Skip to main content

Full text of "Erpetologia delle provincie Venete e del Tirolo meridionale"

See other formats


CESSI ORTITUA 
ON 
I INO 


AM ri ni dimen 
Do mi aiuti atuniaton venta sd 
RUSS OT RARO 
TM titatio mate 


Mme sint iaiimastita ne 
Maniero 


Mm rata 
St 
Mine na 


siitolaà si 


muniri 


Pond Rat nia mi Lo 
stato 


metin 


Swi na elastetBnti vat siti 
AMA Met 


memi une atene 
ISCR ATA AA] lr odi mt 


mirasta tatto 


ti 
DPR RENE ETERSO 


NS 
” 


> tte Mai ate 
IRTRCUCAOÌ Lo SOA 
ot DO 
LIV UL OTUCNO LA LIA TAI IU ITA TETTO POETA PAR ar ta 
Ù MM, Bea o EVI" Most Le Prot pria tte! 1 bo Viet 
4 Meta WV VA Ata bo 4, Mg MMM EL ha PR 30, te 
n "ig fg Ba MITA Vl nto 
MIRA, UTZUNTTIT] 
CRON f ‘ 
TRL ATROA TEC 
UO LI n tarare, 
ROSIE RUI, PERICOLI ptt hi Bra v, MIETTA 
INTRANET 28M fonth, TB MA, 
dA ut PARINI OSCA Re PESTO 
Totestai 6,16 Ve Va lt Bit Mg CA ONE TI PI TTT 
TORTE IE TCP i CAAILCIO STORE VI ae 
RARI SOCIO L VARI 
Mea, fs Li, 9R Ma hm Veio" a ag AI MALGA 
Re ita i, taste N Me Ti 194 (22100 
L salgo " CELALIO ITA MITO 
MORUSIADRI n ni i dg PRLRL Dey gre% MAD, Po 10 Pr 314 
CA PORRE 7A, INI US VL1R, MMM doit tazioni 
x Trio Asta tnzoo, MARI MM 0 e MI Mo Rn Sg Pa Pop, Nn (1219 fi n c'poilraro 
x Ù alleato ha aaa Lon MM Pater ey ent MILA 
AIUTO A UNCADON ATEO Toso MAMIVE N Mer, Rm et 
Artes sio, ta 3a ANNI lin 38. ELI Pa 1 RAFA O, MAIN den o Pi 
COSTA CPI È ma eta IR le Re tp 
Tare: VAI odg (tr Pa gite "MEM Pois rm n a, e EL 79 o) AE "Re, Ro Bat 
Ba iracion Be gna o reef aria ne ento o 
‘m0 98.0, ASM Pain a, le 300) MII a Pn Partimbro 
TMasiprib, mote Mamba tm at tes 
MM Pelia Ve Pos toto MPa Antoni 


Pe a ba 9 Ve P9® e BUT At 1 in 
AA O 
Mae dose ZA x Peo ge ALMA 
Pais. ge Berti sla 
Lee. Got0 11% In tie oe 
AT, RC 
CRC 
pera 


ICE STATO) 
Paint 
STRA Pe Pra rs 


IR niia da Deira! 
NT de nt e 
nf maiali o 


NOILNLILSNI 


[ 


NOILOLILSNI 
NOILOLILSNI 


ARIES SMITHS 


INSTITUTION 


INSTITUTION NOILNILIILSNI NVINOSHLINS 


SIIYVYAIT LIBRARIES 


INSTITUTION 


INSTITUTION 


SMITHSONIAN 


NLILSNI NYINOSHLIN 


SMITHSONIAN 


S SIIUVUYAIIl LIBRA 


NVINOSHLINS S3IUVY8I1 LIBRARIES 


NVINOSHLINS 
SMITHSONIAN 
SMITHSONIAN 


<ARIES SMITHSONIAN 


OLILSNI 


S3IYV4 81) LIBRARIES 


INSTITUTION NOILNIIL NVINOSHLINS 


NOILNLILSNI 
LIBRARIES 


ki N 
NYINOSHLINS S3IYYHAI71 LIBRARIES SMITHSONIAN 


INSTITUTION NOILNILISNI 
SIIYVYAIILIBRARIES 


SIIUVIUGII 


INSTITUTION 


RARIES SMITH 


NVINOSHLINS 


NLILSNI 


NOILNIILISNI 


RARIES 


INSTITUTICN 


LOLILISNI 


SMITHSONIAN 


INSTITUTION NOILINLILSNI NVINOSHLINS SIIUVUGI 


SMITHSONIAN 
NVINOSHLIMS 
Min son 
NVINOSHIINS 


NVINOSHLINS LIBRARIES SMITHSONIAN 


1ES 


NOILNOLIISNI 
NOILNLIILSNI 


SMITHSONIAN INSTITUTION NOIINIILSNI NVINOSHLINS SIIUVIUGI 


S3I4YYYd11 LIBRAR 


INSTITUTION 
INSTITUTION 


NVINOSHLINS SI3IUVUYEII LIBRA SMITHSONIAN 


NVINOSHLINS S3IUVU&I LIBRARIES 


NVINOSHLIWNS 
SMITHSONIAN 


SMITHSONIAN 


ISNI_ NVINOSHLIWS,S314VYEI1 LIBRARIES, SMITHSONIAN_INSTITUTION 
z wu 2 Ly i, È Lu 
S 2 È a 7 > 
Si i 4 Lf A < 
E n E Sa 74, 

Ò a o I, DId ce 
si = mo DI mM» di ai oc 
N 4 S ui 9 2 

pes | 
RIES SMITHSONIAN INSTITUTION NOILNLILSNI NVINOSHLINS SIIUVUAIT 
z Lr = in sa z fa 
2) vo) O (os) À o I, 
= ca 5 o, = z 
E 5 4, > - pÈ 2 > 
= ‘4 i D - D = % 
z 4% m z m Ss } 
= (02) = (0) = 
ILSNI_NVINOSHLINS S31U4VY@11_LIBRARIES,, ; 
E LL Z na o z < 
2 = mia er = = 
AE 2° 5 z E = 
= z a z È = 
È z 5 Sa 7 UE 
RIES SMITHSONIAN_ INSTITUTION NOILNLILSNI SIIUVUAII_ 
or Z ti z Li Ù 
Ny, zi) “i i at IIS, = 
A = = 3 < 7 
È * - È S 3 
m _ m sal Ra = 
; 2: ©) _ (©) Es = 
pi 2 LÌ PA ig cd 
ILSNI S314V8@/7 LIBRARIES INSTITUTION_ 
Gr Ce rm 7a Ge = 
= O = O Via C 
el = D È D Na 
2 >) D D 2, = 
2a bi > E >» È 
È = sad =, e b 
RIES,_SMITHSONIAN INSTITUTION, NOILNLILSNI_ NVINOSHLIWS, S3 IBVUGII. 
Ss Gi } = A, < s ] = 
= 2 i agg, Z 4 È 
SY E O St Yz. O DE 
uN 2 (7) . 0 4: (72) (1) LC 
Di i aNE4ZI? _ 
LIE 3 =} 3 zi 
ILSNI_NVINOSHLIWS S3IÙ LIBRARIES È 7 
TAO Ù G x 5 
2! e = e ila È 
= i - € 2 c ni < 
z Ss = ci 3 : 
i e) Ò = o) = o) - 
2 a Z pes) 75 n 
RIES_SMITHSONIAN INSTITUTION NOILNIILSNI SIIUVUAIT, 
4 > 2 
o Si 6 2 6 
Ga DICA eo lag S E 2? 
È AH > 2 > | 2 2 
n= “Ci, 2, = su È É 
SAI p È D 
p = uv — v n pes 
LILSNI  NVINOSHLIWS, S3IUYVY811_ LIBRARIES, SMITHSONIAN_ INSTITUTION, 
= 3 SYESN 5 NS è 
D OA DS. » mm D c 
SE lo) AC = NÈ lo) n C 
E 2% € N 3 E 


ERPETOLOGIA 
DELLE PROVINCIE VENETE 


DEL TIROLO MERIDIONALE 


Una corrispondente Collezione dei Rettili del Tirolo meridionale fu depositata nel 4832 
presso la. Società Zoclogico- Botanica di Vienna, ed uu’ aitra fu inviata nel 41855 al Museo 
Civico di Rovereto. 

L’Autore offre in cambio di altri Rettili d' Europa, o di Molluschi terrestri e fluviatili, 


le specie e varictà qui descritte, ed in perfettissimi esemplari conservate nell* alcool 


ERPETOLOGIA 


DELLE PROVINCIE VENETE 


E 


DEL TIROLO MERIDIONALE 


DI 


EDOARDO nob. de BETTA 


SOCIO ATTIVO DELL'ACCADEMIA DI AGRICOLTURA, ARTI E COMMERCIO DI VERONA, 

MEMBRO DELL’ATENEO DI BASSANO, DELL’ACCADEMIA DEI CONCORDI DI BOVOLENTA, 

DELLA SOCIETA' ZOOLOGICO - BOTANICA DI VIENNA, DELLE SOCIRTA' DI SCIENZE 
NATURALI DI PRAGA, DI HERMANNSTADT, DI BAMBERGA ECC. ECC. 


DEBRA PREULALA 


dall'Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona 
e formante il Vol. XXXY de’ suoi Atti. 


YEROMA I 
Dalio Stabilimento Tipografico Vicentini e Franchini SCE rARtES __ 
4857. 


SULLA 
ERPETOLOGIA DELLE PROVINCIE VENETE 
E DEL TIROLO MERIDIONALE 


DEL NOBILE CAVALIERE 
EDOARDO de BETTA 


presentata all'Accademia il giorno 7. 4 ‘goslo 1 656, 


RAPPORTO 


della Commissione Accademica, letto nella Tornata 
del #6 Aprile 1807. 


Opjeus (feci i Golleg DA 


Se fra le Scienze naturali la Zoologia in fatto 
d’ importanza e di utilità è a nessuna seconda; se 
non v' ha ramo di questa scienza che con ragione da 
uno studioso esser possa dimenticato, o anche ad 
altri posposte; e perchè mai (saviamente osserva il 
Cavaliere de Betta) tanto scarsi sono essi fra noi i 
lavori che in fatto di Erpetologia fino ad ora ven- 
nero a luce? — Ciò prova ad evidenza essere stato 
sin qua ristretto a pochissimi lo studio di tale Zoolo- 
gico ramo; e questo difetto potersi assegnare a questo, 
che la gioventù non è sovvenuta di un libro il quale 
unisca le due: erudisca su quanto v' ha di meglio a 


VII 
sapersi dei Rettili, e torni insieme di facile accesso ed 
acquisto. 

Egli è a questo lodevolissimo intendimento che il 
nostro chiarissimo Socio prese a dettare un Trattato 
di Erpetologia, che li annunziati pregi si avesse; re- 
stringendolo opportunamente alle specie che abitano le 
Provincie Venete, tra le quali la Veronese meno di tre, 
le contien tutte essa sola; a cui aggiunse il Tirolo 
meridionale, che ne difetta solo di cinque. 

Per questo lavoro dell’ egregio nostro Collega lo 
studio dei Rettili, oltre a rendere manifesta tutta la 
sua importanza, si porge altresì facile allo studioso, e 
(ciò che assai conta in fatto di opere didascaliche ) 
veste la scienza di quella piacevolezza e curiosità che 
tanto è gradita alla gioventù, sempre schiva della fatica 
e della noja. A scemare vie meglio Ja quale il nostro 
Autore liberò la sua Erpetologia di una difficoltà, che ai 
dotti stessi tornò sempre di grave imbarazzo; vogliamo 
‘ dire la confusione della nomenclatura; perchè ad ogni 
specie di Rettili, dopo il nome datole dal suo classifi- 
catore, e il rispondente italiano, con quello pure con 
cui sono usi a chiamarla nel loro dialetto i Veneti ed 
i Tirolesi, ci dà per disteso tutta la lunga lista degli 
svariati nomi co’ quali la medesima specie è dai Na- 
turalisti appellata, indicando altresi |’ Opera in cui 
que’ sinonimi si trovano usati. 

E innanzi tratto, posto l' elenco degli autori citati 
nell'ora nominata Sinonimia, entra l'egregio Socio col 


IX 


primo articolo in una ordinata e convenevolmente este- 
sa descrizione dei Rettili in generale, indicando allo 
studioso tutti li principali caratteri che sceverando i 
rettili dagli altri animali, ne costituiscono una Classe 
speciale. 

‘ Questa Classe poi divisa dal nostro Autore, coll’ il- 
lustre Brongniart, ne’ quattro Ordini de’ Chelonei, dei 
Saurti, degli Ofidii e dei Batraci, di ciascun ordine 
descrive le forme, gli organi esteriori, e ’?l magistero 
cui dalla Natura son destinati. Entra di poi nell’ interno 
del corpo, e ne addita |’ ammirabile compagine, e le 
funzioni dei visceri. Tutto con profondità e sicurezza 
di erudizione e di scienza, sempre all’ appoggio delle 
ultime e più recenti scoperte e teorie; dettato poi con 
quella facilità, chiarezza, e proprietà di lingua, che lo 
renderebbe anche per ciò solo commendevolissimo. 

Procede inoltre 1° illustre Autore in un secondo 
articolo a parlar del veleno delle Vipere, e svolge que- 
sto interessante argomento con tanta copia di dottrina 
e di prove, che nulla lascia a desiderare. Fattici noti, 
a guardarcene, i luoghi del Veneto e del Tirolo ove 
più abbondan le vipere, descrive le traccie esterne 
che dinotano infra gli altri velenoso quel rettile, |’ in- 
terno ordine e la postura delle glandule, e la struttura 
particolare dei denti veleniferi; opera di provvidenza 
ammirabile, come che paurosa, e tale apparato di av- 
velenamento disegna poi di sua mano nella tavola che 
accompagna l’opera; descrive i sintomi che annunzia- 


X 


no il fatal morse, e i fenomeni terribili che ne conse- 
guitano, indicando da ultimo i rimedj meglio accertati 
a guarirne. 

Soddisfatto a questo debito di una compiuta istru- 
zione, passa il Socio nostro alla Generazione dei Rettili. 
Di ciascheduno delli quattro Ordini sunnominati addita 
la differente economia cui segue Natura nella conser- 
vazione di questi esseri; i quali se pel volgo ignaro 
sono li più spregevoli e fastidiosi, il savio invece, che 
li considera attento, stupisce ad un ordine che vede 
in loro di portenti affatto nuovi. Fra questi è ammira- 
bile nei Batraci peculiarmente, lo svolgimento delle 
più curiose metamorfosi dal primo loro esordire sino 
ad animale compiuto; ed è con queste meraviglie che 
il nostro Autore termina il bello e savio articolo della 
Generazione dei Rettili. 

Da questa passa all’ arcana facoltà di che fu loro 
larga Natura, di riprodur quelle parti del corpo delle 
quali venissero mozzi. A questo fatto, uno de’ più re- 
conditi della fisiologia, dedica un breve ma sugoso 
articolo, riportando eziandio le migliori sperienze e i 
più luminosi successi ottenuti dai naturalisti; offeren- 
do altresì a vedere negli scheletri di alcuni rettili, di 
cui è fornito il ricco e stimato suo Museo, la diffe- 
renza interna a cui soggiacciono le parti riprodotte 
dalle native. 

Pregio era dell’opera che una pagina pur vi aves- 
se destinata a svellere dalla mente de’ giovani quelle 


XI 


tante superstizioni e false opinioni statevi per avven- 
iura innestate dal volgo credenzone e ignorante; ed è 
appunto questo argomento che svolge da ultimo | il- 
lustre Autore, chiudendo la prima parte del suo lavoro 
con un articolo intitolato « Favole e pregiudizj nella 
storia dei Rettili » . 

Fin quì la prima parte dell’ opera che si potrebbe 
chiamare |’ Erpetologia generale. 

Va innanzi alla seconda parte, che vorremo intito- 
lare I Erpetologia particolare, un « Prospetto dei 
» Rettili delle provincie Venete e del Tirolo meridio- 
» nale, colla indicazione delle specie fino ad ora co- 
» nosciute proprie anche della Lombardia ».. 

In questo Prospetto sommario l'Ordine I. dei Che- 
lonîî è diviso nei due generi Emys e Chelonia, colle 
specie lutaria pel primo, e carezta pel secondo. Volle 
l’ illustre Autore descritta pure una terza specie, la 
Testudo gracca, perchè spesso ne incontra vederla 
nei nostri giardini; sempre però portatavi vuoi dalla 
Grecia, vuoi dalla Romagna o d° altrove, non mai in- 
digena dei nostri paesi. 

L’Ordine II. dei Saurii è partito nei due generi 
Lacerta ed Anguis, il primo dei quali suddivide nei 
tre sottogeneri Zaceria, Zootoca e Podarcis. Di ognu- 
no espone le specie colle sue varietà, fra le quali ci è 
fatta conoscere dall’ Autore nostro una assai distinta 
sua varietà campestris della comune Podarcis mu- 
ralis. 


XIÉ 

L'Ordine HH. degli Ofidii è diviso in cinque ge- 
neri: Coronella, Coluber, Tropidonotus, Pelias e Vi- 
pera, colle rispettive specie e varietà. 

L'Ordine IV. dei Batraci è distinto in sette generi, 
Hyla, Rana, Bombinator, Bufo, Salamandra, Petra- 
ponia e Triton, colle specie loro. 

Di questi rettili : 
Specie 26, con 34 varietà appartengono alle provincie 

Venete. 

Specie 24, con 20 varietà al Tirolo meridionale. 
Specie 24, con 14 varietà alla Lombardia. 

Dopo questo spartimento generale della materia, 
si fa da capo il Socio Autore al primo Ordine dei 
Chelonii, e dataci una prima descrizione che abbrac- 
cia i rettili spettanti a quest’ ordine, indi delle famiglie 
che ne discendono, dinotando con ogni accuratezza la 
struttura esterna ed interna di questi esseri, le forme, 
‘il colore e le dimensioni, ci fa conoscere i luoghi di 
preferenza da essi abitati, e le loro costumanze, non 
lasciando pur di accennare l’ utilità che negli usi della 
vita possiamo trarre da questi animali. 

Passa quindi a dinotare d’ ogni famiglia i generi 
in cui si divide, e, come più sopra dicemmo, le varie 
specie ad ogni genere appartenenti, colle loro varietà; 
partitamente quelle e queste descrivendoci, sempre se- 
guendo l’ ordinato processo come si è detto. 

E quì faremo osservare due pregi singolari che 
rendono questo sudato lavoro vie più prezioso. E pel 


XIII 
primo, lo studio diligente posto dal nostro Collega a 
definire e bene sceverare l’ ana dall’ altra parecchie 
delle specie per altri autori mischiate e confuse; ren- 
dendo con ciò un notabile servigio agli studiosi ed 
alla scienza. Il secondo, che nel fatto segnatamente 
dei costumi e delle abitudini di questi esseri tutto 
volle l'Autore accertato e raffermato dalle proprie spe- 
rienze, e veder chiaro in ogni fatto cogli occhi propr], 
per cui non dovette pur rifiutarsi a fatica ed a spesa 
di viaggi; ed ove non gli fu possibile il suffragio della 
propria sperienza volle corroborate le sue asserzioni 
dalle osservazioni e testimonianze dei più riputati Na- 
(uralisti e suoi corrispondenti. 

Colla stessa lucidezza, diligenza, e profondità di 
erudizione scompone e anatomizza sottilmente gli altri 
tre Ordini dei rettili, nulla pretermittendo di ciò che 
render possa il suo lavoro in fatto di Erpetologia delle 
Provincie Venete e del Tirolo meridionale un 7rat- 
tato completo. 

Da ultimo un Quadro Sinottico tutta la branca er- 
petologica coì singoli suoi rami offre 1’ illustre Autore 
a vedersi d’ un colpo d’ occhio. 

Per le quali osservazioni tutte, Egregi Colleghi, la 
Commissione che Voi onoraste di questo esame, sente 
di dover proporre al voto Vostro la stampa negli Atti 
della Erpetologia del Socio de Betta, e questa il più che 
sia possibile sollecita, poichè se dall’ Accademia nostra 
è per uscire un’ Opera del suo genere la prima in Ita- 


XIV 


lia, non avvenga (e abbiamo onde temerlo) che altri 
più lesto del passo non ci cavi di mano la palma. 

Per la Erpetologia del de. Betta, unita alla Flora 
Veronese che già possediamo, con altre opere relative 
alla Fauna; alla Mal/acologia del compianto Menegazzi, 
e ad un Trattato di Orzizologia Veronese di cui per 
bella avventura speriam tra breve veder donata la no- 
stra Accademia, andrà Ella sovra tutte d° Italia a buon 
dritto superba. 

Oltre alla stampa negli Atti Accademici, la Com- 
missione vostra propone che l’ illustre nostro Collega 
sia rimeritato altresì della Medaglia d’oro. Ma quì 
permettete, o saggi Colleghi, che noi vi esponiamo un 
pensiero affatto ovvio destatocisi allo studio appunto in 
de Betta. 

L'esame del Trattato sul quale vi riferiamo ci 
fece sentire una grave lacuna che. sull’ argomento dei 
premj, il nostro Statuto presenta. Unanimi i vostri 
Commissarj nel proporvi la stampa negli Atti Accade- 
mici della Erpetologia del Cav. de Bela essi avreb- 
bero voluto proporvi altresì d’insignire questo Trattato 
della Medaglia d’oro di 1.° grandezza, chè esso n° è 
ben meritevole; ma impediti dalle disposizioni statu- 
tarie debbono, comunque a malincuore, limitarsi a 
proporre che solo della Medaglia d’ oro di II. gran- 
dezza Voi lo vogliate rimeritato. 

Torni per altro d’ onesta e nobile compiacenza al 
Socio Autore l’idea, che il suo manoscritto fece ai 


XV 


sottoscritti così dolorosamente sentire 1’ avvisata lacu- 
na del nostro Statuto, e che essi chiudono il presente 
loro Rapporto proponendo la seguente Aggiunta allo 
Statuto medesimo: 

Visto che lo Statuto Accademico non accorda il 
premio straordinario, cioè la Medaglia d° oro di 1.? 
grandezza che in soli due casi: quando venga da qua- 
lunque anco straniero ( Art.° 27.) adequatamente evaso 
e risoluto il Programma triennale: quando da un Ve- 
ronese anche non socio (Art. 29.) si presenti un ri- 
trovamiento di grande e generale interesse: 

Visto che | Auiore di un Trattato sistematico e 
completo riferentesi agli stud} accademici potrebbe es- 
sere egualmente, ed anco in maggior modo meritevole 
della Medaglia d’ oro di 1.° grandezza: 

Visto che senza ciò, il suo Autore va necessaria- 
mente parificato all’ Autore d’ una semplice memoria 
accademica, nella quale gli stessi limiti dalla sua in- 
deie imposti, escludono la prescrizione di que’ mag- 
giori meriti che ponno rinvenirsi in un Trattato di 
lunga lena e completo: 

Visto infine che senza ciò, mentre |’ Autore di un 
Trattato esteso a soluzione del Programma triennale 
aspira alla Medaglia d’oro di I.* grandezza, se un 
Socio estenda.un trattalo per proprio impulso, comun- 
que abbia meriti maggiori di quello, non potrebbe mai 
aspirare che al premio della medaglia d’ oro di II.* 
grandezza: 


XVI 


I sottoscritti propongono che |’ Articolo 29 dello 
Statuto il quale suona: 

« D’ ogni tempo inoltre può l’ Accademia impartire 
» il premio straordinario della Medaglia d’oro di I.* 
» grandezza al Veronese che presenti un ritrovamento 
» di grande e generale vantaggio ». — venga così 
modificato: 

Articolo 29 — « D’ ogni tempo inoltre può |’ Ac- 
» cademia compartire il premio straordinario della Me- 
» daglia d’ oro di I.* grandezza al Socio che presenti 
» il manoscritto di un’ Opera o Trattato riferentesi agli 
» studj accademici, il quale per |’ importanza del sog- 
» getto, per lo sviluppo della pertrattazione e in una 
» parola per | entità de’ suoi meriti, venga qualificato 
» degno di una tale onorificenza. Una tale onorificenza 
» potrà altresì essere conferita d’ ogni tempo al Vero- 
» nese che presenti un ritrovamento di grande e ge- 
nerale vantaggio » . 


» 
>» 


A di A6 Aprile 4857. 


LA COMMISSIONE 


Camuzzoni Dott. Giulio 
Castelli Prof. Dott. Salvatore 
Lenotti Giuseppe 
Massalongo Prof. Abramo 
Spandri Gaetano Aelutore. 


ERPETOLOGIA 
DELLE PROVINCIE VENETE 


TIROLO MERIDIONALE 


ARDITO, 


Lr 


Poi che il luminoso progresso delte Scienze naturali, 
dileguate le tenebre nelle quali era avvolta la storia dei 
Rettili, ci apprese l’ alta sua importanza, svelandone e fa- 
cendoci apprezzare le maravigliose proprietà di tali animali, 
un nuovo e vasto campo di studj e di utili cognizioni ci 
| si parò innanzi. Apparve allora manifesta la debolezza 
della mente umana nell’ essersi chinata con troppa credu- 
lità alle vane opinioni, alle assurde prevenzioni e alle su- 
perstiziose credenze che resero i Rettili spregiati al volgo, 
disgradati e rigettati con orrore dal più degli uomini, e 
condannati alla proscrizione ed allo sterminio da una sen- 
tenza quanto ingiusta altrettanto inesorabile. 

Il potere della Natura rifulge con istupenda magnifi- 
cenza in ognuna delle opere sue, e pochi esseri più dei 
Rettili ce lo manifestano tanto evidente; siccome pochi 
altri animali meritano quanto questi la nostra attenzione 
per novità di costumi, per singolari abitudini, per acutezza 
d' istinti, per organizzazione, struttura e forma meravi- 
gliose nella varietà e nell’ acconcezza ai rispettivi bisogni, 


4 


per vaghezza di colorito, e per le stesse armi terribili delle 
quali alcuni tra di essi vanno forniti. 
I materiali d’ altronde che offrono alcuni alla nostra 
industria, il soccorso che altri prestano ai nostri bisogni, 
l alimento che altri ancora ci offrono gradito e salutare, 
ed il vero vantaggio che molti ci arrecano colla distruzione 
di non pochi animali assai nocivi all’ agricoltura, sono 
tant’ altre ragioni che più devono persuadere della impor- 
tanza ed utilità dello studio di questo ramo della Zoologia. 
Allorchè, esaminati più da vicino questi esseri singola- 
rissimi, c conosciutene le varie proprietà, Y Erpetologia si 
presentò infine quale scienza del massimo interesse, non 
poche opere tentarono di ridurla a sistemi, più o meno 
naturali secondo le vedute dei loro autori. Si diede manò 
allora a sceverare e combattere di quando in quando gli 
errori dei quali era ingombrata la storia dei Rettili, col- 
l’opporre alle superstizioni ed ai pregiudizj volgari i chiari 
fatti desunti dalle molte e conscienziose operazioni ed 
esperienze dei naturalisti filosofi. Col progredire poi di tali 
studj e di tali ricerche portossi la scienza a quel progres- 
sivo e maggior grado di perfezione che, si appalesa nei 
successivi lavori a noi più vicini, e ormai la Scienza pos- 
siede una classica opera di Erpetologia generale in quella 
dei Signori Duméril e Bibron, siccome già prima ancora 
compita vantava Italia la insigne Iconografia del dottissimo 
naturalista italiano, il Principe Carlo Luciano Bonaparte, 
nella quale trovavano completa illustrazione tutti i rettili 
abitatori del nostro bel paese. 
Ma comechè innumerabili sieno i pregi di tali due 
opere, e comechè suppliscano esse sole a quasi tutti i hi- 
sogni della scienza, non è però men vero che inaccessi- 
bili al popolo per la stessa loro natura e talvolta benanco 


“lm 


} tan 
a) SÈ 


5 


agli studiosi per l’ alto costo, lasciarono sempre desiderare 
e lasciano tuttora il desiderio di un lavoro più special- 
mente adattato alla intelligenza ed al bisogno della gio- 
ventù, dalla quale ha principio I’ educazione della società, 
e dalla quale ha diritto la scienza di attendere col tempo 
novelli tributi e nuove pietre pel grande edifizio dell’ umano 
sapere. 

La diffusione delle cognizioni appartenenti a tale spe- 
cialissimo ramo della Zoologia, e la vittoria dei molti er- 
rori che lo deturpano, incontrano due gravissimi ostacoli 
che è necessario anzi tutto di superare, per togliere con 
essi le cause che lo rendono a molti disaggradevole studio. 
Sono dessi, la debolezza dello spirito umano non. così fa- 
cilmente inclinato ad abbandonare inveterate credenze, e 
la difficoltà di avvicinare e confrontare i fatti per causa 
di quel ribrezzo, quasi direi istintivo, che desta in ognuno 
la vista di un rettile e sopratutto di un serpente, e forse 
ancora più la temenza di quelle proprietà malefiche che 
ancor da fanciulli scorgiamo attribuiti ai rettili da taluno 
fra coloro ai quali è affidata la prima nostra, educazione, 
senza che poi ne cerchiamo o ne troviamo confutazione 0 
schiarimento. 

Ciò ammesso chiara sorge la necessità di avere un 
mezzo facile d’ istruzione, specialmente adattato alla mente 
dei giovani pei quali fors’ anche le. prime scuole sono 
V unica fonte di educazione. Di. un mezzo, dicesi, che 
compendiando quanto più di particolare distingue questa 
classe di animali, offra più minutamente descritte ed illu- 
strate le specie del paese nativo; nel che fare si soddi- 
sfarebbe poi benaneo ad uno stretto bisogno della scienza, 
offrendole maggiori e più precisi dati per. istabilire gli 
estremi della geografica distribuzione degli esseri. 


Da quì mossero precisamente i primi passi delle mie 
ricerche, e da quì sorse la prima idea del lavoro ch’ io 
presento non già coll’ ardita presunzione di dar cosa com- 
pleta, ma colla speranza di avere contribuito in qualche 
modo a minorare il vuoto di qualsiasi trattato che pre- 
sentando unite le ricchezze delle nostre provincie anche 
nella Erpetologia, che sopra ogni altro ramo Zoologico 
scarseggia fra noi di cultori, offra alli studiosi facile mezzo 
di riconoscerne le specie, e di valutarne le rispettive pro- 
prietà colla guida sicura dei fatti e di una critica giudi- 
ziosa e sagace. 

Se eccettuasi il Saggio di Erpetologia popolare Veronese 
pubblicato nel 1854 dal chiar. Prof. Massalongo (*), non 
abbiamo veramente fra noi aleun trattato speciale su questi 
animali, ma soltanto qualche cenno in opere generali, o 
pochi e brevi cataloghi che accennarono in varie occa- 
sioni alcuni dei rettili abitatori delle provincie da me il-. 
lustrate. 

Nominansi fra tali lavori pel Veneto, in ordine di tempo, 
il Viaggio al lago di Garda ed al monte Baldo del Dott. Ciro 
Pollini pubblicato in Verona nel 1816, nel quale travansi 
citati sei serpenti del territorio Veronese, compresovi l’An- 
quis fragilis che passar devesi ali’ ordine dei Saurii, e Je 
due vipere Redi e serus che indubbiamente appartengono 
alla sola nostra aspis. — Nell’ anno seguente la Redazione 
della Biblioteca Italiana (Tom. V. pag. 274) nel parlare 
di quel Viaggio aggiunse ai rettili veneti la Vipera am- 


(*) Questo stesso lavoro trovasi inserito negli Aiti dell’ Accademia 
d’ Agricoltura, Arti e Commercio di Verona, Vol. XXIX pag. 385, sotto il 
titolo di Catalogo ragionato dei Rettili fino ad ora conosciuti nella Pro- 


vincia Veronese. 


7 
modytes, dichiarata abitatrice dei monti Bellunesi e dei 
Colli Euganei, ai quali ultimi. è a ritenersi però affatto 
esiranea. i 

Sul finire dello stesso anno 4847 il distinto entomologo 
Bernardino Angelini avvertì pel primo la presenza del 
Marasso ( Pelias berus Merrem ) nella Provincia veronese, 
dettando 1’ erudita memoria sui costumi ed abitudini di 
questo rettile, la quale sta inserita nel Tomo VII. pag. 45 
della Biblioteca Italiana. I 

Fu intorno a quell’ epoca che della erpetologia Pado- 
vana erasi fatto diligentissimo cultore il Dott. Domenico 
Martinati, siccome ne fanno testimonianza molte note: la- 
sciate nei suoi superstiti manoscritti, ed alcune specie tut- 
tora esistenti nelle sue collezioni, con ben meritata vene- 
razione conservate ora dal figlio Dott. Pietro-Paolo, amico 
a me dilettissimo, ed al quale devo non poche notizie sui 

rettili specialmente della provincia di Padova. Se la scienza 
non potè fruire degli studj e delle ricerche del Dott. Mar- 
tinati, deve appuntarne la rara ma forse soverchia di lui 
modestia, per la quale rinunciando a quello stesso amor 
proprio che lusinga un autore nell’'annunciare una sco- 
perta o l'osservazione di fatti nuovi alla scienza, soltanto 
in privato communicava ai molti e valenti suoi corrispon- 
denti l’ esito delle proprie ricerche, ed il frutto dei dili- 
gentissimi suoi studj. Intanto è a lui che devesi la prima 
notizia della presenza del. Murasso neli’ agro. Padovano, 
siecome ne fanno fede le sue note manoscritte ed una 
lettera autografa del chiar. naturalista Dott. Vincenzo Sette, 
il quale non so perchè tacque la fonte da cui apprese 
l’esistenza di quel rettile nel Padovano, ed ebbe non. po- 
che delle nozioni che gli servirono poi alla Memoria pub- 
blicata nel 4824 nella Bibliothèque Universelle di Ginevra 


8 


(Tom. XVI. pag. 50), sotto il titolo di /Votizia sopra una 
nuova Vipera del Padovano. 

Da quell’ epoca occorre poi scendere fino al 1844 per 
trovare nel Trattato sopra la costituzione geognostico-fisica 
delle provincie Venete del dottissimo nostro naturalista Prof. 
T. A. Catullo un più utile elenco di rettili veneti, con 
alenne brevi osservazioni sulle abitazioni e sui costumi di 
ognuna delle specie che enumera nel catalogo degli Animali 
del canale di S. Croce e di quelli più speciosi delle Alpi Bel- 
lunesi, a pag. 135 e seguenti dell’ opera. Quindici sono i 
rettili indicati proprj di quella località, ove troviamo più 
positivamente annunziata la presenza della Vipera ammo- 
dytes che da più anni addietro ci era stata avvertita nella 
Biblioteca Italiana. Im quelle quindici specie si comprendono . 
però il Coluber carbonarius il quale non è che semplice 
varietà del C. viridiflavus, ed una Lacerta argus che, come 
vedrassi nell’ articolo della nostra Podarcis muralis; è @ 
sospettarsi piuttosto varietà di colorazione di questa. 

Nel 1845 un brevissimo scritto del Prof. Trevisan, com- 
parso a pag. 493 della Strenna Padovana / collî Euganei, 
ci annunziò il nome delle 47 specie di rettili che l’autore 
assegnava a quei colli. 

Bue anni più tardi troviamo un elenco dei rettili della 
provincia di Venezia nel Vol. II. pag. 159 della Guida pub- 
blicata per l’ occasione del IX. Congresso sotto il titolo 
Venezia e le sue Lagune. Figurano ivi nominate 24 specie, 
le quali riduconsi però a sole 18. quando se ne escluda, 
perchè non indigena, la Testudo graeca; si riunisca alla 
Podarcis muralis la Lacerta agilis; e si restituiscano come 
semplici varietà la Lacerta bilineata alla viridis, il Coluber - 
murorum al Tropidonotus natrix, il €. carbonarius al viridi- 
fiavus, e la vipera berus alla aspis, ritenuto che sotto la 


9 


terza vipera ivi nominata chersea sia stato indicato il vero 
Marasso. 

Nel 1853 il Prof. Massalongo arriechiva il Veneto e la 
scienza colla scoperta di un nuovo genere, stabilito sopra 
un singolarissimo Batracio urodelo da lui raccolto presso 
Padova, ed illustrato nella Memoria Sopra un nuovo genere 
dî Rettili della Provincia Padovana, inserita negli Annali di 
Bologna del detto anno. 

L’anno dopo, il chiar. Prof. Dott. Giulio Andrea Pirona 
pubblicando una pregiata raccolta di Voci Friulane signifi 
canti animali e piante vi nominava anche, e ci fece quindi 
conoscere molti dei rettili abitatori di quel territorio. Ed 
è anzi mio debito il dichiarare come appunto a quell’ in- 
teressante lavoro del Prof. Pirona io abbia attinte alcune 
notizie sulla-abitazione di varie specie, ed abbia da esso 
trascritti i nomi volgari Friulani a quelle corrispondenti. 

Finalmente il già sopra accennato opuscolo del Professor 
Massalongo compie l’ enumerazione Bibliografica della Er- 
petologia Veneta, ed in esso la provincia di Verona pos- 
siede una indicazione di tutti i suoi rettili, con alcune 
delle notizie sui loro costumi ed abitudini che possono 
più interessare le persone alle quali è dedicato quel lavoro. 
A sole 23 devono però ridursi le 26 specie che 1’ Autore 
assegna all’ agro veronese, perchè sola varietà di statura 
del comunissimo nostro Bombinator igneus è il Bombinator 
pachypus di Fitzinger; semplice varietà di colorazione e 
null’ altro è la Rana alpina; e perchè non appartiene infine 
a queste provincie il vero 7ropidonotus viperinus, scambiati 
avendo con esso, per sole accidentalità di colorito, alcuni 
individui del nostro Tropidonotus tessellatus. 

Se in tali limiti è mantenuta la Bibliografia erpetolo- 
gica delle provincie Venete, ancora più poi abbiamo a la- 


40 


mentare la mancanza di speciali lavori pel Tirolo meri 
dionale. Il primo infatti che mi consti colà pubblicato data 
soltanto dal 1852, ed è una enumerazione di 15 rettili del 
Trentino estesa dal distinto botanico Francesco Ambrosi 
di ‘Borgo, ed inserita col suo Prospetto zoologico di quella 
provincia nel Vol. I. della Statistica Trentina pubblicata dal 
Sig. Agostino Perini. Siccome però nel numero di quelle 
specie trovasi distinto dal Coluber viridiflavus il carbonarius, 
e va cancellata la Zacerta Laurenti, che come io stesso 
potei più tardi verificare sugli esemplari dell’ Autore fu 
nominata soltanto sopra semplici varietà: della comune 
Podarcis muralis, così restavano soltanto 13 le specie del 
‘Trentino, mentre quasi contemporaneamente il mio Cata- 
logo dei Rettili della Valle di Non, inserito negli Atti della 
Società Zoologico-Botanica di Vienna (Ann. 1852, pag. 153), 
assegnavane 419 a quell’ estrema sua parte, offrendo anche 
di cadauna quelle più importanti sinonimie e quelle limi- 
tate osservazioni che erano compatibili colla qualità del 
lavoro. E tale numero non venne d’ allora a tutt’ oggi 
aumentato per tutto il Tirolo meridionale che dal Tropi- 
donotus tessellatus che già prima sospettava sfuggito alle 
mie ricerche, e dalla Vipera ammodytes annunciatami pro- 
pria dei dintorni di Marano e Bolzano dall’ ottimo ami- 
co mio Professore Gredler, il quale mi fu anche cortese 
di varie notizie manoscritte sugli altri rettili di quelle 
regioni. i 

ale succinta rivista Bibliografica non può quindi che 
far fede maggiore di quanto esposi sulla poca attenzione 
prestata finora fra noi al ramo Erpetologico, ed avvalorare 
aneora più la necessità di vincere quegli ostacoli che ne 
devono essere la più probabile ragione. Nello scopo prefis- 
somi tentai con ogni mia forza di battere la via più si- 


44 
cura e spedita, e -datomi perciò da var) anni alla più dili- 
gente ricerca dei rettili del Veneto, presento ora l’ illustra- 
zione di tutte le specie conosciutevi, aggiungendovi quelle 
benanco del limitrofo Tirolo meridionale -che potei con 
eguale accuratezza esplorare. 

Nell’ intento che il mio lavoro potesse tornare meno 
arido alla gioventù studiosa, e contribuire alla desiderabile, 
ma forse ancor lontana scomparsa «dei volgari pregiudizj, 
ho. fatto precedere alla descrizione delle specie alcune ge- 
nerali nozioni sui Rettili; un esteso discorso sul veleno 
della Vipera e suoi rimedj; alcune osservazioni sulla ge- 
nerazione di questi animali, e su qualche altra singolare 
loro proprietà. Il lettore troverà pure riferiti alcuni dei 
più diffusi pregiudizj, ed esaminato il valore che possono 
avere in faccia ai fatti positivi ed ai criterj della scienza, 
siecome troverà pure a sno luogo più speciali nozioni 
sulla storia di ciascun Ordine e Genere rispettivo. Nel che 
fare mi giovai non poco della profonda dottrina e degli 
importantissimi studj del Principe Bonaparte e dei Signori 
Dumeéril e Bibron, alle opere dei quali è mio debito 1’ av- 
vertire come abbia specialmente ricorso ogni qualvolta lo 
esigeva o il limite stesso delle mie osservazioni, o lim. 
portanza e chiarezza maggiore dell’ argomento. 

Poichè l’ abbondantissimo numero di esemplari di ogni 
età ch'io raccolsi per quasi tutte le specie mi offrì |’ op- 
portunità di constatarne il colorito predominante e di 
averne sott’ occhio le eccezionali modificazioni, così te- 
nendo il primo come specifico, distinsi sotto l'indicazione 
di varietà le seconde, ed accennai pure il colorito dei gio- 
vani individui, causa non difficile, anzi possibilissima di 
confusione o d’ imbarazzo nella classificazione quando, 
(come ad esempic nel nostro Coluder flavescens), presenta 


42 


grandi e molte diversità di tinte e di macchie fra |’ esem- 
plare adulto ed il giovane. 

Se di ben maggiore imbarazzo pei giovani non solo, ma 
per i provetti scienziati stessi riesce oggidiì la somma ‘con- 
fusione di nomenclatura in cui è avvolto quasi ogni 0g- 
getto naturale, io non doveva risparmiare la noja delle 
sinonimie delle specie, dopo di aver determinate ognuna 
di queste quanto piùesaitamente potei sulla autorità e 
collo studio dei più celebri autori, approfittando di quei 
vantaggi che può offrire una Biblioteca doviziosa sopra- 
tutto in questo e in altro speciale ramo della Zoologia 
che con pari amore prediligo e coltivo. 

In seguito alla descrizione specifica ed alle dimensioni 
degli esemplari nostrali ho fedelmente segnaio come abita- 
zione di una specie quella località in cui Ja raccolsi io 
stesso, o dove per indubbia testimonianza mi constava 
che fosse stata raccolta o veduta. Ho anche tentato di 
arricchire la parte spettante ai costumi degli animali colle 
osservazioni e sperienze fatte da me stesso, o che mi ven- 
nero comunicate da altri studiosi degni di fede, non senza 
tener calcolo di quanto ne avevano precedentemente scritto 
gli autori. 

Allo scopo di facilitare anche ai meno istruiti de’ miei 
lettori la conoscenza e la classificazione de’ nostri rettili 
ho aggiunta una Tavola Sinottica di tutte le specie descritte, 
la quale verrà loro più opportuna perchè fondata quasi 
esclusivamente sugli esterni caratteri di forma e di colorito 
di questi animali. 

Non mi lascio allettare dalla vana lusinga d’ aver su- 
perate tutte le diflicoltà inerenti a tale lavoro, nè tampoco 
d’ aver pienamente corrisposto al compito che mi sono 
assunto. Mi sono ingegnato di nulla ommettere fra quanto 


13 


maggiormente poteva interessare nella storia di questi ani- 
mali, e di aggiungere qualche cosa alla scienza con questo 
tributo scarso bensì di merito ma ricco di buon volere. 
Questo mi raccomandi alla benevolenza del mio lettore, 
e richiami la sua indulgenza sopra un lavoro col quale 
null’ altro desidero e ambisco che distruggere inveterati e 
ridicoli errori, diffondere qualche utile cognizione, e pre- 


parare il campo di più abbondante ricolta. 


Verona, nel Giugno 4856, 


ED. de BETTA, 


n 
KO) 


AUROU 
celate nella Sinoninea : 


Arprovaxpi D. = Serpentum et Draconum historiae libri 

duo. Benoniae 1640. 
— De Quadrupedis digitatis viviparis lib. HI et Qua- 
drup. digit. oviparis lib. IL. Bononiae 1645. 

Awsrosi Francesco = Prospetto delle specie Zoologiche 
conosciute nel Trentino. — Statistica del Trentino di 
A. Perini, Vol. L 1852. pag. 262 e seg.. 

AnceLinI Bernarpo = Del Marasso, 0. Vipera Chersea, rin- 
venuta nel territorio Veronese — Biblioteca Italiana 
Tom. VII. p. 454-459. Anno 41817. i 

BecusTein J. M. = Lacépède = Naturgesch. der Amphy- 
bien, oder eyerlegenden vierfiiss. Thiere u. Schlan- 
gen ete. Weimar 1800-1802. 

BeLL Tuom. = Zoological Journal. London 1824 e seg. 

BevpiscioLi Gius. = Monografia dei Serpenti della provincia 
di Mantova. — Giornale di Fisica, Chimica ecc. 1826. 
pag. 443. 

BertA (pe) Ep. = Catalogo dei Rettili della Valle di Non 
nel Tirolo meridionale ( in Verhandlungen des zoolog. 
botan. Vereins in Wien. 1852. pag. 153). 

— Catalogus systematicus Reptilium Europae in col- 
lectione extantium. Veronae 1853. 
Biskon = vedi DumkguL. 


16 

Bonaparte CARLO Luciano = Iconografia della Fauna Ita- 
lica. Tom. II. Amfibi. Roma 4832-4841. 

BoxnaterRE (1’ Abbè) = Erpétologie et Ophieiono CAIO 
Method. ) Paris. 1789-1790. 

Brijnynica M. T. = Spolia e mari Adriatico reportata — 
Tehthyologia Massiliensis. ecc. ecc. Hafniae 1768. 
CaruLLo Tomm. Anr. = Animali del canale di ‘S. Croce, 

cui si aggiungono quelli che si reputano i più spe- 
ciosi delle Alpi Bellunesi — Trattato di Geognosia 
delle Prov. Venete. pag. 135. — Padova 1844. 
Certi Francesco = Storia naturale di Sardegna. 1774-1777, 
"Tomo HI. Anfibi e pesci. Sassari 1777. 

Cuvier G. L. = Le Régne animal distribué d’ aprés son 
organisation — Reptiles, avec un’ atlas par M. Du- 
vernoy — Paris. edit. Masson 1836 ete. 

Daupin Fran, M. = Histoire naturelle des Rainettes, Gre- 
nouilles et Crapauds, avec 38 pl. Paris an. XI. (41803). 

— Histoire naturelle générale et particulière des Reptiles 
pour faire suite à l’ Hist. nat. de Buffon. Paris 4802- 
41804. 

De Firippi FiLipro = Catalogo ragionato e descrittivo della 
Raccolta dei Serpenti del Museo dell’ I. R. Università 
di Pavia. Milano 1840. (Biblioteca Italiana, "Tom. 99). 

Donnpore J. A. = Zool. Beitrige zur 13. Ansg. des Linn. 
Natursystems. Leipzig. Vol. II. 4798. 

Ducis Axr. = Sur les espèces indigènes du genre Lacerta. 
1828. Annal. des Scienc. Natur. Paris. Tom. XVI. 
DumeriL e Bisron = Erpétologie générale ou Histoire 
naturelle complète des Reptiles. Paris 1834-1854. 
Tom. I. 1834 — IL 41835 — HI. 1836 — IV. 1837 — 
V. 1839. — VI. 4844 — VIL 4854 — VIII 4844 — 

IX. 1854. 


47 


EicawaLp C. E = Zoologia specialis quam expositis ani- 
malibus tum vivis, tum fossilibus potiss. Rossiae in. 
.universum et Poloniae in specie etc. Vilnae 1829-1831. 
Eversmann E. = Notice sur les Reptiles des environs de 
Moscou. — Nouv. Mem. de. l° Acad. de Moscou. 
Tom. IH. 1834. 
Firzixcer Lror. = Verzeichmiss der in k. k. zoolog. Mu- 
seum zu Wien befindlichen Reptilien — Neue Clas- 
sification der Reptilien. Wien 1826. o 
-- Systema Reptilium. Fascie. L Vindobonae 1843. 
Freminc Jonn. = A History of British Animals ete. Edin- 
—. burgh 14828. 
FrivaLpszxy E. = Monographia Serpentum Hungatide. Pe- 
stini 1823. i : 
Fusk A. F. = De Salamandrae terrestris vita, Crognigne, 
formatione traetatus. Berolini 4827. 

Gesé Gius. = Storia naturale degli animali esposta in Le- 
zioni elementari. Opera postuma. Torino 1850. 
Gessner. Conrap. = Historia Animaliuin — Lib. II. de 

Quadrupedis -oviparis. Tiguri 1554 — Lib. V. de Ser- 
pentium natura. Tiguri 1587. i 
Gveuin J. F. = Ed. XII. System. Naturae. Lips 1790. 
Tom. I. Pars. HI. 
GorrwaLp C. — Physikalisch — anatomische Bemerkungen 
uber die Schildkr6ten. Niirnberg 4781. 
Gnavennorsr J. LL = Deliciae Musei Zoologici EN 


viensis — Reptilia. Lipsiac 41829. 
Gray J. E. = Synopsis: Reptilium, or short descriptions 


of the species of Reptiles. London 1834. 
Jacquin = Nova Acta Helvetica etc. Basiliae 4787. 
Joxston = Hist. nat. de Quadrupedibus. — Hist. nat. de 
Serpentibus — Amstelodami 1657. 


9 


18 
Krynici = Observationes de Reptilibus indigenis — Bul-- 
letin de la Socièté np: de. Moscou, 4837. N.° III. 
pag. 46. 
Lacepepe B. G. = Histoire aturelle des Quai 
Ovipares et des Serpens. Paris 1788-1790. 
LANFOSSI PaAoLo = Saggio di Storia naturale dei contorni 


di Mantova. — Amphibia. — Giorn. di fi sica, chi- 
mica ecc. 4826. Tom. XIX. 
LaTREILLE Pierre Anp. = Histoire naturelle des Salaman- 


dres de la France, preccdcée d’ un tabl. méthod. des 
autres Reptiles indigènes. Paris 1800. 
— Histoire naturelle des Repoles: — Nouv. edit. Paris 


1830. 

Lenz H. OrumarR = Schlasonimale Gotha 1832. 

Linnaeus CaroLus = Systema Naturae ed. X. 1758 — ed. 
XII. 1767. Tom. I 

MassaLonco A. = Sopra un nuovo genere di Rettili della 


Provincia Padovana — Annali di Bologna 1853. 

— Saggio di un’ Erpetologia popolare Veronese. 4854. 

Merrem BLasius = Tentamen Systematis Amphibiorum. 
ed. II. Marburgi 1820. 

MeraxA Luici = Monografia dei Serpenti di Roma e dei 
suoi dintorni. Roma 1823. — (Bullet. de sc. natur. 
t. I p. 484). 

MikAn = în Sturm. Deutschl. Fauna. 

Nau Berna. = Neue Entdeckgn. u. Beobactgn. aus der Phy- 
sik Naturgesch. u. Oekonomie ete. Frankfurt 41794. 


OrreL Mici. = Die Ordnungen, Familien und Gattungen 
der Reptilien. Miinchen 4841. 
‘ ParLAs P. S. = Reisen durch verschied. Provinzen des 


Russ. Reichs in den Jalren 1768-1774. Petersburg 
1774-1776. 


49 
Parras P. S. = Spicilegia Zoologica. Tom. I Fasc. I-X. 
Berolini 1767-74. Li; 
PLinio = Historia Naturalis.. sii 
RAFINESQUE ScumaLrz = Caratteri di alcuni nuovi generi e. 
nuove specie di animali e piante della Sicilia. Paler- 
mo 1840. 
Ray Jonn. = Synopsis methodica animalium Quadrupedum 
et Serpenti generis —. Londini 41693. (ed. IL 1724). 
Razoumowsky Gréc. = Histoire natureile du Jorat et de i 
ses environs et celle de. trois laes de Neufchitel, 
Morat et Bienne etc. Lausanne 1789. 
Rerzius Anpr. J. = Faunae Suecicae a Carolo a’ Linné 
inchoatae Pars I. Lipsiae 1800. 
Risso A. = Histoire naturelle des principales productions 
‘ de l'Europe méridionale ete. Paris 1826. Tom. HI. 
RorseL v. Rosexior A. J. = Historia naturalis Ranarum 
nostratium. Norimbergae 1758. 
Rusconi Mauro = Amours des Salamandres aquatiques. 
Milan 4824, I 
— Développement de la Grenouille comune depuis le 
moment de sa .naissance jusque à son état parfait. 
“Milan 4826. | 
— Hist. nat,, dévoloppement et métamorphose de la Sala. 
__‘—. mandre terrestre — Ouvrage posthume — Pavie 4854. 
Scrinz H. R. = (Fauna Helvetica — Nouv. Mém. de la 
| Sociéte Helvetique. Tom. I. 1837. | 
ScuLeceL Henry. = Essai sur la RAIGIONARIoO des Serpens. 
Amsterdam 1837. i 
Scaneiner J. G. = Allgemeine Naturgeschicte der Schild- 
kròten etc. Leipzig 1783. 
— Historiae Amphibiorum naturalis et litterariae Fasc. L 
Jenae 1799 — Fasc. II. 1801. 


% 


20 


Scnòpr J. D. = Historia Testudinum iconibus illustrata. 
— Erlangaè 1792-1801. | 
Scuweiccer = in Kénigsberger Archiv fr Natuewisson 
schaft u. Mathematik, 4844- 1842. — 
Skaw Grorc. = General Zoology, or systematie natural 
history with pratese ele. London. — VEL IL AMIRDI, 
bia. 1802. 


. Srurm Jacos = Deutschlands Fauna — Abtheil. HI. Die 
Amphibien — Niirnberg 1797-1828. © 

Tscupi J. J. = Monographie der Schweizerischen Echsen — 
Nouv. Mém. de la Soc. Helvet. Tom. I. 1837. 


— Classification der Batrachier ete. — N. Mém. de la 
Soc. Helvet. Tom. II. 1838. 
| Waccer Jon. = Natiirlisches System der Amphibien — 


Miinchen Stuttgart, 1830. 

Waxsaum J. = Chelonographia, oder Beschreibung ciniger 
Schildkròten nach natirl. Urbildern verfasst. Lilbeck 
1782. | di 

Wiecmann A. F. = -Herpetologia Mexicana, seu descriptio - 
Amphibiorum novae Hispaniae ete.-Pars I Saurorum 
species complectens — Berolini 1834. 

Wocr = in Deutsch. Fauna — vedi Srunw. 

Wucer Jon. C..= Ichthyologia cum. Amphibiis Regni Bo- 
russici, methodo Linn. disposita. Regiomonti 1765. 

“Worrerpain J. P. = Salamandrologia h. e. Descriptio histo- 
rico-philologico-philosophico-medica Salamandrae quae 
vulgo in igne vivere creditur ete. Norimbergae 1683. 

Wwper_ 1. F. = Essai sur l’ Histoire naturelle des. Serpens 
de la Suisse — Genève 1826. 


DEI RETTILI IN GENERALE. 


Questa classe di animali della’ quale non è ancora 
‘molto tempo chie i naturalisti determinarono i precisi li- 
miti, era da Linneo compresa sotto il nome di A mphibia , 
denominazione oggidì però generalmente abbandonata per- 
chè equivoca e poco precisa, ed alla quale fu sostituita 
quella di Rettili (4). 

Gli animali ch’ essa abbraccia presentano tante e sì 
svariate modificazioni nelle loro forme, e per conseguenza 
nei movimenti ed in tutto l’ organismo loro, che ben feli- 
cemente si avvisò 1’ illustre Brongniart di soddisfare ad 
un forte bisogno della scienza col dividerli in quattro Or- . 
dini, corrispondenti ciascheduno ad. un genere naturale, 
del quale fu però modificato il nome perchè servir dovesse 
ad una comune significazione. Chiamò quindi ordine dei 


(1) Reptilia da repfare strisciare. - Anche questa parola deve essere 
presa però in un ‘senso meno vago di quello datole comunemente. 

Il Sig. Hermann, Professore di Strasburgo, aveva proposta la denomi- 
nazione di Kryerozoa (dal greco xgvegos freddo, gelido, e Ec0v animale) 


che non venne accettata. 


99 BETTA 


Chelonii Vordine delle testuggini, ordine dei Sauri quello 
delle lucerte, ordine -degli Ofidiî quello dei serpenti, ed 
ordine dei Batraci quello delie rané; e questi quattro gèe- 
neri principali divennero così i tipi di diversi ordini, fa- 
cilissimi a determinarsi per caratteri precisi e costanti, de- 
sunti appunto dalle varie forme delle specie che vi si com- 
prendono, dalla varia organizzazione, e dalle diverse abitu- 
dini loro. 

I Rettili costituiscono una classe ben distinta dei ver- 
tebrati, perchè animali a sangue freddo, a cuore aortico, 
e respiranti per polmoni, almeno nella loro età. perfetia. 
Pel primo carattere vengono essi quindi a distinguersi 
dalle classi superiori dei mammiferi e. degli uccelli; pel 
secondo col terzo si distinguono dai pesci, il cui cuore 
non è aortico, e la cui respirazione succede per un ap- 
parato branchiale permanente. 

Come gli altri vertebrati, anche i Rettili. hanno una 
spina o colonna vertebrale costituita da molte ossa, poste 
capo a capo, e collegate solidamente tra esse; e serve 
questa di base a tutto lo scheletro per determinare le for- 
me del corpo e per coprire e proteggere i principali or- 
gani del sistema nervoso. | 

Le ossa che compongono lo scheletro dei Rettili sono 
presso a poco le stesse che lo costituiscono nei mammi- 
feri e negli uccelli; ma in taluni però ne mancano alcune, 
siccome sarebbe nei serpenti che sono privi non solamente 
delle ossa degli arti, ma altresì dello sterno; e nelle rane, 
nelle quali mancano le coste e sono invece molto Pula 
pati i processi trasversali delle vertebre. 

La testa dei rettili assomiglia per la disposizione delle 
ossa più a quella degli uccelli che non a quella dei mam- 
miferi; il cranio è piccolo, la faccia in generale molto al- 


ERPETOLOGIA 23 


lungata, e la mascella inferiore non articolata direttamente 
coll’osso temporale ma invece col timpanitico, che in molti 
casi è cilindrico e mobilissimo. 

L’occipite è articolato colla prima vertebra mediante 
un solo tubercolo, 0 condilo, a più faccie, e non dotato di 
molta mobilità. Nei Batraci si articola mediante due capi 
articolari. 

La colonna vertebrale presenta nella sua struttura as- 
sai notevoli differenze nei diversi rettili. Così nelle testug- 
gini tutta la sua parte media si salda in modo da costi- 
tuire una sorta di scudo; nei serpenti essa è estremamente 
lunga e di una flessibilità assai grande; nelle rane è molto 
breve e poco mobile. 

Le coste sono generalmente assai numerose; nei ser- 

penti trovansi presso che in tutta la lunghezza del. cor- 
po; ‘moltissime ne hanno i Saurii. Nelle rane all'incontro 
mancano o sono accidentali; nelle testuggini le sedici. co- 
ste sono allargate e saldate fra esse. 
_ Le ossa della spalla nei rettili presentano in generale 
molta analogia con quelle degli uccelli, senza però essere 
così sviluppate. Negli arti anteriori distinguesi un braccio 
composto di un solo osso, l’omero, un avambraceio com- 
posto di radio e di cubito comunemente distinto; ed una ma- 
no avente talvolta la forma di natatoja, tal’altra di piede. In 
generale gli arti posteriori rassomigliano molto agli ante- 
riori. 

I muscoli dei rettili sono di una tinta biancastra, ed i 
loro movimenti sono quasi sempre meno vivi e meno so- 
stenuti che negli animali a sangue caldo. Sono conformati 
gli uni per il nuoto, gli altri per camminare 0. per stri- 
sciare. Le specie che mancano di arti movonsi per le on- 
dulazioni del loro corpo; in quelli che hanno gambe sono 


24 BETTA 

queste generalmente o così brevi o così collocate, che l’a- 
nimale non può alzare molto il ventre dalla terra e si 
move quasi strisciando. i 

L'apparecchio della digestione non presenta alcuna. 
particolarità. La bocca è o non è armata di denti secondo 
i varii ordini e le specie, e nei serpenti le mascelle pos-' 
sono straordinariamente allargarsi. Lo stomaco è semplice 
e membranoso, e si confonde quasi coll’ esofago. Manca 
affatto l’ intestino cieco. Il tubo digestivo termina, come 
negli uccelli, in una cavità in cui mettono pur capo gli 
organi genitali, gli ureteri o i canali che conducono | u- 
more prodotto dai reni ecc., e questa cavità dicesi cloaca. 
Il fegato è quasi sempre molto voluminoso, ed esiste anche 
una vescicola del fiele, un pancreas ed una milza. 
Siccome gli alimenti dei rettili consistono il più spesso 
in animali vivi, così passando questi dall’ esofago nello sto- 
maco vi restano ben tosto compressi e soffocati. Per 1’ a- 
zione chimica dei sughi che investono l'alimento, questo 
sì scompone, si cangia in una specie di poltiglia o in chi- 
mo, e passa allora per Y apertura del piloro negli intesti- 
ni. Colà mescolato ai sughi biliari e pancreatici si sparte 
in chilo ed in feci, come succede in tutti gli altri animali. 

I Rettili hanno in generale la facoltà di espellere il 
residuo della analisi digestiva. Massima è la potenza assor- 
bente o estrattiva dei loro intestini, specialmente nei ser- 
penti che possono digerire persino la materia cornea dei 
peli e delle piume della loro vittima. 

La respirazione di questi animali è aerea e semplice; in 
tutti questa funzione è poco attiva, e possono resistere 
lunghissimo tempo all’ asfissia. I loro polmoni sono d’ una 
struttura poco complicata; il numero dei tramezzi che di- 
vidono l'interno di tali organi in cellule è molto minore 


ERPETOLOGIA i 25 


che nei mammiferi e negli uccelli; e di conseguenza la 
superficie respiratoria a contatto coll’ aria è assai più li- 
mitata. Le lucerte ed i serpenti sono i soli rettili che pos- 
sono respirare meccanicamente colle ossa del petto, o piut- 
tosto coll’ ajuto delle coste, che sono mobili sulla spina 
e sembrano far movere le pareti di un mantice. Nelle lu- 
certe però la cavità addominale non può allargarsi e re- 
n che entro determinati limiti, mentre nei serpen- 

, le cui coste sono libere anteriormente, può invece di- 
1% enormemente. 

Nei Chelonii e nei serra le coste: non vengono mai 
adoperate per l’atto della respirazione perchè allargate e 
saldate fra’ loro nei primi, mancanti 0 troppo certe nei 
secondi. I Chelonii, i Saurii, ed i Batraci adulti hanno due 
polmoni; gli Ofidii ne hanno invece uno solo, l’ altro es- 
sendo piccolissimo ed abortito. I Batraci mella prima loro 
età sono tutti forniti di branchie e non respirano che nel- 
l’acqua come i pesci; pochi soli, nessuno: però fra i no- 
stri, rimangono per tutta la vita con questa organizzazione. 

La circolazione del sangue è incompleta nei rettili, vale 
a dire che tutto il sangue venoso: derivante dalle diverse 
parti del corpo non attraversa i polmoni e non si cangia 
in sangue arterioso prima che ritorni alle stesse parti. 

Il cuore presenta generalmente due orecchiette ed un 
solo ventricolo, di modo che il sangue venoso e l’arterio- 
so si mischiano in varie proporzioni nel cuore, e da que- 
sto viene il sangue nuovamente respinto, in parte ancora: 
ai polmoni, ed in parte al resto del corpo. Le arterie che 
vanno dal cuore ai polmoni hanno sempre un tronco se- 
parato dall’ aorta. Nei Batraci il cuore ha una sola orec- 
chietta, ed un tronco comune per l’aorta e La l’ arteria 
polmonare. 


26: o BETTA 


‘È da notarsi come carattere principale dei Rettili che 
la loro circolazione polmonare è parziale. Non è che una 
porzione del loro sangue che penetra nel polmone, e que- 
sta sarà probabilmente la causa cui devonsi attribuire le 
‘variazioni di temperatura del loro corpo, che mettesi quasi 
costantemente in equilibrio con quella dell’ ambiente in 
cui sono collocati. È poi principalmente da questa parti- 
colarità della respirazione aerea che deriva la facoltà in 
essi di renderla arbitraria in modo da moderarne |’ azione, 
da ritardarla, eccitarla, accellerarla ed anche sospenderla 
per uno spazio più o meno lungo di tempo, e’ continuare 
a vivere così senza apparenza di respirazione ariche quan- 
do sieno sommersi nell'acqua, od obbligati a restare in 
un’atmosfera viziata e non respirabile. In tali casi è evi- 
dente che il corso del sangue non è arrestato, e che questo 
fluido può ritornare alle diverse parti del corpo senza do- 
ver attraversare i polmoni. 

Gli organi dei sensi hanno poca finezza. Gli oechi sono 
ordinariamente piccoli; ma conformati come nei mammi- 
feri e negli uccelli; le orbite sono incomplete, ed in gene- 
rale havvi una terza palpebra semitrasparente e movibile 
trasversalmente. L’ orecchio ha una struttura assai meno 
complicata che quella degli animali superiori; manca sem- 
pre il padiglione ed il condotto auditivo; e la membrana 
del timpano è il più spesso a fior di testa. L'organo del- 
l’odorato è assai poco sviluppato; in generale le fosse 
nasali sono assai piccole, e la membrana mucosa o pitui- 
taria che le veste non presenta che poche od anche nes- 
suna piega o rialzo. Il gusto sembra sia ottuso nei rettili, 
essendo quasi sempre assai poco carnosa la loro lingua. 
Finalmente questi animali non hanno alcun organo spe- 
ciale pel tatto, ed in generale la loro pelle non deve gu- 


ERPETOLOGIA 27 


dere che assai poca sensibilità, specialmente poi nei Che- 
lonii, Saurii ed Ofidii il cui corpo è tutto investito di 
squamme eornee. | 

Nella maggior parte dei rettili l'epidetmità si cangia e 
si rinnova più volte all’ anno, e spesso si stacca in un sol 
pezzo, come un fodero, da cui sorte l’animale. | 

Il sistema nervoso è poco sviluppato; il cervello so- 
pratutto è molto piccolo, e le facoltà di questi animali so- 
no esiremamente limitate. 

.I rettili sono tutti unisessuali. Gli ovari ed i testiali 
doppii e simmetrici. Nei Chelonii, nei Saurii e negli Ofi- 
dii la fecondazione è sempre interna; esterna invece nei 
Batraci, i quali poi effettuano l’atto della generazione sol- 
tanto nell'acqua. Nci primi, i piccoli appena sbucciati ras- 
somigliano in tutto ai loro genitori; nei Batraci all’ invece 
dalla nascita al perfetto loro sviluppo verificasi una singola- 
re metamorfosi, della quale si parlerà in separato articolo. 

I rettili mancano in generale di voce perchè la loro 
trachea manca di quelle condizioni che sono indispensa- 
bili per la produzione dei suoni. Così è sopra ogni altro 
degli Ofidii o serpenti,-e così pure delle testuggini e della 
maggior parte dei Saurii. Nei Batraci all’ invece la laringe 
offre una conformazione ben rimarchevole ed atta precisa- 
mente alla produzione di varie voci, quali il. gracidare 
delle rane, il grido delle ile, una sorta di grugnito dei ro- 
spi ecc. Queste voci nella, maggior parte dei rettili non 
vengono però prodotte che a certe epoche dell’ anno, e 
specialmente nei maschi, quali mezzi di espressioni e di 
comunicazione dei loro bisogni. Questi maschi sono. poi 
anche dotati di altri speciali e sonori stromenti, coll’ ajuto 
dei quali sperano rendere le femmine sensibili ai loro’ voti, 
alle loro passioni. 


28 BETTA 

Molti rettili tramandano odori particolari che sembrano 
essere prodotti dalle evaporazioni degli umori volatili che 
secretano in diverse parti del corpo, ma sopratutto che 
emettono dalla .cloaca, per mezzo di due glandule 0 borse 
più o meno ampie, situate sul margine dell’ ano -all’inter- 
no, nello spessore della base della coda, dette perciò borse 
anali. I Rospi e le Salamandre terrestri hanno oltre i grossi 
pori, dei quali è sparsa la loro pelle, due masse glandulari 
‘situate ai lati della testa, dette parotidîi, che spremute la- 
sciano sortire da piccoli fori un umore ora giallastro, ora 
lattiginoso e spesso, che ha vario odore secondo le specie, 
ma il più frequente acre e nauseante; la natura ha così 
accordato a tali animali una difesa contro i molti loro ne- 
mici, ed un mezzo per proteggere la loro vita. 

Fra le funzioni speciali ad alcuni Rettili dovrebbesi 
quì accennare, ed anzi estesamente parlare del veleno della 
vipera. Siccome però riesce tale argomento della massima 
importanza nella storia di tali animali, così pensiamo di ri- 
servarne il discorso in separato articolo, siccome crediamo 
pure di dovere separatamente trattare della propagazione 
e della riproduzione delle varie parti nei rettili, ai quali 
argomenti seguirà poi a compimento di queste ‘generali 
nozioni l’esposizione delle favole e dei pregiudizj che sem- 
pre svisarono l’Erpetologia. - 

Intanto riassumendo il fin quì detto possiamo a tutta 
prima stabilire alcuni caratteri di distinzione sistematica 
pei quattro ordini dei Rettili, colla riserva di darne poi 
altri più speciali trattando di cadauno di essi separata- 
mente. | 

I Chelonii distinguonsi anzi tutto dagli altri per avere 
la colonna vertebrale con coste saldate le une colle altre, 
e producenti una larga espansione ossea che protegge e 


ERPETOLOGIA 29 


copre tutta fa regione dorsale, e che attaccasi agli arti la- 
terali con un’altra inferiore coprente tutta la regione ad- 
dominale. Le gambe sono in numero di quattro, colle dita 
“munite d’ unghie per lo più coniche ed acute. Le ma- 
seelle mancano sempre di denti; hanno palpebre mobili; 
tutti depongono uova, ed i piccoli hanno già al sortirne 
da esse le forme ed i costumi. che conservano per tutta la 
loro vita. i “nia: aa 

I Saurii hanno vertebre mobili in tutta la loro esten- 
sione, in numero grande, ma minore però che i serpenti. 
La loro pelle è il più spesso. coperta da scaglie cornee di 
varia figura e disposizione. D’ordinario hanno eziandio lo 
sterno, le clavicole, ai completi, tutti con dita distinte 
ed unguicolate; in pochi casi queste parti dello scheletro 
‘sono rudimentali e nascoste ‘dalla pelle. Le mascelle sono. 
fornite di denti, dei quali non di rado è munito anche il 
palato. Le due branche della mandibola inferiore, congiunte 
immobilmente fra loro al mento, non possono essere al- 
lontanate, e non è quindi dilatabile la bocca. Coste. com- 
plete e mobili che possono ajutare la respirazione. In ge-. 
nerale depongono uova a guscio calcareo, molle. 

- Gli Ofidii hanno il corpò assai allungato e stretto, il 
più sovente cilindrico, sempre mancante di gambe e senza 
collo, coperti inticramente di squamme. Tutti.hanno coste 
numerose, ma non sono articolate pel davanti sopra uno 
sterno; servono esse alla respirazione che si effettua in un 
solo polmone sviluppatissimo. L'occhio è privo di palpe- 
bra, e manca affatto il timpano. ‘Hanno denti sulle ma- 
scelle e sulle ossa del palato; la mandibola inferiore non 
è saldata al mento ma costituita da due branche separate, 
suscettibili a discostarsi l’ una dall’ altra. Le loro uova 
sono ovali, allungate e ricoperte da un inviluppo tenace 


90°. VI OBIE TIVA 
e coriaceo; qualche volta i piccoli sbuciano dall’ uovo nel- 
l'interno della madre. ip 
Finalmente i Batraci hanno la pelle nuda, senza co- 
razza e senza squamme; la maggior parte ha quattro gam- 
be a dita distinte, ma costantemente senza unghie. Non 
hanno coste, o le hanno assai brevi, e che non. arrivano 
mai allo sterno, il quale è assai sviluppato. Hanno palpe- 
bre agli occhi. Il cuore. con una sola orecchietta. Ma il ca- 
rattere principale dei Batraci è basato sul loro diverso 
modo di riproduzione. La maggior parte di essi depongono 
uova a guscio molle, le quali vengono fecondate dal ma- 
schio dopo che sono sortite dal corpo della femmina, 
ed il feto subisce varie trasformazioni, una vera metamor- 
fosi che si verifica nella maggior parte: degli organi con 
modificazioni e cangiamenti moltissimi nei costumi e nel 
modo di vivere. nti 


bel veleno delle Vipere. 


Un oggetto importantissimo nella storia dei Rettili si 
è l’ apparato di avvelenamento di cui alcuni di essi sono 
forniti, e la produzione dell’ umore velenoso che portato 
per esso nell’ organismo animale vi cagiona effetti più 0. 
meno fatali,.e persino la morte. 

. Ritenuto anzi tutto per fermo ed incoptrastabile non 
esservi fra noi alcun Rettile velenoso che non appartenga 
all’ ordine degli Ofidii, e non poter esso avvelenare con 
altri modi che colla morsicatura, egli è appunto volgendo 
lo sguardo all’ ordine numerosissimo dei serpenti, a questi 
esseri che per la singolarità delle loro forme e per certe 
particolari abitudini loro: proprie hanno cotanto brillato 
nelle istituzioni religiose e politiche dei popoli, egli è, di- 


ERPETOLOGIA 31 


\cesì, volgendo lo sguardo ai serpenti che pur troppo ne 


troviamo alcuni fra di essi, li quali, contuttochè inferiori 
assai per forza e per mole a quelli abitatori delle regioni 
intertropicali, pure ci inspirano il più grande orrore per- 
chè muniti di, organi e di armi offensive colle quali ponno 
compiere la maggiore delle vendette contro chi. ardisse 
calpestarli, o turbare in altra maniera qualsiasi il toro 
stato di tranquillità e di quiete. Nel mentre è pur d’ uopo 
chinare il capo all’ imperscrutabile fine della Natura nel 
provvedere alcuni serpenti di questo terribile apparato di 
distruzione e di morte, non dobbiamo però del resto  di- 


| sconoscerci da. essa specialmente favoriti, se delle ottanta 


specie velenose all’ ineirca che si conoscono sparse sulla 
faccia del globo, tre sole, e relativamente anche le meno 
pericolose, infestano le nostre contrade.. E mentre infatti 
l'Asia e l’Africa devono temere le terribili Naje, i Bungari, 
le Elapi; e mentre l'America e l’ Asia intertropicale nu- 
trono nelle loro paludi e foreste, o nelle. secche ed aride 
lande i tremendi Trigonocefali e gli orribili Crotali, dotati 
di veleno atto a disorganizzare ed uccidere in pochi mo- 
menti, l Europa non ha sul proprio suolo che tre sole 
specie appartenenti ai generi Vipera e Pelias, se pur non si 
dovesse ammettere per quarta un piccolo trigonocefalo 
( forse il Trigonocephalus Halys Sehlej? ) che secondo il 
Prof. De Filippi (4) si estenderebbe dalla Tariaria fin nei 
dominj della Russia meridionale. o 
Sono queste tre specie europee; 

A. La vipera del corno ( Vipera ammodytes), frequente 
nella Dalmazia ed Illiria, nella Carinzia ed Ungheria; più 
rara nella Morea e nella Sicilia, dove solo da poco tempo 


(41) ZI Regno Animale. Milano 1852. pag. 104. 


SE BETTA 


la riscontrarono i Sig. Bory de St. Vincent e Bibron; abi- 
tatrice di qualche luogo orientale del settentrione d’ Italia. 
e segnatamente dei contorni di Ferrara, secondo Bendiscioli 
e Bonaparte; delle Alpi Bellunesi, almeno da quanto. scri- 
ve il Prof: Catullo; e del Tirolo meridionale in fine, ove. 
fu di recente riscontrata per la prima volta. dal Prof. Vin- 
cenzo Gredler di Bolzano. 

2. La Vipera comune ( Vipera aspis ), propria di tutta 
I’ Italia e delle sue Isole; abitatrice della Grecia, dell’ Asia 
minore, della Dalmazia, dell’ Istria, della Provenza, Delfi- 
nato e di quasi tutto il resto della Francia. Sconosciuta 
però secondo il Prof. Genè nella Sardegna, Corsica e Ca- 
praia. n 
8. Il marasso ( Pelias beh us), sparso nell’ Europa cen- 
trale e settentrionale, e probabilmente anche in una parte - 
dell’ Asia. Trovasi nell’ Inghilterra, nel settentrione della 
Francia, nella Germania, Svizzera, Tirolo, nella Lombardia 
e nel Veneto, segnatamente poi nelle provincie di Mantova 
e Verona. Le confusioni avvenute fra i naturalisti di que- 
sta specie colla precedente non permettono intanto di as- 
segnarle limiti più rigorosi di abitazione. 

Dotati questi tre serpi di potenza ‘venefica, tu facil- 
mente li riconoscerai fra tutti gli innocui per |’ insieme 
delle loro forme, risultanti da più caratteri loro speciali, 
benchè diflicili a presentarsi esattamente descritti. Un corpo 
generalmente corto, assai ingrossato alla metà e conside- 
revolmente ristretto verso il capo e la coda; una testa 
molto larga e distinta dal tronco, depressa ed in forma di 
cuore; occhi piccoli, a pupille verticali e superiormente 
protetti da larga e sporgente piastra; coda grossa, conica 
e brevissima; scaglie del corpo carenate; capo ricoperto di 
scaglie e non di piastre come negli ofidii innocui; colori 


ERPETOLOGLA 33 


poco vivi e limitati per lo più al rossastro, al bruno od 
al cinereo con macchie scure o nerastre; un naturale for- 
pido ed indolente; tardi moti infine e lento procedere, 
| sono tanti caratteri che facilmente potranno a tutta pri- 
ma avvertirti la presenza di un rettile da temersi e fuggire. 
E tali caratteri basteranno anche a distinguere le venefiche 
specie dalle innocue, che ‘una certa rassomiglianza con 
quelle ha fatto a torto oggetto di spavento e di terrore a 
chi per caso le incontra, o vi si trova vicino. | 

Ma venendo all’ esame di più distinti ed interni carat- 
teri che alle specie velenose si spettano, uno ne troveremo 
‘ fra essi che varrà subito a distinguerle da tutte le altre, 
e sul quale come sede del veleno importa assai intratte-. 
nerci, all’ oggetto almeno d’ istruzione per chi pensasse o 
credesse ancora all’ esistenza di altri diversi mezzi coi 
quali possa il Serpe portare il micidiale effetto negli ani- 
mali e nell’ uomo. ide 

Gli ofidii ingojano per intiero gli animali dei quali si 
nutrono, ed i loro denti non servono nè a mrasticare nè 
a sminuzzare, ma sono semplici uneini acuti e ricurvi 
destinati ad aprire ferite nel corpo della preda, a rattenerla, 
e ad agire nel momento della deglutizione. Indipendente- 
mente da tali funzioni, i denti servono a condurre nelle 
ferite l'umore segregato da varie glandule ed analogo alla 
saliva, per preparare la sostanza nutritiva per la digestione. 
Questi denti e questa. glandul@ sono comuni a tutti i ser- 
penti. In varie specie però, e precisamente nelle tre nostre 
di ehe trattasi, oltre questo apparato di salivazione ri- 
scontrasi una glandula particolare destinata a secernere un 
fluido, che portato nell’ organismo animale vi produce ef- 
fetti anche letali; e questa è la glandula detta del veleno. 
Alcuni denti molto più lunghi degli altri, ricurvi, acutis- 

3 


34. BETTA 


simi e vuoti internamente sono inseriti sul tratto anteriore 
delle due ossa mascellari superiori al di sotto degli occhi; 
e questi denti detti da alcuni canini, ma più propriamente 
veleniferi, sono i veri conduttori del veleno. 

Questi denti lunghi da 4 a 5 millimetri, variano in 
numero vedendosene talvolta uno per lato, più spesso due. 
ed anche tre; e presso la base di tali denti grandi: e soli- 
damente piantati, se ne scorgono varj altri più piccoli, 
adunchi, di lunghezza ineguale, mal fermi, ma pronti a 
consolidarsi e crescere, ed a sostituire i primi nel caso 
che la vipera venga a perderli per qualche accidente. 

I denti veleniferi sono cavi internamente, ed un setto 
longitudinale transverso li divide in due distinte cavità; 
la posteriore, ossia quella che guarda verso le fauci, riceve 
alla base del dente i vasi ed i nervi che lo attaccano alla 
mascella ; l’ anteriore cavità si apre inferiormente in una 
fessura angusta, bislunga e prossima alla punta del dente; 
e presso la base di questo, sempre dal lato anteriore ha 
un orificio più largo. Una specie di guaina composta di 
fibre fortissime e di tessuto cellulare, riceve e ‘nasconde 
questi denti, e la loro punta è volta all’ indentro. Solo 
quando l’animale apre la bocca e sta per offendere. col- 
l’abbassare posteriormente le ossa della mascella li sguaina 
e li trae colla punta all’ innanzi. 

Il veleno viene elaborato dalle due glandule collocate 
ai lati della mascella ungpoco all'indietro dell’ orbita e 
quasi immediatamente sotto alla pelle; mna vescichetta lo 
raccoglie da ciascun lato, e pel canaletto escretore di cui 
è fornita viene avviato verso la base del dente velenifero, 
sotto la piega della membrana che lo investe. 

Quando la Vipera morde, nel confiecare il dente nella 
ferita e nel chiudere la bocca contrae un muscolo che 


ERPETOLOGLA 39 


premendo: la vescichetta ne fa escire il veleno contenuto, 
il quale spinto così alla base del dente traversa il fodero 
che lo: inviluppa, entra nella cavità del dente per 1’ orifi- 
zio situato alla sua base, e sorte per quello posto verso la 
punta, injettandosi così nella ferita per portarsi poi nella 
circolazione del sangue, e rendere manifesta la tremenda 
sua proprietà venefica. 

Questi denti e questo fluido sono quindi, lo si ripete, 
l’unico mezzo di avvelenamento, nè oltre di questo de- 
vonsi assolutamente credere provveduti d’ altro i serpenti. 
Fra i pregiudizj del volgo e fra le più assurde credenze si 
dovrà quindi passare la mortifera proprietà attribuita al- 
l’ alito, alla biforcuta lingua, alla bava e persino alla coda, 
che qualcheduno pensa forse iuttora sedi o veicoli del 
veleno. 

A maggior chiarezza del meccanismo che sta celato nel 
capo della vipera, ed a più facile intelligenza dell’ appa- 
rato di avvelenamento ora descritto, non ho creduto su- 
perfluo di presentarlo figurato in apposita tavola. i 

ll veleno è un umore trasparente, d’ una tinta  gialla- 
stra tendente al verdastro, alcun poco vischioso. Essiccato 
ingiallisce, si fa lucente come vernice e si attacca forte- 
mente agli oggetti. Non ha odore nè sapore, non è nè 
acido, nè alcalino. Non abbruccia con fiamma se gettato 
sopra corpo infocato; trattato cogli acidi non isviluppa al- 
cun gas. Ma le tante ricerche fatte sulla natura di questo 
veleno non hanno ancora scoperte le vere cause della sua 
potenza settica, capace di determinare la corruzione e pu- 
irefazione delle carni e la decomposizione dei: tessuti or- 
ganici come se fossero subitamente privati della. vita. 
Conserva la sua qualità micidiale per. molto. tempo dopo 
essiccato, e si conoscono anche fra noi varj disgraziati 


36 BETTA 


accidenti per ferite riportate da denti di vipera, ad onta 
che la testa fosse da molto tempo distaccata dal corpo, e 
che il veleno si trovasse solidificato sul dente. E questa 
proprietà micidiale del veleno secco che il celebre fisico 
Fontana (4) portava a più mesi, limitandolo però al nono, 
risulterebbe ancora molto più durevole secondo le poste- 
riori esperienze del Prof. Mangili (2), l'esito delle quali 
provò manifestarsi I’ azione del veleno secco anche 48, 22 
e persino 26 mesi dopo levato da suoi naturali ricettacoli, 
purchè però sia stato conservato con ogni cautela. 

Un numero considerevole di esperienze e di osserva- 
zioni ha con ogni certezza dimostrato potersi impunemente 
inghiottire il veleno della vipera, purchè non sianvi esco- 
riazioni od ulceri nella boeca o nella gola pel di cui mezzo 
protrebbe allora insinuarsi nella circolazione del sangue. 
Questo fatto era anche conosciuto dagli antichi, leggendosi 
in Celso « nam venenum serpentis ... non gustu sed în vul- 
nere nocel » (3), e trovandosi in Lucano accennato quanto 
hanno poi in proposito confermato le bellissime esperienze 
di Redi e di Charas, e quelle altresì istituite dal prelodato 
Prof. Mangili (4). 

Da tutto ciò vedesi chiaramente che il veleno non può 
produrre le micidiali sue conseguenze se non venga diret- 
tamente versato nel torrente della circolazione mediante 
una ferita. In tal caso i sintomi dell’ avvelenamento si 


(4) Traitè sur le venin de la Vipère. Florence 1781. Vol. I. pag. 310. 
(2) Discorso intorno al veleno della vipera. Giornale di fisica e chi- 
mica di Brugnatelli. Anno 1816. Tom. IX. pag. 458. 
° (5) C. Celsi. De re medica. Lib. V. cap. 2. 
(4) Discorso sul veleno della vipera. Giornale cituto. Anno 4809. 
Tom. JI. pag. 220. 


ERPETOLOGIA . 37 


manifestano più o meno solleciti, più 0 meno gravi, se- 
condo la quantità del veleno. innestato, e secondo la parte 
ferita. Ecco quindi perchè la morsicatura fatta p. e. nella 
lingua, nel collo, in una vena, o in una parte ricca di 
vasi sanguigni riesce quasi sempre fatale, mentre rimane 
di frequente senza conseguenza se aperta: in parte dura e 
callosa del corpo, e molto digli, dali centro della circo- 
lazione. i 
E provato che il veleno non ha influenza alcuna nella 
aggior parte degli animali invertebrati, siccome i mollu-. 
va gli annellidi ecc. Debole «è la sua potenza sui verte- 
brati a sangue freddo, e secondo Fontana sarebbe anzi. 
innocuo per alcuni di essi, quali la vipera stessa e lion: 
gue od orbetto. Benchè tale sia. anche il giudizio di altri 
autori non è però'a tacersi come le esperienze «del Pro- 
fessore Mangili abbiano provato invece mortale il veleno. 
anche per le stesse vipere. Egli asserisce d’ aver veduto ‘ 
morire dopo non molte ore un viperino fatto morsicare- 
da una vipera, ed.un altro per effetto del veleno levato . 
da una vipera ed ‘introdottogli nella sostanza muscolosa 
del dorso. Così, secondo lo stesso autore, molti ‘altri espe- 
rimenti avrebbero provato che. anche diversi animali a san- 
gue freddo, quali le rane, i rospi, i ramarri, i colubri ca- 
dino pur essi vittime del veleno, solo tardando assai in 
questi animali in confronto degli altri ‘a manifestarsene 
gli effetti. i i 
Negli animali a sangue caldo ib morso della vipera: è 
‘tanto meno funesto quanto maggiore è la loro mole, pero 
‘modo che fra noi si può presumere non. sempre mortale 
nè per l’ uomo nè pei grandi quadrupedi ed uccelli. La 
virulenza del veleno, e quindi il maggiore o minore peri- 
colo del morso dipende anche da molte altre cifcostanze 


36 i BETTA 


che ben difficile sarebbe tutte enumerare. Così riesce più 
o meno pericoloso secondo la maggiore o minore quantità 
del veleno injettato, chè talvolta è uno solo dei denti che 
ferisce, tal’ altra tutti. e due; talora la vipera non morde 
che una sol fiata, talora invece dà replicati morsi; alcune. 
volte infine morde un animale dopo aver scaricato parte 
del veleno in'un altro. Ha pure influenza sulla maggiore 
o minore letalità «del veleno, la temperatura più o meno 
calda del clima e della stagione, lo stato più o meno irri- 
tato della’ vipera; 1° età, Cla costituzione fisica, la suscetti-. 
bilità nervoso- sanguigna dell’ individuo ferito, e senza dub- 
bio poi anche l’ impressione più o meno manifesta dello 
spavento portato dalla ferita. E provato ‘che gli individui 
a temperamento linfatico 0 nervoso,..e. sopratutto: quelli 
che hanno disposizione alle ‘affezioni isteriche sono più 
‘vivamente impressionati “dal veleno della vipera; ed il 
- Sig. Delpech osservò dimostrato dalla esperienza’ che gli 
‘individui i più robusti, i meno irritabili, sono i.meno 808- 
getti” all’azione di questo veleno. i 
‘Del resto innumerevoli esperienze furono istituite per 
‘conoscere i varj gradi di ‘attività del veleno, e per trovare 
| Ì mezzi più pronti e più sicuri per arrestarne gli spaven- 
tosì. efletti. Molti autori ne trattarono, e particolarmente 
fra noi il classico Redi e il celeberrimo Abate Fontana, 
| uno dei. migliori fisici e naturalisti dei suoi tempi, il quale 
ebbe la pazienza di istituire più migliaja di esperienze in 
proposito. Dal «complesso di queste puossi desumere abbi- 
sognare almeno tre grani del fluido velenoso per uccidere 
un uomo nelle circostanze ordinarie; mentre basterebbe 
un centesimo di grano per uecidere prontamente un  pas- 
sero, ùn usignuolo, e sei volte tanto per far morire un 
‘piccione. Ora, siccome la vipera ha in cadauna: delle due 


ERPETOLOGIA 39 


vescichette. appena due. grani di. veleno, che non ponno 
d’altronde innocularsi nella ferita che per replicati morsi, 
così per occasionare la morte in un uomo sarebbero ne- 
cessarie varie morsicature, non deponendosi per ognuna 
di esse nella ferita che mezzo grano all’ incirca di umore 
velenoso. E però d’ uopo ricordare che quì si parla del 
caso in cui l’ uomo morsicato sia. di buona costituzione 
fisica e nullamente impressionato dall’ accidente. Le donne 
ed i fanciulli sono molto più facilmente soggeiti alle con- 
seguenze del morso. 
Allorché Ja vipera ha Filo ed i denti | penetrarono 
nelle carni, passando la pelle per piccolo ed invisibile foro, 
ha luogo nello stesso istante, come già si disse, l’ injezione 
del veleno che più o.meno prontamente assorbito, non 
tarda a manifestare i suoi lagrimevoli effetti. Le conseguenze 
ed i terribili fenomeni o patimenti che ne susseguono, se 
i sussidii terapeutici non l’ impediscono il più presto pos- 
sibile, destano raccapriccio al solo pensarvi. A quanto sceri- 
vono gli autori, un acutissimo dolore si diffonde in tutta 
la parte morsicata, a cui sussegue torpore, enfiagione, ed 
arrossamento: il calore della parte si aumenta e questa. SÌ 
fa violacea, poi livida, fredda e quasi insensibile. Una pro- 
strazione generale del fisico, una affannosa respirazione, 
una sete ardente manifestano quindi i progressi del veleno 
nelle altre parti del corpo. Susseguono il deliquio, vomiti 
violenti, tremori alie membra, la timpanitide, un vivo do- 
lore ai lombi, la paralisia al collo della vescica e le deje- 
zioni involontarie. Il polso si fa. piccolo, profondo,  inter- 
mittente e convulsivo; un sangue nero e purulento cola 
dalla ferita, nè tardano a mostrarsi le macchie livide, 
primi indizj della cancrena. Ed è tra questi atroci dolori 
e tra altre maggiori angoscie che l’ infelice paziente ver- 


40 BETTA 


rebbe poi tratto a morte in più o meno spazio di tempo, 
se ben tosto o le forze della natura, od i soccorsi dell’ arte 
non venissero a calmare quei terribili sintomi. i 
-. Importa però avvertire che oltre all’ essersi notate non 
piccole differenze di tempo seconde i casi nello sviluppo 
dei sintomi primordiali, non sempre si presentano e con- 
corrono in un individuo tutti i fenomeni sopra accennati. 
Quello che non manca quasi mai, ed. è il primo a mani- 
festarsi, si è l’ enfiagione della parte offesa, che va. poi 
mano mano aumentandosi e diffondendosi sino quasi ad 
invadere una metà di tutto il corpo. Qualche volta isian- 
tanea o non appariscente che ‘cinque minuti od un quarto 
d’ora dopo l’accidente, tardò in altri casi fino anche oltre 
mezz’ ora dopo. Qualche volta l enfiagione diminuisce al- 
l’aumentarsi d’ intensità degli altri sintomi; il più spesso 
si diffonde per tutto il tronco, ed in qualche caso si osservò 
la lingua «del paziente fortemente gonfiata e di un colore 
nerastro. Nello stesso tempo che la parte offesa si gonfia 
manifestasi attorno alla ferita una piccola aureola infiam- 
matoria molte volte assai apparente, ma che fugge. facil- 
mente alla vista dell’ individuo morsicato. 
E raccomandabile | attenzione a tale aureola la quale 
manifesta il punto ove penetrò il dente velenifero, che di- 
versamente è ben difficile scorgere attesa 1’ estrema picco- 
lezza del foro. Per fortuna però è questo in generale pron- 
tamente palesato da una ed anche talvolta da molte goccie 
di sangue che sortono dalla ferita, e permettono così di 
trovare la traccia dei denti; cosa importantissima da 0s- 
servarsi per decidere se la morsicatura sia stata portata 
da un rettile innocuo o da una vipera. Nel primo caso i 
denti lasciano due linee curve di punture pressochè eguali 
e delle quali la concavità si riguarda; nel secondo i denti 


ERPETOLOGIA 4A 


veleniferi lasciano le punture assai più distinte di quelle 
fatte dagli altri denti. 

Si disse che la forza vitale può calmare i sintomi e 
vincere la potenza del veleno; ed infatti in alcuni casi 
videsi bastare a ciò da se sola, indipendentemente da ogni 
sussidio che potesse l’arte medica suggerire. Sulla efficacia 
poi dei soccorsi della medicina ad impedire i sintomi, i 
progressi ed i funesti effetti della intossicazione, è ad av- 
vertirsi come non sarà mai-in verun caso a disperarsi 
della guarigione quand’ anche od il ritardato ricerso al 
medico, o qualche sinistro accidente avesse già permesso 
manifestarsi i sintomi del veleno. Benchè possano darsi, 
e siansi infatti sgraziatamente notate alcune eccezioni sullo 
spazio di tempo entro cui l’uomo può venir tratto a morte, 
si può però segnare come termine medio le 12 alle 15 ore, 
ed a ben pochi quindi mancheranno frattanto quei soc- 
‘corsi che varranno a salvarlo, od almeno a ritardare le 
conseguenze del morso fino a che. possa giovargli 1’ arte 
medica. I 

Numerosissimi sono i rimedj nei varj tempi prestati ed 
esperimentati contro il veleno viperino, dei quali I° effica- 
cia vantata dagli uni, rivocata in dubbio dagli altri venne 
infine dimostrata nulla da ulteriori e più precise. espe- 
rienze. Ogni paese offre persone e ciarlatani che preten- 
dono possedere l’ arte di guarire dal morso dei serpenti; 
ed i rimedii che apprestano sono tanto variati e molte- 
plici quante sono le idee ed i pregiudizj di chi li sommi- 
nistra. I tre regni della natura furono messi a contribu- 
zione; e chi pretendeva guarire con preparati animali, chi 
con decozioni e polvere di vegetabili, chi con minerali 
prodotti. Ed è ben a deplorarsi che alcuni accidenti ab- 
biano potuto mantenere in qualche caso alcuni pregiudizj 


42 BETTA 

ed alcune credenze di efficacia in mezzi d’ altronde ‘asso- 
lutamente nulli, impropri ed anche inopportuni. Non isno- 
rasi come qualche persona appoggi l’ efficacia del suo 
preteso rimedio a qualche fatto di ottenuta guarigione 
coll’ uso di esso. Ma in tal caso non avremo altre diverse 
e ben più forli circostanze, cui ascrivere piuttosto 1’ esito 
avuto ? È importante l’ avvertire come generalmente dal 
volgo non si sappiano ancora ben distinguere i rettili ve- 
lenosi dagli innocui, e si confondino quindi questi con 
quelli, e si ritenga velenosa la morsicatura di ogni ser- 
pente. 

Ma quanto mi ha maggiormente sorpreso fu l’ aver tro- 
vato or sono appena due anni, persona, non certamente 
del resto priva di educazione e sapere, che vantavami 
ancora la miracolosa potenza di una sua piccola pietra, la 
quale soltanto applicata alla ferita rendeva pronta e si- 
cura la guarigione dal morso d’ogni rettile velenoso. Per 
quanto mi facessi in allora a persuaderlo della erronea 
credenza sua, inutili riescirono le mie parole, e non mi 
restò che il doloroso pensiero del caso possibile di chi mor- 
sicato -da un vero serpente velenoso, fosse ricorso in quel 
paese al proprietario del chimerico rimedio con altrettan- 
ta credulità e confidenza nella sua efficacia, quanta esso 
gliene attribuiva senza esitazione qualsiasi. E ricordava 
come in più remoti tempi avesse avuto vanto consimile 
di salvamento l applicazione di una certa pietra nerastra 
o verdastra che i ciarlatani vendevano ad altissimo prezzo, 
| attribuendole la virtù di assorbire’ prontamente e. total- 
mente il fluido velenoso dalla ferita, cui solo venisse ap- 
plicata. Intendo dire della pietra conosciuta sotto il nome 
di Pedro de Cobras o Cobra de capello, che Vitaliano Redi 
ha poi pubblicamente e sotto gli stessi cechi del Granduca 


ERPETOLOGIA 43 


di Toscana provata di nessuna efficacia, dimostrando chi- 
meriche ed assurde tutte le proprietà attribuitele. Io pos- 
siedo una di queste pietre gentilmente favoritami come 
oggetto di pura curiosità dall’ ottimo amico Dott. Pietro 
Paolo Martinati; essa non è altro che um’argilla preparata 
dai ciarlatani e che assorbe naturalmente 1’ umidità; è ri- 
dotta a forma di una manidola ovale, schiacciata, assotti- 
gliata ai margini; ha un color cinereo- brunastro; è ontuo- 
sa al tatto, ed applicata alla lingua vi aderisce forte- 
mente (*). | i 


(") Perchè si conoscano le millantate proprietà e 1°-uso di questa 
pietra non sarà senza interesse il leggere l'autentica a stampa che accom- 


pagna la pietra donatami, e di cui ‘ecco il preciso tenore : 


Virtù maravigliose 
DELLA PIETRA ‘COBRA CHE VIENE DALLINDIE. 


« Questa pietra Cobra, perche tale viene chiamata in lingua Porto- 
ghese, onde in molte Provincie dell’ Indie Orientali, e principalmente nel 
Quamsi, e nell’Indostan nascono certi Serpenti. velenosissimi con il capo 
peloso, e perciò chiamati Serpi capelluli, lî quali sogliono essere cercati, 
e colti con gran diligenza da certi Uomini solitari], come Romili, deli Jo- 
gnes; che sono Filosofi, è Sacerdoti delle Genti Idolatre di quei Paesi; e 
ne’ detti Serpenti vi si trova la ‘sudetta Pietra di mirabili virtù le quali 
sono le seguenti. tei 

« Il suo colore suol essere nero, e ve ne sono macchiate di color 
cennericcio; per conoscere la sudetta Pietra se sia buona, ò falsa, appli- 
‘candola è i labbri deve attaccarsi. tenacemente. i) 

‘a Applicata detta‘ Pietra sopra la morsicatura, o puntura di qualsivo- 
glia Animale velenoso, subito si attacca tenacemente, e ne’ succhia il ve- . 
leno, e dopo cade da per sè, lasciando sana, e libera la ‘persona offesa. 
Essendosi staccata la Pietra, si mette in un poco di latte, ò vino, 0 acqua 
tepida lasciandovela per un poco di tempo, ‘dove rigetta tutto il veleno, e 


poi lavandola bene. si pone da parte per' altre: occasioni.. 


44 . BETTA 


Dettosi del veleno e suoi effetti non sarà inutile | in- 
dicare anche fra la .tanta folla di rimedj esperimentati , 
quelli adoperati fino ad ora con maggiori successi, e l’uso . 
dei quali fu generalmente riconosciuto. | 

Avvyenuta la disgrazia sarà prima cautela da prendersi 
il praticare una legatura, non però troppo stretta, al di 
sopra della ferita per impedire possibilmente la comuni- 
cazione del veleno alle altre parti del corpo. Si laverà e 
netterà subito dopo la parte offesa per evitare che il 
veleno che potrebbe trovarsi aderente alla pelle, penetri 


« Se dopo caduta la Pietra dalla parte offesa continuasse il dolore, 
doppo averla lavata ‘bisogna applicarvela un’altra volta, e continuare così, 
fin a tanto, che il dolore sarà totalmente cessato, perchè mentre sarà ma- 
teria velenosa, sempre la Pietra vi si attaccarà. 

« Se a caso la morsicatura, o puntura fosse molto piccola. o già ser- 
rata, bisogna aprirla alquanto con la punta di un coltello, o temperino 
acciò la Pietra vi si possa attaccar meglio. | lt, 

“ « Applicata la sudelta. Pielra sopra le morsieature de ‘Cani, Vipere, ‘ 
Scorpioni, Ragni, Vespe, o di qualsivoglia altro animale rabbioso, sana pa- 
rimenti in brevissimo tempo. 

« La detta pietra applicata sopra le “email carboni pestilenziali, tu- 
mori maligni, ed altri simili mali, facendo prima.sopra una piccola. inci- 
sione, acciò vi possa attaccare, ne succhia in breve ogni malignità. 

« Polverizata, e data a bere con vino, 0 acqua, scaccia qualsisia veleno, 
che per morso di animale velenoso fosse stato introdotto rielle parti più 
nobili, ed interiori del corpo. 

a Con felicissimo suceesso è stata adoperata da molti per curarsi da 
varie ulcere, piaghe, ed altri morbi esteriori causati da mal Francese, e 
principalmente per le Pannocchie, ecc. quando per- debolezza della natura 
non possono venire a capo. facendovi prima sopra una picciola. incisione 
aeciò la Pietra vi si possa attaccare. È o 

« Parimenti con la detta Pietra, si sanano tutte le gonfiagioni causate 
da punture di spine, o dal concorso di umori sommamente maligni, con- 
tinuando l’ applicazione di essa. 


ERPETOLOGIA 45 


nella ferita al momento della scarificazione, che sarà bene 
praticare prontamente, ed alla maggiore profondità cui 
puossi giugnere senza pericolo o con ferro rovente, o con 
pietra caustica, o con- qualche goccia di acido solforico. 
Ta successiva applicazione d’ una ventosa fu trovata di 
effetto quasi sicuro. Così anche fu usato utilmente un 
pizzico di polvere da schioppo abbrucciata sulla piaga, del 
qual mezzo anzi si giovano i petrajuoli.ed i minatori della 
‘ Dalmazia esposti con molta facilità al morso della Vipera 
ammodytes, solita per lo più a ricoverarsi in regioni aride, 


« Nuovamente nella Puglia è stata da alcuni adoperata per curarsi dal 
morso della Tarantola, li quali con mirabile brevità, e felicità sono restati 
sani, e liberi da si stravagante, e dolorosa malatia. 

« Avvertasi, doppo che la Pietra si sarà staccata da sè, d’essere vigi- 
lanti nel ponerla nel latte tepido, o vino tepido, o anche acqua, e lasciar- 
vela per lo spazio di trè, o quattro ore, secondo la qualità del veleno, acciò 
lo possa vomitare, e lavata la medesima, di gettar via il latte, vino, o acqua, 
perche a caso bevuto da qualcheduno, potrebbe privarlo di vita, o causarli 
grave infermità, secondo la qualità, e quantità del veleno succhiato dalla 
Pietra. 

« I popoli dell’ Indie Orientali trovandosi aggravati da febre maligna, 
o da qualche altro morbo intrinseco veemente, si fanno un'incisione, cioe 
taglio in qualche parte del corpo, se fosse il taglio anche dell’ istesso sa- 
lasso, dove applicano delle pietre sudette, ricuperano la sanità. 

« Dice il Petruci, che la sudelta pietra ligata in Argento, e portata 
ligata al bracio destro fà sicuro ogni uno di non esser morsicalo da al- 
cun animale velenoso, e da qual si sia Fiera, e di farsi pigliare amore. 

« Infinite sono le virtù di questa Pietra, e chi desidera saperle più 
a pieno legga la China illustrata del Padre Attanasio Kirkel, la Flora Chi- 
nese del Padre Michele Bovin, il Mercurio Bresilico del Padre Valentino 
Stanzel, il Prodomo Apologetico di Giuseppe Petrucci, e varj altri, che ne 
hanno trattato: della medesima Pietra si sono fatte. mirabili esperienze 
nell’ Asia, America, Europa ed Italia. » 


« In Lisbona, et in Genova, Con Licenza de Superiori » . 


46 BIESILILA 


sassose, e fra le fessure delle roccie stesse. So anzi da 
ragguardevole personaggio che ha colà più volte ed a lun- 
go presieduto ai lavori dei minatori, come formasse spe- 
ciale articolo delle istruzioni loro il tenersi sempre prov- 
veduti di una fiaschetta con polvere da fucile, per usarne 
prontamente nel caso della morsicatura. 

Fra i rimedii più giovevoli per la prontezza con cui 
possono essere usati, havvi anche il succhiamento della 
piaga adoperato subito dopo la morsicatura da sana e 
spregiudicata persona; e ben ne conoscevano i vantagio- 
sissimi effetti i Musi e gli Psilli che seguivano i romani 
eserciti nelle regioni del mezzodì, che più abbondano di 
serpenti velenosi. I 

Uno dei più possenti farmaci però nella cura, e di 
un uso esteso e si può dire oramai unico, si è l’ am- 
moniaca liquida per la sua forza e celerità di diffusione, 
non minore certamente di quella del veleno viperino. 
Non mancarono in vero gli oppositori anche contro l’azio- 
ne specifica di tale farmaco; ma le eccezioni special- 
mente avvanzate dal Professore Mongiardini di Genova die- 
dero causa a tante esperienze ed osservazioni che finirono 
a combattere e confutare le opposizioni, ed a stabilire 
positivamente l’ efficacia dell’ammoniaca, che il Profes- 
sore Mangili chiama anzi il sovrano rimedio contro il morso 
della vipera. 

Per usarne si pongono sulla piaga alcuni pannolini 
inzuppati dell’alcali, e se ne bevono entro un cucchiajo 
d'acqua da due fino ad otto ed anche dieei goccie, mo- 
dificandone la dose secondo l’ età, la robustezza ed il tem- 
peramento delle persone; avvertenza ben necessaria, per- 
chè a dosi forti potrebbe ingenerare disordini nell’ orga- 
nismo ed agire come caustico. L’ efficacia di questo pre- 


ERPETOLOGIA 47 


zioso rimedio si: mostra anche sc sia somministrato qual. 
che ora dopo avvenuto il morso. 

E quì se potesse aver luogo un mio desiderio vivis- 
simo, quello sarebbe di vedere inculcato dalle Autorità 
un preciso rapporto e ragguaglio annuo dei casi e delle 
cure fra noi verificabili. Il medico nel prestarvisi, adem- 
piendo ai doveri dell’arte sua, compirà altresì altro do- 
vere, il più caritatevole e santo, quello di offrire coll’ esi- 
to della cura le prove indubbie su quanto più giova a 
salvare dal veleno viperino, ed a facilitare a tutti la seelta 
del mezzo. 

‘ Che se inoltre un consiglio mi è lecito di qui .dare 
agli abitanti di alcune speciali regioni, quello sarebbe che 
dovendo temere maggiori pericoli per la frequenza ed ab- 
bondanza delle vipere nei luoghi che essi abitano o tra- 
scorrono, non si lasciassero trovare mai sprovvisti di am- 
moniaca liquida, che potrebbero anzi tenere sulla persona 
in vetro ben chiuso; precauzione poi questa della quale 
non dovrà mai dimenticarsi chi specialmente è obbligato 
per le proprie ricerche scientifiche, o per altra causa, ad 
allontanarsi molto dagli abitati, a perlustrare i luoghi più 
discosti ed aridi, ed a frugare fra i cespugli, le macerie, 
i sassi e le roccie, abitazioni ordinarie della vipera. 

Nel. Veneto abbiamo p. es. il Bosco Montello che gode 
una tal quale celebrità per la enorme quantità di vipere 
che popolano ogni suo cespuglio od argine, e stanno nasco- 
ste sotto ogni pietra. Il viandante deve paventare assai di 
restarne offeso, ed usansi infatti colà aleune cautele per di- 
fendere il piede e la gamba dal morso della vipera, che con 
ogni facilità potrebbe essere inavvertitamente calpestata. 

In Lombardia havvi pure. altro. bosco rinomato per 
l'abbondanza delle vipere, e questo è il bosco della Lontana 


48 BETTA 


a circa tre miglia da Mantova. E consimile celebrità , e 
forse anche maggiore, avrebbe pure nel Genovesato il monte 
Bertone verso le sorgenti del Taro e della Trebbia, il 
quale, secondo le osservazioni del Prof. Genè, riesce per 
due terzi dell’anno, ed a rigor di parola inaeeessibile per 
la enorme quantità di vipere- che lo popolano. 

Che se ’ accidente portasse di non avere in pronto 
l’ammoniaca, furono esperimentati e trovati opportuni al- 
tri sussidii, quali sarebbero il vino generoso, la teriaca 
mista con esso, il dioscordio, gli oppiati in generale, l’acqua- 
vita ed altri liquori spiritosi e forti, una sollecita e pro- 
lungata corsa, insomma tutto ciò che è proprio ad acere- 
scere l’azione del cuore ed'a promuovere un copioso su- 
dore. Sarà però sempre in ogni caso consigliabile il ricorso 
a persone dell’ arte e la non troppa fiducia nei surrogati, 
che se qualche volta giovarono, non sempre però possono 
supplire o suppliscono imperfettamente alla cura energica 
e sicura che la medicina può apprestare. 


Della propagazione. 


Dettosi quanto più importava sulla proprietà venefica 
di alcuni serpenti e. sui rimedj più efficaci da contrap- 
porvisi, toccheremo ora i diversi modi di generazione ed 
accoppiamento nei rettili, così poco conosciuti in generale 
ed intorno ai quali vennero scritte, o sentonsi narrare le 
più ridicole ed assurde cose. 

Nel trattare però tale argomento mi astengo per più 
ragioni dall’ entrare in minuti particolari, anche perchè 
ai giovani studiosi, ai quali specialmente è dedicato questo 
mio lavoro, basterà conoscere i fatti principali sul modo 
con cui i rettili adempiono un’ importantissimo debito di 


ERPETOLOGIA 49 


natura; e perchè i desiderosi di più minute nozioni po- 
tranno trovarle in molte altre opere, e specialmente nella 
classica Erpetologia dei Signori Duméril e Bibron, alla 
quale ebbi ricorso io stesso ogni qualvolta le mie cogni- 
zioni dovevano essere sussidiate od ampliate dai profondi . 
e maturi studj di quei celeberrimi autori, che tanto lu- 
minosamente hanno coll’ opera loro provveduto ai bisogni 
della. Scienza. a 

Riservando alcune più speciali osservazioni che meglio 
troveranno posto trattando delle specie cui particolarmen- 
te.si riferiscono, osserviamo intanto in generale come nei: 
rettili, non meno che in tutti gli altri animali d’ ordine 
superiore, esistano organi particolari destinati alla funzione 
riproduttiva e costituiscano i sessi, distinguendo gl’ indi- 
vidui in maschi ed in femmine. Di tali organi sono gli 
uni destinati a preparare i germi, gli altri a separare dal. 
- fluidi nutritivi quell’ umore vivificante che viene poi tras- 
messo e diretto sui germi in modi e con mezzi diver- 
si. Nei rettili non esiste però che una sola sortita per le 
feci, per l’orina e per gli organi genitali, e questa è l’ori- 
fizio esterno della cloaca, la cui varia ‘forma può fino 
ad un certo punto divenire un carattere naturale di clas- 
sificazione. È infatti rotondato nella più parte dei Chelo- 
nii e nei Batraci Anuri, mentre presenta una fessura tal- 
volta transversale, come nei Saurii ed Ofidii, ixalo lon- 
gitudinale, come nei Batraci Urodeli. 

Ad eccezione dei Batraci che a quanto pare tutti si ri- 
tirano nell'acqua a compiervi l’opera della generazione 
senza intima unione dei sessi, in tutti gli altri rettili ha 
luogo un vero accoppiamento, che dura poi più 0 meno 
spazio di tempo secondo la.stagione e la specie. Nel no- 
stro clima è ordinariamente ‘nei primi giorni di primavera. 

4 


50. BETTA 


che i.due sessi si cercano e si uniscono; ma il bisogno 
della riproduzione è per essi una necessità istintiva, e sod- 
‘disfatto al bisogno dell’amor fisico si dividono, si fuggo- 
no, si allontanano, nè altro più si riconoscono. Non può 
darsi quindi fra essi nè unione durevole, nè monogamia, 
siccome non si dà aleuna communione di affetti, nè alcun 
‘attaccamento del maschio per la femmina. Rarissime sono 
le specie, .e sono forse desse esclusivamente. appartenenti 
all’ ordine dei Chelonii, in cui siasi osservato farsi il ma- 
schio compagno alla femmina per preparare uh nido, 0 
dirò meglio un sito conveniente ove deporre le uova. In 
generale la madre sola deve provvedervi, e si accontenta 
di deporle in luogo sicuro e nascosto , ed in circostanze 
‘convenienti perchè la temperatura non sià troppo alta o 
l'umidità troppo grande, e non possano i figli suoi divenir 
preda dei numerosi loro nemici. I rettili non covano le 
uova, ma deposte in conveniente località e favorite sol 
tanto dall’ azione indiretta del sole, da quella dell’ atmo- 
sfera, e dal calore attivo prodotto dalla fermentazione di 
vegetabili putrefatti, schiudonsi poi-da sè in più o meno 
tempo secondo le circostanze e le specie. E, ad. eccezione 
dei Batraci, i giovani rettili sortono dall’ uovo colle forme 
che devono conservare; dotati ‘già di molta agilità, e ea- 
paci di provvedere da sè stessi ai primi loro bisogni. 

In alcune specie Je femmine conservano le uova entro 
il corpo fino che i novelli sortano dalla molle. membrana 
che li contiene, in un ovidotto destinato a riceverli. come 
una matrice; ed allora queste specie pajono essere Vivipa- 
re come i Mammiferi. Per lungo tempo si è creduto .che 
la sola Vipera fra i serpenti fosse in questo caso, ma più 
recenti osservazioni hanno dimostrato ‘come altri Ofidii 
‘di genere assai diverso offrivano lo stesso fatto: così p. es. 


ERPETOLOGIA 54 


tra noi la Coronella austriaca, che da quanto osservarono 
Schinz, Frivaldszky e Lenz partorirebbe essa pure figli 
vivi e non uova, come si è creduto e detto per tanto tempo. 
‘Così .abbiamo ‘esempj di tale faito ‘anche in altri ordini 
- della classe, siccome nei Saurii, fra le nostre specie, il lu- 
certo viviparo (Zootoca vivipara) e: l’ orbetto od angue 
( Anguis fragilis); nei: Batraci la salamandra terrestre (Sa- 
lamandra maculosa): Questi animali furono chiamati a torto 
vivipari, e si diranno più propriamente ovovivipari. 

Per dare alcune generali nozioni relativamente a. cia- 
scuno dei quattro ordini componenti la Dro dei. rettili 
Deo ‘0sservarsi quante: segue: 


- Ordine I. CHELONI. 


In tutte le testuggini da -teconidazione nen ha Tnudo che 
“una sola volta all’ anno. L'organo maschile è unico, com- 
posto d’un ‘corpo fibroso che inviluppa un tessuto vasco- 
lare o cavernoso; è molto erettile e provveduto per tutta 
la sua lunghezza di un solco pel quale cola lo sperma. 
Sorte per la cavità della cloaca per 1’ azione dei muscoli 
protrattori di cui è fornito, e vi ‘rientra poi restandovi 
in ‘ogni altra epoca. Gli organi femminili offrono trombe 
uterine ed. ovidotti che mettono fine da una parte. nella 
‘cloaca, e dall’ altra terminano con estremità: più larga e 
più ‘o meno frangiata. Le uova sono varie in numero  se- 
condo le specie, e sono in generale d’ una materia calca- 
tea e solida, di forma globolosa od ovale. Riesce difficile 
dare caratteri esterni per distinguere i due sessi;-in gene- 
rale però nella più parte dei maschi il piastrone dello 
scudo è concavo, e presso a poco corrispondente alla con- 
vessità del dorso della femmina. Però anche questa regola 


52 BETTA 

può soffrire varie eccezioni nelle specie, ed anche negli 
individui. | 

- Ordine I. SAURII. e 

L'atto dell’accoppiamento non è in essi di lunga. du- 
rata come nei Chelonii, ma 'al ‘contrario. piuttosto breve, 
soventi volte ripetuto bensì ma quasi istantaneo, special- 
mente nelle lucertole. L’ organo maschile «è doppio, ed il 
più spesso guernito di piccoli pungoli cartilaginosi e re- 
golarmente disposti. Servono questi all’ animale per rite- 
nere la femmina, o piuttosto per eccitarla? — La cloaca ser- 
ve nel maschio a contenere l’ organo dell accoppiamento, 
a riceverlo nelle femmine. Pochissime specie sono ovovivi- 
pare, ed anzi fra noi due sole. Le: uova hanno ‘un’ guscio. 
calcareo, e forma piuttosto allungata. I nostri Saurii non of- 
frono precisi caratteri esterni per riconoscere i sessi di- 
versi neppure nel tempo degli amori, che invece adorna 
di creste particolari, di gozzi e di. colori ‘vivacissimi molti 
Sauriani esotici. i ui 


Ordine HI OFIDIL 


I serpenti non generano presso di moi che una sola 
volta all’anno; la fecondazione ha luogo generalmente in 
primavera, ma le uova non abbandonano gli ovidotti. che 
tre o quattro mesi dopo e subiscono di già una specie di 
incubazione nel ventre della madre, perchè aprendo le 
uova subito dopo deposte vi si trova un.feto più o meno 
sviluppato. Tale osservazione fu fatta in alcune specie da 
varj autori, e Volkmann ne parla particolarmente per le uo-' 
va del Colubro d’acqua ( Tropidonotus natrix ) sul quale 


ERPETOLOGIA 53 
istituì alcuni studj e ricerche (4). In qualche énso, come 
si osservò più addietro, i piccoli sortono dall’ uovo ancora - 
nel ventre della madre, e ciò o successivamente o con 
‘qualche intervallo. Come nei Saurii anche negli Ofidii 
l'organo maschile è doppio e forma come. due appendici 
‘erettili, carnose, guernite di punte cornee, ritrattili, dispo- 
ste a verticillo. Questi organi penetrati nella fessura della 
cloaca si gonfiano, e divergendosi fra loro. ed allargando 
la parte femminile rendono più intimo il contatto. Tengo 
nella mia collezione un Coluder flavescens: preso nel mo- 
mento della copula, i cui organi genitali rimasero tal- 
mente gonfi e protrusi da. poter essere presi per due gam- 
be. Lo stesso dico di una Vipera aspis che presa invece 
assai più tardi, precisamente nell’ Ottobre dello scorso 
anno, ed immersa in un vaso con spirito di vino ne la le- 
vai morta dopo poche ore cogli ‘organi. genitali protrusi 
non meno che quelli del Colubro, in causa forse soltanto 
degli sforzi fatti per fuggire dal liquido letale. È senza 
dubbio in tale stato che furono osservati dalle persone che 
asseriscono aver vedutò fra noi serpenti a due sole gambe 
posteriori. 

Nell’ accoppiamento i due sessi si. attortigliano fra loro 
e sì da vicino si stringono da sembrare un solo individuo 
a due teste (2), restando così uniti per lo spazio.di alcune 
ore, o di un tempo di cui non si saprebbe però precisa- 
mente la durata. Le uova variano in numero secondo la- 
specie; il loro guscio è tenace e coriaceo, ma non consta 
che di una semplice e sottile: membrana nelle specie OVO- 


(1) De Colubri Natrici generalione. Lipsie 1836. 
(2) Anche Plinio scriveva « Coeunt complexu adeo circumvoluta sibi 


ipsa, ut una eristimari biceps possit». 


54. . BETTA 

vivipare. îl sesso è: più facilmente riconoscibile nei ‘serpenti 
‘all’epoca degli. amori per la grossezza della coda, per la 
gonfiezza particolare della cloaca, pei colori più vivi e 
brillanti, e per la minore statura nel maschio; mentre che 
nella femmina il peso ed il. volume è molto maggiore, il 
‘ventre più largo, la coda più sottile alla base. 

‘ Pare ‘che alcune specie prescelgano siti determinati per 
le: loro congreghe amorose, e giova quì riportare colle stesse 
parole del Prof. Gené un. fatto che ‘egli osservò per. tre 
specie di colubri nostri. Fatto. che mérita veramente d'es- 
sere preso a cognizione dai Naturalisti perchè non osser- 
vato prima da altri, e solo conosciuto nella storia dei 
Batraci, li quali nel momento degli amori dirigonsi come per 
speciale istinto verso determinati luoghi ed acque, ove, 
quasi dietro convegno, trovansi poi in grandissimo numero 
per celebrarvi in comune le loro nozze. 

« Nel 1849, alla metà di Aprile, scrive quel chiarissimo 
Professore (41), verso l ora del mezzodì, mi imbattei per 
la prima volta in una vallicella a vedere appiè d’ un vec- 
chio ceppo d’ albero, una ragunata di oltre a ducento in- 
dividui del Coluber austriacus, intesi all’ opera della gene- 
razione. Or bene, alla metà di Aprile e all’ ora medesima, 
se il cielo era sereno e l’ atmosfera tranquilla, io continuai 
per otto anni consecutivi, cioè fino al 1827, a vedere in 
quel medesimo sitò, appiè di quello stesso ceppo, Ja. me- 
desima assemblea, che durava sin verso le due ore pome- 
ridiane pel corso di sei o sette giorni di seguito. La: sin- 
golarità del fatto, e il diletto chie io-traeva in contemplarlo 
«mi mosse a visitare attentamente quante. valli, quante selve 
circondavano la mia residenza d’ allora; scoprii, a molta 


(1) Storia naturale degli Animali. Vol. I. p. 248. 


ERPETOLOGIA 55 
distanza l’ una dall'altra, quattro altre di codeste riunioni; 
una del colubro sumentovato, una del Coluber Ricciol, 
e due di sacttoni o serpenti uccéllatori (4); e rivedendo 
per varii anni di seguito quei luoghi rividi gli stessi amori 
e gli stessi innamorati ». — E questi luoghi aveano tale co- 
stante preferenza che lo stesso Professore. conchiude . col- 
l’osservare d'aver tentato invano, « di renderli odiosi col 
sommoverne la terra, col guastarne l’ aspetto, e persino 
col far strage di quei poveri animali chè 1’ indomani i 
superstiti vi si raccoglievano di nuovo, e di nuovo vi si 
vedevano raccolti negli anni seguenti ». 

Nell’ argomento della fecondazione della vipera e della 
uscita dei serpentelli dall’ uovo, troviamo sussistere nel 
volgo. alcuni pregiudizj che più opportunamente quì ac- 
‘cenno onde tenere di confronto ai fatti 1’ assurdità delle 
credenze stesse. Pretendesi da taluno che nei serpenti 
si verifichi una vera incubazione, cioè che la madre covi 
le uova fino al loro dischiudersi, e che questi animali, 
ma più specialmente la vipera, difendino la prole dai ne- 
mici esterni col ricevere nella gola i loro piccoli al pre- 
sentarsi di qualche pericolo, trattenendoveli fino al cessare 
di esso. i 

“ Quanto alla prima credenza non occorre per confutarla 
pienamente che il riflettere soltanto come il nome di in- 
cubazione, più particolarmente applicata agli uccelli, sup- 


(41) Col nome di serpente uccellatore il Prof. Genè descrive più avanti 
il Coluber atrovirens (C. viridiflavus). Il nome di Saettone vien dato in- 
vece più propriamente ad altra specie, il Col. fluvescens ; ma, come osserva 
il Principe Bonaparfe, anche presso gli abitanti di Roma sentesi qualche 
volta applicare tale denominazione al primo, che viene così confuso col 
secondo. 


56 BETTA 

ponga lo sviluppo e la communicazione di calore alle uova, 
e come ciò non possa mai verificarsi nei rettili ai quali è 
impossibile per natura lo sviluppo e la emanazione del 
calore. Se qualche volta fu veduto un serpente girarsi 2 
spira attorno alle uova ciò sarà stato senza dubbio per 
l’ istinto proprio di alcune specie, che in tal modo strin- 
gendo vicine le uova stesse, le dispongono a cumulo in- 
vece che lasciarle, come altre, quali furono deposte se- 
parate, o qualche volta unite fra loro da una membrana 
glutinosa, che disseccandosi si fa poi più consistente. Giam- 
mai però potrà dirsi e credersi che quella posizione mo- 
mentanea od anche prolungata della femmina, VIBe, dal 
fatto di incubazione delle uova. 

Né veramente per appoggiare la credibilità della pretesa 
affezione della madre per la propria prole basterà per noi 
il fatto (consimile del resto a quello che narrasi fra i 
nostri villici per la vipera) riportato da. Daudin e da 
Latreille, di un serpente a sonaglio femmina che Pelissot 
di Beauvois e Moreau de Saint-Méry asserirebbero d° aver 
veduto aprire la sua larga gola per ricevervi nell’ istante 
del pericolo i neonati, e trattenerveli custoditi fin quando 
era cessata la causa de’ suoi timori. Questo fatto benchè 
ripetuto dal viaggiatore inglese Guillemart; benchè seguìto 
dall’ osservazione del Sig. Lessieur sopra un serpente ve- 
lenoso femmina che esso pure dichiarerebbe aver veduto 
ricoverare nella propria gola i neonati nel momento di 
pericolo; questo fatto, dico, benchè sembri anche accettato, 
o per lo meno non apertamente escluso da Duméril (4), 
è però tanto contrario ed in opposizione coi principii 
della fisiologia animale relativi alla respirazione, e colle 


(4) Erpetologie Tom. VI. p. 194, 


ERPETOLOGIA 57 


abitudini non meno di tutti i serpenti, da. doverlo esclu- 
dere ‘a tutta prima; ed io me. ne dichiaro nulla affatto 
persuaso, non esitando punto a collocarmi col Sig. Schlegel 
per ripetere colle sue stesse parole. « Que dire quand on 
ht que des voyageurs estimés prétendent avoir vu de leurs 
propres yeux, que la femelle des Crotales fait rentrer, à 
l’approche de danger, ses petits, qui sont de la grosseur 
d’ un tuyau de plume! C° est là soumettre la crédulité des 
naturalistes de profession à une trop rude épreuve, pour . 
ne pas nous engager de nous abstenir de toute remarque. 
ultérieure » (4). Lt 

Per dover dubitare ancora più delle asserzioni di Pa- 
lissot di Beauvois trovo poi anche una particolarità che 
certamente non è esatta; il ealibro cioè di quei neonati, 
che secondo lui era quello di un tubo di penna. Ognuno 
può vedere come superino già tale misura i neonati della 
vipera nostra, la. quale è senza confronto. molto minore 
dei serpenti a sonaglio. 

Che se nulla è a credersi al fatto ora narrato, molto 
meno prestar devesi fede alle asserzioni di chi una consi- 
mile affezione vorrebbe assegnare ‘alla vipera nostra. pei 
suoi neonati. I serpenti, lo ripeto, abbandonano tutti la 
loro prole dall’ istante medesimo della nascita, e dovrà 
quindi passare rel novero delle ridicole credenze quel- 
I’ affetto materno che il volgo attribuisce loro. Che se pur 
sembrato fosse di vedere, o si fosse anco veduto entrare 
nella gola della vipera qualche viperino, questo vi sarà 
stato certamente inghiottito come preda, e non già accolto 
‘come in luogo di sicurezza; nè a tal proposito potrebbe 
essere for’ anco mancato lo scambio ‘con una vipera del 


(4) Schlegel — Essai sur la physionomie des Serpents — Tom. II. p. 567, 


58 BETTA 


Colubro austriaco, e veduto nell’ atto d’ ingojare serpen- 
telli di altre specie, siccome risulterebbe essere suo co- 
stume da quanto ne asserisce il Principe Bonaparte. 
Passo pur sotto silenzio come non degni di confutazione 
i pregiudizii che qualche volta sentonsi ancora ripetere dal 
basso volgo, sulle dimostrazioni di gioja (??) che la vipera, 
immediatamente dopo essere stata fecondata , darebbe al 
maschio col divorarlo (4), e sulla necessità nella vipera di 
stracciarsi .il ventre per dare in luce i viperini.. 


- Ordine IV. BATRACI. 


Il quarto ed ultimo ordine dei rettili è quello che sot- 
to il rapporto della funzione riproduttiva allontanasi com- 
pletamente dall’ organizzazione osservata negli altri tre, of- 
frendo agli studii del naturalista ed alle meditazioni dei 
fisiologi circostanze, fatti, e risultati straordinarj, e della 
maggior importanza. i 

. Nei Batraci non ha luogo anzi tutto un vero accop- 
piamento, essendo i maschi mancanti di organi erettili, e 
proprj alla intromissione diretta ed attiva del seme negli 
organi della femmina. Nei Batraci Anuri, cioè privi di co- 
da nello stato loro perfetto, vediamo il maschio montare 
sul dorso della femmina ; abbracciarla tenacemente pas- 
sando le sue gambe anteriori al di sotto delle di lei ascelle, 
e coll’emissione del liquore seminale fecondare le uova 
mano mano che sortono dalla cloaca della femmina. Questo 
stretto abbracciamento si prolunga per moltissimi giorni 


(1) Fipera mas caput inserit in os, quod illa abrodit voluptatis 


dulcedine. Voigt, De congressu et partu Viperarum 41698. 


ERPETOLOGI1A 59 
senza che mai il maschio ne lasci libera la femmina, ed 
è probabile che queste strette amiorose giovino a compri: 
mere ed ajutare- la femmina stessa a. sbarazzarsi dalle 
uova. L’opera della fecondazione sempre occulta, intima - 
e misteriosa, cessa d’essere tale negli Anuri, e l'occhio . 
nostro può così seguire tutte le evoluzioni e le meta- 
morfosi che nell’embrione si. succedono, non fecondandosi 
i germi che ‘pressochè sempre € costantemente fuori dal 
corpo della madre, e non ricevendo quindi realmente la 
vitalità che all’esterno della membrana trasparente che li 
racchiude. nei dae 

. In altro modo effettuasi la. fecondazione nei Batraci 
Urodeli, in quelli cioè che conservano la coda per tutta la 
loro vita. Questi pure, come gli Anuri in genere, compio- 
no l’opera della generazione nell’acqua, benchè i preludj 
in alcuni succedano qualche volta sopra terra. Talvolta 
i due sessi si avvicinano in modo che gli orifizi delle loro 
cloache trovansi a pochissima distanza fra loro; in questo 
‘caso il liquore seminale sparso dall’ uno è assorbito dal- 
l’altra e portato nelle uova, che sono così fecondate al- 
l'interno, sia immediatamente avanti il parto che non tar- 
da a succedere, sia ancora negli ovidotti ove si trovafano i 
piccoli sbuciati dall’ uovo e pronti a sortire viventi, ed altri 
in uno stato più o meno prossimo allo sviluppo che rende 
l’animale vivificabile. Talvolta il maschio che con ‘mille 
terieri e lascivi vezzi eccita la femmina a deporre le uova, 
feconda queste con ogni sollecitudine mano mano che ne 
scorge la sortita, lanciando il liquore seminale nell’ acqua 
‘come presso a poco succede nei pesci. La nostra Sala- 
mandra terrestre trovasi nel primo caso; ciò che l’ha fat- 
. ta anche riguardare come vivipara. Uno studio diligente 
e speciale sui suoi organi sessuali, colla figura e descri- 


60 BETTA 


zione del feto e dei neonati può vedersi in Gravenhorst (4) 
‘coll’aggiunta non meno di osservazioni e discussioni sulla 
propagazione ed’ accoppiamento della specie. Ed ora ab- 
| biamo in proposito anche l’interessantissima ‘opera postu-. 
. ma del Dott. Mauro Rusconi Développement et: Métamor- 
phose de la Salamandre terrestre, pubblicata per cura del 
Dottor Giuseppe Morganti di Pavia. “ella maggior, parte 
‘però degli altri generi fra gli Urodeli le uova si schiudo- 
no dopò deposte e sempre nell’acqua, e lo sviluppo dei 
germi che contengono presenta anche altre notabili diffe- 
renze in confronto degli Anuri. Così dicasi dei nostri Tri- 
toni sui quali invito gli studiosi a voler prender cogni- 
zione e far lettura della Memoria del Dottor Rusconi (2), 
che con tanta dottrina e pazienza ne osservò e descrisse gli 
amori, la fecondazione delle nova, e successivo sviluppo de- 
gli embrioni e girini che nei molteplici loro stadj di vita 
vengono anche presentati in diligentissime e precise figure. 

Il numero delle uova deposte dai Batraci Anuri è assai 
ragguardevole, sorpassando in alcune specie i mille. Alla 
loro sortita dalla cloaca sono legati fra loro da un umore 
viscido, talvolta agglomerati in una massa informe, tal’ al- 
tra dfsposte come in un rosario o cordone mucoso, consi- 
stente e della lunghezza di più metri, secondo le specie. 
‘Negli Urodeli all’ incontro il numero è molto più limitato, 
e le uova sono separate le une dalle altre, di forma ovale, 
ricoperte di una tenace membrana, e non mai legate fra 
loro da alcuna materia viscida.. | 


(4) Reptilia Musei Zoologici Vratislaviensis. Fasc. 1. p. 93. « De 
partibus. nonnullis internis, imprimis sexualibus, Salamandrarum et Mol- 
garum ». 


(2) Amours des Salamandres aquatiques. Milan 1821. 


ERPETOLOGIA 64 

In questo Ordine di rettili la distinzione dei sessi è fa- 
cilmente riconoscibile essendo i maschi generalmente più 
piccoli, le loro forme più marcate, i loro colori più vi- 
vaci. AI tempo delle nozze sono essi specialmente distinti 
per. particolari ornamenti o segni dei quali li abbelisce 
natura. Così p. es. nella Rana comune (Rana esculenta ) 
i maschi fanno sortire dalla bocca due vesciche ‘che’ essi 
gonfiano nel gracidate; nella Rana rossa (Rana temporaria) 
e nel'Rospo verde (Bufo viridis) i pollici delle gambe an- 
teriori si gonfiano considerevolmente e vedonsi ricoperti 
d’ una .pelle nera e rugosa; nel Tritone crestato ( Tritor 
cristatus ) si scorge un’ alta e frastagliata cresta lungo tutto 
la parte superiore del corpo, la quale sparisce poi passata 
I epoca degli amori; e così dicasi di ‘altri ornamenti e 
caratteri che verranno notati -parlando di cadauna specie. 

Altra particolarità importantissima e propria di questo 
Ordine; sono. le forme singolari e bizzarre che i Batraci 
prendono' successivamente, dalla nascita fino al perfetto 
loro sviluppo. La forma loro al sortire dall’ uovo è ben 
diversa da quella che devono poi conservare, e presenta 
svariate modificazioni secondo che il feto appartiene agli 
Anuri od agli Urodeli, subendo come gli insetti le: più 
curiose metamorfosi e trasformazioni. 

Negli Anuri infatti quando |’ embrione sorte dall’ uovo 
o membrana che lo contiene, presentasi sotto 1’ aspetto 
d’ un piccolo pesce, e vedesi nuotare: nell’ acqua con mas- 
sima rapidità. Vi si distinguono alla testa i rudimenti de- 
gli occhi; un poco al di sopra del muso scorgesi un ori- 
fizio rotondo a labbra variabili, ed è la bocca, nel cui in- 
terno presentansi più tardi delle lamine cornee delle quali 
le due principali costituiscono una specie di becco, di cui 
usa per attaccarsi alle piante acquatiche e tenervisi s0- 


62 vB BEDA 


speso, 0 per tagliarne il parenchima con cui si nutre. Ai 
lati del collo si vedono due paja di frangie più o meno 
ramificate, che sono vere branchie esterne. Ben presto però. 
| queste spariscono; ricoperte da una membrana sî avvallano 
in una Specie di sacco sotto. alla gola, e cangiandò forma 
«divengono assolutamente analoghe alle branchie dei. pesci, 
al modo dei quali in allora P animale precisamente respira. 
L’ accrescimento degli intestini si fa poi considerevole ; il 
ventre si fa molto voluminoso; la tesia si confonde col 
tronco, e ‘compariscono gli occhi e le nari. E questo enor- 
me sviluppo della cavità addominale confusa con tutta la 
parte anteriore, € presentante una sorta di sfera terminata 
da una coda come di pesce, ha dato origine al. nome di 
Tetard con cui i Francesi chiamano: i Batraci in tale. sta- 
dio del loro sv iluppo, ed ai quali noi diamo il nome di 
girino, cazzuola, padellaccio, ‘e volg. palote. Più ‘0 meno ra- 
pidamente secondo le varie circostanze di clima; tempera- 
tura e nutrimento si ‘succedono poi altre modificazioni. 
La coda, compressa -come quella dei pesci, si fa. sempre 
più lunga ed offre nella sua lineà mediana una massa di. 
fibre carnose ; pel di sotto, alla. base. della coda scorgesi 
l’ano, ed ai due lati mostransi piccoli tubercoli che si 
ingrossano e si allungano. di: giorno in giorno, si.dividono 
in dita alle loro estremità, e 1’ animale mostrasi finalmente 
provveduto delle due gambe posteriori ; appariscono quindi 
le anteriori, ed intanto vedesi la coda diminuire in altezza 
e lunghezza ed essere assorbita, per: servire. forse allo svi- 
luppo di altri organi; la bocca si fende transversalmente 
e, cadendo le lamine cornee o becco, diviene molto ampia; 
la coda diminuisce sempre più e finisce collo sparire to- 
talmente; gli occhi si forniscono di palpebre, il ventre si 
allunga, diminuisce in volume, e |’ animale benchè molto 


ERPETOLOGIA 63 


piccolo, e ridotto in qualche specie ad un quarto della 
lunghezza che misurava allo stato di girino, ‘presenta già 
le forme, salvo le dimensioni, che presso a poco conser- 

verà per tutta la ‘vita. Intanto sonosi. anche sviluppati i 
polmoni; le branchie si sono obliterate; tutto il sistema 
della circolazione del sangue è è mutato, e l’animale cangia 
pure natura col divenire terrestre e carnivoro laddove era 
acquatico ed erbivoro. 

Le metamorfosi degli Urodeli presentano comparativa- 
mente agli Anuri, assai minori differenze nelle prime loro 
forme con quelle degli individui che hanno raggiunto 
l’ultimo sviluppo. L’ embrione sortendo dall’ uovo. offre 
bensì ‘la maggiore rassomiglianza cogli embrioni degli 
-Anuri, e come questi è desso allungato, nuota colla. coda 
come i-Pesci, è cieco, ha la bocca guernita d’ un becco 
corneo, e possiede branchie esterne; ma queste branchie 
restano poi sempre esterne e scoperte negli Urodeli, nè si 
obliterano che a misura che i polmoni si: sviluppano in- 
ternamente e diventano atti ad ammettere l’aria esterna; 
il ventre non si fa rotondo nè si confonde colla testa, ma 
il corpo conserva sempre le sue forme; la bocca e gli 
intestini subiscono la medesima trasformazione degli Anuri, 
ma delle gambe sviluppansi all’ invece per prime le ‘ante- 
riori, per ultime le posteriori; e la coda che in quelli se- 
gna colla sua scomparsa il termine della metamorfosi, si 
fa in questi sempre maggiore e resta per tutta la vita loro. 


“ano riproduzione delle paste: | 
In eu alla generazione e - propagazione dei rettili 


importa di brevemente avvertire come uno dei fatti fisiolo- 
gici i più maravigliosi nella organizzazione di alcuni ani- 


64 i :VOBEDTA- 


mali, e specialmente in quelli della Classe di cui trattasi; 
sia la singolare facoltà che essi hanno di riprodurre quelle 
parti del corpo che perdono per accidente, o che vengono 
loro troncate. È fatto conosciuto già ed avvertito dai più. 
antichi scrittori, come nelle lucertole e negli angui ‘od 
orbetti facilmente soggetti a perdere la coda, questa ri- 
producasi in breve tempo per modo tale da mancare quasi 
ogni traccia della parziale o totale mutilazione sofferta. 
Dalle esperienze ed osservazioni di Spallanzani, di Plate- 
retti, Murray, Bonnet, Duméril ed altri ancora, videsi però 
recentemente come tale facoltà riproduttrice spieghisi assai 
più attiva di quello che ritenevasi o conoscevasi «pel pas- 
sato, e sappiamo ora quindi come non la coda soltanto, 
ma altri organi, anche i più delicati, si riproducano com- 
piutamente in tali animali e specialmente nei. Batraci 
Urodeli, che sembrano stati scelti quasi esclusivamente 
per tali esperienze. 

E per citare qualcuno du più singolari risul otte- 
nuti in queste prove, noterò come Blumenbach ‘abbia 
osservato in un ramarro (Lacerta viridis) la integrale ri- 
produzione degli occhi, dei quali avevalo privato con una 
punta di ferro. Bonnet (4). ha in più esperienze tagliato 
Je gambe ai Tritoni, ora da un lato ora dall'altro, e quando 
ad ambedue i lati, e costantemente riproducevasi il mem- 
bro amputato, e le dita vi si riformavano ed acquistavano 
movimento. La coda di questi animali troncata a diverse 
altezze riproducevasi pure.costantemente, ed ottenne anche 
in essi la sorprendente esperienza dell’ occhio, che com- 
pletamente estirpato vide dopo un anno perfettamente ni 


(1) Sur la reproduction des membres de la Sulamandre aquatique. 


Oeuvres d’ hist. nat. et de Philosophie Tom. V. 


_ERPETOLOGIA 65 


prodotto ed organizzato. E queste amputazioni e riprodu- 
zioni egli ripeteva ed osservava. due, tre e fino quattro 
volte consecutive nello stesso individuo. Non sempre però 
le riproduzioni succedevano normali, ma anzi ci narra 
quel paziente osservatore come di sovente vedevansi nota- 
bilmente alterate sia per deficienza, sia per eccesso od 
| esuberanza; nel qual caso le parti presentavano forme le 
più singolari e bizzarre. 

Fra le varie esperienze fatte dal celebre Duméril citerò 
poi come veramente singolare quella istituita sopra un Tri- 
tone (4) nel quale, dopo ‘avere amputato con forbice tre 
quarti della testa, privandolo così di quattro principalissimi 
sensi, le nari, la lingua, gli occhi e le orecchie, osservò 
nello spazio di tre mesi operarsi una’ cicatrizzazione ed 
un lavoro di riproduzione tale da non restare più alcuna 
| apertura nè per.i polmoni; nè per gli alimenti. Morto quel 
Tritone alla fine del terzo mese, e durante un’ assenza del- 
l'osservatore, non si poterono però ottenere quei maggiori 
risultati che attendenvansi, e che avrebbero forse aumen- 
tato d’ assai più la maraviglia di tale stranissimo caso. 

È ovvio incontrare fra noi lucertole ed angui nei quali 
vedesi riprodotta la coda; e dirò anzi per esperienza essere 
ben più difficile trovare individui in cui tale: membro 
non abbia sofferto mutilazioni di sorta, tanta è la facilità 
colla quale. lo perdono. Il posto però delle vertebre cau- 
dali mutilate non viene sostituito che da una sostanza 
cartilaginosa analoga, ma che probabilmente non acqui- 
sterà più nè la natura, nè la solidità dell’ osso; e tengo 
nel mio Museo cogli scheletri di tutti i rettili dell’ agro 
Veronese, quelli ben anco di due Lucerti nei quali scor- 


(1) Erpétologie. Tom. I p. 299. 


66 BETTA 


gesi precisamente ‘tale surrogazione cartilaginosa per quasi 
tutta Ja lunghezza della coda loro. Questa facilità di -ri- 
produrre la coda lascia luogo anche a molti casi di du- 
plicità di essa, e di questi, siccome di altre anomalie, ver- 
rà trattato parlando di ciascun ordine separato. 


Favole e pregladizj 


nella storia del Rettili. 


Se tutte si volessero enumerare le superstizioni e le 
erronee credenze che sfigurarono e svisarono la storia dei 
rettili; non basterebbero a ciò veramente le pagine di que- 
sto libro, tanta ne è la folla ed il numero. Molte di esse 
inventate e sòrte di già nella infanzia del genere umano; 
trasmesse ai posteri ed ammesse con fiducia da classici 
autori, amici - zelanti del maraviglioso; accresciute dalla 
varia immaginazione dei popoli; svisate e falsificate dalla 
superstizione e dal timore, figli dell’ ignoranza, contribui- 
rono non poco per lo passato a rendere oscura e fallace 
la conoscenza di tali animali. Le favolose potenze di cui 
si narravano dotati molti rettili, inveteratesi nello spirito 
umano, mantenute ed anche esagerate da varj accidenti 
o male applicati o male spiegati, resero poi sempre più 
difficile la persuasione della verità e dei fatti; gli errori 
non fecero che aumentare lasciando libero il campo alla 
immaginazione, e nelle deboli menti trovarono facile ac- 
cesso e dominio. La ripugnanza quasi direbbesi istintiva che 
fra tutti gli altri rettili, i serpenti sopratutto ci inspirano; 
lo spavento di cui quasi ogni uomo è compreso al solo 
vederli, furono altri degli ostacoli più gravi alla ricerca 
ed allo studio del vero, e causa perciò delle limitate co- 


ERPETOLOGIA 67 


gnizioni. che se ne avevano in tempi anche non molto 
lontani. MOI 

Nel proposito però di parlare almeno di alcune delle 
più straordinarie favole, e togliere loro per quanto sarà 
possibile quell’ ultimo e leggiero grado di credenza che for- 
se potrebbero tuttora possedere nella mente sopra tutto 
del volgo, credo di dover evitare inutili ripetizioni col ri- 
servarne alcune a miglior posto, collocandole negli arti- 
coli di ogni specie cui riferisconsi; e trattare qui soltanto 
di quelle poche che io non saprei ove opportunamente al- 
logare; o quelle la confutazione delle quali chiara e pre- 
cisa risulta già da quel tanto che fin quì fu detto in ge- 
nerale sui rettili, o più distesamente si dirà nei capitoli 
che precedono la descrizione delle specie. 

Appartiene alla più straordinarie ed incredibili la fa- 
vola del Basilisco che il rozzo contadino narra di veder 
saltare da un albero all’ altro, attribuendogli forme sva- 
riatissime e bizzarre, colla potenza altresì di avvelenare ed 
uccidere col solo alito o coi soli occhi. I più antichi au- 
tori, Avicenna, Plinio, Solino, Nicandro ed altri hanno par- 
lato sotto di questo nome di un serpente con una corona 
sulla testa, che faceva fuggire al suo aspetto tutti gli altri; 
che poteva dare la morte con un solo sguardo, pretenden- 
dosi poi da altri che non avesse potuto esercitare tale ter- 
ribile facoltà quando non era il primo a vedere. Si è cre- 
duto che il gallo nella sua vecchiezza deponesse un uovo 
dal quale venisse alla luce il basilisco. L’ Aldovrando ed 
altri autori ne hanno anche date delle figure (4), e veniva 
rappresentato con otto piedi, con una corona sulla testa 
ed armato di un becco adunco e ricurvo. Plinio asserisce 


(1) Jonston. De Serpentibus. Tab. XI. 


68 BETTA 


che il basilisco ha la voce sì terribile da far paura a tutte 
le altre specie, e che in tal modo le scaccia dal Inogo on- 
de regnarvi come sovrano. È appena credibile come tali 
favole abbiano potuto ottenere fede presso tanti autori, e 
siansi mantenute tanto tempo per giungere sino quasi è 
noi. È mero sogno l’esistenza di questo animale; eppure 
non mancano anche oggidì persone, che col nome di dasi- 
lisco designano un rettile ch’ esse sole vedono e sentono 
nella loro immaginazione. Lo credono esistere alcuni con- 
tadini e montanari del Veneto; più ancora ne parlarono 
forse e ne parlano quelli del Tirolo, sognando nel basilisco 
l’ esistenza d’ una pietra preziosissima che potrebbe ren- 
dere ricco chi se ne impossessasse. Per quanto però tro- 
visi tuttora nel volgo tale credenza essa è ormai ben de- 
bole è leggera, nè ai nostri tempi nessuno vedrà verifi- 
carsi il caso di un vecchio feudatario che nel secolo de- 
corso si addossò il tributo di un perpetuo livello ad un 
suo vassallo, per aver questi liberate le terre di lui da un. 
basilisco che le infestava. Sta anzi scritto nel documento 
che tale premio veniva accordato alla famiglia del vas- 
sallo perchè egli stesso avea dovuto morire nell’ uccidere 
il pestilenziale animale (!!!)— E questo grosso livello sussi- 
steva ancora tre anni or sono, ed i discendenti del vas- 
sallo si godevano assai lieti i frutti della credulità e dabbe- 
naggine del vecchio feudatario. i | 

I ciarlatani dei tempi addietro avvaloravano la cere- 
denza nel basilisco collo spacciare per tale una pelle del 
pesce ftaja, che essi foggiavano in varie mostruose forme, 
aggiungendovi o piedi, o coda, o cresta, o becco tolti ad 
altri animali. Oggidì però non si presterà altra fede a simili 
favole ed inganni, ed il nome di basilisco resterà solo per 
dinotare una lucertola innocente, fornita di cappuccio che 


ERPETOLOGIA 69 


le corona la testa, e di una cresta che si alza sul dorso e 
sulla coda, la quale vive soltanto sugli alberi delle im- 
mense foreste dell’ America meridionale, e della quale di- 
cesi si nutrano quegli abitanti, qualificandone la carne 
come assai gustosa e saporita. | | 

Presso la favola del Basilisco trova posto quell’ altra 
del viperone grosso quanto il braccio d’ un uomo, cortis- 
simo di corpo e di color bianco o rossastro, che il volgo 
narra di vedere tratto tratto nei campi e sui monti. Nel- 
la parte più settentrionale del Tirolo italiano gode persino 
della singolare denominazione di stravolgi-carri, attribuita 
venendogli la facoltà di ribaltare un carro che gli passasse 
sopra, non senza aggiungergli a questo ridicolo potere una 
caterva di malefizi, di fischi sonori, e di mille altre facol- 
tà maravigliose. Un consimile animale viene descritto dal 
volgo nel Lombardo e nel Veneto sotto il nome di dspeso, 
del quale tanto diverse ed opposte sono le deserizioni, le 
forme, e .gli attributi offerti, che basterebbero da soli a 
provare non avere mai esistito, non essere stato mai ve- 
duto da alcuno, e non dipendere la sognata sua esistenza 
che dalle esagerazioni dell’ ignoranza e del timore. Così in 
uno stesso fascio coi detti animali, vanno collocati i ser- 
penti con cresta, o con testa di gatto, e quelli grossi come 
la gamba di un uomo 0 lunghi più metri, che qualcuno 
crede o racconta trovarsi fra noi. i 

Ad errori invalsi nel popolo devonsi ascrivere i rac- 
conti di serpenti succhiavacche, e di serpenti che si intro-. 
ducono nella bocca di persone dormienti. Coloro che at 
tribuiscono ai serpi la facoltà di poter succhiare il latte 
dalle mammelle degli animali, vi aggiungono altresì una 
sorta di malefizio tale per cui dopo avvenuto il succhia- 
mento, al quale, secondo essi si presterebbero i mammiferi 


TO: - BETTA 


con compiacenza, questi perdono tutto il latte. Intanto per 
le osservazioni dello Schlegel e del Wyder, per le molte 
prove istituite dal Prof. Gené e da altri, puossi negare che 
i serpenti amino ed appetiscano il latte. Alle osservazioni | 
di questi autori aggiungo pure le mie, essendomi riuscito 
sempre vano ogni tentativo per far bere del latte sia ai 
colubri sia alla vipera che teneva vivi all’ oggetto di tali 
e di varie altre esperienze. D'altronde bevono anche assai 
di rado perchè confinati essendo per la maggior parte in 
luoghi aridi e secchi, e dove manca ‘sempre o per lun- 
ghissimo tempo l’acqua, la natura ha saputo provvedere 
ai loro bisogni spingendoli a nutrirsi d’ animali viventi, 
nel corpo dei quali trovano il sangue e gli altri umori che 
possono bastare ad estinguere la sete. Ma se anche molte 
specie bevono realmente, non ‘ può però ammettersi che 
si spingano a quell’atto per dissetarsi. Per convincersi 
prontamente dell’ assurdità di tale racconto, basterà riflet- 
tere per poco sulle circostanze di organizzazione che per- 
mettono ai soli mammiferi | azione del poppare. È 
anzi tutto indispensabile che la ‘cavità della bocca possa 
momentaneamente essere chiusa tutta attorno al capezzolo 
onde succeda il vuoto; e questo non può ottenersi che 
con labbra mobili e carnose, delle quali sono affatto man- 
canti i serpenti, In secondo luogo la soverchia brevità del 
tragitto delle nari, il difetto di un velo al palato, e quello 
di una epiglottide all’ ingresso della trachea, rendono nei 
serpenti ancora più impossibile l’ effettuazione del vuoto 
necessario. Che se avessero anche ottenuto dalla natura 
la facoltà di praticare questo vuoto, riflettasi per un mo- 
mento alla struttura ed all’ ufficio dei denti che armano 
le loro maseelle, e- dicasi se con tante numerose ed acu- 
tissime punte, ricurve tutte all’ indietro, potrebbe poi il 


ERPETOLOGIA 7A 
: serpente abbandonare a capriccio il capezzolo, o non 
piuttosto vi aderirebbe tanto più quanto maggiori sareh- 
bero gli sforzi per distaccarsene. volontario, o costretto 
dal mammifero, che tutto - tenterebbe senza dubbio per 
liberare la parte forata da tante punte. In ogni caso se 
veramente, ciò che quì si nega, fu veduto qualche serpente 
attaccato nei pascoli o nelle stalle ai capezzoli delle vac- 
che o delle capre, sarà stata senza dubbio alterata l’ inten- 
zione del rettile stesso, forse ivi lanciatosi per l’ istinto della 
fame, ed ingannato dai moti e dalla forma della parte. 

Quanto all’ altra fola di serpenti che introduconsi tal- 
volta pella bocca nello stomaco di chi dorme, crederei non 
poter meglio e con minori parole confutarla che. coll’ in- 
vitare chi vi crede a cacciare un corpo qualunque, un 
dito, un legno, nella propria gola, e giudicare dalla sensa- 
zione di tale prova se sarà -possibile il fatto, e se la irri- 
. tabilità della lingua, del palato, e specialmente delle fauci 
può rendere credibile che un serpente vi si possa insi- 
nuare e sdrucciolare. Per me nego apertamente tal fatto 
e lo dichiaro assolutamente impossibile. 

Sono poi reali assurdità, come si è già veduto, il cre- 
. dere che la sede del veleno nella vipera sia nell’alito, nella 
lingua, nella coda; che la vipera sia sorda; che cieco sia 
langue; che la salamandra resista al fuoco etc. ete. E 
spetta finalmente a mero pregiudizio la facoltà attribuita 
ai serpenti di poter instupidire ed incantare. gli animali di 
cui vogliono far preda in modo da arrestarneli sul punto, 
e da dover questi, attratti da ignota forza ,-rimanere im- 
mobili ed annichilati fino a lasciarsi cadere ed uccidere 
senza la benchè minima resistenza. Ma tale strano e ridi- 
colo potere importa che più particolarmente formi soggetto 
di qualche parola. i 


Da ANBETA 

Già nella più remota antichità troviamo insorto. tale 
pregiudizio, che, sostenuto da parecchi scrittori e dai race- 
conti dei viaggiatori, mantiensi tuttora con tale popolarità 
da ‘sentirne parlare ad ogni occasione, come di un fatto 
vero ed incontrastabile. E vi si trova poi una. facile spie- 
gazione coll’accordare al rettile emanazioni malefiche, po- 
tenze d’incantesimo e mille altre influenze, contrarie: però 
sempre al buon senso ed ai fatti. 

‘Ben poche opere di storia naturale hanno ommesso di 
trattarne, ma è solo dai più gravi e recenti naturalisti 
che lo vediamo sceverato. finalmente anche, da quelle mi- 
nime circostanze che pur ancora avrebbero potuto dar 
colore di verità all’ inveterato pregiudizio, e passato questo 
fra gli innumerevoli errori che ASeata pai paarono Sempre la 
storia dei rettili. 

Più cause possono aver dato origine a questa pretesa 
potenza affascinatrice ;.e lasciando a parte i curiosi rae- 
conti e le fole che varj autori e molti viaggiatori ne scris- 
sero e ne raccontarono, leggesi in parecchie loro opere 
seriamente avvertito lo spavento; i tremiti, e Jo sconcerto 
totale che la sola vista di un serpente, sopratutto se vele- 
noso, accagiona nella maggior parte degli animali verte-. 
brati. Si racconta di scojattoli e di uccelli che vivacissimi 
nei loro movimenti, colpiti ad un tratto dalla vista. del. 
serpe, e presi istantaneamente da una viva e profonda agi- 
tazione, vennero a perdere il loro equilibrio, e gettando 
grida di disperazione lasciaronsi cadere di ramo in ramo 
fino al piede dell'albero, ove immobile stava ad attenderli 
il loro nemico. Si aggiunge da taluni che queste sgraziate 
vittime, cadendo dai rami vengono fino a piombare diret- 
tamente nella spalancata bocca del rettile. E di queste e. 
consimili scene non manca mai chi si asserisce oculare 


ERPETOLOGIA 73 


testimonio, o cita altre persone quali testimonj indubbi e 
degni di tutta la fede. 

Si è detto più sopra come a causa diretta di tale af- 
fascinazione venga posta in campo l’ emanazione di mici- 
diali vapori, che spandendosi dal serpe ed arrivando alla 
vittima la investono ed ubbriacano in modo da renderla 
priva di forze e-di moto, e da toglierle ogni via di fuga 
o difesa. E l’ emanazione di tali malefici . vapori, secondo 
quanto crede il volgo, verrebbe portato fino alla vittima 
col continuo e rapido dardeggiare di quella lingua bifor- 
cuta, immaginato stromento di morte; mentre in fatto 
non che essere l’ organo il meno adatto a tali azioni, può 
dirsi nei serpenti incapace persino alla fina percezione del 
senso pel quale serve negli altri animali. 

Quanto a queste micidiali emanazioni conviene però 
persuadersi come non esistino che nella debole mente di 
chi vi crede. Ed a conseguenze affatto naturali all’ orga- 
nizzazione e nutrizione dei rettili, devonsi soltanto ascri- 
vere quei putridi effluvii che autori e viaggiatori indica- 
rono esalarsi all’ intorno dei grossi serpenti , da essi Ssor- 
presi ed osservati. Questi animali difatti ingojano la preda 
cominciando dalla testa, che per la prima entra quindi 
nella gola; solo poi con speciali movimenti delle loro man- 
dibole effettuano la deglutizione, che succede in maggiore 
o minore spazio di tempo secondo il volume maggiore o 
minore della preda. Qualche volta appunto essendo questa 
molto voluminosa, accade che il serpente deve impiegare 
lunghissimo tempo prima di farla entrare nell’esofago; gli 
alimenti soggiornano allora lungamente nel loro stomaco, 
e non di rado vi si imputridiscono prima di essere dige- 
riti; ed ecco la ragione dei mefitici fetori che Lacépède 
narra aver quasi soffocati i viaggiatori, e specialmente De 


74 BETTA 


la Borde nel mentre aprivano il corpo di grosso serpente. 
Devesi poi notare che soltanto molto tempo dopo compita 
la digestione, e quindi dopo svaniti tali. vapori, il ser- 
pente va in cerca di nuova preda, ed in nessun modo 
sussistono quei miasmi quando svegliasi in esso un nuovo 
appettito. Là 

‘Anche quegli umori più o meno fetidi che in quasi 
tutti i serpenti si producono entro certe glandule della 
cloaca, vi stanno. sempre latenti nè si diffondono ‘che 
quando l’animale venga preso od irritato. Nessuno ignora 
‘come soltanto in tali casi la comunissima nostra Serpe di 
acqua e il Colubro austriaco spargano un puzzo nauseoso, 
dovuto al liquore giallastro «eiaculato dall’ano; e così 
dicasi degli altri più o meno fetenti umori che varie spe- 
cie di altri ordini segregano dalla cute o . dall’ ano quan- 
do venghino presi od aizzati, siccome i Rospi, le Sala- 
mandre etc. 

Eliminata l’ emanazione dei sognati vapori, ed esclusa 
perchè insensata e priva di fondamento la potenza affa- 
scinatrice che ai rettili si attribuisce, non negasi del resto 
però, ed è anzi di fatto, che gli animali possano rimanere 
privi di forza e di movimento all’ improvvisa comparsa 
di un serpente. Ma in tal caso qual mai ragione più 
chiara ed evidente del fatto che un naturale effetto dello 
spavento ? Non succederebbe forse precisamente lo stesso 
nell'uomo, che.-d’ improvviso si trovasse faccia a faccia, 0 
ben da vicino ad un orso, ad una tigre? Mentre se a 
qualche distanza si presentassero tali animali, o fuggi- 
rebbe o presterebbesi alla difesa. Nè le talpe, nè i ratti, 
o le rane, od i rospi inaspettatamente arrestati nel loro 
cammino dall’ improvviso incontro di un serpente prova- 
no diverso efletto. 


ERPETOLOGIA 75 


Che tale: vista possa essere infatti capace di annichilare 
le forze fisiche ed istintive negli animali ed anche di pro- 
durre più terribili effetti, lo provano molti fatti. Il Signor 
Duméril racconta (4) come un giorno nel. voler egli pub- 
blicamente dimostrare l’ azione pronta del veleno di una 
vipera sopra un piccolo uccello, sia accaduta la morte 
istantanea del cardellino che teneva fra le mani colla più 
gran precauzione, nel momento stesso che lo presentava 
al rettile. E se mi è permesso enunciare fatti occorsi ‘a 
me stesso, dirò che più e più volte fui testimonio delle 
‘conseguenze di tale spavento nelle rane e nei rospi, lungo 
i ruscelli e le acque, ove era maggiore la frequenza dei 
-Colubri e delle Natrici che vi venivano in cerca di preda. 
E nell’ anno decorso perlustrando un monte del Tirolo. 
potei anche osservare lo .spavento cagionato in un noc- 
ciuolino (- Myoxus avellanarius) dall’ improvviso. apparire: di 
un Colubro carbonazzo, che venendo dalla china del monte 
per passare sulla sovrapposta strada, intontravasi nel pic- 
colo animaletto nel mentre stava questo per ricoverarsi al 
piede di un’ arida siepe. Le agitazioni e 1’ abbattimento 
del povero nocciuolino erano tali, che ben sicuramente 
sarebbe rimasto vittima del serpente, in quel :punto rac- 
coltosi e fermatogli contro, se non avessi posto. fine io 
stesso alle sue angoscie procurandogli salvezza colla sol- 
lecita prigionia del suo nemico. 

Perchè la vista del serpe possa produrre sinistri effetti 
sarà però sempre indispensabile la condizione della sor- 
presa, mentre questa mancando 0 cessando ne mancano 
pure e cessano gli effetti. Ognuno potrà convincersi di ciò 
gettando un piccolo. mammifero, ‘un uccello, una rana, 


(1) Erpetologie. Vol. VI. p. 115. 


76 BETTA 


nella gabbia che rinserra qualche vipera; ognuno avrà 
osservato quello che succede nei serragli ambulanti quan- 
do i custodi presentano i conigli od i pollastri ai grossi 
serpenti per stuzzicarne l’ appettito, e li gettano poi nelle 
‘ gabbie o casse nelle quali sono custoditi. A_ tutta prima il 
povero animaletto ‘si ritira in un angolo, e tremante ed a 
‘occhi chiusi sta aspettando la morte; scorsi invece pochi 
minuti senza che il serpente lo assalga, vedesi quasi direi 
avvezzato alla sua compagnia e camminare persino sul 
corpo del nemico, o famigliarmente appoggiarglisi vicino. 
Barton Smith in una sua Memoria estesa per confutare 
tutto quanto era stato accampato sulla facoltà di  affasci- 
namento -dei serpenti a sonaglio, riporta molti fatti che 
provano come gli uccelli non si mostrino spaventati che 
allorquando i crotali si avvicinano ai loro nidi; nel qual 
caso vedonsi i genitori volare all’ intorno del nemico get- 
tando grida disperate, e dando segni di profondo spavento. 
Un consimile fatto è pure constatato dal Prof. Gené, che 
ponendo una grossa vipera entro una gabbia ai piedi -del- 
l’ arbusto sul quale un usignuolo aveva il nido e cova- 
va, vide la madre abbandonare il nido più volte dando 
segni ed accenti di vivo spavento. Non sempre. però: in 
questi casi limitansi gli uccelli a grida soltanto, ma sanno 
difendere la loro prole coi mezzi conceduti dalla forza del 
loro fisico e del loro affetto. Bendiscioli fu testimonio di 
una fiera lotta di una Velia (Lanius excubitor Linn.) con un 
Colubro verde-giallo, la quale per difendere il proprio nido 
affrontavalo impavida e coraggiosa, obbligandolo alla. fine, 
dopo non breve insistenza e dopo un soffiare acuto e ri- 
petuto, e molti ma sempre vani tentativi del serpente, a 
dar di volta ed abbandonare il vigneto nel quale essa at- 
tendeva all’ allevamento della propria prole. Fatti questi 


ERPETOLOGIA © 77 


che militano tutti, e sempre più, contro la pretesa potenza 
affascinatrice. 

‘Per tutto ciò devesi anche apertamente rifiutare che la 
vista del rettile possa produrre gli accennati effetti sul- 
l’animale, ove questo si trovi da esso discosto alquanti 
passi, e tanto più ove siane separato dall’ altezza di un 
albero sul quale stassi poggiato. Che se si fosse anche ve- 
rificato il caso di un uccello, o di uno. scojattolo venuto 
dall’ albero a cadere nella gola di una vipera, anche que- 
sto troverebbe facile e chiara ragione quando si pensi che 
i serpenti velenosi, come quasi tutti gli ofidii, hanno la 
facoltà di rampicarsi sugli alberi e sugli arbusti; che 
quindi la vipera avrà usato del suo terribile apparato non 
appena avrà sorpreso l’ animale, e si sarà poi collocata al 
basso per attendervi la vittima, impossibilitata alla fuga 
ed alla vita. 


PROSPETTO 


dei Rettili delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale 
coll’ indicazione delle specie e varieta . 
fino ad ora conosciute proprie anche della Lombardia. 


Specie e Varietà 


PROVINCIE 
MERIDIONALE 
LOMBARDIA 


Onp. I. CHELONII 


Emys lutaria Merrem . . . 
Chelonia caretta Gray . . 


Orp. II. SAURIE 


Lacerta viridis Daud. . . 
var. G. concolor è è è è 
b. versicolor . + è. è» 
c. maculata Bonap. . + 
d. mento-coerulea Bonap. 
e. chloronota fafin. . . 
f. cinereo-nigrescens . . 
g. bilineata Daud. . . + è. + 
h. brunneo-viridescens, bilineata 
. fstrigata Eichwald 
3 alicSshellesi 1 OA AN e 
Zootoca vivipara Wagl. . 
Podarcis muralis Wagl. . 
A. muralis auciorum. . 
var. a. nigriventris Bonap. 
» bd. albiventris . . + 
» €. rubriventris . +. + 
d. cupreiventris WMassal. 
e. flaviventris . . 
B. campestris Belta . 
Anguis fragllis Linn.. 
var: a. vulgaris . è. + 
b. lineata . + 
C.‘grisea. . | . 
d. nigriventris Bonap. 
esulta i ao 


s 


CASO: 


s s 
PM 253, 
09 rr» 
NI cr. 


Orp. III. OFIDII 


Coronella austriaca Laur. . . tte » » pi .* 
Corenella Riccioli Metaxa . . . . » = = 
| Coluber flavescens Gmel. . . . . » » DLE 


79 
[) zÀ Ci 
p0A Se|.S.-2 
Specie e Varietà A Agr 
e» | la = 
® = bj 
Coluber viridifflavus Lacèp.. .: .. |» » pd 
ear. carbonarius Filz. . è è è è è » » » 
Tropidonotus natrix Wagl. . . . -. » » wi 
bilineata P 
Saf) murorum Fitz. © ®© ** n Tull Tor) 
Tropidonotus tessellatus De Filippi. » D. » * 
var. a. albo-lineata Bonap. è è. . » —_ 
iO Nigra pi. —_ —_ 
lelias berus Merrem . . . ...°. » » » 
Yipera aspis Merrem >. . + c » » » 
var. a. cinerea è E E SEPA O E I » » — 
+ ». ò. cinerascens è. . è. + a » » _ 
»i ec. rufal. SITA » Psa Pei 
» dd. rufescens8: è è è è è SAMO » » » 
» e. fusca ui ali ge Riot » » — 
» f. brunnea . +. è è. . edile » = = 
Vga IA valle » = = 
» A. rufiventris aid AGOS le VIa » — — 
» è. fusca, plumbeiventris è è». . » —- pos 
»  l. Isabellina . è» è» GEO » — -- 
» .in.nigra Bonap. . è è è è »(3)) — ”» 
» n. occellata Bonap. è è è. è» » co — — 
Vipera ammodytes Latr. . . ... » » —_ 
Orp. IV. BATRACI 
ca) ANURI 
Hyla vfridis Laur. . . è... 0... » » Dit 
Rana esculenta Linn. è. è... » » » 
Rana temporaria Linn. . . ... » » Mia 
Hombhbinator igneus Merr. . . . . » » » * 
ufo vualgaris Lauri... . 0... » » Ii 
Bufo viridis Lauri... °°... » » » 
©) URODELI 
Salamandra maculosa Laur. . . . » » » 
Petraponia nigra Massal. . . + . » ona oa 
Triton cristatus Laur. . . . iS » » pio 
Triton punetatus Latr. . AO » Sa DIS 
Triton alpestris Laur. + OTTO » » “To 


specie | 26 | 21 | 21 
Totale | Varietà | 31 | 20 | t1 


NB. L'indicazione delle specie di Lombardia è appog- 
giata alle notizie del Lanfossi e di Bendiscioli nei rispettivi 


80 


loro lavori citati nell’ elenco degli autori, ed al catalogo 
compilato nel 1844 dal Prof. Balsamo Crivelli. ed inserito 
nel Volume delle Notizie naturali e civili su la’ Lombardia 
(pag. 387) del D." Carlo Cattaneo. 

Le specie segnate con * nel presente Prospetto mi con- 
stano proprie della Lombardia anche per le poche ricerche 
ch’ io stesso praticai negli anni 1844, 4842 e 1846, Dil 
provincie di Pavia, Milano, Como e Lecco. 


(1) Trovata presso Milano dall’ illustre amico, mio, il chiarissimo Pro- 
fessore Giorgio Cav. Jan Direttore del Civico Museo milanese. (Jan in 
litt. 28 Januar. 1856). 

— (2) Trovata presso Peschiera (fide Massalongo Saggio p. 38). 

(3) (4; Riportate come Venete sulla fede del Prof. Nassalongo: (Sag- 
gio p. 22). 


ERPETOLOGIA BA 


Ord. I. CHELONIE O 


Una struttura affatto straordinaria, unica anzi nel regno 
animale, distingue il primo dei quattro ordini nei quali 
scomponesi la Classe dei rettili. L’armatura ossea, vuolsi 
dire, o corazza che racchiude per ogni verso il corpo dei 
Chelonii, di modo tale che si mostrano solo e si movono 
liberi il capo col collo, la coda e le quattro zampe, parti 
che l’ animale può poi tutte più o meno ritirare e nascon- 
dere sotto l’ armatura stessa, onde proteggersi da esterni 
pericoli. | 

Linneo aveva riunite nel solo genere Testudo tutte le 
specie conosciute a’ suoi tempi; ma attentamente esami- 
nate, ed osservando e confrontando quelle successivamente 
scopertesi, non si tardò a riconoscere tra di esse notabili 
differenze di forme, di struttura, di abitudini e costumi. 
Si dovette perciò separarle in un gran numero di specie 
le quali furono ripartite in quattro famiglie, corrispondenti 
a tre delle principali divisioni di già segnate da Aristotile 
e da Linneo, e caratterizzate secondo la conformazione 
delle loro gambe, ed il genere di vita che ne risulta ed 
al quale sembrano essere state destinate. 

Le specie che abitano il mare e che non possono cam- 
minare, presentano le gambe ineguali in lunghezza, de- 
presse, pinniformi, e le dita riunite a somiglianza di pa- 
letta. Quelle abitatrici delle acque e dei fiumi hanno le 


(*) «eda, Testuggine. Aristotile Hist. anim. L. MI. cap. 17. 


6 


82 BETTA 


gambe palmate, a dita distinte, mobili, guarnite di unghie 
acute, e riunite da membrana, almeno: alla loro base. Le 
specie assolutamente terrestri hanno gambe arrotondate, 
come troncate o terminate da un moncone, all’ ingiro del 
quale si scorgono le unghie; ed il piede quasi privo di 
mobilità non serve loro che per sollevare e trasportare la 
totalità del corpo, con cammino assai lento e difficile. 
Molti altri caratteri poi, come quelli desunti dalla: forma 
e struttura del guscio, giovarono alla scientifica divisione 
fattasi dei Chelonii. 

Due sole specie incontransi nel Veneto; nessuna nel 
Tirolo meridionale. E se alle due venete £mys Iutaria. e 
Chelonia caretta aggiungesi quì per terza la Testudo graeca, 
ciò solo si fa per presentare la descrizione di una specie 
fra noi frequentemente ed in abbondanza importata dalla 
Grecia, dalla Romagna ece., e che vedesi custodita e man- | 
tenuta in molti dei nostri orti, case e giardini; ma -che 
del resto puossi con certezza asserire, e nonostante il di- 
verso pensare di alcuno, non appartenerci come specie 
propria delle nostre regioni. 

Veniamo di tal modo a tenere fra noi tre specie, ap- 
partenente cadauna a diverso genere, e rappresentanti fra 
i nostri Chelonii le tre divisioni che di essi si sono av- 
verlite. Come specie assolutamente terrestre si presenta la 
Testudo graeca, come fluviatile Vl £wys lutaria, come marina 
la Chelonia caretta, che rispettivamente spettano alle tre 
famiglie Testudines, Emydae, e Cheloniae, corrispondenti la 
prima e la seconda alla famiglia Testudinidae sotto fami- 
glia Testudininae, la terza alla famiglia Chelonidae del Prin- 
cipe Bonaparte; la prima alle Chersiti, la seconda alla 
prima sottofamiglia delle £/oditi, la terza alle Talassiti di 
Duméril e Bibron. 


ERPETOLOGIA 83 


Attesa la mancanza in queste provincie di altre specie 
oltre le tre annoverate, esibiamo con caratteri proprj delle 
tre famiglie anche i caratteri del genere di cadauna, e sono: 


L FAM. TESTUDINES 


Gen. TESTUDO BRONGN. 


Gambe corte, clavate, con dita mal distinte all’ esterno ; 
unghie in numero di cinque nelle gambe anteriori, di quattro 
nelle posteriori; mascelle nude, cornee, taglienti, più 0 meno 
seghettate ; timpano visibile; occhi poco prominenti, colla pal- 
pebra inferiore più alta della superiore ; lingua crassa e pa- 
pillosa; coda brevissima, conica, ed in qualche specie terminata 
- da un appendice cornea od unghia, che inviluppa l’ ultima 
vertebra. Armatura ossea: assai convessa, e quindi molta ‘alta ; 


i due gusci connessi fra loro per sinfisi. 


Il. FAM. EMYDAE 


Gen. EMYS (BRONGN.) WAGLER. 


Gambe con dita distinte, mobili, collegate alla base da mem- 
brane vilassate ; unghie adunche, in numero di cinque. nelle 
gambe anteriori, di quattro nelle posteriori ; mascelle cornee, ta- 
glienti, ad orlo semplice ; timpano visibile ; occhi prominenti 
superiormente, colle palpebre di eguale altezza ; lingua ‘crassa, 
a superficie liscia, ma con pieghe longitudinali; coda lunga, co- 
nica, ‘assottigliata. L’ armatura più 0 meno ovale; meno forte 
e meno pesante di quella della Testudo; non mai molto conves- 
sa, ma anzi notabilmente depressa; i due gusci. connessi fra loro 
per ligamenti elastici. 


Bi LRD 
II. FAM. CUELONIAE 
Gen. CHELONIA BRONGN._ 


Gambe depresse, pinniformi, le anteriori molto più lunghe 
delle posteriori, fornite di scudetti piani; le dita, quantunque 
composte di peîzi distinti, non possono per alcun modo moversi 
le une sulle altre; due sole unghie per ciascuna gamba ; testa 
piramidale; mascelle assai forti, la superiore alquanto adunca; 
timpano invisibile; lingua liscia, larga, carnosa e mobile; coda 
brevissima e conica. L’armatura compressa, assai larga, cordi- 
forme, leggermente carenata lungo il centro. L'animale non può 


ritirare sotto allo scudo nè la testa, nè ‘le gambe. 


I Chelonii, che come già si disse furono da Linneo 
compresi nell’ unico suo genere Testudo, erano dai prece- . 
denti autori collocati fra i Quadrupedi colla speciale ca- 
ratterizzazione di ovipari, nei quali erano così non meno 
annoverati e confusi i coccodrilli, le lucerte, le rane, ed 
in genere gli altri nostri Saurii e Batraci a quei tempi 
conosciuti. La riunione dei Chelonii ai Serpenti degli anti- 
chi è dovuta allo Svedese Naturalista, che nell’ immortale 
suo Systema Naturae li comprese in due gruppi nella Clas- 
se IH. del regno animale, distinta colla speciale denomi- 
nazione di Anfibj (Amphibia). Ancora dopo Linneo però 
ommesso dal Laurenti (4768) di comprendere i Chelonii 
fra i rettili, e dal Conte di Lacépède (1788-90) nuovamente 
designati fra i Quadrupedi ovipari con coda, vennero final- 
mente alla Classe dei rettili restituiti da Alessandro Bron- 
guiart (4799-1800), al quale deve anzi la scienza la più 
naturale distinzione di questi nei quattro ordini oggidì 
universalmente accettati, e nell’ ultima dei quali vennero 
compresi i Chelonii, ch’ esso divise nei suoi due generi 


ERPET ‘'OLOG.HA 85 


Testudo e. Chelonia, di. noi adottati. Qualche ‘anno dopo 
(4803) lo stesso Brongniart aveva Lio distinte 
sotto il nome di £wys_le testuggini fuviatili, ma quel 
genere fu poi dal Wagler (1830) circoscritto e caratteriz- 
zato nei limiti nei quali è -quì pure accettato. 

Alla particolarità dell’ armatura ossea che copre e pro- 
tegge il loro corpo devono i Chelonii” tale loro denomina- 
| zione (). Questa difesa. varia in. dimensioni e grossezze. 
secondo i generi e le specie, ed i suoi - colori non hanno 
in generale che poche ed oscure: tinte e gradazioni. Sono 
i soli rettili che abbiano un collo veramente distinto, il 
quale quantunque. più è meno lungo secondo le specie, 
non ha inai più di otto vertebre, avendo soltanto’ nel pri- 
mo caso maggiore estensione nei. var). pezzi. Le. narici 
molto riavvicinate, si aprono sulla. punta del muso, e 
P odorato è generalmente poco sviluppato. Gli occhi sono 
di piccole dimensioni, provvisti di tre palpebre; due esterne 
e la terza interna o nittitante, le quali lubricano 1’ occhio 
di un umore che esse séparano ; la vista è eccellente. La 
bocca non ha denti; le mascelle hanno quasi sempre una 
guaina: cornea, analoga al becco degli uccelli; rare volte 
sono coperte semplicemente: da una buccia coriacea. La 
lingua è semplice, breve, carnosa, . depressa, crassa, ma 
non sorte dalla bocca di cui riempie tutta la cavità; l'or- 
sano del susto nei Chelonii è: evidentemente più proprio 
alla percezione dei sapori che non negli altri rettili, e ciò 
perchè l’animale mastica realmente il cibo; e deve poter 
assaporare gli alimenti. Benchè non esistano orecchie ap- 
parenti |’ organo. dell’ udito è perfettamente sviluppato, 
ma non consta con certezza la finezza di tale senso. At- 


(*) « A testa qua tegilur esludo nomen habet. » ( Plinio. ) 


86 . BETTA 


tesa la natura e la disposizione bizzarra dei tegumenti 
sembrano privi di sensibilità esterna. Il tatto attivo è an- 
che molto debole, e servono ad esso le regioni del collo, 
la coda, la parte. posteriore dell’ addome e dell’ origine 
delle membra, qualche volta in tutta la loro estensione, 

essendo queste le. sole parti coperte da pelle flessibile. La i 
sensibilità organica od interna sembra al contrario svilup- 
pata ad altissimo grado, in. modo che. gli organi benchè 
tagliati e separati dall’ individuo conservano. per lungo 
tempo qualche loro propria. facoltà, ciò ‘che meglio puossi 
riconoscere. nella irritabilità muscolare che manifestasi con 
movimenti nelle estremità, od in altre parti carnose, an- 
che molti giorni dopo la morte apparente dell’ animale. 

I Chelonii mangiano poco e non prendono più alimento 
di quello che esigano le loro perdite. Sono quindi consi- 
derati come esseri assai sobrii. I loro  tegumenti rivestiti 
di lamine impermeabili all’ acqua, ed opponentesi a tutte 
le esalazioni o perdite di umori, fanno sì che le Testuggini 
non provino necessità naturale di bere. Im qualche circo-. 
stanza forzate per l’ eccessivo caldo o pel freddo a riti- 
rarsi completamente nel loro scudo, come alcuni Molluschi | 
nella loro conchiglia, le Testuggini, sopratutto quelle di 
terra, cadono in una specie di. torpore 0 letargia, durante 
la quale non vedonsi' esegirire il benchè minimo movi: 
mento, osservando perciò una astinenza volontaria 0 for- 
zata per tempo ‘anche assai lungo, e che pretendesi essersi 
in qualche caso protratto al di là di un anno. 

L’ articolazione delle loro mascelle presenta | impor- 
tante particolarità che mancando. all’ inferiore ogni movi 
mento ‘all’ innanzi, all’ indietro o laterale, rende quasi im- 
possibile far loro abbandonare la preda o quanto hanno 
abboccato. i 


ERPETOLOGIA i 87 


I polmoni si estendono nella cavità dell’ addome, e le 
loro cellule sono assai grandi. Poichè manca il diaframma, 
e il torace non può dilatarsi in alcun verso; la respira- 
zione è secondata soltanto dai muscoli del/collo e dall’ ad- 
dome. Chiuse stando. le mascelle, l'aria si introduce nelle 
fauci per le narici, viene spinta per la trachea nei pol- 
moni, e ripetendosi allora. due. moti consecutivi dell’ osso 
ioide, col favore di questo ha luogo la respirazione. L’ eso- 
fago è molto lungo, e nelle nostre Chelonie vedesi inter- 
namente munito di punte lunghe, cartilaginose, delle quali 
i margini liberi sono diretti verso lo stomaco, destinate a 
quel che sembra per opporsi al ritorno degli alimenti; ciò 
però che è assai singolare giacchè in generale nutronsi 
soltanto di vegetabili e piante marine. 

- Toecate queste generalità nella storia dei Chelonii, os- 
servasì in particolare relazione alte .tre nostre famiglie 
come la prima, vale a dire quella delle Testuggini terre- 
stri, Chersiti (*) di Duméril, comprenda specie che desti- 
nate per la stessa conformazione delle loro gambe a vi- 
vere sulla terra, abitano soltanto i boschi ed i luoghi ben 
provveduti di vegetabili, tenendosi anche sovente in vici- 
nanza delle acque, quantunque non vadino mai in esse. 
Camminano lentamente ed a stento. All’ avvicinarsi del- 
l’ inverno scavano colle zampe, ed a poca profondità nel 
suolo una specie di tana ove, nei climi temperati, riman- 
gono in letargo durante la fredda stagione. Si nutrono di 
molluschi terrestri, ma specialmente di vegetabili, e tra 
questi pajono dare un’ assoluta preferenza, almeno in stato 
di schiavitù, alle lattughe. Piuttosto. che tagliare, lacerano 
‘ le foglie che tengono per ciò ferme al suolo colle loro 


(*) zsogaros, xspoivoc, terrestre. 


88 BETTA. 


zampe anteriori, e presane una parte fra le. mascelle la 
staccano ritirando prestamente la testa. 

Possono ridurre interamente sotto l’ armatura il collo; 
la testa, le zampe e la coda, nel qual caso la pelle del 
collo, mobile e non aderente alle pareti, costituisce una 
specie di fodero in cui la testa trovasi ricoverata quando 
l’animale la fa rientrare sotto allo scudo. i 10 

Le femmine sono in generale più grosse dei maschi, e 
questi hanno spesso la coda più dilatata alla base, ed in 
confronto più lunga. Il canale della loro cloaca è più al- 
lungato e le labbra tumefatte, specialmente all’epoca della 
fecondazione. I sessi rimangono ‘uniti pel corso di varj 
giorni, ma in generale non sembra che convivano assieme, 
Le uova sono sferiche od allungate, molto solide e non 
flessibili come quelle dei serpenti; il loro numero è vario 
secondo le specie; verigono deposte in una tana, ela ma- 
dre non prendesi cura alcuna nè di esse nè tampoco dei 
piccoli che nascono. 

Al sortire dall’ uovo le piccole testaggini hanno lo 
scudo quasi emisferico e quasi piano, anche in quelle 
stesse specie che ad età matura lo hanno molto allungato 
e convesso. Nel centro del loro sterno vedonsi alcune parti 
membranacee o fontanelle, ed i giovani portano, nascendo, 
all’ estremità del loro becco una protuberanza, O piuttosto 
una punta cornea che loro serve a spezzare il guscio del- 
l’ uovo. | 

Le testuggini palustri od Emidi, Eloditi (*) di Duméril, 
presentano una conformazione di ‘piedi che le rende atte 
perfettamente a camminare sulla terra, ed a nuotare tanto | 
alla superficie che nella profondità delle acque. Formano 


(*) “Eos. pulude. 


ERPFEFTOLOGIA 89 


esse quindi la naturale transazione dalle testuggini affatto 
terrestri a quelle eminentemente acquatiche ‘o Potamiti (*), 
(terza delle quattro famiglie in cui dividesi 1’ ordine), le 
quali poi costituiscono 1° altro. anello di congiunzione colle 
specie marine. ; 

Sogliono esse fare abituale dimora presso le quin dei 
laghi e delle acque tranquille, nelle quali nuotano con 
agilità. Sopra terra camminano con abbastanza di -spedi- 
tezza. Il loro scudo, come già si è detto, è meno forte e 
meno pesante di quello delle testuggini terrestri, non mai 
molto convesso, ma al. contrario notabilmente depresso. 
In generale le Emidi. possono come le Testuggini terrestri, 
ritirare sotto allo’ scudo il collo colla testa, le gambe e la 
coda. Nutronsi pressochè unicamente di sostanze animali, 
purchè si movano o diano qualche segno di vita. Danno 
specialmente la-caceia ai molluschi fluviatili, ai Batraci, 
e mangiano anche i vermi e gli annellidi. 

Passano la stagione cattiva fuori dell’ acqua; entro bu- 
‘ehe poco profonde. L’ atto della fecondazione dura lungo 
lempo, ed i sessi rimangono uniti per molte settimane, 
ma in una sola epoca dell’ anno. Le uova vengono depo- 
ste in cavità poco profonde che le femmine scavano nella 
terra presso a poco come le Testuggini terrestri, preferendo 
a quest uopo le sponde delle acque ove esse dimorano, 
affinchè i piccoli sortendo dall’ uovo possano, gettandosi 
in tale elemento, difendersi dai molti loro nemici che di- 
versamente ne farebbero distruzione. Tanto però delle uova 
che dei piccoli non consta avere le madri maggior cura 
di quella che hanno in generale tutti i rettili per la loro 
prole. Le uova sono bianche, generalmente sferiche, a gu- 


(*) Horsyros, Motauoc fluviatile, fiume. 


90 (ABRESIZIRA 

scio calcareo; ed il loro numero, che è sempre molto con- 
siderevole, varia secondo le specie e probabilmente secon- 
do 1’ età e lo sviluppo delle femmine, le quali sono atte 
a generare ancora alcuni anni prima d’ aver compiuto il 
proprio ‘accrescimento. 

Come nelle terrestri anche nelle specie di quei fami- 
glia, lo sterno dei giovani presenta nel centro alcune parti 
membranacee o fontanelle, ma che tardano molto di più 
ad ossificarsi e sparire, osservandosele ancora in individui 
che già hanno Sarpi alo il secondo anno di età ed an- 
che più. 

Finalmente le Chelonie, Talassiti (*) di Duméril, hanno 
una-struttura e conformazione tale delle loro membra da 
non poter essere confuse colle precedenti famiglie, e da 
corrispondere al loro modo di vita essenzialmente limitato 
all'acqua. La forma assai depressa del loro scudo, e la 
disposizione e forma delle loro zampe non sono atte che 
all’azione del nuoto. Questi animali mancano d’ogni mezzo 
per attaccarsi ai corpi solidi, ma per ciò stesso le loro 
membra sono atte ad appoggiarsi sull’ acqua mentre vi 
tengono immerso il corpo, ed a percuoterla a guisa di 
remi movendosi con mirabile sveltezza. 

Le Chelonie vivono sempre nelle acque del. mare e 
sembra che non ne sortano che al tempo della deposizione 
delle uova. Dicesi però che alcune volte siansene vedute 
talune trascinarsi durante la notte sulle spiaggie e sul 
margine degli scogli in alto mare, per pascervi varie piante 
che prediligono assai. Ma poste a terra si movono e pro- 
grediscono con molta pena ed a gran stento. Possono stare 
lungo tempo immerse nell’ acqua per la grande ampiezza 


(*) O2dazot0s, Ou)artL06, marino. 


ERPETOLOGIA - 94 


dei polmoni, e pel meccanismo della loro respirazione. È 
‘speciale ad esse la facoltà di produrre dei suoni gutturali 
e rumorosi; mentre nelle due precedenti famiglie manca 
affatto la voce, e non manifestano che. un muto sibilo 
quando vengono prese od irritate. Nutronsi principalmente 
di piante marine, ma anche qualche velta di Crostacei e 
di Molluschi. Non possono mai ritirare sotto allo scudo nè 
la testa, nè le zampe. Il maschio è in generale più piccolo 
della femmina. | Le 

L’ epoca della fecondazione è il più ordinariamente al 
rinnovarsi della stagione, ma non sono ancora ben cono- 
sciute le circostanze che precedono od accompagnano l’atto 
relativo. L'unione dei due sessi dura per lungo tempo, e 
nell’acqua. Non si accordano gli autori sul modo col quale 
essa succede, pretendendo alcuni che il maschio resti per 
tutto questo tempo sul dorso della femmina; asserendo 
altri averli osservati a contatto col rispettivo sterno, e 
‘ colla testa sollevata fuori dall’ acqua. Secondo altri, avve- 
nuto l’ accoppiamento, resterebbero attaccati ed ‘opposti 
‘ P uno all’altro come succede nella razza dei cani. 

Le femmine depongono le uova a terra, e per ciò ese- 
guire sortono dal mare di notte tempo e con moltissime 
precauzioni. Trovato sulle spiaggie sabbiose il luogo oppor- 
tuno, che per un mirabile istinto scelgono sempre a di- 
stanza ed elevazione tale cui non possano giungere le alte 
maree, e fattavi una fossa di circa due piedi di diametro, 
ivi depongono, e nella stessa notte, fino a cento uova per 
volta, compiendo fino a tre parti successivi con due o tre 
settimane d’ intervallo. Le uova sono perfettamente sferi- 
che, variano di grossezza, e la loro membrana è alquanto 
flessibile all’ istante in cui vengono deposte, quantunque 
coperta di un sottile strato di materia calcarea, poco po- 


‘92 BETTA 


KI 


rosa e bianchissima. L’ albume è un po’ viscoso, di color 
quasi olivastro, ed in alcune specie d’ odore quasi simile 
al muschio. Il tuorlo è di color più o meno rancio secondo 
le varie: specie. Dopo deposte vengono coperte dalla madre 
con un sottile strato di sabbia, ed essa si ritira nuovamente 
nel mare lasciando che i raggi solari dei climi equatoriali 
li facciano schiudere; ciò che succede in 45 a 20 giorni. 
Asseriscono gli autori ‘che i maschi accompagnino a terra 
le femmine mentre vi vanno a deporre le uova. 

I piccoli che sortono sono biancastri, molli, e subito SÌ 
diriggono al mare, nel quale però: non si tuffano che a 
stento e dopo aver fatto come una specie di esercizio 0 
di prove. I moltissimi loro nemici ne scemano d’ assai il 
prodigioso numero, facendone preda gli uccelli carnivori 
lorchè si preparano ad immergersi nelle acque, ed i pesei 
voraci ed i coccodrilli quando poi vi si possono immergere. 

Grandissima è l’ utilità che questi animali ci prestano 
agli usi della’ vita, tanto per la squisitezza delle uova, per 
Ja salubrità delle carni, cibo specialmente prediletto agli 
Inglesi, quanto- per V olio ed il grasso che se ne ricava, e 
per essere adoperati i loro gusci e le loro scaglie, come 
ognuno sa, in parecchi lavori sotto il nome di tartaruga. 
A preferenza d’ogni altra serve a tale uso la Chelonia im- 
bricata Schweigg., che vive nell’ Oceano Indiano, e nek 
l'Oceano Americano. 

Le Chelonie arrivano talvolta a grandissime dimensioni. 
Si dà loro la caccia in mare col rampone, o molto più facil- 
mente a terra aspettandovele quando vengono a deporvi le 
uova. In tal caso i cacciatori non fanno che rovesciarle 
‘supine, nella qual posizione si dibattono agitando invano 
le zampe per tentare di volgersi, e vengono poi anche un 
giorno dopo a levarle secondo il bisogno. 


ERPETOLOGIA. 93 


I Fam. Testudines. 
Gen TESTUDO BRONGN.. 


TESTUDO GRAECA © 


Linmo 


Hiro Testuggine comune, Testuggine greca. 
Veneto. Tartaruga, Gajandra. pera 


CARATTERI. 


Guscio superiore dell'armatura ossea molto convesso, di forma: ovale, 
inliero, un poco più largo al di sotto. Le due piastre posteriori sopra la 
coda inllesse all’ ingiù e. colla punta alquanto incurvala all’ data 
medioere, armala d’ unghia all’ apice. I 

Animale di color giallo” pallido tendente al verdastro; armatura gialla, 
più é meno macchiala di nero. 


 SINONIMIA. 


Testudo terrestris Plin. Hist. lib. ‘32. cap. 4. 

- —_ Gesner Quadr. Ovip. p. 407. 
Testudo graeca Linn. Syst. Nat. IL 352. sp. 10. 

—_ — . Gmel. Syst. Nat. I. p. 1043. 

aa —  Schneid. Schildkr. p. 358. 

_ —  Schòpf Hist.-Testudin. p. 58. t. 8. 

_ — Latr. Nist. Rept. I. pag. 65. 1. 2. f2. 

— —  Daud. Hist. Rept. Il. p. 218. 

- — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 44. sp. 9 

Wagl. Syst. Rept. p. 158. 


94 BETTA 


Testudi graeca Cuv. Régne anim. p. 14. 
na —.. ZBonap. Fauna ital. cum tab. | 

— | — Dum. et Bibr. Erpètol. II. p. 49. 

= — Fitz. Syst. Rept. p. 29. 

—. . 0— Betta Cat. syst. Rept. p.9. 
Testudo Hermanni Gmel. Syst. Nat. p. 4041. 

— — -.  Schneid. Schildkr. p. 348. 
Testudo geometrica Briinn. Spol. Adriat. p. 92. 
Chersine graeca Merr. Syst. Amph. p. 3î. 

— © —  Gravenh. Delie. Mus. Vratisl. p. 19. sp. 3. 
Testuggine di terra Cettì Anfib. Sard. III. p. 70 


FORME. 


Capo tetragono, tanto largo che alto, più grosso del 
collo, compresso ai lati, conformato a cuneo nella parte 
anteriore, troncato all'apice. Narici piccole, rotonde; occhi 
poco prominenti, coll’ iride bruna; mascella superiore 
adunca all’ apice, con una piccola intaccatura per parte 
presso il medesimo. Collo coperto da una pelle granulosa, 
rilassata, che si ripiega sul capo fino agli occhi a guisa di 
cappuccio quando l’animale ritirasi sotto l'armatura; zampe 
clavate, coperte da pelle granulosa rilassata sino al gomito 
ed al ginocchio, vestite nel resto di scaglie più grandi, 
embricate. Unghie oblunghe, smussate, alquanto più lunghe 
nelle zampe posteriori. Coda coperta pure di scaglie. em- 
bricate, conica, grossa alla base; assottigliata ed armata 
all’ apice di un’ unghia lunga e curvata all’ ingiù; con- 
vessa pel di sopra, piana al di sotto; più lunga nei ma- 
schi che nelle femmine. 

Armatura ossea variabile per la forma, ma general- 
mente di figura ovale, un poco più larga al di sno che 

ae/1y 


ERPETOLOGIA 95 


al davanti. Dorso molto convesso, talchè la maggior al- 
tezza del guscio uguaglia la metà della sua lunghezza. Le 
piastre sono segnate da solchi concentrici, profondi, con 
un campo centrale punteggiato in rilievo, marcato all’ in- 
giro da solco distinto, dagli angoli del quale partono al- 
cune strie rilevate, rettilinee, che scorrono verso l’ angolo 
corrispondente della circonferenza. Coll’ età però quel cam- 
po sparisce e le piastre risultano liscie, non conservando 
che alcune strie concentriche e presentando solo una leg. - 
giera elevazione nelle loro areole. Tutte le piastre dorsali 
rigonfie; la prima pentagona, le tre seguenti esagone, più . 
larghe che lunghe, specialmente quelle di mezzo: la se- 
conda ha il suo margine: anteriore un poco meno largo 
che il posteriore, e così viceversa la quarta; la quinta pen- 
tagona col margine posteriore arcuato. Piastre costali meno 
rigonfie; la prima tagliata pressochè in figura di un qua- 
drante di circolo, arcuata nel margine che si unisce a quello 
della prima dorsale; le altre quasi rettangolari, più larghe 
che lunghe, col margine esteriore leggermente arcuato. 
Le piastre marginali sono in numero di venticinque. 
Di queste, una sovrasta al collo, ed è breve, piana, due e 
generalmente tre volte più lunga che larga; due posteriori 
sopra la coda inflesse all’ ingiù, colla punta alquanto in- 
curvata all’ indentro, e costituente un quadrilatero di cui 
la larghezza superiore può essere contenuta presso a poco 
due volte nella inferiore. In qualche raro caso queste pia- 
stre si uniscono e si solidificano fra esse in modo da si- 
mularne una sola, continua, e senza qualsiasi traccia di 
divisione. Le altre undici paja laterali sono pressochè ret- 
tangolari col lembo esterno sottile, e più o meno tagliente; 
quelle che unisconsi al guscio di sotto si inflettono all’ ingiù 
ed hanno il loro margine inferiore piegato all’ indentro. 


96 BEDA è 


Lo sterno 0 piastrone è elittico, anteriormente quasi 
lungo come il guscio superiore, rotondato, con una intac- 
catura nel margine; posteriormente è molto più breve del 
superiore, tagliato ad angolo rientrante, quasi piano nel 
Mezzo, leggermente convesso ai lati. Il piastrone è piano 
nelle femmine, ;alquanto concavo nei maschi. Le due pia- 
stre golari hanno figura di triangolo equilatero; le seguenti 
quadrilatere; le pettorali assai brevi; le addominali più. 
lunghe delle altre, e sono le sole che si espandano e giun- 
gano a contatto del guscio superiore, col punto di riunione 
segnato da linea irregolarmente flessuosa. Lo scudetto so- 
pranumerario frapposto. ai gusci verso gli arti anteriori 
d’ ambedue i lati, è triangolare, due volte più lungo che 
largo, e troncato all’ angolo esterno: quello che sta verso 
gli arti posteriori è triangolare, equilatero.. | 


COLORITO. 


Ad eccezione d’ un color grigio-brunastro che mostrasi 
sul muso, sulla faccia interna delle zampe anteriori e sulla 
parte posteriore di quelle di dietro, tutto l’ animale è di 
una tinta giallo-pallida tendente al verdastro. Il becco e 
le unghie sono pure verdastre, ed in qualche esemplare 
brunastre le unghie delle zampe posteriori. 

L’armatura ossea è gialla macchiata di nero, e. queste 
due tinte prendono ora l’ una ora l’ altra il maggior campo, 
in modo da risultare quando il nero, quando il giallo il 
color predominante. Questo secondo colore è però quello 
che più generalmente primeggia, e credo raro il caso of- 
ferto da un esemplare della mia Collezione, pervenutomi 
dalla Romagna, nel quale il color nero tinge quasi per 
intiero la superficie del guscio superiore. 


ERPETOLOGIA 97 

Le piastre dorsali hanno una fascia nera lungo i mar- 
gini anteriore e laterali, e. sulla loro sommità è segnata 
una macchia nera che si stende irregolarmente verso il 
davanti. Nelle piastre costali la fascia spiegasi nel loro 
margine anteriore ed inferiore, dal quale spandesi poi più 
o meno largamente verso il mezzo delle piastre stesse. 
Nelle piastre marginali la macchia nera è cuneiforme, e 
sortendo dall’ angolo posteriore ed esterno sale, più o meno 
dilatandosi, verso l’ angolo diametralmente opposto. Meno 
sensibili sono le maechie nelle piastre marginali anteriori. 

Il guscio pel di sotto è di un giallo meno carico, e le 
macchie sono disposte in modo da formare due fascie nere 
longitudinali, molto larghe, poco distanti fra esse, ed. ir- 
regolarmente interrotte lungo alcune delle commessure | 
trasversali delle piastre. 

Le tinte e la disposizione delle macchie variano assai 
negli esemplari, e secondo anche 1’ età degli individui. 

Nei giovani il fondo del guscio superiore è di un giallo 
molto più pallido, e le macchie nere non sono sempre dis- 
poste nello stesso ordine. La loro armatura tende più alla 
forma orbicolare, e le piastre del dorso sono occupate per 
la massima parte dallo spazio depresso, poligono, punteg- 
giato in rilievo, intorno al quale si contano pochissime 
strie concentriche. In qualche individuo giovane le piastre 
dorsali e costali sono tanto -convesse da risultarne un solco 
assai profondo nel punto delle rispettive commessure. 


DIMENSIONI. 


Pare che questa specie non oltrepassi la lunghezza 
totale di centimetri 28, compresa la testa, il collo e la 
coda; ed in tal caso l’ armatura ossea risulta lunga poco 
7 


98 BETTA 


più di 23 centimetri. Uno dei maggiori esemplari della 
mia Collezione ha il guscio della lunghezza di. 24 e della 
larghezza di 16 centimetri: mentre quelli che generalmente. 
vedonsi fra noi misurano la lunghezza di centimetri 18 a 
20, colla larghezza di 13 a 45. | 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


La patria della testuggine greca sembra limitata ad una 
porzione dell’ Europa meridionale, vale a dire alla Grecia, 
alla Dalmazia, all’ Italia meridionale ed alle principali isole 
del Mediterraneo. Non è ancora provato con certezza ch’ es- 
sa trovisi anche nella Spagna e nel Portogallo, come qual- 
cuno avrebbe asserito. Ora esiste anche nel mezzogiorno 
della Francia, ma vi fu importata dall’ Italia. 

Nelle provincie Venete non trovasi che trasferita dalle 
località suavvertite, e vive nei giardini, negli orti e nelle 
case. 

Nutresi di erbe, di radici, di vermi, di insetti e di lu- 
mache, e libera così i giardini, nei quali viene conservata, . 
da molti animali nocivi. Fra tutti i vegetabili dà una 
speciale preferenza alla lattuca. Fa sua prediletta dimora 
nei terreni sabbiosi ed imboschiti. Teme |’ umido, ed. al- 
l’incontro ama riscaldarsi ai raggi del sole, come la mag- 
gior parte dei rettili. All’ avvicinarsi dell’ inverno scavasi 
una tana alla profondità di circa due piedi, ed intorpidita 
vi passa tutta la cattiva stagione, non sortendone che 
nella primavera, o secondo le condizioni termiche del 
paese e della stagione, anche non prima del Maggio. 

Quando esce da tale ritiro si accoppia più o meno 
presto secondo il clima, ed in tale occasione, tuttochè i 
suoi. costumi siano tanto mansueti, accade non di rado 


ERPETOLOGIA 99° 


che i maschi ingelositi combattano fra loro pel possesso 
della femmina. Il dottissimo naturalista Bibron narra 
d’ avere parecchie volte assistito nella Sicilia ‘a queste 
lotte, che succedevano con un accanimento da non. cre- 
dersi. I due maschì si mordono specialmente alla regione 
del collo cercando di rovesciarsi a vicenda sul dorso, e 
la lotta effettivamente non termina che quand’ uno dei 
due rimanga vinto in tal modo. 

La femmina partorisce verso la metà dell’ estate, de- 
ponendo in un piccolò buco ben esposto al sole da quattro: 
a dieci uova bianche, sferiche, della grossezza di una noce, 
che ricopre poi di terra non prendendone cura alcuna, non 
altrimenti che dei novelli che ne nascono al principio 
d’ autunno. L'animale appena nato ha um pollice di lun- 
ghezza, e cresce poi lentamente. 

La testuggine greca può sostenere lunghissimi digiuni, 
e si hanno esempj d’ individui conservati. vivi per dieci 
mesi e più senza che mai avessero preso nutrimento di 
sorta. Animale pacifico e tranquillo può essere facilmente 
addomesticato. Vive lunghissimo tempo, potendo giungere 
fino all’ età di 40 anni: Cetti ne ha.veduto uno in Sarde- 
gna che contava 60 anni di domesticità, e secondo il Prin-. 
cipe Bonaparte può vivere anche fino a cent anni. 

La tenacità della vita di questa testuggine è appena 
credibile. Individui ai quali fu troncata la testa diedero 
segni di vita anche dieci e quindici giorni dopo. Il sommo 
fisico Redi avendo aperte quattro testuggini dopo dodici 
giorni dacchè aveva loro tagliata ta testa, trovò che il 
cuore palpitava, che il sangue circolava, e per con- 
seguenza che vivevano ancora. Un’ altra testuggine cui 
aveva fatta una larga apertura nel eranio levandone il 
cervello, e che aveva poscia rimessa in libertà, dopo tre 


400 BETTA 


giorni aveva di una nuova pelle coperta l' apertura del 
cranio, e benchè priva della vista si moveva; camminava, 
restando ancor viva per circa sei mesi. 

Quando un’ individuo venga rovesciato sul dorso può 
sempre ripigliare la sua naturale positura, benchè talvolta 
con molto stento, specialmente se il terreno sia perfetta- 
mente piano. A ciò si sforza non solamente coll’ ajuto 
delle zampe, le quali non può stendere abbastanza da toc- 
care la terra, ma valendosi più opportunamente della testa 
e del collo, coi quali si appoggia con forza contro il ter- 
reno dondolandosi ora dall’ uno ora dall’ altro lato, finchè 
abbia trovato il luogo più inclinato e che quindi le oppone 
minor resistenza, per cui ripiegandosi incontra facilmente 
la terra colle zampe e si rimette sui piedi. 

Nell’ Italia centrale e meridionale, in Sicilia, in Sarde- 
gna, la testuggine greca vendesi sui mercati, e la sua carne 
non dispiace. Se ne preparano anzi intingoli graditi, ma 
più che alla carne dassi lode di squisitezza al brodo che 
con essa si ottiene. 


ERPETOLOGIA 404 


II Fam. Emydae. 
Gen. EMYS C) (BRONGN.) WAGLER. 


iL . . EMYS LUTARIA ("°) 


Mierrem, 


Ital. Emide Europea. 
Ven. Tartaruga, Gajandra, Bissa scudelara, Zaba, Copasse, 
Magna Copasse, o Copasse di aghe. 


CARATTERI. 


Guscio superiore dell’armatura poco convesso, più o meno depresso, 
- di forma ovale, subcarenato nel mezzo. Coda piuttosto lunga. 

Animale di color nereggiante punteggiato di macchiette gialle più è 
“mene sparse, € più o meno dilatate. Armatura nerastra con gran numero 
di punti o piccole striscie gialle. 


SINONIMIA. 


Testudo lutaria: Gesn. Quadr. ovip. II. p. 1153. f. B. 
—_ — Linn. Syst. Nat. p. 532? 
—_ —  Briinn. Spol. Adriat. p. 9. 
es, —  Gmel. Syst. Nat. p. 1040. 
Eos — Schneid. Schildkr. p. 338. 
_ —  Latr. Hist. Rept. I. p. 112. 
_- — Shaw Zool, IT. p. 32. 


(*) euvc, testuggine. Aristot. Hist. anim. MI. p. 47. 
(**) lutum, fango. 


402 BETTA 


Testudo lutaria Daud. Hist. Rept. il. p. 445. 
Testudo orbicularis Linn. Syst. Nat. p. 3b4. 
_ — Gmel. Syst. Nat. p. 1039. 
— _ Lanfossi Saggio stor. nat. p. 35. 
Testudo punctata Gottw. Schildkr. tab. K. f. 12. 
Testudo Europaea Schneîd. Schildkr. p. 323. 
_ — Schòpf Hist. Testud. p. 4. t. 4. 
— — Latr. Mist. Rept. T. p. 403. 
— —_ Shaw Zool. NI. p. 30. 
_ — Sturm Fauna II. 3. tab. f. a. d. c. 
= —_ Cuv. Régne anim. p. 48. 
Testudo flava Daud. Hist. Rept. II. p. 107. 
Testudo meleagris Shaw Miscell. IV. p. 144. 
Emys lutaria Merr. Syst. Rept. p. 24. (excel. var. y.) 
_ —.  Risso Hist. III p. 88. 
_ —  Gravenh. Delie. Mus. p. 11. sp. 2. 
—_ —.  Bonap. Fauna ital. cum tab. 
= — Betta Cat. syst. lept. p. 9. 
—_ —  Massal. Saggio p. 31. 
Emys Europaea Schweigg. Prodr. Archiv. p. 304. 
— _ Wagl. Syst. Amph. p. 158. 
_ _ Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 45. sp. 8. 
— — Fitz. Syst. Rept. p. 29. 
Terrapene Europaea Bell Zool. Journ. T. II. p. 299. 
Cistudo Europaea Gray Syn. Rept. p. 49. 
— —_ Dum. et Bibr. Erpétol. II. p. 220. 
Testuggine di fiume Cetti Anfib. Sard. p. 11. 


FORME. 


Capo un poco più largo che alto, subtetragono, più 
grosso del collo, compresso ed attenuato nella parte ante- 
riore, colla fronte declive e col muso brevissimo, troncato. 
Narici piccolissime, rotonde; occhi leggermente prominenti, 


ERPETOLOGIA 403 


coll’ iride fulva. Mascelle taglienti, non dentellate. Collo 
vestito di pelle non aderente, granulosa. Zampe coperte da 
scaglie cornee, leggermente embricate, più larghe che alte, 
molto depresse e col margine inferiore diritto. Unghie me- 
diocremente lunghe, leggermente arcuate ed acute. Coda 
lunga, conica, assottigliata, coperta da pelle scagliosa ; co- 
stantemente più lunga nei maschi e più dilatata alla base 
che non nelle femmine, nelle quali l’ apertura della cloaca 
si trova anche situata meno in addietro. 

Armatura ossea assai variabile nella sua forma, e ben- 
chè sia sempre un poco più larga alle coscie che non al 
di sopra, presentasi talvolta d’ una forma ovale assai al- 
largata e tal’ altra ovale allungata. Nel primo caso il dorso 
è notabilmente depresso, mentre nel secondo è piuttosto 
elevato. Le piastre sono liscie o segnate da solchi concen- 
trici poco profondi, con l’ aja centrale punteggiata in ri- 
lievo. Il guscio superiore è convesso, a sommità depressa, 
e segnato da una carena longitudinale più o meno distinta 
secondo l’ età, ma sempre e molto visibile nel tratto po- 
steriore del dorso; alquanto incavato pel davanti; un poco 
smarginato posteriormente. i 

Piastre disposte come nella Testudo graeca e nello stesso 
numero, vale a dire di cinque dorsali, otto costali, e ven- 
- ticinque marginali. Le dorsali assai larghe; pentagona la 
prima, esagone le tre di mezzo, delle quali la seconda e 
la terza hanno i margini anteriore e posteriore presso a 
poco della stessa larghezza; la quarta è molto più stretta 
posteriormente, e l’ angolo che formano le faccie laterali è 
‘acuto invece che ottuso come nelle precedenti; la quinta 
dorsale posteriore presenta una forma ottangolare. Com- 
messure delle piastre non rette, ma leggermente flessuose. 
Le costali sono pure assai larghe; le marginali all’ opposto 


404 : BETTA 


molto, anguste e coll’ orlo esterno in direzione orizzontale, 
massime nella metà posteriore del guscio. La piastra mar- 
ginale impari sovrastante al collo è piccola, due e quasi 
tre volte più lunga che larga. 

— Quando l’ animale ha raggiunto il maggiore suo svi- 
luppo è ben raro che le piastre del dorso presentino l’ aja 
punteggiata e le strie concentriche, le quali invece sono 
distintissime nei giovani. Qualche volta però si manten- 
gono distinte anche in qualche esemplare adulto, ma al- 
lora le strie sono molto discoste fra esse e quindi poco 
numerose, e le aje sono piccole e situate, nelle piastre 
dorsali e nell’ ultima costale al mezzo dei loro. margini 
posteriori, nelle altre costali pure posteriormente ma. più 
al di sopra, e nelle marginali nel loro estremo angolo in- 
feriore posteriore. Queste aje poi risultano in tutti gli in- 
dividui tagliate a mezzo dalla carena del dorso, la. quale 
presentasi elevata e liscia. 

Lo sterno è ovale, più o meno allungato secondo che 
più o meno lo è il guscio superiore, leggermente troncato 
sul davanti, tagliato ad angolo rientrante poco profondo 
nella parte posteriore. La sua superficie non è perfetta- 
mente piana, ma leggermente convessa nelle femmine, e 
sensibilmente concava nei maschi. Le piastre della prima 
coppia sono triangolari; quelle della seconda pure trian- 
golari, ma coll’ angolo. esterno curvilineo e l’ angolo oppo- 
sto obliquameute troncato; le piastre pettorali ed addo- 
minali quadrilatere, rettangolari; dilatate le prime verso 
l’ esterno per la loro metà posteriore, altrettanto le se- 
conde verso l’ esterno ma per tutta quasi la loro lun- 
ghezza. 

La commessura dello sterno col guscio superiore di- 
pende da una cartilagine che permette all’ animale di al- 


ERPETOLOGIA 405 


zare od abbassare leggermente la parte anteriore 0 poste- 
riore dello stesso sterno. 

Nell’ Emys lutaria mantengonsi più a lungo quelle parti 
membranacee, o fontanelle, che vedonsi nel centro dello 
sterno dei giovani individui, e delle quali si è già altrove 
accennato. Nei giovani il guscio superiore è assai più arro- 
tondato, ed oltre ai solchi marcatissimi delle piastre veg- 
‘gonsì varie protuberanze in quelle costali verso le. mar- 
ginali. 

COLORITO. 


Un color nereggiante domina sul muso, sulla fronte, 
sulla mascella superiore, sulle zampe e sulla coda dell’ ani- 
male. La mascella inferiore ha una tinta giallo-olivastra, 
e la pelle dei fianchi è d’ un giallo pallido. Sulla testa, 
sul collo, sulle spalle, zampe e coda vedonsi molte mac- 
chiette gialle più o meno sparse, e più 0 meno dilatate. 

Il guscio superiore è di color nerastro più o meno 
carico, qualche volta anche bruno-rossastro, sul quale 
spicca un numero grande di punti o di piccole striscie 
gialle, ora vicine le une alle altre, ora assai lontane e di- 
sposte in modo da costituire dei raggi diretti dal centro 
‘alla circonferenza delle piastre. o 

Lo sterno è d’ una tinta giallastra uniforme, o mac- 
“chiata di un bruno marrone che talvolta non si mostra che 
verso il centro delle piastre, e tal’ altra si estende su quasi 
tutta la sua superficie. In alcuni individui il guscio supe- 
riore è tutto di color nero-brunastro con rarissime e quasi 
‘ invisibili lineette giallastre, ed in tal caso lo sterno è fosco. 
I giovani hanno gli stessi colori degli adulti, e solo 
© veggonsi meno spiegate e meno numerose le punteggiature. 
e macchiette gialle. 


406 BETTA 
DIMENSIONI. 


La misura del guscio degli esemplari ordinar] è di cen- 
timetri 410 a 43, rarissimamente 45, in lunghezza, e di. 8 
_a 40, rarissimamente 43, in larghezza. Uno dei maggiori 
esemplari della mia Collezione ha la lunghezza totale di 
centimetri 23, dei quali ne occupa 3 e 2 millimetri la te- 
sta, 2 il collo e 5 la _.coda. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Questa testuggine palustre vive frequente nelle Provin- 
cie Venete, e numerosa più che altrove raccogliesi nel bo- 
sco di Chirignago presso. Mestre. Nel Veronese trovasi nelle 
valli lungo il Tartaro; e così pure trovasi nelle paludi 
euganee del Padovano. Vive anche nel Friuli nelle paludi 
prossime al mare, ed è colà detta volgarmente zaba. È fra 
noi conosciuta sotto il nome volgare di tartaruga, bissa 
scudelara 0 scudelera, sotto la quale ultima denominazione 
è pure nota in Lombardia. 

Alle acque correnti preferisce i laghi, gli stagni, le 
paludi e le risaje, nelle’ quali ama tenersi nascosta fra 
i vegetabili e la melma che ne vestono il fondo. Tal- 
volta stando nell’ acqua si arresta immobile alla superficie 
per ore intiere. Si pasce specialmente di insetti, di mollu- 
schi, di vermi acquatici e di pesci anche grandetti che 
uccide e poi lentamente divora. Nuota colla massima agi- 
lità, ed a terra cammina con molta prestezza tenendo di- 
stesa in direzione orizzontale od ascendente la coda, in- 
vece che serbarla nascosta come la 7. graceca. 


ERPETOLOGIA 407 


L’ accoppiamento succede nell’ acqua e dura da due a 
tre giorni. La femmina depone le uova nel terreno asciutto 
e soleggiato, e sono bianche marezzate di cenerino. All’ av- 
vicinarsi dell'inverno questa testuggine abbandona le acque 
e si caccia dentro buche sotterranee non molto profonde, 
ove resta in letargo fino al ritorno della bella stagione. 
Ha vita lunga quanto la Testuggine di terra, e può sop- 
portare non meno lunghi digiuni. La sua carne viene 
mangiata dai pescatori benchè sia cibo molto mediocre, e 
si pretende che riescano di un sapore molto migliore gli 
individui nutriti per qualche tempo con erba e pasta di 
crusca. 

L’ incivilimento e l’ educazione attuale hanno già a 
quest’ ora tolti non pochi dei pregiudizj che ingombrarono 
la storia in genere di tutti i rettili, ed il tempo e l’ istru- 
zione compiranno l’ opera coll’ indebolire e far sparire fi- 
nalmente anche quei pochi che restano tuttora fra alcune 
persone del volgo. Favole e pregiudizj esistevano. quindi 
anche intorno a questa testuggine, cui erano assegnate 
dall’ ignoranza efficacie medicinali e potenze veramente 
maravigliose. « Pei nostri buoni maggiori, scrive infatti il 
Prof. Gené (*), questa testuggine era una farmacia ambu- 
lante. Cotta con poca sale e non so quale misura d’acqua, 
guariva i morbi articolari. La sua cenere sanava dagli 
esantemi e dalla podagra, il suo fegato dissipava la tisi, il 
fiele la cecità, il sangue | emicrania e la inveterata cefal- 
gia. Ma ciò che è più strano ed a mala pena credibile, si 
è che gli si attribuiva la misteriosa potenza di mettere in 
fuga e di dissipare le nubi temporalesche, sol che fosse 
portata in giro pei campi, distesa sulla mano destra e 


(*) Storia naturale degli animali. Vol. Il. pag. 261. 


108 BETTA 


colla pancia in su. Sfido i più sottili pensatori, conchiude 
giustamente quel ch. autore, a trovarmi le relazioni che 
possono avere tra loro una testuggine rovesciata, ed i fe- 
nomeni dell’ atmosfera ». 


OSSERVAZIONE. 


Questa specie è sparsa in quasi tutta l’ Europa, vivendo 
in Grecia, nell’ Italia e sue isole, nella Spagna, nel Porto- 
gallo, nella Francia meridionale, nell’ Ungheria, nella Ger- 
mania e persino nella Prussia. 


ERPETOLOGI1A 409 


III. Fam. Cheloniae. 


Gen. CHELONIA BRONGN. 


2-I CHELONIA CARETTA 
Gray. 


Ital. Tartaruga caretta, o Caouana. 
Ven. Tartaruga de mar, Galana, Magna copasse de mar. 


CARATTERI. 


Guscio superiore dell'armatura alquanto allungato, assai largo, cor- 
diforme, leggermente carenato lungo il centro; tricarenato nei giovani. 
Animale ed armatura di color bruno marrone superiormente, di 


color biondo gialletto al di sotto. 
SINONIMIA. 


Testudo marina Aldrov. Quadr. ovip. p. 712. 

— —  Cacuana Ray Syn. quadrup. p. 257. 

Testudo caretta Linn. Syst. Nat. p. 351. sp. 4. 

_ —  Walb. Chelon. p. 4 et 9b. 
- —  Gmel. Syst. Nat. p. 1038. . 

—  Donnd. Zool. Beitr. III. p. 9. 

Schòpf H. Testud. p. 67. t. 16 et 16 B. adult. 
— H. Testud. p. 74. t. 17. f. 3. pullus. 
—_ —  Latr. Hist. Rept. I. p. 53. 
= — Shaw Zool, III p. 88. t. 23-28. 

_ —  Cuv. Régne anim. p. 20. t. 6. f. 4£. 

Testudo cephalo Schneid. Schildkr. p. 303. 


— — 


o 9 


A40 BETTA 


Testudo Caouana Daud. Hist. Rept. HI. p. BI. t. 16. £. 2. 
‘Chelonia Caouana Schweîg. Prodr. Arch. p. 292. 

= —  Wagl. Syst. Amph. p. 155. 

Hr —. Gray Syn. Rept. p. d3. 

-_ — Dum. Bibr. Erpétol. II. p. 532. 
Caretta Caouana Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 44. sp. 3. 
Caretta cephalo Merr. Syst. Amph. p. 18. sp. 2. 
Chelonia caretta Gray Syn. Rept. p. 53. (fide Bonup.) 

_ —  Bonap. Fauna ital. cum tab. 

_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 40. 
Thalassochelis Caouana Fitz. Syst. Rept. p. 50. 
Testuggine di mare Cetti Anf. Sard. p. 12. 


FORME. 


Capo grande e molto grosso, di forma piramidale, sub- 
quadrangolare, e leggermente convesso al di sopra. Muso 
ottuso ed arrotondato; cranio coperto di piastre; mascelle 
robustissime e senza dentellature sui margini, la superiore 
alquanto adunca. Nariei ovali, piccole; occhi coll’ iride 
giallo-fosca, palpebre tubercolose. Le piastre che coprono 
il cranio sono in numero di 20, delle quali quattro sulla 
linea media e longitudinale, sedici disposte a paja in due 
ranghi laterali, l’ uno a dritta 1’ altro a sinistra. La più 
grande, o sincipitale ne occupa il centro, ed intorno ad 
essa si attaccano dodici piastre minori disuguali fra loro, 
cinque per lato, una anteriore ed un’ altra posteriore. La 
piastra anteriore, o frontale è assai stretta, di forma pen- 
tagona; innanzi ad essa sonvi due altre paja di piastre 
non confinanti colla sincipitale, delle quali le posteriori 
sono pentagone ed hanno comune colla frontale uno dei 
loro margini. Le altre piastre cefaliche variano nelle loro 
forme, ed anche talvolta nel numero. Tre piastre, pure 


EFERPETOLOGIA 141 


variabili nelle. forme, stanno collocate alle gote; sette ad 
otto più piccole occupano la regione del timpano, ed al- 
trettante le branche della mascella inferiore. 

Le zampe sono coperte da scudetti piani (grandi sopra 
e sotto le dita e lungo il margine posteriore dell’ antibrac- 
cio, piccoli e poligoni nel lato superiore ed inferiore), sono 
depresse, pinniformi, le anteriori allungate, le posteriori 
molto più brevi e rotondate all’ indietro. Le due prime 
dita di ciascuna zampa sono armate d’ unghia; Vl unghia 
del pollice è la maggiore, robusta, leggermente uncinata ; 
quella dell’ indice la minore, piana e schiacciata. Coda 
brevissima, conico-depressa, vestita di molte serie di pic- 
cole scaglie piane, e più corta nelle femmine. 

Armatura ossea ovato-cordiforme, molto dilatata, leg 
germente carenata lungo la linea dorsale, molto declive 
sui lati, col margine anteriore quasi retto, obliquo sopra 
le braccia, e col margine posteriore incavato fra le due 
piastre sopracaudali; integro nel resto della circonferenza 
quando l’animale è molto vecchio; più piegato all’ infuori 
sotto le piastre sopracaudali che non altrove. La linea 
culminante del guscio descrive una curva saliente fino 
alla metà della prima piastra vertebrale, poscia fino al 
termine della terza percorre un piano quasichè orizzontale, 
indi si curva in pendio all’ indietro. 

Piastre cornee, sottili e liscie. Le dorsali sono: cinque, 
un poco gibbose; la prima breve ma larga, esagona, col 
margine posteriore leggermente arcuato; le altre rettilinee. 
La seconda e la terza piastra esagone, due volte più lun- 
ghe che larghe, coi due angoli dei fianchi molto ottusi. La 
quarta, che è presso a poco della stessa larghezza e lun- 
ghezza della precedente, si restringe assai alla sua estre- 
mità posteriore. Finalmente la quinta arcuata transversal- 


442 BETTA 


mente, molto più larga nel senso transverso che non in 
senso longitudinale, a sei angoli, col lato anteriore più 
piccolo del posteriore, e colle parti dei laterali, che si uni-. 
scono alle piastre marginali, corte più assai che la metà 
di quelli che toccano le costali. 

Cinque per lato sono le piastre costali; assai Li la 
prima in confronto delle altre, a cinque faccie ineguali 
formanti tre angoli ottusi pel davanti, retto l’ interno po- 
steriore, acuto l’ esterno. La seconda simile alla prima, 
ma due volte più grande e col lembo marginale curvilineo. 
La terza e la quarta tetragone, due volte più alte che 
larghe. La quinta assai meno estesa delle precedenti, di 
forma romboidea coll’ angolo posteriore troncato. 

In numero di 27 sono le piastre marginali; la nucale 
tre volte più larga che lunga, con due angoli ottusi al di 
dietro, ed uno acuto ai lati. Il primo pajo seguente quasi 
pentagono ; il secondo, terzo e quarto pajo tetragono-rom- 
boidei; gli altri quadrilatero-oblunghi, allargandosi qualche 
cosa di più il sesto, settimo ed ottavo; il penultimo pajo 
e le piastre sopracaudali sono ancora più grandi, penta- 
gone, subquadrangolari le prime, figurate a trapezio le 
seconde ed alquanto acuminate all’ indietro. Benchè nei 
varj esemplari nostrali da me esaminati le piastre margi- 
nali mi sieno sempre risultate in numero di 27 compresa 
l' impari nucale, è però bene avvertire come secondo il 
Principe Bonaparte possano anche variare dalle 25 alle 27. 

Lo sterno cruciforme, ovato alle due estremità, si di- 
lata più anteriormente che posteriormente. La piastra in- 
iergolare è molto piccola ed a tre faccie; molto grandi al 
contrario le golari e di forma triangolare troncata alla 
sommità. Le brachiali sono presso a poco quadrate; le 
pettorali di forma pentagona più larga che lunga, siccome 


ERPETOLOGIA 143 


le addominali che sono però le maggiori di tutte; le  fe- 
morali romboidee col lato esterno concavo-arcuato ; le 
anali in figura di triangoli isosceli col lato esterno curvi- 
lineo. Tre 0 quattro piastre trovansi a ciascun lato dello 
sterno situate sulle giunture di esso col guscio superiore, 
e sono o pentagone 0 di forma quadrata. 

Nei giovani individui l'armatura ha superiormente tre 
carene, delle quali una sulla linea mediana del dorso, le 
altre una per lato sulle piastre costali. Gli scudi vertebrali 
in luogo di essere due volte più lunghi che larghi, sono 
assai dilatati trasversalmente, e di forma esagona romboi- 
dale. H guscio © tettiforme, ed il suo contorno dal mezzo 
in giù apparisce fortemente dentellato per la sporgenza 
delle piastre marginali. Differenze queste tutte che spari- 
scono però coll’ avvanzare dell’ età. Le due carene laterali 
sono le prime a mancare; e la mediana, che nei vecchi 
deve affatto sparire, giunge al suo maggiore sviluppo, ugua- 
gliando in altezza la quarta parte della larghezza delle 
piastre sulle quali si innalza, quando l’animale è giunto 
al terzo del suo crescere. 


COLORITO. 


Tutta Ia parte superiore dell’ armatura è di un bruno 
marrone molto carico. Le membra dell’ animale offrono 
presso a poco lo stesso colore, e sono_marginate in gialla- 
stro. Le parti inferiori e lo sterno hanno un bel color 
biondo-gialletto: Le unghie sono di una tinta corneo-scura, 
marginata in pallido. 

Nei giovani il guseio superiore è di un color marrone 
più vivo e meno carico, e le piastre sono segnate di raggi 
nerastri. 


5) 


444 BETTA 


DIMENSIONI. 


Sebbene giunga ad enormi dimensioni, gli individui 
però che ordinariamente ci pervengono nell’ Adriatico han- 
no il guscio della lunghezza di centimetri 45 a 50, colla 
larghezza di 35 a 40, ed altezza di 14 a 15. Un individuo 
della mia Collezione pescato presso Venezia sul finire del 
Luglio 1853 ha le seguenti dimensioni: Testa lunga 42 
centimetri e 2 millimetri, alta 7, 3; collo lungo centime- 
tri 6; zampe anteriori centimetri 32; le posteriori centi- 
metri 20 e millimetri 4. Guscio superiore lungo 50 centi- 
metri, largo 40, alto 414. Sterno lungo 35 %, largo alla sua 
metà 33 x centimetri. 

Altro individuo, ma di dimensioni assai maggiori, era 
stato preso a circa 8 miglia dal lido nella sera del 4 dello 
stesso mese. Io fui a vederlo nella ‘mattina seguente, ed a 
quanto mi assicurarono quei pescatori era uno dei mag- 
giori individui fino allora presi nell’ Adriatico. La sua ar- 
matura non era minore di centimetri 90 in lunghezza e 65 
in larghezza, col peso di circa 300 libbre. Più precise di- 
mensioni non mi fu possibile di rilevare, attesochè inu- 
tili e pericolosi benaneo alla nostra leggiera barca riesci- 
rono i tentativi degli stessi pescatori per trarvelo dalla 
laguna, in cui si lasciava vagare assicurato con lunga 


fune alla nave guardaporto. 
ABITAZIONE E COSTUMI. 


Vive questa Chelonia nell’ Oceano Atlantico, ed è molto 
comune anche nel Mediterraneo. Trasportati dalle correnti 
o da altre accidentalità, trovansene però annualmente e 


ERPETOLOGIA 4115 


nella stagione calda, come già fu detto altrove, varj indi- 
vidui erranti e pellegrini nell’ Adriatico, spingendosi essi 
anche non molto discosti dal lido di Venezia. 

La sua carne viene mangiata dai pescatori, che la di- 
cono non disgustosa. 

Le Chelonie si cibano ordinariamente di piante marine; 
alcune però, e tra esse la nostra specie, sono quasi esclu- 
sivamente carnivore, e si nutrono di crostacei e di mol- 
luschi, dai quali deriva 1’ odore di muschio che traman- 
dano. Avendo in Venezia mantenuto vivo un giovane in- 
dividuo per poco più di un mese, potei io stesso osservare 
l'avidità colla quale prendeva i molluschi ch’ io gli pre- 
sentava. Nutrito dapprima col Cardium edule Linn. (volg. ca- 
pa tonda), e colla Venus decussata L. (volg. caperozzola), 
esso mi rifiutò ogni altro cibo dopo che per qualche gior- 
no lo aveva mantenuto col delicato Mytilus edulis ( volg. 
peoccio), e di cui si era fatto ghiottissimo. Aveva esso di- 
mostrato una certa domesticità dopo qualche giorno di 
schiavitù, ed all’ora solita del cibo, od all’ approssimarsi 
di qualcuno alla vasca, saliva alla superficie dell’ acqua 
tenendo la testa alzata, e volta verso l’ osservatore. 

Nelle mascelle la Chelonia caretta ha una forza straor- 
dinaria, e quando venga irritata soffia con veemenza, pro- 
ducendo anche una specie di suono gutturale rumoroso. 
Nel Veneto, come in generale per tutta l’Italia, è cono- 
sciuta col nome volgare di Tartaruga di*mare, o Galana di 
mare. 

L’ accoppiamento succede nelle acque, e la sua durata 
è dai 10 ai 45 giorni, e più. Le femmine depongono le 
uova a terra come tutte le altre Chelonie, dei costumi 
delle quali si è già parlato nelle nozioni premesse all’ or- 
dine di che trattossi. 


116 BETTA 


Ord. IL. SAURII. © 


Nel secondo ordine dei rettili due naturali . famiglie si 
presentano, alle quali spettano le specie sino ad ora fra 
noi trovate. Sono queste famiglie, quella dei Zuacertini e 
quella degli Anguidi, compresi fra i Lacertidi ed Anquidi 
del Principe Bonaparte, fra i Lacertini od Autosaurii (2) e 
Scincoidi o Lepidosaurii (3) di Duméril e Bibron. 

Sono caratteri della prima famiglia: 

Corpd snello, allungato principalmente alla regione 
della coda che supera di molto la lunghezza del tronco. 
Quattro zampe ben sviluppate, fornite ciascuna di cinque 
dita distinte, separate, disuguali fra esse, sproporzionate di 
lunghezza nelle zampe posteriori, e tutte armate di un- 
ghia acuta e ricurva. Capo coperto superiormente di pia- 
stre cornee, poligone, simmetriche; timpano distinto, a fior 
di testa o poco profondo nel foro auditivo; occhi muniti 
di tre palpebre mobili; bocca ampia con mascelle rive- 
stite di grandi scaglie; denti ineguali per forma e lun- 
ghezza, dei quali è provveduto o no anche il palato; lin- 
gua libera, carnosa, spianata, sottile, più o meno vibratile, 
forcuta, non ingdfirata; coda conica, lunghissima, rotonda 
per quasi tutta la sua lunghezza, coperta da scaglie di- 
stribuite ad anelli regolari. Pelle scagliosa; ventre rivestito 


(4) 22vpos, lucerta. 
(2) Avros simile, Zavoos luceria. 


(3) Veris-1dos squame. 


EFERPETOLOGIA 447 


di squame più lunghe che larghe, liscie, schierate in fa- 
scie transverse e paralelle. Simili lamelle dispongonsi a 
triangolo anche sul petto. Collo ornato di pieghe transver- 
sali, guernite di scaglie simulanti una specie di collare. 
Coscie segnate da una fila di pori lungo il loro margine 
interno. — : | 
Sono speciali caratteri della famiglia degli Anguidi , li- 
mitatamente però all’ unica specie che fra noi la rappre- 
senta: corpo serpentiforme, mancante di gambe. Capo co- 
perto di scudetti; collo della stessa forma e grossezza del 
petto; orecchie latenti; tre palpebre agli occhi, quantun- 
que piccolissimi; denti alle mascelle, mai al palato, fitti, 
conici, acuminati. Coda lunga quanto il corpo ed anche 
più, cilindrica, assottigliata ed ottusa all’ apice, vestita co- 
me tutto il corpo di squame eguali, lucide ed embricate. 
Tre sole specie fra noi possiamo fino ad ora annove- 
rare come rappresentanti la famiglia dei Lacertini, che 
comprendiamo sotto il solo genere Lacerta di Cuvier, smem- 
brato dal gigantesco genere Lacerta di Linneo, in cui si 
trovavano comprese pressochè tutte le specie dei Saurii, 
i soli generi eccettuatine Draco e Chamaeleon. La storia di. 
questo genere presenta non poche difficoltà atteso le ri- 
duzioni, le innovazioni e le suddivisioni che furono in esso 
instituite. Difatti non era appena creato, che lo Gmelin 
aveva in esso distinte e separate tutte le specie più note- 
voli, distribuendole in gruppi ch’ esso nominò Sezioni. E 
dopo lo Gmelin tutti gli erpetologhi che successivamente 
diedero mano allo smembramento di quel gran corpo, ne 
applicarono la denominazione al gruppo generico in cuî 
ciascuno di essi, secondo il modo proprio di vedere, com- 
prendeva le nostre Zacerte, che il Laurenti collocò invece 
(4768) nel suo distinto genere Seps. 


4418 BETTA 


La storia dei Quadrupedi ovipari. del Conte di Lacé 
pède, benchè scritta vent’ anni più tardi, ci presenta poi 
nuovamente il genere Zacerta quale presso a poco stava 
determinato nel Systema Naturae, e benchè precedentemente 
levati dal Laurenti si vedono compresi in esso genere 
tutti i rettili a quattro gambe, mancanti dell’ armatura 
ossea dei Chelonii, e provveduti di coda, in guisa che vi 
figurano ancora unite colle Lucerte le Salamandre ed i 
Tritoni. 

Più tardi Brongniart e Daudin introdussero più oppor- 
tune restrizioni nel genere, i limiti del quale vedonsi poi 
ancora più circoscritti nella classificazione dell’ Oppel (4844), 
che sotto quel nome generico non comprese che le vere Lu- 
certe, ed i pochi Saurii oggidì collocati nei generi Ameiva 
di Cuvier e Centropix dello Spix. Finalmente Cuvier  pre- 
sentando nel Regne animal (4847) un suo nuovo sistema 
pei rettili, comprese nel genere Lacerta soltanto le specie 
che offrivano fra gli altri caratteri da esso stabiliti, quello 
proprio dei nostri Lacertini, la presenza cioè del collare al 
di sotto del collo, coll’altro carattere del palato armato di 
denti, il quale però non sempre conviensi alle specie del 
genere come vedremo più avanti. 

Il genere Lacerta riformato da Cuvier rimase poi sempre 
il più naturale di tutti quelli ch’erano stati proposti! an- 
tecedentemente 0 si proposero dappoi; e Merrem che pub- 
blicando la seconda edizione (4820) del suo Tentamen 
systematis Amphibiorum riuniva ancora nel genere quelle 
specie che Cuvier ne avea saggiamente staccate, introdu- 
cendovene anzi anche molte altre, non fece che rendere 
eterogeneo: il gruppo ch’ esso pensava di. stabilire. 

Più naturali modificazioni nel genere introdusse poi il 
sig. Fitzinger di Vienna (4826); e finalmente Wagler, pre- 


ERPETOLOGIA 449 


sentando nel 4830 il suo Systema Reptilium essenzialmente 
fondato sulla organizzazione di questi animali, divise le 
Lacerte propriamente dette di Cuvier nei tre suoi distinti 
generi Lacerta, Zootoca e Podarcis; divisione che venne an- 
che accettata da varj distinti Erpetologhi, e fra essi dal 
dottissimo naturalista il Principe Carlo Luciano Bonaparte. 

Si assegnano come caratteri dei tre generi Wagleriani: 


Il LACERTA. 


Narici aperte immediatamente sotto l'apice del cerchio ro- 
strale, nel margine posteriore infimo di un solo ‘scudetto; la- 
mine sopraorbitali ossee; tempie coperte di scudetti; squame 
del ventre romboîdali, quelle del petto poligone; dorso vestito 
di squame omogenee, poligono- orbicolari, ollusamente carenate ; 
coda arrotondata, cinta di squame oblonghe, esagone e carena- 


te; un collare; denti al palato. 
ih ZOOTOCA. 


Narici, lamine sopraorbitali, squame del ventre è della co- 
da, non che il collare come nel genere precedente. Tempie ve- 
stite di squamette adpresse; tubercoli del dorso un poco allun- 
gati, distintamente esagoni, ottusamente .carenati. Palato senza 
denti. 


Ill. PODARCIS. 


Tempie come nel gen. Zootoca, e così pure mancanza di 
denti al palato; nel resto simile precisamente al genere Lacerta, 
tranne che le narici sono poste all’ apice del cerchietto rostrale 


fra le suture di tre scudetti, al di sopra del primo dei labbiali. 


420 BETTA 


Il riassunto degli esposti caratteri fa differire il genere 
Podarcis dal genere Lacerta per la mancanza di denti al 
palato, per le narici aperte fra tre scudetti e non in uno 
solo, e per le tempie vestite di squamette e non di scu- 
detti: distingue il genere Zootoca dal genere Zaceria per la 
mancanza pure di denti al palato, per le tempie vestite 
di squamette e non di scudetti, e per i tubercoli del 
dorso non poligono-orbicolari ma un poco allungati e di- 
stintamente esagoni; separa finalmente il genere Podarcis 
dal genere Zootoca per le narici non già aperte fra le su- 
ture dei tre scudetti ma, come nel genere Lacerta, nel mar- 
gine di uno solo, e per i tubercoli del. dorso poligono- 
orbicolari invece che un poco allungati e distintamente 
esagoni. 

Una esatta investigazione e studio di tutti e tali carat- 
teri generici persuade però ben presto della pochissima 
importanza od insufficienza di aleuno di essi, e persino 
della non sussistenza di altri. Così a cagione d’ esempio, 
le narici della Podarcis muralis, tipo del genere, non sono 
aperte in diverso modo da quelle della Zacerta véridis; così 
non può dirsi rigorosamente che le tempie della prima 
sieno vestite di squamette e non di scudi come la seconda, 
poichè le regioni laterali della testa nella Podarcis e nella 
Zootoca offrono ciascheduna un piccolo scudetto circolare, 
detto disco masseterico. In specialità poi nella Zootoca wvivi- 
para, essa pure tipo del genere Wagleriano, le tempie pos- 
sono considerarsi meglio vestite da piastrine che non da 
squamette. Così ancora non vedesi differire la Zootoca 
vivipara dalla Lacerta viridis per le scaglie del dorso, le 
quali sono in quella come in questa allungate ed esagone, 
e non già nella seconda poligono-orbicolari come invece 
lo sono realmente nella P. muralis. 


ERPETOLOGIA ADI 


Altra caratteristica distinzione fra i due generi Lacerta 
e Podarcis sarebbe il palato armato di denti nel primo, 
privo di essi nel secondo. E benchè stiano per noi a con- 
ferma di tale carattere le osservazioni del Principe di Ca- 
nino e di altri, non che quelle ch’ io stesso istituii su cin- 
quanta e più individui della Podarcis muralis, in nessuno dei 
quali ebbi a trovare denti al palato, anche tale carattere di- 
co, troverebbe però opposte dichiarazioni. Wiegmann infat- 
to ritenendo i tre gruppi Wagleriani, non però come gene- 
riche divisioni ma come sottogeneri soltanto, noterebbe fra 
i caratteri del g. Podarcis, denti al palato, assai piccoli, 
conico- ottusi; e più tardi anche lo Tschudi accettando i 
gruppi stessi come semplici sottogeneri, riporta da Wieg- 
mann, e segna fra i modificati caratteri del gen. Podarcis 
di Wagler quello dei piccoli denti al palato, di forma co- 
nico-ottusa (*). — Più recentemente poi i Signori Dumé- 
ril e Bibron, esponendoci l’ insufficienza dei caratteri asse- 
gnati pei tre generi di che trattasi, ci osservano quanto ai 
denti del palato come tale carattere sia di ben debole va- 
lore fra i Zacertini dappoichè si constatò tali denti ora 
esistere, ora mancare in individui appartenenti alla stessa 
specie; ed aggiungerebbero ancora più a conferma, di avere 
trovato denti al palato in qualche individuo precisamente 
della stessa Podarcis muralis, benchè debba però dirsi più 
generale nella specie la mancanza di essi. 

Nel mentre per tutto quanto si è detto, confessiamo 
che non è del tutto scientifica l’accettazione dei generi di 
Wagler come precisi e distinti, non crediamo però d’ al- 
tra parte di potere ancora adottarne la totale eliminazione, 


(*) « Die Gaumenzihne sind ganz klein, stumpfkegelformig ». Monogr. 
d. Schweiz. Echsen. pag. 54. 


422 BETTA 


come già avrebbero fatto i prelodati sigg. Duméril e Bibron. 
E meglio quindi pensiamo di corrispondere alle risultanze 
delle fatte osservazioni coll’ accettare quì i tre gruppi in 
questione come sottogeneri delle Zacerte di Cuvier, ognuno 
dei quali ha fra noi per rappresentante uno dei tre Lacer- 
tini che sino ad ora possiamo enumerare come abitatori 
delle provincie illustrate. 

Un’ unica specie del genere Anguis (*), come fu già av- 
‘vertito, rappresenta fra noi la seconda famiglia dei Saurii, 
ed i caratteri che a questa abbiamo assegnati non lasciano 
possibile una confusione di famiglie. Ma ben diversi però, e 
più speciosi e distinti dovrebbero essere i caratteri stessi se 
‘coll’attuale-unico rappresentante potessimo annoverare nella 
famiglia degli Anguidi nostri altre specie, quali ad esempio 
il tozzo Ascalabote tarantola ( Ascalabotes fascicularis Schn.) 
dell’ Italiaj meridionale, o } Emidattilo della. Dalmazia 
(Hemidactylus verruculatus Cuv.), o il Gongilo della Sardegna 
e Sicilia (Gongylus ocellatus Wagl.) molto somigliante alle 
Lucertole, o la serpentiforme Luscengola (Seps chalcides Wagl.) 
dell’Italia meridionale, che ha quattro gambe tanto corte 
e sottili da non riuscire a prima giunta visibili, o il Pseu- 
dopo serpentino ( Pseudopus serpentinus Merr.) della Dal- 
mazia fornito dei soli rudimenti dei piedi posteriori, coi 
quali tutti potrebbersi poi anche meglio stabilire e provare 
gli annelli della catena che unisce le Lucerte all’ Anguis, 
ultimo annello, come lo dice benissimo il Principe Bona- 
parte, dell’ aberrante e serpentiforme serie degli Anguini. 

Il genere Anguis stabilito da Linneo comprendeva una 
volta tutti i rettili squamati senza piedi o con piedi estre- 


(*) Nome comune del serpente presso i Latini. « Zatet Anguis in 


herba ». Virg. 


ERPETOLOGIA 423 


mamente brevi, colle squame della parte superiore del 
tronco e della coda simili o presso che simili a quelle 
delle parti inferiori. Attualmente però non è in esso 
compresa che l’ unica specie conosciuta, 1’ Anguis. fra- 
gilis, sparso per tutta Europa non solo, ma nell’ Asia oc- 
‘cidentale altresì e sulle coste meridionali dell’ Africa. E 
ad essa vanno indubbiamente riportate come sole. varietà 
dipendenti dall’ età, colorito, clima, o da altre circostanze 
le molte specie dagli autori create, quali sarebbero la l- 
neata e la clivica del Laurenti, la cinerea e la bicolor del 
Risso, e con ogni probabilità anche la incerta del Krynicki, 
da lui descritta come indigena della Russia (*). 

Nè abbandoneremo questo Sauriano . senza avvertire 
come molti naturalisti v° abbiano ancora i quali, attaccati a 
vecchie classificazioni o giudicando da qualche esterno 
carattere, si ostinano a collocarlo tra i serpenti. Un’ at- 
tento esame dell’ animale persuaderà ben presto del posto 
che gli compete fra i rettili. Il capo infatti di forma pira- 
midale, gli occhi piccolissimi e molto riavvicinati alla 
punta del muso. lo squarcio assai limitato della bocca, ì 
denti disposti sulla mascella in una sola serie e mancanti 
al palato ; il tronco terete, liscio, tutto vestito di lucide 
squame embricate ed uguali; la coda lunga quanto il 
corpo ed anche più, sono tutti caratteri esterni che lo av- 
‘vicinano ai Saurii. Uno dei polmoni minore della metà 
dell’ altro, un bacino; sebbene imperfetto, un piccolo ster- 
no, l’omoplate e le clavicole sotto la cute, sono caratteri in- 
terni che indubbiamente lo collocano fra i Saurii, come pre- 
cisamente l’ultimo annello che questi agli Ofidiani congiunge. 


(*) Observationes de Replil. indigen. Bulletin de la Soc. de Moscou. 
41837. p. 52. tab. 1. 


424 BETTA 


Sono i Lacertini in genere rimarchevoli per la varietà 
e vivacità dei loro colori e delle loro tinte, soggette però 
a variare secondo l’età ed il sesso, secondo le stagioni e le 
passioni, ed anche secondo la natura dei terreni nei quali 
fanno dimora. Dotati in genere di rapidissimi e vivacissi- 
mi movimenti, sono gli organi loro conformati sempre in 
rapporto alle abitudini ed alla dimora propria di ciascun ge- 
nere. Dita mobilissime, sottili, molto sviluppate, allungate 
e puntive, sono caratteri dei Zacertini nostri che dinotano 
un genere di vita ed un soggiorno fra le sabbie e le aride 
roccie. La mancanza di gambe e la lunghezza del tronco 
fa conoscere nell’ argue un Sauro destinato a vivere sopra 
terreni erbosi sui quali striscia come i serpenti, dei quali 
ha l’ esteriore. 

All’ esercizio però della loro facoltà locomotiva richie- 
desi, come in generale per tutti i rettili, una temperatura 
elevata dell’ atmosfera; e perciò mentre nel gran caldo 
dell’ estate e sul mezzodì si vedono più vivaci e più snelli, 
si fanno pigri all'incontro e tardi nei loro moti avvici- 
nandosi il freddo, fino a che a mezzo autunno si ritirano 
nei loro sotterranei nascondigli, ove rimangono intorpiditi 
tutta la fredda stagione. Ma non tutte le Lucertole sop- 
portano colla stessa facilità una eguale temperatura; così 
fra noi la /'odarcis auralis, che è la. prima a comparire 
dopo il disgelo, fassi più rara e sta nascosta quando l’ e- 
state comincia ad abbrueciar le campagne. La Zootoca vi- 
vipara che abita a preferenza i luoghi erbosi e soleggiati 
delle montagne, non vedesi che assai raramente nelle ore 
più calde dell’ estate stando allora ricoverata sotto i ce- 
spugli e gli sterpi. La Lacerta viridis è pur essa amante 
dell'ombra, mentre la sua affine Z. occellata, propria delle 
parti più meridionali d’ Italia e della Spagna, resiste al 


ERPETOLOGIA 425 


calore più alto del clima, ed anzi il meno intenso freddo 
la rende neghittosa e lenta, talchè tosto si seppellisce 
nelle sue tane. 

Ma la sorprendente agilità di questi animali non mo- 
strasi che a slanci e non dura che a piccole distanze, e 
se non trovano presto il loro nascondiglio, cui, sempre di- 
rigonsi in caso di pericolo, rimangono stanchi e divengo- 
no preda del nemico. Dotate di membra corte e lateral- 
mente collocate, le lucertole non possono molto sollevarsi 
dal suolo: appoggiano sulla terra la testa ed il corpo 
quando riposano, sollevano alquanto il capo e la coda 
quando camminano. Allorchè si movono sopra un terreno 
folto di erbe, o tra i bassi virgulti delle siepi usano molto 
della loro coda per agevolarsi il cammino .e per saltare 
da uno in altro luogo, ed anco nel nucto se ne servono 
utilmente ritraendo al tronco le gambe. Le loro. unghie 
acute e ricurve le rendono abilissime nello arrampicarsi 
sugli alberi e sui muri, e servono anche di difesa effet- 
tuando profondissime graffiature, specialmente quelle. del 
Ramarro lorchè l’animale venga preso pel collo onde evi- 
tarne il morso. 

Non tutti i Saurii sono egualmente timidi, e benchè le 
nostre specie ricorrano sempre alla fuga ogni qualvolta 
siano minacciate da pericolo, pure il Ramarro sa mordere 
rabbiosamente con lacerazione e strapparnento della pelle, 
quando venga preso od irritato. Di rado offendonsi e mor- 
donsi fra loro. 

La vista è attivissima nelle lucertole essendo i loro 
occhi assai sviluppati, ma non è meno attiva anche nel- 
langue benchè i suoi occhi siano così piccoli. L’ udito è 
acutissimo. Non può dirsi che questi animali abbiano 
squisito anche l’ odorato, tanto più che nmutronsi di ani- 


426 BETTA 


mali che afferrano non appena li hanno scorti; tuttavia 
dal vedere quanto ai Zacertini come essi protendano il 
muso esplorando verso le sostanze prima di addentarle, e 
scavino la terra per cavarne i lombrichi, sembra che non 
manchino d’ olfato. Respirano colle narici, munite di val- 
vole cutanee che apronsi e chiudonsi portandosi all’ indie- 
tro ed all’ innanzi. Hanno il gusto abbastanza sviluppato, 
e basta mettere loro in bocca una sostanza acre od amara 
per vedere gli sforzi che fanno per liberarsene. Il tatto 
all’ incontro sembra più ottuso, e benchè la cute non sia 
insensibile ai contatti, solo la lingua ed il muso possono 
soccorrere a tale percezione, che diversamente è piuttosto 
debole. | 

I Saurii nutronsi di sostanze animali, e principalmente 
di carni ancor vive. Digeriscono lentamente e sono quindi 
molto sobrii, potendo anche sopportare lungo digiuno. Se- 
condo le osservazioni di Dugés (*).i Lacertini bevono lam- 
bendo 1’ acqua come i cani. La loro bocca è meno larga- 
mente fessa che non sembri a tutta prima; le mascelle 
sono però forti, e robustissimi ne sono i muscoli: più 
volte si può trasportare un Ramarro a molta distanza so- 
speso per la bocca alla estremità di un legno, tanto tena- 
cemente lo tien serrato fra le mascelle. 

Colle unghie e coi denti scavano le tane nel suolo @ 
negli alberi, e dilatano le fessure dei muri ove stabiliscono 
il loro rifugio e la loro dimora. Una tana scavata o 
nelle rive che fiancheggiano le strade, o nei cumuli di 
arena, o al piede dei muri, sicura dai molti nemici, è il 
luogo ove depongono le loro uova, che sono allungate ed 


(*) Annales des Sciences naturelles. 1827. Tom. XII. p. 359. — 1829. 
Tom. XVI. p. 360. 


ERPETOLOGIA 127 


a guscio calcareo; ed ivi esposte ai raggi solari sehiudonsi 
poi in maggior o minor numero di giorni, secondo le spe- 
cie e le circostanze atmosferiche. i 

Si è altrove parlato della somma facilità con cui pos 
sono questi animali perdere Ja coda e riprodurla, onde la 
misura di tal membro non potrebbe sempre corrispondere 
come carattere specifico. Abbastanza frequente è poi anche 
il caso di trovare lucertole con coda duplice e triplice, e 
secondo Bonaparte se ne viddero anche talvolta con quat- 
tro e sino con sette code, le quali però sono sempre car- 
tilaginose all’interno. 

Fra queste e varie altre anomalie che possono incon- 
trarsi nei rettili di quest’ ordine, merita di essere special- 
mente ricordato il caso, sempre raro però, in cui le uova 
essendo doppie e racchiudendo in un solo guscio i germi 
di due individui vivificati, ne nascono dal loro sviluppo es- 
seri più o meno uniti, o mostruosità per eccesso , che al- 
ignorante. volgo desterebbero mille spaventi e darebbero 
vita alle più stolte favole, od appoggio ai vecchi pregiudi- 
zj che già avessero appreso. 

Già Aldrovandi, Lanzoni, e Redi sopratutto, avevano 
parlato e ragionato di serpenti a due teste; ma più tardi 
si registrarono casi consimili anche fra i Saurii, e Dumé- 
ril accenna conservato nel Museo di Parigi un giovine la- 
certino con due teste, collocata ciascheduna sopra un collo 
distinto. Anche Geoffroy Saint- Hilaire parla (*) di quel 
Lacertino comunicatogli da Bibron, ed aggiunge l’ interes- 
sante descrizione di un altro più adulto presentato nel 
1834 a quell’Accademia delle Scienze dai signori Beltrami 


_(*) Mist. gen. et partic. des anomalies. Bruxelles 1857. Tom. HII., 
p. 132. 


128 BETTA 


e Rigol. Questo lacertino, rinvenuto da Rigol nell’ Otto- 
bre 1829, era stato conservato vivo fino al successivo Feb- 
brajo; aveva due teste distinte portate da due eolli riuniti, 
e quando venivagli presentato da mangiare, se le due te- 
ste potevano prendere liberamente la propria preda man- 
giavano contemporaneamente, se il cibo veniva presen- 
tato ad vna sola, } altra avvicinavasi sollecitamente fa- 
cendo mille sforzi per rapire la preda. Saziata l’ una, an- 
che Vl altra cessava dì aver fame, ciò che secondo Beltra- 
mi indicherebbe l’esistenza di un solo stomaco con dop- 
pio esofago. 


ERPETOLOGIA 129 


Fam. I. Lacertini. 
Gen. LACERTA CUVIER. 
I. s. g. LACERTA DAUDIN. 


3-1. LACERTA VIRIDIS 
Daudîn, 


Ital. Ramarro, Lueerto ramarro, Lucertolone. 

Ven. Ligador, ligaor, osertolon, Martin coz, lusertola verde, 
languro, liguro, sbors, sborf. 

Tirol. Luserpon, ligader, ligordo, salua-omeni, verdon. 


CARATTERI. 


Corpo cilindrico; due piastrine sovrapposte fra la nasale e la lorea. 
Tempie rivestite di sendetti poligoni, inequilateri. Denti al palato. Solco 
golare molto pronuneiato. Collare dentellato. Scaglie dorsali allungate, 
esagone. Piastre addominali in 8 serie. 

Superiormente di color verde uniforme più o meno vivo, più o meno 
“macchiato in nero, o con linee longitudinali bianehe orlate in nero. | 


SINONIMIA. 


Laceria viridis Daud. Hist. Rept. III p 144. t. 34. 
SS —  Merr. Syst. Amph. p. 64. sp. 8. 
_ —  7olfin Sturm Deutschl. Fauna HI. 4. t. 6. 
—_ — isso Hist. III. p. 86. 
—_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. BI. sp. 45. 
_ —  Duges Annal. XVI. p. 372. t. 4B. f. 3. 
9 


4130 BETTA 


Lacerta viridis Wagl. Syst. Amph. p. 1bb. gen. 52.. 
— — © Bonap. Fauna ital. cum tab. 
—  —. «chinz Fauna Helvet. p. 159. sp. 3. 
_ —  Tschudi Monogr. p. 18. 
_ —  Kryn. Observat. p. 47. 
— — Dum. et Bibr. Erpétol. V. p. 240. 
- — Betta Rett. Tirol. p. 153. 
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 12. 
_ -—  Massal. Saggio p. 32. 
Seps ferrestris Laur. Syn. Rept. pi 64. t. 3. ft. 
Lacerta agilis var. y. viridis Lanf. Saggio p. 33. 
Lacerta. bilineata Daud. Hist. Rept. III. p. 152. t. 35. f. 1. 
— chloronota Rafin. Caratt. p. 7. sp. 46. 
— exigua Eichw. Zool. Ross. III. p. 188. (juven.) 
—  strigata Eichw. l. c. p. 189. 
—  syluicola Eversm. Rept. Mose. p. 544. t. 30. 


FORME. 


È questa specie la più grande dei Lacertini nostri, ed 
anzi in tutta Europa cede solo per dimensioni alla bellissi- 
ma Lacerta occellata, propria di pochi distretti meridionali ‘ 
d’ Italia, più comune e copiosa nella Francia meridionale 
e nella Spagna. 

Il corpo è cilindrico ; la testa due volte più lunga che 
alta, e qualche poco più alta che larga; alla base, parten- 
do dalla fronte, presenta un piano debolmente inclinato 
pel davanti, col muso poco ottuso e senza notevole rilievo 
alle tempie. Coda lunghissima, tetragona alla base, indi 
conica e sempre più assottigliantesi verso |’ apice, e for- 
ma da sè sola due terzi della totale lunghezza dell’ ani- 
male. Le zampe anteriori, stese lungo il collo arrivano 
alle narici; il loro primo dito è breve, il secondo poco 


ERPETOLOGIA - 434 


più i lungo del quinto, il terzo ed il quarto sono i più lun- 
ghi. Le. zampe posteriori sono più lunghe, e distese lungo 
il corpo toccano ‘generalmente le ascelle; più di rado ar- 
rivano solo ad eguagliare quattro quinti della lunghezza 
dei fianchi; i loro diti decrescono regolarmente dal quarto 
al primo, ed il quinto è lungo: quanto il secondo: sono 
nodosi e coperti da piccole lamette allargate, e le piante 
hanno. tubercoli granulari; le unghie sono di media lun- 
ghezza, acute, ricurve, di ‘color corneo-brunastro o fulva- 
stro. 

sie palato è “armato di denti piccoli , semplici e conici, 
in numero di dodici circa. per ciascun lato. Si contano 44 
a 43 denti intermascellari, circa 410. miascellari superiori, | 
e 48 a 50 mascellari inferiori. 

Cinque per banda sono le piastre sottomasesilari. La 
piastra frontale è grandissima, ir regolarmente esagona, mol- 
to più lunga che larga ed a. margini laterali curvilinei; le 
parietali grandi ed irregolarmente esagone; la interparietale 
piccola, un poco ‘allungata , di ‘forma romboidale, quasi 
sempre troncata. posteriormente, ma qualche volta ad an- 
golo molto acuto; la occipitale piccola, per lo più della 
forma di. un triangolo isoscele. troncato pel davanti, di 
rado semplicemente lineare. Negli individui nei quali giunse 
al maggior suo sviluppo è dessa quasi tanto. larga che la. 
frontale: Fra la piastra masale e la’ lorea ‘trovansene due 
piccole, l'una ‘sovrapposta - regolarmente all’ altra, eguali. "i 
fra esse e quasi quadrate. Dietro a queste piastrine. tro- o 
vasene una verticale quasi rettangolare, susseguita da: 
un’altra molto grande, Snbapiovliangelra ‘ed ondulata’ al 
suo margine posteriore. pi 

Le tempie sono rivestite di seoilatti piani, uniti, ine- 
guali ed equilateri, in mezzo ai ‘quali vedesene una cen- 


132 BETTA 


trale e più sviluppata. AI margine supèriore della; regione 
temporale si trovano due pl grandi , oblunghe,. * sub- u 
quadrilatere. i 

L’orecchio è verticale , itregolarmente ovale e ‘molto 
grande. La palpebra superiore è segnata da. un: punto ne- 
ro, ed è coperta da tubercoli granulari che- vedonsi poi 
anche nel margine della inferiore, nel cui mezzo. esiste 
una serie longitudinale di 5 a sù piccole: piastrine rettan- 
golari e sovrapponentesi. i 

Il collo è rivestito di tubercoli graniformi, non carenati, : 
e che sul dorso sono più grandi, allungati, esagoni: e sen: 
sibilmente carenati; ai fianchi questi tubercoli-sono ovali; 
un poco meno espansi e. molto leggermente o niente.care- 
nati. Minutissime sono le scaglie intorno alle cattaccature 
degli arti. Le squame della gola sono piuttosto grandi, ‘esa- 
gone, e molto embricate. Il solco golare è ben: pronun- 
ciato. Il collare formasi di 7 a 9 squame paraboliche, con 
margine esterno curvilineo, rappresentante una. merlatura. 
Jl triangolo pettorale è costituito’ -da:7 ad 8: lamelle. Le 
piastre addominali si dispongono in 8 serie longitudinali; 
sono strette e paraboliche nellè «due mediane; romboidali 
e più larghe quelle delle due serie attigue; strette e pie- 
cole ma quasi paraboliche mostransi anche le. esterne; e 
brevissime e poco distinte quelle delle due serie imargi- 
nali. Contasene una trèntina circa* per ognuna delle sei 
serie. La regione pre canale è occupata ‘da una sola piastra 
assai grande, ‘e provveduta da doppia serie di squame di- 
verse. Sotto ciascuna coscia cobtansi da 415.a 20pori: Le 
squame della coda sono allungate e strette, fortemente ca- 
renate nel loro mezzo, terminanti ad angolo acutò sE di- 
sposte in 100 a 412 verticilli. | 


ERPETOLOGIA 433 
ge 


1 catia n cui. arriva in ‘queste provincie 

ul centim. 30. a .35, dei quali due terze parti sono. . 
misurate dalla sola coda. In ‘generale gli individui del.Ti- 
rolo, €. specialmente delle parti più ‘elevate, si fanno di- 
stinguere per maggiori dimensioni. 


| COLORITO. 

‘La bellezza di questa Lu attrae gli sguardi di tutti, ed 
è un vero; diletto. per I occhio il bellissimo verde che of- 
fre il .suo corpo. Le sue scaglie percosse dai raggi del sole 
si indorano con mille riflessi. Nulla di più vago ed at- 
traente nei rettili quanto il. colore di questa Lucerta, la cui 
parte superiore del dorso: è generalmente di un verde uni- 
forme assai vivo e ‘risplendente. E la stessa bellezza di 
quella tinta aumenta di pregio -se, prodiga la natura a que- 
sta specie. come a tant’ altre di ‘variate tinte e colori, 
frammischia in essa il bianco, eil giallo, e il grigio, e. il 
bruno, e il nero, ed. adorna il suo Goo di macchie. di 
punti, e di linee. di 

Fra le varietà reperibili in ‘queste provincie distingue- 
remo le seguenti, non senza avvertire però come trovinsi 
spesso collegate fra esse e confuse. da innumerevoli gra- 
dazioni intermedie di colorazione; Lenpossibili a: descri- 
versi. 


var. a. coneolor. — Tutto il corpo di un bellissimo 
verde puro, colle parti di sotto di un bel giallo 
canarino o leggermente verdastro. 


434 


var. bd. 


“Var. c.. 


Var. d. 


Var. e. 


var. f. 


BETTA 
versicolor. — Gli individui. che vi ‘appartengono 
hanno la parte superiore del corpo di color verde 
più o meno tendente al giallastro, sparso di ‘un 
numero considerevole di piccoli. punti. neri; ‘le 
parti inferiori giallastre o giallo - “verdastre. 
maculata Bonap. — Il corpo è di un bel color 
verde o verde brunastro, coperto da macchie quadri 
latere nerastre che dispongonsi in varie fascie ‘sul 
dorso, e.qualche volta in' due soltanto marcate da 
una linea biancastra o giallastra. che lè divide da 
altre numerose ed irregolari macchie nere segnate 
sui fianchi: le parti inferiori sono tinte in verdastro. 
mento-coerulea Bp. — Dorso di un bel ver- 
de più o meno coperto da macchie quadrangolari 
nere, col capo variopinto al di sopra, tinto di un 
bel azzurro celeste lateralmente e sotto. Ventre di 
un bel giallo dorato. ©. | 

chloronota ( Rafin.) — boia: di un ‘color ver- 
de brunastro picchiettato di nero e di giallo ver- 
dastro ; di questo colore sono le molte macchie li- 
neari o lacrimiformi sparse sul capo, che è anche 
d’una tinta generale più o meno nerastra. In altri 
individui è il color nero predominante su tutto il 


‘corpo, che vedesi. in tal caso sparso di piccoli 


e numerosissimi purti d’ un giallo vivo. La pancia 
è giallastra ; il mento, la regione anale ed il di 


‘sotto della coda di color giallo verdastro. 


cinereo - nigrescens (‘) — Si fa distinguere dalla 
precedente per la parte superiore del corpo di un 


(*) L. viridis var. cinereo-nigrescens Betta. Cat. Relt. Tirol. pag. 153. 
Cat. syst. Reptil. p. 12. 


ERPETOLOGIA 435 


marcato color verdastro cinereo, sparso di mac- 
chie e punti neri e castani. Il di sotto di un color 
bianco-ceruleo con leggerissima tinta giallastra. 

Var. 9g. bilineata (Daud.) — Corpo di color verde o ver- 
de - brunastro con due linee bianche longitudinali, 
distinte e compiute sul dorso, marginate di nero, 
e con un’ altra linea interrotta per cadaun fianco, 
costituita da semplici macchiette di color bianco, 
qualche volta anche accompagnate da macchie ne- 
re. Parti inferiori gialle o giallo - verdastre. 

var. h. brunneo - viridescens, bilinenta. — Bellissima 
varietà della quale ne presi due individui nel Ti- 
rolo presso Fondo, nel Settembre 41855. Il fondo 
del corpo è di un verde sporco tendente al bru- 
nastro, il qual ultimo colore mostrasi poi quasi 
esclusivo sulla testa, sulle gambe posteriori e sulla 
coda. Le due linee mediane bianche, orlate in nero, 
continuano su tutto il corpo fino verso la metà 
della coda. Le due laterali interrotte e fiancheggia- 
te da macchie nerastre. Le parti inferiori del cor- 
po giallo - verdastre; le parti laterali della coda 
fulvastre, il di sotto biancastro. 

Notasi poi in generale che gli individui che più tirano 
in giallo sogliono avere anche il capo punteggiato di tal 
colore; che in individui della var. dilineata possono mancare 
le due linee biancastre ai fianchi; che il capo può essere 
oltre che verde, anche brunastro in quasi tutte le varietà 
suddescritte; che le parti anali, le coscie ed il di sotto 
della coda possono essere anche tinte in bruno; e che in 
generale i colori oscuri dominano più negli individui mon- 
tani che non in quelli delle pianure, nei quali il color 
verde rimane quasi sempre assai vivo e marcato. 


436 BETTA 


I giovani della specie hanno la parte superiore del cor- 
po di un verde meno bello, o. di un color rossagteo o bru- 
nastro fiancheggiato di verde. Il loro capo è pure tinto in 
rossastro; ed assai di frequente recano sul dorso due linee 
biancastre consimili a quelle della var. bdilineata, ma -che 
svaniscono poi mano mano nella maggior parte degli in- 
dividui. Hanno il ventre biancastro, bianco giallognolo, o 
bianco verdognolo. 


ABITAZIONE E COSTUMI, 


Comunissima in tutto il Veneto e nel Tirolo meridio- 
nale, è sparsa nelle campagne, lungo le strade, fra le siepi, 
fra i vigneti nelle pianure, fra i cespugli e gli sterpi sui 
monti. Predilige le posizioni soleggiate, ma .ricerca anche 
quelle ombrose. Rarissima mostrasi fra le ruine dei muri; 
e fra tutte le varietà accennate tale abitazione sembra 
prescelta dalla cinereo-nigrescens, che gli abitanti dell’ A- 
naunia distinguono perciò colla speciale denominazione di 
luserpa casalina. Questa varietà; ch'io non trovai che in 
quella sola parte del - Tirolo, vive. però anche secondo il 
eh. Prof. Gredler fra .i vigneti presso Caldaro, comparendo 
poi più rara presso Bolzano ove è volgarmente chiamata 
Holzgrienzen: e l'amico mio Prof. Massalongo ne raccolse 
un’esemplare presso Tregnago (prov. Veronese) nell’.esta- 
te 1856. Così nel Tirolo soltanto trovai fino ad ora le 
varietà e ed &; unicamente nel Veneto la varietà e; più 
o meno rare nel Tirolo, e più copiose nel Veneto le var. 
a, d e g; comune ovunque la var. 5. 

Questa Lucerta nutresi di mosche, di locuste, di pic- 
coli coleotteri e di bruchi; come in genere tutte le lucer- 
tole, è ghiotta delle uova comprese le proprie, quantunque 


EFERPETOLOGIA 437 


‘stantie. In schiavitù mangia volontieri i lombrichi ed i 
vermi della farina. 

La femmina depone in una tana o foro da 7 a 40 uova 
bianche, della grossezza .di una nocciuola, che schiudonsi 
poi col calore dei raggi solari. 

Avvicinato a breve distanza, il Ramarro lungi dal fug- 
gire fermasi a guardare sollevandosi sugli arti, alzando 
la testa, -e facendo pompa direbbesi ‘quasi delle sue mira- 
bili tinte. Fugge però allorquando vedesi inseguìto, e 
pronto ricoverasi nella propria tana, o nei fori, o nei «tron- 
chi degli alberi. Preso od aizzato morde rabbiosamente por- 
‘tando molte ferite anche colle sue acute unghie, ‘e tiensi 
tenacemente attaccato agli oggetti addentati. 

eboli veleni lo uccidono, ed i nostri fanciulli provano 
spesso su di questa lucerta e sulla più piccola lucertola 
delle muraglie il crudele esperimento del tabacco, che po- 
sto in bocca ad entrambe le rende in pochi «istanti convulse 
e le fa morire. 

Come su molti altri rettili, su questo Lucerto non meno 
pesano ‘ingiuste accuse di veleno e di malefizj, che esistono 
solo. nella debole mente dell’ignorante che vi presta fede. 
Aleuni lo ritengono anche dotato di medicinali efficacie, e 
peccato che fra tant’ altre maggiori favole non sussista al- 
meno realmente la proprietà attribuitagli dal volgo, di av- 
vertire l’ uomo con mille moti e salti della presenza del 
serpente che potrebbe nuocergli; credenza che nel Tirolo 
gli ha procacciato l'epiteto di salva - omeni. Che se anco 
il caso nacque di aver dovuto attribuire ai salti di un 
ramarro ed all’ accidentale suo passaggio sul corpo di 
un’ uomo addormentato, la salvezza di questo dal pericolo 
di qualche serpe che si avvicinava, questo fatto trova facile 
e naturale spiegazione nelle conseguenze di quell’ infinita 


438 BETTA 


paura che i serpenti inspirano alle lucertole tanto grandi 
che piccole; il che si argomenta dalla fuga precipitosa cui 
si danno al primo vederli, e dalla confusione in cui cadono 
quando non possano a tutta prima cacciarsi nella loro tana, 
o non sappiano trovare un qualsiasi altro, ma pronto rifu- 
gio a loro salvezza. 


OSSERVAZIONE. 


Devonsi escludere dalla Sinonimia della specie il Seps 
sericeus del Laurenti, la Lacerta sericea del Daudin, e la La- 
certa tiliguerta 0 caliscertula del Cetti, le quali benchè da 
moltissimi Erpetologhi riportatevi come sinonime, appar- 
tengono all’ incontro come tali all’ altra specie nostra, la 
Podarcis muralis. tri I 

Devono invece ritenersi come sinonimie la Lacerta stri- 
gata ( L. Michahellesii Fitz. ) e la L. erigua create da Eich- 
wald, la prima su di una semplice varietà della £. viridis 
a 5 linee longitudinali bianchiccie sopra un fondo verde 
uniforme o brunastro; la seconda su di un giovine indi- 
viduo della specie stessa. Nella mia Collezione tengo la pri- 
ma proveniente dalla Grecia, ma potrebbe forse incontrarsi 
anche in queste Provincie. Venete avendola già nell’ anno 
scorso trovata nei contorni di Milano il ch. Prof. Cav. Jan, 
come gentilmente mi comunicò in lettera. 


ERPETO LOGIA - 439 


Il sg ZOOTOCA WAGLER. 
4 di ZOOTOCA VIVIPARA 
NR i | Wagler. 
Dori Lucertola, E vinto 


Ven.. Luserta, osertola, 
Tirol, Luser ‘dola, da Luserpa. 


cana tERI.. 


torpo strello e a Una sola piastrina n la nasale e la 
lorea. Tempie rivestite di squame adpresse, fra le quali una più grande 
( disco masseterico). Palato privo di denti: Solco golare poco distinto. 
Collare dentellato. Scaglie dorsali allungate, esagone. Piastre SELL 
disposte in 8 serie. 

Dorso bruno o grigiastro, con una linea mediana giuda nera, 
e due allre ai Bagel orlale di bianco. 


SINONIMIA. 


Lacertus vulgaris Ray Syn. Rept. p. 264, 
Lacerta vivipara Jacq. Acta Helvet. I. p. 33. t. 4. 
— Dum. Bibr. Erpétol. V. p. 204. 
Lacerta agilis Flem. Brit. Anim. p. 150. 
— —. Gray Proced. Zool. Soc. 1833. III..p. 142. 
Laeerta crocea Wolf in Sturm Deutsch. Fauna III. i. 
| —  —  itz. Verz. Mus. Wien. p. 52. sp. 418. 
—  — Zversm. Reptil. Mose. III. p. 347. t. 3. 
- —  ZXryn. Observat. p. BI. 
Lacerta montana Mikan in Sturm Deutschl. Fauna III. 4. 


640 SMARIERILI A 
Lacerta montana S hinz Fauna Helvet. p. 140 seo 
Lacerta pyrrhogaster Merr. Syst. Amph.. p. 67. sp: 16. i 
Lacerta Schreibersiana Dugés Annal., T. XVI. p. 37. 
Lacerta praticola Eversm. l. cp. 348. t. 30. f. AL DE i 
Zootoca vivipara IVagl. Syst. Amph. p: 155. 
iii ona. Fauna ital. ‘cum tab. i 
= i Betta Ret. Tirol. -P. 134. i 
— —_. Betta Cat. Syst. Resti P 14. 
—  .—  Massal. Saggio p. 197. 
Zootoca crocea Wiegm. Herp. Mexic.. I. p. do 
LETAME) SY Rept. p. 20. 3 
Zootoca pyrrhogasira Tschudî Menegi pii27: 


FORME. 


Alquanto più piccola della seguente Podarcis muratis, ha 
il.corpo stretto e cilindrico,. la. testa col muso alquanto. 
acuto, circa tre volte meno larga alla base che lunga. Coda 
‘due volte più lunga che il corpo, tetragona alla base, indi 
perfettamente cilindrica fino alla punta e di forma sua par- 
ticolare, giacchè in luogo di gradatamente decrescere dalla 
base all’apice conserva -quasi la stessa grossezza fino alla 
sua metà, insensibilmente assottigliandosi poi nel rimanente. 
“Zampe corte e piuttosto tozze; le anteriori stese lungo il 
collo arrivano all'occhio 0 poco più; le.posteriori misurano 
due terzi della totale lunghezza dei fianchi. Le dita, non 
dissimili per le loro proporzioni da quelle della L. viridis, 
sono coperte di piccole lamelle allungate, e le piante vestono 
tubercoli granulari. Le unghie sono piccole, corte, ricurve, 
leggermente compresse, e di color nerastro. 

Il palato è sprovvisto di denti; le mascelle ne hanno 9 
intermascellari, 36 a 38 mascellari superiori, e circa 50 al 
di sotto. 


ERPETOLOGIA AGA 

La piastra frontale è assai grande, di forma esagona ir- 
regolare, anteriormente e posteriormente ad angolo; allun: 
gata e cùrvilinea ai lati; le parietali grandi ed anche irre- 
golarmente esagone; la interparietale piccola, qualche poco 
allungata, insensibilmente ristretta pel di dietro; a:cinque 
lati, uno posteriore, due anteriori ad angolo acùto ed ottuso; 
e due laterali ordinariamente più grandi degli altri. Imme- 
diatamente segue la piastra occipitale, molto piccola, di'una' 
lunghezza assai minore ed una larghezza quasi eguale alla 
interparietale, con figura di triangolo isoscele troncato alla 
- sommità anteriore e leggermente curvilineo alla: base. 

È carattere distintivo della specie l’ avere. una sola 
piastrina tr iangolare fra la nasale e la lorea, e non due so- 
vrapposte come nella L. viridis e P. muralis. Tale piastrina. 
è susseguita da un’altra subquadrata, di mediocre grandez- 
za, e questa da una aneora più grande e quadrilatera che 
si congiunge alle oculari, e’ qualche volta reca un:piccolo 
rilievo nel suo margine posteriore. Le tempie sono rivestite 
di squame: quasi scudetti, ‘poligone, irregolari, più o meno 
tendenti alla forma circolare, ed in mezzo alle quali, e cor- 
rispondente al centro della regione temporale, vedèsi una 
| piastrina o disco masseterico, di forma poligona abbastanza 
grande, ma molto meno aa che non quella della Po- 
dar cis muralis. 

L'apertura della bocca SÌ i'prouae sin'sotto 1 angolo po- 
steriore dell’ occhio. La mascella inferiore è vestita ‘di cin- 
que piastrine per ciascuna banda. Le palpebre sono come 
nella Lacerta viridis, ma senza la macchia: nera; e 1’ aper- 
tura dell’ orecchio, di forma ovale più regolare, è fors’ anco 
più piccola in proporzione. 

Le scaglie che vestono il collo tanto al di sopra quanto 
al lati sono arrotondate, convesse, contigue, non embricate; 


442 4 ARRRTIA 


quelle del dorso sono allungate, strette, esagone, legger- 
mente embricate, e mano mano che si innoltrano. verso la 
coda divengono ancora più anguste e più sensibilmente ca- 
renate. Sono piccolissime quelle intorno alle attaccature de- 
gli arti; depresse, liscie o debolmente embricate quelle che 
veggonsi lungo i fianchi. Il solco golare è appena visibile. 
Il collare si forma di 8 a 9 scudetti poco embricati, con 
margine esterno curvilineo. Il triangolo: toracico è ‘costi- 
tuito da 8 ad 14 lamelle... 

Le piastre addominali formano 8 serie "‘ongiafnli 
delle quali le due più esterne sono brevissime, composte 
di piccolissime. piastre tanto lunghe che larghe ‘in numero 
di 24 a 28; nelle due medie contansene .30 circa ; ma 
meno piccole. ed alquanto dilatate. Le piastre delle: altre 
quattro serie sono quadrilatere, più grandi e ‘trasversal-. 
mente dilatate. La regione preanale è occupata da. una 
sola piastra assai grande, circondata da duplice. serie di 
squamette. Sotto ciascuna coscia contansi 9 a--42 pori. | 
Le squame della coda sono lunghe, strette, quadrilatere, 
terminanti ad. angolo acuto, precisamente earenate nel 
mezzo € disposte .in circa 70 verticilli. 


. COLORITO. 


La parte superiore del corpo è di color : bruno ©: fo- 
sco- rossastro più o meno acceso, più o meno tendente al 
verdastro od al grigiastro, e talvolta anche di color bron- 
zo ora uniforme, ora sparso di piccole macchie nere o 
biancastre. Sul dorso, dalla piastra occipitale fino oltre. la 
metà della coda, corre una riga nera continua o qualche 
volta interrotta, ai lati della quale vedonsi due serie di. 
punti neri accompagnati longitudinalmente, od anche se- 


ERPETOLOGIA : 443 


parati da altri punti biancastri che qualche volta vanno 
a congiungersi ed a formare una linea grigiastra continua. 
Due fascie oscure orlate sopra e sotto di bianco e talvolta 
seminate di punti pur bianchi, si distendono lateralmente 
alle dette due serie dagli occhi fino alla base della coda. 
La gola è perlacea più o meno tendente al  ceruleo ; 
qualche volta giallastra o rosacea. 

Il di sotto del corpo è ora di un bruno - verdastro, 
ora di un grigio verdognolo, talvolta pagliarino o gialla- 
stro, e persino ranciato acceso. E queste tinte possono 
essere uniformi o sereziate di numerose macchiette o 
punti nerastri, specialmente verso l’ ano e sotto la coda. 

Il colore giallastro o ranciato è. esclusivo delle fem- 
mine, nelle quali scorgonsi anche meno distinti i punti 
e le strie nere, e manca la linea grigiastra. Il loro capo 
è bruno-rossastro; ed il fondo del corpo più carico che 
nel maschio. 

Qualche volta sono più distinte le strie bianche, 
tal’ altra le brune, e questa variazione, unita alla maggiore 
o minore intensità della tinta del corpo, dà luogo ad un 
numero ragguardevole di graduazioni nel colorito della 
specie. 

I neonati sono al di sopra di un color nerastro quasi 
uniforme, e plumbei o cenerognoli al di sotto; e tale co- 
lorazione si mantiene anche per qualche tempo nei gio- 
vani, nei quali però vedesi molto presto una leggera trac- 
cia dei colori degli adulti. 


DIMENSIONI. 


Gli individui sino ad ora trovati tanto nel Veneto che 
nel Tirolo non misurano una lunghezza maggiore di 15 


444 BETTA 


a 47 centimetri, dei quali la coda occupa i due terzi. La 
testa misura’ millim. 10 a 43. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Questa specie che il Principe Bonaparte disse non'tro- 
varsi in paese italiano che sovra i monti della Svizzera e 
del Piemonte, trovasi molto più internata nel nostro paese 
di quello che fosse in allora conosciuto. La posseggono 
infatti e copiosa, i monti del Trentino, ed i paesi veronesi 
di Soave colle adjacenti località montuose, di Legnago e. 
di Zevio. Ne tengo un esemplare dal Padovano, ed uno 
dai monti Bellunesi. Secondo il Prof. Massalongo vive ‘an- 
che presso Peschiera. 

Nella Valle di Non nel Tirolo abita sempre gli alti 
monti, e non mai mi fu possibile trovarla ad elevazioni’ 
minori di circa 3000 piedi di Vienna sul livello del mare. 
Il monte Toval fu la prima località ove la raccolsi: più 
copiosa in seguito la osservai sopra Tret e Senale (4960 p. 
V. sec. Oettl.), e molti ed anche più belli esemplari raccolsi’ 
poi sui monti le Pallade all’ altezza di 5360 p. V. (Oettl:) 
Benchè ami in fatto più i monti che la pianura, non'può 
però dirsi ch’essa schivi tanto le umide terre quanto si 
credeva una ‘volta, e fa prova di ciò l’abitare essa le basse 
pianure ed i luoghi umidi' ed acquitrinosi del Veronese. 

Sui monti e nei boschi preferisce di stanziare vicino 
agli alberi ed ai tronchi secchi, a piè dei quali ha la sua 
tana sotto le foglie ed i rami caduti; e più che altrove 
trovasi appunto colà ove sono spessi cumuli di rami, 
pronta a ricoverarvisi sotto per difendersi dai pericoli che 
la' minaciassero. È per natura assai timida, ed al minimo 
avvicinarsi dell’ uomo fugge con mirabile velocità , riù- 


ERPETOLOGIA 4145 


scendo perciò possibile 1° arrestarle e V impadronirsene 
soltanto col sorprenderle nelle posizioni ove gli arbusti 
e le ineguaglianze del terreno le diflicultano la fuga. 

La femmina depone verso la metà o la fine di Giu- 
gno cinque a sette uova, così mature che di là a pochi 
minuti ne sbucciano i piccoli perfettamente formati. Que- 
sto fatto fu osservato per la prima volta da Jacquin, e 
verificato dappoi da molti altri, fra i quali da Cocteau 
che anzi estese su tale soggetto un’ erudita dissertazione 
nel Magazin de Zoologie di Guérin. 

Esempi di parto viviparo abbiamo però anche in varj 
altri rettili, e precisamente fra i nostri contiamo quelli 
dell’ Anguis fragilis ancora fra i Saurii, della Vipera e del 
Colubro austriaco fra gli Ofidii, della Salamandra fra i Ba- 
traci. Siecome osserviamo la stessa eccezione anche in 
animali ordinariamente ovipari di diversa Classe, quali 
sarebbero ad esempio la Paludina vivipara ed alcune Par- 
tule fra i Molluschi, aleuni Ditteri fra gli insetti, molte 
specie fra i pesci cartilaginei ecc. 

A quanto asseriseono gli auteri. nutresi questa lucer- 
tola di varj insetti, dando però speciale preferenza ai 
Ditteri. Io posso aggiungere d’ aver sorpresi due individui 
nel momento in cui avevano afferrata una mosca, ed un 
terzo che teneva fra le mascelle una locusta di monte. 


OSSERVAZIONE. 


AI colore ranciato più o meno carico del ventre in 
questa specie devonsi i diversi nomi che le vennero dati, 
di L. crocea dal Wolf e di £. pyrrhogaster dal Merrem. 
Sull’ autorità del Principe Bonaparte, di Duméril, e di 
altri chiarissimi autori ho collocato nella Sinonimia an- 

40 


446 :- BETTA 


che la Lacerta montana di Mikan, persuaso poi io stesso 
con essi che questa non differisca per nulla dalla nostra 
specie, a giudicarne e da un’ esemplare ch’ io tengo dalla 
Stiria e dalla figura che l’autore presenta (4), e la quale 
chiaramente apparisce disegnata sopra individuo della no- 
stra specie in cui i lati del collo ed i fianchi sono pun- 
teggiati di nero e di bianco; varietà poi della quale preci- 
samente trovasene qualche individuo anche nelle accen- 
nate località del Tirolo, e già compresa nella esibita descri- 
zione specifica. 

Lo Tschudi pretenderebbe al contrario che la specie di 
Mikan fosse specie distinta, da lui stesso osservata nella 
Svizzera e pubblicata sotto il nome di Zootoca montana (2); 
ma se anche differisce la sua Zootoca dalla nostra Z. vivi 
para pei caratteri di forme e colorazione esibitici nella 
frase e nella tavola, non può però mettersi in dubbio, lo 
ripetiamo, essere la specie di Mikan la stessa nostra quì 
descritta. 


(1) Deutschl. Fauna Abt. II. H. 4. t. 4. 
(2) Monogr. d. Schweiz. Echsen. pag. 32. 33. t. 1. f. 35. 4 


ERPETOLOGIA 147 


TI. s. g. PODARCIS WAGLER. 


BCE PODARCIS MURALIS 
Wagler. 


Ital. Lucertola, lucertola dei muri. 
Ven. Luserta, lusertola, osertola, bissardola, ot listerte. 
Tirol. Luserpa, luserdola, iserdola, bissordola, nanajuela, iserta. 


CARATTERI. - 


Corpo quasi quadrilatero. Una sola piastrina fra la nasale e la 
lorea. Tempie rivestite di squame, in mezzo alle ‘quali una più grande 
circolare (disco masselerico). Palato privo di denti. Solco golare distinto. 
Collare non dentellato. Scaglie dorsali poligono-orbiculari. Sei serie di 
piastre addominali. 

Colori del corpo variabilissimi. 


SINONIMIA. 


Seps muralis Laur. Syn. Rept. p. 641. 162. t. 1. f. hi, 
Seps sericeus. Laur. Syn. Rept. p. 61. 460. t..2. f. d. 
Lacerta tiliguerta caliscertula Cettì Anf. Sard. p. 18. 
Lacerta tiliguerta Latr. Hist. Rept. I. p. 239. 

— —  Daud. Hist. Rept. III. p. 167. 

_ — — Merr. Syst. Amph. p. 64. sp. 7. 
Lacerta muralis Latr. Hist. Saiam. p. XVI. 

-_ —  Merr. Syst. Amph. p. 67. sp. du. 

-_ —  itz.Verz. Mus Wien. p. 1. (exclus. var. £.) 

—  —  Dugés Annal. XVI. p. 380. t. 15. f. B. 

— — — Schinz Fauna Helvet. p. 1538. sp. 2. 


4148 ‘iGBEBELITTÀA 


Lacerta muralis Dum. Bibr. Erpétol. V. p. 228. 
Lacerta Brongnartii Daud. Hist. Rept. III. p. 221. 

— — | Fitz. Verz. p. BI. sp. 8. var. y. 
Lacerta maculata Daud. Hist. Rept. III. p. 208. t. 37. f. 2. 

— — Merr. Syst. Aimph. p. 65. sp. 10° 

— —_ Fitz. Verz. p. BI. sp. 8. var. e. 

—..  .— ; Risso Hist. ll p. 86.0 _ 
Lacerta sericea Merr. Syst. Amph. p. 63. sp. 6. 
Lacerta agilis Risso Hist. HI. p. 86. 

—  — Ambrosi Prosp. zool. p. 290. 

— — auetor. plurimi. > 
Podarcis muralis Wagl. Syst. Amph. p. 433. 

—_ —.  Zonap. Fauna ital. cum tabul. 
Podarcis muralis Tschudi Monogr. p. 34. 

— — |. Fitz. Syst. Rept. p. 20. 

_ — Betta Rett. Tirol. p. 155. 

-_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 15. 

— —  assal. Saggio p. 3d. 
Lacerta saxicola Kryn. Observat. p. BO. 
Podarcis Merremii Fitz. in litt. (Bonap.) 

— — Fitz. (Parreyss in sched.) 


FORME. 


Corpo quasi quadrilatero; la testa occupa la quarta parte 
della totale lunghezza che si misura dall’ apice del muso 
fino alla origine della coda; è in generale distintamente 
depressa, ma qualche volta la sua altezza posteriore ugua- 
glia quasi la sua maggior larghezza; la sua estremità an- 
teriore è sempre acuta. La coda quasi quadrata alla base 
si fa ben presto cilindrica assottigliandosi assai verso 1’ a- 
pice, e la sua lunghezza costituisce circa i due terzi della 
totale lunghezza dell’ animale. Le zampe anteriori, distese 


ERPETOLOGIA 449 


lungo il collo arrivano ‘alle narici ed anche. all’ apice del 
muso; il primo dito è il più breve, il secondo col quinto 
ed il terzo col quarto quasi eguali fra loro. Le zampe po- 
steriori giungono alle ascelle o le sorpassano, ed hanno 
breve il primo dito, alquanto più lungo il secondo, il ter- 
zo ed il quinto quasi eguali fra loro, il quarto lungo due 
volte il secondo. Le dita sono ‘coperte da piccole lamelle 
e la base è a tubercoli granulari. Le unghie sono piuttosto 
lunghe, ricurve, acutissime e di color brunastro. 

Il palato è sprovvisto di denti (*); 6 a 9 sono i denti 
intermascellari; 30 a 34 i mascellari superiori, e più di 
40 gli inferiori. Cinque per banda sono le piastre sotto- 
mascellari. ada di 

Le piastre che coprono il capo. non differiscono da 
quelle della L. viridis; la occipitale è molto piccola, ma 
sempre di forma triangolare, troncata alla sommità ante- 
riore. A differenza però di quella specie, la P. muralis ha 
come la Zootoca una sola piastrina fra la nasale e la lorea, 
susseguita da piastra grandetta quadrata, e da altra grande 
subquadrangolare e leggermente ondulata’ al suo margine 
posteriore. Una piastra circolare 0 disco masseterico, varia- 
bile in diametro, occupa presso a poco il centro della re- 
gione temporale, ed è attorniato da. piccole squame più o 
meno arrotondate ed ovali, tranne le quattro o cinque 
posteriori al margine superiore dello ‘stesso disco le quali 
sono subquadrilatere. 

L’orecchio e le palpebre non differiscono quanto ai 
tubercoli e alle piastrine da quelle della £. viridis. 


(*) Secondo Duméril si trovano, benchè raramente, alcuni individui 
della specie nei quali il palato è armato di denti. Vedi quanto si è 


detto in proposito a :pag, 121. 


450 BETTA 

Il dorso è vestito di tubercoli graniformi , piccoli, 
poligono - orbicolari, molto ottusamente carenati, e di 
eguale forma; ma più appianati sono quelli che coprono 
i fianchi. Minutissime sono le scaglie attorno alle attacca- 
ture degli arti. Solco golare distinto. Collare costituito da 9 
ad 44 squame, la media delle quali quasi del doppio più 
grande delle altre; il margine di essa non è dentellato, ma 
diritto e continuo perchè quadrate al loro lembo esterno 
sono le squame che lo compongono. Dodici lamelle circa 
formano il triangolo del petto. | | 

Le piastre addominali si dispongono in sei serie longi- 
tudinalij sono tutte di forma pressochè quadrata, ed in nu- 
mero di 23 a. 25 per cadauna serie. Una sola piastra copre 
quasi tutta la regione preanale, ed è circondata ai lati ed in 
avanti da doppia serie di piccole squamette. Ad ognuna del- 
le coscie si contano da 45 a 20 pori. Le squame della coda 
sono lunghe, strette, liscie inferiormente, e disposte in circa 
.90 verticilli molto distinti, a margine posteriore quasi con- 
tinuo, presentando soltanto una leggiera punta ottusa. Tali 
squame sono carenate, ma non: sempre così nel mezzo come 
osservasi nelle due specie precedentemente descritte. 


COLORITO. 


Facilissimi i rettili in generale a variare di tinte e di 
colori, questa specie supera però sotto tale riguardo e senza 
confronto tutte le altre, offrendoci quante modificazioni di 
colorito il capriccio per così dire potrebbe immaginare, tan- 
to nelle tinte che le sono proprie, quanto in quelle d’ ogni 
altra specie affine ch’essa si usurpa. Troppo difficile im- 
presa ed anco impossibile sarebbe quindi tener dietro e se- 
gnare tali varietà, che con infinite ed insensibili modifica- 


FRPETOLOGIA ADI 


zioni di tinte e di macchie vengono poi a collegarsi e con- 
fondersi fra esse in modo che il solo pennello potrebbe 
rappresentarle. 

Tinto il dorso di alcune in grigio, di altre in cenere, 
di altre ancora in bronzino, in verde, in rossastro od in 
bruno, passa con tutte le possibili modificazioni dall’ uno 
all’ altro colore, e adornasi di punti, di striscie, di linee, di 
ocelli, di quadrati ed elissi più o meno regolarmente di- 
sposti a disegno, e più o meno spiccanti nei molteplici 
loro colori sul fondo del dorso. Cangiano di colore e di mac- 
chie eziandio le parti inferiori, che vedonsi quando di tinta 
uniforme biancastra, verdognola, gialla, rossastra o nera- 
stra, quando scaccate di bianco e di nero, di rosa e matto- 
ne; e mostrano infine qualche volta non meno un bellissi- 
mo azzurro oltremare che spicca sulla serie più esterna 
delle piastre addominali. 

E quì, prima di specialmente distinguere le varietà che 
più comunemente presentansi in queste provincie, torna 
utile di osservare col ch. Prof. De Filippi (*) che se il colore 
nen deve mai essere preso quale carattere specifico, può 
però in qualche caso essere utilmente consultato nella de- 
terminazione delle specie, e quì diremo anche della va- 
rietà, atteso i moltissimi suoi rapporti colla abitazione stessa 
degli animali; rapporti dei quali facilmente si è convinti 
ricordando fra i rettili stessi alcuni dei casi dal prelodato 
autore esibiti: il color bruno cioè, di questa nostra comu- 
ne lucertola solita a vivere fra i muri, le macerie e sulle 
aride rupi, confrontato col bellissimo verde del ramarro 
dei prati; il bel verde della nostra Ila solita a poggiarsi 
sulle foglie degli alberi, confrontato col verde più cupo 


(*) Regno Animale. pag. 254. 


452 BETTÀ 


delle erbe palustri nella Rana comune, e colle tinte della 
Rana temporaria ritraente il colore di foglia morta domi- 
nante nelle aride campagne in cui fa dimora. i 

Ciò premesso è conseguente di ammettere per la nostra 
specie due distintissime varietà, dipendenti appunto dalle 
relazioni loro coi luoghi rispettivamente abitati. Di fondo 
brunastro o grigiastro si osserva infatti il dorso degli indi- 
vidui che più comunemente fanno dimora fra i muri e le 
macerie; mentre lo hanno di color verde quelli che assai più 
dei primi, od anzi esclusivamente dimorano nei campi o 
seorrono sulle verdi siepi delle campagne. Da quì le due 
principali varietà che si descrivono: 


A. var. muralis auctorum — Dorso di color grigio, gri-. 
gio- verdastro, rossastro, brunastro, o di altra delle 
molteplici gradazioni di tinte prodotte da modifica- 
zioni e fusioni di tali colori. 

B. var. campestris Betta. — Dorso di un bel color verde 
uniforme più o meno vivo, con una larga fascia lon- 
gitudinale che dall’ occipite va sulla coda, per lo più 
brunastra, continua, con maggiore o minor numero di 
macchie fosche od anche nere più 0 meno estese o 
discoste fra esse. Talvolta questa fascia non è che 
debolmente segnata e macchiata di nero; talvolta 
residua costituita soltanto da macchiette nere inter- 
rotte sul collo, assai di rado segnate su tutto il dorso. 
Due altre linee consimili collocate sui fianchi, fanno 
maggiormente spiccare il verde del dorso che, chiuso 
così fra esse e la dorsale, foggia due larghe fascie di 
tal vivo colore. Queste linee dei fianchi sono anche 
marginate sopra e sotto di bianco, e la marginatura 
superiore disponesi in riga bianca, continua e spic- 


ERPETOLOGIA i 153 


cante più della inferiore. Macchie pur bianche ve- 
donsi quà e là nelle stesse fascie. Il capo è di color 
brunastro più o meno carico, e più o meno sparso 
di piccole macchiette o punti neri. Le parti inferiori 
sono di color uniforme biancastro, giallastro, o giallo- 
verdognolo, od anche rossastro. 

‘Alla var. A. si è soltanto accennato il colore dominante. 
del dorso onde far risultare a tutta prima la differenza 
sua dalla campestris. Se però rarissimo riesce che la livrea 
di questa esca dai limiti di colorazione ‘e disegno asse- 
gnati, non così facilmente ponno determinarsi i confini del 
colorito, della configurazione e disposizione delle macchie 
nella muralis; per cui vale precisamente per essa quanto si 
è avvertito in genere sui svariati e molteplici disegni sotto 
i quali possono quelle foggiarsi. In particolare osserveremo 
solo che gli individui più comunemente portano sul dorso, 
che è di color cenerognolo o brunastro più o meno spie- 
gato e qualche volta dorato, una linea longitudinale costi- 
tuita da una serie di macchie interrotte nerastre e bian- 
castre che dall’ occipite va fin sulla coda. Altre ‘due linee 
corrono lungo i fianchi alquanto più fosche e più marcate 
delle dorsali, più o meno distintamente listate in bianco, 
e sparse di macchie pur bianche e nerastre. 

In altri individui, non meno frequenti, scorgesi appena 
qualche traccia delle linee fosche ai fianchi, ed il loro 
dorso è tutto vermicolato di nero, talora a foggia di rete. 
Sì negli uni che negli altri poi le parti inferiori sono di 
color bianco verdastro, più o meno cosperse di piccole 
macchie nerastre, ora disposte in ordine seriale, ora irre- 
golarmente sparse ed anche di irregolare figura. 

Queste macchie risultanti talvolta di un bel color 
mattone, e le tinte pure variabili delle parti addomi- 


{54 : BETTA 


nali hanno suggerita la distinzione di altre varietà desunte 
dal colore dominante del fondo, e dal colore delle mac- 
chie che quasi intieramente coprono il fondo stesso. 

Della var. A. muralis auctorum, distingueremo  Special- 
mente le seguenti : 


Var. ad. nigriventris Bonap. — Il dorso è rossastro ‘0 bru- 
no-verdastro reticolato in nero; il di sotto bianca- 
stro scaccato largamente in nero. 

var. db. albiventris. — Dorso grigiastro o -grigio dorato, 

“variamente macchiato; gola e ventre di color bian- 
co con insensibilissima tendenza al verdognolo. .. 

var. c. rubriventris. — Dorso variopinto; il di sotto di 

«un bel color rosso più o meno intenso, uniforme 
o sparso di rare macchie nerastre, o scaccato in 
rosso mattone. i 

var. d. eupreiventris Massal, — Dorso come l'‘antece- 
dente, ma con maggior tendenza all’ olivaceo; ven- 
tre e gola di una tinta. uniforme di rame molto 
accesa. 

Var. e. flaviventris. — Dorso reticolato in nero; gola ver- 
dognola con macchie nerastre; ventre di un bel 
color giallo con piccole macchie nere disposte. in 
serie quasi regolari lungo le piastre addominali. 


DIMENSIONI. 


I nostri esemplari misurano in lunghezza da centime- 
tri 16 a 24, dei quali la coda ne occupa quasi due terzi. 
La testa misura nei maggiori individui millimetri 17 a 20. 


ERPETOLOGIA 455 


| ABITAZIONE E COSTUMI. 


Comunissima questa specie in. tutto il Veneto e nel 
Tirolo, è però non sempre frequente, od anzi rara in qual- 
cheduna delle varietà suaccennate. Così nel basso .Vero- 
nese, mel. Padevano, e presso Venezia ‘soltanto, e sempre . 
esclusivamente nelle campagne o sulle siepi verdi, può 
dirsi frequente la var. campestris, che in Tirolo scontrai 
solo e rarissima presso Ala e Rovereto. Al Veronese ed 
alla Valle di Non nel Trentino appartiene la var. d. Presso 
Verona e Vicenza soltanto raccolsi la bella var. e.; nel 
Veronese, Vicentino e Padovano la var. c. 

La lucertola dei muri, la quale si pasce di mosche, di 
insetti e di lombrichi, vedesi ovunque possa far preda di 
tali animali, e trovasi quindi lungo le strade, sui muri a 
secco, fra le sterili siepi, negli orti e persino. nelle case. 
Agile assai, movesi con rapidità, e favorita dalle sue acu- 
tissime unghie sale e percorre facilmente a perpendicolo 
le muraglie, quando però non-sieno molto levigate. Soffre 
il caldo ed il freddo meno delle altre lucertole, ed è quindi 
la prima a comparire dopo l'inverno, e I° ultima a rinta- 
narsi nell'autunno. Predilige le posizioni ed i muri a secco 
ben soleggiati, ed ama anzi starsi esposta ai raggi solari. 
Ricoverasi fra i crepacci delle muraglie, sotto i sassi, fra 
i cespugli, e vi annida deponendo da 9 a 13 uova in una 
piccola tana a ciò previamente disposta. Fugge quando so- 
spetti pericolo, ma anche arrestata 0 presa morde assai 
difficilmente, o la sua morsicatura è leggiera. Colla massi- 
ma facilità perde la coda, ma poi colla stessa facilità Ja 
riproduce, portandola talvolta anche doppia 0 triplice. Co- 
me si ebbe già ad osservare altrove, non si riproducono 


456 BETTÀ 


però le vertebre della parte troncata, in luogo delle quali 
formasi invece soltanto una sostanza cartilaginea. 


OSSERVAZIONE. 


Nei cataloghi e nelle opere di molti autori, e special 
mente poi nelle poche enumerazioni dei rettili spettanti 
alle nostre Provincie (avvertite già nella Prefazione), figura 
questa lucertola sotto Ja denominazione di Lacerta agilis 
Linn.; errore mantenuto dalla consuetudine di accordare 
tal nome alla specie che più abbonda nel paese di chi 
scrive o raccoglie, e dal fatto che molti Zoologi italiani 
applicarono precisamente quel nome alla nostra muralis. 

Senza potere indubbiamente provare se lo Svedese na- 
turalista abbia con quel nome distinta una specie propria 
di quella regione, o se piuttosto sotto quell’ unica deno- 
minazione abbia comprese varie specie dei nostri paesi, è 
però certo che la Z. agilis Linn. quale ci viene distinta e 
figurata dal Principe Bonaparte, quale fu accettata e rite- 
nuta da tutti i moderni autori, e quale è descritta da Du- 
méril e Bibron sotto 1’ altro nome datole dal Daudin di 
L. stirpium, non venne mai fino ad ora incontrata nelle 
nostre provincie. Essa è specie settentrionale e raramente 
trovasi in Italia ove, al dire di Bonaparte, sembra essere 
confinata ad alcuni distretti superiori. Duméril e Bibron 
che la osservarono in Francia, nell’ mghilterra, nella Sviz- 
zera, e Sicilia assicurano abitare essa i piani e le colline, 
tenendosi lungo i confini dei boschi, dei giardini, o- fra i 
vigneti, ma giammai recarsi fra le montagne. 

Tutte queste ragioni mi inducono a ritenere quindi altro 
non essere che la muralis la specie che il ch. Prof. Catullo 


ERPETOLOGIA 157 


nomina come Z. agilis abbondante nelle Alpi Bellunesi (4); 
siccome devesi ritenere che una semplice varietà della co- 
mune lucertola abbia indicato come Lacerta argus Laur. che 
dà pure come abitatrice di quelle località. (2) — Forse non 
ebbe poi presente che la argus del Laurenti altro non è che 
un giovine individuo della stessa Z. agilis di Linneo. 

Così non puossi ritenere che per la campestris 0 per 
qualche altra varietà, la Z, agilis. che ‘colla muralis leggesi 
enumerata fra i rettili della provincia di Venezia (3). — 
Quanto alla LZ. agilis Linn. indicata dal ch. Ambrosi di 
| Borgo (4) come specie comunissima nel Trentino, altro 
essa non è in fatto che la Podarcis muralis, siccome potei io 
stesso verificare sugli esemplari suoi. Una varietà di questa 
è poi anche l’ altra specie che nomina L. Laurentii Daud., 
denominazione specifica che deve essere cancellata perchè 
sinonima della vera L. agilis. 


NOTA. 


Non è tacersi come mentr’io segno con nuova denomi- 
nazione la bella e costante varietà a dorso verde, le spetterà 
forse il più vecchio nome di tiliguerta 0 caliscertula imposto 
dal Cetti ad un lacertino della Sardegna, e sul quale tanto 
discordi si mantennero gli autori, sostenendo alcuni fra essi 


(1) Geognosia- delle Prov. Venete. pag. 172. 

(2) « Lacerta «argus- Laurenti. Il fondo del colore è brunastro, con 
macchie gialliccie, attorniato da una linea nera. Queste macchie sono ap- 
pena visibili sul dorso, ma molto appariscenti sui lati. Corre sopra i 
muri come la precedente (la Z. agilis) e. vedesi più spesso nelle cam- 
pagne che nelle città. » = Geogn. p. 172. i 

(3) Venezia e le sue Lagune. Vol. II. p. 159. 

(4) Statistica del Trentino. Vol. I. p. 290. 


158 BETTA 

appartenere quella specie del Cetti alla sinonimia della La- 
certa viridis, altri a quella della nostra muralis. In proposito 
però io credo che se quanto ne lasciarono scritto Latreille, 
Daudin, Merrem, Cuvier ed altri, dovea rendere per verità 
assai dubbiosa la corrispondenza della tiliguerta ad una va- 
rietà di colorazione della muratlis, di tale corrispondenza non 
si possa ora più dubitare in seguito agli studj ed alle ricer- 
che dei più moderni autori, fra i quali deve nominarsi il 
Prof. Genè ehe in una erudita sua Dissertazione intorno alla 
tiliguerta del Cetti (A) ne provò la sua identità speeifica 
colla muralis; identità accettata ed ammessa ora dai Hu 
valenti Erpetologhi d’ oggidì. i 

Che poi la campestris potesse e essere la stessa tiliguerta 0) 
caliscertula me lo farebbe sospettare la descrizione data da 
Duméril di una varietà della muralis (2) avuta dalla Sicilia 
e da Roma, alla quale riporta la specie del Cetti, e che mol- 
to si avvicinerebbe pel colorito agli individui compresi sotto 
la mia varietà; siccome me lo farebbe pensare ancora più il 
trovare indicate dal ch. Prof. De Filippi (3) come « eonni- 
» niventi nella valle del Po, ma in stazioni affatto separate, 
» la lucertola dei muri a dorso di color bruno, e la lucertola 
» assai più campestre ed a dorso verde » ch’ egli chiamereb- 
be appunto la tiliguerta. Ciò non pertanto mancandomi 
ancora più precise descrizioni e cognizioni della tiliguerta, 
non potrei usare pei nostri individui di tale denominazione, 
e, almeno pel momento, ritengo Quindi a essi quella da 
me proposta. 


(41) Memorie dell’ Accademia di Torino. Tom. XXXVI. pag. 302. 

(2) Duméril e Bibron, Erpetol. Lacerta muralis var. h. — Tom. V. 
pag. 234. 

(3) Regno Animale, pag. 258. 


ERPETOLOGIA 459 


La costante differenza di abitazione della tiliguerta. e 
della lucertola dei muri ha fatto pensare anche ad upa loro 
differenza specifica, e.di tale parere dichiarossi anzi lo stesso 
Prof. De Filippi, il quale in un suo Cenno sulla tiliguerta del 
Cetti (4) ripetendo la suriportata osservazione sulla conni- 
venza delle due lucertole nella valle del Po, vi aggiunge la 
notizia che la tiliguerta « nell’ Italia meridionale e nelle 
» grandi isole di Sardegna e di Sicilia trovasi sola, mentre 
» per lo contrario al di là delle Alpi manca affatto, e lascia 
» alla lucerta de’ muri il dominio esclusivo ». (2) — Se 
questo fatto interessa assai l’ attenzione degli erpetologhi, e 
prova certamente esistere una varietà assai bene distinta, 
non credo però assolutamente che. possa aversi a base di 
una. distinzione specifica; tanto più che fuori del colore del 
fondo e della differenza di abitazione delle due lucertole 
non havvi, come confessa lo stesso ch. Autore, alcun altro 
carattere esterno di distinzione, nè nella proporzione delle 
varie parti del corpo, nè nel numero e nella disposizione 
delle squame o dei pori femorali. A tutto ciò io posso poi 
anche aggiungere che nessun carattere differenziale presen- 
tano neppure gli scheletri delle due lucertole, minutamente 
esaminati e confrontati tra loro. 


(1) Annali di Bologna. Serie III. 1852. Tom. V. pag. 69. 

(2) Le due varietà muralis e campestris trovansi conviventi anche 
nella Romagna, sulle mura d’Imola la prima, nelle adjacenti campagne 
la seconda. Varj esemplari me ne furono comunicati dal Sig: Giacomo 
Tassinari, al quale rendo qui pubblica testimonianza d° obbligazione per 


avermi falto possessore di alcuni altri rettili di quelle località. 


160 BETTA 


Fam. IL Anguidi. 
Gen. ANGUIS LINN. (EMEND.) 


GI ANGUIS FRAGILIS 


. Linn. - 


Ital. Angue fragile, Lucignola, Ghiacciolo. 

Ven. Orbarolo, orbesin, orbisigola, orbisiola, bisso de vero, 
bissorbola, uarbit, uarbitul, sgurbisul. 

Tirol. Orbisola, orbarola, vercia, verm de vero. 


CARATTERI. 


Corpo cilindrico, serpentiforme, senza gambe; capo coperlo di scu- 
detti. Tutto il corpo rivestito sotto e sopra di squame omogenee, lucide, 
dilatate, embricate, esagone. Coda lunga quanto il tronco ed anche più. 

Celorito vario, il più spesso però di un color uniforme di bronzo 
pattinato al di sopra, piombino al di sotto. 


SINONIMIA. 


Anguis fragilis Linn. Syst. Nat. I. p. 392. 
_ —  Laur. Syn. Rept. p. 68. 178. t. bf. 2. 
_ —  Gmel. Syst. Nat. L p. 1122. 
_ —  Donnd. Tool. II. p. 248. sp. 14. 
-- — Shaw Zool. III 2. p. 579. 
_ —  Retz Fauna Sueec. p. 296. 
— —  Schneid. Hist. Amph. Il. p. 344. 
_ —  Zolf in Sturm Deutschl. Fauna HI. 3. 
—_ — . Latr. Hist. Rept. IV. p. 209. 


ERPETOLOGIA 164 


Anguis fragilis Daud. Hist. Rept. VII. p. 327. t, 87. f. 2. 
_ —  Merr. Syst. Amph. p. 79. sp. 4. 
_ —  Frivald. Mon. serp. Ungar. p. 31. 
—_ —  Metaxa Mon. serp. Rom. p. 51. 
— —  Bendiîsc. Mon. serp. Mantov. p. HB. 
— — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. b3. 
- —  Risso Ilist. III. p. 88. sp. 14. 
— —  Flem. Brit. Anim. p. 155. 
—_ —  Vagl. Syst. Amph. p. 159. gen. 70. 
—_ —  Cuvîer Règne anim. p. 98. t. 24. f. 2. 
_ —  ZBonap. Fauna ital. cum tab. 
-. —  Schinz Fauna Helvet. p. 140. 
— —  Kryn. Observat. p. dI. 
— —  Tschudi Monogr. p. 37. 
— — Dum. Bibr. Erpétol. V. p. 792. 
— —. Betta Rett. Tirol. p. 1B4. 
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 17. 
_ —. Massal. Saggio p. 7. 
Anguis eryx Linn. Syst. Nat. p. 262. 
— — Gmel. Syst. Nat. p. 1124. 
—  — Donnd. Zool. III p. 248. sp. 13. 
- — Shaw Zool. HI. p. 580. 
— — etz Fauna Suec. p. 294. 
— — Latr. Hist. Rept. IV. p. 216. 
_ — Daud, Hist. Rept. VII. p. 337. 
—  — Merr. Syst. Amph. p. 80. 
— — Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. #18. 
Anguis lineata Laur. Syn. Rept. p. 68. 
— —  Gmel. Syst. Nat. I. p. 1422. 
—_ —  Donnd. Zool. HI. p. 248. sp. 17. 
— — Wolf in Sturm Fauna IH. 3. (juven.) 
i — Kryn. Observat. p. BI. 
Anguis clivica Laur. Syn. Rept. p. 69. 
— _._—-  Gmel. Syst. Nat. L p. 1122. 


LÌ 


4162 BETTA 
Anguis clivica Donnd. Zool. III. p. 213. sp. 18. 
Caecilia typhlus Ray Syn. Quadrup. p. 289. 
Anguis cinereus Risso Hist. II. p. 88. sp. 18. 
Anguis bicolor Risso ibid. sp. 16. 
? Anguis incerta Kryn. Observat. p. 52. tab. 1. 


FORME. 

Corpo allungato come i serpenti, cilindrico, uniforme 
in tutta la sua lunghezza fino all’ ano; coda pure cilin- 
drica, lentamente assottigliantesi verso la punta, che è al- 
quanto tozza e che termina in modo da sembrar troncata. 
La coda, che è soggetta a rompersi colla massima facilità, 
è lunga quanto tutto il corpo ed anche più. 

La testa è conformata a piramide quadrangolare, smus- 
sata all’ apice molto arrotondato, inferiormente depressa, 
superiormente alquanto convessa; sì unisce al tronco senza 
il minimo risalto, tranne un tenuissimo rigonfiamento 
verso le tempie. Le narici sono rotonde ed esili, e si 
aprono vicinissimo alla punta del muso. Gli occhi sono 
piccoli, vivaci, e trovansi in una specie di avvallamento 
che da ambe le parti si estende fino ai fori delle narici. 
La bocca è armata di piccoli denti acuti, ricurvi verso la 
gola, ed il suo squarcio innoltrasi pochissimo al di là delle 
orbite. 

Il capo è coperto di numerosi scudetti ; la piastra ro- 
strale è piccola, triangolare, equilatera, arrotondata alla 
sommità ; le nasali piccole, annulari e collocate ai lati; la 
piastra del vertice, maggiore di tutte quelle che rivestono 
il capo, è di forma elittico-poligona, e circondata da molte 
altre simmetriche e ben definite; la frontale grande e rom- 


boidale; la occipitale grande e triangolare ; le parietali, che 


ERPETOLOGIA 163 


vi confinano, di forma pentagone-oblonga ed obliqua; al- 
l’ angolo della occipitale e fra le due parietali trovasi una 
squama grandetta a margine arrotondato posteriormente, 
al di là della quale compariscono gli ordini di quelle 
omogenee che coprono tutto il tronco. Otto scudetti mar- 
ginali per ciascun lato vestono le labbra; la palpebra in- 
feriore dell’ occhio è vestita di piccole squame spesse e 
poligone. 

Le squame di tutto il corpo sono lucide, dilatate, liscie, 
embricate, esagone, e disposte a romboide attorno al tronco 
in 25 serie longitudinali. 


COLORITO. 


Il variabile colorito di questo Sauro, solito a subire 
nei varj stadii dell’ età sua sensibili e distinte modifica- 
zioni di tinte, ha dato causa alla creazione delle varie 
specie nominali indicate nella Sinonimia, le quali tutte 
devono essere riferite alla nostra, che è forsanco |’ unica 
del genere a tutt’ oggi conosciuta. 

1 neonati hanno il dorso di un bel colore canarino 
pallido o di un color bianco puro, sul quale spicca una 
stretta linea nera che parte dalla nuca, e percorrendo il 
mezzo del corpo va fino alla estremità della coda. I loro 
fianchi ed il di sotto del corpo sono di un bellissimo nero 
assai spiegato, e qualche volta tendente al turchino. Nei 
giovani la linea dorsale nera è talvolta fiancheggiata da una 
ed anche da due altre linee brunastre, puntiformi, ed equi- 
distanti tra esse. 

Mano mano che l’ individuo cresce, questa colorazione 
va modificandosi e perdendosi, e negli adulti si osservano 
le seguenti principali varietà : 


464 BETTA 


var. a. vulgaris, — Parte superiore del corpo di una tinta 
uniforme di color di rame o di bronzo, o di color 
grigiastro, o di un bruno marrone più o meno 
chiaro; i fianchi di color nerastro, e le parti infe- 
riori di color plumbeo più. o meno spiegato. 

var. db. lineata. — Parte superiore del corpo come la pre- 
cedente, ma con una linea longitudinale sul dorso, 
di color nerastro, talvolta duplice ed accompagnata 
da biancastra marginatura; il più spesso però unica 
ed ondeggiante. UP Trai 

var. c. grisea. — Parte superiore di un color grigiastro 
uniforme che mostrasi più sbiadito al di sotto. 
Testa screziata di macchie nere disegnate con qual- 
che regolarità sugli scudetti del capo. 

var. d. nigriventris Bonap. — Corpo di un color rosso 
castagnino uniforme, col corpo .screziato di nero: 
Il di sotto del tronco e della coda di color nera- 
stro tendente al turchino. ! i. 

var. e. fusea. — Parte superiore del corpo di una. tinta 
uniforme bruno-marrone carica; assai raramente 
vi si scorge una linea dorsale grigiastra puntifor- 
me. Parte inferiore nerissima. 

Bellissima varietà offertami da esemplari presi 

sulle montagne di Fondo nella Valle di Non. 

Il colorito proprio dei vecchi individui è verde-cinereo 
o verde-giallognolo uniforme, colle parti di sotto del troneo 
e della coda di color piombino assai chiaro. 

Notisi che generalmente le mascelle sono punteggiate 
in fosco, con diverse macchie nerastre sparse sotto la in- 
feriore sino alla gola. Una lucentezza metallica: risplende 
sempre sul corpo. L’ iride è nera; la lingua è pur nera 
all’ apice, ma tingesi di carnicino. aila base. 


FRPETOLOGIA 465 


DIMENSIONI. 


L’ ordinaria lunghezza cui giunge è dai 30 ai 36 cen- 
timetri, col diametro di 8 a 13 millimetri. Gli indi- 
vidui della var. /usca misurano in lunghezza centim. 37 
a 39. La maggior grossezza sino ad ora osservata è di mil- 
lim. 45 in diametro, offerta da un’ esemplare il cui capo 
fino all’ano è lungo centimetri 24, mancandogli poi total- 
mente la coda, in esso rappresentata soltanto da un monco- 
ne ottuso, lungo appena 2 centimetri. Questo vecchio indi- 
viduo doveva quindi nel suo stato perfetto toccare la lun- 
gliezza almeno di 42 a 45 centimetri. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Comunissimo in tutto il Veneto e nel Tirolo, abita indi- 
stintamente i piani, le valli ed i monti, le selve ed i prati; 
incontrasi vicino alle abitazioni fra le macerie, lungo le 
strade, fra le siepi, frammezzo all’ erba; trovasi sotto i 
‘sassi, in siti percorsi dalle acque, e più raro mostrasi sol- 
tanto, e finalmente sparisce colà ove la mancanza di om- 
bra lo esporrebbe ai vivi raggi del sole, che teme non 
meno che il freddo, 

Innocente e tranquillo, fugge all'avvicinarsi di alcuno, 
ma anche ruvidamente fermato od irritato non usa mai 
de’ suoi denti, che sono poi tanto corti e minuti da poter 
difficilmente forare la pelle. Anche lo squarcio della bocca 
sua è così breve che non potrebbe neppure afferrare vo- 
‘ lendo mordere. Lungi quindi dal ricorrere al morso. per 
sua difesa non apre nemmeno la bocca. 


466 i BETTA 


Giova avvertire che nel prendere colla mano questo 
debole animate devesi di quando in quando modificare e 
moderare la forza con cui lo si tiene serrato fra le dita, 
e permettergli che il collo o la parte superiore del corpo 
possano accompagnare le contorsioni del tronco e della 
coda, giacchè in caso diverso succederebbe assai facilmente 
di vedersi spezzato in mano l’ individuo; siccome non 
meno facile a rompersi è desso allorchè venga percosso 
anche da leggerissimo colpo. Ma questa fragilità è ben 
lungi dall’ essere quale la raccontano molti e quale la 
crede il volgo, da far sì cioè che si spezzi da per sè 
stesso qualora violentemente si contorca anche senza. es- 
sere toccato. La natura ha poi provveduto a tali frequenti 
accidenti, e vi ripara colla stessa facilità accordatagli di 
riprodurre la parte troncata della coda. 

Per la stessa somma flessibilità di tutto il corpo è ce- 
lerissimo a strisciare sul suolo, si ravvolge in ogni guisa, 
può attortigliarsi in anguste spire, e spiccar salti a non 
piccole distanze. 

Nutresi di vermi e di insetti, e secondo alcuni autori 
anche di piccoli molluschi terrestri. Si tiene sempre vi- 
cino alla sua tana, rimanendovi celato durante la pioggia 
e per una parte del giorno; o poco se ne discosta per es- 
sere a portata di rifuggiarvisi ad ogni bisogno. Cangia 
epidermide in Luglio od in Agosto, ed al primo avvici- 
narsi del freddo ricoverasi in piccole buche, o nelle fes- 
sure del terreno, o sotto le pietre per passarvi tutto l’in- 
verno. Non si fa poi vedere che a primavera avvanzata, 
nella quale stagione si accoppia come i serpenti, avvitic- 
chiandosi i sessi l’uno attorno all’ altro e restando così 
congiunti per qualche tempo. i 


ERPETOLOGIA A67 


.La femmina, un mese circa dopo la fecondazione, par- 
torisce 7 a 10, e secondo Bonaparte 8 a 16 figliuolini non 
più lunghi di sette centimetri. Forse i neonati vivono in 
società per qualche tempo, e questo me lo fa supporre la 
circostanza occorsami non rare volte, e specialmente alla 
Punta di S. Vigilio sulla sponda veronese del Benaco, di 
aver sorpresi nei mesi caldi 5 a 7 individui giovani rico- 
verati ed uniti sotto ad un solo sasso. Mai all’ invece ebbi 
ad osservare unione di adulti, i quali anche laddove ab- 
bondano più, restano distanti fra loro, od al più appiattansi 
in due nello stesso nascondiglio. 

Tenuto in schiavitù rimane molto tempo senza man- 
giare, ed anzi non prende cibo alcuno e muore dopo il 
trentesimo o quarantesimo giorno, qualche rara volta an- 
che dopo due mesi. Mantiensi sempre mansueto e tranquillo, 
nè mai occorsemi di scorgere in esso se aspramente toccato 
od aizzato, altra dimostrazione di paura o di collera che 
quella di un leggerissimo soffio accompagnato da forte con- 
torsione e rigidezza di corpo. 

E quindi ingiustamente temuto, e fra le favole si devono 
senz'altro passare i racconti del volgo, e di chi fra noi anco- 
ra crede questo rettile dotato di sì tremenda proprietà vene- 
fica da uccidere col semplice sguardo; e di chi narra essere 
l’Angue il settimo figlio della vipera e doversi temere poi- 
chè assai più velenoso della madre sua; e di chi lo crede 
cieco facendone argomento di volgare pregiudizio, da cui 
appunto deriva il nome vernacolo di orbesin, orbarola ecc. 
e di chi crede in fine che spezzandosi come il vetro nascano 
dalle sue parti staccate altre serpi non meno pericolose. 
Tutte queste ed altre consimili bizzarre e fantastiche 
invenzioni, se già sarebbero assurde quando fossero ap- 
plicate a qualcuno dei più nocevoli serpenti, sono assur- 


468 BETTA 


dissime quando vengono attribuite a questo Sauro che è 
il più tranquillo ed il più innocente d’ ogni altro rettile, 

E vorrei che di ciò finalmente si persuadessero sopra- 
tutto molti dei nostri villici che si lasciano invadere da 
profondo spavento ogni qualvolta incontrano, 0 special- 
mente all’ epoca della falciatura danno il piede in questo 
animale. Che se infatti a luogo di fuggire a precipizio, 
quasi che veramente la presenza e la vicinanza di esso 
fossero portatrici di morte, si stessero fermi per poco ad 
osservarlo, lo vedrebbero rapidamente strisciare per allon- 
tanarsi dal luogo ove fu scoperto, e sottrarsi al pericolo 
che potrebbe sovrastargli. 


ERPETOLOGIA 169 


Ord. IN. OFIDIL O 


Corpo cilindrico e molto allungato, senza collo distinto, 
senza gambe e senza natatoje; mancanza di palpebre mo- 
bili e di timpano distinto; mascelle assai dilatabili ed ar- 
mate sempre di denti; cute infine assai estensibile e co- 
perta di scaglie, sono i caratteri essenziali e sistematici 
pei quali i serpenti od Ofidii, distinguonsi assai agevol- 
mente fra tutti gli altri rettili non solo, ma fra tutti ben 
anco gli animali vertebrati. 

Ben altri però, fuggevoli, poce precisi od anche fallaci 
erano per lo addietro i caratteri dell'Ordine, la cui storia 
presenta una sequela di confusioni ed errori in cui si 
mantenne fino al principiare del corrente secolo. Arbitra- 
rie classazioni, insufficienti e troppo artificiali sistemi con- 
fondevano questi animali con altri essenzialmente diffe- 
renti per organizzazione, struttura, abitudini e costumi; 
nè è poi ancora molto che i naturalisti riguardavano 
i serpenti come i soli e veri Rettili, comprendendo gli 
altri tre oòdini nella distinta classe dei Quadrupedì ovipari. 

Le prime notizie esatte che dopo qualche più antico auto- 
re si abbiano sui serpenti, trovansi già nei preziosi libri di 
Aristotele, ma sgraziatamente essi risentono di troppa buo- 
na fede lorchè vi si leggono le favole ed i pregiudizj di 
quell’ epoca intorno a questi animali. E Plinio che vi 
fece seguito riportandone tutte le erronee credenze, com- 


(*) dots. serpente. 


470 BETTA 

mentandole anzi, amplificandole, ed aggiungendone di 
proprie e del suo tempo, talchè il Laurenti non esitò a 
chiamarlo Mendaciorum Pater (*), ha contribuito non poco 
a convalidare e mantenere le favole che svisarono questo 
importantissimo ramo della Zoologia, e che sempre in 
maggiori e più fantastiche superstizioni fu travolto colle 
successive opere del Gesner, dell’ Aldrovandi, e di Jonston, 
nelle quali trovansi di più descritti alcuni esseri chimerici 
chiamati Dragoni, che non lasciarono poi anche d’ illu- 
strare con figure. 

Fino allora però mancava qualsiasi classificazione © 
sistema e solo erano nominate o descritte aleune delle 
specie conosciute, siecome fra le velenose la ceraste, l aspi- 
de, la vipera, della quale anzi Plinio descrive i denti un- 
cinati come sede del veleno già conosciuta dagli antichî. 
Il teologo inglese Ray fu il primo (4693) degli autori ge- 
nerali che abbia dato un saggio di classificazione dei ser- 
penti; ma il suo sistema fu presto abbandonato perchè fon- 
dato sopra caratteri insufficienti e poco naturali, ed è 
a Linneo che devonsi i primordj di una classificazione e 
di un sistema che perfezionò sempre più nelle molte edi- 
zioni del suo Systema Naturae. 

Soltanto in tempi a noi molto vicini la scienza co’ 
suoi luminosi progressi ha stabiliti i precisi limiti entro 
i quali devonsi ripartire e dividere i rettili, non compren- 
dendo fra gli Ofidii che un certo nnmero, costituente un 
ordine assai caratterizzato e distinto della loro Classe. Ed è 
poi solo in epoca più recente ancora che circoscritto que- 
st’ ordine da più naturali ed essenziali caratteri di orga- 
nizzazione e struttura, lo vediamo finalmente spogliato di 


(*) Synopsis Replil. pag. 153. 


ERPEFTOLOGIA 4174 


quelle specie che per sole apparenze, ma senza fonda- 
mento scientifico, vi appartenevano secondo le anteriori 
classificazioni. Ciò dicasi ad esempio per l’ Anguis fragilis 
il quale benchè privo di piedi ed affettante tutta la forma 
di un serpe, tanto se ne allontana per i proprii importan- 
tissimi caratteri esterni ed interni già in addietro avvertiti, 
da dover prendere posto fra i Saurii. Da questo si scorge- 
rà come non già la mancanza di piedi sia ancora il segno 
pel quale si possano distinguere con sicurezza i veri ser- 
penti dagli altri rettili; sibbene i caratteri premessi in 
capo a quest’ Ordine, colla facoltà tutta lor propria di dila- 
tare enormemente la bocca a segno da poter trangugiare 
corpi superanti in grossezza la propria mole; facoltà che 
dipende da una organizzazione tutta speciale a questi ani- 
mali. Le branche infatti della mascella inferiore non sono 
anteriormente saldate l’una all’ altra in modo da costituire 
un’ osso continuo come in tutti gli altri vertebrati., ma 
sono invece semplicemente connesse sul davanti e tenute 
unite da ligamenti cedevoli ed elastici, in modo che gli 
apici delle stesse branche possono scostarsi considerevol- 
mente l’ uno dall’ altro per dilatare la boeca. Inoltre le basi 
della mascella non sono ricevute in una cavità articolare i 
ma si attaccano all’ invece, ciascuna dal proprio lato, a 
due lunghi ossicini interposti fra esse ed il cranio e facenti 
officio di leva; e siccome sono mobili all’innanzi, all’ indie- 
tro ed ai lati, così anche la mascella gode di tutti i movi- 
menti di regresso, progresso ed allargamento. 

Nove sono i serpenti fino ad ora veduti in queste pro- 
vincie e-quì descritti, i quali, seguendo la divisione già 
tracciata dai più insigni maestri dell’ Erpetologia e fon- 
dandoci sulla presenza o meno dei denti veleniferi, vengo- 


472 SUBITA 


no naturalmente a ripartirsi nelle due sezioni di ofidii 
senza denti del veleno, e di ofidii con tali denti. 

Comprendiamo i primi nella nostra famiglia dei Colubri- 
ni, i secondi nella famiglia dei Viperini; sei delle nostre 
specie appartengono alla prima, tre alla seconda. Dei Colu- 
brini, si distribuiscono due specie nel genere Coronella, due 
nel gen. Coluber, e due nel gen. Fropidonotus. Dei Viperini, 
uno spetta al gen. Pelias, due al genere Vipera. 

Volendo offrire una succinta storia ed i principali carat- 
teri dei cinque generi adoitati pei nostri ofidii, diremo: 


I Gen. CORONELLA (LAUR.) SCHLEGEL. 


Fondato dal Laurenti (1768) comprendeva specie di 
generi troppo distinti perehè non avesse dovuto subire va- 
rie modificazioni e restrizioni. Limitato quindi da Boie alle 
sole specie che per la forma loro sì avvicinavano alla Coro- 
nella austriaca, data dal Laurenti quale tipo del genere; am- 
messo poi da Fitzinger e da Wagler con significati diversi, 
lo troviamo quasi nuovamente creato dallo Schlegel (41837) 
che vi comprese tutti gli ofidii affini per forma ed orga- 
nizzazione ai veri Colubri, minori però quanto alla statura. 
Assai di recente i sigg. Duméril e Bibron (1854) hanno 
poi nuovamente modificato questo genere, assegnandogli 
altri caratteri ed estremi che quì però non occorre di ri- 
cordare. 

Sono caratteri -del nostro genere: Capo breve, più 0 me- 
mo distinto dal tronco, superiormente in declivio dal suo ver- 
tice alla estremità del muso, coperto da 9 scudi regolari e sim- 
metrici; due piastrine oculari posteriori, una sola anteriore. 


Corpo subpentagono, quasi cilindrico, ma un poco più ingros- 


ERPETOLOGILA 4783 


sato nel mezzo; squame del corpo liscie e lucenti; coda non 


molto lunga. 
II. Gen. COLUBER LINN, ( EMEND. ) 


Nella semplicità del sistema Linneano comprendeva 
questo genere tutti gli ofidii nei quali la parte inferiore 
della coda era coperta da piastre divise, e vi si contenevano 
quindi tutte le specie nostre in allora conosciute, tanto 
velenose che non velenose. Separatine più tardi gli ofidii 
provveduti di denti del veleno, noi lo vediamo in seguito 
tanto modificato, cangiato e scomposto dagli autori, in modo 
da richiedersi niente meno che il riassunto di tutta la storia 
dell’ Ofiologia per tesser quella del nostro genere. Basterà il 
dire che I ordine degli ofidii stabilito da Linneo in soli sei 
generi ( compresi i tre ora esclusi Anguis, Amphisbaena e 
Caecilia) fu scomposto dal Laurenti in 17, compresi quei tre, 
più il genere Chalcides provveduto di piedi a dita distinte. 
Daudin portò il numero dei generi di quest Ordine a 25, 
Merrem a 23, Wagler poi fino alla straordinaria cifra di 97, 
e Fitzinger di 85, distribuiti in 20 famiglie con 200 distin- 
zioni sottogeneriche, mentre 450 circa. sono le specie co- 
nosciute. 

Parlando poi in specialità del genere Coluber di Linneo, 
dal quale solo può dirsi essere scaturita la numerosa cater- 
va di generi ora accennata, troviamo al contrario come 
qualche autore lo restrinse in limiti tanto eccessivamente 
angusti che, a modo d'esempio, delle nostre.due specie qui 
descritte , il Coluber flavescens ed il Coluber niridiflavus, ne 
vediamo esclusa la prima benchè tanto affine alla seconda. 

Quale è qui accettato, comprende le specie delle quali 


il capo, coperto da 9 scudi regolari e. simmetrici, è più di- 


4174 BETTA 


stinto dal corpo che non nell’ antecedente genere, e presenta 
anche minor declivio dal vertice all’ estremità del muso; con 
occhi e narici laterali; una sola piastrina oculare anteriore, 
due posteriori. La forma del corpo tondeggiante, le squame 
liscie, la coda lunga. 

Vi appartengono le due specie più grandi dei nostri 
nove serpenti. 


III. Gen. TROPIDONOTUS (") KUHL. 


Benchè le specie di questo genere abbiano la maggiore 
rassomiglianza coi veri Colubri, facile nonostante ne riesce 
la distinzione per alcuni loro proprj caratteri che sug- 
gerirono appunto al Kuhl la creazione per essi di un 
separato genere, oggidì ricevuto da tutti o sotto il nome 
proposto da questo autore, o sotto l’ altro di Matrix. isti 
tuito dal Laurenti, ma emendato ed a più naturali confini 
ridotto dal Principe Bonaparte. 

Sono caratteri del genere: testa ristretta al muso, larga 
alla base e quindi distinta dal collo, il quale però subito st 
ingrossa e va a confondersi col resto del corpo; narici piccole, 
riavvicinate, quasi verticali; occhi molto sporgenti; una pia- 
strina oculare anteriore, tre posteriori. Gli angoli della bocca 
rivolti con sensibile curva verso l’ alto del capo; coda non 
molto lunga; squame del dorso costantemente carenate. 

Tali serpenti abitano e prediligono i luoghi umidi, i 
terreni irrigati, e le vicinanze delle acque, nelle quali 
nuotano con molta facilità tenendovisi anche per qualche 
tempo approfondati. i 


(*) Toorts = (dos, carena, vwtos, dorso. 


ERPETOLOGIA 175 


IV. Gen. PELIAS MERREM. 


Già in separato arlicolo si sono indicati i principali 
caratteri esterni e le forme che distinguono i serpenti ve- 
lenosi. E fra quelli abbiamo notato un corpo breve, in 
proporzione molto ingrossato nel mezzo, e considerevol- 
mente ristretto verso il capo e la coda; una testa depressa, 
cordiforme, e ben distinta dal tronco; coda molto breve, 
specialmente nei maschi, e quasi diremo fuori di propor- 
zione atteso il rapido suo restringimento alla base; occhi 
piccoli, a pupille verticali, e superiormente protetti da una 
piastra sporgente. 

Venendo ora alla indicazione dei più vicini caratteri 
che, oltre quello importantissimo della presenza dei denti 
‘veleniferi, fanno conoscere le specie comprese nella fami- 
glia dei nostri Viperini osserviamo in esse: capo tutto co- 
perto da squame irregolari, o soltanto nella parte ante- 
riore da piccoli ed irregolari scudetti, invece che da 9 scudi 
regolari e simmetrici come nei Colubrini; narici laterali; 
uno spigolo risentito, acuto, orizzontale, che partendo dalla 
piastra sopracigliare giunge fino alla sommità dello scudetto 
rostrale; mascella superiore breve; lo scudetto sopracigliare 
bislungo, sporgente in fuori quanto il globo dell’occhio ed 
anche più; tutto il resto dell’orbita cinto da doppia serie 
di piccoli scudetti; squame del corpo segnate nel mezzo 
da una costicina sagliente, allungata, che dicesi carena. 

Dapprima i nostri Viperini erano compresi nell’ unico 
genere Vipera. Più tardi Merrem ne tolse una specie che 
fece tipo del suo distinto genere Pelius, oggidì universal 
mente accettato, ed in cui quella stessa specie rimane tut- 
tora l’ unica conosciuta. 


176 BETTA 


Sono caratteri del genere: 

Capo ovale, superiormente spianato e coperto nella parte 
anteriore di piccoli scudetti piani, anzi leggermente concavi, 
dei quali uno centrale più grande ; spigolo rostrale poco ri- 
sentito e meno prominente all’ apice. I 

E perchè col confronto tostamente emergano le diffe- 
renze fra i due generi adottati per le nostre specie, se- 
gnansi per caratteri del 


V. Gen. VIPERA LAURENTI. 


Capo più depresso, allargato posteriormente e quindi più 
distinto dal corpo; coperto iîntieramente di piccole squame îr- 
regolari e non da scudetti (*); spigolo rostrale risentito e pro- 
minente all’ apice del muso. 

Questo genere fu istituito dal Laurenti per le specie il 
capo delle quali era appunto coperto da piccole squame, 
ed in allora il Pelias derus figurava nel suo genere Coluber. 
In seguito Daudin riunì sotto al genere Vipera la maggior 
parte dei serpenti provveduti di denti veleniferi, e cogli 
scudetti sottocaudali disposti in doppia serie. Merrem vi 
portò poi alcune altre modificazioni, e Wagler non indicò 
sotto lo stesso nome generico che tre sole specie, cioè le 
nostre ammodytes ed aspis, e la Duboia od elegans delle 
grandi Indie che ora appartiene al genere £ekidna di Mer- 


(') È però da notarsi che in qualche individuo della postra Vipera 
aspis scorgonsi sul capo alcune squame irregolari grandette che meglio si 
direbbero scudetti. Ne tengo anzi un esemplare in cui tali squame si av- 
vicinerebbero per forma e disposizione agli scudetti del Pelias bdberus. 
Questa circostanza comprovata con un più esteso esame comparativo fra le 
specie dei due generi, potrebbe forse rendere di debole ed incerto valore 
il carattere degli scudetti, dagli autori esclusivamente assegnato al Pelias. 


ERPETOLOGIA 177 


rem. Più tardi lo Schlegel ridonandogli l’ originaria esten- 
sione vi comprese specie assai diverse per molti esterni 
caratteri, e che dovettero quindi distribuirsi in varj di- 
stinti generi. Attualmente il genere Vipera fu circoscritto 
anche dai più distinti autori, a tre sole specie delle quali 
ei appartengono due, e la terza è a noì straniera. 

Gli Ofidii si direbbero a prima vista privi d’ ogni mezzo 
ordinario di locomozione, e destinati a vivere nel luogo 
ove il caso li ha collocati. Nondimeno pochi sono gli ani- 
mali nei qualî tanta sia la prestezza e l’ agilità nei movi- 
menti e nel cangiare di sito, quanta è nei serpenti. Quando 
strisciano sì avvanzano per moti alternanti di ondulazioni 
flessuose, sì piegano, si spiegano, e si ripiegano in nume- 
rosi e successivi giri tortuosi che descrivono nel loro corpo 
altrettante curve a S. I loro muscoli sono dotati di una 
forza veramente ammirabile. Possono sollevarsi, alzarsi 
quasi perpendicolarmente tenendo appoggiata al suolo la 
sola coda o breve parte del tronco; rampicarsi fino alla 
cima degli alberi; spiccar salti meravigliosi, o aggomito- 
lando a foggia di spirale il loro corpo e distendendosi poi 
rapidamente con uno slancio, ovvero arcuando una parte del 
corpo, riavvicinando sul suolo le due estremità dell’ arco 
facendo servire o l’ una o l’ altra di punto d’ appoggio, e 
riappianando poi sollecitamente la parte che ricurva sor- 
geva. Sanno nuotare, ed anzi alcune specie godono di tale 
facoltà in modo particolare potendo trattenersì anche lungo 
iempo sott’ acqua. 

Come in tutti i rettili anche nei serpenti la sensibilità 
è ottusa; ma al contrario sono dotati di una irritabilità 
muscolare quasi prodigiosa. Il loro cuore palpita lungo 
tempo dopo levato dal corpo, le loro mascelle si aprono 
e si chiudono allora benanco che la testa sia stata tron- 

42 


178 BETTA 

cata; spogliati della pelle, privati dei visceri più impor- 
tanti, tagliati a pezzi, manifestano ancora per lungo tempo 
segni di vita. Hanno l’ odorato assai imperfetto poichè le 
loro nari hanno corto tragitto dal muso alle fauci, sono 
poco sviluppate e per l’ ordinario semplicissime; nè de- 
vono usare di tale senso per dirigersi verso la preda, che 
attendono invece in agguato e con lunga pazienza, ed as- 
salgono per sorpresa. La loro vista è acutissima; gli occhi 
sono apparentemente sprovveduti di palpebre, ed un pic- 
colo rialzo formato dalla pelle pare che solo li protegga. 
Le recenti indagini di Cloquet e Duméril hanno però di- 
mostrato che |’ occhio degli Ofidii è ricoperto di una pal- 
pebra unica, molto grande, immobile, che sembra incassata 
in una cornice rilevata che forma attorno all’ orbita un 
numero variabile di scaglie. È tale palpebra una conti- 
nuazione dell’ epidermide, colla quale cade pure al tempo 
della muta. Esaminando le spoglie dei serpenti che  fre- 
quentemente si vedono appese fra i crepacci dei muri 
vecchi, o portate dal vento sulle vie o nelle campagne, 
potrà ognuno vedere inserite nella pelle del capo tali pal- 
pebre, lucide, trasparenti, e che anche per la loro forma 
sì possono paragonare ad un vetro d’ orologio. 

Gli ofidii mancano di organo esterno dell’ udito, di 
apertura e di timpano; esiste però un organo interno 
quantunque assai meno sviluppato che nei Saurii. La per- 
cezione dei suoni deve essere perciò molto debole ed im- 
perfetta in questi animali. Lo stesso dicasi del gusto, poi-. 
chè la lingua sta rinchiusa in un fodero membranoso e 
finisce in due lunghi filetti cartilaginei, dotati perciò di 
pochissima sensibilità. Inoltre questi animali non masti- 
cano mai la preda, che non fa che attraversare la bocca 
conservando le sue forme solide, ed ognuno sa non esservi 


ERPETOLOGIA 479 


sapore che nelle materie in soluzione. La lingua dei ser- 
penti è liscia ed appianata al di sopra, e solo qualche 
volta offre ai lati alcune piccole frangie 0 papille; mal- 
grado la sua strettezza è assai vibratile e ritrattile; abi- 
tualmente l’ animale la spinge fuori della bocca facendola 
sortire senza aprire le mascelle, fra una incavatura che 
generalmente osservasi nella scaglia situata alla metà del 
muso, detta seudetto rostrale. Quand’ è sortita, le sue punte 
si divergono e si mettono in rapida vibrazione, ciò che ha 
fatto credere al volgo essere la lingua una specie di dardo 
ed anche la sede del veleno. Ben lungi dall’ avere la forma 
di un ferro da freccia con punta conica davanti e due di 
dietro, come alcuni la figurano, essa è divisa verso la sua 
estremità anteriore in due filetti sottili, flessibili ed asso- 
lutamente carnosi. 

Il tatto risiede in tutto il corpo, scemato però molto 
dalle scaglie e dalla epidermide cornea che lo inviluppa. 
Codesta epidermide cade almeno una volta all’ anno, e 
l’animale la smette in lembi od anche d’ un solo pezzo 
sotto la forma di un fodero o di un dito di guanto arro- 
vesciato. 

I serpenti mangiano raramente e non nutronsi che di 
carni. Un pasto basta loro per vario tempo; soffrono lun- 
ghissimi digiuni, e molti colubri e vipere furono conser- 
vati, ed io stesso ne conservai per più mesi senza che 
ricevessero cibo di sorta. Allorchè sentono il bisogno di 
nutrirsi spiegasi in essi una agilità, una vivacità sorpren- 
dente; alcune volte, come si disse, sanno attendere per 
lungo tempo, con mirabile pazienza, ed in una quasi 
totale immobilità l’ istante d’ avventarsi sulla preda; altre 
volte ne vanno in cerca percorrendo quelle località, quelle 
posizioni che l’ istinto o I’ esperienza indica loro come 


480 BETTA 


abitazioni prescelte dagli animali dei quali si nutrono. 
Sorpresa o raggiunta la vittima si slanciano d’ un colpo 
su di essa afferrandola cogli spessi e ricurvi denti delle 
loro mascelle, le quali dilatansi enormemente e danno 
passaggio al corpo dell’ animale predato, tante volte assai 
più voluminoso del proprio. I serpenti velenosi usano an- 
che della loro arma, tanto semplice per la sua natura 
quanto terribile pei suoi effetti; avvicinatisi alla vittima, 
alzano la testa, incurvano il collo, aprono la bocca e la 
gola; V abbassamento della mascella inferiore fa alzare la 
superiore che sfodera e porta in avanti i denti apporta- 
trici di morte; colla rapidità d’ un lampo il povero ani- 
maletto è ferito; il rettile ritira prontamente i denti, e da 
quell’ istante la vittima è sua. Nei più grossi serpenti la 
vittima viene stretta e soffocata fra le molte spire del 
corpo. La preda è generalmente afferrata per la testa, che 
è quindi anche la prima ad. entrare nella gola; frattanto 
che i denti d’ una mascella vi si infiggono da un lato, la 
mascella opposta si avvanza ed al suo torno passa coi 
proprj denti il corpo della preda che viene tirata in den- 
tro, ed è a mezzo di questo avvicendato movimento delle 
mascelle che la vittima entra sempre più nella gola, com- 
piendosi poi la deglutizione in seguito a maggiori o minori 
sforzi secondo il volume dell’ animale. A facilitare tale 
atto, e supplire alla impossibilità di masticare e rompere 
quindi in pezzi la preda, serve opportunamente la secre- 
zione di una abbondante saliva, operata da glandule spe- 
ciali, che la rende lubrica e più facile ad essere ingojata. 
I serpenti bevono di rado, e forse-qualcheduno fra essi 
non beve mai perchè condannato a vivere in luoghi 
aridi e secchi, od in boschi dove manca affatto l’acqua. Si 
è già altrove parla:o della loro impossibilità di succhiare, 


ERPETOLOGIA 484 


ed ivi si è anche provata l’ assurdità delle volgari credenze 
iN proposito. 

Quando il serpente è eccitato da qualche, passione o 
viene aizzato, respinge con violenza dalle fauci V aria in- 
spirata producendo un sibilo più o meno forte secondo 
l’animale stesso e la. forza della passione che lo agita. 
Questo sibilo non è però che un suono paragonabile a 
quello che risulterebbe dal passaggio rapido e continuo del- 
l’aria in un secco e stretto tubo, siccome quello sarebbe di 
una penna; nè giammai i serpenti hanno potere di fischiare 
e di produrre altri suoni come vien creduto dal volgo. 

Fu detto già altrove che questi rettili provengono tutti 
da uova che vengono deposte sul terreno, o in qualche 
cavità, o nei letamaj, nei quali la fermentazione produce 
e mantiene un attivo calore. In qualche specie per altro 
schiudonsi ancora nel ventre della madre, sortendone i 
piccoli già snelli e vivaci. Il loro numero è sempre vario 
secondo le specie. 

Gli Ofidii amano il calore e quindi preferiscono in ge- 
nere le posizioni soleggiate; qualcuno stassi però anche in 
luoghi ombreggiati, tra le erbe e nei boschi, e la scelta 
della dimora può dirsi sempre dipendente e collegata col 
rispettivo nutrimento e coll’ abbondanza di questo. D’ in- 
verno vanno soggetti al letargo come gli altri rettili, e 
passano la cattiva stagione assiderati in qualche tana, o 
fra i crepacci del terreno, o dei tronchi, o delle roccie, a 
quella profondità che valga a difenderli dal freddo e dal 
gelo, ravvolti sopra sè stessi, e frequentemente attortigliati 
più d’ uno insieme. Sebbene astuti, sono timidi e paurosi, 
ed è raro che assalgano l’ uomo senza che sieno stati da 
lui provocati, e comunemente sembrano anco temerne la 
presenza. 


482 BETTA 


Avendo accennate nell’ articolo dei Saurii alcune ano- 
malie, o mostruosità di forma, alle quali essi possono an- 
dar soggetti, è bene e molto più necessario parlando degli 
ofidii sui quali tante sono le dicerie, di avvertire. come 
consimili accidenti possano nascere e siano nati anzi con 
maggiore frequenza negli animali di quest ordine, trovan- 
dosene esempj nelle opere di Aristotile, dell’ Aldrovandi, 
del Redi ed in molte dei più moderni autori. Pare a quanto 
osserva Geoffroy Saint-Hilaire (*) che la testa sia però nei 
serpenti la parte in cui più comunemente si verificano 
anomalie; e varj infatti sono i casi conosciuti di vipere a 
due teste, talchè, come avverte Lacépède, era una volta 
ritenuta |’ esistenza di una specie costantemente bicipite. 
Alle volte il serpente presenta due capi appoggiati a colli 
distinti; e tale è il caso della vipera che il Redi sorprese 
esposta al sole presso Pisa, e conservò poi anche viva per 
varj giorni. All'esame anatomico del corpo le si trovarono: 
due arterie tracheali, due grandi polmoni, due cuori, due 
esofagi, due stomachi e due fegati, ma un solo intestino 
che sboccava in un’ unica cloaca. Altre volte un collo solo 
può portare due teste distinte; e di tale anomalia reca 
Geoffroy il caso in una giovane vipera inviata da Dutrochet 
all Accademia delle Scienze di Parigi, e della quale dà la fi- 
gura alla tavola XV della sua opera. Un consimile accidente 
viene pure rappresentato dal Principe di Canino nella sua 
Fauna italica, per una piccola vipera bicipite incontrata dal 
Sig. Orsini di Ascoli sui monti vicini alla sua patria. Redi 
ha osservato un serpente a due code; e Duméril riporta an- 
che il caso di un serpente fatto disegnare dal Dott." Mitchill, 
che aveva due corpi, tre occhi ed una sola mascella. 


(*) ZHistoire des anomalies etc. Tom. III, 


ERPETOLOGIA 4183 


| A. OFIDII SENZA DENTI VELENIFERI. 
Gen. CORONELLA (LAUR.) SCHLEGEL. 


7-1. CORONELLA AUSTRIACA 


Laurenti. 


Ital. Colubro austriaco, Colubro liscio. 
Ven. Vipereta, vipera de sutto, bissa, bisso. 
Tirol. Verm ross, vipera. 


CARATTERI. 


Capo poco distinto dal tronco, oblongo-piramidale, leggermente con- 
vesso al di sopra, arrotondato all'apice, alquanto dilatato verso la nuca, 
coperto da scudetti regolari e simmetrici. Piastra del vertice pentagona, 
più larga il doppio all'indietro. Coda lunga appena un sesto della lun- 
ghezza totale del corpo. 

Corpo di color cenericcio tinto di rosso mattone, o bruno giallastro. 
Capo dello stesso colore con grande macchia molto oscura, cordiforme, 
bipartita posteriormente; una striscia nerastra parle dalle narici, ed ol- 
trepassando l’ occhio scorre orizzontale fino alla commissura delle labbra. 
Addome di color giallastro tendente al cinereo, screziato di punti rossa- 
stri, brunastri o color d’acciajo. 

Piastre addominali 159-189. 
Seudi sottocandali paja 46-58. 


SINONIMIA. 


Coronella austriaca Laur. Syn. Rept. p. 84. t. Bd. f. 4. 
Coluber austriacus Gmel. Syst. Nat. I. p., 4114. 


484 BETTA: 


Coluber austriacus Daud. Hist. Rept. VII. p. 49. 
Ta —_ Shaw Zool. IM. p. BID. 
= — Bechst. in Lacèp. INIL p. 309. 
— —_ Sturm Deutschl. Fauna III 2. 
_ _ Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 39. sp. 7. 
—_ — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 423. 
_ _ Fitz. Verz. Mus. Wien. p. d7. sp. 26. 
a — Schinz Fauna Helvet. p. 141. sp. 2. 
— — Bonap. Fauna ital. cum tab. 
—_ — ‘ Betta Rett. Tirol. p. 155., 
_ —_ Betta Cat. syst. Rept. p. 18. 
_ — Massal. Saggio p. 43. 
Coluber laevis Lacèép. Quadr. ovip. et serp. II p. 158. 
—_ — Latr. Hist. Rept. IV. p. 62. 
—_ —  Merr. Syst. Amph. p. 4104. sp. 56. 
_ — Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 39. 
_ —  Zryn. Observat. p. 38. 
Coluber ferruginosus Retz Fauna Succ. p. 291. 
Coluber nutrix Shaw Zool. II. p. 446. 
Coronella laevis Schleg. Essai p. 65. (én parte). 
_ — De Fil. Cat. rag. p. 18. 
— — seu austriaca Dum. Bibr. Erpèt. VII. 4. p. 610. 
Zacholus austriacus Wagl. Syst. Amph. p. 190. 
= == Fitz. Syst. Rept. p. 25. 


FORME. 


Capo poco distinto dal tronco, oblongo-piramidale, leg- 
germente convesso al di sopra, rotondato e smussato al- 
apice del muso, alquanto dilatato verso la nuca, supe- 
riormente coperto da 9 scudetti. Mascella superiore spor- 
gente assai più della inferiore. Scudetto rostrale ripiegato 
in avanti, di forma triangolare, più alto che largo, smar- 
ginato alla base. Scudetti nasali piccoli, di forma quadri- 


ERPETOLOGIA 4185 


latera, colle narici aperte verso il loro margine più esterno; 
due scudetti fronto-nasali di forma triangolare. Scudetti 
frontali quadrilateri, curvilinei nel loro margine posteriore. 
Scudo del vertice pentagono allungato in triangolo, col- 
l’apice all'indietro e ad angolo acuto; più largo il doppio 
all’ innanzi. Scudi sopracigliari reniformi. Scudi occipitali 
grandi, più lunghi che larghi, troncati all’ indietro, di forma 
irregolarmente poligona. Occhi piecoli collocati in un solco 
ai lati della testa; una piastrina oculare anteriore, e due 
posteriori. Uno scudetto loreo per parte, di forma quadrata. 
Sette scudetti marginali sull’ uno e 1° altro labbro. 

Tronco subcilindrico, quasi uniforme, assottigliantesi 
alcun poco alle due estremità. Coda ben distinta dal tronco 
alla sua origine, conica, assottigliata alla estremità e. leg- 
germente piana alla superficie inferiore; occupa quasi la 
sesta parte della lunghezza totale dell’ animale. 

Dorso coperto di squame liscie e lucenti, lanceolato-esa- 
gone disposte in 49 serie longitudinali, molto piccole sul 
collo, più grandi e quasi equilaterali sui fianchi. Piastre 
addominali in numero di 159 a 4189; scudetti sottocaudali 
da paja 46 alle 58. 

Denti piccoli ma grossi, ricurvi all’ indentro e quasi tutti 
di eguale lunghezza; in numero di 10 a 13 nelle mascelle 
inferiori, di 7 a 9 nelle superiori; denti del palato 40 a 13 
per parte. 

COLORITO. 


Le parti superiori del corpo sono di un color cenericcio 
più o meno tinto di rosso mattone, che si fa più oscuro 
lungo il dorso e più chiaro verso i fianchi, ove prende 
un color d’ acciajo con qualche traccia di giallo. Tutte le 
squame sono punteggiate fimamente di nero, e marginate 


4186 BETTA 


da una linea gialla pallida con un punto nero ben di- 
stinto in ciascuna verso l’ estremità inferiore. Quattro se- 
rie di macchie color castagno cupo marginate di nero 
scorrono lungo la parte superiore del corpo. Le due serie 
dorsali sono più grandi delle altre e frequentemente con- 
fluiscono nel mezzo formando una sola macchia transver- 
sale rettangolare, due volte più larga che lunga. Qualche 
volta tale confluenza non presentasi che sul collo o poco 
più in giù; talvolta invece lungo quasi tutto il corpo. Le 
macchie delle serie dei fianchi sono assai piccole, e tutte 
poi diminuiscono in grandezza tanto verso il capo che 
verso la coda. La maggior parte delle macchie di una serie 
va alternandosi con quelle della serie opposta, e qual- 
che volta sono così piccole da non risultare segnate che 
come una sfumatura di bruno lungo le squame. In alcuni 
individui le prime macchie delle serie dorsali sono fra 
esse confluenti longitudinalmente, e presentano di tal ma- 
niera due linee brunastre e brevi che corrono parallele 
sul collo poco al di quà dell’ occipite. 

Il capo è segnato da una gran macchia brunastra o ne- 
rastra a forma di cuore bipartita posteriormente sulla nuca, 
la quale macchia, marcatissima nei giovani, diminuisce poi 
coll’ età di intensità e grandezza fino a cancellarsi quasi to- 
talmente. Una striscia di eguale tinta parte dalle narici ed 
oltrepassando l’ occhio scorre orizzontalmente fino alla com- 
missura delle labbra, da dove prolungandosi sui lati del 
collo tende a congiungersi colla serie più esterna delle mac- 
chie dorsali. Gli scudetti marginali delle labbra sono di co- 
lor bianco carnicino, marginate di nero all’ esterno e con 
punteggiatura fosca. Gli occhi sono bruni coll’ iride gialla. 

Il di sotto del corpo è d’ un color giallastro più o meno 
tendente al cinereo od al grigiastro; le piastre sono tutte va- 


ERPETOLOGIA 187 


riegate di punti rossastri, biancastri, nerastri, foschi o gialla- 
stri, con orlo lucente e di color d’acciajo. In alcuni individui 
la parte inferiore del tronco è anche di un color tendente 
al violetto oscuro, o di un color acceso di mattone scre- 
ziato di piccole macchie, od anche tutto nerastro uniforme. 

Anche ia tinta del dorso va soggetta a variazioni es- 
sendo qualche volta assai chiara, qualche altra molto ca- 
rica, e persino tendente ad un bruno nerastro od oliva- 
stro, siccome mi si presenta in un bel individuo della mia 
Collezione preso nei Sette Comuni. 

Nei giovani i colori sono più spiegati e lucenti di quello 
che negli adulti, e grandi e molto pronunziate sono le 
macchie della nuca e dei lati del collo. Il ventre e la 
parte inferiore della coda si tingono di un color di mat- 
tone più o meno acceso, con varj punti minutissimi bian- 
chi o neri. Ma tanto la colorazione che le macchie e la 
loro disposizione non sono molto diverse da quelle che 
presentano poi nello stato adulto, talchè può dirsi questa 
specie una delle poche fra gli ofidii in genere, i colori 
della quale mantengansi costanti nelle varie età. 

Secondo Frivaldszki i novelli sarebbero quasi totalmente 
bianchi (*), e lo Sehlegel osservando essere le tinte molto 
più chiare nei piccoli che non negli adulti, ripeterebbe egli 
pure che i novelli sono totalmente bianchi quando sortono 
dall’ uovo. Io tengo nella mia Collezione alcuni giovani che, 
non superando in lunghezza centimetri 41-44, devo rite- 
nere da ben poco tempo venuti alla luce. In essi a dir vero 
le tinte non sono tanto diverse da quelle degli adulti, ma 
anzi molto più pronunziate e cariche vi vedo le macchie 


(*) « C. laevis .... tenera aetate fere tolus albus ». Monogr. Serp. 


Hungar. pag. 39. 


488 BiECII0A 


del capo, del collo e del dorso. Duméril che ebbe più volte 
occasione di vedere i neonati non nota il fatto del color 
bianco, e solo, in consonanza con quanto osservo io stesso, 
avverte come nei giovani la parte posteriore della testa sia 
pressochè nera ed il dorso segnato da macchie nere assai 
regolarmente distribuite in serie longitudinali. Non avendo 
ancora mai avuto occasione di vedere io stesso individui 
appena nati, non manco di accennare quanto fu detto sulla 
colorazione dai prelodati autori, ma sembrami in ogni modo 
di poter ritenere che subito o ben presto dopo la nascita 
di questo rettile subentrino a quella uniforme colorazione 
le tinte e le macchie caratteristiche della specie. 


DIMENSIONI. 


La lunghezza ordinaria degli individui nostri è di cen- 
timetri 35 a 47, col diametro di 12-44 millimetri. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


È specie frequente in molte località del Veneto. Nella 
provincia Veronese trovasi più che altrove abbondante 
lungo le sponde del Benaco, alle falde del Monte Baldo, 
nelle valli di Tregnago ed Illasi e presso il M. Bolca. Lo 
trovai presso Arzignano e presso Bassano nella provincia 
di Vicenza, ed un individuo ne ebbi raccolto dal Sig. Ce- 
rato ai Sette Comuni, quello stesso sopra distinto per la 
tinta del dorso bruno-nerastra carica. Dal Padovano mi 
furono inviati due esemplari raccolti l uno a Valsanzibio, 
l altro a Galzignano presso i Colli Euganei, ed un terzo 
lo ebbi dall’ ottimo amico mio D." Martinati preso in un 
orto a Gorgo presso Padova. 


E RPIRTOLO GIA 139 


Meno frequente mostrasi all’ invece nel Tirolo, ove lo 
rinvenni per la prima volta soltanto nel 1854 presso Segno 
e presso Castel Thunn nella Valle di Non. Più tardi lo 
vidi però anche presso Gardolo al di sopra di Trento, 
presso Nomi e presso Riva nel'Circolo di Rovereto. Nel- 
l'estate 1855 ne presi un individuo a Strigno in Valsu- 
gana; ne osservai un altro, della maggiore dimensione no- 
tata, ucciso sulla strada presso Fondo, ed un giovane, ma 
superbo esemplare, mi fu recato vivo da mio cugino 
Nob. Guido degli Stefenelli che lo aveva preso lungo la 
strada che da Fondo conduce a Tret, parte più elevata 
della Valle di Non. Oltre questi pochi individui non so 
che altri ne sieno stati presi o veduti, e mi è pure argo- 
mento per ritenervelo raro il non trovarlo neppure nomina- 
to dal Sig. Ambrosi nel suo Prospetto zoologico del Trentino. 

Abita di consueto i boschi, le praterie, i campi ed i 
luoghi asciutti, e persino gli orti prossimi alle abitazioni; 
tiensi anche nascosto nelle siepi che costeggiano le strade, 
o fra i muschi in luoghi ombreggiati. Agilissimo nei suoi 
movimenti ed assai timido, fugge rapidamente all’ avviei- 
narsi di alcuno; ma quando venga preso od irritato schiz- 
za fuori dall’ano un umore bianchicecio di un odore erba- 
ceo, meno nauseante però di quello dei Tropidonoti, ed 
appiana e dilata il capo cagionando spavento a chi non lo 
conosce per la sua somiglianza colla vipera, cui si avvi- 
cina ancora più per la tinta generale del corpo e per la 
disposizione delle macchie. Se 1’ offensore lo tenga stretto 
o lo maltratti, non tarda ad aprire anehe la bocca e mor- 
de rabbiosamente ; ma il suo morso non è menomamente 
pericoloso, e le esperienze del Laurenti (*) provano abba- 


(*) Synopsis Replil. p. 186. 


4190 BETTA 


stanza l’innocuità di questo animale. Di ciò posso poi far 
fede io stesso essendo stato ripetutamente morsicato nella 
mano, e con rabbia, da un individuo preso nelle vicinanze 
di Castel Thunn, nel mentre tentava sbarazzarlo dalle 
maglie della piccola rete di seta che uso pei rettili acqua- 
tici, e sotto la quale l'aveva fermato nel mentre rapida- 
mente attraversava la strada. 

Nutresi di vermi, di mosche, e di insetti. Cibasi però 
anche di rane, di lucerte e di piccoli quadrupedi, e secondo 
Bechstein anche di piccoli uccelli. Secondo il Principe Bo- 
naparte ingojerebbe inoltre serpentelli appena nati di altre 
più grosse specie. Tenuto in schiavitù non tarda molto a mo- 
strarsi tranquillo e mansueto, ed io lo vidi vivere in buon 
accordo con varj altri rettili coi quali lo tenni custodito. 

Nell’ articolo della Propagazione si. sono già riferite le 
interessanti osservazioni del Prof. Gent sulle congreghe 
amorose di questa specie. Secondo le osservazioni dello 
Schinz, di Frivaldszky, di Wyder e di Duméril partorisce 
i figli vivi come la Vipera, e Lenz osservò anche come lo 
sviluppo delle uova nel ventre della madre esiga un tem- 
po di tre a quattro mesi, notandoci che i novelli non na- 
scono alla luce che verso la fine di Agosto, ed in numero 
di dodici circa. 

V’ ha chi crede esistano nella mascella superiore di 
questa specie, come realmente in alcun’ altra del genere 
Coronella dello Schlegel, due denti posteriori molto più lun- 
ghi degli altri e quindi sospetti. L’' esame però di molti 
individui non mi offerse mai la presenza di tali denti, ma 
all’ incontro osservo che in questo rettile i denti si man- 
tengono pressochè tutti dell’ eguale grandezza, mentre in 
altre specie nostre anche affatto innocue vedonsi gli ultimi 
denti molto maggiori degli anteriori. 


ERPETOLOGIA 491 


8— II CORONELLA RICCIOLI 


Metaxra, 


Ital. Colubro del Riccioli. 
Veron. Angiella ( fide Massalongo ). 


CARATTERI. 


Capo poco distinto dal tronco, ovato-romboidale, arrotondato all apice, 
coperto da scudetti regolari e simmetrici. Piastra del vertice quinqueango- 
lare, anteriormente poco più larga. Coda lunga circa una quarta parle di 
tutta la lunghezza del corpo. 

Corpo di color bigio od olivaeco-rossastro; capo dello stesso. colore, 
segnalo da macchia semilunare nera sugli seudetti frontali posteriori; al- 
tra macchia nera sull’ occipite, due oblonghe convergenti sul collo, una 
al lati del collo stesso. Fianchi ornati di punti roseo-corallini; addome 
giallo canarino con due larghe fascie longitudinali nere e parallele. 

Piastre addommali 180-186. 
Scudi sotlocaud. p. 98-66. (Bonap.) 


SINONIMIA. 


Coluber Riccioli Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 4A. f. 3. 4. 

_ —  Bonap. Fauna ital. cum tab. 

—_ — Gene Stor. nat. II. p. 401. 

— —. Betta Cat. Syst. p. 48. 

_ —  Massal. Saggio p. 14. 
Coluber meridionalis Daud. Hist. Rept. VIT. p. 158. (fide Bonap.) 
Coluber rubens Gachet Bull. Soc. Liun. Bord. INI. p. 253. ( 8p.) 


492 BETTA 
FORME. 


« Ha il capo ovale-romboidale sufficientemente distinto 
dal tronco che è cilindrico-fusiforme; la coda non giunge 
ad essere lunga la quarta parte dell’ animale intiero, ed è 
terete e gracile. Le narici sono situate alla commissura di 
due scudetti nasali; gli scudetti oculari posteriori sono al 
numero di due; ha un solo scudetto loreo per parte, i 
sopracigliari alquanto sporgenti all’innenzi degli occhi; lo 
scudetto del vertice è quinqueangolare, anteriormente poco 
più largo. Le squame di tutto il corpo sono lucidissime, 
ovato-sessangolari e senza il benchè minimo sospetto di 
carena. Il numero ordinario degli scudi addominali è di 
184, quello degli scudetti sottocaudali di 64 paja; e questi 
numeri per quanto abbiamo veduto variano meno in que- 
sta che in altre specie di Serpenti » (Bonap.). 


COLORITO. 


«Una macchia semilunare nera molto decisa segna gli 
scudetti frontali posteriori, s' innoltra al di là degli occhi, 
e termina all’ angolo della bocca; un’ altra macchia nera 
più sottile e meno decisa parallela alla prima contorna 
anteriormente |’ occipite, il quale è nebuloso-fosco; due 
macchie nere oblunghe convergenti ornano superiormente 
il collo. Il dorso apparisce oscuramente carenato; ed è 
d’ un color bigio o olivaceo rossastro con macchie fosche 
quasi rotonde orlate di color nero, alternanti in due serie 
contigue, per lo più confluenti a due a due da una serie 
all’ altra. 1 lati di tutto il tronco sono segnati da una 
linea longitudinale fosca quasi continua, poco distinta, la 


ERPETOLOGIA 493 


quale prende origine da una lunga macchia nera decisa 
falcata che orna i lati del collo. Superiormente ed infe- 
riormente a questa linea longitudinale domina un color 
rossastro più o meno intenso, perchè le squame dei detti 
lati, che sono cineree nel fondo, portano un grandissimo 
numero di punti roseo-corallini; la porzione più prossima 
al dorso è assai più oscura, quella vicina al ventre è di 
colori più chiari e più vivaci; alcune delle descritte squa- 
me punteggiate di rosso sono irregolarmente marginate di 
fosco, altre di bianco. La parte inferiore di tutto l’ animale 
è gialla di canario con due larghe fascie longitudinali nere 
e parallele, una per parte, formate da macchie quadran- 
golari, altre contigue, altre no; nella regione più prossima 
alla gola, la quale è gialla pura, scorre per un breve tratto 
un’ altra fascia longitudinale intermedia, interrotta, le cui 
macchie nere alternano per lo più con quelle delle due 
fascie sopradette ». 

« Le tinte variano assaissimo ; perchè alcuni individui 
hanno colori anche più vivaci e risentiti che quello da 
noi effigiato; allora i gialli passano quasi al sulfureo, i 
neri al morato, e il rossastro al corallino ; altri invece sono 
slavati e quasi luridi, con le linee e le macchie oscura- 
mente accennate » (Bonap.). 


DIMENSIONI. 


» Gli individui più grandi da noi osservati hanno ven- 
tisette pollici di lunghezza (*) dei quali la coda occupa 
meno di sei, ed è perciò notabilmente corta per un vero 
Coluber. La circonferenza del corpo giunge appena a due 


(*) Pari a centimetri 73, ossia poco meno di 26 oncie Veronesi. 


13 


494 BETTA 


pollici, e la grossezza del capo a cinque linee. Ma il mag- 
gior numero degli individui ha dimensioni assai più pic: 
cole, principalmente in grossezza. Non vi è alcuna diffe- 
renza di colori fra il maschio e la femmina; questa però 
suol essere più grande» ( Bonap. Fauna Ital. ) 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


La presenza di questa bellissima specie nel Veneto non 
è fino ad ora constatata che da due soli individui raccolti 
nella provincia Veronese, l’ uno presso Fumane da quel 
Farmacista sig. Pellegrini, l’ altro dal Prof. Massalongo nel 
paese di Tregnago ( Calavena ). Io vidi soltanto il primo; 
or sono quattro anni, presso il compianto amico e distinto 
naturalista Luigi Menegazzi cui era stato regalato dallo 
stesso sig. Pellegrini; e dal primo esame che al momento 
ne feci mi risultò conforme alla descrizione ed alla beila 
figura della specie data dal Principe Bonaparte. Vi corri- 
spondevano benanco le dimensioni, i colori e -le belle fa- 
scie longitudinali nere dell’ addome, molto precise e spie- 
gate. Quando però contava instituirne più accurato esame 
ed estenderne la particolareggiata descrizione, mi riuscì 
impossibile il farlo poichè fatalmente quell’ individuo era 
stato gettato già qualche tempo prima a causa d’ essersi 
accidentalmente putrefatto. 

Neppure del secondo esemplare che il Prof. Massalon- 
go (*) dice aver raccolto appena ucciso ed in tale stato 
che gli fu impossibile conservarlo, posso presentare una 
descrizione poichè non offertaci nemmeno dallo stesso Pro- 
fessore. Ed ecco perchè in mancanza di individui Veneti 


(*) Saggio, p. 14. 


ERPETOLOGILA 4195 


ho dovuto riportare la descrizione specifica tal quale ci è 
data dal Principe Bonaparte sugli individui della Romagna. 
Solo noterò pei nostri le dimensioni rispettive che, secon- 
do il Prof. Massalongo, risultavano di pollici 23 (cen- 
tim. 62) di lunghezza in quello preso a Tregnago, e pol- 
lici 25 34 (centim. 69) in quello preso a Fumane. 

Tali dimensioni si avvicinerebbero quindi di molto a 
quelle date da Bonaparte che segna quali estremi di di- 
stinzione fra questa e la precedente specie, oltrecchè la 
diversa colorazione, le dimensioni alquanto maggiori nel 
Coluber Riccioli. Ma non è però a tacersi come il Prof. Ge- 
nè ci avvisi (*) non superare questa specie in lunghezza 
il Colubro austriaco, ma essere soltanto di lui più sottile 
e molto più bello a vedersi. 

Sui costumi della Coronella Riccioli scrive il Principe 
Bonaparte, che dessa suole abitare i luoghi sassosi dei 
colli; niun serpente essere di questo più mansueto; il suo 
sibilare leggerissimo; non mordere ed anzi essere difficile 
fargli aprire la bocca per quanto lo si maltratti; nè av- 
vittichiarsi rabbiosamente, come fanno tanti altri, quando 
venga preso in mano. Simili notizie vengono ripetute an- 
che dal Prof. Genè, il quale come della specie precedente 
anche di questa osservò le curiose congreghe nel tempo 
degli amori. 


OSSERVAZIONE. 
L’ esterna rassomiglianza di questa specie colla Coro- 
nella austriaca è ragione del trovarle confuse in una sola 


‘da più autori, fra i quali lo Schlegel. Il Principe Bona- 


(*) Storia nat. II. p. 401. 


4196 BETTA 


parte ed il Prof. Genè ne stabilirono però buoni caratteri 
di distinzione. 

Sull’ autorità dello stesso Principe Bonaparte ho col- 
locato nella Sinonimia la specie del Daudin, sebbene io 
non possa dichiararmene sicuro atteso alcune differenze 
di colorito, ed il diverso numero delle piastre addominali 
e degli scudetti sottocaudali che il Daudin dà pel suo Co- 
luber meridionalis ( La Couleuvre provengale ) abitatore del 
mezzogiorno della Francia. 


ERPETOLOGIA 497 


Gen. COLUBER LINN. (EMEND.) 


9-L COLUBER FLAVESCENS 


Gmelin. 


Ital. Colubro saettone, Bastoniere. 
Ven. Angio, Angia, bisso, bisson, magne. 
Tirol. Anza, anda. 


CARATTERI. 


Capo leggermente distinto dal tronco, oblongo-elittico, molto ottuso 
all’apice, coperto da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto del ver- 
tice pentagono coi margini longitudinali rettilinei. Coda proporzionatamente 
molto più breve che quella del C. viridiflavus. 

Dorso di color olivaceo uniforme, o sparso di macchietle biancastre. 
Capo e piastrine oculari del colore del dorso. Una macchia nera parte 
posteriormente all’ occhio e corre orizzontale verso 1 lati del. collo; 
altra macchietta nera dal lembo inferiore dell'occhio si abbassa vertical- 
mente fino sugli scudetti golari. Tutto il di sotto del tronco d'un bel 
giallo di paglia o sulfureo, uniforme ed eguale. 

Piastre addominali 220-228. 
Sendi sottocaud. p. 74-86. 


SINONIMIA. 


Coluber flavescens Gmel. Syst. Nat. I p. 1145. 
ai — — Daud. Hist. Rept. VI. p. 272. 
—_ — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 420. 
— — Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 40. 


498 BETTA 


Coluber flavescens Schinz Fauna Helvet. p. 142. sp. B. 
—_ —_ Bonap. Fauna ital. cum tab. 
= _ De Fil. Cat. ragion. p. 28. 
i — Betta Rett. Tirol. p. 158. 
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 18. 
—_ _ Massal. Saggio p. 8. 
Natrix longissima Laur. Syn. Rept. p. 74. n. 4155. 
Coluber natrix var. B. Gmel. Syst. Nat. p. 41100. 
Coluber Aesculapii Shaw Zool. III. p. 452. 
_ —_ Latr. Hist. Rept. IV. p. B4. 
a — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 57. n. È. 
—_ _ Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 38. sp. 4B. 
_ —_ Schleg. Essai p. 150. t. d. f. 1. 2. 
— — Cuv. Rèégne Anim. p. 111. t. 30. 
Coluber Sellmanni Nau Neue Entd. I. p. 260. (f. Merrem). 
— —_ Donnd. Zool. II. p. 207. (f. Bonap.) 
Coluber pannonicus Nau l. c. (f. Merrem). 
Coluber Scopolii Merr. Syst. Amph. p. 104. sp. 48. 
Zamenis Aesculapii Wagl. Syst.. Amph. p. 188. 
—_ - Fitz. Syn. Rept. p. 26. 
Elaphis Aesculapii Dum. Bibr. Erpétol. VII. 4. p. 278. 


FORME. 


Capo leggermente distinto dal tronco, di forma oblongo- 
elittica, col muso molto ottuso quasi troncato, coperto su- 
periormente da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto 
rostrale più largo che alto, di forma triangolare, arroton- 
dato all’ apice, convesso nel mezzo e sensibilmente infos- 
sato e smarginato alla base. Seudo del vertice pentagono, 
coi margini longitudinali rettilinei, e col margine anteriore 


lungo quanto i due posteriori presi assieme, i quali si | 


uniscono ad angolo acuto inserendosi nei due scudi occi- 


pitali, che sono grandi e posteriormente troncati. Tale base | 


ERPIETOLO GIL A 199 


allargata dello scudo verticale lo fa sembrare a prima vista 
quasi triangolare. Scudi sopraorbitali grandetti; scudetti 
lorei trapeziformi. Due scudetti nasali per lato, colle na- 
rici arrotondate ed aperte nella commissura dei medesimi. 
Occhi rotondi, vivacissimi, con uno scudetto oculare ante- 
riore e due posteriori. 

Tronco quasi tondeggiante, alquanto compresso sui lati; 
coda lunga, continua, acuta, piuttosto piana nella parte 
inferiore. Squame del dorso perfettamente liscie, elittiche, 
oscuramente esagone, e disposte in 24 serie longitudinali. 
Piastre addominali, nel maggior numero degli esemplari, 
da 223 a 225, con paja 83 a 85 di scudetti sottocaudali. 


COLORITO. 


Corpo d’un color bruno olivastro più o meno intenso, 
tendente legsiermente al giallastro verso i fianchi. Tutto il 
di sotto del tronco e della coda di un bel giallo di paglia 
più o meno tendente al sulfureo, ed uniforme. Il capo ha 
sopra e sotto gli stessi colori del dorso e del ventre. 

Le squame del dorso sono assai di rado colorate uni- 
formemente, ma presentano invece minutissime punteg- 
giature fosche, ed alcune sono anche qua e là marginate 
in tutto od in parte di bianco. Tali marginature disposte 
in modo da rappresentare quasi la lettera X od un V, 
estendonsi talvolta su tutto il tronco risuliando più sen- 
sibili verso i fianchi; talvolta non mostransi che molto 
al di qua del collo scorrendo il dorso ed i fianchi; tal- 
volta infine sono rarissime e segnate soltanto verso ì 
fianchi. In alcuni individui scorgonsi anche varie fascie o 
linee longitudinali strette, sfumate, e più chiare del fondo 
col quale vanno a confondersi verso la coda. 


200 BETTA 


Una piccola striscia fosca parte dal lembo inferiore 
dell’ occhio, e si abbassa verticalmente sino agli scudetti 
golari. Un’ altra macchia fosca vedesi di qua e di là del 
capo, la quale partendo dal margine posteriore dell’ occhio 
corre per un tratto orizzontalmente verso i lati del collo, 
indi facendosi più larga si incurva all’ ingiù, e lasciando 
libero o in tutto od in parte l’ultimo scudetto marginale 
della mascella superiore riproducesi poi più. sbiadito sul 
margine della mascella inferiore. Mano mano però che 
l’animale invecchia le macchie impallidiscono, e quelle 
posteriori agli occhi scompariscono anche del tutto. 

Alcuni individui, quelli specialmente delle regioni mon- 
tane, distinguonsi per avere superiormente una tinta ge- 
nerale molto fosca sparsa di macchiette o lineole bianche; 
e talvolta assumono anche un color uniforme nerastro 
con rarissime macchiette bianche, od anche senza. 

Ben diverso è il colorito dei giovani, i quali hanno il 
corpo tinto superiormente in grigio-fosco o cinereo sordido, 
sparso di macchie bruno-olivastre, grandette, arrotondate 
o quadrangolari, e disposte in guisa da simulare quattro 
striscie scure longitudinali. Gli scudetti frontali ed i so- 
pracigliari sono tinti di nerastro posteriormente, ed una 
lineola nerastra scorre transversalmente nel mezzo degli 
scudetti occipitali. La parte inferiore ed i lati del capo 
sono di un bel giallo canarino. Le macchie che partono 
dall’ occhio e si dispongono a figura di arco sono d’ un bel 
color nero morato. Dietro quest’ arco il giallo della parte 
inferiore si stende a guisa di collare superiormente inter- 
retto. Al di dietro degli scudi occipitali havvi una mac- 
chia bruna foggiata a V, colle branche divergenti verso la 
parte posteriore ed allargate verso le estremità. Il dorso 
apparisce anche minutamente spruzzato di bianco, ma la 


ERPETOLOGIA 204 


coda manca affatto di tali macchie e mostrasi invece su- 
periormente di un color bruno olivaceo, uniforme all’ api- 
ce, segnato verso l’ano e più in su da linee longitudinali 
più oscure che vanno poi ad interrompersi ed unirsi alla 
serie delle macchie del dorso. Le piastre addominali sono 
di color di paglia sudicio nel tratto più vicino al capo, ed 
assumono poi gradatamente una tinta d’ acciajo che do- 
mina fino all'apice della coda. 


DIMENSIONI. 


Lunghezza ordinaria Metri 4 a 4, 20, col maggior dia- 
metro di millim. 418 a 23. Alcuni individui del Monte 
Bolca e di Monte Baldo nella provincia Veronese hanno 
dimensioni molto maggiori, arrivando qualche volta alla 
lunghezza di M. 4, 30 a 4, 33. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Frequente in tutto il Veneto, incontrasi persino nelle 
campagne attigue alle abitazioni. Nel Veronese trovasi ab- 
bondantissimo, e vedesi spesso nelle campagne dei luoghi 
suburbani di Verona. Nel Vicentino lo trovai presso Mon- 
tebello. Lo vidi presso. Padova e presso Mestre, e vengo 
assicurato trovarsi molto frequente anche nel Bellunese, 
nel Trevigiano e nel Friuli. 

Nel Tirolo meridionale sembra esservi più raro non 
avendone fino ad ora osservati che soli cinque individui 
nel Trentino; uno preso presso Martignano dal Nob. Gio. 
Battista Sardagna, gli altri quattro da me, e di questi 
uno presso Pergine, uno alla Zambana presso Mezzolom- 
bardo, e due nella Valle di Non. 


202 i BETTA 


Questo colubro abita presso le campagne ricoverandosi 
nelle fessure dei muri, nelle siepi e fra i crepacci del ter- 
reno; incontrasi appiattato fra la folta erba dei prati ed in 
mezzo alle terre arative; qualche volta lo si scorge anche 
sugli alberi sui quali si arrampica facilmente. Non predi- 
lige i luoghi pantanosi ed umidi, ma tiensi ancor più lon- 
tano da quelli eccessivamente caldi e secchi. Agilissimo 
nei movimenti e timido di natura fugge ad ogni rumore, 
e non si difende nè minaccia se non quando venga. irri- 
tato e ridotto agli estremi. In allora si ferma od insegue, 
sì dirizza verticale, soffia, si slancia, sferza colla coda e 
morde, senza che però la sua morsicatura porti conse- 
guenza qualsiasi. 

Del resto le sue abitudini sono piuttosto tranquille, e 
tenuto in schiavitù si fa ben presto dolce e mansueto, la- 
sciandosi toccare e maneggiare senza dar segno di collera 
o di molestia; ed al più, quando venga inquietato, si agita 
ed emette qualche sibilo senza però atteggiarsi a mordere. 

Nutresi di rane, di lucertole e di altri rettili; ricerca 
i piccoli uccelli che va a sorprendere nei loro nidi, e fa 
sua preda anche i piccoli mammiferi, dei quali varie vol- 
te gli trovai i cadaveri nello stomaco. Depone le uova co- 
me gli altri serpenti, ma non se ne conosce precisamente 
il numero per ogni parto. Secondo Frivaldszky non sa- 
sarebbero però molte, e Jacquin riferirebbe d’aver veduto 
una femmina a partorirne cinque, di forma allungato - ci- 
lindrica, arrotondata alle due estremità. 


ERPETOLOGIA 203 


40— II COLUBER VIRIDIFLAVUS 
Lacépède, 


Ital. Il Biacco, il Bello, il Milordo, Serpente uccellatore, 
Colubro verde e giallo. 
Ven. Angia, anza, lanza, scorzon, bisso, bisson, magne. 


Tirol. Anza, anda. 


CARATTERI. 


Capo piuttosto distinto dal tronco, ovato, depresso, ottuso all’ apice, 
coperto superiormente da 9 scudetti regolari e simmetrici. Scudetto del 
vertice pentagono coi margini longitudinali alquanto curvilinei all’ indentro. 
Coda proporzionatamente molto più lunga che quella del C. flavescens. 

Dorso di color verde cupo o verdastro-nereggiante, sparso di mac- 
chiette gialle. Capo del colore del dorso, colle piastrine oculari di color 
giallo sulfureo uniforme, e con linee dello stesso colore sugli scudi del 
capo. Tutto il di sotto del tronco d'un color giallo di zolfo 0 pagliarino, 
screziato soltanto di nerastro sui margini esterni delle piastre addominali. 

Piastre addomnali 198-220. 
Scudetti sottocaud. p. 98-112. 


SINONIMIA. 


Coluber viridiflavus Lacep. Quadr. et Serp. II. p. 137. t. 6. f, 1. 
— — Latr. Hist. Rept. IV. p. 88. 
—_ —_ Daud. Hist. Rept. VI. p. 292. 
—_ — Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. 420. 
_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. d7. sp. 44. 
_ _ Bonap. Fauna ital. cum tab. 
—_ — Schleg. Essai p. 160. 


204 0 BETTA 


Coluber viridiflavus De Fil. Cat. ragion. p. 27. 
Toi = Catullo Geogn. Ven. p. 172. 


Tr A Ambrosi Prosp. zool. p. 290. 
— _ Betta Rett. Tirol. p. 158. 
_ _ Betta Cat. syst. Rept. p. 19. 
— — Massal. Saggio p. 40. 
Coluber atrovirens Shaw Zool. TII. p. 449. 
_ — Merr. Syst. Amph. p. 140. sp. 69. 


_ — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 36. 

_ — Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 43. 

—_ — Risso Hist. nat. III. p. 90. 

— —_ Schinz Fauna Helvet. p. 142. sp. 4. 
Coluber communis Donnd. Zool. INI. p. 208. 
Zamenis viridiflavus Wagl. Syst. Amph. p. 188. 

—_ _ Dum. Bibr. Erpétol. VII. |. p. 686. 


Var. carbonarius. 
Venet. Carbonazzo, carbonazz, carbon, charbonazz. 
Tirol. Carbonazzo, carbonazz. 


Coluber carbonarius Screibers. 
—_ — Catullo Geogn. Ven. p. 122. 
— _ Ambrosi Prosp. zool. p. 290. 
Col. viridiflavus var. carbonarius Fitz. Verz. Mus. Wien. p. B7. 
_ _ Bonap. Fauna ital. cum tab. 
ca _ Betta Rett. Tirol. p. 153. 
-_ sei Betta Cat. syst. Rept. p. 19. 
-— — Massal. Saggio p. 12. 


FORME. 


Capo piuttosto distinto dal tronco, ovato, depresso, ot- 
tuso all’ apice, coperto superiormente da 9 scudi regolari 


ERPETOLOGIA 905 


e simmetrici. Lo scudetto del vertice una volta e mezzo 
più lungo che largo, di forma pentagona, coi margini lon- 
gitudinali non rettilinei come nella specie precedente ma 
alquanto curvilinei all’ indentro. Scudetti occipitali una 
volta ed un quarto più lunghi che larghi. Scudetti so- 
praorbitali grandetti. Narici arrotondate, e poste nella 
commissura di due scudetti nasali. Scudetto rostrale di 
forma triangolare, quasi tanto alto che largo, arrotondato 
all’ apice, smarginato alla base. Occhi rotondi, vivacissimi, 
colla pupilla nera e coll’ iride di un bel giallo dorato. 

Tronco tondeggiante, un poco dilatato verso i fianchi. 
Coda distinta dal tronco, lunghissima, tenue, molto acuta, 
piuttosto piana nella sua parte inferiore. Squame del dorso 
perfettamente liscie, rombeo-allungate, e colle estremità 
alquanto tronche; disposte in 419 serie longitudinali. Delle 
piastre addominali, nel maggior numero degli individui , 
contansene 198 a 206; degli scudi sottocaudali paja 98 
a 107. 

COLORITO. 


Parte superiore del tronco e della coda di un color 
verde cupo o verdastro nerceggiante, tutto variegato di 
giallo sulfureo più 0 meno vivo, portando ogni squama 
una macehietta di tal colore. Sulla parte vicina al collo 
queste macchiette veggonsi segnate sopra una estremità 
della squama, e si estendono trasversalmente segnando 
così molte fascie sottili, trasverse, quasi rette nel mezzo 
del dorso, sinuose ai fianchi. Nella metà posteriore del 
corpo le macchiette segnano invece il centro d’ogni squa- 
ma, ed allungandosi longitudinalmente e tendendo a con- 
fluire insieme, disegnano. molte striscie longitudinali che 
riescono poi più marcate e precise verso la coda, dove 


206 BETTA 


le macchiette stesse confluiscono totalmente. Verso i fian- 
chi le squame sono pressochè interamente tinte di giallo, 
e di color giallo di zolfo o pagliarino uniforme è tutto il 
di sotto del corpo, vedendosi solo le estremità esteriori 
delle piastre addominali e degli scudetti sottocaudali leg- 
germente screziate di nerastro. 

Il capo è superiormente del colore del dorso, giallo al 
di sotto. Gli scudetti oculari anteriori e posteriori sono 
tutti gialli, e gialli sono pure gli scudetti marginali delle 
labbra superiori con leggiero margine fosco ai loro lembi 
superiori ed alle loro commessure. Lo scudetto rostrale è 
di color giallo sordido ; gli scudetti frontali giallastri mac- 
chiati di fosco. Gli altri scudi del capo sono di color ver- 
dastro nereggiante od anche brunastro con screziature 
giallastre, e due serie di punti sulfurei più o meno con- 
tinui e confluenti vi segnano due linee arcuate scorrenti 
transversalmente, l’ una verso i lembi posteriori dello’ scu- 
detto verticale e dei sopraorbitali, i altra verso i lembi 
posteriori degli scudi occipitali. 

Nei giovani la parte superiore del tronco e della coda 
è di una tinta piombino-olivacea pressochè uniforme, e 
solo con leggierissimo indizio di fascie transversali pallide 
nel tratto più vicino al capo. Il di sotto è di un color pa- 
glia uniforme, senza macchia qualsiasi lungo i fianchi. Il 
capo è fosco, più o meno nerastro, e sempre poi segnato 
dalle macchie gialle caratteristiche della specie. La linea 
gialla transversale scorrente verso i margini posteriori degli 
scudetti occipitali troncasi verso la loro commessura di 
mezzo, e piegandosi all’ indietro prolungasi in due linee 
parallele le quali unendosi poi ad altre lineole transversali 
lasciano figurato a foggia d’àncora il fondo fosco della 
cervice. 


ERPETOLOGIA 207. 


Questo colubro tanto bizzarro e distinto per i suoi 
colori, non spiega però mai in queste provincie quella 
bellezza e vivacità di colorito nel verdastro del fondo e 
nel sulfureo delle macchie, che osservasi invece negli in- 
dividui della bassa Lombardia e specialmente in quelli 
che vivono lungo le mura e nei dintorni di Pavia. Fra 
noi tende sempre ad assumere un color bruno-verdastro 0 
nerastro; ed altrettanto frequentissima quindi quanto è rara 
colà, trovasi nelle nostre provincie la varietà carbonaria, 
in cui tutta la parte superiore del corpo è di un co- 
lor nero d’ inchiostro ; il capo privo affatto delle macchie 
giallastre o solo con qualche traccia di esse ; gli scudetti 
oculari ed i marginali del labbro superiore di un color 
giallo assai pallido; tutto il di sotto del corpo giallo di 
paglia lungo la parte media e di color d’ acciajo lucente 
verso l’ esterno, il qual colore estendesi poi su tutta la parte 
inferiore della coda. 


DIMENSIONI. 


Lunghezza ordinaria Centin.° 90 a Metri 4, 20 col dia- 
metro di millim. 18 a 23. La varietà carbonaria presenta 
maggiori dimensioni, e non pochi individui di essa arri- 
vano alla lunghezza di M. 4, 30 fino a 4, 50, col diametro 
di millim. 25 a 28. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Incontrasi comunissimo nelle provincie Venete, e solo 
con minor frequenza lo si vede nelle parti montuose e 
nel Tirolo meridionale ove più abbonda all’ invece la va- 
rietà carbonaria. Gli individui della maggior dimensione 


208 BETTA 


notata sono della Valle di Non nel Tirolo, del Monte Bolca 
nella provincia Veronese, del Bellunese, e del Padovano 
ove anzi meritano per ciò speciale nota gli individui della 
varietà che rinvengonsi nelle casematte e nei sotterranei 
delle mura e dei bastioni della città di Padova. Ma se vere 
sono le notizie favoritemi da persona degna di fede, nessun 
individuo della varietà eguaglierebbe in grandezza quelli 
che vivono fra le macerie della Torre delle Bebbe, antico 
fortilizio di frontiera fra Padova e Venezia, non. molto 
lungi da Malamocco. 

Abitatore tanto della pianura che dei colli e dei monti 
incontrasi nei boschi, nei luoghi coltivati , nelle praterie, 
lungo le strade e le siepi, fra le macerie di vecchie fab- 
briche, nelle fessure di vecchie mura, come pure nei sot- 
terranei abbandonati, nelle case deserte o diroccate. Pre- 
dilige in genere i luoghi soleggiati, ma non però soverchia- 
mente secchi, ed in cerca di preda allontanasi non poco 
dai proprj nascondigli ai quali però si dirige sempre fug- 
gendo quando venga intimorito dall’ avvicinarsi di qualche 
pericolo. Sorpreso in largo stradale costeggia la via fino a 
che incontri il luogo più adatto per ricoverarsi, e fuggendo 
spicca lunghi e frequenti slanci, progredendo pure con 
somma velocità anche ritto sulla metà anteriore del corpo. 

Nutresi di ramarri, di rospi, di rane e di piccoli qua: 
drupedi, siccome topi e talpe. Si inerpica sugli alberi con 
molta agilità, e sorprende così nel loro nido gli uccelletti 
dei quali fa preda. 

I colori veramente vaghi e vivaci di questo Colubro, 
la lucentezza delle sue squame, il suo sguardo di fuoco, 
l agilità de’ suoi movimenti, lo rendono senz’ altro il più 
bello dei nostri serpenti. Ma il suo istinto è ben lungi dal 
corrispondere alla esterna bellezza, essendo fra tutti il 


ERPETOLOGIA 209 


più irascibile; chè certamente no ’1 viddero all’ aperta, o 
ben prontamente lo scansarono, o solo si ebbero sott’ oc- 
chio individui indeboliti da schiavitù quegli autori’ che 
mite e tranquillo ce lo descrissero. Ed invero, di propria 
natura inquieto ed ardito, vedesi sempre pronto ad investir 
l’uomo quando venga assalito e costretto a difendersi, ed 
anzi non è neppur raro il caso di vederlo pronto ad offesa 
quando venga soltanto incontrato o sorpreso nella stagione 
più calda, e più ancora nell’ epoca degli amori. Inarca in 
allora il dorso, e dirizzandosi verticalmente sulla metà ed 
anche più del corpo manda frequenti sibili, morde rab- 
biosamente e percuote l’ assalitore. Ed io stesso, come la 
caccia di tali animali non può sempre essere esente da 
consimili accidenti, io stesso dico, ebbi a provare in due 
occasioni la collera di questo serpente, la cui immensa 
agilità impedisce anche agli esperti di schivarne sempre 
a tempo le offese, o di riportarne vittoria. Afferrato pel 
collo, lestamente e strettamente attortigliasi alla mano ed 
al braccio, tenendo spalancata la bocca. Morde tutto quanto 
può afferrare, ma il suo morso e le percosse della sua co- 
da sono ben lontane dall’ essere quali sono spacciate dal 
credulo volgo. Per me, conscio della innocuità dell’ ani- 
male e libero dall'influenza dei popolari pregiudizj, posso 
assicurare che le percosse avute sulla gamba da un’ indi- 
viduo che eravisi attortigliato non mi parvero più forti di 
quelle di un leggero ed elastico frustino; siccome, benchè 
privo affatto di conseguenze, posso dire invece sensibile il 
suo morso a causa dei mumerosi ed acuti denti dei quali 
tiene armata la bocca. Da tali denti perchè ricurvi al- 
l’indentro, riesce poi difficile liberare la parte afferrata 
dalla quale in ogni modo converrà staccarne dolcemente 
l’animale per non subire lacerazioni più dolorose. 
44 


240 BETTA 


E questa disposizione a mordere che il rettile porta fi- 
no dalla prima età, esso conserva anche in stato di schia- 
vitù seguitando per vario tempo a lanciarsi a bocca spa- 
lancata contro la ferriata della gabbia che lo divide da 
chi gli sta contro; nè depone tale iraconda abitudine che 
dopo protratta schiavitù e dopo lungo digiuno. Basta in- 
vece strappargli i denti per ridurlo presto mansueto a tal 
segno da essere suscettibile di una qualche educazione o 
domesticità, e da lasciarsi maneggiare e collocare a piaci- 
mento del suo padrone. 

Allo stato libero , soltanto l’ avvicinarsi della fredda 
stagione lo rende innocuo e ritirasi in allora sotto terra, 
ove rimane assiderato fino alla primavera, epoca de’ suoi 
amori. Depone le uova in costiere ben soleggiate. La sua 
carne è mangiata da taluno e pretendesi che sia abba- 
stanza saporita. 


OSSERVAZIONE. 


Oltre ai caratteri desunti dal confronto della diversa 
configurazione dello scudo del vertice, sarà sempre facile 
distinguere questa specie dal flavescens per la diversa co- 
lorazione che già subito nella prima età ne segna una co- 
stante differenza. 

Sul capo del wviridiflavus mostransi sempre. le mac- 
chiette gialle caratteristiche, nè mai le larghe macchie e 
la collana nera propria del /lavescens; le piastrine oculari 
di quello sono di color giallo uniforme ; in questo all’ in- 
contro sono le posteriori segnate da macchia nera che 
partendo dall'occhio corre orizzontalmente verso i lati del 
collo. Anche la coda ha diversa dimensione nelle due 
specie, essendo più lunga nel viridiflavus. 


ERPETOLOGIA DI I 


Gen. TROPIBONOTUS KUHL. 


AIT-I. TROPIDONOTUS NATRIX 
Wagler. 


Ital. Natrice, Vipera acquaiola, Natrice biscia. 
Ven. Bissa aquarola, bisso d’ acqua, bissa ranèra, bisse, madrace. 
Tirol. Serp 0 serpe d’ acqua, serp cenerin, vipera cenerina. 


CARATTERI. 


Capo distinto dal tronco, ovale, depresso, allargato posteriormente, 
rofondato all'apice, coperto da 9 scudetti regolari e simmetrici. 

Occipite con due macchie gialle molto distinte nei giovani, poco mar- 
cate negli adulti, ed anche mancanti nei vecchi individui. All’ origine del 
tronco di qua e di là della nuca, ed immediatamente dietro Ja fascia 
gialla, due grandi macchie nere transverse, costanti, più o meno prolun- 
gate all’indietro, e più o meno distinte e confluenti pel di sopra. Corpo di 
color cinereo tendente all’olivastro; addome giallastro tessellato di nero. 

Piastre addominali 102-174. 
Seudetti sottocaud. p. 48-74. 


SINONIMIA. 


Coluber natrix Linn. Syst. Nat. IL p. 380. 
-_ —  Gmel. Syst. Nat. p. 1100. (excl. var. plur.) 
— —  LZatr. Hist. Rept. IV. p. 38. 
— —  Aetz Fauna Sueec. p. 293. 
— —  Daud. Hist. Rept. VII. p 354. (excel. var. plur.) 
_ —  Melaxa Mon. Serp. Rom. p. 33. 
_ —  Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 418. 


212 


BETTA 


Coluber natrix Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 38. sp. 64. 


—  Frivald. Mon. Serp. Hungar. p. 44. 
—  Wyder Serp. de la Suisse p. 22. 
— Catullo Geogn. Venet. p. 172. 

— Ambrosi Prosp. zool. p. 290. 


Coluber Tyrolensis Scop. Ann. Hist. nat. IT. p. 39. 
Coluber bipes Scop. ibid. (fide Bonap.) 


— Shaw Zool. HI. p. 528. 


Natrix vulgaris Laur. Syn. Rept. p. 75. 180. 


Coluber torquatus Lacep. Quadr. et Serp. Il. p. 147. 


— © Risso Hist. nat. III. p. 90. 


Coluber helvelicus Lacep. Quadr. et Serp. Il. p. 326. 


_ Latr. Hist. Rept. IV. p. 46. 
-- Daud. Hist. Rept. VII. p. 57. 


Coluber vulgaris Razoum. Hist. Jorat I. p. 121. 
Coluber Scopolianus Daud. Hist. Rept. VII. p. 328. 
Col. ( Natrix) torquatus Merr. Syst. Amph. p. 124. 


? Coluber siculus Cuv. Régne anim. ed. II p. 84. 


Coluber viperinus Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 34. (an var?) 


Tropidonoius natrix Wagl. Syst. Amph. p. 179. 


—  Schleg. Essai II. p. 302. 
— De Fil. Cat. ragion. p. 41. 
— Dum. Bibr. Erpétol. VII. 4. p. BbB. 


Natrix lorquata Fitz. Syst. Rept. p. 27. 


Var. 


_ Bonap. Fauna ital. cum tab. 
— Betta Rett. Tirol. p. 156. 
— Betta Cat. syst. Rept. p. 21. 
- Massal. Saggio p. 16. 


bilineata 
murorum Fitzinger. 


Coluber murorum Vest. (Bonap. ) 


Coluber natrix var. B. Friv. Mon. p. 46. 


ERPETOLOGIA 2413 


Coluber natrix var. murorum Fitz. Verz. Mus. p. 38. 
2a ne, -_ Betta Cat. syst. Rept. p. 22. 
Li RL — Massal. Saggio p. 18. 


FORME. 


Capo distinto dal tronco, ovale, depresso, allargato po- 
steriormente, ristretto nel tratto anteriore agli occhi , ro- 
tondato all’ apice. Scudetto rostrale di forma triangolare, 
poco elevato e molto dilatato alla base. Scudetti nasali qua- 
drilateri, colle narici aperte nel loro mezzo; uno scudetto 
loreo per parte; scudetti frontali anteriori di forma qua- 
drilatera; quinqueangolari i secondi e curvilinei posterior- 
mente. Scudo del vertice quinqueangolare col margine an- 
teriore quasi rettilineo; i laterali molto leggermente con- 
vergenti all’ indentro. Scudetti occipitali ampj ed allungati, 
tre volte più lunghi che larghi; i sopracigliari poeo spor- 
genti. Occhi meno laterali che nei Colubri; una piastrina 
oculare anteriore e tre posteriori. Sette scudetti nelle lab- 
bra superiori, dieci nelle inferiori. 

Tronco cilindrico-fusiforme, col dorso carenato nel mez- 
zo. Coda poco distinta, terete, acuta, compresa circa cinque 
volte nella lunghezza di tutto il corpo. Squame della parte 
superiore del corpo e della coda carenate, lanceolato - allun- 
gate, disposte in 49 serie. 

Gli ultimi denti posteriori della mascella superiore sono 
molto più allungati che non quelli situati. anteriormente. 


COLORITO. 


Le tinte e le macchie sono soggette a così numerose va- 
riazioni in questa specie che difficilissimo è il caso di due 


244 BETTA 


individui assolutamente simili. Il colore del fondo varia in- 
fatti con tutte le gradazioni intermedie dal cinereo tendente 
‘all’olivastro fino al fosco ed anche, benchè raramente, al 
nero; e questi colori sono poi più chiari verso i fianchi dove 
in qualche individuo tendono anche al turchino. Il capo è 
superiormente del colore del dorso, però con sempre mag- 
giore tendenza al fosco olivaceo, uniforme e senza macchie. Il 
tratto posteriore del capo è segnato da una fascia transversa 
di color giallo tendente al sulfureo che nella maggior parte 
degli individui è interrotta nel mezzo, e sbiadisce e sparisce 
anche totalmente col crescere dell’ età. Immediatamente 
dietro questa fascia gialla mostransi due grandi macchie di 
color nero molto vivo, di forma tendente alla triangolare, 
più o meno divergenti e prolungate all’ indietro, e più o me- 
no disgiunte fra esse. Dal collo partono e continuano su 
tutto il corpo quattro ed anche cinque serie di macchie nere, 
delle quali le intermedie bislunghe, piecole, poco apparenti, 
le esterne grandi, trasverse, molto prolungate e quasi ret- 
tangolari. Bianeo-giallastra e senza macchie è la gola ed il 
di sotto del capo; gli scudetti marginali del labbro superiore 
sono di color sulfureo od olivaceo-giallognolo colle com- 
messure tinte di nero: gli scudetti marginali del labbro in- 
feriore giallo-sulfurei, con tutte le commessure o colle poste- 
riori soltanto tinte qualche volta di nero superiormente e 
per breve tratto. La metà posteriore del tronco è sempre 
più dominata dalle macchie nere che non l’ anteriore, e 
quelle verso la coda si espandono tanto da costituire la 
parte principale del fondo. 

Tutto il di sotto del tronco è sulfureo, o bianco giallastro 
con molte macchie nere, grandi, quadrate, rettangolari 0 ro- 
tonde, le quali qualche volta espandendosi sulle squame 
dei fianchi ne occupano pressochè tutto il fondo; tal’ altra 


ERPETOLOGIA 245 


seno disposte a scacco, e talvolta mancano quasi totalmente 
nella metà anteriore del tronco e sono supplite da piccole 
macchie pressochè triangolari disposte nella parte poste- 
riore delle piastre addominali. Il di sotto della coda ha 
ha gli stessi colori dell'addome, ma vi predomina molto 
più ancora il nero che giunge anche a tingerla totalmente. 

La bella varietà bilineata porta gli stessi colori e le 
macchie della specie, dalla quale si fa distinguere per 
due fascie longitudinali, parallele, di color giallo olivastro 
o biancastro, che percorrono lungo tutto il tronco sulle 
due serie delle macchie intermedie le quali risultano per 
tal modo molto più apparenti sul chiaro fondo delle fascie 
stesse. Le macchie nere del di sotto del tronco tendono 
in generale, più che non nella specie, ad occupare tutto 
il fondo che diventa talvolta affatto nero con una mac- 
chia bianca segnata nella parte esterna delle piastre addo- 
minali. 

I giovani si fanno distinguere per la viva tinta della 
fascia gialla del capo, e non differiscono nel resto dagli 
adulti che per il colore più chiaro delle macchie e del 
fondo nella parte inferiore del tronco. 

I giovani della var. Vilinecta presentano per lo più 
molto distinte Ie due fascie bianche, ed io ne tengo molti 
individui nella Collezione, fra i quali se ne vede anche 
qualcheduno col dorso di color cenere quasi uniforme e 
solo segnato da minute e rare macchiette nerastre, divise 
dalle due fascie molto apparenti; qualche altro col dorso 
fosco - olivaceo uniforme sparso soltanto di qualche rara 
macchia nerastra verso il collo; e due finalmente di color 
fosco uniforme su cui sbiadite e quasi indistinte corrono 
le due fascie longitudinali. 


2416 BETA 


DIMENSIONI. 


Di centimetri 60 a 75 è l’ ordinaria lunghezza di que- 
sta biscia, col diametro di 417 a 24 millimetri. I maggiori 
esemplari arrivano a centim. 90 - 94 di lunghezza, col 
diametro di millim. 30. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Può dirsi non esservi località in cui non vedasi questa 
specie, comune a presso che tutta l Europa. Incontrasi 
quindi tanto sui monti elevati che uella pianura, tanto 
nei terreni aridi che negli umidi, dando però sempre spe- 
ciale preferenza ai siti prossimi alle acque stagnanti o di 
lento corso, e alle sponde dei fiumi e dei laghi, molto di- 
lettandosi dell’ acqua in cui nuota con singolare maestria 
ed agilità, trattenendosi anche lungo tempo affondata. 

È un serpente assai mansueto e tranquillo, e fugge 
sempre all'avvicinarsi di alcuno. Sorpreso ed aizzato sibi- 
la fortemente, dardeggia la lingua e tramanda dall’ ano 
un particolare liquore giallastro di un’odore acuto e nau- 
seante. E sempre difficile che ricorra al morso per difen- 
dersi quand’ anche venisse preso ruvidamente colla mano, 
ma in ogni caso la morsicatura è leggiera, quasi può dirsi 
insensibile, e sempre poi senza la benchè minima conse- 
guenza. 

Abitando lungo le acque vi fa preda di rane e di altri 
batraciani, non che di pesci; mutresi pure di lucertole e 
di topi. Secondo qualche autore farebbe preda anche di 
uccelletti che sorprenderebbe nei nidi rampicandosi con 


» 


ERPETOLOGIA 247 


desirezza sugli arboscelli e sulle siepi. È molto vorace, ed 
io stesso lo vidi divorare di seguito tre e quattro rane. 
Sopporta lunghi digiuni, e ne tenni varj individui senza 
cibo qualsiasi per 5 a 6 mesi. 

Alla fine d’autunno ricovera sotterra e vi rimane in 
letargo durante la fredda stagione, mostrandosi’ poi verso 
la metà del Marzo cd ai primi di Aprile. La femmina 
partorisce da 10 a 415 e fino a 20 uova a guscio molle e 
biancastro, collegate da un glutine, e le depone in qual- 
che buca del terreno, più spesso nei luoghi umidi , negli 
abituri campestri esposti a mezzogiorno, e persino nei le- 
tamaj ove l’ umidità e la temperatura più elevata che non 
quella dell’ atmosfera assai più ne favoriscono lo svilup- 
po. Ed è precisamente dallo schiudersi tali uova e dal 
sortirne i neonati dai letamaj che nacque una favola che 
fu anche a lungo creduta. Si pretese cioè che tali uova 
fossero di gallo vecchio, che contenessero sempre un ser- 
pente, e che siccome mai non le cova il gallo, bastasse 
fossero poste in luogo caldo ed opportuno, come appunto 
nei letamaj o tra vegetabili in putrefazione , per vederne 
sempre sortire serpenti. 

Secondo le osservazioni di varj autori il parto suecede 
cirea cinque mesi dopo |’ accoppiameto, e le uova si schiu- 
dono 25 a 30 giorni dopo. I piccoli sono già più o meno 
sviluppati dal momento in cui vengono esse deposte, ed 
al sortirne hanno la lunghezza di circa 12 a 46 centimetri. 

Questa specie ha la proprietà di allargare il capo in 
modo veramente singolare, e nelle magnifiche tavole della 
Fauna Italica può vedersi figurato in tale stato di dilata- 
mento il capo d’un esemplare di straordinarie dimensioni. 
Nelle parti meridionali d’ Europa qualche individuo arri- 
verebbe infatti, secondo quanto ne assicura il Principe 


248 RETTA 


Bonaparte e lo Schlegel, a quattro piedi e mezzo ed anche 
cinque di lunghezza (Metri 4, 46 a 4, 62). 

Una volta questa Natrice usavasi nella preparazione di 
medicinali e di brodi che si riputavano efficaci a guarire 
dalle scrofole, dalle malattie cutanee e da molti altri mali. 
Ora però fu abbandonato anche tal uso, e resta solo chi 
si ciba della sua carne qualificandola molto saporita. 


OSSERVAZIONE. 


Sebbene il Principe Bonaparte segni alla var. murorum 
la mancanza della fascia occipitale gialla, devonsi però ri- 
ferire ad essa anche i molti nostri individui che ne sono 
provveduti, giacchè è a ritenersi che la sparizione di tale 
fascia succeda coll’età e nell’ egual modo con cui si ve- 
rifica nella specie. 


NOTA. 


L’esemplare del Col. siculus Cuv. citato nella sinonimia 
che io tengo proveniente dalla Sicilia, non diversifica dalla 
nostra Natrice che per la mancanza totale della fascia 
gialla occipitale e per una maggiore dilatazione delle due 
macchie nere caratteristiche della specie, fra loro con- 
giunte-e foggiate a largo collare. 


ERPETOLOGIA 249 


42— II TROPIDONOTUS TESSELLATUS 
De Filippi. 


Ital. Natrice tessellata, Natrice Gabina. 


Ven. Vipera d’acqua, bissa fiama, marasseto, viperelta cenerina, 
bisse. 


Tirol. Viperetta d’ acqua. 
CARATTERI. 


Capo distinto dal tronco, ovale-allungato, molto assottigliato pel da- 
vanti, coperto da 9 scudetti regolari simmetrici, e senza macchie. Occipite 
segnalo da due linee nere più 0 meno apparenti foggiate a V rovesciato 
coll apertura all’ indietro. 

Corpo di color verde olivaceo o cinereo-olivaceo, coi fianchi a mac- 
chie di color roseo-sanguigno o d’ocra rossastro, e più raramente di giallo 
pagliarino; addome dello stesso colore, segnato nel mezzo da larga fascia 
nera continua, o tessellato di nero. 

Piastre addominali 162-172. 
Scudi sottocaud. p. 60-66. 


SINONIMIA. 


Coronella tessellata Laur. Syn. Rept. p. 87. sp. 188. 

Coluber tessellatus Gmel. Syst. Nat. I. p. 1144. 

— Mikan in Sturm Fauna III. 4. cum tab. 
—_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 88. n. 63. 
_ — Genè Storia nat. II. p. 403. 

Col. ( Natrix) tessellatus Merr. Syst. Amph. p. 136. n. 494. 


_ Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 46. 


220 BETTA 


Tropidonotus viperinus Schleg. Essai II. p. 325. (in parte). 
= —_ Dum. Bibr. Erpétol. VII. 1. p. 860. (in parte). 
Tropidonotus tessellatus De Filippi Cat. ragion. p. 42. 
Coluber Gabinus Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 31. 
—_ —  Bendisc. Mon. serp. Mantov. p. 423. 
? Coluber viperinus Bendisc. ibid. p. 424. 
Natrix Gabina Bonap. Fauna ital. cum tab. 
Natrix tessellata Bonap. Fauna ital. cum tab. 
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 24. 
— — — Massal. Saggio p. 22. 
Natrix viperina Betta Cat. syst. Rept. p. 24. 
— —  Massal. Saggio p. 20. 


FORME. 


Capo ben distinto dal tronco, ovale-allungato, molto 
assottigliato nel dinnanzi. Scudetto rostrale di forma tri- 
angolare molto allargata alla base. Scudetti nasali quadri- 
lateri, allungati; scudetti lorei di forma quadrata. Scudetti 
frontali anteriori quadrilateri quasi triangolari; scudo del 
vertice quinqueangolare, anteriormente più largo. Scudi 
occipitali larghi, i sopracigliari pochissimo sporgenti. Uno 
seudetto oculare anteriore, tre posteriori. 

Tronco cilindrico-fusiforme, col dorso carenato nel mez- 
zo; coda sottile, terete ed acuta, lunga meno della quinta 
parte di tutto il corpo. Squame risentitamente carenate, 
lanceolato-oblonghe, disposte in 19 serie. 


COLORITO. 
Oltre agli altri speciali caratteri riescirà facile il di- 


stinguere a tutta prima questa specie dalla precedente per 
la diversa colorazione e per la mancanza della fascia gialla 


ERPETOLOGIA 39, | 


e delle macchie nere a questa susseguenti. Il corpo è tinto 
superiormente di un bel color verde olivaceo o bruno oli- 
vaceo; il capo dello stesso colore, senza macchie o solo 
minutamente spruzzato di nero; due linee nere partono 
dall’ occipite e divergono all’ indietro disegnandovi un V. 
Il dorso è segnato di fascie nere transverse interrotte, più 
o meno risentite e spiccanti sul fondo. Gli scudetti mar- 
ginali sono di color cinereo verdastro chiaro, biancastri ai 
loro orli e colle commessure tinte in nero, il qual co- 
lore tinge pure le commessure di quelli della mascella 
inferiore che sono giallastri ed irradiati di bigio. Gli occhi 
neri coll’ iride dorata. Tutto il di sotto della coda nero 
uniforme. La parte inferiore del capo e della gola bianco- 
giallastra senza macchie; dello stesso colore ma per breve 
tratto è il colio, mostrandosi subito alcuni spruzzi neri 
disposti in retta linea nel mezzo del ventre, che si can- 
giano poi in vere macchie segnando una larga fascia nera 
longitudinale mediana che scorre non interrotta fino al- 
l’ano, o dividesi e disponesi a larghe macchie quadran- 
golari ora alternantesi, ora confluenti, ora spiegate e di- 
stinte sul colore ocroleuco del fondo, ora infine confuse 
da spruzzi bianchi e nerastri che ne occupano gli inter- 
valli. I lati dell’ addome sono ornati da macchie di color 
rosso-sanguigno 0 di color d’ ocra rossastro vivacissimo. 
In alcuni individui questo colore si fa più sbiadito e ten- 
dente piuttosto al giallo come nel 7. natrix. 

Non sono rari gli individui con fianchi ornati di punti 
bianchissimi o di lineole bianche sottili transverse e molto 
prolungate, fra le quali risaltano ancora più sul fondo del 
corpo le macchie nerastre dei fianchi ( Natrix tessellata var. 
albo - lineata Bonap.). Trovansi anche alcuni esemplari nei 


quali ìl colore del tronco è cinereo olivastro pressochè 


999 BETTA 


senza traccia di macchie, coi fianchi colorati in roseo, e 
colla fascia che scorre in mezzo al ventre piombino-ci- 
nerea in luogo che nera. 

Specialmente distinguesi da tutte le altre una var. ni- 
gra della quale non ne possiedo tuttora che un’ unico 
esemplare preso nei Sette Comuni, Prov. Vicentina, nel Giu- 
gno 1853. È la stessa che dubitativamente riportava alla 
Natrix torquata nel mio Catalogus system. Reptil. (*), ma che 
spetta invece alla presente specie come me ne persuasero 
i confronti stabiliti. È veramente degno di nota il suo 
uniforme color nerastro sparso solo sul dorso di punti e 
di minute e rare macchie bianche elittiche , e tessellato 
in grigio soltanto al di qua della gola e per breve tratto 
del petto. 

DIMENSIONI. 


La sua lunghezza ordinaria è di Centim. 50 a 65 col 
diametro di millim. 43 a 17. Un’ individuo preso nella Pro- 
vincia Veronese e favoritomi dall’ amico Prof. Massalongo 
stendevasi fino a Centim. 80 in lunghezza con millim. 20 
di diametro. La femmina è sempre alquanto maggiore del 
maschio. 

ABITAZIONE E COSTUMI. 


Sembra che questa specie accompagni ovunque la tanto 
comune Natrice, vivendo come questa nei terreni tanto 


(*) Iatrix torquata - var? nigrescens Betta. 
» N. supra nigricans, maculis ellipticis albis, parvis, rarisque eonspersa; 
» pars inferior capitis et gulae albescens, nigro-tessellata; religuum cor- 
» pus inferior ater; fascia occipitali nulla; collare nullo ( obliterato ?). 
» Caput a collo magis distinctum quam in Natrice torquata. » — Betta 
loco cit. pag. 22. 


ERPETOLOGIA 223 


asciutti che umidi, non senza dare però speciale prefe- 
renza ai secondi. Incontrasi comunissima in tutta la pro- 
vincia Veronese, ed assai frequente è nelle stesse campa- 
gne lungo l’ Adige attigue a Verona. Vedesi presso Padova 
ed è anzi comunissima nelle parti basse di quella. pro- 
vincia, trovandosi sugli argini dei fiumi e lungo le strade 
col 7. natrix. Nel Vicentino la raccolsi presso Marostega 
e Bassano. 

Nel Tirolo meridionale non l aveva ancora trovata 
lorchè pubblicai il Catalogo dei Rettili della Valle di Non, 
e fu solo nel seguente anno 1853 che ne presi colà due 
individui presso Tajo, e due altri. poi nelle vicinanze. di 
Trento. Il ch. Prof. Gredler mi avvertiva che anche presso 
Bolzano è abbastanza frequente. É però sempre specie meno 
comune della precedente. 

Ama tuffarsi nell'acqua come tutte le Natrici prefe- 
rendo le acque profonde ai piccoli stagni, e vi si può 
trattenere al fondo per lungo tempo. Si pasce di girini, di 
ranocchie, di pesciolini e di insetti acquatici. Si copula, 
sì propaga e passa l'inverno come tutti gli altri serpenti, 
ma non si conosce nè la durata della sua gestazione, nè 
il numero delle uova che partorisce. Si adatta facilmente 
alla schiavitù e si lascia prendere e maneggiare senza dar 
segno di collera: Aizzata, sibila fortemente e lungamente, 
gonfiando assai il corpo nell’ atto della inspirazione; si 
contorce, si agita, e fa di tutto onde sottrarsi alle molestie 
cercando sempre di nascondere il capo fra le spire del 
corpo; non morde mai od è assai difficile che si decida 
al morso. Nè invero tale dolce istinto accorderebbesi a tutta 
prima a questo serpe così presto a fingere resistenza e di- 
fesa col dardeggiar della lingua, col sollevar del capo, collo 
sguardo audace ed ardito, e con forte e prolungato sibilo. 


224 BETTA 


Sopporta lunghi digiuni, ed io ne ho tenuti in schia- 
vitù più individui per 5 a 6 mesi senza che mai fossemi 
riescito di far loro prendere cibo qualsiasi. Ma fu appunto 
per uno fra quelli custoditi nell’ inverno 41854 ch’ io po- 
tei verificare il modo con cui bevono gli ofidii. — Preso a 
Marcelise (prov. di Verona) sul finire dell’ Ottobre 1853 da 
un ragazzo, che avevalo gravemente ferito nell’ occhio con 
un colpo di sasso, io vidi nello spazio di circa un mese. 
rimarginarsi la ferita stessa, e l’ occhio riprendere presso- 
chè la sua naturale vivacità. La percezione della vista 
doveva però mancare attesa l'inclinazione cbliqua laterale 
che dava alla testa ogni qualvolta la sellevava verso 
qualche oggetto che gli era avvicinato. Custodito semprè 
durante l’ inverno ad una temperatura di + 10. a 42.° R,, 
fu nel giorno 6 del successivo Marzo che levato dalla cas- 
setta e posto fra i doppj vetri d’ una finestra a mezzogior- 
no colla temperatura di + 49.° R. (temperatura ester- 
na + 42.°), osservai come dopo breve tempo portatosi verso 
un basso ma largo recipiente in cui aveva collocato del- 
l’acqua, e passatovi sopra vi sì trattenne con metà del eor- 
po tuffato nel liquido, tirandovi poi a poco a poco anche 
il restante del tronco e la coda. Scorsi pochi minuti ed 
inarcato leggermente il collo, portò il muso verso la  pa- 
rete del vaso premendovelo alla superficie dell’ acqua, e 
lo vidi fare in allora replicati e brevi moti di succhia- 
mento, in seguito ai quali lambiva Y acqua spingendo la 
lingua e strofinandola nel ritirarla sulla parete del vaso 
stesso. Presto dopo si alzava verticalmente su parte del 
corpo e sollevando molto la testa spalancava la bocca, 
quasichè sembrasse volere con frequenti sbadigli e con al- 
ternati movimenti delle mascelle ridonar loro quella :fa- 
coltà che era assopita dalla già lunga sua schiavità. E il 


ERPETOLOGIA 225 


succhiamento, e questo lambire, e tali moti della mascella 
ripeteronsi per ben cinque volte nello stesso giorno ad in- 
tervalli di pochi minuti, e rinnovaronsi poi in altre due 
prove con successivo visibile vantaggio nel fisico del serpe. 
Forse poteva sperare di vederlo cibarsi più tardi di qualcu- 
no dei batraci che aveva collocati nel vaso, e verso i quali 
aveva dato qualche segno di avventarsi, ma per alcune 
repentine e sensibilissime variazioni di temperatura venne 
a morte, dopo quasi 6 mesi dacchè lo teneva custodito. 


OSSERVAZIONI. 


Fu, tratto in inganno da qualche rassomiglianza nel co- 
lorito di alcuni pochi individui del nostro 7. tessellatus col 
Coluber viperinus, ch’ io aveva segnato questa seconda specie 
come rinvenuta in Lombardia e nel Veneto (4). Il loro co- 
lore giallo quasi sulfureo ai lati e sull’ addome, le macchie 
nere del dorso più pronunciate, e le macchie biancastre 
transverse dei fianchi furono specialmente la causa di tale 
errore, in cui d’ altronde non era difficile incorrere avendo 
trovato in qualche Museo conservata appunto questa specie 
sotto il falso nome di Coluber viperinus, ed essendomi ap- 
poggiato. alla descrizione, o dirò meglio alla figura che del 
viperinus ci diede il Prineipe di Canino. E nello stesso er- 
rore è caduto poi anche il Prof. Massalongo notando la 
Natrix viperina come specie del Veronese (2). 

Del resto mi riescì facile l’accorgermi dello sbaglio lor- 
quando potei stabilire un confronto fra gli individui nostrali 
e due giovani esemplari del vero Col. viperinus di Latreille 
provenienti dall’ Egitto, e gentilmente a me favoriti dall’ il- 
lustre amico Prof. Cav. Jan. Oltre infatti alla diversa colo- 

(1) Cat. syst. Reptil. p. 21. 

.2) Saggio p. 20. 


226 BETTA 


razione ed alla bene distinta differenza delle macchie nere 
che lungo il dorso segnano una larga striscia continua fles- 
suosa, e sui fianchi dispongonsi ad annello altra macchia 
includendo di color più chiaro del fondo e quasi biancastro, 
scorgesi nel viperinus il carattere specifico e costante, avver- 
tito anche dal ch. Prof. De Filippi (4), di due soli seudetti 
oculari posteriori, mentre nella nostra specie ed in altre 
congeneri sono sempre in numero di tre. i 

Non possiamo indicare il vero Col. viperinus che come 
abitatore della Spagna, della Sardegna, della Grecia e di altri 
paesi meridionali d’ Europa, non meno che del littorale del- 
l’Africa dal lato del Mediterraneo. Fino ad ora secondo le os- 
servazioni di molti Erpetologhi manca nell’ Italia superiore 
e fors anco in tutta la penisola, per cui possiamo, almeno 
adesso, ritenerlo estraneo anche alle nostre provincie. 
Non sarà però a tacersi come il Bendiscioli lo avvisi ritro- 
vato nel Mantovano (2), descrivendolo con caratteri di colo- 
razione e di scudetti sottocaudali che bene si converrebbero 
al viperinus, e specialmente all’ esemplare ch'io ne possiedo 
proveniente dalla Sardegna. Ma oltrecchè io devo dichiarar- 
mi tuttora dubbioso se riportar debba questo mio esemplare 
sardo al vero viperinus del Latreille o piuttosto assegnarlo 
al Tropidonotus occellatus di Wagler e di Duméril, le avver- 
tite dichiarazioni di più autori sulla patria di questa specie, 
il fatto del non averla mai incontrata in queste provincie 
neppure ai confini del Mantovano, ci fa sentire il bisogno 
di maggiori prove sulla sua presenza in Lombardia, ed in- 
tanto ci è lecito dubitarne assai. 

E degno d’ osservazione come Duméril e Bibron fra 
le varietà del Tropidonotus natrix annoverino la nigra ( Nord- 

(1) Catal. ragion. p. 45. 

(2) Monografia dei Serpenti del Mantovano pag. 424. sp. VII 


ERPETOLOGIA 227 


mann Fauna Pontica) che presenterebbe quasi la stessa 
‘colorazione che vedemmo nella nostra var. nigra del 
T. tessellatus. Eccone le loro precise parole » ... M. Nord- 
mann ... donne la figure d’ une variété nigra dont le dos 
est, en effet, noir sur le dos, piqueté de points blancs, sur- 
tout dans le quart antérieur, ainsi que sous les urostèges 
et chez lequel le colliere jaune ne se retrouve pas. Est-ce 
une espèce distincte? (*)». 


NOTA. 


| Gli stessi signori Duméril e Bibron descrivendoci nella 
Erpétologie générale ( VII. A. p. 560. n. 2 - p. 562. n. 3.) il 
Tropidonotus viperinus ed il Trop. chersoides vel occellatus ci 
lasciano persuasi d’aver essi confuse nel primo due specie 
distinte, o per meglio dire d’essere loro mancati gli estremi 
ed i dati necessarj.a ben rilevare e definirne i rispettivi ca- 
ratteri con quella perspicacia e diligenza che spiegarono 
nella critica di altre specie. 

Stabilito infatti il 7. chersoîdes sopra individui che lo 
Schlegel aveva soltanto come varietà riportati al suo Col. 
viperinus, vediamo poi del resto accettato e ritenuto da quei 
chiarissimi Autori per 7. viperinus lo stesso descritto dallo 
Schlegel, il quale, fuor d’ogni dubbio, ha con esso confuso 
precisamente anche il nostro tesseltatus. Ammessa quindi 
quella specie dello Sehlegel in modo vago ed inesatta- 
mente descritta, troviamo da quei distintissimi Erpetologhi 
citate nella Sinonimia specie ed autori che più ancora raf- 
fermano il giudizio nostro sulla mantenuta confusione spe- 
cifica. Ed infatti col Col. viperinus del Latreille, del Dau- 


(*) Erpétol. Tom. VII. 1. p. 357. 


228 i BETTA 


din, del Merrem, che io ritengo pel vero 7. viperinus, vi 
vediamo unite la Coronella tessellata del Laurenti, il Coluber 
(Natrix) tessellatus del Frivaldszky, il Col. Gabinus del Me- 
taxa e la Natrix Gabina di Bonaparte, le quali indubbia- 
mente devono aversi invece per specie distinta da esso, e 
precisamente pel tessellatus quì descritto. A provarne le dif- 
ferenze specifiche basterà il confrontare le descrizioni e le 
figure dateci da quegli autori, con quelle che del viperinus 
ci porge avanti tutti il suo autore Latreille ( Zist. IV. p. 47. 
t. 28. f. 4 ), e ci vengono poi presentate dal Daudin ( Mist. 
VII. p. 125), dal Merrem ( Syst..p.126. n. 127), e da altri 
più recenti autori. 

La vaga determinazione delle due specie è forse la causa 
per cui i signori Duméril e Bibron riportarono anche nella 
Sinonimia del successivo loro 7rop. cherscides: il Col. tessel- 
latus del Frivaldszky che avevano già prima collocato :sinoni- 
mo del loro viperinus; è dessa però in ogni modo la ragione 
per cui non poterono poi darei nè dell’ una nè dell’altra loro 
specie precisi e determinati caratteri di distinzione. Così re- 
sterà ancora sempre poco definito il loro ehersoides vel occel- 
latus se riferirgli dobbiamo ia citatavi figura del C. tessellatus 
data da Mikan ( Dewtschl. Fcuna II. 4.), che io trovo invece 
collo stesso Bonaparte doversi riportare al nostro .tessellatus. 

Intante a togliere ogni dubbio sulla specie che intendo 
avere descritta come propria di queste Provincie, oltre ciò 
che apparisce dalla precisa Sinonimia stabilita, mi faecio de- 
bito di più particolarmente dichiarare essere la stessa di cui 
il Principe di Canino dà deserizioni ed ottime figure sotto le 
diverse denominazioni di Natrix Gabina e di /. tessellata ; 
mentre quanto al Col. viperinus per confronto citato nelle 
mie Osservazioni, ripeto essere soltanto tale per me quello 
del Latreille, del Daudin, e del Merrem. 


ERPETOLOGIA 9229 
BR. OFIDII CON DENTI VELENIFERI. 
Gen. PELIAS MERREM. 


3057 ‘——’—PELIAS BERUS 


kierrem. 


Ital. Marasso, marasso palustre. 
Ven. Marasso, Vipera, Marasso de palù, vipere rosse. 


Tirol. Vipera rossa. 
CARATTERI. 


- Lapo ovale, poco distinto dal tronco e poco depresso, coperto  supe- 
riormente da sendetti piani ed irregolari con una piastrina poligona cen- 
trale; spigolo rostrale risentito, ma poco prominente sull’apice del muso. 

Colore del dorso vario, con una fascia longitudinale bruna 0 nera, 
flessuosa e continua. I 


Piastre addominali 144-186. 
Sendetti sottocaud. p. 28-46. 


SINONIMIA. 


Coluber berus Linn. Syst. Nat. I. p. 377. 
—'  —. Laur. Syn. Rept. p. 97. sp. 246. (excl. tab. 2. f.1.) 
— — Gmel. Syst. Nat, I. p. 1090. (excl. var.) 
— — Shaw Zoo. II p. 365. t. 404, 
_ —  Cuvier Régne anim. p. 127. t. 341. f.2 
Coluber Ai Linn. Syst. Nat. I. p..377. 
—_ — — Gmel: Syst. Nat. I. p. 1091. 
= —. Sturm Deutsch]. Fauna III. 4. 
—'  —. Zrivald. Mon. Serp. Hungar. p. 57. 


230 BETTA 


Coluber vipera Anglorum Laur. Syn. Rept. p. 98. 188. 
Vipera vulgaris -Latr. Hist. Rept. III. p. 212. t. 40. f. A. 
Vipera berus Daud. Hist. VI..p. 89. t. 72. f. 4. (excl. var.) 
= =. Felz..\Verz. Mus. Wien. p. 62. sp. A. 
—  — »Schinz Fauna Heivet. p. 142. sp. 4. 
—  —  Schleg. Essai p. 891. t. 21. fl 44-16, 
_ — De Fil. Cat. ragion. p. 63. 
Vipera prester Latr. Hist. Rept. INI -p. 309. 
— —  Daud. Hist. Rept. VI. p. 161. (excl. Syron.) 
_ —  Schinz Fauna Helvet. p. 142. sp. 2. 
Coluber chersea Cuv. Règne anim. p. 127. 
— — Sturm Deutsch]. Fauna II 4. 
"a —  Caiullo Geogn. Venet. p. 175. 
mr — Ambrosi Prosp. zool. p. 294. 
Pelias berus Merr. Syst. Amph. p. 448. sp. 1. (cum var. e. B. 7) 
© — (— 4Aisso Hist. nat. III. p. 92. 
— — riv. Mon. Serp. Hungar. p. 38. 
O Borap. Fauna Ital. cum tab. 
cu. Systhepl.p:928: 
—  — Betta Rett. Tirol. p. 157. 
—  — Betta Cat. syst. Rept. p. 28. 
—  — Massal. Saggio p. 29. 
— — Dum. Bibr. Erpetol. VII. 2. p. 1395. 
Vipera chersea Angelini Bibl. Ital. T. VII. p. 4b1. 
Vipera limnaea Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 434. sp. 44. 
Pelias chersea Wagl. Syst. Amph. p. 178. 


— —  Bonap. Fauna Italica, cum tab. 
FORME. 


In confronto della Vipera aspis il capo di questa specie 
è solo mediocremente distinto dal tronco; di figura ovale 
più o meno allungata, meno depresso, coperto superior- 
mente non di scaglie ma di scudetti piani o piuttosto leg- 


ERPETOLOGIA 234 


germente concavi; con lo spigolo rostrale risentito ma 
meno rilevato sull’ apice del muso, che è alquanto ottuso. 
Gli scudetti che rivestono il capo sono in alcuni individui 
regolari e simmetricamente disposti, in altri veggonsi al- 
l’invece di forma e disposizione irregolare. Scudetti so- 
praorbitali piuttosto grandi, bislunghi, sporgenti all’infuori 
quanto il globo dell’ occhio, costituiti da uno e qualche 
rara volta da due pezzi. L’ occhio inferiormente ed ai lati 
è cinto da doppia serie di piccolissimi scudetti, ed. uno 
degli orbitali anteriori giunge all’ altezza dello spigolo ro- 
strale insinuandosi tra il sopraorbitaie ed uno dei sopra- 
nasali. Scudetti nasali grandi, rotondi e concavi, con foro 
ampio delle narici nel mezzo. Due scudetti sopranasali 
bislunghi, con spigolo nel loro margine esterno; scudetti 
antinasali angusti, cuneiformi, assottigliati inferiormente ; 
scudetto rostrale convesso, triangolare, allargato ed. inca- 
vato nel margine inferiore, smussato all’ apice; scudetto 
soprarestrale costituito da due pezzi, collocato orizzontal- 
mente e nello stesso piano in cui sono gli scudetti del 
vertice e della fronte. Scudetti occipitali grandi, bislunghi, 
quasi reniformi, poligoni; queilo del vertice piuttosto. gran- 
de, configurato come quello dei Colubri in genere. Piastre 
frontali piccole, in numero di 5 a 410. Fra lo scudetto del 
vertice e gli scudetti sopraorbitali trovasi uno scudetto 
cuneiforme, spesso anche suddiviso in tre o quattro pezzi. 
La mascella superiore è notevolmente più lunga della in- 
“feriore ; nove per lato sono gli scudetti marginali di am- 
bedue le mascelle. Gli occhi rotondi colla pupilla allungata 
verticalmente, ma meno grandi di quelli della Vipera aspis. 

Il tronco restringesi per un tratto più lungo verso il capo 
che non verso l’ano. La coda è distinta dal tronco, conico- 
subtrigona, più breve nelle femmine e più sottile che non 


239 BET-TA 


nei maschi. Le scaglie che ricoprono la parte superiore del 
tronco e della coda sono di forma lanceolata, longitudinal- 
mente segnate da risentita carena la quale è solo più debole 
sulle prime scaglie contigue agli scudetti del capo. Le pia- 
stre addominali variano dalle 444 alle 156, e gli scudetti 
sottocaudali da 28 a 48 paja; ordinariamente però negli 
individui Veneti le piastre sono da 146 a 150, e gli scudetti 
da paja 28 a 38. 


COLORITO. 


La colorazione di questa specie è soggetta a molte varie- 
tà, delle quali gran numero sono puramente accidentali od 
anche forse dovute all’ influenza del clima. A quanto osser- 
va Bechstein troverebbesi nella specie una costante differen- 
za di colorazione anche secondo i sessi, e Lenz avrebbe di 
più notato come questi subiscano regolari cangiamenti di 
colorito secondo i var] periodi della vita. 

Il colore del fondo dominante negli individui di queste 
Provincie tende in generale al ferrigno acceso ed al casta- 
gno-rossastro. Qualche raro esemplare presenta il fondo di 
color brunastro che si fa poi nerastro dalla metà del tronco 
fino all’ apice della coda confondendovisi anche le macchie 
del dorso. L'unico esemplare raccolto in Tirolo presenta una 
tinta tendente al bigio sporco. Il Principe Bonaparte segne- 
rebbe come colori del fondo negli individui italiani anche il 
cinereo tendente al carneo o all’ olivastro, al bigio, al fer- 
rigno acceso, al castagno rossastro. 

Il capo è al di sopra di color cinereo fosco, talvolta 
quasi nerastro. Una fascia nera stendesi all’ indietro dal 
vertice sugli scudetti occipitali e si divide quindi in due 
larghe branche divergenti, che han termine verso i lati 


ERPETOLOGIA 233 


della nuca. Una larga fascia bruna od anche affatto nera 
incomincia dietro l’ occhio e scorre orizzontalmente sul 
collo. Gli scudetti marginali della mascella superiore sono 
nerastri anteriormente alle narici, quindi sino agli occhi 
maechiati di bianco sudicio con largo lembo nerastro nel 
margine, e poi quasi totalmente bianeo-sudici nel rimanente. 
Sul capo, attigua alla fascia nera divergente dal vertice, ve- 
desi una striscia risultante dal color chiaro del fondo e 
rappresentante in modo più o meno distinto la lettera V, 
pur come quella unita sulla fronte e divergente al collo. 
Nella sua apertura trovasi poi subito un’ altra macchia che 
dà origine ad una striscia flessuosa, fosca ed anche nera, 
talvolta tendente all’ azzurro, che dalla nuca scorre non 
interrotta pel mezzo del dorso fino. all’ estremità della coda. 
Questa fascia a zig-zag risulta dalla riunione di: due serie 
di macchie quasi triangolari a base allargata, e confluenti 
da un lato e dall’altro. Presso tale fascia havvi di qua e di 
là una serie di macchie grandi dello stesso colore, arroton- 
date e disgiunte, collocate a rincontro dei seni della fascia 
dorsale, le quali però nel tratto più prossimo al capo 'con- 
fluiscono in una fascia che va a congiungersi con. quella 
dei lati del capo incipiente dietro gli occhi. Lungo i fian- 
chi, dove nasce la divisione delle squame dalle piastre 
addominali; scorgesi un altro ordine di macchie più piccole, 
quasi triangolari, nerastre, alternantesi colle ultime de- 
scritte e perciò opposte ai vertici della fascia dorsale. Tali 
macchiette sono però poco distinte e molte si confondono 
con quelle della serie vicina, risultandone in tal caso una 
tinta nerastra quasi uniforme sui fianchi che lascia solo 
qua e là alcune macchiette, o punti, o lineole di color chiaro. 
Le mascelle inferiori e la gola sono tinte in modo simile al 
ventre e solo hanno talvolta colori meno intensi. 


234 BETTA 


Le piastre addominali sono d’ un color d’ acciajo più 
o meno tendente al nero, con sottilissimo lembo biancastro 
nella parte posteriore. Alcune hanno l’ estremità verso i 
fianchi di color bianco sudicio in tutto od in parte, per il 
che ne risulta sul confine dei fianchi una serie di mae- 
chiette biancastre disposte per lo più a due a due. General- 
mente altre macchiette biancastre vedonsi pure sparse sen- 
za ordine sul disco delle piastre, più frequenti verso i 
fianchi che verso il centro, e di tali punti se ne trovano 
parecchi anche sotto la gola. La coda è del colore del dorso, 
ma le macchie vi sono più piccole e confuse; inferiormente 
è tinta come il ventre, ma verso l’ apice è giallo-citrina o 
di color ranciato più o meno acceso, e solo in qualche in- 
dividuo mostrasi al di sotto tutta o quasi tutta di tal colore. 

Nei giovani il dorso è biancastro o grigiastro con leggiera 
tinta di brunastro, ma questi colori prendono poi subito 
una tinta più carica in bruno o rossigno. La fascia dorsale 
si vede in essi.molto pronunciata, ed il di sotto del corpo è 
di un nero più 0 meno intenso con. piccolo orlo biancastro. 

Fra i varj esemplari di questa specie che fanno parte 
della mia Collezione, uno specialmente piacemi quì ricorda- 
re siccome il più bello di quanti osservai fino ad ora. Sopra 
un fondo di color fulvo, traente al castagno verso la metà 
del corpo fino all'apice della coda, la fascia longitudinale del 
dorso spicca non interrotta e molto pronunciata, ed è di un 
bel color nero di velluto quasi uniforme. Le macchie laterali 
molto distinte sono di un bel nero marrone; tutto il di so- 
pra del capo è pure di egual colore dall’apice del muso sino 
all’occipite, ove lo spazio del fondo chiaro che risulta fog- 
giato a V spicca pronunciatissimo su quello oscuro: del capo, 
e su quello ancora più carico della macchia. che dà origine 
alla fascia dorsale. Tutto il di sotto’ è nero d’acciajo fre- 


EFERPETOLOGIA 235 


giato di macchiette bianche al punto di congiunzione delle 
piastre addominali colle scaglie del dorso.—Fu preso nella 
provincia Veronese lungo il fiume Tartaro, ed io ne devo 
il possesso alla cortesìa del defunto amico mio, Luigi Me- 
negazzi. 

DIMENSIONI. 


Lunghezza centimetri 46 a 54, col diametro di mil- 
lim: 20 a 25. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Abitatore tanto dei monti che della pianura trovasi 
questo velenoso serpente tanto nel Tirolo che nel Veneto. 
Ma mentre non potei colà rinvenirne io stesso che un’ unico 
esemplare presso Mezzolombardo al di là di Trento (solo 
constandomi la sua presenza in qualche altra località del 
Trentino e del Roveretano per attestazioni di terze perso- 
ne), lo veggo all'incontro nel Veneto anche troppo fre- 
quente, e forse più che altrove nella Veronese Provincia, 
specialmente nel tratto di terreno bagnato dalle acque dei 
fiumicelli Tion, Tartaro, Molinella, ed in tutta l'estensione 
delle così dette Valli grandi veronesi. Comparisce abbastanza 
frequente nel vicino territorio di Rovigo, nel basso Pado- 
vano e nelle paludi del basso Friuli, e non è raro nella 
provincia di Venezia. Secondo il ch. Prof. Catullo incontrasì 
anche nei dintorni umidi di Antole nel Bellunese. 

Il Pelias berus, chiamato Marasso dagli italiani, vive so- 
litario in terre basse ed innondate di frequente, nelle valli 
umide, nei prati paludosi, nelle. risaje, nei boschi vallivi e 
lungo gli argini dei canali fra i giunchi e le erbe palustri. 
Nuota con molta agilità. Nella state cerca i luoghi più 


236 BETTA 

freschi ed umidi, e nella primavera ed autunno preferisce 
gli elevati ed asciutti, ritirandosi poi in qualche buca sot- 
terranea per passarvi assiderato la cattiva stagione. Sorte 
al ritorno della primavera, e l Aprile è 1’ epoca de’ suoi 
amori. i 

Teme il caldo, nè si espone perciò ai raggi del sole che 
di buon mattino. Nelle ore cocenti del giorno si ritira sem- 
pre fra i cespugli ed all'ombra. Morde senza essere provo- 
cato, e si avventa rapidissimo contro chi gli passa dappresso, 
sopratutto poi nell’ epoca degli amori in cui si fa inquieto, 
ardito e pericoloso più dell'usato. E lo sanno pur troppo i 
nostri villici e risajuoli che sono più d’ ogni altro soggetti 
all'incontro ed al morso del Marasso perchè a piedi ignudi 
ne frequentano il domicilio. Qualche abitante delle valli 
Veronesi mi avvisò il singolare costume di questo serpe di 
vibrarsi per morsicare nell’ istante istesso in cui }’ ombra 
del corpo di chi passa gli si projetta sopra, togliendogli i 
raggi del sole ai quali stava esposto. Pretendesi che il suo 
veleno superi in forza quello della vipera; e se mancano 
di ciò prove desunte da comparativi esperimenti, è certo 
però in ogni caso che le conseguenze del suo morso non 
sono nè meno luttuose nè meno pronte di quelle prodotte 
dal dente della vipera. 

Il Marasso nutresìi di rannocchie, di Lied di vermi 
ed insetti, ma sopratutto di piccoli mammiferi. Tenuto cap- 
tivo ricusa ogni cibo, e per lungo tempo mantiensi ardito 
e disposto a ferire avventandosi contro le sbarre della sua 
gabbia. ali 

OSSERVA ZIONE. 


Il ch. entomologo Bernardo Angelini fu il primo ad in- 
dicare la presenza nel Veronese di questo serpe ch’ egli 


ERPETOLOGIA 237 


chiamò Vipera chersea, e di cui diede una buona descrizione 
nella Memoria pubblicata nella Biblioteca Italiana Tomo VII 
del 1847. 

Bendiscioli nella sua Monografia dei Serpenti del Manto- 
vano descrisse il Marasso col nuovo nome di Vipera lin- 
naea, avendo erroneamente. applicata la denominazione 
Linneana di Coluber berus ad una delle molte varietà della 
comune Vipera aspis. i 


238 i BETTA 


. Gen. VIPERA LAURENTI. 


ALI VIPERA ASPIS 


Merrem. 


Ital. Vipera comune, Aspide. 
Ven. Vipera, vipara, lipara, vipere e lipare, dspese. 
Tirol. Vipera, lipra. 


CARATTERI. 


Capo depresso, allargato posteriormente e molto distinto dal tronco, 
coperto superiormente di piccole squame; spigolo rostrale risentito e. pro- 
minente sull’apice del muso. 

Colore vario, con quattro serie di macchie nerastre sul dorso, ui 


ed alternantesi, o qua e là confluenti. 
Piastre addominali 141-156. 
Scudetli sottocaud. p. 33-40. 


SINONIMIA. 


Coluber aspis Linn. Syst. Nat. I. p. 378. 

i —  Gmel. Syst. Nat. I. p. 1093. 

_ —  Razoum. Hist. Jorat I. p. 284. 

— — Catullo Geogn. Venet. p. 175. 
Coluber Redi Gmel. Syst. Nat. I. p. 1091. 

— — Shaw Zool. III p. 380. 
Vipera Fr. Redi Laur. Syn. Rept. p. 99. 
Vipera Mosis Charas Laur. Syn. Rept. p. 100. 
Coluber vipera Lacep. Quadr. et Serp. II p. 4. 
Coluber berus Razoum. Hist. Jorat I. p. 145. 


ERPETOLOGIA 2 


Coluber berus Catullo Geogn. Ven. p. 172. 
Tr — Ambrosi Prosp. zool. p 291. 
Coluber chersea Razoum. Hist. Jorat p. 148. 
Vipera occellata Latr. Hist. Rept. II. p. 292. {. 1. 
= —_ Daud. Hist. Rept. VI. p. 140. t. 42. f. 2. 
Vipera Redi Latr. Mist. Rept. IM. p. 304, 
—  — Daud. Hist. Rept. VI. p. 152. 
_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 62. sp. 3 
= — Metaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. 2. 
— — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 429. sp. 12. 
Vipera Rediù S-hinz Fauna Helvet. p. 1453. sp. 3. 
— — Fitz. Syst. Rept. p. 28. 
Vipera berus Cuv. Rèégne Anim. t. SI. f. 4. 
—_ — Mctaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. Ad. 
= — Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 428. sp. 9. 
ni — Wagl. Syst. Amph.. p. 177. 
Vipera chersea Latr. Hist. Rept. II. p. 297. 
= —. Daud. Hist. Rept. VI. p. 144. 
= —  Metaxa Mon. Serp. Rom. p..42. sp. 4. 
— —  Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 450. sp. 15. 
Vipera aspis Merr. Syst. Amph. p. 134. 
_ — Mctaxa Mon. Serp. Rom. p. 42. sp. 3. 


— —_ Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 427 sp. 40. 


_ — Bonap. Fauna Ital. cum tab. 

—  — chleg. Essai II. p. 599. t. 21. f. 17. 18. 
— ‘— De Fil. Cat. ragion. p. 64. 

= — Betta Rett. Tirol. p. 456. 

= — Betta Cat. syst. Rept. p. 22. 

== —  Massal. Saggio p. 20. 

— — Dum. Bibr. Erpétol. VII. 2. p. 4406. 


Vipera (Echidna) aspis, var. a. Redi — Merr. Syst. p. 1b1. 


_ Vipera prester Metaxa Mon. p. 43. sp. d. 


- —  Bendisc. Mon. Serp. Mantov. p. 428. sp. 41. 


Echidna aspis Risso Hist. II. p. 92. sp. 28. 


240 BETA 


FORME. 


Capo molto distinto dal tronco, di. figura piriforme, 
depresso superiormente e solo leggermente convesso sul 
vertice; coperto superiormente da numerose scaglie pic- 
cole ed irregolari, delle quali quelle della metà anteriore 
liscie, quelle della metà posteriore segnate Iongitudinal- 
mente da una forte carena, tutte poi leggermente con- 
vesse. Qualche volta le scaglie coilocate nel punto in- 
termedio fra l'uno e l’altro occhio sono alquanto maggiori 
delle altre (*). Lo spigolo rostrale è molto prominente, 
massime sull’ apice del muso il quale è smussato, quasi 
troncato. Scudetti sopraorbitali grandi, elittici, quasi piani, 
orizzontali, e sporgenti più in fuori del globo dell’occhio. 
Il resto dell’ orbita è cinto da doppia serie di piccoli scu- 
detti di forma irregolare arrotondata ed elittica. Scudetto 
nasale piuttosto grande, quasi-rotondo ed ampio il foro 
delle narici che apresi nel suo mezzo. Due scudetti sopra- 
nasali bislunghi, con spigolo prominente del Toro margine 
esterno e che estendesi orizzontalmente fino alla metà circa 
degli scudetti antinasali, i quali sono cuneiformi, allargati 
verso l’alto, e non si elevano al di sopra del margine su- 
periore dello scudetto rostrale. Questo scudetto è legger- 
mente convesso, largo e smarginato alla base, troncato al 
margine superiore, ed elevato in modo da far riuseire molto 
prominente nel di sopra l apice del muso. Lo. scudetto 
soprarostrale è più largo che lungo, rettangolare, declive 
dall’ innanzi all’ indietro, e nei nostri individui mostrasi 
più generalmente costituito da due pezzi, rarissime volte 


(*) Vedasi anche quanto si è avverlito nella Nota a pag. 176. 


ERPETOLOGIA 244 


da un solo, e più di rado ancora da tre (*). Gli occhi 
sono grandi, rotondi, colla pupilla allungata verticalmente. 

Il tronco è depresso-tondeggiante, con una carena sul 
dorso, e si restringe assai più verso la testa che non po- 
steriormente. Le scaglie che coprono il corpo sono di for- 
ma ovato-lanceolata, carenate fortemente sul tronco, e 
meno sulla coda. Le piastre addominali variano dalle 144 
alle 156; gli scudetti sottocaudali arrivano a paja 46 nei 
maschi, non eccedono talvolta le paja 33 nelle femmine. 
La coda è distinta dal tronco, conico-subtrigona, terminata 
da un breve aculeo curvato all’ insù, ed è più lunga nei 
maschi che non nelle femmine. 

I maggiori denti del veleno sono lunghi 4 a 5 milli- 
metri; i denti palatali sono piccoli, adunchi, in numero di 
44 a 45 per parte; quelli delle mascelle pure adunchi ed 
in numero di 8 a 42 per parte. 


COLORITO. 


Il colore specialmente dominante sul dorso dei nostri 
individui è un cinereo tendente al bigio, od un fosco più 
o meno intenso. Ma queste tinte variano anche fra noi 
moltissimo, ed abbiamo quindi individui coloriti in rossa- 
stro, in castagno, in bruno, in terreo, in rugginoso, nera- 
stro, cinereo chiaro, e qualche volta anche in color noc- 
ciuola acceso. 

Il capo è superiormente dello stesso colore del dorso; 
in qualche individuo però di color bigio-cinereo lo vedia- 


(*) Un solo individuo io possiedo che abbia tale scudetto costituito 
da tre pezzi, presentando poi anche il raro caso di colorazione e di mac- 
chie dorsali disposte a fascia flessuosa come nel Pelias derus. Fu preso 


in Lombardia nel 1842. 
46 


242 BETTA 


mo, benchè raramente, tinto in brunastro verso 1’ apice. 
‘ Dall’ uno e dall’ altro lato una fascia piuttosto larga di 
color scuro o nerastro, dal lembo posteriore dell'occhio si 
prolunga in linea retta fino ai lati del collo. Due altre 
striscie scure o nerastre si manifestano sul capo al. di 
dietro dei lati del vertice, le quali o congiunte o più spesso 
separate anteriormente scorrono divergendo all’ indietro 
fino ai lati dell’ occipite. Altre due o più macchie delli 
stessi colori mostransi presso gli occhi, ed una o più sulla 
fronte; ma queste non sono però costanti nè per forma, 
nè per posizione, essendo in alcuni individui foggiate a 
striscia, in altri quadrangolari, in altri puntiformi, ed in 
altri infine affatto mancanti. Alla nuca una macchia più 
o meno grande, più o meno arrotondata, o quadrangolare, 
od irregolare, dà principio alla serie delle macchie dorsali. 
Gli scudi marginali del labbro superiore hanno una tinta 
di un color latte o bianco sordido che chiusa fra la fascia 
nerastra che corre dall’ occhio al collo e fra il fondo più 
oscuro della mascella inferiore, spicca quasi come una 
bianca fascia. La punta del muso è cornea, più o meno 
imbrattata di scuro. 

Quattro serie di macchie fosche, nerastre od anche di 
un bellissimo nero, listano tutto il tronco e la coda; sono 
desse generalmente rettangolari, due volte più larghe .che 
lunghe, qualche volta contornate da pallido lembo, e. di- 
sposte come si disse in quattro serie parallele. Le macchie 
delle due serie intermedie sono in generale parte alternanti, 
parte opposte e confluenti da una all’ altra serie; in alcuni 
individui sono tutte alternanti, in altri quasi tutte con- 
fluenti. Le macchie delle serie esteriori si alternano con 
quelle intermedie quando queste sono confluenti, e vice- 
versa confluiscono con quelle della parte rispettiva quando 


ERPETOLOGIA 243 


alternano le intermedie; in altri casi le macchie di tutte 
e quattro le serie si alternano quasi ovunque. Nel mag- 
gior numero degli individui le macchie delle due serie in- 
termedie più vicine al capo eonfluiscono fra esse, indi si 
alternano sul tronco, non senza però nuovamente e più o 
meno confluire nell’avvicinarsi alla coda. Talvolta essendo 
segnata la carena dorsale da una sottile striscia nerastra e 
venendo a collegarsi assieme le macchie laterali vi figurano 
una fascia ramosa, a rami parte opposti parte alterni. E 
si dà anche il caso, benchè assai raro, in cui essendo più 
larga tale striscia nerastra della carena ed allargandosi 
verso la stessa le macchie laterali ne risulti una fascia 
flessuosa, a zig-zag, che simula quella del dorso del Pelias 
berus; ma in tale caso però tale fascia non è perfettamente 
continua e mostra qua e là qualche interruzione. 

La parte inferiore del capo è a seconda del colore del 
dorso ora di color carneo, ora carneo-sudicio, ora bianca- 
stro uniforme o più generalmente screziato di cenere o di 
fosco, talvolta anche tutto nerastra. Gli occhi hanno la 
pupilla nera coll’ iride giallo-ranciata. 

I fianchi sono bianchi o cinereo-biancastri imbrattati 
di fosco negli individui di fondo più chiaro; in quelli a 
fondo scuro sono segnati da macchie nerastre simili a 
quelle del dorso, ma più piccole, meno intense e più nu- 
merose, e qualche volta confluenti qua e là come quelle 
delle due serie dorsali esterne. Varia assai il colorito sotto 
il tronco e la coda, essendo talvolta bruno d’ acciajo più 
o meno intenso, uniforme o spruzzato di bianco sudicio, 
di giallastro o di rosso mattone; talvolta rossastro più 
meno acceso, pure uniforme o spruzzato di bianco e di 
nero; talvolta grigio nerastro ed anche tutto nero unifor- 
me, la qual’ ultima tinta fa specialmente singolare contrasto 


244 BETTA 


negli individui a dorso cinereo od a dorso rossastro acce- 
so. L’ orlo posteriore delle piastre addominali è quasi sem- 
pre pallido o biancastro, e di tal colore sono pure tinte 
alcune di esse nelle estremità che si congiungono ai fian- 
chi. Le macchie dorsali arrivano anche all’ apice della coda 
ove però riescono poco distinte e non troppo regolarmente 
disposte; il tronco della coda reca inferiormente un color 
giallo di paglia, tendente più spesso al croceo ed al ran- 
ciato. In qualche individuo mostrasi la coda anche per 
tutta la sua lunghezza tinta di croceo pel di sotto, con 
minutissime e rare screziature nere in prossimità dell’ ano. 

Da tale descrizione chiaro appare quanto difficile, o 
dirò meglio impossibile, riescirebbe il voler quì presentare 
esatta nota delle varietà di colorazione, le quali poi con 
infinite gradazioni vengono fra loro a toccarsi e confon- 
dersi. Nelle belle tavole che accompagnano la descrizione 
di questa specie nella Fauna italica ponno vedersene figu- 
rate le principali varietà; e solo per accennare alcune di 
quelle che fra noi troviamo più costanti possono essere 
quì distinte le seguenti : 


var. a. cinerea — Dorso di color cinereo più o meno 
chiaro, con macchie nere piuttosto strette e rare; 
tutte le parti inferiori nere. 

var. dò. cinerasecens — Dorso di color cenere tendente al 
bigio, con macchie nerastre più o meno dilatate e 
numerose; il di sotto di color bruno d’ acciajo o 
nero, screziato leggermente in rosso mattone ed 
anche in bianco ( Vipera Redi quor. auctor.). 

var. c. sufa — Dorso di color rugginoso più o meno ac- 
ceso; le parti inferiori del corpo nere, screziate di 
bianco e di rossastro sulla gola, macchiate di rosso 


var. d. 


var. e. 
var. f. 


ERPETOLOGI1A 945 


mattone nel resto e specialmente nella parte me- 
diana delle piastre addominali (Vip. derus vel aspis 
quor. auctor.). 

rufescens — Parte superiore del corpo tendente 
al rossastro ; il di sotto bruno d’ acciajo screziato 
di bianco, di nero, ed anche di rosso mattone. 
fusca — eil 

brunnea — Dorso fosco o bruno più o meno ca- 
rico con macchie nere o nerastre molto distinte, o 
talvolta anche poco distinte. Il di sotto nero scre- 
ziato in rosso mattone ed in bianco. 


var. 9. fualva — Dorso di color leonino acceso, tendente 


var. h. 


Var. è. 


var. È. 


al rossastro; macchie nere coi lembi più pallidi 
del fondo del corpo. Ventre nerastro screziato. 
rufiventris — Tutto il corpo di color rossastro 
con macchie talvolta molto strette. Il di sotto di 
color rossastro acceso con leggerissime e rare scre- 
ziature in nero. 

fusca, plumbeiventris — Dorso di color fosco 
colle parti inferiori di color piombino uniforme, 
tranne che qualche sottile screziatura nera sotto il 
capo e la gola. 

Isabellina — Parte superiore del corpo di color 
isabella chiaro, colle scaglie segnate da tinta al- 
quanto più carica sulla carena ed all’ apice. Le 
due serie delle macchie dorsali risultano tracciate 
da rare e piccole macchie brunasire. Mancano af- 
fatto le due serie laterali. Sul capo nessuna macchia, 
ma ben segnata di bruno la fascia del lembo po- 
steriore dell’ occhio, e molto spiccante quindi il co- 
lor latteo che tinge gli scudetti marginali del lab- 
bro superiore. Il di sotto biancastro o rossastro 


246 BETTA 


spruzzato di nero, il qual colore vi disegna qual- 
che rara macchia verso l’ esterno delle piastre ad- 
dominali. Vicino all’ ano il fondo si tinge in ros- 
sastro con spruzzature nere e bianche, ed il di 
sotto della coda è croceo quasi uniforme. 


Oltre queste e molte altre consimili varietà che più o 
meno possono incontrarsi, e delle quali tengo una bella 
serie nella mia Collezione, il Prof. Massalongo indichereb- 
be (*) anche come esistenti nel Veneto la 


var. m. nigra Bonap. — Col dorso affatto nero o nero 
grigiastro, da lui veduta nei Sette Comuni, e la 

Var. n. occellata Ronap. — Col dorso sparso di grandi 
macchie rotonde contornate di oscuro, incontrata 
pure da lui nel Bosco Montello, Prov. di Treviso. 


Di nessuna di queste due varietà io vidi, nè conosco 
ancora esemplari veneti, e solo tengo la prima ( Vip. pre- 
ster auetor.) dall’ Ungheria ove, come anche nella Svizzera 
e nella Russia, sembra abbastanza comune. La seconda 
varietà (Vip. occellata auctor.) è forse la più bella di quan- 
t altre mai, distinguendosi pel colore del fondo grigio-ros- 
sastro colle macchie delle due serie intermedie piuttosto 
grandi, arrotondate, oculiformi, brunastre nel centro, ed 
orlate di nerastro. Può vedersi figurata nelle tavole di 
Bonaparte. 

1 colori dei giovani della specie riescono sempre meno 
pronunciati. Già da quando vengono alla luce il loro dorso 
presenta il colore che deve poi mantenere, sebbene in ge- 


(*) Saggio pag. 22. var. a. e bd. 


ERPETOLOGIA 247 


nerale con tinta leggiera e sbiadita; le macchie invece si 
presentano subito distinte, e le parti inferiori hanno sem- 
pre una tinta biancastra uniforme o qualche volta fulva- 
stra, con debolissime screziature di bianco e di cenere, o 
di bianco e di brunastro. 


DIMENSIONI. 


L’ ordinaria lunghezza cui giunge è dai 54 ai 60 centi- 
metri, col diametro di 22 a 25 millimetri. Non mancano 
però anche maggiori individui, e sopratutto nella provin- 
cia di Treviso ove arrivano alla lunghezza di centim. 65 
col diametro di millim. 28. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Comune in tutto il Veneto e Tirolo meridionale, vive 
forse più che altrove copiosissima nella provincia di Tre- 
viso, ove il Bosco Montello gode specialissima benchè tri- 
sta rinomanza per la quasi prodigiosa quantità di vipere 
che ne infestano ogni cespuglio, ogni cumulo di pietre, i 
margini dei fossati, i sentieri e le vie. Per quanto mi av- 
visa l’amico D." Martinati questa Vipera nel Padovano 
abita forse esclusivamente i Colli Euganei; e nel Friuli è 
specialmente frequente sui monti di Forgaria, di Medun e 
S. Simeone. Le varietà a dorso bigio cinereo od a dorso 
fosco più o meno rossastro sono le più comuni. La varietà 
rufiventris comparisce più rara, e dei quattro esemplari 
della mia Collezione, due provengono dal Monte Bolca nel 
Veronese, uno dai Serte Comuni, ed il quarto dal Bosco 
Montello, da dove proviene pure la varietà fulva. Della 
fusca plumbeiventris non ne scontrai che un unico esem- 


248 BETTA 


plare. Due soli esemplari possiedo della bellissima e raris- 
sima varietà Veronese /sabellina, uno dei quali lo devo 
alla gentilezza del sig. Pellegrini Gaetano che lo prese 
presso Fumane in Valpolicella. Una varietà col dorso di 
color olivigno-terreo screziato, e col ventre di color piom- 
bino o di acciajo tutto uniforme è data dal Professore 
Massalongo come abbondante a Campofontana nel Vero- 
nese (*). 

Nel Tirolo meridionale predominano più che nel Ve- 
neto gli individui a dorso cinereo; e colà è frequente la 
vipera presso Rovereto, Calliano, Trento, Riva, e più o 
meno in tutte le vallate Trentine. 

Come vedesi, abita quindi questo rettile tanto la pia- 
nura che i colli ed i monti elevati, prediligendone però 
sempre i luoghi nudi, sassosi, oppure coperti di cespugli. 
E meno frequente nel più fitto delle selve, rara nei siti 
acquitrinosi ; si espone ai raggi solari durante varie ore 
del giorno, e solo quando venga irritata od accidentalmente 
calpestata morde rabbiosamente: in caso diverso fugge 
sempre l avvicinarsi dell’ uomo, od al più rimansi ferma 
pochi istanti per poi sottrarsi e nascondersi quando lo vede 
vicino, o teme pericolo. E solo in epoche eccezionali, ed 
è raro il caso che morda senza essere tocca od aizzata, e 
questo tempo si è quello degli amori. Nutresi di lucerte, 
di rane, e di rospi, ma sopratutto di piccoli quadrupedi. 
Tenuta in schiavitù sopporta lunghi digiuni, potendo vivere 
senza cibo da 5 a 6 mesi; ed una femmina campò fino a 
sette e mezzo, cioè dalla metà di Aprile fino alla fine di 
Novembre senza che mai avesse voluto cibarsi di qual- 
siasi dei varj animaletti che io chiudeva nella sua gabbia. 


(*) Saggio pag. 24. var. plumbea. 


ERPETOLOGIA 249 


Come ogni altro serpente passa l’ inverno in letargo, 
ritirandosi sotto i sassi ed internandosi sotterra a qualche 
profondità, nei luoghi un poco umidi, e dove il gelo non 
può penetrare. Accade spesso di vederne buon numero di 
individui insieme aggomitolati nelle cavità di vecchi tron- 
chi, ed anche nel nudo terreno alla profondità di quasi 
un metro. Esce al ritorno della primavera, ed allora, can- 
giati di spoglia, i sessi si ricercano e si accoppiano re- 
stando uniti per varie ore. Credesi che le femmine non 
possano essere fecondate che verso il terzo anno della loro 
età; e sembra che la vipera goda di molta longevità non 
arrivando a compiuto sviluppo che al sesto o settimo anno. 

La femmina non partorisce uova, ma queste, vivificate, 
schiudonsi nel ventre della madre, ove i viperini raccolti 
su loro stessi raggiungono la lunghezza di 13 a 16 centi- 
metri prima di venire alla luce, ciò che secondo le osser- 
vazioni di parecchi autori succede nel corso del quarto 
mese dopo l’ accoppiamento,.0 più precisamente nel Luglio 
o coi primi di Agosto. Al loro nascere portano ancora i 
laceri avanzi della membrana vitellina, una sorta di pla-. 
centa col cordone ombilicale, e qualche volta traggono 
seco loro anche le tuniche esterne dell’ uovo che vi re- 
stano attaccate. 

Il numero dei viperini è generalmente portato dagli 
autori a 20 circa per ogni parto, e secondo altri anche 
fino a 30. Il parto però ch’io conservo d’ una vipera 
presa gravida e tenuta in schiavitù per circa due mesi, 
non ammonta che a soli dodici; ed anche in varie fem- 
mine prossime al parto ch’ io ebbi a sezionare, non os- 
servai generalmente più di otto a dieci od undici uova. 
Nè a dir vero posso credere che maggiore di dodici o di 
quindici sia in generale il numero delle uova stesse, stante 


250 BETTA 


il ben grosso volume loro nel ventre della madre quando 
vi sono perfettamente sviluppate. Appoggierebbero d’ al- 
tronde queste mie osservazioni anche le conformi dichia- 
razioni avute da varj nostri farmacisti, i quali spesse volte 
furono alla portata di vedere i parti delle vipere che te- 
nevano custodite per gli usi cui erano una volta impie- 
gate nella medicina. Siccome troverei conforme al mio 
giudizio anche il caso osservato dal Prof. Mangili, (e che 
formò tema di un suo discorso sul veleno di questo ret- 
tile) di una vipera « di straordinaria grossezza che dopo 
circa tre mesi di prigionìa partorì uno dopo l’ altro tre- 
dici viperini, sette dei quali vegeti e vispi, e gli altri sei 
aggomitolati ed in istato di feti morti » (*). 

Dal momento in cui i viperini abbandonano il ventre 
della madre restano ad essa affatto estranei, e non trovano 
in lei nè quelle premure nè quella protezione e difesa che 
credesi da molti, e di cui si è detto già in separato arti- 
colo. Secondo le esperienze del prelodato Prof. Mangili non 
acquisterebbero la facoltà di articolare i denti veleniferi, 
e quindi di avvelenare, che 16 o 418 giorni dopo la loro 
nascita. Prima di tale età quei denti sono avviluppati nelle 
loro guaine chiuse e continue colla cute della mandibola 
superiore, ed obbligati quindi in certa guisa a starsene 
oziosi almeno fino a che abbiano acquistata la consistenza 
necessaria per l’ uso cui sono destinati. 

Nelle generalità sui Rettili si è già parlato della po- 
tenza e conseguenza del veleno della vipera e dei rimedj 
ritenuti più efficaci. Basterà quì solo ricordare come di 
rado possa riuscire mortale per l’ uomo e per gli animali 
di mole.grande e vigorosi, e come la stretta legatura al 


(*) Giornale di Fisica, Chimica ete. 1809. Tom. II. p. 209-250, 


ERPETOLOGIA 254 


membro offeso, la scarificazione della parte, l’ applicazione 
della pietra infernale sulle punture, l° uso pronto dell’ am- 
moniaca liquida o di bevande spiritose, possano rendere 
tranquilli sull’ esito del morso. 

Tanta è la tenacità della vita nella vipera che. il suo 
capo mutilato conserva per più ore ed anche per un giorno 
o due la facoltà di ferire e di avvelenare. Immersa nello 
spirito di vino sopravive per ore intiere, e tagliata a 
pezzi continua a contorcersi per molte ore ed anche. per 
un giorno. i 

Anticamente era usata in diverse chimiche preparazioni 
ed in farmacia per svariatissime malattie. Più recente- 
mente se ne prescriveva il brodo nei casi di sifilide inve- 
terata, di affezioni erpetiche, di tisi polmonare, ed entrava 
nella preparazione della teriaca. Al giorno d’.oggi però ne 
fu abbandonato quasi del tutto 1’ uso come rimedio medi- 
cinale. Chi mangiò le sue carni le trovò assai buone. 

Non sarà inutile 1’ avvertire come la vipera mancando 
di quella conformazione che è propria agli altri nostri 
serpenti innocui; e che dà loro una mirabile facilità e de- 
strezza di alzarsi ed attortigliarsi, possa essere presa senza 
pericolo per la coda alzandola poi prontamente. da terra 
per farla cadere nel sacco 0 nel vaso in cui si vuol col- 
locare. I nostri cacciatori di vipere usano un bastone alla 
cui sommità sta assicurato un pezzo di lana o di finissi- 
mo traliecio da ricamo inzuppato in colla d’ amido, col 
quale toccano ed aizzano la vipera fino a che vi si av- 
venta contro e lo addenta. Sollecito allora il cacciatore 
prontamente ritira il bastone, facendo così restare nello 
spessore della lana o fra gli interstizj del traliccio i denti 
veleniferi strappati dalla violenza del colpo, ed al mo- 
mento stesso la vipera viene anche presa senza pericolo. 


252 BETTA 


OSSERVAZIONE. 


Dalla offerta Sinonimia scorgesi chiaramente quante 
specie siano state stabilite dagli autori a spese della Vi- 
pera aspis, specie le quali, perchè puramente nominali e 
dedotte da semplici modificazioni di colorito o di forma, 
devono solo figurare come ‘sinonime della nostra vipera 
comune. 

La confusione che dominava un tempo nella classifica- 
zione dei serpenti Europei aveva indotto anche Latreille e 
Cuvier a considerare il Colubder aspis di Linneo come sem- 
plice varietà dell’ altro suo Coluber berus, e molti erpeto- 
loghi francesi resero poi ancora più confusa la storia della 
nostra vipera col ritenere e nominare per specie distinte al- 
cune delle numerose sue varietà. I moderni erpetologhi han- 
no non solo separate stabilmente le due specie delle quali 
fin quì si è parlato, ma hanno puranco riunite sotto ca- 
dauna di esse quelle varietà che nelle opere e cataloghi 
precedenti figuravano sempre come specie distinte. 

Così è pure che delle sei vipere che Bendiscioli enu- 
mera e descrive come proprie del territorio Mantovano, 
cinque, cioè la berus, la aspis, la prester, la Redi e la chersea 
rientrano come semplici varietà di colorazione nell’ unica 
nostra aspis; la sesta, cioè la sua Vipera limnaea, altro non 
è che il Pelias berus come già si è avvertito nel rispettivo 
articolo. 


ERPETOLOGIA 253 


45 — II. VIPERA AMMODYTES 
Latreille. 


Ital. Vipera dal corno. o 
Bellun. Vipera dal corno (Catullo). 


CARATTERI. 


Capo distinto dal tronco, superiormente coperto di squame irregolari; 
ana verruca conica, mobile, molto prominente all’ apice del muso. 

Dorso cinereo tendente al bigio cupo con fascia longitudmale nerastra, 
flessuosa e continua. 


Piastre addominali 142-162. 
Scudetti sottocaud. p. 28-36. 


SINONIMIA. 


Coluber ammodytes Linn. Syst. Nat. I. p. 376. 
_ —_ Gmel. Syst. Nat. I p. 1087. 
— _ Lacep. Quadr. ovip. et Serp. II. p. 67. 
— — Shaw Zool. Ill. p. 379. 
_ — Catullo Geogn. Ven. p. 173. 
Vipera Illyrica Laur. Syn. Rept. p. 104. 
Vipera ammodytes Latr. Hist. Rept. II p. 306. 
_ _ Daud. Hist. Rept. VI. p. 4193. t. 74. f. 2. 
— _ Wagl. Syst. Amph. p. 177. 
—_ — Bonap. Fauna ital. cum tab. 
_ _ Schleg. Essai II p. 603. t. 21. f. 19. 20. 
_ _ De Fil. Cat. ragion. p. 63. 
= — Betta Cat. syst. Rept. p. 22. 


254 BETTA 


Vipera ammodytes Dum. Bibr. Erpétol. VII. 2. p. 4414. 
Vipera( Echidna) ammodytes Merr. Syst. Amph. p. ABI. 

= Friv. Mon. Serp. Hungar. p. 35. 
Cobra ammodytes Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 62. 

Rhinechis ammodytes Fitz. Syn. Rept. p. 28. 


FORME. 


Un carattere affatto proprio e che distingue questa vi- 
pera da tutte le altre si è un'appendice o verruca conica, 
piuttosto ottusa, mobile, alta quattro millimetri,  promi- 
nente all’ apice del muso, e rivestita da piccole scaglie 
uniformi a quelle della parte contigua del corpo. La testa 
quanto alla sua forma e configurazione ha molti rapporti 
con quella della Vipera aspîs, distinguendosene nonostan- 
te perchè più cordiforme, e per la sensibile larghezza alla 
base. 

Ha il capo coperto di piccole squame irregolarmente 
disposte, e delle quali quelle collocate nel tratto anteriore 
al vertice sono piane, laddove le restanti vanno segnate di 
risentita carena longitudinale. Al di sopra degli occhi havvi 
uno scudetto sopracigliare bislungo, quasi piano, e spor- 
gente più in fuori del globo dell’ occhio. Tutto il resto 
dell’ orbita è cinto da due serie di piccoli scudetti di for- 
ma arrotondata, più piccoli quelli prossimi all’ occhio, di 
forma irregolare e più grandi gli esterni. Lo scudetto na- 
sale è piuttosto grande, quasi rotondo, e nel suo mezzo 
apresi ampio il foro delle narici. Sopra di questo scudetto 
trovansene altri due sopranasali collocati uno innanzi al- 
l’altro. A ciascun lato del capo una carena o spigolo dal 
termine anteriore dello scudetto rostrale stendesi orizzon- 
talmente fino allo scudetto soprarostrale. Lo scudetto ro- 


ERPETOLOGIA 255 


strale è largo, smarginato alla base, troncato all’ apice ed 
incavato nel mezzo. I tre scudetti antinasali, ossia quelli 
che separano il rostrale dal nasale, si elevano più del ro- 
strale e fra le loro due estremità superiori comprendono 
la base del sopranasale che è eretto, più lungo che largo, 
e curvilineo nel margine superiore; questo scudetto è ap- 
plicato alla base della verruca caratteristica della specie. 

Gli cechi sono grandi, rotondi, colla pupilla allungata 
verticalmente. i 

Il tronco è cilindrico-fusiforme, coperto superiormente 
da squame ovato-lanceolate, con carena molto risentita. 
La coda breve, terete, conica, superiormente coperta da 
squame conformi a quelle del dorso; è più lunga nei ma- 
schi che non nelle femmine. 

I maggiori denti del veleno sono lunghi cinque milli- 
metri; i denti palatini brevissimi, ed i mandibolari sette 
per fila. 

Il numero delle piastre addominali e degli scudetti sot- 
tocaudali varia come in tutti gli altri serpenti. Due soli 
esemplari Tirolesi io potei fino ad ora esaminare, come si 
dirà avanti, e di essi l adulto conta 156 piastre addomi- 
nali, 36 paja di scudetti sottocaudali ; il giovane egual 
numero di piastre, soli paja 30 di scudetti sottocaudali. 


COLORITO. 


Nell’ accennato individuo adulto il capo è superior- 
mente di color cinereo tendente al bigio cupo. Una mac- 
chia nebulosa fosca è frapposta agli occhi, due altre più 
distinte sono collocate al di qua ed al di là del vertice, e 
dune altre bislunghe nere figurano obliquamente presso 
l uno e l’altro angolo della bocca. Il di sotto del capo è 


256 BETTA 


bianco cinereo con leggiera tinta fulvastra alla gola, e con 
due macchie nere transverse che cadono sulla serie degli 
scudetti marginali inferiori. 

Tutto il tronco è di un color cinereo-grigiastro e così 
pure la coda, tinta questa però al suo apice di un vivo 
color ferrigno-rossastro. Due serie affatto contigue e con- 
fluenti di macchie nere, molto distinte, triangolari, a base 
allargata, partono dalla nuca ed ornano il mezzo del dorso 
con una gran fascia continua, flessuosa, che prolungasi sulla 
coda. 

Questa specie presenta anche per lo più lungo i fianchi 
una serie di macchie bigio-scure nebulose, alternativamente 
più e meno grandi, le minori collocate dirimpetto agli an- 
goli, le maggiori a rincontro dei seni della fascia dorsale. 
L’ esemplare però quì descritto manca di macchie laterali 
non scorgendosi in esso che una leggerissima traccia di 
alcune poche, nere, piccole ed irregolari. 

Il di sotto del corpo è grigio d’ acciajo, spruzzato di 
macchie biancastre; le piastre hanno anteriormente un 
sottile orlo cinereo-biancastro, interrotto da tre o quattro 
lineole nere, e sono tinte alternativamente in nero ed in 
biancastro nelle estremità confinanti colle squame dei lati. 

Nel giovane individuo un color uniforme grigio-fulva- 
stro domina su tutta la parte superiore del corpo, ed il di 
sotto è uniformemente grigiastro. Le macchie triangolari 
costituenti la riga dorsale sono brunastre, marcate agli 
angoli esterni da sottilissimo e punteggiato lembo nera- 
stro. Nessun’ altra macchia né alla testa, nè alla mandi- 
bola, nè ai lati della fascia dorsale. 


ERPETOLOGIA 267 


DIMENSIONI. 


Esemplare adulto — Lunghezza centim. 67, dei quali oc- 
cupa tre la testa, e sette e mezzo la coda. Diametro mil- 
limetri 27. ak 

Esemplare giovane — Lunghezza centim. 22, dei quali la 
testa occupa 15 millimetri, 24 la coda. Diametro millim. 7. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Come già si è accennato due soli esemplari ho potuto 
avere ad esame, e questi per gentilezza speciale del chia- 
rissimo ed ottimo amico mio P. Vincenzo Gredler, Profes- 
sore di scienze naturali nel Ginnasio di Bolzano. È a lui 
ch’ io devo anche dall’ Ottobre 4853 la prima notizia sulla 
presenza di questa vipera nel Tirolo, ed il possesso del 
giovane esemplare che ora fa parte della mia Collezione ; 
del che tutto mi è caro rendergli pubblica testimonianza 
di obbligazione. 

Nè riconoscenza minore deve avergli la Scienza se egli 
pel primo fece conoscere come abitatore del Tirolo ineridio- 
nale questo velenoso rettile non mai prima, ch'io mi sap- 
pia, incontrato colà da alcun altro, ma ritenuto anzi gene- 
ralmente affatto estraneo alle nostre provincie, e proprio 
in specialità della Carinzia, dell’ Istria, dell’ Ungheria meri- 
dionale, della Dalmazia e della Morea; trovato solo più re- 
centemente in Sicilia da Bibron, e vivente giusta Bona- 
parte in qualche luogo orientale del settentrione dell’ Ita- 
lia, segnatamente nei contorni di Ferrara. 

L’esemplare adulto quì descritto fu preso sul pendio 
del castello Haselburg, vulgo Kihbach, al sud di Bolzano; 

17 


258 BETTA 


nella quale località secondo lo stesso Prof. Gredler la spe- 
cie sarebbe anche abbastanza frequenie, mentre era già 
allora a sua cognizione esserne stati presi dai pastori, ed 
in soli tre anni, almeno dodici individui, sorpresi sempre 
fra quei massi porfiritici mentre godevano i raggi del sole. 
E quando più tardi, cioè nel Settembre 4854, visitai in 
Bolzano quei carissimo amico, egli mi mostrò altre due gros- 
sissime vipere ammodytes di quei dintorni, conservate in 
spirito di vino nel Gabinetto di storia naturale di quel 
Ginnasio, avvisandomi che un terzo esemplare lo aveva 
poco prima inviato in dono al Museo Ferdinandeo. in 
Innsbruck. 

Il giovane esemplare della mia Collezione pare provenga 
dai luoghi sabbiosi del Mitterberg fra Caldaro. e 1’ Adige, 
essendo stato preso nel Convento di Caldaro mentre usciva 
inaspettatamente, come mi dichiarò lo stesso amico, da un 
fascio di legna proveniente appunto da quel monte, mor- 
dendo anche un Religioso con qualche gravità di conse- 
guenze. 

Tutie queste particolarità mi piacque far conoscere non 
ignorando come qualche naturalista tenga dubbia tuttora 
la presenza di questa vipera nel Tirolo, e dubiti poi più an- 
cora sulla esistenza sua nelle provincie Venete ove invece 
risulterebbe abitare da quanto sono per dire. 

Già nel 1817 la Redazione della Biblioteca Italiana pre- 
sentando un sunto del Viaggio al Lago di Garda e al monte 
Baldo del Dott. Ciro Pollini, aggiungeva ai sei serpenti 
dallo stesso annoverati come specie del Veronese, il Coluber 
ammodytes ( Vipera dal corno ) siccome non raro a trovarsi 
nei Colli Euganei e nei monti Bellunesi (*). Da quell’ epoca 


(*) Bibliot. Ital. Tom. V. p. 287. 


ERPETOLOGIA 259 


la presenza di questo rettile nell’ una o nell’ altra delle 
due località annunziate non venne poi mai avvertita, e 
solo molto più tardi, cioè nel 4844 il chiarissimo Prof. T. 
A. Catullo lo indicava come vivente nella Provincia di 
Belluno tra i sassi che ricoprono le campagne del Mas 
presso il Cordevole, soggiungendo che « di questa specie 
» che li speziali di Venezia ritirano dalla Dalmazia per 
» impiegarla nella fabbricazione della triaca, non esistono 
» individui in nessuna Provincia dello Stato Veneto, od 
» almeno non fu veduta fino ad ora che in quella di Bel- 
» luno, dove trovasi copiosa tutti li anni » (*). 

Dopo di lui manchiamo nuovamente di migliori e più 
estese notizie sulla esistenza della specie nel Veneto e sulle 
precise località da essa abitate, chè anzi qualche naturali- 
sta trovò perciò di escludernela affatto mettendo in dubbio 
le stesse dichiarazioni del Prof. Catullo, e sospettando in- 
vece confusa la V. ammodytes con qualche vicina varietà 
di colorazione della comune V. aspis. 

Spiacemi assai di non avere ancora io stesso, e di non 
poter quindi addurre prove più positive sulla presenza di 
questa vipera; chè anzi è mio debito il dichiarare come 
siano sempre tornate a vuoto le ricerche per ciò stesso 
praticate e fatte praticare; siccome non mi consta neppure 
che alcun altro più recente autore abbia ricordata come 
veneta l’ ammodytes, nè sia dessa rappresentata almeno in 
qualche collezione da esemplari di queste provincie. 

Ciò nonostante io credo però che il fatto della sua esi- 
stenza nel Tirolo, congiunto alla precisa e sempre autore- 
vole indicazione del Prof. Catullo non manchi di valida- 
mente persuadere della dimora sua anche nel Veneto, al- 


(*) Geognosia delle Prov. Venete etc. pag. 175. 


260 BETTA 


meno nella accennata località del Bellunese, regione in 
cui è probabile che tale vipera si sia fermata ed abbia 
figliato prima di salire nel Tirolo dalla Dalmazia, da dove 
è assai presumibile che sia pervenuta fra noi. 

La Vipera dal corno soggiorna sempre di preferenza 
nelle regioni aride, secche, sabbiose e sassose, o ricoperte 
di rara vegetazione, ed ivi sta esposta in primavera per 
molte ore del giorno ai raggi del sole. Quasi sempre lenta 
e tranquilla, diviene iraconda ed ardita sul finire della 
primavera, tempo de’ suoi amori, ed in allora riesce peri- 
coloso anche il solo passarvi vicino. Mordendo inarea il 
collo all’ indietro come tutti i serpenti velenosi propria- 
mente detti, e le conseguenze della morsicatura non sono 
certamente nè diverse nè minori da quelle delle altre nostre 
vipere. Qualcheduno pretenderebbe anzi che il suo veleno 
superi in forza quello della Vipera aspis, e si narrano casi 
di persone perite in pochissime ore dopo la morsicatura, 
ma in ogni modo mancano esperimenti di confronto per 
stabilire la verità di tale asserzione. 

Nutresi di lacertini, di piccoli mammiferi ed uccelli che 
coglie all’ improvviso come tutti gli altri ofidii, Passa l’ in- 
verno internata fra le fessure delle roccie, ove si ritira 
anche per sottrarsi ai caldi eccessivi della stagione, atten- 
dendo allora la notte per cercare nutrimento. Lorchè ab- 
bandona il covaeciolo in cui passò in letargo i freddi mesi 
dell’ anno, cangia di pelle ed i sessi si cercano restando 
accoppiati per varie ore. Non è precisato dagli autori il 
numero dei viperini che vengono alla luce per ogni parto, 
ma pare però che non superi quello della vipera comune. 

A quanto ne dice Daudin questa vipera diviene spesso 
la vittima di molti uccelli rapaci, siccome gli avvoltoj e 
le grandi specie del genere Strix, ehe se ne impadroniscono 


ERPETOLOGIA 264 


con tutta la agilità e maestria necessaria ad evitarne il 
morso. Secondo lo stesso autore anche un piccolissimo pi- 
docchio, l’ Acarus viperinus Daud., tormenterebbe spesse 
volte la V. ammodytes attaccandosi in così gran quantità 
all’ orificio dell'ano e nel primo tratto dell’ intestino retto, 
da determinarvi una suppurazione che può condurre a 
morte l’ animale. 


OSSERVAZIONE. 


Oltre al colorito dei due individui descritti, e benchè 
poco o nulla dissimili sotto tale rapporto abbia trovati an- 
che quelli ch’ io ispezionai nel Ginnasio di Bolzano, tor- 
nerà però utile !' avvertire come questa specie, non meno 
dell’ altra sua congenere, vada soggetta a molte variazioni 
di tinte e di macchie. Così il colore del fondo può mutare 
di molto nell’ intensità, e tendere maggiormente ora al 
bigio, ora al cinereo, ora al giallastro, al brunastro, al rossa- 
stro ed anche al nerastro: un esemplare Dalmatino della mia 
Collezione presenta il fondo di color olivastro. Così 1’ apice 
della coda non è sempre rosso, e le macchie costituenti 
la fascia dorsale non sono sempre distribuite in modo 
uniforme, e possono anche essere disgiunte fra esse; caso 
questo però assai più raro d’ogni altro accidente di colo- 
razione. Anche il numero delle piastre addominali può va- 
riare secondo Bonaparte dalle 142 alle 162, e gli seudetti 
sottocaudali possono essere dalle 28 alle 36 paja. Secondo 
Schlegel le piastre arriverebbero anche al numero di 404 
e gli scudetti a paja 45. In questa vipera però qualunque 
siano le accennate variazioni, avrassi sempre il carattere 
specifico e costante della verruca mobile sul muso. 


(9) 
(@y) 
Au 


BETTA 


Ord. IV. BATRACI. O 


Nell'articolo della Propagazione dei rettili si sono notate 
alcune particolarità specialissime a quest’ Ordine, che Ales- 
sandro Brongniart pel primo (4799) separò e distinse da 
tutti gli altri rettili sotto la denominazione di Batraciani. 
I rettili compresivi formano un gruppo tanto naturale e 
distinto che più autori ne proposero la formazione di una 
separata Classe sotto il particolare nome di Anfibi; classe 
la quale benchè ritenuta da varj naturalisti, ed anche da 
qualche moderno autore che divide i vertebrati a sangue 
freddo nelle tre classi dei Rettili, Anfibi e Pesci, non ot- 
tiene però dai più valenti Erpetologhi che il semplice va- 
lore di Ordine, non maggiore cioè di quello dato ai Saurài 
ed ‘agli Ofidii cotanto affini fra loro. 

Sono caratteri essenziali dei Batraci: tronco depresso, 
tozzo o arrotondato, allungato, con o senza coda; pelle nu- 
da, molle, senza scaglie visibili; testa confusa col tronco 
per modo che non vedesi in essi un collo distinto; palpe- 
bre mobili: nessun foro auditivo esteriore; uno sterno di- 
stinto, non mai unito alle coste che sono brevissime o nul- 
le; il cuore con una sola cavità e con due orecchiette dif- 
ficilmente distinguibili l'una dall'altra. I maschi non hanno 
organi genitali esterni; le uova vengono in generale par- 
torite prima di essere fecondate, ed i novelli passano allora 
per le diverse e curiose metamorfosi già altrove accennate, 


(*) Barpayos, rana. 


ERPETOLOGIA 203 


prima di assumere le forme e le abitudini dei loro geni- 
tori. Altro carattere di quest’ ordine, considerato in tutta 
la sua estensione, sarebbe la presenza o meno delle gambe, 
il loro numero, sviluppo, e proporzione; ma mancando noi 
di specie riferibili alle Cecilie cui mancano del tutto, alle 
Sirene provvedute delle due sole anteriori, ai Protei che 
hanno gambe incomplete e quasi rudimentali, resta pei 
nostri Batraci determinato il carattere di quattro gambe, 
variabili in proporzione e hanghezza, a dita distinte e mai 
armate di unghie, mancanza questa che anche da sola ba- 
sterebbe a distinguerli dai Chelonii e dai Saurii. 

Stringendoci alle specie nostre dividiamo i Batraci in 
due Sezioni, fondate su due delie principali differenze appa- 
renti dalla loro esterna organizzazione, d’ importanza assai 
minore è vero di quella che esiste nella organizzazione loro 
interna, ma non per questo da abbandonarsi perchè anehe 
più facili a colpirsi. Vuolsi dire della mancanza o presenza 
della coda nello stato di loro perfetto sviluppo, secondo il 
quale carattere vengono divisi in Anurî (4) cioè privi di 
coda, ed in Urodeli (2) o muniti di coda; divisione corri- 
spondente agli Anuri ed Urodeti, secondo e terzo dei tre sotto 
ordini dei Batraci stabiliti da Duméril: alle due sezioni 
Mutabilia ed Immutabilia di Fitzinger (1826); ed alle fami- 
glie Ranidae e Salamandridae del Principe di Canino. 

Sono gli Anuri privi di coda nello stato loro perfetto; 
hanno corpo piatto, muso rotondo, bocca profondamente 
fessa, lingua molle, non attaccata in fondo alla gola ma sul 
margine della mandibola, molto carnosa e capace d’ essere 
spinia fuor dalla bocca; timpano generalmente distinto; le 


(1) «vovgoc - senza coda. 
(2) ovpa coda, Ondos manifesto. 


264 BETTA 


gambe postericri sempre più lunghe delle anteriori, arri- 
vando ad eguagliare od anche sorpassando in proporzione, 
tutta la lunghezza del corpo; hanno quattro dita nei. piedi 
anteriori, cinque nei posteriori ove scorgesi quasi sempre 
come un rudimento di un sesto; la loro pelle è libera, iso- 
lata dai muscoli, ed aderente soltanto all’ingiro delle prin- 
cipali articolazioni delle membra, nella linea mediana, vi- 
cine alla bocca ed alle orecchie. L’ apertura della cloaca è 
un orifizio arrotondato come nei Chelonii. Vanno soggetti 
ad una completa metamorfosi. 

Gli Urodeli hanno all’incontro corpo lungo, quasi terete 
e munito di coda; lingua molle, carnosa, aderente in tutta 
la sua estensione, di sovente tanto ai lati che verso la 
punta cosicchè non può sortire dalla bocca; timpano na- 
seosto; gambe di lunghezza uniforme, quattro dita nelle 
anteriori, cinque nelle posteriori ; pelle unita e strettamente 
aderente al tessuto cellulare. L'apertura della cloaca è una 
fessura longitudinale; carattere questo importantissimo per 
cdistinguerli da tutti gli altri rettili, i quali o 1’ hanno in 
forma di orifizio arrotondato (i Chelonii e gli Anuri) 0 
l' hanno transversale (i Saurii e tutti gli Ofidii nostri). 
Nuotano e camminano, ma non saltellano come gli Anuri. 
Non subiscono la completa metamorfosi di quelii, ma le 
loro larve o sono tetrapode di primo tratto, o tosto diven- 
gono tali. 

A questi esterni caratteri potrebbero aggiungersene molti 
altri, ed anche più importanti perchè dipendenti dalla ri- 
spettiva organizzazione interna; come, fra quelli risultanti 
diallo scheletro, la mancanza di costole, l esisienza di uno 
sterno e di clavicole complete negli Anuri; la presenza al- 
l’incontro di costole quantunque assai brevi negli Urodeli, 
e la mancanza in questi dì sterno e di clavicole. Non meno 


ERPETOLOGIA 265 


LI 


importante è pur anche la differenza fra le due Sezioni 

nel modo di fecondazione già esposto in separato articolo. 
Comprendonsi gli Anuri di queste provincie nei quat- 

tro generi /yla Laur., Rana Linn. (emend.), Bombinator Wagl. 

e Bufo Laurenti, mentre ripartisconsi gli Urodeli nei 3 ge- 

neri Salamandra Laur., Petraponia Massal. e Triton Laur. 
Sono caratteri dei generi adottati per gli Anuri: 


I. Gen. HYLA LAURENTI. 


Lingua arrotondata, aderente da tutte le parti fuorchè al suo 
margine posteriore. Trombe d’ Eustachio mediocri. Un gruppo 
di denti situati fra le narici; timpano distinto ; le dita delle 
gambe anteriori intieramente libere, quelle delle posteriori semi- 
palmate, tutte poi terminate ugualmente da un disco piano, di- 
latato e depresso. Nei maschi un sacco vocale sotto alla gola, 
capace d’ essere gonfiato come una vescica. Pelle superiormente 
liscia, granellosa pel di sotto. 

Questo genere comprende fra noi l’unica specie europea 
conosciuta, l’Hyla viridis del Laurenti. 


II. Gen. RANA LINN. (EMEND.). 


Lingua grande, oblunga, un poco ristretta pel davanti, po- 
steriormente forcuta, libera nel terzo posteriore della sua lun- 
ghezza. Due gruppi di denti fra le narici; timpano distinto. 
Trombe d’ Eustachio più o meno grandi. Le dita anteriori li- 
bere, le posteriori più o meno palmate. Due sacchi vocali in- 
terni od esterni nei maschi. Pelle liscia e senza tubercoli, che 
però talora soltanto appariscono sui lati del collo e sulla schiena. 

Linneo comprendeva nel suo genere Rana tutti gli Anuri 
conosciuti in allora. Laurenti (1768) facendo di essi il suo 


266 BETTA 

primo ordine Salientia della classe dei Rettili, suddivise il 
gen. Linneano ne’ suoi cinque Pipa, Bufo, Rana, Hyla e Pro- 
teus, dei quali non ci spettano che il secondo, il terzo ed il 
quarto, perchè soltanto proprio il primo dell'America meri- 
dionale, della Carniola il quinto. Ridotto agli esposti limiti 
caratteristici il gen. Rana comprende fra noi due specie le 
più anticamente conosciute, cioè la Rana viridis e la tempo- 
TATA, 


Ill. Gen. BOMBINATOR VVAGLER. 


Lingua subcircolare, integra, tenuissima, aderente da ogni 
lato. Due gruppetti di denti situati più indietro delle narici. 
Timpano mascosto ; trombe Eustachiane minime, quasi nulle. 
Dita delle gambe anteriori libere, quelle delle posteriori palmate 
da larga e crassa membrana. Nessun sacco vocale. La pelle se- 
minata di verruche e scabrosita. Senza parotidi. 

Merrem fu il primo (1820) che introdusse nella scienza 
la denominazione di Bombinator per distinguere un genere 
degli Anuri, i caratteri del quale non convenivano però 
completamente a tutti, od erano anzi in opposizione a quelli 
di alcune delle specie che vi comprendeva. Fitzinger stabilì 
in seguito (41826) diversi caratteri del genere, che poi an- 
cora più ristretto da Dugés (1834 ), era stato quasi contem- 
poraneamente dal Wagler (1830) modificato in guisa da 
non comprendervi che il Bombinator igneus del Merrem, la 
sola specie benanco che tuttora si conosca del gen. Wagle- 
riano tanto in Europa che fuori. 


IV. Gen. BUFO LAURENTI. 


Lingua allungata, elittica, un poco più larga al di dietro, 


integra, crassa, libera posteriormente; bocca affatto priva di den- 


EFERPETOLOGIA 267 


ti; timpano più o meno distinto ; trombe d’ Eustachio mediocri ; 
al di dietro degli occhi una grossa glandula foracchiata da pori 
e costituente tumidissime parotidi. Dita delle zampe anteriori un 
poco rigonfie sotto la cute, distinte, completamente libere ; il terzo 
sempre più lungo degli altrî tre; dita delle zampe posteriori più 
o meno palmate, î primi quattro compressi, il quinto più breve 
del quarto. Quasi sempre un sacco vocale sottogolare interno 
nei maschi. Cute seminata di verruche e papille. 

Le specie appartenenti a tal genere facevano parte delle 
Rane di Linneo, dalle quali vennero poi a giusta ragione 
levate dal Laurenti per collocarle nel suo genere Bufo, così 
chiamato dal nome della specie la più conosciuta che vi 
comprese, cioè la Rana bdufo di Linneo (Bufo vulgaris Laur.). 
Il genere del Laurenti comprendeva però molte specie che 
più tardi diedero fondamento a nuovi e distinti generi 
( Pelobates, Alytes, Bombinator ), ma oggidì non abbraccia che 
specie perfettamente analoghe al communissimo nostro Bufo 
vulgaris, col quale abbiamo fra noi congenere l’ altro non 
meno commune, il 8. viridis del Laurenti. 

Sono caratteri dei tre generi adottati pei nostri Urodeli: 


V. Gen. SALAMANDRA LAURENTI. 


Capo crasso, depresso; lingua mediocre, suborbicolare, ade- 
rente, libera solo ai lati, denti palatali minutissimi, disposti în 
due serie longitudinali che si allargano nel mezzo convergendo 
alle estremità ; parotidi grandi rilevate, ed altra glandula più 
piccola a ciascun lato della bocca. Coste sviluppate. Coda lunga, 


arrotondata, conica. 


268 BETTA 


VI. Gen. PETRAPONIA MASSALONGO. 


Capo mediocre, compresso, piano; ottuso ; lingua mediocre, 
fungosa, lanceolato-oblonga, papillifera, fimbriata, aderente per 
ogni lato tranne che nella parte anteriore; denti palatali come 
nel seguente genere Triton. Parotidi....(?) appena risentite. 
Coste numerose e molto pronunciate. Coda fortemente compressa, 
lunga come il corpo. 


VII. Gen. TRITON LAURENTI. 


Capo mediocre, rotondato, convesso ; lingua mediocre, fungosa, 
papilliforme, arrotondata od ovale, aderente quasi in ogni parte, 
libera soltanto ai lati; denti palatali disposti in due serie lon- 
gitudinali riavvicinate e quasi parallele, leggermente divergenti 
presso le fauci, convergenti nell’opposta estremità. Senza paro- 
tidi. Coste brevissime e sottili. Coda lunga pressochè quanto il 
corpo, costantemente depressa, cd a natatoje verticali cutanee, 


almeno nei maschi e sopratutto nell'epoca della fecondazione. 


I due generi Salamandra e Triton vennero stabiliti da 
Laurenti (41768) per comprendervi alcuni Batraci lacerti- 
formi che Linneo avea confusi colle sue Lacerte; ed  asse- 
gnò alle specie comprese nel primo coda terete ed abitn- 
dini terrestri, a quelle appartenenti al secondo coda com- 
pressa ed abitudini acquatiche. Benchè la forma della coda 
soggiaccia negli Urodeli in genere a modificazioni tali da 
rendere arduo, come benissimo osserva il Principe Bona- 
parte, lo stabilire il limite preciso fra la forma compressa 
e la terete, per noì però tale carattere riesce ben determi- 
nato e preciso, attesa l’unica specie che possediamo a coda 


ERPETOLOGIA 269 


terete la Salamandra maculosa (*), mentre l’ hanno schiac- 
ciata tutti i Tritoni e la Petroponia. 

Un piccolo Batracio Urodelo scoperto nella provincia di 
Padova dall’ amico mio Prof. Massalongo, servì a lui per 
stabilire il genere Petraponia (1852), fino ad ora non rap- 
presentato ancora che da un’ unica specie, ed anzi da un 
unico individuo. Espostine già i caratteri generici, e riser- 
vandoci di parlarne più a lungo nell’articolo che lo riguar- 
da, premettiamo soltanto accostarsi esso, più che ad altri 
dei conosciuti, al genere Triton, da cui differenzia nulla- 
meno per la diversità della lingua e per le coste rilevate. 
Forse più tardi potrassi stabilire con maggior sicurezza un 
carattere che varrebbe ancora a distinguerlo assai più, 
vuolsi dire quello delle parotidi, delle quali nell’ unico e 
giovine esemplare conosciuto non si potrebbe garantire 
l'assoluta presenza o mancanza senza pericolo di guastarlo 
o distruggerlo. 

Di cadauna delle specie descritte saranno date le più 
importanti nozioni sulle loro diverse abitudini, sui loro 
diversi costumi, e sui pregiudizi del volgo. Intanto richia- 
mandoci al già detto in quanto al modo di generazione dei 


(*) Non sarebbe però difficile che vivesse in qualche regione montuosa 
delle Provincie da me illustrate un’altra specie, la Salamandra atra, che 
‘il Sig. Schreibers trovò già sulle Alpi Tirolesi, e della quale io tengo pure 
un esemplare preso a Schwatz ed inviatomi dal ch. Prof. Gredler. Vive 
anche nella Carinzia e Carniola, ed io ne possiedo un copioso numera di 
esemplari presi nella Svizzera ed inviatimi dal chiarissimo ed illustre 
amico mio Sig. Charpentier di Bex, la cui recente morte fu ben gravissima 
perdita alle Scienze naturali, ai molti suoi ammiratori ed amici! 

In ogni caso però anche la Salamandra atra, oltrecchè facilissima x 
distinguersi pel suo color nero uniforme e senza macchie, ha sempre coda 


arrotondata, smussata alquanto all’ apice. 


270 BETTA x 


Batraci, osserveremo in generale essere questi gli animali 
che specialmente servirono allo studio ed alle scienze dei 
naturalisti sulla riproduzione delle membra amputate ; e 
che hanno fornito alla fisiologia comparata non. pochi 
argomenti di osservazioni e scoperte, sia sul modo. della 
loro fecondazione che del loro sviluppo, tanto pazientemen- 
te studiati e con sì felice esito dai nostri italiani Spallan- 
zani e Rusconi. Ognuno sa poi e conosce di quanta impor- 
tanza fu la singolare scoperta del fisico Bolognese Galvani 
(4786)sulla elettricità che si sviluppa e si manifesta quan- 
do mettansi a contatto due metalli di diversa natura, fra 
i quali trovisi collocata una materia umida. Una Rana die- 
de vita ad un nuovo ramo di fisica tanto importante per 
le numerose applicazioni che se ne fecero da un mezzo 
secolo in quà. Gli studj del Galvani intorno all’ influenza 
della elettricità sulla irritabilità nervosa degli animali re- 
sero alla scienza i più luminosi servigi, e la violenta con- 
trazione dei muscoli delle coscie di una rana morta messi 
in comunicazione coi nervi lombari per mezzo di un cir- 
cuito metallico, fu la base della elettricità dinamica o gal 
vanismo, che più tardi prestò coll’ apparato della pila Gat- 
vanica 0 pila di Volta uno dei più giovevoli istromenti alle 
scienze, e coll’ajuto del quale si pervenne alle più impor- 
tanti scoperte di fisica e di chimica. La struttura dei pol- 
moni delle Rane ed il modo loro di respirazione hanno 
fornito agli anatomici e fisiologi chiare dimostrazioni sul 
sangue. 

I Batraci sono dotati di finissima sensibilità, ma tale 
facoltà è in essi modificata dalla temperatura esterna, o da 
quella nella quale vengono collocati od immersi. Essi in- 
torpidiscono egualmente per l’ effetto del caldo che per 
l’effetto del freddo. L’ odorato è pressochè nullo, e le na- 


ERPETOLOGIA 271 


rici pochissimo sviluppate (*). Il gusto è pure debilissimo ; 
la vista attiva; gli occhi muniti di palpebre, delle quali 
la superiore in generale più eurta e più dilatata, me- 
no mobile e meno trasparente della inferiore. La pupilla 
arrotondata in quasi tutte le specie, è invece romboidea o 
lineare nelle specie notturne, siccome nei Rospi. Attesa la 
loro pelle molle e priva di scaglie pare che la sensazione 
degli oggetti esterni sia nei Batraci meno difficile. Anche 
il tatto può ritenersi meglio sviluppato attesa la mancan- 
za di unghie e la facile applicazione quindi delle dita alla 
superficie. 

La pelle degli Anuri è, come già si disse altrove, libera 
totalmente e formante una specie di sacco entro cui il 
corpo rimane isolato. Questa circostanza dà loro la facoltà 
di gonfiare considerevolmente il loro inviluppo cutaneo, che 
però restringesi poi nuovamente lasciando delle pieghe 
nelle parti laterali del tronco. 

Nei Batraci la pelle offre dei pori o cripte glandulari 
che secretano e lasciano trapelare alcuni particolari umori 
più o meno vischiosi, e dei quali vedremo lo scopo e 
l’azione diversa trattando delle specie in particolare. Sem- 
bra che la natura abbia concesse loro tali secrezioni 
cutanee qual mezzo di difesa onde sottrarsi alla rapacità 
dei loro nemici, che ne farebbero strazio se mon se ne 
dovessero ritrarre nauseati dall’ odore disaggradevole tra- 
mandato. L’ epidermide è dotata della proprietà di en- 
dosmosi, ed è perciò che i Batraci resistono al calore che 


(*) Nei Protei e neile Sirene quest’ organe è totalmente obliterato. per- 
chè vivendo continuamente nelle acque vi respirano alla maniera dei Pe- 
sci, con branchie persistenti; le narici non permettono passaggio all’aria: 


e non comunicano quindi coll’ interno della bocca. 


979 BETTA 


fa evaporare l’ umidità esalata dall’ animale, e che que- 
sto ricupera poi rapidamente col mezzo dell’ assorbimento. 
Sogliono mutare la pelle come tutti i rettili, ma con più 
frequenza che non quelli degli altri tre ordini. La spoglia 
è una membrana mucosa, e sembra non possa staccarsi 
dall’animale che allorquando è desso immerso nell’ acqua. 
Questa muta vedesi verificarsi più o meno frequentemente 
secondo che l’animale fu tenuto più o meno lungo tempo 
nell'acqua pura od alterata, o fu esposto all’ aria. L’ epi- 
dermide si stacca in un solo pezzo che rappresenta la. fi- 
gura precisa dell’ animale e che lo segue come uno spettro 
in tutti i suoi movimenti, ma sempre in senso opposto, 
poichè questa pelle si stacca principiando dai margini delle 
mascelle e rinversandosi sul corpo rimane per ultimo at- 
taccata alla estremità delle gambe posteriori negli Anuri, 
ed all’ estremità della coda negli Urodeli. Questa curiosa 
muta può facilmente ottenersi mantenendo anche per soli 
pochi giorni in acqua pura alcuni Tritoni 0 Bombina- 
tori; e si vedrà anche con quanta avidità l’ animale stes- 
so od altri di quelli con lui conviventi divorino la spo- 
glia. Ho osservato ripetersi tanto più frequentemente tale 
muta quanto più frequentemente si cangia l acqua del 
vaso e quanto più questa è fresca. Con un poco di pratica 
sì riesce poi facilmente a distendere sopra un pezzo di 
carta la spoglia abbandonata, come si avrebbero le alghe; 
soltanto devesi levare molto adagio la carta dall’ acqua, o 
meglio ancora levare l’ acqua a poco a poco dopochéè si è 
riescito a rendere aderente e distesa la spoglia alla carta 
stessa, poichè in caso diverso non si avrebbe che una 
pallottola di materia mucosa. Io sono riuscito a prepararne 
parecchie, e le conservo nel mio Museo quali curiose e 
fedelissime ombre dell’ animale che le abbandonò. 


ERPETOLOGIA 273 


La facilità colla quale possono essere tenuti vivi i Tri- 
toni ha non poco giovato a studiarne accuratamente le 
abitudini, ed a seguirne lo sviluppo e le notevoli diffe- 
renze delle forme nelle varie epoche della loro vita, se- 
condo le quali viene modificata tanto l’ interna che |’ ester- 
na loro organizzazione. 

Gli Anuri favoriti dalla speciale conformazione delle gam- 
be posteriori si avanzano a salti, potendo alcuni slanciarsi 
anche a non piccole distanze. Questa conformazione riesce 
loro utilissima nel nuoto, che eseguiscono con movimenti 
ammirabili e tali da somigliare all’ uomo per la struttura 
e moto delle gambe e delle coscie. Il camminare riesce 
invece penoso e lento nelle specie a gambe posteriori molto 
lunghe; nelle altre le membra posteriori impediscono meno 
il cammino, e noi vediamo p. es. nei rospi, che sono ani- 
mali notturni, una rapidità che certamente non sì suppor- 
rebbe in essi quando escono di giorno. Alcune specie hanno 
la facoltà di arrampicarsi, di attaccarsi od aderire ai corpi 
solidi, in modo da potersi sostenere e giungere ad eleva- 
zioni non piccole. La HMyla viridis ci presenta al più alto 
grado tale proprietà, tenendosi persino sospesa col ventre 
in alto sotto la faccia inferiore delle foglie degli alberi an- 
che le più liscie; proprietà che trova facile spiegazione 
nella forma e struttura delle sue dita. 

Negli Urodeli il cammino è sempre lento; la brevità 
delle gambe rende loro impossibile di progredire con qual- 
che agilità e di sollevarsi molto dal suolo, per eui la loro 
progressione è sinuosa e il corpo procede strisciando sulla 
terra. Nell’ acqua nuotano all’ incontro con molta agilità, 
specialmente i Tritoni favoriti dalla forma compressa della 
loro coda. 

18 


274 BETTA 


Tutti i Batraci quando sieno giunti al perfetto. svi- 
luppo nutronsi unicamente di sostanze animali, come di 
molluschi, di insetti e loro larve, di piccoli crostacei e 
di annellidi. Sdegnano qualsiasi preda che non sia viva e 
che non si mova. Avendo mascelle deboli e poco svilup- 
pate, e non essendo i denti, quando ne esistono, atti me- 
nomamente alla masticazione, la preda deve essere ingojata 
tutta intiera. In genere sono assai voraci, e particolarmente» 
i Tritoni li quali arrivano a divorare individui benanco 
della propria specie; Duméril ne fu testimonio oculare; ed 
io ne ho veduto alcuni divorarsi le uova che avevano de- 
poste al fondo di un vaso. nel quale li custodiva per le mie 
osservazioni. La preda viene presa in diverso modo secondo 
che la lingua è suscettibile o meno d’essere spinta fuor dalla 
bocca; nel qual secondo caso la presa degli alimenti si ef- 
fettua direttamente coll’ajuto della mascella. Benchè man- 
chino glandule salivali in questi animali, vedesi però ab- 
bondare attorno alla preda un umore vischioso destinato a 
lubricarne la superficie, e sembra che questa bava esca da 
numerose cripte. La deglutizione succede sollecitamente. 

I Batraci passano l’ inverno a qualche profondità sotto 
terra, e ne escono in primavera. Godono della facoltà di 
attirare e respingere a volontà |’ aria atmosferica, e gli 
Anuri anche quella di esprimere con una voce le loro pas- 
sioni, i loro bisogni, i loro timori. A tal uopo natura li ha 
provveduti di particolari istromenti situati all’ orifizio o 
vicino ai canali che servono per la respirazione polmonare, 
col mezzo dei quali producono varj suoni cacciandovi l'aria 
espulsa rapidamente dalla cavità della bocca. Questi stessi 
stromenti si ristringono e sì dilatano formando una specie 
di gozzo, come nella #y/a; in altri sono vesciche che sor- 


ERPETOLOGIA 275 


tono dalle parti laterali della bocca verso la commessura 
delle mascelle, come nella Rana esculenta. In generale la 
voce dei Batraci consiste in una continuata e monotoma 
ripetizione degli stessi suoni, prodotti con maggiore o mi- 
nore frequenza e forza; per lo più gracidano, ma anche 
questo gracidare differisce molto secondo le specie. Alcuni 
Rospi fanno invece sentire un suono ben diverso, imi- 
tando in certo modo il grido di qualche uccello, come del- 
l’Alocco o dell’ Upupa con una specie di zuffolo interno, 
sordo, rauco e strillante. È però per lo più nella stagione 
degli amori che i maschi fanno intendere queste voci, le 
quali ognuno sa quanto riescano incomode e fastidiose se 
prolungate e notturne. 

Anche nell’ ordine dei Batraci troviamo segnate alcune 
anomalie di organizzazione, e fra esse indichiamo le due 
descritte e figurate da Siebold (*); l’una di un Tritone che 
ha biforcato il quarto dito del piede posteriore sinistro ed 
il terzo del piede destro; l’altra di un Tritone in cui ve- 
donsi rudimenti di due dita sopranumerarie sporgenti dal 
ginocchio. Io pure raccolsi presso Verona un Triton cri- 
status col secondo dito del piede destro biforcato. 

Non lascieremo queste generalità sui Batraci senza far 
parola di una credenza, o dirò meglio di un pregiudizio 
radicato nella mente del volgo non meno, che di persone 
anche dotte, e diffuso benanco dalle relazioni di non pochi 
giornali e corrispondenze di Società scientifiche. Vuoi dire 
della pretesa pioggia di rane e di rospi. 

Quasi tutti gli anni verso il finire del mese di Agosto, 
se dopo una gran siccità sorviene una pioggia tempora- 


(*) Observationes quaedam de Salamandris et Trilonibus. Disserta- 
tio. Berolini 1828. 


276 BETTA 


hi 


lesca, non è raro il caso di vedere ad un tratto sulla ter- 
ra, in certi luoghi, una enorme quantità di piccole rane o 
di piccoli rospi che saltellano a migliaja e coprono esten- 
sioni vaste di terreno. Molti hanno veduto tal fatto, ma 
ben pochi lo osservarono come si doveva. Intanto non man- 
cano di quelli che narrano d’aver essi stessi veduto ca- 
dere questi animali colla pioggia, e dall'alto; non mancano 
persone che per spiegare tale comparsa suppongono che le 
rane ed i rospi sieno stati sollevati da una tromba meteo- 
rica o da una colonna d’ acqua alzatasi nell’ atmosfera a 
grande altezza, e che così trasportati siano poi caduti sulla 
terra assieme alla pioggia. Eranvi persino alcuni ignoranti 
che credevano fossero i goccioloni della pioggia stessa che 
al toecare il terreno e la polvere si cangiassero in tante 
rane, in tanti rospi.!! 

Per sorprendente che possa sembrare il fatto della su- 
bitanea comparsa di questi animali in uno sterminato nu- 
mero di individui, in luoghi ove un istante prima non se 
ne vedeva neppur uno, è però facilmente spiegabile ove si 
consideri la situazione nella quale si verifica, e l'epoca con- 
temporanea allo stesso sviluppo delle rane e dei rospi. La 
comparsa non successe mai infatti che su terreni argillosi, 
ed al cadere d’ una pioggia temporalesca che viene a ba- 
gnarli dopo una assai lunga siccità della state. Egli è poi 
nel mese di Agosto precisamente che le giovani rane ed i 
rospetti, avendo compiuta la loro metamorfosi, abbandona- 
no le pozzanghere e le paludi, e disperdendosi e vagarido 
pei campi e pei prati cercano rifugio dall’ azione dei raggi 
del sole e dal calore dell’ atmosfera ricoverandosi sotto alle 
pietre, sotto ai cespugli, e nelle profonde screpolature che 
presentano i terreni forti dopo una lunga siccità. Colà re- 
stano allora fino a che una pioggia ristoratrice non venga 


ERPETOLOGIA 277 


ad inumidire il terreno ed a ridonare all’ atmosfera la con- 
dizione indispensabile alla loro vita. Per esseri squisita- 
mente elettrici ed igrometrici quali le rane ed i rospi, ba- 
sta solo che di poca umidità s’ impregni l’ aria, ed eccoli 
quindi già ai primi e rari goccioloni d’ acqua che prece- 
dono la dirotta pioggia, sbucare a migliaja dai loro nascon- 
digli, e saltare, e spandersi sul terreno dopo un così lungo 
e certamente penoso ritiro. 

Non farà poi maraviglia che in così gran numero ap- 
pariscano, quando si saprà quanto sia prodigiosa la fecon- 
dità delle femmine di tutte le rane e di molti rospi cia- 
scuna delle quali depone ad ogni parto da seicento a mille, 
e fino mille e cinquecento uova. 

Il voler dare diversa spiegazione, oltrecchè sarebbe con- 
trario alle osservazioni dei più dotti ed al fatto, incontre- 
rebbe ‘ora senza dubbio il ridicolo ed urterebbe il buon 
senso di chi sa ragionare e riflettere. A convincere ancora 
più del suo errore chi volesse tuttora credere alla pioggia 
di Batraci, non troverei più opportune ed adatte parole che 
riportando quelle stesse colle quali il ch. Prof. Gené in una 
delle sue erudite lezioni, toccando appunto tale questione 
elegantemente scriveva : (*) « Innanzi tutto se le piccole 
rane e ì piccoli rospi venissero dalle nubi non è egli vero 
che, cadendo pel proprie peso con moto uniformemente 
accelerato, dovrebbero sfracellarsi contro il suolo, o per lo 
meno ammacarvisi e rimanervi per qualche istante storditi? 
Dirò di più: non è egli vero, che se fossero travolti a tanta 
altezza da una tromba meteorica, trasportati co’ subi vortici 
per gli ampi spazii dell’amosfera e quindi abbandonati alla 
propria gravità, dovrebbero giungere a terra, se non morti 


(*) Storia naturale degli animali. Vol. il. pag. 453. 


278 BETTA 


almeno asfitici? Or bene, che accade di questi animaletti 
nell'istante della supposta loro caduta dal cielo? Per confes- . 
sione di coloro stessi, cui si rivolgono le mie parole, code- 
sti animaletti saltellano giojosamente sul terreno, senza om- 
bra di storpiatura o di stordimento. Questa considerazione 
semplicissima, e che nondimeno non è mai stata fatta da 
alcun scrittore prima di me, vale da se sola più di tutte 
quelle che con grande dottrina furono messe innanzi dal 
Redi, dal Vallisnieri e dal Duméril per provare la impos- 
sibilità che quei batracii piombino dal cielo. Riflettasi all’im- 
peto con cui rimbalzano sul suolo e sovente si spezzano i 
grani della grandine, e si avrà una misura di ciò che do- 
vrebbe accadere, se non di tutte, almeno di quasi tutte le 
rane ed i rospi, che ci venissero per le medesime vie. Per 
altra parte, se quelle piccole rane e quei piccoli rospi ve- 
nissero, per così dire, assorbiti da trombe meteorîthe in 
riva alle paludi, e poscia travolti pei campi dell’ atmosfera, 
non dovrebbero essi avere per compagni di quella strana 
sciagura i pesci, le salamandre, le lucerte, i serpenti e tanti 
altri animali che abitano con essi i medesimi siti, non do- 
vrebbero segnatamente aver per compagni i loro genitori? 
Forse che le trombe meteoriche hanno occhi e sentimenti 
per far scelta di prede? Forse che i loro vortici che schian- 
tano e rapiscono gli alberi secolari ed i tetti delle case, non 
saprebbero ‘sollevare in alto, come le giovani rane, così 
anche le adulte?» 

E dopo ciò crederei superflua ogni altra parola ch’ io 
volessi soggiungere, se tanto chiaramente riesce confutata 
la possibilità e la eredenza di tali pioggie di rane e di rospi. 


ERPETOLOGIA 279 


Ao BATRACI ANURI. 
Gen HYLA LAURENTI. 


G&G — | HYLA VIRIDIS 


Laurenti. 


Ital. Raganella arborea, Ranocchiella comune, Ila. 
Ven. Racola, racoleta, ranéla, racula, baracule, barascule. 
Tirol. Rana de S. Giovann 0 de S. Duane, rana de S. Martin, 


CARATTERI, 


Capo triangolare, largo quanto il tronco. Cute affatto liscia al di 
sopra, granellosa e regolarmente sagrinala al di sotto. 

Corpo di un bel verde chiaro, uniforme, contornato da linea. gialla 
a merletto. Una striscia nerastra orlata di bianco va dall'angolo posteriore 
dell’ occhio fino quasi alle coscie. Tutto il di sotto bianco perfetto, o 


bianco-giallastro. 


x 


SINONIMIA. 


Rana arborea Linn. Syst. Nat. p. 357. n. 46. 

- — Linn. Fauna Suec. p. 180. 

= —  7ulff Ichthyol. p. 9. n. 15. 

— —  Aoesel Hist. ran. p. 57. tab. 9-14. 
—_ —  Gmel. Syst. Nat. p. 1054. (excl. var.) 
_ — Sturm Deutschl. Fauna IIIL 4. 

= —  Aetz Fauna Sueec. p. 286. sp. 9. 

= —  Latr. Hist. Salam. p. 38. 

— — Shaw Zool. III. p. 150. 


280 BETTA 


Hyla viridis Laur. Syn. Rept. p. 33. sp. 26. var. a. 

= —  Latr. Hist. Rept. II. p. 169. f. 4. 

— —  Daud. Hist. Rept. VIII p. 25. 

_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 63. n. B. 

— — Sturm Deutschl, Fauna III. d. 6. p. 44. 

— —  Gravenh. Delice. Mus. Vratislav. p. 25. 

— — Eichw. Zool. Ross. III. p. 166. 

_ —  Bonap. Fauna ital. cum fab. 

_ — Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 581. 

_ — Betta Rett. Tirol. p. 187. 

_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 23. 

—_ —  Massal. Saggio p. 46. 

Calamita arboreus Schneid. Hist. Amph. I. p. 1583. 
— —  Merr. Syst. Amph. p. 4170. n. 9. 

Calamita arborea Risso Hist. nat. III. p. 92. sp. 29. 

Hyla arborea Eryn. Observat. p. 67. 

— —  Schinz Fauna Helvet. p. 144. 

— .— Catullo Geogn. Venet. p. 175. 

Hyas arborea Wagl. Syst. Amph. p. 201. 

Dendrohyas arborea Tschudi Classif. Batrach. p. 74. 

Dendrohyas vîridis Fitz. Syst. Rept. p. 30. 


FORME. 


Capo trigono, breve, largo quanto il tronco, ristretto 
soltanto nel muso mediocremente rotondato; occhi grandi, 
protuberanti, con iride dorata; timpano circolare, grande 
poco meno della metà dell’ orbita; squarcio della bocca 
che arriva fino oltre la metà del timpano; tronco quasi 
conico, larghissimo verso il capo, posteriormente ristretto, 
convesso sul dorso, piano sotto il ventre. Piedi anteriori 
brevi e grossi; la loro lunghezza uguaglia quella del tron- 
co; libere affatto le dita. Piedi posteriori lunghissimi e sot- 


ERPETOLOGIA 284 


tili, colle cinque dita semipalmate alla base. Il diametro 
del disco piano da cui sono terminate tutte le dita, è presso 
a poco eguale a quello del timpano. 

La pelle è perfettamente liscia al di sopra, granellosa 
e regolarmente sagrinata al di sotto. 


COLORITO. 


Il colore di questa leggiadra specie è superiormente di 
un verde molto vivace contornato da una linea gialla a 
merletto nascente agli occhi, prolungata sui fianchi, disposta 
ad angolo sinuoso verso i lombi, e terminante sulla estrc- 
mità esterna delle tibie posteriori; un’ altra linea gialla 
orla il labbro superiore e viene lungo i lati esterni delle 
gambe anteriori: l’ una e l’ altra linea è marginata di 
oscuro. Una striscia nerastra orlata di bianco parte dal- 
l'angolo posteriore dell'occhio, e passando sul timpano va 
quasi fino alle coscie, ove giunge però assai dilavata. Le 
dita dei piedi sono alquanto rosseggianti. Tutto il di sotto 
del corpo e delle zampe è di un bianco perfetto, 0' con 
maggiore o minore tendenza al bianco-giallastro. I margini 
deil’ orifizio anale sono neri, punteggiati di bianco. 

Il color verde del corpo varia però grandemente negli 
individui secondo l’ età, il sesso e la stagione. In alcuni 
tende al giallastro, in altri al rossastro, e qualche volta si 
fa anche turchino. Nello spirito di vino il verde si altera 
sensibilmente e le linee gialle diventano bianche. 


DIMENSIONI. 


Il corpo è lungo da 4% a 5 centimetri, compresa la 
testa che ne occupa uno e mezzo circa. Le gambe ante- 


LI 


282 BETTA 


riori sono poco più di centim. 254, e le posteriori quasi 
di 7. La maggior larghezza ai fianchi è di centim. 8. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Non v’ha alcuno che non conosca questo graziosissimo 
animaletto, il più piccolo dei nostri Batraci anuri, sparso 
in tutto il Veneto e nel Tirolo e frequente anche sui 
monti a rilevanti elevazioni, cessando solo d’innoltrarsi là 
dove aridi e secchi si mostrano i luoghi. 

La Raganella si tiene sulle foglie delle erbe, degli ar- 
busti, e degli alberi non molto lungi dalle acque. Le polpe 
lenticolari delle dita sono provvedute di un organo aspi- 
rante col quale formano il vuoto nel punto che toccano, 
ed in tal modo, e coll’ ajuto altresì dell’ umore vischioso. 
che segrega dal corpo, si attacca fortemente ai rami ed 
alle foglie non solo, ma anche alla pagina inferiore di que- 
ste, ove anzi si sta ricoverata e difesa dai raggi solari nelle 
ore più calde del giorno. Nutresi di insetti che prende 
lanciandovisi sopra a gola aperta, ed anche a qualche passo 
di distanza. Innocente, e forse fiduciosa troppo nel colore 
del suo corpo che si confonde con quello delle foglie, la 
Raganella si lascia avvicinare senza fuggire, e riesce perciò 
facilissimo l’ impadronirsene. 

Nel tempo delle nozze si ritira nell’ acqua e là vi com- 
pie l’ opera della generazione; ciò che succede alla fine 
d’ Aprile od al principio di Maggio secondo la stagione. 
Giusta le osservazioni di Roesel e di Duméril non è che 
all’ età di quattro anni che può generare, e non prima di 
tale epoca spiegasi in essa la voce. I due sessi rimangono 
accoppiati da due a tre giorni, e le uova che vengono de- 
poste sono riunite a coroncina come quelle delle rane. Sul 


ERPETOLOGIA 288 


dodicesimo giorno il girino è già ben formato, e sul sedi- 
cesimo o decimosettimo le branchie esterne sono sparite, e 
la testa si confonde col ventre. Fra il ventesimo ed il vi- 
gesimonono giorno si scorgono i rudimenti delle gambe 
posteriori, e sul sessagesimoquinto 1’ animale è perfetto e 
può vivere fuori dell’ acqua. 

Il grido della Raganella è ben diverso dal gracidare del- 
le rane; è meno aspro e talvolta più forte, particolarmente 
nei maschi i quali hanno sotto la gola un sacco che in 
quel momento si gonfia come vescica. Si può paragonare 
alle sillabe carac - carac pronunciate gutturalmente e con 
sollecitudine. Tale monotoma cantilena si sente special- 
mente quando il tempo si dispone alla pioggia, quando 
piove, e nelle belle notti di primavera e di estate. Spesso 
allora di sera e mattina trovansi le raganelle riunite sulla 
cima degli alberi, per fare un coro colla loro rauca e di- 
scordante voce. Nell’ epoca degli amori è assai più forte e 
prolungata, e sentesi a non piccole distanze. 

La sensibilità barometrica di questo animaletto vien 
posta a partito dai ragazzi per avere un indizio dei can- 
giamenti di tempo. Ed a ben pochi sarà mancata l’ occa- 
sione di osservare come, poste alcune raganelle in un vaso 
pieno a metà d’acqua, con entro una scaletta di legno, 
salgano su di essa più o meno, o si ritirino al fondo se- 
condo che il tempo è bello o si disponga alla pioggia. 

D’ inverno si tuffa al fondo delle acque ove intorpidi- 
sce per tutta la cattiva stagione, non sortendone che al 
principio di primavera. 


284 ‘CC BETTA 
OSSERVAZIONE. 


L’ Hyla viridis è la sola specie europea del genere. È 
sparsa in tutta l’ Europa, meno che nelle isole Britanniche 
ove manca totalmente. Trovasi pure al Giappone e su 
tutta la costa mediterranea dell’ Africa. I 

Duméril e Bibron notano anche il bruno fra i colori 
che tingono il dorso di questa specie. lo possiedo infatti 
una Zyla della Sardegna colla parte superiore del corpo 
di color brunastro carico uniforme, che mi venne comu- 
nicata sotto il nome di Dendrohyas sarda Bonelli :("), forse 
la stessa varietà di cui parla il Principe di Canino nella 
sua Fauna Italica. Oltre la differenza del suo colorito e di 
una statura alquanto minore, niun’ altra però io rinvengo 
che valga a giustificare una separazione specifica dalla co- 
mune Zyla viridis, della quale è ad aversi per sola varietà 
di colorazione; varietà che mancherebbe fino ad ora alle 
nostre provincie. 


(*) Betta, Cat. syst. Rept. p. 24. 


ERPETOLOGIA 285 


Gen. RANA LINN. (EMEND.). 


4I7—LI RANA ESCULENTA 


Linn. 


fial. Rana o ranocchia verde, 
Ven. Rana, rane. 
Tirol. Rana. 


CARATTERI. 


Capo triangolare tanto largo che lungo, col muso molto acuto. Cute 
levigata, sparsa di piccoli tubercoli specialmente sul dorso e sui fianchi. 

Corpo di color verde d'erba con varie macchie merastre. Due striscie 
nere che dall’ angolo dell occhio passano sulle narici e si uniscono ad 
angolo sull’apice del muso. Una fascia gialla longitudinale sul dorso, 
per lo più fiancheggiata da due altre dello stesso colore, ma qualche 
volta anche mancante. Tutto il di sotto d'un color bianco latte. 


SINONIMIA. 


Rana esculenta Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 242. 
—_ —  Wulff Ichthyol. p. 9. 
_ —  Laur. Syn. Rept. p. sl. 
_ —  Gmel. Syst. Nat. IL p. 1053. 
_ —  Razoum. Hist. Jorat p. 101. 
— — Sturm Deutschl. Fauna II. 4. 
—_ —  Schneid. Hist. Amph. TI. p. 1458. 
i — — ARetz. Fauna Suec. p. 286. n. 8. 
—_ —  Latr. Hist. Salam. p. 38. 
- —  Latr. Hist. Rept. II. p. 148. 
_ —  Daud. Hist. Rain. p. 46. tab. 418. f. 4. 


286 BETTA 


Rana esculenta Daud. Hist. Rept. VIII. p. 90. 
— — Shaw Zool. II p. 403. t. 54. 
—_ —  Merr. Syst. Amph. p. 476. n. 01. 
— — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 64. 
— —  Wagl. Syst. Amph. p. 203. 
ni —  Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 36. 
= —  ZBonap. Fauna Ital. cum tab. 
— —  Schinz Fauna Helvet. p. 145. 
_ —  Tschudî Classif. Batrach. p. 79. 
— — Betta Rett. Tirol. p. 157. 
= — Betta Cat. syst. Rept. p. 24. 
— —  Massal. Saggio p. 47. 
Rana vulgaris Bonnat Encycl. méthod. Erpét. p. 2. 
Rana marittima Risso Hist. nat. III. p. 92. 
— — Bonap. Fauna ital. 
Rana alpina Risso Hist. nat. III. p. 93. 
— — Zonap.Fauna(înartic.R.esculentae, non in tab.) 
Rana viridis Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 343. 


FORME. 


Capo triangolare, tanto largo che lungo, col muso no- 
tabilmente acuto: occhi sporgenti con iride giallo-dorata ; 
timpano circolare, grande quanto l’ apertura dell’ occhio; 
la bocca molto fessa. Tronco allungato, con una piega ri- 
levata nei lati; dorso leggermente scannellato nel mezzo in 
senso longitudinale; fianchi compressi; due rilievi poco 
pronunziati veggonsi a circa due terzi del dorso. Piedi an- 
teriori brevi, con dita libere; piedi posteriori lunghi con 
dita palmate fino all’ ultima articolazione. 

La pelle è levigata, ma sparsa di piccoli tubercoli spe- 
cialmente sul dorso e sui fianchi; alquanto granellosa sul 
ventre e sulle coscie, lubrica dapertutto. 


ERPETOLOGIA 287 


COLORITO: 


La colorazione in questa specie subisce varie modifica- 
zioni, che sembrano però soltanto dipendere dall’ età o 
dalla diversità di abitazione. Generalmente tutto il di so- 
pra è di color verde d’ erba, ma cangiante più o meno in 
oscuro secondo gli individui. Macchie irregolari nella for- 
ma e nel numero, di color verde-nero od anche bruna- 
stro, vedonsi sparse su tutto il corpo; quelle del dorso sono 
più grandi e qualche volta dispongonsi a fascie. Due stri- 
scie nere partono dall’ angolo dell’ occhio, passano sulle 
narici, e vengono ad unirsi ad angolo sull’ apice del muso. 
Una bellissima striscia d’ un giallo dorato, retta, assai di 
rado ondeggiante, corre sulla metà del dorso. Per lo più 
due altre fascie dello stesso colore si stendono una per 
lato, e riescono poi assai più spiccate se le macchie nere 
dei fianchi sì dispongono a fascia longitudinale orlando il 
lembo esterno di cadauna di esse. Le macchie sulle coscie 
e sulle gambe posteriori ne fasciano ‘regolarmente e sim- 
metricamente la superficie, alternandosi col colore del fon- 
do. Qualche volta le tre fascie gialle del dorso mancano 
affatto, e talvolta le coscie e le natiche si tingono di giallo. 
Tutto il di sotto del corpo è di un color bianco-latte o 
bianco-pagliarino. i 

Delle varietà di colorito più frequenti fra noi si pos- 
sono quindi distinguere le seguenti: 


var. A. — Corpo di color verde d'erba, sparso di macchie 
irregolari nere, o brunastre, od olivacee, con tre li- 
nee o fascie dorsali longitudinali di un bel giallo do- 
rato. Tutto il di sotto del corpo bianco o pagliarino. 


288 BETTA 


var. B. — Come la precedente, ma con una sola fascia 
gialla nel mezzo del dorso. 
var. C. — Pure come le precedenti, ma priva delle linee 


dorsali, e con macchie nereggianti alquanto più 
estese e numerose. 

var. D. — Colle fascie e colle macchie come nelle var. A. 
e B., ma col dorso di color verde grigiastro, od 
anche bruno più o meno carico. 

var. E. — Col dorso di color verde, con macchie irregolari 
nerastre o nere, con fianchi e col di sotto dei piedi 
tinti di roseo-carnicino. 


DIMENSIONI. 


Ordinariamente la lunghezza del tronco è dai 6 agli 8 
centimetri, dei quali la testa occupa 2% circa. Le gambe 
anteriori sono lunghe centim. 4% a 5; le posteriori arri- 
vano fino a 410 e 42 centim. La maggior larghezza dei 
fianchi è da centimetri 3% a 47. La femmina è sempre 
più grande del maschio. 

Nel Padovano la specie raggiunge anche assai maggiori 
dimensioni, vedendosene individui il cui tronco tocca ì 9 
ed anche i 40 centimetri. Le rane più grosse e di grandezza 
veramente straordinaria si raccolgono all’ estremo confine 
del Veneto fra le bocche del Po. Vengono conservate a 
lungo fra la sabbia da quelli che ne fanno commercio. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 
Comune ed abbondante in tutte le provincie Venete, 


dove forma anzi per qualche località un ramo speciale di 
commercio, trovasi pure comune nel Tirolo fuorchè nelle 


ERPETOLOGIA 289 


parti molto elevate dove si fa rarissima, o lascia anche 
esclusivamente il posto alla Rana temporaria. 

Specie essenzialmente acquatica, abita indistintamente 
le acque tranquille e le correnti; frequenta il margine dei 
fiumi, dei laghi, dei ruscelli, degli stagni, dei fossi, delle 
paludi, e persino delle pozzanghere; ed è pronta ad accor- 
rere in gran numero in qualunque luogo ove l’acqua an- 
che per breve tempo si raccolga e ristagni. Preferisce non- 
dimeno i luoghi erbosi, ove ama esporsi ai raggi del sole. 
All’ avvicinarsi di qualcuno od al più piccolo rumore si 
slancia nell’ acqua descrivendo forti parabole, e si appro- 
fonda fra le erbe palustri e nella melma, restandovi poi 
nascosta fino a che ritenga cessato il pericolo. Si nutre di 
insetti, di piccoli molluschi acquatici, di larve, di vermi, 
sempre che diano segni di moto e di vita, e rifiuta per 
cibo qualunque animale morto. Gettasi sulla preda con 
molta rapidità, e se ne impadronisce spingendo fuori la 
lingua, ed invischiando quella col fluido che ricopre tale 
organo. Posata a terra, la rana tiene la testa alta, ed allora 
le sue gambe deretane sono ripiegate due volte sopra sè 
stesse. Il suo passo consiste in una serie di piccoli e re- 
plicati salti. Nell’ acqua nuota assai bene. Quando si pren- 
de per le membra posteriori, il suo tronco si erige e si 
piega alternativamente e con molta rapidità, ed è tale la 
forza dei suoi movimenti, che facilitata benanco dalla ma- 
teria viscida della pelle, riesce ben presto a fuggire dalla 
mano che la stringe. 

I} gracidare del maschio è assai più forte, aspro e no- 
joso ; e questi suoni vengono prodotti dall’ aria che spinge 
e vibra nei due sacchi che ha nelle parti laterali del collo, 
agli angoli della bocca. La femmina sprovvista di tali ve- 
sciche fa soltanto udire un leggiero suono prodotto dal 

19 


290 BETTA * 
gonfiamento della gola. Î maschi gracidano tanto di notte 
che di giorno, e rispondendosi gli uni agli altri quasi senza 
riposo recano non piccolo fastidio con tale nenia. 

I sessi si accoppiano nei primi giorni della primavera, 
e l’accoppiamento succede nell’ acqua, durando per molti 
giorni. Il maschio posto sul dorso della femmina, cui strin- 
ge il ventre colle zampe anteriori, non |’ abbandona che 
compito e fecondato il parto, e durante queste strette amo- 
rose vedonsi molto ingrossati e callosi i suoi pollici an- 
teriori. 

Le uova, in numero d’ oltre mille, sono legate a coron- 
cina da un umore vischioso, ed aderiscono alle piante 
palustri. Il nostro italiano D." Rusconi ha pazientemente 
osservati e seguiti i più minuti cangiamenti nello sviluppo 
dei germi e dei girini della rana fino allo stato perfetto 
dell’ animale, e ce ne lasciò figurati diligentemente tutti 
li stadii nelle belle tavole che accompagnano l’ opera sua 
Developpement de la Grenouille commune. 

Quando l atmosfera si raffredda e si avvicina la cattiva 
stagione, le rane si internano nel fango delle acque pro- 
fonde, e vi stanno intorpidite fino ai primi giorni di pri- 
mavera. 

Cibo dolce e leggiero, viene condita la rana in mille 
guise, e la medicina ha saputo ritrarne profitto nella pre- 
parazione di brodi rinfrescanti e dolcificanti, che vengono 
somministrati specialmente nelle malattie di petto. 

Anticamente l’ uso della carne in medicina aveva toc- 
cato 1’ apice del ridicolo. Timoteo faceva applicare sera e 
mattina ranocchie aperte sui reni degli idropici, onde trar 
fuori la seriosità sparsa nel loro addome. Dioscoride am- 
metteva che la carne di ranocchia cotta con olio e sale 
fosse l’ antidoto del veleno dei serpenti. Il fegato di ra- 


ERPETOLOGIA 294 


nocchia preparato con modi speciali era stato raccoman- 
dato contro l’ epilessia. Chi non iscorge però in ‘queste e 
tant’ altre consimili assurdità gli effetti dell’ ignoranza di 
quei tempi? 


OSSERVAZIONE. 


Ho collocato nella Sinonimia della specie la Rana ma- 
ritima e la R. alpina di Risso perchè in fatto in null’ altro 
si fanno distinguere che per una semplice modificazione di 
colorito, come la pensano pure Duméril e Bibron. Qualche 
autore ha collocata la seconda fra i sinonimi della f. tem- 
poraria, ma non le spetta sicuramente tal posto quando sol- 
tanto si legga la frase e la descrizione che il Risso diede 
di quella sua specie. 

È poi a torto che Duméril e Bibron citano nella Sino- 
nimia della Rana esculenta la Rana alpina figurata nelle 
tavole della Fauna Italica, che non è la vera specie di 
Risso ma bensì quella dei recenti autori, e la quale non 
può figurare diversamente che come varietà della tempo- 


raria. 


292 BETTA 


148— IL RANA TEMPORARIA 


Linn, 


Ital. Rana o ranocchia rossa, Rana muta. 
Ven. Rana, saltarela, saltafossi, pissacan, rana pissota, saltaro, 
pissargott, crott. 


Tirol. Rana, rana rossa, rana de pra, rana de suto. 
CARATTERI. 


Capo triangolare, ottuso, più largo che lungo. Cute liscia con qual- 
che tubercolo sul dorso; la parte tra l'addome e le coscie alquanto gra- 
nulosa. 

Corpo di color rossastro più o meno vivo, o più o meno tendente 
al brunastro, talvolta uniforme, talvolta sparso di macchie nere. Due 
striscie nere che dall'occhio vanno alla sommità del muso. Una gran 
macchia costante nera o bruno-carica sulla parte laterale della testa 
compresa fra l'occhio e le spalle. Tutto il di sotto giallastro. 


SINONIMIA. 


Rana temporaria Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 213: ed. XII. p. 357. 
— — Wulff Ichthyol. p. 8. 

_ _ Gmel. Syst. Nat. I. p. 1033. 

_ —_ Bonnat. Eneycl. method. p. 3. t. 2. f. 2. 
_ -- Sturm Deutschl. Fauna II. 4. 

—_ _ Schneid. Hist. Amph. I. p. 113. 

_ -_ Retz Fauna Suec. p. 285. 

—_ _ Latr. Hist. Rept. II. p. 150. 

—_ —_ Daud. Hist. Rain. p. 16. t. 15. f. 2. 

—_ — Daud. Hist.Rept. VIII. p. 94. 

-_ - Shaw Zool. III p. 97. t. 29. 

_ _ Merr. Syst. Amph. p. 175. sp. 8. 


ERPETOLOGIA 293 


Rana temporaria Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 64. 

_ — Risso Hist. nat. II. p. 95. 

ss —_ Wagl. Syst. Amph. p. 203. 

= _ Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 56. 
= — Kryn. Observat. p. 66. 

— — Bonap. Fauna ital. cum fab. 

È —_ Schinz Fauna Helvet. p. 145. 

- _ Tschudi Classif. Batrach. p. 79. 
—_ _ Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 358. 
ca mi Betta Rett. Tirol. p. 188. 

— — Betta Cat. syst. Rept. p. 24. 

= _ Massal. Saggio p. 49. 

Rana muta Laur. Syn. Rept. p. 30. 
Rana alpina Bonap. Fauna, tab. f. 3. 

— —  Massal. Saggio p. 48. 


FORME. 


Cape triangolare, piuttosto ottuso, più largo che lungo, 
ad angoli laterali più distinti di quelli della esculenta; oc- 
chi sporgenti, pupilla nera con iride dorata; timpano gran- 
de quanto la metà o poco più dell’ occhio; bocca molto 
fessa. Lo spazio interoculare piano e proteso quanto la 
palpebra superiore. Tronco allungato, percorso in ambi i 
lati da un rilievo longitudinale che dalla estremità del 
muso, passando per le palpebre superiori, corre fino al- 
l’ano. Due gibbosità sorgono dietro il mezzo del dorso, 
che nel resto è piano. Fianchi compressi. Piedi anteriori 
brevi con dita libere. Piedi posteriori lunghi con dita pal- 
mate fino all’ ultima articolazione; il quarto è assai più 
lungo di quello che lo sia nella esculenta, eccedendo d’ un 
terzo, e non di un quarto soltanto, il terzo ed il quinto dito. 

La pelle è liscia con qualche piccolo tubercolo sul dorso; 


LI 


la parte tra I’ addome e le coscie è alquanto granulosa. 


294 BETTA 


COLORITO. 


Un carattere distintivo e costante di colorazione in 
questa specie si è la grande macchia nera o bruno-carica 
che vedesi sulla parte laterale della testa, compresa fra 
l'occhio e la spalla; carattere al quale deve anzi il no- 
me di temporaria. Questa macchia di forma allungata, 
termina generalmente in punta dietro 1’ angolo della boc- 
ca. Il colore del dorso mostrasi d’ una tinta rossastra che 
passa dal rosso mattone fino al rossigno ed al nocciuola, 
talvolta uniforme, tal’ altra sparso di macchie o punti neri 
più o meno regolari e più o meno numerosi. Una striscia 
nerastra parte dall’ angolo anteriore dell’ occhio, e passando 
sulle narici va a terminare all'apice del muso. Le mascelle 
sono bianche o giallastre, orlate o macchiate di nero, o di 
bruno. Le gambe posteriori sono al di sopra quasi sempre 
fasciate simmetricamente di bruno, e rari sono gli indivi- 
dui che manchino di tali macchie. 

Il colore del dorso passa dal rosso cinereo e dal rosso 
mattone anche al bruno e persino al nerastro ( Rana alpina 
auctor.); e tali oscure tinte osservansi specialmente negli 
individui delle località montuose. Aleuni altri hanno il capo 
tinto di rosso-verdastro reticolato di bruno e di nero; e 
qualche raro individuo ha anche una tinta rossastra senza 
macchie, ma solo con alcuni pochi punti neri grandetti 
disposti con qualche regolarità sul dorso e sulle coscie, le 
quali sono prive delle striscie sopra avvertite. 

Tutto il di sotto del corpo è bianco-giallastro, solo 
qualche rara volta macchiettato di cenere, bruno o rossa- 
stro. A Gorgo, nel Padovano, raccogliesi invece frequente- 
mente una varietà ornata sempre sotto la gola di’ molte 


ERPETOLOGIA 295 


macchiette e punti neri assai riavvicinati, distesi su tutta 
la sua parte bianca. 

l giovani appena raggiunto il perfetto sviluppo hanno 
le stesse tinte degli adulti, però con maggiore tendenza ai 
colori carichi e con macchie anche più pronunciate. 


DIMENSIONI. 


Dai 7 agli 8 centimetri è la lunghezza ordinaria del 
suo tronco, compresa la testa che ne occupa due o poco 
più. Le gambe anteriori sono lunghe millimetri 38 a 43; 
le gambe posteriori da 10 ad 414 centimetri. Gli individui 
delle parti più elevate del Tirolo giungono fino alla lun- 
ghezza di centimetri 9, colla maggior larghezza ai fianchi 
di centim. 4% a 4%. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Questa comunissima ranocchia abita e preferisce i luo- 
ghi boschivi e montuosi, e durante la bella stagione ricerca 
i giardini ed i prati. Trovasi nei luoghi umidi, e molto 
frequentemente nei terreni vitati. Preferisce le acque chiare 
alle stagnanti, nelle quali però non si getta che per evi- 
tare pericoli. In generale la sua vita è terrestre, e sì ritira 
nell’ acqua solo per compiervi l’ opera della generazione 
e per ricoverarvisi, sprofondata ed intorpidita nel fango, 
durante la fredda stagione. Nutresi di insetti, di vermi e 
di piccoli molluschi. Il suo gracidare è piuttosto un suono 
muto, e da ciò alcuni autori la dissero muta. Ha la singo- 
lare proprietà di non far sentire la sua voce che quando 
sì trova in fondo all’ acqua, lo che è il contrario delle 
altre specie. Ha pure la facoltà di schizzare dall’ ano un 
liquore acre, molto più copioso di quello della esculenta. 


296 i BETTA 


I girini di questa specie compiono la loro metamorfosi 
in soli tre mesi; e quando abbandonano il nativo elemento 
si disperdono pei campi e pei prati. 

La carne della Ranocchia rossa può gareggiare in bontà 
con quella della esculenta. Nelle parti elevate del Tirolo è 
dessa anzi quasi esclusivamente la specie usata alla mensa, 
e le coscie sopratutto sono buone quanto quelle dell’ altra. 
Non può dirsi quindi che abbia carne duretta di polpa, 
men saporosa, e che sia cibo assai vile come pensa il 
Principe Bonaparte, ma d’ altro canto però non si potrebbe 
ripetere col Prof. Massalongo (*) che la sua carne sia mi- 
gliore di tutte le altre rane. 


OSSERVAZIONE. 


A questa specie va senza dubbio riferita la Rana alpina 
figurata dal Principe Bonaparte nella sua Fauna italica, sic- 
come vi appartiene pure la Rana alpina che il Prof. Massa- 
longo tenne distinta fra le specie del Veronese. Il carattere 
dei pollici anteriori assai ingrossati anche fuori dell’ epoca 
degli amori, carattere quasi l’ unico con cui la distingue, 
minime ed accidentali essendo le altre differenze di colo- 
razione, non è sempre costante. Nè potrà d’ altronde 
essere calcolato, quando si sappia che tale distintivo. dei 
maschi dura più a lungo nella temporaria, o per meglio 
dire si trova in essa anche fuori dell’ epoca ordinaria in cui 
seguono le nozze delle altre specie, perchè questa si accop- 
pia molto più tardi della esculenta, siccome più tardi depone 
quindi il parto. 


(*) Saggio, pag. 49. 


ERPETOLOGI1A 297 


Gen. BOMBINATOR WAGLER. 


49-L BOMBINATOR IGNEUS 


Merrem. 


Ital. Ululone. 
Ven. fosco, roschetto, budolo, muco, mucolo, cuco, mucc. 


Tirol. Rospo, rospo cucco, roschetto. 
CARATTERI. 


Capo rotondo col muso breve, largo ed: ottuso, Cute sparsa di dense 
ed irregolari verruche; quasi liscia al di sotto. 

Corpo di color olivastro terreo uniforme, o con piccole macchie ir- 
regolari nerastre. Tutto il di sotto d’un bellissimo arancio infuocato, 
pezzato o macchiato di color azzurro tendente al nerastro. 


SINONIMIA. 


Rana variegata Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 214. 

_ _ Wulff Iehthyol. p. 7. 

Rana bombina Linn. Syst. Nat. ed. XII. p. 355. 

= = Gmel. Syst. Nat. I. p. 1048. (excl. var.) 
— —  Bonnat. Encycl. method. p. 4. t. 2. f. 3. 
— - Razoum. Hist. Jorat p. 97. 

_ — Sturm Deutschl. Fauna III. 4. 

—_ —  Aetz. Fauna Suec. p. 284. 

— = Latr. Hist. Salam. p. 39. 

Bufo igneus Laur. Syn. Rept. p. 29. 

— — Zonnat, Eneyel. method. p. 153. t. 6. f. d. 6. 
— —  Schneîd. Hist. Amph. LL p. 187. 


298 BETTA 


Rana sonans Lacéep.-Quadr. ovip. I. p. 855. 

Bufo ignicolor Lacép. l. c. p. 595. 

Rana ignea Shaw Zool. INI. p. 116. t. 35. 

Bufo bombinus Latr. Hist. Rept. IT. p. 440. 

— _ Daud. Hist. Rain. p. 75. t. 36. 

— —_ Daud. Hist. Rept. VIII. p. 146. 455. 

— — Ambrosi Prosp. zool. p 291. 

Bufo bombina Schinz Fauna Helvet. p. 448. 

—_ —_ Catullo Geogn. Venet. p. 173. 

Bombinator igneus Merr. Syst. Amph. p. 4179. 
—_ — Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 68. 
_ —  Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 67. 
—_ —  Tschudi Classif. Batrach. p. 84. 
_ —  Zonap. Fauna Italica cum tab. 
—_ — Dum. Bibr. Erpétol. VII. p. 487. 
—_ — Betta Rett. Tirol. p. 188. 
— — Betta Cat. syst. Rept. p. 26. 
= —  Massal. Saggio p. 44. 

Bombina ignea Sturm Deutschl. Fauna III. 6. p. 35. 

Bombinator bombina Wagl. Syst. Amph. p. 206. 

Bombinator pachypus Bonap. Fauna ital. cum fig. 
— —  Massal. Saggio p. 48. 


FORME. 


Capo rotondo, quasi convesso; con muso corto, largo ed 
ottuso; occhi sporgenti, con pupilla triangolare nera ed 
iride dorata; timpano latente; bocca fessa al di là dell’ oc- 
chio. Tronco breve, toroso, col dorso convesso. Piedi ante- 
riori brevi, con dita libere e corte; piedi posteriori lunghi, 
con dita palmate da crassa e larga membrana. In generale 
la grossezza dei piedi è proporzionata a quella del corpo, ma 
qualche volta è tale da farli sembrare fortemente gonfiati. 


ERPETOLOGIA 299 


Tutta la cute è sparsa di dense ed irregolari verruche 
e bernoccoluta, e qualche volta anche scabra di punte. Il 
di sotto del corpo è quasi liscio. 


COLORITO. 


Basterebbe solo il carattere di colorazione proprio a 
questo Batracio per farlo distinguere prontamente da ogni 
altro. Ha tutto il di sopra del corpo di color olivastro ter- 
reo più o meno pallido ed uniforme, o con piccole mac- 
chie nerastre sparse qua e là irregolarmente sul dorso e 
sulle coscie. Tutte le parti inferiori sono di un bellissimo 
arancio fuocato, pezzato o macchiato di color azzurro ten- 
dente al nerastro. Ogni verruca è segnata alla sommità da 
uno 0 da più punti piccolissimi neri. 

I giovani hanno la pelle meno verrucosa, ed alquanto 
più chiare ne sono le tinte. Le verruche sono generalmente 
più pallide del fondo; più distinte sono le macchie nera- 
stre irregolari del dorso e specialmente quelle delle coscie 
e delle gambe posteriori. 


DIMENSIONI. 


Il tronco, compresa la testa, ha la lunghezza di 4 a 5 
centimetri; le gambe anteriori sono lunghe 24 a 22 milli- 
metri, le posteriori 5 centimetri 0 poco meno. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Abbondantissimo in tutte queste Provincie, si scontra 
sempre vicino alle acque, ai torbidi stagni, alle paludi, e 
basta che una pozzanghera d’acqua scolatticcia o di acqua 
piovana si formi nei campi, nei prati, lungo. le strade, e 


300 BETTA 


presso le abitazioni rustiche, perchè esso corra ad abitarlo 
e popolarlo. Non sta sulla terra lungo tempo che di mat- 
tino o verso sera, ma sempre vicinissimo all’acqua in cui sì 
tuffa ad ogni rumore, intorbidandola col nascondersi sotto 
la melma del fondo. Ama assai di esporsi ai raggi del sole. 
È agilissimo nel nuoto, e quando galeggia tiene le narici 
e gli occhi a fior d’ acqua, e le gambe deretane aperte. 
Sorpreso sulla terra ed aizzato, ponsi in stranissima e biz- 
zarra attitudine, poichè portando le sue gambe sul dorso 
ed avvicinandole alla testa, volge questa in addietro sulla 
schiena mostrando } infuocato suo ventre, quasi per spa- 
ventare chi lo tormenta. Se il suo timore od il pericolo 
non cessa, schizza dai pori e dalla cloaca una spuma in- 
grata agli occhi e nauseante alle narici. Roesel afferma 
d’aver provato nel disseecarla una sensazione disgrade- 
vole alle narici, ed un acre prurito. Del resto è un animale 
innoeentissimo. 

La voce dell’ Ululone è un grido sordo e malinconico, 
e quella del maschio è più lugubre nel momento delle 
nozze. L’ accoppiamento principia nel Maggio, e la fecon- 
dazione ha luogo nel Giugno. 11 maschio si tien stretta la 
femmina ai lombi come gli altri Batraci, e la sua lussuria 
è tale che non risparmia gli abbracciamenti neppur fuori 
dell’ epoca, e tenta persino le rane ed i rospi. Al fondo 
delle acque, e spartite in varie masse, vengono deposte le 
uova che in proporzione sono più grandi di quelle del 
rospo. I giovani non arrivano alla piena statura che in 
tre anni, ed è degno di nota il lungo ritardo dei girini a 
raggiungere lo stato perfetto. Già molto grandi quando 
ancora conservano la coda e non ancora svilupparonsi le 
gambe anteriori, sembrano impiccolirsi d’ assai. allorché 
abbandonano totalmente la forma di girino. 


ERPETOLOGIA 304 


OSSERVAZIONE. 


Il Bombinator pachypus di Fitzinger che il Prof. Massa- 
longo' enumera fra i rettili del Veronese, non è certamente 
adottabile come specie distinta; e tale giudizio pronunciò 
pure lo stesso Principe Bonaparte nell’ introduzione alla 
sua Fauna, nella quale lo aveva prima deseritto ;e figurato 
come distinta specie italiana. Così la pensano ‘anche Du- 
méril e Bibron, ed io mi piego senza esitare al loro giu- 
dizio, dichiarandola null’ altro che semplice varietà di sta- 
tura del nostro comune Ululone. 

Nella mia Collezione si ponno vedere le varie forme 
di transizione che uniscono gli esemplari del 8. igneus avuti 
dall’ Austria e nei quali il corpo e le membra sono esi- 
lissime, a quelli della Romagna che raggiungono quasi 
le proporzioni assegnate da Fitzinger alla sua specie. Di 
tali più grandi forme il Prof. Massalongo raccolse un unico 
individuo nel paese di Velo, e sta depositato nel Musco 
dell’Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona. 


NOTA. 


Già si parlò altrove della tenacità della vita di alcuni 
rettili e dei lunghi digiuni ch’ essi ponno sopportare. Mi 
sia quì permesso di dare il frutto di alcune mie osserva- 
zioni, comprovanti non essere minore certamente tale fa- 
coltà nella specie di che trattasi. 

Nell’ 44 Ottobre del 1853 io aveva raccolto a Marcel- 
lise, presso Verona, sette ululoni che custoditi in un 
vaso di cristallo con acqua, era solito tenere esposti di 
giorno e di notte all’ aria aperta fino quasi a tutto Novem- 


302 BETTA 


bre, ritirandoli poi nella mia camera nelle notti soltanto 
del successivo Dicembre. Dimenticato il vaso all’ aperto 
nella fredda notte del 30 detto mese, trovai nella mattina 
seguente solidificata in ghiaccio tutta l’ acqua e rinserrati 
nel mezzo i poveri ululoni atteggiati nelle più grottesche 
pose. Collocato il vaso nella camera a circa 40.° R. il 
ghiaccio si sciolse ben presto, e quegli animaletti riacqui- 
starono in breve anche la loro naturale agilità. L’ ac- 
cidente mi invogliò a tentare altre prove, ed esposi quindi 
il vaso all’ esterno nella freddissima notte del 4.° Gennajo 
4854, lasciandovelo anche il giorno e la notte seguente. 
In questo frattempo la massa di ghiaccio si mantenne 
sempre compatta, e gli ululoni vi erano rinserrati nelli 
stessi curiosissimi atteggi. Quando però feci sciogliere 
l’acqua, due di essi erano morti. Coi cinque rimastimi 
ripetei l’ esperimento il giorno 7, e li lasciai esposti senza 
interruzione fino alla mattina dell’ 44. Agghiacciatasi l’ ac- 
qua verso la sera del primo giorno, rimase sempre solida 
non disgelandosi che qualche poco superficialmente nelle 
ore meridiane dei seguenti, e quando nel giorno 44 feci 
sciogliere l’ acqua trovai morto un terzo individuo. Aven- 
do d’ allora in poi tenuto sempre il vaso nel mio gabi- 
netto a 40.° -44.° R., mi morì un quarto ululone nel 48 
Gennajo, ed un quinto nel 13 Aprile successivo. Dei due 
rimasti, uno fuggi per caso negli ultimi giorni di Giugno 
e l’ ultimo sopravisse fino al 2 del seguente Luglio. Cu- 
stoditi sempre senza nutrimento qualsiasi, e soltanto can- 
giando loro l’acqua ogni tre, quattro ed anche otto giorni, 
lo stato degli ultimi due era ben compassionevole. L’ ulti- 
mo poi era ridotto a rigor di parola a pelle ed ossa, e si 
consumava lasciando un deposito verde al fondo del vaso. 
Esso aveva vissuto senza cibo 265 giorni. 


ERPETOLOGIA 303 


Gen. BUFO LAURENTI. 


201. BUFO VULGARIS 


Laurenti. 


Ital. Rospo comune, Botta. 


Ven. Crota, croton, zavaton, rospazz, rospo, rospa, rosp, ‘Save, 
"Sav. 


Tirol. Zavaton, rospaz, rosp. 
CARATTERI. 


Capo ottuso, piuttosto piccolo in proporzione del corpo, più largo che 
lungo; con due grosse parotidi subovali-allungate ai lati posteriori. Cute 
tempestata e scabra di verruche e tubercoli più o meno elevati, talvolta 
terminanti in una spina ottusa, cornea, nera. 

Corpo di color terreo, cinereo, o rossigno, con macchie fosche e ne- 
rastre. Una striscia brunastra costante lungo il margine esterno delle pa- 
rolidi. 


SINONIMIA. 


Rana bufo Linn. Syst. Nat. ed. X. p. 210 — ed. XII p. 354. 
— — Wulff Vchthyol. p. 7. 

—  — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1047.(excl. var.) 

—  — fazoum. Hist. Jorat I. p. 96. 

—  — Sturm Deutsch]. Fauna II. 4. 

—  — Shaw Zool. III. p. 1538. t. 40. 

— — Aetz Fauna Suec. p. 282. 
Rana rubeta Linn. Syst. Nat. ed. XII p. 355. 

— — /ulff Ichthyol. p. 8. 


304 BETTA 


Rana rubeta Gmel. Syst. Nat. p. 1047. 

— ——.  Aetz Fauna Suce. p. 283. 

Bufo vulgaris Laur. Syn. Rept. p. 28. 125. 

— —  Latr. Hist. Rept. II. p. 106. 

_ Daud. Hist. Rain. p. 72. t. 24. 

— — Daud. Hist. Rept. VIII. p. 439. 

_ - Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 65. 

—_ - Sturm Deutschl. Fauna II. 6. p. 32. 
— — Wagl. Syst. Amph. p. 207. 

_ —  Eichwu. Zool. Ross. IL p. 67. 

_ _ Schinz Fauna Helvet. p. 144. 

_ -_ Tschudi Classif. Batrach. p. 88. 

_ —_ Bonap. Fauna ital. cum tab. 

—_ _ Dum. Bibr. Erpétol. VIII. p. 670. 
— _ Ambrosi Prosp. zool. p. 291. 

—_ — — Betta Rett. Tirol. p. 158. 

_ —_ Betta Cat. syst. Rept. p. 26. 

_ -_ Massal. Saggio p. 41. 

Rana pluvialis Lacep. Quadr. ovip. I. p. 354. 

Bufo cinereus Schneid. Hist. Amph. I. p. 188. 

n —  Daud. Hist. Rain. p. 73. t. 25. f. 1. 
- —  Daud. Hist. Rept. VIII. p. 404. 

_ —  Merr. Syst. Amph. p. 182. sp. 41. 

—_ —  Gravenh. Delie. Mus. Vratislav. p. 62. 
_ — isso Hist. nat. III. p. 94. 
Bufo rubeta Schneid. Hist. Amph. p. 227. 
Bufo Roeselii Latr. Hist. Rept. II. p. 408. 

_ —  Daud. Hist. Rain. p. 77. t. 27. 

_ —  Daud. Hist. Rept. VIII. p. 4150. t. 96. 
= — isso Hist. nat. III. p. 94. 
Bufo ventricosus Latr. Hist. Rept. Il p. 124. (f. Dum.) 
— _ Merr. Syst. Amph. p. 181. (f. Dum.) 
Bufo spinosus Daud. Hist. Rept. VIII. p. 199. 
Bufo minutus Bonelli (fide Bonap. in Fauna ital.) 


ERPETOLOGIA 805 


Bufo ferruginosus Risso Hist. nat. III. p. 94. n. 36. 

Bufo tuberculosus Risso Hist. nat. III. p. 94. n. 37. 

Bufo palmarum Cuv. Régne Anim. ed. IT. p. 109. (fide Dum.) 
Bufo alpinus Schinz Fauna Helvet. p. 148.0 

Bufo communis Catullo Geogn. Venet. p. 173. 


FORME. 


Capo grossolano, piuttosto piccolo in proporzione del 
corpo, più largo che lungo, ottuso, obliquamente troncato, 
schiacciato sulla fronte ed incavato longitudinalmente nel 
mezzo ; occhi protuberanti, di grandezza media, con pu- 
pilla nera oblunga elittica, ed iride di un color castagno 
chiaro vivace; il timpano, la cui circonferenza è minore 
di un terzo o di un quarto di quella dell’ apertura del- 
l’ occhio, è più o meno cospicuo secondo che la pelle che 
lo ricopre è meno o più tubercolosa. Bocca molto squar- 
ciata, arrivandone la fessura fino al di là degli occhi. Due 
grosse glandule, o parotidi, ai lati posteriori della testa, di 
forma subovale allungata, due volte più lunghe che larghe, 
divise dall’ occhio mediante un leggiero spazio o solco, e 
stese dal margine superiore del timpano fino alla spalla ed 
anche più oltre. 

Corpo breve, toroso, depresso, assai dilatato nel mezzo 
e suscettibile di grande avvallamento nei fianchi. Piedi grossi 
e robusti, con dita grosse ed un poco depresse. Quelli an- 
teriori lunghi quasi quanto tutto il tronco, con dita per- 
fettamente libere; i posteriori più lunghi, con dita più 
depresse e palmate fino alla penultima articolazione, Tutte 
le dita poi offrono una protuberanza alle loro articolazioni; 
nei piedi posteriori vedesi un callo interno di color oscuro 

20 


306 BETTA 


che mentisce quasi un sesto dito brevissimo, grosso, ed 
ottuso. 

Tutta la cute è tempestata e scabra di tubercoli più o 
meno dilatati, più o meno elevati e distinti, alcuni termi- 
nanti in punta ovvero in una spina ottusa, cornea, nera. 
Sui fianchi moltissime verruche, e sul ventre moltissimi 
tubercoli inegualmente spianati, assai più piccoli e più 
fitti, separati.e distinti l’ uno dall’ altro da piccoli solchi 
lineari che disegnano quasi una reticella della quale ogni 
maglia comprende una di tali glandule. Questi solchi di- 
pendenti solo dal raggrinzamento della pelle, spariscono 
affatto allorquando l’animale si gonfia non essendo la sua 
pelle attaccata ai muscoli, ma solo alle mascelle, alle arti- 
colazioni ed alla spina dorsale. 


COLORITO. 


Il Rospo comune offre costantemente una striscia bru- 
nastra più o meno vivace, od anche nerastra, che orla il 
margine esterno delle parotidi; e la presenza di questa 
macchia non manca mai qualunque sia poi il modo di 
colorazione sua non poco variabile. Ben difficilmente si 
trovano infatti due individui che offrano lo stesso fondo, 
le stesse macchie, ed egualmente distribuite. In generale il 
rospo comune ha una tinta cenerino-nerastra 0 fosca; se 
ne vedono però molti di color rosso sbiadato o di color 
ferrigno, ed in non pochi tali tinte passano al verde ed 
anche al nerastro. Tutto il corpo è sparso di macchie fo- 
sche irregolari di forma, numero e disposizione, che tal- 
volta dispongonsi a rete e persino a fascie longitudinali. 
In qualche raro individuo le macchie foggiate a fascia sono 


ERPETOLOGIA 307 


marginate anche in nerastro, e spiccano quindi assai di- 
stinte sul fondo chiaro del dorso. 

Tutto il di sotto si mostra per lo più di un color bian- 
chiccio lurido, o pallido cinereo tendente anche al rossigno. 

I giovani appena compiuta la metamorfosi si colorano 
generalmente d’ una tinta uniforme brunastra o bruno-ne- 
rastra, con poche verruche alquanto più pallide; hanno il 
di sotto di color bianco sudicio, colla gola punteggiata di 
bruno, e coll’ addome sparso di varie macchie dello stesso 
colore od anche più carico. i 


DIMENSIONI. 


È questo rospo il più grande dei nostri Batraci. Il suo 
tronco raggiunge la lunghezza di centim. 12 a 45, dei quali 
3a 3%, ne occupa la testa; le gambe anteriori sono lun- 
ghe più di 8, e quelle posteriori passano i 414 centimetri. 
La maggior larghezza ai fianchi è di centim. 8. 

Il maschio è molto più piccolo, toccando due terzi. ap- 
pena ed anche meno delle dimensioni della femmina, 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Comunissimo in tutte le provincie del Veneto e del 
Tirolo meridionale, soggiorna questo rospo nei luoghi oscu- 
ri e pantanosi, e nelle grotte. Nei giardini, nei boschi, nelle 
campagne trovasi cacciato sotto le pietre e sotto la terra 
nella quale si scava anche una specie di galleria a piccola 
profondità, da dove non sorte che all’ imbrunir della 
notte. Abbandona specialmente i suoi nascondigli al ca- 
dere delle pioggie di Settembre ed Ottobre e si sparge pei 
campi e nei terreni vitati, ove talvolta incontrausene frotte 


308 BETTA 


di molti individui. Va in cerca del suo nutrimento, che 
consiste di insetti e di vermi, soltanto in tempo di notte. 
Sopra terra non progredisce a salti come le rane, ma fa- 
vorito dalla minore lunghezza delle sue gambe deretane. 
cammina con facilità, e talvolta anche con una speditezza 
che non gli si accorderebbe atteso le forme tozze del suo 
corpo. È privo di sacco vocale, ed ha un gracidare diverso 
dalle rane e dall’altro nostro rospo. La sua voce ha qual- 
che analogia col canto di una piccola civetta, la Strix scops 
di Linneo, detta volgarmente Chiò 0 ciusso nel Veneto, Sci- 
scieù in Lombardia. Durante l’ accoppiamento il maschio 
emette una voce paragonabile in certa maniera al lontano 
abbajare di un cane. Molestato, enfia subito il corpo che 
diventa duro ed elastico, e battuto dà allora il suono di 
un otre gonfio; fa stillare dalle verruche della pelle un 
umore bianchiecio e fetente, e schizza dall’ ano un fluido 
particolare, ma ben difficilmente si decide al morso il quale 
è però affatto privo di conseguenze, e solo talvolta deter- 
mina una leggiera infiammazione. 

Il fluido cacciato dall’ ano è limpido come l’ acqua e 
privo d’ ogni odore e sapore. Il Prof. Genè riporta varie 
esperienze fatte sopra animali domestici dal Prof. Lavini, 
dalle quali è provato non cagionare qualsiasi conseguenza 
o disturbo nè preso internamente; nè introdotto nella cute 
con ago vaccinatorio, e neppure disteso con ripetuta e 
forte fregagione sulla pelle dell’ uomo, da lui praticata sul- 
l’ avanbraccio di un contadino. Egli stesso poi ci fa testi- 
monianza della innocuità di tal liquido schizzatogli da un 
rospo sul viso, sugli occhi e persino in bocca. Sulla mano 
lo provai io stesso più volie nel prendere questi animali, 
e non ebbi mai a vederne e molto meno a sentirne con- 
seguenze di sorta, Ben diversa è invece la natura del- 


ERPETOLOGIA 309 


umore che trasuda dai pori della pelle e specialmente 
dalle parotidi, il quale ha forte odor d’ aglio, colore e den- 
sità del latte, è caustico, ed inghiottito eccita stringimento 
e bruciore di fauci, nausee, ed altri incomodi più o meno 
gravi. E queste moleste nausee e doglie di stomaco provansi 
anche se solamente furono tocchi da tal latte oggetti com- 
mestibili, quali sarebbero i legumi, le frutta, ed i funghi 
specialmente. Questo umore non viene però mai schizzato 
a distanza dal corpo, ed applicato alle mani, al viso, o ad 
altra parte non vi produce che un rossore passaggiero. 

Nella primavera i sessi si cercano e talvolta |’ accop- 
piamento principia sul terreno, poichè il maschio incon- 
trando la femmina vi si pon sopra e stringendola a sè nel 
modo solito dei Batraci, deve essa trasportarlo anche a 
molta distanza per tuffarsi assieme nell’ acqua, ove com- 
piono poi l’ atto della generazione. L’ unione dura fra i 
tre, i dieci ed anche quindici giorni; le uova vengono 
partorite in due coroncine che sortono contemporaneamente 
dalla cloaca della femmina, e delle quali alcune misurano 
persino la lunghezza di oltre 30 piedi. Dopo dieci o dodici 
giorni le uova acquistano un doppio volume, ed un tale in- 
grossamento mi accadde di osservare benanco nelle uova 
partorite e conservate nello spirito di vino, in cui aveva 
cacciato a morire una femmina col proprio marito che aveva 
continuato a tenerla abbracciata fino quasi agli ultimi istanti 
di vita. I cordoncini che terminai di estrarre dalla cloaca 
dopo la morte della femmina, erano lunghi non meno di 
25 piedi cadauno e sortirono paralleli. Quando si verificò 
l’ ingrossamento delle uova, l’ umore vischioso si gonfiò 
assumendo il diametro di 5 millimetri e mostrandosi di- 
viso in cellette trasparenti, ognuna delle quali contiene un 
uovo ‘affatto libero ‘e staccato.’ 


3410 RETTA 


Dopo venti giorni il girino spacaia dall’ uovo. Appena 
compiuta la metamorfosi il rospetto è assai piccolo, e non 
diviene abile alla riproduzione che verso il quarto anno 
di vita. I Rospi passano l’ inverno assiderati a vqualche 
piede di profondità sotto terra. 

Il Rospo vive molti anni e sopporta lunghi digiuni. Ha 
vita tenacissima, ma muore prontamente se viene asperso 
con sale o tabacco. I nostri fanciulli ed i contadini lo fug- 
gono con orrore, 0 lo mettono a morte con barbari modi. 
Qualche persona più saggia ne rispetta però | esistenza 
conoscendo benissimo i vantaggi che porta colla distruzione 
dei vermi, degli insetti nocivi e delle piccole lumache; ed 
io so di persona che in un suo giardino di campagna pros- 
simo a Verona, ne fece collocare e ne tiene non pochi, con 
esito sicuro per la salvezza delle sue piante e dei fiori dai 
danni di altri animaletti. 

Se esaminiamo il caso narrato da Pennant parebbe che 
il Rospo fosse suscettibile anche di una tal quale educa- 
zione. Il D." Arscott ne possedeva uno che aveva stabilito 
il suo soggiorno sotto una scala ed era divenuto tanto fa- 
migliare che ogni sera, appena vedeva i lumi nella casa, sor- 
tiva dal suo nascondiglio, alzava la testa, e pareva chie- 
desse d’essere posto sopra una tavola dove sapeva di tro- 
vare la sua cena consistente in vermi, mosche, e piccoli 
insetti. Visse cosi 36 anni, e morì per un impreveduto 
accidente. 

Secondo gli autori la sua carne può essere mangiata 
impunemente, e se è vero quanto dice Cloquet si vende- 
vano in Parigi e si mangiavano per coscie di rane quelle 
di siffatti animali. Non so però chi potrebbe essere in- 
vogliato di scientemente assaggiarne. L’ antica medicina 
aveva tratto dal Rospo un vasto numero di preparazioni, 


ERPETOLOGIA ZAA 


ma fortunatamente gli errori e le superstizioni cessero il 
campo alla verità ed alla luce, e sparirono dalle farmacie 
così inutili e ributtanti rimedii. 

Non abbandoneremo questo Batracio senza avvertire di 
un fatte curiosissimo e più volte osservato, relativamente 
cioè a rospi trovati vivi in cavità umide, entro muri, entro 
alberi cavi, e persino a quanto dicesi entro roccie compatte 
ed impervie, ove dovevano aver vissuto senza alcun nu- 
trimento per ben molto tempo. Il Sig. Duméril riporta nella 
Erpétologie générale (*) le varie osservazioni ed esperienze 
instituitesi per comprovare la possibilità del fatto. 

Hérissant fu il primo a tentarne le prove quando co- 
nobbe essersi trovato nel 41774 un rospo vivente, chiuso in 
un vecchio muro intonacato di gesso. A tal effetto prese 
egli tre rospi che collocò in scattole separate, sigillate con 
gesso, e le depose presso l’ Accademia delle Scienze di Pa- 
rigi. Al termine di 48 mesi furono aperte alla presenza di 
più persone, ed uno solo fu trovato morto. Edwards ripetè 
poi presso a poco le stesse sperienze sopra quindici rospi, 
e vide che benchè totalmente sepolti nel gesso e. privati 
d’ aria vissero lungo numero di giorni, mentre morirono 
invece in pochi minuti quelli che aveva tenuti forzata- 
mente nell’ acqua. Benchè non si possa dire che 1’ aria 
non penetri pei fori stessi del gesso, e che quindi l’animale 
fosse assolutamente privo di tale elemento, è nonostante 
singolare e maravigliosa questa facoltà nei rospi, che manca 
invece e che non si ottenne provata in nessun altro ani- 
male. Si conoscono molte delle ragioni che la favoriscono, 
fra le quali p. es. il meccanismo della loro respirazione 
che eseguiscono ad intervalli lunghissimi, la pochissima 


(*) Tom. VIN. p. 171. 


342 BETTA 


loro traspirazione, la facoltà’ propria della cute dei Batraci 
di riassorbire l’ umidità; ma il fatto attende ancora mi- 
gliorì studj e dilucidazioni. 

Intanto fra i varj altri fatti che provano tale facoltà 
non ommetterò di ricordare una esperienza del più volte 
ricordato amico mio Dott. Martinati, il quale mi comu- 
nicò d’ aver seppellito in un suo orto nell’ autunno del 4850 
un grosso Bufo vulgaris alla profondità di circa un piede, 
otturando diligentemente la fossa con argilla fina, e ben 
compressa col piede. Dopo quindici giorni riaperta la buca 
ne cavò il rospo ancor vivo e niente meno agile del con- 
sueto, ma solo assai dimagrato e consunto. Ridonato alla 
libertà andò subito a cercare i soliti nascondigli. 

Esiste ancora nel popolaccio la credenza che il rospo 
tenga celata nella propria testa una gemma, che qualcuno 
mi ha anche recentemente (!!!) descritta di color rosso. Non 
merita però sicuramente di essere discusso e confutato tale 
grossolanissimo pregiudizio. 


NOTA. 


Sulla autorità di Duméril e Bibron ho collocato nella 
Sinonimia il Bufo palmarum di Cuvier, ma non è però a 
tacersi che alcuni valenti naturalisti tedeschi avrebbero 
rimarcate fra quella specie ed'il nostro 8. vulgaris alcune 
differenze che potrebbero forse far ragione di una separa- 
zione specifica. 


ERPETOLOGIA 3413 


% — II BUFO VIRIDIS 


Laurenti. 


Ital. Rospo verde, Rospo smeraldino. 
Ven. Crota, crotonzelo, rospo, veccia Fasolara, ‘Save, ’Sav, rosp. 
Tirol. Rose, rosp. I 


CARATTERI. 


Capo quasi rotondato, più largo che lungo. Parotidi allungate. Cute 
cospersa di verruche lenticolari o coniformi. 

Corpo biancastro con molte macchie grandi, irregolari, di color verde 
di smeraldo, e con molte pustulette di un color rosso vivo più numerose 
sui fianchi e sulle coscie. i 


SINONIMIA. 


Bufo viridis Laur. Syn. Rept. p. 27. t. 4. f. 1. 
_ —  Schneîd. Hist. Amph. I. p. 200. 
— —. Zatr. Hist. Salam. p. 41. 

—_ —. Latr. Hist. Rept. II. p. 118. 

— —  Daud. Hist. Rain. p. 79. t. 28. f. 2. 
— — Daud. Rist. Rept. VIII p. 456. 
—  —. Pitz. Verz. Mus. Wien. p. 65. 

— — Sturm Deutschl.-Fauna III. p. 31. 
_ — Bonap. Fauna ital. cum tab. 

— — Dum. Bibr. Erpetol. VIII. p. 684. 
- — Betta Rett. Tirol. p. 188. 

- — Betta Cat. syst. Rept. p. 26. 

== —  Massal. Saggio p. #3. 


3414 BETTA i 
Rana bufo var. 8. Gmel. Syst. Nat. I. p 4007. 
Rana variabilis Pallas Spic. zool. VII. p. 1. t. 6. {. 1.2. 
— —  Gmel. Syst. Nat. I, p. 4051. 
— — Sturm Deutschl. Fauna III 2. 
Rana sitibunda Pallas Reise IL p. 458. (fide Bonup.) 
SE Gmel. Syst. Nat. I. p. 1050. 
—_ — Shaw Zool. Ill. p. 153. 
Bufo variabilis Merr. Syst. Amph. p. 4180. 
— — © Risso Hist. nat. II. p. 95. 
= _ Gravenh. Delie. Mus. Vratisi. p. 65. n. Af. 
— —  Wagl. Syst. Amph. p. 207. 
= = Eichw. Zool. Ross. p 167. n. 3. 
_ — — Schinz Fauna Helvet. p. 145. n. 3. 
_ _ Tschudi Classif. Batrach. p. 88. 
Bufo sitibundus Schneiîd. Hist. Amph. I. p. 225. 


FORME. 


Capo quasi rotondato, più largo che lungo, schiacciato 
sulla fronte ed incavato lontitudinalmente; occhi piuttosto 
piccoli, assai protuberanti, con pupilla nera, elittica, ed 
iride dorata; timpano di figura elittica, grande. quanto la 
‘metà dell’ occhio 0 poco meno. Bocca assai squarciata, 
arrivandone la fessura fin sotto il timpano. Parotidi lun- 
ghe, di uguale larghezza da per tutto e divise dall’ occhio 
per un breve solco. 

Tronco piuttosto breve, prominente nel mezzo, turgido 
ai lati, schiacciato nel resto. Dita dei piedi anteriori libere; 
palmate oltre la metà quelle dei posteriori, nei quali scor- 
gesi un piccolo tubercolo simulante quasi un sesto dito. 

La sua pelle è tutta ‘cospersa di verruche lenticolari o 
coniformi, più o meno grandi ed eguali fra esse, e tutte 
forate da pori visibili anche ad occhio nudo. La pelle delle 


ERPETOLOGIA 345 


parti inferiori offre delle pieghe irregolarmente distribuite 
‘per lungo e per traverso, e simulanti una sorta di rete. 

A differenza della specie precedente, il maschio di que: 
sta possiede un sacco vocale interno. 


COEORITO. 


Tranne una statura molto minore, le forme di questo 
rospo sono tanto consimili a quelle del Bufo vulgaris che 
soltanto la assai distinta sua colorazione può giovare quale 
facile e principale esterno carattere di distinzione. 

Ordinariamente ha esso il fondo biancastro con mag- 
giore o minore tendenza all’ olivaceo, al giallastro od al 
rossastro, ma sempre però più chiaro delle macchie che 
sono sparse sul corpo. Tali macchie sono grandi, più o 
meno dilatate, più o meno isolate o contigue, e talvolta 
benanco confluenti, specialmente sul capo e sulle spalle; il 
loro colore è di smeraldo orlato di bruno, e ‘vaghezza di 
tinte vi aggiunge una quantità di rosse pustulette sparse 
sul corpo, più numerose sui fianchi e sulle coscie che 
altrove. 

Tutta la parte inferiore è di un color cinereo-giallognolo, 
sparso talvolta di una tinta più oscura. 

Nei giovani il colore del fondo è cenerino colle macchie 
piccole, piuttosto nereggianti e con punti neri; le vertu- 
che sono piccole e rare. 

Dopo la morte dell’ animale e specialmente nell’ alcool 
il bel verde delle macchie si fa olivastro o brunastro, e 
sparisce quasi totalmente il vivo rosso rubino delle pustu- 
lette. 


346 X BETTA p 


DIMENSIONI. 


L’ ordinaria lunghezza del suo corpo, compresa la testa, 
è di 6 a 7 centimetri, colla larghezza ai fianchi di cen- 
timetri 3 34, a 4 0 4%. Le sue gambe anteriori sono lun- 
ghe centim. 4 a 4%; le posteriori 8% a 9. Nella provincia 
di Verona e di Vicenza, e assai più frequentemente ‘ poi 
nel:Tirolo si trovano individui il corpo dei quali giunge 
fino alla‘ lunghezza di centim: 8 ad 8%, colla larghezza 
maggiore ‘ai fianchi di 534. 

à 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Il Rospo' verde incontrasi sparso in tutte queste pro- 
vincie. Durante ‘il' giorno sì tiene nascosto sotto le’ pietre 
o nelle fessure ‘dei muri; va ‘in cerca di nutrimento di 
notte ‘tempo; pascendosi di vermi, di insetti e di piecole 
lumache. Il suo ‘gracidare è monotomo e di quando in 
quando’ interrotto. Quanto gradevole è pei colori, altrettanto 
ributta pel fetore che esala quando venga irritato, e’ che 
può paragonarsi all’ odore di solfuro d’ arsenico. Passa 
l'inverno sotto ai sassi od intanato sotterra. Cammina con 
qualche'speditezza ma solo a piccole distanze, e gode della 
speciale facoltà ‘di poter salire a qualche altezza sui muri 
anche verticali, ciò che spiega come trovisi talvolta nelle 
fessufe elevate due o tre piedi dalla terra. 

Nel mése di Aprile o di Maggio si accoppia, recandosi 
per ciò nell’ acqua dopo il tramonto del sole. La feconda- 
zione è sollecita più che in altre specie, e le uova sortono 
dalla cloaca in due coroncine. Verso la fine di Settembre 


LI 


la metamorfosi dei girini è compiuta. Gli abbracciamenti 


ERPETOLOGIA 9417 


del maschio devono essere assai tenaci poichè io conservo 
nella mia Collezione due coppie morte.nello spirito di vino 
senza disgiungersi; i pollici del maschio molto ingrossati 
vedonsi fortemente compressi, -e quasi direi ‘approfondati 
nel seno della compagna. 


NOTA. 


Nella Francia, nella Svizzera, in qualche parte della 
Germania, e nell’ Inghilterra incontrasi una bellissima va- 
rietà avente una striscia gialla che dall’ apice del muso 
scorre lungo la parte incavata del dorso fino all’ ano, ed 
un largo merletto dello stesso colore che le orna i fianchi, 
facendo così vieppiù spiccare le verruche di scarlatto di- 
sposte sul corpo. Laurenti aveva fatto di tale varietà una 
specie distinta sotto il nome di Bufo calamita (*), che venne 
poi anche ritenuta da molti ‘autori, e ‘figurata e deseritta 
dal Principe Bonaparte nella Fauna Italica. ‘Più diligenti ed 
estesi confronti la dimostrarono però semplice varietà di 
colorazione del nostro Bufo viridis, e come tale;la troviamo 
anzi annunziata più tardi dallo stesso Bonaparte, e più di 
recente dai signori Duméril e Bibron. 


(*) Sinonimia — Bufo calamita Laurenti, Dandin, Sturm, Fitzinger etc. 
— Bufo cruciatus Schneid. — Rana portentosa \Blumenbach, Retz, Sturm. 
— Rana foetidissima Herm.— Rana mephilica Shaw etc. 


318 BETTA. 


BR. BATRACI URODELI. 
“Gen. SALAMANDRA LAURENTI. 


22—-I. SALAMANDRA MACULOSA 


Laurenti. 


Ital. Salamandra terrestre. 
Ven. Salamandra de terra, sermandola, sarmandola, salamandre. 
Tirol. Salamandra, sarmandola, bissa de piova. ; 


CARATTERI. 


Capo distinto dal corpo. Due grosse parotidi, una per lato dietro gli 
occhi, con molti pori distinti. Tronco terete, scarsamente panciulo. Coste 
pronunciate. Cute coperta di verruche e di pori, con una serie di ampie 
protuberanze sui fianchi. Coda terete, smussata all’ apice. 

Corpo nero d'inchiostro con molte macchie gialle, grandi, irregolari, 
distribuite sulla testa, sul dorso, sui fianchi, sulle gambe, sulla coda e 
sul ventre. 


SINONIMIA. 


Lacerta salamandra Linn. Syst. Nat. I. p. 571. 
— —_  Gmel. Syst. Nat. I. p. 1066. 
—_ _ Latr. Hist. Rept. II. p. 194. t. 52. f. 1. 
—_ —_ Sturm Deutsch]. Fauna III. 2. t. 4. 2. 
ie _ Shaw Zool. III. p. 291. 
Salamandra maculosa Laur. Syn. Rept. p. 42. n. dI. 
_ _ Gravenh. Delic. Mus. Vratisl p. 74. sp. 2. 
_ _ Wagl. Syst. Amph. p. 208. 


ERPETOLOGIA: 3419 


Salamandra maculosa Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 66. n. 2. 

—_ — Bonap. Fauna italica cum fab. 

—_ — Tschudi Classif. Batrach. p. 91. 

= _ Ambrosi Prosp. zool. p. 291. 

—_ — Betta Rett. Tirol. p. 159. 

# _ Betta Cat. syst. Rept. p. 27. 

mi == Massal. Saggio p. 30. 

—_ —_ Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 52. 
Salamandra maculata Merr. Syst. Amph. p. 188. 

— —_ Risso Hist. nat. III. p. 98. 
Salamandra terrestris PWurffb. Salamandr. p. 52. t 4. f. D. 

_ — Ray Syn. Quadrup. p. 273. 

— _ Schneid. Hist. Amph. I. p. Bd. 

_ — Latr. Hist. Salam. p. 32. t. 4. 2. 

= (/— Daud.Hist. Rept. VIN. p. 224. t. 97. f. 4. 

_ — Catullo Geogn. Venet. p. 174. 

— — © Ausconi Hist. nat. Salam. t. 4. f. 13. 


FORME. 


Capo distinto dal corpo benchè presso a poco dell’ eguale 
larghezza, arrotondato, schiacciato superiormente, poi leg- 
germente convesso, colla fronte declive; occhi quasi rotondi 
ed assai sporgenti; bocca squarciata oltre al margine po- 
steriore dell’ occhio; mascelle subeguali, essendo la infe- 
riore qualche poco più breve. Due grosse parotidi collocate 
una per lato dietro agli occhi, analoghe a quelle dei rospi. 
Tronco terete, grosso quasi uniformemente, solo scarsamen- 
te panciuto ed alquanto spianato al di sotto. Quasi sem- 
pre la linea mediana del dorso è segnata da una leggiera 
scanalatura che parte dalla nuca e continua fino all’ ori- 
gine della coda. Le coste risaltano sui fianchi con leggieri 
rialzi o rughe, che si fanno poi assai più pronunciate negli 


320 BETTA 


individui tenuti per qualche tempo.in schiavitù, e presen- 
tano inoltre dei piccoli pori regolarmente distribuiti a paja, 
e corrispondenti a cadauna delle sottoposte vertebre. Gam- 
be brevi, pingui e tozze, più però le posteriori-che non le 
anteriori. Le palme e le piante turgide, e rotondate tutte le 
dita di ciascun piede. Coda conica alla base, mano mano 
più terete verso l’ estremità, assottigliantesi quanto più si 
avvicina alla punta, ove termina alquanto smussata; la 
sua lunghezza è qualche cosa più breve di quella del tron- 
co, non compreso il capo. La cloaca si apre in una fessura 
longitudinale stretta ma lunga. 

La pelle lubrica e viscida può dirsi liscia, e liscia af- 
fatto e levigata è poi la parte di sotto del tronco e della 
coda. Il corpo è però superiormente tempestato di verru- 
che molli e lattifere, delle quali vedonsene due file distinte 
che fiancheggiano la spina dorsale; -una serie di ampie 
protuberanze scorre sui fianchi tra gli arti anteriore e po- 
steriore, quelle stesse già sopra avvertite. 


COLORITO. 


Il fondo di tutto il corpo è nero d’ inchiostro con qual- 
che tendenza al turchino nel di sotto. Molte macchie gialle, 
variabilissime in numero, grandezza e disposizione, sono 
sparse sul corpo compresi gli arti e la coda; alcune sono 
oblonghe, altre rotende, ed altre infine allungate e con- 
fluenti quasi a guisa di fascie; varia pure la loro tinta 
dal giallo il più vivo al giallo pagliarino. In una parola 
tali macchie si dispongono in così diverse forme ed in così 
vario modo che non si danno, od almeno sarà ben difficile 
di trovare due individui assolutamente eguali. Non manca 
mai ed è costante nella disposizione, non però nella forma, 


ERPETOLOGIA 324 


la macchia gialla sopra le palpebre, ed un’ altra sulle pa- 
rotidi, ove si scorgono anche assai più distinti i pori delle 
critte sottocutanee a guisa di puntini neri. Un’ altra mac- 
chia che trovai finora costante nei moltissimi individui 
nostrali esaminati, si è quella che segna la parte superiore 
di tutti gli arti vicino al punto del loro attacco col corpo; 
e queste macchiette non mancano neppure negli individui 
giovani, benchè in essi sieno le altre minori d’ assai in 
numero di quelle degli adulti. In qualche esemplare la 
macchia delle parotidi vedesi estesa e protratta oltre il 
loro margine posteriore. Tengo un esemplare del Tirolo in 
cui le prime macchie del dorso hanno confluito assieme in 
modo da figurare precisamente due ferri da cavallo posti 
l'uno dietro all’ altro, coll’ apertura verso la parte po- 
steriore. Un altro individuo è quasi tutto nero, non avendo 
. che piccole molto e rotonde le macchie costanti soprav- 
vertite, e più piccole ancora, rarissime, e rotonde quelle 
del corpo e delle estremità. In qualche altro esemplare 
tanto del Veneto che del Tirolo, varie macchie dei fianchi 
veggonsi allungate e tanto vicine le une alle altre da figu- 
rarvi una fascia scorrente dall’ uno e dall’ altro lato del 
corpo. 

Le parti inferiori sono più o meno macchiate di giallo, 
e lo sono sopratutto alla mascella ed al collo. Nei giovani 
mancano invece le macchie, e si tingono di un color nero 
brunastro uniforme. In questi poi le macchie gialle supe- 
riorì sono più pallide, e qualche volta persino biancastre. 


DIMENSIONI. 
Varia la sua lunghezza dai centimetri 15 ai 18 e financo 


ai 49, compresavi la testa e la coda, la quale giunge circa 
24 


322 BETTA 


ad eguagliare la lunghezza del tronco a partire dal collo. 
Le gambe sono pressochè eguali e lunghe circa centimetri 3. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


La Salamandra terrestre trovasi in tutte queste provin- 
cie, ed abita i luoghi umidi ed ombrosi, non cacciandosi 
nell’ acqua che all’ epoca della generazione. Vive general- 
mente nascosta sotto i muschi, nei freschi boschetti, sotto 
i fracidi tronchi, in qualche buca sotterranea, al piè delle 
vecchie muraglie fra le macerie, e persino nelle cantine, 
e nei luoghi umidi e terreni delle case; nè sorte dal na- 
scondiglio che di notte tempo per far preda di insetti, di 
lombrici, e di piccoli molluschi. Teme assai il caldo, e 
più ancora fugge i raggi del sole. Di giorno non vedesi 
quindi che nelle ore mattutine, o più facilmente dopo di- 
rotte pioggie, e più ancora nei mesi di Settembre ed Otto- 
bre, riescendo allora talvolta di vederne non poche lungo 
le strade, appiè delle siepi, dei muri e delle roccie. Tarda 
e lenta, non fugge all’ avvicinarsi di altri viventi, e facile 
riesce quindi il farla prigioniera. Generalmente temuta e 
fuggita, è però la Salamandra un animale innocuo, nè sa, nè 
può difendersi nei pericoli o quando venga aizzata, che 
trasudando dai pori della sua pelle un umore lattiginoso 
che schizza anche a qualche centimetro di distanza. 

Ha questo latte un odore particolare ed ingrato; è di 
sapore molto acre e nauseoso; ha proprietà caustica, e per 
alcuni piccoli animali riesce anche mortifero. Laurenti fu 
il primo ad esperimentarlo tale in due lucertole, morte fra 
convulsioni pochi momenti dopo che una Salamandra irri- 
tata dai loro morsi schizzò loro in bocca il suo latte (*). Già 


(*) Laurenti. Synopsis feplil. Experimevt. XXVII. pag. 158. 


ERPETOLOGIA 323 


altrove avvisai d’ averne io stesso verificata la potenza 
venefica sulla Rana temporaria (A), avendo veduto morire 
dopo pochi minuti, e fra molte convulsioni tutti gli indivi- 
dui ai quali aveva cacciato nella bocca qualche goccia di 
tal latte. Gratiolet e Cloez instituirono pure alcune espe- 
rienze, e da una loro Memoria inserita per estratto nel 
giornale L’ Institut (2) risulta che quell’ umore innocu- 
lato sotto l’ ala di varj uccelli cagionò a tutti la morte, 
dopo forti tremori e convulsioni, in alcuni dopo soli tre 
minuti, in altri dopo sette od otto, in una tortorella dopo 
venti ecc. Gli esperimenti però fatti sopra piccoli mammi- 
feri non offrirono alcun esito grave, e solo quegli animali 
mostrarono di risentirne viva sofferenza con una affannosa 
respirazione, e con una specie di sonno o torpore interrotto 
più volte da forti e repentine scosse. Dai risultati di altri 
loro esperimenti si avrebbe poi anche constatata una durata 
nella potenza venefica dell’ umore, poichè una quantità. 
raccolta nell’ Aprile 4854 ed innoculata, sciolta nell’ acqua, 
in un Cardellino nel Marzo dell’ anno seguente, cagionò 
eguali sintomi e la morte. Lo stesso dicasi per |’ umore 
disseccato dei rospi, di cui due soli milligrammi fecero 
morire un Verdone (Fringilla chloris Linn.) in sedici minuti. 

È però certo riuscire innocuo per animali di mole mag- 
giore, e quindi ancora più per l’ uomo. Apertamente lo 
comprovano le esperienze di Wurffbein e di Maupertuis, il 
primo dei quali si stropicciò persino sugli occhi una sala- 
mandra viva; esperienze che provarono poi anche l’assur- 
dità delle potenze accordate dagli antichi a questo animale 
ed al suo latte. Non si potranno più quindi ritenere per vere 


(4) Catalogo dei Reîtili della valle di Non. pag. 160. 
(2) Sect. I. Tom. 19. N. 903 pag. 131. (25 Aprile 1851.), 


324 :V1ABETRTA 


le cose esposte da Plinio, il quale scriveva che « infer 
omnia animalia venenata, Salamandrae scelus maximus est», ‘ag- 
giungendo molte altre più ridicole favole sulla pretesa sua 
proprietà di uccidere chi mangiasse le poma di un albero 
su.cui fosse salita una Salamandra, 0 chi bevesse l’acqua 
di un pozzo nel quale fosse caduta, o mangiasse del pane 
cotto con legna da lei tocca!!! e così via. E lo stesso di- 
remo di quanto vi aggiunsero e ne dissero di poi il Mat- 
tioli, lo Scaligero, il Pinciero ed altri moltissimi, le super- 
stiziose ed erronee asserzioni dei quali avevano dato vita 
al ridicolo detto « Eum quem Salamandra momorderit, tot 
opus habere medicis, quot bestia distinguatur maculis » (*). 

Che dire poi sulla facoltà così a lungo ereduta nella 
Salamandra di conservarsi incolume nel fuoco, e non solo 
d’ escirne sana e salva, ma di spegnerlo eziandio?? — In 
aperta opposizione a questa vantata proprietà abbiamo il 
fatto che la Salamandra abbisogna invece per vivere di 
molta umidità, che viene assorbita di continuo pei moltis- 
simi pori della sua pelle. Se può resistere infatti, e resiste 
anche a lunghi digiuni senza dimagrare di molto, non 
dura però a lungo se non venga di quando in quando 
spruzzata d’ acqua; mentre tenuta al caldo, od in un am- 
biente secco, od esposta al sole, o vicina al fuoco, il suo 
corpo si avvizzisce di subito, ed essa muore anche in po- 
che ore. Ciò spiega il perchè si tenga sempre nei luoghi 
umidi ed ombrosi, e non sorta da’ suoi nascondigli che in 
primavera od-in autunno, dopo o durante la pioggia. 

È poi un fatto che questo animale che si suppose po- 
ter vivere nel fuoco, è al contrario quello fra i rettili che 
più resiste al freddo, giacchè lo troviamo ancora in autunno 


(*) Wurffbein. Salamandrologia pag. 92. 


ERPETOLOGIA 325 


avvanzato, e quando già da molto tempo tutti gli altri sono 
ricoverati sotterra. Varie Salamandre furono trovate chiuse 
in solide masse di ghiaccio; il loro corpo era duro ed in- 
flessibile, ma poste sulla neve e fattala sciogliere lenta- 
mente, non tardarono a manifestare segni certi di vita. 
Dobbiamo quindi persuaderci della falsità evidente della 
vecchia credenza; ed ognuno che non volesse acconten- 
tarsi delle prove offerte dalle esperienze altrui, potrà to- 
stamente convincersene qualora voglia cacciare una Sala- 
mandra nel fuoco. Da pochissime bragie essa potrà. facil- 
mente fuggire, spegnendole col liquido che subito trasuda 
dai pori; ma fra i vivi carboni, e molto più fra le fiamme 
troverà senz’ altro, e ben prontamente, quella fine che vi 
troverebbe ogni altro animale. Questa proprietà di salvarsi 
dal fuoco non è dunque che una favola, nè per certo po- 
teva godersi la Salamandra quella celebrità popolare che 
l'aveva fatta sciegliere dai poeti e dai cavalieri ad emble- 
ma dell’ amore, della galanteria e del valore; e che indusse 
Francesco I di Francia ad assumerla per suo. emblema, 
facendola figurare sugli scudi nel mezzo alle. fiamme. col 
motto: nutrisco et extinguo (*). Eguale emblema 0 simbolo 
vedesi anche sulle monete del Ducato di Milano coniate ai 
tempi della signoria dei francesi. i 

La Salamandra è ovovivipara, ele uova ‘vengono fe- 
condate all’ interno. Manca però nel maschio qualsiasi or- 


(*) Chi volesse conoscere la storia di tutti i pregiudizj nei “quali fu 
involta la Salamandra può trovarla con molto interesse trattata ed espo- 
sta nella citata Salamandrologia di Wurffbein, il quale dà anche un as- 
sai erudito articolo sulla etimologia della parola Salamandra (pag.10-15) 
che secondo lui deriverebbe dalle voci greche Zeov e pavdoav « quia 


prope s&)ov (luogo umido) amat habere uavdoav (spelonca). 


326 BETTA 


gano esterno di accoppiamento, e non trovansi tuttora d’ ac- 
cordo gli autori sul modo con cui si effettua la feconda- 
zione, se cioè il liquore seminale del maschio abbandonato 
nell’ acqua, che servirebbe di veicolo, venga assorbito e 
penetri nella femmina, 0 se piuttosto i sessi avvicinino 
l'uno all’ altro le labbra in allora assai turgide della pro- 
pria cloaca. Quello che è certo si è che la fecondazione 
deve operarsi molto internamente. L’ accoppiamento suc- 
cederebbe a terra come ce ne assicurano varj autori mo- 
derni, lo stesso Rusconi, ed il Principe di Canino là dove 
scrive che « fedelissimo il maschio viene con una sola 
» femmina ad abbracciamento, non ad inserzione di stelo, 
» di cui manca, sormontandola e cingendola strettamente 
» co’ suoi piedi anteriori, mentre costei gli sovrappone pure 
» i suoi, e così avvitticchiati ambo i sessi, ugualissimi di 
» forma e di colore, si trascinano di comune consenso 
dalla terra, nell’ acqua (*)». — In generale la femmina 
fecondata ìn autunno non partorisce i piccoli che alla fine 
di Marzo o di Aprile, ma qualche volta se ne trovano nel 
corpo della madre anche nei mesi di Giugno, di Luglio € 
persino di Agosto, per il che pare che si diano varie ano- 
malie in riguardo all’ epoca della fecondazione. La gesta- 
zione dura circa 8 mesi, ed il parto è di 30 a 50 piccoli 
che vengono alla luce sotto forma di girini, forniti di bran- 
chie, con coda molto depressa e tagliente, e persino mem- 
branacea ai margini. In tale stato presentano quindi molta 
analogia coi girini dei Tritoni. Piccolissimi appena venuti 
alla luce, non oltrepassando la iunghezza di 30 millimetri, 
raggiungono lo stato di perfezione in poco più di due mesi; 
ma è poi lentissimo l’ ulteriore loro accrescimento, talchè 


\ 


(°) Fauna Italica. 


ERPETOLOGIA 327 


una Salamandra di due anni ha appena la lunghezza di 
centimetri 7 a 74 compresa la testa e la coda. i 

Già Funk e Gravenhorst avevano seguìto completamente 
e con ogni diligenza lo sviluppo della Salamandra terre- 
stre, ed in belle tavole ci avevano rappresentati varj suoi 
stadj. Ora possediamo però anche l opera di un nostro 
italiano, il distintissimo anatomico Dott. Mauro Rusconi, il 
quale ci lasciò in questo prezioso lavoro una novella prova 
della mirabile sua perizia negli studj di tal sorta, col de- 
scriverci e col rappresentarci in diligentissime figure gli 
stati diversi e lo sviluppo successivo della Salamandra, dal- 
l’ istante della nascita fino allo stato perfetto (4). Il Dottor 
Morganti di Pavia ha quindi reso un vero servigio alla 
scienza ed alla patria nostra, col pubblicare quest’ opera di 
un uomo che pel profondo sapere, pei sommi vantaggi re- 
cati colle sue scoperte, per l’ originalità delle sue ricerche, 
e per le tavole insuperabili di sua mano che le dimostra- 
no, lasciò morendo un nome Europeo, un nome che alta- 
mente onora l’ Italia. 

Secondo quanto osservarono e scrissero tutti gli autori 
il parto della Salamandra si effettua nell’ acqua, e nella 
prima delle belle tavole della citata opera del Rusconi può 
vedersi anche figurata la postura della femmina in tali 
momenti. Avressimo però alcune osservazioni del Prof. Giu- 
seppe Balsamo-Crivelli (2), dalle quali potrebbe dedursi 
forse qualche eccezione su tal fatto. Tre salamandre a lui 
pervenute nel Novembre 1853, furono collocate in una cas- 
setta di legno contenente poca terra, e custodite quindi in 


(1) Déeveloppement et metamorphose de la Salamandre terrestre par 
M. Rusconi. Ouvrage posthume inedite publiè par le Doct. J. Morganti. 
Pavie 1854. 

(2) Giernale dell’I. R. Istituto Lombardo. 1854. Tom. V, pag. 494. 


3928 BETTA 


una camera con temperatura non mai maggiore di 8 gradi, 
usando della sola precauzione di spruzzarle con acqua ogni 
due giorni. Nel 2 del successivo Gennajo furono trovate sul 
fondo della cassetta tre salamandrine, che poste nell’ acqua 
tepida si liberarono dal loro invoglio e si posero subito a 
guizzare. Una quarta salamandrina nacque il seguente gior- 
no, e collocate tutte in un vaso ampio con acqua e fango, 
mantenendole con piccoli annelidi, vivevano ancora ed as- 
sai vivaci il 25 Gennajo, giorno in cui il prelodato Pro- 
fessore presentava all’ Istituto quelle sue osservazioni. Nel- 
l autore nasceva il dubbio se le Salamandre potendo de- 
porre i loro figli nel verno, maturi essendo in questo tempo 
i loro feti, vengano questi in stato di libertà deposti dalla 
madre nell’ acqua, come si osserva d’ ordinario; ed argo- 
mentando quindi per analogia da quanto osservò accadere 
nei rospi, conchiudeva coll’ ammettere che anche le sala- 
mandre possano svilupparsi allo stato di girino per la sola 
umidità copiosa dei luoghi ove si trovano, senza aver bi- 
sogno di essere immerse nell'acqua. La scienza dovrà forse 
attendere maggiori lumi e maggiori studj prima di regi- 
strare come positiva una eccezione di tal sorta nel parto 
della Salamandra, ma intanto qualunque sia la spiegazione 
che si potrà dare al fatto osservato dal Prof. Balsamo-Cri- 
velli, noi lo riportiamo come novella prova della diversità 
di epoca nella quale questi animali si accoppiano. 

D'inverno le salamandre si ritirano nelle buche, nelle 
caverne e nei sotterranei umidi, e vi restano letargiche fino 
alla primavera. 


OSSERVAZIONE. 


Fra le moltissime varietà di colorazione possibili in 
questa specie, sempre però nei limiti dei due suoi colori, 


ERPETOLOGIA 329 


non si ommette di avvertirne una ben singolare, descrittaci 
da Duméril e Bibron nella loro Erpétologie, Tom. IX. p. 57. 
L’ individuo che la presenta fu preso nelle vicinanze di 
Roma dal Dott. Bailly, ed inviato al Museo di Parigi. In 
esso, all'opposto di quanto si osserva nella specie, tutto il 
color del fondo è giallo e le macchie nere. Sul corpo una 
fascia stretta nera trovasi sulla linea mediana del dorso, 
ed un’altra ai fianchi scorrente dalla spalla fino oltre l’ ori- 
gine della coda. Una macchia nera vedesi sopra ciascuna 
parotide, e qualche altra piccola macchia sulle membra. 
Tutto il di sotto è giallo pallido, meno una piccola mac- 
ehia nera verso la congiunzione delle clavicole. 


NOTA. 


Trovasi in Laurenti (4) una Salamandra candida descritta 
colla brevissima diagnosi « corpore toto albo, cauda subterete » 
ed indicata come propria della provincia Padovana. In 
nessuno degli autori consultati trovo fatta menzione di 
tale specie creata dal Laurenti sulla figura 4. della Tavo- 
la II. di Wurffbein, e sarà a ritenersi quindi eliminata 
dalla scienza. Io penso infatti doversi avere per null’ altro 
che per un individuo della comune Salamandra; e sul 
suo colore trovasi facile spiegazione nelle parole stesse di 
— Wurffbein dove scrive « /s enim Excell. Mauritius Hoffman- 
nus...suam pro consueta humanitate amice dare voluit, dum 
Salamandram illam (Tab. II. f. I.) exenteratam, ante hos 40 
fere annos in Patavina Italiae Universitate, a se, utrum Ovi 
vel Vivi-para esset, experiendi gratia, artificiose sectam, mihi 


utendam communicavit » (2). 


(1) Synopsis Reptilium. pag. sl. 
(2) Salamandrologia. pag. 64. 


330 BETTA 


Gen. PETRAPONIA MASSALONGO. 


23]. PETRAPONIA NIGRA  \< 


Massal. 


Ital. Petraponia nera. 


CARATTERI. 


Capo distinto dal corpo. Due parotidi.... (??), una per lato die- 
tro agli occhi. Tronco terete, con un solco longitudinale profondo sul dor- 
so. Coste assai pronunziate. Cute leggermente sagrinata. Coda compressa, 
solcata nel centro da numerose costicine. 

Tutto il corpo di color nero uniforme e senza macchie. 


SINONIMIA. 


Petraponia nigra Massal. Annali di Bologna 1853. cum tab. 
_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 28. 


FORME. 


Capo mediocre, depresso, ottuso, colla fronte declive, 
distinto dal corpo, con alcuni solchi nel centro e nelle pa- 
rotidi...(??) che sono poco spiegate. Occhi mediocri, con 
taglio piuttosto verticale; bocca fessa oltre agli occhi. Tron- 
co terete, con un solco longitudinale profondo che par- 
tendo dalla nuca percorre la linea mediana del dorso fino 
alla base della coda. Coste numerose e molto pronunziate; 
gambe sottili, a dita sottilissime e libere affatto. Coda larga, 
molto compressa, a due tagli, essendo munita di appendici 
membranacee come quella dei Tritoni; solcata nel suo 


ERPETOLOGIA 334 


centro da molte pieghe trasversali che costituiscono quasi 
altrettante costicine; lunga poco più della metà di tutto 
il corpo, non compresa la testa. 

Pelle lucida, leggermente sagrinata sul corpo, liscia sulle 
gambe e sul ventre; increspata sotto la mascella inferiore. 


COLORITO. 


Tutto l’animale è di un bel color nero lucido in ogni 
parte. 
DIMENSIONI. 


La sua lunghezza è di millimetri 79, dei quali ne .oc- 
cupa 14 la testa e 36 la coda, la di cui maggiore larghezza 
è di millim. 9. 


Come già più addietro fu avvertito, il Prof. Massalongo 
stabilì il suo genere Petraponia sopra questo piccolo Batra- 
cio da lui raccolto nel 1849 in un fossato che circonda le 
mura di Padova. E benchè dalle parole usate dall’ autore 
nell’ indicarne l’ abitazione (*), potrebbe forse qualcuno 
pensare averne esso veduti più d’ uno, unico è però tut- 
tora l’ esemplare, ed unico quindi il rappresentante del 
genere, che l’ autore stesso con veramente rara cortesia ed 
amicizia volle facesse parte della mia Collezione dei Rettili 
Europei; tratto di gentilezza pel quale piacemi di ancora una 
volta presentargli pubblica testimonianza di obbligazione. 

Formerebbe questò Batracio il più naturale annello fra 
le Salamandre ed i Tritoni, avendo alle prime pressochè 


(*) « Vive nelle acque stagnanti dei contorni della città di Padova, e 
« specialmente nei fossati che circondano le mura ». Massal. loco citato. 


332 } BETTA 


eguale il capo, eguali le coste ed il solco del dorso ; ai se- 
condi eguali le gambe e la coda. Differenziando. poi sì ;daile 
une che dagli altri pei caratteri di forma e. struttura ac- 
cennati, e sopratutto per la sua lingua non già libera ai 
lati ed aderente nel resto, ma libera invece nella parte 
anteriore e non ai lati, siccome risulta da quanto fu detto 
nella esposizione dei caratteri di ciascun genere. 

Quanto però deve recar sorpresa, e veramente riesce 
inesplicabile, si è la presenza nel Padovano dell’ unico 
esemplare, ora da me posseduto. Chè non devesi poi tacere 
come dall’ epoca della scoperta a tutt’ oggi siano riescite 
sempre inutili le ricerche praticate e fatte praticare dal- 
l’ autore, e da qualche altro continuate con somma perse- 
veranza per due anni, onde scoprirne qualche altro indivi- 
duo; siccome vane sortirono quelle pure ch’ io stesso ese- 
guii nel decorso anno, e quelle ch° io feci praticare da al- 
cuni pescatori, allettati a diligente ricerca dalla promessa 
di un grosso premio per ogni individuo che mi avessero 
recato. 

Nè male certamente mi apporrò nel pensare che ‘ap- 
punto ‘per tale misteriosa unicità, qualcuno forse degli Er- 
petologhi troverassi inclinato a dubitare sulla bontà della 
specie, ed a supporre piuttosto nel nostro individuo ‘una 
anomalia di qualcheduna delle nostrali già conosciute. Nè 
dissimulerò come tale sia stato pure il mio primo sospetto, 
e quello non meno dell’ autore il quale, per valermi delle 
sne stesse parole, non avrebbe « mai osato sopra un. solo 
esemplare di azzardarne una illustrazione » se non ne lo 
avesse persuaso l’ importanza di alcuni suoi caratteri, e 
gli eccitamenti « più fiate » avuti dal celeberrimo Erpeto- 
logo Sig. Fitzinger di. Vienna, .cui avevalo prima inviato 
per esame e giudizio. 


ERPETOLOGIA 333 


Ma per risehiarare in altri quei dubbii ch’ io stesso vedo 
possibili, non sarà certamente superfluo l’ accennare a quale 
delle nostre specie potesse più davvicino riportarsi questo 
rettile pei suoi caratteri esterni di forma e struttura, astra- 
zione fatta pel momento all’ importante carattere della lin- 
gua, ed agli altri che appoggiano la distinzione generica 
del Massalongo. i 

L’ esemplare di cui parlasi non è al certo completa- 
mente metamorfosato, presentando ancora una traccia, ben- 
chè piccolissima, delle branchie, le quali sappiamo scom- 
parire affatto nei nostri Urodeli col raggiungere dessi il 
perfetto sviluppo. La presenza inoltre delle parotidi non è 
che presunta da un rilievo che osservasi nel posto ove so- 
gliono essere collocate, non essendo possibile il garantirsene 
meglio senza rischio di guastare o di perdere benanco que- 
sto unico esemplare. In tale stato di cose il solo sospetto 
che potrebbe nascere, quello sarebbe di una anomalia per 
melanismo del Triton alpestris, del quale la Petraponia avreb- 
be la statura ed in qualche modo le forme. Ma oltrechè 
sappiamo molto raro il melanismo negli animali non do- 
mestici, tanto più così completo, ci apprende il Sig. Geof- 
froy di Saint-Hilaire (*) dipendere tale anomalia da un vero 
eccesso di sviluppo, mentre da un difetto di esso procede 
invece quella opposta dell’ albinismo. Non si potrà quindi 
ammettere, a mio credere, eccesso di sviluppo ‘nel nostro 
individuo se, raggiunta quasi la statura ordinaria del 7ri- 
ton alpestris allo stato perfetto, porta ancora le traccie delle 
branchie. Avremo sempre d’ altronde la ben diversa con- 
formazione del capo, le coste assai pronunziate, ed un com- 


(*) Zistoire générale et particul. des anomalies ele. edit. Bruxelles. 
Tom. I. pag. 2532. 


334 BETTA 


plesso di forme che non permettono di confonderlo con 
questo Tritone; più ancora avressimo la circostanza. della 
diversa abitazione del Triton alpestris, fino ad ora poi nep- 
pure segnato fra le specie del Padovano. 

Che se si volesse estendere il confronto della Petraponia 
anche con altre specie italiane che noi non possediamo, 
od almeno delle quali non è ancora constatata la presenza 
in queste provincie, nessun’ altra ne troviamo che più le 
si avvicini quanto la Salamandra atra, alla quale sarebbe 
precisamente eguale nella forma del capo, nelle coste pro- 
nunziate, nel solco dorsale, e se vogliamo anche nella 
pelle perchè piuttosto sagrinata, non però provveduta. di 
verruche o di pori. Non occorre però ripetere quanto ne la 
discosti la forma della coda, delle gambe, e. delle dita; e 
non poteva quindi che riescirci di sorpresa l’ aver saputo 
da taluno sospettata la Petraponia per possibile anomalia 
della Salamandra in discorso! 

Oltrechè infatti la Salamandra atra è specie assolutamente 
terrestre, non vivendo che nelle regioni alpine o subalpine, 
offre dessa alcune particolarità che la distinguono a tutta 
prima fra le sue congeneri, e che devono senz’ altro trat- 
tenere da quel così leggiero ed erroneo giudizio, pel quale, 
e mi sia permesso il dirlo, avrei ogni ragione di ritenere 
chi Jo pronunciò, ben poco istruito od ignaro dei fatti i 
più degni di osservazione e di particolarissimo riguardo. 
Non si sa difatti che la Salamandra atra partorisce costan- 
temente sulla terra dando alla luce due soli figli per volta, 
i quali sebbene non più lunghi di millimetri 38 a 42 
hanno la coda non già schiacciata, ma conica, arroton- 
data, senza natatoja membranacea, e quindi presso a poco 
come nello stato di sviluppo il più avvanzato? — Non 
consta forse che i girini nascono assolutamente privi di. 


ERPETOLOGIA 335 


branchie, e che occorre estrarli dal corpo della madre per 
trovarli di esse provveduti? — È questo un fatto della 
massima importanza nella storia di tale Salamandra, pro- 
vato dalle diligentissime ed accurate osservazioni dello 
Schreibers, ed ammesso da tutti gli Erpetologhi d’ oggidì. 
Ed ecciterò almeno chi dà prova di ignorarlo, a vedere 
pel confronto varj neonati di tale Salamandra, ch’ io tengo 
nella mia Collezione con alcuni girini levati dal seno della 
madre, e nei quali soltanto si osservano le branchie, che 
sono lunghissime, disuguali, e foggiate a grazioso pennac- 
chio biancastro. 

Per tutto l’esposto resterebbe quindi eliminato, io penso, 
il dubbio sulla sospettata anomalia nella Petraponia migra 
della quale ognuno, in attenzione ancora di miglior esito 
nelle ricerche di altri individui, potrà farsene intanto una 
pronta idea quando sappia avere dessa il capo, il corpo, 
le coste, il solco dorsale, ed il colore della Salamandra atra, 
colla statura, le gambe colle dita, e la coda del Triton al- 
pestris, come può vedersi nella tavola dataci dall’ autore. 

Nulla si conosce di preciso sui suoi costumi, sul suo 
modo di generazione e sviluppo, i quali ritengo però non 
molto si scosteranno da quelli degli altri Urodeli delle no- 
stre acque. Il Prof. Massalongo lo trovò animale svelto, velo- 
cissimo, assai vorace, che nuota con grande agilità, e questo lo 
giudica dalle osservazioni fatte nei due giorni circa che lo ten- 
ne vivo entro un vaso di acqua pura, mantenendolo con ver- 
micelli acquatici. 

Intanto non cesseranno le ricerche per avere migliori 
cognizioni, e per poter stabilire collo sperabile rinvenimen- 
to di altri individui, più precisi caratteri generici e speci- 
fici, e per dare quindi più tardi un più fondato e sicuro 
giudizio su questo interessantissimo Batracio. 


336 BETTA 


Gen TRITON LAURENTI. 


‘24—I TRITON CRISTATUS 


Laurenti. 


Ital. Tritone crestato, Salamandra acquatica. 

Ven. Sarmandola d’ acqua, marasandola o maresangola de vall, 
salamandra de fosso. 

Tirol. Sarmandola d’ acqua. 


CARATTERI. 


Capo poco distinto dal corpo, col muso rotondato-ottuso. Tronco terete, 
alquanto ventricoso. Cute coperta di piccole verruche molli. Coda compressa 
fin dalla base, col lato inferiore più diritto, il superiore più arcuato. Nei 
maschi una cresta addentellata sul dorso nell’ epoca delle nozze. Il dorso 
percorso da un solco giallastro nella femmina. 

Corpo di color bruno-verdastro od anche nerastro, sparso di molte 
macchie rotonde, nere, e di piccoli punti granulosi bianchi, specialmente 
sulla gola e sui fianchi. Tutto il di sotto di un color arancio: vivo con 
grandi macchie nero-cerulee quasi rotonde, ed aleune confluenti. 


SINONIMIA. 


Lacerta palustris Linn. Syst. Nat. I. p. 370. 
— — Gmel. Syst. Nat. I. p. 1065. 
—_ - Sturm Deutschl. Fauna II. 3. 
_ _ Retz Fauna Suec. I. p. 287. 
— _ Shaw Zoo). III. p. 298. 
Triton cristatus Laur. Syn. Reptil. p. 39. n. 44. 


ERPETOLOGILA 837 


Triton cristatas Fitz. Verz. Mus. Wien. p. 66. 


— — —Zonap. Fauna ital. cum tab. 
—- — Betta Rett. Tirol. p. 156. 
—_ — Betta Cat. syst. Rept. p. 28. 


- —  Massal. Saggio p. BI. 

—_ — Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 151. 
Triton carnifex Laur. Syn. Rept. p. 38. 145. sp. 4i. 
— — © Zonap. Fauna ital. et tab. fig. 3. 

Lacerta porosa Retz Fauna Suec. I. p. 288. 

Salamandra platyura Daub. Encycl. méthodique. 
Salamandra cristata Schneid. Hist. Amph. I. p. 87. n. 2. mas. 
_ —  Daud. Hist. Rept. VIII. p. 253. 

—_ —  Latr. Hist. Salam. p. 43. f. 35. 4. 
Salamandra pruinata Schneid. l c. p. 69. 
Molge palustris Merr. Syst. Amph. p. 187. sp. 8. 
Salamandra platycauda Rusconi Amours des Salam. p. 29. 
Tab. I. fig. IMI. foem. — f. IV. mas. 
| T. II. f. IL mas. — f. II foem. 


FORME. 


Capo compresso, col muso rotondato-ottuso, poco o nulla 
distinto dal tronco. Occhi mediocri, con iride dorato-bruna- 
stra; bocca fessa fino sotto al margine posteriore dell’occhio. 
Tronco terete, corrugato e coperto di piccole verruche 
molli, col ventre alquanto allargato nel mezzo. Gambe bre- 
vi; le anteriori piuttosto sottili; le posteriori più grosse; 
tutte le dita tereti e libere affatto. Coda compressa fin dalla 
base, a due tagli, coll’ inferiore più diritto, il superiore più 
areuato, affatto liscia e quasi diafana, meno alla radice 
ove è leggermente verrucosa. Nei maschi, sopratutto nei 
primi giorni di primavera, tutta la parte superiore del cor- 
po è ornata da una cresta nera, costituita da una espan- 

22 


‘338 BETTA 


sione membranacea della pelle ‘che comincia sulla nuca, 
e che aumentando progressivamente di altezza fino- alla 
metà del dorso si accorcia poi verso l’ origine della coda, 
ove essa termina. Questa cresta è acutamente dentellata 
o frangiata al suo margine libero, e l’animale può impri- 
merle un movimento di ondulazione, scuotendola o facen- 
dola movere parzialmente sopra diversi punti della sua 
lunghezza. La femmina manca di tale cresta o di cordone 
rilevato, ed ha invece un solco che dalla nuca va fino 
all’ origine della coda. Nei sessi la cloaca è molto allun- 
gata e presenta un ingrossamento alle labbra, coperte di 
pori e di verruche molto apparenti. 


COLORITO. 


La tinta generale del corpo è di un bruno verdastro che 
si fa anche nerastro in qualche individuo, o che presenta 
in altri una tendenza al marrone od al cinereo. Molte mac- 
chie tonde più oscure, o nere, vi sono sparse irregolarmente, 
ed in qualche raro esemplare vedonsi anche contornate di 
un margine più chiaro che meglio le distacca dal fondo 
oscuro del corpo. La gola è fosca, tutta coperta di mac- 
chiette nere e di punti granulosi bianchi, alcuni dei quali 
veggonsi anche sparsi sui fianchi. Il petto e l’ addome sono 
di un bel color rancio con grandi macchie quasi rotonde, 
d’ un nero ceruleo, alcune delle quali confluiscono. irre- 
golarmente. La coda è tutta di color fosco con due file 
longitudinali di punti nerastri, e nei maschi vi si vede 
altresì una fascia lattea longitudinale da ambedue i lati 
che corrispondono alla regione vertebrale. Nella femmina 
tutto il taglio della coda è di color giallo aranciato; assai 
di rado invece è tutto di tal colore il taglio inferiore della 


ERPETOLOGIA 839 


coda nei maschi, nei quali la cresta è nera ed il suo orlo 
‘estremo assume nell’ epoca delle nozze un bel color vio- 
laceo. Il solco dorsale nelle femmine è tinto di giallo sor- 
dido più o meno dilatato, e che si perde coll’ età. Le zam- 
pe sono di color verdastro carico al di sopra, con qualche 
macchietta rotonda nera; al di sotto hanno una tinta si- 
mile a quella del ventre, con macchie nere che fasciano 
poi tutte le dita. di 

In qualche raro esemplare in cui il color bruno del 
corpo tende più al cinereo od all’ olivastro, notansi anche 
alcune spruzzature lineari giallastre di qua e di là della 
regione dorsale e lungo i fianchi; in essi riescono piccole, 
poco visibili, ed anche quasi totalmente obliterate le mac- 
chie nere delle parti superiori del corpo. 


DIMENSIONI. 


‘ Gli esemplari della maggior mole fino ad ora osservati 
in queste provinucie hanno la lunghezza di centimetri 40 
a 43, compresa la coda che misura 5 a 6 centimetri e 
la testa lunga da 17 ai 19 millimetri. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Nelle provincie Venete vive arcicomunissimo nelle acque 
fangose dei fossi e degli stagni. Trovasi a migliaja nei luo- 
ghi suburbani e nei dintorni di Verona; abbondantissimo 
lo raccolsi nella provincia di Padova, di Vicenza, e di Ve- 
nezia. Comune è nel Friuli. Nel Tirolo all’invece no’! 
vidi fino ad ora che in qualche fosso presso Riva e pres- 
so Rovereto, e rarissimo nella parte bassa della Valle di 
Non; è però presumibile che vi abiti diverse altre località. 


340 BETTA 

È animale del tutto innocuo, assai vivace nell’acqua in 
cui nuota con somma rapidità, ed abbastanza agile anche 
sul terreno. Nei fossi e negli stagni si nasconde sotto i 
sassi sommersi, o sta scoperto adagiato sul fondo. Nella 
stagione fredda si intana sotterra nei luoghi umidi. Nutresi 
di insetti; di larve acquatiche, di molluschi, specialmente 
di piccole Paludine (*), di Limnei, e di Fise; ma non rispar- 
mia i girini, ed ingoja persino altri Tritoni più piecoli. 
Trasuda dalla pelle un umore nauseoso all’ olfato, che si 
attacca alle dita di chi lo tocca. Cangia la pelle più volte 
all’anno, e si è già altrove accennato quanto sia frequente 
tale muta allorchè venga di spesso cangiata l’acqua del 
vaso in cui si custodisce. 

In schiavitù i Tritoni vivono lungamente e resistono 
anche a digiuni di più mesi; in tal caso però riesce visi- 
bile assai il loro dimagrirsi e progressivo estenuarsi. Ven- 
gono spesso a galla per respirare l’ aria libera. Il sale 
gettato sul loro corpo li fa morire in brevissimi istanti, 
ma nei pochi individui ch’ io sacrificai per tale espe- 
rienza non ebbi a scorgere quelle veementissime convulsioni 
che gli autori dicono accompagnare sempre questa morte. 
Io vidi soltanto in essi alcune leggiere contrazioni del 
corpo e delle estremita, subito dopo le quali i Tritoni mo- 
rivano avvolgendo la coda in strettissima spira. 


(*) Alcuni Tritoni pescati in un fossato presso Gorgo, provincia di 
Padova, nel Maggio del 1855 e trasportati a Verona, evacuarono dopo poche 
ore di schiavitù molti gusci della Paludina ventricosa Gray. lo ebbi in 
tal guisa provato che questa Paludina vive in vicinanza della Jocalita, 
ove non ne erana state raccolte che alcune spoglie quando nel Febbrajo 
dello stesso anno veniva avvertita per la prima volta come specie anche 
dell’ Italia — (Vedi Betta e Martinati « Molluschi delle Provincie Venete » . 
Verona. Febbrajo 1855. pag. 88.). 


ERPETOLOGIA 34% 


È questa una delle specie alle quali varj autori rivol- 
sero particolarmente le loro diligentissime osservazioni 
per conoscere la generazione e lo sviluppo di questi anie 
mali; e Spallanzani, Funk, e Rusconi ne lasciarono descritti 
e figurati tutti i cangiamenti che subiscono gli embrioni 
nell’ uovo, e tutte le metamorfosi dei girini. Il Triton cri- 
status servì allo stesso Rusconi per soggetto interessantis- 
simo dei suoi Amours des Salamandres aquatiques, avendo 
potuto seguire i più minuti particolari degli atti che pre- 
cedono, accompagnano, e susseguono l’ atto di fecondazione. 

Allorchè i bei giorni di primavera ridestano a nuova 
Vita tutti gli esseri del creato, questi animali assumono 
le creste e gli altri ornamenti concessi loro dalla natura 
per tal epoca, ed i sessi si cercano; ma non si trovano 
mai accoppiati. Giunto il tempo della riproduzione, e quan- 
do appunto le uova contenute nelle ovaje della femmina 
sono mature e si avviano per gli ovidotti, il maschio co- 
mincia ad avvicinarsele affine di compiere l’ atto di gene- 
razione, e la segue ovunque nei suoi movimenti per modo 
che in tale circostanza i Tritoni vanno costantemente riu- 
niti a paja. Per molti giorni il maschio resta così vicino 
alla femmina, alla quale impedisce l’allontanarsi aggiran- 
dosele intorno per ogni verso, applicando il muso al suo 
muso, agitando rapidamente la coda, e battendo con que- 
sta i fianchi della compagna. Quando, vinta finalmente da 
tante carezze, si posa sul fango, il maschio le si ferma ac- 
canto spargendo il suo liquore seminale che diluito pene- 
tra nell’ ano della femmina, e feconda le uova più vicine 
all’ uscita. Questa ejaculazione dello sperma si ripete più 
volte di seguito; poi quasi subito dopo la femmina sente 
il bisogno di sgravarsi, e depone le uova sopra le foglie 
sommerse di qualche pianta palustre. Coi piedi di dietro, 


342 RETTA 


nel momento che si sgrava, ripiega e stringe la foglia in 
guisa da formarne un seno che riceve le uova, le quali 
non possono poi disperdersi poichè la sostanza viscosa nella 
quale sono avvolte, conglutina anche e tien ferma la pie- 
ga della foglia stessa. Nelle tavole che accompagnano gli 
Amori delle Salamandre può vedersi figurata una femmina 
intenta a tale singolarissima operazione. Le uova sono de- 
poste senza regola ad una ad una, a due, a tre, od al più 
a quattro a quattro. Dopo circa due settimane sbuciano le 
larve, poco sviluppate, e prive di gambe, le quali però si 
presentano ben presto spuntando prima le anteriori, poscia 
le posteriori; le branchie spariscono piuttosto tardi, e qual- 
che volta succede che l’ inverno colga questi Tritoni prima 
ancora che ne abbiano perduta ogni traccia. 

I Tritoni rimanendo fuori dell’ acqua perdono la viva- 
cità dei colori, che smarriscono poi sempre dopo la loro 
morte, e specialmente nell’ alcool. È così anche questa una 
delle difficoltà che si incontrano nel classificare le specie del 
genere quando non si possano esaminare allo stato di vita. 


NOTA. () 


Facendo figurare nella Sinonimia della specie il Triton 
carnifex di Laurenti mi sono piegato al giudizio di Bona- 
parte e di Duméril, che lo ritennero per un giovane Triton 
cristatus o per la femmina di esso che da qualche tempo 
siasi trattenuta fuor d’acqua. Tale è però senza dubbio il 
carnifec di Bonaparte, a giudicarne anche soltanto dalla 
citata sua figura se egli stesso non lo avesse più tardi pre- 
cisamente dichiarato. 


(*) Vedasi anehe il secondo capoverso della Nota a pag. 354. 


ERPETOLOGIA 343 


25— I TRITON PUNCTATUS 
Latreille, 


Ital. Tritone punteggiato. 
Ven. Sarmandola o salamandra dei fossi, sarmandoletta, sala- 


mandre. 


CARATTERI. 


Capo poco o nulla distinto dal corpo, col muso pressochè pirami- 
dante. Tronco quasi terete, ventricoso. Cute affatto liscia e priva di ver- 
ruche. Coda molto lunga in proporzione, compressa fin dalla base, acu- 
tissima, coi lati quasi piani. Lateralmente al dorso due carene ottuse. 
Nel tempo delle nozze una cresta dorsale inteserrima nei maschi, e le 
dita del piedi posteriori lobati. 

Corpo cinereo-verdastro o giallastro ed anche bruno, sparso di molte 
macchiette nere, rotonde e distinte. Cinque lineette nere che dalla som- 
mità del muso si disegnano sulla testa, colle due esterne che passano 
sopra gli occhi e si dilungano sui lati del collo. Tutto il di sotto di color 
giallo o rancio, con macchiette tonde nere. 


SINONIMIA. 


Triton Parisinus Laur. Syn. Rept. p. 40. sp. 48. 
Lacerta triton Retz Fauna Suec. p. 288. sp. fl. 
Salamandra taeniata Schneid. Hist. Amph. I. p. 58. 
Lacerta taeniata Sturm Fauna III. 3. cum tab. 3. 
(tab. a. mas. nupt. temp.) 
Salamandra abdominalis Daud. Hist. Rept. VIII. p. 250. 
Salamandra elegans Daud. Hist. Rept. VIII. p. 285. 
Salamandra punctata Daud, ib. p. 257. 


344 BETTA 


Molge punctata Merr. Syst. Amph. p. 186. sp. 4. 
Salamandra erigua Rusconî Amours des Salam. p. 28. t. I f. A. 2, 
Molge taeniata Gravenh. Delic. Mus. Vratisl. p. 76. t. 48. f. 41.2. 
(f. 4. mas. nupt. temp.) 
Triton punetatus Pitz. Verz. Mus. Wien. p. 66. (fide Bonap.) 
_ —_ Bonap. Fauna ital. cum tab. (fig. 4.) 
| — Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. AU4. 
Triton exiguus Bonap. Fauna tab. fig. dB. (juven.) 
Triton lobatus Bonap. Fauna ital. tab. fig. 7. 
Triton pulmatus Betta Cat. syst. Rept. p. 28° 
— —  Massal. Saggio p. d3. 
La Salamandre pointillée Latr. Hist. Rept. II. p. 247. t. BI. £. 3. 
(mas. nupt. temp.) 


FORME. 


Capo poco o nulla distinto dal tronco, più lungo che 
largo, col muso pressochè piramidante. Occhi grandetti, col- 
l’ iride dorata; bocca fessa più in là del margine posteriore 
dell’ occhio. Tronco quasi terete, ventricoso. Gambe sottili 
con dita leggermente depresse, molto divergenti e libere; 
nel solo maschio al tempo degli amori quelle dei piedi 
posteriori sono lobate, ed alquanto connesse alla base, ri- 
cordando allora le dita di alcuni uccelli del genere Po- 
diceps (*). Le membrane che formano i lobi si obliterano 
poi a poco a poco, e finalmente svaniscono del tutto. Il 
maschio porta in quell’ epoca anche una cresta integerri- 
ma, che elevandosi sul taglio superiore della coda risale 
lungo il dorso e giunge fino alla regione occipitale, dimi- 
nuendo gradatamente d’ altezza. Dorso spianato nel mezzo 


(*) Podiceps cristatussauritus e minor, frequenti anche sul Benaco, 
e conosciuti dai nostri cacciatorì sotto i nomi volgari di valangoto, cor- 
nison, cisan, sirapozzo, strapozeto, brusa-polver, brusa-balini ecc. 


ERPETOLOGIA 345 


da due oscure carene, una per lato. Coda notabile per 
lunghezza, eccedente in proporzione quella degli altri Tri- 
° toni, compressa fin dalla base, acutissima, coi lati quasi 
piani, talchè i due tagli, che sono pressochè rettilinei, ap- 
pariscono orlati da una sottile ala membranacea; la sua 
punta prende talvolta un tale acume da apparire termi- 
nata da una appendice filiforme lunga da 3 a 4 ed anche 
5 millimetri. Orifizio della cloaca molto turgido. 

La cute è affatto liscia e priva di verruche. 


COLORITO. 


Tutto il di sopra è di un color cinereo-verdastro o gial- 
lastro, ed anche bruno, sparso di molte macchiette nere, 
arrotondate, isolate. Cinque linee nere, più o meno distinte, 
partono dall’ apice del muso e segnano la parte superiore 
del capo; le due esterne attraversano gli occhi e si pro- 
lungano sui lati del collo; quella di mezzo ha origine 
un poco più addentro del muso, e qualche volta manca 
quasi totalmente. La gola è bigio-chiara con punti neri 
irregolari; il petto ed il ventre sono di un color giallo più 
o meno carico ed anche aranciato, con macchiette tonde 
o punti neri, che qualche volta tendono a disporsi rego- 
larmente in quattro file. La coda è del colore del corpo, 
col taglio inferiore rossastro, lungo il quale scorre dai due 
lati una linea più pallida segnata da una serie di mac- 
chiette nere. La cresta dei maschi è screziata di nero 
come il corpo. Le zampe sono al di sopra di color simile 
al dorso, gialle al di sotto, ed in pari modo punteggiate di 
nero. 


346 BETA: 1 


DIMENSIONI. 


Questo grazioso Tritone è il più piccolo delle nostre 
specie non toceando che la lunghezza di 74 millimetri, dei 
quali la coda ne occupa la metà, ed 44 il capo. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Fino ad ora non ebbi a trovarlo che nella Provincia di 
Padova presso Gorgo, e nella provincia Veronese, in cui 
specialmente mostrasi abbondantissimo nelle valli, nelle 
acque stagnanti e poco profonde; e presso Verona e Mon- 
torio anche in limpidi ruscelli. Nel Padovano, secondo il 
Cav. Trevisan, vive anche sui Colli euganei; e giusta il 
Prof. Pirona è comune nelle paludi del Friuli. Nella Guida 
di Venezia pubblicata per l’ occasione del IX Congresso, lo 
trovo altresì indicato come proprio di quella provincia, e 
non è a dubitarsi che esista anche nelle altre del Veneto. 
Copiosissimo lo osservai benanco in varie località della Lom- 
bardia, siccome presso Milano, presso Pavia, presso Como, 
ed al confine del Comasco colla Svizzera. Nel Tirolo al- 
l’incontro non ebbi mai a vederlo; ma ritengo che viva 
anche colà, almeno nelle parti più vicine al Veneto, e che 
sia quindi fin quì sfuggito soltanto alle mie ricerche. 

Convive per lo più col Triton cristatus; mutresi, propa- 
gasi, e si sviluppa come gli altri Tritoni. 


OSSERVAZIONE. 


Oltre alle dimensioni molto minori, sarà sempre facile 
riconoscere e distinguere questa specie per la sua pelle 
affatto liscia, per le due ottuse carene del dorso, per la 


ERPETOLOGIA 347 


lunghezza della sua coda, e per le cinque linee nere del 
capo. Il maschio mostrasi più che mai elegante in colori 
ed ornamenti cutanei all’ epoca delle nozze, ed è precisa- 
mente offerto in tale stato nelle citate tavole dello Sturm, 
di Gravenhorst, ed in quella poi del Principe Bonaparte 
sotto il nome di Triton lobatus. 

Nel mio Catalogus Reptilium Europae figura sotto l’ erro- 
nea denominazione di Triton palmatus; ed il Prof. Massalongo 
ripetè lo stesso errore indicando quella specie come propria 
del Veronese, non corrispondendo poi agli esemplari no- 
strali la da lui citata fig. 6 della tavola di Bonaparte. 
Benchè giudicando dalle figure dateci dallo stesso Principe 
di Canino sia facile lo scambio fra le due specie, od almeno 
non possano desse ritenersi per abbastanza distinte, è però 
certo che il Triton palmatus, almeno quale ci viene figurato 
nella Tavola della Fauna Italica (fig. 6.), non si scontra 
fra noi, siccome sarà più probabilmente estraneo anche 
all’ Italia. Gli autori che usarono tal nome per indicare il 
nostro punctatus, furono tratti in inganno dal carattere dei 
piedi lobati che gli è proprio nell’ epoca soltanto delle 
nozze e per qualche tempo successivo, ma che non corri- 
sponde al vero carattere del palmatus, nel quale le dita dei 
piedi posteriori sono nella stessa epoca riunite interamente 
da una membrana, come sarebbe quella dei piedi delle anitre. 

Il Tritone di cui parlasi offre al pari d’ogni altro, e più 
ancora, così svariati aspetti di colorazione e di forme secondo 
l’età, il sesso, e sopratutto secondo l’ epoca della feconda- 
zione, che a sole sue spese furono create le varie altre specie 
indicate nella Sinonimia, Fra esse va poi indubbiamente ri- 
portata anche la Salamandra exigua del Rusconi, ritenuta 
invece da Duméril e Bibron per sinonima del loro Triton 
palmatus Schneider (Erpét. IX. pag. 148, n. 8.); Tritone sulla 


348 - | RETTA 
cui bontà specifica ci permettiamo dubitarne assai, e per- 
chè mantenuto da essi in una confusione di Sinonimia non 
facile a dicifrarsi, e perchè pochissimo persuasi della co- 
stanza e del valore del caraftere della palmatura alle dita 
dei piedi posteriori, dipendente forse e modificabile a se- 
conda delle varie circostanze di località ed abitazione della 
specie. Nella Francia giusta Duméril, e presso Vienna se- 
condo varj autori, troverebbesi abbondantissimo il pic- 
colo Tritone palmato, che vorrebbesi distinto dal nostra 
punctatus 0 lobatus. Ma dall’ Austria e dalla Francia sotto 
il nome di Triton palmatus, e dalla Francia anche sotto 
l’altro nome di Triton abdominalis Daud., io ho però rice- 
vuto alcuni Tfritoni che senza alcuna esitanza vanno ri- 
portati al nostro punetatus, ed i quali devo ritenere soltanto 
raccolti fuor dell’ epoca delle nozze perchè colle dita dei 
piedi posteriori affatto libere, e precisamente colle forme 
e coi colori della Salamandra exigua fig. II. del Rusconi. 
Le variazioni di forme del 7. punctatus unitamente alle 
altrove avvertite sensibili modificazioni ed alterazioni di 
colorito prodotte dall'alcool, ci fanno ripetere l’ osservazione 
delle difficoltà di ben distinguere e separare tutte le specie 
di questo genere, quando non vengano studiate allo stato di 
vita. E queste sono senz’ altro le ragioni che impedirono ai 
chiarissimi Autori della Erpétologie générale di presentare pei 
Tritoni una più esatta e distesa descrizione, e di assegnare 
ad essi quei limiti e quei precisi caratteri specifici che si 
dovevano attendere da quei valenti Erpetologhi, e che con 
tanta diligenza ed esattezza esposero per gli altri rettili. 
Intanto dai caratteri quì offerti, facilissima riescirà per 
noi la distinzione delle tre specie nostrali, le descrizioni 
delle quali sono stabilite per cadauna sullo studio e sul 
confronto di più centinaja di esemplari esaminati vivi. 


ERPETOLOGIA 2349 


26 — II. TRITON ALPESTRIS 


Laurenti. 


Ital. Tritone alpestre. 
Ven. Sarmandola d’ acqua o marasangola. 


Tirol. Sarmandola d’ acqua, sarmandola de monte. 
CARATTERI. 


Capo poco distinto dal corpo, col muso pressochè piramidante. Tronco 
leggermente telragono, ingrossato e più arrotondato nel mezzo. Cute semi- 
nala superiormente di piccole verruche, liscia affatto al di sotto. Coda 
quasi terete alla base, ma subito dopo compressa. Nel maschio un cordon- 
cino 0 piccolo rialzo che percorre lungo il dorso nell’ epoca delle nozze; 
ii dorso della femmina dolcemente incavato lungo il mezzo. 

Corpo di color piombino più 0 meno cupo, branastro od anche ne- 
rastro, con tinta uniforme o screziato di scuro. Molti punti neri alterna- 
mente schierati sopra una striscia bianchiccia segnano 1 confini dei fianchi 
coll’ addome. Tutto il di sotto di color arancio infuocato, affatto privo di 
macchie. 


SINONIMIA. 


Salamandra Wurffb. Salamandrologia p. 64. t. 2. f. 4. 
Triton Wurffbeiniù Laur. Syn. Rept. p. 38. 
= -“ Schinz Fauna Helvet. p. 146. sp. 3. 
— _ Charpentier (in litt. et specim. Helvet.) 
Triton alpestris Laur. Syn. Rept. p. 38. sp. 40. t. 2. f. 4. i 
— — Sturm Deutsch!. Fauna III. 8. cum 4 fab. 
_ -. Tschudi Classif. Batrach. p. 93. 


350 : BETTA 


Triton alpestris Bonap. Fauna ital. cum tab. (fig. 2.) 

= = Betta Rett. Tirol. p. 159. 

— — Betta Cat. syst. Rept. p. 28. 

= —_ Massal. Saggio p. 52. 

—_ — Dum. Bibr. Erpétol. IX. p. 146. 
Salamandra alpestris Schneid. Hist. Amph. I p. 71. 
Salamandra rubriventris Daud. Hist. Rept. VII. P. 259. 
Salamandra Iurffbeinii Latr. Hist. Rept. II p. 248. 
Molge Wurffbeini Merr. Syst. Amph. p. 186. sp. 6. 
Molge alpestris Merr. ib. p. 187. sp. 7. 

Triton Apuanus Bonap. Fauna Ital. cum tab. (fig. 3.) 


FORME. 


Capo poco depresso e poco distinto dal tronco, più lungo 
che largo, pressochè piramidante verso il muso. Occhi gran- 
di, rotondati, obliqui, coll’ iride dorata; bocca fessa fino 
oltre il margine posteriore dell’occhio. Tronco svelto, leg- 
germente tetragono, ingrossato nel mezzo, e quivi anche più 
arrotondato. Gambe anteriori gracili e lunghe; le posteriori 
più pingui ed anche un poco più brevi; tutte le dita in- 
tieramente libere e leggermente depresse. Coda quasi terete 
alla base, ma subito dopo assai compressa, e foggiata a 
doppio taglio come negli altri nostri Tritoni. Nel maschio 
il dorso è percorso nel mezzo da un piccolo rialzo o cor- 
doncino; nella femmina è all’ incontro dolcemente incavato 
dalla nuca fino all’ origine della coda. Orifizio della cloaca 
molto turgido. 

La cute del dorso e dei fianchi è più o meno fittamente 
seminata di piccolissime verruche; queste mancano però 
anche totalmente in alcuni esemplari che riescono per tal 
modo levigati al di sopra, come è sempre il di sotto di 
tutti gli individui. 


ERPETOLOGIA 354 


COLORITO. 


Quasi sempre il colore è superiormente di un piombino 
piu 0 meno cupo, uniforme o screziato di scuro; inferior- 
mente è tutto di un arancio fuocato privo affatto di mac- 
chie, ma separato dal colore del dorso per mezzo di punti 
neri alternamente schierati sopra una striscia bianchiccia 
che determina i confini dell’ addome. Le palpebre, i mar- 
gini delle mascelle, i lati del collo sono seminati di ele- 
gantissime macchie simili a quelle dei fianchi. In alcuni 
individui (le femmine?) anche la gola è scarsamente pun- 
teggiata di nero. La coda è del colore del corpo, con molte 
macchie arrotondate nerastre, e col margine inferiore del 
colore del ventre, ma ordinariamente più giallastro ed 
annebbiato di fosco. Le gambe e le dita sono pure mac- 
chiate di nero. Nel maschio il cordoncino che si eleva 
lungo il dorso è del colore del corpo, qualche volta con 
piccole interruzioni di color biancastro, ma il più spesso 
macchiato alternativamente di bianco e di nero, ciò che 
rende elegantissimo questo distintivo di sesso, sopratutto 
poi quando il bianco vi è molto spiccato. Qualche volta 
questo cordoncino si eleva di più, e si spiega quasi in un 
lembo membranaceo continuo, non però più alto di un 
millimetro e mezzo, e non mai addentellato come. nel 
Triton cristatus. Questo lembo non lo osservai fino ad ora 
che in alcuni degli esemplari raccolti nel Luglio 4854 sopra 
un alto monte del Tirolo italiano, nella Valle d’ Annone. 

Le mutazioni di colorito alle quali è soggetto questo 
Tritone nelle varie età o stagioni, hanno contribuito alla 
creazione di altre specie che sono gra riconosciute per 
semplici ed accidentali varietà. Benchè il Principe di Ca- 


352 BETTA 


nino indichi nella sua Fauna quale colorito del Triton al- 
pestris il piombino più o meno cupo ma sempre uniforme, ed 
i signori Duméril e Bibron non accennino nella loro £r- 
pétologie le macchie più oscure delle quali è più frequen- 
temente screziato il suo dorso (almeno nelle nostre Pro- 
vincie ), pure sono indubbiamente da riportarsi alla specie 
anche tutti gli esemplari così screziati, e dei quali preci- 
samente si trovano figurati due individui nella Fauna dello 
Sturm. Del resto il colore costantemente arancio acceso 
del ventre e privo affatto di macchie, non lascia possibile 
la confusione di questo Tritone con alcun’ altra delle specie 
fra noi viventi. 

Ecco intanto le principali varietà da distinguersi fra le 
‘molte centinaja di esemplari ch’ io raccolsi: 


A. Corpo di color piombino con scereziature brunastre o 
nerastre, e colle serie dei punti neri sulla fascia bianca 
dei fianchi. 

B. Corpo di color piombino tendente al fulvo, con screzia- 
ture brune, e con una sottile fascia nerastra subconti- 
nua ai fianchi, nella quale seorgonsi solo rarissimi e 
quasi invisibili punti bianchi. 

€. Corpo di color piombino od olivastro quasi uniforme, 
colle fascie bianche spiegatissime ai fianchi e fittamente 
punteggiate di nero. 

D. Corpo di color cinereo screziato di bruno, con una sola se- 
rie di punti neri ai fianchi schierati sopra una fascia bian- 
castra, confusa superiormente col colore del dorso, più 
distinta e spiccata inferiormente dal colore dell’ addome. 

F. Corpo quasi uniformemente nerastro, senza fascie bian- 
castre, e solo con una o due serie di punti neri ai fian- 
chi confusi col fondo del dorso. 


EFERPETOLOGIA 353 


F. Corpo di color brunastro con sereziature nere, privo 
delle fascie bianche ai fianchi, pereorsi invece dalla serie 
dei punti neri assai distinti. Negli individui che ap- 
partengono a questa varietà mancano anche le macchie 
alle mascelle ed ai lati del collo. 


DIMENSIONI. 


Questo Tritone non oltrepassa fra noi la lunghezza di 
centimetri 10%, dei quali ne occupa quasi 5 la coda, e 
14 a 45 millimetri il capo. 


ABITAZIONE E COSTUMI. 


Abbonda generalmente nelle località elevate, e trovasi 
sui monti anche i più aiti purchè sianvi fosse d’acqua e 
stagni. Nel Veneto io non posso però fino ad ora indicarlo 
rinvenuto che nella provincia Veronese, abbondando in 
modo speciale nel lago dei Cracchi sotto Bolca, e sul mon- 
te Baldo. 

Nel Tirolo è comunissimo sopra Riva, nella Valsugana, 
nella valle di Sole, e nella valle di Annone ove lo raccolsi 
presso Fondo ed in un laghetto sul monte di Malosco 
detto la Regola, all’ altezza di circa 2300 piedi di Vienna 
sul livello del mare. Trovasi sempre in gran copia, ed in 
pochi minuti se ne possono raccogliere moltissimi esem- 
plari. 

E un’animaletto assai lesto e vivace; nutresi di ver- 
metti, di insetti, di larve, e di piccoli molluschi fra i quali 
del Limneus pereger Mill, che s' innalza alle maggiori eleva- 
zioni. Pel suo modo di vivere non differisce dal Triton 
eristalus, con cui ha comune il modo di accoppiamento, di 

23 


» 


354 BETTA 


de 


generazione e di sviluppo. I girini perdono assai tardi le 
branchie, trovandosene alcuni provveduti di esse benchè 
tocchino quasi le dimensioni degli adulti. 


NOTA. 

Gli individui a pelle liscia, e privi perciò affatto di ver- 
ruche, apparterebbero al Triton Apuanus descritto e figu- 
rato da Bonaparte, che trovai non raro nel Veronese, e 
presso Fondo e Malosco nel Tirolo. 

I giovani Tritoni alpestri pel colore nerastro della parte 
superiore del corpo e di tutta la coda, marmorate in bru- 
nastro e biancastro, e per la mancanza della fascia bianca 
e dei punti neri ai fianchi, somigliano assai al Triton Nyc- 
themerus di Michahelles figurato nelle Tavole della Fauna 
Italica (Fig. 5.). Tale Tritone, sospettato con ogni ragione 
non buona specie, sarebbe però creduto piuttosto dal Prin- 
cipe Bonaparte per un giovane del 7riton marmoratus estra- 
neo senza dubbio all'Italia. Ma volendosi ritenere per patria 
del Nycthemerus quella indicataci dallo stesso suo autore, 
cioè i monti dell’ Italia meridionale, non sarebbe per ciò 
piuttosto a giudicarsi per un giovane dell’ attuale nostro 
Tritone, ovvero dell’ altro nostro cristutus? Parrebbe che 
Duméril e Bibron non dissentissero dalla seconda opinione 
coll’ avere indicato il Nycthemerus siccome specie riportata 
ad un Triton carnifer, ciò che vorrebbe dire secondo noi 
ad un giovane Triton cristatus. 


d 
| 
| 
| 
| 


} 
| 
) 
| 


linee nere fog . 


I 
] 
| 


i 


: 
È) 
V) 
b) 
CI 
) 
È] 
) 
, 


di color gia 
ero. Due macch . 


lome giallastre 


io. Tutto il di) 
nereggiante, + 


longitudinale 
hie nerastre 


| 
| 
mminente all’apj 
| 
| 


bstro uniforme | i 
pic 
D macchiato di; 


i 
i 
| 


i rapide » SESSI Lone ire DERE 
nine pirLim RIE SIE oe 


de Betta = Erpetologia, pag. 355. 


ORDINI 


Corpo coperto sopra e sotto di 


{un'armatura ossea 


Ord, I, CHELONII . . . 


Co 


Corpo coperto di pelle nuda, mollo 
senza scaglie. Le dita non mai 
armate di unghie 


Ord. IV. BATRACI | 


con 
| quattro 
gambe 


TAVOLA SINOTTICA 


dei Rettili delle Provincie Venete e del Tirolo meridionale. 


rpo piatto, senza coda allo sta- 
to perfetto. 


(Anuri) 


Gorpa lungo, quasi terete, munito 


| n coperto di pelle 

| sa, col ventre rivestito di squ 

| me quadrilatcre, più larghe che 
lunghe. Dita con unghie ricurve 

ed acute 


Ord. Il. SAURII . 


î 

Corpo cilindrico, serpentiforme, 

Î tutto coperto sopra e sotto di 

| squame lucide, eguali, cd em- 
bricate 


RETTILI 


ea 


senza 
\ gambe 


(G: 


Corpo cilindrico, molto allungato, 
coperto pel di sopra di squame 
coll’ addome vestito di piastre 

uadrilatere o la parte inferiore 

della coda di scudetti disposti 

a pajn. Mascelle assai dilatabili, 
\ e cute assai estensibile 


Ord. III. OFIDII . \ 


di coda. 


( Urodeli ) 


Dì 


A. 
del veleno. 


po © o da 9 scudetti rego- 
ri e simmetrici. Unn sola pia- 
strinn oculare anteriore, e due 
o tre posteriori. Pupilla rotonda, 
Squame del dorso liscie o care- 
nate, Coda lunga.) 


Senza den 


B. 
Con denti del veleno. 


(Gapo non coperto dni 9 scudetti 


(*) Specie non indigena, © solo imporlata da altre località 
(**) Nella descrizione dello tro specie del gen. Zacerfa Cuv. vennero accellati 
Cut, ! sottogeneri. Lacerto 
Zooloca © Podarcis /Wagl., del quali veggansi | rispettivi caratteri a pag To cocente DeL 


regolari e simmetrici. Occhio 
cinto inferiormente ed ai lati 
da doppia serie di piccoli scu- 
detti. Pupilla allungata vertical- 
mente. Squame del dorso care- 
nate. Coda brevissima, 


GENERI 


grmatura ovole, molto convessa, zampe clovate, con dita mal distinte all' esterno, fornite { n N 
«hi unghie, Coda brevissima e conica. Î TESTUDO Lrongn 


armatura ovale, più o meno depressa. Zampe e dita distinte, 


e, © collegate f 
alla base da membrana rilassata, Coda lunga, conica, assottig ì 


LMYS Wagler 


soî largo, cordiforme. Zampe depresse, pioniformi; le aoteriori 


Armatura compressa 
ue sole unglio per gamba. Coda brevissima, conica. ) (CITELONIA hrongn 


molto più lunghe 


Pelle superiormente liscio, granellosa al di sotto. Dita terminate da un disco piano, dila- 


HYLA Luur 
tato e depre: 


Pelle liscia e senza tubercoli, od al più appariscenti sui lati del collo, sulla schiena, c svi { mama Linn 


fianchi. 1 (emend.) 


BOMBINATOR 


di scabrosità, Senza parotidi ni lati del capo 


Pelle seminata di verruche € 


Pelle seminata di verruehie e papille; al di dietro degli occhi una grossa glaudula cost: { poro Lur 
tuente tumidissime parotidi. Ù 


Capo crasso; una grossa parotide n ciascun lato di esso. Goste pronunziate Coda lunga. 


arrotondato, conica. SALAMANDRA Lau 


Capo mediocre, distinto dal tronco; parotidi (?) ni lati di esso. Coste molto pronunziate. $ 
Coda fortemente ‘compressa. ì 


PETRAPON 


{ TRITON Laur. 


Capo mediocre, senza pavotidi. Coda depressa, a notatoje verticali cutanee 


di pori (pori femorali) lungo 
ribuite nd annelli regolari 


tv al collo. Le coscie con una fil 


Un collare squamoso s 
sala conica, coperta di scaglie di 


il loro margine interno. ( 
Palato con o senza denti. 


DACERTA Cuvier (**) 


Denti alle mascelle, non maî al palato, Goda cilindrica, assottigliata ed ottusa all'apice, { 
Juoga quanto il corpo ed anche più ì 


ANGUIS LI; 


n. (emend.) 


Gapo breve, più o meno distinto dal tronco. Corpo un poco îugrossato nel mezzo, Coda 
non molto lunga. Squame del dorso liscée. Ù 


CORONELLA schle 


COLUBER Linn 


Gapo un'poto più distinto dall tronco, Goda lungo. Squame del dorso liscle co rar (cmend.) 


Znpo ristretto al inuso ed allargato alla base. Coda non molto lunga. Squome del dorso $ 
carenate, Ure piastrine oculari posteriori. 


TROPIDONOTUS Kuhl 


Capo ovale, molto distinto dal corpo, coperto superiormente di coli ) egolari. $ 
n b D supe piccoli scudetti irregolari = 
con tino (entrate più grande. Spigolo rostrale poco risentito e non prominente all'apice. è CELTAS Merrom 


olto allargato posteriormente, coperto inticramente «da piccole squame 
e risentito e prominente all'apice del muso 


Capo più depresso, 


s a 
îrregola | VIPIERA Laurenti 


Spigola ros 


PR | Una verruea conîc: 


SPECIE 


ira gialla macchiata più o meno di nero. Animale di color giallo pallido tendente al verdastro T. gracea Linn. (*) 


(pag. 93.) 


Armatura nerastra superiormente con gran numero di punti e piccole striscie gialle. Animale nerastro pun- 
teggiato di giallo . . . 5 È Figo geniche 2x0... + + + lE» latarla Merren 


(pag. 404.) 


» earetta Gray 
(pag. 409.) 


Animale ed armatura di color bruno marrone superiormente, di color biondo gialletto pel di sotto 


MI. vieldis Layr. 


contornato du linea gialla sottile e fle: 
(pag. 279.) 


uosa 


Corpo d'un bel color verde uniformi 


o che lungo. Dorso di color verde d'erba con maceliie nerastre, quasi sempre con una 0 tre 


Capo tanto la 
udinali gialle È SICARIO SACRE 3 


fascie lo: 


RR. esculenta Linn 
(pag. 285.) 


RR. temporaria Linn. 
(pag. 292.) 


Dorso rossastro uniforme o con macchie nere. Una gran macchia nerastra alle 


Capo più largo che lui 
parti laterali della te 


Corpo di color olivastro terreo, uniforme, o con macchiette nerastre. Tutto il di sotto rancio fuocato, mac- 
chiato di azzurro tendente al ni O EEE RR a B. igneus NMerr. 


(pag. 297.) 


Gorpo di color terreo con macchie fosche o nerastro. Una striscia brunastra luogo il margine esterno delle 
PANORAI ST 2 PEN E SEAT SETS 


. vulgaris Laur. 
(pag. 303.) 


B. viridis Lavr. 
(pag. 343.) 


Gorpo biancastro con molte macchie di color verde di smeraldo, e con molte pustoletto di un rosso vivo. 


8. maculosa Laur 


Gorpo nero d' inchiostro con macchie gialle, grandi cd irregolari . 
(pag. 948.) 


Corpo di color nero uniforme, senza macchie . P. nigra Massal 

(pag. 330. ) 

Cute coperta di piccole verruche molli. Corpo bruno verdastro con macchie nere, Tutto il di sotto rancio 
vivo con macchie nere, DIO È . duo eta 


. eristatus Laur. 
( pag. 336.) 
Gute affatto liscia © priva di verruche. Gorpo cinereo-verdastro 0 bruno con macchie nere. Cinque. lincette 

nere sul muso. Tutto il di sotto di color rancio con macchiette nere 


T. punctatus Lair 
(pag. 343.) 
ormente di verruche; liscin pel di sotto. Corpo di color vario. Una fascia bianca ai 


ata di nero. Tutto il di sotto rancio fuocato, affatto privo di macchie 


Gute seminata su 
fianchi punti 


T. alpestris Lavr. 
(pag. 349.) 


ato di nero, 0 con due lince longitu- 
L. viridis Daud. 
(pag. 129.) 


Corpo cilindrico. Collare dentellato. Dorso verde unifor o punte; 


dinoli bianche orlate di nero 


Corpo stretto e cilindrico. Collare dentellato. Dorso bruno o grigiastro con una linca mediana longitudinale 
ni fianchi orlate di bianco . Z. vivipara Wagl. 


(pag. 139.) 


P. muralis Wagl. 
(pag. 447.) 


neri, e due alt 


Gorpo quasi quadrilatero. Collare non dentellato. Colori del corpo variabilissimi 


Corpo con lucentezza metallica. Per lo più di un color uniforme di bronzo patinato al di sopra, piombino 


ol di sotto . . . . » . . CRECUROREI DR 6 Poi A. fragllis Linn. 


(pag. 160.) 


Goda lunga appena un sesto di tutto il corpo. Dorso cenericcio, tinto di mattone con macchic oscure; ad- 


dome giallastro tendente al cinereo, sereziato di punti rossastri, brunastri 0 color d' acciajo ©. austriaca Laur. 


(pag. 183.) 


©. Riccioli Metaxa 
(pag. 194.) 


Dorso di color bigio od olivaceo rossastro con maceliie 
iallo canarino con due fuscie nere longitudinali paralelle. 


ciren una quarta parte di tutto il corpo. 
nchi ornati di punti corallini. Addome 


Coda lun 
scure. 


Dorso di color olisaceo. Capo della stsso colore con due striscielto nere per parte che hanno ovigino amar» 
gini inferiore © posteriore dell'ocelio. Tutto il di sotto del tronco d'un bel giallo uniforme ced eguale. €. fiavescens Gmel 


(pag. 497.) 


po macchiate 


Dorso di color verde cupo o verdastro nereggiante, sparso macchietto gialle. Piastre del c 
ni delle pia- 


dello stesso colore. Tutto il di sottò di color giallo screziato di nerastro smi margini est 
stre addomii 


€. viridilavus lacép. 
(pag. 203.) 
. carbonarius 


a. Il di sopra del corpo di color inchidstro uniforme > </a i 


Dorso ciuereo-olivastro, macchiato di ntro. Due macchie gialle molto distinte all'occipite, con altre due macchie 
nere trasversali subito seguenti. Addome giallastro tessellato di nero. . 0... T. nateix Wagler 
° nate A o ROS : |; (pag. 211.) 
Dorso verde olivaceo o cinerco olivacea macchiato di scuro, coi fianchi a macchie di color sanguigno 0 più 
raramente di giallo pagliarino. Due' lince nere foggiate a V rovesciato sull' occipite. Addome rossastro o 


giallastro tessellato di nero . . . . . MP e caino Soc 


TT. tessellatus De Filippi 
(pag. 249.) 


P. berus Merrem 
(pag. 229.) 


Colore del dorso vario, con una fascia longitudinale mediana bruna o nera, flessuosa e continua 


Colore vario, con quattro serie di macchie nerastre sul dorso opposte ed alternantisi, o qua e là confluenti.  W. aspls Merrem 
(pag. 238.) 


ammodytes Lalr. 
(pag. 253.) 


mobile, molto prominente all' apice del muso, Dorso cinerco con una fascia longitudi- 
suosa, continua , + sti iS 3 


nale nerastra, {ll 


Ù 

9 

% 
ti noi 
in 
Ù 


Sat " Sy Pa 
REI SL 
Pe LAI e i 


INDICE DELLE MATERIE 


PrefaziOR@: 0: PIG 
Autori citati nella Sinonimia . . . è De a 
Generalità:sumiRettili 0.0 #00 a O 
Mel veleno; della Vipera (i i i 0090 
Dellaspropagazione:t sali. ae a n 8 
Della riproduzione delle parti . . . . ... » 63 


Delle favole e pregiudizj nella storia dei Rettili. » 66 
Prospetto dei rettili delle Provincie Venete e del 

Tirolo meridionale, coll’ indicazione di quelli 

della ‘Lombardia;.}62% 68/0 Rai 
Ord CHELONE! i. A RE 
Ordoi-sAURiIE n. n. LL n II 
Ord: lliormmiest sei. Sl CAI 
Ord CINSRATBACI - . 0)... 0 a R02 
Tavola Sinottica dei rettili del Veneto e del Ti- 


tolo’: meridionale? i 0. Sii; i. LA 850 


356 


UNDIGI ABPABBTIGI 


A. GENERI E SPECIE. 


T) 


Anguiîs Linn. (emend.) pag. 122 


fragilis Linn. . . » 
Bombinator /7cgl. 


s 


igneus Merr. . . » 
Bufo Laur. . . . » 
viridis Zaur. . . » 
vulgaris ZLaur. . . » 
Chelonia Brongn. . » 
caretta Gray . . » 
Coluber Linn (emend.) » 
flavescens Gmel. . » 
viridiflavus Zacép. » 
Coronella Schlegel  » 


austriaca Zaur. . » 
Riccioli Metaxra . » 
Emys WVagler. . . » 
lutaria Merr. -. . » 


Hyla Laur. . . . » 


viridis Laur. . . » 
Lacerta Daud. . . » 
viridis Daud. . . » 
Pelias Merrem . . » 
berus Merr. . . » 


160 
266 
297 
266 
313 
303 

84 
109 
175 
197 
203 
172 
183 
191 

83 
101 
265 
279 
119 
129 
175 
229 


Petraponîa Massal. pag. 268 
nigra Massal. . . » 330 
Podarcis Vagler . » 119 
muralis /agl. . . » 447 
Rana Linn. (emend.) » 268 
esculenta Linn. . » 285 
temporaria Linn. . » 292 
Salamandra Laur. » 267 


» 


maculosa Zaur. +. » 318 
Testudo Brongn. . » 853 
graeca Linn. . . » 95 
Triton Zaur. . . . » 268 
alpestris Zaur.. . » 349 
cristatus Zaur.. . » 336 
punctatus Zatr. +. » 5345 
Tropidonotus Xuhil » 174 
natrix /agl. . . » 211 
tessellatus De Filippi = 219 
Vipera Laur.. . . » 176 
ammodytes Zatr. . » 253 
aspis Merr. . . . » 238 
Zootoca Wagler . » 149 
vivipara //agl.. . » 139 


= 


B. SINONIMIE. 


Anguis bicolor Risso pag. 162 


cinereus Risso . 
clivica Laur. 
eryx Linn. 
incerta Kryn. 
lincata Laur. 


Bombina ignea Sturm 
Bombinator bombina MW. 
— pachypus Fitz. 


Bufo alpinus Schinz . 


bombina Schinz. 
bombinus Latr. . 
calamita Laur. . 
cinereus Schneid. 
communis Catullo 
cruciatus Schneid. 
ferruginosus Risso 
igneus Laur. 
ignicolor Lacép. 
minutus Bonelli 
palmarum Cuvier 
Roeselii Latr. 
rubeta Schneid. 


sitibundus Schneid. 


spinosus Daud. . 
tuberculosus Risso 
variabilis Merr. 
ventricosus Latr. 


Caecilia tiphlus Ray . 


Calamita arborea Risso 


arborcus Schneid. 


162 
461 
161 
162 
161 
298 
298 
298 


308 


298 
298 
347 
304 
308 
317 
303 
297 
298 
304 
305 
304 
304 
14 
304 
303 
SAU 
304 
162 
280 
280 


357 


Caretta Caovana Fitz. pag. 140 


—  cephalo Merr. » 
Chelonia Caouana Schw. » 
Chersine graeca Merr. » 
Cistudo Europaea Gray. » 
Cobra ammody tes Fitz. » 
Coluber Aesculapti Shaw. » 

— ammodytes Linn. » 
— aspîs Linn. . . » 
— atroviîirens Shaw  » 
— austriacus Gmel. » 
— berus Linn. . . » 
— berus Razoum. . » 
— bipes Scopoli . » 
— carbonarius Sch. » 
— chersea Cuv. . » 
— chersea Razoum..» 
— communis Donnd. » 
— ferruginosusRetz » 
— Gabinus Metaxa » 
— helveticus Lacép. » 
— laevis Lacép. . » 
— meridionalis Daud.» 
— murorum Vest.» 
— nmatrix Lion. . » 
— matrix Shaw . » 
— natrix var.B.Gmel.» 
— pannonicus Nau  » 
—. prester Linn. . » 
— Redi Gmel. . . » 
— Riccioli Metaxa . » 


A40 
A40 
94 
102 
264 
198 
283 
238 
204 
185 
229 
258 
212 
204% 
250 
259 
204 
184 
220 
242 
184 
191 
212 
2A 
184 
198 
498 
229 
258 
191 


358 


Coluber rubens Gachet pag. 191 


— SScopolii Merr. . » 
— Scopolianus Daud. » 
— Sellmanzi Nau  » 
— sticulus Cuvier . » 
— tfessellatus Gmel. » 
— torquatus Lacép. » 
— tyrolensis Scop. . » 
—— vipera Lacép. . » 
— vipera anglorum 
Lar, (i ivorsato 
— viperinus Bendise. » 
— wvîperinus Metaxa » 
— vulgaris Razoum. » 
Coronella laevis Lacép. 


» 
aa 


— tessellata Laur. » 
Dendrohyas arborea Tsc, » 
— sarda Bonelli . » 
— viridis Fitz. . » 
Echidna ammodytesMerr.» 
— aspis Risso. . » 
— aspis var. a. Merr. » 
Elaphis 4esculapii Dum. » 
Emys Europaea Schweigg.» 
Ayla arborea Kryn. . » 
— sarda Bonelli . » 
Hyas arborea Wagl. . » 
Lacerta agilis Flem. . » 
— agilis Risso . » 


198 
212 
198 
212 
219 


159 
148 


— bilineata Daud. 4130, 135 


— Brongniartii D. » 


148 


— chloronota Rafin. 130,134 


— crocea Wolf. . » 
— ezigua Eichw.. » 


139 
150 


Lacerta maculata Daud. pag. 148 


nn 


montana Mikan » 
muralis Latr. . » 
palustris Linn.» 
porosa Retz . » 
praticola Eversm. » 
pyrrhogasterMerr.» 
salamandra Linn, » 
saricola Kryn. _» 
Schreibersiana D. » 
sericea Merr. . » 
strigata Eichw. » 
sylvicola Eversm. » 
tiliguerta Latr.  » 
tiliguerta caliscer- 

tula Cetti. . » 
taeniata Sturm » 
triton Retz . . » 
vivipara Jacquin » 


Lacertus vulgaris Ray» 
Molge alpestris Merr. » 


palustris Merr. » 
punctata Merr. » 
taeniata Gravenbh. » 
Wurffbeinii Merr. » 


Natrix Gabina Bonap. » 


longissima Laur. » 
tessellata Bonap. » 
torquata Fitz.» 
viperina Betta. » 
vulgaris Laur. » 


Pelias chersea Wagl. . » 


Podarcis Merremii Fitz. » 


Rana alpina Risso . » 


159 
147 
3396 
337 
4140 
440 
318 
4148 
4140 
148 
430 
430 
4147 


4147 
34S 
343 
159 
159 
350 
397 
BI/0.1 
54 
350 
220 
198 
220 


‘2412 


220 
212 
230 


148 


286 


359 


Rana alpina auctorum pag. 295 Salamandra terrestris 


— arborea Linn... » 279 Wurffb.. . pag. 319 
— bombina Linn. » 297 — VWurffbeinii Latr. » 350 
— bdufo Linn. . . » 505 Seps muralis Laur. . » 147 
— bufo var. B.Gmel. » 5344 — sericeus Laur. . » 147 
— foetidissimaHerm.» 3417 — terrestris Laur. » 130 
— ignea Shaw. . » 298 Terrapene Europaea Bell » 402 
— maritima Risso » 286 Testudo Caouana Daud, » 140 
-— mephitica Shaw » 517 — caretta Lian. . » 109 
— muta Laur. . » 295 — cephalo Schneid. » 109 
— pluvialis Lacép. » 5304 — EuropaeaSchneid.» 102 
— portentosa Blum. » 317 — flava Daud. . » 102 
— rubeta Tinn. . » 53053 — geometricaBriinn.» 94 
— sitibunda Pallas » 5314 — Hermanni Gmel. » 94 
— sonans Lacép. . » 298 — lutaria Gesner  » 4010 
— vwariabilis Pallas » 544 — marina Aldrov. » 1409 
— variegata Linn. » 297 — meleagris Shaw » 402 
— viridis Dum. Bibr.» 286 — orbicularis Linn. » 102 
— vulgaris Bonnat. » 286 — punctata Gottw. » 4102 
Rhinechis ammodytes F. » 254 — terrestris Plin. » 953 
Salamandra abdominalis Thalassochelis Caouana 
Daudi 30)» 345 Fitz. cli re 9 ALLO 
— alpestris Schneid.» 350 Triton abdominalis D. » 348 
— candida Laur. . » 529 — Apuanus Bonap. » 350 
— cristata Schneid. » 337 — carnifex Laur. » 337 
— elegans Daud. . » 545 — exiguus Bonap. » 344 
— exiqua Rusconi » 344 — lobatus Bonap. » 344 
— maculata Merr. » 5319 — Nycthemerus Mi- 
— platycauda Rusc. » 337 chahelles . . » 354 
— platyura Daub. » 5537 — palmatus Betta » 344 
— pruinata Schneid. » 337 — Parisinus Laur. » 3453 
— punctata Daud. » 543 — Wurffbeinii Laur.» 349 
— rubriventrisDaud.» 350 Tropidonotus viperinus 


— taeniata Schneid. » 343 Schl. (în parte). . » 220 


360 


Vipera berus Cuvier . pag. 239 


Vipera prester Latr. . pag. 230 
— Redi Latr. . . » 2539 
— Redti Schinz . » 239 
— vulgaris Latr.. » 230 

Zacholus austriacusWagl.» 184 

Zamenîs AesculapiîWagl.» 498 
— viridiflavus Wagl.» 204 

Zootoca crocea Wiegm. » 140 
— pyrrhogastra Tsc. » 440 


» 


italiani delle specie, 


— berus Daud. » 250 
— chersea Angelini » 250 
— chersea Latr. » 259 
— Fr. Redi Laur. » 258 
— Ilyrica Laur.. » 253 
— limnaeaBendise. » 230 
— MosisCharasLaur.» 238 
— occellata Latr. » 239 
— prester Metaxa » 239 
c. Nomi 
Angue fragile » 460 
Aspide . » 258 
Bastoniere (il) » 497 
Bello fil) 0%. » 2053 
Biacco (il) » 203 
Botta » 303 
Gaonana Vee » 409 
Carbonazzo . . » 204 
Colubro austriaco » 1853 
— del Riccioli . » 4191 
— liscio . » 183 
— saettone . » 197 
— verde giallo » 203 
Emide Europea . » 101 
Ghiacciolo » 1460 
Ila » 279 
Lucerto ramarro . » 129 
Lucerto viviparo . » 1539 
Lueertola .. . . 139, 187 
Lucertola dei muri » 147 
Lucertolone . » 129 


Lucignola. . . . . » 460 
Marasso: n 000 (RIO 05229 


Marasso palustre . . » 229 
Milordo (il). . . . » 203 
Natrice ‘4/0 078 00 2 


— biscia. ide II 
— Gabina . . . » 249 
— tessellata . . » 219 
Petraponia nera. . » 5330 
Raganella arborea . . » 279 
Ramarro +. +44, RM) 29 
Rana. +00. #0 75285,5292 
Rana muta . . . . » ‘292 
Ranocchia rossa . . » 292 
— verde. .. . » -285 
Ranocchiella comune . » -279 
Rospo comune . . . » 303 
— smeraldino . . » 3153 
— verde. . . . » 543 
Salamandra aquatica . » 336 
— terrestre. . . » -548 


Serpente uccellatore . pag. 203 


Tartaruga Caretta . 


Testuggine comune 


— greca. + 
Tritone alpestre 
— crestato . 


dI 


109 
95 
95 

S49 

936 


Tritone punteggiato 
Ululone 
Vipera acquajola . 
— comune 
— dal corno . 


364 


>») 


33 


99 


s° 


; I. Nomi volgari Veneti e Tirolesi delle specie. 


Aadapus gii. 
Misia. 
Angiella . + 
Angioli. .. + 
Anza ..... 
Aspese. . + 
Baràcule 
Baràscule .. . 
Dissangni , 
Bissa aquarola 
Bissa de piova 
Bissa fiamà 

Bissa ranéra , 
Bissa scudelara . 
Bissardola . . 
Bisse 


o 


197, 
197, 


bo) 


214, 


Bisso; Li. <..,. 183,497, 


Bisso d’aqua . 
Bisso de vero 
Bisson . 
Bissardola 
Bissorbola 
Bissordola 
Budolo 

Carbon 


99 


203 
2035 
191 
4197 
2035 
238 
279 
279 
185 
241 
348 
219 
211 
101 
147 
219 
203 
211 
160 
203 
147 
160 
447 
297 
204 


Garbonazz 
Garbonazzo 
GCharbonazz 
Copasse . . . 
Copasse di aghe 
Guotai Ri 
Grotoni . . + 
Grotonzello 
Grott 

Cuco 

Galana . 
Gajandra . . . . 
Iserdola 

Iserta 

Languro . . è 
Lanza... . . 
Ligador . . +. 
Ligaòr . 

Ligordo 

Liguro . 

Lipara . 

Lipare . 

Lipra 

Juserte vio 
Lisierte 


9 


. pag. 345 


297 
211 
258 
255 


204 
204 
204 
101 
404 
313 
303 
913 
292 
297 
109 
101 
147 
4147 
129 
205 
129 
129 
129 
129 
258 
2358 
238 
147 
147 


362 


Luserdola . 
Luserpa 


Luserpa casalina 
Luserpon . 


Luserta 


Lusertola . 


Lusertola verde . 


Madrace 


Magna Copasse . 


Magna Copasse de mar » 


Magne . 


Marasandola . 
Marasangola de vall 


Marasseto . 
Marasso 


Marasso de palù 


Martin coz 
Mucc 
Muco 


Mucolo 


Nanajuela . 


Orbarola 
Orbarolo . 
Orbesin 
Orbisigola 


Orbisiola . 


Orbisola 
Osertola 


Osertolon . 


Pissacàn 


Pissargott . 


Racola 


Racoleta . 


Racule . 


197, 


» 


336, 


147 
147 
1356 
129 
147 
147 
129 
QUAI 
{OL 
109 
205 
336 
349 
219 
229 
229 
129 
297 
297 
297 
147 
160 
160 
160 
160 
4160 
160 
147 
129 
292 
292 
279 
279 
279 


Rana 


de S. Duane 
de S. Giovanni 
de S. Martin 


de prà 


de sutto . 


Rana pissotta 


Rana rossa 


Ranela . 


Rose 
Rosche 
Rosco 
Rosp 
Rospa 


to . 


Rospazz 


Rospo . 


Rospo 


CUCCO . 


Salamandra 


Salamandra de fosso 


de terra . 


Salamandre 


Saltafossi 


Saltaréla 


Saltàro 


Salva-òmeni . 


Sarmandola 


Sarmandola d’ aqua 
Sarmandola de monte . 


"Sav . 
"Save 
Sborf 
Sbors 


Scorzon 


» 297, 


Sermandola d' aqua 


285, 292 
» 279 

» 279 

9 279 

» 292 

» 292 

» 292 

» 292 

» 279 

» 5343 

» 297 
cei LO 
303, 3135 
» 5305 

» 305 
3035, 315 
» 297 

. 103 4318 
336, 543 
» 5318 
518, 35453 
» 292 

» 292 

» 292 
o... 129 
318, 345 
396, 549 
» 349 
3035, 315 
303, 313 
» 129 

» 429 

si 0205 
336, 549 


Sermandole 
Sermandoleta 
Serp cenerin 
Serp d’ aqua 
Sgurbisul . 
Tartaruga . 


Tartaruga de mar . 


Warbitosorii ice 
Uarbitul 
Veccia Fasolàra . 


Vercia .. + 
Verdon 

Verm de vero . 
Verm ross 
Viparate ti 0, 


Vipara d' aqua . 


Vipara rossa . » 229 
Vipare . » 238 
Vipareta » 483 
Vipareta d’aqua. . . » 219 
Vipera. . +. . 4183, 229, 238 
Vipera cenerina » 214 
Vipera dal corno » 283 
Vipera de sutto » 1853 
Vipera rossa . » 229 
Vipereta » 483 
Vipereta cenerina . » 249 
Zaba » 104 
Zavaton » 5303 


364 


TAVOLA. 


Fig. 4. — Cranio della Vipera aspis (grandezza naturale). 


Fig. 2. 


(Questa figura può servire di illustrazione a quanto si espose 
a pag. 171 sulla facoltà degli Ofidii di dilatare enormemente la 
bocca). 

a. ligamento elastico che esiste tra le estremità delle branche 
della mascella inferiore e che permette quindi discostarsi molto 
I una dall’ altra — d. osso timpanitico che sorregge la mascella 
inferiore, ed il quale non solo è mobile egli stesso, ma pende da 
un ossicino c. delto osso mastoideo, sciolto esso pure dal 
cranio e tenutovi soltanto aderente da muscoli e ligamenti — 
d. denti del veleno). 
— Testa della Vipera in atto di ferire, coi denti del 
veleno sfoderati e portati in avanti. (grandezza na- 
turale). — Si vede pure la forma della lingua dei 
serpenti. 

a. sacco o guaina nella quale stanno ritirati i denti e celati 
in stato di quiete dell’ animale. 


Fig. 3. — Apparato velenoso della vipera (grandezza na- 


turale ). di 

a. glandula del veleno — d. suo canale escretore che sbocca 
alla base dei denti veleniferi — e. muscolo temporale anteriore 
che si estende sulla glandula del veleno e può comprimerla — 
d. piccolissimo filamento muscolare non avvertito nè figurato da 
alcun autore, ma che è della massima importanza, poichè par- 
tendo dal muscolo temporale anteriore e passando sotto l’ orbita, 
viene a fissarsi sulla sommità dell’osso mascellare superiore, ed 
è il vero muscolo elevatore dell’ osso o peduncolo che tiene i 
denti veleniferi — e. muscolo che dalla mascella inferiore si 
estende obliquamente sopra la glandula velenifera, e la comprime 


fortemente nell’ atto della morsicatura. 


Fig 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


365 


. 4. — Pezzo della mascella superiore. (grandezza na- 


turale ). 


a. suo punto d° attacco coll’ osso che tien fissi i denti del 
veleno. 


5. Lo stesso osso veduto pel davanti. (grandezza na- 


turale ). 


6.. Mascella superiore ingrandita. 


a. a. denti destinati solo a rattenere la preda, e comuni perciò 
a tutti gli ofidii — bd. denti veleniferi — c. altri denti cavi, 
piccoli, posti in prossimità della base dei denti veleniferi, e 
destinati a sostituire questi nel caso di perdita. 


7. — Dente velenifero a forte ingrandimento. 


a. foro alla sua base pel quale entra il veleno, sortendo dalla 
stretta fessura obliqua 6. situata in prossimità alla punta, per 
essere portato nella ferita. 


. 8. — Sezione verticale dello stesso dente. (disegnata 


sulla figura 6. Tav. II. di Fontana). 

a. canale interno pel quale cola il veleno nella ferita — 
b. cavità del dente affatto separato per mezzo del setto longitu- 
dinale transverso c. e destinata solo a ricevere i vasi ed i 
nervi che lo attaccano all’ osso. 


Fig. 9. — Capo di un serpente velenoso. (grandezza na- 


turale). — Vipera aspis Merr. 


Fig. 10. — Capo di un serpente non velenoso. (grandezza 


naturale ). — Coluber flavescens Gmel. 


; Ajtae 
PAEMLRO e UVA 


RS SVI Na: 


de Delia CEgperoto, DEA 


CA de CA Alia A i Ber et Cenuti 


m 


PORN 329 
\_O "i 


d S 


ERPETOLOGIA 


CES 


e di 


DALLA PROVINCIA VANDUA 


%, 


E 


DEL LIROLO UMERIDLONALE 


DI 


è 


EDOARDO ve BETTA. 


(cow una favola tulograf. ») 


VERONA 
STABIL. TIPOGRAFICO VICENTINI E FRANCHINI 
1857. 


I | 
| My // 
imbitZ/ £ 
%, 


PUBBLICAZIONI DELLO STESSO AUTORE. | 


= ==> > 


Sulla Melix Pollinii Da Campo. Osservazioni. Verona 1852. 
Tip. Antonelli. 

Catalogo dei Rettili della Valle di Non nel Tirolo ita- 
liano — Vienna 1852. (estratto dagli Atti della Societa* 
Zool. Botan. di Vienna). 

Descrizione di due nuove conchiglie terrestri del Veneto. 
Verona 14852. con una tav. litogr. color. 

Malacologia terrestre e fluviatile della Valle di Non (Tirolo 
italiano) — Parte I° Molluschi terrestri — con una 
tav. litograf. color. Verona 4852. 

Catalogus systematicus rerum naturalium in Museo 
de Betta extantium. Sect. I. Reptilia Europae — Ve- 
ronae 4853. 

Moliuschi viventi sul Monte Baldo, nel Veronese. Pavia. 
1855. (estratto dal Giorn. Malacol. di P. Strobel, An- 
no (NÈ) 

de BETTA e MARTINATI — Catalogo dei Molluschi 
terr. e fluviat. viventi nelle Prov. Venete — Vero- 
na 41855. Con una tav. litogr. 


TRQLR? 


501219 


bid 


— SMITHSONIAN  NOILOLILSNI 


"LIBRARIES INSTITUTION NVINOSHIINS S3 
di DI ce) Zena (02) o (de) 
£ = SA = #0 = = 
= È = z È H gg, ai 
5 N I O ac diffe, Fi 
2 NÒ E 2 $ AA 2 SA 
5 Ni = 2 Epi a Zi 
d ì D = Ci 
i Ri 3 = | 
NOILNIILSNI SIIYVYE11 LIBRARIES SMITHSONIAN INS 
f 6 di 7. di gg, È 
È x a > Gg,” 
È ai } < 2 < YI 
: E) i S Si S 
F z i 4 z pix z 
LIBRARI ES_SMITHSONIAN INSTITUTION ONORI NVINOSHIINS S3 
si e = 
2 le) SE (e) = AE ®) 
a) = “ = dd \\ i 
o s a) È 2 ÒÀ è BL 
> ES: > fs PART - {9 
si = È 2 è È 
; = po) = H . Z 
NOILNLIILSNI NVINOSHIINS SIIUYVYA!1 LIBRARIES IAN IN° 
7) = (42) = dea w > 
S «LL s LL = S 
iz + i < + PA 
GY > a, A È 9.S 
5 Zi E OX pri lo) rt È 
2 0 E z E = DE 
= i U s 5 = tie=a Ss 
2 f v Te (fp) . è <= t7o) 
LIBRARIES SMITHSONIAN INSTITUTION NOILNLIILSNI NVINOSHIINS S3 
: di z «i su 
i = = Pe N 1 
Z s ar nr Mmùi N È: 
A <L) Sa qc si vw < |o 
- È = m = Ò Ss 
©) uu ©) — ©) pa 
2 n 2 IH 2 JM 
NOILOLIASNI SIIUVUGII IN: 
> (= ze nari Z TC 
D =" ©) = ©) fa 
_ [03] = (vv) —- DD 
È 5 - na = , 
5 D =) 
i » Lara » [sno v= 
ai ® E a DI & 
z DI 21° Hi z ii 
LIBRARIES SMITHSONIAN INSTITUTION NOILNILILSNI NVINOSHLINS S3 
=. 2) Zi v = (02) 
< = < Z = = 
- E 5 a E E i 
2 $ 2 ug 8 ‘È 3 
= z E 2% E z, 
= Ò > > S > = Di 
I » he: 175) z (7o) Z< 
NOILNIIISNI NVYINOSHLINS S3IUYYYAI1 LIBRARIES SMITHSONIAN IN‘ 
do) > Ò v > VV) > 
Lu 2) i vw = v 
— per a ni IE me 
— [as — [ae Cd, = 
oc = È = te a \ 
© 5 = 5 Li ul 
ar z i ur 2 Br 2 
LIBRARIES SMITHSONIAN INSTITUTION NOILNLILSNI NVINOSHLIINS Sa 
Fr = G = LT nei, zo 
5 È È = o 9 | 
me) > bo) 3 LE NI 5 / 
> Es > = Pd X E 
D ne ° e) = D sE ( 
cai o) ne: n = v 


NVINOSHLIINS_S318V 811 LIBRARIES INSTITUTION _NOILNITIISNI 


» 


 SMITHSONIAN INSTITUTION NOILOILILSNI 


o 44; 


da 
Si 


SMITHSONIAN INSTITUTION NOILNLIILSNI NVINOSHLINS S3I14YVYAI1 LIBRARIES 


CS N _ ZI _ pi ale © VV è "e 
ea m 7a z ni RI m | 
) RES w 2 77) , w | 
SMITHSONIAN NOILNIILSNI NYINOSHLINS S314YYVYAI1_LIBRARIES SMITHSONIAN INSTITUTION  NOILNLILSNI 

= v 2 (0) 2: go v - xs vw 
< = E = a KDE = #= 

2 i dp = N 5 < f 5 

(TÀ SIG A , (©) “E (©) NNO ci SI OLI ve N Ar: 

È o9I 3 3. 2 NR 8 2PNRS 8; 

E 0 DE: 2 e Se 2 È 9° 

= > GG = > = CE = 53) 
È (12) È Pa (7°) Pa (72) O) 2 (75) FA 2 
NVINOSHLINS S3I1UVYEI71 LIBRARIES SMITHSONIAN _ INSTITUTION NOILNLILSNI LIBRARIES 
1 & 7,) = = ( = 
CS (I Ly 
N è = 5 È È 
O NN N < H = < S 
D 3 — = co Si 
> N Zi) > > J > 

E 

[oo] 

® 

i» 

=S50 

m 

vw 


SI3IYVYUEII 
INSTITUTION, NOILNLILSNI 
SIIUVYAIITLIBRARIES 
INSTITUTION 


INSTITUTION 
INSTITUTION 


PIV 1 9 ww 


NYINOSHLINS S3IUYYUAI1 LIBRARIES 


NVINOSHLINS SI3IUVYAI1 LIBRARIES 


2 v Pa 5 (92) 5 a 

2 sò z : z PS. 

> z 3 2 / Fa 

) È O 5 3 , © 7 4 bp, O 

) 72) SEZ e) \ i (7) 4 NOD. N 

= ©) L XÒ E o) E ©) GAI, NOS 

: z. N E z E zZ. = MEN 

3 > = DS = 3 > = > = DANY 

) 4 (Ce) (7°) Gite 7A (72) 2z (e) S 

i INSTITUTION NOILOLILSNI _ NVINOSHLIWS, SI IUVUHAIT SSMITISONIAN INSTITUTION* NOILNLILSNI 
[od (dp) «o. _ 

J z Las TA ui al ui Ugy z CUS - 

= E = E = =: dig.5 

3 C ( la cd (cas 9 47. E 

Dr peri de —] per) (0a VAL = 

): —_ m a m = mM. _ 

ri Ad 20) z i 2 ge SEA 


AMI 


| 


88 00054 7885 


| 


ia I TOPI 
veg gie 
deri Taeg 


VIRAAPZI 
RS EINE AO E cet artt gi 
“i 


auris CL PERA ge je 
a RT 
i gimimiri i) 


LITÀ 
AAA LA LA PORZIO 
CALI e 


CEL III 

E TE TAI n, 

dl ALTO 

CUI i PITT 
AI I e edi 


negri 
è pa Ji ne pd 


URI 
Uda AI #9 OO 
Ver DO 7 de ge mig 
CIA IITIZE pe È merda pù. 
veri 


CL I A 
CIANI SAITTA 
Dili ci 


PARO it 19 SORTA EA 
Pi ES Let