 
vea  rivolto  le  armi  non  solo  con-  schiere  nemiche,  i  conti  fuggirono, 
tro  gli  eretici,  ma  pure  a  danno  e  completo  fu  il  trionfo.  Narrasi 
dei  fedeli  suoi  sudditi,  versando  che  l'esercito  del  re  d'Aragona 
sangue  innocente,  ed  occupato  prò-  perde  più  di  dieciottomila  uomini, 
vincie  non  punto  infette  d'eresia,  ed  ebbesi  per  miracolo  che  i  cat- 
per  lo  che  Innocenzo  III  se  ne  dol-  tolici  ebbero  morti  un  cavaliere  e 
se  coi  legati  e  col  conte,  e  vietò  di  otto  soldati,  considerati  gloriosi 
molestare  le  terre  del  re,  resti-  martiri  della  fede.  Il  corpo  del  re 
tuendo  quelle  occupate.  Da  que-  portato  in  Aragona  rimase  inse- 
sti provvedimenti  si  vede  l'im-  polto  come  scomunicalo,  finché  a 
parzialità,  la  moderazione  e  la  giù-  mediazione  della  sorella  Costanza 
stizia  del  Pontefice;  che  se  que-  moglie  di  Federico  II,  gli  fu  con- 
sta guerra  fu  piena  di  lagrime-  cessa  sepoltura.  Monfort  si  recò  a 
voli  eccessi,,  e  s'  ella  fu  tratta  piedi  nudi  nella  chiesa  di  Muret  a 
in  lungo  non  è  a  darne  colpa  ringraziare  Iddio,  e  venduto  il  ca- 
a  lui,  il  quale  aver  non  potea  vallo  di  battaglia  e  1'  armamento, 
1'  occhio  in  ogni  parte,  e  per  mol-  ne  dispensò  il  prezzo  a'  poveri.  Ai 
tissime  cose  dovea  stare  alle  rela-  1 8  aprile  di  quest' anno  1 1 1  3  Inno- 
zioni  di  persone    che    non  sempre  cenzo    IH    effettuò  uu  disegno  che 


1NN 

da  lungo  tempo  nudriva,  col  convo- 
care il  concilio  generale  Laleranen- 
se  IV  (Fedi),  al  quale  invitò 
1'  oriente  e  V  occidente  ,  i  priucipi 
temporali  e  spirituali.  Nel  seguen- 
te anno  12 14  Ottone  IV  si  spo- 
sò con  Maria  di  Brabante,  e  vuoisi 
che  nessun  vescovo  né  prete  abbia 
voluto  dargli  la  benedizione  nuziale 
percbè  scomunicato;  indi  si  alleò 
con  Giovanni  re  d' Inghilterra  che 
era  in  guerra  colla  Francia,  onde 
abbatterne  la  potenza,  la  quale  era 
il  più  saldo  sostegno  del  Papa , 
sperando  come  avessero  abbattuto 
]'  una  e  1'  altro ,  seguirebbe  la 
caduta  di  Federico  II.  Rottasi  dun- 
que la  guerra,  Ottone  IV  con 
un  esercito  immenso  di  collegati 
fu  costretto  alla  fuga,  e  Filippo 
Augusto  riportò  la  famosa  vittoria 
di  Bovines,  ritornando  trionfante 
in  Parigi,  e  pieno  di  gloria.  La 
Chiesa  e  Federico  II  si  rallegraro- 
no di  questa  vittoria.  Il  re  di  Fran- 
cia usò  gran  moderazione  di  essa, 
concesse  tregua  e  poi  pace  a'  suoi 
nemici,  e  poco  dopo  Innocenzo  III 
levò  formalmente  1'  interdetto  al 
regno  d'  Inghilterra,  che  tanto  dan- 
no aveale  recato. 

Il  patriarca  di  Gerusalemme,  ed 
i  gran  maestri  degli  ordini  eque- 
stri mandarono  ad  Innocenzo  III 
la  relazione  delle  forze  de' sarace- 
ni in  Palestina,  ond'  egli  fece  pre- 
dicare la  crociala  in  Francia,  e 
con  miglior  successo  in  Inghilterra. 
Intanto  Raimondo  VI  conte  di 
Tolosa,  e  i  conti  di  Foix  e  di 
Comminges  con  altri  signori  si  di- 
chiararono disposti  di  rientrar  nel 
grembo  della  Chiesa,  e  fecero  la 
loro  sottomissione,  ed  il  primo  si 
riconobbe  vassallo  del  conte  di 
Monfort,  il  quale  accrebbe  i  suoi 
dominii,  e  li  fece  assicurare  dai  le- 


INN  285 

gati  alla  sua  discendenza,  all'  insa- 
puta e  contro  il  volere  d'  Inno- 
cenzo III .  Questi  per  la  rea  con- 
dotta di  Valdemaro  arcivescovo  di 
Brema,  seguace  d'Ottone  IV,  nel- 
1'  anno  121 5  rinnovò  solenne- 
mente contro  di  lui  e  suoi  ade- 
renti la  scomunica .  Stanco  or- 
mai Ottone  IV  di  guerreggiare, 
ritirassi  negli  stati  ereditarli,  e  passò 
in  pace  gli  ultimi  giorni  di  sua 
vita,  e  riconciliatosi  con  la  Chiesa, 
pentito  delle  sue  colpe,  morì  d'an- 
ni quarantotto  nel  12  r8  in  Artz- 
burgo,  quasi  due  anni  dopo  la 
morte  di  Innocenzo  III.  Ottone  IV, 
da  guelfo  eh'  era  o  mostravasi  nel- 
1'  aspirare  alla  corona,  fatto  dipoi 
imperatore  divenne  ghibellino.  f. 
Guelfi  e  Ghibellini.  Quanto  al- 
l' indomito  Valdemaro,  passò  a 
seppellire  la  sua  ambizione  in  un 
chiostro  .  Federico  II  nella  dieta 
tenuta  in  Francfort  a'  19  maggio 
12 15  fece  giurare  i  principi  del- 
l' impero,  che  non  avrebbero  elet- 
to altro  successore  a  lui,  che  En- 
rico suo  figlio;  indi  passò  in  A- 
quisgrana,  ove  Sigifredo  arcivescovo 
di  Magonza,  essendo  vacante  la  se- 
de di  Colonia,  lo  cinse  colla  coro- 
na reale  di  Germania  nella  catte- 
drale, in  cui  pochi  giorni  innanzi 
erasi  posto  un  magnifico  monu- 
mento ad  accogliere  le  ceneri  di 
Carlo  Magno.  11  giorno  dopo  il 
teologale  di  Xanten  predicò  la  cro- 
ciata, e  il  re  fu  il  primo  a  pren- 
der la  croce,  seguito  da  altri  prin- 
cipi ecclesiastici  e  secolari.  Prima 
della  coronazione  il  re  promise  ce- 
dere al  suo  figlio  dopo  la  solenni- 
tà il  reame  di  Sicilia,  confidando- 
ne fino  alla  maggiore  sua  età  il 
governo  a  quel  capace  reggente, 
che  Innocenzo  III  destinasse.  In 
Inghilterra    i  baroni    grandemente 


286  1NN 

sdegnati  con  Giovanni,  mandarono 
deputati  a  Roma,  supplicando  il 
Papa  ad  aiutarli  a  riconquistar  le 
loro  franchigie  antiche  dal  re  ar- 
bitrariamente abolite,  e  ciò  in  ri- 
munerazione di  aver  essi  coraggio- 
samente contrastato  per  le  prero- 
gative della  Chiesa  ;  ma  il  Ponte- 
fice gl'invito  alla  concordia  ed  alla 
sommissione.  Malcontenti  i  baro- 
ni presero  le  armi,  si  mossero  a 
ricuperar  da  per  loro  i  privilegi 
che  prima  godevano,  quando  In- 
nocenzo III  ad  istanza  del  re  si 
interpose  tra  lui  ed  i  baroni,  i 
quali  nulla  curando  eh'  egli  avea 
preso  per  deluderli  la  croce,  I'  ob- 
bligarono a  conceder  loro  un  diplo- 
ma chiamato  magna  diaria ,  che 
■vuoisi  contener  le  basi  di  quanto 
ora  dicesi  costituzione  ;  e  guarenti- 
ti furono  del  pari  i  diritti  e  le 
immunità  della  Chiesa.  Il  re  a  mez- 
zo dell'arcivescovo  di  Dublino  e 
del  vescovo  di  Londra  suoi  amba- 
sciatori, procurò  trarre  il  Papa  dal- 
la sua,  rappresentandogli  eh' essen- 
do il  regno  feudo  della  Cbiesa  ro- 
mana, le  concessioni  da  lui  estorte 
senza  il  consentimento  di  lei  non 
potevano  aver  valore,  e  come  se- 
gnato della  croce  essere  sotto  la 
protezione  della  santa  Sede.  Inno- 
cenzo III  entrò  nelle  sue  ragioni, 
ed  emanò  analoga  bolla  di  scomu- 
nica in  Anagni  a'  24  agosto,  colla 
quale  condannò  1'  accordo  come 
pregiudizievole  alla  Sede  apostolica, 
ai  diritti  della  coronargli  interes- 
si delle  crociate,  e  disonorevole  pel 
popolo  inglese;  quindi  con  lettera 
invitò  i  baroni  a  rinunziar  alla 
convenzione,  ed  affidarsi  a  lui  che 
gli  avrebbe  fatto  rendere  giustizia, 
e  ridotto  il  re  ne'  limiti  de'  suoi 
veri  diritti.  La  bolla  fu  pubblicata 
in  Inghilterra  dal  vescovo  di  Win- 


INN 
Chester  e  da  maestro  Pandolfo  de- 
legali del  Papa,  ma  non  nominan- 
do persona  alcuna,  i  baroni  non 
la  tennero  per  autentica  e  valevo- 
le. Venuto  poi  Innocenzo  III  in 
cognizione  che  i  baioni  avevano 
fatto  lega  con  Luigi  figlio  del  re 
di  Francia,  1'  ammonì  a  non  fare 
causa  comune  con  gente  scomuni- 
cata; ed  avendogli  il  re  fatto  sa- 
pere che  1'  arcivescovo  di  Cantor- 
bery  ne  faceva  parte,  lo  sospese,  e 
sciolse  dall'  obbedienza  i  di  lui 
suffragane!,  iodi  fulminò  un'  altra 
bolla  di  scomunica  contro  i  baro- 
ni, nominando  parecclii  de'loro  ca- 
pi, e  gli  abitanti  di  Londra  :  in- 
tanto i  baroni  ed  il  re  si  fecero 
un'  accanita  guerra  con  crudeltà 
terribili. 

Luigi  di  Francia  con  gran  se- 
guito di  baioni  si  accinse  a  scio- 
gliere il  voto  per  la  crociala  con- 
tro gli  albigesi,  e  porlossi  dal  con- 
te di  Monforl  per  procedere  di  co- 
mune accordo,  a  cui  il  Papa  avea 
dato  la  guardia  del  paese  conqui- 
stato, e  ricolmato  di  lodi  per  aver 
combattuto  da  soldato  degno  di 
Cristo  per  la  fede  cattolica.  La 
crociata  di  Filippo  fu  al  tutto  pa- 
cifica, perocché  già  era  finita  ogni 
resistenza,  sottomesso  il  paese,  ed 
i  capi  degli  eretici  ritirati  in  In- 
ghilterra. Quindi  Simone  di  Mon- 
fort  s'intitolò,  per  la  grazia  di  Dio, 
conte  di  Tolosa  e  di  Leicester,  vis- 
conte di  Beziers  e  di  Carcassona, 
e  duca  di  Narbona,  governando 
da  assoluto  signore  e  ricevendo  o- 
maggio  dai  più  potenti  conti  e  ba- 
roni. Frattanto  si  recarono  in  Ro- 
ma per  la  celebrazione  del  conci- 
lio generale  gli  uomini  più  famosi 
pel  saper  loro  nel  mondo  cristia- 
no, principi  spirituali,  ed  altri  per- 
sonaggi ;  ed  il  giorno  di  s.  Marti- 


INN 
no  nella  patriarcale  arcibasilica  la- 
teranense  Innocenzo  III  pronunziò 
il  discorso  per  la  sua  apertura  ed 
incominciamento:  di  quanto  si  trat- 
tò in  questo  concilio  lo  riporto  al 
citato  articolo  Lateranesse  IV.  L'ul- 
timo anno  del  glorioso  pontificato 
d'Innocenzo  III  fu  il  121 6.  Colla 
morte  di  Azzo  VI  marchese  d'E- 
ste,  gli  successe  il  figlio  Aldovran- 
dino  in  gran  favore  di  Federico  II. 
Aldobrandino  meritò  pure  quello 
del  Papa,  che  per  segno  d' inve- 
stitura gli  mandò  una  bandiera 
bianca  ;  ma  caduto  prigione  del 
conte  di  Celano,  che  avea  costretto 
levar  l'assedio  di  Fano,  mori  con 
sospetto  di  veleno  :  con  lui  perì  il 
capo  de' guelfi,  e  surse  più  poten- 
te Salinguerra  capo  de'  ghibellini 
in  Ferrara  [Pedi).  Questi  ciò  non 
pertanto  ottenne  da  Innocenzo  III 
in  Romagna  l'investitura  di  ven- 
tiquattro feudi  già  della  contessa 
INlatilde,  dati  a  lui  da  Ottone  IV. 
Dopo  la  partenza  degli  alemanni, 
in  Toscana  e  in  Lombardia  rico- 
minciarono gli  odii  e  le  zuffe  tra 
guelfi  e  ghibellini;  mentre  Federi- 
co li  si  decise  pel  suo  voto  e  per 
l'affetto  che  portava  al  Pontefice 
d'  imprendere  la  crociata.  Gli  in- 
glesi continuarono  a  non  far  con- 
to della  scomunica,  così  gli  eccle- 
siastici. Innocenzo  III  tentò  tolte 
le  vie  perchè  il  re  di  Francia  non 
dasse  aiuto  ai  baroni  contro  Gio- 
vanni, ed  a  tale  effetto  spedì  per 
legato  il  cardinal  Guala  Bicchieri, 
dovendosi  il  re  inglese  rispettare 
qual  vassallo  della  Chiesa  romana. 
Il  re  di  Fiancia  ricevè  bruscamen- 
te il  cardinale,  dicendogli  non  ap- 
partenere 1'  Inghilterra  di  buon  di- 
ritto al  patrimonio  di  s.  Pietro , 
ed  aver  Giovanni  ucciso  Arturo; 
e  perchè  il  di  lui  figlio  non  volle 


INN  287 

desistere  dal  soccorrere  i  baroni 
contro  Giovanni ,  il  cardinale  por- 
tatosi da  questi  pronunziò  la  sco- 
munica di  cui  avea  minacciato  Lui- 
gi, mentre  questi  continuava  le 
conquiste  nell'  Inghilterra  per  le 
ragioni  che  vi  avea  la  propria  mo- 
glie. Il  padre  per  obbedire  al  Pa- 
pa sequestrò  i  beni  del  figlio  e 
de'  signori  che  l'aveano  seguito  nel- 
la spedizione,  offrendosi  di  opporsi 
con  le  armi  ai  disegni  de'  ribelli 
di  Giovanni,  avendo  cambiato  sen- 
timento dopo  le  pratiche  del  lega- 
to. Luigi  mandò  a  Roma  amba- 
sciatori per  discolparsi,  e  dichiara- 
re che  non  i  baroni  ,  ma  i  suoi 
diritti  sulla  corona  d'Inghilterra 
l' inducevano  ad  occuparla.  Inno- 
cenzo III  dopo  aver  risposto  a  tutte 
le  loro  obbiezioni  ,  bandi  la  sco- 
munica contro  Luigi  e  suoi  seguaci, 
facendola  pubblicar  ne'  due  regni  , 
scrivendo  parole  severe  contro  Fi- 
lippo Augusto  del  cui  contegno  non 
fidavasi.  Il  cardinal  Guala  contem- 
poraneamente operò  iu  favore  del 
re  Giovanni  molte  cose ,  mentre 
egli  combatteva  Luigi  ed  il  re  di 
Scozia  che  con  un  esercito  l'appog- 
giava. L'Inghilterra  trovossi  in  que- 
sto modo  per  quasi  tre  anni  tra- 
vagliata da  tre  eserciti  che  gareg- 
giavano di  avidità  e  di  ferocia. 
Giovanni  morì  nella  notte  della  fe- 
sta di  s.  Luca,  lasciando  il  regno 
ad  Enrico  III  suo  primogenito,  e 
senza  che  nessuno  ne  lagrimasse  la 
perdita.  Il  figlio,  sostenuto  dal  le- 
gato, in  età  di  dieci  anni  fu  coro- 
nato in  Gloucester;  i  baroni  ab- 
bandonarono poi  Luigi ,  il  quale 
reintegrato  delle  spese  fatte,  con- 
chiuse la  pace,  ed  abbandonata 
l' Inghilterra  fu  riconciliato  colla 
Chiesa. 

Il  conte  Simone  di  Monfort  pre- 


288  INN 

se  dal  re  di  Francia  l' investitura 
delle  provincie  conquistate.  Enrico 
imperatore  di  Costantinopoli,  con- 
tentando con  la  mitezza  del  suo 
governo  greci  e  latini  ,  sposò  una 
figlia  del  defunto  Gioannicio  per  as- 
sicurarsi l'amicizia  de'  bulgari  suoi 
vicini  ;  indi  morì  a'  3  giugno  in 
Tessalonica ,  per  fatale  disgrazia 
della  dominazione  latina  in  oriente. 
Non  avendo  lasciato  eredi  maschi, 
i  baroni  elessero  al  trono  Pietro 
di  Courtenay  figlio  di  Luigi  il 
Grosso,  marito  di  Elisabetta  erede 
di  Courtenay  e  d'Auxerre;  essendo 
egli  per  Jolanda  o  Violante  sua 
sposa  cognato  de'  due  precedenti 
imperatori.  Erasi  distinto  nella  pre- 
sa di  Coslanlinopoli  e  nella  balta- 
glia  di  Bovines.  In  conseguenza 
delle  disposizioni  del  concilio  ge- 
nerale venne  di  nuovo  predicata  la 
crociata  ,  cui  potevano  essere  di 
grande  utile  col  navile  le  città  ma- 
rittime d'Italia.  Genova  e  Venezia 
eransi  pacificate,  ma  Genova  e  Pi- 
sa erano  sempre  in  guerra  tra  loro, 
e  cosi  le  città  di  Lombardia.  In- 
nocenzo III  sperando  di  ricondur 
la  pace  con  la  mediazione  sua  per- 
sonale, parti  da  Roma,  e  per  Vi- 
terbo passò  a  Perugia  per  indi  re- 
carsi a  Pisa  e  probabilmente  ali  al- 
tre città  dell'Italia  superiore,  man- 
dando innanzi  due  cardinali  per 
indurre  il  podestà  e  il  consiglio  di 
Pisa  a  dimettere,  pel  bene  della 
cristianità,  gli  odii  loro  contro  i 
genovesi.  I  pisani  risposero  esser 
pronti  a  compiacere  il  santo  Pa- 
dre, ma  non  voler  lasciarsi  fuggir 
di  mano  un'  occasione  per  vendi- 
carsi de'  nemici.  Il  Papa  non  di- 
sperò di  conseguire  il  suo  intento, 
e  sull'  interposizione  sua  persona- 
le; ma  fu  colto  in  Perugia  da  feb- 
bre terzana ,  che    per    l' ignoranza 


INN 
de'  medici  degenerò  in  febbre  acu- 
ta, cui  senza  accorgersi  del  suo  pe- 
ricolo, tennero  dietro  la  paralisi, 
il  letargo,  indi  la  morte.  Innocen- 
zo III  spirò  a'  16  luglio  1216, 
nell'  età  di  cincpiantasei  anni  ,  e 
dopo  dieciotto  anni ,  sei  mesi  e 
sette  o  nove  giorni  di  pontificato. 
Fu  sepolto  nella  cattedrale  di  Pe- 
rugia; nel  i34",  in  cui  si  fabbri- 
cò di  nuovo  la  cattedrale,  le  di 
lui  ceneri  furono  nella  stessa  ur- 
na congiunte  colle  ossa  de'  suoi 
successori  Urbano  IV  e  Martino 
IV,  sepolti  nella  medesima  chiesa, 
finché  nel  161 5  le  ceneri  di  tutti 
e  tre  furono  trasportate  in  altro 
più  magnifico  deposito,  la  cui  im- 
magine riporta  il  Papebrochio  in 
Propylaeo  par.  II,  pag.  34,  in- 
sieme alla  semplice  iscrizione  che 
annunzia  contener  le  ossa  de'  tre 
Papi.  Innocenzo  III  era  di  mez- 
zana ma  ben  proporzionata  statu- 
ra, di  grazioso  aspetto  ;  avea  l'oc- 
chio scintillante,  da  cui  tutta  tra- 
luceva l'interna  indole  sua:  dato 
com'  egli  era  ad  una  vita  oltre 
ogni  credere  studiosa  ed  operosa, 
e  malgrado  della  gracile  sua  co- 
stituzione ,  soggiacque  a  molte  e 
gravi  malattie.  Il  suo  ritratto  si 
vede  negli  Annali  del  Baronio;  in 
diversi  autori  delle  biografie  dei 
Pontefici,  come  nel  Ciacconio,  Hist. 
Pont.  Rorn.  tom.  II,  p.  2,  col  pi- 
viale e  tiara  con  una  sola  corona, 
e  senza  barba  ;  nel  Gravesonio  col 
piviale  e  triregno,  allora  però  non 
decorato  di  tre  corone  ;  nel  Ma- 
rangoni ,  Chronologìa  Roni.  Pont. 
pag.  90,  tratto  da  quelli  della  ba- 
silica di  s.  Paolo,  col  capo  nudo, 
senza  barba  e  col  pallio;  ed  in 
fronte  all'  Istoria  dHurlcr ,  senza 
barba,  col  piviale  e  la  tiara  orna- 
la di  due  corone  con  le  code,  ve- 


1NN 

dendosi  coperte  le  orecchie  dal  ca- 
mauro.  Di  questo  ritratto     uè    re- 
sero ragione  i    traduttori    nel    pri- 
mo tomo,  cioè  in  quello    dell'edi- 
fione  Bonfànti  a  pag.  5i  ,  in  quel- 
lo dell'edizione  Resnati  a  pag.  5g. 
Tutte    in    Innocenzo    III    trova- 
ronsi  congiunte  le  qualità    dell'uo- 
mo eccellente,  del    gran    principe , 
del  vero  Pontefice  massimo   e   su- 
premo   reggitore    del    mondo    cri- 
stiano.   Dotato    di    profonda  pene- 
trazione,   che  gli  faceva    prevedere 
facilmente  l'esito  degli  avvenimen- 
ti, ad   una  gran   memoria  ebbe   u- 
niti   tutti    i    doni  dell'  ingegno,    ed 
insieme  tal  dottrina  che  raramen- 
te trovavasi    in    altri  ;    l' alto    suo 
sentire  Io  trasse  a   concepir  grandi 
disegni,  che    poi    con    grandissima 
intrepidezza    e    perseveranza     con- 
dusse ad  etFetto,  stimolato    anziché 
trattenuto,  come  suole  ogni  gran- 
d'anima,  dalle     opposizioni    altrui. 
Per  questa  prudenza   e  ponderazio- 
ne sue,     congiunte  all'  acume  del- 
l' intelletto,  niun  ostacolo  gli    fece 
paura,  niun  pericolo    né    minaccia 
il  fece  dare  addietro;    solo  l'obbe- 
dienza   e    il    rispetto    lo    potevano 
piegare.   Severo  verso    i    protervi  , 
benigno  cogli  umili,  inflessibile  do- 
v'era da  far  giustizia,  buono  quan- 
do   occorreva    usar    clemenza,    ne- 
mico d'ogni    nequizia    o     misfatto, 
amava  tuttavia  di    credere    più    il 
bene  che  il   male,  e  benché    d' in- 
dole impetuosa    fu    prontissimo  al 
perdono.  Mai  diede  sentenza  in  gra- 
vi affari  senza    consultar    prima    i 
cardinali,  e  soleva  dire,  ch'egli  a- 
mava  in  ogni   proposito  più  di  ri- 
cever consiglio    che    di    darlo.  Fu 
affabile  e  cortese  nel  conversare,  e 
semplicissimo  nella  sua  vita  dome- 
stica.  Alla   gravita  sua  naturale  ac- 
coppiar soleva  la  giovialità    e    go- 

VOL.    XXXV. 


I N N  289 

deva  di  assistere  ai  giuochi  ed  alle 
pubbliche   feste.    Tommaso    Canti- 
pratense  nella  vita  di  s.  Luitgarda, 
presso  i    Bollandisti    a'  16    giugno 
pag.   237,  racconta    che  Innocenzo 
III   dopo  la  sua  morte    comparisse 
alla  santa  circondato  di   fuoco    per 
tre  suoi  peccati,  ovvero  ch'egli  era 
in    purgatorio    per    tre    motivi,    i 
quali   l'autore    non    volle  far  noti 
per  riverenza  di  questo  gran  Pon- 
tefice;   de' quali    per    intercessione 
della    Beatissima     Vergine    si    era 
pentito,  ed  aveva  scansato  le  pene 
eterne ,    ma    non  quelle    in  cui  Io 
vedeva,    che    dovrebbe    soffrire    fi- 
no al  giorno  del  giudizio,  e  per  le 
quali  veniva  a  domandargli  suffra- 
gi, che  la  santa  subito  gli    procu- 
rò dalle  sue  sorelle.  Lo  Spoudano 
negli    Annali    eccl.    an.     12 16;    il 
Pagi  in  Vita  Innocenlii  III}    tom. 
Ili  Breviar.  Rom.  Pont.  num.  110; 
il  Fleury,  Hist.  eccl.    lib.   77,    ed 
altri,  ammettono  questa  apparizio- 
ne   come    probabile    e    verosimile. 
Ma  i  Bollandisti  suddetti,   il  Rinal- 
di an.    12 16,  num.    12,    e  l'Oldoi- 
ni  in  A  cidi  t.  ad    vit.    Innoc.  Ili, 
la  credono  favolosa,    come    contra- 
ria   ai    testimoni    del  Rigoldo,    De 
gest.   Philippi  Augusti,  e  di  s.  An« 
tonino  presso  il  Piatti    tom.    VII, 
pag.    iog,  i    quali  affermano     che 
Innocenzo    III    dopo    innumerabili 
egregie  opere  di   virtù  santamente 
morì.    Ogni    mattina ,    dopo    cele- 
brata la  messa,  recavasi    al  conci- 
storo composto  di  cardinali,  e    tre 
volte  la    settimana    esso    era    pub- 
blico.   Ivi    accoglieva    le  suppliche 
di   tutti  coloro  che  a    lui    ricorre- 
vano, di  qualunque   paese    si    fos- 
sero; e  chiunque  avesse  a  far  qual- 
che    domanda    o    propor    qualche 
partito  per  la  riforma  di  questo  o 
quell'  abuso,    o    a    chiedere    favori 
*9 


29o                   INN  INN 
per  questa  o  quella  chiesa,  o  sug-  dimostrazioni.  Dicemmo  già  che  a 
gerir  qualclte  migliore  costituzione  fuggire    i   grandi  calori   dell'estate, 
per  questo  o  per  quell'ordine  mo-  nocevolissirui    alla    sua   salute,  re- 
nastico,  era  certo    d'aver    benigna  cavasi  alla  campagna  o  iu  qualche 
udienza  da  lui.   Innocenzo  III  non  città  vicina.  Anagni  era  il  soggior- 
si    lasciava    punto    sorprendere    né  no  suo  favorito,  e  cos\  Segni,  luo- 
allucinare ,    tenendo    ne'  concistori  go  ove    al  dir  d'  alcuno    egli    era 
pubblici  dietro  e  con    grandissima  nato,  e    Ferentino   a   cui    traevalo 
attenzione  a  tutte  le  questioni  prò-  l'amicizia  pel  vescovo;    soleva  re- 
poste,   esaminandole    tutte    sottil-  carsi  nella  detta  stagione  anche    a 
mente  ,    domandando    spiegazioni ,  Viterbo,  mentre  all'  uscir    dell'  au- 
prove ,  testimonianze,   documenti,  tunno    ordinariamente  tornava    in 
all'  uopo  d'essere  d' ogni  cosa  mi-  Roma.    Dovunque    ei    si    trovava 
nulamente  informato.  Udiva  senza  gli  affari    aveano   spedizione   come 
impazienza    esposizioni ,    repliche  a  fosse  in  Roma,    non    curante    per 
meglio  dilucidar  le  questioni;    ma  sé  di  riposo,    benché   umanamente 
chi    più    confìdavasi    negli    artifizi  il  concedesse  sì  agli  ecclesiastici  che 
dell'  eloquenza    che    nella    solidità  ai  laici  della  sua  curia.  Una  gran 
delle  ragioni  ingannavasi ,    dappoi-  moltitudine    di    persone    da    Roma 
che   la  sua    perspicacia    sapea    ben  e    da     tutte    le    altre   contrade  del 
distinguere    la    verità    in    mezzo  a  mondo    cristiano   concorrevano    ai 
quelle  arti.  luoghi     dell'  estiva  sua  dimora  :  a 
Non  breve  non    bolla  spedivasi  Viterbo  in    un    mese  si    contarono 
senza    la    sua    partecipazione;    per  quarantamila  forastieri,  essendo  luo- 
la  felice    sua   memoria    ricordavasi  go  comodo  per  essi  e  fornito  dei- 
punto    per    punto  le    discussioni  o  l'occorrente.  Tanto  da  cardinale  che 
le  sentenze  fattesi  già    sullo  stesso  da    Papa    di     frequente    predicava 
proposito,  ond'era  impossibile  alle-  con    profonda    eloquenza    ed    eru- 
gargli una  bolla  falsa  per  aulenti-  dizione;  dai  suoi    sermoni    si  vede 
ca ,    né    alcuno    poteva    superarlo  come    appieno    fosse    dentro    nelle 
quanto  alla    scienza  de' documenti  sacre  Scritture;    parole,   atti,    sen- 
antichi.  Data  spedizione  agli  affari,  tenze  soleva  prendere  in  senso  mi- 
Innocenzo    III    andava  a  desinare,  stico,    ed    amava    sopra    tutto    le 
e  il  suo    pasto  era    semplicissimo  ;  antitesi.  Oltre  le  opere  di  lui  sum- 
mai    non    si    vide  alla   sua    tavola     mentovate,    oltre    le    lettere    ed    i 
vasellame  d'oro  né  d'argento,  tran-  sermoni,  egli    compose  un   trattato 
ne  le  grandi  solennità,  né  mai  era     dell'educazione  de'principi,  e  alcu- 
imbandita  di  più  che  tre  piatti,  e     ni  dialoghi  fra  Dio  e  il   peccatore: 
il     servizio     facevasi     non     già   da  le  lettere    sono  belle  per   la  gran- 
gentiluomini,    ma  solo     da   alcuni  dezza  e  per    la  potenza  de'pensieri 
ecclesiastici  che  avevano  cura  della  e   per  altri    pregi  ;    lettere  alla  cui 
casa.  Se    a  mantener  le  leggi  o  le  compilazione,  se    pure  non  usciro- 
consuetudini  della  Chiesa,  Iunocen-  rono  di  getto  dalla  sua  penna,  egli 
zo  III    trovavasi    obbligalo    a  dar     ha    evidentemente    cooperato.  Due 
tale  sentenza    che    affligger  potesse     raccolte   abbiamo  delle    lettere  del 
questa  o  quella  parte,  sempre  cer-     suo    memorabile    pontificato,    /se- 
cava di     mitigarla    con  amichevoli  slolarum     Innoce/itii    III    wmani 


IHH 

Ponlifìcis    libri  undecìm:  accedimi 
gesta    e/usdem  Innocentii    et  prima 
collecùo     decretalium   coni  posila    a 
Rainerio  diacono  et  monacho  poni- 
postano.    Stephamis    Balutius  tute- 
lensis    in    unum    collegit,  magnani 
partcm  nunc   pr inumi    edidit,  reli- 
qua  emcndavit,  Parisiis  1682.  Que- 
st'opera rarissima,  viene   compiuta 
dall'altra  ancor    più    rara  :    Diplo- 
mata,   cliartae ,  epistolae    et    alia 
documenta     ad   res  francìcas   spe- 
ctantia,  ex  diversis  regni,  exlerna- 
rumque.    regionum   archiviis   ac  hi- 
bliothecis  jussu  regis  christianìssimi 
multo  rum    eruditorum    curis,   più- 
rimum    ad    id  conferente    congre- 
gatone s.  Mauri  ertila.   Notis    il- 
lustrarunt  et    ediderunt    L.    G.   O. 
Feudi ix   de  Brequigny ,  F.    J.   G. 
La  Porte  du  Theil,   Parisiis    1691. 
Questa  raccolta  comprende  nel  pri- 
mo volume  un'  edizione    più  com- 
piuta    delle  Gesta    Innocentii,    di 
quella  che  si    trova  nella    raccolta 
del   Baluzio,  e  nel  Muratori,  Scri- 
ptor.  rer.  Ital.  t.  III.  Il  secondo  vo- 
lume è    tutto    pieno    delle    lettere 
che  mancano  nel   Baluzio.  Le  Ge- 
sta   nou    giungono    che     all'  anno 
1208.     Alcuni    vollero     Innocenzo 
III    anche  versato  nella    medicina; 
egli  avea  in  pregio  tutte  le  scien- 
ze,   e   quelli  che     onoratamente  le 
professavano.  La    parte    del  sapere 
in  cui    Innocenzo   III  era,  ed  esser 
doveva   per  la  sua    condizione,  so- 
prattutto dottissimo,  si  era  la  Litur- 
gia {Vedi),  la  storia  della  Chiesa  cri- 
sliana,  e  più  specialmente  quella  che 
riferì  vasi  al  culto,  ed  al  diritto  cano- 
nico fondato  sulle  decretali  de'suoi 
predecessori.  Le  decisioni  pontificie 
non  furono  mai   tante  quante  sotto 
il  pontificato  d'  Innocenzo    III,  né 
mai    più    dotte,    perocché   egli  ac- 
coppiava    alla    scienza     del    diritto 


INN  291 

canonico  quella  non  men  profonda 
del  diritto  romano,  e  principalmen- 
te delle  Pandette.  La  maniera  in  cui 
Innocenzo  III  sbrogliò  e  sciolse  le  più 
difficili  questioni  di  diritto,  rende  te- 
stimonianza della  sagacità  sua,  della 
ponderazione  ch'egli  poneva  in  tut- 
to ciò  che  veniva  sottoposto  al  suo 
giudizio,  e    delle    sue    vaste  cogni- 
zioni in  questa    parte  della  giuris- 
prudenza di    que'giorni  con     tanto 
favor  coltivata.  Parecchi  dei  rescrit- 
ti suoi,  contenenti  esami,  spiegazio- 
ni,  risoluzioni,    possono    aversi    in 
questo  genere  per  capolavori;  laon- 
de    Bernardo  di     Compostella    nel 
quarto  anno  del    pontificato  stimò 
bene  raccogliere    in  un  corpo  tut- 
te le  sue  decisioni,  che  per  non  a- 
ver  avuto    la   superiore    sanzione, 
sotto    il    titolo     di    Romana    potè 
servire  per    uso     privato.  Dopo  di 
lui  il     diacono    Ranieri  mentovato 
continuò    la    medesima     opera,  cui 
die    il    nome    di    Prima,    ma  non 
fu  solennemente  riconosciuta.   Solo 
nel  duodecimo  anno  del  pontifica- 
to d'Innocenzo  III,  questi  die  com- 
missione   a    maestro    Pietro  Morra 
di  Benevento,    di  compilar    questa 
raccolta  che  fu  da   lui    approvata, 
onde     lo     premiò    col  cardinalato. 
All'occasione   del  concilio    generale 
Lateranense  il    Papa  fece  accresce- 
re la  raccolta  colle  decisioni  e  pre- 
cetti posteriori,  che  poi  venne  in- 
corporata in  quella    voluminosa   di 
Gregorio  IX.    Compresovi  il   Regi- 
strum  de  negolio  itnperii,  si   fanno 
ascendere     tutte  le    lettere  d'Inno- 
cenzo HI    a    seimila,    sommamen- 
te importanti  per  la  storia  di  quei 
tempi,   per   l'amministrazione   inter- 
na   della  Chiesa,    e  per  la     cogni- 
zione    delle    particolari    condizioni 
e  del   gius  pubblico    di  que'tempi 
medesimi. 


*ga  INN 

Innocenzo  III  avea  per  costume 
eli    vivere,    viaggiando,     a    proprie 
spese,  né     mai    volle    farsi  spesare 
dalle  chiese,  com'  era  la  consuetu- 
dine.  Dal  dì  della    sua    esaltazione 
destinò  tutti   i  doni  che  si  offriva- 
no nella    chiesa    di    s.    Pietro  e  il 
decimo  de'  suoi    redditi  a   sollievo 
de'  poveri,    e    così     tutti    mandava 
al  suo  elemosiniere  i    presenti  che 
solevansi  deporre  a'  suoi  piedi,   li- 
na parte  del  denaro  che  trovavasi 
nella    camera    apostolica    alla    sua 
esaltazione,  fu  da  lui  messa  da  par- 
te   per    provvedere    ai    bisogni   re- 
pentini, e  il   resto    fu    fatto  distri- 
buire ai   conventi   fuori    di  Roma  ; 
tutti  i  luoghi  di     pubblica  benefi- 
cenza    furono     dotati;     moltissime 
chiese  ebbero  doni,  e  ben  quaran- 
tamila lire  furono  da    lui  ripartite 
fra  le  persone    della    sua  casa  così 
ecclesiastiche  come  secolari.  Reputò 
suo  obbligo  dar  da    mangiare  agli 
affamati,   vestir    gli    ignudi,  soccor- 
rere gli  infermi,    dotar    povere  zi- 
telle, aver  cura  de'  figliuoli  abhan- 
donati,  vivendo  de'  suoi  doni    reli- 
giosi e  monache  indigenti.    Al  suo 
elemosiniere  specialmente  raccoman- 
dava  i  poveri   vergognosi,  eh'  erano 
beneficati   ogni   settimana  con  dena- 
ri, pane,   vitto  e   vestito.    Alla  fine 
del  suo  desinare  poveri    giovanetti 
venivano    a  prendere     gli     avanzi; 
ogni    sabba to    lavava  e     baciava    i 
piedi  a  dodici  poverelli,  poi  faceva 
dar  loro  da   mangiare  e  dodici  mo- 
nete   d'  argento     per    ciascheduno; 
pagava  i   debiti  ai    conventi,  e  già 
dicemmo  quanto  soccorresse  Terra 
Santa.    Laonde  l'accusa  d'  ingordi- 
gia d'  oro  datagli  da  Matteo  Paris 
e  da  altri    cade  da     sé.   Innocenzo 
III,  seguendo  1'  esempio  di  Clemen- 
te III  suo  zio  e  predecessore,   con- 
tribuì pur  molto   all'  abbellimento 


TNN 
di  Roma.  Da  cardinale  consumò 
gran  parte  del  suo  patrimonio  nei 
restauri  della  sua  diaconia,  da  Pa- 
pa ebbe  la  stessa  sollecitudine  pel 
tempio  di  s.  Pietro,  e  fece  ancora 
restaurare  la  chiesa  di  s.  Sisto- 
Sotto  il  suo  pontificato  comincia- 
rono a  fiorire  le  arti,  massime 
1'  architettura,  e  Marcinone  d'  A- 
rezzo  architetto  e  scultore  rinoma- 
to ebbe  da  lui  commissione  di  fab- 
bricar parecchi  edifizi.  Presso  la 
chiesa  di  s.  Pietro  eresse  un'  abi- 
tazione pei  Pontefici  ;  abbellì  ed 
ingrandì  il  palazzo  lateranense  ; 
restaurò  ed  ampliò  il  celebre  0- 
spedale  di  s.  Spirilo  in  Sassia 
(Fedi),  che  riuscì  un  monumento 
degno  della  metropoli  del  mondo 
cristiano,  siccome  lo  è  tuttora.  Im- 
piegò Innocenzo  III  grosse  somme 
nelle  chiese  di  Roma  e  di  altro- 
ve, con  abbellimenti  e  copiosi  do- 
nativi ;  ed  in  Roma  particolarmen- 
te quelle  di  s.  Paolo  e  di  s.  Lo- 
renzo fuori  le  mura,  di  s.  Maria 
Maggiore,  di  s.  Maria  sul  Monte 
Aventino,  sperimentarono  la  sua 
munificenza.  La  propria  cappella 
poi  provvide  di  vasi  d'  oro,  di 
nuovi  abiti  pontificali  d'  ogni  co- 
lore, e  di  stoffe  d'  oro  trapunte 
di  perle,  sì  eh'  ella  vinceva  tutte 
le  altre  nella  ricchezza  delle  mate- 
rie e  del  lavoro.  Dichiara  1'  ulti- 
mo suo  degno  biografo,  che  dopo 
Innocenzo  III  la  cattedra  di  s. 
Pietro  non  vide  mai  Pontefice  più 
illustre  di  lui  per  l'ampiezza  del  sa- 
pere, per  la  purità  de'  costumi,  e 
per  r  importanza  de'  benefizi  resi 
alla  Chiesa,  per  modo  eh'  ei  fu 
chiamato  il  più  potente,  non  solo, 
ma  sì  pure  il  più  saggio  dei  Papi 
che  dopo  s.  Gregorio  VII  illustras- 
sero il  soglio  pontificio.  Ben  dun- 
que doveasi  a  questi  due  gran  Gè- 


rarchi  che  noi  ne  facessimo  la  bio- 
grafia   più    assai    ampia    di  quelle 
di     tutti    gli    altri     predecessori    e 
successori,   avuto     riguardo  all'  in- 
comparabile cumulo  de'  fasti  e  del- 
le clamorose  circostanze  e  singola- 
ri   avvenimenti    che    segnalarono  i 
loro  due  gloriosi    pontificati,  come 
già   protestammo  più   sopra;  e  qui 
inoltre  ripeteremo     che    moltissime 
cose    appena    accennammo,    perchè 
esse  come   tutte  le  altre  hanno  par- 
ziali articoli  in  questo  Dizionario. 
Pur  tuttavia   moltissimi   provarono 
piuttosto     allegrezza     che     tristezza 
alla  nuova  inattesa  della    morte  di 
Innocenzo  III,    a    cagione  dell'  ac- 
crescimeuto  da  lui    dato    all'  auto- 
rità e  splendore  della    santa  Sede, 
della    mirabile    fermezza    con     che 
seppe     condurre    il      timone     della 
mistica    navicella.    £    quanto     agli 
scrittori,    che    venuti    dopo    il  suo 
secolo  accolsero    le     calunnie  spac- 
ciate   intorno    a    questo     Pontefice 
da  alcuno    de'  suoi    contemporanei 
ferito    neh'  interesse     o    nell'  amor 
proprio,    essi    vollero     piuttosto  in 
ciò  ascoltar  le  loro  private  passio- 
ni  che  investigar    diligentemente  le 
azioni,  e  particolarmente    le  inten- 
zioni d'  Innocenzo     III.   In  ben  di- 
verso    modo      giudicarono     questo 
gran   Papa  altri  scrittori,  che  spo- 
gli delle    male  preoccupazioni     del 
secolo,  meglio  seppero    conoscerlo  e 
stimarlo,  che   le    false    o  esagerate 
relazioni  dettate  da  spirito  di  par- 
te, le  quali  non  si  debbono  tenere 
iu   conto  di   verità   storiche. 

Lo  stesso  Giannone,  nemico  giu- 
rato de' Papi,  dichiarò  essere  stato 
Innocenzo  III  un  Pontefice  a  cui 
molto  deve  la  Chiesa  romana,  per- 
chè colla  sua  accortezza,  e  molto 
più  per  la  sua  dottrina,  la  ridusse 
nel     più    alto    e     sublime    stato,   e 


INI*  a<j3 
che  avea  saputo  soggettarsi  quasi 
tutti  gli  stati  e  principi  d'  Europa, 
i  quali  da  lui  come  oracolo  dipen- 
devano. Tanto  si  legge  nella  sua 
storia  civile  del  regno  di  Napoli.  Se 
il  di  lui  pontificato  dovette  una  par- 
te del  suo  splendore  a  quel  con- 
corso di  avvenimenti  straordinari 
che  serve  a  sviluppare  tutta  V  e- 
nergia  delle  anime  grandi,  può  pe- 
rò dirsi  ancora  eh'  ei  trovò  sem- 
pre in  sé  stesso  e  nella  vasta  sua 
mente  i  mezzi  proporzionati  ai  bi- 
sogni delle  circostanze  in  cui  do- 
vette vivere.  Ecco  poi  come  si 
esprime  il  eh.  Saint-Cheron  tra- 
duttore di  Hurter,  in  diversi  luo- 
ghi della  sua  introduzione.  »  Or 
bene  1  Innocenzo  III  ebbe  al  pari 
di  Gregorio  VII  contro  di  se  le 
passioni,  i  rancori,  gli  odii  gallica- 
ni, giansenistici,  parlamentari,  filo- 
sofici, razioualisti,  che  da  tre  se- 
coli accecano  1'  umano  intelletto 
sull'  indole  della  chiltà  del  medio 
evo  e  sul  genio  de'  suoi  più  gran- 
di   uomini Nella    bella  storia 

di  s.  Elisabetta  di  Montalernbert, 
nella  sua  introduzione,  eh'  è  un  si 
compiuto  ed  eloquente  ritratto  del- 
la prima  metà  del  secolo  decimo- 
terzo, esso  parlò  condegnamente 
di  quest'  uomo,  che  nel  vigor  del- 
l' età,  dovea,  sotto  il  nome  d'  In- 
nocenzo III,  combattere  con  invitto 
coraggio  contro  tutti  gli  avversari 
della  giustizia  e  della  Chiesa,  ed 
offrire  al  mondo  per  avventura  il 
modello  più  perfetto  che  sia  di  un 
sommo  Pontefice,  il  tipo  per  ec- 
cellenza del  vicario  di  Dio.  Il  no- 
me d'  Innocenzo  III  desterà  mai 
sempre  la  memoria  d'  uno  dei  per- 
sonaggi che  più  rispleuderono  nel- 
la scena  del  mondo,  e  d'  un  di 
quegli  eziandio  de'  quali  la  spas- 
sionala filosofia  avrà    più  diwcoltà 


a94  INN 

a    definire    precisamente    le    virtù 

ed  i  difetti  di  cui  fu  tacciato 

Innocenzo  III  dee  mostrarsi  ben 
più  degno  di  lode  che  di  biasimo; 
la  perizia  sua  nelle  scienze,  la  sua 
erudizione  in  belle  lettere,  il  suo 
acume  nelle  cause  di  giurispruden- 
za, l' integrità  sua  abituale  ne'giu- 
dizii,  1'  autorità  ancor  di  presente 
inconcussa  delle  sue  decisioni  in 
argomento  di  diritto  ecclesiastico, 
l'instancabile  applicazione  sua  alle 
cure  del  governo,  1'  attitudine  sua 
al  lavoro,  la  purità  de'  suoi  costu- 
mi generalmente  riconosciuta,  final- 
mente la  moltitudine  di  elette  qua- 
lità che  i  più  violenti  suoi  detrat- 
tori medesimi  non  seppero  altri- 
menti negargli,  non  renderan  noi 
persuasi  esser  egli  stato  più  degno 

di  lode  che    di    biasimo? Il 

principal  fine  della  presente  storia 
è  la  confutazione  di  tante  erro- 
nee opinioni,  di  tanti  pregiudizii  e 
bugiardi  asserti  intorno  al  papato 
nel    medio    evo,    ed    in  ispezialità 

intorno    ad    Innocenzo    III 

Fra  tanti  uomini  che  nel  corso  dei 
secoli  acquistarono  grande  impor- 
tanza nella  storia ,  nessuno  più 
de'  Papi,  e  di  questi  nessuno  più 
d'  Innocenzo  III,  toccò  più  spesso 
la  disgrazia  d'  essere  mal  giudica- 
to, perchè  giudicati  furono  senza 
guardar,  come  si  doveva,  al  tem- 
po in  cui  vissero  e  ai  doveri  del 
ministero  loro  ". 

Inoltre  Innocenzo  III  accrebbe  la 
gloria  della  Chiesa  trionfante  con  la 
canonizzazione  de'  santi  Omobono, 
Cunegonda  imperatrice,  Guglielmo, 
Wulstano,  Procolo,  Pietro  di  Ca- 
stelnuovo  e  Gilberto;  ed  aumentò 
il  lustro  della  Chiesa  militante  con 
approvare  gli  ordini  religiosi  della  ss. 
Trinità  della  redenzione  degli  schia- 
vi,   dei  canonici  regolari  spedalieri 


INN 

di  Montpellier,  do'oertosini  di  Val 
di  Choux,  e  de'francescani  mino- 
ri, confermando  quello  degli  umi- 
liati, e  l'equestre  di  s.  Benedetto  d'A- 
viz  nel  Portogallo.  Anche  il  «acro 
collegio  de'cardinali  fu  da  Innocen- 
zo III  illustrato  con  esaltare  alla  di- 
gnità del  cardinalato  cospicui  per- 
sonaggi. Di  ventotto  cardinali  che 
Innocenzo  III  trovò  nell'atto  della 
sua  esaltazione,  tre  soli  gli  soprav- 
vissero, fra'quali  Cencio  Savelli  che 
gli  successe  col  nome  di  Onorio  III; 
egli  in  otto  differenti  promozioni  o 
nominazioni  creò  trentuno  cardinali 
ed  undici  in  altri  tempi,  in  tutti  qua- 
rantadue al  dire  del  Cardella,  uno 
de'quali  fu  il  suo  parente  che  di- 
venne Gregorio  IX.  Monsignor  Fran- 
cesco Bosquet  vescovo  di  Montpel- 
lier, alle  lettere  d'Innocenzo  III,  che 
pubblicò  in  Tolosa  nel  i632,  pre- 
mise la  Vita  Innocentii  III  ab  a~ 
nonymo  conscripta,  et  e  codice  Fu- 
xiensi  mene  primum  edita.  Federico 
Hurter  autiste  o  presidente  del  con- 
cistoro protestante  di  Sciaffusa,  nel 
i834  in  due  primi  volumi  ed  in 
lingua  tedesca  pubblicò  in  Ambur- 
go per  Federico  Perthes  la  sua  Sto- 
ria di  Papa  Innocenzo  III  e  dei 
suoi  contemporanei,  ed  il  terzo  vi- 
de la  luce  nel  18 38.  Di  quest'ope- 
ra dal  medesimo  tipografo  in  Am- 
burgo fu  pubblicata  in  tre  volumi 
una    seconda    edizione    negli    anni 

1841-1842.  ^ssa  ^u  adotta  in  i- 
dioma  francese  nel  i838  stesso  da 
Alessandro  de  Saint-Cheron  e  da 
Giambattista  rjaiber,  ed  il  primo 
vi  premise  una  bella  introduzione 
o  discorso  preliminare,  meritando 
il  Saint-Cheron  per  la  sua  magi- 
strale traduzione  gli  encomi  dello 
stesso  autore,  il  quale  dichiarò  di 
non  riconoscere  altre  traduzioni,  per 
cui  il  di  lui  lavoro  può  tener  luo- 


go    di  originale.  Sulla  seconda    e- 
dizione  di  tal  francese  traduzione  il 
cav.  ed  abbate  Cesare  Rovida,  non 
sema   consultare  l'originale  tedesco, 
fece  la  sua  versione  in  italiano,  che 
in    tre  tomi  fu  pubblicata  in    Mi- 
lano da  Giovanni    Resnati  coi  tipi 
Ronchetti  nel  i83g:  essa  ha  nel  prin- 
cipio una  lettera    del  vescovo  del- 
la Rocella  monsignor  Clemente  Vil- 
lecourt ,  di    splendido    elogio     per 
l'Hurter,  dicendogli  che  tutti  i  suoi 
desiderii  ad  altro  non  miravano  che 
alla  sua  presente    ed  eterna  felici- 
tà, applicandogli    il  seguente  passo 
dell'Ecclesiaste:  «  Essendo  sapientis- 
simo istruì  il  popolo  .  .  .  ricercò  pa- 
role vantaggiose,  e  scrisse  documen- 
ti rettissimi  e  pieni  di  verità  ".  Nello 
stesso  anno    i83g  ed  in  Milano  e- 
ziandio  sulla  francese  traduzione,  in 
due  tomi  la  tipografia  d'Angelo  Ron- 
fanti  ci  diede  la    versione  pure  in 
lingua  italiana    di  Luigi  Toccagni. 
Iu  Roma  negli  Annali  delle  scien- 
ze religiose  sino  dal   i836e  1837, 
ne' voi.  Ili,  p.    161,  e  IV,  p.  54, 
sì  pubblicò  l'analisi  di  Giuseppe  Es- 
slinger  della  storia  dell'Hurter  ;  quin- 
di nel  voi.  XI  del   1840  a  p.  3y4 
venne  pubblicata  l'analisi  e  riflessio- 
ni sulla  medesima  storia  del  p.  Gio- 
vanni Perrone  della  compagnia  di 
Gesù,    già    letta  nell'accademia    di 
religione    cattolica  e  stampata    an- 
che a  parte  in    Roma    dalla  tipo- 
grafia   delle  belle  arti.  Il    giudizio 
che  questi  due  ultimi    dotti  hanno 
proferito  sulla  storia  d'Innocenzo  III, 
siccome  eminentemente  cattolica  ed 
assai  onorevole  per  la   santa  Sede, 
è    un  nuovo   tributo  di  lode    reso 
al  sommo  merito  ed  alla  imparzia- 
lità dello  storiografo  Hurter,  il  quale 
tuttoché  allora  protestante  volle  far- 
si difensore  di  un  Pontefice,  che  fu 
verameute  la  gloria  del  suo  secolo. 


INN  295 

Il  dotto  Saint-Cheron  nella  sua 
bella  introduzione  della  sua  diligen- 
te traduzione  in  francese  della  sto- 
ria di  Hurter,  dice  che  l'opera  di  es- 
so **  distinguesi  fra  tutte  le  produzio- 
ni storiche  della  Germania  protestan- 
te, per  un  grado  più  eminente  di  sa- 
pere, per  una  più  profonda  cogni- 
zione degli  uomini,  delle  idee,  de- 
gli affetti,  dei  costumi,  degli  avve- 
nimenti religiosi  e  politici  del   me- 
dio evo.  In  essa  ci  ha  più  che  im- 
parzialità, ci  ha  una  calda  simpatia, 
ci  ha  dell'amore,  e  oserei  dire  per- 
fin  della  fede.  Pel  corso  di  ventan- 
ni   il  ministro    protestante    Hurter 
concentrò  i  suoi  pensieri,  tutti  i  suoi 
studi  nel  regno  e  nel  secolo  del  Pon- 
tefice eh' è  la  personificazione  com- 
piuta e  piìi  sfolgorante  che  sia  del 
papato  nel  medio  evo ....  Il  papato 
era    il  pensiero  ond'era    continua- 
mente preoccupato   il  nostro  Hur- 
ter, il  papato    era  destinato  a  no- 
verarlo fra'suoi  vendicatori  ".  Il  eh. 
Esslinger    autore    protestante  della 
Germania,  convertito  alla  religione 
cattolica,  nella  sua  analisi   ci  atte- 
sta che  la  dotta  Germania  con  me- 
ritati applausi  accolse  la  vita  d'Inno- 
cenzo III  compilata  da  Hurter,  cioè 
d'un  Pontefice  la  cui  mente  all'idea 
elevossi    la  più    ampia    e   sublime 
che  si  abbia  mai    avuto   del  som- 
mo pontificato,  idea  che  nel  più  e- 
nergico  ed  esteso  modo  fu  nel  regno 
di  lui  effettuata.  Egli  opina,  nel  dar 
l'idea  tenuta  dall'Hurter  nel  suo  la- 
voro, che  tre  meriti  in  esso  si  tro- 
vano; cioè  una  maravigliosa  cogni- 
zione delle  più   minute  circostanze 
del  tempo  di    cui  tratta;  una  tale 
abilità  nel  descrivere,  che  ci  fa  vi- 
vere in  mezzo  agli  avvenimenti  che 
racconta;  in  fine  un  gran  numero 
d'istruttive  e  profonde  riflessioni  det- 
tate da  massime  sanissime  iu  poli- 


296  IN  21 

tica  e  religione.  Chiude  l'Esslinger 
l'esame    dell'opera    di    Hurter    con 
queste  parole  :  »  Nel  considerare  che 
un  protestante  si  è  dimostrato  nel- 
la  storia  d'un  Papa  (da  storici  su- 
perficiali   anche  cattolici  tante   vol- 
te maltrattato  )  tanto  affezionato  al- 
le massime  della  vera  Chiesa,  quan- 
to profondo  e  sagace  indagatore  dei 
fatti  di   un   tempo  rimoto,  ci  torna 
alla   mente  una  bella  riflessione,  di 
cui    Hurter  è    al  tempo  stesso    ed 
autore  ed  esempio  illustre.  Si  può 
applicare,  dic'egli,  alla  storia  ciò  che 
Bacone  dice  della  filosofia  :    Levio- 
res  haustus  avocanl  a  Deo,  plenio- 
res  ad  Deum  reducunt;  ed  in  quan- 
to al  nostro    egregio    autore    pos- 
siamo aggiungere:  et  reducunt  (  in- 
ternamente per  lo   meno  )  ad  Dei 
Ecclcsiam  sanctam  catliolicam  ro- 
vianani  ".  E  lo  si  verificò  trionfal- 
mente.   Questo   esame    amplissimo 
dell'Esslinger  sulla  storia   d'Hurter 
fu    citalo    dal     Saint-Cheron    onde 
spiegar  l'immaginaria  distinzione  fra 
l'accettazione    degli    uomini    e    dei 
fatti,  e  l'accettazione  de'principii,  ri- 
portandone analoghi  tratti.  L'anali- 
si poi  del  profondo  teologo  p.  Per- 
rone  è  condotta  in  un  modo  assai 
diverso  dalla  lodata,  imperocché  la 
grand'opera  dell'Hurter  viene  con- 
siderata sotto  due   generali  aspetti, 
materiale  e  formale,  da'quali  scen- 
dono  importanti    considerazioni    e 
non  raen   utili  conseguenze:  il  ma- 
teriale essendo  la   tela,  il  campo,  il 
fondo  storico  del  lavoro;  il  forma- 
le   abbraccia  lo  spirito    che  lo   in- 
forma ed  avviva,  i  principii,  le  ve- 
dute, le  tendenze  dell'autore  nel  de- 
lineare e  colorire  gli  storici  fatti.  Ri- 
trovò il  p.  Perrone  in  cotal  opera 
la  formale  condanna  della  setta  dei 
protestanti,   alla  quale  apparteneva 
allora  Hurter, almeno  esteriormente, 


INN 
chiudendo  l'analisi  colla  seguenti  di- 
chiarazioni. «  Di  più  l'odio  e  le  si- 
nistre prevenzioni  di   tanti  contro   i 
romani  Pontefici,   e    in  ispeeial  ma- 
niera contro  Innocenzo  III,  vengo- 
no a  rompersi  al  raffronto  della  vita 
da  lui  descritta  con  tanta  ingenui- 
ta,  e  al  lume  di  numerose  e  sotti- 
li ricerche  d'una  critica  la  più  se- 
vera, qual  è  quella  del  nostro  sto- 
rico. In  essa  si  appalesa  l'eroe  e  la 
vita  del  suo  secolo,  l'uomo  magna- 
nimo e  grande,  forte  e  giusto,   mo- 
derato e  clemente,  attivo  e  saggio; 
il  Pontefice  cristiano  intorniato  dal- 
la brillante  aureola  di  tutte  le  vir- 
tù, il    padre  dei  popoli,    il    tutore 
de'rispettivi  diritti  de'sovrani  e  dei 
sudditi,  l'universale  rifugio  degli  in- 
felici, il  difensore  e  il  propagatore 
della  fede,  il  sostegno  inconcusso  del 
diritto  e  della  libertà  europea.  Ma 
questo  stesso  irritò  gli  animi  de'pro- 
testanti  contro  dell'  Hurter.  Una  fie- 
ra tempesta  si  suscitò  • 'danai  di  lui  : 
trovasi  egli  omelia  mischia.  Dio  vo- 
glia, e  noi  ce  ne  confidiamo,  che  vin- 
cendo egli  ancora  qualche  rimanen- 
te ostacolo,  trionfi  di  sé  stesso,  on- 
de il  suo  nome   con  tanti  altri   il- 
lustri, che  lo  precorsero  nel  diffici- 
le ed  onorato  arringo,  venga  regi- 
strato   tra    i  forti    che  trionfarono 
similmente  di  sé    col  far  ritorno  a 
quella  Chiesa,  ch'è  stata  ed  è  mai 
sempre  l'unica  arca    di  salvamento 
ed  asilo  di  pace  !  Consoli   egli  e  ral- 
legri questa  Chiesa,  che  in  sé  rac- 
chiude tante  manifeste  impronte  del 
Dio  che  la  fondò,  questa  religione 
figlia  del  cielo,  la  cui  influenza  sul- 
la mente  e  sul  cuore  della  passeggie- 
ra  umanità  vien  così   maravigliosa- 
mente personificata  di  secolo  in   se- 
colo nei  supremi  Pontefici  suoi  "..Fe- 
derico Hurter  consolò  in  fatti  la  Chie- 
sa, riempi  di  fraterna  e  religiosa  le- 


INN 

tizia  i   cattolici  suoi  ammiratori,  ed 
accrebbe  il  lustro  ad  Innocenzo   III, 
pel  quale  avendo  conosciute  perfet- 
tamente le  verità  cattoliche,  in  Ro- 
ma a'  16  giugno    i844  abiurò  so- 
lennemente gli  errori  della  sua  set- 
ta con  universale  edificazione,  e  fu 
abbracciato  paternamente  dal  Papa 
che  regna  Gregorio  XVI,  indi  distin- 
to qual  diletto  ed  illustre  figlio  pri- 
ma col  decorarlo  delle  insegne  e  del 
grado  di  cavaliere  dell'ordine  di  s. 
Gregorio  I  Magno  da  lui  istituito, 
poi  nell'ottobre    i845|  nel   suo  ri- 
torno   in    Roma ,     di     commenda- 
tore dell' istesso  ordine.    La  descri- 
zione di  questa  abiura  la  facemmo 
all'articolo  Germania,  ove  pure  par- 
lammo   di  altre    celebri  opere    del 
cav.  Hurter,  cioè  nel  voi.  XXIX,  p. 
96,   210  e  111  del  Dizionario.  Qui 
appresso  riportiamo    l'elenco    delle 
principali  :   I.   Storia    del   re    Teo- 
dorico,  SciafFusa    1807.    II.    Storia 
d'Innocenzo  III  ec.  III.  Allocuzio- 
ni come,  autiste  ai    suoi    collegiani 
parrochi,  e  prediche,    SciafFusa    ti- 
pografia Hurteriana  1  838.  IV.  L'au- 
tiste Hurter  ed  i  suoi  collegiani  pa- 
stori, ivi    1839.  V.    Descrizione  del 
viaggio  di  Federico    de    Hurter  a 
Presburgo  ed  a   Vienna,  ivi    1840. 
VI.  Delle  istituzioni  e  delle  costu- 
manze della  Chiesa  nel  medio  evo 
e  particolarmente   nel    secolo  XII} 
Amburgo    per    Federico    Perthers; 
e  Parigi    1 843,  traduzione  francese 
dall'alemanno     del     eli.     Giovanni 
Cohen.   Il   p.   d.    Giovanni    Strozzi 
de'  canonici  regolari  del  ss.   Salva- 
tore lateranensi,  prefetto  degli  studi 
di  detta  congregazione  e  lettore  in 
sacra  teologia,  ne    fece    argomento 
di  dotta    dissertazione    ed    analisi  , 
che  lesse    con    applauso    nell'acca- 
demia di   religione  cattolica   in  Ro- 
ma il   22  agosto    i844j    e    meritò 


I  « N  297 

non  solo  di   essere    pubblicata    nel 
l.°  volume  della  serie  seconda  de- 
gli  Annali  delle    scienze    religiose, 
ma  ancora  a  parte  ,    col    titolo  di 
Ragionamento,  dalla  tipografia  del- 
le belle  arti  in    Roma    nel     i84j. 
VII.  La  persecuzione  della  Chiesa 
cattolica  nella  Svizzera  comincian' 
do  dal   1 83  r  fino  al   1840,  Sciaf- 
fusa    tipografia    Hurteriana     1842, 
Vili.   La  persecuzione  contro  i  cat- 
tolici inArgovia  nella  Svizzera,  ed 
il  furore  del  radicalismo  in  Isviz- 
zera,  ivi    i843.    IX.    S.   Agostino, 
la  sua  vita,  sua  dottrina  e  le  sue 
opere,    ivi     1 843  :    traduzione    dal 
francese  in  tedesco.   X.   Le  più  ri- 
marcabili   conversioni    al    cattolì- 
cismo  del  nostro    secolo    XIX,   ivi 
i844-  Quest'  opera  in   gran   parte 
è  una   traduzione  di  quella  dell'ab- 
bate Rohrbacher  in  lingua    teuto- 
nica. XI.    Nascita    e    rinascila    di 
Federico  Hurter,    o    ricordi   della 
mia  vita,  ivi    i845.  XII.   I  doveri 
de'  sacerdoti,  ivi    184^:    traduzio- 
ne dal  francese  in  tedesco.  XIII.  In- 
nocenzo III  Papa  sopra  il  sacri- 
fizio, ivi    184?:  traduzione  dal  la- 
tino in  tedesco.  XIV.    Breve    isto- 
ria dell'ordine  de'  gesuiti,  ivi  184^. 
Queste  sono  le  più  importanti  sue 
opere,  tutte  interessantissime,  senza 
nominare  un  gran  numero  di  pic- 
coli fascicoli,  allocuzioni  ed  articoli 
pubblicati  dal    medesimo    Hurter , 
il  quale   quanto    prima    darà   alla 
repubblica    letteraria    altre    opere. 
Il  sullodato  Saint-Cheron  nel  1844 
pubblicò  in  Parigi  :   La  vita,  i  tra- 
vagli, la  conversione    di  Federico 
Hurter  antico  presidente    del  con- 
cistoro  di   Sciajfusa.    Alle    notizie 
biografiche    date    di    questo    bene- 
merito scrittore  in  questo    articolo 
e  in  quello  citalo  di  Germwia,  ag- 
giungeremo, che  nacque  nel   1787 


298  INN 

<la  nobile  ed  antica  famiglia,  es- 
sendo il  padre  gonfaloniere  di  Sciaf- 
fusa  comune  patria.  Ivi  studiò,  ma 
la  teologia  l'apprese  nell'università 
di  Gottinga  ;  indi  fece  un  viaggio 
in  Olanda  e  nelle  Fiandre.  Il  pa- 
trio sinedrio  lo  dichiarò  degno  d'es- 
sere pastore;  lo  fece  antiste  e  nel 
1807  gli  affidò  una  parrocchia  ru- 
rale. Nel  1 835  fu  elevato  alla  rag- 
guardevole carica  di  antiste  del 
clero  di  Sciaflusa  ,  e  l' occupò  con 
decoro  sino  al  1840,  dopo  essere 
stato  curato  di  altre  parrocchie. 
Fu  in  tale  epoca  che  accusato  di 
troppo  amore  pei  cattolici  egli  ri- 
nunziò tutti  gli  uffizi.  Nel  1841  fu 
a  Vienna  ed  a  Presburgo,  nel  1842 
a  Parigi,  nel  1 844  a  Roma  ove 
effettuò  la  sua  abiura.  Nel  seguen- 
te anno  l'imperatore  d'  Austria  lo 
nominò  consigliere  aulico  ed  isto- 
riografo  dell'impero,  e  lasciata  la 
Svizzera  ritornò  nella  sua  predilet- 
ta Italia,  ed  all'amata  Roma,  don- 
de si  ridusse  a  Vienna  colla  con- 
sorte della  cospicua  famiglia  Am- 
man, la  quale  è  disposta  ad  ab- 
bracciare il  cattolicismo.  Hurter  ha 
cinque  figli  viventi,  e  sono:  i.°  Fe- 
derico proprietario  dell'antica  e  fa- 
mosa tipografia  Hurteriana  di  Sciaf- 
fusa,  affezionato  alla  religione  cat- 
tolica, ma  ancora  protestante.  i.° 
Francesco  uffiziale  austriaco ,  che 
abbracciò  il  cattolicismo  nel  1845. 
3."  Enrico  studente  I*  architettura 
in  Monaco,  fece  altrettanto  in  det- 
to anno.  4-°  Ferdinando,  5.°  Ugo: 
questi  pure  nel  184^  professarono  la 
fede  cattolica,  e  per  benignità  del 
Papa  regnante  sono  ora  alunni  nel 
collegio  Urbano  di  Roma.  Dopo  la 
morte  d'Innocenzo  III  la  santa  Se- 
de vacò  poco  più  d'un  giorno. 

INNOCENZO  IV,  P.  CLXXXVII. 
Sinibaldo  Fieschi  o  Fiesco,  una  del» 


INN 

le  primarie  famiglie  di  Genova,  nac- 
que nella  città  di  questo  nome,  nel 
superbo  palazzo  paterno,  da  Ugo  od 
Ugone  conte  sovrano  di  Lavagna  ex 
nob'dibus  imperli,  e  dalla  figlia  di 
Amico  Grillo,  uomo  eminente  fra 
gli  altri  per  la  dignità  consolare 
della  repubblica.  Professò  la  rego- 
la monastica  benedettina  nel  mona- 
stero di  s. Benigno  di  Fluttuarla  nel 
territorio  di  Torino,  come  scrive 
Giorgio  Eggs  a  p.  442  del  suo  li- 
bro intitolato  Pontificiuni  doctum. 
In  seguito  si  applicò  con  meravi- 
glioso successo  allo  studio  delle  scien- 
ze, per  cui  divenne  profondo  cano- 
nista. Il  vescovo  di  Parma  Opizzo- 
ne  suo  zio,  sotto  la  cui  disciplina 
avea  applicato  ai  primi  suoi  studi, 
lo  fece  canonico  della  cattedrale . 
Condottosi  a  Roma,  venne  tosto  tra- 
scelto per  giudice  in  molte  cause,  e 
dichiarato  uditore  delle  contraddet- 
te; indi  dato  per  compagno  al  car- 
dinal Ugolino  Conti  poi  Gregorio 
IX,  nel  viaggio  che  fece  a  Geno- 
va per  sedare  le  discordie  accese 
tra 'genovesi  e  i  pisani,  e  poi  depu- 
tato al  governo  della  Marca,  a  cui 
presiedè  per  lungo  tempo  con  fa- 
ma d'integrità  e  prudenza.  Quan- 
tunque distolto  da  tante  e  s\  va- 
rie occupazioni,  seppe  trovare  il  tem- 
po da  scrivere  alcuni  dotti  commen- 
tari sopra  i  cinque  libri  delle  decre- 
tali, ed  altre  opere  ricordate  dal 
Bellarmino  nel  suo  libro  degli  Scrit- 
tori ecclesiastici  alla  p.  4^o.  Ono- 
rio III  nel  1-235  gli  conferì  il  ve- 
scovato di  Albenga  insieme  colla 
carica  di  vice-cancelliere  della  san- 
ta romana  Chiesa.  Gregorio  IX  nel 
settembre  del  1227  nella  sua  pri- 
ma promozione  che  fece  in  Roma, 
o  meglio  in  Anagni  come  vuole  il 
Ciacconio,  lo  creò  cardinale  dell'or- 
dine dei  preti,  conferendogli  per  ti- 


imi 

lolo  la  chiesa  di  s.  Lorenzo   in  Lu- 
cina, poscia  lo  nominò  legato  della 
Marca.  Dopo  la  morte  di  Gregorio 
IX  (yedi),  per  quegli   awenimen- 
ti    che    notammo    a    quell'articolo, 
con  pena  si    procedette  all'elezione 
di  Celestino  IV,  che  visse  diciassette 
giorni,    laonde   la  nuova  sede    va- 
cante   ed   interregno   durò    un  an- 
no, otto  mesi    e    diciassette  giorni, 
perchè  i  cardinali    temendo   la   fu- 
ria dell'imperatore  Federico  II  sco- 
municato da  Gregorio  IX,  che  nel- 
la  maggior  parte  li   tenne  prigioni 
in  Amalfi,  non  si  risolvevano  ad  u- 
uirsi  in  un  luogo,    né  anche  negli 
animi  per  eleggere  il  successore  al 
defunto    Papa,    dappoiché  i  soldati 
imperiali  saccheggiavano  le  terre  dei 
cardinali    e    devastarono    centocin- 
quanta  chiese,    massime  quelle   di 
Albano,  portandone  via  i  libri,  gli 
ornamenti   e  persino  i  calici.  Final- 
mente convocatisi  i  cardinali  nella 
città    di  Anagni,    insieme  a    quelli 
rilasciati    dall'imperatore,  il    cardi- 
nal Fieschi  a' if\   giugno    \i'\$  e- 
lessero  d'unanime  consenso  Ponte- 
fice, siccome  il  meglio  accetto  a  Fe- 
derico  II,  il  quale  però  in   saper- 
lo non  parve   molto   soddisfatto,  e 
disse  tristamente  che  prevedeva  co- 
me di  cardinale  amico,  diverrebbe 
Papa  nemico;  per    cui  alcuni  scris- 
sero che  da    cardinale    fu  ghibelli- 
no, forse  per  l'amicizia  con  Fede- 
rico li,  e   fatto    Pontefice  divenne 
zelante    guelfo.    A'  29    dello   stesso 
mese  di  giugno    si  fece  consecrare 
nella  cattedrale    d'Anagni,   avendo 
preso  il  nome  d'Innocenzo  IV. 

Sul  finire  di  ottobre  s'avviò  il 
santo  Padre  verso  Roma,  dove  per- 
venuto a'  1 5  di  novembre  vi  fu 
ricevuto  con  ogni  maggior  onore 
dal  senato  e  popolo  romano,  aven- 
dolo incontralo  con  solenne  proces- 


sione  in   un  al  clero  secolare  e  re- 
golare. Il  suo    biografo    narra  che 
il  Papa  da    Anagni    passò    in   Asi- 
si, e  per  Narni  e  la  Sabina  si  por- 
tò   in  Roma  ad  abitare  il    palazzo 
lateranense.  Dubitiamo  di  questa  an- 
data in  Asisi  dopo  la  sua  elezione;  il 
viaggio  d' Asisi  per  Narni  e  la  Sabi- 
na forse  è  quello  che   indicheremo 
dopo  il  suo  ritorno  in  Roma.   Po- 
co durò  per    Innocenzo  IV  questa 
allegrezza,   perchè    alcuni  mercanti 
romani    con    indicibile    temerità   a 
lui    tosto    si    presentarono   diman- 
dandogli sessantamila  marche,  date 
da  loro  in  prestito  a  Gregorio  IX, 
riempiendo    con  numeroso    popolo 
insolente,    che  seco  condussero,    la 
corte,   il  palazzo  e  le  stanze  del  pa- 
triarchio  lateranense,  che  rimbom- 
bò di  riprovevole  schiamazzo.   An- 
gustiato il  buon  Pontefice    per  ta- 
le vessazione,  non  potè  prendere  il 
cibo  nel  solito  luogo,  e  fu  costret- 
to starsene  nascosto  nelle  stanze  più 
remote  del  palazzo;  per  lo  che  al- 
l'irriverenza   succeduta  ne'raercanti 
la  compassione  ed  il  rimorso  in  ve- 
dere    il    Papa    sì  paziente,  ottenu- 
ta  una  piccola   porzione  di  denaro 
se  ne  partirono.  Come  avea  preve- 
duto   Federico  II,    il  Pontefice  di- 
menticando l'anteriore  amicizia  pri- 
vata, divenuto  capo   supremo   del- 
la Chiesa  attese  unicamente  a«li  in- 

o 

teressi  di  essa,  che  cesare  sempre  più 
vessava  con  nuovi  insulti,  dimentico 
ed  ingrato  de'benefizi  ricevuti  da  In- 
nocenzo III  e  da  Onorio  III.  Tutta- 
volta  punto  Federico  II  dalle  disgra- 
zie che  andava  da  ogni  parte  incon- 
trando e  dalle  continue  ammonizioni 
del  Papa,  spedì  a  Roma  un'amba- 
scieria  composta  da  Raimondo  VIT 
conte  di  Tolosa,  da  Pietro  delle  Vigne 
e  da  Taddeo  di  Suessa  per  doman- 
dargli pace  e  riconciliarsi  colla  san- 


3oo  INN 

ta  Sede.  Per  ottenerla  gli  ambascia- 
tori nel  giorno  della  Cena  a'  3 1 
marzo  1^44»  giurarono  solennemen- 
te ad  Innocenzo  IV  in  presenza  di 
Baldovino  II  imperatore  latino  di 
Costantinopoli,  de'cardinali,  prelati, 
senato  e  popolo  romano,  che  Fede- 
rico II  darebbe  soddisfazione  alla 
Chiesa  pei  danni  ed  ingiurie  che 
avea  ad  essa  fatte  ed  alle  persone 
ecclesiastiche,  prima  e  dopo  la  sco- 
munica fulminata  contro  di  lui  da 
Gregorio  IX;  accetterebbe  riveren- 
te quella  correzione  che  dal  Pa- 
pa gli  verrebbe  imposta;  di  resti- 
tuire le  terre  appartenenti  alla  Chie- 
sa ed  a'suoi  alleati;  di  far  l'omag- 
gio pei  regni  di  Napoli  e  Sicilia , 
di  riconoscere  la  supremazia  del 
Papa  quanto  allo  spirituale  su  tutti 
i  cristiani  ed  anche  sui  re  ;  di  rein- 
tegrare i  prelati  di  quanto  era  stato 
lor  tolto,  ed  infine  di  obbedire  in 
tutto  al  Pontefice  senza  il  pregiu- 
dizio dell'impero  e  dei  suoi  regui. 
In  questo  trattato  non  si  fece  pa- 
rola della  deposizione  di  Federico 
II,  ma  soltanto  dell'abolizione  del- 
le censure.  Il  diploma  dell'impera- 
tore in  cui  annunzia  questo  giura- 
mento, si  legge  nel  Rinaldi  all'an- 
no ia44- 

Per  un  avvenimento  si  vantag- 
gioso alla  Chiesa  ed  alla  pace  del- 
l'impero, avea  Innocenzo  IV  con- 
cepita un'estrema  letizia,  la  quale 
ben  tosto  si  cambiò  in  gravissimo 
dolore;  poiché  Federico  II  non  tar- 
dò a  pentirsi  di  essersi  sottomesso 
in  tal  modo  al  Papa,  e  tornando 
subito  alla  primiera  perfidia,  pro- 
testò di  non  poter  effettuare  quan- 
to i  suoi  commissari  aveano  pro- 
messo in  suo  nome,  né  attendere 
al  prestato  giuramento  siccome  trop- 
po pregiudizievole  ai  suoi  interessi. 
Quindi  teuLò  di  sorprendere  il  Pa- 


INN 
pa  e  gli  tese  insidie,  il  quale  per  la 
concepita  diffidenza  stando  in  guar- 
dia potè  evitarle.  Per  meglio  dun- 
que convincerlo,  e  rimetterlo  nel 
buon  sentiero,  il  Papa  a' 7  giugno 
si  trasferì  non  a  Città  di  Castello 
come  dice  il  Novaes  nella  sua  vi- 
ta, sibbene  a  Civita  Castellana,  af- 
fine di  trattare  una  pace  stabile  col- 
l'imperatore  allora  dimorante  in 
Terni.  Di  là  Innocenzo  IV  per  an- 
darlo a  visitare  a'28  dello  stesso 
mese  passò  a  Sutri,  ove  cesare  gli 
fece  dire  che  non  avrebbe  esegui- 
to nessuna  parte  delle  convenzioni 
se  prima  non  vedesse  abolite  le  cen- 
sure. Innocenzo  IV  rispose  che  ta- 
le proposizione  era  irragionevole,  e 
fin  da  quel  momento  la  rottura  fu 
decisa.  Informato  poi  che  trecento 
cavalieri  toscani  dovevano  nella  se- 
guente notte  arrestarlo,  col  favore 
delle  tenebre  si  vesfi  leggermen- 
te e  montato  sopra  un  eccellente  ca- 
vallo per  vie  disastrose  e  per  boschi 
giunse  nel  mattino  a  Civitavecchia, 
dove  alquante  galere  genovesi,  che 
uvea  segretamente  domandate  alla 
sua  patria,  l'attendevano  per  proteg- 
gere la  sua  ritirata.  Dopo  aver  su- 
perato una  fiera  burrasca  il  Papa 
arrivò  a  Genova  ricevuto  con  ono- 
rificenza ed  acclamazioni,  al  modo 
narrato  a  quell'articolo,  tra  la  gioia 
de'parenti,  amici  e  connazionali.  Es- 
sendosi trattenuto  alcuni  giorni  in 
Genova  attesa  la  morte  di  Tom- 
maso conte  di  Savoia,  a  cui  il  Pon- 
tefice aveva  data  in  moglie  sua  ni- 
pote Beatrice  figlia  di  Tedisio  Fie- 
schi  di  lui  fratello,  colla  dote  di  mol- 
te terre  in  Piemonte,  e  dalla  qua- 
le oinnes  duces  Sabaudiae,  elesse 
per  gonfaloniere  di  s.  Chiesa  il  fra- 
tello del  defunto  conte,  già  arcive- 
scovo di  Lione,  il  quale  sebbene 
non   ancora    ut  sacris  era  tuttavia 


INN 

benemerito  della  Chieda  e  amntis- 
simo  dal  Papa.  I  manifesti  dei  due 
contendenti  inondarono  in  breve 
tutta  l'Europa.  In  quello  che  Fe- 
derico II  indirizzò  ad  Enrico  III  re 
iV  Inghilterra,  diceva  che  il  Papa 
avea  negata  la  di  lui  mediazione  e 
quella  di  s.  Luigi  IX  re  di  Fran- 
cia; chiese  che  non  fossero  som  mi- 
nistrati sussidi  al  suo  nemico,  e  fe- 
ce violenti  minacce  ove  gliene  ve- 
nissero dati.  Dal  canto  suo  Inno- 
cenzo IV  scrisse  al  pio  re  di  Fran- 
cia che  assisteva  il  capitolo  genera- 
le de'cisterciensi,  pregandolo  accor- 
dargli asilo  e  protezione;  e  benché 
i  monaci  istantemente  ne  lo  prega- 
rono, avendo  i  baroni  da  lui  con- 
sultati rigettata  la  proposizione,  il 
Papa  fece  eguali  domande  al  re  in- 
glese ed  al  re  d'Aragona  Giacomo 
J,  ma  nulla  ottenne.  Allora  deli- 
berò di  scegliere  per  suo  soggiorno 
la  città  di  Lione  ch'era  neutrale 
ed  apparteneva  al  suo  arcivescovo, 
e  dopo  essere  guarito  da  mortale 
infermità,  per  Asti  e  per  Susa 
dove  trovò  otto  cardinali.,  con  es- 
si valicò  le  Alpi,  superò  non  po- 
chi disagi,  ed  a'2  dicembre  en- 
trò in  Lione,  dove  essendo  dal 
clero  e  popolo  accolto  con  indici- 
bile giubilo,  stabilì  la  sua  curia  e 
corte.  Poi  convocò  il  concilio  gene- 
rale di  Lione  I  (Vedi),  in  cui  tra 
le  altre  cose  venne  ordinato  che  la 
festa  della  Natività  della  Beata  Ver- 
gine si  celebrasse  per  otto  giorni,  per 
cui  il  Baronio  nelle  sue  note  al 
Martirologio  attribuisce  l'oflizio  di 
tale  ottava  al  Papa.  Nel  medesimo 
concilio  fece  riconoscere  e  legaliz- 
7are  i  diplomi  imperiali  di  dona- 
zioni e  privilegi  fatti  e  concessi  al- 
la Chiesa  romana,  onde  formò  una 
bolla  inserendovi  i  medesimi  di- 
plomi, munita  dei   sigilli  di  quaran- 


INN  3oi 

ta  prelati;  renne  determinata  e  fu 
stabilita  la  Crociata  settima  {Vedi); 
scomunicato  e  deposto  dal  regno  di 
Sicilia  e  dall'impero  Federico  II,  vie- 
tandosi a  tutti  i  fedeli  di  ricono- 
scerlo per  sovrano  siccome  eretico  e 
nemico  della  Chiesa.  Questi  arse  di 
sdegno  in  sentire  la  tremenda  sen- 
tenza, e  volevasi  inoltrare  a  Lione 
coll'esercito,  se  non  l'avessero  trat- 
tenuto le  forze  di  Francia  che  a- 
vea  assicurato  il  Papa  del  suo  va- 
lido aiuto;  volle  invece  assediar 
Parma  che  per  opera  dei  parenti 
del  Pontefice  gli  si  era  ribellata. 
Innocenzo  IV  si  adoprò  subito  per- 
chè gli  elettori  del  sacro  romano 
impero  dassero  a  questo  un  altro 
capo. 

Dispiacendo  a  s.  Luigi  IX  que- 
sta rottura,  pregò  il  Pontefice  por- 
tarsi a  Cluny  per  un  congresso,  on- 
de il  Papa  vi  andò  alla  metà  di 
novembre  1246.  Ivi  celebrò  la 
messa  nella  chiesa  maggiore  nel  gior- 
no di  s.  Andrea,  assistito  da  dodi- 
ci cardinali,  da  due  patriarchi,  da 
tre  arcivescovi,  da  quindici  vesco- 
vi e  molti  abbati.  Vi  furono  presen- 
ti il  re  di  Francia,  la  regina  Bian- 
ca sua  madre,  Isabella  sua  sorella 
e  Roberto  d'Artois,  Alfonso  di  Poi- 
tiers  e  Carlo  d'Angiò  suoi  fratelli. 
Fuvvi  pure  l'imperatore  Baldovino 
II,  i  due  infanti  d'Aragona  e  di 
Castiglia,  il  duca  di  Borgogna  ed 
altri  signori.  Le  conferenze  tra  In- 
nocenzo IV,  il  re  e  la  regiua  Bian- 
ca furono  segretissime.  Dipoi  si  re- 
stituirono il  Papa  a  Lione  ed  il  re 
alla  sua  residenza;  indi  nell'anno 
seguente  si  riunirono  in  Cluny.  Fu 
in  questa  celebre  abbazia  che  il  Pon- 
tefice impose  per  la  prima  volta  ai 
cardinali  l'insegna  onorifica  del  Cap- 
pello cardinalizio  (P'edi),  ch'egli 
avea    determinato  già  nel    concilio 


3oi  INN 

generale.  Federico  II  umiliato  dal- 
le congiure  di   Germania  ed  Italia  a 
di  lui  danno,  nel  secondo  congresso 
di    Cluny  fece   dal  re    di    Frauda 
offrire  al  Papa  alcune  condizioni  per 
rimuoverlo  dalla  sentenza  contro  di 
lui  pronunziata;  ma  Innocenzo  IV 
restò  inflessibile,  ricordando  le  infe- 
deltà   e    spergiuri    di    cesare   sotto 
i  suoi  predecessori.    Inutilmente  s. 
Luigi  IX  fece    riflettere   al  Ponte- 
fice, che  considerando    Federico  II 
come  il  maggior  oltraggio  fatto  dal 
concilio  nel  dichiararlo  sospetto  di 
eresia,  erasene  purgato  con  una  di- 
chiarazione di  fede  alla  presenza  di 
sette  ecclesiastici  di    primo  ordine, 
e  quale  l'esibiva  al  Papa;  ma  que- 
sti neppure    volle  udire  gli  inviati 
del  deposto  principe.    Anzi  avendo 
il  Papa  esortato  gli  elettori  a  dar- 
gli per  successore  Enrico  di  Turin- 
gia,  esso    fu  eletto  re  de'  romani , 
ed  egli  ne   approvò  l'atto  con  let- 
tera de'9  giugno    1246.   Morto  poi 
Enrico  nel  1247,  Innocenzo  IV   si 
adoprò  con  calore  perchè  gli   fosse 
sostituito  Guglielmo  conte  di  Olan- 
da,  che  fattosi  coronare  in    Aquis- 
grana,  disfece  poi   Corrado  IV    che 
il  suo  padre  Federico  II  avea  man- 
dato in  Germania  a  sostener  la  cau- 
sa, mentre  egli  dopo  essere  stato  dis- 
fatto   dai  parmigiani,  da  Cremona 
passò  in  Puglia  per   opporsi  ai  due 
legati  pontificii  che  proscioglievano 
i  popoli  dalla  sua  obbedienza.  Inol- 
tre Federico  li  scrisse  con  poco  ef- 
fetto a  tutti   i  principi    ecclesiastici 
e  secolari  di    Germania,  per  trarli 
nella  sua  causa,  facendo  loro  cono- 
scere il  pericolo  in  cui  erano  se  sotto- 
messi    alla    piena    dipendenza     del 
Pontefice.  Fu  scoperta  una  congiu- 
ra contro  la  vita  di  Federico  ll_,  il 
quale  erroneamente    ne  credette  i- 
stigatorc  il  Papa,  perchè  alcuni  ve- 


INN 
scovi  ne  facevano  parte.  Dall'altra 
parte  fu  scoperta  pure  in  Lione  una 
cospirazione  di  quaranta  e  più  per- 
sone contro  la  vita  d'Innocenzo  IV, 
e  formata  dagli  emissari  di  Fede- 
rico 11:  per  Io  che  il  ^Pontefice  si 
astenne  per  un  tempo  a  non  uscir 
dalle  sue  camere.,  custodito  giorno 
e  notte  da  cinquanta  guardie  per 
sua  difesa. 

Frattanto  vedendo  Innocenzo  IV 
che  Sancio  II  re  di  Portogallo,  nulla 
curando  le  sue  ammonizioni,  poneva 
al  colmo  le  sue  iniquità,  secondo  le 
richieste    de'magnati   del  regno    lo 
privò    di  questo    che  invece    diede 
al  suo    fratello    Alfonso    III,  salva 
la    convenienza    di    Sancio    II',  e  i 
diritti  de'  figli  se  avesse  avuto  di- 
scendenza.   Ordinò    nel     1246  cne 
fossero  coronati  colle   insegne  reali 
Gioacchino  o  Aquino  V  re  di  Nor- 
vegia, che  pure  legittimò,  e  Danie- 
le   duca    di    Russia,    il    quale  coi 
suoi  popoli  abbandonato  lo  scisma 
de'  greci,  era  ritornato    al  grembo 
della    Chiesa    cattolica  :    il    primo 
promise  crociarsi  per  Terra  Santa, 
che  tanto  stava  a  cuore  del  Papa. 
Nel   1247    approvò    con   la  regola 
di  s.  Benedetto  1'  ordine  de'  silve- 
strini  ;  e  nel  seguente  anno  rinno- 
vò agli  slavi  il    privilegio  di  cele- 
brare nella    propria  lingua  i  divi- 
ni misteri  ;    benedì    la  rosa  d'  oro 
e  la    donò    a    Raimondo   conte  di 
Provenza,  ed  altra  ne  regalò  ai  cano- 
nici di  s.  Giusto    di  Lione.  Proibì 
agli    ebrei    di    tener  balie  o  servi 
cristiani  ;  die     provvidenza    perchè 
in  Roma  fiorisse  lo  studio  del  di- 
ritto canonico  e  civile,  per  cui  vie- 
ne considerato  come    uno  de'  fon- 
datori dell'  università  romana.  Vie- 
tò che  la  ss.  Eucaristia    si  conser- 
vasse più  di  quindici  giorni,  e  che 
i    sacerdoti    celebrassero    la    messa 


INN 

senza  avere  recitato  prima  il  mat- 
tutino. Concesse  ai  frati  minori   la 
facoltà  di  chiamarsi  conventuali,  al 
modo  detto  all'articolo  Francesca- 
no ordine,  donandogli  la  Chiesa  di 
s.  Maria    d'  Araceli   [Fedi).    Ri- 
formò   molte    congregazioni    degli 
ordini  eremitani,  riducendole  tutte 
sotto  la  regola  di  s.  Agostino  ;  con- 
fermò   1'  ordine    de'carmelitani,  ai 
quali  diede  1'  abito  listato,  e  quel- 
lo de'  serviti.  Rinnovò  1'  ordine  dei 
crociferi  ;  diede  autorità  ai  cavalie- 
ri di  s.  Lazzaro  di  eleggersi  il  gran 
maestro,  e   concesse   ventinove  pri- 
vilegi ai  domenicani,    fra'  quali  e- 
rasi   vestito  s.  Tommaso    di  Aqui- 
no favorito  del     Papa.  Avendo  gli 
eretici    fatto    morire   s.  Marcellino 
vescovo    di  Arezzo     e  s.  Pietro  da 
Verona  domenicano    e   inquisitore, 
Innocenzo  IV    promulgò    una  ter- 
ribile costituzione  contro  gli   ereti- 
ci, ed  altre    dieciotto  ne  spedì  nei 
seguenti  anni,  in  conferma  di  quan- 
to avevano  decretato    i    suoi  pre- 
decessori e  gì'  imperatori  compreso 
Federico     II,     obbligando     i  re,     i 
principi    e   baroni    ad    esporre   al- 
1    incanto    i   beni    degli    eretici    e 
dei  loro  fautori  e    complici.  Aven- 
do Federico  II    abbandonato  1'  al- 
ta Italia  e  ritiratosi  in  Puglia,  non 
cessando  dalle  sue    crudeltà,  Inno- 
cenzo IV    fece    pubblicar    in  Ger- 
mania   contro    di    lui    la    crociata, 
onde   1'  impero    si    mise    tutto    in 
commozione  e    produsse  la  guerra 
civile  in   Boemia,  di  cui  il  re   Ven- 
ceslao    III     teneva    il     partito    del 
Papa,  mentre  il  suo    figlio  primo- 
genito Premislao  sosteneva  la  cau- 
sa di   Federico  li,  con   molti  gran- 
di del  regno.    In    tali     circostanze, 
prima  di  partir  per  la    crociata  s. 
Luigi   IX  andò  a   visitare    il  Papa 
in    Lione,    onde    persuaderlo  a  ri- 


I  H  N  3o3 

mettere  in  grazia  Federico  II,  che 
pareva  umiliato  dalle   sue  avversi- 
tà e  disposto  a  chiedere    perdono, 
ma  nulla  ottenne.  Federico  II  cor- 
se pericolo  d'  esser    avvelenato  da 
Pietro  delle  Vigne,  il    più  affezio- 
nato de'  suoi  confidenti ,  d'accordo 
col  suo  medico,  ed  ambedue  peri- 
rono   vittime     del    loro    delitto;  i 
fautori  del  principe  non  mancaro- 
no calunniar  il    Pontefice    di  aver 
persuaso  Pietro  al  misfatto.  Afflitto 
Federico  II  per  la  morte    del  suo 
figlio  Enrico,  per  la   prigionia  del 
suo  figlio  naturale  Enzio,  divenuto 
cagionevole  di  salute,  in   tale  stato 
di    umiliazione    e    di     dolore     fece 
chiedere  la   pace  al  Papa  senza  as- 
soggettarsi   a    tutte    le   condizioni 
che  doveva  esaurire,  e  nel  dicem- 
bre   i25o  la   morte    pose  fine  alla 
lunga  serie    delle     calamità  che  il 
principe  avea    provocate    colla  sua 
condotta  ;  tuttavolta  ordinò  nel  suo 
testamento  a   Corrado    IV    suo  fi- 
glio, di  restituire  alla  Chiesa  quan- 
to aveale    tolto.     Innocenzo  IV    si 
congratulò  coi    siciliani     per  veder 
liberata  la  Chiesa  da    un  persecu- 
tore, e  gl'invito  a  ritornare  all'ob- 
bedienza di  essa  ;  indi  inviò    legati 
in  Germania  per  istaccar  dal  par- 
tito di  Corrado   IV     quelli    che  Io 
seguivano,  e  determinarli  in  favore 
di  Guglielmo  re  de'romani,  la  cui 
elezione    confermò,     reiterando  nel 
giovedì  santo    la   scomunica,  tanto 
sul    defunto    che    su     Corrado  IV, 
per  essersi  appropriati  senza  il  suo 
consenso  la  Sicilia  e   1'  impero. 

Dopo  il  soggiorno  di  quasi  sette 
anni  in  Lione,  Innocenzo  IV  ri- 
solvè di  partire  per  Roma,  e  pri- 
ma di  eseguire  il  suo  disegno  die 
segni  di  gratitudine  ai  re  di  Fran- 
cia, col  concedere  dieci  giorni  di 
indulgenza    a'  fedeli     che    avessero 


3o|                    liNN  INi\ 
pregato  Din  per    la    loro    felicità  :  contro    di    lui    come  contro  i    sc- 
ia  regina  Bianca  ed  Enrico  III    re  gitaci  di    Corrado    IV  la    crociata, 
d'    Inghilterra     volevano    essere     a  Questo    principe  essendo    sbarcato 
complimentarlo     prima    della     sua  in    Pescara  coll'aiuto    de'veneziani, 
partenza,  ma  egli  non  volle.  Adun-  le  sue  armi  fecero  pronti  progres- 
que  il   Pontefice  dopo  aver  celebra-  si  in   Italin,    ed   in     Puglia  princi- 
to    la    Pasqua    col    re    Guglielmo.,  pai  niente,  quando  la  morte  lo  colse 
nel   mercoledì    seguente     dell'  anno  presso    Lavello    nella    provincia  di 
\i5i    partì   da  Lione,  accompagna-  Basilicata    nel   maggio    del     1204. 
to  dai    cardinali    e    da    Filippo  di  Lasciò  un     figlio    per  nome     Cor- 
Savoia    oltre    moltissimi    nobili;  si  radino,  ultimo    rampollo  della  no- 
avviò    per    Roma,    ricevendo    per  bilissima  casa   sveva  degli  Hohen- 
tutti   i  luoghi  ove  passò  infiniti  os-  staufen,     di     cui     ne    prese    tutela 
sequi  ,  massime    dai    suoi  genovesi  Manfredi    suo  zio,  come  figlio  na- 
e  dai   milanesi.    Essendo    a  Milano  turale  di   Federico    II.    II   Ferlone 
ordinò  al  vescovo   di   Culm   che  in  ne  Piaggi  de' Pontefici  p.  174  dice 
suo   nome     coronasse     re  Mindano  che  il  Papa  tornò  in   Asisi,  vi  ce- 
duca    di    Lituania,    il    quale    avea  lebrò  la    Pentecoste,  poi     tornò  in 
soggettato  il  suo    stato    alla   santa  Roma  e    passò    ad    Anagni.   Inno- 
Sede.  Da   Milano  si  trasferì  a  Bre-  cenzo  IV  reclamando    i  diritti  dei- 
scia,    indi    a     Mantova     ove  allog-  la  santa  Sede  sulle  due    Sicilie,  si 
giò    nel     celebre    monistero    di    s.  dichiarò    protettore     di    Corradino 
Benedetto  di   Polirone  ;  donde  na-  in  età  di   due  anni,  nella  sua  qua- 
vigando  pel  Po    giunse  nell'ottobre  'ita  di  supremo  signore  del  regno; 
a  Ferrara  e  poco  dopo  a  Bologna  e  siccome  questo   volevasi  usurpare 
in  cui  consagrò   la  chiesa  di  s.  Do-  da     Manfredi,    per    ricuperarlo    il 
menico.   Finalmente  per  la  Roma-  Papa  vi  si    condusse  con  un  eser- 
gna    si     trasferì    a    Perugia,    dove  cito  nel    1254,  capitanato  dai  due 
dubitando    della  fede  d'alcuni  pò-  cardinali  Fieschi    Guglielmo  e  Al- 
teriti   romani    fermò    la    sua     resi-  berto  conte  di  Lavagna  e  generale 
densa.  Di.  là  nella  domenica  in  Al-  di  santa  Chiesa,  ambedue  suoi  ni- 
bis  del     1253    si    portò     ad    Asisi  poti.   Manfredi  gli  andò  incontro  a 
e    vi    passò    I'  estate,    visitando    s.  Ceprano,    si    sottomise  a  lui  ed  af- 
Chiara     vicina    a     morire.    Quindi  fettando    divozione  addestrò  il   suo 
pregato  il    santo  Padre  dal  senato  cavallo  conducendolo  per  la  briglia 
e    popolo    romano,  ed    anche    mi-  sino  al    Garigliano.    Innocenzo   IV 
naccialo  perchè  ritornasse  in  Roma,  volendo  prendere  possesso  del  reame, 
si   mise  in    viaggio  alla    volta  del-  come  sovrano  fece  il  suo  ingresso  nel 
1'  eterna    città,     dove    fu    ricevuto  regno  agli  8  ottobre;  si  fermò  per 
nel   mese    di     ottobre    con  somma  qualche  giorno  a  Capua,  e  passa - 
allegrezza  e  dimostrazioni  di  osse-  to  a  Teano  ivi  si  ammalò,  né  po- 
quio.   Essendo    in    Roma,  nel  gio-  tè    risorgere.    Ciò    non      pertanto 
vedi  santo  Innocenzo  IV  scomuni-  volle  portarsi  in  Napoli  e  vi  giun- 
cò Ezzelino  III  da  Romano,  uomo  se  a'27   ottobre  od  ai    i3    novem- 
crudelissimo,    fatto  da  Federico  II  bre,  ricevuto    con  pompose  diino- 
capitano  della    Lombardia,  che  tà-  strazioni ,     ond'  egli    poi    ornò     di 
ceva  stragi  in  Italia;  inoltre  bandi  privilegi  la  città. 


INN 

Il  legato  del  Papa  e  vicario 
temporale  per  la  santa  Sede  pro- 
posto al  reggimento  del  regno  o- 
perava  da  padrone,  onde  Manfre- 
di giudicò  opportuno  di  porsi  in 
sicurezza  ;  ricorse  al  braccio  de'sa- 
raceni  a  Nocera  de'  Pagani,  dove 
trovò  gran  tesori,  e  radunato  un 
esercito  numeroso  tosto  ottenne 
grandi  vantaggi,  e  costrinse  il  lega- 
to a  rifugiarsi  in  Napoli.  Accre- 
scendosi ad  Innocenzo  IV  il  male 
in  Napoli,  ove  avea  rifatte  le  mu- 
ra, e  si  disponeva  a  prender  l'intie- 
ro possesso  del  reame,  il  Pontefice 
▼i  mori  a'7  dicembre  1254,  non 
nel  giorno  i3  di  s.  Lucia,  come  si 
legge  nella  seconda  iscrizione  se- 
polcrale cbe  qui  appresso  ripor- 
teremo, perchè  il  successore  Ales- 
sandro IV,  presso  il  Rinaldi  a 
detto  anno  num.  6g,  scrisse  a'7 
dicembre,  e  dopo  il  governo  di 
undici  anni,  cinque  mesi  e  quat- 
tordici giorni.  Fu  sepolto  vicino 
alla  cattedrale  di  detta  città,  nella 
cappella  di  s.  Lorenzo  con  lacrime 
universali.  Indi  le  sue  spoglie  mor- 
tali furono  trasferite  nella  nuova 
fabbrica  che  di  detta  cattedrale 
fece  innalzare  il  re  Carlo  I  d'  An- 
giò,  dove  gli  fu  posto  sulla  tomba 
e  monumento  marmoreo  che  tut- 
tora si  conserva,  e  sotto  l'effìgie 
del  Papa,  dall'arcivescovo  della  me- 
desima Umberto,  un  epitaffio  di 
tredici  versi,  sotto  al  quale  altra 
iscrizione  fu  aggiunta  da  Annibaldo 
di  Capua  altro  arcivescovo  di  Na- 
poli, e  sono  riportate  dal  p.  Gia- 
cobbe nella  Biblioth.  Pont.  p.  122,  e 
dal  Fabricio  Biblioth.  lai.  t.  IV,  p. 
36.  L' iscrizione  di  Umberto  seb- 
bene nello  stile  sia  stravagante,  se- 
condo 1'  uso  di  que'tempi,  giova 
a  tonfermare  1'  opinione  che  avea- 
si  ancora  dopo  sessanta  anni  dalla 
vol.  xxxv. 


IMI  3oj 

morte  d'Innocenzo  IV,  della  perfì- 
dia cioè  di  Federico  II  verso  la 
Chiesa,  della  giustizia  di  questo 
gran  Pontefice,  non  che  delle  sue 
operazioni  per  consolidare  il  domi- 
nio di  quel  regno  a  favore  della 
Sede  apostolica.  Non  sarà  dunque 
del  tutto  inutile  qui  riportarla. 

Hic  superis  dignus  requiescit  Papa 
benignus 

Lectus  de  Flisco,  sepultus  tempore 
prisco 

Vir  sacer  et  rectus  sancto  velaminc 
tectus 

Ut  iam  coUapso  mundo  temeraria 
passo 

Sancta  ministrari  Urbs  posset  quo- 
que ractificari 

Concilium  fecit  veteraque  fura  re- 
fecit 

Haeresis  illis  ium  extitii  atque.  re* 
cisa 

Moenìa  direxit  rìta  sili  eredita  re- 
xit 

Stravit  inimicum  Christi  colubrum, 
Fridericum 

Janue  de  nato  gaudet  sic  glorificato 

Laudibus  immensis  Urbs  tu  quoque 
Parthenopensis 

Pulcra  decora  satis  dedit  hic  tibi 
plurima  gratis 

Hoc  titulavit  ita  Humbertus  metro- 
polita 

Ecco  poi  l' iscrizione  in  istile  più, 
moderno  di  Annibale  da  Capua  ar- 
civescovo di  Napoli,  che  nel  restau- 
rare il  monumento  la  fece  scolpire 
nel   1578. 

Innocentio  UH  Pont.  Max. 

De  omni  Christiana  Rep.  optime 
merito 

Qui  natali  s.  Joannis  Baptìstae  an- 
no 1241  Pontifex  renuntiatus 
20 


3o6  INN 

Die  Aposlolorum  Principi  sacra  co- 

ronaluSf  curri   purpureo    primus 

pileo 
Pileo  cardd.  exornasset  Neapoli  a 

Corrado  eversam 
Sua  pecunia  resliluendum  curassct 

innumerisque  aliis  preclarae     et 

prope 
Divinae  gestis  Pontificatimi    suum 

quarti  maxime 
Illustrem  reddidisset  anno  mccliii 

beatae  Luciae  Virginis  luce  lu- 

cessit 
Annibal  de  Capita  archiepis.  Neap. 

in  sanclis  viri  memoriam 
Oboletum  vetustate  epigramma  re- 

stituit. 

In  tre  promozioni  creò  ventiquat- 
tro cardinali,  da  cui  uscirono  due 
Pontefici,  Adriano  V  suo  nipote  e 
Nicolò  III.  In  diversi  tempi  cano- 
nizzò i  santi  Guglielmo  vescovo  di 
s.  Brieux,  Edmondo  arcivescovo  di 
Cantorbery,  Pietro  martire  da  Ve- 
rona, Stanislao  vescovo  di  Craco- 
via e  martire.  Le  sue  gravi  conte- 
se con  Federico  II  punto  non  ral- 
lentarono la  sua  attività  pel  cu- 
mulo degli  altri  affari.  In  Prussia 
istituì  quattro  vescovati,  e  donò  due 
terzi  delle  terre  a'  cavalieri  teuto- 
nici che  l'aveano  conquistata.  In 
Danimarca  inviò  un  semplice  frate 
minore  per  informare  contro  due 
vescovi  di  cui  il  primo  avea  ec- 
citato le  lagnanze  del  re  Erico  VI, 
ed  il  secondo  quelle  de'  suoi  dio- 
cesani. Nella  Svezia  tolse  al  re  ed  al 
popolo  l'elezione  de'  vescovi,  per 
darla  ai  capitoli.  Nella  Spagna  sco- 
municò il  re  Giacomo  I  d'Arago- 
na, per  aver  fatto  tagliar  la  lingua 
al  vescovo  di  Girona,  e  gli  perdo- 
nò a  condizione  che  fabbricasse  un 
monastero  nelle  montagne  di  Tor- 
tosa,  terminasse  un  ospedale  presso 


INN 
Valenza  e  fondasse  una  cappella- 
ta nella  cattedrale  di  Girona.  In- 
viò un  legato  in  Armenia  per  com- 
porre le  contese  tra  i  greci  ed  i  la- 
tini, ed  una  missione  di  frati  mi- 
nori, del  cui  ordine  nella  discipli- 
na fu  benemerito,  in  Tartaria  pres- 
so il  figlio  di  Gengis-kan,  ma  con 
infelice  successo.  Si  trovano  le  sue 
opere  stampate  a  Venezia,  a  Lione, 
a  Francfort  ed  altrove,  sotto  que- 
sto titolo  :  Apparatus  libri s  quin- 
que  dislinctus  in  totidem  libros  de- 
cretalium.  Innocenzo  IV  fu  Ponte- 
fice saggio,  zelante,  e  pieno  d' una 
pietà  singolare,  come  altresì  di  dot- 
trina fornito,  al  dire  del  citato 
Ferlone  per  l'autorità  di  molti  scrit- 
tori. Quelli  seguaci  degli  Hohen- 
staufen  e  i  detrattori  de'  Papi  lo 
dipinsero  altero  ed  inflessibile,  ac- 
cordandogli zelo  e  lumi  singolari. 
Fu  chiamato  per  la  sua  profonda 
dottrina  nella  giurisprudenza,  splen- 
dore de'  canonisti,  organo  della  ve- 
rità, padre  del  diritto  e  della  leg- 
ge, e  monarca  delle  divine  ed  li- 
mane leggi,  citando  Bartolo  con 
isti  ma  le  sue  opere.  La  sua  con- 
dotta verso  i  parenti  e  la  patria , 
come  il  novero  di  altre  belle  azio- 
ni, si  possono  leggere  agli  articoli 
Genova  e  Fiescui  Famiglia.  Fu 
invero  questo  gran  Pontefice  am- 
mirabile per  il  sommo  sapere,  non 
meno  che  per  la  fortezza  d'animo, 
prudenza  e  valore,  non  avendo 
trascurato  nelle  dolorose  vicissitu- 
dini del  suo  torbido  pontificato  di 
conciliare  non  solo  delle  discor- 
die inveterate  fra'  principi  cristia- 
ni, ma  di  comporre  ancora  molte 
opere  importanti  de  jure  canonico, 
come  sopra  si  è  detto,  e  special- 
mente le  sue  decretali.  Compose 
V Apologetico  contro  Pietro  delle 
Vigne,  De  potest.  Ecclesias.  I  cotn- 


INN 
mentori  delle  decretali  in  cinque 
libri.  Autenticai.  Regulam  clarissi- 
marum.  Vitam  s.  Guglielmi  episc. 
Brincen.  Epistola*  decretale*  alios- 
gite  quae  extanl  apud  Matthaeum 
Parmen.  Registri  mss.  ipsius  in  bi- 
bliot.   Valicati,  servanlur. 

Non  conobbe  ostacoli  la  sua  mu- 
nificenza ,  avendo  fatto  costruire 
con  pontificia  liberalità  due  ponti 
sul  Rodano  a  Lione  e  in  Avigno- 
ne, e  un  terzo  ponte  sull'  Entella 
fra  Chiavari  e  Lavagna,  quale  an- 
che al  presente  esiste  a  comodo  di 
quelle  popolose  contrade ,  e  dopo 
aver  dotate  con  generosità  non  co- 
mune varie  chiese  d' Italia,  e  fon- 
date trenta  cappellanie  perpetue 
in  s.  Pietro  in  Vaticano  e  istitui- 
to stabilmente  l'arcipresbilerato  in 
un  cardinale.  Fece  edificare  la  ce- 
lebre basilica  del  santissimo  Salva- 
tore nelle  vicinanze  di  Lavagna  e 
altre  chiese  annesse  con  patro- 
nato perpetuo  nei  discendenti  ma- 
schi de'  suoi  nipoti  conti  di  La* 
■vagna.  Che  se  da  alcuni  moder- 
ni scrittori  venne  riputata  la  di 
lui  fermezza  superiore  al  sacro  suo 
carattere  di  Vicario  di  Cristo,  non 
era  questa  men  necessaria  nella 
generale  costernazione  e  nel  disor- 
dine in  cui  trovavansi  gli  affari  e 
i  diritti  imperscrittibili  della  Chie- 
sa. A  ciò  si  univano  i  gemiti  e  le 
insistenze  dei  prelati  della  cristia- 
nità, che  supplichevoli  scongiurava- 
no il  Pontefice  a  poi-re  un  argine 
vigoroso  alla  preponderanza  fatale 
dell'imperatore  nemico  dichiarato 
di  Cristo,  cosicché  a  tanti  mali  un 
estremo  rimedio  dovea  contrappor- 
si. Il  perchè  soleva  ripetere  Inno- 
cenzo IV,  la  scure  sta  già  in  al' 
to  a  troncare  le  radici  della  pianta. 
Né  può  dirsi  che  a  tale  estremo 
si  piegasse  il  sommo  Gerarca,  per 


INN  3o7 

appagare  soltanto  il  suo  risenti- 
mento contro  Federico  II,  dap- 
poiché la  di  lui  persecuzione  con- 
tro la  Chiesa  rendeva  cosi  ne- 
cessaria siffatta  risoluzione  da  non 
esitare  in  dubbiosi  consigli.  Di  fat- 
ti  nell'apertura  del  concilio  gene- 
rale non  d'altro  era  occupato  il 
suo  animo  che  di  zelo  e  ardore 
per  la  Sede  apostolica,  al  punto 
che  non  poteva  frenare  le  lagri- 
me, e  la  sua  voce  era  spesso  sol- 
focata  da' singhiozzi,  se  dobbiamo 
credere  ad  un  autore  contempo- 
raneo. Dimodoché  avea  comunica- 
to a  quei  padri  e  alla  augusta  as- 
semblea i  sentimenti  da  cui  si  sen- 
tiva egli  stesso  commosso;  se  non 
che  ripigliando  ad  un  tratto  l' u- 
sata  sua  fortezza  e  rinvigorito  l'a- 
nimo dall'impulso  de'suoi  alti  do- 
veri, lasciando  le  lagrime  e  il  do- 
lore, pronunziò  intrepido  dall'alto 
del  trono  papale  le  parole  della 
condanna  di  Federico  II  del  te- 
nore che  segue,  e  riportata  dal 
Micheaud,  Ist.  lib.    14. 

»»Io  sono  il  vicario  di  Gesù  Cri- 
sto in  terra,  tutto  quello  che  io 
legherò  sulla  terra,  sarà  legato  in 
cielo,  giusta  la  promessa  fatta  dal 
figlio  di  Dio  al  principe  degli  A- 
postoli.  In  conseguenza  dopo  di 
aver  deliberato  coi  nostri  fratel- 
li i  cardinali,  e  col  concilio,  di- 
chiaro Federico  II  accusato  e  con- 
vinto di  sacrilegio  é  di  eresia , 
scomunicato  e  decaduto  dall'  im- 
perio; assolvo  per  sempre  dal  giu- 
ramento tutti  coloro  che  gli  han- 
no giurata  la  fedeltà  ;  proibisco 
a  ciascuno  sotto  pena  di  scomuni- 
ca, da  incorrersi  ipso  facto,  d' ob- 
bedirgli d'ora  in  poi.  Finalmente 
comando  agli  elettori  che  abbiano 
ad  eleggere  un  altro  imperatore,  e 
mi    riserbo    il    diritto   di    disporre 


3o6  INN 

del  regno  di  Sicilia  ".  Nel  tempo 
in  cui  leggevasi  la  sentenza,  i  car- 
dinali e  vescovi  tenevano  in  ma- 
no le  torcie  accese,  e  le  abbassa- 
vano verso  terra  in  segno  di  ap- 
provazione e  di  anatema.  I  mes- 
si dell'imperatore  presenti  al  con- 
cilio, nel  ritirarsi  costernati  escla- 
mavano: oh  giorno  terribile  1  oh 
giorno  d'ira  e  di  calamità  !  Dopo 
siffatto  tremendo  giudicato  l'istoria 
ci  narra,  come  a  Federico  II  dopo  vari 
successi  misti  di  sconfìtte,  venisse 
risibilmente  meno  la  sua  potenza, 
e  come  deposto  dall'imperio,  ber- 
sagliato dalla  fortuna,  ponesse  ter- 
mine infelicemente  ai  suoi  giorni, 
soffocato  con  un  piumazzo  dal  suo 
figlio  naturale  Manfredo  che  aspi- 
rava alla  successione  del  regno  di 
Napoli;  non  potendo  vantare  trion- 
fi maggiori  a  danno  della  Chiesa 
e  d'Innocenzo  IV,  se  non  che  di 
aver  adeguati  al  suolo  e  rovinati 
s  palazzi  e  beni  della  gente  Fie- 
scaj  debole  compenso  per  altro 
al  suo  feroce  risentimento,  a  con- 
fronto delle  tante  rotte,  cattività, 
e  morte  de' propri  figliuoli,  oltre 
tutto  quello  che  dovette  soffrire 
dalla  lega  ecclesiastica,  come  si 
legge  in  Papi  rio  Massoni  nella  vi- 
ta di  Gregorio  IX  e  d'Innocenzo 
IV.  Inoltre  scrissero  la  vita  di 
questo  Pontefice,  Paolo  Pansa  ge- 
novese ,  la  quale  corretta  e  mi- 
gliorata cosi  di  stile  come  di  lin- 
gua ec.  fu  ristampata  da  Tomma- 
so Costo  napoletano ,  in  Napoli 
appresso  Giuseppe  Carlino  nel  i6or. 
Giovanni  Diplovataccio  patrizio  di 
Costantinopoli  e  Federico  Federici 
nel  libro  che  scrisse  della  genea- 
logia della  famiglia  Fiesco.  Quella 
che  d'Innocenzo  IV  scrisse  il  fran- 
cescano Nicolò  di  Curbio  suo  con- 
fessore, fra  le  cui  braccia  spirò  il 


INN 
Pontefice,  e  ch'è  molto  importante 
per  la  storia  ecclesiastica  di  quel 
tempo,  fu  inserita  nel  Baluzio  nel 
VII  tomo  delle  sue  Miscellanee  p. 
353  ;  e  dal  Muratori  nel  tom.  Ili, 
p.  589  Script,  rer.  Ital.  Ambedue 
riportarono  ancora  la  Vita  ex 
mss.  Bern.  Guidonis,  ed  il  Balu- 
zio nel  tom.  Ili,  p.  ^o5.  Abbia- 
mo ancora  da  Matteo  Spinelli,  De 
Juvenatio  clironicoa  ad  hunc  et 
tres  sequentes  Pontifìces  pertinens 
in  Conalu  Chron.  Papebrochii,  p. 
Ili,  p.  4°«  Vacò  la  santa  Sede 
quattro  giorni. 

INNOCENZO  V,  Papa  CXCIi. 
Pietro  di  Tarantasia,  luogo  così 
chiamato  nella  Savoia,  d'  illustre 
famiglia  di  Sentrori  tra  gli  Ap- 
pennini di  cui  Tarantasia  è  la  ca- 
pitale, della  stirpe  de'  Champagni 
de  Campagniaco  nacque  in  Mou- 
tier.  Fino  da  fanciullo  vestì  l'abi- 
to di  s.  Domenico,  nel  cui  ordi- 
ne essendosi  avanzato  nella  pietà 
e  nella  scienza  delle  Scritture,  le 
spiegò  poi  pubblicamente  in  Pari- 
gi, dove  avea  ottenuto  la  laurea 
dottorale,  essendosi  esercitato  pu- 
re nella  predicazione  della  divi- 
na parola .  Eletto  dal  suo  or- 
liceli provinciale  di  Francia ,  fu 
promosso,  ma  non  si  sa  di  cer- 
to se  consecrato,  come  lo  avver- 
tono i  Sammartani  nella  Gallici 
Christ.  t.  IV  p.  4^°>  e  i  PP-  Qnie- 
tif  ed  Echard,  De  script.  Domi- 
nic.  t.  I,  p.  35o,  all'  arcivescovato 
di  Lione,  nella  quale  chiesa  già  da 
lui  rinunziata,  fu  per  la  seconda 
volta  celebrato  il  concilio  generale 
a  cui  si  trovò  egli  presente,  ed 
ebbe  gran  parte  in  quanto  venne 
decretato  intorno  al  cattolico  dom- 
ina della  processione  dello  Spirito 
Santo.  Prima  di  cominciarsi  il  con- 
cilio, come    vuole  il    Ciaccolilo,   fu 


INI* 
da  Gregorio  X  creato  cardinale 
▼escovo  d'  Ostia  e  penitenziere 
maggiore,  altri  pretendono  che  fos- 
se stato  elevato  a  tal  dignità  pri- 
ma d'  essere  arcivescovo,  ed  il  Car- 
della  riporta  analoghe  notizie  :  il 
Novaes  dice  che  nel  dicembre  1273 
ed  in  Orvieto  fu  promosso  alla 
dignità  cardinalizia.  Obbligato  a 
seguire  il  Pontefice  nel  suo  ritor- 
no in  Italia,  durante  il  viaggio 
impiegò  il  suo  zelo  nel  pacificare 
le  fatali  discordie  delle  due  luttuo- 
se fazioni  de' guelfi  e  ghibellini  che 
tenevano  in  combustione  tutta  la 
Lombardia.  Da  religioso  scrisse  al- 
cune opere  teologiche  ed  un  com- 
mento sufi'  epistole  di  s.  Paolo. 
Altri  dicono  eh'  egli  fu  autore  di 
alcuni  commentari  sul  Pentateuco, 
sui  salmi,  sul  cantico  de'  cantici, 
suir  evangelio  di  s.  Luca  e  sui 
quattro  libri  delle  sentenze.  Dupin 
gli  attribuì  pure  un  compedio  di 
teologia  stampato  a  Parigi  nel  i55i, 
ma  i  dotti  sono  d'  avviso  che  que- 
sta opera  non  sia  sua.  Durante  il 
concilio  essendo  morto  il  cardinale 
s.  Bonaventura,  nelle  solenni  ese- 
quie che  gli  si  celebrarono  coli'  in- 
tervento del  Papa,  di  due  impe- 
ratori, di  tutto  il  sacro  collegio, 
di  due  patriarchi,  di  cinquecento 
vescovi,  di  sessanta  abbati,  degli 
oratori  de'  principi  e  di  sopra  mil- 
le sacerdoti,  il  cardinale  pronunziò 
1'  orazione  funebre  che  trasse  le 
lagrime  da  tutta  quelF  augusta 
adunanza,  quale  leggesi  nel  prodro- 
mo della  nuova  edizione  delle  ope- 
re di  s.  Bonaventura.  Inoltre  du- 
rante il  concilio  battezzò  un  am- 
basciatore tartaro  e  due  suoi  com- 
pagni. Morto  Gregorio  X  in  A- 
rezzo  neh'  episcopio,  in  questo  pa- 
lazzo fu  eletto  Papa  dai  dieci  sa- 
cri   elettori,  secondo    la    legge  del 


INN  309 

defunto  sul  conclave,  nel  giorno 
dopo  che  vi  erano  entrati,  e  nel 
primo  ed  unico  scrutinio  a'  22 
gennaio  1276,  com'  egli  scrisse  nel- 
la lettera  a  tutti  i  principi  e  pre- 
Iati,  a'  quali  die  parte  di  sua  ele- 
zione. Prese  il  nome  d'  Innocenzo 
V,  ed  il  suo  ordine  de'  predicato- 
ri venerò  in  lui  il  primo  Pontefi- 
ce che  lo  illustrò. 

Da  Arezzo  Innocenzo  V  si  por- 
tò in  Roma,  ove  nella  basilica  va- 
ticana fu  coronato  a'  22  febbraio, 
giorno  dedicato  alla  cattedra  di  s. 
Pietro.  Quindi  animò  con  aposto- 
liche lettere  i  popoli  della  Spagna 
a  prender  V  armi  contro  i  mori 
che  devastavano  que'  regni  ;  ed  in- 
caricò il  vescovo  d'  Oviedo  a  rac- 
cogliere diligentemente  le  decime 
concesse  dal  predecessore  al  re  Al- 
fonso X,  che  ne  deputasse  i  colla- 
tori e  punisse  chi  ricusava  pagar- 
le. Preparandosi  Rodolfo  d'  Ab- 
sburg  re  de'  romani,  per  portarsi 
a  Roma  con  gran  comitiva  per 
ivi  ricevere  le  insegne  imperiali 
che  Gregorio  X  gli  avea  promesso, 
il  Pontefice  inviò  a  lui  il  vescovo 
d'  Albi  come  legato,  per  stabilir  la 
pace  tra  lui  e  Carlo  I  d'  Angiò 
re  di  Sicilia,  prima  della  quale 
gli  vietò  entrare  in  Italia  per  non 
dar  motivo  ai  guelfi  e  ghibellini 
di  riaccendere  la  guerra  civile.  Ri- 
conciliò colla  Chiesa  i  fiorentini, 
nella  cui  città  Gregorio  X  avea 
posto  1'  interdetto,  al  modo  che 
narra  Leonardo  Aretino,  Histor. 
Eccl.  lib.  3.  Inviò  due  legati  in 
Toscana  per  conchiudere  la  pace 
tra'  lucchesi  ed  i  pisani,  come  ab- 
biamo da  Tolomeo  da  Lucca,  Hist. 
Eccl.  lib.  2  3,  cap.  19.  E  quando 
la  Chiesa  cominciava  a  concepire  in 
lui  gloriose  speranze  pel  suo  spirito 
conciliatore,  pietà,  sacra  erudizione 


3io  INN 

e  dottrina,  abitando  il  palazzo  la- 
terauense  la  morte  lo  tolse  da  que- 
sto mondo  a'22  giugno  1276,  dopo 
soli  cinque  mesi  di  pontificato.  Il 
Dalleo  nella  Vita  di  s.  Filippo  Be- 
nizi,  con  molti  altri  scrittori  accu- 
rati, dice  che  Innocenzo  V  sia 
morto  d'  improvviso,  quando  pen- 
sava di  sopprimere  ed  abolire  1'  or- 
dine de'  serviti.  Il  re  di  Sicilia 
Carlo  I  fu  presente  a'  suoi  fune- 
rali; e  fu  sepolto  nella  basilica  la- 
teranense.  Il  re  aveva  prestato  ad 
Innocenzo  V  il  giuramento  di  o- 
maggio  pel  reame  di  Sicilia  e  per 
la  terra  di  qua  dal  Faro,  eccet- 
tuato Beneveuto.  La  vita  di  questo 
Papa  fu  scritta  compendiosamente 
da  Bernardo  Guidonis,  e  venne 
pubblicata  nel  1725  dal  Muratori, 
ne'  suoi  Script,  rer.  Italie,  t.  Ili, 
p.  6o5.  Il  suo  elogio,  del  conte  di 
San  Raffaele,  è  nel  t.  V  de'  Pie- 
montesi illustri.  Gli  scrittori  dome- 
nicani ancora  ne  descrissero  le  gesta. 
Vacò  la  Sede  romana  dieciotto 
giorni. 

INNOCENZO  VI,  Papa  CCVII. 
Stefano  d'Albert  o  Albret  nacque 
di  mediocre  condizione  in  Mal- 
mont,  terra  della  diocesi  di  Li- 
moges,  non  lungi  da  Pompadour 
nella  parrocchia  di  Brissac,  dove 
in  un  palazzo  si  vedevano  le  inse- 
gne della  famiglia  di  questo  Papa 
fregiate  del  triregno  pontificio,  co- 
me scrive  il  Baluzio,  De  vù.  Pap. 
Avenion.  p.  918;  in  oltre  questi 
aggiunge ,  che  nello  stesso  luogo 
erari  una  piccola  chiesa  di  eccel- 
lente disegno  e  costrutta  di  pietre 
quadrate  molto  ben  commesse,  nel- 
la sommità  della  cui  volta  si  scor- 
geva l'arme  gentilizia  pure  ornata 
della  tiara  papale.  Divenuto  dot- 
tore e  professore  famoso  nel  di- 
ritto legale,  siccome  dotato  di  straor- 


INN 
dinaria  dottrina,  singolarmente  nel- 
le materie  civili  e  canoniche,  su 
di  che  scrisse  alcuni  volumi,  e  pel 
tenore  di  vita  irreprensibile  ed  il- 
libata, la  maggior  parte  degli  scrit- 
tori lo  celebrarono  massimo  tra  i 
canonisti,  dottissimo  in  entrambe 
le  leggi ,  eccellente  nelle  materie 
canoniche,  uomo  di  fama  integer- 
rima e  di  ottima  condotta.  Dopo 
avere  esercitata  la  carica  di  giu- 
dice maggiore  nella  siniscalchia  di 
Tolosa,  fu  fatto  uditore  della  ro- 
mana rota  da  Benedetto  XII,  e  da 
lui  promosso  nel  1 337  a^  vesco- 
vato di  Noyou ,  e  dopo  tre  anni 
trasferito  a  quello  di  Clermont, 
non  di  Cambray  come  alcuni  scris- 
sero. Clemente  VI  a'  20  dicembre 
i342  lo  creò  in  Avignone  cardi- 
nale prete  del  titolo  de'  ss.  Gio- 
vanni e  Paolo,  legato  alle  corti  di 
Parigi  e  di  Londra  insieme  col 
cardinal  Annibale  da  Ceccano,  per 
trattare  la  pace  tra  que'  due  so- 
vrani ,  e  finalmente  vescovo  d' O- 
stia  e  penitenziere  maggiore  nel 
i352.  Dopo  la  morte  di  Cle- 
mente VI  entrati  in  conclave  in 
Avignone  venlolto  cardinali  ,  la 
maggior  parte  di  essi  offri  il  pon- 
tificato a  Giovanni  Birellio,  santo 
generale  de' certosini,  ma  temendo- 
ne la  severità  il  cardinale  de  Ta- 
layrand  ne  dissuase  gli  altri.  Il  car- 
dinal di  Cannilliac  ebbe  quindici 
voti,  quando  il  cardinal  de  Talay- 
rand  avendo  persuaso  i  colleghi  a 
sollecitar  l'elezione  nella  persona 
del  cardinal  d'Albert,  perchè  a  gran 
giornate  Giovanni  II  re  di  Francia 
portavasi  al  conclave  a  lederne  la 
libertà  ,  per  avere  un  Papa  a  suo 
genio,  atteso  i  molti  cardinali  a 
lui  ben  affetti,  come  osservò  Mat- 
teo Villani  nel  lib.  3,  cap.  44* 
i  suffragi  si  riunirono  su  di   lui    e 


INN 

dopo  due  soli  giorni  di  conclave 
a*  18  dicembre  i35a  si  vide  innal- 
zato alla  cattedra  apostolica  e  pre- 
se il  nome  d' Innocenzo  VI.  Fu 
quindi  coronato  a' 23  dello  stesso 
mese  nella  cattedrale,  dal  cardinal 
Gailardo  de  la  Mothe  primo  dia- 
cono, ma  non  volle  per  umiltà  in- 
cedere in  solenne  cavalcata  per  la 
città  dopo  la  coronazione  e  secon- 
do l'uso,  per  evitarne  la  pompa, 
come  si  legge  nella  Fila  d'  Urba- 
no Ft  presso  il  Muratori  nel  to- 
mo III,  par.  II,  p.  602,  Script, 
rer.  Italie. 

Non  tardò  egli  a  riformare  al- 
cuni de'  più  grandi  abusi  d'  allora, 
rivocando  la  costituzione  del  pre- 
decessore, colla  quale  riservato  avea 
a  certi  cardinali  alcune  dignità  e 
benefizi  nelle  cattedrali  e  chiese 
collegiate  e  religiose,  ed  annullando 
le  commende  delle  chiese  e  mona- 
steri, eccetto  quelle  già  concesse  ai 
cardinali.  Sotto  pena  di  scomunica 
ordinò  la  residenza  a'  vescovi  ed 
altri  benefiziati  con  cura  d'anime, 
i  quali  solevano  portarsi  alla  corte 
pontificia  per  acquistarne  de' nuovi. 
Riformò  più  che  i  suoi  predecesso- 
ri l'eccessivo  lusso  della  sua  corte, 
nella  quale  ridusse  a'  soli  necessari 
i  molti  domestici,  scegliendo  quelli 
che  lo  meritavano  per  le  loro  vir- 
tù. Stabile  assegnamenti  agli  udi- 
tori di  rota,  e  non  conferì  il  sa- 
cerdozio ed  i  benefizi  che  a  perso- 
ne di  merito.  Riprese  i  cardinali 
giovani  che  avevano  abusato  del 
potere,  e  cassò  tutte  le  leggi  che  i 
cardinali  avevano  stabilite  in  con- 
clave, come  contrarie  al  pontificio 
diritto.  Alberto  duca  di  Baviera , 
Lodovico  marchese  di  Brandebur- 
go,  Guglielmo,  Ottone  e  Stefano 
tutti  figliuoli  di  Lodovico  il  Bava- 
ro,  riconoscendo  le   proprie   scelle- 


INN  3 1  e 

ratezze  in  aderire  e  sostenere  lo 
scisma  del  loro  padre,  ne  riprova- 
rono la  condotta  e  supplicarono 
Innocenzo  VI  dell'assoluzione  dal- 
le censure  in  cui  erano  incorsi,  e 
furono  esauditi.  Indi  si  rivolse  a 
frenare  i  fraticelli  ed  altri  eretici, 
non  che  gli  errori  che  al  suo  tem- 
po insorsero.  Per  reprimere  la  vio- 
lenza di  alcuni  signori  d'Italia,  e 
per  ricuperare  lo  stato  ecclesiastico 
nella  maggior  parte  usurpato  da  al- 
cuni prepotenti,  il  Pontefice  nel  i353 
spedi  il  cardinal  Egidio  Albornoz 
in  Italia  per  legato,  il  quale  con 
valore  in  cinque  anni  ricuperollo. 
Insorto  in  quest'  anno  un  tumulto 
in  Boma  a  cagione  della  carestia  , 
per  opera  del  notaro  Francesco 
Baroncelli,  fece  scarcerare  il  famo- 
so Cola  di  Rienzo,  il  quale  recatosi 
in  Roma,  col  legato  restituì  la  cal- 
ma alla  città  con  severe  giustizie, 
onde  in  premio  fu  fatto  senatore. 
Se  non  che  egli  abusando  di  sua 
possanza ,  fu  ucciso  agli  8  otto- 
bre 1 354  in  una  commozione  po- 
polare. Furono  eletti  con  autorità 
pontificia  diversi  senatori,  ma  per 
nuove  sedizioni  il  popolo  creò  il 
magistrato  de'  banderesi  pel  gover- 
no civile  della  città,  mentre  quello 
criminale  fu  affidato  ad  un  estra- 
neo colla  dignità  senatoria.  Frat- 
tanto Pietro  IV  re  d'Agarona  si 
portò  in  Avignone  e  fece  con  gran 
solennità  il  giuramento  di  fedeltà 
pel  feudo  della  Sardegna  e  della 
Corsica  appartenenti  alla  Chiesa 
romana.  Nel  tempo  stesso  procurò 
il  santo  Padre  di  pacificare  il  re 
di  Francia  Giovanni  li  con  Odoar- 
do  III  re  d' Inghilterra ,  pel  qual 
fine  spedi  loro  il  cardinal  Guido 
vescovo  di  Palestrina,  il  quale  seb- 
bene riuscì  a  stabilire  i  prelimina- 
ri della  concordia,  questa  non  pò- 


Sia  INN 

tè  effettuarsi.  Nel  i354,  ad  istan- 
za di  Carlo  IV  re  de' romani,  con- 
cesse alla  Germania  e  alla  Boemia 
di  celebrare  la  festa  della  sacra 
Lancia  e  Chiodi  che  servirono  di 
stromento  alla  passione  di  Cristo. 
Commise  al  cardinal  Albornoz  di 
creare  il  nuovo  magistrato  perchè 
ricevesse  coli'  onore  conveniente  il 
detto  re,  che  a' 5  aprile  1 355  fece 
coronare  colle  insegne  imperiali  dal 
cardinal  Pietro  Bertrand  vescovo  di 
Ostia ,  con  Anna  di  lui  moglie. 
Nello  stesso  anno  pose  l' interdetto 
al  regno  di  Napoli  e  scomunicò  la 
regina  Giovanna  I  con  Lodovico 
suo  marito,  perchè  non  aveano  pa- 
gato il  consueto  tributo  alla  san- 
ta Sede.  Pietro  il  Crudele  re  di 
Castiglia  avendo  abbandonata  la 
regina  Bianca  sua  moglie  per  vi- 
vere in  concubinato  prima  con 
Maria  Padiglia,  poi  con  certa  Ca- 
stro, né  cedendo  alle  ammonizio- 
ni d' Innocenzo  VI,  che  a  tal  uopo 
gli  avea  mandato  il  vescovo  di 
Senez,  per  mezzo  di  questi  lo  sco- 
municò e  pose  l' interdetto  al  re- 
gno. Rivoltatisi  i  sudditi  contro 
l'impudico  monarca,  lo  costrinsero 
a  cacciare  la  Padiglia,  ai  cui  amo- 
rì era  tornato,  ed  a  richiamare 
Bianca,  onde  il  Papa  lo  assolse  e 
levò  l' interdetto. 

Mosso  Innocenzo  VI  dallo  zelo  che 
Io  animava  e  compassionando  lo 
Stato  infelice  de' greci  e  del  loro  im- 
pero, diviso  per  sé  stesso  e  afflitto 
dai  saraceni  e  dai  turchi,  sino  dal 
i353  spedi  legati  a  Cantacuzeno 
che  ne  reggeva  le  redini  nella  mi- 
norità di  Giovanni  I  Paleologo. 
Trattarono  dell'unione  delle  due 
Chiese,  e  quando  l'imperatore  in- 
cominciò a  governare  giurò  obbe- 
dienza al  Pontefice  e  di  adoperar- 
si onde    costringervi    anco  i  greci. 


INN 
Indi  pregò  Innocenzo  VI  a  spedi- 
re un  esercito  contro  i  turchi  ed 
i  sudditi  ribelli;  ma  il  Papa  ve- 
dendo che  i  due  vescovi  spediti  a 
Costantinopoli  per  1'  unione,  non 
erano  riusciti  neh"  intento,  si  limi- 
tò ad  invitare  il  re  di  Cipro,  i 
veneziani,  i  genovesi,  ed  i  cavalie- 
ri di  Rodi  a  mantenere  nel  porto 
di  Smirne  quel  numero  di  galere 
convenuto  da  Clemente  VI.  Nel  1 356 
con  maggior  impegno  si  applicò  il 
Papa  a  pacificare  i  re  di  Francia 
e  d'  Inghilterra,  pel  qual  fine  de- 
putò a  legati  i  cardinali  Talayrand 
e  Capocci,  come  altresì  scrisse  al- 
l' imperatore  e  ad  altri  principi, 
perchè  ne  fossero  mediatori  ;  ma 
solo  ottenne  che  il  re  francese  pri- 
gioniero dell'  inglese  fosse  trattato 
con  generosità  e  riguardi  .  Nel 
principio  del  i357  Innocenzo  VI 
creò  Lodovico  I  re  d'  Ungheria 
capo  dell'  esercito  crociato  contro 
i  nemici  della  Chiesa,  e  specialmen- 
te contro  Francesco  Ordelafìo  ca- 
pitano di  Forlì  usurpatore  di  mol- 
te città.  In  mezzo  a  queste  cure  il 
Papa  scrisse  al  nuovo  re  di  Porto- 
gallo Pietro  I,  esortandolo  a  seguir 
l'orme  del  genitore  sia  nel  rispettar 
l'immunità  ecclesiastica,  che  nell'ono- 
rarela  Chiesa.  Ritornato  nel  i358 
in  Avignone  il  cardinal  Albornoz, 
Innocenzo  VI  lo  fece  incontrare 
solennempnte,  e  lo  colmò  di  altis- 
sime lodi.  Il  di  lui  successore  An- 
droino  de  la  Roche  abbate  di 
Cluny  per  inesperienza  delle  cose 
di  guerra  non  si  seppe  far  temere, 
per  cui  il  Pontefice  fu  costretto 
rimandar  in  Italia  il  cardinal  Al- 
bornoz per  raffrenare  le  città,  e 
terre  ribellate.  Nella  famosa  uni- 
versità di  Bologna  istituì  la  facoltà 
teologica  co'  medesimi  privilegi  del- 
le altre.  Nel     i35q    a  pacificare  i 


INN 

re  di  Cartiglia  e  d'  Aragona  irv 
viò  loro  per  legato  il  cardinal  Gui- 
do vescovo  di  Porto,  e  riuscì  nel- 
F  intento.  L'  imperatore  Carlo  IV 
avendo  violato  la  libertà  ed  im- 
munità ecclesiastica,  per  le  rimo- 
stranze del  Papa  si  emendò,  e  que- 
sti fece  una  costituzione  a  difesa 
de'  diritti  immunitari.  Nel  i35o 
mandò  il  vescovo  di  Rimini  a  Ge- 
nova per  ricevere  il  giuramento 
di  fedeltà  ed  il  tributo  per  la  Cor- 
sica, essendo  per  questa  decisa  la 
lite  in  favore  de'  genovesi  contro 
il  re  aragonese.  I  romani  dopo  aver 
affidato  il  loro  governo  al  calzolaio 
Lelio  Pocadota,  nel  i362  lo  resti- 
tuirono al  cardinal  Albornoz,  il 
quale  emanò  allora  le  costituzioni 
Egidiane.  Malcontenti  i  romani  dei 
diversi  generi  di  governo,  e  vo- 
lendo il  Papa  accostumarli  all'  ob- 
bedienza, gli  mandò  a  governali 
Ugo  IV  di  Lusignano  re  di  Ci- 
pro, che  si  trovava  presso  di  lui 
in  Avignone  per  domandargli  soc- 
corso contro  il  sultano  di  Egitto. 
Mentre  Innocenzo  VI  si  appli- 
cava con  instancabile  premura  nel 
procurare  la  riunione  della  Chiesa 
greca  colla  latina,  e  la  pace  fra  i 
principi  cattolici,  ed  avendo  gover- 
nato egregiamente  il  pontificato  per 
nove  anni ,  otto  mesi  e  ventitre 
giorni,  consumato  dalla  vecchiaia 
e  dalle  malattie,  mori  in  Avignone 
a' ii  settembre  i362,  e  fu  sepolto 
in  Villanova  ove  soleva  soggiorna- 
re presso  i  certosini  nel  monaste- 
ro da  lui  fabbricato  nel  i356  nel 
palazzo  che  possedeva  da  cardinale, 
ivi  solendosi  sollevare  dalle  cure 
del  pontificato  colla  meditazione 
solitaria  delle  cose  celesti.  Il  suo 
cadavere  dalla  chiesa  di  s.  Maria 
de  Donis  d'  Avignone,  fu  traspor- 
tato a  Villanova,   a'  13.  novembre, 


INX  3i3 

nel  monumento  da  lui  preparato» 
si.  In  quattro  promozioni,  una  del- 
le quali  al  dire  del  Novaes  fatta 
in  Villanova,  Innocenzo  VI  creò 
sedici  cardinali,  fra'  quali  Aldoino 
d' Albert,  senza  consultarne  i  car- 
dinali, suo  nipote,  Pietro  da  Mon- 
turco  figlio  di  sua  sorella,  e  Ste- 
fano d'  Albret  suo  pronipote.  Inol- 
tre cinse  di  mura  Avignone  dalla 
quale  procurò  indarno  di  tener  in- 
dietro la  terribile  pestilenza  del 
i36i  ;  fabbricò  il  collegio  de'  po- 
veri in  Tolosa  detto  di  s.  Marzia- 
le, per  venti  studenti  della  diocesi 
di  Limoges.  Abbiamo  di  lui  molte 
lettere  in  una  collezione  di  concilii 
e  nel  Tliesaurus  di  Marlene.  Fi» 
dotato  Innocenzo  VI  di  grande  pe- 
rizia ne'  canoni  e  nelle  leggi,  di 
6Ìngolar  amore  per  la  giustizia,  di 
non  ordinario  zelo  pel  bene  della 
Chiesa,  e  di  somma  integrità  di 
vita;  ma  un  poco  attaccato  al  pro- 
prio sangue,  sollevando  molti  dei 
6uoi  parenti,  che  per  altro  n'  era- 
no meritevoli  pe'  loro  costumi.  Fa- 
vori i  letterati,  e  molti  ne  pro- 
mosse, come  beneficò  le  persone 
di  merito.  Giovanni  Tritemio,  in 
C/ironico  Hirsaugensi,  ad  an.  i352, 
p.  2g3  edit.  Basileensis,  con  altri, 
lo  chiama  massimo  tra' canonisti. 
Vacò  la  santa  Chiesa  un  mese  e 
quindici  giorni. 

INNOCENZO  VII,  Papa  CCXU. 
Cosimo  o  Cosimato  de'  Migliorati 
nacque  da  una  famiglia  onesta  ed 
onorata  dell'  Abruzzo,  nella  città 
di  Sulmona  nel  regno  di  Napoli. 
Dopo  aver  esercitato  in  Caputi 
1'  uffizio  di  notaro  o  cancelliere, 
portossi  a  Bologna  per  applicarsi 
allo  studio  delle  leggi,  in  cui  ri- 
cevè le  insegne  di  dottore  sotto  la 
disciplina  del  famoso  Giovanni  di 
Lagnano,  il  quale  mandato  dal  co- 


3i4  INN 

mune  di  Bologna  a  Urbano  VI, 
caldamente  raccomandò  il  Miglio- 
rati a  questo  Pontefice,  che  perciò 
lo  prese  al  suo  servigio,  e  ricono- 
sciutane la  virtù  ed  il  talento  Io 
avanzò  a  uditore  di  rota  e  chie- 
rico di  camera,  e  lo  spedi  collet- 
tore delle  rendite  della  Chiesa  ro- 
mana in  Inghilterra.  Ivi  si  distinse 
per  la  sua  integrità  e  valore,  pro- 
testando con  diverse  lettere  al  Pa- 
pa la  costante  sua  obbedienza  nel 
funesto  scisma  d'occidente,  soste- 
nuto in  Avignone  dall'  antipapa 
Clemente  VII.  Tornato  in  Roma 
ottenne  nel  1 386  il  vescovato  di 
Bologna,  e  non  avendone  potuto 
conseguire  il  possesso,  Urbano  VI 
nel  1387  lo  trasferì  all'  arcivesco- 
vato di  Ravenna;  ma  contrastatogli 
da  Guido  da  Polenta  signore  della 
città,  e  fautore  del  pseudo-papa, 
solo  sotto  Bonifacio  IX  lo  conse- 
guì. Ebbe  ancora  le  cariche  di 
tesoriere  e  vice-cancelliere  di  san- 
ta Chiesa,  e  dopo  la  morte  di  Ur- 
bano VI  quella  di  governatore  di 
conclave.  Bonifacio  IX  a' 1  8  dicem- 
bre 1389  lo  creò  cardinale  prete 
del  titolo  di  s.  Croce  in  Gerusa- 
lemme, e  poscia  camerlengo  di  san- 
ta Chiesa,  e  legato  per  la  pace  di 
tutta  1'  Italia.  Per  1'  illibatezza  dei 
suoi  costumi,  che  al  dire  del  Maini  - 
bourg,  Storia  dello  scisma  d'  oc- 
cidente t.  I,  p.  44^>  non  fu  m£d 
oscurata  da  vizio  alcuno,  e  per  la 
umanità,  piacevolezza  e  compassio- 
ne che  avea  pei  poveri,  tale  ascen- 
dente si  acquistò  nell'  animo  di 
Bonifacio  IX,  che  questi  gli  affidò 
gli  affari  più  importanti  del  pon- 
tificato, agitato  dallo  scisma  di 
Benedetto  XIII  successore  nell'  au- 
tipapato  a  Clemente  VII,  eh'  essen- 
do infermo  lo  dichiarò  presidente 
del  concistoro    con    autorità  illinii- 


INN 
tata  nel  governo  della  Chiesa.  Dopo 
la  morte  di  Bonifacio  IX  nove 
cardinali,  ovvero  sette,  come  vo- 
gliono il  Gobelino  ed  il  Panvinio, 
dell'obbedienza  romana,  poiché  gli 
altri  tre  erano  assenti,  nel  quinto 
giorno  del  conclave,  cioè  a'  17  ot- 
tobre 1 4o4»  concordemente  lo  crea- 
rono Papa  in  età  di  sessantacinque 
anni,  prendendo  il  nome  d'  Inno- 
cenzo VII.  A' 2  novembre,  secondo 
il  Panvinio  e  il  Contelori,  in  gior- 
no di  domenica,  ovvero  come  vuole 
I'  Oldoino  con  altri  sull'  autorità 
del  libro  del  sacro  collegio,  in 
giorno  di  martedì  festa  di  s.  Mar- 
tino vescovo,  ossia  agli  1  i  novem- 
bre, fu  solennemente  coronato,  e 
nello  stesso  giorno  prese  solenne 
possesso  della  basilica  di  s.  Gio- 
vanni in  Laterano.  Però  da  un 
frammento  di  storia  di  Antonino 
di  Pietro,  conservato  nella  miscel- 
lanea della  biblioteca  vaticana,  si 
ricava,  che  Innocenzo  VII  dopo  la 
coronazione  fatta  in  detto  giorno 
passò  a  prender  possesso,  laonde  non 
sembra  vero  che  ciò  egli  facesse 
a'  27  dicembre  come  altri  scrisse- 
ro. La  cavalcata  ebbe  luogo  con 
molti  baroni  delle  case  Orsini  e 
Colonna,  del  conte  di  Troia  e  dei 
magistrati  e  principali  del  popolo 
romano  con  molta  onorificenza, 
e  ad  ora  di  vespero  fece  ritorno 
al  palazzo   vaticano. 

Avendo  Ladislao  re  di  Napoli 
saputo  che  Innocenzo  VII  s'  era 
obbligato  con  giuramento,  come  gli 
altri  cardinali  nel  conclave,  di  ri- 
nunziare al  papato  qualora  ciò 
fo«se  necessario  per  dar  fine  allo 
scisma,  e  temendo  nello  stesso  tem- 
po che  nella  pace  universale  corres- 
se rischio  il  suo  scettro  per  cagio- 
ne delle  pretensioni  di  Lodovico 
d'Angiò,    da    lui    espulso    da   quel 


INN 
reame,  indusse  il  buon  Pontefice  a 
dichiarare  con  una  costituzione  de- 
gli   i  i    novembre  presso    il  Rinal- 
di, ch'egli   non  sarebbe  mai  venu- 
to ad  alcun  trattato    di    pace,    se 
non  fosse  stabilito    prima    da    am- 
bedue le  parti    come   preliminare , 
che  Ladislao  restasse  pacifico  pos- 
sessore degli  stati  che  allora  godeva. 
Questa  grazia  del  Papa,    in  cui  il 
bene  privato  si    antepose  a  quello 
della  Chiesa,  poiché  con  essa,  che 
certamente  non    poteva    essere   ac- 
cettala dai  cardinali  francesi  favo- 
revoli   a  Lodovico,    rendevasi    più, 
difficile  anzi  impossibile  l'estinzione 
dello  scisma,  non  impedì  a  Ladislao 
di    cominciar    ad    occupare    i  beni 
della   Chiesa,  ed  a  commettere  di- 
verse malvagità.  Queste  Innocenzo 
VII   procurò  di    frenare    con    affa- 
bilità e  benefizi,   tra'  quali  gli  ri- 
mise il  censo  che  non  avea    paga- 
to alla  santa  Sede  pel    regno    ne- 
gli anni  addietro  e  per  tre  de'  pros- 
simi futuri.   L' ingrato  Ladislao  fa- 
cendo finta  di  voler    congratularsi 
col  Papa  per  la  esaltazione ,  dove 
che  aspirava  al  dominio  temporale 
di  Roma,  quivi  si  portò    e    mosse 
contro  Innocenzo  VII    i  romani,  i 
quali  non  erano  perfettamente  tran- 
quilli, non  ostante  che    il  Pontefi- 
ce studiava  più  d'ogni    altra    cosa 
di  favorirli,  accordando  loro  ciò  che 
domandavano,  talché  una  volta  do- 
mandò ad  essi  se  volevano  pure  l'a- 
bito che  indossava,  per  significare 
che    stimerebbe    men    penoso    spo- 
gliarsi   della    dignità    che    tollerar 
l'ingiurie  che  da  essi  riceveva,  co- 
me osserva  il  Niemo  nella  sua  sto- 
ria.   Dall'  altra    parte    Alberico    di 
Raibiano  contestabile    di  Napoli  e 
feudatario  della  santa  Sede ,    man- 
cando alla    promessa  fedeltà ,    nel 


INN  3i5 

i4o5  occupò  improvvisamente   al- 
cune terre  nel  territorio    di  Bolo- 
gna e  procurò  di  far  lo  stesso  sulla 
città.  Per  reprimere  dunque    l'in- 
solenza del  contestabile,  scrisse  In- 
nocenzo VII  a'  26  giugno   a  tutti 
i  governatori  dello    stato    ecclesia- 
stico ,  ordinando    loro    sotto    pena 
di  scomunica  e  privazione  di  tutti 
i  beni,  che  nessuno  gli  dasse  aiuto 
o  favore  di  sorte  alcuna,  e  che  al 
primo    avviso    del    cardinal   legato 
prendessero  le  armi  contro    di  lui 
per  soggiogarlo.  Nel  tempo    mede- 
simo Forlì  e  Cesena  tornarono  alla 
Chiesa    per    morte    dell' Ordelaifo  ; 
ma  quando  il  cardinal  Cossa  lega- 
to   volle    prenderne  possesso,  vi  si 
opposero  alcuni,  intromettendosi  nel 
governo    di    Forlì.    Per    lo   che  il 
santo  Padre  scrisse    una    lettera   a 
quella  città  con  amare  doglianze,  e 
ordinò  al  legato  che  tosto  si  avan- 
zasse coli' esercito    per  reprimere  i 
sollevati;  ma  essendovisi  opposti,  il 
cardinale  venne' a  concordia.  Quel- 
li poi  di  Città  di   Castello,   avendo 
scosso  il  giogo  di  chi    li    signoreg- 
giava, si  assoggettarono  interamente 
al  Papa. 

Intanto  a' 12  giugno  Innocenzo 
VII  fece  una  promozione  di  undi- 
ci cardinali,  nel  qual  numero  oltre 
il  nipote  Giovanni  Migliorati,  sei 
erano  romani,  affine  di  obbligarli 
a  desistere  dalle  ribellioni  e  som- 
mosse principalmente  de'Colonnesi 
e  Savelli  ghibellini  che  volevano 
ristabilire  l'antica  repubblica,  con- 
trariati dagli  Orsini  guelfi.  I  primi 
simulando  di  favorire  le  parti  del- 
l'antipapa erauo  accampati  intorno 
alla  città,  i  secoudi  a  mossa  di  La- 
dislao molestavano  il  Papa  cou 
nuove  ricerche.* Quindi  sollevatisi 
i  romaui  apertamente  pretesero  u- 


3.6  INN 

ria  notte  di  sorprendere  il  ponte 
Molle ,  guarnito  dalle  milizie  pon- 
tifìcie, che  valorosamente  li  re- 
spinsero. Quindi  si  trattò  di  con- 
cordia tra  i  ribelli  ed  il  Pontefice, 
quando  ritornando  dall'udienza  di 
questi  due  de'  sette  reggenti  di  Ro- 
ma con  nove  altri  principali  cit- 
tadini ,  Lodovico  Migliorati  nipote 
d'Innocenzo  VII,  siccome  capitano 
dc'soldati,  li  fece  passare  a  fil  di 
spnda  a'5  agosto  i4o5  nel  proprio 
palazzo  a  s.  Spirito  in  Sassia.  Ap- 
pena i  romani  intesero  questo  as- 
sassinio, al  suono  della  campana 
del  Campidoglio  corsero  alle  armi, 
e  sui  più  rispettabili  ecclesiastici 
che  trovarono  diedero  sfogo  alla 
vendetta,  trascinandoli  ignominio- 
samente  alle  carceri  del  medesimo 
Campidoglio.  Ignaro  dell'accaduto, 
che  gli  produsse  sommo  cordoglio 
quando  lo  seppe,  Innocenzo  VII  che 
sospettava  male  di  Antonio  Toma- 
celli  nipote  del  predecessore  e  castel- 
lano di  Castel  s.  Angelo,  corrotto  da 
Ladislao, e  vedendo  la  penuria  de'vi- 
veri  cbe  era  in  Roma,  ne  fuggi  nel 
maggior  caldo  del  giorno  per  Sutri 
a  Viterbo,  avendo  corso  pericolo 
di  morire  di  sete  nel  viaggio,  co- 
me in  fatti  morirono  alcuni  delia 
sua  comitiva.  Giovanni  Colonna 
occupò  allora  i  sobborghi  di  s. 
Pietro  e  del  palazzo  vaticano,  e 
Ladislao  credendo  opportuna  l' oc- 
casione d'  impadronirsi  di  Roma, 
con  forte  esercito  vi  spedi  Peretto 
conte  di  Troia,  il  quale  fu  rice- 
vuto dai  congiurati  ed  ammesso 
nei  contorni  di  s.  Pietro.  Prefe- 
rendo i  romani  la  morte  alla  sog- 
gezione del  re,  Peretto  manomise 
vari  luoghi  ed  il  Colonna  si  die- 
de alla  fuga  co' partigiani ,  prima 
che    l'esercito    della    Chiesa  che  si 


INN 
avanzava  gliela  potesse  impedire. 
Aveva  Innocenzo  VII  con  lette- 
ra circolare  de' 27  dicembre  i4o4 
avvisato  i  vescovi  ed  i  principi 
della  sua  obbedienza  di  portarsi  a 
Roma  per  1'  estirpazione  dello  sci- 
sma nella  festa  d'  Ognissanti,  e 
partecipò  pure  questo  suo  disegno 
all'università  di  Parigi.  Eravi  sta- 
to invitato  anche  l'antipapa,  che 
d'Avignone  per  la  via  di  Genova 
venne  in  Italia,  quando  per  la  so- 
praggiunta peste  tornò  a  Marsiglia. 
S'avvide  allora  Innocenzo  VII  della 
impossibilità  di  tenere  in  quell'anno 
il  concilio  in  Roma.  I  torbidi  della 
città  e  le  vie  non  sicure  ai  viag- 
giatori l'obbligarono  a  prorogarlo 
al  maggio  1406,  con  bolla  data 
a  Viterbo  a'  26  novembre.  Essen- 
do passati  sette  mesi  dacché  il 
Papa  era  in  Viterbo,  e  però  pen- 
titi i  romani  dei  falli  commes- 
si ,  lo  supplicarono  con  diverse 
ambascerie  di  fare  ad  essi  ritor- 
no .  Il  santo  Padre  fece  prima 
da'suoi  prendere  possesso  con  asso- 
luto dominio  della  città,  del  Cam- 
pidoglio e  di  tutte  le  porte  e  ca- 
stelli, indi  per  la  porta  Portese 
entrò  in  Roma  a'3i  marzo  1406, 
ricevuto  con  singolari  dimostrazio- 
ni di  letizia  ed  applausi.  Gli  an- 
darono incontro  con  le  fiaccole  in 
mano  i  giuocatori  de'  giuochi  di 
Agone  e  di  Testacelo  e  della  Ma- 
donna di  mezzo  agosto,  gridando  : 
Viva  lo  Papa,  che  sotto  il  bal- 
dacchino per  Trastevere  giunse  al 
palazzo  vaticano. 

Tuttavolta  la  città  non  era  in 
perfetta  calma,  persistendo  il  To- 
macelli  nella  ribellione  ed  in  po- 
tere del  Castel  s.  Angelo  donde  si 
facevano  non  poche  ostilità  ;  il  Pe- 
retto,   Nicolò    e  Giovanni  Colonna, 


INN 
che  con  Ladislao  avevano  congiu- 
rato contro  il  Papa,  in  un  al  ma- 
gistrato ed  altri  erano  ancora  ri- 
belli. Laonde  il  Pontefice  a'ao  giu- 
gno fulminò  contro  tutti  le  censu- 
re e  pene  de*  sacri  canoni,  privò 
del  regno  e  d'  ogni  altro  onore 
il  fellone  Ladislao  e  del  governo 
di  Campagna  e  di  Marittima.  Con 
simulazione  ricorse  Ladislao  alla 
clemenza  d'Innocenzo  VII  doman- 
dandogli perdono,  il  quale  non 
solo  l' ottenne  dal  benigno  Papa, 
ma  a'  1 3  agosto  avendo  fatta  la 
pace  con  quelle  condizioni  che  ri- 
porta il  Rinaldi  all'anno  i$o6,  n. 
7,  lo  rimise  nell'antico  onore  e  gli 
conferì  la  dignità  di  gonfaloniere 
e  difensore  della  Chiesa  romana. 
Ma  l'ambizioso  e  perfido  principe, 
più.  che  mai  sconoscente,  con  nuo- 
ve ingiurie  ricompensò  i  favori  ri- 
cevuti da  Innocenzo  VII,  il  perchè 
questi  si  decise  dar  nuova  sentenza 
contro  di  lui,  quando  la  morte 
glielo  impedì,  mentre  in  Parigi  si 
maneggiava  l'estinzione  dello  scisma. 
Avendo  dunque  Innocenzo  VII  go- 
vernato due  anni  e  ventitre  giorni, 
morì  in  Roma  di  apoplessia  a'  6 
novembre  i4o6,  in  età  di  sessanta- 
sette o  sessantotto  anni,  e  fu  sepolto 
nella  cappella  di  s.  Tommaso  della 
basilica  vaticana,  donde  le  sue  cene- 
ri furono  trasportate  nella  terza  na- 
ve delle  sacre  grotte  della  stessa  ba- 
silica. Era  Innocenzo  VII  di  bella 
statura,  uè  grasso  né  magro,  di 
buona  complessione,  molto  perito 
nella  scienza  legale  ,  praticissimo 
degli  a  fifa  ri  della  curia  romana, 
di  maniere  dolci  ed  affabili,  in 
grande  riputazione  presso  i  princi- 
pi, e  commendato  da  tutti  per  la 
sua  mansuetudine,  per  la  pietà  che 
usava  verso  gli  afflitti,  per  la  pron- 


INN  3i7 

tezza  e  pazienza  nel  dare  udienza 
a  chiunque  la  richiedeva,  per  la 
giusta  severità  contro  i  malvagi , 
per  la  protezione  che  prendeva 
de' letterati,  per  l'abborrimento  alla 
superbia  e  alla  simonia,  e  pel  de- 
siderio in  fine  di  far  bene  a  tutti, 
come  lo  dipinge  Teodoiico  ftiemo 
vescovo  di  Camhray  famigliare  pon- 
tificio e  piuttosto  contrario  ai  Pa- 
pi, nella  Storia  dello  scisma  d'oc- 
cidente lib.  4>  caP-  3g.  Il  Cordel- 
la nelle  Meni.  stor.  de'  cardinali , 
tra  la  altre  lodi,  lo  dice  destro 
nel  maneggio  degli  affari,  eloquen- 
te, e  che  prendeva  diletto  in  con- 
versare cogli  uomini  dotti  ed  eru- 
diti. Solamente  l'avere  questo  Pa- 
pa innalzato  l' immeritevole  suo 
nipote  Lodovico  al  grado  di  mar- 
chese della  Marca  e  ad  altre  ono- 
rificenze, e  non  aver  dato  mano 
all'estinzione  dello  scisma  con  quel 
zelo  che  avea  dimostrato  e  pro- 
messo prima  di  essere  fatto  Papa, 
sminuirono  non  poco  la  gloria  del 
suo  pontificato.  Tutte  le  qualità, 
che  in  lui  erano  mirabilmente  u- 
nite,  sarebbero  bastauti  per  farlo 
un  Pontefice  in  cui  non  fosse 
cosa  alcuna  da  rimproverare,  se 
questo  prodigio  non  fosse  stato  co- 
me impossibile  nelle  spinose  circo- 
stanze nelle  quali  occupò  egli  fi 
cattedra  pontificale.  Innocenzo  ^  li 
non  vide  più  la  cessione  di  questa 
con  quell'  occhio  medesimo  che 
l'avea  veduta  quand'era  cardinale 
Migliorati  ,  e  perciò  fatto  Papa 
credette  di  poter  dispensare  il  car- 
dinale medesimo  da'giuranienti  fat- 
ti nel  conclave,  di  sagrificare  se 
fosse  stato  necessario  la  sua  propria 
grandezza  alla  pace  della  Chiesa. 
A  vantaggio  di  questa  Iunocenzo 
VII    condannò  i  simoniaci  di  qua- 


286021 


3.8  INN  INN 

lunque  condizione  e  dignità,  risei*-  tempo  1'  eresie  di  Wicleffb  furono 

■vando  al  solo  Pontefice  la  loro  as-  condannate  dai  dottori  dell'accade- 

soluzione   e  con   pena  della    priva-  mia    di    Parigi.     Vacò  la    romana 

zione  degli  uffici  ;  alla  quale  pure  Sede  venticinque    giorni, 
condannò    i    concubinari.    A    suo 


FINE    DEL    VOLUME    TR1GESIMOQU1NTO. 


BX  841  .M67 

1840 

SMCR 

fioroni ,  Gaet 

ano, 

1802-1883. 

Di  z  i  onari  o  d 

i  erud 

i  z  i  one 

stor  ico-ecc 

lesias 

t  ìca 

AFK-9455  (awsk)