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ERPETOLOGIA
DELLE PROVINCIE VENETE
DEL TIROLO MERIDIONALE
Una corrispondente Collezione dei Rettili del Tirolo meridionale fu depositata nel 4832
presso la. Società Zoclogico- Botanica di Vienna, ed uu’ aitra fu inviata nel 41855 al Museo
Civico di Rovereto.
L’Autore offre in cambio di altri Rettili d' Europa, o di Molluschi terrestri e fluviatili,
le specie e varictà qui descritte, ed in perfettissimi esemplari conservate nell* alcool
ERPETOLOGIA
DELLE PROVINCIE VENETE
E
DEL TIROLO MERIDIONALE
DI
EDOARDO nob. de BETTA
SOCIO ATTIVO DELL'ACCADEMIA DI AGRICOLTURA, ARTI E COMMERCIO DI VERONA,
MEMBRO DELL’ATENEO DI BASSANO, DELL’ACCADEMIA DEI CONCORDI DI BOVOLENTA,
DELLA SOCIETA' ZOOLOGICO - BOTANICA DI VIENNA, DELLE SOCIRTA' DI SCIENZE
NATURALI DI PRAGA, DI HERMANNSTADT, DI BAMBERGA ECC. ECC.
DEBRA PREULALA
dall'Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona
e formante il Vol. XXXY de’ suoi Atti.
YEROMA I
Dalio Stabilimento Tipografico Vicentini e Franchini SCE rARtES __
4857.
SULLA
ERPETOLOGIA DELLE PROVINCIE VENETE
E DEL TIROLO MERIDIONALE
DEL NOBILE CAVALIERE
EDOARDO de BETTA
presentata all'Accademia il giorno 7. 4 ‘goslo 1 656,
RAPPORTO
della Commissione Accademica, letto nella Tornata
del #6 Aprile 1807.
Opjeus (feci i Golleg DA
Se fra le Scienze naturali la Zoologia in fatto
d’ importanza e di utilità è a nessuna seconda; se
non v' ha ramo di questa scienza che con ragione da
uno studioso esser possa dimenticato, o anche ad
altri posposte; e perchè mai (saviamente osserva il
Cavaliere de Betta) tanto scarsi sono essi fra noi i
lavori che in fatto di Erpetologia fino ad ora ven-
nero a luce? — Ciò prova ad evidenza essere stato
sin qua ristretto a pochissimi lo studio di tale Zoolo-
gico ramo; e questo difetto potersi assegnare a questo,
che la gioventù non è sovvenuta di un libro il quale
unisca le due: erudisca su quanto v' ha di meglio a
VII
sapersi dei Rettili, e torni insieme di facile accesso ed
acquisto.
Egli è a questo lodevolissimo intendimento che il
nostro chiarissimo Socio prese a dettare un Trattato
di Erpetologia, che li annunziati pregi si avesse; re-
stringendolo opportunamente alle specie che abitano le
Provincie Venete, tra le quali la Veronese meno di tre,
le contien tutte essa sola; a cui aggiunse il Tirolo
meridionale, che ne difetta solo di cinque.
Per questo lavoro dell’ egregio nostro Collega lo
studio dei Rettili, oltre a rendere manifesta tutta la
sua importanza, si porge altresì facile allo studioso, e
(ciò che assai conta in fatto di opere didascaliche )
veste la scienza di quella piacevolezza e curiosità che
tanto è gradita alla gioventù, sempre schiva della fatica
e della noja. A scemare vie meglio Ja quale il nostro
Autore liberò la sua Erpetologia di una difficoltà, che ai
dotti stessi tornò sempre di grave imbarazzo; vogliamo
‘ dire la confusione della nomenclatura; perchè ad ogni
specie di Rettili, dopo il nome datole dal suo classifi-
catore, e il rispondente italiano, con quello pure con
cui sono usi a chiamarla nel loro dialetto i Veneti ed
i Tirolesi, ci dà per disteso tutta la lunga lista degli
svariati nomi co’ quali la medesima specie è dai Na-
turalisti appellata, indicando altresi |’ Opera in cui
que’ sinonimi si trovano usati.
E innanzi tratto, posto l' elenco degli autori citati
nell'ora nominata Sinonimia, entra l'egregio Socio col
IX
primo articolo in una ordinata e convenevolmente este-
sa descrizione dei Rettili in generale, indicando allo
studioso tutti li principali caratteri che sceverando i
rettili dagli altri animali, ne costituiscono una Classe
speciale.
‘ Questa Classe poi divisa dal nostro Autore, coll’ il-
lustre Brongniart, ne’ quattro Ordini de’ Chelonei, dei
Saurti, degli Ofidii e dei Batraci, di ciascun ordine
descrive le forme, gli organi esteriori, e ’?l magistero
cui dalla Natura son destinati. Entra di poi nell’ interno
del corpo, e ne addita |’ ammirabile compagine, e le
funzioni dei visceri. Tutto con profondità e sicurezza
di erudizione e di scienza, sempre all’ appoggio delle
ultime e più recenti scoperte e teorie; dettato poi con
quella facilità, chiarezza, e proprietà di lingua, che lo
renderebbe anche per ciò solo commendevolissimo.
Procede inoltre 1° illustre Autore in un secondo
articolo a parlar del veleno delle Vipere, e svolge que-
sto interessante argomento con tanta copia di dottrina
e di prove, che nulla lascia a desiderare. Fattici noti,
a guardarcene, i luoghi del Veneto e del Tirolo ove
più abbondan le vipere, descrive le traccie esterne
che dinotano infra gli altri velenoso quel rettile, |’ in-
terno ordine e la postura delle glandule, e la struttura
particolare dei denti veleniferi; opera di provvidenza
ammirabile, come che paurosa, e tale apparato di av-
velenamento disegna poi di sua mano nella tavola che
accompagna l’opera; descrive i sintomi che annunzia-
X
no il fatal morse, e i fenomeni terribili che ne conse-
guitano, indicando da ultimo i rimedj meglio accertati
a guarirne.
Soddisfatto a questo debito di una compiuta istru-
zione, passa il Socio nostro alla Generazione dei Rettili.
Di ciascheduno delli quattro Ordini sunnominati addita
la differente economia cui segue Natura nella conser-
vazione di questi esseri; i quali se pel volgo ignaro
sono li più spregevoli e fastidiosi, il savio invece, che
li considera attento, stupisce ad un ordine che vede
in loro di portenti affatto nuovi. Fra questi è ammira-
bile nei Batraci peculiarmente, lo svolgimento delle
più curiose metamorfosi dal primo loro esordire sino
ad animale compiuto; ed è con queste meraviglie che
il nostro Autore termina il bello e savio articolo della
Generazione dei Rettili.
Da questa passa all’ arcana facoltà di che fu loro
larga Natura, di riprodur quelle parti del corpo delle
quali venissero mozzi. A questo fatto, uno de’ più re-
conditi della fisiologia, dedica un breve ma sugoso
articolo, riportando eziandio le migliori sperienze e i
più luminosi successi ottenuti dai naturalisti; offeren-
do altresì a vedere negli scheletri di alcuni rettili, di
cui è fornito il ricco e stimato suo Museo, la diffe-
renza interna a cui soggiacciono le parti riprodotte
dalle native.
Pregio era dell’opera che una pagina pur vi aves-
se destinata a svellere dalla mente de’ giovani quelle
XI
tante superstizioni e false opinioni statevi per avven-
iura innestate dal volgo credenzone e ignorante; ed è
appunto questo argomento che svolge da ultimo | il-
lustre Autore, chiudendo la prima parte del suo lavoro
con un articolo intitolato « Favole e pregiudizj nella
storia dei Rettili » .
Fin quì la prima parte dell’ opera che si potrebbe
chiamare |’ Erpetologia generale.
Va innanzi alla seconda parte, che vorremo intito-
lare I Erpetologia particolare, un « Prospetto dei
» Rettili delle provincie Venete e del Tirolo meridio-
» nale, colla indicazione delle specie fino ad ora co-
» nosciute proprie anche della Lombardia »..
In questo Prospetto sommario l'Ordine I. dei Che-
lonîî è diviso nei due generi Emys e Chelonia, colle
specie lutaria pel primo, e carezta pel secondo. Volle
l’ illustre Autore descritta pure una terza specie, la
Testudo gracca, perchè spesso ne incontra vederla
nei nostri giardini; sempre però portatavi vuoi dalla
Grecia, vuoi dalla Romagna o d° altrove, non mai in-
digena dei nostri paesi.
L’Ordine II. dei Saurii è partito nei due generi
Lacerta ed Anguis, il primo dei quali suddivide nei
tre sottogeneri Zaceria, Zootoca e Podarcis. Di ognu-
no espone le specie colle sue varietà, fra le quali ci è
fatta conoscere dall’ Autore nostro una assai distinta
sua varietà campestris della comune Podarcis mu-
ralis.
XIÉ
L'Ordine HH. degli Ofidii è diviso in cinque ge-
neri: Coronella, Coluber, Tropidonotus, Pelias e Vi-
pera, colle rispettive specie e varietà.
L'Ordine IV. dei Batraci è distinto in sette generi,
Hyla, Rana, Bombinator, Bufo, Salamandra, Petra-
ponia e Triton, colle specie loro.
Di questi rettili :
Specie 26, con 34 varietà appartengono alle provincie
Venete.
Specie 24, con 20 varietà al Tirolo meridionale.
Specie 24, con 14 varietà alla Lombardia.
Dopo questo spartimento generale della materia,
si fa da capo il Socio Autore al primo Ordine dei
Chelonii, e dataci una prima descrizione che abbrac-
cia i rettili spettanti a quest’ ordine, indi delle famiglie
che ne discendono, dinotando con ogni accuratezza la
struttura esterna ed interna di questi esseri, le forme,
‘il colore e le dimensioni, ci fa conoscere i luoghi di
preferenza da essi abitati, e le loro costumanze, non
lasciando pur di accennare l’ utilità che negli usi della
vita possiamo trarre da questi animali.
Passa quindi a dinotare d’ ogni famiglia i generi
in cui si divide, e, come più sopra dicemmo, le varie
specie ad ogni genere appartenenti, colle loro varietà;
partitamente quelle e queste descrivendoci, sempre se-
guendo l’ ordinato processo come si è detto.
E quì faremo osservare due pregi singolari che
rendono questo sudato lavoro vie più prezioso. E pel
XIII
primo, lo studio diligente posto dal nostro Collega a
definire e bene sceverare l’ ana dall’ altra parecchie
delle specie per altri autori mischiate e confuse; ren-
dendo con ciò un notabile servigio agli studiosi ed
alla scienza. Il secondo, che nel fatto segnatamente
dei costumi e delle abitudini di questi esseri tutto
volle l'Autore accertato e raffermato dalle proprie spe-
rienze, e veder chiaro in ogni fatto cogli occhi propr],
per cui non dovette pur rifiutarsi a fatica ed a spesa
di viaggi; ed ove non gli fu possibile il suffragio della
propria sperienza volle corroborate le sue asserzioni
dalle osservazioni e testimonianze dei più riputati Na-
(uralisti e suoi corrispondenti.
Colla stessa lucidezza, diligenza, e profondità di
erudizione scompone e anatomizza sottilmente gli altri
tre Ordini dei rettili, nulla pretermittendo di ciò che
render possa il suo lavoro in fatto di Erpetologia delle
Provincie Venete e del Tirolo meridionale un 7rat-
tato completo.
Da ultimo un Quadro Sinottico tutta la branca er-
petologica coì singoli suoi rami offre 1’ illustre Autore
a vedersi d’ un colpo d’ occhio.
Per le quali osservazioni tutte, Egregi Colleghi, la
Commissione che Voi onoraste di questo esame, sente
di dover proporre al voto Vostro la stampa negli Atti
della Erpetologia del Socio de Betta, e questa il più che
sia possibile sollecita, poichè se dall’ Accademia nostra
è per uscire un’ Opera del suo genere la prima in Ita-
XIV
lia, non avvenga (e abbiamo onde temerlo) che altri
più lesto del passo non ci cavi di mano la palma.
Per la Erpetologia del de. Betta, unita alla Flora
Veronese che già possediamo, con altre opere relative
alla Fauna; alla Mal/acologia del compianto Menegazzi,
e ad un Trattato di Orzizologia Veronese di cui per
bella avventura speriam tra breve veder donata la no-
stra Accademia, andrà Ella sovra tutte d° Italia a buon
dritto superba.
Oltre alla stampa negli Atti Accademici, la Com-
missione vostra propone che l’ illustre nostro Collega
sia rimeritato altresì della Medaglia d’oro. Ma quì
permettete, o saggi Colleghi, che noi vi esponiamo un
pensiero affatto ovvio destatocisi allo studio appunto in
de Betta.
L'esame del Trattato sul quale vi riferiamo ci
fece sentire una grave lacuna che. sull’ argomento dei
premj, il nostro Statuto presenta. Unanimi i vostri
Commissarj nel proporvi la stampa negli Atti Accade-
mici della Erpetologia del Cav. de Bela essi avreb-
bero voluto proporvi altresì d’insignire questo Trattato
della Medaglia d’oro di 1.° grandezza, chè esso n° è
ben meritevole; ma impediti dalle disposizioni statu-
tarie debbono, comunque a malincuore, limitarsi a
proporre che solo della Medaglia d’ oro di II. gran-
dezza Voi lo vogliate rimeritato.
Torni per altro d’ onesta e nobile compiacenza al
Socio Autore l’idea, che il suo manoscritto fece ai
XV
sottoscritti così dolorosamente sentire 1’ avvisata lacu-
na del nostro Statuto, e che essi chiudono il presente
loro Rapporto proponendo la seguente Aggiunta allo
Statuto medesimo:
Visto che lo Statuto Accademico non accorda il
premio straordinario, cioè la Medaglia d° oro di 1.?
grandezza che in soli due casi: quando venga da qua-
lunque anco straniero ( Art.° 27.) adequatamente evaso
e risoluto il Programma triennale: quando da un Ve-
ronese anche non socio (Art. 29.) si presenti un ri-
trovamiento di grande e generale interesse:
Visto che | Auiore di un Trattato sistematico e
completo riferentesi agli stud} accademici potrebbe es-
sere egualmente, ed anco in maggior modo meritevole
della Medaglia d’ oro di 1.° grandezza:
Visto che senza ciò, il suo Autore va necessaria-
mente parificato all’ Autore d’ una semplice memoria
accademica, nella quale gli stessi limiti dalla sua in-
deie imposti, escludono la prescrizione di que’ mag-
giori meriti che ponno rinvenirsi in un Trattato di
lunga lena e completo:
Visto infine che senza ciò, mentre |’ Autore di un
Trattato esteso a soluzione del Programma triennale
aspira alla Medaglia d’oro di I.* grandezza, se un
Socio estenda.un trattalo per proprio impulso, comun-
que abbia meriti maggiori di quello, non potrebbe mai
aspirare che al premio della medaglia d’ oro di II.*
grandezza:
XVI
I sottoscritti propongono che |’ Articolo 29 dello
Statuto il quale suona:
« D’ ogni tempo inoltre può l’ Accademia impartire
» il premio straordinario della Medaglia d’oro di I.*
» grandezza al Veronese che presenti un ritrovamento
» di grande e generale vantaggio ». — venga così
modificato:
Articolo 29 — « D’ ogni tempo inoltre può |’ Ac-
» cademia compartire il premio straordinario della Me-
» daglia d’ oro di I.* grandezza al Socio che presenti
» il manoscritto di un’ Opera o Trattato riferentesi agli
» studj accademici, il quale per |’ importanza del sog-
» getto, per lo sviluppo della pertrattazione e in una
» parola per | entità de’ suoi meriti, venga qualificato
» degno di una tale onorificenza. Una tale onorificenza
» potrà altresì essere conferita d’ ogni tempo al Vero-
» nese che presenti un ritrovamento di grande e ge-
nerale vantaggio » .
»
>»
A di A6 Aprile 4857.
LA COMMISSIONE
Camuzzoni Dott. Giulio
Castelli Prof. Dott. Salvatore
Lenotti Giuseppe
Massalongo Prof. Abramo
Spandri Gaetano Aelutore.
ERPETOLOGIA
DELLE PROVINCIE VENETE
TIROLO MERIDIONALE
ARDITO,
Lr
Poi che il luminoso progresso delte Scienze naturali,
dileguate le tenebre nelle quali era avvolta la storia dei
Rettili, ci apprese l’ alta sua importanza, svelandone e fa-
cendoci apprezzare le maravigliose proprietà di tali animali,
un nuovo e vasto campo di studj e di utili cognizioni ci
| si parò innanzi. Apparve allora manifesta la debolezza
della mente umana nell’ essersi chinata con troppa credu-
lità alle vane opinioni, alle assurde prevenzioni e alle su-
perstiziose credenze che resero i Rettili spregiati al volgo,
disgradati e rigettati con orrore dal più degli uomini, e
condannati alla proscrizione ed allo sterminio da una sen-
tenza quanto ingiusta altrettanto inesorabile.
Il potere della Natura rifulge con istupenda magnifi-
cenza in ognuna delle opere sue, e pochi esseri più dei
Rettili ce lo manifestano tanto evidente; siccome pochi
altri animali meritano quanto questi la nostra attenzione
per novità di costumi, per singolari abitudini, per acutezza
d' istinti, per organizzazione, struttura e forma meravi-
gliose nella varietà e nell’ acconcezza ai rispettivi bisogni,
4
per vaghezza di colorito, e per le stesse armi terribili delle
quali alcuni tra di essi vanno forniti.
I materiali d’ altronde che offrono alcuni alla nostra
industria, il soccorso che altri prestano ai nostri bisogni,
l alimento che altri ancora ci offrono gradito e salutare,
ed il vero vantaggio che molti ci arrecano colla distruzione
di non pochi animali assai nocivi all’ agricoltura, sono
tant’ altre ragioni che più devono persuadere della impor-
tanza ed utilità dello studio di questo ramo della Zoologia.
Allorchè, esaminati più da vicino questi esseri singola-
rissimi, c conosciutene le varie proprietà, Y Erpetologia si
presentò infine quale scienza del massimo interesse, non
poche opere tentarono di ridurla a sistemi, più o meno
naturali secondo le vedute dei loro autori. Si diede manò
allora a sceverare e combattere di quando in quando gli
errori dei quali era ingombrata la storia dei Rettili, col-
l’opporre alle superstizioni ed ai pregiudizj volgari i chiari
fatti desunti dalle molte e conscienziose operazioni ed
esperienze dei naturalisti filosofi. Col progredire poi di tali
studj e di tali ricerche portossi la scienza a quel progres-
sivo e maggior grado di perfezione che, si appalesa nei
successivi lavori a noi più vicini, e ormai la Scienza pos-
siede una classica opera di Erpetologia generale in quella
dei Signori Duméril e Bibron, siccome già prima ancora
compita vantava Italia la insigne Iconografia del dottissimo
naturalista italiano, il Principe Carlo Luciano Bonaparte,
nella quale trovavano completa illustrazione tutti i rettili
abitatori del nostro bel paese.
Ma comechè innumerabili sieno i pregi di tali due
opere, e comechè suppliscano esse sole a quasi tutti i hi-
sogni della scienza, non è però men vero che inaccessi-
bili al popolo per la stessa loro natura e talvolta benanco
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5
agli studiosi per l’ alto costo, lasciarono sempre desiderare
e lasciano tuttora il desiderio di un lavoro più special-
mente adattato alla intelligenza ed al bisogno della gio-
ventù, dalla quale ha principio I’ educazione della società,
e dalla quale ha diritto la scienza di attendere col tempo
novelli tributi e nuove pietre pel grande edifizio dell’ umano
sapere.
La diffusione delle cognizioni appartenenti a tale spe-
cialissimo ramo della Zoologia, e la vittoria dei molti er-
rori che lo deturpano, incontrano due gravissimi ostacoli
che è necessario anzi tutto di superare, per togliere con
essi le cause che lo rendono a molti disaggradevole studio.
Sono dessi, la debolezza dello spirito umano non. così fa-
cilmente inclinato ad abbandonare inveterate credenze, e
la difficoltà di avvicinare e confrontare i fatti per causa
di quel ribrezzo, quasi direi istintivo, che desta in ognuno
la vista di un rettile e sopratutto di un serpente, e forse
ancora più la temenza di quelle proprietà malefiche che
ancor da fanciulli scorgiamo attribuiti ai rettili da taluno
fra coloro ai quali è affidata la prima nostra, educazione,
senza che poi ne cerchiamo o ne troviamo confutazione 0
schiarimento.
Ciò ammesso chiara sorge la necessità di avere un
mezzo facile d’ istruzione, specialmente adattato alla mente
dei giovani pei quali fors’ anche le. prime scuole sono
V unica fonte di educazione. Di. un mezzo, dicesi, che
compendiando quanto più di particolare distingue questa
classe di animali, offra più minutamente descritte ed illu-
strate le specie del paese nativo; nel che fare si soddi-
sfarebbe poi benaneo ad uno stretto bisogno della scienza,
offrendole maggiori e più precisi dati per. istabilire gli
estremi della geografica distribuzione degli esseri.
Da quì mossero precisamente i primi passi delle mie
ricerche, e da quì sorse la prima idea del lavoro ch’ io
presento non già coll’ ardita presunzione di dar cosa com-
pleta, ma colla speranza di avere contribuito in qualche
modo a minorare il vuoto di qualsiasi trattato che pre-
sentando unite le ricchezze delle nostre provincie anche
nella Erpetologia, che sopra ogni altro ramo Zoologico
scarseggia fra noi di cultori, offra alli studiosi facile mezzo
di riconoscerne le specie, e di valutarne le rispettive pro-
prietà colla guida sicura dei fatti e di una critica giudi-
ziosa e sagace.
Se eccettuasi il Saggio di Erpetologia popolare Veronese
pubblicato nel 1854 dal chiar. Prof. Massalongo (*), non
abbiamo veramente fra noi aleun trattato speciale su questi
animali, ma soltanto qualche cenno in opere generali, o
pochi e brevi cataloghi che accennarono in varie occa-
sioni alcuni dei rettili abitatori delle provincie da me il-.
lustrate.
Nominansi fra tali lavori pel Veneto, in ordine di tempo,
il Viaggio al lago di Garda ed al monte Baldo del Dott. Ciro
Pollini pubblicato in Verona nel 1816, nel quale travansi
citati sei serpenti del territorio Veronese, compresovi l’An-
quis fragilis che passar devesi ali’ ordine dei Saurii, e Je
due vipere Redi e serus che indubbiamente appartengono
alla sola nostra aspis. — Nell’ anno seguente la Redazione
della Biblioteca Italiana (Tom. V. pag. 274) nel parlare
di quel Viaggio aggiunse ai rettili veneti la Vipera am-
(*) Questo stesso lavoro trovasi inserito negli Aiti dell’ Accademia
d’ Agricoltura, Arti e Commercio di Verona, Vol. XXIX pag. 385, sotto il
titolo di Catalogo ragionato dei Rettili fino ad ora conosciuti nella Pro-
vincia Veronese.
7
modytes, dichiarata abitatrice dei monti Bellunesi e dei
Colli Euganei, ai quali ultimi. è a ritenersi però affatto
esiranea. i
Sul finire dello stesso anno 4847 il distinto entomologo
Bernardino Angelini avvertì pel primo la presenza del
Marasso ( Pelias berus Merrem ) nella Provincia veronese,
dettando 1’ erudita memoria sui costumi ed abitudini di
questo rettile, la quale sta inserita nel Tomo VII. pag. 45
della Biblioteca Italiana. I
Fu intorno a quell’ epoca che della erpetologia Pado-
vana erasi fatto diligentissimo cultore il Dott. Domenico
Martinati, siccome ne fanno testimonianza molte note: la-
sciate nei suoi superstiti manoscritti, ed alcune specie tut-
tora esistenti nelle sue collezioni, con ben meritata vene-
razione conservate ora dal figlio Dott. Pietro-Paolo, amico
a me dilettissimo, ed al quale devo non poche notizie sui
rettili specialmente della provincia di Padova. Se la scienza
non potè fruire degli studj e delle ricerche del Dott. Mar-
tinati, deve appuntarne la rara ma forse soverchia di lui
modestia, per la quale rinunciando a quello stesso amor
proprio che lusinga un autore nell’'annunciare una sco-
perta o l'osservazione di fatti nuovi alla scienza, soltanto
in privato communicava ai molti e valenti suoi corrispon-
denti l’ esito delle proprie ricerche, ed il frutto dei dili-
gentissimi suoi studj. Intanto è a lui che devesi la prima
notizia della presenza del. Murasso neli’ agro. Padovano,
siecome ne fanno fede le sue note manoscritte ed una
lettera autografa del chiar. naturalista Dott. Vincenzo Sette,
il quale non so perchè tacque la fonte da cui apprese
l’esistenza di quel rettile nel Padovano, ed ebbe non. po-
che delle nozioni che gli servirono poi alla Memoria pub-
blicata nel 4824 nella Bibliothèque Universelle di Ginevra
8
(Tom. XVI. pag. 50), sotto il titolo di /Votizia sopra una
nuova Vipera del Padovano.
Da quell’ epoca occorre poi scendere fino al 1844 per
trovare nel Trattato sopra la costituzione geognostico-fisica
delle provincie Venete del dottissimo nostro naturalista Prof.
T. A. Catullo un più utile elenco di rettili veneti, con
alenne brevi osservazioni sulle abitazioni e sui costumi di
ognuna delle specie che enumera nel catalogo degli Animali
del canale di S. Croce e di quelli più speciosi delle Alpi Bel-
lunesi, a pag. 135 e seguenti dell’ opera. Quindici sono i
rettili indicati proprj di quella località, ove troviamo più
positivamente annunziata la presenza della Vipera ammo-
dytes che da più anni addietro ci era stata avvertita nella
Biblioteca Italiana. Im quelle quindici specie si comprendono .
però il Coluber carbonarius il quale non è che semplice
varietà del C. viridiflavus, ed una Lacerta argus che, come
vedrassi nell’ articolo della nostra Podarcis muralis; è @
sospettarsi piuttosto varietà di colorazione di questa.
Nel 1845 un brevissimo scritto del Prof. Trevisan, com-
parso a pag. 493 della Strenna Padovana / collî Euganei,
ci annunziò il nome delle 47 specie di rettili che l’autore
assegnava a quei colli.
Bue anni più tardi troviamo un elenco dei rettili della
provincia di Venezia nel Vol. II. pag. 159 della Guida pub-
blicata per l’ occasione del IX. Congresso sotto il titolo
Venezia e le sue Lagune. Figurano ivi nominate 24 specie,
le quali riduconsi però a sole 18. quando se ne escluda,
perchè non indigena, la Testudo graeca; si riunisca alla
Podarcis muralis la Lacerta agilis; e si restituiscano come
semplici varietà la Lacerta bilineata alla viridis, il Coluber -
murorum al Tropidonotus natrix, il €. carbonarius al viridi-
fiavus, e la vipera berus alla aspis, ritenuto che sotto la
9
terza vipera ivi nominata chersea sia stato indicato il vero
Marasso.
Nel 1853 il Prof. Massalongo arriechiva il Veneto e la
scienza colla scoperta di un nuovo genere, stabilito sopra
un singolarissimo Batracio urodelo da lui raccolto presso
Padova, ed illustrato nella Memoria Sopra un nuovo genere
dî Rettili della Provincia Padovana, inserita negli Annali di
Bologna del detto anno.
L’anno dopo, il chiar. Prof. Dott. Giulio Andrea Pirona
pubblicando una pregiata raccolta di Voci Friulane signifi
canti animali e piante vi nominava anche, e ci fece quindi
conoscere molti dei rettili abitatori di quel territorio. Ed
è anzi mio debito il dichiarare come appunto a quell’ in-
teressante lavoro del Prof. Pirona io abbia attinte alcune
notizie sulla-abitazione di varie specie, ed abbia da esso
trascritti i nomi volgari Friulani a quelle corrispondenti.
Finalmente il già sopra accennato opuscolo del Professor
Massalongo compie l’ enumerazione Bibliografica della Er-
petologia Veneta, ed in esso la provincia di Verona pos-
siede una indicazione di tutti i suoi rettili, con alcune
delle notizie sui loro costumi ed abitudini che possono
più interessare le persone alle quali è dedicato quel lavoro.
A sole 23 devono però ridursi le 26 specie che 1’ Autore
assegna all’ agro veronese, perchè sola varietà di statura
del comunissimo nostro Bombinator igneus è il Bombinator
pachypus di Fitzinger; semplice varietà di colorazione e
null’ altro è la Rana alpina; e perchè non appartiene infine
a queste provincie il vero 7ropidonotus viperinus, scambiati
avendo con esso, per sole accidentalità di colorito, alcuni
individui del nostro Tropidonotus tessellatus.
Se in tali limiti è mantenuta la Bibliografia erpetolo-
gica delle provincie Venete, ancora più poi abbiamo a la-
40
mentare la mancanza di speciali lavori pel Tirolo meri
dionale. Il primo infatti che mi consti colà pubblicato data
soltanto dal 1852, ed è una enumerazione di 15 rettili del
Trentino estesa dal distinto botanico Francesco Ambrosi
di ‘Borgo, ed inserita col suo Prospetto zoologico di quella
provincia nel Vol. I. della Statistica Trentina pubblicata dal
Sig. Agostino Perini. Siccome però nel numero di quelle
specie trovasi distinto dal Coluber viridiflavus il carbonarius,
e va cancellata la Zacerta Laurenti, che come io stesso
potei più tardi verificare sugli esemplari dell’ Autore fu
nominata soltanto sopra semplici varietà: della comune
Podarcis muralis, così restavano soltanto 13 le specie del
‘Trentino, mentre quasi contemporaneamente il mio Cata-
logo dei Rettili della Valle di Non, inserito negli Atti della
Società Zoologico-Botanica di Vienna (Ann. 1852, pag. 153),
assegnavane 419 a quell’ estrema sua parte, offrendo anche
di cadauna quelle più importanti sinonimie e quelle limi-
tate osservazioni che erano compatibili colla qualità del
lavoro. E tale numero non venne d’ allora a tutt’ oggi
aumentato per tutto il Tirolo meridionale che dal Tropi-
donotus tessellatus che già prima sospettava sfuggito alle
mie ricerche, e dalla Vipera ammodytes annunciatami pro-
pria dei dintorni di Marano e Bolzano dall’ ottimo ami-
co mio Professore Gredler, il quale mi fu anche cortese
di varie notizie manoscritte sugli altri rettili di quelle
regioni. i
ale succinta rivista Bibliografica non può quindi che
far fede maggiore di quanto esposi sulla poca attenzione
prestata finora fra noi al ramo Erpetologico, ed avvalorare
aneora più la necessità di vincere quegli ostacoli che ne
devono essere la più probabile ragione. Nello scopo prefis-
somi tentai con ogni mia forza di battere la via più si-
44
cura e spedita, e -datomi perciò da var) anni alla più dili-
gente ricerca dei rettili del Veneto, presento ora l’ illustra-
zione di tutte le specie conosciutevi, aggiungendovi quelle
benanco del limitrofo Tirolo meridionale -che potei con
eguale accuratezza esplorare.
Nell’ intento che il mio lavoro potesse tornare meno
arido alla gioventù studiosa, e contribuire alla desiderabile,
ma forse ancor lontana scomparsa «dei volgari pregiudizj,
ho. fatto precedere alla descrizione delle specie alcune ge-
nerali nozioni sui Rettili; un esteso discorso sul veleno
della Vipera e suoi rimedj; alcune osservazioni sulla ge-
nerazione di questi animali, e su qualche altra singolare
loro proprietà. Il lettore troverà pure riferiti alcuni dei
più diffusi pregiudizj, ed esaminato il valore che possono
avere in faccia ai fatti positivi ed ai criterj della scienza,
siecome troverà pure a sno luogo più speciali nozioni
sulla storia di ciascun Ordine e Genere rispettivo. Nel che
fare mi giovai non poco della profonda dottrina e degli
importantissimi studj del Principe Bonaparte e dei Signori
Dumeéril e Bibron, alle opere dei quali è mio debito 1’ av-
vertire come abbia specialmente ricorso ogni qualvolta lo
esigeva o il limite stesso delle mie osservazioni, o lim.
portanza e chiarezza maggiore dell’ argomento.
Poichè l’ abbondantissimo numero di esemplari di ogni
età ch'io raccolsi per quasi tutte le specie mi offrì |’ op-
portunità di constatarne il colorito predominante e di
averne sott’ occhio le eccezionali modificazioni, così te-
nendo il primo come specifico, distinsi sotto l'indicazione
di varietà le seconde, ed accennai pure il colorito dei gio-
vani individui, causa non difficile, anzi possibilissima di
confusione o d’ imbarazzo nella classificazione quando,
(come ad esempic nel nostro Coluder flavescens), presenta
42
grandi e molte diversità di tinte e di macchie fra |’ esem-
plare adulto ed il giovane.
Se di ben maggiore imbarazzo pei giovani non solo, ma
per i provetti scienziati stessi riesce oggidiì la somma ‘con-
fusione di nomenclatura in cui è avvolto quasi ogni 0g-
getto naturale, io non doveva risparmiare la noja delle
sinonimie delle specie, dopo di aver determinate ognuna
di queste quanto piùesaitamente potei sulla autorità e
collo studio dei più celebri autori, approfittando di quei
vantaggi che può offrire una Biblioteca doviziosa sopra-
tutto in questo e in altro speciale ramo della Zoologia
che con pari amore prediligo e coltivo.
In seguito alla descrizione specifica ed alle dimensioni
degli esemplari nostrali ho fedelmente segnaio come abita-
zione di una specie quella località in cui Ja raccolsi io
stesso, o dove per indubbia testimonianza mi constava
che fosse stata raccolta o veduta. Ho anche tentato di
arricchire la parte spettante ai costumi degli animali colle
osservazioni e sperienze fatte da me stesso, o che mi ven-
nero comunicate da altri studiosi degni di fede, non senza
tener calcolo di quanto ne avevano precedentemente scritto
gli autori.
Allo scopo di facilitare anche ai meno istruiti de’ miei
lettori la conoscenza e la classificazione de’ nostri rettili
ho aggiunta una Tavola Sinottica di tutte le specie descritte,
la quale verrà loro più opportuna perchè fondata quasi
esclusivamente sugli esterni caratteri di forma e di colorito
di questi animali.
Non mi lascio allettare dalla vana lusinga d’ aver su-
perate tutte le diflicoltà inerenti a tale lavoro, nè tampoco
d’ aver pienamente corrisposto al compito che mi sono
assunto. Mi sono ingegnato di nulla ommettere fra quanto
13
maggiormente poteva interessare nella storia di questi ani-
mali, e di aggiungere qualche cosa alla scienza con questo
tributo scarso bensì di merito ma ricco di buon volere.
Questo mi raccomandi alla benevolenza del mio lettore,
e richiami la sua indulgenza sopra un lavoro col quale
null’ altro desidero e ambisco che distruggere inveterati e
ridicoli errori, diffondere qualche utile cognizione, e pre-
parare il campo di più abbondante ricolta.
Verona, nel Giugno 4856,
ED. de BETTA,
n
KO)
AUROU
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DEI RETTILI IN GENERALE.
Questa classe di animali della’ quale non è ancora
‘molto tempo chie i naturalisti determinarono i precisi li-
miti, era da Linneo compresa sotto il nome di A mphibia ,
denominazione oggidì però generalmente abbandonata per-
chè equivoca e poco precisa, ed alla quale fu sostituita
quella di Rettili (4).
Gli animali ch’ essa abbraccia presentano tante e sì
svariate modificazioni nelle loro forme, e per conseguenza
nei movimenti ed in tutto l’ organismo loro, che ben feli-
cemente si avvisò 1’ illustre Brongniart di soddisfare ad
un forte bisogno della scienza col dividerli in quattro Or- .
dini, corrispondenti ciascheduno ad. un genere naturale,
del quale fu però modificato il nome perchè servir dovesse
ad una comune significazione. Chiamò quindi ordine dei
(1) Reptilia da repfare strisciare. - Anche questa parola deve essere
presa però in un ‘senso meno vago di quello datole comunemente.
Il Sig. Hermann, Professore di Strasburgo, aveva proposta la denomi-
nazione di Kryerozoa (dal greco xgvegos freddo, gelido, e Ec0v animale)
che non venne accettata.
99 BETTA
Chelonii Vordine delle testuggini, ordine dei Sauri quello
delle lucerte, ordine -degli Ofidiî quello dei serpenti, ed
ordine dei Batraci quello delie rané; e questi quattro gèe-
neri principali divennero così i tipi di diversi ordini, fa-
cilissimi a determinarsi per caratteri precisi e costanti, de-
sunti appunto dalle varie forme delle specie che vi si com-
prendono, dalla varia organizzazione, e dalle diverse abitu-
dini loro.
I Rettili costituiscono una classe ben distinta dei ver-
tebrati, perchè animali a sangue freddo, a cuore aortico,
e respiranti per polmoni, almeno nella loro età. perfetia.
Pel primo carattere vengono essi quindi a distinguersi
dalle classi superiori dei mammiferi e. degli uccelli; pel
secondo col terzo si distinguono dai pesci, il cui cuore
non è aortico, e la cui respirazione succede per un ap-
parato branchiale permanente.
Come gli altri vertebrati, anche i Rettili. hanno una
spina o colonna vertebrale costituita da molte ossa, poste
capo a capo, e collegate solidamente tra esse; e serve
questa di base a tutto lo scheletro per determinare le for-
me del corpo e per coprire e proteggere i principali or-
gani del sistema nervoso. |
Le ossa che compongono lo scheletro dei Rettili sono
presso a poco le stesse che lo costituiscono nei mammi-
feri e negli uccelli; ma in taluni però ne mancano alcune,
siccome sarebbe nei serpenti che sono privi non solamente
delle ossa degli arti, ma altresì dello sterno; e nelle rane,
nelle quali mancano le coste e sono invece molto Pula
pati i processi trasversali delle vertebre.
La testa dei rettili assomiglia per la disposizione delle
ossa più a quella degli uccelli che non a quella dei mam-
miferi; il cranio è piccolo, la faccia in generale molto al-
ERPETOLOGIA 23
lungata, e la mascella inferiore non articolata direttamente
coll’osso temporale ma invece col timpanitico, che in molti
casi è cilindrico e mobilissimo.
L’occipite è articolato colla prima vertebra mediante
un solo tubercolo, 0 condilo, a più faccie, e non dotato di
molta mobilità. Nei Batraci si articola mediante due capi
articolari.
La colonna vertebrale presenta nella sua struttura as-
sai notevoli differenze nei diversi rettili. Così nelle testug-
gini tutta la sua parte media si salda in modo da costi-
tuire una sorta di scudo; nei serpenti essa è estremamente
lunga e di una flessibilità assai grande; nelle rane è molto
breve e poco mobile.
Le coste sono generalmente assai numerose; nei ser-
penti trovansi presso che in tutta la lunghezza del. cor-
po; ‘moltissime ne hanno i Saurii. Nelle rane all'incontro
mancano o sono accidentali; nelle testuggini le sedici. co-
ste sono allargate e saldate fra esse.
_ Le ossa della spalla nei rettili presentano in generale
molta analogia con quelle degli uccelli, senza però essere
così sviluppate. Negli arti anteriori distinguesi un braccio
composto di un solo osso, l’omero, un avambraceio com-
posto di radio e di cubito comunemente distinto; ed una ma-
no avente talvolta la forma di natatoja, tal’altra di piede. In
generale gli arti posteriori rassomigliano molto agli ante-
riori.
I muscoli dei rettili sono di una tinta biancastra, ed i
loro movimenti sono quasi sempre meno vivi e meno so-
stenuti che negli animali a sangue caldo. Sono conformati
gli uni per il nuoto, gli altri per camminare 0. per stri-
sciare. Le specie che mancano di arti movonsi per le on-
dulazioni del loro corpo; in quelli che hanno gambe sono
24 BETTA
queste generalmente o così brevi o così collocate, che l’a-
nimale non può alzare molto il ventre dalla terra e si
move quasi strisciando. i
L'apparecchio della digestione non presenta alcuna.
particolarità. La bocca è o non è armata di denti secondo
i varii ordini e le specie, e nei serpenti le mascelle pos-'
sono straordinariamente allargarsi. Lo stomaco è semplice
e membranoso, e si confonde quasi coll’ esofago. Manca
affatto l’ intestino cieco. Il tubo digestivo termina, come
negli uccelli, in una cavità in cui mettono pur capo gli
organi genitali, gli ureteri o i canali che conducono | u-
more prodotto dai reni ecc., e questa cavità dicesi cloaca.
Il fegato è quasi sempre molto voluminoso, ed esiste anche
una vescicola del fiele, un pancreas ed una milza.
Siccome gli alimenti dei rettili consistono il più spesso
in animali vivi, così passando questi dall’ esofago nello sto-
maco vi restano ben tosto compressi e soffocati. Per 1’ a-
zione chimica dei sughi che investono l'alimento, questo
sì scompone, si cangia in una specie di poltiglia o in chi-
mo, e passa allora per Y apertura del piloro negli intesti-
ni. Colà mescolato ai sughi biliari e pancreatici si sparte
in chilo ed in feci, come succede in tutti gli altri animali.
I Rettili hanno in generale la facoltà di espellere il
residuo della analisi digestiva. Massima è la potenza assor-
bente o estrattiva dei loro intestini, specialmente nei ser-
penti che possono digerire persino la materia cornea dei
peli e delle piume della loro vittima.
La respirazione di questi animali è aerea e semplice; in
tutti questa funzione è poco attiva, e possono resistere
lunghissimo tempo all’ asfissia. I loro polmoni sono d’ una
struttura poco complicata; il numero dei tramezzi che di-
vidono l'interno di tali organi in cellule è molto minore
ERPETOLOGIA i 25
che nei mammiferi e negli uccelli; e di conseguenza la
superficie respiratoria a contatto coll’ aria è assai più li-
mitata. Le lucerte ed i serpenti sono i soli rettili che pos-
sono respirare meccanicamente colle ossa del petto, o piut-
tosto coll’ ajuto delle coste, che sono mobili sulla spina
e sembrano far movere le pareti di un mantice. Nelle lu-
certe però la cavità addominale non può allargarsi e re-
n che entro determinati limiti, mentre nei serpen-
, le cui coste sono libere anteriormente, può invece di-
1% enormemente.
Nei Chelonii e nei serra le coste: non vengono mai
adoperate per l’atto della respirazione perchè allargate e
saldate fra’ loro nei primi, mancanti 0 troppo certe nei
secondi. I Chelonii, i Saurii, ed i Batraci adulti hanno due
polmoni; gli Ofidii ne hanno invece uno solo, l’ altro es-
sendo piccolissimo ed abortito. I Batraci mella prima loro
età sono tutti forniti di branchie e non respirano che nel-
l’acqua come i pesci; pochi soli, nessuno: però fra i no-
stri, rimangono per tutta la vita con questa organizzazione.
La circolazione del sangue è incompleta nei rettili, vale
a dire che tutto il sangue venoso: derivante dalle diverse
parti del corpo non attraversa i polmoni e non si cangia
in sangue arterioso prima che ritorni alle stesse parti.
Il cuore presenta generalmente due orecchiette ed un
solo ventricolo, di modo che il sangue venoso e l’arterio-
so si mischiano in varie proporzioni nel cuore, e da que-
sto viene il sangue nuovamente respinto, in parte ancora:
ai polmoni, ed in parte al resto del corpo. Le arterie che
vanno dal cuore ai polmoni hanno sempre un tronco se-
parato dall’ aorta. Nei Batraci il cuore ha una sola orec-
chietta, ed un tronco comune per l’aorta e La l’ arteria
polmonare.
26: o BETTA
‘È da notarsi come carattere principale dei Rettili che
la loro circolazione polmonare è parziale. Non è che una
porzione del loro sangue che penetra nel polmone, e que-
sta sarà probabilmente la causa cui devonsi attribuire le
‘variazioni di temperatura del loro corpo, che mettesi quasi
costantemente in equilibrio con quella dell’ ambiente in
cui sono collocati. È poi principalmente da questa parti-
colarità della respirazione aerea che deriva la facoltà in
essi di renderla arbitraria in modo da moderarne |’ azione,
da ritardarla, eccitarla, accellerarla ed anche sospenderla
per uno spazio più o meno lungo di tempo, e’ continuare
a vivere così senza apparenza di respirazione ariche quan-
do sieno sommersi nell'acqua, od obbligati a restare in
un’atmosfera viziata e non respirabile. In tali casi è evi-
dente che il corso del sangue non è arrestato, e che questo
fluido può ritornare alle diverse parti del corpo senza do-
ver attraversare i polmoni.
Gli organi dei sensi hanno poca finezza. Gli oechi sono
ordinariamente piccoli; ma conformati come nei mammi-
feri e negli uccelli; le orbite sono incomplete, ed in gene-
rale havvi una terza palpebra semitrasparente e movibile
trasversalmente. L’ orecchio ha una struttura assai meno
complicata che quella degli animali superiori; manca sem-
pre il padiglione ed il condotto auditivo; e la membrana
del timpano è il più spesso a fior di testa. L'organo del-
l’odorato è assai poco sviluppato; in generale le fosse
nasali sono assai piccole, e la membrana mucosa o pitui-
taria che le veste non presenta che poche od anche nes-
suna piega o rialzo. Il gusto sembra sia ottuso nei rettili,
essendo quasi sempre assai poco carnosa la loro lingua.
Finalmente questi animali non hanno alcun organo spe-
ciale pel tatto, ed in generale la loro pelle non deve gu-
ERPETOLOGIA 27
dere che assai poca sensibilità, specialmente poi nei Che-
lonii, Saurii ed Ofidii il cui corpo è tutto investito di
squamme eornee. |
Nella maggior parte dei rettili l'epidetmità si cangia e
si rinnova più volte all’ anno, e spesso si stacca in un sol
pezzo, come un fodero, da cui sorte l’animale. |
Il sistema nervoso è poco sviluppato; il cervello so-
pratutto è molto piccolo, e le facoltà di questi animali so-
no esiremamente limitate.
.I rettili sono tutti unisessuali. Gli ovari ed i testiali
doppii e simmetrici. Nei Chelonii, nei Saurii e negli Ofi-
dii la fecondazione è sempre interna; esterna invece nei
Batraci, i quali poi effettuano l’atto della generazione sol-
tanto nell'acqua. Nci primi, i piccoli appena sbucciati ras-
somigliano in tutto ai loro genitori; nei Batraci all’ invece
dalla nascita al perfetto loro sviluppo verificasi una singola-
re metamorfosi, della quale si parlerà in separato articolo.
I rettili mancano in generale di voce perchè la loro
trachea manca di quelle condizioni che sono indispensa-
bili per la produzione dei suoni. Così è sopra ogni altro
degli Ofidii o serpenti,-e così pure delle testuggini e della
maggior parte dei Saurii. Nei Batraci all’ invece la laringe
offre una conformazione ben rimarchevole ed atta precisa-
mente alla produzione di varie voci, quali il. gracidare
delle rane, il grido delle ile, una sorta di grugnito dei ro-
spi ecc. Queste voci nella, maggior parte dei rettili non
vengono però prodotte che a certe epoche dell’ anno, e
specialmente nei maschi, quali mezzi di espressioni e di
comunicazione dei loro bisogni. Questi maschi sono. poi
anche dotati di altri speciali e sonori stromenti, coll’ ajuto
dei quali sperano rendere le femmine sensibili ai loro’ voti,
alle loro passioni.
28 BETTA
Molti rettili tramandano odori particolari che sembrano
essere prodotti dalle evaporazioni degli umori volatili che
secretano in diverse parti del corpo, ma sopratutto che
emettono dalla .cloaca, per mezzo di due glandule 0 borse
più o meno ampie, situate sul margine dell’ ano -all’inter-
no, nello spessore della base della coda, dette perciò borse
anali. I Rospi e le Salamandre terrestri hanno oltre i grossi
pori, dei quali è sparsa la loro pelle, due masse glandulari
‘situate ai lati della testa, dette parotidîi, che spremute la-
sciano sortire da piccoli fori un umore ora giallastro, ora
lattiginoso e spesso, che ha vario odore secondo le specie,
ma il più frequente acre e nauseante; la natura ha così
accordato a tali animali una difesa contro i molti loro ne-
mici, ed un mezzo per proteggere la loro vita.
Fra le funzioni speciali ad alcuni Rettili dovrebbesi
quì accennare, ed anzi estesamente parlare del veleno della
vipera. Siccome però riesce tale argomento della massima
importanza nella storia di tali animali, così pensiamo di ri-
servarne il discorso in separato articolo, siccome crediamo
pure di dovere separatamente trattare della propagazione
e della riproduzione delle varie parti nei rettili, ai quali
argomenti seguirà poi a compimento di queste ‘generali
nozioni l’esposizione delle favole e dei pregiudizj che sem-
pre svisarono l’Erpetologia. -
Intanto riassumendo il fin quì detto possiamo a tutta
prima stabilire alcuni caratteri di distinzione sistematica
pei quattro ordini dei Rettili, colla riserva di darne poi
altri più speciali trattando di cadauno di essi separata-
mente. |
I Chelonii distinguonsi anzi tutto dagli altri per avere
la colonna vertebrale con coste saldate le une colle altre,
e producenti una larga espansione ossea che protegge e
ERPETOLOGIA 29
copre tutta fa regione dorsale, e che attaccasi agli arti la-
terali con un’altra inferiore coprente tutta la regione ad-
dominale. Le gambe sono in numero di quattro, colle dita
“munite d’ unghie per lo più coniche ed acute. Le ma-
seelle mancano sempre di denti; hanno palpebre mobili;
tutti depongono uova, ed i piccoli hanno già al sortirne
da esse le forme ed i costumi. che conservano per tutta la
loro vita. i “nia: aa
I Saurii hanno vertebre mobili in tutta la loro esten-
sione, in numero grande, ma minore però che i serpenti.
La loro pelle è il più spesso. coperta da scaglie cornee di
varia figura e disposizione. D’ordinario hanno eziandio lo
sterno, le clavicole, ai completi, tutti con dita distinte
ed unguicolate; in pochi casi queste parti dello scheletro
‘sono rudimentali e nascoste ‘dalla pelle. Le mascelle sono.
fornite di denti, dei quali non di rado è munito anche il
palato. Le due branche della mandibola inferiore, congiunte
immobilmente fra loro al mento, non possono essere al-
lontanate, e non è quindi dilatabile la bocca. Coste. com-
plete e mobili che possono ajutare la respirazione. In ge-.
nerale depongono uova a guscio calcareo, molle.
- Gli Ofidii hanno il corpò assai allungato e stretto, il
più sovente cilindrico, sempre mancante di gambe e senza
collo, coperti inticramente di squamme. Tutti.hanno coste
numerose, ma non sono articolate pel davanti sopra uno
sterno; servono esse alla respirazione che si effettua in un
solo polmone sviluppatissimo. L'occhio è privo di palpe-
bra, e manca affatto il timpano. ‘Hanno denti sulle ma-
scelle e sulle ossa del palato; la mandibola inferiore non
è saldata al mento ma costituita da due branche separate,
suscettibili a discostarsi l’ una dall’ altra. Le loro uova
sono ovali, allungate e ricoperte da un inviluppo tenace
90°. VI OBIE TIVA
e coriaceo; qualche volta i piccoli sbuciano dall’ uovo nel-
l'interno della madre. ip
Finalmente i Batraci hanno la pelle nuda, senza co-
razza e senza squamme; la maggior parte ha quattro gam-
be a dita distinte, ma costantemente senza unghie. Non
hanno coste, o le hanno assai brevi, e che non. arrivano
mai allo sterno, il quale è assai sviluppato. Hanno palpe-
bre agli occhi. Il cuore. con una sola orecchietta. Ma il ca-
rattere principale dei Batraci è basato sul loro diverso
modo di riproduzione. La maggior parte di essi depongono
uova a guscio molle, le quali vengono fecondate dal ma-
schio dopo che sono sortite dal corpo della femmina,
ed il feto subisce varie trasformazioni, una vera metamor-
fosi che si verifica nella maggior parte: degli organi con
modificazioni e cangiamenti moltissimi nei costumi e nel
modo di vivere. nti
bel veleno delle Vipere.
Un oggetto importantissimo nella storia dei Rettili si
è l’ apparato di avvelenamento di cui alcuni di essi sono
forniti, e la produzione dell’ umore velenoso che portato
per esso nell’ organismo animale vi cagiona effetti più 0.
meno fatali,.e persino la morte.
. Ritenuto anzi tutto per fermo ed incoptrastabile non
esservi fra noi alcun Rettile velenoso che non appartenga
all’ ordine degli Ofidii, e non poter esso avvelenare con
altri modi che colla morsicatura, egli è appunto volgendo
lo sguardo all’ ordine numerosissimo dei serpenti, a questi
esseri che per la singolarità delle loro forme e per certe
particolari abitudini loro: proprie hanno cotanto brillato
nelle istituzioni religiose e politiche dei popoli, egli è, di-
ERPETOLOGIA 31
\cesì, volgendo lo sguardo ai serpenti che pur troppo ne
troviamo alcuni fra di essi, li quali, contuttochè inferiori
assai per forza e per mole a quelli abitatori delle regioni
intertropicali, pure ci inspirano il più grande orrore per-
chè muniti di, organi e di armi offensive colle quali ponno
compiere la maggiore delle vendette contro chi. ardisse
calpestarli, o turbare in altra maniera qualsiasi il toro
stato di tranquillità e di quiete. Nel mentre è pur d’ uopo
chinare il capo all’ imperscrutabile fine della Natura nel
provvedere alcuni serpenti di questo terribile apparato di
distruzione e di morte, non dobbiamo però del resto di-
| sconoscerci da. essa specialmente favoriti, se delle ottanta
specie velenose all’ ineirca che si conoscono sparse sulla
faccia del globo, tre sole, e relativamente anche le meno
pericolose, infestano le nostre contrade.. E mentre infatti
l'Asia e l’Africa devono temere le terribili Naje, i Bungari,
le Elapi; e mentre l'America e l’ Asia intertropicale nu-
trono nelle loro paludi e foreste, o nelle. secche ed aride
lande i tremendi Trigonocefali e gli orribili Crotali, dotati
di veleno atto a disorganizzare ed uccidere in pochi mo-
menti, l Europa non ha sul proprio suolo che tre sole
specie appartenenti ai generi Vipera e Pelias, se pur non si
dovesse ammettere per quarta un piccolo trigonocefalo
( forse il Trigonocephalus Halys Sehlej? ) che secondo il
Prof. De Filippi (4) si estenderebbe dalla Tariaria fin nei
dominj della Russia meridionale. o
Sono queste tre specie europee;
A. La vipera del corno ( Vipera ammodytes), frequente
nella Dalmazia ed Illiria, nella Carinzia ed Ungheria; più
rara nella Morea e nella Sicilia, dove solo da poco tempo
(41) ZI Regno Animale. Milano 1852. pag. 104.
SE BETTA
la riscontrarono i Sig. Bory de St. Vincent e Bibron; abi-
tatrice di qualche luogo orientale del settentrione d’ Italia.
e segnatamente dei contorni di Ferrara, secondo Bendiscioli
e Bonaparte; delle Alpi Bellunesi, almeno da quanto. scri-
ve il Prof: Catullo; e del Tirolo meridionale in fine, ove.
fu di recente riscontrata per la prima volta. dal Prof. Vin-
cenzo Gredler di Bolzano.
2. La Vipera comune ( Vipera aspis ), propria di tutta
I’ Italia e delle sue Isole; abitatrice della Grecia, dell’ Asia
minore, della Dalmazia, dell’ Istria, della Provenza, Delfi-
nato e di quasi tutto il resto della Francia. Sconosciuta
però secondo il Prof. Genè nella Sardegna, Corsica e Ca-
praia. n
8. Il marasso ( Pelias beh us), sparso nell’ Europa cen-
trale e settentrionale, e probabilmente anche in una parte -
dell’ Asia. Trovasi nell’ Inghilterra, nel settentrione della
Francia, nella Germania, Svizzera, Tirolo, nella Lombardia
e nel Veneto, segnatamente poi nelle provincie di Mantova
e Verona. Le confusioni avvenute fra i naturalisti di que-
sta specie colla precedente non permettono intanto di as-
segnarle limiti più rigorosi di abitazione.
Dotati questi tre serpi di potenza ‘venefica, tu facil-
mente li riconoscerai fra tutti gli innocui per |’ insieme
delle loro forme, risultanti da più caratteri loro speciali,
benchè diflicili a presentarsi esattamente descritti. Un corpo
generalmente corto, assai ingrossato alla metà e conside-
revolmente ristretto verso il capo e la coda; una testa
molto larga e distinta dal tronco, depressa ed in forma di
cuore; occhi piccoli, a pupille verticali e superiormente
protetti da larga e sporgente piastra; coda grossa, conica
e brevissima; scaglie del corpo carenate; capo ricoperto di
scaglie e non di piastre come negli ofidii innocui; colori
ERPETOLOGLA 33
poco vivi e limitati per lo più al rossastro, al bruno od
al cinereo con macchie scure o nerastre; un naturale for-
pido ed indolente; tardi moti infine e lento procedere,
| sono tanti caratteri che facilmente potranno a tutta pri-
ma avvertirti la presenza di un rettile da temersi e fuggire.
E tali caratteri basteranno anche a distinguere le venefiche
specie dalle innocue, che ‘una certa rassomiglianza con
quelle ha fatto a torto oggetto di spavento e di terrore a
chi per caso le incontra, o vi si trova vicino. |
Ma venendo all’ esame di più distinti ed interni carat-
teri che alle specie velenose si spettano, uno ne troveremo
‘ fra essi che varrà subito a distinguerle da tutte le altre,
e sul quale come sede del veleno importa assai intratte-.
nerci, all’ oggetto almeno d’ istruzione per chi pensasse o
credesse ancora all’ esistenza di altri diversi mezzi coi
quali possa il Serpe portare il micidiale effetto negli ani-
mali e nell’ uomo. ide
Gli ofidii ingojano per intiero gli animali dei quali si
nutrono, ed i loro denti non servono nè a mrasticare nè
a sminuzzare, ma sono semplici uneini acuti e ricurvi
destinati ad aprire ferite nel corpo della preda, a rattenerla,
e ad agire nel momento della deglutizione. Indipendente-
mente da tali funzioni, i denti servono a condurre nelle
ferite l'umore segregato da varie glandule ed analogo alla
saliva, per preparare la sostanza nutritiva per la digestione.
Questi denti e questa. glandul@ sono comuni a tutti i ser-
penti. In varie specie però, e precisamente nelle tre nostre
di ehe trattasi, oltre questo apparato di salivazione ri-
scontrasi una glandula particolare destinata a secernere un
fluido, che portato nell’ organismo animale vi produce ef-
fetti anche letali; e questa è la glandula detta del veleno.
Alcuni denti molto più lunghi degli altri, ricurvi, acutis-
3
34. BETTA
simi e vuoti internamente sono inseriti sul tratto anteriore
delle due ossa mascellari superiori al di sotto degli occhi;
e questi denti detti da alcuni canini, ma più propriamente
veleniferi, sono i veri conduttori del veleno.
Questi denti lunghi da 4 a 5 millimetri, variano in
numero vedendosene talvolta uno per lato, più spesso due.
ed anche tre; e presso la base di tali denti grandi: e soli-
damente piantati, se ne scorgono varj altri più piccoli,
adunchi, di lunghezza ineguale, mal fermi, ma pronti a
consolidarsi e crescere, ed a sostituire i primi nel caso
che la vipera venga a perderli per qualche accidente.
I denti veleniferi sono cavi internamente, ed un setto
longitudinale transverso li divide in due distinte cavità;
la posteriore, ossia quella che guarda verso le fauci, riceve
alla base del dente i vasi ed i nervi che lo attaccano alla
mascella ; l’ anteriore cavità si apre inferiormente in una
fessura angusta, bislunga e prossima alla punta del dente;
e presso la base di questo, sempre dal lato anteriore ha
un orificio più largo. Una specie di guaina composta di
fibre fortissime e di tessuto cellulare, riceve e ‘nasconde
questi denti, e la loro punta è volta all’ indentro. Solo
quando l’animale apre la bocca e sta per offendere. col-
l’abbassare posteriormente le ossa della mascella li sguaina
e li trae colla punta all’ innanzi.
Il veleno viene elaborato dalle due glandule collocate
ai lati della mascella ungpoco all'indietro dell’ orbita e
quasi immediatamente sotto alla pelle; mna vescichetta lo
raccoglie da ciascun lato, e pel canaletto escretore di cui
è fornita viene avviato verso la base del dente velenifero,
sotto la piega della membrana che lo investe.
Quando la Vipera morde, nel confiecare il dente nella
ferita e nel chiudere la bocca contrae un muscolo che
ERPETOLOGLA 39
premendo: la vescichetta ne fa escire il veleno contenuto,
il quale spinto così alla base del dente traversa il fodero
che lo: inviluppa, entra nella cavità del dente per 1’ orifi-
zio situato alla sua base, e sorte per quello posto verso la
punta, injettandosi così nella ferita per portarsi poi nella
circolazione del sangue, e rendere manifesta la tremenda
sua proprietà venefica.
Questi denti e questo fluido sono quindi, lo si ripete,
l’unico mezzo di avvelenamento, nè oltre di questo de-
vonsi assolutamente credere provveduti d’ altro i serpenti.
Fra i pregiudizj del volgo e fra le più assurde credenze si
dovrà quindi passare la mortifera proprietà attribuita al-
l’ alito, alla biforcuta lingua, alla bava e persino alla coda,
che qualcheduno pensa forse iuttora sedi o veicoli del
veleno.
A maggior chiarezza del meccanismo che sta celato nel
capo della vipera, ed a più facile intelligenza dell’ appa-
rato di avvelenamento ora descritto, non ho creduto su-
perfluo di presentarlo figurato in apposita tavola. i
ll veleno è un umore trasparente, d’ una tinta gialla-
stra tendente al verdastro, alcun poco vischioso. Essiccato
ingiallisce, si fa lucente come vernice e si attacca forte-
mente agli oggetti. Non ha odore nè sapore, non è nè
acido, nè alcalino. Non abbruccia con fiamma se gettato
sopra corpo infocato; trattato cogli acidi non isviluppa al-
cun gas. Ma le tante ricerche fatte sulla natura di questo
veleno non hanno ancora scoperte le vere cause della sua
potenza settica, capace di determinare la corruzione e pu-
irefazione delle carni e la decomposizione dei: tessuti or-
ganici come se fossero subitamente privati della. vita.
Conserva la sua qualità micidiale per. molto. tempo dopo
essiccato, e si conoscono anche fra noi varj disgraziati
36 BETTA
accidenti per ferite riportate da denti di vipera, ad onta
che la testa fosse da molto tempo distaccata dal corpo, e
che il veleno si trovasse solidificato sul dente. E questa
proprietà micidiale del veleno secco che il celebre fisico
Fontana (4) portava a più mesi, limitandolo però al nono,
risulterebbe ancora molto più durevole secondo le poste-
riori esperienze del Prof. Mangili (2), l'esito delle quali
provò manifestarsi I’ azione del veleno secco anche 48, 22
e persino 26 mesi dopo levato da suoi naturali ricettacoli,
purchè però sia stato conservato con ogni cautela.
Un numero considerevole di esperienze e di osserva-
zioni ha con ogni certezza dimostrato potersi impunemente
inghiottire il veleno della vipera, purchè non sianvi esco-
riazioni od ulceri nella boeca o nella gola pel di cui mezzo
protrebbe allora insinuarsi nella circolazione del sangue.
Questo fatto era anche conosciuto dagli antichi, leggendosi
in Celso « nam venenum serpentis ... non gustu sed în vul-
nere nocel » (3), e trovandosi in Lucano accennato quanto
hanno poi in proposito confermato le bellissime esperienze
di Redi e di Charas, e quelle altresì istituite dal prelodato
Prof. Mangili (4).
Da tutto ciò vedesi chiaramente che il veleno non può
produrre le micidiali sue conseguenze se non venga diret-
tamente versato nel torrente della circolazione mediante
una ferita. In tal caso i sintomi dell’ avvelenamento si
(4) Traitè sur le venin de la Vipère. Florence 1781. Vol. I. pag. 310.
(2) Discorso intorno al veleno della vipera. Giornale di fisica e chi-
mica di Brugnatelli. Anno 1816. Tom. IX. pag. 458.
° (5) C. Celsi. De re medica. Lib. V. cap. 2.
(4) Discorso sul veleno della vipera. Giornale cituto. Anno 4809.
Tom. JI. pag. 220.
ERPETOLOGIA . 37
manifestano più o meno solleciti, più 0 meno gravi, se-
condo la quantità del veleno. innestato, e secondo la parte
ferita. Ecco quindi perchè la morsicatura fatta p. e. nella
lingua, nel collo, in una vena, o in una parte ricca di
vasi sanguigni riesce quasi sempre fatale, mentre rimane
di frequente senza conseguenza se aperta: in parte dura e
callosa del corpo, e molto digli, dali centro della circo-
lazione. i
E provato che il veleno non ha influenza alcuna nella
aggior parte degli animali invertebrati, siccome i mollu-.
va gli annellidi ecc. Debole «è la sua potenza sui verte-
brati a sangue freddo, e secondo Fontana sarebbe anzi.
innocuo per alcuni di essi, quali la vipera stessa e lion:
gue od orbetto. Benchè tale sia. anche il giudizio di altri
autori non è però'a tacersi come le esperienze «del Pro-
fessore Mangili abbiano provato invece mortale il veleno.
anche per le stesse vipere. Egli asserisce d’ aver veduto ‘
morire dopo non molte ore un viperino fatto morsicare-
da una vipera, ed.un altro per effetto del veleno levato .
da una vipera ed ‘introdottogli nella sostanza muscolosa
del dorso. Così, secondo lo stesso autore, molti ‘altri espe-
rimenti avrebbero provato che. anche diversi animali a san-
gue freddo, quali le rane, i rospi, i ramarri, i colubri ca-
dino pur essi vittime del veleno, solo tardando assai in
questi animali in confronto degli altri ‘a manifestarsene
gli effetti. i i
Negli animali a sangue caldo ib morso della vipera: è
‘tanto meno funesto quanto maggiore è la loro mole, pero
‘modo che fra noi si può presumere non. sempre mortale
nè per l’ uomo nè pei grandi quadrupedi ed uccelli. La
virulenza del veleno, e quindi il maggiore o minore peri-
colo del morso dipende anche da molte altre cifcostanze
36 i BETTA
che ben difficile sarebbe tutte enumerare. Così riesce più
o meno pericoloso secondo la maggiore o minore quantità
del veleno injettato, chè talvolta è uno solo dei denti che
ferisce, tal’ altra tutti. e due; talora la vipera non morde
che una sol fiata, talora invece dà replicati morsi; alcune.
volte infine morde un animale dopo aver scaricato parte
del veleno in'un altro. Ha pure influenza sulla maggiore
o minore letalità «del veleno, la temperatura più o meno
calda del clima e della stagione, lo stato più o meno irri-
tato della’ vipera; 1° età, Cla costituzione fisica, la suscetti-.
bilità nervoso- sanguigna dell’ individuo ferito, e senza dub-
bio poi anche l’ impressione più o meno manifesta dello
spavento portato dalla ferita. E provato ‘che gli individui
a temperamento linfatico 0 nervoso,..e. sopratutto: quelli
che hanno disposizione alle ‘affezioni isteriche sono più
‘vivamente impressionati “dal veleno della vipera; ed il
- Sig. Delpech osservò dimostrato dalla esperienza’ che gli
‘individui i più robusti, i meno irritabili, sono i.meno 808-
getti” all’azione di questo veleno. i
‘Del resto innumerevoli esperienze furono istituite per
‘conoscere i varj gradi di ‘attività del veleno, e per trovare
| Ì mezzi più pronti e più sicuri per arrestarne gli spaven-
tosì. efletti. Molti autori ne trattarono, e particolarmente
fra noi il classico Redi e il celeberrimo Abate Fontana,
| uno dei. migliori fisici e naturalisti dei suoi tempi, il quale
ebbe la pazienza di istituire più migliaja di esperienze in
proposito. Dal «complesso di queste puossi desumere abbi-
sognare almeno tre grani del fluido velenoso per uccidere
un uomo nelle circostanze ordinarie; mentre basterebbe
un centesimo di grano per uecidere prontamente un pas-
sero, ùn usignuolo, e sei volte tanto per far morire un
‘piccione. Ora, siccome la vipera ha in cadauna: delle due
ERPETOLOGIA 39
vescichette. appena due. grani di. veleno, che non ponno
d’altronde innocularsi nella ferita che per replicati morsi,
così per occasionare la morte in un uomo sarebbero ne-
cessarie varie morsicature, non deponendosi per ognuna
di esse nella ferita che mezzo grano all’ incirca di umore
velenoso. E però d’ uopo ricordare che quì si parla del
caso in cui l’ uomo morsicato sia. di buona costituzione
fisica e nullamente impressionato dall’ accidente. Le donne
ed i fanciulli sono molto più facilmente soggeiti alle con-
seguenze del morso.
Allorché Ja vipera ha Filo ed i denti | penetrarono
nelle carni, passando la pelle per piccolo ed invisibile foro,
ha luogo nello stesso istante, come già si disse, l’ injezione
del veleno che più o.meno prontamente assorbito, non
tarda a manifestare i suoi lagrimevoli effetti. Le conseguenze
ed i terribili fenomeni o patimenti che ne susseguono, se
i sussidii terapeutici non l’ impediscono il più presto pos-
sibile, destano raccapriccio al solo pensarvi. A quanto sceri-
vono gli autori, un acutissimo dolore si diffonde in tutta
la parte morsicata, a cui sussegue torpore, enfiagione, ed
arrossamento: il calore della parte si aumenta e questa. SÌ
fa violacea, poi livida, fredda e quasi insensibile. Una pro-
strazione generale del fisico, una affannosa respirazione,
una sete ardente manifestano quindi i progressi del veleno
nelle altre parti del corpo. Susseguono il deliquio, vomiti
violenti, tremori alie membra, la timpanitide, un vivo do-
lore ai lombi, la paralisia al collo della vescica e le deje-
zioni involontarie. Il polso si fa. piccolo, profondo, inter-
mittente e convulsivo; un sangue nero e purulento cola
dalla ferita, nè tardano a mostrarsi le macchie livide,
primi indizj della cancrena. Ed è tra questi atroci dolori
e tra altre maggiori angoscie che l’ infelice paziente ver-
40 BETTA
rebbe poi tratto a morte in più o meno spazio di tempo,
se ben tosto o le forze della natura, od i soccorsi dell’ arte
non venissero a calmare quei terribili sintomi. i
-. Importa però avvertire che oltre all’ essersi notate non
piccole differenze di tempo seconde i casi nello sviluppo
dei sintomi primordiali, non sempre si presentano e con-
corrono in un individuo tutti i fenomeni sopra accennati.
Quello che non manca quasi mai, ed. è il primo a mani-
festarsi, si è l’ enfiagione della parte offesa, che va. poi
mano mano aumentandosi e diffondendosi sino quasi ad
invadere una metà di tutto il corpo. Qualche volta isian-
tanea o non appariscente che ‘cinque minuti od un quarto
d’ora dopo l’accidente, tardò in altri casi fino anche oltre
mezz’ ora dopo. Qualche volta l enfiagione diminuisce al-
l’aumentarsi d’ intensità degli altri sintomi; il più spesso
si diffonde per tutto il tronco, ed in qualche caso si osservò
la lingua «del paziente fortemente gonfiata e di un colore
nerastro. Nello stesso tempo che la parte offesa si gonfia
manifestasi attorno alla ferita una piccola aureola infiam-
matoria molte volte assai apparente, ma che fugge. facil-
mente alla vista dell’ individuo morsicato.
E raccomandabile | attenzione a tale aureola la quale
manifesta il punto ove penetrò il dente velenifero, che di-
versamente è ben difficile scorgere attesa 1’ estrema picco-
lezza del foro. Per fortuna però è questo in generale pron-
tamente palesato da una ed anche talvolta da molte goccie
di sangue che sortono dalla ferita, e permettono così di
trovare la traccia dei denti; cosa importantissima da 0s-
servarsi per decidere se la morsicatura sia stata portata
da un rettile innocuo o da una vipera. Nel primo caso i
denti lasciano due linee curve di punture pressochè eguali
e delle quali la concavità si riguarda; nel secondo i denti
ERPETOLOGIA 4A
veleniferi lasciano le punture assai più distinte di quelle
fatte dagli altri denti.
Si disse che la forza vitale può calmare i sintomi e
vincere la potenza del veleno; ed infatti in alcuni casi
videsi bastare a ciò da se sola, indipendentemente da ogni
sussidio che potesse l’arte medica suggerire. Sulla efficacia
poi dei soccorsi della medicina ad impedire i sintomi, i
progressi ed i funesti effetti della intossicazione, è ad av-
vertirsi come non sarà mai-in verun caso a disperarsi
della guarigione quand’ anche od il ritardato ricerso al
medico, o qualche sinistro accidente avesse già permesso
manifestarsi i sintomi del veleno. Benchè possano darsi,
e siansi infatti sgraziatamente notate alcune eccezioni sullo
spazio di tempo entro cui l’uomo può venir tratto a morte,
si può però segnare come termine medio le 12 alle 15 ore,
ed a ben pochi quindi mancheranno frattanto quei soc-
‘corsi che varranno a salvarlo, od almeno a ritardare le
conseguenze del morso fino a che. possa giovargli 1’ arte
medica. I
Numerosissimi sono i rimedj nei varj tempi prestati ed
esperimentati contro il veleno viperino, dei quali I° effica-
cia vantata dagli uni, rivocata in dubbio dagli altri venne
infine dimostrata nulla da ulteriori e più precise. espe-
rienze. Ogni paese offre persone e ciarlatani che preten-
dono possedere l’ arte di guarire dal morso dei serpenti;
ed i rimedii che apprestano sono tanto variati e molte-
plici quante sono le idee ed i pregiudizj di chi li sommi-
nistra. I tre regni della natura furono messi a contribu-
zione; e chi pretendeva guarire con preparati animali, chi
con decozioni e polvere di vegetabili, chi con minerali
prodotti. Ed è ben a deplorarsi che alcuni accidenti ab-
biano potuto mantenere in qualche caso alcuni pregiudizj
42 BETTA
ed alcune credenze di efficacia in mezzi d’ altronde ‘asso-
lutamente nulli, impropri ed anche inopportuni. Non isno-
rasi come qualche persona appoggi l’ efficacia del suo
preteso rimedio a qualche fatto di ottenuta guarigione
coll’ uso di esso. Ma in tal caso non avremo altre diverse
e ben più forli circostanze, cui ascrivere piuttosto 1’ esito
avuto ? È importante l’ avvertire come generalmente dal
volgo non si sappiano ancora ben distinguere i rettili ve-
lenosi dagli innocui, e si confondino quindi questi con
quelli, e si ritenga velenosa la morsicatura di ogni ser-
pente.
Ma quanto mi ha maggiormente sorpreso fu l’ aver tro-
vato or sono appena due anni, persona, non certamente
del resto priva di educazione e sapere, che vantavami
ancora la miracolosa potenza di una sua piccola pietra, la
quale soltanto applicata alla ferita rendeva pronta e si-
cura la guarigione dal morso d’ogni rettile velenoso. Per
quanto mi facessi in allora a persuaderlo della erronea
credenza sua, inutili riescirono le mie parole, e non mi
restò che il doloroso pensiero del caso possibile di chi mor-
sicato -da un vero serpente velenoso, fosse ricorso in quel
paese al proprietario del chimerico rimedio con altrettan-
ta credulità e confidenza nella sua efficacia, quanta esso
gliene attribuiva senza esitazione qualsiasi. E ricordava
come in più remoti tempi avesse avuto vanto consimile
di salvamento l applicazione di una certa pietra nerastra
o verdastra che i ciarlatani vendevano ad altissimo prezzo,
| attribuendole la virtù di assorbire’ prontamente e. total-
mente il fluido velenoso dalla ferita, cui solo venisse ap-
plicata. Intendo dire della pietra conosciuta sotto il nome
di Pedro de Cobras o Cobra de capello, che Vitaliano Redi
ha poi pubblicamente e sotto gli stessi cechi del Granduca
ERPETOLOGIA 43
di Toscana provata di nessuna efficacia, dimostrando chi-
meriche ed assurde tutte le proprietà attribuitele. Io pos-
siedo una di queste pietre gentilmente favoritami come
oggetto di pura curiosità dall’ ottimo amico Dott. Pietro
Paolo Martinati; essa non è altro che um’argilla preparata
dai ciarlatani e che assorbe naturalmente 1’ umidità; è ri-
dotta a forma di una manidola ovale, schiacciata, assotti-
gliata ai margini; ha un color cinereo- brunastro; è ontuo-
sa al tatto, ed applicata alla lingua vi aderisce forte-
mente (*). | i
(") Perchè si conoscano le millantate proprietà e 1°-uso di questa
pietra non sarà senza interesse il leggere l'autentica a stampa che accom-
pagna la pietra donatami, e di cui ‘ecco il preciso tenore :
Virtù maravigliose
DELLA PIETRA ‘COBRA CHE VIENE DALLINDIE.
« Questa pietra Cobra, perche tale viene chiamata in lingua Porto-
ghese, onde in molte Provincie dell’ Indie Orientali, e principalmente nel
Quamsi, e nell’Indostan nascono certi Serpenti. velenosissimi con il capo
peloso, e perciò chiamati Serpi capelluli, lî quali sogliono essere cercati,
e colti con gran diligenza da certi Uomini solitari], come Romili, deli Jo-
gnes; che sono Filosofi, è Sacerdoti delle Genti Idolatre di quei Paesi; e
ne’ detti Serpenti vi si trova la ‘sudetta Pietra di mirabili virtù le quali
sono le seguenti. tei
« Il suo colore suol essere nero, e ve ne sono macchiate di color
cennericcio; per conoscere la sudetta Pietra se sia buona, ò falsa, appli-
‘candola è i labbri deve attaccarsi. tenacemente. i)
‘a Applicata detta‘ Pietra sopra la morsicatura, o puntura di qualsivo-
glia Animale velenoso, subito si attacca tenacemente, e ne’ succhia il ve- .
leno, e dopo cade da per sè, lasciando sana, e libera la ‘persona offesa.
Essendosi staccata la Pietra, si mette in un poco di latte, ò vino, 0 acqua
tepida lasciandovela per un poco di tempo, ‘dove rigetta tutto il veleno, e
poi lavandola bene. si pone da parte per' altre: occasioni..
44 . BETTA
Dettosi del veleno e suoi effetti non sarà inutile | in-
dicare anche fra la .tanta folla di rimedj esperimentati ,
quelli adoperati fino ad ora con maggiori successi, e l’uso .
dei quali fu generalmente riconosciuto. |
Avvyenuta la disgrazia sarà prima cautela da prendersi
il praticare una legatura, non però troppo stretta, al di
sopra della ferita per impedire possibilmente la comuni-
cazione del veleno alle altre parti del corpo. Si laverà e
netterà subito dopo la parte offesa per evitare che il
veleno che potrebbe trovarsi aderente alla pelle, penetri
« Se dopo caduta la Pietra dalla parte offesa continuasse il dolore,
doppo averla lavata ‘bisogna applicarvela un’altra volta, e continuare così,
fin a tanto, che il dolore sarà totalmente cessato, perchè mentre sarà ma-
teria velenosa, sempre la Pietra vi si attaccarà.
« Se a caso la morsicatura, o puntura fosse molto piccola. o già ser-
rata, bisogna aprirla alquanto con la punta di un coltello, o temperino
acciò la Pietra vi si possa attaccar meglio. | lt,
“ « Applicata la sudelta. Pielra sopra le morsieature de ‘Cani, Vipere, ‘
Scorpioni, Ragni, Vespe, o di qualsivoglia altro animale rabbioso, sana pa-
rimenti in brevissimo tempo.
« La detta pietra applicata sopra le “email carboni pestilenziali, tu-
mori maligni, ed altri simili mali, facendo prima.sopra una piccola. inci-
sione, acciò vi possa attaccare, ne succhia in breve ogni malignità.
« Polverizata, e data a bere con vino, 0 acqua, scaccia qualsisia veleno,
che per morso di animale velenoso fosse stato introdotto rielle parti più
nobili, ed interiori del corpo.
a Con felicissimo suceesso è stata adoperata da molti per curarsi da
varie ulcere, piaghe, ed altri morbi esteriori causati da mal Francese, e
principalmente per le Pannocchie, ecc. quando per- debolezza della natura
non possono venire a capo. facendovi prima sopra una picciola. incisione
aeciò la Pietra vi si possa attaccare. È o
« Parimenti con la detta Pietra, si sanano tutte le gonfiagioni causate
da punture di spine, o dal concorso di umori sommamente maligni, con-
tinuando l’ applicazione di essa.
ERPETOLOGIA 45
nella ferita al momento della scarificazione, che sarà bene
praticare prontamente, ed alla maggiore profondità cui
puossi giugnere senza pericolo o con ferro rovente, o con
pietra caustica, o con- qualche goccia di acido solforico.
Ta successiva applicazione d’ una ventosa fu trovata di
effetto quasi sicuro. Così anche fu usato utilmente un
pizzico di polvere da schioppo abbrucciata sulla piaga, del
qual mezzo anzi si giovano i petrajuoli.ed i minatori della
‘ Dalmazia esposti con molta facilità al morso della Vipera
ammodytes, solita per lo più a ricoverarsi in regioni aride,
« Nuovamente nella Puglia è stata da alcuni adoperata per curarsi dal
morso della Tarantola, li quali con mirabile brevità, e felicità sono restati
sani, e liberi da si stravagante, e dolorosa malatia.
« Avvertasi, doppo che la Pietra si sarà staccata da sè, d’essere vigi-
lanti nel ponerla nel latte tepido, o vino tepido, o anche acqua, e lasciar-
vela per lo spazio di trè, o quattro ore, secondo la qualità del veleno, acciò
lo possa vomitare, e lavata la medesima, di gettar via il latte, vino, o acqua,
perche a caso bevuto da qualcheduno, potrebbe privarlo di vita, o causarli
grave infermità, secondo la qualità, e quantità del veleno succhiato dalla
Pietra.
« I popoli dell’ Indie Orientali trovandosi aggravati da febre maligna,
o da qualche altro morbo intrinseco veemente, si fanno un'incisione, cioe
taglio in qualche parte del corpo, se fosse il taglio anche dell’ istesso sa-
lasso, dove applicano delle pietre sudette, ricuperano la sanità.
« Dice il Petruci, che la sudelta pietra ligata in Argento, e portata
ligata al bracio destro fà sicuro ogni uno di non esser morsicalo da al-
cun animale velenoso, e da qual si sia Fiera, e di farsi pigliare amore.
« Infinite sono le virtù di questa Pietra, e chi desidera saperle più
a pieno legga la China illustrata del Padre Attanasio Kirkel, la Flora Chi-
nese del Padre Michele Bovin, il Mercurio Bresilico del Padre Valentino
Stanzel, il Prodomo Apologetico di Giuseppe Petrucci, e varj altri, che ne
hanno trattato: della medesima Pietra si sono fatte. mirabili esperienze
nell’ Asia, America, Europa ed Italia. »
« In Lisbona, et in Genova, Con Licenza de Superiori » .
46 BIESILILA
sassose, e fra le fessure delle roccie stesse. So anzi da
ragguardevole personaggio che ha colà più volte ed a lun-
go presieduto ai lavori dei minatori, come formasse spe-
ciale articolo delle istruzioni loro il tenersi sempre prov-
veduti di una fiaschetta con polvere da fucile, per usarne
prontamente nel caso della morsicatura.
Fra i rimedii più giovevoli per la prontezza con cui
possono essere usati, havvi anche il succhiamento della
piaga adoperato subito dopo la morsicatura da sana e
spregiudicata persona; e ben ne conoscevano i vantagio-
sissimi effetti i Musi e gli Psilli che seguivano i romani
eserciti nelle regioni del mezzodì, che più abbondano di
serpenti velenosi. I
Uno dei più possenti farmaci però nella cura, e di
un uso esteso e si può dire oramai unico, si è l’ am-
moniaca liquida per la sua forza e celerità di diffusione,
non minore certamente di quella del veleno viperino.
Non mancarono in vero gli oppositori anche contro l’azio-
ne specifica di tale farmaco; ma le eccezioni special-
mente avvanzate dal Professore Mongiardini di Genova die-
dero causa a tante esperienze ed osservazioni che finirono
a combattere e confutare le opposizioni, ed a stabilire
positivamente l’ efficacia dell’ammoniaca, che il Profes-
sore Mangili chiama anzi il sovrano rimedio contro il morso
della vipera.
Per usarne si pongono sulla piaga alcuni pannolini
inzuppati dell’alcali, e se ne bevono entro un cucchiajo
d'acqua da due fino ad otto ed anche dieei goccie, mo-
dificandone la dose secondo l’ età, la robustezza ed il tem-
peramento delle persone; avvertenza ben necessaria, per-
chè a dosi forti potrebbe ingenerare disordini nell’ orga-
nismo ed agire come caustico. L’ efficacia di questo pre-
ERPETOLOGIA 47
zioso rimedio si: mostra anche sc sia somministrato qual.
che ora dopo avvenuto il morso.
E quì se potesse aver luogo un mio desiderio vivis-
simo, quello sarebbe di vedere inculcato dalle Autorità
un preciso rapporto e ragguaglio annuo dei casi e delle
cure fra noi verificabili. Il medico nel prestarvisi, adem-
piendo ai doveri dell’arte sua, compirà altresì altro do-
vere, il più caritatevole e santo, quello di offrire coll’ esi-
to della cura le prove indubbie su quanto più giova a
salvare dal veleno viperino, ed a facilitare a tutti la seelta
del mezzo.
‘ Che se inoltre un consiglio mi è lecito di qui .dare
agli abitanti di alcune speciali regioni, quello sarebbe che
dovendo temere maggiori pericoli per la frequenza ed ab-
bondanza delle vipere nei luoghi che essi abitano o tra-
scorrono, non si lasciassero trovare mai sprovvisti di am-
moniaca liquida, che potrebbero anzi tenere sulla persona
in vetro ben chiuso; precauzione poi questa della quale
non dovrà mai dimenticarsi chi specialmente è obbligato
per le proprie ricerche scientifiche, o per altra causa, ad
allontanarsi molto dagli abitati, a perlustrare i luoghi più
discosti ed aridi, ed a frugare fra i cespugli, le macerie,
i sassi e le roccie, abitazioni ordinarie della vipera.
Nel. Veneto abbiamo p. es. il Bosco Montello che gode
una tal quale celebrità per la enorme quantità di vipere
che popolano ogni suo cespuglio od argine, e stanno nasco-
ste sotto ogni pietra. Il viandante deve paventare assai di
restarne offeso, ed usansi infatti colà aleune cautele per di-
fendere il piede e la gamba dal morso della vipera, che con
ogni facilità potrebbe essere inavvertitamente calpestata.
In Lombardia havvi pure. altro. bosco rinomato per
l'abbondanza delle vipere, e questo è il bosco della Lontana
48 BETTA
a circa tre miglia da Mantova. E consimile celebrità , e
forse anche maggiore, avrebbe pure nel Genovesato il monte
Bertone verso le sorgenti del Taro e della Trebbia, il
quale, secondo le osservazioni del Prof. Genè, riesce per
due terzi dell’anno, ed a rigor di parola inaeeessibile per
la enorme quantità di vipere- che lo popolano.
Che se ’ accidente portasse di non avere in pronto
l’ammoniaca, furono esperimentati e trovati opportuni al-
tri sussidii, quali sarebbero il vino generoso, la teriaca
mista con esso, il dioscordio, gli oppiati in generale, l’acqua-
vita ed altri liquori spiritosi e forti, una sollecita e pro-
lungata corsa, insomma tutto ciò che è proprio ad acere-
scere l’azione del cuore ed'a promuovere un copioso su-
dore. Sarà però sempre in ogni caso consigliabile il ricorso
a persone dell’ arte e la non troppa fiducia nei surrogati,
che se qualche volta giovarono, non sempre però possono
supplire o suppliscono imperfettamente alla cura energica
e sicura che la medicina può apprestare.
Della propagazione.
Dettosi quanto più importava sulla proprietà venefica
di alcuni serpenti e. sui rimedj più efficaci da contrap-
porvisi, toccheremo ora i diversi modi di generazione ed
accoppiamento nei rettili, così poco conosciuti in generale
ed intorno ai quali vennero scritte, o sentonsi narrare le
più ridicole ed assurde cose.
Nel trattare però tale argomento mi astengo per più
ragioni dall’ entrare in minuti particolari, anche perchè
ai giovani studiosi, ai quali specialmente è dedicato questo
mio lavoro, basterà conoscere i fatti principali sul modo
con cui i rettili adempiono un’ importantissimo debito di
ERPETOLOGIA 49
natura; e perchè i desiderosi di più minute nozioni po-
tranno trovarle in molte altre opere, e specialmente nella
classica Erpetologia dei Signori Duméril e Bibron, alla
quale ebbi ricorso io stesso ogni qualvolta le mie cogni-
zioni dovevano essere sussidiate od ampliate dai profondi .
e maturi studj di quei celeberrimi autori, che tanto lu-
minosamente hanno coll’ opera loro provveduto ai bisogni
della. Scienza. a
Riservando alcune più speciali osservazioni che meglio
troveranno posto trattando delle specie cui particolarmen-
te.si riferiscono, osserviamo intanto in generale come nei:
rettili, non meno che in tutti gli altri animali d’ ordine
superiore, esistano organi particolari destinati alla funzione
riproduttiva e costituiscano i sessi, distinguendo gl’ indi-
vidui in maschi ed in femmine. Di tali organi sono gli
uni destinati a preparare i germi, gli altri a separare dal.
- fluidi nutritivi quell’ umore vivificante che viene poi tras-
messo e diretto sui germi in modi e con mezzi diver-
si. Nei rettili non esiste però che una sola sortita per le
feci, per l’orina e per gli organi genitali, e questa è l’ori-
fizio esterno della cloaca, la cui varia ‘forma può fino
ad un certo punto divenire un carattere naturale di clas-
sificazione. È infatti rotondato nella più parte dei Chelo-
nii e nei Batraci Anuri, mentre presenta una fessura tal-
volta transversale, come nei Saurii ed Ofidii, ixalo lon-
gitudinale, come nei Batraci Urodeli.
Ad eccezione dei Batraci che a quanto pare tutti si ri-
tirano nell'acqua a compiervi l’opera della generazione
senza intima unione dei sessi, in tutti gli altri rettili ha
luogo un vero accoppiamento, che dura poi più 0 meno
spazio di tempo secondo la.stagione e la specie. Nel no-
stro clima è ordinariamente ‘nei primi giorni di primavera.
4
50. BETTA
che i.due sessi si cercano e si uniscono; ma il bisogno
della riproduzione è per essi una necessità istintiva, e sod-
‘disfatto al bisogno dell’amor fisico si dividono, si fuggo-
no, si allontanano, nè altro più si riconoscono. Non può
darsi quindi fra essi nè unione durevole, nè monogamia,
siccome non si dà aleuna communione di affetti, nè alcun
‘attaccamento del maschio per la femmina. Rarissime sono
le specie, .e sono forse desse esclusivamente. appartenenti
all’ ordine dei Chelonii, in cui siasi osservato farsi il ma-
schio compagno alla femmina per preparare uh nido, 0
dirò meglio un sito conveniente ove deporre le uova. In
generale la madre sola deve provvedervi, e si accontenta
di deporle in luogo sicuro e nascosto , ed in circostanze
‘convenienti perchè la temperatura non sià troppo alta o
l'umidità troppo grande, e non possano i figli suoi divenir
preda dei numerosi loro nemici. I rettili non covano le
uova, ma deposte in conveniente località e favorite sol
tanto dall’ azione indiretta del sole, da quella dell’ atmo-
sfera, e dal calore attivo prodotto dalla fermentazione di
vegetabili putrefatti, schiudonsi poi-da sè in più o meno
tempo secondo le circostanze e le specie. E, ad. eccezione
dei Batraci, i giovani rettili sortono dall’ uovo colle forme
che devono conservare; dotati ‘già di molta agilità, e ea-
paci di provvedere da sè stessi ai primi loro bisogni.
In alcune specie Je femmine conservano le uova entro
il corpo fino che i novelli sortano dalla molle. membrana
che li contiene, in un ovidotto destinato a riceverli. come
una matrice; ed allora queste specie pajono essere Vivipa-
re come i Mammiferi. Per lungo tempo si è creduto .che
la sola Vipera fra i serpenti fosse in questo caso, ma più
recenti osservazioni hanno dimostrato ‘come altri Ofidii
‘di genere assai diverso offrivano lo stesso fatto: così p. es.
ERPETOLOGIA 54
tra noi la Coronella austriaca, che da quanto osservarono
Schinz, Frivaldszky e Lenz partorirebbe essa pure figli
vivi e non uova, come si è creduto e detto per tanto tempo.
‘Così .abbiamo ‘esempj di tale faito ‘anche in altri ordini
- della classe, siccome nei Saurii, fra le nostre specie, il lu-
certo viviparo (Zootoca vivipara) e: l’ orbetto od angue
( Anguis fragilis); nei: Batraci la salamandra terrestre (Sa-
lamandra maculosa): Questi animali furono chiamati a torto
vivipari, e si diranno più propriamente ovovivipari.
Per dare alcune generali nozioni relativamente a. cia-
scuno dei quattro ordini componenti la Dro dei. rettili
Deo ‘0sservarsi quante: segue:
- Ordine I. CHELONI.
In tutte le testuggini da -teconidazione nen ha Tnudo che
“una sola volta all’ anno. L'organo maschile è unico, com-
posto d’un ‘corpo fibroso che inviluppa un tessuto vasco-
lare o cavernoso; è molto erettile e provveduto per tutta
la sua lunghezza di un solco pel quale cola lo sperma.
Sorte per la cavità della cloaca per 1’ azione dei muscoli
protrattori di cui è fornito, e vi ‘rientra poi restandovi
in ‘ogni altra epoca. Gli organi femminili offrono trombe
uterine ed. ovidotti che mettono fine da una parte. nella
‘cloaca, e dall’ altra terminano con estremità: più larga e
più ‘o meno frangiata. Le uova sono varie in numero se-
condo le specie, e sono in generale d’ una materia calca-
tea e solida, di forma globolosa od ovale. Riesce difficile
dare caratteri esterni per distinguere i due sessi;-in gene-
rale però nella più parte dei maschi il piastrone dello
scudo è concavo, e presso a poco corrispondente alla con-
vessità del dorso della femmina. Però anche questa regola
52 BETTA
può soffrire varie eccezioni nelle specie, ed anche negli
individui. |
- Ordine I. SAURII. e
L'atto dell’accoppiamento non è in essi di lunga. du-
rata come nei Chelonii, ma 'al ‘contrario. piuttosto breve,
soventi volte ripetuto bensì ma quasi istantaneo, special-
mente nelle lucertole. L’ organo maschile «è doppio, ed il
più spesso guernito di piccoli pungoli cartilaginosi e re-
golarmente disposti. Servono questi all’ animale per rite-
nere la femmina, o piuttosto per eccitarla? — La cloaca ser-
ve nel maschio a contenere l’ organo dell accoppiamento,
a riceverlo nelle femmine. Pochissime specie sono ovovivi-
pare, ed anzi fra noi due sole. Le: uova hanno ‘un’ guscio.
calcareo, e forma piuttosto allungata. I nostri Saurii non of-
frono precisi caratteri esterni per riconoscere i sessi di-
versi neppure nel tempo degli amori, che invece adorna
di creste particolari, di gozzi e di. colori ‘vivacissimi molti
Sauriani esotici. i ui
Ordine HI OFIDIL
I serpenti non generano presso di moi che una sola
volta all’anno; la fecondazione ha luogo generalmente in
primavera, ma le uova non abbandonano gli ovidotti. che
tre o quattro mesi dopo e subiscono di già una specie di
incubazione nel ventre della madre, perchè aprendo le
uova subito dopo deposte vi si trova un.feto più o meno
sviluppato. Tale osservazione fu fatta in alcune specie da
varj autori, e Volkmann ne parla particolarmente per le uo-'
va del Colubro d’acqua ( Tropidonotus natrix ) sul quale
ERPETOLOGIA 53
istituì alcuni studj e ricerche (4). In qualche énso, come
si osservò più addietro, i piccoli sortono dall’ uovo ancora -
nel ventre della madre, e ciò o successivamente o con
‘qualche intervallo. Come nei Saurii anche negli Ofidii
l'organo maschile è doppio e forma come. due appendici
‘erettili, carnose, guernite di punte cornee, ritrattili, dispo-
ste a verticillo. Questi organi penetrati nella fessura della
cloaca si gonfiano, e divergendosi fra loro. ed allargando
la parte femminile rendono più intimo il contatto. Tengo
nella mia collezione un Coluder flavescens: preso nel mo-
mento della copula, i cui organi genitali rimasero tal-
mente gonfi e protrusi da. poter essere presi per due gam-
be. Lo stesso dico di una Vipera aspis che presa invece
assai più tardi, precisamente nell’ Ottobre dello scorso
anno, ed immersa in un vaso con spirito di vino ne la le-
vai morta dopo poche ore cogli ‘organi. genitali protrusi
non meno che quelli del Colubro, in causa forse soltanto
degli sforzi fatti per fuggire dal liquido letale. È senza
dubbio in tale stato che furono osservati dalle persone che
asseriscono aver vedutò fra noi serpenti a due sole gambe
posteriori.
Nell’ accoppiamento i due sessi si. attortigliano fra loro
e sì da vicino si stringono da sembrare un solo individuo
a due teste (2), restando così uniti per lo spazio.di alcune
ore, o di un tempo di cui non si saprebbe però precisa-
mente la durata. Le uova variano in numero secondo la-
specie; il loro guscio è tenace e coriaceo, ma non consta
che di una semplice e sottile: membrana nelle specie OVO-
(1) De Colubri Natrici generalione. Lipsie 1836.
(2) Anche Plinio scriveva « Coeunt complexu adeo circumvoluta sibi
ipsa, ut una eristimari biceps possit».
54. . BETTA
vivipare. îl sesso è: più facilmente riconoscibile nei ‘serpenti
‘all’epoca degli. amori per la grossezza della coda, per la
gonfiezza particolare della cloaca, pei colori più vivi e
brillanti, e per la minore statura nel maschio; mentre che
nella femmina il peso ed il. volume è molto maggiore, il
‘ventre più largo, la coda più sottile alla base.
‘ Pare ‘che alcune specie prescelgano siti determinati per
le: loro congreghe amorose, e giova quì riportare colle stesse
parole del Prof. Gené un. fatto che ‘egli osservò per. tre
specie di colubri nostri. Fatto. che mérita veramente d'es-
sere preso a cognizione dai Naturalisti perchè non osser-
vato prima da altri, e solo conosciuto nella storia dei
Batraci, li quali nel momento degli amori dirigonsi come per
speciale istinto verso determinati luoghi ed acque, ove,
quasi dietro convegno, trovansi poi in grandissimo numero
per celebrarvi in comune le loro nozze.
« Nel 1849, alla metà di Aprile, scrive quel chiarissimo
Professore (41), verso l ora del mezzodì, mi imbattei per
la prima volta in una vallicella a vedere appiè d’ un vec-
chio ceppo d’ albero, una ragunata di oltre a ducento in-
dividui del Coluber austriacus, intesi all’ opera della gene-
razione. Or bene, alla metà di Aprile e all’ ora medesima,
se il cielo era sereno e l’ atmosfera tranquilla, io continuai
per otto anni consecutivi, cioè fino al 1827, a vedere in
quel medesimo sitò, appiè di quello stesso ceppo, Ja. me-
desima assemblea, che durava sin verso le due ore pome-
ridiane pel corso di sei o sette giorni di seguito. La: sin-
golarità del fatto, e il diletto chie io-traeva in contemplarlo
«mi mosse a visitare attentamente quante. valli, quante selve
circondavano la mia residenza d’ allora; scoprii, a molta
(1) Storia naturale degli Animali. Vol. I. p. 248.
ERPETOLOGIA 55
distanza l’ una dall'altra, quattro altre di codeste riunioni;
una del colubro sumentovato, una del Coluber Ricciol,
e due di sacttoni o serpenti uccéllatori (4); e rivedendo
per varii anni di seguito quei luoghi rividi gli stessi amori
e gli stessi innamorati ». — E questi luoghi aveano tale co-
stante preferenza che lo stesso Professore. conchiude . col-
l’osservare d'aver tentato invano, « di renderli odiosi col
sommoverne la terra, col guastarne l’ aspetto, e persino
col far strage di quei poveri animali chè 1’ indomani i
superstiti vi si raccoglievano di nuovo, e di nuovo vi si
vedevano raccolti negli anni seguenti ».
Nell’ argomento della fecondazione della vipera e della
uscita dei serpentelli dall’ uovo, troviamo sussistere nel
volgo. alcuni pregiudizj che più opportunamente quì ac-
‘cenno onde tenere di confronto ai fatti 1’ assurdità delle
credenze stesse. Pretendesi da taluno che nei serpenti
si verifichi una vera incubazione, cioè che la madre covi
le uova fino al loro dischiudersi, e che questi animali,
ma più specialmente la vipera, difendino la prole dai ne-
mici esterni col ricevere nella gola i loro piccoli al pre-
sentarsi di qualche pericolo, trattenendoveli fino al cessare
di esso. i
“ Quanto alla prima credenza non occorre per confutarla
pienamente che il riflettere soltanto come il nome di in-
cubazione, più particolarmente applicata agli uccelli, sup-
(41) Col nome di serpente uccellatore il Prof. Genè descrive più avanti
il Coluber atrovirens (C. viridiflavus). Il nome di Saettone vien dato in-
vece più propriamente ad altra specie, il Col. fluvescens ; ma, come osserva
il Principe Bonaparfe, anche presso gli abitanti di Roma sentesi qualche
volta applicare tale denominazione al primo, che viene così confuso col
secondo.
56 BETTA
ponga lo sviluppo e la communicazione di calore alle uova,
e come ciò non possa mai verificarsi nei rettili ai quali è
impossibile per natura lo sviluppo e la emanazione del
calore. Se qualche volta fu veduto un serpente girarsi 2
spira attorno alle uova ciò sarà stato senza dubbio per
l’ istinto proprio di alcune specie, che in tal modo strin-
gendo vicine le uova stesse, le dispongono a cumulo in-
vece che lasciarle, come altre, quali furono deposte se-
parate, o qualche volta unite fra loro da una membrana
glutinosa, che disseccandosi si fa poi più consistente. Giam-
mai però potrà dirsi e credersi che quella posizione mo-
mentanea od anche prolungata della femmina, VIBe, dal
fatto di incubazione delle uova.
Né veramente per appoggiare la credibilità della pretesa
affezione della madre per la propria prole basterà per noi
il fatto (consimile del resto a quello che narrasi fra i
nostri villici per la vipera) riportato da. Daudin e da
Latreille, di un serpente a sonaglio femmina che Pelissot
di Beauvois e Moreau de Saint-Méry asserirebbero d° aver
veduto aprire la sua larga gola per ricevervi nell’ istante
del pericolo i neonati, e trattenerveli custoditi fin quando
era cessata la causa de’ suoi timori. Questo fatto benchè
ripetuto dal viaggiatore inglese Guillemart; benchè seguìto
dall’ osservazione del Sig. Lessieur sopra un serpente ve-
lenoso femmina che esso pure dichiarerebbe aver veduto
ricoverare nella propria gola i neonati nel momento di
pericolo; questo fatto, dico, benchè sembri anche accettato,
o per lo meno non apertamente escluso da Duméril (4),
è però tanto contrario ed in opposizione coi principii
della fisiologia animale relativi alla respirazione, e colle
(4) Erpetologie Tom. VI. p. 194,
ERPETOLOGIA 57
abitudini non meno di tutti i serpenti, da. doverlo esclu-
dere ‘a tutta prima; ed io me. ne dichiaro nulla affatto
persuaso, non esitando punto a collocarmi col Sig. Schlegel
per ripetere colle sue stesse parole. « Que dire quand on
ht que des voyageurs estimés prétendent avoir vu de leurs
propres yeux, que la femelle des Crotales fait rentrer, à
l’approche de danger, ses petits, qui sont de la grosseur
d’ un tuyau de plume! C° est là soumettre la crédulité des
naturalistes de profession à une trop rude épreuve, pour .
ne pas nous engager de nous abstenir de toute remarque.
ultérieure » (4). Lt
Per dover dubitare ancora più delle asserzioni di Pa-
lissot di Beauvois trovo poi anche una particolarità che
certamente non è esatta; il ealibro cioè di quei neonati,
che secondo lui era quello di un tubo di penna. Ognuno
può vedere come superino già tale misura i neonati della
vipera nostra, la. quale è senza confronto. molto minore
dei serpenti a sonaglio.
Che se nulla è a credersi al fatto ora narrato, molto
meno prestar devesi fede alle asserzioni di chi una consi-
mile affezione vorrebbe assegnare ‘alla vipera nostra. pei
suoi neonati. I serpenti, lo ripeto, abbandonano tutti la
loro prole dall’ istante medesimo della nascita, e dovrà
quindi passare rel novero delle ridicole credenze quel-
I’ affetto materno che il volgo attribuisce loro. Che se pur
sembrato fosse di vedere, o si fosse anco veduto entrare
nella gola della vipera qualche viperino, questo vi sarà
stato certamente inghiottito come preda, e non già accolto
‘come in luogo di sicurezza; nè a tal proposito potrebbe
essere for’ anco mancato lo scambio ‘con una vipera del
(4) Schlegel — Essai sur la physionomie des Serpents — Tom. II. p. 567,
58 BETTA
Colubro austriaco, e veduto nell’ atto d’ ingojare serpen-
telli di altre specie, siccome risulterebbe essere suo co-
stume da quanto ne asserisce il Principe Bonaparte.
Passo pur sotto silenzio come non degni di confutazione
i pregiudizii che qualche volta sentonsi ancora ripetere dal
basso volgo, sulle dimostrazioni di gioja (??) che la vipera,
immediatamente dopo essere stata fecondata , darebbe al
maschio col divorarlo (4), e sulla necessità nella vipera di
stracciarsi .il ventre per dare in luce i viperini..
- Ordine IV. BATRACI.
Il quarto ed ultimo ordine dei rettili è quello che sot-
to il rapporto della funzione riproduttiva allontanasi com-
pletamente dall’ organizzazione osservata negli altri tre, of-
frendo agli studii del naturalista ed alle meditazioni dei
fisiologi circostanze, fatti, e risultati straordinarj, e della
maggior importanza. i
. Nei Batraci non ha luogo anzi tutto un vero accop-
piamento, essendo i maschi mancanti di organi erettili, e
proprj alla intromissione diretta ed attiva del seme negli
organi della femmina. Nei Batraci Anuri, cioè privi di co-
da nello stato loro perfetto, vediamo il maschio montare
sul dorso della femmina ; abbracciarla tenacemente pas-
sando le sue gambe anteriori al di sotto delle di lei ascelle,
e coll’emissione del liquore seminale fecondare le uova
mano mano che sortono dalla cloaca della femmina. Questo
stretto abbracciamento si prolunga per moltissimi giorni
(1) Fipera mas caput inserit in os, quod illa abrodit voluptatis
dulcedine. Voigt, De congressu et partu Viperarum 41698.
ERPETOLOGI1A 59
senza che mai il maschio ne lasci libera la femmina, ed
è probabile che queste strette amiorose giovino a compri:
mere ed ajutare- la femmina stessa a. sbarazzarsi dalle
uova. L’opera della fecondazione sempre occulta, intima -
e misteriosa, cessa d’essere tale negli Anuri, e l'occhio .
nostro può così seguire tutte le evoluzioni e le meta-
morfosi che nell’embrione si. succedono, non fecondandosi
i germi che ‘pressochè sempre € costantemente fuori dal
corpo della madre, e non ricevendo quindi realmente la
vitalità che all’esterno della membrana trasparente che li
racchiude. nei dae
. In altro modo effettuasi la. fecondazione nei Batraci
Urodeli, in quelli cioè che conservano la coda per tutta la
loro vita. Questi pure, come gli Anuri in genere, compio-
no l’opera della generazione nell’acqua, benchè i preludj
in alcuni succedano qualche volta sopra terra. Talvolta
i due sessi si avvicinano in modo che gli orifizi delle loro
cloache trovansi a pochissima distanza fra loro; in questo
‘caso il liquore seminale sparso dall’ uno è assorbito dal-
l’altra e portato nelle uova, che sono così fecondate al-
l'interno, sia immediatamente avanti il parto che non tar-
da a succedere, sia ancora negli ovidotti ove si trovafano i
piccoli sbuciati dall’ uovo e pronti a sortire viventi, ed altri
in uno stato più o meno prossimo allo sviluppo che rende
l’animale vivificabile. Talvolta il maschio che con ‘mille
terieri e lascivi vezzi eccita la femmina a deporre le uova,
feconda queste con ogni sollecitudine mano mano che ne
scorge la sortita, lanciando il liquore seminale nell’ acqua
‘come presso a poco succede nei pesci. La nostra Sala-
mandra terrestre trovasi nel primo caso; ciò che l’ha fat-
. ta anche riguardare come vivipara. Uno studio diligente
e speciale sui suoi organi sessuali, colla figura e descri-
60 BETTA
zione del feto e dei neonati può vedersi in Gravenhorst (4)
‘coll’aggiunta non meno di osservazioni e discussioni sulla
propagazione ed’ accoppiamento della specie. Ed ora ab-
| biamo in proposito anche l’interessantissima ‘opera postu-.
. ma del Dott. Mauro Rusconi Développement et: Métamor-
phose de la Salamandre terrestre, pubblicata per cura del
Dottor Giuseppe Morganti di Pavia. “ella maggior, parte
‘però degli altri generi fra gli Urodeli le uova si schiudo-
no dopò deposte e sempre nell’acqua, e lo sviluppo dei
germi che contengono presenta anche altre notabili diffe-
renze in confronto degli Anuri. Così dicasi dei nostri Tri-
toni sui quali invito gli studiosi a voler prender cogni-
zione e far lettura della Memoria del Dottor Rusconi (2),
che con tanta dottrina e pazienza ne osservò e descrisse gli
amori, la fecondazione delle nova, e successivo sviluppo de-
gli embrioni e girini che nei molteplici loro stadj di vita
vengono anche presentati in diligentissime e precise figure.
Il numero delle uova deposte dai Batraci Anuri è assai
ragguardevole, sorpassando in alcune specie i mille. Alla
loro sortita dalla cloaca sono legati fra loro da un umore
viscido, talvolta agglomerati in una massa informe, tal’ al-
tra dfsposte come in un rosario o cordone mucoso, consi-
stente e della lunghezza di più metri, secondo le specie.
‘Negli Urodeli all’ incontro il numero è molto più limitato,
e le uova sono separate le une dalle altre, di forma ovale,
ricoperte di una tenace membrana, e non mai legate fra
loro da alcuna materia viscida.. |
(4) Reptilia Musei Zoologici Vratislaviensis. Fasc. 1. p. 93. « De
partibus. nonnullis internis, imprimis sexualibus, Salamandrarum et Mol-
garum ».
(2) Amours des Salamandres aquatiques. Milan 1821.
ERPETOLOGIA 64
In questo Ordine di rettili la distinzione dei sessi è fa-
cilmente riconoscibile essendo i maschi generalmente più
piccoli, le loro forme più marcate, i loro colori più vi-
vaci. AI tempo delle nozze sono essi specialmente distinti
per. particolari ornamenti o segni dei quali li abbelisce
natura. Così p. es. nella Rana comune (Rana esculenta )
i maschi fanno sortire dalla bocca due vesciche ‘che’ essi
gonfiano nel gracidate; nella Rana rossa (Rana temporaria)
e nel'Rospo verde (Bufo viridis) i pollici delle gambe an-
teriori si gonfiano considerevolmente e vedonsi ricoperti
d’ una .pelle nera e rugosa; nel Tritone crestato ( Tritor
cristatus ) si scorge un’ alta e frastagliata cresta lungo tutto
la parte superiore del corpo, la quale sparisce poi passata
I epoca degli amori; e così dicasi di ‘altri ornamenti e
caratteri che verranno notati -parlando di cadauna specie.
Altra particolarità importantissima e propria di questo
Ordine; sono. le forme singolari e bizzarre che i Batraci
prendono' successivamente, dalla nascita fino al perfetto
loro sviluppo. La forma loro al sortire dall’ uovo è ben
diversa da quella che devono poi conservare, e presenta
svariate modificazioni secondo che il feto appartiene agli
Anuri od agli Urodeli, subendo come gli insetti le: più
curiose metamorfosi e trasformazioni.
Negli Anuri infatti quando |’ embrione sorte dall’ uovo
o membrana che lo contiene, presentasi sotto 1’ aspetto
d’ un piccolo pesce, e vedesi nuotare: nell’ acqua con mas-
sima rapidità. Vi si distinguono alla testa i rudimenti de-
gli occhi; un poco al di sopra del muso scorgesi un ori-
fizio rotondo a labbra variabili, ed è la bocca, nel cui in-
terno presentansi più tardi delle lamine cornee delle quali
le due principali costituiscono una specie di becco, di cui
usa per attaccarsi alle piante acquatiche e tenervisi s0-
62 vB BEDA
speso, 0 per tagliarne il parenchima con cui si nutre. Ai
lati del collo si vedono due paja di frangie più o meno
ramificate, che sono vere branchie esterne. Ben presto però.
| queste spariscono; ricoperte da una membrana sî avvallano
in una Specie di sacco sotto. alla gola, e cangiandò forma
«divengono assolutamente analoghe alle branchie dei. pesci,
al modo dei quali in allora P animale precisamente respira.
L’ accrescimento degli intestini si fa poi considerevole ; il
ventre si fa molto voluminoso; la tesia si confonde col
tronco, e ‘compariscono gli occhi e le nari. E questo enor-
me sviluppo della cavità addominale confusa con tutta la
parte anteriore, € presentante una sorta di sfera terminata
da una coda come di pesce, ha dato origine al. nome di
Tetard con cui i Francesi chiamano: i Batraci in tale. sta-
dio del loro sv iluppo, ed ai quali noi diamo il nome di
girino, cazzuola, padellaccio, ‘e volg. palote. Più ‘0 meno ra-
pidamente secondo le varie circostanze di clima; tempera-
tura e nutrimento si ‘succedono poi altre modificazioni.
La coda, compressa -come quella dei pesci, si fa. sempre
più lunga ed offre nella sua lineà mediana una massa di.
fibre carnose ; pel di sotto, alla. base. della coda scorgesi
l’ano, ed ai due lati mostransi piccoli tubercoli che si
ingrossano e si allungano. di: giorno in giorno, si.dividono
in dita alle loro estremità, e 1’ animale mostrasi finalmente
provveduto delle due gambe posteriori ; appariscono quindi
le anteriori, ed intanto vedesi la coda diminuire in altezza
e lunghezza ed essere assorbita, per: servire. forse allo svi-
luppo di altri organi; la bocca si fende transversalmente
e, cadendo le lamine cornee o becco, diviene molto ampia;
la coda diminuisce sempre più e finisce collo sparire to-
talmente; gli occhi si forniscono di palpebre, il ventre si
allunga, diminuisce in volume, e |’ animale benchè molto
ERPETOLOGIA 63
piccolo, e ridotto in qualche specie ad un quarto della
lunghezza che misurava allo stato di girino, ‘presenta già
le forme, salvo le dimensioni, che presso a poco conser-
verà per tutta la ‘vita. Intanto sonosi. anche sviluppati i
polmoni; le branchie si sono obliterate; tutto il sistema
della circolazione del sangue è è mutato, e l’animale cangia
pure natura col divenire terrestre e carnivoro laddove era
acquatico ed erbivoro.
Le metamorfosi degli Urodeli presentano comparativa-
mente agli Anuri, assai minori differenze nelle prime loro
forme con quelle degli individui che hanno raggiunto
l’ultimo sviluppo. L’ embrione sortendo dall’ uovo. offre
bensì ‘la maggiore rassomiglianza cogli embrioni degli
-Anuri, e come questi è desso allungato, nuota colla. coda
come i-Pesci, è cieco, ha la bocca guernita d’ un becco
corneo, e possiede branchie esterne; ma queste branchie
restano poi sempre esterne e scoperte negli Urodeli, nè si
obliterano che a misura che i polmoni si: sviluppano in-
ternamente e diventano atti ad ammettere l’aria esterna;
il ventre non si fa rotondo nè si confonde colla testa, ma
il corpo conserva sempre le sue forme; la bocca e gli
intestini subiscono la medesima trasformazione degli Anuri,
ma delle gambe sviluppansi all’ invece per prime le ‘ante-
riori, per ultime le posteriori; e la coda che in quelli se-
gna colla sua scomparsa il termine della metamorfosi, si
fa in questi sempre maggiore e resta per tutta la vita loro.
“ano riproduzione delle paste: |
In eu alla generazione e - propagazione dei rettili
importa di brevemente avvertire come uno dei fatti fisiolo-
gici i più maravigliosi nella organizzazione di alcuni ani-
64 i :VOBEDTA-
mali, e specialmente in quelli della Classe di cui trattasi;
sia la singolare facoltà che essi hanno di riprodurre quelle
parti del corpo che perdono per accidente, o che vengono
loro troncate. È fatto conosciuto già ed avvertito dai più.
antichi scrittori, come nelle lucertole e negli angui ‘od
orbetti facilmente soggetti a perdere la coda, questa ri-
producasi in breve tempo per modo tale da mancare quasi
ogni traccia della parziale o totale mutilazione sofferta.
Dalle esperienze ed osservazioni di Spallanzani, di Plate-
retti, Murray, Bonnet, Duméril ed altri ancora, videsi però
recentemente come tale facoltà riproduttrice spieghisi assai
più attiva di quello che ritenevasi o conoscevasi «pel pas-
sato, e sappiamo ora quindi come non la coda soltanto,
ma altri organi, anche i più delicati, si riproducano com-
piutamente in tali animali e specialmente nei. Batraci
Urodeli, che sembrano stati scelti quasi esclusivamente
per tali esperienze.
E per citare qualcuno du più singolari risul otte-
nuti in queste prove, noterò come Blumenbach ‘abbia
osservato in un ramarro (Lacerta viridis) la integrale ri-
produzione degli occhi, dei quali avevalo privato con una
punta di ferro. Bonnet (4). ha in più esperienze tagliato
Je gambe ai Tritoni, ora da un lato ora dall'altro, e quando
ad ambedue i lati, e costantemente riproducevasi il mem-
bro amputato, e le dita vi si riformavano ed acquistavano
movimento. La coda di questi animali troncata a diverse
altezze riproducevasi pure.costantemente, ed ottenne anche
in essi la sorprendente esperienza dell’ occhio, che com-
pletamente estirpato vide dopo un anno perfettamente ni
(1) Sur la reproduction des membres de la Sulamandre aquatique.
Oeuvres d’ hist. nat. et de Philosophie Tom. V.
_ERPETOLOGIA 65
prodotto ed organizzato. E queste amputazioni e riprodu-
zioni egli ripeteva ed osservava. due, tre e fino quattro
volte consecutive nello stesso individuo. Non sempre però
le riproduzioni succedevano normali, ma anzi ci narra
quel paziente osservatore come di sovente vedevansi nota-
bilmente alterate sia per deficienza, sia per eccesso od
| esuberanza; nel qual caso le parti presentavano forme le
più singolari e bizzarre.
Fra le varie esperienze fatte dal celebre Duméril citerò
poi come veramente singolare quella istituita sopra un Tri-
tone (4) nel quale, dopo ‘avere amputato con forbice tre
quarti della testa, privandolo così di quattro principalissimi
sensi, le nari, la lingua, gli occhi e le orecchie, osservò
nello spazio di tre mesi operarsi una’ cicatrizzazione ed
un lavoro di riproduzione tale da non restare più alcuna
| apertura nè per.i polmoni; nè per gli alimenti. Morto quel
Tritone alla fine del terzo mese, e durante un’ assenza del-
l'osservatore, non si poterono però ottenere quei maggiori
risultati che attendenvansi, e che avrebbero forse aumen-
tato d’ assai più la maraviglia di tale stranissimo caso.
È ovvio incontrare fra noi lucertole ed angui nei quali
vedesi riprodotta la coda; e dirò anzi per esperienza essere
ben più difficile trovare individui in cui tale: membro
non abbia sofferto mutilazioni di sorta, tanta è la facilità
colla quale. lo perdono. Il posto però delle vertebre cau-
dali mutilate non viene sostituito che da una sostanza
cartilaginosa analoga, ma che probabilmente non acqui-
sterà più nè la natura, nè la solidità dell’ osso; e tengo
nel mio Museo cogli scheletri di tutti i rettili dell’ agro
Veronese, quelli ben anco di due Lucerti nei quali scor-
(1) Erpétologie. Tom. I p. 299.
66 BETTA
gesi precisamente ‘tale surrogazione cartilaginosa per quasi
tutta Ja lunghezza della coda loro. Questa facilità di -ri-
produrre la coda lascia luogo anche a molti casi di du-
plicità di essa, e di questi, siccome di altre anomalie, ver-
rà trattato parlando di ciascun ordine separato.
Favole e pregladizj
nella storia del Rettili.
Se tutte si volessero enumerare le superstizioni e le
erronee credenze che sfigurarono e svisarono la storia dei
rettili; non basterebbero a ciò veramente le pagine di que-
sto libro, tanta ne è la folla ed il numero. Molte di esse
inventate e sòrte di già nella infanzia del genere umano;
trasmesse ai posteri ed ammesse con fiducia da classici
autori, amici - zelanti del maraviglioso; accresciute dalla
varia immaginazione dei popoli; svisate e falsificate dalla
superstizione e dal timore, figli dell’ ignoranza, contribui-
rono non poco per lo passato a rendere oscura e fallace
la conoscenza di tali animali. Le favolose potenze di cui
si narravano dotati molti rettili, inveteratesi nello spirito
umano, mantenute ed anche esagerate da varj accidenti
o male applicati o male spiegati, resero poi sempre più
difficile la persuasione della verità e dei fatti; gli errori
non fecero che aumentare lasciando libero il campo alla
immaginazione, e nelle deboli menti trovarono facile ac-
cesso e dominio. La ripugnanza quasi direbbesi istintiva che
fra tutti gli altri rettili, i serpenti sopratutto ci inspirano;
lo spavento di cui quasi ogni uomo è compreso al solo
vederli, furono altri degli ostacoli più gravi alla ricerca
ed allo studio del vero, e causa perciò delle limitate co-
ERPETOLOGIA 67
gnizioni. che se ne avevano in tempi anche non molto
lontani. MOI
Nel proposito però di parlare almeno di alcune delle
più straordinarie favole, e togliere loro per quanto sarà
possibile quell’ ultimo e leggiero grado di credenza che for-
se potrebbero tuttora possedere nella mente sopra tutto
del volgo, credo di dover evitare inutili ripetizioni col ri-
servarne alcune a miglior posto, collocandole negli arti-
coli di ogni specie cui riferisconsi; e trattare qui soltanto
di quelle poche che io non saprei ove opportunamente al-
logare; o quelle la confutazione delle quali chiara e pre-
cisa risulta già da quel tanto che fin quì fu detto in ge-
nerale sui rettili, o più distesamente si dirà nei capitoli
che precedono la descrizione delle specie.
Appartiene alla più straordinarie ed incredibili la fa-
vola del Basilisco che il rozzo contadino narra di veder
saltare da un albero all’ altro, attribuendogli forme sva-
riatissime e bizzarre, colla potenza altresì di avvelenare ed
uccidere col solo alito o coi soli occhi. I più antichi au-
tori, Avicenna, Plinio, Solino, Nicandro ed altri hanno par-
lato sotto di questo nome di un serpente con una corona
sulla testa, che faceva fuggire al suo aspetto tutti gli altri;
che poteva dare la morte con un solo sguardo, pretenden-
dosi poi da altri che non avesse potuto esercitare tale ter-
ribile facoltà quando non era il primo a vedere. Si è cre-
duto che il gallo nella sua vecchiezza deponesse un uovo
dal quale venisse alla luce il basilisco. L’ Aldovrando ed
altri autori ne hanno anche date delle figure (4), e veniva
rappresentato con otto piedi, con una corona sulla testa
ed armato di un becco adunco e ricurvo. Plinio asserisce
(1) Jonston. De Serpentibus. Tab. XI.
68 BETTA
che il basilisco ha la voce sì terribile da far paura a tutte
le altre specie, e che in tal modo le scaccia dal Inogo on-
de regnarvi come sovrano. È appena credibile come tali
favole abbiano potuto ottenere fede presso tanti autori, e
siansi mantenute tanto tempo per giungere sino quasi è
noi. È mero sogno l’esistenza di questo animale; eppure
non mancano anche oggidì persone, che col nome di dasi-
lisco designano un rettile ch’ esse sole vedono e sentono
nella loro immaginazione. Lo credono esistere alcuni con-
tadini e montanari del Veneto; più ancora ne parlarono
forse e ne parlano quelli del Tirolo, sognando nel basilisco
l’ esistenza d’ una pietra preziosissima che potrebbe ren-
dere ricco chi se ne impossessasse. Per quanto però tro-
visi tuttora nel volgo tale credenza essa è ormai ben de-
bole è leggera, nè ai nostri tempi nessuno vedrà verifi-
carsi il caso di un vecchio feudatario che nel secolo de-
corso si addossò il tributo di un perpetuo livello ad un
suo vassallo, per aver questi liberate le terre di lui da un.
basilisco che le infestava. Sta anzi scritto nel documento
che tale premio veniva accordato alla famiglia del vas-
sallo perchè egli stesso avea dovuto morire nell’ uccidere
il pestilenziale animale (!!!)— E questo grosso livello sussi-
steva ancora tre anni or sono, ed i discendenti del vas-
sallo si godevano assai lieti i frutti della credulità e dabbe-
naggine del vecchio feudatario. i |
I ciarlatani dei tempi addietro avvaloravano la cere-
denza nel basilisco collo spacciare per tale una pelle del
pesce ftaja, che essi foggiavano in varie mostruose forme,
aggiungendovi o piedi, o coda, o cresta, o becco tolti ad
altri animali. Oggidì però non si presterà altra fede a simili
favole ed inganni, ed il nome di basilisco resterà solo per
dinotare una lucertola innocente, fornita di cappuccio che
ERPETOLOGIA 69
le corona la testa, e di una cresta che si alza sul dorso e
sulla coda, la quale vive soltanto sugli alberi delle im-
mense foreste dell’ America meridionale, e della quale di-
cesi si nutrano quegli abitanti, qualificandone la carne
come assai gustosa e saporita. | |
Presso la favola del Basilisco trova posto quell’ altra
del viperone grosso quanto il braccio d’ un uomo, cortis-
simo di corpo e di color bianco o rossastro, che il volgo
narra di vedere tratto tratto nei campi e sui monti. Nel-
la parte più settentrionale del Tirolo italiano gode persino
della singolare denominazione di stravolgi-carri, attribuita
venendogli la facoltà di ribaltare un carro che gli passasse
sopra, non senza aggiungergli a questo ridicolo potere una
caterva di malefizi, di fischi sonori, e di mille altre facol-
tà maravigliose. Un consimile animale viene descritto dal
volgo nel Lombardo e nel Veneto sotto il nome di dspeso,
del quale tanto diverse ed opposte sono le deserizioni, le
forme, e .gli attributi offerti, che basterebbero da soli a
provare non avere mai esistito, non essere stato mai ve-
duto da alcuno, e non dipendere la sognata sua esistenza
che dalle esagerazioni dell’ ignoranza e del timore. Così in
uno stesso fascio coi detti animali, vanno collocati i ser-
penti con cresta, o con testa di gatto, e quelli grossi come
la gamba di un uomo 0 lunghi più metri, che qualcuno
crede o racconta trovarsi fra noi. i
Ad errori invalsi nel popolo devonsi ascrivere i rac-
conti di serpenti succhiavacche, e di serpenti che si intro-.
ducono nella bocca di persone dormienti. Coloro che at
tribuiscono ai serpi la facoltà di poter succhiare il latte
dalle mammelle degli animali, vi aggiungono altresì una
sorta di malefizio tale per cui dopo avvenuto il succhia-
mento, al quale, secondo essi si presterebbero i mammiferi
TO: - BETTA
con compiacenza, questi perdono tutto il latte. Intanto per
le osservazioni dello Schlegel e del Wyder, per le molte
prove istituite dal Prof. Gené e da altri, puossi negare che
i serpenti amino ed appetiscano il latte. Alle osservazioni |
di questi autori aggiungo pure le mie, essendomi riuscito
sempre vano ogni tentativo per far bere del latte sia ai
colubri sia alla vipera che teneva vivi all’ oggetto di tali
e di varie altre esperienze. D'altronde bevono anche assai
di rado perchè confinati essendo per la maggior parte in
luoghi aridi e secchi, e dove manca ‘sempre o per lun-
ghissimo tempo l’acqua, la natura ha saputo provvedere
ai loro bisogni spingendoli a nutrirsi d’ animali viventi,
nel corpo dei quali trovano il sangue e gli altri umori che
possono bastare ad estinguere la sete. Ma se anche molte
specie bevono realmente, non ‘ può però ammettersi che
si spingano a quell’atto per dissetarsi. Per convincersi
prontamente dell’ assurdità di tale racconto, basterà riflet-
tere per poco sulle circostanze di organizzazione che per-
mettono ai soli mammiferi | azione del poppare. È
anzi tutto indispensabile che la ‘cavità della bocca possa
momentaneamente essere chiusa tutta attorno al capezzolo
onde succeda il vuoto; e questo non può ottenersi che
con labbra mobili e carnose, delle quali sono affatto man-
canti i serpenti, In secondo luogo la soverchia brevità del
tragitto delle nari, il difetto di un velo al palato, e quello
di una epiglottide all’ ingresso della trachea, rendono nei
serpenti ancora più impossibile l’ effettuazione del vuoto
necessario. Che se avessero anche ottenuto dalla natura
la facoltà di praticare questo vuoto, riflettasi per un mo-
mento alla struttura ed all’ ufficio dei denti che armano
le loro maseelle, e- dicasi se con tante numerose ed acu-
tissime punte, ricurve tutte all’ indietro, potrebbe poi il
ERPETOLOGIA 7A
: serpente abbandonare a capriccio il capezzolo, o non
piuttosto vi aderirebbe tanto più quanto maggiori sareh-
bero gli sforzi per distaccarsene. volontario, o costretto
dal mammifero, che tutto - tenterebbe senza dubbio per
liberare la parte forata da tante punte. In ogni caso se
veramente, ciò che quì si nega, fu veduto qualche serpente
attaccato nei pascoli o nelle stalle ai capezzoli delle vac-
che o delle capre, sarà stata senza dubbio alterata l’ inten-
zione del rettile stesso, forse ivi lanciatosi per l’ istinto della
fame, ed ingannato dai moti e dalla forma della parte.
Quanto all’ altra fola di serpenti che introduconsi tal-
volta pella bocca nello stomaco di chi dorme, crederei non
poter meglio e con minori parole confutarla che. coll’ in-
vitare chi vi crede a cacciare un corpo qualunque, un
dito, un legno, nella propria gola, e giudicare dalla sensa-
zione di tale prova se sarà -possibile il fatto, e se la irri-
. tabilità della lingua, del palato, e specialmente delle fauci
può rendere credibile che un serpente vi si possa insi-
nuare e sdrucciolare. Per me nego apertamente tal fatto
e lo dichiaro assolutamente impossibile.
Sono poi reali assurdità, come si è già veduto, il cre-
. dere che la sede del veleno nella vipera sia nell’alito, nella
lingua, nella coda; che la vipera sia sorda; che cieco sia
langue; che la salamandra resista al fuoco etc. ete. E
spetta finalmente a mero pregiudizio la facoltà attribuita
ai serpenti di poter instupidire ed incantare. gli animali di
cui vogliono far preda in modo da arrestarneli sul punto,
e da dover questi, attratti da ignota forza ,-rimanere im-
mobili ed annichilati fino a lasciarsi cadere ed uccidere
senza la benchè minima resistenza. Ma tale strano e ridi-
colo potere importa che più particolarmente formi soggetto
di qualche parola. i
Da ANBETA
Già nella più remota antichità troviamo insorto. tale
pregiudizio, che, sostenuto da parecchi scrittori e dai race-
conti dei viaggiatori, mantiensi tuttora con tale popolarità
da ‘sentirne parlare ad ogni occasione, come di un fatto
vero ed incontrastabile. E vi si trova poi una. facile spie-
gazione coll’accordare al rettile emanazioni malefiche, po-
tenze d’incantesimo e mille altre influenze, contrarie: però
sempre al buon senso ed ai fatti.
‘Ben poche opere di storia naturale hanno ommesso di
trattarne, ma è solo dai più gravi e recenti naturalisti
che lo vediamo sceverato. finalmente anche, da quelle mi-
nime circostanze che pur ancora avrebbero potuto dar
colore di verità all’ inveterato pregiudizio, e passato questo
fra gli innumerevoli errori che ASeata pai paarono Sempre la
storia dei rettili.
Più cause possono aver dato origine a questa pretesa
potenza affascinatrice ;.e lasciando a parte i curiosi rae-
conti e le fole che varj autori e molti viaggiatori ne scris-
sero e ne raccontarono, leggesi in parecchie loro opere
seriamente avvertito lo spavento; i tremiti, e Jo sconcerto
totale che la sola vista di un serpente, sopratutto se vele-
noso, accagiona nella maggior parte degli animali verte-.
brati. Si racconta di scojattoli e di uccelli che vivacissimi
nei loro movimenti, colpiti ad un tratto dalla vista. del.
serpe, e presi istantaneamente da una viva e profonda agi-
tazione, vennero a perdere il loro equilibrio, e gettando
grida di disperazione lasciaronsi cadere di ramo in ramo
fino al piede dell'albero, ove immobile stava ad attenderli
il loro nemico. Si aggiunge da taluni che queste sgraziate
vittime, cadendo dai rami vengono fino a piombare diret-
tamente nella spalancata bocca del rettile. E di queste e.
consimili scene non manca mai chi si asserisce oculare
ERPETOLOGIA 73
testimonio, o cita altre persone quali testimonj indubbi e
degni di tutta la fede.
Si è detto più sopra come a causa diretta di tale af-
fascinazione venga posta in campo l’ emanazione di mici-
diali vapori, che spandendosi dal serpe ed arrivando alla
vittima la investono ed ubbriacano in modo da renderla
priva di forze e-di moto, e da toglierle ogni via di fuga
o difesa. E l’ emanazione di tali malefici . vapori, secondo
quanto crede il volgo, verrebbe portato fino alla vittima
col continuo e rapido dardeggiare di quella lingua bifor-
cuta, immaginato stromento di morte; mentre in fatto
non che essere l’ organo il meno adatto a tali azioni, può
dirsi nei serpenti incapace persino alla fina percezione del
senso pel quale serve negli altri animali.
Quanto a queste micidiali emanazioni conviene però
persuadersi come non esistino che nella debole mente di
chi vi crede. Ed a conseguenze affatto naturali all’ orga-
nizzazione e nutrizione dei rettili, devonsi soltanto ascri-
vere quei putridi effluvii che autori e viaggiatori indica-
rono esalarsi all’ intorno dei grossi serpenti , da essi Ssor-
presi ed osservati. Questi animali difatti ingojano la preda
cominciando dalla testa, che per la prima entra quindi
nella gola; solo poi con speciali movimenti delle loro man-
dibole effettuano la deglutizione, che succede in maggiore
o minore spazio di tempo secondo il volume maggiore o
minore della preda. Qualche volta appunto essendo questa
molto voluminosa, accade che il serpente deve impiegare
lunghissimo tempo prima di farla entrare nell’esofago; gli
alimenti soggiornano allora lungamente nel loro stomaco,
e non di rado vi si imputridiscono prima di essere dige-
riti; ed ecco la ragione dei mefitici fetori che Lacépède
narra aver quasi soffocati i viaggiatori, e specialmente De
74 BETTA
la Borde nel mentre aprivano il corpo di grosso serpente.
Devesi poi notare che soltanto molto tempo dopo compita
la digestione, e quindi dopo svaniti tali. vapori, il ser-
pente va in cerca di nuova preda, ed in nessun modo
sussistono quei miasmi quando svegliasi in esso un nuovo
appettito. Là
‘Anche quegli umori più o meno fetidi che in quasi
tutti i serpenti si producono entro certe glandule della
cloaca, vi stanno. sempre latenti nè si diffondono ‘che
quando l’animale venga preso od irritato. Nessuno ignora
‘come soltanto in tali casi la comunissima nostra Serpe di
acqua e il Colubro austriaco spargano un puzzo nauseoso,
dovuto al liquore giallastro «eiaculato dall’ano; e così
dicasi degli altri più o meno fetenti umori che varie spe-
cie di altri ordini segregano dalla cute o . dall’ ano quan-
do venghino presi od aizzati, siccome i Rospi, le Sala-
mandre etc.
Eliminata l’ emanazione dei sognati vapori, ed esclusa
perchè insensata e priva di fondamento la potenza affa-
scinatrice che ai rettili si attribuisce, non negasi del resto
però, ed è anzi di fatto, che gli animali possano rimanere
privi di forza e di movimento all’ improvvisa comparsa
di un serpente. Ma in tal caso qual mai ragione più
chiara ed evidente del fatto che un naturale effetto dello
spavento ? Non succederebbe forse precisamente lo stesso
nell'uomo, che.-d’ improvviso si trovasse faccia a faccia, 0
ben da vicino ad un orso, ad una tigre? Mentre se a
qualche distanza si presentassero tali animali, o fuggi-
rebbe o presterebbesi alla difesa. Nè le talpe, nè i ratti,
o le rane, od i rospi inaspettatamente arrestati nel loro
cammino dall’ improvviso incontro di un serpente prova-
no diverso efletto.
ERPETOLOGIA 75
Che tale: vista possa essere infatti capace di annichilare
le forze fisiche ed istintive negli animali ed anche di pro-
durre più terribili effetti, lo provano molti fatti. Il Signor
Duméril racconta (4) come un giorno nel. voler egli pub-
blicamente dimostrare l’ azione pronta del veleno di una
vipera sopra un piccolo uccello, sia accaduta la morte
istantanea del cardellino che teneva fra le mani colla più
gran precauzione, nel momento stesso che lo presentava
al rettile. E se mi è permesso enunciare fatti occorsi ‘a
me stesso, dirò che più e più volte fui testimonio delle
‘conseguenze di tale spavento nelle rane e nei rospi, lungo
i ruscelli e le acque, ove era maggiore la frequenza dei
-Colubri e delle Natrici che vi venivano in cerca di preda.
E nell’ anno decorso perlustrando un monte del Tirolo.
potei anche osservare lo .spavento cagionato in un noc-
ciuolino (- Myoxus avellanarius) dall’ improvviso. apparire: di
un Colubro carbonazzo, che venendo dalla china del monte
per passare sulla sovrapposta strada, intontravasi nel pic-
colo animaletto nel mentre stava questo per ricoverarsi al
piede di un’ arida siepe. Le agitazioni e 1’ abbattimento
del povero nocciuolino erano tali, che ben sicuramente
sarebbe rimasto vittima del serpente, in quel :punto rac-
coltosi e fermatogli contro, se non avessi posto. fine io
stesso alle sue angoscie procurandogli salvezza colla sol-
lecita prigionia del suo nemico.
Perchè la vista del serpe possa produrre sinistri effetti
sarà però sempre indispensabile la condizione della sor-
presa, mentre questa mancando 0 cessando ne mancano
pure e cessano gli effetti. Ognuno potrà convincersi di ciò
gettando un piccolo. mammifero, ‘un uccello, una rana,
(1) Erpetologie. Vol. VI. p. 115.
76 BETTA
nella gabbia che rinserra qualche vipera; ognuno avrà
osservato quello che succede nei serragli ambulanti quan-
do i custodi presentano i conigli od i pollastri ai grossi
serpenti per stuzzicarne l’ appettito, e li gettano poi nelle
‘ gabbie o casse nelle quali sono custoditi. A_ tutta prima il
povero animaletto ‘si ritira in un angolo, e tremante ed a
‘occhi chiusi sta aspettando la morte; scorsi invece pochi
minuti senza che il serpente lo assalga, vedesi quasi direi
avvezzato alla sua compagnia e camminare persino sul
corpo del nemico, o famigliarmente appoggiarglisi vicino.
Barton Smith in una sua Memoria estesa per confutare
tutto quanto era stato accampato sulla facoltà di affasci-
namento -dei serpenti a sonaglio, riporta molti fatti che
provano come gli uccelli non si mostrino spaventati che
allorquando i crotali si avvicinano ai loro nidi; nel qual
caso vedonsi i genitori volare all’ intorno del nemico get-
tando grida disperate, e dando segni di profondo spavento.
Un consimile fatto è pure constatato dal Prof. Gené, che
ponendo una grossa vipera entro una gabbia ai piedi -del-
l’ arbusto sul quale un usignuolo aveva il nido e cova-
va, vide la madre abbandonare il nido più volte dando
segni ed accenti di vivo spavento. Non sempre. però: in
questi casi limitansi gli uccelli a grida soltanto, ma sanno
difendere la loro prole coi mezzi conceduti dalla forza del
loro fisico e del loro affetto. Bendiscioli fu testimonio di
una fiera lotta di una Velia (Lanius excubitor Linn.) con un
Colubro verde-giallo, la quale per difendere il proprio nido
affrontavalo impavida e coraggiosa, obbligandolo alla. fine,
dopo non breve insistenza e dopo un soffiare acuto e ri-
petuto, e molti ma sempre vani tentativi del serpente, a
dar di volta ed abbandonare il vigneto nel quale essa at-
tendeva all’ allevamento della propria prole. Fatti questi
ERPETOLOGIA © 77
che militano tutti, e sempre più, contro la pretesa potenza
affascinatrice.
‘Per tutto ciò devesi anche apertamente rifiutare che la
vista del rettile possa produrre gli accennati effetti sul-
l’animale, ove questo si trovi da esso discosto alquanti
passi, e tanto più ove siane separato dall’ altezza di un
albero sul quale stassi poggiato. Che se si fosse anche ve-
rificato il caso di un uccello, o di uno. scojattolo venuto
dall’ albero a cadere nella gola di una vipera, anche que-
sto troverebbe facile e chiara ragione quando si pensi che
i serpenti velenosi, come quasi tutti gli ofidii, hanno la
facoltà di rampicarsi sugli alberi e sugli arbusti; che
quindi la vipera avrà usato del suo terribile apparato non
appena avrà sorpreso l’ animale, e si sarà poi collocata al
basso per attendervi la vittima, impossibilitata alla fuga
ed alla vita.
PROSPETTO
dei Rettili delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale
coll’ indicazione delle specie e varieta .
fino ad ora conosciute proprie anche della Lombardia.
Specie e Varietà
PROVINCIE
MERIDIONALE
LOMBARDIA
Onp. I. CHELONII
Emys lutaria Merrem . . .
Chelonia caretta Gray . .
Orp. II. SAURIE
Lacerta viridis Daud. . .
var. G. concolor è è è è
b. versicolor . + è. è»
c. maculata Bonap. . +
d. mento-coerulea Bonap.
e. chloronota fafin. . .
f. cinereo-nigrescens . .
g. bilineata Daud. . . + è. +
h. brunneo-viridescens, bilineata
. fstrigata Eichwald
3 alicSshellesi 1 OA AN e
Zootoca vivipara Wagl. .
Podarcis muralis Wagl. .
A. muralis auciorum. .
var. a. nigriventris Bonap.
» bd. albiventris . . +
» €. rubriventris . +. +
d. cupreiventris WMassal.
e. flaviventris . .
B. campestris Belta .
Anguis fragllis Linn..
var: a. vulgaris . è. +
b. lineata . +
C.‘grisea. . | .
d. nigriventris Bonap.
esulta i ao
s
CASO:
s s
PM 253,
09 rr»
NI cr.
Orp. III. OFIDII
Coronella austriaca Laur. . . tte » » pi .*
Corenella Riccioli Metaxa . . . . » = =
| Coluber flavescens Gmel. . . . . » » DLE
79
[) zÀ Ci
p0A Se|.S.-2
Specie e Varietà A Agr
e» | la =
® = bj
Coluber viridifflavus Lacèp.. .: .. |» » pd
ear. carbonarius Filz. . è è è è è » » »
Tropidonotus natrix Wagl. . . . -. » » wi
bilineata P
Saf) murorum Fitz. © ®© ** n Tull Tor)
Tropidonotus tessellatus De Filippi. » D. » *
var. a. albo-lineata Bonap. è è. . » —_
iO Nigra pi. —_ —_
lelias berus Merrem . . . ...°. » » »
Yipera aspis Merrem >. . + c » » »
var. a. cinerea è E E SEPA O E I » » —
+ ». ò. cinerascens è. . è. + a » » _
»i ec. rufal. SITA » Psa Pei
» dd. rufescens8: è è è è è SAMO » » »
» e. fusca ui ali ge Riot » » —
» f. brunnea . +. è è. . edile » = =
Vga IA valle » = =
» A. rufiventris aid AGOS le VIa » — —
» è. fusca, plumbeiventris è è». . » —- pos
» l. Isabellina . è» è» GEO » — --
» .in.nigra Bonap. . è è è è »(3)) — ”»
» n. occellata Bonap. è è è. è» » co — —
Vipera ammodytes Latr. . . ... » » —_
Orp. IV. BATRACI
ca) ANURI
Hyla vfridis Laur. . . è... 0... » » Dit
Rana esculenta Linn. è. è... » » »
Rana temporaria Linn. . . ... » » Mia
Hombhbinator igneus Merr. . . . . » » » *
ufo vualgaris Lauri... . 0... » » Ii
Bufo viridis Lauri... °°... » » »
©) URODELI
Salamandra maculosa Laur. . . . » » »
Petraponia nigra Massal. . . + . » ona oa
Triton cristatus Laur. . . . iS » » pio
Triton punetatus Latr. . AO » Sa DIS
Triton alpestris Laur. + OTTO » » “To
specie | 26 | 21 | 21
Totale | Varietà | 31 | 20 | t1
NB. L'indicazione delle specie di Lombardia è appog-
giata alle notizie del Lanfossi e di Bendiscioli nei rispettivi
80
loro lavori citati nell’ elenco degli autori, ed al catalogo
compilato nel 1844 dal Prof. Balsamo Crivelli. ed inserito
nel Volume delle Notizie naturali e civili su la’ Lombardia
(pag. 387) del D." Carlo Cattaneo.
Le specie segnate con * nel presente Prospetto mi con-
stano proprie della Lombardia anche per le poche ricerche
ch’ io stesso praticai negli anni 1844, 4842 e 1846, Dil
provincie di Pavia, Milano, Como e Lecco.
(1) Trovata presso Milano dall’ illustre amico, mio, il chiarissimo Pro-
fessore Giorgio Cav. Jan Direttore del Civico Museo milanese. (Jan in
litt. 28 Januar. 1856).
— (2) Trovata presso Peschiera (fide Massalongo Saggio p. 38).
(3) (4; Riportate come Venete sulla fede del Prof. Nassalongo: (Sag-
gio p. 22).
ERPETOLOGIA BA
Ord. I. CHELONIE O
Una struttura affatto straordinaria, unica anzi nel regno
animale, distingue il primo dei quattro ordini nei quali
scomponesi la Classe dei rettili. L’armatura ossea, vuolsi
dire, o corazza che racchiude per ogni verso il corpo dei
Chelonii, di modo tale che si mostrano solo e si movono
liberi il capo col collo, la coda e le quattro zampe, parti
che l’ animale può poi tutte più o meno ritirare e nascon-
dere sotto l’ armatura stessa, onde proteggersi da esterni
pericoli. |
Linneo aveva riunite nel solo genere Testudo tutte le
specie conosciute a’ suoi tempi; ma attentamente esami-
nate, ed osservando e confrontando quelle successivamente
scopertesi, non si tardò a riconoscere tra di esse notabili
differenze di forme, di struttura, di abitudini e costumi.
Si dovette perciò separarle in un gran numero di specie
le quali furono ripartite in quattro famiglie, corrispondenti
a tre delle principali divisioni di già segnate da Aristotile
e da Linneo, e caratterizzate secondo la conformazione
delle loro gambe, ed il genere di vita che ne risulta ed
al quale sembrano essere state destinate.
Le specie che abitano il mare e che non possono cam-
minare, presentano le gambe ineguali in lunghezza, de-
presse, pinniformi, e le dita riunite a somiglianza di pa-
letta. Quelle abitatrici delle acque e dei fiumi hanno le
(*) «eda, Testuggine. Aristotile Hist. anim. L. MI. cap. 17.
6
82 BETTA
gambe palmate, a dita distinte, mobili, guarnite di unghie
acute, e riunite da membrana, almeno: alla loro base. Le
specie assolutamente terrestri hanno gambe arrotondate,
come troncate o terminate da un moncone, all’ ingiro del
quale si scorgono le unghie; ed il piede quasi privo di
mobilità non serve loro che per sollevare e trasportare la
totalità del corpo, con cammino assai lento e difficile.
Molti altri caratteri poi, come quelli desunti dalla: forma
e struttura del guscio, giovarono alla scientifica divisione
fattasi dei Chelonii.
Due sole specie incontransi nel Veneto; nessuna nel
Tirolo meridionale. E se alle due venete £mys Iutaria. e
Chelonia caretta aggiungesi quì per terza la Testudo graeca,
ciò solo si fa per presentare la descrizione di una specie
fra noi frequentemente ed in abbondanza importata dalla
Grecia, dalla Romagna ece., e che vedesi custodita e man- |
tenuta in molti dei nostri orti, case e giardini; ma -che
del resto puossi con certezza asserire, e nonostante il di-
verso pensare di alcuno, non appartenerci come specie
propria delle nostre regioni.
Veniamo di tal modo a tenere fra noi tre specie, ap-
partenente cadauna a diverso genere, e rappresentanti fra
i nostri Chelonii le tre divisioni che di essi si sono av-
verlite. Come specie assolutamente terrestre si presenta la
Testudo graeca, come fluviatile Vl £wys lutaria, come marina
la Chelonia caretta, che rispettivamente spettano alle tre
famiglie Testudines, Emydae, e Cheloniae, corrispondenti la
prima e la seconda alla famiglia Testudinidae sotto fami-
glia Testudininae, la terza alla famiglia Chelonidae del Prin-
cipe Bonaparte; la prima alle Chersiti, la seconda alla
prima sottofamiglia delle £/oditi, la terza alle Talassiti di
Duméril e Bibron.
ERPETOLOGIA 83
Attesa la mancanza in queste provincie di altre specie
oltre le tre annoverate, esibiamo con caratteri proprj delle
tre famiglie anche i caratteri del genere di cadauna, e sono:
L FAM. TESTUDINES
Gen. TESTUDO BRONGN.
Gambe corte, clavate, con dita mal distinte all’ esterno ;
unghie in numero di cinque nelle gambe anteriori, di quattro
nelle posteriori; mascelle nude, cornee, taglienti, più 0 meno
seghettate ; timpano visibile; occhi poco prominenti, colla pal-
pebra inferiore più alta della superiore ; lingua crassa e pa-
pillosa; coda brevissima, conica, ed in qualche specie terminata
- da un appendice cornea od unghia, che inviluppa l’ ultima
vertebra. Armatura ossea: assai convessa, e quindi molta ‘alta ;
i due gusci connessi fra loro per sinfisi.
Il. FAM. EMYDAE
Gen. EMYS (BRONGN.) WAGLER.
Gambe con dita distinte, mobili, collegate alla base da mem-
brane vilassate ; unghie adunche, in numero di cinque. nelle
gambe anteriori, di quattro nelle posteriori ; mascelle cornee, ta-
glienti, ad orlo semplice ; timpano visibile ; occhi prominenti
superiormente, colle palpebre di eguale altezza ; lingua ‘crassa,
a superficie liscia, ma con pieghe longitudinali; coda lunga, co-
nica, ‘assottigliata. L’ armatura più 0 meno ovale; meno forte
e meno pesante di quella della Testudo; non mai molto conves-
sa, ma anzi notabilmente depressa; i due gusci. connessi fra loro
per ligamenti elastici.
Bi LRD
II. FAM. CUELONIAE
Gen. CHELONIA BRONGN._
Gambe depresse, pinniformi, le anteriori molto più lunghe
delle posteriori, fornite di scudetti piani; le dita, quantunque
composte di peîzi distinti, non possono per alcun modo moversi
le une sulle altre; due sole unghie per ciascuna gamba ; testa
piramidale; mascelle assai forti, la superiore alquanto adunca;
timpano invisibile; lingua liscia, larga, carnosa e mobile; coda
brevissima e conica. L’armatura compressa, assai larga, cordi-
forme, leggermente carenata lungo il centro. L'animale non può
ritirare sotto allo scudo nè la testa, nè ‘le gambe.
I Chelonii, che come già si disse furono da Linneo
compresi nell’ unico suo genere Testudo, erano dai prece- .
denti autori collocati fra i Quadrupedi colla speciale ca-
ratterizzazione di ovipari, nei quali erano così non meno
annoverati e confusi i coccodrilli, le lucerte, le rane, ed
in genere gli altri nostri Saurii e Batraci a quei tempi
conosciuti. La riunione dei Chelonii ai Serpenti degli anti-
chi è dovuta allo Svedese Naturalista, che nell’ immortale
suo Systema Naturae li comprese in due gruppi nella Clas-
se IH. del regno animale, distinta colla speciale denomi-
nazione di Anfibj (Amphibia). Ancora dopo Linneo però
ommesso dal Laurenti (4768) di comprendere i Chelonii
fra i rettili, e dal Conte di Lacépède (1788-90) nuovamente
designati fra i Quadrupedi ovipari con coda, vennero final-
mente alla Classe dei rettili restituiti da Alessandro Bron-
guiart (4799-1800), al quale deve anzi la scienza la più
naturale distinzione di questi nei quattro ordini oggidì
universalmente accettati, e nell’ ultima dei quali vennero
compresi i Chelonii, ch’ esso divise nei suoi due generi
ERPET ‘'OLOG.HA 85
Testudo e. Chelonia, di. noi adottati. Qualche ‘anno dopo
(4803) lo stesso Brongniart aveva Lio distinte
sotto il nome di £wys_le testuggini fuviatili, ma quel
genere fu poi dal Wagler (1830) circoscritto e caratteriz-
zato nei limiti nei quali è -quì pure accettato.
Alla particolarità dell’ armatura ossea che copre e pro-
tegge il loro corpo devono i Chelonii” tale loro denomina-
| zione (). Questa difesa. varia in. dimensioni e grossezze.
secondo i generi e le specie, ed i suoi - colori non hanno
in generale che poche ed oscure: tinte e gradazioni. Sono
i soli rettili che abbiano un collo veramente distinto, il
quale quantunque. più è meno lungo secondo le specie,
non ha inai più di otto vertebre, avendo soltanto’ nel pri-
mo caso maggiore estensione nei. var). pezzi. Le. narici
molto riavvicinate, si aprono sulla. punta del muso, e
P odorato è generalmente poco sviluppato. Gli occhi sono
di piccole dimensioni, provvisti di tre palpebre; due esterne
e la terza interna o nittitante, le quali lubricano 1’ occhio
di un umore che esse séparano ; la vista è eccellente. La
bocca non ha denti; le mascelle hanno quasi sempre una
guaina: cornea, analoga al becco degli uccelli; rare volte
sono coperte semplicemente: da una buccia coriacea. La
lingua è semplice, breve, carnosa, . depressa, crassa, ma
non sorte dalla bocca di cui riempie tutta la cavità; l'or-
sano del susto nei Chelonii è: evidentemente più proprio
alla percezione dei sapori che non negli altri rettili, e ciò
perchè l’animale mastica realmente il cibo; e deve poter
assaporare gli alimenti. Benchè non esistano orecchie ap-
parenti |’ organo. dell’ udito è perfettamente sviluppato,
ma non consta con certezza la finezza di tale senso. At-
(*) « A testa qua tegilur esludo nomen habet. » ( Plinio. )
86 . BETTA
tesa la natura e la disposizione bizzarra dei tegumenti
sembrano privi di sensibilità esterna. Il tatto attivo è an-
che molto debole, e servono ad esso le regioni del collo,
la coda, la parte. posteriore dell’ addome e dell’ origine
delle membra, qualche volta in tutta la loro estensione,
essendo queste le. sole parti coperte da pelle flessibile. La i
sensibilità organica od interna sembra al contrario svilup-
pata ad altissimo grado, in. modo che. gli organi benchè
tagliati e separati dall’ individuo conservano. per lungo
tempo qualche loro propria. facoltà, ciò ‘che meglio puossi
riconoscere. nella irritabilità muscolare che manifestasi con
movimenti nelle estremità, od in altre parti carnose, an-
che molti giorni dopo la morte apparente dell’ animale.
I Chelonii mangiano poco e non prendono più alimento
di quello che esigano le loro perdite. Sono quindi consi-
derati come esseri assai sobrii. I loro tegumenti rivestiti
di lamine impermeabili all’ acqua, ed opponentesi a tutte
le esalazioni o perdite di umori, fanno sì che le Testuggini
non provino necessità naturale di bere. Im qualche circo-.
stanza forzate per l’ eccessivo caldo o pel freddo a riti-
rarsi completamente nel loro scudo, come alcuni Molluschi |
nella loro conchiglia, le Testuggini, sopratutto quelle di
terra, cadono in una specie di. torpore 0 letargia, durante
la quale non vedonsi' esegirire il benchè minimo movi:
mento, osservando perciò una astinenza volontaria 0 for-
zata per tempo ‘anche assai lungo, e che pretendesi essersi
in qualche caso protratto al di là di un anno.
L’ articolazione delle loro mascelle presenta | impor-
tante particolarità che mancando. all’ inferiore ogni movi
mento ‘all’ innanzi, all’ indietro o laterale, rende quasi im-
possibile far loro abbandonare la preda o quanto hanno
abboccato. i
ERPETOLOGIA i 87
I polmoni si estendono nella cavità dell’ addome, e le
loro cellule sono assai grandi. Poichè manca il diaframma,
e il torace non può dilatarsi in alcun verso; la respira-
zione è secondata soltanto dai muscoli del/collo e dall’ ad-
dome. Chiuse stando. le mascelle, l'aria si introduce nelle
fauci per le narici, viene spinta per la trachea nei pol-
moni, e ripetendosi allora. due. moti consecutivi dell’ osso
ioide, col favore di questo ha luogo la respirazione. L’ eso-
fago è molto lungo, e nelle nostre Chelonie vedesi inter-
namente munito di punte lunghe, cartilaginose, delle quali
i margini liberi sono diretti verso lo stomaco, destinate a
quel che sembra per opporsi al ritorno degli alimenti; ciò
però che è assai singolare giacchè in generale nutronsi
soltanto di vegetabili e piante marine.
- Toecate queste generalità nella storia dei Chelonii, os-
servasì in particolare relazione alte .tre nostre famiglie
come la prima, vale a dire quella delle Testuggini terre-
stri, Chersiti (*) di Duméril, comprenda specie che desti-
nate per la stessa conformazione delle loro gambe a vi-
vere sulla terra, abitano soltanto i boschi ed i luoghi ben
provveduti di vegetabili, tenendosi anche sovente in vici-
nanza delle acque, quantunque non vadino mai in esse.
Camminano lentamente ed a stento. All’ avvicinarsi del-
l’ inverno scavano colle zampe, ed a poca profondità nel
suolo una specie di tana ove, nei climi temperati, riman-
gono in letargo durante la fredda stagione. Si nutrono di
molluschi terrestri, ma specialmente di vegetabili, e tra
questi pajono dare un’ assoluta preferenza, almeno in stato
di schiavitù, alle lattughe. Piuttosto. che tagliare, lacerano
‘ le foglie che tengono per ciò ferme al suolo colle loro
(*) zsogaros, xspoivoc, terrestre.
88 BETTA.
zampe anteriori, e presane una parte fra le. mascelle la
staccano ritirando prestamente la testa.
Possono ridurre interamente sotto l’ armatura il collo;
la testa, le zampe e la coda, nel qual caso la pelle del
collo, mobile e non aderente alle pareti, costituisce una
specie di fodero in cui la testa trovasi ricoverata quando
l’animale la fa rientrare sotto allo scudo. i 10
Le femmine sono in generale più grosse dei maschi, e
questi hanno spesso la coda più dilatata alla base, ed in
confronto più lunga. Il canale della loro cloaca è più al-
lungato e le labbra tumefatte, specialmente all’epoca della
fecondazione. I sessi rimangono ‘uniti pel corso di varj
giorni, ma in generale non sembra che convivano assieme,
Le uova sono sferiche od allungate, molto solide e non
flessibili come quelle dei serpenti; il loro numero è vario
secondo le specie; verigono deposte in una tana, ela ma-
dre non prendesi cura alcuna nè di esse nè tampoco dei
piccoli che nascono.
Al sortire dall’ uovo le piccole testaggini hanno lo
scudo quasi emisferico e quasi piano, anche in quelle
stesse specie che ad età matura lo hanno molto allungato
e convesso. Nel centro del loro sterno vedonsi alcune parti
membranacee o fontanelle, ed i giovani portano, nascendo,
all’ estremità del loro becco una protuberanza, O piuttosto
una punta cornea che loro serve a spezzare il guscio del-
l’ uovo. |
Le testuggini palustri od Emidi, Eloditi (*) di Duméril,
presentano una conformazione di ‘piedi che le rende atte
perfettamente a camminare sulla terra, ed a nuotare tanto |
alla superficie che nella profondità delle acque. Formano
(*) “Eos. pulude.
ERPFEFTOLOGIA 89
esse quindi la naturale transazione dalle testuggini affatto
terrestri a quelle eminentemente acquatiche ‘o Potamiti (*),
(terza delle quattro famiglie in cui dividesi 1’ ordine), le
quali poi costituiscono 1° altro. anello di congiunzione colle
specie marine. ;
Sogliono esse fare abituale dimora presso le quin dei
laghi e delle acque tranquille, nelle quali nuotano con
agilità. Sopra terra camminano con abbastanza di -spedi-
tezza. Il loro scudo, come già si è detto, è meno forte e
meno pesante di quello delle testuggini terrestri, non mai
molto convesso, ma al. contrario notabilmente depresso.
In generale le Emidi. possono come le Testuggini terrestri,
ritirare sotto allo’ scudo il collo colla testa, le gambe e la
coda. Nutronsi pressochè unicamente di sostanze animali,
purchè si movano o diano qualche segno di vita. Danno
specialmente la-caceia ai molluschi fluviatili, ai Batraci,
e mangiano anche i vermi e gli annellidi.
Passano la stagione cattiva fuori dell’ acqua; entro bu-
‘ehe poco profonde. L’ atto della fecondazione dura lungo
lempo, ed i sessi rimangono uniti per molte settimane,
ma in una sola epoca dell’ anno. Le uova vengono depo-
ste in cavità poco profonde che le femmine scavano nella
terra presso a poco come le Testuggini terrestri, preferendo
a quest uopo le sponde delle acque ove esse dimorano,
affinchè i piccoli sortendo dall’ uovo possano, gettandosi
in tale elemento, difendersi dai molti loro nemici che di-
versamente ne farebbero distruzione. Tanto però delle uova
che dei piccoli non consta avere le madri maggior cura
di quella che hanno in generale tutti i rettili per la loro
prole. Le uova sono bianche, generalmente sferiche, a gu-
(*) Horsyros, Motauoc fluviatile, fiume.
90 (ABRESIZIRA
scio calcareo; ed il loro numero, che è sempre molto con-
siderevole, varia secondo le specie e probabilmente secon-
do 1’ età e lo sviluppo delle femmine, le quali sono atte
a generare ancora alcuni anni prima d’ aver compiuto il
proprio ‘accrescimento.
Come nelle terrestri anche nelle specie di quei fami-
glia, lo sterno dei giovani presenta nel centro alcune parti
membranacee o fontanelle, ma che tardano molto di più
ad ossificarsi e sparire, osservandosele ancora in individui
che già hanno Sarpi alo il secondo anno di età ed an-
che più.
Finalmente le Chelonie, Talassiti (*) di Duméril, hanno
una-struttura e conformazione tale delle loro membra da
non poter essere confuse colle precedenti famiglie, e da
corrispondere al loro modo di vita essenzialmente limitato
all'acqua. La forma assai depressa del loro scudo, e la
disposizione e forma delle loro zampe non sono atte che
all’azione del nuoto. Questi animali mancano d’ogni mezzo
per attaccarsi ai corpi solidi, ma per ciò stesso le loro
membra sono atte ad appoggiarsi sull’ acqua mentre vi
tengono immerso il corpo, ed a percuoterla a guisa di
remi movendosi con mirabile sveltezza.
Le Chelonie vivono sempre nelle acque del. mare e
sembra che non ne sortano che al tempo della deposizione
delle uova. Dicesi però che alcune volte siansene vedute
talune trascinarsi durante la notte sulle spiaggie e sul
margine degli scogli in alto mare, per pascervi varie piante
che prediligono assai. Ma poste a terra si movono e pro-
grediscono con molta pena ed a gran stento. Possono stare
lungo tempo immerse nell’ acqua per la grande ampiezza
(*) O2dazot0s, Ou)artL06, marino.
ERPETOLOGIA - 94
dei polmoni, e pel meccanismo della loro respirazione. È
‘speciale ad esse la facoltà di produrre dei suoni gutturali
e rumorosi; mentre nelle due precedenti famiglie manca
affatto la voce, e non manifestano che. un muto sibilo
quando vengono prese od irritate. Nutronsi principalmente
di piante marine, ma anche qualche velta di Crostacei e
di Molluschi. Non possono mai ritirare sotto allo scudo nè
la testa, nè le zampe. Il maschio è in generale più piccolo
della femmina. | Le
L’ epoca della fecondazione è il più ordinariamente al
rinnovarsi della stagione, ma non sono ancora ben cono-
sciute le circostanze che precedono od accompagnano l’atto
relativo. L'unione dei due sessi dura per lungo tempo, e
nell’acqua. Non si accordano gli autori sul modo col quale
essa succede, pretendendo alcuni che il maschio resti per
tutto questo tempo sul dorso della femmina; asserendo
altri averli osservati a contatto col rispettivo sterno, e
‘ colla testa sollevata fuori dall’ acqua. Secondo altri, avve-
nuto l’ accoppiamento, resterebbero attaccati ed ‘opposti
‘ P uno all’altro come succede nella razza dei cani.
Le femmine depongono le uova a terra, e per ciò ese-
guire sortono dal mare di notte tempo e con moltissime
precauzioni. Trovato sulle spiaggie sabbiose il luogo oppor-
tuno, che per un mirabile istinto scelgono sempre a di-
stanza ed elevazione tale cui non possano giungere le alte
maree, e fattavi una fossa di circa due piedi di diametro,
ivi depongono, e nella stessa notte, fino a cento uova per
volta, compiendo fino a tre parti successivi con due o tre
settimane d’ intervallo. Le uova sono perfettamente sferi-
che, variano di grossezza, e la loro membrana è alquanto
flessibile all’ istante in cui vengono deposte, quantunque
coperta di un sottile strato di materia calcarea, poco po-
‘92 BETTA
KI
rosa e bianchissima. L’ albume è un po’ viscoso, di color
quasi olivastro, ed in alcune specie d’ odore quasi simile
al muschio. Il tuorlo è di color più o meno rancio secondo
le varie: specie. Dopo deposte vengono coperte dalla madre
con un sottile strato di sabbia, ed essa si ritira nuovamente
nel mare lasciando che i raggi solari dei climi equatoriali
li facciano schiudere; ciò che succede in 45 a 20 giorni.
Asseriscono gli autori ‘che i maschi accompagnino a terra
le femmine mentre vi vanno a deporre le uova.
I piccoli che sortono sono biancastri, molli, e subito SÌ
diriggono al mare, nel quale però: non si tuffano che a
stento e dopo aver fatto come una specie di esercizio 0
di prove. I moltissimi loro nemici ne scemano d’ assai il
prodigioso numero, facendone preda gli uccelli carnivori
lorchè si preparano ad immergersi nelle acque, ed i pesei
voraci ed i coccodrilli quando poi vi si possono immergere.
Grandissima è l’ utilità che questi animali ci prestano
agli usi della’ vita, tanto per la squisitezza delle uova, per
Ja salubrità delle carni, cibo specialmente prediletto agli
Inglesi, quanto- per V olio ed il grasso che se ne ricava, e
per essere adoperati i loro gusci e le loro scaglie, come
ognuno sa, in parecchi lavori sotto il nome di tartaruga.
A preferenza d’ogni altra serve a tale uso la Chelonia im-
bricata Schweigg., che vive nell’ Oceano Indiano, e nek
l'Oceano Americano.
Le Chelonie arrivano talvolta a grandissime dimensioni.
Si dà loro la caccia in mare col rampone, o molto più facil-
mente a terra aspettandovele quando vengono a deporvi le
uova. In tal caso i cacciatori non fanno che rovesciarle
‘supine, nella qual posizione si dibattono agitando invano
le zampe per tentare di volgersi, e vengono poi anche un
giorno dopo a levarle secondo il bisogno.
ERPETOLOGIA. 93
I Fam. Testudines.
Gen TESTUDO BRONGN..
TESTUDO GRAECA ©
Linmo
Hiro Testuggine comune, Testuggine greca.
Veneto. Tartaruga, Gajandra. pera
CARATTERI.
Guscio superiore dell'armatura ossea molto convesso, di forma: ovale,
inliero, un poco più largo al di sotto. Le due piastre posteriori sopra la
coda inllesse all’ ingiù e. colla punta alquanto incurvala all’ data
medioere, armala d’ unghia all’ apice. I
Animale di color giallo” pallido tendente al verdastro; armatura gialla,
più é meno macchiala di nero.
SINONIMIA.
Testudo terrestris Plin. Hist. lib. ‘32. cap. 4.
- —_ Gesner Quadr. Ovip. p. 407.
Testudo graeca Linn. Syst. Nat. IL 352. sp. 10.
—_ — . Gmel. Syst. Nat. I. p. 1043.
aa — Schneid. Schildkr. p. 358.
_ — Schòpf Hist.-Testudin. p. 58. t. 8.
_ — Latr. Nist. Rept. I. pag. 65. 1. 2. f2.
— — Daud. Hist. Rept. Il. p. 218.
- — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 44. sp. 9
Wagl. Syst. Rept. p. 158.
94 BETTA
Testudi graeca Cuv. Régne anim. p. 14.
na —.. ZBonap. Fauna ital. cum tab. |
— | — Dum. et Bibr. Erpètol. II. p. 49.
= — Fitz. Syst. Rept. p. 29.
—. . 0— Betta Cat. syst. Rept. p.9.
Testudo Hermanni Gmel. Syst. Nat. p. 4041.
— — -. Schneid. Schildkr. p. 348.
Testudo geometrica Briinn. Spol. Adriat. p. 92.
Chersine graeca Merr. Syst. Amph. p. 3î.
— © — Gravenh. Delie. Mus. Vratisl. p. 19. sp. 3.
Testuggine di terra Cettì Anfib. Sard. III. p. 70
FORME.
Capo tetragono, tanto largo che alto, più grosso del
collo, compresso ai lati, conformato a cuneo nella parte
anteriore, troncato all'apice. Narici piccole, rotonde; occhi
poco prominenti, coll’ iride bruna; mascella superiore
adunca all’ apice, con una piccola intaccatura per parte
presso il medesimo. Collo coperto da una pelle granulosa,
rilassata, che si ripiega sul capo fino agli occhi a guisa di
cappuccio quando l’animale ritirasi sotto l'armatura; zampe
clavate, coperte da pelle granulosa rilassata sino al gomito
ed al ginocchio, vestite nel resto di scaglie più grandi,
embricate. Unghie oblunghe, smussate, alquanto più lunghe
nelle zampe posteriori. Coda coperta pure di scaglie. em-
bricate, conica, grossa alla base; assottigliata ed armata
all’ apice di un’ unghia lunga e curvata all’ ingiù; con-
vessa pel di sopra, piana al di sotto; più lunga nei ma-
schi che nelle femmine.
Armatura ossea variabile per la forma, ma general-
mente di figura ovale, un poco più larga al di sno che
ae/1y
ERPETOLOGIA 95
al davanti. Dorso molto convesso, talchè la maggior al-
tezza del guscio uguaglia la metà della sua lunghezza. Le
piastre sono segnate da solchi concentrici, profondi, con
un campo centrale punteggiato in rilievo, marcato all’ in-
giro da solco distinto, dagli angoli del quale partono al-
cune strie rilevate, rettilinee, che scorrono verso l’ angolo
corrispondente della circonferenza. Coll’ età però quel cam-
po sparisce e le piastre risultano liscie, non conservando
che alcune strie concentriche e presentando solo una leg. -
giera elevazione nelle loro areole. Tutte le piastre dorsali
rigonfie; la prima pentagona, le tre seguenti esagone, più .
larghe che lunghe, specialmente quelle di mezzo: la se-
conda ha il suo margine: anteriore un poco meno largo
che il posteriore, e così viceversa la quarta; la quinta pen-
tagona col margine posteriore arcuato. Piastre costali meno
rigonfie; la prima tagliata pressochè in figura di un qua-
drante di circolo, arcuata nel margine che si unisce a quello
della prima dorsale; le altre quasi rettangolari, più larghe
che lunghe, col margine esteriore leggermente arcuato.
Le piastre marginali sono in numero di venticinque.
Di queste, una sovrasta al collo, ed è breve, piana, due e
generalmente tre volte più lunga che larga; due posteriori
sopra la coda inflesse all’ ingiù, colla punta alquanto in-
curvata all’ indentro, e costituente un quadrilatero di cui
la larghezza superiore può essere contenuta presso a poco
due volte nella inferiore. In qualche raro caso queste pia-
stre si uniscono e si solidificano fra esse in modo da si-
mularne una sola, continua, e senza qualsiasi traccia di
divisione. Le altre undici paja laterali sono pressochè ret-
tangolari col lembo esterno sottile, e più o meno tagliente;
quelle che unisconsi al guscio di sotto si inflettono all’ ingiù
ed hanno il loro margine inferiore piegato all’ indentro.
96 BEDA è
Lo sterno 0 piastrone è elittico, anteriormente quasi
lungo come il guscio superiore, rotondato, con una intac-
catura nel margine; posteriormente è molto più breve del
superiore, tagliato ad angolo rientrante, quasi piano nel
Mezzo, leggermente convesso ai lati. Il piastrone è piano
nelle femmine, ;alquanto concavo nei maschi. Le due pia-
stre golari hanno figura di triangolo equilatero; le seguenti
quadrilatere; le pettorali assai brevi; le addominali più.
lunghe delle altre, e sono le sole che si espandano e giun-
gano a contatto del guscio superiore, col punto di riunione
segnato da linea irregolarmente flessuosa. Lo scudetto so-
pranumerario frapposto. ai gusci verso gli arti anteriori
d’ ambedue i lati, è triangolare, due volte più lungo che
largo, e troncato all’ angolo esterno: quello che sta verso
gli arti posteriori è triangolare, equilatero.. |
COLORITO.
Ad eccezione d’ un color grigio-brunastro che mostrasi
sul muso, sulla faccia interna delle zampe anteriori e sulla
parte posteriore di quelle di dietro, tutto l’ animale è di
una tinta giallo-pallida tendente al verdastro. Il becco e
le unghie sono pure verdastre, ed in qualche esemplare
brunastre le unghie delle zampe posteriori.
L’armatura ossea è gialla macchiata di nero, e. queste
due tinte prendono ora l’ una ora l’ altra il maggior campo,
in modo da risultare quando il nero, quando il giallo il
color predominante. Questo secondo colore è però quello
che più generalmente primeggia, e credo raro il caso of-
ferto da un esemplare della mia Collezione, pervenutomi
dalla Romagna, nel quale il color nero tinge quasi per
intiero la superficie del guscio superiore.
ERPETOLOGIA 97
Le piastre dorsali hanno una fascia nera lungo i mar-
gini anteriore e laterali, e. sulla loro sommità è segnata
una macchia nera che si stende irregolarmente verso il
davanti. Nelle piastre costali la fascia spiegasi nel loro
margine anteriore ed inferiore, dal quale spandesi poi più
o meno largamente verso il mezzo delle piastre stesse.
Nelle piastre marginali la macchia nera è cuneiforme, e
sortendo dall’ angolo posteriore ed esterno sale, più o meno
dilatandosi, verso l’ angolo diametralmente opposto. Meno
sensibili sono le maechie nelle piastre marginali anteriori.
Il guscio pel di sotto è di un giallo meno carico, e le
macchie sono disposte in modo da formare due fascie nere
longitudinali, molto larghe, poco distanti fra esse, ed. ir-
regolarmente interrotte lungo alcune delle commessure |
trasversali delle piastre.
Le tinte e la disposizione delle macchie variano assai
negli esemplari, e secondo anche 1’ età degli individui.
Nei giovani il fondo del guscio superiore è di un giallo
molto più pallido, e le macchie nere non sono sempre dis-
poste nello stesso ordine. La loro armatura tende più alla
forma orbicolare, e le piastre del dorso sono occupate per
la massima parte dallo spazio depresso, poligono, punteg-
giato in rilievo, intorno al quale si contano pochissime
strie concentriche. In qualche individuo giovane le piastre
dorsali e costali sono tanto -convesse da risultarne un solco
assai profondo nel punto delle rispettive commessure.
DIMENSIONI.
Pare che questa specie non oltrepassi la lunghezza
totale di centimetri 28, compresa la testa, il collo e la
coda; ed in tal caso l’ armatura ossea risulta lunga poco
7
98 BETTA
più di 23 centimetri. Uno dei maggiori esemplari della
mia Collezione ha il guscio della lunghezza di. 24 e della
larghezza di 16 centimetri: mentre quelli che generalmente.
vedonsi fra noi misurano la lunghezza di centimetri 18 a
20, colla larghezza di 13 a 45. |
ABITAZIONE E COSTUMI.
La patria della testuggine greca sembra limitata ad una
porzione dell’ Europa meridionale, vale a dire alla Grecia,
alla Dalmazia, all’ Italia meridionale ed alle principali isole
del Mediterraneo. Non è ancora provato con certezza ch’ es-
sa trovisi anche nella Spagna e nel Portogallo, come qual-
cuno avrebbe asserito. Ora esiste anche nel mezzogiorno
della Francia, ma vi fu importata dall’ Italia.
Nelle provincie Venete non trovasi che trasferita dalle
località suavvertite, e vive nei giardini, negli orti e nelle
case.
Nutresi di erbe, di radici, di vermi, di insetti e di lu-
mache, e libera così i giardini, nei quali viene conservata, .
da molti animali nocivi. Fra tutti i vegetabili dà una
speciale preferenza alla lattuca. Fa sua prediletta dimora
nei terreni sabbiosi ed imboschiti. Teme |’ umido, ed. al-
l’incontro ama riscaldarsi ai raggi del sole, come la mag-
gior parte dei rettili. All’ avvicinarsi dell’ inverno scavasi
una tana alla profondità di circa due piedi, ed intorpidita
vi passa tutta la cattiva stagione, non sortendone che
nella primavera, o secondo le condizioni termiche del
paese e della stagione, anche non prima del Maggio.
Quando esce da tale ritiro si accoppia più o meno
presto secondo il clima, ed in tale occasione, tuttochè i
suoi. costumi siano tanto mansueti, accade non di rado
ERPETOLOGIA 99°
che i maschi ingelositi combattano fra loro pel possesso
della femmina. Il dottissimo naturalista Bibron narra
d’ avere parecchie volte assistito nella Sicilia ‘a queste
lotte, che succedevano con un accanimento da non. cre-
dersi. I due maschì si mordono specialmente alla regione
del collo cercando di rovesciarsi a vicenda sul dorso, e
la lotta effettivamente non termina che quand’ uno dei
due rimanga vinto in tal modo.
La femmina partorisce verso la metà dell’ estate, de-
ponendo in un piccolò buco ben esposto al sole da quattro:
a dieci uova bianche, sferiche, della grossezza di una noce,
che ricopre poi di terra non prendendone cura alcuna, non
altrimenti che dei novelli che ne nascono al principio
d’ autunno. L'animale appena nato ha um pollice di lun-
ghezza, e cresce poi lentamente.
La testuggine greca può sostenere lunghissimi digiuni,
e si hanno esempj d’ individui conservati. vivi per dieci
mesi e più senza che mai avessero preso nutrimento di
sorta. Animale pacifico e tranquillo può essere facilmente
addomesticato. Vive lunghissimo tempo, potendo giungere
fino all’ età di 40 anni: Cetti ne ha.veduto uno in Sarde-
gna che contava 60 anni di domesticità, e secondo il Prin-.
cipe Bonaparte può vivere anche fino a cent anni.
La tenacità della vita di questa testuggine è appena
credibile. Individui ai quali fu troncata la testa diedero
segni di vita anche dieci e quindici giorni dopo. Il sommo
fisico Redi avendo aperte quattro testuggini dopo dodici
giorni dacchè aveva loro tagliata ta testa, trovò che il
cuore palpitava, che il sangue circolava, e per con-
seguenza che vivevano ancora. Un’ altra testuggine cui
aveva fatta una larga apertura nel eranio levandone il
cervello, e che aveva poscia rimessa in libertà, dopo tre
400 BETTA
giorni aveva di una nuova pelle coperta l' apertura del
cranio, e benchè priva della vista si moveva; camminava,
restando ancor viva per circa sei mesi.
Quando un’ individuo venga rovesciato sul dorso può
sempre ripigliare la sua naturale positura, benchè talvolta
con molto stento, specialmente se il terreno sia perfetta-
mente piano. A ciò si sforza non solamente coll’ ajuto
delle zampe, le quali non può stendere abbastanza da toc-
care la terra, ma valendosi più opportunamente della testa
e del collo, coi quali si appoggia con forza contro il ter-
reno dondolandosi ora dall’ uno ora dall’ altro lato, finchè
abbia trovato il luogo più inclinato e che quindi le oppone
minor resistenza, per cui ripiegandosi incontra facilmente
la terra colle zampe e si rimette sui piedi.
Nell’ Italia centrale e meridionale, in Sicilia, in Sarde-
gna, la testuggine greca vendesi sui mercati, e la sua carne
non dispiace. Se ne preparano anzi intingoli graditi, ma
più che alla carne dassi lode di squisitezza al brodo che
con essa si ottiene.
ERPETOLOGIA 404
II Fam. Emydae.
Gen. EMYS C) (BRONGN.) WAGLER.
iL . . EMYS LUTARIA ("°)
Mierrem,
Ital. Emide Europea.
Ven. Tartaruga, Gajandra, Bissa scudelara, Zaba, Copasse,
Magna Copasse, o Copasse di aghe.
CARATTERI.
Guscio superiore dell’armatura poco convesso, più o meno depresso,
- di forma ovale, subcarenato nel mezzo. Coda piuttosto lunga.
Animale di color nereggiante punteggiato di macchiette gialle più è
“mene sparse, € più o meno dilatate. Armatura nerastra con gran numero
di punti o piccole striscie gialle.
SINONIMIA.
Testudo lutaria: Gesn. Quadr. ovip. II. p. 1153. f. B.
—_ — Linn. Syst. Nat. p. 532?
—_ — Briinn. Spol. Adriat. p. 9.
es, — Gmel. Syst. Nat. p. 1040.
Eos — Schneid. Schildkr. p. 338.
_ — Latr. Hist. Rept. I. p. 112.
_- — Shaw Zool, IT. p. 32.
(*) euvc, testuggine. Aristot. Hist. anim. MI. p. 47.
(**) lutum, fango.
402 BETTA
Testudo lutaria Daud. Hist. Rept. il. p. 445.
Testudo orbicularis Linn. Syst. Nat. p. 3b4.
_ — Gmel. Syst. Nat. p. 1039.
— _ Lanfossi Saggio stor. nat. p. 35.
Testudo punctata Gottw. Schildkr. tab. K. f. 12.
Testudo Europaea Schneîd. Schildkr. p. 323.
_ — Schòpf Hist. Testud. p. 4. t. 4.
— — Latr. Mist. Rept. T. p. 403.
— —_ Shaw Zool. NI. p. 30.
_ — Sturm Fauna II. 3. tab. f. a. d. c.
= —_ Cuv. Régne anim. p. 48.
Testudo flava Daud. Hist. Rept. II. p. 107.
Testudo meleagris Shaw Miscell. IV. p. 144.
Emys lutaria Merr. Syst. Rept. p. 24. (excel. var. y.)
_ —. Risso Hist. III p. 88.
_ — Gravenh. Delie. Mus. p. 11. sp. 2.
—_ —. Bonap. Fauna ital. cum tab.
= — Betta Cat. syst. lept. p. 9.
—_ — Massal. Saggio p. 31.
Emys Europaea Schweigg. Prodr. Archiv. p. 304.
— _ Wagl. Syst. Amph. p. 158.
_ _ Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 45. sp. 8.
— — Fitz. Syst. Rept. p. 29.
Terrapene Europaea Bell Zool. Journ. T. II. p. 299.
Cistudo Europaea Gray Syn. Rept. p. 49.
— —_ Dum. et Bibr. Erpétol. II. p. 220.
Testuggine di fiume Cetti Anfib. Sard. p. 11.
FORME.
Capo un poco più largo che alto, subtetragono, più
grosso del collo, compresso ed attenuato nella parte ante-
riore, colla fronte declive e col muso brevissimo, troncato.
Narici piccolissime, rotonde; occhi leggermente prominenti,
ERPETOLOGIA 403
coll’ iride fulva. Mascelle taglienti, non dentellate. Collo
vestito di pelle non aderente, granulosa. Zampe coperte da
scaglie cornee, leggermente embricate, più larghe che alte,
molto depresse e col margine inferiore diritto. Unghie me-
diocremente lunghe, leggermente arcuate ed acute. Coda
lunga, conica, assottigliata, coperta da pelle scagliosa ; co-
stantemente più lunga nei maschi e più dilatata alla base
che non nelle femmine, nelle quali l’ apertura della cloaca
si trova anche situata meno in addietro.
Armatura ossea assai variabile nella sua forma, e ben-
chè sia sempre un poco più larga alle coscie che non al
di sopra, presentasi talvolta d’ una forma ovale assai al-
largata e tal’ altra ovale allungata. Nel primo caso il dorso
è notabilmente depresso, mentre nel secondo è piuttosto
elevato. Le piastre sono liscie o segnate da solchi concen-
trici poco profondi, con l’ aja centrale punteggiata in ri-
lievo. Il guscio superiore è convesso, a sommità depressa,
e segnato da una carena longitudinale più o meno distinta
secondo l’ età, ma sempre e molto visibile nel tratto po-
steriore del dorso; alquanto incavato pel davanti; un poco
smarginato posteriormente. i
Piastre disposte come nella Testudo graeca e nello stesso
numero, vale a dire di cinque dorsali, otto costali, e ven-
- ticinque marginali. Le dorsali assai larghe; pentagona la
prima, esagone le tre di mezzo, delle quali la seconda e
la terza hanno i margini anteriore e posteriore presso a
poco della stessa larghezza; la quarta è molto più stretta
posteriormente, e l’ angolo che formano le faccie laterali è
‘acuto invece che ottuso come nelle precedenti; la quinta
dorsale posteriore presenta una forma ottangolare. Com-
messure delle piastre non rette, ma leggermente flessuose.
Le costali sono pure assai larghe; le marginali all’ opposto
404 : BETTA
molto, anguste e coll’ orlo esterno in direzione orizzontale,
massime nella metà posteriore del guscio. La piastra mar-
ginale impari sovrastante al collo è piccola, due e quasi
tre volte più lunga che larga.
— Quando l’ animale ha raggiunto il maggiore suo svi-
luppo è ben raro che le piastre del dorso presentino l’ aja
punteggiata e le strie concentriche, le quali invece sono
distintissime nei giovani. Qualche volta però si manten-
gono distinte anche in qualche esemplare adulto, ma al-
lora le strie sono molto discoste fra esse e quindi poco
numerose, e le aje sono piccole e situate, nelle piastre
dorsali e nell’ ultima costale al mezzo dei loro. margini
posteriori, nelle altre costali pure posteriormente ma. più
al di sopra, e nelle marginali nel loro estremo angolo in-
feriore posteriore. Queste aje poi risultano in tutti gli in-
dividui tagliate a mezzo dalla carena del dorso, la. quale
presentasi elevata e liscia.
Lo sterno è ovale, più o meno allungato secondo che
più o meno lo è il guscio superiore, leggermente troncato
sul davanti, tagliato ad angolo rientrante poco profondo
nella parte posteriore. La sua superficie non è perfetta-
mente piana, ma leggermente convessa nelle femmine, e
sensibilmente concava nei maschi. Le piastre della prima
coppia sono triangolari; quelle della seconda pure trian-
golari, ma coll’ angolo. esterno curvilineo e l’ angolo oppo-
sto obliquameute troncato; le piastre pettorali ed addo-
minali quadrilatere, rettangolari; dilatate le prime verso
l’ esterno per la loro metà posteriore, altrettanto le se-
conde verso l’ esterno ma per tutta quasi la loro lun-
ghezza.
La commessura dello sterno col guscio superiore di-
pende da una cartilagine che permette all’ animale di al-
ERPETOLOGIA 405
zare od abbassare leggermente la parte anteriore 0 poste-
riore dello stesso sterno.
Nell’ Emys lutaria mantengonsi più a lungo quelle parti
membranacee, o fontanelle, che vedonsi nel centro dello
sterno dei giovani individui, e delle quali si è già altrove
accennato. Nei giovani il guscio superiore è assai più arro-
tondato, ed oltre ai solchi marcatissimi delle piastre veg-
‘gonsì varie protuberanze in quelle costali verso le. mar-
ginali.
COLORITO.
Un color nereggiante domina sul muso, sulla fronte,
sulla mascella superiore, sulle zampe e sulla coda dell’ ani-
male. La mascella inferiore ha una tinta giallo-olivastra,
e la pelle dei fianchi è d’ un giallo pallido. Sulla testa,
sul collo, sulle spalle, zampe e coda vedonsi molte mac-
chiette gialle più o meno sparse, e più 0 meno dilatate.
Il guscio superiore è di color nerastro più o meno
carico, qualche volta anche bruno-rossastro, sul quale
spicca un numero grande di punti o di piccole striscie
gialle, ora vicine le une alle altre, ora assai lontane e di-
sposte in modo da costituire dei raggi diretti dal centro
‘alla circonferenza delle piastre. o
Lo sterno è d’ una tinta giallastra uniforme, o mac-
“chiata di un bruno marrone che talvolta non si mostra che
verso il centro delle piastre, e tal’ altra si estende su quasi
tutta la sua superficie. In alcuni individui il guscio supe-
riore è tutto di color nero-brunastro con rarissime e quasi
‘ invisibili lineette giallastre, ed in tal caso lo sterno è fosco.
I giovani hanno gli stessi colori degli adulti, e solo
© veggonsi meno spiegate e meno numerose le punteggiature.
e macchiette gialle.
406 BETTA
DIMENSIONI.
La misura del guscio degli esemplari ordinar] è di cen-
timetri 410 a 43, rarissimamente 45, in lunghezza, e di. 8
_a 40, rarissimamente 43, in larghezza. Uno dei maggiori
esemplari della mia Collezione ha la lunghezza totale di
centimetri 23, dei quali ne occupa 3 e 2 millimetri la te-
sta, 2 il collo e 5 la _.coda.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Questa testuggine palustre vive frequente nelle Provin-
cie Venete, e numerosa più che altrove raccogliesi nel bo-
sco di Chirignago presso. Mestre. Nel Veronese trovasi nelle
valli lungo il Tartaro; e così pure trovasi nelle paludi
euganee del Padovano. Vive anche nel Friuli nelle paludi
prossime al mare, ed è colà detta volgarmente zaba. È fra
noi conosciuta sotto il nome volgare di tartaruga, bissa
scudelara 0 scudelera, sotto la quale ultima denominazione
è pure nota in Lombardia.
Alle acque correnti preferisce i laghi, gli stagni, le
paludi e le risaje, nelle’ quali ama tenersi nascosta fra
i vegetabili e la melma che ne vestono il fondo. Tal-
volta stando nell’ acqua si arresta immobile alla superficie
per ore intiere. Si pasce specialmente di insetti, di mollu-
schi, di vermi acquatici e di pesci anche grandetti che
uccide e poi lentamente divora. Nuota colla massima agi-
lità, ed a terra cammina con molta prestezza tenendo di-
stesa in direzione orizzontale od ascendente la coda, in-
vece che serbarla nascosta come la 7. graceca.
ERPETOLOGIA 407
L’ accoppiamento succede nell’ acqua e dura da due a
tre giorni. La femmina depone le uova nel terreno asciutto
e soleggiato, e sono bianche marezzate di cenerino. All’ av-
vicinarsi dell'inverno questa testuggine abbandona le acque
e si caccia dentro buche sotterranee non molto profonde,
ove resta in letargo fino al ritorno della bella stagione.
Ha vita lunga quanto la Testuggine di terra, e può sop-
portare non meno lunghi digiuni. La sua carne viene
mangiata dai pescatori benchè sia cibo molto mediocre, e
si pretende che riescano di un sapore molto migliore gli
individui nutriti per qualche tempo con erba e pasta di
crusca.
L’ incivilimento e l’ educazione attuale hanno già a
quest’ ora tolti non pochi dei pregiudizj che ingombrarono
la storia in genere di tutti i rettili, ed il tempo e l’ istru-
zione compiranno l’ opera coll’ indebolire e far sparire fi-
nalmente anche quei pochi che restano tuttora fra alcune
persone del volgo. Favole e pregiudizj esistevano. quindi
anche intorno a questa testuggine, cui erano assegnate
dall’ ignoranza efficacie medicinali e potenze veramente
maravigliose. « Pei nostri buoni maggiori, scrive infatti il
Prof. Gené (*), questa testuggine era una farmacia ambu-
lante. Cotta con poca sale e non so quale misura d’acqua,
guariva i morbi articolari. La sua cenere sanava dagli
esantemi e dalla podagra, il suo fegato dissipava la tisi, il
fiele la cecità, il sangue | emicrania e la inveterata cefal-
gia. Ma ciò che è più strano ed a mala pena credibile, si
è che gli si attribuiva la misteriosa potenza di mettere in
fuga e di dissipare le nubi temporalesche, sol che fosse
portata in giro pei campi, distesa sulla mano destra e
(*) Storia naturale degli animali. Vol. Il. pag. 261.
108 BETTA
colla pancia in su. Sfido i più sottili pensatori, conchiude
giustamente quel ch. autore, a trovarmi le relazioni che
possono avere tra loro una testuggine rovesciata, ed i fe-
nomeni dell’ atmosfera ».
OSSERVAZIONE.
Questa specie è sparsa in quasi tutta l’ Europa, vivendo
in Grecia, nell’ Italia e sue isole, nella Spagna, nel Porto-
gallo, nella Francia meridionale, nell’ Ungheria, nella Ger-
mania e persino nella Prussia.
ERPETOLOGI1A 409
III. Fam. Cheloniae.
Gen. CHELONIA BRONGN.
2-I CHELONIA CARETTA
Gray.
Ital. Tartaruga caretta, o Caouana.
Ven. Tartaruga de mar, Galana, Magna copasse de mar.
CARATTERI.
Guscio superiore dell'armatura alquanto allungato, assai largo, cor-
diforme, leggermente carenato lungo il centro; tricarenato nei giovani.
Animale ed armatura di color bruno marrone superiormente, di
color biondo gialletto al di sotto.
SINONIMIA.
Testudo marina Aldrov. Quadr. ovip. p. 712.
— — Cacuana Ray Syn. quadrup. p. 257.
Testudo caretta Linn. Syst. Nat. p. 351. sp. 4.
_ — Walb. Chelon. p. 4 et 9b.
- — Gmel. Syst. Nat. p. 1038. .
— Donnd. Zool. Beitr. III. p. 9.
Schòpf H. Testud. p. 67. t. 16 et 16 B. adult.
— H. Testud. p. 74. t. 17. f. 3. pullus.
—_ — Latr. Hist. Rept. I. p. 53.
= — Shaw Zool, III p. 88. t. 23-28.
_ — Cuv. Régne anim. p. 20. t. 6. f. 4£.
Testudo cephalo Schneid. Schildkr. p. 303.
— —
o 9
A40 BETTA
Testudo Caouana Daud. Hist. Rept. HI. p. BI. t. 16. £. 2.
‘Chelonia Caouana Schweîg. Prodr. Arch. p. 292.
= — Wagl. Syst. Amph. p. 155.
Hr —. Gray Syn. Rept. p. d3.
-_ — Dum. Bibr. Erpétol. II. p. 532.
Caretta Caouana Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 44. sp. 3.
Caretta cephalo Merr. Syst. Amph. p. 18. sp. 2.
Chelonia caretta Gray Syn. Rept. p. 53. (fide Bonup.)
_ — Bonap. Fauna ital. cum tab.
_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 40.
Thalassochelis Caouana Fitz. Syst. Rept. p. 50.
Testuggine di mare Cetti Anf. Sard. p. 12.
FORME.
Capo grande e molto grosso, di forma piramidale, sub-
quadrangolare, e leggermente convesso al di sopra. Muso
ottuso ed arrotondato; cranio coperto di piastre; mascelle
robustissime e senza dentellature sui margini, la superiore
alquanto adunca. Nariei ovali, piccole; occhi coll’ iride
giallo-fosca, palpebre tubercolose. Le piastre che coprono
il cranio sono in numero di 20, delle quali quattro sulla
linea media e longitudinale, sedici disposte a paja in due
ranghi laterali, l’ uno a dritta 1’ altro a sinistra. La più
grande, o sincipitale ne occupa il centro, ed intorno ad
essa si attaccano dodici piastre minori disuguali fra loro,
cinque per lato, una anteriore ed un’ altra posteriore. La
piastra anteriore, o frontale è assai stretta, di forma pen-
tagona; innanzi ad essa sonvi due altre paja di piastre
non confinanti colla sincipitale, delle quali le posteriori
sono pentagone ed hanno comune colla frontale uno dei
loro margini. Le altre piastre cefaliche variano nelle loro
forme, ed anche talvolta nel numero. Tre piastre, pure
EFERPETOLOGIA 141
variabili nelle. forme, stanno collocate alle gote; sette ad
otto più piccole occupano la regione del timpano, ed al-
trettante le branche della mascella inferiore.
Le zampe sono coperte da scudetti piani (grandi sopra
e sotto le dita e lungo il margine posteriore dell’ antibrac-
cio, piccoli e poligoni nel lato superiore ed inferiore), sono
depresse, pinniformi, le anteriori allungate, le posteriori
molto più brevi e rotondate all’ indietro. Le due prime
dita di ciascuna zampa sono armate d’ unghia; Vl unghia
del pollice è la maggiore, robusta, leggermente uncinata ;
quella dell’ indice la minore, piana e schiacciata. Coda
brevissima, conico-depressa, vestita di molte serie di pic-
cole scaglie piane, e più corta nelle femmine.
Armatura ossea ovato-cordiforme, molto dilatata, leg
germente carenata lungo la linea dorsale, molto declive
sui lati, col margine anteriore quasi retto, obliquo sopra
le braccia, e col margine posteriore incavato fra le due
piastre sopracaudali; integro nel resto della circonferenza
quando l’animale è molto vecchio; più piegato all’ infuori
sotto le piastre sopracaudali che non altrove. La linea
culminante del guscio descrive una curva saliente fino
alla metà della prima piastra vertebrale, poscia fino al
termine della terza percorre un piano quasichè orizzontale,
indi si curva in pendio all’ indietro.
Piastre cornee, sottili e liscie. Le dorsali sono: cinque,
un poco gibbose; la prima breve ma larga, esagona, col
margine posteriore leggermente arcuato; le altre rettilinee.
La seconda e la terza piastra esagone, due volte più lun-
ghe che larghe, coi due angoli dei fianchi molto ottusi. La
quarta, che è presso a poco della stessa larghezza e lun-
ghezza della precedente, si restringe assai alla sua estre-
mità posteriore. Finalmente la quinta arcuata transversal-
442 BETTA
mente, molto più larga nel senso transverso che non in
senso longitudinale, a sei angoli, col lato anteriore più
piccolo del posteriore, e colle parti dei laterali, che si uni-.
scono alle piastre marginali, corte più assai che la metà
di quelli che toccano le costali.
Cinque per lato sono le piastre costali; assai Li la
prima in confronto delle altre, a cinque faccie ineguali
formanti tre angoli ottusi pel davanti, retto l’ interno po-
steriore, acuto l’ esterno. La seconda simile alla prima,
ma due volte più grande e col lembo marginale curvilineo.
La terza e la quarta tetragone, due volte più alte che
larghe. La quinta assai meno estesa delle precedenti, di
forma romboidea coll’ angolo posteriore troncato.
In numero di 27 sono le piastre marginali; la nucale
tre volte più larga che lunga, con due angoli ottusi al di
dietro, ed uno acuto ai lati. Il primo pajo seguente quasi
pentagono ; il secondo, terzo e quarto pajo tetragono-rom-
boidei; gli altri quadrilatero-oblunghi, allargandosi qualche
cosa di più il sesto, settimo ed ottavo; il penultimo pajo
e le piastre sopracaudali sono ancora più grandi, penta-
gone, subquadrangolari le prime, figurate a trapezio le
seconde ed alquanto acuminate all’ indietro. Benchè nei
varj esemplari nostrali da me esaminati le piastre margi-
nali mi sieno sempre risultate in numero di 27 compresa
l' impari nucale, è però bene avvertire come secondo il
Principe Bonaparte possano anche variare dalle 25 alle 27.
Lo sterno cruciforme, ovato alle due estremità, si di-
lata più anteriormente che posteriormente. La piastra in-
iergolare è molto piccola ed a tre faccie; molto grandi al
contrario le golari e di forma triangolare troncata alla
sommità. Le brachiali sono presso a poco quadrate; le
pettorali di forma pentagona più larga che lunga, siccome
ERPETOLOGIA 143
le addominali che sono però le maggiori di tutte; le fe-
morali romboidee col lato esterno concavo-arcuato ; le
anali in figura di triangoli isosceli col lato esterno curvi-
lineo. Tre 0 quattro piastre trovansi a ciascun lato dello
sterno situate sulle giunture di esso col guscio superiore,
e sono o pentagone 0 di forma quadrata.
Nei giovani individui l'armatura ha superiormente tre
carene, delle quali una sulla linea mediana del dorso, le
altre una per lato sulle piastre costali. Gli scudi vertebrali
in luogo di essere due volte più lunghi che larghi, sono
assai dilatati trasversalmente, e di forma esagona romboi-
dale. H guscio © tettiforme, ed il suo contorno dal mezzo
in giù apparisce fortemente dentellato per la sporgenza
delle piastre marginali. Differenze queste tutte che spari-
scono però coll’ avvanzare dell’ età. Le due carene laterali
sono le prime a mancare; e la mediana, che nei vecchi
deve affatto sparire, giunge al suo maggiore sviluppo, ugua-
gliando in altezza la quarta parte della larghezza delle
piastre sulle quali si innalza, quando l’animale è giunto
al terzo del suo crescere.
COLORITO.
Tutta Ia parte superiore dell’ armatura è di un bruno
marrone molto carico. Le membra dell’ animale offrono
presso a poco lo stesso colore, e sono_marginate in gialla-
stro. Le parti inferiori e lo sterno hanno un bel color
biondo-gialletto: Le unghie sono di una tinta corneo-scura,
marginata in pallido.
Nei giovani il guseio superiore è di un color marrone
più vivo e meno carico, e le piastre sono segnate di raggi
nerastri.
5)
444 BETTA
DIMENSIONI.
Sebbene giunga ad enormi dimensioni, gli individui
però che ordinariamente ci pervengono nell’ Adriatico han-
no il guscio della lunghezza di centimetri 45 a 50, colla
larghezza di 35 a 40, ed altezza di 14 a 15. Un individuo
della mia Collezione pescato presso Venezia sul finire del
Luglio 1853 ha le seguenti dimensioni: Testa lunga 42
centimetri e 2 millimetri, alta 7, 3; collo lungo centime-
tri 6; zampe anteriori centimetri 32; le posteriori centi-
metri 20 e millimetri 4. Guscio superiore lungo 50 centi-
metri, largo 40, alto 414. Sterno lungo 35 %, largo alla sua
metà 33 x centimetri.
Altro individuo, ma di dimensioni assai maggiori, era
stato preso a circa 8 miglia dal lido nella sera del 4 dello
stesso mese. Io fui a vederlo nella ‘mattina seguente, ed a
quanto mi assicurarono quei pescatori era uno dei mag-
giori individui fino allora presi nell’ Adriatico. La sua ar-
matura non era minore di centimetri 90 in lunghezza e 65
in larghezza, col peso di circa 300 libbre. Più precise di-
mensioni non mi fu possibile di rilevare, attesochè inu-
tili e pericolosi benaneo alla nostra leggiera barca riesci-
rono i tentativi degli stessi pescatori per trarvelo dalla
laguna, in cui si lasciava vagare assicurato con lunga
fune alla nave guardaporto.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Vive questa Chelonia nell’ Oceano Atlantico, ed è molto
comune anche nel Mediterraneo. Trasportati dalle correnti
o da altre accidentalità, trovansene però annualmente e
ERPETOLOGIA 4115
nella stagione calda, come già fu detto altrove, varj indi-
vidui erranti e pellegrini nell’ Adriatico, spingendosi essi
anche non molto discosti dal lido di Venezia.
La sua carne viene mangiata dai pescatori, che la di-
cono non disgustosa.
Le Chelonie si cibano ordinariamente di piante marine;
alcune però, e tra esse la nostra specie, sono quasi esclu-
sivamente carnivore, e si nutrono di crostacei e di mol-
luschi, dai quali deriva 1’ odore di muschio che traman-
dano. Avendo in Venezia mantenuto vivo un giovane in-
dividuo per poco più di un mese, potei io stesso osservare
l'avidità colla quale prendeva i molluschi ch’ io gli pre-
sentava. Nutrito dapprima col Cardium edule Linn. (volg. ca-
pa tonda), e colla Venus decussata L. (volg. caperozzola),
esso mi rifiutò ogni altro cibo dopo che per qualche gior-
no lo aveva mantenuto col delicato Mytilus edulis ( volg.
peoccio), e di cui si era fatto ghiottissimo. Aveva esso di-
mostrato una certa domesticità dopo qualche giorno di
schiavitù, ed all’ora solita del cibo, od all’ approssimarsi
di qualcuno alla vasca, saliva alla superficie dell’ acqua
tenendo la testa alzata, e volta verso l’ osservatore.
Nelle mascelle la Chelonia caretta ha una forza straor-
dinaria, e quando venga irritata soffia con veemenza, pro-
ducendo anche una specie di suono gutturale rumoroso.
Nel Veneto, come in generale per tutta l’Italia, è cono-
sciuta col nome volgare di Tartaruga di*mare, o Galana di
mare.
L’ accoppiamento succede nelle acque, e la sua durata
è dai 10 ai 45 giorni, e più. Le femmine depongono le
uova a terra come tutte le altre Chelonie, dei costumi
delle quali si è già parlato nelle nozioni premesse all’ or-
dine di che trattossi.
116 BETTA
Ord. IL. SAURII. ©
Nel secondo ordine dei rettili due naturali . famiglie si
presentano, alle quali spettano le specie sino ad ora fra
noi trovate. Sono queste famiglie, quella dei Zuacertini e
quella degli Anguidi, compresi fra i Lacertidi ed Anquidi
del Principe Bonaparte, fra i Lacertini od Autosaurii (2) e
Scincoidi o Lepidosaurii (3) di Duméril e Bibron.
Sono caratteri della prima famiglia:
Corpd snello, allungato principalmente alla regione
della coda che supera di molto la lunghezza del tronco.
Quattro zampe ben sviluppate, fornite ciascuna di cinque
dita distinte, separate, disuguali fra esse, sproporzionate di
lunghezza nelle zampe posteriori, e tutte armate di un-
ghia acuta e ricurva. Capo coperto superiormente di pia-
stre cornee, poligone, simmetriche; timpano distinto, a fior
di testa o poco profondo nel foro auditivo; occhi muniti
di tre palpebre mobili; bocca ampia con mascelle rive-
stite di grandi scaglie; denti ineguali per forma e lun-
ghezza, dei quali è provveduto o no anche il palato; lin-
gua libera, carnosa, spianata, sottile, più o meno vibratile,
forcuta, non ingdfirata; coda conica, lunghissima, rotonda
per quasi tutta la sua lunghezza, coperta da scaglie di-
stribuite ad anelli regolari. Pelle scagliosa; ventre rivestito
(4) 22vpos, lucerta.
(2) Avros simile, Zavoos luceria.
(3) Veris-1dos squame.
EFERPETOLOGIA 447
di squame più lunghe che larghe, liscie, schierate in fa-
scie transverse e paralelle. Simili lamelle dispongonsi a
triangolo anche sul petto. Collo ornato di pieghe transver-
sali, guernite di scaglie simulanti una specie di collare.
Coscie segnate da una fila di pori lungo il loro margine
interno. — : |
Sono speciali caratteri della famiglia degli Anguidi , li-
mitatamente però all’ unica specie che fra noi la rappre-
senta: corpo serpentiforme, mancante di gambe. Capo co-
perto di scudetti; collo della stessa forma e grossezza del
petto; orecchie latenti; tre palpebre agli occhi, quantun-
que piccolissimi; denti alle mascelle, mai al palato, fitti,
conici, acuminati. Coda lunga quanto il corpo ed anche
più, cilindrica, assottigliata ed ottusa all’ apice, vestita co-
me tutto il corpo di squame eguali, lucide ed embricate.
Tre sole specie fra noi possiamo fino ad ora annove-
rare come rappresentanti la famiglia dei Lacertini, che
comprendiamo sotto il solo genere Lacerta di Cuvier, smem-
brato dal gigantesco genere Lacerta di Linneo, in cui si
trovavano comprese pressochè tutte le specie dei Saurii,
i soli generi eccettuatine Draco e Chamaeleon. La storia di.
questo genere presenta non poche difficoltà atteso le ri-
duzioni, le innovazioni e le suddivisioni che furono in esso
instituite. Difatti non era appena creato, che lo Gmelin
aveva in esso distinte e separate tutte le specie più note-
voli, distribuendole in gruppi ch’ esso nominò Sezioni. E
dopo lo Gmelin tutti gli erpetologhi che successivamente
diedero mano allo smembramento di quel gran corpo, ne
applicarono la denominazione al gruppo generico in cuî
ciascuno di essi, secondo il modo proprio di vedere, com-
prendeva le nostre Zacerte, che il Laurenti collocò invece
(4768) nel suo distinto genere Seps.
4418 BETTA
La storia dei Quadrupedi ovipari. del Conte di Lacé
pède, benchè scritta vent’ anni più tardi, ci presenta poi
nuovamente il genere Zacerta quale presso a poco stava
determinato nel Systema Naturae, e benchè precedentemente
levati dal Laurenti si vedono compresi in esso genere
tutti i rettili a quattro gambe, mancanti dell’ armatura
ossea dei Chelonii, e provveduti di coda, in guisa che vi
figurano ancora unite colle Lucerte le Salamandre ed i
Tritoni.
Più tardi Brongniart e Daudin introdussero più oppor-
tune restrizioni nel genere, i limiti del quale vedonsi poi
ancora più circoscritti nella classificazione dell’ Oppel (4844),
che sotto quel nome generico non comprese che le vere Lu-
certe, ed i pochi Saurii oggidì collocati nei generi Ameiva
di Cuvier e Centropix dello Spix. Finalmente Cuvier pre-
sentando nel Regne animal (4847) un suo nuovo sistema
pei rettili, comprese nel genere Lacerta soltanto le specie
che offrivano fra gli altri caratteri da esso stabiliti, quello
proprio dei nostri Lacertini, la presenza cioè del collare al
di sotto del collo, coll’altro carattere del palato armato di
denti, il quale però non sempre conviensi alle specie del
genere come vedremo più avanti.
Il genere Lacerta riformato da Cuvier rimase poi sempre
il più naturale di tutti quelli ch’erano stati proposti! an-
tecedentemente 0 si proposero dappoi; e Merrem che pub-
blicando la seconda edizione (4820) del suo Tentamen
systematis Amphibiorum riuniva ancora nel genere quelle
specie che Cuvier ne avea saggiamente staccate, introdu-
cendovene anzi anche molte altre, non fece che rendere
eterogeneo: il gruppo ch’ esso pensava di. stabilire.
Più naturali modificazioni nel genere introdusse poi il
sig. Fitzinger di Vienna (4826); e finalmente Wagler, pre-
ERPETOLOGIA 449
sentando nel 4830 il suo Systema Reptilium essenzialmente
fondato sulla organizzazione di questi animali, divise le
Lacerte propriamente dette di Cuvier nei tre suoi distinti
generi Lacerta, Zootoca e Podarcis; divisione che venne an-
che accettata da varj distinti Erpetologhi, e fra essi dal
dottissimo naturalista il Principe Carlo Luciano Bonaparte.
Si assegnano come caratteri dei tre generi Wagleriani:
Il LACERTA.
Narici aperte immediatamente sotto l'apice del cerchio ro-
strale, nel margine posteriore infimo di un solo ‘scudetto; la-
mine sopraorbitali ossee; tempie coperte di scudetti; squame
del ventre romboîdali, quelle del petto poligone; dorso vestito
di squame omogenee, poligono- orbicolari, ollusamente carenate ;
coda arrotondata, cinta di squame oblonghe, esagone e carena-
te; un collare; denti al palato.
ih ZOOTOCA.
Narici, lamine sopraorbitali, squame del ventre è della co-
da, non che il collare come nel genere precedente. Tempie ve-
stite di squamette adpresse; tubercoli del dorso un poco allun-
gati, distintamente esagoni, ottusamente .carenati. Palato senza
denti.
Ill. PODARCIS.
Tempie come nel gen. Zootoca, e così pure mancanza di
denti al palato; nel resto simile precisamente al genere Lacerta,
tranne che le narici sono poste all’ apice del cerchietto rostrale
fra le suture di tre scudetti, al di sopra del primo dei labbiali.
420 BETTA
Il riassunto degli esposti caratteri fa differire il genere
Podarcis dal genere Lacerta per la mancanza di denti al
palato, per le narici aperte fra tre scudetti e non in uno
solo, e per le tempie vestite di squamette e non di scu-
detti: distingue il genere Zootoca dal genere Zaceria per la
mancanza pure di denti al palato, per le tempie vestite
di squamette e non di scudetti, e per i tubercoli del
dorso non poligono-orbicolari ma un poco allungati e di-
stintamente esagoni; separa finalmente il genere Podarcis
dal genere Zootoca per le narici non già aperte fra le su-
ture dei tre scudetti ma, come nel genere Lacerta, nel mar-
gine di uno solo, e per i tubercoli del. dorso poligono-
orbicolari invece che un poco allungati e distintamente
esagoni.
Una esatta investigazione e studio di tutti e tali carat-
teri generici persuade però ben presto della pochissima
importanza od insufficienza di aleuno di essi, e persino
della non sussistenza di altri. Così a cagione d’ esempio,
le narici della Podarcis muralis, tipo del genere, non sono
aperte in diverso modo da quelle della Zacerta véridis; così
non può dirsi rigorosamente che le tempie della prima
sieno vestite di squamette e non di scudi come la seconda,
poichè le regioni laterali della testa nella Podarcis e nella
Zootoca offrono ciascheduna un piccolo scudetto circolare,
detto disco masseterico. In specialità poi nella Zootoca wvivi-
para, essa pure tipo del genere Wagleriano, le tempie pos-
sono considerarsi meglio vestite da piastrine che non da
squamette. Così ancora non vedesi differire la Zootoca
vivipara dalla Lacerta viridis per le scaglie del dorso, le
quali sono in quella come in questa allungate ed esagone,
e non già nella seconda poligono-orbicolari come invece
lo sono realmente nella P. muralis.
ERPETOLOGIA ADI
Altra caratteristica distinzione fra i due generi Lacerta
e Podarcis sarebbe il palato armato di denti nel primo,
privo di essi nel secondo. E benchè stiano per noi a con-
ferma di tale carattere le osservazioni del Principe di Ca-
nino e di altri, non che quelle ch’ io stesso istituii su cin-
quanta e più individui della Podarcis muralis, in nessuno dei
quali ebbi a trovare denti al palato, anche tale carattere di-
co, troverebbe però opposte dichiarazioni. Wiegmann infat-
to ritenendo i tre gruppi Wagleriani, non però come gene-
riche divisioni ma come sottogeneri soltanto, noterebbe fra
i caratteri del g. Podarcis, denti al palato, assai piccoli,
conico- ottusi; e più tardi anche lo Tschudi accettando i
gruppi stessi come semplici sottogeneri, riporta da Wieg-
mann, e segna fra i modificati caratteri del gen. Podarcis
di Wagler quello dei piccoli denti al palato, di forma co-
nico-ottusa (*). — Più recentemente poi i Signori Dumé-
ril e Bibron, esponendoci l’ insufficienza dei caratteri asse-
gnati pei tre generi di che trattasi, ci osservano quanto ai
denti del palato come tale carattere sia di ben debole va-
lore fra i Zacertini dappoichè si constatò tali denti ora
esistere, ora mancare in individui appartenenti alla stessa
specie; ed aggiungerebbero ancora più a conferma, di avere
trovato denti al palato in qualche individuo precisamente
della stessa Podarcis muralis, benchè debba però dirsi più
generale nella specie la mancanza di essi.
Nel mentre per tutto quanto si è detto, confessiamo
che non è del tutto scientifica l’accettazione dei generi di
Wagler come precisi e distinti, non crediamo però d’ al-
tra parte di potere ancora adottarne la totale eliminazione,
(*) « Die Gaumenzihne sind ganz klein, stumpfkegelformig ». Monogr.
d. Schweiz. Echsen. pag. 54.
422 BETTA
come già avrebbero fatto i prelodati sigg. Duméril e Bibron.
E meglio quindi pensiamo di corrispondere alle risultanze
delle fatte osservazioni coll’ accettare quì i tre gruppi in
questione come sottogeneri delle Zacerte di Cuvier, ognuno
dei quali ha fra noi per rappresentante uno dei tre Lacer-
tini che sino ad ora possiamo enumerare come abitatori
delle provincie illustrate.
Un’ unica specie del genere Anguis (*), come fu già av-
‘vertito, rappresenta fra noi la seconda famiglia dei Saurii,
ed i caratteri che a questa abbiamo assegnati non lasciano
possibile una confusione di famiglie. Ma ben diversi però, e
più speciosi e distinti dovrebbero essere i caratteri stessi se
‘coll’attuale-unico rappresentante potessimo annoverare nella
famiglia degli Anguidi nostri altre specie, quali ad esempio
il tozzo Ascalabote tarantola ( Ascalabotes fascicularis Schn.)
dell’ Italiaj meridionale, o } Emidattilo della. Dalmazia
(Hemidactylus verruculatus Cuv.), o il Gongilo della Sardegna
e Sicilia (Gongylus ocellatus Wagl.) molto somigliante alle
Lucertole, o la serpentiforme Luscengola (Seps chalcides Wagl.)
dell’Italia meridionale, che ha quattro gambe tanto corte
e sottili da non riuscire a prima giunta visibili, o il Pseu-
dopo serpentino ( Pseudopus serpentinus Merr.) della Dal-
mazia fornito dei soli rudimenti dei piedi posteriori, coi
quali tutti potrebbersi poi anche meglio stabilire e provare
gli annelli della catena che unisce le Lucerte all’ Anguis,
ultimo annello, come lo dice benissimo il Principe Bona-
parte, dell’ aberrante e serpentiforme serie degli Anguini.
Il genere Anguis stabilito da Linneo comprendeva una
volta tutti i rettili squamati senza piedi o con piedi estre-
(*) Nome comune del serpente presso i Latini. « Zatet Anguis in
herba ». Virg.
ERPETOLOGIA 423
mamente brevi, colle squame della parte superiore del
tronco e della coda simili o presso che simili a quelle
delle parti inferiori. Attualmente però non è in esso
compresa che l’ unica specie conosciuta, 1’ Anguis. fra-
gilis, sparso per tutta Europa non solo, ma nell’ Asia oc-
‘cidentale altresì e sulle coste meridionali dell’ Africa. E
ad essa vanno indubbiamente riportate come sole. varietà
dipendenti dall’ età, colorito, clima, o da altre circostanze
le molte specie dagli autori create, quali sarebbero la l-
neata e la clivica del Laurenti, la cinerea e la bicolor del
Risso, e con ogni probabilità anche la incerta del Krynicki,
da lui descritta come indigena della Russia (*).
Nè abbandoneremo questo Sauriano . senza avvertire
come molti naturalisti v° abbiano ancora i quali, attaccati a
vecchie classificazioni o giudicando da qualche esterno
carattere, si ostinano a collocarlo tra i serpenti. Un’ at-
tento esame dell’ animale persuaderà ben presto del posto
che gli compete fra i rettili. Il capo infatti di forma pira-
midale, gli occhi piccolissimi e molto riavvicinati alla
punta del muso. lo squarcio assai limitato della bocca, ì
denti disposti sulla mascella in una sola serie e mancanti
al palato ; il tronco terete, liscio, tutto vestito di lucide
squame embricate ed uguali; la coda lunga quanto il
corpo ed anche più, sono tutti caratteri esterni che lo av-
‘vicinano ai Saurii. Uno dei polmoni minore della metà
dell’ altro, un bacino; sebbene imperfetto, un piccolo ster-
no, l’omoplate e le clavicole sotto la cute, sono caratteri in-
terni che indubbiamente lo collocano fra i Saurii, come pre-
cisamente l’ultimo annello che questi agli Ofidiani congiunge.
(*) Observationes de Replil. indigen. Bulletin de la Soc. de Moscou.
41837. p. 52. tab. 1.
424 BETTA
Sono i Lacertini in genere rimarchevoli per la varietà
e vivacità dei loro colori e delle loro tinte, soggette però
a variare secondo l’età ed il sesso, secondo le stagioni e le
passioni, ed anche secondo la natura dei terreni nei quali
fanno dimora. Dotati in genere di rapidissimi e vivacissi-
mi movimenti, sono gli organi loro conformati sempre in
rapporto alle abitudini ed alla dimora propria di ciascun ge-
nere. Dita mobilissime, sottili, molto sviluppate, allungate
e puntive, sono caratteri dei Zacertini nostri che dinotano
un genere di vita ed un soggiorno fra le sabbie e le aride
roccie. La mancanza di gambe e la lunghezza del tronco
fa conoscere nell’ argue un Sauro destinato a vivere sopra
terreni erbosi sui quali striscia come i serpenti, dei quali
ha l’ esteriore.
All’ esercizio però della loro facoltà locomotiva richie-
desi, come in generale per tutti i rettili, una temperatura
elevata dell’ atmosfera; e perciò mentre nel gran caldo
dell’ estate e sul mezzodì si vedono più vivaci e più snelli,
si fanno pigri all'incontro e tardi nei loro moti avvici-
nandosi il freddo, fino a che a mezzo autunno si ritirano
nei loro sotterranei nascondigli, ove rimangono intorpiditi
tutta la fredda stagione. Ma non tutte le Lucertole sop-
portano colla stessa facilità una eguale temperatura; così
fra noi la /'odarcis auralis, che è la. prima a comparire
dopo il disgelo, fassi più rara e sta nascosta quando l’ e-
state comincia ad abbrueciar le campagne. La Zootoca vi-
vipara che abita a preferenza i luoghi erbosi e soleggiati
delle montagne, non vedesi che assai raramente nelle ore
più calde dell’ estate stando allora ricoverata sotto i ce-
spugli e gli sterpi. La Lacerta viridis è pur essa amante
dell'ombra, mentre la sua affine Z. occellata, propria delle
parti più meridionali d’ Italia e della Spagna, resiste al
ERPETOLOGIA 425
calore più alto del clima, ed anzi il meno intenso freddo
la rende neghittosa e lenta, talchè tosto si seppellisce
nelle sue tane.
Ma la sorprendente agilità di questi animali non mo-
strasi che a slanci e non dura che a piccole distanze, e
se non trovano presto il loro nascondiglio, cui, sempre di-
rigonsi in caso di pericolo, rimangono stanchi e divengo-
no preda del nemico. Dotate di membra corte e lateral-
mente collocate, le lucertole non possono molto sollevarsi
dal suolo: appoggiano sulla terra la testa ed il corpo
quando riposano, sollevano alquanto il capo e la coda
quando camminano. Allorchè si movono sopra un terreno
folto di erbe, o tra i bassi virgulti delle siepi usano molto
della loro coda per agevolarsi il cammino .e per saltare
da uno in altro luogo, ed anco nel nucto se ne servono
utilmente ritraendo al tronco le gambe. Le loro. unghie
acute e ricurve le rendono abilissime nello arrampicarsi
sugli alberi e sui muri, e servono anche di difesa effet-
tuando profondissime graffiature, specialmente quelle. del
Ramarro lorchè l’animale venga preso pel collo onde evi-
tarne il morso.
Non tutti i Saurii sono egualmente timidi, e benchè le
nostre specie ricorrano sempre alla fuga ogni qualvolta
siano minacciate da pericolo, pure il Ramarro sa mordere
rabbiosamente con lacerazione e strapparnento della pelle,
quando venga preso od irritato. Di rado offendonsi e mor-
donsi fra loro.
La vista è attivissima nelle lucertole essendo i loro
occhi assai sviluppati, ma non è meno attiva anche nel-
langue benchè i suoi occhi siano così piccoli. L’ udito è
acutissimo. Non può dirsi che questi animali abbiano
squisito anche l’ odorato, tanto più che nmutronsi di ani-
426 BETTA
mali che afferrano non appena li hanno scorti; tuttavia
dal vedere quanto ai Zacertini come essi protendano il
muso esplorando verso le sostanze prima di addentarle, e
scavino la terra per cavarne i lombrichi, sembra che non
manchino d’ olfato. Respirano colle narici, munite di val-
vole cutanee che apronsi e chiudonsi portandosi all’ indie-
tro ed all’ innanzi. Hanno il gusto abbastanza sviluppato,
e basta mettere loro in bocca una sostanza acre od amara
per vedere gli sforzi che fanno per liberarsene. Il tatto
all’ incontro sembra più ottuso, e benchè la cute non sia
insensibile ai contatti, solo la lingua ed il muso possono
soccorrere a tale percezione, che diversamente è piuttosto
debole. |
I Saurii nutronsi di sostanze animali, e principalmente
di carni ancor vive. Digeriscono lentamente e sono quindi
molto sobrii, potendo anche sopportare lungo digiuno. Se-
condo le osservazioni di Dugés (*).i Lacertini bevono lam-
bendo 1’ acqua come i cani. La loro bocca è meno larga-
mente fessa che non sembri a tutta prima; le mascelle
sono però forti, e robustissimi ne sono i muscoli: più
volte si può trasportare un Ramarro a molta distanza so-
speso per la bocca alla estremità di un legno, tanto tena-
cemente lo tien serrato fra le mascelle.
Colle unghie e coi denti scavano le tane nel suolo @
negli alberi, e dilatano le fessure dei muri ove stabiliscono
il loro rifugio e la loro dimora. Una tana scavata o
nelle rive che fiancheggiano le strade, o nei cumuli di
arena, o al piede dei muri, sicura dai molti nemici, è il
luogo ove depongono le loro uova, che sono allungate ed
(*) Annales des Sciences naturelles. 1827. Tom. XII. p. 359. — 1829.
Tom. XVI. p. 360.
ERPETOLOGIA 127
a guscio calcareo; ed ivi esposte ai raggi solari sehiudonsi
poi in maggior o minor numero di giorni, secondo le spe-
cie e le circostanze atmosferiche. i
Si è altrove parlato della somma facilità con cui pos
sono questi animali perdere Ja coda e riprodurla, onde la
misura di tal membro non potrebbe sempre corrispondere
come carattere specifico. Abbastanza frequente è poi anche
il caso di trovare lucertole con coda duplice e triplice, e
secondo Bonaparte se ne viddero anche talvolta con quat-
tro e sino con sette code, le quali però sono sempre car-
tilaginose all’interno.
Fra queste e varie altre anomalie che possono incon-
trarsi nei rettili di quest’ ordine, merita di essere special-
mente ricordato il caso, sempre raro però, in cui le uova
essendo doppie e racchiudendo in un solo guscio i germi
di due individui vivificati, ne nascono dal loro sviluppo es-
seri più o meno uniti, o mostruosità per eccesso , che al-
ignorante. volgo desterebbero mille spaventi e darebbero
vita alle più stolte favole, od appoggio ai vecchi pregiudi-
zj che già avessero appreso.
Già Aldrovandi, Lanzoni, e Redi sopratutto, avevano
parlato e ragionato di serpenti a due teste; ma più tardi
si registrarono casi consimili anche fra i Saurii, e Dumé-
ril accenna conservato nel Museo di Parigi un giovine la-
certino con due teste, collocata ciascheduna sopra un collo
distinto. Anche Geoffroy Saint- Hilaire parla (*) di quel
Lacertino comunicatogli da Bibron, ed aggiunge l’ interes-
sante descrizione di un altro più adulto presentato nel
1834 a quell’Accademia delle Scienze dai signori Beltrami
_(*) Mist. gen. et partic. des anomalies. Bruxelles 1857. Tom. HII.,
p. 132.
128 BETTA
e Rigol. Questo lacertino, rinvenuto da Rigol nell’ Otto-
bre 1829, era stato conservato vivo fino al successivo Feb-
brajo; aveva due teste distinte portate da due eolli riuniti,
e quando venivagli presentato da mangiare, se le due te-
ste potevano prendere liberamente la propria preda man-
giavano contemporaneamente, se il cibo veniva presen-
tato ad vna sola, } altra avvicinavasi sollecitamente fa-
cendo mille sforzi per rapire la preda. Saziata l’ una, an-
che Vl altra cessava dì aver fame, ciò che secondo Beltra-
mi indicherebbe l’esistenza di un solo stomaco con dop-
pio esofago.
ERPETOLOGIA 129
Fam. I. Lacertini.
Gen. LACERTA CUVIER.
I. s. g. LACERTA DAUDIN.
3-1. LACERTA VIRIDIS
Daudîn,
Ital. Ramarro, Lueerto ramarro, Lucertolone.
Ven. Ligador, ligaor, osertolon, Martin coz, lusertola verde,
languro, liguro, sbors, sborf.
Tirol. Luserpon, ligader, ligordo, salua-omeni, verdon.
CARATTERI.
Corpo cilindrico; due piastrine sovrapposte fra la nasale e la lorea.
Tempie rivestite di sendetti poligoni, inequilateri. Denti al palato. Solco
golare molto pronuneiato. Collare dentellato. Scaglie dorsali allungate,
esagone. Piastre addominali in 8 serie.
Superiormente di color verde uniforme più o meno vivo, più o meno
“macchiato in nero, o con linee longitudinali bianehe orlate in nero. |
SINONIMIA.
Laceria viridis Daud. Hist. Rept. III p 144. t. 34.
SS — Merr. Syst. Amph. p. 64. sp. 8.
_ — 7olfin Sturm Deutschl. Fauna HI. 4. t. 6.
—_ — isso Hist. III. p. 86.
—_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. BI. sp. 45.
_ — Duges Annal. XVI. p. 372. t. 4B. f. 3.
9
4130 BETTA
Lacerta viridis Wagl. Syst. Amph. p. 1bb. gen. 52..
— — © Bonap. Fauna ital. cum tab.
— —. «chinz Fauna Helvet. p. 159. sp. 3.
_ — Tschudi Monogr. p. 18.
_ — Kryn. Observat. p. 47.
— — Dum. et Bibr. Erpétol. V. p. 240.
- — Betta Rett. Tirol. p. 153.
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 12.
_ -— Massal. Saggio p. 32.
Seps ferrestris Laur. Syn. Rept. pi 64. t. 3. ft.
Lacerta agilis var. y. viridis Lanf. Saggio p. 33.
Lacerta. bilineata Daud. Hist. Rept. III. p. 152. t. 35. f. 1.
— chloronota Rafin. Caratt. p. 7. sp. 46.
— exigua Eichw. Zool. Ross. III. p. 188. (juven.)
— strigata Eichw. l. c. p. 189.
— syluicola Eversm. Rept. Mose. p. 544. t. 30.
FORME.
È questa specie la più grande dei Lacertini nostri, ed
anzi in tutta Europa cede solo per dimensioni alla bellissi-
ma Lacerta occellata, propria di pochi distretti meridionali ‘
d’ Italia, più comune e copiosa nella Francia meridionale
e nella Spagna.
Il corpo è cilindrico ; la testa due volte più lunga che
alta, e qualche poco più alta che larga; alla base, parten-
do dalla fronte, presenta un piano debolmente inclinato
pel davanti, col muso poco ottuso e senza notevole rilievo
alle tempie. Coda lunghissima, tetragona alla base, indi
conica e sempre più assottigliantesi verso |’ apice, e for-
ma da sè sola due terzi della totale lunghezza dell’ ani-
male. Le zampe anteriori, stese lungo il collo arrivano
alle narici; il loro primo dito è breve, il secondo poco
ERPETOLOGIA - 434
più i lungo del quinto, il terzo ed il quarto sono i più lun-
ghi. Le. zampe posteriori sono più lunghe, e distese lungo
il corpo toccano ‘generalmente le ascelle; più di rado ar-
rivano solo ad eguagliare quattro quinti della lunghezza
dei fianchi; i loro diti decrescono regolarmente dal quarto
al primo, ed il quinto è lungo: quanto il secondo: sono
nodosi e coperti da piccole lamette allargate, e le piante
hanno. tubercoli granulari; le unghie sono di media lun-
ghezza, acute, ricurve, di ‘color corneo-brunastro o fulva-
stro.
sie palato è “armato di denti piccoli , semplici e conici,
in numero di dodici circa. per ciascun lato. Si contano 44
a 43 denti intermascellari, circa 410. miascellari superiori, |
e 48 a 50 mascellari inferiori.
Cinque per banda sono le piastre sottomasesilari. La
piastra frontale è grandissima, ir regolarmente esagona, mol-
to più lunga che larga ed a. margini laterali curvilinei; le
parietali grandi ed irregolarmente esagone; la interparietale
piccola, un poco ‘allungata , di ‘forma romboidale, quasi
sempre troncata. posteriormente, ma qualche volta ad an-
golo molto acuto; la occipitale piccola, per lo più della
forma di. un triangolo isoscele. troncato pel davanti, di
rado semplicemente lineare. Negli individui nei quali giunse
al maggior suo sviluppo è dessa quasi tanto. larga che la.
frontale: Fra la piastra masale e la’ lorea ‘trovansene due
piccole, l'una ‘sovrapposta - regolarmente all’ altra, eguali. "i
fra esse e quasi quadrate. Dietro a queste piastrine. tro- o
vasene una verticale quasi rettangolare, susseguita da:
un’altra molto grande, Snbapiovliangelra ‘ed ondulata’ al
suo margine posteriore. pi
Le tempie sono rivestite di seoilatti piani, uniti, ine-
guali ed equilateri, in mezzo ai ‘quali vedesene una cen-
132 BETTA
trale e più sviluppata. AI margine supèriore della; regione
temporale si trovano due pl grandi , oblunghe,. * sub- u
quadrilatere. i
L’orecchio è verticale , itregolarmente ovale e ‘molto
grande. La palpebra superiore è segnata da. un: punto ne-
ro, ed è coperta da tubercoli granulari che- vedonsi poi
anche nel margine della inferiore, nel cui mezzo. esiste
una serie longitudinale di 5 a sù piccole: piastrine rettan-
golari e sovrapponentesi. i
Il collo è rivestito di tubercoli graniformi, non carenati, :
e che sul dorso sono più grandi, allungati, esagoni: e sen:
sibilmente carenati; ai fianchi questi tubercoli-sono ovali;
un poco meno espansi e. molto leggermente o niente.care-
nati. Minutissime sono le scaglie intorno alle cattaccature
degli arti. Le squame della gola sono piuttosto grandi, ‘esa-
gone, e molto embricate. Il solco golare è ben: pronun-
ciato. Il collare formasi di 7 a 9 squame paraboliche, con
margine esterno curvilineo, rappresentante una. merlatura.
Jl triangolo pettorale è costituito’ -da:7 ad 8: lamelle. Le
piastre addominali si dispongono in 8 serie longitudinali;
sono strette e paraboliche nellè «due mediane; romboidali
e più larghe quelle delle due serie attigue; strette e pie-
cole ma quasi paraboliche mostransi anche le. esterne; e
brevissime e poco distinte quelle delle due serie imargi-
nali. Contasene una trèntina circa* per ognuna delle sei
serie. La regione pre canale è occupata ‘da una sola piastra
assai grande, ‘e provveduta da doppia serie di squame di-
verse. Sotto ciascuna coscia cobtansi da 415.a 20pori: Le
squame della coda sono allungate e strette, fortemente ca-
renate nel loro mezzo, terminanti ad angolo acutò sE di-
sposte in 100 a 412 verticilli. |
ERPETOLOGIA 433
ge
1 catia n cui. arriva in ‘queste provincie
ul centim. 30. a .35, dei quali due terze parti sono. .
misurate dalla sola coda. In ‘generale gli individui del.Ti-
rolo, €. specialmente delle parti più ‘elevate, si fanno di-
stinguere per maggiori dimensioni.
| COLORITO.
‘La bellezza di questa Lu attrae gli sguardi di tutti, ed
è un vero; diletto. per I occhio il bellissimo verde che of-
fre il .suo corpo. Le sue scaglie percosse dai raggi del sole
si indorano con mille riflessi. Nulla di più vago ed at-
traente nei rettili quanto il. colore di questa Lucerta, la cui
parte superiore del dorso: è generalmente di un verde uni-
forme assai vivo e ‘risplendente. E la stessa bellezza di
quella tinta aumenta di pregio -se, prodiga la natura a que-
sta specie. come a tant’ altre di ‘variate tinte e colori,
frammischia in essa il bianco, eil giallo, e il grigio, e. il
bruno, e il nero, ed. adorna il suo Goo di macchie. di
punti, e di linee. di
Fra le varietà reperibili in ‘queste provincie distingue-
remo le seguenti, non senza avvertire però come trovinsi
spesso collegate fra esse e confuse. da innumerevoli gra-
dazioni intermedie di colorazione; Lenpossibili a: descri-
versi.
var. a. coneolor. — Tutto il corpo di un bellissimo
verde puro, colle parti di sotto di un bel giallo
canarino o leggermente verdastro.
434
var. bd.
“Var. c..
Var. d.
Var. e.
var. f.
BETTA
versicolor. — Gli individui. che vi ‘appartengono
hanno la parte superiore del corpo di color verde
più o meno tendente al giallastro, sparso di ‘un
numero considerevole di piccoli. punti. neri; ‘le
parti inferiori giallastre o giallo - “verdastre.
maculata Bonap. — Il corpo è di un bel color
verde o verde brunastro, coperto da macchie quadri
latere nerastre che dispongonsi in varie fascie ‘sul
dorso, e.qualche volta in' due soltanto marcate da
una linea biancastra o giallastra. che lè divide da
altre numerose ed irregolari macchie nere segnate
sui fianchi: le parti inferiori sono tinte in verdastro.
mento-coerulea Bp. — Dorso di un bel ver-
de più o meno coperto da macchie quadrangolari
nere, col capo variopinto al di sopra, tinto di un
bel azzurro celeste lateralmente e sotto. Ventre di
un bel giallo dorato. ©. |
chloronota ( Rafin.) — boia: di un ‘color ver-
de brunastro picchiettato di nero e di giallo ver-
dastro ; di questo colore sono le molte macchie li-
neari o lacrimiformi sparse sul capo, che è anche
d’una tinta generale più o meno nerastra. In altri
individui è il color nero predominante su tutto il
‘corpo, che vedesi. in tal caso sparso di piccoli
e numerosissimi purti d’ un giallo vivo. La pancia
è giallastra ; il mento, la regione anale ed il di
‘sotto della coda di color giallo verdastro.
cinereo - nigrescens (‘) — Si fa distinguere dalla
precedente per la parte superiore del corpo di un
(*) L. viridis var. cinereo-nigrescens Betta. Cat. Relt. Tirol. pag. 153.
Cat. syst. Reptil. p. 12.
ERPETOLOGIA 435
marcato color verdastro cinereo, sparso di mac-
chie e punti neri e castani. Il di sotto di un color
bianco-ceruleo con leggerissima tinta giallastra.
Var. 9g. bilineata (Daud.) — Corpo di color verde o ver-
de - brunastro con due linee bianche longitudinali,
distinte e compiute sul dorso, marginate di nero,
e con un’ altra linea interrotta per cadaun fianco,
costituita da semplici macchiette di color bianco,
qualche volta anche accompagnate da macchie ne-
re. Parti inferiori gialle o giallo - verdastre.
var. h. brunneo - viridescens, bilinenta. — Bellissima
varietà della quale ne presi due individui nel Ti-
rolo presso Fondo, nel Settembre 41855. Il fondo
del corpo è di un verde sporco tendente al bru-
nastro, il qual ultimo colore mostrasi poi quasi
esclusivo sulla testa, sulle gambe posteriori e sulla
coda. Le due linee mediane bianche, orlate in nero,
continuano su tutto il corpo fino verso la metà
della coda. Le due laterali interrotte e fiancheggia-
te da macchie nerastre. Le parti inferiori del cor-
po giallo - verdastre; le parti laterali della coda
fulvastre, il di sotto biancastro.
Notasi poi in generale che gli individui che più tirano
in giallo sogliono avere anche il capo punteggiato di tal
colore; che in individui della var. dilineata possono mancare
le due linee biancastre ai fianchi; che il capo può essere
oltre che verde, anche brunastro in quasi tutte le varietà
suddescritte; che le parti anali, le coscie ed il di sotto
della coda possono essere anche tinte in bruno; e che in
generale i colori oscuri dominano più negli individui mon-
tani che non in quelli delle pianure, nei quali il color
verde rimane quasi sempre assai vivo e marcato.
436 BETTA
I giovani della specie hanno la parte superiore del cor-
po di un verde meno bello, o. di un color rossagteo o bru-
nastro fiancheggiato di verde. Il loro capo è pure tinto in
rossastro; ed assai di frequente recano sul dorso due linee
biancastre consimili a quelle della var. bdilineata, ma -che
svaniscono poi mano mano nella maggior parte degli in-
dividui. Hanno il ventre biancastro, bianco giallognolo, o
bianco verdognolo.
ABITAZIONE E COSTUMI,
Comunissima in tutto il Veneto e nel Tirolo meridio-
nale, è sparsa nelle campagne, lungo le strade, fra le siepi,
fra i vigneti nelle pianure, fra i cespugli e gli sterpi sui
monti. Predilige le posizioni soleggiate, ma .ricerca anche
quelle ombrose. Rarissima mostrasi fra le ruine dei muri;
e fra tutte le varietà accennate tale abitazione sembra
prescelta dalla cinereo-nigrescens, che gli abitanti dell’ A-
naunia distinguono perciò colla speciale denominazione di
luserpa casalina. Questa varietà; ch'io non trovai che in
quella sola parte del - Tirolo, vive. però anche secondo il
eh. Prof. Gredler fra .i vigneti presso Caldaro, comparendo
poi più rara presso Bolzano ove è volgarmente chiamata
Holzgrienzen: e l'amico mio Prof. Massalongo ne raccolse
un’esemplare presso Tregnago (prov. Veronese) nell’.esta-
te 1856. Così nel Tirolo soltanto trovai fino ad ora le
varietà e ed &; unicamente nel Veneto la varietà e; più
o meno rare nel Tirolo, e più copiose nel Veneto le var.
a, d e g; comune ovunque la var. 5.
Questa Lucerta nutresi di mosche, di locuste, di pic-
coli coleotteri e di bruchi; come in genere tutte le lucer-
tole, è ghiotta delle uova comprese le proprie, quantunque
EFERPETOLOGIA 437
‘stantie. In schiavitù mangia volontieri i lombrichi ed i
vermi della farina.
La femmina depone in una tana o foro da 7 a 40 uova
bianche, della grossezza .di una nocciuola, che schiudonsi
poi col calore dei raggi solari.
Avvicinato a breve distanza, il Ramarro lungi dal fug-
gire fermasi a guardare sollevandosi sugli arti, alzando
la testa, -e facendo pompa direbbesi ‘quasi delle sue mira-
bili tinte. Fugge però allorquando vedesi inseguìto, e
pronto ricoverasi nella propria tana, o nei fori, o nei «tron-
chi degli alberi. Preso od aizzato morde rabbiosamente por-
‘tando molte ferite anche colle sue acute unghie, ‘e tiensi
tenacemente attaccato agli oggetti addentati.
eboli veleni lo uccidono, ed i nostri fanciulli provano
spesso su di questa lucerta e sulla più piccola lucertola
delle muraglie il crudele esperimento del tabacco, che po-
sto in bocca ad entrambe le rende in pochi «istanti convulse
e le fa morire.
Come su molti altri rettili, su questo Lucerto non meno
pesano ‘ingiuste accuse di veleno e di malefizj, che esistono
solo. nella debole mente dell’ignorante che vi presta fede.
Aleuni lo ritengono anche dotato di medicinali efficacie, e
peccato che fra tant’ altre maggiori favole non sussista al-
meno realmente la proprietà attribuitagli dal volgo, di av-
vertire l’ uomo con mille moti e salti della presenza del
serpente che potrebbe nuocergli; credenza che nel Tirolo
gli ha procacciato l'epiteto di salva - omeni. Che se anco
il caso nacque di aver dovuto attribuire ai salti di un
ramarro ed all’ accidentale suo passaggio sul corpo di
un’ uomo addormentato, la salvezza di questo dal pericolo
di qualche serpe che si avvicinava, questo fatto trova facile
e naturale spiegazione nelle conseguenze di quell’ infinita
438 BETTA
paura che i serpenti inspirano alle lucertole tanto grandi
che piccole; il che si argomenta dalla fuga precipitosa cui
si danno al primo vederli, e dalla confusione in cui cadono
quando non possano a tutta prima cacciarsi nella loro tana,
o non sappiano trovare un qualsiasi altro, ma pronto rifu-
gio a loro salvezza.
OSSERVAZIONE.
Devonsi escludere dalla Sinonimia della specie il Seps
sericeus del Laurenti, la Lacerta sericea del Daudin, e la La-
certa tiliguerta 0 caliscertula del Cetti, le quali benchè da
moltissimi Erpetologhi riportatevi come sinonime, appar-
tengono all’ incontro come tali all’ altra specie nostra, la
Podarcis muralis. tri I
Devono invece ritenersi come sinonimie la Lacerta stri-
gata ( L. Michahellesii Fitz. ) e la L. erigua create da Eich-
wald, la prima su di una semplice varietà della £. viridis
a 5 linee longitudinali bianchiccie sopra un fondo verde
uniforme o brunastro; la seconda su di un giovine indi-
viduo della specie stessa. Nella mia Collezione tengo la pri-
ma proveniente dalla Grecia, ma potrebbe forse incontrarsi
anche in queste Provincie. Venete avendola già nell’ anno
scorso trovata nei contorni di Milano il ch. Prof. Cav. Jan,
come gentilmente mi comunicò in lettera.
ERPETO LOGIA - 439
Il sg ZOOTOCA WAGLER.
4 di ZOOTOCA VIVIPARA
NR i | Wagler.
Dori Lucertola, E vinto
Ven.. Luserta, osertola,
Tirol, Luser ‘dola, da Luserpa.
cana tERI..
torpo strello e a Una sola piastrina n la nasale e la
lorea. Tempie rivestite di squame adpresse, fra le quali una più grande
( disco masseterico). Palato privo di denti: Solco golare poco distinto.
Collare dentellato. Scaglie dorsali allungate, esagone. Piastre SELL
disposte in 8 serie.
Dorso bruno o grigiastro, con una linea mediana giuda nera,
e due allre ai Bagel orlale di bianco.
SINONIMIA.
Lacertus vulgaris Ray Syn. Rept. p. 264,
Lacerta vivipara Jacq. Acta Helvet. I. p. 33. t. 4.
— Dum. Bibr. Erpétol. V. p. 204.
Lacerta agilis Flem. Brit. Anim. p. 150.
— —. Gray Proced. Zool. Soc. 1833. III..p. 142.
Laeerta crocea Wolf in Sturm Deutsch. Fauna III. i.
| — — itz. Verz. Mus. Wien. p. 52. sp. 418.
— — Zversm. Reptil. Mose. III. p. 347. t. 3.
- — ZXryn. Observat. p. BI.
Lacerta montana Mikan in Sturm Deutschl. Fauna III. 4.
640 SMARIERILI A
Lacerta montana S hinz Fauna Helvet. p. 140 seo
Lacerta pyrrhogaster Merr. Syst. Amph.. p. 67. sp: 16. i
Lacerta Schreibersiana Dugés Annal., T. XVI. p. 37.
Lacerta praticola Eversm. l. cp. 348. t. 30. f. AL DE i
Zootoca vivipara IVagl. Syst. Amph. p: 155.
iii ona. Fauna ital. ‘cum tab. i
= i Betta Ret. Tirol. -P. 134. i
— —_. Betta Cat. Syst. Resti P 14.
— .— Massal. Saggio p. 197.
Zootoca crocea Wiegm. Herp. Mexic.. I. p. do
LETAME) SY Rept. p. 20. 3
Zootoca pyrrhogasira Tschudî Menegi pii27:
FORME.
Alquanto più piccola della seguente Podarcis muratis, ha
il.corpo stretto e cilindrico,. la. testa col muso alquanto.
acuto, circa tre volte meno larga alla base che lunga. Coda
‘due volte più lunga che il corpo, tetragona alla base, indi
perfettamente cilindrica fino alla punta e di forma sua par-
ticolare, giacchè in luogo di gradatamente decrescere dalla
base all’apice conserva -quasi la stessa grossezza fino alla
sua metà, insensibilmente assottigliandosi poi nel rimanente.
“Zampe corte e piuttosto tozze; le anteriori stese lungo il
collo arrivano all'occhio 0 poco più; le.posteriori misurano
due terzi della totale lunghezza dei fianchi. Le dita, non
dissimili per le loro proporzioni da quelle della L. viridis,
sono coperte di piccole lamelle allungate, e le piante vestono
tubercoli granulari. Le unghie sono piccole, corte, ricurve,
leggermente compresse, e di color nerastro.
Il palato è sprovvisto di denti; le mascelle ne hanno 9
intermascellari, 36 a 38 mascellari superiori, e circa 50 al
di sotto.
ERPETOLOGIA AGA
La piastra frontale è assai grande, di forma esagona ir-
regolare, anteriormente e posteriormente ad angolo; allun:
gata e cùrvilinea ai lati; le parietali grandi ed anche irre-
golarmente esagone; la interparietale piccola, qualche poco
allungata, insensibilmente ristretta pel di dietro; a:cinque
lati, uno posteriore, due anteriori ad angolo acùto ed ottuso;
e due laterali ordinariamente più grandi degli altri. Imme-
diatamente segue la piastra occipitale, molto piccola, di'una'
lunghezza assai minore ed una larghezza quasi eguale alla
interparietale, con figura di triangolo isoscele troncato alla
- sommità anteriore e leggermente curvilineo alla: base.
È carattere distintivo della specie l’ avere. una sola
piastrina tr iangolare fra la nasale e la lorea, e non due so-
vrapposte come nella L. viridis e P. muralis. Tale piastrina.
è susseguita da un’altra subquadrata, di mediocre grandez-
za, e questa da una aneora più grande e quadrilatera che
si congiunge alle oculari, e’ qualche volta reca un:piccolo
rilievo nel suo margine posteriore. Le tempie sono rivestite
di squame: quasi scudetti, ‘poligone, irregolari, più o meno
tendenti alla forma circolare, ed in mezzo alle quali, e cor-
rispondente al centro della regione temporale, vedèsi una
| piastrina o disco masseterico, di forma poligona abbastanza
grande, ma molto meno aa che non quella della Po-
dar cis muralis.
L'apertura della bocca SÌ i'prouae sin'sotto 1 angolo po-
steriore dell’ occhio. La mascella inferiore è vestita ‘di cin-
que piastrine per ciascuna banda. Le palpebre sono come
nella Lacerta viridis, ma senza la macchia: nera; e 1’ aper-
tura dell’ orecchio, di forma ovale più regolare, è fors’ anco
più piccola in proporzione.
Le scaglie che vestono il collo tanto al di sopra quanto
al lati sono arrotondate, convesse, contigue, non embricate;
442 4 ARRRTIA
quelle del dorso sono allungate, strette, esagone, legger-
mente embricate, e mano mano che si innoltrano. verso la
coda divengono ancora più anguste e più sensibilmente ca-
renate. Sono piccolissime quelle intorno alle attaccature de-
gli arti; depresse, liscie o debolmente embricate quelle che
veggonsi lungo i fianchi. Il solco golare è appena visibile.
Il collare si forma di 8 a 9 scudetti poco embricati, con
margine esterno curvilineo. Il triangolo: toracico è ‘costi-
tuito da 8 ad 14 lamelle...
Le piastre addominali formano 8 serie "‘ongiafnli
delle quali le due più esterne sono brevissime, composte
di piccolissime. piastre tanto lunghe che larghe ‘in numero
di 24 a 28; nelle due medie contansene .30 circa ; ma
meno piccole. ed alquanto dilatate. Le piastre delle: altre
quattro serie sono quadrilatere, più grandi e ‘trasversal-.
mente dilatate. La regione preanale è occupata da. una
sola piastra assai grande, circondata da duplice. serie di
squamette. Sotto ciascuna coscia contansi 9 a--42 pori. |
Le squame della coda sono lunghe, strette, quadrilatere,
terminanti ad. angolo acuto, precisamente earenate nel
mezzo € disposte .in circa 70 verticilli.
. COLORITO.
La parte superiore del corpo è di color : bruno ©: fo-
sco- rossastro più o meno acceso, più o meno tendente al
verdastro od al grigiastro, e talvolta anche di color bron-
zo ora uniforme, ora sparso di piccole macchie nere o
biancastre. Sul dorso, dalla piastra occipitale fino oltre. la
metà della coda, corre una riga nera continua o qualche
volta interrotta, ai lati della quale vedonsi due serie di.
punti neri accompagnati longitudinalmente, od anche se-
ERPETOLOGIA : 443
parati da altri punti biancastri che qualche volta vanno
a congiungersi ed a formare una linea grigiastra continua.
Due fascie oscure orlate sopra e sotto di bianco e talvolta
seminate di punti pur bianchi, si distendono lateralmente
alle dette due serie dagli occhi fino alla base della coda.
La gola è perlacea più o meno tendente al ceruleo ;
qualche volta giallastra o rosacea.
Il di sotto del corpo è ora di un bruno - verdastro,
ora di un grigio verdognolo, talvolta pagliarino o gialla-
stro, e persino ranciato acceso. E queste tinte possono
essere uniformi o sereziate di numerose macchiette o
punti nerastri, specialmente verso l’ ano e sotto la coda.
Il colore giallastro o ranciato è. esclusivo delle fem-
mine, nelle quali scorgonsi anche meno distinti i punti
e le strie nere, e manca la linea grigiastra. Il loro capo
è bruno-rossastro; ed il fondo del corpo più carico che
nel maschio.
Qualche volta sono più distinte le strie bianche,
tal’ altra le brune, e questa variazione, unita alla maggiore
o minore intensità della tinta del corpo, dà luogo ad un
numero ragguardevole di graduazioni nel colorito della
specie.
I neonati sono al di sopra di un color nerastro quasi
uniforme, e plumbei o cenerognoli al di sotto; e tale co-
lorazione si mantiene anche per qualche tempo nei gio-
vani, nei quali però vedesi molto presto una leggera trac-
cia dei colori degli adulti.
DIMENSIONI.
Gli individui sino ad ora trovati tanto nel Veneto che
nel Tirolo non misurano una lunghezza maggiore di 15
444 BETTA
a 47 centimetri, dei quali la coda occupa i due terzi. La
testa misura’ millim. 10 a 43.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Questa specie che il Principe Bonaparte disse non'tro-
varsi in paese italiano che sovra i monti della Svizzera e
del Piemonte, trovasi molto più internata nel nostro paese
di quello che fosse in allora conosciuto. La posseggono
infatti e copiosa, i monti del Trentino, ed i paesi veronesi
di Soave colle adjacenti località montuose, di Legnago e.
di Zevio. Ne tengo un esemplare dal Padovano, ed uno
dai monti Bellunesi. Secondo il Prof. Massalongo vive ‘an-
che presso Peschiera.
Nella Valle di Non nel Tirolo abita sempre gli alti
monti, e non mai mi fu possibile trovarla ad elevazioni’
minori di circa 3000 piedi di Vienna sul livello del mare.
Il monte Toval fu la prima località ove la raccolsi: più
copiosa in seguito la osservai sopra Tret e Senale (4960 p.
V. sec. Oettl.), e molti ed anche più belli esemplari raccolsi’
poi sui monti le Pallade all’ altezza di 5360 p. V. (Oettl:)
Benchè ami in fatto più i monti che la pianura, non'può
però dirsi ch’essa schivi tanto le umide terre quanto si
credeva una ‘volta, e fa prova di ciò l’abitare essa le basse
pianure ed i luoghi umidi' ed acquitrinosi del Veronese.
Sui monti e nei boschi preferisce di stanziare vicino
agli alberi ed ai tronchi secchi, a piè dei quali ha la sua
tana sotto le foglie ed i rami caduti; e più che altrove
trovasi appunto colà ove sono spessi cumuli di rami,
pronta a ricoverarvisi sotto per difendersi dai pericoli che
la' minaciassero. È per natura assai timida, ed al minimo
avvicinarsi dell’ uomo fugge con mirabile velocità , riù-
ERPETOLOGIA 4145
scendo perciò possibile 1° arrestarle e V impadronirsene
soltanto col sorprenderle nelle posizioni ove gli arbusti
e le ineguaglianze del terreno le diflicultano la fuga.
La femmina depone verso la metà o la fine di Giu-
gno cinque a sette uova, così mature che di là a pochi
minuti ne sbucciano i piccoli perfettamente formati. Que-
sto fatto fu osservato per la prima volta da Jacquin, e
verificato dappoi da molti altri, fra i quali da Cocteau
che anzi estese su tale soggetto un’ erudita dissertazione
nel Magazin de Zoologie di Guérin.
Esempi di parto viviparo abbiamo però anche in varj
altri rettili, e precisamente fra i nostri contiamo quelli
dell’ Anguis fragilis ancora fra i Saurii, della Vipera e del
Colubro austriaco fra gli Ofidii, della Salamandra fra i Ba-
traci. Siecome osserviamo la stessa eccezione anche in
animali ordinariamente ovipari di diversa Classe, quali
sarebbero ad esempio la Paludina vivipara ed alcune Par-
tule fra i Molluschi, aleuni Ditteri fra gli insetti, molte
specie fra i pesci cartilaginei ecc.
A quanto asseriseono gli auteri. nutresi questa lucer-
tola di varj insetti, dando però speciale preferenza ai
Ditteri. Io posso aggiungere d’ aver sorpresi due individui
nel momento in cui avevano afferrata una mosca, ed un
terzo che teneva fra le mascelle una locusta di monte.
OSSERVAZIONE.
AI colore ranciato più o meno carico del ventre in
questa specie devonsi i diversi nomi che le vennero dati,
di L. crocea dal Wolf e di £. pyrrhogaster dal Merrem.
Sull’ autorità del Principe Bonaparte, di Duméril, e di
altri chiarissimi autori ho collocato nella Sinonimia an-
40
446 :- BETTA
che la Lacerta montana di Mikan, persuaso poi io stesso
con essi che questa non differisca per nulla dalla nostra
specie, a giudicarne e da un’ esemplare ch’ io tengo dalla
Stiria e dalla figura che l’autore presenta (4), e la quale
chiaramente apparisce disegnata sopra individuo della no-
stra specie in cui i lati del collo ed i fianchi sono pun-
teggiati di nero e di bianco; varietà poi della quale preci-
samente trovasene qualche individuo anche nelle accen-
nate località del Tirolo, e già compresa nella esibita descri-
zione specifica.
Lo Tschudi pretenderebbe al contrario che la specie di
Mikan fosse specie distinta, da lui stesso osservata nella
Svizzera e pubblicata sotto il nome di Zootoca montana (2);
ma se anche differisce la sua Zootoca dalla nostra Z. vivi
para pei caratteri di forme e colorazione esibitici nella
frase e nella tavola, non può però mettersi in dubbio, lo
ripetiamo, essere la specie di Mikan la stessa nostra quì
descritta.
(1) Deutschl. Fauna Abt. II. H. 4. t. 4.
(2) Monogr. d. Schweiz. Echsen. pag. 32. 33. t. 1. f. 35. 4
ERPETOLOGIA 147
TI. s. g. PODARCIS WAGLER.
BCE PODARCIS MURALIS
Wagler.
Ital. Lucertola, lucertola dei muri.
Ven. Luserta, lusertola, osertola, bissardola, ot listerte.
Tirol. Luserpa, luserdola, iserdola, bissordola, nanajuela, iserta.
CARATTERI. -
Corpo quasi quadrilatero. Una sola piastrina fra la nasale e la
lorea. Tempie rivestite di squame, in mezzo alle ‘quali una più grande
circolare (disco masselerico). Palato privo di denti. Solco golare distinto.
Collare non dentellato. Scaglie dorsali poligono-orbiculari. Sei serie di
piastre addominali.
Colori del corpo variabilissimi.
SINONIMIA.
Seps muralis Laur. Syn. Rept. p. 641. 162. t. 1. f. hi,
Seps sericeus. Laur. Syn. Rept. p. 61. 460. t..2. f. d.
Lacerta tiliguerta caliscertula Cettì Anf. Sard. p. 18.
Lacerta tiliguerta Latr. Hist. Rept. I. p. 239.
— — Daud. Hist. Rept. III. p. 167.
_ — — Merr. Syst. Amph. p. 64. sp. 7.
Lacerta muralis Latr. Hist. Saiam. p. XVI.
-_ — Merr. Syst. Amph. p. 67. sp. du.
-_ — itz.Verz. Mus Wien. p. 1. (exclus. var. £.)
— — Dugés Annal. XVI. p. 380. t. 15. f. B.
— — — Schinz Fauna Helvet. p. 1538. sp. 2.
4148 ‘iGBEBELITTÀA
Lacerta muralis Dum. Bibr. Erpétol. V. p. 228.
Lacerta Brongnartii Daud. Hist. Rept. III. p. 221.
— — | Fitz. Verz. p. BI. sp. 8. var. y.
Lacerta maculata Daud. Hist. Rept. III. p. 208. t. 37. f. 2.
— — Merr. Syst. Aimph. p. 65. sp. 10°
— —_ Fitz. Verz. p. BI. sp. 8. var. e.
—.. .— ; Risso Hist. ll p. 86.0 _
Lacerta sericea Merr. Syst. Amph. p. 63. sp. 6.
Lacerta agilis Risso Hist. HI. p. 86.
— — Ambrosi Prosp. zool. p. 290.
— — auetor. plurimi. >
Podarcis muralis Wagl. Syst. Amph. p. 433.
—_ —. Zonap. Fauna ital. cum tabul.
Podarcis muralis Tschudi Monogr. p. 34.
— — |. Fitz. Syst. Rept. p. 20.
_ — Betta Rett. Tirol. p. 155.
-_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 15.
— — assal. Saggio p. 3d.
Lacerta saxicola Kryn. Observat. p. BO.
Podarcis Merremii Fitz. in litt. (Bonap.)
— — Fitz. (Parreyss in sched.)
FORME.
Corpo quasi quadrilatero; la testa occupa la quarta parte
della totale lunghezza che si misura dall’ apice del muso
fino alla origine della coda; è in generale distintamente
depressa, ma qualche volta la sua altezza posteriore ugua-
glia quasi la sua maggior larghezza; la sua estremità an-
teriore è sempre acuta. La coda quasi quadrata alla base
si fa ben presto cilindrica assottigliandosi assai verso 1’ a-
pice, e la sua lunghezza costituisce circa i due terzi della
totale lunghezza dell’ animale. Le zampe anteriori, distese
ERPETOLOGIA 449
lungo il collo arrivano ‘alle narici ed anche. all’ apice del
muso; il primo dito è il più breve, il secondo col quinto
ed il terzo col quarto quasi eguali fra loro. Le zampe po-
steriori giungono alle ascelle o le sorpassano, ed hanno
breve il primo dito, alquanto più lungo il secondo, il ter-
zo ed il quinto quasi eguali fra loro, il quarto lungo due
volte il secondo. Le dita sono ‘coperte da piccole lamelle
e la base è a tubercoli granulari. Le unghie sono piuttosto
lunghe, ricurve, acutissime e di color brunastro.
Il palato è sprovvisto di denti (*); 6 a 9 sono i denti
intermascellari; 30 a 34 i mascellari superiori, e più di
40 gli inferiori. Cinque per banda sono le piastre sotto-
mascellari. ada di
Le piastre che coprono il capo. non differiscono da
quelle della L. viridis; la occipitale è molto piccola, ma
sempre di forma triangolare, troncata alla sommità ante-
riore. A differenza però di quella specie, la P. muralis ha
come la Zootoca una sola piastrina fra la nasale e la lorea,
susseguita da piastra grandetta quadrata, e da altra grande
subquadrangolare e leggermente ondulata’ al suo margine
posteriore. Una piastra circolare 0 disco masseterico, varia-
bile in diametro, occupa presso a poco il centro della re-
gione temporale, ed è attorniato da. piccole squame più o
meno arrotondate ed ovali, tranne le quattro o cinque
posteriori al margine superiore dello ‘stesso disco le quali
sono subquadrilatere.
L’orecchio e le palpebre non differiscono quanto ai
tubercoli e alle piastrine da quelle della £. viridis.
(*) Secondo Duméril si trovano, benchè raramente, alcuni individui
della specie nei quali il palato è armato di denti. Vedi quanto si è
detto in proposito a :pag, 121.
450 BETTA
Il dorso è vestito di tubercoli graniformi , piccoli,
poligono - orbicolari, molto ottusamente carenati, e di
eguale forma; ma più appianati sono quelli che coprono
i fianchi. Minutissime sono le scaglie attorno alle attacca-
ture degli arti. Solco golare distinto. Collare costituito da 9
ad 44 squame, la media delle quali quasi del doppio più
grande delle altre; il margine di essa non è dentellato, ma
diritto e continuo perchè quadrate al loro lembo esterno
sono le squame che lo compongono. Dodici lamelle circa
formano il triangolo del petto. | |
Le piastre addominali si dispongono in sei serie longi-
tudinalij sono tutte di forma pressochè quadrata, ed in nu-
mero di 23 a. 25 per cadauna serie. Una sola piastra copre
quasi tutta la regione preanale, ed è circondata ai lati ed in
avanti da doppia serie di piccole squamette. Ad ognuna del-
le coscie si contano da 45 a 20 pori. Le squame della coda
sono lunghe, strette, liscie inferiormente, e disposte in circa
.90 verticilli molto distinti, a margine posteriore quasi con-
tinuo, presentando soltanto una leggiera punta ottusa. Tali
squame sono carenate, ma non: sempre così nel mezzo come
osservasi nelle due specie precedentemente descritte.
COLORITO.
Facilissimi i rettili in generale a variare di tinte e di
colori, questa specie supera però sotto tale riguardo e senza
confronto tutte le altre, offrendoci quante modificazioni di
colorito il capriccio per così dire potrebbe immaginare, tan-
to nelle tinte che le sono proprie, quanto in quelle d’ ogni
altra specie affine ch’essa si usurpa. Troppo difficile im-
presa ed anco impossibile sarebbe quindi tener dietro e se-
gnare tali varietà, che con infinite ed insensibili modifica-
FRPETOLOGIA ADI
zioni di tinte e di macchie vengono poi a collegarsi e con-
fondersi fra esse in modo che il solo pennello potrebbe
rappresentarle.
Tinto il dorso di alcune in grigio, di altre in cenere,
di altre ancora in bronzino, in verde, in rossastro od in
bruno, passa con tutte le possibili modificazioni dall’ uno
all’ altro colore, e adornasi di punti, di striscie, di linee, di
ocelli, di quadrati ed elissi più o meno regolarmente di-
sposti a disegno, e più o meno spiccanti nei molteplici
loro colori sul fondo del dorso. Cangiano di colore e di mac-
chie eziandio le parti inferiori, che vedonsi quando di tinta
uniforme biancastra, verdognola, gialla, rossastra o nera-
stra, quando scaccate di bianco e di nero, di rosa e matto-
ne; e mostrano infine qualche volta non meno un bellissi-
mo azzurro oltremare che spicca sulla serie più esterna
delle piastre addominali.
E quì, prima di specialmente distinguere le varietà che
più comunemente presentansi in queste provincie, torna
utile di osservare col ch. Prof. De Filippi (*) che se il colore
nen deve mai essere preso quale carattere specifico, può
però in qualche caso essere utilmente consultato nella de-
terminazione delle specie, e quì diremo anche della va-
rietà, atteso i moltissimi suoi rapporti colla abitazione stessa
degli animali; rapporti dei quali facilmente si è convinti
ricordando fra i rettili stessi alcuni dei casi dal prelodato
autore esibiti: il color bruno cioè, di questa nostra comu-
ne lucertola solita a vivere fra i muri, le macerie e sulle
aride rupi, confrontato col bellissimo verde del ramarro
dei prati; il bel verde della nostra Ila solita a poggiarsi
sulle foglie degli alberi, confrontato col verde più cupo
(*) Regno Animale. pag. 254.
452 BETTÀ
delle erbe palustri nella Rana comune, e colle tinte della
Rana temporaria ritraente il colore di foglia morta domi-
nante nelle aride campagne in cui fa dimora. i
Ciò premesso è conseguente di ammettere per la nostra
specie due distintissime varietà, dipendenti appunto dalle
relazioni loro coi luoghi rispettivamente abitati. Di fondo
brunastro o grigiastro si osserva infatti il dorso degli indi-
vidui che più comunemente fanno dimora fra i muri e le
macerie; mentre lo hanno di color verde quelli che assai più
dei primi, od anzi esclusivamente dimorano nei campi o
seorrono sulle verdi siepi delle campagne. Da quì le due
principali varietà che si descrivono:
A. var. muralis auctorum — Dorso di color grigio, gri-.
gio- verdastro, rossastro, brunastro, o di altra delle
molteplici gradazioni di tinte prodotte da modifica-
zioni e fusioni di tali colori.
B. var. campestris Betta. — Dorso di un bel color verde
uniforme più o meno vivo, con una larga fascia lon-
gitudinale che dall’ occipite va sulla coda, per lo più
brunastra, continua, con maggiore o minor numero di
macchie fosche od anche nere più 0 meno estese o
discoste fra esse. Talvolta questa fascia non è che
debolmente segnata e macchiata di nero; talvolta
residua costituita soltanto da macchiette nere inter-
rotte sul collo, assai di rado segnate su tutto il dorso.
Due altre linee consimili collocate sui fianchi, fanno
maggiormente spiccare il verde del dorso che, chiuso
così fra esse e la dorsale, foggia due larghe fascie di
tal vivo colore. Queste linee dei fianchi sono anche
marginate sopra e sotto di bianco, e la marginatura
superiore disponesi in riga bianca, continua e spic-
ERPETOLOGIA i 153
cante più della inferiore. Macchie pur bianche ve-
donsi quà e là nelle stesse fascie. Il capo è di color
brunastro più o meno carico, e più o meno sparso
di piccole macchiette o punti neri. Le parti inferiori
sono di color uniforme biancastro, giallastro, o giallo-
verdognolo, od anche rossastro.
‘Alla var. A. si è soltanto accennato il colore dominante.
del dorso onde far risultare a tutta prima la differenza
sua dalla campestris. Se però rarissimo riesce che la livrea
di questa esca dai limiti di colorazione ‘e disegno asse-
gnati, non così facilmente ponno determinarsi i confini del
colorito, della configurazione e disposizione delle macchie
nella muralis; per cui vale precisamente per essa quanto si
è avvertito in genere sui svariati e molteplici disegni sotto
i quali possono quelle foggiarsi. In particolare osserveremo
solo che gli individui più comunemente portano sul dorso,
che è di color cenerognolo o brunastro più o meno spie-
gato e qualche volta dorato, una linea longitudinale costi-
tuita da una serie di macchie interrotte nerastre e bian-
castre che dall’ occipite va fin sulla coda. Altre ‘due linee
corrono lungo i fianchi alquanto più fosche e più marcate
delle dorsali, più o meno distintamente listate in bianco,
e sparse di macchie pur bianche e nerastre.
In altri individui, non meno frequenti, scorgesi appena
qualche traccia delle linee fosche ai fianchi, ed il loro
dorso è tutto vermicolato di nero, talora a foggia di rete.
Sì negli uni che negli altri poi le parti inferiori sono di
color bianco verdastro, più o meno cosperse di piccole
macchie nerastre, ora disposte in ordine seriale, ora irre-
golarmente sparse ed anche di irregolare figura.
Queste macchie risultanti talvolta di un bel color
mattone, e le tinte pure variabili delle parti addomi-
{54 : BETTA
nali hanno suggerita la distinzione di altre varietà desunte
dal colore dominante del fondo, e dal colore delle mac-
chie che quasi intieramente coprono il fondo stesso.
Della var. A. muralis auctorum, distingueremo Special-
mente le seguenti :
Var. ad. nigriventris Bonap. — Il dorso è rossastro ‘0 bru-
no-verdastro reticolato in nero; il di sotto bianca-
stro scaccato largamente in nero.
var. db. albiventris. — Dorso grigiastro o -grigio dorato,
“variamente macchiato; gola e ventre di color bian-
co con insensibilissima tendenza al verdognolo. ..
var. c. rubriventris. — Dorso variopinto; il di sotto di
«un bel color rosso più o meno intenso, uniforme
o sparso di rare macchie nerastre, o scaccato in
rosso mattone. i
var. d. eupreiventris Massal, — Dorso come l'‘antece-
dente, ma con maggior tendenza all’ olivaceo; ven-
tre e gola di una tinta. uniforme di rame molto
accesa.
Var. e. flaviventris. — Dorso reticolato in nero; gola ver-
dognola con macchie nerastre; ventre di un bel
color giallo con piccole macchie nere disposte. in
serie quasi regolari lungo le piastre addominali.
DIMENSIONI.
I nostri esemplari misurano in lunghezza da centime-
tri 16 a 24, dei quali la coda ne occupa quasi due terzi.
La testa misura nei maggiori individui millimetri 17 a 20.
ERPETOLOGIA 455
| ABITAZIONE E COSTUMI.
Comunissima questa specie in. tutto il Veneto e nel
Tirolo, è però non sempre frequente, od anzi rara in qual-
cheduna delle varietà suaccennate. Così nel basso .Vero-
nese, mel. Padevano, e presso Venezia ‘soltanto, e sempre .
esclusivamente nelle campagne o sulle siepi verdi, può
dirsi frequente la var. campestris, che in Tirolo scontrai
solo e rarissima presso Ala e Rovereto. Al Veronese ed
alla Valle di Non nel Trentino appartiene la var. d. Presso
Verona e Vicenza soltanto raccolsi la bella var. e.; nel
Veronese, Vicentino e Padovano la var. c.
La lucertola dei muri, la quale si pasce di mosche, di
insetti e di lombrichi, vedesi ovunque possa far preda di
tali animali, e trovasi quindi lungo le strade, sui muri a
secco, fra le sterili siepi, negli orti e persino. nelle case.
Agile assai, movesi con rapidità, e favorita dalle sue acu-
tissime unghie sale e percorre facilmente a perpendicolo
le muraglie, quando però non-sieno molto levigate. Soffre
il caldo ed il freddo meno delle altre lucertole, ed è quindi
la prima a comparire dopo l'inverno, e I° ultima a rinta-
narsi nell'autunno. Predilige le posizioni ed i muri a secco
ben soleggiati, ed ama anzi starsi esposta ai raggi solari.
Ricoverasi fra i crepacci delle muraglie, sotto i sassi, fra
i cespugli, e vi annida deponendo da 9 a 13 uova in una
piccola tana a ciò previamente disposta. Fugge quando so-
spetti pericolo, ma anche arrestata 0 presa morde assai
difficilmente, o la sua morsicatura è leggiera. Colla massi-
ma facilità perde la coda, ma poi colla stessa facilità Ja
riproduce, portandola talvolta anche doppia 0 triplice. Co-
me si ebbe già ad osservare altrove, non si riproducono
456 BETTÀ
però le vertebre della parte troncata, in luogo delle quali
formasi invece soltanto una sostanza cartilaginea.
OSSERVAZIONE.
Nei cataloghi e nelle opere di molti autori, e special
mente poi nelle poche enumerazioni dei rettili spettanti
alle nostre Provincie (avvertite già nella Prefazione), figura
questa lucertola sotto Ja denominazione di Lacerta agilis
Linn.; errore mantenuto dalla consuetudine di accordare
tal nome alla specie che più abbonda nel paese di chi
scrive o raccoglie, e dal fatto che molti Zoologi italiani
applicarono precisamente quel nome alla nostra muralis.
Senza potere indubbiamente provare se lo Svedese na-
turalista abbia con quel nome distinta una specie propria
di quella regione, o se piuttosto sotto quell’ unica deno-
minazione abbia comprese varie specie dei nostri paesi, è
però certo che la Z. agilis Linn. quale ci viene distinta e
figurata dal Principe Bonaparte, quale fu accettata e rite-
nuta da tutti i moderni autori, e quale è descritta da Du-
méril e Bibron sotto 1’ altro nome datole dal Daudin di
L. stirpium, non venne mai fino ad ora incontrata nelle
nostre provincie. Essa è specie settentrionale e raramente
trovasi in Italia ove, al dire di Bonaparte, sembra essere
confinata ad alcuni distretti superiori. Duméril e Bibron
che la osservarono in Francia, nell’ mghilterra, nella Sviz-
zera, e Sicilia assicurano abitare essa i piani e le colline,
tenendosi lungo i confini dei boschi, dei giardini, o- fra i
vigneti, ma giammai recarsi fra le montagne.
Tutte queste ragioni mi inducono a ritenere quindi altro
non essere che la muralis la specie che il ch. Prof. Catullo
ERPETOLOGIA 157
nomina come Z. agilis abbondante nelle Alpi Bellunesi (4);
siccome devesi ritenere che una semplice varietà della co-
mune lucertola abbia indicato come Lacerta argus Laur. che
dà pure come abitatrice di quelle località. (2) — Forse non
ebbe poi presente che la argus del Laurenti altro non è che
un giovine individuo della stessa Z. agilis di Linneo.
Così non puossi ritenere che per la campestris 0 per
qualche altra varietà, la Z, agilis. che ‘colla muralis leggesi
enumerata fra i rettili della provincia di Venezia (3). —
Quanto alla LZ. agilis Linn. indicata dal ch. Ambrosi di
| Borgo (4) come specie comunissima nel Trentino, altro
essa non è in fatto che la Podarcis muralis, siccome potei io
stesso verificare sugli esemplari suoi. Una varietà di questa
è poi anche l’ altra specie che nomina L. Laurentii Daud.,
denominazione specifica che deve essere cancellata perchè
sinonima della vera L. agilis.
NOTA.
Non è tacersi come mentr’io segno con nuova denomi-
nazione la bella e costante varietà a dorso verde, le spetterà
forse il più vecchio nome di tiliguerta 0 caliscertula imposto
dal Cetti ad un lacertino della Sardegna, e sul quale tanto
discordi si mantennero gli autori, sostenendo alcuni fra essi
(1) Geognosia- delle Prov. Venete. pag. 172.
(2) « Lacerta «argus- Laurenti. Il fondo del colore è brunastro, con
macchie gialliccie, attorniato da una linea nera. Queste macchie sono ap-
pena visibili sul dorso, ma molto appariscenti sui lati. Corre sopra i
muri come la precedente (la Z. agilis) e. vedesi più spesso nelle cam-
pagne che nelle città. » = Geogn. p. 172. i
(3) Venezia e le sue Lagune. Vol. II. p. 159.
(4) Statistica del Trentino. Vol. I. p. 290.
158 BETTA
appartenere quella specie del Cetti alla sinonimia della La-
certa viridis, altri a quella della nostra muralis. In proposito
però io credo che se quanto ne lasciarono scritto Latreille,
Daudin, Merrem, Cuvier ed altri, dovea rendere per verità
assai dubbiosa la corrispondenza della tiliguerta ad una va-
rietà di colorazione della muratlis, di tale corrispondenza non
si possa ora più dubitare in seguito agli studj ed alle ricer-
che dei più moderni autori, fra i quali deve nominarsi il
Prof. Genè ehe in una erudita sua Dissertazione intorno alla
tiliguerta del Cetti (A) ne provò la sua identità speeifica
colla muralis; identità accettata ed ammessa ora dai Hu
valenti Erpetologhi d’ oggidì. i
Che poi la campestris potesse e essere la stessa tiliguerta 0)
caliscertula me lo farebbe sospettare la descrizione data da
Duméril di una varietà della muralis (2) avuta dalla Sicilia
e da Roma, alla quale riporta la specie del Cetti, e che mol-
to si avvicinerebbe pel colorito agli individui compresi sotto
la mia varietà; siccome me lo farebbe pensare ancora più il
trovare indicate dal ch. Prof. De Filippi (3) come « eonni-
» niventi nella valle del Po, ma in stazioni affatto separate,
» la lucertola dei muri a dorso di color bruno, e la lucertola
» assai più campestre ed a dorso verde » ch’ egli chiamereb-
be appunto la tiliguerta. Ciò non pertanto mancandomi
ancora più precise descrizioni e cognizioni della tiliguerta,
non potrei usare pei nostri individui di tale denominazione,
e, almeno pel momento, ritengo Quindi a essi quella da
me proposta.
(41) Memorie dell’ Accademia di Torino. Tom. XXXVI. pag. 302.
(2) Duméril e Bibron, Erpetol. Lacerta muralis var. h. — Tom. V.
pag. 234.
(3) Regno Animale, pag. 258.
ERPETOLOGIA 459
La costante differenza di abitazione della tiliguerta. e
della lucertola dei muri ha fatto pensare anche ad upa loro
differenza specifica, e.di tale parere dichiarossi anzi lo stesso
Prof. De Filippi, il quale in un suo Cenno sulla tiliguerta del
Cetti (4) ripetendo la suriportata osservazione sulla conni-
venza delle due lucertole nella valle del Po, vi aggiunge la
notizia che la tiliguerta « nell’ Italia meridionale e nelle
» grandi isole di Sardegna e di Sicilia trovasi sola, mentre
» per lo contrario al di là delle Alpi manca affatto, e lascia
» alla lucerta de’ muri il dominio esclusivo ». (2) — Se
questo fatto interessa assai l’ attenzione degli erpetologhi, e
prova certamente esistere una varietà assai bene distinta,
non credo però assolutamente che. possa aversi a base di
una. distinzione specifica; tanto più che fuori del colore del
fondo e della differenza di abitazione delle due lucertole
non havvi, come confessa lo stesso ch. Autore, alcun altro
carattere esterno di distinzione, nè nella proporzione delle
varie parti del corpo, nè nel numero e nella disposizione
delle squame o dei pori femorali. A tutto ciò io posso poi
anche aggiungere che nessun carattere differenziale presen-
tano neppure gli scheletri delle due lucertole, minutamente
esaminati e confrontati tra loro.
(1) Annali di Bologna. Serie III. 1852. Tom. V. pag. 69.
(2) Le due varietà muralis e campestris trovansi conviventi anche
nella Romagna, sulle mura d’Imola la prima, nelle adjacenti campagne
la seconda. Varj esemplari me ne furono comunicati dal Sig: Giacomo
Tassinari, al quale rendo qui pubblica testimonianza d° obbligazione per
avermi falto possessore di alcuni altri rettili di quelle località.
160 BETTA
Fam. IL Anguidi.
Gen. ANGUIS LINN. (EMEND.)
GI ANGUIS FRAGILIS
. Linn. -
Ital. Angue fragile, Lucignola, Ghiacciolo.
Ven. Orbarolo, orbesin, orbisigola, orbisiola, bisso de vero,
bissorbola, uarbit, uarbitul, sgurbisul.
Tirol. Orbisola, orbarola, vercia, verm de vero.
CARATTERI.
Corpo cilindrico, serpentiforme, senza gambe; capo coperlo di scu-
detti. Tutto il corpo rivestito sotto e sopra di squame omogenee, lucide,
dilatate, embricate, esagone. Coda lunga quanto il tronco ed anche più.
Celorito vario, il più spesso però di un color uniforme di bronzo
pattinato al di sopra, piombino al di sotto.
SINONIMIA.
Anguis fragilis Linn. Syst. Nat. I. p. 392.
_ — Laur. Syn. Rept. p. 68. 178. t. bf. 2.
_ — Gmel. Syst. Nat. L p. 1122.
_ — Donnd. Tool. II. p. 248. sp. 14.
-- — Shaw Zool. III 2. p. 579.
_ — Retz Fauna Sueec. p. 296.
— — Schneid. Hist. Amph. Il. p. 344.
_ — Zolf in Sturm Deutschl. Fauna HI. 3.
—_ — . Latr. Hist. Rept. IV. p. 209.
ERPETOLOGIA 164
Anguis fragilis Daud. Hist. Rept. VII. p. 327. t, 87. f. 2.
_ — Merr. Syst. Amph. p. 79. sp. 4.
_ — Frivald. Mon. serp. Ungar. p. 31.
—_ — Metaxa Mon. serp. Rom. p. 51.
— — Bendiîsc. Mon. serp. Mantov. p. HB.
— — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. b3.
- — Risso Ilist. III. p. 88. sp. 14.
— — Flem. Brit. Anim. p. 155.
—_ — Vagl. Syst. Amph. p. 159. gen. 70.
—_ — Cuvîer Règne anim. p. 98. t. 24. f. 2.
_ — ZBonap. Fauna ital. cum tab.
-. — Schinz Fauna Helvet. p. 140.
— — Kryn. Observat. p. dI.
— — Tschudi Monogr. p. 37.
— — Dum. Bibr. Erpétol. V. p. 792.
— —. Betta Rett. Tirol. p. 1B4.
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 17.
_ —. Massal. Saggio p. 7.
Anguis eryx Linn. Syst. Nat. p. 262.
— — Gmel. Syst. Nat. p. 1124.
— — Donnd. Zool. III p. 248. sp. 13.
- — Shaw Zool. HI. p. 580.
— — etz Fauna Suec. p. 294.
— — Latr. Hist. Rept. IV. p. 216.
_ — Daud, Hist. Rept. VII. p. 337.
— — Merr. Syst. Amph. p. 80.
— — Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. #18.
Anguis lineata Laur. Syn. Rept. p. 68.
— — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1422.
—_ — Donnd. Zool. HI. p. 248. sp. 17.
— — Wolf in Sturm Fauna IH. 3. (juven.)
i — Kryn. Observat. p. BI.
Anguis clivica Laur. Syn. Rept. p. 69.
— _._—- Gmel. Syst. Nat. L p. 1122.
LÌ
4162 BETTA
Anguis clivica Donnd. Zool. III. p. 213. sp. 18.
Caecilia typhlus Ray Syn. Quadrup. p. 289.
Anguis cinereus Risso Hist. II. p. 88. sp. 18.
Anguis bicolor Risso ibid. sp. 16.
? Anguis incerta Kryn. Observat. p. 52. tab. 1.
FORME.
Corpo allungato come i serpenti, cilindrico, uniforme
in tutta la sua lunghezza fino all’ ano; coda pure cilin-
drica, lentamente assottigliantesi verso la punta, che è al-
quanto tozza e che termina in modo da sembrar troncata.
La coda, che è soggetta a rompersi colla massima facilità,
è lunga quanto tutto il corpo ed anche più.
La testa è conformata a piramide quadrangolare, smus-
sata all’ apice molto arrotondato, inferiormente depressa,
superiormente alquanto convessa; sì unisce al tronco senza
il minimo risalto, tranne un tenuissimo rigonfiamento
verso le tempie. Le narici sono rotonde ed esili, e si
aprono vicinissimo alla punta del muso. Gli occhi sono
piccoli, vivaci, e trovansi in una specie di avvallamento
che da ambe le parti si estende fino ai fori delle narici.
La bocca è armata di piccoli denti acuti, ricurvi verso la
gola, ed il suo squarcio innoltrasi pochissimo al di là delle
orbite.
Il capo è coperto di numerosi scudetti ; la piastra ro-
strale è piccola, triangolare, equilatera, arrotondata alla
sommità ; le nasali piccole, annulari e collocate ai lati; la
piastra del vertice, maggiore di tutte quelle che rivestono
il capo, è di forma elittico-poligona, e circondata da molte
altre simmetriche e ben definite; la frontale grande e rom-
boidale; la occipitale grande e triangolare ; le parietali, che
ERPETOLOGIA 163
vi confinano, di forma pentagone-oblonga ed obliqua; al-
l’ angolo della occipitale e fra le due parietali trovasi una
squama grandetta a margine arrotondato posteriormente,
al di là della quale compariscono gli ordini di quelle
omogenee che coprono tutto il tronco. Otto scudetti mar-
ginali per ciascun lato vestono le labbra; la palpebra in-
feriore dell’ occhio è vestita di piccole squame spesse e
poligone.
Le squame di tutto il corpo sono lucide, dilatate, liscie,
embricate, esagone, e disposte a romboide attorno al tronco
in 25 serie longitudinali.
COLORITO.
Il variabile colorito di questo Sauro, solito a subire
nei varj stadii dell’ età sua sensibili e distinte modifica-
zioni di tinte, ha dato causa alla creazione delle varie
specie nominali indicate nella Sinonimia, le quali tutte
devono essere riferite alla nostra, che è forsanco |’ unica
del genere a tutt’ oggi conosciuta.
1 neonati hanno il dorso di un bel colore canarino
pallido o di un color bianco puro, sul quale spicca una
stretta linea nera che parte dalla nuca, e percorrendo il
mezzo del corpo va fino alla estremità della coda. I loro
fianchi ed il di sotto del corpo sono di un bellissimo nero
assai spiegato, e qualche volta tendente al turchino. Nei
giovani la linea dorsale nera è talvolta fiancheggiata da una
ed anche da due altre linee brunastre, puntiformi, ed equi-
distanti tra esse.
Mano mano che l’ individuo cresce, questa colorazione
va modificandosi e perdendosi, e negli adulti si osservano
le seguenti principali varietà :
464 BETTA
var. a. vulgaris, — Parte superiore del corpo di una tinta
uniforme di color di rame o di bronzo, o di color
grigiastro, o di un bruno marrone più o meno
chiaro; i fianchi di color nerastro, e le parti infe-
riori di color plumbeo più. o meno spiegato.
var. db. lineata. — Parte superiore del corpo come la pre-
cedente, ma con una linea longitudinale sul dorso,
di color nerastro, talvolta duplice ed accompagnata
da biancastra marginatura; il più spesso però unica
ed ondeggiante. UP Trai
var. c. grisea. — Parte superiore di un color grigiastro
uniforme che mostrasi più sbiadito al di sotto.
Testa screziata di macchie nere disegnate con qual-
che regolarità sugli scudetti del capo.
var. d. nigriventris Bonap. — Corpo di un color rosso
castagnino uniforme, col corpo .screziato di nero:
Il di sotto del tronco e della coda di color nera-
stro tendente al turchino. ! i.
var. e. fusea. — Parte superiore del corpo di una. tinta
uniforme bruno-marrone carica; assai raramente
vi si scorge una linea dorsale grigiastra puntifor-
me. Parte inferiore nerissima.
Bellissima varietà offertami da esemplari presi
sulle montagne di Fondo nella Valle di Non.
Il colorito proprio dei vecchi individui è verde-cinereo
o verde-giallognolo uniforme, colle parti di sotto del troneo
e della coda di color piombino assai chiaro.
Notisi che generalmente le mascelle sono punteggiate
in fosco, con diverse macchie nerastre sparse sotto la in-
feriore sino alla gola. Una lucentezza metallica: risplende
sempre sul corpo. L’ iride è nera; la lingua è pur nera
all’ apice, ma tingesi di carnicino. aila base.
FRPETOLOGIA 465
DIMENSIONI.
L’ ordinaria lunghezza cui giunge è dai 30 ai 36 cen-
timetri, col diametro di 8 a 13 millimetri. Gli indi-
vidui della var. /usca misurano in lunghezza centim. 37
a 39. La maggior grossezza sino ad ora osservata è di mil-
lim. 45 in diametro, offerta da un’ esemplare il cui capo
fino all’ano è lungo centimetri 24, mancandogli poi total-
mente la coda, in esso rappresentata soltanto da un monco-
ne ottuso, lungo appena 2 centimetri. Questo vecchio indi-
viduo doveva quindi nel suo stato perfetto toccare la lun-
gliezza almeno di 42 a 45 centimetri.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Comunissimo in tutto il Veneto e nel Tirolo, abita indi-
stintamente i piani, le valli ed i monti, le selve ed i prati;
incontrasi vicino alle abitazioni fra le macerie, lungo le
strade, fra le siepi, frammezzo all’ erba; trovasi sotto i
‘sassi, in siti percorsi dalle acque, e più raro mostrasi sol-
tanto, e finalmente sparisce colà ove la mancanza di om-
bra lo esporrebbe ai vivi raggi del sole, che teme non
meno che il freddo,
Innocente e tranquillo, fugge all'avvicinarsi di alcuno,
ma anche ruvidamente fermato od irritato non usa mai
de’ suoi denti, che sono poi tanto corti e minuti da poter
difficilmente forare la pelle. Anche lo squarcio della bocca
sua è così breve che non potrebbe neppure afferrare vo-
‘ lendo mordere. Lungi quindi dal ricorrere al morso. per
sua difesa non apre nemmeno la bocca.
466 i BETTA
Giova avvertire che nel prendere colla mano questo
debole animate devesi di quando in quando modificare e
moderare la forza con cui lo si tiene serrato fra le dita,
e permettergli che il collo o la parte superiore del corpo
possano accompagnare le contorsioni del tronco e della
coda, giacchè in caso diverso succederebbe assai facilmente
di vedersi spezzato in mano l’ individuo; siccome non
meno facile a rompersi è desso allorchè venga percosso
anche da leggerissimo colpo. Ma questa fragilità è ben
lungi dall’ essere quale la raccontano molti e quale la
crede il volgo, da far sì cioè che si spezzi da per sè
stesso qualora violentemente si contorca anche senza. es-
sere toccato. La natura ha poi provveduto a tali frequenti
accidenti, e vi ripara colla stessa facilità accordatagli di
riprodurre la parte troncata della coda.
Per la stessa somma flessibilità di tutto il corpo è ce-
lerissimo a strisciare sul suolo, si ravvolge in ogni guisa,
può attortigliarsi in anguste spire, e spiccar salti a non
piccole distanze.
Nutresi di vermi e di insetti, e secondo alcuni autori
anche di piccoli molluschi terrestri. Si tiene sempre vi-
cino alla sua tana, rimanendovi celato durante la pioggia
e per una parte del giorno; o poco se ne discosta per es-
sere a portata di rifuggiarvisi ad ogni bisogno. Cangia
epidermide in Luglio od in Agosto, ed al primo avvici-
narsi del freddo ricoverasi in piccole buche, o nelle fes-
sure del terreno, o sotto le pietre per passarvi tutto l’in-
verno. Non si fa poi vedere che a primavera avvanzata,
nella quale stagione si accoppia come i serpenti, avvitic-
chiandosi i sessi l’uno attorno all’ altro e restando così
congiunti per qualche tempo. i
ERPETOLOGIA A67
.La femmina, un mese circa dopo la fecondazione, par-
torisce 7 a 10, e secondo Bonaparte 8 a 16 figliuolini non
più lunghi di sette centimetri. Forse i neonati vivono in
società per qualche tempo, e questo me lo fa supporre la
circostanza occorsami non rare volte, e specialmente alla
Punta di S. Vigilio sulla sponda veronese del Benaco, di
aver sorpresi nei mesi caldi 5 a 7 individui giovani rico-
verati ed uniti sotto ad un solo sasso. Mai all’ invece ebbi
ad osservare unione di adulti, i quali anche laddove ab-
bondano più, restano distanti fra loro, od al più appiattansi
in due nello stesso nascondiglio.
Tenuto in schiavitù rimane molto tempo senza man-
giare, ed anzi non prende cibo alcuno e muore dopo il
trentesimo o quarantesimo giorno, qualche rara volta an-
che dopo due mesi. Mantiensi sempre mansueto e tranquillo,
nè mai occorsemi di scorgere in esso se aspramente toccato
od aizzato, altra dimostrazione di paura o di collera che
quella di un leggerissimo soffio accompagnato da forte con-
torsione e rigidezza di corpo.
E quindi ingiustamente temuto, e fra le favole si devono
senz'altro passare i racconti del volgo, e di chi fra noi anco-
ra crede questo rettile dotato di sì tremenda proprietà vene-
fica da uccidere col semplice sguardo; e di chi narra essere
l’Angue il settimo figlio della vipera e doversi temere poi-
chè assai più velenoso della madre sua; e di chi lo crede
cieco facendone argomento di volgare pregiudizio, da cui
appunto deriva il nome vernacolo di orbesin, orbarola ecc.
e di chi crede in fine che spezzandosi come il vetro nascano
dalle sue parti staccate altre serpi non meno pericolose.
Tutte queste ed altre consimili bizzarre e fantastiche
invenzioni, se già sarebbero assurde quando fossero ap-
plicate a qualcuno dei più nocevoli serpenti, sono assur-
468 BETTA
dissime quando vengono attribuite a questo Sauro che è
il più tranquillo ed il più innocente d’ ogni altro rettile,
E vorrei che di ciò finalmente si persuadessero sopra-
tutto molti dei nostri villici che si lasciano invadere da
profondo spavento ogni qualvolta incontrano, 0 special-
mente all’ epoca della falciatura danno il piede in questo
animale. Che se infatti a luogo di fuggire a precipizio,
quasi che veramente la presenza e la vicinanza di esso
fossero portatrici di morte, si stessero fermi per poco ad
osservarlo, lo vedrebbero rapidamente strisciare per allon-
tanarsi dal luogo ove fu scoperto, e sottrarsi al pericolo
che potrebbe sovrastargli.
ERPETOLOGIA 169
Ord. IN. OFIDIL O
Corpo cilindrico e molto allungato, senza collo distinto,
senza gambe e senza natatoje; mancanza di palpebre mo-
bili e di timpano distinto; mascelle assai dilatabili ed ar-
mate sempre di denti; cute infine assai estensibile e co-
perta di scaglie, sono i caratteri essenziali e sistematici
pei quali i serpenti od Ofidii, distinguonsi assai agevol-
mente fra tutti gli altri rettili non solo, ma fra tutti ben
anco gli animali vertebrati.
Ben altri però, fuggevoli, poce precisi od anche fallaci
erano per lo addietro i caratteri dell'Ordine, la cui storia
presenta una sequela di confusioni ed errori in cui si
mantenne fino al principiare del corrente secolo. Arbitra-
rie classazioni, insufficienti e troppo artificiali sistemi con-
fondevano questi animali con altri essenzialmente diffe-
renti per organizzazione, struttura, abitudini e costumi;
nè è poi ancora molto che i naturalisti riguardavano
i serpenti come i soli e veri Rettili, comprendendo gli
altri tre oòdini nella distinta classe dei Quadrupedì ovipari.
Le prime notizie esatte che dopo qualche più antico auto-
re si abbiano sui serpenti, trovansi già nei preziosi libri di
Aristotele, ma sgraziatamente essi risentono di troppa buo-
na fede lorchè vi si leggono le favole ed i pregiudizj di
quell’ epoca intorno a questi animali. E Plinio che vi
fece seguito riportandone tutte le erronee credenze, com-
(*) dots. serpente.
470 BETTA
mentandole anzi, amplificandole, ed aggiungendone di
proprie e del suo tempo, talchè il Laurenti non esitò a
chiamarlo Mendaciorum Pater (*), ha contribuito non poco
a convalidare e mantenere le favole che svisarono questo
importantissimo ramo della Zoologia, e che sempre in
maggiori e più fantastiche superstizioni fu travolto colle
successive opere del Gesner, dell’ Aldrovandi, e di Jonston,
nelle quali trovansi di più descritti alcuni esseri chimerici
chiamati Dragoni, che non lasciarono poi anche d’ illu-
strare con figure.
Fino allora però mancava qualsiasi classificazione ©
sistema e solo erano nominate o descritte aleune delle
specie conosciute, siecome fra le velenose la ceraste, l aspi-
de, la vipera, della quale anzi Plinio descrive i denti un-
cinati come sede del veleno già conosciuta dagli antichî.
Il teologo inglese Ray fu il primo (4693) degli autori ge-
nerali che abbia dato un saggio di classificazione dei ser-
penti; ma il suo sistema fu presto abbandonato perchè fon-
dato sopra caratteri insufficienti e poco naturali, ed è
a Linneo che devonsi i primordj di una classificazione e
di un sistema che perfezionò sempre più nelle molte edi-
zioni del suo Systema Naturae.
Soltanto in tempi a noi molto vicini la scienza co’
suoi luminosi progressi ha stabiliti i precisi limiti entro
i quali devonsi ripartire e dividere i rettili, non compren-
dendo fra gli Ofidii che un certo nnmero, costituente un
ordine assai caratterizzato e distinto della loro Classe. Ed è
poi solo in epoca più recente ancora che circoscritto que-
st’ ordine da più naturali ed essenziali caratteri di orga-
nizzazione e struttura, lo vediamo finalmente spogliato di
(*) Synopsis Replil. pag. 153.
ERPEFTOLOGIA 4174
quelle specie che per sole apparenze, ma senza fonda-
mento scientifico, vi appartenevano secondo le anteriori
classificazioni. Ciò dicasi ad esempio per l’ Anguis fragilis
il quale benchè privo di piedi ed affettante tutta la forma
di un serpe, tanto se ne allontana per i proprii importan-
tissimi caratteri esterni ed interni già in addietro avvertiti,
da dover prendere posto fra i Saurii. Da questo si scorge-
rà come non già la mancanza di piedi sia ancora il segno
pel quale si possano distinguere con sicurezza i veri ser-
penti dagli altri rettili; sibbene i caratteri premessi in
capo a quest’ Ordine, colla facoltà tutta lor propria di dila-
tare enormemente la bocca a segno da poter trangugiare
corpi superanti in grossezza la propria mole; facoltà che
dipende da una organizzazione tutta speciale a questi ani-
mali. Le branche infatti della mascella inferiore non sono
anteriormente saldate l’una all’ altra in modo da costituire
un’ osso continuo come in tutti gli altri vertebrati., ma
sono invece semplicemente connesse sul davanti e tenute
unite da ligamenti cedevoli ed elastici, in modo che gli
apici delle stesse branche possono scostarsi considerevol-
mente l’ uno dall’ altro per dilatare la boeca. Inoltre le basi
della mascella non sono ricevute in una cavità articolare i
ma si attaccano all’ invece, ciascuna dal proprio lato, a
due lunghi ossicini interposti fra esse ed il cranio e facenti
officio di leva; e siccome sono mobili all’innanzi, all’ indie-
tro ed ai lati, così anche la mascella gode di tutti i movi-
menti di regresso, progresso ed allargamento.
Nove sono i serpenti fino ad ora veduti in queste pro-
vincie e-quì descritti, i quali, seguendo la divisione già
tracciata dai più insigni maestri dell’ Erpetologia e fon-
dandoci sulla presenza o meno dei denti veleniferi, vengo-
472 SUBITA
no naturalmente a ripartirsi nelle due sezioni di ofidii
senza denti del veleno, e di ofidii con tali denti.
Comprendiamo i primi nella nostra famiglia dei Colubri-
ni, i secondi nella famiglia dei Viperini; sei delle nostre
specie appartengono alla prima, tre alla seconda. Dei Colu-
brini, si distribuiscono due specie nel genere Coronella, due
nel gen. Coluber, e due nel gen. Fropidonotus. Dei Viperini,
uno spetta al gen. Pelias, due al genere Vipera.
Volendo offrire una succinta storia ed i principali carat-
teri dei cinque generi adoitati pei nostri ofidii, diremo:
I Gen. CORONELLA (LAUR.) SCHLEGEL.
Fondato dal Laurenti (1768) comprendeva specie di
generi troppo distinti perehè non avesse dovuto subire va-
rie modificazioni e restrizioni. Limitato quindi da Boie alle
sole specie che per la forma loro sì avvicinavano alla Coro-
nella austriaca, data dal Laurenti quale tipo del genere; am-
messo poi da Fitzinger e da Wagler con significati diversi,
lo troviamo quasi nuovamente creato dallo Schlegel (41837)
che vi comprese tutti gli ofidii affini per forma ed orga-
nizzazione ai veri Colubri, minori però quanto alla statura.
Assai di recente i sigg. Duméril e Bibron (1854) hanno
poi nuovamente modificato questo genere, assegnandogli
altri caratteri ed estremi che quì però non occorre di ri-
cordare.
Sono caratteri -del nostro genere: Capo breve, più 0 me-
mo distinto dal tronco, superiormente in declivio dal suo ver-
tice alla estremità del muso, coperto da 9 scudi regolari e sim-
metrici; due piastrine oculari posteriori, una sola anteriore.
Corpo subpentagono, quasi cilindrico, ma un poco più ingros-
ERPETOLOGILA 4783
sato nel mezzo; squame del corpo liscie e lucenti; coda non
molto lunga.
II. Gen. COLUBER LINN, ( EMEND. )
Nella semplicità del sistema Linneano comprendeva
questo genere tutti gli ofidii nei quali la parte inferiore
della coda era coperta da piastre divise, e vi si contenevano
quindi tutte le specie nostre in allora conosciute, tanto
velenose che non velenose. Separatine più tardi gli ofidii
provveduti di denti del veleno, noi lo vediamo in seguito
tanto modificato, cangiato e scomposto dagli autori, in modo
da richiedersi niente meno che il riassunto di tutta la storia
dell’ Ofiologia per tesser quella del nostro genere. Basterà il
dire che I ordine degli ofidii stabilito da Linneo in soli sei
generi ( compresi i tre ora esclusi Anguis, Amphisbaena e
Caecilia) fu scomposto dal Laurenti in 17, compresi quei tre,
più il genere Chalcides provveduto di piedi a dita distinte.
Daudin portò il numero dei generi di quest Ordine a 25,
Merrem a 23, Wagler poi fino alla straordinaria cifra di 97,
e Fitzinger di 85, distribuiti in 20 famiglie con 200 distin-
zioni sottogeneriche, mentre 450 circa. sono le specie co-
nosciute.
Parlando poi in specialità del genere Coluber di Linneo,
dal quale solo può dirsi essere scaturita la numerosa cater-
va di generi ora accennata, troviamo al contrario come
qualche autore lo restrinse in limiti tanto eccessivamente
angusti che, a modo d'esempio, delle nostre.due specie qui
descritte , il Coluber flavescens ed il Coluber niridiflavus, ne
vediamo esclusa la prima benchè tanto affine alla seconda.
Quale è qui accettato, comprende le specie delle quali
il capo, coperto da 9 scudi regolari e. simmetrici, è più di-
4174 BETTA
stinto dal corpo che non nell’ antecedente genere, e presenta
anche minor declivio dal vertice all’ estremità del muso; con
occhi e narici laterali; una sola piastrina oculare anteriore,
due posteriori. La forma del corpo tondeggiante, le squame
liscie, la coda lunga.
Vi appartengono le due specie più grandi dei nostri
nove serpenti.
III. Gen. TROPIDONOTUS (") KUHL.
Benchè le specie di questo genere abbiano la maggiore
rassomiglianza coi veri Colubri, facile nonostante ne riesce
la distinzione per alcuni loro proprj caratteri che sug-
gerirono appunto al Kuhl la creazione per essi di un
separato genere, oggidì ricevuto da tutti o sotto il nome
proposto da questo autore, o sotto l’ altro di Matrix. isti
tuito dal Laurenti, ma emendato ed a più naturali confini
ridotto dal Principe Bonaparte.
Sono caratteri del genere: testa ristretta al muso, larga
alla base e quindi distinta dal collo, il quale però subito st
ingrossa e va a confondersi col resto del corpo; narici piccole,
riavvicinate, quasi verticali; occhi molto sporgenti; una pia-
strina oculare anteriore, tre posteriori. Gli angoli della bocca
rivolti con sensibile curva verso l’ alto del capo; coda non
molto lunga; squame del dorso costantemente carenate.
Tali serpenti abitano e prediligono i luoghi umidi, i
terreni irrigati, e le vicinanze delle acque, nelle quali
nuotano con molta facilità tenendovisi anche per qualche
tempo approfondati. i
(*) Toorts = (dos, carena, vwtos, dorso.
ERPETOLOGIA 175
IV. Gen. PELIAS MERREM.
Già in separato arlicolo si sono indicati i principali
caratteri esterni e le forme che distinguono i serpenti ve-
lenosi. E fra quelli abbiamo notato un corpo breve, in
proporzione molto ingrossato nel mezzo, e considerevol-
mente ristretto verso il capo e la coda; una testa depressa,
cordiforme, e ben distinta dal tronco; coda molto breve,
specialmente nei maschi, e quasi diremo fuori di propor-
zione atteso il rapido suo restringimento alla base; occhi
piccoli, a pupille verticali, e superiormente protetti da una
piastra sporgente.
Venendo ora alla indicazione dei più vicini caratteri
che, oltre quello importantissimo della presenza dei denti
‘veleniferi, fanno conoscere le specie comprese nella fami-
glia dei nostri Viperini osserviamo in esse: capo tutto co-
perto da squame irregolari, o soltanto nella parte ante-
riore da piccoli ed irregolari scudetti, invece che da 9 scudi
regolari e simmetrici come nei Colubrini; narici laterali;
uno spigolo risentito, acuto, orizzontale, che partendo dalla
piastra sopracigliare giunge fino alla sommità dello scudetto
rostrale; mascella superiore breve; lo scudetto sopracigliare
bislungo, sporgente in fuori quanto il globo dell’occhio ed
anche più; tutto il resto dell’orbita cinto da doppia serie
di piccoli scudetti; squame del corpo segnate nel mezzo
da una costicina sagliente, allungata, che dicesi carena.
Dapprima i nostri Viperini erano compresi nell’ unico
genere Vipera. Più tardi Merrem ne tolse una specie che
fece tipo del suo distinto genere Pelius, oggidì universal
mente accettato, ed in cui quella stessa specie rimane tut-
tora l’ unica conosciuta.
176 BETTA
Sono caratteri del genere:
Capo ovale, superiormente spianato e coperto nella parte
anteriore di piccoli scudetti piani, anzi leggermente concavi,
dei quali uno centrale più grande ; spigolo rostrale poco ri-
sentito e meno prominente all’ apice. I
E perchè col confronto tostamente emergano le diffe-
renze fra i due generi adottati per le nostre specie, se-
gnansi per caratteri del
V. Gen. VIPERA LAURENTI.
Capo più depresso, allargato posteriormente e quindi più
distinto dal corpo; coperto iîntieramente di piccole squame îr-
regolari e non da scudetti (*); spigolo rostrale risentito e pro-
minente all’ apice del muso.
Questo genere fu istituito dal Laurenti per le specie il
capo delle quali era appunto coperto da piccole squame,
ed in allora il Pelias derus figurava nel suo genere Coluber.
In seguito Daudin riunì sotto al genere Vipera la maggior
parte dei serpenti provveduti di denti veleniferi, e cogli
scudetti sottocaudali disposti in doppia serie. Merrem vi
portò poi alcune altre modificazioni, e Wagler non indicò
sotto lo stesso nome generico che tre sole specie, cioè le
nostre ammodytes ed aspis, e la Duboia od elegans delle
grandi Indie che ora appartiene al genere £ekidna di Mer-
(') È però da notarsi che in qualche individuo della postra Vipera
aspis scorgonsi sul capo alcune squame irregolari grandette che meglio si
direbbero scudetti. Ne tengo anzi un esemplare in cui tali squame si av-
vicinerebbero per forma e disposizione agli scudetti del Pelias bdberus.
Questa circostanza comprovata con un più esteso esame comparativo fra le
specie dei due generi, potrebbe forse rendere di debole ed incerto valore
il carattere degli scudetti, dagli autori esclusivamente assegnato al Pelias.
ERPETOLOGIA 177
rem. Più tardi lo Schlegel ridonandogli l’ originaria esten-
sione vi comprese specie assai diverse per molti esterni
caratteri, e che dovettero quindi distribuirsi in varj di-
stinti generi. Attualmente il genere Vipera fu circoscritto
anche dai più distinti autori, a tre sole specie delle quali
ei appartengono due, e la terza è a noì straniera.
Gli Ofidii si direbbero a prima vista privi d’ ogni mezzo
ordinario di locomozione, e destinati a vivere nel luogo
ove il caso li ha collocati. Nondimeno pochi sono gli ani-
mali nei qualî tanta sia la prestezza e l’ agilità nei movi-
menti e nel cangiare di sito, quanta è nei serpenti. Quando
strisciano sì avvanzano per moti alternanti di ondulazioni
flessuose, sì piegano, si spiegano, e si ripiegano in nume-
rosi e successivi giri tortuosi che descrivono nel loro corpo
altrettante curve a S. I loro muscoli sono dotati di una
forza veramente ammirabile. Possono sollevarsi, alzarsi
quasi perpendicolarmente tenendo appoggiata al suolo la
sola coda o breve parte del tronco; rampicarsi fino alla
cima degli alberi; spiccar salti meravigliosi, o aggomito-
lando a foggia di spirale il loro corpo e distendendosi poi
rapidamente con uno slancio, ovvero arcuando una parte del
corpo, riavvicinando sul suolo le due estremità dell’ arco
facendo servire o l’ una o l’ altra di punto d’ appoggio, e
riappianando poi sollecitamente la parte che ricurva sor-
geva. Sanno nuotare, ed anzi alcune specie godono di tale
facoltà in modo particolare potendo trattenersì anche lungo
iempo sott’ acqua.
Come in tutti i rettili anche nei serpenti la sensibilità
è ottusa; ma al contrario sono dotati di una irritabilità
muscolare quasi prodigiosa. Il loro cuore palpita lungo
tempo dopo levato dal corpo, le loro mascelle si aprono
e si chiudono allora benanco che la testa sia stata tron-
42
178 BETTA
cata; spogliati della pelle, privati dei visceri più impor-
tanti, tagliati a pezzi, manifestano ancora per lungo tempo
segni di vita. Hanno l’ odorato assai imperfetto poichè le
loro nari hanno corto tragitto dal muso alle fauci, sono
poco sviluppate e per l’ ordinario semplicissime; nè de-
vono usare di tale senso per dirigersi verso la preda, che
attendono invece in agguato e con lunga pazienza, ed as-
salgono per sorpresa. La loro vista è acutissima; gli occhi
sono apparentemente sprovveduti di palpebre, ed un pic-
colo rialzo formato dalla pelle pare che solo li protegga.
Le recenti indagini di Cloquet e Duméril hanno però di-
mostrato che |’ occhio degli Ofidii è ricoperto di una pal-
pebra unica, molto grande, immobile, che sembra incassata
in una cornice rilevata che forma attorno all’ orbita un
numero variabile di scaglie. È tale palpebra una conti-
nuazione dell’ epidermide, colla quale cade pure al tempo
della muta. Esaminando le spoglie dei serpenti che fre-
quentemente si vedono appese fra i crepacci dei muri
vecchi, o portate dal vento sulle vie o nelle campagne,
potrà ognuno vedere inserite nella pelle del capo tali pal-
pebre, lucide, trasparenti, e che anche per la loro forma
sì possono paragonare ad un vetro d’ orologio.
Gli ofidii mancano di organo esterno dell’ udito, di
apertura e di timpano; esiste però un organo interno
quantunque assai meno sviluppato che nei Saurii. La per-
cezione dei suoni deve essere perciò molto debole ed im-
perfetta in questi animali. Lo stesso dicasi del gusto, poi-.
chè la lingua sta rinchiusa in un fodero membranoso e
finisce in due lunghi filetti cartilaginei, dotati perciò di
pochissima sensibilità. Inoltre questi animali non masti-
cano mai la preda, che non fa che attraversare la bocca
conservando le sue forme solide, ed ognuno sa non esservi
ERPETOLOGIA 479
sapore che nelle materie in soluzione. La lingua dei ser-
penti è liscia ed appianata al di sopra, e solo qualche
volta offre ai lati alcune piccole frangie 0 papille; mal-
grado la sua strettezza è assai vibratile e ritrattile; abi-
tualmente l’ animale la spinge fuori della bocca facendola
sortire senza aprire le mascelle, fra una incavatura che
generalmente osservasi nella scaglia situata alla metà del
muso, detta seudetto rostrale. Quand’ è sortita, le sue punte
si divergono e si mettono in rapida vibrazione, ciò che ha
fatto credere al volgo essere la lingua una specie di dardo
ed anche la sede del veleno. Ben lungi dall’ avere la forma
di un ferro da freccia con punta conica davanti e due di
dietro, come alcuni la figurano, essa è divisa verso la sua
estremità anteriore in due filetti sottili, flessibili ed asso-
lutamente carnosi.
Il tatto risiede in tutto il corpo, scemato però molto
dalle scaglie e dalla epidermide cornea che lo inviluppa.
Codesta epidermide cade almeno una volta all’ anno, e
l’animale la smette in lembi od anche d’ un solo pezzo
sotto la forma di un fodero o di un dito di guanto arro-
vesciato.
I serpenti mangiano raramente e non nutronsi che di
carni. Un pasto basta loro per vario tempo; soffrono lun-
ghissimi digiuni, e molti colubri e vipere furono conser-
vati, ed io stesso ne conservai per più mesi senza che
ricevessero cibo di sorta. Allorchè sentono il bisogno di
nutrirsi spiegasi in essi una agilità, una vivacità sorpren-
dente; alcune volte, come si disse, sanno attendere per
lungo tempo, con mirabile pazienza, ed in una quasi
totale immobilità l’ istante d’ avventarsi sulla preda; altre
volte ne vanno in cerca percorrendo quelle località, quelle
posizioni che l’ istinto o I’ esperienza indica loro come
480 BETTA
abitazioni prescelte dagli animali dei quali si nutrono.
Sorpresa o raggiunta la vittima si slanciano d’ un colpo
su di essa afferrandola cogli spessi e ricurvi denti delle
loro mascelle, le quali dilatansi enormemente e danno
passaggio al corpo dell’ animale predato, tante volte assai
più voluminoso del proprio. I serpenti velenosi usano an-
che della loro arma, tanto semplice per la sua natura
quanto terribile pei suoi effetti; avvicinatisi alla vittima,
alzano la testa, incurvano il collo, aprono la bocca e la
gola; V abbassamento della mascella inferiore fa alzare la
superiore che sfodera e porta in avanti i denti apporta-
trici di morte; colla rapidità d’ un lampo il povero ani-
maletto è ferito; il rettile ritira prontamente i denti, e da
quell’ istante la vittima è sua. Nei più grossi serpenti la
vittima viene stretta e soffocata fra le molte spire del
corpo. La preda è generalmente afferrata per la testa, che
è quindi anche la prima ad. entrare nella gola; frattanto
che i denti d’ una mascella vi si infiggono da un lato, la
mascella opposta si avvanza ed al suo torno passa coi
proprj denti il corpo della preda che viene tirata in den-
tro, ed è a mezzo di questo avvicendato movimento delle
mascelle che la vittima entra sempre più nella gola, com-
piendosi poi la deglutizione in seguito a maggiori o minori
sforzi secondo il volume dell’ animale. A facilitare tale
atto, e supplire alla impossibilità di masticare e rompere
quindi in pezzi la preda, serve opportunamente la secre-
zione di una abbondante saliva, operata da glandule spe-
ciali, che la rende lubrica e più facile ad essere ingojata.
I serpenti bevono di rado, e forse-qualcheduno fra essi
non beve mai perchè condannato a vivere in luoghi
aridi e secchi, od in boschi dove manca affatto l’acqua. Si
è già altrove parla:o della loro impossibilità di succhiare,
ERPETOLOGIA 484
ed ivi si è anche provata l’ assurdità delle volgari credenze
iN proposito.
Quando il serpente è eccitato da qualche, passione o
viene aizzato, respinge con violenza dalle fauci V aria in-
spirata producendo un sibilo più o meno forte secondo
l’animale stesso e la. forza della passione che lo agita.
Questo sibilo non è però che un suono paragonabile a
quello che risulterebbe dal passaggio rapido e continuo del-
l’aria in un secco e stretto tubo, siccome quello sarebbe di
una penna; nè giammai i serpenti hanno potere di fischiare
e di produrre altri suoni come vien creduto dal volgo.
Fu detto già altrove che questi rettili provengono tutti
da uova che vengono deposte sul terreno, o in qualche
cavità, o nei letamaj, nei quali la fermentazione produce
e mantiene un attivo calore. In qualche specie per altro
schiudonsi ancora nel ventre della madre, sortendone i
piccoli già snelli e vivaci. Il loro numero è sempre vario
secondo le specie.
Gli Ofidii amano il calore e quindi preferiscono in ge-
nere le posizioni soleggiate; qualcuno stassi però anche in
luoghi ombreggiati, tra le erbe e nei boschi, e la scelta
della dimora può dirsi sempre dipendente e collegata col
rispettivo nutrimento e coll’ abbondanza di questo. D’ in-
verno vanno soggetti al letargo come gli altri rettili, e
passano la cattiva stagione assiderati in qualche tana, o
fra i crepacci del terreno, o dei tronchi, o delle roccie, a
quella profondità che valga a difenderli dal freddo e dal
gelo, ravvolti sopra sè stessi, e frequentemente attortigliati
più d’ uno insieme. Sebbene astuti, sono timidi e paurosi,
ed è raro che assalgano l’ uomo senza che sieno stati da
lui provocati, e comunemente sembrano anco temerne la
presenza.
482 BETTA
Avendo accennate nell’ articolo dei Saurii alcune ano-
malie, o mostruosità di forma, alle quali essi possono an-
dar soggetti, è bene e molto più necessario parlando degli
ofidii sui quali tante sono le dicerie, di avvertire. come
consimili accidenti possano nascere e siano nati anzi con
maggiore frequenza negli animali di quest ordine, trovan-
dosene esempj nelle opere di Aristotile, dell’ Aldrovandi,
del Redi ed in molte dei più moderni autori. Pare a quanto
osserva Geoffroy Saint-Hilaire (*) che la testa sia però nei
serpenti la parte in cui più comunemente si verificano
anomalie; e varj infatti sono i casi conosciuti di vipere a
due teste, talchè, come avverte Lacépède, era una volta
ritenuta |’ esistenza di una specie costantemente bicipite.
Alle volte il serpente presenta due capi appoggiati a colli
distinti; e tale è il caso della vipera che il Redi sorprese
esposta al sole presso Pisa, e conservò poi anche viva per
varj giorni. All'esame anatomico del corpo le si trovarono:
due arterie tracheali, due grandi polmoni, due cuori, due
esofagi, due stomachi e due fegati, ma un solo intestino
che sboccava in un’ unica cloaca. Altre volte un collo solo
può portare due teste distinte; e di tale anomalia reca
Geoffroy il caso in una giovane vipera inviata da Dutrochet
all Accademia delle Scienze di Parigi, e della quale dà la fi-
gura alla tavola XV della sua opera. Un consimile accidente
viene pure rappresentato dal Principe di Canino nella sua
Fauna italica, per una piccola vipera bicipite incontrata dal
Sig. Orsini di Ascoli sui monti vicini alla sua patria. Redi
ha osservato un serpente a due code; e Duméril riporta an-
che il caso di un serpente fatto disegnare dal Dott." Mitchill,
che aveva due corpi, tre occhi ed una sola mascella.
(*) ZHistoire des anomalies etc. Tom. III,
ERPETOLOGIA 4183
| A. OFIDII SENZA DENTI VELENIFERI.
Gen. CORONELLA (LAUR.) SCHLEGEL.
7-1. CORONELLA AUSTRIACA
Laurenti.
Ital. Colubro austriaco, Colubro liscio.
Ven. Vipereta, vipera de sutto, bissa, bisso.
Tirol. Verm ross, vipera.
CARATTERI.
Capo poco distinto dal tronco, oblongo-piramidale, leggermente con-
vesso al di sopra, arrotondato all'apice, alquanto dilatato verso la nuca,
coperto da scudetti regolari e simmetrici. Piastra del vertice pentagona,
più larga il doppio all'indietro. Coda lunga appena un sesto della lun-
ghezza totale del corpo.
Corpo di color cenericcio tinto di rosso mattone, o bruno giallastro.
Capo dello stesso colore con grande macchia molto oscura, cordiforme,
bipartita posteriormente; una striscia nerastra parle dalle narici, ed ol-
trepassando l’ occhio scorre orizzontale fino alla commissura delle labbra.
Addome di color giallastro tendente al cinereo, screziato di punti rossa-
stri, brunastri o color d’acciajo.
Piastre addominali 159-189.
Seudi sottocandali paja 46-58.
SINONIMIA.
Coronella austriaca Laur. Syn. Rept. p. 84. t. Bd. f. 4.
Coluber austriacus Gmel. Syst. Nat. I. p., 4114.
484 BETTA:
Coluber austriacus Daud. Hist. Rept. VII. p. 49.
Ta —_ Shaw Zool. IM. p. BID.
= — Bechst. in Lacèp. INIL p. 309.
— —_ Sturm Deutschl. Fauna III 2.
_ _ Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 39. sp. 7.
—_ — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 423.
_ _ Fitz. Verz. Mus. Wien. p. d7. sp. 26.
a — Schinz Fauna Helvet. p. 141. sp. 2.
— — Bonap. Fauna ital. cum tab.
—_ — ‘ Betta Rett. Tirol. p. 155.,
_ —_ Betta Cat. syst. Rept. p. 18.
_ — Massal. Saggio p. 43.
Coluber laevis Lacèép. Quadr. ovip. et serp. II p. 158.
—_ — Latr. Hist. Rept. IV. p. 62.
—_ — Merr. Syst. Amph. p. 4104. sp. 56.
_ — Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 39.
_ — Zryn. Observat. p. 38.
Coluber ferruginosus Retz Fauna Succ. p. 291.
Coluber nutrix Shaw Zool. II. p. 446.
Coronella laevis Schleg. Essai p. 65. (én parte).
_ — De Fil. Cat. rag. p. 18.
— — seu austriaca Dum. Bibr. Erpèt. VII. 4. p. 610.
Zacholus austriacus Wagl. Syst. Amph. p. 190.
= == Fitz. Syst. Rept. p. 25.
FORME.
Capo poco distinto dal tronco, oblongo-piramidale, leg-
germente convesso al di sopra, rotondato e smussato al-
apice del muso, alquanto dilatato verso la nuca, supe-
riormente coperto da 9 scudetti. Mascella superiore spor-
gente assai più della inferiore. Scudetto rostrale ripiegato
in avanti, di forma triangolare, più alto che largo, smar-
ginato alla base. Scudetti nasali piccoli, di forma quadri-
ERPETOLOGIA 4185
latera, colle narici aperte verso il loro margine più esterno;
due scudetti fronto-nasali di forma triangolare. Scudetti
frontali quadrilateri, curvilinei nel loro margine posteriore.
Scudo del vertice pentagono allungato in triangolo, col-
l’apice all'indietro e ad angolo acuto; più largo il doppio
all’ innanzi. Scudi sopracigliari reniformi. Scudi occipitali
grandi, più lunghi che larghi, troncati all’ indietro, di forma
irregolarmente poligona. Occhi piecoli collocati in un solco
ai lati della testa; una piastrina oculare anteriore, e due
posteriori. Uno scudetto loreo per parte, di forma quadrata.
Sette scudetti marginali sull’ uno e 1° altro labbro.
Tronco subcilindrico, quasi uniforme, assottigliantesi
alcun poco alle due estremità. Coda ben distinta dal tronco
alla sua origine, conica, assottigliata alla estremità e. leg-
germente piana alla superficie inferiore; occupa quasi la
sesta parte della lunghezza totale dell’ animale.
Dorso coperto di squame liscie e lucenti, lanceolato-esa-
gone disposte in 49 serie longitudinali, molto piccole sul
collo, più grandi e quasi equilaterali sui fianchi. Piastre
addominali in numero di 159 a 4189; scudetti sottocaudali
da paja 46 alle 58.
Denti piccoli ma grossi, ricurvi all’ indentro e quasi tutti
di eguale lunghezza; in numero di 10 a 13 nelle mascelle
inferiori, di 7 a 9 nelle superiori; denti del palato 40 a 13
per parte.
COLORITO.
Le parti superiori del corpo sono di un color cenericcio
più o meno tinto di rosso mattone, che si fa più oscuro
lungo il dorso e più chiaro verso i fianchi, ove prende
un color d’ acciajo con qualche traccia di giallo. Tutte le
squame sono punteggiate fimamente di nero, e marginate
4186 BETTA
da una linea gialla pallida con un punto nero ben di-
stinto in ciascuna verso l’ estremità inferiore. Quattro se-
rie di macchie color castagno cupo marginate di nero
scorrono lungo la parte superiore del corpo. Le due serie
dorsali sono più grandi delle altre e frequentemente con-
fluiscono nel mezzo formando una sola macchia transver-
sale rettangolare, due volte più larga che lunga. Qualche
volta tale confluenza non presentasi che sul collo o poco
più in giù; talvolta invece lungo quasi tutto il corpo. Le
macchie delle serie dei fianchi sono assai piccole, e tutte
poi diminuiscono in grandezza tanto verso il capo che
verso la coda. La maggior parte delle macchie di una serie
va alternandosi con quelle della serie opposta, e qual-
che volta sono così piccole da non risultare segnate che
come una sfumatura di bruno lungo le squame. In alcuni
individui le prime macchie delle serie dorsali sono fra
esse confluenti longitudinalmente, e presentano di tal ma-
niera due linee brunastre e brevi che corrono parallele
sul collo poco al di quà dell’ occipite.
Il capo è segnato da una gran macchia brunastra o ne-
rastra a forma di cuore bipartita posteriormente sulla nuca,
la quale macchia, marcatissima nei giovani, diminuisce poi
coll’ età di intensità e grandezza fino a cancellarsi quasi to-
talmente. Una striscia di eguale tinta parte dalle narici ed
oltrepassando l’ occhio scorre orizzontalmente fino alla com-
missura delle labbra, da dove prolungandosi sui lati del
collo tende a congiungersi colla serie più esterna delle mac-
chie dorsali. Gli scudetti marginali delle labbra sono di co-
lor bianco carnicino, marginate di nero all’ esterno e con
punteggiatura fosca. Gli occhi sono bruni coll’ iride gialla.
Il di sotto del corpo è d’ un color giallastro più o meno
tendente al cinereo od al grigiastro; le piastre sono tutte va-
ERPETOLOGIA 187
riegate di punti rossastri, biancastri, nerastri, foschi o gialla-
stri, con orlo lucente e di color d’acciajo. In alcuni individui
la parte inferiore del tronco è anche di un color tendente
al violetto oscuro, o di un color acceso di mattone scre-
ziato di piccole macchie, od anche tutto nerastro uniforme.
Anche ia tinta del dorso va soggetta a variazioni es-
sendo qualche volta assai chiara, qualche altra molto ca-
rica, e persino tendente ad un bruno nerastro od oliva-
stro, siccome mi si presenta in un bel individuo della mia
Collezione preso nei Sette Comuni.
Nei giovani i colori sono più spiegati e lucenti di quello
che negli adulti, e grandi e molto pronunziate sono le
macchie della nuca e dei lati del collo. Il ventre e la
parte inferiore della coda si tingono di un color di mat-
tone più o meno acceso, con varj punti minutissimi bian-
chi o neri. Ma tanto la colorazione che le macchie e la
loro disposizione non sono molto diverse da quelle che
presentano poi nello stato adulto, talchè può dirsi questa
specie una delle poche fra gli ofidii in genere, i colori
della quale mantengansi costanti nelle varie età.
Secondo Frivaldszki i novelli sarebbero quasi totalmente
bianchi (*), e lo Sehlegel osservando essere le tinte molto
più chiare nei piccoli che non negli adulti, ripeterebbe egli
pure che i novelli sono totalmente bianchi quando sortono
dall’ uovo. Io tengo nella mia Collezione alcuni giovani che,
non superando in lunghezza centimetri 41-44, devo rite-
nere da ben poco tempo venuti alla luce. In essi a dir vero
le tinte non sono tanto diverse da quelle degli adulti, ma
anzi molto più pronunziate e cariche vi vedo le macchie
(*) « C. laevis .... tenera aetate fere tolus albus ». Monogr. Serp.
Hungar. pag. 39.
488 BiECII0A
del capo, del collo e del dorso. Duméril che ebbe più volte
occasione di vedere i neonati non nota il fatto del color
bianco, e solo, in consonanza con quanto osservo io stesso,
avverte come nei giovani la parte posteriore della testa sia
pressochè nera ed il dorso segnato da macchie nere assai
regolarmente distribuite in serie longitudinali. Non avendo
ancora mai avuto occasione di vedere io stesso individui
appena nati, non manco di accennare quanto fu detto sulla
colorazione dai prelodati autori, ma sembrami in ogni modo
di poter ritenere che subito o ben presto dopo la nascita
di questo rettile subentrino a quella uniforme colorazione
le tinte e le macchie caratteristiche della specie.
DIMENSIONI.
La lunghezza ordinaria degli individui nostri è di cen-
timetri 35 a 47, col diametro di 12-44 millimetri.
ABITAZIONE E COSTUMI.
È specie frequente in molte località del Veneto. Nella
provincia Veronese trovasi più che altrove abbondante
lungo le sponde del Benaco, alle falde del Monte Baldo,
nelle valli di Tregnago ed Illasi e presso il M. Bolca. Lo
trovai presso Arzignano e presso Bassano nella provincia
di Vicenza, ed un individuo ne ebbi raccolto dal Sig. Ce-
rato ai Sette Comuni, quello stesso sopra distinto per la
tinta del dorso bruno-nerastra carica. Dal Padovano mi
furono inviati due esemplari raccolti l uno a Valsanzibio,
l altro a Galzignano presso i Colli Euganei, ed un terzo
lo ebbi dall’ ottimo amico mio D." Martinati preso in un
orto a Gorgo presso Padova.
E RPIRTOLO GIA 139
Meno frequente mostrasi all’ invece nel Tirolo, ove lo
rinvenni per la prima volta soltanto nel 1854 presso Segno
e presso Castel Thunn nella Valle di Non. Più tardi lo
vidi però anche presso Gardolo al di sopra di Trento,
presso Nomi e presso Riva nel'Circolo di Rovereto. Nel-
l'estate 1855 ne presi un individuo a Strigno in Valsu-
gana; ne osservai un altro, della maggiore dimensione no-
tata, ucciso sulla strada presso Fondo, ed un giovane, ma
superbo esemplare, mi fu recato vivo da mio cugino
Nob. Guido degli Stefenelli che lo aveva preso lungo la
strada che da Fondo conduce a Tret, parte più elevata
della Valle di Non. Oltre questi pochi individui non so
che altri ne sieno stati presi o veduti, e mi è pure argo-
mento per ritenervelo raro il non trovarlo neppure nomina-
to dal Sig. Ambrosi nel suo Prospetto zoologico del Trentino.
Abita di consueto i boschi, le praterie, i campi ed i
luoghi asciutti, e persino gli orti prossimi alle abitazioni;
tiensi anche nascosto nelle siepi che costeggiano le strade,
o fra i muschi in luoghi ombreggiati. Agilissimo nei suoi
movimenti ed assai timido, fugge rapidamente all’ avviei-
narsi di alcuno; ma quando venga preso od irritato schiz-
za fuori dall’ano un umore bianchicecio di un odore erba-
ceo, meno nauseante però di quello dei Tropidonoti, ed
appiana e dilata il capo cagionando spavento a chi non lo
conosce per la sua somiglianza colla vipera, cui si avvi-
cina ancora più per la tinta generale del corpo e per la
disposizione delle macchie. Se 1’ offensore lo tenga stretto
o lo maltratti, non tarda ad aprire anehe la bocca e mor-
de rabbiosamente ; ma il suo morso non è menomamente
pericoloso, e le esperienze del Laurenti (*) provano abba-
(*) Synopsis Replil. p. 186.
4190 BETTA
stanza l’innocuità di questo animale. Di ciò posso poi far
fede io stesso essendo stato ripetutamente morsicato nella
mano, e con rabbia, da un individuo preso nelle vicinanze
di Castel Thunn, nel mentre tentava sbarazzarlo dalle
maglie della piccola rete di seta che uso pei rettili acqua-
tici, e sotto la quale l'aveva fermato nel mentre rapida-
mente attraversava la strada.
Nutresi di vermi, di mosche, e di insetti. Cibasi però
anche di rane, di lucerte e di piccoli quadrupedi, e secondo
Bechstein anche di piccoli uccelli. Secondo il Principe Bo-
naparte ingojerebbe inoltre serpentelli appena nati di altre
più grosse specie. Tenuto in schiavitù non tarda molto a mo-
strarsi tranquillo e mansueto, ed io lo vidi vivere in buon
accordo con varj altri rettili coi quali lo tenni custodito.
Nell’ articolo della Propagazione si. sono già riferite le
interessanti osservazioni del Prof. Gent sulle congreghe
amorose di questa specie. Secondo le osservazioni dello
Schinz, di Frivaldszky, di Wyder e di Duméril partorisce
i figli vivi come la Vipera, e Lenz osservò anche come lo
sviluppo delle uova nel ventre della madre esiga un tem-
po di tre a quattro mesi, notandoci che i novelli non na-
scono alla luce che verso la fine di Agosto, ed in numero
di dodici circa.
V’ ha chi crede esistano nella mascella superiore di
questa specie, come realmente in alcun’ altra del genere
Coronella dello Schlegel, due denti posteriori molto più lun-
ghi degli altri e quindi sospetti. L’' esame però di molti
individui non mi offerse mai la presenza di tali denti, ma
all’ incontro osservo che in questo rettile i denti si man-
tengono pressochè tutti dell’ eguale grandezza, mentre in
altre specie nostre anche affatto innocue vedonsi gli ultimi
denti molto maggiori degli anteriori.
ERPETOLOGIA 491
8— II CORONELLA RICCIOLI
Metaxra,
Ital. Colubro del Riccioli.
Veron. Angiella ( fide Massalongo ).
CARATTERI.
Capo poco distinto dal tronco, ovato-romboidale, arrotondato all apice,
coperto da scudetti regolari e simmetrici. Piastra del vertice quinqueango-
lare, anteriormente poco più larga. Coda lunga circa una quarta parle di
tutta la lunghezza del corpo.
Corpo di color bigio od olivaeco-rossastro; capo dello stesso. colore,
segnalo da macchia semilunare nera sugli seudetti frontali posteriori; al-
tra macchia nera sull’ occipite, due oblonghe convergenti sul collo, una
al lati del collo stesso. Fianchi ornati di punti roseo-corallini; addome
giallo canarino con due larghe fascie longitudinali nere e parallele.
Piastre addommali 180-186.
Scudi sotlocaud. p. 98-66. (Bonap.)
SINONIMIA.
Coluber Riccioli Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 4A. f. 3. 4.
_ — Bonap. Fauna ital. cum tab.
—_ — Gene Stor. nat. II. p. 401.
— —. Betta Cat. Syst. p. 48.
_ — Massal. Saggio p. 14.
Coluber meridionalis Daud. Hist. Rept. VIT. p. 158. (fide Bonap.)
Coluber rubens Gachet Bull. Soc. Liun. Bord. INI. p. 253. ( 8p.)
492 BETTA
FORME.
« Ha il capo ovale-romboidale sufficientemente distinto
dal tronco che è cilindrico-fusiforme; la coda non giunge
ad essere lunga la quarta parte dell’ animale intiero, ed è
terete e gracile. Le narici sono situate alla commissura di
due scudetti nasali; gli scudetti oculari posteriori sono al
numero di due; ha un solo scudetto loreo per parte, i
sopracigliari alquanto sporgenti all’innenzi degli occhi; lo
scudetto del vertice è quinqueangolare, anteriormente poco
più largo. Le squame di tutto il corpo sono lucidissime,
ovato-sessangolari e senza il benchè minimo sospetto di
carena. Il numero ordinario degli scudi addominali è di
184, quello degli scudetti sottocaudali di 64 paja; e questi
numeri per quanto abbiamo veduto variano meno in que-
sta che in altre specie di Serpenti » (Bonap.).
COLORITO.
«Una macchia semilunare nera molto decisa segna gli
scudetti frontali posteriori, s' innoltra al di là degli occhi,
e termina all’ angolo della bocca; un’ altra macchia nera
più sottile e meno decisa parallela alla prima contorna
anteriormente |’ occipite, il quale è nebuloso-fosco; due
macchie nere oblunghe convergenti ornano superiormente
il collo. Il dorso apparisce oscuramente carenato; ed è
d’ un color bigio o olivaceo rossastro con macchie fosche
quasi rotonde orlate di color nero, alternanti in due serie
contigue, per lo più confluenti a due a due da una serie
all’ altra. 1 lati di tutto il tronco sono segnati da una
linea longitudinale fosca quasi continua, poco distinta, la
ERPETOLOGIA 493
quale prende origine da una lunga macchia nera decisa
falcata che orna i lati del collo. Superiormente ed infe-
riormente a questa linea longitudinale domina un color
rossastro più o meno intenso, perchè le squame dei detti
lati, che sono cineree nel fondo, portano un grandissimo
numero di punti roseo-corallini; la porzione più prossima
al dorso è assai più oscura, quella vicina al ventre è di
colori più chiari e più vivaci; alcune delle descritte squa-
me punteggiate di rosso sono irregolarmente marginate di
fosco, altre di bianco. La parte inferiore di tutto l’ animale
è gialla di canario con due larghe fascie longitudinali nere
e parallele, una per parte, formate da macchie quadran-
golari, altre contigue, altre no; nella regione più prossima
alla gola, la quale è gialla pura, scorre per un breve tratto
un’ altra fascia longitudinale intermedia, interrotta, le cui
macchie nere alternano per lo più con quelle delle due
fascie sopradette ».
« Le tinte variano assaissimo ; perchè alcuni individui
hanno colori anche più vivaci e risentiti che quello da
noi effigiato; allora i gialli passano quasi al sulfureo, i
neri al morato, e il rossastro al corallino ; altri invece sono
slavati e quasi luridi, con le linee e le macchie oscura-
mente accennate » (Bonap.).
DIMENSIONI.
» Gli individui più grandi da noi osservati hanno ven-
tisette pollici di lunghezza (*) dei quali la coda occupa
meno di sei, ed è perciò notabilmente corta per un vero
Coluber. La circonferenza del corpo giunge appena a due
(*) Pari a centimetri 73, ossia poco meno di 26 oncie Veronesi.
13
494 BETTA
pollici, e la grossezza del capo a cinque linee. Ma il mag-
gior numero degli individui ha dimensioni assai più pic:
cole, principalmente in grossezza. Non vi è alcuna diffe-
renza di colori fra il maschio e la femmina; questa però
suol essere più grande» ( Bonap. Fauna Ital. )
ABITAZIONE E COSTUMI.
La presenza di questa bellissima specie nel Veneto non
è fino ad ora constatata che da due soli individui raccolti
nella provincia Veronese, l’ uno presso Fumane da quel
Farmacista sig. Pellegrini, l’ altro dal Prof. Massalongo nel
paese di Tregnago ( Calavena ). Io vidi soltanto il primo;
or sono quattro anni, presso il compianto amico e distinto
naturalista Luigi Menegazzi cui era stato regalato dallo
stesso sig. Pellegrini; e dal primo esame che al momento
ne feci mi risultò conforme alla descrizione ed alla beila
figura della specie data dal Principe Bonaparte. Vi corri-
spondevano benanco le dimensioni, i colori e -le belle fa-
scie longitudinali nere dell’ addome, molto precise e spie-
gate. Quando però contava instituirne più accurato esame
ed estenderne la particolareggiata descrizione, mi riuscì
impossibile il farlo poichè fatalmente quell’ individuo era
stato gettato già qualche tempo prima a causa d’ essersi
accidentalmente putrefatto.
Neppure del secondo esemplare che il Prof. Massalon-
go (*) dice aver raccolto appena ucciso ed in tale stato
che gli fu impossibile conservarlo, posso presentare una
descrizione poichè non offertaci nemmeno dallo stesso Pro-
fessore. Ed ecco perchè in mancanza di individui Veneti
(*) Saggio, p. 14.
ERPETOLOGILA 4195
ho dovuto riportare la descrizione specifica tal quale ci è
data dal Principe Bonaparte sugli individui della Romagna.
Solo noterò pei nostri le dimensioni rispettive che, secon-
do il Prof. Massalongo, risultavano di pollici 23 (cen-
tim. 62) di lunghezza in quello preso a Tregnago, e pol-
lici 25 34 (centim. 69) in quello preso a Fumane.
Tali dimensioni si avvicinerebbero quindi di molto a
quelle date da Bonaparte che segna quali estremi di di-
stinzione fra questa e la precedente specie, oltrecchè la
diversa colorazione, le dimensioni alquanto maggiori nel
Coluber Riccioli. Ma non è però a tacersi come il Prof. Ge-
nè ci avvisi (*) non superare questa specie in lunghezza
il Colubro austriaco, ma essere soltanto di lui più sottile
e molto più bello a vedersi.
Sui costumi della Coronella Riccioli scrive il Principe
Bonaparte, che dessa suole abitare i luoghi sassosi dei
colli; niun serpente essere di questo più mansueto; il suo
sibilare leggerissimo; non mordere ed anzi essere difficile
fargli aprire la bocca per quanto lo si maltratti; nè av-
vittichiarsi rabbiosamente, come fanno tanti altri, quando
venga preso in mano. Simili notizie vengono ripetute an-
che dal Prof. Genè, il quale come della specie precedente
anche di questa osservò le curiose congreghe nel tempo
degli amori.
OSSERVAZIONE.
L’ esterna rassomiglianza di questa specie colla Coro-
nella austriaca è ragione del trovarle confuse in una sola
‘da più autori, fra i quali lo Schlegel. Il Principe Bona-
(*) Storia nat. II. p. 401.
4196 BETTA
parte ed il Prof. Genè ne stabilirono però buoni caratteri
di distinzione.
Sull’ autorità dello stesso Principe Bonaparte ho col-
locato nella Sinonimia la specie del Daudin, sebbene io
non possa dichiararmene sicuro atteso alcune differenze
di colorito, ed il diverso numero delle piastre addominali
e degli scudetti sottocaudali che il Daudin dà pel suo Co-
luber meridionalis ( La Couleuvre provengale ) abitatore del
mezzogiorno della Francia.
ERPETOLOGIA 497
Gen. COLUBER LINN. (EMEND.)
9-L COLUBER FLAVESCENS
Gmelin.
Ital. Colubro saettone, Bastoniere.
Ven. Angio, Angia, bisso, bisson, magne.
Tirol. Anza, anda.
CARATTERI.
Capo leggermente distinto dal tronco, oblongo-elittico, molto ottuso
all’apice, coperto da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto del ver-
tice pentagono coi margini longitudinali rettilinei. Coda proporzionatamente
molto più breve che quella del C. viridiflavus.
Dorso di color olivaceo uniforme, o sparso di macchietle biancastre.
Capo e piastrine oculari del colore del dorso. Una macchia nera parte
posteriormente all’ occhio e corre orizzontale verso 1 lati del. collo;
altra macchietta nera dal lembo inferiore dell'occhio si abbassa vertical-
mente fino sugli scudetti golari. Tutto il di sotto del tronco d'un bel
giallo di paglia o sulfureo, uniforme ed eguale.
Piastre addominali 220-228.
Sendi sottocaud. p. 74-86.
SINONIMIA.
Coluber flavescens Gmel. Syst. Nat. I p. 1145.
ai — — Daud. Hist. Rept. VI. p. 272.
—_ — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 420.
— — Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 40.
498 BETTA
Coluber flavescens Schinz Fauna Helvet. p. 142. sp. B.
—_ —_ Bonap. Fauna ital. cum tab.
= _ De Fil. Cat. ragion. p. 28.
i — Betta Rett. Tirol. p. 158.
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 18.
—_ _ Massal. Saggio p. 8.
Natrix longissima Laur. Syn. Rept. p. 74. n. 4155.
Coluber natrix var. B. Gmel. Syst. Nat. p. 41100.
Coluber Aesculapii Shaw Zool. III. p. 452.
_ —_ Latr. Hist. Rept. IV. p. B4.
a — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 57. n. È.
—_ _ Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 38. sp. 4B.
_ —_ Schleg. Essai p. 150. t. d. f. 1. 2.
— — Cuv. Rèégne Anim. p. 111. t. 30.
Coluber Sellmanni Nau Neue Entd. I. p. 260. (f. Merrem).
— —_ Donnd. Zool. II. p. 207. (f. Bonap.)
Coluber pannonicus Nau l. c. (f. Merrem).
Coluber Scopolii Merr. Syst. Amph. p. 104. sp. 48.
Zamenis Aesculapii Wagl. Syst.. Amph. p. 188.
—_ - Fitz. Syn. Rept. p. 26.
Elaphis Aesculapii Dum. Bibr. Erpétol. VII. 4. p. 278.
FORME.
Capo leggermente distinto dal tronco, di forma oblongo-
elittica, col muso molto ottuso quasi troncato, coperto su-
periormente da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto
rostrale più largo che alto, di forma triangolare, arroton-
dato all’ apice, convesso nel mezzo e sensibilmente infos-
sato e smarginato alla base. Seudo del vertice pentagono,
coi margini longitudinali rettilinei, e col margine anteriore
lungo quanto i due posteriori presi assieme, i quali si |
uniscono ad angolo acuto inserendosi nei due scudi occi-
pitali, che sono grandi e posteriormente troncati. Tale base |
ERPIETOLO GIL A 199
allargata dello scudo verticale lo fa sembrare a prima vista
quasi triangolare. Scudi sopraorbitali grandetti; scudetti
lorei trapeziformi. Due scudetti nasali per lato, colle na-
rici arrotondate ed aperte nella commissura dei medesimi.
Occhi rotondi, vivacissimi, con uno scudetto oculare ante-
riore e due posteriori.
Tronco quasi tondeggiante, alquanto compresso sui lati;
coda lunga, continua, acuta, piuttosto piana nella parte
inferiore. Squame del dorso perfettamente liscie, elittiche,
oscuramente esagone, e disposte in 24 serie longitudinali.
Piastre addominali, nel maggior numero degli esemplari,
da 223 a 225, con paja 83 a 85 di scudetti sottocaudali.
COLORITO.
Corpo d’un color bruno olivastro più o meno intenso,
tendente legsiermente al giallastro verso i fianchi. Tutto il
di sotto del tronco e della coda di un bel giallo di paglia
più o meno tendente al sulfureo, ed uniforme. Il capo ha
sopra e sotto gli stessi colori del dorso e del ventre.
Le squame del dorso sono assai di rado colorate uni-
formemente, ma presentano invece minutissime punteg-
giature fosche, ed alcune sono anche qua e là marginate
in tutto od in parte di bianco. Tali marginature disposte
in modo da rappresentare quasi la lettera X od un V,
estendonsi talvolta su tutto il tronco risuliando più sen-
sibili verso i fianchi; talvolta non mostransi che molto
al di qua del collo scorrendo il dorso ed i fianchi; tal-
volta infine sono rarissime e segnate soltanto verso ì
fianchi. In alcuni individui scorgonsi anche varie fascie o
linee longitudinali strette, sfumate, e più chiare del fondo
col quale vanno a confondersi verso la coda.
200 BETTA
Una piccola striscia fosca parte dal lembo inferiore
dell’ occhio, e si abbassa verticalmente sino agli scudetti
golari. Un’ altra macchia fosca vedesi di qua e di là del
capo, la quale partendo dal margine posteriore dell’ occhio
corre per un tratto orizzontalmente verso i lati del collo,
indi facendosi più larga si incurva all’ ingiù, e lasciando
libero o in tutto od in parte l’ultimo scudetto marginale
della mascella superiore riproducesi poi più. sbiadito sul
margine della mascella inferiore. Mano mano però che
l’animale invecchia le macchie impallidiscono, e quelle
posteriori agli occhi scompariscono anche del tutto.
Alcuni individui, quelli specialmente delle regioni mon-
tane, distinguonsi per avere superiormente una tinta ge-
nerale molto fosca sparsa di macchiette o lineole bianche;
e talvolta assumono anche un color uniforme nerastro
con rarissime macchiette bianche, od anche senza.
Ben diverso è il colorito dei giovani, i quali hanno il
corpo tinto superiormente in grigio-fosco o cinereo sordido,
sparso di macchie bruno-olivastre, grandette, arrotondate
o quadrangolari, e disposte in guisa da simulare quattro
striscie scure longitudinali. Gli scudetti frontali ed i so-
pracigliari sono tinti di nerastro posteriormente, ed una
lineola nerastra scorre transversalmente nel mezzo degli
scudetti occipitali. La parte inferiore ed i lati del capo
sono di un bel giallo canarino. Le macchie che partono
dall’ occhio e si dispongono a figura di arco sono d’ un bel
color nero morato. Dietro quest’ arco il giallo della parte
inferiore si stende a guisa di collare superiormente inter-
retto. Al di dietro degli scudi occipitali havvi una mac-
chia bruna foggiata a V, colle branche divergenti verso la
parte posteriore ed allargate verso le estremità. Il dorso
apparisce anche minutamente spruzzato di bianco, ma la
ERPETOLOGIA 204
coda manca affatto di tali macchie e mostrasi invece su-
periormente di un color bruno olivaceo, uniforme all’ api-
ce, segnato verso l’ano e più in su da linee longitudinali
più oscure che vanno poi ad interrompersi ed unirsi alla
serie delle macchie del dorso. Le piastre addominali sono
di color di paglia sudicio nel tratto più vicino al capo, ed
assumono poi gradatamente una tinta d’ acciajo che do-
mina fino all'apice della coda.
DIMENSIONI.
Lunghezza ordinaria Metri 4 a 4, 20, col maggior dia-
metro di millim. 418 a 23. Alcuni individui del Monte
Bolca e di Monte Baldo nella provincia Veronese hanno
dimensioni molto maggiori, arrivando qualche volta alla
lunghezza di M. 4, 30 a 4, 33.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Frequente in tutto il Veneto, incontrasi persino nelle
campagne attigue alle abitazioni. Nel Veronese trovasi ab-
bondantissimo, e vedesi spesso nelle campagne dei luoghi
suburbani di Verona. Nel Vicentino lo trovai presso Mon-
tebello. Lo vidi presso. Padova e presso Mestre, e vengo
assicurato trovarsi molto frequente anche nel Bellunese,
nel Trevigiano e nel Friuli.
Nel Tirolo meridionale sembra esservi più raro non
avendone fino ad ora osservati che soli cinque individui
nel Trentino; uno preso presso Martignano dal Nob. Gio.
Battista Sardagna, gli altri quattro da me, e di questi
uno presso Pergine, uno alla Zambana presso Mezzolom-
bardo, e due nella Valle di Non.
202 i BETTA
Questo colubro abita presso le campagne ricoverandosi
nelle fessure dei muri, nelle siepi e fra i crepacci del ter-
reno; incontrasi appiattato fra la folta erba dei prati ed in
mezzo alle terre arative; qualche volta lo si scorge anche
sugli alberi sui quali si arrampica facilmente. Non predi-
lige i luoghi pantanosi ed umidi, ma tiensi ancor più lon-
tano da quelli eccessivamente caldi e secchi. Agilissimo
nei movimenti e timido di natura fugge ad ogni rumore,
e non si difende nè minaccia se non quando venga. irri-
tato e ridotto agli estremi. In allora si ferma od insegue,
sì dirizza verticale, soffia, si slancia, sferza colla coda e
morde, senza che però la sua morsicatura porti conse-
guenza qualsiasi.
Del resto le sue abitudini sono piuttosto tranquille, e
tenuto in schiavitù si fa ben presto dolce e mansueto, la-
sciandosi toccare e maneggiare senza dar segno di collera
o di molestia; ed al più, quando venga inquietato, si agita
ed emette qualche sibilo senza però atteggiarsi a mordere.
Nutresi di rane, di lucertole e di altri rettili; ricerca
i piccoli uccelli che va a sorprendere nei loro nidi, e fa
sua preda anche i piccoli mammiferi, dei quali varie vol-
te gli trovai i cadaveri nello stomaco. Depone le uova co-
me gli altri serpenti, ma non se ne conosce precisamente
il numero per ogni parto. Secondo Frivaldszky non sa-
sarebbero però molte, e Jacquin riferirebbe d’aver veduto
una femmina a partorirne cinque, di forma allungato - ci-
lindrica, arrotondata alle due estremità.
ERPETOLOGIA 203
40— II COLUBER VIRIDIFLAVUS
Lacépède,
Ital. Il Biacco, il Bello, il Milordo, Serpente uccellatore,
Colubro verde e giallo.
Ven. Angia, anza, lanza, scorzon, bisso, bisson, magne.
Tirol. Anza, anda.
CARATTERI.
Capo piuttosto distinto dal tronco, ovato, depresso, ottuso all’ apice,
coperto superiormente da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto del
vertice pentagono coi margini longitudinali alquanto curvilinei all’ indentro.
Coda proporzionatamente molto più lunga che quella del C. flavescens.
Dorso di color verde cupo o verdastro-nereggiante, sparso di mac-
chiette gialle. Capo del colore del dorso, colle piastrine oculari di color
giallo sulfureo uniforme, e con linee dello stesso colore sugli scudi del
capo. Tutto il di sotto del tronco d'un color giallo di zolfo 0 pagliarino,
screziato soltanto di nerastro sui margini esterni delle piastre addominali.
Piastre addomnali 198-220.
Scudetti sottocaud. p. 98-112.
SINONIMIA.
Coluber viridiflavus Lacep. Quadr. et Serp. II. p. 137. t. 6. f, 1.
— — Latr. Hist. Rept. IV. p. 88.
—_ —_ Daud. Hist. Rept. VI. p. 292.
—_ — Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. 420.
_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. d7. sp. 44.
_ _ Bonap. Fauna ital. cum tab.
—_ — Schleg. Essai p. 160.
204 0 BETTA
Coluber viridiflavus De Fil. Cat. ragion. p. 27.
Toi = Catullo Geogn. Ven. p. 172.
Tr A Ambrosi Prosp. zool. p. 290.
— _ Betta Rett. Tirol. p. 158.
_ _ Betta Cat. syst. Rept. p. 19.
— — Massal. Saggio p. 40.
Coluber atrovirens Shaw Zool. TII. p. 449.
_ — Merr. Syst. Amph. p. 140. sp. 69.
_ — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 36.
_ — Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 43.
—_ — Risso Hist. nat. III. p. 90.
— —_ Schinz Fauna Helvet. p. 142. sp. 4.
Coluber communis Donnd. Zool. INI. p. 208.
Zamenis viridiflavus Wagl. Syst. Amph. p. 188.
—_ _ Dum. Bibr. Erpétol. VII. |. p. 686.
Var. carbonarius.
Venet. Carbonazzo, carbonazz, carbon, charbonazz.
Tirol. Carbonazzo, carbonazz.
Coluber carbonarius Screibers.
—_ — Catullo Geogn. Ven. p. 122.
— _ Ambrosi Prosp. zool. p. 290.
Col. viridiflavus var. carbonarius Fitz. Verz. Mus. Wien. p. B7.
_ _ Bonap. Fauna ital. cum tab.
ca _ Betta Rett. Tirol. p. 153.
-_ sei Betta Cat. syst. Rept. p. 19.
-— — Massal. Saggio p. 12.
FORME.
Capo piuttosto distinto dal tronco, ovato, depresso, ot-
tuso all’ apice, coperto superiormente da 9 scudi regolari
ERPETOLOGIA 905
e simmetrici. Lo scudetto del vertice una volta e mezzo
più lungo che largo, di forma pentagona, coi margini lon-
gitudinali non rettilinei come nella specie precedente ma
alquanto curvilinei all’ indentro. Scudetti occipitali una
volta ed un quarto più lunghi che larghi. Scudetti so-
praorbitali grandetti. Narici arrotondate, e poste nella
commissura di due scudetti nasali. Scudetto rostrale di
forma triangolare, quasi tanto alto che largo, arrotondato
all’ apice, smarginato alla base. Occhi rotondi, vivacissimi,
colla pupilla nera e coll’ iride di un bel giallo dorato.
Tronco tondeggiante, un poco dilatato verso i fianchi.
Coda distinta dal tronco, lunghissima, tenue, molto acuta,
piuttosto piana nella sua parte inferiore. Squame del dorso
perfettamente liscie, rombeo-allungate, e colle estremità
alquanto tronche; disposte in 419 serie longitudinali. Delle
piastre addominali, nel maggior numero degli individui ,
contansene 198 a 206; degli scudi sottocaudali paja 98
a 107.
COLORITO.
Parte superiore del tronco e della coda di un color
verde cupo o verdastro nerceggiante, tutto variegato di
giallo sulfureo più 0 meno vivo, portando ogni squama
una macehietta di tal colore. Sulla parte vicina al collo
queste macchiette veggonsi segnate sopra una estremità
della squama, e si estendono trasversalmente segnando
così molte fascie sottili, trasverse, quasi rette nel mezzo
del dorso, sinuose ai fianchi. Nella metà posteriore del
corpo le macchiette segnano invece il centro d’ogni squa-
ma, ed allungandosi longitudinalmente e tendendo a con-
fluire insieme, disegnano. molte striscie longitudinali che
riescono poi più marcate e precise verso la coda, dove
206 BETTA
le macchiette stesse confluiscono totalmente. Verso i fian-
chi le squame sono pressochè interamente tinte di giallo,
e di color giallo di zolfo o pagliarino uniforme è tutto il
di sotto del corpo, vedendosi solo le estremità esteriori
delle piastre addominali e degli scudetti sottocaudali leg-
germente screziate di nerastro.
Il capo è superiormente del colore del dorso, giallo al
di sotto. Gli scudetti oculari anteriori e posteriori sono
tutti gialli, e gialli sono pure gli scudetti marginali delle
labbra superiori con leggiero margine fosco ai loro lembi
superiori ed alle loro commessure. Lo scudetto rostrale è
di color giallo sordido ; gli scudetti frontali giallastri mac-
chiati di fosco. Gli altri scudi del capo sono di color ver-
dastro nereggiante od anche brunastro con screziature
giallastre, e due serie di punti sulfurei più o meno con-
tinui e confluenti vi segnano due linee arcuate scorrenti
transversalmente, l’ una verso i lembi posteriori dello’ scu-
detto verticale e dei sopraorbitali, i altra verso i lembi
posteriori degli scudi occipitali.
Nei giovani la parte superiore del tronco e della coda
è di una tinta piombino-olivacea pressochè uniforme, e
solo con leggierissimo indizio di fascie transversali pallide
nel tratto più vicino al capo. Il di sotto è di un color pa-
glia uniforme, senza macchia qualsiasi lungo i fianchi. Il
capo è fosco, più o meno nerastro, e sempre poi segnato
dalle macchie gialle caratteristiche della specie. La linea
gialla transversale scorrente verso i margini posteriori degli
scudetti occipitali troncasi verso la loro commessura di
mezzo, e piegandosi all’ indietro prolungasi in due linee
parallele le quali unendosi poi ad altre lineole transversali
lasciano figurato a foggia d’àncora il fondo fosco della
cervice.
ERPETOLOGIA 207.
Questo colubro tanto bizzarro e distinto per i suoi
colori, non spiega però mai in queste provincie quella
bellezza e vivacità di colorito nel verdastro del fondo e
nel sulfureo delle macchie, che osservasi invece negli in-
dividui della bassa Lombardia e specialmente in quelli
che vivono lungo le mura e nei dintorni di Pavia. Fra
noi tende sempre ad assumere un color bruno-verdastro 0
nerastro; ed altrettanto frequentissima quindi quanto è rara
colà, trovasi nelle nostre provincie la varietà carbonaria,
in cui tutta la parte superiore del corpo è di un co-
lor nero d’ inchiostro ; il capo privo affatto delle macchie
giallastre o solo con qualche traccia di esse ; gli scudetti
oculari ed i marginali del labbro superiore di un color
giallo assai pallido; tutto il di sotto del corpo giallo di
paglia lungo la parte media e di color d’ acciajo lucente
verso l’ esterno, il qual colore estendesi poi su tutta la parte
inferiore della coda.
DIMENSIONI.
Lunghezza ordinaria Centin.° 90 a Metri 4, 20 col dia-
metro di millim. 18 a 23. La varietà carbonaria presenta
maggiori dimensioni, e non pochi individui di essa arri-
vano alla lunghezza di M. 4, 30 fino a 4, 50, col diametro
di millim. 25 a 28.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Incontrasi comunissimo nelle provincie Venete, e solo
con minor frequenza lo si vede nelle parti montuose e
nel Tirolo meridionale ove più abbonda all’ invece la va-
rietà carbonaria. Gli individui della maggior dimensione
208 BETTA
notata sono della Valle di Non nel Tirolo, del Monte Bolca
nella provincia Veronese, del Bellunese, e del Padovano
ove anzi meritano per ciò speciale nota gli individui della
varietà che rinvengonsi nelle casematte e nei sotterranei
delle mura e dei bastioni della città di Padova. Ma se vere
sono le notizie favoritemi da persona degna di fede, nessun
individuo della varietà eguaglierebbe in grandezza quelli
che vivono fra le macerie della Torre delle Bebbe, antico
fortilizio di frontiera fra Padova e Venezia, non. molto
lungi da Malamocco.
Abitatore tanto della pianura che dei colli e dei monti
incontrasi nei boschi, nei luoghi coltivati , nelle praterie,
lungo le strade e le siepi, fra le macerie di vecchie fab-
briche, nelle fessure di vecchie mura, come pure nei sot-
terranei abbandonati, nelle case deserte o diroccate. Pre-
dilige in genere i luoghi soleggiati, ma non però soverchia-
mente secchi, ed in cerca di preda allontanasi non poco
dai proprj nascondigli ai quali però si dirige sempre fug-
gendo quando venga intimorito dall’ avvicinarsi di qualche
pericolo. Sorpreso in largo stradale costeggia la via fino a
che incontri il luogo più adatto per ricoverarsi, e fuggendo
spicca lunghi e frequenti slanci, progredendo pure con
somma velocità anche ritto sulla metà anteriore del corpo.
Nutresi di ramarri, di rospi, di rane e di piccoli qua:
drupedi, siccome topi e talpe. Si inerpica sugli alberi con
molta agilità, e sorprende così nel loro nido gli uccelletti
dei quali fa preda.
I colori veramente vaghi e vivaci di questo Colubro,
la lucentezza delle sue squame, il suo sguardo di fuoco,
l agilità de’ suoi movimenti, lo rendono senz’ altro il più
bello dei nostri serpenti. Ma il suo istinto è ben lungi dal
corrispondere alla esterna bellezza, essendo fra tutti il
ERPETOLOGIA 209
più irascibile; chè certamente no ’1 viddero all’ aperta, o
ben prontamente lo scansarono, o solo si ebbero sott’ oc-
chio individui indeboliti da schiavitù quegli autori’ che
mite e tranquillo ce lo descrissero. Ed invero, di propria
natura inquieto ed ardito, vedesi sempre pronto ad investir
l’uomo quando venga assalito e costretto a difendersi, ed
anzi non è neppur raro il caso di vederlo pronto ad offesa
quando venga soltanto incontrato o sorpreso nella stagione
più calda, e più ancora nell’ epoca degli amori. Inarca in
allora il dorso, e dirizzandosi verticalmente sulla metà ed
anche più del corpo manda frequenti sibili, morde rab-
biosamente e percuote l’ assalitore. Ed io stesso, come la
caccia di tali animali non può sempre essere esente da
consimili accidenti, io stesso dico, ebbi a provare in due
occasioni la collera di questo serpente, la cui immensa
agilità impedisce anche agli esperti di schivarne sempre
a tempo le offese, o di riportarne vittoria. Afferrato pel
collo, lestamente e strettamente attortigliasi alla mano ed
al braccio, tenendo spalancata la bocca. Morde tutto quanto
può afferrare, ma il suo morso e le percosse della sua co-
da sono ben lontane dall’ essere quali sono spacciate dal
credulo volgo. Per me, conscio della innocuità dell’ ani-
male e libero dall'influenza dei popolari pregiudizj, posso
assicurare che le percosse avute sulla gamba da un’ indi-
viduo che eravisi attortigliato non mi parvero più forti di
quelle di un leggero ed elastico frustino; siccome, benchè
privo affatto di conseguenze, posso dire invece sensibile il
suo morso a causa dei mumerosi ed acuti denti dei quali
tiene armata la bocca. Da tali denti perchè ricurvi al-
l’indentro, riesce poi difficile liberare la parte afferrata
dalla quale in ogni modo converrà staccarne dolcemente
l’animale per non subire lacerazioni più dolorose.
44
240 BETTA
E questa disposizione a mordere che il rettile porta fi-
no dalla prima età, esso conserva anche in stato di schia-
vitù seguitando per vario tempo a lanciarsi a bocca spa-
lancata contro la ferriata della gabbia che lo divide da
chi gli sta contro; nè depone tale iraconda abitudine che
dopo protratta schiavitù e dopo lungo digiuno. Basta in-
vece strappargli i denti per ridurlo presto mansueto a tal
segno da essere suscettibile di una qualche educazione o
domesticità, e da lasciarsi maneggiare e collocare a piaci-
mento del suo padrone.
Allo stato libero , soltanto l’ avvicinarsi della fredda
stagione lo rende innocuo e ritirasi in allora sotto terra,
ove rimane assiderato fino alla primavera, epoca de’ suoi
amori. Depone le uova in costiere ben soleggiate. La sua
carne è mangiata da taluno e pretendesi che sia abba-
stanza saporita.
OSSERVAZIONE.
Oltre ai caratteri desunti dal confronto della diversa
configurazione dello scudo del vertice, sarà sempre facile
distinguere questa specie dal flavescens per la diversa co-
lorazione che già subito nella prima età ne segna una co-
stante differenza.
Sul capo del wviridiflavus mostransi sempre. le mac-
chiette gialle caratteristiche, nè mai le larghe macchie e
la collana nera propria del /lavescens; le piastrine oculari
di quello sono di color giallo uniforme ; in questo all’ in-
contro sono le posteriori segnate da macchia nera che
partendo dall'occhio corre orizzontalmente verso i lati del
collo. Anche la coda ha diversa dimensione nelle due
specie, essendo più lunga nel viridiflavus.
ERPETOLOGIA DI I
Gen. TROPIBONOTUS KUHL.
AIT-I. TROPIDONOTUS NATRIX
Wagler.
Ital. Natrice, Vipera acquaiola, Natrice biscia.
Ven. Bissa aquarola, bisso d’ acqua, bissa ranèra, bisse, madrace.
Tirol. Serp 0 serpe d’ acqua, serp cenerin, vipera cenerina.
CARATTERI.
Capo distinto dal tronco, ovale, depresso, allargato posteriormente,
rofondato all'apice, coperto da 9 scudetti regolari e simmetrici.
Occipite con due macchie gialle molto distinte nei giovani, poco mar-
cate negli adulti, ed anche mancanti nei vecchi individui. All’ origine del
tronco di qua e di là della nuca, ed immediatamente dietro Ja fascia
gialla, due grandi macchie nere transverse, costanti, più o meno prolun-
gate all’indietro, e più o meno distinte e confluenti pel di sopra. Corpo di
color cinereo tendente all’olivastro; addome giallastro tessellato di nero.
Piastre addominali 102-174.
Seudetti sottocaud. p. 48-74.
SINONIMIA.
Coluber natrix Linn. Syst. Nat. IL p. 380.
-_ — Gmel. Syst. Nat. p. 1100. (excl. var. plur.)
— — LZatr. Hist. Rept. IV. p. 38.
— — Aetz Fauna Sueec. p. 293.
— — Daud. Hist. Rept. VII. p 354. (excel. var. plur.)
_ — Melaxa Mon. Serp. Rom. p. 33.
_ — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 418.
212
BETTA
Coluber natrix Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 38. sp. 64.
— Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 44.
— Wyder Serp. de la Suisse p. 22.
— Catullo Geogn. Venet. p. 172.
— Ambrosi Prosp. zool. p. 290.
Coluber Tyrolensis Scop. Ann. Hist. nat. IT. p. 39.
Coluber bipes Scop. ibid. (fide Bonap.)
— Shaw Zool. HI. p. 528.
Natrix vulgaris Laur. Syn. Rept. p. 75. 180.
Coluber torquatus Lacep. Quadr. et Serp. Il. p. 147.
— © Risso Hist. nat. III. p. 90.
Coluber helvelicus Lacep. Quadr. et Serp. Il. p. 326.
_ Latr. Hist. Rept. IV. p. 46.
-- Daud. Hist. Rept. VII. p. 57.
Coluber vulgaris Razoum. Hist. Jorat I. p. 121.
Coluber Scopolianus Daud. Hist. Rept. VII. p. 328.
Col. ( Natrix) torquatus Merr. Syst. Amph. p. 124.
? Coluber siculus Cuv. Régne anim. ed. II p. 84.
Coluber viperinus Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 34. (an var?)
Tropidonoius natrix Wagl. Syst. Amph. p. 179.
— Schleg. Essai II. p. 302.
— De Fil. Cat. ragion. p. 41.
— Dum. Bibr. Erpétol. VII. 4. p. BbB.
Natrix lorquata Fitz. Syst. Rept. p. 27.
Var.
_ Bonap. Fauna ital. cum tab.
— Betta Rett. Tirol. p. 156.
— Betta Cat. syst. Rept. p. 21.
- Massal. Saggio p. 16.
bilineata
murorum Fitzinger.
Coluber murorum Vest. (Bonap. )
Coluber natrix var. B. Friv. Mon. p. 46.
ERPETOLOGIA 2413
Coluber natrix var. murorum Fitz. Verz. Mus. p. 38.
2a ne, -_ Betta Cat. syst. Rept. p. 22.
Li RL — Massal. Saggio p. 18.
FORME.
Capo distinto dal tronco, ovale, depresso, allargato po-
steriormente, ristretto nel tratto anteriore agli occhi , ro-
tondato all’ apice. Scudetto rostrale di forma triangolare,
poco elevato e molto dilatato alla base. Scudetti nasali qua-
drilateri, colle narici aperte nel loro mezzo; uno scudetto
loreo per parte; scudetti frontali anteriori di forma qua-
drilatera; quinqueangolari i secondi e curvilinei posterior-
mente. Scudo del vertice quinqueangolare col margine an-
teriore quasi rettilineo; i laterali molto leggermente con-
vergenti all’ indentro. Scudetti occipitali ampj ed allungati,
tre volte più lunghi che larghi; i sopracigliari poeo spor-
genti. Occhi meno laterali che nei Colubri; una piastrina
oculare anteriore e tre posteriori. Sette scudetti nelle lab-
bra superiori, dieci nelle inferiori.
Tronco cilindrico-fusiforme, col dorso carenato nel mez-
zo. Coda poco distinta, terete, acuta, compresa circa cinque
volte nella lunghezza di tutto il corpo. Squame della parte
superiore del corpo e della coda carenate, lanceolato - allun-
gate, disposte in 49 serie.
Gli ultimi denti posteriori della mascella superiore sono
molto più allungati che non quelli situati. anteriormente.
COLORITO.
Le tinte e le macchie sono soggette a così numerose va-
riazioni in questa specie che difficilissimo è il caso di due
244 BETTA
individui assolutamente simili. Il colore del fondo varia in-
fatti con tutte le gradazioni intermedie dal cinereo tendente
‘all’olivastro fino al fosco ed anche, benchè raramente, al
nero; e questi colori sono poi più chiari verso i fianchi dove
in qualche individuo tendono anche al turchino. Il capo è
superiormente del colore del dorso, però con sempre mag-
giore tendenza al fosco olivaceo, uniforme e senza macchie. Il
tratto posteriore del capo è segnato da una fascia transversa
di color giallo tendente al sulfureo che nella maggior parte
degli individui è interrotta nel mezzo, e sbiadisce e sparisce
anche totalmente col crescere dell’ età. Immediatamente
dietro questa fascia gialla mostransi due grandi macchie di
color nero molto vivo, di forma tendente alla triangolare,
più o meno divergenti e prolungate all’ indietro, e più o me-
no disgiunte fra esse. Dal collo partono e continuano su
tutto il corpo quattro ed anche cinque serie di macchie nere,
delle quali le intermedie bislunghe, piecole, poco apparenti,
le esterne grandi, trasverse, molto prolungate e quasi ret-
tangolari. Bianeo-giallastra e senza macchie è la gola ed il
di sotto del capo; gli scudetti marginali del labbro superiore
sono di color sulfureo od olivaceo-giallognolo colle com-
messure tinte di nero: gli scudetti marginali del labbro in-
feriore giallo-sulfurei, con tutte le commessure o colle poste-
riori soltanto tinte qualche volta di nero superiormente e
per breve tratto. La metà posteriore del tronco è sempre
più dominata dalle macchie nere che non l’ anteriore, e
quelle verso la coda si espandono tanto da costituire la
parte principale del fondo.
Tutto il di sotto del tronco è sulfureo, o bianco giallastro
con molte macchie nere, grandi, quadrate, rettangolari 0 ro-
tonde, le quali qualche volta espandendosi sulle squame
dei fianchi ne occupano pressochè tutto il fondo; tal’ altra
ERPETOLOGIA 245
seno disposte a scacco, e talvolta mancano quasi totalmente
nella metà anteriore del tronco e sono supplite da piccole
macchie pressochè triangolari disposte nella parte poste-
riore delle piastre addominali. Il di sotto della coda ha
ha gli stessi colori dell'addome, ma vi predomina molto
più ancora il nero che giunge anche a tingerla totalmente.
La bella varietà bilineata porta gli stessi colori e le
macchie della specie, dalla quale si fa distinguere per
due fascie longitudinali, parallele, di color giallo olivastro
o biancastro, che percorrono lungo tutto il tronco sulle
due serie delle macchie intermedie le quali risultano per
tal modo molto più apparenti sul chiaro fondo delle fascie
stesse. Le macchie nere del di sotto del tronco tendono
in generale, più che non nella specie, ad occupare tutto
il fondo che diventa talvolta affatto nero con una mac-
chia bianca segnata nella parte esterna delle piastre addo-
minali.
I giovani si fanno distinguere per la viva tinta della
fascia gialla del capo, e non differiscono nel resto dagli
adulti che per il colore più chiaro delle macchie e del
fondo nella parte inferiore del tronco.
I giovani della var. Vilinecta presentano per lo più
molto distinte Ie due fascie bianche, ed io ne tengo molti
individui nella Collezione, fra i quali se ne vede anche
qualcheduno col dorso di color cenere quasi uniforme e
solo segnato da minute e rare macchiette nerastre, divise
dalle due fascie molto apparenti; qualche altro col dorso
fosco - olivaceo uniforme sparso soltanto di qualche rara
macchia nerastra verso il collo; e due finalmente di color
fosco uniforme su cui sbiadite e quasi indistinte corrono
le due fascie longitudinali.
2416 BETA
DIMENSIONI.
Di centimetri 60 a 75 è l’ ordinaria lunghezza di que-
sta biscia, col diametro di 417 a 24 millimetri. I maggiori
esemplari arrivano a centim. 90 - 94 di lunghezza, col
diametro di millim. 30.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Può dirsi non esservi località in cui non vedasi questa
specie, comune a presso che tutta l Europa. Incontrasi
quindi tanto sui monti elevati che uella pianura, tanto
nei terreni aridi che negli umidi, dando però sempre spe-
ciale preferenza ai siti prossimi alle acque stagnanti o di
lento corso, e alle sponde dei fiumi e dei laghi, molto di-
lettandosi dell’ acqua in cui nuota con singolare maestria
ed agilità, trattenendosi anche lungo tempo affondata.
È un serpente assai mansueto e tranquillo, e fugge
sempre all'avvicinarsi di alcuno. Sorpreso ed aizzato sibi-
la fortemente, dardeggia la lingua e tramanda dall’ ano
un particolare liquore giallastro di un’odore acuto e nau-
seante. E sempre difficile che ricorra al morso per difen-
dersi quand’ anche venisse preso ruvidamente colla mano,
ma in ogni caso la morsicatura è leggiera, quasi può dirsi
insensibile, e sempre poi senza la benchè minima conse-
guenza.
Abitando lungo le acque vi fa preda di rane e di altri
batraciani, non che di pesci; mutresi pure di lucertole e
di topi. Secondo qualche autore farebbe preda anche di
uccelletti che sorprenderebbe nei nidi rampicandosi con
»
ERPETOLOGIA 247
desirezza sugli arboscelli e sulle siepi. È molto vorace, ed
io stesso lo vidi divorare di seguito tre e quattro rane.
Sopporta lunghi digiuni, e ne tenni varj individui senza
cibo qualsiasi per 5 a 6 mesi.
Alla fine d’autunno ricovera sotterra e vi rimane in
letargo durante la fredda stagione, mostrandosi’ poi verso
la metà del Marzo cd ai primi di Aprile. La femmina
partorisce da 10 a 415 e fino a 20 uova a guscio molle e
biancastro, collegate da un glutine, e le depone in qual-
che buca del terreno, più spesso nei luoghi umidi , negli
abituri campestri esposti a mezzogiorno, e persino nei le-
tamaj ove l’ umidità e la temperatura più elevata che non
quella dell’ atmosfera assai più ne favoriscono lo svilup-
po. Ed è precisamente dallo schiudersi tali uova e dal
sortirne i neonati dai letamaj che nacque una favola che
fu anche a lungo creduta. Si pretese cioè che tali uova
fossero di gallo vecchio, che contenessero sempre un ser-
pente, e che siccome mai non le cova il gallo, bastasse
fossero poste in luogo caldo ed opportuno, come appunto
nei letamaj o tra vegetabili in putrefazione , per vederne
sempre sortire serpenti.
Secondo le osservazioni di varj autori il parto suecede
cirea cinque mesi dopo |’ accoppiameto, e le uova si schiu-
dono 25 a 30 giorni dopo. I piccoli sono già più o meno
sviluppati dal momento in cui vengono esse deposte, ed
al sortirne hanno la lunghezza di circa 12 a 46 centimetri.
Questa specie ha la proprietà di allargare il capo in
modo veramente singolare, e nelle magnifiche tavole della
Fauna Italica può vedersi figurato in tale stato di dilata-
mento il capo d’un esemplare di straordinarie dimensioni.
Nelle parti meridionali d’ Europa qualche individuo arri-
verebbe infatti, secondo quanto ne assicura il Principe
248 RETTA
Bonaparte e lo Schlegel, a quattro piedi e mezzo ed anche
cinque di lunghezza (Metri 4, 46 a 4, 62).
Una volta questa Natrice usavasi nella preparazione di
medicinali e di brodi che si riputavano efficaci a guarire
dalle scrofole, dalle malattie cutanee e da molti altri mali.
Ora però fu abbandonato anche tal uso, e resta solo chi
si ciba della sua carne qualificandola molto saporita.
OSSERVAZIONE.
Sebbene il Principe Bonaparte segni alla var. murorum
la mancanza della fascia occipitale gialla, devonsi però ri-
ferire ad essa anche i molti nostri individui che ne sono
provveduti, giacchè è a ritenersi che la sparizione di tale
fascia succeda coll’età e nell’ egual modo con cui si ve-
rifica nella specie.
NOTA.
L’esemplare del Col. siculus Cuv. citato nella sinonimia
che io tengo proveniente dalla Sicilia, non diversifica dalla
nostra Natrice che per la mancanza totale della fascia
gialla occipitale e per una maggiore dilatazione delle due
macchie nere caratteristiche della specie, fra loro con-
giunte-e foggiate a largo collare.
ERPETOLOGIA 249
42— II TROPIDONOTUS TESSELLATUS
De Filippi.
Ital. Natrice tessellata, Natrice Gabina.
Ven. Vipera d’acqua, bissa fiama, marasseto, viperelta cenerina,
bisse.
Tirol. Viperetta d’ acqua.
CARATTERI.
Capo distinto dal tronco, ovale-allungato, molto assottigliato pel da-
vanti, coperto da 9 scudetti regolari simmetrici, e senza macchie. Occipite
segnalo da due linee nere più 0 meno apparenti foggiate a V rovesciato
coll apertura all’ indietro.
Corpo di color verde olivaceo o cinereo-olivaceo, coi fianchi a mac-
chie di color roseo-sanguigno o d’ocra rossastro, e più raramente di giallo
pagliarino; addome dello stesso colore, segnato nel mezzo da larga fascia
nera continua, o tessellato di nero.
Piastre addominali 162-172.
Scudi sottocaud. p. 60-66.
SINONIMIA.
Coronella tessellata Laur. Syn. Rept. p. 87. sp. 188.
Coluber tessellatus Gmel. Syst. Nat. I. p. 1144.
— Mikan in Sturm Fauna III. 4. cum tab.
—_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 88. n. 63.
_ — Genè Storia nat. II. p. 403.
Col. ( Natrix) tessellatus Merr. Syst. Amph. p. 136. n. 494.
_ Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 46.
220 BETTA
Tropidonotus viperinus Schleg. Essai II. p. 325. (in parte).
= —_ Dum. Bibr. Erpétol. VII. 1. p. 860. (in parte).
Tropidonotus tessellatus De Filippi Cat. ragion. p. 42.
Coluber Gabinus Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 31.
—_ — Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. 423.
? Coluber viperinus Bendisc. ibid. p. 424.
Natrix Gabina Bonap. Fauna ital. cum tab.
Natrix tessellata Bonap. Fauna ital. cum tab.
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 24.
— — — Massal. Saggio p. 22.
Natrix viperina Betta Cat. syst. Rept. p. 24.
— — Massal. Saggio p. 20.
FORME.
Capo ben distinto dal tronco, ovale-allungato, molto
assottigliato nel dinnanzi. Scudetto rostrale di forma tri-
angolare molto allargata alla base. Scudetti nasali quadri-
lateri, allungati; scudetti lorei di forma quadrata. Scudetti
frontali anteriori quadrilateri quasi triangolari; scudo del
vertice quinqueangolare, anteriormente più largo. Scudi
occipitali larghi, i sopracigliari pochissimo sporgenti. Uno
seudetto oculare anteriore, tre posteriori.
Tronco cilindrico-fusiforme, col dorso carenato nel mez-
zo; coda sottile, terete ed acuta, lunga meno della quinta
parte di tutto il corpo. Squame risentitamente carenate,
lanceolato-oblonghe, disposte in 19 serie.
COLORITO.
Oltre agli altri speciali caratteri riescirà facile il di-
stinguere a tutta prima questa specie dalla precedente per
la diversa colorazione e per la mancanza della fascia gialla
ERPETOLOGIA 39, |
e delle macchie nere a questa susseguenti. Il corpo è tinto
superiormente di un bel color verde olivaceo o bruno oli-
vaceo; il capo dello stesso colore, senza macchie o solo
minutamente spruzzato di nero; due linee nere partono
dall’ occipite e divergono all’ indietro disegnandovi un V.
Il dorso è segnato di fascie nere transverse interrotte, più
o meno risentite e spiccanti sul fondo. Gli scudetti mar-
ginali sono di color cinereo verdastro chiaro, biancastri ai
loro orli e colle commessure tinte in nero, il qual co-
lore tinge pure le commessure di quelli della mascella
inferiore che sono giallastri ed irradiati di bigio. Gli occhi
neri coll’ iride dorata. Tutto il di sotto della coda nero
uniforme. La parte inferiore del capo e della gola bianco-
giallastra senza macchie; dello stesso colore ma per breve
tratto è il colio, mostrandosi subito alcuni spruzzi neri
disposti in retta linea nel mezzo del ventre, che si can-
giano poi in vere macchie segnando una larga fascia nera
longitudinale mediana che scorre non interrotta fino al-
l’ano, o dividesi e disponesi a larghe macchie quadran-
golari ora alternantesi, ora confluenti, ora spiegate e di-
stinte sul colore ocroleuco del fondo, ora infine confuse
da spruzzi bianchi e nerastri che ne occupano gli inter-
valli. I lati dell’ addome sono ornati da macchie di color
rosso-sanguigno 0 di color d’ ocra rossastro vivacissimo.
In alcuni individui questo colore si fa più sbiadito e ten-
dente piuttosto al giallo come nel 7. natrix.
Non sono rari gli individui con fianchi ornati di punti
bianchissimi o di lineole bianche sottili transverse e molto
prolungate, fra le quali risaltano ancora più sul fondo del
corpo le macchie nerastre dei fianchi ( Natrix tessellata var.
albo - lineata Bonap.). Trovansi anche alcuni esemplari nei
quali ìl colore del tronco è cinereo olivastro pressochè
999 BETTA
senza traccia di macchie, coi fianchi colorati in roseo, e
colla fascia che scorre in mezzo al ventre piombino-ci-
nerea in luogo che nera.
Specialmente distinguesi da tutte le altre una var. ni-
gra della quale non ne possiedo tuttora che un’ unico
esemplare preso nei Sette Comuni, Prov. Vicentina, nel Giu-
gno 1853. È la stessa che dubitativamente riportava alla
Natrix torquata nel mio Catalogus system. Reptil. (*), ma che
spetta invece alla presente specie come me ne persuasero
i confronti stabiliti. È veramente degno di nota il suo
uniforme color nerastro sparso solo sul dorso di punti e
di minute e rare macchie bianche elittiche , e tessellato
in grigio soltanto al di qua della gola e per breve tratto
del petto.
DIMENSIONI.
La sua lunghezza ordinaria è di Centim. 50 a 65 col
diametro di millim. 43 a 17. Un’ individuo preso nella Pro-
vincia Veronese e favoritomi dall’ amico Prof. Massalongo
stendevasi fino a Centim. 80 in lunghezza con millim. 20
di diametro. La femmina è sempre alquanto maggiore del
maschio.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Sembra che questa specie accompagni ovunque la tanto
comune Natrice, vivendo come questa nei terreni tanto
(*) Iatrix torquata - var? nigrescens Betta.
» N. supra nigricans, maculis ellipticis albis, parvis, rarisque eonspersa;
» pars inferior capitis et gulae albescens, nigro-tessellata; religuum cor-
» pus inferior ater; fascia occipitali nulla; collare nullo ( obliterato ?).
» Caput a collo magis distinctum quam in Natrice torquata. » — Betta
loco cit. pag. 22.
ERPETOLOGIA 223
asciutti che umidi, non senza dare però speciale prefe-
renza ai secondi. Incontrasi comunissima in tutta la pro-
vincia Veronese, ed assai frequente è nelle stesse campa-
gne lungo l’ Adige attigue a Verona. Vedesi presso Padova
ed è anzi comunissima nelle parti basse di quella. pro-
vincia, trovandosi sugli argini dei fiumi e lungo le strade
col 7. natrix. Nel Vicentino la raccolsi presso Marostega
e Bassano.
Nel Tirolo meridionale non l aveva ancora trovata
lorchè pubblicai il Catalogo dei Rettili della Valle di Non,
e fu solo nel seguente anno 1853 che ne presi colà due
individui presso Tajo, e due altri. poi nelle vicinanze. di
Trento. Il ch. Prof. Gredler mi avvertiva che anche presso
Bolzano è abbastanza frequente. É però sempre specie meno
comune della precedente.
Ama tuffarsi nell'acqua come tutte le Natrici prefe-
rendo le acque profonde ai piccoli stagni, e vi si può
trattenere al fondo per lungo tempo. Si pasce di girini, di
ranocchie, di pesciolini e di insetti acquatici. Si copula,
sì propaga e passa l'inverno come tutti gli altri serpenti,
ma non si conosce nè la durata della sua gestazione, nè
il numero delle uova che partorisce. Si adatta facilmente
alla schiavitù e si lascia prendere e maneggiare senza dar
segno di collera: Aizzata, sibila fortemente e lungamente,
gonfiando assai il corpo nell’ atto della inspirazione; si
contorce, si agita, e fa di tutto onde sottrarsi alle molestie
cercando sempre di nascondere il capo fra le spire del
corpo; non morde mai od è assai difficile che si decida
al morso. Nè invero tale dolce istinto accorderebbesi a tutta
prima a questo serpe così presto a fingere resistenza e di-
fesa col dardeggiar della lingua, col sollevar del capo, collo
sguardo audace ed ardito, e con forte e prolungato sibilo.
224 BETTA
Sopporta lunghi digiuni, ed io ne ho tenuti in schia-
vitù più individui per 5 a 6 mesi senza che mai fossemi
riescito di far loro prendere cibo qualsiasi. Ma fu appunto
per uno fra quelli custoditi nell’ inverno 41854 ch’ io po-
tei verificare il modo con cui bevono gli ofidii. — Preso a
Marcelise (prov. di Verona) sul finire dell’ Ottobre 1853 da
un ragazzo, che avevalo gravemente ferito nell’ occhio con
un colpo di sasso, io vidi nello spazio di circa un mese.
rimarginarsi la ferita stessa, e l’ occhio riprendere presso-
chè la sua naturale vivacità. La percezione della vista
doveva però mancare attesa l'inclinazione cbliqua laterale
che dava alla testa ogni qualvolta la sellevava verso
qualche oggetto che gli era avvicinato. Custodito semprè
durante l’ inverno ad una temperatura di + 10. a 42.° R,,
fu nel giorno 6 del successivo Marzo che levato dalla cas-
setta e posto fra i doppj vetri d’ una finestra a mezzogior-
no colla temperatura di + 49.° R. (temperatura ester-
na + 42.°), osservai come dopo breve tempo portatosi verso
un basso ma largo recipiente in cui aveva collocato del-
l’acqua, e passatovi sopra vi sì trattenne con metà del eor-
po tuffato nel liquido, tirandovi poi a poco a poco anche
il restante del tronco e la coda. Scorsi pochi minuti ed
inarcato leggermente il collo, portò il muso verso la pa-
rete del vaso premendovelo alla superficie dell’ acqua, e
lo vidi fare in allora replicati e brevi moti di succhia-
mento, in seguito ai quali lambiva Y acqua spingendo la
lingua e strofinandola nel ritirarla sulla parete del vaso
stesso. Presto dopo si alzava verticalmente su parte del
corpo e sollevando molto la testa spalancava la bocca,
quasichè sembrasse volere con frequenti sbadigli e con al-
ternati movimenti delle mascelle ridonar loro quella :fa-
coltà che era assopita dalla già lunga sua schiavità. E il
ERPETOLOGIA 225
succhiamento, e questo lambire, e tali moti della mascella
ripeteronsi per ben cinque volte nello stesso giorno ad in-
tervalli di pochi minuti, e rinnovaronsi poi in altre due
prove con successivo visibile vantaggio nel fisico del serpe.
Forse poteva sperare di vederlo cibarsi più tardi di qualcu-
no dei batraci che aveva collocati nel vaso, e verso i quali
aveva dato qualche segno di avventarsi, ma per alcune
repentine e sensibilissime variazioni di temperatura venne
a morte, dopo quasi 6 mesi dacchè lo teneva custodito.
OSSERVAZIONI.
Fu, tratto in inganno da qualche rassomiglianza nel co-
lorito di alcuni pochi individui del nostro 7. tessellatus col
Coluber viperinus, ch’ io aveva segnato questa seconda specie
come rinvenuta in Lombardia e nel Veneto (4). Il loro co-
lore giallo quasi sulfureo ai lati e sull’ addome, le macchie
nere del dorso più pronunciate, e le macchie biancastre
transverse dei fianchi furono specialmente la causa di tale
errore, in cui d’ altronde non era difficile incorrere avendo
trovato in qualche Museo conservata appunto questa specie
sotto il falso nome di Coluber viperinus, ed essendomi ap-
poggiato. alla descrizione, o dirò meglio alla figura che del
viperinus ci diede il Prineipe di Canino. E nello stesso er-
rore è caduto poi anche il Prof. Massalongo notando la
Natrix viperina come specie del Veronese (2).
Del resto mi riescì facile l’accorgermi dello sbaglio lor-
quando potei stabilire un confronto fra gli individui nostrali
e due giovani esemplari del vero Col. viperinus di Latreille
provenienti dall’ Egitto, e gentilmente a me favoriti dall’ il-
lustre amico Prof. Cav. Jan. Oltre infatti alla diversa colo-
(1) Cat. syst. Reptil. p. 21.
.2) Saggio p. 20.
226 BETTA
razione ed alla bene distinta differenza delle macchie nere
che lungo il dorso segnano una larga striscia continua fles-
suosa, e sui fianchi dispongonsi ad annello altra macchia
includendo di color più chiaro del fondo e quasi biancastro,
scorgesi nel viperinus il carattere specifico e costante, avver-
tito anche dal ch. Prof. De Filippi (4), di due soli seudetti
oculari posteriori, mentre nella nostra specie ed in altre
congeneri sono sempre in numero di tre. i
Non possiamo indicare il vero Col. viperinus che come
abitatore della Spagna, della Sardegna, della Grecia e di altri
paesi meridionali d’ Europa, non meno che del littorale del-
l’Africa dal lato del Mediterraneo. Fino ad ora secondo le os-
servazioni di molti Erpetologhi manca nell’ Italia superiore
e fors anco in tutta la penisola, per cui possiamo, almeno
adesso, ritenerlo estraneo anche alle nostre provincie.
Non sarà però a tacersi come il Bendiscioli lo avvisi ritro-
vato nel Mantovano (2), descrivendolo con caratteri di colo-
razione e di scudetti sottocaudali che bene si converrebbero
al viperinus, e specialmente all’ esemplare ch'io ne possiedo
proveniente dalla Sardegna. Ma oltrecchè io devo dichiarar-
mi tuttora dubbioso se riportar debba questo mio esemplare
sardo al vero viperinus del Latreille o piuttosto assegnarlo
al Tropidonotus occellatus di Wagler e di Duméril, le avver-
tite dichiarazioni di più autori sulla patria di questa specie,
il fatto del non averla mai incontrata in queste provincie
neppure ai confini del Mantovano, ci fa sentire il bisogno
di maggiori prove sulla sua presenza in Lombardia, ed in-
tanto ci è lecito dubitarne assai.
E degno d’ osservazione come Duméril e Bibron fra
le varietà del Tropidonotus natrix annoverino la nigra ( Nord-
(1) Catal. ragion. p. 45.
(2) Monografia dei Serpenti del Mantovano pag. 424. sp. VII
ERPETOLOGIA 227
mann Fauna Pontica) che presenterebbe quasi la stessa
‘colorazione che vedemmo nella nostra var. nigra del
T. tessellatus. Eccone le loro precise parole » ... M. Nord-
mann ... donne la figure d’ une variété nigra dont le dos
est, en effet, noir sur le dos, piqueté de points blancs, sur-
tout dans le quart antérieur, ainsi que sous les urostèges
et chez lequel le colliere jaune ne se retrouve pas. Est-ce
une espèce distincte? (*)».
NOTA.
| Gli stessi signori Duméril e Bibron descrivendoci nella
Erpétologie générale ( VII. A. p. 560. n. 2 - p. 562. n. 3.) il
Tropidonotus viperinus ed il Trop. chersoides vel occellatus ci
lasciano persuasi d’aver essi confuse nel primo due specie
distinte, o per meglio dire d’essere loro mancati gli estremi
ed i dati necessarj.a ben rilevare e definirne i rispettivi ca-
ratteri con quella perspicacia e diligenza che spiegarono
nella critica di altre specie.
Stabilito infatti il 7. chersoîdes sopra individui che lo
Schlegel aveva soltanto come varietà riportati al suo Col.
viperinus, vediamo poi del resto accettato e ritenuto da quei
chiarissimi Autori per 7. viperinus lo stesso descritto dallo
Schlegel, il quale, fuor d’ogni dubbio, ha con esso confuso
precisamente anche il nostro tesseltatus. Ammessa quindi
quella specie dello Sehlegel in modo vago ed inesatta-
mente descritta, troviamo da quei distintissimi Erpetologhi
citate nella Sinonimia specie ed autori che più ancora raf-
fermano il giudizio nostro sulla mantenuta confusione spe-
cifica. Ed infatti col Col. viperinus del Latreille, del Dau-
(*) Erpétol. Tom. VII. 1. p. 357.
228 i BETTA
din, del Merrem, che io ritengo pel vero 7. viperinus, vi
vediamo unite la Coronella tessellata del Laurenti, il Coluber
(Natrix) tessellatus del Frivaldszky, il Col. Gabinus del Me-
taxa e la Natrix Gabina di Bonaparte, le quali indubbia-
mente devono aversi invece per specie distinta da esso, e
precisamente pel tessellatus quì descritto. A provarne le dif-
ferenze specifiche basterà il confrontare le descrizioni e le
figure dateci da quegli autori, con quelle che del viperinus
ci porge avanti tutti il suo autore Latreille ( Zist. IV. p. 47.
t. 28. f. 4 ), e ci vengono poi presentate dal Daudin ( Mist.
VII. p. 125), dal Merrem ( Syst..p.126. n. 127), e da altri
più recenti autori.
La vaga determinazione delle due specie è forse la causa
per cui i signori Duméril e Bibron riportarono anche nella
Sinonimia del successivo loro 7rop. cherscides: il Col. tessel-
latus del Frivaldszky che avevano già prima collocato :sinoni-
mo del loro viperinus; è dessa però in ogni modo la ragione
per cui non poterono poi darei nè dell’ una nè dell’altra loro
specie precisi e determinati caratteri di distinzione. Così re-
sterà ancora sempre poco definito il loro ehersoides vel occel-
latus se riferirgli dobbiamo ia citatavi figura del C. tessellatus
data da Mikan ( Dewtschl. Fcuna II. 4.), che io trovo invece
collo stesso Bonaparte doversi riportare al nostro .tessellatus.
Intante a togliere ogni dubbio sulla specie che intendo
avere descritta come propria di queste Provincie, oltre ciò
che apparisce dalla precisa Sinonimia stabilita, mi faecio de-
bito di più particolarmente dichiarare essere la stessa di cui
il Principe di Canino dà deserizioni ed ottime figure sotto le
diverse denominazioni di Natrix Gabina e di /. tessellata ;
mentre quanto al Col. viperinus per confronto citato nelle
mie Osservazioni, ripeto essere soltanto tale per me quello
del Latreille, del Daudin, e del Merrem.
ERPETOLOGIA 9229
BR. OFIDII CON DENTI VELENIFERI.
Gen. PELIAS MERREM.
3057 ‘——’—PELIAS BERUS
kierrem.
Ital. Marasso, marasso palustre.
Ven. Marasso, Vipera, Marasso de palù, vipere rosse.
Tirol. Vipera rossa.
CARATTERI.
- Lapo ovale, poco distinto dal tronco e poco depresso, coperto supe-
riormente da sendetti piani ed irregolari con una piastrina poligona cen-
trale; spigolo rostrale risentito, ma poco prominente sull’apice del muso.
Colore del dorso vario, con una fascia longitudinale bruna 0 nera,
flessuosa e continua. I
Piastre addominali 144-186.
Sendetti sottocaud. p. 28-46.
SINONIMIA.
Coluber berus Linn. Syst. Nat. I. p. 377.
—' —. Laur. Syn. Rept. p. 97. sp. 246. (excl. tab. 2. f.1.)
— — Gmel. Syst. Nat, I. p. 1090. (excl. var.)
— — Shaw Zoo. II p. 365. t. 404,
_ — Cuvier Régne anim. p. 127. t. 341. f.2
Coluber Ai Linn. Syst. Nat. I. p..377.
—_ — — Gmel: Syst. Nat. I. p. 1091.
= —. Sturm Deutsch]. Fauna III. 4.
—' —. Zrivald. Mon. Serp. Hungar. p. 57.
230 BETTA
Coluber vipera Anglorum Laur. Syn. Rept. p. 98. 188.
Vipera vulgaris -Latr. Hist. Rept. III. p. 212. t. 40. f. A.
Vipera berus Daud. Hist. VI..p. 89. t. 72. f. 4. (excl. var.)
= =. Felz..\Verz. Mus. Wien. p. 62. sp. A.
— — »Schinz Fauna Heivet. p. 142. sp. 4.
— — Schleg. Essai p. 891. t. 21. fl 44-16,
_ — De Fil. Cat. ragion. p. 63.
Vipera prester Latr. Hist. Rept. INI -p. 309.
— — Daud. Hist. Rept. VI. p. 161. (excl. Syron.)
_ — Schinz Fauna Helvet. p. 142. sp. 2.
Coluber chersea Cuv. Règne anim. p. 127.
— — Sturm Deutsch]. Fauna II 4.
"a — Caiullo Geogn. Venet. p. 175.
mr — Ambrosi Prosp. zool. p. 294.
Pelias berus Merr. Syst. Amph. p. 448. sp. 1. (cum var. e. B. 7)
© — (— 4Aisso Hist. nat. III. p. 92.
— — riv. Mon. Serp. Hungar. p. 38.
O Borap. Fauna Ital. cum tab.
cu. Systhepl.p:928:
— — Betta Rett. Tirol. p. 157.
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 28.
— — Massal. Saggio p. 29.
— — Dum. Bibr. Erpetol. VII. 2. p. 1395.
Vipera chersea Angelini Bibl. Ital. T. VII. p. 4b1.
Vipera limnaea Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 434. sp. 44.
Pelias chersea Wagl. Syst. Amph. p. 178.
— — Bonap. Fauna Italica, cum tab.
FORME.
In confronto della Vipera aspis il capo di questa specie
è solo mediocremente distinto dal tronco; di figura ovale
più o meno allungata, meno depresso, coperto superior-
mente non di scaglie ma di scudetti piani o piuttosto leg-
ERPETOLOGIA 234
germente concavi; con lo spigolo rostrale risentito ma
meno rilevato sull’ apice del muso, che è alquanto ottuso.
Gli scudetti che rivestono il capo sono in alcuni individui
regolari e simmetricamente disposti, in altri veggonsi al-
l’invece di forma e disposizione irregolare. Scudetti so-
praorbitali piuttosto grandi, bislunghi, sporgenti all’infuori
quanto il globo dell’ occhio, costituiti da uno e qualche
rara volta da due pezzi. L’ occhio inferiormente ed ai lati
è cinto da doppia serie di piccolissimi scudetti, ed. uno
degli orbitali anteriori giunge all’ altezza dello spigolo ro-
strale insinuandosi tra il sopraorbitaie ed uno dei sopra-
nasali. Scudetti nasali grandi, rotondi e concavi, con foro
ampio delle narici nel mezzo. Due scudetti sopranasali
bislunghi, con spigolo nel loro margine esterno; scudetti
antinasali angusti, cuneiformi, assottigliati inferiormente ;
scudetto rostrale convesso, triangolare, allargato ed. inca-
vato nel margine inferiore, smussato all’ apice; scudetto
soprarestrale costituito da due pezzi, collocato orizzontal-
mente e nello stesso piano in cui sono gli scudetti del
vertice e della fronte. Scudetti occipitali grandi, bislunghi,
quasi reniformi, poligoni; queilo del vertice piuttosto. gran-
de, configurato come quello dei Colubri in genere. Piastre
frontali piccole, in numero di 5 a 410. Fra lo scudetto del
vertice e gli scudetti sopraorbitali trovasi uno scudetto
cuneiforme, spesso anche suddiviso in tre o quattro pezzi.
La mascella superiore è notevolmente più lunga della in-
“feriore ; nove per lato sono gli scudetti marginali di am-
bedue le mascelle. Gli occhi rotondi colla pupilla allungata
verticalmente, ma meno grandi di quelli della Vipera aspis.
Il tronco restringesi per un tratto più lungo verso il capo
che non verso l’ano. La coda è distinta dal tronco, conico-
subtrigona, più breve nelle femmine e più sottile che non
239 BET-TA
nei maschi. Le scaglie che ricoprono la parte superiore del
tronco e della coda sono di forma lanceolata, longitudinal-
mente segnate da risentita carena la quale è solo più debole
sulle prime scaglie contigue agli scudetti del capo. Le pia-
stre addominali variano dalle 444 alle 156, e gli scudetti
sottocaudali da 28 a 48 paja; ordinariamente però negli
individui Veneti le piastre sono da 146 a 150, e gli scudetti
da paja 28 a 38.
COLORITO.
La colorazione di questa specie è soggetta a molte varie-
tà, delle quali gran numero sono puramente accidentali od
anche forse dovute all’ influenza del clima. A quanto osser-
va Bechstein troverebbesi nella specie una costante differen-
za di colorazione anche secondo i sessi, e Lenz avrebbe di
più notato come questi subiscano regolari cangiamenti di
colorito secondo i var] periodi della vita.
Il colore del fondo dominante negli individui di queste
Provincie tende in generale al ferrigno acceso ed al casta-
gno-rossastro. Qualche raro esemplare presenta il fondo di
color brunastro che si fa poi nerastro dalla metà del tronco
fino all’ apice della coda confondendovisi anche le macchie
del dorso. L'unico esemplare raccolto in Tirolo presenta una
tinta tendente al bigio sporco. Il Principe Bonaparte segne-
rebbe come colori del fondo negli individui italiani anche il
cinereo tendente al carneo o all’ olivastro, al bigio, al fer-
rigno acceso, al castagno rossastro.
Il capo è al di sopra di color cinereo fosco, talvolta
quasi nerastro. Una fascia nera stendesi all’ indietro dal
vertice sugli scudetti occipitali e si divide quindi in due
larghe branche divergenti, che han termine verso i lati
ERPETOLOGIA 233
della nuca. Una larga fascia bruna od anche affatto nera
incomincia dietro l’ occhio e scorre orizzontalmente sul
collo. Gli scudetti marginali della mascella superiore sono
nerastri anteriormente alle narici, quindi sino agli occhi
maechiati di bianco sudicio con largo lembo nerastro nel
margine, e poi quasi totalmente bianeo-sudici nel rimanente.
Sul capo, attigua alla fascia nera divergente dal vertice, ve-
desi una striscia risultante dal color chiaro del fondo e
rappresentante in modo più o meno distinto la lettera V,
pur come quella unita sulla fronte e divergente al collo.
Nella sua apertura trovasi poi subito un’ altra macchia che
dà origine ad una striscia flessuosa, fosca ed anche nera,
talvolta tendente all’ azzurro, che dalla nuca scorre non
interrotta pel mezzo del dorso fino. all’ estremità della coda.
Questa fascia a zig-zag risulta dalla riunione di: due serie
di macchie quasi triangolari a base allargata, e confluenti
da un lato e dall’altro. Presso tale fascia havvi di qua e di
là una serie di macchie grandi dello stesso colore, arroton-
date e disgiunte, collocate a rincontro dei seni della fascia
dorsale, le quali però nel tratto più prossimo al capo 'con-
fluiscono in una fascia che va a congiungersi con. quella
dei lati del capo incipiente dietro gli occhi. Lungo i fian-
chi, dove nasce la divisione delle squame dalle piastre
addominali; scorgesi un altro ordine di macchie più piccole,
quasi triangolari, nerastre, alternantesi colle ultime de-
scritte e perciò opposte ai vertici della fascia dorsale. Tali
macchiette sono però poco distinte e molte si confondono
con quelle della serie vicina, risultandone in tal caso una
tinta nerastra quasi uniforme sui fianchi che lascia solo
qua e là alcune macchiette, o punti, o lineole di color chiaro.
Le mascelle inferiori e la gola sono tinte in modo simile al
ventre e solo hanno talvolta colori meno intensi.
234 BETTA
Le piastre addominali sono d’ un color d’ acciajo più
o meno tendente al nero, con sottilissimo lembo biancastro
nella parte posteriore. Alcune hanno l’ estremità verso i
fianchi di color bianco sudicio in tutto od in parte, per il
che ne risulta sul confine dei fianchi una serie di mae-
chiette biancastre disposte per lo più a due a due. General-
mente altre macchiette biancastre vedonsi pure sparse sen-
za ordine sul disco delle piastre, più frequenti verso i
fianchi che verso il centro, e di tali punti se ne trovano
parecchi anche sotto la gola. La coda è del colore del dorso,
ma le macchie vi sono più piccole e confuse; inferiormente
è tinta come il ventre, ma verso l’ apice è giallo-citrina o
di color ranciato più o meno acceso, e solo in qualche in-
dividuo mostrasi al di sotto tutta o quasi tutta di tal colore.
Nei giovani il dorso è biancastro o grigiastro con leggiera
tinta di brunastro, ma questi colori prendono poi subito
una tinta più carica in bruno o rossigno. La fascia dorsale
si vede in essi.molto pronunciata, ed il di sotto del corpo è
di un nero più 0 meno intenso con. piccolo orlo biancastro.
Fra i varj esemplari di questa specie che fanno parte
della mia Collezione, uno specialmente piacemi quì ricorda-
re siccome il più bello di quanti osservai fino ad ora. Sopra
un fondo di color fulvo, traente al castagno verso la metà
del corpo fino all'apice della coda, la fascia longitudinale del
dorso spicca non interrotta e molto pronunciata, ed è di un
bel color nero di velluto quasi uniforme. Le macchie laterali
molto distinte sono di un bel nero marrone; tutto il di so-
pra del capo è pure di egual colore dall’apice del muso sino
all’occipite, ove lo spazio del fondo chiaro che risulta fog-
giato a V spicca pronunciatissimo su quello oscuro: del capo,
e su quello ancora più carico della macchia. che dà origine
alla fascia dorsale. Tutto il di sotto’ è nero d’acciajo fre-
EFERPETOLOGIA 235
giato di macchiette bianche al punto di congiunzione delle
piastre addominali colle scaglie del dorso.—Fu preso nella
provincia Veronese lungo il fiume Tartaro, ed io ne devo
il possesso alla cortesìa del defunto amico mio, Luigi Me-
negazzi.
DIMENSIONI.
Lunghezza centimetri 46 a 54, col diametro di mil-
lim: 20 a 25.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Abitatore tanto dei monti che della pianura trovasi
questo velenoso serpente tanto nel Tirolo che nel Veneto.
Ma mentre non potei colà rinvenirne io stesso che un’ unico
esemplare presso Mezzolombardo al di là di Trento (solo
constandomi la sua presenza in qualche altra località del
Trentino e del Roveretano per attestazioni di terze perso-
ne), lo veggo all'incontro nel Veneto anche troppo fre-
quente, e forse più che altrove nella Veronese Provincia,
specialmente nel tratto di terreno bagnato dalle acque dei
fiumicelli Tion, Tartaro, Molinella, ed in tutta l'estensione
delle così dette Valli grandi veronesi. Comparisce abbastanza
frequente nel vicino territorio di Rovigo, nel basso Pado-
vano e nelle paludi del basso Friuli, e non è raro nella
provincia di Venezia. Secondo il ch. Prof. Catullo incontrasì
anche nei dintorni umidi di Antole nel Bellunese.
Il Pelias berus, chiamato Marasso dagli italiani, vive so-
litario in terre basse ed innondate di frequente, nelle valli
umide, nei prati paludosi, nelle. risaje, nei boschi vallivi e
lungo gli argini dei canali fra i giunchi e le erbe palustri.
Nuota con molta agilità. Nella state cerca i luoghi più
236 BETTA
freschi ed umidi, e nella primavera ed autunno preferisce
gli elevati ed asciutti, ritirandosi poi in qualche buca sot-
terranea per passarvi assiderato la cattiva stagione. Sorte
al ritorno della primavera, e l Aprile è 1’ epoca de’ suoi
amori. i
Teme il caldo, nè si espone perciò ai raggi del sole che
di buon mattino. Nelle ore cocenti del giorno si ritira sem-
pre fra i cespugli ed all'ombra. Morde senza essere provo-
cato, e si avventa rapidissimo contro chi gli passa dappresso,
sopratutto poi nell’ epoca degli amori in cui si fa inquieto,
ardito e pericoloso più dell'usato. E lo sanno pur troppo i
nostri villici e risajuoli che sono più d’ ogni altro soggetti
all'incontro ed al morso del Marasso perchè a piedi ignudi
ne frequentano il domicilio. Qualche abitante delle valli
Veronesi mi avvisò il singolare costume di questo serpe di
vibrarsi per morsicare nell’ istante istesso in cui }’ ombra
del corpo di chi passa gli si projetta sopra, togliendogli i
raggi del sole ai quali stava esposto. Pretendesi che il suo
veleno superi in forza quello della vipera; e se mancano
di ciò prove desunte da comparativi esperimenti, è certo
però in ogni caso che le conseguenze del suo morso non
sono nè meno luttuose nè meno pronte di quelle prodotte
dal dente della vipera.
Il Marasso nutresìi di rannocchie, di Lied di vermi
ed insetti, ma sopratutto di piccoli mammiferi. Tenuto cap-
tivo ricusa ogni cibo, e per lungo tempo mantiensi ardito
e disposto a ferire avventandosi contro le sbarre della sua
gabbia. ali
OSSERVA ZIONE.
Il ch. entomologo Bernardo Angelini fu il primo ad in-
dicare la presenza nel Veronese di questo serpe ch’ egli
ERPETOLOGIA 237
chiamò Vipera chersea, e di cui diede una buona descrizione
nella Memoria pubblicata nella Biblioteca Italiana Tomo VII
del 1847.
Bendiscioli nella sua Monografia dei Serpenti del Manto-
vano descrisse il Marasso col nuovo nome di Vipera lin-
naea, avendo erroneamente. applicata la denominazione
Linneana di Coluber berus ad una delle molte varietà della
comune Vipera aspis. i
238 i BETTA
. Gen. VIPERA LAURENTI.
ALI VIPERA ASPIS
Merrem.
Ital. Vipera comune, Aspide.
Ven. Vipera, vipara, lipara, vipere e lipare, dspese.
Tirol. Vipera, lipra.
CARATTERI.
Capo depresso, allargato posteriormente e molto distinto dal tronco,
coperto superiormente di piccole squame; spigolo rostrale risentito e. pro-
minente sull’apice del muso.
Colore vario, con quattro serie di macchie nerastre sul dorso, ui
ed alternantesi, o qua e là confluenti.
Piastre addominali 141-156.
Scudetli sottocaud. p. 33-40.
SINONIMIA.
Coluber aspis Linn. Syst. Nat. I. p. 378.
i — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1093.
_ — Razoum. Hist. Jorat I. p. 284.
— — Catullo Geogn. Venet. p. 175.
Coluber Redi Gmel. Syst. Nat. I. p. 1091.
— — Shaw Zool. III p. 380.
Vipera Fr. Redi Laur. Syn. Rept. p. 99.
Vipera Mosis Charas Laur. Syn. Rept. p. 100.
Coluber vipera Lacep. Quadr. et Serp. II p. 4.
Coluber berus Razoum. Hist. Jorat I. p. 145.
ERPETOLOGIA 2
Coluber berus Catullo Geogn. Ven. p. 172.
Tr — Ambrosi Prosp. zool. p 291.
Coluber chersea Razoum. Hist. Jorat p. 148.
Vipera occellata Latr. Hist. Rept. II. p. 292. {. 1.
= —_ Daud. Hist. Rept. VI. p. 140. t. 42. f. 2.
Vipera Redi Latr. Mist. Rept. IM. p. 304,
— — Daud. Hist. Rept. VI. p. 152.
_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 62. sp. 3
= — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. 2.
— — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 429. sp. 12.
Vipera Rediù S-hinz Fauna Helvet. p. 1453. sp. 3.
— — Fitz. Syst. Rept. p. 28.
Vipera berus Cuv. Rèégne Anim. t. SI. f. 4.
—_ — Mctaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. Ad.
= — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 428. sp. 9.
ni — Wagl. Syst. Amph.. p. 177.
Vipera chersea Latr. Hist. Rept. II. p. 297.
= —. Daud. Hist. Rept. VI. p. 144.
= — Metaxa Mon. Serp. Rom. p..42. sp. 4.
— — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 450. sp. 15.
Vipera aspis Merr. Syst. Amph. p. 134.
_ — Mctaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. 3.
— —_ Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 427 sp. 40.
_ — Bonap. Fauna Ital. cum tab.
— — chleg. Essai II. p. 599. t. 21. f. 17. 18.
— ‘— De Fil. Cat. ragion. p. 64.
= — Betta Rett. Tirol. p. 456.
= — Betta Cat. syst. Rept. p. 22.
== — Massal. Saggio p. 20.
— — Dum. Bibr. Erpétol. VII. 2. p. 4406.
Vipera (Echidna) aspis, var. a. Redi — Merr. Syst. p. 1b1.
_ Vipera prester Metaxa Mon. p. 43. sp. d.
- — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 428. sp. 41.
Echidna aspis Risso Hist. II. p. 92. sp. 28.
240 BETA
FORME.
Capo molto distinto dal tronco, di. figura piriforme,
depresso superiormente e solo leggermente convesso sul
vertice; coperto superiormente da numerose scaglie pic-
cole ed irregolari, delle quali quelle della metà anteriore
liscie, quelle della metà posteriore segnate Iongitudinal-
mente da una forte carena, tutte poi leggermente con-
vesse. Qualche volta le scaglie coilocate nel punto in-
termedio fra l'uno e l’altro occhio sono alquanto maggiori
delle altre (*). Lo spigolo rostrale è molto prominente,
massime sull’ apice del muso il quale è smussato, quasi
troncato. Scudetti sopraorbitali grandi, elittici, quasi piani,
orizzontali, e sporgenti più in fuori del globo dell’occhio.
Il resto dell’ orbita è cinto da doppia serie di piccoli scu-
detti di forma irregolare arrotondata ed elittica. Scudetto
nasale piuttosto grande, quasi-rotondo ed ampio il foro
delle narici che apresi nel suo mezzo. Due scudetti sopra-
nasali bislunghi, con spigolo prominente del Toro margine
esterno e che estendesi orizzontalmente fino alla metà circa
degli scudetti antinasali, i quali sono cuneiformi, allargati
verso l’alto, e non si elevano al di sopra del margine su-
periore dello scudetto rostrale. Questo scudetto è legger-
mente convesso, largo e smarginato alla base, troncato al
margine superiore, ed elevato in modo da far riuseire molto
prominente nel di sopra l apice del muso. Lo. scudetto
soprarostrale è più largo che lungo, rettangolare, declive
dall’ innanzi all’ indietro, e nei nostri individui mostrasi
più generalmente costituito da due pezzi, rarissime volte
(*) Vedasi anche quanto si è avverlito nella Nota a pag. 176.
ERPETOLOGIA 244
da un solo, e più di rado ancora da tre (*). Gli occhi
sono grandi, rotondi, colla pupilla allungata verticalmente.
Il tronco è depresso-tondeggiante, con una carena sul
dorso, e si restringe assai più verso la testa che non po-
steriormente. Le scaglie che coprono il corpo sono di for-
ma ovato-lanceolata, carenate fortemente sul tronco, e
meno sulla coda. Le piastre addominali variano dalle 144
alle 156; gli scudetti sottocaudali arrivano a paja 46 nei
maschi, non eccedono talvolta le paja 33 nelle femmine.
La coda è distinta dal tronco, conico-subtrigona, terminata
da un breve aculeo curvato all’ insù, ed è più lunga nei
maschi che non nelle femmine.
I maggiori denti del veleno sono lunghi 4 a 5 milli-
metri; i denti palatali sono piccoli, adunchi, in numero di
44 a 45 per parte; quelli delle mascelle pure adunchi ed
in numero di 8 a 42 per parte.
COLORITO.
Il colore specialmente dominante sul dorso dei nostri
individui è un cinereo tendente al bigio, od un fosco più
o meno intenso. Ma queste tinte variano anche fra noi
moltissimo, ed abbiamo quindi individui coloriti in rossa-
stro, in castagno, in bruno, in terreo, in rugginoso, nera-
stro, cinereo chiaro, e qualche volta anche in color noc-
ciuola acceso.
Il capo è superiormente dello stesso colore del dorso;
in qualche individuo però di color bigio-cinereo lo vedia-
(*) Un solo individuo io possiedo che abbia tale scudetto costituito
da tre pezzi, presentando poi anche il raro caso di colorazione e di mac-
chie dorsali disposte a fascia flessuosa come nel Pelias derus. Fu preso
in Lombardia nel 1842.
46
242 BETTA
mo, benchè raramente, tinto in brunastro verso 1’ apice.
‘ Dall’ uno e dall’ altro lato una fascia piuttosto larga di
color scuro o nerastro, dal lembo posteriore dell'occhio si
prolunga in linea retta fino ai lati del collo. Due altre
striscie scure o nerastre si manifestano sul capo al. di
dietro dei lati del vertice, le quali o congiunte o più spesso
separate anteriormente scorrono divergendo all’ indietro
fino ai lati dell’ occipite. Altre due o più macchie delli
stessi colori mostransi presso gli occhi, ed una o più sulla
fronte; ma queste non sono però costanti nè per forma,
nè per posizione, essendo in alcuni individui foggiate a
striscia, in altri quadrangolari, in altri puntiformi, ed in
altri infine affatto mancanti. Alla nuca una macchia più
o meno grande, più o meno arrotondata, o quadrangolare,
od irregolare, dà principio alla serie delle macchie dorsali.
Gli scudi marginali del labbro superiore hanno una tinta
di un color latte o bianco sordido che chiusa fra la fascia
nerastra che corre dall’ occhio al collo e fra il fondo più
oscuro della mascella inferiore, spicca quasi come una
bianca fascia. La punta del muso è cornea, più o meno
imbrattata di scuro.
Quattro serie di macchie fosche, nerastre od anche di
un bellissimo nero, listano tutto il tronco e la coda; sono
desse generalmente rettangolari, due volte più larghe .che
lunghe, qualche volta contornate da pallido lembo, e. di-
sposte come si disse in quattro serie parallele. Le macchie
delle due serie intermedie sono in generale parte alternanti,
parte opposte e confluenti da una all’ altra serie; in alcuni
individui sono tutte alternanti, in altri quasi tutte con-
fluenti. Le macchie delle serie esteriori si alternano con
quelle intermedie quando queste sono confluenti, e vice-
versa confluiscono con quelle della parte rispettiva quando
ERPETOLOGIA 243
alternano le intermedie; in altri casi le macchie di tutte
e quattro le serie si alternano quasi ovunque. Nel mag-
gior numero degli individui le macchie delle due serie in-
termedie più vicine al capo eonfluiscono fra esse, indi si
alternano sul tronco, non senza però nuovamente e più o
meno confluire nell’avvicinarsi alla coda. Talvolta essendo
segnata la carena dorsale da una sottile striscia nerastra e
venendo a collegarsi assieme le macchie laterali vi figurano
una fascia ramosa, a rami parte opposti parte alterni. E
si dà anche il caso, benchè assai raro, in cui essendo più
larga tale striscia nerastra della carena ed allargandosi
verso la stessa le macchie laterali ne risulti una fascia
flessuosa, a zig-zag, che simula quella del dorso del Pelias
berus; ma in tale caso però tale fascia non è perfettamente
continua e mostra qua e là qualche interruzione.
La parte inferiore del capo è a seconda del colore del
dorso ora di color carneo, ora carneo-sudicio, ora bianca-
stro uniforme o più generalmente screziato di cenere o di
fosco, talvolta anche tutto nerastra. Gli occhi hanno la
pupilla nera coll’ iride giallo-ranciata.
I fianchi sono bianchi o cinereo-biancastri imbrattati
di fosco negli individui di fondo più chiaro; in quelli a
fondo scuro sono segnati da macchie nerastre simili a
quelle del dorso, ma più piccole, meno intense e più nu-
merose, e qualche volta confluenti qua e là come quelle
delle due serie dorsali esterne. Varia assai il colorito sotto
il tronco e la coda, essendo talvolta bruno d’ acciajo più
o meno intenso, uniforme o spruzzato di bianco sudicio,
di giallastro o di rosso mattone; talvolta rossastro più
meno acceso, pure uniforme o spruzzato di bianco e di
nero; talvolta grigio nerastro ed anche tutto nero unifor-
me, la qual’ ultima tinta fa specialmente singolare contrasto
244 BETTA
negli individui a dorso cinereo od a dorso rossastro acce-
so. L’ orlo posteriore delle piastre addominali è quasi sem-
pre pallido o biancastro, e di tal colore sono pure tinte
alcune di esse nelle estremità che si congiungono ai fian-
chi. Le macchie dorsali arrivano anche all’ apice della coda
ove però riescono poco distinte e non troppo regolarmente
disposte; il tronco della coda reca inferiormente un color
giallo di paglia, tendente più spesso al croceo ed al ran-
ciato. In qualche individuo mostrasi la coda anche per
tutta la sua lunghezza tinta di croceo pel di sotto, con
minutissime e rare screziature nere in prossimità dell’ ano.
Da tale descrizione chiaro appare quanto difficile, o
dirò meglio impossibile, riescirebbe il voler quì presentare
esatta nota delle varietà di colorazione, le quali poi con
infinite gradazioni vengono fra loro a toccarsi e confon-
dersi. Nelle belle tavole che accompagnano la descrizione
di questa specie nella Fauna italica ponno vedersene figu-
rate le principali varietà; e solo per accennare alcune di
quelle che fra noi troviamo più costanti possono essere
quì distinte le seguenti :
var. a. cinerea — Dorso di color cinereo più o meno
chiaro, con macchie nere piuttosto strette e rare;
tutte le parti inferiori nere.
var. dò. cinerasecens — Dorso di color cenere tendente al
bigio, con macchie nerastre più o meno dilatate e
numerose; il di sotto di color bruno d’ acciajo o
nero, screziato leggermente in rosso mattone ed
anche in bianco ( Vipera Redi quor. auctor.).
var. c. sufa — Dorso di color rugginoso più o meno ac-
ceso; le parti inferiori del corpo nere, screziate di
bianco e di rossastro sulla gola, macchiate di rosso
var. d.
var. e.
var. f.
ERPETOLOGI1A 945
mattone nel resto e specialmente nella parte me-
diana delle piastre addominali (Vip. derus vel aspis
quor. auctor.).
rufescens — Parte superiore del corpo tendente
al rossastro ; il di sotto bruno d’ acciajo screziato
di bianco, di nero, ed anche di rosso mattone.
fusca — eil
brunnea — Dorso fosco o bruno più o meno ca-
rico con macchie nere o nerastre molto distinte, o
talvolta anche poco distinte. Il di sotto nero scre-
ziato in rosso mattone ed in bianco.
var. 9. fualva — Dorso di color leonino acceso, tendente
var. h.
Var. è.
var. È.
al rossastro; macchie nere coi lembi più pallidi
del fondo del corpo. Ventre nerastro screziato.
rufiventris — Tutto il corpo di color rossastro
con macchie talvolta molto strette. Il di sotto di
color rossastro acceso con leggerissime e rare scre-
ziature in nero.
fusca, plumbeiventris — Dorso di color fosco
colle parti inferiori di color piombino uniforme,
tranne che qualche sottile screziatura nera sotto il
capo e la gola.
Isabellina — Parte superiore del corpo di color
isabella chiaro, colle scaglie segnate da tinta al-
quanto più carica sulla carena ed all’ apice. Le
due serie delle macchie dorsali risultano tracciate
da rare e piccole macchie brunasire. Mancano af-
fatto le due serie laterali. Sul capo nessuna macchia,
ma ben segnata di bruno la fascia del lembo po-
steriore dell’ occhio, e molto spiccante quindi il co-
lor latteo che tinge gli scudetti marginali del lab-
bro superiore. Il di sotto biancastro o rossastro
246 BETTA
spruzzato di nero, il qual colore vi disegna qual-
che rara macchia verso l’ esterno delle piastre ad-
dominali. Vicino all’ ano il fondo si tinge in ros-
sastro con spruzzature nere e bianche, ed il di
sotto della coda è croceo quasi uniforme.
Oltre queste e molte altre consimili varietà che più o
meno possono incontrarsi, e delle quali tengo una bella
serie nella mia Collezione, il Prof. Massalongo indichereb-
be (*) anche come esistenti nel Veneto la
var. m. nigra Bonap. — Col dorso affatto nero o nero
grigiastro, da lui veduta nei Sette Comuni, e la
Var. n. occellata Ronap. — Col dorso sparso di grandi
macchie rotonde contornate di oscuro, incontrata
pure da lui nel Bosco Montello, Prov. di Treviso.
Di nessuna di queste due varietà io vidi, nè conosco
ancora esemplari veneti, e solo tengo la prima ( Vip. pre-
ster auetor.) dall’ Ungheria ove, come anche nella Svizzera
e nella Russia, sembra abbastanza comune. La seconda
varietà (Vip. occellata auctor.) è forse la più bella di quan-
t altre mai, distinguendosi pel colore del fondo grigio-ros-
sastro colle macchie delle due serie intermedie piuttosto
grandi, arrotondate, oculiformi, brunastre nel centro, ed
orlate di nerastro. Può vedersi figurata nelle tavole di
Bonaparte.
1 colori dei giovani della specie riescono sempre meno
pronunciati. Già da quando vengono alla luce il loro dorso
presenta il colore che deve poi mantenere, sebbene in ge-
(*) Saggio pag. 22. var. a. e bd.
ERPETOLOGIA 247
nerale con tinta leggiera e sbiadita; le macchie invece si
presentano subito distinte, e le parti inferiori hanno sem-
pre una tinta biancastra uniforme o qualche volta fulva-
stra, con debolissime screziature di bianco e di cenere, o
di bianco e di brunastro.
DIMENSIONI.
L’ ordinaria lunghezza cui giunge è dai 54 ai 60 centi-
metri, col diametro di 22 a 25 millimetri. Non mancano
però anche maggiori individui, e sopratutto nella provin-
cia di Treviso ove arrivano alla lunghezza di centim. 65
col diametro di millim. 28.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Comune in tutto il Veneto e Tirolo meridionale, vive
forse più che altrove copiosissima nella provincia di Tre-
viso, ove il Bosco Montello gode specialissima benchè tri-
sta rinomanza per la quasi prodigiosa quantità di vipere
che ne infestano ogni cespuglio, ogni cumulo di pietre, i
margini dei fossati, i sentieri e le vie. Per quanto mi av-
visa l’amico D." Martinati questa Vipera nel Padovano
abita forse esclusivamente i Colli Euganei; e nel Friuli è
specialmente frequente sui monti di Forgaria, di Medun e
S. Simeone. Le varietà a dorso bigio cinereo od a dorso
fosco più o meno rossastro sono le più comuni. La varietà
rufiventris comparisce più rara, e dei quattro esemplari
della mia Collezione, due provengono dal Monte Bolca nel
Veronese, uno dai Serte Comuni, ed il quarto dal Bosco
Montello, da dove proviene pure la varietà fulva. Della
fusca plumbeiventris non ne scontrai che un unico esem-
248 BETTA
plare. Due soli esemplari possiedo della bellissima e raris-
sima varietà Veronese /sabellina, uno dei quali lo devo
alla gentilezza del sig. Pellegrini Gaetano che lo prese
presso Fumane in Valpolicella. Una varietà col dorso di
color olivigno-terreo screziato, e col ventre di color piom-
bino o di acciajo tutto uniforme è data dal Professore
Massalongo come abbondante a Campofontana nel Vero-
nese (*).
Nel Tirolo meridionale predominano più che nel Ve-
neto gli individui a dorso cinereo; e colà è frequente la
vipera presso Rovereto, Calliano, Trento, Riva, e più o
meno in tutte le vallate Trentine.
Come vedesi, abita quindi questo rettile tanto la pia-
nura che i colli ed i monti elevati, prediligendone però
sempre i luoghi nudi, sassosi, oppure coperti di cespugli.
E meno frequente nel più fitto delle selve, rara nei siti
acquitrinosi ; si espone ai raggi solari durante varie ore
del giorno, e solo quando venga irritata od accidentalmente
calpestata morde rabbiosamente: in caso diverso fugge
sempre l avvicinarsi dell’ uomo, od al più rimansi ferma
pochi istanti per poi sottrarsi e nascondersi quando lo vede
vicino, o teme pericolo. E solo in epoche eccezionali, ed
è raro il caso che morda senza essere tocca od aizzata, e
questo tempo si è quello degli amori. Nutresi di lucerte,
di rane, e di rospi, ma sopratutto di piccoli quadrupedi.
Tenuta in schiavitù sopporta lunghi digiuni, potendo vivere
senza cibo da 5 a 6 mesi; ed una femmina campò fino a
sette e mezzo, cioè dalla metà di Aprile fino alla fine di
Novembre senza che mai avesse voluto cibarsi di qual-
siasi dei varj animaletti che io chiudeva nella sua gabbia.
(*) Saggio pag. 24. var. plumbea.
ERPETOLOGIA 249
Come ogni altro serpente passa l’ inverno in letargo,
ritirandosi sotto i sassi ed internandosi sotterra a qualche
profondità, nei luoghi un poco umidi, e dove il gelo non
può penetrare. Accade spesso di vederne buon numero di
individui insieme aggomitolati nelle cavità di vecchi tron-
chi, ed anche nel nudo terreno alla profondità di quasi
un metro. Esce al ritorno della primavera, ed allora, can-
giati di spoglia, i sessi si ricercano e si accoppiano re-
stando uniti per varie ore. Credesi che le femmine non
possano essere fecondate che verso il terzo anno della loro
età; e sembra che la vipera goda di molta longevità non
arrivando a compiuto sviluppo che al sesto o settimo anno.
La femmina non partorisce uova, ma queste, vivificate,
schiudonsi nel ventre della madre, ove i viperini raccolti
su loro stessi raggiungono la lunghezza di 13 a 16 centi-
metri prima di venire alla luce, ciò che secondo le osser-
vazioni di parecchi autori succede nel corso del quarto
mese dopo l’ accoppiamento,.0 più precisamente nel Luglio
o coi primi di Agosto. Al loro nascere portano ancora i
laceri avanzi della membrana vitellina, una sorta di pla-.
centa col cordone ombilicale, e qualche volta traggono
seco loro anche le tuniche esterne dell’ uovo che vi re-
stano attaccate.
Il numero dei viperini è generalmente portato dagli
autori a 20 circa per ogni parto, e secondo altri anche
fino a 30. Il parto però ch’io conservo d’ una vipera
presa gravida e tenuta in schiavitù per circa due mesi,
non ammonta che a soli dodici; ed anche in varie fem-
mine prossime al parto ch’ io ebbi a sezionare, non os-
servai generalmente più di otto a dieci od undici uova.
Nè a dir vero posso credere che maggiore di dodici o di
quindici sia in generale il numero delle uova stesse, stante
250 BETTA
il ben grosso volume loro nel ventre della madre quando
vi sono perfettamente sviluppate. Appoggierebbero d’ al-
tronde queste mie osservazioni anche le conformi dichia-
razioni avute da varj nostri farmacisti, i quali spesse volte
furono alla portata di vedere i parti delle vipere che te-
nevano custodite per gli usi cui erano una volta impie-
gate nella medicina. Siccome troverei conforme al mio
giudizio anche il caso osservato dal Prof. Mangili, (e che
formò tema di un suo discorso sul veleno di questo ret-
tile) di una vipera « di straordinaria grossezza che dopo
circa tre mesi di prigionìa partorì uno dopo l’ altro tre-
dici viperini, sette dei quali vegeti e vispi, e gli altri sei
aggomitolati ed in istato di feti morti » (*).
Dal momento in cui i viperini abbandonano il ventre
della madre restano ad essa affatto estranei, e non trovano
in lei nè quelle premure nè quella protezione e difesa che
credesi da molti, e di cui si è detto già in separato arti-
colo. Secondo le esperienze del prelodato Prof. Mangili non
acquisterebbero la facoltà di articolare i denti veleniferi,
e quindi di avvelenare, che 16 o 418 giorni dopo la loro
nascita. Prima di tale età quei denti sono avviluppati nelle
loro guaine chiuse e continue colla cute della mandibola
superiore, ed obbligati quindi in certa guisa a starsene
oziosi almeno fino a che abbiano acquistata la consistenza
necessaria per l’ uso cui sono destinati.
Nelle generalità sui Rettili si è già parlato della po-
tenza e conseguenza del veleno della vipera e dei rimedj
ritenuti più efficaci. Basterà quì solo ricordare come di
rado possa riuscire mortale per l’ uomo e per gli animali
di mole.grande e vigorosi, e come la stretta legatura al
(*) Giornale di Fisica, Chimica ete. 1809. Tom. II. p. 209-250,
ERPETOLOGIA 254
membro offeso, la scarificazione della parte, l’ applicazione
della pietra infernale sulle punture, l° uso pronto dell’ am-
moniaca liquida o di bevande spiritose, possano rendere
tranquilli sull’ esito del morso.
Tanta è la tenacità della vita nella vipera che. il suo
capo mutilato conserva per più ore ed anche per un giorno
o due la facoltà di ferire e di avvelenare. Immersa nello
spirito di vino sopravive per ore intiere, e tagliata a
pezzi continua a contorcersi per molte ore ed anche. per
un giorno. i
Anticamente era usata in diverse chimiche preparazioni
ed in farmacia per svariatissime malattie. Più recente-
mente se ne prescriveva il brodo nei casi di sifilide inve-
terata, di affezioni erpetiche, di tisi polmonare, ed entrava
nella preparazione della teriaca. Al giorno d’.oggi però ne
fu abbandonato quasi del tutto 1’ uso come rimedio medi-
cinale. Chi mangiò le sue carni le trovò assai buone.
Non sarà inutile 1’ avvertire come la vipera mancando
di quella conformazione che è propria agli altri nostri
serpenti innocui; e che dà loro una mirabile facilità e de-
strezza di alzarsi ed attortigliarsi, possa essere presa senza
pericolo per la coda alzandola poi prontamente. da terra
per farla cadere nel sacco 0 nel vaso in cui si vuol col-
locare. I nostri cacciatori di vipere usano un bastone alla
cui sommità sta assicurato un pezzo di lana o di finissi-
mo traliecio da ricamo inzuppato in colla d’ amido, col
quale toccano ed aizzano la vipera fino a che vi si av-
venta contro e lo addenta. Sollecito allora il cacciatore
prontamente ritira il bastone, facendo così restare nello
spessore della lana o fra gli interstizj del traliccio i denti
veleniferi strappati dalla violenza del colpo, ed al mo-
mento stesso la vipera viene anche presa senza pericolo.
252 BETTA
OSSERVAZIONE.
Dalla offerta Sinonimia scorgesi chiaramente quante
specie siano state stabilite dagli autori a spese della Vi-
pera aspis, specie le quali, perchè puramente nominali e
dedotte da semplici modificazioni di colorito o di forma,
devono solo figurare come ‘sinonime della nostra vipera
comune.
La confusione che dominava un tempo nella classifica-
zione dei serpenti Europei aveva indotto anche Latreille e
Cuvier a considerare il Colubder aspis di Linneo come sem-
plice varietà dell’ altro suo Coluber berus, e molti erpeto-
loghi francesi resero poi ancora più confusa la storia della
nostra vipera col ritenere e nominare per specie distinte al-
cune delle numerose sue varietà. I moderni erpetologhi han-
no non solo separate stabilmente le due specie delle quali
fin quì si è parlato, ma hanno puranco riunite sotto ca-
dauna di esse quelle varietà che nelle opere e cataloghi
precedenti figuravano sempre come specie distinte.
Così è pure che delle sei vipere che Bendiscioli enu-
mera e descrive come proprie del territorio Mantovano,
cinque, cioè la berus, la aspis, la prester, la Redi e la chersea
rientrano come semplici varietà di colorazione nell’ unica
nostra aspis; la sesta, cioè la sua Vipera limnaea, altro non
è che il Pelias berus come già si è avvertito nel rispettivo
articolo.
ERPETOLOGIA 253
45 — II. VIPERA AMMODYTES
Latreille.
Ital. Vipera dal corno. o
Bellun. Vipera dal corno (Catullo).
CARATTERI.
Capo distinto dal tronco, superiormente coperto di squame irregolari;
ana verruca conica, mobile, molto prominente all’ apice del muso.
Dorso cinereo tendente al bigio cupo con fascia longitudmale nerastra,
flessuosa e continua.
Piastre addominali 142-162.
Scudetti sottocaud. p. 28-36.
SINONIMIA.
Coluber ammodytes Linn. Syst. Nat. I. p. 376.
_ —_ Gmel. Syst. Nat. I p. 1087.
— _ Lacep. Quadr. ovip. et Serp. II. p. 67.
— — Shaw Zool. Ill. p. 379.
_ — Catullo Geogn. Ven. p. 173.
Vipera Illyrica Laur. Syn. Rept. p. 104.
Vipera ammodytes Latr. Hist. Rept. II p. 306.
_ _ Daud. Hist. Rept. VI. p. 4193. t. 74. f. 2.
— _ Wagl. Syst. Amph. p. 177.
—_ — Bonap. Fauna ital. cum tab.
_ _ Schleg. Essai II p. 603. t. 21. f. 19. 20.
_ _ De Fil. Cat. ragion. p. 63.
= — Betta Cat. syst. Rept. p. 22.
254 BETTA
Vipera ammodytes Dum. Bibr. Erpétol. VII. 2. p. 4414.
Vipera( Echidna) ammodytes Merr. Syst. Amph. p. ABI.
= Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 35.
Cobra ammodytes Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 62.
Rhinechis ammodytes Fitz. Syn. Rept. p. 28.
FORME.
Un carattere affatto proprio e che distingue questa vi-
pera da tutte le altre si è un'appendice o verruca conica,
piuttosto ottusa, mobile, alta quattro millimetri, promi-
nente all’ apice del muso, e rivestita da piccole scaglie
uniformi a quelle della parte contigua del corpo. La testa
quanto alla sua forma e configurazione ha molti rapporti
con quella della Vipera aspîs, distinguendosene nonostan-
te perchè più cordiforme, e per la sensibile larghezza alla
base.
Ha il capo coperto di piccole squame irregolarmente
disposte, e delle quali quelle collocate nel tratto anteriore
al vertice sono piane, laddove le restanti vanno segnate di
risentita carena longitudinale. Al di sopra degli occhi havvi
uno scudetto sopracigliare bislungo, quasi piano, e spor-
gente più in fuori del globo dell’ occhio. Tutto il resto
dell’ orbita è cinto da due serie di piccoli scudetti di for-
ma arrotondata, più piccoli quelli prossimi all’ occhio, di
forma irregolare e più grandi gli esterni. Lo scudetto na-
sale è piuttosto grande, quasi rotondo, e nel suo mezzo
apresi ampio il foro delle narici. Sopra di questo scudetto
trovansene altri due sopranasali collocati uno innanzi al-
l’altro. A ciascun lato del capo una carena o spigolo dal
termine anteriore dello scudetto rostrale stendesi orizzon-
talmente fino allo scudetto soprarostrale. Lo scudetto ro-
ERPETOLOGIA 255
strale è largo, smarginato alla base, troncato all’ apice ed
incavato nel mezzo. I tre scudetti antinasali, ossia quelli
che separano il rostrale dal nasale, si elevano più del ro-
strale e fra le loro due estremità superiori comprendono
la base del sopranasale che è eretto, più lungo che largo,
e curvilineo nel margine superiore; questo scudetto è ap-
plicato alla base della verruca caratteristica della specie.
Gli cechi sono grandi, rotondi, colla pupilla allungata
verticalmente. i
Il tronco è cilindrico-fusiforme, coperto superiormente
da squame ovato-lanceolate, con carena molto risentita.
La coda breve, terete, conica, superiormente coperta da
squame conformi a quelle del dorso; è più lunga nei ma-
schi che non nelle femmine.
I maggiori denti del veleno sono lunghi cinque milli-
metri; i denti palatini brevissimi, ed i mandibolari sette
per fila.
Il numero delle piastre addominali e degli scudetti sot-
tocaudali varia come in tutti gli altri serpenti. Due soli
esemplari Tirolesi io potei fino ad ora esaminare, come si
dirà avanti, e di essi l adulto conta 156 piastre addomi-
nali, 36 paja di scudetti sottocaudali ; il giovane egual
numero di piastre, soli paja 30 di scudetti sottocaudali.
COLORITO.
Nell’ accennato individuo adulto il capo è superior-
mente di color cinereo tendente al bigio cupo. Una mac-
chia nebulosa fosca è frapposta agli occhi, due altre più
distinte sono collocate al di qua ed al di là del vertice, e
dune altre bislunghe nere figurano obliquamente presso
l uno e l’altro angolo della bocca. Il di sotto del capo è
256 BETTA
bianco cinereo con leggiera tinta fulvastra alla gola, e con
due macchie nere transverse che cadono sulla serie degli
scudetti marginali inferiori.
Tutto il tronco è di un color cinereo-grigiastro e così
pure la coda, tinta questa però al suo apice di un vivo
color ferrigno-rossastro. Due serie affatto contigue e con-
fluenti di macchie nere, molto distinte, triangolari, a base
allargata, partono dalla nuca ed ornano il mezzo del dorso
con una gran fascia continua, flessuosa, che prolungasi sulla
coda.
Questa specie presenta anche per lo più lungo i fianchi
una serie di macchie bigio-scure nebulose, alternativamente
più e meno grandi, le minori collocate dirimpetto agli an-
goli, le maggiori a rincontro dei seni della fascia dorsale.
L’ esemplare però quì descritto manca di macchie laterali
non scorgendosi in esso che una leggerissima traccia di
alcune poche, nere, piccole ed irregolari.
Il di sotto del corpo è grigio d’ acciajo, spruzzato di
macchie biancastre; le piastre hanno anteriormente un
sottile orlo cinereo-biancastro, interrotto da tre o quattro
lineole nere, e sono tinte alternativamente in nero ed in
biancastro nelle estremità confinanti colle squame dei lati.
Nel giovane individuo un color uniforme grigio-fulva-
stro domina su tutta la parte superiore del corpo, ed il di
sotto è uniformemente grigiastro. Le macchie triangolari
costituenti la riga dorsale sono brunastre, marcate agli
angoli esterni da sottilissimo e punteggiato lembo nera-
stro. Nessun’ altra macchia né alla testa, nè alla mandi-
bola, nè ai lati della fascia dorsale.
ERPETOLOGIA 267
DIMENSIONI.
Esemplare adulto — Lunghezza centim. 67, dei quali oc-
cupa tre la testa, e sette e mezzo la coda. Diametro mil-
limetri 27. ak
Esemplare giovane — Lunghezza centim. 22, dei quali la
testa occupa 15 millimetri, 24 la coda. Diametro millim. 7.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Come già si è accennato due soli esemplari ho potuto
avere ad esame, e questi per gentilezza speciale del chia-
rissimo ed ottimo amico mio P. Vincenzo Gredler, Profes-
sore di scienze naturali nel Ginnasio di Bolzano. È a lui
ch’ io devo anche dall’ Ottobre 4853 la prima notizia sulla
presenza di questa vipera nel Tirolo, ed il possesso del
giovane esemplare che ora fa parte della mia Collezione ;
del che tutto mi è caro rendergli pubblica testimonianza
di obbligazione.
Nè riconoscenza minore deve avergli la Scienza se egli
pel primo fece conoscere come abitatore del Tirolo ineridio-
nale questo velenoso rettile non mai prima, ch'io mi sap-
pia, incontrato colà da alcun altro, ma ritenuto anzi gene-
ralmente affatto estraneo alle nostre provincie, e proprio
in specialità della Carinzia, dell’ Istria, dell’ Ungheria meri-
dionale, della Dalmazia e della Morea; trovato solo più re-
centemente in Sicilia da Bibron, e vivente giusta Bona-
parte in qualche luogo orientale del settentrione dell’ Ita-
lia, segnatamente nei contorni di Ferrara.
L’esemplare adulto quì descritto fu preso sul pendio
del castello Haselburg, vulgo Kihbach, al sud di Bolzano;
17
258 BETTA
nella quale località secondo lo stesso Prof. Gredler la spe-
cie sarebbe anche abbastanza frequenie, mentre era già
allora a sua cognizione esserne stati presi dai pastori, ed
in soli tre anni, almeno dodici individui, sorpresi sempre
fra quei massi porfiritici mentre godevano i raggi del sole.
E quando più tardi, cioè nel Settembre 4854, visitai in
Bolzano quei carissimo amico, egli mi mostrò altre due gros-
sissime vipere ammodytes di quei dintorni, conservate in
spirito di vino nel Gabinetto di storia naturale di quel
Ginnasio, avvisandomi che un terzo esemplare lo aveva
poco prima inviato in dono al Museo Ferdinandeo. in
Innsbruck.
Il giovane esemplare della mia Collezione pare provenga
dai luoghi sabbiosi del Mitterberg fra Caldaro. e 1’ Adige,
essendo stato preso nel Convento di Caldaro mentre usciva
inaspettatamente, come mi dichiarò lo stesso amico, da un
fascio di legna proveniente appunto da quel monte, mor-
dendo anche un Religioso con qualche gravità di conse-
guenze.
Tutie queste particolarità mi piacque far conoscere non
ignorando come qualche naturalista tenga dubbia tuttora
la presenza di questa vipera nel Tirolo, e dubiti poi più an-
cora sulla esistenza sua nelle provincie Venete ove invece
risulterebbe abitare da quanto sono per dire.
Già nel 1817 la Redazione della Biblioteca Italiana pre-
sentando un sunto del Viaggio al Lago di Garda e al monte
Baldo del Dott. Ciro Pollini, aggiungeva ai sei serpenti
dallo stesso annoverati come specie del Veronese, il Coluber
ammodytes ( Vipera dal corno ) siccome non raro a trovarsi
nei Colli Euganei e nei monti Bellunesi (*). Da quell’ epoca
(*) Bibliot. Ital. Tom. V. p. 287.
ERPETOLOGIA 259
la presenza di questo rettile nell’ una o nell’ altra delle
due località annunziate non venne poi mai avvertita, e
solo molto più tardi, cioè nel 4844 il chiarissimo Prof. T.
A. Catullo lo indicava come vivente nella Provincia di
Belluno tra i sassi che ricoprono le campagne del Mas
presso il Cordevole, soggiungendo che « di questa specie
» che li speziali di Venezia ritirano dalla Dalmazia per
» impiegarla nella fabbricazione della triaca, non esistono
» individui in nessuna Provincia dello Stato Veneto, od
» almeno non fu veduta fino ad ora che in quella di Bel-
» luno, dove trovasi copiosa tutti li anni » (*).
Dopo di lui manchiamo nuovamente di migliori e più
estese notizie sulla esistenza della specie nel Veneto e sulle
precise località da essa abitate, chè anzi qualche naturali-
sta trovò perciò di escludernela affatto mettendo in dubbio
le stesse dichiarazioni del Prof. Catullo, e sospettando in-
vece confusa la V. ammodytes con qualche vicina varietà
di colorazione della comune V. aspis.
Spiacemi assai di non avere ancora io stesso, e di non
poter quindi addurre prove più positive sulla presenza di
questa vipera; chè anzi è mio debito il dichiarare come
siano sempre tornate a vuoto le ricerche per ciò stesso
praticate e fatte praticare; siccome non mi consta neppure
che alcun altro più recente autore abbia ricordata come
veneta l’ ammodytes, nè sia dessa rappresentata almeno in
qualche collezione da esemplari di queste provincie.
Ciò nonostante io credo però che il fatto della sua esi-
stenza nel Tirolo, congiunto alla precisa e sempre autore-
vole indicazione del Prof. Catullo non manchi di valida-
mente persuadere della dimora sua anche nel Veneto, al-
(*) Geognosia delle Prov. Venete etc. pag. 175.
260 BETTA
meno nella accennata località del Bellunese, regione in
cui è probabile che tale vipera si sia fermata ed abbia
figliato prima di salire nel Tirolo dalla Dalmazia, da dove
è assai presumibile che sia pervenuta fra noi.
La Vipera dal corno soggiorna sempre di preferenza
nelle regioni aride, secche, sabbiose e sassose, o ricoperte
di rara vegetazione, ed ivi sta esposta in primavera per
molte ore del giorno ai raggi del sole. Quasi sempre lenta
e tranquilla, diviene iraconda ed ardita sul finire della
primavera, tempo de’ suoi amori, ed in allora riesce peri-
coloso anche il solo passarvi vicino. Mordendo inarea il
collo all’ indietro come tutti i serpenti velenosi propria-
mente detti, e le conseguenze della morsicatura non sono
certamente nè diverse nè minori da quelle delle altre nostre
vipere. Qualcheduno pretenderebbe anzi che il suo veleno
superi in forza quello della Vipera aspis, e si narrano casi
di persone perite in pochissime ore dopo la morsicatura,
ma in ogni modo mancano esperimenti di confronto per
stabilire la verità di tale asserzione.
Nutresi di lacertini, di piccoli mammiferi ed uccelli che
coglie all’ improvviso come tutti gli altri ofidii, Passa l’ in-
verno internata fra le fessure delle roccie, ove si ritira
anche per sottrarsi ai caldi eccessivi della stagione, atten-
dendo allora la notte per cercare nutrimento. Lorchè ab-
bandona il covaeciolo in cui passò in letargo i freddi mesi
dell’ anno, cangia di pelle ed i sessi si cercano restando
accoppiati per varie ore. Non è precisato dagli autori il
numero dei viperini che vengono alla luce per ogni parto,
ma pare però che non superi quello della vipera comune.
A quanto ne dice Daudin questa vipera diviene spesso
la vittima di molti uccelli rapaci, siccome gli avvoltoj e
le grandi specie del genere Strix, ehe se ne impadroniscono
ERPETOLOGIA 264
con tutta la agilità e maestria necessaria ad evitarne il
morso. Secondo lo stesso autore anche un piccolissimo pi-
docchio, l’ Acarus viperinus Daud., tormenterebbe spesse
volte la V. ammodytes attaccandosi in così gran quantità
all’ orificio dell'ano e nel primo tratto dell’ intestino retto,
da determinarvi una suppurazione che può condurre a
morte l’ animale.
OSSERVAZIONE.
Oltre al colorito dei due individui descritti, e benchè
poco o nulla dissimili sotto tale rapporto abbia trovati an-
che quelli ch’ io ispezionai nel Ginnasio di Bolzano, tor-
nerà però utile !' avvertire come questa specie, non meno
dell’ altra sua congenere, vada soggetta a molte variazioni
di tinte e di macchie. Così il colore del fondo può mutare
di molto nell’ intensità, e tendere maggiormente ora al
bigio, ora al cinereo, ora al giallastro, al brunastro, al rossa-
stro ed anche al nerastro: un esemplare Dalmatino della mia
Collezione presenta il fondo di color olivastro. Così 1’ apice
della coda non è sempre rosso, e le macchie costituenti
la fascia dorsale non sono sempre distribuite in modo
uniforme, e possono anche essere disgiunte fra esse; caso
questo però assai più raro d’ogni altro accidente di colo-
razione. Anche il numero delle piastre addominali può va-
riare secondo Bonaparte dalle 142 alle 162, e gli seudetti
sottocaudali possono essere dalle 28 alle 36 paja. Secondo
Schlegel le piastre arriverebbero anche al numero di 404
e gli scudetti a paja 45. In questa vipera però qualunque
siano le accennate variazioni, avrassi sempre il carattere
specifico e costante della verruca mobile sul muso.
(9)
(@y)
Au
BETTA
Ord. IV. BATRACI. O
Nell'articolo della Propagazione dei rettili si sono notate
alcune particolarità specialissime a quest’ Ordine, che Ales-
sandro Brongniart pel primo (4799) separò e distinse da
tutti gli altri rettili sotto la denominazione di Batraciani.
I rettili compresivi formano un gruppo tanto naturale e
distinto che più autori ne proposero la formazione di una
separata Classe sotto il particolare nome di Anfibi; classe
la quale benchè ritenuta da varj naturalisti, ed anche da
qualche moderno autore che divide i vertebrati a sangue
freddo nelle tre classi dei Rettili, Anfibi e Pesci, non ot-
tiene però dai più valenti Erpetologhi che il semplice va-
lore di Ordine, non maggiore cioè di quello dato ai Saurài
ed ‘agli Ofidii cotanto affini fra loro.
Sono caratteri essenziali dei Batraci: tronco depresso,
tozzo o arrotondato, allungato, con o senza coda; pelle nu-
da, molle, senza scaglie visibili; testa confusa col tronco
per modo che non vedesi in essi un collo distinto; palpe-
bre mobili: nessun foro auditivo esteriore; uno sterno di-
stinto, non mai unito alle coste che sono brevissime o nul-
le; il cuore con una sola cavità e con due orecchiette dif-
ficilmente distinguibili l'una dall'altra. I maschi non hanno
organi genitali esterni; le uova vengono in generale par-
torite prima di essere fecondate, ed i novelli passano allora
per le diverse e curiose metamorfosi già altrove accennate,
(*) Barpayos, rana.
ERPETOLOGIA 203
prima di assumere le forme e le abitudini dei loro geni-
tori. Altro carattere di quest’ ordine, considerato in tutta
la sua estensione, sarebbe la presenza o meno delle gambe,
il loro numero, sviluppo, e proporzione; ma mancando noi
di specie riferibili alle Cecilie cui mancano del tutto, alle
Sirene provvedute delle due sole anteriori, ai Protei che
hanno gambe incomplete e quasi rudimentali, resta pei
nostri Batraci determinato il carattere di quattro gambe,
variabili in proporzione e hanghezza, a dita distinte e mai
armate di unghie, mancanza questa che anche da sola ba-
sterebbe a distinguerli dai Chelonii e dai Saurii.
Stringendoci alle specie nostre dividiamo i Batraci in
due Sezioni, fondate su due delie principali differenze appa-
renti dalla loro esterna organizzazione, d’ importanza assai
minore è vero di quella che esiste nella organizzazione loro
interna, ma non per questo da abbandonarsi perchè anehe
più facili a colpirsi. Vuolsi dire della mancanza o presenza
della coda nello stato di loro perfetto sviluppo, secondo il
quale carattere vengono divisi in Anurî (4) cioè privi di
coda, ed in Urodeli (2) o muniti di coda; divisione corri-
spondente agli Anuri ed Urodeti, secondo e terzo dei tre sotto
ordini dei Batraci stabiliti da Duméril: alle due sezioni
Mutabilia ed Immutabilia di Fitzinger (1826); ed alle fami-
glie Ranidae e Salamandridae del Principe di Canino.
Sono gli Anuri privi di coda nello stato loro perfetto;
hanno corpo piatto, muso rotondo, bocca profondamente
fessa, lingua molle, non attaccata in fondo alla gola ma sul
margine della mandibola, molto carnosa e capace d’ essere
spinia fuor dalla bocca; timpano generalmente distinto; le
(1) «vovgoc - senza coda.
(2) ovpa coda, Ondos manifesto.
264 BETTA
gambe postericri sempre più lunghe delle anteriori, arri-
vando ad eguagliare od anche sorpassando in proporzione,
tutta la lunghezza del corpo; hanno quattro dita nei. piedi
anteriori, cinque nei posteriori ove scorgesi quasi sempre
come un rudimento di un sesto; la loro pelle è libera, iso-
lata dai muscoli, ed aderente soltanto all’ingiro delle prin-
cipali articolazioni delle membra, nella linea mediana, vi-
cine alla bocca ed alle orecchie. L’ apertura della cloaca è
un orifizio arrotondato come nei Chelonii. Vanno soggetti
ad una completa metamorfosi.
Gli Urodeli hanno all’incontro corpo lungo, quasi terete
e munito di coda; lingua molle, carnosa, aderente in tutta
la sua estensione, di sovente tanto ai lati che verso la
punta cosicchè non può sortire dalla bocca; timpano na-
seosto; gambe di lunghezza uniforme, quattro dita nelle
anteriori, cinque nelle posteriori ; pelle unita e strettamente
aderente al tessuto cellulare. L'apertura della cloaca è una
fessura longitudinale; carattere questo importantissimo per
cdistinguerli da tutti gli altri rettili, i quali o 1’ hanno in
forma di orifizio arrotondato (i Chelonii e gli Anuri) 0
l' hanno transversale (i Saurii e tutti gli Ofidii nostri).
Nuotano e camminano, ma non saltellano come gli Anuri.
Non subiscono la completa metamorfosi di quelii, ma le
loro larve o sono tetrapode di primo tratto, o tosto diven-
gono tali.
A questi esterni caratteri potrebbero aggiungersene molti
altri, ed anche più importanti perchè dipendenti dalla ri-
spettiva organizzazione interna; come, fra quelli risultanti
diallo scheletro, la mancanza di costole, l esisienza di uno
sterno e di clavicole complete negli Anuri; la presenza al-
l’incontro di costole quantunque assai brevi negli Urodeli,
e la mancanza in questi dì sterno e di clavicole. Non meno
ERPETOLOGIA 265
LI
importante è pur anche la differenza fra le due Sezioni
nel modo di fecondazione già esposto in separato articolo.
Comprendonsi gli Anuri di queste provincie nei quat-
tro generi /yla Laur., Rana Linn. (emend.), Bombinator Wagl.
e Bufo Laurenti, mentre ripartisconsi gli Urodeli nei 3 ge-
neri Salamandra Laur., Petraponia Massal. e Triton Laur.
Sono caratteri dei generi adottati per gli Anuri:
I. Gen. HYLA LAURENTI.
Lingua arrotondata, aderente da tutte le parti fuorchè al suo
margine posteriore. Trombe d’ Eustachio mediocri. Un gruppo
di denti situati fra le narici; timpano distinto ; le dita delle
gambe anteriori intieramente libere, quelle delle posteriori semi-
palmate, tutte poi terminate ugualmente da un disco piano, di-
latato e depresso. Nei maschi un sacco vocale sotto alla gola,
capace d’ essere gonfiato come una vescica. Pelle superiormente
liscia, granellosa pel di sotto.
Questo genere comprende fra noi l’unica specie europea
conosciuta, l’Hyla viridis del Laurenti.
II. Gen. RANA LINN. (EMEND.).
Lingua grande, oblunga, un poco ristretta pel davanti, po-
steriormente forcuta, libera nel terzo posteriore della sua lun-
ghezza. Due gruppi di denti fra le narici; timpano distinto.
Trombe d’ Eustachio più o meno grandi. Le dita anteriori li-
bere, le posteriori più o meno palmate. Due sacchi vocali in-
terni od esterni nei maschi. Pelle liscia e senza tubercoli, che
però talora soltanto appariscono sui lati del collo e sulla schiena.
Linneo comprendeva nel suo genere Rana tutti gli Anuri
conosciuti in allora. Laurenti (1768) facendo di essi il suo
266 BETTA
primo ordine Salientia della classe dei Rettili, suddivise il
gen. Linneano ne’ suoi cinque Pipa, Bufo, Rana, Hyla e Pro-
teus, dei quali non ci spettano che il secondo, il terzo ed il
quarto, perchè soltanto proprio il primo dell'America meri-
dionale, della Carniola il quinto. Ridotto agli esposti limiti
caratteristici il gen. Rana comprende fra noi due specie le
più anticamente conosciute, cioè la Rana viridis e la tempo-
TATA,
Ill. Gen. BOMBINATOR VVAGLER.
Lingua subcircolare, integra, tenuissima, aderente da ogni
lato. Due gruppetti di denti situati più indietro delle narici.
Timpano mascosto ; trombe Eustachiane minime, quasi nulle.
Dita delle gambe anteriori libere, quelle delle posteriori palmate
da larga e crassa membrana. Nessun sacco vocale. La pelle se-
minata di verruche e scabrosita. Senza parotidi.
Merrem fu il primo (1820) che introdusse nella scienza
la denominazione di Bombinator per distinguere un genere
degli Anuri, i caratteri del quale non convenivano però
completamente a tutti, od erano anzi in opposizione a quelli
di alcune delle specie che vi comprendeva. Fitzinger stabilì
in seguito (41826) diversi caratteri del genere, che poi an-
cora più ristretto da Dugés (1834 ), era stato quasi contem-
poraneamente dal Wagler (1830) modificato in guisa da
non comprendervi che il Bombinator igneus del Merrem, la
sola specie benanco che tuttora si conosca del gen. Wagle-
riano tanto in Europa che fuori.
IV. Gen. BUFO LAURENTI.
Lingua allungata, elittica, un poco più larga al di dietro,
integra, crassa, libera posteriormente; bocca affatto priva di den-
EFERPETOLOGIA 267
ti; timpano più o meno distinto ; trombe d’ Eustachio mediocri ;
al di dietro degli occhi una grossa glandula foracchiata da pori
e costituente tumidissime parotidi. Dita delle zampe anteriori un
poco rigonfie sotto la cute, distinte, completamente libere ; il terzo
sempre più lungo degli altrî tre; dita delle zampe posteriori più
o meno palmate, î primi quattro compressi, il quinto più breve
del quarto. Quasi sempre un sacco vocale sottogolare interno
nei maschi. Cute seminata di verruche e papille.
Le specie appartenenti a tal genere facevano parte delle
Rane di Linneo, dalle quali vennero poi a giusta ragione
levate dal Laurenti per collocarle nel suo genere Bufo, così
chiamato dal nome della specie la più conosciuta che vi
comprese, cioè la Rana bdufo di Linneo (Bufo vulgaris Laur.).
Il genere del Laurenti comprendeva però molte specie che
più tardi diedero fondamento a nuovi e distinti generi
( Pelobates, Alytes, Bombinator ), ma oggidì non abbraccia che
specie perfettamente analoghe al communissimo nostro Bufo
vulgaris, col quale abbiamo fra noi congenere l’ altro non
meno commune, il 8. viridis del Laurenti.
Sono caratteri dei tre generi adottati pei nostri Urodeli:
V. Gen. SALAMANDRA LAURENTI.
Capo crasso, depresso; lingua mediocre, suborbicolare, ade-
rente, libera solo ai lati, denti palatali minutissimi, disposti în
due serie longitudinali che si allargano nel mezzo convergendo
alle estremità ; parotidi grandi rilevate, ed altra glandula più
piccola a ciascun lato della bocca. Coste sviluppate. Coda lunga,
arrotondata, conica.
268 BETTA
VI. Gen. PETRAPONIA MASSALONGO.
Capo mediocre, compresso, piano; ottuso ; lingua mediocre,
fungosa, lanceolato-oblonga, papillifera, fimbriata, aderente per
ogni lato tranne che nella parte anteriore; denti palatali come
nel seguente genere Triton. Parotidi....(?) appena risentite.
Coste numerose e molto pronunciate. Coda fortemente compressa,
lunga come il corpo.
VII. Gen. TRITON LAURENTI.
Capo mediocre, rotondato, convesso ; lingua mediocre, fungosa,
papilliforme, arrotondata od ovale, aderente quasi in ogni parte,
libera soltanto ai lati; denti palatali disposti in due serie lon-
gitudinali riavvicinate e quasi parallele, leggermente divergenti
presso le fauci, convergenti nell’opposta estremità. Senza paro-
tidi. Coste brevissime e sottili. Coda lunga pressochè quanto il
corpo, costantemente depressa, cd a natatoje verticali cutanee,
almeno nei maschi e sopratutto nell'epoca della fecondazione.
I due generi Salamandra e Triton vennero stabiliti da
Laurenti (41768) per comprendervi alcuni Batraci lacerti-
formi che Linneo avea confusi colle sue Lacerte; ed asse-
gnò alle specie comprese nel primo coda terete ed abitn-
dini terrestri, a quelle appartenenti al secondo coda com-
pressa ed abitudini acquatiche. Benchè la forma della coda
soggiaccia negli Urodeli in genere a modificazioni tali da
rendere arduo, come benissimo osserva il Principe Bona-
parte, lo stabilire il limite preciso fra la forma compressa
e la terete, per noì però tale carattere riesce ben determi-
nato e preciso, attesa l’unica specie che possediamo a coda
ERPETOLOGIA 269
terete la Salamandra maculosa (*), mentre l’ hanno schiac-
ciata tutti i Tritoni e la Petroponia.
Un piccolo Batracio Urodelo scoperto nella provincia di
Padova dall’ amico mio Prof. Massalongo, servì a lui per
stabilire il genere Petraponia (1852), fino ad ora non rap-
presentato ancora che da un’ unica specie, ed anzi da un
unico individuo. Espostine già i caratteri generici, e riser-
vandoci di parlarne più a lungo nell’articolo che lo riguar-
da, premettiamo soltanto accostarsi esso, più che ad altri
dei conosciuti, al genere Triton, da cui differenzia nulla-
meno per la diversità della lingua e per le coste rilevate.
Forse più tardi potrassi stabilire con maggior sicurezza un
carattere che varrebbe ancora a distinguerlo assai più,
vuolsi dire quello delle parotidi, delle quali nell’ unico e
giovine esemplare conosciuto non si potrebbe garantire
l'assoluta presenza o mancanza senza pericolo di guastarlo
o distruggerlo.
Di cadauna delle specie descritte saranno date le più
importanti nozioni sulle loro diverse abitudini, sui loro
diversi costumi, e sui pregiudizi del volgo. Intanto richia-
mandoci al già detto in quanto al modo di generazione dei
(*) Non sarebbe però difficile che vivesse in qualche regione montuosa
delle Provincie da me illustrate un’altra specie, la Salamandra atra, che
‘il Sig. Schreibers trovò già sulle Alpi Tirolesi, e della quale io tengo pure
un esemplare preso a Schwatz ed inviatomi dal ch. Prof. Gredler. Vive
anche nella Carinzia e Carniola, ed io ne possiedo un copioso numera di
esemplari presi nella Svizzera ed inviatimi dal chiarissimo ed illustre
amico mio Sig. Charpentier di Bex, la cui recente morte fu ben gravissima
perdita alle Scienze naturali, ai molti suoi ammiratori ed amici!
In ogni caso però anche la Salamandra atra, oltrecchè facilissima x
distinguersi pel suo color nero uniforme e senza macchie, ha sempre coda
arrotondata, smussata alquanto all’ apice.
270 BETTA x
Batraci, osserveremo in generale essere questi gli animali
che specialmente servirono allo studio ed alle scienze dei
naturalisti sulla riproduzione delle membra amputate ; e
che hanno fornito alla fisiologia comparata non. pochi
argomenti di osservazioni e scoperte, sia sul modo. della
loro fecondazione che del loro sviluppo, tanto pazientemen-
te studiati e con sì felice esito dai nostri italiani Spallan-
zani e Rusconi. Ognuno sa poi e conosce di quanta impor-
tanza fu la singolare scoperta del fisico Bolognese Galvani
(4786)sulla elettricità che si sviluppa e si manifesta quan-
do mettansi a contatto due metalli di diversa natura, fra
i quali trovisi collocata una materia umida. Una Rana die-
de vita ad un nuovo ramo di fisica tanto importante per
le numerose applicazioni che se ne fecero da un mezzo
secolo in quà. Gli studj del Galvani intorno all’ influenza
della elettricità sulla irritabilità nervosa degli animali re-
sero alla scienza i più luminosi servigi, e la violenta con-
trazione dei muscoli delle coscie di una rana morta messi
in comunicazione coi nervi lombari per mezzo di un cir-
cuito metallico, fu la base della elettricità dinamica o gal
vanismo, che più tardi prestò coll’ apparato della pila Gat-
vanica 0 pila di Volta uno dei più giovevoli istromenti alle
scienze, e coll’ajuto del quale si pervenne alle più impor-
tanti scoperte di fisica e di chimica. La struttura dei pol-
moni delle Rane ed il modo loro di respirazione hanno
fornito agli anatomici e fisiologi chiare dimostrazioni sul
sangue.
I Batraci sono dotati di finissima sensibilità, ma tale
facoltà è in essi modificata dalla temperatura esterna, o da
quella nella quale vengono collocati od immersi. Essi in-
torpidiscono egualmente per l’ effetto del caldo che per
l’effetto del freddo. L’ odorato è pressochè nullo, e le na-
ERPETOLOGIA 271
rici pochissimo sviluppate (*). Il gusto è pure debilissimo ;
la vista attiva; gli occhi muniti di palpebre, delle quali
la superiore in generale più eurta e più dilatata, me-
no mobile e meno trasparente della inferiore. La pupilla
arrotondata in quasi tutte le specie, è invece romboidea o
lineare nelle specie notturne, siccome nei Rospi. Attesa la
loro pelle molle e priva di scaglie pare che la sensazione
degli oggetti esterni sia nei Batraci meno difficile. Anche
il tatto può ritenersi meglio sviluppato attesa la mancan-
za di unghie e la facile applicazione quindi delle dita alla
superficie.
La pelle degli Anuri è, come già si disse altrove, libera
totalmente e formante una specie di sacco entro cui il
corpo rimane isolato. Questa circostanza dà loro la facoltà
di gonfiare considerevolmente il loro inviluppo cutaneo, che
però restringesi poi nuovamente lasciando delle pieghe
nelle parti laterali del tronco.
Nei Batraci la pelle offre dei pori o cripte glandulari
che secretano e lasciano trapelare alcuni particolari umori
più o meno vischiosi, e dei quali vedremo lo scopo e
l’azione diversa trattando delle specie in particolare. Sem-
bra che la natura abbia concesse loro tali secrezioni
cutanee qual mezzo di difesa onde sottrarsi alla rapacità
dei loro nemici, che ne farebbero strazio se mon se ne
dovessero ritrarre nauseati dall’ odore disaggradevole tra-
mandato. L’ epidermide è dotata della proprietà di en-
dosmosi, ed è perciò che i Batraci resistono al calore che
(*) Nei Protei e neile Sirene quest’ organe è totalmente obliterato. per-
chè vivendo continuamente nelle acque vi respirano alla maniera dei Pe-
sci, con branchie persistenti; le narici non permettono passaggio all’aria:
e non comunicano quindi coll’ interno della bocca.
979 BETTA
fa evaporare l’ umidità esalata dall’ animale, e che que-
sto ricupera poi rapidamente col mezzo dell’ assorbimento.
Sogliono mutare la pelle come tutti i rettili, ma con più
frequenza che non quelli degli altri tre ordini. La spoglia
è una membrana mucosa, e sembra non possa staccarsi
dall’animale che allorquando è desso immerso nell’ acqua.
Questa muta vedesi verificarsi più o meno frequentemente
secondo che l’animale fu tenuto più o meno lungo tempo
nell'acqua pura od alterata, o fu esposto all’ aria. L’ epi-
dermide si stacca in un solo pezzo che rappresenta la. fi-
gura precisa dell’ animale e che lo segue come uno spettro
in tutti i suoi movimenti, ma sempre in senso opposto,
poichè questa pelle si stacca principiando dai margini delle
mascelle e rinversandosi sul corpo rimane per ultimo at-
taccata alla estremità delle gambe posteriori negli Anuri,
ed all’ estremità della coda negli Urodeli. Questa curiosa
muta può facilmente ottenersi mantenendo anche per soli
pochi giorni in acqua pura alcuni Tritoni 0 Bombina-
tori; e si vedrà anche con quanta avidità l’ animale stes-
so od altri di quelli con lui conviventi divorino la spo-
glia. Ho osservato ripetersi tanto più frequentemente tale
muta quanto più frequentemente si cangia l acqua del
vaso e quanto più questa è fresca. Con un poco di pratica
sì riesce poi facilmente a distendere sopra un pezzo di
carta la spoglia abbandonata, come si avrebbero le alghe;
soltanto devesi levare molto adagio la carta dall’ acqua, o
meglio ancora levare l’ acqua a poco a poco dopochéè si è
riescito a rendere aderente e distesa la spoglia alla carta
stessa, poichè in caso diverso non si avrebbe che una
pallottola di materia mucosa. Io sono riuscito a prepararne
parecchie, e le conservo nel mio Museo quali curiose e
fedelissime ombre dell’ animale che le abbandonò.
ERPETOLOGIA 273
La facilità colla quale possono essere tenuti vivi i Tri-
toni ha non poco giovato a studiarne accuratamente le
abitudini, ed a seguirne lo sviluppo e le notevoli diffe-
renze delle forme nelle varie epoche della loro vita, se-
condo le quali viene modificata tanto l’ interna che |’ ester-
na loro organizzazione.
Gli Anuri favoriti dalla speciale conformazione delle gam-
be posteriori si avanzano a salti, potendo alcuni slanciarsi
anche a non piccole distanze. Questa conformazione riesce
loro utilissima nel nuoto, che eseguiscono con movimenti
ammirabili e tali da somigliare all’ uomo per la struttura
e moto delle gambe e delle coscie. Il camminare riesce
invece penoso e lento nelle specie a gambe posteriori molto
lunghe; nelle altre le membra posteriori impediscono meno
il cammino, e noi vediamo p. es. nei rospi, che sono ani-
mali notturni, una rapidità che certamente non sì suppor-
rebbe in essi quando escono di giorno. Alcune specie hanno
la facoltà di arrampicarsi, di attaccarsi od aderire ai corpi
solidi, in modo da potersi sostenere e giungere ad eleva-
zioni non piccole. La HMyla viridis ci presenta al più alto
grado tale proprietà, tenendosi persino sospesa col ventre
in alto sotto la faccia inferiore delle foglie degli alberi an-
che le più liscie; proprietà che trova facile spiegazione
nella forma e struttura delle sue dita.
Negli Urodeli il cammino è sempre lento; la brevità
delle gambe rende loro impossibile di progredire con qual-
che agilità e di sollevarsi molto dal suolo, per eui la loro
progressione è sinuosa e il corpo procede strisciando sulla
terra. Nell’ acqua nuotano all’ incontro con molta agilità,
specialmente i Tritoni favoriti dalla forma compressa della
loro coda.
18
274 BETTA
Tutti i Batraci quando sieno giunti al perfetto. svi-
luppo nutronsi unicamente di sostanze animali, come di
molluschi, di insetti e loro larve, di piccoli crostacei e
di annellidi. Sdegnano qualsiasi preda che non sia viva e
che non si mova. Avendo mascelle deboli e poco svilup-
pate, e non essendo i denti, quando ne esistono, atti me-
nomamente alla masticazione, la preda deve essere ingojata
tutta intiera. In genere sono assai voraci, e particolarmente»
i Tritoni li quali arrivano a divorare individui benanco
della propria specie; Duméril ne fu testimonio oculare; ed
io ne ho veduto alcuni divorarsi le uova che avevano de-
poste al fondo di un vaso. nel quale li custodiva per le mie
osservazioni. La preda viene presa in diverso modo secondo
che la lingua è suscettibile o meno d’essere spinta fuor dalla
bocca; nel qual secondo caso la presa degli alimenti si ef-
fettua direttamente coll’ajuto della mascella. Benchè man-
chino glandule salivali in questi animali, vedesi però ab-
bondare attorno alla preda un umore vischioso destinato a
lubricarne la superficie, e sembra che questa bava esca da
numerose cripte. La deglutizione succede sollecitamente.
I Batraci passano l’ inverno a qualche profondità sotto
terra, e ne escono in primavera. Godono della facoltà di
attirare e respingere a volontà |’ aria atmosferica, e gli
Anuri anche quella di esprimere con una voce le loro pas-
sioni, i loro bisogni, i loro timori. A tal uopo natura li ha
provveduti di particolari istromenti situati all’ orifizio o
vicino ai canali che servono per la respirazione polmonare,
col mezzo dei quali producono varj suoni cacciandovi l'aria
espulsa rapidamente dalla cavità della bocca. Questi stessi
stromenti si ristringono e sì dilatano formando una specie
di gozzo, come nella #y/a; in altri sono vesciche che sor-
ERPETOLOGIA 275
tono dalle parti laterali della bocca verso la commessura
delle mascelle, come nella Rana esculenta. In generale la
voce dei Batraci consiste in una continuata e monotoma
ripetizione degli stessi suoni, prodotti con maggiore o mi-
nore frequenza e forza; per lo più gracidano, ma anche
questo gracidare differisce molto secondo le specie. Alcuni
Rospi fanno invece sentire un suono ben diverso, imi-
tando in certo modo il grido di qualche uccello, come del-
l’Alocco o dell’ Upupa con una specie di zuffolo interno,
sordo, rauco e strillante. È però per lo più nella stagione
degli amori che i maschi fanno intendere queste voci, le
quali ognuno sa quanto riescano incomode e fastidiose se
prolungate e notturne.
Anche nell’ ordine dei Batraci troviamo segnate alcune
anomalie di organizzazione, e fra esse indichiamo le due
descritte e figurate da Siebold (*); l’una di un Tritone che
ha biforcato il quarto dito del piede posteriore sinistro ed
il terzo del piede destro; l’altra di un Tritone in cui ve-
donsi rudimenti di due dita sopranumerarie sporgenti dal
ginocchio. Io pure raccolsi presso Verona un Triton cri-
status col secondo dito del piede destro biforcato.
Non lascieremo queste generalità sui Batraci senza far
parola di una credenza, o dirò meglio di un pregiudizio
radicato nella mente del volgo non meno, che di persone
anche dotte, e diffuso benanco dalle relazioni di non pochi
giornali e corrispondenze di Società scientifiche. Vuoi dire
della pretesa pioggia di rane e di rospi.
Quasi tutti gli anni verso il finire del mese di Agosto,
se dopo una gran siccità sorviene una pioggia tempora-
(*) Observationes quaedam de Salamandris et Trilonibus. Disserta-
tio. Berolini 1828.
276 BETTA
hi
lesca, non è raro il caso di vedere ad un tratto sulla ter-
ra, in certi luoghi, una enorme quantità di piccole rane o
di piccoli rospi che saltellano a migliaja e coprono esten-
sioni vaste di terreno. Molti hanno veduto tal fatto, ma
ben pochi lo osservarono come si doveva. Intanto non man-
cano di quelli che narrano d’aver essi stessi veduto ca-
dere questi animali colla pioggia, e dall'alto; non mancano
persone che per spiegare tale comparsa suppongono che le
rane ed i rospi sieno stati sollevati da una tromba meteo-
rica o da una colonna d’ acqua alzatasi nell’ atmosfera a
grande altezza, e che così trasportati siano poi caduti sulla
terra assieme alla pioggia. Eranvi persino alcuni ignoranti
che credevano fossero i goccioloni della pioggia stessa che
al toecare il terreno e la polvere si cangiassero in tante
rane, in tanti rospi.!!
Per sorprendente che possa sembrare il fatto della su-
bitanea comparsa di questi animali in uno sterminato nu-
mero di individui, in luoghi ove un istante prima non se
ne vedeva neppur uno, è però facilmente spiegabile ove si
consideri la situazione nella quale si verifica, e l'epoca con-
temporanea allo stesso sviluppo delle rane e dei rospi. La
comparsa non successe mai infatti che su terreni argillosi,
ed al cadere d’ una pioggia temporalesca che viene a ba-
gnarli dopo una assai lunga siccità della state. Egli è poi
nel mese di Agosto precisamente che le giovani rane ed i
rospetti, avendo compiuta la loro metamorfosi, abbandona-
no le pozzanghere e le paludi, e disperdendosi e vagarido
pei campi e pei prati cercano rifugio dall’ azione dei raggi
del sole e dal calore dell’ atmosfera ricoverandosi sotto alle
pietre, sotto ai cespugli, e nelle profonde screpolature che
presentano i terreni forti dopo una lunga siccità. Colà re-
stano allora fino a che una pioggia ristoratrice non venga
ERPETOLOGIA 277
ad inumidire il terreno ed a ridonare all’ atmosfera la con-
dizione indispensabile alla loro vita. Per esseri squisita-
mente elettrici ed igrometrici quali le rane ed i rospi, ba-
sta solo che di poca umidità s’ impregni l’ aria, ed eccoli
quindi già ai primi e rari goccioloni d’ acqua che prece-
dono la dirotta pioggia, sbucare a migliaja dai loro nascon-
digli, e saltare, e spandersi sul terreno dopo un così lungo
e certamente penoso ritiro.
Non farà poi maraviglia che in così gran numero ap-
pariscano, quando si saprà quanto sia prodigiosa la fecon-
dità delle femmine di tutte le rane e di molti rospi cia-
scuna delle quali depone ad ogni parto da seicento a mille,
e fino mille e cinquecento uova.
Il voler dare diversa spiegazione, oltrecchè sarebbe con-
trario alle osservazioni dei più dotti ed al fatto, incontre-
rebbe ‘ora senza dubbio il ridicolo ed urterebbe il buon
senso di chi sa ragionare e riflettere. A convincere ancora
più del suo errore chi volesse tuttora credere alla pioggia
di Batraci, non troverei più opportune ed adatte parole che
riportando quelle stesse colle quali il ch. Prof. Gené in una
delle sue erudite lezioni, toccando appunto tale questione
elegantemente scriveva : (*) « Innanzi tutto se le piccole
rane e ì piccoli rospi venissero dalle nubi non è egli vero
che, cadendo pel proprie peso con moto uniformemente
accelerato, dovrebbero sfracellarsi contro il suolo, o per lo
meno ammacarvisi e rimanervi per qualche istante storditi?
Dirò di più: non è egli vero, che se fossero travolti a tanta
altezza da una tromba meteorica, trasportati co’ subi vortici
per gli ampi spazii dell’amosfera e quindi abbandonati alla
propria gravità, dovrebbero giungere a terra, se non morti
(*) Storia naturale degli animali. Vol. il. pag. 453.
278 BETTA
almeno asfitici? Or bene, che accade di questi animaletti
nell'istante della supposta loro caduta dal cielo? Per confes- .
sione di coloro stessi, cui si rivolgono le mie parole, code-
sti animaletti saltellano giojosamente sul terreno, senza om-
bra di storpiatura o di stordimento. Questa considerazione
semplicissima, e che nondimeno non è mai stata fatta da
alcun scrittore prima di me, vale da se sola più di tutte
quelle che con grande dottrina furono messe innanzi dal
Redi, dal Vallisnieri e dal Duméril per provare la impos-
sibilità che quei batracii piombino dal cielo. Riflettasi all’im-
peto con cui rimbalzano sul suolo e sovente si spezzano i
grani della grandine, e si avrà una misura di ciò che do-
vrebbe accadere, se non di tutte, almeno di quasi tutte le
rane ed i rospi, che ci venissero per le medesime vie. Per
altra parte, se quelle piccole rane e quei piccoli rospi ve-
nissero, per così dire, assorbiti da trombe meteorîthe in
riva alle paludi, e poscia travolti pei campi dell’ atmosfera,
non dovrebbero essi avere per compagni di quella strana
sciagura i pesci, le salamandre, le lucerte, i serpenti e tanti
altri animali che abitano con essi i medesimi siti, non do-
vrebbero segnatamente aver per compagni i loro genitori?
Forse che le trombe meteoriche hanno occhi e sentimenti
per far scelta di prede? Forse che i loro vortici che schian-
tano e rapiscono gli alberi secolari ed i tetti delle case, non
saprebbero ‘sollevare in alto, come le giovani rane, così
anche le adulte?»
E dopo ciò crederei superflua ogni altra parola ch’ io
volessi soggiungere, se tanto chiaramente riesce confutata
la possibilità e la eredenza di tali pioggie di rane e di rospi.
ERPETOLOGIA 279
Ao BATRACI ANURI.
Gen HYLA LAURENTI.
G&G — | HYLA VIRIDIS
Laurenti.
Ital. Raganella arborea, Ranocchiella comune, Ila.
Ven. Racola, racoleta, ranéla, racula, baracule, barascule.
Tirol. Rana de S. Giovann 0 de S. Duane, rana de S. Martin,
CARATTERI,
Capo triangolare, largo quanto il tronco. Cute affatto liscia al di
sopra, granellosa e regolarmente sagrinala al di sotto.
Corpo di un bel verde chiaro, uniforme, contornato da linea. gialla
a merletto. Una striscia nerastra orlata di bianco va dall'angolo posteriore
dell’ occhio fino quasi alle coscie. Tutto il di sotto bianco perfetto, o
bianco-giallastro.
x
SINONIMIA.
Rana arborea Linn. Syst. Nat. p. 357. n. 46.
- — Linn. Fauna Suec. p. 180.
= — 7ulff Ichthyol. p. 9. n. 15.
— — Aoesel Hist. ran. p. 57. tab. 9-14.
—_ — Gmel. Syst. Nat. p. 1054. (excl. var.)
_ — Sturm Deutschl. Fauna IIIL 4.
= — Aetz Fauna Sueec. p. 286. sp. 9.
= — Latr. Hist. Salam. p. 38.
— — Shaw Zool. III. p. 150.
280 BETTA
Hyla viridis Laur. Syn. Rept. p. 33. sp. 26. var. a.
= — Latr. Hist. Rept. II. p. 169. f. 4.
— — Daud. Hist. Rept. VIII p. 25.
_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 63. n. B.
— — Sturm Deutschl, Fauna III. d. 6. p. 44.
— — Gravenh. Delice. Mus. Vratislav. p. 25.
— — Eichw. Zool. Ross. III. p. 166.
_ — Bonap. Fauna ital. cum fab.
_ — Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 581.
_ — Betta Rett. Tirol. p. 187.
_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 23.
—_ — Massal. Saggio p. 46.
Calamita arboreus Schneid. Hist. Amph. I. p. 1583.
— — Merr. Syst. Amph. p. 4170. n. 9.
Calamita arborea Risso Hist. nat. III. p. 92. sp. 29.
Hyla arborea Eryn. Observat. p. 67.
— — Schinz Fauna Helvet. p. 144.
— .— Catullo Geogn. Venet. p. 175.
Hyas arborea Wagl. Syst. Amph. p. 201.
Dendrohyas arborea Tschudi Classif. Batrach. p. 74.
Dendrohyas vîridis Fitz. Syst. Rept. p. 30.
FORME.
Capo trigono, breve, largo quanto il tronco, ristretto
soltanto nel muso mediocremente rotondato; occhi grandi,
protuberanti, con iride dorata; timpano circolare, grande
poco meno della metà dell’ orbita; squarcio della bocca
che arriva fino oltre la metà del timpano; tronco quasi
conico, larghissimo verso il capo, posteriormente ristretto,
convesso sul dorso, piano sotto il ventre. Piedi anteriori
brevi e grossi; la loro lunghezza uguaglia quella del tron-
co; libere affatto le dita. Piedi posteriori lunghissimi e sot-
ERPETOLOGIA 284
tili, colle cinque dita semipalmate alla base. Il diametro
del disco piano da cui sono terminate tutte le dita, è presso
a poco eguale a quello del timpano.
La pelle è perfettamente liscia al di sopra, granellosa
e regolarmente sagrinata al di sotto.
COLORITO.
Il colore di questa leggiadra specie è superiormente di
un verde molto vivace contornato da una linea gialla a
merletto nascente agli occhi, prolungata sui fianchi, disposta
ad angolo sinuoso verso i lombi, e terminante sulla estrc-
mità esterna delle tibie posteriori; un’ altra linea gialla
orla il labbro superiore e viene lungo i lati esterni delle
gambe anteriori: l’ una e l’ altra linea è marginata di
oscuro. Una striscia nerastra orlata di bianco parte dal-
l'angolo posteriore dell'occhio, e passando sul timpano va
quasi fino alle coscie, ove giunge però assai dilavata. Le
dita dei piedi sono alquanto rosseggianti. Tutto il di sotto
del corpo e delle zampe è di un bianco perfetto, 0' con
maggiore o minore tendenza al bianco-giallastro. I margini
deil’ orifizio anale sono neri, punteggiati di bianco.
Il color verde del corpo varia però grandemente negli
individui secondo l’ età, il sesso e la stagione. In alcuni
tende al giallastro, in altri al rossastro, e qualche volta si
fa anche turchino. Nello spirito di vino il verde si altera
sensibilmente e le linee gialle diventano bianche.
DIMENSIONI.
Il corpo è lungo da 4% a 5 centimetri, compresa la
testa che ne occupa uno e mezzo circa. Le gambe ante-
LI
282 BETTA
riori sono poco più di centim. 254, e le posteriori quasi
di 7. La maggior larghezza ai fianchi è di centim. 8.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Non v’ha alcuno che non conosca questo graziosissimo
animaletto, il più piccolo dei nostri Batraci anuri, sparso
in tutto il Veneto e nel Tirolo e frequente anche sui
monti a rilevanti elevazioni, cessando solo d’innoltrarsi là
dove aridi e secchi si mostrano i luoghi.
La Raganella si tiene sulle foglie delle erbe, degli ar-
busti, e degli alberi non molto lungi dalle acque. Le polpe
lenticolari delle dita sono provvedute di un organo aspi-
rante col quale formano il vuoto nel punto che toccano,
ed in tal modo, e coll’ ajuto altresì dell’ umore vischioso.
che segrega dal corpo, si attacca fortemente ai rami ed
alle foglie non solo, ma anche alla pagina inferiore di que-
ste, ove anzi si sta ricoverata e difesa dai raggi solari nelle
ore più calde del giorno. Nutresi di insetti che prende
lanciandovisi sopra a gola aperta, ed anche a qualche passo
di distanza. Innocente, e forse fiduciosa troppo nel colore
del suo corpo che si confonde con quello delle foglie, la
Raganella si lascia avvicinare senza fuggire, e riesce perciò
facilissimo l’ impadronirsene.
Nel tempo delle nozze si ritira nell’ acqua e là vi com-
pie l’ opera della generazione; ciò che succede alla fine
d’ Aprile od al principio di Maggio secondo la stagione.
Giusta le osservazioni di Roesel e di Duméril non è che
all’ età di quattro anni che può generare, e non prima di
tale epoca spiegasi in essa la voce. I due sessi rimangono
accoppiati da due a tre giorni, e le uova che vengono de-
poste sono riunite a coroncina come quelle delle rane. Sul
ERPETOLOGIA 288
dodicesimo giorno il girino è già ben formato, e sul sedi-
cesimo o decimosettimo le branchie esterne sono sparite, e
la testa si confonde col ventre. Fra il ventesimo ed il vi-
gesimonono giorno si scorgono i rudimenti delle gambe
posteriori, e sul sessagesimoquinto 1’ animale è perfetto e
può vivere fuori dell’ acqua.
Il grido della Raganella è ben diverso dal gracidare del-
le rane; è meno aspro e talvolta più forte, particolarmente
nei maschi i quali hanno sotto la gola un sacco che in
quel momento si gonfia come vescica. Si può paragonare
alle sillabe carac - carac pronunciate gutturalmente e con
sollecitudine. Tale monotoma cantilena si sente special-
mente quando il tempo si dispone alla pioggia, quando
piove, e nelle belle notti di primavera e di estate. Spesso
allora di sera e mattina trovansi le raganelle riunite sulla
cima degli alberi, per fare un coro colla loro rauca e di-
scordante voce. Nell’ epoca degli amori è assai più forte e
prolungata, e sentesi a non piccole distanze.
La sensibilità barometrica di questo animaletto vien
posta a partito dai ragazzi per avere un indizio dei can-
giamenti di tempo. Ed a ben pochi sarà mancata l’ occa-
sione di osservare come, poste alcune raganelle in un vaso
pieno a metà d’acqua, con entro una scaletta di legno,
salgano su di essa più o meno, o si ritirino al fondo se-
condo che il tempo è bello o si disponga alla pioggia.
D’ inverno si tuffa al fondo delle acque ove intorpidi-
sce per tutta la cattiva stagione, non sortendone che al
principio di primavera.
284 ‘CC BETTA
OSSERVAZIONE.
L’ Hyla viridis è la sola specie europea del genere. È
sparsa in tutta l’ Europa, meno che nelle isole Britanniche
ove manca totalmente. Trovasi pure al Giappone e su
tutta la costa mediterranea dell’ Africa. I
Duméril e Bibron notano anche il bruno fra i colori
che tingono il dorso di questa specie. lo possiedo infatti
una Zyla della Sardegna colla parte superiore del corpo
di color brunastro carico uniforme, che mi venne comu-
nicata sotto il nome di Dendrohyas sarda Bonelli :("), forse
la stessa varietà di cui parla il Principe di Canino nella
sua Fauna Italica. Oltre la differenza del suo colorito e di
una statura alquanto minore, niun’ altra però io rinvengo
che valga a giustificare una separazione specifica dalla co-
mune Zyla viridis, della quale è ad aversi per sola varietà
di colorazione; varietà che mancherebbe fino ad ora alle
nostre provincie.
(*) Betta, Cat. syst. Rept. p. 24.
ERPETOLOGIA 285
Gen. RANA LINN. (EMEND.).
4I7—LI RANA ESCULENTA
Linn.
fial. Rana o ranocchia verde,
Ven. Rana, rane.
Tirol. Rana.
CARATTERI.
Capo triangolare tanto largo che lungo, col muso molto acuto. Cute
levigata, sparsa di piccoli tubercoli specialmente sul dorso e sui fianchi.
Corpo di color verde d'erba con varie macchie merastre. Due striscie
nere che dall’ angolo dell occhio passano sulle narici e si uniscono ad
angolo sull’apice del muso. Una fascia gialla longitudinale sul dorso,
per lo più fiancheggiata da due altre dello stesso colore, ma qualche
volta anche mancante. Tutto il di sotto d'un color bianco latte.
SINONIMIA.
Rana esculenta Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 242.
—_ — Wulff Ichthyol. p. 9.
_ — Laur. Syn. Rept. p. sl.
_ — Gmel. Syst. Nat. IL p. 1053.
_ — Razoum. Hist. Jorat p. 101.
— — Sturm Deutschl. Fauna II. 4.
—_ — Schneid. Hist. Amph. TI. p. 1458.
i — — ARetz. Fauna Suec. p. 286. n. 8.
—_ — Latr. Hist. Salam. p. 38.
- — Latr. Hist. Rept. II. p. 148.
_ — Daud. Hist. Rain. p. 46. tab. 418. f. 4.
286 BETTA
Rana esculenta Daud. Hist. Rept. VIII. p. 90.
— — Shaw Zool. II p. 403. t. 54.
—_ — Merr. Syst. Amph. p. 476. n. 01.
— — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 64.
— — Wagl. Syst. Amph. p. 203.
ni — Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 36.
= — ZBonap. Fauna Ital. cum tab.
— — Schinz Fauna Helvet. p. 145.
_ — Tschudî Classif. Batrach. p. 79.
— — Betta Rett. Tirol. p. 157.
= — Betta Cat. syst. Rept. p. 24.
— — Massal. Saggio p. 47.
Rana vulgaris Bonnat Encycl. méthod. Erpét. p. 2.
Rana marittima Risso Hist. nat. III. p. 92.
— — Bonap. Fauna ital.
Rana alpina Risso Hist. nat. III. p. 93.
— — Zonap.Fauna(înartic.R.esculentae, non in tab.)
Rana viridis Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 343.
FORME.
Capo triangolare, tanto largo che lungo, col muso no-
tabilmente acuto: occhi sporgenti con iride giallo-dorata ;
timpano circolare, grande quanto l’ apertura dell’ occhio;
la bocca molto fessa. Tronco allungato, con una piega ri-
levata nei lati; dorso leggermente scannellato nel mezzo in
senso longitudinale; fianchi compressi; due rilievi poco
pronunziati veggonsi a circa due terzi del dorso. Piedi an-
teriori brevi, con dita libere; piedi posteriori lunghi con
dita palmate fino all’ ultima articolazione.
La pelle è levigata, ma sparsa di piccoli tubercoli spe-
cialmente sul dorso e sui fianchi; alquanto granellosa sul
ventre e sulle coscie, lubrica dapertutto.
ERPETOLOGIA 287
COLORITO:
La colorazione in questa specie subisce varie modifica-
zioni, che sembrano però soltanto dipendere dall’ età o
dalla diversità di abitazione. Generalmente tutto il di so-
pra è di color verde d’ erba, ma cangiante più o meno in
oscuro secondo gli individui. Macchie irregolari nella for-
ma e nel numero, di color verde-nero od anche bruna-
stro, vedonsi sparse su tutto il corpo; quelle del dorso sono
più grandi e qualche volta dispongonsi a fascie. Due stri-
scie nere partono dall’ angolo dell’ occhio, passano sulle
narici, e vengono ad unirsi ad angolo sull’ apice del muso.
Una bellissima striscia d’ un giallo dorato, retta, assai di
rado ondeggiante, corre sulla metà del dorso. Per lo più
due altre fascie dello stesso colore si stendono una per
lato, e riescono poi assai più spiccate se le macchie nere
dei fianchi sì dispongono a fascia longitudinale orlando il
lembo esterno di cadauna di esse. Le macchie sulle coscie
e sulle gambe posteriori ne fasciano ‘regolarmente e sim-
metricamente la superficie, alternandosi col colore del fon-
do. Qualche volta le tre fascie gialle del dorso mancano
affatto, e talvolta le coscie e le natiche si tingono di giallo.
Tutto il di sotto del corpo è di un color bianco-latte o
bianco-pagliarino. i
Delle varietà di colorito più frequenti fra noi si pos-
sono quindi distinguere le seguenti:
var. A. — Corpo di color verde d'erba, sparso di macchie
irregolari nere, o brunastre, od olivacee, con tre li-
nee o fascie dorsali longitudinali di un bel giallo do-
rato. Tutto il di sotto del corpo bianco o pagliarino.
288 BETTA
var. B. — Come la precedente, ma con una sola fascia
gialla nel mezzo del dorso.
var. C. — Pure come le precedenti, ma priva delle linee
dorsali, e con macchie nereggianti alquanto più
estese e numerose.
var. D. — Colle fascie e colle macchie come nelle var. A.
e B., ma col dorso di color verde grigiastro, od
anche bruno più o meno carico.
var. E. — Col dorso di color verde, con macchie irregolari
nerastre o nere, con fianchi e col di sotto dei piedi
tinti di roseo-carnicino.
DIMENSIONI.
Ordinariamente la lunghezza del tronco è dai 6 agli 8
centimetri, dei quali la testa occupa 2% circa. Le gambe
anteriori sono lunghe centim. 4% a 5; le posteriori arri-
vano fino a 410 e 42 centim. La maggior larghezza dei
fianchi è da centimetri 3% a 47. La femmina è sempre
più grande del maschio.
Nel Padovano la specie raggiunge anche assai maggiori
dimensioni, vedendosene individui il cui tronco tocca ì 9
ed anche i 40 centimetri. Le rane più grosse e di grandezza
veramente straordinaria si raccolgono all’ estremo confine
del Veneto fra le bocche del Po. Vengono conservate a
lungo fra la sabbia da quelli che ne fanno commercio.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Comune ed abbondante in tutte le provincie Venete,
dove forma anzi per qualche località un ramo speciale di
commercio, trovasi pure comune nel Tirolo fuorchè nelle
ERPETOLOGIA 289
parti molto elevate dove si fa rarissima, o lascia anche
esclusivamente il posto alla Rana temporaria.
Specie essenzialmente acquatica, abita indistintamente
le acque tranquille e le correnti; frequenta il margine dei
fiumi, dei laghi, dei ruscelli, degli stagni, dei fossi, delle
paludi, e persino delle pozzanghere; ed è pronta ad accor-
rere in gran numero in qualunque luogo ove l’acqua an-
che per breve tempo si raccolga e ristagni. Preferisce non-
dimeno i luoghi erbosi, ove ama esporsi ai raggi del sole.
All’ avvicinarsi di qualcuno od al più piccolo rumore si
slancia nell’ acqua descrivendo forti parabole, e si appro-
fonda fra le erbe palustri e nella melma, restandovi poi
nascosta fino a che ritenga cessato il pericolo. Si nutre di
insetti, di piccoli molluschi acquatici, di larve, di vermi,
sempre che diano segni di moto e di vita, e rifiuta per
cibo qualunque animale morto. Gettasi sulla preda con
molta rapidità, e se ne impadronisce spingendo fuori la
lingua, ed invischiando quella col fluido che ricopre tale
organo. Posata a terra, la rana tiene la testa alta, ed allora
le sue gambe deretane sono ripiegate due volte sopra sè
stesse. Il suo passo consiste in una serie di piccoli e re-
plicati salti. Nell’ acqua nuota assai bene. Quando si pren-
de per le membra posteriori, il suo tronco si erige e si
piega alternativamente e con molta rapidità, ed è tale la
forza dei suoi movimenti, che facilitata benanco dalla ma-
teria viscida della pelle, riesce ben presto a fuggire dalla
mano che la stringe.
I} gracidare del maschio è assai più forte, aspro e no-
joso ; e questi suoni vengono prodotti dall’ aria che spinge
e vibra nei due sacchi che ha nelle parti laterali del collo,
agli angoli della bocca. La femmina sprovvista di tali ve-
sciche fa soltanto udire un leggiero suono prodotto dal
19
290 BETTA *
gonfiamento della gola. Î maschi gracidano tanto di notte
che di giorno, e rispondendosi gli uni agli altri quasi senza
riposo recano non piccolo fastidio con tale nenia.
I sessi si accoppiano nei primi giorni della primavera,
e l’accoppiamento succede nell’ acqua, durando per molti
giorni. Il maschio posto sul dorso della femmina, cui strin-
ge il ventre colle zampe anteriori, non |’ abbandona che
compito e fecondato il parto, e durante queste strette amo-
rose vedonsi molto ingrossati e callosi i suoi pollici an-
teriori.
Le uova, in numero d’ oltre mille, sono legate a coron-
cina da un umore vischioso, ed aderiscono alle piante
palustri. Il nostro italiano D." Rusconi ha pazientemente
osservati e seguiti i più minuti cangiamenti nello sviluppo
dei germi e dei girini della rana fino allo stato perfetto
dell’ animale, e ce ne lasciò figurati diligentemente tutti
li stadii nelle belle tavole che accompagnano l’ opera sua
Developpement de la Grenouille commune.
Quando l atmosfera si raffredda e si avvicina la cattiva
stagione, le rane si internano nel fango delle acque pro-
fonde, e vi stanno intorpidite fino ai primi giorni di pri-
mavera.
Cibo dolce e leggiero, viene condita la rana in mille
guise, e la medicina ha saputo ritrarne profitto nella pre-
parazione di brodi rinfrescanti e dolcificanti, che vengono
somministrati specialmente nelle malattie di petto.
Anticamente l’ uso della carne in medicina aveva toc-
cato 1’ apice del ridicolo. Timoteo faceva applicare sera e
mattina ranocchie aperte sui reni degli idropici, onde trar
fuori la seriosità sparsa nel loro addome. Dioscoride am-
metteva che la carne di ranocchia cotta con olio e sale
fosse l’ antidoto del veleno dei serpenti. Il fegato di ra-
ERPETOLOGIA 294
nocchia preparato con modi speciali era stato raccoman-
dato contro l’ epilessia. Chi non iscorge però in ‘queste e
tant’ altre consimili assurdità gli effetti dell’ ignoranza di
quei tempi?
OSSERVAZIONE.
Ho collocato nella Sinonimia della specie la Rana ma-
ritima e la R. alpina di Risso perchè in fatto in null’ altro
si fanno distinguere che per una semplice modificazione di
colorito, come la pensano pure Duméril e Bibron. Qualche
autore ha collocata la seconda fra i sinonimi della f. tem-
poraria, ma non le spetta sicuramente tal posto quando sol-
tanto si legga la frase e la descrizione che il Risso diede
di quella sua specie.
È poi a torto che Duméril e Bibron citano nella Sino-
nimia della Rana esculenta la Rana alpina figurata nelle
tavole della Fauna Italica, che non è la vera specie di
Risso ma bensì quella dei recenti autori, e la quale non
può figurare diversamente che come varietà della tempo-
raria.
292 BETTA
148— IL RANA TEMPORARIA
Linn,
Ital. Rana o ranocchia rossa, Rana muta.
Ven. Rana, saltarela, saltafossi, pissacan, rana pissota, saltaro,
pissargott, crott.
Tirol. Rana, rana rossa, rana de pra, rana de suto.
CARATTERI.
Capo triangolare, ottuso, più largo che lungo. Cute liscia con qual-
che tubercolo sul dorso; la parte tra l'addome e le coscie alquanto gra-
nulosa.
Corpo di color rossastro più o meno vivo, o più o meno tendente
al brunastro, talvolta uniforme, talvolta sparso di macchie nere. Due
striscie nere che dall'occhio vanno alla sommità del muso. Una gran
macchia costante nera o bruno-carica sulla parte laterale della testa
compresa fra l'occhio e le spalle. Tutto il di sotto giallastro.
SINONIMIA.
Rana temporaria Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 213: ed. XII. p. 357.
— — Wulff Ichthyol. p. 8.
_ _ Gmel. Syst. Nat. I. p. 1033.
_ —_ Bonnat. Eneycl. method. p. 3. t. 2. f. 2.
_ -- Sturm Deutschl. Fauna II. 4.
—_ _ Schneid. Hist. Amph. I. p. 113.
_ -_ Retz Fauna Suec. p. 285.
—_ _ Latr. Hist. Rept. II. p. 150.
—_ —_ Daud. Hist. Rain. p. 16. t. 15. f. 2.
—_ — Daud. Hist.Rept. VIII. p. 94.
-_ - Shaw Zool. III p. 97. t. 29.
_ _ Merr. Syst. Amph. p. 175. sp. 8.
ERPETOLOGIA 293
Rana temporaria Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 64.
_ — Risso Hist. nat. II. p. 95.
ss —_ Wagl. Syst. Amph. p. 203.
= _ Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 56.
= — Kryn. Observat. p. 66.
— — Bonap. Fauna ital. cum fab.
È —_ Schinz Fauna Helvet. p. 145.
- _ Tschudi Classif. Batrach. p. 79.
—_ _ Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 358.
ca mi Betta Rett. Tirol. p. 188.
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 24.
= _ Massal. Saggio p. 49.
Rana muta Laur. Syn. Rept. p. 30.
Rana alpina Bonap. Fauna, tab. f. 3.
— — Massal. Saggio p. 48.
FORME.
Cape triangolare, piuttosto ottuso, più largo che lungo,
ad angoli laterali più distinti di quelli della esculenta; oc-
chi sporgenti, pupilla nera con iride dorata; timpano gran-
de quanto la metà o poco più dell’ occhio; bocca molto
fessa. Lo spazio interoculare piano e proteso quanto la
palpebra superiore. Tronco allungato, percorso in ambi i
lati da un rilievo longitudinale che dalla estremità del
muso, passando per le palpebre superiori, corre fino al-
l’ano. Due gibbosità sorgono dietro il mezzo del dorso,
che nel resto è piano. Fianchi compressi. Piedi anteriori
brevi con dita libere. Piedi posteriori lunghi con dita pal-
mate fino all’ ultima articolazione; il quarto è assai più
lungo di quello che lo sia nella esculenta, eccedendo d’ un
terzo, e non di un quarto soltanto, il terzo ed il quinto dito.
La pelle è liscia con qualche piccolo tubercolo sul dorso;
LI
la parte tra I’ addome e le coscie è alquanto granulosa.
294 BETTA
COLORITO.
Un carattere distintivo e costante di colorazione in
questa specie si è la grande macchia nera o bruno-carica
che vedesi sulla parte laterale della testa, compresa fra
l'occhio e la spalla; carattere al quale deve anzi il no-
me di temporaria. Questa macchia di forma allungata,
termina generalmente in punta dietro 1’ angolo della boc-
ca. Il colore del dorso mostrasi d’ una tinta rossastra che
passa dal rosso mattone fino al rossigno ed al nocciuola,
talvolta uniforme, tal’ altra sparso di macchie o punti neri
più o meno regolari e più o meno numerosi. Una striscia
nerastra parte dall’ angolo anteriore dell’ occhio, e passando
sulle narici va a terminare all'apice del muso. Le mascelle
sono bianche o giallastre, orlate o macchiate di nero, o di
bruno. Le gambe posteriori sono al di sopra quasi sempre
fasciate simmetricamente di bruno, e rari sono gli indivi-
dui che manchino di tali macchie.
Il colore del dorso passa dal rosso cinereo e dal rosso
mattone anche al bruno e persino al nerastro ( Rana alpina
auctor.); e tali oscure tinte osservansi specialmente negli
individui delle località montuose. Aleuni altri hanno il capo
tinto di rosso-verdastro reticolato di bruno e di nero; e
qualche raro individuo ha anche una tinta rossastra senza
macchie, ma solo con alcuni pochi punti neri grandetti
disposti con qualche regolarità sul dorso e sulle coscie, le
quali sono prive delle striscie sopra avvertite.
Tutto il di sotto del corpo è bianco-giallastro, solo
qualche rara volta macchiettato di cenere, bruno o rossa-
stro. A Gorgo, nel Padovano, raccogliesi invece frequente-
mente una varietà ornata sempre sotto la gola di’ molte
ERPETOLOGIA 295
macchiette e punti neri assai riavvicinati, distesi su tutta
la sua parte bianca.
l giovani appena raggiunto il perfetto sviluppo hanno
le stesse tinte degli adulti, però con maggiore tendenza ai
colori carichi e con macchie anche più pronunciate.
DIMENSIONI.
Dai 7 agli 8 centimetri è la lunghezza ordinaria del
suo tronco, compresa la testa che ne occupa due o poco
più. Le gambe anteriori sono lunghe millimetri 38 a 43;
le gambe posteriori da 10 ad 414 centimetri. Gli individui
delle parti più elevate del Tirolo giungono fino alla lun-
ghezza di centimetri 9, colla maggior larghezza ai fianchi
di centim. 4% a 4%.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Questa comunissima ranocchia abita e preferisce i luo-
ghi boschivi e montuosi, e durante la bella stagione ricerca
i giardini ed i prati. Trovasi nei luoghi umidi, e molto
frequentemente nei terreni vitati. Preferisce le acque chiare
alle stagnanti, nelle quali però non si getta che per evi-
tare pericoli. In generale la sua vita è terrestre, e sì ritira
nell’ acqua solo per compiervi l’ opera della generazione
e per ricoverarvisi, sprofondata ed intorpidita nel fango,
durante la fredda stagione. Nutresi di insetti, di vermi e
di piccoli molluschi. Il suo gracidare è piuttosto un suono
muto, e da ciò alcuni autori la dissero muta. Ha la singo-
lare proprietà di non far sentire la sua voce che quando
sì trova in fondo all’ acqua, lo che è il contrario delle
altre specie. Ha pure la facoltà di schizzare dall’ ano un
liquore acre, molto più copioso di quello della esculenta.
296 i BETTA
I girini di questa specie compiono la loro metamorfosi
in soli tre mesi; e quando abbandonano il nativo elemento
si disperdono pei campi e pei prati.
La carne della Ranocchia rossa può gareggiare in bontà
con quella della esculenta. Nelle parti elevate del Tirolo è
dessa anzi quasi esclusivamente la specie usata alla mensa,
e le coscie sopratutto sono buone quanto quelle dell’ altra.
Non può dirsi quindi che abbia carne duretta di polpa,
men saporosa, e che sia cibo assai vile come pensa il
Principe Bonaparte, ma d’ altro canto però non si potrebbe
ripetere col Prof. Massalongo (*) che la sua carne sia mi-
gliore di tutte le altre rane.
OSSERVAZIONE.
A questa specie va senza dubbio riferita la Rana alpina
figurata dal Principe Bonaparte nella sua Fauna italica, sic-
come vi appartiene pure la Rana alpina che il Prof. Massa-
longo tenne distinta fra le specie del Veronese. Il carattere
dei pollici anteriori assai ingrossati anche fuori dell’ epoca
degli amori, carattere quasi l’ unico con cui la distingue,
minime ed accidentali essendo le altre differenze di colo-
razione, non è sempre costante. Nè potrà d’ altronde
essere calcolato, quando si sappia che tale distintivo. dei
maschi dura più a lungo nella temporaria, o per meglio
dire si trova in essa anche fuori dell’ epoca ordinaria in cui
seguono le nozze delle altre specie, perchè questa si accop-
pia molto più tardi della esculenta, siccome più tardi depone
quindi il parto.
(*) Saggio, pag. 49.
ERPETOLOGI1A 297
Gen. BOMBINATOR WAGLER.
49-L BOMBINATOR IGNEUS
Merrem.
Ital. Ululone.
Ven. fosco, roschetto, budolo, muco, mucolo, cuco, mucc.
Tirol. Rospo, rospo cucco, roschetto.
CARATTERI.
Capo rotondo col muso breve, largo ed: ottuso, Cute sparsa di dense
ed irregolari verruche; quasi liscia al di sotto.
Corpo di color olivastro terreo uniforme, o con piccole macchie ir-
regolari nerastre. Tutto il di sotto d’un bellissimo arancio infuocato,
pezzato o macchiato di color azzurro tendente al nerastro.
SINONIMIA.
Rana variegata Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 214.
_ _ Wulff Iehthyol. p. 7.
Rana bombina Linn. Syst. Nat. ed. XII. p. 355.
= = Gmel. Syst. Nat. I. p. 1048. (excl. var.)
— — Bonnat. Encycl. method. p. 4. t. 2. f. 3.
— - Razoum. Hist. Jorat p. 97.
_ — Sturm Deutschl. Fauna III. 4.
—_ — Aetz. Fauna Suec. p. 284.
— = Latr. Hist. Salam. p. 39.
Bufo igneus Laur. Syn. Rept. p. 29.
— — Zonnat, Eneyel. method. p. 153. t. 6. f. d. 6.
— — Schneîd. Hist. Amph. LL p. 187.
298 BETTA
Rana sonans Lacéep.-Quadr. ovip. I. p. 855.
Bufo ignicolor Lacép. l. c. p. 595.
Rana ignea Shaw Zool. INI. p. 116. t. 35.
Bufo bombinus Latr. Hist. Rept. IT. p. 440.
— _ Daud. Hist. Rain. p. 75. t. 36.
— —_ Daud. Hist. Rept. VIII. p. 146. 455.
— — Ambrosi Prosp. zool. p 291.
Bufo bombina Schinz Fauna Helvet. p. 448.
—_ —_ Catullo Geogn. Venet. p. 173.
Bombinator igneus Merr. Syst. Amph. p. 4179.
—_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 68.
_ — Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 67.
—_ — Tschudi Classif. Batrach. p. 84.
_ — Zonap. Fauna Italica cum tab.
—_ — Dum. Bibr. Erpétol. VII. p. 487.
—_ — Betta Rett. Tirol. p. 188.
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 26.
= — Massal. Saggio p. 44.
Bombina ignea Sturm Deutschl. Fauna III. 6. p. 35.
Bombinator bombina Wagl. Syst. Amph. p. 206.
Bombinator pachypus Bonap. Fauna ital. cum fig.
— — Massal. Saggio p. 48.
FORME.
Capo rotondo, quasi convesso; con muso corto, largo ed
ottuso; occhi sporgenti, con pupilla triangolare nera ed
iride dorata; timpano latente; bocca fessa al di là dell’ oc-
chio. Tronco breve, toroso, col dorso convesso. Piedi ante-
riori brevi, con dita libere e corte; piedi posteriori lunghi,
con dita palmate da crassa e larga membrana. In generale
la grossezza dei piedi è proporzionata a quella del corpo, ma
qualche volta è tale da farli sembrare fortemente gonfiati.
ERPETOLOGIA 299
Tutta la cute è sparsa di dense ed irregolari verruche
e bernoccoluta, e qualche volta anche scabra di punte. Il
di sotto del corpo è quasi liscio.
COLORITO.
Basterebbe solo il carattere di colorazione proprio a
questo Batracio per farlo distinguere prontamente da ogni
altro. Ha tutto il di sopra del corpo di color olivastro ter-
reo più o meno pallido ed uniforme, o con piccole mac-
chie nerastre sparse qua e là irregolarmente sul dorso e
sulle coscie. Tutte le parti inferiori sono di un bellissimo
arancio fuocato, pezzato o macchiato di color azzurro ten-
dente al nerastro. Ogni verruca è segnata alla sommità da
uno 0 da più punti piccolissimi neri.
I giovani hanno la pelle meno verrucosa, ed alquanto
più chiare ne sono le tinte. Le verruche sono generalmente
più pallide del fondo; più distinte sono le macchie nera-
stre irregolari del dorso e specialmente quelle delle coscie
e delle gambe posteriori.
DIMENSIONI.
Il tronco, compresa la testa, ha la lunghezza di 4 a 5
centimetri; le gambe anteriori sono lunghe 24 a 22 milli-
metri, le posteriori 5 centimetri 0 poco meno.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Abbondantissimo in tutte queste Provincie, si scontra
sempre vicino alle acque, ai torbidi stagni, alle paludi, e
basta che una pozzanghera d’acqua scolatticcia o di acqua
piovana si formi nei campi, nei prati, lungo. le strade, e
300 BETTA
presso le abitazioni rustiche, perchè esso corra ad abitarlo
e popolarlo. Non sta sulla terra lungo tempo che di mat-
tino o verso sera, ma sempre vicinissimo all’acqua in cui sì
tuffa ad ogni rumore, intorbidandola col nascondersi sotto
la melma del fondo. Ama assai di esporsi ai raggi del sole.
È agilissimo nel nuoto, e quando galeggia tiene le narici
e gli occhi a fior d’ acqua, e le gambe deretane aperte.
Sorpreso sulla terra ed aizzato, ponsi in stranissima e biz-
zarra attitudine, poichè portando le sue gambe sul dorso
ed avvicinandole alla testa, volge questa in addietro sulla
schiena mostrando } infuocato suo ventre, quasi per spa-
ventare chi lo tormenta. Se il suo timore od il pericolo
non cessa, schizza dai pori e dalla cloaca una spuma in-
grata agli occhi e nauseante alle narici. Roesel afferma
d’aver provato nel disseecarla una sensazione disgrade-
vole alle narici, ed un acre prurito. Del resto è un animale
innoeentissimo.
La voce dell’ Ululone è un grido sordo e malinconico,
e quella del maschio è più lugubre nel momento delle
nozze. L’ accoppiamento principia nel Maggio, e la fecon-
dazione ha luogo nel Giugno. 11 maschio si tien stretta la
femmina ai lombi come gli altri Batraci, e la sua lussuria
è tale che non risparmia gli abbracciamenti neppur fuori
dell’ epoca, e tenta persino le rane ed i rospi. Al fondo
delle acque, e spartite in varie masse, vengono deposte le
uova che in proporzione sono più grandi di quelle del
rospo. I giovani non arrivano alla piena statura che in
tre anni, ed è degno di nota il lungo ritardo dei girini a
raggiungere lo stato perfetto. Già molto grandi quando
ancora conservano la coda e non ancora svilupparonsi le
gambe anteriori, sembrano impiccolirsi d’ assai. allorché
abbandonano totalmente la forma di girino.
ERPETOLOGIA 304
OSSERVAZIONE.
Il Bombinator pachypus di Fitzinger che il Prof. Massa-
longo' enumera fra i rettili del Veronese, non è certamente
adottabile come specie distinta; e tale giudizio pronunciò
pure lo stesso Principe Bonaparte nell’ introduzione alla
sua Fauna, nella quale lo aveva prima deseritto ;e figurato
come distinta specie italiana. Così la pensano ‘anche Du-
méril e Bibron, ed io mi piego senza esitare al loro giu-
dizio, dichiarandola null’ altro che semplice varietà di sta-
tura del nostro comune Ululone.
Nella mia Collezione si ponno vedere le varie forme
di transizione che uniscono gli esemplari del 8. igneus avuti
dall’ Austria e nei quali il corpo e le membra sono esi-
lissime, a quelli della Romagna che raggiungono quasi
le proporzioni assegnate da Fitzinger alla sua specie. Di
tali più grandi forme il Prof. Massalongo raccolse un unico
individuo nel paese di Velo, e sta depositato nel Musco
dell’Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona.
NOTA.
Già si parlò altrove della tenacità della vita di alcuni
rettili e dei lunghi digiuni ch’ essi ponno sopportare. Mi
sia quì permesso di dare il frutto di alcune mie osserva-
zioni, comprovanti non essere minore certamente tale fa-
coltà nella specie di che trattasi.
Nell’ 44 Ottobre del 1853 io aveva raccolto a Marcel-
lise, presso Verona, sette ululoni che custoditi in un
vaso di cristallo con acqua, era solito tenere esposti di
giorno e di notte all’ aria aperta fino quasi a tutto Novem-
302 BETTA
bre, ritirandoli poi nella mia camera nelle notti soltanto
del successivo Dicembre. Dimenticato il vaso all’ aperto
nella fredda notte del 30 detto mese, trovai nella mattina
seguente solidificata in ghiaccio tutta l’ acqua e rinserrati
nel mezzo i poveri ululoni atteggiati nelle più grottesche
pose. Collocato il vaso nella camera a circa 40.° R. il
ghiaccio si sciolse ben presto, e quegli animaletti riacqui-
starono in breve anche la loro naturale agilità. L’ ac-
cidente mi invogliò a tentare altre prove, ed esposi quindi
il vaso all’ esterno nella freddissima notte del 4.° Gennajo
4854, lasciandovelo anche il giorno e la notte seguente.
In questo frattempo la massa di ghiaccio si mantenne
sempre compatta, e gli ululoni vi erano rinserrati nelli
stessi curiosissimi atteggi. Quando però feci sciogliere
l’acqua, due di essi erano morti. Coi cinque rimastimi
ripetei l’ esperimento il giorno 7, e li lasciai esposti senza
interruzione fino alla mattina dell’ 44. Agghiacciatasi l’ ac-
qua verso la sera del primo giorno, rimase sempre solida
non disgelandosi che qualche poco superficialmente nelle
ore meridiane dei seguenti, e quando nel giorno 44 feci
sciogliere l’ acqua trovai morto un terzo individuo. Aven-
do d’ allora in poi tenuto sempre il vaso nel mio gabi-
netto a 40.° -44.° R., mi morì un quarto ululone nel 48
Gennajo, ed un quinto nel 13 Aprile successivo. Dei due
rimasti, uno fuggi per caso negli ultimi giorni di Giugno
e l’ ultimo sopravisse fino al 2 del seguente Luglio. Cu-
stoditi sempre senza nutrimento qualsiasi, e soltanto can-
giando loro l’acqua ogni tre, quattro ed anche otto giorni,
lo stato degli ultimi due era ben compassionevole. L’ ulti-
mo poi era ridotto a rigor di parola a pelle ed ossa, e si
consumava lasciando un deposito verde al fondo del vaso.
Esso aveva vissuto senza cibo 265 giorni.
ERPETOLOGIA 303
Gen. BUFO LAURENTI.
201. BUFO VULGARIS
Laurenti.
Ital. Rospo comune, Botta.
Ven. Crota, croton, zavaton, rospazz, rospo, rospa, rosp, ‘Save,
"Sav.
Tirol. Zavaton, rospaz, rosp.
CARATTERI.
Capo ottuso, piuttosto piccolo in proporzione del corpo, più largo che
lungo; con due grosse parotidi subovali-allungate ai lati posteriori. Cute
tempestata e scabra di verruche e tubercoli più o meno elevati, talvolta
terminanti in una spina ottusa, cornea, nera.
Corpo di color terreo, cinereo, o rossigno, con macchie fosche e ne-
rastre. Una striscia brunastra costante lungo il margine esterno delle pa-
rolidi.
SINONIMIA.
Rana bufo Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 210 — ed. XII p. 354.
— — Wulff Vchthyol. p. 7.
— — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1047.(excl. var.)
— — fazoum. Hist. Jorat I. p. 96.
— — Sturm Deutsch]. Fauna II. 4.
— — Shaw Zool. III. p. 1538. t. 40.
— — Aetz Fauna Suec. p. 282.
Rana rubeta Linn. Syst. Nat. ed. XII p. 355.
— — /ulff Ichthyol. p. 8.
304 BETTA
Rana rubeta Gmel. Syst. Nat. p. 1047.
— ——. Aetz Fauna Suce. p. 283.
Bufo vulgaris Laur. Syn. Rept. p. 28. 125.
— — Latr. Hist. Rept. II. p. 106.
_ Daud. Hist. Rain. p. 72. t. 24.
— — Daud. Hist. Rept. VIII. p. 439.
_ - Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 65.
—_ - Sturm Deutschl. Fauna II. 6. p. 32.
— — Wagl. Syst. Amph. p. 207.
_ — Eichwu. Zool. Ross. IL p. 67.
_ _ Schinz Fauna Helvet. p. 144.
_ -_ Tschudi Classif. Batrach. p. 88.
_ —_ Bonap. Fauna ital. cum tab.
—_ _ Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 670.
— _ Ambrosi Prosp. zool. p. 291.
—_ — — Betta Rett. Tirol. p. 158.
_ —_ Betta Cat. syst. Rept. p. 26.
_ -_ Massal. Saggio p. 41.
Rana pluvialis Lacep. Quadr. ovip. I. p. 354.
Bufo cinereus Schneid. Hist. Amph. I. p. 188.
n — Daud. Hist. Rain. p. 73. t. 25. f. 1.
- — Daud. Hist. Rept. VIII. p. 404.
_ — Merr. Syst. Amph. p. 182. sp. 41.
—_ — Gravenh. Delie. Mus. Vratislav. p. 62.
_ — isso Hist. nat. III. p. 94.
Bufo rubeta Schneid. Hist. Amph. p. 227.
Bufo Roeselii Latr. Hist. Rept. II. p. 408.
_ — Daud. Hist. Rain. p. 77. t. 27.
_ — Daud. Hist. Rept. VIII. p. 4150. t. 96.
= — isso Hist. nat. III. p. 94.
Bufo ventricosus Latr. Hist. Rept. Il p. 124. (f. Dum.)
— _ Merr. Syst. Amph. p. 181. (f. Dum.)
Bufo spinosus Daud. Hist. Rept. VIII. p. 199.
Bufo minutus Bonelli (fide Bonap. in Fauna ital.)
ERPETOLOGIA 805
Bufo ferruginosus Risso Hist. nat. III. p. 94. n. 36.
Bufo tuberculosus Risso Hist. nat. III. p. 94. n. 37.
Bufo palmarum Cuv. Régne Anim. ed. IT. p. 109. (fide Dum.)
Bufo alpinus Schinz Fauna Helvet. p. 148.0
Bufo communis Catullo Geogn. Venet. p. 173.
FORME.
Capo grossolano, piuttosto piccolo in proporzione del
corpo, più largo che lungo, ottuso, obliquamente troncato,
schiacciato sulla fronte ed incavato longitudinalmente nel
mezzo ; occhi protuberanti, di grandezza media, con pu-
pilla nera oblunga elittica, ed iride di un color castagno
chiaro vivace; il timpano, la cui circonferenza è minore
di un terzo o di un quarto di quella dell’ apertura del-
l’ occhio, è più o meno cospicuo secondo che la pelle che
lo ricopre è meno o più tubercolosa. Bocca molto squar-
ciata, arrivandone la fessura fino al di là degli occhi. Due
grosse glandule, o parotidi, ai lati posteriori della testa, di
forma subovale allungata, due volte più lunghe che larghe,
divise dall’ occhio mediante un leggiero spazio o solco, e
stese dal margine superiore del timpano fino alla spalla ed
anche più oltre.
Corpo breve, toroso, depresso, assai dilatato nel mezzo
e suscettibile di grande avvallamento nei fianchi. Piedi grossi
e robusti, con dita grosse ed un poco depresse. Quelli an-
teriori lunghi quasi quanto tutto il tronco, con dita per-
fettamente libere; i posteriori più lunghi, con dita più
depresse e palmate fino alla penultima articolazione, Tutte
le dita poi offrono una protuberanza alle loro articolazioni;
nei piedi posteriori vedesi un callo interno di color oscuro
20
306 BETTA
che mentisce quasi un sesto dito brevissimo, grosso, ed
ottuso.
Tutta la cute è tempestata e scabra di tubercoli più o
meno dilatati, più o meno elevati e distinti, alcuni termi-
nanti in punta ovvero in una spina ottusa, cornea, nera.
Sui fianchi moltissime verruche, e sul ventre moltissimi
tubercoli inegualmente spianati, assai più piccoli e più
fitti, separati.e distinti l’ uno dall’ altro da piccoli solchi
lineari che disegnano quasi una reticella della quale ogni
maglia comprende una di tali glandule. Questi solchi di-
pendenti solo dal raggrinzamento della pelle, spariscono
affatto allorquando l’animale si gonfia non essendo la sua
pelle attaccata ai muscoli, ma solo alle mascelle, alle arti-
colazioni ed alla spina dorsale.
COLORITO.
Il Rospo comune offre costantemente una striscia bru-
nastra più o meno vivace, od anche nerastra, che orla il
margine esterno delle parotidi; e la presenza di questa
macchia non manca mai qualunque sia poi il modo di
colorazione sua non poco variabile. Ben difficilmente si
trovano infatti due individui che offrano lo stesso fondo,
le stesse macchie, ed egualmente distribuite. In generale il
rospo comune ha una tinta cenerino-nerastra 0 fosca; se
ne vedono però molti di color rosso sbiadato o di color
ferrigno, ed in non pochi tali tinte passano al verde ed
anche al nerastro. Tutto il corpo è sparso di macchie fo-
sche irregolari di forma, numero e disposizione, che tal-
volta dispongonsi a rete e persino a fascie longitudinali.
In qualche raro individuo le macchie foggiate a fascia sono
ERPETOLOGIA 307
marginate anche in nerastro, e spiccano quindi assai di-
stinte sul fondo chiaro del dorso.
Tutto il di sotto si mostra per lo più di un color bian-
chiccio lurido, o pallido cinereo tendente anche al rossigno.
I giovani appena compiuta la metamorfosi si colorano
generalmente d’ una tinta uniforme brunastra o bruno-ne-
rastra, con poche verruche alquanto più pallide; hanno il
di sotto di color bianco sudicio, colla gola punteggiata di
bruno, e coll’ addome sparso di varie macchie dello stesso
colore od anche più carico. i
DIMENSIONI.
È questo rospo il più grande dei nostri Batraci. Il suo
tronco raggiunge la lunghezza di centim. 12 a 45, dei quali
3a 3%, ne occupa la testa; le gambe anteriori sono lun-
ghe più di 8, e quelle posteriori passano i 414 centimetri.
La maggior larghezza ai fianchi è di centim. 8.
Il maschio è molto più piccolo, toccando due terzi. ap-
pena ed anche meno delle dimensioni della femmina,
ABITAZIONE E COSTUMI.
Comunissimo in tutte le provincie del Veneto e del
Tirolo meridionale, soggiorna questo rospo nei luoghi oscu-
ri e pantanosi, e nelle grotte. Nei giardini, nei boschi, nelle
campagne trovasi cacciato sotto le pietre e sotto la terra
nella quale si scava anche una specie di galleria a piccola
profondità, da dove non sorte che all’ imbrunir della
notte. Abbandona specialmente i suoi nascondigli al ca-
dere delle pioggie di Settembre ed Ottobre e si sparge pei
campi e nei terreni vitati, ove talvolta incontrausene frotte
308 BETTA
di molti individui. Va in cerca del suo nutrimento, che
consiste di insetti e di vermi, soltanto in tempo di notte.
Sopra terra non progredisce a salti come le rane, ma fa-
vorito dalla minore lunghezza delle sue gambe deretane.
cammina con facilità, e talvolta anche con una speditezza
che non gli si accorderebbe atteso le forme tozze del suo
corpo. È privo di sacco vocale, ed ha un gracidare diverso
dalle rane e dall’altro nostro rospo. La sua voce ha qual-
che analogia col canto di una piccola civetta, la Strix scops
di Linneo, detta volgarmente Chiò 0 ciusso nel Veneto, Sci-
scieù in Lombardia. Durante l’ accoppiamento il maschio
emette una voce paragonabile in certa maniera al lontano
abbajare di un cane. Molestato, enfia subito il corpo che
diventa duro ed elastico, e battuto dà allora il suono di
un otre gonfio; fa stillare dalle verruche della pelle un
umore bianchiecio e fetente, e schizza dall’ ano un fluido
particolare, ma ben difficilmente si decide al morso il quale
è però affatto privo di conseguenze, e solo talvolta deter-
mina una leggiera infiammazione.
Il fluido cacciato dall’ ano è limpido come l’ acqua e
privo d’ ogni odore e sapore. Il Prof. Genè riporta varie
esperienze fatte sopra animali domestici dal Prof. Lavini,
dalle quali è provato non cagionare qualsiasi conseguenza
o disturbo nè preso internamente; nè introdotto nella cute
con ago vaccinatorio, e neppure disteso con ripetuta e
forte fregagione sulla pelle dell’ uomo, da lui praticata sul-
l’ avanbraccio di un contadino. Egli stesso poi ci fa testi-
monianza della innocuità di tal liquido schizzatogli da un
rospo sul viso, sugli occhi e persino in bocca. Sulla mano
lo provai io stesso più volie nel prendere questi animali,
e non ebbi mai a vederne e molto meno a sentirne con-
seguenze di sorta, Ben diversa è invece la natura del-
ERPETOLOGIA 309
umore che trasuda dai pori della pelle e specialmente
dalle parotidi, il quale ha forte odor d’ aglio, colore e den-
sità del latte, è caustico, ed inghiottito eccita stringimento
e bruciore di fauci, nausee, ed altri incomodi più o meno
gravi. E queste moleste nausee e doglie di stomaco provansi
anche se solamente furono tocchi da tal latte oggetti com-
mestibili, quali sarebbero i legumi, le frutta, ed i funghi
specialmente. Questo umore non viene però mai schizzato
a distanza dal corpo, ed applicato alle mani, al viso, o ad
altra parte non vi produce che un rossore passaggiero.
Nella primavera i sessi si cercano e talvolta |’ accop-
piamento principia sul terreno, poichè il maschio incon-
trando la femmina vi si pon sopra e stringendola a sè nel
modo solito dei Batraci, deve essa trasportarlo anche a
molta distanza per tuffarsi assieme nell’ acqua, ove com-
piono poi l’ atto della generazione. L’ unione dura fra i
tre, i dieci ed anche quindici giorni; le uova vengono
partorite in due coroncine che sortono contemporaneamente
dalla cloaca della femmina, e delle quali alcune misurano
persino la lunghezza di oltre 30 piedi. Dopo dieci o dodici
giorni le uova acquistano un doppio volume, ed un tale in-
grossamento mi accadde di osservare benanco nelle uova
partorite e conservate nello spirito di vino, in cui aveva
cacciato a morire una femmina col proprio marito che aveva
continuato a tenerla abbracciata fino quasi agli ultimi istanti
di vita. I cordoncini che terminai di estrarre dalla cloaca
dopo la morte della femmina, erano lunghi non meno di
25 piedi cadauno e sortirono paralleli. Quando si verificò
l’ ingrossamento delle uova, l’ umore vischioso si gonfiò
assumendo il diametro di 5 millimetri e mostrandosi di-
viso in cellette trasparenti, ognuna delle quali contiene un
uovo ‘affatto libero ‘e staccato.’
3410 RETTA
Dopo venti giorni il girino spacaia dall’ uovo. Appena
compiuta la metamorfosi il rospetto è assai piccolo, e non
diviene abile alla riproduzione che verso il quarto anno
di vita. I Rospi passano l’ inverno assiderati a vqualche
piede di profondità sotto terra.
Il Rospo vive molti anni e sopporta lunghi digiuni. Ha
vita tenacissima, ma muore prontamente se viene asperso
con sale o tabacco. I nostri fanciulli ed i contadini lo fug-
gono con orrore, 0 lo mettono a morte con barbari modi.
Qualche persona più saggia ne rispetta però | esistenza
conoscendo benissimo i vantaggi che porta colla distruzione
dei vermi, degli insetti nocivi e delle piccole lumache; ed
io so di persona che in un suo giardino di campagna pros-
simo a Verona, ne fece collocare e ne tiene non pochi, con
esito sicuro per la salvezza delle sue piante e dei fiori dai
danni di altri animaletti.
Se esaminiamo il caso narrato da Pennant parebbe che
il Rospo fosse suscettibile anche di una tal quale educa-
zione. Il D." Arscott ne possedeva uno che aveva stabilito
il suo soggiorno sotto una scala ed era divenuto tanto fa-
migliare che ogni sera, appena vedeva i lumi nella casa, sor-
tiva dal suo nascondiglio, alzava la testa, e pareva chie-
desse d’essere posto sopra una tavola dove sapeva di tro-
vare la sua cena consistente in vermi, mosche, e piccoli
insetti. Visse cosi 36 anni, e morì per un impreveduto
accidente.
Secondo gli autori la sua carne può essere mangiata
impunemente, e se è vero quanto dice Cloquet si vende-
vano in Parigi e si mangiavano per coscie di rane quelle
di siffatti animali. Non so però chi potrebbe essere in-
vogliato di scientemente assaggiarne. L’ antica medicina
aveva tratto dal Rospo un vasto numero di preparazioni,
ERPETOLOGIA ZAA
ma fortunatamente gli errori e le superstizioni cessero il
campo alla verità ed alla luce, e sparirono dalle farmacie
così inutili e ributtanti rimedii.
Non abbandoneremo questo Batracio senza avvertire di
un fatte curiosissimo e più volte osservato, relativamente
cioè a rospi trovati vivi in cavità umide, entro muri, entro
alberi cavi, e persino a quanto dicesi entro roccie compatte
ed impervie, ove dovevano aver vissuto senza alcun nu-
trimento per ben molto tempo. Il Sig. Duméril riporta nella
Erpétologie générale (*) le varie osservazioni ed esperienze
instituitesi per comprovare la possibilità del fatto.
Hérissant fu il primo a tentarne le prove quando co-
nobbe essersi trovato nel 41774 un rospo vivente, chiuso in
un vecchio muro intonacato di gesso. A tal effetto prese
egli tre rospi che collocò in scattole separate, sigillate con
gesso, e le depose presso l’ Accademia delle Scienze di Pa-
rigi. Al termine di 48 mesi furono aperte alla presenza di
più persone, ed uno solo fu trovato morto. Edwards ripetè
poi presso a poco le stesse sperienze sopra quindici rospi,
e vide che benchè totalmente sepolti nel gesso e. privati
d’ aria vissero lungo numero di giorni, mentre morirono
invece in pochi minuti quelli che aveva tenuti forzata-
mente nell’ acqua. Benchè non si possa dire che 1’ aria
non penetri pei fori stessi del gesso, e che quindi l’animale
fosse assolutamente privo di tale elemento, è nonostante
singolare e maravigliosa questa facoltà nei rospi, che manca
invece e che non si ottenne provata in nessun altro ani-
male. Si conoscono molte delle ragioni che la favoriscono,
fra le quali p. es. il meccanismo della loro respirazione
che eseguiscono ad intervalli lunghissimi, la pochissima
(*) Tom. VIN. p. 171.
342 BETTA
loro traspirazione, la facoltà’ propria della cute dei Batraci
di riassorbire l’ umidità; ma il fatto attende ancora mi-
gliorì studj e dilucidazioni.
Intanto fra i varj altri fatti che provano tale facoltà
non ommetterò di ricordare una esperienza del più volte
ricordato amico mio Dott. Martinati, il quale mi comu-
nicò d’ aver seppellito in un suo orto nell’ autunno del 4850
un grosso Bufo vulgaris alla profondità di circa un piede,
otturando diligentemente la fossa con argilla fina, e ben
compressa col piede. Dopo quindici giorni riaperta la buca
ne cavò il rospo ancor vivo e niente meno agile del con-
sueto, ma solo assai dimagrato e consunto. Ridonato alla
libertà andò subito a cercare i soliti nascondigli.
Esiste ancora nel popolaccio la credenza che il rospo
tenga celata nella propria testa una gemma, che qualcuno
mi ha anche recentemente (!!!) descritta di color rosso. Non
merita però sicuramente di essere discusso e confutato tale
grossolanissimo pregiudizio.
NOTA.
Sulla autorità di Duméril e Bibron ho collocato nella
Sinonimia il Bufo palmarum di Cuvier, ma non è però a
tacersi che alcuni valenti naturalisti tedeschi avrebbero
rimarcate fra quella specie ed'il nostro 8. vulgaris alcune
differenze che potrebbero forse far ragione di una separa-
zione specifica.
ERPETOLOGIA 3413
% — II BUFO VIRIDIS
Laurenti.
Ital. Rospo verde, Rospo smeraldino.
Ven. Crota, crotonzelo, rospo, veccia Fasolara, ‘Save, ’Sav, rosp.
Tirol. Rose, rosp. I
CARATTERI.
Capo quasi rotondato, più largo che lungo. Parotidi allungate. Cute
cospersa di verruche lenticolari o coniformi.
Corpo biancastro con molte macchie grandi, irregolari, di color verde
di smeraldo, e con molte pustulette di un color rosso vivo più numerose
sui fianchi e sulle coscie. i
SINONIMIA.
Bufo viridis Laur. Syn. Rept. p. 27. t. 4. f. 1.
_ — Schneîd. Hist. Amph. I. p. 200.
— —. Zatr. Hist. Salam. p. 41.
—_ —. Latr. Hist. Rept. II. p. 118.
— — Daud. Hist. Rain. p. 79. t. 28. f. 2.
— — Daud. Rist. Rept. VIII p. 456.
— —. Pitz. Verz. Mus. Wien. p. 65.
— — Sturm Deutschl.-Fauna III. p. 31.
_ — Bonap. Fauna ital. cum tab.
— — Dum. Bibr. Erpetol. VIII. p. 684.
- — Betta Rett. Tirol. p. 188.
- — Betta Cat. syst. Rept. p. 26.
== — Massal. Saggio p. #3.
3414 BETTA i
Rana bufo var. 8. Gmel. Syst. Nat. I. p 4007.
Rana variabilis Pallas Spic. zool. VII. p. 1. t. 6. {. 1.2.
— — Gmel. Syst. Nat. I, p. 4051.
— — Sturm Deutschl. Fauna III 2.
Rana sitibunda Pallas Reise IL p. 458. (fide Bonup.)
SE Gmel. Syst. Nat. I. p. 1050.
—_ — Shaw Zool. Ill. p. 153.
Bufo variabilis Merr. Syst. Amph. p. 4180.
— — © Risso Hist. nat. II. p. 95.
= _ Gravenh. Delie. Mus. Vratisi. p. 65. n. Af.
— — Wagl. Syst. Amph. p. 207.
= = Eichw. Zool. Ross. p 167. n. 3.
_ — — Schinz Fauna Helvet. p. 145. n. 3.
_ _ Tschudi Classif. Batrach. p. 88.
Bufo sitibundus Schneiîd. Hist. Amph. I. p. 225.
FORME.
Capo quasi rotondato, più largo che lungo, schiacciato
sulla fronte ed incavato lontitudinalmente; occhi piuttosto
piccoli, assai protuberanti, con pupilla nera, elittica, ed
iride dorata; timpano di figura elittica, grande. quanto la
‘metà dell’ occhio 0 poco meno. Bocca assai squarciata,
arrivandone la fessura fin sotto il timpano. Parotidi lun-
ghe, di uguale larghezza da per tutto e divise dall’ occhio
per un breve solco.
Tronco piuttosto breve, prominente nel mezzo, turgido
ai lati, schiacciato nel resto. Dita dei piedi anteriori libere;
palmate oltre la metà quelle dei posteriori, nei quali scor-
gesi un piccolo tubercolo simulante quasi un sesto dito.
La sua pelle è tutta ‘cospersa di verruche lenticolari o
coniformi, più o meno grandi ed eguali fra esse, e tutte
forate da pori visibili anche ad occhio nudo. La pelle delle
ERPETOLOGIA 345
parti inferiori offre delle pieghe irregolarmente distribuite
‘per lungo e per traverso, e simulanti una sorta di rete.
A differenza della specie precedente, il maschio di que:
sta possiede un sacco vocale interno.
COEORITO.
Tranne una statura molto minore, le forme di questo
rospo sono tanto consimili a quelle del Bufo vulgaris che
soltanto la assai distinta sua colorazione può giovare quale
facile e principale esterno carattere di distinzione.
Ordinariamente ha esso il fondo biancastro con mag-
giore o minore tendenza all’ olivaceo, al giallastro od al
rossastro, ma sempre però più chiaro delle macchie che
sono sparse sul corpo. Tali macchie sono grandi, più o
meno dilatate, più o meno isolate o contigue, e talvolta
benanco confluenti, specialmente sul capo e sulle spalle; il
loro colore è di smeraldo orlato di bruno, e ‘vaghezza di
tinte vi aggiunge una quantità di rosse pustulette sparse
sul corpo, più numerose sui fianchi e sulle coscie che
altrove.
Tutta la parte inferiore è di un color cinereo-giallognolo,
sparso talvolta di una tinta più oscura.
Nei giovani il colore del fondo è cenerino colle macchie
piccole, piuttosto nereggianti e con punti neri; le vertu-
che sono piccole e rare.
Dopo la morte dell’ animale e specialmente nell’ alcool
il bel verde delle macchie si fa olivastro o brunastro, e
sparisce quasi totalmente il vivo rosso rubino delle pustu-
lette.
346 X BETTA p
DIMENSIONI.
L’ ordinaria lunghezza del suo corpo, compresa la testa,
è di 6 a 7 centimetri, colla larghezza ai fianchi di cen-
timetri 3 34, a 4 0 4%. Le sue gambe anteriori sono lun-
ghe centim. 4 a 4%; le posteriori 8% a 9. Nella provincia
di Verona e di Vicenza, e assai più frequentemente ‘ poi
nel:Tirolo si trovano individui il corpo dei quali giunge
fino alla‘ lunghezza di centim: 8 ad 8%, colla larghezza
maggiore ‘ai fianchi di 534.
à
ABITAZIONE E COSTUMI.
Il Rospo' verde incontrasi sparso in tutte queste pro-
vincie. Durante ‘il' giorno sì tiene nascosto sotto le’ pietre
o nelle fessure ‘dei muri; va ‘in cerca di nutrimento di
notte ‘tempo; pascendosi di vermi, di insetti e di piecole
lumache. Il suo ‘gracidare è monotomo e di quando in
quando’ interrotto. Quanto gradevole è pei colori, altrettanto
ributta pel fetore che esala quando venga irritato, e’ che
può paragonarsi all’ odore di solfuro d’ arsenico. Passa
l'inverno sotto ai sassi od intanato sotterra. Cammina con
qualche'speditezza ma solo a piccole distanze, e gode della
speciale facoltà ‘di poter salire a qualche altezza sui muri
anche verticali, ciò che spiega come trovisi talvolta nelle
fessufe elevate due o tre piedi dalla terra.
Nel mése di Aprile o di Maggio si accoppia, recandosi
per ciò nell’ acqua dopo il tramonto del sole. La feconda-
zione è sollecita più che in altre specie, e le uova sortono
dalla cloaca in due coroncine. Verso la fine di Settembre
LI
la metamorfosi dei girini è compiuta. Gli abbracciamenti
ERPETOLOGIA 9417
del maschio devono essere assai tenaci poichè io conservo
nella mia Collezione due coppie morte.nello spirito di vino
senza disgiungersi; i pollici del maschio molto ingrossati
vedonsi fortemente compressi, -e quasi direi ‘approfondati
nel seno della compagna.
NOTA.
Nella Francia, nella Svizzera, in qualche parte della
Germania, e nell’ Inghilterra incontrasi una bellissima va-
rietà avente una striscia gialla che dall’ apice del muso
scorre lungo la parte incavata del dorso fino all’ ano, ed
un largo merletto dello stesso colore che le orna i fianchi,
facendo così vieppiù spiccare le verruche di scarlatto di-
sposte sul corpo. Laurenti aveva fatto di tale varietà una
specie distinta sotto il nome di Bufo calamita (*), che venne
poi anche ritenuta da molti ‘autori, e ‘figurata e deseritta
dal Principe Bonaparte nella Fauna Italica. ‘Più diligenti ed
estesi confronti la dimostrarono però semplice varietà di
colorazione del nostro Bufo viridis, e come tale;la troviamo
anzi annunziata più tardi dallo stesso Bonaparte, e più di
recente dai signori Duméril e Bibron.
(*) Sinonimia — Bufo calamita Laurenti, Dandin, Sturm, Fitzinger etc.
— Bufo cruciatus Schneid. — Rana portentosa \Blumenbach, Retz, Sturm.
— Rana foetidissima Herm.— Rana mephilica Shaw etc.
318 BETTA.
BR. BATRACI URODELI.
“Gen. SALAMANDRA LAURENTI.
22—-I. SALAMANDRA MACULOSA
Laurenti.
Ital. Salamandra terrestre.
Ven. Salamandra de terra, sermandola, sarmandola, salamandre.
Tirol. Salamandra, sarmandola, bissa de piova. ;
CARATTERI.
Capo distinto dal corpo. Due grosse parotidi, una per lato dietro gli
occhi, con molti pori distinti. Tronco terete, scarsamente panciulo. Coste
pronunciate. Cute coperta di verruche e di pori, con una serie di ampie
protuberanze sui fianchi. Coda terete, smussata all’ apice.
Corpo nero d'inchiostro con molte macchie gialle, grandi, irregolari,
distribuite sulla testa, sul dorso, sui fianchi, sulle gambe, sulla coda e
sul ventre.
SINONIMIA.
Lacerta salamandra Linn. Syst. Nat. I. p. 571.
— —_ Gmel. Syst. Nat. I. p. 1066.
—_ _ Latr. Hist. Rept. II. p. 194. t. 52. f. 1.
—_ —_ Sturm Deutsch]. Fauna III. 2. t. 4. 2.
ie _ Shaw Zool. III. p. 291.
Salamandra maculosa Laur. Syn. Rept. p. 42. n. dI.
_ _ Gravenh. Delic. Mus. Vratisl p. 74. sp. 2.
_ _ Wagl. Syst. Amph. p. 208.
ERPETOLOGIA: 3419
Salamandra maculosa Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 66. n. 2.
—_ — Bonap. Fauna italica cum fab.
—_ — Tschudi Classif. Batrach. p. 91.
= _ Ambrosi Prosp. zool. p. 291.
—_ — Betta Rett. Tirol. p. 159.
# _ Betta Cat. syst. Rept. p. 27.
mi == Massal. Saggio p. 30.
—_ —_ Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 52.
Salamandra maculata Merr. Syst. Amph. p. 188.
— —_ Risso Hist. nat. III. p. 98.
Salamandra terrestris PWurffb. Salamandr. p. 52. t 4. f. D.
_ — Ray Syn. Quadrup. p. 273.
— _ Schneid. Hist. Amph. I. p. Bd.
_ — Latr. Hist. Salam. p. 32. t. 4. 2.
= (/— Daud.Hist. Rept. VIN. p. 224. t. 97. f. 4.
_ — Catullo Geogn. Venet. p. 174.
— — © Ausconi Hist. nat. Salam. t. 4. f. 13.
FORME.
Capo distinto dal corpo benchè presso a poco dell’ eguale
larghezza, arrotondato, schiacciato superiormente, poi leg-
germente convesso, colla fronte declive; occhi quasi rotondi
ed assai sporgenti; bocca squarciata oltre al margine po-
steriore dell’ occhio; mascelle subeguali, essendo la infe-
riore qualche poco più breve. Due grosse parotidi collocate
una per lato dietro agli occhi, analoghe a quelle dei rospi.
Tronco terete, grosso quasi uniformemente, solo scarsamen-
te panciuto ed alquanto spianato al di sotto. Quasi sem-
pre la linea mediana del dorso è segnata da una leggiera
scanalatura che parte dalla nuca e continua fino all’ ori-
gine della coda. Le coste risaltano sui fianchi con leggieri
rialzi o rughe, che si fanno poi assai più pronunciate negli
320 BETTA
individui tenuti per qualche tempo.in schiavitù, e presen-
tano inoltre dei piccoli pori regolarmente distribuiti a paja,
e corrispondenti a cadauna delle sottoposte vertebre. Gam-
be brevi, pingui e tozze, più però le posteriori-che non le
anteriori. Le palme e le piante turgide, e rotondate tutte le
dita di ciascun piede. Coda conica alla base, mano mano
più terete verso l’ estremità, assottigliantesi quanto più si
avvicina alla punta, ove termina alquanto smussata; la
sua lunghezza è qualche cosa più breve di quella del tron-
co, non compreso il capo. La cloaca si apre in una fessura
longitudinale stretta ma lunga.
La pelle lubrica e viscida può dirsi liscia, e liscia af-
fatto e levigata è poi la parte di sotto del tronco e della
coda. Il corpo è però superiormente tempestato di verru-
che molli e lattifere, delle quali vedonsene due file distinte
che fiancheggiano la spina dorsale; -una serie di ampie
protuberanze scorre sui fianchi tra gli arti anteriore e po-
steriore, quelle stesse già sopra avvertite.
COLORITO.
Il fondo di tutto il corpo è nero d’ inchiostro con qual-
che tendenza al turchino nel di sotto. Molte macchie gialle,
variabilissime in numero, grandezza e disposizione, sono
sparse sul corpo compresi gli arti e la coda; alcune sono
oblonghe, altre rotende, ed altre infine allungate e con-
fluenti quasi a guisa di fascie; varia pure la loro tinta
dal giallo il più vivo al giallo pagliarino. In una parola
tali macchie si dispongono in così diverse forme ed in così
vario modo che non si danno, od almeno sarà ben difficile
di trovare due individui assolutamente eguali. Non manca
mai ed è costante nella disposizione, non però nella forma,
ERPETOLOGIA 324
la macchia gialla sopra le palpebre, ed un’ altra sulle pa-
rotidi, ove si scorgono anche assai più distinti i pori delle
critte sottocutanee a guisa di puntini neri. Un’ altra mac-
chia che trovai finora costante nei moltissimi individui
nostrali esaminati, si è quella che segna la parte superiore
di tutti gli arti vicino al punto del loro attacco col corpo;
e queste macchiette non mancano neppure negli individui
giovani, benchè in essi sieno le altre minori d’ assai in
numero di quelle degli adulti. In qualche esemplare la
macchia delle parotidi vedesi estesa e protratta oltre il
loro margine posteriore. Tengo un esemplare del Tirolo in
cui le prime macchie del dorso hanno confluito assieme in
modo da figurare precisamente due ferri da cavallo posti
l'uno dietro all’ altro, coll’ apertura verso la parte po-
steriore. Un altro individuo è quasi tutto nero, non avendo
. che piccole molto e rotonde le macchie costanti soprav-
vertite, e più piccole ancora, rarissime, e rotonde quelle
del corpo e delle estremità. In qualche altro esemplare
tanto del Veneto che del Tirolo, varie macchie dei fianchi
veggonsi allungate e tanto vicine le une alle altre da figu-
rarvi una fascia scorrente dall’ uno e dall’ altro lato del
corpo.
Le parti inferiori sono più o meno macchiate di giallo,
e lo sono sopratutto alla mascella ed al collo. Nei giovani
mancano invece le macchie, e si tingono di un color nero
brunastro uniforme. In questi poi le macchie gialle supe-
riorì sono più pallide, e qualche volta persino biancastre.
DIMENSIONI.
Varia la sua lunghezza dai centimetri 15 ai 18 e financo
ai 49, compresavi la testa e la coda, la quale giunge circa
24
322 BETTA
ad eguagliare la lunghezza del tronco a partire dal collo.
Le gambe sono pressochè eguali e lunghe circa centimetri 3.
ABITAZIONE E COSTUMI.
La Salamandra terrestre trovasi in tutte queste provin-
cie, ed abita i luoghi umidi ed ombrosi, non cacciandosi
nell’ acqua che all’ epoca della generazione. Vive general-
mente nascosta sotto i muschi, nei freschi boschetti, sotto
i fracidi tronchi, in qualche buca sotterranea, al piè delle
vecchie muraglie fra le macerie, e persino nelle cantine,
e nei luoghi umidi e terreni delle case; nè sorte dal na-
scondiglio che di notte tempo per far preda di insetti, di
lombrici, e di piccoli molluschi. Teme assai il caldo, e
più ancora fugge i raggi del sole. Di giorno non vedesi
quindi che nelle ore mattutine, o più facilmente dopo di-
rotte pioggie, e più ancora nei mesi di Settembre ed Otto-
bre, riescendo allora talvolta di vederne non poche lungo
le strade, appiè delle siepi, dei muri e delle roccie. Tarda
e lenta, non fugge all’ avvicinarsi di altri viventi, e facile
riesce quindi il farla prigioniera. Generalmente temuta e
fuggita, è però la Salamandra un animale innocuo, nè sa, nè
può difendersi nei pericoli o quando venga aizzata, che
trasudando dai pori della sua pelle un umore lattiginoso
che schizza anche a qualche centimetro di distanza.
Ha questo latte un odore particolare ed ingrato; è di
sapore molto acre e nauseoso; ha proprietà caustica, e per
alcuni piccoli animali riesce anche mortifero. Laurenti fu
il primo ad esperimentarlo tale in due lucertole, morte fra
convulsioni pochi momenti dopo che una Salamandra irri-
tata dai loro morsi schizzò loro in bocca il suo latte (*). Già
(*) Laurenti. Synopsis feplil. Experimevt. XXVII. pag. 158.
ERPETOLOGIA 323
altrove avvisai d’ averne io stesso verificata la potenza
venefica sulla Rana temporaria (A), avendo veduto morire
dopo pochi minuti, e fra molte convulsioni tutti gli indivi-
dui ai quali aveva cacciato nella bocca qualche goccia di
tal latte. Gratiolet e Cloez instituirono pure alcune espe-
rienze, e da una loro Memoria inserita per estratto nel
giornale L’ Institut (2) risulta che quell’ umore innocu-
lato sotto l’ ala di varj uccelli cagionò a tutti la morte,
dopo forti tremori e convulsioni, in alcuni dopo soli tre
minuti, in altri dopo sette od otto, in una tortorella dopo
venti ecc. Gli esperimenti però fatti sopra piccoli mammi-
feri non offrirono alcun esito grave, e solo quegli animali
mostrarono di risentirne viva sofferenza con una affannosa
respirazione, e con una specie di sonno o torpore interrotto
più volte da forti e repentine scosse. Dai risultati di altri
loro esperimenti si avrebbe poi anche constatata una durata
nella potenza venefica dell’ umore, poichè una quantità.
raccolta nell’ Aprile 4854 ed innoculata, sciolta nell’ acqua,
in un Cardellino nel Marzo dell’ anno seguente, cagionò
eguali sintomi e la morte. Lo stesso dicasi per |’ umore
disseccato dei rospi, di cui due soli milligrammi fecero
morire un Verdone (Fringilla chloris Linn.) in sedici minuti.
È però certo riuscire innocuo per animali di mole mag-
giore, e quindi ancora più per l’ uomo. Apertamente lo
comprovano le esperienze di Wurffbein e di Maupertuis, il
primo dei quali si stropicciò persino sugli occhi una sala-
mandra viva; esperienze che provarono poi anche l’assur-
dità delle potenze accordate dagli antichi a questo animale
ed al suo latte. Non si potranno più quindi ritenere per vere
(4) Catalogo dei Reîtili della valle di Non. pag. 160.
(2) Sect. I. Tom. 19. N. 903 pag. 131. (25 Aprile 1851.),
324 :V1ABETRTA
le cose esposte da Plinio, il quale scriveva che « infer
omnia animalia venenata, Salamandrae scelus maximus est», ‘ag-
giungendo molte altre più ridicole favole sulla pretesa sua
proprietà di uccidere chi mangiasse le poma di un albero
su.cui fosse salita una Salamandra, 0 chi bevesse l’acqua
di un pozzo nel quale fosse caduta, o mangiasse del pane
cotto con legna da lei tocca!!! e così via. E lo stesso di-
remo di quanto vi aggiunsero e ne dissero di poi il Mat-
tioli, lo Scaligero, il Pinciero ed altri moltissimi, le super-
stiziose ed erronee asserzioni dei quali avevano dato vita
al ridicolo detto « Eum quem Salamandra momorderit, tot
opus habere medicis, quot bestia distinguatur maculis » (*).
Che dire poi sulla facoltà così a lungo ereduta nella
Salamandra di conservarsi incolume nel fuoco, e non solo
d’ escirne sana e salva, ma di spegnerlo eziandio?? — In
aperta opposizione a questa vantata proprietà abbiamo il
fatto che la Salamandra abbisogna invece per vivere di
molta umidità, che viene assorbita di continuo pei moltis-
simi pori della sua pelle. Se può resistere infatti, e resiste
anche a lunghi digiuni senza dimagrare di molto, non
dura però a lungo se non venga di quando in quando
spruzzata d’ acqua; mentre tenuta al caldo, od in un am-
biente secco, od esposta al sole, o vicina al fuoco, il suo
corpo si avvizzisce di subito, ed essa muore anche in po-
che ore. Ciò spiega il perchè si tenga sempre nei luoghi
umidi ed ombrosi, e non sorta da’ suoi nascondigli che in
primavera od-in autunno, dopo o durante la pioggia.
È poi un fatto che questo animale che si suppose po-
ter vivere nel fuoco, è al contrario quello fra i rettili che
più resiste al freddo, giacchè lo troviamo ancora in autunno
(*) Wurffbein. Salamandrologia pag. 92.
ERPETOLOGIA 325
avvanzato, e quando già da molto tempo tutti gli altri sono
ricoverati sotterra. Varie Salamandre furono trovate chiuse
in solide masse di ghiaccio; il loro corpo era duro ed in-
flessibile, ma poste sulla neve e fattala sciogliere lenta-
mente, non tardarono a manifestare segni certi di vita.
Dobbiamo quindi persuaderci della falsità evidente della
vecchia credenza; ed ognuno che non volesse acconten-
tarsi delle prove offerte dalle esperienze altrui, potrà to-
stamente convincersene qualora voglia cacciare una Sala-
mandra nel fuoco. Da pochissime bragie essa potrà. facil-
mente fuggire, spegnendole col liquido che subito trasuda
dai pori; ma fra i vivi carboni, e molto più fra le fiamme
troverà senz’ altro, e ben prontamente, quella fine che vi
troverebbe ogni altro animale. Questa proprietà di salvarsi
dal fuoco non è dunque che una favola, nè per certo po-
teva godersi la Salamandra quella celebrità popolare che
l'aveva fatta sciegliere dai poeti e dai cavalieri ad emble-
ma dell’ amore, della galanteria e del valore; e che indusse
Francesco I di Francia ad assumerla per suo. emblema,
facendola figurare sugli scudi nel mezzo alle. fiamme. col
motto: nutrisco et extinguo (*). Eguale emblema 0 simbolo
vedesi anche sulle monete del Ducato di Milano coniate ai
tempi della signoria dei francesi. i
La Salamandra è ovovivipara, ele uova ‘vengono fe-
condate all’ interno. Manca però nel maschio qualsiasi or-
(*) Chi volesse conoscere la storia di tutti i pregiudizj nei “quali fu
involta la Salamandra può trovarla con molto interesse trattata ed espo-
sta nella citata Salamandrologia di Wurffbein, il quale dà anche un as-
sai erudito articolo sulla etimologia della parola Salamandra (pag.10-15)
che secondo lui deriverebbe dalle voci greche Zeov e pavdoav « quia
prope s&)ov (luogo umido) amat habere uavdoav (spelonca).
326 BETTA
gano esterno di accoppiamento, e non trovansi tuttora d’ ac-
cordo gli autori sul modo con cui si effettua la feconda-
zione, se cioè il liquore seminale del maschio abbandonato
nell’ acqua, che servirebbe di veicolo, venga assorbito e
penetri nella femmina, 0 se piuttosto i sessi avvicinino
l'uno all’ altro le labbra in allora assai turgide della pro-
pria cloaca. Quello che è certo si è che la fecondazione
deve operarsi molto internamente. L’ accoppiamento suc-
cederebbe a terra come ce ne assicurano varj autori mo-
derni, lo stesso Rusconi, ed il Principe di Canino là dove
scrive che « fedelissimo il maschio viene con una sola
» femmina ad abbracciamento, non ad inserzione di stelo,
» di cui manca, sormontandola e cingendola strettamente
» co’ suoi piedi anteriori, mentre costei gli sovrappone pure
» i suoi, e così avvitticchiati ambo i sessi, ugualissimi di
» forma e di colore, si trascinano di comune consenso
dalla terra, nell’ acqua (*)». — In generale la femmina
fecondata ìn autunno non partorisce i piccoli che alla fine
di Marzo o di Aprile, ma qualche volta se ne trovano nel
corpo della madre anche nei mesi di Giugno, di Luglio €
persino di Agosto, per il che pare che si diano varie ano-
malie in riguardo all’ epoca della fecondazione. La gesta-
zione dura circa 8 mesi, ed il parto è di 30 a 50 piccoli
che vengono alla luce sotto forma di girini, forniti di bran-
chie, con coda molto depressa e tagliente, e persino mem-
branacea ai margini. In tale stato presentano quindi molta
analogia coi girini dei Tritoni. Piccolissimi appena venuti
alla luce, non oltrepassando la iunghezza di 30 millimetri,
raggiungono lo stato di perfezione in poco più di due mesi;
ma è poi lentissimo l’ ulteriore loro accrescimento, talchè
\
(°) Fauna Italica.
ERPETOLOGIA 327
una Salamandra di due anni ha appena la lunghezza di
centimetri 7 a 74 compresa la testa e la coda. i
Già Funk e Gravenhorst avevano seguìto completamente
e con ogni diligenza lo sviluppo della Salamandra terre-
stre, ed in belle tavole ci avevano rappresentati varj suoi
stadj. Ora possediamo però anche l opera di un nostro
italiano, il distintissimo anatomico Dott. Mauro Rusconi, il
quale ci lasciò in questo prezioso lavoro una novella prova
della mirabile sua perizia negli studj di tal sorta, col de-
scriverci e col rappresentarci in diligentissime figure gli
stati diversi e lo sviluppo successivo della Salamandra, dal-
l’ istante della nascita fino allo stato perfetto (4). Il Dottor
Morganti di Pavia ha quindi reso un vero servigio alla
scienza ed alla patria nostra, col pubblicare quest’ opera di
un uomo che pel profondo sapere, pei sommi vantaggi re-
cati colle sue scoperte, per l’ originalità delle sue ricerche,
e per le tavole insuperabili di sua mano che le dimostra-
no, lasciò morendo un nome Europeo, un nome che alta-
mente onora l’ Italia.
Secondo quanto osservarono e scrissero tutti gli autori
il parto della Salamandra si effettua nell’ acqua, e nella
prima delle belle tavole della citata opera del Rusconi può
vedersi anche figurata la postura della femmina in tali
momenti. Avressimo però alcune osservazioni del Prof. Giu-
seppe Balsamo-Crivelli (2), dalle quali potrebbe dedursi
forse qualche eccezione su tal fatto. Tre salamandre a lui
pervenute nel Novembre 1853, furono collocate in una cas-
setta di legno contenente poca terra, e custodite quindi in
(1) Déeveloppement et metamorphose de la Salamandre terrestre par
M. Rusconi. Ouvrage posthume inedite publiè par le Doct. J. Morganti.
Pavie 1854.
(2) Giernale dell’I. R. Istituto Lombardo. 1854. Tom. V, pag. 494.
3928 BETTA
una camera con temperatura non mai maggiore di 8 gradi,
usando della sola precauzione di spruzzarle con acqua ogni
due giorni. Nel 2 del successivo Gennajo furono trovate sul
fondo della cassetta tre salamandrine, che poste nell’ acqua
tepida si liberarono dal loro invoglio e si posero subito a
guizzare. Una quarta salamandrina nacque il seguente gior-
no, e collocate tutte in un vaso ampio con acqua e fango,
mantenendole con piccoli annelidi, vivevano ancora ed as-
sai vivaci il 25 Gennajo, giorno in cui il prelodato Pro-
fessore presentava all’ Istituto quelle sue osservazioni. Nel-
l autore nasceva il dubbio se le Salamandre potendo de-
porre i loro figli nel verno, maturi essendo in questo tempo
i loro feti, vengano questi in stato di libertà deposti dalla
madre nell’ acqua, come si osserva d’ ordinario; ed argo-
mentando quindi per analogia da quanto osservò accadere
nei rospi, conchiudeva coll’ ammettere che anche le sala-
mandre possano svilupparsi allo stato di girino per la sola
umidità copiosa dei luoghi ove si trovano, senza aver bi-
sogno di essere immerse nell'acqua. La scienza dovrà forse
attendere maggiori lumi e maggiori studj prima di regi-
strare come positiva una eccezione di tal sorta nel parto
della Salamandra, ma intanto qualunque sia la spiegazione
che si potrà dare al fatto osservato dal Prof. Balsamo-Cri-
velli, noi lo riportiamo come novella prova della diversità
di epoca nella quale questi animali si accoppiano.
D'inverno le salamandre si ritirano nelle buche, nelle
caverne e nei sotterranei umidi, e vi restano letargiche fino
alla primavera.
OSSERVAZIONE.
Fra le moltissime varietà di colorazione possibili in
questa specie, sempre però nei limiti dei due suoi colori,
ERPETOLOGIA 329
non si ommette di avvertirne una ben singolare, descrittaci
da Duméril e Bibron nella loro Erpétologie, Tom. IX. p. 57.
L’ individuo che la presenta fu preso nelle vicinanze di
Roma dal Dott. Bailly, ed inviato al Museo di Parigi. In
esso, all'opposto di quanto si osserva nella specie, tutto il
color del fondo è giallo e le macchie nere. Sul corpo una
fascia stretta nera trovasi sulla linea mediana del dorso,
ed un’altra ai fianchi scorrente dalla spalla fino oltre l’ ori-
gine della coda. Una macchia nera vedesi sopra ciascuna
parotide, e qualche altra piccola macchia sulle membra.
Tutto il di sotto è giallo pallido, meno una piccola mac-
ehia nera verso la congiunzione delle clavicole.
NOTA.
Trovasi in Laurenti (4) una Salamandra candida descritta
colla brevissima diagnosi « corpore toto albo, cauda subterete »
ed indicata come propria della provincia Padovana. In
nessuno degli autori consultati trovo fatta menzione di
tale specie creata dal Laurenti sulla figura 4. della Tavo-
la II. di Wurffbein, e sarà a ritenersi quindi eliminata
dalla scienza. Io penso infatti doversi avere per null’ altro
che per un individuo della comune Salamandra; e sul
suo colore trovasi facile spiegazione nelle parole stesse di
— Wurffbein dove scrive « /s enim Excell. Mauritius Hoffman-
nus...suam pro consueta humanitate amice dare voluit, dum
Salamandram illam (Tab. II. f. I.) exenteratam, ante hos 40
fere annos in Patavina Italiae Universitate, a se, utrum Ovi
vel Vivi-para esset, experiendi gratia, artificiose sectam, mihi
utendam communicavit » (2).
(1) Synopsis Reptilium. pag. sl.
(2) Salamandrologia. pag. 64.
330 BETTA
Gen. PETRAPONIA MASSALONGO.
23]. PETRAPONIA NIGRA \<
Massal.
Ital. Petraponia nera.
CARATTERI.
Capo distinto dal corpo. Due parotidi.... (??), una per lato die-
tro agli occhi. Tronco terete, con un solco longitudinale profondo sul dor-
so. Coste assai pronunziate. Cute leggermente sagrinata. Coda compressa,
solcata nel centro da numerose costicine.
Tutto il corpo di color nero uniforme e senza macchie.
SINONIMIA.
Petraponia nigra Massal. Annali di Bologna 1853. cum tab.
_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 28.
FORME.
Capo mediocre, depresso, ottuso, colla fronte declive,
distinto dal corpo, con alcuni solchi nel centro e nelle pa-
rotidi...(??) che sono poco spiegate. Occhi mediocri, con
taglio piuttosto verticale; bocca fessa oltre agli occhi. Tron-
co terete, con un solco longitudinale profondo che par-
tendo dalla nuca percorre la linea mediana del dorso fino
alla base della coda. Coste numerose e molto pronunziate;
gambe sottili, a dita sottilissime e libere affatto. Coda larga,
molto compressa, a due tagli, essendo munita di appendici
membranacee come quella dei Tritoni; solcata nel suo
ERPETOLOGIA 334
centro da molte pieghe trasversali che costituiscono quasi
altrettante costicine; lunga poco più della metà di tutto
il corpo, non compresa la testa.
Pelle lucida, leggermente sagrinata sul corpo, liscia sulle
gambe e sul ventre; increspata sotto la mascella inferiore.
COLORITO.
Tutto l’animale è di un bel color nero lucido in ogni
parte.
DIMENSIONI.
La sua lunghezza è di millimetri 79, dei quali ne .oc-
cupa 14 la testa e 36 la coda, la di cui maggiore larghezza
è di millim. 9.
Come già più addietro fu avvertito, il Prof. Massalongo
stabilì il suo genere Petraponia sopra questo piccolo Batra-
cio da lui raccolto nel 1849 in un fossato che circonda le
mura di Padova. E benchè dalle parole usate dall’ autore
nell’ indicarne l’ abitazione (*), potrebbe forse qualcuno
pensare averne esso veduti più d’ uno, unico è però tut-
tora l’ esemplare, ed unico quindi il rappresentante del
genere, che l’ autore stesso con veramente rara cortesia ed
amicizia volle facesse parte della mia Collezione dei Rettili
Europei; tratto di gentilezza pel quale piacemi di ancora una
volta presentargli pubblica testimonianza di obbligazione.
Formerebbe questò Batracio il più naturale annello fra
le Salamandre ed i Tritoni, avendo alle prime pressochè
(*) « Vive nelle acque stagnanti dei contorni della città di Padova, e
« specialmente nei fossati che circondano le mura ». Massal. loco citato.
332 } BETTA
eguale il capo, eguali le coste ed il solco del dorso ; ai se-
condi eguali le gambe e la coda. Differenziando. poi sì ;daile
une che dagli altri pei caratteri di forma e. struttura ac-
cennati, e sopratutto per la sua lingua non già libera ai
lati ed aderente nel resto, ma libera invece nella parte
anteriore e non ai lati, siccome risulta da quanto fu detto
nella esposizione dei caratteri di ciascun genere.
Quanto però deve recar sorpresa, e veramente riesce
inesplicabile, si è la presenza nel Padovano dell’ unico
esemplare, ora da me posseduto. Chè non devesi poi tacere
come dall’ epoca della scoperta a tutt’ oggi siano riescite
sempre inutili le ricerche praticate e fatte praticare dal-
l’ autore, e da qualche altro continuate con somma perse-
veranza per due anni, onde scoprirne qualche altro indivi-
duo; siccome vane sortirono quelle pure ch’ io stesso ese-
guii nel decorso anno, e quelle ch° io feci praticare da al-
cuni pescatori, allettati a diligente ricerca dalla promessa
di un grosso premio per ogni individuo che mi avessero
recato.
Nè male certamente mi apporrò nel pensare che ‘ap-
punto ‘per tale misteriosa unicità, qualcuno forse degli Er-
petologhi troverassi inclinato a dubitare sulla bontà della
specie, ed a supporre piuttosto nel nostro individuo ‘una
anomalia di qualcheduna delle nostrali già conosciute. Nè
dissimulerò come tale sia stato pure il mio primo sospetto,
e quello non meno dell’ autore il quale, per valermi delle
sne stesse parole, non avrebbe « mai osato sopra un. solo
esemplare di azzardarne una illustrazione » se non ne lo
avesse persuaso l’ importanza di alcuni suoi caratteri, e
gli eccitamenti « più fiate » avuti dal celeberrimo Erpeto-
logo Sig. Fitzinger di. Vienna, .cui avevalo prima inviato
per esame e giudizio.
ERPETOLOGIA 333
Ma per risehiarare in altri quei dubbii ch’ io stesso vedo
possibili, non sarà certamente superfluo l’ accennare a quale
delle nostre specie potesse più davvicino riportarsi questo
rettile pei suoi caratteri esterni di forma e struttura, astra-
zione fatta pel momento all’ importante carattere della lin-
gua, ed agli altri che appoggiano la distinzione generica
del Massalongo. i
L’ esemplare di cui parlasi non è al certo completa-
mente metamorfosato, presentando ancora una traccia, ben-
chè piccolissima, delle branchie, le quali sappiamo scom-
parire affatto nei nostri Urodeli col raggiungere dessi il
perfetto sviluppo. La presenza inoltre delle parotidi non è
che presunta da un rilievo che osservasi nel posto ove so-
gliono essere collocate, non essendo possibile il garantirsene
meglio senza rischio di guastare o di perdere benanco que-
sto unico esemplare. In tale stato di cose il solo sospetto
che potrebbe nascere, quello sarebbe di una anomalia per
melanismo del Triton alpestris, del quale la Petraponia avreb-
be la statura ed in qualche modo le forme. Ma oltrechè
sappiamo molto raro il melanismo negli animali non do-
mestici, tanto più così completo, ci apprende il Sig. Geof-
froy di Saint-Hilaire (*) dipendere tale anomalia da un vero
eccesso di sviluppo, mentre da un difetto di esso procede
invece quella opposta dell’ albinismo. Non si potrà quindi
ammettere, a mio credere, eccesso di sviluppo ‘nel nostro
individuo se, raggiunta quasi la statura ordinaria del 7ri-
ton alpestris allo stato perfetto, porta ancora le traccie delle
branchie. Avremo sempre d’ altronde la ben diversa con-
formazione del capo, le coste assai pronunziate, ed un com-
(*) Zistoire générale et particul. des anomalies ele. edit. Bruxelles.
Tom. I. pag. 2532.
334 BETTA
plesso di forme che non permettono di confonderlo con
questo Tritone; più ancora avressimo la circostanza. della
diversa abitazione del Triton alpestris, fino ad ora poi nep-
pure segnato fra le specie del Padovano.
Che se si volesse estendere il confronto della Petraponia
anche con altre specie italiane che noi non possediamo,
od almeno delle quali non è ancora constatata la presenza
in queste provincie, nessun’ altra ne troviamo che più le
si avvicini quanto la Salamandra atra, alla quale sarebbe
precisamente eguale nella forma del capo, nelle coste pro-
nunziate, nel solco dorsale, e se vogliamo anche nella
pelle perchè piuttosto sagrinata, non però provveduta. di
verruche o di pori. Non occorre però ripetere quanto ne la
discosti la forma della coda, delle gambe, e. delle dita; e
non poteva quindi che riescirci di sorpresa l’ aver saputo
da taluno sospettata la Petraponia per possibile anomalia
della Salamandra in discorso!
Oltrechè infatti la Salamandra atra è specie assolutamente
terrestre, non vivendo che nelle regioni alpine o subalpine,
offre dessa alcune particolarità che la distinguono a tutta
prima fra le sue congeneri, e che devono senz’ altro trat-
tenere da quel così leggiero ed erroneo giudizio, pel quale,
e mi sia permesso il dirlo, avrei ogni ragione di ritenere
chi Jo pronunciò, ben poco istruito od ignaro dei fatti i
più degni di osservazione e di particolarissimo riguardo.
Non si sa difatti che la Salamandra atra partorisce costan-
temente sulla terra dando alla luce due soli figli per volta,
i quali sebbene non più lunghi di millimetri 38 a 42
hanno la coda non già schiacciata, ma conica, arroton-
data, senza natatoja membranacea, e quindi presso a poco
come nello stato di sviluppo il più avvanzato? — Non
consta forse che i girini nascono assolutamente privi di.
ERPETOLOGIA 335
branchie, e che occorre estrarli dal corpo della madre per
trovarli di esse provveduti? — È questo un fatto della
massima importanza nella storia di tale Salamandra, pro-
vato dalle diligentissime ed accurate osservazioni dello
Schreibers, ed ammesso da tutti gli Erpetologhi d’ oggidì.
Ed ecciterò almeno chi dà prova di ignorarlo, a vedere
pel confronto varj neonati di tale Salamandra, ch’ io tengo
nella mia Collezione con alcuni girini levati dal seno della
madre, e nei quali soltanto si osservano le branchie, che
sono lunghissime, disuguali, e foggiate a grazioso pennac-
chio biancastro.
Per tutto l’esposto resterebbe quindi eliminato, io penso,
il dubbio sulla sospettata anomalia nella Petraponia migra
della quale ognuno, in attenzione ancora di miglior esito
nelle ricerche di altri individui, potrà farsene intanto una
pronta idea quando sappia avere dessa il capo, il corpo,
le coste, il solco dorsale, ed il colore della Salamandra atra,
colla statura, le gambe colle dita, e la coda del Triton al-
pestris, come può vedersi nella tavola dataci dall’ autore.
Nulla si conosce di preciso sui suoi costumi, sul suo
modo di generazione e sviluppo, i quali ritengo però non
molto si scosteranno da quelli degli altri Urodeli delle no-
stre acque. Il Prof. Massalongo lo trovò animale svelto, velo-
cissimo, assai vorace, che nuota con grande agilità, e questo lo
giudica dalle osservazioni fatte nei due giorni circa che lo ten-
ne vivo entro un vaso di acqua pura, mantenendolo con ver-
micelli acquatici.
Intanto non cesseranno le ricerche per avere migliori
cognizioni, e per poter stabilire collo sperabile rinvenimen-
to di altri individui, più precisi caratteri generici e speci-
fici, e per dare quindi più tardi un più fondato e sicuro
giudizio su questo interessantissimo Batracio.
336 BETTA
Gen TRITON LAURENTI.
‘24—I TRITON CRISTATUS
Laurenti.
Ital. Tritone crestato, Salamandra acquatica.
Ven. Sarmandola d’ acqua, marasandola o maresangola de vall,
salamandra de fosso.
Tirol. Sarmandola d’ acqua.
CARATTERI.
Capo poco distinto dal corpo, col muso rotondato-ottuso. Tronco terete,
alquanto ventricoso. Cute coperta di piccole verruche molli. Coda compressa
fin dalla base, col lato inferiore più diritto, il superiore più arcuato. Nei
maschi una cresta addentellata sul dorso nell’ epoca delle nozze. Il dorso
percorso da un solco giallastro nella femmina.
Corpo di color bruno-verdastro od anche nerastro, sparso di molte
macchie rotonde, nere, e di piccoli punti granulosi bianchi, specialmente
sulla gola e sui fianchi. Tutto il di sotto di un color arancio: vivo con
grandi macchie nero-cerulee quasi rotonde, ed aleune confluenti.
SINONIMIA.
Lacerta palustris Linn. Syst. Nat. I. p. 370.
— — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1065.
—_ - Sturm Deutschl. Fauna II. 3.
_ _ Retz Fauna Suec. I. p. 287.
— _ Shaw Zoo). III. p. 298.
Triton cristatus Laur. Syn. Reptil. p. 39. n. 44.
ERPETOLOGILA 837
Triton cristatas Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 66.
— — —Zonap. Fauna ital. cum tab.
—- — Betta Rett. Tirol. p. 156.
—_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 28.
- — Massal. Saggio p. BI.
—_ — Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 151.
Triton carnifex Laur. Syn. Rept. p. 38. 145. sp. 4i.
— — © Zonap. Fauna ital. et tab. fig. 3.
Lacerta porosa Retz Fauna Suec. I. p. 288.
Salamandra platyura Daub. Encycl. méthodique.
Salamandra cristata Schneid. Hist. Amph. I. p. 87. n. 2. mas.
_ — Daud. Hist. Rept. VIII. p. 253.
—_ — Latr. Hist. Salam. p. 43. f. 35. 4.
Salamandra pruinata Schneid. l c. p. 69.
Molge palustris Merr. Syst. Amph. p. 187. sp. 8.
Salamandra platycauda Rusconi Amours des Salam. p. 29.
Tab. I. fig. IMI. foem. — f. IV. mas.
| T. II. f. IL mas. — f. II foem.
FORME.
Capo compresso, col muso rotondato-ottuso, poco o nulla
distinto dal tronco. Occhi mediocri, con iride dorato-bruna-
stra; bocca fessa fino sotto al margine posteriore dell’occhio.
Tronco terete, corrugato e coperto di piccole verruche
molli, col ventre alquanto allargato nel mezzo. Gambe bre-
vi; le anteriori piuttosto sottili; le posteriori più grosse;
tutte le dita tereti e libere affatto. Coda compressa fin dalla
base, a due tagli, coll’ inferiore più diritto, il superiore più
areuato, affatto liscia e quasi diafana, meno alla radice
ove è leggermente verrucosa. Nei maschi, sopratutto nei
primi giorni di primavera, tutta la parte superiore del cor-
po è ornata da una cresta nera, costituita da una espan-
22
‘338 BETTA
sione membranacea della pelle ‘che comincia sulla nuca,
e che aumentando progressivamente di altezza fino- alla
metà del dorso si accorcia poi verso l’ origine della coda,
ove essa termina. Questa cresta è acutamente dentellata
o frangiata al suo margine libero, e l’animale può impri-
merle un movimento di ondulazione, scuotendola o facen-
dola movere parzialmente sopra diversi punti della sua
lunghezza. La femmina manca di tale cresta o di cordone
rilevato, ed ha invece un solco che dalla nuca va fino
all’ origine della coda. Nei sessi la cloaca è molto allun-
gata e presenta un ingrossamento alle labbra, coperte di
pori e di verruche molto apparenti.
COLORITO.
La tinta generale del corpo è di un bruno verdastro che
si fa anche nerastro in qualche individuo, o che presenta
in altri una tendenza al marrone od al cinereo. Molte mac-
chie tonde più oscure, o nere, vi sono sparse irregolarmente,
ed in qualche raro esemplare vedonsi anche contornate di
un margine più chiaro che meglio le distacca dal fondo
oscuro del corpo. La gola è fosca, tutta coperta di mac-
chiette nere e di punti granulosi bianchi, alcuni dei quali
veggonsi anche sparsi sui fianchi. Il petto e l’ addome sono
di un bel color rancio con grandi macchie quasi rotonde,
d’ un nero ceruleo, alcune delle quali confluiscono. irre-
golarmente. La coda è tutta di color fosco con due file
longitudinali di punti nerastri, e nei maschi vi si vede
altresì una fascia lattea longitudinale da ambedue i lati
che corrispondono alla regione vertebrale. Nella femmina
tutto il taglio della coda è di color giallo aranciato; assai
di rado invece è tutto di tal colore il taglio inferiore della
ERPETOLOGIA 839
coda nei maschi, nei quali la cresta è nera ed il suo orlo
‘estremo assume nell’ epoca delle nozze un bel color vio-
laceo. Il solco dorsale nelle femmine è tinto di giallo sor-
dido più o meno dilatato, e che si perde coll’ età. Le zam-
pe sono di color verdastro carico al di sopra, con qualche
macchietta rotonda nera; al di sotto hanno una tinta si-
mile a quella del ventre, con macchie nere che fasciano
poi tutte le dita. di
In qualche raro esemplare in cui il color bruno del
corpo tende più al cinereo od all’ olivastro, notansi anche
alcune spruzzature lineari giallastre di qua e di là della
regione dorsale e lungo i fianchi; in essi riescono piccole,
poco visibili, ed anche quasi totalmente obliterate le mac-
chie nere delle parti superiori del corpo.
DIMENSIONI.
‘ Gli esemplari della maggior mole fino ad ora osservati
in queste provinucie hanno la lunghezza di centimetri 40
a 43, compresa la coda che misura 5 a 6 centimetri e
la testa lunga da 17 ai 19 millimetri.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Nelle provincie Venete vive arcicomunissimo nelle acque
fangose dei fossi e degli stagni. Trovasi a migliaja nei luo-
ghi suburbani e nei dintorni di Verona; abbondantissimo
lo raccolsi nella provincia di Padova, di Vicenza, e di Ve-
nezia. Comune è nel Friuli. Nel Tirolo all’invece no’!
vidi fino ad ora che in qualche fosso presso Riva e pres-
so Rovereto, e rarissimo nella parte bassa della Valle di
Non; è però presumibile che vi abiti diverse altre località.
340 BETTA
È animale del tutto innocuo, assai vivace nell’acqua in
cui nuota con somma rapidità, ed abbastanza agile anche
sul terreno. Nei fossi e negli stagni si nasconde sotto i
sassi sommersi, o sta scoperto adagiato sul fondo. Nella
stagione fredda si intana sotterra nei luoghi umidi. Nutresi
di insetti; di larve acquatiche, di molluschi, specialmente
di piccole Paludine (*), di Limnei, e di Fise; ma non rispar-
mia i girini, ed ingoja persino altri Tritoni più piecoli.
Trasuda dalla pelle un umore nauseoso all’ olfato, che si
attacca alle dita di chi lo tocca. Cangia la pelle più volte
all’anno, e si è già altrove accennato quanto sia frequente
tale muta allorchè venga di spesso cangiata l’acqua del
vaso in cui si custodisce.
In schiavitù i Tritoni vivono lungamente e resistono
anche a digiuni di più mesi; in tal caso però riesce visi-
bile assai il loro dimagrirsi e progressivo estenuarsi. Ven-
gono spesso a galla per respirare l’ aria libera. Il sale
gettato sul loro corpo li fa morire in brevissimi istanti,
ma nei pochi individui ch’ io sacrificai per tale espe-
rienza non ebbi a scorgere quelle veementissime convulsioni
che gli autori dicono accompagnare sempre questa morte.
Io vidi soltanto in essi alcune leggiere contrazioni del
corpo e delle estremita, subito dopo le quali i Tritoni mo-
rivano avvolgendo la coda in strettissima spira.
(*) Alcuni Tritoni pescati in un fossato presso Gorgo, provincia di
Padova, nel Maggio del 1855 e trasportati a Verona, evacuarono dopo poche
ore di schiavitù molti gusci della Paludina ventricosa Gray. lo ebbi in
tal guisa provato che questa Paludina vive in vicinanza della Jocalita,
ove non ne erana state raccolte che alcune spoglie quando nel Febbrajo
dello stesso anno veniva avvertita per la prima volta come specie anche
dell’ Italia — (Vedi Betta e Martinati « Molluschi delle Provincie Venete » .
Verona. Febbrajo 1855. pag. 88.).
ERPETOLOGIA 34%
È questa una delle specie alle quali varj autori rivol-
sero particolarmente le loro diligentissime osservazioni
per conoscere la generazione e lo sviluppo di questi anie
mali; e Spallanzani, Funk, e Rusconi ne lasciarono descritti
e figurati tutti i cangiamenti che subiscono gli embrioni
nell’ uovo, e tutte le metamorfosi dei girini. Il Triton cri-
status servì allo stesso Rusconi per soggetto interessantis-
simo dei suoi Amours des Salamandres aquatiques, avendo
potuto seguire i più minuti particolari degli atti che pre-
cedono, accompagnano, e susseguono l’ atto di fecondazione.
Allorchè i bei giorni di primavera ridestano a nuova
Vita tutti gli esseri del creato, questi animali assumono
le creste e gli altri ornamenti concessi loro dalla natura
per tal epoca, ed i sessi si cercano; ma non si trovano
mai accoppiati. Giunto il tempo della riproduzione, e quan-
do appunto le uova contenute nelle ovaje della femmina
sono mature e si avviano per gli ovidotti, il maschio co-
mincia ad avvicinarsele affine di compiere l’ atto di gene-
razione, e la segue ovunque nei suoi movimenti per modo
che in tale circostanza i Tritoni vanno costantemente riu-
niti a paja. Per molti giorni il maschio resta così vicino
alla femmina, alla quale impedisce l’allontanarsi aggiran-
dosele intorno per ogni verso, applicando il muso al suo
muso, agitando rapidamente la coda, e battendo con que-
sta i fianchi della compagna. Quando, vinta finalmente da
tante carezze, si posa sul fango, il maschio le si ferma ac-
canto spargendo il suo liquore seminale che diluito pene-
tra nell’ ano della femmina, e feconda le uova più vicine
all’ uscita. Questa ejaculazione dello sperma si ripete più
volte di seguito; poi quasi subito dopo la femmina sente
il bisogno di sgravarsi, e depone le uova sopra le foglie
sommerse di qualche pianta palustre. Coi piedi di dietro,
342 RETTA
nel momento che si sgrava, ripiega e stringe la foglia in
guisa da formarne un seno che riceve le uova, le quali
non possono poi disperdersi poichè la sostanza viscosa nella
quale sono avvolte, conglutina anche e tien ferma la pie-
ga della foglia stessa. Nelle tavole che accompagnano gli
Amori delle Salamandre può vedersi figurata una femmina
intenta a tale singolarissima operazione. Le uova sono de-
poste senza regola ad una ad una, a due, a tre, od al più
a quattro a quattro. Dopo circa due settimane sbuciano le
larve, poco sviluppate, e prive di gambe, le quali però si
presentano ben presto spuntando prima le anteriori, poscia
le posteriori; le branchie spariscono piuttosto tardi, e qual-
che volta succede che l’ inverno colga questi Tritoni prima
ancora che ne abbiano perduta ogni traccia.
I Tritoni rimanendo fuori dell’ acqua perdono la viva-
cità dei colori, che smarriscono poi sempre dopo la loro
morte, e specialmente nell’ alcool. È così anche questa una
delle difficoltà che si incontrano nel classificare le specie del
genere quando non si possano esaminare allo stato di vita.
NOTA. ()
Facendo figurare nella Sinonimia della specie il Triton
carnifex di Laurenti mi sono piegato al giudizio di Bona-
parte e di Duméril, che lo ritennero per un giovane Triton
cristatus o per la femmina di esso che da qualche tempo
siasi trattenuta fuor d’acqua. Tale è però senza dubbio il
carnifec di Bonaparte, a giudicarne anche soltanto dalla
citata sua figura se egli stesso non lo avesse più tardi pre-
cisamente dichiarato.
(*) Vedasi anehe il secondo capoverso della Nota a pag. 354.
ERPETOLOGIA 343
25— I TRITON PUNCTATUS
Latreille,
Ital. Tritone punteggiato.
Ven. Sarmandola o salamandra dei fossi, sarmandoletta, sala-
mandre.
CARATTERI.
Capo poco o nulla distinto dal corpo, col muso pressochè pirami-
dante. Tronco quasi terete, ventricoso. Cute affatto liscia e priva di ver-
ruche. Coda molto lunga in proporzione, compressa fin dalla base, acu-
tissima, coi lati quasi piani. Lateralmente al dorso due carene ottuse.
Nel tempo delle nozze una cresta dorsale inteserrima nei maschi, e le
dita del piedi posteriori lobati.
Corpo cinereo-verdastro o giallastro ed anche bruno, sparso di molte
macchiette nere, rotonde e distinte. Cinque lineette nere che dalla som-
mità del muso si disegnano sulla testa, colle due esterne che passano
sopra gli occhi e si dilungano sui lati del collo. Tutto il di sotto di color
giallo o rancio, con macchiette tonde nere.
SINONIMIA.
Triton Parisinus Laur. Syn. Rept. p. 40. sp. 48.
Lacerta triton Retz Fauna Suec. p. 288. sp. fl.
Salamandra taeniata Schneid. Hist. Amph. I. p. 58.
Lacerta taeniata Sturm Fauna III. 3. cum tab. 3.
(tab. a. mas. nupt. temp.)
Salamandra abdominalis Daud. Hist. Rept. VIII. p. 250.
Salamandra elegans Daud. Hist. Rept. VIII. p. 285.
Salamandra punctata Daud, ib. p. 257.
344 BETTA
Molge punctata Merr. Syst. Amph. p. 186. sp. 4.
Salamandra erigua Rusconî Amours des Salam. p. 28. t. I f. A. 2,
Molge taeniata Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 76. t. 48. f. 41.2.
(f. 4. mas. nupt. temp.)
Triton punetatus Pitz. Verz. Mus. Wien. p. 66. (fide Bonap.)
_ —_ Bonap. Fauna ital. cum tab. (fig. 4.)
| — Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. AU4.
Triton exiguus Bonap. Fauna tab. fig. dB. (juven.)
Triton lobatus Bonap. Fauna ital. tab. fig. 7.
Triton pulmatus Betta Cat. syst. Rept. p. 28°
— — Massal. Saggio p. d3.
La Salamandre pointillée Latr. Hist. Rept. II. p. 247. t. BI. £. 3.
(mas. nupt. temp.)
FORME.
Capo poco o nulla distinto dal tronco, più lungo che
largo, col muso pressochè piramidante. Occhi grandetti, col-
l’ iride dorata; bocca fessa più in là del margine posteriore
dell’ occhio. Tronco quasi terete, ventricoso. Gambe sottili
con dita leggermente depresse, molto divergenti e libere;
nel solo maschio al tempo degli amori quelle dei piedi
posteriori sono lobate, ed alquanto connesse alla base, ri-
cordando allora le dita di alcuni uccelli del genere Po-
diceps (*). Le membrane che formano i lobi si obliterano
poi a poco a poco, e finalmente svaniscono del tutto. Il
maschio porta in quell’ epoca anche una cresta integerri-
ma, che elevandosi sul taglio superiore della coda risale
lungo il dorso e giunge fino alla regione occipitale, dimi-
nuendo gradatamente d’ altezza. Dorso spianato nel mezzo
(*) Podiceps cristatussauritus e minor, frequenti anche sul Benaco,
e conosciuti dai nostri cacciatorì sotto i nomi volgari di valangoto, cor-
nison, cisan, sirapozzo, strapozeto, brusa-polver, brusa-balini ecc.
ERPETOLOGIA 345
da due oscure carene, una per lato. Coda notabile per
lunghezza, eccedente in proporzione quella degli altri Tri-
° toni, compressa fin dalla base, acutissima, coi lati quasi
piani, talchè i due tagli, che sono pressochè rettilinei, ap-
pariscono orlati da una sottile ala membranacea; la sua
punta prende talvolta un tale acume da apparire termi-
nata da una appendice filiforme lunga da 3 a 4 ed anche
5 millimetri. Orifizio della cloaca molto turgido.
La cute è affatto liscia e priva di verruche.
COLORITO.
Tutto il di sopra è di un color cinereo-verdastro o gial-
lastro, ed anche bruno, sparso di molte macchiette nere,
arrotondate, isolate. Cinque linee nere, più o meno distinte,
partono dall’ apice del muso e segnano la parte superiore
del capo; le due esterne attraversano gli occhi e si pro-
lungano sui lati del collo; quella di mezzo ha origine
un poco più addentro del muso, e qualche volta manca
quasi totalmente. La gola è bigio-chiara con punti neri
irregolari; il petto ed il ventre sono di un color giallo più
o meno carico ed anche aranciato, con macchiette tonde
o punti neri, che qualche volta tendono a disporsi rego-
larmente in quattro file. La coda è del colore del corpo,
col taglio inferiore rossastro, lungo il quale scorre dai due
lati una linea più pallida segnata da una serie di mac-
chiette nere. La cresta dei maschi è screziata di nero
come il corpo. Le zampe sono al di sopra di color simile
al dorso, gialle al di sotto, ed in pari modo punteggiate di
nero.
346 BETA: 1
DIMENSIONI.
Questo grazioso Tritone è il più piccolo delle nostre
specie non toceando che la lunghezza di 74 millimetri, dei
quali la coda ne occupa la metà, ed 44 il capo.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Fino ad ora non ebbi a trovarlo che nella Provincia di
Padova presso Gorgo, e nella provincia Veronese, in cui
specialmente mostrasi abbondantissimo nelle valli, nelle
acque stagnanti e poco profonde; e presso Verona e Mon-
torio anche in limpidi ruscelli. Nel Padovano, secondo il
Cav. Trevisan, vive anche sui Colli euganei; e giusta il
Prof. Pirona è comune nelle paludi del Friuli. Nella Guida
di Venezia pubblicata per l’ occasione del IX Congresso, lo
trovo altresì indicato come proprio di quella provincia, e
non è a dubitarsi che esista anche nelle altre del Veneto.
Copiosissimo lo osservai benanco in varie località della Lom-
bardia, siccome presso Milano, presso Pavia, presso Como,
ed al confine del Comasco colla Svizzera. Nel Tirolo al-
l’incontro non ebbi mai a vederlo; ma ritengo che viva
anche colà, almeno nelle parti più vicine al Veneto, e che
sia quindi fin quì sfuggito soltanto alle mie ricerche.
Convive per lo più col Triton cristatus; mutresi, propa-
gasi, e si sviluppa come gli altri Tritoni.
OSSERVAZIONE.
Oltre alle dimensioni molto minori, sarà sempre facile
riconoscere e distinguere questa specie per la sua pelle
affatto liscia, per le due ottuse carene del dorso, per la
ERPETOLOGIA 347
lunghezza della sua coda, e per le cinque linee nere del
capo. Il maschio mostrasi più che mai elegante in colori
ed ornamenti cutanei all’ epoca delle nozze, ed è precisa-
mente offerto in tale stato nelle citate tavole dello Sturm,
di Gravenhorst, ed in quella poi del Principe Bonaparte
sotto il nome di Triton lobatus.
Nel mio Catalogus Reptilium Europae figura sotto l’ erro-
nea denominazione di Triton palmatus; ed il Prof. Massalongo
ripetè lo stesso errore indicando quella specie come propria
del Veronese, non corrispondendo poi agli esemplari no-
strali la da lui citata fig. 6 della tavola di Bonaparte.
Benchè giudicando dalle figure dateci dallo stesso Principe
di Canino sia facile lo scambio fra le due specie, od almeno
non possano desse ritenersi per abbastanza distinte, è però
certo che il Triton palmatus, almeno quale ci viene figurato
nella Tavola della Fauna Italica (fig. 6.), non si scontra
fra noi, siccome sarà più probabilmente estraneo anche
all’ Italia. Gli autori che usarono tal nome per indicare il
nostro punctatus, furono tratti in inganno dal carattere dei
piedi lobati che gli è proprio nell’ epoca soltanto delle
nozze e per qualche tempo successivo, ma che non corri-
sponde al vero carattere del palmatus, nel quale le dita dei
piedi posteriori sono nella stessa epoca riunite interamente
da una membrana, come sarebbe quella dei piedi delle anitre.
Il Tritone di cui parlasi offre al pari d’ogni altro, e più
ancora, così svariati aspetti di colorazione e di forme secondo
l’età, il sesso, e sopratutto secondo l’ epoca della feconda-
zione, che a sole sue spese furono create le varie altre specie
indicate nella Sinonimia, Fra esse va poi indubbiamente ri-
portata anche la Salamandra exigua del Rusconi, ritenuta
invece da Duméril e Bibron per sinonima del loro Triton
palmatus Schneider (Erpét. IX. pag. 148, n. 8.); Tritone sulla
348 - | RETTA
cui bontà specifica ci permettiamo dubitarne assai, e per-
chè mantenuto da essi in una confusione di Sinonimia non
facile a dicifrarsi, e perchè pochissimo persuasi della co-
stanza e del valore del caraftere della palmatura alle dita
dei piedi posteriori, dipendente forse e modificabile a se-
conda delle varie circostanze di località ed abitazione della
specie. Nella Francia giusta Duméril, e presso Vienna se-
condo varj autori, troverebbesi abbondantissimo il pic-
colo Tritone palmato, che vorrebbesi distinto dal nostra
punctatus 0 lobatus. Ma dall’ Austria e dalla Francia sotto
il nome di Triton palmatus, e dalla Francia anche sotto
l’altro nome di Triton abdominalis Daud., io ho però rice-
vuto alcuni Tfritoni che senza alcuna esitanza vanno ri-
portati al nostro punetatus, ed i quali devo ritenere soltanto
raccolti fuor dell’ epoca delle nozze perchè colle dita dei
piedi posteriori affatto libere, e precisamente colle forme
e coi colori della Salamandra exigua fig. II. del Rusconi.
Le variazioni di forme del 7. punctatus unitamente alle
altrove avvertite sensibili modificazioni ed alterazioni di
colorito prodotte dall'alcool, ci fanno ripetere l’ osservazione
delle difficoltà di ben distinguere e separare tutte le specie
di questo genere, quando non vengano studiate allo stato di
vita. E queste sono senz’ altro le ragioni che impedirono ai
chiarissimi Autori della Erpétologie générale di presentare pei
Tritoni una più esatta e distesa descrizione, e di assegnare
ad essi quei limiti e quei precisi caratteri specifici che si
dovevano attendere da quei valenti Erpetologhi, e che con
tanta diligenza ed esattezza esposero per gli altri rettili.
Intanto dai caratteri quì offerti, facilissima riescirà per
noi la distinzione delle tre specie nostrali, le descrizioni
delle quali sono stabilite per cadauna sullo studio e sul
confronto di più centinaja di esemplari esaminati vivi.
ERPETOLOGIA 2349
26 — II. TRITON ALPESTRIS
Laurenti.
Ital. Tritone alpestre.
Ven. Sarmandola d’ acqua o marasangola.
Tirol. Sarmandola d’ acqua, sarmandola de monte.
CARATTERI.
Capo poco distinto dal corpo, col muso pressochè piramidante. Tronco
leggermente telragono, ingrossato e più arrotondato nel mezzo. Cute semi-
nala superiormente di piccole verruche, liscia affatto al di sotto. Coda
quasi terete alla base, ma subito dopo compressa. Nel maschio un cordon-
cino 0 piccolo rialzo che percorre lungo il dorso nell’ epoca delle nozze;
ii dorso della femmina dolcemente incavato lungo il mezzo.
Corpo di color piombino più 0 meno cupo, branastro od anche ne-
rastro, con tinta uniforme o screziato di scuro. Molti punti neri alterna-
mente schierati sopra una striscia bianchiccia segnano 1 confini dei fianchi
coll’ addome. Tutto il di sotto di color arancio infuocato, affatto privo di
macchie.
SINONIMIA.
Salamandra Wurffb. Salamandrologia p. 64. t. 2. f. 4.
Triton Wurffbeiniù Laur. Syn. Rept. p. 38.
= -“ Schinz Fauna Helvet. p. 146. sp. 3.
— _ Charpentier (in litt. et specim. Helvet.)
Triton alpestris Laur. Syn. Rept. p. 38. sp. 40. t. 2. f. 4. i
— — Sturm Deutsch!. Fauna III. 8. cum 4 fab.
_ -. Tschudi Classif. Batrach. p. 93.
350 : BETTA
Triton alpestris Bonap. Fauna ital. cum tab. (fig. 2.)
= = Betta Rett. Tirol. p. 159.
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 28.
= —_ Massal. Saggio p. 52.
—_ — Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 146.
Salamandra alpestris Schneid. Hist. Amph. I p. 71.
Salamandra rubriventris Daud. Hist. Rept. VII. P. 259.
Salamandra Iurffbeinii Latr. Hist. Rept. II p. 248.
Molge Wurffbeini Merr. Syst. Amph. p. 186. sp. 6.
Molge alpestris Merr. ib. p. 187. sp. 7.
Triton Apuanus Bonap. Fauna Ital. cum tab. (fig. 3.)
FORME.
Capo poco depresso e poco distinto dal tronco, più lungo
che largo, pressochè piramidante verso il muso. Occhi gran-
di, rotondati, obliqui, coll’ iride dorata; bocca fessa fino
oltre il margine posteriore dell’occhio. Tronco svelto, leg-
germente tetragono, ingrossato nel mezzo, e quivi anche più
arrotondato. Gambe anteriori gracili e lunghe; le posteriori
più pingui ed anche un poco più brevi; tutte le dita in-
tieramente libere e leggermente depresse. Coda quasi terete
alla base, ma subito dopo assai compressa, e foggiata a
doppio taglio come negli altri nostri Tritoni. Nel maschio
il dorso è percorso nel mezzo da un piccolo rialzo o cor-
doncino; nella femmina è all’ incontro dolcemente incavato
dalla nuca fino all’ origine della coda. Orifizio della cloaca
molto turgido.
La cute del dorso e dei fianchi è più o meno fittamente
seminata di piccolissime verruche; queste mancano però
anche totalmente in alcuni esemplari che riescono per tal
modo levigati al di sopra, come è sempre il di sotto di
tutti gli individui.
ERPETOLOGIA 354
COLORITO.
Quasi sempre il colore è superiormente di un piombino
piu 0 meno cupo, uniforme o screziato di scuro; inferior-
mente è tutto di un arancio fuocato privo affatto di mac-
chie, ma separato dal colore del dorso per mezzo di punti
neri alternamente schierati sopra una striscia bianchiccia
che determina i confini dell’ addome. Le palpebre, i mar-
gini delle mascelle, i lati del collo sono seminati di ele-
gantissime macchie simili a quelle dei fianchi. In alcuni
individui (le femmine?) anche la gola è scarsamente pun-
teggiata di nero. La coda è del colore del corpo, con molte
macchie arrotondate nerastre, e col margine inferiore del
colore del ventre, ma ordinariamente più giallastro ed
annebbiato di fosco. Le gambe e le dita sono pure mac-
chiate di nero. Nel maschio il cordoncino che si eleva
lungo il dorso è del colore del corpo, qualche volta con
piccole interruzioni di color biancastro, ma il più spesso
macchiato alternativamente di bianco e di nero, ciò che
rende elegantissimo questo distintivo di sesso, sopratutto
poi quando il bianco vi è molto spiccato. Qualche volta
questo cordoncino si eleva di più, e si spiega quasi in un
lembo membranaceo continuo, non però più alto di un
millimetro e mezzo, e non mai addentellato come. nel
Triton cristatus. Questo lembo non lo osservai fino ad ora
che in alcuni degli esemplari raccolti nel Luglio 4854 sopra
un alto monte del Tirolo italiano, nella Valle d’ Annone.
Le mutazioni di colorito alle quali è soggetto questo
Tritone nelle varie età o stagioni, hanno contribuito alla
creazione di altre specie che sono gra riconosciute per
semplici ed accidentali varietà. Benchè il Principe di Ca-
352 BETTA
nino indichi nella sua Fauna quale colorito del Triton al-
pestris il piombino più o meno cupo ma sempre uniforme, ed
i signori Duméril e Bibron non accennino nella loro £r-
pétologie le macchie più oscure delle quali è più frequen-
temente screziato il suo dorso (almeno nelle nostre Pro-
vincie ), pure sono indubbiamente da riportarsi alla specie
anche tutti gli esemplari così screziati, e dei quali preci-
samente si trovano figurati due individui nella Fauna dello
Sturm. Del resto il colore costantemente arancio acceso
del ventre e privo affatto di macchie, non lascia possibile
la confusione di questo Tritone con alcun’ altra delle specie
fra noi viventi.
Ecco intanto le principali varietà da distinguersi fra le
‘molte centinaja di esemplari ch’ io raccolsi:
A. Corpo di color piombino con scereziature brunastre o
nerastre, e colle serie dei punti neri sulla fascia bianca
dei fianchi.
B. Corpo di color piombino tendente al fulvo, con screzia-
ture brune, e con una sottile fascia nerastra subconti-
nua ai fianchi, nella quale seorgonsi solo rarissimi e
quasi invisibili punti bianchi.
€. Corpo di color piombino od olivastro quasi uniforme,
colle fascie bianche spiegatissime ai fianchi e fittamente
punteggiate di nero.
D. Corpo di color cinereo screziato di bruno, con una sola se-
rie di punti neri ai fianchi schierati sopra una fascia bian-
castra, confusa superiormente col colore del dorso, più
distinta e spiccata inferiormente dal colore dell’ addome.
F. Corpo quasi uniformemente nerastro, senza fascie bian-
castre, e solo con una o due serie di punti neri ai fian-
chi confusi col fondo del dorso.
EFERPETOLOGIA 353
F. Corpo di color brunastro con sereziature nere, privo
delle fascie bianche ai fianchi, pereorsi invece dalla serie
dei punti neri assai distinti. Negli individui che ap-
partengono a questa varietà mancano anche le macchie
alle mascelle ed ai lati del collo.
DIMENSIONI.
Questo Tritone non oltrepassa fra noi la lunghezza di
centimetri 10%, dei quali ne occupa quasi 5 la coda, e
14 a 45 millimetri il capo.
ABITAZIONE E COSTUMI.
Abbonda generalmente nelle località elevate, e trovasi
sui monti anche i più aiti purchè sianvi fosse d’acqua e
stagni. Nel Veneto io non posso però fino ad ora indicarlo
rinvenuto che nella provincia Veronese, abbondando in
modo speciale nel lago dei Cracchi sotto Bolca, e sul mon-
te Baldo.
Nel Tirolo è comunissimo sopra Riva, nella Valsugana,
nella valle di Sole, e nella valle di Annone ove lo raccolsi
presso Fondo ed in un laghetto sul monte di Malosco
detto la Regola, all’ altezza di circa 2300 piedi di Vienna
sul livello del mare. Trovasi sempre in gran copia, ed in
pochi minuti se ne possono raccogliere moltissimi esem-
plari.
E un’animaletto assai lesto e vivace; nutresi di ver-
metti, di insetti, di larve, e di piccoli molluschi fra i quali
del Limneus pereger Mill, che s' innalza alle maggiori eleva-
zioni. Pel suo modo di vivere non differisce dal Triton
eristalus, con cui ha comune il modo di accoppiamento, di
23
»
354 BETTA
de
generazione e di sviluppo. I girini perdono assai tardi le
branchie, trovandosene alcuni provveduti di esse benchè
tocchino quasi le dimensioni degli adulti.
NOTA.
Gli individui a pelle liscia, e privi perciò affatto di ver-
ruche, apparterebbero al Triton Apuanus descritto e figu-
rato da Bonaparte, che trovai non raro nel Veronese, e
presso Fondo e Malosco nel Tirolo.
I giovani Tritoni alpestri pel colore nerastro della parte
superiore del corpo e di tutta la coda, marmorate in bru-
nastro e biancastro, e per la mancanza della fascia bianca
e dei punti neri ai fianchi, somigliano assai al Triton Nyc-
themerus di Michahelles figurato nelle Tavole della Fauna
Italica (Fig. 5.). Tale Tritone, sospettato con ogni ragione
non buona specie, sarebbe però creduto piuttosto dal Prin-
cipe Bonaparte per un giovane del 7riton marmoratus estra-
neo senza dubbio all'Italia. Ma volendosi ritenere per patria
del Nycthemerus quella indicataci dallo stesso suo autore,
cioè i monti dell’ Italia meridionale, non sarebbe per ciò
piuttosto a giudicarsi per un giovane dell’ attuale nostro
Tritone, ovvero dell’ altro nostro cristutus? Parrebbe che
Duméril e Bibron non dissentissero dalla seconda opinione
coll’ avere indicato il Nycthemerus siccome specie riportata
ad un Triton carnifer, ciò che vorrebbe dire secondo noi
ad un giovane Triton cristatus.
d
|
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linee nere fog .
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nereggiante, +
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|
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|
|
bstro uniforme | i
pic
D macchiato di;
i
i
|
i rapide » SESSI Lone ire DERE
nine pirLim RIE SIE oe
de Betta = Erpetologia, pag. 355.
ORDINI
Corpo coperto sopra e sotto di
{un'armatura ossea
Ord, I, CHELONII . . .
Co
Corpo coperto di pelle nuda, mollo
senza scaglie. Le dita non mai
armate di unghie
Ord. IV. BATRACI |
con
| quattro
gambe
TAVOLA SINOTTICA
dei Rettili delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale.
rpo piatto, senza coda allo sta-
to perfetto.
(Anuri)
Gorpa lungo, quasi terete, munito
| n coperto di pelle
| sa, col ventre rivestito di squ
| me quadrilatcre, più larghe che
lunghe. Dita con unghie ricurve
ed acute
Ord. Il. SAURII .
î
Corpo cilindrico, serpentiforme,
Î tutto coperto sopra e sotto di
| squame lucide, eguali, cd em-
bricate
RETTILI
ea
senza
\ gambe
(G:
Corpo cilindrico, molto allungato,
coperto pel di sopra di squame
coll’ addome vestito di piastre
uadrilatere o la parte inferiore
della coda di scudetti disposti
a pajn. Mascelle assai dilatabili,
\ e cute assai estensibile
Ord. III. OFIDII . \
di coda.
( Urodeli )
Dì
A.
del veleno.
po © o da 9 scudetti rego-
ri e simmetrici. Unn sola pia-
strinn oculare anteriore, e due
o tre posteriori. Pupilla rotonda,
Squame del dorso liscie o care-
nate, Coda lunga.)
Senza den
B.
Con denti del veleno.
(Gapo non coperto dni 9 scudetti
(*) Specie non indigena, © solo imporlata da altre località
(**) Nella descrizione dello tro specie del gen. Zacerfa Cuv. vennero accellati
Cut, ! sottogeneri. Lacerto
Zooloca © Podarcis /Wagl., del quali veggansi | rispettivi caratteri a pag To cocente DeL
regolari e simmetrici. Occhio
cinto inferiormente ed ai lati
da doppia serie di piccoli scu-
detti. Pupilla allungata vertical-
mente. Squame del dorso care-
nate. Coda brevissima,
GENERI
grmatura ovole, molto convessa, zampe clovate, con dita mal distinte all' esterno, fornite { n N
«hi unghie, Coda brevissima e conica. Î TESTUDO Lrongn
armatura ovale, più o meno depressa. Zampe e dita distinte,
e, © collegate f
alla base da membrana rilassata, Coda lunga, conica, assottig ì
LMYS Wagler
soî largo, cordiforme. Zampe depresse, pioniformi; le aoteriori
Armatura compressa
ue sole unglio per gamba. Coda brevissima, conica. ) (CITELONIA hrongn
molto più lunghe
Pelle superiormente liscio, granellosa al di sotto. Dita terminate da un disco piano, dila-
HYLA Luur
tato e depre:
Pelle liscia e senza tubercoli, od al più appariscenti sui lati del collo, sulla schiena, c svi { mama Linn
fianchi. 1 (emend.)
BOMBINATOR
di scabrosità, Senza parotidi ni lati del capo
Pelle seminata di verruche €
Pelle seminata di verruehie e papille; al di dietro degli occhi una grossa glaudula cost: { poro Lur
tuente tumidissime parotidi. Ù
Capo crasso; una grossa parotide n ciascun lato di esso. Goste pronunziate Coda lunga.
arrotondato, conica. SALAMANDRA Lau
Capo mediocre, distinto dal tronco; parotidi (?) ni lati di esso. Coste molto pronunziate. $
Coda fortemente ‘compressa. ì
PETRAPON
{ TRITON Laur.
Capo mediocre, senza pavotidi. Coda depressa, a notatoje verticali cutanee
di pori (pori femorali) lungo
ribuite nd annelli regolari
tv al collo. Le coscie con una fil
Un collare squamoso s
sala conica, coperta di scaglie di
il loro margine interno. (
Palato con o senza denti.
DACERTA Cuvier (**)
Denti alle mascelle, non maî al palato, Goda cilindrica, assottigliata ed ottusa all'apice, {
Juoga quanto il corpo ed anche più ì
ANGUIS LI;
n. (emend.)
Gapo breve, più o meno distinto dal tronco. Corpo un poco îugrossato nel mezzo, Coda
non molto lunga. Squame del dorso liscée. Ù
CORONELLA schle
COLUBER Linn
Gapo un'poto più distinto dall tronco, Goda lungo. Squame del dorso liscle co rar (cmend.)
Znpo ristretto al inuso ed allargato alla base. Coda non molto lunga. Squome del dorso $
carenate, Ure piastrine oculari posteriori.
TROPIDONOTUS Kuhl
Capo ovale, molto distinto dal corpo, coperto superiormente di coli ) egolari. $
n b D supe piccoli scudetti irregolari =
con tino (entrate più grande. Spigolo rostrale poco risentito e non prominente all'apice. è CELTAS Merrom
olto allargato posteriormente, coperto inticramente «da piccole squame
e risentito e prominente all'apice del muso
Capo più depresso,
s a
îrregola | VIPIERA Laurenti
Spigola ros
PR | Una verruea conîc:
SPECIE
ira gialla macchiata più o meno di nero. Animale di color giallo pallido tendente al verdastro T. gracea Linn. (*)
(pag. 93.)
Armatura nerastra superiormente con gran numero di punti e piccole striscie gialle. Animale nerastro pun-
teggiato di giallo . . . 5 È Figo geniche 2x0... + + + lE» latarla Merren
(pag. 404.)
» earetta Gray
(pag. 409.)
Animale ed armatura di color bruno marrone superiormente, di color biondo gialletto pel di sotto
MI. vieldis Layr.
contornato du linea gialla sottile e fle:
(pag. 279.)
uosa
Corpo d'un bel color verde uniformi
o che lungo. Dorso di color verde d'erba con maceliie nerastre, quasi sempre con una 0 tre
Capo tanto la
udinali gialle È SICARIO SACRE 3
fascie lo:
RR. esculenta Linn
(pag. 285.)
RR. temporaria Linn.
(pag. 292.)
Dorso rossastro uniforme o con macchie nere. Una gran macchia nerastra alle
Capo più largo che lui
parti laterali della te
Corpo di color olivastro terreo, uniforme, o con macchiette nerastre. Tutto il di sotto rancio fuocato, mac-
chiato di azzurro tendente al ni O EEE RR a B. igneus NMerr.
(pag. 297.)
Gorpo di color terreo con macchie fosche o nerastro. Una striscia brunastra luogo il margine esterno delle
PANORAI ST 2 PEN E SEAT SETS
. vulgaris Laur.
(pag. 303.)
B. viridis Lavr.
(pag. 343.)
Gorpo biancastro con molte macchie di color verde di smeraldo, e con molte pustoletto di un rosso vivo.
8. maculosa Laur
Gorpo nero d' inchiostro con macchie gialle, grandi cd irregolari .
(pag. 948.)
Corpo di color nero uniforme, senza macchie . P. nigra Massal
(pag. 330. )
Cute coperta di piccole verruche molli. Corpo bruno verdastro con macchie nere, Tutto il di sotto rancio
vivo con macchie nere, DIO È . duo eta
. eristatus Laur.
( pag. 336.)
Gute affatto liscia © priva di verruche. Gorpo cinereo-verdastro 0 bruno con macchie nere. Cinque. lincette
nere sul muso. Tutto il di sotto di color rancio con macchiette nere
T. punctatus Lair
(pag. 343.)
ormente di verruche; liscin pel di sotto. Corpo di color vario. Una fascia bianca ai
ata di nero. Tutto il di sotto rancio fuocato, affatto privo di macchie
Gute seminata su
fianchi punti
T. alpestris Lavr.
(pag. 349.)
ato di nero, 0 con due lince longitu-
L. viridis Daud.
(pag. 129.)
Corpo cilindrico. Collare dentellato. Dorso verde unifor o punte;
dinoli bianche orlate di nero
Corpo stretto e cilindrico. Collare dentellato. Dorso bruno o grigiastro con una linca mediana longitudinale
ni fianchi orlate di bianco . Z. vivipara Wagl.
(pag. 139.)
P. muralis Wagl.
(pag. 447.)
neri, e due alt
Gorpo quasi quadrilatero. Collare non dentellato. Colori del corpo variabilissimi
Corpo con lucentezza metallica. Per lo più di un color uniforme di bronzo patinato al di sopra, piombino
ol di sotto . . . . » . . CRECUROREI DR 6 Poi A. fragllis Linn.
(pag. 160.)
Goda lunga appena un sesto di tutto il corpo. Dorso cenericcio, tinto di mattone con macchic oscure; ad-
dome giallastro tendente al cinereo, sereziato di punti rossastri, brunastri 0 color d' acciajo ©. austriaca Laur.
(pag. 183.)
©. Riccioli Metaxa
(pag. 194.)
Dorso di color bigio od olivaceo rossastro con maceliie
iallo canarino con due fuscie nere longitudinali paralelle.
ciren una quarta parte di tutto il corpo.
nchi ornati di punti corallini. Addome
Coda lun
scure.
Dorso di color olisaceo. Capo della stsso colore con due striscielto nere per parte che hanno ovigino amar»
gini inferiore © posteriore dell'ocelio. Tutto il di sotto del tronco d'un bel giallo uniforme ced eguale. €. fiavescens Gmel
(pag. 497.)
po macchiate
Dorso di color verde cupo o verdastro nereggiante, sparso macchietto gialle. Piastre del c
ni delle pia-
dello stesso colore. Tutto il di sottò di color giallo screziato di nerastro smi margini est
stre addomii
€. viridilavus lacép.
(pag. 203.)
. carbonarius
a. Il di sopra del corpo di color inchidstro uniforme > </a i
Dorso ciuereo-olivastro, macchiato di ntro. Due macchie gialle molto distinte all'occipite, con altre due macchie
nere trasversali subito seguenti. Addome giallastro tessellato di nero. . 0... T. nateix Wagler
° nate A o ROS : |; (pag. 211.)
Dorso verde olivaceo o cinerco olivacea macchiato di scuro, coi fianchi a macchie di color sanguigno 0 più
raramente di giallo pagliarino. Due' lince nere foggiate a V rovesciato sull' occipite. Addome rossastro o
giallastro tessellato di nero . . . . . MP e caino Soc
TT. tessellatus De Filippi
(pag. 249.)
P. berus Merrem
(pag. 229.)
Colore del dorso vario, con una fascia longitudinale mediana bruna o nera, flessuosa e continua
Colore vario, con quattro serie di macchie nerastre sul dorso opposte ed alternantisi, o qua e là confluenti. W. aspls Merrem
(pag. 238.)
ammodytes Lalr.
(pag. 253.)
mobile, molto prominente all' apice del muso, Dorso cinerco con una fascia longitudi-
suosa, continua , + sti iS 3
nale nerastra, {ll
Ù
9
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ti noi
in
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Pe LAI e i
INDICE DELLE MATERIE
PrefaziOR@: 0: PIG
Autori citati nella Sinonimia . . . è De a
Generalità:sumiRettili 0.0 #00 a O
Mel veleno; della Vipera (i i i 0090
Dellaspropagazione:t sali. ae a n 8
Della riproduzione delle parti . . . . ... » 63
Delle favole e pregiudizj nella storia dei Rettili. » 66
Prospetto dei rettili delle Provincie Venete e del
Tirolo meridionale, coll’ indicazione di quelli
della ‘Lombardia;.}62% 68/0 Rai
Ord CHELONE! i. A RE
Ordoi-sAURiIE n. n. LL n II
Ord: lliormmiest sei. Sl CAI
Ord CINSRATBACI - . 0)... 0 a R02
Tavola Sinottica dei rettili del Veneto e del Ti-
tolo’: meridionale? i 0. Sii; i. LA 850
356
UNDIGI ABPABBTIGI
A. GENERI E SPECIE.
T)
Anguiîs Linn. (emend.) pag. 122
fragilis Linn. . . »
Bombinator /7cgl.
s
igneus Merr. . . »
Bufo Laur. . . . »
viridis Zaur. . . »
vulgaris ZLaur. . . »
Chelonia Brongn. . »
caretta Gray . . »
Coluber Linn (emend.) »
flavescens Gmel. . »
viridiflavus Zacép. »
Coronella Schlegel »
austriaca Zaur. . »
Riccioli Metaxra . »
Emys WVagler. . . »
lutaria Merr. -. . »
Hyla Laur. . . . »
viridis Laur. . . »
Lacerta Daud. . . »
viridis Daud. . . »
Pelias Merrem . . »
berus Merr. . . »
160
266
297
266
313
303
84
109
175
197
203
172
183
191
83
101
265
279
119
129
175
229
Petraponîa Massal. pag. 268
nigra Massal. . . » 330
Podarcis Vagler . » 119
muralis /agl. . . » 447
Rana Linn. (emend.) » 268
esculenta Linn. . » 285
temporaria Linn. . » 292
Salamandra Laur. » 267
»
maculosa Zaur. +. » 318
Testudo Brongn. . » 853
graeca Linn. . . » 95
Triton Zaur. . . . » 268
alpestris Zaur.. . » 349
cristatus Zaur.. . » 336
punctatus Zatr. +. » 5345
Tropidonotus Xuhil » 174
natrix /agl. . . » 211
tessellatus De Filippi = 219
Vipera Laur.. . . » 176
ammodytes Zatr. . » 253
aspis Merr. . . . » 238
Zootoca Wagler . » 149
vivipara //agl.. . » 139
=
B. SINONIMIE.
Anguis bicolor Risso pag. 162
cinereus Risso .
clivica Laur.
eryx Linn.
incerta Kryn.
lincata Laur.
Bombina ignea Sturm
Bombinator bombina MW.
— pachypus Fitz.
Bufo alpinus Schinz .
bombina Schinz.
bombinus Latr. .
calamita Laur. .
cinereus Schneid.
communis Catullo
cruciatus Schneid.
ferruginosus Risso
igneus Laur.
ignicolor Lacép.
minutus Bonelli
palmarum Cuvier
Roeselii Latr.
rubeta Schneid.
sitibundus Schneid.
spinosus Daud. .
tuberculosus Risso
variabilis Merr.
ventricosus Latr.
Caecilia tiphlus Ray .
Calamita arborea Risso
arborcus Schneid.
162
461
161
162
161
298
298
298
308
298
298
347
304
308
317
303
297
298
304
305
304
304
14
304
303
SAU
304
162
280
280
357
Caretta Caovana Fitz. pag. 140
— cephalo Merr. »
Chelonia Caouana Schw. »
Chersine graeca Merr. »
Cistudo Europaea Gray. »
Cobra ammody tes Fitz. »
Coluber Aesculapti Shaw. »
— ammodytes Linn. »
— aspîs Linn. . . »
— atroviîirens Shaw »
— austriacus Gmel. »
— berus Linn. . . »
— berus Razoum. . »
— bipes Scopoli . »
— carbonarius Sch. »
— chersea Cuv. . »
— chersea Razoum..»
— communis Donnd. »
— ferruginosusRetz »
— Gabinus Metaxa »
— helveticus Lacép. »
— laevis Lacép. . »
— meridionalis Daud.»
— murorum Vest.»
— nmatrix Lion. . »
— matrix Shaw . »
— natrix var.B.Gmel.»
— pannonicus Nau »
—. prester Linn. . »
— Redi Gmel. . . »
— Riccioli Metaxa . »
A40
A40
94
102
264
198
283
238
204
185
229
258
212
204%
250
259
204
184
220
242
184
191
212
2A
184
198
498
229
258
191
358
Coluber rubens Gachet pag. 191
— SScopolii Merr. . »
— Scopolianus Daud. »
— Sellmanzi Nau »
— sticulus Cuvier . »
— tfessellatus Gmel. »
— torquatus Lacép. »
— tyrolensis Scop. . »
—— vipera Lacép. . »
— vipera anglorum
Lar, (i ivorsato
— viperinus Bendise. »
— wvîperinus Metaxa »
— vulgaris Razoum. »
Coronella laevis Lacép.
»
aa
— tessellata Laur. »
Dendrohyas arborea Tsc, »
— sarda Bonelli . »
— viridis Fitz. . »
Echidna ammodytesMerr.»
— aspis Risso. . »
— aspis var. a. Merr. »
Elaphis 4esculapii Dum. »
Emys Europaea Schweigg.»
Ayla arborea Kryn. . »
— sarda Bonelli . »
Hyas arborea Wagl. . »
Lacerta agilis Flem. . »
— agilis Risso . »
198
212
198
212
219
159
148
— bilineata Daud. 4130, 135
— Brongniartii D. »
148
— chloronota Rafin. 130,134
— crocea Wolf. . »
— ezigua Eichw.. »
139
150
Lacerta maculata Daud. pag. 148
nn
montana Mikan »
muralis Latr. . »
palustris Linn.»
porosa Retz . »
praticola Eversm. »
pyrrhogasterMerr.»
salamandra Linn, »
saricola Kryn. _»
Schreibersiana D. »
sericea Merr. . »
strigata Eichw. »
sylvicola Eversm. »
tiliguerta Latr. »
tiliguerta caliscer-
tula Cetti. . »
taeniata Sturm »
triton Retz . . »
vivipara Jacquin »
Lacertus vulgaris Ray»
Molge alpestris Merr. »
palustris Merr. »
punctata Merr. »
taeniata Gravenbh. »
Wurffbeinii Merr. »
Natrix Gabina Bonap. »
longissima Laur. »
tessellata Bonap. »
torquata Fitz.»
viperina Betta. »
vulgaris Laur. »
Pelias chersea Wagl. . »
Podarcis Merremii Fitz. »
Rana alpina Risso . »
159
147
3396
337
4140
440
318
4148
4140
148
430
430
4147
4147
34S
343
159
159
350
397
BI/0.1
54
350
220
198
220
‘2412
220
212
230
148
286
359
Rana alpina auctorum pag. 295 Salamandra terrestris
— arborea Linn... » 279 Wurffb.. . pag. 319
— bombina Linn. » 297 — VWurffbeinii Latr. » 350
— bdufo Linn. . . » 505 Seps muralis Laur. . » 147
— bufo var. B.Gmel. » 5344 — sericeus Laur. . » 147
— foetidissimaHerm.» 3417 — terrestris Laur. » 130
— ignea Shaw. . » 298 Terrapene Europaea Bell » 402
— maritima Risso » 286 Testudo Caouana Daud, » 140
-— mephitica Shaw » 517 — caretta Lian. . » 109
— muta Laur. . » 295 — cephalo Schneid. » 109
— pluvialis Lacép. » 5304 — EuropaeaSchneid.» 102
— portentosa Blum. » 317 — flava Daud. . » 102
— rubeta Tinn. . » 53053 — geometricaBriinn.» 94
— sitibunda Pallas » 5314 — Hermanni Gmel. » 94
— sonans Lacép. . » 298 — lutaria Gesner » 4010
— vwariabilis Pallas » 544 — marina Aldrov. » 1409
— variegata Linn. » 297 — meleagris Shaw » 402
— viridis Dum. Bibr.» 286 — orbicularis Linn. » 102
— vulgaris Bonnat. » 286 — punctata Gottw. » 4102
Rhinechis ammodytes F. » 254 — terrestris Plin. » 953
Salamandra abdominalis Thalassochelis Caouana
Daudi 30)» 345 Fitz. cli re 9 ALLO
— alpestris Schneid.» 350 Triton abdominalis D. » 348
— candida Laur. . » 529 — Apuanus Bonap. » 350
— cristata Schneid. » 337 — carnifex Laur. » 337
— elegans Daud. . » 545 — exiguus Bonap. » 344
— exiqua Rusconi » 344 — lobatus Bonap. » 344
— maculata Merr. » 5319 — Nycthemerus Mi-
— platycauda Rusc. » 337 chahelles . . » 354
— platyura Daub. » 5537 — palmatus Betta » 344
— pruinata Schneid. » 337 — Parisinus Laur. » 3453
— punctata Daud. » 543 — Wurffbeinii Laur.» 349
— rubriventrisDaud.» 350 Tropidonotus viperinus
— taeniata Schneid. » 343 Schl. (în parte). . » 220
360
Vipera berus Cuvier . pag. 239
Vipera prester Latr. . pag. 230
— Redi Latr. . . » 2539
— Redti Schinz . » 239
— vulgaris Latr.. » 230
Zacholus austriacusWagl.» 184
Zamenîs AesculapiîWagl.» 498
— viridiflavus Wagl.» 204
Zootoca crocea Wiegm. » 140
— pyrrhogastra Tsc. » 440
»
italiani delle specie,
— berus Daud. » 250
— chersea Angelini » 250
— chersea Latr. » 259
— Fr. Redi Laur. » 258
— Ilyrica Laur.. » 253
— limnaeaBendise. » 230
— MosisCharasLaur.» 238
— occellata Latr. » 239
— prester Metaxa » 239
c. Nomi
Angue fragile » 460
Aspide . » 258
Bastoniere (il) » 497
Bello fil) 0%. » 2053
Biacco (il) » 203
Botta » 303
Gaonana Vee » 409
Carbonazzo . . » 204
Colubro austriaco » 1853
— del Riccioli . » 4191
— liscio . » 183
— saettone . » 197
— verde giallo » 203
Emide Europea . » 101
Ghiacciolo » 1460
Ila » 279
Lucerto ramarro . » 129
Lucerto viviparo . » 1539
Lueertola .. . . 139, 187
Lucertola dei muri » 147
Lucertolone . » 129
Lucignola. . . . . » 460
Marasso: n 000 (RIO 05229
Marasso palustre . . » 229
Milordo (il). . . . » 203
Natrice ‘4/0 078 00 2
— biscia. ide II
— Gabina . . . » 249
— tessellata . . » 219
Petraponia nera. . » 5330
Raganella arborea . . » 279
Ramarro +. +44, RM) 29
Rana. +00. #0 75285,5292
Rana muta . . . . » ‘292
Ranocchia rossa . . » 292
— verde. .. . » -285
Ranocchiella comune . » -279
Rospo comune . . . » 303
— smeraldino . . » 3153
— verde. . . . » 543
Salamandra aquatica . » 336
— terrestre. . . » -548
Serpente uccellatore . pag. 203
Tartaruga Caretta .
Testuggine comune
— greca. +
Tritone alpestre
— crestato .
dI
109
95
95
S49
936
Tritone punteggiato
Ululone
Vipera acquajola .
— comune
— dal corno .
364
>»)
33
99
s°
; I. Nomi volgari Veneti e Tirolesi delle specie.
Aadapus gii.
Misia.
Angiella . +
Angioli. .. +
Anza .....
Aspese. . +
Baràcule
Baràscule .. .
Dissangni ,
Bissa aquarola
Bissa de piova
Bissa fiamà
Bissa ranéra ,
Bissa scudelara .
Bissardola . .
Bisse
o
197,
197,
bo)
214,
Bisso; Li. <..,. 183,497,
Bisso d’aqua .
Bisso de vero
Bisson .
Bissardola
Bissorbola
Bissordola
Budolo
Carbon
99
203
2035
191
4197
2035
238
279
279
185
241
348
219
211
101
147
219
203
211
160
203
147
160
447
297
204
Garbonazz
Garbonazzo
GCharbonazz
Copasse . . .
Copasse di aghe
Guotai Ri
Grotoni . . +
Grotonzello
Grott
Cuco
Galana .
Gajandra . . . .
Iserdola
Iserta
Languro . . è
Lanza... . .
Ligador . . +.
Ligaòr .
Ligordo
Liguro .
Lipara .
Lipare .
Lipra
Juserte vio
Lisierte
9
. pag. 345
297
211
258
255
204
204
204
101
404
313
303
913
292
297
109
101
147
4147
129
205
129
129
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Rospo
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Salamandre
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Vipara rossa . » 229
Vipare . » 238
Vipareta » 483
Vipareta d’aqua. . . » 219
Vipera. . +. . 4183, 229, 238
Vipera cenerina » 214
Vipera dal corno » 283
Vipera de sutto » 1853
Vipera rossa . » 229
Vipereta » 483
Vipereta cenerina . » 249
Zaba » 104
Zavaton » 5303
364
TAVOLA.
Fig. 4. — Cranio della Vipera aspis (grandezza naturale).
Fig. 2.
(Questa figura può servire di illustrazione a quanto si espose
a pag. 171 sulla facoltà degli Ofidii di dilatare enormemente la
bocca).
a. ligamento elastico che esiste tra le estremità delle branche
della mascella inferiore e che permette quindi discostarsi molto
I una dall’ altra — d. osso timpanitico che sorregge la mascella
inferiore, ed il quale non solo è mobile egli stesso, ma pende da
un ossicino c. delto osso mastoideo, sciolto esso pure dal
cranio e tenutovi soltanto aderente da muscoli e ligamenti —
d. denti del veleno).
— Testa della Vipera in atto di ferire, coi denti del
veleno sfoderati e portati in avanti. (grandezza na-
turale). — Si vede pure la forma della lingua dei
serpenti.
a. sacco o guaina nella quale stanno ritirati i denti e celati
in stato di quiete dell’ animale.
Fig. 3. — Apparato velenoso della vipera (grandezza na-
turale ). di
a. glandula del veleno — d. suo canale escretore che sbocca
alla base dei denti veleniferi — e. muscolo temporale anteriore
che si estende sulla glandula del veleno e può comprimerla —
d. piccolissimo filamento muscolare non avvertito nè figurato da
alcun autore, ma che è della massima importanza, poichè par-
tendo dal muscolo temporale anteriore e passando sotto l’ orbita,
viene a fissarsi sulla sommità dell’osso mascellare superiore, ed
è il vero muscolo elevatore dell’ osso o peduncolo che tiene i
denti veleniferi — e. muscolo che dalla mascella inferiore si
estende obliquamente sopra la glandula velenifera, e la comprime
fortemente nell’ atto della morsicatura.
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Fig.
Fig.
Fig.
365
. 4. — Pezzo della mascella superiore. (grandezza na-
turale ).
a. suo punto d° attacco coll’ osso che tien fissi i denti del
veleno.
5. Lo stesso osso veduto pel davanti. (grandezza na-
turale ).
6.. Mascella superiore ingrandita.
a. a. denti destinati solo a rattenere la preda, e comuni perciò
a tutti gli ofidii — bd. denti veleniferi — c. altri denti cavi,
piccoli, posti in prossimità della base dei denti veleniferi, e
destinati a sostituire questi nel caso di perdita.
7. — Dente velenifero a forte ingrandimento.
a. foro alla sua base pel quale entra il veleno, sortendo dalla
stretta fessura obliqua 6. situata in prossimità alla punta, per
essere portato nella ferita.
. 8. — Sezione verticale dello stesso dente. (disegnata
sulla figura 6. Tav. II. di Fontana).
a. canale interno pel quale cola il veleno nella ferita —
b. cavità del dente affatto separato per mezzo del setto longitu-
dinale transverso c. e destinata solo a ricevere i vasi ed i
nervi che lo attaccano all’ osso.
Fig. 9. — Capo di un serpente velenoso. (grandezza na-
turale). — Vipera aspis Merr.
Fig. 10. — Capo di un serpente non velenoso. (grandezza
naturale ). — Coluber flavescens Gmel.
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